Ù NI (iL CELLA DI i tu ih ì edi iinit Ni) Ja cl ni n stia Iii } DEAL HRIGAIA METER i i ss3e9 = LES IRTNRION MU i Li TAIIGCENITO ‘Na vi cià DR Gelo | l) cp) FIL Nb RIMANI AS (HA, NVILILICILIZONNO i sar, } Ù f i ) RON] i IATA) i : ui Hi Ri RITO [i inte ALAIN! i HH .. TI . Ch pi VARE = o cà = \ = SR La rn = = == TEL = => - So - EEE! =S=2 TTEE = = = e ITT=- TINTI - TE 3 ITS utenti =t at = da too a recto stores: rt e =» = resa = To ace tatrnie= ei sere TA esi Reni ee == STI si ni —TTT= nato pi FAIANO bo Ra I VINTA III LIECICLIA] i MIR slip tr N, IL sta, ni o) ACLI si di n 1 - (UM, tia Mot, pH DI 1] i} LISI ui ui ti TE eanteni = n rosto>x: > = e = cn + Q- prote DU == = = Te==. == = ELE, . ES (MAO iui Va, (PINI MAL Cio RI SERIE ui dl I He forni |] i ni A Do: i tit) y Ù MI; Satta erro nitro DA: ‘ ;A ti ì î i} ANTI INITIIOATO lipidi Digi on atbreta; til pegnragià dot N aqaitprdter Rd Hiuzn fis Modi i A W 3 MRI salda DIO ' ' Iuet quriti n JIN V444 Ea | 4 #4) LIRE pa Yi CRE UR SCR IT 4 DELA DCRITTÀ giarti Sali NO ga pil Ttpee preti RI AERISTA di”. cha p \ I DIL k 9 di quo CALI Une +4 UE mil ed «hu epbi VITRO è Pi al gi ieri x NU i il ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE TIT: TRO RX O PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME QUARANTESIMOSESTO 1910-911 TORINO VilrNaC BENZ OxtB ON A: Tipografo di S. M. e dei Reali Principi. 1911 KLENCO ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL 31° Dicempre 1910. NB. — La prima data è quella dell’elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l’elezione. PRESIDENTE Boselli S. E. (Paolo), P.° Segretario di Stato dell'Ordine Mauriziano e Can- celliere dell'Ordine della Corona d’Italia, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Università di Bologna, Membro dell’Istituto Storico Italiano, Socio corrispondente della Classe di scienze morali della R. Accademia delle Scienze del- l’ Istituto di Bologna, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente del- l'Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia Patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure di Storia Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio della R. Accademia di Agri- coltura, Corrispondente dell’Accademia Dafnica di Acireale, Presidente Onorario della Società di Storia Patria degli Abruzzi in Aquila, Membro del Consiglio e della Giunta degli archivi, Presidente del Comitato Centrale della Società “ Dante Alighieri ,, Presidente del Consiglio di Amministrazione del R. Politecnico di Torino, Presidente del Con- siglio Superiore della Marina Mercantile, Membro del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Deputato al Parlamento nazionale, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Cord. & e ess, Gr. Cord. del- l’Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. di Bertoldo I di Zàhringen (Baden), e dell'Ordine del Sole Levante del Giappone, Gr. Uffiz. O. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d'O. di Francia, e C. 0. della Concezione del Portogallo. — Torino, Piazza Maria Teresa, 3. Eletto alla carica il 24 aprile 1910 — 12 maggio 1910. IV Vice-PRESIDENTE Camerano (Lorenzo), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia com- parata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio e della Giunta Superiore della Pubblica Istruzione, Socio della R. Accademia di Agricoltura di T'orino, Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro della Società Zoologica di Francia, Socio corrispondente del Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di Storia naturale, Socio straniero della Società Zoologica di Londra, Socio onorario della Società scientifica del Messico, Socio onorario della Società zoologica italiana, #, Comm. €. — Torino, Museo Zoologico della R. Università, Palazzo Carignano. Eletto alla carica il 29 maggio 1910 — 23 giugno 1910. TESORIERE Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore del Museo di Geologia e di Paleontologia della R. Università di Torino, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, e Corrispon- dente dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna, Membro del R. Comitato Geologico, ecc., Cav. &&., — Torino, Museo Geologico della R. Università, Palazzo Carignano. Rieletto alla carica 27 novembre 1910 — 15 dicembre 1910. CLASSE DI SCIENZE: FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia (Gioenia di Scienze naturali di Catania e “dell’Accademia Pontaniana, Uffiz. &, Comm. #&., — Torino, Via Sant Anselmo, 6. Eletto alla carica il 15 dicembre 1907 — 23 gennaio 1908. Segretario Segre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di ‘l'orino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lin- cei e della Società Italiana delle Scienze (dei XL), Membro onorario della Società Filosofica di Cambridge, Socio straniero dell’Accademia delle Scienze del Belgio e di quella di Danimarca, Secio corrispondente della Società Fisico-Mediea di Erlangen, dell’Accademia delle Scienze di Bologna, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, azz. — Torino, Corso Vittorio Eman., 85. Eletto alla carica il 19 giugno 1910 — 17 luglio 1910. ACCADEMICI RESIDENTI Salvadori (Conte 'l'ommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Diret- tore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze naturali delle Indie Neerlandesi e del R. Istitato Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Orni- thological Club, Socio Straniero dell’American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordi- nario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. «=, Cav. dell'O. di S. Gia- como del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). — Torino, Via Principe Tommaso, 17. 29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. D’Ovidio (Enrico), Senatore del Regno, Dottore in Matematica, Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Torino, incaricato di Geometria analitica e proiettiva e Direttore del R. Poli- tecnico di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio ordinario non residente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, Comm. *, e es. — Torino, Corso Sommeiller, 16. 29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 28 novembre 1889. Naccari (Andrea), predetto. 5 Dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato $ giugno 1893. VI Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo mineralogico della R. Univ. di Torino, #2. — Torino, Corso Vinzaglio, 4. 15 Giugno 1884 - 6 luglio 1884. — Pensionato 5 settembre 1895. Camerano (Lorenzo), predetto. 10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. Segre (Corrado), predetto. 10 Gennaio 1889 -. 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesi- male nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica , del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo, della Società matematica di Kasan, della Società filosofica di Ginevra, corrispondente della R. Accademia dei Lincei, e. — Torino, Via Barbaroua, 4. 25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. Jadanza (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nel R. Politecnico, Socio dell’ Accademia Pontaniana di Napoli, del Circolo matematice di Palermo, dell’Accademia Dafnica diAcireale e della Società degli Ingegneri Civili di Lisbona, Membro effettivo della R. Commissione Geodetica italiana, Uff. &2, — Torino, Via Madama Cristina, 11. 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. Foà (Pio), Senatore del Regno, Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, ecc., ecc., &, Comm. @&, — Torino, Corso Valentino, 40. 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. Guareschi (Icilio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore del- l’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università di Torino, Direttore della Scuola di Farmacia, Socio della R. Acca- demia di Medicina e della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Socio onorario della Società di Farmacia di Torino, Membro anziano del Consiglio Sanitario Provinciale, Cittadino Onorario di Crespellano (Bologna), Socio onorario dell’Associazione chimico-farm. toscana, Membro corri- spondente dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro corrispondente della Società di Farmacia di Parigi, Socio della Deutsche Gesellschaft b. Geschichte d. Medizin und Naturwissenschaften, Membro della Società Chimica di Berlino, della Berliner Gesellschaft f. Gesch. d. Naturwiss., ecc. Comm. 5, %. — Torino, Corso Valentino, 11. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. — Pensionato 28 maggio 1903. Guidi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica grafica e scienza delle costruzioni e Direttore dell’annesso Laboratorio sperimentale dei materiali da costruzione nel R. Politecnico in Torino, Uff. & e es*. — Torino, Corso Valentino, 7. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 11 giugno 1903. VII Fileti (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica gene- rale, Uff. ea». — Torino, Via Bidone, 36. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 10 marzo 1904. Parona (Carlo Fabrizio), predetto. 15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 21 gennaio 1909. Mattirolo (Oreste), Dottore in Medicina, Chirurgia e Scienze naturali, Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’Istituto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di Medicina, Presidente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bo- logna, della Società Imperiale di Scienze naturali di Mosca, della Royal Botanical Society di Edinburgh, della Società Veneto-Trentina, ece., Uff. es. — Torino, Orto Botanico della R. Università (al Valentino). 10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. — Pensionato 22 dicembre 1910. Grassi (Guido), Professore ordinario di Elettrotecnica e Direttore della scuola Galileo Ferraris nel R. Politecnico di Torino, Socio ordinario della R. Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, del- l'Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli, Corrispondente della R. Aecademia dei Lincei, Comm. €28. — Torino, Via Cernaia, 40. 9 Febbraio 1902 - 28 febbraio 1902. Somigliana (nob. Carlo), Dottore in Matematiche, Professore ordinario di Fisica matematica e incaricato di Meccanica razionale nella R. Uni- versità di Torino, rappresentante dell’Accademia nel Consiglio ammi- nistrativo del R. Politecnico di Torino, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, e corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. — Corso Vinzaglio, 10. 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. Fusari (Romeo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore ordinario di Anatomia umana, descrittiva e topografica e Direttore dell’ Istituto anatomico della R. Università di Torino, Socio dell’Accademia di Me- dicina di ‘l'orino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Fon- datore della Società medico-chirurgiea di Pavia, Onorario dell’Acca- demia delle Scienze mediche e naturali di Ferrara, #2. — Via Baretti, 45. 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. Balbiano (Luigi), Dottore in chimica e Professore ordinario di Chimica organica del R. Politecnico di Torino, Socio corrispondente della R. Ac- cademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di medicina di Roma, Socio onorario della Società di Farmacia di Torino, di Parigi e di Liegi, Cav. Uff. #, Com. @&., — Via Po, 22. 15 maggio 1910 — 12 giugno 1910. VII ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Volterra (Vito), Senatore del Regno, Dottore in Fisica, Dottore onorario in Matematiche della Università Fridericiana di Christiania, Dottore onorario in scienze della Università di Cambridge, Dottore onorario in Filosofia della Università di Stoekholm, Dottore onorario in Fisica della Clark University di Worcester, Mass, Professore di Fisica mate- matica, incaricato di Meccanica celeste e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Roma,uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Ace- cademia dei Lincei, Accademico corrispondente della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro nazionale della Società degli Spettroscopisti italiani, Membro straniero della Società Reale di Londra, Socio corrispondente nella Sezione di Geometria dell’Accademia delle Scienze di Parigi, Membro straniero nella classe di matematica pura della Reale Accademia Svedese delle scienze, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Gottinga, Membro corrispondente dell’Accademia Imperiale delle scienze di Pietroburgo, Socio corrispon- dente della Società medico-fisica di Erlangen, Membro dell’Accademia Imperiale Leopoldina Carolina di Halle, Membro onorario della Società Matematica di Londra, Membro onorario della Società matematica di Kharkow, Membro onorario della Società matematica di Calcutta, Membro onorario della Società di Scienze fisiche e naturali di Bordeaux e Membro corrispondente della Società Scientifica di Buenos Aires =, @, — roma, Via in Lucina, 17. 3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. Fergola (Emanuele), Senatore del Regno, Professore emerito nella R. Uni- versità di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei e dell’Accademia Ponta- niana, Socio ordinario del R. Istituto d’' incoraggiamento alle Scienze naturali, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto, Gr. Uffiz. &, Gr. Croce #4. — Portici, Corso Garibaldi, 11, Villa Nava 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. Bianchi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei e della Società Ita- liana delle Scienze, detta dei XL; Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in Milano, &, ds. — Pisa, Via Manzoni, 3. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. IX Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi Superiore nella R. Università di Pisa, Direttore della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana detta dei XL, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, dell’Acca- demia di scienze naturali di Catania e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Zelanti di Acireale, Membro del Consiglio Diret- tivo del Circolo matematico di Palermo, Socio della Società italiana per il progresso delle scienze (Roma), della R. Società delle scienze di Gottinga, Membro straniero della London mathemat. Society, Dottore ono- rario dell’Università di Christiania e di Glasgow, Vice presidente del Con- siglio Superiore e della Giunta di Pubblica Istruzione, Uff. &, Cav. 23, =. 18 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Golgi (Camillo), Senatore del Regno, Membro del Consiglio superiore di Sanità, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze «d honorem dell’Università di Cambridge, Membro onorario dell’Università Imperiale di Charkoff, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Membro della Società per la Medicina interna di Berlino, Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corrispondente onorario della Newurological. Society di Londra, Membro corrispondente della Socié de Biologie di Parigi, Membro dell’Academia Caesarea Leo- poldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e delle Società Fisico-mediche di Wurzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anatomica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di Medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Società Medico-chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Me- dica di Roma, Socio onorario della R. Accademia Medico-chirurgica di Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, del- l'Accademia Medico-chirurgica di Perugia, della Societas medicorum Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell'American Neurological Asso- ciation di New-York, Socio onorario della Royal Microscopical Society di Londra, Membro corrispondente della R. Accademia di Medicina del Belgio, Membro onorario della Società freniatrica italiana e dell’Asso- ciazione Medico-Lombarda, Socio onorario del Comizio Agrario di Pavia, Professore ordinario di Patologia generale e di Istologia nella R. Uni. versità di Pavia, Membro effettivo della Società Italiana d’Igiene e dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro onorario dell’Uni- versità di Dublino, Socio corrispondente della Società medica di Batavia, Membro straniero dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro ono- rario dell’Imperiale Società degli alienisti e neurologi di Kazan, Socio emerito della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, Socio corri. spondente dell’Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, Socio onorario della R. Società dei Medici in Vienna, Cav. Wi, cem, Comm. $. 15 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Lorenzoni (Giuseppe), Dottore negli Studi d’ Ingegnere civile ed Architetto, Professore di Astronomia della R. Università e Direttore dell’Osser- vatorio astronomico di Padova, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente della R. Acca- demia di Scienze ed Arti di Modena, Membro della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, &, Comm. =. — Padova, Osservatorio astronomico. 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. ACCADEMICI STRANIERI Klein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. — 10 Gennaio 1897 - 24 gennaio 1897. Haeckel (Ernesto), Professore nella Università di Jena. — 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Darboux (Giovanni Gastone), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. Poinearé (Giulio Enrico), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giu- gno 1903 - 28 giugno 1903. Helmert (Federico Roberto), Direttore del R. Istituto Geodetico di Prussia, Potsdam. — 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. Hoff (Giacomo Enrico van ’t), Professore nella Università di Berlino. — 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. Noether (Massimiliano), Professore dell'Università di Erlangen. — 15 mag- gio 1910 - 12 giugno 1910. Beyer (v. Adolfo), Professore dell’Università di Minchen. — Id. id, Thomson (John Joseph), Professore dell’Università di Cambridge. — Id. id. Suess (Edoardo), Professore dell'IT. R. Università di Vienna. — Id. id. XI CORRISPONDENTI Sezione di Matematiche pure. Tardy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova (Firenze). — 16 Luglio 1864. Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. Schwarz (Ermanno A.) Professore nella Università di Berlino. — 19 Di- cembre 1880. Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di Pisa. — 9 Marzo 1890. Jordan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto (Parigi). — 12 Gennaio 1896. Mittag-Leffler (Gustavo), Professore a Stoccolma. — 12 Gennaio 1896. Picard (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia, Parigi. — 10 Gennaio 1897. Castelnuovo (Guido), Prof. nella R. Università di Roma. — 17 Aprile 1898. Veronese (Giuseppe), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Padova. — 17 Aprile 1898. Zeuthen (Gerolamo Giorgio), Professore nella Università di Copenhagen. — 14 Giugno 1903. Hilbert (Davide), Prof. nell'Università di Gottingen. — 14 Giugno 1903. Enriques (Federico), Professore dell’ Università di Bologna. — 15 mag- gio 1910. Guccia (Gio. Batt.), Professore nell'Università di Palermo. — Id. id. Sezione di Matematiche applicate, Astronomia e scienza dell’ingegnere civile e militare. Ewing (Giovanni Alfredo), Professore nell’ Università di Cambridge. — 27 Maggio 1894. Céloria (Giovanni), Astronomo all'Osservatorio di Milano. — 12 Gennaio 1896. Pizzetti (Paolo), Professore nella R. Università di Pisa. — 14 Giugno 1903. Cerulli (Vincenzo), Dottore, Direttore dell’Osservatorio Collurania, Teramo. — 15 maggio 1910. Darwin (Sir Giorgio H.), Professore di Astronomia al Trinity College, Cambridge. — ld. id. Boussinesq (Valentino), Membro dell’ Istituto, Professore nell'Università di Parigi. — Id, id. XII Levi-Civita (Tullio), Professore nella R. Università di Padova. — 15 mag- gio 1910. Cavalli (Ernesto), Professore nella R. Scuola Superiore politecnica di Napoli. — Id. id. Sezione di Fisica generale e sperimentale. Blaserna (Pietro), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 80 Novembre 1873. Roiti (Antonio), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. — 12 Marzo 1882. Righi (Augusto), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Bologna. — 14 Dicembre 1884. Lippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 15 Maggio 1892. Rayleigh (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella Royal Institution di Londra. — 3 Febbraio 1895. Pacinotti (Antonio), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Pisa. — 17 Aprile 1898. Rintgen (Guglielme, Corrado), Professore nell'Università di Miinchen. — 14 Giugno 1903. Lorentz (Enrico), Professore nell'Università di Leiden. — 14 Giugno 1903. Battelli (Angelo) Professore nell'Università di Pisa. — 15 maggio 1910. Garbasso (Antonio), Professore nell’ Università di Genova. — Id. id. Neumann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — Td. id. Zeeman (P.), Protessore nell'Università di Amsterdam. — Id. id. Cantone (Michele), Professore nell'Università di Napoli. — Td. id. Sezione di Chimica generale ed applicata. Paternò (Emanuele), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 2 Gennaio 1881. Kéirner (Guglielmo), Professore nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in Milano. — 2 Gennaio 1881. Lieben (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna. — 15 Maggio 1892. Fischer (Emilio), Professore nell'Università di Berlino. — 24 Gennaio 1897, Ramsay (Guglielmo), Professore nell'Università di Londra. — Id. id. , Schiff (Ugo), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento in Firenze. — 28 Gennaio 1900. Dewar (Giacomo), Professore nell'Università di Cambridge. — 14 Giugno 1903. Ciamician (Giacomo), Professore nell'Università di Bologna. —14 Giugno 1903. Ostwald (Dr. Guglielmo), Gross Bothen (Sachsen). — 5 Marzo 1905. Arrhenius (Ivante Augusto), Professore e Direttore dell’ Istituto Fisico del- l’Università di Stoccolma. — 5 Marzo 1905. Nernst (Walter), Professore nell’ Università di Berlino. — 5 Marzo 1905. XIII Haller (Albin), Membro dell’Istituto, nell'Univ. di Parigi. — 15 Maggio 1910. Willstitter (Richard), Professore nell’ Università di Zirich. — Id. id. Engler (Carlo), Professore nella Scuola superiore tecnica di Karlsruhe. — Id. id. Meyer (Ernesto), Professore nella R. Scuola tecnica superiore in Dresda. — Id. id. ” Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Striiver (Giovanni), Professore nella R. Università di Roma. — 30 No- vembre 1873. Rosenbusch (Enrico), Professore nell’Univ..di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. Zirkel (Ferdinando), Professore nell'Università di Bonn. — 16 Gennaio 1881. Capellini (Giovanni), Professore nella R. Univ. di Bologna. — 12 Marzo 1882. Tsehermak (Gustavo), Protessore nell'Università di Vienna.—8 Febbraio 1885. Geikie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica (Londra). — 8 Dicembre 1893. Groth (Paolo Enrico), Professore nell'Università di Monaco.--13 Febbraio 1898. T'aramelli (Torquato), Professore nella R. Univ. di Pavia. — 28 Gennaio 1900. Liebiseh (Teodoro), Professore nell'Università di Gottinga. — ld. id. Bassani (Francesco), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 14 Giugno 1903. Issel (Arturo), Professore nella R. Università di Genova. — Id. id. Levy (Michele), dell’Istituto di Francia, Professore all’Università di Parigi. — 5 Marzo 1905. Goldsehmidt (Viktor), Professore nell’Univ. di Heidelberga. — 5 Marzo 1905. Suess (Francesco Edoardo), Professore nella I. Università di Vienna. — 5 Marzo 1905. Haug (Emilio), Professore nell'Università di Parigi. — 5 Marzo 1905. Lacroix (Alfredo), Membro dell'Istituto, Professore al Museo di Storia na- turale di Parigi. — 15 Maggio 1910. Kilian (Carlo), Professore nell’ Università di Grenoble. — Id. id. Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale. Saceardo (Andrea), Protessore nella R. Università di Padova. — 8 Feb- braio 1885. Hooker (Giuseppe Dalton), Direttore del Giardino Reale di Kew (Londra). — 8 Febbraio 1885. Pirotta (Romualdo), Professore nella R. Univ. di Roma. — 15 Maggio 1892. Strasburger (Edoardo), Professore nell’Univ. di Bonn. — 3 Dicembre 1893. Goebel (Carlo), Professore nell'Università di Monaco. — 13 Febbraio 1898. Penzig (Ottone), Professore nell'Università di Genova. — Id. id. Sehwendener (Simone), Professore nell’Univ. di Berlino. — Id. id. Wiesner (Giulio), Professore nella I. R. Univ. di Vienna. — 14 Giugno 1903. Klebs (Giorgio), Professore nell'Università di Halle. — Id. id. XIV Belli (Saverio), Professore nella R. Università di Cagliari. — Id. id. Baccarini (Pasquale), Professore nell’ Istituto di Studi superiori in Firenze. — 15 Maggio 1910. Mangin (Luigi), Membro dell'Istituto, Professore al Museo di Storia natu- rale di Parigi — dd rd. Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. Sclater (Filippo Lutley), Segretario della Società Zoologica di Londra, — 25 Gennaio 1885. Chauveau (G. B. Augusto), Membro dell'Istituto di Francia, Professore alla Scuola di Medicina di Parigi. — 1° Dicembre 1889. Waldeyer (Guglielmo), Professore nell'Università di Berlino. — Id. id. Guenther (Alberto), Londra. — 3 Dicembre 1893. Roux (Guglielmo), Professore nell'Università di Halle. — 13 Febbraio 1898. Minot (Carlo Sedgwick), Professore nell’ “ Harvard Medical School, di Boston Mass. (S. U. A.). — 28 Gennaio 1900. Boulenger (Giorgio Alberto), Assistente al Museo di Storia Naturale di Londra. — 28 Gennaio 1900. Marchand (Felice), Professore nell'Università di Leipzig. — 14 Giugno 1903. Weismann (Augusto), Professore nell'Università di Freiburg i. Br. (Baden). — 5 Marzo 1905. Lankester (Edwin Ray), Direttore del British Museum of Natural History. — 5 Marzo 1905. Dastre (Alberto Giulio), Membro dell'Istituto, Professore nell'Università di Parigi. — 5 Marzo 1905. Ramòn y Cajal (Santiago), Professore nell’ Università di Madrid. — 15 Maggio 1910. Metchnikoff, Dottore, Vice Direttore dell’ Istituto Pasteur in Parigi. — Id. id. Kossel (Albrecht), Professore nell’Università di Heidelberg. — Td. id. Ehrlieh (Paolo), Professore, Direttore dell’Istituto sperimentale di terapia in Frankfurt a. M. — Id. id. XV CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHR B FILOLOGICHE Direttore. Manno (Barone D. Antonio), Senatore del Regno, Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia. patria, Membrd del Consiglio degli Archivi e dell'Istituto storico italiano, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tii- bingen, Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. &, Balì Gr. Cr. d’on. e devoz. del $. M. O. di Malta, decorato di Ordini stranieri. — Torino, Via Ospedale, 19. Rieletto alla carica il 24 aprile 1910 - 12 maggio 1910. Segretario. De Sanctis (Gaetano), Dottore in Lettere, Professore di Storia antica nella R. Università di Torino, Socio ordinario della Società Archeologica italiana e della Pontificia Accademia romana di Archeologia, tm. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 44. Rieletto alla carica il 24 aprile 1910 - 12 maggio 1910. ACCADEMICI RESIDENTI Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Socio corrispondente della R. Acca- demia dei Lincei in Roma, #&. — Torino, Via Gioberti, 30. 10 Dicembre 1876 - 28 dicembre 1876. — Pensionato 1° agosto 1884. Manno (Barone D. Antonio), predetto. 17 Giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. Carle (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, £&, Uff. %, Comm. wiss. — Torino, Piazza Statuto, 15. 7 Dicembre 1879 - 1° gennaio 1880. — Pensionato 4 agosto 1892. Graf (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società Romana di Storia patria, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo, Socio + corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, dell'Ateneo di Brescia, della R. Accad. dei Lincei, ecc., Comm. # e @8, — Torino, Via Bricherasio, 11. 15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 20 maggio 1897. XVI Boselli (Paolo), predetto. 15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. Cipolla (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore emerito nella R. Uni- versità di ‘Torino, Prof. di Storia moderna nel R. Istituto di Studi Supe- riori in Firenze, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. De- putazione Veneta di Storia patria, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Ba- viera), del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e della R. Deputa- zione Storica toscana, Comm. ass. — Nirenze, Via Lorenzo il Magnifico, 8. 15 Febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. Allievo (Giuseppe), Dottore aggregato in Filosofia, Professore di Pedagogia e Antropologia nella R. Università di ‘Torino, Socio onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo, dell’Accademia di S. Anselmo di Aosta, dell’Accademia Dafnica di Acireale, della Regia Imperiale Accademia degli Agiati di Rovereto, dell'Arcadia, della R. Accademia di Lucca, dell’Accademia degli Zelanti di Acireale e dell’Accademia cat- tolica panormitana, Cav. &, Gr. Uff .@&&, — Torino, Piazza Statuto, 18. 13 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 20 giugno 1901. Renier (Rodolfo), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore di Storia comparata delle Letterature neolatine nella R. Università di Torino, Socio attivo della R. Commissione dei testi di lingua; Socio non resi- dente dell’I. R. Accademia degli Agiati di Rovereto; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Deputazione Veneta di Storia patria, di quella per le Marche, di quella per l'Umbria, di quella per l Emilia e di quella per le Antiche Provincie e la Lom. bardia, della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia patria e di Arti belle della Mirandola, della Deputazione municipale ferrarese di storia patria, della R. Accademia Virgiliana di Mantova, dell’Accademia di Verona, della R. Accademia di Padova, dell’Ateneo Veneto e di quello di Brescia; Membro della Società storica lombarda e della Società Dantesca italiana; Socio onorario dell’Accademia Etrusca di Cortona, della R. Accademia di scienze e lettere di Palermo, dell’Ac- cademia Cosentina e dell’ Accademia Dafnica di Acireale, Uffiz. %, Comm, @, — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 90. S Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 30 ottobre 1906. Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore di Persiano e Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della Società Colom- baria di Firenze, Dottore onorario dell’Università di Lovanio, Socio cor- rispondente dell'Ateneo Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, dell’ Accademia Dafnica di Acireale, dell’ Accademia dell’ Arcadia di Roma, &, «e, — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 16. 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 16 giugno 1907. Chironi (Dott. Giampietro), Senatore del Regno, Professore ordinario di Diritto Civile nella R. Università di Torino, Direttore della R. Scuola superiore di studi applicati al Commercio in Torino, Dottore aggregato XVII della Facoltà di Giurisprudenza nella R. Università di Cagliari, Membro del Consiglio superiore dell’Istruzione pubblica, del Consiglio superiore . per l'Istruzione commerciale, agricola, industriale, della Commissione Reale per la riforma del Diritto privato, Socio corrispondente dell’Ac- cademia di Legislazione di Tolosa (Francia), dell’Associazione interna- zionale di Berlino per lo studio del Diritto comparato, dell’Accademia Americana di Scienze sociali e politiche, &. Comm. ss. — Torino, Via Monte di Pietà, 26. 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. - Pensionato 29 agosto 1909. De Sanetis (Gaetano), predetto. 21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. Ruffini (Francesco), Dottore in Leggi, Rettore della R. Università di T orino, Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo 'di Scienze e Lettere Professore di diritto ecclesiastico, &, Comm. ass. — Torino, Via Prin- cipe Amedeo, 22. 21 Giugno 1903 - 8 juglio 1903. Stampini (Ettore), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore ordinario di Letteratura latina e Direttore della Biblioteca della Facoltà di Filo- sofia e Lettere nella R. Università di Torino, Presidente del Circolo di Milano per le ispezioni delle scuole medie, Socio corrispondente della R. Accademia Peloritana, dell'Ateneo di Brescia e dell’Accademia Virgi- liana di scienze, lettere ed arti di Mantova, Decorato della Medaglia del Merito Civile di 1° Classe della Repubblica di S. Marino, *, Comm. €53, — Piazza Vittorio Emanuele I, 10. 20 Maggio 1906 - 9 giugno 1906. D’Ercole (Pasquale), Dottore in Filosofia, Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di Torino, Membro della Società Filosofica di Ber- lino, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze morali e politiche di Napoli, Uff. &, Comm. #29. — Corso Siccardi, 26. 17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. Brondi (Vittorio), Dottore in Legge, Professore di Diritto amministrativo e Scienza dell’Amministrazione nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore di assistenza e beneficenza pubblica, Socio cor- rispondente onorario del Circolo di Studi sociali di Firenze, #, Comm. am. — Torino, Viu Montebello, 26. 17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. Sforza (Conte Giovanni), Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia patria di Modena, per la Sotto-Sezione di Massa e Carrara, Socio effettivo di quelle delle antiche Provincie e della Lombardia, di Parma e Piacenza e della Toscana, Corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, dell'Ateneo di Brescia e della Società Ligure di Storia patria, Socio ordinario non residente della R. Accademia Lucchese, Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, Membro d'onore dell'Académie Chablaisienne di Thonon-les-Bains, Membro aggregato Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. R XVIII dell'Académie des Sciences, Belles Lettres et Arts de Savoie, Socio dell R. Commissione per i testi di lingua, Membro della Commissione Aral- dica Piemontese, della Società di Storia patria di Vignola, della Com- missione municipale di Storia patria e belle arti della Mirandola, della Commissione senese di Storia patria e della Società storica di Carpi, Corrispondente della R. Accademia Valdarnese del Poggio in Monte- varchi, della Società Georgica di Treia e della Colombaria di Fi- renze, ecc., ecc., Presidente onorario della R. Accademia dei Rinnovati di Massa, Direttore del R. Archivio di Stato di Torino ed incaricato della reggenza provvisoria del R. Archivio di Stato di Venezia. Gr. Uff. dell'Ordine del Medjidiè di Turchia, Uff. & e Comm.. sm. — Via Giusti, 4. 17 Febbraio 1907 - 19 aprile 1907, Einaudi (Luigi), Dottore in legge, Professore di Scienza delle finanze e Diritto finanziario della R. Università di Torino ed incarivato di eco- nomia e legislazione industriale nel R. Politecnico di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e ‘li quella dei Georgofili. — Via Giusti, 4. 10 Aprile 1910 - 1° maggio 1910. Baudi di Vesme (Alessandro dei conti), Dottore, Direttore della R. Pina- coteca di Torino, Vice Presidente della Regia Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie. — Via dei Mille, 54. 10 Aprile 1910 - 1° maggio 1910. Schiaparelli (Ernesto), Dottore in lettere, Socio corrispondente della R. Ac- cademia dei Lincei, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro onorario dell'Istituto Khediviale egiziano e della Società Asiatica di Francia, della Società di Archeologia biblica di Londra, Direttore del R. Museo di Antichità di Torino, #, Comm. #6. 10 Aprile 1910 - 1° maggio 1910. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Villari-(Pasquale), Senatore del Regno, Presidente dell'Istituto Storico di Roma, Professore di Propedeutica Storica e Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nell’Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- namento in Firenze, Socio residente della R. Accademia della Crusca, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Socio nazionale della.R. Ac- cademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, della Pontaniana di Napoli, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria :per la XIX Toscana, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio straordi- nario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Baviera, Socio stra- niero dell’Accademia di Berlino, dell’Accademia di Scienze di Gottinga, della R. Accademia Ungherese, Socio corrispondente dell’Istituto di Francia (Scienze morali e politiche), Dott. on. in Legge della Università di Edimburgo, di Halle, Dott. on. in Filosofia dell’Università di Budapest, Professore emerito della R. Università di Pisa, Cav. dell'Ordine supremo della SS. Annunziata, Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. €, Cav. , Cav. del Merito di Prussia, ecc. 16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. Comparetti (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’ Uni- versità di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- namento in Firenze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente del- l'Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di Copenhagen e di Pietroburgo, Dottore «ad honorem delle Università di Oxford e di Cracovia, Uff. #, Comm. #29, Cav. &. — Firenze, Via La- marmora, 20. 20 Marzo 1892 - 26 marzo 1892. D'Ancona (Alessandro), Senatore del Regno, già Professore di Letteratura italiana nella R. Università e già Direttore della Scuola normale supe- riore in Pisa, Membro della Deputazione di Storia patria per la Toscana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles Lettres), della R. Accademia di Copenhagen, dell’ Accademia della Crusca, del R. Istit. Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli e della R. Accademia di Lucca, Doct. Philosoph. (honoris causa) dell’Università di Berlino, Cav. della Legione d’Onore, Cav. ©, Gr. Uff. *, Comm. ssa, — Firenze, Piazza Savonarola, 2. 20 Febbraio 1898 - 8 marzo 1898. Savio (Sacerdote Fedele), Professore di Storia ecclesiastica nella Pontificia Università Gregoriana, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio della Società Storica Lombarda. — Roma, Via del Seminario, 120. 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. Scialoja (Vittorio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore ordi- nario di Diritto romano nella R. Università di Roma, Professore onorario della Università di Camerino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia di Napoli, di Bologna, di Modena Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. p* e di Messina, Socio onorario della R. Accademia di Palermo, ecec., Comm. & e Gr. Uffiz. €. — Roma, Piazza Grazioli, 5. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Rajna (Pio), Dottore in Lettere, Dottore © honoris causa , dell'Università di Giessen, Professore ordinario di lingue e letterature neo-latine nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Accademico residente della Crusca, Socio Urbano della Società Colombaria, Socio onorario della R. Accademia di Padova, della Società Dantesca americana, della “ New Language Association of America ,, della “ Société néophilologique , dell'Università di Pietro- burgo, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, della Società Reale di Napoli, della R. Accademia di Palermo, della R. Accademia delle Scienze di Berlino, della R. Società delle Scienze di Gottingen, dell'Istituto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles-Bettres), della Società Reale di Scienze e Lettere di Géò- teborg, dell’Accademia R. Lucchese e della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, =, Uff. &, Comm. &8. — Firenze, Piazza d’Azeglio, 15. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1905. Kerbaker (Michele), Dottore in lettere, Professore di Storia comparata delle lingue classiche e incaricato di Sanscrito nella R. Università di Napoli, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei, Socio residente della Società Reale di Napoli, della R. Accademia Pontaniana, Membro della Società Asiatica italiana di Firenze, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Comm. *# e «&. — Napoli, Vomero, Via Scarlatti, 60. 26 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. Guidi (Ignazio), Dottore, Professore di Ebraico e di Lingue semitiche nella R. Università di Roma, Socio e Segretario della Classe di scienze mo- rali, storiche e filologiche della R. Accademia dei Lincei, 5, Uff. +, ©, C. 0. St. P. di Svezia. — Roma, Botteghe Oscure, 24. 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di Studi superiori e di perfezio- namento, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio ordi- nario non residente della R. Accademia di Scienze morali-politiche di Napoli, Socio corrispondente dell'Istituto Veneto, Socio ordinario della Colombaria di Firenze e corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per -la Toscana, Uff. +. 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. Pigorini (Luigi), Direttore dei Musei Preistorico e Kircheriano, Professore nella R. Università di Roma. Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. — Via del Collegio Romano, 26. 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. ACCADEMICI STRANIERI Meyer (Paolo), Membro dell’ Istituto, Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Ecole des Chartes (Parigi). — 4 Febbraio 1883 - 15 feb- braio 1883. Maspero (Gastone), Membro dell'Istituto, Professore nel Collegio di Francia (Parigi). — 26 Febbraio 1898 - 16 marzo 1893. Brugmann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — 31 Gennaio 1897 - 14 febbraio 1897. Bréal (Michele Giulio Alfredo), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) (Parigi). — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Wundt (Guglielmo), Professore nell'Università di Lipsia. — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1905. Foerster (Wendelin), Professore nell’ Università di Bonn, Comm. s&. — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. Duchesne (Luigi), Membro dell’Istituto di Francia, Direttore della Scuola Francese in Roma. — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. Saleilles (Raimondo), Professore nell'Università di Parigi. — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 19083. Jellinek (Giorgio), Prof. nell'Università di Heidelberg. — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. X XII CORRISPONDENTI Sezione di Scienze Filosofiche. Bonatelli (Francesco), Professore nella R. Università di Padova. — 15 Feb- braio 1882. Pinloche (Augusto), Prof. nel Liceo Carlomagno di Parigi. — 15 Marzo 1896. Chiappelli (Alessandro), Prof. nella R. Università di Napoli. — 15 Marzo 1896. Masci (Filippo), Professore nella R. Università di Napoli. — 14 Giugno 1903. Zuccante (Giuseppe), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 31 Maggio 1908. LI Sezione di Scienze Giuridiche e Sociali. Schupfer (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 14 Marzo 1886. Gabba (Carlo Francesco), Prof. nella R. Univ. di Pisa. — 8 Marzo 1889. Buonamici (Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Pisa. — 16 Marzo 1890. Dareste (Rodolfo), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 26 Febbraio 1893. Bonfante (Pietro), Prof. nella R. Università di Pavia. — 21 Giugno 1903. Toniolo (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Pisa. — 10 Giugno 1906. Brandileone (Francesco), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Brini (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Fadda (Carlo), Prof. nella R. Università di Napoli. -- Id. id. Filomusi-Guelfi (Francesco), Prof. nella R. Università di Roma. — Id. id. Polacco (Vittorio), Prof. nella R. Università di Padova. — Id. id. Stoppato (Alessandro), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Simoncelli (Vincenzo), Prof. nella R. Università di Roma. — Id. id. Sezione di Scienze storiche. Birch (Walter de Gray), del Museo Britannico di Londra. — 14 Marzo 1886. Chevalier (Canonico Ulisse), Romans. — 26 Febbraio 1893. Bryce (Giacomo), Londra. — 15 Marzo 1896. Patetta (Federico), Prof. nella R. Università di Torino. — 15 Marzo 1896. Gloria (Andrea), Prof. nella R. Università di Padova. — 21 Giugno 1903. Venturi (Adolfo), Professore nella R. Università di Roma. — 31 Maggio 1908. Luzio (Alessandro), Direttore del R. Archivio di Stato in Mantova. — Id. id. Sezione di Archeologia ed Etnografia. Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Milano). — 14 Marzo 1886. Poggi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a Savona. — 2 Gennaio 1887. XXIII Palma di Cesnola (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquari di Londra (Firenze). — 3 Marzo 1889. Mowat (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia (Parigi). — 16 Marzo 1890. Barnabei (Felice), Roma. — 28 Aprile 1895. Gatti (Giuseppe), Roma. — 15 Marzo 1896. Orsi (Paolo), Professore, Direttore del Museo Archeologico di Siracusa. — 31 Maggio 1908. Patroni (Giovanni), Professore nella R. Università di Pavia. — ld. id. Sezione di Geografia. Dalla Vedova (Giuseppe), Professore nella R. Università di Roma. — 28 Aprile 1895. Bertacchi (Cosimo), Professore nella R. Università di Palermo. — 21 Giugno 1903. Sezione di Linguistica e Filologia orientale. Marre (Aristide), Vaueresson (Francia). — 1° Febbraio 1885. Amélineau (Emilio), Professore nella École des Hautes Etudes di Parigi. — 28 Aprile 1895. Salvioni (Carlo), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 31 Maggio 1908. Lasinio (Fausto), Professore nel R. Istituto di studi superiori e di perfe- zionamento in Firenze. — Id. id. Parodi (Giacomo (Ernesto), Professore nel R. Istituto di studi superiori e di perfezionamento in Firenze. — Id. id. Schiaparelli (Celestino), Professore nella R. Università di Roma. — Id. id. Teza (Emilio), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia. Del Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca (Fi- renze). — 16 Marzo 1890. Novati (Francesco), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 21 Giugno 1903. Rossi (Vittorio), Professore nella R. Università di Pisa. — id. id. Boffito (Giuseppe), Professore nel Collegio delle Querce in Firenze. — id. id. D'Ovidio (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Napoli. — id. id. Biadego (Giuseppe), Bibliotecario della Civica di Verona. — id. id. Cian (Vittorio), Professore nella R. Università di Pavia. — id. id. Vitelli (Gerolamo), Professore nel R. Istituto di studi superiori e di perfe- zionamento in Firenze. — 31 Maggio 1908. i Flamini (Francesco), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. Gorra (Egidio), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. XXIV MUTAZIONI AVVENUTE nel Corpo Accademico dal 81 Dicembre 1909 al 351 Dicembre 1910. ELEZIONI SOCI Cipolla (Carlo). De Sanctis ( (cucmano) Sforza (Giovanni). storiche e filologiche del 6 febbraio 1910, per com- porre la Commissione del premio (Gautieri per | Eletti nell’adunanza della Classe di Scienze morali, sx la Storia (triennio 1907-1909). Naccari (Andrea) . Guareschi (Icilio) . Camerano (Lorenzo). f Eletti in seduta delle Classi Unite del 20 feb- Segre (Corrado) . .! braio 1910 per comporre la 1* Giunta per il XVII Renier (Rodolfo) . .{ premio Bressa del quadriennio 1907-1910 (Premio Ruffini (Francesco) . { internazionale). De Sanctis (Gaetano) Sforza (Giovanni). Ardigò (Roberto) In seduta del 6 marzo 1910 la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche prende atto delle dimissioni rassegnate dal me- desimo da Socio corrispondente per la sezione di Scienze filosofiche. Einaudi (Luigi), Professore, Vice Direttore del Laboratorio di Economia politica “ Cognetti De Martiis , della R. Università di Torino, eletto Socio nazionale residente nell’adunanza della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche del 10 aprile 1919, e approvata l’elezione con R. Decreto del 1° maggio 1910. Baudi di Vesme (Alessandro dei Conti), Dottore, Direttore della R. Pina- coteca di Torino, id. id. Schiaparelli (Ernesto), Professore, Direttore del R. Museo di Antichità di Torino, id. id. Boselli (S. E. On. Paolo), eletto Presidente dell’Accademia nell'adunanza a Classi Unite del 24 aprile 1910, e approvata 1 elezione con R. De- creto del 12 maggio 1910. Naceari (Andrea), eletto Vice Presidente dell’Accademia. — Non accetta la carica. Manno (Antonio), rieletto a Direttore di Classe nell'adunanza della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche del 24 aprile 1910, e approvata l'elezione con R. Decreto del 12 maggio 1910. De Sanctis (Gaetano), rieletto a Segretario di Classe, id. id. XXV Salvadori (Tommaso), eletto Vice Presidente dell’Accademia nell'adunanza a Classi Unite del 15 maggio 1910. — Non accetta la carica. Balbiano (Luigi), Professore del R. Politecnico di Torino, eletto Socio na- zionale residente nell’adunanza della Classe di Scienze fisiche, mate- matiche e naturali del 15 maggio 1910, e approvata l'elezione con k. Decreto del 12 giugno 1910. Noether (Massimiliano), Professore nell’ Università di Erlangen, eletto Socio straniero nell'adunanza della Classe di Scienze fisiche, matema- tiehe e naturali del 15 maggio 1910, e approvata l’elezione con R. De- creto 12 giugno 1910. Baeyer (Adolfo von), Professore nell'Università di Minchen, id. id. Thomson (John Joseph), Professore nell'Università di Cambridge, id. id. Suess (Edoardo), Professore dell’T. R. Università di Vienna, id. id. Sono eletti a Soci corrispondenti nell'adunanza del 15 maggio 1910 della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali nelle diverse Se- zioni i seguenti: I Sezione. — Matematiche pure. Enriques (Federico), Professore di Geometria proiettiva e descrittiva del- l’Università di Bologna. &uceia (Gio. Batt.), Professore di Geometria superiore nell'Università di Palermo. lI Sezione — Matematiche applicate, Astronomia e Scienza dell'ingegnere civile e militare. Cerulli (Vincenzo), Dottore, Direttore dell’Osservatorio Collurania, Teramo. Darwin (Sir Giorgio), Prof. di Astronomia al Trinity College, Cambridge. Boussinesq (Valentino), Professore di Calcolo delle probabilità e di Fisica matematica nell'Università di Parigi. Levi-Civita (Tullio), Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Padova. : Cavalli (Ernesto), Professore di Meccanica generale nella R. Scuola Supe- riore politecnica di Napoli. III Sezione. — Fisica generale e sperimentale. Battelli (Angelo), Professore di Fisica sperimentale nell'Università di Pisa. Garbasso (Antonio), Professore di Fisica sperimentale nell’ Università di Genova. Neumann (Carlo), Professore di Matematica nell'Università di Lipsia. Zeeman (P.), Professore di Fisica nell'Università di Amsterdam. Cantone (Michele), Professore Ordinario di Fisica sperimentale nell’Univer- sità di Napoli. XXVI IV Sezione. — Chimica generale ed applicata. Haller (Albin), Professore di Chimica organica nell'Università di Parigi. Willstiitter (Richard), Professore di Chimica generale nell’ Università di Zòùrich. Engler (Carlo), Professore di Chimica nella Scuola superiore tecnica di Karlsruhe. Meyer (v. Ernesto), Professore di Chimica organica nella R. Scuola tecnica superiore in Dresda. V Sezione. — Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Lacroix (Alfredo), Professore di Mineralogia al Museo di Storia naturale di Parigi. Kiliau (Wilfrid), Professore di Mineralogia e Geologia nell’ Università di Grenoble. VI Sezione. — Botanica e Fisiologia vegetale. Baccarini (Pasquale), Professore di Botanica nell’ Istituto di Studi supe- riori in Firenze. Mangin (Luigi), Professore di Botanica al Museo di Storia naturale di Parigi. VII Sezione. — Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. ‘Ramòn y Cajal (Santiago), Professore di Istologia e Patologia nell’Univer- sità di Madrid. Metchnikoff, Dottore, Vice Direttore dell'Istituto Pasteur in Parigi. Kossel (Albrecht), Professore di Fisiologia nell'Università di Heidelberg. Ehrlich (Paolo), Professore, Direttore dell'Istituto sperimentale di terapia in Frankfurt a. M. Camerano (Lorenzo), eletto alla carica triennale di Vice Presidente nella adunanza del 29 maggio 1910, e approvata l’elezione con R. Decreto 28 giugno 1910. Segre (Corrado), eletto alla carica triennale di Segretario di Classe nella adunanza della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali del 19 giugno 1910, e approvata l’elezione con R. Decreto 17 luglio 1910. Parona (Carlo Fabrizio), rieletto alla carica di Socio Tesoriere nell’adu- nanza del 27 novembre 1910, e approvata la elezione con R. Decreto 15 dicembre 1910. XXVII NL OdG. EL 17 Gennaio 1910. Kohlrauseh (Federico), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). 15 Febbraio 1910. Porena (Filippo), Socio corrispondente della Classe di Scienze morali, sto- riche e filologiche (Sezione di Geografia ed Etnografia). 18 Marzo 1910. Tobler (Adolfo), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 4 Aprile 1910. Ardissone (Francesco), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 10 Maggio 1910. Cannizzaro (Stanislao), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 4 Luglio 1910. Scehiaparelli (Giovanni), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 24 Novembre 1910. Mosso (Angelo), Socio nazionale residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 28 Gennaio 1907. Foster (Michele), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, ma- tematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia com- parata). Sourintro Mohun Tagore, Socio corrispondente della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche (Sezione di Linguistica e Filologia orientale). Mm i i ARI. eretti) T| i , $ : 3 î , TRONI, Ri urp: Ka f Î { dà a VRRIRETERTE 11% Er IR CNLITNE: uo Li ) I a latta ss; Ri sacivo@) iavion 4 nisi 103 è st a E Di ì SITI LIT LA ] ‘cd cinesi U è \ Tibia) \eifea Ù $ MATIZIII Di 44 ii. fad Pda i vada) NOn » silla ci “ * ritao ni LL î MLT Ihssr: peitiga sivoà anegaT usdoli ta , DI n Ù i . bale è i P Bitn ) WRGGI | (bruoloià 9 stan PUBBLICAZIONI PERIODICHE RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 1° Gennaio al 81 Dicembre 1910. NB. Le pubblicazioni segnate con * si hanno in cambio: quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Acireale. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Zelanti. Rendi- conti e Memorie, serie 33, vol. V e VI. — Memorie della Classe di Let- tere. Ser. 3*, vol. VI (1907-1908). * Aix-Marseille. Université: Annales de la Faculté de Droit, T. II, Nos. 3-4. — Annales de la Faculté de Lettres, T. 1II, Nos. 1-4. * Alba. Società di Studi storici ed artistici per Alba e territori connessi: Alba Pompeia, anno lI, N. 1-6; III, 1-4. Albany, N. Y. State Engineer and Surveyor. Report to the Governor of the Advisory Board of Consulting Engineers upon its Work relating to the Barge Canal from January 1, 1909 to January, 1, 1910. * Albuquerque, University of New Mexico. Bulletin, Catalogue Series, vol. XX. -—— Language Series, vol. I, N. 2. America. Library of Congress. Printed Cards how to order and use them. Bulletin 14, 15 (2d edition). — Transactions and Proceedings of the American Philological Association. 1908, vol. XXXIX. — American Urological Association. Transactions, 1909, vol. II. Eighth Annual Meeting at Atlantic City N.J. June 7th and Sth 1909. * Amsterdam. Académie Royale des sciences. Verhandelingen Afd. Natuur- kunde, 1 Sect.. DI. X, N. 1; 2° Sect., DI. XIV, 2-4, XV, 1; Verhandelingen Afd. Letterkunde, Nieuwe Reeks, DI. X, 2. — Zittingsverslagen Afd. Natuurkunde, vol. XVII. — Proceedings (Section of Science), vol. XI. — Verslagen en Mededeelingen-Letterkunde, 4° Reeks, DI.IX.— Jaarb. 1908. — Prijsvers Sex Carmina. Amico Monita rebus novis adversanti. * Angers, Société d’Études Scientifiques; Bulletin. Nouv. Sér., XXXVIII an., 1908. i Athènes. Observatoire National. Annales, T. V. * Austin. Texas Academy of sciences. Transactions, 1907, vol. X. Aastralia. V. Melbourne, V. Sydney. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 4 le XXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Baltimore. Johns Hopkins University. Circular, 1909, Nos. 1-9; 1910, 1-4. — American Chemical Journal, vol. XLI, Nos. 3-6; XLII, 1-6; XLIII, 1-5. — American Journal of Mathematics, vol. XXXI, Nos. 2-4. — American Journal ot Philology, vol. XXX, Nos. 1-4; XXXI, 1. — Historical and Political Science, Ser. XXVII, Nos. 1-12; XXXVIII, 3. — Johns Hopkins Hospital. Reports, vol. XV. * Barcelona, R. Academia de Ciencias y Artes. Nomina del Personal académico, ano de 1909 4 1910. — Memorias, 3° época, vol. VITI, N. 7-23. — Boletin, 8° época, vol. III, 1. * Basel. Naturforschende Gesellschaft. Verhandlungen, Bd. XX, Heft 2-3; XXI. * — Université. Catalogue des écrits académiques, Suisse, 1908-1909. * Bassano. Museo Civico. Bollettino, anno VI (1909), 4; VII (1910), 1-3. * Batavia. Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Guide .to the Plan of the Museum. — Tijdschrift voor indische Taal. — Land en Volkenkunde Deel LI, Afl. 5-6; LII, 1-2. — Notulen, Deel XLVII, 1909, Afl. 14; XLVIII, 1910, 1-2. — Rapporten van de Commissie Nederlandisch-Indié voor Qudheidkundig ondezoek op Java en Madoera 1907-1908. — De Java-Oorlog van 1825-1830, VI Deel, 1909. — Verhan- delingen, Deel LVITI, Stuk 1-2. — Ethnographica in het Museum. — Meteorologisch Observatorium. Regenwaarnemingen fin Nederlandsch- Indie. Dertigste Jaargang 1908, Deel I, Dagelijksche Regenval; II. Uit- komsten. — R. Magnetical and Meteorological Observatory. Observations, vol. XXX, 1907 and Appendix II. * Bergen. Bergen Museum. An Account of the Crustacea of Norway, vol. V, p. XXVII et XXX, Copepoda Harpacticoida. — Aarsberetning for 1909. — Avhandlinger og aarsberetning, 1909, 8die Hefte; 1910, 1-2. * Berkeley. University of California. American Archaeology and Ethnology, VW37 VII)"; 4; EX, 1‘ ‘Botany, vol. IN, ‘6-7; IV, 1. =" Chronicle, vol. XI, 2-4; X1I, 1. — Geology, vol. V, 16, 18-25. — Modern Philo- logy, vol. I, 1-83. — Physiology, vol. III, 14-17. — Zoology, vol. IV. 3, 4; V, 2-4, 6-12; VI, 2-6. -- Publications of the Academy of Pacific Coast History, vol. I, 3. * Berlin. K. Preussische Akademie der Wissenschaften. Abhandlungen: 1909. Physikalisch-Mathematische Classe; 1909. Philosophisch-historische Classe. — Sitzungsberichte, 1909, N. XL-LIII; 1910, I-XXXIX. — Acta Borussica. Die Beh6rdenorganisation und die allgemeine Staatsver- waltung Preussens im 18 Jahrhundert, Bd. V, Erste Hilfe von Anfang Januar 1730 bis Ende Dezember 1735; Bd. X, von Anfang 1754 bis August 1756. — Das Preussische Miinzwesen im 18 Jahrhundert. Miinz- geschichtlicher Teil. Bd. III (1755-1765), 1 v. 8°. — Die Getreidehandels- politik und die Kriegsmagazinverwaltung Preussen 1740-1756, 1 vol. 8°. — Centralbureau der Internationalen Frdmessung. Verhandlungen der vom 21 bis 29 Septembre 1909 in London u. Cambridge abgehaltenen 16. all- gemeinen Conferenz. I Th. Sitzungsberichte u. Landesberichte iber die Arbeiten in den einzelnen Staaten. Berlin. Leyde, 1910; 1 vol. 4°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXI Berlin. Zentralbureau der Internat. Erdmessung. Veròffentlichungen. N. F., N. 20. * — Historische Gesellschaft. Jahresberichte der Geschichswissenschaft, XXX, Jahrg. 1907; 2 vol. 8°. * Bern. Naturforschende Gesellschaft Mitteilungen... aus dem Jahre 1908, Nr. 1665-1700; 1909, Nr. 1701-1739. :* Besse. Station Limnologique. Annales; 1909, fasc. 3° e 4%; T. II, 1. * Beyrouth. Université de St.-Joseph. Al-Machrio. Revue catholique orien- tale mensuelle. 1910, XII Ann., N. 1-12. * Bologna. Istituto di Bologna. R. Accademia delle Scienze. Classe di Scienze fisiche. Memorie, Ser..VI, t. VI (1908-1909). — Rendiconti, N. S., vol. XIII (1908-1909). — Osservatorio della R. Università. Osservazioni meteorologiche dell’an- nata 1908, 1909. * — Biblioteca Comunale. L’Archiginnasio. An. IV, 1909, N. 6; V, 1910, 1-5. * Bordeaux. Faculté des Lettres... et des Universités du Midi. Bulletin hispanique, T. XIl, 1-4. — Bulletin italien, T. X, 1-4. — Revue des études anciennes, T. XII (1910), 1-4. * — Société des sciences physiques et naturelles. Procès-verbaux des Séances, an. 1908-1909. — Commission météorologique du Département de la Gironde. Bulletin, an. 1908. * Boston. American Academy of Arts and Sciences. Proceedings, vol. XLIV, Nos. 18-26; XLV, 1-15. * — Boston Society of Natural History. Proceedings, vol. XXXIV, 5-8. — Occasional Papers, VII. Fauna of New England. 11. List of the Aves. — Massachusetts General Hospital. Publications, vol. II, N. 2; vol. IIT, 1. * Brescia. Ateneo. Commentari per l’anno 1909; 8°. * Brooklyn. Museum of Brooklyn Institute of Arts and Sciences. Science Bulletin, vol. I, N. 15, 16. * Bruxelles. Académie Royale de Belgique. Annuaire, 1910. — Classe des sciences: Bulletin, 1909, N. 1-13; 1910, 1-6. — Mémoires, Collect. in-8°, 2° Sér., T. II, fasc. 5-6. — Mémoires, Collect. in-4°, 2° Sér., T. II, fase. 2-3. — Biographie nationale, T. XX, fasc. 2. * — Société d’Archéologie Annales, T. XXIII, 1909, livr. 1-4. — Annuaire, NXT 1900. * — Société des. Bollandistes.. Analecta Bollandiana, T. XXVIII, fasc. 4; XXIX, fasc. 1,9. * * — Société Entomologique de Belgique. Mémoires, T. XVII. — Annales, T. LII. * — Société Belge de Geéologie, de Paléontologie et d’ Hydrologie. Bul- letin, T. XXIII, 1909, Nos. 1-10; XXIV, 1-3. — Mémoires, T. XXIII, 1909, Nos. 1-4. * — Société Royale Zoologique et Malacologique de Belgique. Annales, an. 1908, T. XLIII. * — Musée Royal'd’Histoire naturelle de Belgique. Extrait des Mémoires, T.V. — Études sur les Végétanx fossiles du Trieu de Leval (Hainaut) XXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA par P. Marty, avec une note préliminaire sur la résine fossile de ce gisement par M. Langeron. — Les fossiles du Jurassique de la Belgique avec description stratigraphique de chaque étage par H. Joly. —- Explo- ration de la mer sur les còtes de Belgique par G. Gilson, 1° partie. — Descriptions des Ammonitides du erétacé supéricur du Limburg Belge et Hollandais et du Hainaut par De Grossouvre. — Pélécypodes du Montien de Belgique par M. Cosmann. * Bruxelles. Observatoire Royal de Belgique. Annuaire astronom. pour 1910. — Annuaire météorologique pour 1910. — Annales, Nouv. sér.. Annales astronomiques, T. XII, fasc. 1. — Physique du Globe, T. IV, fase. 2. — Liste des Observatoires Magnétiques et des, Observatoires Sismologiques. È Bucuresti. Societatii de Stiinte. Buletinul. An. XVIII, 1909, N. 5-6; XIX, 1-5. * Budapest. Ungarische geologische Gesellschaft. Féldtani kézl1ény (Geolo- gische Mitteilungen), XXXIX kétet, 6-12 fiizet, 1909; XL, 1-5, 1910. — Budapester kònigliche Gesellschaft der Aerzte. Verhandlungen,1907,1908 * Buenos Aires. Museo Nacional. Anales, Ser. III, T. XII. * — Sociedad Cientifica Argentina. Anales, 1909, T. LXVIII, Entrega 2-6; LXIX, 1-4. — Centenaire de la Révolution de mai, 1810-1910. — Bulletin mensuel de Statistique municipale, XXIII° ann., 1909, N. 10-12; KAI Vi, 6239; — Direcieon General de Estadistica de la Provincia. Boletin mensual, an. X, 1909, N. 102-107, 112. — Jardin Zoolégico. Revista, Época II, T. VI, N. 22. * Cagliari. R. Università. Annuario, anno scolastico 1909-1910. * — Società storica sarda. Archivio storico sardo, vol. V, fasc. 4. * Caleutta. Geological Survey of India. Records, vol. XXXVIII, p. 3,4; XXXIX (1909-1910); Memoirs, vol. XXXVII, XXXVIII. — Memoirs, Palaeontologica Indica, Ser. XV, vol. IV, fase. 2; VI, 2; N. S., vol. III, 1. * — Royal Asiatic Society of Bengal. Journal and Proceedings, vol. LXXIV (1909), p. 4, vol. IV, May-December 1908. — Memoirs, vol. II, 5-9. — Board of Scientific Advice for India. Annual Report for the year 1908-1909. Calcutta, 1910. California. Vedi Berkeley, San Francisco * Cambridge. Cambridge Philosophical Society. Proceedings, vol. XV, p. 4-6. — Transactions, vol. XXI, N. 10-14. * — Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Bulletin, vol. LII, N. 9, 11, 12, 14-17; LIV, 1. — Memoirs, XXXIV, 3; XXXVI, 1; XXVII, 3. — Annual Report of the Curator 1908-1909. * Cape-Town. R. Society of South Africa. Transaetions, vol. I, p. 2 (1910). * Catania, Accademia Gioenia di scienze naturali. Atti, ser. V, vol. II. — Bollettino delle sedute, 1909, fasc. 10-13. * — Società degli Spettroscopisti italiani. Memorie, 1909, vol. XXXVIII, disp. 11-12; XXXIX (1910), gennaio-novembre. * Chambéry. Société Savoisienne d’'histoire ct d’archéologie. Mémoires et documents, T. XLVII. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIII * Charleroi. Société Paléontologique et Archéologique. Documents et Rapports, T. XXX. * Charlottenburg. Physikalisch-technische Reichsanstalt. Die Titigkeit im Jahre 1910. * Chicago. Field Museum of Natural History. — Report Series, vol. II, 4. — Anthropological Ser., vol. VII, 3. — Botanical Ser., vol. IV, 1.-. Orni- thological Ser., vol. I, 4, 5. — Zoological Ser., vol. VII, 7, 8; IX; X, 1,2. — John Crerar Library. Fifteenth annual Report for the year 1909; 8°. * Christiania. Videnskabs-Selskabet 1908. Forhandlinger Aar 1908. I. Ma- thematisk-Naturvidenskabelig Klasse 1908. * Cividale. Memorie storiche Forogiuliesi. An. V, 1909, fase. 2-4. * Cincinnati. Lloyd Library. Bulletin, 18, 1909; 12, 1910. — Pharmacy Ser., N. 2. — Mycological Ser., N. 4. — Mycological Notes, N. 30-35, 1908-1910. Concarneaau, Laboratoire de Zoologie et Physiologie maritimes. Travaux scientifiques, T. 1, p. 1-2. * Copenhague. Académie R. des sciences et des lettres de Danemark. Le temple Étrusco-Latin de l’Italie centrale par L. Fenger. — Ole Romers, Adversaria med understot telse af Carlsbergfondet. — Bulletin, 1909, N. 6; 1910, Nos. 1-5. — Mémoires, Section des Sciences, T. V, N. 3, 4; VI; 5;; VIII, 4. * Cracovie. Académie des Sciences. Bulletin international. — Classe des sciences mathématiques et naturelles, Ser. A, 1909, N. 8-10; 1910, 1-7; Ser. B, 1909, N. 1-10; 1910, 1-6. — Classe de philologie, d’histoire et philosophie, 1909, N. 9-10; 1910, 1-2. — Akademii Umiejetnosci. Catalogue of Polish Literature, T. IX (1909), 3-4. — Wydzial filologiezny, Ser. II, T. 1. — Wydzialu matematycezno- przyrodniczeco, 1909, T. 9, A, B. — Henryk IV wobec Polski Szweeyi 1602-1610, 1907; 1 vol. 8°. — Rozprawy: wydzia} historyezno-filozoficzny, Ser. II, T. XXVIII. — Rozprawy: wydzia} filologiezny, Ser. INIT. II x De Bilt (Utrecht). Institut Météorologique des Pays Bas. Mededeeligen en Verhandelingen, N. 102, 9, 10. — Publication, N. 90. * Dublin. Royal Irish Academy. Proceedings, vol. XXVIII, Seet. A, No. 1-3; Sect. B, 1-8; Sect. C, 1-12. — Royal Dublin Society. Scientific Proceedings, vol. XII, N. 24-36. — Economie Proceedings, vol. II, 1,2. * Edinbargh. Royal Society. Proceedings, Session 1909-1910, vol. XXX, part 1-6. — Transactions, vol. XLVII, part 1-2. — Royal Observatory. Annals, vol. III; 4°. * — Royal Physical Society. Proceedings, vol. XVIII, 1-2. * — Edinburgh Geological Society, vol. IX, special part. * Erlangen. Physikalisch-medizinische Sozietàt. Sitzungsberichte, 41. Bd., * 1909; 8°. * Firenze, R. Accademia della Crusca, Atti, anno accademico 1907-1908; 1908-1909. # — R. Accademia economico-agraria dei Georgofili. Atti, serie 5*, vol. VII, disp. 1-3. Atti della RP. Accademia — Vol. XLVI. GE i] XXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Firenze. R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento. Pub- blicazioni. fasc. 27. Catalogo della Biblioteca dell’Osservatorio astrono- mico di Arcetri. — R. Istituto di scienze sociali © Cesare Alfieri ,. Annuario per l’anno ac- cademico 1909-1910. — Istituto Geografico militare. Processi verbali delle adunanze della Com- missione Geodetica italiana tenute in Roma nei giorni 14-17 aprile 1909. — Latitudine astronomica del punto trigonometrico di Monte Mario in Roma determinata negli anni 1904-1905. * — Osservatorio Meteorologico del R. Museo. Osservazioni dell’anno 1909. — Unione statistica delle città italiane. Annuario statistico delle città ita- liane, anno III, 1909-1910, redatto dal prof. Ugo Giusti. *#* — Almanacco italiano, anno XV, 1910. Fiume. Deputazione di Storia Fiumana. I Statuti concessi al Comune di Fiume da Ferdinando I nel MDXXX. Pubblicati e tradotti per cura della Deputazione di Storia patria da S. Grante. Fiume, 1910; 1 vol. 8°. Freiburg i. Br. Naturforschende Gesellschaft. Berichte, Bd. XVIII, 2. Heft. * Gap. Société d’'Études des Hautes-Alpes. Bulletin, XX° Ann., 2° Sér., N. 38-39, 2° et 3° trim. 1901; XXVIII° Ann., 3° Sér., 4° trim. 1909. * Genève. Institut National Genevois. Mémoires, T. XIX, 1901-1909; XX, 1906-1910. — Bulletin, T. XXVII, XXIX. * — Société de Physique et Histoire naturelle. Mémoires, vol. XXXVI, * fasc. 1-3. *# — Observatoire. Résumé meétéorologique de l’année 1908 pour Genève et le Grand Saint-Bernard; par R. Gaurrer. — Moyennes des dix ans pour les éléments météorologiques observés aux fortifications de St-Mau- rice; par R. Gaumer et H. Duare. — Observations météorologiques faites aux fortifications de St-Maurice pendant l’année 1908; par R. Gaurmier et H. Duarme. — L’'hiver de 1908 et quelques hivers rigou- reux à Genève; par R. GaurIER. * Genova. Società Ligure di Storia patria. Atti, vol. XXXIX-XLIII. * — Società di letture e conversazioni scientifiche. Rivista ligure di scienze, lettere ed arti. An. XXXI (1909), fasc. 6; XXXII (1910), 1-5. * — Museo civico di Storia naturale. Annali, Ser. 3, vol. IV. * Goteborgs. K. Vetenskaps-och Vitterhets-Samhalles. Handlingar Fjàrde foljden. 12:e haftet 1909. * Gottingen. K. Gesellschaft der Wissenschaften. Matematisch-physikalische Klasse: Abhandlungen, N. F., Bd. VI, 5-6; VII, 4. — Nachrichten 1909, Heft 3-4; 1910, 1-4. — Philologisch-historische Klasse: Abhandlungen, N. F., Bd. XII, 1, 2, 4. — Nachrichten, 1909, Heft 4; 1910, Beiheft, 1, 2. — Geschîftliche Mitteilungen, 1909, Heft 2; 1910, 1. * Granville Ohio. Denison University (Scientific Laboratories), vol. XIV, Art. 11-18; XV, pages 1-100. * Habana. Academia de Ciencias médicas, fisicas y naturales. Anales, Revista cientifica, T. XLVI, aggpsto-diciembre 1909, enero-feb. 1910; XLVII, marzo-agosto 1910. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA RR. ACCADEMIA XXXV Halifax. Nova Scotiam Institute ot Science. Proceedings and Transactions, vol. XII, p. 2; 1907-1908. i * Halle a. S. Kaiserliche Leop. Carol. Deutsche Akademie der Natur- forscher. Nova Acta, Bd. LXAXXVIIL-XCI. — Leopoldina, Heft XLIII-XLV. * Hamburg. Hamburgische Wissenschaftliche Anstalten. Jahrbuch, XXVI Jahrgang (1908). — Beiheft, XXVI (1908), 1-5. * Harlem. Société hollandaise des sciences. Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles. Sér. II, T. XV, livrs. 1-4. — uvres com- plètes de Christian Huygens. T. XII, Travaux de Mathématiques pures, 1652-1656, 1 vol. 4°. — Musée Teyler. Archives, Ser. II, vol. XII, 1° partie. — Fondation Teyler van der Hulst. Catalogue du Cabinet Numismatique de la Fondation Teyler, 2° édit., 1 vol. 8°. * Heidelberg. Naturhistorisch-medicinischer Verein. Verhandlungen, N. F., 10. Bd., 3-4 Heft. * Helsingfors. Societatis scientiaruam Fennice. Acta, vol. XXXV, N. 1-10, + 1 non n.; XXXVI, 1-4; XXXVII, 2-4. 6-11; XXXVIII, 1, 3; XXXIX; XL, 1-4. — Ofversigt, vol. LI, A, B, C(1908-1909); LII, A, B, C (1909-10). — Bidrag, vol. LXVII, 1-3; LXVIII, 2. — Institut météorologique central de la Société des sciences de Finlande. Observations météorologiques 1899-1900. — Meteorologisches Jahrbuch fiir Finland, Bd. III, 1903. Beobachtungen in Helsingfors und 33. Sta- tionen ete.— Schnee- und Fisverhaltn. in Finlande im Winter 1901-1902. Hermannstadt. Siebenbiirgischer Verein fiir Naturwissenschaften. Ver- handlungen und Mitteilungen, LIX. Bd., Jahrg. 1909; 8°. * Jena. Medizinisch-Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Jenaische Zeit- schrift fiir Naturwissenschaft, N. F., Bd. XXXIX, Heft 1-4. — Denk- schriften, XIV. Liefg. 1,2; XVI, 2-4. * Inghilterra. British Association for the Advancement of Science. Report on the 79. Meeting... Winnipeg, 1909, August 25-September 1. London, 1910 vol. 8° Italia. Società italiana per il progresso delle scienze. Bollettino del Comi- tato Talassografico, N. 1. * Juriew. Imp. Université. Acta, 1908, T. XVI; 1909, XVII. * Kharkow. Société mathématique. Communications, 2° Sér., T. XI, Nos. 5-6; Ni Kodaikanal. Kodaikanal Observatory. Memoirs, vol. I, p. 1. — Annual Report... for 1909. — Bulletin, No. XIX-XXIIT. Kyoto. Imp. University College of Science and Engineering. Memoirs, vol. II (1909-1910), N. 1-11. * Leipzig. K. Sachsische Gesellschaft der Wissenschatten. Philologisch- historische Klasse: Abhandlungen, XXVIII Bd., N. 1-2. — Beriehte, Bd. LXI, 1909, Heft 3; LXII, 1910, 1-5. — Mathematisch-physikalische Klasse. — Berichte. 1909, 4, 5; 1910, 1. — Jablonowskische Gesellschaft. Jahresbericht, Mîrz 1910. # — Verein fiir Erdkunde; Mitteilungen 1908, 1909. XXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Leyde. Association Géodésique Internationale. Rapport sur les travaux .du Bureau Central en 1909 et programme des travaux pour l’exercice de 1910. # Liège. Société Royale des Sciences. Mémoires, 3° Sér., T. VIII. * — Société Géologique de Belgique. Annales, T. XXXIV, 4° livr.; XXXVI, De et 9° Uivr. Lima. Ministerio del Fomento. Cuerpo de Ingenieros de Minas. Boletin, N. 75-76. | Lisbonue. Commission du Service Géologique du Portugal. Mollusques tertiaires du Portugal. 1° part. Pelecypoda; 4°. * — Société Portugaise des sciences naturelles, vol. III, 1-4, et suppl. au Nut IV * London. Royal Society. Proceedings, Ser. A, vol. 83, N. 561-566; 84, 567-572; Ser. B, vol. 82, N. 552-560; 83, 561, 562. i * — Royal Society. Reports to the Evolution Committee. Report V. — Royal Society. Catalogue of scientific papers 1800-1900, subject index, vol. II, Mechanics Year-Book, 1910. — Royal Society. International Catalogue of scientific Literature. A. Ma- thematies 7 annual issue; B. Mechanics, 7; €. Physics, 7; D. Che- mistry, 6; F. Meteorology, 7; @. Mineralogy, 7; H. Geology, 7; J. Geo- graphy, 7; K. Palaeontology, 7; L. General Biology, 6, 7; N. Zoology, 8; 0. Anatomy, 7; @. Physiology, 6; R. Bacteriology, 6, 7; 16 vol. 8°. * — R. Astronomical Society. Monthly Notices, vol. LXX, N. 1-8, 9 Suppl. Number. — Memoirs, vol. LIX, part 4°. — British Museum (Natural History). Catalogue of the Library, vol. II, L.0., 1910. — A Hand-list of the Genera and Species of Birds, vol. V. * * Monograph of the Okapi, Atlas. — Illustrations of African Blood- Sucking Flies other than Mosquitoes and Tsetse-Flies. — Catalogue of the Fossile Bryozoa. The Caetaceous Bryozoa, vol. II. — A descriptive Catalogue of the Marine Reptiles the Oxford Clay. Part I. — National Antartic Expedition 1901-1904, Natural History, vol. V, Zoology. and Botany. — Catalogue of the Lepidoptera Phalaenae, vol. IX (Text & Plates). — A Synonymic Catalogue of Orthoptera, vol. III. — Catalogue of British Hymenoptera of the family Calcididae. — A Monograph of the Calcidae, or Mosquitoes etc., vol. V. — Guide to the British Verte- brates. — Guide to the Crustacea, Arachnida, Onychophora and My- riapoda. -- Guide to Mr. Worthington Smith's Drawings of Field and Cultivated Mushrooms and Poisonnous or Worthless Fungi often mistaken for Mushroom. * — Chemical Society. List of Fellows. Journal, 1909, December, Suppl. Number; 1910, January-November. -- Proceedings, vol. XXV, No. 364: XXVI, 365-378. * — (Geological Society. List, May 10th, 1910. — Quarterly Journal, vol. LXV, p. 4, No. 260; LXVI, No. 261-264. ‘ * — Linnean Society. List 1910-1911. — Proceedings, 122nd Session. No- vember 1909 to June 1910. — Journal, Botany, vol. XXXIX, 272; Zoo- PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXVII logy, vol. XXX, No. 201, 202, 206, 207.— Transactions; Botany, 2nd Ser., vol. VII, part 18-14; Zoology, 2nd Ser., vol. X, p. 9; XIII, p. 1-4. * London. Royal Society of Literature. Transactions, 2nd ser., vol. XXIX, p. 2-4; XXX, p. 1. — Report and List of Fellows, 1910. — General Anniversary Meeting, May 25th, 1910. * — Royal Microscopical Society. Journal 1909, Part 6; 1910; 1-5. * — Zoological Society. Proceedings, 1909, Part 4; 1910, 1-3. — Tran- sactions. vol. XIX, Part 2-5. — List of the Fellows. — Imperial Cancer research Fund. Further evidence on the Homogeneity of the resistance to the implantation of malignant New Growths by E. F. Basnroro and B. R. G. RusseLL. — The contrast in the reactions to the implantation of Cancer after the Inoculation ot living and me- chanically disintegrated cells by M.Haacanp. — On the relative sizes of the Organs of rats and mice bearing malignant New Growths by F. Meprerecranus. — Contributions to the Biochemistry of Growth. The total nitrogen metabolism of rats bearing malignant New Growths by W. Cramer and Harorp Prinere. — Contributions to the Bioche- mistry of Growth. Distribution of nitrogenous Substances in tumour and somatic tissues by W.Cramer and H. PrineLe. — The immunity reaction to Cancer by E. F. Basnrorp. — Zellulire Analyse der Gesch- wulstimmunititàtsreactionen. Von C. Da Fano. — Sarcoma development oceurring during the propagation of a Haemorrhagie of the mamma of the mouse by B. R. G. RusseLr. — Ueber die Gròssenverhiiltnisse einiger der wichtigsten Organe bei tumortragenden Miusen und Ratten. Von F. Mepiereceanus. — Ergebnisse eines Fiitterungsversuches hei Ratten die tiberimpfte Tumoren trugen. Von F. MepIGRECFANUS. * Louvain. Université catholique. Annnaire 1910. — Programme des cours de l'année académique 1909-1910. — J. Leroy, Le Monophysisme Sévérien. Louvain, 1909. — A. MiLLer, La querelle des fondations cha- ritables en Belgique. Bruxelles, 1909. — A. Woycickt, La classe ouvrière dans la grande industrie du royaume de Pologne. Louvain, 1909. — T. 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Anuario. — Revista, IVIILNALIO. * — Real Academia de la Historia. Boletin, T. LV, cuad. 5-6; LVI, 1-6; LVII, 1-3. * Magdeburg. Museum fiir Natur- und Heimatkunde und dem Naturwissen- schaftlichen Verein. Abhandlungen u. Berichte. Bd. II, Heft 1. * Mantova, R. Accademia Virgiliana. Atti e Memorie, an. 1909, vol. II, p. 2 e Appendice, IlI, 1. Melbourne. Department of Lands and Survey Victoria, in 8 carte. * Mexico. Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. Memorias y Revista, T. XXV, Nos. 9-12; XXVII, 4-10. — Observatorio Meteorologico Magnético Central. Boletin mensual: 1905, febrero-diciembre; 1909, mayo-septiembre. — Instituto Médico nacional. Anales, T. XI, N. 1. * Milano. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti. Classe di scienze matematiche e naturali: Memorie, vol. XXI, fasc. 1-4; XXII 4. — Classe di scienze morali, storiche e filologiche: Memorie, vol. XXII, fasc. 1-4. — Rendiconti, Ser. 2*, vol. XLII, fase. 16-20; XLIII, 1-16. * — Società Italiana di scienze naturali e Museo Civico, vol. XLVIII, fasc.3, 4; NIIX ili — R. Osservatorio di Brera. Anno 1911. Articoli generali del Calendario ed Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Milano (con ap- pendice). — Pubblicazioni, N. XLVII. Programmi di determinazioni del tempo. — Municipio. Bollettino statistico mensile, 1909, novembre, dicembre; 1910, gennaio-ottobre. — Riassunto dei Bollettini statistici mensili dell’anno 1909. — Dati statistici a corredo del resoconto dell’ammini- strazione comunale. 1909. * — Associazione ‘l'ipografico-Libraria italiana. Indice per materie del Ca- talogo generale della Libreria italiana dall'anno 1847 al 1899, vol. I, puntata 11-14. * Modena, Regia Accademia di scienze, lettere ed arti. Memorie, ser. III, vol. VIII. — Società dei Naturalisti e Matematici, Ser. IV, vol. XI. Monaco. Institut Océanographique. Bulletin, N. 154-184. * Moncalieri. Osservatorio del R. Collegio Carlo Alberto. Bollettino meteo- rologico e geodinamico: 1909, novembre-dicembre. 1910, Osservazioni meteorologiche, gennaio-ottobre;j Osservazioni sismiche, gennaio, 3-8. * Montevideo. Observatorio Nacional Fisico-Climatologico. Boletin, vol. VI (1909), Enero-Junio. * Montpellier. Académie des sciences et lettres. Bulletin mensuel, 1910, N. 1-7, Janvier-juillet. — Mémoires de la Section des Sciences, 2° Sér., T. IV, 1, 2. — Mémoires de ]a Section des Lettre, 2° Sér., T. V, 2. * Moscou. Société Impériale des Naturalistes. Bulletin, An. 1908, N. 1-4. * Miinchen. K. Bayerische Akademie der Wissenschaften. Sitzungsberichte. — I. Philosophisch-philologische und historische Klasse; Jahrgang 1909, * * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIX 7-10 (ultimo), Abh. 1910, 1, 2. — IT. Mathematisch-physikalische Klasse: 1909, 15-20 (ultimo), Abh. 1910, 1-4. — Abhandlungen. II. Mathema- tisch-physikalische Klasse, XXV Bd., 1-3 Abh., I Suppl. Bd., 7-8 Abh.,; III Suppl. Bd., 1 Abh. — Adolf Furtwingler. Gedachtnisrede... von Paul Wolters. — Monumenta Boica, N. F., II Bd., 1910. *# Miinchen. Ornithologische Gesellschaft in Bayern, Verhandl., 1908, Bd. IX. * Naney. Academie de Stanislas. Mémoires, 1908-1909, 6° Sér., T. VI. * Nantes. Société des sciences naturelles de l’Onest de la France. Bulletin. 90 Sér., T. IX, 2° et 3€ trimestres 1909. * Napoli. Società Reale. Annuario. — Accademia delle scienze fisiche e matematiche. Rendiconto, Ser. 3%, vol. XV, fase. 8-12; XVI, 1-9. Onoranze alla memoria di A. Scacchi. — Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti. Atti (N. Ser.), vol. I. — Rendiconto, N. S., An. XXIII, 1909. — Accademia di scienze morali e politiche. Rendiconto delle tornate, Anno XLVIII (1909). — Atti, vol. XXXIX, XL. * — Accademia Pontaniana. Atti, vol. XXXIX. * — R. Istituto d’Imeoraggiamento. Atti, 1909. Napoli, 1910; 4°. * — R. Università degli Studi. Annuario pel 1908-1909. — R. Università. Pubblicazioni degli Istituti giuridici: R. Trirone, Le Giunte di Stato a Napoli nel secolo XVIII. Napoli, 1909; 1 vol. 8°. — E. GentiLe, Il tribunale dell’Ammiragliato e Consolato (1783-1808). Napoli, 1909; 8°. — A. Graziani, Problemi speciali di valore e di scambio. Napoli, 1910; 8°. — M. A. D’Amgrosro, Passività Economica. Primi principì di una teoria Sociologica della popolazione economica- mente passiva. Napoli, 1909; 1 vol. 8°. — Museo Zoologico della R. Università. Annuario, N. S., vol. III, N. 1-12. * — Società dei Naturalisti. Bollettino, vol. XXIII. * Neapel. Zoologische Station. Mittheilungen, XIX Bd., 4 Heft: XX, 1. Neuchatel Société Neuchàteloise des sciences naturelles. Bulletin, T.XXXVI, An. 1908-1909. New Haven. Yale University. The New Haven Mathematical Colloquium, lecture delivered before Members of the American Mathematical So- ciety etc. New Haven, 1910; 1 vol. 8°. — Yale University. Transactions of the Astronomical Observatory, vol. II Part (22. * New-York. American Mathematical Society. Bulletin, vol. XVI, No. 4-10; XVII, 1,2.— Transactions, vol. XI, 1-4.-- Annual Register, 1910. — Ca- talogue of the Library, 1910. * — New York Public Library Astor Lenox and Tilden fonndations. Bulletin, 1909,. vol. XII, No. 12; 1910. vol. XIV, Nos. 1-11. — Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching. Standard forms for financial Reports of Colleges Universities and Technical School. Bulletin, Nr. 3. — Fourth Annual Report of the President and of the Treasurer, 1909. — Medical education in the United States and Canada. Bulletin, 4. — American Association of Genito-Urinary Surgeons. Transactions. vol. III (1908); IV (1909). XL PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Niirnberg. Naturhistorische Gesellschaft, XVIII, Bd. I. * Oberlin (Ohio). Wilson Ornithological Club. Wilson Bulletin, vol. XXI, 2:47 XXII; (1,2. — Oberlin College. Laboratory Bulletin, No. 14, 15. Odessa. Observatoire météorologique et magnétique de 1’ Université Impé- riale. 1908. Annnaire, * Ottawa (Canada). 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XXIX, fase. 1-3; XXX, 1-3. — Supplemento, vol. IV, 1909, N. 5-6; V, 1910, 1-4. — An- nuario biografico, 1910. — Imdice delle pubblicazioni, N. 3, 1910. — Collegio degli Ingegneri e Architetti. Atti, 1908, luglio-dicembre; 1909, gennaio-giugno. — Società di scienze naturali ed economiche. Giornale, vol. XXVII, 1909. Parà. Museu Goeldi (Museu paranense) de historia natural et ethnographia. Boletim, vol. VI (1909); 8°. Paris. Ministère de l’Instruetion Publique. Catalogue des Thèses et Écrits académiques, 25° fasc. Année scolaire 1908-1909. — Ministère de l’Instruetion Publique et des Beaux-Arts. Inventaire som- maire des Archives communales et départementales antérieures à 1790: Eure, Répertoire numérique de la Sér. V (Cultes). — Eure-et-Loîre, Car- tulaires Chartrains, T. II, fase. 1. Eure-Inférieure, Sér. L (Admini- stration du Département en 1790 à l’an VIII) — Gard, Archives civiles, Sér. E, T. IV. — Mautes-Alpes, T. VII, Sér. G; T. VI, Archives Ecclé- slastiques. — Maute-Garonne, Inventaire des Archives de la Bourse des Marchands de ‘l'oulouse. — JZsère, Sér. L (Documents de la période ré- volutionnaire), T. Il. — Seine-Inférieure, Sér.T, Culte ; Sér. V, Instruction Publique, Sciences et Arts. — Ville de Bordeaux, Archives Municipales, Période révolutionnaire (1789-an VIII)N — Vosges, État numérique de la Sér. V (Cultes). — Musée Guimet. Le Jubilé, XXV°® Anniversaire de sa fondation, 1879-1904, 2° édition. Annales, T. XXXI-EXXXIII:; Catalogue, Galerie Égyptienne; Cylindres Orientaux. * * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLI Paris. Ministère des Travaux Publies, des Postes et des Télégraphes. An- nales des Mines, 1909, X© Sér., T. XVI, 7-12 livrs., 1910; XVII, 1-5. * — École Polytechnique, Journal, II° Sér., XIIT® cahier. * — Institut de France. Annuaire pour 1910. * — Comptes rendus hebdomadaires des Séances de l’Académie des sciences, T. CL, CLI. — Séances et travaux de l’Académie des sciences morales et politiques. — Bureau des Longitudes. Annuaire pour l’an 1911; 16°. * — Musée National d’histoire naturelle. Bulletin, An. 1909, Nos. 5-7. — Nouvelles Archives, 5° sér., T. I, 1°-2° fasc. — Société Anatomique. Bulletins et Mémoires, 6° Sér., T. XII, 1-7. * — Société Nationale des Antiqualres de France. Mettensia, Mémoires et documents, VI, fase. 1. — Bulletin, 1909, 4° trim.; 1910, 1° et 2°. — Mé- moires, Ser. 7°, T. IX. È ** xx *% * — Société de Géographie. La Géographie, Bulletin, An. 1909, XX, Nos. 2-4. * — Société Mathématique de France. T. XXXVII, fasc. 4; XXXVIII, 1-4. * — Société Philomathique. Bulletin, X° Sér., T. I, Nos. 4-6; IL, 1-5. * — Société de Spéléologie. Spelunca. Bulletins et Mémoires, T. VII: N. 57-60. È — Société Zoologique de France. Bulletin, T. XXXIV. * Pavia. Società Pavese di Storia patria. Bollettino, An. IX (1909), fase. 3-4; X (1910), 1-2. * Perugia. Università. Facoltà di Medicina. Annali, Ser. 3%, vol. VII, 3-4; VII, 1-2. — Facoltà di Giurisprudenza, Annali, Ser. III, 1909; vol. VII, fasc. 2-4. * — R. Deputazione di Storia patria per l’ Umbria. Bollettino, An. XV, fasc..3% XVI, 1-2. | * Philadelphia. Academy of Natural Sciences. Journal, 2nd Ser... vol. XIV, p. l. — Proceedings, vol. LXT, p. 2-3; LII, p. 1. *— American Philosophical Society. Proceedings, vol. XLVIII, Nos. 191-198. * — Wagner Free Institute of Science. Transactions, vol. VII, 1910. Pinerolo. Biblioteca Municipale Alliaudi. Bollettino annuale, anno 1909. * Pisa. Università. Annali delle Università toscane, T. XXIX, 4°. — Annuario della R. Università per l’anno accademico 1909-1910. * — R. Scuola Normale superiore. Annali. Scienze fisiche, matematiche e naturali, vol. XI. * — Società Toscana di scienze naturali. Processi verbali, vol. XVHI, 5-8; XIX, 1-4. — Memorie, vol. XXV. * Portiei. R. Scuola Superiore di Agricoltura. Annali, Ser. II, vol. VII e VIII, 1907, 1908. * Portland. Portland Society. 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Résumé des travaux pré- sentés. Classe des sciences mathématiques, naturelles et de la méde- cine, XIV® an. (1909). — Rozpravy, Trida I, Cislo 39; Trida Il (Ma- them.-plirodnicka), Rocn. XVIII; Tiida III, Cislo 29-32. — Sbirka prament v, Skupina I, Rada I, Cislo 8; Rada II, 7-9; Skup. II, Cislo 10, Sesit 1, 2; 11, 14, 15. — Skup. II, 7. — Biblioteka Klassik feckych a Yimskysch, Cislo 18. — Filosoficka bibliotheka, Rada II, Cislo 2. — Vseoboena Botanika-Sprovnivaci Morfologie, Dil III. — Véstnik, Roén. XVIII, 1909. Pretoria. Transvaal Observatory. Annual Report of the Meteorological Department for the Year ended 30th June, 1909; Pretoria, 1910; 4°. * Pusa. Agricultural Research Institute. Second Report on the fruit expe- riments at Pusa. Bull. 16. — Department of Agriculture in India. Memoirs: Botanical Series, vol. II, No. 9; III, 1-5. — Entomological Series, vol. II, No. 9. * Reims, Académie Nationale. Travaux, An. 1908-1909, T. 125. * Rennes. 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Annuario 1910. ** — L’Istruzione primaria e popolare in Italia con speciale riguardo al- l’anno scolastico 1907-1908, 3 vol. in fol. — Senato del Regno. Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei conta- dini nelle provincie meridionali e nella Sicilia. — Programma-questio- io. dlefazo 1907-40: vol. I Tie Hd; {1V, 25,24 II, 3. Roma, 1909; 4°. — Biblioteca. Bollettino delle pubblicazioni di recente acquisto. An. VI, nn. 8-5; VII, 1,2. — R. Accademia dei Lincei. Annuario 1910. — Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Memorie, Ser. V, vol. VII, fasc. 11-12; VIII, 1-6. mendiconti, Ser. V, vol. XIX, 1° e 2° semestre 1910. — Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Memorie, Ser. V, vol. XIII, XIV, 3-4. Rendiconti, Ser. V, vol. XVIII XIX. — Notizie degli Scavi di antichità, Ser. V, vol. VI, 9-12; VII, 1-8. — Rendiconto dell’adunanza solenne del 5 giugno 1910. — Società italiana delle scienze (detta dei XL). Memorie di matematica e di fisica, Ser. IIl, T. 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Annuario 1909-1910. — Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università. Bollettino, Vol. XXIV, 1909. * — R. Politecnico: Classificazione degli allievi che nell’an. scol. 1908-1909 riportarono il diploma di Ingegnere Civile, di Ingegnere Industriale o di Architetto. # — Club Alpino italiano. Rivista, 1909, vol. XXVIII, N. 11-12; XXIX, 1-11 e Suppl. al N. 1. — Bollettino, pel 1910, vol. XL, N. 73. — Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. Atti, vol. VIII, fase. 1. * XLVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Torino. Società Meteorologica italiana. Bollettino bimensile, Serie III, vol. XXIX, XXXI, 2. * — Osservatorio Astronomico della R. Università. Annuario astronomico pel 1906-1911. * — Consiglio Provinciale. Atti, An. 1909. *— Municipio. Annuario 1908-1909. — Bollettino statistico, 1909, agosto- dicembre; 1910, gennaio-agosto. — Atti, an. 1908. — Guida per i soc- corsi d'urgenza. — Relazione sulle condizioni igieniche sanitarie e demografiche per l’an. 1908. — Relazione della Commissione incaricata di studiare i provvedimenti adatti a risolvere il problema del caro dei viveri. Torino, 1910; 4°. — Associazione “ Pro-Torino ,. Pro-Torino, an. V, 1909, N. 12; VI, 1-11. * Toronto. Canadian Institute. Transactions, N. 19, vol. VIII, p. 4. — University of Toronto Studies. Review of historical publications relating to Canada, vol. XIV. Toronto, 1910: 8°. Tortosa. Observatoire de 1’ Ebresis è Roquetas, dépendant du Collège d’Études supérieures de Jésus, de Tortosa: 1. Notice sur l’Observatoire et sur quelques observations de l’Éclipse du 30 aoùt 1905; 2. L’obser- vation solaire; 3. La section magnétique; 4. La section électrique. Boletin mensual. Enero 1910, vol. I, N. 1. * Toulouse. Université. 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De Ciceronis epistulis ad Brutum ad Quintum fratrem ad Atticum Quaestiones scripsit H. Sjigren. Accedunt duae tabulae phototypice expressae. — Till Kungl. Vetenskaps Societatis i Upsala vid dess 200-Arsjubileum of Uppsala Universitet den 19 november 1910. — Arsskrift, 1909. — K. Humanistika Vetenskaps-Samfundet. Skrifter, Bd. XII. * Urbana. Illinois State Laboratory of Natural History. Bulletin, vol. VII, art. 10 a. Index; VIII, 2-5. Valle Pompei. Santuario di Pompei. Calendario 1910. * Venezia. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Atti, T. LXVIII, disp. 10%; LXIX, 1-7. — Memorie, vol. XXVIII, N. 3-5. * — R. Magistrato alle Acque. Ufficio Idrografico. Pubblicazioni, N. 1-11. — Livellazioni di precisione, N. 1-18, 18, 21, 51, 52, 55, 56. — Bollettino: PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. 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LXXI, 1 Theil; LXXVIII; LXXX; LXXXIV. — Philosophisch-historische Klasse, Sitzungsberichte, Bd. I, Heft 1-5; LXXX, 3; CXLIX; CL; CLVIII; CLIX, 4-5; CLXI, 1, 3,4, 7,9; CLXII; 1-6; CLXIII, 1,2, 4,6; CLUXIV, 1-4; CLXV, 3; CLXVI; 2. — Re- gister zu den Bd. 91-100; 141-150; 151-160. — Denkschriften, LI-LII, 3; LIV, 1. — Archiv; XCII, 2 Halfte; XCIII, 2; XCIV, 1; XCV-XCXIX, 1; C, 1 Halfte; CI, 1. — Fontes rerum Austriacarum, LVII, 2; LXIL — Mitteilangen der Erdben-Kommission, N. XXVIHII-XXX, XXXIV. XXXVII-XXXITX. * — K. K. Geologische Reichsanstalt. Verhandlungen, 1909, N. 10-18; 1910, 1-12. — Jahrbuch, Jahrg. 1909, LIX Bd., 1-4 Heft; LX, 1,2. . * — K. K. Zoologisch-Botanische Gesellschaft. Verhandlungen, Jahrg. 1909, LIX Ba. — Oesterreichische Commission fiir die internationale Erdmessung. Verhand- lungen-Protokolle ilber die am 5. Dezember 1908 abgehaltenen Sitzung. * Wiirzburg. Physikalisch-medicinische Gesellschaft. Sitzungsberichte, 1908, N. 6; 1909, 1-5. — Verhandlungen, N. F., Bd. 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Catania, 8°. * * * * *%* ** x% Archivum Franciscanum historicum. Ateneo veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia; 8°. Athenaenm (The). Journal of English and Foreign Literature, Science, the Fine Arts, Music and the Drama. London; 4°. Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. Beitrige zur chemischen Physiologie und Pathologie. Braunschweig; 8°. Berliner philologiseche Wochenschrift; 8°. Bibliografia italiana. Bollettino delle pubblicazioni italiane. ricevute per diritto di stampa. Milano; 8°. Bibliographie der deutschen Zeitschriften-Litteratur, mit Einschluss von Sammelwerken und Zeéitungen. Leipzig; 4°. L PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Firenze; 8°. ** Bibliotheca mathematica. Zeitschritt fir Geschichte der Mathematik. Stockholm; 8°. #* Bibliotheca Philologica Classica; 8°. Bibliothèque de l'École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- cialement è l’étude du moyen àge, etc. Paris; 8°. ** Bibliothèque universelle et Revue suisse. Lausanne; 8°. ** Bollettino Ufficiale del Ministero dell'Istruzione Pubblica. Roma; 8°. * Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di Studi e documenti per la Storia Ecclesiastica bresciana. ** Bullettino (Nuovo) di Archeologia cristiana. Roma; 8°. * Bullettino di Archeologia e Storia dalmata. Spalato; 8°. Centralbiatt fir Mineralogie, Geologie und Paleontologie in Verbindung mit dem neuen Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. Stuttgart; 8°. * Cimento (Il nuovo). Pisa; 8°. Elettricista (L’). Rivista mensile da elettrotecnica. Roma; 4°. Epnuepìg dpxaroXoyikn. Ev A@Nvarg. 4°, Eranos. Acta philologica Suecana. ** Euphorion, Zeitschrift fiir Literaturgeschichte. ** Fortschritte der Physik. Braunschweig; 8°. Gazzetta chimica italiana. Roma; 8°. Gazzetta Ufficiale del Regno. Roma; 4°. Giornale del Genio civile. Roma; 8°. ** Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini. Milano; 8°. #* Giornale storico della Letteratura italiana. Torino; 8°. Giornale storico della Lunigiana. ** Guida commerciale ed amministrativa di Torino. 8°, * Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg; 8°. * Historische Zeitschrift. Miinchen; 8°. # Ion. Zeitschrift fiir Klectronik, Atomistik, Ionologie, Radioactivitàt und Raumchemie. An. I, II, 1908, 1910. * Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. ** Jahrbueh (Neues), fin. Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc. 1909, I. II. Beil. Bd. VIII, 1, 2. ** Jahresberiehte der Geschichtswissenschaft im Auftrage der historischen (esellschaft zu Berlin herausgegeben von E. Berner. Berlin; 8°. * Journai (The American) of Science. Edit. Edward S. Dana. New-Haven. #* Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices relatifs è l’histoire, à la philosophie, aux langues et è la littérature des peuples orientaux. Paris; 8°. ** Journal de Conchyliologie, comprenant l’étude des mollusques vivants et fossiles. 1907; T. LVI. Paris; 8°. ** Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris; 4°. d* x** PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. AÙCADEMIA LI Journal des Savants. Paris; 8°. Journal fir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin; 4°. * Journal of Physical Chemistry. Ithaca; 8°. x Mathematisehe u. Naturwissenschaftliche Berichte aus Ungarn. Leipzig; 8°. ** Minerva. Jahrbuch d. gelehrten Welt. Strassburg; 16°. sia * * ** ** * ** x Modern language notes. Baltimore; 4°. Monatshefte fiir Mathematik und Physik. Wien; 8°. Morphologisches Jahrbuch. Leipzig; 8°. Moyen Age (Le). Bulletin mensuel d’histoire et de philol. Paris; 8°. Nature, a weekly illustrated Journal of Science. London; 8°. Nieuw Archieff voor Wirskunde. Uitgegeven door hel Wiskundig Genoot- schap te Amsterdam; 8°. Palaeontographica. Beitràge zur Naturgeschichte der Vorzeit. Stuttgart. Petermanns Mitteilangen aus Justus Perthes' Geographisch. Anstalt. Gotha; 8°. — Ergàinzung. N. 159-160. Physical Review (The); a journal of experimental and theoretical physic. Published for Cornell University Ithaca. New-York; 8°. * Portugalia. Materias para o estudo do povo portuguez. Porto; 8°. Prace matematycezno fizyezne. Warzawa; 8°. Psyehologische Studien herausg. von W. Wundt. Neue Folge der Phi- losophischen Studien. Leipzig; 8°. * Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London; 8°. Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia. 8°. Revue archéologique. Paris; 8°. Revue' de la Renaissance. Paris; 8°. Revue de l’Université de Bruxelles; 8°. Revue des Deux Mondes. Paris; 8°. Revue du Mois. Paris; 8°. Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris; 8°. Revue numismatique. Paris; 8°. Revue politique et littéraire, revue bleue. Paris; 4°. Revue scientifique. Paris; 4°. Revue semestrielle des publications mathématiques. Amsterdam; 8°. Risorgimento italiano. Rivista storica. Torino ; 8°. Rivista di Artiglieria e Genio. Roma; 8°. Rivista di Filologia e d’Istruzione classica. Torino; 8°. Rivista d’Italia. Roma; 8°. * Rivista di scienza. Organo internazionale di sintesi scientifica. Bologna; 8°. Rivista di filosofia, in continuazione della Flosofia delle Scuole italiane e della Rivista italiana di Filosofia, Pavia; S°. Rivista internaz. di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma; 8°. Rivista italiana di Sociologia. Roma; 8°. Rivista storica benedettina. Roma; 8°. Rivista storica italiana. Torino; 8°. Rosario (I1) e la Nuova Pompei. Valle di Pompei; 8°. LII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA ** Science. New-York; 8°. * Science Abstracts. Physics and Electrical Engineering. London; 8°. # Sperimentale (Lo). Archivio di Biologia. Firenze; 8°. ** Stampa (La). Gazzetta Piemontese. Torino; f°. ** Studi medioevali diretti da F. Novati e R. Renier. Torino; 8°. * Tridentum. Rivista mensile di studi scientifici. Trento; 8°. ** Vegetation (Die) der Erde. * Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig Genootschap. Amsterdam; 8°. ** Zeitschrift fir Gletscherkunde fiir Fiszeitforschung und Geschichte des Klimas. Berlin; 4°. * Zeitschrift fiir matematischen und naturwissenschaftl. Unterricht, herausg. v. J. C. Horrmann. Leipzig; 8°. #* Zeitsehrift fiir physikalische Chemie. Leipzig; 8°. PIBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA NB. Le pubblicazioni notate com * si hanno In cambio: quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. Dal 19 Giugno al 20 Novembre 1910. #* Archiv fiir Protistenkunde. Jena, 1902-1907. Vol. 1-10. Suppl. 1. Cannizzaro (S.). La Scienza e la Scuola (Discorso). Roma, 1910; 8° (dalla famiglia di Stanislao Cannizzaro). Celoria (G.). Giovanni Schiaparelli. Brevi note commemorative. Milano, 1910; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Coblenz (W. W.). 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Wien, 1904; 8°. — Aus dem Devon- und Kuhngebiete éstlich von Briinn. Wien, 1905; 8°. — Die Bildung der Karlsbader Sprudelschale unter Wachstumsdruck der Aragonitkristalle. Wien, 1909; 8°. — Beispiele plastischer und kristalloblastischer Gesteinsumformung. Wien, 1909; 8°. — Ueber Glaiser kosmischer Herkunft. Leipzig, 1909; 8° (dall’A. Socio stra- niero dell’ Accademia). Dall’11 Dicembre 1910 al 1° Gennaio 1911. Bertolinl (C.). Bibliografia: II, III, 2 fase. Estratti dal “ Bullettino del- l’Istituto di Diritto Romano ,, an. XX, fase. IV-VI; XXII, I-VI. Boffito (G.). Dante, Sant'Agostino ed Egidio Colonna (Romano). Firenze, 1911; 4° (dall'A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Del Lungo (I.). Il canto XVII del Paradiso letto da I. D. L. con Appendice sul Primo rifugio e primo ostello di Dante in Verona. Firenze; 8°. — L'edizione nazionale delle Opere di Galileo. Roma, 1910; 8°. — e Favaro (A.). La prosa di Galileo per saggi ad uso scolastico e di coltura. Firenze, 1911; 8° (Zd.). 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Gottingen, 1910; 8°. — Ueber die konforme Abbildung mehrfach zusammenh?ngender Bereiche., Leipzig, 1910; 8°. — Ueber die Uniformisierung beliebiger analytischer Kurven. I Teil: Das allgemeine Uniformisierungsprinzip. II. Die zentralen Uniformisierungs- probleme. Berlin; 4°. } — Ueber ein allgemeines Uniformisierungsprinzip. Roma, 1909; 8° (dall’A. per concorrere al premio Bressa). Lebon (E.). Paul Appell. Biographie, bibliographie analytique des écrits. Paris, 1910; 8° (dall'A... PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LIX Oddo (G.). Impiego del minerale di zolfo di Sicilia per la preparazione dell'acido solforico. Note 4. Roma, 1908-1910; 8°. — Impiego del minerale di zolfo per la preparazione dell’acido selforico. Caltanissetta, 1910; 8°. — Employment of Rock Sulphur for Manufacture of Sulphuric Acid. London, 1910; 8°. — Verwendung des Schwefelerzes zur Schwefelsiure-Fabrication. Gòthen, 1910; 8° (dall'A. per concorrere al premio Bressa). Rosati (P.). Manuale dei funghi velenosi. 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T. IX, fasc. 1, part. I; XXIII, 1, I; XXIV, 1, II (fasc. 86, 87, 85). Ruffini (F.). Perchè Cesare Baronio non fu Papa; contributo alla storia della monarchia sicula e del “Jus esclusivae ,. Perugia, 1910; 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). Dall’8 al 22 Gennaio 1911. Hamburger (H. J.). Osmotischer Druck und Ionenlehre in den medicinischen. Wissenschaften. Wiesbaden, 1902-1904; 3 vol. 8°. — Die Konzentrationsangabe von Lòsungen. Leipzig, 1904; 1 ce. 8°. — Action catalytique de l’argent colloidal dans le sang. Liège-Paris, 1904; 8°. — Neuere Untersuchungen iber Colloîde und ibre Bedeutung fiir die me- dizinischen Wissenschaften (Archiv f. physik. Medizin.); 8°. — Zur Differenzierung des Blutes (Eiweiss) biologisch verwandter Tier- species. Berlin, 1905; 8°. — Orgaantherapie. Groningen, 1905; 8°. — Zur Untersuchung der quantitativen Verhiltnisse bei der Pràzipitin- reaktion. Groningen, 1905; 8°. LX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Hamburger (H. J.).. A Method for determining the osmotic pressure of very small quantities of liquid. Amsterdam, 1905; 8°. — Proeven over het mechanisme der darmresorpte. Amsterdam, 1906; 8°. — La pression osmotique de la théorie des Jons dans les sciences médicales. Conférence. Anvers, 1906. — Gerechtelijk onderzoek van bloed en andere lichaamdvochten. S. a. 1. — De invloed van het Hoogland op het Menschelijk Organisme. Groningen, 190732. — A method to extrat enzymes and pro-enzymes from the mucous mem- brane of the digestive tube and to establish the topic distribution of them. Amsterdam, 1907; 8°. — Sur une méthode d’extraction des enzymes et pro-enzymes de la mu- queuse du canal digestif et la détermination de leur distribution topique. Harlem, 1908. — A method of cold injection of organs for histological purposes. Amsterdam, 1908; 8°. — Kunstmatige ademhaling bij drenkelingen. Harlem, 1909; 8°. — De onstandvastigheid van colloidaal zilver en de daaruit voortspruitende gevaren. Harlem, 1909; 8°. — Ueber den Einfluss von Ca-Jonen auf die Chemotaxis. Firenze, 1909. — Ueber den Durchtritt von Ca-Jonen durch die Blutkérperchen und dessen Bedingungen. Leipzig, 1909; 8°. — Zur Biologie der Phagocyten. Berlin, 1910; 8°. — Permeabilitàt von Membranen in zwei entgegengesetzten Richtungen. Berlin, 1908; 8°. — Arbeitslihmung durch Stoffwechselproducte, nachgewiesen am Filim- merepithel. Jena, 1910; 8°. — The influence of small amounts of Calcium on the motion of Phago- eytes. Amsterdam, 1910; 8°. — 25 Jahre “ Osmotischer Drnck , in den Medizinischen Wissenschaften. Harlem, 1910; 8°. — and Bubanovic (F.). The permeability of red blood-corpuscles in phy- siological conditions, especially to alkali- and earth alkali metal. Amsterdam, 1910; 8°. — La perméabilité physiologique des globules rouges spécialment vis à-vis des cations. Liège-Paris, 1910; 8°. — and Haan (J. de). Zur Biologie der Phagocyten, V, VI. Berlin, 1910; 8°. — et Hekma (E.). 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Die Reise der deutschen Expedition zur Beobachtung des Venusdurchganges am 9 Dezember 1874 nach der Kergueleninsel und ihr dortiger Aufentkalt. Prag, 1911; 8° (dall’A.). Dal 15 al 29 Gennaio 1911. Baudi di Vesme (A.). Catalogo della R. Pinacoteca di Torino. Torino, 1909. — Di alcune monete, medaglie e pietre dure intagliate per Emanuele Filiberto Duca di Savoia. Torino, 1901; 4° (dall'A. Socio residente del- l Accademia). Brondi (V.). Le ròle de la femme dans la bienfaisance en Italie. Copenhagen, 1910 (Id.). Calò (G,). 11 pensiero filosofico-pedagogico di Giuseppe Allievo. Prato, 1910 (dall’A.). Gerini (G. B.). Esame della diatriba di Pasquale D’ Ercole contro le dot- trine di G. Allievo. Torino, 1910 (Id.). Pascal (C.). Dioniso; saggio sulla religione e la parodia religiosa in Ari- stofane. Catania, 1911 (/Zd.). Schiaparelli (E.). Le migrazioni degli antichi popoli dell'Asia Minore stu- diate col sussidio dei monumenti egiziani. Roma, 1883. — Il significato simbolico delle piramidi egiziane. Roma, 1884. — Due iscrizioni inedite del Museo egizio di Firenze. Roma, 1887. — Museo archeologico di Firenze, antichità egizie, parte prima. Roma, 1887. — Le antichità egiziane del Museo di Cortona. Roma, 1893. — Antichità egizie scoperte in Benevento. Roma, 1893. — La configurazione geografica dell'Alto Egitto in relazione collo svolgi- mento della sua civiltà. Roma, 1894-96. — Di un vaso fenicio rinvenuto in una tomba della necropoli di Tarquini. Roma, 1898. — Di un’antica stoffa cristiana d'Egitto. Roma, 1900 (dall’A. Socio residente dell’Accademia). Dal 22 Gennaio al 5 Febbraio 1911. Guareschi (I.). La chimica in Italia dal 1750 al 1800. Parte II: Claudio Luigi Berthollet e sue Ricerche sulle leggi dell’affinità, Lazzaro Spal- lanzani, G. A. Giobert, G. A. Scopoli, G, B. Bonvicino. Torino, 1910; 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). LXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Haret (Sp. C.). Mécanique Sociale. Paris, Bucarest, 1910; 1 vol. 8° (dall’A.). Molinari (E.). Trattato di Chimica inorganica generale applicata all’ In- dustria, 3* edizione. Milano, 1908-1910, 3 vol. 8° (dall'A. per concorrere al premio Bressa). Taramelli (T.). Le condizioni geologiche delle Fonti termali di S. Pelle- grino. Perugia, 1910 (dall'A. Socio corrispondente dell’Accademia). Dal 5 al 19 Febbraio 1911. Bouasse (H.). Cours de mécanique rationnelle et expérimentale. Paris, Jsvio Rio? — Cours de Physique. Paris, 1907-1910; 6 vol. 8° (dall'A. per concorrere al premio Vallauri). Boussinesq (J.). Sur les principes de la mécanique et sur leur applicabilité à des phénomènes qui semblent mettre en défaut certains d’entre eux. Paris, 1910; 4° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Celoria (G.). Sull’eclisse totale di Luna del 16 novembre 1910. Milano, 191030.) De Toni (G. B.). Il R. Comitato Talassografico e gli studi della Flora dei nostri mari. Padova, 1911; 8° (dall'A.). Gabba (L.) e Volta (L.). Osservazioni della Cometa 19100 e della Cometa di Halley fatte al R. Osservatorio astronomico di Brera. Milano, 1910; 8° (dagli AA.). Grassi (G.). Principii scientifici della Elettrotecnica. Introduzione al Corso di elettrotecnica. Seconda edizione riveduta ed ampliata. Torino, 1911* 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). Helmert (F. R.). Ueber die Genauigkeit der Dimensionen des Hayfordschen Erdellipsoids. Berlin, 1911; 8° (dall’A. Socio straniero dell’Accademia). Mattirolo (0.). I vegetali nell’arte degli antichi e dei primitivi. Torino, TOLTENSE — I ‘ Colus hirudinosus , Caval. et Sich. nella Flora della Sardegna. Roma, 1910; 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). Dal 12 al 26 Febbraio 1911. Bertacchi (C.). Discorso letto in Macerata il 25 settembre 1910 in occa- sione delle Onoranze centenarie al P. Matteo Ricci. Macerata, 1910; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). Biasiotti (G.). La Basilica Esquilina di S. Maria ed il Palazzo Apostolico apud S. Mariam Majorem. Roma, 1911; 8° (dall’A.). Del Lungo (I.) e Favaro (E. A.). La prosa di Galileo per saggi criticamente disposti ad uso scolastico e di coltura. Firenze, 1911; 1 vol. 8° (dall'A. Senatore Isidoro Del Lungo Socio corrispondente dell’ Accademia). Geisser (A.). Patrimonio. Debiti. Opere pubbliche nel Municipio di Torino e un suo vitale interesse e dovere. Torino, 1911; 8° (dall’A.). Graf (A.) L’Anglomania e l'influsso inglese in Italia nel secolo XVIII. Torino, 1911; 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXIII Margini (S.). I Consorzi di bonificazione, amministrazione e contabilità. Verona, 1910; 8° (dall’A.). Questioni universitarie. La condizione del Diritto comparato in Italia. Roma, 1911; 8°. Stampini (E.). Manifesto in lingua latina per il prossimo Congresso inter- nazionale degli allievi ingegneri; f° (dall’A. Socio nazionale residente dell’ Accademia). Dal 19 Febbraio al 5 Marzo 1911. Barbette (Ed.). Les sommes de pièmes puissances distinctes égales à une pième puissance. Liège, 1911; 4°. — Le dernier théorème de Fermat. Liège, 1910; 8° (dall’A.). Henriksen (G.). Geological Notes. Christiania, 1910; 8° (Id.). Icard (S.). Nouvelle méthode de notation et classification des fiches d’iden- tité judiciaire etc. Lyon, 1908; 8°. — La Fiche-Numéro et le Registre-Digitale. Modification apportées à la méthode et réponse à quelques objections. Lyon, 1909; 8°. — Nouvelle méthode pour obtenir la formule chiffrée du portrait parlé. Lyon, 1909; 8°. — La formule chiffrée du portrait parlé. Lyon, 1910; 8°. — Procédé pour marquer d’un signe indélébile et non infamant les pro- fessionels du crime. Lyon, 1910; 8°. — Nouvelle méthode indicatrice de la présence du Grisou, applicable è toutes les lampes de sureté (dall'A. per concorrere al premio Bressa). Mattirolo (0.). Chenopodium amaranticolor Cost. et Reyn. Nuovo succe- daneo dello Spinaccio. Risultati delle prove fatte nell’anno 1910. Torino, 1911; 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). Mascart (J.). Un Observatoire près d’un volcan. Torino, 1911; 8° (dall’A.). Meyer (E. v.). Triphenylmethylchlorid Diphenylcarbaminchlorid Cyanur- bromid in ihren Wirkungen als Sàurehalogenide. Leipzig, 1910; 8°. — Notiz iiber eine Bildungsweise von Diphenylmetham und Homologen desselben. Leipzig, 1910; 8°. — Die Karlsruher Chemiker-Versammhung im Jahre 1860. Leipzig, 1911; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Phylogenetic Association in Relation to Certain Medical Problems. Boston, 1910; 8°. Teixeira (F. G.). Obras sobre mathematica. Vol. V, 1909; 1 vol. 4° (dall’A.). Dal 26 Febbraio al 12 Marzo 1911. Avetta (A.). Per una mostra retrospettiva del libro. Torino, 1911; 8°. — Notizia di un dono cospicuo alla Biblioteca Nazionale di Torino (“ Pie- monte ,, An. II, N. 9) (dall’A.). Boffito (G.). Saggio di bibliografia Egidiana. Precede uno studio su Dante, S. Agostino ed Egidio Colonna (Romano). Firenze, 1911; 4° (dall'A. Socio corrispondente dell’ Accademia). LXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Bourgeois (H.). La littérature finnoise. Bruxelles, 1910; 8°. — Sur l’étude de l’hébreu. Paris, 1911; 8° (Id.). Galletti (A.). Il canto XXII del Purgatorio letto nella sala di Dante in Orsanmichele. Firenze; 8° (Id.). Dal 5 al 19 Marzo 1911. Binder (0.). Ueber Explosionstemperaturen. Berlin, 1911; 8° (dall’A.). Borghino. Saggio di una formola generale per l'estrazione di radice e la soluzione delle equazioni. Venezia, 1911; 8° (Zd.). Celoria (G.). Commemorazione del Socio nazionale Sen. Prof. Giovanni Schiaparelli. Roma, 1910; 8°. — Commemorazione del Senatore Prof. Giovanni Schiaparelli letta il 18 di- cembre 1910 nella Grande aula del Circolo Filologico di Milano. Milano, 1911; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). Colomba (L.) Sopra un granato ferri-cromifero di Praborna ($t.-Marcel). Roma, 1910; 8° (dall’A.). Mangin (L.). Introduction è l’étude des Mycorhizes des arbres forestiers. Paris, 1910; 4°. — Nouvelles observations sur la callose. Paris, 1910; 4°. — Sur quelques Algues nouvelles ou peu connues du Phytoplancton de l’Atlantique. Paris, 1910; 8° (dall'A. Socio corrispondente dell’Accad.). Dal 19 Marzo al 2 Aprile 1911. Aggazzotti (A.). Laboratoires Scientifiques “ A. Mosso , sur le Mont Rose au Col d’Olen et à la Cabane Reine Marguerite; Torino; 8°. — e Pagliani (L.). Laboratori scientifici “ A. Mosso , sul Monte Rosa Torino, 1911; 8° (dal Dr. A. Aggazzotti). Caldarera (Fr.).. Memoria sul moto dei pianeti (2* ediz. migliorata). Pa- lermo, 1911; 4° (dall’A.). Colonnetti (G.). Sopra un caso di emisemmetria che si presenta in certe questioni di idrodinamica. Roma, 1911; 8° (JId.). De Bolazzi (G.). I fiori e la loro coltivazione con metodo breve, facile e pratico per imparare la botanica. Torino, 1910; 8° (Z4d.). Guareschi (I.). Die Psendosolutionen oder Scheinlòisungen nach Francesco Selmi. Dresden, 1911; 4° (dall’4. Socio residente dell’ Accademia). Lacroix (A.). Les minéraux radioactifs de Madagascar. Paris, 1911; 4° (dal- lA. Socio corrispondente dell’Accademia). Pascal (E.). Discorsi pronunziati nelle sedute d’'inaugurazione e di chiusura del Quarto Congresso in Napoli della Società Italiana per il progresso delle scienze nei giorni 15 e 20 dicembre 1910. Roma, 1911; 8° (dall’A.). Relazione della Commissione per l'esame delle condizioni tecniche ed igie- niche dell’Acquedotto della Società anonima per la condotta delle acque potabili in Torino. Torino, 1911; 4° (dal Presidente della Società). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXV Sarasin (Ed.) et Tommasina (Th.). Constatation de quelques faits nouveaux en radioactivité induite. Genève, 1911; 8°. — — Action de faibles élévations de temperature sur la radioactivité in- duite. Paris, 1911; 4° (dal Sig. T. Tommasina). Dal 26 Marzo al 9 Aprile 1911. Ambrosini (G.). Trasformazione delle persone giuridiche. Torino, 1910; 8° (dall’A.). Bourgeois (H.). Esquisse d’une morphologie du romani gallois. Bruxelles, 1910 (Id.). Lattes (A.) e Levi (B.). Cenni storici della R. Università di Cagliari. Ca- gliari, 1910; 8° (dal Prof. Lattes). ** Muratori (L. A.). Rerum italiearum scriptores. Fasc. 2° del T. XXII, p. 3° (Fasc. 88). Saccomani (G.). La filosofia delle religioni. Saggio di critica delle credenze e dei culti d’un razionalista. Treviso, 1911; 8° (dall’A.). Dal 2 al 283 Aprile 191. Helmert (F. R.). Rapport sur les travaux du bureau central de l’Association Géodésique internationale en 1910 et programme des travaux pour l’exercice de 1911. Leide, 1911; 4° (dall'A. Socio straniero dell’ Accademia). Izzo (RK). Nuova Astronomia. Scoperta del vero sistema planetario. Roma, 1911; 8° (dall’A.). Kéorner (G.). Pubblicazioni raccolte ed ordinate in occasione del 50° anni- versario della sua laurea. Milano, 1911 (Id.). Mascart (J.). Une Vague de chaleur. Bruxelles, 1910; 8° (Zd.). Dal 23 Aprile al 7 Maggio 1911. Beltrami (E.). Opere matematiche. T. III. Milano, 1911; 4° (dono del Comi- tato per le onoranze al prof. E. Beltrami). Cabreira (A.). Sur les propriétés des nombres en diagonale. Lisbonne, 1910; 8° (dall’A.). Oechsner de Conink (W.). Action de la soude dissoute sur le carbonate de calcium. Bruxelles, 1911; 8°. — Action de la potasse dissoute sur le carbonate de calcium. Bruxelles, L9bL; 8°. — Action des hydracides, employés en proportions croissantes, sur l’amidon et la dextrine. Bruxelles, 1911; 8° (Zd.). Taramelli (T.). Di un giacimento di lignite in terreno cretaceo presso Olivetta a nord di Ventimiglia. Milano, 1911; 8° (dall’A. Socio corri- spondente dell’ Accademia). LXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Dal 9 Aprile al 14 Maggio 1911. Beyssac (J.). Les membres de la Maison de Savoie au Chapitre de Lyon. Lyon, 1911; 1 vol. 8° (dall’A.). Biàdego (G.). Per una lettera dell'autore del “ Pastor Fido ,. Venezia, 1911; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). D’Ercole (P.). “ La Quistione Didattico-Universitaria , proposta e risolta da un Hegeliano sessant’anni fa. Modena, 1911; 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). Falco (M.). Il riordinamento della proprietà ecclesiastica. Progetti italiani e sistemi germanici. Torino, 1911; 8°. — Le disposizioni “ Pro anima ,. Fondamenti dottrinali e forme giuridiche. Torino, 1911; 8° (dall’A.). Friedensburg (W.). Cavour. 1. Bd. Bis zur Berufung in das Ministerium 1810-1850. Gotha, 1911; 1 vol. 8° (Id.). *#* Maratori. Rerum italicarum scriptores. T. XVIII, fasc. 6, p. 1 (fasc. 89). Prato (G.). Il protezionismo operaio. L'esclusione del lavoro straniero. “Torinoy 1910538% — Le Dogane interne nel secolo XX. Il mercantilismo municipale. Torino 1911; 8° (dall'A... Schanz (M.). Die ròmische Litteratur in der Zeit der Monarchie bis auf Adrian. Erste Halfte: Die augustische Zeit. Miinchen, 1911 (Jd.). Vecchioni (C.). L'arte della stampa in Aquila. Aquila, 1910 8°; (Z4.). Dal 7 al 21 Maggio 1911. Bouty (E.). Rapport sur un Mémoire de M. Émile Schwoerer, intitulé “ Les Phénomènes thermiques de l’atmosphère ,. Paris, 1910; 4° (dal signor E. Schwoerer). Determination de l’altitade du Mont Huascaran (Andes du Pérou) exécutée en 1909 sur la demande de Madame F. Bullock Workam par la Société Générale d'Études et des Travaux Topographiques. Compte rendu de la Mission. Paris, 1911; in f° (dono della sig. F. Bullock Vorkman). Gautier (R.). Resumé météorologique de l'année 1909 pour Genève et le Gran St.-Bernard. Genève, 1910; 8° (dall’A.). — et Duaime (H.). Observations météorologiques faites aux fortifications de St.-Maurice pendant l’année 1909. Resumé. Genève, 1911; 8° (dagli AA.). Schwoerer (E.). Les Phénomènes thermiques de l’atmosphère. Paris, 1910; 8° (dall’A.). PUBLLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXVII Dal 21 Maggio al 25 Giugno 1911. Bassani (F.) e Galdieri (A.). Scavo geologico eseguito a Capri. Roma, 1911; 8° (dugli AA.). Bianchi (E.). La deviazione della verticale alla R. Specola al Collegio “Romano. Longitudine astronomica di C. Romano da M. Mario, deter- minata nel 1910. Roma, 1911; 8° (dono della R. Commissione Geodetica italiana). Bruni (A. C.). Sullo sviluppo dei corpi vertebrali e delle loro articolazioni negli Amnioti. Leipzig, 1911; 8° (dall’A.). Cavalli (G.). Scritti editi e inediti. Raccolti e pubblicati per ordine del Ministero della Guerra. Torino, 1910-1911, 4 vol. in-8° (dono del Mini- stero della Guerra). Colonnetti (G.). Sul moto di un liquido in un canale. Palermo, 1911; 8°. — Sull’efflusso dei liquidi fra pareti che presentano una interruzione Nota 1* Roma, 1911; 8°. — Sul calcolo dei sistemi continui su piedritti elastici. Roma, 1911; 8° (dall A.). Garbasso (A.). Fisica d'oggi. Filosofia di domani. Milano, 1910; 8% — I progressi recenti della fisica teorica, sperimentale ed applicata. Con- ferenze. Roma, 1911; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Mattirolo (0.). Nuovi materiali scientifici pervenuti in dono al R. Istituto botanico di Torino. Firenze, 1911; 8° (dall’A. Socio nazionale residente dell’ Accademia). Pasquale (F.). Del fulero germinale nelle pianticelle in germinazione e della sua funzione biologica. Napoli, 1911; 8° (dall’A.). Rosetti (Giovanventura). Plictho de larte de Tentori che insegna tenger panitelle banbasi et sede si per larthe magiore come per la comune. Venetia, 1540. Ristampa con introduzione e annotazioni del prof. Icilio GuarescHI. Torino, 1907; 8° (dal prof. I. Guareschi Socio nazionale re- sidente dell’ Accademia). Venturi (A.). Determinazione complementare di gravità in Sicilia nel 1907. Roma, 1910; 8° (dall’A.). Dal 14 Maggio al 2 Luglio 1911. Cipollini (A... Nel MMDCLXIV Natale di Roma. Carmen. Milano, 1911; 8° (dall’A.). D’Ercole (P.). Il saggio di Panlogica ovvero l’enciclopedia filosofica del- l'hegeliano Pietro Ceretti. Torino, 1911; 2 vol. (dall’A. Socio nazionale residente dell’ Accademia). ** Donadoni (E.). Ugo Foscolo pensatore, critico e poeta. Milano, R. Sandron, 1 vol. 8°. Iorga (N.). Breve Storia dei Rumeni con speciale considerazione delle re- lazioni coll’Italia. Bucaresti, 1911; 8° (dall'A... LXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA ** Litta. Famiglie celebri italiane (2* Serie). Fasc. LI, LII: Carafa di Na- poli, Toraldo di Napoli. Masserani (T.). Studi letterari e artistici con proemio e per cura di Giulio Natali. Edizione postuma delle opere. Gruppo II, vol.I, IV-VIII. 7 vol. 8° (dall'A.). Marre (A.). Notices des Travaux scientifiques et littéraires. (Arras, 1911; 8°) (dall'A. Socio corrispondente dell’ Accademia). * Monumenta Germaniae historica. Legum Sectio IV. Constitutiones et Acta publica Imperatorum et Regum. T. IV, Pars posterioris, fase. II. Han- noverae et Lipsiae, MCMIX-XI. * Muratori (L. A.). Rerum italicarum scriptores. Fasc. 5° del T. XXIII, p. 3° (Fasc. 90). Senes (G.). Regole certe di ortografia ed ortoepia italiana ad uso dei sardi. Firenze, 1909; 8°. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 20 Novembre 1910. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti: Camerano, Vice Presidente, NaccarI, Diret- tore della Classe, ed i Soci D’Ovipio, JADANZA, GUARESCHI, Guipr, FiLeri, PARONA, MarTIROLO, SomieLiANA, Fusari, BAL- BIANO e SEGRE, Segretario. Scusano l’assenza i Soci SaLvapori, Mosso, Spezia e Foà. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente ricorda all'Accademia la grave perdita fatta dall'Italia e da tutto il mondo scientifico colla morte del nostro Socio nazionale non residente Giovanni ScHIAPARELLI. Accenna brevemente ai grandi meriti di questo sommo Astronomo, che apparteneva alla nostra Accademia fin dal gennaio 1870. Dà incarico al Socio JApANZA di parlarne più diffusamente in una prossima adunanza. Vengono comunicate alla Classe: 1° l'approvazione keale dell’elezione del Socio SEGRE a Segretario della Classe per il triennio dal 19 giugno 1910 a tutto il 18 giugno 1913; 2° lettera del Ministro della Real Casa, che ringrazia a nome di S. M. il Re dell’omaggio del vol. LX della 2* Serie delle Memorie accademiche ; Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 1 3 lettera di ringraziamento del Prof. BaLBIANO per la sua nomina a Socio residente; 4° lettere di ringraziamento per la loro nomina a Soci stranieri dei professori von BAEYER, NoETHER, THomson e Suess e per la nomina a corrispondente del prof. Ramon y Cavan. Il Vice Presidente CamerANO riferisce alla Classe che, ese- guendo l’incarico affidatogli, ha rappresentato l'Accademia nel settembre scorso alle onoranze che 1’ Università di Napoli tri- butò alla memoria dell’insigne naturalista Filippo CavoLini nel 1° centenario dalla sua morte. Lo stesso Vice Presidente CAMERANO presenta, a nome del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, il 4° volume della 38 Serie degli Annali di quel Museo. Il Socio MattIROLo presenta in omaggio il suo Discorso d’inaugurazione dell’anno accademico all’Università: I vegetali nell'arte degli antichi e dei primitivi. Il Presidente ringrazia, e si congratula col Socio MartIRoLo pel suo bel discorso, com- piacendosi dei vincoli che legano l’Università all'Accademia. Il Socio GuarEscHI presenta le sue Notizie biografiche su Giovanni Priestley. Il Presidente lo ringrazia. Infine il Segretario presenta le seguenti pubblicazioni in- viate in omaggio all’ Accademia: 1° Stanislao CannIZzzARO, La Scienza e la Scuola (inviato dalla famiglia Cannizzaro); 2° F. R. Heumert, Die Schwerkraft und die Massenver- teilung der Erde; 3° P. Pizzerti, Tabelle grafiche per la risoluzione ap- prossimata di un'equazione di Gauss che s'incontra nel calcolo delle orbite; 4° Inp., Intorno alle possibili distribuzioni della massa nel- l’interno della Terra; 5° A. Isser, Alcuni mammiferi fossili del Genovesato e del Savonese. 3 Vengono presentati per la pubblicazione nei volumi delle Memorie : dal Socio PARONA, uno Studio geologico del prof. F. SAcco: Il Gruppo dell’ Argentera; dal Socio JApANZA uno scritto del prof. G. BoccarpI: Sulla latitudine del Regio Osservatorio di Torino. Il Presidente incarica di riferire sul primo i Soci PARONA e Spezia, e sul secondo i Soci JapanzA e Naccari. L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSI UNITE Adunanza del 27 Novembre 1910. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: Camerano, Vice Presidente dell’Accademia, D’OvIpio, SEGRE, JApANZA, Foà, GuarEscHI, Guipi, PARONA, GRASSI, FUSARI. — Scusano l’assenza Naccari, Direttore della Classe, Spezia, MaT- TIROLO, SOMIGLIANA; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Manvwo, Direttore della Classe, ReNIER, Pizzi, RUFFINI, BRONDI, EFinaupi, BaupI pi VEsME, ScHIAPARELLI e De SanctIS, Segre- tario. — Scusano l’assenza CARLE, STAMPINI @ SFORZA. È letto l’atto verbale dell'adunanza plenaria antecedente, 29 maggio 1910. Il Presidente pronunzia brevi parole commosse ricordando la morte del Socio Senatore Angelo Mosso, avvenuta il 24 cor- rente novembre e lumeggiando efficacemente le nobili doti del suo animo, la sua altezza di pensiero come studioso, l'ardore con cui sempre attese alla scienza, l'affetto che ebbe per la nostra Accademia. Si delibera d’inviare l’espressione delle condo- glianze dell’Accademia alla consorte ed alla figlia del defunto. Si invita il Socio Foà a commemorare il compianto collega. Il Socio Foà accetta. 5) Si comunica una lettera del Ministero della Pubblica Istru- zione che partecipa l'approvazione Sovrana della nomina a Vice Presidente dell’Accademia del Socio Lorenzo CAMERANO. Si procede poi all’elezione del Socio Tesoriere dell’Acca- demia per compiuto triennio in detta carica del Socio PARONA. La votazione ha luogo a schede segrete. Il Presidente proclama eletto a Tesoriere dell’Accademia, salvo l'approvazione Sovrana, il Socio PARONA. Gli Accademici Segretari CorraDO SEGRE. Garrano DE SAncTIS. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE . Adunanza del 27 Novembre 1910. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, RENIER, Pizzi, RurFini, Bronpi, ErnAuDI, BAUDI DI VESME, SCHIAPARELLI e De Sanoris Segretario. — È scusata l'assenza dei Soci CARLE, STAMPINI @ SFORZA. Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, 26 giugno 1910. Si comunica una lettera del Ministro della Real Casa che partecipa i ringraziamenti di S. M. il Re per l'omaggio del vol. LX della 2° Serie delle Memorie accademiche. Sono presentati d’ufficio i seguenti scritti offerti in omaggio all'Accademia: dal Socio residente Srorza: Nel primo centenario dalla nascita di Camillo Cavour, ricordo del Comitato piemontese per la Storia del Risorgimento italiano. Torino, Bona, 1910; dal Socio residente Baupi pr Vesme: Le Peintre-Graveur italien. Milano, Hoepli, 1906; dal Socio corrispondente F. Masci: Elementi di filosofia per le scuole secondarie, vol. IIl: Etica. Napoli, Pierro, 1911; 7 dal Socio corrispondente BrApe6o: Pisanus Pietor, Nota V (dagli “ Atti dell’Istituto Veneto ,, tomo LXIX, parte 2), Ve- nezia, Ferrari, 1910; dallo stesso: Aleardo Aleardi nel biennio 1848-1849 (car- teggio inedito). Verona, Franchini, 1910. Il Socio ReNIER presenta a nome. del. prof. Giacomo DE Gregorio, il vol. V degli Studi glottologici italiani da lui diretti. Torino, Loescher, 1910. Per le Memorie è presentata dal Socio ReNIER, a nome del Socio D’ ErcoLe assente, una monografia del prof. Annibale PastoRE, intitolata: Dell’essere e del conoscere. Il Presidente de- lega i Soci RenIER, Rurrini e D'ErcoLe a riferirne in una pros- sima adunanza. Per gli Atti il Socio RemiERr offre le due seguenti note: Carlo ErreRA, Un mappamondo medievale sconosciuto nel- l Archivio Capitolare di Vercelli ; Arturo BERSANO, Alcune lettere inedite di Carlo Botta. 8 CARLO ERRERA LETTURE Un mappamondo medievale sconosciuto nellArchivio Capitolare di Vercelli. Nota del Prof. CARLO ERRERA. Grazie alla cortesia del Dott. Romualdo Pasté, canonico della Metropolitana di Vercelli, venni a conoscere nell’ottobre del 1908 l’esistenza d’un’antica pergamena d’ interesse geogra- fico, tornata in luce appunto allora durante il riordinamento dell'Archivio Capitolare. Da un primo esame fuggevole al pre- zioso documento, che nell'Archivio figurava col titolo, scritto da ignota mano del secolo XVIII, “ Disegno antico rappresentante un quadro sinotico ,, potei ravvisare trattarsi d’un mappamondo medievale, degno, — e perchè ignorato a tutt'oggi e perchè considerevolmente ricco di particolari, — di essere ampiamente illustrato. Nell'attesa che, per opera di taluno degli studiosi locali (e non manca chi potrebbe assumersi validamente il còmpito), si addivenga a tale illustrazione, posso oggi, in seguito a un nuovo, benchè assai sommario, esame della pergamena, darne qui almeno una brevissima notizia. La pergamena, lacera e strappata nell’orlo superiore e nel- l’inferiore, si conserva integra negli altri due lati, ed offre quindi per questo verso ancora tutto visibile il disegno, mentre nel rimanente giro della figura parte non piccola di esso è an- data irreparabilmente perduta. Così come sta, il disegno misura dall’orlo occidentale (Colonne d'Ercole) all'estremo opposto orien- tale cm. 81, mentre per l’altro verso le dimensioni variano, se- condo le maggiori o minori lacerazioni dell’orlo, da un massimo di cm. 64 a un minimo di cm. 46. L'orientamento appare essere coll’Est in alto, conforme al consueto. Rimane incerto per contro, se il giro della figura UN MAPPAMONDO MEDIEVALE SCONOSCIUTO, ECC. 9 fosse circolare od ovale, poichè il contorno è conservato sol- tanto in minima parte. Disegno e leggende sono in nero; per qualche particolare sono usati tuttavia il verde e il rosso, comparendo il rosso, fra altro, lungo tutto l'orlo del Mare Eritreo, il verde per gli altri mari e per le acque in genere ed anche per taluna delle molte figure disegnate qua e là. Il disegno in nero appare però in qualche parte (specie pei segni delle città e pei nomi nell’Italia, Francia, Iberia) di segno più fresco del rimanente, come se qui l'inchiostro avesse meno sofferto l’ingiuria del tempo. Tutto il disegno, del resto, tranne presso le lacerature degli orli, è an- cora abbastanza visibile, sebbene assai evanito, e la scrittura permette quindi, per quanto stentatamente, di decifrare le leg- gende per grandissima parte della pergamena. L'età della scrittura, a un primo esame, apparve (assisten- domi il giudizio del dott. R. Pasté e quello del prof. G. €. Faccio, studioso direttore dell'Archivio cittadino) del secolo XI più tardo o del XIV. Il contenuto appare assai ricco per copia di dati e di leg- gende, quale permettevano le considerevoli dimensioni della per- gamena. Dalla prima ispezione parmi si possa affermare, che per ricchezza, non tanto di nomi di luogo come di leggende, il nostro mappamondo rimanga inferiore soltanto a quelli notissimi di Hereford e di Ebstorf. Nei lineamenti generali del disegno è da notare anzitutto la deformazione grandissima, ch’essi hanno subito in confronto delle migliori mappe terrestri dell’età di mezzo. Dalle Colonne d'Ercole il Mediterraneo s'addentra non come una più o meno ampia e irregolare insenatura, bensì come uno stretto budello quasi rettilineo così fittamente occupato da isole, che tutto lo spazio marino è ridotto a due striscie verdi correnti rispetti- vamente lungo le coste europee e africane, dalle quali striscie altre due piccolissime si dipartono normalmente a indicare Tirreno e Adriatico. Più in là s’inasta normalmente all’estre- mità interna del Mediterraneo, come una stretta via d’acqua diritta a Nord. l Egeo col Mar Nero. Opposto a questo, dise- gnerebbesi il corso del Nilo, se Ja lacerazione dell’orlo in questa parte non togliesse di seguirlo. In ogni modo il consueto schema del T nell'O non appare qui nettamente. 10 CARLO ERKERA Non mancano qua e là segni di corsi d’acqua e di sistemi montuosi; numerosi i disegni di città, tutti uguali fuorchè per Roma e per qualche altra città rappresentate come maggiori. Altri disegni s'aggiungono, come avviene in altri mappamondi, a designare il Santo Sepolcro, i sepolcri degli Apostoli, il pozzo di Giuseppe, e così via. Abbondano finalmente i consueti mostri umani e gli animali mitici: sirene, grifoni, ecc. Le leggende riveleranno a chi minutamente le legga (a me per la brevità del tempo fu concesso tentarne appena qualcuna), il solito materiale di derivazione classica nei nomi. anche qui ripetuti delle antiche città e provincie dell’ Impero, — l'altro materiale tradizionale delle fantasie derivate dall’antichità al medio evo, come le gesta d’Alessandro, le meraviglie dell'India, le isole favolose, ecc., — e finalmente, in minori proporzioni, il materiale d'ispirazione cristiana. Dalla prima ispezione della pergamena non appare però vi sia alcuna leggenda (tranne una, della quale si dirà poi), che contenga dati o accenni comunque a fatti dell’età di mezzo. i Quanto alla data, la scrittura non sembra permettere, come sopra è detto, di riportare il mappamondo ad età anteriore al secolo XIII. Dei caratteri intrinseci del disegno parecchi rive- lano. pure un’epoca abbastanza tarda; p. es. la mancanza del Paradiso terrestre e dei primi progenitori nell’estremità orien- tale, mancanza che parrebbe troppo strana in un mappamondo dei primi secoli medievali, —- e la presenza di città, che soltanto carte del medioevo avanzato potevan segnare, come “ Venecie ,, come taluna delle città crociate di Palestina (“ Gibelet ,, # Ac- caron ,). Qualche altro carattere però. sembrerebbe accennare manifestamente a modelli di data assai più remota, p. es. la posizione di Gerusalemme fuor del centro della carta, mentre la posizione centrale della città santa è propria, come il Miller dimostra (1), dei mappamondi. di ‘età relativamente recente (posteriori alle Crociate). È da ritenere quindi, che la carta, prescindendo dai pochi particolari nuovamente aggiunti e dalle molte deformazioni subìte, riposi in fondo su modelli di pa- recchio anteriori al secolo XIV, — escluso tuttavia, per quel pass soul: (1) Cfr. K. Micuer, Mappaemundi: Die iiltesten Weltkarten, Stuttgart, 1895-98, vol. I, p. 30. UN MAPPAMONDO MEDIEVALE SCONOSCIUTO, ECC. 11 che si può scorgere, il modello, così frequentemente imitato, del mappamondo beatiano. Ma è dessa poi veramente la carta così recente per data, come parrebbe dalla prima ispezione paleografica? Ritengo si possa decisamente affermarlo, se non m’inganna la lettura d’una breve iscrizione posta presso il monte Atlante verso la cuspide nord-ovest dell’Africa. Quivi, eretto appunto sul “ mons athlas ,, sta uno dei soliti uccelli di forma bizzarra, tenente fra i denti qualchecosa che rassomiglia a un ferro di cavallo, e reggente sulla groppa una figura di re incoronato che brandisce colla si- nistra una ferula; e presso la figura del re leggesi, — la cosa non mi par dubbia, — “ philipp? rex ftiae ,. Non il primo Filippo, è da credere, morto nel 1108, — bensì forse il secondo, che prese parte alla terza crociata, morto nel 1223, — o il terzo, morto nel 1285, — o il quarto, morto nel 1314, — senza parlare del quinto e del sesto, che sono ancor più tardi nel secolo XIV. Soltanto un'ulteriore, più accurata ispezione della carta potrà rivelare, se non si abbia per avventura a interpretare altrimenti l’iserizione, e se altri dati fra quelli recati dalla carta stessa non valgano a precisar meglio la data: per intanto può giovar l’osservare, che Filippo III fu proclamato re, mentr’egli appunto trovavasi in Africa, presso la spoglia di Luigi IX morto sotto le mura di Tunisi. Quanto all'autore finalmente, parrebbe vano pur il ragio- narne, nell'attuale incertezza. Potrà forse con profitto investi- garsi sulla probabile patria di lui: per ora è da notare, — senza nulla volerne inferire in proposito, — che fra le regioni europee le più ricche di nomi sono l’Italia e l’Iberia, ma non senza gravi errori qui come altrove (cito a memoria Palma, Folivium, etc. in Italia, Parisius in Francia, e via dicendo). 12 ARTURO BERSANO Alcune lettere inedite di Carlo Botta. Nota di ARTURO BERSANO. Tra i vari tentativi che in epoche diverse e con esito sempre inane vennero fatti per indurre il Botta ad acconsentire che, lui vivo, si pubblicassero raccolte di lettere sue, ve n'ha pur uno del 1817 di cui fa parola il Pavesio sulla fede di una lettera inedita del 21 giugno dal Botta diretta al cognato suo avv. Luigi Rigoletti (1). In essa il Botta ha frasi assai lusin- ghiere per i promotori della progettata raccolta: “ Je suis infi- “ niment sensible è l’honneur que mes amis, et particulierement “ Benard |così it Pavesio| et Leone veulent me faire, en im- “ primant un recueil de mes lettres. Je te prie de les remercier en mon nom. C'est une bien grande consolation pour moi, que de penser à la constance de leur attachement. Certes ils sont “ payés de retour, et je suis fier de leur amitié..... ,. Ed era veramente di antica data e destinata a durare fino alla morte l'amicizia devota che legava al Botta gli iniziatori della rac- colta. Dei quali il primo è il teol. Guglielmo Leone (2); il se- condo l’abate Francesco Bonardi di cui già dissi e dirò ancora altrove (3): Bonard si deve così leggere, nella forma francese del nome, nella lettera citata, e non Benard come dalla serit- tura minuta e fine del Botta trascrisse erroneamente il chiaro editore ed illustratore delle lettere del Botta, il Pavesio. “ “ (1) Pavesro (Lettere inedite di C. B., Faenza, Conti, 1875, pag. xx1x-xxx). Il P. ricorda, oltre a questo del 1817, i tentativi fatti dal Gomis nel 1812 e dall'abate Gallo nel 1833. (2) Cfr. di lui, GrorceLLi, // processo dei Giacobini casalesi, in “ Riv. st. arte, archeol. della prov. di Aless. ,, IX, 32. (3) “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1909-10. Si veda anche in Scritti editi ed inediti di Mazzini, vol. V (epistola I), Imola, 1909, p. 372, n. l. ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 13 Il Bonardi e il Leone avevano, col Botta, fatto parte di quelle prime società segrete che in Piemonte avevano preparato la venuta dei Francesi ed i successivi rivolgimenti politici. Durante la invasione austro-russa, mentre il Bonardi riparava a (tenova, il Leone, cogli altri giacobini casalesi, fu in carcere dal 22 giugno 1799 al 15 giugno 1800: dopo Marengo, nel go- verno della Nazione Piemontese il Leone fu fatto professore di teologia all’Università di Torino, mentre il Bonardi veniva inca- ricato della riorganizzazione amministrativa di alcune parti del Piemonte e mandato, dopo l'annessione, a Parigi, come membro del Corpo legislativo di Francia per il dipartimento di Marengo. Ivi fu collega del Botta dal 1804 al 1811 e con lui visse a Parigi in affettuosa consuetudine di vita, nè i loro rapporti ces- sarono quando il Bonardi si ritirò in Piemonte nel 1811 0 prese nel 1821 la via dell’esiglio. Scrivendo al Leone, nel marzo del 1832, il Bonardi diceva: “ il nostro Botta mi serive ogni mese almeno... ,: invero anche dai pochi avanzi rimastici della corrispondenza Botta-Bonardi appare che essa, almeno in certi periodi, fu intensa: del principio del 1833 abbiamo a poca distanza tre lettere del Botta, del 30 gennaio, 17 febbraio e 8 marzo. Pur troppo anche nel 1817 le preghiere affettuose degli amici incontrarono, per il timore di polemiche personali o rap- presaglie politiche, da parte del Botta un cortese ma assoluto divieto. E ciò è tanto più da dolere in quanto la raccolta del 1817 avrebbe probabilmente illustrato il periodo meno noto della vita del Botta, quello della sua permanenza in Parigi al Corpo le- gislativo, per il quale periodo, come osserva l’accurato ricer- catore e bibliografo del Botta, il Salsotto, più mancano raccolte di lettere o studi parziali che ne contengano (1). Della corri- spondenza che verso quel tempo e poi fu tra il Botta e il Bonardi, una parte notevole andò perduta: rimangono presso la famiglia Bonardi poche lettere, che pubblico con assoluta fe- deltà dagli autografi (2), e confido che esse siano di qualche in- (1) C. Sarsorro, Per l’epistolario di Carlo Botta, in “È Atti R. Acc. Se. di Torino ,, vol. XXXVI, pag. 386. (2) Rendo vive grazie alla Damigella Lia Bonardi che, consentendomi con liberalità cortese lo studio delle carte lasciate dal suo avo, mentre provvede ad onorarne degnamente la memoria si rende pur benemerita dei nostri studi. 14 ARTURO BERSANO teresse, se anche taluni giudizi che in esse si dànno, coincidono con altri espressi in altre lettere già edite, pur essendo in quelle espressi in una forma meno aspra ed acre ed appassio- nata che non nelle nostre, le quali talora: hanno così il carattere di amichevole sfogo confidenziale. Nella pubblicazione seguo l’or- dine cronologico: di ognuna di esse mi si consenta lago cenno di illustrazione. Prima in ordine di tempo è una lettera del 9 settembre 1811, che forse il Bonardi aveva destinato alla raccolta progettata; senza soprascritta e su mezzo foglio, appare dal testo diretta non al Bonardi, ma ad un Giambattista, che è certamente G. B. Marocchetti, amico di entrambi, già sottoprefetto a Cre- scentino e a Chivasso, cugino di quel Vincenzo Marocchetti che in Parigi fu fratello al Botta, come i suoi figli, Paolo e lo scul- tore Carlo, ebbero il Botta in luogo di padre (1). Il Marocchetti fu adelfo e propagatore di adelfi e federati: condannato a morte dopo i fatti del 1821 riparò in Parigi, ospite del suo giovane cugino, in rue de Vaugirard nella casa abitata pure dal Botta: il figlio Scipione ricorda per l'appunto aspre dispute politiche che avvenivano tra il padre suo, già lontano dalle utopie della sua giovinezza, e il Marocchetti allora più che mai fervente repubblicano. La cometa ricordata è la bella cometa del 1811 studiata allora minutamente dall’Arago a conferma della sua teoria della polarizzazione della luce. Appena visibile nell'aprile e nel maggio, essa riapparve, offrendo uno spettacolo sorprendente e magni- fico, verso la fine di agosto: il nucleo appariva isolato dalla ne- bulosità luminosa per mezzo di uno spazio oscuro (2). Oltre (1) Drownisorri, Vita di C. B., Torino, 1867, pag. 191; Sciprone Borra, Vita privata di C. B., Firenze, Barbèra, 1877, pag. 56. ll B. fu a lungo ospite dei Marocchetti a Vaux près Meulan (Seine et Oise), donde vedeva la casa di Mad. Condorcet a Meulan. Là fu principiata la sua storia dal 1789 al 1814 e di là licenziava alle stampe la continuazione della Storia d’Italia del Guicciardini. (2) La “ codazza ,, di cui il Botta, era lunga (Lexicon Meyer) 90 milioni di Km.; questa cometa impiega, secondo i calcoli dell’Argelander, 3065 anni a compiere la sua rivoluzione. Debbo queste notizie desunte dal Cosmos di A. Humpoxpr (Faye, 1854, I vol., pag. 81, 89) e dal Franceur (7raité d’ Astronomie, 6* ediz., 1853, p. 237) alla grande cortesia del chiar.mo pro- fessore L. Hugues. ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 15 all’accenno al suo soggiorno in Normandia col Bossi, notevole in questa lettera come nella successiva l’allusione alla coscienza ch'egli aveva della sua autorità diminuita presso le sfere diri- genti della politica dell'impero. La seconda lettera, diretta al Bonardi, è nobile documento dell'animo gentile del Botta. Non trovai notizie nè di Teodoro Ortano, evidentemente alunno del Liceo imperiale stabilito in Casale nel 1807, nè del padre suo morto in Ispagna. La terza, importante per il tentativo di pubblicazione di cui sopra, è trascritta non da autografo del Botta, ma da un autografo del Leone in cui essa è riferita. La lettera del Leone al Bonardi, datata da Torino il 31 maggio 1817, è la seguente: “ Car.mo amico, “ Dalla lettera che scrissi in comune a te e a Luparia “avrai già rilevato ch'io m’era già adoperato per facilitare la “ progettata stampa delle lettere del rispettabilissimo nostro “ amico. Parvemi solamente cosa sotto tutti gli aspetti conve- nevolissima che si esplorasse prima l'opinione e la volontà dell'autore. Due suoi amici s’incaricarono di ciò; ed uno di “ essi ne ebbe questa precisa risposta in data del 23 del mese corrente: [segue la lettera II1] i “Tu vedi che ogni riguardo e ragione vuole che depongasi il pensiero di effettuare un progetto bello certamente altronde e lodevolissimo; e che ci limitiamo così alla buona volontà. “ Quanto a me particolarmente godo assai che questa. oc- casione m’abbia procacciato il piacere di ricevere nuove di te “e mi dico coi più sinceri ed invariabili sentimenti ai CS n “ tuo aff.mo amico “ G. LEONE ,. Nella lettera del Leone non si fa così il nome del Botta, ma niun dubbio che sia il Botta quel “ rispettabilissimo amico , di cui il Governo piemontese mal sopportava che si parlasse in patria, secondo la risposta sua; la lettera del Leone fissa anche la data di quella del Botta, al 23 maggio 1817. E poichè il Botta, come vedemmo, il 21 giugno 1817, rinnovando il suo 16 ARTURO BERSANO divieto al Bonardi e al Leone per mezzo del Rigoletti (1) ac- cenna ad analoga risposta data precedentemente all’abate Datta, così è lecito supporre che l’amico che aveva interpellato il Botta per conto del Leone fosse il Datta col quale pure il Botta era in corrispondenza (2). Il Rigoletti stesso potrebbe essere il secondo amico di cui è cenno nella lettera del Leone; se pure il Rigoletti non fu pregato direttamente dal Bonardi, dopo la lettera avuta dal Leone, di interporsi di nuovo presso di lui. I motivi che il Botta adduce nella lettera II, che presumo di- retta al Datta, sono sostanzialmente gli stessi che addurrà al Rigoletti. Così infatti si esprime col Rigoletti: “ Quant è mon consentement pour qu'on imprime mes “ lettres de mon vivant, ie ne le donnerai jamais. Mes lettres “ ne sont d’aucune importance pour leurs subjets; et ce serait m'exposer à des railleries surtout en Piémont, si je paroissais “en face du public avec de si petites choses. Après ma mort, “si mes enfants, ou mes amis croiront que mes lettres valent “ la peine de voir la lumière du jour, ils les feront imprimer; “ mais consentir qu'on les imprime de mon vivant, serait une “ vanité puérile de ma part et m’attirerait, peut-étre avec “ raison, des quolibets de la part de ceux qui n’aiment pas è “ entendre prononcer mon nom ..... 801 Rilevo nella lettera III la dichiarazione che il Botta fa di non tenere scartafaccio delle sue lettere: il registro, quasi copia- lettere di cui il Pavesio (4), appartiene certo ad età più tarda. Seguono, in ordine cronologico, altre cinque lettere assai posteriori, del 1832 e 1833. Secondo la tradizione famigliare (1) Pavesiro, loc. cit. (2) Confr. lettera del Botta da Rouen 11 maggio 1818 all'abate Datta e al prof. Robiola, in Pier ALkss. Paravia, Lettere di P. Metastasio e C. Botta, Venezia, Antonelli, 1844, e Trincnera, Lett. ined. e rare di C. B., Vercelli, Guglielmoni, 1858, pag. 39. (3) Cose analoghe scriveva all’ab. Gallo più tardi (Lettere di C. B., pubbl. da P. Viani, Magnaghi, Torino, pag. 18): “ il permettere che si stampino “le mie lettere in mio vivente, sarebbe andar contro il mio dogma, non “avendo mai voluto dare il mio assenso malgrado delle istanze fattemene “ da molti affinchè si stampassero..... ,. Analoga dichiarazione trovò il Sal- sotto in lett. ined. al Marchisio (2 giugno 1825). (4) Pavesio, pag. xxx. ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 17 altre lettere sue scomparvero, o perdute nella vita travagliata che il Bonardi condusse in Svizzera, o a lui sottratte da amici: una :specialmente del 1821 mi duole di non aver rintracciato tra le carte del Bonardi, relativa al principe di Carignano e ai moti disegnati in Piemonte, sconsigliante il Bonardi dal prendervi parte attiva (1). Poco notevole è quella dell'8 febbraio 1832, in risposta ad una del Bonardi chiedente informazioni sulle modalità delle as- sociazioni e della stampa della nuova Storia d’Italia in conti- nuazione di quella del Guicciardini. Documento singolare è la V, “dell'11 settembre 1832. Il Pisani, noto agitatore politico (2), si imbarcava in quel giorno a Ginevra sul battello, quando vi trovò Carlo Botta con Paolo Marocchetti, in viaggio alla volta d’Italia, che andavano a Losanna per passarvi la quarantena 0 meglio quinquena. Il Pisani si recava dal Bonardi presso Bellinzona ed allora entrambi gli scrissero sul battello poche linee di saluto, in matita, tuttora leggibili. A quelle del Botta, che pubblico a parte, seguono quelle del Marocchetti: “ Si par hasard Monsieur Bonnardi se rappeloit d’un certain “ Bambin qu'il a connu en 1814 rue Basse du rempart n. 24 “ il ne le reconnoitroit pas dans son très humble serviteur gros et gras comme père et mère, mais qui n’en a pas moins con- servé le souvenir de celui qui lui montroit tant d’amitié, et qui profite, sauf è l’ennuyer, de l’occasion qui se présente pour rappeler è son souvenir “ son tout dévoué “ PauL MAROCCHETTI. “ Du Bateau è Vapeur de Genève le 11 7.bre 1832 ,. “ “ “ “ (1) Ne trovo cenno in alcuni appunti fatti alla condanna del Bonardi del 1822, dal nipote di Francesco Bonardi, Guglielmo Bonardi, che fu mite e austera figura di patriota, allievo a Lugano di Enrico Grillenzoni, indi addetto alla tipografia di Capolago. (2) Nel La Cecilia Mem. (in “ Mazz. Ser. ed. ed ined. ,, V, 113, n.1) è appunto memoria del viaggio del Pisani a Bellinzona, ove nell'ottobre del 1832, col Magnaghi di Tromello, col Belgioioso e altri ebbe un con- gresso per tentar di fondere la setta degli Indipendenti con quella della Giovine Italia. Fu allora ospite del Bonardi (amico intimo del Buonarroti) a Roveredo, ove il B. era rifugiato. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 2 18 ARTURO BERSANO Seguono sullo stesso foglio altre Imee del Bonardi stesso (dalle quali ho tratto le informazioni di cui sopra) al nipote Gu- glielmo, allora in Italia, invitandolo a presentarsi a San Giorgio Canavese quando il Botta vi fosse giunto, per ricambiargli il saluto per parte dello zio, affinchè, come gli scriveva pure il 27 settembre, “ se Dio il vuole, diventato padre, possa dir ai “ tuoi figli: ‘ conobbi Botta ’, dovendo il suo nome crescere coi ‘ secoli , (1). Tra le carte del Bonardi trovo pure un biglietto suo di risposta al Botta, che porta in alto l intestazione: C. Tacito redivivo hae tradantur litterae; nella lettera chiama il Botta “ amico santamente immortale ,. Aggiunge indi un saluto a Paolo Marocchetti a cui dice: “ Je me permets de Vous or- “ donner d’étre l’ami de mon neveu et de vous aimer, comme “ nous nous aimions avec Votre Père ,. Interesse assai maggiore hanno le due lettere successive. Non minori insistenze che per la pubblicazione delle lettere si fa- cevano presso il Botta da amici e ammiratori perchè egli scrivesse le memorie della sua vita. “ Veramente io non ho mai saputo “ risolvermi — scriveva egli al Muzzarelli (2) il 15 luglio 1830 — nè posso scrivere la mia vita e miracoli, perchè mi pare una “ magra specie di vanità il farlo..... ,, E al Littardi (3) il 27 marzo 1833: “ Molti de’ miei amici di Torino mì sollecitano “con fervidissime parole acciocchè io scriva le memorie della mia vita. Questa sarebbe opera assai più agevole |che non la vita del Sarpi n. d. e.] e che si può fare baloccando sui sedili di pietra del Luxemburgo; ma mi pare una solenne imperti- nenza e non mi ci posso risolvere ,. Le ragioni di questo suo rifiuto sono meglio specificate nella nota lettera al Greene (4) del 15 ottobre 1836: “ Veramente molti miei amici mi stanno “ (19 “ (1) 11 cap. Rivoira il 19 ott. 1832 scriveva a Guglielmo Bonardi annun- ziandogli l’arrivo in S. Giorgio “ del Cav. Botta, il Grande nostro amico ,, “per parlare con lui anche dei nostri amici che le vicende vogliono da noi lontani ,, e lo invitava a fare assieme questa visita. (2) Lettere di C. B., Viani, p. 96. (3) Lettere di C. B. al conte Tommaso Littardi, Genova, 1873, pag. 135. (4) “ Arch. stor. ital. ,, N. S., t.I, p. 2, pag. 71. Cfr. anche in Reers, Studio intorno alla vita di C. B. sulla guida di lett. inedite, “ Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, 1902-03. la sua intenzione di recarvisi ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 19 “ continuamente coi pungoli al fianco affinchè io scriva le me- * morie della mia vita, come a dire le mie confessioni. Ma io “ vi ripugno grandemente nè mi ci posso risolvere. In primo “ ]uogo mi pare un ramo di impertinenza quel dire da sè stesso “al pubblico: signori miei,-io sono il tal dei tali e ho fatto i “ tali e tali miracoli. Poi non mi credo da tanto che la platea * prenda piacere in vedere che viso io m’abbia; chè io non sono # nè un Rousseau, nè un Altieri, nè un S. Agostino. Finalmente “ sono stanco e di mente e di corpo... ,. Realmente il Botta non fu per costanza di principî politici Alfieri o Rousseau, come pure non fu S. Agostino per impeto e ardore e sicurezza di conversione. In quel tempo anzi il Botta spia- ceva ai nuclei rivoluzionari per la sua avversione contro gli or- dinamenti costituzionali: uomo di pensiero e non uomo di azione, poco apprezzava e mal comprendeva altri che erano uomini di azione e spesso non erano affatto uomini di pensiero; spiaceva per contro pure ai nuovi e tiepidi amici della Corte di Torino la me- moria non facilmente cancellabile del suo passato, non certo ispi- rato a lealismo sabaudico, come pure la sua costante avversione al clericalesimo (1). In tali condizioni è evidente che il Botta non avrebbe potuto scrivere le sue memorie senza accrescere le dif- ficoltà della sua posizione: questa preoccupazione personale, se non erriamo, fu non ultima causa che ne lo distolse. Infatti le ragioni che egli adduceva per esimersi dallo scrivere i ricordi della sua vita, non potevano esistere per una biografia che altri avrebbe scritta di lui; eppure, come si vede dalla lettera VI, non appena seppe che a ciò attendeva il Bonardi, gli scrisse per rinnovargli lo stesso assoluto divieto che un dì per le let- tere: “ Io non consentirò mai che alcuno stampi la mia vita “ finchè vivo! ,. È ben probabile che il Botta temesse l’effetto speciale che poteva avere in Piemonte una sua biografia scritta, (1) Carlo Alberto che, ancora principe, lo aveva sussidiato, salito al trono, assegnava al Botta una pensione, lo faceva comprendere tra i cava- lieri del merito civile e apriva gli Stati di terraferma alla sua storia, che era vietata però in Sardegna; lo accoglieva affettuosamente, quando venne in Italia, ma gli negò una udienza di congedo; nè volle, quando morì, il busto suo e quello del Lagrange e dell’Alfieri nella galleria di illustri subalpini. Cfr. Manno, Spicilegio nel regno di C. A., Torino, 1877, pag. 15; Notizie e carte sparse sopra C. A. Botta, ece., in “ Curiosità e ric. di storia subalpina ,, 5, pag. 242-801. 20) ARTURO BERSANO sia pure anonima, da chi militava tuttora nelle organizzazioni rivoluzionarie, il quale non avrebbe potuto non accentuare ciò che era stato nella vita e nelle opere del Botta di più liberale e di più italiano, — una biografia, infine, stampata a Capolago, fucina di pubblicazioni patriottiche. Notevole nella lettera da noi pubblicata l'affermazione, unica, crediamo, nell’epistolario suo, che egli stesso attendeva a scrivere le sue memorie, da pubblicarsi però dopo morte. Certo di queste memorie non ap- parve nessuna traccia e nessuna ve n'è nei pochi ricordi per- sonali e aneddotici che scrisse del padre il figlio Scipione: forse quello che il Botta affermò come un fatto era solo un’ inten- zione, che, in ogni modo, espressa al Bonardi era tale da indurlo a desistere senz'altro dal suo primo proposito. Delle edizioni clandestine che delle sue opere si stampa- rono in Svizzera e Toscana, facendo bottino delle sue fatiche, si lagna pure in altre lettere edite, al Littardi, in cui quegli edi- tori sono detti “ maledetti corsari , (1). A questa, del 30 gennaio, rispondeva il Bonardi il 3 feb- braio, per annunziargli che rinunziava alla “ vita e miracoli del Botta, e in pari tempo dirgli il suo dolore per gli attacchi che a lui si facevano in giornali stampati nella Svizzera Ita- liana. Qualche affermazione, ovvia per lo storico, ad es. quella che la libertà può sussistere nella monarchia, come la tirannide negli Stati popolari, era parsa tendenziosa nel Botta; il dire che, in mezzo ad un popolo che si ordina, la libertà della lingua e della penna è un veleno pestifero, pareva un’approvazione dell'operato dei despoti; gli appunti che il Botta, fautore di un cesarismo democratico, moveva a ciarloni di ringhiera e di bi- goncia ferivano i liberali di ogni gradazione, per cui il regime costituzionale era il primo e fondamentale postulato. Un vecchio patriota osò attaccarlo, l’Angeloni. Narra il figlio Scipione che un dì l'illustre storico ricevette da Londra una odiosa poesia satirica, in cui tutte le rime finivano in -otta, che egli riconobbe subito opera dell’Angeloni; e siccome il Botta stimava che (1) Op. cit., lettere del 31 ag. e 14 sett. 1834. Da ‘Torino, il 23 set- tembre 1832 scriveva pure al Littardi: “ Ma presto verranno le ristampe “ d’Italia, massime quella di Capolago, le quali faranno. torto al Baudry , (pag. 124). ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA SA I “ costui avesse il cervello fatto a oriuoli ,, ne rideva con un sogghigno tra il compassionevole e il nauseato (1). Maggior amarezza gli diedero gli attacchi pubblici. Nel giornale “ il Tri- buno , che si stampava colla data di Marsiglia, l’Angeloni aveva scritto, nei numeri del 2 e 28 gennaio 1833, aspre cose contro il Botta, perchè non aveva dettato la sua storia con propositi repubblicani: è noto che ne lo difese il Bianchi-Giovini con un opuscolo stampato a Capolago e di cui si proibì la divulgazione negli Stati sardi con ordine del 21 aprile 1833. Quantunque il vecchio storico scrivesse al Littardi che egli non se ne curava come di bava fetida di vecchia sbolza ,, rallegrarsene anzi “ perchè le contumelie dei tristi erano elogi ,, e deplorare che la più bella ed alta delle cause fosse venuta in bocca a costoro , |l’Angeloni e i cagnotti suoi], ch'egli qualificava gente ambiziosa, rapace, piena d’astio, di livore, di furore, di “ vendetta , (2), pure narra il figlio suo ch’egli ne fu per giorni cupo ed accigliato, e ne parlava con voce commossa dallo sdegno, dolendosi in particolar modo che il suo pensiero fosse stato in qualche punto volutamente falsato (3). Nella lettera del Botta al Littardi, l’Angeloni vien detto ripetutamente “ vecchio vile “e villano, invidioso e malvagio e vituperoso ,, “ chi va con “lui non. sono già amici, ma boia della libertà ,: il Botta avrebbe vergogna di esser lodato da costoro. La lettera al Bo- nardi, a tratti acre fino alla trivialità, è del 17 febbraio 1883. Dello stesso giorno e sullo stesso argomento ve n’ha un’altra, edita, al Littardi, in cui v'è l’eco di quella del Bonardi al Botta. poichè il Botta annunzia al Littardi essergli pervenute nuove dalla Svizzera Italiana che colà si erano stampate improperie contro di lui ed altre se ne aspettavano da Marsiglia “ nel gior- “ nale che vi si stampa col titolo di La Giovine Italia ,. La let- tera al Bonardi corrisponde in parecchi tratti, non solo nel pensiero, ma anche nella parola, a quella al Littardi. Si con- fronti così con questa nostra, quanto il Botta scriveva al Littardi: ‘* se a costoro non piacciono i miei scritti, e lor non piacciano (1) Op. cit., pag. 71-2. (2) Lettere al Littardi del 17 febbraio 1833 (pag. 129), 21 marzo 1833 (pag. 130), 24 aprile 1833 (pag. 139). (3) Loc. cit. DO ARTURO BERSANO “e lo dicano e lo stampino quanto vogliono; ma cercar di in- “famare la persona dello scrittore come fanno, è mestiere da “ birbante. Forse questa è la civiltà moderna tanto vantata: “ forse questa è la libertà che alcuni ci preparano ,. Nella let- tera al Littardi sono pure quasi identiche le notizie sul viaggio di Paolo Emilio: “ P. E. era a Sennaar, stava ottimamente e s'era “ messo in capo di andar in cerca delle fonti del Nilo: già lo “ fo ai monti della luna dove sinora non andò altri che Guerino « il Meschino, ch'io sappia ,. Di tale andata di Paolo Emilio alle fonti del Nilo, a cui il Botta sperava che il figlio suo ri- nunziasse, è pure cenno in altre lettere al Littardi (1). La lettera VIII è l’ultima di quelle finora rintracciate presso la famiglia Bonardi. Essa è del marzo 1835: un anno dopo moriva il Bonardi; quattro anni dopo, il Botta: e già in questa, la scrittura del Botta appare tremante. E una breve, affettuosa lettera di amichevole saluto. Nè fu questo l’ultimo saluto del Botta: l’ultimo al Bonardi morto fu dato dal Botta nelle nobili parole di elogio che egli ne scrisse al Bianchi-Giovini, quando apprese la morte del suo amico fedele e che noi già ripor- tammo altrove (2). APPENDICE Parigi 9 settembre 1811. Amico carissimo. Insomma il nostro Piemonte ha da pruovare il fondo di ogni male, tempeste, carestie, terremoti e simili. Resta che questa cometaccia, che appare qui da due giorni vicino all’orsa maggiore, gli dia un gran calcio con quella sua codazza, e ne lo porti via. Iersera tutti gli occhi pari- gini erano volti a costei, che col funesto lume il ciel contrista. ella par morta di fame, e Dio ne liberi ogni fedel cristiano. (1) Pag. 141 del 21 giugno 1833. (2) C. B. Lettere (Magnaghi), ‘l'orino- Alessandria, 1841, pag. 141. ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 23 Del tribunale di Biella e di quel di Chivasso, che so io? I signori Bavouz, e Gomis presentarono, or fa circa un mese, o poco più un memoriale a S. E. il Gran Giudice, e, loro santa mercè, senza farmene motto. Che sarà, o che non sarà, io non saprei. Io desidero ardente- mente, che otteniamo l'intento: se potrò aiutare la materia, il farò vo- lentieri. Ma in questo ci vorrebbero i maggiori Santi del Paradiso, ed 10 non ne ho nissuno, nemmeno dei minori. Mi duole sino all’anima di questa tua febbre; ma spero che rintrescandosi la stagione, se n’andrà. Faccia Dio, che per me lo desidero, quanto più si possa’ desiderare. Sono stato a far qualche settimana in Normandia col nostro amicissimo Bossi. Me ne tornai tutto rinfrescato di salute, e tutto pieno di dol- cezza pei modi usatimi da quell'uomo. Basta; mi sento tutto rifatto da quel viaggio. Addio, carissimo Gian Battista, ottimo amico. Procura di viver sano, se consolato, e felice non puoi vivere. CarLo Bonra. LE Parigi 3 gennaio 1812. “Amico carissimo. Se ho soprasseduto sì lungo tempo prima di ri- spondere alla dolcissima tua de’ 28 novembre, abbi pazienza, che sono stato occupatissimo, e poi anche l’umor lavora bestialmente, e non so, dove mi riuscirò. Pure sì porta avanti la cattiva fortuna, e si procura di alleviarla coll’essere innocente. Sento grandissimo obbligo ai profes- sori Anselmi, e Luparia, ed al sig. avvocato Morselli delle carezze, che fanno a Teodoro per amor mio. So che non gli potrò mai cambiare degnamente, ma in questo mi do pace, e stommi coll’animo riposato; poichè conosco, ch’essi ciò fanno pel mero desiderio di giovare altrui, siecome tutti gli uomini dabbene, e d’animo generoso sogliono fare. Vi prego tutti di continuare nel medesimo amore verso di questo fan- ciullo, e di essergli attorno ora massimamente che si ebbe nuove, che suo padre è morto in Ispagna. Perciò mi corre maggior obbligo di ab- bracciarlo. con maggior benevolenza, e di aiutarlo con ogni ufficio di pietà, siechè egli trovi in me, e ne’ miei quella stessa tutela paterna, ch'egli ha perduto, perdendo il padre, che la natura gli diè. Ma di questo maninconoso, e lagrimevole caso non favellare al fanciullo, se non con que’ rispetti e con quelle dolcezze, che si sogliono usare, acciò non venga meno sotto al peso di così grave sventura. ahi! tristi e miserì noi; ch’oggi c' immaginiamo di tenere la fortuna pel ciuffo, e dimane morte ci fura, e rompe ad un tratto ogni umano disegno nostro; e ciò non ostante l’antico errore ci spinge a correr dietro alle cose flusse, e labili, e caduche di quaggiù. ma facendo al pianto fine, io ti prego, e 24 ARTURO BERSANO scongiuro di tener raccomandato Teodoro Ortano a que’ gentili spiriti, che mercè la cortesia loro gli hanno tatto vezzi sin qui, e non fia mai, ch'io me ne scordi; anzi riporrò questa loro soccorrevole pietà nella migliore e più interna parte del mio cuore. Dell’abbate Scozia il sig. Roatta pare, m’abbia detto, non ricordarsene. Del professore Gado mi rispose, che si farà. aveva anzi animo di serivergli. Non so se se (sic) l'abbia fatto. La mia moglie, e gli miei figliuoli stanno bene, la Dio grazia; e giubbilano e fanno festa dell’onorata ricordanza, che tu serbi di loro. Il medesimo Iddio ti conservi lungamente sano, e salvo, ed avanzi in prò ogni tuo desiderio onesto. Non posso essere’ più tuo di quanto sono. 1 Caro Borta. à Monsieur Monsieur Bonard ex Membre du Corps législatif à Casal Marengo DOP [all'abate Datta?| ” [Parigi 23 maggio 1817]. Io non ricevei richiesta nissuna, dico recente, per dar il mio con- senso onde si stampino alcune mie lettere famigliari. Pure vi rispondo in questo che non mi posso risolvere ad acconsentire che si stampino, sia perchè poche sono quelle che mi sia messo per farle, sia perchè il loro argomento è per lo più nullo e ne ritrarremmo più vergogna che lode. Dopo la morte mia, se i miei figliuoli e coloro ai quali il mio nome non sarà discaro, crederanno che esse portino il prezzo di veder la luce del mondo e se alcuno le avrà serbate, chè per me non ne tengo scartafaccio, sì le potranno stampare. Ma io non posso volere che ciò si faccia senza mia vergogna e senza taccia di superbia. Oltre a ciò havvi in questa faccenda un’altra malagevolezza, alla quale voi dovete pensare e forse già vi avrete pensato. So per molte pruove che in Pie- monte si sopporta mal volentieri che si parli di me ed io non voglio entrare in Paradiso malgrado de’ Santi. Giacchè durano gli sdegni mal- grado della Santa Alleanza, di sì segnalati favori della Provvidenza e della mansuetudine mia, io non posso far altro che aver pazienza ed uniformarmi sì per questa come per le altre mie disgrazie, intieramente, come fo, al volere supremo di Colui nelle mani del quale stiamo tutti. Sicchè lasciate andare quest'opera del volere stampare le mie lettere, chè ne potreste forse avere qualche amarezza anche voi. [CarLo BortA| DO Ut ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA IV. Parigi 8 febbraio 1832 place St. Sulpice N. 8° caro il mio Francesco, rispondendo alla carissima tua del 1° di questo mese, ti mando qui annesso l’annunzio stampato del libraio Baudry, che ti darà lume sulla pubblicazione della mia nuova storia d’Italia. Il primo volume già è stampato, ma non si pubblicherà prima degli altri, perchè si pubbli- cheranno tutti insieme. l Darò al Baudry l’indirizzo dei sio. Borsa e Mazzuchelli. Quanto all’advocat, ha dato del c.. sulla lastra. Caro il mio Francesco, io sono stanco delle fatiche ed oggimai anche dell’età; ma mi consolo che ho buoni figliuoli e buoni amici, fra i quali uno dei primi sei tu. Cosìspotess’io sentirti in più felice stato! Chè certo ci metterei la metà dell'animo perchè ciò fosse. Non star tanto tempo senza darmi delle tue nuove: esse mi saranno sempre gra- tissime. Carlo Marochetti è a Vaux dove sta lavorando indefessamente al gran monumento comandatogli dal re di Sardegna. Paolo è con lui e sono due fratelli d’accordo, graziosi e buoni ambidue. Ti abbraccio come fratello. CarLo Borta V. caro il mio Bonardi, sono in viaggio pel Piemonte a vedervi ancora una volta i miei parenti ed amici, cioè quei pochi, che restano in vita. La buona for- tuna mi ha fatto incontrare qui sul battello a vapore il sig. Pisani, il quale ti saluterà da parte mia e ti dirà ch'io ti amo ora, come sempre, che è quanto dire moltissimo. 11 settembre 1832 CarLo Borta WE Parigi 50 gennaio 1833 place St. Sulpice N° 8 caro Bonardi, Il nostro buon amico Filli mi mandò copia della lettera che tu scrivesti ai 10 del corrente da Bellinzona al capitano Rivoira, e dalla quale ritraggo, che tu ti proponi di scrivere la mia biografia per essere stampata in fronte di una quarta edizione della mia continuazione del 26 ARTURO BERSANO Guicciardini, cui certi stampatori di costì hanno intendimento di fare. Scusami, mio buono e sempre caro amico, ma questa mi pare una cosa fuori d’ogni convenienza, e chi la facesse, la farebbe con mio grave dispiacere ed offesa. Perciò vengo a pregarti, mio caro Francesco, di dismettere del tutto il pensiero di questa biografia, e di non solamente non cooperarvi, ma ancora di usare ogni più attivo mezzo, affinchè altri non l’eseguisca. Io non consentirò mai, che alcuno stampi la mia vita, finchè io vivo. Quando poi sarò morto, ognuno potrà pubblicare di me, ciò che vorrà, e se i miei amici allora erederanno, che la mia memoria sia degna di lode, potranno difenderla dalle morsicature de’ tristi. Oltre di tutto questo, non mi piace nè piacerà mai, che colla giunta della mia vita si dia maggior pregio ad una edizione fatta da que’ stampa- tori e librai, i quali colle loro ristampe, e facendo bottino delle mie fa- tiche, hanno recato e tuttavia recano un grave pregiudizio a me, ed a quegli uomini generosi, che mi hanno onorato colle loro soscrizioni. Gli editori di Svizzera e di Toscana” si vestano pure delle mie piume, giacchè gli sbirri della giustizia non gli possono giungere, e la coscienza non gli rimorde, ma non pretendano che 10 od i miei amici diano la mano alla loro cupidigia ed alle loro avare tresche. Ti dirò finalmente, che a richiesta di molti miei amici sto preparando le 4 me memorie ,, in cui parlerò alla distesa della mia vita e miracoli; ma certamente non saranno pubblicate che dopo la mia morte. Sarà un capitale, forse di qualche momento, ch'io lascerò a’ miei poveri figliuoli, e non ho bisogno, che alcuno libraio o stampatore d’oggidì mi sciupi anche questa con una preventiva biografia. Fa, Bonardi mio, che tu m’intenda, ed avrò caro sentire da te, che hai rinunziato intieramente al proposito di cui si tratta: te ne sentirò obbligo sempiterno. De’ miei figliuoli, Scipione, il primogenito, che è qui presente, e ti saluta, sta bene, e va avanti nel lavorar d’intaglio sul rame, e lavora molto bene; Paolo Emilio è nel Sennaar verso le sorgenti del Nilo, come medico di quella parte dell’esercito del Bascià d’ Egitto, che è di presidio in quel paese; Cin- cinnato, sergente maggiore nel primo reggimento dei cacciatori d'Africa, è al campo di Tixerain presso ad Algeri. Sta sano, e se mi darai delle tue nuove, mi farai un piacere a cielo. Il tuo amico CarLo Borra Carlo Marochetti è in questo momento a Parigi, ma presto deve fare un viaggio in Piemonte. Paolo è a Roma. A monsieur monsieur Frangois Bonardi Bellinzona en Suisse ALCUNE LETTERE INEDITE DI CARLO BOTTA 20 WII Parigi 17 febbraio 1833 place St. Sulpice n. 8 caro il mio Bonardi, . Teri mi pervenne la gratissima tua dei 3 corrente. Ti ringrazio sommamente di aver dismesso il pensiero di quella mia vita e miracoli. Tu mi parli degl’ improperi, che si stampano costì contro di me. Anche qui va attorno una sporca cartellaccia stampata di Angeloni, assal goffamente scritta, e piena di sozzure e calunnie contro la mia persona. Io me ne sono nettato il c..., e fa conto, che il nome di An- geloni andò proprio sotto il b...; m.... con m...., e questa è la sola risposta, che merita quel vituperoso, cui io non ho offeso mai, nè pro- vocato in nissuna maniera. Se Angeloni e chi lo somiglia eredono di mettere in pensiero il Canavesano dei fatti loro, s’ingannano. Il Cana- vesano gli ha per vili ed infami e strappa loro a ritroso i sucidi mo- stacchi dal muso, razza di c......i fracidi che sono. Sarà, per verità, una bella libertà quella che sarà fondata da questi infami calunniatori! Io credo che la prima qualità di un amico della libertà sia quella di esser galantuomo, ed i calunniatori sono birbanti. Non piacciono loro i miei scritti? e lor non piacciano, e lo dicano e lo stampino. Che importa a me? ma non cerchino, come fanno, d’infamar lo scrittore. E non si può differire nell'opinione senza essere infame? Anche questa sarebbe una bella libertà! Ma ciò basti in proposito d’Angeloni e de’ suoi satelliti; chè sarebbe cosa troppo indegna di me l’occuparmi delle loro malvagità e tristizie. Direi, che gli lascio alla loro coscienza, se ne avessero: gli lascio solamente all’invidia rabbiosa, che gli divora, ed ai desideri della tirannide, che vorrebbono esercitare. Scipione mio ti saluta caramente, e, se potrà, ti soddisfarà del tuo desiderio. Ebbi ieri nuove di Paolo Emilio date da Sennaar al mese di Novembre. Stava bene, ed in punto di partire per un viaggio alle fonti del Nilo verso i monti della luna, dove sinora nessuno è stato, se non forse Guerino il meschino, se ben mi ricordo delle letture giovenili. Cincinnato è sempre al campo di Tixerain presso ad Algeri, e sta bene ancor egli. Scipione ha oggi ricevuto nuove da Roma di Paolo Marochetti. Stava bene, e andava avanti nel dipinger paesetti. Credo, che Carlo sia sempre a Parigi, ma già da lungo tempo non l’ ho veduto. Vive vita allegra, e gode sbracatamente del carnovale. Godilo anche tu del pari, per quanto l’età diversa comporta, e segui in amare il tno amico CarLo Borta A monsieur monsieur Frangois Bonardi Bellinzona Suisse 28 ARTURO BERSANO — ALCUNE LETTERE INEDITE, ECC. VIE Parigi 8 marzo 1883 5 . place St. Sulpice n. 8 caro il mio Bonardi, con gran piacere, come tutte le tue, lessi quella che mi serivesti a’ 26 scorso. Oggi rispondo a quella dei sig. Borsa e comp.* che vi era annessa. Ti ringrazio, caro il mio Francesco, della benevolenza, che sempre più mi vai scoprendo. Sono consolatissimo nel vedere, che fra tante tempeste, e tanti viluppi di passioni e d’accidenti, io abbia con- servato la tua amicizia. Veramente ella è del vecchio tronco, cioè sin- cera e forte. Tal è anche la mia verso di te, nè per softiar di venti verrà mai mancando. Carlo |Marocchetti] è sempre qui, ma non lo vedo, perchè Capua lo tira. Spero però di vederlo prima che parta per Torino, se pure par- tirà, e gli dirò il sommo desiderio, che hai di abbracciarlo. Scipione ti saluta caramente, e io ti abbraccio con quell’antico, ma sempre vivido amore, che conosci. Carro Borra A monsieur monsieur Frangois Bonardi Bellinzona Suisse L’Accademico Segretario GaeTtaNO De SANCTIS. 29 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 4 Dicembre 1910. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANDREA NACCARI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: SaLvapori, D'Ovipro, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Guipi, FiLeri, PARONA, GRASSI, SoMIiGL1iANA, FUSARI, BaLBIANO e SeGre, Segretario. — Scusano l'assenza il Presidente BoseLLi, il Vice Presidente CamEeRANO e i Soci Spezia e Mar- TIROLO. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente, nel presentare alla Classe le numerose con- doglianze ricevute per la morte del Socio Mosso, e 1 ringrazia- menti della famiglia del compianto Collega, per la parte presa dall'Accademia alla sventura che l’ha colpita, ricorda quanto già ebbe a dire S. E. BoseLLi nell'adunanza a Classi Unite in- torno a quella grande perdita fatta dalla scienza e dalla nostra Accademia. Il Socio SeeRrE presenta in dono, a nome dell'Autore, una Nota del prof. Gino Loria su Giovanni Schiaparelli quale storico dell'antica astronomia. Vengono presentate per l'inserzione negli Atti: dal Socio D’'Ovipio: la Nota del Dr. Gustavo SANNIA, Il reciproco di un determinante infinito normale ; dal Socio Fusari: Ricerche sull’apnea degli Uccelli, del Dr. Carlo Foi. 30 Il Socio JADANZA, anche a nome del collega Naccari, legge la Relazione intorno alla Memoria del Prof. G. BoccarpI, Sulla Latitudine del R. Osservatorio di Torino; la Classe unanime ap- prova le conclusioni per la lettura della Memoria e la pubbli- cazione nei volumi accademici. Il Socio PARONA, a nome del collega MaArTIROLO, presenta per la inserzione fra le Memorie dell’Accademia un lavoro del prof. Edoardo MartEL, Nuove contribuzioni all’'Anatomia delle Solanacee. Vengono incaricati di riferire su di esso i Soci Parona e MatTIROLO. GUSTAVO SANNIA — IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE, ECc. 81 LETTURE Il reciproco di un determinante infinito normale. Nota di GUSTAVO SANNIA. $ 1. — Definizioni. Per definizione, un determinante infinito (1) ASIA. | Aj1 «a din per n= 0; questo limite è il valore A del determinante. Il determinante (1) si dice normale (*) se, posto (2) Gis TIR, 10 (= 3), la serie (3) > Crs TT, è assolutamente convergente. Un determinante normale è cer- tamente convergente. D’ora innanzi supporremo che (1) sia normale. (#) HeLce von Kock, Sur les déterminants infinis et les équations diffé- rentielles linéaires, © Acta math. ,, Bd. 16. 32 GUSTAVO SANNIA Sopprimendo in A le orizzontali con gli indici crescenti r,, Ya; «««,Yn © le verticali con gli indici erescenti .s,, 53, «1.840 SÌ ha un nuovo determinante infinito normale, che chiameremo un minore infinito di ordine n di A ed indicheremo con UA US ele A SI S9 ima saSa Gli elementi comuni alle orizzontali e verticali soppresse formano un minore di ordine n di A. Questi due minori si di- cono complementari tra loro, e ciascuno di essi moltiplicato ee(05 (4) e=tri +... +4 8,4: #8, si dice complemento algebrico dell'altro. Ricordiamo pure che la serie formata da tutti i minori finiti della matrice infinita Ci C19 OVATJA, LI (5) Col l29 . - è assolutamente convergente. In particolare la serie formata dai soli minori principali di (5) è pure assolutamente convergente ed ha per somma A—- 1 (*). Come per i determinanti ordinarii, si suol chiamare (im- propriamente) reciproco di A il determinante infinito An, Ajs | (6) | Ar: Ago... (*) Per tutto ciò cfr. H. von KocgÒ, loc. cit., o T. Cazzaniga, Sui deter- minanti d'ordine infinito, “ Annali di Matematica ,, serie II, t. XXVI, 1897, oppure Kowarewski, Finfihrung in die Determinantentheorie, Leipzig; 1909. IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE 33 ove A,, è il complemento algebrico dell’elemento a,, in A: AR: == (> )ees("). Ma questo determinante in generale non è convergente (*). Però osserviamo che il determinante che dovrebbe chia- marsi reciproco di un determinante ordinario A è il determi- nante formato dai complementi algebrici degli elementi di A, SUA ; s 1 divisi per A, almeno se A==0: esso infatti ha per valore 7. Noi perciò d’ora innanzi chiameremo reciproco di un deter- minante infinito normale A, diverso da zero (**), il determi- nante formato dai complementi algebrici degli elementi di A divisi per A, ossia il determinante | Aitina | (7) A' =_= dai da ite s ove . Ar (8) cera Ciò è giustificato dal seguente TroRrEMA. Il reciproco di un determinante infinito normale A 1 pi . Infatti è noto (***) che il minore è convergente e vale A O RORC Ain | ORIO TIT, (*#) Cfr. Cazzaniga, loc. cit., $ 9. (*#*) D'ora innanzi questa restrizione sarà sempre tacitamente ammessa. (***) Un minore di ordine » di (6) è uguale al complemento algebrico del corrispondente minore di A, moltiplicato per ant Cfr CAZZANIGA, loc. cit.;'$ 9,.n. 3. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 3 120, 1 EA 4 GUSTAVO SANNIA di (6) vale 128 I di fe ni di A quindi a 11- (8) 1n (9) l'ape a Ì a nl aa | vale SUI”. RA 1 LE, dI... (10) SITL AZABRE di ana) Or consideriamo lo sviluppo in serie di A — 1, come somma dei minori principali di (5). Essendo questa serie assolutamente convergente, possiamo ridurla ad una serie semplice, assumendo come n°° termine la somma di tutti i minori di (5) che hanno €,, come primo elemento. Il resto £, di questa serie relativo al termine »"° tende a zero per n = 0, e d’altra parte è la somma di tutti i minori principali della matrice ma An413 n+1 Adn413 nH42 * «| 1 SIC n+1 En419 n42-- | | | dunque [1] Cnt1) n+1 Cn413 n+42 0 -- | | | Cn42, n+1 Cn4+3, n+2 * * * | ; | | | i An+2, +1 Aa421 #42 | e n+23 n+41 1 Da Cn423 n42- | lim A (i: mi =l1 e per la (10) n=00 < 1 lim dies, n= A Con ciò il teorema è dimostrato. | È 14 È IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE SD Nei paragrafi seguenti faremo uno studio dei determinanti che sono reciproci di determinanti infiniti normali e dimostre- remo che essi godono di tutte le più importanti proprietà di questi ultimi. $ 2. -—— Lemma. È noto che se gli elementi di un numevo finito di orizzontali (verticali) di un determinante infinito normale si sostituiscono con numeri arbitrarii, ma in valore assoluto inferiori ad un numero fisso, il determinante non cessa di convergere (ma cambia di va- lore e non è più normale in generale) (*). Ciò vale, in particolare, se è numeri sostituiti formano una serie assolutamente convergente. In questo caso il teorema prece- dente si può completare. Ricordiamo anzitutto alcune definizioni ed un teorema (**). Matrice infinita di n linee è uno schema del tipo i allinons \ Agro (11) | dna bs +00 Essa si dice normale se i suoi elementi d,, formano una serie assolutamente convergente. Sia Bi Bio Dice \ Bar Bas Ono: 1 (12) | Bn Bno PSE un’altra matrice di » linee i cui elementi f,, sieno inferiori ad un numero fisso (o, in particolare, che sia normale). (*) Cfr. Cazzaniga, loc. cit., $ 6, n. 5; H. von Koca, loc. cit., $ 9. (**) Cfr. Cazzanica, loc. cit., $ 8. 36 GUSTAVO SANNIA Si dimostra che la serie Pre =" bra Bert doeBeo + (1, 8(=1, 2.592) è assolutamente convergente ed il determinante di ordine » |'Pii Pio. Paol Po1 Po»... Pon | Bess Ri Parati si chiama il prodotto delle due matrici (11) e (12). Si dimostra pure che: la somma dei prodotti dei minori di ordine n di (11) per i corrispondenti minori di ordine n di (12) è una serie asso- lutamente convergente che ha per somma P,. Ciò premesso, dimostriamo il Lemma. Se in un determinante infinito normale A si sostitui- scono gli elementi di n orizzontali (verticali) con numeri formanti una serie assolutamente convergente, il nuovo determinante (è ancora normale e) moltiplicato per A"-! è eguale al determinante di or- dine n che è il prodotto delle due matrici infinite di n linee for- mate, l'una dai complementi algebrici degli elementi soppressi in A, l’altra dai numeri sostituiti. Evidentemente possiamo sempre supporre che le » orizzon- tali di A, delle quali si parla nell’enunciato, siano le prime #. Sostituendo agli elementi delle prime » orizzontali di A ordi- natamente i numeri della matrice (11), si ottiene il determinante (13) ORSI Pe e I An41,1 An41,9 DONE dn+2,1 442,20») Per ipotesi la serie Dba feeder, Za rs IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE 37 è assolutamente convergente, quindi la matrice (11) è normale. Essendo poi A un determinante normale, fatte le posizioni (2), la serie (3) risulta assolutamente convergente; quindi è anche assolutamente convergente la serie somma delle due precedenti, e però (13) è un determinante infinito normale, il cui valore indichiamo con D,. Ora è noto (*) che le serie sono assolutamente convergenti, quindi è pure assolutamente convergente la serie XA. (r=1,2....,%;8=1,2..)); tT,$8 ne segue che la matrice infinita ad » linee Ari A12 Da \ Az A99.. (14) | Agia i è normale. Ora in virtù del teorema ricordato innanzi, le serie (15) parmrbtti pata dazio 1081 sprat) sono assolutamente convergenti ed il determinante è eguale alla somma dei prodotti dei minori di ordine x corri- spondenti delle due matrici (11) e (14). Ma ciascun minore di (*) Cazzaniga, loc. cit., $ 6, ny: 2. 38° GUSTAVO SANNIA ordine » di (14) è pure un minore di ordine » del determi- nante (6), quindi è eguale al complemento algebrico del corri- spondente minore di 4 moltiplicato per 4"; dunque P, è eguale ad 4"! moltiplicato per la somma dei prodotti dei mi- nori di ordine » di (11) per i complementi algebrici in A dei corrispondenti minori di ordine n della matrice A1 Urla amore dg, 499... | Ani Ang. è Ma questa somma di prodotti è precisamente lo sviluppo del determinante infinito normale D,, che si ottiene applicando il teorema di Laplace (*) alle sue prime » linee; dunque (17) Piedi) Con ciò il lemma è dimostrato. CoroLLarIo. Ponendo boia (bi errante dlyi2iiv le due matrici (11) e (14) coincidono e la (17) diventa A An2 ven | An41,1 An41,2 G | Anyo,1 4n49,2 (*) Il quale sussiste nei determinanti infiniti normali. Cfr. CAZZANIGA, loc. cit., $ 5, n. 5; H. von Kocg, loc. cit., $ 12. IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE 39 da cui, se A=-0, | Qarandiii «ffalt | | | ' LA 16 | dii Gia... | Re, o at | | f ' , Ù | da1 d 22... 1 dat Lg MJ. I | ==, A È | An41,1 441,2 << * ' r Ì An, dn... | | Ana21 442,2 + - ossia: il quadrato della matrice infinita formata da n linee del reciproco A' di un determinante infinito normale A è uguale al determinante infinito normale che si deduce da A sostituendo gli elementi delle omologhe n linee con i corrispondenti elementi di A', diviso per A. $ 3. — Prodotto di un determinante normale pel reciproco di un altro. TroreMmA I. Il prodotto di un determinante infinito normale (18) BE bei ba AL. per il reciproco A' di un altro A==0, (1), è il determinante infimo Pri Pia» » + (19) led Po1 Pa2..» | ove (20) Ps —_ bi dx A ds CHET _ LS a (7, sz je 2, nie bf 40 GUSTAVO SANNIA Infatti sostituiamo in A agli elementi delle prime » oriz- zontali i corrispondenti elementi di B. Siccome la serie formata dagli elementi delle prime n linee di B è assolutamente con- vergente (*), così è lecito applicare il lemma precedente, ossia : fatte le posizioni (15), (16) e (19), vale la (17). Dividendone ambo i membri per A”, si ha (21) Pi Pai riPPln ove le p,, hanno ora i valori (20). Ora cerchiamo il limite di D,, per n= %. Perciò consi- deriamo il seguente minore principale di ordine n + # di D, o, per le (2), | Cn+1,1 sfiori» Cn41,m I + Cn41,n+1 . | Cntr,1 av Cntr,n Cntr,n+1 rrr— normale. Antr,1 * ORIO ORO Ant1,10::- Cny1,n Hnt1,m+1- Dit EOAI fe: Ue) gie) ax Sia . Antrin An4r,m+1 CAROTO PIT MORTO bi 1 34 e e a Any 1,n+r . . Cn+1,n+r «+ al efexe, se al e) :e) cele. e) e . 1 + Catrimtr eo (*) Ciò segue subito dalla definizione ($ 1) di determinante infinito IL RECIPROCO DI UN DE'ERMINANTE INFINITO NORMALE 41 D,», sviluppato col teorema di Laplace, applicato alle sue prime n orizzontali, è la somma dei prodotti dei minori di or- dine n della matrice RIASER SI ANI ne (22) | | dna ARCI. Dn d,.;n41 ii ge 0044 per i corrispondenti complementi algebrici in D,,,, i quali sono: i minori di ordine r della matrice Orti, 0 (Catia 1 Persiani enti Cn+r,i fe. Cndrin Cntr,nt1 pù es) erieile 1 + Cn4r,m4r | presi con segni convenienti. Uno di questi prodotti è dii Stio, e din | I + Cntitnt+1 sus e Cn41,n+r | | | | (24) sà tb Lioni uasdsdg Ì | | ha; «o Din | Cntr;h41 na ae reale Il <- Cntrimtr | ma il secondo fattore è uguale ad 1 aumentato della somma S di tutti i minori principali del determinante Cny1,nt1- - + Cn41,m+r | (25) ue esi Cntrinti e 0° Cn4rimtr | quindi, posto | ada | (26) B,=| , 42 GUSTAVO SANNIA si ha rr sb Bu = B,S+ eee ove i termini non scritti son tutti i rimanenti suddetti prodotti dello sviluppo di D,,,. Ma i minori di ordine n della matrice (22) sono minori di (18) ed i minori di un determinante infinito normale sono tutti minori di un certo numero fisso 8 (*); quindi (27) | Di — Bal=B4|S]+ ...}, ove i puntini indicano la somma dei moduli di tutti i minori di ordine r della matrice (23), escluso quello che è secondo fat- tore di (24). Ora, di questi minori, alcuni possono essere ad elementi monomii (se r < n), quelli cioè formati con le sole prime n co- lonne di (23). Gli altri hanno in alcune colonne, ma non in tutte, nn elemento binomio del tipo 1-4 e,,, e perciò sono decompo- nibili in somme di determinanti di ordine r o minore di r ad elementi monomii; e nel secondo membro della (27) è lecito sostituire ai moduli di questi ultimi minori di ordine r le somme dei moduli dei determinanti in cui sono decomponibili. Così pure è lecito sostituire a |S| la somma dei moduli di tutti i minori principali di (25) dei quali S è la somma. Tutti questi deter- minanti ad elementi monomii che compariranno nel secondo membro della (27) così trasformata, sono minori della matrice Cn+1,1 See Cn-t1,n Cnt1,n E) ONORO Cn+1,n+r Cntr,1 pico Critrn Cn rnji ve Crtrinbr e sono evidentemente tutti distinti. Dopo ciò è chiaro che si ha Di ra B,|v sia € Tn = BR ; allora dalla (29) segue, che per n >? ed r qualunque, si ha |D,, — B.|<€, quindi che lim (Dt ==i B., == |) quando » ed r tendono all’infinito, indipendentemente l’uno dal- l’altro. Ma 5, non dipende da r e d’altra parte limbyt= BS per definizione del determinante B, quindi lima Dr = 5° n,r=% Inoltre D, è un determinante infinito normale, quindi per de- finizione i lim Do Dei ne segue che lim. D. =ImfilimB.dezdia Lana n= nZ=0 Yr_==00 n,rZD Dunque esiste il limite del secondo membro di (21), per n=, ed è n, quindi tale è pure il limite del primo membro; ma il limite del primo membro è, per definizione, il valore P del determinante (19), dunque questo determinante B converge e vale i Con ciò il teorema è dimostrato. Trorema Il. / reciproco del prodotto di due determinanti in- fimti normali è il prodotto dei loro reciproci. IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE 45 Se A (1) e B (18) sono due determinanti infiniti normali, il loro prodotto è un nuovo determinante infinito normale | Pu Pio - P= dii Pao. |» ove Pres = 41 bag + 4,9 bg i calle (1: Si ha inoltre (**) da cui ce) Yor )][-05(1) tl ossia (32) Eyre v AB, te=1 ove nP,:; AB sono.i complementi algebrici di p,;, @,,, ds in P, A, B rispettivamente; dividendo infine membro a membro (32) e P='‘AB; si ha (33) Pre Tui x} e tI Dix i4 ove Ps; 0, ds; sono gli elementi dei determinanti reciproci We, AB Osserv. Dai due teoremi precedenti deduciamo che il pro- dotto di un determinante infinito normale per il reciproco di (*) P è il prodotto di A e B per orizzontali, ma è anche lecito operare per verticali o per orizzontali e verticali. Cfr. Cazzanica, loc. cit., $ 7. (**) Cazzanica, loc. cit., $ 8. 46 GUSTAVO SANNIA un altro o di due reciproci di determinanti infiniti normali si esegue come il prodotto di due determinanti infiniti normali o di due determinanti ordinarii dello stesso ordine, ed in quattro modi distinti. Trorema III. Un minore di ordine n del prodotto di un de- terminante infinito normale per il reciproco di un altro 0 del pro- dotto dei reciproci di due determinanti infiniti normali (*) è uguale alla somma dei prodotti dei minori corrispondenti di ordine n delle due matrici infinite normali ad n linee che concorrono alla forma- zione degli clementi di quel minore. Ciò segue subito dalla legge di formazione (20) o (33) degli elementi di quel minore e dal teorema che precede il lemma del $ 2. $ 4. — I minori del reciproco. Trorema I. Un minore del reciproco di un determinante infi- nito normale A è uguale al complemento algebrico del corrispon- dente minore di A, diviso per A. Per un minore finito del reciproco A' di A, il teorema è una conseguenza immediata di un teorema noto, da noi enun- ciato nell'ultima nota al $ 1. 3 Ora dimostriamo che esso vale anche per un minore infinito. SIAMO! #73 7a) 3 Ta OO St; 895 ««-s Sn (UO SPUppi Gi geo meri interi crescenti e 01, Oa, ... e 01, Magione le successioni di numeri interi crescenti che si ottengono dalla successione dei numeri naturali 1,2,... sopprimendo i numeri dei due gruppi. Allora un minore infinito di ordine » del reci- proco A' di A sarà (34) A' R 1 FRS su abi | a a' (*) O del prodotto di due determinanti infiniti normali. IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE INFINITO NORMALE 47 In A sostituiamo gli elementi aventi gli stessi indici di quelli di (34) con 1 o 0 secondo che essi sono principali o pur no. A si trasforma in tal modo in un nuovo determinante infi- nito normale 5 il quale, sviluppato col teorema di Laplace ap- plicato alle orizzontali di posto r,, rs, ..., #, si riduce evi- dentemente a Aris Ar389 * 00. AriSn | € | Argsy Argo + è + Arosn | (85) B=(- DS " | Arns Ar n89 Po drnSn | ove e=rr + d4+rn test... +8, ossia B è il complemento algebrico in A del minore infinito A fr Ue) ® .» n SE Sana Or moltiplichiamo per orizzontali il determinante infinito Bb per A': otterremo Pii Pia. -- BA —| pa Per... | ove p,; è la somma dei prodotti degli elementi della »"® oriz- zontale di B per i corrispondenti elementi della s" orizzon- tale di A'. Ma se ricordiamo le relazioni | 7 WWO/Kse,, = dpy As A,9 A 4 oe 1 att ra ds + fieno. roy che seguono dalle ben note (*) Gr, As 0,3 Ag t...= 3 o 2 S | AV - . (* Cazzanica, loc. cit., $ 5, n. 4. 48 GUSTAVO SANNIA — IL RECIPROCO DI UN DETERMINANTE ECC. troviamo subito che TIR se 12) Pene se i=j' p.is=>®,.... pi Msg vid intacsno dll ro; og 0 0; 0,7; Dunque il determinante prodotto di B per A' ha gli elementi delle orizzontali di posto r,, r2,...,7, tutti nulli, tranne gli elementi principali che sono uguali ad 1; e gli elementi delle rimanenti orizzontali, di posto pi, Ps, ..., sono gli stessi ele- menti che ha (34) dopo una rotazione di 180° intorno alla dia- gonale (la quale non ne altera il valore). Quindi, applicando il teorema di Laplace alle orizzontali di posto r,, rs, ..., Yn, ot- teniamo subito Ba = d'(" Va ato dl St, 823 è, Sh da cui RANCATE OT B 4 (me) E iti. Sg (82, +, SM A In particolare, per la (35), A (*) =(— yy A b da cui / 7 Ars , A's=(— 1)°# A i =< 7 Aa,, ed infine V.TDA gal aa Ars , dunque: il reciproco del reciproco di un determinante infinito nor- male A è A. Morcone, 9 ottobre 1910. CARLO FOÀ — RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI 49 Ricerche sull’apnea degli uccelli. Nota del Dott. CARLO FOÀ, Libero docente e assistente. Le prime ricerche sopra questo argomento sono quelle di BieLETzKy e di BAER (1), le quali avevano stabilito che aprendo i sacchi aerei toracici e addominali degli uccelli e poi insufflando aria nella trachea per modo che essa esca dall’apertura addo- minale si provoca l’arresto del respiro. Questo studio fu ripreso con cura di particolari da BorponI- UrrREDUZZI (2) sotto la guida del LucranIi, e questi riferisce ampiamente nel suo Trattato di Fisiologia i resultati di quelle esperienze. Se l’insufflazione di aria nella trachea è violenta, l'arresto del respiro è istantaneo; se l’aria vien spinta dolcemente, l’ar- resto del respiro è graduale. Questo fatto trovato dal BorDonI è confermato dai miei tracciati 1 e 2 ricavati da un'esperienza sul tacchino. Debbo notare però che in questa esperienza io (1) Baer, “ Zeit. fir Wissensch. Zoologie ,, 1887, p. 72. (2) L. Borponi- UrrreDuzzi, Sull' apnea sperimentale, “ tale ,, 1888. Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 4 Lo Sperimen- CARLO FOÀ insufflavo in trachea non aria, ma ossi- geno puro; e che l'andamento dell’espe- rienza è eguale a quello che si ottiene insufflando aria, mentre BorponI aveva trovato difficoltà a produrre con l’ossi- geno un'apnea così regolare e completa. Un fatto che resulta dalle esperienze di BorponI e da quelle più recenti di Treves (1), e che trova conferma nei miei tracciati, è che la ripresa del respiro è graduale e si inizia non appena ces- sata l’insufflazione. Lo stesso avviene anche se la insufflazione e quindi l’apnea sono di lunga durata. Così nel tracciato 3 preso sopra un altro tacchino l’ apnea dura 3' e cessa non appena cessa l’in- sufflazione d’aria. Questo avviene se l’a- pertura dei sacchi è abbastanza ampia, e la posizione dei visceri addominali è tale che l’aria trovi libero sfogo. Ma se i visceri ostruiscono l’apertura addo- minale o i sacchi non sono ampiamente aperti, allora l’apnea può prolungarsi ancora per qualche tempo dopo che l’in- sufflazione è cessata, come nel trac- ciato 4. È importante notare che verso la fine dell’apnea registrata nel trac- ciato 4 l’animale boccheggiava, stralu- nava gli occhi e i bargigli presentavano un colore bluastro. Talora succede che se la fuoruscita dell’aria si compie molto difficilmente, l’apnea è interrotta brusca- mente da contrazioni asfittiche di tutto l’animale, nel quale il colore azzurro- gnolo dei bargigli rivela l'insufficienza della ematosi polmonare. (1) L. Treves, Osservazioni sull’apnea degli uccelli, “ Arch. di Fisiologia ,; ip. | 2, 1905, p. 185. RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI 5I Credo che a questa causa sia dovuto se GroBER (1) e TrEvES in alcune delle loro ricerche trovarono che: il respiro può ripre- sentarsi anche durante l’insufflazione, e che alla ripresa il re- spiro è spesso dispnoico. In alcune delle esperienze di Treves l’animale all’iniziarsi dell’insufflazione contraeva torace e addome per: modo da ostacolare il passaggio dell’aria, e allora: era natu- rale che l’arresto del respiro producesse asfissia, come quando si pratica l’insufflazione senza aprire i sacchi addominali, perchè in questi casi non vi è rinnovamento di aria nei polmoni. Un tale arresto del respiro, come giustamente osserva TrEvES, non significa che l’animale si trovi in istato apnoico, nel senso at- tribuito da RosENTHAL a questa parola, e il meccanismo di tale arresto dev'essere esclusivamente nervoso. ll respiro riprende quando lo stato asfittico del sangue è tale da vincere l’inibizione nervosa, eccitando il centro respiratorio. Ma se il passaggio dell’aria si compie con facilità, l’apnea riesce completa e la ripresa del respiro non presenta affatto sin- tomi di asfissia, anche se l’apnea ha durato lungo tempo. (1) GroBer, Uedber die Athmungsinnervation der Véogel. Pfliiger's Arch. 76, pi 427. st LO CARLO FOÀ Notammo che la ripresa del respiro coincide con la fine dell’insufflazione quando l’aria passa bene, mentre può durare oltre l’insufflazione se l’aria trova qualche ostacolo al suo pas- saggio, e tale persistenza si manifesta malgrado l’animale pre- senti i sintomi dell’asfissia. Nel tracciato 4 si vede inoltre che malgrado l’animale verso la fine dell’apnea fosse asfittico, la ripresa del respiro è gra- duale e non vi è dispnea. Queste osservazioni mi paiono avere molta importanza nell’interpretazione delle cause dell’ apnea. L’apnea è essa dovuta a un’irritazione dei vaghi, o ad un vero stato apnoico del sangue? Il fatto che l’apnea si inizi in modo brusco se l’ insufflazione è violenta, parrebbe appog- giare la teoria nervosa dell’apnea. Così pure il fatto che il respiro riprenda non appena cessata l’insufflazione, differenzia questa forma di apnea da quella che si ottiene nei mammiferi, dove l’arresto del respiro si prolunga oltre la ventilazione pol- monare. Pare dunque logico ammettere che l’apnea si inizi con l’iniziarsi dell’irritazione delle terminazioni dei vaghi nei pol- moni e nei sacchi, e cessi quando cessa tale irritazione. Se l’aria circola con difficoltà, la distensione dei sacchi e dei pol- moni è maggiore, e maggiore è l’irritazione dei vaghi e del centro respiratorio, onde l’apnea che ne deriva dura più a lungo della insufflazione. Nè la ripresa graduale del respiro basta a far ritenere che il centro non abbisogni di ossigeno, perchè ve- demmo (fig. 4) che l’apnea perdura e la ripresa del respiro è graduale, anche quando si notano spiccati sintomi di asfissia. Dobbiamo invece ritenere che l’ irritazione dei vaghi, e quindi l’inibizione bulbare siano tali da impedire che il respiro ricominci malgrado l’animale sia asfittico. Il riprendere graduale del respiro non sarebbe che l’espres- sione del graduale scomparire dell’inibizione bulbare. Ho cercato di confermare questa interpretazione insufflando sotto forte pressione una miscela di aria e di anidride carbo- nica in debole concentrazione. Tale miscela data a respirare all'animale normale provocava un leggiero grado di dispnea. Insufflata con forza in trachea dopo avere aperti moderatamente i sacchi toracici e addominali pro- dusse istantaneamente l’arresto del respiro che si prolungò oltre l’insufflazione, per dar luogo alla solita ripresa graduale (fig. 5). 9) RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI DO Ma il fatto importante di questa esperienza è che dopo la fine dell’insufflazione, durante il rimanente del periodo apnoico e particolarmente nel punto +- del tracciato, l’animale boecheg- giava, stralunava gli occhi, cercava di agitarsi e il colore dei bargigli era azzurrognolo. L’apnea adunque continuava, e la ripresa del respiro fu graduale, malgrado l’animale fosse asfittico. In questo caso non si può certo parlare di apnoea vera e solo l’irritazione dei vaghi può spiegarla. Vedremo come con concentrazioni maggiori di acido car- bonico si riesca a vincere l’inibizione portata dall’irritazione dei vaghi, così come succede se, essendo i sacchi chiusi o troppo poco aperti, l’aria non si rinnova e l’acido carbonico si accu- mula nel sangue. È noto che si può ottenere l’apnea nel cane anche venti- lando i polmoni con idrogeno, sia perchè esso, distendendo i polmoni, irrita le terminazioni dei vaghi, sia perchè allontana l’acido carbonico del sangue. Borponr non riuscì ad ottenere l’apnea nel tacchino con una corrente di idrogeno e notò delle convulsioni che interpretò come asfittiche. Nelle mie esperienze una corrente di idrogeno insufflato in trachea a sacchi aperti produceva istantaneamente l’apnea, ma, mentre ancora il gas passava, il respiro ricominciava e ben presto diveniva fortemente dispnoico, e accompagnato da vio- lenti contrazioni di tutto l’animale, da epistotono e starnazza- mento delle ali. Questi fenomeni continuavano violentissimi per qualche tempo ancora dopo che l’insufflazione era cessata, poi lenta- mente il respiro ritornava normale (fig. 6 e 7). D4 CARLO FOA Provando subito dopo a fare una insufflazione con aria, non Fio. 7. Fig. 8. Fig. 9. Fio. 10. si riesciva ad ottenere l’apnea (fig. 8), mentre dopo 5’ (fig. 9) già si accennava a' poterla ottenere e dopo 15' si riotteneva RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI D5 l'apnea completa (fig. 10). Malgrado dunque, dopo le convulsioni, il respiro fosse ritornato normale, il centro respiratorio si tro- vava ancora in uno stato di eccitazione tale, che bisognava lasciar passare qualche minuto per poter ottenere l’apnea con insufflazione di aria. Questo fa ritenere che quelle convulsioni non fossero soltanto astittiche, perchè la chiusura della trachea che duri quanto aveva durato la insufflazione di idrogeno, non produce una tale eccitazione: e bisogna ammettere che l'idro- geno eserciti sui centri nervosi del tacchino un’azione eccitante. Ad ogni modo l’apnea che ottenemmo nel primo periodo del passaggio dell’idrogeno, difficilmente potrebbe interpretarsi come dovuta al fatto che l’idrogeno allontani dal sangue l’acido car- bonico, perchè quando l’idrogeno viene assorbito, cioè passa nel sangue, esso manifesta la sua azione sui centri, e questo non avviene se non dopo qualche tempo, mentre l’apnea incomincia appena incomincia il passaggio del gaz. In questa esperienza si deve dunque ammettere che l’apnea sia unicamente dovuta all’eccitamento delle terminazioni dei vaghi nei polmoni e nelle pareti dei sacchi aerei. Per giudicare dell'intervento dei vaghi nell’apnea dei tac- chini, Borponi tentò di produrla dopo il taglio dei vaghi, ma non riuscì che ad attenuare un poco la respirazione senza abo- lirla completamente. Invece il taglio dei vaghi durante l’apnea non sempre la interrompe e soltanto provoca uno o due atti respiratorì al mo- mento del taglio. ‘ Luciani però soggiunge che in qualche esperienza il taglio dei vaghi durante l’apnea la interrompe, e che se ciò talora non accade, si deve all’eccitamento portato sul nervo dal taglio. Io ritengo che non solo l’irritazione dei vaghi possa produrre l'apnea, ma anche quella di altri nervi sensitivi, e che molta in- fluenza abbia la maggiore o minore apertura dei sacchi e dell’ori- fizio praticato nell’addome, potendo una distensione eccessiva delle pareti addominali e toraciche comprimere i visceri e pro- vocare l’apnea per eccitamento di nervi diversi dal vago. Così si spiegherebbe come GroBeR e Treves abbiano ottenuto in qualche esperienza l’apnea dopo il taglio dei vaghi, e come talora il taglio dei vaghi non interrompa l’apnea incominciata. Ma per quante volte io abbia cercato di produrre l’apnea 56 CARi.0 FOA nel tacchino a vaghi tagliati non vi riuscii mai, nè con deboli, nè con forti correnti d’aria o di ossigeno (fig. 11 e 12), e nep- pure 24 ore dopo il taglio dei vaghi (fig. 13), mentre ero riu- scito (1) nel cane ad ottenere l’apnea lasciando trascorrere qualche ora dopo il taglio dei vaghi. 00 LÉLII I ABILI LIL MIALOLOO FILS VI ALTI AVILIOIO ORI LI PONTE ALII RTIERLLTENLI II LIOLELILIOLO LALA LALA LL LELLLLLULELELECU LEbLI LI Fig. 11. FL VI ML DLLLI LI LA virare vati ieniv rivisti ivi viti svi binati I LipeLivhitd NERO INVVAT VA I DI ALPI LIL ELIL ELLA LI LELL ILULLLULH I LIDI LUPARI ALICE Verri ire Li eee VI LL LELE LIA LLI III LOLLI SELL LELLLI ALULLI PULL LILI LEE LIA LLLLLLALI Fig. 13. In base a tutte le esperienze finora riferite la conclusione che si deve trarre si è che questa forma di apnea degli uccelli è essenzialmente un’apnea da vaghi e che nulla dimostra la compartecipazione di uno stato apnoico del sangue. Che tuttavia con la insufflazione d’aria si provochi una suf- ficiente ematosi è dimostrato dal fatto, che quando l’aria passa bene, l’apnea può venir continuata per lungo tempo senza che intervengano sintomi di asfissia. (1) C. Foà, Ricerche sull’apnea. È Arch. di Fisiologia ,, vol. VII, 1909. RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI 57 E se anche le pareti dei sacchi aerei sono povere di vasi e inette a provocare gli scambi gassosi tra sangue e aria (1), e se anche una corrente d’aria che penetri in trachea riempie i sacchi mentre i polmoni si distendono pochissimo (2), è pur necessario ammettere che a sacchi aperti la corrente d’aria sia capace di mantenere uno scambio gassoso sufficiente ai bisogni dell'organismo. Se si trattasse di un arresto del respiro dovuto ai vaghi senza che l’ematosi avvenisse, la pausa dovrebbe essere seguita da dispnea, come accade dopo la pausa respiratoria ot- tenuta con l’eccitamento elettrico dei vaghi (3). Già abbiamo veduto che l’idrogeno viene assorbito nel suo passaggio attraverso i polmoni, e per meglio dimostrare che il ‘ Fig. 14. sistema di insufflazione adottato per produrre l’apnea, permette ai gaz di venire assorbiti, basta insufflare una miscela di ossi- geno (95 °/) e acido carbonico (5 9/0). Si vede allora comparire la dispnea (fig. 14) in luogo del- l’apnea, perchè l’acido carbonico assorbito eccita il centro respi- ratorio e vince l’azione inibitrice dei vaghi. È dunque certo che anche durante l’apnea l’ematosi è suf- ficiente a mantenere la vita, ma occorre studiarne il grado per sapere se essa concorra almeno in parte a produrre. l’apnea. (1) WrepersHEIM, Vergleich. Anat. der Wiebelthiere. Jena 1898, pp. 331-334. (2) Sterert, Ueber die Athmung der Reptilien und Vogel. * Pfluger's Archiv ,, 1896, 64, p. 472. (3) In., Ibidem, p. 488. 58 CARLO FOÀ Già il fatto che l’apnea cessi non appena finita |’ insuffla- zione fa ritenere che i gaz del sangue non si trovino nelle con- dizioni volute perchè l’apnea si produca. Ma per chiarire la cosa, meglio era determinare la concen- trazione dei gaz del sangue durante l’apnea prodotta da insuf- flazione di aria. Preparate le carotidi al collo dell’animale, estrassi ed analizzai col metodo di Barcrorr e HALDANE un campione di sangue arterioso prima di incominciare l’insuffla- zione, un secondo campione 20" dopo l’inizio dell’apnea, e un terzo dopo altri 20". L’aria durante l’apnea passava benissimo e non vi furono sintomi di asfissia. Appena finita l’insufflazione il respiro riprese in modo graduale. La determinazione dei gaz nei due campioni diede il resultato seguente: 1° CamprioNE NGEE 2° CAMPIONE 3° CAMPIONE 08 %/o | C03% | 02° | CO» lo | 00% | 03% 14,9 ARTI e AZ Durante l’apnea diminuisce adunque un poco la concentrazione dell'ossigeno e cresce un poco quella dell'acido carbonico nel sanque arterioso. Ciò non avviene in proporzioni tali da produrre dispnea fino a che l’aria passa con facilità attraverso i polmoni per uscire dall’apertura dei sacchi, ma non sono certamente queste le condizioni che permettano di attribuire neppure in parte ai gaz del sangue il prodursi dell’apnea. Possiamo ammettere tutt'al più che malgrado l'arresto do- vuto ai vaghi lo scambio gassoso sia sufficiente a mantenere la vita, pur producendosi un leggero grado di asfissia. Da quanto siamo venuti dicendo si può trarre la conclu- sione seguente: L’apnea prodotta negli uccelli insufflando aria in trachea per modo che essa esca da una larga apertura dei sacchi to- racici e addominali è esclusivamente dovuta all’eccitazione delle terminazioni dei vaghi nei polmoni e nelle pareti. dei sacchi aerei. Infatti durante l’apnea diminuisce la concentrazione del- RICERCHE SULL'APNEA DEGLI UCCELLI 59 l'ossigeno e cresce quella dell’acido carbonico nel sangue arte- - rioso; e sebbene questo fenomeno avvenga in piccole propor- zioni, non si può certo parlare di uno stato apnoico del sangue. Che questa forma di apnea sia esclusivamente dovuta ai vaghi è inoltre dimostrato: a) dal fatto che il taglio dei vaghi la rende impossibile a condizione che l’aria circoli bene e non provochi la compres- sione e l’irritazione di altri nervi sensitivi; b) dall’istantaneità con la quale l’apnea si produce; c) dal fatto che anche l'idrogeno è capace di produrla istantaneamente prima di agire sui gaz del sangue; d) dalla ripresa immediata del respiro non appena ces- sata l’insufflazione. Negli uccelli adunque, poichè l’insufflazione in trachea non riesce a produrre un grado sufficiente di distensione polmonare, l’ematosi è scarsa, mentre nei mammiferi anche quando i vaghi concorrono alla produzione dell’apnea si aumenta tuttavia anche l’ematosi e si libera il sangue dall’acido carbonico, il che rap- presenta pure un fattore dell’apnea, alla quale, per questa ra- gione appunto, diedi il nome di apnea mista, sostituendo questo termine a quello meno significativo di apnea spuria. (Dal Laboratorio di Fisiologia di Torino). Relazione intorno alla Memoria di G. BoccarpI, Sulla Lati- tudine del R. Osservatorio di Torino. Il Prof. G. BoccarpI, trovandosi in possesso di un nuovo circolo meridiano del costruttore Bamberg, ha determinato nuo- vamente la latitudine dell’Osservatorio di Torino con numero- sissime Osservazioni. Una prima determinazione è stata fatta col metodo delle Osservazioni circum-meridiane, una seconda col metodo che ora è più in voga delle Osservazioni meridiane. Tale metodo con- siste nell'osservare le stelle all’ istante del loro passaggio al meridiano e nel fare la corrispondente lettura sul circolo vec- ticale. Le stelle osservate vengono scelte in modo che sieno ugualmente distribuite al Sud ed al Nord dello Zenit e rag- gruppate in guisa che la somma algebrica delle distanze zenitali delle stelle di ogni gruppo, sia prossima a zero. In tal modo vengono quasi completamente eliminati gli errori provenienti dalla flessione del cannocchiale e le incertezze della rifrazione. I risultati ottenuti coi due metodi concordano molto bene tra di loro e gli errori probabili sono piccolissimi. La latitudine nuovamente determinata è degna di ogni fiducia. perciò la Commissione propone l’accoglimento della memoria nei volumi dell’Accademia. A. NACCARI, N. JADANZA, relatore. L’Accademico Segretario CorRADO SEGRE. 6l CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’11 Dicembre 1910. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE ANTONIO MANNO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: RenIER, CHIRONI, RurFINI, BRONDI, ErnauDI, BAuDI DI VESME, SCHIAPARELLI e DE SanctIS Segretario. — È scusata l'assenza del Presidente BoseLLI e dei Soci GRAF, STAMPINI e SFORZA. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 27 novembre 1910. D’ufficio è presentato lo scritto del Socio Giovanni SFORZA, Un musico montignosino (Estr. dal “ Giornale Storico della Lu- nigiana ,), Spezia, Zappa, 1910, dall’Autore offerto in omaggio all'Accademia. Il Socio ErnauDI presenta le prime puntate di tre pubbli- cazioni periodiche venute in luce a cura dell’Istituto Interna- zionale di Agricoltura, cioè il Bulletin du Bureau des rensei- gnements agricoles et des maladies des plantes (novembre 1910), il Bulletin des institutions économiques et sociales (an. I, n. 1, 2) e il Bollettino di statistica agraria (an. I, n. 1-11), e rileva la importanza non solo pratica ma anche scientifica che hanno, con parole che sono registrate negli Atti. Offre poi, in più esem- plari, un suo scritto su L'indice unitaîre du prix du blé, à propos des statistiques de l’ Institut international d’agriculture (Rome, 1910). n LETTURE ErnaupI L., Le pubblicazioni dell’Istituto internazionale d’agri- coltura di Roma. Ho l'onore di presentare all'Accademia alcune importanti pubblicazioni periodiche venute in luce a cura dell’ Istituto internazionale d’agricoltura di Roma. È noto, come dopo un periodo di preparazione, durato sino alla metà di questo anno, l’Istituto sia entrato nella via di una larga e feconda atti- vità. Presidente l'on. marchese Raffaele Cappelli e segretario generale il Prof. Pasquale Iannaccone, l’Istituto ha iniziata la pubblicazione di tre periodici, le cui prime puntate fanno assai bene auspicare per l'avvenire. Il Bulletin du Bureau des ren- seignements agricoles et des maladies des plantes ha carattere tecnico ed è rivolto a riassumere tutte le nuove esperienze in- tese ad aumentare la produzione vegetale, animale e forestale ed a combattere le svariate cause che, sotto forma di malattie parassitarie, di cattive erbe, d’insetti nocivi, diminuiscono la produzione e deteriorano e rovinano i prodotti. Il Bollettino, dovuto alle cure del Prof. Italo Giglioli e del Dott. I. M. Saulnier, è pregevole testimonianza dell’opera grandiosa che nei diversi paesi del mondo si compie in difesa e pel progresso dell’agri- coltura. Il Bulletin du Bureau des institutions économiques et sociales, diretto dal Prof. Giovanni Lorenzoni, si occupa di tutte le que- stioni le quali interessano la cooperazione, l'assicurazione ed il credito agricolo, ed è sistemato sapientemente in guisa da dare, per ogni Stato, uno sguardo sintetico alla struttura economica ed agricola in genere, studiando in seguito le organizzazioni agricole nelle loro diverse forme, la legislazione nuova e in ge- nere tutti i fatti che hanno tratto all’assetto economico e giu- ridico della terra e dei suoi lavoratori. 63 Il Bulletin de statistique agricole (direttore il Prof. Umberto Ricci) si pubblica da più tempo ed è già finora uscito in undici puntate, ognuna delle quali rappresenta un progresso sulle pre- cedenti. Per la significazione dei dati raccolti ed elaborati in questo Bollettino, mi sia consentito di rinviare ad un mio breve scritto su L'indice unitaire du prix du blé, che, presento insieme alle pubblicazioni dell’Istituto. Il Bollettino ha in mira la for- mazione di un indice unitario della produzione delle derrate agricole, il quale possa essere di guida agli agricoltori nelle loro contrattazioni. Lo scopo dunque dei Bollettini dell’Istituto è sovratutto pra- tico. Non piccola è però la loro importanza scientifica. Troppo poco noi conosciamo dei fatti della vita agricola, perchè l’opera colossale di sistemazione e di elaborazione compiuta dall’Isti- tuto non debba riuscire di grandissima utilità allo scienziato. Per quest’ultimo l’Istituto può essere considerato come una of- ficina di comparazione e di critica. Di comparazione, perchè mettendo l’una all’altra vicine notizie su istituzioni e legisla- zioni e dati di tutti i paesi del mondo, contribuisce alla cogni- zione più esatta del vero nei suoi elementi comuni e differen- ziali. Di critica, perchè implicitamente la esposizione di metodi statistici più perfetti, di istituzioni economiche meglio organate esistenti in un paese è stimolo potente a correggere i metodi statistici imperfetti che sono altrove ancora in uso ed a favo- rire lo sviluppo, secondo direzioni già saggiate al cimento del- l’esperienza, di istituzioni ancora embrionali. Già si sono, grazie a quest'opera di comparazione e di critica, ottenuti effetti di revisione non spregevoli, e maggiori se ne otterranno in av- venire. L’ Accademico Segretario Garrtano DE SANCTIS. 0h; c È o ni È # | + oftodiati 61 li nudiàe sb o svigi din = ana a ibibay ni osisan stontt sig 4 ho oqmot ig sh soilddug | (o nu stressiggei ilaup ollob snuago sad adore ilooner itàb ieh antoisa Miagia al 199..idnohes * n Ò D ’ » avanti oi no ba otaivartit atidabetio sie im ,onidtotloti ] ssmaiani olgsratg ada Ali nb ara ib ovetto ssp Lo ud n «10 gi giro ni pel ottiitolfo@i. iI .inditel' lab iITOIXA noilddi loh afoisiborg sallab otmntian svipai uu ib of Hionrtgs Aldi ing TD otasss RESO] Stan t | ‘ .inoisattanta : AN0ISATTA nol i : iervom d tuti I'ffol inittolloti ah x pres 0qosB 4 tal "er trtrratse Rtre iintil'oroE BI 0196 #' Re mity ai n ATA ITIT AG 3 SI : BIT STILI RIETI 1381 v risulti Odi >:13 e Ci 95 Per tali valori di 4, M coinciderà evidentemente col mi- nore principale di ordine p + % o) olio abile: e Ve! l'e lo 'lle I Ap+h,1 e <° Apth,p+h di A, il cui limite per h= co è A. Si ha quindi B=lim B,=lim M-lim 44 — A-lim A°*; h=% i=00 h=% 70 GUSTAVO SANNIA “ ma \ 9 AS AZOl (6) limi = io Reset — dl (ed in ogni altro caso o non esiste o è infinito); dunque: Il determinante (5) formato dai minori di ordine p+ 1 di A, che sono superdeterminanti di un assegnato minore A, di ordine p di A, vale 0 o A, secondo che | A,}<1 0 A,= 1; în ogni altro caso diverge. 3. — Questo risultato mostra che, se per costruire (5) si parte da un altro minore A4,' di ordine p di A, il valore di (5) non muta, purchè sia ancora | 4, |<1 o A,' =1; e non muta neppure variando l’ordine p del minore: insomma il valore di (5) è quasi insensibile alla variazione della scelta di quel minore di A, che pure è fondamentale per la costruzione di (5). Inoltre esso diverge in infiniti casi, Tutto ciò non accade pel determinante che si deduce da (5) dividendo ogni suo elemento per A,, se 4,==0. Infatti da Bb, = MAL" segue do 01 b010, | A AT — M . I OI VD TE RD Cer Ap . 0 bg,0 Q,% Qn0h Ap Ap ma il limite di M per 4 = 0 è A, dunque: Il determinante infinito formato da quei minori di ordine p- 1 di un determinante infinito normale A che sono superdeterminanti di un assegnato minore A,==0 di ordine p, divisi per A,, ha per A valore-— . Ap 4. — Ad ogni modo il risultato cui si perviene perde ogni analogia con quello che si ottiene pel caso dei determinanti or- dinarii. Ma nei determinanti infiniti, oltre ai minori di ordine ESTENSIONE DI TEOREMI DI SYLVESTER E DI HADAMARD, Ecc. 71 finito, esistono anche minori infiniti (*): ed è relativamente a questi minori che il teorema di SYLVESTER sussiste quasi inte- gralmente. Consideriamo il minore di ordine p Ars e 00. Arsp N=| | Arpsi PICINO Arssy dell’aggiunto di A, che vale 3 pr det, a Tad (8) N=(OT}% Aa), ove e ha il valore (7). (*) Gli elementi di A comuni alle orizzontali di posto ,,..., rp e alle verticali di posto sy, ..., sp formano un ininore (finito) di ordine p di A; quelli comuni alle rimanenti orizzontali e verticali formano un determi- nante infinito normale che suol chiamarsi un minore infinito di ordine p di A e che si indica con r (1 SA, oî St, $2; «0.0, Sp I due minori sì dicono complementari fra loro ed uno qualunque di essi, cambiato di segno sé (7) e=rr +... +barp ts +00 +89 è dispari, è il complemento algebrico dell'altro. In particolare, il comple- mento algebrico del minore di prim’ordine a,s è Ars=(— DA (") 8 Aggiunto (o, impropriamente, reciproco) di A è il determinante infinito | Ar Ao °° | | | | | An An | | | | il quale, in generale, non è normale, anzi è divergente. Però vale sempre il teorema: un minore finito di ordine p dell’aggiunto di A è uguale al com- plemento algebrico del corrispondente minore di A moltiplicato per AP— (come nei determinanti ordinarî). i Per tutto ciò cfr. H. vox Koca, loc. cit., e T. Cazzaniga, “ Annali di Matematica ,, 1897-98. 72 GUSTAVO SANNIA Sopprimendo in esso la orizzontale i" e la verticale: j", si ha un minore di ordine p — 1 dell’aggiunto di A, che perciò vale = 1) Gn; 4P=? dx; ; ove Vi... .V1-1) Fi41...7 £ Cafe); bos. = 1°) (810 Si 108 SEE ne segue che il complemento algebrico di 4, in N è (— DerratsHati AP? b r;8; ’ e quindi che il determinante aggiunto N' di N è N° a AP(P_-2) (> ferie by;] i ove ; "TIA, (9) [( 1) nano De) sta per indicare il determinante di ordine p il cui elemento generico è quello scritto, per i,j= 1,2,...,p. Siccome gli ele- menti della orizzontale i” di (9) hanno a comune il fattore (— 1)f#"#, così (9) vale IRE 1+2+... È (— 18 GS 1... +rp+1+2+...+p i 1)5;Y br.s; ; analogamente si vede che C- 1)5;ti br.s;] = (— LO EE [br] : dunque (9) vale Dre; 0 00. brisp (— 1)(+1€[6,,,,] = (DW+ve brpsy egnve bros» ESTENSIONE DI TEOREMI DI SYLVESTER E DI HADAMARD, ECC. 73 ‘e però (10) If 253 (— 1)(p+1)e AP(p+2) Or, come è ben noto, (11) Na NP°}, quindi, uguagliando le due espressioni (10) e (11) di N' e poi sostituendo ad N il suo valore (8), si ha | dr,si CO drsy | (— 1)0+Df APO_?) i | = (— 1)@-De 401? afro Pipeo dalle n ’ (St giaggie 5950) Ì | | Or O da cul, se 4=-0, | bra 0° Drxsp = = .d I A nai (12) Cad eo Pali: A A l \S13 823° Sp ) Dico che questa formola vale anche se A = 0. Perciò con- sidero il determinante infinito ICE goti. | Ax) = Cgix 1+ ese... che è normale come A, e si riduce ad A per «= 1. Il suo valore è (#) la somma della serie assolutamente convergente (*) Cfr. H. vox KocgÒ, loc. cit., $ 7. 74 GUSTAVO SANNIA i cui termini sono 1 e tutti i minori principali dei vari ordini della matrice Corese Coil Coat i Disponendo questi minori in modo che i loro ordini non decre- scano, si ha che A(x) è la somma di una serie di potenze cre- scenti di x, convergente assolutamente per ogni valore finito di x. Insomma A(x) è una trascendente intera, e però è una funzione continua. Per la stessa ragione sono funzioni continue di «x i deter- minanti di (a) | ni sec Tp e br.s, (x) r Lt A ( pn e br.s. SÌ i ‘> Sp J sono formati con quelli di A: quindi è pure funzione continua il determinante drisi (2) Que Brisp (2) brssi(0) + «è Drssp (0) Ne segue che, quando x tende ad 1, si ha (Lim A(@=A(L)=A4, limb,s (@)=dbg(1)=d5; ( ) (lim B()=B(1)= Bi lim A(2) de) a Aa "») i 5 Sito pia Essendo ESTENSIONE DI TEOREMI DI SYLVESTER E DI HADAMARD, ECC. 75 A(x) non è identicamente nulla. Inoltre A(1) = A=0, per ipo- tesi, ossia « = 1 è uno zero di A(x); ma gli zeri di una fun- zione intera sono isolati, quindi esiste un intervallo contenente il punto «= 1, in tutti i punti del quale, tranne che nel punto = 1, A(x) non si annulla. Supponiamo che x tenda ad 1 nel detto intervallo, senza assumere il valore 1. Per ognuno di tali valori di x sarà ap- plicabile la relazione (12) al determinante Af(«), cioè si avrà » e —1 B(2) = A(2)-} A) (Mr). In virtù delle (13), questa si riduce alla (12) quando x tende ad 1. Dunque la (12) vale anche quando A = 0 ed esprime che: Il determinante di ordine p, formato da quei minori infiniti di ordine p— 1 di un determinante infinito normale A, che sono superdeterminanti di un assegnato minore infinito di ordine p, è uguale alla potenza (p —1)"" di questo minore moltiplicata per A. 5. — Consideriamo il minore principale di ordine ii dig i dia Ag, 499 ... dan Ai An, An2 Ain del determinante infinito normale A, (1), sicchè (14) lim 4,= A. n= La norma della r®® orizzontale di A,, sarà Ne —_ A,1 [4/05] + Ar9 A,9 1 e» - Ar Arr , ove a,; indica il numero complesso coniugato di «,,, e per il teorema di Hapamarp ($ 1) si avrà (15) |A | o <= Nîn Nok i) TORO VAT ° _1 (ep) GUSTAVO SANNIA Essendo A un determinante infinito normale, converge as- solutamente la serie d,, + a, + d,3 +... e quindi anche l’altra Ary A, -- A,9U,9 + A,3A,3 se SIGINÒ perchè i moduli dei numeri @,1; 4,2; .-., e quindi anche quelli dei numeri @,1, 4,9, ..., sono tutti minori di un numero fisso. La somma N, di questa serie è la norma della r® orizzontale del determinante infinito A. Ma N,, è la somma dei primi # termini di questa serie a termini positivi, quindi notai NN e però dalla (15) segue « fortiori che (16) [dr EN NE NE Per la (14), esiste il limite del primo membro di (16) per n= co ed è | A|?; dico che esiste anche il limite del se- condo membro, cioè che il prodotto infinito (17) N Na My... converge assolutamente. Infatti, per le posizioni (2), si ha uu: =Ci, ag 1 64, quindi 00 00 N, _ pa Arp Arp — 1 | Cry - C,;, ss pa CrpCrp; 1 p=1 p= onde, posto 00 O, = Cr + C,, + X CrpCrp; (e=1,2;.£Jb p=l ESTENSIONE DI TEOREMI DI SYLVESTER E DI HADAMARD, ECC. 77 il prodotto infinito (17) diventa (1 +0) (1-09) (14-03) ..., e per dimostrare la sua convergenza assoluta basta dimostrare la convergenza assoluta della serie (o 0) 0 +0 +03 4...= Ya, n= ossia della serie 00 00 00 (18) Bere 1 di rp Crop» = r=1 r,p=1 Or dalla convergenza assoluta della serie (3) e dall’essere le cp, 0 quindi le €,p, tutte minori in valore assoluto di un numero fisso, segue subito la convergenza assoluta della serie (o) )I Crp Cnr s r,p=1 d'altra parte dalla convergenza assoluta di (3) segue quella 00 (e 0] della serie parziale Y c,, e quindi dell'altra Y c,.,.; dunque la (18) ai SI converge assolutamente. Dopo ciò possiamo asserire che la (16) sussiste anche al limite per n = 00, cioè che si ha ANN Dunque: < quadrato del modulo di un determinante infinito normale (ad elementi reali o complessi) non può superare il pro- dotto delle norme delle sue orizzontali. Torino, 16 dicembre 1910. 78 FELICE GARELLI Contributo alla spiegazione del fenomeno della concia. Nota di FELICE GARELLI. Gli studi diretti a ricercare la natura delle reazioni che avvengono durante la concia delle pelli, trascurati per lungo tempo, hanno, in questi ultimi anni, ricevuto un notevole im- pulso. E si osserva che a questo risveglio della indagine scien- tifica intorno ad una delle arti più antiche dell’umana civiltà corrisponde e si accompagna un evidente progresso nella pra- tica applicazione. Sel’introduzione, casuale ed empirica nell’inizio della concia al cromo ha fornito il primo spunto agli studi teo- rici, è un fatto che, reciprocamente, questi ultimi hanno indotto i tecnici a sperimentare altri nuovi e svariati materiali con- cianti, quali l’aldeide formica (Payne), il chinone (Meunier e Seyewetz), i sali delle terre nobili (Garelli), per tacere della concia ai naftoli (Weinschenk), al caucciù, ecc. e di altri proce- dimenti di recente brevettati, rispetto ai quali si hanno ancora troppe incertezze e troppo scarse conoscenze per poterne di- scutere. Io opino del resto che, quando il processo di concia sarà conosciuto in ogni suo particolare e di esso si avrà in ogni caso una chiara rappresentazione, si potranno impiegare come ma- terie concianti molte altre sostanze alle quali ora si è ancor lungi dal pensare. Ancor adesso si dibatte vivamente la questione se il cuoio sia prevalentemente il risultato di fenomeni chimici e debbasi considerare come un composto o se invece, nella sua prepara- zione, si compiano in prevalenza processi fisici e cioè soltanto quegli assorbimenti superficiali (Adsorptionen), che si osservano particolarmente fra le sostanze colloidi. L’assorbimento del tannino e il modo col quale viene fis- sato dalla pelle animale è un tema che venne assai discusso fin dal tempo di Séguin, Dumas, Berzelius. Nella seconda metà CONTRIBUTO ALLA SPIEGAZIONE DEI FENOMENO DELLA CONCIA 79 del secolo scorso (1858) Knapp enunciava la sua teoria secondo la quale la concia consiste essenzialmente in un rivestimento meccanico delle fibrille della pelle, che impedisce, durante l’es- siccamento, il loro agglutinarsi. E questa in massima, con ag- giunte, riserve, o modificazioni di lieve conto, è forse ancora la teoria che ha il maggior numero di seguaci. La concia con so- stanze vegetali o minerali apparterrebbe dunque a reazioni (pre- cipitazioni) colloidali delle proteine : questo cercarono di dimo- strare Th. Koerner (1898-1903) dapprima, poi Wislicenus (“ Zeit. Anorg. Chem. ,, 1904), E. Stiasny, Herzog e Adler ed altri. Lo Stiasny, che in questi ultimi anni ha riassunto tutti i lavori precedenti di Knapp, Koerner, Paessler, Schroeder, Herzog e Adler ed altri, sottoponendo ad un esame critico tutti gli argomenti addotti in favore e contro la teoria fisica della concia e che ha portato inoltre un pregevole contributo sperimentale in appoggio alla medesima, conchiude che ogni processo di concia consiste : 1° nell’assorbimento di una sostanza colloide sciolta per parte del gel della pelle; 2° in trasformazioni secondarie (ossidazioni, polimerizza- zioni, ecc.) che subisce la materia assorbita mercè l’azione catalitica della pelle stessa. In conseguenza di queste trasfor- mazioni il tannino assorbito diviene insolubile ed il processo irreversibile. Pertanto Stiasny alla domanda: “ se sia necessaria un’ipo- tesi chimica per spiegare la concia , risponde recisamente in modo negativo. Se non che uno dei più autorevoli fautori della teoria chi- mica, il Dr. Fahrion, in una serie di lavori iniziati nel 1903, ha portato degli argomenti molto forti in appoggio alla teoria chimica, specialmente nel caso della concia all’aldeide e della concia grassa. Per citarne alcuni ricorderò come Fahrion abbia dimostrato che il cosidetto “ cuoio del Giappone , (ritenuto da ‘ Paessler, Eitner e altri quasi come cuoio senza materie concianti e ottenuto solo con trattamenti meccanici) è in realtà un cuoio debolmente scamosciato nel quale l'agente conciante è costituito dagli acidi grassi dell’olio di ravizzone ossidati, i quali di fatto, sono così fortemente combinati alla sostanza della pelle che, per estrarneli, devesi ricorrere alla potassa alcoolica. Fahrion 80 FELICE GARELLI dimostrò inoltre, con esperienze dirette, che i perossidi degli acidi grassi, tratti dall'olio di pesce ossidato son vere materie. concianti: egli ritiene (ed in ciò non posso consentire) che nep- pure la natura colloidale delle soluzioni acquose dei tannini sia completamente dimostrata, giacchè anche tali soluzioni sono ab- bastanza diffusibili. Sopratutto gli sembra assai poco probabile sia colloide il sale basico di cromo che penetra così rapida- mente nella pelle ed infine osserva come ormai sianvi materie concianti di peso molecolare basso o poco elevato (formaldeide p.m.= 30, chinone 110, perossidi degli acidi grassi 350-400) per le quali non si può in nessun modo parlare di soluzioni colloidali. Quanto agli argomenti che son ritenuti come capitali contro la teoria chimica, consistenti cioè nella mancanza di rapporti stechiometrici ben definiti fra il tannino e la pelle costituenti il cuoio e nel fatto che è possibile per mezzo dell’acqua aspor- tare dal cuoio parte del tannino, il Fahrion pel primo punto fa osservare che anche in molti altri casi di reazioni fra ioni si ha a lamentare l’incostanza di composizione di molti fra i pre- cipitati che trattengono energicamente quantità variabili dei componenti e, pel secondo fatto, Fahrion ritenendo la reazione reversibile trova naturale che quando la combinazione della pelle col tannino (composto labile facilmente idrolizzabile) vien messa in contatto con l’acqua, il tannino vada a ripartirsi fra la pelle e l’acqua stessa. La circostanza che la pelle, in soluzione tannica concentrata, assume più tannino che da una diluita è in accordo con la legge dell’azione di massa per le reazioni chimiche re- versibili. Più semplicemente, io obbietterei che quando il tannino reagisce e si combina colle fibrille della pelle non sappiamo se compenetri totalmente le fibrille stesse. E se non le compenetra e non produce qualche cosa di omogeneo è inutile discutere di proporzioni più o meno definite, perchè siamo di fronte a so- stanze nelle quali oltre la composizione può variare la . dimen- sione. Con soluzioni più concentrate di tannino si può dare che l’azione sia semplicemente più profonda perchè penetra più addentro. Infine la concia all’aldeide formica è quella che trova maggior difficoltà a ricevere una spiegazione per parte di coloro che CONTRIBUTO ALLA SPIEGAZIONE DEL FENOMENO DELLA CONCIA 81 pensano di ridurre tutta la concia ad una precipitazione di col- loidi; anche lo Stiasny riconosce che in questo caso è possi- bile che la concia consista in una vera e propria reazione chimica. Dall’insieme delle sue critiche e delle sue esperienze il Fahrion conchiude che il cuoio è sempre una specie di sale e che ogni specie di concia riposa su una condensazione fra ma- teria conciante e pelle: nella vera concia questa condensazione ha luogo direttamente, nella pseudo concia dapprima è la ma- teria conciante che si condensa con se stessa (si polimerizza) e solo dopo si unisce con la pelle. Infine, secondo il Procter, autorevolissimo in questo campo, non è possibile con un’unica spiegazione dar ragione di tutti i processi svariati di produzione del cuoio: e, mentre rimane vero il detto di Knapp essere cioè condizione essenziale l'isolamento e la non adesione delle fibre, è vero altresì che ciò può essere ottenuto in parecchi modi, e per mezzo di processi fisici di pre- cipitazione e adesione o per mezzo di azioni chimiche svariate, da sole o più frequentemente associate ai primi. Come già ebbi a scrivere tre anni or sono (“ Acc. Lincei ,, 1907, I sem.), i concetti del Fahrion sembrano a me, in linea ge- nerale, quelli più vicini al vero, benchè, certamente. anche i pro- cessi fisici di assorbimento abbiano molta importanza, anzi siano indispensabili per metter le sostanze in quelle condizioni di in- timo contatto necessarie perchè avvenga una reazione chimica. Tuttavia mi pare artificiosa e poco chiara la distinzione fra concia e pseudo concia. Si può obbiettare subito che se la conden- sazione e polimerizzazione della materia conciante avviene prima della reazione con la pelle e non dipende da questa, non ha che vedere con la concia. D'altra parte questo vivo dibattito sull'essere la concia un fenomeno fisico oppure chimico, mi sembra superfluo: certo che non avrebbe più ragione di essere, ed il cuoio si dovrebbe sempre considerare come risultante da composti chimici, se si adot- tassero le vedute molto più larghe che si hanno ora riguardo ai fenomeni chimici ed al graduale passaggio tra essi e quelli fisici. È un fatto che ora si tende ad allargare sempre più il significato dell’espressione “ fenomeno chimico , ed il concetto di reazione chimica è esteso ora da taluni anche a fatti conside- Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 6 d.9) 2 FELICE GARELLI rati prima come esclusivamente fisici, come, ad esempio, le so- luzioni. (Wacpen, “ Rivista di Scienza ,, n° 4, vol. II, 1907, Ueder das Wesen der Lòsungsvorgingen: die Rolle des Mediums; BRUNI, Soluzioni solide “ Riv. di Scienza ,, vol. IV, pag. 69, 1908, n° 7, ed il Righi, nel discorso tenuto alla Società pel progresso delle Scienze nella riunione di Parma, ha sostenuto una continuità tra solugione vera, soluzione colloidale e liquido torbido per so- stanze sospese: affinità, adesioni, ecc. non sarebbero che forme di attrazione). L'applicazione di tali concetti al fenomeno della concia venne da me, e credo per la prima volta, fatta nel 1907 a proposito della concia coi sali delle terre nobili (“ R. Acc. dei Lincei ,, 1907, I sem.). Scrivevo allora di fatto: “ Secondo le odierne ve- “ dute anche i cosidetti composti di terz'ordine e i prodotti di “ addizione della chimica organica sono veri composti chimici, “come i sali, quantunque siano molto meno stabili di questi e “ la loro costituzione non possa venir interpretata con la teoria “ della valenza. Ma vi ha anche un’altra serie di prodotti di “ addizione estremamente instabili, caratterizzati dal non pos- “ sedere composizione costante, alcuni cristallizzati, moltissimi “ colloidali e che si trovano come sull’estremo limite che separa “i composti chimici dalle soluzioni e dalle miscele. A questa “ categoria di composti, probabilmente, debbono ascriversi i corpi “ che si originano nella concia ,. A questo concetto, che io enunciavo or son tre anni, sembra ora si avvicini il Fahrion, giacchè nell'ultimo suo lavoro dice, ad esempio: © non voglio con ciò asserire che la combinazione pelle “ tannino sia un composto chimico nel senso ordinario , ed inoltre che “ la composizione variabile del precipitato fornito dal tunnino “con gelatina nulla dimostra contro l'inesistenza di tale composto, “ benchè non si tratti certo di un composto chimico normale ,. Del resto, come già fecero osservare parecchi sperimenta- tori (0. ScARPA, ficerche magnetiche e ottiche su alcuni colloide magnetici, “ Atti Assoc. Elettrotecnica Italiana ,; G. AMALFITANO, À propos de quelques distinctions arbitraires qui ont actuellement cours dans les doctrines chimiques (“ Gedenkboek A. Angeboden , an. I. M. van Bemmelen, pag. 368, 1910), in linea generale la mancanza di proporzionalità tra il numero delle molecole che CONTRIBUTO ALLA SPIEGAZIONE DEL FENOMENO DELLA CONCIA 83 prendon parte alla formazione di questi composti labili, può di- pendere unicamente dalle condizioni e possibilità di esperienze nelle quali ci troviamo. Nel caso speciale mi pare che se si po- tesse isolare il composto formato dalla sostanza della pelle colla sostanza conciante e si potesse determinarne la composizione si troverebbe probabilmente che la combinazione delle due sostanze avviene secondo rapporti stechiometrici, cioè fra numeri interi di molecole. Nella discussione per ora sembrami siansi confuse due questioni: quella se la concia è un fenomeno chimico con quella se nella concia si formano composti chimici definiti. Alla prima si deve rispondere affermativamente, perchè tutte le volte che si osservano modificazioni nei caratteri essenziali di una sostanza si è di fronte a un fenomeno chimico: e la pelle conciata è certamente una sostanza diversa dalla pelle non conciata. Alla seconda questione non si può rispondere perchè bisognerebbe poter isolare i composti che si formano: e non es- sendo di fronte a prodotti puri isolabili dobbiamo nè affermare nè negare le leggi stechiometriche. Accettando questi concetti io credo si possa e debba am- mettere sempre che fra la sostanza della pelle e qualunque ma- teria che agisce come conciante avvenga un’ unione ognora causata da una forma più o meno attenuata di energia chimica, sempre prodotta da un’affinità più o meno grande che darà quindi origine, a seconda dei casi, a composti di stabilità di- versa. Però, mentre. è logico ammettere queste differenze tra caso e caso, non mi sembra possibile, vista la continuità stessa del fenomeno, fare una distinzione in concia vera e falsa. Io opino che, in qualunque caso, comunque sia il grado di stabi- lità ottenuto, si dovrà sempre parlare unicamente di concia tutte le volte che la sostanza della pelle è trasformata più o meno completamente in altra o altre sostanze non trasparenti, imputrescibili, poco permeabili all'acqua, pur conservando il tessuto stesso la morbidezza e pieghevolezza della pelle fresca originaria. È probabile, anzi sembra ormai provato che, nel caso della concia all’aldeide, abbia luogo una vera condensazione fra i co- stituenti chimici della pelle e la materia conciante: è assai probabile che, in parecchi processi di concia, l'ossidazione della fibra abbia una parte importante, ma non son d’accordo col 84 FELICE GARELLI Fahrion che ritiene indispensabile, perchè avvenga vera concia, tale ossidazione preventiva della fibra. Nelle esperienze che de- scrivero brevemente in seguito, ho portato dei fatti dai quali appare come si possa conciare con acidi grassi della serie satura ed ottenere una concia abbastanza stabile in condizioni nelle quali è esclusa la possibilità di ogni azione ossidante: sempre però, a mio parere, la trasformazione della pelle in cuoio deve consistere in qualche reazione chimica che porta alla forma- zione di un composto più o meno labile, del tipo di quelli su indicati. I vari processi di concia che si son fatti strada nel- l’ultimo mezzo secolo han dimostrato che materie assai diverse possono conciare, ed in ciò si volle vedere un nuovo argomento contro la teoria chimica. Ma io osservo che tutte queste so- stanze, diverse fra loro, si possono riunire in gruppi aventi caratteristiche chimiche comuni. Esse infatti sono o corpi di natura basica (sali basici od ossidi metallici) o a funzione acida o fenolica (acidi grassi, ossiacidi e loro perossidi, tannini, ecc.) o a funzione aldeidica, chinonica, ece., suscettibili di condensarsi coi gruppi amidici ed imidici nel senso di formare dei composti forse del tipo base di Schiff. In qualunque caso, si dovrà sempre trovare in una forma più o meno attenuata di energia chimica, la causa dell’unione di queste diverse sostanze con i gruppi chi- mici costituenti la pelle, quando, mercè gli opportuni processi fisici di diffusione, assorbimento, le sostanze che devono reagire (pelle e soluzioni concianti) siano venute in quell’intimo contatto che e indispensabile alle reazioni chimiche. Alcune esperienze che recentemente ho eseguito e fatto eseguire nella R. Stazione Sperimentale per l'industria delle pelli di Napoli, che ebbi l'onore di dirigere fino ad ora, mi sembrano portare qualche argomento in favore di quest'ordine di idee. È possibile, infatti, conciare più o meno stabilmente con soli acidi grassi della serie satura, anche con i primi termini cominciando dal butirrico, composti non capaci certo, nelle con- dizioni di esperienza nelle quali ci siamo posti, di ossidarsi, di formare ossi acidi o lattoni, o prodotti di condensazione. Già il Knapp aveva trovato che, deacquificando con alcool la pelle e trattandola poi con soluzione alcoolica di acido stea- rico, si poteva mantenerla morbida e durevole per un certo CONTRIBUTO ALLA SPIEGAZIONE DEL FENOMENO DELLA CONCIA 85 tempo. Ma se si vuole effettuare in modo pratico questo pro- cesso di concia abbiamo trovato che è preferibile ricorrere ai sali di questi acidi, e sopratutto ai saponi ammonici. Questi si preparano con grande facilità, si emulsionano con acqua e queste ‘soluzioni ed emulsioni penetrano rapidamente nella pelle. Ivi, gli acidi grassi messi in libertà, già in parte per l’azione idrolizzante della pelle e completamente da un suc- cessivo trattamento con soluzioni diluitissime di acido lattico, si fissano e si ottiene un cuoio bianco che, anche senza ulteriore trattamento, è già molto morbido e durevole e che accresce queste sue qualità se viene assoggettato all’ingrassamento, alla lavorazione meccanica, a tutte quelle operazioni di finitura ri- chieste praticamente dalla preparazione dei cuoi o pellami mor- bidi. Tale cuoio ha una resistenza all'acqua calda alquanto su- periore a quella della pelle conciata con allume, clornro sodico, giallo d’ova e farina (concia bianca per guanti). Ma il fatto più interessante e che dimostra come l’acido grasso (stearico, pal- mitico, oleico) dev’esser combinato e trattenuto dalla pelle con una certa affinità, è che non si riesce più ad asportarlo con successivi trattamenti con etere neppure estraendolo a caldo in un apparecchio di Soxhlet. Anche dopo questo trattamento il cuoio si mantiene quasi inalterato, bianco, opaco, morbido ed abbastanza resistente all’azione dell’acqua. Solo la potassa al- coolica può asportare gradatamente gli acidi grassi fissati dalla pelle, ed ancora non vi sì riesce completamente che mediante ripetuti trattamenti a freddo, rinnovando sempre la soluzione alcoolica di idrato alcalino. Invece, impiegando soluzioni alcoolico-eteree di gliceridi neutri, es., tristearina 0 tripalmitina pura, non si riesce a con- ciare la pelle. Questa, imbevuta di soluzione di gliceride, rimane, dopo essiccamento, traslucida, cornea e da essa è facile per estrazione in apparecchio Soxhlet togliere con etere tutta la ma- teria grassa neutra. Considerando poi l'analogia di comportamento rispetto alle basi forti esistente fra gli acidi grassi e le resine, ho speri- mentato altresì, nella concia delle pelli, le soluzioni alcaline della resina più comune, la colofonia, che ha così largo impiego nella fabbricazione dei saponi industriali. Anche qui ho trovato che il miglior risultato era fornito dalle soluzioni o meglio emul- 86 FELICE GARELLI — CONTRIBUTO ALLA SPIEGAZIONE, ECC. sioni di resina in ammoniaca acquosa diluita. Queste emulsioni conciano esse pure, con la stessa rapidità dei saponi ammonici, la pelle che abbia subìto le consuete operazioni preparatorie e forniscono, dopo il trattamento con soluzioni diluite di acido lattico, un cuoio bianco simile a quello ottenuto mediante gli acidi grassi, ma molto più ruvido al tatto. Gli acidi della resina adunque, rispetto alle sostanze della pelle, sono dotati essi pure di una certa affinità e forniscono, analogamente agli acidi grassi, quando sono messi in intimo contatto con la medesima, una combinazione labile, che costituisce uno speciale tipo di cuoio. La caseina invece, benchè abbia essa pure un debolissimo carattere acido, non ha proprietà concianti. Forse ciò è in re- lazione con l'essere materia albuminoide, simile quindi per na- tura e composizione chimica alla pelle. Fatto sta che le emul- sioni acquose ammoniacali di caseina lasciano la pelle dopo essiccamento del tutto trasparente e cornea. Oltre agli eteri della glicerina ho voluto sperimentare un’altra categoria di corpi che non sono acidi. Ho scelto all'uopo alcuni idrocarburi aromatici solidi. Impregnando le pelli con soluzioni alcooliche di naftalina, fenantrene, antracene e lascian- dole poi seccare, si ha un prodotto bianco cosparso di minuti cristallini dell’idrocarburo, che si tolgono in parte già con stro- finamento e mezzi meccanici, completamente con alcool, ma che non ha affatto le proprietà del cuoio, essendo ruvido, corneo, traslucido in alcuni punti e per nulla resistente all’azione del- l’acqua. Sulle particolarità tecniche di queste nuove esperienze ri- ferirò in seguito: mi basta aver ricordato qui alcuni fatti nuovi che mi sembrano di qualche valore in appoggio alla teoria chi- mica della concia. MARIO GHIGLIENO — NUOVI COMPOSTI, ECC. 87 Nuovi composti trimetilenpirrolici dietilsostituiti. Nota del Dott. MARIO GHIGLIENO. Nella preparazione di una serie di derivati trimetilenpirrolici del tipo: H*C. CH°.CH° 1Ò descritti in due note precedenti (1) apparve, all'atto della for- mazione del legame interno trimetilenico, l’esistenza di due isomeri, che si conservano poi per ogni successivo stadio della serie. Questi isomeri non sono attivi sulla luce polarizzata, il che esclude il caso di una ordinaria stereoisomeria. Può l’isomeria dipendere dall'esistenza delle due forme che- tonica ed ossidrilica possibili per ogni composto, ma la perfetta analogia di proprietà chimiche fra gli isomeri mi parve rendere questa ipotesi un po’ meno probabile. ‘ La posizione rispettiva nello spazio dei due diversi radi- cali alcoolici e del gruppo imidico NH : (COP rispetto al piano dell’anello trimetilenico (cis- e trans- isomeria) mi sembrò essere una più verosimile spiegazione dei fatti (2). (1) Su alcuni nuovi derivati trimetilenpirrolici, Nota I, in £ Atti R. Accad. d. Scienze di Torino ,, vol. XLV, febbraio 1910 e Nota II, Ibid., marzo 1910. (2) Cfr. la Nota I citata, pag. 349. 1) (0.0) MARIO GHIGLIENO Se così era veramente, l’isomeria non doveva più verificarsi nel caso dei composti con due radicali alcoolici eguali fra di loro, mentre invece la possibilità delle due forme chetonica e ossidrilica si conserva sempre inalterata. anche in questo caso. Collo scopo di chiarire la questione ho intrapreso, dietro consiglio del Prof. Guareschi, la preparazione dei dietilderivati OC CO NZ H che rappresentano gli omologhi immediatamente superiori dei composti metil.etilici descritti nelle due note precedenti. E i fatti sembrano aver confermato pienamente l’ipotesi della isomeria spaziale, perchè nei dietil.derivati ottenuti non mi fu possibile riscontrare la presenza di alcun isomero. Nella sbromurazione del composto dialchil-dician-dibromo-glutarico da cui si origina, formandosi l’anello trimetilenico, il primo com- posto di questa serie, coi derivati metil-etilici la complessità del prodotto risultante si rendeva subito manifesta grazie alla variabilità del suo punto di fusione. Nel caso attuale invece, anche avendo eseguita la sbromurazione in due modi diversi e cioè coll’acido acetico e coll’alcool, il prodotto grezzo della re- azione si presenta di primo getto già quasi puro e con un punto di fusione pressochè costante ed eguale per le varie successive frazioni. Nè altrimenti ebbi alcun indizio di qualche prodotto secondario cristallizzabile. Intanto, la stretta analogia constatata in tutte le proprietà fra i composti ora preparati e i loro omologhi inferiori, per- mettendo di estendere anche ai presenti le considerazioni già fatte per quelli, serve a dare maggior valore alle deduzioni di indole generale cui ero arrivato nella già citata mia nota II. NUOVI COMPOSTI TRIMETILENPIRROLICI DIETILSOSTITUITI 89 Il derivato bicianico: za È - NOC——GoN | | 0) CO Sat NH era già stato preparato in questo laboratorio da Ed. Peano (1) sbromurando la dibromo-dietil-dician-glutarimide (o Yy-y-dietil. 8-B-dibromo-dician-a-a'-diossipiridina) mediante riscaldamento a bagno-maria con acido acetico al 50 0/0. Una preparazione, fatta producendo la sbromurazione pure con acido acetico al 50 °/, e solo agevolando l’eliminazione del bromo con una corrente d’aria attraverso al liquido, mi diede, dopo tre ore di riscaldamento, 1’88 °/, del rendimento teorico in prodotto sbromurato grezzo, già ben cristallizzato e incoloro, e che dopo una sola cristallizzazione dall'alcool diluito fondeva a 201°-202° come il composto di Peano. Volli poi provare ad eseguire la sbromurazione in altra maniera e cioè scaldando semplicemente a bagno-maria la solu- zione del composto bromurato in alcool, come mi consigliò il Prof. Guareschi. Questo procedimento è infatti molto più comodo, il bromo si stacca assai prontamente e in meno di un'ora, re- golando opportunamente l’evaporazione del liquido, questo lasciava deporre per raffreddamento il composto sbromurato, bianco e già quasi puro (Fusibile — in due preparazioni — da 197° a 200° e poi regolarmente a 201°-202° dopo una sola cristal- lizzazione). Concentrando poi ulteriormente l'alcool della sbromurazione non ottenni, all'infuori di questo, altro che un prodotto giallo vischioso e non cristallizzabile, evidentemente un miscuglio di prodotti di alterazione. (1) “ Atti R. Accad. d. Scienze di Torino ,, Vol. XXXVI, dicembre 1900. 90 MARIO GHIGLIENO Acido dietil-trimetilen-a-a'-pirrolidon-B-amido-R'-carbonico o 2-3-imide dell'acido 1-1-dietil-2-amido-2-3-3-tricarbonico. HAN Il dinitrile dietilico precedente per azione dell’idrato sodico diluito svolge, come il corrispondente composto metiletilico, una molecola di ammoniaca, con facilità a 100° (mezz’ora) e più lentamente (6-7 giorni) a temperatura ordinaria. Lasciandolo reagire alla temperatura dell'ambiente con due molecole di idrato sodico al 4°/, sotto una campana in presenza di acido cloridrico titolato per dosare approssimativamente l’am- moniaca svoltasi, dopo alcuni giorni si vede che l'acido ha as- sorbito il 90 °/, circa dell’ammoniaca calcolata per una molecola. Acidificando allora il liquido colla quantità di acido cloridrico cor- rispondente allà soda adoperata, si ha dopo un po' di tempo sepa- razione dell’ acido già quasi puro in polvere bianca cristallina. Ricristallizzato dall'acqua bollente, si ottiene in bei cristal- lini incolori, solubili in 120 parti circa di acqua a 15°, facil- mente solubili in alcool, abbastanza nell’etere e poco o punto in benzene e in etere di petrolio. Sul blocco Maquenne fonde istantaneamente a 247°-250° (Come per l'acido metiletilico, col solito metodo dei tubi capil- lari non si può determinare un punto di fusione, perchè l'acido fonde scomponendosi a una temperatura variabile colla rapidità del riscaldamento). Semplicemente asciutto all’aria, all'analisi diede: I. — Da gr. 0,1380 cm. 13,6 di N a 22° e 732 mm.; II. — Da gr. 0,1696 gr. 0,3216 di CO? e 0,0886 di H?°0. trovato calcolato per C!H!*N?0° - _ P mm — da I II Ces > 51,72 5192 H %o _ n,94 5,96 IV API BABBO TVC gian 11.04 NUOVI COMPOSTI TRIMETILENPIRROLICI DIETILSOSTITUITI 91 Con acido nitroso svolge, per il gruppo amidico che con- tiene, una molecola di azoto, dando origine all’acido bicarbossilico corrispondente, descritto più avanti. Un dosamento di questo azoto, fatto col metodo di Gattermann modificato, diede da gr. 0,4250 del composto, cm.? 39,2 di azoto puro a 25° e 734 mm.: trovato calcolato per 1 CONH? N %o 10,20 11,04 Pur non avendo che un solo carbossile, si comporta come un acido bibasico, grazie alla mobilità dell'idrogeno imidico sotto l'influenza dei gruppi vicini. La seconda basicità, dovuta a quest'atomo d’idrogeno, è però molto debole e, proprio come nel caso dell’omologo composto metiletilico, è dosabile solo pel 50° circa in soluzione decinormale con soda e fenolftaleina: Gr. 0.3362 di acido, sospesi in 25 di acqua con due gocce di fenolftaleina, diedero accenno stabile al roseo con ecm. 19,7 a È N di NaOH TO id. calcol. per id. ottenuto col due basicità metiletilderivato 23,43 31,47 744 75,0 Na0H °/ adoperato °/ del teorico Forma però regolarmente un sale biargentico che, come quello dell'acido omologo, contiene acqua di cristallizzazione: Sale d’argento — C!*H!2N?205Ag?-- H?0. — Precipita, bianco, amorfo, trattando con nitrato d’argento la soluzione dell’acido in due equivalenti di ammoniaca. All’analisi: I. — Gr. 0,3958 di sale asciutto all’aria diedero gr. 0,1768 di argento; II — Gr. 0,8466 dello stesso sale, scaldati per un’ora a 100°, giunsero a peso costante perdendo gr. 0,0368 e colo- randosi leggermente in giallognolo. calcolato per trovato C''H!? N°05Ag?-+ H?0 — n _—___ e — du = St a I II Ag SIR 44.67 Sri 44.41 H20 o = 4,34 sun 92 MARIO GHIGLIENO Evaporando nel vuoto su acido solforico Ja soluzione acquosa di questo sale, ottenni il sale anidro 01!H!2N20%Ag? (45,929 di Ag e peso costante a 100°). Altri sali. — I sali di piombo, di rame, di bario sono pre- cipitati più o meno insolubili in acqua; gli altri sono solubili. Acido dietil-trimetilenca-a'«pirrolidon-B-B'-dicarbonico o 2-3-imide dell'acido 1-1-dietil.2-2-3-3-trimetilentetracarbonico. 0), LO 47 do H0OCo ZZZ: CO0H | | i OC CO EA NH Il composto precedente venne sospeso, in polvere fina, in poco acido solforico al 20 °/, e trattato in due riprese con 2-3 molecole di nitrito sodico al 10 °/, scaldando ogni volta molto lentamente fino a 100° e mantenendo a questa temperatura fino a cessato sviluppo di gas. Estraendo con etere il liquido risul- tante ottenni una massa di cristallini giallognoli che, ricristal- lizzata da poca acqua bollente, diede il composto puro in aghetti incolori. Questo all’analisi diede i risultati seguenti, corrispon- denti alla formola C1!H!3N06 +4 11], H?0: I. — Gr. 0,5722 di sostanza, posti nel vuoto su acido solforico, arrivarono in tre giorni a peso costante perdendo gr. 0,0542; II. — Gr. 0,1462 dell’acido così disidratato diedero gr. 0,2760 di CO? e 0,0700 di H°0; | III. — Gr. 0,1728 dello stesso diedero cm.3 8, 9 di N a 24° e: 725-mMoli: IV. — Gr. 0,;1950 diedero gr. 0,3672 di CO? e 0,0922 di H?0. en) Di NUUVI COMPOSTI RIMETILENPIRROLICI DIETILSOSTITUITI trovato calcolato per ——-... ——_ _11——— an oa I II III TV CUAIBNO84 1h H50 244 CHUHENOS Mila Loviozietolitam ipuzconi Le 9,57 È ©b bogrosssg np i gb po 51:95 ih, 51,73 Enna ecioslie Sg fazilinor5,29 pa 5,14 umore — 5,62 — "= 9,90 Anche quest’acido bicarbossilico mostrò in tutte le sue pro- prietà perfetta analogia col suo omologo inferiore metiletilico. Per azion del calore perde prima la sua acqua di cristal- lizzazione e poi elimina due molecole di anidride carbonica dando origine al composto C*H!8NO?, descritto più avanti. Ecco 1 ri- sultati di un’esperienza: Gr. 6.1632 dell’acido cristallizzato, scaldati per circa due ore gradatamente ascendendo da 100° a 130°, in una bevutina tu- bulata unita con un apparecchio a cloruro di calcio e poi con uno a potassa, fusero a poco a poco con schiumeggiamento, dando : caleol. per 1'/ H°0 ottenuto nell’esperienza è 2 CO? —Tf —.—.rrr-—-F-v-.- — pra H?0 gri:0,5926.ccorrisp. ar 19,61:°/g(1) | 9;57% CO? s 1,8406 ; 29,36 %/o 31;13% Perdita di peso , 2,4718 ì 40,11 °/o 40.769, Per riscaldamento lento l’acido anidro fonde decomponen- dosi a temperature molto variabili. Sul blocco Maquenne si ha la fusione istantanea a 188°-189°. È molto solubile in acqua, più ancora in acetone, in alcool, in etere, assai poco invece in benzene e in etere di petrolio. Alla titolazione con soda e fenolftaleina si comporta come acido bibasico, sebbene non così nettamente come l’omologo metiletilico. Gr. 0,2092 di acido cristallizzato, sciolti in 15 di acqua, richiesero cm.3 14,8-15,0 di NaOH decinormale per dare, senza (') Il teorico per una e per due molecole di acqua di cristallizzazione sarebbe rispettivamente di 6,59 e 12,38 %/o. 94 MARIO GHIGLIENO un passaggio molto netto, un roseo pallido visibile. Calcolato per due basicità: cm.% 14,85. Anche qui intanto, come pei derivati metiletilici, l’acidità dell'idrogeno imidico viene annullata o quasi dalla presenza dei due carbossili. Sali. — La soluzione al 3°/ circa del sale bisodico dà con acetato di piombo un abbondante precipitato bianco, insolubile in acqua ma solubile in eccesso del reattivo. Con solfato di rame si ha un precipitato azzurro dopo un certo tempo. Con nitrato d’argento un precipitato bianco amorfo, insolubile. Col nitrato mercuroso si forma un abbondante precipitato bianco che tosto imbrunisce e lasciato a sè a poco a poco ridiventa bianco. Non si ha formazione di precipitato coi sali di bario, di calcio, nè di ferro. Dietil-trimetilenea-a' -pirrolidone o 1-1-dietil-2-3-trimetilendicarbonimide H'C® C°H" Re C | (010; CO SLA NH Si ottiene, come ho detto a proposito dell’acido bicarbos- silico ora descritto, eliminando per azion del calore due mole- cole di anidride carbonica da questo composto: IBR(0FT (OEIEE HR:# 20#HO SA po U C AN Ad H0O0C.C——C.CO0H HC—-—CH | | OBOE | | OC CO OC CO Sat VA NH NH Il prodotto della reazione è una massa semifluida gialla, vischiosa, tenace, che non cristallizzò rimanendo più di un mese NUOVI COMPOSTI TRIMETILENPIRROLICI DIETILSOSTITUITI 95 in essiccatore ad acido solforico. Raffreddata a lungo a — 15° si induriva diventando opaca, ma ritornava ben presto pastosa col rialzarsi della temperatura. Ha reazione acida molto debole. Si scioglie molto facilmente in quasi tutti i solventi, anche più a caldo, e per raffreddamento si separa da tutti questi sotto forma di minute gocciolette. Neanche non cristallizzò per lenta evaporazione spontanea della soluzione acquosa. Trattando con nitrato d’argento la soluzione acquosa di due campioni provenienti da preparazioni diverse e aggiungendo poi a gocce ammoniaca diluita, ne ottenni il sale d’argento, un po’ giallognolo, che all'analisi diede : I. — Da gr.0,4764 di sale, gr. 0,1828 di Ag; II. — Da gr. 0,3176 di sale (campione meno colorato), gr. 0,1240 di Ag. trovato calcol. per C°H!'*?NO?Ag —r-_r—. _—r_FPr. I II Ag %o 38,37 39,04 39,97 Questi dati analitici, insieme colla particolare preparazione quantitativa della sostanza, possono bastare all’ identificazione del composto. Noterò che già col corrispondente derivato metiletilico avevo avuto difficoltà per ottenere il composto cristallizzato. Sali. — Tanto il sale d’argento analizzato, quanto quelli di piombo, di zinco e di rame, tutti più o meno insolubili nel- l’acqua fredda, precipitano amorfi e restano tali anche separan- dosi per raffreddamento dalle loro soluzioni in acqua bollente. Torino. Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della R. Università. Novembre 1910. 96 EDOARDO MARTEL Su alcuni fenomeni osservati nelle Gmbrellifere e nelle Papaveracee. Nota del Prof. EDOARDO MARTEL. (Con una Tavola). Intorno alla caducità del perianzio nel Papavero. È fatto notorio che il calice che così validamente protegge il bottone del Papavero in particolare e quello delle Papave- racee in genere, anzichè aprire i suoi fillomi al momento della fioritura onde permettere alla corolla di espandersi, si stacca nettamente dal ricettacolo. Alla loro volta poi, terminata che sia la fecondazione, si staccano, e nello stesso modo i petali e indi gli stami. Delle disposizioni anatomiche che provocano la caduta delle foglie si occupano in disteso il Leclerc du Sablon nel suo 7rat- tato di Botanica, T.1, p. 276, fermandosi in modo speciale sulle foglie del Populus, ed il Belzung nel suo Trattato di fisiologia vegetale, p. 366, per le foglie dell’ Ailanthus e dell’ Hyppocastaneum, ma che io sappia, nessuno sin qui sì è occupato in modo spe- ciale della caducità del perianzio delle Papaveracee. Quantunque il tema non presenti soverchio interesse, poichè le cause che determinano la caduta di quel perianzio non pos- sono essere molto diverse da quelle che agiscono nella caduta delle foglie, pure credetti bene di fermare la mia attenzione su di esse. Prima che i sepali si stacchino, le cellule poste in corrispon- denza al punto di inserzione di quei fillomi col ricettacolo, fra tutte notevoli per la vistosità del loro nucleo, subiscono un processo di divisione assai intenso e formano col loro insieme una striscia di separazione fra la base dei sepali ed il loro so- stegno (Fig. 1). SU ALCUNI FENOMENI OSSERVATI NELLE OMBRELLIFERE, ECC. 97 Terminato questo primo periodo, le pareti delle cellule di quella striscia si gelidificano a tal punto da rendere meschina la luce della cellula stessa, ed è solo dopo ch'è compiuta la gelidificazione che le cellule si separano ed acquistano un co- lore giallo bruno, indizio non dubbioso di suberificazione (Fi- gura 2). Il modo col quale avviene la caduta dei petali e degli stami è esattamente lo stesso di quello descritto pei sepali ed anzi le fig. 3 e 4 rappresentano la 1% un petalo, la 2* uno stame nel momento stesso in cui la separazione sta per prodursi. I fasci fibro-vascolari che uniscono i vari fillomi del pe- rianzio al ricettacolo, nulla soffrono della gelidificazione di cui sono colpiti gli elementi cellulari, ma rimasti soli a sostenere l'intero peso del lembo fogliare, finiscono per cedere al peso dei fillomi e si rompono. La differenza essenziale che passa fra la caducità del pe- rianzio delle Papaveracee e quella delle foglie in genere sta in ciò che la suberizzazione è meno completa. Trattandosi poi delle foglie del Pioppo in particolare, la» differenza è sensibile in- quantochè la formazione della striscia di meristema che nel perianzio del Papavero precede la suberizzazione, nel Pioppo invece la segue. Osservazioni sul meccanismo del movimento dell’inflorescenza delle Onmbrellifere. I movimenti di varie specie e di varia ampiezza che si o0s- servano in un certo numero di vegetali, sono così interessanti da avere destato l’attenzione dei naturalisti sin da tempi re- moti e furono ai tempi nostri oggetto di ricerche profonde. Per essere di natura assai complessa, lo studio di quei movimenti si presta a fini assai vari. Mentre infatti alcuni scienziati, fra i quali Steinbrink, Zim- mermann, Kamerling per limitarmi ai più noti, in alcuni lavori trattano dell'argomento sotto un punto di vista puramente teo- retico, ossia quale semplice applicazione di meccanica, gli stessi autori in altre memorie e insieme ad altri scienziati, fra i quali Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 7 98 EDOARDO MARTEL Ch. Darwin, Kraus, Hildebrand, A. Tschirch, W.Talliew, De Vries, Rathay, Eichholz, Schinz, A. Ursprung, Schwandener, M. Mébius, W. Pfeffer, Filling, A. Hirsch, Leclere du Sablon, Pantanelli, si occuparono dell'anatomia dei tessuti motorî e del meccanismo che presiede ai movimenti considerati nelle loro più varie mo- dalità. G. Haberlandt finalmente intraprese ricerche dirette a sta- bilire i rapporti che trascorrono fra alcuni organi di sensi e determinati movimenti. Furono in modo particolare oggetto d’indagini: 1° Gli organi che agevolano la disseminazione dei frutti e dei semi (Dingler, C. Wahl, Rown). 2° Le antere, gli sporangi ed i frutti per quello che sì riferisce alla deiscenza lenta oppure istantanea (Steinbrinck, Leclerc du Sablon, Schwandener, Schinz, A. Ursprung, Hil- debrandt). 3° L’urna dei Muschi, delle Epatiche e delle Jungermannie (Steinbrinck, Kamerling). 4° Il pappo delle Composite (A. Hirsch, Steinbrinck). 5° I Viticci (Tschirm, De Vries). 6° 1 pulvini della Mimosa, della Robinia e della Porliera hygrometrica (Pantanelli, Ch. Darwin). Dal breve elenco qui esposto si scorge che se non mancano: gli studii di anatomia e di fisiologia rivolti a vari organi mo- tori vegetali, non per questo è il campo delle osservazioni chiuso ad altre ricerche e non poco rimane da fare riguardo a tanti altri casi non ancora considerati. Così per quello che mi spetta, pensai fermare la mia attenzione sulla infiorescenza delle Om- brellifere, i cui movimenti quantunque noti a moltissimi, non vennero ancora sottoposti a osservazioni scientifiche. I fenomeni di moto cui vanno soggette le inflorescenze delle Ombrellifere alla maturità sono di due specie ben distinte: Il primo di questi fenomeni consiste nel semplice cambia- mento di direzione dei pedicelli florali, i quali, da divergenti che erano, si dispongono quasi parallelamente gli uni agli altri. Il secondo, meno generale e anzi mancante in alcuni generi mentre spiccatissimo in altri, consiste nell’incurvamento dei pe- dicelli alla loro estremità libera. Quando questi due fenomeni si producono contemporanea- SU ALCUNI FENOMENI OSSERVATI NELLE OMBRELLIFERE, ECC. 99 mente e con intensità, l'ombrello non solo si raddrizza, ma si chiude al vertice, così da acquistare l'aspetto di un nido, ed è ciò che si verifica, come tutti sanno, nel Dancus carota. I fenomeni qui notati son dovuti a due cause ben distinte e cioè a modificazione nella forma del ricettacolo florale ossia della base dell’ombrello, per quello che si riferisce al cambia- mento nella direzione dei pedicelli e ad una modificazione nella forma dei pedicelli stessi, per quello che si riferisce alla incur- vatura di essi. Il primo dei due fenomeni si spiega facilmente. I pedicelli florali di uno stesso ricettacolo sono in questo, collegati fra loro da parenchima. Nei primordi la base del ricettacolo è ristretta ed in pieno turgore si trovano gli elementi del parenchima, epperciò forte- mente divergenti han da essere fra loro 1 pedicelli florali (Fig. 5). Coll’aumento della temperatura e col diminuire dello stato igrometrico dell’aria, va di pari passo diminuendo la turgescenza delle cellule del parenchima, che allora si deprime (Fig.6), mentre col tempo va crescendo in diametro la base del ricettacolo, ep- perciò i pedicelli da divergenti ch’erano tendono ad un paral- lelismo tanto più perfetto quanto minore diventa la turgescenza del parenchima e più larga la base del ricettacolo. Si verifica per l’inflorescenza delle Ombrellifere alla matu- rità, quello che si verificherebbe in un cuscinetto porta spille se questo a un dato momento si deprimesse e si allargasse alla base; le spille appuntate sul cuscinetto, da divergenti divente- rebbero parallele. Il secondo fenomeno, come dissi prima, è in relazione colle modificazioni di forma e per conseguenza di struttura dei pedi- celli florali. Col modificarsi della forma vanno necessariamente variando le distanze che separano le parti componenti una stessa sezione trasversale dei pedicelli. Ora l'esame di una di quelle sezioni dimostra che il pa- renchima corticale oltrechè contenere canali resiniferi è attra- versato in lunghezza da un certo numero di cordoni di collen- chima (Fig. 7). Lo spazio interposto fra questi cordoni è occupato da isole di cellule ricche di cloroplastidi ed è all’alternanza di queste isole coi cordoni collenchimatici che i pedicelli florali debbono la 100 EDOARDI MARTEL presenza delle linee alternativamente verdi e giallastre che si scorgono alla superficie. Le altre parti della sezione, cioè l’anello libero lignoso ed il midollo, nulla presentano che possa interessare nel caso qui considerato. Dei vari tessuti che entrano nella composizione della sezione, il più igroscopico e per conseguenza il più contrattile per l’a- sciutto è di certo il collenchima; viene dopo immediatamente il parenchima clorofilliano. In quanto agli altri tessuti, essi hanno qui ufficio puramente passivo. La lunghezza dei cordoni collenchimatici varia necessaria- mente collo stato igrometrico dell’aria e colla temperatura, epperciò ai cordoni collenchimatici vanno essenzialmente dovuti i fenomeni di movimento. Ammesso per un momento che i cordoni di un dato pedi- cello siano simmetricamente disposti intorno al centro di esso, le contrazioni che provano gli uni, trovandosi equilibrate da quelle che provano gli altri di parte opposta, il pedicello potrà raccorciarsi, ma non v'ha ragione perchè pieghi o s’incurvi più da una parte anzichè dall’altra. Quest’'è il caso che si osserva in genere nei pedicelli giovani di tutte le Ombrellifere e che permane in quelli vecchi del Foeniculum dulce (Fig. 8). Ciò basta a spiegare come in quel genere i pedicelli del- l'’Ombrello non offrono incurvamento di specie. Ammesso poi, che per un cambiamento avvenuto nella forma della sezione rimanga distrutta la simmetria dei cordoni collen- chimatici relativamente al centro, pure da quel momento va distrutto l'equilibrio di trazione ed 1 pedicelli piegheranno dalla parte in cui i cordoni si saranno portati in quantità maggiore. Questo è il caso che si verifica per il Daucus carota i cui pe- dicelli variano sensibilmente di forma coll’età e di cui presento sezioni prelevate a varie epoche (Fig. 9, «, 5, c). L'esame di queste sezioni dimostra che dalla forma circolare si passa all’ovale per finire colla triangolare, con relativo spostamento dei cordoni collenchimatici. Altre due sezioni, tolte l’una dal Levisticum officinale (Fig. 9) e l’altra dall’Angelica sylvestris (Fig. 10), ma specialmente l’ul- tima, mostrano i cordoni collenchimatici posti alla estremità di SU ALCUNI FENOMENI OSSERVATI NELLE OMBRELLIFERE, Ecc. 101 protuberanze che per l’effetto meccanico agiscono a guisa di leve o di apofisi così da aumentare in modo sensibile l’azione derivante dalla contrazione dei cordoni. A complemento della dimostrazione aggiungo ai disegni precedenti la Fig. 11 ricavata da una sezione longitudinale con- dotta per uno dei cordoni da collenchima; la quale permette, dalla potenza del cordone, valutare lo sforzo di cui esso è ca- pace nel momento in cui sì contrae. Non è soltanto nelle Ombrellifere che il collenchima agisce quale tessuto motore; G. Haberland (Physiologische Pfanzen Anatomie, p. 147 e p. 487) lo vide funzionare come tale nei pul- vini articolari delle foglie delle Leguminose e nei nodi delle Graminacee. Il movimento impresso ai pedicelli dell’ombrello dipende unicamente dal grado di turgescenza del collenchima ed infatti quel movimento può ottenersi alquanto prima dell’epoca in cui sì produce naturalmente sia coll’ immergere l’ inflorescenza in una soluzione satura di cloruro di sodio, sia col portare la stessa ad alta temperatura in un ambiente secco. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Caducità del perianzio delle Papaveracee. Fig. 1. — Sezione longitudinale attraverso il calice X ed il ricettacolo R del Papaver Rheas. In sep. si scorgono due linee di cellule nucleate, più piccole delle vicine, che segnano la separazione che sta per compiersi fra le parti ancora a contatto. Fig. 2. — Altra sezione longit. attraverso il calice A ed il ricettacolo R del Papaver Rheas. Tra le due parti, in sep. si scorge una striscia di cellule in via di gelidificazione. Le parti sono sul punto di separarsi (maggiore in- grandimento). Fig. 8. — Sezione verticale attraverso un petalo P ed il ricettacolo R del Papaver Rhoas. sep. linea di separazione delle parti, segnata da cellule in via di gelidificazione. Fig. 4. — Sezione verticale attraverso uno stame ed il ricettacolo R del Paparer Rhoas. sep. linea di separazione fra le parti. Lo stame sta per staccarsi. 102 EDOARDO MARTEL — SU ALCUNI FENOMENI, ECC. Osservazioni sul meccanismo del movimento dell’inflorescenza delle Ombrellifere. Fig. 5. — Sez. verticale dell'armatura f. vascolare di un ombrello giovane. Rigon Id. id. id. id. vecchio. Fig. 7. — Sezione schematica per mettere in rilievo la posizione occupata dai varii tessuti in pedicello florale: ep. epidermide, par. cor. paren- chima corticale, col. collenchima, e. canali, . libro, f. f. 0. fascio va- scolare, scel. sclerenchima, el. isola di parenchima clorofillino. Fig. 8. — a. Sezione trasversale di un pedicello dell’AZQusa cynapium. — Stessa osserv. che per l’Angelica sylvestris (Fig. 10). b. Sezione trasversale di un pedicello vecchio del Foeniculum dulce. I fasci di collenchima sono disposti simmetricamente intorno al centro, per cui essendovi equilibrio di trazione, non si osserva mo- vimento. Fig. 9. — Daucus carota. Tre sezioni trasversali dei pedicelli florali cor- rispondenti a 3 età diverse: A. sezione in giovane pedicello, B. in pedicello più vecchio, C. in pedicello maturo. Fig. 10. — Sezione trasversale di un pedicello dell’ombrello dell’ Angelica sylvestris. Si vede che i fasci di collenchima col. sono portati alla estremità di leve od apofisi. Fig. 11. — Porzione di una sezione di pedicello florale a forte ingrandi- mento: ep. epidermide, col. collenchima, cl. isola di parenchima clo- rofillino, c. canale, par. cor. parenchima corticale, ?. libro. Fig. 12. — Sezione trasv. di un pedicello del Levisticum officinale. Stessa osserv. che per l’Angelica sylvestris (Fig. 10). Fig. 13. — Sezione longitudinale di un pedicello dell’Ombrello del Dauewus carota, per mettere in rilievo il fascio di collenchima. /Èù, a SE ui al « Ò do NOS Ò ata — Li », è % Lit.Satussolia Fvrino. B. RAINALDI — LA DURATA DELLO SPLENDERE DET SOLE, Ecc. 1083 La durata dello splendere del sole suil'orizzonte di Torino nel quadriennio 1906-1909. Nota del Dott. B. RAINALDI Assistente all’Osservatorio della R. Università di Torino. (Con una Tavola). Il Dott. G. B. Rizzo nel 1896 pubblicava una serie di os- servazioni sulla durata dello splendere del sole (1) a Torino, durante il sessennio 1890-95 e da queste osservazioni sessen- nali, oltre a parecchi rilievi, deduceva una formola periodica per mezzo della quale si potesse calcolare la legge con cui varia la durata dello splendere del sole (2). In seguito, curò la pubblicazione di un’altra serie delle dette osservazioni, per il triennio 1896-98, il dott. L. Carnera (3), il quale, seguendo il metodo del K6nig (4), tra le ore di soleg- giamento, computò anche quelle nelle quali era appena sensi- bile la traccia della bruciatura della cartina registratrice. Il Carnera calcolò pure, con la formola del Rizzo, i valori che, approssimativamente, dovrebbero esprimere la durata dello splen- dere del sole in una giornata. 8 (1) Per esprimere con una sola parola — lo splendere del sole e quindi l'aumento di calore per esposizione ai raggi solari — si usa comunemente la parola insolazione. Ma è talmente intuitivo il significato medico di questa parola (= colpo di sole) che altri, nonostante il nuovo senso attribuito da qualche enciclopedia alla detta parola, la ripudiano e, in verità, non senza ragione, così che sarebbe meglio dire soleggiamento invece di insolazione. (2) G. B. Rizzo, La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino, in “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXII (1895-96), pag. 1039. (3) L. Carnera, Le ore di sole rilevate a Torino mediante l’eliofanometro nel triennio 1896-98, in “ Atti ,, ecc., come sopra, vol. XXXIV (1898-99), pag. 649. (4) H. Kb6xie, Daner Sonnenscheins in Europa, in * Nova Acta, Abt. der K. Leop. Carol. deutschen Akademie der Naturforscher ,, Bd. 67, p. 311. 104 B. RAINALDI La presente nota intende proseguire e, in parte. comple- tare la serie di siffatte osservazioni per il quadriennio 1906-09. Il dott. E. Ferrero che fu assistente in questo R. Osservatorio nel periodo 1903-05, aveva ripreso il lavoro di continuazione incominciando dall'anno 1899; ma il lavoro non fu portato a termine. E quindi necessario colmare la lacuna 1899-1905, se si vuole avere un ventennio completo di rilevazioni sulle ore di soleggiamento a Torino: soltanto dopo aver completato una serie di venti anni, si potrà procedere al calcolo dei valori normali e si potrà determinare, con maggiore approssimazione, l'andamento dello splendere del sole nei giorni, mesi e stagioni dell’anno e, di più, la relazione tra la durata del soleggia- mento e alcuni fenomeni meteorologici, quella relazione special- mente che intercede tra il soleggiamento e il ritardo nell’ora della temperatura massima. Rilevando la durata del soleggiamento durante il qua- driennio 1906-09, ho tenuto conto anche delle ore in cui la traccia era appena sensibile: si è dunque seguito il metodo del Kénig; ma per quelle giornate in cui la traccia intera fu ap- pena sensibile o che tale fu per una durata maggiore della metà del soleggiamento, le ore sono stampate con carattere cor- sivo. In questo modo potrà sapersi in quali mesi hanno avuto la prevalenza i giorni nei quali il sole era appena velato di nebbie e di vapori; anzi, si avrà un dato, grossolano in vero, sulla intensità dell'energia solare. Un eliofanometro, per ren- dere buoni servigi alla scienza e all’agricoltura, dovrebbe dare, oltre alla durata del soleggiamento, anche la quantità e l’in- tensità dei raggi solari calorifici, luminosi. e attinici, poichè, solo partendo da questi dati, variabili secondo i diversi climi, si potrebbe passare allo studio di altre condizioni climatologiche. In realtà, le rilevazioni fatte sulla durata dello splendore solare vorrebbero fornire dati per conoscere com'è, per es., che varia in un determinato luogo la umidità, la nebulosità, ecc.: è evi- dente che, per tale scopo, oltre la durata, bisognerebbe cono- scere anche la quantità dell’energia solare. L'eliofanometro è quello che fu descritto dal Rizzo nella memoria citata. Le cartine usate sono quelle fornite dall'Ufficio Centrale di Meteorologia. La lettura delle strisce registratrici l'ho fatta anche io, non essendo esse state trascritte nello stesso LA DURATA DELIO SPLENDERE DEI SOLE, ECC. 105 giorno in cui furono tolte dall’eliofanometro. Per conseguenza, i dati raccolti, a causa anche della orientazione non sufficien- temente esatta dello strumento, non dànno l'esattezza possibile in simile genere di osservazioni: per questa ragione ho rinun- ziato a dedurre dalla formola periodica del Rizzo i valori di calcolo. Per ogni anno sono state redatte tre tavole: nella prima, espresse in ore e minuti, sono la durata effettiva dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino. la quale si indica con A, e la durata teorica dello splendere del sole sullo stesso orizzonte (1) che si denota con B; a queste segue il loro rapporto e ciò per ciascun giorno (2); nella seconda tavola sono trascritti i valori eliofanometrici delle decadi e dei mesi; nella terza si dà un riassunto annuo riferendo per ogni ora di ciascun mese il nu- mero delle ore in cui splendette il sole. Alle tre tavole di ciascun anno seguono alcune osservazioni sui fatti più impor- tanti relativi al soleggiamento dell’anno stesso. -— Vengono in ultimo, altre due tavole, la IV e la V. Nella tavola IV, decade per decade, è riferito il numero medio dei minuti in cui splen- dette il sole per ciascuna ora del giorno, con le medie decadiche dei quattro anni. In questa tavola IV sono state omesse, per economia di spazio, le ore 4-5, 5-6, 19-20, perchè nei mesi in cui il sole è sull’orizzonte nelle citate ore, o non si è avuta traccia o si è avuta una traccia trascurabilissima per la nota causa delle nebbie mattutine e dei vapori vespertini che quasi sempre impregnano l’atmosfera di Torino; soltanto nel mese di giugno del 1906 si ebbero, di soleggiamento, per la prima de- cade 2",8, per la seconda 0%,8 o per la terza 2%,9. Questa stessa avvertenza valga per le tavole III. Ultima viene la tavola V, la quale dà le medie decadiche e mensili della du- (1) La durata teorica quotidiana è stata calcolata con -le tavole del- l’Annuaire pour les ans 1906, 1908, publié par le Bureau des Longitudes, Paris. Per i valori decadici si è fatta una media tenendo presente l’ultimo cal- colo della durata dello splendere del sole a Torino, fatta dal Dr. V. Balbi nel 1897; vedi “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXII, 1895-96, pag. 1048. (2) Questa tavola non è data, per i relativi periodi, dal Rizzo e dal Carnera. 106 B. RAINALDI rata effettiva dello splendere del sole nel quadriennio 1906-09 con le rispettive medie quadriennali: di questa tavola mi sono servito per tracciare la curva della II tavola dei diagrammi. Nelle tavole I, II, III la lineetta — indica che non ci è stato alcun segno di soleggiamento. I diagrammi sono disposti in tre tavole; le loro intestazioni e le note poste a pie’ di pagina bastano a spiegarli. Ho mante- nuto 1 quattro mesi scelti dal Rizzo, completando i suoi dia- grammi (1) con i miei e con quelli del Carnera, il quale per maggio e agosto non li aveva dati. Nella seconda tavola sono i diagrammi di gennaio, aprile, luglio e ottobre; ho creduto di fare i diagrammi di questi mesi, perchè essi sono come i centri delle quattro stagioni (2). Altri diagrammi e alcune osservazioni generali sulla durata dello splendere del sole a Torino, saranno fatte e pubblicate in una nota che sarà di commento al primo ventennio di so- leggiamento a Torino. (1) N diagramma sessennale del maggio, dato dal Rizzo, ho dovuto ri- tocearlo un poco. (2) V. Bacsi, Le condizioni climatiche di Torino nel 1901, in © Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, anno 1901-02. LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 107 TABELLA I. Risultati eliofanometrici diurni dell’anno 1906. A= Durata dello splendere del sole in ore e minuti. B==Durata del sole sull’orizzonte in ore e minuti. Gennaio Febbraio Marzo Aprile hu A lap A8b «| ; A A A Bi gp 4 5A - | A B ni ba B » "| i a: | | h m h_ m hm him | h m ho m h m ho m 0. 08.46) 0.00) 6.39) 9.42] 0.69) 8.20|11. 310.75 |10.38/12.44' 0,84 3.20! 8.47! .38) 5.55 9.45) .64|| 8.30/11. 6) .77|10.46/12.47| .84 =. | 8.49) ,00] 5.32) 9.48) ,56| 9.581. 9). ,89/3.56/12.49| ,34 118.50). 00] —-|-9.50). ,00:| (14.42, .00| — |12.52, ,00 Me \0g/54)_.00Ci--|-9:52)__00 10A5\11. fo. (9K]04.73/£2.55) ,08 — 8.53 ,00) — | 9.55 ,00| 9.49/11.18 ,83 12.58.00 Gingt85ti. 7g | CL L69577, 00:08:56 14/29). 70046.95|13) | ,51 2 |18.56/. ,00:|7.48/10. 0]. ,73 — (14.25). ,00/3.47143. 4) ,25 7.46 8.57.87 5.3010. 3,55) 8.4411.28 vi a D3) 7 10,00 5.981 8.59) ,611 6. 910. (6). ,61)| 7.47/11. 31 ,68| 5.38/13.10) ,43 L0t|19) (0), ,00| —L.10..9 00, 7.45 11.34) ,67) — (13.12) ,00 0.45) (9. 4 ,08| — (10.42) ,00] 1.57|11.37| ,17| 9.52/13.15) ,74 345/19.) 441 — [10.451 .00|10. 811.40] ,87 — (13.18) ,00 3.30;.9. 5) ,39 — |10.148) ,00|10.54/11.44| ,93|| 4.48/13.21| ,36 (4.109. 7, 6 | 8.2010.21| .84] 6.28 11.47) .55| 6.13,13.24! .46 4.33| 9. 9,50 8.40/10.24| ,83)| 3. 014.54) ,25 13.27) .00 3.47| 9.10) 41) 8.15)10.27| ,79|10. 2/11.54| ,84 0.3013.30, ,04 22 (19.12). ,00||/7.29/10.30). ,74|{0.10|14.57|. ,85). — [13.33 ,00 2.04, 19:44) ,92 10. 72-10.33|.,95) — !£2. (0). _,00) 113.36) .00 — | 9.16) ,00) — (10.35) .00| 9.2112. 3) ,78 1.1943,39 10 | 7.38) 9.17 ,82| 9. 110.98), ,85|/4.14;12. 7). ,10 3.30/13.42/ ,26 6.43. 9.19 ,72| 9.290,41} ,89| — 12.10) ,00) — 13.45) ,00 —|.9.22) .00| — to.44| .00| — (12.13) ,00| 3.47 AS 27 6.36, 9.24 ,71| 4.8010.48] ,42 — (42.17 ,00 013.51) ,36 3.30) 9.261. ,37| 7.2910.54) ,69| 5.38/12.20 "46 (11.3018, BAI 83 5.49.28). 53 07A1/10.54| 70) — 42.24). 000 — 53/57) ,00 5.25| 9.301 .57| — |10.57| .00| 9.38|192.27| .77)| 1. 5/44. 0} .08 7.119.338/. ,73)| 7.47:41.00). .74| 7.241192.30|. .,59|14.20\14. 2) ,81 5.53) 9.35) .64| \2.27/12.34/. 20) — MA. 51 ,00 4.50) 9.38) ,50| | 7.23/12.37|. .59| 9. OZ. 8| .64 6.9 9.40.64 110.3041241 ,83 | 108 28| 99 | 30) SI TPapenza» Lf Maggio (Giugno A NSA A A B — h m h_ m | h m 8. 0/6/4414] 0,58 | 3AA1] 15. 20 0240 | L0.57/14.13|,.,77 ||11:58|145.24|..,78)| LO.57|14.161: 77 |11A7/45.29] 77 10.50\14.19) ,77|11.50(15.22|. ,77 (4, 544.29) ,2814. 015.23) ,74 10.17|14.24| ,71|11.40/15.24| ,75 | 7. 014.26) ,49|11.40|45.24| ,7 | 1.35 14.29 sile tt. 0145.2591, 71 5.57/14.32) ,41|/5.28/15.27|. ,35 | .5.:0|14.35). ,34||7.38/15.28] ,49 Il2.50/14/97|. 19:15.42/15.28). .34 !4,34|14.39|. ,34|/9.19/15.29|. .60 11.48|14.41| ,80| 3.43/15.30| .24| 10.23/14.43] ,71| 9.55/15.30) ,64 (ESS! IAAG|. 560) 14.54/15.94) 32 |FA-D21 449) 33. 10.2115.39%, 67 3.S7/14.508 2 1A 4415.939756 | 916 10.10 15.53 465 || Ii 14.55) ,00|8.17]15.34|)_,53 | lorendZzori, 006414534) | — [44.59 ,00|10.19/15.34/ ,66 | SII 54 746-1015391. 40 MATO), -750140:37/15.33). 68 0.09 15. 6. .014|62:45/45.38) 148 IES.06,45: 7 4 10.3215.33 68 | |#7.56/15. (9). ,52\11.39/15.33!. ,75| | — |15.14) ,00| 8.16/15.33) ,54 8. Di ae 54|| 9.22/15.38| ,60 (110.4914545) ,71 15.32: ,00 |:6.149/45.17] ,4419.24]15.32/ ,61| 15.404 60 | OA4 B. RAINALDI Continuazione). Luglio ee) na: | | A | A B > h m Mess | 1.55/15./3100, 1424 9.45|15:301 ,25 (10.30|15.29). 03 v—-15.281 ,00)] iu |415.27) ,00 (10.23/15.26) ,69 (fu 7115200, 97 ((4.59/15.25) 48 | 8.18/15.24| .53 (9.07|45.23) 59 IU8.9 719/24, 56 9. 915.20) 60 — (15.18). .00.||5 9,3711546, ,69 it, 104, 72 114.0545481, 79 A CZ |ED140), AT |2e|5:10) ,00)) 10.57/15. 8! ,72 9.33/15. (6. ,63 41.045. 44, .79 MIO 4915. 21, 691 7.14/15. (0). 466 0.40 14.58.04 QATITA.D0L, 15 0.55|A4.54| 064 |8.30/14.59). ,57.| \11.30|14.50}_,78| 9401448. ,65 || GABA 46 | — 444 ,00, Agosto sr _— | | AVIR (14.15|14.39 8. 314.36 9.1214.34 10. 3|14.31 10.15/14.28 10.15|14.26 4. 514/28 0.32/14.21 9.29/14.18 (6.29/14.16 mp 1.55/14.10 AZIA, 7 5.2514. 5 Ò AAA. ® SOCI = 6.49|13.59 11. 715556 14.15)13.544 10.12/13.51 10.30/13.49 9.20 13.46 9. 26113.43 b. 54 13. 40) 7.44 | 13:97 6.1 513.34 10.24/43.31 5.15\13.29 5.20/13.26| | 8-4013.23 | 8.3813.19/ lessi h pi Ùù m 0. 014.41 0,00 ;7 399 .69 | 69 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 109 TapeLLA I (Continuazione). n mere go A_ì_--.,.,,,b»b©X©Xx—V—nmnméèkod«{nh<{kkKÈKk iii .i{K(KK{(K{(Kz<=<=z<—<— | | Settembre | Ottobre Novembre Dicembre _ “ao ——— nn _ = cn | sos Cp E ° I ERE TARE Sl ABI | 3A . > | h mn h | m h m h m heen | h m hm 8.5713.16! 0,68 | 8 83311 44 0,73] 0. 0/10. 9) 0,00] 0. 0 9. 0) 0,00| 1 850113492 .67) — [ii.44| ,00| — |10. 6) ,00| 2.58| 8.58) ,32| 2 #0.15/13. 9 ,78| 5.15/11.38| ;45| — |10..3| ,00| 4.16 8.57| ,48| 3 8.55/13. 6 -,68| 5. 1/11.35) ,43| — (10. 0,001 7. 3 8.56) ,79 h d.07)13 3) 72) — (11.32) ,00| — | 9.57|,00] 3.39 8.55) 4f| 5 7.15/13. 0)_,56| 5.18:11.29 46] — | 9.54 003.145! 8.53) 97] 6 D:45/12.56|,75 1.54/11.26| ,16| — [9.52 "oil =— 8.52 00) 7 #107:12.53| 79] 7:3711.23| 67 5.36|79.50| 57 — | 8.54) ,00| 8 8. 012,50! .62| 7.43'11.19) _68| — | 9.47] ,00| — | 8.50) ,00) 9 4.5312.47| .38) 1.2211.16) 12] 2.35| 9.45) 26.) 3.31) 8.49 .40|10 Bio1945| 34] — ‘14.13 ;00.| — |29:43' 00] 5.7] 8-49 5611 8.4512.42| 69 2. 311.10 ,18] 4.37| 9.40 ,48) — | 8.48) ,00|12 {1.05:12.38] -,87| 5A5IT.-6 (47 =- (79.38] 00] — |_8-48] ,00 13 Boo 1295| 74) — lt4.03| 00] — |-9.35).00% — | 847,00 14 R9411299| .34| — [11.0 ,00] — | 9.33) ,00| 6.37) 8.46) .759||1o 8.45/12.30! ,70]| 7.3910.57| ,70| 2.18| 9.31] ,24| 6.34) 8.45 ,74|16 D 012.27)/73) — (10.53) ,00) — | 9.28) ,00| 4. 0 8.44 ,46|17 593294 19 — (10.50) .00| — | 9.261 ,00| 6. 5) 8.44! ,69|18 0.28 12.21) ,04| 0.5510.47) ,08| 4.22 9.23) ,47 | 4. 5 S.A44 ,A7|19 9.3011218| ,77;- — VMO.44 00) 6-29) 9.21 69] 2.34/8.44 ,29 | 20 DO 9U9244) (58) SASUOAA] 53) = |9.19) ,00) — | 8.44 ,00/21 9,4541211) ,80) 8.30/10.38_ ,80) — | 9.17) ,00, — | 8.44 ,00|22 74312. 9) ,63) 6.14/10.35) ,68|| 5.53) 9.15) ,63) — | 8.44 00 | 23 519/12. 61 (A4&| 6.52/10.32) ,65| 5.45) 9.12) ,63| 3.46) 8.44 ,43|124 — (42.3) ,00) 5.28/10.29) ,52]| 7.45] 9.10) ,85| — | 8.44 ,00|25 3. 91159 25% — 10.25] ,00| 8. 0| 9. 7,88) — | 8.44) ,00|26 945/1156) 82] — |10.22) ,00) — | 9. 51 ,00| — | 8.44) ,00|27 ki 91153) (34) — |10.20| ,00]| 7. 0| 9. 4| ,77| — | 8.45) _,00| 25 8.44:11.50) .7&} — |10.17 ,00| — | 9. 21 ,00) 6.45 8.45) ,77|29 4. 5\A1:47)-,35) — |10.44-,00| — 9.1) ,00) 5.23) 8.46 61130 — 10.44/::,00| 9 3I RAINALDI B. 110 1870 | 0*@za | c'9L BIT'O 886 | 709 OLEO | L°888 |9°16 TLE'0 L'VLE GEIE He) | 9V8V | TLT CHE | 6697 | 6°C81 CYEO | C797 | VW GG70 | 8°807 | 8°86I LEO | 8°€07 | 8°601 €0C°0 | 0°898 | 4°681 GE70 | 1686 | 8°GGI S9E0 €186 8701 = q | y 3 di ARS HSHMW LIAN) | 4L8°0 | 986 L67°0 16e%0 | Iar°0 ‘60C°0 670 491) 9491) | GSO IAAD (666 | 691 [616 UMTS | GTI | 8°68 LOVE | 666 GOTI | 688 9°89 | 6°89 ecc EG | 499911 9°0% |\9°GEL | 667 29 gr c°98 | 0°97 TT01 | g'8e | q | V | | Opeoa9(] è 1070 | 648 0°Gg (4840 | 0°6G | 8°21 G7IO | GG01 | 6°C (muco |0°CTI | 0°89 \pac'o | 9°0V1 | L°82 L08°0 | 0°GSI | WLL (806° | &°CSI | T°84 9680 0°871 | E°87 \89V0 |9%781 | LEE ‘(685°0 | &°81I | 4°69 \GI70 | 46801 | 4° ‘gve‘0 |e‘16 | 9% Y q RESI | —— —_— | peo? +8 \eze0 |8°88_ | 9768 |’ 0Iqueoiq lz80°0 066 | ag | ‘osquieson lese [2711 | Lew |> cadono ‘5990 0°0ET | 7798 | << * *eJquioggo egyo g*WUb | G04 |>" 098087 \ecg'o |eSwet | 6°6g |"'-*-on8n] \ tego |oger | afz6 || /*% 0uSuo \GISO | 1%vr | 694 |'% 0 018508 eee‘ |9°661 | 64 | may \eeg'o | vet |-8%44 |: 24eN | GL80 ose | 1ze | : + 0° 0TB10G9, | | 895°0 188 786 | "A CE de TOTRNNOO) | | & Ea | \scalseià di 9061 | apeoa(] »I | | ‘ITIsuOMI 0 IOIPeoAp I01IJOWIOUBJOT]9 IFequsTy ‘II VTIAAVI, LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 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In nessun giorno di quest'anno la durata relativa A è stata uguale a B (durata teorica del sole sull’orizzonte). Sono, invece, numerosi i giorni in cui A=0, nei quali, cioè, non si è avuto soleggiamento; tali giorni arrivano al numero di 97 e sono così distribuiti: in gennaio 10 in luglio 4 s febbraio 11 , agosto Il s Marzo 1) s settembre 1 s aprile 11 s Ottobre 14 s maggio 4 s novembre 18 s giugno 1 s dicembre 14 Il mese in cui si è raggiunto il maggior numero di tali giorni è stato novembre, nel quale si è avuto pure il più lungo periodo di giornate consecutive completamente coperte, cioè il periodo 1°-7; vengono poi per ordine: dicembre, ottobre, aprile, febbraio e gennaio; in questi stessi mesi si notano pure simili periodi oscillanti da tre a quattro giorni. Ritenendo come massimi quei valori di È in cui £3>0,9, i giorni nei quali tale rapporto si è verificato sono soltanto tre, cioè il 5 marzo E == 0,91), il 14 marzo ($ = 0,93) e il 19 feb- sad A Tn ar spiana 4 ) ; braio (E —0;98). Quest ultimo valore esprime il massimo as- . A $ vi | | - ie soluto di 7, per il 1906. Più frequenti sono i valori di F com- presi tra 0,80 e 0,90, e propriamente essi raggiungono la cifra di 23 e sono: 0,87 nel giorno 8 gennaio 0,84 nel giorno 1° e 2 aprile 0,81 di 15 febbraio 0,83 E 25 > 0,83 a PO 0,81 ; 28 È 0,55 a Di pane 0,80 3 13. maggio 0,89 n azien 0,81 n 19 agosto 0,89 9 3 marzo 0,87 È 15. settembre 0,83 ; 6; 0,50 N 22 n 0,87 5 Lai, 0,82 ; 27 5 0.84 ca era 0,80 3 22 ottobre 0,85 7 kB 0,85 * 25 novembre 0,83 o A: 0,88 È 26 k LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 113 I Î È degno di nota che questi valori, per circa ?/3, si sono verificati nel trimestre febbraio-aprile e, precisamente, 4 in feb- braio, 6 in marzo e 4 in aprile; nel 22 febbraio e nel 3 marzo si sono avuti anche i notevoli valori di 0,89; di più, in no- vembre, che è stato il mese dell’anno meno soleggiato, avendo A raggiunto soltanto 60".3 di soleggiamento, si è avuto l’altro va- lore immediatamente vicino a 0,89, cioè 0,88. In dicembre il rapporto -, non ha superato mai 0,80 e, fatto notevole, nem- A B meno in giugno e luglio. 3 no A È n 1 ; I giorni in cui è stato ui <0,5 (eliminato il caso di A=0), sono stati 99 e sono così distribuiti: in gennaio 8 in luglio HI ,s febbraio 1 » agosto 10 s Marzo 5 , Settembre 9 s aprile. 12 » Ottobre a) s maggio 12 , novembre 4 y giugno 2 s dicembre 10 Ventuno sono stati i giorni in cui il sole ha lasciato traccia appena sensibile sulla cartina. 2 | ALe GIA j Il massimo decadico di 5 Si è avuto nella prima decade di settembre raggiungendo 0,664, il minimo uguale a 0,082 si e avuto nella prima decade di novembre; l'escursione tra gli estremi decadici è 0,581. Anche in settembre è accaduto il massimo mensile, essendo == 0,569, e il minimo mensile pure . A she È 7 È in novembre con si 0,211; quindi l’escursione tra gli estremi mensili è stata 0,338. In tutto l’anno A ha raggiunto 1834%,6, ed essendo B=4443"%,6 si è avuto come loro rapporto 0,413, cioè, arrc- tondendo, si sono avuti i ?/; del soleggiamento teorico. (92) Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 114 B. RAÎNALDI TapeLLa I. — Risultati eliofanometrie Durata dello splendere del sole in ore e minuti, | Gennaio i Febbraio Marzo Aprile | il — ri memmil=m>-m ani va bb meo ia nanna | | | = | A | A | A ni : | Ace AL Boero B p | AB | Rn cui 32% || bora arca, pe sii) (a | | | h m ho ml h ‘mi im || h m ho m| 1| 6.20) 8.460,72 7.42, 9.420,79] 7.57(14. 30,72| 7. 512.44) 0,561 9 — | 8.47) ,00| 4.30| 9.45) AG| 444/14. 61 ,42| 4.4212.47) ,97 SM | 849 .00|7. 2| 9.48 ,72) — 11.9 00) -— 112.49 00. 4 — | 850 00] 7-45] 9.50) ,79] — |11.12 ,00| — (12.52) ,00) 5 6.46) 854) I71| = | 9.52) ,00| — (11.45! ,00| 4.1912.09 33 6 — | 8.53) ,00| + | 9.55) ,00|-3.40/11.18 ,32| 7. 312.58] ,54| | 945) 855 42) — | 9.57 (00| — (14:22) ,00| 5-15]13. 4| ,40) 8|| 1.16| 8.56| ,14| 0.42/10. 0) ,07| 6.4511.25| 59) 5.40/12. 4| 43. 9 | 4.16] 8.57) ;48| 5.25/10. 3| .54| 6.2411.28 ,56| 8.2213. 7] ,64 10 5.20) 8.59) .59| 3.710. 6) ,33| 9.25[11.31| .82| 2.28/13.10) ,194 Ka | 6. 819.0» .68| — [10.9 ,00| 945. 94 24| 9.28/13.12] ,72| 12] 4.35) 9.4] .54| — |10.12) ,007 9:30/11,37 82) — da 00. 13 3.45) 9.3) 41] — [10.15] ,00]| 9.2611.40 ,81 13.18) ,00 14 3.109. 5) 35] 3-48|10.18| 337) 6. 711.44) 5209. 05/13/24] ‘68. (5 6. 0 9. 7) .66|| 6.43/10.21) 64] 9.43/11.47| ,82) 3.40/13,24| ,27 16| 4.27 9. 9 48) 3.53110.24, .37 850/1151 ,75| 1.29/13.27| 44 17° 6. o) 910.65 748/1027 .70) 4.23 11.54.37) — 13.30.00. | 58 5.10|10.30 ,49| 8.50/11.57 .73| 8.10/13.33) ,60 19| 6.25 SA4! 69] 6. 0|10,33) ;57| 9.30/12. 0) ,79]| 9.34/13.36| 70 ® è) LI MPS © | io) LS) DI RN 20|| ‘2.30 9.16] ,27 10.351 .00/10.15(12. 3.85 4.13/13.39)_,91 21 | 3.45| 9.47) ,35| 2.35110.38) .24| 9.30/12. 7), .78,| 4.35/13.42 .33 29] — | 9.19) ,00| 9. 410.41 ,85) 9.17/12.10 .76| 9.23/13.45] 63 93| — | 9.22 ,00| 2.46/10.44| ,26| 9.31(12.13),78| 9.11/1348| ,67 24) — | 9,24 .00| 5.1410.48 ,48| 7.5712.17 65 |10.22/13.51| ,79 Dl, — Jo 9-26] 1300 |6. 30/10. 541 ,64/10.1512.20 .83| 7.36/13.54| ,59 26 | 0.53) 9:28) ,09 | 5.39|10. a (52|| 7.50/12.24 64] 9.4143.57| ,70 27 | 5.43] 9.30) ,60| 8:95/10.57 mr 5.4919.97 VAT 4. MALO] 29 98| 1.45) 9.33) ,18| 7.151. 0 66] 3.20/12.30) .27|| — |14. 2| ,00 29| 2.20) 9.35) ,24| | 8.31/12.34 ,68 | 5.10\14. 5| ,97 30| 3.55) 9.38) 44 (| 947/42. 371 .78| Q.A7/14. 8| ,66 31| 3.53) 9.40) ,40 | | 2.23/1241) ,19 | | | | || | LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 115 liurni dell’anno 1907. B= Durata del sole sull’orizzonte in ore e minuti. e e e e e ee °° | Maggio Giugno Luglio | Agosto A | A A | 3 A | B B | A B B A B B | A B B Si | | SE — — LES il | | | h_ m | h m h_ m i bh % h m mio 7.19]; LÀ. Il 0,52 | 2.58/15.20| 0,19]| 3.36|15.31| 0,29 | 6. 4644, 4 0,47 4 10.24/14.13) .73 || 3.29/15.21| ,23| 4. 7/15.30| 27] — ‘14.39 .00 | 2 6.1414.16 45 19. 815.22 ,59 (10.58/15.29) ,71|70. 0/14.36) ,68 | 3 4.2014.19, 33] 10.5 909/45.22) ,71| 3.22/45.28) ,22|70.29114.34| 72 | 4 — (14.922 "00 | 6. 8/15.23| 40) 3.59/15.27| .26| 9.15(14.34| ,64| 5 i — (14.24 ,00| 5.49/15.24) ,38| 6.33115.26) A2| 7,4011428! /53| 6 3.36114.26) +25| — (15.24) .00|| 8.37/15.926] 3960 || 1. 0/14.26| ,07| 7 — (14.29 ,00| 2.4515.25| ,18| -— |45.25|- 100|| 9.20/14.24/ ;65|| 8 10.32/14.32) 72 1.40/15.27| 41] 8.2215.24 54 — 14,21) ,00|| 9 11. 0144.35) .76| 1.35[15.28] ,10| 8.43/15.23! 54 — (14.18.00 11.11/44.37 .76) — (15.28) ,00/10.40/15.21/ .69|10. 044.16 .70(11 7.18114.39, ,50 | 6.4815.29| 44] 9.57/15.20! ,65)| 8.17(14.13) .58 — (14.44) ,00) — (45.30) ,00|10.4015.18| ,70|70.30\14.10| ,74|13 814/1443 ,56| — (15.301 ,00/10. 815.16) ,66(10.57/14. 7) ,78|14 — (1446) ,00) 3.33/15.31| ,23| 3.35/45.14) ,24| 9. 214. 5) .64||15 T 14.49). ;00|:7, 8 715.32) ,46| 4.40/15.13) ,34]|| 9.30/14. 2) ,68|16 — (14.51 ,00| 8.22 5A 9.1015.11) ,60| 5.58/13.59/ 4317 — (14.53) ,00| 6. 215.33) ,39| 9.28/15.10) .62|11.15]13.56| 84 |18 (14.55) ,00| 5. 4/45.34|:,33| 7.33/15. SÌ (50/22. 013.54 (79|(19 (1:1414.57) ,75(10.10\15.34|.65| 448/15. 6) .34| 6. 613.54} 4420 — (14.59.00) 6.1315.34| 40) 3.30/15. 4! (28/11. 911349 280|21 INI DN NY Len LI CROGNOG DI CI a \- VO SI (©r I E (15. 11,00); — (15.33) /00| 6. 3/15. 2 40/9. 5113.46/: 66]|22 _ [15. 3] ,00) — (15.33] .00| 9. 2/45. 0 .60| — |13.43} .00|23 (7 (15. 5) ,00 9.14]15.33] .59| 2.39/14.58) 47) 6. 7/13.40 .52|24 12215. 7, ,09| 3.16]15.33| ,21| 9.10/14.56) ,61| 5.20/13.37) ,39|/25 11.25 15. 9,75 8.28]15.33) .54| 5.AA|1A.5A! .38| 5.50/13.34 ‘4326 — [15.11] ,00| 5.18/15.33| ,34| 9.34/14.52 ,64|.6. 413.31) ,45|127 7.0515.13 .47 3.30|15.33| .22| 7.40/14.50) .53| 6.3513.29 .49||28 1.30/15.15) 40 3.59/15.32) ,26| 9.30/14.48 .64) — (13.26, ,00|29 @ 0\15.17):59| — [15,32 00 | ELIA 49 | 4.3513.23) 234|30 3.29/15.19) ,23| MA.A5AZAZ, ,76) 2.5713.19| ,22|31 | | | . 116 B. RAINALDI TapeLLa I. — (Continuazione). | Settembre | Ottobre | Novembre | Dicembre o gti 4 | ART 4 A B B A b B | A B B A B B | ù m hi ri hi vm h rm | h m ho om li hi m h 1%. 013.416 0,30| 4.52 11.44 0,41 || 0. 010. 90,00) 0. 0) 9. 0 0,00 Di 13.12|1/00|| 1.59\11.44|F.JII7) .-— lo. 6|°.500|. 185800 31 — |13. 9) 500) — (11.38 ,00 — |10. 3,007 18.57.00 4|| 7.55|13. 61,60) — (1.33/5,00%-0.20/10. 0.03] 5:30|18,56]1461 5| 8.15)13. 3/:63/| 6.54(11.32 597.300 :9.57/6 75] (0 gi5sles0o 6110.2013. 00.79: 2,20/11.29]7 520. — 0.54.00]. — 48.531.400 7 9.10112.56|C 74 0.53/11.26/0.5081512/119.520-,52 |-6.20|8/59079 8| 7.41/12.53) ,60| — |11.23-,00| — {9.50 00]. — |8.51./00 9| 5.37/12.50\ 44 — M1.19 00.2 | 19/47/8001 |15.15E7890/8.459 10] ‘— {12.47} ,00) — ;1.16|.;00!! 6:15) 9.451C.;64) 5.50) 8.490.566 14 > (12.45)! 00%] 7/10/11.13|€. 64] LL 49/431€.,00 |-2.76)8.49/0.126 12|| 7.572.492) 63 || 740/11. (0 69". 9/40/2004 17848800 13| ‘— (12.38]/,001 = |{1. 611,00] 4150|"9.38)1.,50° — (8.480.400 {4 SE 42:35) 0000.0220. 3 5000] 7117|9.35]C,68 | -— IN3IA7ANIDO 15] — (12.32 ,00| 1. 01]. 0 .09| 5.34| 9.33 ,58| 6.43) 8.461,77 16 #L M9.30) 00. MO. di 000] "19.35.1001 (6:45\M8 ZL 17|10. 812.27 ,81| 2.55 10.53 ,27| 4.47) 9.28.51, 5.30 844,63 18|| 6.96/12.24! ,53.|| (445/40. 50 sl 4. Al 9.260,48) — | 8.44 ,00 19] 9.18|12.21) ,75|| 0.4810.47 ,07] — | 9.23 00 5.30) 8.44} ,68 920] 9° 5218/74] =— IN'0.44) ,00|. — |/9,21100'|5.30| 8.4440268 I || 8012.144065] Li 044) 00] — |9.19.;00; = ‘|8.4410,00 22| 844121 68] 3.2910.38 ,33| — | 947,00) 5.43) 8.44 ,65 23 | 730112. 9; ,62| 10.35) 004 £ 19.15)£.00|— {NS AZ4IENIO0 dl 19. 6 00 23 110.840,00 — [19.120 004% — 18.44)400 25 || 2A5U2. 3,19) — 140.297,00 (150|9.10),20|/5. 4/US.A4N 358 9g UC 4159/0040 110,25),00]42: 0/9. 75,224 (BI4ANOD 7 È 14.56/000% — 10.22/,0046— |, 5:0,004)\— 18.448 1400 28] 040411.530% 016 (10.20)7,00/|) — |9. 40,00) — [118.4501200 929) 237/11.50).22) — |10.17),00||\4.33|/9. 2,50 — |/8.451,00 g0| de magi lz' EI MO.1404,00))> — |, 16,000 — ‘|8.46) 1900 3A \'a4 1014) 246|11! | | — [846/100 | | | | | | | 117 ETRO (OLE 69 |\EIT0 8°01 0610 | 8°8% | GS | 6600 | 816 | 78 3 | 9FTO 2888 | VV | BLOO SII | 38 R |8E80 2928 |64Z1 | 930 |LIGII | 886 È IL7°0 | 978% | 870% | 9880 | &67I | 2°4e 3 [GV |6°694 [RETE [6970 9°891 8°92 È OERB'O C"79y (OTET |zeg'0 (esci 0°07 sm \GL60 887 |I°CGI | 8070 |2°991 | 8688 9680 807 | 6°GCI | L6YO | 9GLI | E69 È 67S°0 089€ | 6°10E (9190 | L'9LI | TUR 3 TO70 1686 | L'9TI (8760 98 | 727 ; cYE0 [RaSG GL6 |8060 Ò GUOI | LIE - | * | A LA = q Vv ISU PEo9T 6 ‘ITisuUOWI 9 IOIPRIOP I01IFAUIOURFOI]O IYBIusIH \6og'o 848 | ag 6460 | 0°C6 | CIG BERO | C601 | EVE cYEO-| ORI | 187 8C90 | 9071 | 976 18640 | 0°EST | £°08 5080. | GGGE | 127 togli 1087}! 626 6860 |97ep | 2° TLO'O &8TI | e°62 4480 | L°801 | 668 Geco | 816 q apeoa(] \gez'o |g°88 | 66 ‘esrtontose esi LVV°0 | 2711 | 691 (20970 |0°0g1 | 0° LISO (8%WW1 | He 8480 | ECT | 68 \GSE0 |0%WC1 | CY \OL&°0 | Vwr} | vee 19780 |9°6G1 | 677 (0780 | LETT | #86 (Rogo | 6°86 | 798 LORO |.L°88 | E u u ome esr QpRIAAI eI I[ VITAAV], . Q1QuI99I(] QI1quueAON ICH 91qQU9FJOg * 0gs08y "-LONSNT] ‘ 0USnIM i OZABEH QIUACCORI ‘ OIBUUAL) RAINALDI B. 118 | 8780 CYE0\0°ELE 0610 E°C8 971°0 L°888 IS AIIAZAS LLY0)9°V87 (C7°0(6°697 €870 (C797 LEO 8804 I6E0) 8‘€07 67200" 898 7OY'0|1°68 YO CY86 96777 Î | | | | Il (609 I eso Il VALOY VAPAIISAI GG orde 6761 8406 || IRGTO | C°0 9 FE JA CEI | 90 ) 6 6CT | >) 106 | dor ila {90° ATA Albe ML '61-8T8I-LI LI-91| 9I-SI, 8° VI 64 DZ 7% SG GL 07 LG ‘30 Li » 8601 10 IT (609 81 891 SI 601 (61 Eat wG VI I GOGH) 6°GZI, 94 08 (0)°8 AVA 0 UNA! 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In nessuna giornata di quest'anno la durata effettiva dello splendere del sole ha uguagliato la durata teorica. Le giornate, invece, in cui il soleggiamento è stato nullo, sono molte, 113, e sono così distribuite : in gennaio 8 in luglio 1 , febbraio 7 agosto 5) s marzo 4 s settembre 9 , aprile 6 s Ottobre 18 , maggio 14 , novembre 17 sy giugno 6 dicembre 18 Il maggior numero di tali giornate si è avuto nell’ultimo trimestre dell’anno e il più lungo periodo di giornate consecu- tive interamente coperte è stato di una settimana ed è acca- duto nella terza decade di ottobre; altri periodi simili, di 6 giorni. sono accaduti in novembre. dicembre e maggio. In quest'anno una sola volta ha superato il valore, È di 0,85, raggiungendo nel 13 novembre 0,88: questo valore, quindi, rappresenta il massimo diurno toccato nell’anno; anche nell’anno precedente una giornata del mese di novembre (il 26) toccò 0,88. Pochi sono stati i giorni in cui pi stato maggiore di 0,80 e minore di 0,85; sono stati, cioè, 10, inferiori di più della metà rispetto a quelli del 1906. Segue l’elenco dei detti valori in- sieme col giorno in cui si sono avuti: 0,82 nel giorno 10 e 12 marzo 0,81 nel giorno 10 luglio 0,81 4 13 7 0,30 a 24 gna 0,82 di 5 x 0,81 s 17 settembre 0,85 s 20) n 0,88 3 13 novembre 0,83 3 25 ; 120 B. RAINALDI Quindi, nessuna giornata di ben 8 mesi ha toccato il va- A di tale valore è stato raggiunto, sono accadute nel solo mese di marzo, sicchè in marzo appunto si contano i giorni della più notevole durata dello splendore effettivo del sole. lore, per , di 0,80 e la metà più una delle giornate in cui dia. bo 4 ac. I giorni in cul go Don essendo uguale a zero, è minore di 0,5, sono stati 107: essi sono così distribuiti : in gennaio 15 in luglio 15 s febbraio 9 s agosto 10 Ln IMArzò 7 settembre 5 s aprile dl s Ottobre 10 s maggio T; s novembre 4 i giugno vonl7 s dicembre 1 I giorni in cui il sole era appena velato, sono stati 48: di questi ben 29 sono accaduti in giugno, maggio e luglio. : 3 TA IR Il massimo decadico del rapporto EL avuto nella se- conda decade di marzo raggiungendo 0,671, il minimo corrispon- À : ; A dente è accaduto nella terza decade di ottobre, in cui pr 0,072 l'escursione tra gli estremi decadici è stata di 0,599. Il mas- È LA : A simo mensile è stato raggiunto pure in marzo con d= 0,549 . O . . . A £) , È e il minimo relativo in ottobre con =0,146; l'escursione tra i due estremi mensili è stata di 0,403. In tutto l’anno A ha toccato 1547°,4 ed essendo B = 4443,6, si è avuto 4 = 0,348, inferiore di 0,07 al rispettivo valore del- l’anno precedente. Ut Urb > urto vw dl one: LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. TABELLA CI Risultati eliofanometrici diurni dell’anno 1908. = Durata dello splendere del sole in ore e minuti. = Durata del sole sull’orizzonte in ore e minuti. (Gennaio Tg na A A B È h m h mj 0. 0 8.46) 0,00 kh. 7\ 8.A47| 47 — 1 8.49). 00) 4.05) 8.50) 46 4.25) 8.54). ,50] R.231 8.55): 50 RISI 99 —=.|78.56|- .00 | 98) 8.57. .64 50) 8.59 ,43| 40) 9. 0) ,64 009. A) 45 DEic9 8.95 99.556 | 9257 (9. TA 06 6.46! 9.09. 691 4.33| 9.140|- .50 5.98| 9.19) 62 6.20) 9.14) ,69 6.16 9.16) .68 — rt AP: 004 5.30) 9.19) ,59 5.25) 9.22) ,58 4. 99.2 Ah — 19.26) ,00 #41) 9.28). _00 sà 109.90) ,00 i 9,331. 1.00 d _-4 9,351. .00 A ct9,98), U00 6.34 9.40.68 | Febbraio | o... cn DR A B i | Ù m h m 0.55) 9.39 0.40 6.50) 9.43.67 | 5.192) 9.46) ,53 4.13 9.49) ,45| 5 4.28| 9.52) ,45 5AA4| 9.55) ,53| 7.197/909.57). 74 6.45/10. 0) ,67| 6.50110. 3) 68] 52710. 6) .54 2:40. 9). ,001 3. 3|10.12 ,301| 5. 0(10.15). 49 ==<110.18) .00| TATO: 001 — {10.24} ,00| 3.21/10.27) .32 6.47/10.30) .65 7.59/10.33._.76 | 7.43/10.35) _,73 | 7.40/10.38) .72| 0461044. .10| 5.10 10.44 ,48| 6.36/10.48. .61 | 8.44/10.54 81) 8. 210.54. ,74| 7:38/10.57. ,70| 8.16/10.59 .75 0:12 100£).- 56 18. Marzo Aprile A A A B B A B B h m h h 60m m | 9.14311. 3 50,83 10.1 5 12.45 0,80 | — II. 8. ,00,10.15/12.48_,80 (QAUT1AA4A| ,24 | 8. 512.50] ,63 5.32/11.144| ,49| 0.56112.53) .07 — 14.47} ,00 — |12.56| ,00 —L141.20) ,00/|} 3.37/12.59) ,28 — 111.23). ,00| — |13. 2 ,00 SANTI: , 200515703: 55) 15 — -|11.80| ,00|| 3.44/13.‘8| ,26 kL45/41.32| ,40| 6.49113.44] ,51 5.32/11.35) 4810. 0113.13| ,76 4.43/11.38! .41| — (13.16 .00 48/4144 ,75 |) 2.50/13.49] ,21 9. 0111.45) ,77| f3i2 ,00 ZASMI ABI 3DIbL27113.25) 11 2 1.54 ,00|P!=*413.28) ,00 _L'|{4.54) ,00| ‘—'.143.34| ,00 041.57) ,00| 7.148113.34! ,56 3.38/12.'1) ,30| 4/14/13.37| ,31 2 MT 00753134] ,58 — {12.19 ,00|-2730113.44| ,18 2. 5|12.13) 171 9.A47|/13.47 ,71 5. 812.161 ,41|4.25113.50! ,32 DI 7.19.90]: 17/00 13.53 _,00 2 |192,23|- 00 —' 43.55) ,00 — 492,26: ,00| 8.3813.58) ,62 (42.29. .00|- 9. 0/14. 4| ,64 107,19.3D 1914/92 ,00 AN.M492.39% 0018.307147) ,60 442.38: ,64|10. 014.9) ,71 12:22.A9}. ,39 Do Li DO I Sè È (5 POI O B. RAINALDI TaBELLA I (Continuazione). Maggio —— — ra |A A b m ho m 10.25 14.19] 6.40 44.15 7.4044.18, LA5\44,24 2.15 14,24 8. 16, 14.27 (40. 0 14: 30) | 9, 514,32 | A 33] 14.35 (10.43/14.37 —- |14.39 |, 444 3.30 14.43 14,45 {1147 | 1.38/14.49 10.12 14.52 8.53/14.55. 10.30 14.57 2.53/14.59] 8.58/15. 1 lA Br Se AIA bp [IS 8.1515..8 | 2.46/15.10 8.515.192 — {5.44 15.15] + IBAZ — |15.49 OGROORO SRO Ve l'al | ———ucce@©mm@»-r[[i Giugno | Luglio Agosto A A A A B B A | bB B VA B B \ EPRteza] i | him h m | h în h m h Li h_n| 9. 745.20 0,59 0, 0/45.29) 0,00 |10.47]44.39| 0,74] 9. 215.24) ,59| 4,44/45.27) ,20|-2.55)44.37| ,194 7.25|45.22) ,47| 6.53|15.27| .45| — |14.35| ,00| —: 45.23) ,00|| 9. 4/45.26] ,59|40.34|14.92| ,72 — (15.24) ,00|16.25]15.25) ;42 14,29) ,00 2.41/15.25) ,t17| —1|415.25) ,00 — [44,27 00. — (15.26) ,00| 8.21|15.24| ,54|| — |14.25] ,00) — (15.27) ,00|40. 6|15.24| ,66|-8.58/14,22) ,62 — 115.28) ,00) 8.35/15.22) ,56|7/.18/14,.20) ,781 19 15.29 ,28 11. 18.15.22 .74|40.29 14,17] ,73| 56/15.30! ,25 3.54/15.48| ,25|21. 014.19] ,67| 35/15.30) ,23) — [15.16] ,00) — |14.:9| ,00 18/45.34! ,24|:9.43/15.44| ,64| — |44,/6| ,00 95115.341 ,22|:7.17/15.42) ,48 {4.92 ,00| 4.25/15.32) .28/119.57/15.19) ,66 LAA AA, 0) ,30) 3.34|15.33) ,23|5.40/45..7) ,37] —|43.57| ,00) 4.h9115.33| ,34|| 5.47/45. 5) ,35| — [13.55 ,00 — |45.34| .00| — (15.3) ,00]:3.48/43.59| ,24 7. 515.341 46) — (15.4) ,00) — |13.49) ,00 — |15.33) .00| 7. 014,59, ,47| — 13.47) ,00 15.33) ,00| 4. 714.58 28) — (13.44.00 0.4515.32) ,05| 6.3114.56) AA — (13.42) ,00 9.43|15.32) ,59| 5. 644.54) .34|| — [13.39 ,00 7.52/15.34) ,51]8.8014,52 ,57|| — [13,86 ,00 3.4415.34) ,24| -- (14.50 .00|10.32/13.33| ,78 9.45/15.34) ,63|| 9. 014.49 ,61| 5.4813.31) 43 9.2515.30) ,61| — (14.48) .00} — |13.28) ,00 2.30|15.30) 146] — [14.46] ,00| — (13.25) ,00 6.40145.29| ,49| — IAA44 ,00) — (13.22) ,00 | | 7.43 14,42 ,53 (10.50113.18) ,81 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. | || | Settembre | Ottobre: .. | Novembre | Dicembre DO I (Giorni ue > 2 CL, | il | | | | SA DI | zar Oz | IEAELIArLEORAE A Bela e — hl SÌ | an (ve — cn ie a | | n ni 0 m| | hm hom e I) | 9451315 0,73) 0. DALAÎ 0,00 0. 0/10. 70,00) 0. 0) 8.59) 0.00 #0:15/1319| ,78| — 711/38/7,00] — |10:74| ,00| — | 8.57|.,00 #0.24/13. 8|_,79| 7.30111.34|-,65| — |10.-1_,00| — | 8.56] ,00 70.27/13. 5|-,80 3.40111.34[-,32| — | 9.58.00 — }-8.55) ,00 945/13 9 775| 8.1011:28| 71 | 3.30 956) ,357 — | 8.53) 100 10.53|12.59|- .84| 8.34|11.25|.,75|| 2.44 9.54! _,281 — | 8.52] ,00 6.20(12.55|- ,49 || 6. 0/11.22 de — il 9.91/-,00]|| —|.8.51) ,00 10.20|12.52|- ,80| 6.341149/-,58| — | 948 -,00| — | 8.50) ,00 10. 31/12.49 ,82| — 141.16/_,00| — | 9.45] ,00| — | 8.49 ,00 — |12.46.,,00) — 11.42 -,00) — | 9.43/-,00|. — | 8.48 ,00 — |1243/ ;00| 4.141. 9) ,38| 3.50) 9A1| 40] — | 8.47 ,00 NO. 012.40 74] — (11. 6-,00| 2.40) 9.38 _,28|| 4.30/- 8.45: 54 10.46 12.37.85) — 11.3) ,00| 2.10) 9.36) .23 5.50) 8.44 ,67 10.30 12.34.83 64311. 0,61) 1.55 9.33.20) — 8.43 ,00 Î9.50112.32 ,78| 7.480,56 ,71| — | 9.34) ,00| — | 8.42.00 10.2812.290,84&| 6.59/10.53| ,64 — 19.29) ,00) — | 8.441,00 3.1012.26|- ;26| 4.39/10.51|_,43} — | 9:27.00] —*|?8.40| ,00 545 9.935 46 | 4.284 048/741 | 2.401.9.25/ 28] — | 8.40) _,00 fi — 112.201,00) —- :1045|--,00| — + 9.22/-,00| — | 8.40 ,00 — |12.16/,00| — 10242|7,00]| = + 9.20 3,0@" — 8.41}: ,00|2 Mi 112.13] ,00| —10:39/7,00|-3:377 9.18! 39) — | 8.417 ,00|12 E |12.10|_,00] — |10,36|_,00| = |"916| 7,00] 6.14 841,7 — |12. 61,00] —10;33/-,,00.| 3.38 9:13|5_6L|- — |-8.42| ,00 _ 12. 3| .00| — 10:30! 00] 715091178) — | 8.43) ,00 — 142. 1) ,00| — (10.27) ,00| 6.25) 9. 8| ,69 — | 8.43] ,00 3. 2\11.58 ,38| — |10.24{ ,00| 4.25) 9. 6|_,48| — | 8.43) ,00 ES IL5AI ,00)-— (10:21 ,00| 7.13| Yi A,79|— | 8.44). ,00 4.5011.51| ,44|| 5.30110.18] ,53| — | 9. 3) _,00| — | 8.44! ,00 7.2211.48) ,62| 5.40110.15, ,55| 7.30) 9, 212,82) — | 844 ,00 4.1214.441 ,36 || 6.36/10:12/- ,65 || 8:30: 9-0|,38| — | 8.45) ,00 | 7.360. 9 75) 4.50 845,55 | | | DI dI N n° — GO RAINALDI B. 124 8L0‘0 n'ELE REG) | E'C8E 866°0 | L°886 067°0 | 1748 CCG | 9787 888° | 6°697 9960 | G797 01E0 | 8°8C7 L68°0 | 8°&07 NERO | 0898 987°0 0°00€ 8LE"0 | &'786 - | g ASH MW TIE 0°101 9891 9°601 L°8GI LEGI VEyI MEGI 0°78 PASU/A| 101 î F OTr0 l6‘66 667°0 | &16 lazio | cui OLIO | 2ÉGHI ERO | &GYI 760 | 9891 ago | e°esi (8910 | 25991 8L8°0 | 9°GEI (8010 | 2'9EI | 2090 | #26 (LOTO | VOI a q ‘ITISUQUI 9 IOTIpeoep I01IJOULOUBFOI]A 17BWnst] LEI 907 CE 706 G'LE 0°87 6°67 V°8G g'Ge n'e I'6e 916 U 810 GELO 8180 927°0 VIARIO 8660 CIT VASTI () )CE0 00€0 IGE 0) 6090 peo] +7 848 | 8001 \0€6 | 6°8ì 601. 876 \0°S1 | S°66 9071 | #23 OC | 8% cola 10871 | 9°£8 19981 | 288 ghe Gg | 44201 | 6°€8 GI6 | VS q 4 i EA | V ‘000‘0 R°88 £90°0 066 GEE | 247 \889°0 0081 (GLZEO | 8471 7600 | e4e1 cIZO 0°7CI OSO | 197] 1G80 | 9661 GEE | 111 6640 6 }86 Geo L 88 i | q 0°0 9 807 488 0°cG 79 98 *[] VITUAVI, 91qUe9I(] QIQUOIAO N 049010 0I1quFJog ‘ ‘09809 y ‘ * 0I]SN] ouSnI 0ISSEN ‘* e[tidy * * OZIBN PRI OIRUUAL) 806I 25 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. SLO 0 OELE tas; HER 8660 L'88E 007° 1,° 71€ 00977 8860 6697 9660) G°797 01808807 L06608 °€07 8660 0°898 1987°0.0°008 (8LE°0/7' 786 3 VIE (0°69 (0°T0] 19°89] 9601 (4861 LE61 T37I OTEI (078 PASSA! WAFAOA! Lt| V08 6 IEV O'OLI, 6 UA! 79 96] GOT (GOT C( 6I-81|8I-L2I| LI-91|94=SI _————zzkAzx:= ge 0% |GE4 | 88] 091 |0°9I \0°08 | 81 ER 6% (RE (EI MOT GE] 091 17 Lev GI GI 8° |6°16 | 616 981 | 0°17 te IU | | GI-FI | FI-S1 871 JR PST C) 701 LEI Vel CGI 797 GET 8'6I eg L'0E OG lo( GIGI 841 18°6 109 981 G‘C] SOI GT 6VI CY] Tei C°8 1°0G 0°81 q GI- 29210 2SIITEeCT ‘ONUUB 0FUNSSEIY] DA 3 L'671 0° 0)°9 0°6 71 UMONI 924 CLI 671 GUI E9 TRI & GI U TI-0I STI VIIaVA], il & 60 OG 6-6 BEI (8 L°9T Li 8*%0)J CEI 198 tp 6 17°) q l'i = G ON Cl © : LQG —_— — _- — . « pe d _ VE | |QITQquIaggog | || | | | QIQUIOAO N 3 ONNVY | QIQuI9OI(] ‘ 21q0990 | ‘ ‘ogs05y | ‘ 0I]SNT] ‘ ‘0uSNIY ‘018.1QQ9.J ‘ OIRUUAL) 126 B. RAINALDI Osservazioni sulla durata dello splendore del sole nel 1908. I a giornata di t il rapporto £ si è spinti n nessuna glorna a 1 ques Anno 1 l'Aappor (0) “pi Sl e spin (0) oltre 0,85: per questo riguardo il 1908 sta al disotto del biennio precedente. Il minore soleggiamento è confermato dal numero rilevante di giornate completamente coperte, le quali sono state 146: di queste ben 27 si sono avute nel mese di dicembre. Le dette giornate sono così distribuite : in gennaio 9 in luglio 8 s febbraio 4 , agosto 18 ; marzo — 14 , Settembre 10 » aprile 9 , ottobre 14 , maggio ll , novembre 14 s giugno 8 » dicembre 27 Notevole, dopo quello di dicembre, il periodo di giornate consecutive coperte accaduto nella terza decade di ottobre. Dl . . A x n . x pi massimo valore di TT stato 0,85 e si è verificato nel 13 set- tembre e in questo stesso mese si sono avute altre giornate in Ai = g è compreso tra 0,80 e 0,85: è da osservare però che i valori di A, in questi rapporti, sono dovuti a gior- nate in cui il sole era velato da nebbie e da nuvole per la cui il rapporto maggior parte della durata. I giorni in cui il rapporto pi è compreso tra 0,80 e 0,85 sono appena 11, sette dei quali sì sono verificati in settembre. Sono giunte a 104 le giornate in cui il rapporto B' essendo nullo, è stato minore di 0,5: tali giornate sono così ripartite: non in gennaio 5 in luglio 12 s febbraio 8 , agosto 4 > gparzo. ‘43 s settembre 6 , aprile 9 s Ottobre 4 s maggio 7 », novembre 10 »s giugno 16 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. Tan Le quattro giornate di dicembre in cui sì è avuto soleggia- - A mento, il rapporto = ha superato 0,5. I giorni in cui il soleggiamento è stato poco intenso, sono 45 e sono così distribuiti: in gennaio 6 in agosto 3 s febbraio 8 s settembre 14 si mMaggio: 0 3 ottobre 1 n erùgno; 2 ,s novembre 3 s luglio 4 s dicembre 1 Il massimo decadico del rapporto ‘a 0,682 si è avuto nella prima decade di settembre, e il minimo corrispondente nella prima decade di dicembre in cui A= 0. Il massimo men- sile sì è verificato in febbraio con Tala 0,486, il minimo rela- tivo in dicembre con er UE l'escursione tra gli estremi mensili è dunque 0,408, quasi uguale a quella dell’anno pre- cedente. In tutto l’anno A ha raggiunto 1359",2 ed essendo B uguale a 4454,5, È — 0,305: quantità sensibilmente inferiore a quella del biennio antecedente. Giorni | Gennaio Febbraio | Marzo | Aprile nn A ri | n n —_ — | — curia 247801 A | A A A B B | A B B | A B B | A B B I Barr - _ — nt “1 n lì m hm h m h sn hm hm | hm hm 1.50 8.46|0,55| 4.54) 9.390,51) 0. 0/41. 50,00 |2.58/12.45; 0.23 4.25) 8.47) ,50| 648] 9.43) .65)| 5.14311. 81 47) 3.55]12.48| ,34% 2.20 8.49.27) 5.46 9.46 ,59| 549/1111! .521 3.45112.50) .29 |11:44/:8:50,20) — |:9.49 ,00| 7.23 11.44 ,65.|12:192,53| ,19 = |8.5A 00 2.369,52) ,26|| 4.45/11.17) 42) — 112.56) .00) |‘0.54]) 8.53) 10] 4.52/09.55) 49]! 5.44/11/20! (51 || 7.50|12!59) .60 1.50L:9:55) a;21:6.25) 9.5 or ,65.| + |11,23! _.00 |. 5.200.005 = .118.56).,,00)) 6.14/10. 562, — 11127/',00 (10.250 sattitaS 157) 002.52; 10, 3 29, — 11.30.00 (10.35/13, 8,81 — | 8.59.00). — [10.6 ,004 — [11.329,00 7140000 - 9.00 .00) 10. 9,00] 1.33/11.35/ .13| 8.48113.13| .67 9. 1, 00], — (10.12) 00| 4 ‘411138! ‘300 2.159 100o i la 00]po = MTOA5] 001; (AT41! 00) 836340] 66 — 9. 5) ,00) — 10.148) ,00| 7. 041.45 ,60|zZ. 013.22 ,82 — (9. 7,00] 5.72010.21| ,50| 2,2914823 !27156]13225| 0398 — | 9.9 ,00]| 3.2910.24| ,34| 8.301.514! .70| 8. 313.28! .59 2.40! 9.40) ,29| 7.47/10.27] ,75| 9.2011.54' .78| 4.22/18.31| ,82 — | 9.12| ,00| 7.3010.30) ,72]| 4.39 11.57 ,39| — _|13.34| ,00 1.36 9A4! A7| 2.58/10.33| ,28| — |12. 1| .00| 2.50113.37) .21 — |-19:46) 00] 3.40/10:35|230.]ja 2! |12:5) 00] MARR 6-9 GA7| ,67.7:22,10.38| ,70| 85112. 9 ,73| 5. 5144/0087 — 1 9.19 ,00) 2.300.414) ,23| 6.3912.13) 54| 415\18.47| ,34 — 19.29) ,00| 1.55/10.44| .48|| 3/44/1216) ;30| — 43.50) .00 | —.|19.24) 00) — |10.48/ _00./10.20142.20], 84&|j — 653000 3.26) 9.26) ,36| — [10.54] .,00|| 2.47/12.23/ .229]° — 173555) 3004 — | 9.28) 00) — [10.54 ,00| 5. 912.26) 41| — 1413:58) 004) — | 9.80) ,00| — |10.57| ,00 10. 13,12.29:,82) — |14. 1| ,00 0.31 9.33 ,05| — |I1. 0) .00 tezs 82] 6.52114. 4 49 0090) ,00 1.34/12.35) ,12|11.37 14. 7| ,82 — | 9.88|,00| — |12.38 (00 |10.43 14. 9 ,76 56 9.40) ,62| | 1.26/12.42/ 41] | | | | | B. RAINALDI TapeLLa I. — Risultati A= Durata dello splendere del sole in ore e minuti. eliofanometrici LA DURATA DELLO SPLENDERE DEI, SOLE, .ECC. diurni dell’anno 1909. ————————————————————w—»—>»>»vvrv————+—++——=_====2l_-=—— =——=—=————_—_—______— B= Durata del sole sull’orizzonte in ore e minuti. Il Maggio Giugno Luglio Agosto A A | A A A B B A B | B | A B == A B B | | | bi mi | m | h m bh m h m hesm 10.57 IA. 12 0,77 6. 13/15. 0) 0,44 |11.2215.29| 0,73 |11.13|14.39| 0,76 M0:58/44.150 77) 7. 015.21| 46 | 6.50/15.27| 44 5.5514.37| 40 12.29/14.18) ,87| 1.1315.22) ,08| 0.47115.27| ,05|14.30/14.35| ,79| 8.50 14.241,59 | 7.1915.23) ,48 || 8.10115.26) .53 |10:40/44.32| .73 #1.18/44,24| ,78| — |15.24| ,00| — |15.25) ,00| 3.39/14,29) ,25 M0-16\14.27/,71) 6.3015.25| ,42| 2.4215.25) ,18) 3.58 14.27) .27 — |14.30j_,00] — |15.26) ,00|10:16|15.24! ,67 |10.30|14.25| .73 — |14.32 ,00| 1.17115.27! ,09|| 6.59/15.24! ,45| 8.23\14.22| .58 {E2.30),00||\21/6/10.28! ),15|.3. 0115.22) (,20 || 5.00/14.20|,35 4.370,00] — |15.29/,00| 2.44/15.22; ,18| — |14.17| ,00 3.48,14,39 360 (]15.2914,00|T=2* 5.204,00 |} }7:30/141 500,53 2:57144.41!,20|) — !15.30!.,00 || 7.31/15.18! ,49 |10.58/14.12| 77 — |14.43f,00|-7. 2145.3046 || 5.18)15.16! ,35 |10.30/14. 9| 74 457:,00]) 8. 2/15.341f0,52|5. 045.44! 33 SASIA. 6)/,62 8.744,47) ,55| 1.42115.31) ,A1| 4. 5/15.12! ,27 |(11.46/14. 2| ,83 — (14.49 ,00) 2.40 15.32| 17 | 2.417/15. 9) ,45| 85514. 0) ,64 2- (14,52)0,00| 5.30 45.336,35 |.8. 2/15. 7).,53| 3. 213.57) ,22 Bio Ma.53h,49 | 8. 645.330,52 |11.18|/15. 54,75 | 6.38/13.55|. 48. D.3314.57/ 44 6.33 15.34] 421 6.47/15. 310,45] 8144/13.52| 59 6.51114.59/ 461 9.30 15.34 -,61 || 5.14|15. 1| 0,35 | /4.28/13.49| (,32 ESO:t5, 163,40 |\63-'|£5.34#1,00 | ROTA 59,22 I 5508.470442 ME 15. 3/00! 5.4915.33) 137 110.38/14,58) 71% — |13.44)/00 #0.30/15. 51,70) 7.10.15.32) ,46 || 6.35/14.56| 44 .|10.25'13.492| ,76 MP:2345. 61,16) 7.23'15.32) | 48. 6.56/14.54' 47) 7.3213.39 ,55 Mi (45. 8,00) 3.18115.31} ,21 | /2.49/14.52| 19 || 7.48113.36| ,57 I (15.10) ,00| 1.48/15.31| ,08|| 8.40|14.50) ,58 || 0.28:13.33) 03 Mi (15.12 1,00/10.26|15.31| ,67 |10.25114.49) -,70 | 2.39,13.34| ,20 I (15.14 ,00| 7.2815.30) ,48| 9. 714.48. ,62 2.14/13.28 .17 5:44/15.15 1,38 || 9.26/15.30| 61 | 9.3214.46||,65| 7.57/13.25) 59 44.2015.17, ,74| 9.83/15.29) ,62|10.00 14.44 ,68| 8.1213.22| ,61 9.1515.19. ,60| 9.25|14.492| ,64| 5.21/13.18| 40 Atti della PD. Accademia. — Vol. XLVI. 9 Giorni B. TaseLLa I (Continuazione). ————_____________________——_—_—_c---cceceTe Giorni Settembre aerea A A B B h m h m | 0). 015.15 0,00 — 143.12) ,00| | — 43, 81,00 | Q44113. 5) ,74 | 8.4213. 2 ,67 (11.20 12.59 3,57 | AA0/42.55) ,36 — |12.52) ,00 12.49 _,00 12.46.00 1.57/12.43/ (,45 2 112.404 1,00 6. 9/12.37| 48 DIA 27 — 192.32. ,00 l,\042.29 ,32 Il 4.28/12.26/ ,96 — 12.23/..,00 10. 012.20) .,81 — |12.16| .00 224/1213] ,20 — |12.10| ,00 1.18/12. 6| ,41 8.28/12. 3-70 8.26/12. 10,70 5.95/11.58/ (47 9.30 11.54] ,80 9.3211.51/ ,80 5.35\11.48| ,47 3.39 1.44| ,34 | | | Ottobre | e. i h m h 3} (0/11. 4 (0,26 | 24: 38 ,00 7.38|11.34| 65.1 | 8.38/11.34| ,75| 2° 41.280,00 — 44.25 ,00| 5.05/11.292) ,45) 15314 1INCAT 8.39/11.16} ,77 | 9.32/11.12<,85 | 1849/00. WC, Z5.| 9, Q44. 64,84] ALT. 301,50 2 E 000 8.3010.56) ,80 | 9:27110.53! ,87 | = ILO.54| ,001 — |10.48| ,00| 9.29 10.45) ,88 | 1 94010.42 ,90 | 9. 010.39) .85| | 6.4310.36] ,63.| 7.44/10.33) ,69| -— |10.30| ,00| 9.15/10.27) ,88 | 6.3410.24' 63 | 5.49/10.24| 54) — |£0.18|/,00 = 20.150,00 = |#0.12)(,00 CAO. .00 | 4) RAINALDI | Novembre Dicembre A A 42 | (ee h m h m h m h m 0. 010. 710,00 | 0. 0, 8.59) 0,00 75540. 410,79) — |0a:5 7/00 7.55/40. 1,79. — ‘|T856/0000 45|%9.58|,38.||— ‘8155/00 — [09.566,00] — 1835388000 — (09.541,00. — (8.520,00 299.50) 1,851 — |Y8.54|00 5. 0|09.4800,51 | \—|M8.50F00 — | 9.45) ,00|\ 0.40) 8.49.08 2 [19,431,00.|-— ‘N8/28i00 6.59) 9.410,70] 0.33) 8.470,06 2.48: 9.38! 1,29 | 6.10! 8.451 70 2,19|19.36124| — [US.444-00 —. |19.33FE,00:| 043608 = |19.34f,00.||(— 342/000 — |19.29f1,00.|)( — 844000 > (79,27(,00.|1N—*/08.-Z200R006 +4 .1€9.2541,00.|| = (Nè L000e = |C9.2% 1,00 | — (|08.40/0400 = 1|19.20}4,00.|— -|0844000 0.18 9.18] ,03 | 4.20) 8.44| ,50 = 179.161,00. —1 08.447 700 5.57) 9.13) ,64| — (08.42) 00 5.80;79.14|1,60|C— 0843/4090 | 0.51 9. 8,09) — |\8.43f ,00 4.27, 9. 61 ,49 | 2.51 8.43|/ ,93 2 0):9. 4| (22 — |18.44| 400 | 4140/79. 3146 PE |NSZ44 500 0.559. 2} 40 — | 8.44 (,00 — |.9. 0),00|) 5/45) 8.45) 66 | 2.18| 8.45) ,26 151 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. i | | I | Il | 5 | ‘8800/0646 (966 |8ST0 (666 | EST |Z20°0 | 858 | 29 |B00°00|8°88 | 2°0 0 9IQU99I( 6760 | 8°86 | 169 |v96'0 |E4I6 | 173 |9gr0 |0%6 | 01 |8E0 |0°66 | 08 | e1queaoy RET"O | L°8EE | E*871 | ecco |S11 | 14% |6we'o |eG0r | s°6c | ee | 2711 | ew |: csgono \748°0 | 24748 | 8°8I] [9890 |Z°61T | ES |8S60 | 01 | 88 |960 (00081 | 7% ||‘ osquogpog 17870 | 94787 | 00018 | L68°0 | &671 | #°8C ELSO 907] g°08 |687%0 [8471 | oz |: 09508y \C9E%0 ves H| GGG |GTE0 |E7S1 'aee= rp | | |LVO | 6°69% | 8°CGI | ceo | 9°goT | c‘z8 | ‘ 080] L68°0 | EST | 219 |61E0 | GSi | V°67 |z060 |07s1 | g4e ||: cus 2080 |T9T | 941 | ILE 0 | 8867 | LG7I | 1.60 L'997 GY 19930 (07871 T68 (8770 AA! GTO 0 vo dl 0195 N | FLESO | 8“e07 | 8°G7T |oza'o |ofser | eee |zeeto |otwer | s'e | rex |9'6gr | esc ||: - ogtady 1780 | 0898 | 46261 | 9va°o | 29981 | 0°19 |0ge0 | 'stt | 848 | ceto | Wert | 6°88 |}: ozaen egg | tesa | s'18 |cekto | eos | s‘11 [osato |2ie01 | 108 |eow0o | 686 | 668 |: oreiqgog | Il ; | | | | | | (86N0 |G786 | 898 |710 |GF701 | 091 | 2700 €16 | #7. |08K0 |(2°88 | 0°97 |- ©: oruneg Y Y Il | q | U | q q q | LL ì al | IE Ad E i iter | | 16 A Ali 186 RE: Ai Riti AA egli ar ri 7 d ab a E I 3 1 | ES, | = TRN SER] i P la 606I HSUN | IPB] 6 | IPBII(] #6 PBI] »I ‘INISUOWI 9 IOIPEIeP I9IIJQUIOUBJOITO IYBI[OST] — ‘][ VITAAVI, RAINALDI B. 132 L68E°0 €80°0 760 8e7°0 7160 7870 LV7°0 408°0 1L8°0 rL8°0 0 19:80! €860 8610 V 91 (TI | GG | Î Î Î Î 6 © 6I- g1|1- Lil LT-9I V6777/6 0ELE (96 | E°G86 (b69 |" SEE CRY 0° LULE |8°8TI VE (00TE 6697 |(8°CG1 C#797 (9671 8807 LOVI 807 |(8°071 0898 |L'LE1 V68G (88 CT86 (89€ LI L' | 7 = | q Vv | | 6°081| il 8 GGI n —_ G G = <@d — 0a SA 0 Ò € TE 1A o GI 1A = ——— —— — — G —_ _* Na RG CI =} Ù È GI GI — — — A So = Li DS = NES ‘ONUUB 0FUNSSeIY | | gie ;G 06 08 | 88 MOLTI [7I | 961 0°61 | 961 VAT | 606 GTI |67I ET} | GGI L'OV | V6 049, | 671 GI 78 06 IE q | U GI-FI | FI-SI oaIOo NC cane (GEL |9°F} G8I |V8I 071 | 681 9°06 | 607 006 | VIE (OST | G4I GEIL | VI 671 VS CEI | 001 (7 LZ | u y GI-3L| I-II | rei E | 1991) GELI 0691] 971, CT |96 LOT (69 67% | 0°G] LITE 907 GIG |L8I VIG | 206 TON VI VZI |OGI 0°8T | 6°SI 0°€1 | 961 08 | i N) u U LI-0L| 0I-6 ‘III VTIAAV], G°96 | 9°EG| SOI Ci L — __ RATES a Ai TO ae CCI |06L| 67 GUIA VENERE LINO ME Mil ezio) C8 61 So 9°) sa I U | q 6-8 SL L-9 È III ———————yY@_ ——_ SR MONEY, Q1QuI89I(J QIquIoAO N ‘ 210990 QI1quI9jJog ‘ 03S08Y ‘ * 01]SN] ; dai ; 0195 ‘ eprady »*" COZIBIN IIZOUERI ‘ 0IBUUAY) - 6061 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 133 Osservazioni sulla durata dello splendere del sole nel 1909. In nessuna giornata di quest'anno lo splendore effettivo del sole (4) è stato uguale al teorico (5); il maggior rapporto tra l’uno e l’altro ha toccato 0,90 e si è avuto nel 20 ottobre. Al contrario, numerosi sono stati i giorni in cui A=0, queste giornate sono ripartite come appresso: in gennaio 19 in luglio 2 » febbraio 11 , agosto 2 s Marzo 8 , settembre 10 » aprile 8 SIOEEO DEE Ap maggio 13 s novembre 13 giugno 6 s dicembre 24 Anche in quest'anno dicembre è stato quasi sempre coperto, ed è notevole che simili giornate coperte hanno abbondato anche in gennaio. I più lunghi periodi di giornate consecutive senza soleggiamento sono accaduti in gennaio (9 giorni) e in dicembre. aa A . In 21 giorni il rapporto 7 ha sorpassato 0,80, essendosi B avuto: 0,84 nel giorno 24 marzo 0,80 nel giorno 27 e 28 settemb. 0,82 5 27e28 |, 0,85 ” 10 ottobre 0,82 a 8 aprile 0,81 5 12 n 0,81 5 IERI SS 0,80 3 15 A 0,83 È TL 0,87 A 16 5 ‘0,82 a 14629, 0,88 È 19 ; 0,87 3 3 maggio 0,85 A 21 È 0,83 i 15 agosto 0,88 4 25 3 0,87 S 6 settemb. (153 SRO 7 novemb. 134 B. RAINALDI Il massimo di questi valori si è verificato in ottobre rag- giungendo 0,88 nel 19 e 25; i summenzionati valori hanno rag- giunto il maggior numero in ottobre. A 2 5: Senza essere nullo, è stato minore di 0,5, sono state 120 e sono distribuite come segue: I giorni in cui il rapporto in gennaio 8 in luglio 19 s febbraio 8 , agosto 12 3° Marzo Vus , settembre 11 n apre! © 12 , Ottobre 6) E MASO , novembre 9 s giugno 18 » dicembre 4 I giorni in cui il soleggiamento fu debole sono stati 63, di cui 29 in aprile e maggio. Il massimo decadico per il rap- CIOR Tag: De porto | è stato 0,575 e si è verificato nella seconda decade di agosto, il minimo corrispondente è stato 0,008 ed è accaduto nella prima decade di dicembre. Il massimo mensile si è avuto in agosto raggiungendo DI = 0,484, il minimo in dicembre con = 0,083; l’escursione tra i due estremi mensili è 0,401, cioè, molto vicina ai valori degli anni precedenti. In tutto l’anno, avendo A raggiunto 1451%,9 ed essendo B = 4443%,6, è il rapporto £ = 0,327. LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 135 TABELLA IV. (Tempo vero locale) Numero medio dei minuti in cui, per ogni ora di ciascuna decade, splendette il sole, con le rela- tive medie decadiche quadriennali. 136 + RAINALDI ——m——__ ___———_ _ MESE (Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio (Giugno Luglio Agosto Settemb. Ottobre Novemb. Dicemb. Decade MO DS UG 7109) » l'an 9a 3a |a ya 3a |a Dda | | 9a |a DERE ): Di |a Ya Za 1a Ya 9) DE 18 9a DE 5) a la, 2°, “) | 3° << » JO lu — ; 0 00 > 1 DS ho dt NI Ut DO DI sa ni LN Dn = (A MO 00 = Oi SERENI SASSO lee 0.0) 0. 0, 5.8 4.6 BA (),3) 12,0 1,0 26,3 (444 9 17,1 5 9,0 2,92) 29,8 728,8 725,9 323.5 ),4 16,9 46,5 9,2 10,8 46,1 ,3| 11,6 42,5 8,2| 3,9 9.5 46.4 33 2,3 21.0 8,9 34,8 9,1125.2 3,1| 13,2 1.9 22,6] 1,8 24,7 0.4/19,4 1.9 ‘1908 | 1909 Media 1906 | 1907 0.0 0,8 929.5, 26.4 12,0 1,9| 23,3 13,1 18,0. 9.6 29.5 18,0 9,6 24,8 DDR, 30,5 28,5 492.1) 9,4 13.0 9,0 1,4 qb gh usi cn 1908 1909. Media m 0.0 Re 0.0 1,5 3,0 13,2 10.4 42 | | 3,0) 14,5) 4,4 12,8 9, AVA ha) 1,9 6,6/12,2 29,2) 1220460 13,5) 18.3|11,9 21,8) 4252479 192,3) 32.8.29,2 12,0 14,0 9-540,7 10,4 15,0/23,3 14,0 18,6 24,2 21,0 16.222.3 28,3, 24,4 20,2 3; 20,7) 20;0/3400 20,5| 23,1|25.9 28,06 44,2 34,0 6,0) 21.525 9,7| 5,5) 9,5 LA 45204 28,6) 3.0/16,3 Du. 7,5 2,4 8.9 2,2 1A 'LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. MESE (rennaio | Febbraio | Marzo Aprile Luglio Agosto Settemb. Ottobre Novemb. Dicemb. gh_gh 95-10 — _—— —_ _—_——_m& 1906 1907 19081909 Media 1906 1907 | 1908 1909 Media 3,0) 5,2) 0,0) 3.4] (2,9) 14,8) 18,0) 8.8 26.5/17.0 9.1 0.5 19.0 26.0 9.9113.7 93/7105 407205) (0,6). 8:90 3.40 84 16,41 3.9 16,2 9,1) 27.8) 15,6) 28.5 10,5/40.6 23.0 2.3 14.0 12,3| 25,4) 10,6) 20,5) 16,2|18.2 23,5 48)14/ 27,0 17.2 28.0 31,9 40.0 3.3:27.7 33.5 19.0 22,2 7,2 20.5) 43.2) 30.0 22.2 18,0,28.4 39,5) 53.5) 24.0! 18.0) 33,8 46.8) 58.2) 27.0) 24,3/39.1 921.5 A7A\ (4,6) 23,7) 24,2 22,3 51,2! 6.7 30,0/27.6 230° 18,1)31,3| 25.6) 24,50 21/0! 24,0| 25,3) 31,6:25.5 16,8 20.0 18.0 25.5 20.1) 18,0 28.5) 18.0 37.1/25.4 32.5 39.3) 30.0! 21,2) 30.8 36.0 36.0! 33.0) 26.7/32.9 30,7 26.5. 44,6 36.0) 34,5 40.3 30.0 52.0 33.0 38.8 29,0 48.0) 13.0) 6,0 16.5 25.51 21.0 18.0) 21.4/21.5 30,3 13.6! 6.6) 25,7 19.1 24.7 24.5. 16.4! 32.3/24.5 53.4 24.0 21,8 24,0 30.8) 59.0 24.0 20.8 25.3 32.3 49:14) 18,2| 25,3) 31,3 31,0|55,0) 26,3 36.0 43,2/40,1 434 7.0, 30.0 12.0 23.053.2 25.6! 30.0) 34.1'35.7 1:3751-26:9/ 36.7) 31/9! 27.31 23,3| 3717|39.4| 40,5136.7 43,0 46.5) 30.0 25.2 36.2 45.0) 44,5 21.6) 32.4/35.9 36.4 41,5) 30.5) 27.1 33,9 38.2) 47.1| 32,7| 46,8/41.2 45,0 34.0 30,0 40,5. 37,4 43,7 36.0, 30,0 47,3/39.2 36,0 45.5. 6.0 26.6 28.5/38.1 50.4 13.4 35.5/34.4 30,8, 27.1 10,9 22,5) 22,8 48,2 40,3) 10.9 26,8/31.6 50.7 29.2 47,0 12.5) 34.9 59.5 40.1 48,0 15,940,9 35.527.0 36.0 9,5 27,0 42,6 27.7 33.0 18,0'!30.3 35,2 17,3 99.7) 18.8/38.819.2 5.6|29.5/23.3 16,9) (5,5) 14:5120,3| 14,2 /277| 14,4) 24,0) 27,4/21.7 5,91 5,0! 19;0| 4920) 15,3||13,7) 18,51 16,3) 38.0(21,6 9.9 L9,7\05)7/16)2: 19,34. 022,9141,6 10.0 8:01 4.5 0:9 18.0 2/.010.7 332/003:0 9 1192 17,9) 5,5) .41,5|14,0 9,8 12,2 3,8(24.0 6.0 30.0. 1,815.5 1.0) 2.0 0.8 (3.8) 13.5 4,3 5.0 1;313,6) 19,3) 2.0) 6:5/10.4 SISICA 6611 .8D07.1 138 MESE Gennaio | Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settemb. Ottobre Novemb. Dicemb. B. RAINALDI & 1058-11! | 112-191 (os) . -——... _—t_-h-———Pm66 _... € T——€mP_ss=——@ Sa enni FRasai pini Pena 2 | 1906 1907 1908 | 1909 pic 1906 | 1907 | 1908 1909 Media | m | m m RR ari m un m | m | m 12 16,5 26,4) 18,3 30,0] 22,8 18,0] 30,0) 31,7 19,6/24,8 2% | 10,0 28,9 55.4| 9,7] 25,9|19,5)40,5| 55,41 6,0(30,6 13» | 33,4| 8,2] 191] 16,7|19,4|39}7 14/9) 18,7| 15,6/21,2 1® 31,5) 23,1|37,4) 16,6) 27,2) 28,7 35,5 48,533,2136,5 9a. 28,5 25,2 27,0] 25.2| 26.51 30.0| 27,0| 25,5) 21,0/25,9 3811 33,8/ 37:7/51.4| 5,5] 32,0|41;2/ 39,2) 52;4| 5,5/34,5 48 (48,0 29,5) 20,9 21,5 30,0/48,0 32.8 6,0 24.0/27.7 2 | 37.8) 50,6| 17,9 18,0] 31.1|36,0| 50,5| 18,0| 25,7/32,6 38 || 25,4) 44,5| 17,4] 35,3) 29,9| 27,3) 43,6| 24,3| 37,1/33.1 12 21,3 29.1|31,2 40,7 30,6 22,1 28,6) 37,1 49,734,4 9a 25,6) 28,2) 18,0 42.0) 28,5 21,3 36,0] 18,0] 34,3|27,4 3% | 34,5 36,7) 36.0 25.6) 33,2 24,0 45,1| 36,0) 18,0/30,8 12 | 43,2 36,0] 53.6) 36,0) 42,2 48,0 31,4| 50,8) 34,3|41,1 2° | 24,5) 24,0) 18,0 34,8) 25,3 29,9 24,0) 18,0) 36,0/27.0 3° | 33,5) 26.4) 16.4 28.6) 26.2 41.0 17,7) 16,4 30,0 26,3 1° 47.1 20,8) 28,6 33,6) 32,5 55,8 18,0 24,0 24,0/30,5 2° 50,9 36.0) 40.3 42,0 42,3 45.7 36,0 31,0, 39,1/38.2 32 54,0 39,0] 34,5 40.7) 42.1 48.5 38,8| 30.0) 40,5/39,5 1229,2 46,7) 43,3 40,11 39.8)32.6 47,2) 45,0| 38,8/41,9 9a 48,0 49,0] 29.3 38,4 41.2 48,0 53,5) 34,6) 37,0/43,3 3% (38.2 51,1)30,2 43,6 40.8 38,2 49,6 23,1|46,4/39.3 nllitoe | iveco 1a 42,0 36,0 28.4 42,0 37.1 43.8 36,0 31,8 35,3 36.7 | 22 | 48.0 54,0| 21,7) 44,5] 42.1) 48.5) 56.0) 19,3] 47,1|42.5 38. 45,6| 38,5) 10.9] 37,1| 33,0] 45.9) 35/7| 12,5] 37,1/32,8 ‘12/60,0 39,4/48,0 24,0 42,8 60.0 46.3 54,0 24,0/46,1 22 47,2 30,0) 30,0) 20,0 31,8 46.5 30,0 27,5| 19,5(30,9 3° | 85,8 29;5) ‘6:0) 26,3] 22,7|/40,5| 29,0) 11.5) 35,6/27,4 1a 28,5 0,8| 21.0 31,7,20.5) 34,3, 10,8) 28,7) 33.6/26,1 2a | 18,8 20,2) 13,4 30,0, 20,6 11,3 29,3 29,1) 39,0(25,4 38 | 21,1) (0;6| 20,9] 25/0) 16,9 21,81 5,0) 24;8) 32,7/20,3 13 |\Uf;1|18:0| c.d |30;0/12,3|(630/18,0 ") |30,0|13,5 23 (19,5 24,3 12,2) 11,5| 4552 #65 9,510,3 3° 26,7 4,7 36,2 21,8 22,4 27,6 7,8 36.0 30,0 25,4 ir |17,7/24,0 0 | = |10,4/17,6/240 | 3,0/14,2 2° 28,0 34,2 6,0. 7,3 18,9/42,0 30,0 12,0, 6,0/22,5 32 || (7,5) 10,9] 10,9 16,4! 11,4|13,7| 10,9] 10,0) 15,2/12.5 | | Il | I Î Gennaio | Febbraio | 92 | Marzo Aprile Maggio Giugno Settemb. Ottobre Novemb. Dicemb. LA DURATA DELLO SPLENDERE DELI SOLE, ECC. | | | 1906 12%-13% _————r | 1907 |1 Il e 908 1909 | Media n 1906 159 13.- 14h —=—T— 1907 | 1908 | 1909 | Media 12/200 30,0 42.0 12,0 26,0) 24.0 28,5) 42.0 4,5/24.8 2? | 37,2] 53,5] 60,0 37.7 33.9 60,0) 60,0 38.5 3a | 51.5) 23.5) 21,8) 10,9 26,949.7 30.0) 21,8 12.7/28.6 1a 19,5 36,2 54,0 44,6) 38,6) 21.3 32,5) 49,4| 39,9.35.8 23 | 30,0) 34.5) 23.3| 27,0) 28,7, 30.0 33,3) 34,2) 26.7131.1 38 | 39,5] 45,0 51,8) 7,1] 35,9) 42.0 56,9 53.31 12,4(41.9 4248,0 29.8 6,0 27,0) 27,7 48,0 26.5| 11,2 25,4/27,8 22 39,0 45,8 21.0) 24,2 32.5) 42,0, 44.5) 16.4) 29.1|33.0 33 | 25,5 43,3 20,9) 34,6) 30,3 22,5 54,3) 17.6] 31.8130.8 |148.| 27.3) 441,7) 28,5) 47,3| 36.2) 30;0. 38.7] 30,6] 30,4/32.4 92. | 18,0) 32,7) 24.7] 15,6 22,0) 10,3, 29,7 26.0) 6.0|18.0 38 | 18,0 47,3, 32,7) 18.0 29,0 18,0 45,3, 34,5) 18.0 29.0 1* 48,9 34,5, 45,0) 30,0 39,6) 41.6 35,5. 46.8] 36.0 40.0 23 34,3, 24,0 18,0) 29,0 26,5, 27.2, 24,0 19,8 26.7/24.4 38] 43,1) 13,8 16.4] 27,3 25,2) 43,6| 15,9] 16,4| 27,3 25.8 13 | 54,0, 17,9 23,1] 21,0 29,0, 55,0, 22,4) 21.7] 20,3 29.9 23 43,1 28,8 40,6 36.9 37.4 38.4 18,6) 24,5) 29.7 27.4 32 | 42,0 34,5 34,8] 39.6) 37.7, 37.5 30.0) 34.5] 41.3.35.8 1a 35.6) 37.9 48.0) 30.0 37,9, 29,8 31,0) 47,5] 26.2/36.1 9a | 46,9 53.5) 32,7| 37,1) 42,6 45.5) 54,0 27,7] 39,8 41.8 3a | 40.5 45.9 32,8| 48.2 41,9 42.3) 31.7 24.6] 51,837.6 12 38.8 35.0 36,0 31.1 35.2 37.4) 28.0 32,0 33,9 32.8 9a | 47,2 54,0 18,7! 51.4 42.8 46,0! 54,0 17,8) 47,8 41.4 38 | 54,6) 39,51 16,4 37,5) 37,0 57,5 29,0 16.4] 32.0133.9 1° |56.5, 36.9 54,0 24.0 42,9) 53,0 334 54,0) 17.239,4 9a (48,8 28.1 28,0 22,3 31,8 47.0 25,7 34,3) 19,9,314,0 3242,0 21.7, 24.0 37,4 31.3|44,1 21,8 18.7) 38.4130.0 (12 39,7 12.2 29,0 33.0 28,5) 35.0 12,3 36,0 29,1 28,1 2210,5 18.0 36.0 42.0 26,6 14,6 18,0 36,0, 40,0 27,2 32| 27,3 6,4) 21,8 82,7) 22,1 27,8 10;9| 21,8] 32,7/23,2 48 || 41,6 18,0) (4,3 30;0| 23,5] 12:0 18,0) 6;1|19,5/13,9 922 (14,0 274 16.0 14,7 18,0 17,3 30,0 30.0 6,0/21,8 3824,0 13,5 42,0 34,8 28.6 30.0 192,0 46.7 21,7,29.0 12 |23,7| 24,0 1,0) 12,9 19,5 24,0 10.9 9a | 36,7| 33,4 12,0 6,0) 22,0| 37.9 36.0 12,0) 6,0)23,0 38 16,4 10,9 19.1 10,9 10.9 11,1/13.0 94 13,1) 12,4 140 B. RAINALDI MESE (Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio (Giugno Luglio Agosto Settemb. | (Ottobre Novemb. Dicemb. Decade (20,5! 137,8 145-150 “—. nm 1906 | 1907 24.0 16.6 27.5 60.0] 52,92) 23.0 28.0 38,0 30.0) 27.8 145.0)! 48.02 46.5) 96,8. 28.0): 6,0| 28.7| 18,0 46,9 40,2! 30.4. 922.1 18,0) 38.9] 17.8 49.0) 27.1 37,0 28.0 97,2) 24,2 DDHE 49.0) 39;9 37 54,0) 21.5 34,3 27,0 21,8 34,5) 19.8 22.0 5| 10,9 (110 330.0 90) 2/1) 25.0) 8.5 32,7| 36.4! 42.0 13.8! 58.7 51.0] Il 17,9] 24.0) 91.5 19.3 1908 $8,7 54.0 21,8 49,9 SAT 52.2 24,5 26.3 14,8] 23,0 20,51 38.8 16,5 STO 16.4 19.1 15.9 34.5 40.0! 17.4 2().6, 97.9 18,0! 16.4 54.0) 42,0) 24.1) 36.0! 36.0 241.8 12.0) 292.1) 45.1) (0),0) 10,9 24,0) 11,0 20,8 36,8 31,6 31.9 18,0 36.0 927.9 18,9 129 SI 34.() GI STO 44,5 SIRO. 48.0) 28.2 18.0 20.8 39.9 26.5 19.0 SAI 9/.() 6,0) 1747 12.0) 10.0) 6.0) 15.9 — e | SIR 34,1 14,5 2 28,2] | m | m | 18,6 18,0 (35,41 7,3 27,0|49.4 36.6) 29.5 | 28,3 30,0 140,945,0 28,8 48.0 39.4 40,3 32,8 29.2! | 29,0 26.2 17.4) 6,0 30,4 18,0 38.3) 36.3 |24,8/22.2 | 23.0 38.6 ‘26.9/45.9 25,9 32.9 31.7 43.6 992.1 33.8 | 32,6 33.0 92/1) | 44, | 31.2] | | | 39,3 135,9 130.9 38,4 | 29,2 29.3 1927, 923,9 128, 14.( | 18.3 93.1 119,0 | 18.6 134 | 17.6 6.0) 13.0 30.0) 29.6 (1195) 9,5| 30.0) è SEI 136,6! « LO € 49.0) 3! 39.42 6.0) | 8,6 26.0 15,5 m 13,5) 11,9 5,81 322 93.4 11,3) 95.8 99.6 10.51 20.4 26.4 36.0! 38/41 Dash 30,0 47.0) 18,0 50,0 52.6 5A 30,7 46.2, 96,2! 21.0) 34,2 13.6] 16,4! 36.7) 10.5. 35.7) 16,5 12,0) 33.4] 4 1,5 DIA | 24,0) 0 Odi |16.4 54,0) 492.0) | 23,2 22.8) 36.0) DIR 18.2! ,7|10,3| 6.0 DI DI 6,0 1.8 1909 0.0 10,9 32,6 21,0) 10.7 18,2 21,0) 30.1 24,0) 32.3 18,0 33,0 24,5 16,9 3,0) 14,0 36,8 iI IO o 593 E 1909 | Media 1906 1907 1908 Media 10,0 11,9 20,4 30,0 26,9 30.0 927,5 36.0) 31,9 vi 24.1) 23,9 29.6 93,4 25,5 21,4 24,,() 24,6 34,4 22.8 2,5126.9 91,5 49,9 1/32.4 19,6 138.4 30,232,2 18,0 39,1 21,0132,5 35,4 29.0 136.0 27,3 21,0 9,8 959 2,5 3.0 130,0) 128,4 21,6 LA DURATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 141 MESE Gen nalo Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settemb. Ottobre Novemb. | Dicemb. | a Da 3 a 1 a | 9a 3a 3 a 9a 3 22 (42.041,7/19 " 19,5:30,8|19,9] 2,3 4,5 20,0/42.0| 5.1/35,4/25,6| 6,6 5.3 2127.1 19,2/14.6/19,1|24,029,2/12,7) 3,0) 4,5/24,0 4,3.27,2/17,5,36,621,4 7,9, 3,042.0 18.0/35,5/16.7/22,8.23,3 18,0 12.8 1,5/18,0 38.5/29,8/25.7/30,0131,0)34,5/19.8: 8,5,28,8 20.7/18.2/30.0/21,3 22.612.810, 5L: 33167.7 28.7 15.7 720,5 516,4/20,3 25,4 13,4/11, 510,5 54,0/31.6/10,1) 3.1/22,0/24,7/1 11,5] 3.5[-0,9 (26,1|25,51:2,0) 6:0/14,9[11,1| 755 3,8 (24, 0 12.0/11,7 33,920, 315,4 7, 3 1,5 26.6 14,3/25.5/27.0/12.0 20,0 10,211.7) 9,3 9,0 344 40,523.5 27,3 31.419.814,9 12,3 12.4 27,331.8 15.2.41.3 38,925.0 13.8. 7.7 40,8 31,8 96, 0/13,8/32,1/25,9/20,4! 3,0! 30,0 39,9,31,011,4/49,538.0/27.2224) (40.1 16.228.6 6,8/29, 9127,926,3) 955 25,0 43.5|17,2/54,0/18,0/33,2/12,6 2,5|16.1/18,0 26,8/22,7/42.0/24,2/28,9/11.5] 3,8/11,2 9,8 24,0) 59 9,6) 33.947, 23,3 14.4 11,9) 6,522.625,3 16,4 6,3 6,0) -3,0| 7,6/34,3/12,7]-2,0| 7,4 16.4. 6,9) 9,2) 8,1 4,1 2,5| 4,7|14,2) 4,6 4,9 2,3. 1,8 18,0) SOL 10,8) 2,7] 0,7 3,0 0,9 LA zi 0,4 |24 13,8] 7, (Ebr9T 26; 33,6/22.4 39,014, 7 165-172 17%-18 ; 1907 1908. 1909 Media 1906 1907 mi m I m m m || m mi im m 0,0. 0,0) 0,0) 0,6 0,0 0,0 0,0) 0.0 [de S 0,3' 5.5 | 6,3|-6,8 8 (),7/25,6 12,0) 5| LI 15,2 » ” \ 1,2/15,2)10,0] è 14, h 5,615, () 11,3) 8.318,313,9 80 (4, Sie eta | ___——__ —__ __ __—_——__———_—_ ( Ì ì (1906 0.0 10,2 5.6 127 10,14 14,9 8/21, 8 15.4 294 15.2 ie 9.1 3,4 1,6 24 1,0 ) - —— m 0.0 18b5-19à 0.0 0,0 0.0 SO b ni 1908 1909 Media 1906 1907/1908 1909 Media mn ().() ATA DELLO SPLENDERE DEL SOLE, ECC. 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Nella prima Nota (che è la. più importante), il MARTEL sì occupa dello studio del “ libro interno , del fusto. L'A. rivolge dapprima la sua attenzione all'esame dei tes- suti meccanici, che egli studia successivamente in varie specie, giungendo così alla conclusione, che, in generale, nelle Solanacee, l'apparato meccanico è relativamente molto più sviluppato, che nelle altre piante annuali. Nelle Solanacee perenni, nota l’A., che la rigidità dei rami si ottiene specialmente per un processo di sclerotizzazione dei tessuti, il quale talora si spinge sino ad invadere completa- mente anche il midollo. Dopo aver rapidamente passato in rassegna le opinioni degli Autori sull'origine del “ libro interno , e rilevate le di- vergenze che a questo riguardo si notano, l'A. espone i metodi di studio da lui usati per giungere alla soluzione del problema, giovandosi di sezioni in serie, condotte dal colletto della radice sino al punto in cui l’anello legnoso si fa completo; e di pre- parazioni fatte, a livello, e poco sotto la regione dell’apice ve- getativo. Le due serie di osservazioni, concessero di poter concludere che i due “ libri, hanno comunanza di origine. L’A. completa queste sue osservazioni coll’esame minuto delle due specie di “ libro , che egli trova identiche e che egli segue nel passaggio dal fusto alle foglie, onde studiare il loro modo di comportarsi rispettivamente agli altri tessuti. L’A. dimostra come il * libro esterno , nelle Solanacee or- dinariamente si estingua, o si modifichi in modo tale da ren- dersi inservibile; mentre invece il “ libro interno , conserva i caratteri che gli sono proprii e prosegue da solo nel suo ufficio funzionale. 144 Mentre normalmente nelle piante annuali si forma scarso il parenchima liberiano e meschina è la produzione dello xilema: nelle Solanucee invece, questi due sistemi di tessuti acquistano uno sviluppo assai notevole. Dal complesso dei fatti esposti nella Memoria, l'A. giunge alla conclusione che le Solanacee si differenziano dalle altre Famiglie, anche perciò che esse dimostrano caratteri anatomici intermedii fra le piante annuali e quelle perenni. La Nota seconda si riferisce al rovesciamento che subisce colla maturazione il calice della Datura Stramoniwum Linn., il quale viene a formare al disotto del frutto una specie di guaina particolare. Questo fenomeno si produce dopochè il calice si è dimez- zato, ed è, secondo le ricerche del MaRrtEL, dovuto essenzial- mente all’accrescimento straordinario in spessore che subisce la base dell’ovario, che determina così il rovesciamento. I fatti descritti nei due lavori sono dimostrati da disegni illustrativi tolti dai preparati. Quantunque non scevre da leggiere inesattezze di nomen- clatura e bibliografia, le due Note del Prof. MaRrrEL, perciò che illustrano accuratamente alcuni fatti anatomici nuovi e di una innegabile importanza, ci paiono degne di essere accolte dal- l'Accademia, epperò ne proponiamo la pubblicazione nei volumi delle Memorie. C. F. PARONA Oreste MarTIROLO, relatore. Relazione sulla memoria: Il Gruppo dell’'Argentera; studio geologico del Prof. FEDERICO Sacco. Il lavoro in esame è una monografia geologica sul gruppo montuoso dell’Argentera, detto anche del Mercantour, che forma il massiccio principale e quasi centrale delle Alpi Marittime, e che si estende per la maggior parte in territorio italiano e per la minore in territorio francese del Dipartimento di Nizza. Premesso un indice bibliografico, l'A. esamina i principali studì geologici e paleontologici sulla regione, prima di passare alla descrizione delle singole formazioni che la costituiscono. 145 Siccome la formazione più antica, più estesa e potente nella costituzione del massiccio è quella gneissica, lA. ne parla a lungo. In proposito è notevole il fatto, che, mentre generalmente si interpretava il massiccio gneissico come costituente nell’in- sieme un grandioso ant iclinale con nucleo granitico, all’A. in- vece la zona gneissica risulterebbe rappresentata da tre anti- clinali subparallele, tra loro fortemente compresse, tanto che i banchi sono sollevati quasi alla verticale ed anche rovesciati verso l’esterno della regione gneissica. L’affioramento granitico apparirebbe poi nella parte centrale della sola anticlinale me- diana, con irradiamento di filoni aplitici nella massa gneissica. L’A., evitando le discussioni teoriche e limitandosi ad esporre i fatti osservati, ne indica parecchi interessanti riguardo ai rapporti dei graniti coi gneiss, segnalando delle lenti ed una potente zona di gneiss, estesa per circa tre chilometri, comprese nella tipica formazione granitica. Così, in considerazione di pas- saggi litologici e stratigrafici dal Permo-Trias alla parte su- periore della serie gneissica e della presenza di scisti cristallini a caratteri clastici e persino di lenti di conglomerati gneissiformi in questa stessa zona superiore, è indotto ad ammettere, che questi gneiss, invece che arcaici, come generalmente si ritiene, rappresentino il prodotto del profondo metamorfismo di depositi paleozoici, analogamente a quanto si osserva più ad oriente nel gruppo della Besimauda e nel Savonese. Anzi nelle propaggini più orientali della formazione gneissica in questione, VA. se- gnala il fatto pure interessante della comparsa di roccie cri- stalline di tipo appenninitico tra lo gneiss ed il sovrastante terreno triasico. In seguito viene descritta la formazione permo-triasica, costituita da terreni sedimentari, scisti argillosi e anageniti, riferibili al Permiano, e quarziti con altri scisti argillosi, che rappresentano il Trias inferiore; ma per i graduati passaggi fra questi depositi, VA. non crede opportuno separarli, consideran- doli dovuti ad un continuato fenomeno di sedimentazione ter- rigena, prevalentemente argillosa verso sud e ciottolosa verso est. Nei successivi capitoli sono più rapidamente esaminate le formazioni mesosozoiche ed eoceniche nei loro caratteri litolo- gici, paleontologici, tettonici, di sviluppo regionale ecc. Con ‘maggior estensione VA. si occupa dei depositi e dei Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 10 146 fenomeni quaternari, che nella regione montuosa in esame eb- bero uno sviluppo veramente straordinario, specialmente i fe- nomeni glaciali, che vi lasciarono traccie estesissime, con de- positi morenici, arrotondamenti, e peculiari fisionomie di valli, laghetti, ecc. A tale proposito però è da notare che l’A. attri- buisce una scarsa efficacia erosiva all’azione glaciale; e questa conclusione, rispetto ad una questione assai discussa, merita d’esser presa in considerazione. Il lavoro è illustrato da una carta geologica alla scala di 1:100.000, sulla quale sono delimitate tutte le formazioni ri- conosciute dall'A. nel gruppo montuoso dell’Argentera; da due sezioni geologiche condotte attraverso il gruppo e che ne chia- riscono la struttura assai complicata, segnatamente nella parte centrale gneissica; inoltre sulla carta geologica, con speciali segni, è opportunamente indicato l'andamento stratigrafico, per facilitare l’interpretazione tectonica di ogni parte del massiccio. Il catalogo bibliografico colle sue numerosissime citazioni ed il riassunto degli studi già fatti da altri autori sulla regione, dimostrano l’accurata preparazione al rilevamento ed alla in- terpretazione geologica. Tuttavia, a far meglio risaltare l’opera dei suoi predecessori, sarebbe anche opportuno che nella parte descrittiva, allorchè accenna alle loro ricerche, l'A. richiamasse opportunamente con numeri le citazioni relative del catalogo bibliografico. Ma, a parte questo rilievo ad una consuetudine dell’A., la monografia in esame per le nuove particolarità tecto- niche che ne risultano, per la completa e sistematica descri- zione, si presenta come studio generale utile alla conoscenza di un gruppo montuoso, che nel riguardo geologico e geografico è considerato fra i nuclei più importanti delle Alpi Occidentali. Ne proponiamo quindi l'accettazione per la stampa nei volumi delle Memorie. G. SPEZIA C. F. PARONA, relatore. L’Accademico Segretario CorrADO SEGRE. 147 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 1° Gennaio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manvo, Direttore della Classe, RENIER, Pizzi, Rurrini, D’ ErcoLe, Bronpi, Scorza, EinAUDI, BAUDI DI Veswe, ScniapareLLi e De Sanoris Segretario. — È scusata l'assenza del Socio CARLE. E approvato l'atto verbale dell’ adunanza antecedente, 11 dicembre 1910. Il Presidente porge ai Soci auguri affettuosi per l’anno nuovo. Si dà lettura di una circolare del Comitato Nobel della R. Accademia delle Scienze di Stoccolma, che invita i membri della nostra Accademia a presentare candidati al premio Nobel per la letteratura. D’ufficio vien presentato l'opuscolo del Socio corrispon- dente Giuseppe Borriro, Dunte, Sant Agostino ed Egidio Colonna, Firenze, 1911. Il Socio RENIER presenta, anche a nome del Socio SForza, lo seritto del Socio corrispondente Isidoro DeL Luxnso, /l canto XVII del Paradiso letto nella sala di Dante in Orsanmichele con appendice sul primo rifugio e primo ostello di Dante in 148 Verona, Firenze, Sansoni; e illustra l’importanza di questo la- voro colle seguenti parole: Il commento al canto XVII del Paradiso, ch'è l’ultimo della trilogia meravigliosa di Cacciaguida, merita nota provenendo da uno dei più profondi conoscitori della storia medievale fio- rentina, di Dante e della lingua toscana arcaica, il nostro Socio corrispondente Isidoro Del Lungo. Io non starò qui a richiamare le chiose acute e calzanti con che il nostro Socio illuminò il canto nel leggerlo in Orsanmichele, nè m’industrierò di ri- trarre l’eloquenza vera e calda con cui seppe far rivivere in ogni particolare la profezia del vecchione beatificato nel cielo di Marte: la critica, in questi casi, assorge ad opera d’arte, e farne riferimento sarebbe sciuparla. Mi atterrò invece a più umile intento: accennare, cioè, l'opinione che il Del Lungo qui ribadisce, dopo averla da più di trent'anni sostenuta e sempre meglio maturata nel pensiero. Essa riguarda il tratto profetico che dal v. 46 va al 93 del canto XVII. Ivi è parola delle guerre mugellane, con le quali i Bianchi fuorusciti tentarono di ritor- nare a forza nella patria diletta; ivi è la fiera riprovazione di Dante per i suoi compagni d'’esilio ed il conseguente appartarsi di lui; ivi la menzione del “ primo rifugio , e del “ primo ostello , in Verona, presso gli Scaligeri, e l’esaltazione di Cangrande. Sostenne già, ed ora meglio sostiene il Del Lungo, che per quanto il poeta, sdegnosamente ritrattosi dalla “ com- pagnia malvagia e scempia , si fosse fatto parte per sè stesso (e ciò, come risulta da un documento bolognese fatto conoscere da Emilio Orioli nel 1896, sin dal giugno del 1303), egli con- tinuò a seguire, non pertanto, le speranze ed i tentativi dei suoi compagni d’esilio, fino a che, disingannati e avviliti, essi non desistettero da ogni sforzo di guerra, cioè sino al 1307. In questo periodo vagò il poeta in varie contrade d’Italia, di- simpegnò uffici e sperimentò quanto fosse duro calle “ lo scendere e il salir per l’altrui scale ,. Ma solo quando ogni speranza di tornare all'ombra del bel San Giovanni fu irremissibilmente perduta, egli consentì di riparare stabilmente in una corte, che fu il suo “ primo rifugio , ed il “ primo ostello ,: nel 1308 l’ospitale Alboino della Scala lo ebbe presso di sè, in quell’anno 149 appunto in cui s'era associato nel potere il giovine fratel suo Cangrande. Non prima, come generalmente si ritiene. Mentirei se dicessi che per questo eloquente rincalzo dato alla sua tesi abbiano perduto ogni importanza le obiezioni già fatte valere dagli avversari in addietro; ma è certo che diffi- cilmente un quesito storico rilevante, siccome quello che mira a determinare un punto essenziale nelle oscure vicende di Dante esule, avrebbe potuto trovare un critico che lo esaminasse e lo chiarisse con acutezza, maestria e vivacità pari a quelle pale- sate dal Del Lungo. Sa il Cielo se la critica dantesca, profes- sata in tutto il mondo civile con tanto fervore, raggiungerà mai la certezza intorno alla cronologia delle peregrinazioni do- lorose di Dante, cacciato fuori dall’ovile diletto; ma indagini come questa del Del Lungo, dovute ad alta coscienza di storico e di letterato, meriteranno sempre il maggiore rispetto e la maggior gratitudine. Aggiungo volontieri, che in un particolare, legato alla ar- gomentazione del Socio nostro, io sono ormai da lunghi anni del tutto concorde con lui. Egli ritiene che solo a Verona, quando l’animo di Dante, agitato prima come mare in tempesta, riusci a quetarsi, cominciasse la stesura dell’immortale poema, “ sin allora fra le turbolenze e le ansietà e le illusioni meditato, e preparato con gli ardui magnanimi studî, dei quali le opere iminori sono come le pietre miliari nel cammino doloroso ,. Il poema a cui posero mano e cielo e,terra è, almeno in gran- dissima parte, opera veronese e ravennate; presso gli ospitali Scaligeri e presso i Polentani, nella città vetusta che fiancheggia sotto i colli ridenti il rapido Adige e nella melanconica capitale dell’esarcato fulgida d’arte e di storia, si svilupparono i mira- bili canti, a cui Dante affidò tutta l’anima sua e la sua ven- detta, a cui la nostra Gente deve uno dei titoli maggiori di gloria perenne. “ “ Il Socio RurrInI offre un proprio scritto dal titolo: Perchè Cesare Baronio non fu Papa; contributo alla Storia della monarchia sicula e del “ Jus esclusivae ,, Perugia, Bartelli e C., 1910, in- formando largamente la Classe intorno al suo contenuto. 150 Il Socio D’ErcoLe presenta i seguenti suoi opuscoli: Necrologio, ovvero il pensiere, gli scritti e l'insegnamento del professore P. R. Trojano. Estr. dall’ “ Annuario della R. Uni- versità di Torino ,, an. 1909-1910, Torino, Paravia, 1910; L'insegnamento filosofico e pedagogico del prof. G. Allievo. Estr. dalla “ Rivista pedagogica ,, Modena, Formiggini, 1910; L'essere evolutivo finale come tentamento di una nuova con- cezione ed orientazione del pensiero filosofico uscente dall’ Hegelia- nismo. Estr. dalla “ Rivista di Filosofia ,, Modena, Formig- gini, 1910; La reintegrazione della Facoltà teologica. Estr. dalla “ Rivista di Filosofia ,, Modena, Formiggini, 1910. Il Socio RUFFINI presenta per l’inserzione negli At una nota del Prof. Piero GrAcosa, intitolata: Sulla morte dî Amedeo VII; e legge poi, anche a nome dei Soci D’'ErcoLe e ReENIER, la re- lazione intorno alla memoria del Prof. Annibale PastoRE, Del- l’essere e del conoscere. La Classe approva la relazione e, presa cognizione dello scritto, ne delibera a scrutinio segreto la inserzione nelle Memorie accademiche. Costituitasi quindi ha Classe in seduta privata nomina i Soci SrorzAa e CArLE rappresentanti della Classe nel Consiglio di Amministrazione dell’Accademia. PIERO GIACOSA — SULLA MORTE DI AMEDEO VII 151 LETTURE Sulla morte di Amedeo VII Nota di PIERO GIACOSA. Il Conte Rosso aveva trentadue anni allorchè infermò della malattia che doveva condurlo a morte. Le sue imprese guer- resche, la sua passione per i tornei e per la caccia inducono a credere che nella prima gioventù fosse sano e gagliardo; ma nel- l'estate del 1391, allorchè per consiglio di sua madre accolse il medico Granvilla e s’'affidò alle sue cure, ci appare come un uomo precocemente invecchiato e malaticcio. Aveva fatto ad Ivrea una caduta da cavallo e gli permaneva un dolore alla spalla; era pallido e magro, gli cadevano i capelli a chiazze. Forse si trattava d'una tricofitosi, non potendosi parlare in quel- l'epoca di alopecia celtica. La sua debolezza (che è anche pro- vata dalla sua se non abolita almeno scemata virilità, a con- fortare la quale egli sottoponeva se e la moglie ad una cura di beveraggi afrodisiaci) non lo dissuadeva tuttavia dal darsi al suo spasso favorito, la caccia, nè gli impediva di sottoporsi agli strapazzi delle lunghe cavalcate e dei disagiati viaggi. Per convincersi di questo basta seguire la sua vita negli ultimi mesi. Partito da Ivrea, ferito, nel giugno si mette in viaggio per venire a Ripaglia, percorrendo la Valdosta, vali- cando il Piccolo San Bernardo e traversando per Mouthier e Conflans. Giunto in pieno estate al suo castello, non posa; dal 4 al 10 settembre fa una corsa a Berna, il 22 e il 23 traversa il lago per andare a Losanna e alterna queste escursioni con partite di caccia. Nei giorni immediatamente precedenti la ma- lattia cioè la domenica 15 ottobre, il successivo mercoledì, poi il sabato, domenica, lunedì e martedì era ancora a cacciare con 152 PIERO GIACOSA numerosa compagnia (1), e durava a quest’esercizio benchè avesse la testa fasciata per una cura rivulsiva che gli si faceva al cuoio capelluto. E appunto in questo periodo che un suo chirurgo, il Cheyne, lo vide e lo trovò di buon umore e sano (2); il che prova che nè il sanitario nè il Conte non diedero gran peso al fatto della medicazione al capo, sulla quale più tardi si insi- stette pol tanto. In questo uomo giovane ancora, ma sciupato e malaticcio, che affronta disagi e strapazzi (3) e sassoggetta a energiche cure, il martedì 24 ottobre si manifesta un primo sintomo. Tornando da caccia non può aprire la bocca; le mascelle sono chiuse come una morsa, tanto che neppure un’unghia può passarsi fra 1 denti: non è se non a stento che gli riesce di parlare e mostrare la lingua che appare coperta di vesciche; il che prova che il fenomeno del serrarsi spasmodico della bocca (che oggidì si chiama trisma) non è continuo ma sopravviene ad accessi. (1) La maggior parte dei documenti relativi alla malattia del Conte Rosso sono riprodotti in Brucner, Le Chateau de Ripaille, Paris, Dela- grave, 1907. A pag. 393 i conti della casa indicano le giornate di caccia e le provviste quotidiane che si aggirano intorno a 300 pani, 4 o 5 sestarii di vino e 3 o 4 quarti di vacca. (2) “ Circa ebdomadam ultimam mensis octobris , (qui è un errore di data; il Cheyne più sotto dice che erano tre o quattro giorni prima della malattia, quindi verso il 19) “ ... ipse eundem dominum nostrum co- “ mitem ibidem ‘vidit sanum et illarem, excepto quod dolebat modicum in “ spatula... dicta ebdomada... eundem... comitem sanum et illarem et in “ bono statu dimisit ,. Dep. Cheyne in BrucxWer, l. c., p. 422. (3) Nella casa del principe non tutti approvavano questo abuso del cacciare per un uomo della sua tempra e delle sue condizioni. Il paggio di Neuvecelle, che visitò il Conte il 28 ottobre allorchè era già assai ag- gravato, dopo salutatolo gli disse che ne aveva per le sue caccie (BrucHer, l. c., p. 426). Al che il Conte risponde che le caccie non c'entrano per nulla, ma la colpa è di una unzione troppo forte fattagli al capo per far ricrescere i capelli. La leggenda della cura al capo come causa dell’avvelenamento, di cui nelle deposizioni del barbiere Alet e del Cheyne, si forma dunque in questi giorni. Ma pare che il Conte facesse altri spropositi ancora. È probabile che nel periodo della cura al capo e delle caccie, in cui il Cheyne lo tro- vava sano ed ilare, egli e la moglie abbiano preso un beveraggio consi- gliato dal Granvilla, i cui effetti si videro otto mesi e 26 giorni dopo la morte del Conte col nascere d’un figlio. La deposizione di I. de Champeaux (BrucHer, l. c., p. 425) conferma il fatto del poculo amatorio che successe prima che il Conte:sì mettesse a letto per malattia. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 153 Si mandò subito per il medico, col quale il Conte si lagnò pure di un dolore alla nuca (1). L'indomani mercoledì il Conte si alzò per andare a messa; ma tornato a casa dovette mettersi a letto e si sentì peggiorare. La sua condizione tuttavia ap- parve soltanto grave ed inquietante il venerdì 27, quando il Conte per un brusco invertirsi delle sue disposizioni d'animo, di cui vedremo la causa occasionale, giudicò d'essere avvele- nato, vide nel suo medico il colpevole e non solo lo licenziò, ma lo volle fare arrestare. Dell’andamento clinico della malattia, che terminò colla morte seguìta il giovedì 2 novembre all'una del mattino, abbiamo particolari più che sufficienti per la diagnosi, se pure non nu- merosi e non dovuti agli uomini dell’arte. I medici ordinarii del Duca, sopraggiunti dopo la cacciata del Granvilla, se nella loro deposizione ci dànno informazioni sui rimedii somministrati, se ci dicono anche la diagnosi sulla quale tutti sono d'accordo, il che ha un eccezionale valore probativo, tacciono della condizione del malato, dei sintomi, del decorso. Ma spigolando nelle deposizioni dei famigliari troviamo parti- colari tanto più preziosi in quanto, senza essere inquinati dalla terminologia medica spesso tendenziosa, sono concordi: troviamo che gli accessi di spasmo (e non limitati ai masseteri) si ripete- vano di frequente accompagnati da dolori atroci a tutti i tendini e muscoli del corpo ma sopratutto alla nuca; che il malato non poteva deglutire bene e parlava con stento; che aveva un forte meteorismo accompagnato da stitichezza. Non troviamo per contro fatta menzione di vomiti, di diarree, nè di fenomeni gastroen- terici in genere; nessuna lesione dell’intelligenza, la quale anzi è dichiarata illesa fino a poche ore prima della morte (2). (1) La deposizione di Champeaux (Brucger, l. c., p. 425) parla chiara- mente di un dolore retro caput, au cochon (cochon = nuca); altre deposi- zioni hanno soltanto dolore al collo. Il dolore era accompagnato da rigi- dità “ ...quod se juvare non poterat de collo , dice il teste P. de Neuvecelle (Brucuer, l. c., p. 426). (2) “ Nervi corporis sibi dolebant... sibi respondet dolor ov (au) cocho» “ retro caput... et... non poterat comedere propter dolorem quam pacie- “ batur in collo nee eciam bene loqui , (dep. Champeaux, Bruner, l. è, p. 425). Nella terminologia medica dell’epoca la parola nervus significa sopratutto tendine; significato conservatosi nel linguaggio comune e fissa- tosi nelle parole nerbo e nerboruto. — * In dieta sua infirmitate habuit plu- 154 PIERO GIACOSA Sul reperto cadaverico abbiamo scarsissimi dati; sezione non si fece, e non era neppure l’uso del tempo; se anche avesse avuto luogo non avrebbe potuto darci elementi maggiori, tranne che per quanto si riferisce a lesioni o ferite esterne. Sappiamo soltanto che il cadavere che era stato affidato al Cheyne perchè lo preparasse in modo da potere conservarsi cinque o sei giorni senza fetore (1), mostrava al dorso delle striature livide, come di colpi di verga o di scudiscio (2). Le unghie erano livide. Infine a completare il reperto postmortale aggiungerò che in seguito a clisteri fatti dal Cheyne al Conte già morto si emise una materia fecale che il chirurgo in presenza di testimoni disse di riconoscere come velenosa o infetta di veleno (3). “ ribus vicibus passmum , (dep. Péronet Alet, Brucner, l. e., p. 415). La difficoltà di deglutire è comprovata dallo stesso teste (p. 414) quando par- lando dell’unicorno dice: “ dominus nihil voluit vel potuit sumere ,.1do- lori generali si deducono dalla risposta del Conte al Neuvecelle (Brucner, l. e.. p. 426) che gli chiedeva “© si habebat malum nisi in collo ,; ed il Conte ... “ sic per totum corpus et quod non habebat membrum quod posset “ipsum sustinere ,. Parlando col de la Fléchère il Conte paragona sè a S. Lorenzo arrostito e tormentato (BrucHGer, l. c., p. 424). Per il meteo- rismo: “ Habuit ... ventrem adeo inflatam quod se depremi faciebat ventrem “ per unum de scutifferis suis ad resistendum dicte inflature , (dep. Pé- ronet, Brucnet, 1. c., p. 415). Il meteorismo associato alla contrazione teta- nica dei muscoli dell'addome doveva dare atrocissimi dolori. La stitichezza accompagnante il meteorismo è dimostrata dal fatto che fra i rimedî acquistati il 80 e 31 ottobre. oltre a due borse di cuoio per clisteri, figu- rano ierapigra, cassia, fistula, olio d’olivo e altre sostanze purgative. La circostanza della integrità delle funzioni psichiche è anche affermata chiara- mente nella requisitoria (Bruc®et, 1. e., p.412) © ...comes tempore sue mortis “et antequam diu stetit in dicta infirmitate, erat, fuit et stetit in bonis “ sensu et memoria discretione et intellecetu ,. Vedi pure la dichiarazione di Guglielmo Francon, confessore del Conte Rosso, in Brvcner, l. c., p. 484. (1) La lista delle sostanze usate per questa sorta d’imbalsamazione si compone tutta di droghe aromatiche che non potevano avere un gran po- tere antisettico (Brucner, 1. c., p. 392). Alla conservazione del cadavere provvide probabilmente la stagione già rigida. (2) Le lividure le vide pure il barbiere Alet; il panattiere del Conte che svestì il cadavere col Cheyne ci descrive il dorso “ cassatum, nigrum “et rabeam ad modum ac si fuisset flagellatus et virgis verberatus , (Brucnet, l. c., p. 425). (3) Requisitoria, Brucwer, l. €., p. 412. Il Cheyne nella sua deposizione non accenna più a questa circostanza, il che prova che sapeva del suo nessun valore. Non vi accennano neppure i due medici ordinari del Conte, Luchino e Omobono. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 155 L'insieme dei sintomi che hanno caratterizzato la malattia del Conte Rosso non lascia sussistere alcun dubbio sulla sua diagnosi; qualunque medico giudicherà immediatamente che si tratta di tetano; nè questa diagnosi è una scoperta fattasi da noi, ma è già affermata dai due medici ordinari accorsi al ca- pezzale del Conte negli ultimi giorni e dal Granvilla stesso (1). Incominciamo da quest’ultimo. Alla domanda che poche ore prima della morte del Conte una commissione d’inchiesta, com- posta di Lodovico di Cossonay, del Vescovo di Moriana, del de- cano di Ceyssérieux, del maresciallo di Vernet, dei maestri Omo- bono e Luchino e del chirurgo Cheyne, rivolge al Granvilla: di che malattia sia affetto il Conte, egli risponde che “ credebat “ esse (morbum) spasmaticum ,. E nessuno dei presenti con- traddice, solo mostra di attribuire lo spasmo (spasmum, morbum spasmaticum è il termine di quel tempo per designare quello che noi oggidì chiamiamo tetano) all'influenza di una cattiva miscela di medicamenti. È tanto accertata la diagnosi che si cerca di sapere quale specie di tetano sia quello del conte. Maestro Luchino, che giunse a Ripaglia dal Piemonte il giorno prima che il Conte morisse, anch'egli dice di trattarsi di tetano e anzi accenna alla probabile causa della malattia (2). (1) Il Dr. Carbonelli, che esaminò il processo del Conte Rosso, vide, come era ovvio, che si trattava d'un caso chiaro e conclamato di tetano, e ne riferì al Congresso della Società Storica Subalpina a Tortona nel 1905. Di questa comunicazione è fatto cenno nei verbali del Congresso pub- blicati in “ Bollettino storico-bibliografico subalpino ,, diretto da G. Ga- botto, anno XI, n. III (1906) p. 186; ma io ne ebbi notizia solo in seguito ad un articolo del giornale “ Il Piemonte , del 15 dicembre 1910, che lessi appunto mentre ultimavo il presente lavoro. Debbo quindi dichiarare che la prima conferma della diagnosi dei medici curanti Luchino e Omobono è quella stata data dal Carbonelli. In una comunicazione che io feci al- l'Accademia di Medicina di Torino il 9 luglio 1909, prendendo (in base ai documenti pubblicati dal Bruchet) appunto le mosse dal caso del Conte Rosso in cui la chiara e sicura diagnosi fatta dai sanitari curanti non aveva im- pedito si creasse e si mantenesse il sospetto d’avvelenamento, io insistevo sull’interesse del caso per la storia della coltura e sulla necessità che talune questioni storiche siano sottoposte ai tecnici per la loro decisione defini- tiva, e ciò a dimostrare uno dei lati dell'importanza delle relazioni fra la storia della medicina e la storia generale. (2) Dep. Luchino Pasquale, Brucuer, 1. c., p. 421. 156 PIERO GIACOSA Maestro Omobono (1) fa lo stesso giudizio e lo conferma ancora dopo la morte: “ Interrogatus qua morte decessit ...dicit “ quod ex spasmo et sic dicit quia presens fuit in dicta morte ‘ et vidit ,. Anche il barbiere, come vedemmo, menziona gli accessi di tetano. La requisitoria stessa designa la malattia come un tetano, se pure la attribuisce a pozioni velenose: “ lec- “ tuaria... pocula... mere venenosa et mortisfera... aquas... ‘ unguenta ad mortem et morbum pasmi attractivas..... fe- “ cerunt , (2); e più oltre: “ (fuit) morbus pasmi ,. Due altri sanitarit videro ancora il Conte Rosso, chiamati d'urgenza presso di lui quando non erano ancora giunti i medici ordinarii di corte: dell'uno, Giovanni di Meudon. manca la depo- sizione negli atti perchè morì poco dopo il Conte; l’altro è il chirurgo Cheyne già più volte nominato, al quale, non avendo egli titolo nè cognizioni di medico, spettava solo di eseguire le ordinazioni che questi scrivevano e non interveniva nella cura: infatti lo vediamo fare le fregazioni al corpo del povero malato ed essere poi deputato, insieme al panattiere, alla custodia e preparazione del cadavere. Non da lui dobbiamo dunque aspet- tarci una diagnosi della malattia del Conte (3): ed è invece egli che facendosi eco delle voci che correvano, sopratutto fra il ser- vidorame, parla di veleno e cita a conferma dei suoi sospetti e a dimostrazione della sua ignoranza la circostanza delle lividure e dell'aspetto delle feci. Il Conte Rosso dunque morì di tetano, e precisamente della forma classica abituale di “ tetanus descendens ,, che di regola esordisce col serrarsi della mandibola (trisma), a cui segue la rigidità del collo, dei muscoli addominali, del dorso e delle estremità, con accessi di crampi muscolari dolorosi d’intensità sempre crescente. La morte avviene per tetano dei muscoli respi- ratorii o per crampo della glottide o per paralisi di cuore, con intelligenza integra. Per lo più si ha elevazione della tempe- (1) Dep. Omobono, Brucner, l. c., p. 420. (2) Brucner, l. c., pp. 406 e 407, n 4e 11. (3) È da notarsi che il giudice non interroga il Cheyne sulla natura della malattia di cui è morto il Conte, nè se egli giudichi che i componenti delle ricette fossero stati tali da dare il tetano. Gli chiede solo schiari- menti sui fatti; alla domanda generica se sa che il Conte sia morto di veleno o di medicine velenose, il Cheyne risponde di non sapere (Brucner, l. c., p. 424). SULLA MORTE DI AMEDEO VII 157 ratura che, dopo la morte, può ancora salire fino a 44° C.; tut- tavia vi sono casi che decorrono senza febbre (1). La causa immediata determinante della morte non possiamo dedurla con certezza dai documenti; nè i medici in quel tempo avrebbero saputo riconoscerla. Tuttavia, se consideriamo che il Conte nelle ultime ore parlava ancora e dettò il suo testamento, dobbiamo ritenere la paralisi di cuore come la più probabile spiegazione dell’esito letale. Dato che noi possiamo dunque in tutto e per tutto confer- mare la diagnosi dei medici curanti, resta a vedere se possiamo anche associarci alle riserve. che essi fecero circa alla possibi- lità che il tetano fosse dovuto a qualche farmaco (veleno 0 rimedio) statogli somministrato. Questa domanda che il giudice del tempo ha espressamente rivolto ai periti medici è la stessa che dobbiamo porre alla scienza moderma. Cerchiamo dunque di rispondervi. Il prototipo dei farmaci tetanizzanti è la stricnina, che Pelletier ottenne nel 1818 dalla noce vomica, e che si trova pure nella fava di St. Ignazio e nelle corteccie di Strychnos. le quali ultime due droghe nel caso presente possono lasciarsi in disparte, perchè non erano note nel secolo XIV. La questione pregiudiziale, se le noci vomiche potevano essere nelle mani del Granvilla, non può risolversi con assoluta certezza in senso negativo. Di noce vomica noi troviamo fatta menzione in Sera- pion, De medicamentis simplicibus, e nel Circa instans di Matteo Plateario, due opere assai lette nel medio evo, che contengono l'elenco e la descrizione dei semplici usati in medicina; ma dai caratteri assegnati alla droga appare molto dubbio se possa trattarsi dei semi di Strychnos nux vomica. L'uso certo di noci vomiche si può soltanto documentare a cominciare dal 1500; ma secondo Fliickiger (2) è assai pro- babile che già nel secolo XV, se pure non prima, questa droga sia giunta in Europa. Certo però deve essere stata rara, perchè non se ne trova fatta menzione nelle liste delle droghe che entravano nei depositi principali (3). Date le relazioni che si (1) Graser in © Deutsche med. Wochenschrift. ,, anno 36, p. 1594 (1910). (2) FLiicxicer, Pharmakognosie des Pfanzenreiches, Berlin, 1883, p. 963. (3) Tscnirsca, Handbuch der Pharmakognosie, Leipzig, in corso di stampa, Cap. Pharmakohistorie. 158 PIERO GIACOSA attribuiscono al Granvilla coll’Oriente, non si può dunque esclu- dere con certezza assoluta che egli possa aver posseduto delle noci vomiche, sebbene la cosa sia poco probabile. Ma concesso anche che questo veleno fosse stato a disposizione del Gran- villa, l'andamento clinico della malattia del Conte Rosso non permette assolutamente di ammettere che esso sia stato som- ministrato. Escludono l’avvelenamento per noce vomica: 1° la durata della malattia, che nei casi mortali d’avvelenamento per noce vomica è per lo più di poche ore e al massimo si estende a sei giorni alloraquando l'eccitazione dei centri spinali, che non fu sufficiente a dare la morte per arresto del respiro, si volge in paralisi; laddove la malattia del Conte durò dieci giorni e non terminò in paralisi; 2° il decorso della malattia, l’ invasione graduale e in ordine discendente della rigidità muscolare, gli accessi rari, la rigidità persistente fra l'uno e l’altro accesso, fenomeni tutti caratteristici del tetano traumatico; laddove quello stricnico è subitaneo e tumultuoso, esordisce per lo più dalle estremità, invade tutto il corpo contemporaneamente con accessi frequenti, si associa ad una esagerata sensibilità peri- ferica, della quale non si ha traccia nel Conte, intorno a cui era un continuo movimento di gente (1), che lo toccavano, gli parlavano e gli facevano fregazioni anche violente. Si aggiunga ancora la circostanza, che la noce vomica a dosi tossiche manifesta i suoi effetti per lo più in pochi minuti e al più tardi tre o quattro ore dopo ingerita; di guisa che dovrebbe ammettersi che il Conte mentre era a cacciare avesse preso un amarissimo rimedio (egli che detestava l'amaro e che il giorno prima d’ammalarsi aveva sputato (propter nimiam ama- ritudinem) (2) un bolo messogli in bocca dal Granvilla) senza farne caso e senza che nel processo, così pieno di particolari, se ne desse poi atto. Escluso l’avvelenamento per noce vomica, nessun altro ve- leno ci è dato di trovare, che potesse essere stato somministrato al Conte e aver indotto la malattia della quale egli morì. (1) Dep. Colin Mathieu, BrucÒer, 1. c., p. 418; c'era anche il cane di Granvilla nella camera del Conte. (2) Dep. Cheyne, BrucÒÙet, l. c., p. 422. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 159 È bensì vero che parecchi tossici possono dar luogo a contra- zioni tetaniche, crampi isolati di muscoli, convulsioni; ma sempre questi fenomeni sono accompagnati da altri i quali dimostrano che l’azione va oltre ai centri spinali dei movimenti riflessi: la stessa caffeina e i sali ammoniacali (dei quali non possiamo assolutamente parlare in questo caso) a dosi alte dànno un tetano che non è d’origine riflessa. Solo la stricnina e il veleno secreto dai bacilli del tetano inducono un avvelenamento con alterazioni strettamente limitate a determinate strutture del mi- dollo spinale, lasciando illesi tutti gli altri centri (1). (1) Ecco un elenco sommario delle principali sostanze velenose orga- niche, esclusi i veleni animali inoculabili per morsicatura o puntura, che all’epoca del Conte Rosso avrebbero potuto usarsi: Cantaridi e coleotteri affini — Funghi —- Loglio — Colchico, Elleboro bianco (Veratrum album)— Scilla — Sabina — Tasso — Canapa — Luppolo — Canfora — Ricino (semi) — Croton — Belladonna, Giusquiamo, Stramonio, Mandragora e Solanee virose affini — Oleandro — Cicuta vera (Conium maculatum)— Aethusa Cynapium e Cicuta aglina — Cicuta virosa — Venanthe crocata — Semenzina — Aconito — Elleboro nero — Stafisagria — Anemone pulsatilla — Ranuncolo — Coccole di Levante — Gittajone (Lychnis Githago) — Brionia — Flaterio, Coloquintide — Cytisus Laburnom — Lathyris Cicera — Spartium — Man- dorle amare. — Sono in corsivo i veleni in cui compaiono più evidenti fenomeni di eecitamento motorio. Nell’avvelenamento da canfora non si ha vero tetano, ma solo movimenti esagerati accompagnati da delirii; la Cicuta virosa e la Oenanthe crocata invece (le quali contengono probabilmente lo stesso principio, la cicutossina) e le coccole di Levante (picrolossina) danno un avvelenamento nel quale si presenta il tetano, ad accessi talora epilet- tiformi: ma sono anche costanti la nausea, il vomito, dolori colici, perdita di coscienza, schiuma alla bocca; la morte per dosi mortali è rapida. La semenzina per dare avvelenamento dovrebbe essere somministrata a dosi altissime che sarebbero probabilmente evacuate per vomito; l’azione tos- sica di questa pianta è bene conosciuta solo da che se ne è ottenuto il principio attivo, la santonina. Per gli altri veleni principali accennerò. che se pure le cantaridi danno in rari casi fenomeni tetanici questi sono sempre associati a delirii e stati comatosi e il decorso è rapidissimo; di regola l’avvelenamento da cantaridi è accompagnato da violenti fenomeni infiammatorii delle prime vie gastriche, da stranguria e priapismo. L’aco- nito, velenosissimo, la cicuta vera, l’elleboro agiscono prontamente paraliz- zando; la belladonna eccita la zona psico-motoria e i movimenti esagerati muscolari non sono tetanici e si accompagnano a delirii. Quanto ai veleni minerali essi tutti possono escludersi per la loro azione completamente differente. 160 PIERO GIACOSA Quanto ho esposto dispenserebbe dall’esaminare le ricette : ma siccome esse furono incriminate dai medici del tempo — sia pure non recisamente, anzi con molte riserve — e furono dagli storici ritenute mortifere senz’altro. è bene dedicare qualche parola anche ad esse. Convien premettere che la credenza dei medici del tempo ereditata dagli antichi — e .che persiste an- cora oggidì nelle persone colte, — che cioè l'unione di più so- stanze velenose accresca l’intensità dell’azione, è errata. I poten- ziali non si possono sommare; se per aumentare la violenza esplosiva d'un miscuglio definito si aggiungono sostanze de- tonanti diverse l’effetto può essere scemato, non certo accre- sciuto. Così è per i veleni. L'idea dunque espressa dai medici del Conte, che le ricette per la loro composizione disordinata. per la proporzione degli ingredienti cioè per i reciproci rapporti. per il tempo, e l’ora (1), potessero essere tali. da indurre il tetano in chi sorbiva il medicamento, è da respingersi. Ammesso anche, ciò che è impossibile, vale a dire che entrasse in queste ricette l'ignoto veleno capace di simulare nei suoi sintomi un tetano traumatico discendente, rimarrebbe a provarsi come, data la forma della preparazione medicamentosa e la presenza di altri ingredienti, la sua azione potesse ancora esplicarsi. Le ricette complesse degli antichi a base di semplici, cioè di droghe, finiscono per accumulare i materiali inerti comuni ai vegetali — amido, cellulosa, zucchero, acidi tannici, acido ossalico, resine, gomme, ecc., -— a detrimento dei principii attivi 1 quali diventano inassorbibili, perchè passano in forme insolubili. La maggior parte delle medicine del tempo sono inefficaci come rimedii interni, e si comportano come purganti od emetici per la irritazione che danno alle vie digerenti. Peggio poi se oltre ai semplici di origine vegetale queste compo- sizioni contengono ancora dei metalli. In questo caso si for- mano dei sali organici, prevalentemente tannati, e in genere si riduce il metallo in una condizione che lo rende inassorbibile. Le ricette in questione sono un elettuario in cui entrano numerosi semi di piante medicinali, oggidì abbandonati perchè riconosciuti indifferenti; si fanno bollire in aceto con limatura (1) Vedi le deposizioni di Omobono e di Luchino, e le loro afferma- zioni accompagnate da cautelose riserve, in BrvucarT. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 101 di ferro; si aggiungono cannella, zafferano, costus (una innocna radice che contiene una varietà d’amido), semi di papavero (che non contengono i principii attivi caratteristici dell'oppio), foglie di rose, mastice e zucchero quanto basta a farne un lattovario. Tutto questo costituisce un intruglio, che sarà stato disgustoso e nauseoso, ma non può dare il tetano neppure a un ranocchio (1). Gli altri elettuari sono miscugli analoghi di droghe poco attive sulle quali non potrei che ripetere quanto dissi del primo. Ve- niamo al famoso unguento, in cui fra altri indifferenti entrano farmaci rivulsivi energici quali l’elleboro, l’euforbio, la senape (2) bolliti con olio di lauro, a cui s'aggiunge poi del verderame (ace- tato di rame); neppure qui, sebbene non possa escludersi che l’azione vescicante dell’euforbio, coadiuvata dallo zelo di chi applicava l’unguento, possa aver prodotto qualche escoriazione cutanea tale da render possibile quell’assorbimento, che a cute intatta non può avverarsi — non è dato, ad ogni modo, di pen- sare alla possibilità di un avvelenamento del genere di quello in questione. Le pozioni che contengono euforbio, che preso inter- namente è un drastico potente, e la polvere, in cui fra gli in- gredienti troviamo nigella, polpa di coloquintide ed elleboro nero, potrebbero essere prese in considerazione, se la malattia del (‘onte fosse stata gastro-enterica (3). Sì potrebbe in questo caso esaminare se non si sia fatto un abuso di drastici; cosa per altro non facile a stabilirsi, perchè non troviamo indicato quanto del rimedio dovesse prendersi al giorno, mentre d’altra parte, date le condizioni del Conte e la sua stitichezza (4), sì com- prende la necessità di ricorrere a purganti drastici forti. Del resto, a considerarla nel suo insieme, la terapia d’allora consi- steva tutta nei rivulsivi, sia esterni che interni. (1) Questo sarebbe l’elettuario diaferrugineo prescritto dal Granvilla per ridare il colore al Conte (Dep. P. di Lompnes, Brucner, 1. c., p. 428). (2) Si noti che la senape alla temperatura di 100° C. perde già tutta la sua efficacia perchè il fermento è ucciso e l’essenza se mai ci fosse svapora. (3) Tutte queste ricette si trovano nella requisitoria (Bruc®er, |. €., p. 418). (4) Vedi la nota a pag. 6. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. Toi 162 PIERO GIACOSA Nessuna colpa può dunque attribuirsi ai rimedii sommini- strati al Conte, come coefficienti del tetano; e ancora una volta devesi dunque affermare che l'ipotesi dell’avvelenamento è da escludersi; da escludersi in quanto la malattia di cui il Conte morì non può essere prodotta da nessun farmaco, ma è il risul- tato delle tetano-tossine assorbite (per la via dei tronchi ner- vosi, come oggidì si crede); da escludersi in quanto mancano altri sintomi atti a dimostrare che, indipendentemente dal tetano o in aggiunta ad esso, sia esistita nel Conte un’altra malattia d'origine tossica complicante e aggravante il tetano. I medici curanti possono essere scusati, se hanno creduto possibile l'intervento dei farmaci somministrati nella eziologia del tetano; poichè, da una parte, come ho gia detto, le loro idee sulla natura dell’azione medicamentosa e sul possibile intensificarsi di essa per la presenza coadiuvante di altri principii erano non solo conformi alla terapia galenica, ma ne costituivano il car- dine; e dall’altra parte non ancora il concetto di “ morbus spasmaticus , o tetano erasi venuto in quei tempi così net- tamente determinando, come nella patologia moderna. Il nome di spasmo nella medicina medioevale è largo e comprensivo, e abbraccia tanto il tetano quanto le contratture e i crampi, quanto ancora le convulsioni. Quando si tenga presente questa ampiezza di significato si comprendono le distinzioni che sirfacevano di spasmi per plenitudine o replezione e spasmi per evacuazione, distinzione che si trova nell’ aforismo d’ Ippocrate (VI. 39): “ Zraguoì fivovtar, î ùtò TiNpwolog, ff KEvWwWOiog, OÙTW dè Kai \uyuòg ,: nel quale caso, come rettamente fece il Fuchs (1), deve tradursi “ convulsioni ,. Mesué (2) accenna allo spasmo per sollevarsi di vapori, per freddo che impedisce al muscolo di purgarsi, per veleno: e qui dobbiamo interpretare, secondo i casi, o convulsioni o crampi. Un riflesso di questo stato delle co- gnizioni lo troviamo nelle domande rivolte al Granvilla durante il consulto tenutosi poche ore prima della morte del Conte, allorchè questi insisteva presso i suoi nell’accusare il Granvilla, ed i consiglieri prudentemente esitavano a seguirlo in una via, che fin d'allora appariva falsa ed era in ogni modo pericolosa. (1) Hippokrates® Werke, I, 125. Miinchen Luneburg 1895. (2) De re medica, I, Theor. IV, cap. 13. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 163 Al Granvilla si chiese che sorta di spasmo fosse quello del Conte, “ vel de replesione, vel de auctione, vel de non pro- “ porcionatis ad materiam ,; ed egli, che non doveva essere molto dotto e che sopratutto in quel momento si sentiva cir- condato di sospetti e minacciato di gravi pericoli, si smarrì e si raccomandò alla misericordia dei presenti allegando la sua buona fede. Non difettano certo, in questo malaugurato processo, gli elementi bastanti a stabilire la verità; poichè, oltre alle prove sia d'ordine positivo (decorso della malattia), sia d’ordine negativo (impossibilità d’ attribuirla a sostanze propinate al Conte), che abbiamo passato in rassegna, un’altra ancora ci è fornita, e di un valore grandissimo. Essa ci è data dalla deposi- zione di Luchino Pasquale, il medico (1), il quale, interrogato sulle medicine propinate al Conte se potevano produrre il tetano, am- mette bensì con riserva che così possa essere, ma nello stesso tempo accenna ad un’altra causa della malattia, cioè ad una ferita alla gamba, che il Conte si era fatta pochi giorni prima del tetano, e che il Granvilla aveva curato male, affrettandosi a farla chiudere, mentre conveniva ‘tenerla aperta. Con questa deposizione noi abbiamo l'elemento che ancora mancava per ristabilire in tuttii suoi particolari la figura intiera della malattia di Amedeo VII. La ferita alla gamba destra ci è confermata dai cronisti dell’epoca e si mantiene nella tradi- zione come una spiegazione — e noi possiamo dire oramai la sola vera — di tutta la malaugurata faccenda. Luchino aveva colpito giusto addebitando al Granvilla l’errore di non aver te- nuta aperta la ferita alla tibia. Noi sappiamo invero oggidì la ragione del precetto che l’esperienza aveva già fin d’allora formulato: data la natura anaerobiotica del bacillo del tetano, esso si sviluppa bene in ambienti chiusi e privi d’aria, sopra- tutto poi se sono presenti altri microorganismi patogeni aerobii (1) Brucwer, 1. c., p. 422. Il passo, in quanto si riferisce all'essenziale, cioè all’esistenza di una ferita alla tibia con scopertura del tendine, e all'errore del trattamento, è esplicito: “ in curacioni cujusdam punceture in “ tibia dextra super chordam... per paucos dies ante spasmum cum in clau- ‘“ dendo festinabat idem magister Johannes, quam puncturam apperire ‘“ debebat ,. La ferita della tibia è poi riconfermata nella confessione (ultima) del Granvilla. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. LI 164 PIERO GIACOSA che consumino il. poco ossigeno presente. Errore — disse il medico saggio — non malizia. Un'altra ipotesi potrebbe porsi innanzi, conciliabile an- ch’essa a rigore co] fatto del tetano traumatico; ed è che il medico, colla violenta cura rivulsiva al capo, nei giorni imme- diatamente precedenti la malattia, abbia potuto causare qualche ferita che sia stata veicolo di tetano. Tale possibilità non fu presa in considerazione dai contemporanei, i quali, anche quando incolpano la medicazione al capo, si riferiscono unicamente alla potenza venefica degli ingredienti della medicazione stessa; nè si affacciò a. maestro Luchino o ad Omobono, che non ne fanno parola nella loro deposizione. Ed essa non pare accettabile nep- pure a noi. È bensì vero che il Conte Rosso subì, per guarirsi della calvizie, un trattamento che può chiamarsi barbaro: rasogli il capo dei pochi capelli superstiti fra le aree di calvizie, lo si lavò con un lisciva forte di ceneri vegetali, poi gli si applicò un unguento a base d’assafetida, il tutto accompagnato da vio- lenti frizioni di cui il disgraziato a ragione si lagnava. La pelle del capo era rossa come fiamma. È probabile che qualche escoriazione si sia pure fbrmata e si sia così aperta una via all’infezione. Ma se si considera l'origine di questo trauma, le circostanze in cui si produsse, la presenza di liscivia calda, la brevità del periodo di incubazione, non pare che lo si possa ritenere come quello che diede luogo al tetano. I bacilli di Ni- colai sono invece abbondanti sulla terra, nel pulviscolo delle strade, sulle scorze d’alberi, sui muri, nelle vestimenta, sulla suppellettile di cuoio, insomma sugli oggetti con cui può essere stata a contatto la ferita della tibia. Nell’una e nell’altra ipotesi non può tuttavia imputarsi al Granvilla se non imperizia; e non lo si può accusare di avve- lenamento, visto che, pur trascurando (come egli fece o per ignoranza o di proposito) le buone norme di medicazione delle ferite, non si è mai certi di provocare il tetano. A meno che si voglia supporre ch’egli avesse a disposizione culture pure dei bacilli di Nicolai e ne avesse infettato la piaga. Risolta negativamente e definitivamente — io voglio spe- rare — la questione dell’esistenza di un veneficio, rimangono a indagare le cause che hanno condotto a credervi e conferito a dar corpo a tale sospetto. Questo esame è più facile a noi che, SULLA MORTE DI AMEDEO VII 165 escludendo il delitto, ci siamo sciolti da quelle preoccupazioni di ricerca del colpevole, le quali sviano dalia retta e onesta interpretazione dei fatti e falsano il giudizio sulla condotta dei personaggi. Il medico (Granvilla conobbe il Duca allorchè arrivò a Mouthier il 31 lugliò, ancora sofferente per la caduta d'Ivrea; raccomandato dal Duca di Borbone fratello della gran Contessa fu bene accolto dal figliuolo di lei, che si fece tosto visitare (non diciamo auscultare come il Bruchet (1). perchè l’auscultazione si introdusse assai più tardi) e si lasciò persuadere a intraprendere una cura per i suoi acciacchi. È naturale che i medici ordinarii della casa non vedessero di buon occhio il nuovo arrivato. Uno di essi Omobono, o spon- taneamente 0 per mandato, compare a Chambéry, dove il Gran- villa era andato a far provvista di rimedii, esamina le ricette e le giudica troppo forti. Si trattava di un rimedio per la Con- tessa. Ma la gelosia maggiore s’accese fra i famigliari imme- diati del Conte, che non potevano tollerare il nuovo venuto il quale li soppiantava entrando in dimestichezza col padrone. Il più feroce è il barbiere Peronet Alet; si vanta d’aver rifiutato d’'obbedire al Granvilla; s° indegna del costui ardire, che dopo la famosa cura al capo, descritta nel modo più tendenzioso, osa imporre il proprio berretto al Conte; incoraggia, allorchè questi si vede perduto, i suoi sospetti; e, nel momento in cui si esaminano le ricette dei medicamenti dati al Conte, interviene a dire che ben altri ancora gli furono somministrati. I paggi, la ca- meriera sono come il barbiere ostili al Granvilla per le stesse cause. Fino a che il Granvilla illuse il Conte o con miglioramenti reali o con promesse, questi sospetti dei famigliari non ebbero presa su di lui; ma allorchè il suo medico, vedendo che la ma- lattia era gravissima, commise l’enorme imprudenza di sommini- strargli l’unicorno — il favoloso contravveleno universale — il Conte d'improvviso si conobbe in pericolo, vide nel medico un nemico e lo cacciò, trasmutando in odio l’amore di prima. Eppuré, se veramente il Granvilla fosse stato in colpa, non avrebbe sug- gerito una cura atta a confermare il sospetto di intossicazione. La verità è, che il Granvilla, vedendo il Conte allo sbaraglio d’una , (1) Loc. cit., pag. 40. 166 PIERO GIACOSA malattia sicuramente mortale, si sentì perduto; e lo confessò egli stesso pochi giorni dopo, allorchè al vescovo di Tarantasia, che gli chiedeva conto d'aver dato l’unicorno, rispose invocando la sua buona intenzione. Ma frattanto l’accusa di avvelenamento suona da tutte le bocche intorno al Conte; egli insiste coi suoi famigliari che si arresti ad ogni modo il ribaldo; i domestici fremono d’impa- zienza di colpirlo. Il Cheyne, che succede al Granvilla mentre i medici ordinarii non sono ancora presenti, crede a queste voci, le porta in giro e le avvalora più tardi con le sue affermazioni sui reperti postmortali delle lividure e delle feci. E da mera- vigliare che simili panzane, alle quali neppure i medici del tempo hanno prestato fede, siano state accolte dagli storici moderni ; tanto che uno dei più diligenti fra essi, il Bruchet, non esita a dire che in seguito ai reperti del Cheyne si deve rinunciare alla congettura che il Conte sia morto di morte naturale (1). (1) L. c., p. 66. Maestro Omobono interrogato a proposito del significato delle lividure al torace del cadavere del Conte, dice che è vero che “ textatur “ Galiienus, in sexto de Interioribus, quo corpore uso bono regimine et “ dictam sanitatem custodiente, si accidat in subito moriatur ejusque “ cutis viridis fiat aut nigra, fertur a quibusdam sumpsisse mortissferam “ pottionem ,. Tralasciando di esaminare la plausibilità di questa affer- mazione di Galeno, la quale poi non si adatta al nostro caso, perchè il Conte Rosso allorchè ammalò era tutt'altro che in buone condizioni di sa- lute e la morte sua non fu subitanea, ma avvenne dopo dieci giorni di degenza a letto, questa citazione vale a dimostrare la dottrina del medico Omobono e la sincera redazione delle deposizioni. Infatti il passo citato si trova in Galeno, De Zocis affectis, VI, 5 (A pag. 40 B dell’edizione Giun- tina del 1550) ed è fedelmente parafrasato da Omobono. Ecco il testo di Galeno nella traduzione latina: “ Quum enim homo suapte natura probis “ humoribus abundans ac sanoram more educatus, de repente moritur (ut © letali assumpto veneno fieri solet) deinde corpus aut livens aut nigricans “aut varium est aut diffluens aut putredinem molestam olet: hunc venenum “ sumpsisse ajunt , I caratteri qui accennati si possono infatti verificare in seguito ad avvelenamenti per morsi di animali velenosi e sopratutto di serpenti. Ciò che il Cheyne dice delle feci, non fa che dimostrare la sua asso- luta ignoranza, congiunta alla superstizione più stolida. Se le feci potes- sero essere così preziosi documenti di avvelenamento, la chimica tossico- logica odierna avrebbe còmpito assai facile, anzi non sarebbe neppure necessario il suo intervento. Anche in questo i medici d’allora, i quali non dànno alcun peso a simile dichiarazione, appariscono onesti e sinceri, come lo furono nella diagnosi e nella eziologia della malattia. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 167 Tutta la deposizione del Cheyne appare tendenziosa e ri- vela la crassa ignoranza del chirurgo che s’atteggiava a medico; che dire del suo terrore nel sentirsi annunciare che le sue mani, dopo fatta l’unzione al Conte, sono gonfie ? La ricetta era di Omobono, quindi insospettabile; il veleno doveva dunque essere stato trasmesso al Conte attraverso la cute! Tale era il con- cetto della potenza dei tossici negli ignoranti di quel tempo. Perchè non pensò il Cheyne, che il suo zelo nel frizionare il povero malato fosse stato eccessivo e che le lividure riscontrate poi nel cadavere ne fossero le prove, non meno che la tume- fazione — reale o supposta — delle mani ? I medici ordinarii non assecondarono la corrente dei sospetti: al Conte che gli dice: “ Vedi in che stato m'ha messo codesto medico ,, — Omobono risponde: “ Non mettetevi in capo queste ubbie; ciò che ha fatto l’ha fatto in buona intenzione ,; — parole che se contengono un biasimo al Granvilla, l’assolvono però da ogni accusa di avvelenamento. Luchino pure è scongiurato da Amedeo morente di far arrestare e inquisire il Granvilla; ma si ritira presso al fuoco e piange, senza eseguire il mandato. Én- trambi i medici poi più tardi diedero una novella prova della loro ferma convinzione che non si dovesse cercare la causa della morte del Conte nei rimedii somministratigli, quando si recarono insieme al confessore a confortare gli ultimi momenti dello sventurato Pietro di Lompnes, il farmacista di Corte, di cui si era impossessata per consegnarlo al carnefice quella che noi an- cora continuiamo a designare col nome di Giustizia. Si sono cercati nelle parole del Conte Rosso degli clerici per condannare sua madre: in realtà però esse non possono pre- starsi a tale interpretazione. Nulla egli disse che accusi anche velatamente sua madre; egli le invia messaggi per mezzo dei suoi gentiluomini perchè si assicuri della persona del Granvilla e lo faccia, se occorre, mettere alla tortura; le fa dire da Cos- sonay che egli, il Conte, è suo figlio, e che gli deve voler bene più che ad altri, e non credere al falso medico, come egli si pente d’aver creduto (1). Parole che furono certo dolorose alla (1) Bruc®er, l. c., p. 417. Secondo la testimonianza di G. di Chignin (ib., p. 429), il Conte avrebbe invece spedito il suo barbiere dal Cossoney, a narrargli delle cure tutte fattegli dal Grafivilla, per le quali si credeva 168 PIERO GIACOSA madre, la quale non poteva per. ùn infondato sospetto di un ammalato, indursi a commettere un’ingiustizia, che era anche . una imprudenza, tanto più che il Granvilla non dava segno di voler fuggire; onde la gran Contessa si limitò a rispondere con lagrime la cui sincerità apparisce ancora maggiore se si pensa alle parole saggie del Consigliere di Cossonay colle quali erano commentate: “ Elas il fait grand pechiè qui met ce en teste.,. La persona del Granvilla si prestava singolarmente ad es- sere il fuoco in cui si concentravano tutti i sospetti. In lui la capacità a delinquere è evidente. Il mistero della sua origine e del suo passato, la viltà dell’arnese in cui apparisce, la pompa dei suoi titoli, la rapidità della sua ascesa, l’oltracotanza della sua dimestichezza indicano in lui la tempra di quegli scaltri e spregiudicati avventurieri che edificano subite fortune sfruttando e incoraggiando le debolezze dei ricchi e dei potenti. Durante il suo breve soggiorno presso Amedeo VII ei si mostra altrettanto spavaldo e prepotente nella buona fortuna quanto meschino e vile nella avversa (1). Eppure quest'uomo possedeva l’arte di dif- fondere intorno a sè un arcano terrore, che lo faceva credere inve- stito di poteri soprannaturali. Solo in questo modo si può spiegare il fatto degli uomini mandati ad arrestarlo (erano in quattro gio- vani arditi, due paggi, un palafreniere ed un domestico), i quali affacciatisi all’uscio della sua camera arretrarono nel vederlo prendere un libriccino e leggervi; e quello del paggio Pietro di Laes che, afferrato il medico alla spalla, mentre coll’altra mano impugna la daga per percuoterlo, si sente strappar mano e daga dal braccio nell’atto in cui il Granvilla apre il terribile libriccino. ridotto a tal fine; e gli avrebbe soggiunto: ° Et dicas dicto domino de “ Cossonay an debeat plus diligere illum latronem quam me ,. Il che toglie alle stesse parole mandate alla madre il significato di un dubbio che Amedeo avesse sulle intenzioni materne. Si comprende abbastanza la con-. citazione del linguaggio del Conte nelle condizioni in cui era. (1) La notte in cui il Conte muore, il Granvilla che teme ad ogni mo- mento d'essere arrestato, non trova il coraggio di fuggire: Heu quid “ faciam, si essem cervus, vel bichia... vel avis... ego fugerem et rece- “ derem ,; e non osa neppure far le sue valigie (Bruc®er, l. c., 418). Il Conte doveva conoscerlo bene se mostra di temere che la Gran Contessa che è pietosa, sl intenerisca adle sue lagrime. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 109 La losca figura del Granvilla si smaschera tutta allorchè si legge quel misto evidente d'ignoranza e di menzogna che è la confessione che egli fece il 30 marzo 1393 (1) al Castello di Usson in Alvergna, quando, prigioniero del Duca di Berry che non osava punirlo, ma lo teneva come strumento di minaccia contro la gran Contessa, accusa la infelice Signora d’averlo in- citato a uccidere il figlio e afferma la morte ‘essere dovuta ai rimedii da lui Granvilla somministrati e sopratutto alla famosa frizione al capo colla liscivia calda e coll’unguento. Questi ri- medii, dice il Granvilla, dovevano indurre prima paralisi e poi spasmo, e insiste parecchie volte su questa sequenza assurda, narrando passo per passo le cure fatte negli ultimi giorni al Conte (2) e interpretandole precisamente come nelle deposizioni di Peronet Alet e degli altri che nel processo appariscono i più accaniti sostenitori della accusa di veneficio. Tutto questo apparisce tosto una sconnessa, informe struttura di menzogne, che il medico volle fossero anche rimpinzate di errori per meglio poter poi dimostrare l’assurdità, quando non si trovasse più allo sbaraglio delle torture a cui fu sottoposto per strappargli questa mostruosa confessione. Errore voluto, certo, questo della paralisi alle membra a cui doveva seguire lo spasmo, mentre il Conte fu a caccia fino al momento in cui fu ‘assalito dal trisma. Inganno la descrizione impressionante della cura al capo insi- stendo sul riscaldamento che aveva indotto colle sue medica- zioni, seguita dalla applicazione di unguenti restrittivi e di lavaggi freddi, affinchè, come egli dice, “ la froydure dudit la- “ vement intrast par ladicte teste et d’ilec descendist aux meiges “ et corps dudit comte et cheust en parletiquement et fusse “espaumès ,. Menzogna evidente quanto riferisce dei discorsi (1) Documents historiques inédits tirés des collections manuscrites de lu bibliothèque Royale... publiés par M. CaampoLuion Freeac. Tomo III, p. 474. Paris, Firmin Didot, 1847. (2) L'ordine e la sostanza di questa variazione, dimostrano vere le pa- role della ritrattazione ultima, in cui Granvilla dice. che gli si intimava: “ oportet quod dicas nobis rem facti secundum informaciones quas appor- “ tavimus ,. Carrarp, A propos du tombeau du Chev. de Grandson; in * Mém. et doc. etc. de la Suisse Romande ,, II, p. 218. Lausanne, 1890. 170 PIERO GIACOSA della gran Contessa e di Grandson (1) che si sarebbero così scioccamente confidati in lui, e nella forza degli elettuarii che egli stesso confessa, ed a ragione, di aver tratto da Musuè. e dai libri che fanno autorità, e che sappiamo essere innocui (2). Si sa che il Granvilla era stato posto nel gennaio 1393 alla tortura senza che confessasse (3). Se due mesi più tardi egli si decise al gran passo è da pensarsi che oltre alla paura dei tormenti fosse anche intervenuta qualche promessa e qualche compenso per parte del Duca di Berry, la cui condotta è molto sospetta, in quanto non volle consegnare il confesso colpevole alla giustizia di Savoia che lo richiedeva (4), certo temendo che sì scoprisse il suo giuoco astuto di menzogne. Come sempre accade in questi sciagurati cozzi di interessi, l’ innocente indi- feso e inutile fu la sola vittima: Pietro Fabris di Lompnes ap- pena fu nota la confessione del Granvilla fu dannato a morte; e sebbene le sue proteste d’innocenza fossero tali da aver com- mosso il prete che era pure il confessore del Conte Rosso, tanto da indurlo a fare passi per ottenere la grazia, egli fu squartato nel luglio 1393; prima vittima cruenta di questo dramma, a cui più tardi doveva aggiungersi il Grandson. È noto che il Granvilla nel settembre del 1395, essendo in fin di vita, spontaneamente sconfessò le sue dichiarazioni ; ma si è data dagli storici poca importanza a tale atto, prima di tutto perchè si voleva ad ogni costo credere all’avvelena- mento, poi perchè il Granvilla in quell’epoca era prigioniero del Duca di Borbone, che può supporsi lo detenesse appunto perchè sl ritrattasse. Ma è troppo evidente che il Borbone. conscio del- (1) È curioso che il Carrard trovi così naturali i particolari dei dia- loghi fra Granvilla e i suoi pretesi complici, da chiamarli détails véeus che danno un singulier cachet de vérité alla deposizione! CarrARD, ]. c., p. 183. (2) Gli storici che hanno preso così sul serio la deposizione del Gran- villa, potevano, pur non essendo medici, comprendere le contraddizioni che contiene. Come mai si dà un poculo amatorio ad una persona per farlo diventar paralitico ? E la cura a base di ferro fattagli coll'ingombrante elet- tuario è sì o no ricostituente? E se il Conte prima dello spasmo era pa- ralitico, come mai ebbe il figliuolo postumo nato con tanta precisione? (3) Cisrario, Storia del Conte Rosso, p. 123, in “ Studi storici ,. Torino, Stamp. Reale, 1851. (4) Bruner, 1. c., p. 432. Conti del tesoriere generale: spese dell’emis- sario mandato a chiedere la estradizione del Granvilla. SULLA MORTE DI AMEDEO VII 171 l'inesistenza del reato fraterno, non aveva altra condotta a te- nere se non di imprigionare il falsario, che inquisito avrebbe potuto mentire di nuovo e ucciso avrebbe costituito un maggior documento d'accusa. D'altra parte in punto di morte anche in quei tempi si riacquistava. la libertà; ed è appunto in queste condizioni che il Granvilla dettò l’ultima sua dichiarazione. In essa non troviamo più le solenni castronerie dottrinarie della prima; tutto è piano e, quel che è più, tutto coincide colla prima confessione del Granvilla che si trova negli atti del processo, dove già si parla della ferita alla tibia che alcuni pretendono sia una invenzione venuta fuori qui per la prima volta. Singolare poi in tutto questo è che gli storici, i quali ac- cettano la prima confessione del Castello d’Usson come buona, si riservano però di sceverare in essa il vero dal falso secondo le loro simpatie; mentre è fermissimo e notissimo canone degli elementi processuali di tutti i tempi e di tutti i paesi — e qui non potrà considerarsi un fuori luogo il ricorso ad essi —, che la confessione è inscindibile. Ad esempio, per il Cibrario la confessione è tutta buona; ma per il Bruchet essa vale solo in quanto accusa il Grandson. Per rispetto alla seconda confessione, questi serittori non vi dànno peso, perchè le dichiarazioni di Cheyne fondate sulle vergheggiature della pelle e sul fetore e colore delle feci sarebbero troppo probative di veleno (Bruchet) (1) e perchè l’effetto dei veleni sarebbe più logico (2) nella prima che nella seconda confessione (Cibrario) ! L'interesse del dibattito relativo all’accertamento del vene- ficio e alla ricerca dei colpevoli ha fatto tralasciare alcuni par- ticolari interessanti che appariscono dal processo. Durante tutta la malattia del Conte Rosso non sì trova mai indizio che o l'una o l’altra delle due Contesse si sia recata al suo letto. Egli è sempre circondato dai suoi compagni soliti, il barbiere, i pala- frenieri, i paggi, il sarto della moglie; vanno da lui il chirurgo e qualche gentiluomo non però dei maggiorenti, che vediamo raccogliersi al suo capezzale solo quando la morte è imminente. (1) L. c., p. 66. (2) Il Cibrario (Storia del Conte Rosso, in * Studi storici ,, p. 92. Torino, Stamperia Reale, 1851) si è insospettito perchè nella seconda ricetta egli vede somministrato semi di opio; in realtà erano semi di apio (sedano); l'opio è succo di papaveri e come tale non si riproduce neanche per semi. 172 PIERO GIACOSA Il Conte nella sua malattia nomina la moglie per dire che anch'essa ha pagato profumatamente il medico; un suo paggio riferisce bensì alcune parole di sviscerato amore per essa che il Conte avrebbe pronunciato; ma quali appariscono, dette per confutare il medico odiato, hanno minor valore di spontaneità (1), data anche la loro enfasi. Della madre parla con rispetto, come di donna pietosa e buona, ma comunica con lei per ambasciate e non la chiama presso di sè. È lecito inferire che Amedeo VII non sentiva troppo i le- gami domestici, non amava la vita di famiglia, non le etichette di corte; egli preferiva la società dei suoi intimi compagni di caccia e di giuoco; amava i divertimenti, i balli, gli spettacoli, le cavalcate, i frivoli amori (un suo figlio bastardo era allora a corte) e i facili lazzi triviali delle compagnie mascoline (2). La condizione di isolamento, in cui il Conte si manteneva vo- lontariamente, che ha fornito buon argomento agli accusatori di Bona di Borbone, in realtà non ha nulla di inspiegabile. ed è frequente anche oggidì nelle famiglie regnanti che pagano col caro prezzo dell’allentamento dei legami famigliari il privi- legio della loro posizione. Non pare logico che si invochi in favore di una ipotesi così sciagurata una circostanza, che può valere solo a dimostrare un desiderio di indipendenza, un disprezzo delle convenzioni e un odio delle seccature, che tutti sentiamo, se pure, trattenuti da ritegni che nei principi sono meno validi, ci asteniamo dall’ostentare e dal mettere in pratica. Bisogna poi ancora tener presente la condizione in cui si trovavano le due Contesse, di nuora e di suocera, legame, che già di per sè abbastanza malagevole e grave di pericoli, era qui ancora aggravato dalla posizione alta della madre, da (1) Brucner, p. 424, Dep. di H. de la Fléchère: © dicens... comes quod “ ipse medicus mentiebatur (aveva detto il Granvilla che il Conte non amava “ nè la moglie, nè il figlio) et quod Deus sciat quia... si... Sabaudie comi- “ tissa... consors morietur ipse cum eidem mori vellet ,. La circostanza dei beveraggi amatorii non depone in favore della sua affezione maritale, la quale, se veramente fosse esistita, avrebbe per propria virtù operato ciò che s'aspettava da quelle medicine. (2) Anche tenendo conto della licenza di linguaggio dell’epoca, è no- tevole la risposta del Conte al Granvilla, che gli augurava che potesse starnutire: “ Je faroe meus on pet ,. SULLA MORTE DI AMEDEO. VII 173 quella umile e quasi oscura della nuora, la quale non aveva nep- pure un gran conforto nell’appoggio maritale, e che per giunta non era di carattere e di animo molto elevato. Lo dimostrano la facilità con cui crede all’avvelenamento, e il superstizioso ter- rore con cui scongiura coll’unicorno gli effetti del veleno sulle mani di Cheyne, il quale non s'era accorto di nulla; atto che risaputo tosto aiutò molto a dar corpo ai sospetti correnti nel servidorame. Lo dimostra anche il suo passaggio a seconde nozze nel dicembre 1393, a soli due anni di distanza dalla morte del marito. Ben diversa e più degna sia nella prospera che nell’av- versa fortuna è la condotta della gran Contessa. Nelle due donne era dunque insita una fatale opposizione d’interesse e di carattere sufficiente a determinare in ciascuna la polarità necessaria perchè in quel torbido ambiente le energie che lo saturavano si orientassero, si disciplinassero, si tendes- sero per la lotta. Ho cercato di abbozzare un quadro delle condizioni esistenti alla Corte di Savoia, per le quali si venne ad una presunzione di delitto e ad una designazione di colpevoli entrambe false. E da deplorarsi che un complesso di circostanze, destituite tutte di valore probatorio, abbia avuto il potere di condurre ad una sentenza di condanna, non solo i giudici del tempo, che sareb- bero scusabili, ma gli stessi nostri contemporanei. Come appare evidente in tutto questo la continuità del fe- nomeno storico! Se il processo del Conte Rosso avesse dovuto ritarsi ai giorni nostri davanti al tribunale dei nostri scrittori di storia, l’esito sarebbe stato identico a quello di cinquecento anni fa. In realtà questo dibattito si è chiuso soltanto il giorno in cui un medico intervenne e necessaria mente confermò l’asserto dei suoi antichi colleghi, asserto che le passioni del tempo hanno impedito fosse accettato. Speriamo che ora almeno la sentenza sia definitiva e che questo esempio dimostri che le questioni. anche se appartengono al passato, devono risolversi con gli stessi criterii che si applicano alle attuali; e insegni allo sto- rico che a lui spetta il compito di istruire coscienziosamente il processo raccogliendo tutto il materiale di testimonianze, non quello di pronunciare la sentenza, dove gli manca la capacità tecnica di giudicare del significato di codesto materiale. Se non che il dramma di Ripaglia non consiste tutto nella 174 PIERO GIACOSA — SULLA MORTE DI AMEDEO VII oggettività dell'’avvelenamento. Gli atteggiamenti dei personaggi di questo dramma, lo stato d’animo loro, la condotta che ten- nero, informata oa fermi convincimenti — se pure errati — 0 a pertinaci intenti, suffragati sia da passioni nobili, sia da astuti calcoli, costituiscono essi pure un fenomeno storico altrettanto reale quanto l’esistenza del delitto, e certo più importante e per le sue conseguenze e per il suo valore come indice di coltura. La ricostruzione che per noi si fa della verità ha per risultato di assolvere i personaggi principali dalle accuse che una parte dei contemporanei e della posterità ha gettato su di loro; ma lascia sussistere l'insieme del dramma con tutti i suoi contrasti passio- nali, colla sua efficacia rappresentativa delle condizioni della società del tempo, le quali pur troppo, come si è visto, non sono poi ancora tanto dissimili dalle attuali. Perciò il rimpro- vero che si può muovere allo storico di aver trascurato l’accer- tamento peritale e d'aver precipitato un giudizio senza le prove indispensabili, anzi in contrasto con esse, non può muoversi al- l'artista, il quale riproducendo uno degli aspetti che il dramma ha assunto nelle menti di chi vi assistette o lo conobbe, ne trasse la materia della sua opera. La verità storica in questo caso cede il passo alla verità umana, la quale è sufficiente per l’opera d’arte, che ha ragion d’essere in sè indipendentemente da ogni elemento estrinseco. Tanto è vero che nell'opera d’arte, che impropriamente si chiama storica, può mutarsi il nome dei personaggi e l’epoca e il luogo, che sqno gli elementi essenziali storici, senza scemarle per nulla il valore. E ciò perchè l’opera d'arte non ha per compito di riprodurre quel che fu in un dato momento, ma quel che è in ogni tempo. rd i It Relazione intorno alla memoria del Prof. AnnipaLe PasTORE: Dell’essere e del conoscere. Lo seritto, che col titolo Dell’essere e del conoscere il pro- fessore Annibale Pastore vi ha presentato perchè fosse inserito fra le Memorie della Classe, trascende, pur nella sua relativa brevità, i limiti di una semplice monografia, e può ben dirsi una compendiosa ma esauriente revisione critica dei principî fondamentali di tutta la filosofia teoretica e un tentativo ardito ma penetrante di rinnovamento dei suoi metodi. Che anzi, poichè in essa si affronta non solamente in tutta la sua ampiezza il problema dell'essere e del conoscere, ma ancora il problema stesso, che dal precedente rampolla, del valore delia conoscenza anche di fronte alla concezione pratica della vita, così lo studio del Pastore attinge perfino, nelle sue ultime parti, ai supremi fastigî della morale. E lo strumento, di cui l'Autore si è valso massimamente in cotesto suo ricercare le radici ultime della disciplina, è la logica, la logica, ben s'intende, non solamente intesa come eser- cizio di ragione, ma sopratutto come tipo di scienza; poichè essa, secondo il suo stesso dire, è veramente il musagete impli- cito di tutto il presente orientamento filosofico. Ma qui cade subito a proposito un’avvertenza. Ed è, che, — se anche questo nuovo lavoro del Pastore si riattacca per la sua fondamentale concezione a una sua precedente e più breve nota, inserita nei Rendiconti dell’Accademia dei Lincei e intitolata: “ Sull’origine delle idee in ordine al problema dell’universale ,, ove egli si era però esclusivamente occupato di quella specie di idee universali, alle quali si ritiene che dia luogo la cosidetta induzione matematica; se anche egli qui riasserisce, per rispetto al metodo, la sua convinzione che buona parte, delle questioni gnoseologiche, non tutte però, siano risolvibili coi metodi ma- tematici, e cioè sia col geometrico, sia con l’analitico, richia- mandosi pur qui l'Autore a precedenti e noti scritti suoi, come ad esempio a quello: “ Sopra alcune proprietà ottiche di un par- 176 ticolare piano isotropo e non omogeneo ,; se anche, infine, per quanto ha tratto alla terminologia, è a quella delle scienze esatte (là dove altri filosofi com'è risaputissimo si sono com- piaciuti di escursioni spesso semplicemente verbali nel campo delle scienze biologiche), che egli di predilezione si rifà: così che, ad esempio, a designare quelle quantità dell’essere, sulle quali si esercita l’attività conoscitiva e che costituiscono valori arbitrariamente scelti, come appunto sono le cose e i fatti del mondo naturale, le sensazioni e le idee del mondo spirituale (tanto nel loro essere che nel loro divenire), egli si varrà del termine variabili indipendenti, mentre, per converso, dirà v4- riabili dipendenti quei valori determinati in corrispondenza ai valori attribuiti alle variabili indipendenti, e che sono le rela- zioni costanti sia dell'essere che del divenire del mondo natu- rale e le relazioni costanti sia dell’essere. che del divenire del mondo spirituale; — pur tuttavia — e sta qui appunto il nocciolo della nostra avvertenza, — l'Autore si è tenuto lontano in questa memoria da quella identificazione sostanziale fra le scienze filo- sofiche e le matematiche, che è nei postulati di una recentis- sima, assai nota e certo rispettabilissima scuola, ma che ha dato certamente (a parte ogni giudizio sul suo valor sostanziale) in qualche esagerazione; come quando alcuni fra i processi più delicati del lavoro mentale furono ridotti, e per opera appunto di questo nostro medesimo Autore, all'espressione materiale di quelli del meccanico. E di questo deviamento — non diciamo già abbandono — dall’antico cammino, la cagione fu, per rispetto al primo punto e cioè alla sostanza, la sfera non più limitata delle idee uni- versali, alla quale si affisa qui l'indagine; e per rispetto al secondo punto e cioè al metodo, non solamente una considera- zione di opportunità, vale a dire il proposito di rendere essa indagine accessibile a ogni maniera di lettori, ma ancora un motivo essenziale, ed è l’intromettersi, che l’ Autore bene av- verte, di troppe influenze modificatrici e perturbatrici di effetto temporaneo e permanente nella già di per sè complicata fun- zione conoscitiva, che toglie si possa risolvere con sicurezza mediante il semplice calcolo quella equazione fra gli stati e le variazioni dell'essere e i valori determinati che il conoscere assume in corrispondenza di essi, entro i limiti certi e ristretti, 177 in cui il conoscere è compreso; e, finalmente, per rispetto al terzo punto e cioè alla terminologia, l'accendersi e lo esaltarsi medesimo della materia trattata, la quale dalle gelide strettoie della logica matematica erompe nel fiotto medesimo della vita e sì innalza fino alle supreme norme dell’azione. Cosicchè colui, il quale era mosso di tra la distinzione e contrapposizione delle varie specie dell’essere in variabili indipendenti e variabili dipen- denti, siccome si è veduto, procede poi attraverso il cozzo for- midabile dei due principî antitetici della necessità e della libertà, del determinismo e dell’indeterminismo, e sotto l’ispirazione di quei pensatori, italiani e stranieri, i quali hanno superata la fase esclusivistica con la bipolare assunzione di entrambi i sud- detti principî e con il porre la realtà della coscienza morale nella compresenza più o meno antagonistica o conciliativa di essi, e assorge da ultimo fino alla conquista di un ulteriore principio, superiore a quello stesso da ultimo enunciato, e fino anzi alla proclamazione di una propria norma di coscienza e di vita, e cioè a quella che l'Autore chiama la morale prometèa. Perchè prometèa? Perchè è nella mitica figura di Prometeo che, secondo l'Autore, si attua la dignità suprema e la sintesi armo- nica della coscienza morale; perchè è Prometeo lo spirito più rappresentativo della libertà, anzi della liberazione degli uo- mini, che vogliono, come l’autore appunto conchiude e vuole, ben chiaramente ed esclusivamente riporre le basi della vita nella vita. Con la quale formulazione del suo concetto fondamentale — non è forse in essa un’eco di quel tragico conflitto fra la interpretazione apollinica e la interpretazione dionisiaca della vita del quale Federico Nietzsche parlava? — l'Autore mostra di avere, tra le due correnti onde. è sospinto, come egli stesso osserva, il nuovissimo pensiero italiano in fatto di filosofia teore- tica, prese le mosse bensì da quella che si associa al lavorio di revisione critica dei principî e dei metodi delle scienze esatte, ma di essere poi stato trascinato anch'egli da quella, che non rinuncia, sono ancora sue parole, all’arbitrario ma più geniale soccorso della poesia. E di ciò non ci lagneremo certamente noi, se a tale tra- passo progressivo e quasi fatale, dobbiamo alcune pagine vera- mente magnifiche di inspirazione, di fattura e di ripercussione 178 etica ed emotiva, che chiudono questo lavoro. Poichè, se ama- rissima è l’ultima parola di esso: non esistere libertà che nella ragione, la quale sola ci può aiutare a comprendere il male, e nessuna arma esservi che questo possa debellare se non il comprenderlo, pur tuttavia essa vibra di una stoica intrepidità non scevra di un’alta significazione morale e di una perfetta nobiltà. Onde — pur senza preoccuparci della consistenza di tali risultati, che la elevatezza del procedimento e la purezza delle intenzioni basterebbero a rendere degni di ogni più simpatica considerazione; pur senza lasciar di opporre qualche manchevo- lezza di svolgimento, dovuta al proposito di stringatezza che l’Au- tore si era fissato, per cui però alquanto impari riesce a tratti la sua critica, come ad esempio là, ov’egli differenzia la propria concezione da quella così celebrata del Croce nella Filosofia della pratica, ed ove egli si accontenta di poco più dell’ enun- ciazione che tale differenza sta nell’innesto da parte sua di un elemento di razionalità sui due tronchi intrecciantisi, su cui poggia la teoria crociana, mentre che, se non già il valore stesso, almeno la straordinaria fortuna di quest’ultimo sistema, avrebbe voluto .un qualche maggior chiarimento; pur senza tacere, infine, il rilievo che il Pastore si mostra in complesso uomo di non molti libri e di non troppo peregrine letture, forse perchè in tutta l’opera sua è visibile l'intento di collegare la propria concezione teoretica colle dottrine tradizionali della filosofia e segnatamente colle dottrine dello Spinoza e del Rosmini, e perchè, secondo l'Autore, la speculazione non può progredire sporadicamente; — noi siamo però concordi nel proporvi e nel vivamente rac- comandarvi l’accoglimento di questa preziosa e molto elaborata memoria. PasquaLe D’ErcoLE, RopoLro RENIER, Francesco RurrinI, relatore. L’ Accademico Segretario Garrano De Sanctis. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’8 Gennaio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, SaLvapori, JApANZzA, GuarescHI, FiLeti, PARONA, MaTTIROLO, Grassi, FusAaRrI, BALBIANO e Segre Segretario. — Scusa las- senza il Socio GumI. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica un invito dell’Università di S. Andrea in Scozia, alle feste che si celebreranno per il 5° centenario della sua fondazione, dal 12 al 15 settembre 1911. Presenta inoltre il dono fatto dal Dr. Giuseppe PioLtI al- l'Accademia del 23° volume dei “ Monatsblitter , della (Gesel/- schaft fiir Pommersche (reschichte und Altertumskunde. Il dr. ProLTI aveva già in passato fatto omaggio all'Accademia dei prece- denti volumi di quella collezione. Il Socio GuaRrEscHI presenta, per l'inserzione negli Atti, le due Note seguenti : Azione dell'etere cianacetico sulle aldeidi orto- e paraossi- benzoiche in presenza di ammoniaca, del Dr. Mario ScLavi; Sul perossido di Torio, di F. CALZOLARI. Il Socio SEGRE, per incarico del collega relatore Guipi, legge la Relazione sulla Memoria dell’Ing. Carlo Luigi Ricor, L'ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella scienza delle Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 12 180 Costruzioni. Si approva all'unanimità la lettura e l'accoglimento della Memoria nei volumi accademici. Il Socio GuarEscHI presenta all'Accademia la Parte prima di una sua Memoria su Francesco Selmi e la sua opera scientifica. In essa egli fa rilevare l’importanza delle principali ricerche scientifiche del Selmi quali quelle sullo solfo, sui cristalli misti isomorfi, sulla tetravalenza del piombo, sulle soluzioni sovra- sature, sulle trasformazioni del joduro mercurico, sui fermenti e la nitrificazione, sul potere riduttore degli organismi inferiori, sul latte, sulle pseudosoluzioni o soluzioni colloidali, la sco- perta delle ptomaine o alcaloidi cadaverici e delle patoamine, e quindi le ricerche sulle autointossicazioni, ecc. La Classe con voto unanime delibera la pubblicazione di questo lavoro fra le Memorie. MARIO SCLAVI — AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 181 LETTURE Azione dell'etere cianacetico sulle aldeidi orto- e paraossibenzoiche in presenza di ammoniaca, Nota del Dr. MARIO SCLAVI (1). Per consiglio del prof. Guareschi ho intrapreso lo studio dei derivati di condensazione delle aldeidi orto- e paraossiben- zoiche, per vedere se anche da queste due aldeidi si formassero i sali ammonici delle dicianglutaconimidi sostituite, secondo l'equazione: k R | | . CHO C i TANI NC.H3C CHo.CN NC.HC C.CN = sO +20,H;0H-+-H,0-+Hs, H:C.00C CO0.C,Hy OC CO 0% NH, NH insieme ai prodotti secondari, etere e amide non saturi e amide satura. Per la paraossibenzaldeide la reazione procede come in tutti i casì studiati dal prof. Guareschi. Ho trovato il sale ammonico della p.ossibenzaldiciangluta- conimide e accanto a questo la cianacrilamide fondente a 245° e la cianacetamide sostituita fondente a 156°. Debbo però a questo riguardo notare un fatto: che la quantità di cianacetamide è inferiore della metà a quella della (1) Queste ricerche sono state eseguite dal Dr. Mario Sclavi nel mio laboratorio nell’anno 1905 e facevano parte della tesi di Laurea in Chimica e Farmacia. I. GUARESCHI. 182 MARIO SCLAVI cianacrilamide; ciò, a mio parere, non può dipendere che dalla posizione para dell’ossidrile fenico, il quale induce nei due atomi di carbonio uniti da doppio legame nella cianacrilamide, una minore capacità alla saturazione che su essi tendono ad eser- citare i due atomi di idrogeno che si svolgono allorchè chiu- desi l'anello piridico. Questa mia ipotesi è confortata dal fatto che anche il dott. Piccinini (1) che studiò il comportamento della vanillina e dell’aldeide protocatechica, le quali contengono pure due ossidrili liberi, trovò solo accanto ai sali ammonici le cor- rispondenti amidi non sature, e ne dedusse perciò che la ten- denza dell’amide non satura ad. idrogenarsi è relativamente piccola, e che si abbia di preferenza qualche reazione concomi- tante, giacchè l'idrogeno non si svolge allo stato di gaz. Per l’aldeide salicilica la reazione varia un poco. Il pro- dotto principale non è più costituito dal sale ammonico, ma da un etere saturo simmetrico, il quale è l’etere ortoossibenzaldi- ciamacetico : . /CH(CN)CO0C;H; OHC;H,CH XCH(CN)COOC:H; identico a quello che Bechert (2) ottenne per reazione dell’etere cianacetico sull’aldeide salicilica in presenza di etilato sodico. Ciò dimostra che la reazione non solo si arresta al suo primo tempo, ma anche che l’aldeide salicilica in luogo di reagire molecola per molecola coll’etere cianacetico, reagisce subito con due molecole di etere, e che il sale ammonico, il quale in questo caso costituisce un prodotto secondario, originasi direttamente per l’azione prolungata dell'ammoniaca sull’etere senza che abbia luogo la trasformazione dell’etere in amide: ti _/CH(CN)C00CxH; /CH(CN)CO\, OHC;H,CH -+-2NH;=0HC;H,CH N—NH*-+2C;H;0H N\CH(CN)C00C,H; \CH(CN)CO7 Ammettendo questo, sì verrebbe pure ad ammettere la for- mazione di una dicianglutarimide, il che non è stato ancora ri- (1) Piccinini, Azione dell'etere cianacetico su alcune aldeidi diossifenoliche, “ Atti R. Ace. Scienze di Torino ,, vol. XXXIX, 19 Giugno 1904. (2) “ Journ. f. prakt. Chem. ,, 1894, vol. 50, p. 20. AZIONE DELL’ETERE CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 183 scontrato per nessun'altra aldeide; cosa che sperimentalmente io non ho potuto confermare. Riassumerò ora brevemente i dati sperimentali. Paraossibenzaldeide C;H, ui OH pani \CHO (4). L'aldeide adoperata proveniva dalla Casa Kahlbaum e pre- sentava tutti i caratteri di purezza richiesti. Punto di fusione 117°. Metto a reagire in boccia a tappo smerigliato quantità pro- porzionali ai pesi molecolari di aldeide (1 molecola, cioè gr. 6,1), etere cianacetico (2 molecole = gr. 11,2) e ammoniaca (3 mole- cole, cioè lo em? al-23 %0). Sciolgo dapprima l’aldeide e l'etere in 14 cm* di alcool a 90°; poi aggiungo l’ammoniaca. Il liquido omogeneo e lim- pido colorasi subito in giallo senza aumento sensibile di tem- peratura. Agito con turbina Rabe: in capo a un paio d'ore il liquido comincia a intorbidarsi e dopo 24 ore di agitazione si ha nella boccia una massa semifluida giallo schietto inglobata da un liquido rosso-vinoso. Lascio in riposo 12 ore: filtro alla pompa e ne separo così un prodotto che, lavato con alcool e asciugato tra carta all'aria, si presenta in masse incolore, che, secche, pesano gr. 5,75. Il rendimento rispetto all’aldeide impiegata è-del 70°/, circa. Ripe- tuta la preparazione: egual rendimento. Il liquido filtrato è rosso vinoso, odora fortemente di ammoniaca: lo diluisco con circa 40 cc. di acqua e lo lascio a sè. Non osservando nessuna precipitazione ne distillo l'alcool: ottengo allora un precipitato in fiocchetti giallognoli che rac- colti, asciugati e seccati, pesano gr. 1,35. Fondono decompo- nendosi a 235°-239°: di essi parlerò in seguito e per ora li chiamo A. Il rimanente del liquido abbandonato alla spontanea eva- porazione sull’HsS0, lascia depositare due sostanze: una volu- minosa leggerissima che raccolta pesa gr. 0,80, si presenta in eristalli lunghi e lucenti. Fonde a 145° (composto B): la se- conda è in globetti fondenti con decomposizione a 180°. 184 MARIO SCLAVI Esaminata in seguito si dimostrò formata di un miscuglio di sale ammonico e di composto A. Le ultime acque madri si condensano in una massa fluida dalla quale mediante estrazioni con etere, ricavai piccole quan- tità di aldeide paraossibenzoica e di composto A, e mediante soluzione in acqua bollente del residuo insolubile in etere, pic- cole quantità di sale ammonico. Sale ammonico della paraossibenzaldicianglutuconimide. — Grezzo e secco all’aria si presenta in masse dure bianche lie- vemente giallognole, che osservate al microscopio si dimostrano composte da lunghi cristalli aciculaffi intrecciati fra loro: tra essi si notano cristallini di sostanza gialla. Lo depurai trattan- dolo con etere in apparecchio a ricadere. Allontanando l'etere per distillazione ottenni un residuo cristallino giallo che ha i caratteri e il punto di fusione del composto A. Dopo l’estra- zione il sale ammonico così purificato venne cristallizzato dal- l’acqua bollente. Lo ottenni per raffreddamento della soluzione acquosa in piccole masse bianchissime che raccolsi, asciugai e seccai tra carta all’aria. Sale bianco leggero che non fonde fino a 300°; abbastanza solubile in acqua bollente dando soluzioni lievemente giallo- gnole: poco solubile a freddo. Gr. 14,9482 di soluzione satura a freddo di sale ammonico, evaporati in capsula di platino a b.m., hanno dato un residuo che seccato a 100-105° pesava gr. 0,0268: una parte di sale sciogliesi quindi in 557 parti di Hs0 a freddo. E poco solubile nell’alcool anche concentrato: pochissimo nell’acetone e nell’etere: per evaporazione spontanea di questi solventi lo si ottiene in cristalli aciculari lucenti. È un sale abbastanza stabile. Non perde ammoniaca nè a temperatura ordinaria nè a 100°; la perde lentamente a freddo, rapidamente a caldo se trattato con latte di magnesia. Cristallizza con due molecole di acqua di cristallizzazione. Gr. 0,7485 di sostanza secca all'aria hanno perso per ri- scaldamento a 100-105° gr. 0,0908 di Hs0. Gr. 1,6124 idem idem nelle medesime condizioni hanno perso gr. 0.1918 di Hs0. AZIONE DELL'’ETERE CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 185 Calcolato per Ci3HxgNy03-+2H20 = 306 trovato % È — i nn = ——==— _e=—€ Hg Ontig76 J0:12,01129 £1,89 All’analisi la sostanza diede: I. — Gr. 0,3612 di sale ammonico distillato in corrente di vapore con latte di magnesia, fornirono gr. 0,0231 di am- moniaca. II. -- Gr. 0,3993 id. id. fornirono gr. 0,02539 di NH;. II. — Gr. 0,17490 di sale ammonico anidro danno ce. 30,6 di azoto a 13°,5 e 747 mm. = a gr: 0,03554 di N. IV. — Gr. 0,1808 di sale ammonico anidro danno a 159,3 e 750,5 mm. 32,6 cm? di N=a gr. 0,03704 di N. V. — Gr. 0,1436 di sale ammonico anidro danno gr. 0,3061 di CO, e gr. 0,0536 di Hs0. VI. — Gr. 0,1602 di sale ammonico anidro danno gr. 0,3370 di CO, e gr. 0,0580 di H,0. Calcolato per CisHioN,03 = 270 trovato i AE Pico Bea pl gt pi I; I II III IV V VI Dino ir phASO4i a voler agoisoioe ihr ilemgr in 8r0197,87 (3 = 3,70 c ta an #10: 5. i4601 Noa Esa 2040 _ — 20,4 20,51. — id Nik = ,29 699, 3600300 2a Ce Pa né Dal complesso di queste analisi è dimostrato che il sale ammonico esaminato è realmente il sale ammonico della para- ossibenzaldicianglutaconimide, avente la costituzione: OH.C5H, | C N NC.HOT 0. | + 2H,0=806 CO Le soluzioni acquose sature a freddo di questo sale am- monico trattate con soluzioni acquose di sali metallici formano sali ben definiti, alcuni dei quali ho esaminato. Trattate: 186 MARIO SCLAVI 1° Con cloruro ferrico danno un precipitato in masse bianche, lievemente carnicine, che decompongonsi all’ebullizione ; 2° Con solfato ferroso, precipitato in masse leggere, bianco azzurrognole, decomponibili all’ebullizione; 3° Con solfato di rame, precipitato in aghetti azzurro- verdastri solubili a caldo e riprecipitanti a freddo; 4° Con cloruro di bario precipitato in aghi lunghi di splen- dore setaceo, molto solubili a caldo, e riprecipitanti a freddo; 5° Con nitrato d’argento, e con nitrato di Ag ammonia- cale, precipitato in aghi bianchi a freddo, giallognoli a caldo, poco solubili a caldo, alterantisi alla luce; 6° Con cloruro potassico, intensa precipitazione di minu- tissimi aghi bianchi, solubili a caldo; 7° Con fosfato bisodico, e con cloruro sodico, precipitato il primo in aghi giallognoli, il secondo in aghetti bianchi, solu- bili entrambi a caldo. L’alcool diluito li scioglie entrambi e ne impedisce la for- mazione. È degna di nota la straordinaria sensibilità di questo sale ammonico verso 1 sali di potassio. Con volumi eguali di soluzione satura a freddo di sale am- monico e di cloruro potassico, ottenni subito intensi precipitati con soluzioni di KC1 all’1 e al 0,5 °/00; con soluzioni all’1 per 3000 ottenni precipitato ancora dopo 5 ore; con soluzione di KCI all’1 per 4000 dopo 12 ore. Sale di magnesio (C,3HgN303)a Mg + 6Hs0 = 636,36). Estrassi questo sale lisciviando con acqua bollente il re- siduo rimasto in fondo al pallone distillatore impiegato nel do- samento dell’NH; nel sale ammonico. È un sale bianco cristal- lizzato in lunghi cristalli leggerissimi, bianchi lucenti, che con- tengono 6 molecole di H,0. Gr. 0,3458 hanno perso per riscaldamento a 100-105° dopo 4 ore gr. 0,058 di H,0. Calcolato per (C13HgN30)*Mg + 6H:0 = 636,36 trovato —_ TT —. H,0 % 16,97 H,0 % 16,87 n AZIONE DELL'ETER® CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 187 Il dosamento del magnesio in questo sale dimostra che qui il composto funziona come monobasico. Gr. 0,2866 di sale di magnesio anidro, calcinato in crogiolo di platino, hanno dato un residuo costituito da gr. 0,0218 di ossido di magnesio = 0,0129 di Mg. Calcolato per (C,3HgN303Mg = 528,36 trovato e == n Mg % 4,61 Moio; 450 Sale di bario (C,3H;N30;)?.Ba + 6H30 = 749,40. — Ho preparato questo sale trattando una soluzione acquosa calda di gr. 1,076 di sale ammonico con una soluzione, pure calda, con-. tenente la quantità calcolata di cloruro di bario (gr. 0,4867) secondo la reazione: 30; 3H,0N,0s + Ball, = (0;H;N,0,)*Ba + 2NH,CI. Per raffreddamento della soluzione cristallizza il sale di bario in cristalli bianchi, fini, lucenti, molto simili a quelli del sale di magnesio, molto solubili in acqua calda e che cristal- lizzano con 6 molecole di H,0. Gr. 0,8085 di sale di bario seeco all’aria riscaldati per circa 2 ore !/, in bagno di vapore acqueo nell’apparecchietto Guareschi hanno perso gr. 0,1149 di H,0. Calcolato per (C,3HgN303)?Ba + 6H30 = 749 trovato Horse) BH, 0° TE45241 Ho dosato il bario in questo sale sotto forma di solfato: a) per via secca: calcinando il sale in crogiolo di pla- tino in modo da ottenere ossido di bario, umettando questo con H,S0,, trasformando in tal modo l’ossido in solfato di bario e calcinando di nuovo fino a peso costante. Gr. 0,2708 di sale di bario anidro hanno dato in tale guisa: gr. 0,098 di BaSO, pari a gr. 0,0576 di bario; b) per via umida: decomponendo il sale di bario colla quantità calcolata di acido solforico, raccogliendo, calcinando e pesando il solfato di bario precipitato. 188 MARIO SCLAVI Gr. 0,694 di sale di bario anidro, trattati nel modo descritto hanno dato gr. 0,2399 di solfato di bario pari a gr. 0,1412 di bario. Calcolato trovato = rn — A I, Bar; 1542 l°;t21728 20520134 Sale d’argento C,3HyNz303Ag + Hs0 = 378. Avendo il prof. Guareschi riscontrato che alcune dician- diossipiridine possono funzionare da acidi bibasici dando sali biargentici (1), forse per la migrazione che subiscono l’atomo di H del gruppo CH.CN e l'atomo di idrogeno imidico, sperimentai se ciò avvenisse pel derivato da me ottenuto. Precipitai perciò una soluzione acquosa calda di sale am- monico con nitrato d’argento ammoniacale in quantità calcolata appunto per ottenere il sale biargentico. Ottenni dei cristalli bianco-giallastri poco solubili in acqua, alterabili alla luce, e che cristallizzano con una molecola di H,0 : il dosamento dell’Ag in esso mi dimostrò avvenuta la forma- zione di un sale mono-argentico. Gr. 1,6182 di sale secco all’aria tenuti nel vuoto sull’HsS0, hanno perso gr. 0,0776 di H,0. Calcolato per C;3HgN;03Ag + H30 = 378,13 trovato H,0 % 4,76 4,79 Gr. 0,371 di sale d'Ag anidro calcinati mi diedero un re- siduo costituito di gr. 0,112 d'Ag metallico: Calcolato per Ci3HgN303Ag == 360 trovato Ag ° 30,00 Ag °/ 30,18 Paraossibenzaldicianglutaconimide C,3H:N303 = 258. Preparai questo composto decomponendo il sale di bario colla quantità calcolata di H,S0, e il sale d’Ag. sospeso in acqua con corrente di H,S. L’imide ottenuta nei due modi è identica. (1) “ Mem. della Accademia delle Scienze di Torino ,, Serie 2°, T. L, pag. 240. I AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 189 Si presenta in cristalli bianchi, fini, lucenti : è solubilissima nell'acqua e nell’alcool. Ha carattere acido marcatissimo e si combina colle basi monometalliche molecola per molecola. All’analisi questo pseudo acido secco all’aria ha dato: Gr. 0,1210 di imide danno a 16° e a 743,6 mm., cm8 17,8 di N pari a gr. 0,02028 di N: Calcolato per C,3H7N303 = 258 trovato Ta e a san 3 N 9/o 16,6 N °/o 16,76 Gr. 0,1594 di imide richiedono per la loro neutralizza- zione cc. 3,65 di NaOH ic (indicatore fenolftaleina). Calcolato per Ci3H,7N303 trovato T_T =— e — dv LT NaOH 9 15,8 NaOH 9/o 16,5 A questo composto spetta dunque la formula HO.CH, | (6 N pie NC.HC C.CN | | =D C;3H:N303 = 255,19 ev NH -Paraossibenzalcianacrilamide C,)HgN303 = 188. — È questo il composto A che si ottiene distillando l’alcool dal liquido dal quale fu separato il sale ammonico. ed estraendo con etere il sale ammonico grezzo. Impuro, questo composto si presenta in cristallini giallastri fondenti con decomposizione a 238-239°. Purificato con ripetute cristallizzazioni dall'alcool a 90° lo si ha in cristalli giallo vivo fondenti nettamente a 245° svolgendo NH;. È poco solubile in acqua, solubile in alcool ed acetone, meno nell’etere. All’analisi la sostanza secca ha dato: 190 MARIO SCLAVI Gr. 0,1305 danno a 149,5 e 739 mm. cc. 17,8 di N pari a er: ‘0,01905 di N: Gr. 0,1152 danno gr. 0,2686 di CO, e gr. 0,0448 di H0. d Calcolato per CioHgN20» = 188 trovato E!" E con a Gi0/311:83,82 63,58 Ho, 4,925 4,31 N Ohh 14,39 14,60 Questi numeri informano quindi trattarsi dell’amide non satura, cui si assegna la formula: CN OHC;H,CH = el NC0-NH;. In causa della piccola quantità di sostanza a mia disposi- zione non ho potuto esaminare completamente il comportamento di questa sostanza verso il bromo. Basandomi però su alcune esperienze e sulle analogie che corrono tra l’aldeide paraossibenzoica e il piperonalio mi per- metto l’ipotesi che il bromo agendo sulla p-ossibenzalcianacril- amide non si addizioni ai due atomi di carbonio non saturo in modo da formare un bromoderivato saturo, ma vada a sostituire l'atomo di idrogeno del nucleo aromatico dell’aldeide. CN /CN OHGH,CH = C + Br?= 0HG;H;BrCH = € | HBr. N\CO.NH, XCO.NHy Decomponendo quindi questo bromoderivato con soluzioni alcaline si dovrà ottenere da una parte la bromoparaossiben- zaldeide e dall'altra un derivato dell'acido malonico. Puraossibenzalcianacetamide C,oHi0Ns0, = 190. — E questo il composto B che precipita per evaporazione spontanea sull’a- cido solforico del liquido della condensazione. Grezzo, è in eri- stalli polverulenti grigiastri solubili in acqua bollente e alcool, fondenti a 145° svolgendo NH;. AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 191 Purificata per ripetute cristallizzazioni dall'acqua bollente si ottiene in cristalli fini, lunghi, lucenti, bianchissimi, il cui punto di fusione è 156°. Seccata e analizzata, ha dato i seguenti risultati : Gr. 0,1031 di sostanza diedero a 179,5 e 723,3 mm. ce. 15,7 diaNi=staà gr.:0,01532. di N. Gr. 0,1288 di sostanza diedero gr. 0,297 di CO, e gr. 0,0594 di H,0. Calcolato per CioHioN2a0a = 190 trovato —— n n O a 039/4068, 16 62,88 Ht96 5,26 5,12 No 09/9 SEL 14,86 Da questi numeri risulta evidente che il composto esami- nato è la paraossibenzalcianacetamide, avente per formula : i PASO HO\CSA* CH CHX xCO—NHa. Essa si origina, come dimostrò Guareschi (1) per l’azione dei due atomi d’idrogeno, svoltisi nella chiusura dell'anello piri- dico, sulla cianacrilamide : CN /CN RCH = o” + H,= RCH- CHX NCO-NH, SCO EENHS y ZON) Ortoossibenzaldeide CHi CHO e). Metto a reagire in una boccia a tappo smerigliato gr. 6,1 di aldeide salicilica, gr. 11,1 di etere cianacetico e ce. 15 di NH, al 23%. Per aggiunta dell’ammoniaca la soluzione si rapprende in una massa rosso-vinosa con forte aumento di temperatura ; agitando, essa si ridiscioglie e torna a condensarsi in una massa (1) GuarescHI, Sulle diciandiossipiridine, loc. cit. 192 MARIO SCLAVI giallo vivo inglobata da un liquido rosso bruno dopo 6 ore di agitazione. Aggiungo allora 45 ce. di acqua e torno ad agitare per altre due ore. Dopo riposo, filtro alla pompa; raccolgo così un prodotto che lavato, asciugato e seccato si presenta in masse dure gialliccie pesanti gr. 13,1. Le acque madri odorano forte- mente di ammoniaca. Evaporate a b.m. a mite calore, poi nel vuoto sull’acido solforico, depositano un prodotto bruno giallastro in minuti fioc- chetti pesanti gr. 1,30. Etere ortoossibenzaldicianacetico OHG:H,CHC CH(CN)COOC.HE. Esaurendo il prodotto della condensazione con etere in ap- parecchio a ricadere si ottiene, distillando l'etere, un residuo formato da cristallini giallognoli fondenti a 128-129° e pesanti gr. 8. Depurando questo nuovo prodotto con ripetute cristalliz- zazioni dall'alcool all’80 °/ lo si ottiene in piccoli cristalli bianchi, lucenti e che fondono nettamente a 140° in un liquido bruno. Sono solubili in alcool diluito e concentrato, in etere e benzene ; insolubili in acqua. Secca all’aria la sostanza ha dato all’analisi: Gr. 0,2034 di sostanza dànno a 17°,5 e 731 mm. 15,4 cm? digNit/atar 001741 ditazato: Gr. 0,1301 di sostanza dànno gr. 0,2894 di CO, e gr. 0,0638 di H,0. Caleolato per Cy;Hig N30; + ‘/a H30 = 389 trovato ORLO 6018 60,6 RISSA 5,60 5,44 Na 8,26 8,55 Queste analisi, oltre a confermare l'identità di questo com- posto coll’etere ortoossibenzaldicianacetico ottenuto dal Bechert, (luogo citato), confermano pure le di lui esperienze, secondo le quali l’etere cristallizzerebbe con una mezza molecola d’acqua. Sale ammonico.-— Questo composto lo si ottiene asportando, con etere, l’etere ortoossibenzaldicianacetico dal prodotto della condensazione. AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO SULLE ALDEIDI, ECC. 193 Pesa in tutto gr. 5,4, è giallastro, pochissimo solubile negli ordinari solventi (acqua, alcool diluito e concentrato, benzolo, acido acetico); il suo miglior solvente sembra sia l’alcool al 25 9/y per quanto in esso pure si sciolga molto poco; infatti: Gr. 24,9086 di soluzione satura a freddo di sale ammonico evaporati in capsula di platino a b.m. dànno un residuo che seccato a 100-105° pesa gr. 0,0138. Una parte di sale si scioglie quindi in 1804 di alcool al 25 °/o. Tentai di cristallizzarne una piccola parte (2 gr.) da questo alcool: ottenni dei minutissimi fiocchetti giallastri che cristalliz- zano con 1 e * è molecole d’acqua. Gr. 0,562 di sale ammonico secco all'aria perdono dopo 4 ore , ‘ di riscaldamento a 100-105°, gr. 0,0534 di H,0. Calcolato per Ci3HioN,03 + 1/3 H30 = gr. 297,29 trovato Ùi È n" esa Ha® 0 la) 9,02 H30 9.5 dh Non perde NH; nè a temperatura ordinaria nè a 100°; la perde invece lentamente ma in modo netto a freddo, rapida- mente a caldo se trattato con latte di magnesia. Le sue solu- zioni aleooliche precipitano bene con alcune soluzioni metalliche : cloruri di bario, potassio e sodio, cloruro ferrico, solfato di rame, nitrato d’argento. Sottoposta all'analisi questa sostanza mi ha dato risultati non molto concordanti tra di loro; dipendenti certamente dalla difficoltà di ottenerla pura, in causa della sua poca solubilità. Si può tuttavia dedurre da essi che anche qui trattasi di un sale ammonico, ma non è possibile affermare se trattisi del sale ammonico della ortoossibenzaldicianglutaconimide : HO.CH, | (8; ZA NC.HC C.CN | | OC ‘0 e N.NH, oppure del sale ammonico della dicianglutarimide avente la costituzione: 194 = MARIO SCLAVI — AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. OHG;H,CH po Agi NC.HC CH.CN Data la formazione dell'etere ortoossibenzaldicianacetico il quale non contiene doppio legame, è lecito supporre che si formi quest’ultimo sale ammonico di preferenza che il primo, tanto più che Bechert ha preparato per azione dell’ammoniaca alcoolica sull’etere ortoossibenzaldicianacetico un’imide glutarica avente la costituzione : HO.CH,.CH OR NC.HC CH.CN | OC Co dad NH Però, essendosi Bechert limitato a determinare il solo azoto, la questione se trattisi realmente di una dicianglutaconimide o no, è ancora insoluta, tanto più che la differenza nella percen- tuale di idrogeno fra le due è molto piccola. Il composto proveniente dalla evaporazione delle acque madri ha gli stessi caratteri del sale ammonico ora descritto, ed è quindi da ritenersi eguale a questo. Lo studio delle due reazioni mi porta alle seguenti con- clusioni : 1° Non si formano nella condensazione delle due aldeidi i composti a funzione mista di etere e amide che Carrick pel primo ottenne per azione dell’ammoniaca acquosa sull’ etere a cianocinnamico, e Guareschi con reazioni analoghe, da molte altre aldeidi; 2° Nella condensazione dell’alucide paraossibenzoica ho ottenuto il sale ammonico della dicianglutaconimide sostituita in y dal residuo dell’aldeide e come prodotti secondari ho pure ottenuto le due amidi corrispondenti, satura e non satura; 5° Nella condensazione dell’aldeide salicilica ho ottenuto come prodotto principale l’etere ortoossibenzaldicianacetico e come prodotto secondario un sale ammonico senza trovare traccia di altri composti secondari. F. CALZOLARìÌ — SUL PEROSSIDO DI TORIO 195 Sul perossido di Torio‘. Nota di F. CALZOLARI. L'acqua ossigenata anche senza aggiunta di ammoniaca 0 di altri alcali, precipita, com'è noto, quantitativamente il Torio dalle soluzioni neutre o debolmente acide dei suoi sali allo stato di perossido idrato, composto al quale viene attribuita Ja formola Th307.xHs0. Questa reazione è molto importante, perchè su di essa è basato il metodo migliore di dosamento del Torio in presenza degli elementi delle terre rare. Essa venne inter- pretata dal Pissarjewsky (2) nel modo seguente: In un primo tempo l’acqua ossigenata sposterebbe comple- tamente i radicali acidi del sale di Torio: p. es. col nitrato se- condo l’equazione: Th(NO;), + 4H503 = Th(0-0H), + 4HNO, poi durante il lavaggio, il perossido idrato Th(0-0H); ver- rebbe idrolizzato con formazione di prodotti meno ricchi in ossi- geno attivo: Th(0-OH), + H,0 == Th(0-0H);. OH L H.0, Th(0-OH), + 2H,0 = Th(0-0H),.(0H), + 2H0, Th(0-OH), + 3H30 = Th(0-0H) .(0H); + 8H,0, Il prodotto Th,0,.xHs0 che si ottiene dopo lavaggio completo sarebbe una miscela equimolecolare del composto Th(0-0H),.(0H), col composto Th(0-OH).(0H),. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica della L. Università di Ferrara. (2) Z. f. anorg. Chem. 31, 359 (1902). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 13 196 F. CALZOLARI Secondo alcune determinazioni da me eseguite l’azione del- l’acqua ossigenata sui sali di Torio non è così profonda come l’ha supposta il Pissarjewsky. Io ho determinato per via indi- retta la composizione del perossido idrato non sottoposto a la- vaggio, facendo agire volumi noti di una soluzione titolata d’acqua ossigenata sopra volumi noti di soluzioni di sali di Torio, e poi, avvenuta la deposizione del precipitato, dosando su parti ali- quote del liquido limpido l’acqua ossigenata in eccesso e l’acido liberatosi nella reazione. Tale analisi indiretta è possibile, perchè il perossido di Torio non esercita alcuna azione decomponente sull'acqua ossigenata, come aveva già riconosciuto il Pissarjewsky e come io pure ho verifieato. I risultati delle mie esperienze che vennero eseguite con quantità diverse di acqua ossigenata e sopra sali diversi di Torio sono i seguenti: 1° Il precipitato che si ottiene facendo reagire l’acqua ossigenata sulle soluzioni di nitrato di Torio contiene per due atomi di Torio tre atomi di ossigeno attivo e due equivalenti di acido nitrico ancora combinati; 2° Dalle soluzioni di cloruro di Torio per azione del- l’acqua ossigenata si separa un perossido idrato che contiene per due atomi di Torio tre atomi di ossigeno attivo ed un equi- valente di acido cloridrico ancora combinato; 3° H precipitato che si ha dalle soluzioni di solfato di Torio contiene per due atomi di Torio, a seconda delle condi- zioni, da due a tre atomi di ossigeno attivo e due equivalenti di acido solforico combinati. In nessun caso dunque l'ossigeno attivo e l'acido che si libera raggiungono i valori supposti dal Pissarjewsky. Nel corso di queste esperienze ho avuto occasione di con- statare un fenomeno interessante che mi ha condotto alla pre- parazione del perossido colloidale di Torio. Facendo reagire l’acqua ossigenata sopra una soluzione diluita di cloruro di Torio, che conteneva un po’ di ossicloruro, non ebbi alcun precipitato. La reazione però tra il sale di Torio e l’acqua ossigenata doveva essere in qualche modo avvenuta, perchè il liquido, dopo l'aggiunta dell’acqua ossigenata, era diventato nettamente acido. Il perossido formatosi doveva dunque essere rimasto in solu- zione probabilmente allo stato colloidale. Infatti aggiungendo SUL PEROSSIDO DI TOR10 197 una soluzione di cloruro d'ammonio ebbi tosto la precipitazione quantitativa del perossido idrato. Per ottenere la soluzione colloidale di perossido di Torio allo stato di purezza sottoposi a dialisi una soluzione neutra di cloruro di Torio addizionata di acqua ossigenata in eccesso. Attraverso la membrana dializzante passarono rapidamente del- l'acido cloridrico e dell’acqua ossigenata che vennero tosto ri- scontrati nel liquido esterno: non passarono invece nemmeno traccie di Torio. Si continuò la dialisi finchè il liquido esterno non diede più le reazioni dell’acqua ossigenata e quindi nel li- ‘ È : Th . pico da stante. quido interno il rapporto olio divenne costante La soluzione di perossido colloidale è un liquido limpido, incolore, a reazione neutra che può venir evaporato a bagno maria senza formazione di precipitato; si ha tosto la coagula- zione .per aggiunta di elettroliti (NH,C1, NaCl, NH,N0O;, H,S0,) anche in piccola quantità. Esso contiene per due atomi di Torio tre atomi di ossigeno attivo: inoltre vi si riscontrano piccole quantità di Cloro che possono venir ridotte a minime traccie prolungando la dialisi per molti giorni. Il precipitato che si ha per coagulazione contiene il Torio e l'ossigeno attivo nello stesso rapporto che la soluzione col- loidale. Nel liquido rimasto dopo la coagulazione non si riscon- trano nemmeno traccie di Torio e di acqua ossigenata. Da questi fatti mi pare si possa concludere che l’acqua ossigenata, la quale non si separa dal Torio nemmeno con una dialisi molto lunga e lo accompagna totalmente nella precipi- tazione, dev'essere effettivamente e saldamente legata al Torio. Faccio notare che di tutti i perossidi finora noti il peros- sido di Torio è il primo ad essere ottenuto allo stato colloi- dale. Ricerche analoghe ho intraprese sui sali di Zirconio e di Titanio i cui perossidi sembrano comportarsi in modo simile a quello di Torio. 198 F. CALZOLARI PARTE SPERIMENTALE Per analizzare in modo indiretto il perossido idrato di Torio si procedeva come segue: In un cilindro a tappo smerigliato s’introduceva un volume esattamente misurato della soluzione del sale di Torio (da 10 a 30 cc.) di cui era stato previamente determinato il contenuto in Torio ed in acido, poi 10 cc. di soluzione al 10°/, di clo- ruro o di nitrato d’ammonio, quindi con una buretta l’acqua ossigenata ad una concentrazione dal 2 al 10 ® ed infine tan- t'acqua da portare il volume del liquido a 100 cc. Le soluzioni impiegate erano state precedentemente raffreddate a tempera- tura di 4°-5° ed alla stessa temperatura veniva pure mantenuto il cilindro nel quale si faceva avvenire la reazione. L'aggiunta di acqua ossigenata determinava subito la for- mazione di un precipitato bianco fioccoso che si depositava ra- pidamente al fondo. Il dosamento dell’acqua ossigenata nel liquido limpido si eseguiva prelevandone un campione di 10 cc. e titolando con soluzione di KMn0O,: su 20-50 ce. si determinava l'acidità con soluzione “/,jo di KOH. Il tempo non ha influenza sulla reazione. Determinazioni di ossigeno attivo e di acidità fatte dopo tempi diversi dalla precipitazione diedero gli stessi risultati. S'intende che le solu- zioni venivano mantenute sempre a 4°-5°, Esperienze con nitrato di Torio. Determinai nella soluzione impiegata la percentuale di ThO, ed il contenuto in HNO,, perchè il nitrato purissimo del com- mercio contiene ordinariamente acido nitrico in quantità al- quanto superiore al teorico affinchè il prodotto sia completa- mente solubile in acqua. La soluzione conteneva gr. 0,9485 di ThO, °/ ce. e gr. 0,9415 di HNO;° (determinato col metodo Schulze e Tiemann). L'acqua ossigenata impiegata conteneva gr. 2.074 di H;0, %o. 1° Esperienza. — A 20 cc. della soluzione di Th(NO3), vennero aggiunti 10 cc. di soluzione di NH,NO;, 20 ce. della SUL PEROSSIDO DI TORIO 199 soluzione di acqua ossigenata e 50 cc. di acqua. Dopo 1 ora 10 ce. di liquido limpido ridussero cc. 22.2 di soluzione “/jo di KMnO, corrispondenti a gr. 0.01776 di O attivo: dopo 15 ore la quan- tità d'acqua ossigenata libera non era sensibilmente variata. 50 ce. del liquido richiesero per la neutralizzazione ce. 11.3 di soluzione “/1g di KOH, cioè contenevano gr. 0.0712 di HNO;. Da questi risultati si calcolano nel precipitato di perossido idrato di Torio i rapporti atomici: ae +13 Bi da O attivo — 1.51’ NOT EM.0% 2* Esperienza. — L'acqua ossigenata fu aggiunta in quan- tità doppia di quella impiegata nella 1* esperienza e cioè a 20 cc. di soluzione di Th(NO,;), si aggiunsero 10 cc. di soluzione di NH,JNO;. 40 ce. di H30, e 30 ce. d’acqua. Dopo 6 ore 10 cc. del liquido limpido richiesero cc. 46.4 di soluzione “/,o di KMn0O, e per la neutralizzazione di 50 ce. s'impiegarono ce. 11.3 di soluzione “/;1o di KOH. Si calcolano quindi i rapporti atomici: ERBE ra 1 PC Sb e LS — O attivo — 1.63? NOs ri ‘(4/01 5* Esperienza. — Identiche condizioni della 1%. La so- luzione d’acqua ossigenata impiegata conteneva gr. 2.2737 di Hs0; 90. 10 ce. di liquido limpido ridussero ec. 24.5 di soluzione “/o di KMn0,. 50 cc. di liquido limpido richiesero cc. 11.25 di soluzione */,0 di KOH. Si calcola: Qluta imnidol eg e E) O attivo 1.56 NO; 7-402); 4* Esperienza. — A 25 cc. di una nuova soluzione di nitrato di Torio contenente gr. 0,9488 °/, di ThO, e gr. 0.9418 di HNO; si aggiunsero 25 cc. di soluzione di acqua ossigenata al*10:%; circa. 200 F. CALZOLARI 10 cc. di liquido limpido richiesero per la neutralizza- zione cc. 5.65 di KOH “/,0. Si calcola il rapporto: Di lion Nol adi Esperienze con solfato di Torio. La soluzione impiegata conteneva gr. 0.9380 di ThOy °y ce. e gr. 0.6960 © di H,SO,. La soluzione di acqua ossigenata con- teneva gr. 1.5014 %/, di Hs0.. 1° Esperienza. — A 25 cc. della soluzione di Th(SO,)s si aggiunsero 25 ce. di soluzione di H30, e 50 ce. di acqua. 10 ec. di liquido limpido ridussero cc. 17.3 di soluz. di KMnO,y (Ice: = gr_.0:00092%d10)! 20 cc. di liquido limpido richiesero cc. 5.5 di soluzione di * ,0 di KOH. Da questi risultati si calcola: Per gr. 0.2345 di ThO,, ossigeno attivo fissato gr. 0.01748, HsSO,; ancora combinato gr. 0.03925. Si hanno perciò i rapporti: l'ho ada Th. gg O attivo — 1,28’ IE SI A ZIA 2° Esperienza. — 25 cc. di soluzione di Th(SO,),, 50 ce. di soluzione di H,0, e 50 ce. di acqua. 10 cc. di liquido limpido ridussero ce. 36.4 di soluz. di KMn0O, (Tee.==er-0:00092-d140); 20 ce. di liquido limpido richiesero ce. 5.4 di soluzione di “/jo di KOH. Si calcolano i rapporti: ASTI RNA Ti: ia AI O attivo — 1.30 H,SO,. GAB 3* Esperienza. — A 25 ce. di una nuova soluzione di Th(S0,), contenente gr. 0.9353%/, di ThO, e gr. 0.6936 9 SUL PEROSSIDO DI TORIO 201 di H,SO, sì aggiunsero 10 cc. di una soluzione di acqua ossi- genata contenente gr. 10.63 °/, di H303 e 65 cc. di acqua. 20 cc. di liquido limpido richiesero per la neutralizzazione cc. 5.35 di soluzione “/,jo di KOH. Si calcola: Desa ‘I H3S0, — 0.49‘ Esperienze con cloruro di Torio. La soluzione impiegata conteneva gr. 1.9450 di ThO, % cc. e CI in quantità corrispondente a gr. 0.8824 di HC1 9 ce. (dosam. secondo Volhard). La soluzione d’acqua ossigenata conteneva 23742) di ‘H,0,°/,. Cc. 1% Esperienza. — A 80 cc. della soluzione di ThCI, si aggiunsero 10 cc. di soluzione al 10° di NH,CI, 10 cc. di so- luzione di H,0, e 50 cc. di acqua. 10 ce. di liquido limpido ridussero cc. 20.1 di soluz. di KMnO, (1 ec. —0.00039781 di 0). 10 ce. di liquido limpido richiesero cc. 6.15 di soluzione “/10 di KOH. Da questi risultati si calcola per gr. 0.5835 di ThO,, O at- tivo fissato gr. 0.05529: HCI ancora combinato gr. 0.0404 e quindi: 0 dea glo O attivo — 1.56’ HCl 0.502‘ 2° Esperienza. — 10 cc. di soluzione di cloruro di Torio, 10 cc. di soluzione di NH,CI, 10 ce. di soluzione di H40, e 70 cc. d’acqua. 10 cc. di liquido limpido ridussero cc. 29.2 di soluz. di KMn0, (1 ce. = 0:0003978 di 0). 20 ce. di liquido limpido richiesero cc. 4.10 di soluzione “/10 di ROS Si calcola per gr. 0.1945 di ThO,, O att. fissato gr. 0,01909, HCI ancora combinato gr. 0.01349 e quindi: alli eo Se O attivo — 1.62 | Mot 705088 202 F. CALZOLARI — SUL PEROSSIDO DI TORIO Preparazione del perossido di Torio colloidale. Venne impiegata una soluzione di cloruro di Torio corri- spondente a gr. 1.9170°%, di ThO,. A 40 ce. di questa solu- zione si aggiunsero 160 ce. di una soluzione d’acqua ossigenata all, eirca. Non si ebbe alcun precipitato. Il liquido venne posto in un dializzatore e la dialisi fu prolungata per 10 giorni rinnovando continuamente l’acqua nel recipiente esterno. La soluzione col- loidale così ottenuta dà col riscaldamento sviluppo di ossigeno, ma resta però limpida. 10 ce. della soluzione colloidale ridussero cc. 17.75 di solu- zione di KMn0, (1 cc. = gr. 0.000182 di 0). 70 cc. della stessa soluzione diedero gr. 0.2440 di ThO, e contenevano gr. 0.00875 di CI. (dosato secondo Volhard). Da questi risultati si calcola: a e SL TRRFOVOI.i O attivo 50 1.580) CLI g7e0:266 2° Esperienza. — La soluzione fu preparata come la pre- cedente; la dialisi venne prolungata per 50 giorni. 8.5 di soluz. KMn0; (1 ce.= gr. 0.000182 di 0) 25 cc. ridussero ce.: pa a 3 205 A oz x * s 50 , diedero gr. 0.1623 di ThO.. 50 , richiesero per la precipitazione del Cloro ce. 0.15 di so- lazione “/;jo di AgNO;. Da questi risultati si calcola: Th METRI 1 Th 1 (ali ave 148° rar 0a97 203 Relazione sulla Memoria dell’Ing® Carlo Luigi Riccr: “ L'ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella Scienza delle Costruzioni ,. Il geniale metodo di calcolo, puramente geometrico, delle deformazioni e delle conseguenti reazioni iperstatiche di un so- lido elastico presentante un piano medio di simmetria e solle- citato da forze esterne in esso giacenti, introdotto dal Culmann nella suà classica opera “ Die graphische Statik ,, e denominato dell’ellisse di elasticità, fu completato e magistralmente appli- cato in modo sistematico dal W. Ritter nelle sue Anwendungen der graphischen Statik; ma rimase sempre limitato alla conside- razione di forze esterne contenute nel piano medio del solido, mentre nella pratica, sia nelle costruzioni civili che nelle opere pubbliche, e specialmente nei ponti, non di rado s’intuisce l’op- portunità di prendere in considerazione anche l'effetto di forze esterne non contenute nel piano medio suddetto. E poichè que- st'ultime possono sempre immaginarsi ridotte a componenti gia- centi in quel piano ed altre ad esso normali ed eventualmente anche a coppie, rimaneva a studiare l’effetto di queste altre sollecitazioni. L'Autore della presente Memoria istituisce appunto tale ricerca con metodo parallello a quello sopra ricordato: il suo lavoro è diviso in cinque capitoli seguiti da alcune applicazioni. Nel primo capitolo l'Autore dimostra dapprima l’esistenza di un'altra ellisse che chiama di elasticità trasversale, rispetto alla quale esistono teoremi analoghi a quelli già noti per l’el- lisse del Culmann; scambiando le forze colle rotazioni la dualità fra le due teorie è perfetta. Notevole è il teorema fondamen- tale dimostrato dall’Autore, che cioè in un solido qualunque dotato di piano medio di simmetria, incastrato ad un estremo e del resto libero, sollecitato da una forza normale al piano medio, e rigidamente collegata colla sezione terminale, quest’ul- tima compie una rotazione istantanea intorno ad un asse con- 204 tenuto nel detto piano, e che è l’antipolare della traccia della forza sul piano medio rispetto all’ellisse di elasticità tras- versale (supposta secondo gli usi della pratica l’indeformabi- lita delle sezioni trasversali anche nelle deformazioni per tor- sione). L'Autore indica poi il modo di costruire l’ ellisse di elasticità trasversale, prima per un tronco di solido prismatico, indi per un solido qualunque considerato come aggregato di più tronchi prismatici, e passa in seguito anche alla costruzione dell’ellisse relativa ad un giunto comune a due solidi, come oc- corre nello studio dei sistemi solidali. Nel II capitolo lA. passa alle applicazioni della sua ellisse. e specialmente si ferma sul calcolo effettivo delle reazioni di un solido iperstatico prodotte da forze normali al piano di sim- metria, indicando la costruzione delle linee d’influenza dei tre relativi parametri, ottenuta col sussidio del noto principio di reciprocità di Maxwell. Espone poi anche la determinazione diretta delle reazioni dovute ad un dato complesso di forze, senza cioè passare per le linee d’influenza, ed indica uno spe- ciale artificio atto ad evitare costruzioni troppo lunghe e labo- riose, come pure fa note le speciali semplificazioni che si pre- sentano nel caso di un arco simmetrico e simmetricamente sollecitato. Nel capitolo II l'A. si occupa della determinazione dell’el- lisse trasversale di un tronco prismatico reticolare, per estendere anche a tal genere di costruzioni i procedimenti dianzi svolti per i sistemi continui. Nel capitolo IV, che potrebbe chiamarsi una digressione geometrica, l’A., contemplando il caso di forze comunque di- rette, e giovandosi dell’antipolarità relativa alle due ellissi, espone alcune relazioni geometriche esistenti fra le sollecita- zioni e le deformazioni, considerando le une e le altre nella forma più generale, cioè rispettivamente diname (forza e coppia) e moto elicordale. Ricerca quindi le particolarità delle sollecita- zioni capaci di produrre deformazioni speciali, e precisamente semplici rotazioni o semplici traslazioni, e correlativamente le particolarità delle deformazioni che vengono prodotte da solle- citazioni speciali, ossia da semplici forze o da semplici coppie, riferendosi alla nota dualità sussistente in meccanica fra forze e rotazioni. 205 In seguito stabilisce alcune notevoli proprietà meccaniche del triangolo antipolare comune alle due ellissi e mette in ri- lievo come i piani normali al piano di simmetria, e che hanno per traccia i lati del detto triangolo, godono di proprietà ana- loghe a quelle del piano di simmetria. In conseguenza, scelto come piano di riduzione delle forze nello spazio uno dei detti piani, e come centro di riduzione il vertice opposto del trian- golo antipolare, si può studiare il comportamento elastico del solido mediante le antipolarità relative alle due ellissi del piano considerato. Nel capitolo V l’A., ricorrendo al noto artificio d’immagi- nare liberata la costruzione da un incastro, studia le relazioni geometriche tra le sollecitazioni agenti su una data sezione trasversale del solido e le reazioni da esse provocate nell’in- castro prima tolto ed ora supposto ricostituito, e ricerca le pro- prietà delle sollecitazioni che provocano reazioni particolari, semplici forze o semplici coppie e reciprocamente. Rileva poi alcune proprietà meccaniche del triangolo antipolare comune alle ellissi omonime di tutto il solido e del tronco di solido in- fluenzato dalle forze applicate. Chiudono il lavoro applicazioni pratiche delle teorie esposte con grafici e tabelle numeriche relative ad un arco di ponte in muratura. La novità dell'argomento, le eleganti relazioni meccanico- geometriche messe in rilievo dall’Autore, le interessanti appli- cazioni che se ne possono fare alla Statica delle costruzioni inducono i sottoscritti a proporre l’inserzione del lavoro dell’in- gnere Ricci nei volumi delle JMemorze. C. SEGRE, C. GuIDI, relatore. L’Accademico Segretario CorrADO SEGRE. 206 CEASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 15 Gennaio 1911. PRESIDENZA DI S. ECC. IL COMM. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manxo, Direttore della Classe, RENIER, Pizzi, StAMPINI, Bronpi, ErnAuDI, BAUDI DI VESME, SCHIAPARELZI e Dr Sanctis, Segretario. — Scusano l'assenza i Soci RuFFINI e D’ERrcoLE. ; E letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente. Il Presidente comunica la morte del Socio straniero Giorgio JELLINEK dell’Università di Heidelberg avvenuta il 12 gennaio corrente. Si invita a commemorarlo in una prossima adunanza il Socio Bronpi. Il Socio Browpr accetta. Si comunica una circolare dell’Università di St. Andrea in Scozia che invita la nostra Accademia a farsi rappresentare alle feste per il V centenario della sua fondazione che si cele- breranno dal 12 al 15 settembre 1911. Sono presentati d'ufficio i seguenti libri offerti in omaggio dagli autori, Soci dell’Accademia: dal Socio residente Baupr pi Vesme: Cutalogo della R. Pi- nacoteca di Torino, Torino, Bona, 1909; Di alcune monete, me- daglie e pietre dure intagliate per Emanuele Filiberto, Duca di Savoia, Torino, Paravia, 1901; 207 dal Socio residente ScHiAapARELLI: Le migrazioni degli an- tichi popoli dell'Asia Minore studiate col sussidio dei monumenti egiziani (Estr. dal “ Transunto della R. Accad. dei Lincei ,, vol. VII, 1882-83), Roma, Loescher, 1883; 4‘ significato simbo- lico delle piramidi egiziane (R. Accad. dei Lincei, 1883-84). Roma, Loescher, 1884; Due iscrizioni inedite del Museo egizio di Firenze (Estr. dal “ Giornale della Società asiatica italiana ,, vol. I), Roma, tip. dell’Accad. dei Lincei, 1887; Museo archeologico di Firenze, antichità egizie, parte prima, Roma, tip. dell’Accad. dei Lincei, 1887; Le antichità egiziane del Museo di Cortona (Estr. dal “ Giornale della Società asiatica ital. ,, vol. VII), Roma, tip. del- l’Accad. dei Lincei, 1893; Antichità egizie scoperte in Benevento (Estr. dalle “ Notizie sugli scavi ,, 1893), Roma, tip. dell’Accad. dei Lincei, 1893; La configurazione geografica dell’ Alto Egitto in relazione collo svolgimento della sua civiltà (Estr. dal £ Cosmos , di Guido Cora, serie II, vol. XII), Roma! 1894-96; Di un vaso fenicio rinvenuto in una tomba della Necropoli di Tarquini (Estr. dai “ Monumenti antichi , pubblicati dalla R. Accad. dei Lincei, vol. VIII), Roma, 1898; Di una antica stoffa cristiana d’ Egitto (Estr. dal “ Bessarione , an. V, vol. VIII), Roma, Salviucci, 1900. Il Socio STAMPINI presenta con parole di encomio il volume del prof. Carlo PascaL dall'autore offerto in omaggio all’Acca- demia: Dioniso, saggio sulla religione e la parodia religiosa in Aristofane, Catania, Battiato, 1911. Il Socio BronpI offre la relazione su Le réòle de la femme dans la bienfaisance en Italie da lui presentata al Congresso internazionale di assistenza pubblica e privata tenutosi a Copenhagen nell'agosto 1910. I ” L’Accademico Segretario Garrano De SANCTIS. 208 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Gennaio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, D'Ovipio, SPezIA, J4DANZA, FoA., GuarEscHI, GuIpi, FILETI, MartIROLo, GRASSI, SomieLiAaNnA, Fusari e SEGRE, Segretario. Scusa l'assenza il Socio PARONA. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Su proposta del Presidente, s'inviano le condoglianze della Classe al Socio Rurrini per la perdita della madre. Il Socio GuarEscHI ricorda un'altra dolorosa perdita fatta in questi giorni da un collega, il Socio Grassi, per la morte dello suocero, prof. ALBini. Accenna ai molti meriti di questo egregio scienziato. I Soci Foà e D’Ovipro ed il Presidente si associano a questo elogio ed alle condoglianze. Il Socio Grassi ringrazia. Il cenno del Socio GuaREScHI verrà inserito negli A?ti. Il Presidente presenta le seguenti pubblicazioni giunte in dono: Le condizioni geologiche delle fonti termali di S. Pellegrino, del Socio corrispondente T. TARAMELLI; s Moravische Fenster, del Socio corrispondente F. E. Surss. Il Socio GuARESCHI presenta in omaggio la parte seconda della sua Storia della Chimica in Italia dal 1750 al 1800. e ne 209 discorre brevemente, in particolare per ciò che si riferisce a CI. M. L. BERTHOLLET. Vengono presentate per l'inserzione negli Affi le Note se- guenti: G. Lincro, Di una nuova qgeminazione della caleite, dal ’ , Socio SPEZIA; G. CoLonneTTI, Le linee d'influenza della trave continua solidale coi suoi piedritti, dal Socio GuIpI; A. Camperti, Sulla mobilità degli ioni positivi prodotti dalla ossidazione del rame, dal Socio NACCARI. Infine il Socio MarTIRoLo presenta per la pubblicazione fra le Memorie i due lavori: G. GrarDINELLI, Sul valore sistematico del tegumento semi- nale delle Vicieue (D. C. italiane); A. Casu, Lo Stagno di S Gilla (Cagliari) e la sua vege- tazione, Parte seconda, Costituzione ed ecologia della Flora. Il Presidente incarica i Soci MartIRoLo e PARONA di rife- rire su entrambe le Memorie in una prossima seduta. Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata, procede alla elezione del suo Direttore per compiuto primo triennio in detta carica del Socio Naccari. La Classe riconferma per un nuovo triennio il Socio Naccari, salva l'approvazione sovrana. LETTURE GIUSEPPE ALBINI Brevi parole di commemorazione del Socio ICILIO GUARESCHI. La morte del decano dei fisiologi italiani, del venerando professore Giuseppe ALBINI, ha colpito tutti noi del più vivo dolore. Il professore Albini nacque il 27 settembre 1827 in Abbiate Guazzone presso Varese; incominciò gli studî di medicina nel- l’Università di Pavia, ma dovette interromperli causa gli av- venimenti grandiosi del 1848. L’Albini prese parte alle cinque giornate di Milano nel 1848 e subito dopo si arruolò volontario nei dragoni lombardi e fece le campagne del 1848-49; si trovò alla battaglia di Novara, dopo la quale chiese il congedo e nel 1850 continuò gli studì a Pavia, poi a Vienna, ove appena laureatosi fu nominato assistente del celebre fisiologo Briicke. Nel 1856-57 veniva nominato professore di fisiologia nell’ Uni- versità di Cracovia e vi rimase sino al 1859. Tornato in patria, fu per breve tempo insegnante di Storia naturale nel Liceo di Casale, poi nel 1860, per concorso, ebbe la cattedra di Fisiologia nell'Università di Parma e nel 1861 passè in quella di Napoli, ove rimase 44 anni. in quel tempo la fisiologia in Italia era rappresentata essenzialmente da Lussana, Oehl ed Albini. Al- l’Albini si debbono molte ricerche fisiologiche ed anche chimico- fisiologiche. A Napoli dimostrò una grande attività ed a lui oltrechè molti lavori originali sul sangue, sul sistema nervoso, sull’ottica fisiologica, sul veleno della salamandra, ecc., si deb- bono delle opere di diffusione della scienza: consigliò ed aiutò 211 la traduzione del Manuale di chimica fisiologica dell’ Hammarsten. Si occupò pure dell’ordinamento degli studî medici. La sua larga coltura rendeva quest'uomo assai piacevole anche nella conversazione famigliare. Lasciata spontaneamente nel-1904 la cattedra per avanzata età e per seguire il suo degno genero prof. Guido Grassi, del Politecnico di Torino, si fissò nella nostra città. Però non volle interrompere la sua grande attività ed il suo amore allo studio, e frequentò assi- duamente il mio laboratorio; qui si occupò fra le altre cose anche dei metodi per distruggere i residui animali a scopo igienico. Questo vecchio professore era ammirevole non solo per attività e sapere, ma per la bontà colla quale si intratteneva con tutti coloro che lavoravano in laboratorio; era un nobilis- simo esempio che io ricordavo e ricordo ai giovani; ed i miei assistenti Di Piccinini, Issoglio, Ghiglieno lo rammentavano e lo rammentano con ammirazione ed affetto. Egli era avido di conoscere le notizie scientifiche più recenti ed appena vide nella biblioteca del laboratorio le lezioni di chimica fisiologica del- l’Abderhalden, volle leggerle ed in alcuni punti anche discuterle. L’Albini era uomo molto modesto, di carattere integro, di animo buono, di cuore ottimo. Inchiniamoci alla sua memoria, e le nostre più vive e sen- tite condoglianze vadano alla sua degna Consorte, sig.* Giannina, al collega nostro prof. Guido Grassi ed a tutta la famiglia sì duramente colpita. Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 14 212 GABRIELE LINCIO ———_—————_ "ione = D'una nuova geminazione della calcite. Nota dell'Ing. Dr. GABRIELE LINCIO Libero docente di Mineralogia. (Con 1 Tavola). Nella mia nota: Di alcuni minerali dell’ Alpe Veglia (*), ac- cennai alla calcite, che nella località Moticcia generalmente si presenta cristallizzata con le forme del romboedro e=d*(G,) = = (1122). Sulla parete scoperta d'una litoclasi in un masso di gneiss, che s'era spaccato cadendo da un picco sovrastante, in- sieme con varii altri minerali e con cristalli semplici di calcite, trovai alcuni gruppi di cristalli pure di calcite d’una forma e disposizione singolare. Incontrai molta difficoltà nello staccarli: essi finivano col frantumarsi, perchè e aderivano strettamente alla parete della litoclasi nella parte di mezzo della medesima, e questa a sua volta si presentava disposta presso che normal- mente al piano di stratificazione del gneiss per sè compattissimo. Procedendo con molta cautela riuscii però a staccarne in- tero uno dei più belli, della grossezza media d’un 13 mm. In tali gruppi i due individui si presentano disposti l’un rispetto all’altro, quali due ali di farfalla levate in alto a chiusura me- diana tra la posizione orizzontale e quella verticale. Sottoposi ad accurato esame l’esemplare raccolto e potei tosto persuadermi che non si trattava d’un raggruppamento cristallino senza regola o di uno dei casi comuni di gemina- zione della calcite, bensì di un raggruppamento avvenuto se- condo una legge speciale. A contorto di tale asserzione stava il fatto della frequenza del caso, dello sviluppo egualmente proporzionato e simmetrico (#) G. Lincro, Di alcuni minerali dell’ Alpe Veglia, “ Atti R. Acc. Scienze di Torino ,, 1910, vol. XLV. D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 315 dei due individui del gruppo cristallizzato, e della presenza di facce corrispondenti, tanto dell'uno che dell’altro individuo, ta- gliantisi a spigoli paralleli, cioè formanti una zona comune ai due individui medesimi. Un primo tentativo per determinare col goniometro a due cerchi la posizione delle facce e venir a conoscenza degli an- goli formati dalle fucce dell'uno individuo con quelle corrispon- denti dell’aitro falli completamente: le facce naturali del cri- stallo (forma e = è*(G,) = 1122), che erano state esposte all’azione degli agenti atmosferici; si presentavano appannate, sì da non rifletter quasi più l’imagine. Pensando però che nella sfaldatura perfetta della calcite, m'era dato un mezzo sicuro di raggiungere il mio scopo, presi il gruppo di cristalli e vi sfaldai le facce del romboedro prin- cipale » = p*(G,) = 1121, come mostra il disegno (vedi Tavola, fig. 5). cioè le due facce (p°), poi (p°), (p*3) e la faccia paral- lela a (p*;) nello individuo di sinistra e quella parallela a (p°) nell’individuo di destra. che ambedue si trovano nell’emisfera sud rispetto al piano di proiezione (vedi fig. 7). Subito, già ad occhio nudo, potei constatare, il fatto, che le due facce (p*;) specchiavano ia luce contemporaneamente in una stessa posi- zione del gruppo, ciò che attestava della loro parallelità. Stante la manifesta disposizione simmetrica dei due individui del gruppo rispetto al loro piano di contatto, avendo io sfaldato facce di romboedro equivalenti (le due p*) che si mostravano tra loro parallele, era ovvio il ritenere che esse non potessero essere che normali al detto piano, perchè la loro aparallelità col piano stesso era troppo evidente. Per studiare questo interessante caso di raggruppamento, pensai allora di misurare il gruppo di cristalli col goniometro a due cerchi (sistema Goldschmidt), disponendolo col piano di contatto dei due individui nella zona dei prismi e con la faccia (p*) quale polo. Nella tabella seguente sono contenuti i risultati delle misure goniometriche: essa indica quali delle facce del gruppo (fig. 5) SÌ poterono misurare. Essendo l’abito dei cristalli semplici dato dalla forma e= è’ (Gdt.) con accenno alla base, che si presenta corrosa, le due facce (ò*,), che si tagliano al piano di contatto, anche non riflettendo imagine alcuna, non potevano che essere DI GABRIELE LINCIO ritenute per tali. Evidente ad occhio nudo la parallelità degli spigoli delle facce (d*, : d'a); (d'a : d'a); (d*, : d*3), ciò che provava, che il piano di contatto è in zona con le facce d';, d'a; d's, è*z. Per le lettere-simbolo della tabella vedi fig. 5. La posizione polare del goniometro era di 100°. Goldschmidt | ! | | lettera Imagine | (de | h. | P. | p. Ì BL 9 FradicA: Aldi i Pi bona Opi] SADE Qeni» | 0° i ' ” | \ 8 E | PD" » | 289°58'| 205°08' | 5958 fr sm ; 341957" | 100°. | 8410577| 000 E | d* | cattiva © 341°57'| 137°48'| 341°57'| 37048’ DE buona | 341°57' | 175048" | 341°57' |. 75048" [i pra! lb , \ 380053’ | 99°20' | 330053’ |. G°40' 3 | di | cattiva 3 262°19'| 137°35'| 262°19' | 137085! ES 1 buona | 263208’ | 175015" | 263°08' | 75°15/ pa: | | | E | VAASGRA tall 104°33 z | prg i | © 5olghi) 204033" 1850123: "32059 Allo scopo di calcolare il simbolo angolare (4 @ e p) del piano di raggruppamento ricavai le medie dai valori angolari corrispondenti dei due individui; vedi la disposizione a fig. 8 in proiezione stereografica. La traccia del piano di contatto degli individui del gruppo passa per (w'p*1). Tale posizione è fissata dal valore medio in alto p=302°33'45"” in basso p= 122°33'45", ottenuto prendendo le medie dei valori @ di p*; (destra) e p*s (si- nistra), poi di p* (destra) e »°* (sinistra), e da queste prime due medie ricavando la media definitiva: p"a (sinistra) p*3 (destra) | p° (sinistra) p°> (destra) 263908 5 0 14: MMI 185012" 59058 Media | Media 302°32"30"” | St Media 302°33'45". D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 215 Per avere l’angolo pg medio segnato dai meridiani passanti per p°,3 (destra e sinistra) e per è", (destra e sinistra) (fig. 8) e per ricavare l'angolo v:m feci uso dei seguenti valori. Gli angoli @ crescono qui nel senso delle ore del quadrante. 4 (p*ap*P*3) (sinistra) 4. ® 4 (p*ap*1p°s (destra) Best 185°12) = ‘7°56, 419058" — 341°57' = 77°61' Media = 77°58/30" moon QQ IA si Do ai = 88°59/15” = Z(p°.3p*1d°3) (destra) 34105660" 902033/45" = 3902315" 302°33'45” — 263008! = 39025/45" Media 3902430!" 902°33’45! + 39024'30" —=341°58'15" = Posiz. media di p*; (destra) 4105815" L'38059/15”" — 20057590” = x veni dale LR 302°33'45" + 90° == 32°33/45” = Posizione della Normale (u) del piano di contatto dei due individui. MRS 005790 TIT ZA (1). Come risulta dalle misure, le due facce p*, formano tra loro un £ 0°40' = p. Osservando però attentamente l'individuo di destra (fig. 5), esso si mostrava in alcuni punti per differenti piani della stessa sfaldatura (parallela a p) con valori di po- sizione sensibilmente oscillanti, cioè con una lieve differenza di posizione di p*, tra la parte anteriore dell’individuo di destra in vicinanza della faccia d*; e quella posteriore presso la faccia d',. È da deplorare che il gruppo non si prestasse anche per uno studio esatto intorno alla relazione che esiste tra l'assetto interno dei due cristalli, dato dalla posizione delle loro facce di sfaldatura, e quello esterno, dato dalle facce naturali, che come vedemmo si presentavano appannate. Qui venne senz'altro trascurata la differenza di posi- zione +20’ delle due facce p*, da quella della faccia p*, teori- camente normale al piano di contatto dei due individui; e così l’angolo p di « (4 p*,%) venne considerato di 90° (fig. 8). 216 GABRIELE LINCIO Cid premesso, osserviamo in fig. 8 il triangolo sferico (p*um), dove 4 pu= 90% pu= 90%; «mn = 11°36"15” (misurato). Sul meridiano (p*;11) trovansi le facce (0) e (è). Noti gli angoli Ap*ro=44°36'30”; 4 0:d°>,=26°15/; der: 1=19°08"80% Z4osm=:45923308 Nel triangolo sferico (uom) rettangolo in (mm) coi dati (4 mr) = 11996015” misurato)='a5"£ (on) 45° noi possiamo calcolare gli angoli a=@' e c=p per la faccia di contatto (w) degli individui del gruppo. iga= tg: sind = tg 11°36/15" : sin 45°23’30” — tg 16905 a=@'— 16°%05'; 30° -— p' = @= 13°55' Gode = Cosa. ‘db esi RICO ed ARE — cos € — Men 0°320 Così la faccia di contatto (x) del gruppo ha il simbolo an- golare lo nel) | 2 | P p | $ RAI È Faccia («) 13055/ 46099 | calcolati su dati di misura. Una tale faccia potrebbe appartenere od avvicinarsi ad una forma di scalenoedro negativo. Una forma però avente un tale simbolo angolare non è pos- sibile per la calcite; quella possibile che più si avvicina alla posizione della faccia («) e che essa stessa non venne ancora e : Se i SR trovata in natura, sarebbe la forma (- DT G,| = 3142, ovvero : | E n in orlentazione comune |— Ep G)= 5276. Questa forma si trova su una zona che ha già qualche rap- presentante per la calcite. Trascurando il segno + pel motivo che, se una forma sinora venne trovata con un segno piuttosto che con un altro, non è detto che non si possa trovar anche la sua forma correlata, noi possiamo raggruppare le seguenti forme in zona: D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 217 Goldschmidt - Tab. | Bravais No 158 "|" 62 il ..-6281 | el 88 Ha Bd ‘4 Bel (083141 2 s 8) TE = | 6283 3145 —33 |eGi4g |, 5142 falli 3 0 Mr 5 | 3143 | ‘3143 Da questa tabella si vede come la forma [- 3 4) si trova in una zona di forme non del tutto trascurabili. Il simbolo angolare della forma (- 3 7 lo si ottiene nel modo seguente: 3 Sei (1) : Zash Nel triangolo (0, = og ra 0), (vedi proiezione gnomo- : RR + x nica G, su o con Ra =5cm.), rettangolo in -- 0, si unisca il 4 punto - 3 3) con (3 0) mediante una retta. L’angolo ri Sa 5; 3 DE 10) è evidentemente di 60°; il ( pol Baia dPo i Sul lato ina Ds: 3? 0) è uguale a Ù e quello (0, ovo, 3)=5tgp. dPo= 5 X 0,5695 = 2,8475 220 — 1,42975 +. bbo= — 4983125 Il lato (- 35 uao 0) si calcola eguale a 1,42375 . sin 60°= 1,2330034 218 GABRIELE LINCIO enna î Saia L'angolo @ (4 — pg 0) si ottiene: gii de pae 18 Gicaloestan di A 310009: 30° — p = p' = 16°06'08"” i te: 983125 ORDSE i coso = cos 13°53'52” un) pi="45245 150 For sb oA | 14 | fuel | simbolo angolare teorico orma | 2 9 | 13054” | 45045 5 9 ) | Con questo le due forme (w) e (— 5 7 messe a confronto: Faccia « (misurato) Forma (- 5 3) (teorico) ISIS | p | | P | p | 13955° | 46032’ | | Come si vede, la differenza dei due 4 © è praticamente nulla (1’), mentre per gli angoli p è di (47°). ; I 1 omai ; Per calcolare l’angolo teorico (Pi: = consideriamo il De triangolo sferico (p*, 0 u), fig. 8. Sostituiamo in esso ad («) il SRIAPTARIA - dipl 3 . Lote punto vicinissimo | 73): che è pure in zona (u'ò*36°9%); con ciò abbiamo il triangolo sferico (P1. 0, — e 3). In esso Hi SOM na -—5 SITE (Pa. ESATIT cfr Pilone Ph o D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 219 In questo triangolo abbiamo di noto: L'angolo r. — Il triangolo (1, i 3 o) è parte del- l’altro (Pa ta 34, m), che di poco differisce dal triangolo (p'1, U, I) (pag. da: L'angolo p' (pag. 9) per la forma (- e è 16°06/08", quindi y = 180° — 16°06’08” = 163°53'52”; L'angolo (p*10) = 44°36'30" = 5 (pag. 7); it — p=a=45%45/15” (pag. 9). L'angolo (0. sa RAI ei Con essi si calcola: De 1192/39 pet ii c = 89°17/08"" Si tratta ora di ricavare l'angolo (uò*) formato dal piano di contatto (x) dei due individui {fig. 5) con le due facce (d*s), che sono equivalenti e simmetricamente disposte in zona col piano medesimo (vedi fig. 8). Il triangolo sferico («ò*, 1) ha 007119208130" (pag: 7), (0 i). = 11996" 15/pag 61m surato) ed è rettangolo in (11). quindi: cos'(#0°) = cos 1990830" cos. b1°36:15'7="ttos'22%16"16” 4 ud*3) = 22°16' (calcolato su misura). Sempre a fig. 8, osservando i due triangoli (p*u'd*3p*3 4°) noì vediamo che essi sono congruenti: Gli angoli (p*u'd*3) e (d*3d*p*;) sono retti, gli angoli in (òè*3) sono uguali tra loro (calce. = 57°14'), gli angoli (p°;d*3) e (ò‘p°3) ambedue di 37°27', quindi essendo notoriamente 4 (d*3 :d*) = 22°31' e qui (d*3 : d') = = è*3:%') si ha che ambedue sono uguali a 22°31'. Essendo poi (u) e la sua normale (’') distante di 90° e 0 6004 sha: 220 GABRIELE LINCIO 90° — 67934 = 22926" = x (d's 1) (teorico) A. (ud's) = 22°16' (misurato) 4 (ud',) = 22°26' (teorico) Con questo abbiamo ora tutti i dati necessari per calcolare il simbolo angolare teorico della faccia di contatto («) del nostro gruppo, la quale dista, come vedemmo, da (p°;) di 90° e si trova in zona (d',ò°;w d'3d*,) (fig. 8). Nel triangolo rettangolo (w, è"3, 11) abbiamo: Aud, =22926,, 20 (8: 1) SERE quindi : cos 22°26" cos (7.11) = STAI = 608 1195528" 4 (um) = 11°56' (teorico) = 11°36' (misurato) (pag. 6). ” ” Nel triangolo rettangolo (x, 0, m) abbiamo: A (@m)= 1105528", A (e i) 450288000 quindi 4 (x: 0) = p si ottiene con cosp = cos 45°23/30” . cos 11°55/28” = cos 46°35'56” p= 46°36' (teorico) 4 (u,0,m)= ®' (pag. 7) si ottiene con teo = E iprogage = tg 16°31"19" p'=16°31'19"130°—p'=i= 18028441" @ = 13°29' (teorico). Così per il piano di contatto (w) dei due individui sì hanno i seguenti valori angolari di posizione: 4 (u: 1) = 11°36' (misurato) | 11°56' (teorico) P p Faccia (u) | 13°55' (misurato) 46°32' (misurato) 183°29' (teorico) 46°36' (teorico) | | | D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 291 Le fig. 7 ed 8 rappresentano la prima la proiezione gno- monica, la seconda la proiezione stereografica del gruppo di calcite con la faccia (p*;) quale polo. Metto qui assieme gli angoli ®: essi rimangono tanto per l'una che per l’altra proiezione gli stessi. La figura 7 venne ridotta ad un terzo. La figura 8 ripro- dotta tale quale in originale. In esse % = 5 ctm. In (fig. 7) 5 6 5 pes È G im_-_cim. = 1,7 cimitpi, Nemo 0,89 ctm. In propo- ") sito confronta (1). Come si vede dalla posizione di (W) e della (Lt/) nella pro- lezione gnomonica su p*; (fig. 7);"le figure 5, che sono state rica- vate da tale proiezione, si mostrano rispetto ad essa come girate di 180° nel piano del disegno. Questo venne fatto allo scopo di avere nella parte anteriore del disegno prospettico la zona più importante del gruppo. Nel triangolo (w', p*1, «) (fig. 8) con due angoli retti (x, «', p*1) ed (w, p'1, 0) noi consideriamo i triangoli (w',p*, d°3) ed (w', p°1,d*) (ep, è) ha ( v0ilaa22°381L (paz 10) edu ; pr =30%45" (calc.), con ciò: to 22931 iv 18 di: tei. più, du) = 88 cioè: £& fa p'adoa 89902, Welinansolo (7, pi, ,@), d sd = 8 X 22891 = 45902 ed (w':p°1) = 930045’, così che: to (vu, p,d)=tg(a+a') = “i 30049) — 18 62957’ A(W, PD, d'a + a) = 6207, 4 (a--a) a = 62957 — 3902— a’ — 230555 AUD, p, d°) dei, pa, u= (ud 11°56°; 4 (4 = 908 11°56'+4- 62°57' = (d*», p1, vw + (w', pa, d') =" 74053; 909 — Tess = 15907" Zad (VA rog fe ez La Ia 4 (a +a)= (d*, p'1; d'a) = (d, pi, d'a) = 39%02. (!) V. GoLpscumipr, Veber Kristallzeichnen, * Groth's Ztschft. ,, BA. XIX, pag. 353. 222 GABRIELE LINCIO L'angolo (Pr :%) si calcola uguale a 10°25': (0: Pr) (fig. 8) è il primo meridiano, che in proiezione gnomonica su o in fig. 6, passa a destra per (0) e (0°). Osservando il triangolo rettangolo (Pr, 0,m) l'angolo (Pr, 0,11) è di 30°, 4 (o:1m) = 90° — (p°1:0) = 90° — 44036" = 450244, Allora 4 (Pr:1m) si calcola con: te (Pr? n) =tg 90°"sin 45924" — 1822921" A(Pr == 220310 Alu: mi='11°560/ £(Pr:u) = 22°21' — 11996400208 Così gli angoli @ necessari per la proiezione gnomonica e stereografica (fig. 7 ed 8) son8 i seguenti: ZEUS D'dg 09002 We Rada 0297 Dott = 290. dî pîy Dia = 15°07" gp", = 11°D0" ds 70 9, = 0900 9 09 — 99002 Pr :u =WN0°25' una =90% Gli angoli (p) necessari per eseguire la proiezione gnomonica e stereografica con p°; quale polo (fig. 7 ed 8) sono i seguenti: Zp Proiezione stereografica Proiezione gnomonica 5 tg p/, 5 tg p Di u = 30045" 1.374 2,975 p'idg= dUo27: 1,694 3,530 Papa = 74955 3,950 18,591 pid 52°36° * 2,471 6,539 p'ii0'= 44936 2,051 4,950 p°a d°g=="4005 3;D50 14,999 P'idg= SUNT 1,694 3,830 Pipa = 14P55° 3,880 18,551 L'ad apa = 180° —70°51'=109°09' * L'angolo 52°36' si ottiene calcolandolo nel triangolo ret- tangolo (fig. 8) (p*1u' d°), dove 4.u':d*=45002' (pag. 12); Au pr =30°%45. bo DO Du D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE cos (p*1: d°) = cos 45°02” . cos 30°45' = cos 52936" 4 (pi: d') = 52036". Stante la disposizione simmetrica dei due individui del gruppo di calcite rispetto al piano di simmetria e contatto (p'1 ') (fig. 8), il quale e contiene la normale delle due facce fra loro parallele (p*;) (comuni al gruppo) cioè l’asse p°,, e si trova in zona {d*3 d*3 ud", d',) (vedi anche fig. 5), noi riscontriamo che girando l’uno individuo rispetto all’altro attorno al detto asse (p°;) per l'importo di un angolo (4 X 39°02 = 156°08') i due individui vengono a coincidere. L'angolo formato dalle normali delle facce 0(0001) tra loro, si calcola nel modo seguente (vedi fig. 8): Premetti i valori noti teorici: ballo, pa, 0) = (em) — DI°56": 20 — 44°961; 90° — 11°56' = 78°04' = a; 4°5° = a nel triangolo rettangolo p*, 5 o, dove £ (5. Di; o) ==iar= ‘78004! sin | : 0) = sina= sin 44°36’. sin 78°04' = sin 43°23/30” Z4Za= 43°23'30” A A a SIAT mlo Così l'angolo formato dagli assi (é) dei due individui è A és =:80°%40. Riassumendo, possiamo ora dire che la faccia (vu) di con- tatto del gruppo di cristalli di calcite, qui studiato, è una faccia di geminazione non cristallonomica, che per posizione s'avvicina Pi Ge) eh a quella d'una faccia di scalenoedro possibile (- ar = (3142), pag. 7, ma che si trova leggermente spostata rispetto ad esso, pag. 9. La legge di geminazione sarebbe: a) comunanza della faccia (p*;) pei due individui del gruppo; USI GABRIELE LINCIO 6) piano di simmetria e di geminazione (w) con simbolo | angolare @ ; p = 13929; 46°36' e con un angolo up*, = 90°, così che il piano (v) entra nella zona comune ai due individui del geminato, cioè in zona (d*3d* wd*d;), (fig. 5), nella qual zona si trova pure (- 3 i; PITT c) inclinazione degli assi (é) dei due individui, Ae = IGOLA7' : d) angolo di rotazione attorno all'asse (p°,) del geminato per ottenere la coincidenza dei due individui è uguale a 156°08", Il nostro geminato di calcite, da quanto sopra, ubbidisce alla legge della normale allo spigolo, al “ Kantennormal-Gesetz , di Tschermak (1). Il piano di geminazione (wu) è normale alla faccia (p*)="r. cioè ad una faccia possibile, anzi molto importante e comune ai due individui del geminato. la quale nello stesso tempo è piano di coesione massima (direzione di sfaldatura) nel cri- stallo e contiene tra altro una direzione speciale d’accrescimento, qui coincidente con l'asse di geminazione (v) (2). Il prisma 1010 = (a. Gs) taglia sulla faccia p*,, comune ai due individui, uno spigolo parallelo al piano di geminazione (w). Questo spigolo e lo spigolo della zona {d"3d*3,d*,d*,} sono am- bedue paralleli al piano di geminazione (v), ma paralleli tra loro solo in proiezione verticale. Confronta anche fig. 6. L'asse di geminazione (v) è normale allo spigolo della zona (d°3d*94d*5*), la quale è comune ai due individui del ge- minato. Questi si trovano in posizione emitropa attorno all'asse di geminazione (w). Più brevemente possiamo dire: I due individui del gemi- nato di calcite giacciono simmetrici rispetto al piano di gemi- nazione (v), che non è faccia cristallonomica, ma è normale ad una faccia possibile (p*,) ed è parallelo ad uno spigolo possi- bile, a quello della zona (d*3d*, ud*3d"). @ (!) Tscnermak, Mineralogie, 1905. (°) Die neuere Entwickelung der Kristallographie, von H. BaumnavER, 1905, Vierter Abschnitt, Zwillingsbildung der Kristalle, pag. 111 und 117. D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 225 Dopo aver con accurate misure e calcolo fissati i dati per questo caso nuovo di geminazione della calcite, ne feci aver cognizione al mio pregiato maestro, Prof. V. Goldschmidt, Hei- delberg, che si interessò molto della cosa e volle anche esa- minare il gruppetto di cristalli. Avutolo da me e studiatolo, egli ottenne gli stessi risultati fondamentali di misura e di calcolo che quelli da me qui indi- cati, e gentilmente me li riferì, mettendoli a mia disposizione, con la lettera seguente, che qui unisco in testo originale (1). Egli fece uso della proiezione gnomonica su o (0001) (fig. 6). (1) Lieber Herr Doctor, Ihr Caleitzwilling hat sich als ein besonders interessanter, fiir die Theorie der Zwillinge nicht unwichtiger herausgestellt. Herr R. Schròder hat ihn nachgemessen und hat Ihre Messungsresultate durchaus bestàtigt gefunden. Es ist in der That ein Zwilling d. h. ein symmetrisches Kristallpaar. 9) Aber die Zwillingsebene ist nicht genau 3 92°’ sondern liegt ein 3 :— i ) Gerade so viel als die Differenz zwischen Messung und Rechnung bei Ihnen ausmacht. Es ist mir eine besondere Freude, zu constatiren, wie genau Ihre Mes- wenig daneben in Zone dò i sungen an diesem nicht leichten Material stimmen. Zwillingsebene ist hier keine kristallonomisch mégliche Flàche. Wir kònnen also das Zwillingsgesetz nicht durch. eine solche bezeichnen. Héochstens kéinnten wir sagen, dass die Zwillingsebene in der Nihe von 5 o DICI n, 6 pr liest. Aber diese schwache, beim Calcit bisher unbekannte Form hat mit der Zwillingsbildung genetisch gar nichts zu thun. Wir haben viel mehr das Zwillingsgesetz zu bezeichnen: Entweder durch die Verknipfungsfliiche p*x«=-+1 und den Drehwinkel von 156°08/. Oder durch die Verknuùpfungsfliiche p*, und die Deckzone d*d’. Letztere Bezeichnung trifit das Wesen dieses Zwillings. Die Entstehung unseres Zwillings ist folgendermassen aufzufassen: 1. Verkniipfung der Embrional Partikel der Individuen I und II durch EKinrichten von (p*;). 2. Bei der nun noch méglichen Drehung um die Axe (p*), Ein- schnappen einer Zone è*òè* von I und einer desgleichen von II und zwar's0: Im Proiectionsbild fig. 6. ist das Individuum I (circoletti bianchi vuoti) normal aufcestellt. Deckflàche und Drehflàche sei (p*,) links vorne. Die Drehung von I in Stellung Il erfolgt im Sinne des Pfeiles um den Winkel è*p*d*, (que- DO LO DI GABRIELE LINCIO Per quest’ultima calcolai, analogamente alle proiezioni fig. 7 ed 8, i dati teorici, che vedremo in seguito. Specialmente interessante è l’interpretazione data dal Prof. V. Goldschmidt alla legge di geminazione dal lato genetico. Per eseguire la proiezione gnomonica (fig. 6) su o = (0001) feci uso dei seguenti angoli: (Nella riproduzione fig. 6 venne ridotta ad una metà lineare dell’originale) st'ultimo è*, ha il circoletto nero pieno), so dass d*, (nero) in Zone è*, d*3 fillt. Damit fallt zugleich der durch die Drehung verlegte Punkt d* respec- tive der Punkt von dessen Gegenfliiche d*, (nero) in die Deckzone d'3d":. Mit diesem Einschnappen ist die Lage beider Individuen I und II in Zwillingstellung festgelegt. Der Ort des Zwillingspunktes « in Zone d*3d*, d*> findet man durch Halbiren des Winkels d*, d*, !). Daraus berechnet sich deu = 22926’ E ; - araus berechne uo ; 2°26 | BS liecherch indiane PMO. Da d*, Fila a x — = 0; LA O ERALI 22 DIA aber etwas nîher an òd*. Hieraus berechnen sich die Positionswinkel @,p fiir \ die Zwillingsebene :9,p= 13°29/, 46°36’ f Berechnung aus Lincio-Messung :, , = 18°58’, 46°32’ Berechnet fiir — , 3 MSA A) Das Zwillingsgesetz ist neu fiir den Calcit. Es ist eindeutig definirt durch seine Verkniipfungsfliche und Deckzone. Die Zwillingsebene ist weder eine kristallonomische Fliche, noch der Pol einer Zone. Und doch ist es ein ganz echter Zwilling. Unser Beispiel liefert den Nachweis, dass zum Finrichten des Zwillings 1 Fliche +1 Kante (Zone) geniigt, ohne dass es néthig ist, dass die Kante in der Fliche, die Deckflache in der Deckzone liegt ?). Unsere Deckflàche p* liegt nicht in der Deckzone è*3 d*,. Die è* aber in der gemeinsamen Zone 3 2 fliche und ist keine kristallonomisch wichtige Fliche. Ich gratulire Ihnen herzlichst zur Auffindung dieses schénen und in- teressanten Zwillings. Dorsi E x A sind nicht Deckflàchen. — 5 liegt im Zone d*3 9", aber ist nicht Deck- 14] Ihr: V. GoLpscHmIDT. 3) Ip., id., 1907, 48, pag. 584. D'UNA NUOVA GEMINAZIONE DELLA CALCITE 227 4 Z4.p D tg p d'= — 90° 13051' 1,232 n°, — — 30° 26915 2,466 d = — 150° 26015 2,466 d, = + 90° 26215 2,466 «A 5 © se — 13°54" © —45°46’ 5,136 u= — 13029" 46036 5,288 = + 30° 44°36' 4,930 pa = — 900 44°86' 4,930 pi = . + 500. 44036" 4,930 Inoltre calcolai i seguenti valori: 1) d*:W (centro sfer.)= 5,1497 ctm. }tfazrgo=="p.=.68°14NSte p ='12:522 chm. saio = 440 = 0,900 eh. \Lbry 0. = p-=(68°04°285tto p= 1'2,£17'ctmi Confronta figure 8 e 6: 1) Dal triangolo d-0 C, (C= centro della sfera), rettan- mnibanio, «o0Cd:=:13°%1';0€= bet, da C=s= = = — 5,1497=dW. 2) Dal triangolo sferico (è, [nero], d*, 0), rettangolo in d*; ds di; X 22081’ (pag! 10) = 6709841 (dn P9°B eo, 0. = = cosp= cos 67°33'. cos 13°51' = cos 68°14"; p — 68°14°. 3) Dal triangolo sferico (w' d* 0), rettangolo in d'; par = 139951: wu d° 121% 22°3E"=2 4590211 Eos PSI p= = cos 45°02" . cos 13951’ = cos 46040"; ‘p = 46040". 4) Dal triangolo sferico (0d*d*,), rettangolo in d* (v.p.10). A d': deg = 22081’ + (2 X 220267) = 67023; d'o = 13051; cos (00°,) = cosp= cos 67923". cos13%1-= cos 68°0£° I quattro casi noti di geminazione della calcite vennero messi in rassegna rappresentati ciascuno dalle figure 1-4 (*). (4) Le figure 1-4 vennero tolte dal pregevole lavoro: On some twins of calcite, ete., by Prof. W. J. Lewis, Cambridge, Mineralogical Magazine, April 1908. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 15 228 Fi (0]°) Fig. Fig. Fig. GABRIELE LINCIO — D'UNA NUOVA GEMINAZIONE, ECC. Figure 5 rappresentano il caso nuovo di geminazione qui studiato. Orientazione e notazione cristallografica sono qui le comuni. . (1) rappresenta la geminazione (comune) secondo c= (111) = (0001), Forma v== (2131). I cristalli hanno lo stesso asse verticale. (2) rappresenta la geminazione (non co- mune) secondo r= (100) = (1011). Combinazione della forma m = (1010) con e= (0112). o. (3) rappresenta la geminazione (rara) secondo f= (111) = (0221). Combinazione della forma v= (2131) conm= (1010). (4) rappresenta la geminazione (molto comune) secondo e = (011) = (0112). Combinazione della forma e= (0112) con Y(Gdt)= 917)=(8.8.16.3). (5) rappresenta la nuova geminazione secondo « (forma negativa non cri- stallonomica) con simbolo angolare p, p= 13029’, 46°36' (Gs). Combinazione della forma d*==e=(0112) conio. (0001); encon pi e: (L0L1): Istituto Mineralogico della R. Università di Torino 21 Gennaio 1911: AC:0=00 22.74 e TETI 90046" MR mi px (020 ZIE Gia : ar "i (pl 1200800 nua (86247 e ACICOET- (93°13: U iti IRADCAAA Scienze diTorino- | ID e” ni N Atti AR.Accad.d.Scienze di Torino.- VOZ AZZ LINCIOG. D'una nuova geminazione della calcite. A yi v ala AT si ni Neat Fig.1 V, LA | | ] i | de arl ne È Rei lea V Fig.7. Projezione gnomonica suPj t Lit.Salussolia.Torino i Li A p°i GUSTAVO COLONNETTI — LE LINEE D'INFLUENZA, ECC. 229 Le linee d'influenza della trave continua solidale coi suoi piedritti. Nota dell’Ing. GUSTAVO COLONNETTI (Con 1 Tavola). 1. — In una mia recente Memoria (*), trattando dei si- stemi elastici continui comunque vincolati agli estremi ma sem- plicemente appoggiati in orizzontale su sostegni intermedì, ho esposto come la ricerca della linea di influenza dello sposta- mento verticale di una sezione qualunque di una trave (a pa- rete piana o reticolare, poco importa), ovvero la ricerca della linea d'influenza della reazione di un suo appoggio intermedio, possa sempre ridursi, in virtù del teorema di reciprocità di Maxwell, al tracciamento della deformata della stessa trave sollecitata da convenienti e ben determinate forze. Ed ho anzi fatto vedere come la detta deformata possa sempre costruirsi come poligono funicolare di determinati pesi elastici, i quali, nel caso più comune di trave continua ad asse rettilineo e ad estremi semplicemente appoggiati, altro non sono se non com- binazioni lineari di certi pesi elastici fondamentali relativi alla trave stessa resa, in conveniente modo, staticamente determinata. Ho mostrato allora come tali pesi elastici fondamentali, calcolati una volta per sempre, potessero servire alla risoluzione dei vari problemi che possono presentarsi per la determinazione sia di quantità iperstatiche, sia di deformazioni, senza che più occorresse alcuna ulteriore analisi del comportamento elastico del sistema corrispondentemente alle varie condizioni di carico a cui conviene imaginarlo assoggettato per la risoluzione dei detti problemi. (#) I sistemi elastici continui trattati col metodo delle linee d'influenza (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Tom. LX]). 230 GUSTAVO COLONNETTI Le considerazioni che qui mi propongo di esporre hanno per scopo di mostrare come quei risultati siano suscettibili di una notevole generalizzazione; come cioè l'applicazione del ge- niale teorema di Maxwell conduca ad una analoga risoluzione anche quando i sostegni intermedì che vincolano la trave con- trastano elasticamente non soltanto i cedimenti verticali, ma altresì le rotazioni delle sezioni situate in corrispondenza dei medesimi. Problema questo che ha assunto una particolare importanza dacchè a questo tipo ideale di trave vennero da W. Ritter (*) ridotti, in via di approssimazione, i varì tipi di travate a più luci, solidali coi piedritti elastici, che non di rado si incontrano nella pratica, specialmente nelle moderne costruzioni in cemento armato. Del sistema sopra definito analizzeremo pertanto dapprima il comportamento elastico determinandone nel modo più generale le deformazioni; indicheremo poi come si debba procedere quando il problema consista in una ricerca di quantità iperstatiche. 2. — Linee d'influenza degli abbassamenti di una sezione generica. -—— Siano A e B gli estremi, per il momento comunque vincolati (purchè in modo rigido) della trave elastica da stu- diarsi, e si supponga che in corrispondenza di date sezioni in- termedie C,, 0, 0, ... C,_1 essa trave sia soggetta a certi vincoli le cui reazioni siano o possano ritenersi in ogni caso costituite ciascuna da una forza verticale passante pel baricentro della corrispondente sezione e da una coppia agente nel piano verticale che contiene l’asse geometrico della trave; si mdichino con G,, G3, Gs, ... E. quelle reazioni verticali da considerarsi come positive se dirette verso l'alto, e con M,, Mis, Mg, ... Ma i momenti di quelle coppie da ritenersi positivi se agenti nel senso delle rotazioni positive. Liberato il sistema elastico da tali vincoli intermedi, lo si assoggetti dapprima all’azione di un carico concentrato ed uni- tario agente successivamente e separatamente secondo le varie ‘verticali dei vincoli soppressi e secondo la verticale della se- (*) W. Rirrer, Der Kontinuirliche Balken, Zirich, 1900. LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 2831 zione S della quale si vogliono studiare gli spostamenti effet- tivi; siano 4xB7, ABs, AzB3, BICRO va Prts A .b, le varie linee elastiche della trave, relative a quelle varie con- dizioni di carico. Si applichi di poi, successivamente e separatamente, negli stessi punti del sistema, un momento unitario negativo e si disegnino in corrispondenza le nuove linee elastiche, che indi- cheremo brevemente con AB, Aaa! ASBI CULO io pra) e i Aso Ta Allo scopo di non introdurre alcuna ipotesi particolare sulla natura dei vincoli d’estremità, non ci occuperemo per ora del procedimento da seguirsi pel tracciamento di tali linee elastiche : -supporremo soltanto, ciò che non pregiudica per nulla la gene- ralità della trattazione, che dette linee siano state rappresentate in disegno in un certo rapporto di affinità costante, che indi- cheremo colla lettera . mediante poligoni funicolari di distanza polare pure costante ed eguale a A, colleganti certi convenienti sistemi di pesi elastici, le cui espressioni generiche indicheremo rispettivamente con Wii Del Waiga Wei i. , v/ , , ' 201 ’ Wo , 103 itaca 20 n-1» Ws + 8. — Se ora, mentre sulla sezione S' agisce il carico uni- tario concentrato, si vogliono ristabilire i vincoli intermedi €;, Ci, Ca + Chi, la trave viene a trovarsi cimentata, oltrechè dal carico applicato in S, anche dalle reazioni verticali G,, G,, Cai 0,1, e-dai momenti Mi, Ma, Mz, 0... VM, vagenti ri- spettivamente nei punti C,, Ca, C3,... Ci. Ne segue che una sezione generica qualunque della trave la quale per effetto del solo carico unitario in S si era spostata verticalmente di una quantità misurata dalla corrispondente ordinata ns della linea elastica A,B,, all'atto della applicazione delle reazioni dei vin- 232 GUSTAVO COLONNETTI coli intermedì viene a subire un nuovo spostamento verticale, misurato, nella stessa scala, da = Mini — Gna —- Mans — Gang Msns — è. 3 WMO-d Groane AA Mani dove con nj, Na, Ng... Mi Si indicano le ordinate delle linee elastiche DPI 52 AgBbs, AzB3, OMRON ALDI Ba e con ny', ng, N53, ... N, si indicano in modo analogo le or- dinate delle linee elastiche AB, Ag Ba, Ag by o. A 1a contate tutte sulla verticale della sezione generica considerata. L’abbassamento definitivo n della sezione stessa può adunque ottenersi sommando algebricamente quei due abbassamenti par- ziali : ne=n, — Coni — Mana — Cona — Mona — Cana — Mans. AAT Ra 6, tao Gala ca Fr Mila ua 3 Un tale poligono rappresenterà adunque nel solito rapporto di affinità & la linea elastica della trave supposta vincolata, oltrechè in A ed in B, anche in C,, Cs, Gs, ... C,-1-@ caricata in S dal supposto carico unitario concentrato. È appena necessario aggiungere che, in virtù del teorema di Maxwell, lo stesso poligono rappresenta anche la linea di influenza degli ‘abbassamenti del punto S dovuti ad un carico con- centrato ed unitario viaggiante sulla trave. LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 2339 Il procedimento esposto può adunque venire utilmente ap- plicato allo studio delle deformazioni elastiche; esso richiede però una preliminare determinazione delle 2(n — 1) costanti: G,, NP, Co, Po, Cs, Vs, DCO Gilde Nzae Tali costanti, quando non siano già note le linee d’influenza delle reazioni iperstatiche dei vincoli intermedì, possono essere determinate imponendo che gli abbassamenti e le rotazioni defi- nitive delle sezioni Ci, 0, C3, ... Ca-1 della trave siano eguali a quelli che i corrispondenti piedritti elastici possono effettiva- mente consentire. Detti infatti: €13 la, €3, --. En i cedimenti elastici verticali degli estremi dei singoli piedritti, dovuti a carichi unitarî su di essi direttamente applicati, e dette: 0;,a0P RP. 0 le rotazioni elastiche degli estremi stessi prodotte da momenti unitarì su di essi agenti (*), si hanno le seguenti 2(n 1) equa- zioni di condizione: Gina +) + Mmna' +. PRON -- Cho Mazii + Miani = Ns Cip11 +M(P11+909) +... sai + Gn1Pn1,1 "l Dee iD'agi = Py; Cimini -- ini A ale, tell en + ColMasa-1 + En + Macatiocinia Ma CiPi,n1 + MPa na + Pr ser È CruPacina + Mia(Pica ni +01) Pass (*) La grandezza ® così definita altro non è che il reciproco dell’ © Ela- stizitàìttsmass , introdotto dal Ritter nella citata sua trattazione, recente- mente denominato, con maggior proprietà, “ modulo di resistenza della pila alla rotazione , dal Prof. C. Guidi (Cfr. Scienza delle costruzioni, Parte IV, 1910). 294 GUSTAVO COLONNETTI nella quale si è indicato: con ny, l'abbassamento della sezione p"* della trave svin- colata dai piedritti intermedì dovuto ad un carico unitario ap- plicato verticalmente in corrispondenza della sezione q"*; con n',) l'abbassamento della stessa sezione p"® per un momento unitario negativo agente sulla sezione g"*; con ®@,, la rotazione subìta dalla solita p"® sezione per l’azione di un carico unitario agente sulla sezione g"*; ed infine con ®',, la rotazione subìta dalla stessa sezione p® per effetto di un momento unitario negativo applicato in corrispon- denza della 9" sezione (*). In virtù del teorema di reciprocità : \ Upg 7 op | Ng = Py Pa = Py perciò lo stesso sistema di equazioni può anche scriversi: Cn + e) + Mpa +... niet CoiM it Poni Pina = Cina + M(P'1+0) +... atrata | (AMP pi + Trio dei =" n'si Cimo1 T+MP.11 tl SUO + Crediti + €,-1) + MaiiPasal1 — Nsnt1 | Giai NE MP -11 +... sa F4GisM'asa1 1 Mas(P ass 0a) Mapei (*) La misura delle rotazioni g e g' non presenta in pratica difficoltà di sorta. L’inclinazione di un lato qualunque di un poligono funicolare sopra la sua retta di chiusa, essendo eguale all’inclinazione del corrispon- dente raggio proiettante del poligono delle forze sopra la parallela con- dotta pel polo a quella retta di chiusa, è misurata, nella base A, dal seg- mento che quei due raggi intercettano sulla retta delle forze. LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 235 4. — Linee d'influenza delle rotazioni di una sezione gene- rica. — Si supponga ora invece di voler ristabilire i vincoli intermedî €, Cs, 03, ... C._1, mentre sulla sezione S agisce il momento unitario che ad essa abbiamo a suo tempo supposto di applicare. Ripetendo il ragionamento già fatto nel paragrafo prece- dente, si sarà condotti ad affermare che una sezione generica qualunque della trave, la quale per effetto del solo momento unitario applicato in S si sarebbe spostata verticalmente di una quantità misurata dalla corrispondente ordinata ny della linea elastica A4,'B,, per effetto delle reazioni dei vincoli intermedî ripristinati, deve subire un nuovo spostamento verticale, misu- rato, nella stessa scala, dalla solita sommatoria valu Gn VAZI Mn ST (CORSIE #TE Mo n'a “a t£ Cs n3 "© Ms ny DIES O Ie n 63 nai vat Miei Mai . L'abbassamento definitivo n=n, —Gn— Mani — Cono — Mano — Gong —Msns —,., eda «Ro Ca Mai TAM Ma Mini può adunque, anche una volta, ottenersi come ordinata generica del poligono funicolare che, con distanza polare eguale, secondo il solito, a \, collega i pesi elastici: W'=ws — G,wi — Mw — Cow — Maw — ad LI ni edi rr” (5 n Wan N n-1W0 n-1» Ed ancora una volta si potrà dire che un tale poligono, rappresentante (nel solito rapporto di affinità z) la linea elastica della trave supposta vincolata oltrechè in A ed in'B, anche in Ci, Co, C3, ... Ci-1, @ sollecitata in S dall’ipotetico momento unitario, può assumersi come linea d'influenza delle rotazioni pro- vocate nella sezione S da un carico unitario e concentrato viag- giante sulla trave. Le equazioni di condizione determinanti il nuovo sistema GUSTAVO COLONNETTI di costanti Gi; Mi LEM 9105 MP Le CM Aso) come sarebbe facile dimostrare, le seguenti: | Cl (La) CI Cl pi Sese sa pel rela + WES ge, _- Mia Cip; He Mi (P1 ju 9.) SEtia x - CI PI a-1 + Ai tei = Pi Ciinnisà sE Min ig + 00. t Stai i) Cili(Macinti "1 i, n MISI MS, “rr gt | Ci ®,-1,1 "i Mina DORATO, di . PL C,-1Pntto1 * Mg (Pai A BE) ii Pla OVVEro : Ci + €) + Mipu t ..- afietta + Da Nin Ma Pi,n1 = Pisi Cina + Mi (1 Pit. d19,0 “n Ca UG == Wide = Pri 3 Cass Mi Psi 4 > ... È bei sù €n-1) 3P ME Pri iii C'n'ni ER Le pi ALE \ INNO + Goa nai + Misia + 01) —_ LIVPABRET 5. — Linee d'influenza delle reazioni iperstatiche di um pie- dritto. — Si supponga finalmente che un ulteriore piedritto (, venga a vincolare la trave in corrispondenza della sezione con- siderata S, e si indichi con €; il suo cedimento elastico verti- cale dovuto ad un carico unitario su di esso direttamente ap- plicato, con 0, la rotazione che un momento unitario positivo può provocare nella sua sezione estrema, con €, il valore della reazione verticale incognita e con Mt, la grandezza del momento LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 237 pure incognito con cui esso piedritto si oppone alle deforma- zioni del sistema. Ricordando che, quando il carico unitario occupa sulla trave una data posizione generica arbitraria, il cedimento ver- ticale e la rotazione della sezione S supposta libera sarebbero misurati rispettivamente da Me Gn == Mn; “i | arlat Tasto Merci aci e da ,’ n= ie Cini e, Mani, e STE Ci UE Mata ordinate generiche delle due deformate costruite, è facile convin- cersi che l’imporre l'eguaglianza fra l'abbassamento effettivo della sezione S della trave ed il cedimento elastico del sotto- stante appoggio C, conduce alla equazione di condizione n_ Gimo — Mano = Gs, essendo no ed ny gli abbassamenti della sezione S, supposta ancor libera dal nuovo vincolo, dovuti rispettivamente ad un carico unitario e ad un momento negativo pure unitario su di essa applicati. Similmente l’imporre l'eguaglianza fra la rotazione effet- tivamente subita dalla sezione S e quella subìta dalla sezione terminale del sottostante piedritto conduce alla equazione n° — Cipo — Mpo = MI, essendo qui g, e 9 le rotazioni della stessa sezione dovute rispettivamente allo stesso carico ed allo stesso momento. Ricordando che al solito dev'essere U Ne.==-Po si ha pertanto il sistema \ E.(No == €) + Mo alii I Cn + Mp4 0) = n' 25 (00) GUSTAVO COLONNETTI dal quale, posto = | = (No + €) (Po ca 9,) ita No Po SIL] dia Î an n° ovvero pare fr e | “> ‘da oa Sua Se pertanto al primo poligono di deformazione, disegnato al solito collegando i pesi elastici W con un poligono funicolare di distanza polare ), si sovrappone il secondo poligono colle- gante i pesi elastici W', in base però ad una nuova distanza polare eguale a \ s di nei Pa la superficie che tra i due poligoni viene a trovarsi racchiusa rappresenta la legge di variazione della reazione verticale 6,; e precisamente l’ordinata del primo poligono contata a partire dal secondo poligono, su di una verticale generica, assu- mendo come unità di misura RED Po + 8; rappresenta la grandezza di quella reazione incognita per un carico unitario agente secondo quella verticale generica. Similmente la superficie d'influenza del momento M, si ot- terra sovrapponendo al secondo poligono disegnato con distanza LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 239 polare X, il primo tracciato, assumendo la distanza polare eguale a i. Mot 6 . No i la grandezza di quel momento incognito per un carico unitario agente secondo una verticale generica si otterrà ancor qui leg- gendo l’ordinata del primo poligono contata a partire dal se- condo nella unità di misura D — Mok 6s | 6. — Nella tavola che accompagna la presente nota il procedimento esposto venne applicato allo studio di una trave della lunghezza di metri 30 (*) semplicemente appoggiata agli estremi A e B e solidale, in due punti intermedîì C;, e C,. a due piedritti elastici rigidamente incastrati al piede. Le figure a), 6), c), d) rappresentano le deformate dell’asse geometrico della trave supposta liberata dai piedritti intermedì ed assoggettata rispettivamente alle quattro sollecitazioni uni- tarie 6, 20) INN = PACS PUO PNT Nelle stesse figure sono state graficamente rappresentate anche le quattro grandezze $ Fibalonab 1: €93, CE misuranti la deformabilità dei piedritti. La tavola dovendo avere carattere esclusivamente dimostra- tivo, tale deformabilità si è assunta assal più rilevante, a fronte della supposta deformabilità della trave, di ciò che nella pratica può avvenire, e ciò allo scopo di metterne in particolare evi- denza le conseguenze. Le quali conseguenze si possono agevolmente rilevare dal- l'esame delle fig. e) ed 7), nelle quali le superficie d'influenza della reazione verticale €, e del momento M, relativi al pie- (*) Scala del disegno 1:300. 240) GUSTAVO COLONNETTI dritto sinistro vennero costruite mediante sovrapposizione, in convenienti scale, delle due deformate dell’asse geometrico della trave supposto vincolato, oltrechè in A ed in B, anche in 0, e cimentato in €, dalle due sollecitazioni unitarie Go = —1 ed Mi = E, 7. — Riferendoci ora al caso particolàre di travi ad estremi semplicemente appoggiati, constateremo come il tracciamento delle varie deformate di un tale sistema possa anche qui ese- guirsi col solo aiuto di quei pesi elastici che ho già avuto occa- sione di indicare col nome di fondamentali. Ciò è gia stato dimostrato, per le deformate relative alle varie sollecitazioni del tipo €, = — 1, nella mia precedente Memoria (*);. può dimostrarsi per le altre deformate, relative alle sollecitazioni del tipo M,.= — 1, nel modo seguente. Liberata dai vincoli intermediì, la trave risulta staticamente determinata e, quando venga cimentata da un momento unitario negativo applicato alla sezione S distante di / dall’estremo si- nistro A e di l' dall’estremo destro 5, si deforma descrivendo, col suo asse geometrico, una certa linea elastica AB”, la quale può considerarsi come composta di 2 tronchi distinti SUA" ed SB", relativi ciascuno ai due corrispondenti tronchi SA ed SB di trave, obliquamente incastrati in corrispondenza della verticale di S e del resto liberi. sollecitati agli estremi da forze verticali, dir&tte l'una verso l'alto, l’altra verso il basso ed 1 eguali entrambe in valore ad Ta 1 essendo il valore assoluto LÌ del momento applicato ed L la distanza fra gli appoggi estremi A, B. Si indichino pertanto colla lettera wa quei pesi elastici che collegati con un poligono funicolare di distanza polare A for- niscono la linea elastica della trave supposta rigidamente inca- strata nell'estremo B e cimentata all’altro estremo A da una forza unitaria diretta verticalmente dal basso all’alto. Similmente si indichino con wg quei pesi elastici che colle- gati con un poligono funicolare di distanza polare ancora eguale (*) Cfr..8.10.e fig. 3. G. GOLONNETTI. Le linee d’influenza Atti della R. Accademia della trave continua, ecc. delle Scienze di Torino. Vol. XLVI. A G Cl 8 Tip. Vincenzo Bona - Torino. (64284) LE LINEE D'INFLUENZA DELLA TRAVE CONTINUA, ECC. 241 a \ dànno la linea elastica della stessa trave, supposta però in- castrata in A e caricata nel modo detto in .. La similitudine esistente fra i tronchi sopra considerati IAA III SA" ed SB" della linea elastica A'B"' ed i rami loro cor- rispondenti S'A' ed S'B" delle due linee elastiche ausiliarie A' B' ed AB" non richiéde dimostrazione; essa ci permette di con- cludere che la linea elastica cercata può essere rappresentata in disegno da un poligono funicolare di distanza polare Y, col- 242 ADOLFO CAMPETTI legante, nei due tratti AS ed SB, rispettivamente dei pesi ela- stici della forma 1 Wa e 79 1a Wp È L o, ciò che fa lo stesso, collegante addirittura gli stessi pesi ela- stici w, e wp purchè si proiettino da distanze polari rispettiva- mente eguali a XL eda SCA, L essendo qui, occorre appena avvertirlo, non già una vera grandezza fisica, ma soltanto un numero astratto, misura della lunghezza della trave nella prescelta unità lineare. Le linee elastiche A4'B' ed AB" della figura vennero trac- ciate a solo scopo dimostrativo; in pratica esse non occorrono mai. La sola conoscenza dei pesi elastici fondamentali w0,4 e w8, anzi, in generale, di una sola parte di essi, permette di trac- ciare, l’una dopo l’altra, le linee elastiche delle fig. a), 0), c), d). È anzi assai agevole constatare che gli stessi pesi W e W', che hanno servito pel tracciamento delle superfici d'influenza e) ed f), altro non sono che combinazioni lineari di quei medesimi pesi elastici fondamentali. Torino, Dicembre 1910. Sulla mobilità degli ioni positivi prodotti nella ossidazione del rame, Nota del Dr. ADOLFO CAMPETTI. 1. In un lavoro pubblicato qualche tempo fa (Sulla disper- sione dell'elettricità in varii gas a temperatura elevata, “ Atti della R. Accademia di Torino ,, 1907) avevo, tra le altre osserva- zioni, fissato approssimativamente Ja temperatura a cui una lamina di rame riscaldata nell’aria comincia ad emettere ioni positivi, senza però determinare la mobilità di questi ioni: scopo principale della presente nota è di completare in questa parte SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 243 il lavoro precedente, nei limiti di precisione che la variabilità nelle condizioni del fenomeno consente. Al tempo stesso però debbo in questa nota fare alcune os- servazioni a proposito di una memoria del Reboul (*), nella quale sono contenute alcune affermazioni che sono in evidente con- tradizione con quello che si ammette generalmente (Vedasi ad esempio Stark - Die Elektricîttit in Gasen) su tale questione non solo, ma anche coi risultati delle mie esperienze sopra citate, delle quali pure il Reboul nella sua memoria mostra di avere preso conoscenza. Nel lavoro in questione, il Reboul, dopo aver riassunte e discusse molte delle esperienze precedenti, e in particolare quelle di Wilson e Richardson relative all'emissione di cariche positive e negative dai metalli a temperatura elevata ed aver discusso l'ipotesi di Richardson, secondo la quale l'emissione di cariche positive da metalli riscaldati in presenza di un gas senza azione chimica su di essi sarebbe dovuta a gas occlusi nel metallo, studia con apposite esperienze l'emissione di cariche positive da metalli facimente ossidabili, come il rame od il ferro, riscal- dati nell’aria, adoperando cioè come corpo emittente un filo di rame o di ferro riscaldato elettricamente e teso lungo l’asse di un cilindro metallico che può essere posto in comunicazione col suolo ovvero con un elettrometro. Il Reboul trova in particolare che l'emissione delle cariche positive a una determinata temperatura decresce col tempo più o meno rapidamente a seconda della temperatura e della natura del filo; il filo, cioè, prova, per usare la sua espressione, una specie di fatica. Questa diminuzione di emissione col tempo è molto più rapida per un filo di rame scaldato nell'aria che per un filo di rame scaldato alla stessa temperatura nell’anidride car- bonica. Fin qui niente è da osservare contro questi risultati, poichè un filo di rame nell’aria, dopo pochi istanti dall’inizio del riscaldamento, si copre di uno strato di ossido che protegge l’interno del filo da un'ulteriore ossidazione, mentre per tem- perature non troppo elevate la superficie del filo rimane com- pletamente inalterata nell’anidride carbonica. (*) ResouL, Phénomènes thermo-électriques et Électro-capilluires dans les gas, * Journal de Physique ,, 1908. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 16 249 ADOLFO CAMPETTI In appresso però il Reboul asserisce (nè bene si comprende su quali esperienze si basi per tale affermazione) che scaldando i metalli nell’anidride carbonica si arresta la ossidazione, ma non si arresta la emissione di cariche positive, che è quasi così intensa come nell'aria. Ora sta bene che a temperatura elevata l’emis- sione di cariche positive da un filo di rame appaia circa tanto intensa nell’aria quanto nell’anidride carbonica, perchè a tale temperatura la superficie emittente del filo è (quando sì trovi nell'aria) effettivamente una superficie di ossido di rame: per conseguenza quello che effettivamente confrontiamo sono la emis- sione di una superficie di ossido di rame nell’aria con la emis- sione di una superficie di rame nell’anidride carbonica, vale a dire, di due superficie sulle quali il gas ambiente non ha alcuna azione chimica e di cui per conseguenza l'emissione di cariche elettriche è non identica (poichè anche la natura e lo stato tisico della superficie ha un'influenza) ma molto prossima a quella di una superficie di platino alla stessa temperatura; se non che la sopracitata affermazione del Reboul non cessa per questo di essere completamente erronea per quanto riguarda il periodo di ossidazione, come già risulta dalle mie esperienze sopra ci- tate, nelle quali del resto si manifesta un comportamento ana- logo a quello già riscontrato, fra gli altri, dal Richardson, per l'emissione di metalli riscaldati in presenza di gas aventi su di essi un'azione chimica. Tuttavia, dovendo nuovamente disporre un apparato per la misura della velocità degli ioni positivi emessi durante l’ossì- dazione del rame, ho creduto opportuno di premettere alcune nuove esperienze di confronto tra l'emissione di una lamina di rame nell’aria durante il periodo di ossidazione e la emissione alla stessa temperatura in un'atmosfera di anidride carbonica 0 di azoto. Alle esperienze però conviene far precedere una breve descrizione dell’apparecchio usato in tutte le determinazioni. 2. L'apparecchio consisteva essenzialmente di un tubo di vetro (resistenzglas) del diametro di circa 6 centimetri e lungo circa 60 centimetri, di cui la parte mediana, per una lunghezza di 20 centimetri, poteva essere riscaldata mediante una stufa elettrica a resistenza, di modo che (come. risultò anche dalle prove fatte) almeno per una lunghezza di 10 centimetri, la tem- SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 245 peratura del tubo e del gas in esso contenuto poteva ritenersi come uniforme: la temperatura si misurava direttamente me- diante un termometro a mercurio confrontato con un campione tarato dal Reichsanstalt. Un estremo del tubo terminava con due tubulature di cui una, quella centrale, era attraversata dal can- nello del termometro e dall’asticella di sostegno di un elettrodo circolare di platino del diametro di 5 centimetri, l’altra serviva alla introduzione del gas. L'altro estremo del tubo era chiuso mediante un tappo smerigliato pure munito di due tubulature, una laterale per la corrente gassosa ed una centrale attraverso alla quale poteva scorrere un’asticella di platino (isolata mediante un cilindretto di ambra) portante un disco di platino di dia- metro pari al precedente. Contro questo elettrodo di platino veniva fissato mediante alette sottilissime un disco di rame di 2,5 centimetri di diametro (area 4,90 cent. quadrati): la corona circolare lasciata scoperta di questo elettrodo funzionava sino ad un certo punto come anello di guardia per mantenere una discreta uniformità nel campo elettrico tra la lastra di rame e la porzione affacciata dall'altro elettrodo, posto in comunicazione col suolo. L'elettrodo isolato era pol in comunicazione con un elet- troscopio a foglie di alluminio con lettura a riflessione (costruito da Spindler e Hoyer), strumento che, pur avendo capacità non troppo elevata, permette di misurare i potenziali con esattezza sufficiente per queste esperienze.I gas (aria, anidride carbonica, azoto) da introdurre nel tubo erano disseccati prima sopra una larga superficie di acido solforico, poi attraverso tre tubi con- tenenti il primo cloruro di calcio, il secondo nuovamente acido solforico (sferette di vetro bagnate di acido solforico), il terzo anidride fosforica: l'anidride fosforica apparve, come è noto, preferibile per l’essiccamento al sodio metallico, perchè questo, appena ricoperto da uno strato di ossido, ha un'azione estremamente lenta per assorbire l’ ultimo residuo di vapore acqueo. L'anidride carbonica si otteneva per l’azione dell’acido clo- ridrico puro sul marmo e veniva lavata attraverso una-soluzione di bicarbonato sodico; l'azoto, riscaldando in un pallone una mescolanza a volumi uguali di soluzione satura di eloruro di ammonio e di soluzione al 20 °/, di nitrito sodico puro e lavando - Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 16* 246 ADOLFO CAMPETTI poi attraverso ad acqua e soluzione di solfato ferroso. Con espe- rienze preliminari venne riscontrato che l’anidride carbonica e l'azoto ottenuti in queste condizioni non trasportavano con sè alcuna carica elettrica, nè presentavano sensibile ionizzazione, come accade di frequente pei gas recentemente preparati. Per le misure di dispersione si poteva allora procedere in due modi: ad esempio scaldare prima la parte centrale del tubo contenente aria od altro gas, quindi far avanzare l'elettrodo di rame, prima tenuto nella parte fredda del tubo, sino alla zona riscaldata e, dopo caricato con una pila secca, esaminare la caduta di potenziale all’elettroscopio; se non che con questo metodo si andava incontro a due errori; in primo luogo la lastra di rame impiegava un tempo non trascurabile prima di assu- mere la temperatura del gas nella parte centrale del tubo e quando l'uguaglianza di temperatura si poteva credere raggiunta, la lastra, se circondata da aria, era già ricoperta da ossido di rame e perciò l'ossidazione era a questo punto o molto debole e solo negli strati più profondi, o praticamente cessata del tutto. Oltre a ciò la caduta di potenziale che si osserva in questo caso dopo messa a posto e caricata la lastra di rame è dovuta, nei primi istanti specialmente, non solo agli ioni che si producono alla superficie del metallo, ma anche a tutti*quelli che si sono for- mati in quello spazio per il contatto del gas colle pareti calde del tubo: l'emissione quindi nei primi istanti è abbastanza in- tensa anche con elettrodo di platino e qualunque sia il gas. Messo dunque da parte questo metodo, si trovò più con- veniente di procedere così. Per confrontare l'emissione della lastra di rame nell’anidride carbonica e nell’aria oppure nel- l'azoto e nell’aria, prima di riscaldare il tubo ed essendo già l'elettrodo di rame nella sua posizione definitiva davanti all’e- lettrodo di platino in comunicazione col suolo, si faceva attra- versare per lungo tempo il tubo da una corrente di anidride carbonica o di azoto ben secchi: si portava quindi il gas alla temperatura richiesta e si determinava la dispersione dalla lastra di rame: in tutte le esperienze eseguite tra le temperature di 250° e 500° si constatò che la caduta di potenziale era con grande approssimazione la medesima, come se la dispersione avvenisse da una lamina di platino: esaminando la lamina in queste condizioni, si trova la sua superficie, come è naturale, perfettamente inalterata. SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 247 Se allora, mantenendo costante la temperatura, si introduce lentamente nel tubo una corrente di aria secca, questa, attra- versando zone del tubo via via più calde, assume, quando è giunta in contatto degli elettrodi, la temperatura stessa che era mantenuta prima in quella regione (come risulta, del resto, dal- l’osservazione del termometro): allora, se l’elettrodo di rame è carico positivamente, la caduta di potenziale aumenta con grande rapidità e si mantiene costante per alcuni minuti, finchè, cioè, l'ossidazione è limitata alla zona superficiale della lamina. Ri- mane dunque nuovamente confermato che una lamina di rame durante il periodo di ossidazione emette cariche positive. Lo stesso procedimento può essere adoperato per una de- terminazione approssimata della velocità degli ioni prodotti in queste condizioni, quando mediante i dati dell’esperienza si cal- coli la intensità di corrente, corrispondente alla saturazione, prodotta durante l'emissione di tali ioni tra le due lamine af- facciate. A tale scopo però converrà premettere le seguenti con- siderazioni teoriche. 3. Supponiamo che SS e S°S' siano due lastre metalliche af- facciate della stessa area, di cui una, ad esempio SS, sia mantenuta a potenziale costante ed uguale a V (ad esempio pel fatto di essere in comunicazione permanente con uno dei poli di una batteria di accumulatori, di cui l’altro polo è a terra), mentre l’altra S'S' è posta a terra attraverso ad un galvanometro molto sensibile: per tal modo la differenza di potenziale delle due lastre è uguale a V;; supponiamo poi che dalla superficie di una delle due lastre vengano emessi ioni di un sol segno e sia / la corrente che per la presenza di questi ioni si stabilisce tra le due lastre e viene quindi misurata dal galvanometro. Se si indica con K la velocità assunta da tali ioni quando la caduta di potenziale è di un Volt per centimetro, la velocità alla distanza « della lastra SS sarà data da — X Da e perciò, se c è l’area delle lastre, » il numero di ioni per centimetro cubo ed e la carica di ciascuno di essi, sarà evidentemente : ; dV bi oe=anp: da 248 ADOLFO CAMPETTI Ma l'equazione A?V=--4mp — — 4mre, che nel nostro caso si riduce a —, = — 4mne, ci permette di eliminare ne dal- wo l’espressione prima data per /, ottenendo così: p_ Ko dv &@V Ar dae: (dx° che si può scrivere: 2 RIC ALAM 1 Arisa Ada od anche: pp Anodi gu) 808 ag OE e di qui con una prima integrazione: dv les ESusi UA a can tali essendo C il valore che assume (1) per «= 0, cioè a con- tatto della lastra emittente. La costante di integrazione C non può dunque essere in alcun caso uguale a zero: però, se la ionizzazione ha origine non nel gas, ma a contatto della lastra e se questa ionizzazione è molto intensa, cioè, è molto grande il numero di ioni prodotti nell’unità di tempo e ci si accontenta di un risultato appros- simato, siccome in tal caso la caduta di potenziale a contatto della lastra è molto piccola, si può senza notevole errore rite- nerla uguale a zero e perciò l'equazione precedente si ri- duce a : ago Ko» | dv ) > grz ossia: dv Ca = VT Va da Ko dove abbiamo preso per il radicale il segno —, perchè il po- tenziale diminuisce col crescere di x. Una seconda integrazione darà quindi : 8t/ 2 8 FSE RI 5 a] YI ia iii n n SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 249 Ma, (persa. 0..Mi= A donde. (Ci == Wii Jé \aiceoine: per x=4d distanza fra le due lastre V= 0, risulta infine: Vi Pc op di da cui: 39 mld db id? (1) Ii cea Nazi 7? indicando con è la intensità di corrente per unità di area della lastra emittente. 4. Il metodo di determinazione di X fondato sull’uso della formula (1) fa adoperato dal Rutherford (#*) per determinare la mobilità degli ioni positivi emessi da una lamina di platino in- candescente: egli ottenne però con questo metodo per la mobi- lità valori dello stesso ordine di grandezza, ma un po’ minori di quelli ricavati con altri metodi, per esempio con quello del- l'inversione periodica del senso del campo elettrico; trovando in generale per XA valori tanto minori, quanto maggiore è la distanza tra la lamina emittente e la lamina ad essa affacciata posta in comunicazione col suolo. Questo disaccordo, tuttavia non molto rilevante, tra i risultati ottenuti nei varii casi e di fronte ai valori ricavati per altra via, non dipende, come il Rutherford stesso osserva, da un difetto del metodo o dalle pre- messe teoriche che conducono alla formula (1); ma ha la sua origine nel fatto che nelle esperienze di Rutherford gli ioni si muovevano in uno spazio a temperatura non costante e preci- samente decrescente della lamina arroventata verso la lamina fredda in comunicazione col suvlo e per conseguenza, siccome la mobilità diminuisce coll’abbassarsi della temperatura, si ca- pisce benissimo come si trovino mobilità minori per le esperienze eseguite con lastre a distanza maggiore. Questo inconveniente non era invece da temere nelle pre- senti esperienze, ove la temperatnra era uniforme in tutti 1 punti del campo: la formula (1) è quindi adatta a calcolare con grande approssimazione le mobilità degli ioni formati durante l'ossidazione del rame, purchè la differenza di potenziale agente (*) RurnerrorD, Discharge of electricity from glowing platinum and the velocity of the ions, © Phys. Rev.,, 1901. 250 ADOLFO CAMPETTI sia sufficientemente elevata per raggiungere la corrente di sa- turazione e la temperatura sia abbastanza alta, perchè si abbia una abbondante produzione di ioni positivi a contatto della lastra di rame e si possa ritenere senza errore sensibile come nulla la caduta di potenziale alla superficie del rame: per questa ragione, per quanto la produzione di ioni cominci, insieme all’ossida- zione, già alla temperatura di 250°, si trovò opportuno di ese- guire le esperienze per la mobilità alla temperatura di 500°: a questa temperatura e data la circostanza, risultante dalle espe- rienze eseguite, che la mobilità degli ioni è molto bassa, le con- dizioni imposte per la formula (1) si possono ritenere verificate. Per la intensità / della corrente tra le due lastre si prese un valore medio durante 15°, determinando la caduta di po- tenziale durante questo tempo del sistema dispersore (lastra ed elettroscopio) e detraendone quella che si sarebbe avuta, alla stessa temperatura, tra due lastre di platino e nota la capacità di questo sistema. Tale capacità fu determinata per confronto con un condensatore cilindrico di Gerdien tarato dal Reickhsanstalt e risultò di 0,0000234 mierofarad per la distanza di un centi- metro tra le due lastre e di 0,0000237 microfarad, quando tale distanza era di centimetri 0,7; se allora la caduta di potenziale è espressa in Volt, la intensità della corrente viene data in Ampère 1075. Il valore di X fu prima determinato in centimetri per se- condo, corrispondentemente alla caduta di potenziale di una unità elettrostatica per centimetro; a tale scopo / deve essere espresso in unità elettrostatiche, moltiplicando cioè le intensità in Ampère per 3.10!9.107! — 3.10° e moltiplicando la differenza di potenziale in Volt per la velocità in centimetri per se- 1 te 3.10? condo corrispondente alla caduta di potenziale di un Volt per centimetro si ottiene poi subito dividendo il valore precedente- mente ottenuto per 300: indicheremo con K, le mobilità, quando ci si riferisca alle unità elettrostatiche e con A quando ci sì riferisca alle unità elettromagnetiche. Diamo per disteso il calcolo per una esperienza, riferendo i risultati di tutte le determinazioni nella tabella che segue, nella quale V,, indica in Volt il potenziale medio del sistema dispersore durante 15", AV la caduta di potenziale durante SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 251 questo tempo, i la intensità di corrente per unità di superficie in Ampère, d la distanza fra le due lastre in centimetri. Calcolo della prima esperienza. Potenziale medio V,, = 218 Volt; AV in 15” = 19 Volt; capacità del sistema disperdente e = 0,0000234 microfarad; distanza tra le lastre d = 1 centimetro; superficie o della la- mina di rame == 4,9 centimetri. Risulta quindi: 7 0,0000234. 19.10-° D, AA = 2,96.107!! Ampère e quindi: i= 1 = 6,08.10-1? Ampère e perciò in unità elettrostatiche : d= 1 eb1078. Si ottiene perciò: n cm K,= 0,384 — sec e in conseguenza: cen K.=0,0013— . sec Num. d'ordine | | delle Fr A i d. | e le pet E esperienze | | | | ? A — I Ta (218) 19 6,03.10-!?. 1 0,0000234,0,383,0,0013 è | Ì | | | | dn IT ‘18121 |6,69.10-!?| 1 (0,0000234/0,614/0,0021 Pi | | Pri TIA 122422 (7,00.107®) 1 (0,00002840,423/0,0014 DI | PO PIE: A IVa 1210 39 |13,9.107"°| 0,7 0,0000237 0,465,0,0016 Va 198 86 |11,6.10-* | 0,7 |0,0000237/0,437/0,0015 | | | | | DO Ul LO ADOLFO CAMPETTI Si ottiene dunque come valor medio: K=0,0016 sec nè le divergenze ottenute dal valor medio devono sembrare troppo grandi, tenuto conto delle difficoltà di evitare in modo assoluto le correnti di convezione nel gas, malgrado la posizione oriz- zontale del tubo e la soddisfacente costanza della temperatura: d'altronde gli altri metodi, come quello dell’ inversione del campo, sarebbero difficilmente applicabili a questo caso, poichè per essi si richiede che le condizioni di emissione di ioni si mantengano identiche per un tempo abbastanza lungo, il che non era possibile nelle presenti esperienze. Per quanto dunque il valore precedentemente ottenuto dalla mobilità possa essere affetto da errore non del tutto trascu- rabile, anche per causa dell’imperfetta uniformità del campo tra le due lastre, siccome si può essere sicuri che come ordine di grandezza quella è certamente la mobilità media degli ioni prodotti, possiamo intanto affermare che “ gli ionî prodotti nel- l’ossidazione del rame appartengono alla categoria dei grossi ioni ,. Possiamo anche confrontare la mobilità calcolata per questi ioni con quella che si può calcolare alla stessa temperatura per gli ioni prodotti nell’aria dai raggi Rontgen. Secondo le esperienze di Philipps (*) risulta che la mobi- lità degli ioni positivi prodotti nell’aria alla pressione ordinaria dai raggi Réntgen è 1,39 a 285° assoluti e 2,00 a 411° e ri- sulta pure che in quest’intervallo la mobilità cresce circa pro- porzionalmente alla temperatura assoluta. Se, in mancanza di altri dati in proposito, si ammette che l'incremento lineare di mobilità colla temperatura sussista ancora al di sopra di 411°, risulterebbe che a 500°, cioè a 773° assoluti, la mobilità degli ioni positivi prodotti nell’aria a pressione normale dai raggi Rontgen sarebbe circa 3,78; la mobilità calcolata nel nostro caso sarebbe dunque, come ordine di grandezza, un po’ inferiore a 3060 di quella spettante agli ioni prodotti dai raggi Réòntgen alla stessa temperatura. (*) Parcipps, “ Proceedings of the R. Soc. of London ,, 1906, 1907. SULLA MOBILITÀ DEGLI IONI POSITIVI, ECC. 253 Questo risultato, che potrebbe sembrare poco attendibile se costituisse un fatto isolato, è invece in ottimo accordo, anche quantitativo, colle esperienze di E. Bloch e L. Bloch (*) rela- tive alla mobilità degli ioni prodotti sia per il gorgogliar del- l’aria attraverso a particolari soluzioni, sia per l'ossidazione lenta del fosforo. Nel primo caso si ottengono ioni la cui mo- 1 3000 condo, e precisamente durante la seconda fase di ossidazione, bilità è dell'ordine di grandezza di di centimetro, nel se- gli ioni dei due segni prodotti hanno mobilità comprese tra 300 ) di centimetro, ma il più spesso prossima a di cen- 1 ° 3000 1000 timetro. E siccome alla temperatura ordinaria la mobilità media degli ioni positivi e negativi prodotti nell'aria dai raggi Ròntgen è circa 1,6, si vede che gli ioni prodotti nella ossidazione del rame hanno (tenuto conto della differenza di temperatura) mo- bilità circa uguali a quelle dei grossi ioni osservati nelle espe- rienze di L. ed E. Bloch. Anzi, secondo E. Bloch, questi grossi ioni costituirebbero una classe a parte di ioni, caratterizzati dalla piccola mobilità e che devono la loro grande massa a par- ticelle solide e vapor d’acqua condensato cui restano uniti. Nelle esperienze sull’ossidazione del rame la massa che è unita agli ioni non può essere certamente vapor d’acqua condensato, perchè le determinazioni erano eseguite in aria secca e a temperatura elevata: ma se si pon mente al fatto che la lamina di platino affacciata a quella di rame appare, dopo l’esperienza, pur senza perdere il suo aspetto lucente, leggermente imbrunita, sembra molto verisimile che le masse che ingrossano gli ioni positivi prodotti alla superficie del rame siano particelle estremamente sottili di ossido che si distaccano e allontanano dalla lamina in- sieme agli ioni, durante l’azione chimica alla sua superficie. 5. Riassumendo dunque: a) È stata determinata la motilità degli ioni positivi pro- dotti durante l'ossidazione del rame in aria secca a 500° e trovata uguale a 0,0016 “é all'incirca. (*) E. Boca, “ Journal de Physique ,, 1904; © C. R. ,, 1903. — L. BLoc4®, CCR. 1907. — L. ed E. Broca, CR. ,, 1908. 254 b) Gli ioni prodotti in questo processo appartengono dunque, per mobilità, alla categoria dei grossi ioni, quali si formano per l'ossidazione lenta del fosforo e rimane quindi dimostrato che: c) Ioni di massa molto elevata possono, per particolari azioni chimiche, formarsi ed esistere anche a temperature abbastanza elevate. Torino. Istituto di Fisica dell’Università. Gennaio 1911. L’Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 29 Gennaio 1911. PRESIDENZA DEL PROF. COMM. RODOLFO RENIER SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci: Pizzi, SramPini, Bronpr, BAUDI DI Vrsme e De Sanomis Segretario. — È scusata l’assenza dei Soci BoseLLIi Presidente dell’Accademia, Manno Direttore della Classe, CARLE, RurriNI, SFORZA, EINAUDI. Si legge e si approva l’atto verbale dell’adunanza prece- dente, 15 gennaio 1911. Si comunica una lettera della signora Camilla JELLINEK che ringrazia per le condoglianze fattele dall’ Accademia in occasione della morte del prof. Giorgio JELLINEK, nostro Socio straniero. È pure data comunicazione di una lettera del Socio RuFFINI in cui ringrazia il Presidente delle affettuose parole rivoltegli a nome dell’Accademia in occasione della sventura che l’ha colpito. Si legge una circolare dell’Università Fredericiana di Cri- stiania che invita l'Accademia a partecipare alle feste centenarie della Università stessa, che si celebreranno nei giorni 5 e 6 del prossimo settembre. Il Socio StAMPINI presenta il Discorso letto in Macerata il 21 settembre 1910 in occasione delle onoranze centenarie al "2 256 Dr. Matteo Ricci, del Socio corrispondente Cosimo BeRTACCHI (Macerata, 1910) e ne illustra ampiamente, con grandi elogi, il contenuto. Il Socio ReNIER presentando con parole d’encomio il volume La prosa di Galileo per saggi criticamente disposti ad uso scola- stico e di coltura di I. DeL Lunco e A. Favaro (Firenze, San- soni, 1911), mentre plaude al felice compimento della edizione nazionale delle Opere di Galileo, esprime il voto che il Mini- stero della P.I. voglia provvedere ad una edizione economica delle opere stesse. La Classe unanime fa suo questo voto e de- libera su proposta del Socio Srampini di comunicarlo alle mag- giori Accademie del Regno, invitandole ad associarvisi. - L’ Accademico Segretario GAETANO DE SANCTIS. __n_m_—_———rTT-7T"tzyrFT—*—--<-----;- DD (DA | | PROGRAMMA DEI PREMI FONDAZIONE VALLAURI Quadrienni 1911-1914 e 1915-1918. L’Aecademia delle Scienze di Torino annuncia che, in esecu- zione delle disposizioni testamentarie del Socio Senatore Tom- maso VarLauri, ha stabilito un premio da conferirsi a quel letterato italiano o straniero che nel quadriennio decorrente dal 1° gennaio 1911 al 351 dicembre 1914, avrà stampato la migliore opera critica sopra la letteratura latina. Similmente ha stabilito un altro premio da conferirsi 4 quello scienziato italiano o straniero che nel quadriennio decor- rente dal 1° gennaio 1915 al 31 dicembre 1918 abbia pubblicato colle stampe l’opera più ragguardevole e più celebre su alcuna delle scienze fisiche, interpretando questa espressione di scienze fisiche nel senso più largo. Ciascuno di questi premi sarà di lire italiane ventiseimila nette (Lire it. 26.000). fatta riserva soltanto per il caso che abbia a mutare il reddito delle cartelle di rendita italiana. I premi saranno conferiti un anno dopo le rispettive scadenze. Essi non potranno mai essere assegnati ai Soci nazionali dell’Accademia, residenti e non residenti. Le opere, che verranno inviate all'Accademia perchè siano prese in considerazione per il premio, non saranno restituite. Non si terrà alcun conto dei manoscritti. Torino, 1° gennaio 1911. Il Presidente dell’ Accademia PaoLo BosELLI. Il Segretario Il Segretario della Classe di Scienze fisiche, della Classe di Scienze morali, matematiche e naturali storiche e filologiche C. SEGRE. G. De SANCTIS. PROGRAMMA PER IL XVIII PREMIO BRESSA La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi alle disposizioni testamentarie del Dottore CesArRE ALESSANDRO Bressa ed al programma relativo pubblicatosi in data 7 Di- cembre 1876, annunzia che col 31 Dicembre 1910 si chiuse il Concorso per le scoperte e le opere scientifiche fatte nel qua- driennio 1907-1910, al quale concorso erano chiamati Scienziati ed Inventori di tutte le nazioni. Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a comin- ciare dal 1° Gennaio 1909, è aperto il Concorso per il diciot- tesimo premio Bressa, a cui, a mente del Testatore, saranno ammessi solamente Scienziati ed Inventori italiani. Questo concorso ha per iscopo di premiare quello Scien- ziato italiano, che durante il quadriennio 1909-1912, “ a giudizio «“ dell’Accademia delle Scienze di Torino, avrà fatto la più in- “ signe ed utile scoperta, o prodotto l’opera più celebre in fatto “ di scienze fisiche e sperimentali, storia naturale, matema- “ tiche pure ed applicate, chimica, fisiologia e patologia, non “ escluse la geologia, la storia, la geografia e la statistica ,. Questo Concorso verrà chiuso col 31 Dicembre 1912. La somma destinata al premio, dedotta la tassa di ricchezza mobile, sarà di lire 9200 (novemila duecento). Chi intende presentarsi al concorso dovrà dichiararlo, entro il termine sopra indicato, con lettera diretta al Presidente del- l'Accademia ed inviare l’opera con la quale concorre. L’opera dovrà essere stampata; non si terrà alcun conto dei manoscritti. Le sopere presentate dai Concorrenti, che non venissero premiati, non saranno restituite. Nessuno dei Soci nazionali, residenti o non residenti, del- l'Accademia Torinese potrà conseguire il premio. L'Accademia dà il premio allo Scienziato che essa ne giudica più degno, ancorchè non si sia presentato al concorso. Torino, 1° gennaio 1911. Il Presidente dell’ Accademia PaoLo BosELLI. IL Segretario della Giunta L. CAMERANO. PREMI DI FONDAZIONE GAUTIERI —_- ta--se L'Accademia Reale delle Scienze di Torino conferirà nel 1911 un premio di fondazione Gautieri all'opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle pubblicate negli anni 1908-1910. Il premio sarà di L. 2500, e sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa però non farà restituzione delle opere ricevute. Fade rg sO SIESI T4°4 "A 194 intro” nu re " % È «DD Pu ila -: «un È | PILA ta CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 5 Febbraio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NaccarI, Direttore della Classe, SAL- vapori, D’Ovipio, Japanza, GuarescHI, Gumpr, FrLeti, MATTI- ROLO, Grassi, FusarI, BaLBIANO e SEGRE, Segretario. — Scusa l'assenza il Socio PARONA. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Su proposta del Presidente la Classe invia condoglianze al Socio BronpI per la morte della madre. Il Presidente comunica l’invito della R. Università Frede- riciana di Christiania per le feste commemorative del 1° cente- nario dalla sua fondazione, il 5 e 6 settembre prossimo. Sono giunte le seguenti pubblicazioni in omaggio : dal Socio straniero F. R. HeLmerT, Ueder die Genavigkeit der Dimensionen des Hayfordschen Erdellipsoids; dal Socio corrispondente J. Boussinesg: Sur les principes de la mécanique et leur applicabilité è des phénomènes qui semblent mettre en défaut certains d’entre eux. Il Socio Grassi offre in dono la nuova edizione dei suoi Principii scientifici dell’ Elettrotecnica, e similmente il Socio Mat- rtiRoLO il suo opuscolo I Colus hirudinosus Caval. et Sich. nella Flora di Sardegna. Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 17 262 Il Socio NaccarI presenta per la solita pubblicazione le Osservazioni meteorologiche fatte nell'anno 1910 all’Osservatorio della R. Università di Torino, dal Dr. B. RAINALDI. Per la stampa negli Atti il presidente CAMERANO presenta le seguenti sue Note: Le “ Ocapia ,, del Museo Zoologico di Torino; Osservazioni sullo stambecco del Baltoro nei monti del Karakoram e su quello del Lahul. Il Socio MarTIROLO, anche per incarico del collega PARONA, riferisce sulle due Memorie presentate nella scorsa seduta, l’una della Dott.* Giulia GrarpINnELLI, Sul valore sistematico del tegu- mento seminale delle Vicieae (D. C.) italiane, Valtra del Dr. A. Casu, Lo Stagno di S/° Gilla (Cagliari) e la sua vegetazione. Entrambe le relazioni sono favorevoli all’accoglimento delle Memorie nei volumi accademici; e di entrambe si accolgono ad unanimità le conclusioni. Pure con votazione unanime si delibera la stampa fra le Memorie della 2% Parte del lavoro del Socio GuAREScHI: Fran- cesco Selmi e la sua opera scientifica, presentata alla Classe dal- l'Autore. Infine il Socio MarTIRoLo presenta una Memoria del Dr. G. Gora: Le Avene piemontesi della Sez. Avenastrum Koch. Vengono incaricati di riferire su di essa i Soci MarTIROLO e CAMERANO. LORENZO CAMERANO — OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO, Ecc. 268 LETTURE Osservazioni sullo Stambecco del Baltoro nei Monti del Karakoram e su quello del Lahul. Nota del Socio LORENZO CAMERANO (Con 1 Tavola). Col nome di Stambecco d’ Asia, Cupra sibirica Meyer, si designano dagli Autori le numerose forme di stambecco che abi- tano le regioni montagnose di un larghissimo tratto di paese nell'Asia centrale. Le cognizioni che si hanno intorno agli stambecchi asiatici, per ciò che si riferisce al valore tassonomico delle numerose variazioni che essi presentano nella forma e nel colore, sono tutt'ora incertissime. Scarso è il materiale stato raccolto e che si trova conser- vato nei Musei, e spesso esso è privo di indicazioni precise della località dove è stato ucciso l’animale. Ad esempio, sopra 129 paia di corna elencate e misurate da Rowland Ward (1), 77 non por- tano altra indicazione che “ India , o “ Imalaia ,, o non hanno indicazione; più di 40 hanno la sola indicazione “ Kashmir , e di 8 solo si conosce con maggior precisione la località. Pochissimi sono gli esemplari in pelle completi stati descritti e che si trovano nelle collezioni, come si può vedere anche da recenti pubblicazioni (2). (1) Horn measurements and weights of the Great Game of the World, London, 1892. (2) T. Noack, Centralasiatische Steinbicke, * Zool. Anzeig. ,, 1902, pa- gina 622. — Steinbicke des Altaigebietes, “ Idem ,, 1903, pag. 381. — Zur Stugethierfauna des Tian-Schan, * dem ,, 1903, pag. 650, “Zool. Anzeig.,,1903. — T. BentHAM, An IMustrated Catalogue of the Asiatic Horns and An- tleres in the collection of the Indian Museum, Calcutta, 1908. — R. Lypekker, The Game Animals of India, Burma, Malaya and Tibet, London, Rowland Ward, 1907. — Lupwie Rirrer u. Lorenz von Ligurnau, Zur Kenntnis der Steinbicke Innerasiens, ° Denksc. Mathem. Naturwiss. Klasse ,, K. Akad. Wiss, Vienna, vol. LXXX, 1906. 264 LORENZO CAMERANO Ne segue che, nella maggior parte dei casi, riesce cosa incertissima il valutare l’importanza delle differenze di forma delle corna e dei crani e il metterle in rapporto colle varia- zioni di colore degli individui delle varie località. Ne segue pure che molto incerto appare, per ora, il va- lore tassonomico di molte sottospecie o varietà state recente- mente descritte. In queste condizioni di cose è materiale prezioso per lo studio dello Stambecco d’Asia, quello del quale si conosce la località precisa di provenienza. Tali sono i due cranî colle corna raccolti nel bacino del Baltoro da S. A. il Principe Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi nel suo ultimo viaggio di esplora- zione nei Monti del Karakoram (1) e da lui donati al R. Museo Zoologico di Torino. Nè meno utile per lo studio è il cranio colle corna del Lahul che il Dott. Filippo de Filippi, compagno nella spedizione di S. A. il Duca degli Abruzzi, ha pure donato al Museo di Torino. Nelle pagine che seguono è lo studio dei sopradetti esem- plari, ai quali va aggiunto quello di un cranio colle corna, che precedentemente il signor Pelitti di Simla aveva pure donato al Museo. Quest'ultimo esemplare è del Kaschmir, ma non è nota la località precisa di provenienza. % * * Secondo le ultime ricerche sono state descritte dello Stam- becco d’Asia le forme seguenti: 1. Capra sibirica typica Meyer (Monti Sayansk.). 2. a n fasciata Noack. (Bia-Altai). Sett du ; altaica Schinz (Irtisch-Altai). 4 A } Uydekkeri Rothschild (Katutay e Thian-Schan). 5 A : hagenbecki Noack. (Kobdo-Altai). (1) Viaggio di esplorazione nei Monti del Karakoram. — Conferenza letta da S. A. il Principe Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi, in To- rino, 16 febbraio 1910. — Supplemento alla È Rivista del C. A. L ,, vol. XXIX, n. 1, gennaio 1910. OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO DEL BALTORO, ECC. 265 6. Capra sibirica sibiricae affinis Noack (Monti al sud del lago Issyk Kaul). Mostra 3 merzbacheri Leisewitz (Parte centrale del Thian-Schan). Bitios Ù almasyi Lorenz von Liburnau (Thian-Schan). dg cs 5 dauvergnei Sterndale (Kaschmir occidentale). oso 05 gl sacin Blyth (Imalaia). Liblour , wardi Lydekker (Baltistan). deniea î transalaiana (Trans Alai). di i À alaiana Noack (Tashkent). dan da s pedri Lorenz von Liburnau (Gilgit). Se si consultano i lavori recenti di Lydekker e di Lorenz von Liburnau sopra citati, che in modo particolare si sono oc- cupati dello studio dello Stambecco d’Asia, ed anche quelli di Noack (1), di Rothschild (2), di Leisewitz (3), ecc., si vede come le diagnosi delle sottospecie o varietà sopra indicate siano tutt'ora molto incerte e come la loro designazione sia da rite- nersi provvisoria. Allo stato del materiale conosciuto, non è ancora possibile affrontare la questione di un aggruppamento delle sottospecie state descritte per lo Stambecco d'Asia in varie specie distinte. Le differenze che gli Autori indicano per distinguere le varie forme sopra enumerate riguardano: 1° il sistema di colo- razione; 2° la forma delle corna. Per alcune delle forme in questione le differenze nel sistema di colorazione sono spiccate e sono forse in rapporto con deter- minate località (4); per altre la cosa è ancora molto incerta, come già si è accennato. Io ho potuto recentemente, studiando una serie di oltre duecento cranî colle corna, determinare il campo di variazione (1) “ Zool. Anzeig. ,, XXV, pag. 622, 1902 e XXVI, pag. 381 seg., 1903. (2) “ Novit. Zool. ,, VII, pag. 277, tav. II, 1900. (3) © Zool. Anzeig. ,, XXIX, pag. 654, 1906. (4) Confr. anche, oltre i lavori sopra citati: R. LypEkkeR, Note on the Kashmir Ibex (Capra sibirica sacin), * Proc. Zool. Soc. ,, Londra, 1901, I, pag. 91 seg. 266 LORENZO CAMERANO di queste parti nello Stambecco delle Alpi (1), e giungere alle conclusioni seguenti: | «“ Nei limiti di variazione delle corna degli stambecchi maschi si possono riconoscere due forme predominanti: 1° una forma crassa in cui le corna stesse sono grosse, e sopratutto hanno molto sviluppata la faccia laterale esterna; sono pre- valentemente poco incurvate e poco divaricate; il loro peri- metro è, sopratutto alla base, schiettamente quadrangolare con spigoli superiori ben spiccati; 2° una forma gracilis in cui le corna stesse sono meno grosse, hanno meno ampia la faccia laterale esterna; sono prevalentemente con curvatura assai pronunciata e sono per lo più assai divaricate fra loro; il loro perimetro, sopratutto alla base. può essere schiettamente qua- drangolare o può presentarsi con lati più o meno tondeggianti. Le corna dell'una e dell'altra forma possono giungere alle maggiori dimensioni ,,. Io ho in modo particolare notato che negli Stambecchi delle Alpi si possono distinguere “ una forma molto incurvata ed una forma relativamente assai poco incurvata collegate fra loro da forme intermedie ,; variabile pure è il grado di torsione delle corna o in tutta la loro lunghezza, o soltanto nella loro regione apicale; la stessa cosa si dica della loro divergenza. Se si esaminano le misure delle corna date dal Rowland e dal Lydekker (2), anche tenendo conto soltanto di quelle del Kashmir, o di località ben accertate, che io riporto ridotte in misure decimali, si vede che variazioni analoghe a quelle delle corna dello Stambecco delle Alpi si incontrano pure nelle corna dello Stambecco d'Asia. Alla stessa conclusione si giunge consi- derando i lavori del Lorenz e degli altri Autori sopra citati. x (1) L. Camerano, Ricerche intorno allo Stambecco delle Alpi, © Memorie R. Accad. Sc. di Torino ,, Ser. II, vol. LVI, 1906, con 7 tavole. (2) Opere citate. OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO DEL BALTORO, ECC. 267 I __TTT—-—-—_ _r_T__ EE. Lunghezza i Circonferenza Distanza — LocALITÀ | | da apice ad apice totale | alla base delle ‘coma Kashmir | cent. 125,67 cent. 25,79 cent. 116,64 ; NDS] 1911936 BReAZ OR b: 73,63 y ist o 0 DATO pl (26,02 5 50,78 3 gt, 11590 n» 22,84 A 239,77 A fait se 05 a 38,72 = DR Da STA to) Ag 10 a 56,48 ” | ” 111,87 ” 26,02 ” 63,78 ; bi di: sogiso7 (19, STivoztg "68,86 G [n ig (106,946 yo 4740 b 52,95 A s 105,64 gii 27,28 3 56,48 b lf ritrb00,64. si A2090 s 53,62 n | dio e id s 40,05 A | AE ge SOA pe DICI i DERE RIMLOTSIA IU VOE + 24010 n 84,09 5 ME; CONIO4ZAON" nisogiva 26,65 Ù 32,01 3 lo 04:09 mn 2939 se 90 5 (e at 02:92 a 025; 99 ci 55,98 È RE e EE COLE RES PO) A 57, È 64,06 x a O Bani AE 3 45,05 3 ang Abati 3) GE 1 i ante ala E Li 47,29 Ù | x B9O:DQl 1a att 2285 È 65,64 3 TIRI” 97,41 | 0 24;11 P 47,59 % tosn» 94.57 su LOx70 b 46,63 3 lana 94,25 MB ZL! ; 34,26 - ì 92,95 o gio 3 DI 3 as Sena) n Za,L6 3 62,82 A | ; 4,71 D' 24568 di 72,99 } n 83,78 pio 2285 ; 51,41 Gilgit iaia 90 ragna 26,02 g 63,47 A Netto ade nt 30 26165 3 51,41 6 RM A EE s 24,04 , 87,58 Baltistan img LOT. LI noi nibtig? N E OA È MR: MITA: Sg LO GIO. SEO AI, IR 62,82 Ladak WES EZE DLL ZOO RI 13,63 o AREE I SIT CANA N Co Astor | RIS n 26:65 3. 66,01 Po IST a 99,65 si 23x78 5 62,19 Non credo perciò, allo stato delle nostre cognizioni, sia possibile dare speciale e prevalente importanza alle differenze 268 LORENZO CAMERANO sopradette, che presentano le corna dei maschi delle varie sotto- specie o varietà state descritte; mentre probabilmente hanno maggior valore differenziale le modificazioni della colorazione e del sistema di macchiettatura, e le differenze che le corna pre- sentano nel sistema generale di sviluppo dei loro nodi. Neppure per la distinzione delle sottospecie darei, per ora, speciale importanza ad alcune variazioni che si osservano nei crani dei pochi esemplari stati figurati e negli esemplari che ho sott'occhio, e che riguardano la maggiore o minore inclina- zione dei frontali, la forma della sutura fronto-nasale, la forma dei nasali, poichè tali sorte di variazioni ho osservato assai spiccate nel numerosissimo materiale da me studiato dello Stam- becco delle Alpi (1). Più importanti appaiono essere altre dif- ferenze dei crani, come la grandezza relativa delle cavità orbi- tarie, la distanza fra i fori sopraciliari, ecc. I due cranî colle corna raccolti da S. A. il Duca degli Abruzzi nel bacino del Baltoro nel gruppo del Karakoram, nel Baltistan, io credo si possano probabilmente riferire alla Capra sibirica sub spec. wardi descritta dal Lydekker (2). Essi hanno una notevole rassomiglianza nella loro forma generale con quelli figurati dal Darrah nel suo libro: Sport in the Highlands of Kashmir (3): “The Balti ibex ,, dice il Lydekker, C. sibirica wardi, “is a well-defined race, characterised by its dark colour, and the large white saddle, separated only by a narrow dark band from the white neck-patch. In point of size the saddle is in- termediate between the relatively small one of C. sibirica Iydekkeri and the large one of C. sibirica sacin. The horns (1) L. CamerANO, op. cit. (2) Lypekker, Game of India, pag. 101, 1900. — The Game animals of India, pag. 115, fig. 16, 1907. (3) Londra, Rowland Ward, 1898, pag. 149 e 165. Una delle figure del Darrah è pure riportata dal Ly»pekker nel suo volume: Wild Oxren, Sheep et Goats of all Lands, Londra, Rowland Ward, 1898, pag. 279. OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO DEL BALTORO, ECC. 269 “are not unlike those of the Thian-Shan race, but stouter, “ shorter, and narrower in transverse section ,. Uno dei due esemplari (che indicherò colla lettera A) rac- colti nel bacino del Baltoro, quello di maggior lunghezza, è pure rassomigliante a quelli raccolti dal Principe Pedro d’Orleans a Chakerkot Nala presso Gilgit, per i quali il Lorenz ha pro- posto provvisoriamente il nome di C. sibirica petri. A questo proposito il Lydekker dice: “ For the Gilgit ibex, which has “ very slender horns, Dr. von Lorenz propose the provisional “name of C. sibdirica petri, after Prince Pedro of Orleans, but “ it cannot yet be defined , (1). L'esemplare sopra detto del Baltoro ha appunto le corna lunghe e relativamente sottili, e rassomiglia un poco a quelle della C. sibirica petri tfigurate dal Lorenz (2). L'altro esemplare del bacino del Baltoro (che indicherò colla lettera B) ha corna meno incurvate e più grosse verso la base. Ora, tenendo conto delle osservazioni sopra fatte intorno alle variazioni delle corna fra esemplari della stessa località, sorge il dubbio se gli esemplari di Gilgit e quello A del Bal- toro non siano che i rappresentanti della forma di corna gracilis di una identica sottospecie, vale a dire della C. sibirica wardi del Baltistan, alla quale appartiene pure l'esemplare 5 del Bal- toro, rappresentando questo la forma crassa. (1) Lywpekker, Game animals of India, Londra, 1907, pag. 119. (2) Lorenz von Lisurwxau, Steinbicke Innerasiens, op. cit., tav. II, fig. 9. 270 LORENZO CAMERANO ee == _—————_—————_Ae_ _ + + + + + + + +++« «€6m»(_-—_—_t_tm_—_—_— Bacino del Baltoro Lahul n | | | Kashmir A B Misure in metri | | Età dell'animale al quale appartennero | anni | anni | anni | anni le corna . (10a1110all10a118a9 Lungh. del corno alla base dei nodi - |0,945|0, 843 0,863/0,790 dl 4 » lungo la curva sui nodi [1,000 0,905/0,915 0.865 2 n S L inferiore fo () 6900, 7150,675 È ; della corda } 0,525/0,440/0,435/0,475 Disianzi della curvatura inferiore dalla | corda a 1/4 della lunghezza . . (0,150/0,200 0,165/0,150 Idem ali 2a de " DI 02200, 1500 21810. 190 Idem a'SId.', 5 (0,215,0,185:0 ,235 0,176 Diametro massimo trasversale alla base | del corno 1 0,054/0,057 0,056,0,058 Idem antero posteriore 0,0720,0840,078,0,079 Idem trasversale a 1/4 della lunghezza 10,054 0,050 0,050|0,045 Idem antero post. , 4 p 0,080 0,079 0,075)0,074 Idem trasversale a 1/2, “ 0,043; (0,037 /0,034|0,038 Idem antero post. ci Li " (0, 074 0,0710,068/0,071 Idem trasversale a 3/4, n (0,025/0,030 0,023/0,027 Idem antero post. , 10,060,0.061 0,055/0,058 Circonferenza alla base del corno (1) . |0,2300,240/0,225|0,235 Distanza delle corna fra loro a metà della | loro lunghezza ; . !0,210.0,265/0,375|0,260 Idem a 5/4 della loro lunghezza . . |0,425/0,8 SR Idem all'apice 0,480 10,550 0,505 0,600 Le figure unite a questo lavoro mostrano lo sviluppo e l’an- damento dei nodi e la configurazione generale delle corna. Ri- chiamo l’attenzione del lettore sulle spiccate differenze che pas- sano fra i due esemplari raccolti nel bacino del Baltoro per ciò che riguarda la curvatura generale delle corna e il diverso rap- porto alla base dei diametri trasversali e antero posteriori delle corna stesse. DI (1) Misure prese non sul nodo. Le misure prese sul nodo sono le se- guenti: A m. 0,240, B m. 0,250, Lahul m. 0,237, Kashmir m. 0,265. OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO DEL BALTORO, ECC. 291 e pura L'esemplare del Lahul deve riferirsi alla stessa forma degli esemplari del Baltoro? Il Prof. Filippo de Filippi, il gentile do- natore al Museo dell’ esemplare in discorso, mi scrive: “ Ho acquistato il paio mandatole nel Lahul, fra il Ladak e la pro- vincia di Kulu, circa 300-350 miglia più a sud del Karakoram, perchè il Residente inglese mi disse che l’Ibex del Lahul era diverso da quello dell'Alto Imalaia. A quanto ricordo, mi disse che il rapporto fra la circonferenza (alla base) del corno e la lunghezza totale era diverso, e diversa la divergenza massima, o distanza delle punte fra loro ,. Intorno a questo carattere è da osservarsi quanto segue: Nei due esemplari del Baltoro e in quello del Lahul si hanno le misure seguenti espresse in valori assoluti e in 360" somatici (1): Baltoro Lahul Baltoro Lahul Lungh. tot. sui nodi m. 1,000-0,905. m. 0,915 360-360. 360 Circonfer. alla base sui nodi .....m.0,240-0,250. m. 0,237 86-99 92 Distanza delle corna ai loro apici. . . m.0,550-0,505 m. 0,600. 198-201 236 Nell’esemplare del Lahul il rapporto fra la circonferenza (alla base) del corno e la sua lunghezza totale ha valore inter- medio fra quelli dei due esemplari del Baltoro. Maggiore è invece la distanza delle corna fra loro agli apici; ma anch'essa, tenuto conto delle sopra. riferite osservazioni sul variare della divergenza delle corna degli stambecchi, non ha, da sola, spe- ciale importanza. Si considerino in proposito anche i dati seguenti che pre- sentano gli esemplari di Gilgit, Ladak, Astor e del Baltistan rife- riti dal Lydekker, che io riduco in 360" somatici per renderli comparabili ai precedenti: Gilgit Ladak Astor Baltistan Lunghezza totale 360-360-360 360-360 360 360-360 Circonf. alla base 68-71-72 84-82 84 76-77 Distanza delle corna agli apici 166-1537-256 232-279 208 70-197 (1) L. Camerano, Lo studio quantitativo degli organismi e il coefficiente somatico, © Boll. Mus. Zool. e Anat. Comp. di Torino ,, vol. XV, n. 375, 1900 272 LORENZO CAMERANO Da essi appaiono differenze notevolissime per ciò che ri- guarda la divergenza delle corna in esemplari della stessa lo- calità. Nelle corna dell'esemplare del Lahul si notano tuttavia altre differenze, come si può vedere dalle figure unite a questo lavoro. I nodi sono in generale meno sviluppati che non negli esemplari del Baltoro, sopratutto per i sei anelli di accresci- mento annuali verso la base, che sono i più recenti, tanto che in complesso le corna dell'esemplare del Lahul, per il modo di comportarsi dei nodi, hanno una notevole rassomiglianza con quelle dello Stambecco europeo, e a questa specie si rassomi- gliano pure per la maggior convessità delle faccie interna ed esterna, sopratutto verso la base. Per questi caratteri l’esem- plare del Lahul si scosta da quelli del Baltoro e da quello del Kashmir sopra indicati e, per quanto posso giudicare dalle figure date dal Lorenz e da altri, anche dalle altre sottospecie state descritte dello Stambecco d'Asia. Il cranio dell'esemplare del Lahul è anche diverso da quelli del Baltoro e del Kashmir per alcuni caratteri. I quattro cranì degli esemplari sopra descritti hanno le principali misure indicate nello specchietto a pag. 14 e 15. Dallo specchietto delle misure si vede che il cranio del- l'esemplare del Lahul ha proporzioni per varie parti diverse da quelle dei cranî del Baltoro e del Kashmir. — La distanza fra i fori sopraciliari è notevolmente minore nel primo che non negli altri; mentre è maggiore in esso la lunghezza dalla crista occipitalis alla radice dei nasali, minore è pure la larghezza mas- sima del frontale agli apici anteriori e sono spiccatamente mag- giori i diametri massimi trasversale ed antero posteriori del- l'orbita. Quest'ultimo carattere ed il primo, cioè la distanza fra i fori sopraciliari, meritano speciale considerazione. Nei 150 eranì dello Stambecco delle Alpi da me studiati (1) risultò che le va- riazioni del diametro antero posteriore e del diametro trasversale dell'orbita, fra individui di pari età, sono più notevoli nei cranî giovani che non negli adulti o nei vecchi. In questi ultimi, ad (1) L. Camerano, op. cit. OSSERVAZIONI SULLO STAMBECCO DEL BALTORO, ECC. 23 esempio, per il diametro massimo antero posteriore si hanno i valori estremi seguenti (espressi in 360" somatici e prendendo per misura base, come nel caso dei cranî studiati in questo lavoro, la distanza fra i fori sopraciliari) 232-261, 225-258, 226-251, 214-219. Questo carattere, come si vede, varia entro limiti ristretti nello Stambecco delle Alpi. È possibile che la cosa avvenga pure nello Stambecco d’Asia. Ora, mentre i due esemplari del Baltoro e quello del Kashmir variano poco a questo riguardo fra loro, 237-259, quello del Lahul si scosta notevol- mente da essi col valore di 347, presenta cioè una notevole maggior lunghezza. Analogamente si osserva per il diametro trasversale dell'orbita. Ne consegue un'orbita proporzionalmente più grande nell’esemplare del Lahul. Il cranio dell'esemplare del Lahul presenta pure, carattere degno di considerazione, tenuto conto che esso è adulto, una spiccata minor distanza fra i fori sopraciliari. Considerando le differenze delle corna, la notevole maggior grandezza dell’orbita, la minor distanza dei fori sopraciliari del cranio e le differenze di dimensioni di altre sue parti che da esse dipendono, credo si possa ritenere che l'esemplare del Lahul è diverso da quelli del Baltoro e da quello del Kashmir e dalle sottospecie dello Stambecco d’Asia fino ad ora state descritte. Per maggior chiarezza, e in attesa di dati intorno al si- stema di colorazione dello stambecco del Lahul, credo oppor- tuno indicare provvisoriamente questa forma col nome di Capra sibirica sub spec. filippii. 274 LORENZO CAMERANO [ai DE loo Ù 0 iQ ES Ho | ‘= è | pa] SI |og 3 d [Ba 9 ‘ES 9 (For Sia | è | D > (8a |s |82 | $$ ig . | 803 i Roi È) Milo d toi us S OLE [a] fsi 3 [a] ss d | S OLE O s SE i SÒ cri |a RR pr mi Hé & i Sis | A D = n=: S care Qi pe, ® è = è i I = E = a : fd |OC|/R | SS z 2 e 2 n ® Paini ® CES SI ® i i (e) 8, |SS.| CA |sss$| E|S|IE|3#|o3/f (ef È g ale nao) al È na) = an E EN SESMEse EN e QUA D = Ro) .@2| £ | © Q e lagie dse|l dd |og0| 3 | a 5) - In) E ST Co) sodi [E] D a D'@ lm | 3 |45e| 4090 |AIT| S OT cHe Da Osio 29 |gIE È (A & A na |a ° n pla | par [e] ni i n Qbji=i tai CIS ae ISS) i i i è ua bai fe ® ® | D e ® (o) dh Uci as3 Uci S ue) g za ue) 4 |ceuilse SEO e è | & a |.d & NOS Nazi [ese N N N N boa | N.w Da) NT GY N © 2 N N N N SHG|INE N D _S oa Mi 5. 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J *8WUIISSBUI BZZOYSIET] — tUOPI ‘WWUISS BUI BZZOgSUN'] — oqeseu [I 9 aqeuriog] [I ‘o[eguoa1z JI BIF BUNOBITT ‘e uUTIOB] [Op VUIISSBUI BZZAIIBT] ‘age urIog] [Ip BuaIsseuI BZZ0 dun] ‘84IIO,[[9P 9]ESIOASVI) OUIISSBUI 0IFQUUBI(] IGRIGIO.] -]0p 9101193 S0d 019308 OUIISSETA 019QUALI(] ‘IRUuMTI TUIge]ed 10p BUIISSCWI BZZOSIET * DILLO) -DUL DLI0QN] T BIF QIB[[POSQUI-T] BZZOIIBT] ‘T[estu 10p BUIISSBUI BZZOTIIBT] ‘a]e10du109-1] 01ZOUIBIP OTIISSBHT ‘o[e99orIed-07 0017 BINI -Ns [e opegoried [0p ezZzeudIg] BIUISSETT *TIOLIOZ URB INDIA I]9% o]eguoa1; [Op ezzeyudIB] BWISSET | ‘egIqIo e][ep tnI9gso turd | -IVU I BI} 0[BZUOI] [Op ezZzoqaIe] BUIISSET | ‘80109 0][9p resso re[onu Op Di OSeq BI[e o]B3UO1] ]Op eZz0ySIL] VISSUTI ‘8UI09 Q[[9p 19ss0 IOJONU I9p ISBQ 9] VI BZUBgsIp VuUUTAI] ‘TUIIET - ed 10p guerpewa VINJUS E][PP eZZzoqIdun] ‘QIBI]IOBIAOS 010} JI 9 QIB[[9OSBUI | -19) UT ][9p o101199gs0d 991d8,] RIF BZUBISI(I | È | QIBT[OOSVUILTOFUT]TOP VUISSBUI VZZ0]TUN] È »spresse in mi llimetr N (EN NI ev += © — a Vo) NES (SIR NES N a _ NS Si GI GI NI GI DD ti Na co] e) Ne) V®} Ye} Io 39 TS = a t- Te) le) i (Gp) uit eh Go NI 19 _ Lem b d de} NI = GN GNI Robi. em GI e} [ia > 90 b GI =t A SG0L Bet NI (—» Di _ i (€) I (» GI vel NI NI W@} Na) < Lema. e) (e ©) [a 00 a) Ne} l®} Ue) NI ) 00 (>) (ap) [©p) ig) 00 io) SS = i ema il 00 _ (0 ©) (0 0) DI [(©p) (Ap) 0 vi Te) (Ap) ) Ye) ©) LIE ( e RO de (>) o} = — si —_ SS ma E _ i 00 Un @) Yan NI — DN _ (NUME > [©p) I = 3) "== = è (12) ge — 9e= fe BS), Le relazioni (8) e (12) legano fra loro gli scostamenti li- neari (— af) fra le superficie S ed S, e le anomalie della gra- vità superficiale che indicheremo con Ag ponendo: Ora è importante osservare come, nel grado di approssi- mazione che ci siamo prefissati. (n° 1), nelle ricerche relative alle funzioni «, v, Ay in base alle formole (8) e (12), sarà lecito trascurare gli scostamenti fra la superficie S e la sfera 2 di raggio a, per modo che potremo ritenere che i valori delle fun- : a dv 3 ì i zioni o) , nelle formole stesse si riferiscano alla sfera \ 0 /'8 anzichè alla superficie S. - 4. Alcune proprietà della funzione v. — Se indichiamo con W la funzione potenziale dell'attrazione della massa ter- restre sopra un punto il cui raggio vettore sia È, si ha, per £ crescente all’ infinito: lim.WR= M. Quindi, quando si ponga, come abbiamo fatto, z M Vi === aV Mar, 338 PAOLO PIZZETTI sarà lim. RV=0, E similmente, per l’altra funzione V' intro- dotta nei paragrafi precedenti, lim. fRV'—=0. Ne segue: ì (13) lima Re 0 R=» Osserviamo ancora che, se l’origine dei raggi vettori è il centro della massa terrestre, dovrà essere, per / crescente al- l'infinito: (14) lim.(R2W — RM)=0. Infatti, sviluppando in serie la W per potenze negative del raggio vettore, si ha nel modo notissimo: (15) w-ta pe ((0 +6n+ 94M +5, M dove X è una quantità che si mantiene finita quando & eresce indefinitamente; a, 8, y sono i coseni di direzione del raggio È; , n, Z sono le coordinate dell'elemento generico di massa dM. Se l’origine delle coordinate coincide col centro di massa, l’in- tegrale nella (15) si annulla e la (14) risulta evidente. Poste successivamente per W le due espressioni: M k M R Ss a I4i SE a Lai si ha dalla (14): lima? lim FURE=0; e quindi: (16) lim: vit? =:0. R=% Si chiami ora 0 l'angolo che il raggio vettore £& di un punto generico P dello spazio esterno alla considerata sfera X di raggio a fa con una direzione fissa. Le tre espressioni: 1 così Di a È così SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 399 sono funzioni armoniche del punto P. Applichiamo la formola di Green: dn D Ss Jr (17) e (Pasi allo spazio t compreso fra la sfera Z e una sfera concentrica di raggio arbitrariamente grande, e poniamo dapprima: ge= KS Avremo dalla (17): (18) Sca Le giacchè gli analoghi integrali per la sfera di raggio infinito sì annullano in forza della (13). Ora, in forza della stessa (13), v può considerarsi come funzione potenziale di un corpo di massa nulla. Quindi: e dalla (18): (19) È Idle=,9, i Poniamo in secondo luogo nella (17): - cos® 90 2 così sist sarà —, = "o (sulla 2) e quindi: 1 i (20) ados STALLA ata "epica dei. Vv Poniamo finalmente nella (17): n= INNI AIR 340 PAOLO PIZZETTI sarà di = così (sulla X), epperò: (21) ad ar d2 pai Anche nelle (20) e (21) non figurano gli integrali relativi alla sfera di raggio infinito, perchè in forza della (16), per È Va c NEAR . 1 Ove: - 7 infinito, v diventa infinitesimo come pile - infinitesimo L n i 1 PNT = (0) DO) qp È B COME ppi: dove p>2. Le (20) (21) paragonate danno: (IL Di dd È .c0s8.dE=0, io Lod) Concludendo, e tenuto conto delle osservazioni fatte alla fine del n° 3, le funzioni «, v, Ag sono legate dalle quattro re- lazioni seguenti: Mu a (1) = Tos=90, È Mu a dA (1) 2a — BF) = dg. (II) (e. dE-0, {IV) | bi C0S04dZ'=0, dove X è la sfera di raggio « avente centro nel centro di massa della Terra, e dove v è funzione armonica dello spazio esterno a egsenb sfera e 6 l'angolo che il raggio vettore dell'elemento dX fa con una direzione fissa arbitraria. Aggiungiamo ancora che le (I) e (II), moltiplicate per d2, oppure per così . 42, ed integrate, dànno, tenuto conto delle precedenti formole : (V) Agra 0; (SR s Ag d2 Wi mici pari La prima di queste dipende dall'ipotesi fatta che le co- stanti nei secondi membri delle equazioni (6) siano eguali fra loro. Che se, più generalmente, le supponessimo diverse, le for- SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 541 mole precedenti si modificano soltanto in ciò che alle (1) e (V) vengono sostituite le seguenti: M ut (0 -+os=A, {Ao da —.StyBal vw 5. Determinazione della funzione x per mezzo della Ag. Formola di Stokes. — Come indicai nella citata Nota del 1896, la eliminazione della funzione incognita v fra le equazioni (1) e (Il) avviene molto facilmente coll’uso delle funzioni sferiche. Si ottiene allora la espressione di x proporzionale all’integrale: E. (22) [80 DLP, do à 2 che può facilmente trasformarsi nella espressione definitiva di Stoges. Ma restano a dimostrare la legittimità degli sviluppi in serie e la esistenza dell’integrale (22) nel quale la funzione sotto il segno diventa infinita in un punto del campo d’integra- zione. Queste dimostrazioni sono state date dal Dott. SIGNORINI in una Nota pubblicata recentemente nei Rendiconti dell’ Acca- demia dei Lincei (1). Ma l’uso degli sviluppi in serie può essere evitato. Si os- servi infatti che eliminando la funzione « fra (I) e (II) si ottiene la equazione: | (23) 2 vs DE | dè = atAg per modo che la v resta determinata dalla condizione di essere funzione armonica all’esterno della sfera X, e di soddisfare, in superficie, alla (25), nonchè alle (III) e (IV) (n° 4). N problema di determinare una funzione armonica che sulla superficie di una sfera soddisfaccia ad una condizione del tipo: (') Sraworini, Sulla formola di Stokes che serve a determinare la fowma del Gevide, “ R. Acc. Lincei ,, 5 febbraio 1911. Debbo avvertire che nella citata mia Nota del 1896 sono, per mia inavvertenza, varii errori di scrit- tura e in particolare nella espressione dell’integrale (22) (pag. 11 della detta Tin luogo di sen T 6 dimenticato un fattore 3 cost Nota) ho scritto cos 9 9 nell’ultimo termine. 342 PAOLO PIZZETTI dove £ è funzione assegnata dei punti della sfera, è stato riso- luto dal Prof. Dini (!), per lo spazio interno alla sfera, e coll’uso di sviluppi in serie; ma è ugualmente facile, seguendo la via da lui indicata, risolvere il problema per lo spazio esterno e senza uso di serie. Osserviamo, nel caso presente, che la fun- zione: 2 o—- 2 lag 0h 2a; (24) DE aa Du (1 v) è funzione armonica dello spazio esterno, quando tale sia la » e che i valori di essa UV alla superficie della sfera sono: Quindi, se A è il punto della sfera al quale si riferisce il valore Ag dell’anomalia, P il punto generico dello spazio esterno a distanza r dal centro O, Y langolo AOP, p la distanza AP data da pî = a? + r? — 2ar cost, sarà, per la notissima formola di Porsson, il valore di V in P dato da 92 9 n”, IA i ili dl O U= in | pî dr, Per maggior semplicità di scrittura delle seguenti formole, supponiamo, per il momento, che la Ag sia zero su tutta la sfera salvo nei punti dell'elemento dX intorno al punto A con- siderato, e poniamo: _ Ag d An) d2 ; sarà: Ri —__0 UE» (a sa Lor e quindi, per la (24): (1) Dini, Sulla integrazione dell'equazione Agu=0, “ Annali di Matema- tica, di Milano, 2* serie, Tom. V, 1871-73. SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 349 Coll'integrazione, rispetto ad r, del 2° membro, si ottiene facilmente: (vp 3p — 3a cosv log (r — a cosy + Pp) i d+ E, (28) » =} - — = e -: log (r — a cosy + p) dL- i, ; dove z è funzione soltanto delle coordinate angolari che fissano la direzione del raggio vettore del punto generico P. Ma poichè, è chiaro, la v deve dipendere unicamente da r e da Y (an- golo AOP), dovrà essere & funzione soltanto di Y, e poichè, d’altra - parte, = dev'essere funzione armonica all’esterno della sfera, dovrà essere £ funzione sferica di 1° grado e quindi: E —'AG0STÌ (A = costante). Sostituendo in (28) e ponendo ivi r=@, p = 2a sen I per ottenere i valori superficiali di v abbiamo finalmente: >; 1 (8 ce è: Polo =-| } sen -— 6.sen 1 — 3 cost log (2a sen ; + i 2 ZA Ì \ RE 2 A 2a sen e =ieosq: Di 2 I {ge Il valore della costante A si determina colla condizione (IV), ossia: (80) |£z cosped® =0- ove 6 è la distanza angolare del punto @ della sfera cui si ri- ferisce il valore vy, da un punto fisso, abitrario, B della sfera. Ora colle notazioni in figura si ha: cos8 = cost. cos8' + senrY.sen08' cosp, 344 PAOLO PIZZETTI e la (30) potrà scriversi: 290 (*TT ®2IT IT (31) coso [dofes cosy.senY.df + son | do[rs sen?r.cosp.do=0. . 0 (0) 0 Il 2° integrale è nullo. Quanto al 1° osserviamo che: IT cost. senyY 4 Senio gr nt; sen 9 0 IT GOSY . sen nu senY.dy === 1. CIA 990 ELL 0 HE IR 9 Y 9) Ei 2 Y x SEI 2 2 cos?y . log (2asen i. + 2a sen? —|senr.dr= — ni L n log 2a; JR) IT 5 2 COS°Y SeOL = ) 0 Quindi la (31) dà, quando per vy si sostituisca 1 espres- sione (29): 21 = m—4rlog2a)+n5=0, D ) donde: A=—a.òd(5 — 3log2a). Introducendo nella (29) abbiamo finalmente: ca (32) = È (i — 5 cosy — 6sen L — 3 cost log (sen x + sen? 3) E I sen = iù 2 Abbiamo, per comodità di scrittura, supposta la funzione Ag diversa da zero nei soli punti dell'elemento dx nell’intorno di un punto A. Supponendo ora la Ag generalmente diversa da zero su tutta la superficie della sfera, porremo nel 2° membro della (32) in luogo di è la sua espressione: SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 945 e integreremo quindi il 2° membro della (32) su tutta la sfera, o su quella porzione di sfera per la quale la Ay è differente da zero. Avremo così: (33) CI dove per semplicità si è posto: 1 (o » IT (9) 9 (94) Hi" cost -—6sen=—8costlog (sen$ + sen? 1) sen 9 e dove l'angolo y, lo ricordiamo, è la distanza angolare dell’ele- mento dX dal punto al quale si riferisce il cercato valore di 0 y Si ha d'altra parte [formola (1) del n° 4]: e, nel nostro ordine d’approssimazione, lo scostamento normale N fra le due superficie S, S, si può porre uguale a — apw (se si stabilisce che N sia positivo laddove S, è esterna ad S ossia ri >t). Quindi: or ta ca a’ Da (35) N= St dr |! H.Aq.dX. E questa la formola di Srokrs semplificata nell’ipotesi che è espressa dalla formola (n° 4): (dI aida = 0. 6. — Se ora facciamo la ipotesi più generale che 1 secondi membri delle equazioni (6) differiscano per una costante che indicheremo con fBA, il calcolo precedente si modifica come segue. Alle (1) e (V) del n° 4 vanno sostituite, come già si 0s- servò, le seguenti: sa boss, [Au .dXx = 8SmfaBh. x _ Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. (N°) DO 346 PAOLO PIZZETTI con che la (23) si cangia nella: ove h' è una costante data da: a © 4a (36) pW= PR — re | Ag .dE. Alla (35) va poi sostituita la: ala gati a°B NÈ gono ci dE. Quanto al vy esso sarà espresso dalla (33) ove si ponga Ag — h' in luogo di Ag. Osservando allora che: 7 Ja dx è [do|1. senYy.dy = — 4ma? = Ca ! a ci ogy= cn | 09 E sap |! Ag di + “E (in virtù della (36)). Quindi finalmente alla (35) va sostituita la 9 a (37) NE amp [09 poser po (1 Ag. dI, dove H è dato dalla formola (34). 7. Equazione di Lagrange relativa alla funzione poten- ziale di una stratificazione superficiale sferica. — Allo scopo gi ottenere la formola di HeLmert che lega le deviazioni lineari del Geoide dall’Ellissoide (0, più generalmente, da una supposta superficie di riferimento) colle anomalie di gravità e colle irre- SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 347 golarità locali di massa, premettiamo la dimostrazione di una formola di LAGRANGE (1). Sia v la funzione potenziale dovuta ad una distribuzione superficiale sopra una sfera di raggio a; D la densità in un punto A della sfera; si deve dimostrare che (38) vs + 2a Di ) =— 4qaD, TO . . v N . . . . dove vs è il valore di v in A, e (3), è il limite cui tende STERNO dv 3 x ti - Z la derivata > presa secondo il raggio vettore quando il punto, dall'esterno, si approssima indefinitamente ad A. Per dimostrare la (38), il modo più semplice è quello di cercare, con metodo analogo a quello tenuto nel n° 5, una fun- zione v armonica dello spazio esterno alla sfera X di raggio a, la quale, insieme colla sua derivata normale, debba, sulla super- ficie X, soddisfare alla equazione: (38) vx + 2a (32%, =— 4naD, dove D è una certa funzione assegnata dei punti della sfera. Per questo osserviamo che, posto: X=%v+2r Da — 2V/r È (oV7), la X è funzione armonica dello spazio esterno alla sfera, e che della X sono assegnati, per la (38), i valori superficiali. Per la formola di Poisson avremo dunque: (39) rd (or) =— (8 — a) | dr. di (4) “ Journal de l’École polytechnique ,, 'l. VIII. La dimostrazione di Lagrange suppone che la densità superficiale D ammetta la derivata se- condo ogni direzione nel punto che si considera. Per la storia e la biblio- grafia relativa a questa equazione, veggasi: Topnunter, A history of the .math. theories of Attraction, ete., vol. II, chap. XXX, p. 253 e seg. 348 PAOLO PIZZETTI Ora si verifica facilmente che, posto al solito p° = a? 4- r® — 2ar cosy. Ch (ia) ia dat dr \ p 2995 si ha: e integrando: dove z è funzione dei soli angoli (9, w) che fissano la direzione del raggio vettore. Se si pone la condizione che la ® sia una funzione potenziale, essa dovrà a distanza infinita divenire x È 2 1 5 : i di infinitesima come > 8 perciò occorre che la & sia nulla, sicchè la funzione armonica »v dello spazio esterno che, in superficie, sod- disfa alla (38) non è altro che la funzione potenziale esterna di una distribuzione superficiale sferica con densità generica D. L'equazione di Lagrange è così dimostrata. Com'è noto, affinchè la derivata (3) esista nel punto A, occorre che, in quel punto, se la densità D non solo varii con continuità, ma ammetta il rap- porto incrementale finito, in ogni direzione, ossia che, detto To il valore della densità in un punto 5 la cui distanza da A sia /, si abbia: D'—D| | mailto dove % è una quantità finita. 8. Formola di Helmert. — Ritornando alle ipotesi dei nu- meri 2 e 3, ammettiamo che gli scostamenti fra la superficie S; (Geoide) e la S (superficie di riferimento) e le conseguenti ano- malie della gravità siano dovute ad un sistema di eccessi e difetti di massa rappresentabili con uno strato superficiale di densità variabile (positiva o negativa) D distribuito sopra la su- perficie S, 0, ciò che è lo stesso, nel nostro ordine di appros- SOPRA IL CALCOLO TEORICO DELLE DEVIAZIONI, ECC. 349 simazione — poichè nel calcolo delle anomalie facciamo astra- zione dallo schiacciamento terrestre (cfr. n° 1) — sulla sfera X di raggio da. Poichè nei n' 2 e seguenti si è indicata con 8v quella parte della funzione potenziale dell’attrazione, cui sono dovute le ano- malie, varrà la formola (38) ove a v si sostituisca Bv. Allora: 3 (22) SO ago 2a Ed eliminando » e la sua derivata fra questa e le (I) e (II): SfMuBu 798 Rag = 2nfD. D'altra parte lo scostamento normale N fra le due super- ficie S, S} è, nel nostro ordine d’approssimazione, espresso da — aBu. Quindi l’ultima formola può scriversi: (40) Introduciamo in questa relazione, il che qui può farsi con sufficiente precisione, la gravità media superficiale G, mediante le formole approssimate: fM_ dn, Esa (== 7) dove 6,, è la densità media terrestre. Avremo dalla (40): BEAR 0° IE Di sent 4 (2a) Se finalmente la densità D, dello strato ideale perturbante sì rappresenta numericamente collo spessore H di uno strato solido di densità assegnata 0, si porrà Do, = H9 e si avrà dalla (41) la formola di HeLmert. Come risulta dal precedente calcolo, questa formola esige, dal punto di vista analitico, che la densità D, nell’intorno del punto che si considera, non solo varii con continuità, ma am- metta un rapporto incrementale finito in tutte le direzioni. Dal punto di vista pratico, questa limitazione non ha importanza, 350 NICODEMO JADANZA perchè, quando in una località terrestre si vogliono mettere in rapporto le anomalie (lineari, angolari o gravimetriche) del Geoide con supposte irregolarità locali di massa, si ammette tacitamente che tali irregolarità abbiano una certa estensione in ogni direzione intorno alla verticale del punto che si considera. Con questa ipotesi la detta condizione analitica può ritenersi senz'altro verificata. Sopra alcuni sistemi composti di due lenti o sul livello di H. Wild costruito dalla Casa Zeiss in Jena. Nota del Socio NICODEMO JADANZA I Un sistema composto di due lenti convergenti infinitamente sottili situate alla distanza 4 l’una dall’altra, sarà convergente ed avrà il 2° fuoco fuori del sistema se, indicando con @; e @g le distanze focali delle due lenti M ed N che lo compongono, sl avrà: di i AZ In tal caso (si suppone che i raggi luminosi incontrino prima la lente M e poi la N) il secondo fuoco /* del sistema composto sarà dato dalla nota formola (!): = F,* — = Pe "o EA (') È bene avvertire che le lettere cogl’indici 1 e 2 indicano elementi ap- partenenti alla prima ed alla seconda lente; quelle senza indice indicano elementi appartenenti al sistema composto. Le lettere maiuscole F, F ... indicano allo stesso tempo i punti e le loro coordinate. SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 351 dalla quale si deduce facilmente: i e g © (pi AY (1) P°-= Ri SA e quindi il punto #* si trova nell’interno A segmento £, F*. Ponendo Y,* — F* = &, sarà: Pi +9, IA Ad ogni valore di % corrisponde ‘un valore di A dato dalla equazione. di 2° grado: (2) A° — 9, - A+ 9 — K(9, + 9.) =0 le cui radici sono sempre reali. E poichè deve essere sempre A< ®;, l’unica radice utile è: (3) AE Ch > Vi ce ©] | La espressione della distanza focale del sistema composto, cioè: pi di VANO _ + 5 [14144] mostra che @ è sempre minore di ®;. Potremo porre: (I) (4) LTP a Pi i e s Uh Ame 1 se sarà —_ |1+Y1+-®|=*, ossia se 2 k n os= n + 1)k. Volendo che @ sia poco differente da @, converrà dare ad n valori piuttosto grandi, specialmente quando % è piccolissimo: sarà allora 4 = Di anch'esso poco differente da @,. Si può introdurre la distanza D dell'oggetto dalla lente M e per ogni valore di D calcolare A in modo che la immagine dell'oggetto si formi sempre alla distanza % da F,*. Basta ri- cordare la formola: Do xD; A—=- dr SL Desy L_-, do NICODEMO JADANZA dove D è la distanza dell'oggetto dalla prima lente ed « la distanza della immagine di esso dalla seconda lente. Ponendo in evidenza & sara: r=@®—A—-k e quindi: Do; D_-®, (@r— A— k) iizian pre Dn - P2 donde si deduce la equazione di 2° grado: (5) ADE RICA [(D—- ©) eee Do] Sr + D[®1? — P1P2a — Ph] +(D—- 91) Pa = Pak] =0 la quale dà appunto il valore di A, cioè la distanza che deb- bono avere le due lenti affinchè l’immagine dell’oggetto si trovi sempre alla distanza & da #1”. Si ottengono i valori particolari seguenti: Per dio DO che è quello dato dalla (5). Per D= @;, l'equazione (5) diventa di 1° grado e si ha: (6) AS È. Per D=0 si ottiene: A°- A(p,- k)+ ®e (pi) =0 e CO rai ale fate: 2 (7) tm al Vi ni Affinchè quest’ultimo valore sia reale dovrà essere: 49 = Pi _# = e quindi: i k (8) Po > 4 A SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 358 Questi ultimi risultati (6) e (7) mostrano che è sempre pos- sibile costruire un obbiettivo composto di due lenti che, appli- cato ad un cannocchiale astronomico, lo rende atto a guardare oggetti a differenti distanze da zero all'infinito. Col semplice mo- vimento della seconda lente si ottiene che la immagine si formi sempre ad una distanza # dal secondo fuoco della prima lente. Un cannocchiale cosiffatto fu costruito la prima volta da Ignazio Porro nel 1854 e fu da lui chiamato Cannocchiale pan- focale (1). La seconda lente N di cui è formato l’obbiettivo di tale cannocchiale deve avere una distanza focale che sodisfi alla (8). Se si desidera conoscere la posizione del 2° punto princi- pale del sistema composto corrispondente ad ogni valore di /, sarà sufficiente calcolare prima il valore di A e quindi quello dell’ascissa di £#* mediante la formola: pd +9 — A° (9) E=E +4 In particolare si ottiene: Per D= ©, ricordando le (3) e (4): Ac. 1 Py De Lr e d): n (0) O 5 STE Per D= @,, ricordando la (6): (11) E CELA TEO pill eni 2@a + 9 VA Patto (!) Cfr. Misura della base trigonometrica eseguita sulla via Appia per ordine del Governo Pontificio nel 1854-55 dal P. AxceLo Srccri D.C.D.G. A pagina 55 di quel volume si legge: “ L’apparato ottico del microscopio è di una costruzione speciale e “ nuova, detta dall’inventore panfocale, perchè può variarsi la lunghezza “ del suo foco da pochi centimetri all’infinito, e da microscopio trasformarsi in telescopio. L'invenzione di questo pezzo è veramente degna dell'alta riputazione che gode l’autore, e può dirsi un muovo passo importante fatto fare all'ottica applicata alle misure, onde col medesimo strumento abbiamo potuto vedere le fasce di Giove e i suoi satelliti, e leggere le graduazioni della tesa in decimi di millimetro a un decimetro di distanza dall'obiettivo, ed osservare qualsiasi oggetto a qualunque distanza ,. Lal R 354 NICODEMO JADANZA che, per la piccolezza di &, può ridursi alla forma più semplice: 6 T y A s 2: = k (12) Uh E gira gian 9 e In questo caso sarà: ovvero, approssimativamente : (13) qa, La distanza focale dell’obbiettivo composto tende a diven- tare metà della distanza focale dell’obbiettivo semplice. Per DE 0: Ponendo: 3 ® —. | ; cl sarà: —1 Api 2 e quindi: ke? Uo > (14) E=6+3. A Lit Pi In questo caso sarà: ke pete Q= 5 . 3 lei : 391 o, approssimativamente : i Aa pe La distanza focale dell’obbiettivo composto tende a diven- tare la terza parte della distanza focale dell’obbiettivo semplice. Lo spostamento del punto £* cresce col diminuire di @3, sicchè se si desidera che tale spostamento non sia troppo grande conviene dare a @, valori non molto differenti da ®;. SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 355 Lo specchio seguente mostra ad evidenza i valori di @, A ed E* — E, convenienti al sistema composto di cui si parla alle diverse distanze nella ipotesi di ala: ded CASI RIETI i e k=0 D | © | A \noidbtai E SSERAR A mare SP; Ce | 0,847 ©; 0,837 ®; 0,138 ®, 10009, | 0,84 ®, | 0,83 ®, 0,159 ©, 100 @;' 920188 “glisvla@P110%0,174%9; 200,.| 0,78 0, | 0,79 91 | 02179 pg, | 04939, 0,0759, | 0,507 ©; Esso mostra che se un tale sistema si adopera come ob- biettivo di cannocchiale astronomico e si rinunzia a guardare oggetti molto vicini: la distanza focale del sistema diminuisce di 0,067 @,. lo spostamento della seconda lente è di 0,087 @,, lo spostamento di £* è di 0,079 ©,. i L’ingrandimento del cannocchiale diminuisce di 0,08 del valore primitivo. FE. E facile vedere che se si pone:un oggetto reale davanti ad una lente convergente infinitamente sottile in un punto A tale M N Ki Es Si Prete Pegi RD -pa Fig. 2 che la distanza di esso dalla lente sia a (p essendo la distanza focale della lente), la lente dà di quell'oggetto un’im- magine virtuale situata ad una distanza dalla lente =-®. n 356 NICODEMO JADANZA Volendo un sistema composto di due lenti M ed N tale che la immagine di un oggetto reale qualunque, data dal sistema, si formi sempre alla distanza w dalla seconda lente, è neces- sario che la immagine dell'oggetto data dalla prima lente si FP: dalla seconda lente. formi alla distanza —; ormi alla dist ag] Dalla relazione: 0 3Sl nella quale D rappresenta la distanza dell'oggetto dalla seconda lente e A la distanza delle due lenti si ottiene la equazione di 2° grado: (15) Az A(D+ ®© )+D_ E +o(dD_.3)=0 la quale darà il valore di A conveniente ad ogni valore di D. Essa ha le radici reali quando è: ti Lia gain n Supposta soddisfatta tale condizione si otterrà: 1) A=o ++ : dr uf _ ; Lu n+1 eGo! La (16) mostra che quanto più vicino è l'oggetto, tanto più si deve allontanare la lente M. È quindi possibile costruire un sistema composto di due lenti tale che le immagini di oggetti diversamente lontani va- dano a formarsi nello stesso punto A in prossimità della seconda lente (nell’interno); ciò si ottiene spostando la prima lente ri- spetto alla seconda. i Quando D= ®, poichè A=%; de SR , sì avrà: i Gora 1 n e quindi P>@;; quanto più grande è » tanto più si accosta a ©. SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 357 Ponendo nella (16) una volta D = 1000©;, ed un’altra D=209; si ottengono i due valori approssimati di A Ai (oa A= +, 1 “1000 Pi A=®+; tit 20 i quali mostrano lo spostamento della lente M per ottenere che le immagini dei diversi oggetti si formino sempre alla stessa distanza dalla lente N. Indicando con p' e @" i valori di pg quando D= 1000 @; e quando D=20@; si ottengono i valori seguenti: Tal DE o=p+? 20 Pa” La posizione del secondo punto principale di questo sistema composto si ottiene mediante la formola: De, Si 24 E* = KE, —- III P + pa — 4 Nello specchio seguente sono calcolati i valori di @, A ed Es — E* in funzione della distanza focale della seconda lente, che è quella che rimane fissa, supponendo @; = n p, ed n= 40. D | ® A | HE — E* co | 0,92259, 0,9244993 | (0,94759, 1000 @; 0,9233 ©3 0,9253 p, 0,9493 ©, 20 ©; 0,9650 > 0,9694 ps | 1,0417 © 358 NICODEMO JADANZA Le considerazioni svolte nei numeri I e II permettono la costruzione di un sistema composto di due lenti che può ser- vire da obbiettivo di un cannocchiale astronomico nelle due po- sizioni diretta ed invertita; ognuna delle due lenti si può trovare in prossimità dell’oculare. Un tale cannocchiale si può chiamare: cannocchiale a vi- suale reciproca. TEL: Un cannocchiale astronomico a visuale reciproca può essere anche costruito in un altro modo, come ora diremo. M N E —__=—=—_—|—7——_—__-l———__-| , E, F* Fig. 3 Le due lenti .V ed N sono, la prima convergente di distanza focale @;, la seconda divergente di distanza focale — ®,, e sono situate alla distanza E, E, = A tale che sia: (17) Aoco,. La immagine di un oggetto che trovasi alla distanza D dalla lente M (a sinistra) si formerà ad una distanza x dalla seconda lente N (a destra) data dalla equazione: (18) A = _ Do, a a XP ossia: (19) X= Do -A(D—-%) Dot A—-)— (+4 A) 18; La immagine sarà reale se sarà: (20) Po+AD>9 e DD on gi Pi: e quindi, in ogni caso, D> Qi. SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 359 Codesta immagine si formerà ad una distanza E,R= L dalla lente M se x = L—-A, cioè se Do, — AD-%,) ECA=- - D(pa+4— 9) — 91 (Pa + A) Pe; donde si deduce la equazione di 2° grado: (i) A? (D—@) — A[L(D — 91) + Do.) + + @190 (L+D)+ LD(9,— 99) = 0. Quando D= co sarà: (22) A?— A(91+L) + 91993 + L(p92) =0 donde si otterrà il valore di A conveniente al caso in cui È sia il 2° fuoco principale del sistema composto delle due lenti M ed N. Ponendo L= @,-|- 2A nelle precedenti equazioni ed indi- cando con Ap e A, le radici della (21) e della (22) si ottiene facilmente: ai AE ‘di era a si (24) o EL: I valori di A debbono essere positivi, dunque, nel primo caso dovrà essere: (25) - oi ergitudinuleDa È Pi (Ubi a isa. D e nel secondo: 26 2A } | ) fe. Po e: Perchè la (25) sia possibile dovrà essere: URI (27) Po > di, 3 D 360 NICODEMO JADANZA Un sistema cosiffatto avrà la sua distanza focale sempre maggiore della distanza focale @, della lente M e se ne potrà calcolare il valore in ciascun caso mediante la formola: 9 e De (28) PT feed sostituendovi il valore corrispondente di A calcolato mediante la (21) o la (22). Il secondo punto principale £* sarà sempre fuori del si- stema (a sinistra della lente M), la sua ascissa si calcolerà mediante la formola: Al(®, — 4) (DIO = Sl ea a e I, (29) e ar ed il primo fuoco principale del sistema composto sarà dato dall'altra: 2 c EE SARE LI (30) Cp gesso Nel punto È in cui si formano le immagini degli oggetti diversamente lontani si mette il reticolo, il quale può anche essere inciso su di una lente della medesima distanza focale della lente M. Aggiungendo un oculare per ingrandire le imma- gini che vengono a formarsi sul reticolo si sarà ottenuto in altra maniera un cannocchiale a visuale reciproca. ESEMPIO NUMERICO. Date le due lenti 1/7 ed N le cui distanze focali sieno: = 0,15; Po = — 391 si può costruire un cannocchiale astronomico con cui si può vedere un oggetto alla distanza D= 209, = 3,00 e le imma- gini di tutti gli oggetti si formano alla distanza = 0%,19 della lente M. Sarà 2X= 0%,04 valore assoluto di @, = 02,45. SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 361 Applicando le formole precedenti si ottengono i risultati seguenti: A, = 02,0344 A, = 020527 pod, 2019 © = 0 ,1914 Et — 00119 i} = E, — 09,0145 F_=F,—-0 ,0673 Bai=F5=;040638, ig L'idea di costruire i cannocchiali a visuale reciproca è dovuta al sig. Wirp (!) che l'ha applicata ad un nuovo livello che da poco tempo è stato costruito dalla Casa Zeiss di Jena. Il modo di funzionare del cannocchiale di codesto livello si vede nelle due figure seguenti: Nella posizione diretta (fig. 4) M ed N sono le due lenti che formano l'obbiettivo composto del cannocchiale astronomico; È è / pra 0.20 4 de 1) 444, OI un vetrino fisso a faccie piane avente nel suo mezzo una cir- conferenza con due incisioni perpendicolari tra loro che costi- tuiscono il reticolo; O è l’oculare a fuoco esterno. Col movimento longitudinale della lente N le immagini degli oggetti diversamente lontani vengono a formarsi sul reticolo fisso; l'’oculare O ingrandisce tali immagini. Nella posizione invertita (fig. 5) il vetrino È si trova davanti la lente N e non è veduto attraverso al cannocchiale; sulla faccia interna della lente M in A; vi sono due incisioni che formano il nuovo reticolo. L’oculare è il medesimo, è stato tolto dalla prima posizione e messo in un foro centrale al coperchio del- l'obbiettivo C che copre la lente fissa .M. (4) Cfr. Zeitschrift fiir Instrumentenkunde (Novembre 1909). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 23 362 NICODEMO JADANZA Col movimento longitudinale della lente N le immagini degli oggetti si vengono a formare sul nuovo reticolo fisso A. Questo cannocchiale ha dunque due assi ottici (linee di col- limazione), uno nella posizione diretta, l’altro nella posizione invertita. %iascuna linea di collimazione varia colla distanza dell’og- getto che si guarda, e tale variazione dipende da quella del se- condo punto principale £* del sistema obbiettivo. Il cannocchiale ha un movimento di rotazione intorno al proprio asse di figura, e quindi se, a cannocchiale presso a poco orizzontale, si fanno due letture sopra una stadia situata ad una certa distanza, una in una certa posizione del cannocchiale, l’altra nella posizione che ha dopo la rotazione di esso di 180° intorno al proprio asse di figura; la semisomma delle due letture R_N Fig. 5. rappresenta la lettura che si farebbe sulla stadia coll’asse di figura. Questo nella posizione diretta. Nella posizione invertita si possono fare due altre letture analoghe sulla medesima stadia, la semisomma di queste ultime rappresenta la lettura che si farebbe coll’asse di figura in questa nuova posizione. È evidente che se la inclinazione dell’asse di figura rispetto all’asse della livella è rimasta inalterata (cam- biando soltanto di segno), la media delle quattro letture rappre- senta la lettura esatta. La livella del livello Zeiss è una livella ad inversione, avente cioè due assi, quale fu proposta dall’AmsLer fin dal 1859. Essa è attaccata al cannocchiale e può girare con esso in- torno al suo asse longitudinale. Per una più facile intelligenza supponiamo che la livella sia sotto il cannocchiale in modo che, quando questo gira intorno al suo asse di figura di 180°, essa si trova al disopra. Nella SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 563 prima posizione (a bolla centrata) è l’asse superiore della livella che è orizzontale, nella seconda posizione (a bolla centrata) è orizzontale l’asse inferiore. Per maggiore generalità supponiamo Fio. 6. che i due assi della livella facciano tra loro un angolo \; allora, supposto reso verticale l’asse verticale dello strumento, il si- stema del cannocchiale e della livella si presenteranno come lo indica la fig. 6 nella posizione diretta e nel modo indicato dalla fig. 7 nella posizione invertita. Nella fig. 6 se indichiamo con 2 la lettura vera, cioè quella che si farebbe coll’asse ottico coincidente coll’asse meccanico disposto orizzontalmente, e con «, ed «, quelle che si fanno 364 NICODEMO JADANZA effettivamente sulla stadia quando la livella è nella 1% posizione (livella sotto il cannocchiale) e nella 2* posizione (livella sopra il cannocchiale), si avrà: i \ a, =14+- Dtgu (31) l'alito) dove D è la distanza a cui si trova la stadia ed v è l'angolo che l’asse di figura fa colla orizzontale. Nella posizione invertita (fig. 7), indicando con 43 ed a, le letture fatte sulla stadia nella 1% e 2* posizione della livella, sl avrà: \ og=1l — Dtgu | a, =l-+ Dtg(u+)%) Sommando le (31) e (32) si ottiene: (32) APEENiC an dat ada (33) i La media delle 4 letture è adunque la lettura esatta (*). Per la piccolezza degli angoli u e si può ritenere: tg(u += tgu+ tgà; sarà quindi: Gua alone = igA a SI I Date donde: Me + (34) for GTA pig, Quest'ultima equazione dà l'errore dovuto al non paralle- lismo dei due assi della livella @ riversione. Se si trova che tale errore è praticamente trascurabile, potremo ritenere: + a, (35) È A Ù (4) dl (*) Questo metodo è preferibile a quello d’invertire la livella proposto fin dal 1892 dal sig. ApoLro Fennkt (Cfr. Zeitschrift fiir. Vermessungswesen, XXI Band, 1892, pag. 528 e seguenti). SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 965 e quindi: adoperare il livello nella sola posizione diretta del can- nocchiale. Si noti che il meccanico costruttore può sempre fare in modo che il punto d’intersezione dei due fili del reticolo fisso È sia un punto dell'asse di figura del cannocchiale; un secondo punto è dato sulla stadia dalla lettura esatta /, cosicchè rimet- tendo il cannocchiale nella posizione diretta e facendo nella prima posizione della livella la lettura / sulla stadia, l’asse di >* figura del cannocchiale sarà orizzontale. Se, stando il cannoc- chiale in questa posizione, si centra la bolla della livella, sì sarà reso l’asse di questa parallelo all'asse meccanico del cannoc- chiale, e quindi l’istrumento perfettamente corretto. La livella non è graduata, la sua bolla è osservata per mezzo di una ingegnosa disposizione di prismi senza che l’os- La Fig. 9. servatore si sposti dall’oculare. Il sistema dei prismi si vede in proiezione verticale nella fig. 8 ed in proiezione orizzontale nella fig. 9 insieme al prisma rettangolo P che manda all’occhio le immagini delle due estremità della bolla. Questa si dice cen- trata quando si vede nel modo indicato dalla fig. 10; mentre se si vede come nella fig. 11 l'estremo più vicino all’osservatore è più alto, e se sì vede come nella fig. 12 tale estremo è più basso. 366 NICODEMO JADANZA La mancanza della graduazione dell’arco direttore della li- vella, rende possibile un piccolo spostamento dell’asse della li- vella, e ciò si ottiene spostando longitudinalmente il sistema dei prismi. V. Le due figure (13 e 14) qui annesse, rappresentano il livello della Casa Zeiss in due posizioni differenti sul suo treppiede. Le tre viti C del basamento servono per centrare la bolla della livella sferica N. Il morsetto M serve per arrestare il movi- mento azimutale; ad esso corrisponde la vite micrometrica B per i piccoli movimenti azimutali. La vite A è la vite di ele- vazione che da al cannocchiale piccoli movimenti in altezza; con essa si ha una facile e comoda regolarizzazione della bolla della livella cilindrica i cui estremi si vedono nel prisma 7. Il cannocchiale costruito colla lente divergente interna, ruota nell'anello K intorno al suo asse longitudinale ed il movi- mento è limitato da due arresti. Lateralmente al cannocchiale è fissata in modo regolabile la livella a inversione. Per mantenere costante la lunghezza del cannocchiale, e quindi assicurare la completa ermeticità del tubo contro l’ac- cesso deila polvere e della umidità, i due obbiettivi sono mon- tati invariabilmente. La messa a fuoco per le diverse distanze si fa per mezzo della lente divergente spostabile nell’interno del tubo del cannocchiale per mezzo del bottone I. Il reticolo si mette alla visione distinta movendo l’oculare che è provveduto di apposita filettatura e di graduazione in diottrie. La livella a inversione è disposta nella sua montatura libera di sforzi di tensione e racchiusa in un tubo di cristallo @, per ripararla dalle variazioni di temperatura. L’astuccio £ contiene SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 307 la combinazione dei prismi che produce due immagini delle due estremità della bolla a contatto l'una dell'altra; esse, per mezzo del prisma girevole / possono essere osservate stando tanto dalla parte dell’obbiettivo, quanto dalla parte dell’oculare del cannocchiale. La bolla della livella è fortemente illuminata dal disotto per mezzo dello specchio J. Per centrare la bolla bhi- Fio. 13. sogna con la vite di elevazione .4 portare a coincidenza le due metà della bolla della livella. Si chiama prima posizione quella che ha l’istrumento quando la livella è a sinistra dell'osservatore che ha l'occhio all’oculare del cannocchiale; seconda posizione quando la livella è a destra. Per poter facilmente e sicuramente accertare anche i pic- coli errori della livella a inversione e quindi regolare comple- 68 NICODEMO JADANZA DI tamente lo strumento da un solo punto di stazione, il cannoc- chiale può essere adoperato in posizione invertita. A questo scopo si leva l’oculare D, si introduce nell'apertura H del coperchio dell’obbiettivo e si applica quindi insieme ‘a questo sull’estre- mità del cannocchiale che porta l'obbiettivo. Si gira di 180° il prisma Y e, dopo aver messo a fuoco col bottone W, si può Î ab Enea Fio. 14. leggere la stadia allo stesso modo come nelle due prime posi- zioni del cannocchiale. La mediu delle quattro letture fatte in questo inodo è (come è stato dimostrato) la lettura esatta. Si ri- metta il cannocchiale nella prima posizione e si legga sulla stadia la lettura esatta /; quindi sì guardi nel prisma £ lo stato della bolla. Se questa è centrata l’istrumento è perfettamente regolato; se non è centrata, si allenti il morsetto & e si sposti SOPRA ALCUNI SISTEMI COMPOSTI DI DUE LENTI, ECC. 369 l’astuccio £ del prisma movendo la rotella X fino a che i due estremi della bolla coincidano. Corretto l’istrumento la livellazione si esegue facendo cia- scuna volta due letture sulla stadia nella prima e nella seconda posizione dello strumento. Se si è constatato che per diverse distanze le due letture fatte sulla stadia nella prima e nella se- conda posizione sono eguali, allora l’istrumento si può adope- rare nella sola prima posizione. Per maggiore comodità il reticolo del cannocchiale è prov- visto di tre fili orizzontali; il rapporto diastimometrico conve- niente ai fili estremi è 100. Il rapporto diastimometrico K è espresso mediante la dis- stanza focale @ dell'obbiettivo di un cannocchiale semplice astronomico e della distanza s tra i fili estremi del reticolo me- diante la relazione: K=®. Ss Nel caso attuale, essendo @ variabile con D avremo valori diversi di A per 9, e @p. I due valori corrispondenti saranno 7 Pp {= _Kh=--. Assumendo i valori dati nell'esempio precedente e rite- nendo K, = 100, si otterrà: 0,1914 (cela A Hlu194 gb Ka 0.002019 94, Siecchè dovrebbe conchiudersi che il livello Zerss, come distanziometro non è sufficientemente esatto. Il sig. Pasini CLAUDIO, Assistente di Geometria pratica alla Scuola degli Ingegneri di Padova, che ha studiato il detto li- vello, dice (*): Data la minore esattezza che in una livellazione si richiede nella misura delle distanze, molte volte anche non necessaria, il (*) Vedi: © Atti del Collegio Veneto degl’Ingegneri , (Gennaio 1911): Il nuovo livello, H. Wixp. 370 NICODEMO JADANZA — SOPRA ALCUNI SISTEMI, ECC. distanziometro in questione darà sempre risultati sufficienti, anche q per piccole distanze, adoperando la formola: D=100S+ 02,27 (Sè la parte della stadia compresa tra i fili estremi del reti- colo, D s'intende contata dal centro dell’istrumento). Accettiamo quanto dice il Pasini, purchè le distanze che si vogliono misurare sieno sempre superiori a 10 metri. Il tipo di livello che porta sull’anello entro cui rota il can- nocchiale le indicazioni: Carr Zeiss JENA, NR. 302 DREI Dar GM ed a cui si riferiscono le fig. 12 e 13 ha le seguenti costanti date dal costruttore: Diametro dell’obbiettivo . . . 27 mm. Ingrandimento». Si NS i 20 %volte Sensibilità della livella. . . . 10 secondi Lunghezza del cannocchiale . . 200 mm. Torino, Marzo 1911. SERAFINO DEZANI — CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. 371 Contributo allo Studio dell’Antipepsina. Nota I del Dott. SERAFINO DEZANI. Nel Congresso russo di Medicina tenuto nel 1901 a Pie- troburgo il Danilewski comunicava i risultati di alcuni suoi studi sull’esistenza negli strati epiteliali della mucosa gastrica del maiale di una sostanza capace di ritardare notevolmente l’azione proteolitica della pepsina. Questa sostanza che il Da- nilewski chiamò £ antipepsina , e che si trova anche nel muco che ricopre la superficie dello stomaco, può essere estratta dalla mucosa o dal muco con acqua acidificata a caldo. Essa non appartiene agli enzimi, poichè resiste ad una breve ebollizione: gli alcali la distruggono più facilmente che gli acidi. La sua azione si manifesta non solo: contro la rapidità ma anche contro l’intensità d’azione della pepsina. L'origine dell’antipepsina spetta, secondo il Danilewski, solamente alla mucosa dello stomaco ed è un processo specifico : la quantità di questa so- stanza pronta nel tessuto non è però grande, poichè essa viene separata col muco alla superficie della mucosa stessa. In seguito l’antipepsina venne riscontrata in numerosi altri organi: nei reni, nel fegato, nella milza. nel cuore, nel siero sanguigno, ecc. Non ostante però gli studi successivi dell’Hensel, dello Schwarz, del Weinland, del Blum, del Sachs e di altri, le nostre cognizioni su questa sostanza sono ancora del tutto ru- dimentali. Noi ignoriamo ancora completamente la sua natura chimica e le condizioni della sua attività. Le poche notizie poi che gli autori citati ci danno sulle sue proprietà sono tra di loro assai discordi. L’ Hensel (1) scrive che l’antipepsina da lui ottenuta dalla mucosa gastrica del maiale non viene precipitata dalle sue so- luzioni, nè dall’alcool, nè dall’acetato di piombo, nè dall’acido fosfowolframico. Lo Schwarz (2) invece afferma che l’antipepsina ) Mary's © Jahresbericht ,, 1903, pag. 556. ) (1 (2) Ip., id., 1905, pag. 452 SZ SERAFINO DEZANI è precipitata dall'alcool: e per precipitazione frazionata il Weinland (1) ha per l'appunto ottenuta un’antipepsina assai at- tiva dal succo pressato degli ascaridi viventi nell'intestino e della mucosa gastrica del maiale. E mentre lo Schwarz sostiene che l’antipepsina non è diffusibile, il Blum (2) scrive che quella da lui studiata nel succo gastrico umano è — sebbene lenta- mente — dializzabile. I punti però sui quali tutti questi autori vanno d'accordo sono i seguenti: l’antipepsina non può classificarsi tra i fermenti perchè essa resiste all’ebollizione: non è probabilmente una sostanza proteica, nè un’albumose, nè un sale inorganico; a dif- ferenza della pepsina non è assorbita dai colloidi. Queste sue qualità permettono di ritenere che essa non sia un derivato inattivo della pepsina, formatosi durante l'ebollizione dei suechi o degli estratti gastrici, per processi analoghi a quelli per cui dalla tripsina si ottiene per ebollizione una sostanza che agisce contro la digestione triptica stessa. Il Blum dal succo gastrico umano e lo Schwarz da quello del maiale hanno potuto infatti allontanare o rendere inattiva la pepsina senza ricorrere alla ebollizione, pure ottenendo sempre dei liquidi dotati di forte potere antipeptico. Anzi il Blum, ponendo nel succo gastrico, liberato dall’acido cloridrico, dell’albumina d’uovo coagulata e lasciando digerire alla temperatura di 0° per due giorni — (in queste condizioni la pepsina viene fissata dall’albumina) — potè ottenere dei succhi liberi dal fermento proteolitico che posse- devano un potere antiproteolitico maggiore di quelli sottoposti all’ebollizione. | Tanto il Blum che lo Schwarz pensano tuttavia che esista un legame dissociabile tra fermento e antifermento, oppure che l’antipepsina non sia altro che un catalizzatore negativo. Queste mie ricerche, al loro inizio, miravano direttamente a studiare un po’ più da vicino la natura chimica dell’anti- pepsina. Ma alcuni fatti secondarî, che mi parvero tuttavia (1) Kocx®s “ Jahresbericht ,, 1908, pag. 564. 2) “ Zeitschr. f. Klin. Mediz. ,, 58, pag. 505. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'ANTIPEPSINA d78 degni d’un attento esame, mi distolsero dallo scopo principale che io mi ero proposto. In questa mia prima nota pertanto io non riferirò che i risultati dei miei studî su alcune condizioni di attività dell’antipepsina. Il materiale da me scelto nelle mie ricerche è rappresen- tato dal muco dello stomaco del maiale. La mucosa gastrica dell'animale ucciso di fresco viene lavata sotto un sottile getto d’acqua: in seguito con un cucchiaio se ne stacca accuratamente il muco. La quantità di questo è assai variabile da animale ad animale (20-100 gr.): la media è però di 50 gr. per mucosa. Il muco viene allora trattato con l’uguale quantità in peso di una soluzione di acido cloridrico al 0,35 %,, agitando energica- mente con una bacchettina di vetro per una diecina di minuti : dopo aver lasciato digerire il tutto per un’ora alla temperatura di 50-60°, si filtra. Si ottiene così un liquido piuttosto denso, giallognolo, ora limpido, ora torbidiccio. Dà bene la reazione del biureto e del Millon: scaldato all’ebollizione, si mantiene limpido o tutt’al più da un leggero inalbamento. Nella quasi totalità dei casi da me osservati esso ha dimostrato di non possedere alcun potere proteolitico. La sua densità varia tra limiti abbastanza ristretti. Riporto qui alcuni dati analitici di tre estratti diversi. 1 2 3 Densità a + 15° 1,016 1,010 1,014 Residuo ® 23,60 19726 21,76 Ceneri , 3.20 2150 del Le ceneri sono perfettamente bianche: esse reagiscono per CI. S. P. Ca. Mg, Fe, Na, K. Benchè questi estratti siano stati ottenuti con soluzione di ac. cloridrico 0,35 °/,, non si può in essi svelare la presenza dell'acido cloridrico libero nemmeno col reattivo di Guenzburg: l’acido è forse stato completamente fissato dagli albuminoidi dell'estratto. Usato tale e quale quest’estratto arresta comple- tamente la digestione: addizionato però di nuovo acido clori- drico in modo da portarne il titolo a quello normale della digestione il suo potere antipeptico scema notevolmente pur mantenendosi ancora forte: esso si fa maggiormente manifesto 374 SERAFINO DEZANI in seguito all’ebollizione. Nelle prove da me fatte col metodo del Mett, la diminuzione dell’azione della pepsina varia dal 40 al 60 °/. Il saggio veniva fatto aggiungendo a 5 cm? di estratto bollito ed addizionato di ac. cloridrico, !/, cm? di una soluzione (2%) di Pepsina preparata in laboratorio (1). Durata della di- gestione ore 16. mm. d’albumina disciolti Controllo - 5 cm3 di HCI 0,30 ®, + pepsina 4,5 sa estratto Node sa ART, 3 ; N: Li carità 19 È : NA340#E ag 2,2 Se l'estratto viene neutralizzato con idrato sodico, esso si intorbida fortemente, e dopo qualche tempo lascia depositare dei fiocchi bianchi. Il precipitato raccolto su filtro, lavato con poco alcool e seccato nel vuoto si presenta come una polvere perfet- tamente bianca. Nell’acqua si rigonfia senza sciogliersi: la solu- zione avviene nell’acido cloridrico della digestione ed a moderato calore. Sciolto in parti eguali con pepsina del laboratorio pro- duce una diminuzione del 30-40 °/, nella digestione. Bruciato lascia una notevole quantità di ceneri costituite quasi esclusi- vamente da Fosforo e Calcio. Due dosaggi di Fosforo praticati su due precipitati d’ori- gine diversa diedero come risultato 19,55 e 20,93 % di P, 0. L’avere in precedenti esperienze constatato che alcuni composti fosfoorganici producono un arresto quasi completo della dige- stione ed il riscontrare negli estratti del muco stomacale una discreta quantità di Fosforo e di Calcio, mi fecero sospettare che il precipitato ottenuto in queste condizioni potesse essere costituito dal sale calcico di un acido fosfoorganico. Analisi più rigorose mi convinsero che. questa supposizione non ha ragione d'essere. Se il precipitato si tratta con acido acetico dil., si ottiene una soluzione che reagisce direttamente e assai intensamente per Fosforo e Calcio, mentre rimane indisciolta (1) Gracosa e Dezani, “ Atti R. Accad. delle Sc. di Torino ,, vol. XLIV. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL'ANTIPEPSINA ato una sostanza bianchiccia difficilmente solubile anche negli acidi minerali diluiti, più solubile negli alcali. Le sue soluzioni danno le reazioni delle sostanze proteiche e dopo idrolisi riducono il liquido di Fehling; le sue ceneri non contengono fosforo, mentre reagiscono bene per lo zolfo: la sostanza è perciò da attribuirsi a mucina. I dosaggi di Fosforo nel precipitato liberato dalla mucina mi portarono alla conclusione che esso è costituito sem- plicemente da Fosfato di Calcio. Non è però cosa facile avere questo prodotto esente da mucina. Occorre ridisciogliere il precipitato almeno due o tre volte in acido cloridrico diluito ed alcalinizzare poi fortemente con idrato sodico al 30° per tenere disciolta la mucina, che diversamente viene sempre trascinata meccanicamente dal pre- cipitato di fosfato calcio. La soluzione in HCl va ancora ripe- tuta un paio di volte, operando poi la riprecipitazione con idrato ammonico. Io ottenni a questo modo un prodotto bianchissimo, che por- tato alla fiamma appena appena annerì e seccato a peso co- stante dimostrò un contenuto di P, 0; = 44,80 °/o, mentre teo- ricamente il fosfato di calcio ne contiene 45,80. La quantità di Fosfato puro che così si può ottenere varia da gr. 0,4 a 0,6 ‘/oo di estratto. La quantità di fosforo esistente nel muco è però notevolmente superiore a quella combinata col Calcio. La maggior parte di questo metalloide si trova nel muco sotto forma organica, di cui una frazione — solubile in alcool — è probabilmente di natura lecitinica. Degno di nota è il fatto che i composti fosforati che passano nell’estratto sono quasi completamente dializzabili (1). Del fosforo contenuto nel muco passa nell’estratto solamente la 6% o la 7® parte: circa la metà di questa esiste in combinazione col Calcio. La tabella seguente dà i risultati analitici ottenuti da di- versi muci e dagli estratti corrispondenti. (1) Composti di natura lecitinica e dializzabili sono pure stati osser- vati dal Nenki nel succo gastrico normale, © Zeitsehr. f. physiol. Chem. ,, XXXII, 291. 376 SERAFINO DEZANI per °/oo di muco per °/o di estratto in peso in volume i a AE He nà gr. Î gr. gr. gr. Pallini ah ira 618 dg 420. 1340. 4 0;21 0260006 Cade = ORO] OE | | | | P che si presume | | | | lesatoral Ciobund ciccul 0200/1801] «vo, 00,18 | | | | Calcolato il Calcio come tutto legato all’acido fosforico, il fosfato tricalcico verrebbe a trovarsi nel muco nella proporzione dell’1%» e negli estratti del 0,6-0,7 %/o. Il Fosforo legato al Calcio, mentre nel muco non rappresenta che la settima parte del Fosforo totale, negli estratti ne rappresenta più della metà. Qual'è la funzione di questo fosfato di Calcio che costituisce da solo la quarta parte delle ceneri degli estratti ? Ho pensato anzitutto che a questo sale potesse attribuirsi un qualche valore antipeptico; ma le esperienze da me fatte al riguardo mi convinsero che il fosfato di calcio nella concen- trazione in cui esiste nel muco e nell’estratto non può avere alcuna azione antiproteolitica. Bisogna ricorrere a soluzioni no- tevolmente più concentrate (5 ® 0) per osservare un ritardo ap- prezzabile nella digestione. Può invece questo composto avere una funzione di presenza per l’antipepsina, analoga a quella dei Co-enzimi ? Per rispondere a questa domanda occorreva eliminare questo sale dall’estratto, e verificare l’azione dell'estratto in queste condizioni e dopo l'aggiunta di nuove quantità di sale. Elimi- nare però il fosfato mediante precipitazione con idrato sodico era cosa non conveniente, perchè venivano a formarsi nel liquido quantità non trascurabili di cloruro sodico: e questo — come è noto — ha valore antipeptico. Io ho perciò fatto ricorso alla dialisi: ho così potuto con- statare che gli estratti dializzati perdono completamente la loro azione antiproteolitica e la riacquistano, sebbene non più com- CONTRIBUITO ALLO STUDIO DELL'ANTIPEPSINA SCI pletamente, in seguito all'aggiunta di fosfato di Calcio, così che questo venga a trovarsi nelle proporzioni di quelle preesistenti (0,6-0,7 °/oo). Ma per osservare decisamente questo ritorno del potere antiproteolitico occorre dializzare a lungo (non meno di cinque o sei giorni), poichè l'aggiunta di fosfato di Calcio in quelle proporzioni agli estratti dopo soli due o tre giorni di dialisi non produce effetto alcuno. Io mi sono chiesto se la spiegazione di questo fatto debba ricercarsi in una condizione di equilibrio fra l’antipepsina ed il fosfato di Calcio, per cui rotto l'equilibrio l’antipepsina non agisca più. Ed i risultati delle mie ricerche a questo riguardo hanno risposto affermativamente. Ammettendo che il fosfato di Calcio dializzi lentamente tanto che occorrano cinque o sei giorni perchè esso venga eliminato completamente, si capisce come coll’aggiunta di una quantità di fosfato nelle proporzioni accennate precedentemente — quantità che viene a sommarsi a quella ancora esistente nel liquido — l’antipepsina venga a tro- varsi in presenza di un eccesso di questo sale e non possa più agire. Ma se nei primi giorni della dialisi sì aggiungono quan- tità di fosfato minori di quelle accennate, è sempre possibile — procedendo per tentativi — ridare il potere antipeptico a quell’estratto nel quale la quantità di fosfato aggiunto sommata a quella ancora esistente ristabilisce l'equilibrio. Certo quest'ipotesi dovrebbe poggiare su qualche dato spe- rimentale; ma, data la composizione assai complessa degli estratti, già dopo il secondo giorno della dialisi riesce impossi- bile svelare la presenza di fosfato di Calcio libero in essi: il che però non esclude che ve ne possa essere. Noterò qui che traccie di Fosforo e di Calcio esistono an- cora negli estratti dializzati per 10-12 giorni; naturalmente queste traccie non si possono dimostrare che dopo evaporazione di porzioni degli estratti e incinerimento del residuo. Bisogna am- mettere che questo Fosforo sia esclusivamente di origine orga- nica e che questo Calcio sia trattenuto fortemente da qualche sostanza proteica (1), ma che nè l'uno nè l’altro di questi due elementi residuali possano servire ai fini dell’antipepsina. (1) Quantità di calcio non dializzabile si riscontrano pure nel siero sanguigno. Atti della R. Accademia — Vol XLVI. 24 378 SERAFINO DEZANI Io riporto qui dal mio diario una tabella dimostrativa di alcune delle numerose esperienze da me fatte. Come metodo di determinazione dell’azione antipeptica degli estratti io ho adot- tato il processo di Gruetzner. Questo processo fondato sulla digestione della fibrina colorata al carminio, permette di ben notare il ritardo che si ha nella digestione, poichè mentre nelle prove con solo acido cloridrico 0,30 °/ il liquido si colora in rosso già pochi minuti dopo l'aggiunta della pepsina, nelle prove con gli estratti la colorazione non compare che dopo 15-20-30 minuti. Gli estratti sottoposti alla dialisi venivano esaminati giornalmente. A 5 cm? dei liquidi da saggiare por- tati a breve ebollizione io aggiungevo dopo raffreddamento una goccia di una soluzione di fosfato di Calcio in q.b. di acido cloridrico, una goccia di acido cloridrico cone. (A= 1,18) (1). due goccie di una soluzione all’1°/ di pepsina preparata in la- boratorio e gr. 0,15 di fibrina. L'ordine delle esperienze era il seguente. N. 1. 5 cm? di estratto (Controllo). INA9:J0 A dializzato. NOS a i + sol. di fosfato di calcio 2 %oo Nori: i ” È + ” , 3 %oo Neo: "I ” ” + , ” 4 °/oo NP “6 5 n ” L ” ” 5 %/oo N. TE. “ ” “ + ” ” 6 °/oo INPiqgi È ; 5 + ; , 7 9/00 N. 9. ” ” ” DE ” » 8 °/oo NILO È ; + h (2) guendioto I varii tubi da saggi contenenti i varii liquidi da saggiare venivano posti in termostato, ed ogni cinque minuti si sottopo- nevano all'osservazione. Si notava così la prova in cui si aveva il maggior ritardo nella digestione; e si poteva così constatare come, dopo due giorni di dialisi il potere antipeptico ricom- (1) L'acido viene così a trovarsi nelle proporzioni volute per una buona digestione. (2) Nelle prove N. 9 e N. 10 la concentrazione del fosfato di calcio ag- giunto, viene ad essere presso a poco la stessa degli estratti non dializzati. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELL’ANTIPEPSINA 379 pariva decisamente, ad es., nella prova n. 3, dopo tre giorni nella prova n. 5, dopo quattro giorni nella prova n. 8, ecc. Estratti N.L = —_—— 10 o, | | 9% 3%/o 7% 6%/o 5% 4%o 3 °/o DO), una goccia aggiunta a 5 em? di estratto dializzato ri- stabilisce l’equilibrio fra l’antipepsina ed il fosfato. Concentrazione della soluzione di fosfato di calcio di cui Durata della dialisi in giorni. Una domanda degna pure di essere presa in considerazione era la seguente: a quale dei due joni in cui si scinde il fosfato di Calcio in soluzione è da ascriversi l’azione di presenza? — Le prove da me fatte sostituendo al fosfato di calcio o il fosfato di Sodio o il cloruro di Calcio diedero risultato completamente negativo. Il fosfato di Calcio negli estratti da me studiati avrebbe dunque una funzione analoga a quella dei Co-enzimi. Ma poichè allo stato attuale dei nostri studì non possiamo ammettere l’esistenza di un fermento che resista all’ebollizione, occorre 380 C. F. PARONA ammettere che l’antipepsina sia una sostanza capace di formare col fosfato di Calcio un composto labile, già dissociabile me- diante la dialisi e ricomponibile in seguito all'aggiunta di nuove quantità di quel sale nelle proporzioni di quello preesistente alla dialisi (1). R. Laboratorio di Materia Medica e Jatrochimica dell’Università. Torino. Le Rudiste del Senoniano di Ruda sulla costa meridionale dell’isola di Lissa, Nota del Socio C. F. PARONA. I radiolitidi, che danno argomento a questa breve nota, mi furono comunicati in esame dal collega prof. A. MartELLI, che li raccolse in occasione delle sue ricerche nell’isola di Lissa, sulla quale, com'è noto, pubblicò un interessante studio geografico e geologico (2). Il suo lavoro mi dispensa dall’intrattenermi sulla serie dei terreni, che costituiscono l’isola e che appartengono al Cretaceo, fatta eccezione di un lembo di Trias superiore sulla costa di Camisa, dei calcari eocenici sviluppati lungo la costa meridionale e dei depositi quaternarì. Osserverò soltanto, che il risultato dello studio delle rudiste gentilmente comunicatemi dimostra, che nell’isola il Senoniano ha maggior estensione di quella ammessa dal MARTELLI, essendo di età senoniana anche 1 calcari dell'orizzonte superiore a radioliti da lui attribuito al Turoniano superiore. Di guisa che il Turoniano superiore sarebbe invece rappresentato dall’orizzonte inferiore a radioliti ed ippu- riti, e ne abbiamo una prova anche nel fatto, che l'A. accenna (1) Vedansi a riguardo dell’importanza dei sali di calcio e dei composti organici di fosforo per l’azione di certi enzimi gli studìî di Buchner und Antoni (‘ Hoppe-Seylers Zeitschr. ,, 46), di Buchner und Klatte (© Biochem Zeitschr. ,, 8), di Harden et Joung (“ Bull. Pasteur ,, 1905). (2) A. MarteLLi, Osservazioni geografico-fisiche e geologiche sull'Isola di Lissa, “ Boll. della Soc. Geogr. Ital. ,, fase. V, 1904. LE RUDISTE DEL SENONIANO DI RUDA, ECC. 381 alla presenza in questo stesso orizzonte degli ippuriti, dei quali il primo livello, l’inferiore, coincide appunto col Turoniano su- periore, come confermano le recenti revisioni, che H. DouvILLÉ e A. Toucas hanno fatto di questo gruppo di rudiste. Le prime notizie sulle rudiste della Dalmazia sono di data abbastanza remota. Il Forris (1) fin dal 1771 osservò certi corpi fistulosi, interpretabili come avanzi di radiolitidi, nell’isola di Cherso ed Ossero, e pochi anni dopo diede il disegno di certi ortocerati (cornu-vaccinum) di Rogozniza, proponendo, poichè trat- tavasi di forme non diritte, ma incurvate, di sostituire per questi fossili, al nome di ortocerati, quello di campilocerati. Poco meno di un secolo dopo F. Lanza (2) accennò alle rudiste dei din- torni di Zara e di Sebenico, descrivendo e figurando parecchie forme da lui ritenute nuove, ma troppo imperfettamente per ciò che riguarda i caratteri veramente diagnostici; di guisa che i loro riferimenti ai generi ed alle specie ora ammesse e ben conosciute hanno soltanto il valore di probabilità. Eccettuato lo Hippurites Traguriensis Lanza, del Monte S. Elia presso Trau, che non è possibile interpretare nei suoi caratteri generici e spe- cifici, le forme di Zara e di Sebenico costituiscono nell'insieme una fauna senoniana: Hipp. cornu-vaccinum Bronn, H. sulcatus Defr., H. bioculatus Lamk., H. organisans Montf., Itadiolites angeiodes Pic. d. Lap. (con le Rad. ecagona Lanza e fad. Baylei Lanza probabilmente identificabili con Rad. angeiodes) sono infatti ru- diste del Senoniano. Vi si accompagnano Iipp. gigantea Lanza (non d'Hombr. F.), H. ardorea Lanza, H. intricata Lanza, e queste ultime due furono da BavLe ritenute identiche alla H. cornu- vaccinum; se non che H. DovviLLé riconobbe in un esemplare, fra quelli raccolti dal Lanza, la H. gosaviensis, che sarebbe del Turoniano superiore. | (1) A. Forris, Suggio di osservazioni sopra l'isola di Cherso ed Ossero Venezia, 1771. pag. 106. — In., Viaggio in Dalmazia, Venezia, 1774, I, pag. 177, tav. VII, fig-12, 13; 14. (2) Fn. Lanza, Essai sur les formations géognostig. de la Dalmatie et sur quelques nouvelles espèces de Radiolites et d’ Hippurites, © B. S. G. d. Fr. ,, (2), XIII, 1855, pag. 127, tav. VIIL — Inp., Sopra le formaz. geognost. della Dal- mazia (Appendice II a: Viaggio in Inghilterra e nella Scozia, ecc.), Trieste, 1860, pag. 285. DI c DO C. F. PARONA Nel 1889 lo SracHe (1) distinse nel Cretaceo del versante dalmatico un gruppo inferiore, Urgoniano-Cenomaniano, ed un gruppo superiore a rudiste, rappresentante nell'insieme il Turo- niano ed il Senoniano, riconoscendo in quest’ultimo tre orizzonti : il più basso con Biradiolites lumbricalis e Praeradiolites Ponsianus e però corrispondente al Turoniano, il medio a caratteri pa- leontologici non ben definiti, in quanto che insieme con forme turoniane (Praeradiol. Ponsianus, Radiol. radiosus, Biradiol. (Du- rania) cornupastoris) se ne citano altre santoniane (Radiol. ucu- ticostatus, Rad. squamosus) e campaniane (Hippur. cornu-vaccinum e H. organisans), ed il superiore verisimilmente equivalente, secondo l’A., del Campaniano ed in parte del Santoniano supe- riore, a luoghi con Praeradiol. Hoeninghausi. Più recentemente il Sohle (2) riferendo sulla geologia del- l’isola di Lesina accennò pure alle rudiste, risultandogli che il Turoniano superiore vi è ben rappresentato da radiolitidi: dai Radiol. irregularis Sow. (Agria), Rad. Ponsianus d'Arch. ( Prae- radiolites), R. socialis d'Orb., Pad. radiosus d'Orb., Rad. angulosus d’Orb.(Biradiolites), È. quadratus d’Orb. (Biradiol.).Ma non manca il Senoniano, attestato dalla presenza di Hipp. radiosus Des M., Sphaerulites angeiodes Lmk. (Radiol. angeiodes Pic. d. Lap.), Radiol. acuticostatus d’Orb. (Biradiolites). Altre notizie sui terreni a rudiste delle terre dalmatiche sono esposte nel lavoro del DE STEFANI sulla geotectonica delle regioni periadriatiche (3), e da esse risulterebbe la maggior estensione del Turoniano superiore, coi calcari a Biradiolites lumbricalis, in confronto dello sviluppo del Senoniano. Può darsi che più accurati studî sui fossili di questi calcari dimostrino, che il Senoniano non è meno e forse più sviluppato del Turo- niano; ma a questo riguardo nulla io posso affermare. Fra i campioni fossiliferi del Museo di Firenze, avuti gentil- (1) G. Sracne, Die liburnische Stufe und deren Grena-Horizonte. Fine Studie iiber die Schichtenfolgen der ceretacisch-eociinen oder protocîinen Landbildungsperiode im Bereiche der Kiistenlinder von Oesterreich-Ungarn. “ Abhandl. d. k. k. geol. Reichs. ,, Wien, Bd. XIII, 1889, pag. 41. (2) U. SérLe, Geognostisch-palaeontologische Beschreibung der Insel Lesina, “ Jahrb. d. k. k. geol. Reichs. ,, Wien, L Bd., 1900, (1901), pag. 33. (3) C. De SreFani, Géotectonique des deux versants de l’ Adriatique, “ Ann. de la Soc. géol. de Belgique ,, t. XXXIII, Mémoires, Liège. 1908, p. 209 (19). LE RUDISTE DEL SENONIANO DI RUDA, ECC. 383 mente in comunicazione dal collega DE STEFANI, ve ne sono due dei calcari marmorei bianco-cerei delle vicinanze di Zara, con fossili colorati da ocra rossa e raccolti dallo stesso De STEFANI: l'uno comprende esemplari di un Praeradiolites probabilmente appartenente al P. Boucheroni (Bayle), l’altro un esemplare di Bournonia (?), che non mi risulta riferibile a forma conosciuta, e li riterrei l’uno e l’altro di età senoniana. Così dall’isola di Lagosta provengono diversi campioni, raccolti dal MARTELLI, di un calcare biancastro, zeppo di rudiste indeterminabili. Sol- tanto la parte marginale della valva inferiore di un radiolite è abbastanza conservata e parrebbe determinabile come Radiolites radiosus d'Orb. Se la determinazione è esatta, il calcare appar- terrebbe al Turoniano superiore, ma il dato paleontologico è troppo incerto per esserne sicuri. I radiolitidi della costa di Ruda in Lissa da me riconosciuti sono sette: Prueradiolites Boucheroni (Bayle) Hoeninghausi (Des M.) Ridiolites galloprovincialis Math. 3 angetodes Picot de Lap. Bournonia Bournoni (Des M.) Durania Martelli n. f. Lapeirousia Jouanneti (Des M.) (?) È una fauna schiettamente senoniana, poichè anche la Du- rania Martelliù è una n. f. che si ritrova in Puglia in calcari affatto simili ed insieme con rudiste d’età senoniana. Infatti in Puglia e nelle regioni attigue io già riconobbi il Praeradiolites Hoeninghausi, la Bournonia Bournoni e la Lapeirousia Jouanneti ; di guisa che abbiamo da questi dati paleontologici una nuova conferma della corrispondenza nella serie del Cretaceo superiore sul due versanti, balcanico ed italico dell'Adriatico. La quale corrispondenza è, si può dire, integrata per il calcare senoniano di Ruda dall’identità nei caratteri litologici. La roccia di Ruda, come quelle di Cortemartina (Acquaviva), di Putignano nella Terra di Bari e di altri giacimenti dell'Appennino, è un calcare bian- castro sempre poco compatto, poroso e, direi, caratteristico ; ben diverso dai calcari marmorei e dalle lumachelle compatte prevalenti nel Turoniano. Si aggiunge inoltre che i caratteri micropaleontologici sono quelli dei depositi benthogenici, quelli 384 C. F. PARONA stessi già riconosciuti in altri calcari senoniani della Nurra in Sardegna, dell’Avellinese e delle Puglie; infatti il calcare di Ruda contiene, fra gli altri avanzi di organismi, non rari fru- stuli di un'alga calcare riferibile, a quanto sembra, al genere Triploporella ed una fauna a foraminiferi, non ricca di individui, ma abbastanza complessa per varietà di forme, caratterizzata in particolare dalle miliolidi trematoforate. Già ebbi occasione di accennare a questa faunula con miliolidi trematoforate (1), notandone l’importanza per lo studio del Cretaceo superiore; e non è senza interesse il segnalarne ora la presenza in quest'altro punto della regione mediterranea, ed in calcari del Senoniano superiore, com'è sicuramente dimostrato dalla loro fauna a rudiste. CENNI DESCRITTIVI DEL RADIOLITIDI DI RUDA 1. Il genere Praeradiolites è rappresentato da due forme: l'uno appartiene al primo dei gruppi distinti da Toucas (2) ed è il Praerad. Boucheroni, Valtro è il tipo del secondo gruppo e cioè il Praerad. Hoeninghausi. Praeradiolites Boucheroni (Bayle). Due esemplari di valva inferiore, incompletamente isolati dal calcare, ma abba- stanza ben conservati nei caratteri della superficie esterna, e ri- conoscibili anche per quelli interni, presentando scoperta l’apertura e libero il lembo ampio che la circonda. La somiglianza colla valva figurata nel testo (fig. 13, pag. 32) da Toucas è manifesta, non solo per la situazione e conformazione dei seni S, E, ma anche per la lieve espansione, che il margine, in corrispondenza dei seni, presenta verso l'interno; per modo che in questa parte resta interrotto il regolare decorso subceircolare del margine stesso, Questa forma è indicata per il Maéstrichtiano. Praeradiolites Hoeninghausi (Des Moul.). Due pic- coli esemplari di valva inferiore, corrispondenti alla forma già (1) C. F. Paroxa, A proposito dei caratteri micropaleontol. di alcuni cal- cari mesozoici della Nurra in Sardegna, © Atti della R. Accad. delle Sc. di Torino ,. XLV, 1910. (2) A. Toucas, Etudes sur la classification et l'Erolution des Radiolitidés, “ Mém. de la Soc. Géol. de Fr. ,, Paléontologie, 1907-1909, vol. XIV, p. 28. LE RUDISTE DEL SENONIANO DI RUDA, ECC. 385 distinta da d’OrBieny come Rad. dilatata, e che da BavLE (1) ed ora da Toucas (op. cit., pag. 34) è riunita al Praer. Hoening- hausi. Specialmente uno dei due, meglio conservato, presenta nelle dimensioni e nella conformazione una somiglianza quasi perfetta colle figure di d’OrBIieny (2); di guisa che fa escludere ogni dubbio sull’esattezza del riferimento. È questo uno dei Praeradiolites più comuni e geograficamente più diffusi, e si trova nel Campaniano e nel Maéstrichtiano inferiore. 2. Gli esemplari di /tadiolites sono abbastanza numerosi, una dozzina, tutti ridotti alla valva inferiore, più o meno profonda- mente erosa ; uno soltanto conserva porzione della valva superiore. Sono riferibili al gruppo (Toucas) del Radiolites angeiodes e, colle riserve suggerite dal cattivo stato di conservazione, si pos- sono ripartire fra le due forme galloprovincialis e angeiodes. Radiolites galloprovinciatlis Math. -Toucas (op. cit., pag. 76, tav. XV, f. 1-5) riunisce sotto questo nome il Padiol. galloprovincialis Math. ed il Rad. Lamarckii Math. (3), conside- rando quest'ultimo come varietà del primo, a valva inferiore più corta e conica, anzichè cilindroide. Ora fra gli esemplari di Lissa sarebbero rappresentate le due forme. Non è il caso di insistere sulle fascie corrispondenti ai seni e sulla zona inter- posta, troppo mutilate da compressione ed erosione; ma la fisio- nomia è caratteristica, anche per la frequenza delle lamine embricate, regolarmente spaziate, fin dalla estremità o punto di attacco della valva, ciò che concorre a distinguere questo /ta- diolites dal I. angeiodes. 11 Rad. galloprovincialis si trova nel Santoniano inferiore. Radiolites angeiodes (Picot de Laper.). Numerosi sono anche gli esemplari riferibili a questa forma, assai diffusa nel Campaniano inferiore, al livello di passaggio dal Santoniano. Sono riconoscibili per l’incurvatura che generalmente presentano le valve inferiori, a lamine espanse, rare, embricate, largamente e irregolarmente spaziate, a margini pieghettati. In complesso (1) BavLe, Nouv. observ. sur quelg. esp. de Rud., * Bull. S. G. de Fr. ,, XIV, 1856-57, pag. 657. (2) D'Orsioxy, Paléont. frane., Terr. crét., Brachiopodes, 1851, tav. 568. (3) MatgErON, Catal. d. Foss. d. Bouches-du-Rhone, 1842, p. 121, tav. 7. 386 C. F. PARONA essi somigliano assai agli esemplari adulti figurati da RoLLanD pe Roquan (1) sotto il nome di Sphaerulites ventricosa ed alla fig. 14 di Toucas (op. cit., p. 77, tav. XV). 3. Il genere Bournonia Fischer non fu conservato da Toucas nella sua monografia (op. cit., pag. 55) e la Bourn. Bournoni fu da lui attribuita al gen. Praeradiolites e compresa nel gruppo del P. Hoeninghausi. Ma più recentemente DouviLLE (2) espose i motivi, che dimostrano l'opportunità di conservare il genere Bournonia, quale ramo ben caratterizzato, derivante, come il gen. Biradiolites, dal gen. Eoraduwolites Douv. Bournonia Bournoni (Des Moul.). E ben rappresen- tata da sei esemplari di valva inferiore, tutte ben sviluppate ed una di dimensioni notevoli. La mancanza della cresta lega- mentare permette di distinguere agevolmente questa forma dal Praerad. Hoeninghausi, dal quale nell'aspetto generale della con- chiglia poco si differenzia, allorchè, come nel caso nostro, si tratta di esemplari sciupati dall'erosione. Sull’esemplare più pic- colo, che è compreso. parzialmente nel calcare, si presentano in sezione le fascie S, E in rilievo, come le descrive DouviLLÉ, con sviluppo di coste accessorie. La Bournonia Bournoni è propria degli orizzonti più recenti del Maéstrichtiano. 4. Fra i radiolitidi costati a zone sifonali costulate, il Dou- vILLÉ distingue un gruppo di forme antico con cresta cardinale (Sauvagesia) ed un gruppo recente, prive di cresta cardinale, da lui distinto come genere nuovo col nome Durania (3). A questo genere appartiene la forma nuova di Lissa qui descritta. Durania Martellii n. f. Fin dal 1900 notai fra i radio- litidi delle Puglie una forma singolare per l'eccezionale promi- nenza delle coste, e la confrontai col Biradiolites ungulosus (d'Orb.) e col Biradiol. trialatus (Pir.). Essa mi si ripresenta fra le rudiste (1) RoLcanp pe Roquan, Descr. d. Rudistes de Corbières, 1841, tav. VIII. (2) H. DouviLLé, Rudistes de Sicile, d’ Algérie, d’ Equpte, du Liban et de la Perse, “ Mém. d. la S. G. de Fr. ,, Paléontologie, t. XVIII, 1910, pag. 24. (3) H. Douvinné, Sur la classification des Radiolitidés, © Bull. S. G. de Fr. ,, 4° sér., t. VIII, 1908, pag. 309. LE RUDISTE DEL SENONIANO DI RUDA, ECC. 387 di Lissa con un esemplare, sul quale si rilevano chiaramente i caratteri della sezione trasversale (fig. 1), per cui ora è possibile riconoscerne le caratteristiche essenziali, almeno per la valva in- feriore, non conoscendosi la superiore, e le differenze colle varie forme alticostate del genere Biradiolites, al quale, come vedremo, non è da ascrivere. La valva inferiore è cilindroide, molto allungata, ornata da poche coste longi- tudinali, otto o dieci, liscie ee o con qualche cordoncino, +” assai sporgenti e spesso in modo straordinario(1), come non sì osserva in nessun altro radiolitide, provviste ad intervalli irregolari di espansioni, dirette in alto, Fig. 1 (grand. nat.). più o meno prominenti e coincidenti colle lamine più espanse (2). Le fascie dei sent, o zone sifonali, sono ben individualizzate, ondulate © concave, percorse da costicine acute, per cui nelle sezioni trasverse esse risultano dentellate; quella ante- riore E è più larga della poste- riore S (fig. 1, 2). Il guscio, visto in sezione, appare costituito da uno strato sottile esterno compatto, color miele, e da uno strato bianco, Fig. 2 (grand. nat.). più spesso interno, suddiviso in zone irregolari di calcare finissimamente reticolato e qua e la lacunoso, (1) C. F. Parona (in Virgizio, Geomorfogenia della Prov. di Bari, Trani, 1900, tav. II, figo. 4,5, 64. — Ip., Sopra alcune Rudiste senoniane del- l’Appenn. merid., “ Mem. R. Ace. Se. Torino ,, 1900, ser. 1I, t. L, tav. III, fico. 4,5, 6. (2) Parona, Mem. cit., 1900, tav. III, fig. 6 d. 388 Cc. F. FARONA — LE RUDISTE DEI SENONIANO DI RUDA, ECC. specialmente lungo il margine interno ed alla base delle coste. Le due fascie sono separate da due coste simili a quelle, che si trovano sulla restante parte della valva, e ciascuna fascia si appoggia lateralmente alla costa attigua dell’interfascia, restando separata mediante un solco dalla costa esterna. Nessun indizio di cresta legamentare. Per il carattere della costolatura sulle zone sifonali questa forma appartiene alle Sauvagesie e, come si è detto, secondo i concetti di DovuviLLé, al genere Durania, data la mancanza della cresta legamentare. Per ciò che riguarda poi i caratteri di affi- nità, fra le diverse specie riferite a questo genere, essa si avvicina in particolare ad una forma specificatamente indeterminata (1) (probabilmente Sauvagesia Flicki Toucas) (2) del Santoniano di Dra Halloufa, per quanto si può giudicare dai caratteri della sezione trasversale quali risultano dalla figura data da Douvi.E. In questa Durania sp. le coste, sebbene meno accentuate e meno appuntite, nella disposizione e numero sono assai simili a quelle della forma di Lissa e specialmente a quelle di certi esemplari delle Puglie (fig. 2), anche per la tendenza alla concavità, che sì osserva nelle zone sifonali: così che sarebbe giustificato il dubbio della identità specifica della Durania Martellii colla Du- rania sp. tunisina, se, oltre al carattere dello sviluppo assai maggiore delle coste, non risultasse, ch’essa manca di ogni traccia delle prominenze interne in corrispondenza ai due seni, quali sì osservano nella Durania sp. Douvillé e nella Sauvag. Flicki Toucas. 5. Anche il gen. Lapeirousia Bayle non fu conservato da Toucas nella sua revisione dei radiolitidi, e le sue forme sono da lui considerate come sferuliti del gruppo dello Sphaerulites foliaceus (op. cit., pag. 50). Invece il DouviLLÉ (op. cit., pag. 25) lo mantiene come genere nettamente connesso al gen. Duraria, dal quale deriverebbe, e particolarmente caratterizzato dalla spe- cializzazione delle aree sifonali e dallo sviluppo dei rigonfiamenti, che loro corrispondono all’interno. (1) H. Douvircè, op. cit., 1910, pag. 27, fig. 30. (2) A. Toucas, op. cit., 1909, pag. 84. G. PAGLIERO — RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 389 Lapeirousia Jouannmeti (Des Moul.) (2). Sul pezzo di calcare al quale sta aderente uno degli esemplari da me riferiti al Praeradiolites Boucheroni, si osserva in sezione trasversa un piccolo esemplare di valva inferiore, che, per quanto permettono di assicurarsene le condizioni in cui si trova, presenta i carat- teri di questa forma particolare del Maéstrichtiano superiore. La riserva sul riferimento specifico è anche suggerita dalla possibilità, che questo piccolo esemplare appartenga invece alla forma di piccola statura, distinta da Toucas col nome di Sphae- rulites Pervinquierei (1), del pari di età senoniana, ma di livello più basso. Resto nella formula di Lubbock. Nota del Dr. G. PAGLIERO. Nella scienza attuariale si ha spesso da calcolare la somma di numerosi valori di una funzione. Ad es. posto r=1-- t, ove t è il tasso d’ interesse, e detto V.,. il numero dei soprav- viventi all’età x riferito al numero dei nati di un dato gruppo, secondo una determinata statistica, allora Yr"V,. variando x da y+ x in poi, tutto diviso per rV,, dà il valore attuale della pensione unitaria annua, differita di n —1 anni, per una persona di età y. Il calcolo diretto di una tale somma di prodotti è molto lungo; per abbreviarlo si costruiscono delle tavole speciali dette “ Tavole di commutazione ,. Ma, quando non esistono ancora le Tavole di commutazione relative ad una determinata statistica, ovvero relative ad un determinato tasso d’interesse, furono pro- posti dei procedimenti rapidi di approssimazione per il calcolo di dette somme. Una delle formule più notevoli, molto usata nella scienza attuariale, esprime la somma: (a) IS ey ini (1) Toucas, op. cit., 1908, pag. 57, tav. X, fig. 1, 2. — H. Dovvitté, op. cit., 1910, pag. 27, tav. I; fig. 7,8. 390 G. PAGLIERO mediante la somma dei termini corrispondenti ad indici mul- tipli di un certo intero « (in pratica spesso a=5 od a= 10), cioè mediante la somma: () f0 +fa+f(2a) +... più l'incremento di una serie infinita ordinata secondo le suc- cessive differenze della seconda successione moltiplicate per coef- ficienti numerici indipendenti dalla natura della funzione f, ma dipendenti dal numero a; l'incremento di questa serie è relativo al primo ed all’ultimo termine della variabile. Ma il Lubbock, che espose per primo la formula in “ Cam- bridge Philosophical Transactions ,, a. 1830, pag. 323, e gli serit- tori di trattati d’attuaria che l’hanno riportata chiamandola col nome dell’autore, non si sono mai occupati della convergenza della serie; inoltre, siccome la serie in pratica si tronca dopo pochi termini, dando un’approssimazione sufficiente, nessuno ha dato un’espressione pel resto. Secondo |’ “ Encyklopidie der Mathematischen Wissen- schaften ,, la formula è ancora “ ohne Restglied ,. Io mi propongo appunto in questa nota di esporre la for- mula del Lubbock, in modo da condurre ad un'espressione del resto. Dimostrerò poi direttamente una nuova formula che si pre- senta come caso limite di quella del Lubbock col resto. A ppli- cherò questa al calcolo del valore attuale di una pensione vita- lizia, e l'una e l’altra al calcolo della somma dei reciproci dei quadrati dei numeri interi da 100 a 199. E Per semplicità di scrittura, chiamo fi la funzione f(ax) in cui varia x, cioè pongo: fiae'=filaz). Si ha la formula data da Mercator nel 1668 (Formulario Mathematico di Peano, tomo V, pag. 151): fur =f10 + e0f,0-+ EEC Asm0+... RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 301 la quale sussiste per x intero e positivo; il 2° membro è un polinomio finito. Il Lubbock suppone in questa formula x fratto, precisa- mente della forma x/a, ove x è un intero, e nulla aggiunge sulla validità della formula. Io comincio col dare un'espressione del resto di questa formula. TEOREMA. feqFNo va, neN, . xeNg- 9°. fe-Y) C(x/a,m)A"[f(ax). x]0|r,0"n{eC(x/a,n+1)a"*!MedA"+1f*No “ Indicando con f una quantità funzione dei numeri interi, cioè essendo E ya re una successione infinita di quantità, se « ed » rappresentano due interi positivi, ed x è un intero positivo o nullo, allora la differenza fra il valore fx e la somma dei primi n-+1 termini nello sviluppo colla formula di Mercator applicata alla funzione fix = f(nx) (cioè alla successione (8) sopra considerata), è una quantità che ha la forma del coefficiente del termine successivo, cioè C(x/a, n 4 1), moltiplicato per a"*! e per un valore medio fra quelli assunti dalle differenze di ordine # + 1 della fun- zione f (cioè della successione (0)) ,. Dimostrazione. Chiamo K la differenza fra fx ed i primi n-+ 1 termini dello sviluppo secondo le A di fx, divisa per C(x/a,n + 1), cioè pongo: fo = f0 PE AR0 o(È 2) A0+... ... + oe | n) A"f,0 + C( o , MA I) Ke: Considero ora la funzione di 2: ge=fe — f0.— & 4f,0 — (i 2) Anfo A ..— 0( sm)anfio—0(£, n + 1)K \ a ( che è ciò che diventa il primo membro dell’eguaglianza prece- 392 G. PAGLIERO dente quando si trasporti tutto nel primo membro, e si legga 2 al posto di «. Si ha: gr =10)1.90 =10; gu= 0, 920) =0, anglo). Se f, e quindi 9g, fosse una funzione reale di variabile con- tinua, qui si potrebbe applicare n +1 volte il teorema di Rolle, e si troverebbe che la derivata d'ordine n + 1 sarà nulla per un valore medio fra quelli considerati, cioè si ricaverebbe: D"+1 fu — 0 ati da cui isi ha per K il valore a"'!D"*!fu, ove « è un valore medio fra i precedenti; si avrebbe così la formula di interpo- lazione per le differenze finite data dal Mercator nel 1668, come sopra si è detto, estesa da Newton nel 1686 a valori qualunque della variabile non necessariamente in progressione aritmetica, e completata con un resto dato da Cauchy. La dimostrazione precedente di questo resto è stata trovata contemporaneamente da Schwarz e da Stieltjes nel 1882 (vedi Formulario Mathematico, tomo V. pag. 306, 307). Ma qui f è una successione di valori corrispondenti ai va- lori interi della variabile, e non si può parlare della derivata. Allora applicherò un teorema analogo a quello di Rolle, enun- ciato e dimostrato per la prima volta dalla Dott. Prof. M. Pey- roleri nella sua nota “ Reluzioni fra calcolo delle differenze e calcolo differenziale , (* Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, 13 giugno 1909), cioè: “ Se la funzione f ha » elementi nulli: fa, fb, fc, ..., fr, ove a < 1 (1+ 2)? —1 e la stessa eguaglianza sussiste ancora per 2 eguale a 0 se noi conveniamo che la funzione 2/[(1 + 2)" — 1], continua in tutto il campo reale da cui si escluda lo 0, assuma per 2 eguale a 0 il suo valore limite, «. Dunque, posto: sal fo —|z, Pra 1+2)°—1 \ ga= — “SRI O: per e diverso da 0 cioè: Î gi=a segue che i coefficienti di f0, Af,0, A?f0, ..., a"*!u, sono le suc- cessive derivate di ordine 0, 1, 2, .., n +1 della funzione gz in cui varia 2, fatte per il valore 0 della variabile, e divise per i fattoriali di 0, 1,2, ...,n+1; quindi: 1 9 Ni 2 Lo" — iù — af10 + Dg0 X si) + 3 D®9OXA0+..+ dr - D"90 > @A #0) E AS DE goa cioè: fotte da i) +X(4 D'g0 X 4710 |r, n) + + ar D' 90 X atte. Analogamente: v If, a*(2a — 1)] == af,1 + \3 (3 D'90 x A Dl n 1») - heap Die Xe eo RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 395 L{f, (2a) Ba — 1) = af2+ X(4 D'90 x A2|r, 1"n) + - DD 0 Xx a''1x * (n +1)! I x 23 etc.; essendo m un intero positivo si avrà: Y[(f. (ma — a) (ma — 1)]= af, (mM —- 1) 4- XY È D'90 X X A'f: (m — 1)}r, 1n| + di pi D"'190 X at'iuma ed wu, %,, 9, ..-, Un-1 indicano m valori medii fra quelli della successione A"'!f, precisamente : u.€eMed A"'1f* (ra) *|(n+m)a—n 1). Sommando queste eguaglianze a membro a membro, osser- vando che: A' 10 "n A'f,1 "n A'f,2 + DR + Aff, (m TE 1) == A'T1fim — NTIGO e che la somma degli « si può porre sotto la forma mu, ove u indica un valore medio fra quelli della successione A”*!f da 0 ad (1+m-—1)a—n— 1, si ottiene: Delia Re Dt + Y Pe 90 (A'1fim — A'1f,0)|r, 1° | + m Ta DI ata. E questa la formula di Lubbock completata col suo resto. Essa si può enunciare completamente in simboli così: feqgFN,.a,m,neN,.g = Fri -|g,qQ “le ala 0) (14 2)° L[f,0%(ma — 1] — a L[f(ra)}r, 0 — D]— — XP) ATIf(02) [rh — AI[fiar)!1]0{}r 1») \ rv. } ‘EM Ra a'*! Med A"'1f*0"|(n+m-1i)a—-n—- 1]. 396 G. PAGLIERO Se la funzione f si annulla per ogni valore della variabile a partire da ma, e quindi è pure nulla ogni differenza di f a partire da ma, allora nella (1) le prime due sommatorie si pos- sono considerare estese da 0 ad 0, e la formula stessa diventa: © EGN)=aE(f,N)— (PL AO], 1a) + D”"+190 = m atta. n (1+1)! III, Le quantità 90, Dg0, D?90/2!, ..., cioè i coefficienti delle potenze di 2 nello sviluppo di 92, si possono ottenere col me- todo dei coefficienti indeterminati. Poichè: n° 2 hi RESA O sa Ia 0 L:+C(1, 2)2+C(1, 8) +. L così, posto: ge= Ao + Ax24 Ase? +... segue: ina JT cha c(+, 2)2 + c(1,3)2 In d “ti cioè: 2 e quindi A,3>=1 AT + A5C(1,2)=0 ASI AC(+, 2)+ AsO(+, 3)=0 ecc., ecc. Di qui si ricavano successivamente Ao, Ai, Ao, ete. RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 397 Trascrivo dal Texr-Book de l’Institut des Actuaires de Londres (deuxième partie, Opérations viagères) le espressioni di A,; ....: Ax: Ai — Dg90 == «7° met e _ Lai o, 3 È e D°90 (PA RESSS) | Astra) 2a mi 0 a (0 DSi dh pid ritalia 7204 A.— Doo — (@-1(9a-1 ng 4804 A,= D'90 — — (@— 18684 —1459?-12) «ie 6048003 fr= D'gd.. è (a? — 1) (275a' — 61a*° 4-2) n. 241920" Lo stesso Texr-Book dà pure i valori numerici di A,, ..., A, corrispondentemente ai valori 2, ..., 11 di a, cioè di A. Mi ser- viranno nelle applicazioni i valori di A per i valori 5 e 10 di a; sono i seguenti: Ao Ai Par Ao | Ag — Ai As | TO Ag Ax 5|2 | 0,4 | 0,2 |0,1264 |0,089%6 ‘0,068032) 0,054080 10 | 4,5 | 0,825 0,41250,261113 0,185419) 0,141028 0,112288 | | | | | IV. OssERVAZIONE. — Se nella (1) si pone n=w#m= 1, si ha: fO +-f1 +... +fla—1)=af0 + Ax(fa — f0) + Aza?u ove u è un valore medio fra quelli di A?f per i valori da 0 adat—_2. 398 G. PÀAGLIERO Aggiungendo fa ai due membri, si ottiene: f0O +fl+...4fa=(a — A;)f0 4+- (14 A;)fa + Asa?u e poichè A, =(a — 1)/2, Ahà= — (a? — 1)/(120), Segue; 0 +f1+..+fa=(a +1) Pif ele Du, Si ha così il seguente teorema, enunciato nel “ Formulario Mathematico , a pag. 134, e dimostrato dalla Prof. Dott. Pey- roleri nella Nota già citata: aéN; . feqP0-a > FT-A) E e ILR E L6(4| le VE Dovendo calcolare mediante la formula di Lubbock col resto la somma dei valori della funzione D, =+"V, quando x varia fra due interi y e 2, o da y in poi, occorre esprimere la diffe- renza di ordine n di essa funzione mediante le differenze della sola V,. Si ha il seguente teorema, chie si può dimostrare facilmente: feqFN;.ceQumil.x;neNo .9 A"(cme | re = cd |C Db (#7) (Ì - DIVA fé|r: 0°" “ Essendo f una quantità funzione dei numeri interi, c una quantità positiva diversa da 1; x un intero qualunque, allora la differenza di ordine » della funzione c*fx, in cui varia x, per il valore x, vale: cri Anfir+ m(1- 1) Arsfe + AAT LAe+ + +a(1- 1) Afe +(1- —)fe] RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 399 Applicando questo teorema alla funzione D.,., poichè 1—r—= =1—-(1+1)=_- #1, segue: ND.= 1°" D[( DO, 7) CAV.|r, 02]. Ho calcolato le differenze 1°, 2°, 3°, 4 dei valori di V, dati dalla “ Statistica Italiana , del 1901, per la popolazione ma- schile (Vo = 100000, Vi = 0); le 1° sono naturalmente nega- tive, le altre sono parte positive, parte negative, e, considerando _ le età da 7 anni in poi, si ha: massimo valore assoluto delle A_= 2008 5 5 ’ sa A°= 169 »” n ”» ” se ’— 60 7 n At= 58 Quindi, applicando la formula di Lubbock col resto per cal- colare una somma di valori di r7*V,, conviene fermatsi alle differenze prime, cioè porre n = 2. In tal caso il resto R è della forma: ma A:n ove «x è un valore medio fra quelli assunti dalla differenza 3* di r"V, da y in poi, se r"V, è il primo termine della somma. Poichè, per la formula precedente, la differenza 83% di eV, è: o" (A8V, — BIA?2V, È BPAV,— #87) segue che v è in valore assoluto minore di: r (6043 X 1708 + 3 X 2008# + 100000#3). In particolare, se il tasso d’interesse è il 3,50%, cioè t= 0,035; x è minore in valore assoluto di 90(1,035) 7. Ad esempio, calcolo la somma dei valori della funzione D,, da 51 anni in poi, applicando la formula (2). Posto nella (2): fe =D: 7 Rn DR m=10; mi 92 400 G. PAGLIERO si ha: Dsi + Dse + Dig +. = 5(Ds1 + Dss + Der + sj Aa + VA MD) 4 Lea ove: Aa" DVI — MEZ O. Ag 20 ed « è compreso fra: — 90(1,035) 54 e 90(1,035)794 cioè fra — 14 e 14. Quindi il resto è compreso fra — 3500 e 3500. Mediante la tavola dei valori di »7* e quella dei valori di V.,., sì trova che il secondo membro, a meno del resto, è 124000 circa. Dunque la somma cercata è 124000 più o meno una fra- zione di 3500: X (D. |, 51100) 124000.+ 63500. Quindi il valore attuale della pensione annua unitaria dif- ferita di 32 anni per una persona di 18 anni, è: E(Dx | x, 517100) _ 124000 + 03500 i == iaWannao i — d,f Lia ( Da 36207 DEEEROA cioè è compreso fra 3,3 e 3,5. L’approssimazione è più che sufficiente, se si tien conto della variazione che presentano le cifre di V, dopo la prima, quando si confrontano le statistiche di varie nazioni, non solo, ma anche le statistiche di una stessa nazione nei varì censimenti. Credo però utile di citare qui una formula data dal “ For- mulario Mathematico , (pag. 131, prop. 3'4), che si presta be- nissimo al calcolo della somma di valori della funzione r7°V... È la seguente: a,ben.b >a.ceQuil.fegFa”d5.9. Licfelza=b— = TT — LCA an DI RESTO NELLA FORMULA DI LUBBOCK 401 Si dimostra così: A (c°fe|a)a = e*'Afa + feAe" = ce Afe + (ce — 1)efx da cui: efi= 1 Nefrlo)a—°; cAfe; facendo variare x da « a è — 1, sommando, ed osservando che la somma delle differenze di c°fr vale c'fb — c°fa, si ottiene la proposizione enunciata. Applicandola alla funzione r-*V,, poichè r/(r7!1—-1)= = 1/1 —»)=— 1/t, si ha: Vv [rV.'a, a(6—1)| = 1 GE ua y7241V;) + + 1 EbAV, 2,4-(6—1)]. Poichè la funzione V,. è nulla per ogni valore di x supe- riore all’età estrema della vita umana, si può scrivere: E [r=V.]z,a + No] = r7#V.+ + XYbCAV.12,a + No] ed applicando n-{-1 volte successivamente tale formula, risulta: s—a+l L[V.]e,a + Nol=" 7 L(LAV.1r, 0) + + MAr Valea + N) Ripeto il calcolo di XY x7*V, variando x da 51 in poi, ap- plicando questa formula per n = 3. Si ha: LIrVo a, 51 += "TV + AVI + DAV + t +4 AV) + 4 L(e*A4V,|2,51 + No). Supporremo sempre che sia #—= 0,035, e che i valori di V. . è, , 402 G. PÀGLIERO siano quelli dati dalla tavola della “ Statistica Italiana , del 1901. Maschi. In tali ipotesi si ha: j Veg * pas AV alta 745 a ita) AV, = — 21285 TI PRESSO 7 AVai = — 86784 Roe Se 5 AV E 909620 Somma = iobaso ;-50 — 0,1790534. i ie 5 bL58/r e quindi: 4619000 < "7" (Vai 4. + 1 AV) 4620000 . Dobbiamo ora calcolare: i (POAV3 Lr AV 53 +... La somma fra parentesi si calcola abbastanza facilmente, perchè delle differerize quarte di V;j, V;s, :.., 4 sono nulle, 32 sono inferiori a 10 in valore assoluto e delle rimanenti la più grande in valore assoluto è — 53. Prendendo i valori di »-" con 6 cifre decimali ed in difetto, eseguendo i prodotti per le A* di V e sommando, si trova — 6,744627; poichè la somma delle A* positive è 260 e la somma delle 44 negative è — 299, segue: — 6,745 Determinazione | Determinazione Media I 0,2 0,39 0,39 0,59 9 0,6 0,95 0,385 0,382 5) 1.0 0,27 0,245 0257 7 1}4 0,18 0,13 0.165 0,2 «Der ere n addette peg 0,2 420) 04 0,6 Fig. 7 (IlI® Serie - @). 0,5 0,3 0,2 0,4 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI 08 do 12 44 16 02 0% 06 a8 10 42 02 04 0.6 0,9 Lo 42 i& 416 Fig. 9(III* Serie - c). Fig. 8 (HI? Serie - d). 1 SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL NICHELIO 421 IV® SERIE. Cementazioni eseguite facendo passare a 1050° C., durante cinque ore, otto litri e mezzo di etilene puro, sopra quattro cilindretti di acciaio. Come nella serie precedente, si formò sempre un abbondante deposito di carbone polverulento che copriva i cilindretti di acciaio e le pareti della camera di ce- mentazione. a) Acciaio al 3 °/, di nichelio (Fig. 10). CARBONIO Ch N.° d’ordine Profondità | === dello strato (mm.) | 18 | ga Determinazione | Determinazione, Media ni ner = 1 MRS E 1,46 1,43 i 1,445 3 0,6 1,50 1,56 (dea 5 1,0 1,48 1,98 | 1:49 Fi do 1,29 1,19 1,25 o, 1,6 Li A _ 1,17 10 2,0 1,03 — 1,08 11 pote 0,92 0,91 15 2,6 0,76 | 0,74 0,75 b) Acciaio al 5°, di nichelio (Fig. 11). | ‘ (1) CarsonIo "n N.° d’ordine | Profonda | === = ———_t | dello strato | (mm.) | 1° ga Determinazione | Determinazione Media 1 0,2 1,16 yo MIBNIGRI (o, 2 0,4 1,20 1,20 4 0,8 1,32 DR 24 la deda 6 12 1,00 0,96 la VIS 8 16 0,68 0,68 0,68 10 2,0 0,65 0,51 i. 0,98 12 2,4 0,40 0,48 MEZ 14 2,8 0,50 0,54 | 0,32 422 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI 0,3 9,2 dA 0 TT ae 02 04 06 0% do 12 14 4,6 18, 20 2.2 24 26 2% Fig. 10 (IV? Serie - a). c) Acciaio al 25 °|, di nichelio (Fig. 12). Carsonio °/ N.° d’ordine broke, === dello strato | (mm.) 12 DI | 3 | Determinazione | Determinazione | Media 1 0,2 0,69 | 0,69 | 0,69 3 0,6 0,86 0,82 0,84 h) 1,0 0,80 | 0,79 ("0,795 7 1,4 0,71 | 0,73 10 7a 9 INS | 0,68 | (0,66 | TO: Li 2,2 0,67 0,63 NE0,05 05) 2,6 D.D5 0,56 | 0,555 ca SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI Ai, NICHELIO 423 (a) 0.6 08 (9) o ni Fio. 11 (IV? Serie - d). ci Qu "o 0,8 lo 12 Lu 16 Tao 20 207 QU 26 Fig. 12 {IV® Serie - c). 424 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI Lo strato superficiale di un cilindretto d'acciaio dolce al carbonio, cementato nelle stesse condizioni, diede — in due determinazioni — l’ 1,45% e l 1,60 °/ di carbonio. In media, quindi, J' 1,52%. d) Acciaio al 30%, di nichelio (Fig. 13). Carponio %/ N.° d'ordine | Profondità = dello strato (mm.) 1a | ga Determinazione | Determinazione Media 1 02 0.592 | 0,54 |“ 0555 0.4 0,59 0,61 i 0,60 5 1,0 (),63 0.64 0,635 9 lese; (),39 | 0.34 0,365 03 07 06 TTT 05 ta 04 0) 0,2 DN 06 08 {o 12 iL 16 43/020 Fig. 18 (IV2 Serie - d). Come termine di confronto atto a dare qualche indicazione intorno alla relazione che passa fra la durata della cementa- zione con etilene ed il tenore massimo di carbonio raggiunto negli strati superficiali dell’acciaio al 30°, di.nichelio, abbiamo fatto una cementazione in condizioni identiche alla d) della serie IV, ma limitandone la durata ad un'ora. Due determina- zioni di carbonio nel primo strato di 0,2 mm. del cilindretto SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL NICHELIO 425 d'acciaio al 30 °/, di nichelio così cementato diedero rispetti- vamente il 0,52 e il 0,53%, di carbonio. Il valore medio — 0,525 °, — è riportato nel diagramma della fig. 13: ed è — come si vede — assai prossimo al corrispondente valore trovato nella cementazione di cinque ore. Infine eseguimmo ancora un'esperienza per stabilire con certezza se il lieve abbassamento del tenore di carbonio che si verifica nei primi due strati esterni degli acciai al 59/ di nichelio, fosse dovuto — come appariva molto probabile — ad una leggera affinazione, verificatasi (non ostante tutte le precauzioni prese per evitarla) durante la ricottura a 600° ed il successivo raf- freddamento lentissimo, che abbiamo veduto essere necessarî onde rendere il metallo attaccabile dall’utensile. A tale scopo, dopo aver cementato un cilindretto dell’ac- ciaio al 5°, di nichelio nelle identiche condizioni già indicate per le cementazioni della serie IV, lo sottoponemmo ad una ricottura più breve che non nei casì precedenti, ma eseguita in condizioni simili. Non ostante la maggiore durezza del metallo, fu possibile tagliare al tornio — in condizioni soddisfacenti — due strati coassiali del cilindretto, dello spessore di «n decimo di millimetro ciascuno. L'analisi rivelò nel primo strato (super- ficiale) un tenore di carbonio dell’ 1,06°/,, e nel secondo 1’ 1,28 9/0. Questi dati — riportati nel diagramma della fig. 11, accanto a quelli relativi al cilindretto di ugual composizione, cementato in modo identico, ma ricotto più a lungo — dimostrano che lo strato esterno nel quale si verifica l'abbassamento del tenore di carbonio è più sottile quando la ricottura è più breve: ciò che ne induce ad ammettere che il fenomeno in questione con- sista realmente in un processo di decarburazione che si verifica; durante la ricottura ed il secondo raffreddamento lento. Fenomeni analoghi si presentano anche (sebbene in assai minori proporzioni) in alcune altre sbarrette cementate. Essi pure sono probabilmente dovuti ad una leggera affinazione su- perficiale, verificatasi durante il raffreddamento lento successivo alla cementazione. Ciò posto, vediamo — in breve — quali conclusioni pos- sano trarsi da queste prime serie di risultati. Come abbiamo già detto, ci limitiamo — per ora — alle considerazioni riguar- Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 27 426 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI danti più strettamente l’andamento della cementazione: e ri- mandiamo a più tardi — allorchè avremo pubblicato ulteriori dati sperimentali più completi — quanto si riferisce alla costi- tuzione ed alle proprietà delle varie zone cementate ottenute nei singoli casi. Risulta intanto evidente dall'esame comparativo dei risul- tati numerici relativi alle cementazioni di ciascuna serie, il fatto che il tenore massimo di carbonio delle zone cementate va di- minuendo a mano a mano che la proporzione del nichelio au- menta (1). Tale diminuzione diviene sopratutto notevole quando la proporzione del nichelio supera il 5 9/0. È chiaro come questo fatto abbia una notevole importanza pratica, e come di esso si debba tener conto nella tecnica della cementazione. A persuadersi di ciò basta riflettere come sia ne- cessario fondarsi sopra i dati or ora riferiti, e sopra gli altri analoghi da determinarsi caso per caso, ogni qualvolta si vogliano applicare alla cementazione degli acciai al nichelio i varî me- todi di cementazione — dei quali abbiamo indicato i concetti fondamentali nelle pubblicazioni precedenti — destinati a per- mettere di regolare la concentrazione e la distribuzione del car- bonio nelle zone cementate. Intorno a questo problema pratico avremo, fra breve, oc- casione di far conoscere dei dati più completi. Ad ogni modo, i dati che abbiamo riferiti sopra costituiscono il punto di par- tenza per qualsiasi ricerca di questo genere. Un'altra questione molto interessante — sia dal punto di vista teorico che da quello pratico — è quella della distribu- zione del carbonio nelle zone cementate. (1) Nell’esame dei risultati delle cementazioni eseguite coll’ossido di carbonio, bisogna tener conto (in base ai criterì che abbiamo indicati in pubblicazioni precedenti) del fatto che il tenore di carbonio massimo della zona cementata cresce col crescere del rapporto fra la quantità dell’ossido di carbonio adoperato e la superficie dell’acciaio sottoposto alla sua azione. — È questa la ragione per la quale abbiamo indicato per le singole espe- rienze la quantità dell’ossido di carbonio adoperato e il numero dei cilin- dretti di acciaio (di dimensioni note e all’incirca costanti) contenuti nella camera di cementazione. — Riteniamo, però, superfluo entrare in minuti dettagli imtorno a fenomeni chè difficilmente si presterebbero a misure rigorosamente esatte. SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL NICHELIO 427 In linea generale — e prescindendo dagli effetti dei feno- meni di decarburazione superficiale, dei quali ci siamo già oc- cupati, e che nulla hanno a che fare coll’ andamento della cementazione — i nostri diagrammi dimostrano (sopra tutto se confrontati con quelli analoghi, relativi agli acciai al carbonio, che abbiamo pubblicati nelle note precedenti) che la variazione della concentrazione del carbonio negli strati successivi delle zone cementate avviene in modo notevolmente più uniforme per gli acciai al nichelio che non per gli acciai al carbonio. Facciamo sopratutto notare a questo proposito — riferen- doci agli acciai cementati con etilene, ai quali soltanto possono riferirsi le considerazioni di questo ordine, poichè in essi sol- tanto si presenta la zona ipereutectica -— come anche negli acciai perlitici o “ misti , (quali quelli al 2e 3/, di nichelio in tutta la zona cementata, e quello al 5%, di nichelio per gli strati più profondi di circa 0,8 mm.), i nostri diagrammi di concentrazione-profondità non presentino il tratto orizzontale corrispondente alla zona eutectica ; tratto che — per una uguale frequenza degli strati analizzati — appare invece nettamente negli acciai al carbonio trattati nello stesso modo: come risulta dai diagrammi da noi pubblicati precedentemente. Nei diagrammi degli acciai al nichelio, invece del caratteristico “ arresto , della variazione della concentrazione del carbonio, al 0,9 %, si nota soltanto un “rallentamento , corrispondente al 0,6 0,65 9% circa, di carbonio. Per distinguere se quel “ rallenta- mento , comprenda una zona di “ arresto , troppo sottile per apparire come tale nell’analisi di strati relativamente spessi, quali quelli da noi analizzati, sarebbe necessario analizzare — in prossimità di quella regione — una serie di strati succes- sivi molto sottili. Ma — anche prescindendo dalla difficoltà di tale ricerca — bisogna riflettere che un tale metodo darebbe risultati chiari, soltanto nel caso in cui le variazioni di profon- dità della cementazione in tutta la zona cementata fossero minori dello spessore della zona a composizione costante: ciò che è praticamente inverosimile, data la grande sottigliezza di questa zona, quale risulta già (come abbiamo detto) dai nostri dia- grammi, e come constateremo direttamente fra breve. Preferimmo, perciò, ricorrere all'esame microscopico; il quale — come ora vedremo — chiarisce perfettamente la questione. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 27* 4928 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI La fig. 14 (1° della tavola unita) riproduce (1) un tratto della sezione normale all'asse. del cilindretto di acciaio al 3% di nichelio cementato con etilene per cinque ore a 1050° C. (Ce- mentazione a. della serie IV): e precisamente un tratto della zona cementata, situato alla profondità di 2,8-3,0 mm. Come risulta nettamente dal fotogramma, il tratto della sezione ri- prodotta corrisponde appunto alla regione di passaggio fra la zona ipereutectica (situata a destra, nel fotogramma) e la zona ipoeutectica, attraverso ad una zona eutectica sottile, ma net- tamente formata (la quale occupa quasi tutta la metà sinistra del fotogramma). Ora nel nostro fotogramma si nota subito che i filamenti di cementite (2) sono molto sottili, ed il loro spes- sore va diminuendo gradualmente e con molta lentezza quando sì procede verso la zona eutectica: talchè gli ultimi filamenti sottilissimi di cementite giungono a poca distanza dalla regione in cui cominciano a comparire (3) i primi lembi di ferrite (4). Da queste osservazioni risulta evidente come i fenomeni che si compiono nel raffreddamento lento degli acciai al nichelio, cementati in modo da presentare una zona ipereutectica, siano — qualitativamente analoghi a quelli che si verificano per gli ordinarîì acciai al carbonio sottoposti ad uguali trattamenti : ma ne differiscano “ quantitativamente , sotto due punti di vista: 1° Pel fatto che l'entità dei fenomeni di liquazione della cementite è — a parità di ogni condizione — assai mi- nore per gli acciai al nichelio di quanto non sia per gli acciai al carbonio. Tale fatto risulta evidentissimo quando si ponga a confronto il fotogramma del quale abbiamo or ora parlato, (1) Ingrandimento 75 diametri. Attacco alla soluzione alcoolica di acido picrico al 4%/p. (2) Indichiamo con questo nome il costituente degli acciai a basso tenore di nichelio e ad alto tenore di carbonio, dotato di caratteri micro- grafici analoghi a quelli della cementite, senza preoccuparci — per ora — di stabilire se esso sia realmente FesC puro. (3) Nel fotogramma i primi lembi di ferrite appaiono poco chiaramente. (4) Ripetiamo per questo costituente quanto abbiamo detto or ora per la cementite. — Usiamo anche qui il termine di “ ferrite , come indica- zione di struttura micrografica: senza curarcì — per ora — di stabilire la vera composizione chimica del costituente degli acciai al nichelio, così designato. SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL NICHELIO 429 col successivo (Fig. 15 — 2 della tavola), il quale riproduce — collo stesso ingrandimento di 75 diametri — un tratto della regione di passaggio fra la zona ipereutectica e la zona eutectica di un cilindretto di acciaio dolce al carbonio, cementato e la- sciato raffreddare in condizioni identiche a quelle del cilindretto di acciaio al nichelio riprodotto nella fig. 14. Le grosse vene di cementite che cessano bruscamente e senza quasi per nulla assottigliarsi ai loro capi, segnano l'abbassamento repentino del tenore di carbonio dalla zona ipereutectica alla larga zona eu- tectica (l’inizio della quale occupa la metà sinistra del nostro fotogramma), quale risulta dai varì diagrammi da noi pubbli- cati precedentemente. — Data l'influenza grandissima che questi fenomeni di liquazione esercitano — come abbiamo altre volte esaurientemente dimostrato — sulle proprietà meccaniche dei pezzi cementati, non occorre insistere ulteriormente per porre in evidenza l'interesse pratico delle osservazioni che abbiamo or ora esposte intorno al modo caratteristico in cui i fenomeni stessi si compiono per gli acciai al nichelio, dei quali è noto il largo impiego nelle costruzioni meccaniche. 2° I fenomeni che si compiono nel raffreddamento lento degli acciai a basso tenore (2-5 °/,) di nichelio cementati, dif- feriscono “ quantitativamente , da quelli analoghi che si veri- ficano negli acciai al carbonio sottoposti agli stessi trattamenti, anche pel fatto che nei primi la regione di passaggio fra la zona ipereutectica e quella ipoeutectica corrisponde ad un te- nore di carbonio (0,6-0,65 °/) più basso di quello (0,9 °/) della corrispondente zona (la zona eutectica) dei secondi. Tale fatto risulta già chiaramente (nel modo che abbiamo accennato sopra) dall'andamento delle curve di concentrazione- profondità dei nostri diagrammi, ed è confermato da varie altre considerazioni: fra le quali ci limitiamo ad accennare alle due seguenti : a) La profondità alla quale — in corrispondenza ad un tenore di carbonio del 0,6-0,65%, — si verifica il “ rallenta- mento . caratteristico nella variazione della concentrazione del carbonio nei diagrammi della cementazione degli acciai al ni- chelio, corrisponde alla profondità alla quale l'esame microsco- pico rileva la presenza della zona di transizione fra lo strato ipereutectico e lo strato ipoeutectico. — Ciò conferma, eviden- 430 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI temente, che tale zona di transizione corrisponde ad un tenore di carbonio del 0,6-0,65 °/o. b) Negli acciai a basso tenore di nichelio (2-5 ®/) e a basso tenore di carbonio (0,1-0,5 °/o) il costituente uniforme che abbiamo veduto formare l’intiera zona di transizione degli acciai stessi cementati più intensamente (costituente che potremmo anche indicare col nome di “ perlite , purchè intendessimo di assegnare al significato di questo termine un'opportuna esten- sione) — si presenta accanto ai cristalli di ferro a e nichelio. — Ora, se ammettiamo che questi ultimi cristalli (che potremo anche designare come “ ferrite ,, dando a questo termine una estensione analoga a quella che abbiamo dato poco fa alla pa- rola “ perlite ,) non contengano carbonio — o ne contengano soltanto quantità molto piccole — la misura del rapporto fra le aree occupate da ciascuno dei due costituenti in una sezione piana dell’acciaio, ci fornirà — in base alla conoscenza del te- nore di carbonio complessivo dell'acciaio esaminato — il tenore di carbonio del primo costituente (“ perlite speciale ,): e ciò in base agli stessi notissimi criterìî che si applicano per gli acciai al carbonio. — Chè se poi il secondo costituente (“ ferrite ,) contenesse anch'esso quantità sensibili di carbonio, è chiaro che il valore reale del tenore di carbonio del primo (“ perlite ,) sarebbe certamente più basso di quello “ apparente , risultante dal rapporto fra le aree occupate dai due costituenti. — Il me- todo al quale ora accenniamo indicherà, dunque, certamente il valore massimo del tenore di carbonio della “ perlite , degli acciai al nichelio: e assai probabilmente il valore esatto. Orbene, le osservazioni planimetriche eseguite su molti acciai al nichelio a tenore di carbonio noto, hanno confermato sempre il valore 0,6-0,65°%/ per la concentrazione del carbonio nel costituente “ perlitico ,. Del resto, per constatare direttamente la differenza fra il tenore di carbonio della perlite propriamente detta — degli acciai al carbonio — e quello del costituente corrispondente degli acciai al nichelio, basta confrontare le due figure 16 e 17 (3% e 42 della tavola qui unita). — "Tutte e due riproducono — collo stesso ingrandimento di 75 diametri — gli orlì di se- zioni piane praticate — normalmente all'asse — in cilindretti di acciaio dolce, cementati con ossido di carbonio in modo tale SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL NICHELIO 491 che la concentrazione del carbonio nello strato superficiale (dello spessore di un decimo di millimetro) è uguale in ambedue i cilin- dretti, e pari a 0,34 9/0. Il primo cilindretto (Fig. 16) è di acciaio al 3% di ni- chelio: mentre il secondo (Fig. 17) è di acciaio dolce al car- bonio (1). È evidente come la proporzione del costituente scuro sia assai più elevata nel primo campione che non nel secondo. — Un'osservazione più accurata delle regioni delle due provette corrispondenti agli strati di pari tenore di carbonio — eseguita con ingrandimenti tali da rendere all'incirca uguali nei due campioni le dimensioni degii elementi strutturali — dà per il cilindretto di acciaio al carbonio un valore relativo dello spazio occupato dalla perlite, pari a circa due terzi del corrispondente spazio nel cilindretto di acciaio al nichelio. — Ciò che condur- rebbe appunto ad assegnare alla “ perlite , dell'acciaio al ni- chelio un tenore di carbonio di circa 0,6 %. È chiaro come di queste osservazioni sia necessario tener conto con cura nella pratica del controllo micrografico degli acciai al nichelio: ed in modo speciale in quello della cemen- tazione degli acciai stessi. Poichè — come abbiamo già detto — intendiamo, per ora, limitarci alle considerazioni che riguardano più direttamente l'andamento della cementazione degli acciai al nichelio, non aggiungiamo altre osservazioni alle precedenti, la cui impor- tanza pratica è evidente. — E rimandiamo ad un altro studio — fondato sopra dati sperimentali più completi — lo svolgi mento delle interessanti conclusioni che dall'esame degli acciai al nichelio cementati possono trarsi intorno alla costituzione degli acciai stessi, e ai fenomeni di equilibrio nel sistema ter- nario ferro-carbonio-nichelio. — (Ci limitiamo qui ad aggiun- gere nelle figure 18 e 19 (5* e 6° della tavola) -— per ora sol- (1) Il confronto dei due fotogrammi delle figg. 16 e 17 — eseguiti collo stesso ingrandimento — pone subito in evidenza la maggior “ finezza di struttura , che — a parità di trattamenti — caratterizza gli acciai al nichelio. Di questo fatto già noto — che è strettamente collegato ai feno- meni di diffusione del carbonio fra i cristalli misti a concentrazione non uniforme, e che presenta un notevole interesse, sia teorico che pratico — avremo occasione di occuparci fra breve. 452 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI — SULLA CEMENTAZIONE, ECC. tanto come termine di riferimento pratico — la riproduzione delle strutture caratteristiche dell'acciaio al 5% di nichelio, cementato secondo i due “ tipi, fondamentali di cementa- zione (1): la cementazione a basso tenore di carbonio ottenuta coll’ossido di carbonio, e quella ad alto tenore di carbonio ot- tenuta mediante gli idrocarburi. — Negli acciai al 5% di ni- chelio la distinzione fra i due tipi di cementazione presenta una speciale nettezza, poichè per tale tenore di nichelio la differenza del tenore di carbonio fra le zone dei due tipi è suf- ticiente a far sì che, mentre l'acciaio della zona cementata durante cinque ore a 1050° C. coll’ossido di carbonio (Fig. 18) è ancora perlitico (presentando soltanto gli indizî dell’orientamento “ triangolare ,), quello dell'altra zona — ottenuta cementando con etilene per cinque ore a 950° C. (Fig. 19) — è già marten- sitico in uno strato esterno di sensibile spessore. Torino. Laboratorio di Chimica Metallurgica e Metallografia del R. Politecnico. Febbraio 1911. relazione sulla Memoria presentata dal Dott. (. Gora, Le Avene piemontesi della Sez. Avenastrum Koch. La presente Memoria ha per oggetto la illustrazione delle specie piemontesi di Avena della Sez. Arenastrum Koch. Di queste, alcune hanno un’area di distribuzione prevalentemente orientale, altre prevalentemente occidentale, altre infine medi- terranea, ecc. La regione piemontese si trova nella particolare condizione di annoverare nella sua flora quasi tutte le specie italiane e molte di quelle europee. Le ricerche floristiche compiute in questi ultimi anni in Piemonte, hanno portato alla conoscenza di stazioni nuove di alcune di esse finora assai poco note, e mancanti quasi negli erbarii italiani, ed anche alla constatazione di qualche specie finora non indicata per la nostra flora. L'A. ha approfittato dei materiali conservati negli erbarii del R. Orto botanico di Torino, nei quali sono raccolti esemplari (1) Vedi GroLrrri e Carnevani, ‘* Gazz. Chim. it. ,, 1908, II, pgg. 309-351. 435 delle specie di questo genere con una ricchezza che non si os- serva in alcun altro erbario italiano. Per gli opportuni raffronti egli si è servito delle Collezioni degli istituti botanici di Firenze. Roma e Genova, nonchè di numerose collezioni private. Egli ha così potuto rivedere com- pletamente quanto di questo genere riguarda la flora piemon- tese, vale a dire quasi tutte le forme italiane, perchè ne vanno eccettuate due sole varietà proprie della Sicilia. In tale modo fu possibile fare il raffronto con numerosi esem- plari autoptici di forme sistematicamente ancora controverse. L’A. ha premesso delle considerazioni generali sul gruppo preso a studiare, indicandone i principali dati morfologici, e facendo una revisione di tutti i caratteri che sono stati indicati dagli Autori come utilizzabili nella diagnostica. Da tale esame critico risulta una seriazione dei caratteri secondo il loro valore nella sistematica della Sez. Avenastrum. Passando all'esame critico delle singole specie, che sono in numero di otto, lA. fa la storia delle numerose controversie che sono state sollevate a proposito della posizione sistematica di ciascuna di esse; ne dimostra la nomenclatura che, secondo lui, è necessario stabilire alla stregua dell’esame del materiale e dei dati raccolti, e ne indica infine l'esatta distribuzione nella nostra regione. Con tale esame egli riconosce l’esistenza nella nostra Flora delle 8 specie, con n° 4 varietà e di parecchie forme. Di queste una specie è descritta come nuova per la scienza (A. lejocolea); di due altre viene definitivamente accertata la presenza in Italia. Dell’una (A. sempervirens) la presenza era stata sempre fin qui controversa, e ultimamente negata, e lA. ne constata l’esistenza nell'alta Val Tanaro, in una stazione che costituisce l'estremo limite orientale dell’area di distribuzione di questa specie propria delle Alpi francesi e dei Pirenei. Dell’altra (A. planiculmis) lA. ha avuto occasione di verificare la presenza fin qui mai sospettata in Italia in un esemplare calabrese raccolto da Te- nore e da lui erroneamente determinato. Infine per l'A. alpina l’A. estende ad alcune stazioni piemontesi, anzi torinesi, il limite austro-occidentale di questa specie, la quale è di origine netta- mente orientale; nell'Italia sì conosceva solo nelle Alpi tren- tine e venete. 454 Alcune riproduzioni fotografiche raccolte in una tavola illu- strano il lavoro; esse riguardano i caratteri desumibili dal portamento delle specie, che costituiscono una novità per la floristica italiana, e l'anatomia delle foglie, la conoscenza della quale può essere utilizzata per la diagnostica. Il lavoro del Prof. G. Gola è stato condotto con tutto il rigore critico voluto dalla moderna scienza botanica, la quale più non si accontenta di interrogare la natura sulla scorta dei soli criteri di morfologia esterna, ma a questi, associando lo studio anatomico ed istologico, la storia di sviluppo, ci concede un’esatta nozione della specie da sistemare, mira al suo ultimo fine scientifico, quello cioè di togliere l’empirismo nella seria- zione delle forme. . Per questi motivi noi riteniamo il lavoro del Prof. Gola degnissimo di esser accolto nei volumi Accademici. L. CAMERANO Oreste MaTtTIROLO, relatore. L’Accademico Segretario CorrADO SEGRE. 435 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Febbraio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE BARONE ANTONIO MANNO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: CARLE, RENIER, Pizzi, RUFFINI, STAMPINI, D’ErcoLe, Bronpi, BAUDI DI VESME, SCHIAPARELLI e DE SANCTIS Segretario. — È scusata l'assenza dei Soci BoseLLi, Presidente dell’Accademia, e SFORZA. E approvato l’ atto verbale dell’ adunanza antecedente, 12 febbraio 1911. Il Socio RenIER presenta / Canto XXII del Purgatorio letto da Alfredo Galletti nella sala di Dante in Orsanmichele (Firenze, Sansoni). Il Socio StAmPINI presenta per le Memorie accademiche una Monografia del Dr. Ettore Provana, intitolata: Blossio Emalio Draconzio, Studio biografico e letterario. Il Presidente delega i Soci StAMPINI e De SancTIS a riferirne in una prossima adu- nanza. Il Presidente comunica una lettera del Comitato ordinatore del Congresso artistico internazionale, Roma 1911, che invita , l'Accademia a nominare un Delegato ufficiale per rappresentarla al Congresso. Si conviene di accogliere l’ invito. Si provvederà 436 per altro alla nomina quando si sappia se qualche nostro socio si propone di partecipare al Congresso stesso. È presentato d'ufficio un manoscritto inviato da Bruxelles dal Dr. H. BoureEors, per essere inserito nelle nostre pubbli- cazioni accademiche. Il manoscritto è intitolato: Esquisse d’une grammaire du romani finlandais. Si delibera d’inviarlo al Socio corrispondente Prof. Teza con preghiera di riferirne. Raccoltasi poi la Classe in seduta privata si procede alla votazione per l'elezione di tre Soci corrispondenti della Sezione di filologia, storia letteraria e bibliografia, e riescono eletti i professori Giuseppe FraccaroLi, Remigio Saspapini e Carlo Oreste ZURETTI. L) Accademico Segretario Garrano DE SANCTIS. i CIA COREA E RE RATTI O ERMETE SURISNONBPE SPERATO: F. GIOLITTI e F. CARNEVALI - Sulla cementazione degli acciai al nichelio - 1. Atti della R. Accad, di Sovino Vol. XLVI. OFF, FOTOTEONICA ING, MOLFESE - TORINO CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 5 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NaAccarI, Direttore della Classe, SaLvapori, D’Ovipio, Spezia, PEANO, JADANZA, Foà, GUARESCHI, Guipi, FiLeri, PARONA, MArTIROLO, GRASSI, SOMIGLIANA, FUSARI e SearE Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. Il Presidente comunica la notizia della morte del Socio straniero Prof. Giacomo Enrico van’t Horr. Il Socio GuaRrEscHI ricorda brevemente i meriti scientifici di questo illustre Chimico fisico. Le sue parole verranno inse- rite negli Atti. Il Socio corrispondente CeLorIA ha inviato in omaggio due suoi opuscoli, in commemorazione di Giovanni SCHIAPARELLI. Il Socio SPEZIA presenta in omaggio, da parte dell’autore, la Nota del Dr. L. CoLomBa, Sopra un granato ferro-cromifero di Praborna (S. Marcel). Vengono presentate per l'inserzione negli Atti le seguenti Note: Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 28 438 F. GroLItTI, Studi metallografici sulle armi preistoriche, dal Socio GUIDI; G. CoLonnetTI, Sull’equilibrio elastico dei sistemi reticolari piani, dal Socio GuIDI; C. BuraLi-FortI, Alcune applicazioni alla geometria differen- ziale su di una superficie dell'operatore omografico C, dal Socio PEANO; C. H. Stsam, On Algebraic Hyperconical Connexes in Space of r Dimensions, dal Socio SEGRE. ICILIO GUARESCHI — CENNI BIOGRAFICI SU J. H. VAN'T HOFF 439 LETTURE Cenni biografici su Jacobus Hendrikus van’t Hoff del Socio ICILIO GUARESCHI. Jacobus Hendrikus van’Tt Horr, socio straniero della nostra Accademia dal 1905, nacque a Rotterdam nel 1852 ed inco- minciati gli studi nel Politecnico di Delft li continuò a Parigi con Wurtz, poi a Bonn col Kekulé, e si laureò in Utrecht nel 1874; libero docente nella scuola veterinaria di Utrecht sino al 1876, fu nominato professore di chimica, di mineralogia e di geologia nell'Università di Amsterdam nel 1878 e finalmente nel 1896 fu chiamato quale professore ordinario onorario di chi- mica all’Università di Berlino, Iniziò la sua carriera scientifica con ricerche di chimica organica, sull’acido cianacetico. Il 5 settembre 1874, cioè a soli 22 anni, pubblicò un opu- scoletto di 14 pagine, oggi rarissimo: Vorsted tot mithbreiding der structuur-formules in de Ruimte, che fu subito tradotto in fran- cese negli “ Archives Néerland. , col titolo: Sur les formules de structure dans l’espace (vol. IX, 1874), in cui emise per la prima volta la sua geniale teoria dell'atomo di carbonio asimmetrico; teoria che sviluppò poco dopo (La chimie dans l'espace, Rotterdam, 1875, oggi pure raro) e che è la base della stercochimica. A lui ed al Lebel si debbono i primi lavori in questo vasto campo, che è diventato uno dei più fertili della chimica e specialmente della chimica organica. L'idea geniale nacque nella sua mente quando era a Bonn con Kekulé. Il vau’'t Hoff conosceva pro- 440 ICILIO GUARESCHI — CENNI BIOGRAFICI SU J. H. VAN'T HOFF fondamente le matematiche e se ne valse con grande abilità ne’ suoi studi. Dopo dieci anni, nel 1884, pubblicò un’altra serie di ricerche rimaste classiche: Etudes de dynamique chimique, in cui studia sperimentalmente l'andamento delle trasformazioni chimiche, l'influenza della temperatura sulle trasformazioni, l’equilibrio chimico, l’affinità. Nel 1885 presentò all'Accademia di Stockholm una memoria della più alta importanza: Lois de l’équilibre chi- mique dans l’état dilué, ecc.; ed è specialmente nel capitolo : Une propriété générale de la matière dilute che il van't Hoff, in base ai fenomeni di pressione osmotica, estende ed applica le leggi di Boyle, di Gay-Lussac e di Avogadro alle soluzioni. Da questi lavori la legge di Avogadro ricevette una nuova e grande estensione, e se ne dedussero dei nuovi metodi per la determi- nazione dei pesi molecolari. Oltre alle numerosissime ricerche sperimentali, vanno ricor- date le sue celebri: Vorlesungen ti. theoret. u. physik. Chem., 1898-1900, tradotte col titolo di Lecons de chimie physique, ove espose idee ed esperienze originali sue proprie. Nel 1887, insieme all’Ostwald, iniziò la pubblicazione del “ Zeits. f. physik. Chem. ,, che è il più importante periodico di chimica fisica. Numerosissimi sono i suoi allievi e coloro che indirizzarono i proprii studi nella grande via da Lui aperta. L'influenza del van't Hoff sui progressi della chimica in questo ultimo trentennio è stata enorme; egli era il maestro incontrastato nella chimica fisica, e la nostra Accademia non può apprendere che con sommo rammarico così grande perdita. 0. JACOANGELI — DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA, ECC. 441 Dimostrazione geometrica della regola di Bessel ©. Nota dell'Ing. 0. JACOANGELI. Nella misurazione degli angoli potendosi sempre — entro i limiti di sensibilità della livella impiegata — ridurre verti- cale l’asse generale del teodolite, quelli orizzontali dipende- ranno dai restanti due assi dello strumento; e cioè, dall’asse di rotazione, che dev'essere orizzontale, e dall’altro di collima- zione, che deve riuscire normale al precedente. Se tali condizioni non fossero soddisfatte, al valore vero di un angolo orizzontale misurando, si perviene mediante la regola di Bessel, la quale consiste nel dedurre tale angolo dalla media aritmetica delle misure corrispondenti a due puntate coniugate sul punto di mira. La dimostrazione geometrica di tale regola è lo scopo della presente Nota relativamente ai tre casì possibili. 1. È scorretto il solo asse di rotazione. — Sia 0 (fig. 1) il centro del goniometro — punto d’incontro, cioè, degli assi di rotazione e di collimazione — 0Z la verticale ed sen. RAR,A; l'orizzonte che vi passano. Ammetteremo che con la verticale 0Z coincida l’asse generale del teodolite e con l’oriz- SE £ zonte RAR,A,; il suo lembo graduato. Indichiamo con xx, l’asse di rotazione del cannocchiale, =. asse scorretto per ipotesi dell’angolo «OR qualsiasi formato da esso con l'orizzonte di 0, e con 0y l’asse di collimazione, cor- retto; perchè normale al precedente. Il piano descritto da 0y nella sua rotazione intorno ad xx, è normale a quest’asse; quindi sega l’orizzonte secondo la retta AA, perpendicolare ad RP,; onde, se l’asse di rotazione fosse corretto, rr, coinciderebbe con RR,, quello di collima- (*) Presentata nell'adunanza del 19 febbraio 1911. 442 0. JACOANGELI zione coinciderebbe con la verticale 0Z e nel suo moto rota- torio descriverebbe il verticale AZAS dandoci in A ed A; i punti ne’ quali si farebbero sul lembo le letture vere corrispon- denti a due puntate coniugate su di un segnale qualunque. Invece, essendo xx, inclinato sull’orizzonte, se supponiamo che per collimare un punto M deve farsi assumere a quello Oy la posizione 08, l’altra corrispondente alla collimazione coniu- gata sullo stesso punto M sarà OB,: cioè la congiungente il centro 0 col punto B, d’ intersezione del parallelo di B col cerchio massimo AyA,; perchè, evidentemente, OB ed OB, ri- sultano egualmente inclinate sull’orizzonte, e, perciò, col solo moto dell’alidada intorno all’asse generale 0Z, si passerà dalla prima alla seconda collimazione su M. Facendo passare per B e B, i semiverticali ZBC e 5B,G,, in Ce C; si effettueranno le due letture coniugate, invece che in A ed A,. È facile provare che CC, è parallela ad AA;. Infatti, congiungendo il centro E del parallelo con B e B, e quello O dell’orizzonte con Ce C,, i due angoli BEB, e C0C, DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DELLA REGOLA DI BESSEL 443 riescono eguali, perchè sezioni normali dello stesso diedro CLOC,, ed i triangoli EBB, ed OCC,, avendo un angolo eguale com- preso fra lati proporzionali, sono simili, per cui saranno eguali gli angoli EBB, ed 0C0,. Ma di questi due angoli, posti in piani paralleli, sono paralleli i lati EB ed 0C; quindi saranno paralleli i due restanti BB, e CC. Osservando ora che le dal piano Ayà, in due piani paralleli, ne concluderemo il paral- lelismo affermato fra CC, ed AA,, e, conseguentemente, l’egua- glianza ACE 4,Ù, #6, Ora finalmente, se 0° rappresenta l'origine della gradua- zione, la freccia il senso di essa, e indichiamo con e—= 004 l'angolo vero di direzione ad M, dalla figura si vede che le let- ture L, ed Ls, fatte sul lembo corrispondentemente ai punti C e Ci, sono: Liy=0l =04+e Ls =0°CC, =09Hm—e dalle quali, sommando e ricavando 9 abbiamo: JEn 3 L=" E = furfanti, cioè, l'angolo vero di direzione indipendentemente dalla scorre- zione dell’asse di rotazione del goniometro. 2. È scorretto il solo asse di collimazione. — Come innanzi, sia 0 (Fig. 2) il centro dello strumento, 0Z la verti- Cera cale ed x Ax, A, l'orizzonte che vi passano, e la sfera della figura abbia per centro 0 e per raggio quello del lembo graduato. Se «rx, — giacente nel piano della figura — rappresenta l’asse di rotazione, corretto per ipotesi, ed 0y quello di collimazione, inclinato sul primo di un angolo qualsiasi diverso da un retto, nel moto rotatorio intorno x; quest’ultimo descrive una super- ficie conica ad asse orizzontale, ed ogni suo punto de’ cerchi 444 0. JACOANGELI normali a quest’asse, cerchi de’ quali considereremo soltanto EEN quello ByB, descritto dal suo estremo. Se l’asse di collimazione fosse corretto, coinciderebbe con 0Z e, perciò, descriverebbe il verticale AZA, — normale sempre ad «z;, ossia parallelo a ByB, — e in A4 ed A; si effettue- rebbero le letture coniugate degli angoli di direzione veri cor- rispondenti alle due puntate su ciascun segnale. L'asse essendo scorretto, supponiamo che per collimarlo su M gli si sia dovuta fare assumere la posizione 0B; quella corrispondente alla puntata coniugata sarà 0B;, essendo 5, il punto d’incontro del parallelo di B col cerchio Byb,; quindi tracciando i semiverticali ZBO e ZB.Ù, di B e B,, nei punti C e €; si effettueranno le letture coniugate L, = 0°C ed L= d°00, delle puntate su M; mentre l’angolo vero di direzione ad M sarebbe 9 = 004. Osservando ora che AA, e CC, sono parallele entrambi alla BB, — per le identiche ragioni addotte innanzi — sarà AA; parallela a CC, e, perciò, AC= A;0, = e. La quale ultima egua- glianza conduce alla regola enunciata per la deduzione di 0. DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA DELLA REGOLA DI BESSEL 445 8. Entrambi gli assi sono scorretti. — Siano 0 (Fig. 3) il centro dello strumento, 0Z la verticale ed ARA,R, l'orizzonte che vi passano. xx, rappresenti l’asse di rotazione inclinato sull’orizzonte dell’angolo OR qualunque; Oy quello di collimazione, facente col primo un angolo Oy diverso da un retto, e supponiamo che le rette RR,, rr, ed 0Z siano nel piano della figura, la sfera della quale ha sempre O per centro e per raggio quello della graduazione. Nella rotazione intorno xx,, 0y descrive una superficie conica ad asse inclinato sull’orizzonte, ed il suo estremo y il cerchio ByB,, perpendicolare ad xx; e, perciò, al piano della figura. Collimando un punto M, l’asse 0y assume la posizione 0B; quella coniugata sarà 0B,, ottenibile congiungendo 0 col punto d’intersezione del cerchio ByB, col parallelo DBB, del punto b. Facendo passare per B e B, i semiverticali, si avranno in C e C;, i punti corrispondentemente ai quali dovranno farsi sul lembo le letture coniugate. Le rette BB, e CC, sono parallele. Infatti, i raggi EB ed OC, sezioni prodotte in piani paral- leli dal semiverticale ZBO, sono paralleli; e similmente lo sono 446 0. JACOANGELI — DIMOSTRAZIONE GEOMETRICA; ECC. gli altri due EB, ed OC,; quindi risultano eguali gli angoli BEB, e 000, e simili i triangoli EBB, ed 0C0,. Da tale similitudine emerge l’eguaglianza degli angoli EBB, ed 000, e da questa il parallelismo fra BB; e OC. Ma BB; rappresentando l’intersezione del piano Byb,, nor- male a quello della figura, col parallelo DB8B;, risulta perpen- dicolare — in direzione — ad RP,; quindi CC, sarà perpen- dicolare ad RR}. CS E. Tirando infine il verticale AZA, perpendicolarmente ad ER}, esso rappresenterà quello descritto dall’asse di collimazione quando fosse corretto contemporaneamente a quello di rotazione, ed in A ed A; si farebbero le letture coniugate vere dell’an- golo di direzione ad M. Avendosi come sempre. AC = A4;0,= €, la regola di Bessel risulta dimostrata anche nel caso della coesistente scorrezione dei due assi. Torino, Agosto 1910. Studî metallografici sulle armi preistoriche. Nota di F. GIOLITTI. (Con 1 Tavola). Per consiglio del compianto Prof. Angelo Mosso avevo, da oltre due anni, iniziato lo studio micrografico delle armi di bronzo preistoriche. Le conclusioni interessantissime che, mediante l’analisi chimica, il Prof. Mosso aveva già potuto trarre intorno all'origine delle varie armi, o delle materie prime adoperate nella loro fabbricazione, facevano sperare che l’esame microsco- pico — dal quale tanti dati sicuri possono ricavarsi intorno ai trattamenti ai quali i metalli sono stati sottoposti — avrebbe permesso, a sua volta, di completare con utili indicazioni i ri- sultati delle altre indagini. Di questo ordine di ricerche -— per le quali avevo già pre- parato un abbondante materiale di osservazioni metallografiche F. GIOLITTI — STUDI METALLOGRAFICI, ECC. 447 — il Prof. Mosso parlava alla pag. 302 del suo volume su Le origini della civiltà mediterranea, accennando ai criteri che do- vevano dirigerle e collegarle alle altre indagini puramente chi- miche, da lui già prima iniziate. Ma il materiale micrografico raccolto poteva presentare un reale interesse, solo in quanto era coordinato all’insieme delle altre indagini del Prof. Mosso. Così che — essendo ora, pur- troppo, venuta a mancare la mente direttiva di questo insieme complesso di studi — alla parte a me affidata non rimane che il valore di una collezione di dati isolati; nè dispongo ora, sia del tempo necessario, sia di materiale sufficientemente copioso, quali occorrerebbero per raggiungere lo scopo più elevato che il Prof. Mosso si era proposto (1). Ciò posto, mi limito a riferire i risultati di una delle molte osservazioni eseguite, per porre in evidenza la precisione delle indicazioni che l'esame metallografico può fornire in questo campo di ricerche. Premetto che — onde stabilire i termini di confronto in- dispensabili per la giusta interpretazione delle osservazioni me- tallografiche da compiersi sulle armi antiche di rame e di bronzo — avevo cominciato col raccogliere un grandissimo numero di mi- crografie “ tipiche , riproducenti la microstruttura di molti bronzi di diversa composizione, sottoposti a vari trattamenti meccanici e termici. Alcune di queste micrografie ebbi poi occa- sione di pubblicare, essendomi valso di esse come materiale per (1) Lo scopo che il Prof. Mosso si proponeva in queste sue indagini, è riassunto nelle seguenti sue parole: Sono convinto che conoscendo con “ esattezza la composizione chimica delle armi più antiche di rame e di “ bronzo si possa col tempo decidere la loro provenienza od almeno quella “ del rame di cui sono fatte. È un problema che ha una grande impor- “ tanza per conoscere le correnti della civiltà prima della storia... ,; e nelle altre: “ Non meno importanti per la metallurgia preistorica sono le inda- “ gini che cominciai col prot. Federico Giolitti sull'esame micrografico delle armi e degli strumenti più antichi di rame e di bronzo. Esaminando la superficie levigata dei metalli, quale appare sotto il microscopio, si pos- sono distinguere î metodi di fusione, le mescolanze delle leghe, le tem- perature che adoperavansi nei procedimenti metallurgici, e l’azione dei mezzi meccanici per indurire i metalli , (V. A. Mosso, Le origini della Civiltà Mediterranea, Treves, 1910, pag. 302). » ta PSI 448 F. GIOLITTI altre ricerche di indole molto diversa (1): ma la maggior parte di esse sono tutt'ora inedite non presentando un notevole inte- resse se non per lo scopo speciale al quale ho accennato or ora. Nelle brevi osservazioni che seguono, mi varrò soltanto dei dati che possono desumersi da quella piccola parte del “ materiale di confronto , che ho avuto occasione di pubblicare: così che -— senza diffondermi in lunghe considerazioni scientifiche e tec- niche, e semplicemente in base a quanto risulta dalle conside- razioni contenute nelle pubblicazioni citate poco fa — potrò dare alle mie osservazioni una sufficiente precisione. Le due micrografie qui unite (Fig. 1 e 2) si riferiscono a due parti della scure di bronzo riprodotta nella fig. 3 (circa !/s della grandezza naturale). Si tratta di una scure siciliana di bronzo al 4,12 % di stagno, contenente piccole quantità di zinco e ferro, e tracce di piombo, arsenico e antimonio. La fig. 1 rappresenta la struttura del bronzo nel punto a della scure (2): cioè nella parte posteriore, dietro l’occhio. La comparsa evidente dei lobi della soluzione solida B accanto alle masse continue di soluzione solida a, dimostra — quando si tenga conto della composizione del metallo — che la scure fu colata in una forma fredda, probabilmente di pietra; e che la parte posteriore di essa non fu più sottoposta ad alcun ulteriore trattamento termico o meccanico. L'esame di una sezione più profonda praticata nella stessa regione della scure permette- rebbe di ricavare dati più sicuri intorno alla velocità della so- lidificazione del metallo. e di stabilire con sicurezza se la forma nella quale esso è stato colato fosse realmente di pietra, ovvero di metallo (Rame). Mi riservavo appunto di far questa osser- vazione più tardi, allorchè il suo interesse — pel confronto con altre analoghe — avesse giustificato la distruzione della scure. La fig. 2 riproduce la struttura della provetta di bronzo ricavata dal punto è della scure (2). Tale struttura dimostra che il taglio della scure è stato sottoposto ad una martellatura a freddo, abilmente eseguita, onde aumentarne la durezza. Anche qui l’esame micrografico degli strati più profondi — esame (1) V. £ Gazz. Chimica ital. ,, 1908, 1909 e 1910 e “ Rend. della R. Acc. dei Lincei,, 1908. (2) Ingrandimento 75 diam. Attacco all’acido nitrico. cien, di Sozino. Vol. XLVI. Atti delfa R. Acc. delle Scien IOLITTI - Studi metallografici MUSA + (A TAI AL CATIA RA SÈ DA | pi PA RIA TA la N n e Eu Off. Fototecnica Ing.Molfese. Torino STUDI METALLOGRAFICI SULLE ARMI PREISTORICHE 449 che non ho fatto finora per le stesse ragioni alle quali ho ac- cennato poco fa — permetterebbe di trarre conclusioni molto precise intorno al modo nel quale fu condotta la lavorazione meccanica della scure. Credo che il semplice esempio che ho citato basti a dimo- strare come l’esame microscopico delle armi di bronzo e di rame permetta di stabilire con sicurezza molti dati interessanti in- torno ai procedimenti seguiti nella fabbricazione e nei successivi trattamenti termici e meccanici. E ritengo che a nessuno possa sfuggire l’importanza che simili osservazioni potrebbero acqui- stare quando — accanto ad esatte analisi chimiche — esse fos- sero estese ad un grande numero di oggetti metallici (di rame, bronzo, ferro, acciaio, ecc.) fabbricati nelle varie epoche ed in luoghi diversi. Infatti tali osservazioni permetterebbero di se- guire nei vari tempi e nei vari luoghi i progressi della tecnica metallurgica, tanto strettamente legati ai primi progressi della civiltà. Così — per non citare che pochi dati relativi ai bronzi — uno studio condotto secondo i criteri accennati permetterebbe di stabilire dove e quando abbiano cominciato ad essere appli- cati i successivi perfezionamenti della tecnica della fonderia (ad esempio, colla formatura in sabbia, ecc.) e quelli dei tratta- menti termici e meccanici (ad esempio, la fucinazione a caldo o a freddo; la tempra, la ricottura, ecc.). Risultati ancor più interessanti potrebbero ottenersi nello studio degli oggetti di ferro e d’acciaio. Di osservazioni analoghe a quelle che ho or ora riferite non ne sono state fatte finora se non poche; e queste isolate. Mentre è evidente che tali ricerche avrebbero una vera impor- tauza solo nel caso in cui si riferissero ad un materiale copio- sissimo, scelto con criteri tali da permettere una complessa coordinazione geografica e cronologica dei risultati. Mi auguro che ad un tal lavoro voglia accingersi presto chi disponga della coltura storica e dei mezzi necessari onde ricavarne i risultati altamente interessanti che esso può fornire. Torino. Laboratorio di Chimica metallurgica e Metallografia del R. Politecnico. Marzo 1911. 450 GUSTAVO COLONNETTI Sull'equilibrio elastico dei sistemi reticolari piani. Nota dell’Ing. GUSTAVO COLONNETTI. (Con una Tavola). Ii problema della ricerca delle deformazioni elastiche di un sistema reticolare piano con aste articolate a cerniera senza at- trito, venne, come è noto, risolto per la prima volta nel modo il più generale da Williot con una costruzione grafica assai sem- plice ed elegante da lui denominata diagramma di deformazione (1) la quale viene nei trattati riprodotta sotto il nome stesso del suo autore (?). Le relazioni che legano il diagramma delle deformazioni al diagramma degli sforzi interni. allorquando il sistema retico- lare contiene degli elementi sovrabbondanti, vennero dal Williot stesso rilevate ed utilizzate per la determinazione delle sezioni da attribuirsi a quegli elementi iperstatici, fissato che sia in precedenza lo sforzo che essi, sotto una data condizione di ca- rico, debbono prendere su di sè (8). La risoluzione del problema inverso consistente nella de- terminazione degli sforzi staticamente indeterminati sopportati da elementi sovrabbondanti di dimensioni date « priori, non venne raggiunta che più tardi, riducendo il problema dell’equi- librio elastico dei sistemi in questione sia ad un problema di minimo, sia ad un problema di annullamento di deformazioni, Il primo metodo condusse, come si sa, ad una soluzione es- senzialmente analitica della questione (4). (4) WixLior, Notions pratiques sur la Statique graphique, “ Annales du Génie civil ,, 1877, pag. 601 e 713. (*) W. Rirrer, Anwendungen der graphischen Statik, Zweiter Teil (Zirich 1890), pag. 103. — C. Gurpi, Lezioni sulla Scienza delle costruzioni, Parte II (Torino 1909), pag. 218. (*) Wrxtior, Mem. cit., pag. 722. (4) H. MiiLuer-Bresrau, Die Neueren Methoden der Festigkeitslehre (Leipzig 1904). — C. Guipr, Lezioni cit., pag, 205. SULL'EQUILIBRIO ELASTICO DEI SISTEMI RETICOLARI PIANI 451 La seconda via, magistralmente tracciata dal Culmann (?), per la quale i diagrammi di deformazione del Williot sembrano costituire il naturale punto di partenza, viene, di solito, su questo argomento, applicata soltanto allo studio di qualche caso iso- lato, quale la ricerca delle reazioni iperstatiche negli archi reti- colari con cerniere d'imposta (°), ovvero senza cerniere (7). - Avendo avuto occasione di constatare con quanto vantaggio il metodo di Culmann, accoppiato con un uso razionale del teo- rema di reciprocità, sì presti al calcolo dei sistemi elastici con- tinui (8), mi sono proposto di tentarne un'analoga utilizzazione nell’analisi del comportamento elastico dei sistemi reticolari iperstatici, sia per sovrabbondanza di aste che per sovrabbon- danza di vincoli. Giungo così a certi sistemi di cerchi, assai facili a costruirsi, interpretabili a volontà come diagrammi di influenza di deformazioni ovvero come diagrammi di influenza di grandezze iperstatiche, ed atti al calcolo diretto dei valori da queste quantità assunti, sotto l’azione di un qualsiasi com- plesso di forze arbitrariamente applicate ai singoli nodi del si- stema in direzioni arbitrarie. 1. Costruzione geometrica delle deformazioni di un si- stema reticolare iperstatico. — È noto che ogni travatura reticolare di cui gli sforzi nelle aste siano staticamente indeter- minati sia per la presenza di aste sovrabbondanti, sia per le con- dizioni di posa le quali includano dei vincoli sovrabbondanti, può essere ridotta ad una travatura staticamente determinata, che (5) K. CuLmans, Die graphische Statik (ediz. frane., Paris 1880), pag. 520. (5) C. Gurpi, Lez. cit., pag. 233. — A. Forpr, Vorlesungen iiber technische Mechanik, Zweiter Band (Leipzig 1903), pag. 374. — H. Miiuer-BresLaAu, Die graphische Statik der Baukonstruktionen, Zweiter Band, 1 Abteilung (Stuttgart 1907) pag. 195. (€) H. MiiLLer-Bresrau, Die graphische Statik der Baukonstruktionen, Zweiter Band, 1 Abteilung (Stuttgart (1907), pag. 311 e seg. (8) G. CononnETTI, / sistemi elastici continui trattati col metodo delle linee d'influenza, È Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Serie II, t. LXI (1910). — Ip., Le linee d'influenza della trave continua solidale coi suoi piedritti, È Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XLVI (1911), fasc. 4°-5°. 452 GUSTAVO COLONNETTI chiamasi travatura principale, qualora si sopprimano le aste ed i vincoli sovrabbondanti. Il regime degli sforzi nelle rimanenti aste non verrà alte- rato se si immaginano sostituiti gli sforzi interni delle aste ri- mosse con forze esterne incognite equipollenti a quelli, applicate al nodi della travatura che da quelle aste venivano collegati, e similmente si considerano come forze esterne pure incognite le reazioni d'appoggio sovrabbondanti. È chiaro allora che le deformazioni della travatura in esame (come del resto tutte le grandezze che al suo regime statico si riferiscono) potranno esprimersi in funzione dei carichi dati e delle dette forze incognite; e queste funzioni devono, in tutti quei casi nei quali è applicabile il principio della sovrapposi- zione degli effetti, esser lineari. Dette pertanto quelle incognite iperstatiche, lo spostamento che una data con- dizione di carico P, consistente in un arbitrario complesso di forze comunque applicate ai nodi del sistema, produce in un nodo qualunque r della travatura reticolare data, nel suo ‘piano, considerato come un vettore, cioè come una quantità dotata non soltanto di grandezza, ma anche di direzione e di senso, può sempre mettersi sotto la forma F=N Ap Ò,.p Fe Ad, A duri boca seni Nò..n = Ò,. p —_ A dr la somma essendo, ben s'intende, una somma geometrica nella quale i vettori O- DI 0a dp; ‘* Òò,..F} DOCE) d,. rappresentano in grandezza, direzione e senso gli spostamenti che il nodo considerato r della travatura principale subisce per effetto rispettivamente della reale condizione di carico P e delle n sollecitazioni elementari unitarie A=--l, gesti Na SULL’EQUILIBRIO ELASTICO DEI SISTEMI RETICOLARI PIANI 453 Costruiti pertanto, per esempio mediante n + 1 diagrammi Williot, gli spostamenti dei singoli nodi della travatura prin- cipale relativi a queste varie condizioni di carico, sì potranno da quelli dedurre gli spostamenti effettivi dei vari nodi della travatura iperstatica data, mediante semplici somme geome- triche, quando si siano preventivamente determinati i valori da attribuirsi alle n costanti incognite Hi, END Le quali costanti, quando non siano già note per altra via, possono sempre essere calcolate imponendo che le deformazioni elastiche degli elementi essenziali del sistema siano precisamente quelle che sono consentite dalla presenza degli elementi sovrab- bondanti. Ora di elementi sovrabbondanti ve ne possono essere, come si è già detto, di due specie ben distinte: vincoli ed aste. I primi limitano gli spostamenti dei singoli nodi, a cui sono ap- plicati, in direzioni date; le altre si oppongono invece alle varia- zioni di distanza fra le coppie di nodi che son destinate ad unire. Nel primo caso perciò le equazioni di elasticità conterranno le grandezze degli spostamenti che ogni nodo soggetto ad un vincolo sovrabbondante subisce, nella direzione d’azione di quel vincolo, per effetto delle varie sollecitazioni prese in esame. Nel secondo caso invece compariranno nelle equazioni stesse, le grandezze degli spostamenti relativi delle varie coppie di nodi, collegate da aste sovrabbondanti, prodotte dalle stesse condizioni di carico e misurati nelle direzioni delle congiungenti i nodi stessi. Allo scopo di conservare alla presente ricerca la massima possibile generalità pure mantenendo la. maggior omogeneità néi simboli e simmetria nelle formole, noi indicheremo coll’unica notazione schematica de la grandezza della deformazione degli elementi essenziali relativi alla incognita /, nella direzione di Y stessa, dovuti alla sollecitazione G = — 1, senza specificare se si tratti di reazioni sovrabbondanti ovvero di sforzi interni iper- statici. Intenderemo pertanto che, qualunque sia G, quando F è la reazione incognita di un vincolo sovrabbondante applicato al Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 29 454 GUSTAVO COLONNETTI nodo r nella direzione rry, dr rappresenta la proiezione del vettore è, sulla direzione rro; quando invece F indica lo sforzo interno incognito in un'asta sovrabbondante collegante fra loro i due nodi s e #, dre altro non è che la differenza fra le pro- iezioni dei due vettori d,c e dè, sulla direzione st ovvero. ciò che fa lo stesso, la proiezione sulla stessa direzione del vettore spostamento relativo è, — dre - Ciò premesso l’imporre che lo spostamento di ogni nodo soggetto ad un vincolo sovrabbondante misurato nella direzione d'azione di quel vincolo, sia eguale a quello che il vincolo stesso può effettivamente consentire, e che, nel tempo stesso, la varia- zione di distanza fra due qualsiansi nodi fra loro collegati da un’asta sovrabbondante sia eguale a quella permessa dall’ela- sticità di quell’asta, conduce al solito sistema di » equazioni: clima eresia Ndan ila re dt ipa Rina sete n e F, Ady,a + Bdy5+ .. È. “gal + ex) = dxp nelle quali con dx p si è indicata, per ragione di analogia, la grandezza della solita deformazione degli elementi essenziali re- lativi all’incognita /, nella direzione di stessa, dovuta all’a- zione dell'effettiva condizione di carico P, mentre si è detto €p il cedimento elastico dell’ elemento sovrabbondante (vincolo od asta, poco importa) nel quale si genera lo sforzo incognito dovuto alla forza unitaria = 1 su di esso direttamente ap- plicata. Le e fanno parte dei dati del problema; perciò il sistema di equazioni scritto determina completamente le » incognite ARS in funzione delle d le quali possono tutte ricavarsi dagli n + 1 diagrammi di deformazione della travatura principale relativi rispettivamente alla condizione di carico P data ed alle » sol- lecitazioni unitarie Ae, NL SULL'EQUILIBRIO ELASTICO DEI SISTEMI RETICOLARI PIANI 455 Il teorema di Maxwell si traduce nella ben nota equazione generica sdi condizione: dr _ dir. 2. Diagrammi circolari di influenza delle deformazioni e delle incognite iperstatiche. — In conformità a quanto co- stantemente si pratica in tutta la teoria delle linee d’influenza, assumiamo come condizione di carico P un'unica forza concen- trata ed unitaria applicata ad un certo nodo r della travatura data in una certa direzione 0. Costruito, nel modo già visto, il vettore Anp, spostamento del nodo generico m, considerato come appartenente al sistema, comunque iperstatico, effettivamente dato, sollecitato da quel carico P= 1, si indichi con Dnu,ro la proiezione di quel vet- tore sulla direzione arbitraria 4, cioè lo spostamento del nodo m nella direzione 4 prodotto da una forza unitaria applicata in » nella direzione g. Sopra un segmento equipollente a A,,», come diametro, sì costruisca una circonferenza: il segmento da questa intercetto sopra la parallela alla direzione 4 condotta per l’ori- gine di quel segmento misura, in valore ed in segno, lo sposta- mento in questione. Ma pel teorema di Maxwell tale spostamento Dmv.ro deve essere eguale a D,o,m , spostamento che il nodo r subirebbe nella direzione @ per effetto di una forza pure unitaria appli- cata al nodo m nella direzione w. Quella circonferenza può adunque assumersi come linea di influenza degli spostamenti di » nella direzione fissa 0 al va- riare della direzione w della forza applicata in m. Essa mette in evidenza come varii la grandezza di un tale spostamento quando la forza ruota attorno al suo punto d’ applicazione (°); (*) Il fatto che al ruotare della forza attorno ad » la proiezione dello spostamento di » sulla direzione fissa @ varia come la lunghezza del raggio vettore che da un punto di una circonferenza va alla circonferenza stessa, può assai facilmente essere messo in relazione con uno dei più eleganti risultati della teoria delle deformazioni dei solidi elastici, secondo il quale il luogo delle posizioni deformate del punto r è un ellisse che ha per centro la sua posizione iniziale. Cfr. W. Rrrrer, Anwendungen der Graphischen Statik, Erster Band (Zirich 1888), pag. 157. 456 GUSTAVO COLONNETTI determina in modo tanto semplice quanto intuitivo le due dire- zioni, fra loro opposte, che la forza deve assumere perchè lo spostamento di » secondo @ diventi massimo rispettivamente nel verso positivo ovvero nel negativo; individua in modo ana- logo le altre due direzioni, pure fra loro opposte ed ortogonali alle precedenti, che corrispondono a valori nulli dello sposta- mento in questione, epperò separano le direzioni della forza ge- neranti spostamenti di un segno da quelle a cui spettano spo- stamenti di segno contrario. Facendo corrispondere ad ogni nodo come m una cosiffatta circonferenza si ottiene un diagramma polare che esaurisce nel modo più completo la legge di variazione degli spostamenti di r nella direzione data 0 per forze unitarie applicate ai singoli nodi in direzioni affatto arbitrarie. Tale sistema di cerchi indicheremo perciò d’or innanzi col nome di diagramma circolare di influenza della considerata de- formazione. Non meno semplice sarebbe la cosa se, in luogo di stu- diare gli spostamenti assoluti di un dato nodo in una direzione data, si volessero determinare le variazioni di distanza di due nodi s e £, cioè le proiezioni degli spostamenti di uno di essi relativamente all’altro sulla direzione della loro congiungente st. Basterebbe infatti ripetere per un tal caso quanto sopra si è detto a proposito degli spostamenti assoluti con questa sola differenza che, come sollecitazione P dovrebbe assumersi l’in- sieme di due forze unitarie, applicate rispettivamente a quei due nodi, dirette entrambe secondo la detta congiungente, ma rivolte in versi contrari. Non ci fermeremo perciò su questa variante passando sen- z'altro a dimostrare che, quando il sistema reticolare dato venga in corrispondenza del nodo r assoggettato ulteriormente ad un nuovo vincolo agente nella data direzione g, ovvero quando i due nodi s e t vengano fra loro collegati da una nuova asta, i diagrammi di influenza delle corrispondenti deformazioni pos- sono interpretarsi come diagrammi di influenza dellu nuova gran- dezza iperstatica che così si è venuta ad introdurre nel sistema. Ed invero, detto .X lo sforzo incognito esercitato dal nuovo zincolo ovvero trasmesso dall’asta nuova, e dette Dxq e Dx,x to grandezze delle deformazioni di quegli elementi del sistema SULL'EQUILIBRIO ELASTICO DEI SISTEMI RETICOLARI PIANI 457 dato che son destinati a ricevere lo sforzo X, misurate nella direzione di X stesso, prodotte rispettivamente da una sollecita- zione esterna generica @ e dalla sollecitazione unitaria XA=— 1, l’imporre l'eguaglianza fra la deformazione Dxo = XDxx che per effetto della data condizione di carico Q deve verifi- carsì nel sistema dopo l'aggiunta del nuovo elemento sovrab- bondante, ed il cedimento elastico Xe X dell’elemento stesso, conduce evidentemente alla relazione dalla quale risulta che quel segmento, o quella somma di se- gmenti, che, nel diagramma di influenza delle deformazioni, misurava Dxg può anche assumersi come misura dello sforzo incognito X, purchè come unità di forza si adotti la lunghezza Dxrx 4 ex. Concludendo, il diagramma circolare di influenza di una qualsiasi incognita iperstatica X di un sistema reticolare piano altro non è che il diagramma circolare di influenza delle defor- mazioni degli elementi essenziali del sistema che dall’elemento sovrabbondante in questione sono vincolati, nella direzione di azione dell’elemento stesso, supposto che esso sia stato ideal- mente soppresso. Tale diagramma di influenza può pertanto dedursi dal dia- gramma di deformazione del sistema elastico così privato del- l'elemento da studiarsi ed assoggettato alla corrispondente sol- lecitazione unitaria csì il cui tracciamento può, per quanto si è detto nel paragrafo precedente, eseguirsi combinando geometricamente fra loro tanti 458 GUSTAVO COLONNETTI diagrammi di deformazione della travatura principale quante sono le incognite iperstatiche residue del sistema. 3. Applicazione. — Nella tavola che accompagna la pre- sente Nota, il procedimento sopra esposto è stato applicato al calcolo di un semplicissimo sistema reticolare dotato di due aste sovrabbondanti. Assunti come incognite iperstatiche gli sforzi X ed Y che si generano nelle aste 0,5 ed 1,4 (fig. a) (!°), si sono costruiti i diagrammi Williot della travatura principale relativi alle due sollecitazioni Y= —1 ed X=-1. Tali diagrammi non vennero, per economia di spazio, ri- prodotti in figura; gli spostamenti dei singoli nodi da essi dia- grammi forniti si trovano però riprodotti (con linee a tratto continuo) rispettivamente nelle due figure 0 e e. Per ogni nodo m del sistema si è poi geometricamente sottratto dallo spostamento Om della fig. è un vettore mm' (di- segnato a tratti e punti nella stessa figura) equipollente al cor- rispondente vettore 0wm della fig. c moltiplicato per quel valore Xx dello sforzo X che la sollecitazione Y = — 1 genererebbe nel- l’asta sovrabbondante 0,5 qualora questa venisse restituita in posto, valore che, come è facile verificare, è misurato da 7 dyy pa AIA dx.x + Ex I vettori come 0m' così ottenuti nella fig. è rappresentano gli spostamenti dei singoli nodi della travatura data supposta in essa soppressa la sola asta 1,4 e cimentata dalla sollecita- zione corrispondente Y= — 1; su di essi vettori, come dia- metri, vennero tracciati i vari cerchi costituenti il cercato dia- gramma di influenza della incognita iperstatica Y. Similmente, sottratti geometricamente dagli spostamenti Om (59) L'asta sovrabbondante 0,5 potrebbe anche indifferentemente essere sostituita da un vincolo sovrabbondante, per esempio mediante trasforma- zione dell'appoggio scorrevole di destra in una cerniera su imposta elastica. L’incognita X rappresenterebbe allora la spinta orizzontale di un arco @ due articolazioni. } SULL'EQUILIBRIO ELASTICO DEI SISTEMI RETICOLARI PIANI 459 della fig. ec i corrispondenti spostamenti Om della fig. 6 molti- plicati per il valore che lo sforzo incognito Y assumerebbe per effetto della solleci- tazione XA — — 1 qualora si ripristinasse il vincolo 1,4, si sono ottenuti i vettori Om' della fig. c, spostamenti dei singoli nodi della travatura data supposta liberata dalla sola asta sovrab- bondante 0,5 e cimentata dalla sollecitazione X = —1; si è potuto così tracciare il diagramma circolare di influenza della incognita iperstatica X. Come unità di misura delle forze nei due diagrammi si do- vranno assumere, come si è già detto a suo tempo, rispettiva- mente 1 segmenti Dry + €Ey e Dxyax + ex. Esaurito così lo studio della distribuzione degli sforzi in- terni, è sembrato non inutile tracciare anche un diagramma di influenza di deformazioni sia perchè si tratta di problema che non di rado si presenta direttamente nella pratica, sia anche perchè lo studio delle deformazioni di un sistema doppiamente iperstatico coincide in sostanza coll’ analisi dell'equilibrio ela- stico di un sistema contenente tre incognite staticamente in- determinate. Nell’intento di ottenere il diagramma di influenza degli ab- bassamenti del nodo 3 si è perciò costruito il diagramma Williot della travatura principale relativo ad un carico concentrato P=1 applicato verticalmente a quel nodo (!!). Da ciascuno spostamento come Om così ottenuto (fig. f) si sono poi geometricamente sottratti due vettori mm' ed m'm'" ‘equipollenti ai due spostamenti omonimi delle figure d e c, mol- tiplicati rispettivamente per Yp e per Xp, valori da Y e da X ('!) Nella fig. d vennero rappresentate le deformazioni prodotte nella travatura principale da una tal condizione di carico, allo scopo di metterle in confronto colle corrispondenti deformazioni della travatura iperstatica data (fig. e). 460 GUSTAVO COLONNETTI — SULL'EQUILIBRIO ELASTICO, ECC. assunti quando il dato sistema reticolare si trova sotto l’azione del carico P. Ora, a questo proposito, sono da distinguersi due casì. Se lo studio degli abbassamenti del nodo 3 è stato prece- duto dalla ricerca delle incognite iperstatiche, i valori Xp ed Yp possono considerarsi come noti, perchè forniti dai diagrammi di influenza di quelle incognite. Essi si trovano infatti rappresentati, nelle rispettive unità di misura, dai segmenti Dxp e Dyp intercetti sulle verticali, condotte pei poli di quei diagrammi, dai cerchi relativi al nodo 3; si ha cioè: ion odllih rip DE preilaao pestare Dyx €x Dry t. € Che se invece non si possiedono i diagrammi di influenza delle grandezze X ed Y, allora i valori Ap ed Yp possono de- dursi dalle due solite equazioni di condizione: Xp (dx x È ex) + Yp dxy= dx p Xpdyx + Yp (dry + €7) = dy.p dalle quali si ricava: dxp (dry +e) —-dyr4r.p Xo = L vpi (Arx tend tn) dra Y (dx xt Ex) dep — dx,pAra il (Ax x tex) (Arr tp) - dyrdyx Il primo caso si presenta più frequentemente ogni qualvolta lo studio delle deformazioni è scopo a sè stesso, mentre che ci si imbatte di solito nel secondo caso quando detto studio ha per scopo la ricerca della grandezza incognita della reazione di un vincolo ulteriore. Nell’un caso e nell’altro la costruzione degli spostamenti Om" (fig. f) effettivamente subiti dai vari nodi del sistema dato per effetto del dato carico P non presenta difficoltà; nè difficoltà può perciò presentare il tracciamento del desiderato diagramma circolare di influenza. Torino, Febbraio 1911. COLONNETTI G. - Sull'equilibrio dei sistemi reticolari. Atti della SR Accademia delle Scienze di Torino. Vol. DUE Ke C. BURALI-FORTI — ALCUNE APPLICAZIONI, ECC. 461 Alcune applicazioni alla geometria differenziale su di una superficie dell'operatore omografico O. Nota di C. BURALI-FORTI (Torino). L'operatore C, che applicato ad una omografia vettoriale a produce l’omografia Cazla— a, ha molte proprietà formali ('), ma finora esso è stato adoperato, nella teoria generale, più come simbolo abbreviativo che come utile strumento di ricerca. In questa nota dò alcune notevoli proprietà dell'operatore U applicato alla omografia che spontaneamente si presenta nella geometria differenziale su di una superficie, omografia che per- mette di trattare tutte le questioni generali in modo assai sem- plice e con zero coordinate. Di tale operatore C ne faccio alcune applicazioni generali al gradiente divergenza e rotazione, e ap- plicazioni speciali alla funzione caratteristica di una deforma- zione infinitesima. Scrivo per intero i calcoli, per provare ma- terialmente qual’è la semplicità dei mezzi impiegati in confronto ai metodi algebrici ordinari che necessitano di calcoli molto lunghi. 1. — Il punto P (variabile indipendente) vari in una su- perficie X e il vettore N, unitario e funzione di P, sia parallelo alla normale a 2 in P. Indicheremo con o l’omografia che trasforma i differenziali arbitrari dP, èP, ... di P (vettori normali ad N perchè P (!) C. Burari-Forti e R. MarcoLonGo, Omografie vettoriali (G. B. Petrini, Torino, 1909). Cfr. Appendice, p. 101-103. Citeremo questo libro con l’ab- breviazione O. v. 462 C. BURALI-FORTI varia in X) nei corrispondenti differenziali d N, dè N, ... di N (pure vettori normali ad N perchè N?= 1), cioè porremo __ dN (0) aP ‘ Le proprietà fondamentali dell’omografia o sono già note (?). Le formule importanti per l'operatore ©, alle quali abbiamo accennato, sono le seguenti, nelle quali x, «, v sono vettori: (1) c00 = 00 To:(1= NM) (2), e(V/\®= MC, Co(N/\x)=N/\0x. Se u, v sono normali ad N da (3) ou=% segue Lo.u= Cov. (4) gradpCo = GradpCo = 0, ovvero, il che equivale, (4°) gradp0 = gradpl;0, Gradpo = Gradpl;0. (5) gradpo = Gradpl;o — 1;0?. N. Sominciamo con l’osservare che si ha (a) o? —I,o.0 — I0.(1— H(N, N)). Invero. È noto che Ro N ==1,0.N e quindi applicando Ro ai due membri della identità ge =(N/\RPNN4+ MX. N si ha Rox = 0(N/\ a) \oN+Lo.NXx.N=]Lo.H(N N) x; ma è pure noto (0. v., p. 24, |2]) che Ro = Io —10.0-+ 0? e quindi è vera la (a). (*) O. v., Appendice, p. 105-111. Per altri lavori cfr. la mia nota Sulla rappresentazione sferica di Gauss, “ Atti Ist. Veneto ,, t. LXIX, parte 2, 1910. ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 463 La (1) risulta, allora, immediatamente da (a), osservando che oCo —=I0.0o — 0°. Le (2) risultano subito dalla nota regola di calcolo omogra- fico (0. v., p. 18, [7]), che è di continuo uso, a(ce \y=Ia.e \y—-%x/Kay4 y / Kax; invero applicando o ad N/\x e ricordando che oN=0 e che Ko—=0 si ha o(N/\x)=Io.N\xax--N/0x=N/\ oi ot. Co(N/\x)=10.N/\x—0(N/\\x)=ece. Operando con Co nei due membri dell’eguaglianza 0u= v, applicando la (1) e ricordando che, per ipotesi, w è normale ad N, si ha subito la (3). Da O. v., p. 60 risulta subito che gradpCo è nullo; quindi anche la sua componente normale rispetto ad _V, che è Gradp Co, è vettor nullo e sono vere le (4) e (4'). St ha (O.,y., pi 57, 10) divp(0.N) = I;0? + gradpo X N che, per essere oN=0 e per la (4'), dimostra la (5). Giova notare esplicitamente che la (4) compendia in un'unica formula semplicissima le due formule di MarsaRDI-CopAzzi (*°*), (22is) Se N è vettore unitario parallelo alle rette di una congruenza 0 di un complesso, allora (Cfr. la mia nota Sulla Geometria differenziale asso- luta ....., questi Atti, 1910) la rot N non è nulla e da O. v., p. 60 si ha dN grad pC TI rot rot N e rotrot N, in generale, non è nullo. È molto probabile che i numeri d;2 do considerati da G. Sannia in un suo notevole e recente lavoro (Su due forme differenziali che individuano una congruenza 0 un complesso di rette, “ Ren- diconti ,, Palermo, 1911, t. XXXI) siano le proiezioni di gradpC i sul vettori derivate parziali di P rispetto ad « e ©; il che semplificherebbe no- tevolmente tutta la trattazione. 464 C. BURALI-FORTI e che 1,0? è la somma dei quadrati delle curvature normali e torsioni geodetiche in due direzioni ortogonali, arbitrarie, nel punto P di >. 2. — Sia O un punto fisso arbitrario. Se si pone S = O + IV allora S è punto, funzione di P, che, col variare di P in X. descrive l’indicatrice sferica (di centro 0) di X. Se £ è un ente funzione di S, e quindi anche funzione di P, e derivabile rispetto a P e ad S, allora si ha dh __ dh (1) eat perchè, identicamente, dh _ dh dS ds dO0+ N AN __ dp asa PI gb, ag e Se nella (1) si pone al posto di % un vettore @ funzione di P, allora la (1) si può risolvere rispetto a ci e 81 hagla formula notevole du _du (2) Longa ovvero, ponendo per Co la sua espressione l;0 — 0, r di du __ du (2’) 0. gg = ho. pini O: Infatti. Operando, a destra, con Co nei due membri della (1), dopo aver sostituito w ad 4, si ha, per la (1) del n. 1 du daP DE. \du __du Jjer |du _ du xl (3). Co=1,0.tf SUH(N, N) —ho.}l (VIEN) ma essendo e funzione soltanto dei punti di X, o della indica- (*) Se e, sono vettori e a è omografia, si dimostra facilmente che aH(u,v = H(w, av), H (x, v)a= H(Kax, v). ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, Ecc. 465 trice (e quindi costante lungo le normali in P_od S alle due su- perfici), la derivata di w nella direzione N (normale alla sfera in S), cioè n N, vale zero, e quindi resta dimostrata la (2). 8. — Siano, g un numero ed w un vettore funzioni del punto S, e quindi anche funzioni di P. Si hanno le formule (1) Lo. Gradsp = CoGradp@, oGradsp = Gradp@ (2) Io. divsu = ho. divpu —k (fu 0) (3) J30 . rotsw = 10. rotpw — 2V (E 0) le quali permettono di calcolare gradiente divergenza e rota- zione rispetto ad S quando siano noti i corrispondenti elementi rispetto a P, o viceversa (4). Applicando i due membri della (1) del n. 2, con @ in luogo di A, al vettore arbitrario x, si ha do n__ ap = as (0%) dalla quale (0. v., p. 50, [3]; p. 18, [6]) X X gradp@ = (0x) X gradsp = x X ogradsg; ma x è arbitrario, grad coincide con Grad (5) perchè @ è fun- zione di P, e quindi si ha la seconda delle (1) (9). La prima si ottiene operando con Co nei due membri della seconda (n. 1). Operando nei due membri della (2’) del n. 2 con I, o con 2V e ricordando (0. v., p. 56) le definizioni di div e rot, si hanno subito le (2), (3). (4) Rispetto ai metodi algebrici ordinari, con cinque coordinate e nove coefficienti delle tyxe forme differenziali quadratiche per ogni punto di 2, le formule (1), (2) (non la: (3), non considerandosi la rotazione) sostitui- scono la trasformazione degli invarianti rispetto alla 1* forma differenziale in invarianti rispetto alla 3* forma. È utile il confronto tra i due proce- dimenti. (*) Cfr. la mia nota Gradiente divergenza..... (£ Atti Acc. Torino ,, 1910). (6) Direttamente da 0. v., p. 52, [8]. 466 C. BURALI-FORTI Vediamo un’applicazione delle formule precedenti. Sia w la distanza di O dal piano tangente a X in P, cioè sia Wwe (e 0) X NV, e si supponga che, almeno in un campo conveniente di X, la corrispondenza tra P ed S si possa considerare univoca e re- ciproca. È noto (") che (4) Gradpw = 0(P— 0) dalla quale risulta subito, per la (1) e la (1) del n. 1, (4) Gradsu= P_0—- uN. Se, per brevità, poniamo u=P_0—-uN si ha facilmente dalle cose note e ricordando che, in Z, la divp(P-- 0) vale 2, divpu=2— ul;0, rotp= N /\\0(P— 0) du ROC Le «1 é pila #0 H.(0°( 0), N) La 0) = Lo — w(1,0)? + 21,0 2V (57 o) = o. NA6o(P-- 0)— 0. N\(P_- 0). Sostituendo nelle (2), (3) si hanno le formule (5) 2w0 + divs Grady w = ha (6) rots Gradsw= N/(P— 0), e tenendo conto dell'espressione citata di roty Gradsw si ha pure (n. 1). (7) rotp Gradsw = CorotsGradsw. (*) Cfr. la nota (°). ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 467 La (5) è nota (cfr. la nota (?)) ed ha forma ordinaria com- plicata. 4. — Sono anche notevoli le espressioni di Grad, divw, rotu, rispetto a P o ad S mediante due differenziali arbitrari, normali ad _N, dP, èP di P. Poniamo, per brevità, (a) m = APX N e supponiamo che per dP e èP non paralleli, il loro verso sia tale che (5) db\bP=mN da cui segue, perchè cdP=4dN, còP= dN, (c) dN \\dN = ml30. N. Ciò posto, avendo ®@ ed « il solito significato, si ha (1) mGradpg = N /\ (0p.dP— do .dP) (2) m divpu = N X(dP /du—-dP/\du) (3) mrotpu =(N/dP)/\du—-(N/P) du. Non sarà inutile ripetere (8) la dimostrazione di queste formule. Essendo Gradpg normale ad N si ha identicamente, poi sviluppando, mGradpp=mN/\(Gradpg \MNM)=N/\}Gradpg /\(AP\dP)\= = N/\(Gradp9 X dP.dP— Gradp9 X dP.dP) che dimostra (0. v., p. 51, [4]) la (1). Se calcoliamo (0. v., p. 7, (3]; p. 17, (2}) V1-3 e 2V rispetto alla terna dP, dP, N e ricordiamo che Sa dP du ir du De du a apiP=du, pèP=du, N=0 (3) Sulla rappresentazione....., l. c., n. 5. 468 C. BURALI-FORTI si ha mdivpu=dP/\NXdu+ N/\\dPXbu mrotpu = (dP /\ N)/\du+(N/4dP)/\du, che, applicando una regola elementare di calcolo vettoriale, dànno subito le (2), (3). Se nelle (1), (2), (3) si pone S al posto di P e si tien conto della (c), si ha, senza calcoli, (4) mio. Gradsg = N/\ (d@.dAN— dp. dN) (5) mbo.divsu = NX(dN/du—-dN/ du) (6) mIgo.rotsu =(N/dN) \du—-(N/dN) /\ du. In queste formule, che dànno Grad, div, rot, rispetto ad S, si può al posto di 4, dè N porre, quando giovi, od P, còdP. I secondi membri delle (2), (3), (5), (6) sono funzioni alter- nate di dP, èP e di AN, dN; devono dunque esprimersi appli- cando un operatore lineare a VETNOP = IN o a AN/\èN=mL0.N. Se introduciamo l’operatore R. per una coppia di omografie (0. v., p. 105), si hanno le formule du dive =|R(1, 02) N|x N=|[0TEN|X N UNA ch 0 foreign =[r (o, Sv] n Di che, crediamo, siano interessanti più per la forma assoluta che per le applicazioni alle quali possono condurre, non essendo R operatore lineare per le omografie. Dal confronto delle (4), (5), (6) con le (1), (2), (3) risultano ancora le (1), (2), (3) del n. 3; ma i calcoli occorrenti (special- mente per la (3)) sono molto lunghi, il che è dovuto alla pre- senza di dP e dP che funzionano da coordinate di Gauss nel ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECc. 469 punto P. Ciò conferma ancora una volta che l’assenza completa di coordinate facilita i calcoli (*). 4%. — In alcuni casi è utile considerare un numero @, o una omografia a, e un vettore w funzioni del punto generico @ del campo a tre dimensioni connesso a X, funzioni, in generale, non costanti (come si è supposto del n. 4) lungo la normale a X in P. In tale ipotesi si hanno le formule : (1) mgradpa=da (VA dP) — da (NA dP) + m (7 N)N (1) mGradpp= N/\ (0pdP— dodP) (2) mdivpu = NX (AP/\du—dP/\ du) +mN x N (3) mrotpu =(N/dP)\du—-(N/dP)\du par 28 N. Le (2), (3) si dimostrano come le (2), (3) del n. 4 tenendo conto anche dell’ultimo termine. Per la (1) si ha (0. v., p. 57, [10]; p. 47, [7]) essendo « vettore costante arbitrario mgradpo X a = mdivp (Kaa) = NX aP/\è(Kaa) — N Xx dP /\ d(Kaa) + = N/\dP X (Kda)a — N/\ dPX (Kda) a + DV x (Sk (Ka) Ma = da(N/\ dP)— da(N/ dP) + m(%, wai Xa che per l’arbitrarietà di a dimostra la (1). (*) Ecco un cenno del calcolo per ottenere le (2), (3) del n. 3. Applicando la (2) del n. 1, dopo aver commutati X e A si ha, con alcuni calcoli, ml30 . divsu = ml,0 . divpu — NX}dP / odu — dP A cdu|; t a 2A posto pes mine si riduce a 771,(a0). In modo analogo si ha mI,0 . rotgu = ml,0. rotpu — }0(N / dP) /\ adP — o(N / dP) /\ adPi. Occorre ridurre l’ultimo termine a 2mV(ao), il che per calcolo diretto è complicatissimo. Indirettamente, dopo aver notato che il vettore entro } l è funzione alternata di 4P e èP, si può supporre dP e dP ortogonali ed applicare la formula [4] a p. 24 di O. v. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 30 e applicando la solita formula (0. v., p. 18, [7]) l’ultimo ter- 470 C. BURALI-FORTI La (1’') risulta dalla (1) osservando che (SE N) A=gradoo XV. dP FTSPARRO, o rs Giova pure osservare che KE VO SN EE A(an (prat N, perchè cN=0, e quindi per a N=0 anche nella (1) manca l’ultimo termine. Dalla (1) si può ancora dedurre la (4) e la (5) del n. 1, però con un calcolo abbastanza lungo, e ancora una volta resta provato che l'introduzione delle coordinate complica i calcoli. 5. — Una notevole applicazione delle formule dei numeri precedenti si ha per la determinazione delle superfici X, che corrispondono a X per ortogonalità di elementi; in guisa cioè che, se P, funzione di P descrive X,, si abbia dP, X dP= 0 qualunque sia il differenziale (normale ad N) dP di P (1°). Si ha il teorema: Affinchè il punto Pi, funzione di P, de- scriva, col variare di P_in Z, una superficie %, che corrisponda a X per ortogonalità di elementi, è necessario e sufficiente che per qualsiasi differenziale AP di Psi abbia (1) dP,=(0N+ Grady®) /\ dP, ('9) Ciò equivale, come è noto, a determinare le deformazioni infinite- sime di Z considerata come flessibile e inestendibile. Se e è numero infinitesimo costante, P, è punto funzione di P e si pone Q=P+e(P,.-0), con la condizione (a) (40) = (aP, si ha una deformazione infinitesima di Z. Osservando che dQ=dP+edP, quadrando e trascurando e? si vede subito che la (a) equivale a dP,X dP=,0 ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 471 ovvero, il che equivale, (1°) dba ={@V /\ +7 o Orade®/\0) dP, essendo @ uno qualunque dei numeri, funzioni di P, che soddi- sfano alla condizione (2) divp(gp N + Grads@) = 0, ovvero, il che equivale, (2) divp (N+ CoGradp 9)= 0. DimostRAZIONE. — Dovendo esser sempre d P, normale a d P si potrà porre (a) IP dP e v sarà vettore funzione di P, ma indipendente da d P, perchè tale è l’omografia di che per la (a) vale, almeno nel piano tan- gente a X in P, v/\. Il vettore © non può esser arbitrario, ma tale che per d e è qualunque si abbia (condizione d’integrabilità) d@dP; ezzidd Pi, condizione che, per la (a) e per la formula che da essa si ot- tiene cambiando 4 in è, diviene subito dv \\dP— dv \dP=0. Introducendo l’omografia di e applicando una nota regola di calcolo vettoriale, già più volte applicata (0. v., p. 18, [7]), la condizione d’integrabilità assume subito la forma SS pidP./\dP- Kî b(AP/\dP)=0, o, più semplicemente, ((ò) del n. 4) (0) divowo. N-K& N=0. 472 C. BURALI-FORTI Il vettore ® si scomponga nella somma di un vettore pa- rallelo ad N con uno normale ad N, il che può sempre farsi, e si ponga (c) v=@N+, con 9 numero e wX N=0. Da questa posizione si ha (0. v., p. 53, [11]) ap = 99 + H(Gradro, N) +57 K ® = go + H(N, Gradp@) + K ÎL (a) KS N= Gradpo + K 4 N. Ma per ipotesi wu X N =0 esi ha quindi (0. v., p.47,|4]) (e) KS NY ou=0. Per le (c), (4), (e), la (0) diviene divp(PN+%).N= Gradpp — 0u. Ma il primo membro è vettore o nullo o parallelo ad N e il secondo è vettore o nullo o normale ad N; quindi si deve avere (7) divp(PN+)=0 e cu = Gradp@. La seconda delle (f) dà appunto (n' 1, 3) u= Gradsp = Ra CoGradpp, 90 il che, per la prima delle (7), dimostra la (2) e la (1). La seconda forma della (1), cioè la (1°), si può ottenere così. Essendo Grads® /\ dP vettore parallelo ad N, applicandogli 0 sì trova, in virtù di una formula già tante volte applicata, 0=1,0.Gradpg /\ dP— Gradp@ /\ 0dP+ dP /\ cGradp9, ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, Ecc. 473 vale a dire 1,0. Gradp@ /\ dP— oGradp9 /\ dP= Gradpg N 0dP, e in conseguenza Grads® /\ dP= ; CoGrad,@ / dP 2 = Di } 1,0. Gradr@ /\ dP— 0Gradrg / dP| 1 Eriol Gradp@ /\ cdP (1). 6. — La funzione © ora considerata è (a meno del segno) l’ordinaria funzione caratteristica, la Verschiebungsfunetion di WernearTEN. La condizione (2), o (2'), è, sotto forma semplicis- sima e puramente geometrica, l’ordinaria equazione caratteristica. Vediamo come si ritrovano facilmente delle note proprietà di 9. Dalla (1) del n. 5 (prima forma) si ha dPXdP,= (@N+u)XxdP\sP= m(N+u)XN= mo, dPXbdP,=—(Pp.N+u)XdP\dP=—-m(N+uXN=—mq, (44) Con i metodi algebrici ordinari si esprimono le derivate parziali delle coordinate cartesiane di P rispetto alle coordinate u,v di Gauss in È, , ; è P, mediante £, F, G, D, D', D", X, Y, Z, K (sei formule). Esprimendo la i ( (il che basta) vettorialmente e sostituendo alle lettere £, F....., ora indicate, i loro valori assoluti, e cambiando Si in d, dopo lunghi calcoli si ottiene Cc la (1) (a meno del segno di @). Operando analogamente nell’ordinaria equa- zione caratteristica si ottiene la (2). Queste riduzioni offrono un notevole esercizio per prendere pratica nei calcoli vettoriali; giovano anche perchè sì vedono sparire gradatamente gli elementi algebrici convenzionali e sub- entrare gli elementi geometrici effettivi. La dim. delle (1), (2) è completamente diversa dall’ordinaria, nella quale si assegna a priori la @ (Cfr. n. 6), indi da complicate equazioni si ricava, in sostanza, il dP, e finalmente si trova l'equazione caratteristica. 474 C. BURALI-FORTI da cui si trae subito (0. v., p. 16, [1]) Imp = dPX Gap — APT sp=2v “4 x aP/\dP o anche (1) p=-NXNVÉ, e_N iokh che dimostra un noto teorema di VoLTERRA (!?). Dalla (2) del n. 5 risulta subito che: se ®@, w, ... sono solu- zioni della equazione caratteristica, anche ag + bw + ..., con a, b costanti, è soluzione della stessa equazione, perchè div e Grad sono operatori distributivi, e commutativi col prodotto per un nu- mero costante. Il coseno dell'angolo che N fa con una direzione fissa è so- luzione dell'equazione caratteristica. — Invero. Se è è vettore unitario costante e si pone g= NXé= cos(N, è) si ha (9) Gradp@ = dé e quindi Gradsp=i—@N e divp(@.N+ Grads@)= divpà =0. Ma si hanno anche altre proprietà che non sono note. Dalla (1’) del n. 5 risulta subito (2) dg oN\+56 Gradp9 /\ 0, iP dP piano fangenta a X in P, inoltre per la direzione N dà, identica- mente, di NM poichè tale forma del “ vale (in virtù della (1) del n. 5) per il (12) Sulla deformazione delle superfici flessibili e inestendibili, © Rend. Lincei ,, 1884. (15) Cfr. la mia nota Gradiente....., l. c. do valga (PN SL Grads®) A, poichè tale omografia (valida nel piano tangente) applicata ad N non dà lo zero. (#*) Dalla (1) non si può dedurre che ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 475 Dalla (2) si trae (0. v., p. 19) aP, 1 e (3) Vara Gi Ea CoGradppg = © Pro Grads®, dalla quale si può, di nuovo, dedurre la (1). Dalla (1) del n. 5 si ha subito (4) dP, \ dP,=m@(9_N + Gradsg), la quale prova che: la normale a X, nel punto P, è parallela al vettore PN “e Grads® ’ cioè a quel vettore la cui divergenza, rispetto a P, dev'esser nulla affinchè @ individui una deformazione infinitesima di >. Dalla (4) risulta pure subito che: il limite del rapporto tra due elementi corrispondenti di area in P, e P è po? + (Grads9)? che dipende dal valore di ® in P. Se per mezzo della terna, non complanare, d P, è P, N si cal- cola (0. v., p. 7, [3]) VI si trova, in virtù della (4), 2], dh (5) P A I, dP che dà un nuovo significato della funzione caratteristica ©. Nel n. 5 noi abbiamo calcolato dP, determinando @ ed in modo da dare a dP, la prima forma (1). Se invece vogliamo calcolare @ e w% in modo da dare a dP, la forma (1), dP,=N/\dP+ w /\ odP, allora con procedimenti già noti, sebbene con un calcolo più 476 C. BURALI-FORTI lungo di quello del n. 5 (!5), si ottiene come equivalente di ddP, = dòP, la condizione (91,0 + Lo . divse) N= Gradpg — Lo. w. Si ricava subito da questa igpe= ca Gradp @ 130 ce e si ha la (1) del n. 5. La equazione caratteristica assume invece la nuova forma (6) lo.9-+-1,0.divs(;1, Gradr@)=0. La formula ora ottenuta confrontata con la (2) del n. 5, dopo avere osservato che (0. v., p. 57, [8]) 1,0.@=divr (9), (15) Occorre calcolare il vettore k=dw AdN— dv /\ dN, e ciò può farsi in due modi. O mediante l’identità k=kXN.NTH(NNKAN oppure osservando (0. v., p. 105) che introdotta l’omografia ni sì ha Applicando allora la formula [1], seconda forma nel 1.c. delle O. v., sotto la forma seguente, del resto equivalente a quella di O. v., R(a, 8)=Ia.IR — I;(a8) — K(Ca.B+-CRB.a), si trova (n. 3, (2)) k=— mIo. divygWw.N—-mI0.w come col primo metodo. ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 477 perchè Gradpg è normale ad N, esprime che: se @ verifica l’e- quazione caratteristica allora si ha identicamente (7) divs (j1, Gradro)= 3 divo Gradso. 7. — Sia @ un numero funzione di P variabile in X. Il piano ty parallelo al piano tangente a % in P e distante (di- stanza con segno) di @ dal punto fisso O inviluppa una super- ficie Xp. Se indichiamo con Po il punto nel quale my tocca Xp, allora Pp sarà il punto, funzione di P, che descrive, col variare di Py in 2, la superficie Xg. L'espressione generale di Po, mediante ® e gli elementi di Z, è (1) Po=0+@N+ Gradso. Invero. Essendo Pg un punto del piano mr, e tale piano distando di @ da O si deve avere (P_0)XN=@ (perchè tm, è normale ad 2) e quindi si potrà porre Po=0+9N-+4u COHOWX N= 0 Il vettore « deve essere tale che la normale a 2g in P sia (secondo la definizione di Xg) parallela ad .V; deve cioè essere 0=NXdPo=do+duX N=dpo—-uX4dN, il che, per essere AN = dS, esprime appunto che u = Grads® e quindi la (1) è dimostrata. In particolare avendo w il solito significato (n. 3) si ha dalla (1) (1) P,=P=04+wN4+- Gradysw come si è già trovato per altra via (n. 8). 478 C. BURALI FORTI Se © è la funzione caratteristica di una deformazione infini- tesima di Z, allora, in virtù della (1), l'equazione caratteristica ((2) del n. 5) assume la forma (2) divp Po ="0° Se y è un altro numero funzione di P, e Py ha il. signi- ficato stabilito per la (1), allora dalla (2) del n. 4 si ha, e senza calcoli, (3) mq . dive, Py= my. divp,, Po, ove sl è posto mo = dPo \ dPa XK N. La (3) esprime che da dive, Py=0 segue dive, Fo=0 e vicenerae vale a dire dimostra il teorema: se yw è funzione caratteristica per una deformazione infinitesima di Xp, allora @ è funzione ca- ratteristica per una deformazione infinitesima di Xy, e viceversa. In virtù della (1') si può nel teorema ora enunciato cam- biare Xp, 2y in Z, Xp e ®, y in v, 9. Si ottiene allora un teorema noto (Cfr. BrancHi). Le superfici X, Xp diconsi associate, ma possono chiamarsi associate, in generale, Zp, 2y e studiarne le proprietà di collegamento come si fa per X e Xp (16). (46) Il teorema particolare per X e © (dal quale, del resto, si risale facilmente al caso generale), si dimostra riducendo l'equazione caratteristica alla forma (a) (60224 90)(Gute®) + (wun+ 20) (Part-9P) — Not f20) (Prot f9) = 0, che per esser simmetrica rispetto a w e @ dimostra il teorema. Giova confrontare la (a), in un caso particolare, con la (3) del caso generale. È anche interessante la riduzione della (a) a forma assoluta. Ponendo al posto delle derivate covarianti (Cfr. la nota (*)) i loro valori, lo stesso facendo per e, f, g, e sostituendo d, è alle derivate parziali, si ha, ad es., 1099 + gw = dGradsw X dN + w(dN) = dN X } dGradsw + wòd Ni =dNX | doN + Gradsw)— do. Ni=dNXP; (Vedi seguito della nota a pag. seguente). ALCUNE APPLICAZIONI ALLA GEOMETRIA DIFFERENZIALE, ECC. 479 Il fatto che w è funzione caratteristica per X è, in virtù della (2) del n. 4, espresso anche dalla formula semplice (4) N X (dPo \ dPy— dPo \ dPy)=0, che, per esser simmetrica rispetto a @ e w, dice anche che @ è funzione caratteristica per Xy, come si era già dedotto dalla (3). Se nella (4) si pone al posto di _N il vettore, ad esso pa- rallelo, AN /\ dN e si sviluppano i prodotti, si vede subito che se @, w sono funzioni caratteristiche per Zy, Zo, allora alle dire- zioni d, d assintotiche per una superficie corrispondono direzioni coniugate per l’altra; viceversa: se Xp, Zy sono tali che alle di- rezioni d, dè assintotiche per una di esse corrispondano direzioni coniugate per l’altra, allora ®, w sono funzioni caratteristiche per Ty e Xp. Possono così generalizzarsi facilmente note proprietà delle superfici associate (!). 8. — Avendo ancora Py il precedente significato, si ha la formula i aPy \ bPpX N m dGrady® dP ; (1) = ho. 9(p + divsGrads@) + IL la quale prova che: è limite del rapporto tra due elementi cor- rispondenti di area di XZo e X in Pg e P_ha dl valore del secondo membro della (1) e dipende da ©. operando analogamente per gli altri fattori della (a) ed applicando note regole di calcolo elementare vettoriale la (a) assume, finalmente, la forma h0.NX}dPp \dP— SPo A dP}=0 che per la (2) del n. 4 dice appunto che div pPo =0 che è la nostra (2) del n. 5. Qui risulta assai notevole la complicazione prodotta dalle coordinate e dalle forme differenziali quadratiche. (Cfr. la (4) seguente). (4) Per ottenere altre proprietà delle superfici Z@ e loro combinazioni lineari (baricentriche) giova osservare che per a, d, costanti si ha Pap + Poy=(1—-a—%0+ aPo + bPy. 480 C. BURALI-FORTI — ALCUNE APPLICAZIONI, ECC. Se nella (1) si pone w al posto di @, si ricorda che P,, = P e si tien conto della formula (5) del n.3 si ha dGradyw0 (2) ei wI,0 + w?°L0 (15). Dimostriamo la (1). — Dalla (1) del n. 7, dopo aver posto (a) u = Grads® si ricava subito (69) dPo\dPgXN=mls0.9?+m130.@divsu +4 du/ du XxX N. Calcoliamo l’ultimo termine della (5). Si ha identicamente i __ du du Ma, du _ (e) du/duX N=% aP PX N=m(k dt N) XN Dalla nota espressione di R (0. v., p. 24, [2]), e tenendo conto, come si è visto nel n. 5 (e), che > du ligne e = È , ns) ou, (!8) Allo stesso risultato si giunge con le formule del n. 3, osservando che, variando P in 2, si ha: SN=0, hi=2, hip=l dm aP e quindi costante lungo la normale a X in P. Si noti che se r, ra sono i raggi principali di curvatura di Z in P, cioè se e la prima vale, poichè ——- N=0, qualunque sia m funzione definita in X allora la (2) assume la forma dGradsw _ 1 È dP rT9 C. H. SISAM — ON ALGEBRAIC HYPERCONICAL, ETC. 481 si ha successivamente du _ du du\ du SAI nia Le -(h DR Ae a ) du È — dUu\ x du Di du i v=(1,%%) » +(1 du) ov (K mom. (RI NXNCLE di du —uX E N_hp: Sostituendo nella (c), poi nella (2) e tenendo conto della (a) si ha la formula (1). È poi chiaro che dalla (1) si ricava il limite del rapporto di due elementi di area in Zg e Xy nei punti Pp, Py. Torino, Febbraio 1911. On Algebraie Hyperconical Connexes in Space of 7° Dimensions, By C. H. SISAM (Urbana, Ill., U. S. A.). 1. The term “ algebraic hyperconical connex in space of r dimensions , will be used in this paper to denote the entity de- termined by the pairs of points in S, whose coordinates satisfy an equation m U (4 (1) Regata lg, I. yes, where (xy) is a polynomial, homogeneous of degree m in the coordinates of the point (x) and homogeneous of degree » in the coordinates of the point {y), and satisfying the condition that, if the point (x) is fixed, F(y0...y.)=0 is the equation of an hypercone with vertex at (x). In $3, this entity has been studied by Masoni (*). It will be shown (Section 2) that, if m >, F(xy)=0 determines the (*) Masoni, “ Rendie. dell’Accad. delle Scienze di Napoli ,, vol. XXII (1883), pp. 145-164. — See also the recension of Secre in © Jahrbuch der Fortschr. d. Mathem. ,, Bd. 16, p. 724. 482 C. H. SISAM principal coincidence of a point-line connex in S,. From this point of view it has been extensively studied (*) in Sy but only slightly treated in space of more than two dimensions (**). It will also be shown that, if m = n, F(xy) =0 determines a line complex in S,. This case has also, therefore, been extensively studied. 2. Let (x ...7,) be the coordinates of a point and:(po1,.-Pr1») be the coordinates of a line in S,. The equation of an algebraic point-line connex in S, is of the form mn n (2) Fi(xo ii Poi vLO + Pre1 ») = 0) 5 where m > n. If we impose the further restrictions that the line (p) passes through the point (x), we obtain the principal coincidence of the connex. Let (y) be a point, distinet from (x), on such a line (p). Then (3) PP, ="; — 6) — Up LS On substituting these values of p;; into equation (2) we obtain an equation of the type (1), that is, the equation of an hyperconical connex (***). If, in equation (2), m = », then f=0 is the equation of a line complex. Let (x) and (y) be two points on a line (p) of the complex. On substituting the values (3) for the line coordi- nates into the equation of the complex, we obtain the equation of an hyperconical connex in which m = n. Conversely, let (1) be the equation of an hy pereonioa, connex. We shall prove that, if m= n: m m_n n Figi. Cr 3 Yo- ESTA el. Tr Por ss bepritlioà where (poi - . - P,_1,) are the coordinates of the line joining (@) (*) See, e. g., CLeBsca, Vorlesungen iiber Geometrie, Vol. I, Chapter 7. (**) VeneronI, “ Memorie Acc. d. Scienze di Torino ,, (2), vol. LI (1901); and “ Rendiconti Circolo matematico di Palermo ,, t. 26 (1908). — KaswER, “ Transactions of American Math. Society ,, vol. 4 (1908). (***) Equation(2) may be of such a form that it is satisfied by the coor- dinates of every incident point and line. In this case F(ry) = 0. ON ALGEBRAIC HYPERCONICAL CONNEXES IN SPACE, ETC. 483 to (y); and that, if m<%, F(xy)=0. It will therefore follow that: if m>n, F(xy) =0 determines the principal coincidence of one — and therefore of infinitely many — point-line connexes; and, if m=n, F(xy)=0 determines a line complex of degree n. To prove the above theorem, suppose first that m = 0. Then (xy) =0 is the equation of an hypercone with vertex at any point whatever of S.. Hence F = 0. Suppose, next, that n=0. Then F(xy) is independent of (yo ...y,) and f(xp) is independent of (poi -- - p,-1,). We may therefore put at once F=f. We shall now suppose that m >0 and n >0. By Euler's theorem of homogeneous functions (4) mn F = v Li %; > "i i i=0 3j=0 If the point (x) is fixed, the hypersurface / (yo ... y,) = 0 is an hypercone with vertex at (x). The polar hyperplane of any point (y) in S, therefore passes through (x). Hence Dai o 0. Differ- entiate this identity with respect to %,, taultipl the result by y;, give j the values 0, 1, ...r and add the resulting equa- tions. Then (5) nF+ 3 Vv Gg E st dj dvi da; Il del ne) From (4) and (5) we obtain (6) (m + 1a F= YY, Yic; — Yi) DA dyi dx; 1=0 j=0 v r pi d°F d°F = Pij ei De DUB dx; drjdai i=0 j=1+1 where p;;= yit; — y;t., so that (por; - + -1P,-1,) are the coordìi- nates of the line joining (y) to (x). 484 C. H. SISAM dF DON Ù dYidE; dyjdari of degree m — 1 in the coordinates of (x) and of degree n —1 in those of (y). If n= 1, the theorem is therefore established. The proof for n >1 will be by induction, the truth of the theorem being assumed for any hyperconical connex, the degree of whose equation in (Yo ...y,) is less than n. All the derivatives of order n—2 of each of the functions dF _dF dyida; © dyjdi Each of the expressions is hcmogeneous with respect to %0,%1--.%, vanish identically KA 00 Î DIETA aa dyot0dy 1... dyr®\dyidxj —dyjdei be such a derivative for one of these functions. By hypo- when (y) coincides with (x). For, let o ad o CILOAE ; SR e = ( thesis: pio ya A ) if (y) coincides with (x). Hence ot d°F ) 0" -. — 3 reduces to > al dystdYy n... dyr%r = asp dyoto... dyit 1... dyjtt1... dyr&r when (y) coincides with (x). By similar reasoning, it is seen nt d? E t Pie a dyotody®... dyr%r \ dyjdri PARI dF dr 2 er - Ste OYidX; dYjdri 0 dyot0dyM... dy rr Pag with (x). Hence MORTO gi the equation of an hy- dYidr;j dYjdri perconical connex of degree n—1 in (Yo... y,) and of degree m—1 in (x... ©). Hence, if m=#, ) reduces to the same expression, and therefore that when (y) coincides Y°F d?F m_n n—-1l dyidr; © dysdri Ji (&0 Tri Por Pros) (7) and, if m, the m — n points on any line (p) whose connex hypercones contain (p) will be called the connex points of (p). By direct extension of the reasoning of Masoni (sections 5 and 6 of his previously cited article) we obtain the following two theorems. Let A, be an invariant of degree s in the coefficients of the binary form which determines the m — n connex points of a line in S,. The locus of the lines in S, whose connex points are so situated that this invariant is zero is a line complex of In this -case F(xy)=0 determines one and of a line complex in S, involves homogeneous Ss degree > (m+ n). Let A, be an invariant, of degree s in the coefficients, of an hypersurface of order n in S,_1. The locus of a point whose connex hypercone is the projection from (x) of an hypersurface in an S,_, for which A,=0 is an hypersurface in S, of order a (mr — n). As a particular case of the second theorem, let m = » and let A, —=0 be the condition that the hypersurface in S,_, have a node. Then s=r(n-— 1)". Hence, the singular hypersurface of a line complex of degree n in S, is of order (r-1)n(n—-1)T. (*) See, for r=4, W. H. Youne, “ Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIV (1899). L’ Accademico Segretario CorRRADO SEGRE. 488 CLASSI UNITE Adunanza del 12 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE COMM. ANTONIO MANNO DIRETTORE DELLA CLASSE. Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: Naccari, Direttore della Classe, D’Ovipio, SEGRE, JADANZA, GuarescHI, Guipi, FiLeri, PARONA, GRASSI, SOoMGLIANA, FUSARI, BaLsiano. — È scusata l'assenza del Socio CAmeRANO Vice Pre- sidente dell’Accademia; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche : CarLe, RenIER, Pizzi, CHironi, Rurrini, BronpI, EINAUDI, Baupi pi Vesme, ScuiapareLLi 6 De Sanomis Segretario. — È scusata l'assenza dei Soci BoseLLi, Presidente dell’ Accademia, SramPINI, D’ErcoLE e SFORZA. È letto ed approvato l'atto verbale dell’adunanza antece- dente 27 novembre 1910. Il Presidente comunica che il Socio SrAmPINI scusa la sua assenza accennando al lutto domestico che l’ha colpito. L’Ace- cademia delibera d’inviare al Collega, per la morte della madre, l’espressione delle sue più vive condoglianze. Si leggono poi le partecipazioni della morte di Antonio Fogazzaro, inviate dal R. Istituto Veneto e dall'Accademia Olim- pica di Vicenza. Si delibera di trasmettere alle Accademie consorelle i sensi del nostro profondo cordoglio per la perdita dell’illustre e benemerito scrittore. 489 Si dà lettura del R. Decreto 15 dicembre 1910 che approva la rielezione del Socio Parona a Tesoriere dell’Accademia per un triennio a decorrere dal 1° luglio 1910. Invitato dal Presidente, in assenza del Socio CrpoLLa rela- tore, il Segretario legge la relazione della Commissione dei premi GautIeRI per la Storia (triennio 1907-1909). La relazione, firmata dai Soci De SANCTIS, SFORZA e CIPOLLA, propone il conferimento del premio GauTIERI all'insieme delle pubblicazioni di Alessandro Luzio, e fra esse nominativamente al libro / martiri di Belfiore. Il Presidente dichiara aperta la discussione intorno alla relazione. Nessuno prendendo la parola, annuncia che sarà con- vocata domenica prossima un'altra seduta a Classi Unite per votare intorno al conferimento del premio. 490 EGRrEGI COLLEGHI, Alessandro Luzio, direttore dell'Archivio di Stato a Man- tova, è un ricercatore instancabile, un erudito di polso, uno scrittore forte, elegante, immaginoso. Il Luzio trasse profitto dalla sua permanenza a Mantova per mettersi sopra due vie di indagini, che alla storia nazionale recarono vantaggi preziosi. Una di queste vie menava a chia- rire alcuni punti della storia del secolo XVI, e l’altra guidava ad illuminare fatti ed aspetti nuovi nella storia della domina- zione austriaca sul Lombardo-Veneto. Che le carte dei principi Gonzaga fossero per la storia nostra interessantissime, più o meno lo conoscevano gli storici; anzi parecchi eruditi ne avevano tratto partito, e molti documenti di storia politica e artistica ne avevano messi in pubblico. Ma il Luzio non si fermò ad indagini d'occasione, nè sostò ad ar- gomenti d'interesse unicamente locale; e qui sta il suo merito precipuo. Dopo i primi suoi lavori sull’Aretino in relazione coi fonzaga e sul Folengo, andò sempre meglio determinando l’og- getto dei suoi studi intorno ai fatti politico-militari, che con- trassegnano il pieno meriggio della Rinascenza, e venne allonta- nandosi invece dalla storia artistica e letteraria; così pubblicò o almeno indicò nell'Archivio Mantovano una serie di documenti, dai quali riuscissero meglio chiarite le catastrofi militari o le oscure e tortuose vie della diplomazia nella prima metà del secolo XVI, vale a dire in un periodo storico, che, sebbene sia stato ormai 0g- getto di tanti studi, è ancora pieno di enimmi. I nomi di Giulio II, di Clemente VII e di Leone X, di Massimiliano, di Luigi XII, di 491 Carlo V e di Giorgio Frundsberg, di Isabella Gonzaga e di Eli- sabetta di Urbino destano il massimo interesse. Quantunque il punto di vista offerto dalla corte Gonzaga sia necessariamente unilaterale, tuttavia la ricchezza e la larghezza delle fonti mantovane sono tali che da esse tutto l'insieme, a dir così, di quei fatti può esser preso in considerazione. Il Luzio diede alle sue ricerche sul Rinascimento tale carattere stretta- «mente storico sopra tutto in questi ultimi anni, dal 1907 in poi, quando raccolse numerosi documenti su alcuni episodi caratte- ristici nella vita e nella politica di Isabella d’ Este Gonzaga. Parlò egli di lei quando giovanetta era fidanzata a Francesco Gonzaga (1). Gli ultimi anni di Leone X, dal convegno del 1515 fino alla sua morte (1521), ricevono luce dal materiale che il Luzio condensò in altra monografia, che ha ugualmente per base le carte Gonzaga (2); in questa egli riuscì ad alzare un lembo del velo che celava, almeno in parte, le cagioni politico-militari della rovina del Ducato di Urbino. Intorno al sacco di Roma, 1527, e alla politica di Clemente VII i giudizi degli storici non sono ancora bene concordi e assodati; alla risoluzione di tali questioni, che sono quanto involute ed oscure altrettanto importanti, recano contributo rilevantissimo le corrispondenze d’Isabella Gonzaga (3). È ad augurarsi che le inesauribili miniere mantovane possano offrire ancora altri mezzi di indagine. Fino a pochi anni or sono l'Archivio di Stato a Mantova risiedeva nel Castello Gonzaghesco; il Luzio, e fu opera somma- mente commendabile, lo levò di lì e lo trasportò presso l’ Ar- chivio Gonzaga, col quale in certo modo lo incorporò. Il Castello, colle torri slanciate e maestose, richiama al medioevo; ma gli eventi che mezzo secolo fa vi si svolsero dentro ci indirizzano ad altre solenni ricordanze, ai famosi processi politici di Mantova. L'ambiente era, per un uomo come il Luzio, immensamente sug- (1) Isabella d’Este e Francesco Gonzaga promessi sposi, ° Arch. Storico Lombardo ,, 31 marzo 1908; La reggenza d’Isabella d’ Este, © Arch. Storico Lombardo ,, 30 settembre 1910. (2) Isabella d’Este e Leone X, * Arch. Storico Italiano ,, 1907, vol. XL, 1909, vol. XLIV, 1910, vol. XLV. (3) Isabella d’Este ed il sacco di Roma. * Arch. Stor. Lomb. ,, 90 sett. e 31 dic. 1908. 402 gestivo. Mantova gli offerse materia a ricerche fruttuosissime, documenti scritti, memorie ancora calde e parlanti, tradizioni che animavano quei ricordi e richiamavano tempi di eroico pa- triottismo. Il Luzio allargò Ie indagini oltre le mura di Man- tova; gli archivi di Milano, di Venezia, di Vienna, di Innsbruck gli furono larghi di atti e documenti più o meno notevoli. In quel Castello si mostrano ancora le celle in cui furono chiusi Tazzoli, Montanari, e gli altri dell’epico drappello di Belfiore. Dalle finestre del maniere, verso oriente si domina il ponte di S. Giorgio, verso occidente s’intravvede la mesta pianura che sì stende al di là di Porta Pradella e attornia il palazzo del Te. Questi sono nomi affidati, per tanti rispetti, perpetuamente alla storia. Il Luzio accettò l'invito che le circostanze gli offrivano e così ebbe origine l’opera / martiri di Belfiore, di cui nel 1905 uscì la prima edizione e nel 1908 la seconda. Il Confortatorio di Mons. L. Martini formava una stesura ser- rata e seguìta. Ma si poteva desiderare la rivelazione di molti particolari nuovi e la soluzione di numerose dubbiezze. L’aspet- tazione nostra fu nella novità di molte notizie largamente sod- disfatta, anche se una narrazione proveniente da fonti fra loro diverse, non sempre rinuncia a tradire la sua origine, e appa- riscepiù ampia dove le indagini furono più avventurate, meno completa dove la fortuna non troppo favorì l'appassionato ricer- catore. La storia del nostro Risorgimento, specialmente in quella parte che si riferisce al dominio austriaco, attirò adunque ga- gliardamente l’attività molteplice del Luzio. Egli non solo è pa- drone della lingua tedesca in genere, ma in ispecie delle forme in uso nella società militare; nè meno importante è il fatto che egli conosce l’ambiente viennese. Avendo famigliari le pubblica- zioni austriache di storia militare, egli potè trarre grande van- taggio dalle fonti straniere, per conoscere e intendere fatti e pensieri, che a molti o passano inosservati o rimangono senza spiegazione. Prima di rivolgere i suoi studi ai martiri di Belfiore aveva studiato i processi del Ventuno, approfittando delle carte di Antonio Salvotti, che le sue relazioni col Trentino gli aveano dischiuso. Ma queste ricerche sono in gran parte anteriori al- 403 l’ultimo triennio, sicchè possiamo oggi fissare l’attenzione sola- mente sopra un volume contenente la requisitoria lunghissima scritta dal Salvotti su Federico Confalonieri (1), tanto più note- vole in quanto che dei costituti originali si conoscono unicamente i frammenti editi dal Rinieri. Nella prefazione ai due recentissimi volumi miscellanei, dal titolo Studi e bozzetti di storia letteraria e politica (Milano, 1910), dichiarò quale fosse stato l'intento suo e quale metodo inten- desse di seguire studiando la storia del nostro Risorgimento. È bene riportare le sue parole nitide e severe: “ Applicare ai fatti di un recente passato gli stessi procedimenti critici che si adoperano nell'esame degli avvenimenti antichissimi; facendo tacere ogni passione personale o di parte e non avendo di mira che la ricerca della verità, grata ed ingrata che sia ,. Più volte nelle diverse sue opere il Luzio esprime il dubbio di divenire ber- saglio ad accuse contradditorie da parte di lettori di diverse tendenze. Com’egli prevedeva, intorno a lui polemiche non man- carono, ma per questo egli giammai si stancò di rovistare ar- chivi e con ferma fiducia ricercar documenti, per mezzo dei quali le nostre cognizioni positive si aumentassero e la verità meglio si illuminasse. Paragonando fra loro le due edizioni dell’opera su / Mar- tiri di Belfiore intendiamo il metodo seguito dal Luzio nel cor- reggere, brunire, ritoccare l’opera sua. Chi svolge le pagine degli Studi e bozzetti s' incontra in numerosi schizzi di diversa ampiezza e anche di diverso inte- resse. Pel maggior numero. questi studi si raggruppano essi pure intorno alla storia della dominazione austriaca in Italia. Fra i più notevoli è da annoverarsi quello, esteso assai e ricco di lettere e di documenti inediti, su Giuseppe Acerbi e la Bi- blioteca Italiana. Anche questa succosa monografia si riferisce al regime austriaco in Italia; già si sapeva che la biblioteca Italiana era una rivista protetta e più che protetta dal Governo, ma il materiale inedito che il Luzio rinvenne a Mantova fra le carte dell’Acerli, colloca questo episodio sotto una luce nuova e inattesa. (1) Nuovi documenti sul processo Confalonieri, Milano-Roma, 1908. 494 Lodando la instancabile attività del Luzio, i risultati ai quali giunse, le vie che dischiuse agli studiosi, la molteplicità degli argomenti trattati, la geniale abilità rappresentativa, non facciamo che rendergli giustizia. Che se anche qualcuno pen- sasse che non tutte le sue pagine rendano inutili indagini e disamine ulteriori, questo non avrebbe relazione con un giudizio che si riferisce alla totalità del lavoro scientifico del Luzio. La Commissione quindi propone il conferimento del premio Gautieri all'insieme delle pubblicazioni del Luzio e fra esse no- minativamente al libro ZI Martiri di Belfiore, che ne costituisce l'anello precipuo. G. De SaAncTIS. (. SFORZA. C. CrpoLLa relatore. Gli Accademici Segretari CorrADO SEGRE. GaeraNO DE SANCTIS. — _— _— > ra 495 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE COMM. ANTONIO MANNO DIRETTORE DELLA CLASSE. Sono presenti i Soci: CARLE, Pizzi, RENIER, CHTRONI, RUFFINI, BronpIi, ErnAupI, BAauDI pi Vesme, ScHIAPARELLI e DE SANCTIS Segretario. — È scusata l'assenza dei Soci BoseLti, Presidente dell’Accademia, Stampini, D’ERcoLE e Srorza. È letto ed approvato l'atto verbale dell’adunanza antece- dente, 26 febbraio 1911. Si comunicano le lettere di ringraziamento inviate dai si- gnori. Professori Giuseppe FraccaRoLI, Remigio SABBADINI e Carlo Oreste ZurertI per la loro nomina a Soci corrispondenti. Si designa il Socio Baupr pi Vesme a rappresentare l’Ac- cademia al prossimo Congresso artistico internazionale in Roma. Il Socio ReNnIER presenta il Saggio di bibliografia egidiana (Firenze, Olschki, 1911) del Socio corrispondente Borrrro, dando, con parole d’encomio, un cenno del contenuto di questo scritto. Pure con lode il Socio CHrronI offre anche a nome del Socio RurFFINI i seguenti libri: 1° L. AMBROSINI, La trasformazione delle persone giuridiche (Torino, 1910); 2° A. LamTES, Storia dell’Università di Cagliari (Cagliari, 1910). 496 Il Socio RurrINI presenta una nota del Socio corrispondente Prof. Francesco ParETTA intitolata: Come il manoscritto Udinese della così detta Lex Romana Raetica Curiensis e un prezioso codice Sessoriano siano emigrati dall’ Italia, e illustra ampiamente il tema svolto nella sua nota dal PATETTA. Presa cognizione della nota del Prof. PATtETTA, la Classe unanime, fa voto che s’inizino pratiche pel ricupero del pre- zioso codice Udinese ora conservato nella Biblioteca universi- taria di Lipsia e che si provveda per l'avvenire affinchè sia meglio tutelato il nostro patrimonio nazionale di antichi mano- scritti. Delibera poi che la nota del ParETTA venga distribuita a tutti i Soci dell’Accademia, e invita la Presidenza a convo- care una seduta plenaria perchè tutta l'Accademia possa con la sua autorità convalidare i voti da noi oggi espressi. FEDERICO PATETTA — COME IL MANOSCRITTO, ECC. 497 LETTURE Come il manoscritto Udinese della così detta “ Lex Romana Raetica Curiensis” e un prezioso codice Sessoriano siano emigrati dall'Italia, Nota del Socio corrispondente FEDERICO PATETTA. 1. Nei 1789 Paolo Canciani (1) pubblicò per la prima volta, ex Archivio Metropolitanae Ecclesiae Utinensis, quella così detta Legge Romana Udinese o Retica Coirese, che da più di sessanta anni è oggetto di numerose e vivaci discussioni fra gli storici, senza che si possa per ora prevedere prossimo l'accordo, almeno sulle questioni fondamentali della data e della patria. Il ms. usato dal Canciani risale probabilmente al secolo nono; e oltre alla legge e alla così detta Epitome Juliani con- tiene varie costituzioni Giustinianee e altri testi, che in parte non si trovano altrove (2). Codesto codice, che è certo uno dei più noti e dei più preziosi manoscritti giuridici dell’alto medio evo, passò miste- riosamente dall'archivio del Capitolo Metropolitano di Udine alla biblioteca privata di Gustavo Haenel, lasciata poi in legato all’Universitaria di Lipsia. Il fatto turpe e doloroso, tenuto per parecchi anni maliziosamente nascosto, è da un pezzo a cono- scenza di tutti; ma nessuno, ch'io sappia, ha mai svelato l’epoca precisa e i particolari, che alcune mie vecchie ricerche e un caso recente mi permettono d’esporre ad ammaestramento di chi dev'essere geloso custode dei monumenti della nostra storia e della nostra cultura. (1) Barbarorum leges antiquae, vol. IV, Venezia, 1789, p. 461 e segg. (2) L'ultima pubblicazione di testi inediti tratti dal prezioso mano- scritto già Udinese è, per quanto m'è noto, quella del Conrar, Somme la- tine inedite di due novelle di Giustiniano, in “ Bullett. dell’ Istit. di Diritto Romano ,, anno XI, fase. I. 498. FEDERICO PATETTA 2. Fra i nomi degli eruditi, che nel secolo scorso rinnova- rono gli studi critici sui testi delle fonti giuridiche romane, studi quasi interamente trascurati dopo il tramonto della glo- riosa scuola del Cuiacio, sarà sempre ricordato con lode quello di Gustavo Haenel, al quale dobbiamo, fra altro, l'edizione del Codice Teodosiano e delle Novelle Posteodosiane del 1842-44; quella della Ler Romana Wisigothorum del 1849, e quella del- l’Epitome Juliani del 1873. Non ch'egli sia stato un editore molto valente. Tutt'altro! Gli sì può invece rimproverare insufficienza di metodo, incertezza di giudizio, e specialmente inesattezza, spinta non di rado oltre i limiti del credibile, nella descrizione e nella collazione dei manoscritti (1). Ma ciò nondimeno egli s'è mostrato ricercatore così infaticabile, ha scoperto e pubblicato tanti testi inediti o mal noti, ha accumulato indicazioni e materiali così preziosi, che gli si deve pur riconoscere il merito d’aver spianato la via agli studiosi e agli editori avvenire e d’aver in tal guisa reso alla scienza un servizio non piccolo. Tutto questo però non scema affatto il biasimo, che la poca delicatezza (per non dir peggio) dimostrata dall’Haenel nell’acquisto del Codice Udinese gli frutterà sempre da chiunque sappia e senta, che, se è peccato desiderare la cosa d’altri, è più che peccato procacciarsela con raggiri, abusando dell’igno- ranza, della debolezza e forse anche della vanità, opportuna- mente solleticata con proteste di stima e d'ammirazione e con lodi per lo meno eccessive. Ecco dunque senz'altro come fu trattato e concluso l’acquisto del Codice Udinese, secondo che risulta dalle informazioni fa- voritemi, molti anni or sono, a mia richiesta, dal compianto erudito udinese dottor Vincenzo Joppi, e specialmente da due (1) Si veda, per esempio, quanto ho dovuto constatare, a proposito di un codice torinese dell’Epitome di Giuliano, nel mio vecchio lavoro IZ Bre- viario Alariciano in Italia, Bologna, 1891, p. 39 e segg. (Estr. dall’ © Arch. giurid. ,, vol. XLVII); si confrontino gli Antiqua summaria Codicis Theo- dosiani pubblicati dall’ Haenel a Lipsia nel 1834 colla nuova edizione da- tane a Siena dal Manenti nel 1889; e specialmente si legga ciò che il Mommsen scrisse nella prefazione al Codice Teodosiano, Berlino, 1905, vol. I, pp. cxvu-cxvu. COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 499 lettere dell’Haenel, che ho comperate nel giugno scorso a Roma dall’antiquario signor Antonio Gheno. Non appena, nel 1847, il consigliere austriaco Bonturini ebbe annunciato, nel congresso degli scienziati a Venezia, che il ms. della Lex romana pubblicata dal Canciani non era andato smarrito, come si credeva, ma si trovava invece tuttora nel- l'archivio Capitolare Udinese, l’Haenel si recò in Udine e, per nostra disgrazia, vi fece la conoscenza dell’archivista canonico Giovanni Francesco Banchieri, ch'egli più tardi proclamò “ vir multis titulis insignis, nec minus humanitate quam ingenii acumine doctrinaeque ubertate conspicuus ,. Il Banchieri non solo gli con- cesse l’uso del prezioso codice, ma, a quanto pare, glie ne ot- tenne dai canonici il prestito a Lipsia. Il codice fu restituito; ma, essendo poi avvenuta l’annes- sione delle provincie Venete al regno d’Italia, l’Haenel credette probabilmente di poter tentare sotto il nostro governo ciò che forse non avrebbe osato durante la dominazione aastriaca; e perciò, scrivendo nel 1867 al Banchieri, gli espose addirittura il desiderio di comperare il manoscritto, che aveva già potuto studiare a suo bel agio. Questa prima lettera, che doveva esser scritta in latino, come le altre, non è per ora nota; ma il suo contenuto risulta chiaramente dalla lettera successiva, che ho; dalla quale appare anche, quale sia stata, disgraziatamente, l'accoglienza fatta alla sfacciata proposta dal canonico Banchieri. Questi avrebbe dovuto rispondere press’a poco colle parole, che Olindo Guerrini (1) narra d’aver usate con un tedesco, il quale, visitando, verso il 1880, la biblioteca pubblica di Bologna, espresse egli pure “ nella più pura lingua del Lazio , un desi- derio analogo a quello dell’Haenel: “ Mehercule! an te pudet, Germane..... s» Invece si mostrò subito debole; e pensando certo che l’Haenel agisse per conto di qualche biblioteca, non si ver- gognò di dichiarare che, anche a parer suo, il prezioso codice sarebbe stato meglio collocato in una biblioteca pubblica te- desca che non in un archivio privato italiano. Replicò l’Haenel, il 22 dicembre 1867, dichiarando che in- tendeva di legare la sua biblioteca all’Università di Lipsia, e (1) Brandelli, serie prima, Roma, 1883, p. 42. 500 FEDERICO PATETTA che perciò, vendendogli il codice, i canonici avrebbero per l’ap- punto provveduto alla sua migliore conservazione. L'accordo fu allora immediatamente raggiunto, e il prezzo fissato a duecento talleri, ossia a poco più di settecento lire italiane; somma che, anche tenendo conto dell’epoca del con- tratto, si può dire affatto inadeguata e molto inferiore al prezzo, che si sarebbe potuto facilmente conseguire anche senza far emigrare il codice dall'Italia. Stipulato il contratto, il mano- scritto udinese restò ancora nell’archivio capitolare per quasi due anni, in seguito ad una casuale interruzione nella corri- spondenza fra l’Haenel ed il Banchieri. Non avendo infatti per lungo tempo ricevuto lettere da Udine, l'Haenel temette che il Banchieri fosse morto o che gli fosse avvenuto qualche sinistro ; mentre il Banchieri alla sua volta stava in apprensione per la salute del poco munifico compratore. Si trattava invece sempli- cemente del disvio di qualche lettera. Il 18 ottobre 1869 il Banchieri si decise finalmente a scri- vere di nuovo all’Haenel; e questi rispose, il 24 dello stesso mese, dando ordine e consigli per far uscire il manoscritto udi- nese dal regno eludendo la vigilanza dei doganieri, e magari, se fosse necessario, corrompendoli con un po’ di denaro. Rac- comandava perciò la scelta d'un uomo “ fidus et quod attinet ad milites limitaneos versutus ,, il quale portasse il codice a Gorizia oppure a Trieste e di là lo spedisse per la posta. “ Auri vis expugnat munitissima quaeque castra ,, osservava egli a proposito dei nostri poveri doganieri; ma non voleva che la spesa totale superasse i quindici talleri! Se il codice sia stato poi trafugato nel modo suggerito dal- l’Haenel o in un altro qualsiasi, non so: certo il trafugamento avvenne, e molto probabilmente verso la fine dello stesso anno 1869 o in principio del 1870. 3. Ma tanto il compratore quanto i venditori sapevano be- nissimo, non solo d’aver fatto un contratto giuridicamente nullo, ma anche d'aver commesso un’azione riprovevole, e che poteva avere, almeno per i venditori, conseguenze assai gravi. Infatti, lasciando stare il mandato generico di corrompere eventualmente dei pubblici funzionari dato dall’Haenel con tanta disinvoltura, ma che non sappiamo se sia stato o no eseguito, è certo che si sarebbero applicate alla fattispecie le sovrane risoluzioni au- COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 501 striache del 19 settembre e 23 dicembre 1818 (promulgate a Venezia con notificazione del 10 febbraio 1819, modificate poi nel 1827 (1) e non abolite dopo l'annessione), in forza delle quali era proibita l'esportazione di “ edizioni, e in generale di quegli oggetti d’arte e di letteratura, che contribuiscono al decoro e all’ornamento dello Stato , ; il tentativo di clandestina esportazione era punito colla confisca degli oggetti, e l'esportazione clandestina avvenuta con “ una multa equivalente al doppio del valore dell'oggetto portato fuori dello Stato ,. Inoltre, trattandosi di cosa appartenente ad un ente ecclesiastico, l’alie- nazione non autorizzata dal Governo era vietata dall’articolo 434 del nostro Codice Civile; e la vendita clandestina, accompagnata, a quanto pare, dalla distrazione d’una parte del prezzo a favore d’un altro istituto ecclesiastico (2), forse (benchè il caso giuri- dico sia molto complesso e non si possa decidere senza la co- noscenza perfetta delle circostanze di fatto) avrebbe potuto per sè stessa costituire un reato assai grave, di cui l’Haenel fosse mandatario o complice. Importava quindi tener la vendita gelosamente nascosta, come si fece con sotterfugi e reticenze, per non dire con men- zogne vere e proprie. L'Haenel infatti pubblicò nel 1873 la sua edizione dell’ Epi- tome Juliani, e nella prefazione, che porta la data del 1° luglio 1872, descrisse, alla pag. x e segg. e xvI e segg., due manoscritti suoi dando loro il nome di codex Haenelii Ie codex Haenelit IT; ma descrivendo, a pag. vir e segg., il ms. già udinese, lo chiamò invece codex Archii Ecclesiae Metropolitanae Utinensis e si pro- fuse in lodi e ringraziamenti al Banchieri, che glie ne aveva concesso lo studio: “ deneficio Jo. Fr. Banchieri... libera facultas mihi data est codicis commode perserutandi! , manoscritti rari, codici, prime (1) Nel 1827 si tolse il divieto assoluto stabilito nel 1818-1819, conce- dendo l’esportazione quando il governo l’autorizzasse, rinunciando ad eser- citare il diritto di prelazione, che gli competeva. Tanto le leggi austriache citate quanto l’editto Spinola e l’editto Pacca, che ricorderò, si possono vedere, per esempio, nella raccolta di Fruirpo MariortI, La legislazione delle Belle Arti, Roma, 1892, pp. 215-216; 233-235; 298-300. (2) Se le informazioni dello Joppi sono esatte, il prezzo ricavato dalla vendita fu diviso fra il Capitolo e il Seminario d’Udine. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 32 502 FEDERICO PATETTA Questa reticenza dell’Haenel giustifica in parte il Kroll, il quale nella prefazione alle Novelle di Giustiniano, pubblicate a Berlino nel 1894 (e in una terza edizione stereotipa, che ho pre- sente, nel 1904), continua a parlare di “ codex Utinensis eccle- siae metropolitanae ,. A maggior ragione dovevano restar ingan- nati i pochi studiosi italiani, che potevano interessarsi della cosa. Che se alcuno di essi chiese per caso di esaminare il mano- scritto udinese, non dovette esser difficile ai canonici d’eludere in bel modo la sua domanda, magari dichiarando che il codice era stato dato a prestito all’Haenel. A disingannare gli Italiani non giovava neppure l’edizione del Codice Giustinianeo pubblicata nel 1877 da Paolo Kriiger. Questi infatti dichiara bensì, a pag. ix della prefazione, d’aver potuto collazionare il codice udinese a Lipsia, nel 1875, per beneficio di Gustavo Haenel, ma continua a parlare di “ codex Utinensis bibliothecae capitularis ,; cosicchè si doveva necessa- riamente credere che il codice appartenesse sempre ai canonici di Udine e solo fosse stato mandato in prestito, a richiesta del- l’Haenel o per sua intromissione. Solo nel 1889 comparve l’edizione della Lex Romana Lae- tica Curiensis curata dallo Zeumer per i Monumenta Germaniae historica, e dalla prefazione, che ha la da del giugno 1888, si potè finalmente sapere, che il ms. udinese aveva cambiato nome e padrone: “ coder bibliothecae Universitatis Lipsiensis nr. 3493, antea archivi ecclesiae Utinensis..... a Gustavo Haenel b. m., qui eum emptione paraverat, bibliothecae umiversitatis Lipsiensis inter alios legatus ,. Nel medesimo tempo si veniva a conoscere, che l'Haenel aveva avuto la prudenza di disporre nel testamento. che i suoi codici non potessero esser dati in prestito fuori della biblioteca universitaria di Lipsia (1). Se infatti il codice udinese fosse stato mandato in prestito a qualche biblioteca italiana, il procuratore del Re avrebbe fatto semplicemente il suo dovere ordinandone il sequestro. Nonostante le esplicite affermazioni dello Zeumer, si poteva (1) Sappongo che la proibizione sia generale. Che se essa fosse ristretta al solo codice Udinese (come potrebbe sembrare prendendo. alla lettera le parole dello Zeumer “ cum legator vetuisset eum foras edere ,), siffatta restri- zione sarebbe di per sè stessa molto significativa. COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 503 forse ancora sperare che il codice udinese fosse passato alla biblioteca di Lipsia per un semplice errore, che cioè fosse stato dato a prestito all’Haenel e fosse rimasto confuso coi suoi libri. Lo Joppi chiese perciò informazioni, ed ebbe la conferma della triste verità. Allora il Governo italiano iniziò un procedimento penale; ma i canonici colpevoli erano morti, era morto il com- pratore, e la cosa non ebbe quindi alcun seguito. Ciò avveniva nel 1892. Se si sia tentato di riavere il codice per via d’ami- chevole accordo col Governo Sassone, non so. Se non si è fatto, si potrebbe ancora tentare; ma probabilmente non si giunge- rebbe a nessun risultato pratico, e il nostro Governo dovrebbe accontentarsi del buon consiglio d’essere più guardingo per l’av- venire. Speriamo almeno, che sappia, eventualmente, accoglierlo e metterlo in pratica. 4. Il manoscritto udinese non *è il solo, fra i codici già appartenuti all’Haenel, che sia stato sottratto a biblioteche ita- liane. Infatti il codice dell’Epitome di Giuliano conosciuto sotto il nome di codex Haeneli I, attribuito al secolo X e esso pure, disgraziatamente, d’importanza capitale, fu certo rubato alla biblioteca di S. Croce in Gerusalemme. L’Haenel dichiarò d’averlo comperato in Roma nel 1825 dal libraio Petruzzi o Petrucci; e, non avendo prove in contrario, dobbiamo credere che lo abbia acquistato ignorandone la pro- venienza furtiva, benchè molto probabilmente fosse a cogni- zione della scomparsa di un codice di Giuliano dalla biblioteca di S. Croce (1). È però fuor di dubbio, che dovette comperare il codice di nascosto e poi trafugarlo, sapendo perfettamente di violare le disposizioni dell’Editto Pacca dell’8 marzo 1819 (2). (1) Infatti il manoscritto Sessoriano era registrato al n° 12 dell’elenco pubblicato dal Moxrraucon, Bibliot. bibliothecarum mss., vol. I, Parigi, 1739; p. 193; e in conseguenza di ciò lo avevano ricordato l' Haubold, nella “ Zeitschr. fiir gesch. Rechtswiss. , (vol. IV, fase. 2°, Berlino, 1819, p. 148), e poi il Brewer, in Gesch. der Novellen Justinians, Berlino, 1824, p. 72-73. Viceversa il Niebuhr, che ne aveva fatto espressamente ricerca, aveva dovuto constatarne la mancanza. Vedi BLunme, Iter italicum, vol. III, Halle, 1830, p. 153-154. Cfr. la sua Biblioth. mss. italica, Gottinga, 1834, p. 155-156. (2) L’Editto Pacca, di cui ogni libraio doveva tener una copia “ affissa nella propria bottega sotto la pena di scudi dieci ,, ripetendo in parte ciò che era già stabilito nell’Editto Spinola del 30 settembre 1704 e in altri Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 925 504 FEDERICO PATETTA Inoltre, a voler dire proprio la verità, è molto difficile supporre che potesse essere in buona fede quando, per sottrarsi all’ob- bligo della restituzione, volle dimostrare che il suo codice era diverso da quello rubato, e addusse in prova argomenti così puerili, così ridicoli, che c'è da arrossirne per lui. Infatti il Bluhme aveva affermato esplicitamente, fino dal 1830, che il codice acquistato dall’Haenel apparteneva alla biblioteca romana di S. Croce in Gerusalemme, nella quale era entrato nel secolo decimosettimo con altri codici provenienti dal monastero di Casamari, nel territorio di Veroli; e aveva citato la descrizione del codice stesso contenuta in un catalogo del- l’anno 1664, avvertendo che corrispondeva perfettamente, ma che era stato soppresso un foglio di guardia coll’ indicazione degli antichi proprietarii (1). L'Haenel aveva dapprima riconosciuta l’esattezza delle affer- mazioni del Bluhme; ma pretese in seguito d’essersi ricreduto. Vediamo per quali ragioni. Il catalogo del 1664 descrive il codice nel modo seguente (2): “In fol. parvo pergam. Justiniani novellae per Julianum civem Constantinopolitanum, sicut impressae reperiuntur. Verum in hoc codice diversimode disponuntur, et praemittunt prologum: Moyses posteriori, ordinava, pena duecento scudi, che non si potessero vendere “ in privato 0 in pubblico , manoscritti di qualsiasi genere, se non fossero prima stati esaminati da Monsignor Marini, Prefetto degli Archivi Vaticani, o da un suo delegato, all'oggetto “ di ricuperarli ai legittimi padroni, 0 di comprarli a preferenza, o di lasciarne libero l’uso ,. Ora è certo che il libraio Petrucci doveva vendere in segreto i manoscritti, da lui acquistati Dio sa come, poichè non avrebbe osato raccontare al Marini, o a chi per lui, l’assurda favola ricordata dal Bluhme, 2. c., che la sua preziosa mer- canzia non provenisse dal furto commesso a S. Croce, ma dalla biblioteca privata di Pio Sesto: © seiner Versicherung nach aber solte nichts aus S. Croce, sondern Alles aus der Privatbibliothek Pius’ VI stammen ,. In- tanto a S. Croce si diceva al Bluhme e al Pertz, che i manoscritti erano stati rubati con scasso (durch Einbruch)! (1) Iter italicum, 1. c.: © ...Prof. Haenel erkaufte etwas spiter ebendort den Iulian, ganz so wie der Katalog der Chigiana [cioè conservato nella Bi- blioteca Chigi] hin beschreibt, nur um ein Schmuzblatt irmer, auf welchem die friiheren FEigenthiimer genant waren ,. (2) HarneL, Epitome Iuliani, p. x1. COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 205 gentis Hebracae primus omnium ete., qui in impressis non extat. Codex iste prae nimia vetustate vel hominum incuria valde con- sumptus est et non parum mutilus. In ultima pagina haec habet, sed diversis caracteribus exarata: Anno domini 1219. Indict.ne 7* Mensis Januarii die 8° Honorii tertii Papae anno 3° etc. Fuit olim Monasterii S. Mariae de Casamari ord. minim. anno 1579. Habet fol. 72 ,. L’Haenel ebbe il coraggio di sostenere che il suo codice è diverso da quello sottratto alla biblioteca di S. Croce, con varii argomenti, che val davvero la pena di trascrivere fedelmente: “ quae diversis characteribus in ultima pagina dicuntur exarata, ea paulo aliter habentur in codice meo quam illic et ita quidem: A. Dni MCOXVIIII Indicoe VII. Msis Januarii die VIII. Honorii tertiù PP. a. III..... Neque altera, quae illam subse- quitur, nota saeculi XIII. commemoratur in Chisianae bibliothe- cae catalogo, secundum quam “ Johannes Carfan’ ponit institu- tiones pro oracio pro movellas pro ieshaias ,; praeterea fuisse codicem olim Monasterii S. Mariae de Casamari ord. min. a. 1579, eius rei nihil scriptum est in meo codice; denique vero ille codex dicitur 72 folia habuisse, dum meus ex 71 membranis constat maximam partem rigidis et vetustate gilvis: quas ob causas meum codicem germanum quidem illi S. Crucis esse arbitror, neque vero eundem ,,. Pare di sognare! È egli infatti ammissibile che un uomo, il quale passò la vita scartabellando manoscritti e cataloghi di manoscritti, desse proprio sul serio un'importanza qualsiasi al fatto che una noticina, per sè stessa insignificante, sia stata trascritta nel 1664 sciogliendo le abbreviazioni e sostituendo le cifre arabiche ai numeri romani? Che si fermasse a constatare che un’altra noticina, non meno insignificante, non era stata esplicitamente ricordata nel catalogo stesso? Che, pur essendo stato messo in avvertenza dal Bluhme, non capisse che un ma- noscritto di 72 fogli diventa molto facilmente di soli 71, e nel medesimo tempo perde ogni indicazione di provenienza, quando un ladro o dei complici hanno interesse a far scomparire un foglio di guardia, nel quale si leggevano indicazioni compromettenti? E viceversa, come poteva credere all’esistenza di due codici per- fettamente uguali per il contenuto, per lo stato di conserva- zione, per il numero dei fogli, e in ciascuno dei quali fosse stata 506 FEDERICO PATETTA trascritta nell’ultima pagina, in caratteri posteriori, una stessa annotazione insignificante (1) dell'’8 gennaio 1219? A me duole di dover mettere in dubbio la buona fede di chi non può difendersi; ma, dopo tutto, è appunto ufficio deglì storici giudicare dei morti secondo i fatti noti e le regole delle probabilità. E di fronte al preteso ricredersi dell’Haenel sulla pro- venienza furtiva del manoscritto già Sessoriano, non posso non ricordare come egli, in un suo viaggio in Spagna, avesse pure comperato due preziosi manoscritti greci sottratti alla biblioteca dell’Escuriale, e dopo averli portati a Lipsia e fatti conoscere per suoi, fosse poi costretto a restituirli quando ne fu svelata la provenienza (2). Il precedente poteva esser molto pericoloso; ed era perciò molto opportuno nascondere l’acquisto del codice udinese e negare la provenienza del codex Huaenelii I dalla bi- blioteca di S. Croce. DOCUMENTI sl Da una lettera di Gustavo Haenel al Banchieri (Lipsia, 22 dic. 1867). Francisco Banchierio Viro Perillustri Gustavus Haenel S. P. D. Ac- cepi v Id. Dec. epistolam Tuam quae mihi attulit summam laetitiam et voluptatem: nam praeterquam quod elegantissime scripta est, nuntiat ea salvam esse vestram rempublicam (3) et fictis rumoribus commotos fuisse animos eorum, qui sentiunt cum Italis patriae libertatem a Gal- lorum et novi illius hominis usurpatione vindicantibus, qui dolo et san- (1) L’Haenel cercò di trascrivere integralmente codesta annotazione, di cui il catalogo del 1664 dà solo le prime parole; ma non riuscì gran fatto. Egli legge: © Anno Dni....... hei (?) tradidit vendidit Iohò, ...l..Si0 fatib” (2) tot gd’ habebat in castro pesesoloso l' XXXXVIII sol l’ ut Iohannes Frietsen (?), lohes tortas urcin' ,. (2) Cfr. Zacnariae A LincentnaL, Ius graeco-romanum, P. V, Synopsis Basilicorum, Lipsia, 1869, p. vir, nota. (3) L'Haenel accenna evidentemente alla spedizione di Garibaldi nel- l’agro romano e all'intervento francese, che gli dà occasione d' invelre contro Napoleone III, l’Romo novus, qui dolo et sanguine imperium invasit, cioè che fece il colpo di Stato del 2 dicembre. COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 507 guine imperium invasit. Accedit benevolentiae tuae significatio, qua ho- norificentius quiequam contingere mihi non potest. Trahimur enim omnes studio laudis laudati inprimis viri, quem fruetum ex laboribus suis optimus quisque colligere studet. Denique ex opellis tuis, quas mecum benigne communicasti, iterum perspexi ingenii tui vim summa cum'venustate conjunétam Qu. . L'. . + >. Sed nolo Te diutius morari; satis est dixisse me Tui amantissimum esse, meque Te summa quam Tibi debeo pietate colere. Hoc solum restat ut transeam ad codicem nostrum, de quo Tu ita: “ Codex ille — Lex Romana — adhuc apud nos retinetur. Certum autem est juxta meam sententiam Codicem illum melius servatum iri apud Vos in quadam publica Bibliotheca, quam apud nos in privato archivio. Quapropter extra aleam non esset ut ego ex consensu Collegarum meorum ad Te librum illum mittere aliquando possem ,. Ex quibus verbis colligo, desiderium meum possidendi huius Codicis expleri posse. Legavi enim bibliothecam meam, quae satis ampla est, et ex libris potissimum veteris iuris romani quam manuscriptis tum saeculo XV et XVI editis constat, matri meae almae — Universitati Lipsiensi — ubi Codicem melius asservatum iri puto, quam apud Vos in privato archivio. Fac igitur, quaeso, ut codex lnkdgniiniztim gum. perventabe, <. \.-. MR. i. 4. (DL: NÈ Da altra lettera dell Haenel allo stesso Banchieri (Lipsia, 24 ottobre 1869). Vir summe Reverende! Verissimam esse illam animarum con- junetionem, qua homines mutua affectione se observantes, quamquam longissimo terrarum intervallo disjunceti, tamen dicuntur colligati, nudius tertius expertus sum, quum mihi reddebatur epistola Tua, data xv Kal. Nov. Equidem, postquam ad litteras, quas Tibi ipsis Kal. Januar. supe- rioris anni gratulabundus miseram, nec ad constitutionem de Subole Diaconorum etc. e codice Vercellensi erutam et commentariolo meo (1) La lettera è datata Lipsiae XI. Kal. Ianuar .a .p.C.MDCCCLVIII: ma evidentemente per un puro e semplice lapsus calami. Insieme colla lettera è conservata la busta, dalla quale però furono strappati i franco- bolli, in modo che non vi si possono più vedere i bolli postali. La lettera e la busta (come pure la lettera seguente del 24 ottobre 1869) sono contro- firmate da tre persone. Si leggono bene le firme P. Antonio Rigo e Zorzi. La terza firma è indecifrabile. Potrebbe trattarsi di firme di ecclesiastici Udinesi apposte per desiderio del canonico Banchieri, il quale volesse even- tualmente poter dimostrare, che le trattative coll’Haenel erano state con- dotte d'accordo coi suoi confratelli. Ma è più probabile che le lettere siano state controfirmate perchè sequestrate dall’autorità giudiziaria, quando s'iniziò il processo finito poi in nulla. Care i I IE af er capro a (ped de raggi cfroo grep? 1° bit pra gra preci paeriy 99 Pra apt lo SERIO PETE Pgpted ESTO FESSO rag (Sena gog agere ur nb ra cp? mb ME enti) Bientina ce sgzug iti svol peer A a cogggene — vb vile rncfigrion pelo son cora — agro s ‘cere a7 Sgr ce reggo (eb ip Cp] og, cogne 1° {o (nf cofess gela DITO Cry Cgfrr cf cene n) > vigna end $ 07 sr, rr rire! cda pony £ VPÎ “voga Pessina: Prendi ron (mm! sog] rolf na carl Co tree oCconeo (igto cen «puo cenb npelini russo ocgmen9 - yrl Lia ubi LA, pro ibza o gt fer. < Ei (a) E E < Au No) 509 COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. e | 2 rd? ie ere day (aqua fgro9 VITI 2/44 d DE LE ara Via ngn = È 510 FEDERICO PATETTA explanatam (1) paullo post sub fascia Tibi transmissam, respondisti, verebar, ne Parca crudelis sinistra manu Te tetegerit, aut, si minus, funesti aliquid Tibi acciderit. Attamen sperans fore, ut D. O. M. pre- cibus meis pro salute Tua propitius fuerit, constitueram apud me, pro- ximis Kal. Januariis vota mea litteris repetere intimosque pectoris mei sensus iterata vice Tibi patefacere. Ecce epistola Tua, ex qua Te mutua cura de salute mea timuisse intellexi, nee non commercium nostrum litterarum negligentia aut potius fraude tabellariorum publicorum inter- ruptum fuisse. Quam dulce gaudium ex ea perceperim, nequeo verbis apte declarare,, €. E ..0 . .. @. d& . bSedloncneani Transeo igitur ad reliquum argumentum epistolae Tuae, quod me sollicitum tenet. Quomodo enim negotium, quod inter nos agitur, com- mode expediatur, equidem me nescire fateor, quum, quominus praesens Tecum transigam, impediar senectute et hiemali tempore, neque ho- minem habeam, cui rem committam. Quae quum ita sint, existimo haud aliter negotium confici posse, nisi ut mittatur homo fidus et, quod at- tinet ad milites limitaneos, versutus — auri vis expugnat munitissima quaeque castra — sumptibus meis, modo hi non excedant summam quindecim thalerorum Borussicorum, Goriziam aut Tergestum, qui ibi rem, quam in mente habemus, involucro linteo aut charta cerata invo- lutam mihique inscriptam indicato eius pretio cursui publico tradat, simul autem curet, ut vicissim chartam ab administrationibus cursus publici accipiat, qua confitentur, rem sibi traditam esse. Gratum mihi feceris si scribas, an hoc consilium, quod mea sententia simplicissimum est, Tibi placeat, ut, si Tibi displicuerit, explorem mercatorum Lipsiensium commercium cum Utinensibus sericariis exercentium aliquem, cui fides haberi possit. Sed jam satis, nec restat quiequam, quod addam, nisi sit ut pro- mittam, me Tibi pretium compromissum illico soluturum esse, simulac Tesymihi bradita ceri. cit. a Re (1) Si tratta dell’opuscolo Ueder eine disher ungedruckte Constitution de subole Clericorum, estr. dai “ Berichten der hist.-phil. Classe der Kòn. Sàichs. Gesellschaft d. Wissenschaften, 1868 ,, di pp. 15 in-8°. (2) A tergo della lettera, che ha la data di Lipsia /X. Kal. Nov.a.p.C. MDCCCLXVIIII, si legge l’indirizzo autografo. Dei due francobolli apposti uno fu strappato. Nei bolli si scorgono le date di partenza e d'arrivo: “ Leipzig 25.10.69 ,: © Udine 28 Ott. 69 ,. Dell’indirizzo e di parte della lettera do il facsimile in zincotipia. COME IL MANOSCRITTO UDINESE, ECC. 511 ILE Da una cartolina del dottor Vincenzo Joppi al prof. Federico Patetta (Udine, 14 gennaio 1898). Annuendo al desiderio manifestatomi dal prof. C. Cipolla (1), in relazione alla sorte del Codice della Lea Utinensis, mi pregio di dirle brevemente quanto è a mia cognizione. L’anno 1860 quel Codice fu prestato dal Capitolo metropolitano di Udine al prof. Hiinel, che lo re- stituiva dopo averne approfittato pe’ suoi studi. Successivamente il prof. Hiinel trattò l'acquisto del detto Codice e lo ottenne dal Capitolo per talleri 200 pari ad italiane lire 759. La vendita fu fatta l’anno 1869 segretamente, di modo che per molti anni tutti ignorarono quel brutto fatto. Il prof. J. Zahn, Archivista Provinciale a Graz, su mia richiesta mi fece noto che il Codice era stato comperato dal prof. Hànel e da questo con suo testamento lasciato all’Università di Lipsia. Venuta questa vendita illegale a cognizione del Governo Italiano, fu istituito un processo presso il Tribunale di Udine; però non ebbe alcun esito, essendo morti tutti i Canonici che assentirono a tale mer- cato. Ciò avvenne l’anno 1892, e il Codice fu perduto parte per igno- ranza e parte per l’avidità, poichè il denaro ricevuto fu diviso tra il Capitolo e il Seminario di Udine (1) Il prof. Cipolla gentilmente si era rivolto, a nome mio, al Joppi, ch'io non conoscevo personalmente. L’ Accademico Segretario GAETANO DE SANCTIS. ——_—__x___—>—— di Ra È LR pe) UO é AT . | Lal l f Y Î x pa tes ‘ É LA ORI 7 NI i Mai Pi DAL (00 e dh “POSSE da Alan 13 la CLASSI UNITE Adunanza del 19 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: NaccarI, Direttore della Classe, D’Ovipio, SEGRE, JADANZA, Foà, GuaARESscHI, Guipi, Parona, MATTIROLO, SoMIGLIANA, FUSARI e Barsiano. — Scusa l'assenza il Socio SALVADORI; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Manvwo, Direttore della Classe, ‘CARLE, RENIER, RUFFINI, BRONDI, Ernaupi e De SancrIs, Segretario. — Scusano l’assenza i Soci BosenLi, Presidente dell’Accademia, SFORZA e SCHIAPARELLI. È letto ed approvato l’atto verbale della seduta precedente, 12 marzo 1911. Si comunica una lettera del Socio StAMPINI che ringrazia per le condoglianze inviategli a nome dell’Accademia. Si procede alla votazione pel conferimento del premio Gau- tieri per la Storia. La Commissione nella relazione letta nella passata adunanza aveva proposto il conferimento del premio Gautieri all’insiome delle pubblicazioni di Alessandro Luzio e fra esse nominativamente al libro: I Martiri di Belfiore. La votazione ha luogo a schede segrete. Il Presidente proclama Alessandro Luzio vincitore del premio Gautieri per la Storia nel triennio 1907-1909. Il Presidente comunica che la Classe di scienze morali, storiche e filologiche nella sua adunanza del 29 scorso gennaio Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 33 5I4 espresse il voto che il Ministero voglia provvedere ad un’edi- zione economica delle opere di Galileo, la quale renda efficace e fruttuoso il lavoro speso da benemeriti studiosi nella prepa- razione della pregevolissima edizione nazionale testè condotta felicemente a compimento; e deliberò di comunicare tale voto alle maggiori Accademie del regno invitandole ad associarvisi. Alla nostra proposta si associarono di fatto, riconoscendone la utilità e la opportunità, l'Accademia Gioenia di Catania, V'Ac- cademia dei Georgofili e della Crusca di Firenze, la Virgiliana. di Mantova, il R. Istituto Lombardo di Milano, la R. Accademia. delle scienze di Modena e quella di Padova, l'Accademia dei Lincei di Roma ed il R. Istituto Veneto. Dopo alcuni chiarimenti dati dal Socio ReNIER l'Accademia delibera con voto unanime di appoggiare e di far sua la delibe- razione presa dalla Classe di scienze morali rispetto alla edi- zione economica delle opere di Galileo. Gli Accademici Segretari Corrapo SEGRE. GaerAaNO DE SANOTIS. CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, D’'Ovipio, Japanza, Foà, GuarescHI, Gurpi, FiLeTi, PARONA, MarTIROLoO, SomiLiANA, FusARI, BALBIANO e SEGRE Segretario. - Scusa l’assenza il Socio SALVADORI. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Socio corrispondente Manein ha inviato in omaggio tre suoi opuscoli, che vengono presentati alla Classe: 1° Introduction à Vétude des Mycorhizes des arbres foréstiers; 2° Nouvelles obser- vations sur la callose; 3° Sur quelques Algues nouvelles ou peu connues du Phytoplaneton de Vl Atlantique. Il Socio D’Ovipro offre, per incarico dell'Autore, la nuova edizione della Memoria del prof. F. CALDARERA, Sul moto dei pianeti. In questo lavoro viene introdotto, nello studio del moto ellittico dei pianeti, un nuovo elemento, la cosi detta anomalia concentrica, e dimostrata la sua utilità e le relazioni colle altre tre anomalie, ordinariamente considerate, la vera, la media e la eccentrica. Il Socio D’Ovipio aggiunge che i notevoli sviluppi di calcolo, con cui viene svolta in serie una di quelle anomalie 516 in funzione rispettivamente delle altre, mettono in evidenza l'abilità analitica dell'Autore. Il nuovo elemento da lui intro- dotto potrà certo servire in avvenire. Il Socio GuAREscHI presenta in omaggio alla Classe una sua Nota: Die Pseudosolutionen oder Scheinlòsungen nach Fran- cesco Selmi. Infine il Socio SomieLIANA presenta, per la stampa negli Atti, una Nota del Dr. E. LAURA, Sopra una classe generale di vibrazioni dei mezzi isotropi. ERNESTO LAURA — SOPRA UNA CLASSE GENERALE, ECC. 517 LETTURE Sopra una classe generale di vibrazioni dei mezzi isotropi. Nota del Dott. ERNESTO LAURA In un lavoro pubblicato nelle Memorie (!) di questa Acca- demia, studiai metodicamente le vibrazioni smorzate di un mezzo isotropo (?), e trovai che le loro componenti devono necessaria- mente essere della forma: u = e" (u, coskt + wu, sen kt) v =e-(v, coskt + è, senki) w= et (w,coskt + e, sen kt) nelle quali le «,, %;, ... sono funzioni posizionali. Esse sono cioè la sovrapposizione di due vibrazioni smorzate semplici in differenza di fase le quali non possono generalmente sussi- mT DE stere separatamente in un mezzo isotropo. Questo risultato può essere generalizzato ricercando la classe più generale delle vi- brazioni le cni componenti sono del tipo: u —Na; (du (14 2) = e = Xa;(t)v; (cy2) i=1l w= Ya;(t) wi (£y 2). i=l (!) Sopra i moti vibratorì armonici semplici e smorzati di un mezzo omo- geneo elastico isotropo, * R. Ace. di Scienze di Torino ,, serie II, tomo LX. Questa Memoria è indicata con (A) nel seguito. (* Di queste vibrazioni già avevano dato esempi il Poincaré nella di- seussione delle vibrazioni di una lastra indefinita: Lecons sur la théorie de l’élasticité, pag. 159 e seg., ed il Love trattando della propagazione di onde in un fluido generate dalle piccole oscillazioni di un pendolo sferico, ecc. Some Illustrations of Modes of Decay of Vibratory Motions, © Proc. Lond. Math. Soc. ,, 1904. 518 ERNESTO LAURA Ottengo per tal modo un tipo di vibrazioni, che possono sussistere in un mezzo isotropo, le cui componenti sono: u = e! coskt (uo + vt +... + u,t") + + e" senkt (wo + st +... 4 dt") v =etcoskt {vo + vt +... + ot) + + e-"’*senkt (vo + vt 4... + %,t" ) w= e coskt (wo + wit + ... + 20,8") + + e'senkt(é6+wt +... + w,t") nelle quali le wo v; ... %o ... sono funzioni posizionali. Le vibra- zioni semplici dalla composizione delle quali esse provengono, sono di componenti: (u;, v;, wi) t' e coskt e non possono, in generale, sussistere separatamente. Esse sono generate in un mezzo isotropo da forze di massa, e da tensioni superficiali che dipendono dal tempo in modo ana- logo alle «, v, w. Le u; v; w;, U; ©, 00; che compaiono nelle 1) sono poi so- luzioni di un sistema di 3 (n +1) equazioni nelle sole varia- bali ago: L'interesse dell’introduzione di queste vibrazioni sta ancora nel fatto, che la soluzione del problema più generale della Di- namica ad esse relativo, e cioè determinazione dello stato di vibrazione di un corpo elastico sollecitato da tensioni superfi- ciali del tipo ora detto (e, per porci in un caso semplice, sup- ponendo nulle le forze di massa) quando sieno note le condi- zioni iniziali di spostamento e velocità, viene spezzato in due: a) determinazione delle vibrazioni del tipo 1) generate (possiamo dire) esclusivamente dalle date tensioni superficiali; 0) determi- nazione delle vibrazioni libere con queste coesistenti e che per- mettono di soddisfare alle date condizioni iniziali. Il problema «) ha, quando usiamo il metodo esposto nella presente Nota, analogia con il problema elastico statico, sia per il fatto che le equazioni da cui dipendono le #; v; w; ... non con- tengono il tempo, sia per la loro particolare forma. Esso ha poi, è bene notarlo, un interesse meccanico (e non puramente formale SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 519 come a priori potrebbe supporsi). Se invero supponiamo che in un punto (1) di un mezzo elastico S limitato da una superficie 0 agisca una forza della forma: 1 e-"°t coskt la quale può rappresentare una perturbazione di tipo smorzato abbastanza generale in un punto, la determinazione dello stato di vibrazione da esso generato in S, supposta nulla la tensione sopra 0, sarà fatta calcolando a mezzo delle formole di Stokes (*) le tensioni sopra 0, e quindi una vibrazione regolare in S che dia sopra o le tensioni ora calcolate. Queste, un calcolo sem- plice lo dimostra, sono del tipo considerato (cioè le vibrazioni cercate sono del tipo 1); e quindi il problema che si ha da risol- vere è del tipo a). Nella presente Nota, premesse considerazioni relativamente alle vibrazioni qui introdotte e al loro comportamento, mostro, sommariamente, come introducendo l'algoritmo di complesso e di sostituzione sopra i complessi possa ottenersi rapidità nei calcoli ed eleganza nelle formole. © Riservandomi in un prossimo lavoro uno sviluppo più com- pleto dell'argomento, dò nella presente Nota qualcheduno dei risultati ottenuti riguardanti le vibrazioni longitudinali. il, 1. — Sieno «, v, w le componenti di spostamento, 6 la di- latazione cubica e a, d le costanti di isotropia. Le equazioni dei piccoli moti di un corpo elastico non sollecitato da forze di massa, sono allora: DIOR DA 9) dO 9 al a dì d° 1.05 a (a A) St + 6b°Au AE= = + dv + 9a 2 oi Da ia rd 2Av DIGITA VCO LL (2) di = (a 6°) dy + d°4r 9 dae "Bi dy ES 2 de — (a — 32) da + 52Aw (1) Per il significato della frase “ forza agente in un punto , confronta E. H. Love, A treatise on the mathematical theory of Elasticity, 2°%° edition, 1906, pag. 180 e seg. (?) Queste formole dànno le componenti della vibrazione dovuta ad una 520 ERNESTO LAURA Supponiamo che le w, v, w dipendano dal tempo a mezzo delle equazioni: u=Xa;(t) u, (2 y2) a=l (3) | 0o=Xa;(t)v; (cy) | w=Xa()w(cy2) } i=l La sostituzione delle (3) nelle (2), indicando con accenti derivazioni rispetto a #, dà le equazioni: A Na Qu(cy)=(a@— 0) Xa,()0(y)+ 2 Va; Au, 3ls . +6 PLI (1) Au;(r y 2); ecc nelle quali si è posto: der Sei dich dvi dy +3 Dei, » E poichè le ,; v; w; sono, per ipotesi, funzioni di posizione, le a;' dovranno essere combinazioni lineari delle a, a coefficienti costanti. Si ponga: (5) a; = ly; + hgi09 4... + Reni tn i=1,2,...,4 indicando con le A, quantità costanti. Le (4), per questa posizione, si riducono ad equazioni tra le sole incognite u;, v;, w; e nelle variabili x, y, 2. Si perviene cioè al sistema: (a? — GYD + beAd; = X lit, oil (6) (EL dA Eh j=1,2; (1% = (a? — Wa ii 7 + bAw= Lhatox ol \ forza agente in un punto di un mezzo isotropo illimitato, ll caleolo delle tensioni sopra 0 vien fatto con sole derivazioni. La forma più semplice di queste formole ci sembra quella data dal Prof. Somigliana nella sua Nota in questa Accademia: Sulla propagazione delle onde dei mezzi isotropi, 1905. SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 521 Per ricercare i tipi di vibrazioni che rientrano nelle (3), bisognerà esaminare le funzioni 0, che soddisfano alle equa- zioni (5). Come è ben noto, devesi allora considerare l’equazione secolare: hay adi i h ho ses ha ho hoo—-h ... han (7) pl i ATTRA ee | ==) lina hi,g ner lai cs h | In corrispondenza delle sue radici semplici positive o nega- tive si hanno come soluzioni del sistema (5) degli esponenziali o delle funzioni trigonometriche; in corrispondenza di coppie di radici imaginarie coniugate si hanno soluzioni del tipo: e" cosbt e": sendi , ed infine in corrispondenza delle radici complesse coniugate multiple della (7) si hanno soluzioni del sistema (5) del tipo: (67, 87-1, ...,t, 1) ecosbt; (0,673, ...,t,1) esenti. E dunque pressochè ovvio, che le vibrazioni di generali della forma (3) corrispondono al caso speciale in cui la (7) am- mette radici imaginarie multiple. Le vibrazioni di cui ora ci occuperemo potranno essere definite perciò nel seguente modo. consideriamo le 2 (x 4 1) funzioni del tempo; (8) | do = 27° coskt a, = te"! coskt ... a, = tte"! coskt | Bo=e7*tsenki orse"! senti Sai (te i esenbh Esse soddisfano al seguente sistema differenziale lineare del 2° ordine a coefficienti costanti: | Ge = r.(r — 1)0p2 — 2k8ra,-1 * (44 - k?) Me MIAO) 9]h2 i) è | rilegato SAAB — 2k?rB._1 + (+ IR. 520 ERNESTO LAURA cioè ad un sistema della forma (5), sicchè le vibrazioni, le cui componenti sono date dalle formole: u =etcoskt (ito + ut +... + ut) + + e" senkt (wo, + vit +... + dt”) v = e! coskt (vo + vt +... + 0,0") + + e"! senkt (0 4 vat +... + 1") we" coskt (wo + wt + ... + w,t) + | + e" sen kt (6004 dt... + 8") (10) nelle quali le % o ... sono funzioni posizionali, possono sussi- stere in un mezzo elastico, isotropo senza che invece sussistano le vibrazioni semplici dalla composizione delle quali provengono; esse sono inoltre le vibrazioni più generali della forma (3) di un tale Mezzo. Le equazioni a cui soddisfano le funzioni wo o ... possono essere facilmente ricavate — per non complicare però eccessi- sivamente la scrittura ci limiteremo a considerare il caso: mwe=' la 2. — Le (10) divengono allora :” | (10%) < è —e*coski(v +e) + e""sen kt (0 4 Vi0) u = et! cos kt (uo + vt) 4 e" sen kt (e + uit) w = e! cos kt (w + wt) + e" sen Kt (ww + 11). Le (9) divengono invece: day dt? db 0 log A 1-8 = (ht — k*°) ao + 24°kBo —-— na —— rr 2h? 76" 2kBo sa (h4 ri k?) A; —_ 2h*kB, 41 2ka — 24°, — 2h°ka, +4 (44 — Keyipge SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 523 Sicchè le %9, o, ... soddisfano al sistema: (a — 28) dd + b°4u, = (ht — k°) u, — 2h*ku, dr (a — 9) PÎ1 4 bean, = 29h + (8 — 9) 1, O [all 33) dh | B°AÙ = — 2h?u, + 2ku, + + (A4 — k°) uo — 2h?ku, (a? — 59) DE0 + beAw = — 2ku, — 2hd, + + 2/2kuo + (NA — k°) ug e analoghe equazioni per le 1, è; ... Wo. Dalla forma di queste equazioni deduciamo subito, come già è stato osservato, che le vibrazioni semplici: (u1, vr, wi) te! cost; (ur, 0; wlte-"*senkt non possono sussistere separatamente. Non sussiste neppure, in questo caso, la vibrazione smor- zata (qualora sia u,==0, «,==0): (uo cos kt + wo, sen Kt) e-?"t, ..., K interessante invece notare che determinate le u,, 1}, ... per modo da soddisfare alle (11), la vibrazione: (vu, cos kt + vw, sen kt) e", ...,... è effettivamente possibile in un mezzo elastico, le w,, è, ... soddisfacendo a quelle equazioni a cui soddisfano le componenti di spostamento ridotto nel caso delle vibrazioni smorzate (1). Esaminiamo ora il comportamento di queste vibrazioni; perciò confrontiamo le due vibrazioni semplici che dipendono da # a mezzo delle funzioni: e" cos kt, te" cos kt. (!) Cfr. (A), pag. 3, formole I. 524 ERNESTO LAURA Costruiamo i diagrammi di queste funzioni, assumendo i tempi come ascisse. Nella figura disegnata si è posto: hi >il ld, inoltre la linea punteggiata rappresenta il diagramma della funzione e_** cos kt, e quella segnata con linea continua quello della funzione te7* cos kt. Da questi diagrammi deduciamo che le nuove oscillazioni sono ancora smorzate, ma mentre nella 1% lo smorzamento è maggiore che nella 2* nell’intervallo 0.—1, esso è minore negli intervalli successivi. Per # sufficientemente grande le due sud- dette vibrazioni tendono a coincidere. Un comportamento analogo hanno le vibrazioni dipendenti da t a mezzo della funzione t*e7° cos kf. Le vibrazioni ora introdotte per questo fatto potranno essere indicate come “ vibrazioni smorzate generalizzate di or- dine n ,. Il caso di: n==0) hyi=0 SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 025 dà luogo a vibrazioni armoniche la cui ampiezza diviene infi- nita con t. 8. — In quali casi si presenteranno le vibrazioni smorzate generalizzate ? Ritorniamo a considerare il caso n = 1. Il corpo vibrante S (tutto al finito) sia sollecitato in superficie da tensioni del tipo: | L =e-""coskt(Lo + Lit) + e" sen kt (Lo 4 Lit) (12) M=: e COS kt (Mo — Mt) sE et sen kt (Mo + Mt) { Nz-e-"tcoskt(M + Mt) +e""senkt(N + Nt) le Lo, Li, ..., N; essendo funzioni di posizione. Le vibrazioni a cui esse daranno luogo in S saranno (non tenendo conto delle vibrazioni libere) effettivamente del tipo ora detto. La loro ri- cerca consiste invero nella determinazione delle funzioni wo, Up, ...; %W; soddisfacenti al sistema (11), regolari in S e tali che in superficie verifichino le condizioni: LA 5 Su sca ne dae p glo pedi +e ab °) do 0 da ana (0 dx sit do dY sli DIA de) dc dn dx dn de da (13) lb te -20)0+ òn Li b? (3 dr + DDI dY aL dwi se) de dn dr dn dx dn ecc. avendo indicato con p la densità di $S, e con » la normale in- terna a 0. E questo il problema, indicato con (a) nella introduzione; problema che è analogo a quello dell’equilibrio elastico sia perchè nelle equazioni (11) e (13) non figura il tempo, sia per la particolare forma di queste equazioni. Questo problema ha soluzione unica purchè sia % = 0. Pos- siamo spezzarlo infatti in due; nel 1° determino le %,, v, wi, U,, ©, %; in modo che esse soddisfino in S, ove sono regolari, quelle equazioni tra le (11) contenenti queste sole funzioni, e in superficie dieno le tensioni Li, Mi, Nr, Li; Mi, Ni. 526 ERNESTO LAURA Questo problema ammette soluzione unica (!). Le rimanenti equazioni (11), quando in esse per le wu è, ... è si sostituiscono le loro effettive espressioni prima determinate, forniranno un sistema analogo al precedente nelle wo %oy ... 0%. Queste funzioni saranno determinate perciò in modo unico quando ad esse imponiamo di dare le tensioni Lo, Lo, ..., No. I due problemi, in cui si spezza il dato, sono dunque di tipo armonico smorzato; nel secondo di essi compaiono pur anche forze di massa. Questo risultato vale pure nel caso di w qualunque. Cioè: la determinazione di una vibrazione armonica smorzata di or- dine » generata in un corpo S elastico isotropo dalle tensioni superficiali : L=(Lo + Lt +..+ Lt") e"! cos kt + L+(Lo+ Lit +... + Lt") e"! sen kt; ecc. le Lo, Li, «1 La, +.., N, essendo funzioni di posizione, com- porta, dal punto di vista analitico, la determinazione di (w + 1) vibrazioni armoniche smorzate. Questo problema ha dunque pur esso, supposto % == 0, uni- cità di soluzione. JR 4. — Lo studio delle vibrazioni ora introdotte dev'essere fatto integrando il sistema (11) con le condizioni in super- tficie (13). Dal punto di vista formale, sarà bene che conside- riamo in luogo di questo sistema, o di quello più generale re- lativo alle vibrazioni smorzate generalizzate di ordine », il sistema (5), lasciando le costanti %,, completamente generiche. La forma particolare di questo sistema ci ha indotto ad usare per esso l’algoritmo di complesso e di sostituzione sopra i complessi (2). Per una maggiore comprensione di ciò che segue, espongo qui brevemente i concetti e notazioni usate. (4) Cfr. (A), pag. 10, $ 6. (2) Cfr. G. Prano, Iategrazione per serie delle equazioni differenziali li- neari, “ R. Accad; delle Scienze di Torino ,, vol. XXII, 1887. — Ip., Calcolo geometrico secondo l’Ausdehnungslehre di Grassmann. Torino, Fr. Bocca, 1888. — G. Buranr-Forti e R. MarcoLonco, Omografie vettoriali con applicazioni alle derivate rispetto ad un punto e alla Fisica-Matematica. Torino, 1909, SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 527 Un complesso di ordine n i cui elementi sieno 4; a3 ... 4, sarà indicato con 4. Se 7 è il segno di una sostituzione dei complessi di or- dine » la cui matrice è | in | allora la equazione, ove @, è indicano complessi, b= Ta equivale alle » seguenti equazioni: n n n bi = >> hy;4; $ da _ DI h9;d; s alstals ba —_ » hi. =l = = Se S, T sono due sostituzioni dei complessi di ordine #, prodotto delle due sostituzioni è una sostituzione U che sod- disfa all’equazione: Ua = S(Ta) indicando con « un complesso qualunque di ordine n. Consegue allora subito: la matrice della sostituzione prodotto vale il pro- dotto delle matrici delle sostituzioni fattori eseguito moltipli- cando le orizzontali della 1° per le verticali della 2?. Possiamo quindi così definire una potenza qualunque di una sostituzione. Due sostituzioni saranno dette contrarie quando la matrice dell'una si ottiene da quella dell’altra scambiando le orizzontali nelle verticali. Prodotto scalare di due complessi «, è è quella quantità scalare definita dall’equazione: RATIO TT FO 9 Se S, 7 sono due sostituzioni contrarie dei complessi di ordine », e a, 5 due complessi di ordine » si ha allora la for- mola facilmente verificabile: Sa Xb=a X Tb. 528 ERNESTO LAURA Premesse queste brevi nozioni, è evidente l’utilità che si trarrà da esse nella discussione del sistema (5). Indichiamo con 7 la sostituzione che compare neîì secondi membri di questo sistema, e con $S la sostituzione contraria. I complessi, i cui elementi sono a;, 4;, v;, w;, saranno rispet- tivamente indicati con: (14) (ab) DIL pohs — Th dY (at — 8) P° 4 bAw = Two du | dv dw Di dy toe" Le equazioni in superficie assumono la forma: 3 L= (a — 209) GdL òn dn (15) VETTE e AS | n ò E di na dae dn Dl; da dl ecc - L'integrazione del sistema (15) per un corpo S con le con- dizioni in superficie (16) equivale allora alla determinazione della vibrazione generata in S dalle tensioni superficiali: LXa =MXa NX a LU] SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 529 elle quali le ZL, M, N sono complessi di posizione, ed a un complesso soddisfacente al sistema (13). Questo problema ha una soluzione unica qualora l'equazione secolare relativa alla sostituzione 7’: hi Ss h his 00 hio | lina hno DOO nin ana h non ammetta radici reali negative. Ciò è pressochè evidente riferendoci all'ultimo Teorema del n° 1. 5. — Limitiamo in questa nota il nostro studio al caso delle vibrazioni longitudinali. o Ponendo : on ver da le equazioni (1) acquistano la forma: > d:dadisggoo Ila/deibò "a as dy ? so) 40 =(} dy di Il complesso @ a meno di un complesso costante soddisfa dunque all’equazione: (17) aAp= To. Alla stessa equazione, nel caso generale, soddisfa il com- plesso 0. Le funzioni ®; soddisfano cioè al sistema: (17%) a2A9; = hij®1 +. + Rin Pn i=12}bowt Ognuna di esse è perciò soluzione dell’equazione alle deri- vate parziali di 2x.esimo ordine: | ha = a?A h3 ce. Pin Via Rings. linn — A°A Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 34 é 5830 ERNESTO LAURA Nel caso dei moti armonici smorzati di ordine n questa equazione assume la forma: |(h4 — k® — a24)? + 4h°k]"9;=0. Per le questioni analitiche che si presentano in relazione alla equazione (17) sarà bene tener presente da un lato l’ana- logia che essa ha con l'equazione: a Ap + k?p = 0 e dall’altro che essa si deduce dall’equazione: d°P get CL (18) quando si suppone che @ dipenda dal tempo a mezzo dell’equa- zione: (18%) @(ryz;i)=a() Xo(ey2) e il complesso a (7) soddisfi all’equazione: da die 00. (19) %i serviremo nel seguito di questi due metodi, scegliendo quello tra essi più rapido. Stabiliamo perciò le formole seguenti. Sviluppiamo in serie il complesso : alito) e poniamo (!): ife a da r* Ual 9 L= a sl Bra LA Bia Pi sio (20) r° (5) Per la convergenza di queste serie, cfr. G. Prano, Integrazione per serie, ecc., già citato. SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 591 Tenendo quindi presente la (19) otterremo: a((7-)=La()F La (0). Dalla quale conseguono le formole ricercate: (21) | i Meri Le (21) ci permettono con sole operazioni algebriche di ri- cavare le sostituzioni L, L,. Indicheremo inoltre con A, A; le sostituzioni a queste contrarie. Dalle (20) consegue ora: d*L [N \ dr — a TL d*L, nia 1 | SE= ATL sicchè: i complessi che hanno per elementi gli elementi di ogni verticale di L o di ZL, soddisfano l'equazione: dî li — dr: © a Th. Si ha cioè: o 5 a2A4 (rh) = T(rh). Consegue dunque ancora: i complessi formati dagli elementi delle orizzontali delle sostituzioni sono soluzioni dell’equazione (17). E poi evidente che nel polo dei raggi vettori += 0 la so- i : N "na > [2 i. % ld izle 1 , d- i o=( feet te Lp] Seo a ife]+[eL_})c Si faccia in esse la posizione (18%). Tenendo conto delle (21) -si ha poi: (22) « [P]a j [P]-a "2 ® X DD = © X La(t) = Ag X a(î) SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 538 Repeat e) dt Ja Of] 2 a (e ")+a(+-%) A D) a \ o ge DI 2 eda Li OL alone tai ur Argo) a an PRI) e formole analoghe. Le (22) divengono allora: 1 " D) inp(Enz) Xa)=| {Ap xa ++ TE Ka— r on dr 1, do . Fa r A DIO (6) | do al È Jato dr, dl Mpx a > e a 1 DPL a viva * it Dalle quali riducendo, conseguono le formole richieste di rappresentazione: \ imgend=|{2(A).o A d® l 40 lo\x dm (23) i pi Al an th ip CCA AA Ma dP | e ee r im i Se H è una sostituzione ad elementi costanti, dalle (23) si trae la formola che le comprende entrambe (!): O siena [}a (ta ste ai (') L’arbitrarietà della sostituzione H può essere usata per ottenere delle formole corrispondenti a quelle della media per le funzioni poten- ziali. Basta perciò supporre la superficie 0 sferica, ed il punto EnZ situato nel suo centro. 534 ERNESTO LAURA Le (23) dànno un metodo d’integrazione per l'equazione (17), analogo a quello di Green per le funzioni armoniche. Si voglia ad esempio la soluzione g di (17) regolare in uno spazio S e che sulla superficie assume valori dati. Dalla 12 delle (23) bisognerà eliminare il termine de, Do- DS . . . No ° vremo perciò determinare una sostituzione — tale che i com- x plessi aventi come elementi quelli delle orizzontali della sua matrice sieno regolari in S e soddisfino la (17), inoltre sopra 0 5 ue PATRIA SEMO SSR le due sostituzioni -_ , = coincidono. Avremo allora le equazioni: Lo _{KdNA\= a/AA_0d97 Arp (En2) = | io (Lg 7 n (O SET dr (AMA = (o v on (10 dalle quali: Formola che risolve la data questione. Nella soluzione di simili questioni interviene dunque la de- terminazione di sostituzioni ausiliarie che si definiranno in modo analogo alle funzioni di Green relative alle funzioni armoniche. 7. Notiamo ancora che se in luogo dell’equazione (17) consideriamo la seguente: aAp = To + ® essendo ® un complesso noto di posizione (equazione che sì avrebbe da considerare qualora il corpo vibrante fosse solleci- tato da forze di masse), la formola di rappresentazione dei suoi integrali si otterrà completando il 2° membro della (23) me- diante l’integrale di spazio: SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 535 Sta invero l’equazione seguente (analoga a quella di Prisson, e che si potrà derivare da quella di Lorenz): 0 se il polo (£, n, 2) è esterno dg allo spazio S D) , CS r Î (a24 7) | r | 4ma°® (Enz) se il polo (E, n, 2) è invece interno nella quale si è posto: pipbgazr 6 1g d REIT TE ARTE 8. — Ci proponiamo infine di estendere all’equazione (17) un metodo di sviluppo in serie dell’integrale dell’equazione: a*A® + k°@ =0 quando i dati del problema sono relativi a corpi sferici (!). Sia @, un complesso di ordine » i cui elementi sono poli- nomi sferici di ordine m. Sia T,, una sostituzione i cui elementi sono funzioni della sola r. Determiniamo F,, per modo che il complesso: ba Pn sia una soluzione dell’equazione (17). Procedendo come è indi- cato (Lamb, opera citata) si ottiene che T,, soddisfa all’equazione: 1 d (Fm) r dr? == my = do TE. i (hi a Ricordando poi il significato di prodotto di due sostituzioni, consegue che se R,, indica il complesso formato dagli elementi di una verticale di M,,, allora R,, soddisfa all’equazione: 1 d.r È 22m 5 oa 9 = — a+ SU — (26) , dr r Rm sac al SII D) (') Horace Lame, Hydrodynamies, Cambridge, 1906, 3* ediz., pag. 478. 536 ERNESTO LAURA Essa è la corrispondente, per i complessi, dell'equazione a È s A . . è _ le mm cui soddisfano le funzioni di Bessel di grado mo La soluzione di questa equazione può essere posta in forma simbolica. Per n= 0 la (26) diviene: Come sostituzione F, possiamo dunque prendere la sostitu- : A A eu “Ik i : zione — 0 la Tuò già considerate, a seconda che il centro della sfera non appartiene od appartiene al corpo vibrante. Poniamo la (26) sotto la forma: A &@Rm | 241) den _.T5F (27) dr? ate r dr © a fm. Deriviamo i due membri rispetto ad r e prendiamo come variabile dipendente: L'dPn. riu aos dopo facili calcoli la (27) diviene: Comit ro E An od r dr \r fin i Consegue dunque: Dn 1 ARm Penta iu de Simbolicamente avremo dunque: E quindi: (28) pet SOPRA UNA CLASSE GENERALE DI VIBRAZIONI, ECC. 537 La soluzione cercata diviene, supposto che -=0 sia un punto del corpo vibrante, 1 a\RA,—- 9) i el (29) (alto. Diamo un’applicazione di questa formola per mostrare come essa può essere usata. Vogliasi perciò determinare la soluzione dell'equazione (17) regolare in una sfera di raggio A supponendo che essa riducasi in superficie ad un complesso Y,, i cui ele- menti sono n» funzioni sferiche di ordine m. La soluzione da usarsi sarà data dalla (29) e sarà del tipo: ci H Re Va nella quale H indica una sostituzione costante, e la [,, sarà data dalla (29), cioè si ha: r =(1 IA (aiar: r Sia T® la sostituzione a cui si riduce f,, per "= A. Sulla superficie sferica » = A dovremo dunque avere: ATTO SO Dalla quale: _ L'ro H= GT indicando con F®" la sostituzione inversa di T®, Questa ultima sostituzione esiste solo se il determinante della matrice di 3, è diverso da zero. La soluzione infine cercata sarà dunque: (n° Mime a E Di Ritornando alla formola (28) possiamo notare che essa è compresa in un’altra usata dal Love per la propagazione di 538 ERNESTO LAURA — SOPRA UNA CLASSE, ECC. un'onda sferica in un mezzo fluido (Nota citata in principio). Cfr. pure H. Lamb già citato, pag. 497, formola 5*. La de- duzione da essa della (28) non è però agevole. 9. — I brevi cenni qui dati mi pare possano dimostrare l’utilità del metodo qui usato per la discussione delle questioni analitiche che si presentano in relazione alle vibrazioni consi- derate. In una Nota successiva mostrerò come, usando delle for- mole (21), dalle formole di Somigliana (!) relative alla Dinamica dei sistemi elastici isotropi discendano le formole di rappresen- tazione degl’integrali delle equazioni (14), le quali daranno, come la (23) per l'equazione (17), un metodo di integrazione di queste equazioni. Così pure, usando della (28). potremo esten- dere i procedimenti dati da Lamb (2) e da Chree (?) per il caso delle vibrazioni armoniche semplici, per risolvere il problema, in- dicato con (a) nella introduzione, nel caso delle vibrazioni smor- zate generalizzate di ordine » nel caso di corpi sferici. (4) C. SomieLiana, Sopra alcune formol: fondamentali della Dinamica dei mezzi isotropi, “ R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XLI-XLII, 1906-07. (*) H. Lam, “ London Math. Soc. Proc. ,, vol. 13, 1882. (3) C. Cares, © Cambridge Phil. Soc. Trans. ,, vol. 14, 1889. L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE : Adunanza del 26 Marzo 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, CARLE, RenieER, Pizzi, CHironi, Rurrini, Bronpi, BAUDI DI VESME, SCHIAPARELLI e De SancTIS Segretario. — Scusano l’assenza D’ErcoLe, Srorza e EINAUDI. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 12 marzo 1911. Si comunica una lettera del Socio corrispondente Alessandro Luzio che ringrazia pel conferitogli premio Gautieri. Si dà poi comunicazione di una lettera del Socio corrispon- dente Terza, in cui riferisce intorno allo scritto di Henri BoureEoIs, intitolato: Esquisse d'une grammaire du romani fin- landais. La Classe presa cognizione del saggio del BourRGEoIs, ne delibera la inserzione negli Atti accademici. Il Presidente BoseLLI legge una erudita comunicazione in- torno ai Soci dell’Accademia delle scienze che parteciparono alle deliberazioni del primo Parlamento italiano nel 1861. La lettura è accolta dal plauso unanime dei Soci, i quali deliberano che venga pubblicata nelle Memorie accademiche. 540 Il Segretario De SAncrIs, a nome del relatore D’ ErcoLE assente, legge la relazione intorno alla monografia del Dr. Cesare TRAvaAGLIO, intitolata: Della vera conoscenza secondo Plotino. La Classe, approvata la relazione e presa cognizione dello scritto del TrAvaGLIO, stabilisce con pienezza di voti segreti la sua inserzione nelle Memorie. In seduta privata si procede poi alla nomina della Commis- sione pel premio Gautieri nella Letteratura (triennio 1908-1910). Sono eletti a farne parte i Soci RENIER, GRAF e SFORZA. HENRI BOURGEOIS — ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE, ETC. 541 LETTURE Esquisse d'une grammaire du romani finlandais. Par HENRI BOURGEOIS. On le sait, la langue des Tziganes d’ Europe, ou romani, est, avec l’hindoustani, le bengali, le marathi, le gujarati, etc., un idiòme néo-indien, issu du pracrit, forme populaire multiple du sanserit. Le romani se subdivise en de nombreux dialectes. Un de ses principaux est celui des Tziganes allemands (occidentaux), auquel se rattachent aussi, plus ou moins étroitement, divers autres, tels ceux des pays scandinaves, ceux du Jura et des Alpes (1), voire celui des Tziganes italiens (dans les Marches et le Sud de l’Italie), dont les mots d’emprunt allemands, è première vue, suffiraient è indiquer la provenance (2). Le dia- lecte anglo-écossais lui-méme — tant sous sa forme vulgaire que sous sa forme archaique, usitée en Galles —, bien que très autonome, peut aussi, pensons-nous, y étre rattaché de loin. Le romani allemand fut découvert le premier, dans la se- conde moitié du XVIII® siècle, et la science allemande en fit immédiatement l’objet de ses travaux. Ceux-ci sont résumés dans le grand ouvrage de Pott: Die Zigeuner in Europa und Asien (Halle, 1844-45) (3). D’autres savants vinrent ensuite, qui se chargèrent de mettre cette étude au point de la philologie mo- derne. Le romani allemand possède aujourd’hui une grammaire, du regretté professeur Finck, de Berlin (Lehrbuch des Dialekts (1) Cfr. un conte en romani piémontais, publié dans le Journal of the Gypsy Lore Society, 1910, pp. 242 et ssqq. Le dialecte est nettement alle- mand, quoique émaillé de mots d’emprunt italiens. (2) Il serait è désirer que l’infatigable tziganologue italien, Adrien Colocci, se décidàt è publier sans retard une grammaire de cet intéressant dialecte, mettant en ceuvre les précieux matériaux par lui rassemblés au cours de longues années. (3) Cfr. aussi Ascori, Zigeunerisches. Halle, 1865. 542 HENRI BOURGEOIS der deutschen Zigeuner. Marbourg, 1903), et un dictionnaire, de R. von Sowa (Worterbuch des Dialekts der deutschen Zigeuner. Leipzig, 1898), qui sont tous deux des ouvrages de premier ordre. Ils offrent, pour l’étude des sous-dialectes et dialectes affiliés, un point de comparaison qui ne doit étre perdu de vue un seul instant. Le romani de Finlande se rattache directement au dialecte scandinave et, par lui, au dialecte allemand: c'est d’Allemagne et par la Suède que les Tziganes ont pénétré jusqu'en Finlande. La composition de leur idiòme est, à elle seule, un témoi- gnage suffisant de leurs migrations: les emprunts allemands y sont complètement assimilés, au point d’étre souvent presque méconnaissables (Ex. kentos, enfant, all. And), tandis que les mots suédois plus ou moins défigurés, sont employés dans une proportion de 50 °/ peut-étre de la totalité (1). En revanche, la langue n’a, peut-on dire, rien emprunté au lexique finnois, l’influence de cette langue se réduisant à la phonétique. On peut tirer de ce fait une conséquence certaine: le langage était déjà fixé, par un long séjour en Suède, lors de l’établissement en Finlande, et il n'a subi depuis que d’insensibles altérations. Pour passer sous silence quelques rares publications sans grande importance, le romani de Finlande n'a été étudié que ré- cemment. L’honneur en revient à A. Thesleff, à qui nous devons un dictionnaire de deux è trois mille mots, qui a paru dans les Acta de la Société scientifique de Finlande, en 1901 ; cette publi- cation embrasse aussi une phraséologie et des schémas de la décli- nalson et de la conjugaison. La Finsk Tidskrift, de Helsingfors (1899, pp. 386-98 et 466-77), a aussi publié un article du méme auteur sur les Tziganes finlandais, avec quelques spécimens de leur langage. Immeédiatement après les travaux scientifiques de Thesleff, viennent se placer, sur un terrain plus pratique, ceux de la (1) Le cas rappelle, à cet égard, celui de Tziganes du Portugal et du Brésil. Originaires d’Espagne, ils y transportèrent leur gitano à base d’espa- gnol, mais, au bout de quelques générations, ce n’était plus l’espagnol, mais bien le portugais qui était le substratum de leur langue. Le phénomène est d’autant plus radical ici que, tandis que ce sont les emprunts allemands et suédois qui viennent s’enchàsser dans le cadre romani, le gitano est une composition en ordre inverse ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS 543 mission tzigane de Finlande, qui, depuis quelques années, fait paraître un organe en langue finnoise, Kiertolainen (Le Nomade). Cette revue a publié, notamment dans ses quatre numéros de Noél (1906-1909), un certain nombre de textes en romani. C'est d’après ces textes, et sur des renseignements com- plémentaires fournis gracieusement par M" O. Johnsson, di- recteur de la mission tzigane, à Tammerfors — qu'il regoive ici l’expression de notre gratitude la plus sincère —, que notre travail a été concu et exécuté. C'est done une étude absolument indépendante, sans point de contact avec celle de nos devanciers: laissant le lexique è part, elle doit permettre de jeter un re- gard dans l’intimité de la langue, elle vise à fournir la clef de son interprétation. Ce qui manque le plus aux hommes que les circonstances mettent dans l’occasion de s’occuper de philologie tzigane, et cela en dépit des excellents ouvrages qui dominent la matière, ce sont les principes. Nous les rappelons à chaque pas; si, gràce quelque peu à nos efforts, ils peuvent inspirer les gram- mairiens de l’avenir, notre but sera atteint, et au delà. Notre esquisse d’aujourd’hui se place à còté d'une autre, que nous avons fait paraître dans la Revue de Linguistique et de Phi- lologie comparée, de Paris (1910, pp. 179 et ssqq.): Esquesse dune morphologie du romani gallois. Mais nous travaillions alors . dans des conditions bien différentes: nos textes étaient des contes populaires, annotés par un philologue de profession, of- frant donc une base d’opérations sùre; tandis que nous avons ici affaire è des traductions, compositions nécessairement arti- ficielles, et produites, qui plus est, par des hommes disposant peut-étre d’une certaine connaissance pratique du langage, mais évidemment dépourvus de toute théorie. C'est ce qui en explique les inconsistances, les contradictions, voire les grossiers malentendus; se soutenir sur ce terrain mou- vant n'est possible que par une connaissance préalable de tous les grands dialectes du romani et des principes auxquels ils obéissent. Il importe de signaler aussi des divergences de vues, parfois fondamentales, d’avec Thesleff. Nous aurons l’occasion d’en tou- cher un mot dans la théorie des verbes. Et maintenant, nous allons passer successivement en revue 544 HENRI BOURGEOIS les divers chapitres de la grammaire: phonétique et morpho- logie. Quant è la syntaxe, elle ne s’écarte pas sensiblement de la syntaxe générale du romani. Nous nous en rapportons, pour le surplus, à l’ouvrage de Finck, déjà cité, ouvrage supposé connu de nos lecteurs. La phonétique de notre idiòme est dominée par l’influence du finnois, l’unique langue des campagnes en Finlande, celle partant avec laquelle les Tziganes sont le plus en contact (1). C'est è elle qu'il faut attribuer la multiplication des diph- thongues par la vocalisation de , v en suite d’une voyelle: Kx.: jou pour jov, joi pour 70), etc. Les langues indiennes, d’une part, et le finnois, de l’autre, n’ont quY’un accent fort peu marqué et procèdent, en revanche, par longues et brèves; dans ces conditions, l’assimilation com- plète était facile. Dans la graphie de nos textes, que nous suivons religieusement, la longue est marquée, comme en finnois, par le redoublement de la voyelle, tandis que la brève cause le redoublement éventuel de la consonne qui suit: Ex.: duumo et dummo (dos), que nos textes donnent indifféremment sous cette double forme. - Toutefois, ce n’est point là règle sans exception, surtout dans les finales. C'est ainsi, par exemple, que pes (se, soi) devrait pour lors étre écrit pess, ce qui n'est point le cas. Lakko (son, celui d’elle) exige le redoublement du 4, pour marquer la valeur de l’a qui précède; on s’en dispense souvent en fait. L’introduction de certains sons, tels que di, è, y, ne s'explique non plus que par une influence suédoise ou finnoise, tandis que l’harmonie vocale rudimentaire qu'on croit découvrir parfois est proprement finnoise. (1) Le suédois est la langue des villes et de la haute culture. C'est dire que, depuis qu’ils ont quitté la Suède, les Tziganes ne l’ont plus guère rencontrée. Ce fait explique aussi pourquoi les éléments suédois sont tellement déformés en romani: il est clair que c’est là l’oeuvre du temps, et que, si le suédois leur était familier encore aujourd’hui, son influence se traduirait bien autrement. ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS 945 hicéirna, oblique formé sur le thème masculin hédrnes, hidirnas, et avec harmonie vocale hédrnis; hyylini, pour hyylena (ils se reposent, du verbe suédois hvila); ete., ete. Notre alphabet compte trois caractères tildés: g, équivalent au dj du francais, g(e), g(i), de l'italien; €, c’est-à-dire #j en francais, en italien c(e), c(î); et, enfin, un X tildé, que, pour plus de commodité, nous exprimons ici par le y grec. Cette dernière lettre doit se prononcer comme le ch doux allemand (dans mich, dich, p. ex.). Etymologiquement, elle rem- place assez régulièbrement le 3 [all. sch, it. sc(e), sc(7)] du romani allemand. De méme que, dans ce dernier dialecte, le s de la langue commune est fréquemment remplacé par & -— la méme règle existe en romani finlandais, mais elle souffre beaucoup d’exceptions — de méme ici le 3 l’est, en outre, par y. Le seul % reste donc pour rendre à la fois les deux sons % et x (x) du romani allemand (ce dernier équivalant au ch dur all.). Les aspirées XA, ph, th subsistent, mais leur emploi est irrégulier, comparaison faite avec les autres dialectes. Il importe d’ailleurs de ne jamais le perdre de vue, toute la phonétique de notre idiòme est affectée du méme vice. Nos textes ne donnant pas l’accent, nous n’en parlerons pas. Article. — L’article a presque entièrement disparu du romani finlandais. Il semble qu'il faille attribuer cette disparition, relativement récente, à l'influence du finnois, langue sans ar- ticle (1). Celui-ci s'est d’ailleurs parfaitement maintenu dans un cas, avec les prépositions. Ex.: praalo phuu (sur la terre), api enga (sur le champ), où o, è est l'article, et qu'il eùt été, partant, plus rationnel d’écrire praal’o phuu, api enga. (1) Le suédois, avec son article sui generis, peut très bien, en fait, avoir été le principe de cette évolution. Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 35 546 HENRI BOURGEOIS L'article est, dans ce cas, o pour le masculin, è pour le fé- minin, e pour le pluriel. Substantif. — Le romani gallois possède deux déclinaisons: masculine et féminine. La première comprend : a) des thèmes en -o (n° 1); b) tous les autres thèmes originaux (n° 2); c) des thèmes en -0s, -ys (n°5 3 et 4), emprunts étrangers naturalisés dans la langue. Ces finales viennent de 1°-0g, -75 du grec (1). Nos cas sont: nominatif, vocatif, oblique, datif, locatif, ablatif, instrumental. L'oblique, quand il s’agit d’étres inanimés, est de pure con- vention; pour les animés, il fait fonctions d’accusatif. C'est là le principe général du romani; toutefois, remarquons que la dis- tinction entre animés et inanimés n’est pas toujours observée bien fidèlement par nos textes. Ce que nous appelons locatif, en raison de son usage pri- mitif, est ici, en fait, un prépositionnel. Pour le génitif, en tzigane comme dans les autres langues néo-indiennes, ce n'est qu’un adjectif formé de l’oblique, au moyen des terminaisons -ko, -kî, -ke, -g0, -giî, -ge. Les désinences -kero, -gero (et méme -kéro, -giiro) sont plus archaîques, et on ne les rencontre pas en dehors de compositions fixes, indépendantes. La nature adjectivale du génitif romani n’est malheureu- sement pas reconnue par nos textes dans la mesure convenable. Ce principe, étant absolument étranger à nos langues européennes, n'a pas été compris par beaucoup de tziganologues, Wlislocki et Jesina en première ligne; on n’en peut donc faire grand grief à nos auteurs, et cela d’autant moins que la construction in- (1) On suit que les Tziganes, débarqués en Europe, firent d’abord un séjour prolongé, de quelques siècles peut-étre, en Grèce et en Roumélie. D’où leur nom de Rom (cfr. le grec “Powazos), ainsi que les éléments grecs de leur idiòme. Leurs noms d’emprunt furent d’abord exclusivement greces; lorsque, plus tard, en vertu du méme principe, ils commencèrent è em- prunter aux langues de leurs voisins slaves, roumains, hongrois, allemands et autres, ils ajoutèrent è ces mots étrangers, comme marque distinctive de leur origine, les désinences grecques -0s, -is, auxquelles ils étaient ac- coutumés désormais. ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS 547 dienne offre de grands inconvénients pratiques, dès qu'il s’agit de traduire plusieurs génitifs consécutifs. Quant au vocatif, il ne semble jouer qu'un ròle obscur dans notre dialecte. On ne le rencontre qu’au singulier des thèmes masculins originaux, et, méme là, il est le plus souvent rem- placé par le nominatif. Le schéma est le suivant: 1 2 3 4 N. geeno duat fooros dalamys RAV geena daada fooros balamys 2\0. geenes daades fooros balamys 8 D. geeneske daadeske fooroske balamyske = | L. geeneste daadeste fooroste balamyste A. geeneha daadeha fooroha balamyha I geenesta daadesta foorosta balamysta N. geene daat foori balami V. geene daat foori balami =\0. geenen daaden fooren balamen 5 D. geenenge daadenge foorenge balamenge =|JL. geenenne daadenne foorenne balamenne À. geenensa daadensa foorensa balamensa I. geenena daadena foorena balamena Les noms en -os, -ys ont une tendance è se confondre, aux cas obliques du singulier et au pluriel, avec les thèmes origi- naux en -0: Ex. kentos fait è l’oblique singulier Kentos et Fentes, pl. kenti et kente. On observe, pour le reste, les mémes irrégularités que dans les autres dialectes romani: Ex. rai, oblique sing. ras, pour rai-es, obl. pl. ran, pour rai-en; etc., etc. A noter, entre autres, que le nomen actionis en -ben (Ex. yaaben, le manger) prend ici plus souvent la forme -ba, obl. -bos: Ex. jelpiba (l’aide, du suédois hjilpa, aider), obl. jelpibos; etc. Les thèmes féminins correspondent en principe aux mascu- lins. Notons, au passage, l’adoucissement de la voyelle, qui est, d’après nous, la caractéristique des féminins en romani (comme dans pheen, pheenja, n° 1). Il est vrai de dire que les inconsé- quences sont ici peut-étre plus nombreuses encore que dans les autres dialectes. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 35% 548 HENRI BOURGEOIS Le n° 1 du masculin se subdivise en deux (n°* 1 et 2): dans l’un, l’î devient consonne è l’oblique (cirikja, pour ciriklja), dans l’autre, la voyelle reste intacte et est renforcée par une consonne de liaison (buttija). Toutefois, la distinction n'est pas constante, car nos textes accusent, à l’oblique pluriel, butjen è coté de buttijen. Les noms d’emprunt féminins sont ici en -a (n° 4). Ils restent invariables à l’oblique. Au pluriel, ils sont traités comme les correspondants masculins en -08, -ys; ils font donc éventuel- lement -e au nominatif. Méme au singulier, ils manifestent une tendance analogue; nous en avons vu un exemple, plus haut, dans le mot hddrnds. Voici la déclinaison féminine: 1 2 bi 4 N. cirikli butti pheen hicirna PUVI ere butti pheen hiidirna (2 VO Verrikja buttija pheenja hiicirna 2e/D. Cirikjake buttijake pheenjake hiicirnake s | Tn Cirikjate buttijate pheenjate hicirnate A. Cirikjaha buttijaha pheenjaha hidrnaha I. Cirikjata buttijata pheenjata hiicirnata N. Cirikja buttija pheenja hicivni V. Cirikja buttija pheenja hiidirni =\0. Cirikjen buttijen pheenjen hiicirnen ED. Ctirikjenge buttijenge pheenjenge —hiicirnenge & | L. Cirikjenne buttijenne pheenjenne —hiicirnenne A. Cirikjensa buttijensa pheenjensa hidirnensa \ IL Cirikjena buttijena pheenjena hidirnena Adjectif. — Quand l’adjectif joue le ròle de substantif, il se décline absolument comme tel (donc sur geeno, Cirikli). Mais quand il qualifie un nom, il ne possède qu’un nominatif et un oblique, ce dernier correspondant è l’oblique du substantif et aux cas qui en sont formés. Cette distinction est essentielle en ro- mani; le chapitre des pronoms nous en fournira bientòt une ap- plication nouvelle. Le schéma adjectival est comme suit: Singulier Pluriel Masch. Fém. N. terno terni terne 0. terne terni terne Singulier Pluriel N. me tu jou Joi —_ \ì maan tuut les la pes )D. mange tukke leske lakke peske )L. manne tutte leste latte peste [i mansa tussa, tuha lessa, leha lassa, laha pessa, peha I manna tutta lesta latta pesta —— _w-..— N. ame, me tume joun = O. ameen, meen tumeen leen peen D. amenge, menge tumenge lenge penge L. amenne, menne tumenne lenne penne A. amensa, mensa tumensa lensa pensa I. amenna,menna tumenna lenna penna ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS D49 Ces désinences, on le remarque à première vue, répondent à celles des substantifs en -0, -i. Quelques rares thèmes corres- pondent è daat-pheen et restent invariables.” Enfin, les emprunts étrangers, comme dans les autres dia- lectes, sont ici l’objet d'un traitement un peu spécial, ainsi que le trahit la forme fremdones, oblique substantival de fremdo (étranger, de l’all. fremd). Nous trouvons de méme sakkones, de sakka, chacun, etc. Ces formes correspondent aux adjectifs empruntés de Sowa (cfr. Die Mundart der slovakischen Zigeuner, Gottingue, 1887, p. 65): cuzo (étranger, du slovaque cudzy/), zeleno (vert), etc. Sont ramenés également è cette déclinaison, en romani slovaque, isto, samo, et les numéraux: jekhto, ete. Le comparatif ajoute -ide à la racine; le superlatif s’obtient en faisant précéder le comparatif du mot koni: Ex.: terno, ter- nide, koni ternide. C'est ici qu'il appartient de dire un mot de l’adverbe, en tant que formé d'un adjectif. Il ajoute à la racine la termi- naison de l’oblique substantival du masculin singulier -es, qui, dans notre dialecte, par l’effet d'une négligence phonétique dont nous avons vu des exemples déjà, devient parfois -as: Ex.: baares, langytas. Pronom. — Personnels. En voici la déclinaison: Pes est le réfléchi (se, soi), il n'a donc pas de nominatif. Ce que cette déclinaison, dans notre dialecte, offre de plus 550 HENRI BOURGEOIS caractéristique, c'est la voyelle longue è l’oblique, les cas qui en sont formés reprenant la brève (maan, mange, ete.). Les adjectifs possessifs sont absolument réguliers. Les voici: mo, mi, me; maro, Mari, Mare ; to, ti, te; tumaro, tumari, tumare; lesko, leski, leske; lakko, lakki, lakke; lengo, lengi, lenge; pesko, peski, peske; pengo, pengi, penge. Démonstratifs. — C'est là un des traits qui spécialisent le mieux les dialectes. Nos textes ne nous permettent guère de traiter ce chapitre în ertenso, mais on peut affirmer, dans tous les cas, que les éléments originaux sont ici considérablement réduits. Voici les pronoms: ; Singulier pacato LG | Masc. Fém. 1° N. dauva dauva O. daales daala etc. 2° Niadonva douva O. dooles doola etc. 5° N. kouva kouva O. kooles koola etc. Pluriel daala daalen doola doolen koola koolen Les démonstratifs sont, en dialecte allemand: kdwa, diwa, kébwa, déwa. Une de ces formes manque ici, et l’influence finnoise a altéré les autres (a, o sont devenus au, ou). Excessivement rudimentaire semble étre, par contre, le schéma de l’adjectif. Le voici, tel qu'on nous le fournit spécia- lement: Singulier perbiagizge Ao Masc. Fém. ado, do da Pluriel da ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS 001 Mais nous serions plus disposés à considérer da comme l’adjectif correspondant à dauva, tandis que do répondrait è douva, kouva. Ces deux formes seraient respectivement uniques et invariables. Dans l’un et l’autre cas, l’adjectif n’a plus rien de commun avec celui du romani allemand, lequel suit très régulièrement son substantif. Interrogatifs et relatifs. — L’interrogatif est, pour les per- sonnes: koon (qui?), obl. Koones, ete.; au pluriel, koone, obl. koonen, ete. Pour les choses, c'est: so (quoi?), sos, soske, soste, sossa, sosta. L’adjectif est suavo (quel, lequel?), Xawo en romani allemand. Koon sert de relatif, pour les choses comme pour les per- sonnes. So, comme relatif, signifie: ce qui, ce que. Enfin, suavo remplace parfois %oon, quoique, étant donnée la signification générale de ce dernier, il n'y ait guère nécessité d’y recourir. Indéfinis. — Comme cette espece de pronoms relève plus du lexique que de la grammaire, et qu'il est impossible d’éta- blir des schémas généraux, nous préférons n’en rien dire. Verbe. — Il est substantiellement, en romani finlandais, ce qu'il est dans les autres dialectes. Voici l’auxiliaire: Présent Imparfait som sommas sal sallas hin sas sam sammas san, Sen sannas, sennas san, sen, hin sannas, sennas, Sas L’imparfait a ici aussi un sens très général de passé. Les temps manquants sont suppléés par les correspondants du verbe te vel (venir, devenir, all. werden). b52 HENRI BOURGEOIS La conjugaison d’un verbe régulier, dans notre dialecte, em- brasse: 1° un impératif; 2° un subjonctif présent ; 3° un indicatif présent-futur; 4° un conditionnel; 5° un parfait; 6° un plus-que-parfait; (° un participe-passé. L’ordre que nous adoptons est, comme on peut le constater celui de la formation des temps. Pour nos textes, le présent de Thesleff est le subjonctif, tandis que son futur exprime en réalité, ad libitum, le présent ou le futur de l’indicatif. Cette théorie a toutes chances d’étre la vraie, car elle est bien conforme è celle du romani allemand. La forme en -as a désormais perdu son sens'd’imparfait et ne fonctionne plus que comme conditionnel. Dès lors, l’imparfait est rendu par le parfait. Cette evolution est due, très proba- blement, è l’influence combinée du suédois et du finnois, langues qui ne distinguent pas les deux temps. Quant au plus-que-parfait, comme dans tous les dialectes tziganes, c'est un temps exceptionnel, voire défectif (aux troi- sièmes personnes). D’après Thesleff, ce temps est un conditionnel passé; mais, plus encore que dans les autres dialectes, le con- ditionnel passé est sans doute moins ici une réalité qu'une conven- tion de grammaire. Au reste, le conditionnel présent exprime aussi éventuellement le passe. La conjugaison de fe vel est la suivante (1): Impératif (AIA vas ven (1) Dans ce schéma et ceux qui suivent, nous recourons à Thesleft, mais seulement comme élément auxiliaire, et en prenant soin de réduire son orthographe à celle de nos textes. ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE DU ROMANI FINLANDAIS d98 Subj. Prés.-Fut. Condit. Parfait Plus-que-parfait te vaa vaa vaas avjom, jom avjommas, jommas te ves veha vehas avjal, jal avjallas, jallas te vel vela velas avjas, jas, aulo (-i) = (aulo, auli) te vas. vaha vahas —avjam, jam avjammas, jammas te ven vena venas avjan, avjen, jan, jen. avjannas, avjennas jannas, jennas te ven vena venas = aune (aune) Participe passé. aulo (-i, -e); auno (-î, -e) (1). Ce verbe sert encore, en principe, à exprimer le passif, bien que celui-ci soit plutòt rare, phénomène qui peut étre attribué a l’influence du finnois, langue qui ne possède pas un passif au sens du nòtre. Ex.: fe vaa diklo, que je sois vu; vaa diklo, je suis vu, je serai vu; vaas diklo, je serais vu; avjom diklo, je fus vu, J'étais vu, J'ai été vu; avjommas diklo, favais été vu, Jaurais été vu; etc. Le passif se forme encore au moyen d’autres circonlocutions, selon les circonstances. Enfin, le passif et le neutre possèdent un second participe passé, forme spéciale tombée en désuétude dans la plupart des dialectes, mais que l’on retrouve également en romani allemand: Kx.: rakkimen (dit), foddimen (né). Ce -men n'a rien è faire avec le -mana du participe moyen sanscrit, mais il remonte certai- nement è la conjugaison grecque (-uévos au participe parfait passif), ainsi que son caractère d’emprunt manifeste et son usage restreint suffiraient è l’établir. Le schéma de ze vel est, mutatis mutandis, celui des autres verbes; à titre complémentaire, nous donnons, d’après Thesleff, quelques formations verbales: ab uno disce omnes. (1) La forme en -no est, dans son application large, propre à notre dialecte. En cas de concurrence, elle est presque exclusivement employée au pluriel, la forme du singulier étant celle en -/0, commune aux autres dialectes. 554 HENRI BOURGEOIS — ESQUISSE D'UNE GRAMMAIRE, ETC. Te del (donner): de, ditom, diilo (-i, -e), diino (-i, -e) ; te jaal (aller): gua, geiom, geelo, jeeno ; te juanel (savoir): jaan, jaanidom, jaanlo ; e lel (prendre): Ze, liiom, liîlo, lino; te merel (mourir): mer, muiom, muulo, muuno ; te peerel (tomber): peer, peiom, peelo, peeno ; te phurjuvel (vieillir): phurju, phurjudom, phurjudiilo, phur- judtino, phurjimen; te souvel (dormir): sou, souvidom et suutom, souvido et I DS So S us suuto, souvimen; ete. Enfin, quelques autres parfaits, cueillis au hasard dans nos textes: Roodidom, je cherchai; kamjal, tu as aimé; liien, vous avez pris; trystadas, elle enveloppa; puytas, il interrogea; foddidas, elle mit au monde; foddidiilo (hin), il est né; byrjadiilo, il avait commencé; rakkade, ils disaient; phelle, ils dirent; lahte, ils trou- vèrent; Rule, ils entendirent: jaanede (au lieu de gaanle), ils savalent; etc., etc. En conclusion, nous reproduisons ici le Pater, tel que le donne le Aiertolainen, sans y apporter autre chose que quelques corrections indispensables et d’ailleurs minimes. Ce texte suivi, qu'il est facile d’interpréter avec l’aide de ce qui précède, achè- vera de donner au lecteur une idée du romani finlandais. Maro Daat, koon sal are deulenne, kurkimen mo vel to nau, neer mo vel to vollako boliba, mo pherjuvel to kfammiba jakkes praalo phuu sar are deulenne, de menge da duves maro sakko divisesko maaro, ta de prossiba mare uuhliba, jakkes sar me ka daha pros- siba lenge, koonen hin uuhliba menge, ma ige meen aro kvinniba, bi muk meen nikki katto grehhena, dooleske tiiro hin volla, goor ta patti katto tiia are titenne. Amen. Bruxelles, 15 février 1911. 955 Relazione sulla Memoria del Dr. Cesare TravaoLio, intito- lata: La vera conoscenza secondo Plotino. EcrEGI COLLEGHI, Nella dissertazione su cui abbiamo l’onore di riferire a questa R. Accademia il Dr. Cesare Travaglio si propone di esa- minare la teoria della vera conoscenza secondo Plotino. Il gio- vane autore ha studiato accuratamente e direttamente il testo delle Enneadi, e può dirsi che in generale è riuscito a penetrare nello spirito della dottrina gnoseologica plotiniana. Egli si è trat- tenuto in primo luogo intorno al sensibile mettendone in luce i tre fattori gnoseologici secondo il pensiero di quel filosofo, @ ©, Îî) wuyî, tò tgitov mneroduevov. Poi ha studiato la teoria dell’intelligibile: dove Plotino, seguendo le orme di Platone, af- ferma la esistenza di un x6ouos vontés e asserisce che, come del mondo sensibile abbiamo notizia per mezzo del senso nel fatto dell’alodno1s, così del x6ouos vontis per mezzo dell’intel- letto (voùs). Ma mentre l’anima (vg?) è parte essenziale di noi, è assolutamente nostra, non è lo stesso del voès, il quale si pre- senta come un ospite passeggero che viene di quando in quando a visitarci e che sempre è indipendente dalle nostre affezioni. Dopo aver discorso dell’intelligibile passa il Dr. Travaglio a discorrere del Divino: cioè, secondo la dottrina plotiniana, del- l'archetipo del cosmo, che tutta la realtà in sè contiene nella sua perenne esistenza: il vero ed assoluto w0©rorv. Il Divino così delineato si appercepisce secondo Plotino per mezzo della éxotaots, cioè non mercè l’attività di una potenza razionale e discorsiva, ma con una diretta intuizione. A questa si eleva l’anima quando con l’aiuto del voès si discioglie da tutti i vin- coli che la tenevano legata alla materia. ; Questa dottrina non soltanto è lucidamente ed ampiamente esposta dal Travaglio; ma egli sì sofferma a cercarne le rela- zioni con altre dottrine: in particolare quelle di somiglianza e derivazione con le dottrine platoniche e quelle di opposizione con le dottrine scettiche. Sarebbe stato forse desiderabile che egli 996 avesse approfondito anche le relazioni tra Plotino e lo gnosti- cismo; cosa tanto più opportuna ora in quanto sono molto au- mentati i materiali di cui disponiamo per la conoscenza delle varie forme di quest’ultima dottrina. Pel resto il giovane au- tore si mostra sufficientemente informato di tutta la letteratura attinente all'argomento: e sa in massima opportunamente gio- varsene, nonostante che preferisca sempre la ricerca diretta sui testi. Pertanto, tenuto anche conto del fatto che negli ultimi tempi (salvo qualche onorevole eccezione) si son poco occupati di Plotino gli studiosi italiani, i quali pure nelle ricerche ploti- niane avevano, specie con Marsilio Ficino, stampato una orma gloriosissima, ci sembra che il lavoro del giovane autore meriti approvazione e incoraggiamento e possa essere inserito nelle memorie accademiche. Garrano DE SANCTIS Pasquare D'ErcoLe, relatore. L’Accademico Segretario Gaetano DE SANCTIS. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Aprile 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, SaLvapori, D'Ovipio, Spezia, JADANZA, FoA, GUARESCHI, GUIDI, PARONA, Grassi, FUSARI e SEGRE, Segretario. — Scusa l’assenza il Socio SOMIGLIANA. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente presenta le seguenti pubblicazioni inviate in omaggio all'Accademia: 1° fapport sur les travaux du bureau central de Vl’ Association géodésique internationale en 1910 et pro- gramme des travaux pour l’exercice de 1911, dal Socio straniero HeLmert; 2° Pubblicazioni di G. Kòrner raccolte ed ordinate in occasione del 50° anniversario della sua laurea, dal Socio cor- rispondente KORNER; 3° Les minéraux radiovactifs du Madagascar, dal Socio corrispondente LAcRorx. Il Socio Guipi presenta, per | inserzione negli Affi, una Nota di F. GroLrrtt e F. CarnevaLI, Sulla cementazione degli acciai al cromo. Atti della R. Accadenvia — Vol. XLVI. (36) (eri 558 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI LETTURE Sulla cementazione degli acciai al cromo. Nota di F. GIOLITTI e F. CARNEVALI (Con 1 Tavola). In una Nota pubblicata circa un mese addietro (*) abbiamo riferito 1 risultati di una serie di ricerche sulla cementazione degli acciai a vario tenore di nichelio mediante due cementi “ tipici ,,, dimostrando come la determinazione delle curve rap- presentanti le variazioni della concentrazione del carbonio negli strati successivi delle zone cementate, non solo fornisca dati di notevole interesse pratico per la cementazione industriale di questi importanti acciai speciali, ma permetta anche di trarre alcune conseguenze intorno alla costituzione degli acciai stessi. Nella presente Nota riferiamo i risultati di alcune ricerche eseguite — con criteri analoghi alle precedenti — sopra un ac- ciaio al cromo. L'acciaio al cromo che ci servì per queste esperienze, ci fu ancora fornito gentilmente dal sig. Paul Girod. Tale acciaio — fabbricato al forno elettrico Girod — aveva la seguente com- posizione: Cromo fi 33° Carbonio va Silicio ups Manganese n) 02 | più tracce di zolfo e di fosforo. Sottoponemmo il metallo — sotto la forma dei soliti cilin- dretti di 10 mm. di diametro per 100 mm. di lunghezza — all'azione carburante di tre diversi “ cementi ,. I primi due — l’etilene e l’ossido di carbonio, puri — sono gli stessi che ave- (*) F. Grovimi e F. CarwevaLi, Sulla cementazione degli acciai al nichelio. (Questi Rendiconti). SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL CROMO 559 vamo già adoperati nelle precedenti ricerche sulla cementazione degli acciai al nichelio: come quelli che abbiamo altra volta dimostrato fornire zone cementate appartenenti a due tipi distinti fondamentali. Il terzo cemento adoperato è il cemento “ misto , risultante dall’azione contemporanea dell’ossido di carbonio (o dell'anidride carbonica) e del carbone. Abbiamo già dimostrato in precedenti pubblicazioni (*) come tale cemento — la cui azione carburante caratteristica è dovuta ancora esclusivamente all’azione specifica dell’ossido di carbonio — permetta di otte- nere risultati di notevole importanza pratica: così che abbiamo ritenuto interessante esaminare con precisione lo speciale modo di agire di questo cemento sull’acciaio al cromo. Sia per l'esecuzione delle cementazioni come per la deter- minazione del carbonio negli strati successivi (dello spessore di 0,2 mm.) delle zone cementate seguimmo esattamente gli stessi metodi sperimentali che abbiamo già descritti nelle varie Note precedenti. Riferiamo, quindi, senz'altro i risultati delle nostre espe- rienze, raccogliendoli in tre serie, comprendenti ciascuna delle cementazioni eseguite mediante lo stesso cemento. I° Serie (Etilene). a) Cementazione di cinque ore a 950°, con litri 8,2 di etilene (Fig. 1) (*9). CaroniIo °/ N.° d'ordine Profondità eT=s“*;inGNn)neo ani in | | dello strato (mm.) là | 2a | se Determinazione | Determinazione | sE er SRI | n età nisi î 1 0,2 | 1,41 od | 1,40 3 0,6 © 1,08 | 0,98 È i 03 5 IA0) 0,93 | 0,93 | 0,95 7 1,4 0,70 Ut \her:05705 11 2,2 0,40 0:49 O (*) V. questi Rendiconti, 1910. (**) La linea orizzontale tracciata in ogni diagramma corrisponde alla concentrazione iniziale del carbonio nell’acciaio sottoposto alla cementazione. 560 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI o 13 Lo 16 a) Fig. 2 (I° Serie - db). 6) Cementazione di cinque ore a 1050°, con litri 7,2 di etilene (Fig. 2). Carponio %/ N° d'ordine | Profondità = rr dello strato (mm.) | I 9a | BI : ; . . Media | Determinazione | Determinazione | | 1 0,2 1,26 1,84 1,80 3 0,6 1,08 1.19 1,135 5 1,0 1,10 1,04 1,07 7 1,4 Most — i 0,96 | 0,97 9 1,8 0,83 | 0,83 | 0,83 19 2,4 0,57 | 0,55 | 0,56 eee e=e=_._._—..__ n P_P_————rr. rg.LeAdo-r.--_ w.-. s*=—P>} SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL CROMO II’? Serie (Ossido di carbonio). a) Cementazione di cinque ore a 950°, con litri 12 di ossido di carbonio (Fig. 3). CarsonIO 561 N.° d'ordine Profondità “oi = = dello strato (mm.) Ta 2a al | Determinazione | Determinazione | Media a DA ASTI a I 0,2 0,56 Oa _L3.0,54 3 0,6 0,62 0,59. | 0,605 5 1,0 0,57 0,60 | 0,585 la) 1,6 0,5 0,50 | 0,50 11 2,2 0,47 0,52... .|.0,495 CE De SS CRT È È; ole CM, Lies oh 0,3 0,2 04 [E] Doo 0,6 08 1,0 1,2 15 16 18 20 22 24 Fig. 3 (II° Serie - a). b) Cementazione di cinque ore a 1050°, con litri 11 di ossido di carbonio (Fig. 4). N.° d'ordine dello strato Profondità | (mm.) 0,2 0,6 1,0 1,6 2,9 ]® Determinazione 0,54 0,45 0,43 0,45 0,40 Carponio %/ Za Determinazione 0,50 0,45 0,42 0,46 0,46 | il Media 0,52 0,44 0,425 0,445 0,43 562 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI DI Fig. 4 (Il? Serie - 5). III* Serre (Carbone e anidride carbonica). a) Cementazione di due ore a 1000°, con tre litri di anidride carbonica (Fig. 5). | CargonIO “o N.° d’ordine | Profondità | = dello strato | (mm.) | 1° va | | Determinazione | Determinazione | Media sui A li CITI Me F_PINE | 1 ROC 0,80 | 0,82 | 0,81 3 0,60 | 0,78 | 0,82 0,80 d DURO Pa 0,65 0,70 | 0,675 7 1,4 0,495 . 0,59 | 0,545 9 1,8 0,50 0,48 | 0,49 04| nati ‘ 0,1 PAL 06 ì “gd f] Natiba 03 Sera 03 02 od! 02 4 0,6 08 10 1.1 44 46 13 20 Fis. 5 (III* Serie - a). b) Cementazione di due ore a 1100°, SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL CROMO carbonica (Fig. 6). 563 con tre litri di amidride Carsonio ‘/ ARBONIO ‘/o Fig. 6 (III* Serie - db). Rrswd'iordimert“Profonditati=====*== =; i = dello strato | (mm.) | ne 2A Media | Determinazione | Determinazione | 909 5023 A N ST PISO ROL È | 1 0,2 0,84 | 0,97 xt 855 3 (000,6 de99. | 0,89 0,91 5 1,0 i | 0,85 0,80 7 1,4 0,70 0075) | Wb,795 9 1,8 0,66 0,61 | 0,635 JA 2,2 0,54 0,60 0,57 93 E = agi I 06 pronte il 9,3 CHI 0 c,% 9,6 0,8 4,9 42 1,6 1,0 4,8 9 2 2, 564 F. GIOLITTI - F. CARNEVALI c) Cementazione di cinque ore « 1000°, con otto litri di anidride N.° d’ordine dello strato carbonica (Fig. 7). | Profondità | | li | (mm.) I 12 = @ CarBoNIo ‘/y | 0/ Za 1 0,2 10 1,24 3 0,6! 1,21 | 1,10 5 ICON 1,00 | 1.05 6 2 9092 _ 7 UL di 0,86 0,87 9 Sn 09 0,70 io 2,6 | 0,50 0,50 I 09 << na bd ob =: Fig. 7 (III? Serie - ©). | Determinazione | Determinazione | | Media SULLA CEMENTAZIONE DEGLI ACCIAI AL CROMO 565 d) Cementazione di cinque ore a 1100°, con otto litri di anidride carbonica (Fig. 8). Cargonto %/y N.° d'ordine Profondità —______* === F*< - == > ess dello strato (mm.) Jia Da | sr Determinazione | Determinazione | Media 1 0,2 1,06 1,13 i 1,095 3 0.6 12 bio 1.125 D 1,0) Je: ini 1,219 7 1.4 0),97 ISPI i 1,04 9 158 1,00 0,95 | 0,98 li 22 0.87 no5 083 info. :86 13 Ltd a 0,70 0,745 15 dei 0,64 0,62 0,63 . li ni ù vl dh ic ereda; Ì O Ù a cal n \ DI da . d e i " | | | | al " va ox ce ca CO] {a e 9; per que in fine di parola, e te per tune. La punteggiatura manca affatto, essendo scomparsi anche i segni che probabilmente si trovavano in fine di linea. ba | (da d GIUSEPPE CORRADI — DI SELEUCO I, ECC. 58 Di Seleuco I e della quistione della Celesiria. Nota del Dott. GIUSEPPE CORRADI Dopo la battaglia di Ipso l'impero asiatico di Antigono rimase annientato. Al figlio Demetrio infatti non restava che una parte dei possedimenti marittimi e la flotta; egli stesso, dopo la sconfitta, riparò con gli avanzi dell'esercito di suo padre ad Efeso (1). Efeso è la sola città dell'Asia Minore che la tra- dizione ricordi come rimasta nelle mani di Demetrio; ma senza dubbio egli dovette conservarne anche altre. Il Possenti ha sup- posto che anche Mileto fosse rimasta a Demetrio; l'Haussoullier mostra invece di ritenere che Mileto sia passata anch'essa sotto il dominio del re di Tracia (2). Certo, per effetto della divisione del regno di Antigono, Mileto, come le altre città dell'Asia Mi- nore, avrebbe dovuto passare sotto Lisimaco: ma è difficile ammettere, per ciò che sappiamo per gli anni seguenti, che tutte queste città vi siano passate di fatto. Demetrio, quando ritornò alla volta della Siria, probabilmente nel 299, approdò in diversi punti della costa asiatica, ed a Mileto egli si recò liberamente nel 287 (3). Del resto, cheechè si voglia sofisticare (1) PLur., Demetr., 30; BrLoca, Griech. Gesch., II, 1, pag. 171; HI, 2, pag. 197. In modo troppo sommario sono esposti gli avvenimenti di questi anni in Bevan, The House of Seleucus, I, pag. 61 sg. x (2) Possenti, IZ Re Lisimaco di Tracia, pag. 104; HaussoULLIER, Etudes sur l’Histoire de Milet ct du Didymeion, nella “ Bibliothèque de l’Ecole des Hautes Etudes ,, fasc. CXXXVITI, pag. 25. (3) L'osservazione dell’HaussouLLier, Etudes sur Milet, pag. 27, che Ip- postrato figlio di Ippodemo, fatto da Lisimaco stratego delle città della fonia, era di Mileto (Mricuet, Recueil, n. 485 = DrrrexserGkR, Sy22.°, I, n. 189; “ Athen. Mittheil.,, XXV, 1900, pag. 100), non è certo decisiva per farci ritenere Mileto effettivamente soggetta a Lisimaco. Il partito dei Seleucidi ve lo troviamo qualche anno appresso rafforzato (HavssourLIeR, l. c., pag. 34), forse conseguenza dell’alleanza e della parentela fra Seleuco e Demetrio, e su proposta di 4Ayuodeuas "Agioretdov Mileto durante il regno di Seleuco fece un decreto in onore del figlio di lui Antioco; questo stesso Demodamas dopo il 294/8 sì trova come stratego al servizio di Seleuco e di Antioco (HaussovuLier, Etudes sur Milet, pag. 36 e 48 sg.), senza che Mileto fosse nelle mani dei re di Siria. A Mileto, forse verso il 290, si recò Euridice DDD GIUSEPPE CORRADI in contrario riguardo a Mileto, anche di fronte al silenzio della tradizione. è facile comprendere come Demetrio, signore del mare, potesse conservare ancora una parte dell'impero marittimo paterno nell'Asia Minore, come la conservava sulle coste della Fenicia. Sidone era stata bensì assediata da Tolemeo, ma questi si era in fretta ritirato dall'assedio, sicchè la città rimase anche dopo Ipso in mano di Demetrio e sotto di lui la troviamo, come Tiro, nel 297 (1). Va da sè che, essendo rimasto Demetrio pa- drone di una flotta potente, gli riusciva: anche meno difficile conservare le isole: così Cipro gli rimase ancora per parecchi anni. Secondo una trascurata notizia di Diodoro, Demetrio dopo la sconfitta di Ipso si sarebbe recato con la. madre Stratonice dalla Cilicia a Salamina di Cipro: ‘0 dè viòs aùrod |scil. “Av yovov| Anuntoros oùv ti unigi abroò Xroavovixn, dratgrBovor neo Kidiziav cÙ»v toîs yoruaor mao Endevoev eis Dalauiîva tie Kbnrgoov did tò xarégeodar vrò Anuntgiov (2). Evidente- mente, poichè nella divisione, come vedremo meglio, la Cilicia fu assegnata a Plistarco, che non dovette tardare a prenderne possesso sebbene le guarnigioni di Demetrio in qualche punto abbiano resistito, Stratonice non dovette fermarsi a lungo nella Cilicia, ed al domani di una sconfitta così grave. non sarebbe stata certo una cosa prudente. Ma è difficile ammettere che si trovasse con lei Demetrio. Egli, che aveva preso parte alla bat- taglia di Ipso, se poteva avere abbastanza facile la ritirata per quando si separò da Tolemeo (BeLoca, Griechk. Gesch., III, 2, pag. 128), e quando nel 287 Demetrio tornò per l’ultima volta a tentare la sorte nel- l'Asia, si diresse liberamente a Mileto, bene accoltovi da Euridice, e qui ce- lebrò 11 matrimonio con la figlia di lei Tolemaide, che gli era stata pro- messa anteriormente, fin dal 297 (PLur., Demetr., 46). Mentre la pace e l'alleanza di Demetrio con Tolemeo era stata rotta, e non abbiamo notizia alcuna di un ravvicinamento di Demetrio con Lisimaco, appare invece di qui che Demetrio ha coltivato sempre le sue buone relazioni con Euridice, ed il trovare costei a Mileto è certo assai significativo per ritenere che Mileto era rimasta in possesso di Demetrio. Del resto anche l’HavssouLriER, Etudes sur Milet, pag. 30, si contraddice quando osserva © sila ville avait été au pouvoir de Lysimaque, Démétrius, son plus redoutable ennemi, n'y fat pas entré sans lutte ,, e la contraddizione non è tolta dalle osserva- zioni che egli fa poco innanzi. (1) Puur., Demetr., 32. (2) Dron., XXI, 1, 4 (Exe. Hoeschel., pag. 480). DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 587 la valle del Meandro ad Efeso, più difficilmente poteva aprirsi per terra la via alla Cilicia, e qui va perciò accettata la testi- monianza di Plutarco. D'altra parte, dal racconto che fa Plutarco della navigazione di Demetrio alla volta di Atene, mi pare che si debba escludere (e l'argomento ex silentio im questo caso, se non è decisivo, ha pure qualche valore) che egli siasi recato per mare in Cilicia ed in Cipro. Così la notizia di Diodoro si deve ritenere in parte errata. Del resto errori di questo genere se ne trovano frequentemente nelle nostre fonti, e talvolta, come in questo caso, se ne può anche dare una spiegazione. Sappiamo difatti da Plutarco che a Salamina si trovavano più tardi la madre di Demetrio, Stratonice, la moglie Fila, ed i suoi figli, che vi furono assediati e presi prigionieri da Tolemeo, il quale però li rimandò liberi (1). È probabile che quando Demetrio ed An- tigono si allestivano per combattere i re collegati, Stratonice si trovasse col resto della famiglia reale e con parte del tesoro nella Cilicia, in luogo abbastanza sicuro, sostenuto e difeso da una forte divisione della flotta, e che alla notizia della disfatta e della morte del marito e della fuga di Demetrio sia fuggita con tutta la famiglia reale e con quanto possedeva a Salamina, profittando della incontrastabile signoria che Demetrio conser- vava sul mare. In Diodoro si trovava forse una narrazione in questo senso, ma nella notizia riassuntiva a noi rimasta si è fatto passare senz'altro dalla Cilicia in Cipro lo stesso Demetrio. Ad ogni modo per questa sopravvivenza del dominio di Antigono erano già in parte frustrate le condizioni del trattato con cui Lisimaco, Seleuco, e forse Plistarco in nome del fra- tello Cassandro, si erano divise le terre che avevano costituito l'impero di Antigono: oî uèv wevizna6tes Paordeîs tijv èn Av uyovo zai Anuntoim r@oav dogiv bongo uéya odua zata- zbntovtes éhduBPavov uegidas, xaì ngoodreveiuavio tùS éxgivov énaggias aig eîyov aùtoi 196te90v (2). In questa divisione (fatta quasi ad esclusivo vantaggio di Lisimaco e di Seleuco) i re vincitori non solo non tennero alcun conto di Demetrio, ma non fecero neppure alcuna riserva riguardo a Tolemeo, il quale aveva aderito alla lega ed era anche entrato in campagna contro i (1) PLur., Demetr., 35 e 38. (2) PLur., Demetr., 30. 588 GIUSEPPE CORRADI possedimenti di Antigono. Egli avanzatosi senza incontrare gravi difficoltà nella Celesiria giunse fin nella Fenicia, dove pose l’as- sedio a Sidone; ma alla falsa notizia di una grande vittoria ri- portata da Antigono nell'Asia Minore su Seleuco e Lisimaco, si era in tutta fretta prudentemente ritirato dall'assedio di Sidone, segno che il presidio di Antigono aveva validamente resistito, verso il sud (1). Così non aveva preso parte alcuna alla battaglia decisiva, e venne ora, nella divisione delle spoglie, dando un nuovo assetto alle cose dell'Asia, lasciato da parte. Senza dilungarci qui sulle quistioni relative alla divisione delle terre conquistate, basti ricordare che la Cilicia fu assegnata a Plistarco, fratello di Cassandro; a Lisimaco fu assegnata l'Asia Minore al di qua del Tauro, ed il dominio di Seleuco fu pure notevolmente accresciuto, perchè, se realmente egli non ebbe la Frigia Maggiore o parte di essa come ritennero quasi tutti i moderni (2), gli fa assegnata tutta la Siria e le regioni dal Tauro all’Indo: darò yo Poevyias énì norauòv ’Ivdòr dro m@vie Nelevxm zatijzover (3). La Siria perciò di diritto o di fatto in questo quarto di secolo era passata in tutto od in parte sotto il dominio di quasi tutti i Diadochi. Tolemeo non poteva naturalmente non protestare contro questa divisione nella quale egli era stato lasciato da parte, e per cui non riotteneva nè Cipro nè la Fenicia, che egli aveva posseduto prima della conquista di Antigono e della battaglia di Salamina, nè la Celesiria che egli stesso aveva occupata nel- (1) Diop., XX, 113, 1: év dè raîs adraîs Queoas naì IltoAeuatos, è BaorÀeds avatesfas #5 Alybarov nerà dvrduews dÉt0A6yov, tùS uèv Ev T) Koin Zvgia n6des andoas brogergiovs Emovjouro: Srdova dè modiog- xoùvros aùrod, xtZ. Col nome di Celesiria Diodoro indica la Siria meri- dionale ed esclude la Fenicia, così pure Polibio e Flavio Giuseppe; v. ap- presso pag. 607 sgg. (2) Fondandosi sul passo di Apprano, Syr., 55: xaì dò NéAevxos tore ts ueù EBèpodtnv Tvpias érì daidooy nai Dovyias ts avà tò ueodyetov dgyew diéZayev. Cfr. Droysen, Hist. de VHellén. (trad. franc.), Il, pag. 517; Niese, Gesch. der griech. und mak. Staaten, I, pag. 351; Bovcni- LecLERCQ. Hist. des Lagides, II, pag. 85; Bevan, The House of Seleucus, 1, pag. 61, 98, e 323 Ap- pendix D. II, Possenti, Il Re Lisimaco, pag. 99 sgg., per primo ha dimo- strato con buone ragioni che la Frigia deve essere stata assegnata a Lisi- maco; cfr. anche BeLoca, Griech. Gesch., III, 1, pag. 174; 1II, 2, pag. 287. (5) Aprran., Syr., Db. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 589 l’ultima guerra, e dovette allora far valere un trattato anteriore, secondo il quale egli era entrato nella lega perchè gli era stato assicurato il possesso della Celesiria e della Fenicia (1). Ma i collegati per ora non diedero ascolto alle sue lagnanze e bada- rono a prendere possesso delle terre che avevano pattuito di annettere ciascuno al proprio dominio. Così Seleuco dovette anzitutto rivolgersi all'occupazione della parte settentrionale della Siria. 7) ZeZewzis, nella quale è assai probabile che non abbia incontrato alcuna opposizione. Di questa occupazione non abbiamo alcun ricordo, nella nostra tra- dizione, ma è una deduzione naturale e necessaria quando si pensi che in questa regione, nel 300 av. Cr., vennero da Seleuco fondate due città, Seleucia di Pieria, e nello stesso tempo la nuova capitale del regno, Antiochia, la quale venne in parte popolata con gli abitanti di Antigonia, fondata poco prima in questa stessa regione da Antigono, e distrutta ora da Seleuco (2). Questi non era certo intenzionato di limitare a questa parte soltanto la sua conquista, e perciò personalmente, o per mezzo . dei suoi ufficiali, spinse innanzi le sue forze, estendendo il suo dominio nella regione interna, nella Celesiria propriamente detta, sino almeno a Damasco ed all'alto Giordano. e sulla parte set- tentrionale della Fenicia forse sin presso Sidone. In questa re- gione, come ho già sopra osservato, Tiro e Sidone erano rimaste a Demetrio; ma il fatto stesso che poco più tardi Seleuco chiede queste due città a Demetrio, ci induce a credere che il resto delia Fenicia settentrionale fosse allora, nel 297 av. Cr., già nelle mani di lui (3). È da ritenere probabile quindi che Berito appartenesse già al dominio di Seleuco, e perciò il confine da (1) E questa una induzione che giustamente si fa dal fatto che in se- guito, come i Seleucidi invocavano l’atto di divisione fatto in seguito alla vittoria di Ipso, i Tolemei invocarono più volte questo trattato: PoLyB., V, 67,10; cfr. XXVIII, 17, e Drop., XXX, 2; Bovcur-Lecrerco, Hist. des Lagides, I, pag. 83. (2) Stras., XVI, 2, 4 (p. 570 C.); Appran., Syr., 57; EusEB., ed. SCHOENE, II, 116; Marar., p. 199 Bonn; cfr. BeLocH, Griech. Gesch., 1II, 1, pag. 264; III, 2, pag. 197; Bexzixcaer, in Paury-Wissowa, Real/-Encyelopiidie, I, 2442 sgg. (3) PLur., Demetr., 52; efr. BeLoc®a, Griech. Gesch., III, 2, pag. 258. Sap- piamo che più tardi, durante la cosidetta terza guerra di Siria e la guerra fraterna, Ortosia e più a nord Arado erano sotto i Seleucidi; Eusrs., I, 251; SrraB., XVI, 2, 14 (p. 754 C.). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. Bia) 590 GIUSEPPE CORRADI questa parte poteva essere segnato approssimativamente dal tiume Tamyras. Il confine così indicato non dovette del resto subire cambiamenti durante il regno di Seleuco I. Fin qui forse Tolemeo aveva lasciato che Seleuco agisse liberamente; ma quando vide che questi, mentre Demetrio era lontano in cerca di miglior fortuna, non solo si avanzò coll’eser- cito nella Fenicia, ma si apparecchiava anche ad occupare la Celesiria, si oppose energicamente. Egli già prima della battaglia di Ipso, come abbiamo accennato, aveva in questa regione oecu- pate parecchie città, nelle quali, quando si ritirò dall’assedio di Sidone, aveva lasciato i suoi presidi (1); quindi rimprove- rava Seleuco che, pure essendogli amico ed alleato, cercasse ora di ridurre in suo potere una regione soggetta a lui, al quale inoltre pur avendo partecipato alla guerra contro di Antigono nulla era stato assegnato dai re delle terre conquistate in guerra. A queste lagnanze Seleuco rispose rivendicando il diritto che gli derivava dalla vittoria conseguita, correndo i pericoli ed i rischi di una grande battaglia, essere giusto che coloro i quali avevano vinto in battaglia diventassero padroni dei territori conquistati (2); riguardo alla Celesiria in particolare aggiunse che avrebbe più tardi regolata la quistione: segì dè 75 xoiAns Nugias dirà tV qpiiàiav émi toù magoviog undèv 0 Avagayuo- vijoeir, botegov dè BovAevoesdar 1OS yonotéov Éoti tOv piàov roîs BovAouevors arheovexteîv (3). (1) Drop., XX, 113, 2: 7005 uèv zods Hidamviovs eîs teéttARAg uijvas avoygàs grovjoato, tùs dè ygeromdeilsas adAers poovouîs drpalioduevos, érav]Ade merà t)s dvvduews sig Alyvzrtov. (2) Il parere di Seleuco doveva pure essere condiviso dai contempo- ranei. Era in sostanza la sopravvivenza di una vecchia usanza dei Mace- doni, i quali consideravano i re essenzialmente come dei capi militari, e nulla opponevano al diritto di capitani vittoriosi. Forse con questo si spiega il fatto che nella nostra tradizione quando si parla di quella lega troviamo ricordati tra i nomi dei re che vi presero parte anche Tolemeo e Cassandro, ma una sola volta che ci si ricorda la guerra, sotto l'impressione della bat- taglia di Ipso e sotto l’influenza di questo concetto, sono rimasti soltanto i nomi dei tre re che presero parte alla battaglia finale; Dein pater eius [scil. Demetrii] Antigonus bellum. cum Lysimacho et Seleuco habuit, Tros., Prol., XV. (3) Drop., XXI, 1, 5 (Exe. Vatican., p. 42, 48). Solo qui ci è conservata questa eco di uno scambio di lamentele e di proteste fra Tolemeo e Se- leuco, che pur dovette essere molto grave, se impedì a Seleuco di conti- nuare l'occupazione che aveva intrapresa. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 591 Queste parole dovevano suonare come una grave minaccia sulla bocca di Seleuco, il quale non si mostrava a questo modo punto rassegnato a perdere una regione a lui assegnata dall’ul- timo trattato, ed ammonivano quindi Tolemeo che, se era de- ciso a conservare ad ogni costo la Celesiria, doveva rafforzar- | visi profittando del tempo in cui Seleuco non gli avrebbe dato molestia. Forse Seleuco non si sentiva per ora preparato ad una guerra contro Tolemeo, sia perchè doveva prima pensare a dare un qualche assetto alle terre recentemente occupate, sia perchè temeva, ed era del resto naturale, un intervento armato di Li- simaco. Perciò egli si limitò a fare la riserva di regolare più tardi la quistione. Così la quistione della Celesiria tra i Seleu- cidi ed i Tolemei era ormai considerata come aperta, e fu difatti questa regione il pomo della discordia e la causa di lunghe guerre tra le due dinastie durante il terzo secolo. Tolemeo, che aveva sentito il bisogno di premunirsi di fronte alla minaccia di Seleuco, s'affrettò a concludere un'alleanza su nuove basi con Lisimaco. Distrutta si può dire la potenza di Antigono, i collegati di poco prima non sentivano più alcun bisogno di mantenere la loro anteriore alleanza, anzi avevano ra 1 loro interessi in contrasto, che potevano tutelare solo con combinazioni diverse (1). Dalla tradizione così frammentaria, sia riguardo a Seleuco che agli altri sovrani, appare difatti che in questo tempo vi fu un succedersi di alleanze, le ragioni delle quali non ci vengono indicate, ma si possono in parte indovi- nare dai pochi avvenimenti a noi noti. Dopo la battaglia di Ipso venne meno quella grande influenza che esercitavano nella pe- nisola ellenica Antigono ed il figlio Demetrio, e tornò a pre- ponderare Cassandro (2), il quale, sebbene vedesse malvolentieri l'acerescersi della potenza di Lisimaco, aveva ora interesse a non urtarsi con lui, anzi a continuarne l’amicizia (3). Assai più (1) Cfr. Iusrin., XV, 4, 23: Sed socii profligato hostili bello denuo in semet ipsos urma vertunt, et, cum de praeda non conveniret, iterum in duas factiones diducuntur. 3 (2) G. De Sancris, Contributi alla Storia Ateniese dalla Guerra Lamiaca alla Guerra Cremonidea, negli “ Studi di Storia antica , del Brroc®, II, pag. 24 sgg. (3) BeLoc®, Griech. Gesch., III, 1, pag. 221. Di assai dubbio valore sono le ragioni che accampa il Possenti, IZ! Re Lisimaco, pag. 108 e 110, per 592 GIUSEPPE CORRADI doveva rincrescere invece a Seleuco l’estendersi del dominio di Lisimaco, che gli diventava un pericoloso vicino, come a Lisi- maco ed a Tolemeo poteva ora apparire per loro un grave pe- ricolo lo straordinario incremento che veniva prendendo il do- minio di Seleuco. Quindi Tolemeo non trovò difficile indurre ad accettare le proposte di una nuova alleanza Lisimaco, il quale forse già sospettava che Seleuco mirasse davvero alla conquista di tutta l’Asia. Questa alleanza fra i re di Tracia e d'Egitto fu suggellata da un matrimonio politico. Lisimaco, benchè ormai sessantenne, si separò da Amastri, che dopo la vittoria di Ipso aveva chiamata presso di sè a Sardi (1), per sposare una figlia di Tolemeo e di Berenice, che allora doveva essere tutt'al più sedicenne (2). Secondo Plutarco, trascurante della cronologia qui come con frequenza in altri luoghi, sarebbero stati contemporanea- mente conclusi due matrimoni, uno tra Lisimaco ed Arsinoe, l’altro tra il figlio di Lisimaco, Agatocle, ed un’altra figlia di Tolemeo: ... Avoluaygor é©0a |scil. Nélevxos| tOv IroReuotov dvyartomv tiv uèv gavi®, t)v dè “Ayadorleò 1© viò AanBd- vorra (3). Sappiamo da altre fonti che Agatocle sposò realmente ritenere che Cassandro dovesse staccarsi da Lisimaco. L'iscrizione C. 4. A., II, 319 (Cfr. II, 314) bene si riferisce con l'’Uncer, “ Philol. ,, XXXVIII (1878), pag. 456, n. 20, al tempo in cui Atene per la morte di Cassandro difficil- mente poteva contare contro Demetrio sull'aiuto della Macedonia (De Sanems. Contributi alla Storia Ateniese, pag. 28) e sì rivolse a Lisimaco. L’ambasceria di cui parla Plutarco (Demetr., 82) non solo è alquanto posteriore al tempo di cui ci occupiamo (ed è ben noto quali e quanti cambiamenti repentini sono avvenuti), ma più che un tentativo di riconciliazione di Demetrio con Cassandro (cfr. Wiramowrrz, Antigonos von Karystos, in “ Philologische Un- tersuchungen,, IV, pag. 199) fu una pura formalità od un atto di semplice con- venienza verso il cognato, perchè non si aggiungesse agli altri suoi nemici. (1) Amastri si trovava in questo tempo ad Eraclea, e di là dopo la bat- taglia di Ipso era stata chiamata da Lisimaco a Sardi. Lisimaco volendo ora sposare la figlia di Tolemeo si separò da Amastri, che tornò di nuovo al governo di Eraclea, e di la fondò sulla costa della Paflagonia, col smecismo di quattro villaggi, Sesamos, Tieion, Kromna e Kytoros, una nuova città che dal suo nome chiamò Amastri; Memn., 4, 10 (F. H. G., III, pag. 580); Srraz.; XII, 3, 10 (p. 544 C.); cfr. Demosra. Brruyn., fr. 9 (FP. H. G., IV, pag. 385); HirscareLp, in Paury-Wissowa, Real-Encyelopiidie, I, 1749. Anche Kieros, nella regione interna a sud-ovest di Eraclea, doveva essere gover- nata dalla moglie di Lisimaco. (2) BeLocu, Griech. Gesch., III, 2, pag. 129. (3) Prun, Demetr., 31. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 593 Lisandra (nata dal matrimonio di Tolemeo con Euridice, figlia di Antipatro), ma solo dopo il 294 av. Cr., perchè essa aveva sposato Alessandro, figlio di Cassandro, che è morto appunto in quest'anno. Così la contemporaneità dei due matrimonî che risulterebbe dal passo di Plutarco è inaccettabile (1), e tutt'al (1) I dati della controversia sono questi: 1° Plutarco sembra conside- rare i due matrimonî come contemporanei (PLur., Demetr., 31); 2° Eusebio dice che Lisandra figlia di Tolemeo sposò Alessandro figlio di Cassandro (Kuses., I, 231); 3° Pausania ci dà due notizie contraddittorie: afferma (i, 9, 6) che il matrimonio di Agatocle con Lisandra avvenne dopo la guerra contro i Geti (292 av. Cr.); altrove invece (I, 10, 3) dice che Lisimaco sposò Arsinoe dopo che Agatocle aveva già avuto dei figli da Lisandra. Su questi dati si fecero delle ipotesi talvolta singolari da coloro che vollero accet- tare alla lettera l’una o l’altra tradizione. Il Drovysen (Hist. de VHellén., pag. 526. n. 2) ha congetturato che la Lisandra la quale sposò Agatocle fosse la stessa che aveva sposato Alessandro, e non va davvero respinta questa ipotesi per le osservazioni di assai scarso valore del Possenti (I/ Re Lisimaco, pag. 36, n. 2, dove riferisce anche inesattamente l'ipotesi del Niese), relative al passo di Eusebio (cfr. su questo anche BrLocH, Griech. Gesch., IIT, 2, pag. 85, n.). Il Niese osservando a ragione che, se si ac- cetta questa ipotesi, Lisandra non può aver sposato Agatocle se non dopo la morte del primo marito Alessandro (294/3), e dando troppo valore alle parole di Plutarco, giunge alla conclusione inaccettabile che o non regge l’identificazione della Lisandra moglie di Agatocle colla Lisandra moglie di Alessandro, e Tolemeo in questo caso deve aver avuto due figlie dello stesso nome, oppure esse sono un’'umica persona ed allora Agatocle “ zuerst im Jahre 800 eine andere, ungenannte Tochter des Ptolemîios heiratete, spiter die Lisandra , (Nivse, Gesch. der griech. und mak. Staaten, I, pag. 354, n. 2). Veramente che Tolemeo avesse due figlie dello stesso nome non sa- rebbe « priori inammissibile, poichè troviamo nelle monarchie ellenistiche più esempî di fratello e sorella o di due sorelle con lo stesso nome. Ma se in altri casi non vi deve essere dubbio date le esplicite ed autorevoli te- stimonianze a noi pervenute, nel caso nostro particolare si tratta sempli- cemente di una ipotesi non appoggiata ad alcuna testimonianza, e per di più neppure necessaria per chi non consideri come oro colato le parole di Pausania e di Plutarco, tanto più per ciò che si riferisce ad indicazioni cronologiche di questa specie. Il passo di Pausania poi (I, 10, 3), su cui il Possenti (attenendosi al Rruss, Hieronymus von Kardia, pag. 50; cfr. Hii- NERWADEL, Forsch. zur Gesch. des Kinigs Lysimachos, pag. 57) fece tanto asse- gnamento per stabilire che il matrimonio di Agatocle con Lisandra prece- dette quello di Lisimaco con Arsinoe, non può venire neppure utilmente citato, sia perchè è in contraddizione con l’altra testimonianza dello stesso Pausania (I, 9, 6), sia ed ancor più perchè è contraddetto dalla testimo- nianza di Kusebio relativa al matrimonio di Lisandra con Alessandro. Anche \ 594 GIUSEPPE CORRADI più se ad ogni costo qualche induzione cronologica su questo passo si volesse fare, si dovrebbe dedurre soltanto che anche Plutarco considerava il matrimonio di Agatocle con una figlia di Tolemeo come posteriore a quello di Lisimaco. È ben noto del resto quanto poco in generale si possa contare sopra simili espressioni di Plutarco per trarne induzioni cronologiche. Ci troviamo in questo caso, mi pare, innanzi ad uno dei tanti passi retorici che ricorrono in questo scrittore. La tradizione riferiva un matrimonio di Lisimaco con una figlia di Tolemeo e quello di Agatocle con un'altra figlia dello stesso re: Plutarco, più che la sua fonte, accennando alle alleanze di Tolemeo e di Lisimaco, di Seleuco e di Demetrio suggellate da matrimonî, volendo mo- strare meglio quale stretto vincolo di parentela unisse le due famiglie regnanti di Tracia e d'Egitto, ravvicinò i due matri- moni riferendoli con quella espressione tutt'altro che esplicita, che farebbe riguardare come contemporanei i matrimoni di Li- simaco e del figlio (1). Quando sia avvenuto il matrimonio di Lisimaco con Ar- sinoe non si può stabilire con precisione; comunemente si rife- risce all'anno 300 av. Cr. 0 ad uno degli anni immediatamente il Becocu, Griech. Gesch,, III, 2, pag. 128, ha giustamente osservato che la no- tizia di Pausania “hat bei der notorischen Unzuverslissigkeit dieses Schrift- stellers in solchen Dingen nicht das geringste Gewicht ,. In questo caso mi pare che il Possenti non abbia fatto esatto giudizio delle fonti, perchè nella sua tesi per conciliare le diverse testimonianze deve anzitutto riget- tare la notizia di Eusebio, di uno scrittore che senza dubbio ha in gene- rale assai maggior valore di Pausania. ed ammettere nello stesso Pausania un altro e più grave errore, facendogli porre tutta la guerra contro i Geti prima del 802. Anche senza dar valore al fatto, di cui pure si dovrebbe tenere qualche conto, che nel 802 Agatocle doveva forse essere solo dicias- settenne e che non era quello un momento opportuno per affrettarne le nozze, il racconto stesso di Pausania è tale da farci respingere senz'altro questa ipotesi. (1) Senza dilungarci troppo basti citare qui il caso analogo in cui Plu- tarco fa un parallelismo fra alcune proposte di Livio Druso ed altre di Gaio Graeco (PLur., C. Gracch., 9), dal quale sembrerebbe che le leggi di Gaio qui menzionate spettino al suo secondo tribunato, mentre una di esse, quella riguardante la distribuzione dei campi ivi menzionata al secondo posto, spetta certamente al tribunato precedente. Anche il Possenti, /7 Re Lisimaco, pag. 34, n. 3, ha osservato ben a ragione che la contemporaneità dei due matrimoni “ non debba essere presa in senso stretto ,j ma le sue deduzioni, come ho mostrato qui sopra, sono da respingere. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 505 successivi, e credo che si possa accettare l’anno 299 come più probabile (1). Di fronte a questa alleanza Seleuco per non rimanere iso- lato si vide costretto a cercarsi anch'egli un alleato e lo trovò facilmente in Demetrio (2). In realtà Demetrio era in questo momento il solo re con cui un'alleanza fosse possibile, perchè l’aiuto che Seleuco avrebbe potuto avere da Cassandro, tutto occupato ad estendere la sua influenza ed a ristabilire la sua egemonia nella penisola ellenica, ed inoltre in buoni rapporti con Lisimaco, sarebbe stato assai problematico ; invece con l’al- leanza di Demetrio otteneva l’utilissimo appoggio non solo di un abile stratega, ma anche di una flotta potente, la migliore ancora degli Stati ellenistici, egli che di navi era quasi affatto privo. Anche quest’alleanza fu suggellata da un matrimonio po- litico fra Seleuco e Stratonice, figlia di Demetrio, al quale senza dubbio dovette sembrare uno straordinario ed insperato van- taggio entrare in relazione di amicizia e di parentela con Se- leuco (3) in questo tempo in cui egli poteva temere da un momento all’altro di essere scacciato del tutto dagli scarsi pos- sedimenti che ancora gli rimanevano nell’Asia. Così senza por tempo in mezzo accettò le proposte di Se- leuco, salvo a meglio determinarle trattandone di persona, e mentre avendo lasciato Pirro in Grecia s'era diretto alla volta del Chersoneso malmenando i possedimenti di Lisimaco (4), de- (1) Questo matrimonio non può essere posteriore al 298. Arsinoe nel 281 aveva due figli, Lisimaco di 16 anni compiuti e Filippo di 13 anni, Ivsrin, XXIV, 3, 5. Maggiore di essi era però un altro suo figlio, Tolemeo; vedasi anche Hiinerwaper, Forsch. zur Gesch. der Kinigs Lysimachos, pag. 58; BeLocn, Griech. Gesch., III, 2, pag. 87. Ora tenendo conto che un po’ di tempo passò prima che Seleuco occupasse la Siria settentrionale e vi fon- dasse Seleucia ed Antiochia, che solo dopo qualche tempo egli cercò di occupare la Celesiria dando luogo alle proteste di Tolemeo, e che pure un po’ di tempo si dovette consumare prima che tra Lisimaco e Tolemeo si giungesse agli accordi a cui ho accennato, potremo fissare questo matri- monio al principio del 299 av. Cr. (2) Una menzione di queste alleanze si trova anche in Ivsrin., XV, 4, 24: Seleucus Demetrio, Ptolomeus Lysimacho iunguntur. (3) PrLor., Demetr., 31. (4) Demetrio, deluso nelle speranze che aveva di trovar fedeli Atene e le altre città della Grecia (vedi De Sanctis, Contributi alla Storia Ateniese, pag. 25 sgg.), si rivolse contro i dominî di Lisimaco specialmente con lo 596 GIUSEPPE CORRADI sistette ora da quell’impresa e se ne ritornò con tutta la sua flotta alla volta della Siria. Per quanto affrettato però il ritorno di Demetrio deve aver occupato parecchio tempo. Stando infatti al racconto di Plutarco egli nel viaggio verso la Siria approdò in parecchi punti della costa asiatica e nella Cilicia; quali siano queste località Plutarco non dice, ma è naturale supporre che uno dei luoghi in cui Demetrio si fermò sia stata Efeso. Abbiamo notizia da Polieno (1) che vi fu un tentativo di defezione da Demetrio fatto da Diodoro, posto a capo della guarnigione di Efeso. il quale aveva pattuito di cedere la città a Lisimaco per 50 taleuti. Demetrio, che stava per approdare nella Caria, ritornò subito indietro e potè conservare la città liberandosi del traditore con uno stratagemma. Questo episodio venne dal Droysen riferito subito dopo Ipso, ma il Possenti ha supposto, e mi pare non ‘a torto, che si debba connettere invece scopo di far bottino e mantenersi con questo mezzo fedeli i soldati che ancora aveva (PLur., Demetr., 31; Niese, Gesch. der griech. una male. Staaten, I, pag. 353; Possewti, 12 Re Lisimaco, pag. 109). Ora siccome la battaglia di Ipso va posta nell'estate del 301, e dopo di essa Demetrio dovette fer- marsi qualche tempo nell'Asia per organizzare, sia in Efeso, sia nelle altre città rimastegli, una difesa contro le milizie di Lisimaco che dopo la divi- sione del dominio di Antigono non avrebbero dovuto tardare a comparire per prenderne possesso, tenendo conto che qualche tempo dovette pure impiegare a raccogliere le sue forze navali con le quali contava di passare in Grecia, che si fermò un poco nelle Cicladi (PLur., Demetr., 30) a un po’ di tempo dovette pure spendere nelle trattative con Atene, mi pare evi- dente che questa specie di prolungata razzìa contro i dominî del re di ‘Tracia va posta non più nel 801/300, ma nel 300/299 (cfr. anche Possenti, Il Re Lisimuco, pag. 110). Che cosa abbia fatto Lisimaco contro di lui la tradizione non dice; Memnone dopo Ipso lo fa fermare, come s'è visto, a Sardi; Plutarco a questo momento dice che Lisimaco òdzò 70v dZZ0v fa- orhémv ijueletto, undèv Enrernéotegos Exeivov [scil. Anuntoiov] dox@v elvat, ro dè uGÀlov îogberv sai poBegwtegos (PLur., Demetr., 31). Anche su queste parole possiamo fondarci per ritenere che quando Seleuco nel 300 av. Cr. tentò di occupare la Celesiria, Lisimaco non era alleato di T'olemeo, e Se- lenco non desistette da questa sua impresa per l'avvicinarsi di Lisimaco; l’estendersi del dominio di Seleuco, che minacciava la Celesiria, determinò in realtà l'alleanza di Tolemeo con Lisimaco, conclusi, come ho detto, pro» babilmente sul principio del 299. Ritengo quindi che vada respinta la di- sposizione data a questo gruppo di avvenimenti dal Possexri, /2 Re List maco, pag. 114. (1) Ponyaen., IV,.7, 4. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 597 col viaggio di Demetrio verso la Siria (1). Anche nella Caria del resto Demetrio doveva aver conservato qualche città; Ali- carnasso, ad esempio, poteva essergli rimasta, e così pure Cauno che egli conservava, come appare da Plutarco, ancora nel 286/5 (2). Dopo ciò, tentata anche la Cilicia ed incontratosi con sua moglie Fila, che in questo tempo era rimasta a Salamina di Cipro, pervenne finalmente nella Siria Seleucide ed approdò a Rosso (3), dove era venuto ad attenderlo Seleuco. In questo convegno non solo si ebbe uno scambio di cortesie tra i due re, ma essi presero anche i loro accordi, come si deduce dalle pa- role di Plutarco, circa le quistioni più importanti del momento, ed infine, come pegno di osservanza della lega allora definiti- vamente conclusa, Seleuco sposò Stratonice e la condusse seco con splendida pompa ad Antiochia, nella nuova capitale da lui recentemente fondata. Demetrio, in quest’ultimo tratto della sua navigazione aveva approdato, secondo Plutarco, anche nella Cilicia. Anche in questa regione pare che qualche località gli fosse rimasta fedele, e Demetrio al suo ritorno aveva forse incominciato a riconquistare qualche tratto di questa regione che ora si trovava sotto Plistarco. Altrove ci viene anche raccontato di un assedio posto da Demetrio a Soli in Cilicia e di un aiuto che avrebbe portato Lisimaco alla città assediata (4). Ora questa notizia viene da taluni respinta come un aneddoto senza valore od una pura invenzione, da altri, pur respingendo com'è naturale l’aned- doto di Plutarco in cui è contenuta, si ritiene vera la notizia dell'assedio di Soli e di un qualche intervento di Lisimaco in favore della città bloccata. Difficilmente questo assedio si può riferire ad un altro momento; Lisimaco però non dovette entrare in campagna contro Demetrio, ma forse si limitò a fare una dimostrazione di simpatia alla causa di Plistarco, trovandosi (1) Drovsen, Hist. de l’Hellén., pag. 512; Possenti, Il Re Lisimaco, pag. 112. (2) PLur., Demetr., 49; BeLocu, Griech. Gesch., III, 2, pag. 267 sgg. (3) I manoscritti di PLur., Demetr., 32, hanno 0g00gor corretto giusta- mente dal Lubino in ‘Pwoodv; Nrese, Gesch. der griech. und malk. Staaten, L.-pag.. 3509, n.1; cfr. Prot. V. 15,2) Podocog: (4) Prur., Demetr., 20. 598 GIUSEPPE CORRADI egli in buone relazioni col fratello di lui Cassandro (1). Plistarco, assalito da Demetrio, sapendo dell'alleanza che esso stava per stringere con Seleuco, vedendo forse che Lisimaco non gli avrebbe arrecato efficaci aiuti, cercò di prevenire Demetrio presso Seleuco, onde esporre a lui le sue lagnanze e proteste contro Demetrio, ed impedire che si stringesse effettivamente da Seleuco, senza il consenso degli altri re, quell’alleanza col loro comune nemico (2). Ma anche quest’ultimo tentativo fallì; dal racconto di Plutarco risulta che Plistarco fu preceduto da Demetrio, il quale andò prima a Kyinde, dove trovò ancora una parte del tesoro di suo padre Antigono e quindi s'affrettò verso la Siria (3). Dopo aver stretta l'alleanza con Seleuco. Demetrio ritornò all'assalto della Cilicia, avendo probabilmente compreso dal suo tentativo anteriore che non sarebbe stata cosa difficile toglierla a Plistarco, e difatti riuscì ad occuparla. Plistarco cac- ciato di qui dovette andarsene a protestare ed a cercare aiuto non più presso Lisimaco, che aveva sperimentato inefficace, ma presso il fratello Cassandro. Demetrio infatti, per non avere nel cognato un nuovo nemico, senti il bisogno di mandare sua moglie Fila appunto al fratello di lei Cassandro, per giustificare il suo operato e difenderlo e scolparlo dalle accuse che gli avesse (1) HiixerwapkL, Forsch. cur Gesch. des Kònigs Lysimachos, pag. 56. Ine- sattamente il Possenti, I Re Lisimaco, pag. 114, dice che la notizia di Plu- tarco è rifiutata dal Niese, mentre questi dice che non saprebbe riferire tale notizia ad altro momento che a questo assalto di Demetrio contro la Cilicia; Niese, Gesch. der griech. und mak. Stuaten, T, pag. 355, n. 4; BeLock, Griech! Geschi, IN. 1, pag. 221, n. ‘5. (2) Prun.,, Demetr., 31. (3) PLur., Demetr., 32. Le buone relazioni tra Seleuco e Demetrio sono anche testimoniate, per via epigrafica. da un decreto di Efeso in favore di Ninay6oas ° Aguotdoyov “Poòios &rrooraZeis maoà tOU BactAé@v Anuntgiov ual TeZebxov 1965 te tòv djuov tòv Epeciov za rods hAovs"EXAnvas arà. MicHEL, Recueil, N. 492 = Drrrenpercer, Or. Gr. Inser., I, N. 10. La stessa deduzione si deve fare, come bene ha notato il BrLocn, Griech. Gesch., III, 2, pag. 221, n. 3, dal fatto che a Mileto fu posto un decreto in onore di Antioco figlio di Seleuco prima del 294, perchè egli seguendo l'esempio del padre riguardo a Mileto ed al santuario di Didime #&][@yy]g4[Ae]ze oroàv oixodo[unoew'....Jor varà 6A», vr7., Haussoviusr, Etudes sur Milet, pag. 34 seg. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 599 mosse Plistarco (1). Cassandro del resto difficilmente poteva intervenire nella quistione, ed in realtà a Demetrio rimase il possesso della Cilicia. La fortuna secondando l’audacia, il Poliorcete cominciava a risorgere in questo modo a nuovo splendore. e forse gli balenò allora l’idea di risuscitare un nuovo grande dominio nell'Asia in proprio vantaggio. Così, forte dell'appoggio di Seleuco, ecci- tato dai successi ottenuti, cercò di riordinare efficacemente la sua nuova conquista e quel poco che ancora aveva nella Fenicia, e volle poi cogliere anche qui qualche occasione favorevole. pro- fittando dell’impreparazione e della lontananza di Tolemeo, o magari anche di un momento in cui questi si trovava occupato altrove, per tentare un audace colpo di mano contro la Cele- siria. Anche questa volta pare che la fortuna, almeno sul prin- cipio, gli abbia arriso, se egli avanzatosi dalla Fenicia contro Samaria riuscì a conquistarla cd a distruggerla (2). Nel frattempo sembra che fosse avvenuto un nuovo ravvi- cinamento anche tra Seleuco e Tolemeo, forse già gelosi del crescere della potenza di Cassandro; ad ogni modo vediamo che Seleuco si fece in questo momento mediatore di pace tra De- metrio e Tolemeo (3). E qui ci troviamo di fronte ad un nuovo problema: perchè Seleuco si fece mediatore di questa pace? Fu risposto in vario modo a questo quesito. Anzitutto mi pare evi- (1) PLur., Demetr., 32. Dopo la partenza di Fila si recò presso Demetrio Deidamia, sorella di Pirro, che egli aveva sposata nel 302; poco tempo dopo essa morì forse a Cipro; cfr. BrLocu, Griech. Gesch., III, 2, pag. 91. (2) EuseB., II, 118, sotto l’Olimpiade 121, 1 (= 296/5 av. Cr.): Demetrivs rex Asianorum Poliorcetes appellatus Samaritanorum urbem a Perdicea con- struetam totem cepit; Syncecr., pag. 519 e 522 Bonn. Certo non si può ac- cettare questa data (BrLoca, Griech. Gesch., III, 1, pag. 221, n. 6), ma non sì può dubitare seriamente del fatto, come fa il Nrese, Gesch. der griech. und mak. Staaten, 1, pag. 355, n. 6, per il silenzio di Plutarco; probabil- mente esso deve riferirsi alla fine del 298. (3) Questa pace non fa suggellata etfettivamente da un matrimonio, ma pure fu stabilito che Demetrio avrebbe sposato Tolemaide, figlia di Tolemeo: l'evouevys dè odg HroReuatov dirà ZeAebzow piÀias «dt, ouoZoy3y HroZewatda t)v Hrohenaiov Ivyartéga Aafeèv adròv yvvaîre, PLur., Demetr., 32. Pirro scacciato dall’Epiro era sempre rimasto fedele ad Antigono ed a Demetrio, ed ora per Demetrio andò in ostaggio in Egitto: xa) cvufdreov eÙTb (Demetrio) yevouevov m9ds HMroAenatov ErAevoev els Atyvntov bungevomr, Prur., Pyrrh., 4. 600 GIUSEPPE CORRADI dente che per questo stesso fatto si debba escludere che Se- leuco abbia partecipato direttamente od indirettamente a questa guerra (1). E senza dubbio poi una delle ragioni, e forse la più grave, del suo intervento per la conclusione della pace si ha appunto nelle condizioni in cui per Seleuco si trovava la Cele- siria. Evidentemente la quistione della Celesiria sarebbe stata gravemente compromessa per i Seleucidi tanto nel caso in cui Demetrio l'avesse ricuperata contro Tolemeo, formandone così per diritto di conquista un possesso ereditario nella sua famiglia, quanto nel caso inverso in cui Tolemeo avesse respinto vitto- riosamente gli assalti di Demetrio. Il nuovo diritto di guerra avrebbe annullato senz'altro di fatto il trattato concluso dai vincitori dopo Ipso, mentre il procrastinare la risoluzione defi- nitiva della controversia tra Seleuco e Tolemeo non ne cambiava l'aspetto, non ne mutava le basi. Quindi era conveniente per Seleuco che pel momento non venisse turbato lo statu quo con nuove guerre, restasse cioè il dominio già contestato di Tolemeo, contro il quale conservavano sempre il loro valore tanto l’atto di spartizione dei sovrani vincitori ad Ipso, quanto l'affermazione del suo diritto fatta da parte di Seleuco. Così è che questi cercò che si venisse ad un'intesa, e la pace fu quindi segnata fra To- lemeo e Demetrio, il quale consentì, come pegno che le con- venzioni allora stipulate sarebbero state mantenute, che Pirro andasse in Egitto come ostaggio (2). (1) Diversamente giudica su questo punto il Boucné-LecLerce, Hist. des Lagides, I. pag. 86. (2) Il WiLamowrrz, Antigonos von Kurystos, pag. 190, suppose che la Caria e la Licia facessero parte del dominio di Plistarceo; ma ciò mi pare da escludere, perchè la testimonianza di Plutarco si riferisce in modo espli- cito alla sola Cilicia; si vedano del resto anche le osservazioni del Nresg, Gesch. der griech. und mal. Staaten, I, pag. 351, n. 7. Invece il Possenti, Il Re Lisimaco, pag. 115, accettando l’ipotesi del Wilamowitz, ritiene che anche Lisimaco deve essere stato compreso in questa pace, con la quale gli furono cedute la Licia e la Caria. In realtà noi non sappiamo quando pre- cisamente Lisimaco abbia ottenuto la Caria, ma forse l’occupò un poco più tardi; in questa regione, come si è detto addietro, Demetrio possedeva Cauno ancora nel 286/5. Il silenzio della tradizione riguardo a Lisimaco in questo caso è assai significativo per farci ritenere che di Lisimaco in questa pace non si tenne conto, e ci induce anche in questa opinione il fatto stesso della mediazione di Seleuco. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA GO] A questo punto sembra però che si venissero delineando nuove tendenze. La Macedonia con Cassandro aveva riacquistata l'egemonia nella penisola ellenica, e nell'Epiro, sotto l'alto do- minio di Cassandro, regnava ora Neottolemo, che ne aveva scac- ciato Pirro. Quindi Tolemeo, sospettoso di tutti ed anche della Macedonia, cercava di opporle un qualche ostacolo, e data sua figlia Antigone in moglie a Pirro, mandò questo come preten- dente al trono di Epiro contro Neottolemo, il quale finì col ri- conoscerlo correggente (1). Il ritorno di Pirro in Epiro viene posto comunemente prima della morte di Cassandro, avvenuta verso la metà del 297 av. Cr. In realtà sarebbe stata cosa assai imprudente avventurarsi nell'impresa dell'Epiro, sia pure con l'appoggio di Tolemeo, se Cassandro fosse stato ancora in vita, poichè avrebbe potuto facilmente intervenire in favore del suo protetto Neottolemo. Così mi pare che a ragione il Beloch ponga l’invio di Pirro in Epiro in relazione con la morte di Cassandro, in un momento in cui la Macedonia assai difficilmente sarebbe intervenuta in Epiro, perchè entrava essa stessa in un periodo di stasi per effetto della successione e della discordia che si manifestò presto tra i figli di Cassandro (2). D'altra parte Demetrio se aveva sperato nella formazione di un nuovo Stato asiatico, aveva pure sperimentato quali dit- ficoltà gliel’avrebbero impedita, e quindi assai presto deve aver ripreso il pensiero, che aveva vagheggiato subito dopo Ipso, di formarsi il suo Stato nella penisola Ellenica e di occupare la Macedonia. L'occasione si presentava assai favorevole; ed ora, che nella Macedonia a cagione delle discordie scoppiate nella famiglia di Cassandro egli avrebbe più facilmente potuto riu- (1) PLut., Pyrrh., 4 sgg. (2) BeLoca, Griech. Gesch., ILL, 2, pag. 103. È questo il tempo in cui anche Agatocle, tiranno di Siracusa, cerca di entrare in relazione coi so- vrani ellenistici. Egli aveva occupato verso questo tempo l’isola di Corcira togliendola a Cassandro (Diop., XXI, 2, Exc. Vatican., p. 42), che diede più tardi in dote a sua figlia Lanassa quando, nel 295, sposò Pirro, mentre forse egli stesso entrava in relazione di amicizia con Tolemeo, di cui sposò la figlia Teossena; efr. De Sawneris, Agatocle (in “ Rivista di filol. ,, XXXIII, 1895, pag. 289 sgg.; ripubblicato con qualche aggiunta nel volume Per Za scienza dell’antichità, pag. 141 sgg., al quale mi riferisco nelle mie indica- zioni), pag. 201 sg. ° 602 GIUSEPPE CORRADI scire, ritentò un’altra volta su quest'altro campo la sorte delle armi. Le relazioni di Demetrio con'Seleuco del resto non avevano tardato molto a turbarsi, e ben lieto doveva essere anche To- lemeo che sorgessero nuove cause ad allontanare dall'Asia un turbolento e pericoloso vicino. Seleuco infatti, il quale come ho accennato doveva essersi già guastato col suocero per la Cele- siria, gli chiese in modo imperioso dapprima la cessione della Cilicia per una certa somma di denaro, alla quale Demetrio non volle acconsentire; poi cambiò la sua richiesta pretendendo che Demetrio gli cedesse le città fenicie di Tiro e Sidone; ma De- metrio rifiutò anche questo, anzi tenne queste città meglio for- tificate e difese (1). Evidentemente Seleuco tendeva ad eliminare in proprio vantaggio il dominio di Demetrio in Asia. Così, mentre si rendevano di nuovo tesi i rapporti con Se- leuco, Demetrio, lasciando a Cipro la propria madre, la moglie Fila ed i figli, tornò nella penisola Ellenica ed anzitutto contro Atene (2). La fortuna tornò ancora una volta a favorirlo, ed un'altra volta ancora avvenne un rivolgimento nelle alleanze, poichè Tolemeo, Seleuco e Lisimaco, mentre Demetrio si costi- tuiva un nuovo Stato, agirono di comune intesa contro i suoi possedimenti dell'Asia ed in massima parte glieli tolsero. Lisi- maco occupò ora una parte delle città marittime dell'Asia Mi- nore, Tolemeo si impadronì di Cipro e della Fenicia (3). La tradizione non ci dice nulla riguardo a Seleuco, ma è assai pro- babile che abbia anch'egli agito di comune accordo con Lisimaco e Tolemeo, occupando la Cilicia e forse la Cataonia. Le richieste (1) PLun., Demetr., 32 sgg.; egli dandoci queste notizie censura la cu- pidigia di Seleuco. (2) Non è il caso di dilungarci qui sulla guerra di Demetrio contro Atene, nel Peloponneso e nella Macedonia di cui divenne re alla fine del 294 o sul principio del 298. Il suo primo infruttuoso tentativo contro Atene spetta al 296 od al 295, ma mi sembra da ritenere che la tirannia di La- care fosse già incominciata (Prur., Demetr., 33) e non fosse conseguenza di questo insuccesso di Demetrio; vedasi su questo De Saweris, Contributi alla Storia Ateniese, p. 27; Niese, Gesch. der griech. und mak. Staaten, p. 359 s©g2.; BeLocu, Griech. Gesch., III, 1, pag. 222 sgg. (3) Probabilmente nel 294, prima che egli diventasse re di Macedonia. Prur., Demetr., 35, e cfr. 38; Brrocn., Griech. Gesch., III, 1, pag: 223 sgg.; III, 2, pag. 239. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE, DEI.LA CELESIRIA 605 che egli aveva fatto a Demetrio prima che si recasse in Grecia ed il fatto che nel 286 lo troviamo in possesso della Cilicia (1), rendono probabile questa ipotesi; del resto se una simile intesa non ci fosse stata. difficilmente Tolemeo avrebbe occupato la parte della Fenicia che ancora rimaneva a Demetrio. I successi di Demetrio in Grecia e la sua lontananza dall'Asia avevano destato un'altra volta la gelosia ed acuito la cupidigia dei ri- vali, ed avevano così determinato questa nuova intesa collo scopo di scacciare Demetrio definitivamente dall'Asia. Quindi gli avvenimenti di questo aggrovigliato periodo di tempo vanno ordinati nel modo seguente : 301, estate. — Battaglia di Ipso. Divisione della parte asiatica dei possedimenti di Antigono fra Lisimaco, Seleuco e Plistarco. La Siria viene assegnata a Seleuco. 301/300. — Seleuco occupa la Siria settentrionale. 300. — Fondazione di Seleucia e di Antiochia. Seleuco occupa la Celesiria propriamente detta, con Damasco; quindi la Fenicia settentrionale. Tentativo di Seleuco di occupare la Celesiria, e proteste di Tolemeo. 300/299. — Tentativo di Demetrio contro la Grecia, ed assalto al possedimenti di Lisimaco. 299. — Alleanza di Tolemeo con Lisimaco, e matrimonio di questi con Berenice. Offerte di Seleuco a Demetrio. Ri- torno di Demetrio, e suoi approdi nell'Asia Minore. 299/98. inverno. — Convegno di Seleuco e Demetrio a Rosso. Matrimonio di Seleuco con Stratonice. 298. — Demetrio occupa la Cilicia. Riordinamento dei suoi pos- sedimenti d'Asia. Assalto alla Celesiria, e conquista di Samaria. Pace tra Tolemeo e Demetrio colla mediazione di Seleuco. 297. —— Matrimonio di Pirro con Deidamia. Ritorno di Pirro in Epiro. Richieste di Seleuco verso Demetrio della Cilicia, di Tiro e di Sidone. 296. — Ritorno di Demetrio in Grecia. 294. — Nuova intesa di Seleuco, Lisimaco e Tolemeo contro Demetrio. Seleuco occupa la Cilicia e la Cataonia, Lisi- maco parte delle città dell'Asia Minore, Tolemeo prende Cipro e la Fenicia. 294/93. — Demetrio re di Macedonia. (1) PLur., Demetr., 47. 604 GIUSEPPE CORRADI La nuova intesa fra i tre sovrani dell'Asia, mentre s’ag- giungeva nuovo ostacolo a Seleuco per far valere i suoi diritti sulla Celesiria, dava a Tolemeo il mezzo di assicurarsene vieppiù il dominio coll’annessione di una parte della Fenicia. Per pa- recchi degli anni seguenti la tradizione ci parla delle guerre e delle conquiste di Demetrio, e nulla ci dice delle relazioni tra la corte di Siria e quella d'Egitto. Dopo la conquista della Ci- licia sembra che Seleuco si dedicasse in modo particolare all’or- dinamento interno dei suoi dominî, che divise in due parti, as- segnando le alte satrapie dall’Eufrate all’Indo al proprio figlio Antioco. Questi così nel 293 venne fatto correggente, e prese in moglie Stratonice dalla quale si separò Seleuco. Quanto alla politica estera, pel momento Seleuco dovette disinteressarsi della Celesiria e forse si limitò per ora a cercare di rafforzare, senza destare però troppi sospetti, il partito dei oeZevxitovtes nelle città dell'Asia Minore, cominciando a questo modo a colorire il suo disegno, che riuscì ad effettuare più tardi, di togliere questa regione a Lisimaco. Veramente riguardo alla (‘elesiria venne quasi in generale seguita l'opinione fissata già dallo Stark e meglio dal Droysen, che cioè Seleuco avesse occupata con la Cilicia anche la Cele- siria, la quale avrebbe appartenuto a Demetrio (1). Ma è superfino osservare che nella nostra ricostruzione questa ipotesi va re- spinta, perchè non abbiamo alcuna testimonianza dalla quale risulti che Demetrio o Seleuco abbiano effettivamente occupata questa regione su Tolemeo, e non basta certo a farci ammettere un cambiamento di dominio nella Celesiria la notizia della presa di Samaria. Le altre testimonianze su cui si volle appoggiare la ipotesi di‘ una riconquista della Celesiria da parte di Tolemeo nel 294, e quindi di un dominio di Demetrio o di Seleuco in questa regione, non hanno alcun valore. Anzitutto la testimo- nianza di Libanio, che l’impero di Seleuco si estendesse sino ai (1) Stark, Gaza und die philistiische Kiiste, pag. 362 sgg.; Droyses, Hist. de V Hellén., Il, pag. 548; efr. Boucné-LecLerco, Hist. des Lagides, 1, pag. 86, n. 1, e pag. 94, n. 4. Il Niese, Gesch. der griech. und mak. Staaten, I, pag. 387, sebbene Plutarco non ne parli, ammette che Tolemeo ha forse ricuperato una parte della Siria meridionale quando prese Cipro, attenendosi così in parte al Koepp, Die syrischen Kriege der ersten Ptolemiier, in * Rhein. Mus. ,. XXXIX (1884), pag. 213 sgg. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 605 confini dell'Egitto è una frase assai vaga ed inesatta di uno scrittore tardo e di scarso valore, in un passo del resto in cui altri errori non mancano (1). Ed anche il fatto che nel 219, se- condo Polibio, Antioco III, riguardo alla Celesiria, richiama ai diplomatici egiziani 7)v NeZevzov dvrdoterar tOV ÉOV TOWIOY, se pure è vero che per opportunità questa ragione egli facesse valere. resta sempre un’affermazione troppo sospetta, perchè fatta da una parte direttamente interessata nella quistione (2). Plutarco poi il quale, come abbiamo visto, parla delle conquiste di Lisimaco e di Tolemeo, menziona bensì Cipro e la Fenicia quali nuove conquiste di Tolemeo, ma tace della Celesiria, non già perchè questa sia passata come la Cilicia sotto il dominio di Seleuco, ma perchè in realtà già la possedeva Tolemeo. Perciò possiamo ritenere anche sostanzialmente vera, nonostante qualche inesattezza, la testimonianza di Pausania: drodavdvrog dè ? Av- try6vov IlroRZeuaîos Zigovs te adds xaiì Kbrgow eThe, zati) yaye dè zaì IHiooov é5 tiv Oconowrtida ijrrergor (3). Quindi si può qui richiamare come conclusione la più giusta osservazione del Beloch. che non si trova prima del regno di Antioco il Grande nessuna traccia sicura della dominazione dei Seleucidi al sud di Damasco (4). In realtà Seleuco si trovò costretto a disinteressarsi, sia pure senza rinunziarvi, della quistione della Celesiria. Anzi, per parecchi anni dopo il 294/93, non abbiamo nep- pure notizie intorno a Seleuco che ci attestino in qualche modo una sua azione molto attiva per ciò che si riferisce alla politica (1) Lisan., Avriogizòs, I, p. 299, Rerske = Lian., Orat., XI, 84, FoERSTER: . zaù Ogifero ) dvvacteia TeZebnov BapvAovi te xaè toîs vat Alyvatov d00Ls. (2) Pocys., V, 67, 6; ma anche in questa occasione Polibio stesso dice che si insistette sopratutto sul trattato di divisione del dominio di Antigono dopo Ipso. (3) Paus., I, 6, 8; la Siria meridionale era stata occupata da Tolemeo al tempo della guerra di Antigono, e Cipro sette anni appresso fu da lui tolta a Demetrio. Ripeto qui che alle parole di Pausania, non storico, si deve dare solo un valore relativo, spiegandole possibilmente con le altre fonti e non già prendendole a base di ricostruzioni fantastiche. Il Bovcné- LecLerco, Hist. des Lagides, I, pag. 88, n. 4, considera questa testimonianza come piena di inesattezze e senza valore; a ragione però solo nella ipo- tesi del KorpP, l. c. (4) Berocn, Griech. Gesch., III, 2, pag. 252. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 39 606 GIUSEPPE CORRADI estera. Non è del resto mio còmpito esporre ora gli avveni- menti compresi tra l'avvenimento di Demetrio al trono di Ma- cedonia e la morte di Seleuco (281 av. Cr.). Basti qui ricordare che spesso Seleuco si limitò a seguire gli avvenimenti senza prendervi parte. Anche quando Demetrio rafforzato notevolmente il suo potere, nella sua ambizione irrequieta cominciò a mostrare di voler mandare ad effetto un grandioso disegno di conquista, Seleuco rinnovò la lega con Tolemeo e Lisimaco, alla quale aderì anche Pirro, ma effettivamente non prese parte come gli altri collegati alla guerra contro Demetrio (1). Solo più tardi, quando Demetrio, tentato in Asia l’ultimo colpo contro Lisi- maco, fu respinto da Agatocle e costretto a cercar rifugio nella Cilicia violando il territorio di Seleuco, questi rispettò il trat- tato di alleanza ed intervenne contro di lui, lo vinse, lo obbligò ad arrendersi a discrezione e lo internò ad Apamea sull’Oronte, dove Demetrio nel 283 morì (2). D'altra parte non abbiamo più alcun accenno a relazioni ostili tra Seleuco e l'Egitto per la Siria meridionale. Certo, mi pare, non sì può fondare una ragio- nevole ipotesi che Seleuco pensasse un’altra volta a risuscitare la quistione della Celesiria, sul fatto che secondo Memnone egli promise, od almeno lasciò credere a Tolemeo Cerauno, che alla morte del padre di lui Tolemeo Sotere l'avrebbe condotto sul trono d'Egitto (3). Le mire di Seleuco erano ormai rivolte al- l’Asia Minore. Infatti, nell’ultima fase della guerra di Demetrio, Selenco non volle accettare l’aiuto di Agatocle ed usò a Deme- trio suo prigioniero i riguardi dovutigli come suocero e come sovrano, mostrando persino che lo avrebbe liberato dalla pri- (1) Iusrin., XVI, 2, 1 sgg. Pirro e Lisimaco, mentre Demetrio stava preparando nei cantieri del Pireo, di Corinto, ecc., una flotta formidabile, lo assalirono e lo cacciarono dalla Macedonia, mentre Tolemeo per fargli ribellare la Grecia spediva contro di lui la sua flotta, PLur., Demetr., 44; De Sawcris, Contributi alla Storia Ateniese, pag. 81. Per le varie vicende di questa guerra a Demetrio restava unica risorsa notevole la flotta. 4 (2) PLur., Demetr., 51 sgg.; BeLoca, Griech. Gesch., III, 1, pag. 248 sgg. (3) Memvon., 12, 2 (7. H. G., III, pag. 533). Una simile ipotesi è smen- tita dai fatti. Tolemeo Cerauno era un buon elemento nelle mani di Se- leuco per impedire che Tolemeo Filadelfo intervenisse nell'Asia Minore in favore di Lisimaco. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIKIA 607 gionia e ricondotto sul trono di Macedonia (1); le relazioni con Lisimaco si fecero mano mano sempre più tese finchè da ultimo Seleuco, sotto pretesto di vendicare l'uccisione di Agatocle, in- vase l'Asia Minore, della quale rimase padrone nel 282 con la vittoria di Corupedio (2). L'Egitto del resto poco poteva interessarsi della lotta fra Lisimaco e Seleuco, perchè agitato all'interno dalla quistione della successione. Tolemeo Filadelfo, che frattanto nel 285 per l’abdicazione del padre era succeduto sul trono d'Egitto, si limitò, a quanto pare, in questo periodo di agitazioni ad occupare alcuni degli avanzi del dominio marittimo del Poliorcete. Nel 281 anche Seleuco cadde vittima di Tolemeo Cerauno e gli succedette il figlio Antioco Sotere. La quistione della Celesiria veniva eredi- tata insoluta dai due nuovi sovrani, ed insoluta e cagione di lunghe guerre sarà poi trasmessa per oltre un secolo ai loro successori sull’uno e sull'altro trono; solo Antioco IV Epifane riesce ad occupare definitivamente la Celesiria. * Il nome di KotAZ7 Svgta lo troviamo usato nei vari tempi con significato ora più ora meno esteso. Secondo una notizia di Strabone, sotto la denominazione di KoiZ7 SYvgia si compren- deva tutta la regione che si estende dalla Siria Seleucide fino all’ Egitto, cioè quasi tutta la Siria, ma propriamente si dava questo nome alla regione del Libano e dell’Antilibano con Damasco: “Araca uèv oòv î ènèo tijs SeAevxidos ©s énù t)v Alyvirtov vai tiv ’ AgaBiav dviogovoua yoga zoiln Svgia xa- Aeîrat, ibis d 7) tò ArBavo zai to ° Avudavo dapooiouevn (3). Da Tolemeo poi sembra che col nome di Celesiria venga indi- cata tutta la Siria settentrionale e media, dalla Cilicia e dalla Cappadocia fino al corso del Chorseus presso Caesarea Palaestina ed all’alto Giordano; la parte meridionale della Siria è detta (1) Drop., XXI, 20 (Exc. de Virt. et vit., pag.-561 e 562); cfr. Prurm., Demetr., 51. (2) Di questi avvenimenti tratto più ampiamente in un’altra mia me- moria che spero di poter presto pubblicare. (3) StrAB., XVI, 2, 21 (p. 756 C.). Distingue qui Strabone la Celesiria propriamente detta, della quale per altro egli fa poi una descrizione errata. 608 GIUSEPPE CORRADI da Tolemeo Palestina o Giudea (1). Ma è evidente che Diodoro e Polibio, ed è questo che a noi per ora più interessa, quando parlano della Celesiria danno a questo nome un significato al- quanto diverso da quello che esso ha in Strabone ed in Tolemeo. Osserviamo anzitutto che da Diodoro appare nettamente distinta la Fenicia dalla Celesiria. Ciò si vede tanto nel rac- conto che egli fa della spedizione di Tolemeo contro Antigono, dove Sidone è ben distinta dalle città conquistate nella Cele- siria (2), quanto e meglio dove parla della spedizione di Seleuco cui fa venire nella Fenicia donde muove per occupare la Cele- siria: Nélevxos merà tiv draigeotv vijg Avtiyovov faordeias dva- hap®v tîi)v divauv mageyévero eis Dorvixnv xai Enegeionoe xatà Ttàs yevouévas cvvdijzas tiv zollnv Xvoiav idormorsicdai (3). Una conferma per questa distinzione si ha dove Diodoro racconta la conquista fatta della regione da Nicanore per Tolemeo I: dobv dè tv te Powvizxnv ai vijv xoiXnv ovouafomevnv Nvgiav eÙpuòs xemévas xatà tie Alyiatov, mov sicepéoeto ortovd?)v uvoredoai tovtov TtOV n16%Ze0v. Ed incaricò di conquistarla Nicanore il quale otgarevoas eis ti) v Svoiav Aaonédovia uèv tòov carganmnv Efmyonoe, tv dè SNvoiav dnacav éyelo®oarto. ‘Quoiws dè xai tàs xarà tiv Pomvixnv n6he1s r0000yay6uevos zoi monoas éupoovoovs, gravi dev eis tiv Aîyuntov, xtà. (4). Anche Polibio che più volte accenna alle guerre fra 1 Se- leucidi ed 1 Tolemei per la Celesiria, fa frequentemente come Diodoro la stessa distinzione tra la Celesiria e la Fenicia. Un chiarissimo esempio si ha dove Polibio riferisce le trattative di Antioco II con gli ambasciatori di Tolemeo IV Filopatore a Seleucia nel 219 per dirimere in modo pacifico la quistione della Celesiria. Antioco accampò allora la conquista che aveva fatto Antigono ed il dominio di Seleuco (molto problematico questo, come si è gia sopra osservato), insistendo specialmente (1) Pror., V, 15, Tvgias xolAns déoLs, e per la Palestina o Giudea c. 16,1. Anche Tolemeo distingue in questa regione la Celesiria propriamente detta: KoiRns Zvoias AenandAews n6ders atde, vrAÀ. Prot., V, 15, 22, e comprende in essa, come Strabone, anche Damasco. (2) Dron., XX, 113, 1 sgg. (3) Dron., XXI, 1, 5 (Exc. Vatican., p. 42, 43). (4) Drop., XVIII. 43; cfr. XVIII, 61,5. Anche altrove Diodoro distingue analogamente ZTJo0or rai Doivixes, Dion., XV, 90, 3. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 609 sulla aggiudicazione che a Seleuco si era fatta di tutta la Siria dopo la vittoria di Ipso: ud%iota dè tò zorvòv Emécer naviOv rOv facdéov cvy,bonua, rad os xargods ‘Avtiyovov via ocavies zaì BovAevbuevor zatà mgoaigeorv òuboe ndvrec, Kao- cavdoos Avoiuagos NéAevxos, Exouvav Xelevzov t)v bANv Svoiav brdoyev (1). Al che gli ambasciatori egiziani opponevano che Tolemeo si era unito a Seleuco contro Antigono colla esplicita condizione che Seleuco ottenesse bensì l'Asia, ma a Tolemeo andasse la Celesiria e la Fenicia: ...tà dè xatà KoiAnv Svoiav «ùt® (cioè a Tolemeo) zaraziijoacdar rai Dorviznv (2). Come si vede la distinzione che fa Polibio tra la Siria, la Celesiria e la Fenicia non potrebbe essere più esplicita. Del resto questa stessa distinzione appare chiaramente anche dove Polibio racconta della conquista di Tiro e di Tole- maide da parte dello stesso Antioco, il quale di qui, cioè dalla Fenicia, si apparecchiò per assalire la Celesiria: ‘Avtioyos dé, IlvoZeuaida xaì Tigov magadévios adiò Meoddrov, toîc ratà KoiXnv Svoiav &yyeroeîv éreBdAeto (3). Non dimentichiamo che Polibio, il quale parla così esplicitamente della Siria, della Fenicia e della Celesiria, non allude mai alla Celesiria propria- mente detta fra il Libano e l’Antilibano, e non fa mai men- zione della Palestina o Giudea. Quindi mi pare naturale che dobbiamo concludere che per Celesiria si deve qui intendere, poichè non si allude mai alla regione dell'alto Giordano e di Damasco, non già con Strabone tutta la regione dalla Siria Seleucide all’ Egitto, comprendente cioè la Celesiria propria, la Fenicia e la Palestina, nè con Tolemeo la Siria settentrionale e media, ma soltanto la parte meridionale della Siria, approssimativamente dal gruppo del monte Hermon e da Cesarea fino al Mar Morto ed a Rafia. Ed ora mi piace aggiungere qui qualche altra considera- zione intorno alla divisione amministrativa della Siria. È ben noto il passo in cui Strabone descrive la Siria settentrionale o (1) PoLyz., V, 67, 8. (2) Porxys., V, 67, 10. (3) Pons.) IVI 91399 cfr Ii, BV 66,06: 8716 VIN: 19,1; NAVILE 1, 2, ecc. Così pure è considerata come Celesiria la parte meridionale della Siria in IosePn., Ant. Iud., X, 9, 7; XII, 8, 3, ed in questo senso va inteso anche XII, 4, 1, cfr. Appran., Syr., 5, e PoryB., XXVIII, 17, 9. 610 GIUSEPPE CORRADI Seleucide e, dopo aver accennato che era anche designata col nome di provincia dalle quattro città (a causa delle sue quattro città principali, Antiochia, Seleucia, Laodicea, Apamea), ag- giunge sulla testimonianza di Posidonio che si divideva in quattro satrapie, come cioè era divisa la Celesiria: oixeims dè ti) tetgandder xai eis cargareias dujonto téttagas i) Dedevxis, 0 pyor IHoced®vios, sis boas xaì i xoldn Svgia, **eig uiav ò° i) Mecorotauia (1). In base a questa testimonianza di Stra- bone si suole comunemente ammettere che le quattro satrapie della Siria Seleucide abbiano preso il loro nome dalle quattro città più importanti della regione, e le altre quattro satrapie della Celesiria cui allude Strabone, siano le satrapie della Cele- siria propriamente detta, della Fenicia, della Samaria e della Giudea od Idumea. Questa opinione, come ho osservato altrove, va incontro a qualche obbiezione (2), ed intorno al passo di Strabone è possibile formulare anche un’altra ipotesi, per la quale è però necessario premettere qua!che osservazione. Non è naturalmente il caso di addentrarci nelle varie qui- stioni relative all'’amministrazione dei Seleucidi; basti qui ricor- dare che nelle nostre fonti epigrafiche e letterarie relative al regno di Siria troviamo i governatori superiori delle provincie indicati con i vari nomi di 0ar9477g, otgatny0s, Éragyos, éri- otdtns, Graggos. Il nome di oteatnyds, che indicava in origine un comandante militare, nell’età ellenistica, posto lo stratego funzionario militare anche a capo dell’amministrazione civile delle provincie, ha sostituito il nome di o@rgdzgs (3). È chiara la relazione fra oargdnns e carodnera, fra émagyos ed éraggia, fra Gnagyos ed brraggia; ma è senza dubbio da respingere l’ipo- tesi accettata qualche volta dai moderni, che il vocabolo (1) Srrag., XVI, 2, 4 (p. 750 C.). (2) Cfr. le mie Note sulla guerra tra Tolemeo Evergete e Seleuco Callinico in “ Atti dell’Acc. Reale delle Scienze di Torino ,, vol. XL (1905), estr. pag. 7 sg. (3) Haussovruier, Etudes sur Milet, pag. 90 sgg.; BeLoca, Griech. Gesch., III, 2, pag. 298 sgg. La carodzera ha sempre conservato il suo antico nome; più tardi fu sostituita, pare, dall’ é&7zagyie, vedasi appresso pag. 611, n. 5, Il nome 070077765, come è noto, non fu usato unicamente in questo senso; in molte città col nome di orgarzyoi erano indicati i magistrati cittadini superiori, che si trovano talvolta anche riuniti in collegi. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 611 boraggia debba considerarsi come sinonimo di cargdzzia e di énaggia (1). Certo dobbiamo ammettere che nell'impero Seleucide il nome di #r@gyia si trova usato come corrispondente a quello di catoazezia. Vediamo infatti che la Babilonia venne divisa in due parti. la satrapia di Babilonia (2) ed il territorio della foce del Tigri e dell'Eufrate sul golfo Persico, cioè la éragyia meoì t)v °Eovudoav ddlartav, come attesta Polibio: uetazzeue wauevos dioyévnv tòv. Tijg Novoravijs Emaggov xaì Iv8iddnv tov ts °Eovdods dalattns (3). Ora secondo questo passo di Polibio anche la Susiana avrebbe formato una é®gia con a capo un éragyos; ma d'altra parte per questa provincia tro- viamo ricordato in una iscrizione un ‘Aggevsiòn» | ‘Aggeveido»v, tòv otgatnyòv | tig Zovotavîs (4), donde appare chia- ramente che l’&r@gyos menzionato da Polibio va considerato come un vero e proprio 070e77)70s, e che éragyzia è usato qualche volta come sinonimo di oargdzere (5), come avviene anche per lIdumea. (1) Bixarp. in “ Bull. de Corr. Hell. ,, XV (1891), pag. 556, N. 8; Bevan, The House of Seleucus, II, pag. 297, Appendix F. L’éragyia continuò a sus- sistere anche durante l’età romana; è incerto se abbia continuato a sussi- stere l’èragyio, e ad ogni modo quale significato avesse; cfr. DirreNnBERGER, OFSGr"TAser TILT 37 "n: (2) Appran., Syr.. 45; cfr. 47. (3) PoLvB., V, 46, 7; cfr. 48, 3: yevduevos dè xbpros tig te BafvA@vias nai ts megi tiv Eovdbodv ddlattar, rà. (4) DrrrenBERGER, Or. Gr. Inscr., II, N. 747. (5) Si veda il già citato PLur., Demetr., 30. Analoghe osservazioni si possono fare anche per l’Idumea, che viene detta da Diodoro ora éregyia (amò tis Idovuatas éraggias, Dron., XIX, 95, 2), ora invece carparera (xeîrar yùo zatà mécnv tiv carparerav tijs “Idovuatas, Dron., XIX, 98, 1), ed a capo di essa troviamo uno o7zger7706s, Gorgia (II Mach., 12, 32). Si comprende facilmente come la persistenza della cazodzera può aver con- tribuito a far sopravvivere nelle fonti letterarie l’uso del nome dell’antico governatore, il carodr7s, sebbene ormai il titolo ufficiale per designare questo funzionario superiore fosse certo 079aryy6s. Più difficile invece mi sembra spiegare l’uso di #7@gyos accanto a questo. In realtà pare che sia avvenuto a poco a poco un cambiamento di significato dei due vocaboli #raogos ed éragygia. Da Diodoro infatti appare che un tempo l’éregyio non era realmente equivalente alla cezgd&zere, ma una parte di essa: ‘0 d°Avrtiyovos tiv dbvauiv Gracav avolat®v es Maydiav, adròs uèv Ev tivi “our magegcinocev 0don nAgoiov * Erfardvov, èv î ts yooas Enetvns éotì 612 GIUSEPPE CORRADI Più incerto è se anche l’escordmns sia qualche volta da considerare come sinonimo di or0ar7yos. Pare difatti che la Commagene formasse una provincia a sè; ma nelle nostre fonti non è mai ricordata come una o@rodzaeia, nè ci si parla mai di uno 0r9atny6s come posto a capo di essa, bensì di un é7- otdtns, poichè Diodoro ricorda un Tolemeo ò 75 Aouwaynv7s émotatns (1). Ma certamente come un funzionario inferiore allo 0r9ar770g e come a lui subordinato va invece considerato l’®yos. Nel regno di Siria finora abbiamo notizia di due #7agyor e di una braggzia. Come tale va considerato Dionytas, #raggos proba- bilmente nella Frigia Grande (piuttosto che nella Caria), la quale costituiva una oargazea con a capo Anassimbroto (2). Del- tà facidera, tods dè otpgatrotas énrdieddev eis dracav t)v catgaretav, xa) uddiota es t)v Emraggiav tiv agocayogevouevgv “Payas, xrÀ. Dion., XIX, 44, 4. Forse dobbiamo ritenere che i nomi di #r@gy0s e di éregyia, dato il loro significato più generico, furono usati, con un significato un po’ diverso da quello che aveva il termine tecnico 970@77765 (che conservò il suo significato più schiettamente militare anche presso gli scrittori di cose romane), a designare le divisioni amministrative ed ì capi di esse, che ave- vano attribuzioni prevalentemente civili. Fd il risultato fu che mentre dap- prima l’é7zaggia indicava una suddivisione della cargdzeca, fu poi usato come sinonimo di questa, e finì col sostituirsele nell'uso; con questo signi- ficato venne poi usato nell’età romana. Non dimentichiamo che qualche volta troviamo indicato il comandante militare non già col suo nome uffi- ciale di o70ar77y6s, ma con quello di significato più generico di 0707, nei libri dei Maccabei: xaè ixovoe Tioov è dogov ts dvvadueos Ivgias, tà. (I Maeh., 3, 13; cfr. 6, 28; 7, 26). Con valore diverso è poi usato &7@gy06 in Il Mach., 4, 27, dove si fa menzione di Sostrato zoò 75 axg0r6AZewg éndOYOv. (1) Drop., XXXI, 19 a. Anche questo può essere un titolo usato come equivalente di 070@z7y6s, ma può pure indicare un funzionario inferiore dipendente realmente da uno otgaryy6s. È noto del resto come con questo titolo vengano anche indicati dei magistrati cittadini tanto nel regno di Siria quanto fuori di esso. Cfr. Porvs., V, 48, 12: zaoaAagàv dè [scil. MoA@v] za) tasenv [scil. Delevzerav] éÉ épodov dirà tò mepevyévar tods meoì tòv Zedéwmv, dua dè tovtoLE tòv Atougdovra tòv énotdtmv vijg Tehev- netas, «tÀZ. In una iscrizione troviamo menzionato lo stratego Democrates gnotdtgs di Babilonia, DrrrenseRGER, Or. Gr. Inscr., I, N. 254: “H 2645 | Amuongatno Bvrrdxov, | tòv GrgatgYzbv za émrord|tgv ts nbhews, utà. Cir. LI Maech9, 22. (2) Drrrenpercer, Or. Gr. Inscr., I, N. 224, n. 1. DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE DELLA CELESIRIA 615 l’altro ci è conservato solo l’ultima parte del nome ...|x|o@0vs toù èndgygov, in una iscrizione di Mileto (Didime), un #7@gyg0g assai probabilmente dell’Ellesponto, # ép° ‘EZAn0m6viw catgd- mea, a capo della quale si trovava come or9oar7y6s Metrofane (1). Gli Sragygor erano a capo delle èrraggia:, di cui abbiamo per il regno di Siria una testimonianza im una epigrafe, nella quale sono ricordati oi év ij. regi “Egiîav dnuggiar | puiazita (2). Siechè in base a questi elementi fu giustamente ammesso che le satrapie fossero, tutte o in parte, suddivise in distretti am- ministrativi più piccoli, che portavano il nome di òraggia: ed avevano a capo degli &7aoyo. subordinati agli oro@tNyoi (3). Ora l Haussoullier a proposito della divisione della Siria Seleucide in quattro satrapie, ha proposto dubitativamente l’ipo- tesi che si tratti invece di quattro èraoygie:. Ho già osservato altrove che questa ipotesi non mi pareva fosse fondata (4). Anzi- tutto Strabone in base a Posidonio parla esplicitamente di ca- rodaerai e non di èrreggier, e poi una parziale ma importan- tissima conferma si ha per via epigrafica che la Seleucide era divisa realmente in satrapie, perchè una iscrizione ricorda x@wnv tiv Bartoxai|xn|viv, i)v ngoregov foyev Anuitoros | Anuntgiov roò Mvao(é)ov Evtovpimva tig neoi Andu(e)Ltav catga- mweias (5), e d'altra parte non troviamo mai in nessuna fonte ricordata la Siria Seleucide come formante da sè un’unica satrapia. È più probabile invece che in quattro drraggia: fosse di- visa la Celesiria propriamente detta? È questa una ipotesi pos- sibile, poichè Strabone quando menziona la Celesiria intende sempre la Celesiria propriamente detta, e quindi nel passo sopra (1) HavssouLuier, Etudes sur Milet, pag. 76 sgg.; DrrrenBeRGER, Or. Gr. Inscret\Nen 259505 80 (2) DrrrenserGER, Or. Gr. Inscr., I, N. 238. Questa iscrizione fu attri- buita anche al dominio Pergameno e Tolemaico. (3) Kornter, nelle “ Sitzungsber. der Akad. zu Berlin ,, 1894, pag. 451; Haussourrier, Etudes sur Milet, pag. 92 sgg.; BeLocH, Griech. Gesch., III, 1, pag. 400, n. 2; III, 2, pag. 297 sgg. Del resto anche in un frammento di Nicolao Damasceno l’&7@gyos appare in modo esplicito come subordinato allo orgarny6s (Fr. 9, in F. H.G.,, III, pag. 358): dA47° édv ye Ba8vA@ros oetgarevom, cè Dragygov naruotijo@ tig dins carpaneias. (4) Cfr. le mie Note sulla Guerra, ecc., cit., pag. 8. n. 1. (5) DirrenBeRGER, Or. Gr. Inscr., I, N. 262, lin. 6 sg. 614 GIUSEPPE CORRADI — DI SELEUCO I E DELLA QUISTIONE, ECC. riferito può alludere ad una suddivisione di essa in distretti am- ministrativi minori, in èrraggie:; ma d’altra parte questo passo può essere desunto da Posidonio e quindi non è punto impro- babile che, contrariamente all'uso comune dello stesso Strabone, la parola Celesiria vi sia presa, come già s'è congetturato, in senso ampio, in modo da comprendervi tutta la Siria media e meridionale, nella quale le quattro satrapie sarebbero quelle. della Fenicia, della Celesiria propria, della Samaria e della Idumea. Ed è ad ogni modo assai probabile che la Celesiria propria formasse da sè una sola satrapia, anche se si resta incerti che il Xj0wv, è 7g KotXns Svoias otgatny6s menzio- nato da Flavio Giuseppe fosse realmente governatore della Ce- lesiria propria (1). S' intende del resto che non è necessario ammettere che tutte le satrapie dell'impero Seleucidico fossero suddivise in braggicr; ma ad una tale suddivisione può essersi ricorso in una parte soltanto di esse per ragioni particolari, sia per la loro maggiore estensione, o per la più densa popolazione, sia per accrescere la sorveglianza, sia per rendere più facile la riscossione dei tributi, sia per impedire possibili ribellioni dei governatori, e renderle ad ogni modo meno pericolose. (1) Iosepi., Ant. Jud., XII, 7, 1. LUIGI PARETI — PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE, Ecc. 615 rr eo e _—P tT_t__reoe wr rr rr o o e e—.+-t rr — = _ Per la storia di alcune dinastie greche nell'Asia Minore. Nota di LUIGI PARETI Intorno ai tempi delle guerre contro i Persiani, sorsero, com'è noto, nella Misia e nella Lidia, tre piccoli staterelli in città donate dal gran re ad esuli greci che presso di lui ave- vano riparato; apparvero così le dinastie dei Demaratidi, dei Gongilidi e quella di Temistocle (1). Demarato, quando nel 491 (2) fu deposto, andò in Elide, poi a Zacinto e infine és 7i)v ‘Acinv ragà facrdéa Aagetov: è dè onedésatò te aùròv ueyalwoti zai yîjv te xai nbhias Edmxe (3). Si deduce unicamente da questo passo che egli ebbe in dono più di una città. Quando Demarato andò in Asia non era più molto giovane, se già intorno al 507 era in grado di condurre insieme con Cleomene l’esercito Spartano ad Eleusi (4); non può dunque esser nato che al più tardi intorno al 530, e all’inizio del suo regno in Asia doveva aver certamente passata la qua- rantina. Se si dà retta ad un aneddoto di apparenza molto dubbia (1) Su tutte tre le famiglie la trattazione più recente è quella di E. BaseLon, Traité des monnaies Grecques et Romaines, II, 2. col. 73 sgg., Paris, 1910. Dello stesso autore si ved. le opere anteriori: Catal. des monn. Grecq. du Cab. de Paris: Perses Achém., p. xvi sgg.; 57 sgg. e n.; Mélanges numism., II, p. 191 sgg. Sul regno di Temistocle: Busorr, Gr. Gesch., Il, p. 640, III, 1, 124 sgg.; KircHxER, Prosop. Att., I, 483; Curtius, Gr. Gesch., trad. fr., II, 391 sg.; e le altre storie greche generali. Sui Demaratidi e sul Gongilidi: Howorce, “ B. C. H. ,, 1896 (20), p. 505 sgg.; Six, * Num. Chron. ,, 1890, p. 188 sg.; 1884, p.315 sg.; TaRrAEMER, Peryamos, p. 220-221; TH. ReInACcH, Les origines de la ville de Pergame, “ Rev. hist.,, 1886 (32), p. 74 sgg.: Hesset- mever, Die Urspriinge der Stadt Pergamos, 1885; CoLLiGnon-PoxtREMOLI, Per- game, 1900, p. 23; Carprxani, IZ regno di Pergamo, 1906, p. 2 sg. (2) Erop., VI, 65 sgg.; Diop., XI, 48. XII, 35; Tucip., III, 1, 89 (per il regno del successore Leotichida). Cfr. Bvsorr, Gr. Geseh., I°, 573; Meyer, Gesch. d. Alt., III, p. 323 n. i (3) Erop., VI, 70. (4) Erop., V, 75. Per la cronologia BrLoca, Gr. Gesch., I, p. 338 e sgg. D * 616 LUIGI PARETI conservatoci da Plutarco (1), Demarato sarebbe ancora vissuto posteriormente al 464, dopo l’arrivo di Temistocle nell'Asia Mi- nore, epoca in cui avrebbe avuto almeno 70 anni. Quando nel 399 si iniziò la guerra degli Spartani, condotti allora da Tibrone, contro i Persiani, tra le città dell'Asia Mi- nore che si schierarono dalla parte dei Greci, furono, al dire di Senofonte, anche Pergamo, Teutrania e Alisarna. È necessario riportare la notizia nel testo (2): éxeì dè c0dévres oi dvaBdvres uerà Kib90v ovvéuertav aùroò [= a Tibrone], éx rovtov ijòy xaù èv toîs nediors davretditeto th Tiocaqpéover, xaì néheis IHéo- yauov uèv Ezoboav ngooédafe za Tevdgaviav xaì “Akicagvav, ov Edovodegrns te zaì IHoozxAîjs îogov oi anò Anuagdrov tod Aazedauoviov © gxgivo das i) yoga dbgov x Paordéws éd6dn dvrì vijg énì v)v “EXRada ovotgarzias... Dunque secondo Senofonte Procle ed Euristene sarebbero stati signori di quelle stesse città ch’erano state donate al loro antenato, e queste città, secondo l’interpretazione meno forzata del testo, erano non solo Teutrania e Alisarna, ma anche Per- gamo. Saranno stati Procle ed Euristene entrambi signori di quelle città? o vi sarà stata una divisione dei possessi? Ci aiuta a sciogliere il dubbio Senofonte stesso, che parlando due altre volte di Procle lo dice: 6 Tev9oarias doyor, yeyovòs darò Aa- uaodrov toò Adx@vos (3), e lo fa giungere in soccorso dei Cirei da Alisarna e Teutrania: cvveBonder dè zaì IooxAijs 8È “AM odovns zaì Tevdgavias è amò Aauagdtov (4). Se dunque del solo Procle si parla come di signore della regione Teutrania, o delle città di Teutrania e Alisarna, parrebbe logicamente da dedurre che in esse non dominava Euristene, ma bensì nella terza città donata a Demarato, Pergamo che non è mai unita in Senofonte col nome di Procle. (1) PLur., Temist., 29. (2) Sewor., EMen., III, 1, 6. Non posso seguire il BaseLon, 7raité, col. 79 sg., 88, quando crede che nel 399 Pergamo fosse dei Demaratidi, ma che fosse stata da essi acquistata solo col tempo. Il passo di SenoroNnTE dice chiaramente che nel 399 i Demaratidi avevano quelle stesse città, qualunque esse fossero, ch’eran state di Demarato. (3) Senor., Anab., II, 1, 3. (4) Senor., Anab., VII, 8, 17. PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC. 617 La cosa a parer mio trova una conferma in un altro passo di Senofonte, dove parlandoci dell’arrivo dei Cirei nella valle del Caico ed a Pergamo e dell'accoglienza fatta da Ellade (di cui tosto parleremo) a Senofonte, la quale gli consigliò il colpo di mano sul Persiano Asidate, aggiunge che Ellade &rewwe r6v te aùrijs dveyiòv xaì Aapvaydoar, dv megì mAgiotov Ermoretto (1). Ora qualunque fosse la posizione di Ellade a Pergamo, parrebbe naturale che quel suo cugino ch’essa spinse a secondare l’azione dei Cirei non fosse altri che Euristene, signore di Pergamo, vale a dire quegli che aveva il diritto di disporre delle cose. Chè se in realtà chi dovette dirigere le mosse fu Dafnagora che con lui era stato inviato, ciò sarebbe semplicemente una prova che il signore di Pergamo era ancor molto giovane. Nè reggerebbe l’obbiezione di chi negasse questa deduzione sull’età di Euristene fendandosi sul fatto che suo fratello Procle partecipò alla spe- dizione di Ciro (2), perchè in realtà quando Senofonte nel passo delle Elleniche già citato nomina Euristene prima di Procle non sî può sicuramente dedurne che Euristene fosse il primogenito (33). Si ricordi infatti che i Demaratidi erano Euripontidi, e quindi discendenti da Procle; il che ci farehbe pensare che il nome di Procle dovesse essere preferito per i primogeniti, e ne è con- ferma ad esempio il nome che Procle II diede ai suoi due figli, i discepoli di Teofrasto (4): Procle e Demarato. Inoltre la pre- senza di Procle invece di Euristene nella spedizione di Ciro lascia appunto supporre ch'egli fosse il maggiore; mentre l’or- dine in cui li dispone Senofonte doveva venirgli spontaneamente pel ricordo della posizione reciproca nella leggenda dei due epo- nimi della diarchia spartana. Da Senofonte adunque credo risulti che intorno al 400 av. Cr. due discendenti di Demarato si erano diviso il potere: il mag- giore, Procle, restò signore di Teutrania e Alisarna; il minore, EKuristene, di Pergamo (5). Quest'ultimo doveva nel 399 essere 1) Sexor., Anab., VII, 8, 9. 2) Senor., Anab., IL, 1, 3:02, L 3) Senor., EMlen., INI, 1, 6. ) Sesr. Emp., adv. math., I, 158. (5) Giaechè mi si presenta l’occasione apro una breve parentesi su Pitane. Recentemente il Frick, Vorgriech. Ortsnamen, 1905, pag. 91. 114. 116. 136, stabilì un confronto tra Ilirdve tribù locale a Sparta, Mireva del- 618 LUIGI PARETI ancor molto giovane, e neanche per il fratello abbiamo motivo di credere che fosse molto più avanzato in età. Risulta, secondo il mio modo di vedere, da queste conclusioni, e da quanto . di- cemmo sulla cronologia di Demarato, che è improbabile consi- derare Procle ed Euristene come suoi nipoti: devono esservi state di mezzo almeno due generazioni di dinasti di cui non ci e pervenuta notizia. cos Gongilo di Eretria viene dalla tradizione rappresentato come un fautore di Pausania dopo il suo ritorno nell’Ellesponto. Se- condo la versione ufficiale spartana che si trova presso Tuci- dide (1), a Gongilo aveva Pausania commessa la guardia di Bisanzio, donde di comune accordo furono lasciati fuggire i pra- gionieri Persiani, e sarebbe stato Gongilo a portare a Serse la famosa lettera di Pausania. Non è qui il luogo di fermarsi a discutere delle accuse fatte al reggente di Sparta; basta per noi notare che intorno al 477 o 476 (Gongilo già doveva essere un uomo di età matura, se fu un coadiutore di Pausania; e che quindi non possiamo credere ch'egli sia nato molto dopo. il ologart CE: Senofonte (2) parlandoci delle città dell'Asia Minore che nel 399 fecero causa comune cogli Spartani, afferma: 70008%0- onoav dè aùdraò ai l'ogyiwv xa VoyyiAos, ddedpoi dvtes, Èyovteg ò uèv l'auBorov zai HaZayduBoiov, è dè Migivav rai Vos- l’Eolide, Iirvicoa* x6A6g Avzaovias (Sver. Biz.), Hitdov 64 in Caria: tutti questi nomi sarebbero di origine Lelegica. Lasciando ora stare Iitvioca è IHirdov a645 il cui confronto con Mirava è del tutto ipote- tico ed arbitrario, mi basti osservare che se non si tratta di coincidenza ca- suale, pare derivata la località dell'Asia anzichè quella laconica: par chiaro infatti che tale nome potè sorgere, ed essere importato col dominio dei Demaratidi, entro il quale, come pare, Pitana era inelusa. Nè deve fare difficoltà che Erodoto, I, 149, la enumeri tra le dodici città antiche della Eolide, perchè se anche si vuol credere a tale notizia si può pensare che con Demarato se non la città, sorgesse quel nome per essa. D'altronde si badi che in Erodoto manca il nome di Elea: può esser facilmente ch’essa vada posta nella lista al posto di Pitane introdottasi per errore. (1) Tucip., I, 128; Driop., XI, 44. (2) Senor., EUen., III, 1, 6. PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC, 619 verov © dogov dè zai abrar ai r6deis foav ragà BaorÀéws L'oy- y0io, du udvos ’Egergréwv undicas Èpvyev. Una prima cosa da notare è che al dire di Senofonte i Gongilidi nel 399 pos- sedevano quelle stesse città che Serse aveva donate a Gongilo, evidentemente dopo i fatti di Pausania, all'incirca tra il 475 e il 470. Quando Gongilo si stabilì nel suo piccolo regno doveva avere almeno una quarantina d’anni. i Intorno ai suoi discendenti Gorgione e (Gongilo interessa ora notare che da un passo di Senofonte parrebbe risultare che nel 399 uno di essi almeno doveva essere abbastanza giovane, sì da potersi ancor parlare del consenso o meno della sua madre Ellade alle sue azioni; dice infatti Senofonte che durante la lotta suggerita da Ellade ai Cirei contro il persiano Asidate, emeì dé Enoa l'oyyvAos dhiyovs uèv toùs “E4XRnvas, s04dhods dè toùs émzeruevovs, éÉéogetar xai aùròs fia tig untoòs égov tiv gavtoù dbvamiv, BovAbuevos uetaozeîv toù E9y0v (1). Chi tenga conto di quanto siamo venuti dicendo non potrà così facilmente accettare la teoria recente secondo cui Gorgione e Gongilo sarebbero figli di Gongilo I; tra questi e i suoi discen- denti che troviamo nel 399 v'è di mezzo almeno un altro re- gnante (2). Se non che contro questa conclusione, che pare così naturale, fu addotto un passo di Senofonte, che a primo aspetto può far sorgere dei dubbî; quando nell’ Anabdasi si parla dell’ar- rivo a Pergamo dei Cirei, vien detto (3): évradda d7) fevodrar Zevopòv “EXAdabdi vi) T'oyyvAov toò ’ Egetoiéws yuvarxi raì L'og- yimvos za ToyyvAov untoi. Qui sarebbe adunque senz'altro af- fermato che la madre di Gorgione e Gongilo, Ellade, era moglie di Gongilo I, l’Eretrieo. Ma vediamo a quali conseguenze porti una simile esegesi (4). Bisognerebbe in tal caso ammettere che Gongilo I avesse sposato Ellade avendo già 45 o 50 anni; che ai tempi di Pausania invece d’esser uomo maturo fosse un gio- vane di 24 o 25 anni; che se morì nel 425 circa vivesse almeno 80 anni; che Ellade nel 399 avesse anch'essa ottant'anni, mentre pure suo cugino Euristene compare ancor molto giovane; che (1) Sewor., Arab., VII, 8, 17. (2) Bene intese la cosa Ta. Rernaca, “ Rev. hist. ,, 1886 (32), p. 74. (3) Senor., Anab., VII, 8, 8. (4) Tale tesi sostenne negli studi citati E. BaBELON. 620 LUIGI PARETI infine Gorgione e Gongilo nel 399 avessero già una sessantina d'anni (e tuttavia avrebbero dovuto agire col permesso della madre), tranne che si voglia farli nascere quando il padre era ottantenne e la madre sessantenne. Par chiaro da tutto ciò che se non si vuole incorrere in tutte queste improbabilità, sì deve interpretare altrimenti il passo di Senofonte: in tal caso, senza pensare che la frase riferita contenga una forte concisione, e senza ricorrere a correzioni del testo (che sarebbero tanto fa- cili), o credere che Senofonte abbia dato notizie erronee, basta prendere con un po’ di larghezza l'apposizione roò ° Egetoré®s, nel senso che Senofonte, parlando per la prima volta di un Gongilide, gli abbia dato l'epiteto di FEretrieo, poichè sì trat- tava di dinastia fondata da un cittadino di Eretria. D'altronde nulla impedisce che a qualche discendente di Gongilo I fosse concessa la cittadinanza dalla madrepatria. Per me, in conclu- sione, è indubitato che Ellade non fu moglie di Gongilo I, ma di un suo figlio omonimo, Gongilo II. È qui il Inogo di aggiun- gere alcune altre riflessioni su Ellade stessa. + Una delle congetture intorno ad Ellade, che trovò più fortuna, fu quella fatta dal Six dal suo nome (1), simile a quelli delle figlie di Temistocle: Italia, Sibari, Nicomaca, Asia (2): si pensò quindi, che tale fosse anch'essa. Se si crede con noi che Ellade non fu moglie di Gongilo I, e che i suoi figli erano giovani intorno al 400 è chiaro che non si può accettare la congettura del Six, almeno com'è. D'altra parte è più che naturale l'affermazione dell’Homolle a proposito delle famiglie regnanti che ci interessano (3): “ Ces... familles grecques rap- “ prochées par une destinée semblable, dans une méme contrée, “loin de leur patrie, n’auront pas manqué d’entretenir des re- “ Jations; il est plus que vraisemblable qu'elles se soient alliées ,. (1) Six, “ Numism. Chron. ,, 1890, p. 192, n. 27. (2) Cfr. Kircaner, Prosop. Attica, I, p. 484. Si badi d’altronde al fatto che il nome di Ellade appunto non compare tra quelli delle figlie di Temistocle. (3) BC. H. 4311896 .(20)) p.uot0. PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC. 621 Ora se il nome di Ellade può far pensare ch’essa discendesse se non direttamente da Temistocle, almeno da una delle sue figlie. vi sono altri fatti che portano a considerarla uscita dalla famiglia dei Demaratidi. Già vedemmo come, dai passi di Se- nofonte (1), essa sembri cugina del re di Pergamo Euristene. Inoltre il nome stesso ch’essa dà al suo primogenito (probabil- mente) Gorgione, ritorna anche in seguito nei Demaratidi col nome del padre di Demarato amico di Lisimaco (2); e nomi identici o simili sono comunissimi tra le persone specialmente di ceto elevato a Sparta, come nella colonia laconica Tera e a Cirene (3). Se così è, si può con probabilità credere che Ellade fosse figlia di un nipoté di Demarato, e di una figlia di Temi- stocle; e che suo padre fosse fratello del padre di Procle ed Kuristene. Si può ancora aggiungere che non è improbabile che appunto il nome di Gorgione figlio di Ellade, riproduca quello del padre di costei. Così si verrebbe anche a spiegare la presenza di Ellade nel 399 a Pergamo, e l'influenza che ha il suo consiglio su Eu- ristene. Ellade infatti a Pergamo veniva ad essere presso la sua famiglia originaria: cosa ben naturale ad ammettere dopo la divisione dei possessi Gongilidi tra i suoi due figli. E appunto il legame di parentela tra Gongilidi e Demaratidi è quello che spiega la presenza a Pergamo nel 399 non solo di Ellade oltre ad Euristene, ma anche di Gongilo, mentre da Teutrania e Ali- sarna giungevano gli aiuti di Procle. Con ciò credo si debba (1) Sewor., Anab., III, 8, 9; ENen., III, 1, 6. Vedi indietro. (2) Iscrizione in “ B. C. H. ,, 1896 (20), p. 508, framm. B, lin. 5. (3) Vedi Homotte, “ B. C. H. ,, 1896, p. 510. Per Sparta le fonti lette- rarie ci parlano di L'ogy@zas, éx10t0Àe65 nel 389/88 (Senor., EMen., V, 1, 5), e di Gorgopas comandante al Giteo nel 195 (Livio, 34, 29); le fonti epi- grafiche ci dànno i nomi di l'ogyiddas (Dial. Inschr., 4445 = Sparta Cat., n. 205); [L'og]ycazidas (Dial. Inschr., 4451 = Sp. Cat., 612); I'6oyirzos Tog- ytmvos (Dial. Inschr., 4446 = Sp. Cat., 206); IMoAvxAîs Togyinzov (D. I, 4452 = Sp. C., 216); I'60yirzos l'ogyinzov (D. I., 4500= Sp. C., 219+ 501; Le Bas, 168g= Sp. C., 411; C. IL. G., 1254); "Ianagyos Togyinzov (D. I, 4447 = Sp. C., 797 a); L'ioyirezios Didi... (Sp. C., 784); T6(0)y1s (D. I., 1379 = Dirrex8., Sy22.?,482= Sp.C.,217 a); L'ogyiov Kgeo80sAov(C.1I.G., 1241=Sp. C., 204, I; C. I. G., 1249); L'ogyoras ‘Aggia (D. IL, 4446 = Sp. C., 206); l'ogy@®s Kogeida (D. I., 4446 = Sp. C., 206); Dogyiazid[as] (C. I. G., 1248) e così via. Per Tera si ha Iogyoodévns (0. I. G., 2459); KaRAiuodtns Togyobrzras (D. LL, Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 40 . 622 LUIGI PARETI definitivamente accedere alla teoria del Babelon (1), secondo cui Pergamo allora era in possesso dei Demaratidi, respingendo le opinioni di chi crede Pergamo possesso dei Gongilidi (2), o città indipendente intorno al 400 (3), o possesso diretto di Ellade a nome di un suo nipote (4); come si deve respingere l’identificazione, già sfatata nell'antichità, di Pergamo con Teu- trania (5). Dobbiamo però in questo punto prepararci a toccare una questione di numismatica che fu implicata con quella della origine di Pergamo. Dopo Procle ed Euristene, che troviamo intorno al 399, ci mancano notizie fin circa il 322, epoca dopo la quale si deve porre il matrimonio di un Procle discendente di Demarato con Pizia II, nata da Aristotele e da Pizia I figlia di Ermeia signore d’Atarneo (6). Poichè sappiamo che 4704 a); L'ogyozi[das ?] (D. I, 4702); L'ogyocdévas Agréuor[a] (ibid.); Ag- givixos Logyozra, Vogy@®nas ‘Agyivizov. l'ogy®onas Eyeotodrov, Togy@®rmras Kagridana (D. I., 4706); Kagridduas Togy®zra (D. I., 4779) etc. Per Cirene si veda I'6oyos Koudoyo (D. I, 4885). (1) Vedi gli studi citati; specialmente il più recente Traité ete., Il, 2, 88 sgg.; dove si adducono altri argomenti, quali la distanza di Pergamo da Mirina e le altre città dei Gongilidi, mentre è vicina a ‘Teutrania e Alisarna; e il fatto che Pergamo fu il luogo di concentrazione delle forze greche che aiutarono nel 399 i Cirei; come a Pergamo Senofonte consegnò le sue truppe a Tibrone. (2) Taraemer, Pergamos, p. 220-221. (3) Ta. Reinac®Ù, “ Rev. hist. ,. 1886 (32), p. 75. Se regge la mia inter- pretazione del luogo di Sexor. (Anab., VII, 8, 9) dove si parla dell’&veyweds di Ellade viene a mancare l’obbiezione che Senofonte taccia di Furistene a Pergamo. l (4) Six, © Numism. Chron. ,, 1890, 195, pensa che mentre Gorgione re- gnava a Gambrio e Palegambrio, e Gongilo a Mirina e Grineo, Ellade fosse signora di Pergamo, a nome di un suo nipote (l’@vey:ds sec. Senofonte). Ellade poi avrebbe coniato moneta coll’effigie del marito defunto. Su queste monete vedi in appresso. Quanto all’avewos la traduzione naturale non è di nipote (figlio di figli) come vuole il Srx, nè di nipote (figlio di fratello) o pronipote come crede il BareLon, ma di cugino. (5) Cfr. Escric., Suppl., 532; Prinio, N. H., V, 30, 125 sg.j Srras., XIII, 571.615. Per la posizione di Teutrania: Conze, Teuthrania, © Ath. Mitt. ,, XII (1887), p. 149 sge. (6) Sest. Emp., Ade. Math., I, 158; Droe. Laxrzio, V, 1, 5; FasricIvs, Bibl. Gracc., Il, 485.504. Su Frmeia: Bockn, AZ. Sehrift., VI, 185 sgg.; Loruna, “ Ath. Mitt.,, IV, 1 sgo.; Turarmer, Perg., p. 215. Do? PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC. 623 Aristotele sposò,Pizia I circa il 345, data della morte di Ermea; che nel 322 quando morì Aristotele Pizia II non era ancor maritata, e che prima che fosse di Procle fu moglie dello Sta- girita Nicanore (1); che infine i due figli che Procle ebbe da Pizia, di nome Procle e Demarato, furono allievi di Teofrasto circa il 200-190 av. Cr. (2) ne deriva come assai probabile che Procle, che diremo II, fosse ancor giovane circa l'epoca della morte di Aristotele, e fosse nato intorno o dopo il 350. Se d’altra parte Procle I ed Kuristene nacquero intorno al 425/420, è chiaro che Procle I non fu padre, ma almeno nonno di Procle I, e che di mezzo vi fu un altro personaggio di cui non ci fu conservato il nome. Ma qui dobbiamo porci il quesito, fin quando i De- maratidi siano stati signori delle singole città che loro appar- tengono ancora nel 399. Quanto a Pergamo verso la metà del secolo IV non doveva più appartenere ai Demaratidi, come ri- sulta chiaramente dalle notizie conservateci dai frammenti di una cronaca in marmo trovata a Pergamo stessa (3). Per il resto dei domini possiamo solo fare alcune constatazioni: si suole supporre che i Demaratidi siano stati spodestati da Alessandro Magno, o in seguito durante i subbugli determinati dalla sua morte (4); in tal caso Procle II probabilmente o non avrebbe regnato, o per pochi anni. Però da un'iscrizione trovata a Delo, in cui un Demaratide viene detto amico del re Lisimaco, risul- terebbe che circa il 295 v'erano ancora nell'Asia Minore dei Demaratidi, con una certa potenza (5). E qui il luogo, prima di proseguire ad esaminare Ja genealogia della famiglia, di prendere in esame la questione numismatica, cui abbiamo ac- cennato. Vi sono delle monete di Pergamo, col quadrato incusso, raffiguranti una testa barbuta di dinasta, con la tiara Per- siana; e monete di Teutrania di stile sensibilmente più recente, con la testa di un giovane imberbe, ornata anch'essa dalla tiara (1) [Aumon.], Aristot. Vita; Drog. Larrzio, V, 1, 9. (2) Sesr. Emp., l. c. (3) FraenkeL, 613 = Dirrens., 0. G. I., 264. Cfr. CarpinaLi, Il Regno di Pergamo, p. 3, (4) BaseLon, Traité, II, 2, col. 82. (5) © B. C. H. ,, XX (1896), p. 507 sgg. Vedi appresso. 624 LUIGI PARETI Persiana. Lasciando le identificazioni meno recenti, che partono da presupposti non ammissibili sull'origine di Pergamo; il Ba- belon (1) crede che le prime appartengano a Euristene, le se- conde a suo fratello Procle. Per lui lo stile più arcaico delle monete di Pergamo, si spiega essendo Euristene più vecchio di Procle (2), e con quest’altro argomento: “ les traits du per- sonnage désignent un homme ayant dépassé l’àge mur, cir- constance qui vient à l’appui de notre attribution, car Eury- sthénès, petit-fils ainé de Démarate, avait en 399, un age: nécessairement fort avancé; ses monnaies peuvent étre de vingt ans antérieures à cette date , (3). Quanto alle monete di Teutrania, egli respinge l’opinione del Six (4), che appar- tengano a Procle II, basata sul fatto che la testa imberbe ci porterebbe alla caduta dell’impero persiano, durante il quale. v'era l’uso di portare la barba lunga: “ On peut citer, méme en numismatique, des exemples contraires à cette assertion, par exemple, la darique attribute à Cyrus le Jeune et les statères de Cyzique qui portent des portraits d’hommes im- berbes. D’autre part, Proclès II, le gendre d’Aristote, n'est mentionné qu’ après Alexandre, en 322, et il n’est vraisem- blable qu'à cette époque tardive, il eùt pu jouir du droit de battre monnaie. La ville méme de Teuthranie était, en ce temps-là, absorbée par Pergame sa proche voisine, ou du moins bien déchue de l’importance qu'elle avait eue 80 ans aupa- ravant. Enfin, le style des pièces ne s’oppose pas è ce qu'on les fasse remonter jusqu'au début du IV siècle, etc. , (5). Vi sono alcuni punti che restano fissi: che le monete di Pergamo raffigurino un dinasta in età matura, e che quelle di Teutrania siano alquanto più recenti; ma altri punti della dimostrazione del Babelon sono discutibili: che cioè Euristene nel ‘399 fosse già avanti in età, mentre ci parve di poter affermare l'opposto, come pure che fosse il primogenito. Inoltre, se anche col Ba- (1) Traité, II, 2, p. 83 sgg., n. 41-46; PI LXXXVIII, fig. 4-8, e biblio- grafia ivi citata. ‘ (2) Ibid., col. n Ibid., col. x (4) Srx, “ Numism. Chr. ,, 1890, @ 188 sog. (5) BareLon, Traité, II, 2, col. 85, n. 1. PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC. 625 belon si ammette che con Alessandro Magno cessasse la dinastia dei Demaratidi (cosa dubbia, come già vedemmo), i termini della questione sono molto più lati di quelli ch’egli stabilì. Non basta infatti dimostrare per le monete di Teutrania che non possono essere attribuite a Procle II, per affermarle di Procle I, quando sì deve pure ammettere l’esistenza di un personaggio intermedio; come, se si è dimostrata la relativa arcaicità di quelle di Per- gamo, non si può considerarle senz'altro di EKuristene, che a Pergamo fu preceduto da almeno due dinasti oltre a Dema- rato (1). La questione per me sta in questi termini: o non si ha difficoltà a far discendere l’epoca delle monete di Pergamo fino al 385-380 circa, in cui Kuristene poteva essere di età matura, e allora quelle di Teutrania più recenti devono appar- tenere allo sconosciuto successore di Procle I, padre di Procle II : in tal caso non ci sarebbero più le difficoltà notate dal Six, per la presenza della barba, senza incontrare d’altra parte: quelle che il Babelon oppone all’identificazione con Procle II — oppure le monete di Pergamo non si vogliono considerare posteriori al finire del V secolo e allora possono spettare al padre di Procle ed Kuristene, e quelle di Teutrania sono sempre posteriori, vale a dire appartengono o a Procele I, o al suo successore. lo per- sonalmente sarei propenso a credere piuttosto a quest’ultima soluzione; ma ad ogni modo credo che il problema sia finora stato chiuso entro limiti troppo stretti. Secondo Pausania (2) i discendenti di Demarato regnarono a lungo in Asia. Già vedemmo però come verso la metà del IV secolo cessasse il loro dominio a Pergamo. Fu trovata a Delo un'iscrizione, molto bene illustrata dall’Homolle (3), in onore di un Demarato figlio di Gorgione Lacedemone, che dall’editore fu considerato discendente di Demarato. Un primo punto risulta dal decreto, che cioè l'onorato era cittadino di Sparta, dal che seguirebbe che la sua famiglia risiedeva allora in quella città. (1) Vedi indietro. (2) AMIINA7er8s (3) “ B. C. H. ,, XX (1896), p. 507 sgg. 626 LUIGI PARETI L'esser detto figlio di un Gorgione non significa punto ch'egli in qualche modo discendesse dai Gongilidi; perchè abbiamo ve- duto anzi che il nome di Gorgione passò in quest’ultima famiglia da quella dei Demaratidi. D'altra parte il Demarato del decreto ha favorito i Deli colla sua amicizia con Lisimaco: xaì vò» Anudgatos diatgiBov mao tOL Paordeî Avorudyaoi yoeias rag- égetar Anhdimv toîg évtvyydvovow taviòi. zaì tò Îegdv TtIUÀI diag|v|Adrtww tiv toù margòs rtoò Ééavroò mnegi tò isoòv ai Andiovs ebvorar, é|uparv|ife|i] dè xaì adròs magayevduevos bui cai toL margi zai abrò. mooonzer tuGv tò ieodv xadare|g| zai oi ag6yovor aùròv Aaxedaruovior nAgîotov À6yov érronoavto roò iegod zai AnZimv 6rws c@touev| ov? é|bor vò iegov x.1.A. Acutamente l’Homolle notò come tra i beneficî dei 7g6yovo Lacedemoni si debbano veder accennati non solo quelli degli Spartani dalla guerra del Peloponneso in poi (1), ma anche quelli personali degli antenati di Demarato, tra cui forse anche del fondatore della dinastia in Asia, che può esser stato considerato il suggeritore ai Persiani della conservazione del tempio di Delo. A parte questa ipotesi, non credo dubbio che Demarato figlio di Grorgione fosse discendente di Demarato, e vivesse a Sparta; la sua relazione con Lisimaco però può suggerire l’idea che parte della famiglia fosse ancora in Asia, nel dominio di quel re. Così si potrebbe credere che in un momento una parte dei Demaratidi tornasse in patria: si affaccia naturale l’ipotesi che ciò sia accaduto al tempo della perdita di Pergamo, e che a Sparta andassero, bene accolti pel ricordo degli aiuti del 399,i discendenti di Euristene, mentre quelli di Procle con- tinuavano, almeno per qualche tempo, il loro dominio su Teu- trania e Alisarna. L'Homolle pubblicò insieme con l’iscrizione ora accennata, un’altra anch’essa trovata a Delo (2), in cui il re Nabide è detto Lacedemone, e figlio di Demarato: faorAeds NaPis Aa- uagdtov Aazedaiuovios; di qui egli prende le mosse per una dimostrazione molto attraente ch'egli fosse discendente del re Demarato. Chi osservi la cronologia dei fatti cui allude l’iscri- (1) Ibid., p. 510 sgg. Quanto alla eronologia dei fatti ricordati vedi ibid., p. 508 sgg. (2) Ibid., p. 503. PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE GRECHE, ECC. 627 zione precedente, può con verisimiglianza supporre che Dema- rato figlio di Gorgione dei tempi di Lisimaco sia l’avo del padre di Nabide. In tal modo questi sarebbe un discendente di Kuristene, il dinasta di Pergamo al tempo dei Cirei. Secondo il mio modo di vedere adunque è giustificata la teoria dell’Ho- molle, che spiega il sorgere del regno di Nabide, rappresentante legittimo degli Eraclidi dopo l’estinzione dei due rami fin allora regnanti; e che bene concilia (come dimostrò l’Homolle stesso cui rimando) una quantità di notizie sparse nelle nostre fonti. Chiudo queste brevi note fissando in una tabella i risultati più o meno ipotetici che ne deriverebbero per la genealogia delle dinastie Greche nell'Asia Minore. L’Accademico Segretario GartaNO De SANCTIS. [ogurIs 9 ulti ® ‘9 GO) [ep USAI] DFS Se [IT OTNNOLY [208 Tep eHreds ip 01] UEGOO ACITYN | Dagro (AJ) QIVAVHNa( 00g ‘o “u uuN (‘0 063-008 09SB4J097, IP TA0I]]®) |} OLVAYVWA(] (GRZ |1 ‘9 00VWISTT Ip 00ttuR) | fortquesa]eq ® OLIQuIer) è ‘9 CF [Up USAI] O: ANOINMON) (ate [GOP-0FF 0 ‘uS94] UO o . ]] 0INNOM) | foaur1» ‘euri ‘o1aquesa]eq OTIQUIRI) B ‘9 G/F [ep USAI] Teco cm T OTIONOL) LUIGI PARETI — PER LA STORIA DI ALCUNE DINASTIE,. ECC. 628 (qs1mue], 1p è”]SY) | FRAGE 0 AA VIT" 0L} 0 ‘u Ò | [0 597 [ep ‘uSA1] Ggq o *u ATIOLSINA ], (OX RI (111) OLVUVNA(] | 09-0LE ‘0 ‘u HNOIMHOK) Ù 06g ‘0 cu sN [oweSitoq è ‘9 GF [ep USAI] gp 0 u UNHISTUOS[ 11] 41008 | 0gg ‘0 cu JI a1004q | [o OLE Tep odi 0uSa:] 068 "o U 4° ['st[y.® “agno], è ‘9 Op [ep ‘uSaa] 0ep ‘0 d’), così che non oc- corre conoscere separatamente le due distanze d e d’, le cui misure, che dovrebbero venir prese a partire dal centro incognito dell’ obiettivo, non potrebbero farsi con tutto il desiderabile rigore. Poniamo pertanto: dtd =a SAD avremo: 5 pae o o) (2) d=-5 (a td) d=g (a e poichè dalla (1) si ha: da' ded sostituendo in questa le (2) otteniamo: TI al—b a db? 4 a 4 4a 2Rge 0 gi lral c.d. d iridati 4(d + d'’) salt (*) Cfr. il citato fase. n. 2 delle “ Pubblicazioni dell’ Osservatorio di Arcetri ,. IL MICROMETRO DELL'EQUATORIALE DELL'OSSERVATORIO, ECC. 641 TABELLA II. Obiettivo Fraunhofer. N° dba dd | f N°|dtd |d_-d' | f 1 | 6748 | 1201 1634.562 || 29 | 6616 746 1633.971 A 6731 | 11359 | | 1634505.1_200|6666 934 1633.783 3016712 || ‘1083 1634.3814 || 31 | 6646 | 849 1634.386 4 6737 | 1173 1633.190 | 32 | 6630 | 783 1634.382 SOLDI 1654.9397 || 98/6606 | 687 1634.4983 6-| 6701 | 1046 | 1634.431 || 34 | 6655 887 1634.194 7 | 6682 987 | 1634.0538 || 3516835 806 1634.272 8 | 6730 | 1140 | 1634.224 | 96 | 6614 (24 1653.6877 9. 6693 | 1031 | 1633.546 || 37 | 6595 634 1633.513 10 | 6671 954 | 1633.6483 || 38 | 6583 558 O 1633.889 11 | 6716 | 1096 | 1634.285 | 39 | 6603 675 | 1633.499 12 | 6676 959 | 1634.560 | 40 | 6622 747 | 1634.4383 13 | 6656 903 | 1633.373 | 41 | 6643 | 842 | 1634.069 14 | 6688 | 1011 | '1633.793 | 42 | 6631 | 795 1633.922 15 | 6667 945 | 1633.263 | 48 | 6611 7103 | 1634.061 16 | 6647 862 | 1633.803 | 44 | 6593 | 604 | 1634,417 17 | 6657 900 1633.8831 || 45 | 6571 483 1633.874 18 | 6699 | 1047 1633.841 || 46 {| 6620 | 750 1633.758 19 | 6680 969 1634.859 || 47 | 6600 | 642 1634.388 20 | 6659 894 | 1634.744 | 48 | 6580 5393 | 1634.206 21 | 6638 829 1633.617 || 49 | 6560 406 1633.718 22 | 6627 778 1633.916 || 50 | 6608 706 1633.143 23 | 6647 862 1633.803 | B1 | 6587 | 582 | 1683.894 24 | 6668 942 1633.731 || 52 | 6568 443 | 1634.5830 25 | 6687 | 1000 1634.364 | 58 | 6548 269 | 1634.237 26 | 6675 | 960 1634.2833 || 54 | 6597 | 644 | 1633.533 27 | 6655 | 878 1634.791 | 55 | 6576 499 | 1634.534 28 | 6636 803 1634.708 | 56 | 6556 370 | 1633.780 VITTORIO FONTANA TapeLLa III. — Obiettivo Steinheil. | | | dtd |d-d' f |N° dtd |d_-d f D OO 1 DR ID mm. mm mm | | mm, mm mm, 1 9409, 1656 | 2279.385 | 42 | 9271, 1189 | 2279.628. 9388 | 1595 | 2279.2598 | 43 | 9252 | 1109 | 2279.7767 9369 | 1594 | 2279.459 | 44 | 9232 | 1025 | ‘2279.5249 9349 | 1471 | 2279.5387 | 9220 965 | 2279.668 9337 | 1440 | 2278.729 | 46 | 9240 | 1065 | 2279.312 > (di 9358 | 1497 | 2279.6391 | 47 | 9259 | 1136 | 2279.906 9375 | 1563 | 2278.604 | 48 | 9281 | 1224 | :2279.894 |193897 | 1628 | 2278.739 | 49 | 9266 | 1171 | 2279.5083 9387 | 1581 | 2280.180 | 50.| 9247 | 1091 | 2279.570 19366 | 1524 | .2279.505 || 51.|.9228 | 1008 | (2279473 9348 | 1465 | 2279.602 | 52 | 9207 889 | 2280.290 (19327 | 1400 | 2279.214 | 53 | 9191 829 | 2279.057 (9812 | 1348 | \2279,577 | 54 | 9211 | 923 | (2279.627 | 9831 | 1407 | 2279.710 | 55 | 9229 | 1008 | 2279.726 | 9951 | 1476 | 2279.506 9372 | 1542 |:2279.573 | 57 | 9235 | 1045 | 12279.188 19360 | 1504 | 2279.583 || 58 | 9216 |. 942 | .2279.929 | 56 | 9250 | 1105 | 2279.499 | | | 9340 | 1440 | 2279.597 59 | 9196 838 2279.909 9320 | 1368 | 279.901 | 60 | 9176 | 718 | 2279.955 9301 | 1299 | 2279.895 | 61| 9189| 811 | 2279.356 |19289 | 1251 | 2280.130 || 62.| 9165 | 627 | 2280.526 | 9309 | 1329 | 2279.816 || 63 | 9184 | 777 | 2279.566 | 9828 |.1393 | 2279.994 || 64 | 9204 | 884 | 2279.774 93919 | 1460 | 2280.249 | 65 | 9225 | 991 | 2279.635 93399 | 1489 | 2279.318 || 66 | 9211 | .922 | 2279.677 9320 | 1369 | ..2279.728 | 67.| 9191 | 818 | 2279.771 9300 | 1286 | 2280,543 | 68009172 2279.027 4 pi ©r) 9279 | 1220 | 2279.649 | 69 | 9152 || 552 | 2279.677 9967 | (i69 | <2279.884 | 700|:9141.| 457 | 2279.5898 (19288 | 4259 | 2279.3385 | 71.| 9161 | .629 | 2279458 (9307 : 1818 | (2280.088 || 72 |\9179 | 0742 | -2279.755 (49327 || 4301 (| 122791888 |.73:|19201 | u\879 12279250 | 9314 | 1353 | 2279.364 | 74 | 9190 | 80€ 9295 | 1284 | 2279.407 | 75 | 9169 680| 2279.642 (9274 | 1210 | 2279.0382 || 76 | 9150 | 540 | 2279.5383 9254 | 1112 | 2280.194 | 77 | 9140 | 448 | 2279.510 9242 | 1065 | 2279.819 | 78 | 9151) 558 | 2279.244 9262 | 1154 | 2279.554 | 79 | 9161| 632 | 2279.350 | 9285 | 1244 | 2279.582 || 80| 9169| 705 | 2278.698 93802 | 1309 | 2279.448 | 81 | 9178| 737 | 2279.705 9291 | 1262 | 2279.896 | | 90 2 (@p) DO DO NI o 00 DO [e ©) IL MICROMETRO DELL'EQUATORIALE DELL'OSSERVATORIO, Ecc. 643 Per il Fraunhofer si ottenne: Fram £L.501 plui e per lo Steinheil: \À= mm. 2.848 | per cui risultò : Distanza focale dell'obiettivo Fraunhofer = mm. 1632.551 + 0.057 3 N x Steinheil —imm. 227607560 + V0£È Passo angolare del micrometro Righini rispetto ai due obiettivi. — Dividendo il passo millimetrico del micrometro per le distanze focali dei due obiettivi e riducendo in secondi di arco, risultò per valore del passo angolare del micrometro ri- “spetto al Fraunhofer: 0.50056 == = —1La 2( RORA!! 2 == 9 9 £ = eo r 206264".81 = 63/243 e rispetto allo Steinheil: 0.50056 ri - PEA 0) 9 14.) SUI [= 9 ( ee= SBaE DE 200264 S1 = 45.349. Gli errori medî di questi due valori, provenienti dagli er- rori medì dei rispettivi numeratori e denominatori, risultarono (*): mp nni de 07.061 mA *) Questi errori furono calcolati applicando la nota formola generale: te) ETRO ETA E m== + | fs) ma + LA mi +... che dà l'errore medio della quantità: V=®lx, 4...) in funzione degli errori mx, #2y, ... dei valori trovati per le incognite x, y, ... 644 VITTORIO FONTANA Determinazione del valore angolare del passo del mi- crometro Righini, applicato al Fraunhofer, mediante osser- vazioni astronomiche. — Nella sera del 21 dicembre 1910 feci una serie di misure dell’intervallo della coppia di fili mossi dalla vite micrometrica, mediante coincidenze col filo fisso. E ciò a campo illuminato prima dalla luce diurna, poi con luce rossa artificiale. Le osservazioni fatte nelle due diverse condizioni di illuminazione del campo non hanno presentato caratteri diversi. Il risultato medio di 80 coincidenze fu: 8".222 + 0°.0016. D'altra parte determinai in tempo lo stesso l’intervallo tra 1 due fili, mediante l'osservazione, in campo illuminato, di pas- saggi ad essi della stella « Piscium e della BD — 0°.307. Alle differenze dei passaggi ottenute con la prima stella, che ha una declinazione boreale di 5°, ho applicato la riduzione all'equatore, La media di 97 differenze di passaggi così ottenute diede per l'intervallo dei due fili: 34,613 = 519.195, con un error medio di + 0.294. Dividendo l’espressione in se- condi di arco della distanza tra i due fili per il numero delle rivoluzioni e frazioni di rivoluzione della vite micrometrica che corrispondono al medesimo intervallo, si è ottenuto come valore angolare del passo, mediante osservazioni di passaggi di stelle: 637.144+ 0.038. Un altro valore del passo angolare, determinato ancora per via astronomica, si ebbe osservando le «ifferenze di declinazione di alcune coppie di Battermann (*). Le misure furono eseguite nelle sere del 19 e 20 dicembre, parte dal prof. Viaro, parte da me, con campo illuminato e fili neri. I risultati sono esposti nella seguente tabella IV, dove la prima colonna contiene il nu- mero ordinativo delle coppie osservate, la seconda il nome delle stelle componenti le coppie, la terza le differenze di declinazione (*) “ Astr. Nachr. ,; 8013. IL MICROMETRO DELL’EQUATORIALE DELL’OSSERVATORIO, Ecc. 645 TaBeLLA IV. Coppie di Battermann. | % Ad” Ad Oss. Passo | dub ogg DETRARRE MR | pt g9r6 | sense | 10978 | v| seno VITA | gorgos | 1905 | E | 53002 | \ Gr 716 | qosaoo | T6U4 | V| 60510 | \ 0h 668 | corsa | Sd |P 60207 | } gesso. | rogoazo | 16292 | E | sore | pH IMAA | goisos | 106 | F| c2o (0459 | osare | ITITO | E | 62061 | ) 42604 | ersass | I2si9 | E| 62079 | | Ch 556 | graras | 19906 | F| 60136 | Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 42 646 VITTORIO FONTANA calcolate, la quarta le differenze osservate in rivoluzioni della vite micrometrica, quali risultarono dalle misure fatte rispetti- vamente dai due osservatori, i cui nomi sono indicati nella colonna quinta. Nell'ultima si trovano i valori del passo otte- nuto per ogni coppia dividendo le differenze di declinazione per il corrispondente numero di rivoluzioni fatte con la vite micrometrica. Ritenendo tutte le osservazioni di egual peso, senza far di- stinzione tra le misure eseguite dai singoli osservatori, se ne fece la media, ottenendo così, per valore del passo angolare: 68°. 04.049. Riassumiamo i tre valori ottenuti per il passo del micro- metro al Fraunhofer: 1° Con misure millimetriche . ..... + 68243 Ge i 2° Con osservazioni astronomiche al Fr ona a) passaggi di stelle equatoriali . . . . . 63.144 + 0.038 b)icoppieé di Battermann . 0. (U.... 684.179405049 Dando a ciascuno di questi valori il peso che gli compete in base al rispettivo errore medio, e facendone la media pe- sata, si ebbe: de"68*0175:+ 0.027. Conclusione del passo del micrometro rispetto all’obiet- tivo Steinheil — Per il passo del micrometro rispetto all’o- biettivo Steinheil si hanno due valori. Îl primo è quello trovato direttamente con misure millimetriche, cioè 45''.949 + 0.044, il secondo si ha indirettamente da £; moltiplicato per il rap- porto della distanza focale del Fraunhofer a quella dello Steinheil, e così facendo risulta 45.300 + 0.019. La media pesata dà: nds» 017, Osservazioni di Vesta. — Il nuovo micrometro, opera egregia del meccanico Righini e frutto della liberalità del sig. Peratoner e dei consigli degli astronomi di Arcetri, riuscì IL MICROMETRO DELL'EQUATORIALE DELL'OSSERVATORIO, ECC. 647 dunque bene a lamine ed a fili ed in modo che questi possono esser veduti o neri in campo chiaro o lucidi in campo oscuro. Per maggiore conferma, per mio esercizio e per soddisfazione delle cortesi persone di Firenze, feci anche la misura delle dif- ferenze di coordinate Aa (con passaggi) e Aò tra Vesta e due stelle di confronto, nelle sere del 21 e 22 dicembre, approfit- tando della circostanza che tale piishmo veniva a trovarsi abbastanza prossimo a %,= BD + 29297 Pi) do 20302 le cui posizioni esatte oltre che essere date nel catalogo di Albany erano pure contenute nel catalogo generale di Kiistner e nei volumi dell’ Osservatorio d’ Abbadia. Tali osservazioni fu- rono fatte in buone condizioni di serenità a fili lucidi in campo oscuro. Alcuni tentativi di osservare coi fili neri in campo rosso riuscirono vani per il debole splendore degli astri e le modeste dimensioni dello strumento. I risultati ottenuti sono esposti nel quadro seguente. dl 648 VITTORIO FONTANA Quadro delle Osseriy Osservazioni di (4) Vesta e confronto di esse @i 1910 |T.m.Arcetri Aa Abd | Cfr. a app. Par. a m Ss , "I h m S s Dic 21 | LIS 48:68 | 14-4.58.2 8.84 52 47.90 | + 0.17 I e 00 | _— 046.5 | 18.8 | 152479200008 - 022) 71357) + 153.44 | +9 42128 | 152 52.70 | — 0.04 | 3 22) 71357) —02967| 43245 | 1281525271 | — 0.08 AO POE TP Me I Pe i Riduzione delle stelle ad locum apparenten. Re deo — SZ 1910 Die. 21 | X: | + 2.88.| + 16.6 Me) a 2/89 oo 92 | %,| 42.87 | + 165 Mersì pool +; | -12/89 N26 IL MICROMETRO DELL’EQUATORIALE DELL'OSSERVATORIO, ECC. 649 ioni di (4) Vesta. ffemeride data dal “ Nautical Almanac 1910 ,. we —______—_ di “lm ia A... ò app. Par. ò a calcolata ò calcolata (OTO X 0 , # ,r h m s (o) , , s " +3 13 23.5 | + 3.0 | 15247.65 | + 313262 (+042|/+0.3| 1 +313246|4+30| , 7 afidi io a +817344 | +29 | 1525248 | +317858 | +ozs| +1i5|1 +317855/ 429]. i fia apra la Posizioni medie delle stelle di confronto. ETNIE * X1910-0 | d1910.0 Autorità h m s | (o) , rr 1 15056.39 | +3 813.7 | 1/, (AG. Alb. + Ki 00 + Abbadia) 2 | 1531949 | +31354.5 | 4/; (AG. Alb. Ki 00 + Abbadia) ra —— toa LI niro enna piavda 650 V. MONTI Sul clima del Gran Paradiso. Nota di V. MONTI. 1. Avendo incominciato nell’estate del 1910 uno studio sui ghiacciai del Gran Paradiso che conto di proseguire in avvenire, sono stato condotto a raccogliere qualche dato sul clima di quella regione. Dati siffatti possono pure presentare un certo interesse, anche se considerati in sè ed astraendo dai fenomeni dei ghiacciai; perciò pubblico qui i risultati a cui son giunto, non senza dissimularmi la loro manchevolezza, dipendente in gran parte dalla natura stessa dell'argomento. 2. A Cogne ed a Ceresole, località situate, la prima sul versante settentrionale del Gran Paradiso, la seconda su quello meridionale, alle altitudini rispettive di m. 1540 e 1620 circa, funzionarono in passato due stazioni meteoriche. P. Busin cal- colò (Boll. mens. della Soc. Met. It., 1889) le medie temperature mensili di Cogne deducendole dal sedicennio d’osservazioni 1871-86. Eccole: Gennaio —49,7 Maggio 89,9 Settembre 109,5 Febbraio —2,7 Giugno 125% Ottobre 5,4 Marzo Oni Luglio 155 Novembre —0,5 Aprile 4,4 Agosto 14,8 Dicembre — 3,9 Questo andamento si può rappresentare colla formola: t = 5,09 — 9,86 sen (87926' + 30) + 0,80 sen (27°931'4- 602) — 0,11 sen (41°11'+ 90%) dove .x assume i valori 0, 1, 2, ... al 15 Gennaio, 15 Febbraio, 15 Marzo, ecc. Se ne deduce che la temperatura minima ha luogo nella 3* pentade di Gennaio, la massima nella 5 di Luglio. SUL CLIMA DEL GRAN PARADISO 651 Uguale calcolo, fondato sul settennio d’osservazioni 1877-83, egli fece per Ceresole. Ma l’estrema brevità di questo periodo rende i dati riportati dal Busin per Ceresole meno sicuri e non comparabili con quelli più su riportati per Cogne. Seguendo il metodo suggerito per casi di questo genere da Lamont e frequentemente impiegato nella climatologia, ho cal- colato le medie mensili di Cogne nello stesso periodo 1877-83, ed ho determinato le loro differenze coi valori assegnati da Busin a Ceresole. Ripigliando poi le medie di Cogne più su riportate e valevoli pel periodo 1871-86, ne ho dedotte quelle di Ceresole per lo stesso periodo, valendomi delle suddette differenze. Egco i risultati di questo computo: Gennaio —39,1 Maggio SELL Settembre LIoF4 Febbraio —1,9 Giugno 11,9 Ottobre Dia Marzo 0,7 Luglio ESSÙ Novembre —0,7 Aprile 3,4 Agosto 151 Dicembre —2,1 L’andamento si può rappresentare colla formola: t = 5,32 — 9,27 sen (84°48' + 30 x) +- 1,5 sen (38°47’' 4 60 2) — 0,22 sen (826°18' + 902); il minimo cade nella 1° pentade di Gennaio, il massimo nella 1° di Agosto. Considerando i tre mesi di Dicembre, Gennaio, Febbraio come costituenti l'inverno, quelli di Marzo, Aprile e Maggio, come costituenti la primavera, e così via, si hanno le seguenti medie stagionali ed annue: Cogne Ceresole Inverno dui —89,6 MEZZO DU. Primayeliag, 05 4,5 4,1 HSta peg già I4,9 14,2 Autonno: e, i al dI Anno. via 5,1 5,9 6592 V. MONTI Per poter paragonare queste medie fra loro, esse hanno ancora bisogno di venir ridotte ad uno stesso livello. Ho perciò determinato il gradiente termico verticale nei pressi del Gran Paradiso, utilizzando le medie stagionali ed annue delle quattro stazioni di Aosta, Cogne, Gran S. Bernardo e Piccolo S. Ber- nardo, le uniche che nella regione dispongano d’un lungo periodo d'osservazione. Applicando il metodo dei minimi quadrati, e sup- ponendo, al solito, la temperatura funzione lineare dell’altezza, ho avuto i gradienti seguenti, non dissimili da quelli già noti per le Alpi tirolesi e svizzere: mverno, . ©. <@ 0°,47 per Em. verticale % Primavera . . ,66 - n Fetaseie — ,69 n A AuLunno,e, ee oa x a Amno noia tari 09,60 a È Con essi possono ridursi le medie di Cogne e di Ceresole ad un livello comune, intermedio, p. e. a quello di 1580 m.; viene: Cogne Ceresole Invernos di.) — 39,8 —29,2 Primavera us 4,2 4,4 Metateridurita 14,0 14,5 Autunno. 4,9 5,0 ATO e a 4,8 DÒ — E notevole la forte differenza invernale tra i due versanti; essa si ripercuote sulla differenza media annua, che, data la dif- ferenza di 10' nelle latitudini di Cogne e Ceresole, importa, @ quell’ altitudine, l’eccezionaie gradiente orizzontale di 4° per grado. 8. Le due prime tabelle del paragrafo precedente ci danno come differenza tra Luglio e Gennaio, cioè come escursione ter- mica annua: 20°,2. per Cogne 189,8 per Ceresole. SUL CLIMA DEL GRAN PARADISO 653 Quanto all’escursione diurna, non ho potuto calcolarla che per Cogne, sui dati pubblicati dal R. Ufficio di Meteorologia pel periodo 1880-87. Eccone i valori medîì mensili, insieme a quelli delle temperature diurne estreme. 2 SÌ E a a 3 E E = È E È Mese © E © MesE x ‘E 5 Gennaio. .|—2°,0|—8°,1| 6°,1 | Luglio . .| 20°,5| 100,2} 10°,8 Febbraio .| 0,65 —6,7| 7,35] Agosto. .| 19,1 9,5 9,6 Marzo. ..! 4,2) —3,7 7,9 |Settembre! 14,4 bidl: vOS:O Ale! 10), 7;4D|: 1:0:0/7,,7,45f Ottobre; 1.1 1,,:7,9 il 0000 Maggio . .| 12,9 DES DIESI NOVEIDEe ee 0 Giugno . .| 16,7 7,1] 9,6 | Dicembre | —0,6| —6,3| 5,7 | Nell’andamento annuo, perfettamente normale, dell’escur- sione diurna colpisce la brusca diminuzione sua in Aprile. Pro- babilmente questa si collega col massimo di nebulosità che, come vedremo, si ha a Cogne in quel mese. Le medie stagionali ed annua sono: Inverno 69,4 Primavera 8,1 Estate . 9,8 Autunno 6,8 Anno 7,8 4. Segue una tabella contenente le medie mensili della pres- sione atmosferica a Cogne, dedotte dal diciasettennio 1871-87: Gennaio mm. 633,2 Febbraio , 32,9 Marzo i 31,4 Aprile È 30,0 Maggio mm. 632,9 Giugno , 34,9 Luglio p ta (0/00) Agosto —, Sori Settembre mm. 635,7 Ottobre D DON Novembre , 32,0 Dicembre , ih ò 654 V. MONTI L'andamento si può rappresentare colla tormola: H==-633,40 — 2,23 sen(60°40'+ 30 x) + 1,45 sen (61940 + 602) + + 0,46 sen (24°46' + 90 2), con un massimo principale nella 6* pentade di Luglio ed uno secondario nella 1* di Febbraio; col minimo principale nella 2* e 3* pentade di Aprile, ed uno secondario nella 6* di Novembre e 18 di Dicembre. Si rileva qui l'andamento annuo caratteristico dell'alta mon- tagna, per cui la pressione ha un massimo estivo, anzichè in- vernale come al piano. Si può già subito prevedere che altret- tanto deve accadere sul versante meridionale, alla stessa altezza. Difatti, le osservazioni barometriche di Ceresole, benchè vadano soltanto, e non senza interruzioni, dal 1878 al 1882, si accor- dano con quelle di Cogne a mostrare l’esistenza di un mas- simo estivo. Scendendo, sul versante settentrionale da Cogne ad Aosta (m.600 circa) che ha un lungo periodo d’osservazioni, si trova che quivi è già in pieno vigore il regime del massimo barometrico invernale. Sul versante meridionale, scendendo da Ceresole, si arriva a Valchiusella (m. 1100 circa), dove si hanno osservazioni pel solo triennio 1881-83, e il massimo cade sempre nei mesi di Gennaio e di Febbraio. Parrebbe pertanto, benchè la pochezza delle osservazioni di Valchiusella non lasci conclu- dere nulla di sicuro, che l'inversione dell'andamento barometrico annuo abbia luogo tra m. 1100 e m. 1500. Si sarebbe anzi portati a fissare a poco più di m. 1100 l'altezza di tale inver- sione, perchè uscendo dal gruppo del Gran Paradiso, si trovano in Piemonte le stazioni di Crissolo (m. 1390), Casteldelfino (m. 1510) e Oropa (m. 1175), in cui il massimo barometrico è estivo. 5. In uno studio come questo non è da aspettarsi di poter fornire alcun dato sicuro e generale sulla circolazione dei venti, perchè in territorio montuoso come quello di cui qui si discorre troppe sono le perturbazioni apportate dalle condizioni oro- grafiche variabili da punto a punto. Non rimane che passare all'argomento importantissimo del- l’acqua atmosferica; e poichè pei valori dell’umidità assoluta o SUL CLIMA DEL GRAN PARADISC 655 relativa si presenta la stessa difficoltà notata or ora pel vento, incomincio subito dalla nebulosità, stimata al solito in decimi del cielo visibile (*). k Per la stazione di Cogne e per l’ottennio 1880-87, si pos- sono calcolare le medie seguenti: Gennaio 9,2 Maggio 4,7 Settembre 4,6 Febbraio 9,5 Giugno 4,9 Ottobre 5,0 Marzo 4,0 Luglio 3,0 Novembre 4,5 Aprile 5,5 Agosto 3,9 Dicembre 4,4 La media annua è 4,3, inferiore a 4,6 che è il valore com- plessivamente spettante alla valle Padana. Il versante setten- trionale del Gran Paradiso è dunque piuttosto sereno. Dal periodo 1871-87 si ricava che la distribuzione annua dei giorni sereni, misti e coperti è a Cogne la seguente: Giorni sereni “us tn i n. 91 CLS Tipo 230 pp GODO do dl I giorni sereni e coperti sono in numero difettivo, se sì confrontano ai 130 e 101 che se ne hanno rispettivamente a Milano, ai 118 e 94 di Torino, ai 139 e 74 di Biella. Preval- gono quindi sul versante settentrionale del Gran Paradiso e sono in numero eccessivo, i giorni misti. Nè si creda che questo gran numero provenga dall'aver dato soverchia importanza a con- densazioni locali sui monti vicini. Se infatti si attribuisce ai 230 giorni una nebulosità media di 5, dando, bene inteso, una nebulosità 0 ai 91 giorni sereni ed una 10 ai 44 coperti, si ricava una media annua 4,4, ben poco diversa da quella 4,3 a (*) Anche i redattori delle Moyennes de 10 ans pour les éléments mé- téorologiques observés aux fortifications de Saint-Maurice, nel riportare i dati di quattro diverse stazioni scaglionate ad altitudini variabili tra 440 m. e 1450 m., ed istituite dalla Svizzera presso il suo confine savoiardo, si asten- gono dal fornire indicazioni sul vento e sull’umidità, e si diffondono invece sulla temperatura, pressione, nebulosità, pioggia e neve, che sono appunto gli elementi presi in considerazione in questa nota. 656 V. MONTI cui siamo giunti direttamente. Al valore 4,4 si arriva pure ap- plicando al caso nostro la nota formola di Grossmann (Met. Zeitschr., 1884) t_—-k C) N= 5,3 + 4,5 a dove N è la nebulosità media in un periodo di » giorni dei quali £ sono coperti e % sereni. Pel periodo 1877-82, ecco le medie stagionali ed annue dei giorni sereni, misti e coperti a Cogne ed a Ceresole, messe a raffronto. | InveRNO PRIMAVERA EsrarE AUTUNNO Anno | = == | e ne === =: Cogne | Ceres. | Cogne | Ceres. | Cogne | Ceres, Cogne | Ceres. | Cogne | Ceres. PISIOLEER PI POPE APE I | (hi Giorni sereni | 33,1 43,8 20,8, 27,0) 22,1| 29,4| 23,9 30,6] 99,9/130,8 , misti | 45,6 28,2|54,9 32,4 66,0 49,8) 50,8 34,7/217,3145,1 ni AGOperti LL 5 MES, 16,4 32,5) 4,3] 12,9|16,9| 25,7| 48,5) 89,2 | | Si vede che il versante meridionale del Gran Paradiso è sempre più povero di quello settentrionale in giorni misti, più ricco in giorni sereni e coperti; si comporta cioè in modo più somigliante a quello che si verifica nella rimanente valle Padana. Adoperando la formola di Grossmann, di cui abbiamo visto or ora l'applicabilità al caso nostro, si calcolano dalla tabella precedente, e sempre pel periodo 1877-82, le seguenti nebulo- . sità medie. InveRNO PRIMAVERA Estate AUTUNNO Anno - | O Cogne | Ceres. Cogne | Ceres. Cogne Ceres. Cogne | Ceres. Cogne Ceres. ER] = =.\i- eng (3° ES ai | ! | | I | Ì E | - | ® 4,2 | 4,0 | 5] lo A dg 439 5 eh 438 | | | | | | , Il versante settentrionale è più sereno del meridionale in primavera, estate ed autunno, più nuvoloso in inverno. La dif- SUL CLIMA DEL GRAN PARADISO 657 ferenza tra le nebulosità dei due versanti è massima nella sta- gione del massimo comune di nebulosità, cioè in primavera. Il maggior sbalzo di nebulosità da stagione a stagione si ha nel trapasso dall’inverno alla primavera. 6. Utilizzando i dati contenuti nei lavori di Millosevich (Ann. del R. Uff. di Met., 1881 e 1883), e quelli forniti dall’os- servatorio di Cogne finchè continuò a funzionare, si calcola per Cogne la piovosità media annua di mm. 687. La piovosità non è però, a pari altitudine, uguale sui due principali versanti del Gran Paradiso. Fin dal 1868 il P. Denza (Statistica pluviom. del Piemonte per gli anni 1856-67) faceva os- servare come ad Aosta la pioggia sia molto scarsa, ad onta dell’altitudine e, della posizione della città in mezzo alle mon- tagne. Nel 1876 lo stesso A. ritornava su questo argomento per Aosta e per Cogne, nel suo studio sulla climatologia della valle d'Aosta, apparso nella Gwida dell’Ab. Gorret e di C. Bich, ri- pubblicato poi nel Boll. Met. di Moncalieri. Nel 1883 Millosevich (loc. cit.) notava egli pure la stessa cosa, risultandogli per Torino, Biella, Aosta e Cogne le piovo- sità annue di mm. 901, 1287, 572, 698 rispettivamente. Alle quali se aggiungiamo mm. 1150 che sono assegnati a Bard, e 1408, assegnati ad Ivrea, si vede subito trattarsi di una pecu- liarità dell'alta valle d'Aosta e di una differenza grave tra i due versanti del Gran Paradiso. Accade insomma per l'alta valle d'Aosta il caso già noto per l’Engadina, riputata come la meno piovosa delle valli alpine, dove Landeck e Remiis hanno pio- vosità di cm. 57 e Zernetz di 59. Seguono le piovosità medie mensili di Cogne. Gennaio mm. 44,0 Maggio mm. 71,0 Settembre mm. 60,0 Febbraio % 20,2 Giugno , 67,0 Ottobre aa (OY: 059 Marzo » 38,0 Luglio n. 45,4. Novembre. > 502 Aprile 5 100,4. Agosto _;, 48,6 Dicembre palo, L'andamento della piovosità giornaliera media può essere rappresentata dalla formola: P= 1,91 — 0,35 sen (84°37’ + 30) — 0,83 sen (65°45' + 609) + + 0,23 sen (87°18’' + 90 2). 658 V. MONTI Si hanno due massimi quasi uguali, uno tra la 12 e 2* pen- tade di Maggio, l’altro nella 1% metà di Ottobre; un minimo principale nella 1% metà di Febbraio, un minimo secondario nella 5* pentade di Luglio. Se ne ricavano le seguenti piovosità stagionali che mettiamo a confronto con quelle di Torino valevoli per gli stessi anni. STAZIONI Cogne | Torino Differenze (*) | | Taverniorai.(to- gt iam LOGO» 419,0 mm. 10,0 Primavera: gi0e. nt! 209,4. | 275,9 66,5 ESbate tt Anodi 156,0 227,8 71,8 Amiunno: ea LINLLI 214,7 220,9 | 6,2 Dove si vede che le condizioni locali per cui è meno pio- voso il versante settentrionale del Gran Paradiso hanno la loro minima azione in autunno ed inverno, la massima in primavera ed estate. Ora in primavera ed estate dominano nell’alto Piemonte i venti del I quadrante, i quali non possono pervenire all'alta valle d'Aosta ed al Gran Paradiso, se non superando quel tratto di barriera alpina che va dal Cervino fino al gruppo del Monte Bianco, e scaricano per conseguenza la massima parte del loro contenuto acqueo sul versante Svizzero, dando al Gran S. Ber- nardo un massimo stagionale di piovosità appunto in estate. D'inverno poi dominano nella provincia di Torino le correnti del III quadrante, obbligate, a lor volta, a superare il Gran Pa- radiso prima di scendere in val d'Aosta, ed a subire per parte di esso un’azione analoga, ma minore, date le dimensioni minori dell’ostacolo. Si è poi nell’impossibilità di formarci alcun criterio sul come la piovosità varii lungo i fianchi del Gran Paradiso dal livello (#) Non sarà inutile avvertire che queste differenze possono essere, specie per l’inverno, turbate dalla difficoltà di valutare in acqua la neve. SUI, CLIMA DEL GRAN PARADISO 659 di Cogne a livelli più elevati. Hann, come è noto, trovò che sulle Alpi la piovosità raggiunge il suo massimo valore verso 12000 metri. Ora nella valle d’Aosta, al disopra del livello di Cogne, abbiamo i due osservatorì del Grande e del Piccolo S. Bernardo, le cui piovosità superano quella di Cogne. Ma è impossibile ed illogico mettere a raffronto con Cogne, adagiata in un breve spazio pianeggiante, attorno alla quale torreggiano colossi imponenti e la serrano d'ogni parte, tranne da NW, dove s'apre la lunga e tortuosa gola della Grand’'Eiva, i due osser- vatorî citati, annessi agli omonimi Ospizî, sul culmine di due valichi aperti sulla Savoia, la valle d'Aosta e il Vallese, dove, le correnti atmosferiche hanno ben altra libertà di gioco che a Cogne. 7. Parte importantissima dello studio della climatologia di un massiccio come quello del Gran Paradiso è la considerazione della neve. Ma prima occorre por mente a due circostanze, di ordine meteorologico l’una, di ordine glaciologico l’altra. Anzitutto non è a credere che si possa stabilire una pro- porzionalità neppure approssimata tra l’altezza della neve caduta in una stazione alpina e la quantità d’acqua che la costituisce. A seconda che la neve cade in forma di granuli gelati, o in grossi fiocchi, o a falde larghe, essa è più o meno pesante a parità d'altezza. Cade con ciò gran parte dell'interesse clima- tologico che possono presentare le misure dell’altezza della neve caduta. Si può per altro pensare che queste misure possano for- nire qualche importante criterio sulla alimentazione dei ghiacciai; p. e., fissando quale sia l’altezza media della neve che annual- mente cade in una certa stazione di montagna, si può presu- mere che negli anni in cui questa media è superata, l’inneva- zione dei ghiacciai sia maggiore, e possa attendersi, entro un periodo più o meno lungo, un'avanzata delle fronti loro. Una simile presunzione non è però corretta. Già l’Ab. Chanoux, il compianto direttore dell’Ospizio del Piccolo S. Bernardo, aveva notato che una stessa annata può figurare tra le più nevose in un determinato punto d’un gruppo montuoso, ed essere tra le meno nevose in un altro punto. Ho trovato perfettamente con- 660 V. MONTI fermato questo modo di vedere confrontando le altezze di neve cadute in ciascuno degli anni 1898-1907 nelle quattro stazioni meteoriche che la Svizzera ha installato, ad altitudini differenti, nelle fortificazioni di St.-Maurice, al confine colla Savoia. Clas- sificando per ciascuna di esse gli inverni del decennio conside- rato in ordine di nevosità decrescente, le quattro liste ottenute sono estremamente discordanti tra loro, come quelle che si hanno confrontando allo stesso modo Ginevra e il Gran S. Ber- nardc. Si deve quindi concludere che se, in un gruppo montuoso, qualche ghiacciaio ha avuto in un anno una alimentazione nevosa superiore alla media, qualcun altro può averla avuta, nello stesso anno, inferiore. Dalle misure fatte a Cogne nel quindicennio 1871-85, si ri- cavano le seguenti nevosità mensili, stagionali ed annua, espresse in mm. arrotondati. Gennaio 610 Maggio 60 Settembre 30 Inverno 1395 Febbraio 280 Giugno 35 Ottobre 90 Primavera 820 Marzo 325 Luglio 0 Novembre395 Estate 35 Aprile 440 Agosto 0 Dicembre 505 Autunno 515 Anno 2765. Dividendo, come si suole, per 10 l'altezza della neve ad ottenere quella della precipitazione acquea equivalente, e tenuto conto larghissimo dell'incertezza di questo procedimento, si può dire che a Cogne la neve rappresenta una porzione della pre- cipitazione complessiva, espressa in centesimi dai numeri seguenti: Iinwerno!: \RFYO; 100 Primavera . . 40 Retabos sis 1 Atanno .000!. 25 ANNO NO, +. 40 A Ceresole si misurò l'altezza della neve nel sessennio 1877-82. Le altezze osservate sono qui poste a raffronto con quelle avutesi a Cogne nei medesimi anni. SUL CLIMA DEL GRAN PARADISO 661 Ceresole Cogne 1877 mm. 3945 mm. 2650 78 o 18808 : AB2076 79 » 3630 } 03855 80 a) 1510 ae bi65 81 IO DIO z È 82 BVELRO5 » 2610 Come medie, si ha 3090 per Ceresole, 2650 per Cogne. La differenza, di circa 400 mm., non può dipendere dal solo fatto che Ceresole è di un’ottantina di metri più elevata di Cogne; probabilmente si collega colla maggior ricchezza di precipita- zioni che si ha sul-versante meridionale del Gran Paradiso. Dato che così sia veramente, colpisce alla prima il fatto che i ghiacciai sono molto più sviluppati dalla parte di Cogne. È da questa parte che si trova il più esteso del gruppo, quello cioè della Tribolazione, che, considerato come un tutto con quello minore di Dzasset, misura più di 7 km?. Ma occorre pensare prima di tutto che è pur questo uno dei ghiacciai di maggiore altezza media (m. 3330 circa sul mare), e poi che la sua espo- sizione a NE è pure più sfavorevole all’ablazione. Roma, marzo 1911. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 43 662 ICILIO «GUARESCHI Alcuni nuovi derivati dei cicloesanoni, Nota del Socio ICILIO GUARESCHI. Già sino dal 1901 nella mia memoria: Sintesi di composti piridinici e trimetilenpirrolici (1) avevo promesso che avrei stu- diato l’azione dell’etere cianacetico su molti altri chetoni, fra i quali i chetoni ciclici. Ed invero da allora, specialmente nel 1908, ho studiato molti altri chetoni, fra i quali il cicloesanone ed il metelcicloesanone1.3, ed ho ottenuto dei bellissimi prodotti. Recentemente (2) i sigg. F. B. Thole e J. F. Thorpe allo scopo di preparare delle imidi glutariche B8 bisostituite, hanno estesa la mia reazione, adoperando invece dell’etere cianacetico, la cianacetamide. Essi hanno confermato le mie ricerche ed hanno trasformato le imidi glutariche nei corrispondenti acidi BR dial- chilglutarici, col ‘mio metodo, cioè, ebollizione con acido solfo- rico al 60-70. Questo lavoro mi spinge a pubblicare le mie ricerche sul cicloesanone e sul metilcicloesanone 1.3 e in un’altra nota descriverò poi alcuni altri nuovi acidi glutarici BB bisosti- tuiti, oltre quelli da me descritti nel 1901, e che ho già otte- nuto da vari anni. Così pure in una successiva memoria: Intorno ad una reazione generale dei chetoni descriverò i numerosi com- posti che io ho preparato già da lungo tempo esperimentando l’azione dell'etere cianacetico su moltissimi chetoni a struttura chimica diversa; questa reazione è, secondo me, forse la reazione più generale dei chetoni. Dopo le mie prime ricerche intorno alle condensazioni che si effettuano tra i chetoni e le aldeidi coll’etere cianacetico e l'’ammoniaca, alcuni altri chimici hanno studiato l’azione del- l'etere cianacetico sui chetoni e sulle aldeidi ma in condizioni diverse dalle mie. Così Harding, Haworth e Perkin (3), nota- (1) © Mem. R. Accad. delle Scienze di Torino , (Il), vol. L, p. 277. (2) “ Journ. Chem. Soc. ,, marzo 1911, p. 422. (3): £ J. Chem. Soc. ,, 1908,.t::93, p. 1943.: ALCUNI NUOVI DERIVATI DEI CICLOESANONI 663 rono che il cicloesanone coll’etere cianacetico in presenza di etilato sodico o di piperidina fornisce l'etere a ciano A'-cicloesa- nacetico ed in questo caso il cicloesanone agisce nella forma enolica; insieme all’acido a ciano A'-cicloesanacetico si forma una piccola quantità di etere ciamocicloessilidenacetico, nel qual caso il cicloesanone funziona nella sua forma chetonica. Nella mia reazione invece il cicloesanone ed il metilciclo- esanone agiscono essenzialmente nella loro forma chetonica. BR pentametilen 8B' dicianglutarimide cpe/ 08°. CH?\ /CH(CN).CO \NH NXCH2, CHX \CH(CN).C0, Il cicloesanone impiegato proveniva dalla fabbrica del Dott. Konig di Lipsia e bolliva a 154°5-155° sotto 740 mm. Mescolai 1 mol. di cicloesanone (21 cm. circa) con 2 mol. di etere ciana- cetico (46 cm.3) ed aggiunsi poco più di 3 mol. di ammoniaca alcolica all’11.5°/. La soluzione limpida ed incolora a poco a poco si fa gialla, con lieve sviluppo di calore. Dopo 2 ore in- cominciano a depositarsi dei cristalli e dopo 24 ore si ha una massa compatta cristallina. Tratto la massa con acqua nella quale si scioglie bene, eccetto una piccola quantità di sostanza che gimane sul filtro ma che poi si scioglie anch'essa in acqua calda. Tratto la soluzione ammoniacale con acido cloridrico diluito, il quale fornisce un abbondante precipitato cristallino bianchissimo. Pesa 18 grammi circa. Questo prodotto, che grezzo fonde a 208°-209°, quando è ricristallizzato dall’alcol a 60 °/ si ha purissimo e fusibile a 211°-212°. Prima del trattamento con acido cloridrico si può esauri- nare due volte con etere il liquido diluito ammoniacale, per to- gliere il cicloesanone rimasto inalterato. Il prodotto così ottenuto diede all’analisi i risultati seguenti: I. Gr. 0.1760 di sostanza fornirono 0.4032 di CO? e 0.0939 di H?0. II. Gr. 0.1360 diedero 21.6 cm.3 di N a 18° e 738 mm.; corr. = 19.4 cm. di N. III. Gr. 0.1190 diedero 18.8 cm.? di N a 18° e 738.5 mm.; eDrr "LO. N: Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 43* 664 ICILIO GUARESCHI Da cui: trovato calcolato per C'*H!8N807 I II III ce 62.48 = = 62.93 cho= 5.96 = — >» 5.6 Nij= — 17.02 17.75 18.18 Per il modo di formazione, la composizione, le proprietà e i derivati che fornisce questo composto è senza dubbio la BBpentametilen8B'dicianglutarimide: CN /CH?2. CH? Vedl ;5H.COX \\CH2,CH?/ CH .C07° CN CHESS NH Cioè due nuclei essanico-piperidinico con un atomo di car- bonio in comune. Questa imide cristallizza in aghi incolori, fusibili a 211°-212°, solubili nell'acqua bollente, poco nella fredda, solubilissimi nel- l'alcol, e cristallizza bene dall’alcol a 60 °/. Ha reazione acida; è solubilissima negli alcali ed è riprecipitata dagli acidi; neutra- lizzata con ammoniaca dà col nitrato d’argento un precipitato bianco solubile a caldo e che cristallizza per raffreddamento. Per riduzione con sodio e alcol amilico spero di poter ar- rivare alla base esametilenpiperidina o meglio pentametilenpi- peridina : cue/ 8°. CH?\ g7/CH?. CH*\ rg INCH? 50H3*xCH30H8)s Ho studiato l’azione dell’acido solforico al 60° su uns sostanza per ottenere l'acido esametilenglutarico : cupe /CE°. CHX /0H?. C00H SORGE Re CH? C00H ma non ho ancora ottenuto risultati decisivi. Ho ottenuto un prodotto azotato che non fonde, e sublima a temperatura molto elevata. ALCUNI NUOVI DERIVATI DEI CICLUESANONI 605 Il suo sule ammonico è il prodotto primitivo della reazione, e può essere ottenuto raccogliendolo su filtro alla pompa, poi lavandolo con acqua ammoniacale. Gr. 1.0047 di questo sale secco sul cloruro di calcio fornirono per distillazione con latte di magnesia 0.7845 di cloroplatinato ammonico pari a 0.0611 di NH? cioè 6°, di NH?, pel sale anidro C!*H!?2(NH*)N40? si calcola 6.8, di NH; ma probabilmente aveva già perduto un poco di ammoniaca. La soluzione acquosa del sale ammonico precipita in giallo o gialloverdognolo coll’acetato e col solfato di rame. Il prodotto fusibile a 211°-212° assorbe con avidità il bromo. Prodotto di sostituzione col bromo. Grammi 5 di composto fu- sibile a 211°-212° trattati con acqua di bromo, a poco a poco la scolorano. Si deve aggiungere l’acqua di bromo in lieve eccesso. Occorrono quattro molecole di bromo. In questo medo si otten- gono 8.1 a 8.2 gr. di prodotto bromurato; si calcola 8.4. In altra esperienza da 1 g. di composto ottenni 1.7 di prodotto bibromurato C!2H!*Br?N*0? (teorico = 1.7); e così in altra pre- parazione da 3.3 gr. di composto ottenni 5.5 di prodotto bibro- murato. Sempre si ottiene subito la quantità teorica di prodotto. Il composto bromurato fonde, sviluppando bromo, a 164°-165°. Non può essere ricristallizzato dall’alcol perchè si sbromura facilmente. Eliminazione del bromo dal composto bibromurato. — 3.3 pen- tametilen 1.2 diciantrimetilendicarbonimide: CH?, CH? _C(CN).CO cHe” puoi \xu Nos CH?7 NC(CN).C07 Questo curioso composto, che risulterebbe dalla concatena- zione di tre nuclei diversi: esametilenico, trimetilenico e pirro- lico, con un atomo di carbonio in comune, si forma facilmente sbromurando il bibromuro precedente. I due atomi di bromo si staccano facilmente. Nelle mie note e memorie precedenti già da lungo tempo feci osservare che si poteva togliere in più modi il bromo ai derivati bibromurati delle glutarimidi Bf bisostituite; o per l’a- zione diretta del calore, o scaldando la soluzione del composto 666 ICILIO GUARESCHI nell'acido acetico al 50°, e meglio se in corrente di aria per eliminare più presto il bromo ed avere perdite minori. Ora ho trovato che è, come nel caso attuale, molto più facilmente eliminato il bromo se si scioglie a caldo il composto bibromurato nell’alcol etilico al 90 °/, o anche al 60 °/,. Si nota odore analogo a quello dell’aldeide. Talora basta far cristalliz- zare il derivato bibromurato dall’alcol al 60 °/, per avere subito il derivato trimetilenico in bei cristalli. Ho poi inoltre osservato che l'acido formico sì presta benis- simo a questa reazione. Basta sciogliere il derivato bromurato nell’acido formico al 50°, oppure al 259/,, ed anche al 12 0/0, perchè dopo riscaldamento sino a cessazione dell’effervescenza sì depositi per raffreddamento il nuovo composto privo affatto di bromo. Si sviluppa dell'acido carbonico. Si ha anche qui la quantità teorica di prodotto: ,/CH2. CHA, \\CBr(CN)CO* /CH?. CH? CH C AC NUOI N + cH?° NH NCH2. CH?7 \C(CN)CO7 Infine ho trovato che nella stessa operazione si può fare suc- cessivamente la bromurazione a temperatura ordinaria e la sbro- murazione a caldo. Si sciolga il composto da bromurare nell’acido formico al 50° od anche solamente si agiti sospeso nell’acido formico, e si aggiunga a poco a poco il bromo sciolto nell’acqua o nell’acido formico diluito, sino a che il liquido non si decolora più; quando tutto il bromo è stato assorbito e ve ne è ancora un lieve eccesso, si scaldi sino verso la ebollizione ed allora il precipitato si scioglie con effervescenza, dando un liquido per- fettamente incoloro che lasciato a sè deposita cristallizzato il nuovo composto trimetilenico, completamente sbromurato. È un modo semplicissimo di chiudere l’anello trimetilenico. Non si può adoperare l'acido formico concentrato, chè reagirebbe facil- mente col bromo. Ecco il risultato, ad esempio, di una esperienza fatta in questo senso: 3 grammi del composto fusibile a 211°-212° furono trattati con 40 em.8 di acido formico al 50 °, poi aggiunsi ALCUNI NUOVI DERIVATI DEI CICLOESANONI 667 200 cm.3 di acqua di bramo recentemente preparata; scaldando la poltiglia cristallina a b. m. sino quasi all’ebollizione si nota effervescenza per acido carbonico. Dopo raffreddamento si ha il prodotto completamente sbromurato e ben cristallizzato, che fonde a 238°-240°; pesa 2.6; cioè quasi la quantità teorica. Farò delle esperienze per vedere se l'acido formico (o un suo derivato) può servire bene come sbromurante in altri casi diversi da questi, da me ora studiati. Il bibromuro precedente ©!2H!3Br2N20? scaldato dunque a b. m. con acido formico al 50° si scioglie con effervescenza, ingiallisce, poi a poco a poco tutto il liquido si fa incoloro; il nuovo prodotto, che fonde a 237°-239°, cristallizza benissimo. Anche sciogliendo a caldo e continuando a scaldare alquanto il composto fusibile a 211°-212°, con alcol a 60°, si ha per cristallizzazione direttamente il derivato sbromurato fusibile a 237°-239° che dopo ricristallizzazione dall'alcol si ha puro e fu- sibile a 2380-2400. Questo nuovo composto diede all'analisi i risultati seguenti: I. Gr. 0.2466 di sostanza diedero 0.5624 di CO? e 0.1108 di H?0. II. Gr. 0.1374 fornirono 21.8 cm.8 di N a 20° e 729 mm. pari a 19.48 cm. N corr. III. Gr. 0.1194 fornirono 19.5 cm.3 di N a 18° e 728 mm. cioè N corr. =17.28. Da cui: trovato calcolato per C!*H!!N?0? — io _{— - °_° an I II III = 62.9 _ — 62.8 H = 5.05 _ — 4.8 N = 17.72 18.07 18.3 Questo composto: UESUH- C(CN).CO cHe” Sglar \NH N\CH2.CH?7 NC(CN).CO7 che può essere denominato: 3.3pentametilen1.Qdiciantrimetilendi- carbonimide cristallizza dall’alcol in begli aghi leggieri splen- 668 ICILIO GUARESCHI denti, fusibili a 238°-240° in liquido bruno che per raffredda- mento cristallizza. Non dà ammoniaca colla magnesia. Solubile negli alcali e riprecipitabile dagli acidi. Ha reazione acida. Neutralizzato con ammoniaca precipita col nitrato d’argento e colla soluzione di acetato o di solfato di rame dà precipitato azzurro a differenza del composto 211°-212° dal quale deriva, che invece da precipitato giallo o gialloverdognolo. Metilcicloesanone 1.3. Prodotti perfettamente analoghi ai precedenti io ho otte- nuto dal metilcicloesanone1.3. /CH(CH3). CAR Kg (n CO . Tratto il metilcicloesanone con etere cianacetico ed ammo- niaca alcolica all'11.5° come ho detto pel cicloesanone. Ottengo subito un bellissimo prodotto che ricristallizzato dall’alcol fonde a 240°-241° (sul blocco Maquenne fonde a 244°-245°) imbrunendo. T. Gr. 0.1614 di sostanza fornirono 23.8 cm. di azoto a 15° e29 mm iNScorr 21 6fenn®. Cioè: trovato calcolato per C!*H!5N0? _— = _ttt- est ca N90 16.73 17.1 Vale a. dire la 1.3metilpentametilen BB'dicianglutarimide: /0H(CH3). CHA /CH(CN)CO\, CHX CH°_ _ cH27 NCH(CN)CO7 NH Il sale ammonico cristallizza bene. Col solfato o coll’acetato di rame dà precipitato giallo o gialloverdognolo; col nitrato d’argento precipitato bianco poco solubile anche a caldo. Questo composto fusibile a 240°-241° assorbe la quantità teorica di bromo ed il dibroderivato ottenuto si sbromura pure facilmente nelle stesse condizioni del composto derivante dal cicloesanone. ALCUNI NUOVI DERIVATI DEI CICLOESANONI 669 Il nuovo prodotto sbromurato, cioè contenente H? in meno, cosa curiosa, fonde pressochè alla stessa temperatura di quella del composto da cui deriva, cioè fonde a 241°-242° (sul blocco Maquenne). I. Gr. 0.2194 danno 0.5152 di CO? e 0.1094 di H?0. (Questa ed alcune delle precedenti combustioni furono eseguite dal Dott. M. Ghiglieno). Cioè: trovato Calcolato per C'H!3N?0? —— Tu —. Tn A |__ e 64.04 64.19 \3 == 5.58 5.95 Vale a dire è la: 1.5 metilpentametilen1.2-diciantrimetilendi- carbonimide : CH (CH3)CH? C(CN). COL CH? ka E ig NE. X\CH®-- 0H27 NC(CN).C07 Questa reazione deve essere studiata anche con altri ciclo- chetoni per vedere in quali rapporti stia colla posizione del carbonile o colla vicinanza di —CH?, oppure = CH, oppure = © come, ad esempio, nel mentone e tetraidrocarvone nei quali si ha — CH?.C0.CH =; nel pulegone, d. carvone e canfora in cui si ha — CH2.C0—C=. I due ciclochetoni da me studiati conten- gono — CH? Da alcune esperienze che ho fatto col mentone risulta che questo ciclochetone reagisce coll’etere cianacetico molto meno facilmente che non il cicloesanone ed il metilcicloesanone1.3. Torino. R. Università. Laboratorio di Chimica farm. e tossicologica. Aprile 1911. L’ Accademico Segretario CorRRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 30 Aprile 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, CARLE, Rurrini, Bronpi, ErnAupi, ReniER che funge da Segretario. — Il Socio De SAncTIS scusa l'assenza. È letto ed approvato il verbale dell'adunanza precedente. Il Socio Rurrini espone con molti elogi il contenuto dei due volumi, che presenta, di Mario FaLco, Il riordinamento della proprietà ecclesiastica. Progetti italiani e sistemi germanici (Torino, Bocca, 1910) e Le disposizioni “ pro anima ,. Fondamenti dot- trinali e forme giuridiche (Torino, Bocca, 1911). Il Socio ErnAupI presenta e commenta con lode le due pub- blicazioni di Giuseppe Prato, Il protezionismo operaio. L’ esclu- sione del lavoro straniero (Torino, Società tipografica nazionale editrice, 1910) e Le dogane interne nel secolo XX. Il mercantilismo municipale (Torino, Società tipografica nazionale editrice, 1911). Il resoconto analitico con cui queste presentazioni furono accompagnate trovasi inserito negli Atti per cura dei rispettivi Soci presentatori. LETTURE Marro Farco, I riordinamento della proprietà ecclesiastica. Pro- getti italiani e sistemi germanici; Torino, Bocca, 1910. Lo sresso, Le disposizioni “ pro anima ,. Fondamenti dottrinali e forme giuridiche; Torino, Bocca, 1911. Parole dette dal Socio FRANCESCO RUFFINI. Il giovane Autore — uno dei più valorosi scolari usciti di questi ultimi anni dal nostro Ateneo — si è rivelato al mondo scientifico italiano con queste due pubblicazioni pressochè con- temporanee in modo così brillante e promettente, che, noto ap- pena in addietro per alcuni brevi saggi rimontanti al periodo delle sue esercitazioni scolastiche, e non ancora libero docente, egli fu testè assunto, per giudizio unanime dei più competenti in materia di diritto ecclesiastico, alla dignità dell’insegnamento ufficiale di questa difficile disciplina. La quale è di quelle che presuppongono una preparazione tecnica più profonda e più svariata. I due libri testimoniano della padronanza dal Falco con sorprendente rapidità acquistata in due campi fra i più dispa- rati e remoti della scienza. Il primo, invero, affronta il problema più formidabile che da decennii affatichi in queste materie le menti e frustri tutti gli sforzi dei legislatori di parecchi paesi e in particolare d'Italia; i quali non sono riusciti ancora dopo quarant'anni giusti di studi e di tentativi ad assolvere la promessa solennemente fatta con l'articolo 18 della legge 13 maggio 1871, di provvedere con un’altra legge, che allora si diceva prossima, al riordinamento della proprietà ecclesiastica. Del complesso problema il Falco anzi ha voluto prendere in considerazione il lato rimasto fin qui più oscuro ed irto quindi di maggiori difficoltà. Più segni, in questi ultimi tempi, venuti anche dall’alto e da fonte ufficiale, 672 facevano pensare e, diciamo senz'altro, temere che i nostri reg- gitori fossero per cacciarsi da un momento all’altro alla dispe- rata sopra quell’esempio francese delle famose Associazioni cul- tuali, di cui il gran chiasso, che se ne fece, e in genere la più agevole e diffusa conoscenza delle cose francesi avevano resa pressochè popolare l’idea anche presso di noi. E sarebbe stata iattura grave, chi pensi, non diciamo neppure, la cattiva prova, ma la nessuna prova ch’esse fecero in Francia, poichè la infe- licemente concepita e progettata istituzione statuale vi naufragò a pieno contro la irriduttibile opposizione della Chiesa cattolica. Più teoristi in Italia, e noi confessiamo senz'altro di essere stati di tal numero, erano venuti da tempo fermando i loro sguardi sopra alcuni tipi di amministrazioni parrocchiali e diocesane, le quali già da più anni funzionano in parecchi degli Stati ger- manici e vi sembrano aver fatta ottima prova, oppure sono ora colà allo studio e vi eccitano le più ferventi discussioni fra sta- tisti e giureconsulti, nelle aule parlamentari, nelle scuole, nella stampa. Se non che si trattava qui di una nuova orientazione, stiamo per dire, piuttosto di istinto che non di ragione ; deter- minata prevalentemente dal successo pratico di quei sistemi germanici, più che non da una piena conoscenza e da una ma- tura ponderazione dei loro intimi congegni. Della qual manche- volezza non ultima cagione era stata fin qui la difficoltà grave, e a primo acchito quasi repellente, di comprendere e dominare la particolarissima e molto astrusa terminologia germanica di questi argomenti. Cominciava, per farla breve, a circolare fra gli studiosi un'idea degli ordinamenti germanici tutta quanta di maniéra, la quale avrebbe potuto a un dato momento generare inconvenienti non meno dannosi di quegli altri, di cui sopra dicemmo. Ora di tali sistemi germanici appunto il Falco intraprese un'analisi minuta e profonda; di essi ha tracciato un quadro comparativo diligente e completo. essi ha sottoposto a una cri- tica penetrante ed originale. Il suo tentativo manca perfino, nella forma sintetica con cui a noi si presenta, di un riscontro egualmente degno nella stessa letteratura tedesca. E che esso non sia fallito ci assicurano la subita considerazione in cul esso è stato preso dalle stesse riviste di Germania e l'approvazione che ne ebbe. 673 E il risultato del lavoro è meritevole davvero di essere meditato: la pedissequa imitazione degli esempi germanici ci trarrebbe a un eccesso, contrario bensì a quello dei francesi, ma ad un eccesso pur sempre, che sarebbe di assegnare alla Chiesa una ingerenza soverchia nei nostri pubblici ordinamenti e una potestà, quale îe idee separatistiche presso di noi prevalenti non potrebbero più tollerare. Risultato negativo, adunque, anche da questo lato; il che non vuol dire per altro risultato inane. Poichè — a prescindere anche dai numerosi elementi di dettaglio, che questo studio per primo ci ha fatto conoscere e di cui ci po- tremo pur sempre giovare-— un grave ammonimento ne ram- polla al futuro legislatore italiano: quello, di por mente sopra tutto alle tradizioni nostre paesane e di badare massimamente, in luogo che a questo o a quell’altro sistema forestiero da impor- tare presso di noi, ad adattare e rimodernare quegli istituti, che già vi han fatto buona prova od hanno quanto meno di già il suffragio di un lungo esperimento. Tutt'altra e ben remota dalla precedente è la cerchia di idee, a cui il secondo lavoro del Falco si affisa. Ma non ne è minore la universalità e la importanza, così teorica come pra- tica. Non v'è, di fatti, indagatore di fonti medioevali ed anche più tarde che non siasi imbattuto in quel singolarissimo fra tutti i più singolari negozì giuridici, che la fertile casuistica abbia prodotto, e che è la disposizione “ pro anima seu ad pias causas ,. Ma esso è in pari tempo di tutti gli istituti elaborati dal diritto canonico quello indubbiamente, a cui la coscienza dell’universalità dei fedeli tuttavia più vivacemente si appas- sioni. Ora è accaduto a questo riguardo, che con un procedi- mento altrettanto semplicista quanto arbitrario siasi voluto isolare il fenomeno del diritto vigente dai suoi addentellati storici e dai suoi presupposti teologici. E fu errore grave. Poichè si diede nelle soluzioni più contradittorie e più cervellotiche, e quindi più scientificamente insignificanti e più praticamente malfide. Nè correttivo sufficiente sarebbe stato il rifarsi semplicemente ai precedenti di schietto carattere giuridico, poichè non v'è campo ove le norme giuridiche affondino più inestricabilmente le loro ra- dici nel sottosuolo teologico. Onde — a parte anche quanto il Falco saviamente ammonisce, che è “ diritto anche la teologia, ove si consideri la divinità dal punto di vista del cattolicismo medie- 674 vale come un ente giuridico in relazione di scambio con i mor- tali , — sì può con sicura coscienza asserire, che lo stralciarsi del diritto canonico dal gran ceppo degli studi teologici e il suo individuarsi quale disciplina autonoma, di cui gli storici della scienza a un dato punto discorrono, sia stato per rispetto a questo particolare argomento assolutamente nullo. A cotesti pre- supposti teologici — remoti ma essenziali — ha volto il suo studio il Falco, in questo libro, che però non vuole essere se non la prima parte di un'indagine completa ed esauriente del- l'argomento. Or chi consideri lo stato, a cui gli studi di teologia sono ridotti in Italia, comprenderà agevolmente quanto eccezio- nalmente gravi siano state qui le difficoltà che il giovine Au- tore dovette superare, e con le sole sue forze superare, sempli- cemente per metterci al corrente della scienza e della letteratura moderna. Nella prova scabrosa egli è così egregiamente riuscito, che non si è fatto soltanto espositore diligente e lucido dei risul- tati ultimi della dottrina straniera, ma anche qui critico sagace e coraggioso di essi. Quale che sia per essere la fortuna avve- nire delle conclusioni, a cui il Falco è venuto, e delle opinioni ch’egli propugna — anche il semplice esporle ci trarrebbe in più lungo discorso che qui noi non vogliamo —, è certo però, che i suoi contributi non si potranno più preterire da nessun coscienzioso ricercatore di questi soggetti o italiano o straniero. E a questo basterebbe il fatto, che anehe questo libro del Falco sì raccomanda per quei pregi, che brillano in tutte le cose sue: ineccepibile correttezza di metodo, indipendenza, originalità di pensiero, larghezza di informazione, acutezza di critica, e, a gradevolissimo complemento e quasi suggello di tutto questo, sobria ma veramente signorile eleganza di forma. Protezionismo operaio e protezionismo municipale. Parole dette dal Socio LUIGI EINAUDI. Ho l’onore di presentare all’ Accademia, a nome dell'Autore, due volumi del prof. Giuseppe Prato, intitolato l’uno / prote- zionismo operaio — L'esclusione del lavoro straniero e l’altro Le dogane interne nel secolo XX — Il mercantilismo municipale. I due volumi portano i numeri VII e X_ degli “ Studi del Laboratorio di Economia politica S. Cognetti De Martiis , di Torino (So- cietà Tipografico-Editrice Nazionale, Torino, 1910 e 1911) e sono nuova testimonianza della serietà degli studi economici di cui l’Istituto torinese è divenuto il centro. Le due opere del Prato hanno avuto amendue nascimento da un motivo occasionale, quasi si direbbe da un fatto di cro- naca, dal quale l'A. ha saputo trarre partito per una tratta- zione severamente scientifica, ricca di fatti, male o niente affatto conosciuti, e di ragionamenti acuti e serrati. L'occasione che fece nascere nel Prato l’idea di scrivere il primo volume, sul Protezionismo operaio, tu la venuta in Italia di un condottiero di leghe americane, il signor Samuele Gompers, a cui arrise il successo di accoglienze cordialissime da parte di capi di uffici governativi intesi alla tutela del lavoratore italiano e di duci del movimento operaio italiano, a cui non parve vero di dimen- ticare le loro medesime ragioni di vita per avere l’insigne onore di banchettare coll’astuto yankee venuto in Italia a persuadere i nostri emigranti a rimanersene a casa loro ed a non andare a muovere concorrenza agli operai altamente pagati delle Fede- razioni americane del lavoro. Da questo episodio significativo prende le mosse il Prato per tratteggiare un quadro dalle grandi linee storiche e teoriche. In tre momenti sì divide il corso della immigrazione nei paesi nuovi; nel primo dei quali domina la 676 LUIGI EINAUDI tendenza favoreggiatrice, imposta dalla abbondanza di terre e dalla scarsezza degli uomini, ed intesa ad attirare, colla forza vio- lenta della schiavitù o colla persuasione dei premi, dei viaggi pagati ecc. gli uomini delle contrade sovrapopolate. Ma, appena i nuovi venuti sono riusciti a costituire dei gruppi abbastanza potenti per avere la consapevolezza della propria forza, nasce in essi e nei partiti politici, che li guidano e li servono, la tendenza contraria di restringere l'immigrazione dei lavoratori i quali ver- rebbero a partecipare alle riechezze nuove e grandi che le ver- gini terre contengono ed a far diminuire i salari privilegiati che la scarsezza delle braccia ha consentito ai primi immigranti. À. più riprese si sviluppa la politica restrittiva: contentandosi dap- prima della esclusione dell’immigrazione di colore. Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti (California) muovono in guerra contro poli- nesiani, cinesi e giapponesi e li vogliono escludere dal sacro suolo riservato alla razza bianca. L'A. analizza e rompe ad uno ad uno gli argomenti sentimentali, storici, economici che i fau- tori del monopolismo bianco hanno impugnato contro la concor- renza gialla. Falso ed ipocrita il timore della corruzione politica e della immoralità famigliare dei gialli; e certamente non degno in bocca di gente che hanno raggiunto i fastigi più alti della corruzione elettorale e della ipocrisia morale. Fuor di luogo il timore che i gialli non intendano a migliorare il proprio tenor di vita, di cui anzi si dimostrano, ove appena il possono, curan- tissimi. Dannosa infine alla medesima società bianca l'esclusione dei gialli, come quella che vieta di potere attendere ad occu- pazioni disdegnate dagli operai appartenenti alla civiltà domi- natrice. Il carattere grettamente monopolistico dell'odio contro i gialli si palesa subito appena l’assalto al monopolismo operaio venga da nuovi concorrenti, appartenenti alla stessa razza bianca: da italiani, russi, ungheresi, ebrei. Comincia allora il periodo della restrizione della immigrazione bianca, di cui il Prato rintraccia gli episodi più significativi nella storia e nella legislazione del- l'Australia, della Colonia del Capo, del Transvaal e degli Stati Uniti; rafforzando la dimostrazione dell’ universale tendenza all’esclusivismo dei gruppi operai organizzati collo studio della legislazione e della politica operaia in Francia, in Svizzera, in Germania, in Inghilterra, dovunque accorrono schiere di operai immigranti in cerca di lavoro. PROTEZIONISMO OPERAIO E PROTEZIONISMO MUNICIPALE 677 Di questo protezionismo operaio l'A. studia, in una ultima parte teorica, le analogie profonde col sistema protezionistico doganale; e come di questo sono indisputabili i tristi effetti economici, così di quello dimostra largamente gli uguali danni nel campo economico e sociale: ostacoli posti alla migliore ap- plicazione dei fattori produttivi, impossibilità di attendere alle opere più umili, eppur necessarie, della società, indirizzo artifi- ciale impresso alle migrazioni del lavoro, ritardo della messa in valore del globo. rialzo del costo della vita, specialmente per le classi operaie, crescente disoccupazione per la impossibilità negli imprenditori di sottostare al rincaro artificiale della mano d'opera indigena. Nè si dimentichi che le leghe operaie bianche, fautrici della politica dell’associazione, finchè si trattava di as- sociazioni monopolistiche, più gridano contro i gialli ed i con- correnti bianchi quanto più questi si valgono delle loro stesse armi e sanno unirsi in associazioni indipendenti (cinesi e giap- ponesi potrebbero essere maestri ai troppo orgogliosi bianchi nell'arte di associarsi a difesa ed offesa) per ottenere migliori patti di lavoro. Da un episodio torinese ebbe origine l’altro libro del Prato su Le dogane interne nel secolo XX — Il mercantilismo municipale. Sullo scorcio del 1909 la Giunta municipale di Torino per risol- vere in parte l’assillante problema finanziario di Torino, propose di sostituire per talune specie di materiali da costruzione al metodo della tassazione all’atto della introduzione entro cinta il metodo, più razionale, della tassazione a misura ed a costru- zione compiuta dei materiali impiegati nella costruzione di edi- fizi nuovi o in notevoli rifacimenti degli edifizi esistenti. Benchè il nuovo metodo fosse più razionale, perchè riusciva a colpire ugualmente i fabbricati entro e fuori cinta, suscitò le opposi- zioni dei produttori dell’entro cinta, i quali col vecchio sistema dei dazi esatti al momento della introduzione entro le mura della città, dazi, che erano assai più alti per i lavori finiti che per i prodotti semi-lavorati ed i greggi, erano riusciti ad ottenere buoni profitti grazie alla protezione daziaria di cui godevano contro i produttori dell’extra-moenia. Le petizioni che gli indu- striali e gli operai. subito riuniti in fraterna comunanza di pen- siero e di minaccie, inviarono al Consiglio Comunale di Torino sono un documento storico, che il Prato, a ragione, integral- 678 LUIGI EINAUDI mente riproduce, perchè degnissimo di essere tramandato ai posteri come parodia inarrivabile della tesi protezionistica e non inferiore forse in bellezza alla classica Pétition des fabricants de chandelles di Bastiat. Prendendo le mosse dall’incidente torinese, lA. ha istituito una indagine, dottrinale prima, per ricercare nei trattati della scienza finanziaria ed economica i non abbondanti accenni, che vi si leggono, intorno al. protezionismo municipale, e pratica poi, per accertare se ed in quale misura il sistema della protezione alle industrie intra-muros per mezzo della tariffa daziaria sia invalso nelle città italiane. L'indagine portò a risultati interes- santissimi: il protezionismo municipale fiorisce, dove più dove meno, in tutti i comuni murati italiani, come è manifesto dalla specializzazione crescente delle tariffe, in cui le voci si molti- plicano per permettere di raggiungere più facilmente l'intento protettivo, dalla differenza spiccata ed altrimenti inesplicabile tra i dazi bassi o nulli sulle materie prime ed i dazi alti sui prodotti semi-lavorati o finiti e dalla convinzione universalmente diffusa tra gli industriali che questo sia un sistema logico, le- gittimo di difesa contro i concorrenti del di fuori. Il protezio- nismo municipale si rafforza, come quello statale, con gli avve- dimenti dei drawbdacks o restituzioni di dazio in somme superiori all'ammontare dei dazi realmente pagati, instaurando così una politica di premi di esportazione. Come i dazi protettori statali anche i dazi protettori municipali danno uno scarsissimo rendi- mento al tesoro pubblico: a Roma quattro categorie, copiose di voci protettive, rendono nel 1908-1909 appena 1.369 mila lire su un provento totale di 20 milioni, a Napoli 592 mila lire su 11 milioni, a Firenze 500 mila lire nel 1909 su 7.390.383 lire, a Torino nello stesso anno 665 mila lire su un provento totale del dazio di 13.821.014 lire. L'onere dei consumatori ed il mi- serevole vantaggio del fisco servissero almeno al progresso del- l'industria! Ma neppure questo può affermarsi, poichè lo svi- luppo artificioso di talune industrie le rende dipendenti dal ristretto mercato locale ed incapaci di espandersi al di fuori e danneggia gravemente altre industrie situate in regioni vicinis- sime ai grossi mercati chiusi, che invano esse anelerebbero di approvvigionare. Nè dimentichiamo che il protezionismo munici- pale è cagione artificiosa dell’accentuarsi di quell’inurbamento PROTEZIONISMO OPERAIO E PROTEZIONISMO MUNICIPALE 679 delle genti rurali, che è deprecato dagli statisti e che li costringe ad affannose cure ed a gravi dispendi per apprestare case ed alimenti alle turbe inquiete; che esso è in stridente contrasto con lo spirito ed anche con la lettera delle leggi fondamentali del paese sul dazio consumo, il quale dovrebbe essere, in virtù di quei testi, un tributo destinato a cadere esclusivamente sul consumo locale; ed è un impedimento non piccolo alla conclu- sione dei trattati di commercio con gli Stati esteri. Qual mai affidamento possono invero i governi stranieri riporre nella pa- rola del governo italiano, quando gli effetti di un trattato di commercio solennemente conchiuso possono essere sconvolti dal capriccio dei reggitori di poco meno di 200 comuni chiusi, rac- chiudenti dentro le proprie mura circa un terzo della popola- zione italiana e precisamente di questa la parte più ricca ed operosa ? I due volumi del Prato, eloquenti nel dettato e diritti nel ragionamento, sono dunque due buone battaglie, combattute con severità scientifica, per la libertà economica. Oggi che questa è insidiata dalle più opposte parti, da industriali e da operai, egoisti e monopolisti entrambi, questa franca voce di studioso meritava di essere rilevata ed incoraggiata. L’ Accademico Segretario GAETANO DE SANCTIS. ho o TO osatasnagli n 9g cin iVEnR.a: ho piaper: n di olentàirog Pon evitò oRta oto sodoirpai adi. sile, dan letti Labaro? al ialleh sutotto! £I nos orlome f bo csi ol; sitio eai lonaìzad oddervobi &fanp {i Ninvauoo s0is stà Luteà ti): j frto fà srrorti a. iù rita IR HIUOMTRZ7 80102090 TUMORE î ie i ti Mar” BRPi: Agr *DlO600 | 431145 OL0O DIE] [LOS OJ DO EE sg {j motsso:1ispiai. | il i AIR x ILA (REZZ l (9) Pr * di tO Degli o pie 19 i) Î 1) L 14 i) 889.00 ) a maia IEDIA6o 19 ( LU rELOC U pal OSDE Si LEI - “e. © [&e Lon pr [eni Cd 4 (= _- (= - ci cui ‘Or. 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III delle Opere matematiche di Eugenio BeLTRAWMI, inviato in omaggio dal Comitato per le onoranze a quell’illustre scienziato; e l'opuscolo, dono dell’au- tore, Socio corrispondente TARAMELLI, Di un giacimento di lignite in terreno cretaceo presso Olivetta, a Nord di Ventimiglia. Il Socio Spezia presenta, per l’ inserzione negli Atti, una sua Nota: Sopra alcuni presunti effetti chimici della pressione nel metamorfismo minerale. e Il Socio Parona legge una sua Memoria contenente Nuovi studi sulle Rudiste dell'Appennino (Radiolitidi). La Classe con votazione unanime ne delibera l'accoglimento nei volumi acca- demici. nn Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 44 DI (0 0) DO GIORGIO SPEZIA LETTURE Sopra alcuni presunti effetti chimici della pressione nel metamorfismo minerale. Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. Le esperienze, sugli effetti della pressione statica nelle rea- zioni chimiche, hanno sempre il vantaggio per la geologia di controllare le ipotesi di coloro, che, trattando del metamorfismo delle rocce e della minerogenesi, ammettono essere la pressione il principale fattore chimico. Perciò ritengo opportuno di considerare alcune idee emesse da van Hise nel suo 7reatise on metamorphism (1); il quale trattato, costituendo la più voluminosa opera odierna sul me- tamorfismo e la più ricca in considerazioni e disquisizioni, può nella scienza geologica avere un'influenza sull’accettazione di teorie, le quali sono molto discutibili; perchè l’autore dà alla pressione, come causa di reazioni chimiche, un'importanza, la quale non essendo sostenuta dalle esperienze, rimane soltanto un principio ipotetico per fondarvi teorie sul metamorfismo. Van Hise stabilisce due principali zone di metamorfismo nella crosta terrestre: quella superiore che chiama di catamor- fismo, divisible alla sua volta in due livelli, quello di altera- zione e quello di cementazione, e la zona più profonda o infe- riore che chiama di arnamorfismo. La prima zona dalla superficie terrestre giungerebbe a 10000 o 12000 metri di profondità, e al disotto di tale limite si avrebbe la zona dell’anamorfismo. Nella zona dell’anamortismo le principali reazioni chimiche prodotte dalla pressione sarebbero la silicizzazione, la disidra- tazione e la disossidazione. (1) Monographs of the United States geol. Survey, vol. XLVII, 1904. SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 683 Per la silicizzazione van Hise adduce, come fatto indiscusso ed illustrativo del processo, la formazione di silicati prodotti dall'azione della silice sui carbonati. Per la disidratazione l’autore così si esprime (1): The combined water is actually squeezed out of the hydrated mineral particles, trasforming them to less hydrous and to anhydrous forms ina manner similar to that in which free water is pressed from a sponge. A riguardo della disossidazione prodotta dalla pressione l’autore la ritiene incerta di fatto, ma teoricamente possibile. Infatti egli scrive (2): Whether or not pressure in the zone of anamorphism is sufficient to deoxydize compounds is uncertain. Certainly it can not be asserted that the pressure is sufficient to squeeze out a part of the oxygen of hematite, thus tranforming it to magnetite. Ma poi nel capitolo della disossidazione, dove parla di tale processo, prodotto da agenti riduttori quali le so- stanze organiche, l’autore scrive (3): /n the above paragraph it is supposed that deoridation takes place only if a reduciny agent be present. There is no evidence that the pressure may be so great that origen is squeezed out because of the demand for decreased volume, although such a reaction is theoretically possible if the pressure were high enough. Quindi si scorge che van Hise ritiene come teoricamente possibile che la pressione possa scacciare l’ossigeno da un ossido; a tale idea non arrivò finora alcuno dei sostenitori della potenza della pressione nei processi chimici. Esaminiamo ora se le esperienze comprovano l’ipotesi che la pressione da sola possa produrre la silicizzazione, la disidra- tazione e la disossidazione. Van Hise non indica quanta pressione sarebbe necessaria per produrre gli indicati effetti chimici; ma, ritenendo egli che dette reazioni sieno possibili dove comincia la zona dell’ana- morfismo, si può dedurre la pressione dalla profondità della (1) Loc. cit., pag. 169. (2) Loc. cit., pag. 169. (3) Loc. cit., pag. 676. 684 GIORGIO SPEZIA zona, avendo l’autore detto (1): che ha calcolato che la super- ficie superiore della zona dell’anamorfismo è ad una profondità non maggiore di 10000 a 12000 metri. Quindi prendendo la quota anche di 12000 metri, si può stabilire quale sarebbe la pressione in atmosfere esercitata a tale profondità dagli strati rocciosi, e ponendo come peso spe- cifico medio delle rocce 2,8, la pressione a 12000 metri si può ritenere di 3400 atmosfere in cifra tonda. Ora le esperienze si possono eseguire ad 8000 atmosfere di pressione anche colla durata di parecchi mesi senza che in- tervengano negli apparecchi effetti di deformazione tali che in- fluiscano nell’esperienza. È bensì vero che vi sono sperimentatori che parlano di esperienze eseguite anche con la pressione di 20000 atmosfere, come lo Spring. che può dirsi l’iniziatore dello studio sugli effetti chimici e fisici della pressione. Detto sperimentatore ha adoperato due apparecchi, nei quali vi era sempre un cilindro compressore d’acciaio, che comprimeva le sostanze nel foro di eguale diametro di un robusto recipiente pure d'acciaio; in un apparecchio la compressione avveniva per mezzo di una leva con azione diretta e nell’altro per mezzo di una vite. Ora adoperando l'apparecchio a leva lo Spring ha dichia- rato (2): che il compressore si rompeva alla pressione di 10000 atmosfere, e per l'apparecchio a vite ha detto (3): che, calcolando la pressione dalla lunghezza del braccio della chiave agente sulla vite, dalla forza applicata a tale braccio e dal passo della vite, la pressione doveva risultare di 30000 atmosfere, ma che egli la riteneva solo di 20000, essendo avvenuta una parziale rottura del compressore. Anzitutto si può osservare che se il solo calcolo teorico serve a stabilire la pressione in un apparecchio basato soltanto sull'azione di una semplice leva, esso non può servire per de- terminare la pressione in apparecchi, nei quali, come quello a vite, entra quale grave perdita di effetto utile l’attrito, che ) Loc. cit., pag. 657. 2) “ Bull. Ac. roy. Belgique ,, 2* serie, T. XLIX, pag. 843. 3) “© Bull. Ac. roy. Belgique ,, 3° serie, T. VI, pag. 585. SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 685 aumenta colla pressione. In questi casi la pressione utile si può dedurre soltanto o dalla misura diretta con un dinamometro o dal metodo di confronto sperimentale, che io ho indicato nella descrizione del mio apparecchio (1). Il cilindro compressore (piston di Spring) costituisce evi- dentemente il pezzo debole in questi apparecchi; perchè il la- voro risultante dalla forza motrice sia con impiego di azione diretta di leva, sia con sistema moltiplicatore di ruote ad in- granaggio, sia con viti, finisce sempre a concentrarsi sul ci- lindro compressore; quindi la possibile pressione, potendosi alla massa d'acciaio nel cui foro entra il compressore dare qualunque dimensione di resistenza, ha per limite la rottura del compres- sore; il quale limite dipende a sua volta dalla resistenza al carico di rottura per compressione dell'acciaio adoperato. Quindi a me pare che lo stabilire un effetto utile della pressione, quando il compressore è spezzato, diventa una sem- plice supposizione, e certamente non prova che si siano ese- guite esperienze con pressione utile di 20000 atmosfere. Inoltre se coi detti apparecchi si porta, come sempre av- viene per le nostre esperienze, la pressione oltre al limite di carico detto di sicurezza, nel qual limite il tempo non influisce, bisogna avvertire che quanto più la pressione si avvicina al carico di rottura tanto minore deve essere il tempo di durata dell'esperienza. E nelle mie esperienze, per la qualità dell'acciaio del compressore, ho potuto mantenere la pressione di 8000 atmo- sfere per alcuni mesi ed anche di 9500 atmosfere per un mese. Ritornando ora all'argomento di questo scritto, la pressione di 8000 atmosfere rappresenterebbe la profondità di rocce, am- messo il peso specifico sopra indicato, di 28000 metri in cifra tonda e le esperienze a tale pressione debbono avere valore per verificare le ipotesi di van Hise sugli effetti chimici prodotti dalla pressione nella zona dell’anamorfismo, ossia a 12000 metri di profondità. A riguardo della silicizzazione prodotta dalla pressione, essendo, secondo van Hise, caratteristica quella della formazione della wollastonite, facendo reagire la silice con carbonato cal- (1) “ Atti Acc. scienze di Torino ,, vol. XXXV, pag. 750. 686 GIORGIO SPEZIA cico, io non ho che a ricordare un mio lavoro (1), nel quale ho dimostrato che alla temperatura ordinaria la pressione di 6000 atmosfere durante circa un anno non dà traccia di rea- zione chimica fra la silice idrata ed il carbonato calcico. Inoltre ho aggiunto in appoggio all’esperienza il fatto, che nella gal- leria del Sempione si trovò un calcare ricco di quarzo e senza traccia di wollastonite, quantunque la pressione statica degli strati rocciosi inclinati sovrastanti al calcare dovessero, ridotti all'orizzonte, fornire la pressione non minore di 1000 atmosfere e continuativa per epoche geologiche. D'altronde anche Doelter (2) ha confermato il risultato delle mie esperienze dimostrando, che soltanto con alta tempe- ratura e non colla pressione si forma wollastonite facendo rea- gire quarzo e calcite. A riguardo della disidratazione prodotta dalla pressione, van Hise non stabilisce bene, se intenda parlare di acqua di cristallizzazione o di costituzione chimica. Ma dove (3) accenna ai minerali che si trovano nella zona dell’anamorfismo scrive: che praticamente tutti gli importanti silicati anidri sono ab- bondanti. Questi comprendono i feldispati, i pirosseni, gli anfiboli, il gruppo sodalite-leucite, i granati, le olivine, le sca- politi, gli epidoti, l’allanite, la chondrodite, l’andalusite, la sillimanite, la cianite, la staurolite, le tormaline, le miche, il cloritoide e l’ottrelite ,. Quindi l autore aggiunge che i silicati che hanno una maggiore quantità di acqua sono l’epidoto, la staurolite e le miche, mentre egli invece trascura il cloritoide e l’ottrelite che sono più idrati che l’epidoto e la staurolite. Ma ciò che importa è che l’autore asserisce che per l’epi- doto, la staurolite e le miche l’ordinaria condizione di compres- sione nella zona non era abbastanza forte per disidratare i detti minerali. Tale asserzione dimostra che van Hise estende l’effetto della pressione nella disidratazione, non soltanto al- l’acqua di cristallizzazione, ma anche a quella di costituzione (1) IZ dinamometamorfismo e la minerogenesi, © Atti Acc. Sc. Torino ,, vol. XL, pag. 698. (2) © Tschermak's Min. Mitt. ,, 1906, pag. 91. (3) Loc. cit., pag. 683. SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 687 chimica, tale essendo l’acqua contenuta nelle tre specie di si- licati contemplati. Quindi io ho eseguito alcune esperienze relative ai due di- versi modi in cui si trova l’acqua nei minerali. Ma debbo dichiarare che alla loro esecuzione si presentava una difficoltà per la specie di pressione, che dovrebbe esservi nella zona dell’anamorfismo. Van Hise ritiene che raramente nella zona dell’anamor- fismo vi sia pressione uniforme in tutti i sensi e che la pres- sione agisca invece in una sola direzione, sia cioè unilaterale. E un'ipotesi la quale servirebbe meglio a spiegare alcuni feno- meni fisici, p. es.: quello della plasticità delle rocce, che alcuni geologi ammettono come prodotta anche da pressione uniforme in tutti i sensi, interpretando non esattamente le note espe- rienze di Tresca. Questo sperimentatore dimostrò soltanto che i metalli di- ventano plastici quando la pressione non è eguale in tutti i sensi; infatti nel suo apparecchio al foro donde fluisce il me- tallo la pressione è soltanto quella atmosferica, ossia nulla in paragone dell’altissima pressione che comprime il metallo. Mentre se la pressione è uniforme in tutti i sensi, nessun metallo di- venta plastico e nessun corpo plastico diventa liquido, come ho dimostrato (1) colla esperienza sulla cera. Tale sostanza, secondo l’esperienza di Spring, con pres- sione in una sola direzione fluisce come l’acqua a 700 atmo- sfere di pressione; invece nelle mie esperienze, con pressione uniforme in tutti sensi, non diventa liquida neppure colla pres- sione di 9900 atmosfere per 12 giorni. Del resto anche lo stesso bismuto che allo stato solido ha una densità minore che nello stato liquido e quindi la pres- sione per la diminuzione di volume sarebbe favorevole alla li- quidità, non si liquefa, a temperatura ordinaria, se la pressione e uniforme in tutti i sensi. Col solito metodo io ho compresso in un piceolo recipiente del bismuto, sopra cui avevo posto un cilindretto di platino, il quale doveva pel maggiore peso specifico trovarsi al fondo del (1) Sopra alcuni presunti effetti chimici e fisici della pressione uniforme în tutti i sensi, “ Atti Acc. Sc. Torino ,, vol. XLV, pag. 532. 688 GIORGIO SPEZIA recipiente se il bismuto diventava liquido. La pressione fu per 48 ore di 9000 atmosfere; ma il platino rimase al suo posto. A mio avviso la pressione statica delle masse rocciose «deve, coll’aumentare della profondità, dare luogo a una pressione, la quale intorno ad un minerale dovrebbe essere eguale in tutti i sensi; ed anche van Hise ammette la stessa specie di pres- sione nel caso, da lui ritenuto raro, che le rocce siano compresse entro i limiti di elasticità; infatti scrive (1): “ che nella zona dell’anamorfismo se la pressione è nei limiti di elasticità essa rimane la stessa in tutte le direzioni di una particella mine- rale e quindi tale condizione si avvicina a quella idrostatica ,. Ciò posto mi fu difficile comprendere una disidratazione con una pressione eguale in tutte le direzioni, perchè non si capisce dove andrebbe l’acqua, che dovrebbe schizzare fuori dal mi- nerale idrato, come da una spugna, secondo il paragone di van Hise; e l’unica ipotesi per l’esperienza mi parve quella di ammettere che il minerale idrato fosse circondato da un mate- riale minerale anidro, che avesse finissimi meati, nei quali si infiltrasse l’acqua del minerale idrato scacciata dalla pressione. Partendo da tale ipotesi io eseguii contemporaneamente un’esperienza sull’allume di rocca, sull’alabastro gessoso e sulla limonite. | Da un cristallo di allume e da un pezzo di alabastro ho foggiato due cilindri del diametro di circa un centimetro e del. l'altezza di due; e della limonite presi un piccolo frammento. Detto materiale fu posto nel foro di un cilindro d'acciaio in- sieme a fina polvere di quarzo ben asciutta, la quale circondava con un certo spessore ognuno dei preparati di allume, alabastro e limonite. In tal modo ho condotto l’esperienza colla condizione pre- suntiva di supporre che l’acqua, scacciata dai detti corpi idrati, trovasse posto fra i minimi granuli di quarzo, prima che fosse raggiunta la massima pressione che avrebbe forse dato l’imper- meabilità alla massa quarzosa. Con la detta disposizione del materiale nel cilindro d'acciaio, questo col relativo compressore fu posto sotto la macchina &@ (1) Loc. cit., pag. 671. SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 689 pressione descritta in altro lavoro (1); e la pressione fu di 8000 atmosfere continuativa per 8 mesi, e la temperatura oscillò da 15° a 24°. Trascorso tale tempo esaminai il risultato dell’esperienza. Il frammento di limonite riscaldato in un tubo dava ancora molta acqua e ridotto in polvere questa aveva il color giallo dell’idrossido di ferro. Per l’allume e l’alabastro ritenni oppor- tuno di fare una determinazione quantitativa dell’acqua ed ot- tenni che l’allume aveva 45,25 %, di acqua. Ora la formola chimica rappresentante l’allume di rocca essendo K?*A1?(S04)1-+ +24H?0, dà 45,55% di acqua. Quindi trascurando la piccola differenza, forse dovuta al materiale adoperato, tanto più che il cristallo di allume, dal quale foggiai il cilindro per l’esperienza, non era perfettamente limpido, si può asserire che l’allume non perdette acqua per la pressione. Per l’alabastro, avendo ancora un frammento di quello ado- perato per l’esperienza, potei fare due determinazioni di con- fronto per l’acqua. Per l’alabastro non compresso trovai 21,01 °/o di acqua e per quello sottoposto alla pressione 20,92 0/o, quindi la piccola differenza di 0,09 permette ancora di dichiarare che l’alabastro non si sia disidratato; ed in complesso, considerando i risultati ottenuti colla limonite, coll’allume e coll’alabastro gessoso, si può affermare che la pressione di 8000 atmosfere durante 8 mesi e uniforme in tutti i sensi, non scaccia l’acqua di cristallizzazione, la quale viene invece facilmente eliminata dalla temperatura. Il van Hise, a proposito dell’azione della temperatura nella disidratazione, in un capitolo dove conferma l’effetto della pres- sione citando come esempi il passaggio della limonite ad ema- tite, del gesso ad anidrite, dell’opale a quarzo, e della gibbsite a corindone, egli scrive (2): “indubbiamente anche l'aumento “ di temperatura colla profondità promuove la disidratazione, “ ma senza esperimenti definitivi è impossibile di stabilire quan- “ titativamente la importanza relativa della pressione e della “ temperatura nella disidratazione ,. (1) “ Atti Ace. Scienze Torino ,, vol. XXXV, pag. 750. (2) Loc. cit., pag. 680. 640 GIORGIO SPEZIA Ora a me pare che l’importanza relativa della pressione e della temperatura nella disidratazione sia ben dimostrata dal fatto, che nell’allume e nell’alabastro gessoso non avviene dis- idratazione a temperatura ordinaria colla pressione di 8000 at- mosfere durante 8 mesi; mentre si sa che l’allume perde tutta l’acqua riscaldandolo per 120 ore a 100° in una corrente d’aria ed il gesso si disidrata mantenendolo a 100°. Ma un altro fatto che dimostra l’importanza della tempe- ratura nella disidratazione è quello che Ja temperatura produce la disidratazione anche in presenza dell’acqua. Infatti due pezzi dello stesso alabastro, adoperato nella sopraindicata esperienza, posti nell'acqua distillata e riscaldati in un autoclave a 150°, in tre giorni si disidratarono completamente. In una mia esperienza fatta per altri scopi ebbi occasione di riscaldare della limonite nell'acqua alla temperatura di 330° e trovai che essa sì era mutata in ematite. Perciò ho ripetuto ora l’esperienza, collo scopo diretto della disidratazione dell’os- sido idrato di ferro, adoperando invece della limonite la gothite, sia perchè essa ha una composizione chimica più costante, sia perchè l’acqua in essa è da ritenersi di costituzione chimica. Alcuni frammenti di cristalli di géthite furono sottoposti colla polvere di quarzo, analogamente all’esperienza coll’allume e coll’alabastro, alla pressione di 9500 atmosfere per 26 giorni, e temperatura di 15°, ed altri frammenti di cristalli, presi, s'in- tende, dallo stesso esemplare di gothite, furono riscaldati nel- l’acqua in un autoclave alla temperatura da 320° a 330° per 7 giorni. La gothite adoperata conteneva 10,16 % di acqua; e de- terminata l’acqua dei cristalli che erano stati sottoposti alla pressione e tempo sopraindicati, trovai che contenevano 10,13 9/, di acqua, e la trascurabile differenza di 0,03 °/ è forse dovuta alla presenza di minime tracce di polvere di quarzo, che 10 non potei staccare totalmente dalla gothite, essendosi infiltrata fra le fibre per l'enorme azione fisica della pressione. Invece determinata l’acqua dei cristalli di géothite, sotto- posti ad alta temperatura nell’acqua, trovai che la quantità di acqua era ridotta a 0,13 /; ossia, aumentando la temperatura o il tempo, la disidratazione sarebbe stata completa. E si noti che la disidratazione avvenne non ostante che SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 601 nell’autoclave vi fosse stata la pressione di circa 135 atmosfere corrispondente alla tensione del vapore acqueo alla temperatura di 330°. Ciò dimostra evidentemente come l’effetto prodotto dal calore agente quale forza molecolare sia enormemente superiore a quello prodotto dalla pressione. E per me è fuori dubbio che se la githite fosse sottoposta nell'acqua alla pressione anche di 10000 atmosfere, alla temperatura ordinaria non si disidra- terebbe; mentre la disidratazione avverrebbe anche con mag- giore pressione se la temperatura fosse di 330°. Anche il Ruff (1), dalle sue esperienze sugli effetti della pressione e della tempe- ratura nella trasformazione dei vari ossidi idrati di ferro, con- chiuse: che egli non potè ottenere un ossido anidro al disotto di 100° e con una pressione che egli stimò di 5000 atmosfere. Quindi appare gratuita l’asserzione di van Hise che non sia ancora stabilita l’importanza relativa della pressione e della temperatura nella disidratazione. Per la disossidazione sarebbe stata inutile un’esperienza; perchè la chimica sinora ha sempre indicato come causa di dissociazione di molti ossidi soltanto la temperatura e non la pressione; ma avendo van Hise dichiarato come teoricamente sia possibile la disossidazione se la pressione è elevata, ho cre- duto bene di fare due esperienze. Anche per la loro esecuzione mi si presentò la difficoltà analoga a quella per la disidratazione, che cioè non compren- devo come potesse avvenire la disossidazione e la sfuggita del- l'ossigeno, se la pressione a grande profondità nella crosta ter- restre deve ritenersi uniforme in tutti i sensi. Ma credetti di risolvere il problema sperimentale suppo- nendo un ossido al contatto di un metallo più avido di ossigeno di quello costituente l’ossido, il quale metallo dovrebbe prendere l'ossigeno scacciato dalla pressione. Perciò preparai una mescolanza di polvere di Cu0O con fine limatura di magnesio metallico, talchè se la pressione avesse scacciato l'ossigeno dall’ossido cuprico si avrebbe avuto rame e l'ossigeno unendosi al magnesio avrebbe dato luogo all’ossido di magnesio. A' vantaggio di tale supposta reazione stava anche il fatto che la somma dei volumi molecolari di Cu0 e di Mg è (1) “ Berichte der deutsc. chem. Gesellschaft ,, 1901, pag. 3422. 692 GIORGIO SPEZIA molto maggiore di quella dei volumi molecolari di Cu e Mg0, quindi la pressione che doveva produrre la reazione sarebbe stata favorita dalla diminuzione di volume. La indicata mescolanza di CuO e di Mg. posta in un ci- lindro di lamina di stagno fu compressa nel modo usato per le altre esperienze e la pressione fu di 9500 atmosfere durante 30 giorni, e temperatura di 15°. Ma non ottenni traccia di rea- zione chimica, nel duro e compattissimo cilindro, ottenuto per l’azione fisica della pressione; i granuli della limatura di ma- guesio brillavano di bianco splendore metallico nel nero colore dell’ossido cuprico. Un'altra analoga esperienza ho eseguita comprimendo l'os- sido cuprico Cu0O con un metallo molto più ossidabile che il magnesio, il potassio. Per questa esperienza dovetti usare una diversa disposizione; non potendo adoperare limatura di potassio, operai in modo che nel mezzo della polvere di Cu0, posta nel cilindro di lamina di stagno, vi fosse una cavità cilindrica; quindi in un pezzo di potassio ho fatto penetrare un foratappi, scacciai fuori da questo il cilindretto di potassio formatosi, e facendolo andare nella: cavità della polvere di Cu0O, lo coprii colla medesima polvere. L'operazione fu eseguita il più rapida- mente possibile onde evitare che un leggero velo di ossidazione sul potassio prodotto dall’aria impedisse il perfetto contatto fra il metallo e la polvere di Cu0. Poi il tutto, nel consueto modo, fu posto nell’apparecchio di pressione, la quale fu di 9500 at- mosfere per 30 giorni, con la temperatura di 18°. Il risultato dell’esperienza fu che, segato sotto petrolio il cilindro ottenuto per la compressione, comparve lo splendor metallico del potassio interno circondato dallo strato nero di CuQ divenuto compattissimo, ma con nessuna traccia nel contatto, nè di rame nè dell’'ossidulo Cu?0. Si noti che anche in questa esperienza la somma dei vo- lumi molecolari dell’ossido cuprico e del potassio è maggiore di quella del rame e l’ossido di potassio; ossia il presunto ef- fetto della pressione sarebbe stato favorito dalla diminuzione di volume. Le dette due esperienze, oltre al dimostrare insussistente la possibilità teorica ammessa da van Hise che la pressione possa scacciare l'ossigeno da un ossido, provano anche quanto SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI. ECC. 693 sia insostenibile l’affermazione di molti autori che la pressione da sola produca reazioni chimiche quando la somma dei volumi molecolari dei corpi, he reagiscono fra loro, sia maggiore della somma dei volumi molecolari dei prodotti della reazione. La ilegge di van’t Hoff che “ un aumento di pressione favorisce il sistema col volume più piccolo , non può interpretarsi che la pressione da sola produca una reazione chimica. L’affinità chimica è la causa predisponente di reazione, ma la vera causa efficiente di questa è la temperatura; e la pres- sione non può fare altro che influire in certi casi sui volumi, a seconda del rapporto fra i volumi molecolari, dei corpi che reagiscono fra loro e quelli dei prodotti della reazione, ma sol- tanto a partire dal limite dove comincia l’effetto della tempe- ratura. Ossia l’azione modificatrice della pressione uniforme in tutti i sensi sia nella solubilità, sia sul punto di fusione, sia nelle reazioni chimiche non può svilupparsi prima del movi- mento atomico o molecolare prodotto dal calore, nello stesso modo che in una macchina le cause di variabilità delle resi- stenze producono i loro effetti solo quando essa è in movi- mento; ed in conclusione io sono convinto per le molte espe- rienze eseguite che, s'intende sempre nei corpi solidi, la pressione uniforme in tutti i sensi da sola senza il calore non produce nè solubilità, nè fusione, nè reazioni chimiche. Dal complesso quindi delle riferite esperienze e delle pres- sioni adoperate si scorge che le tre essenziali reazioni, le quali, secondo van Hise, sarebbero prodotte dalla pressione alla pro- fondità di 12000 metri stabilita per la zona dell’anamorfismo, non possono avvenire neppure alle profondità di 21000 metri per la silicizzazione, nè a 25000 per la disidratazione, nè a 28000 per la disossidazione. E si può affermare che le ipotesi di van Hise potranno sussistere soltanto per quelle profondità, dove la presunta energia chimica della pressione statica, non potendo essere nei suoi effetti controllata da esperienze, trova appoggio nell’immaginazione. Ma non si comprende come anche per le profondità, dove l'ipotesi potrebbe sussistere per l'impossibilità della sua verifica, si ricorra alla pressione per i processi chimici e non alla tem- peratura; mentre soltanto a 21000 metri di profondità, dove 694 GIORGIO SPEZIA l’esperienza dimostra nullo l’effetto chimico della pressione, si avrebbe, col gradiente geotermico di 1° ogni 30 metri, la tem- peratura di circa 700°, la quale, unita 1 fattore geologico il tempo che funziona da integrante di minimi effetti, è più che sufficiente per numerosissime reazioni chimiche inerenti alla ge-, nesi dei minerali. Il van Hise ritiene anche si debba spiegare la genesi dei minerali in base alla profondità nella crosta terrestre, attri- buendo alla pressione esistente nelle varie zone determinate specie di minerali. È un concetto analogo a quello di Becke, quale, dando importanza alla temperatura interna della terra, stabilisce due livelli di profondità ai quali sarebbero proprii speciali minerali a seconda della temperatura. Ma se l’idea del Becke ha ragione di essere ammessa in linea generale, perchè anche le esperienze dimostrano che dal grado di temperatura dipendono le reazioni chimiche, è certo che rimane insostenibile la divisione proposta dal van Hise in base alla pressione. Infatti la divisione dei minerali che van Hise pone per le due zone del catamorfismo e dell’anamorfismo è tale che l’os- servazione topografica mineralogica e lo studio della paragenesi dei minerali non le dànno alcun appoggio. Per es.: van Hise pone fra i minerali caratteristici della zona dell’anamorfismo (1), escludendoli dalla zona superiore del catamortfismo, la pirite, l’ematite, il gruppo dei feldispati, i gra- nati e la staurotide; mentre il mineralogo trova tali minerali in perfetti cristalli anche in rocce fossilifere, nelle quali i fossili ben conservati, non dimostrano di avere subìto gli effetti della pressione esistente nella zona dell’anamorfismo. Van Hise dà poi una grande importanza alla pressione am- mettendo che per essa si debbano formare soltanto i minerali di alto peso specifico. Per es.: a proposito della differente forma cristallina dell’anidride silicica, egli ritiene che la pressione sia la causa influente del presentarsi in forma di quarzo o di tridimite; ed asserisce (2): “ che la tridimite, avendo un peso (1) Loc. cit., pag. 363. (2) Loc. cit., pag. 185. SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 695 specifico minore del quarzo, si trova soltanto nelle lave super- ficiali, mentre a grandi profondità si trova solo il quarzo ,. Ora il petrografo potrebbe chiedere all’autore perchè la tridimite esiste pure nelle trachiti quarzifere e perchè in dette .trachiti anche superficiali il quarzo sia di molto più diffuso e sia un costituente principale di dette rocce, invece che la tri- dimite è un raro minerale accessorio, giacente in piccole druse della roccia. E per la grande influenza che avrebbe la pressione sul peso specifico van Hise asserisce (1) che lo sviluppo dei minerali di debole peso specifico vicino alla superficie e di alto peso spe- cifico in profondità ha una diretta importanza nella cristalliz- zazione di magma; mentre il Vogt (2) dimostrò con esperienze che nella struttura dei magma di rocce profonde la ragione sia da cercarsi nel tempo e non nella pressione. D'altronde che la pressione non abbia l'influenza, che le attribuisce van Hise, sullo sviluppo dei minerali rispetto al loro peso specifico è provato dal fatto che i più profondi banchi costituiti da carbonato di calcio sieno formati da calcite che ha il peso specifico di 2,72 invece di essere di aragonite che ha il peso specifico di 2,92, quantunque van Hise consideri tale fatto contrario alle sue teorie come un’eccezione e lo spieghi in altro modo. Egli (3) trova la ragione del caso eccezionale nell’equilibrio cristallino, asserendo che per la disposizione sim- metrica, le molecole della calcite resistono di più di quelle del- l’aragonite, ma aggiunge ‘che a grandissima profondità la caleite dovrebbe mutarsi in aragonite. Tale osservazione mi condusse naturalmente ad eseguire un'esperienza sui presunti effetti della pressione nella trasfor- mazione della calcite in aragonite. Io ho ridotto in polvere frammenti di spato d'Islanda e frammenti di cristalli di aragonite; quindi le due polveri furono poste nello stesso apparecchio di pressione separandole fra loro con un disco di lamina di piombo; in tal modo subivano l'ef- (1) Loc. cit., pag. 185. (2) £ Tschermak's Min. Mitt. ,, 1908, pag. 176. (3) Loc. cit., pag. 246. i 696 GIORGIO SPEZIA fetto della stessa pressione, e questa fu di 7000 atmosfere du- rante 6 mesi, con temperatura varia da 15° a 25°. Dall'esperienza ottenni due cilindri compattissimi; stacca- tone un frammento da ciascuno di essi e ridottolo in polvere lo sottoposi al trattamento di Meigen, ossia lo riscaldai in un tubo d'assaggio con soluzione di nitrato di cobalto; or bene la calcite rimase perfettamente bianca e l’aragonite prese il ca- ratteristico colore violetto. Ossia l’esperienza dimostra, che la calcite non si trasfor- merebbe in aragonite neppure alla profondità di 24000 metri, e come sia priva di probabilità l'ipotesi di van Hise, esposta per il caso contrario alle sue teorie, che la struttura cristallina della calcite sia tale da resistere alla pressione della zona del- l'’anamorfismo, ma che a maggior profondità debba cambiarsi in aragonite. E tale esperienza credo possa anche autorizzare a ritenere molto ipotetica l'affermazione di van Hise a proposito della trasformazione per pressione della marcassite in pirite; egli dichiara (1) che: “ se le rocce vicine alla superficie, nelle quali “ si è formata la marcassite, sono sepolte a grandi profondità “ per la sovrapposizione di strati, la marcassite formatasi an- “ tecedentemente si cambia in pirite ,. E lo stesso dicasi per molte provenienze dei minerali, sta- bilite da van Hise nelle sue tavole Sowrces of minerals (2) in base alla diminuzione di volume prodotta dalla pressione, sia direttamente nei minerali anidri, sia per la disidratazione in quelli idrati; e p. es.: che il rutilo derivi dall’ottaedrite e dalla brookite, ed il corindone derivi dal diasporo e dalla gibbsite. Volendo parlare dell'origine dei minerali non si può fare astrazione dallo sviluppo di essi e della loro diffusione nella crosta terrestre. Il dire che il rutilo provenga per diminuzione di volume dall’ottaedrite e dalla brookitc è in opposizione, sia al fatto che il rutilo è più diffuso e si presenta in cristalli molto più grossi che gli altri due ossidi di titanio, sia all’os- servazione che il rutilo fu trovato anche originario in rocce (1) Loc. cit., pag. 215. (2) Loc. cit., pag. 369. SUPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI CHIMICI, ECC. 697 eruttive non alterate, mentre finora tale giacitura è sconosciuta per l’ottaedrite e la brookite. D'altronde la diffusa descrizione fatta dal Bauer (1) delle rare paramorfosi di brookite e di ot- taedrite in rutilo, autorizza soltanto a ritenere la forma del ru- tilo come rappresentante l'equilibrio cristallino più stabile del- l'anidride titanica, ma non prova che della paramorfosi sia causa la pressione. Parimenti l'affermazione, che il corindone, che è assai più diffuso e si trova in cristalli molto più voluminosi che non la gibbsite ed il diasporo, provenga da questi due minerali, è evi- dentemente contraria a quanto si conosce sulla presenza in na- tura del corindone. Le osservazioni in natura dimostrano che la formazione dei minerali non può avere per causa diretta efficiente la pres- sione, la cui piccola influenza di accelerazione o di ritardo nelle reazioni chimiche, nella solubilità e nel punto di fusione, può essere modificata da una variazione di temperatura, ma è do- vuta ad altri fattori. Lo studio della giacitura dei minerali che ci presenta cristalli di quarzo nelle trachiti ed anche nelle concamerazioni di ammoniti fossili, cristalli di albite nei graniti ed anche nei calcari a foraminifere, cristalli di granato nelle rocce vulcaniche ed anche negli schisti con belemniti, ecc. ecc., prova ad evi- genza come la genesi dello stesso minerale possa dipendere da svariatissime cause. La temperatura, il tempo, le singole proprietà degli ele- menti, la loro reciproca affinità, la presenza di azioni catalitiche, le forze elettriche, lo stato di saturazione delle soluzioni, ecc. ecc. costituiscono un complesso di cause, le quali agendo anche so- vente insieme danno effetti differenti a seconda del rapporto del loro concorso, e tale complesso fa della minerogenesi na- turale un campo di studio ancora molto oscuro, poca essendo la luce data dal progresso della sintesi artificiale dei minerali. E sebbene van Hise nel suo trattato per meglio avvalorare le sue teorie ne faccia l'applicazione alla genesi di molti mi- nerali ed alle loro alterazioni, aggiungendo un gran numero di (1) £ Neues Jahrbuch f. Min. u. Pal. ,, 1891, vol. I, pag. 217. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 45 698 GIORGIO SPEZIA — SOPRA ALCUNI PRESUNTI EFFETTI, ECC. formole e reazioni chimiche fra i minerali col calcolato cambia- mento di volume che si produrrebbe (1), tuttavia tale lavoro, lodevole per la necessaria pazienza di esecuzione, non persuade. Il mineralogo, che abbia studiato i minerali in riguardo della loro giacitura, paragenesi e diffusione nella crosta terrestre, non può accettare le teorie geologiche di van Hise riflettenti gli effetti chimici della pressione, essendo esse fondate sopra ipotesi mancanti di conferma, sia sperimentale, sia di rigorosa osservazione dei fatti naturali. E dette teorie, nella grande serie di argomenti geologici considerati dall'autore ed arricchita di numerosi concetti di altri autori citati con diligente bibliografia, portano nella geniale ed erudita opera di van Hise alcune idee più attinenti alla geologia trascendentale, che a quella speri- mentale. . (1) Loc. cit., pag. 369-403. L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. 699 CLASSI UNITE Adunanza del 14 Maggio 1911. PRESIDENZA DI S. ECC. IL COMM. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: CamerANO, Vice Presidente dell’Accademia, NAccarI, Direttore della Classe, D’OvIpio, SEGRE, JADANZA, Foà, GuAREScHI, GUIDI, FiLeti, PARONA, MATTIROLO, GRASSI, SoMIG@LIANA, FusARI, BALBIANO; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Manno, Direttore della Classe, Rossi, CrroLLa, Pizzi, RUFFINI, SrAMPINI, SrorzAa, ErnAaupi, BauDI DI VESME, SCHIAPARELLI © De Sanoris, Segretario. — È scusata l’assenza del Socio RENTER. Invitato dal Presidente, il Socio Foà legge la commemo- razione del defunto Socio Mosso, la quale sarà inserita negli Atti accademici. La lettura è accolta da vivi applausi, e il Pre- sidente ringrazia con calde parole l’oratore. Il Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza antecedente a Classi Unite, 23 aprile 1911, che viene approvato. Il Socio Tesoriere dà lettura del Conto Consuntivo dell’Eser- cizio 1910, del Bilancio Preventivo per l’ Esercizio 1911 e dei conti dei fondi dei premi. Questi Bilanci sono approvati con voto unanime. Invitato dal Presidente, il Socio CAMERANO, Segretario della 1à giunta del XVII premio Bressa (internaz., quadr. 1907-1910), legge la relazione intorno alle opere che possono venire consi- 700 derate pel.premio. Il Presidente chiede ai Soci se abbiano nuove proposte a fare, ma nessuno prendendo la parola, dichiara chiuso il periodo delle proposte a tenore dell’art. 3° del Regolamento interno pel conferimento del premio Bressa. A norma dell’art. 4° di detto Regolamento si procede poi alla nomina della 2? giunta pel premio stesso. Le Classi votano separatamente a schede segrete. Riescono eletti, per la Classe di scienze fisiche, i Soci: CAmeRANO, NACccARI, GUARESCHI, SOMI- GLIANA e SEGRE; per la Classe di scienze morali i Soci: RENIER, De Sanctis, Sforza, RUFFINI e STAMPINI. —_—__—_——_—_—_—y»——T——€———&6& FIO FOÀ — ANGELO MOSSO COMMEMORATO 701 ANGELO MOSSO Commemorazione letta all'Accademia delle Scienze di Torino nella seduta a Classi Unite del 14 maggio 1911 dal Socio Prof. PIO FOÀ Nel decennio fra il 1860 e il 1870 il nostro Paese atten- deva con un fervore, che sembrava derivasse da quello stesso che mosse gli Italiani alla conquista della unità e dell’indipen- denza politica, al proprio rinnovamento scientifico e culturale in genere, accogliendo con sentimento di ammirazione e di emu- lazione ogni barlume di civiltà nuova, ogni nuova corrente di idee, come per rifarsi in breve tempo della minore attività cui l'avevano condannata i regimi antecedenti. Se il grande moto politico riempiva gli animi di un esal- tato nazionalismo, il nuovo moto scientifico trovò, invece, animi eclettici e propensi ad accogliere avidamente ogni corrente in- ternazionale, e poichè il predominio quasi assoluto delle scienze sperimentali nella 2* metà del secolo decimonono era dovuto alla Germania, noi vedemmo, a scopo di scienza e di cultura, la nostra gioventù cercare con ogni sollecitudine di apprendere quella lingua e quella letteratura tedesca, che nelle scuole era negli anni precedenti odiata e respinta perchè imposta sotto il dominio straniero. Vedemmo insegnanti tedeschi, o derivati dalle scuole germaniche, essere devotamente accolti tra noi come fossero importatori di civiltà, accettando da essi qualunque stranezza, persino qualunque impertinenza, che non era infrequente, pur di ottenere l’introduzione dei metodi nuovi di ricerca o l’indizio di quelle correnti d’idee che erano predo- minanti nella loro patria. La nostra gioventù era, a sua volta, spinta ad emigrare nelle scuole tedesche, di dove talvolta ritor- nava smarrita o sfiduciata per l'enorme distanza nella organiz- zazione scientifica tra l'estero e le scuole patrie. Un improvviso bisogno vivamente sentito di introdurre come che fosse un ele- mento nuovo e progressivo nelle nostre scuole superiori, creò 702 PIO FOÀ un personale insegnante ancora immaturo, ma tuttavia animato da spirito di conquista nel campo scientifico, e fra quelli il Paese nostro ha trovato anche i propri luminari che hanno fatto scuola e che hanno mantenuto ciò che avevano promesso, con- tribuendo largamente a redimere la nostra gioventù da uno stato di soggezione eccessiva verso le scuole estere, e dando ad essa la coscienza del proprio valore personale. Interessante fu il pe- riodo di trasformazione nell’indirizzo delle nostre scuole a quei tempi, in cui, mentre il nazionalismo politico era all'avanguardia del progresso, il nazionalismo didattico-scientifico era invece sinonimo di regresso, di empirismo o di senile impotenza di fronte alle audacie del rinnovamento che si veniva poco a poco maturando. Il tempo ha eliminato spontaneamente gli ultimi avanzi di un prossimo passato poco glorioso, e la vivace intra- prendenza dei giovani ha finito col ricevere il consenso universale, coll’impareggiabile vantaggio di preparare un terreno sgombro di preconcetti, e di creare scuole ove colla prevalenza assoluta del metodo sperimentale hanno predominio la bontà della ricerca e il valore personale dei ricercatori. È in quel periodo di pre- parazione e di lotta, di tradizionalismo morente e di audace rinnovamento, che si è formato Angelo Mosso. Egli era nato a Torino nel 1846, e tosto fu portato a Chieri dalla sua umile famiglia di falegnami. Percorse le scuole elementari e il gin- nasio a Chieri, e gli anni di liceo li passò parte a Cuneo, parte ad Asti mercè un sussidio. Fu spesso uno scolaro irrequieto, e si dovettero pregare le autorità scolastiche per la sua riaccet- tazione in quella scuola d’onde era stato dispensato. Nella bot- tega di suo padre fece quellavoro manuale, direi quell’esercizio del senso tattile e muscolare, che gli fu poi tanto vantaggioso nella vita di laboratorio, la quale ha necessità di tecnica operativa, e spesso è in contrasto colla deplorabile mancanza di prepara- zione materiale in chi lo deve frequentare e usufruire. La povertà che tende ad estinguere o a pervertire le anime deboli, e rinvigo- risce, invece, le forti, ha temprato in Mosso un uomo d’azione senza risparmio, e lo vediamo già di forza eccezionale quando dopo il primo biennio di Università a Torino, ebbe col favore dei Proff. De-Filippi e Moris che lo stimarono, l’incarico del- l'insegnamento delle scienze naturali al liceo di Chieri, il che l'obbligò a percorrere a piedi ad ogni stagione varì giorni la ANGELO MOSSO COMMEMORATO 703 settimana il tratto da Chieri a Torino attraverso la collina. Fu allievo al “ Mauriziano , mentre faceva il 5° anno di medicina, e si laureò nel luglio del 1870 con una dissertazione “ intorno all’accrescimento delle ossa ,. Successivamente fu per poco me- dico di battaglione, e nel 1871 con un posto di perfezionamento all’interno si recò a Firenze presso il Prof. Maurizio Schiff, dove ha compiuto le sue prime ricerche sperimentali, Io lo conobbi in quel laboratorio nel novembre e dicembre del 1872, e ricordo di lui l'esempio di costante, ininterrotta operosità, e l'avidità sua a divenire signore della sua materia. Facile all’entusiasmo, vivace di modi, clamoroso e felice narra- tore di aneddoti, d’indole socievole, era gradito per il suo con- versare, ed era facile presagire in lui il futuro conquistatore del suo bravo posto nel mondo. Fu nel 1873 che venne per qualche tempo a Firenze, nel laboratorio di Schiff, Giulio Ceradini reduce dalle scuole di Heidelberg e di Lipsia, ove aveva compiuto un lavoro sul mec- canismo delle valvole aortiche che gli aveva meritato gli elogi di sommi maestri della fisiologia, e, signore com'era del metodo grafico e in genere della fisica fisiologica, fece presen- tire a Mosso la superiorità metodica della scuola di Ludwig, che egli aspirava a frequentare, e fu in quel tempo e sotto la ispirazione diretta del Ceradini che il giovine Mosso ha eseguito il suo primo lavoro sui movimenti dell'esofago, che fu a così dire la sua carta di presentazione nel mondo scientifico tedesco. L'anno appresso, cioè nel 1874, ottenuto il posto di perfeziona- mento all’estero, si recò appunto a Lipsia nel laboratorio del Prof. Ludwig, ove ebbe a maestro più diretto nei lavori grafici il Kronecker, col quale strinse una durevole amicizia. Così fu paga la grande aspirazione del giovane nostro fisiologo che fin allora aveva tentato i primi studi sperimentali di fisiologia con metodi meno perfezionati e bramava di continuarli nella più ce- lebrata scuola del mondo. Due anni di seguito andò all’estero il Mosso ed ebbe contatto coi volonterosi giovani ricercatori che da ogni parte del mondo convenivano in quegli anni a Lipsia, e che poi divennero personaggi illustri nei loro paesi, serbando sempre col nostro Italiano quei rapporti di collegialità e di amicizia che gli hanno facilitata la espansione dei propri lavori e della propria rinomanza. 704 PIO FOÀ E di questi anni l’acquisto che il Mosso veniva facendo di quel concetto meccanico della vita che era ampiamente profes- sato nelle nuove scuole tedesche, e che era un più ampio svi- luppo di quello che il fisico fisiologo napoletano Borelli aveva già introdotto nella medicina nel secolo XVII, creando la scuola che fu chiamata Jatro-matematica. Il Mosso andò vieppiù svol- gendo quelle attitudini tecniche, quella facilità di comporre con- gegni e apparecchi che fu una delle sue note caratteristiche, e che verosimilmente, come già ho rilevato, risaliva agli antichi elemen- tari lavori che fanciullo e giovinetto eseguiva nella bottega di fa- legname. Durante le ferie frequentava intanto il laboratorio di fisiologia di Moleschott, le cui lezioni aveva seguito negli anni pre- cedenti, quando tutto il nostro mondo scientifico e professionale, parte per l’attrattiva che egli esercitava come straniero geniale, parte per le tendenze predominanti delle correnti materialistiche a quel tempo, parte per la acuta curiosità dei fenomeni biologici popolarmente esposti, era convinto di trovare nel celebre fisio- logo Olandese la più alta e la più sicura espressione della scienza moderna. Il Mosso serbò affetto di allievo all’ illustre maestro, che gli fu largo d’incoraggiamento e di appoggio, e che con- temporaneamente allo Schiff rappresentava la reimportazione in Italia del metodo sperimentale, che fra le prime essa aveva introdotto nel mondo e non mai aveva interamente abbando- nato. Dopo Lipsia avrebbe potuto essere assistente ad Heidelberg o a Kiel, ma preferì visitare i laboratori francesi di Claude Bernard, di Ranvier e di Marey. Ritornato a Torino, il Govi, il Timmermans e il Bizzozero gli furono famigliari e presto divenne loro collega, assumendo, come incaricato, l' insegnamento della Materia Medica e Tera- peutica sperimentale nel novembre del 1875. In quella circo- stanza il Mosso lesse una prelezione in cui proclamava il pre- dominante valore dei fatti sulle interpretazioni e sulla loro applicabilità immediata, ed esprimeva il voto che sulle ceneri della cattedra si innalzasse il laboratorio. Si sentiva in queste parole il giovane fattivo di prevalente cultura tecnica, e insieme il combattente contro la vuota oratorietà cattedratica prevalsa in tempi non molto lontani dal suo. Il titolo di laboratorio aveva sopratutto il significato di scuola sperimentale, ma in tempi più maturi ed equilibrati si usò più esattamente il titolo comples- ANGELO MOSSO COMMEMORATO 705 sivo di Istituto per indicare quell’organico insieme di locali che comprende le parti ove si compiono varie sorta di ricerche e quelle ove si raccolgono libri, e altre dove si compiono funzioni accade- miche, più il laboratorio propriamente detto ove sono gli utensili per preparare o per riparare ordegni ed apparecchi. Nel 1877 il Mosso fu fatto Professore straordinario, e nel 1878 fu proposto ad ordinario. Nel 1879, quando il Moleschott fu chiamato a coprire la cattedra di Roma, il Mosso fu nominato in luogo di lui Pro- fessore di fisiologia a Torino, e il di lui Istituto divenne presto un centro di febbrile attività, e vi passarono molti giovani va- lorosi quali il Giacosa. il Marcacci, il Fano, il Gaglio, l’Aducco, il Negro, il Grandis, il Patrizi, il Benedicenti, i quali tutti hanno coperto cattedre nelle nostre Università. Mosso era un insegnante che dalla cattedra esponeva poche cose essenziali un poco per volta, ma in modo da renderle stabili nella me- moria degli allievi, ed era valoroso maestro nel laboratorio per la finezza della tecnica, per il rigore delle conclusioni, e per la consuetudine del lavoro in presenza di tutti gli allievi, così che ciascuno poteva profittare dell'esperienza del maestro. Inventato un apparecchio, affidava ad un allievo di trarne il maggior pro- fitto nelle applicazioni scientifiche, e ammetteva la massima indipendenza di giudizio e di conclusioni nei suoi discepoli. È nel periodo di lavoro tumultuoso e febbrile che corre dal 1875 al 1879 che il Mosso pubblicava le ricerche critiche sul- l’attività diastolica del cuore, sui moti del cuore, sulla circola- zione del sangue nel cervello dell'uomo, sull’azione dell’aria com- pressa, sulle variazioni locali del polso, sui movimenti dei vasi sanguigni e sulla respirazione toracica e addominale. L'anno 1879 l'Accademia dei Lincei gli conferiva il premio Reale per il lavoro sulla circolazione del sangue nel cervello dell’uomo su relazione di Helmoltz, di cui Quintino Sella volle regalare al Mosso l'originale scritto di proprio pugno dal celebre fisiologo. In segno di riconoscenza il Mosso ha dedicato più tardi a Helmoltz il suo libro sulla temperatura del cervello. Tre anni dopo il conferimento del premio suddetto il Mosso fu fatto Socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Divenne Socio ordinario di questa nostra Accademia delle Scienze l’11 dicembre 1881. Certo non è impresa facile il rias- sumere il lavoro scientifico ininterrotto di 35 anni di ricerca 706 PIO FOÀ intensiva e ricca di nuovi fatti e di nuove dottrine. I temi trattati furono molti e disparati, e vertono particolarmente sulle relazioni che esistono tra i fenomeni del movimento, il sistema nervoso, e la composizione del sangue (Herlitzka). Come dissi più volte, era ammirabile nell’attuazione di pro- cessi tecnici, ma di questi si serviva per approfondire con maggior copia e con maggiore esattezza di particolari i quesiti che vo- leva risolvere. Nei suoi lavori il Mosso ha largamente impiegato il metodo della vivisezione, ma ebbe anche la caratteristica fra molti fisiologi contemporanei di studiare direttamente l’uomo col mezzo di apparecchi perfezionati e ingegnosi. Di questi al- cuni gli valsero a rendere più manifesti fenomeni delicati che sarebbero altrimenti stati impercettibili, altri resero molti ri- sultati nelle mani di allievi, o entrarono come patrimonio co- mune nei laboratori e nelle cliniche. Cito il Pletismografo, che gli ha aperto la fama nei primordi della carriera, ossia uno strumento col quale si ottiene la misura assoluta dei cambia- menti lenti di volume di una parte senza modificare la pressione del liquido in cui è immersa. Esso è ora adoperato da tutti i fisiologi, i farmacologi e i clinici. L'idrosfigmografo, Vaerosfigmografo e il pletismografo gazo- metrico servirono ad ottenere la grafica di cambiamenti più rapidi di volume, dovuti al polso. Modificando il recipiente che nel pletismografo accoglie l’antibraccio ottenne di studiare i movimenti vasali della mano, della gamba e del piede. Colla dilancia @ letto studiò i cambia- menti nella distribuzione del sangue tra le parti cefaliche e le podaliche del corpo. Meno fortunato del pletismografo, per il suo non facile impiego, fu lo sfigmomanometro con cui si misura la pressione arteriosa mediante una contropressione esterna. L'invenzione dell’ergografo, invece, fu assai felice, avendo aperti campi inesplorati nello studio delle leggi sulla fatica. Col ponometro il Mosso cercò di scrivere la curva con la quale cresce lo sforzo nervoso a misura che aumenta la fatica, e col miotonometro scrisse le variazioni della tonicità muscolare. Infine una quantità notevole di avvedimenti tecnici gli serviva a soddisfare di volta in volta le continue esigenze della indagine. Fra le ricerche di Mosso è degna di nota la prima che ha iniziato nel laboratorio di Ludwig, perchè gli aperse la via alla ANGELO MOSSO COMMEMORATO 707 invenzione del pletismografo e perchè riguarda un complesso di risultati che contenevano in germe molte altre applicazioni future. Si tratta del lavoro sopra alcune nuove proprietà delle pareti dei vasi sanguigni, nel quale il Mosso, sotto la guida del Maestro, ha rilevato che i vasi sanguigni conservano a lungo la loro vitalità negli organi isolati e quindi reagiscono modifi- cando il loro calibro alle variazioni del liquido circolante e specialmente a quelle dei suoi gaz. Trovò anche in essi dei movimenti spontanei, cioè indipendenti dalle condizioni speri- mentali. Sperimentò i veleni che dilatano e quelli che restringono la pupilla e trovò che se sono mescolati col sangue circolante nel rene dànno rispettivamente una diminuzione o un aumento del volume. Pensò quindi, e lo provò con altro lavore sui mo- vimenti idraulici dell'iride, che le variazioni del diametro pupil- lare fossero dovute a movimenti dei vasi iridici. Furono i risul- tati ottenuti colla circolazione artificiale negli organi staccati che lo condussero a saggiare le variazioni del circolo nelle parti viventi, donde la scoperta del pletismografo, che applicato al. l’uomo dimostrò che molti fenomeni osservati nel rene isolato si verificano anche nell’avambraccio dell’uomo. Fra le molte cause che cagionano le variazioni di volume dei vasi sanguigni il Mosso ricereò con particolare interesse le emozioni e il lavoro intellettuale, e da una lunga serie di ricerche trasse una larga messe di fatti, discriminando colla precisione tecnica le modifi- cazioni proprie del cervello da quelle di altre parti e partico- larmente del cuore, che è sempre in movimento e che può va- riare di grado ma non mai passare da uno stato di riposo a quello dell’azione. Trovò il Mosso che l’attività cerebrale provoca una costrizione dei vasi periferici, e che ciò che si osserva negli arti superiori, lo si trova anche negli inferiori, nei quali la bilancia a letto, traboccando verso il capo, rivela che nell’at- tività cerebrale si restringono i vasi. Del pari sono d’origine emotiva i moti vascolari nel padiglione delle orecchie del coniglio. Le belle ricerche fatte sui movimenti nel cervello e negli arti di individui che avevano una breccia nel tavolato osseo del cranio completarono i precedenti risultati e dimostrarono che durante i processi emotivi un certo volume di sangue è mandato verso il cervello, onde veniva posto in rilievo il rapporto esistente fra 708 PIO FOÀ gli atti della psiche e le funzioni somatiche. L'attività psichica modifica la forma del polso e molte varietà di questa ritenute tipiche di certe malattie si possono ottenere con azioni locali diverse, onde le note caratteristiche del polso, escluso il ritmo, derivano dallo stato delle pareti dell'albero arterioso. Le varia- zioni periferiche del polso nell’avambraccio coincidono con va- riazioni opposte del polso cerebrale, ossia sotto l'influenza delle emozioni si ha costrizione dei vasi periferici e afflusso maggiore di sangue al cervello. A queste ricerche fecero seguito quelle sulla temperatura del cervello, mosse da altre di Helmoltz e di Ludwig sui muscoli e sulle ghiandole salivari da cui risultò che nella loro funzione sprigionano dell’energia termica. Dalle sue indagini il Mosso concluse che sebbene il cervello sia un organo da cui si sprigioni più calore, pure non sarebbero gli atti psi- chici quelli che si associano alle maggiori elevazioni di tempe- ratura. Uno dei fatti più salienti fu quello degli innalzamenti di temperatura indipendenti da ogni manifestazione psichica ri- conoscibile, e che si producono per eccitamenti interni od esterni al di là del campo della coscienza. Durante il sonno il volume del cervello diminuisce e il polso si fa meno alto, ma le più piccole cause, di cui non rimarrà traccia nella memoria del dor- miente, producono un aumento del volume e del polso, di cui si modifica anche la forma. Anche nel cervello e particolarmente nel sonno si verificano quelle ondulazioni spontanee nel volume, che già il Mosso aveva rilevato nei vasi sanguigni del rene iso- lato. L'insieme dei fenomeni incoscienti che sì svolgono nel sonno per cause esteriori anche tenuissime costituirebbe un apparato di difesa, chè affluendo maggior copia di sangue al cervello preparerebbe le condizioni atte a risvegliarne l’attività. Nell’esaminare i pneumogrammi simultanei del torace e dell'addome il Mosso ha rilevato che nel sonno si ha una in- versione nella durata, perchè l’espirazione diventa più breve che nella veglia; più una interferenza, poichè non coincidono più gli impulsi ai muscoli toracici e al diaframma; inoltre una al- ternazione per cui aumenta l'ampiezza dell’escursione toracica e scema quella del diaframma e infine una tendenza a stabilirsi un ritmo periodico. È importante l'osservazione che il tipo del respiro periodico si palesa in varie condizioni normali ma specialmente nel sonno ANGELO MOSSO COMMEMORATO 709 e negli stati che ad esso si approssimano, e in montagna anche nella veglia; che l'ossigeno o la respirazione artificiale non mo- dificano nè i periodi attivi, nè le pause, e ne trasse l’illazione che le pause del respiro sieno prodotte da una tendenza al ri- poso del centro respiratorio. Dalla osservazione che si può ri- durre volontariamente alla metà il volume dell’aria respirata, e che in montagna si introduce un volume d’aria minore che in basso, il Mosso concepì la teoria della respirazione di lusso, secondo la quale i movimenti respiratori non sono direttamente proporzionali all’intensità della respirazione interna, perchè noi di solito respiriamo più del necessario e la respirazione dipende non solo dai bisogni chimici dell'organismo ma anche dallo stato fisiologico dei centri nervosi. Il Mosso ha pure osservato che il meccanismo respiratorio del torace può dissociarsi da quello del diaframma e dell'addome, onde concluse che i movimenti respiratori della faccia, del torace, del diaframma e dell'addome, costituiscono altrettanti meccanismi dotati di centri nervosi loro propri, posti sotto la egemonia del bulbo. Un'altra serie impor- tante di studi sulla respirazione è quella che il Mosso ha ese- guito sull’apnea. Osservò che nella produzione del fenomeno vi sono differenze individuali forse determinate dall’età, e attribuì l'abbassamento dell’eccitabilità dei centri respiratori nell’apnea alla diminuzione di CO, nel sangue, ossia all’acapria, idea che era già stata manifestata da Minchez e da Fredericq; non senza escludere che vi sieno forme di apnea determinate anche da 0). Noti sono gli studi del Mosso sulle funzioni dei muscoli. Le classiche ricerche del Kronecker sui muscoli della rana, gli suggerirono di studiare anche nell'uomo le leggi della fatica. Costruì l'ergografo, col quale apparecchio verificò che nella fatica volontaria ciascuno ha la sua propria curva ergografica, che si conserva anche eccitando il nervo, ma scompare stimolando di- rettamente il muscolo. Molto distinta trovò pure l’azione delle emozioni e del lavoro intellettivo sul decorso della fatica. Av- viate le ricerche sulle leggi della fatica, le lasciò poi compiere da allievi che le ampliarono e le completarono. AI Mosso si deve la dimostrazione che colla fatica si de- prime la tonicità dei muscoli, ad esempio, respiratori, e gli si deve pure la osservazione sulla tossicità del sangue per sostanze (ponogene) che vi si versano durante la fatica. 710 PIO FOÀ Sempre alla fisiologia dei muscoli appartengono i lavori sull’esofago, sulla vescica urinaria, sull’intestino retto e sul muscolo retrattore del pene. ' Il Mosso trovò che un moto di deglutizione iniziatosi nel faringe continua sino all'ultimo segmento dell’esofago anche quando venga interrotta la continuità del canale. Negli studi sulle funzioni della vescica, del retto e ultimamente sul muscolo retrattore del pene dimostrò l’esistenza di movimenti spontanei e il persistere della reattività al CO, persino quando era co- minciata la putrefazione, e la facile reazione ai fenomeni psi- chici, tanto da far considerare la vescica come un estesimmetro più sicuro della pressione sanguigna e non inferiore all’iride. Il Mosso si occupò di un altro ordine di ricerche fino a che glielo consentì la malattia, ed è quello sulla vita a grandi al- tezze o in ambienti d’aria rarefatta. Egli rifece nella camera pneumatica e sulla montagna tutte le investigazioni a cui aveva sottoposto nel laboratorio l’uomo o gli animali, ed ebbe fra gli altri scopi, quello principale di spiegare il mal di montagna. Egli s'accorse presto che la teoria dell’anossiemia non poteva essere atta a spiegare tutti i fatti, tra i quali, per dire solo di qualcuno, il diminuire dell’ampiezza e della durata del respiro, il modo di comportarsi dell’apnea, il presentarsi del vomito e della sonnolenza in scimmie chiuse in un ambiente dove l’aria veniva rarefatta conservandovi però costante la pressione nor- male dell’0O,. Invece i fenomeni potevano meglio spiegarsi am- mettendo che il fattore preponderante fosse un difetto di 00, nel sangue. Così sorse la dottrina dell’acapnia, comprovata fra altro dal fatto che nell’aria rarefatta la tensione parziale di COg è sempre minore del normale, e che è maggiore l’eliminazione di CO, in chi respira in aria rarefatta, così da essere in !/y ora più forte di 1,5-2 volte, in confronto di quella che si verifica alla pressione normale. L'aumento di frequenza del cuore nell'aria rarefatta cede introducendo CO, nell'ambiente. Da ciò la proposta di fornire agli aeronauti delle grandi quantità di O, compresso contenente dall’8-10 °/, di C0,, mescolanza che sì mostrò efficace, come l’0, compresso, nell’ intossicazione da CO, della quale il Mosso sostenne la somiglianza col mal di montagna. Ma tutto questo non è e non poteva essere che una traccia delle linee generalissime delle ricerche fisiologiche originali del Mosso; ld ANGELO MOSSO COMMEMORATO 711 varie altre ricerche minori, e molti utili particolari furono di necessità ommessi, e molte altre idee si attingerebbero certo alle note tutt'ora inedite, nelle quali il Mosso avrebbe trovato l’ap- piglio per nuove ricerche. Benchè meno fortunato di quel che fosse nelle sue ricerche meccaniche, il Mosso ha lasciato tuttavia l'impronta anche nelle sue ricerche sul sangue, particolarmente colla scoperta di una tossina termolabile nel sangue delle mu- renidi e del ridisciogliersi spontaneo del coagulo sanguigno di Mustelus laevis e dell'azione emolitica del siero d’anguilla. Fu tra i primi che sperimentarono il processo di variazione della resistenza degli eritrociti per mezzo di soluzioni variamente concentrate di NaCl, e trovò l’azione anticoagulante del verde di metile. An- gelo Mosso non fu pago soltanto delle sue ricerche di uomo di laboratorio: un intimo impulso sentimentale e artistico: la ten- denza che sempre ha avuto di colorire colla immaginazione e di riscaldare col sentimento le nozioni o le idee di cui si nutriva la sua calda fantasia; la dimestichezza che egli ebbe con distinti letterati del tempo, di cui sembrava volesse emulare la gloria; la stretta parentela con un attivo Editore, nel cui circolo si trovò a contatto coi pubblicisti più celebri del nostro Paese, tutto ha .cospirato a fare di Angelo Mosso un corretto divulgatore di scienza e poi un fortunato divagatore nel campo di fenomeni sociali, o un educatore là dove le nozioni scientifiche della vita gli fornivano elementi copiosi di applicazioni utili. Nè ha egli trascurato di rendere all'Italia l'utile servizio di un periodico che avesse a far penetrare più facilmente presso le nazioni estere tutto il movimento biologico italiano, onde ha fondato nel 1882 “ Les Archives Italiennes de Biologie ,, che sono ora al loro 54° vo- lume. Come divulgatore egli aveva cominciato a provarsi in una conferenza sul vino nel 1880, che faceva parte di una serie di molte altre fatte da distinti conferenzieri intorno al medesimo argomento considerato dai più differenti punti di vista. Nel 1885 tenne discorso di una ascensione invernale difficile da lui com- piuta con Alessandro Sella, sul Monte Rosa, e ne dedicò la pub- blicazione alla distinta giovine che un anno appresso è dive- nuta sua moglie. Fu Quintino Sella che ha inspirato a lui come a tanti giovani Italiani l’amore delle Alpi, e la sua prima spedizione fu al Monviso per istudiarvi le modificazioni che la quantità d’aria respirata subisce quando si soggiorna a grandi 712 PIO FOA altezze; l’ultima, invece, fu nel 1903 con parecchi collaboratori alla Capanna Margherita, che egli ha contribuito a fondare, a m. 4560, ove furono compiute delle importanti ricerche, rac- colte in uno splendido volume illustrato, intitolato: “ L'uomo sulle Alpi ,, presto diffuso nel mondo scientifico e di cui si ebbe più d’una edizione e che fu tradotto in lingue straniere. È frutto di questa passione crescente per la fisiologia e per le Alpi, la creazione di una Stazione Alpina internazionale al Col d’Olen, ove gli studiosi di tutte le nazioni per contribuzioni di molti governi esteri convengono a fare ricerche sulla fisiologia dell’uomo, degli animali e delle piante nelle grandi altezze. La Stazione scientifica Alpina ebbe il favore della regina Margherita e del Governo nazionale, e per voto unanime dei Fisiologi con- venuti al 7° Congresso Internazionale di Fisiologia ad Heidelberg fu intitolata ad “ Angelo Mosso , che ne aveva lanciata l’idea al 5° Congresso internazionale dei Fisiologi tenutosi a Torino nel 1901 con brillante successo sotto la sua presidenza. Fu destino di Mosso l’organizzazione di istituti scientifici; così egli aveva ingrandito e addensato di apparecchi l'antico istituto di via S. Francesco da Paola; indi organizzò lo splendido istituto di corso Raffaello, ove si può compiere qualunque ricerca di fisiologia sperimentale, e finalmente organizzò l'istituto che porta il suo nome al Col d’Olen, che egli con grande sforzo di vo- lontà, benchè già minato da malattia, potè inaugurare il 27 agosto 1907. Ma ritorniamo al Mosso divulgatore e sociologo. In Italia erano già molto rinomati due divulgatori di scienze e di problemi attinenti ad alcune discipline biologiche: il Man- tegazza e il Lioy; in Francia per lunghi anni era stato assai celebre un libro popolare di medicina del Descuret. Nel 1883 il Mosso scriveva il libro intitolato: “ La Paura , e otto anni dopo il libro divulgatissimo sulla Fatica, riassumendo in quelle opere i risultati più importanti di ricerche fisiologiche di cui egli era stato magna pars. La volgarizzazione di Mosso non fu triviale, ma sibbene ammaestratrice dello sforzo necessario a conoscere la verità e della necessità di non oltrepassare nel- l’interpretazione la misura dei risultati sperimentali e della critica razionale. In realtà la sostanza della ricerca scientifica rimane intatta nell'opera di divulgazione, e molti dati sperimen- tali in esse contenuti si trovano nelle Note già pubblicate da ANGELO MOSSO COMMEMORATO DIS Accademie e da Periodici. Il volume sulla Fatica non venne elaborato se non dopo avere messo insieme nel laboratorio e fuori i dati sperimentali di cui il libro doveva essere materiato. Le indagini coll’ergografo, le osservazioni sugli effetti delle marcie prolungate sul piano e in montagna, gli studi su animali affa- ticati con lunghe corse e con stimoli tetanizzanti ne costitui- scono il sostrato fondamentale (Vedi la Commemorazione di A. Mosso all'Accademia dei Lincei fatta da Vittorio Aducco nell’aprile 1910). La forma delle due pubblicazioni fu attraente e ben tosto il gran pubblico se ne è impadronito, onde se ne fecero parecchie edizioni. Le ricerche di Mosso sul lavoro muscolare e il largo suc- cesso che arrise al suo libro sulla fatica, spinsero l’attività di Mosso in una nuova direzione. Egli per molti anni cercò d’in- fondere negli Italiani la volontà di migliorarsi fisicamente per conservare intatte le alte doti delle nostre razze. Scrisse sulla riforma della ginnastica e sulla educazione fisica della gioventù; volle che si mirasse a fare l’uomo tutto intero fisicamente, mo- ralmente, intellettualmente, e che si ritornasse alla tradizione Greco-Romana e Italica dei giuochi ginnici all’aria aperta, onde riprendere quel tenore di vita che nel rinascimento fece la nostra grandezza e che poi col servaggio avevamo perduta. 01- trechè colle pubblicazioni, il Mosso si adoperò nei Congressi, nelle palestre, nelle commissioni governative, nelle società gin- nastiche, avvicinando in Italia e fuori educatori della gioventù, istigando uomini di governo e di scienza, mettendo in moto uffici e persone finchè come Senatore vide approvare la nuova legge sulla educazione fisica, per la quale spese più volte in Senato la sua alta parola. Tutti in questi giorni abbiamo de- plorato che egli non potesse assistere allo splendido saggio degli alunni delle scuole elementari e delle scuole medie nel nostro Stadium. Sarebbe stato per lui il premio più ambito del suo generoso apostolato e avrebbe bene augurato dell’av- venire della nostra Patria. Si fu nel 1904 al Congresso inter- nazionale dei fisiologi tenutosi a Bruxelles che si sono ma- nifestati più accentuatamente i primi sintomi del male che lo trasse lentamente a morte immatura, e ciò era pochi mesi dopo che aveva ottenuta la dignità senatoriale. Sembrò d’un tratto alla famiglia e agli amici costernati che si fosse arrivati alla Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 46 714 PIO FOÀ fine di una sì eccezionale operosità, e i medici avevano consi- gliato il riposo assoluto. Ma per Mosso il lavoro era una con- dizione della vita, e inibitagli la fatica dell'esperimento si pose a ristudiare nelle collezioni dei suoi tracciati e a redigere os- servazioni ed esperimenti rimasti nei quaderni allo stato di semplici annotazioni. Così pubblicò negli anni 1905 e 1906 una serie di note sui centri respiratori spinali, sugli scambi gassosi, sull’apnea, sull’asfissia, sulla rigidità del cuore, sui muscoli lisci, sulla pressione sanguigna e sul mal di montagna. Recatosi a Roma, prese parte attiva a diverse sedute del Senato, di cui ha utilizzato largamente la ricca biblioteca, dove passava la maggior parte del tempo. Frattanto visitava il foro romano e a poco a poco gli è cresciuto nell’animo il desiderio di scrutare il secreto della vita dei nostri antichissimi proge- nitori. Studiò con fervore i cranî più antichi dell'Etruria e del foro Romano, indi si recò a Creta, in Sicilia e in altri luoghi, ove frammezzo a difficoltà d’ogni specie, costretto talora a pre- pararsi da sè le vivande e a vivere poveramente come agli inizi della sua carriera, colpito da un’infermità che gli imibiva il libero uso degli arti inferiori, acceso tuttavia del fuoco ar- dente di un ideale di scienza, dava il meraviglioso esempio di un uomo che sfida il suo destino, che sembra negare il male di cui è compenetrato, e che ha sentimenti d'orgoglio ed espres- sioni di gioia quali negli anni precedenti non ebbe forse mai gli uguali. Alla mia malattia, egli diceva, devo questo grande beneficio di aver trovato una sorgente nuova di lavoro attraente e di gioie imprevedute; quella sopratutto di “ scoprire docu- menti che parlano dove tace la Storia ,. Di questa epoca di lavoro sono frutto principale i due volumi “ Escursioni nel Me- diterraneo e gli scavi di Creta ,, in cui si propose di vulga- rizzare la grandezza della civiltà Minoica, e “ Le origini delia civiltà mediterranea ,, destinato a far conoscere il periodo del- l'età neolitica. In queste opere lo scopo dominante fu quello di aggiungere prove a conforto della dottrina dell’ origine medi- terranea della civiltà della Grecia e dell’Italia. Non è qui il luogo di valutare la portata e il valore intrinseco delle osser- vazioni archeologiche del Mosso, ma è impossibile trattenere un senso d’ammirazione per la meravigliosa operosità di un uomo infermo che accumula fatti coll’avidità di chi avesse il presen- ANGELO MOSSO COMMEMORATO 715 timento che non avrebbé potuto farlo per lunghi anni di séguito, e per un insaziabile bisogno di conoscenza. In pati tempo nasce un sentimento di riconoscenza per unò scrittore 11 quale con forma attraente e col fuoco del suo entusiasmo conduée lindotto attraverso il cumulo di seoperte consegnate solo negli Archivi e di cui sono partecipi solo pochi privilegiati. Per l'esempio di lavoro, per Vopera della divulgazione anche in questo campo l’opera dì Mosso fu benemerita, qualunque sia l'avviso che iwiù competenti mella materia potrebbero esprimere sul valore in- trinseco di talùni particolari. H Mosso si trovava presso Molfetta agli scavi della metropoli neolitica di Rulo, quando gli morì improvvisamente il fratello. Accorse a Genova, vi compose nella bara la salma del suo caro, ritornò subito al lavoro; donde scriveva: “ Non è lavoro molto adatto allo stato del mio animo addolorato: ma la primavera e i mandorli fioriti, che lasciavano cadere i loro petali sulla tomba che rivedeva la luce dopo cinquemila anni, mi convincevano della vanità della vita ,. Nel 1908 scoperse nella ricercata me- tropoli 49 tombe neolitiche e lo stesso anno scopriva il dolman di Bisceglie in Provincia di Bari. Le sue ricerche scientifiche non gli vietarono di interessarsi alla sorte degli abitanti di quelle terre nelle quali lavorò, e come nel 1900 nel vigore delle forze pubblicava in “ La Demo- crazia nella religione e nella scienza , le osservazioni che aveva raccolto negli Stati Uniti, ove un illustre collega suo del tempo di Lipsia lo aveva ospitato' come conferenziere, così nel 1906 serisse un opuscolo sulla vita moderna degli italiani, che ha de- dicato a sua figlia perchè imparasse a conoscere il suò paese e ad amare i poveri. Aveva disposto di fare una nuova campagna archeologica, e di pubblicare un nuovo libro intitolato: “ Gli Italiani dall’età della pietra alle prime colonie elleniche ,, e aveva anche fatte alcune lezioni all’Università, quando il 9 novembre 1910 fu colto da una grave crisi tabetica, della quale ha sofferto e per la quale con lenta e compassionevole agonia dopo 15 giorni si spense il 24. La sua rigida maschera aveva l’impronta del vecchio la- voratore domato suo malgrado da una forza spietata, contro la quale aveva invano lottato sino all'ultimo giorno. Così si spense Angelo Mosso, uomo dall’eccezionale vigore, Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 46% 716 PIO FOÀ temprato al lavoro sin dall’infanzia nell'ambiente domestico e che conobbe le necessità della vita. Continuo e alto fu l’aculeo alla sua mente, colla quale si redense dagli stimoli di una pas- sionalità vivace, e della quale nobilitò la sua figura d’uomo di azione sia nel campo della ricerca scientifica, sia in quello del- l’azione sociale. Uomo di vivaci impulsi, pronto ad accogliere la grande idea o il grande disegno, pronto a comunicarsi col mondo rivestendo le sue parole di un colore imaginoso e senti- mentale, era forse più uomo di tendenze, che d'azione paziente- mente concreta nelle bisogna ordinarie della vita. Fu giusta cosa che egli fosse onorato di cariche pubbliche, e la nota che vi ha portato non fu mai triviale, ma non era altrettanto compatibile colla mobilità della sua ideazione il lavoro ordinato e modesto che esige l'attuazione di una determinata faccenda, salvo il caso che da essa dovesse scaturire la nuova scoperta, o il fascino di una nuova conquista come materia di nuova espansione e co- municazione del suo spirito. A questo proposito va segnalata la nobile propaganda che egli ha fatto, fra l’altro, con un notevole articolo sulla “# Nuova Antologia , in favore della costituzione del Politecnico di Torino come Istituto autonomo e rispondente alle esigenze della vita moderna. Pochi fisiologi lo hanno superato nell’abilità meccanica delle ricerche, ma è giusto anche riconoscere che pochi ebbero la singolare fortuna di avere come lui al proprio fianco un intel- ligente, operoso meccanico pronto a interpretare e ad aiutare concretandole in parte le idee geniali del maestro. Al nome di Mosso come tecnico è doveroso far seguire quello di Corino, suo distinto meccanico, il cui nome è divenuto famigliare nei nostri ambienti di lavoro. Il fisiologo del circolo, del respiro e dei muscoli; il pub- blicista divulgatore di principi scientifici; l’apostolo dell’educa- zione fisica; l'archeologo; l’uomo accademico, sono tante faccie di una figura poliedrica che non sarebbe difficile ridurre a unità sotto la definizione di un cervello imaginoso e indagatore, gui- dato da un tecnicismo meccanico e illuminato dall’ estetica di una produzione intensiva e impressionante, sospinto dal bisogno irresistibile di comunicazione orale o scritta, calda, scorrevole e sentimentale. Angelo Mosso ebbe vivo e costante l'amore per la sua fa- ANGELO MOSSO COMMEMORATO MV miglia; aiutò suo padre, sorresse il fratello, amò sua madre e sua sorella teneramente, e in più circostanze vantò le sue ori- gini umili. Ebbe tenerezze d’affetti per la sua distinta signora e per la figlia sua, alle quali dedicò qualche suo scritto. Il suo nome è patrimonio della scienza, della Università nostra e della nostra Accademia, di cui fu parte altamente operosa. Angelo Mosso, uomo di scienza e di arte, tipo di lavoratore infaticabile e ardente prosecutore dell'ideale scientifico, avrà onore, fin che duri il culto del nostro incivilimento. w 10. se NOTA DELLE PUBBLICAZIONI DI ANGELO MOSSO . (4870-78). Saggio di alcune ricerche fatte intorno all’'accrescimento delle ossa. Napoli, 1870. L'irritazione del cervello per anemia (Lo Sperimentale, 1872). Sull'irritazione chimica dei nervi cardiaci (Lo Sperimentale, XXIV, 1872). Sopra alcuni sperimenti di trasfusione del sangue (Lo Speri- mentale, XXIV, 13, 1872. tomo XXX, pp. 369-375). I movimenti dell'esofago (Giornale R. Acc. di Med. di Torino, 1873). Ueber die Bewegungen der Speiseròhre (Moleschott's Untersu- chungen, XI, 44, 1873). Sull’azione del tartaro emetico (Lo Sperimentale, XXIX, 1875, anno XXXVI, pp. 616-636). Von einigen neuen Eigenschaften der Gefisswand (Ber. d. K. Stichs. Ges. d. Wiss., 1875, pp. 305-371, con 22 fig. nel testo). — Sopra alcune nuove proprietà delle pareti dei vasi sanguigni (Giorn. R. Acc. Med. di Torino, 1875). (In collab. con Schòn) Eine Beobachtung betreffend den Wettstreit der Sehfelder (Hering°s Beit. 3. Physiol.). — Sull'alternarsi del campo della visione (Giornale della R. Accad. Med. di' Torino, 1875). Sui movimenti idraulici dell'iride (Ibid., 1875). Sopra un nuovo metodo per scrivere î movimenti dei vaste sanguigni dell'uomo (Atti della kR. Acc. d. Sc. di Torino, RI 1870) 718 12. (1870—78). La farmacologia sperimentale. Ricerche sul cloralio. Protw- 155 14, 16. (7 18. 19. 20. 28 201 30. (4879). . (4879-80). (4881). PIO FOA sione al corso di materia medica. Torino, 1875. (In collab. con Pagliani) Critica sperimentale dell'attività dia- stolica del cuore (Giorn. R. Acc. Med., Torino, 1876). (Id.) Zatorno alla non esistenza dell'attività diastolica del cuore (Rivista clinica, 1876). Introduzione ad una serie di esperienze sui movimenti del cervello nell'uomo (Archivio Scienze Mediche, I, 1876-77, pp. 216-244). (In collab. con Giacomini) Esperienze sui movimenti del cervello nell'uomo (Ibid., 1, 1876-88, pp. 247-278, con 4 fig. nel testo e 2 tav.). Sull'indirizzo scientifico della clinica. Elogio funebre di Leo- poldo Rovida (Giorn. R. Acc. Med. di Torino, 1877). Sopra un metodo per misurare la temperatura dell'orina {Transunti Ace. Lincei, l, serie 3%, 1877). Modificazioni che subisce la circolazione del sangue per l'in- fluenza dell'aria compressa (RR. Acc. d. Sc. di Torino, XII, 1877: e Arch. per le sc. med., 1878, II, pp. 147-176, con 2 tav. e 3 fig. nel testo). (In collab. con Albertotti) Osservazioni sui movimenti del cer- vello di un idiota epilettico (Giorn. R. Acc. Med. di To- rino, 1878). (In collab. con S. Fubinì) Gemelli ziphoide juncti (Ibid., 1878). Gli effetti fisiologici del vino. Conferenza. Sulle variazioni locali del polso nell’antibraccio dell'uomo (R. Accad. delle Scienze, XII, 1877). Sul polso negativo e sui rapporti della respirazione addomi- nale e toracica nell'uomo (Arch. per le Sc. Med., I, 1878, pp. 401-464, con 34 fig. nel testo). Ueber die gegenseitigen Beziehungen der Bauch- und Brus- tathmung (Du Bois-Reymond's Arch. f. Physiol., 1878, 461). Die Diagnostik des Pulses und die localen Vercinderungen desselben. Leipzig, Veit u. C., 1879. (In collab. con Depaoli) Sull'azione del freddo e del caldo sopra i vasi sanguigni dell'uomo (Ace. dei Lincei, Tran- sunti, vol. LV, pp. 85-86). Sulla circolazione del sangue nel cervello dell'uomo (Mem. R. Acc. dei Lincei, anno CCLXXVII, 1879-80, vol. V, p. 237-358, con 7 tavole e 86 figure nel testo). Riassunto in Arch. per le sc. med., 1882, V, pp. 44-72 e 97.115. Nuovo apparecchio del dott. Lestar per l'anestesia locale (Giorn. R. Acc. Med. di Torino, 1884, anno XLIV, vol. 29, pp. 736-739, con una fig.). Nuovo apparecchio di Pettenkofer e Voit nell'Università di Torino (Ibid., pp. 314-348). 31. (1884—82). (In collab. con D. Bajardi) Ricerche sulle variazioni del tono nei vasi sanguigni dell'uomo (R. Accad. dei Lincei). 32. ANGELO MOSSO COMMEMORATO 719 (1881—82). (In collab. con Pellacani) Sulle funzioni della vescica (Memorie Acc. dei Lincei, vol. XII, serie 32, pp. 3-64, con 7 tavole e 11 fig. nel testo; e Archives it. de Biol., 1, 1882, pp. 97-128 e 291-324). 33. _ Ricerche sui movimenti dell'intestino (Ibid.). 34. _ Fondazione delle Archives italiennes de Biologie. 35. (1882—83). Applicazione della bilancia allo studio della circolazione del songue nell'uomo (Atti R. Accad. delle Scienze di Torino, 1882, vol. XVII, pp. 534-535). 36. —_ Sopra un nuovo metodo per studiare la circolazione del sangue nell'uomo per mezzo della bilancia. X° Congr. med. it. in Modena. dl. _ Application de la balance à léetude de la circulation chez lhomme (Arch. it. de Biol., V, p. 130). 38. _ Il sonno sotto il rispetto fisiologico ed iyienico (Giorn. d. Soc. Italiana d' Igiene, 1882, IV, n. 11-12). 39. _ (In collab. con Guareschi) Ricerche sulle sostanze estratte da organi animali e putrefatti (Atti R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XVII, pp. 793-795). 40. (1883—84). (In collab. con Guareschi) Recherches sur les ptomaines (Arch. ital. de Biol., II, p. 367; lII, p. 241). 4. —_ (In collab. con Guareschi) Ricerche fatte sulla piridina estratta dall'alcool amilico del commercio (R. Acc. di Med. di To- rino, 1883, vol. XXXI, p. 6). 42. te Sopra un nuovo sfigmografo che scrive i cinquantesimi di secondo nella curva stessa del polso (Ibid., p. 82). 43. — Ricerche sulla fisiologia della fatica (Ibid., p. 667). 44. _ Ricerche sulla temperatura del sangue fuori dell'organismo e l'influenza dei bacteri sulla medesima (Ibid., XXXIIhb p. 268). 45. coni La temperatura del sangue fuori dell'organismo (Congresso internaz. di medicina’ a Copenhagen, agosto 1884). 46. (14884—85). La paura. Treves, 4884. 47. -- Die Furcht. Hirzel, Lipsia. 48. _ Le precauzioni contro il colera e le quarantene (Nuova Antol., 1884, n. 18). 49. —_ La respirazione dell'uomo sulle alte montagne (R. Accad. di Med. di Torino). Volume in onore di GC. Sperino, 1884. 50. —_ La respirazione periodica e la respirazione superflua o di lusso (Mem. R. Acc. dei Lincei, serie 42, vol. I, pp. 457-519, con 8 tavole e 21 figure nel testo). Ddl PO Le Università italiane e lo Stato (Nuova Antol., 1884, n. 21). 02. — Un'ascensione d'inverno sul Monte Rosa. Treves, 1885. 53. (1886—87). Fisiologia e patologia dell'ipnotismo (Nuova Antologia, 1886, n... 13). D4. — L'istruzione superiore in Italia (Ibid., n. 23). 55 (1886—88). Ricerche sopra la struttura dei globuli rossi (R. Acc. di Med. di Torino, anno L, vol. 35, p. 9). 720 PIO FOÀ 06. (1886—88). Alterazioni dei corpuscoli rossi e coagulazione del sangue 57. 58. 59. 60. 61. 62. 66. 67 63. 78. . (1888-89). . (A889—90). (Ibid., pp. 77-81). Alterazioni dei corpuscoli rossi del sangue. Nota 41% (Rend. Reale Accad. dei Lincei, vol. 1lI, 1° sem., pp. 253-257). Coagulazione del sangue. Nota 22 (Ibid., pp. 257-264). Alterazioni cadaveriche dei corpuscoli rossi e formazione del coagulo. Nota 3? (Ibid., p. 315-322). Come i leucociti derivino dai corpuscoli rossi del sangue. Nota 4° (Ibid., p. 322-328). Formazione del pus dai corpuscoli rossi del sangue. Nota 5® (Ibid., pp. 328-334). Degenerazione dei corpuscoli rossi del sangue. Nota 6° (Ibid., p. 394-389). Sulle leggi della fatica. Discorso alla R. Accad. dei Lincei, 29 maggio (Ibid., p. 425-431). Degenerazione dei corpuscoli rossi nelle rane, nei tritoni e nelle tartarughe. Nota 72 (R. Acc. dei Lincei, vol. IIl, 2° sem., pp. 124-131). Degenerazione dei corpuscoli rossi nel sangue dell’uomo. Nota 8 (Ibid., pp. 131-138). Quels sont les principes à recommander pour la rédaction d'un règlement international des épidéemies. Ber. ù. d. VI. Internat. Congr. f. Hyg. u. Demog. Vienna, 1887. Applicazioni del verde di metile per conoscere la reazione chimica e la morte delle cellule. Nota 98 (R. Acc. dei Lincei, vol. IV, 4° sem., pp. 419-427). Esame critico dei metodi adoperati per studiare i corpuscoli del sangue. Nota 108 (Ibid., pp. 427-433). Il sangue nello stato embrionale e la mancanza dei leucociti. Nota 11° (Ibid., pp. 434-442). Il sangue embrionale di « Scyllium Catulus ». Nota 122 (Ibid., pp. 489-497). Un veleno che si trova nel sangue dei murenidi. Nota 13* (Ibid., pp. 665-673). Azione fisiologica del veleno che si trova nel sangue dei mu- renidi. Nota 142 (Ib:d., 1888, 1° sem., p. 419). Il veleno dei pesci e delle vipere (Nuova Antol., 1888, n. 14). Necrologio di Salvatore Tommasi (Archives ital. de Biol., 1888, X). Le leggi della fatica studiate nei muscoli dell'uomo. Memoria 1% (R. Acc. dei Lincei, 1888, serie 42, vol. V, con 24 figure nel testo). L'espressione del dolore (Nuova Antol., vol. XXIII). Ueber verschiedene Resistenz der Bluthòrperchen (62 Ver- sommlung deutscher Naturforscher u. Aerste in Heidel- berg. 1890, p. 318). Les lois de la fatigue étudiges dans les muscles de l'homme (Arch. ital. de Biol., vol. XIII). ANGELO MOSSO COMMEMORATO 21 79. (1889—90). Ueber die Gesetze Ermudung (Du Bois-Reymond's Arch. fur Physiol., 1890, pp. 89-168). 80. - Travaurx du Laboratoire de Physiologie de l’Université de Turin, année 1889. Turin, Loescher, 1890. 81. (1891—92). La fatica. Treves, Milano. 82. - Die Ermudung. Hirzel, Leipzig. 83. _ Studi sulla pressione del sangue nell'uomo (R. Acc. delle Sc. di Torino). 84. - Studi sulla pressione del sangue nell'uomo (Atti dell'XI Congr. med. internaz. di Roma, vol. II, Fisiol., p. 280). 85. (1892—93). Les phénomènes nsychiques et la temperature du cerveau (Philos. Transactions of the R. Society of London, t. CLXXXIII e Archives it. de Biol., 1893, XVIII, pa- gine 277-290, con 3 figure). gods, — L'educazione fisica della donna. Treves, 1892. 86. _ L'educazione fisica e i giuochi nelle scuole (Nuova Antologia, vol. XXXVI). sà _ La riforma della ginnastica (Ibid., 1392, n. 2). 88. (1893—94). Die Temperatur des Gehirnes. Veit u. C., Lipsia. 89. — La temperatura del cervello. Treves, Milano, 1893. 90. —_ L'educazione fisica della gioventù. Treves, Milano. dI. _ In onore di J. Moleschott. Discorso pronunziato in occasione delle feste giubilari. (Nel volume: In memoria di J. Mo- leschott, Roma, 1894, Tipogr. delle Mantellate, pp. 103-127), 92. -_ Commemorazione di J. Moleschott, nel giorno dell’inaugura- zione del nuovo Istit. di Fisiol. di Torino (10id., pp. 137-143). 93. = Necrologia di Ermanno Loescher (Archives it. de Biol., 1893, XVIII, pp. 333-335). 94. (1894—95). 1/2 freddo. Conferenza alla sede del C. A. 1. (Bollettino del Club Alpino, XXVII). X 95. = Brown-Séquard (Illustrazione italiana, 1894, n. 19). 96. _ L'osservazione microscopica dei termometri (Ibid., p. 229). 97. — Necrologia di Carlo Ludwig (Nuova Antol., 1895, n. 12; Die Nation, ni 38 e 39; Revue Scientifique, 27 juillet). 98. -_ Studi sull’aria rarefatta (Congr. int. di fisiologia, Berna). 99 - Sphygmomanoméètre pour mesurer la pression du sang chez l'homme (Arch. it. de Biol., 1895, XXIII, pp. 177-197 con 9 figure). 100. — Ueber Turn und Spielplitze (Zeitschr. f. Turnen und Jugendspiel, IV, n. 11). i 101. - Urteil ùber dos deutsche Turnen (Zeitschr. f. Schulgesund- heitspflege, VIII). 102. -. Die Evolution der Turnhunst (Deutsch. Turnseitung). 103. (1896—97). Mesmer et les origines de l'hypnotisme (Revue scientif., t. VI, p. 257). 104. _ Il passato e l'avvenire dell'educazione fisica (Nuova Ant., 1° marzo 1896). 4105. _ Materialismo e misticismo. Discorso inaugur. nella R. Univ. di Torino. 722 106. (1896—97). 107. 108. 109. 110. d14° 112. 113 (4897-98). (1898—99). . (1899—1900). — 16. (1900-1901). 122. (1901-1902). 123. 124. 129 130. . (4902—1903). PIO FOA Der Mensch auf den Hochalpen. Veit e G., Leipzig. Life of man on the high Alps. Fischer Unwin, Londra. Fisiologia dell'uomo sulle Alpi. 1897, Treves, Milano. Descrizione di un miotonometro per studiare la tonicità dei muscoli nell'uomo (Mem. R. Acc. delle Sc. di Tor., 1896, serie 2?, vol. XLVI, pp. 93-120, con 46 figure nel testo, e Archives it. de Biol., XXV, pp. 349-384). La riforma dell'educazione. 1898, Treves, Milano. Fisiologia dell'uomo sulle Alpi. Nuova edizione, 4898. L'educazione fisica dei Romani e della gioventù italica (Nuova Antol., 1° novembre 1898). La Conferenza internazionale per il catalogo della lettera- tura scientifica (Nuova Antol., dicembre 1898). Pensiero e moto. Conferenza all'Università di Worcester (Stati Uniti). Influenza del simpatico nei fenomeni delle emozioni (Ibid.). La respirazione nelle gallerie e l'azione dell'ossido di car- bonio. Un volume in collab. con alcuni allievi di A. Mosso. Contiene le seguenti Memorie : Azione dell'ossido di carbonio sul cuore (pp. 238-265 con 40 figure nel testo). La rassomiglianza del mal di montagna coll’avvelenamento per ossido di carbonio (pp. 266-291, con 8 figure). La morte apparente del cuore ed i soccorsi nell'avvele- namento per ossido di carbonio (pp. 292-306, con 2 fig.). Come agiscano sui polmoni l’'ossido di carbonio e l'aria rarefatta (pp. 307-318, con 2 figure). Analisi dell'aria presa nel fumaiolo delle macchine du- rante la trazione nelle gallerie dei Giovi (pp. 319-320). La democrazia nella religione e nella scienza. Treves, Milano. Commemorazione del Prof. Alberto Gamba a Bologna. L'educazione della donna agli Stati Uniti (Nuova Antol., marzo 1902). La fisiologia dell'apnea studiata nell'uomo (Mem. R. Acc. delle Scienze di Torino. serie Il, vol. LUI, pp. 367-386, con 24 figure; e Archives it. de Biol., XL, pp. 1-30). Mens sana in corpore sano, 41903, Milano, Treves. Traduzione francese di Mens sana in corpore sano. Alcan, Paris. L’apnea quale si praduce nei cambiamenti nel corpo del l'uomo (Mem. R. Acc. Sc. Torino, Serie II, vol. LIII, pp. 387-395, con 411 figure; e Arch. it. de Biol., XL, pp. 31-43). Travaua de l'année 1903 du Laboratoire scientifigque in- ternational du Monte Rosa, tomo I. I movimenti respiratori del torace e del diaframma (Ibid., pp. 397-435, con 43 figure; e Arch. it. de Biol., XL,: pp. 43-98). ANGELO MOSSO COMMEMORATO 723 151. (4902—1908), Di un politecnico a Torino (Nuova Antol., dicembre 1903). 132. 133. 134. 135. 136. 137, 138. 139. 140. 4141, 143. 144. (In collab. con G. Marro) L’acapnia prodotta nell'uomo dalla diminuita pressione barometrica (R. Accad. dei Lincei, vol, XII, 1° sem., pp. 453-459; e Archives it. de Biol., XXXIX, pp. 387-394, con 2 fig.). (In collab. con Marro) Analisi dei gas del sangue a diffe- renti pressioni barometriche (Ibid., pp. 461-465; e Archives it. de Biol., XXXIX, p. 395). (In collab. con Marro) Le variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del Monte Rosa (R. Acc. dei Lincei, vol. XII, 1° sem., pp. 466-67; e Archives it. de Biol., XXXIX, pp. 402-416). L'apnea prodotta dall'ossigeno (Atti R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXXIX, pp. 95-114, 1903, con 9 figure; e Arch. it. de Biol., XLI, pp. 138-157). La pausa dei movimenti respiratorî nell’asfissia (Rend. R. Acc. dei Lincei, 1905, 2° sem., pp. 535-543, con 4 figure; e Archives it. de Biol., XLI, pp. 169-183). I centri respiratori spinali e le respirazioni che prece- dono la morte (Rend. Acc. dei Lincei, XII, 2° sem., pp. 284-596, con 9 figure; e Arch. it. de Biol., XLI, pp. 169-183). L'estensione degli eccitamenti respiratorì a centri spinali (Arch. di Fisiologia, 1894, I, pp. 143-170, con 21 figure). E. S. Marey. Necrologia in Arch. it. de Biol., 1904, XLI, pp. 439-498. (In collab. con Marro) La respirazione dei cani e la po- lipnea termica sulla vetta del Monte Rosa. Analisi dei gas del sangue dopo un lungo soggiorno a 4500 metri (Giorn. R. Acc, di Medicina, Torino, 1904, anno LXVII, vol. 52, pp. 65-82, con 6 figure; e Arch. it. de Biol., XLI, pp. 357-374, con 6 figure). Le oscillazioni interferenziali della pressione sanguigna (Atti R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XXXIX, pp. 507-529, con 43 figure: e Archives it. de Biol., XLI, pp. 257-270). 2. (1904-1905). Azione dei centri spinali sulla tonicità dei muscoli respi- ratorî (R. Acc di Med. di Torino, anno XLVII, vo- lume 5I, pp. 755-781; e Arch, it. de Biol., XLI, pa- gine 111-136, con 44 figure). Il male di montagna ed il vomito (Atti R. Acc. delle. Scienze di Torino, vol. XL. pp. 432-443, con 3 figure” e Archives it. de Biol, XLIII, pp. 467-479). (In collab. con Pagliani) / cambiamenti di forma del cuore per effetto della rigidità cadaverica (Scritti medici in onore di C. Bozzola). La ventilazione rapida dei polmoni per mezzo di un ap- parecchio che funziona con aria compressa e rare- 724 146. (1904—1905). 147. ad 148. —_ 149. _ 150. _ 153. _ 156. _ 159. (19051906). 160. _ 161. —_ PIO FOÀ fatta (Rend. R. Ace. Lincei, 1904, 1° sem., XII, pa- gine 167-174, con 7 figure; e Archives it. de Biol. XLI, p. 192). Centri respiratori spinali (R. Accad. dei Lincei, vol. XIV). Teoria della tonicità muscolare basata sulla doppia inner- vazione dei muscoli striati (Ibid., p. 174-180; e Ar- chives it. de Biol., XLI, pp. 183-191). A propos des observations critiques relatives à la note « Théorie de la tonicité musculaire etc.» (Archives it. de Biol., 1904, XLI, pp. 331-336). Esperienze fatte sulle scimmiecolla depressione barometrica (Ibid., pp. 201-211; e Arch. it. de Biol., XLI, pp. 384-397). Esperienze fatte sulle scimmie a Torino e sulla vetta del Monte Rosa (Ibid., pp. 212-215, con 2 figure; e Ar- chives it. de Biol., XLI, pp. 397-405). Come sulla montagna diminuisca la sensibilità per l'ani- dride carbonica inspirata (Ibid., pp. 519-528, e 12 fig.; e Archives it. de Biol., XLI, pp. 426-438). Nella depressione barometrica diminuisce la sensibilità per l'anidride carbonica (1bid., pp. 591-597, con 3 fi- gure; e Archives it. de Biol., XLI, pp. 438-445). La rapidità dello scambio gassoso nei polmoni. I. Durata della reazione per VCO, inspirata. L'espirazione at- tiva (Ibid., pp. 529-534, con 4 figure; e Archives it. di Biol., XLI, pp. 418-425). L'arresto del respiro e le modificazioni della sua durata nell'aria rarefatta e sulle montagne (Ibid., pp. 597-608, con 40 figure; e Archives it. de Biol., XLI, pp. 446-460). Esperienze fatte sul Monte Rosa respirando ossigeno puro e mescolanze di ossigeno e anidride carbonica (Ibid.» pp. 670-680; e Archives it. de Biol., XLII, p. 114). La diminuita tensione dell'ossigeno non basta per spie- gare il sonno ed altri fenomeni che produconsi nelle forti pressioni barometriche (Ibid., pp. 680-687; e Archives it de Biol., XLII, pp. 23-31). (In collab. con Galeotti) L'azione fisiologica dell'alcool a grandi altezze (Ibid., 2° sem., pp. 3-12). L'acapnia prodotta dalle iniezioni di soda nel sangue (Ibid, 2° sem., pp. 307-518, con 11 figure; e Archives it. de Biol., XLII, pp. 185-199). Dimostrazione dei centri respiratorì spinali per mezzo dell’acapnia (Ibid., 1905, 1° sem., pp. 249-255, con 5 figure; e Archives it. de Biol., XLIII, p. 216). Differenze individuali alla pressione parziale dell'ossigeno (Ibid., pp. 255-264, con 5 figure; e Archives it. de Biol., XLIII, p. 197). Depressione barometrica e pressione parziale del CO, nel- l’aria respirata. Esperienze fatte sulle scimmie (Ibid., p. 291-296, e Archives it. de Biol., XLIII, p. 209). ANGELO MOSSO COMMEMORATO 725 162. (1905-1906). La pressione del sangue nell'aria rarefatta (Ibid., p.296-307, 163. 4164. 165. 166. . (1906-1907). . (1907—1908). (1908). . (4909-4910). con 8 figure; e Archives it. de Biol., XLII, p. 340). L’aridride carbonica come rimedio del male di mon- tagna, e perchè nelle ascensioni aerostatiche questa debba respirarsi coll’ossigeno (Ibid., pp. 303-315: e Archives it. de Biol., XLIII, p. 355). Contributo alla fisiologia dei muscoli lisci (Mem. R. Acc. dei Lincei, serie 5*, vol. VI, pp. 560-594, con 27 fi- gure: e Archives it. de Biol., XLV, pp. 311-334). La respirazione periodica quale si produce nell'uomo sulle Alpi e per effetto dell'acapnia (Memorie R. Acc. delle Scienze di Torino, serie 22, t. LV, p. 27-68, con 22 figure; e Archives it. de Biol., XLIII, pp. 841-133). La difesa della patria e il tiro a segno. Due discorsi in Senato, 1905. Milano, Treves. Crani etruschi (Mem. R. Acc. delle Sc. di Torino, t. LVI, p.- 268-281, con 4 tavole). Crani preistorici trovati nel Foro Romano (Notizie degli Scavi, 1906, fasc. 1°, pp. 46-54, con 5 figure e 3 tavole). Vita moderna degli Italiani. Treves, Milano, 1906. Idoli femminili e figure di animali dell'età neolitica (Me- morie R. Acc. delle Scienze di Torino, t. LVII, pa- gine 375-39, con una tavola). Travaue du Laboratoire scientifigue international du Mont Rosa, +. IU. Escursioni nel Mediterraneo e gli scavi di Creta. Treves, Milano, 1908. Vertebre di pesci che servirono come ornamento e come amuleti nei tempi preistorici (Atti IR. Acc. delle Scienze di Torino, vol. XLII, p. 1161-1165). Femori umani usati come collane o amuleti (Ibid., pa- gine 1151-1161). Le armi più antiche di raine e di bronzo (R. Acc. dei Lincei, Classe sc. mor., stor. e glott., serie 52, vol. XII, anno CCCIV, 1907). Discorso inaugurale alla Società ginnastica di Torino (Il Ginnasta, Roma). Una tomba preistorico a S. Angelo di Muscaro (Memorie R. Acc. d. Sc. di Torino, t. LIX, pp. 421-432, con 22 figure ed una tavola). Le ricerche sperimentali sulle Alpi (Discorso nella Seduta Reale dell’Accademia dei Lincei, 7 giugno 1908). Villaggi preistorici di Caldare e Cannatello presso Gir genti (Monumenti antichi dei Lincei, vol. XVIII). La stazione preistorica di Coppa Nevigata presso Manfre- donia (Ibid.). L'uomo sulle Alpi, 3* edizione. Treves, Milano. Le origini della civiltà mediterranea. Treves, Milano. Gli Accademici Segretari CorRADO SEGRE. GaeTANO DE SANCTIS. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 14 Maggio 1911. PRESIDENZA DI S. ECC. IL COMM. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manno, Direttore della Classe, Rossi, CrpoLLa, Pizzi, Rurrini, StAMPINI, Scorza, EinAUuDI, BAUDI DI Vesme, ScHiapAaRELLI e De Sanoris, Segretario. — È scusata l'assenza del Socio RENIER. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 30 aprile 1911. È presentato lo scritto del Socio corrispondente Giuseppe Bràpego, Per una lettera dell'autore del Pastor Fido, estr. dagli “ Atti del R. Istituto Veneto ,, t. LXX, p. 2*, Venezia, 1911, dall’autore offerto in omaggio all'Accademia. Il Socio CipoLLa offre per le Memorie accademiche una sua monografia su Le fazioni politiche di Bologna e i signori di Lom- bardia (1293-1299). La Classe, presa cognizione del lavoro del CrpoLLa, ne delibera con voto unanime l’inserzione nelle Memorie. Per gli Affi il Socio De SAncrIS presenta una Nota intito- lata; Ancora il decreto di Cn. Pompeio Strabone. GAETANO DE SANCTIS — ANCORA IL DECRETO, ECC. 727 LETTURE Ancora il decreto di Un. Pompeio Strabone. Nota del Socio GAETANO DE SANCTIS. 6 E. Pais illustrando il decreto di Gneo Pompeio Strabone pubblicato dal Gatti (1) asserì che si tratta d’un “ documento non completo ,. “ La prova indiscutibile di ciò (egli scriveva) è fornita dal fatto che in esso non sì indica il luogo ed il tempo in cui il decreto fu pronunciato , (2). Ilustrando alla mia volta la stessa epigrafe osservai che v'è tutto lo spazio per la indi- cazione del tempo e del luogo nella parte mancante all'angolo superiore destro; che il documento, tolte le rotture agli angoli, è integro, e le dimensioni stesse della lamina mostrano ch’essa sta da sè (3). | Il Pais ha risposto a lungo, alternando derisioni ed argo- mentazioni ed insistendo “ nell’escludere che ivi vi fosse luogo per accogliere le indicazioni del luogo e della data , (4). Delle derisioni non è il caso di discorrere, anche perchè sarebbe, oggi, superfluo. Delle argomentazioni neppure; perchè a smentirle è venuto in luce il frammento mancante della epigrafe (5). E in esso, conforme in sostanza a’ miei supplementi, è per l’appunto la indicazione del tempo e del luogo: [in castre|is apud Asculum a. d. XIV K. Dec. Dopo di che nessuno potrà dubitare più della “ assoluta integrità della insigne lamina , (6). E le conclusioni (1) “ Bull. archeol. comunale ,, XXXIII (1908), p. 169 segg. {2) £ St. storici per l’ant. classica ,, II (1909), p. 54 segg. (3) “ Atti dell’Ace. delle scienze ,, XLV (1909-10), p. 144 segg. (4) “ Rend. dell’Ace. dei Lincei ,, 1910, p. 72 segg.; “ St. storici ,, III (1910); p. 54 segg. (5) £ Bull. archeol. comunale ,, XXXV (1910), p. 278 sgg. (6) GartI, l. cit., p. 280. 728 GAETANO DE SANCTIS tratte dalla pretesa non integrità cadono da sè. E ne rimane con- fermato il commento giuridico che, d'accordo col Gatti e col prof. E. Costa, avevo dato anch'io della iscrizione. Come ha assai bene mostrato il Costa in una breve ma acuta noterella (1), le nostre osservazioni sulla piena legalità della concessione di cittadinanza fatta da Cn. Pompeio sono ora “ ribadite dalle nuove indica- zioni della praescriptio ,. Sopra un punto peraltro è necessario che io rettifichi quel che il Pais dice. Egli osserva che la lex Antonia de Termessibus, è incisa su di una tavola di bronzo di proporzioni e forme molto analoghe al nostro decreto; e lo stesso deve dirsi della Zex Cor- nelia de quaestoribus. Eppure queste tavole sono le prime rispet- tivamente di due serie di tavole. Ignorando ciò io avrei dimo- strato avventatezza e impreparazione (p. 68). Ma basterà osservare che il decreto di Pompeio misura cm. 0.29 X 0.515, la lex de Termessibus cm. 0.81 X m. 1.05, la lex Cornelia cm. 0.80 X 1.07. Potrà quindi trovar giustificate le censure del Pais contro le mie osservazioni intorno alle dimensioni della lamina solo chi ritenga che la matematica è una opinione. — Purtroppo argo- menti matematici non posso addurre a proposito d’un’altra sua asserzione. Egli trova assurda, ridicola, incredibile la ipotesi che solo trenta cavalieri spagnuoli fossero nell'esercito di Stra- bone (p. 63 segg.). A me pare assurda la negazione di tale pos- sibilità: dico possibilità, chè di questa soltanto ho parlato; e poichè logomachie non giovano e testis nemo adest, lasciamo pure che ciascuno giudichi da sè utri convenit credere. Nella chiusa il Pais, invocando l'autorità di A. Grenier, mi domanda quale è il mio metodo. Ad A. Grenier ho risposto, credo, quanto basta (2). e non voglio per mio conto riaprire un (1) Ancora sopra il decreto di Pompeo Strabone e la “ lex Iulia de civi- tate ,,, “ Rend. dell’Acc. delle Scienze di Bologna ,, Cl. di sclenze morali, sessione del 26 aprile 1911. (2) Per la scienza dell’antichità (Torino, 1909), p.46. Vedi la leale smen- tita che la direzione stessa del “ Journal des Savants , ha dato al sig. Grenier per l’unico preteso errore di fatto ch’egli ha creduto di notare nella mia Storia dei Romani, ivi, 1909, p. 46: e ctr. i miei articoli su La légende histo- rique des premiers sideles de Rome, nello stesso “ Journal ,, 1909, p. 126 segg., 205 sege., 1910, p. 310 segg. DO ANCORA IL DECRETO DI CN. POMPEIO STRABONE 1 729 incidente ormai chiuso. Al Pais rispondo che nel reintegrare le iscrizioni, il mio metodo richiede che si tenga conto della con- ser7zazione dei margini e delle ragioni dello spazio. Dopo tutto è un metodo che qualche volta mi conduce, pare, a risultati abbastanza soddisfacenti. C'è appena bisogno di dire che non mi viene neppure in mente di valermi di questo fortunato trova- mento, che mi dà ragione in un singolo caso contro il Pais, per argomentare contro il suo metodo di ricerca in generale, 0, peggio, contro la sua competenza d’epigrafista, sulla quale non ho mai espresso alcun dubbio. Ma forse esso può tutti ammaestrarci a rispettare chi cerca il progresso della scienza per vie diverse da quelle che noi battiamo (1). (1) Colgo questa occasione per esprimere la mia soddisfazione che sia venuta meno ogni ragione di disputare col Pais, sopra un punto in cui più dovetti esprimere il mio dissenso dalla sua Storia di Roma. Egli scriveva (I, 2, p. 716): “ Il popolo romano-sabello, ben lungi dal riconoscere la fresca sua origine, che non risaliva, nell'ipotesi più favorevole, al di là della prima metà del V secolo, nello schema costante dell’annalistica, non solo la riconnetteva con dei ed eroi, come Enea, Marte e Romolo, ma, etc. ,. “ A me non è mai venuto in mente -di affermare (scrive egli ora “ Studi storici ,, II, p. 360) che le origini del popolo romano si debbano fissare alla metà del V secolo ,. E soggiunge parole le quali dimostrano che, pur non credendo si possa determinare l’epoca delle origini dei Romani, le ritiene però anteriori, e di parecchio, al V secolo. Siamo in tutto e per tutto d'ac- cordo; e poco importa che egli abbia così buon giuoco contro argomenti miei, i quali, di fatto, non valgono contro la teoria da lui ora professata perchè erano diretti contro una sua teoria molto diversa. L’ Accademico Segretario GartANO DE SANCTIS. È i U) Ltd CONE "i î 5 ì 4 i MIS) i hi, L- 4 ì Fi ; x bia st LI ‘ c° : i j pò i - SUA rara Db ù sì i r, n ui i Li hey tw pot 4 mt A pi 19, 2 sa PRI. si ì Li è: SI N, | : ‘ A i i d CLASSE” DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI ‘ Adunanza del 21 Maggio 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Naccari, Direttore della Classe, D’Ovipio, Spezia, PeANo, JADANZA, GuaAREscHI, GuipIi, FILETI, Parona, MartIROLo, SomieLIANA, FusARI e SEGRE Segretario. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente presenta l’opera in 4 volumi, Scritti editi ed inediti del Generale Giovanni Cavalli, inviata per incarico di S. E. il Ministro della Guerra, dalla Commissione che ne curò la pubblicazione. Presenta inoltre in omaggio, da parte dell’autore, l'opuscolo: E. ScHwoERER, Les phénomènes thermiques de l’atmosphère, con un Fapport che ne ha fatto E. Boury all’ “ Académie des sciences , di Parigi. Il Socio MarTIROLo presenta in dono la sua Nota: Nuovi materiali scientifici pervenuti in dono al KR. Istituto botanico di Torino 1903-1910. Vengono presentate per gli Attî le seguenti Note: A. Roccati, La Mollieresite. Anagenite gneissificata del vallone Marges presso Mollieres (Alpi Marittime), dal Socio SPEZIA; Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 47 732 C. BuraLi-FortI, Sopra una formula generale per la tras- formazione di integrali di omografie vettoriali, dal Socio PEANO; G. PagLIERO, I numeri primi da 100 000 000 a 100 005 000, dal Socio PEANO. Il Socio Fusari presenta, per la pubblicazione nei volumi delle Memorie, un lavoro del Dott. Carlo Foà, Sulle cause del ritmo respiratorio. Vengono incaricati di riferirne alla Classe i Soci FusARI e CAMERANO. In seduta privata si procede poi alla nomina di un dele- gato al Consiglio di Amministrazione dell’Accademia. Viene ri- confermato il Socio JADANZA per un nuovo triennio. ALESSANDRO ROCCATI — LA MOLLIERESITE 709 LETTURE La Mollieresite. Anagenite gneissificata del vallone Marges presso Mollieres (Alpi Marittime). Nota di ALESSANDRO ROCCATI. (Con una Tavola). Il Prof. Federico Sacco nella sua recente Memoria sul Gruppo dell’Argentera (1), nella quale viene minutamente illustrata la Geologia e la Tettonica di una gran parte delle Alpi Marittime, richiamò l’attenzione sopra una interessante e curiosa forma- zione (da lui riferita al Permo-carbonifero), esistente in una ri- stretta zona del territorio di Mollieres. Tale formazione. era già stata sommariamente accennata dal Franchi (2) parlando del Permiano, con puddinghe, breccie, arenarie e scisti filladici, in quella località, e posteriormente dal Léon Bertrand (3), il quale però, limitando il suo studio essenzialmente al territorio fran- cese delle Alpi Marittime, non fece che riportare quanto era stato scritto dal Franchi in proposito. Si tratta dell’affioramento di una roccia d’origine evidente- mente clastica-conglomeratica, ove è specialmente interessante la natura del cemento che tiene uniti i ciottoli, poichè esso è di natura gneissica, corrispondendo assolutamente per la sua (1) F. Sacco, Il Gruppo dell’ Argentera, “ Memorie della R. Acc. delle Se. di Torino ,, Serie II, Tom. LXI, 1910 (Con carta geologica all’1:100.000 e sezioni geologiche). (2) S. FrancHi, Relazione sui principali risultati del rilevamento geologico nelle Alpi Marittime eseguito nelle campagne 1891-92-98, “ Boll. Com. Geol. Ital. ,, 1894. — In., Osservazioni sopra alcuni recenti lavori sulla Geologia delle Alpi Marittime, È Boll. Com. Geol. It. ,, 1907. (3) Liow Berrranp, Etude géologique du Nord des Alpes Maritimes, “ Bul- letin des Services de la Carte géologique de la France et des Topographies souterraines ,, N. 56, Tom. ]1X, 1897-98. 73400 . ALESSANDRO ROCCATI, composizione a quella dei caratteristici gneiss arcosici od ana- genitici, così ampiamente sviluppati nella parte superiore della formazione cristallina, che costituisce il massiccio gneissico del- l’Argentera (1), da alcuni autori, specialmente francesi, chia- mato anche, ma meno propriamente, massiccio del Mercantour. Il tipo litologico di Mollieres non è del resto assolutamente nuovo, poichè consimili conglomerati gneissificati (corrispondenti ordinariamente «ai terreni del Carbonifero) furono già segnalati ed anche descritti in altri, punti delle, Alpi (2), così ad esempio nella valle della Germanasca, nell’alta valle d'Aosta, nella Savoia, in Vallorsine e nel materiale morenico del sottosuolo di (Gi- nevra, ecc. Io ebbi occasione di vedere i conglomerati gneissificati di tutte le località sopra indicate direttamente in posto, oppure sopra esemplari staccati, ma è mia impressione, che in nessun caso essi presentano un così caratteristico aspetto (8), per, cui con ragione il Sacco (loc. cit.) propose, per indicare. la roccia di Mollieres, il nome speciale di mollieresite. Questa poi, viene ad assumere un'importanza particolare nelle formazioni permo- carbonifere delle Alpi Marittime, perchè costituisce un vero anello di congiunzione fra le anageriti tipiche, così ampiamente, e po- tentemente diffuse nella zona sud-orientale del Gruppo dell’Ar- gentera (nelle quali anageniti il cemento esistente fra i ciottoli è di natura silicea o micaceo-metamorfico), ed i gneiss urcosici, a cui accennavo sopra. Per molti di questi infatti è difficile il dire con sicurezza se si tratti semplicemente di gneiss fortemente cataclastici, oppure di gneiss arcosici, quindi, roccie. clastiche,. mentre hanno per lo più composizione mineralogica e struttura, (1) F. Sacco, IZ Gruppo dell’Argentera, loc. cit. (2) V. Novarese, Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle della Germanasca (Alpi Cozie), © Boll. Com. Geol. Ital. ,, 1895. F. Sacco, Il Gruppo del Cenisio-Ambin-Fréjus, Studio geologico. appli- cato al progetto di una nuova galleria ferroviaria tra la Valle della Dora Riparia e la Valle dell’Are (Pubblicazione del Comitato Pro Cenisio), To- rino, 1910. (3) Fra i conglomerati gneissificati da me esaminati quello che mi pare più rassomigli alla roccia di Mollieres sarebbe quello di Vallorsine, di cui blocchi e ciottoli furono pure ultimamente trovati nelle formazioni. more., niche antiche del sottosuolo di Ginevra. LA MOLLIERESITE i E ‘che’ corrispondono a quelle del materiale funzionante da cemento nella Mollieresite. Sopra queste interessanti roccie sto del resto preparando uno speciale studio, prendendo a tipo le formazioni della regione del Monte Bego, nell'alta valle della Roja. La Mollieresite non ha grande sviluppo, poichè sembra esi- stere in un ‘unico affioramento a sud di Mollieres e quivi non ha neppure estensione notevole; infatti essa è limitata alla cresta rocciosa compresa fra la Punta Barnon (2368 m. sul livello del mare) e la Testa Marges (2551 m.) nel versante sinistro (orien- tale) della cerchia terminale del vallone Marges, le cui acque vanno a confluire nel torrente di Mollieres (affluente della Tinea) | quasi di’ fronte a questa remota frazione del comune di Valdieri, il cui accesso ‘vien reso specialmente poco agevole dal fatto che si trova oltre lo spartiacque, sul versante francese delle Alpi Marittime e senza, si può dire, comunicazione diretta con il ca- polnogo. L'affioramento in posto ‘della roccia si estende per circa mezzo ‘chilometro, ma essa forma una abbastanza ‘estesa zona di detrito di falda con ‘numerosi e grandi blocchi staccati, nei quali ‘la natura conglomeratica della formazione è resa ‘evidentissima dall’azione degli agenti atmosferici. Essi infatti, facendosi sentire più intensamente sulla parte cementante che non sugli inclusi, fanno sì che questi sporgono ovunque alla superficie e sì trovano anche staccati del tutto nel detrito minuto. Lo scorso estate percorrendo la pittoresca ed interessante regione ebbi occasione di raccogliere una buona quantità di ma- ‘teriale; ‘che, unito a quello già precedentemente raccolto dal Prof. Sacco, mi' permette ora di presentare una nota illustrativa nel riguardo litologico della formazione, quale complemento a quanto già'ne scrisse il Sacco'(1) circa la geologia e la tettonica. Alcune fotografie (figg. 6, 7, 8) prese allora sul posto mi per- mettono di unire ‘al'‘lavoro una tavola, che aggiungerà certa- mente valore ‘dimostrativo al'mio scritto; alle fotografie della roccia în situ altre (figg. 1, 2, 3, 4, 5) ne ho ‘aggiunte, in gran- dezza naturale, tratte da esemplari staccati, che stanno a far vedere ‘sempre meglio la natura clastico-conglomeratica della (1) F. Sacco, JI Gruppo: dell’'Argentéra,'Voc. cit. 736 ALESSANDKO ROCCATI formazione. Ad indicare poi la esatta posizione geologica e stra- tigrafica di questa non sarà inopportuno riportare qui le parole stesse del Prof. Sacco nel suo lavoro già citato (pag. 7): “ “... se dalla regione di Colle Ferriera, dove gli schisti gneissici sono fortemente inclinati a N.-E., ci dirigiamo verso Punta Barnon, dopo esser discesi per un certo tratto lungo la dorsale di Testa Marges (dove detta inclinazione è anche di 60°), vediamo che, verso 2450 m. s. 1. m., tra tali schisti gneissici si intercalano zone di facies anagenitica, già accen- nate dal Franchi. “ Però queste anageniti hanno nulla a che fare colle tipiche anageniti del Trias inferiore...; sono invece rappresentate da elementi rotondeggianti (veri ciottoli) od angolosi, di varia forma, di natura essenzialmente granitica o quarzitica, più di rado gneissica, di grossezza variabile (da una ventina a pochi centimetri di diametro), talora chiaramente frantumati e con i frammenti risaldati in seguito, tutti perfettamente inglobati e cementati da una pasta gneissica, analoga a quella della circostante formazione; tale pasta gneissica, a struttura ca- taclastica, talora quasi arcsoica, con le sue ondulazioni si adatta assai bene a tutte le irregolarità prodotte dalla forma dei cogoli inglobati, provandoci in modo evidente che la sua gneissificazione si è compiuta quando essa già inglobava e rav- volgeva detti cogoli. Perciò io indicherei questa curiosa roccia con il nome di Anagenite gneissificata 0 gneissica, appunto per precisarne la natura litologica speciale e per distinguerla dalle solite anageniti tanto estese a S.-E. del Gruppo dell’Argen- tera, o più sinteticamente la designerei con il nome di mol- lieresite. “ Sul sito osservando le grandi lastre, e specialmente la testata rotta degli strati, la natura clastica (ciottolosa o ciot- toloso-breccioide) di questa roccia riesce evidentissima, più che non nei campioni, per quanto ne abbia raccolti molti, e rela- ‘ tivamente grandi, dato l'interesse loro. “ ‘l'ali schisti gneissico-anagenitici, o mollieresitici, alternati con i soliti strati gneissici e con qualche schisto brunastro, che al microscopio appaiono talora come arcosi laminate, si sviluppano in direzione N.-N.0.-5.-S.E. all’incirca e con incli- nazione di 40°-45°, sino alla Punta Barnon (2368 m. s. l. m.), LA MOLLIERESITE 737 “ dove essi vengono coperti da zone svariate di schisti lucidi « grigio-verdicci e di gneiss, ora granitoidi, ora invece mica- “« schistosi ,. Prima di passare alla descrizione della mollieresite è però conveniente indicare brevemente la natura e composizione degli schisti gneissici, che la ricoprono o che si intercalano localmente ad essa, avendosi graduale ed evidente passaggio dall’uno al- l’altro tipo di roccia. Questi schisti gneissici hanno cristallinità spiccata, con schistosità generalmente ben netta, anzi alle volte nettissima, passando tali roccie a vere filladi; sono allora essenzialmente riccne di un minerale micaceo metamorfico con aspetto di sericite, che si associa per lo più a clorite. Il minerale micaceo è talora così abbondante che la roccia potrebbe indicarsi come sericitoschisto; ne consegue allora una facile divisione in lastre anche di piccolo spessore (fenomeno che si produce pure naturalmente sotto l’azione degli agenti meteorici), con superficie di schistosità lucenti, fibrose, con ca- ratteristico aspetto sericeo. In altri tipi invece il minerale mi- caceo (1) è meno abbondante, la roccia assume una struttura piuttosto granulare, la schistosità diventa meno facile e meno evidente e si ha passaggio così a gneiss psammitici. Qualunque sia la struttura, l'esame microscopico non lascia però mai alcun dubbio sull’origine clastica di questi schisti, che potrebbero quindi indicarsi con il nome di gneiss anagenitici 0 gneiss arcosici od anche semplicemente arcosi, e\che sono per- fettamente simili a quelli che si incontrano in parecchi altri punti della formazione cristallina e specialmente nell’alta valle della Roja, ove sono direttamente sovrapposti ai gneiss tipici. È del resto un fatto degno di nota, come già fece rilevare il (1) Anche per gli schisti gneissici della regione di Mollieres, e- questo per i motivi già da me indicati in un precedente lavoro, parlando di roccie analoghe esistenti nell'alta valle della Roja (IZ supposto porfido rosso della Rocca dell’Abisso (Alpi Marittime), © Atti R. Acc. d. Scienze di Torino ,, vol. XLIV, 1909), non sono alieno dall’ammettere che il minerale micaceo metamorfico non sia sempre da considerarsi come sericite, ma che possa talora esser anche rappresentato da paragonite. 1138 ALESSANDRO ROCCATI Léon Bertrand (1), che se l’aspetto di tutte queste roccie varia esternamente di molto da luogo a luogo, si ha nondimeno una grande unità di composizione, come è logico ammettere che si abbia pure riguardo all’origine. La massa della roccia si rivela in ogni caso formata da elementi granulari, tondeggianti o più o meno breccioidi, tenuti insieme da cemento vario: siliceo, micaceo-sericitico, oppure di aspetto argilloso, con poca o nulla azione sulla luce polarizzata, sovente inquinato da sostanza cloritosa o da limonite. In qualche caso, benchè più di rado, la sostanza cloritosa funziona diret- tamente ed esclusivamente da cemento, spingendosi anche a riempire le fessure dei granuli. Questi sono prevalentemente di quarzo, mentre scarseggia il feldspato, specialmente plagioclasio, fatto che ritengo sia collegato con l'origine clastica delle roccie in esame, poichè dal feldspato deve provenire il minerale mi- caceo metamorfico e la sostanza caolinosa, che abbiam visto sopra funzionare da cemento. I granuli di quarzo sono per lo più tondeggianti, talora ap- parendo spezzati e come ricementati da altro quarzo finissima- mente granulare, o dal minerale micaceo od anche da clorite. Non di rado grani che a luce ordinaria sembravano omogenei, a luce polarizzata si risolvono in aggregati di grani minori con differente orientazione, fatto che del resto è comune anche nelle roccie gneissiche del Massiccio dell’ Argentera. Come già in°queste, si osserva nel quarzo degli schisti la estinzione ondulata e fre- quenti inclusioni di 2ircone. Il feldspato, sempre più o meno alterato, è rappresentato da ortosio e plagioclasio; il primo è però normalmente meglio con- servato del secondo e non mancano anzi grani di ortosio in cui la conservazione è perfetta. Esso è in geminati con legge di Karlsbad oppure privo affatto di geminazione; comune vi è la estinzione ondulata e sono abbondanti le inclusioni, specialmente di quarzo. Notevole infine è il fatto che qualche granulo pre- senta distinta la “ structure vermiculée ,, che, come già il (1) Léow Bertranp, Étude géologique du nord des Alpes Maritimes, * Bul- letin des services de la Carte etc. ,, loc. cit. " LA MOLLIERESITE 739 Franchi (1), ho potuto osservare nel feldspato di molte varietà di gneiss della regione (2). Il plagioclasio non soltanto sembra più raro dell’ortosio, ma è anche sempre più profondamente alterato con trasformazione in caolino oppure nell’ identico minerale micaceo che si vede nella roccia funzionare da cemento. Quando vi appariscono an- cora traccie della geminazione primitiva, questa sembra essere stata esclusivamente quella dell’albite con striature fine e _sti- pate, non di rado con distorsioni, rotture e spostamenti, che stanno ad indicare le forti azioni meccaniche subite dal minerale. Dei componenti, 1 quali esistettero in origine negli gneiss che diedero il materiale di queste roccie clastiche, si osservano ancora qua e là frustoli o lamine di mica, bdiotite e, meno co- munemente, muscorite. È questo un fatto evidentemente anche in rapporto con la natura dei gneiss del Massiccio dell’Argen- tera, nei quali la biotite è sempre la mica predominante. Ora la pasta gneissica che funziona da cemento nella mol- lieresite ha esattamente la composizione mineralogica che ho indicata; anzi si può ritenere che tra gli schisti gneissici e l’ana- genite gneissificata, che forma la mollieresite, non vi sia distacco, ma bensì un passaggio graduale visibile non solo al microscopio, ma anche nell'esame macroscopico della roccia, specialmente in posto. Infatti se come termine estremo noi abbiamo la molliere- site a grossi elementi, costituita cioè dalla cementazione di ciot- toli o di frammenti più o meno angolosi, aventi diametro fin di 20 ed anche più centimetri, insieme a questi sempre sono inglobati altri. frammenti molto minori, di pochi centimetri od anche solo millimetri di diametro. Ora, come succede in parecchi punti, quando questi frammenti minuti sono esclusivamente pre- senti, si. passa ad un tipo di roccia che corrisponde alle ana- geniti minute, arrivando così insensibilmente ai gneiss anage- nitici o. psammitici, ove la struttura frammentaria è soltanto più (1) S. Franc, Relazione sui principali risultati, ece., loc. cit. (2) A. RoccatI, Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso (Valle delle Rovine), “ Atti R. Ace. d. Sc. di Torino ,, vol. XXXIX, 1904. 740 ALESSANDRO ROCCATI visibile al microscopio, tutte queste diverse roccie, differenti per struttura, avendo però un’identica origine clastica. I ciottoli della mollieresite, come si è detto sopra, sono negli affioramenti superficiali sempre ben visibili, anche quando sono di piccole dimensioni, e ciò perchè gli agenti meteorici hanno un’azione notevolmente maggiore sulla parte che funziona da cemento; quindi ovunque, in posto, si vedono detti ciottoli spor- gere, anche fortemente, alla superficie.(Vedi tavola, figg. 5, 6, 7). Nell’interno della roccia è invece sovente difficile il segnare i limiti dei ciottoli e frammenti, tanto sono intimamente impastati con la massa fondamentale, facendo quasi corpo con essa ed essendo sovente di natura litologica analoga. L’aderenza è tale tra cemento e ciottoli che cercando di frantumare la roccia si possono vedere a spaccarsi i ciottoli, anzichè, come però succede anche non di rado, staccarsi nel contatto con la massa fonda- mentale. Quando si osservino isolati tali ciottoli, si verifica che molti di essi presentano ancora la loro superficie lucida, con tinta esternamente più scura, esattamente come si osserva nei ciottoli di natura alluvionale o negli elementi dei conglomerati recenti. La parte gneissica che funziona da cemento ha, ed è natu- rale data l’origine della roccia, struttura clastica; infatti nel- l'esame al microscopio vi si ritrova la struttura e la composi- zione che ho già indicato parlando degli schisti gneissici associati alla mollieresite. Si hanno cioè granuli o piccoli frammenti, pre- valentemente di quarzo, subordinatamente di feldspato, con pochi frustoli o lamine di biotite o muscovite, il tutto cementato da materiale siliceo-argilloso con più o meno abbondante il mine- rale micaceo metamorfico, che sovente si addensa nel contatto con i ciottoli avvolgendoli e disponendosi intorno ad essi con struttura come fluidale. Tra il feldspato è ancora qui l’ortosio che sembra predo- minare, essendo in grani talora perfettamente conservati e ge- minati con legge di Karlsbad; riscontrai pure in qualche indi- viduo ben distinta la “ structure vermiculée ,, anzi in un caso quel tipo speciale che ho descritto e figurato per il gneiss del Vallone delle Rovine (1). (1) Ricerche petroygrafiche, ecc. (Valle delle Rovine), loc. eit. LA MOLLIERESITE 741 _ Passando ora all’esame dei ciottoli e frammenti che entrano a costituire la mollieresite, dall'esame dei molti esemplari che hanno servito di base a questo studio, come anche dal prolun- gato esame che feci a suo tempo, sul luogo, della formazione, le roccie da cui sono formati mi pare si possano, per grado di frequenza, ordinare nel seguente modo: Quarzo ialino o latteo, Quarzite, Aplite, Microgranito, Gneiss a muscovite, Gneiss a due miche, Gneiss micaceo anfibolico. Oltre a queste roccie di tipo nettamente cristallino, origi- nario, si hanno pure con una certa frequenza nella mollieresite ciottoli e frammenti provenienti da roccie clastiche e così ar- gilloschisto metamorfico, schisto nero, arcosi. I caratteri litologici di queste diverse roccie sono breve- mente i seguenti: Quarzo ialino o bianco-latteo, del tipo comunissimo in forma di filoni, banchi, lenti, ecc. in tutta la formazione gneissica del Gruppo dell’Argentera. Quarziti, di cui un tipo granulare senza schistosità appa- rente ed un altro (quarzite micacea) con abbondante muscovite e schistosità evidente. Aplite, afanitica, compatta, di color bianco, priva di mica o con poche laminette di muscovite ; alcuni ciottoli sono di roccia a struttura cataclastica molto pronunziata. i Corrisponde perfettamente al tipo di roccia che si incontra a formare dicchi o filoni più o meno potenti in molti punti del massiccio gneissico. Gneiss a muscovite a grana fina e schistosità distinta; è roccia per lo più a profonda struttura cataclistica, ricca di quarzo e di muscovite; corrisponde abbastanza bene alla quar- zite micacea sopra indicata, dalla quale differisce per la pre- senza del feldspato (ortosio e plagioclasio). Microgranito, finamente granulare, a struttura catacli- stica, contenente muscovite e biotite; anche questa roccia cor- risponde ad un tipo che s'incontra nel massiccio gneissico con giacitura analoga a quella dell’aplite. 742 ALESSANDRO RO€ECATI Gneiss a due miche, che si può ritenere equivalente del gneiss. formante le parti centrali del nucleo gneissico del- l’Argentera e..che affiora nell'alta valle delle Rovine, nel ‘val- lone di. S. Giacomo, in; quello;:delle Finestre; dell'Alta Gordo- lasca, ecc. Qualche ciottolo si;presenta inquinato da un pigmento vio- laceo, che ..sembra , provenire: dall’alterazione della biotite, con un fenomeno analogo a. quanto. ho avuto già (1) occasione di indicare |per altre. roccie. della regione. Gneiss micaceo-anfibolico, con struttura e composi- ‘zione analoghe al precedente, ma in cui, come in consimili tipi di roccia della formazione gneissica, l’orneblenda sostituisce par- zialmente la biotite. Argilloschisto metamorfico, di color. grigio. o. verde chiaro e con schistosità più o meno evidente, ricco in quarzo finamente granulare. Schisto nero, carbonioso, a struttura schistosa. molto netta; corrisponde ad un tipo di roccia che s'incontra in parecchi punti del gruppo dell’Argentera, fra cui presso Belvédère in Val Gordolasca, ove il Léon Bertrand (2) lo considera come rappresentante del Carbonifero superiore (stefaniano). ‘ Arcosi; minutamente granulari, con mica più o meno ab- bondante. La natura della mollieresite, come del resto quella degli svariati schisti, gneissici (arcosici ed anagenitici), ed. analoga- mente pure quella delle anageniti tipiche, roccie tutte così stret- tamente collegate nella loro origine clastica, non lascia alcun dubbio sull’esistenza, durante il Paleozoieo, di un massiccio emerso sito a poca distanza. dalle attuali formazioni anagenitico-schi- stose, e la cui degradazione avrebbe appunto fornito ad esse il materiale costitutivo. (1) Il supposto porfido rosso della Rocca dell’ Abisso, loc. cit. (2) Etude géologique du nord des Alpes Maritimes,.loc. cit LA: MOLLIERESITE 743%. Neppure, mi pare: dubbio che di questo massiccio allora emerso almeno una. parte ci sia. attualmente rappresentata dal gruppo gneissico dell’Argentera; è questa del resto anche Vopi- nione di quanti si occuparono della Geologia dell'importante ‘zona delle Alpi Marittime, come; Franchi, : Léon Bertrand, Sacco;ece. D'altronde una prova chiarissima del fatto l'abbiamo nella na- tura mineralogica e litologica delle dette formazioni. Quello però che, a proposito della mollieresite, mi pare opportuno rilevare, poichè è fatto non privo d’importanza geo- logica, si è la frequenza dei frammenti di aplite, mentre invece non è assolutamente presente il granito bianco a grossi ele- menti, che pure è una caratteristica litologica del Gruppo del- l’Argentera. Infatti tale granito si estende attualmente ad un’area di circa 12 chilometri di lunghezza (N.0.-S.E.) per 10 di larghezza trasversale (1), affiorando potentemente nei dintorni ‘immediati di Mollieres, essendo anzi per buona parte scavato in esso il vallone superiore del torrente Mollieres, come interamente quello di Saleses. Io credo che la spiegazione di tale mancanza si possa avere soltanto, ammettendo che alla fine del Paleozoico la massa granitica non doveva ancora esser ‘spogliata dal manto, certa- mente potente, di gneiss, che‘inizialmente la dovette ricoprire e che soltanto in seguito fu asportato dagli intensi fenomeni di denudazione a cui andò soggetta la formazione. La messa allo;scoperto del. granito:‘in questione sembra del resto doversi ritenere come un fenomeno molto posteriore, poichè neppure nelle anageniti tipiche, così caratteristiche della regione, e che si è d’accordo nel riferire al Permiano, ma che molto probabilmente rappresentano pure, secondo l’opinione del Prof. Sacco, in parte il Trias inferiore; non compariscono mai frammenti o ciottoli di tale granito. Nella calotta gneissica ricoprente il granito, che vi doveva esser compreso quale una enorme laccolite, dovevano spingersi numerose apofisi di aplite (ultima manifestazione del fenomeno granitico nella sua parte superiore) in forma di dicchi e filoni, analogamente a quanto si osserva così frequentemente nella regione gneissica prossima ed avviluppante la massa granitica. (1) F. Sacco, Il Gruppo dell’Argentera, loc. cit. 744 ALESSANDRO ROCCATI — LA MOLLIERESITE Dal disfacimento appunto di questa copertura gneissica, e delle insinuazioni di aplite in essa contenute, sarebbe provenuto il materiale che originò la mollieresite ed in seguito, in parte, le formazioni anagenitiche, senza che i fenomeni di denudazione arrivassero ancora ad interessare il granito sottostante. Torino. GOIRER Geo- Mineralogico sr R. Politecnico. Maggio 1911. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Frammento di Mollieresite, in grandezza naturale, con ciottolo di gneiss e ciottolini di quarzo. Fig. 2. — Frammento di Mollieresite, in grandezza naturale, con inelusi breccioidi di aplite (a sinistra), di schisto (in alto ed in basso) e ciot- tolini di quarzo, ece. Figg. 3-4. — Frammenti di Mollieresite, in grandezza naturale, con nume- rosì ciottolini di quarzo, aplite; gneiss, ecc. Fig. 5. — Frammento di Mollieresite, in grandezza naturale, con ciottolo » di quarzo sporgente fortemente. Fig. 6. — Un tratto della cresta rocciosa, costituita da Mollieresite, fra la Punta Barnon e la Testa Marges. Figg. 7-8. — Due massi di Mollieresite nel detrito di falde. ‘ ieresite La Moll ROCCATIA. Atti della R. Accad, delle Scienze di Sozimo, Vol. XLVI. ber, Per Off. Fototecnica Ing. G. Molfese. Torino Lin, À Ds ‘ ti ‘ , “ e IRE “ C. BURALI-FORTI — SOPRA UNA FORMULA GENERALE, ECC. 745 Sopra una formula generale per la trasformazione di integrali di omografie vettoriali. Nota di C. BURALI-FORTI Sono già note molte formule vettoriali (!) che trasformano un integrale esteso ad un volume t in un integrale esteso al suo contorno 0. Queste possono ottenersi tutte da un'unica formula che ne dà anche molte altre nuove ed evidentemente importanti per le applicazioni fisico-meccaniche. Nella formula generale ora indicata (la (1) del n. 1) comparisce un operatore u del quale considero soltanto nove valori particolari per ottenere alcuni gruppi di formule generali; si comprende però facilmente che data la generalità dell'operatore u è probabile che altri valori particolari di esso diano ancora altre formule notevoli. Valgono, in tutto questo articolo, le ipotesi seguenti che è necessario siano nettamente stabilite e tenute sempre presenti: il punto generico P, variabile indipendente, varia in un campo continuo X a tre dimensioni; le funzioni di P che si considerano sono regolari (finite e continue con le loro derivate) in tutto il campo; U è un sistema lineare di enti funzioni di P (?); V è la classe degli operatori lineari (sempre a sinistra), funzioni di P, che trasformano vettori in elementi di U; u è un operatore lineare, funzione di P, che trasforma vettori in elementi di V; (4) C. Burati-Formi e R. MarcoLonco, Fléments de calcul vectoriel (A. Her- mann, Paris, 1910; ediz. italiana, Zanichelli, Bologna, 1909). O:mografie vettoriali (G. B. Petrini, Torino, 1909); citiamo con O. v. (*) Più in generale si può anche ammettere che: U è parte non lineare di un sistema lineare, ima le differenze degli U formano un sistema lineare. Come, ad es., 1 punti, bipunti, tripunti del sistema geometrico di Grassmann- Peano (Eléments, Appendice, 1); i razionali non interi; i numeri irrazio- nali; ecc. 746° C. BUKALI-FORTI t è un volume contenuto in 2; 0 è la superficie chiusa che contorna t; _N è il vettore unitario normale a o nel suo punto generico P e rivolto verso l’interno di t. Giova osservare, in base alle ipotesi fatte, che, se a, y sono vettori, ua è un ‘elemento della classe V (un operatore vet- toriale) e (ux)y è un elemento della classe U. 1. Sia ®(u) wr ente della classe V, funzione di u, e Y(4, e), per u vettore funzione di P, un ente della classe U, funzione di u e di u. Le due funzioni ®, Y sono, purchè esistenti, univocamente individuate dalle due condizioni (1) | | O(u)ee + Y(u, 20) { dat = doo (uN)udo T 0 (2) PEC ACOSE, ST RU 0 valendo la (1) per t fissato arbitrariamente in . Inoltre: le fun- zioni ®, Y esistono, quando esistono le derivate di u ed « rispetto a P; comunque si fissi la terna, di rettori costanti, unitaria-orto- gonale-destrogira è, j, kh si ha sempre (3) ®(1) = È 3 sl d(Uj) ja d(uk) 7 st i) iodio dP dP \dP è SN NUO TIE d d (4) W(u, "(mf (EP (0) E 0° Le funzioni ©, d' è Y, Y' sodisfino alle (1), (2). Dalla (1). si ha ( ®(u) — D'(U) { aedt + } W(u, vu) — Yu, wu) dt —=0 JT per t arbitrario in Z e comunque si fissi w. Ma per wu = cost. il secondo integrale si annulla e il primo è nullo, per t arbi- trario, solamente quando ® = ®'; allora anche il secondo inte- grale è nullo’ per t arbitrario, il che si verifica solamente quando Y = Y'. Resta così dimostrato che: se ®, Y esistono, le condizioni (1), (2) le individuano univocamente. SOPRA UNA FORMULA GENERALE PER LA TRASFORMAZIONE, ECC. 747 La dimostrazione della seconda parte del teorema è del tutto simile a quella dell'ordinario teorema (vettoriale) della divergenza (Cfr. Eléments, p. 105). Si scomponga tin parallelepipedi rettangoli infinitesimi con i lati paralleli ai vettori é,,j, # della terna unitaria-ecc. che possiamo scegliere ad arbitrio. Sia o' la superficie totale for- mata da o e dalle facce di tutti i parallelepipedi nei quali si è scomposto t, e N abbia per o' lo stesso significato già indi- cato per 0. Si ha subito (0) (a) EG N) udo' = Î (UN) do perchè uN assume valori opposti in ogni faccia comune a due parallelepipedi secondochè si considera per l’una o per l’altra. Consideriamo ora due facce opposte, normali ad è, di uno stesso parallelepipedo e sia dh la loro distanza. I valori che assume (uN)wdo' nelle due facce sono (ui) udo', — [(mi)w + d} (ué)ee | | do' e la loro somma è sa a dol TRI: n: d}(ui)ut. do' — Da UE: SI ma, nella direzione è considerata, AP=dh.é e poichè dh. do'=dt le somma precedente vale È d(ui) . dna: mR pp iler=—| i dl uidi— (ui) Sp ddt. Operando analogamente per le facce normali ad 7 e & e integrando a tutto t si ha, in virtù della (a), (6) plate S(m,u)=H(gradm, w) (6) S(W/\,u)=— /\ A (16). (7) S}H(w,v),wi=uXw.T 4 + H}grad (w X w), vi — H(w, ©) (a (8) S(e/\ a, u=®/S(a, vu) — (au) / di (9) S (Ka, w) = S (a, ) + 2u A do ù) dV (10) S (Da, u) —<$ (a, u) + 101 o (5) Da cui risulta A _ sm /,0) — S(0 /,t); (Pieri) 758 C. BURALI-FORTI (11) S (Ba, wu) — BS (a, %) + S (B, au) (12) S (ma, u) = mS (a, «) + H (gradm, aw) . Credo importante non tralasciare una curiosa osservazione, alla quale dà luogo il nuovo operatore binario, osservazione re- lativa al modo usuale di formare i tachigrafi e operatori simbolici cartesiani, o anche pseudo-vettoriali mediante una terna è, j, & di riferimento. Dalla (1°) si ha subito (a) S(a, wu)= su XU coli XU di -kXu ed è noto (0. v., p. 50) che (0) grador=, 00 44 Sl, del p, dP dP Esaminando le (a), (5) ed imitando, ad es., i criteri che hanno indotto vari autori a indicare col simbolo w grad l’ ope- d i ratore p %, Sebbene esso abbia nulla a che fare col gradiente (0. v., p. 51, nota 2*), oppure imitando il Gibbs per la definizione delle diadiche (!°), si può creder lecito fabbricare un tachigrafo, ({") Si veda in proposito un articolo del Prof. Marcolongo e mio che sarà pubblicato presto, relativo alle notazioni simboliche e alle diadiche del Gibbs che risultano non esattamente stabilite e quindi inservibili. Anche con i pseudo quaternioni, a notazione abbreviata, (cfr. Éléments, App. II) si giunge allo stesso genere di tachigrafi; con i veri quaternioni di Hamilton, a notazione completa, si opera soltanto con quaternioni di- mostrati insufficienti (ibidem) per le applicazioni. La strenua difesa che il Sig. J. B. Shaw (“ Bulletin ofthe International Association... ,, October 1910) fa dei pseudo-quaternioni è dunque del tutto inefficace e per essa si può ripetere esattamente quanto il Prof. Marcolongo ed io abbiamo detto al Sig. C. G. Knott (Enseignement, 1910). — Inoltre: dicendo, ad es., il Sig. Shaw (nota a p. 34) che l’operutore grad ha negli Elementi e in O. v. due di- 1 2 (mentre noi usiamo #7 dinanzi ad una coppia di vettori e non dinanzi ad una omografia !), dà prova indiscutibile di non aver ben comprese le notazioni che il Prof. Marcolongo ed io abbiamo introdotte negli Elementi e in O. v.; dunque il Sig. Shaw rivolge le sue critiche non a quanto noi abbiamo scritto, ma a quanto egli ha non esattamente interpretato; e ciò non ci riguarda. — versi significati (!?) e dando (p. 34)la formula H.a=- (a—@)=V.e( ), GIS E ; : 3 , Dal nostro operatore generale gp * PEDUCONO tutti gli altri operatori SOPRA UNA FORMULA GENERALE PER LA TRASFORMAZIONE, ECC. 759 o un operatore simbolico, che esprima S(a, w) mediante grada ed e, cioè che dia, in sostanza, S(a,) in funzione di grada e di «. In generale i tachigrafi così ottenuti conducono a no- tazioni praticamente inutili per un calcolo intrinseco; nel caso nostro particolare, si otterrebbe un tachigrafo semplicemente assurdo, perchè, nonostante le relazioni di forma delle (a), (0), S(a, wu) non è una funzione di grada e di u. Ciò si dimostra facilmente. Le omografie che hanno a comune con a il gradiente sono tutte e sole (cfr. la nota (")) le omografie a + K RotB con B omog. arbitraria; ma S(a + K Rot B, w) = S(a, w) + S(K Rot R, w), e poichè, in generale, S(K Rot, w)== 0, segue che col variare di a varia S(a, x), pur non variando il gradiente di a. 5. Ponendo nelle I, del n. 4, v = fa, con B omog. funzione di Pe a vettore costante, e messo « in evidenza nei tre ter- mini lo sopprimiamo, essendo esso arbitrario, si hanno le for- mule seguenti (!8), che scriviamo come si presentano per la ì po, d ] differenziali; ne segue che soltanto dopo aver espresso ap © |! quater- nioni (ed è impossibile farlo anche con l’inesatta corrispondenza stabilita dal Sig. Shaw tra ® e le omografie !) si può stabilire un confronto fra questi e le omografie. Non potevamo certo pretendere dal Sig. Shaw la citazione di questo fatto (forse a lui ignoto) sufficiente a distruggere e la difesa dei quaternioni e la critica delle nostre omografie. (18) È noto (0. v.) che l'operatore wa è tale che (u/a)x=u/(ax); analogamente, e con le stesse leggi funzionali, w Nella prima delle due tavole seguenti, sì trovano i numeri fra 100000 000 e 100 005 000 che a noi sono risultati primi. Essi sono in tutto 277. Fra 100.000 000 e 100 001700 sono 91. ll “ Journal de Mathématiques ,, loc. cit., dà invece 99 numeri primi fra 100000 000 e 100001 700; precisamente dà come numeri primi: 100 000 000 - 18 394; 6004/291221; 1500» lo 409, L60251 mentre essi ammettono rispettivamente i divisori: ara Find EVIL WELT 3 2659; 072414; 2447 O Gli altri numeri primi coincidono coi nostri. 23 * * Nella seconda tavola si trova il numero dei numeri primi in ciascuna delle prime cinquanta, centinaia sia dopo zero che dopo 100000 000, ed il numero dei numeri primi a partire sia da zero che da 100 000 000 sino a ciascuna delle prime cin- quanta centinaia successive. Questa tavola ci dice che : I numeri primi da 0 a, 5 000 sono 669, cioè in media 13-14 per centinaio; quelli da 100 000 000 a 100 005 000 sono 277 — i quattro decimi circa del numero precedente — cioè in media 5-6 per centinaio. Nel primo intervallo vi è un massimo di 25 numeri primi per centinaio ed un minimo di 8; nel secondo intervallo vi sono al massimo 12 ed al minimo 2 numeri primi per centi- naio. Dunque dopo 100 000 000 si trovano ancora delle centi- naia più dense di numeri primi che non alcune delle prime centinaia dopo zero. Aggiungiamo ancora che da 0 a 5000 la più grande suc- cessione di numeri consecutivi non primi consta di 338 numeri, ed è quella da 1328 a 1360; l’analoga successione fra 100 000 000 e 100005 000 consta di 75 numeri, ed è quella da 100 001 228 a 100 001302. Torino, maggio 1911. I numeri primi da 100 000 000 I NUMERI PRIMI DA 100-000 000 a 100 005 000 609 627 645 651 661 669 6753 687 YI 721 793 799 801 837 841 853 891 921 937 939 963 969 1029 1053 1059 1081 1087 1107 1119 1131 1147 1159 1177 1183 1205 1207 1219 1227 1505 1329 1333 1547 1557 1599 1451 1449 1467 1507 1559 1597 1569 1581 1591 1611 1625 1651 1653 1687 1689 1719 1761 1767 Lala ad 1791 TAvoOLA I. 100.000 000 + 1801 1809 1815 1819 1821 1827 18453 1887 1893 1905 1927 1929 1985 1987 2011 2013 2017 2031 2037 2059 2103 2113 2127 2139 2163 2167 2169 2173 2181 92993 2933 2251 2283 2289 25337 2549 2389 2421 2431 2457 2493 2499 2505 2509 2541 2569 2971 2589 2593 2611 2613 2629 2641 2647 2671 2673 2677 2737 2751 2769 2797 2859 2863 2899 2937 2941 2943 2961 2967 2979 5021 3037 30653 3091 3151 3158 5157 5181 3219 5248 3247 3259 32753 5279 3283 3291 3301 9313 SRI 3349 3361 3981 3417 3447 5481 3499 769 a 100 005 000. 3549 3559 DON 3601 3619 53621 3679 3691 3699 3703 8721 358 3759 3763 STA 3789 3801 3807 3811 3825 3829 3831 3867 3873 3901 3913 3927 3957 3963 4017 4027 4029 4041 4059 4089 4119 4137 4141 4143 4158 4159 4167 4189 4243 4263 4287 4309 4327 4347 4363 4389 4393 4407 4417 4449 4461 4473 4477 4501 4503 4507 4519 4521 4539 41557 4599 4549 4551 4561 4563 4629 4647 4651 4677 4719 4741 4815 4819 4831 48359 4857 4881 4893 4929 4981 770 G. PAGLIERO — I NUMERI PRIMI, ECC. TavoLa 22. Confronto fra la frequenza dei numeri primi da 0 a 5 000 e quella dei numeri primi da 100000 000 a 100 005 000. Colonna x: centinaia. a: numero dei numeri primi nell’e®° centinaio dopo 0. ; b: id. dopo 100 000 000. » c: numero dei numeri primi da 0 a 100 x. d: id. da 100000000 a 100 000 000 -|- 100 x. ” » | x MA Pala e | pi x a b la d ae a LA 1 250) #60 95 6:|‘26 |\Ill| 70 878/Fi45 alia Sion 4600 gay GIS 8A08935 rela 3. lle | E 62017.) 28 | 14.) £GMO7: elba 4.1 ‘L60061 78/5 2191529! |E124,,,SR|19p|pel60 BASTT 6, 95 2730 EI 6) 430gbeldb 6.4 5°. 1096t8 32, dd (6R24 1 de 44200 71516 | NSIN 1a5 20,132 |SEOT: 02 Asa g' [jd 413908 447) 33° TIPI gu] 463082 gi is: | asiS|S 490|1-34 | 15. 6 | 478! 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È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 14 maggio 1911. Il Presidente partecipa la morte del prof. Francesco Bona- TELLI, Socio corrispondente dell’Accademia per la Sezione di scienze filosofiche, avvenuta in Padova il 13 corrente maggio e comunica una lettera inviata a nome dei figli dell’estinto dal prof. Adelchi BonareLLI. L'Accademia prende atto della lettera e delibera d’inviare le sue vive condoglianze alla famiglia del compianto filosofo. Il Socio D’ErcoLe, ricorda con le seguenti parole il BonATELLI, esprimendo il suo profondo dolore per la perdita che fa la scienza con la morte dell’illustre filosofo: Il prof. BonATELLI era senza dubbio un insigne cultore della disciplina filosofica, nella quale fu di una grande attività e pro- duttività. Ed è cosa notevole, che, mentre produsse molte cose, queste erano ad un tempo seriamente e ponderatamente pen- sate e scritte. 772 Un'altra particolarità non meno notevole della sua produt- tività filosofica è che questa si manifestò ed estese alla tratta- zione de’ più varii argomenti attinenti a tutto l'ambito della filosofia. Ebbe conoscenza larghissima di questa nella Storia della Filosofia in genere, ma in modo speciale in qyella della Filo- sofia moderna, sopratutto della Filosofia contemporanea. Quanto alla Filosofia contemporanea, la conobbe eccellente- mente e ne scrisse con competenza dottrinale ed acume critico, come additano i suoi scritti intorno a Trendelenburg, Herbart, Lotze, Eduard von Hartmann, Wundt e ad altri per la Germania; i suoi scritti intorno ad E. Renan, Fr. Bouiller, J. Stuart Mill, al Dr. Mercier, per la Francia, l Inghilterra, l'Olanda, congiunta- mente a non pochi altri concernenti la Filosofia italiana. Quanto alla conoscenza e trattazione de’ filosofi esteri, egli era in possesso di uno strumento indispensabile, quello cioè delle lingue estere moderne, che egli conosceva eccellentemente. Un punto poi in cui egli emergeva era quello della trat- tazione de’ problemi psicologici, nei quali era finissimo osser- vatore e descrittore. Tra i tanti suoi lavori in sì fatto campo uno di quelli, in cui tale qualità spicca in modo veramente no- tevole, è a ricordare quello intitolato: La coscienza e il mecca- nismo interiore. Tutta la predetta produttività filosofica era, naturalmente, concepita, trattata ed effettuata dal punto di vista filosofico che gli era proprio, il quale è quello del teismo o spiritualismo cristiano. Senza entrare nell’apprezzamento di tal punto di vista, è degno di esser notato che egli in questo non era pedissequo delle note idee e teorie cristiane, ma portava in queste un proprio acume e un proprio modo di considerazione e trattazione. Lo stesso Socio D’ ErcoLr presenta poi i suoi due volumi intitolati: IZ Saggio di Panlogica ovvero l'enciclopedia filosofica dell’hegeliano Pietro Ceretti (Torino, 1911) e si sofferma a discor- rere della vita e delle opere del Ceretti, lumeggiando la figura di questo insigne pensatore. Le parole di lui dette in tal pro- posito sono inserite negli Atti. le) 173 ' Il Segretario De SawcrIs presenta la 3? edizione della 1? sezione della 2° parte della Geschichte der ròmischen Litteratur del professore Martino ScHawz dell’Università di Wiirzburg, già premiato dalla nostra Accademia col premio Vallauri, e rileva che il volume ora offerto in omaggio dall’Autore, contiene una trattazione veramente magistrale dell’età augustea. Il Socio STAMPINI associandosi alle parole di lode dette dal Segretario, dice che la nuova edizione della Storia della letteratura romana nell’età augustea, onora sia l'Autore sia l'Accademia che lo ha reputato degno di premio. “ Il Socio SrAamPINI, anche a nome del Socio De SANCTIS, legge la relazione sulla Memoria del Dr. Ettore PrOvANA, Blossio Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario. La Classe, approvata la Relazione e presa cognizione della monografia del Provana, ne delibera con voto unanime la in- serzione nelle Memorie accademiche. n T7T_—rC—----_-Y-- LETTURE Presentazione all'Accademia del “ Saggio di Panlogica dell'hegeliano Pietro Ceretti , del Spcio PASQUALE D’'ERCOLE Nel presentare all'Accademia il Saggio di Panlogica di Pietro Ceretti, prego gli illustri colleghi che mi permettano di entrare in alcune particolarità tanto rispetto alla persona, quanto ri- spetto agli scritti di lui; tanto più che, benchè egli sia meri- tevolissimo di esser conosciuto ed ammirato, pur vi sono non pochi, e forse alcuni anche fra noi, che non ne hanno sufficiente notizia. Il Ceretti è un piemontese nato ad Intra il 1823 e morto ivi stesso il 1884; ed è tale uomo che fa onore non solo al luogo natio ed al Piemonte, ma anche all’Italia ed alla stessa Filosofia.. Egli era a tutti ignoto pochi anni addietro. Circa 25 anni fa il libraio Loescher, per desiderio della figlia del Filosofo, mi mandò a casa tre ponderosi volumi di lui stampati in latino col titolo di “ Pusaelogices Specimen, Theophilo Eleuthero, editum Intri, 1864 ,. — Di qui il titolo di Saggio di Panlogica, ecc. dell’opera che presento ai colleghi. Da prima io rimasi maravigliato del titolo e dell’opera, e ancor più della circostanza che questa fosse interamente scono- sciuta. Ma con vivissima curiosità impresi subito a percorrerne il primo volume; e confesso che fin dalle prime pagine fui preso da vera ammirazione. Progredendo nella lettura, l'ammirazione si mutò presto in vero entusiasmo, perchè trovai in lui un uomo di mente superiore, e, per giunta, appartenente ad un’orbita di pensiere, quella dell’hegelianismo, nella quale io stesso mi mo- veva con vivo amore e profonda convinzione. Ho detto che si muove nell’orbita dell’hegelianismo, ma egli, uomo singolare in tutto, si era chiamato Teofilo Eleutero. Teofilo fu veramente, in quanto fu cultore ed attuatore del Divino ne’ suoi scritti, Divino che era per lui la Ragione assoluta. Ed Eleutero lo fu davvero in modo non meno eminente, in quanto fu liberissimo di pensiere e di organismo scientifico nel- l’istessa orbita dell’hegelianismo. Quanto alla sua produzione filosofica, questa fu addirittura sorprendente: egli ha una quantità grandissima di opere. Oltre ai grossi volumi latini mentovati, scrisse anche delle Conside- razioni intorno alla Natura ed allo Spirito: una Sinossi, che è una vera enciclopedia filosofica in compendio; e poi anche l’/a- segnamento filosofico; i Sogni e Favole; le Memorie postume; La mia celebrità, e qualche altra. Oltre a queste scrisse anche poesie, romanzi filosofici di genere sociale, ed anche un Poema col pseu- donimo di Pietro Goreni. In questa ingente quantità di opere si manifesta una vera evoluzione del suo pensiere, che passò per diverse fusi, da me ampiamente descritte in una mia antecedente opera intitolata: “ Notizia degli scritti e del pensiere filosofico di Pietro Ceretti ,, Torino, 1886. La prima di queste fasi, per indicarle qui brevemente, fu la Fase poetica, nella quale cadono appunto le sue opere poetiche e romantiche. La seconda fu la Fase filosofica in genere ed hege- liana in ispecie; ed in questa cadono le sue opere filosofiche propriamente dette, specialmente i tre volumi latini e le Consi- derazioni e la Sinossi mentovate. La terza fu una Fase di tran- sizione del suo pensiere, nella quale comincia a modificare il suo schietto pensiere hegeliano. La quarta fu la Fase utopistica e riformativa della Società civile, alla qual fase appartiene quel suo fomanzo sociale intitolato Gregorio, con cui descrive Ja Società dell'avvenire, Società, tra le altre cose, pensata già in pos- sesso della stessa Narigazione aerea, da lui preveduta e propu- gnata fin da cinquant'anni fa. La quinta ed ultima fase è quella da lui denominata del Sistema contemplativo, nella quale egli cade e vive in una specie di soggettivismo mentale. Ora, ecco una breve delineazione dell’ Opera Panlogica che presento all'Accademia. Questa si compone di quattro parti importantissime. 776 La Prima Parte porta il titolo di Prolegomeni, i quali sono una Prefazione e ad un tempo un Prospetto storico di tutta la Dottrina filosofica nella storica evoluzione della medesima. Questa evoluzione si compie e manifesta nelle tre epoche filosofiche antica, medioevale e moderna. Ed il prospetto che egli ci pre- senta in questi Prolegomeni è uno dei più dotti e più interes- santi del genere, perchè, nel riferire dei filosofi che cadono nei diversi periodi storici, attinge direttamente alle fonti originali degli autori, non esclusi i filosofi indiani, perchè il Ceretti cono- sceva anche il Sanscrito, oltre alle lingue antiche; ed aveva inoltre una conoscenza amplissima delle lingue moderne da lui imparate e parlate tra le principali nazioni d'Europa nei lunghi viaggi da lui fatti in queste. Giungendo alla fine del mentovato Prospetto, una delle cose più compiute ed importanti è la espo- sizione e disamina della dottrina hegeliana, fatta ed accompa- gnata dal proprio disegno e delineazione di Riformazione del- l’hegelianismo. La Seconda Parte è costituita dal primo volume della sua Knciclopedia filosofica riformante la hegeliana. Questo volume con- tiene la propria dottrina logico-metafisica, che, secondo il prin- cipio metodico e dialettico hegeliano della tricotomia, consiste della Prologia (che comprende e tratta la dottrina della Propo- sizione, del Giudizio e del Sillogismo); della Dialogia (che com- prende e tratta la Dottrina dell'Essere, dell’Essenza e dell’Esi- stenza; e della Autologia (che comprende e tratta la Dottrina del Sapere, del Volere e dell’Agire), la quale ultima parte di questo primo volume è concepita e trattata in modo veramente stupendo. La Terza Parte è la Filosofia della Natura, la quale è di- stinta in Natura Meccanica, in Fisica e Biologia o Natura vi- vente. Una delle cose più notevoli ed importanti di questa parte dell’Enciclopedia filosofica cerettiana è la considerazione della evoluzione storica della Filosofia della Natura, a cominciare da’ tempi più antichi, continuare coi medioevali e giungere fino agli ultimi tempi; nella quale evoluzione ei prende un posto di ul- teriore sviluppo e progresso rispetto all’istesso concetto hege- liano della Filosofia della Natura. Altra cosa di massima im- portanza, nella trattazione ed esposizione di questa evoluzione storica, è che il Ceretti mostra di conoscere a fondo le stesse 7707 opere originali dei Filosofi della Natura, e ne discute e riferisce dalle fonti di queste stesse. Altro punto notevolissimo nella Filo- sofia della Natura è che nella trattazione della Natura vivente, in un capitolo importantissimo di questa intitolato: “ La coscienza estetica della Natura ,, mette innanzi un vero concetto nuovo di sì fatta coscienza estetica, e tale da riuscire una vera nuova concezione estetica rispetto alla Natura. La Quarta Parte ed ultima è quella della Flosofia dello Spi- rito, da lui distinta nelle tre parti subordinate di Antropologia, Antropopedeutica ed Antroposofia. Mi è impossibile di entrare nelle particolarità della trattazione cerettiana di quest’ultima parte. Dico solo che vi sono in essa punti addirittura luminosi e di vera divinazione di teorie che sono state poi messe innanzi e celebrate. Di queste una è quella di Genio e Follia divenuta famosa col nome e per opera del nostro indimenticabile amico Lombroso. Ebbene, il Ceretti l'aveva già antiveduta e propu- gnata prima di quest’ultimo, e, tra le altre cose, anche meglio spiegata ed inquadrata nella generale teoria dello Spirito. Ed ora, dopo l’antecedente cenno del pensiere e dell’opera del geniale filosofo piemontese, si domanda se egli può occu- pare un posto nella storia del pensiere filosofico, e, nel caso affermativo, quale sia questo posto. La prima risposta alla domanda è che egli è meritevole di occupare un tal posto; e nel secolo decimonono egli divide questo merito col Gioberti: soltanto Gioberti e lui sono i filo- sofi piemontesi di un ordine superiore, che meritano tal posto con pensiere proprio, largo e speculativo. Il primo lo merita col pensiere speculativo della sua Formola ideale e col Dialet- tisno, col quale ultimo si approssima al Filosofo intrese nel pro- cesso dialettico hegeliano. Il secondo col Panlogismo quale prin- cipio ulteriormente esplicativo e riformativo dell’ hegelianismo. Quanto poi alla natura del posto spettante al Ceretti, questo è doppio; primamente, quello di entrare nella Generale storia della Filosofia, ed in questa nell’ hegelianismo; secondamente, nella Storia italiana della Filosofia, nella quale il suo posto è di bel nuovo nell’hegelianismo, ma nell’hegelianismo trapiantato ed ulteriormente sviluppato nell’Italia. Quanto al posto del Ceretti nell’hegelianismo tedesco, non potendo entrare nelle particolarità della cosa, dirò soltanto che NA nella Scuola hegeliana tedesca ei prende posto degnissimamente tra le figure filosofiche più spiccanti della scuola, nella quale egli è il più ampio e il più spiccato riformatore dell’ hegelia- nismo, in quanto nella riforma rappresenta in modo eminente quel tale Punlogismo, che costituisce lo spirito fondamentale della sua dottrina riformativa dell’hegelianismo stesso. Quanto poi al posto del Ceretti nell’hegelianismo italiano, egli non solo va collocato accanto ai più strenui hegeliani ita- liani, come Vera, Spaventa, Tari ed altri; ma per vastità di dottrina e per innovazione e sistemazione filosofica dell’hegelia- nismo merita e tiene realmente il primato. Relazione sulla Memoria del Dott. Errore Provana “ Blussto Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario ,. Dopo la magistrale pubblicazione del testo di Blossio Emilio Draconzio per cura di Federico Vollmer, era cosa raccomandabile che anche in Italia, ove da qualche tempo gli studî filologici han cominciato a volgersi con felice risultato alla letteratura latina cristiana, si prendesse ad esaminare con diligenza e con metodo l’opera del poeta africano, non solo per risolvere o, al- meno, cercar di risolvere le questioni attinenti alla sua vita, specie alla sua prigionia, la quale ebbe tanta influenza sullo spi- rito e sulla produzione letteraria di lui, ma altresì per deter- minare ponderatamente il valore estetico de’ suoi carmi, fissarne gli aspetti originali, da una parte, e, dall’altra, la dipendenza più o meno diretta dalla letteratura precedente, vedere i rap- porti fra l'elemento pagano ed il cristiano nello spirito e nell'arte dello scrittore, e collocarne la figura nel giusto posto che le spetta nella storia della coltura della seconda metà del V secolo di Cristo. Questo appunto fu l’intento che si propose il dottore Ettore Provana nello scritto intitolato: Blossio Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario, su cui abbiamo l'onore di riferire a questa Ieale Accademia. Tale essendo il tema preso a svolgere dal dott. Provana, era naturale che, per parecchi degli aspetti sotto cui Draconzio può essere e fu studiato, come, a cagion d'esempio, per quanto 779 si riferisce alla costituzione del testo, alla tecnica della lingua, alla constatazione di particolarità prosodiche e metriche, alle reminiscenze e imitazioni di poeti anteriori, alla fortuna stessa dell’opera Draconziana ne’ tempi del poeta e nel medio evo, egli sì rimettesse alle indagini sottili già compiute da non pochi filo- logi, senza più farne oggetto di speciale trattazione. Ma poichè non era stata detta l’ultima parola sulla autenticità di alcuni carmi a noi pervenuti col nome di Draconzio o a Draconzio at- tribuiti, doveva il Provana affrontarne di nuovo la questione; come, d’altra banda, del copioso materiale raccolto specialmente dal Barwinski, dal Rossberg, dal Vollmer stesso, a proposito della già accennata più o meno diretta dipendenza di Draconzio dalla poesia antecedente, doveva servirsi con circospetto lavoro di scelta e di eliminazione, secondo i casi; nel che, come in tutti gli altri punti trattati, il Provana, se anche non possa essere seguìto in ogni sua conchiusione, procedette con acume, con bontà di metodo, con conoscenza dell’ampia letteratura dell’argo- mento, con indipendenza di giudizio, ora combattendo, ora ret- tificando, ora integrando le conchiusioni di altri, ma esponendo pure opinioni proprie, avvalorate di serie argomentazioni. Onde il dott. Provana ha, senza dubbio, contribuito col suo lavoro a diffondere nuova luce su una delle più singolari figure della let- teratura latina dell’Africa cristiana, lumeggiando un importante capitolo di storia della coltura nello scorcio del V secolo del- l’era volgare. Noi proponiamo pertanto che la Memoria del Provana sia ammessa alla lettura nella Classe. GaeTtANO De SANCTIS. ETTORE STAMPINI, relatore. L' Accademico Segretario GaeraNO DE SANCTIS. dla A abful - stive avirast, dA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell'11 Giugno 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CamerANO, Vice-Presidente dell'A c- cademia, NaccarI, Direttore della Classe, SALvADORI, D’OvIDIO, SPEZIA, JADANZA, GuaRrEscHI, Guipi, FiLeTi, PARONA, MATTIROLO, Grassi, Fusari, BaLBIANO e SeGrE Segretario. E letto ed approvato il verbale della seduta precedente. Il Presidente annunzia col più profondo rammarico la per- dita del Socio nazionale non residente Prof. Felice Tocco, di cui ricorda i grandi meriti pel movimento filosofico in Italia. Il Socio MarTIROLO si unisce con tutto l’animo a queste espres- sioni di rammarico, che egli comunicherà alla famiglia del com- pianto Collega, alla quale è strettamente legato. Il Presidente comunica, conformemente a una lettera del Rettore dell’ Università di Pisa, che il giorno 17 corrente in quella Università si renderanno solenni onoranze ad Antonio PacinorTI, per la ricorrenza del cinquantesimo anniversario del- l'invenzione dell’anello elettro-magnetico. Propone che l’Acca- demia sia rappresentata. — I Soci NAccaRrI e Grassi appoggiano caldamente tale proposta, ricordando il grande merito dell’in- venzione del PacinorTI e l’ importanza veramente eccezionale che essa ha avuto ed ha tuttora per tutta l’elettrotecnica. — Si delibera che l'Accademia sia rappresentata dal Socio resi- dente Grassi e dal Socio nazionale BrancHI. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 50 Il Socio corrispondente Bassani e il sig. A. GaLDIERI hanno inviato inomaggio un loro opuscolo: Scavo geologico eseguito a Capri. Il Socio NaccarI, per incarico del Prof. GaRrBASSO, Socio corrispondente, presenta un volume di questo scienziato: Fisica d'oggi, Filosofia di domani; ed un altro di conferenze da lui rac- colte e pubblicate su: / progressi recenti della Fisica. Il Socio Fusari offre, per incarico dell'autore A. C. BRUNI, un opuscolo Sullo sviluppo dei corpi vertebrali e delle loro arti- colazioni negli Ammioti. Il Socio GuaRESscHI, avendo fatto riprodurre con identico frontispizio antico il libro del 1540 di Giovanventura RosertI sull’arte dei tintori, ne presenta in dono un esemplare, ricor- dando l’interesse che ha quell’opera nella storia dell’ industria dei colori. Il Socio JADANZA dà lettura della sua Commemorazione del Socio G. V. ScHIAPARELLI. Questo scritto sarà stampato fra le Memorie. Vengono presentate per la pubblicazione negli Att? le due note seguenti: G. ProLti, Sintesi della Smithsonite e dell’Anglesite, dal Socio SPEZIA; C. L. Ricci, Relazioni tra le forze e gli spostamenti per un sistema rigido soggetto a legami elastici, dal Socio Guipi. Il Socio FusarI, anche a nome del collega CAMERANO, pre- senta e legge la Relazione sulla Memoria del Dott. Carlo Foà: Sulle cause del ritmo respiratorio. La Classe approva le conclu- sioni della Relazione, e delibera l'accoglimento del lavoro nel volume delle Memorie. Infine il Socio MartIRoLo presenta una Memoria del Dr. G. Neri, intitolata: La vegetazione del “ bosco Lucedio , (Trino Vercellese). Vontributo allo studio fitogeografico dell'alta pia- nura padana, Vengono incaricati di riferirne in una prossima adunanza i Soci Parona e MATTIROLO. _—_n__r_TT__—T—_Tr—r_r—-—- —— GIUSEPPE PIOLTI — SINTESI DELLA SMITHSONITE, ECC. 783 Sintesi della smithsonite e dell’anglesite. Esperienze del Dott. GIUSEPPE PIOLTI Sintesi della smithsonite. Le ròle de l’hypothèse est tel que le mathématicien ne saurait s'en passer et que l’expérimentateur ne s’en passe pas davantage. PorncarÈ. Per quanto mi consta finora la smithsonite artificiale venne ottenuta nei seguenti modi: 1° scaldando in vaso chiuso, a 180°, solfato di zinco e bicarbonato sodico in soluzione. La cristallinità del prodotto è più evidente quando, nelle stesse condizioni, si fa reagire il clo- ruro di zinco sul bicarbonato calcico (Sénarmont); 2° decomponendo a freddo il solfato di zinco in soluzione col bicarbonato potassico in eccesso e lasciando il precipitato per alcuni giorni nella soluzione in cui tale precipitato si pro- dusse. Prima si forma un carbonato di zinco idrato che dopo poco tempo perde la sua acqua (G. Rose) (1). Ora, osservando ciò che succede in natura, parvemi che nè l'uno nè l’altro di tali due metodi riproducessero esattamente le condizioni di somma lentezza, a temperatura ordinaria, nelle quali deve formarsi la smithsonite. Difatti è noto come nei gia- cimenti zinciferi di Wiesloch (Baden), nei calcari, sia stata os- servata la formazione contemporanea della smithsonite e del (1) Fouué et Mrcner Livy, Syuthèse des minérauxr et des roches, Paris 1882, p. 208. (84 GIUSEPPE PIOLTI gesso, avvenuta lentamente per l’azione del solfato di zinco (for- matosi per l’ossidazione della blenda) sui calcari (1). D'altronde la trasformazione della calcite in smithsonite è già da lungo tempo nota in natura. Partendo dalla considerazione di tali fatti, feci l'ipotesi che l’azione lenta d’una soluzione di solfato di zinco sopra la calcite avrebbe dovuto dar luogo a smithsonite ed a gesso. E li 15 gen- naio 1893 posi in un vaso di vetro un romboedro di calcite, sospeso con un filo di platino al tappo chiudente il vaso ed una soluzione di solfato di zinco al 20 °. Li 23 giugno 1910 il romboedro era coperto di aghi di gesso, di cui uno ha una lunghezza di mm. 25 ed una larghezza di mm. 3, ma che, per lo stato fisico delle facce, non sì presta a misure goniometriche. Alla base poi delle arborescenze di gesso trovai una grande quantità di incrostazioni mammellonari bianche, costituite da aggregati fibroso-raggiati di ultraminutissimi cristalli, ad estin- zione retta. Ciò posto, lavai ripetutamente dette incrostazioni con acqua distillata calda finchè il liquido non mi indicasse più la presenza in esso dell’acido solforico, mediante il cloruro di bario; e ciò per essere sicuro che nemmeno la più piccola traccia di solfato di zinco fosse aderente alle incrostazioni. Poscia le trattai con acido cloridrico diluito e quelle si sciolsero con viva effervescenza. Ne portai altre sul carbone e scaldandole al cannello ebbi nettissima la reazione del zinco. Per cui, date le sostanze ado- perate per l’esperienza, conchiusi che le masserelle esaminate erano di smithsonite e reputai inutile farne un’analisi quantita- tiva, anche per la scarsa quantità di materiale. Giova poi osservare che prima delli 15 gennaio 1893 e più precisamente li 25 luglio 1891 avevo preparato un’altra espe- rienza per verificare se si potesse ottenere sperimentalmente l'ossidazione della blenda, ossia la sua trasformazione in solfato di zinco, mediante un agente ossidante. A tale scopo posi in un vaso di vetro, all’epoca detta, un frammento di blenda a (1) Aporr Scuaminr, Die Zinkerz-Lagerstitten von Wiesloch (Baden), “ Ver- handlungen des Naturhistorisch-medicinisechen Vereins zu Heidelberg ,, Neue Folge, II Band, 1° Heft, 1877, p. 369. SINTESI DELLA SMITHSONITE E DELL'ANGLESITE 785 contatto con una soluzione di nitrato potassico. Esaminato il liquido ora, cioè dopo circa vent'anni, trovai la -presenza ben evidente dell’acido solforico nel liquido, ciò che dimostra come realmente sia avvenuta l’ossidazione del solfuro. Dall’insieme di questi fatti appare chiaro che le mie espe- rienze provano poter essere la formazione della smithsonite, negli strati superficiali della crosta terrestre e nelle rocce cal- caree contenenti blenda, dovuta all’ossidazione della blenda, alla consecutiva formazione di solfato di zinco e finalmente alla mutua reazione fra il calcare ed il solfato, con formazione di gesso e di smithsonite. Sintesi dell’ anglesite. Non è gran tempo (1) pubblicai il risultato d’una mia espe- rienza dell’azione del nitrato di piombo sulla pirite e dimostrai che con tale metodo si poteva ottenere artificialmente l’anglesite. Ma, prima dell'inizio di tale esperimento, avevo fatto un’altra ipotesi sull'origine dell’anglesite negli strati superficiali della crosta terrestre, cioè che tale minerale potesse formarsi nell’in- terno delle masse di galena per un fenomeno di ossidazione, tanto più che, come è noto, nelle geodi di galena talvolta s'in- contra il minio. D'altronde anche il Fouqué ed il Michel Lévy (2) afferma- rono nel 1882 che “ l’anglésite se trouve généralement dans les “ chapeaux de fer des filons de galène; elle y provient de l’oxy- “ dation du sulfure de plomb ,. Ma siccome i metodi di sintesi dei vari autori indicati nel capitolo del loro libro riflettenti la sintesi dell’anglesite (8), e cioè: azione di una soluzione di solfato di rame e di cloruro di sodio sulla galena (Becquerel A. C.); fusione di un miscuglio di solfato potassico e di cloruro di piombo (Manross); azione d’una soluzione di solfato potassico sul cloruro di piombo fuso (Manross); (1) Sintesi dell’anglesite, * Atti della R. Accademia delle Scienze di To- rino ,, vol. XLV, Adunanza del 27 febbraio 1910. (2) Op. cit., p. 341. (3) Op. cit., p. 340. 786 GIUSEPPE PIOLTI mutua azione d’una soluzione di solfato ferroso e d’una soluzione di nitrato di piombo (Macè); mutua azione di una soluzione di solfato potassico e di una soluzione di nitrato di piombo (Dre- vermann); mutua azione di liquidi, di densità diversa, sovrap- posti, e capaci di produrre l’anglesite, separati da una parete porosa (Frémy), non si basavano sull’ossidazione della galena, così il Fouqué ed il Michel Lévy aggiunsero: “ cependant les dif- “ ferents procédés synthétiques, par double décomposition lente, “ont également dù étre mis à contribution par la nature ,. Ora, per affermare ciò con sicurezza, bisognerebbe che in natura s’incontrasse l’anglesite, formatasi dalla galena, in con- dizioni tali da poter istituire un confronto fra dette condizioni e quelle delle varie esperienze citate. Invece alcune di queste non mi paiono potersi considerare come lo specchio di ciò che avviene in natura e quindi hanno un valore molto relativo per la minerogenesi naturale. Poichè il cercare di ottenere un mi- nerale per sintesi senza curarsi di osservare le condizioni na- turali di formazione di esso, come purtroppo fanno taluni, è una vera inversione di termini, è un vero procedere a ritroso. Chiunque si dedichi a ricerche di sintesi mineralogica deve, a mio avviso, innanzi tutto osservare ciò che si vede in natura, tener conto delle condizioni esatte di formazione, poscia fare un'ipotesi e finalmente procedere all'esperimento. Se questo riu- scirà, si avrà diritto di credere l'ipotesi esatta. Ma trascurare l'osservazione del modo di presentarsi d'un minerale in natura, trascurare la paragenesi, fare un’esperienza ed ottenere per ri- sultato che quel certo minerale si formò in un modo che non si verifica in natura, è un genere d’attività scientifica che potrà dimostrare l'abilità sperimentale di un autore, ma che non arre- cherà alcun vantaggio allo studio della minerogenesi. Quindi si comprende che io abbia battuto un’altra strada. Cioè basandomi sull’affermazione degli autori testè citati che l’anglesite, nella parte superficiale dei filoni di galena, proviene dall’ossidazione di detto minerale, pensai di far agire per lungo tempo una soluzione di nitrato potassico (sostanza che certa- mente circola negli strati superficiali della crosta terrestre) sulla galena. E li 19 dicembre 1891 posi in un vaso un pezzo di ga- lena compatta a contatto con una soluzione di nitrato potassico; il vaso era chiuso con paraffina. SINTESI DELLA S$MITHSONITE E DELL'ANGLESITE 787 Aperto il vaso li 22 giugno 1909, trovai che il liquido in- dicava la presenza in esso dell’acido solforico e sulla galena si osservava un sottilissimo velo bianco sul quale spiccavano pic- coli aggruppamenti cristallini di colore bianco o leggermente giallognolo, come si scorge nella figura. (Ingrandimento 20 diametri). Staccando gli uni dagli altri i cristalli, che sono ottaedri a facce curve, ed esaminandoli a luce polarizzata si vede che hanno l'estinzione retta. Portandoli sul carbone ed a fiamma riducente sì ottiene un globulo di piombo; decomponendoli con una soluzione di bicarbonato sodico ed aggiungendo acido clo- ridrico nel liquido fino a reazione acida si manifesta col cloruro di bario la presenza dell’acido solforico. Quindi, date anche le sostanze adoperate, non vi può essere dubbio che i cristalli suac- cennati siano di anglesite. E la reazione che dovette aver luogo sì può esprimere nel seguente modo: 4KNO8 + PbS = PbS0O*4 + 4KNO?. Se la mia ipotesi era esatta, avrei dovuto trovare nel li- quido, in cui la galena si trasformò parzialmente in anglesite, la presenza del nitrito potassico. Allora mi servii, come reat- tivo, del nitrato d’argento ed ebbi un precipitato bianco. Per 788 GIUSEPPE PIOLTI — SINTESI DELLA SMITHSONITE, ECC. cui posso asserire con certezza che la mia supposizione non era errata. Come scorgesi quindi la mia esperienza è una prova del- l'affermazione dei signori Fouqué e Michel Lévy suaccennata, che cioè l’anglesite nelle parti superficiali dei giacimenti derivi dall’ossidazione del solfuro di piombo, poichè è appunto nella parte più esterna dei giacimenti che acque contenenti nitrati alcalini possono liberamente circolare ed esercitarvi la loro azione ossidante. Per quest'azione entra naturalmente in funzione il tempo; poichè io ebbi cura di osservare, nei primi due anni, di tanto in tanto il recipiente contenente la galena, la quale si trovava non molto distante dalle pareti di vetro del vaso; e quindi avevo agio di seguire l'andamento dell’ esperienza. Ora posso asserire che dopo detto spazio di tempo non eravi ancora traccia visibile, con una semplice lente da tasca, di formazione di cri- stalli sulla galena. Credo però che se avessi potuto, invece di una lente, servirmi di un microscopio con fortissimo ingrandi- mento, avrei già prima dei due anni visto qualche traccia di cristallizzazione dell’anglesite. Ciò posto abbandonai l'osservazione e solo due anni or sono, cioè dopo circa diciasette anni e mezzo, mi accorsi che sulla ga- lena si erano formati cristalli visibili ad occhio nudo. E se in- vece di toglierli per esaminarli li avessi ancora lasciati nel re- cipiente in cui si formarono, certamente essi sarebbero ancora cresciuti, poichè nel liquido in cui giaceva la galena vi era ancora nitrato potassico sciolto in abbondanza, come potei verificare mediante due distinti saggi chimici. Infine, affinchè siano complete le nozioni intorno alle con- dizioni in cui si formò l’anglesite, osservo che la temperatura fu quella dell'ambiente del Laboratorio del Museo di Minera- logia dell’Università di Torino, ossia oscillante da un minimo di 15° ad un massimo di 25°. CARLO LUIGI RICCI — RELAZIONI TRA LE FORZE, ECC. 789 Relazioni tra le forze e gli spostamenti per un sistema rigido soggetto a legami elastici. Nota dell'Ing. CARLO LUIGI RICCI. Introduzione. Nelle applicazioni della Teoria dell’elasticità che si fanno nella Scienza delle costruzioni si considerano per lo più dei solidi elastici nei quali una dimensione è preponderante rispetto alle altre due; e si fa di solito la nota ipotesi della conserva- zione delle sezioni piane, con approssimazione più che sufficiente per i bisogni della pratica. Non mancano d'altra parte dei casì in cui alcune sezioni trasversali sono realmente costrette da vincoli esterni a rima- nere piane; per esempio le sezioni estreme di un arco incastrato con imposte perfettamente rigide. Ed è appunto di solidi di questa specie che intendiamo qui occuparci, cioè di un solido elastico di forma affatto qualunque, nel quale due porzioni limitate so ed s della superficie esterna (per esempio le due sezioni trasversali estreme nel caso dei so- lidi più comunemente considerati nelle applicazioni), siano rese rigide; di queste una, — per es. so —, sia assolutamente fissa, l’altra s;, supposta libera dai vincoli, sia soggetta a forze esterne. La sy si può considerare essa stessa come un sistema, un corpo rigido. Il solido elastico costituisce come un vincolo, un legame elastico del corpo rigido s1; le forze a questo applicate provo- cano in esso determinati spostamenti, i quali per la loro picco- lezza si potranno considerare come dovuti a movimenti istan- tanei (1); lo studio della corrispondenza tra questi spostamenti ed i sistemi di forze che, applicati ad s,, li producono, formerà oggetto di quanto svolgerò in queste pagine. (4) Si noti che nel seguito, per comodità, con la parola moto indicherò brevemente lo spostamento dovuto al moto. 790 CARLO LUIGI RICCI In un mio recente lavoro (!) ho svolto questo studio nel caso, frequentissimo nelle applicazioni, di un corpo elastico sim- metrico rispetto ad un piano, ed ho mostrato come la corri- spondenza in questione si possa studiare considerando nel piano di simmetria le antipolarità rispetto a due ellissi; di queste l'una è la nota ellisse di elasticità del Culmann e del Ritter; per l’altra proposi la denominazione di ellisse di elasticità tras- versale. . Studierò ora il caso di un corpo di forma generica, e discu- tendo i varii casì particolari che si possono presentare, ritro- verò le proprietà già esposte per il solido simmetrico rispetto ad un piano. In questo ed in altri casì di simmetria la corri- spondenza cercata si esprime in modo molto semplice e comodo per le applicazioni numeriche e grafiche mediante equazioni lineari ridotte, le quali non formano sistema, e perciò possono essere agevolmente risolte nel calcolo numerico; inoltre si può utilmente usare il metodo di riduzione dei sistemi di forze ad un centro e ad un piano di riduzione, noto dalla Statica grafica. Anche nel caso più generale mostrerò come si possa otte- nere lo stesso risultato con opportuna scelta degli elementi di riferimento. In un caso particolare si presenta spontaneo il confronto col comportamento di un corpo rigido libero. Chiuderò questo lavoro con un cenno sullo studio comples- sivo della elasticità di più sistemi disposti in serie, sul caso dei sistemi solidali, e sul modo di dedurre dalle deformazioni le reazioni di ulteriori vincoli ai quali sia soggetto il solido elastico. CapitoLo I. Richiami della teoria delle viti. $ 1. Dovendo nel seguito fare alcune considerazioni di ca- rattere geometrico, e studiare quindi nei sistemi di forze, o negli spostamenti il loro schema geometrico, sarà bene premettere (4) C. L. Ricci, L’ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella Scienza delle Costruzioni, “ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ;, vol. LXII, 1901. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 791 poche osservazioni sul modo di considerare e trattare questi enti geometrici, e specialmente sull’uso delle coordinate. Richiameremo qui la ben nota dualità meccanica tra sta- tica e cinematica, nella quale sono elementi omologhi la diname ed il moto elicoidale, e ricorderemo che lo schema geometrico di questi due enti meccanici è essenzialmente lo stesso, ed è ciò che si suole chiamare, secondo Ball ('), la vite, cioè il gruppo costituito di una retta (asse centrale) e di una lunghezza (pa- rametro). Dalla Meccanica razionale sappiamo che un sistema di forze (od un moto elicoidale) è individuato da 6 caratteristiche, le quali altro non sono che le componenti del dato sistema in 6 forze (o rotazioni) agenti secondo 6 rette opportunamente scelte. Più in generale date 6 dinami le quali siano tutte linear- mente indipendenti, ogni altra diname si potrà scomporre secondo le viti delle 6 date dinami, ossia si potrà ottenere come risul- tante di 6 dinami, le quali agiscano rispettivamente secondo le 6 viti date, e le cui infensità siano uguali a quelle date mol- tiplicate per determinati coefficienti. Ciò si enuncia brevemente dicendo che ogni diname si può esprimere come combinazione lineare delle 6 dinami date; i coefficienti della combinazione lineare si possono considerare come coordinate omogenee della ‘vite secondo cui detta diname agisce. Poichè le viti sono enti geometrici individuati da 6 coordi- nate omogenee, esse si possono rappresentare coi punti di uno spazio lineare a 5 dimensioni S; (?). La rappresentazione può tornare utile per applicare allo studio dei sistemi di viti i concetti geometrici molto intuitivi, ed il linguaggio geometrico assai sintetico e conciso, ed inoltre per utilizzare ed applicare direttamente proprietà geometriche già note. (4) Sir Robert Stawell Barr, A Treatise on the Theory of Screws, Cam- brige, 1900. (*) Per quel che occorre nel seguito, sulla geometria dell’S; e sulle sue applicazioni alla geometria delle rette si possono vedere i seguenti lavori del chiar."° Prof. C. Seare, Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni, e Geometria della retta e delle sue serie quadratiche, @È Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Serie II, vol. XXXVI, 1884. 792 CARLO LUIGI RICCI Riguardo alle proprietà delle combinazioni lineari di più punti (viti) dello spazio S; dobbiamo osservare che: le combinazioni lineari di 2 punti costituiscono una retta £, co! ’ ” 3 n a un piano P, 00? ; ; Ai svieloi i uno spazio P3 008 ; : ai a un iperpiano P, 004 " + (THE TIR a lo spazio Sg 005 Quindi una diname (o un moto a vite) si può sempre scom- porre secondo 6 date viti le quali non appartengono tutte ad uno stesso iperpiano P.,. Perchè una diname (o un moto a vite) si possa scomporre secondo 2, 3, 4, 5 viti date occorre che la sua vite stia sul luogo combinazione lineare delle 2, 3, 4,5 date viti, le quali poi non devono appartenere ad uno stesso luogo lineare di dimensione inferiore [non più di x 4 1 in uno stesso luogo 00°]. Così se sono date 5 viti le quali non appartengono tutte allo stesso P3, secondo esse si può scomporre ogni diname la cui vite stia sull’iperpiano P, da esse individuato; e così di seguito. $ 2. Può interessare per il seguito la considerazione del - momento di due date dinami di coordinate X, ed X, (£= 1,...6); esso è una quantità che non varia al variare degli elementi co- ordinati; il Ball lo chiama coefficiente virtuale, il Klein invariante simultaneo. Interpretate le coordinate di una delle dinami, per esempio della X;°, come coordinate di uno spostamento elicoidale, il mo- mento esprime il lavoro compiuto dalla diname X, per effetto dello spostamento X;'. Esso è evidentemente la somma dei lavori o momenti di ognuna delle componenti X, per tutte le componenti X;. Per maggiore generalità, ed anche perchè ci occorrerà in seguito, potremo supporre che le dinami siano riferite a due sestuple distinte di viti coordinate. Indichiamo con M,, il momento della diname :°8ήm@ della prima sestupla coordinata rispetto alla %ema diname della se- conda sestupla; se le due sestuple coincidono si ha: Mz = Mai; RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 793 e per è = & le M sono gli automomenti delle dinami coor- dinate. Il momento delle due viti X;, X;' è quindi espresso da: 6 M= Y Mar GA k= che si può anche scrivere così: me VA/EMiX.. k= = Questa relazione esprime che le viti X,' le quali hanno mo- mento nullo rispetto alla data vite X,, costituiscono nello spazio S; un iperpiano P, di equazione M = 0. Le viti X, si dicono anche coniugate od involutorie colla vite X,. Riferite le dinami ad una stessa sestupla si avrà come si è visto: Mi, = W,,, e l’automomento della vite X, sarà espresso da: PWMae EM 4A. i,k=1 L’annullarsi dell'automomento è la condizione necessaria e ufficiente perchè la diname si riduca ad una sola forza, il moto elicoidale si riduca ad una rotazione pura, ossia la vite diventi una retta (di parametro zero). Essendo in nostro arbitrio 6 parametri relativi alle inten- sità delle 6 dinami coordinate di ogni sestupla, se le sestuple di riferimento delle X, ed X;/ sono distinte, potremo scegliere i 12 parametri in modo che 12 dei 56 coefficienti NM, assumano valori determinati, diversi da zero; se le due sestuple coinci- dono potremo scegliere i 6 parametri arbitrari in modo da de- terminare 6 tra i 21 M,, distinti. Spesso si usa assumere come elementi della sestupla di ri- ferimento gli spigoli di un tetraedro, in particolare del tetraedro fondamentale delle coordinate proiettive omogenee di punto nello spazio ordinario. In tal caso sono diversi da zero soltanto gli M;;,3 (!), e (!) Si noti che nel seguito gli indici #---3 vanno intesi © modulo 6 ,, ossia che se i+ 3 > 6 esso sta ad indicare +3 — 6 (per î="1... 6). a 794 CARLO LUIGI RICCI si potranno scegliere i 6 parametri della sestupla in modo che tutti e sei gli M,,;,3 assumano uno stesso valore dato, per es. 50 AA l’unità, in guisa che il momento di due dinami X;, X;: DEV DITER SEI a=l assuma la forma: 6 == LAI 5 Mae YXX 3; i=l e quindi l’automomento della diname X,;: Mi 43 LX, 4-3 Ù into prenda la forma: 3 Pia 2% Dis. S $ 8. Le viti coniugate o reciproche con una data vite co- stituiscono, come si è visto, un iperpiano; questo si può chia- mare l’iperpiano coniugato o polare della data vite. La corri- spondenza così definita, evidentemente lineare ed involutoria, è una polarità che chiameremo . Se indichiamo con &' le coordinate dell’ iperpiano polare, riferito alla seconda sestupla, la polarità & viene definita dalla sostituzione : ei sv; Mai Xi. fai Di qua si scorge un altro significato dei coefficienti Mz; questi per ? costante e % variabile si possono interpretare come le coordinate rispetto alla 2° sestupla dell'iperpiano polare in È del punto (vite) i*si®m° della 1° sestupla, od anche per % costante ed ; variabile, come le coordinate rispetto alla 1% sestupla del- l’iperpiano polare in R del punto k°Si®° della 2° sestupla. Se si ha un’unica sestupla di riferimento si avrà: I] AR Ma X; (ove Ma = Ma) e nel caso, più specialmente considerato nell’ordinario uso delle coordinate, in cui sono soltanto diversi da zero gli M,;43, sce- RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 795 gliendo le costanti in modo che siano tutte uguali all'unità, sì ottiene la polarità £ espressa da: , 7 E, = X;t3 ’ cioè l’iperpiano polare ha le stesse coordinate del punto scam- biate terna a terna. In questo caso la sestupla delle coordi- nate è autopolare in /, e sono pure coniugati il punto e l’iper- piano unità. Si noti che le rette dello spazio ordinario contenute in un iperpiano dello spazio S;, costituiscono un complesso lineare; le rette del complesso che passano per un punto 0 dello spazio $3, formano un fascio, cioè stanno in un piano w passante per 0. La corrispondenza tra il punto 0 ed il piano w è quella che si considera nella Statica grafica come. sistema nullo o sistema focale relativo al sistema di forze rappresentato dalla vite cor- rispondente in È all’iperpiano considerato. $ 4. Le viti di automomento nullo (rette dello spazio ordi- nario), come si è visto, soddisfanno l’equazione: Mir P i; ve =:0 (Ma => Pra) ossia i loro punti rappresentativi nell’iperspazio S; costituiscono una quadrica, rappresentante lo spazio rigato, la quale si suole chiamare la quadrica delle rette; noi la indicheremo con R,, o brevemente con f. Essa è la quadrica fondamentale della polarità & più sopra considerata. Se la sestupla fondamentale è costituita dagli spigoli di un tetraedro, l'equazione della È, diviene: ò DE «As #0 = Ogni iperpiano P, incontra la quadrica £, in una qua- drica C (00), ossia ogni sistema lineare 004 di viti, combina- zione lineare di 5 viti, contiene 00 3 rette le quali costituiscono un complesso lineare. 796 CARLO LUIGI RICCI Ogni spazio /; incontra la quadrica /, secondo un luogo C, (0?) ossia contiene 00? rette, le quali costituiscono una con- gruenza lineare. Ogni piano P; incontra la quadrica £, secondo un sistema C; (00!), ossia ogni combinazione lineare di tre viti contiene o! rette, le quali costituiscono una schiera rigata. Ogni retta £, incontra la quadrica È, in due punti, ossia ogni combinazione lineare di due viti contiene, in generale, due sole rette. Gli assi centrali delle viti di una retta È, costituiscono nello spazio a tre dimensioni una superficie del 3° ordine, la quale fu considerata da Pliicker, Cayley, Ball ed altri col nome di cilindroide. La quadrica £, delle rette contiene due sistemi co * di piani P.(%?), i quali corrispondono alle stelle di raggi ed ai piani rigati dello spazio ordinario. I piani P, di uno stesso dei due sistemi hanno a comune un solo punto (retta dell’S3); per ogni piano P, di un sistema vi sono 0? piani P, dell’altro sistema che hanno a comune col primo una retta R, (fascio di rette nello spazio ordinario S3); gli altri piani del secondo sistema non hanno alcun elemento a comune col dato piano del primo sistema. CaprtoLO II. Il corpo rigido soggetto a legami elastici nel caso generale. $ 1. Riprendiamo ora a considerare il solido elastico a cui accennammo nell’ introduzione, e cerchiamo le relazioni tra le dinami applicate all'estremo rigido s, del corpo elastico ed i moti elicoidali da queste prodotti. Dal principio della sovrapposizione degli effetti che pos- siamo applicare in virtù della piccolezza degli spostamenti con- siderati, deriva che il moto elicoidale prodotto dal sistema risultante di più sistemi di forze, è il risultante dei moti pro- dotti dai sistemi parziali; perciò le coordinate del moto elicoi- dale dovranno essere funzioni lineari ed omogenee delle coordinate del corrispondente sistema di forze. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 797 La corrispondenza tra la vite della diname e quella del moto elicoidale prodotto viene perciò definita da una sostitu- zione lineare omogenea, ed è quindi una omografia. Nel seguito riferiremo sia le dinami che i moti a vite ad una stessa sestupla di rette, spigoli del tetraedro delle coordi- nate proiettive omogenee di punto dello spazio ordinario; seri- veremo quindi le espressioni dei momenti nella forma più sem- plice indicata in un precedente paragrafo. Il noto teorema di reciprocità ci permette di affermare che se S, ed S, sono due dinami qualunque, e è,, è; sono i moti elicoidali da esse rispettivamente prodotti, il momento di $S, rispetto a d, dovrà essere uguale al momento di Sy rispetto a òd;. Ossia, se X,;, X,; sono le coordinate delle due dinami, e €,;, Es; le coordinate degli spostamenti corrispondenti, si deve avere: | acli 6 Ai Z9,143 =" x Xo.i E 1,143 = l Il Con questa condizione è facile verificare che la omografia considerata deve assumere la forma seguente: 6 (1) zig = Man Xx = 0 k=l colla condizione : Udi = Upi Il determinante dei coefficienti della (I) è quindi simmetrico. Può interessare l’espressione esplicita della corrispondenza tra gli spostamenti e le dinami che li producono; essa è l’in- versa della (I): se A è il determinante dei coefficienti della (1) ed A,, è il suddeterminante complementare dell’elemento a,x; questa omografia viene espressa dalla sostituzione: 6 (II) AXx —- DI Aix E;13 o Ed abbiamo la relazione: (1) (7 Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 51 798 CARLO LUIGI RICCI Consideriamo ora la corrispondenza prodotto della omo- grafia (1) e della polarità & definita in un paragrafo precedente ed espressa dalla relazione: Ei =, i, == 000 ove £'; sono le coordinate dell’iperpiano polare del punto (vite) &;, 3 La corrispondenza prodotto è espressa dalla sostituzione : 6 Ca = Md (EM BETLIO) | k=l e poichè il determinante è simmetrico, essa è una polarità, la quale ad una diname fa corrispondere l’iperpiano luogo di quelle dinami che compiono lavoro nullo durante l’azione della prima diname. Indichiamo con £ questa polarità. Analogamente potremo considerare la corrispondenza pro- dotto dell’omografia (II) e della polarità R= Xx = X,43; ossia viene definita dalla sostituzione: A pp Ain t;43 la quale rappresenta pure una polarità, che indicheremo con 2*. — Si noti che qui le £ sono coordinate di punto, e le X* sono coordinate di iperpiano. Il prodotto delle polarità £ ed / riproduce l’omografia (1), e così facendo il prodotto della £* e della & si ottiene la omo- grafia (II): OR =(1) CIALE ala Delle polarità £ ed £* l’una si può ottenere trasformando l’altra secondo la polarità R più sopra definita; quindi anche le quadriche fondamentali delle due polarità £ ed £* sono coniu- gate nella polarità ft. Poichè una diname qualunque agendo sul nostro sistema elastico compie sempre un lavoro di deformazione non nullo, non potrà mai essere zero il momento della diname e del cor- rispondente moto elicoidale; quindi una diname non può mai appartenere al suo iperpiano coniugato nella polarità £, e dual- RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 799 mente un moto a vite non può mai appartenere al suo iper- piano coniugato nella polarità Q*. Questo si esprime in altri termini dicendo che le polarità 2 ed £* devono essere uniformi, ossia che le loro quadriche fon- damentali: 6 6 = 6L 7 PL ; DI X; Ja — af) An E;13 Ex43 =") i,k= i,h= devono essere immaginarie. Sono queste le condizioni che la Teoria dell’elasticità ci permette di stabilire per la nostra corrispondenza, in generale, senza fare ipotesi restrittive sulla forma del sistema elastico ; e vedremo che queste condizioni bastano a determinare proprietà essenziali della corrispondenza stessa. S 2. Prendiamo ora a considerare dinami e moti specializ- zati, cioè ridotti a sole forze o sole rotazioni; questo studio, oltre a mettere in luce Ja natura del comportamento del nostro sistema elastico, ci potrà servire a stabilire alcune delle sem- plificazioni geometriche od analitiche accennate nell’introduzione. I moti elicoidali prodotti di forze uniche costituiscono una quadrica Q,, la quale è la trasformata secondo l’omografia (1) 3 della quadrica Rf=Y X X;,3 = 0, contenente le rette dello a=l spazio ordinario. Le dinami producenti rotazione pura costituiscono una qua- drica Q,*, la quale è la trasformata della quadrica delle rette R, secondo l’omografia (Il). È evidente che si può passare dalla quadrica Q, alla Qy trasformando secondo l’omografia (1)?. Le due quadriche Q, e Q;* hanno a comune una quartica, che indicheremo con Q; la quale è il luogo di quelle viti tali, che le dinami secondo esse agenti producono sola rotazione, ed insieme i moti elicoidali compiuti secondo esse sono prodotti da sole forze. Le forze producenti rotazioni pure costituiscono la quartica intersezione delle quadriche R, e Q,*; poichè la R è la quadrica delle rette detta quartica nello spazio ordinario costituisce, 800 CARLO LUIGI RICCI com’è noto (!), un complesso quadratico di rette, che chiameremo il complesso 1. Le rotazioni prodotte da forze uniche formano esse pure una quartica dell’S;, intersezione delle quadriche PR, e Q,, la quale, interpretata nello spazio ordinario, è pure un complesso quadratico di rette, che diremo il complesso 2. Alle rette del complesso 1, nell’omografia (I) corrispondono le rette del complesso 2. $ 8. Tra le forze uscenti da un punto (dello spazio 83), le quali costituiscono un piano P, dello spazio S;, ve ne sono co! producenti sola rotazione, ossia appartenenti al complesso 1 ; esse, per le note proprietà dei complessi quadratici, costitui- scono un cono quadrico €. L'equazione del cono che ha il vertice nel punto in cui concorrono i tre spigoli 1, 2, 3 del tetraedro delle coordinate è la seguente: dia 3 DI (x Aik Xi) x UHi,kh4+8 Xi) lp = va = Allo stesso modo si riconosce che tra le forze giacenti in un piano ve ne sono 20! producenti sola rotazione, ossia appar- tenenti al complesso 1, e queste costituiscono un inviluppo di secondo grado. Analoghe proprietà valgono naturalmente per le rotazioni prodotte da sole forze, ossia per le rette del complesso 2. $ 4. Ad un piano P/, (20?) della quadrica P, delle rette, — il quale rappresenta o una stella di raggi o un piano rigato dell’Sj —, nell’omografia (1) corrisponde un piano 3} della qua- drica Q,*, il quale in generale non appartiene alla /?,, ma ha in comune colla #, 0! rette, le quali in generale costituiscono una schiera rigata di 2° grado. Questo risultato, oltre che dalle note proprietà dei luoghi lineari dello spazio S;, si può anche dedurre considerando che se le rette del complesso 1 contenute nel piano 7, (stella) della A, (') Cfr. C. Seare, Opere citate. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 201 costituiscono nn cono non spezzato, le corrispondenti rette del complesso 2 devono essere tutte sghembe tra loro; giacchè se due qualunque r, ed rs si incontrassero, una loro combinazione lineare sarebbe una rotazione, ed appunto quella prodotta dal- l’analoga combinazione lineare delle forze corrispondenti fi ed fa; e quindi da una forza non giacente sul cono C; il che non può essere, poichè le forze per il punto dato che producono sola ro- tazione sono tutte sul cono C; quindi le rotazioni prodotte dalle forze del cono € costituiscono una rigata sghemba del 2° grado. Lo stesso si può ripetere per le rotazioni corrispondenti a forze di complesso 1 giacenti in un piano, e quindi costituenti uno inviluppo di 2° classe. Ai coni ed agli inviluppi piani del complesso 1 corrispon- dono quindi schiere rigate costituite dalle rette del complesso 2; e se ne hanno due sistemi 0°. Inversamente, poichè i due complessi 1 e 2 si comportano in modo affatto simmetrico, si possono ripetere questi risultati scambiando tra loro i complessi 1 e 2. Se il cono delle rette del complesso 1 passanti per un punto si spezza in due fasci di rette, il che avviene quando il vertice del cono sta sulla superficie singolare del complesso, ai due fasci corrisponderanno nel complesso 2 pure due fasci, i quali però non avranno lo stesso centro, ma avranno i centri sulla retta intersezione dei loro due piani, giacchè devono avere un elemento comune corrispondente alla retta comune dei due fasci del complesso 1. I due complessi 1 e 2 hanno a comune una congruenza di rette del 4° grado C, (002), la quale è il luozo delle rette che considerate come forze hanno per corrispondenti sole rotazioni, e considerate come rotazioni hanno per corrispondenti sole forze. Essa si può pure riguardare come intersezione della quadrica delle rette &, colla quartica Q; più sopra definita. $ 5. Consideriamo i coni di rette dei due complessi aventi il vertice in uno stesso punto V; abbiamo visto che al cono Ci del complesso 1 corrisponde nella omografia (I) una schiera rigata S, del complesso 2. e che al cono Cs del complesso 2 cor- risponde nell’omografia (II) = (1) una schiera rigata Sy del com- plesso 1. 802 CARLO LUIGI RICCI Poichè tutte le rette del cono €; incontrano tutte le rette del cono C,, per il teorema di reciprocità tutte le rette della rigata S, devono incontrare tutte le rette della rigata Ss, cioè le due schiere rigate sono associate, ossia appartengono alla stessa quadrica (dello spazio Sg). Abbiamo visto che se il cono C, si spezza in due fasci, anche la schiera rigata S, ad esso corri- spondente, si spezza in due fasci (aventi i centri distinti sulla intersezione dei piani pure distinti); quindi, poichè la Ss è as- sociata della Sj, dovrà essa pure spezzarsi in due fasci, ognuno dei quali avrà il centro di uno, ed il piano dell’altro dei fasci precedenti; ma in tal caso anche il cono C, corrispondente di S, deve spezzarsi in due piani. Quindi se il punto V appartiene alla superficie singolare del complesso 1 esso appartiene pure alla superficie singolare del complesso 2, e poichè ciò vale per qualunque punto singolare, ne consegue, che i due complessi quadratici 1 e 2 hanno la stessa superficie singolare, ossia sono OMOFOCALI. Per le note proprietà dei piani tangenti alla superficie sin- golare di un complesso quadratico risulta da quanto abbiamo visto — e si può pure dimostrare in modo diretto -— che se per un piano si spezza in due fasci l’inviluppo del complesso 1, per lo stesso piano si spezza pure l’inviluppo del complesso 2. $ 6. Discussione dei casi speciali. — Occupiamoci ora di de- terminare in base alle proprietà della corrispondenza (1), quali sono i casì speciali, che sì possono presentare, e precisamente, poichè i due complessi 1 e 2 sono elementi caratteristici nella nostra questione, ci proporremo di studiare le varie specie di questi complessi (!). Com'è noto, i complessi quadratici si clas- sificano secondo le particolarità della loro superficie singolare, e poichè, come abbiamo dimostrato, i complessi 1 e 2 sono omofocali, essi saranno sempre della stessa specie; basterà quindi studiare uno di essi. Le particolarità di un complesso quadratico sì ricercano studiando il fascio di quadriche dell’S; avente per base il com- plesso medesimo. Poichè il nostro complesso 1 è l’intersezione (1) Cfr. ad esempio C. Seere, Opere citate. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 803 delle quadriche & e Q*, dovremo studiare le particolarità del fascio di quadriche: okT_-Q*=0 e per il complesso 2 il fascio: ok —-—Q=0. Il determinante dei coefficienti di questa forma quadratica uguagliato a zero costituisce un'equazione di 6° grado in o, le cui radici corrispondono ai coni del fascio di quadriche. Le ra- dici doppie di questa equazione ci danno i punti doppi della quartica intersezione delle due quadriche, ossia le rette doppie del complesso. I complessi si classificano quindi secondo la forma della caratteristica ossia del gruppo degli esponenti dei divisori ele- mentari del discriminante dell’equazione of -— Q* = 0 secondo il metodo di Weierstrass (!). La quadrica Q* è la trasformata della x z,Z;,3=0 secondo a=l 6 la sostituzione: Z,,3 = Yax 4, dalla quale si ha pure: k=1 E }x di4+3,h Xi, . h=1 Sostituendo si ottiene : 3 6 6 6 3 va ) ra Za n » EgE;jg = » )a dix 4i43,h NA D Xx, Kr 33, Ain VWiyt3,h = 0. i == = a=103k=1 h,k=1 Più brevemente possiamo scrivere: 6 DI Prr X, Ki=0 ,k=1 avendo posto: bdo Pr = 1 Udii3 n Ui,k- (1) Cfr. anche KLern, Ueber die Transformation der allgemeinen Gleichung des 2weiten Grades 2wischen Linien-Coordinaten auf eine canonische Form, “ Math. Ann. ,, XXIII, 1884, S. 557, u.f. 804 CARLO LUIGI RICCI 3 Essendo la È espressa da pi NOA e A08 9g= l'equazione: Q* — cE=0 ha il determinante seguente: | Pi P12 P13 Pra 9 Pas Pie Pa P22 P23 Pos Pao O Pas Ps1 P32 P33 P34 P35 Pas 051 ed 0 Psi 0 Pas P43 Pas Pas Pas Psi Psa — 0 Ps3 Pos Ps5 Pse Per Per Pos — O Ped Pes Pes | Per semplificare la ricerca potremo immaginare ridotte le quadriche È e Q in forma canonica. Abbiamo visto in un precedente paragrafo che l’omografia (1) si può ottenere con prodotto delle due polarità ed £ delle quali la prima è uniforme, e la seconda ha per quadrica fon- damentale la quadrica delle rette. La quadrica Q, o la polarità rispetto ad essa, si ottiene trasformando la quadrica o polarità & secondo l’omografia (1); sl trova: Q= (7 R (1) = RORQR. Con una conveniente trasformazione di coordinate nell’ S; sì può porre: 6 6 QquYa;ax?=0 R=Ya?=0. = il È ben noto che quando una delle polarità (2) è uniforme, detta trasformazione di coordinate si può sempre fare con una sestupla di riferimento reale, e con coefficienti a; reali e diversi da zero; le coordinate di un punto reale non sono però tutte reali, ma tre di esse sono immaginarie pure. Inoltre dalla così detta legge d'inerzia relativa ai segni di coefficienti di una forma quadratica risulta che tre delle a; sono positive e le altre tre negative. È facile verificare in base alla precedente espressione di Q= RQRQR che la Q con questa trasformazione di coordinate diviene: RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 805 La quadrica Q*, o la polarità relativa, si ottiene trasfor- mando la R secondo l’omografia (II) inversa della (1), e si ha: (I) = (= RQ. Quindi: Q* = (1) R (1) = QRERQ= QEQ essendo: PR? = 1. Di qui si ricava: Il complesso 1 è quindi definito dalle due equazioni: R=YMax?8=0 = Yafx8=0. i=1l Il complesso 2 è definito dalle: Dalla forma delle equazioni ridotte risulta ciò che già si è dimostrato direttamente, ossia che i due complessi sono omo- focali (!). L'equazione che ci dà colle sue radici doppie le rette doppie del complesso 1 si ottiene uguagliando a zero il determinante dei coefficienti della forma: cR — Q*, nel quale sono diversi da zero soltanto gli elementi della diagonale principale : quindi si ha: 6 TI (0 La dè) ==: = Le radici sono: O = aò. Una radice doppia può provenire da a, = + ay. Analogamente l'equazione relativa al complesso 2 è la se- guente: (4) V. Krein, Liniencomplexe ersten und 2weiten Grades, * Math. Ann. ,, vol. II (1870). S. 223-224. 806 CARLO LUIGI RICCI Le radici sono: ed una radice doppia si ha per a, = + a,; risulta quindi che i due complessi hanno le stesse rette doppie, come deve essere poichè sono omofocali. Dalla forma dell'equazione risulta che ogni radice doppia annulla anche tutti i suddeterminanti di ordine 5, ogni radice tripla tutti i suddeterminanti di ordine 5 e 4, e così via; in generale ogni radice wmP* annulla tutti i suddeterminanti fino all’ordine 6 — n+1=7—wmf(m= 6). Quindi i divisori ele- mentari saranno sempre lineari, e saranno cioè da escludere quelle specie di complessi, che ammettono una caratteristica con indici diversi dall’unità. Nei casi in cui si hanno radici doppie, |(11) 1111|,|(11)(11) 11).[(11)(11)(11)|icomplessi presentano rispettivamente 1, 2 e 3 coppie di rette doppie (sghembe quelle di una stessa coppia, e del resto incidenti). Le rette doppie di una stessa coppia si cor- rispondono in doppio nell’omografia (I). CapitoLo III. Caso speciale dei complessi tetraedrali. $ 1. Presenta particolare interesse il caso del complesso tetraedrale [(11)(11)(11)], sia per le sue proprietà caratteri- stiche, le quali permettono di semplificare notevolmente le espressioni della omografia (1), sia perchè alcune sue ulteriori specializzazioni metriche si presentano frequentemente nelle ap- plicazioni. Vediamo ora come l’esistenza di questo possa essere rico- nosciuta anche senza ricorrere al criterio analitico più sopra esposto. Abbiamo visto che ai piani P, (stelle o piani rigati dell’$3) della quadrica PR, corrispondono nella omografia (1) e (II) i piani P, delle quadriche Q, e Q@,*, i quali in generale non coincidono con alcuno dei P, della R,, ossia in generale contengono viti gene- riche non tutte ridotte a sole rette, ed abbiamo anche visto che quelle ridotte sono le c0! generatrici di una schiera rigata. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 807 In particolare può accadere che la quadrica Q,* abbia a comune colla R, un piano P,"" corrispondente di un piano P, di R, nell’omografia (I). In tal caso è facile dimostrare che P,' e P,'" non possono appartenere alla stessa delle due serie di piani P, di R,, ossia, se P.' è una stella di raggi, P.” deve es- sere un piano rigato e viceversa. Infatti, supponiamo che P,' e P," appartengano alla stessa serie, cioè siano entrambi o stelle di raggi, o piani rigati: in tal caso al raggio comune r considerato come appartenente a Py co: risponde un raggio P," incidente ad r; il che non può veri- ficarsi, poichè il coefficiente virtuale di due viti corrispondenti in (I) non può mai essere nullo, ed in particolare due raggi corrispondenti non possono mai essere incidenti; quindi è assurda l'ipotesi. Per ragioni analoghe il centro della stella ed il piano ri- gato non si appartengono; infatti ogni forza deve essere sghemba rispetto alla corrispondente rotazione. Perciò, se esiste un punto P, in guisa che tutte le forze uscenti da esso producano sola rotazione, gli assi delle rota- zioni prodotte giacciono tutte in un piano m non passante per P. Possiamo assumere come vertice e faccia opposta del te- traedro delle coordinate il punto Ped il piano mr; e siano X,, &; per è = 1, 2, 3 tra le componenti di una diname e di un moto elicoidale, quelle che escono da P, e per i = 4, 5, 6 le altre tre componenti giacenti in m. Poichè una forza uscente da P,(X = X5= X; = 0) per l’ipo- tesi fatta produce una rotazione giacente in n (1 =, = & = 0), nella sostituzione (1) sono nulli i coefficienti 4, per < = 4, 5, 6 e k= 1, 2, 3, e quindi essendo 4, = 4; sono pure nulli i coef- ficienti peri=1,2,9 e K= 4,5, 6. Quindi la sostituzione (I) si scinde nelle due seguenti: 3 6 3 (a) Es = ZaxÀda; Egg = Mn Xr = Dsdara) k=L k=4 Il delle quali la seconda dimostra che le forze giacenti in m pro- ducono rotazioni passanti per P. Ciò si può pure dimostrare osservando che ogni forza gia- cente in m è incidente a tutte le rotazioni di mr, corrispondenti 808 CARLO LUIGI RICCI alle forze di P; dunque lo spostamento prodotto da detta forza deve essere tale da avere momento nullo rispetto a tutte le forze di P, e quindi esso non può essere altro che una rotazione intorno ad un asse passante per il punto P. Scomposta ora una diname in due forze componenti, l’una fy passante per P, l’altra f,, giacente in n, la corrispondente defor- mazione risulta di una rotazione r, passante per P, prodotta dalla f;, e di una rotazione r,, giacente in m, prodotta dalla fa; le relazioni geometriche tra le componenti delle forze e le cor- rispondenti rotazioni sono espresse dalle sostituzioni (a). E pre- cisamente, poichè le X, per % = 1, 2, 3 possono essere interpre- tate come le coordinate omogenee della traccia sur della forza fi, la prima delle (a) esprime che tra la traccia della f, e la rota- zione prodotta r,, intercede una polarità uniforme, — la quale si potrebbe costruire come antipolarità rispetto ad un’ellisse. — Analogamente la seconda delle (a) esprime che tra le forze contenute nel piano tm, e le traccie su m delle corrispondenti rotazioni (passanti per P) di coordinate &,, per î = 1, 2, 3, in- tercede pure una polarità uniforme. Potremo chiamare questa la polarità 1, e la precedente la polarità 2. Le due polarità 1 e 2 ammettono un triangolo autopolare comune, il quale è certo reale poichè le due polarità sono uni- formi. I vertici di questo triangolo godono proprietà analoghe a quelle del punto P; ossia tutte le forze passanti per uno di questi punti producono rotazioni pure, i cui assi stanno nel piano individuato da P, e dal lato opposto del triangolo autopolare. Infatti le componenti fi, ed f, di una tale forza produrranno la prima una rotazione uscente da P, ed incidente al lato del tri- angolo, opposto al vertice considerato, l’altra una rotazione intorno a questo stesso lato; le due rotazioni componendosi danno luogo ad una rotazione giacente nel piano determinato da P e dal lato stesso. Potremo assumere come ulteriori vertici del tetraedro delle coordinate i tre vertici del triangolo in questione; in tal caso ogni forza agente lungo uno spigolo del tetraedro delle coordi- nate produce rotazione intorno allo spigolo opposto; perciò l'omografia (1) prende la forma semplicissima N Liri vessillo 46: RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 809 In questo caso il tetraedro è la superficie singolare di en- trambi i complessi 1 e 2, i quali sono quindi tetraedrali. Le quattro stelle di centri, i vertici del tetraedro, ed i quattro piani rigati aventi per sostegni le faccie del tetraedro, interpretati nello spazio S; sono otto piani P, comuni alle tre quadriche F,, Q,, Q*. Essi costituiscono la congruenza Q; di 4° grado, — dege- nere —, comune alle tre quadriche. Una stella ed il piano rigato opposto si corrispondono in doppio modo nell’omografia (1). $ 2. Ciò che ora abbiamo visto ci permette di enunciare il seguente: TrorEMA: Se un complesso quadratico di rette ammette una stella ed un piano rigato i cui raggi siano tutti del complesso ed î cui sostegni non si appartengono, esso è un complesso tetraedrale; il centro della stella e il piano rigato sono vertice e faccia opposta del tetraedro. “Il quale può essere dimostrato direttamente come segue: Sia P il centro della stella, il piano rigato; e P non stia su m. In ogni piano passante per P si ha un fascio, di centro P, di rette del complesso; quindi detto piano deve ancora conte- nere un fascio di raggi del complesso, e poichè appartiene al complesso la retta intersezione del piano in questione col piano ©, il centro di detto fascio deve stare su questa retta. Così pure per ogni punto di m il cono di rette del complesso si spezza nel piano n stesso ed in un altro piano, il quale passa per P. Consideriamo ora due punti generici non allineati su P, e siano A e B: i relativi coni di raggi del complesso segano il piano n secondo due coniche « e 5 le quali passano rispettiva- mente per i punti A'e 5", proiezioni su m di A e B dal punto P, poichè i raggi PA e PB appartengono al complesso. Per ciò che si è detto poco sopra sulla retta A'B' si dovrà tro- vare un punto C, centro di un fascio, contenuto nel piano PA'B', tutto di rette del complesso; quindi, poichè sono del complesso le rette CA e CB, il punto ! è un’intersezione delle due co- niche a e d. Queste si incontrano in altri tre punti U, V, W; per uno qualunque di questi punti, per esempio U, sono del 810 CARLO LUIGI RICCI complesso le rette del fascio (Um), e poi le tre rette UP, UA, UB, le quali non stanno in un piano, avendo noi supposto non allineati i tre punti P, A, B; perciò tutte le rette passanti per U sono rette del complesso; e lo stesso si può ripetere per i punti V e W. Il complesso è quindi tetraedrale, ed i vertici del tetraedro singolare sono PUVW. $ 3. I sistemi simmetrici. — Vediamo ora alcuni casi par- ticolarmente semplici che si presentano frequentemente nelle applicazioni, e nei quali è facile constatare direttamente l’esi- stenza di una stella o di un piano rigato di rette tutte nel complesso 1 (e 2). Supponiamo che il nostro sistema elastico sia simmetrico rispetto ad un piano che chiameremo n. È evidente che sistemi di forze simmetrici rispetto a detto piano producono spostamenti pure simmetrici. Una diname si potrà ridurre a due forze componenti, l’una fi giacente in m e l’altra fa normale a detto piano; così pure il moto elicoidale si può ridurre a due rotazioni componenti l’una r; contenuta in mt, l’altra r, normale a tm. Si noti che la rotazione simmetrica di una data viene rap- presentata dal segmento opposto del simmetrico di quello che rappresenta la rotazione data. Quindi il simmetrico di un dato moto elicoidale rappresen- tato dalle rotazioni x, ed r,, ha per componenti le rotazioni — rj ed rs. Una forza giacente in m coincide colla sua simmetrica rispetto a t; quindi il moto da essa prodotto deve pure coin- cidere col suo simmetrico, perciò deve essere r,= —r,= 0, ossia la deformazione sì riduce alla rotazione r, normale a q. Una forza normale a m coincide coll'opposta della sua sim- metrica, perciò anche la deformazione corrispondente coincide coll’opposta della simmetrica; quindi deve essere: r,e= — ra=0, ossia il moto prodotto si riduce ad una rotazione r,, giacente in m. Quest'ultima proprietà, dimostrata direttamente, si poteva dedurre dalla precedente per quanto si è visto più sopra; giacchè se le forze giacenti in mt producono rotazioni passanti per il punto P,, in direzione normale a m, le forze uscenti da P., de- vono produrre rotazioni giacenti in q. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 811 In questo caso i complessi 1 e 2 sono tetraedrali; e sono piano e vertice opposti del tetraedro singolare comune il piano ed il punto P, in direzione normale a t. È chiaro che se il sistema elastico ammette un altro piano di simmetria normale a t, anche questo, col punto all’ infinito in direzione normale, appartiene al tetraedro singolare; e così pure quando esista un terzo piano di simmetria, ortogonale ai due precedenti. $ 4. Questi casi, come già accennai nell’introduzione, fu- rono da me trattati nel mio lavoro già citato. Ivi è studiata la corrispondenza tra le componenti delle dinami, e quelle dei moti elicoidali mediante le due polarità 1 e 2 (antipolarità rispetto alle ellissi 1 e 2); e si accenna pure all’esistenza ed alle pro- prietà del tetraedro fondamentale (V. cap. IV, $ 11, estr. pag. 41). Furono pure studiate le condizioni perchè una forza produca sola rotazione (V. cap. IV, $ 5, pag. 36 estr.); e vorrei ora qui accennare come, mediante i risultati là ottenuti, si possono sta- bilire le proprietà caratteristiche dei complessi 1 e 2. Si considera colà una trasformazione quadratica (X — P,) la quale ad un punto X di m fa corrispondere il punto P, in- tersezione delle due polari di X nelle due polarità 1 e 2; e poi la trasformazione pure quadratica (.X — p) ottenuta come pro- dotto della (X — P,) e della polarità 1, (P,— p). Per ogni punto X di m passa una retta p corrispondente di X nella trasformazione quadratica (X— p), in guisa che ogni forza passante per X e proiettantesi in p produce una rotazione semplice. Se X descrive una retta #, la p inviluppa una conica 7° Consideriamo un piano qualunque t di traccia t; tra le forze di questo piano producono sola rotazione quelle, le cui linee di azione si proiettano su t nelle rette dell’inviluppo 7’ ossia sono tangenti alla conica 7" di t, la cui proiezione ortogonale su tt è la conica 7. Se la retta p descrive un fascio di centro ©, il punto X descrive una conica €; se consideriamo un punto qualunque Cl, il quale si proietti ortogonalmente su m in C, tra le forze le cui linee d’azione passano per P', producono sola rotazione 812 CARLO LUIGI RICCI quelle che stanno sul cono F ottenuto proiettando la conica C dal punto C°. Si riconosce così che le forze producenti sola rotazione co- stituiscono un complesso quadratico (complesso 1). In modo ana- logo si possono stabilire direttamente le proprietà del com- plesso 2; e si possono pure riconoscere, come è facile verificare, le proprietà relative alla superficie singolare, ai coni o inviluppi del complesso spezzati, ed alle rigate a questi corrispondenti nell'altro complesso. $ 5. Nel lavoro citato la corrispondenza veniva definita dalle due ellissi fondamentali delle due antipolarità 1 e 2, e dei pesi elastici relativi. Scelto come riferimento il tetraedro singolare, se 1, 2,3 sono gli spigoli di questo contenuti in n, i coefficienti d;,, a9, 43 della trasformazione : En ast, (&=.1;1- 0) sono i momenti statici del peso elastico 1 (ordinario) rispetto ai tre suddetti spigoli, quindi sono proporzionali alle distanze del centro dell’ellisse 1 (ordinaria), da quelle tre rette, ossia sì pos- sono assumere come coordinate omogenee di detto centro rife- rito al triangolo formato da quei tre spigoli. La grandezza del peso elastico relativo si otterrà dividendo uno qualunque di detti coefficienti per la distanza del centro 1 dalla corrispon- dente retta fondamentale. prete)! 1 : ° Analogamente le quantità ag SOLO momenti sta- 4 dg de tici, rispetto ai detti lati, del peso elastico 2 (trasversale), od anche le coordinate omogenee, rispetto al triangolo fondamentale, del centro dell’ellisse 2 (trasversale): anche qui la grandezza del peso elastico si ottiene dividendo una di dette quantità per la distanza del centro 2 dal corrispondente asse. $ 6. Analoghe specializzazioni si presentano nel caso di un sistema elastico simmetrico rispetto ad un punto P. Anche qui è evidente che sistemi di forze simmetrici rispetto a P producono spostamenti pure simmetrici. Riduciamo la diname ad una componente passante per P RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 813 e ad una coppia; riduciamo il moto elicoidale ad una rotazione r passante per P e ad una traslazione #. Una forza passante per P produce sola traslazione. Infatti una forza che passi per P coincide coll’opposta della sua simmetrica; e quindi la corrispondente deformazione (7, t), la cui simmetrica è la (r, —#), deve essere tale che += —r=0, ossia si riduce ad una sola translazione #. Una coppia produce una rotazione pura passante per P. Questa proprietà risulta dalla precedente, osservando che per quanto si è dimostrato più sopra, se le forze uscenti da P producono rotazioni giacenti nel piano all'infinito n, (trasla- zioni), ne consegue che le forze di questo piano (coppie) pro- ducano rotazioni uscenti da P. D'altra parte ciò si può dimostrare pure direttamente os- servando che una coppia coincide colla sua simmetrica rispetto a P, e quindi il corrispondente spostamento deve essere tale che si abbia: ft = —t=0, ossia sì riduce ad una semplice ro- tazione r passante per P. In questo caso il tetraedro fondamentale risulta costituito del piano all’infinito, al quale è opposto il vertice P, e di tre piani passanti per P, i quali si determinano al solito modo, cioè proiettando da P il triangolo autopolare comune alle due polarità nel piano all’infinito. Le coordinate riferite a questo tetraedro sono le coordì- nate cartesiane. È ovvio che se il sistema elastico ammette pure un piano di simmetria passante per P, anche questo piano appartiene al tetraedro, e gli altri due piani propri di questo sono normali a detto piano di simmetria. $ 7. Confronto col corpo rigido libero. — Può accadere che anche questi due piani siano ortogonali tra loro, e che inoltre nelle espressioni dell’omografia (I) si abbia: a, = @9= 43, avendo assunto come rette 1,2,3 i tre assi (proprii) delle coordinate cartesiane. In tal caso il comportamento dell’estremo del nostro solido elastico è perfettamente identico a quello di un corpo rigido libero sollecitato da forze esterne, e precisamente l’omografia (1) intercede tra le forze istantanee e le corrispondenti accelera- Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 52 814 CARLO LUIGI RICCI zioni, oppure (e questo è il caso in cui più è utile questo me- todo geometrico) tra le due forze impulsive, ed i moti (finiti) da esse impressi al corpo (!). Gli elementi uniti nell’omografia (1) costituiscono le così dette viti principali d'inerzia. Il tetraedro contiene il piano dell’infinito ed i tre piani dia- metrali dell’ellissoide centrale d'inerzia. Se M è la massa del corpo e J; è il momento d'inerzia rispetto all'asse principale < (per è = 1, 2,3), si ha: 1 49 = N X; e E= Xs per v=L, 20h Queste equazioni hanno appunto ]Ja forma di quelle relative al solido elastico nel caso sopra considerato: 1 . UT dix3 va dio dI In ognuno dei piani principali d'inerzia si hanno a consi- derare le polarità 1 e 2, le quali anche qui si possono costruire come antipolarità rispetto ad ellissi. L’ellisse fondamentale dell’antipolarità 1 è un cerchio, il quale si può chiamare cerchio d'inerzia longitudinale; esso ha il centro nel baricentro del corpo, ed ha per raggio il raggio di inerzia rispetto all'asse principale normale al piano considerato. L'ellisse fondamentale dell’antipolarità 2 si può chiamare ellisse d’ inerzia trasversale; essa ha per semiassi i raggi dei cerchi longitudinali degli altri due piani rispettivamente. Nel piano all'infinito la polarità 2 è la polarità rispetto all’assoluto dello spazio. $ 8. Equazioni ridotte dei complessi. — Nel caso ora con- siderato in cui i complessi 1 e 2 siano tetraedrali le equazioni di questi si possono esprimere in una forma molto semplice. (') Questo caso fu particolarmente studiato sotto forma geometrica da R. Barr nella già citata Theory of Screws, e nelle Researches in the Dynamies (SPINE No) RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. Il complesso 1 è determinato dalle due relazioni : 3 - 7 Sa di Udi4+-3 pa Ai4g 0) 3 pia X;43 =S0 1 il bo r 815 dalle quali con semplici trasformazioni algebriche e ponendo db; = 4;4;.3 Si ricavano le seguenti: ac: Cr DCRTAMD 0 Per il complesso 2 si ricava analogamente: E, E, E, E, ori 1 H ba sv ds ba di db, ba od anche: z, E, z E ZE, + —-- bi (03 — da) iii bs (bi — da) dbi(03- dI) Nel caso del corpo rigido libero si ha: Complesso 1: Vibabatlariv inizia «bosa: sl 0h Ji (Ja — Ja) WES Is (SL I)" CapitoLo IV. Gli sforzi e gli spostamenti riferiti a due sestuple distinte. $ 1. L'espressione dell’omografia (I) può prendere la forma semplicissima: &, = 4; X; qualora si assuma come sestupla fon- damentale delle coordinate la sestupla degli elementi uniti del- l'omografia stessa. Poichè l’omografia (I) è il prodotto delle due polarità ed £, la sestupla degli elementi uniti di (1) è auto- polare comune rispetto alle due polarità, e quindi | equazione della quadrica £& delle rette, riferita a detta sestupla, si può 6 scrivere: Y X;} = 0; e noi già abbiamo trattato la quadrica R i=l sotto questa forma ridotta. 816 CARLO LUIGI RICCI Gli elementi uniti dell’omografia (1) sono le viti tali che una diname agente secondo una di esse produce un moto eli- coidale secondo la stessa vite. Esse non sono mai ridotte ad una retta unica, giacchè in tal caso la forza agente lungo essa retta, producendo rotazione intorno alla stessa retta, non gene- rerebbe alcun lavoro di deformazione. Queste viti, analogamente a quanto si usa-nello studio del corpo rigido libero, si possono chiamare le viti principali di ela- sticità del sistema elastico. Più in generale si può ottenere la stessa forma semplifi- cata o ridotta dalla sostituzione (1) riferendo le dinami ed i moti a vite a due sestuple distinte, corrispondenti elemento per elemento nell’omografia. Per le applicazioni per via grafica può interessare partico- larmente il caso in cui le due sestuple siano costituite di sole rette; giacchè è molto più semplice scomporre un sistema di forze o di rotazioni secondo 6 date rette anzichè secondo 6 date viti. Per ottenere ciò basta scegliere la prima sestupla nel com- plesso 1, e quindi la seconda sestupla risulterà di rette del com- plesso 2. Si noti che le viti di una stessa sestupla non dovranno ap- partenere tutte ad uno stesso iperpiano /, dello spazio S;. Se poi la sestupla è costituita di sole rette, poichè un iper- piano P, interseca la quadrica , delle rette secondo un com- plesso lineare di rette, le 6 rette della sestupla dovranno essere così disposte da non. appartenere tutte ad uno stesso complesso lineare. E ovvio che se la prima sestupla soddisfa a queste condi- zioni, lo stesso avviene pure per la seconda. $ 2. Nelle applicazioni, quando si tratti di un solido con una dimensione preponderante rispetto alle altre due, mediante scomposizione in tronchi prossimamente prismatici, e successiva composizione delle rotazioni parziali determinate coll’aiuto delle ellissi di elasticità longitudinale e trasversale dei singoli tronchi, sì può trovare direttamente il moto elicoidale prodotto da un dato sistema di forze. Escluso il caso ovvio, e già trattato precedentemente, in cui 1 complessi 1 e 2 sono tetraedrali, ed in cui si conosce RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 817 a priori un vertice ed una faccia del tetraedro, converrà pro- cedere alla determinazione di una sestupla del complesso 1, e per la facilità delle operazioni grafiche di composizione e ri- composizione dei sistemi di forze sarà conveniente assumere tre rette uscenti da un punto e le altre tre giacenti in un piano. Si potranno ottenere delle rette del complesso 1 uscenti da un punto P procedendo nel segnente modo: si determinino di- rettamente 1 moti elicoidali prodotti da due forze uscenti dal dato punto P; combinando linearmente i due moti trovati si potranno cercare nel fascio (retta dell’S;) da essi individuato i due moti ridotti a sole rotazioni; le forze producenti queste ro- tazioni si ottengono combinando linearmente le due forze date secondo gli stessi rapporti che corrispondono alle due rotazioni trovate. Per questo già sappiamo che queste rotazioni risultano in generale sghembe. Procedendo allo stesso modo si possono ottenere altre forze del complesso 1 passanti per il punto P, e con analogo metodo si possono ottenere rette dello stesso com- plesso giacenti in un dato piano nm. Si potrebbe fare in modo che la prima sestupla sia costi- tuita dagli spigoli di un tetraedro. Trovate nel modo indicato tre rette della sestupla costi- tuenti un triangolo, le rette del complesso 1 uscenti dai tre vertici del triangolo costituiscono tre coni, i quali oltre ai tre vertici hanno a comune altri 2 punti. Si possono assumere come ulteriori elementi della sestupla le rette che da uno qualunque di questi 2 punti proiettono i vertici del triangolo suddetto. $ 8. E ben noto il procedimento analitico per eseguire la combinazione lineare di due date viti, e determinare nel fascio da queste individuato le viti specializzate, ridotte al solo asse. Per via grafica le due viti saranno individuate mediante paia di segmenti (forze o rotazioni): e si potrà, secondo l’uso, assumere come elementi di riduzione un punto P ed un piano tr non passante per P. La combinazione lineare delle due date viti si potrà otte- nere come risultante della diname agente secondo una di esse e dell'altra diname moltiplicata per un fattore variabile. Mutando questo fattore, la componente fi, giacente in n, della risultante, descrive un fascio di centro il punto È di con- 818 CARLO LUIGI RICCI corso delle analoghe componenti f,' ed f," delle due date viti, e così la traccia su n della componente f, uscente da P descrive la retta » congiungente la traccie delle due f,' ed f,". Il fascio e la punteggiata sono proiettivi; il fascio /? viene segato dalla retta » secondo una punteggiata proiettiva colla prima; gli ele- menti uniti di questa proiettività sono le traccie, e le rette che li proiettano da È sono le proiezioni da P, delle rette cercate del dato sistema lineare di viti. Se si determinano le rette della prima sestupla in modo che tre di esse escano da un punto P, e le altre giacciano in un piano , le prime tre rette della seconda sestupla devono essere sghembe tra loro, e così le altre tre; perciò non è pos- sibile che tre rette della seconda sestupla escano da un punto o stiano in un piano. Quindi, per la facilità della scomposizione dei sistemi di rotazioni secondo gli elementi della seconda se- stupla, conviene fare in modo che le rette di questa siano rag- gruppate in tre coppie di rette incidenti; è ovvio che ogni coppia sarà costituita di una retta della prima terna e di una della seconda terna. Così per esempio, se 1, 2,3 sono le rette della prima se- stupla uscenti dal punto P, e 4, 5, 6 quelle giacenti in m, le rette I. II, III della seconda sestupla corrispondenti delle 1, 2, 3, devono essere sghembe, e così pure le IV, V, VI; si potrà però fare in modo che siano incidenti le rette delle coppie I, IV; BPIPRISSTIE IE In tal caso, se ABC sono i tre punti d'incontro, ed afYy i tre piani delle tre coppie di rette considerate, potremo assu- mere come centro e piano di riduzione dei sistemi di rotazioni il punto 0= (a8Y) ed il piano w=(A45BC); ogni sistema di ro- tazioni (moto elicoidale) si potrà ridurre a due rotazioni, l'una uscente da O, l’altra giacente in ‘w. La prima si potrà scom- porre secondo le rette 0A, 0B, OC, e l’altra secondo le wa, wB, wr. Ora nel fascio I, IV (= Aa) abbiamo le due rotazioni di- rette secondo la I e la IV; lo stesso si può ripetere per gli altri fasci BB e Cr; così in modo molto semplice, con compo- sizioni e scomposizioni eseguite su rotazioni pure ed apparte- nenti ad uno stesso fascio, si può scomporre il dato moto in sei rotazioni intorno alle rette della sestupla. RELAZIONI TRA LE FORZE F GLI SPOSTAMENTI, ECC. 819 È ovvio che date le componenti si risale al moto comples- sivo col procedimento inverso di quello qui indicato. Si può ottenere l'incidenza delle coppie I IV, II V, HI VI con una conveniente scelta della prima sestupla; e precisamente, fissata ad arbitric la terna 1, 2, 3 di rette uscenti da un punto P, e scelto un piano , non passante per P, bisognerà determinare la terna 4, 5, 6 di rette di m in modo che sia soddisfatta la con- dizione richiesta. Le forze di m che producono sola rotazione, cioè che ap- partengono al complesso 1, costituiscono an inviluppo di 2° grado, e, come si è visto più sopra, le corrispondenti rotazioni, rette del complesso 2, costituiscono una schiera rigata di 2° grado. Basta quindi determinare nel modo indicato tre forze di m ap- partenenti al detto invilurpo: gli assi delle corrispondenti ro- tazioni individuano la schiera rigata corrispondente all’inviluppo; ora ognuna delle rette I, II, III incontra detta schiera rigata in due punti, ossia vi sono due rette della schiera che a quella retta sì appoggiano; possiamo assumere una di queste come retta della seconda terna, e si possono così determinare 23= 8 terne distinte, che colla I, II, II già trovata costituiscono la seconda sestupla nel modo richiesto. Se accadesse che le intersezioni delle rette della prima terna colla schiera rigata risultassero immaginarie, si potrà ovviare all’inconveniente cambiando in modo opportuno la scelta del punto P; e che sia possibile ottenere la terna cercata, ri- sulta dal fatto che i coni del complesso aventi i vertici in punti reali sono reali, e che quindi si possono certo trovare rette del complesso le quali incontrino la schiera rigata. CapitoLo V. Composizione dell’ elasticità dei sistemi parziali. Reazioni e spostamenti. $ 1. Immaginiamo ora di avere più solidi elastici così dis- posti che la sezione terminale (supposta rigida) di uno di essi coincida colla sezione iniziale del seguente e così via. Al corpo (r)*° corrisponda l’omografia: 6 = (ra E;43 Gol Lai Xx , i,kl= 820 CARLO LUIGI RICCI si potrà comporre l'elasticità dei varîì solidi parziali, ossia rica- vare l’omografia corrispondente a tutto il sistema complessivo, sommando le deformazioni prodotte da una stessa diname suî varî solidi parziali; cioè si avrà per il sistema totale: È facile dimostrare che se tutti i vari tratti parziali am- mettono il tetraedro fondamentale, e se tutti i tetraedri hanno a comune un vertice P e la faccia opposta m, anche il sistema complessivo ammette il tetraedro al quale appartengono pure Pe n. Infatti una forza uscente da P produce in ognuno dei tratti parziali una rotazione giacente in mi; la risultante di tutte queste rotazioni sarà ancora una rotazione di n. $ 2. Consideriamo più solidi elastici con una sezione (ini- ziale) rigidamente fissa, e con le altre sezioni (terminali) a co- mune, oppure tutte rigidamente connesse ad uno stesso corpo rigido. Per comporre l'elasticità dei varì solidi, ossia trovare le equa- zioni relative al corpo rigido intermedio, converrà per ogni so- lido parziale (7)*8®° ‘considerare la trasformazione inversa di quella sopra scritta: eni briga: di SO pie 48 e quindi sommare le dinami che producono uno stesso sposta- mento. Si ottiene per il corpo rigido intermedio: 6 n Al SZ “uk = We Creta 17.2 Questa composizione si incontra nello studio dei sistemi so- lidali ('); anche qui, per le stesse ragioni, vale la proprietà su indicata relativamente all’ esistenza dei tetraedri fondamentali. $ 8. Consideriamo nel nostro solido elastico una sezione intermedia, supposta rigida, alla quale siano applicati dei si- (') Cfr. C. Gui, Teoria dei Ponti, pagg. 471 e segg. RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 821 stemi di forze; la corrispondenza (omografia) tra questi sistemi e gli spostamenti da essi prodotti venga espressa dalla sosti- tuzione: 6 (1°) A = Mai, ol La corrispondenza relativa alla sezione terminale B del nostro solido elastico sia invece: 6 (II) E;ig = DI din! Xx. Allora la corrispondenza tra i sistemi di forze X, applicati alla sezione S e le reazioni X,' del vincolo B, supposto perfet- tamente rigido, è data dalla relazione: 6 E (din AG, - da’ Hg) da ) k=1 perchè le reazioni .X,' devono essere tali da annullare gli spo- stamenti prodotti dalle forze A,. Questa corrispondenza potrà essere chiamata l’omografia 0. La quadrica & delle rette si trasforma secondo l’ omo- grafia O in una quadrica Pf; e secondo l’omografia O! nella quadrica P,. Il complesso RR, = €, è l'insieme delle forze che produ- cono come reazioni forze uniche; le reazioni corrispondenti sono le forze del complesso 0, = (RR). I due complessi sono riferiti proiettivamente nella omo- grafia 0; C, si trasforma in Cs. I due complessi non sono in generale omofocali. La congruenza CC, comune ai due complessi, è l'insieme delle rette, le quali, sia considerate come azioni, sia come rea- zioni, hanno per corrispondenti rette uniche. Può interessare la determinazione di quelle dinami che pro- ducono come reazioni, dinami agenti secondo le stesse viti; esse sono date dagli elementi uniti, in generale 6 dell’omografia 0. Se alcuna di queste è una semplice forza, essa appartiene alla congruenza (C, Cs). Anche qui, procedendo come più sopra, si può facilmente dimostrare che se le corrispondenze (I’) ed (I°) ammettono en- 822 CARLO LUIGI RICCI trambe il tetraedro fondamentale, e se i due tetraedri hanno a comune un vertice P, e la faccia opposta m, i complessi C; e C, sono pure entrambi tetraedrali, ed i due tetraedri hanno pure a comune il vertice P e la faccia opposta m. $ 4. Il solido elastico che consideriamo sia rigidamente in- castrato alle due estremità A e B; immaginiamo di applicare delle forze .X,, ad una sezione intermedia S e di cercare i cor- rispondenti spostamenti &*, di un’altra sezione intermedia S' che potremo sempre supporre compresa nel tratto SB. L’omografia (I) relativa al tratto AS sia: 6 (11) Sonie=i din Xx, per il tratto AB sia: (019) E;13 == Si din Xx , e per il tratto AS' sia: 6 (13) ZIO =Zaa Xx: Le reazioni X, dell’incastro B prodotte da forze X, agenti in S sono determinate dalle relazioni: 6 r 7 II Li pa ((C275 Xx + din" Xx )=0. K=1 Queste si possono in generale risolvere rispetto alle X,/ ottenendo: ° 6 rl r xh — » Bin Xx . k=l Siano £;"" gli spostamenti della sezione S° prodotti dalle forze X,' agenti in B. Avremo: I 6. INI ,' s INN ò Li Lal z i+3 = pa Uin Xi == )ù Ain 3A B,n Xi n h=l h=1 k= Ba 6 6 pl 6 die a nr ZI 01: r = pì b3 dx Pr de x dik XX Bn . RELAZIONI TRA LE FORZE E GLI SPOSTAMENTI, ECC. 823 Lo spostamento &,* cercato di S' sarà uguale alla somma dello spostamento di S' prodotto dalle forze A; applicate in S, e dello spostamento &;" prodotto dalle X,'; quindi si ha: 6 ò "I o Y ! "vw Eta = & 43 1 Ei43 = mA, (dix +.ta DB: k=l n Anche in questo caso le forze che producono sole rota- zioni, e le rotazioni prodotte da sole forze costituiscono due complessi quadratici H, ed H,, i quali in generale non sono omofocali. Si dimostra pure al solito modo che se le omografie (1), (13), (I3) ammettono tutte un tetraedro fondamentale. e se 1 te- traedri hanno a comune un vertice P e la faccia opposta rn, anche i due complessi H, ed H, sono tetraedrali, ed i loro te- traedri singolari contengono il vertice P e la faccia q. Relazione circa alla memoria presentata dal Dott. Carlo Foà, Sulle cause del ritmo respiratorio. Il lavoro del Dott. Carlo FoA è essenzialmente una espo- sizione dello stato attuale delle nostre conoscenze riguardanti l'innervazione degli organi respiratorii; però l'Autore vi ag- giunge i risultati delle proprie ricerche sovra i singoli argo- menti che sono trattati. I capitoli in cui è divisa la memoria hanno per titolo: 1° Localizzazione dei centri respiratorii; 2° Regolazione del respiro per opera dei gaz del sangue; 3° Regolazione del respiro per opera dei nervi vaghi e degli altri nervi sensitivi dell'apparato respiratorio ; 4° Le prove dell’automatismo del centro respiratorio ; 5° Lo sviluppo delle funzioni del centro respiratorio; 6° Analisi della funzione automatica del centro respiratorio. Nel primo capitolo, sorvolando sulle questioni ben note con- cernenti la localizzazione bulbare del centro respiratorio, l'A. si sofferma sul problema dei centri respiratorii spinali adducendo le ragioni che lo inducono ad ammetterne l’esistenza, ma con- 824 cludendo che essi, pure avendo importanza come indice della divisione metamerica deli centri nervosi, non hanno tuttavia il siznificato di centri autonomi del respiro, ma di apparati dipen- denti dal centro respiratorio bulbare. Nel secondo capitolo egli comincia con l'esame delle condi- zioni che permettono al centro bulbare di funzionare con ritmo regolare e continuo. Dopo aver passato in rivista come i gaz del sangue agiscano sul centro respiratorio dei diversi animali, l’A. si sofferma ad analizzare l'intimo meccanismo di quest’a- zione. Riconosce che la deficienza di ossigeno è stimolo alla funzione respiratoria non per se stessa, ma per i prodotti di incompiuta ossidazione cui essa dà luogo. Segue una discussione snl modo d'agire dell’acido carbonico e se questo debba consi- derarsi come uno stimolo del centro respiratorio. Addotte le ragioni per le quali tale concetto non risulta esatto, l'A. attri- buisce all’acido carbonico un'azione lipoidolitica, la quale agevo- lerebbe lo scambio cellulare di quelli ioni a cui per le ricerche dell’Hoeber e di altri si dovrebbe lo stato di maggiore attività degli elementi. La presenza di una certa quantità di acido car- bonico sarebbe quindi una condizione necessaria alla funzione del centro respiratorio, ma non agirebbe da stimolo. Nel terzo capitolo l’A. considera come si debba interpretare l’azione regolatrice dei nervi dell'apparato respiratorio. Questa azione si manifesta in tutta la scala zoologica con riflessi che tendono a produrre l'alternarsi di atti inspiratorii e di atti espi- ratorii; però VA. con numerose prove, che raccoglie nel quarto capitolo. dimostra che questi riflessi, se servono a mantenere regolare il respiro, non sono tuttavia indispensabili alla fun- zione del centro, il quale agisce in modo automatico. Partico- larmente probative sono le esperienze dell'Autore, il quale vide mantenersi il respiro in un animale cui erano stati tagliati i nervi vaghi, il simpatico del collo, i nervi laringei superiori ed inferiori, i nervi frenici, Je radici posteriori della midolla spi- nale e finalmente era stato separato il bulbo dal resto dell’en- cefalo. Il respiro si manteneva dopo che in tal modo si era separato il centro respiratorio da tutte le vie sensitive che po- tevano portargli eccitamenti; ciò significa che il centro può funzionare in modo automatico e che i riflessi respiratorii hanno solo una funzione regolatrice. Un'altra prova, che VA. adduce 825 e che appoggia su due tracciati illustranti la memoria, sta nella persistenza del ritmo respiratorio spontaneo, nonostante la ven- tilazione artificiale dei polmoni con ritmo diverso, in un cane vagotomizzato. Adunque gli stimoli ritmici portati al centro per la respirazione artificiale, non erano sufficienti a modificare per via riflessa il ritmo automatico impresso al respiro dal centro bulbare. Altre prove dell’automatismo bulbare sono tolte dallo studio dello sviluppo delle funzioni del centro; queste prove sono enu- merate nel capitolo quinto, nel quale è pure discussa la causa del primo atto respiratorio del neonato. Nel capitolo ultimo VA. si sofferma ad analizzare in che consista l’automatismo del centro respiratorio. Dopo avere ricor- dato che il ritmo respiratorio varia con la temperatura secondo la regola stabilita dal Van't Hoff per le reazioni chimiche, e dopo aver discusso se le reazioni che avvengono nel centro debbano essere considerate soltanto reazioni ossidative e auto- catalitiche, come il Roberston vorrebbe, l'A. prende in conside- razione altri fenomeni ritmici e periodici che si riscontrano nella fisica e nella chimica. Discute i modelli di fenomeni ritmici proposti da Rosenthal, da Hermann, da Oehrwald e da Bredig e conclude sulla possibilità di analizzare la funzione respiratoria sulla base stessa che servì all’analisi di altri fenomeni) ritmici. Da quanto è esposto risulta che il lavoro è ben condotto e contiene i risultati di esperienze molto interessanti per l’ana- lisi del fenomeno della respirazione; perciò i sottoscritti non esitano nel proporre che esso venga stampato fra le Memorze. L. CAMERANO. R. Fusari, relatore. L’ Accademico Segretaric CoRRADO SEGRE. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Giugno 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manxo, Direttore della Classe, Rossi, CarLe, ReNIER, RuFFINI, Scorza, BAuDI pi VesmE e DE SAncTIS Segretario. — Scusano l’assenza Bronpr ed Ernaupi. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 28 maggio 1911. Il Presidente partecipa con le seguenti parole la morte del nostro Socio nazionale non residente prof. Felice Tocco, avve- nuta in Firenze il 6 corrente giugno: Nell'ultima adunanza di questa nostra Classe fu deplorata la morte e onorata la memoria di un insigne maestro di filo- sofico sapere, Francesco BonarELLI; uomo di altissimo ingegno, di benigno e dolce costume, di fermissimo sentire e di aperte manifestazioni rispetto a tutto ciò che fu alimento della sua anima credente. Un’altra sventura colpì, dopo pochi giorni, la vita intellet- tuale del nostro paese, e Felice Tocco, Socio nostro fin dal 1896, repentinamente morì fra il compianto di discepoli affettuosi e di una famiglia inconsolabile. Di lui dirà, in modo degno e com- piuto, un chiarissimo Socio. Rammentiamo oggi, nel primo e breve saluto alla sua tomba, il pensatore che tanta ebbe consuetudine coi maggiori spiriti, da Platone a Kant; che negli studi intorno a Dante lasciò traccia duratura; che alla storia delle idee e delle istituzioni religiose 827 in Italia diede impulso nuovo e opere esemplari, per guisa da congiungere, segnatamente ad essa, come agli studi francescani, il proprio nome e la propria fama. Ed egli portò ancora, nella copiosa letteratura che sopra Giordano Bruno, e all’estero e in Italia, fino dalla prima metà dello scorso secolo, esercitò tanto fervore di critica rivolta al filosofo variamente apprezzato e allo scrittore, più bizzarro che peregrino, quel volume degli scritti latini del Nolese che emerge per l’acume della critica, l'ampiezza e la precisione delle ricerche e per la dottrina che informa i confronti e i commenti; laonde tiene posto a sè e resterà documento di essenziale importanza nelle disquisizioni bruniane. Il Segretario legge il seguente cenno necrologico intorno al prof. Tocco inviato dal Socio D’Ercore assente: La nostra Accademia, dopo la perdita sensibile del profes- sore Francesco BonareLLI, ne fa un’altra non meno sensibile in quella del Socio nazionale non residente prof. Felice Tocco. Benchè i due uomini sieno entrambi insigni e benemeriti degli studi filosofici, pur non di meno la loro educazione filosofica, l'indirizzo dei loro studi e principi, il campo filosofico e le di- verse branche e materie della loro operosità filosofica sono assai diversi nell’uno e nell’altro. Del BowATELLI feci un cenno nella passata seduta dell’Accademia; ecco ora un cenno del pen- siere e dell’opera di Felice Tocco. Il Tocco, nato in Calabria il 1845, esce dalla Scuola filo- sofica napoletana, cui dette origine, vita e movimento il bene- merito e indimenticabile Bertrando Spaventa: e dopo della Scuola di questo divenne discepolo ed amico di un altro napoletano benemerito della filosofia, cioè di Francesco Fiorentino. Ma il Tocco rivelò poi la propria personalità filosofica come insegnante, come scrittore e come giudice, nel quale ultimo ufficio prese parte a moltissime Commissioni giudicatrici di opere filo- sofiche. Come insegnante cominciò la sua carriera filosofica quale professore liceale di filosofia in diversi Licei; e rispetto all’in- segnamento filosofico liceale ideò e pubblicò nel 1869 le sue Lezioni di Filosofia pei Licei, che, insieme cogli Elementi di Fi- 828 losofia di Fiorentino, furono tra’ migliori trattati elementari filo- sofici di quel tempo. Ma l'insegnante liceale aveva la mente e gli studi atti a più alti destini. Ed infatti, in un Concorso per la Cattedra di Filo- sofia all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, fu egli quello che riuscì primo e vinse il Concorso. È grande il benefizio arrecato alla gioventù italiana e agli studi filosofici dall’ insegnamento del Tocco nell’insigne Istituto fiorentino: studi che, versanti su molteplici e varie branche di filosofia sì teoretica che storica, e, per giunta, accoppiati a critica ed esegesi storica, fanno di lui uno dei migliori scrittori contemporanei nella materia filosofica. (ominciando dalla materia critico-storica, egli si mostrò dotto e vigoroso, da una parte, nel campo degli studi platonici, dall'altra, in quello delle eresie medioevali. Negli studi platonici pubblicò nel 1879 (in Catanzaro) le Ricerche platoniche, sulle quali ha poi sempre continuato a lavorare, per elaborare, rin- calzare e dimostrare il già scritto. E vi ha con tale amore e perseveranza lavorato, che persino nell'ultimo Congresso Inter- nazionale di Filosofia in Bologna, ne ha fatto oggetto di discus- sione, con plauso dei congressisti intelligenti e periti di tale materia. Per ciò che concerne le eresie medioevali, egli ne ha fatta una stimata pubblicazione nel 1884 intitolata: L’eresia nel Me- dicevo. Quanto al Medioevo, rivolse la sua attenzione anche agli Studi francescani, di cui ha pur scritto con amore. Altri meriti si conquistò il Tocco come serzttore coi suoi lavori su Giordano Bruno, intorno al quale (oltre al merito di editore delle opere del medesimo in collaborazione col Vitelli) scrisse una monografia che è tra le migliori intorno al filosofo nolano, cioè quella pubblicata a Firenze nel 1889 e intitolata: Le opere latine di G. Bruno esposte e confrontate con le italiane. Quanto al Rinascimento, altri meriti : otevolissimi del Tocco son quelli che egli si stava acquistando colla iniziata pubbli- cazione ed illustrazione delle opere del Telesio, e con lo scopo, pur troppo non potuto effettuare, della pubblicazione di altri importanti filosofi del Rinascimento. E nella qualità di seritfore non inferiori meriti si ha con- quistati rispetto ad Emanuele Kant coi suoi Studi kantiani, accanto ad altri lavori pur concernenti l’immortale filosofo di Konisberga. 829 E, da ultimo, il Tocco ha resi egregi ed encomiabili ser- vigi come giudice in moltissime Commissioni esaminatrici di concorsi per Licei ed Università, ed inoltre come giudice ap- prezzatissimo all'Accademia dei Lincei per ogni genere di esame e giudicazione di opere. Nella qualità di giudice la sua opera è stata tanto più preziosa ed utile, in quanto nella giudica- zione ei portava uno spirito di equanimità ed imparzialità vera- mente raro. Se dopo questi brevi cenni intorno all’ insegnante, allo serit- tore e al giudice si voglia volgere lo sguardo all’uomo, lo si tro- verà una delle più eccellenti persone come padre, come amico, come amante della patria, del progresso. ed in generale come propugnatore ed effettuatore d’ogni bene. Termino questi pochi brevi cenni, pregando la Presidenza e gli insigni membri dell’Accademia di unirsi nell’espressione del cordoglio e compianto per la grave perdita di lui, notificandola alla sua famiglia. La Classe delibera d’inviare le più vive condoglianze alla famiglia del defunto e di pregare il Socio corrispondente CATAP- PELLI a tenerne la solenne commemorazione. È presentato un prezioso manoscritto tibetano inviato in dono all'Accademia, del Raja Kumar NawaB SHyvama Kumar Tagore. Si delibera di trasmettere al donatore i nostri ringra- ziamenti. A nome del Socio D’ErcoLe il Segretario De SAancTIS pre- senta il vol. III degli Elementi di Filosofia del Socio corrispon- dente prof. Filippo Masci, dall’A. inviato in omaggio all’ Acca- demia, e legge il breve cenno con cui il D’ErcoLe accompagna la presentazione. Per l'inserzione negli Atti il Segretario presenta, a nome del Socio SrAampinI assente, una nota del Socio corrispondente prof. Remigio SaBBADINI, su (riovanni Colonna biografo e biblio- grafo del sec. XIV; e offre poi sotto la propria responsabilità un breve scritto del Dr. Bacchisio Morzo, intitolato: Un'opera perduta di Filone. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 53 830 REMIGIO SABBADINI LETTURE Giovanni Colonna biografo e bibliografo del sec. XIV. Nota del Socio corrispondente REMIGIO SABBADINI Fra Giovanni Colonna, romano, dell'ordine dei Domenicani » predicatori, ha composto un Liber de viris illustribus. conserva- toci nel codice Marciano di Venezia, lat. X, 58 (1). I fogli del codice sono 81, nella maggior parte cartacei, inframezzati da alcuni membranacei palinsesti. La scrittura può risalire al prin- cipio del sec. XV; ma può anche assegnarsi, come a me pare più probabile, alla fine del XIV; del XIV era quella raschiata dei fogli membranacei. L’opera comprende, dopo un lungo proemio filosofico, due parti: gli uomini illustri pagani e gli uomini illustri cristiani, disposti gli uni e gli altri in ordine alfabe- tico (2). Non reca titolo, bensì una doppia sottoscrizione: f. 38, Explicit liber de viris illustribus infidelibus editus a fratre Iohanne de Columpna ordinis fratrum predicatorum; £. 81, Explicit liber de viris illustribus christianis editus a fratre Iohanne de Columpna Romano ordinis fratrum predicatorum. Il codice proviene dalla chiesa dei SS. Giovanni e Paolo in Venezia dei frati predica- tori, nella cui biblioteca lo videro, descrissero e adoperarono fra «gli altri il Tommasini l'anno 1650 (3), il De Rubeis (Rossi?) l’anno 1745 (4), il Berardelli l’anno 1784 (5). Il De Rubeis ne (1) Cfr. VarentINnELLI, Bibliotheca ms. ad S. Marci Venet., VI, 52. (2) Osserva però la sola prima lettera e nemmeno sempre, perchè nei pagani le lettere 7 e V si alternano. I cristiani giungono fino al sec. XIII; ad essi mischiò, o per ignoranza o per motivi speciali, alcuni pagani: Eutropius, Plutarchus, Plinius niconensis (= novocomensis), Phtolomeus phi- losophus (Claudius) e Statius. (3) I. Pu. Tomasini, Biblioth. Venetae ins., Utini, 1650, 26. (4) Divi TÒomar Aquinatis Opera, Venetiis, 1745; 1, proemio di Brr- narpo M. De RuBers, p. xxxvn ss.; ivi s'accenna ad altri ancora che videro il codice. (5) D. M. BrrarbeLLI, in Nuova raccolta d'opuscoli, XXXIX, VI, 58 ss. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 881 trasse i lemmi, il proemio e le vite di Alberto Magno, Giovanni Conti, Tommaso d'Aquino; il Berardelli la vita di S. Domenico (p. 58). Da quest’ultimo (p. 65) sappiamo che il codice Marciano fu copiato per la biblioteca Casanatense di Roma (1). Abbiamo un altro codice: il (Vatic.) Barberiniano, lat. 2351, membr. sec. XV. Sal f. di guardia 1” reca questa nota di pos- sesso: /ratris Mariani Episcopi Cortonensis (2). Emtus fl. largis 6. f. 1, Incipit prohemium libri de viris illustribus editi a fratre IJohanne de Colunna romano ordinis predicatorum; f. 145°, Explicit liber de viris illustribus. AI principio della narrazione troviamo questa didascalia: f. 14°, Incipiunt hic narrationes virorum illustrium secundum or- dinem alphabeti, incipientes ab A. Et primo in qualibet littera po- nuntur gentiles et pagani, christianique demum. Vi ha dunque una grave differenza nella distribuzione della materia. Mentre cioè il codice Marciano tiene separati 1 pagani e i cristiani in due sezioni distinte, il Barberiniano raccoglie sotto ogni singola let- tera le due categorie, dando il primo posto ai pagani, il secondo al cristiani. Questa nuova distribuzione, certo più comoda per l’uso dell’opera, risalirà all'autore stesso o a un interpolatore ? Ci sono buoni indizi per riferirla all'autore: l'identità del testo nelle due redazioni e la diversità delle note che introducono la serie dei cristiani dopo la serie dei pagani. Ecco qui le due note poste a riscontro in molo che appariscano le parti comuni e le parti divergenti: (1) La copia nella Casanatense porta il n° 2396. (2) Fr. Marianus Johannis Salvini fiorentino dell’ordine dei Serviti fu vescovo di Cortona dal 1455 in poi (UeneLtI, 1, 628). 832 REMIGIO SABBADINI Cod. Marciano (dopo l’intera serie dei pagani). Nota lector quod qui inferius Cod. Barberiniano (dopo la serie dei pagani della lettera A). Nota leetor quod omnes hi sub litera A_subnotantur, simi- liter et aliis literis, phylosophi sive poete sive ysto- riographi sive sapientes qui hue usque sub A littera continentur pagani fuerunt, quorum alii cla- ruerunt ante Christi benedicti in- carnationem alii post, exceptis illis tribus Appolloniis, de quibus supra sub numero 19 (1). Quorum phi- losophorum dieta, si qua forte vera et fidei nostre accomodata dixerint, non solum formidanda non sunt ut dicit beatus Augu- stinus sed ab eis tanquam iniustis possessoribus in usum nostrum vindicanda, que ab eis auferre fidelis christianus debet et ad usum predicandi evangelii convertere. Ceteri vero qui inferius sub eadem littera notantur (2) christiane fidei fundatores fuerunt, qui non solum vite exemplo sed verbo ceteros instruxerunt. Hi corda fidelium celestibus ymbribus irriga- verunt, hi talenta sibi credita cum usura sine fraude amplificare pro- curaverunt (3), quia bonum quod didicerunt subiectoram mentibus ar- guendo obsecrando increpando inserere nitebantur. Hi de Domino Jhesu Christo Salvatore nostro sciverunt loqui suaviter, quia hunc didicerunt in cordibus suis amare veraciter; nam ad predicandum, ut dicit Gre- gorius, plus conscientia sancti amoris edificat quam exercitatio sermonis, quia amando celestia intra semetipsum predicator legit quomodo per- suadeat, despici terrena ut debeant. Nec mireris lector sì primo in hoc nostro opere paganos et Deos ignorantes sancetis doctoribus (B) DI preposui, quia eos quantum potui secundum successiones temporum ordinavi; unde quia phylosophi gentium precesserunt doctores qui fuerunt post Christi adventum, decrevi eos ponere locis suis. (1) Veramente il lemma Appollonius occupa il posto 20°. (2) Mi pare assai improbabile che una così considerevole giunta pro- venga da un interpolatore. (3) curaverunt £. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 838 Potrei arrischiare un'ipotesi: che il Colonna abbia mutato l'ordine del suo libro dopo veduto il De viris illustribus di Gu- glielmo da Pastrengo, che raccoglie appunto sotto ciascuna let- tera le due serie distinte dei pagani e dei cristiani. Nelle citazioni del testo segno 1 fogli del cod. Marciano (M), tenendo sempre presente per la lezione anche il Barberiniano (5). Ma prima di procedere innanzi è necessario sgombrare il terreno da un grave errore, nel quale incorsero tutti coloro che sì occuparono o del codice Marciano o dell’autore. Il nostro Giovanni Colonna venne infatti confuso con un altro Giovanni Colonna, che appartenne parimente all'ordine dei predicatori e fu creato da Alessandro IV arcivescovo di Messina nel 1255 e da Urbano IV arcivescovo di Nicosia di Cipro nel 1263 (1). Senonchè il De Rubeis rilevò nell'opera qualche data, come il 1325, che non conveniva col Colonna arcivescovo; e allora egli ricorse all'ipotesi di interpolazioni introdotte da una mano del sec. XIV (2). Più tardi il Morelli vi notò l’allusione al ritrovamento delle ossa di Livio, avvenuto secondo Îui nel 1413; e perciò l'ipotesi fu allargata, ammettendo interpolazioni anche del sec. XV. Questa opinione accolsero il Berardelli (3) e il Valentinelli (4). Osser- viamo anzitutto che il supposto sepolcro di Livio era già stato veduto dal Petrarca sin dal 1350 o 1351 (5); e che fu propria- mente scoperto sotto lacopo I da Carrara, il quale governò dal 1318 al 1324 (6). Aggiungiamo poi che il De viris iNlustribus del nostro Colonna è modellato sul De vita et moribus philosophorum di Gualtiero Burley, vissuto dal 1275 al 1337 o 1345 (7). Ri- mane dunque assodato che i personaggi omonimi sono due: il Colonna arcivescovo del secolo XII e il Colonna biografo del secolo XIV. (1) Cfr. p. es. V. M. Foxrawa, De romana provincia ord. praed., Romae, 1670, 316, 365; e De Rusris, Op. cit., XXXVIII. (2) Ibid. (3) Op. cit., 64. (4) Op. cit. (5) Fr. Perrare., Epist. fam., ed. Fracassetti, XXIV, 8, p. 282 con l’anno 1350; il cod. Parig. lat. 8568 dà l’anno 1351. (6) A. Hortis, Cenni di Giovanni Boccacci intorno a T. Livio, Trieste, 1877, 37, 100-101. (7) Cfr. il Kwusr nella sua edizione del Burraeus, Tiibingen, 1886, 396-400 e S. Lee, Dictionary of national Biography, VII, 374. 894 REMIGIO SABBADINI Vita di Giovanni Colonna. Spigoliamo dalla sua opera i seguenti cenni biografici: f. 1. (proemio) Variis igitur occupationibus sic in curia distractus sum, ut vix aliquid quandoque sceribere licuerit. f. 34" Titus Livius ...Vidi ego tamen quartam decadam in ar- chivis ecclesie Carnotensis... Cuius (Livii) sepulerum nostra etate... re- pertum est. , f. 57” Cassianus ...Nam et beatus pater noster Dominicus... f. 67° Innocencius tercius papa... Factus est autem pontifex anno domini 1197 idus ianuarii et sedit annis 18, mensibus quatuor, diebus 23. Ex huius pontificis clara prosapia, que usque nune domus Comitum vocatur, Rome originem traxit ille recolende memorie frater Iohannes de Comite ordinis predicatorum, qui in suo ordine post Pari- siense studium factus est primo lector Urbevetanus, postea Senensis : de qua lectoria assumptus est ad provincialem provincie Romane, quam provinciam rigidissime et religiosissime rexit. Nam cum dicta provincia tune temporis nimium esset diffusa, cum ab insula Cicilie inclusive usque ad alpes Bononienses protenderetur (1), nunquam nisi pedes vel super asellum sedens ipsam visitavit, cum singulis annis ex sibi iniuneto officio ipsam circuire teneretur. Ex quo officio assumptus est ad archiepiscopatum Pisanum per Bonifacium papam octavum. Postea per Clementem quintum factus est archiepiscopus Nichosiensis (2), que est primas regni Cypri. Ad quem locum, quamvis confectus senio, accessit hoc animo ut terram illam promissionis, quam Christus sua presencia dignatus fuerat illustrare, corporali presentia visitaret, quod semper desideravit. Veniens ergo in insulam Cypri multas ordinaciones sanetas in clero instituit et cum in divitiis ibidem se conspiceret habun- dare, cepit magis solito pauperibus esse munificus, adeo ut ibidem ab omnibus pater pauperum diceretur. Nec immerito; nam ut eius affectum erga pauperes uno verbo complectar: plura (3) dabat quam eciam (1) Il primo settembre 1294 Celestino V divise in due giurisdizioni la provincia Romana dell'ordine dei predicatori: dall'una parte la Sicilia, dal- l’altra Roma, affidando la giurisdizione romana al Conti, il quale l'aveva prima di quell’anno tutta sotto di sè {De RuBris, Op. cit., XLII; PorrHAsT, Regesta Pontif. Roman., Il, 1917). (2) Fu eletto arcivescovo di Pisa nel 1299 (Fonrana, Op. cit., 316; UcaeLLi, Italia sacra, TII, 445); arcivescovo di Nicosia il 10 maggio 1812, con l’obbligo di corrispondere la metà dei proventi al cardinale Jacopo Colonna, suo zio (Regestum Clementis papae V, n. 8013, 10033, 10345). (3) plus M. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 835 haberet. In hoc enim quidquid habere poterat expendebat; dicebat enim, me audiente, frequenter: omnia dabo ut propter pauperes cogar eciam mendicare. Nam cum eius redditus usque ad 20 milia florenorum ascen- derent, nichil sibi et familie preter vietum et vestitum reservari volebat. Et cum triginta annis et ultra esset prelatus, nunquam ab aliquo incli- nari potuit ut consanguineis aliquid largiretur; sed talibus suasoribus respondebat: unde exeunt flumina revertantur. Ut autem pauca de multis immo infinitis elemosinis referam, annuatim quingentos pauperes sua manu induebat, preter vestes quas dabat pauperibus infra annum. Semel autem cum quidam pauper clericus coram eo venisset et diceret quia non posset in publicum comparere, quia verecundabatur nudus coram (1) aliis apparere, cum in promptu nec pannus aliquis nec forte pecunia non esset, me capa propria expoliari iussit et dieto clerico tribuit. Pascebat omni die in aula sua 25 pauperes, de quorum cibis ante omnem escam beatus pontifex gustare volebat. In festis autem Christi, sicut in Natali, in Circumcisione, in Epiphania, in Cena Domini, in Pa- schate, in Ascensione, in Pentecoste, in quatuor festivitatibus Beate Virginis, in utroque festo (2) sanetoram Iohannis Baptiste et Evange- liste, in utroque festo beati Dominici, in festo beati Petri martiris, in festo beate Marie Magdalene, in festo apostolorum Petri et Pauli (8), in anniversario patris et matris sue semper centum pauperes habundan- tissime (4) pascebat; preterea in omni feria quinta omnibus advenien- tibus dabat unum panem de quo commode illa die poterant (5) susten- tari. Omni mense maritabat unam pauperem orphanellam cui xx florenos ad minus dabat pro dote. In illis partibus multos captivos christianos de manibus Sarracenorum redemit, in quibus magnam summam pecunie expendit. Saracenos emebat, quibus ipse frequenter per interpretes pre- dicabat; et si qui forte inspirati a Deo verbum reciperent, cum multa solempnitate eos faciebat in maiori ecclesia baptizari, deinde reddebat eos (6) libertati et multis ditabat bonis. Cuius sanctam famam Soldanus Babillonie audiens, sibi honorabiles litteras misit, inter alia scribens quod sibi placeret suum regnum personaliter visitare, quia eius sanctis operibus provocatus volebat secum (7) quedam tractare que erant ad magnam exaltacionem fidei christiane; quod et fecisset, nisi fuisset per suos superiores impeditus. De ornamentis ecclesiarum que diversis do- (1) apud M. in festis 5. ) in festo — Pauli om. B. ) habund — om. B. ) poterat codd. ) illos 5. ) secum 0m. B. 836 REMIGIO SABBADINI navit ecclesiis quid dicam aut quid referam, maxime conventibus ordinis sui, cam omnem excedant numerum? Nam vix fuit magnus conventus in ordine, quem aliquo precioso iocali non dotaverit, maxime conventum Bononiensem, quem ob reverenciam beati Dominici multis elemosinis sustentavit et multis iocalibus ornavit. Nunquam ordo predicatorum habuit prelatum cuiuscunque status qui tot bona ordini suo faceret. Mortuus est autem in insula Cypri anno domini 13532 (1) ultima die iulii, ad cuius tumulum multi diversis infirmitatibus sunt curati. f. 77 Petrus Lombardus ...precipue illam sanctissimam com- pilacionem ordinavit ex dictis sanctorum, que dicitur Liber Sentenciarum qui nune Parisius et ubique publice in scolis legitur. f. 80" Thomas de Aquino...Hic autem sanetus doctor aseriptus est cathalogo sanetorum a papa Iohanne XXII anno incarnationis do- minice Mcccxxv in Avinione civitate Provincie. L'appellazione di Dominicus noster ci conferma la notizia tramandataci dalle sottoscrizioni e dal titolo dei codici: il Co- lonna era frate domenicano dell'ordine dei predicatori. Dalla vita di Tommaso d'Aquino apprendiamo che nel 1525 viveva ancora, dalla vita di Innocenzo III che viveva ancora nel 13532. Sappiamo dal proemio dell’opera che era occupato in curia; è chiaro che si tratta della curia pontificia in Avignone, dove i papi tennero residenza dal 1309 al 1377. Da Avignone il Co- lonna visitò o per conto proprio o per incarico della curia altre città della Francia: certo Chartres, forse Parigi. La scoperta del supposto sepolcro di Livio avvenne, come si è detto, fra il 1318 e il 1324; il Colonna dice mostra etate, ma la designazione è troppo indeterminata. Più ci aiutano a stabilire l'età di lui i rapporti personali che ebbe con Giovanni Sonti, discendente dalla stessa prosapia di Innocenzo II. Questo papa fu al secolo Lotario Conti, dalla cui famiglia si staccò il ramo dei signori e duchi di Poli, trasferitisi a Pisa. Dai Conti Poli di Pisa nacque Giovanni Conti, frate dell'ordine dei predi- catori. il quale, secondo la testimonianza del Colonna, studiò a Parigi, fu poi lettore a Orvieto e a Siena, anteriormente al 1294 provinciale del suo ordine nella provincia romana, dal 1299 ar- (1) 1322 codd. ll Conti morì nel 1332 e in quell’anno gli fu sostituito a Nicosia Elia Nabinalli (De Rusers, Op. cit., XLII). Del resto per attesta- zione del Colonna fu prelato ‘ 30 annis et ultra’; e siccome la sua prela- tura cominciò il 1299 con l’arcivescovado di Pisa, così i 30 e più anni ci portano oltre il 1330. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 837 civescovo di Pisa e finalmente dal 1312 arcivescovo di Nicosia di Cipro, dove morì l’anno 1332. AI tempo del suo arcivesco- vado di Pisa è probabilmente da assegnare la convivenza del Colonna con lui. Quando nel 1312 il Conti si trasferì in Cipro, il Colonna avrà cercato, forse con la raccomandazione del suo superiore, un'occupazione presso la curia pontificia, che allora risiedeva in Francia. Raccogliendo le poche fila, potremo dire che Giovanni Co- lonna naeque verso il 1280; che intorno al 1300 entrò al ser- vizio di Giovanni Conti, allora arcivescovo di Pisa; che nel 1312, quando costui passò all’arcivescovado di Nicosia. il Colonna si collocò presso la curia pontificia in Francia, dove viveva ancora nel 1332. Nelle Famiglie del Litta troviamo due Giovanni Colonna, contemporanei del nostro: l’uno (IV, tav. 1) per l'appunto frate predicatore, figlio di Bartolomeo: l’altro (tav. 2) cappellano del papa, figlio di Landolfo. Ma non vedo come il nostro si possa identificare con uno di questi due (1). Scopo e fonti dell’opera. Il Colonna ha intrapreso il suo lavoro perchè le lettere sal- vano le arti, il diritto, la religione e il bello stile e accompa- gnano l’uomo nell’avversa e nella lieta fortuna. f. 1. Ego autem non solum ecclesiasticos doctores in ordine digeram, sed et viros illustres, gentilium litterarum edoctos. Nam in hoe maxime est litterarum et scriptorum fructus, cum res scitu dignas aboleri non patiuntur. Nam artes perirent, iura evanescerent, fidei et totius religionis officia queque corruerent ipsique recti deficerent usus eloquii, nisi in remedium infirmitatis humane litterarum usum mortalibus divina mise- ratio procurasset... In dolore enim solatium, recreatio gn labore, in pau- pertate iocunditas, modestia in diviciis et deliciis fidelissime a litteris mutuatur... ‘ Littere enim, inquit Plato (2), insipienti animo tanquam baculus infirmo corpori reperte sunt’. Nullam igitur in rebus humanis iocunditatem aut utiliorem occupationem invenies. Experto crede: quia (1) Non certo col cappellano pontificio, che morì nel maggio del 1318 (W. H. Brrss, Calendar of entries in the papal Registers. Papal letters, II, 174). Su di lui e sul padre Landolfo efr. G. Prestrti, in “ Archivio della R. Società romana di storia patria ,,} XXXVIII, 1910, 318, 322-23, 329-30. (2) Cfr. BurLaeus, ed. Knust, p. 230. 838 REMIGIO SABBADINI omnia mundi dulcia hiis collata exerciciis amarescunt. Variis igitur oc- cupationibus sic in curia distractus sum, ut vix aliquid quandoque scribere licuerit (1); sed illud volvens in animo quod Seneca epi- stola 82 (2) (82, 3): ‘ocium sine litteris mors est et vivi hominis se- pultura’, ista aggredi me coegit. Ma non vuole sabbia a credere che le notizie da lui comu- nicate sieno tutte dirette: no, egli le ha attinte dagli altri: f. 1. Hec quoque ipsa que huie libello inserui aliena sunt et eciam que loquor ab aliis accepi, ut antiquorum scriptorum ystorias veteres annalesque replicans possim quasi de ingenti prato opusculi nostri co- ronam intexere. Omnesque (8) igitur libros qui in hoc opere allegantur me vidisse non arbitror sed quam plurima de allegatis alibi, inde extraxi et huic libello applicui. E conformemente a questa sua onesta confessione cita di tanto in tanto le sue fonti. Io accennerò le principali. Anzi- tutto i tre biografi cristiani di professione: Girolamo, Gennadio, Isidoro. f. 1. ‘Hoc idem apud Grecos, ut ait Ieronimus in prologo de viris illustribus, Hermippus peripateticus, Antigonas Garitius (4), (Satyrus) (5) doctus vir et longe omnium doctissimus Aristoxenos (6) musicus; apud Latinos autem Varro. Quod illi in numerandis gentilium litterarum libris {et) (7) viris fecerunt illustribus ’, beatissimus Ieronimus doctor doctorum excellentissimus omnes qui de scripturis sacris aliquid prodiderunt me- morie breviter disseruit. Ad cuius exemplum viri provocati Gennadius massiliensis presbiter et Ysidorus hispalensis multos subrogaverunt. Inoltre dei cristiani Lattanzio ed Eusebio. f. 68° Lactancius Firmianus .....Scripsit preterea adversus gentes libros septem, ex quo volumine plura hic inserta reperies. f. 60. Eusebius ...Ex qua (ecclesiastica historia) nostro in pre- senti opere inserta reperies; f. 70-72” In huius Originis laudem Eusebius copiose versatusaest sexto libro ecclesiastice historie, unde illa que de hoc huic operi inseruimus de verbo ad verbum de supradicto libro accepì. (1) liceat 5. (2) 81 M. (3) omnes 5. (4) Leggi Carystius. (5) Satyrus om. codd. (6) Aristoxenos] a pristone bonos M; a pristore honos 5. (7) et om. codd. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV. 859 Tra i pagani il più spesso adoperato come fonte è Seneca, il cui nome comparisce si può dire in ogni pagina. Delle fonti medievali tralascio le meno importanti e fermo l’attenzione sulle due capitali: lo Speculum Ristoriale di Vincenzo Bellovacense (m. 1264) e il De vita et moribus philosophorum di Gualtiero Burley (1275-1337? 18452). Quanto al Bellovacense, vedansi queste citazioni: f. 23. Plato ...Huius Platonis multos fuisse discipulos memoratur (1), qui ut frater Vincencius refert (IV, 6) ‘in portarum locis (2) et porti- cibus versabantur, ut ammoniti angustioris habitaculi sanctitate nichil aliud quam de virtutibus cogitarent, quorum quidam etiam oculos sibi eruisse dicuntur (3), ne per eorum visum a contemplacione sapiencie avocarentur ”. f. 31. Secundus ...Hic ut Vincencius refert (X, 70) parvulus adhue ad studium Athenas a parentibus missus... f. 62° Gregorius Nisenus ...Huius liber est de ymagine ho- minis... Quem librum quamvis non viderim, tamen ut dicit frater Vin- cencius Beluacensis (XIV, 85); caute legendus... f. 67. Johannes Crisostimus ...Frater autem Beluacensis dicit (XVII, 42) se ex hiis XC (omeliis super Matheum) post multam inqui- sitionem XXV tantummodo reperisse. Il Burley non è mai citato col suo nome, ma viene ado- perato o senza richiami o col titolo dell’opera. Ecco un saggio delle due maniere: Burlaeus praef. p. 2 Columna f. 1 De vita et moribus philoso- De vita et moribus virorum phorum veterum tractaturus multa que ab antiquis autoribus in di- versis libris de ipsorum gestis sparsim scripta repperi in unum colligere laboravi plurimaque eo- rum responsa notabilia et dicta elegancia huie libro inserui, que ad legencium consolacionem et morum informacionem conferre valebunt. (1) memorantur M. (2) in templorum lucis Vine. Bel. illustrium tam sanctorum quam aliorum philosophorum traetaturus que in diversis libris. de eisdem sparsim scripta repperi in unum colligere laboravi; nam (4) ipso- rum gloriosa exempla et dicta ele- gancia memoratu digna et que ab illustribus sunt dicta auctoribus huic libello inserui, ut documenta volentibus virtutum summere longe inquisitionis labor absit. (3) etiam quidam oc — sibi effodisse leguntur Vine. Bel. (4) ne M. 840 REMIGIO SABBADINI f. 74° Ptholomeus philosophus (Claudius) ...Huius plura proverbia legi in eo libro qui dicitur De moribus et vita philoso- phorum (cfr.Burl., p. 372. De proverbiis eius moralibus hec notabilia hic scripta sunt). All’opera del Burley toccò la stessa sorte che a Giovanni di Salisbury, il cui libro si citava di solito col titolo di Polz- craticus (0 Policratus), che nell’intenzione di molti pare dovesse significare appunto il nome dell'autore. L'opera poi del Burley oltrechè girare anonima, veniva rimanipolata, accorciata, am- pliata da altri, che senza tanti scrupoli vi apponevano il proprio nome (1). Il Colonna cita un paio di volte Diogene Laerzio: f. 9" Aristotiles ...Dicit autem Laercius (2) in libro de vita phi- losophorum quod numerus librorum Aristotilis ascendit ad trecentos. f. 20" Misso (= Myson) genere cineus fuit. Hic ut ait Laercius docebat non ex verbis res sed ex rebus verba querenda. Ma non è da farsi illusione ch'egli conoscesse la traduzione latina medievale di Diogene Laerzio, perchè quelle citazioni sono testualmente tratte dal Burley (p. 52, 250); e forse nemmeno il Burley stesso conosceva quella traduzione direttamente, della quale nessun manoscritto si è finora rinvenuto (3). Ma non vi ha dubbio che la traduzione esisteva, e dell’esistenza era giunto sentore anche all’orecchio del Bellovacense, sebbene non gli sia (1) Una delle redazioni in parte accorciata, in parte ampliata (con l'aiuto dello Spec. Rist. del Bellovacense) è anonima nel Cod. Ambrosiano I 171 inf. cart. sec. XV, f. 77, Incipit libellus de vita et moribus philosophorum sino al f. 120 Explicit, dove termina con Cicerone. Reco il seguente passo che manca al Burley: f. 79° Scripsit illi (Soloni), ut ait Laercius, Periander phylosophus, qui apud Corinthum principatum agebat, sciscitans an adver- santes sibi cives essent fugandi. Cui Solon in hec verba respondit: ‘ Solon Periandro. Nuncias mihi nonnullos adversarios tibi. Tu autem si debes omnes fugare, non actinges. Adversabitur autem et aliquis non suspectorum: ille quidem timens de se, alius eriminans te. Nam aliquis nichil quidem timens saltem civitati gratiam confert nisi suspectus fueris. Satius igitur absti- nendum ut alieneris a causa, quam pensandum tyrannidem agere, ut alienam vim plus habeas ea que in civitate est. Si hec cogitas nemo tibi amplius malus nec tu repelles aliquem’. È la traduzione letterale, non sempre esatta e talvolta senza senso di Droe Larrt., I, 2, 17. Lo stesso passo nel testo integro (ma esso pure anonimo) del cod. di Brera AD XI 50 cart, SEC: RIV At, (2) Lactantius M. (3) V. Rose in £ Hermes ,, 1, 389-392. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 84] riuscito di trovarla. Infatti circa la notizia che 1 libri di Pro- tagora fossero stati bruciati, egli scrive: “ Huius autem Pro- tagorae quare libri combusti sint, non legi. Vide Dioge- nem , (1). Istruttivo per il modo come il Colonna usava le fonti è il caso del poeta Accio, che viene da lui trattato due volte con notizie differenti: l'una sotto Actius Lucius (f. 11), l’altra sotto Lucius (f. 20”); ivi sua fonte principale è il Burley, qui il Bellovacense. Più tipico ancora il caso di Sextius, che com- parisce tre volte: la prima sotto Sextius (f. 29"), dove attinge da Seneca; la seconda sotto Sixtus (f. 31”), dove attinge dal Burley; la terza sotto Xistus (f. 37), dove attinge da Girolamo e da Eusebio. La forma diversa del nome fu causa che in un personaggio unico (almeno secondo la tradizione) ne ravvi- sasse tre. Sono inoltre da notare molte designazioni cronologiche ri- maste incompiute. Reco le varie formule: uit autem tempo- ribus *** (f. 19 (2), 24"); fuit autem tempore *** (f. 26'); fuit autem *#* (£. 27); claruit autem sub *** (f. 19°); claruit autem temporibus *** (f. 22, 22°, 29, 29°); claruit autem tempore *** (f. 24" (3), 29°); claruit maxime temporibus *** (f. 28%); claruit autem *** (f. 79); mortuus autem est temporibus *** (f. 21%). In due dei luoghi surriferiti (f. 22”, 29) il Bellovacense (III, 55) e il Burley (p. 168) danno le desiderate indicazioni; bisogna dunque supporre che in un primo spoglio delle fonti il Colonna non te- nesse conto della cronologia e che più tardi, quando volle in- trodurla, quelle non fossero più alla sua portata. Autori direttamente noti al Colonna. . Nel compilare la lista degli autori noti al Colonna peccherò per difetto anzichè per eccesso, tralasciando quelli ch'e egli pote conoscere indirettamente dalle sue fonti, anche se io sospetti una conoscenza diretta, ed enumerando solo quelli della cui co- noscenza diretta io abbia le prove. Distribuisco la materia in tre categorie: i Greci tradotti, i Latini pagani, i Latini cristiani. (1) Spec. hist., III, 55. L'avrebbe saputo da Cicerone, De nat. deor., I, 63. (2)-(3) Poi furono colmate da altra mano in M. 842 REMIGIO SABBADINI I Greci tradotti. PLarone. Di Platone conosceva solamente il Timeo nella traduzione di Calcidio, dal cui proemio trae questo passo: f. 57. Ysocrates ...Hic, ut alt (1) Calcidius (prol.), in exortacio- nibus suis virtutem laudans cum omnium bonorum (et) (2) tocius pro- speritatis consistere causam penes eam diceret addidit ipsam esse solam que res impossibiles (3) ad possibilem redigeret facilitatem. Preclare (4). (Quid enim generosam magnanimitatem vel aggredi pigeat vel ceptum fatiget ut tanquam victa difficultatibus se temperet a labore ?. Eadem est ut oppinor... Vero è che nella biografia del filosofo incontriamo la no- tizia (f. 25): “ Quare libri eius (Platonis) qui apud Latinos, licet; pauci, inveniuntur hii sunt: Thimeus, Fedron, Gorgias et Pita- goras , (leggi Protagoras); ma non dobbiamo illuderci, essa è tolta dal Burley (p. 232). Dei dialoghi platonici furono tradotti nel medioevo il Menone e il Fedone, ma non furono noti nè al Colonna, nè al Burley. ArIsromILe. Di Aristotile il Colonna doveva certo aver ve- duto alcune opere, ma non abbiamo buoni argomenti per af- fermarlo. Esopo. Le riduzioni medievali prosastiche e poetiche d’Esopo furono probabilmente fra i testi da lui letti nelle scuole. f. 16. Exopus... Hic... famosas fabulas scripsit... Quas quidem fa- bulas prosayco sermone translatas quidam poetico more ad versus vertit. Que eciam hodie a pueris leguntur in scolis. GrusepPE FLAVIO. f. 65” Iosephus ...Scripsit et alia opuscula, ex quibus nullum apud Latinos reperitur, exceptis Antiquitatum et Belli iudayci cum Romanis. EusreBIo. Si è già accennato come l’ Ecclesiastica historia di Eusebio fosse una delle fonti principali del Colonna. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV 848 BasiLio. f. 54. Basilius Magnus Cesaree Capadocie episcopus fuit, cuius vitam mirabilem sanetus Amphilocius Yeonii episcopus celaro sermone descripsit, inter alia sie dicens: ‘ Basilius cum olim esset septennis a parentibus litteris philosophicis/... Sulle traduzioni latine della vita di S. Basilio attribuita ad Amphilochio efr. Webb in JoHANNIS SARESBERIENSIS Policraticus, Oxonii 1909, II, p. 347, nota. Alle opere di Basilio citate da Girolamo (116) il Colonna soggiunge: Item questiones et libellam per modum epistole exortatorium ad monachos, in quo inter verba multa sie dicit devotissime: ‘ Plurimum autem prodest ad Dei memoriam conservandam secrecius et remocius habitare ‘... Giovanni Grisosromo. L'elenco delle opere del Grisostomo è quasi uguale nel Bellovacense (XVII, 42) e nel Colonna; ma questi ne conosce qualcuna di più e di qualche altra dà mag- giofi ragguagli. f. 66" Iohannes Crisostimus ...Item Dyalogus ipsius et Basilii Magni, quem ipse composuit de fuga cure pastoralis... Vidi et ego librum super actus apostolorum quasi nostra etate de greco in latmum trans- latum... Item (scripsit) de laudibus beatissimi Pauli Omelia septem. Et licet in omnibus libris suis hic venerandus doctor gloriosum illum apo- stolum plurimum commendet, in predicto opere usque ad celum eius vitam commendat et omnibus sanctis novi et veteris testamenti ipsum prefert.- Scripsit etiam ante episcopatum librum contra Iudeos. Della traduzione medievale del Commentarius in actus apo- stolorum non mi è occorso cenno altrove; si sa solo che lo fece tradurre dai suoi amici Cassiodoro (1). La traduzione veduta dal Colonna sarà stata fatta o in Sicilia nel sec. XII o in In- ghilterra tra il XIII e il XIV. I Latini pagani. Tra i poeti notiamo: TERENZIO. f. 33. Terrencius poeta comicus excellentissimus et in descri- bendis actibus hominum singularissimus... Hic devicta Cartagine a Sci- (1) Jomanwis Carysosromi, Opera omnia, ed. Montfaucon, Parisiis, 1 PAS pv 751, 844 REMIGIO SABBADINI pione Affricano in triumphum ductus est post curram eius pilleatus... Huius Terrencii plures sententie ad diversas materias pertinentes inve- niuntur, quarum aliquas hic inserere volui..... Gli estratti sono assai più numerosi che nel Burley (p. 342-3) e nel Bellovacense (V, 72-73). Nella notizia biografica incontriamo la confusione, usuale nel medioevo, di Terenzio comico con Te- renzio Culleone, la quale rimonta a Orosio (Hist., IV, 19) (1). VERGILIO. f. 35" Virgilius ...Hie Virgilius tres libros tantum creditur edi- disse, ut in epitaffio eius apparet, ubi dicitur: ‘ cecini pascua rura duces ’, per que tria significantur Bucolica, Georgica et Eneydos. Perciò ignorava i poemetti dell’ Appendix o li riteneva spuri. Nel Burley (p. 336) e nel Bellovacense (VI, 61) trovò alcune leggende popolari, ma ne tocca di sfuggita : Legitur autem in quibusdam locis de aliquibus mirabilibus que Virgilius fecit in civitate Neapolitana, que quidem veritati non congruunt; ideo supervacuum putavi illa huic operi inserere. Creditur tamen ab aliquibus ab eo illud mirabile templum constructum quod ‘Rome sal- vacio’ dicebatur, quod inter septem mundi miracula primum compu- tatur, quod Pantheon dicitur, licet dicatur a quibusdam quod Domiciani temporibus fuerit constructum. Più lo attrae la novella del sepolcro: Mortuus est Virgilius Brundusii, cuius ossa Neapolim translata sunt et secundo ab urbe miliario tumulata, titulo huius modi super- scripto: ‘ Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope: cecini pascua rura duces’. Huius sepulchrum cum ossibus temporibus illustrissimi Rogerii regis Siculorum reperta sunt. Nam quidam magister nacione anglicus ad hune regem accessit postulansque sibi aliquid a rege munifico dari. Cumque rex crederet aliquod a se beneficium peti, respondit: pete quod vis et dabitur tibi. Erat autem is qui petebat summe litteratus et in omni sciencia quasi summus, maxime in nigromancia. Qui ait regi se nolle ab eo beneficia pecuniaria petere sed pocius quod apud homines vile putatur, ossa videlicet Virgilii poete, ubicunque in toto regno eius possent inveniri. Annuit rex peticioni scripsitque neapo- litanis civibus ut magistro traderent quod petebatur, si invenire poterat quod querebat. Veniens ergo Neapolim data est sibi a populo facultas sepulerum requirendi, cum omnes hoc quasi impossibile reputarent, cum illud omnes penitus ubi esset ignorarent. Magister autem conseriptis (DICiaSto ita dal Rtelass eva) GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIv. 845 spiritibus arte magica ossa tandem reperit infra tumulum in medio montis cuiusdam, ad cuius sepuleri caput liber repertus est in quo ars notoria scripta erat cum aliis caratheribus studii eius; levantur ossa cum polvere; cuius anima erat profundissime in inferno. Timens igitur vulgus ne, si corpus portaretur, tota civitas grave dispendium incur- reret, corpus magistro minime tradiderunt, sed illud ad Castrum Ovi in urbis illius confinio deportaverunt. Requisitus vero magister quid de Virgilii ossibus facturus erat, si illa pro voluntatis libito habuisset, re- spondit quod per magicas coniurationes leviter effecisset, quod ad eius peticionem ossa sibi omnem Virgili artem docuissent; quin ymmo sa- tisfactum sibi fore asseruit, si per xL dies sibi ossium copia daretur. Il racconto è derivato, con leggiere differenze, dagli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (1); il Colonna lo colorisce, diremo così, più magicamente; infatti mancano in Gervasio le frasi: summus... in nigromancia; conscriptis spiritibus; cuius anima erat profundissime in inferno, e l'aggettivo magicus alle parole arte e comurationes. Gli storici della fortuna di Vergilio nel medioevo hanno cercato in questo racconto il germe della leggenda popolare rac- coltasi intorno al nome del grande poeta (2); ma c'è un altro elemento che non deve sfuggire alla nostra attenzione. I prota- gonisti dell’aneddoto sono un Inglese e il re Ruggero. Ruggero II (1130-54) e dopo di lui suo figlio Guglielmo I (1154-66) furono i restauratori della cultura in Sicilia nel sec. XII; e in quello stesso secolo ebbero frequenti rapporti con la Sicilia gli Inglesi, che coltivarono, primo fra tutti Giovanni di Salisbury, con buon successo gli studi. Ora in quel savio inglese che viene nell’Italia meridionale a chiedere alla tomba di Vergilio il segreto dell’ars notoria e della sua scienza io vedo appunto la personificazione leggendaria del movimento che congiungeva l'Inghilterra e la Sicilia (3). (1) Hannoverae, 1707, p. 101-102. (2) D. Comparemtti, Virgilio nel medioevo, 2° ed., Il, 45 ss. (3) Per questi rapporti tra Inghilterra e Sicilia nel sec. XII, cfr. V. Rose, Die Liicke im Diogenes Laertius und der alte Uebersetzer (in © Hermes ,, I, 376 ss.) e Cu. H. Haskins and D. P. Lockwoop, The sicilian translators of the twelfth century and the first latin version of Ptolemys Almagest (in ‘“ Harvard Studies in class. philol. ,, XXI, 1910, 75-102). I rapporti continuarono nel sec. XIII, vedi M. R. James, A graeco latin Lexicon of the thirteenth century (in “ Mélanges Chatelain ,, Paris, 1910, 396-411). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 54 846 REMIGIO SABBADINI Lucano. f. 20” Lucanus ...Narravit tamen potius audita vel lecta quia visa non potuit, nam id bellum centum fere annis ante (1) ipsum precessit. Stazio (collocato tra i cristiani). f. 79. Statius Tholosanus civis Papino patre, Agilia (2) vero matre ex nobilissimo genere extitit oriundus. Hic autem rhetor optimus, poeta perfectissimus, morum honestate preditus, pollens ingenio, clarus eloquio, felicis intelligencie, tenacis memorie ac liberalibus eruditus artibus im- peratoris Domiciani tempore Romam venit, quoniam poetas audierat Rome non minimum venerari. Videns igitur Titum et Domicianum post patris Vespasiani exequias hostiliter cupiditate imperii decertantes, quoniam Titus Domicianum expellere et patri flagitabat succedere, Polinicis et Ethioclis discordiam et contencionem describere decrevit, quatenus in- spectis casibus qui (3) dictis fratribus propter bellum contigerant, Titum et Domicianum a contencione similiter removeret. Composuit autem librum eleganti sermone, metrico stilo, cuius titulus talis est: Sursulii Pampanis Stacii Thebaydos. Sursulius agnomen est, quasi sursum et alte canens (4), quoniam nullus poetarum melius suam bhistoriam exe- cutus est. Pampinus cognomen est a Pampino (5) patre, qui sie dictus est. Stacius nomen proprium, quoniam firmiter stans, viciis instanter restitit coluitque indefesse virtutes. Scripsit et alium librum, cuius ti- tulus est Achilleydos. Claruit autem CE 9 Come in tutto il medioevo, Stazio, il poeta napoletano, viene qui scambiato col retore tolosano Stazio. Il nome della madre Acilia deriva per non so quale equivoco dalla biografia di Lucano attribuita a Vacca: “ matrem habuit... Aciliam ,. La gelosia tra i figli di Vespasiano era nota per mezzo di Svetonio (Titus, 9, Domit., 2), con la differenza che la parte di provoca- tore dal Colonna anzichè a Domiziano è assegnata a Tito. Da tal gelosia fu agevole all’immaginazione medievale congetturare che Stazio abbia voluto in Eteocle e Polinice simboleggiare i due fratelli Flavi. Più singolare è che il nostro Colonna abbia posto Stazio nella sezione dei cristiani e ne abbia tanto esaltato le virtù: (1) ante om. B. (2) Agiliam codd. (3) qua codd. (4) Per altre etimologie efr. Afene e Roma, XII, 1909, 265, 269. (5) Papino B. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. xIV 847 morum honestate preditus; viciis instanter restitit coluitque indefesse virtutes. In ciò mi pare di scorgere un buon indizio che la rap- presentazione dantesca di Stazio doveva avere un fondamento tradizionale, perchè il Colonna certamente non conosceva la Commedia. GIOVENALE. f. 19° Iuvenalis...Iste Iuvenalis fuit ex opido Aquino Campanie. Qui videns in curia Domiciani imperatoris quendam qui Paris panto- mimus (1) dicebatur, qui quanquam fuit istrio, adulationibus tamen et blandiciis ad tantum honorem devenerat quod universis iuvenibus in Domiciani euria precellebat, erat etiam cancellarius imperatoris, zelo vir- tutis in extirpacione tanti monstri miro modo utebatur. Insuper scripta poetarum precio mercabatur, que nondum fuerant recitata, ut ex alienis laboribus sic honorem et gloriam impetraret dum se autorem operis testabatur. Ideo Iuvenalis non immerito in huius istrionis et imperatoris ignominiam opus satiricum (2) componens tres conseripsit versiculos quos in satira collocavit. Quo facto cum se Domicianus redargui com- perisset, odium et indignationem non modicam in Tuvenalem exercuit et quibus modis ipsum perderet scrutabatur. Sed quoniam Tuvenalis potentia inter Romanos tam excelsa fuerat, quod eum sine causa ledere non audebat, sub specie tamen dileccionis statuit sumendam de iniuriis ultionem: ipsum enim prefecit militibus quos in Egiptum illo tempore in expedicionem mittebat, quatenus ipsum e conspectu suo penitus re- moveret, sperans quoque quod et in conflictu casu belli perimeretur. Post multum vero temporis expedicionis, regressionis peciit libertatem, quam cum minime optineret se deceptum sub specie amicicie et honoris cognovit; ideoque langore affectus et tedio vitam in extremis partibus exalavit (3). Ob hane ergo (4) causam librum composuit cuius titulus talis est: Iunii Iuvenalis Aquinatis Satyrarum liber. È nella sostanza la biografia giovenaliana trasmessaci dal- l'antichità, con alcuni ampliamenti di carattere novellistico. Craupiano. Il Colonna da una notizia letta in S. Agostino dedusse che Claudiano si fosse convertito al cristianesimo. f. 58. Claudianus alius fuit et hic poeta clarissimus, qui gesta Archadii et Honorii imperatorum fratrum luculento carmine scripsit. Hic paganus et ydolatrie deditus videns in eo bello, quod Theodosius (1) qui paspantonius M; qui paspantononius 5. (2) satirum codd. (3) exulavit codd. (4) igitur B. 848 REMIGIO SABBADINI contra Eugenium tyrannum gessit, illud (1) cunetis seculis predicandum miraculum, quod Augustinus 5 (c. 26) de civitate Dei refert, quod multi qui ex parte Fugenii tyranni fuerant, sibi retulerant (2). Nam ‘exorta sibi esse de manibus quecunque iaculabantur tela, cum Theo- dosii partibus in adversarios vehemens ventus iret et non solum que- cunque in eos iaciebantur concitatissime raperet, verum eciam ipsorum tela in eorum corpora retorqueret. Unde et hic poeta Claudianus, quamvis a Christi nomine alienus, in Theodosii tamen laudibus dixit: O nimium dilecte Deo, tibi militat ether et coniurati veniunt ad classica venti” (3). Quare et ipse Claudianus ad veram Christi fidem conversus est. Caronis Disticna. Fa dei due Catoni antichi, come soleva nel medioevo, una persona sola; ma dai Catoni distingue net- tamente, con una ragione cronologica, l’autore dei Listicha. f. 13. Cato...Huic autem Catoni quidam attribuunt illum libellum qui a pueris in scolis legitur, qui partim prosayco sermone partim me- trico de moribus scriptus est. Sed in rei veritate stare non potest, quia ille libellus Lucanum poetam commemorat (II praef. 5), qui post hune Catonem centum annis fuit vel circa. Sed forte fuit tercius Cato, qui fuit temporibus Alexandri imperatoris (222-235 d. C.). Questo modesto elenco rivela mancanze notevoli: Plauto, gli Elegiaci, specialmente Ovidio, Orazio e soprattutto Persio, tanto letto nelle scuole. Di Properzio conosce appena il nome stroppiato (f. 26" Perpecius) per mezzo di Lattanzio (VI, 2). Tra i prosatori enumeriamo : Cicerone. Di Cicerone conosceva certo i copiosi estratti del Burley (p. 318-28) e del Bellovacense (VI, 6-32). Direttamente avrà potuto vedere in particolar modo le opere filosofiche, ma la prova la possediamo solo per le tre orazioni Cesariane, da una delle quali, p. Mare., 14, trae un passo: f. 34 Dicit enim in ea oratione quam pro Marcello ad Cesarem fecit: “ Quo quidem bello semper de pace agendum audiendumque putavi... , Nella lista delle opere non dà nulla di più delle sue fonti; di proprio aggiunge un cenno sulla perdita del De re p.: f. 34" Seripsit autem Tulius egregios libros quamplurimos: de re publica li. VI, qui nunc nusquam reperiuntur. — Forse li aveva cercati. (1) velut 5. (2) retulerunt 5. (3) Craupran., De ILL Hon. cons., 96-98. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIv_ 849 Cesare. Nel medioevo le opere di Cesare erano attribuite al suo recensore Giulio Celso. Il Colonna nelle notizie su Cesare (f. 19 Julius Celsus) e negli estratti dai suoi libri segue il Burley (p. 340) e il Bellovacense (VI, 2-5); ma una conoscenza diretta mi sembra risulti da questa citazione: f. 34. Nam ut tradit Iulius Celsus in eo bello quod Romani Cesare Tulio duce cum gente Gallorum gesserunt hic (Cicero) legatus Tulii fuit, ubi plurima non solum prudenter, sed eciam strenue gessit; nam cum ea legio cui ipse preerat... (cfr. Caes., B. G., V, 38-52). SALLUSTIO. f. 29”-80. Salustius Romanorum genere ortus ex equestri ordine diu Rome oratoriam docuit multosque ex romanis nobilibus auditores habuit; sed postquam Marcus Tulius Cicero ex Grecia et Athenis Romam rediit et auditorium tenere cepit, quoniam in eloquentia longe Salustium excedere videbatur, omnes pene Salustii auditores eo relicto ad scolam Tulii convolaverunt. Quod ille egre ferens, conviciis et maledictis Tulium insectare cepit... In fine autem sic de eo concludit in quadam oratione quam contra eum apud Senatum habuit: ‘ Homo levissimus /... Hic Salustius iuxta morem nobilium primis etatis sue annis litte- rali studio deditus fuit; ad adolescentiam iuventutis sue veniens, iuven- tutis motus caloribus et honoris ambitu, qui nonnullos a tramite ra- tionis abducit et separat (1), dimisso litterarum studio cepit sequi miliciam et martis studia exercere. Sed quoniam militare collegium multa opérabatur nepharia, que suus aspernabatur animus, qui bonis tantum artibus (2) et honestis assueverat moribus, mentis mutans sententiam militarem reliquit strepitum. Hic autem fervente bello civili quod inter Cesarem et Pompeium ortum est Cesarianis partibus adhesit magno- rumque exercituum ductor fuit; tandem quod dimiserat studium reas- sumens litterarum, a quo ipsum ambicio et inanis fame cupiditas seque- strarat, res gestas romani populi statuit perscrutandas... Scripsitque duos libros, scilicet Catellinarium et Iugurtinum... È chiaro che qui abbiamo due biografie: la prima imbastita sulle invettive apocrife scambiate tra Cicerone e Sallustio e sugli scolii oraziani (Carm., }I, 2), dai quali deriva la notizia della origine equestre dello storico; notizia che il medioevo non potè attingere da Tacito, autore allora ignorato. La seconda biografia è imbastita sui proemi dei due Bella di Sallustio e su Orosio (Hist., VI, 15, 8). Il Colonna dà poi un sunto dei Bella. (1) sperat codd. (2) actibus 2. (0 0) Ut (») REMIGIO SABBADINI Livio. f. 34° Titus Livius ...Dicit beatus Iheronimus in epistola ad Paulinum (53): ‘ad Titum Livium lacteo eloquencie fonte manantem de ultimis Hispaniarum Galliarumque finibus quosdam nobiles venisse legimus’... Huius historiarum volumen centum quinquaginta libros con- tinet; sed omnes minime reperiuntur, exceptis duntaxat triginta libris, licet raro x1 reperiantur. Vidi ego tamen quartam decadam in archivis ecclesie Carnotensis; sed littera adeo erat antiqua, quod vix ab aliquo legi poterat. Quare autem residuum huius oratoris librorum non repe- riatur (1), nullam aliam causam credo nisi illam quam Suetonius ponit, qui de Gaio Gallicula imperatore sic dicit (34): ‘ Cogitavit de carminibus Homeri abolendis, sed et Virgili ac Titullivii scripta paululum abfuit quin ex omnibus bibliotecis amoverit: quorum alteram ut nullius in- genii minimeque doctrine, alterum ut verbosum et in historia negli- gentem carpebat’. Recolo autem me in quadam non infime auctoritatis historia legisse horum libros ab eo fuisse crematos; unde et xL qui ab origine et condicione urbis usque ad bella asiatica, qui iam toto orbe dispersi erant, minime a Gaio potuerunt aboleri; reliquos (2) vero, quos nondum extra urbem et Ytaliam (3) communicaverat, ab hoc scelesto (4) tyrampno credo fuisse combustos et ob hanc causam minime reperiri. Scripsit preterea dyalogos, ut dicit Seneca 97 (5) epistola (100, 9)... Padue decessit unde originem traxerat, cuius sepulecrum nostra etate apud eandem urbem repertum est. Il presunto sepolcro di Livio fu scoperto, come già ho'ac- cennato, sotto Iacopo I Carrarese (1318-24). Non saprei dire in . quale storia si trovi il racconto dell'incendio dell’opera liviana per ordine di Caligola. Assai più importante è la notizia che il Colonna ci dà sul codice di Livio nella cattedrale di Chartres. Egli conosceva l’esistenza di trenta libri di Livio, che formano la I, HI e IV deca; sicchè quando parla della IV, nuova allora, parrebbe intendesse la quarta fra le superstiti, la quale corrì- sponderebbe alla quinta, contando la II perduta. Ammetteremo pertanto che a Chartres si conservasse la quinta deca, o almeno i primi cinque libri di essa (51-55), quali furono scoperti nel 1527 da Simone Grynaeus nella badia di Lorsch? Non credo; è più pro- (1) reperiantur cod. (2) reliqui codd. (3) extra Yt. om B (4) sceleste codd. (5) 95 B. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV. 851 babile che la deca veduta dal Colonna fosse la IV (31-40). La difficoltà della lettura farebbe supporre che si trattasse di serit- tura insulare. VaLerIO Massimo. f. 36. Valerius Maximus vir inter Romanos eloquentissimus fuit. Hic libram pulcherrimum composuit de virtutibus et viciis... In quo quidem libro qui hodie apud Latinos multum communis est... Et quia de huius oratoris vita vel moribus nichil reperi, ideo de eius dictis egregiis aliqua huie operi inserenda putavi... Claruit tempore Octaviani imperatoris. Curzio Ruro. f. 27. Quintus Curtius orator insignis, quem discernere non possis utrumne ornatior in loquendo an facilior in explicando fuerit (1); quare apparet ingenio fuisse facilem et copiosum suavitate verborum. Et ultra omnes meo iudicio eos qui historias scripserunt auctoritatibus et sententiis habundavit. Scripsit autem hic gesta Allexandri Magni, que in * (2) libros distinzit: et quamvis hoc vglumen raro inveniatur, si quando tamen apud aliquos inventum est, reperitur in pluribus defectuosum et detruncatum (3). Et cum sint libri » (4), primum nunquam reperi. Huius autem libri has sententias (5) defloravi... Fuit autem *** (6). Seneca. Seneca fu l’autore più caro e più familiare al Co- lonna, il quale, seguendo l’uso di tutto il medioevo. faceva una persona sola di Seneca padre e figlio. Ecco l'elenco da lui dato delle opere: f. 31. Seneca ...Scripsit autem hic magnificus Seneca hos libros: primo librum Epistolarum ad Lucillum, de quibus inveniuntur cxxv (sono 124); De beneficiis ad Liberalem libros septem; De clementia ad Neronem li. 2; De ira ad Novatum li. 3; De questionibus naturalibus li. 8 (sono 7); Declamationum li. 9 (sono 10)g Tragediarum li. 10 (com- presa l’Octavia); De providentia Dei librum unum in quo, ut dicit Lac- tancius (II, 8), non plane imperitia seculari sed sapienter et pene divinitus locutus est; De beata vita ad Gallionem fratrem suum; De tranquillitate animi ad Lucillum; De brevitate vite ad Paulinum; ad Marthiam De consolatione filii; De consolatione ad Elbiam matrem; De (1) fuit 5. (2)-(4) Una mano posteriore in M aggiunse la cifra X. (3) defectuosus et detruncatus codd. (5) sententiolas 5. (6) fuit autem om. B. 852 REMIGIO SABBADINI consolatione ad Polibium; De constancia sapientis ad Serenum; De re- mediis fortuitoram ad Gallionem. Omnes supra nominati libri facile volenti querere reperiuntur. Libros vero De sententiis diversorum ora- torum (1), De matrimonio, De terremotu, De supersticionibus nunquam reperi. Libros vero eius (2) qui intitulantur De quatuor virtutibus, De moribus et Proverbia revera ipse non composuit, sed ab aliis ex eius dietis conflati sunt. Delle opere autentiche gli rimase ignoto solo il Ludus de morte Claudii. Il De matrimonio, il De terraemotu e il De super- stitionibus, da lui cercati inutilmente, ci sono noti da scarsi frammenti o da poco più che il titolo; il De sententiis diver- sorum oratorum non è poi che la raccolta delle Controversiae, dal Colonna e da tutti allora chiamate Declamationes; ma il titolo mutato gl’impedì l’identificazione. Nel riconoscimento delle opere apocrife andò più in là del Petrarca, che ne scoprì una soltanto, il De quatuor virtutibus; egli pose in dubbio inoltre il De moribus e i Provexbia. Il Colonna era poi convinto della cristianità di Seneca: f. 30” Cum vero in multis locis commendare paupertatem incepit et ostendere quod quidquid usum excederet pondus esset supervacuum et grave ferenti, certe ad ipsam non solum tollerandam sed eciam am- plectendam me sepius provocavit. Cum vero incipit et vult voluntates nostras traducere, laudare castum corpus, sobriam mensam, puram mentem, non tantum ab illicitis voluptatibus sed eciam supervacuis libet fre- quencius cireumscribere gulam et ventrem. Ex hiis michi quedam de hoc viro remansere indicia (3) et hunc sepe credidi christianum fuisse, maxime cum magnus doctor Ieronimus ipsum in sanctorum catalogo asceribat (e segue a rilevare le sue idee cristiane, ricavandole dalla Consol. ad Marciam, dalla Consol. ad Polybium e dalle Epist.). Sed potissime inducor ad credendum hune fuisse christianum ex hiis epistolis notis toti orbi terrarum, que inscribuntur (4) ‘ Pauli ad Senecam et Senece ad Paulum ” (reca da ultimo le testimonianze di Agostino e di Lattanzio). QUINTILIANO. f. 26” Quintilianus ... De huius oratoris vita sive moribus et actibus et gestis nichil penitus inveni. Constat tamen hunc plures libros, (1) philosophorum mM. eos M. ludicia 5. scribuntur codd. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. xIvV_ 853 qui apud nos inveniuntur, scripsisse, e quibus De oratoria institutione libri octo, item liber Causarum sive De causis. Con Causarum intende quelle che più comunemente si chia- mano Declamationes. Gli otto libri dell’Institutio mostrano che il suo testo era mutilo al pari di quello del Bellovacense (IX, 121-25). Il libro VII di quest’ultimo comprendeva i frammenti degli ul- timi cinque (VIII-XII). Sveronio. A Svetonio non consacra un cenno biografico, ma lo adopera direttamente in più luoghi. Io ne ricorderò due: il giudizio, già riferito, di Caligola su Livio, e le seguenti notizie intorno a Giulio Cesare: f.19. Iulius Cesar...vir studiosissimus et in omni seculari scientia profundissimus et eloquentia singulari fuit (1) qua, ut ait Tullius, aut equavit prestantissimos aut excessit. Negat autem Tulius in quadam ad Brutum epistola se vidisse cui deberet in eloquentia cedere, inter alia sie dicens: Quem oratorem huic antepones eorum qui nichil aliud egerunt ? quis sententiis aut acutior aut crebrior fuit? pronunciasse autem dicitur voce acuta, ardenti motu gestuque, non tamen sine venustate (Suet., Caes., 55). (TRrogo) GrustINo. f. 35. Trogus Pompeius nacione hispanus, vir eloquentissimus. Hic solus ex latinis historiographis orientalium regum gesta aggressus est scribere, unde quidquid hodie apud nos de gestis orientalibus.... habetur, totum ab illo (2) trahitur.... Incepitque historiam suam a Nino rege Assiriorum sub quo natus est Habraam et usque ad Cesarem Octa- vianum Augustum per xLni libros deduxit. Quod volumen licet raro reperitur, tamen hie (3) Iustinus qui Trogum abbreviavit communiter et in locis plurimis reperitur; et hic sub Antonino Pio Romanorum prin- cipe (4) claruit. ; f. 66 Iustinus philosophus ...Invenitur et liber sub nomine Tustini, abbreviacionem Trogi Pompei continens... Sed utrum sit hic Tustinus martir et philosophus ignoro, maxime cum in hiis libris de christianorum doctrina nulla sit mencio. Si autem hunc librum ipse omnino composuit, estimo quod antequam ad christianam religionem veniret hoc opus ediderit. (1) profrindissimus fuit pre eloquentia singulari M. (2) hoc B. (3) hec M, sed B. (4) Antonio principe M. 854 REMIGIO SABBADINI HisToRIa., AUGUSTA. f. 10” Appollonius ...Fuit et tertius Appollonius, de quo in vita Aureliani imperatoris Flavius Vepistus historicus sic refert: ‘Cum Au- relianus imperator Tyanam civitatem obsideret, quidam huius civitatis antiquus philosophus imperatori in sompnio apparuit dicens: Aureliane, sì vis vincere nichil est quod de civium meorum nece cogites; Aure- liane, sì vis imperare a cruore innocentium abstine, ad omnes clementer te age. Noverat autem philosophi vultam Aurelianus, nam in multis templis eius imaginem viderat (Flav. Vopisc., Aurelian., 24). f. 12. Basilicus Socronitanus philosophus illustris claruit temporibus Antonini (1) Pii imperatoris romani, tamen de hoc philo- sopho nichil in vita dicti imperatoris inveni et Helius Spartanus qui huiusmodi imperatoris mores et gesta digessit nullam de hoc philosopho mencionem facit. Veramente la vita di Antonino Pio appartiene a Giulio Capitolino e non a Elio Sparziano; ma il codice del Colonna, come di tutti gli altri, in causa della lacuna e della trasposi- zione dei fogli nell’archetipo distribuiva erroneamente alcune biografie fra i vari autori. SIMMACO. f. 79. Symachus patricius Boecii socer... Huic Symacho frater Vincencius (Beluac., XXI, 14) attribuit volumen illud Epistolarum quod Symachi nomine intitulatur; sed revera hoc stare nullo modo potest, quia auctor illaraum epistolaram in multis locis dietarum epistolarum deos nominat et sacra illoram predicat, unde ostendit se vere fuisse pa- ganum, cum ille Symachus Boecii socer vere catholicus fuerit et fidei christiane fidelis assertor. Il Colonna non aveva tutto il torto, perchè Simmaco, il suocero di Boezio, fu nipote dell'omonimo autore dell’ Episto- lario; due personaggi diversi dunque. EuTROPIO. f. 61° Eutropius presbiter... (trascrive Gennadio, 49). Invenitur et alius liber historiarum a primo anno iani (2) usque ad tempora im- peratoris Theodoxil Eutropii nomine intitulatus. Sed utrum fuerit hic Eutropius de quo supra seripsimus (3) penitus ignoro. Si autem hic fuit, (1) Antonii codd i (2) a p.° anonini M, apoîino niui B. Eutropio ampliato da Paolo co- mincia: Primus in Italia, ut quibusdam placet, regnavit Janus. (3) scriptum est 5. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO F BIBLIOGRAFO DEL SEC. XIV. 855 supra modum miror quod in eo historiarum libro de Christo sive ec- clesia nulla sit mencio. Anche qui si tratta effettivamente di due autori diversi. La storia di Eutropio comincia da Romolo; ma il Colonna do- veva avere il testo ampliato da Paolo Diacono, che comincia appunto da Giano. Però ci sorprende che non vi abbia trovato menzione della chiesa, dovechè nelle giunte di Paolo son inne- stati avvenimenti della Storia Sacra ed è accennata la nascita di Gesù e la morte di Pietro e Paolo. Inoltre la redazione di Paolo giunge a un'età molto posteriore a Teodosio, ossia al sec. VI: sicchè bisognerà ammettere che il Colonna possedesse il testo paolino ridotto. Come nei poeti, così nei prosatori sono notevoli lacune. Mancano: fra gli storici, Floro, tra gli epistolografi, Plinio; mancano Apuleio, i grammatici e 1 poligrafi Gellio, Solino e Macrobio. I Latini cristiani. Il Colonna parla di molti cristiani, coi quali giunge fino al sec. XIII; ma io negli spogli tengo conto solo dei principali, fermandomi a Gregorio Magno. CIPRIANO. f. 56” Cyprianus ...Scripsit autem multa inter que apud nos ista inveniuntur. Tralascio l'elenco e segno: “ Scripsit ad diversas personas epistolas que in unum redacte volumen librum efficiunt ,. Reca poi un estratto dal De lapsis. (GIROLAMO. f. 66” Ieronimus ...Hic solus ex antiquis doctoribus sexdecim prophetas exposuit totumque novum et vetus testamentum ex hebrayca lingua latine reddidit: qua translatione hodie pene totus mundus utitur. Molte opere di Girolamo doveva avere alla mano, ma le prove ch'egli le adoperasse si restringono alle seguenti: la tra- duzione della Bibbia, il commento ai Profeti, il De viris d2lu- stribus e le Epistole. AMBROGIO. f. 51” Ambrosius ...Scripsit autem hie beatus antistes libros in- numerabiles, inter quos quasi ista inveniuntur. 856 REMIGIO SABBADINI segue un lungo elenco, ma non ho indizi per dimostrare quali delle opere nominate fossero a lui accessibili. Agostino. Aveva in mano certamente di lui il De civitate Dei, le Confessiones e le Epistolae. Per le altre opere mancano gli indizi. Di un’apocrifa così discorre: f. 58" Augustinus ...Fertur autem scripsisse libellum De spiritu et anima, qui nunc apud scolasticos precipue legitur: quamvis ille liber stilum Augustini minime sapere videatur (cfr. Bellovac., XVIII, 55). ORosIo. f. 72° Orosius...Scripsit adversus querulos christiani nominis li. 7. PRUDENZIO. f. 76° Prudencius ...Composuit et libram metrieum De con- flietu vicioram et virtutum elegantissimum (1). Item composuit librum qui dicitur: ‘ Eva columba”’ (il Dittochaeon). PROSPERO. f. 77. Prosper ...Invenitur autem libellus eiusdem Prosperi sen- tentiarum sive epigramatum (2) partim prosaycus partim metricus, ex dictis beati Augustini compendiose tractus. Cassiano. Delle varie opere sembra conoscesse di preferenza le Collationes. f. 57” Cassianus ...Nec inter multa antiquorum opuscula quid- quam ad spirituales profectus atque ad perfeccionis apicem tendenti utilius arbitror me legisse: agit igitur liber iste qui Collaciones patrum inscribitur... Siponio APoLLINARE. Copia dal Bellovacense (XXI, 46-48) il catalogo delle opere; ma sull’Epistolario dà un giudizio suo peculiare, dal quale rileviamo che n’aveva conoscenza diretta: f. 78° Sydonius Appollinaris ...Preterea sicut vir ingeniosus et curvate eloquencie multas et difficiles scripsit epistolas. Boezio. Oltre le opere genuine, gli è nota anche la spuria De disciplina scolariuim. Di Elpe, la prima moglie di Boezio, scrive: (1) Da Gennadio 13 l’aveva citato così: ‘ comachia, ‘de conpunctione anime ’, manifestamente senza capire. (2) Prosperi — epigramatum om. M. GIOVANNI COLONNA BIOGRAFO E BIBLICGRAFO DEL SEC. XIV 857 f. 54-55. Boecius ...Cuius Boecii (uxor) (1) Helpa (2) dicta est vel Helpes, Symachi patricii filia, que in laudem sanctorum multa di- citur composuisse, inter que extat ymnus in honore Petri et Pauli, qui incipit: ‘ Felix per omnes Roma mundi cardines 7. Epytafium quoque suum super sepulechrum suum scribendum similiter ipsa dictavit: Helpes dieta fui sicule regionis alumpna Quam procul a patria coniugis egit amor. Porticibus sanetis iam nune peregrina quiesco Iudicis eterni testi- ficata tronum ’. I due supposti inni di Elpa a Pietro e Paolo sono nel Migne Patrol. lat., 63, 537; ma hanno cominciamento diverso da quello noto al Colonna. Grecorio Magno. Gregorio doveva essere molto familiare al Colonna. Io recherò questo solo cenno: f. 63. Gregorius... Magnus ...Extat et apud nos commentariolus eiusdem super cantica canticorum et liber De conflictu viciorum et vir- tutum, quem tamen libram plerique ascribunt Augustino (8). CONCLUSIONE La cultura del Colonna è ampia e varia: profana e cristiana, antica e medievale. Egli come frate predicatore cerca in primo luogo negli esempi degli scrittori la materia morale che alimenti la predicazione; ma È non s’arresta: mira anche alla conserva- zione della dottrina, e per questo estende le sue informazioni tanto agli autori sacri quanto ai profani. Nè la sola materia lo alletta: egli si preoccupa pure dei recti usus eloquii, nel che scor- giamo una netta tendenza umanistica, sebbene di professione non sia stilista. L'occhio suo vigile è sempre rivolto ai fatti. A lui preme soprattutto accertare la verità storica; gli sta a cuore la cronologia e dove non la trova, lascia uno spazio bianco sulla carta, in attesa di nuove fonti che gliela rivelino. E oltre che senso storico, manifesta senso critico. Non sempre accetta le attestazioni delle sue fonti e schiettamente esprime i suoi dubbi sull’identità delle persone, sull’autenticità delle opere. È un investigatore di testi: e qui parimente egli ci appare uma- (1) uxor 0m. coda. (2) Helpe 2. (3) E altri ad Ambrogio. 858 REMIGIO SABBADINI nista. Non sappiamo dove abbia esercitata la sua investigazione, all'infuori del cenno fuggevole sulla cattedrale di Chartres e sullo Studio di Parigi; ma è indubitato che più volte cercò, perchè più volte dichiara di non aver trovato. Dove avrà letto il Colonna i numerosi libri di cui parla e dai quali trae le sue notizie? Li avrà posseduti di suo? La prima parte della sua vita egli trascorse a Roma e poi col suo supe- riore Giovanni Conti a Pisa; trascorse la seconda presso la curia ad Avignone. Viene subito di pensare che si sia servito della biblioteca pontificia di Avignone; ma è un'ipotesi che va sen- z'altro abbandonata. La biblioteca avignonese del 1353 (1), della quale sola bisogna, per ragioni cronologiche, tener conto, non possedeva i seguenti autori pagani (chè gli altri tralascio) fa- miliari al Colonna: Terenzio, Cesare, Vergilio, Sallustio, Livio, Valerio Massimo, Curzio Rufo, Lucano, 1 Dialogi di Seneca, Stazio, Svetonio, Quintiliano, l' Historia Augusta, Simmaco, Eu- tropio, Claudiano. Nè è da pensare alla biblioteca del vicino monastero di S. Andrea, che nel 1307 conteneva di classico ap- pena un Prisciano e un Donato (2). È pure da escludere la bi- blioteca pontificia di Bonifacio VII, la quale nel 1295 (3), quando la curia non era ancora passata in Francia, mancava degli stessi autori sopra nominati, eccetto Lucano, Svetonio e Claudiano, e ne comprendeva alcuni altri, quali Ovidio, Plinio N. H., Solino, Palladio, Macrobio, che il Colonna avrebbe senza dubbio ado- perati. È forza perciò ammettere che una buona parte dei codici adoperati dal Colonna fossero di sua privata proprietà: una buona parte, perchè abbiamo già notato che qualche lacuna cronolo- gica egli non potè colmare per mezzo del Burley e del Bello- vacense quando non li aveva più tra le mani (4). E l’essersi formato egli una biblioteca ci spiega le deficienze sue rispetto al Burley preso a modello, rispetto a Geremia da (1) Fr. Enrur, Historia biblioth. roman. pontif., I, 252 ss. (2) L. Derisue, Le cabinet des mss., 1Il, 7-8. (3) ExrLE, Op. cit., I, 109 ss. (4) Chi giunga a raccoglier notizie più larghe sulla vita e sui viaggi del Colonna e sulle sue relazioni con alte personalità della curia, potrà precisar meglio questo punto. GIOVANNI CULONNA BIUGRAFO E BIBLIOGRAFO DEL SEC. xiv 859 Montagnone che compose un poco prima il Compendium moralium notabilium e rispetto a Guglielmo da Pastrengo che compose forse contemporaneamente il De virzs illustribus; poichè il Burley aveva alla sua portata le biblioteche di Oxford, il Montagnone quelle di Padova, il Pastrengo quelle di Verona. Ma per alcuni autori il Colonna ha conoscenze più larghe del Burley e del Montagnone, non così del Pastrengo, che aveva a sua disposi- zione presso il Capitolo veronese una delle più ricche biblioteche del medioevo. In questo riguardo di bibliofilo investigatore e raccoglitore il Colonna ha maggiore rassomiglianza col Petrarca, pur non manifestando con lui verun contatto nè personale nè letterario, sebbene quando egli dimorava vecchio in Avignone vi dimorasse giovine il Petrarca in intima dimestichezza con altri Colonna di ramo diverso. Ma tanto il nostro Colonna quanto il Petrarca obbediscono, quegli una generazione innanzi, questi una gene- razione dopo, al medesimo movimento letterario: quel movimento che avvolge il Burley in Inghilterra, il Montagnone e il Pastrengo nel settentrione d’Italia. Ad alimentare nel Colonna le inclinazioni di studioso con- corsero, a parer mio, tanto il nuovo risveglio, che doveva esser sorto in Roma, sua patria, prima ancora dell'età di Cola di Rienzo, quanto la convivenza col Conti, che era stato allievo dell’Università di Parigi. Perchè anche i Francesi si accomuna- rono alla rinascente operosità umanistica; e quando il Colonna si stabilì ad Avignone potè entrare con essi direttamente a contatto. Avvenne allora quello che suole in tali casi avvenire: il nuovo arrivato in parte assecondò le tendenze che trovava, in parte le aiutò. Così fu del Petrarca quando, lasciato lo Studio di Bo- logna, si trasferi nuovamente sul suolo francese. 86!) BACCHISIO MOTZO Un'opera perduta di Filone (imegì Biov noaxtzoò i) “Eccaimr). Nota del Dr. BACCHISIO MOTZO. Eusebio di Cesarea distingue tra i Giudei come due parti: la massa del popolo obbligata all'osservanza della Legge se- condo la lettera ed un’altra costituita dagli Esseni, che Mosè volle iniziati a una filosofia più profonda ch'è nella Legge stessa secondo lo spirito. Essi furono ammirati da molti stranieri e connazionali, “ dei quali — dice — tralasciando le copiose at- testazioni, solo come esempio mi contenterò, per il momento, della testimonianza che loro rende Filone, in molti dei propri commentari , (xatà 70%Zè t@v oizgimv èrmouvnudtor) (1). E cita due brani: uno dall'opera érè0 "/ovdaiovr drodoyia (2) ora perduta e l’altro dal eg roò narra omovdaîov eivar éhe0- Yegov (3) che possediamo. Queste non erano le uniche opere in cui Filone trattava degli Esseni, chè in tal caso, essendo due sole, Eusebio non le avrebbe dette molte, ma in tutte le altre, che ci sono giunte, gli Esseni non sono più neanche nominati, se si eccettua il segì Biov dewoniizod 7) ixetòv (4). Si è voluto dimostrare che quest'opera sia una falsificazione del III-IV se- (1) Evseruos, Praeparatio evangelica, VIII, 10, 18-19, ediz. Dindorf, Lipsia, Teubner, 1867. (2) Apologia pro ludaeis, citata secondo Lvsks., Praep. evang., VIII, 11. L’autentieità del frammento, impugnata dallo Hilgenfeld e dall’Ohle e difesa contro questi, specialmente dal TrepLin, Theoloy. Stud. und Kritiken, 1900, p. 50-57 e dal PLoors, De bronnen voor onze kennis van de Essenen, 1902, è universalmente riconosciuta. (3) Quod omnis probus liber, citato con la sigla QOPL, in Prilonis Iudaei opera, ed. Th. Mangey, IT, p. 444 seg. Il tratto sugli Esseni, $ 11-12, in EuseB., Praep. evang., VIII. 12. (4) De vita contemplativa, citato con DVC, secondo l’ediz. del ConyBEARE, Philo about the contemplative life, 1895. Per il titolo dell’opera cfr. Conn, Einteilung und Chronologie der Schriften Philos, in © Philologus,, VII. Sup- plementband, 1899, p. 420. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 861 colo cristiano a scopo di glorificare il monachesimo nascente, e resta in questo senso degno di ricordo il tentativo fatto dal Lucius (1), che raccolse e coordinò tutte le difficoltà, che si op- porrebbero a ritenerla di Filone. Tale teoria ha però fatto il sue tempo: dopo gli studi del Massebieau (2), del Conybeare (3) e del Wendland (4) e la dimostrazione fatta, specialmente dai due ultimi, a base di numerosissimi raffronti lessicali, gramma- ticali e stilistici, oltre che di pensiero, tra questa e le altre opere di Filone, resta accertato che il DVC è dell’autore a cui tutta la tradizione sino al secolo XVI l’attribuisce. Il principio del DVC in cui ritorna il ricordo degli Esseni è questo: ‘Eccaimv néor draleydeis, oî ròv noaziizòv EEN Am0oav ai dienovQoar piov, év drmaow ij, tò yoùv dpognidiegov eineiv, toîs mAgiotors uégeor dieveynovies, aùriza xaì neoì tOv demgiav doracauevov, dxodovdia tijS noayuareiag Enduevos, tà 11000- iuovrta 450. Da ciò risulta che: 1) al DVC era premessa una trattazione sugli Esseni, 2) la quale mostrava com’essi aves- sero attuata la vita pratica in tutte, o quasi, le sue parti in modo singolare e 3) precedeva immediatamente (aùziza) il DVCO, sì che questo non è di essa che la continuazione (@x040vdig Tîjs agayuateias ÉrduEvOS) è quasi un’aggiunta (aùriza zai) e un contrapposto, come la vita contemplativa si contrappone alla vita pratica. Tale trattazione fu creduta sino a poco tempo fa quella con- tenuta nei $$ 11-12 del QOPL, tanto più che questo nella mas- sima parte de’ codici e nel catalogo delle opere di Filone datoci da Eusebio (5), precede immediatamente il DVC. Ciò non ostante il DVC ron può ad essa riferirsi per parecchie ragioni. (1) Lucius, Die Therapeuten und ihre Stellung in der Geschichte der Askese, 1879. (2) MasseBIEAU, Le traité de la vie contemplative et la question des Thé- rapeutes, in * Revue de l’histoire des religions ,, t. XVI, 1887, p. 170-198, 284-319; Le classement des ceuvres de Philon, p. 59-61, in © Biblioth. de l’école des hautes études - Sciences religieuses ,, vol. I, 1889. (3) ConvyBEARE, Op. cit. (4) WenpLanp, Die Therapeuten und die philonische Schrift vom beschau- lichen Leben, in © Jahrb. fiir class. Philol. ,, 22. Supplementband, 1896, p. 695-772; ibid., p. 769, contro le difficoltà fatte dallo ScHuirer, in 7'heol. Literaturzeitung, 1895, c. 385-391. (5) Hist. ecceles., II, 18, 6-7. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 55 862 BACCHISIO MOTZO Il QOPL si mostra opera della giovinezza di Filone, quando l’amore alla letteratura, all'arte, alla sapienza profana velava e quasi soverchiava l’amore per la Legge mosaica e per la sa- pienza giudaica. Il “ dolcissimo Platone ,, “ il sacro concilio dei Pitagorici ,, filosofi e poeti greci hanno per lui grandissima autorità e sono maestri e modelli di tutte le virtù. Il DVC mostra invece di appartenere a un’età più matura, quando nel- l'autore avevan finito per prevalere il sentimento nazionale e la fierezza della sapienza religiosa ed etica del suo popolo. Egli non solo vi si mostra oramai schietto giudeo, senza riguardi, ma prende posizione di combattimento di fronte alla religione e alla filosofia pagana, contro delle quali si scaglia vivacemente come in poche altre sue opere; nè risparmia perfino l’autore suo sempre prediletto Platone, il cui Convito, insieme con quello di Senofonte, sono severamente giudicati per l’immoralità dei discorsi che vi son riferiti. La trattazione intorno agli Esseni contenuta nel QOPL è meramente occasionale: essi sono citati come un esempio della vera libertà del savio insieme con i sette savi della Grecia, i Gimnosofisti, i Magi; anzi le loro virtù son quasi tenute in minor conto, come le virtù di una moltitudine, da posporsi a quelle di singoli uomini come Calano. Il DVC suppone invece una trattazione sugli Esseni fatta di proposito, più ampia di quella contenuta nel QOPL. come pare debba arguirsi dalla lun- ghezza del DVC che ne era la continuazione e il contrapposto. Essa doveva per giunta immediatamente precedere il DVC, mentre la narrazione sugli Esseni sta nel bel mezzo del QOPL e dopo di essa si continua a lungo nello svolgimento dell’argo- mento del libro. Inoltre nel QOPL non si sviluppa ampiamente il tema che gli Esseni fossero modello della vita pratica in tutte le sue parti: essi sono espressamente citati come esempio di vera li- bertà che si ha nell’esercizio della virtù. Gli aspetti sotto cul il QOPL e l’opera a cui si riferisce il DVC consideravano gli Esseni sono adunque completamente diversi. Da ultimo il QOPL non può essere la prima parte della mouyuareia di cui il DVC è la seconda, perchè nel principio Filone dichiara ch’esso fa seguito ad un trattato ora perduto, il quale svolgeva il tema che ogni stolto è schiavo (789 rod dodAov UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 863 elvar mavia padior) (1) e col quale faceva quasi un solo trat- tato, svolgendo i due aspetti del paradosso stoico sulla vera libertà. Il DVC non si connette in alcun modo con simile trattazione. Nè a dimostrare che il DVC si riferisca al QOPL giova il fatto che la maggior parte de’ codici ed Eusebio lo mettono im- mediatamente dopo, poichè, come fu dimostrato dal Cohn (2) e dal Wendlana (3), 1 nostri codici risalgono ai papiri della biblio- teca pamfiliana di Cesarea, nei quali le opere di Filone non erano nè tutte, nè in buon ordine e di questi stessi papiri, o del loro catalogo, sì servì Eusebio nel darci l'elenco delle opere di Filone. Non potendosi il DVC riferire alla narrazione sugli Esseni del QOPL, e supponendosi che debba necessariamente riferirsi ad una delle due conservateci, non restava che metterlo in rap- porto col brano dell’Apologia, e ciò fu fatto per primo dal Mas- sebieau (4). Per lui anzi il DVC non solo veniva immediata- mente dopo il brano sugli Esseni, ma era esso stesso parte dell’Apologia. Più tardi (5) egli credeva meglio di dire che l’Apologia e 11 DVC dovevano essere come due libri gemelli e che la trattazione sugli Esseni fosse alla fine dell’Apologia poichè il principio del DVC l’esige immediatamente prima. Il Conybeare (6) non solo accetta l’idea che il frammento sugli Esseni e il DVC si seguissero come parti dell’Apologia, ma avanza anche un'ipotesi propria. Egli osserva che nel cod. Parig. gr. 435, il più autorevole per il DVC e che quindi avrebbe con- servato traccia dell’antico ordine de’ trattati, il DVC trovasi col titolo DiZmvos ixéra. Î) megiì doetòv d' immediatamente dopo la Legatio ad Caium che porta il titolo di PiX@vos doeetov a' è goti tijgs aùtoò mnogeopeias mods l'diov: e crede di poter giun- gere ad affermare che, il DVC insieme col frammento sugli Esseni ed una parte perduta formassero l’Apologia per i Giudei, db (1) QOPL, $ 1, Mancey, II, 444. (2) Prolegomena all'edizione maggiore, p. n e xxxvr. (3) Die Therapeuten, p. 701. (4) Le traîité, p. 171. (5) Le classement, p. 59-65. (6) Op. cit., p. 281. (er) 864 BACCHISIO MOTZO che alla sua volta sarebbe il quarto libro del sregì dget@v (da non confondere col seg daget®v conservatoci, cf. ed. Cohn vol. V) che Filone avrebbe scritto in cinque libri (1), narrandovi le per- secuzioni contro i Giudei e di cui sarebbero anche parte l'Zn Flaccum e la Legatio ad Caium. Quando il DVC fu staccato dal- l’Apologia avrebbe continuato ad avere il titolo di @ger@v d' datogli nel codice Parigino. Anche per il Wendland (2) il DVC non si può riferire che al racconto sugli Esseni dell’Apologia: egli rileva come in questa sian veramente rappresentati quali mo- delli del srgazzizòs Bios, anzi come tali potrebbero essere stati designati espressamente nell’ulteriore parte della narrazione, che non ci è pervenuta. La tendenza apologetica che domina il DVC ben si adatta ad uno scritto che era continuazione e parte del- l’Apologia; nè d'altronde mancano ne’ due scritti traccie dello stesso modo di contrapporre i costumi de’ pagani rispettivamente con quelli de’ Terapeuti e degli Esseni. Il Cohn(3) osserva per conto suo che il DVC è troppo breve, in confronto con gli altri scritti di Filone, per formare un’opera a sè; e poichè dice di essere la continuazione di un altro che trattava degli Esseni e di essi si parla nell’Apologia, così egli ritiene in sommo grado verosimile che il DVC fosse parte dell’Apologia, da cui sarebbe stato molto per tempo staccato e insignito del titolo speciale segì fBi0v demonuzod 7) ixerov. Egli stima però troppo artificiale il rap- porto dell’ Apologia col segì doer®v stabilito dal Conybeare, e crede che il DVC abbia preso il titolo di segì d9er®»v d' solo dopo che fu considerato come opera a sè. Secondo dunque i precedenti scrittori, che sono senza dubbio tra i più benemeriti degli studi filoniani, la trattazione sugli Esseni a cui il DVC si riferisce sarebbe quella dell’Apologia, e a questa il DVC farebbe immediatamente seguito, se pure non costituivano una medesima opera. Contro tale rapporto stanno tuttavia delle gravi difficoltà. (1) EuseB., Hist. eccles., 1I, 5, 1; 6,8; 18,8. (2) Die Therapeuten, p. 701 seg. (3) Einteilung, p. 419 seg.; efr. anche ©“ The Jewish Quarterly Review ,, Ottobre 1892, p. 20. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 865 La narrazione dell’Apologia è molto breve, più breve anche di quella del QOPL: infatti essa occupa, nell'edizione teubne- riana della Praeparatio evangelica curata dal Dindorf, sole due pagine e mezza, delle quali l’ultima mezza pagina non può quasi esser messa in conto, perchè tutta occupata da una digressione sulle cattive qualità morali della donna, invece che da notizie sugli Esseni. La narrazione del QOPL vi occupa invece quattro pagine. Ora la trattazione a cui si riferisce il DVC doveva esser ampia, se questo è, come abbiamo visto, nell’intenzione dello scrittore, la continuazione e come il contrapposto di ciò che aveva detto sugli Esseni, il che fa supporre una trattazione, se non più estesa, almeno quanto o poco meno del DVC; e che a Filone non mancasse il modo di farla, anche possedendo pochi dati positivi, non può dubitarne chiunque conosca il suo modo di scrivere e di amplificare le cose anche minime, ed osservi che, tutti i punti toccati sugli Esseni si prestano ad un ampio svolgimento e che molte altre cose avrebbe potuto aggiungere solo che avesse voluto, poichè omette non poche di quelle che si trovano nel QOPL. Un’estensione molto maggiore è anche supposta dal fatto che l’autore doveva mostrarvi gli Esseni come superiori ed eccellentissimi in tutte o quasi le parti della vita pratica. Il Massebieau (1) ha avuto coscienza di ciò quando ha supposto che il racconto dell’Apologia fosse molto più ampio di quel che noi possediamo, e che nella parte da Eusebio non ri- portata, Filone avesse messo in confronto gli Esseni con i feno- meni analoghi del paganesimo, come la repubblica spartana e quella ideale di Platone. Ma l’ipotesi non è fondata. Eusebio ricopia dal QOPL tutto il tratto sugli Esseni senza lasciarne fuori nulla, sebbene sia lungo quasi il doppio : perchè avrebbe fatto diversamente per l’Apologia ? Caso mai avesse trovato il racconto di questa alquanto diffuso, niente l’obbligava a tagliarlo per riportare dopo il brano del QOPL e poteva contentarsi di riportare il solo tratto dell’Apologia intero. E qualora l'avesse accorciato, o dato solo in estratto, egli non avrebbe mancato di avvertirne i lettori secondo l’abituale sua maniera diligente di citare. Inoltre il brano dell’Apologia si presenta come un tutto completo : ha l'aspetto di esser tutto ciò che essa conte- (1) Le traité, p. 181, 187. 866 BACCHISIO MOTZO neva sugli Esseni. Certo di questi Filone non aveva parlato nella parte che precedeva e per persuadersene basta leggere il principio (1): Mugiovs dè tOV yrogiuwwv ò uétegos vonodémns ievpev énì xovoviav, oî xaZoùvrar uèv ’Eccaîoi, nagà vi)v bordtnid nor doxò tijg nQooonyogias diimdévres: oizodor dè mokhàs uèv node tijs ‘Iovdaias, mollàs dè xmuas..,.. Se l’au- tore ne avesse già parlato prima, non avrebbe sentito la necessità di presentarli come nuova conoscenza ai lettori: la presentazione inoltre è fatta nel modo identico con cui nel QOPL s’introduce la trattazione su di essi, dicendo che abitano in Palestina, che si chiamano Esseni, che prendono a suo giudizio tal nome dalla santità. L’Apologia prosegue che essi abbracciano di libera ele- zione quel genere di vita, sono uomini già maturi, nulla hanno in privato ma tutto in comune. attendono ai diversi mestieri, il guadagno consegnano a un tesoriere che provvede le vesti.e cibi per la mensa comune, amano vestir poveramente, curano i malati e i vecchi, per conservar l'unione rifuggono dal matri- monio conoscendo il pericolo che arrecano le donne, e finalmente conclude che la loro vita e la loro virtù li han resi oggetto di ammirazione non solo ai propri connazionali, ma anche agli stranieri, sicchè persino de’ grandi re li hanno onorati. Con ciò il racconto sugli Esseni ha tutta l’aria d’esser finito e che così sia di fatto mostra il confronto con quello del QOPL, dove, dopo aver pure accennata la cura che hanno de’ malati e dei vecchi, saltando ciò che riguarda le donne e il matrimonio, ter- mina col dire che de’ molti re anche crudelissimi che domina- rono in Giudea nessuno perseguitò gli Esseni, ma tutti li ammi- rarono e lodarono. Ma dall'esame del brano e dal confronto con quello del QOPL, risulta anche un’altra qualità ed è il carattere occasio- nale della narrazione dell’Apologia, completamente analogo a quello del QOPL. Filone vi parlava degli Esseni incidentalmente, trattovi dal suo argomento e l'occasione possiamo indicarla con sicurezza. L’Apologia era una difesa de’ Giudei contro le numerose accuse che venivan loro fatte, e la più diffusa ed accreditata era, com'è noto, quella di odiare il genere umano (0av8g@rta), (1) Euses., Praep evang., VIII, 11, 1. UN’'OPERA PERDUTA DI FILONE 867 di rifuggire la comunione degli altri popoli (Qxov®via). Tra gli accusatori, oltre la voce pubblica, eran de’ personaggi assai gravi come Ecateo di Abdera (1), Posidonio d’Apamea (2), *A pol- lonio Molone (3). Lisimaco d'Alessandria (4), Apione (5): e la colpa veniva generalmente fatta risalire sino a Mosè e alla sna legislazione. Filone sente anche altrove la necessità di difendere il suo popolo e Mosè da tale accusa: nella Vita Mosis rileva con cura le sue azioni caritatevoli e 1 provvedimenti umani da lui presi; il De humanitate, un sottolibro del De virtutibus, è tutto intero una lode della legislazione mosaica su questo ri- guardo : si notino anzi le parole del principio (6)..... é$nc érni- oxenttov prhavdgwriav î)5 éoaodeis e oùx oîò’ eù tiS ÉTtE00S Ò 100p7tN5 tOV vouov ... toùs èn° aùròv dnavtas iherpe xai ovvexooter 100s zovmviav, nagdderyua zalòv Goreo yoagpiv dogétvirov otnALtEvVOas tòv iòrov Biov. Certamente anche nel- l’Apologia, Filone dovette confutare e a lungo questo capo d’ac- cusa, ch'era il più importante, mostrando come la legislazione e l'esempio di Mosè spingevano ed obbligavano anzi il popolo ebraico all'umanità e alla socievolezza, e poi doveva esser pas- sato a mostrare che di fatto il popolo seguiva su questo punto i precetti del Legislatore, ed ecco, forse tra altri argomenti, la narrazione sugli Esseni, ch’'erano ammirati anche dagli avver- sari: Mvgiovs dè tOV yvogiumwv ò fuéteoos vouodétns i] Aerwev émì xowoviav..... e più giù dice che gli Esseni si radunano dà Cijhov doetijs xai prdavdowrias iuegov e tutta la narrazione rileva il loro spirito di unione e di socievolezza. La narrazione è dunque occasionale, arrecata come esempio e prova contro gli avversari, il che spiega la relativa sua brevità. Ed è certo che, dopo il brano conservatoci, si passava a parlare di altro argomento, poichè se la fine di esso ha tutto l’aspetto d’una conclusione di ciò che l’autore voleva dire sugli Esseni, non ha affatto l'aspetto d'una conclusione di tutta l’opera, che, essendo (1) Fray. Hist. Graec., ed. Miller, II, fr. 13, p. 392. OLEG IN 1A Sn"256, (3) In ca Jos., Contra Apionem, II, $ 148, ed. Naber. (4) Ibid., I, $ 309. (5) (6) Ibid., te °g 121. 6) De virtutibus (Cohn, V), $ 51. 868 BACCHISIO MOTZO un’apologia, doveva rispondere ad altre numerose accuse ed avere una conclusione adatta all’argomento del libro. Pertanto dobbiamo ritenere che il brano sugli Esseni fosse nel mezzo del- l’Apologia, perfettamente come nel QOPL. Ciò contro l'ipotesi del Massebieau che si trovasse alla fine e che ad esso facesse se- guito, come un libro gemello, immediatamente il DVC. L'ipotesi poi che il DVC fosse parte dell'A pologia, proposta pure dal Mas- sebieau ed accettata dagli altri, romperebbe l’organica costitu- zione di quest'opera, la quale poteva ben contenere una breve digressione sugli Esseni, che venivano molto a proposito come argomento di fatto contro gli avversari, ma non potrebbe con- tenere il DVC senza venirne sformata e perdere di vista il suo argomento, ch’era la difesa de’ Giudei. A quali accuse infatti risponde il DVC? Esso è propriamente un panegirico di quei pochi Tera- peuti che si ritraevano a vita contemplativa e indirettamente un libro di attacco contro il paganesimo e la sua sapienza, che vien disprezzata al paragone della giudaica, ma non è un’apo- logia. La quale, dovendo andare in mano agli avversari, doveva necessariamente aver di mira questi e seguire un modo di ar- gomentazione stretto e conclusivo (1) ed evitare le divagazioni estranee al soggetto, il che è ben lontano dal modo in cui è scritto il DVC. Perchè Filone potesse aver consacrato nell’A po- logia tante pagine di esposizione diffusa e minuta quante sono quelle del DVC, bisognerebbe supporre che non avesse di fronte avversari accaniti, con accuse formidabili che davano occasione a sommosse sanguinose e a persecuzioni; e che a lui premesse più di esaltare qualche centinaio di pie persone ritiratesi a vita tranquilla e piacevole nei dintorni della Mareotide, trascurando i milioni di suoi connazionali, la cui difesa era stata a lui affi- data ufficialmente davanti all'opinione pubblica e all'autorità romana nell’ambasceria a Caligola. (1) Quale, per esempio, si ha nel lungo frammento citato in Fuses., Praep. evang., VIII, 6-7, dalle ‘Yroderexad (che secondo Wendland, Cohn ed altri sarebbero da identificare con l’Apologia), in cui si confutano le nu- merose leggende diffamatorie, sparse specialmente in Egitto, sull'origine degli Ebrei, sul loro esodo, su Mosè e la sua legislazione. UN CPERA PERDUTA DI FILONE 869 Inoltre la narrazione a cui si riferisce il DVC doveva avere mostrato come gli Esseni fossero modelli della vita pratica, e l'avessero attuata in tutte, o quasi tutte le sue parti in modo superiore ed eccellentissimo. L’Apologia li mostra invece come esempio di zxovoria e di girZavrdomria, come il QOPL di vera libertà. Il Wendland (1) trova che veramente nell’A pologia si esalta la loro instancabile operosità nelle varie occupazioni: l’agricol- tura, la pastorizia, l’apicoltura, le arti manuali; che vi appaiono di fatto, ben diversamente che nel QOPL, come modelli del moarxtizòs Bios. Ed è vero che vien lodata l’operosità degli Es- seni e che essi si occupano in quei vari mestieri: ma ciò è ben diverso dal mostrare che hanno esercitato tutte le parti della vita pratica in modo eccellente. Il passo che ci riguarda è formato dai soli $$ 6-9 (2). Dopo aver detto ($ 6-7) che hanno diverse occupazioni e che vi atten- dono con assiduità, senza badare all’inclemenza delle stagioni, dalla mattina alla sera e per molti più anni che gli atleti non attendano ai loro esercizi, prosegue nel $ 8: “ Sonvi infatti tra essi contadini intendenti delle semine e delle coltivazioni, altri pastori che pascolano greggi d’ogni sorta, alcuni han cura degli alveari ($ 9), altri sono artigiani di vari mestieri per non mancare di cosa alcuna che sia necessaria. non rigettando nessun mezzo di lecito guadagno ,. È qui è tutto. Ora ciò non è davvero suffi- ciente per dire che gli Esseni, nell'Apologia, siano mestrati come modelli di vita pratica e che di questa abbiano praticato tutte o quasi le parti, in modo singolarissimo. Contadini, pastori, arti- giani che attendessero per tutta la vita, da mane a sera, instan- cabilmente ai loro lavori, ne aveva certamente l'impero romano a milioni e sotto questo riguardo gli Esseni non erano una sin- golarità, nè meritavano poi di esser trasformati in filosofi. Ma Filone non intende per parti della vita pratica i vari mestieri, bensì le varie virtù che sono necessarie per il retto governo della società e per una condotta giusta ed irreprensibile in mezzo ad essa. Nel De fuga et inventione (3) Filone rimprovera (1) Die Therap., p. 701. (2) EuseB., Praep. evang., VIII, 11. (3) $ 33-36, Wendland, III 870 BACCHISIO MOTZO alcuni che leggermente abbandonano la vita attiva nella società, per darsi alla contemplativa. ammantandosi come certi filoso- fastri di grande disprezzo per le cose umane. “ Voi tendete alla vita pura, solitaria, isolata, segregata ? ma qual buon saggio avete prima dato nelia vita sociale? Disprezzate il denaro? ma divenuti prima uomini d'affari, avete praticata la giustizia? Voi che fingete di non curare i piaceri del ventre e della carne, quando avevate mezzi copiosi a ciò, vi siete saputi contenere ? Disprezzate la gloria? ma siete stati in cariche pubbliche .ed avete esercitata la moderazione ? Deridete la politica voi! forse perchè non intendete quanto sia utile cosa. Prima adunque eser- citatevi ed occupatevi negli affari della vita e privati e pub- blici, e divenuti politici ed economi per mezzo delle virtù s0- relle l'economia e la politica, per ultimo compimento trasferitevi all’altra superiore vita. E bello infatti esercitarsi nella pratica prima che nella vita contemplativa. come in gara preparatoria di più perfetta gara (r0v yo noazizòv toò demontizoò iov, mo0dywvd tiva dy®vos tederotégov xaZòv 196te00v dia d4ijoat) ,. La giustizia, la continenza, la moderazione, la politica, l’eco- nomia sono qui parti e virtù della vita pratica. Nel QOPL (1) Filone dice che gli Esseni “ vengono ammaestrati nella pietà, nella santità, nella giustizia. nell'economia, nella politica, nella conoscenza de’ veri beni e mali e delle cose indifferenti, ad eleggere il convenevole e fuggire il contrario, servendosi di tre leggi o canoni: l’amore di Dio, della virtù. degli uomini. Del- l’amore di Dio forniscono molte prove la purità costante e per- petua per tutta la vita, il non giurare, il non mentire, il ritener la divinità causa di tutti i beni e di nessun male: dell’amor della virtù, il non amare ne il denaro, nè la gloria, nè i pia- ceri, la continenza, la pazienza, la frugalità, la semplicità, l’af- fabilità, la moderazione, l'osservanza delle leggi, la fermezza e simili virtù; dell'’amor degli uomini, la benevolenza, l’ugua- glianza, la vita comune superiore a ogni lode ,. Queste .sono senza dubbio tutte, o quasi tutte, secondo Filone, parti della vita pratica, che devono essere acquisite prima che uno passi a quella ch'è il compimento dell’umana perfezione : la vita con- (1) In Euses., Praep. evang., VIII, 12, 11-12. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 871 templativa, nella quale l’anima non più si esercita in mezzo alla società, ma nella solitudine, come separata dal mondo, anche se materialmente vi resta, tutta si concentra in Dio e in lui s'inabissa, come fanno i Terapeuti. Così considerata però la vita pratica è alta filosofia, è virtù che arreca felicità (1), solo di un grado inferiore alla vita teoretica e di essa preparazione. Perciò “ dopo la vita pratica nella gioventù ottima e divina la vita teoretica nella vecchiaia (merà y@o t0v év vedtNnit nQazii- xòv piov ò év yeg demonuzòs Pios dorotos xai ieomratos) , (2). Da ultimo che il DVC non possa immediatamente seguire al brano sugli Esseni dell’Apologia, mostra il punto di vista completamente diverso sotto di cui è considerata la donna nelle due opere. “ Nessuno degli Esseni prende moglie, perchè la donna è egoista e gelosa non poco e terribile nel traviare i costumi dell'uomo e sedurlo con le sue continue malie. Inventando infatti blandizie ed altri infingimenti, come sulla scena, quand’abbia affascinato la vista e l'udito de’ poveri illusi, ne inganna la mente (vos) che dovrebbe dirigerli : che se poi nascon figli, piena d’orgoglio e di sfacciataggine, quel che prima accennava copertamente con furba finzione, ora grida apertamente con ardire ed audacia, e perduto ogni ritegno, vuol comandare, e tutto ciò è nemico della vita comune. Poichè chi è impigliato nelle sedu- zioni della donna, o per legge di natura pensa .a provvedere ai figli, non è verso gli altri più lo stesso di prima, ma s'è mutato, divenuto di libero servo , (3). Il modo di esporre queste idee mostra che esse sono più dell'autore che degli Esseni, e si trovan del resto conformi con la maniera abituale di Filone di considerar la donna, essere inferiore, simbolo della sensa- zione (@iodnors), che travia l’uomo (simboleggiato dal vods) con le seduzioni del piacere e lo trae da una vita beata e celeste in mezzo a tutti i mali e a tutte le degradazioni (4). Egli fa eccezione per alcune grandi donne del Vecchio Testamento, come Sara, Lia, Anna, ma le trasforma in simboli della virtù e della (1) De praemiis et poenis, $ 11, Cohn, V. (2) bd SIE (3) In EuseB., Praep. evang., VIII, 11, 14-17. (4) Cfr. per es. De opificio mundi, $ 151-152, Cohn, I, e passim nelle opere di Filone. 872 BACCHISIO MOTZO sapienza, che sono femminili di nome, ma maschie per natura (1). L'elemento femminile è in Filone sistematicamente inferiore, causa di avvilimento per chi vi si abbandona o lo imita. Perciò ritengo del tutto infondati i sospetti elevati dal Plooij (2), che mentre difende vigorosamente l'autenticità del brano dell’Apo- logia, ritiene interpolati i $ 14-17 perchè non sarebbero con- formi alle idee di Filone. Questa interpolazione dovrebbe essere alquanto più antica di Eusebio e non si saprebbe dire a qual scopo sarebbe stata fatta. E non manca nel passo un accenno all’@vayzz pvoems che spinge i genitori a provvedere ai figli, come, secondo altri passi di cui il Plooij tien conto, spinge l’uomo e la donna alla legittima unione per la generazione della prole. Nel DVC invece le donne sono messe allo stesso livello degli uomini: come Terapeutridi sono dette filosofe; sono ani- mate dallo stesso spirito e dallo stesso proposito per la virtù e la sapienza che gli uomini, e assistono alle riunioni in cui si commenta allegoricamente la Legge; partecipano al banchetto sacro anche le donne, delle quali le più sono vecchie vergini che han custodito la castità non costrettevi, ma di spontanea volontà per spirito e sete di sapienza; nella notte della grande festa formano un coro a parte come gli uomini, poi i due cori si mescolano e Terapeuti e Terapeutridi formano un coro solo, sinchè al sorgere del sole si separano e ognuno torna alla cel- letta per dedicarsi al consueto studio della filosofia (3). I passi arrecati dal Conybeare nella sua edizione mostrano che Filone ha considerato le Terapeutridi come considera le grandi donne del Vecchio Testamento e usata la stessa fraseologia. Ora non fa meraviglia che Filone adoperi in due opere distinte e sepa- rate due modi diversi di considerar la donna: egli non è uno scrittore conseguente e secondo che richiede l'opportunità del momento esagera in un senso o in un altro, ma è, mi pare, impossibile che a distanza di poche righe, sia nell'ipotesi che il DVC segua immediatamente come libro gemello 1 Apologia che avrebbe in fine il tratto sugli Esseni, sia nell’altra che si (1) De Abrahamo, $ 101-102, Cohn, IV. (2) De bronnen, p. 36 seg. (3) Mancey, II, 471, r. 16; 476, r. 26; 482, r. 3 seg.; 484, r. 20, 35; 485, r. 10; 486. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 873 seguano come parti dell’Apologia stessa, egli esponga delle ve- dute così opposte come le precedenti. Queste ragioni c impediscono di riferire il principio del DVC al brano sugli Esseni ch'era contenuto nell’Apologia, e poichè ciò è escluso anche per quello del QOPL, non resta che riferirlo ad una trattazione sugli Esseni ora perduta, che doveva sod- disfare alle qualità che ci sono indicate dal principio del DVO: che cioè fosse fatta di proposito, dimostrasse gli Esseni nel- l'attuazione di tutte le parti della vita pratica, precedesse imme- diatamente il DVC ed avesse di questo press’a poco l'ampiezza. E poichè il DVC se non ha da solo l'estensione abituale de’ libri di Filone, ha tuttavia un'estensione discreta e forma da sè un tutto completo, con un'introduzione, un piano ed un ordine com- plesso ed una conclusione propria (1), sicchè se non un libro, dovette formare certo uno di quei sottolibri o piccoli trattati, in cui Filone ama suddividere la sua trattazione (2), quel che diceva sugli Esseni doveva formare un altro sottolibro o piccolo trattato. In appoggio di ciò si può notare che quando Filone in principio d'un libro, come nel DVC, si riferisce ad una tratta- zione precedente, questa è non un breve brano, ma un altro libro o sottolibro, sempre di una discreta estensione. Ciò av- viene circa una quindicina di volte, nelle quali ho notato due sole eccezioni. La prima è nel De ebrietate, $ 1, dove dice di aver esposto nel libro precedente le opinioni degli altri filosofi sull’ebrietà e queste si trovano alla fine del trattato De plan- tatione Noe. Ma quest'eccezione conferma in fondo la regola, perchè tale trattazione è abbastanza ampia: al presente ci restano otto pagine dell'edizione minore (3), ma ne sono ca- dute quasi altrettante, poichè al $ 149 dice di voler esporre le due opposte sentenze 67. è cogpòs uedvodijoetar e btL 0ù uedv- ciMoetat, ma l'esposizione della seconda che incomincia al $ 176, manca, essendo il libro tronco al $ 177. Inoltre il De plantatione Noe, nello stato attuale, è un trattato il cui titolo non corrisponde affatto al contenuto. Dopo aver discorso nel precedente libro dell'agricoltura in generale, dichiara di volere nel De plantatione (1) Per tutto ciò cfr. MassesieAU, Le traste. (2) Ibid., p. 180. (3) Pag. 151-158, $ 141-177, Wendland, II. 874 BACCHISIO MOTZO trattare della viticoltura in ispecie, prendendo occasione dalla piantagione della vite fatta da Noè (1). Ma dal $ 2 comincia una digressione che va sino al $ 138, sulle più eccellenti pian- tagioni dell'universo, che interpreta allegoricamente e sul grande coltivatore ch'è Iddio. Il contenuto di tutta questa parte, che può considerarsi come un altro libro sull’agricoltura, è ricapito- lato nel $ 139 con le parole segi uèv 0òv yemoyias tijs r9e- opvurdtns xaì ieomiatNS Î) tò altiov 1t90g tÒòVv xbouov... yofrat... eizmonerv, e poi sembra che l’autore voglia tornare all'argomento enunziato nel $ 1: dice infatti, $ 140, 7)» dè rod dizaiov Ne durmelovoyizizv eÎd0s yemoyizijs odoav éniozewoueda. Ma la trat- tazione sulla viticoltura così ripetutamente promessa in realtà manca. Nel $ 141 incomincia a parlare dell’ebrietà e continua su tale argomento sino alla fine. Del passo della Genesi 9, 20-21 zaì ijofato Noe dvdowrnos yewoyòs yîjs eÎvar — xaì Epurevoev dunelova — ai Enie tod olvov ai tuedbodn év tO 0%” aùtoò, che doveva dare argomento a tre trattazioni, una sul- l'agricoltura, l’altra sulla viticoltura, la terza sull’ebrietà, abbiamo svolti il primo e il terzo comma, manca lo svolgimento del se- condo sulla viticoltura, richiesto dall'ordine del commento e così ripetutamente promesso nei $$ 1 e 140 (2). Il De plantatione Noe risulta così composto di due parti distinte: la prima che può (1) $ 1: VE» uè» t© xooréop BLphip tà regi yemoyrais téyvns yevini]S, boa xargòs 7v elrouev, év dè tobtw megì tig nat eTdos àurrelRovgyrais, ©g @v oîov te 7, arodwcoperv. (2) A me pare che tra il $ 140 e il 141 sia una lunga lacuna nella quale dovesse essere svolto il tema annunziato dal titolo del libro. Il prin- cipio del $ 141: odxoùvr rò uédns puròv éÉegyaferar tegvinòs naù érmotn- udvms 6 dixnaros tOv dposvav dtegvov naì rAnunetî) rorovuevov adrod tiv énvotaciav, More avaynatov tà r9001)movta meo médns elzreèv si riferisce già al terzo comma del passo della Genesi e col rattronto del dixacos e degli dpgoves pare supporre uno svolgimento antecedente in cui fossero confron- tati. E sebbene subito si soggiunga ed9ds yào elo6ueda zaè tiv dbvauv roò magéyovtos aùti) tàs dpoguàs pvroù, resta sempre vero che se il trat- tare dell’ebrietà mostra la forza del vino che si produce dalla vite, il tema della viticoltura è tuttavia completamente non svolto. E che questa lacuna esista parmi tanto più probabile che nel De somniis, II, $ 163-204 (Wendland, III) a proposito del sogno del coppiere di Faraone si parla @ lungo della vite, onde non mancava all'autore la materia per una trat- tazione ampia. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 875 dirsi un secondo libro sull'agricoltura, e la seconda parte che è un antecipo della trattazione sull’ebrietà. Un'altra apparente eccezione è il principio del De virtutidbus, $ 1 (Cohn V), in cui l’autore si riferisce ad una trattazione meoi dizaroovvns xai tOv xat aùti)v e il De iustitia è nell’edi- zione Cohn la parte finale del De specialibus legibus IV. Anche in questo caso però la trattazione è ampia (21 pagine della edizione minore) e forma come un tutto a sè, tanto che nell’edi- zione del Mangey e in molti codici è considerato come un libro a parte ed anche in quella del Cohn conserva il sottotitolo regi dizatogivns. Concludendo dall'uso costante di Filone di riferirsi in prin- cipio de’ suoi libri, non a parti brevi come i tratti sugli Esseni contennti nel QOPL e nell’Apologia, ma ad interi libri o sot- tolibri di una discreta estensione, si può affermare che la tratta- zione sugli Esseni a cui si riferisce il DVC formava un libro speciale, o meglio un sottolibro, che col DVC fossero due trattazioni gemelle sui due temi contrapposti e completantisi della vita pratica o degli Esseni e della vita contemplativa o de’ supplici (Terapeuti) (1). formanti un unico libro, sotto un titolo generale che li comprendesse ambedue. Rimane a vedere se di tale trattato resta traccia nella tradizione. Una buona testimonianza è in Fozio £iblioth. Cod. CIV. Aveyvoodnoav dè xaì tOv naoà Iovdaiors prdocogpnodviov tiv te demontzizo ai tiv noaxtizi)v piiocogiav Bio: ©v oi uèv ’Econvoi, oi dè Oegarevtai ézaloùvto: oì zaì uovaotijoira zo oceuveia, 0g abtaîs Àégeor Aéyer Énfyvuvio ai tOv vÙv uovatévimv tiv moditetav ngo0irnéyoagpov. Fozio lesse adunque un codice che conteneva due tratta- zioni (Aveyvr®odnoav ...Biot), una delle quali esponeva la vita de’ Giudei che avevan filosofato la filosofia pratica, cioè degli Esseni; l’altra quella -de’ Terapeuti che avevan filosofata la teorica, e poichè questa è il zegi fiov demonuzoò 7) ixetor, la prima doveva avere press'a poco il titolo segi fiov roaxtIzod ) ‘Eccaiov (2). 1 due trattatelli non solo andavan congiunti nel (1) izxétns è un sinonimo di degazzedrys per Filone, cfr. i passi citati in ConyBearE, p. 25. (2) "Hooaîor è la forma costante in Filone: Fozio vi sostituisce la forma °Econvoi che aveva finito per prevalere nell'uso. 876 BACCHISIO MOTZO codice, ma erano uniti per l’intimo legame dell'argomento, poichè trattavano de’ filosofi del popolo giudaico, non già come Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè e gli altri de’ tempi antichi, ma del tempo dell'autore, il quale credeva di poterli dividere in due grandi classi: pratici e teorici. Questa intima unione è indicata anche dal principio del DVC, dove dice di seguire l’or- dine della trattazione (dxoZovdig 75 agayuateias En6mevos) esponendo, dopo aver parlato degli Esseni che avevano attuato la vita pratica, la vita di quelli che avevano abbracciato la contemplativa. I due trattatelli non formavano adunque che un'unica rgayuatgia, che doveva esser composta press’ a poco in questa maniera. Doveva precedere un'introduzione sull'amore de’ Giudei per la filosofia e sull'antichità di tale studio presso di loro, dai quali secondo Filone hanno attinto i Greci la propria sapienza. Si ricordi che gli scrittori pagani, da Teofrasto in giù, avevano riguardato i Giudei per la semplicità e purezza delle idee religiose monoteistiche, per il culto senza idoli, per la se- verità della legge morale come un popolo di filosofi. Filone che traveste tutta la Legge e tutti gl’istituti del suo popolo in dottrine e in istituti filosofici, non era certo uomo da lasciarsi sfuggire quest'occasione di esaltare la sua nazione su tutte le altre. Doveva seguire la distinzione tra la filosofia della vita pratica e quella teorica: quindi la narrazione sugli Hsseni, e tutta questa parte compresa l'introduzione doveva avere il sotto- titolo segì fiov agaziizod 7) ’Ecoaimv: poi veniva il sregì Biov Femontizod i izetòv. Che quest'ultimo ben si adatti come sotto- libro di un’opera che trattava de’ filosofi giudaici, nessuno può dubitarne: i Terapeuti sono i filosofi per eccellenza, al cui para- gone i tanto decantati de’ Greci, anche Platone, sono inferiori (1). Per spiegare la durezza con cui questi sono trattati e l'atteggia- mento polemico preso dall’autore, non occorre supporre che il DVC facesse parte dell'A pologia: in un’opera che trattava de' filo- sofi giudaici dobbiamo aspettarci che i gentili vengano depressi (1) Mancey, II, 471, 7, 15: "H dè wo0aigeois tOV priocspar eddòs éu- paiverar dà tig rooogécews. L'autore li chiama d’un tratto filosofi, senza aver prima detto che trattasi di tal classe di persone: pare supponga che il lettore già li conosca come tali e sì riferisca a un tale appellativo loro dato o nel titolo generale dell’opera, o nell’introduzione. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 577 per innalzare quelli. Il titolo poi generale dell’opera possiamo trarlo dalle parole di Fozio (1), com’è del resto fatto nell’edi- zioni della Bibliotheca : megì rOV magà ’Iovdaiors prdocopnodrior, o meglio 7©r magà ‘Iovoaiors pirZocopnoarior Bio. Un simile titolo è confermato anche dal passo del Cod. CV dove parlando de’ cristiani di Alessandria convertiti da s. Marco, dei quali Filone avrebbe, secondo una tradizione che risale a Eusebio, narrate le virtù nel DVC, dice: éxeivovs yào Aévervr adrdv paot maoù “Iovdaiors mepirÀZocogpnzevar. E si noti che mentre tutta la tradizione cristiana, da Eusebio alla Riforma, riguarda i Tera- peuti come cristiani, Fozio è l’unico che se ne allontana, rite- nendoli giudei, spinto a ciò dall’averli trovati nell'opera di Filone come una delle due classi di filosofi giudaici. Anche Epifanio ricorda un libro di Filone regi /eccuior, e sebbene la sua testimonianza abbia a mio parere molto minor valore di quella di Fozio, merita tuttavia di esser esaminata, perchè ha dato origine a molte discussioni ed anche oggi non manca chi vi si fondi per formulare delle ipotesi ardite sulla origine del Cristianesimo. Egli dice che, in principio, “ tutti i cristiani sì chiamavano Nazarei e per breve tempo si chiamarono anche Jessei, prima che in Antiochia cominciassero i discepoli a dirsi Cristiani. E chiamavansi Jessei, penso, da Jesse, poichè Davide nacque da Jesse e da Davide discendeva Maria , (2). E più giù: “ dunque da Jesse, o dal nome di Gesù nostro Signore, sì dissero Jessei per aver avuto da lui inizio come suoi discepoli, o per l'etimologia del nome del Signore: poichè Gesù in ebraico vuol dire curatore (9e0a7revr775), medico cioè e salvatore , (3). “ Della qual cosa, o studioso, tu puoi trovare la prova aprendo i commentari di Filone, nel libro da lui intitolato sugli Jessei, in cui egli, esponendo la vita e le lodi loro e descrivendone i monasteri nei dintorni della Mareotide, non altri intende che i Cristiani, (&vruy®v toîs toù PiXmwvos èrrouvrijuaov év ti) megÌ ‘Ieccgimv adroòd Enyoagonevrn BiBÀ®) (4) e continua esponendo (1) Fozio nel Cod. CV rileva la piccola differenza di titolo: DAdxzos 7) DAdunov wey6uevos, il che ci assicura che egli dà i titoli di queste opere con esattezza. (2) Haeres., XXIX, 1 (Miene, PG., 41). (3) Haeres., XXIX, 4. (4) Ibid., XXIX, 5. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 56 878 BACCHISIO MOTZO altri particolari tolti dal DVC. Secondo Epifanio, dunque, Filone scrisse un libro seg “Iecogimv, e trascurando la leggera diffe- renza del nome, che è certamente derivata dalla falsa etimologia assegnata da ’/ecogi o da ’Iyoods, un libro segì “Eccaimv: le notizie però che egli ci dà sul contenuto mostrano che si trat- tava del DVC. Anche l’antica versione latina del DVC, fatta tra il 300 e il 400 (1), ha un titolo simile: “ Philonis Judaei “ liber de statu Essaeorum, id est Monachorum qui temporibus “ Agrippae regis monasteria sibi fecerunt ,, e il principio suona: De statu Essaeorum disputaturus, qui actibus ipsis non verbis aemulati sunt semper agere vitam ne mediocrius asseram in pluribus partibus differentiores, statim etiam religionem ipsis rebus speculantes integre indicabo ,. Il titolo zreoi “Eccaiov dato al DVC potrebbe spiegarsi supponendo che questo, ch'era il sottotitolo della prima parte dell’opera di Filone sui filosofi giudaici, fosse preso come titolo di tutta l’opera e quindi passasse alla seconda il DVC, nei codici di cui disponevano Epifanio e il traduttore latino, e ciò con tanta maggior facilità che il principio del DVC si presta ad esser interpretato, da chi non faccia attenzione e non abbia conoscenza esatta delle istituzioni, in modo da fare de’ Terapeuti una classe speciale di Esseni, come se dicesse: “ Avendo par- “ “ lato degli Esseni che hanno attuata la vita pratica, ora parlerò di quelli (Esseni) che si son dati alla contemplativa , (2). Ma non è neanche escluso che Epifanio e il traduttore latino, l’uno per una lettura frettolosa, l’altro per la sua ignoranza, fossero essi stessi a far de’ Terapeuti una classe di Esseni, il che tuttavia è meno probabile, poichè se nei Codici di cui disponevano il titolo non fosse stato già mutato, ma fosse stato il vero zre9ì Biov demontzoò i) ixet®v, difficilmente sarebbero giunti a cam- biarlo in quella maniera, tanto più che quasi nel principio Filone dice che il nome loro vero è Terapeuti e Terapeutridi (Fegazievtaì zaù deoarevigides ériums xaloùviar M. 471 r. 16) e da una (1) ConyBeare, Op. cit., p. 145-146. (2) La confusione tra FEsseni e 'l'erapeuti divenne poi comunissima sino a’ tempi recentissimi: domina per esempio tutta l’opera ampia ma acritica di Erra BenamozecH, Storia degli Esseni, Firenze, 1854. UN'OPERA PERDUTA DI FILONE 879 parte Epifanio è uno scrittore colto e il traduttore latino igno- rante è schiavo del suo testo (1). Che l’opera sui filosofi giudaici e il sottolibro sugli Esseni non vengan ricordati negl’indici delle opere di Filone datici dai codici e da Eusebio non deve far meraviglia, poichè i codici ed Eusebio fanno capo alla biblioteca di Cesarea in cui, come s'è detto, le opere di Filone non erano nè tutte nè in buon ordine. Il megì “Eccciov seguì in ciò la sorte di altre opere, che Filone dice espressamente di aver scritte, come i due libri 7egì diadnz®v, le biografie d’Isacco e di Giacobbe ed altre (2), che sono tuttavia ignote a tutta la tradizione, mentre nel nostro caso abbiamo la testimonianza di Fozio, 1 cui codici dovevano probabilmente appartenere a diversa famiglia da quelli di Cesarea. Il trovarsi nelle opere di Filone altri due racconti sugli Esseni può aver contribuito alla perdita del più ampio. Quale valore aveva il libro perduto per la storia degli Esseni ? Trattandosi di un'esposizione ampia. fatta di proposito, dobbiamo supporre che vi avremmo trovato delle notizie che mancano negli altri due racconti di Filone, le quali ci avrebbero per- messo di completar questi, di controllarli e di conciliarli. Tuttavia questi ci compensano in gran parte della perdita, sia perchè il frammento dell’Apologia dovette essere scritto a distanza di parecchi anni dal brano del QOPL, ma quasi nello stesso periodo in cui venne composta la trattazione diffusa di cui ci occupiamo, sia perchè un confronto diligente tra il brano dell’Apologia e quello del QOPL mostra come 1 due racconti abbiano un fondo (1) Per i recenti dibattiti sollevati dal Drews (Die Christusmythen, Jena, 1910) e dalla copiosissima letteratura che gli seguì specialmente in Ger- mania, non sarà inutile notare quel che risulta da ciò che si è detto sopra: 1° Gli Jessei non sono altro che gli Esseni di Filone, di Giuseppe e di Plinio: cade quindi l’affermazione di una setta speciale di Jessei distinta dagli Esseni (Drews, op. cit., p. 25); 2° Il nome di Jessei viene attribuito da Epifanio ai primi cristiani unicamente perchè, seguendo la tradizione co- mune dopo Eusebio, ma certamente erronea, egli credeva che il DVC a cui dava il titolo di zegì ‘Iecoeiov trattasse de’ primitivi cristiani. Dal passo citato, Haeres., XXIX, 5, risulta infatti che questo era precisamente l’argo- mento su cui egli fondava l’affermazione che i primi cristiani avessero il nome di Jessei. (2) Cfr. Scniirer, Geschichte des Jiidischen Volkes, III, p. 687, 4° ediz. SS0 BACCHISIO MOTZO — UN'OPERA PERDUTA DI FILONE positivo comune, che viene variamente ampliato e modificato con aggiunte proprie dell’autore, e il primo ben poco ha di positivo e di attendibile che non sia contenuto nel QOPL (1), non ostante l’accennato intervallo di tempo tra le due composizioni; ond’è da credere che nella trattazione ampia, Filone non abbia fatto che affogare i pochi dati positivi di cui disponeva, in molte considerazioni teoretiche e morali, secondo il suo costume. per cul avviene, che quantunque sui Terapeuti abbiamo il DVC, la figura, anzi l’esistenza stessa di questi è quasi avvolta nel mistero. Concludendo, si può affermare che il principio del egì Biov Vemontizod i) ixetOv non si riferisce alla narrazione sugli Esseni del QOPL e nemmeno a quella dell’Apologia. Il DVC quindi non è parte dell’Apologia, nè a questa seguiva immedia- tamente, ma è invece un sottolibro d’un'opera che Filone scrisse col titolo di rv aag@ ‘lovdaiors prdocopyodtviwv fior e di cui il primo sottolibro era un trattato perduto seg9ì fiov r9a%tIZOd È) Eocaimr. Presentazione all'Accademia di un volume di Etica di Filippo Masci del Socio PASQUALE D’ERCOLE. Richiamo l’attenzione degli egregi colleghi su di un'oper: di un altro nostro Socio, cioè del Prof. Filippo Masci, ben noto all'Accademia, la quale, qualche anno fa, gli ha conferito una metà del Premio Guutieri per la filosofia. Il Masci da qualche anno sta pubblicando gli “ Elementi di filosofia per le scuole secondarie ,. Dopo la pubblicazione del primo volume di essi, la Logica, opera veramente insigne per la trattazione tanto storica quanto teorica di questa materia, e della quale è già apparsa la seconda edizione “ riveduta e cor- retta ,, pubblicò degli Elementi stessi quel volume concernente (1) La dimostrazione particolare di ciò, che qui sarebbe fuor di luogo, sarà data in un prossimo studio speciale sull’ Essenismo 881 la Psicologia, che fu appunto premiato dalla nostra Accademia. Nel corrente anno 1911 ha poi pubblicato il terzo ed ultimo volume, intitolato fica, di cui ha spedito in omaggio un esem- plare anche all'Accademia. Questo terzo volume somiglia in tutto e per tutto nel pregio della trattazione ai due antecedenti, congiungendo anche armo- nicamente insieme il rispetto storico col teorico. Il qual con- giungimento è tanto più razionale, in quanto il pensiere filo- sofico in genere, come esplicantesi nella coscienza filosofica dell'umanità, si viene appunto sviluppando successivamente e progressivamente tanto pel rispetto storico, quanto pel rispetto teorico. E ciò che avviene del pensiero filosofico in genere av- viene anche delle singole discipline filosofiche. Un brevissimo cenno del pensiero che ispira l'indirizzo e il contenuto di questo terzo volume è il seguente; ed aggiungo persino che per la indicazione dell'uno e dell'altro mi varrò dello stesso autore. L'indirizzo, per convinzione e designazione dello stesso Masci, è quello (così già nella Prefazione) di un Idealismo critico, il quale si fonda sopra generali principii ideologici, 0, che vale lo stesso, logico-metafisici. Tale indirizzo e tal base fondamen- tale, come informano i primi due volumi così informano anche questo terzo. Per ciò che concerne lo speciale contenuto della dottrina etica svolta in esso, questa “è una costruzione razionale della moralità, che va dall’io sociale, per le forme sempre più com- prensive della comunità morale, fino alla internazionale e alla religiosa ,. Più vicinamente il tessuto generale della trattazione del- l’Etica è costituito da due parti fondamentali, l’una compren- dente il soggetto morale. l’altra l'ordine morale. La prima di queste due studia ed organa scientificamente “ l'io sociale, Ja società e il passaggio dal diritto alla moralità ,, preceduta da uno studio analitico della coscienza morale nell’in- dividuo e da criterii di valutazione della materia morale, con applicazione a quelle forme psicologiche della moralità, che con- cernono la volontà, il carattere e la virtù. La parte poi concernente l'ordine morale “ studia i fonda- menti ideali della moralità, la libertà, la solidarietà e la giu- 882 stizia, che nella loro distinzione e nella loro intima connes- sione ed unità disegnano l’ordito ideale fondamentale dell’ordine morale ,. A complemento di tali idee vengono presi in considerazione e discussi i diversi sistemi morali, fra i quali la dottrina pro- fessata dal Masci, nel fondo e nella principal sostanza, è la dottrina morale kantiana con le relative formole, ma con evi- tamento e superamento del punto di vista formale kantiano, sì sotto l’aspetto gnoseologico che obbiettivo, e sì individuale che sociale. S'intende bene che in tale concezione e trattazione della moralità abbiano uno studio, trattazione e posto speciale le forme costitutive della comunità sociale, quali sono la Famiglia, la Società civile, lo Stato, la Società internazionale e anche la religiosa. La Famiglia è studiata e trattata nella sua evoluzione sto- rica, nei diritti e doveri dei membri che la compongono e nella idea e funzione sociale da essa esercitate. Lo Stato è pensato ed espresso, da una parte, “ come l’or- gano supremo del diritto, come unità di volere e potere, di volere e legge nell’ambito del diritto ,, dall'altra, “ come Stato di diritto secondo il concetto moderno, tanto diverso dal kan- tiano, dello Stato di mero diritto, che pur fu accolto in varie forme dalle scuole più recenti dell’individualismo etico-giuridico ,. La Società internazionale è dal Masci pensata ed effettuata in una “ generale teoria relativa al diritto privato e al pubblico, al carattere di sovranità degli Stati, che vieta la costituzione di una sovranità superiore dal punto di vista giuridico; e questa autonomia è confermata dall'idea indistruttibile della Patria ,. E finalmente la Società religiosa è studiata tanto nella “ sua essenza ideale quanto nelle sue forme positive sociali ,. Rispetto ad essa dal Masci è accettato “ il regime della separazione di essa , dalla sovranità dello Stato: con evitamento però sì della ostilità che dell’indifferenza dello Stato rispetto alla religione. Questa è la sostanziosa, ampia ed organica trattazione di questo importantissimo volume di Etica. Io ne ho accennato l'intento, il contenuto e l’ordito quasi con le stesse parole del- l’autore; ma debbo soggiungere, che, leggendo l’opera, tale con- tenuto ed ordito sono egregiamente esposti e trattati. 883 Alcune altre osservazioni rispetto al volume sono le seguenti : La prima è che chi considera il modo di concepire ed ef- fettuare la dottrina morale, come ha fatto il Masci, comprende come egli è a notizia delle ultime concezioni, valutazioni e siste- mazioni della moralità; però scorge anche che, mentre egli co- nosce e mette a profitto queste moderne concezioni, dà loro un'impronta propria personale e scientifica. Una seconda osservazione è che il Masci è uomo di una grande e complessa coltura, anche dal punto di vista letterario; e tal coltura letteraria si fa manifesta anche nell’ordinata e bella esposizione de’ suol pensieri. Una terza osservazione è che gli Elementi di filosofia del Masci, benchè abbiano a speciale e determinato contenuto la Logica, la Psicologia e V Etica, pur nel complesso si connet- tono ed allargano all'ambito totale della filosofia: per forma che, mentre essi vengono denominati Elementi delle tre disci- pline mentovate, sono nel vero e real senso della cosa Elementi di filosofia in genere. E da ultimo, considerando i varii trattati elementari di filosofia, che vanno per le scuole e per le mani de’ giovani, io non mi perito di dire che questi del Masci sono i migliori che abbiamo in Italia; come poi, d’altra parte, il Masci è senza dubbio una delle più cospicue individualità filosofiche che ono- rino l’Italia e la scienza filosofica. L’Accademico Segretario GAETANO DE SANCTIS. a | ù i ® PI w x OR ital a ro | VOS ; ” A N "LTÙ gl 1 16 OIOGETI in0 NAVA SO st ata I à . d ;{ l \ \ e -IB L FORTI 105. IND Sit dA uf f l a Ù _ . la poi i e di LI % i Ap ; id a ee, n i “Mm Di ì Ei Di A, Br } Le ” | È O NOI toi î CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Giugno 1911. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. ANDREA NACCARI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: SALVADORI, D’Ovipro, SPEZIA, JADANZA, Foà, GuarescHI, GuIpi, FiLeti, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, FusARI e SEGRE, Segretario. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente fa le seguenti comunicazioni. Il 20 di questo mese si resero in Forlì solenni onoranze alla memoria di Carlo MartEUcci nel centenario della sua nascita. La nostra Accademia, che lo ebbe fra i propri Soci nazionali non residenti, si fece rappresentare a quelle onoranze dal Socio corrispondente BATTELLI. Il 29 corrente sarà inaugurato in Tortona un busto in bronzo, del nostro compianto Socio residente Carlo GrAcomINI. La Classe incarica i Soci Foà e Fusari di rappresentarla. Il 22 luglio prossimo si festeggierà in Berlino il giubileo dottorale del nostro Socio corrispondente WaLpevER. L’Acca- demia non mancherà di fargli giungere i propri auguri. — Il Socio corrispondente CeLoria ha inviato in dono le Osservazioni sulle stelle doppie, Serie seconda, di G. V. ScHIAPA- RELLI; ed il Socio corrispondente Bassani la sua Nota Sopra un Bericide del calcare miocenico di Lecce, di Rosignano Pie- monte e di Malta. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 57 886 Vengono presentate per gli Attî le Note seguenti: C. F. PARONA, Per lo studio del Neocretaceo nel Friuli oc- cidentale ; C. ArmoneTTI, Una modificazione all'apparato pendolare di Sterneck e nuova determinazione della gravità relativa a Torino e Genova, dal Socio JADANZA; C. Jorio, Collegamento del Gabinetto di Geodesia annesso alla R. Università di Torino alla rete geodetica italiana, dal Socio JADANZA; M. Ponzo, Osservazioni intorno alla direzione degli errori di localizzazione negli spazi intercostali, dal Socio FusARI; Ip., Di alcune osservazioni psicologiche fatte durante le rap- presentazioni cinematografiche, dal Socio FUSARI; L. BortI, Sui movimenti bilaterali contemporanei e non con- temporanei, dal Socio FUSARI; | G. Lincro, Di una dolomite ferrifera del traforo del Sem- pione, dal Socio SPEZIA; M. PanertI, L’ellisse di elasticità delle verghe incurvate ad arco di cerchio e le sue applicazioni al calcolo dei regolatori Lente, dal Socio GUIDI; G. Gora, Contributo alla conoscenza delle Epatiche delle Isole Canarie, dal Socio MATTIROLO; G. CHaRRIER e G. FERRERI, Sull’azione del pentacloruro di fosforo sugli ossiazocomposti, dal Socio FILETI; T. Boeero, Sul moto di una corrente libera, deviata da una parete rigida, dal Socio SOMIGLIANA. Il Socio MarTIROLo, anche pel collega Parona, legge la relazione sulla Memoria presentata dal Dr. G. NEGRI: La vege- tazione del “ Bosco Lucedio , (Trino Vercellese). Approvando le conclusioni di questa relazione, la Classe unanime delibera l’ac- coglimento di quel lavoro fra le sue Memorie. C. F. PARONA — PER IO STUDIO DEL NEOCRETACEO, Ecc. 887 LETTURE Per lo studio del Neocretaceo nel Friuli occidentale. Nota del Socio C. F. PARONA Dalla cortesia del collega prof. G. DAL Praz ebbi recente- mente in comunicazione una serie di fossili raccolti da lui in Val Cellina alla diga di sbarramento ed a Clapons e dal dot- tore G. STEFANINI a Ponte Racli nella valle del Meduna. L'esame di questi fossili mi ha condotto a risultati di qualche interesse, utili a conoscersi in aggiunta ed a controllo delle notizie, che dobbiamo a FurtERER, a BorHm ed a DouviLLÉ, sulle rudiste dei calcari di scogliera neocretacei di queste due valli. Di Barcis in Val Cellina il FurTERER (1) descrisse nel 1896 un Hippurites crassicostatus Futt., e di Ponte Racli gli Hipp. Medunae Futt., H. gosaviensis Douv., H. gosaviensis var. sulcata, H. inferus Douv., Apricardia tenvistriata Futt., attribuendo tutte queste forme al Turoniano superiore. In una recensione critica per il lavoro del FurtERER, il DouviLLÉ (2) fece osservare, che il nome specifico di H. crassicostatus non poteva essere con- servato, esistendo già un H. crassicostatus Douv., notando d’altra parte che i due esemplari figurati non erano senza analogia l'uno col suo H. Chaperi e l’altro pure col suo H. Chalmasi, e che probabilmente essi appartenevano ad un livello superiore a quello ammesso dal FurTERER. Riguardo poi agli ippuriti di Ponte Racli, il DouvILLÉ, ri- cordando che lo stesso FurTERER aveva riconosciute le affinità (1) K. Furrerer, Ueder einige Versteinerungen aus der Kreideformation der Karnischen Voralpen, “ Palaeont. Abhandl. ,, herausgeg. v. W. Dames u. E. Kayser, Bd. VI, 1896. — G. Born, Beitrag zur Gliederung der Kreide in den Venet. Alpen, “ Zeitschr. d. Deut. geol. Gesell. ,, IL, 1897. (2) H. Douvirré, Les faunes à Rudistes du Crétacé supérieur du Nord de l’Italie; “ Revue critique de Paléozoologie , (M. Cossmann), I, 1897, p. 164. 888 C. F. PARONA del suo H. Medunae col H. Oppeli Douv., espresse l'avviso, che lo H. Medunae fosse effettivamente una semplice varietà del H. Oppeli. Per gli H. gosaviensis e H. inferus rilevò, che i rife- rimenti specifici non erano dimostrati con dati e figure suffi- cienti (1). Ciò premesso, dirò subito che lo studio dei fossili raccolti dal prof. DAL Praz e dal dott. StEFANINI confermano in com- plesso le osservazioni del DouviILLÉ. Gli esemplari della diga di sbarramento in Val Cellina ap- partengono tutti alla Caprina schiosensis Boehm, e non ho nulla da aggiungere a quanto già scrissi (2) intorno a questa specie così caratteristica per il Turoniano del Veneto orientale. — Da Clapons provengono tre esemplari di ippuriti, forse appartenenti ad una sola specie; ma lo stato di conservazione dei due più piccoli non permette di assicurarsene. L'altro è un grande e bell’esemplare, per quanto incompleto, di valva inferiore ben corrispondente allo Hipp. crassicostatus Futt. In verità VH. cras- sicostatus non è altro che l’H. Chaperi Douv., alla sua volta identico alla forma distinta da CaruULLO, fin dal 1827, col nome di H. Fortisi; ma io già ebbi occasione di riferire i motivi pei quali non si può ammettere il diritto di priorità per la deno- minazione del CATULLO (3). La valva di Clapons è meglio con- servata di quella figurata da questo autore e da me, presen- tando essa il guscio, come risulta dalla figura della sezione trasversa che presento (fig. 1). (1) Per il Cretaceo di questa regione, fra il M. Cavallo ed il Taglia- mento, vedasi in 0. MarineLLI, Descriz. geologica dei dintorni di Tarcento in Friuli (© Pubbl. r. Ist. di St. Sup. in Firenze ,, 1902, pag. 30), un riassunto dei lavori di Bornm e di FurrERER. (2) C. F. Parona, Saggio per uno studio sulle Caprinidi dei calcari di scogliera (orizzonte del Col dei Schiosi) nelle Prealpi Venete orientali, £ Mem. R. Ace. Lincei ,, 1908. (3) C. F. Parona, Sopra alcune Rudiste del Cretaceo superiore del Can- siglio nelle Prealpi Venete, È Mem. R. Ace. di Torino ,, tomo LIX, 1908, p. 147. PER LO STUDIO DEL NEOCRETACEO NEL FRIULI OCCIDENTALE 889 Il collega mi informa che l'orizzonte ippuritico di Clapons è stratigraficamente più alto di quello a Caprina della diga di sbarramento: infatti 1'’H. Chaperi è d’età senoniana (Santoniano), Fig. 1 E/3)! e la successione ora avvertita dei banchi senoniani a quelli con Caprina dell'orizzonte del Col dei Schiosi è una nuova conferma dell’età turoniana dell'orizzonte stesso, secondo le vedute di BorHm, di MARINELLI e mie. * * * Alle cave di Ponte Racli in Val Meduna il dott. STEFANINI raccolse una quindicina di esemplari di ippuriti, parecchie valve incomplete di radiolitidi, qualche esemplare di Apricardia tenui- striata Futt., un frammento di valva della Lima (Ctenoides) carnica Boehm, ed una valva di Chondrodonta Joannae Choffat (= Pinna ostreaeformis Futt.), della quale lo stesso STEFANINI raccolse qualche altro bell’esemplare alla Casera Fassor, presso Travesio (perfettamente corrispondenti ai tipi figurati da CHOFFAT) insieme colla Caprina carinata (Boehm) Par. Nessuno degli ippuriti delle cave di Ponte Racli presenta la piega legamentare troncata a scalpello all'estremità; nessun esemplare è quindi riferibile allo Hipp. (Vaccinites) inferus Douv. 890 C. F. PARONA od allo H. (Vaccin.) gosaviensis Douv. — Ho riconosciuto sol- tanto due forme: una breve, tozza, con guscio di calcare di co- lore cereo-scuro, liscio, a rughe trasverse e con qualche piega longitudinale irregolare, è certamente l'H. (Vaccin.) Oppeli Douv., come aveva giustamente intuito il DouviLLé, giudicando sulle figure date da FutTtERER per il suo H. Medunae, da ritenersi dunque sinonimo di H. Oppeli, specie già citata per i dintorni del Lago di S. Croce. L’altra forma, rappresentata da maggior numero di esemplari, taluni completi, colle due valve riunite, è allungata, cilindroide, a guscio bianco costulato, e ben corri- spondente nei suoi caratteri esterni ed interni allo H. (Vaccin.) giganteus Q° H. F., che io già altra volta indicai fra gli ippuriti del senoniano veneto (1). Il calcare bianco di Ponte Racli è poco compatto, a differenza di quello marmoreo di Clapons; ed alla scarsa compattezza devesi probabilmente il fatto, che per lo più questi ippuriti sono deformati da compressione e presen- tano le parti interne (i delicati pilastri finamente peduncolati e la stretta e lunga cresta legamentare) spezzate con notevole spostamento dei frammenti, come già rilevò il DouviILLÉ, ad es., per la forma affine H. gosaviensis di Sebenico (2). Gli avanzi di radiolitidi, per quanto si può giudicare dallo stato frammentizio, spettano forse alla Sauvagesia turricula (Cat.); ma, non potendo verificare i più sicuri caratteri specifici, il ri- ferimento è affatto dubbioso. xs Colgo volontieri l'occasione di questo accenno alla specie di CATULLO per confermare le conclusioni di un mio precedente studio (3) sui radiolitidi descritti e figurati dallo stesso autore (1838). Nel mio lavoro “ Sopra alcune Rudiste del Cretaceo su- periore del Cansiglio , riferii i risultati della revisione fatta sopra gli esemplari stessi, che servirono al CATULLO per isti- (1) C. F. Parona, Sopra alcune Rudiste del Cansiglio, 1908. (2) H. Dovviuuì, Etud. sur les Rudistes. — Révision des principales espèces d’Hippurites, * Mém. Soc. Géol. de France, Paléontologie ,, tome VII, p. 195, tav. "29, fig. 651890. (3) C. F. Parona, Sopra alcune Rudiste, ecc., 1908. PER LO STUDIO DEL NEOCRETACEO NEI FRIULI OCCIDENTALE 891 tuire le diverse specie da lui ripartite fra i generi Sphaerulites ed Hippurites, dimostrando che lo Sphaerulites Da Rio dev’ es- sere considerato insussistente, come specie, perchè stabilito sopra un frammento affatto insufficiente per una determinazione ge- nerica e specifica, e che il Radiolites Da Rio (Cat.) in FUTTERER non è altro se non lo H. turricula Cat. Ricordo ancora d'avere distinto nella fauna del Cansiglio (oltre gli ippuriti e qualche altra forma ora fuori questione) i seguenti radiolitidi: Radiolites turricula (Cat.), Rad. contortus (Cat.), Rad. Catulloi n. f., Bira- diolites Futtereri n. £. Purtroppo il mio lavoro di revisione non riuscì allo scopo desiderato, in quanto che A. Toucas (3), nella terza parte della sua Monografia sui radiolitidi, conserva lo Sphaerulites Da Rio, lo ascrive al genere Sauvagesia e riunisce nella sinonimia non solo Hipp. turricula Cat., H. dilatatus Cat., H. contortus Cat., Radiolites Da Rio Cat. (in Futterer), ma anche il Radiolites Ca- tulloi Par. e persino il Birad. Futtereri Par. Il criterio sui limiti della specie varia da autore ad autore e segnatamente fra 1 cultori della Paleontologia, e ciò si spiega molto facilmente senza che io lo dimostri. E però non mi sor- prende che il dotto paleontologo francese, seguendo criteri di- versi dai miei, riunisca sotto un’unica denominazione specifica un gruppo di forme da me tenute separate. Ma, non volendo credere che il Toucas non abbia letto quanto da me fu scritto, non so darmi ragione della nessuna considerazione accordata dal Toucas ai motivi da me esposti per dimostrare insussistente, come specie, lo Sphaerulites Da Rio, e dell’aver egli riunito alla sua Sauvagesia Da Rio (forma provvista di cresta legamentare) il mio Biradiolites Futtereri (forma sprovvista di cresta lega- mentare) spettante ad un genere diverso, nonchè il ‘tadiolites Catulloi. Questi radiolitidi, eccettuato il Radiolites Catulloi che è in- discutibilmente un Radiolites, appartengono, secondo i risultati degli ultimi studi di Toucas e di DouviLLé, alle sauvagesine, ripartite da DouviLLÉ nel gen. Sauvagesia, che raccoglie le forme (3) A. Toucas, Études sur la classification et l’évolution des Radiolitidés (Trois. partie), “ Mém. Soc. Géol. de France, Paléontologie ,, tome XVII, 1909, pag. 89. 892 cc. F. PARONA — PER LO STUDIO DEL NEOCRETACEO, ECC. provviste di cresta legamentare, e quindi anche la Sauv. turri- cula (Cat.) e Sauv. contorta (Cat.), e nel gen. Durania, al quale spetta la Dur. Futtereri Par., da me prima attribuita al genere Biradiolites. — Concludendo, ai radiolitidi del Cansiglio, argo- mento di questo richiamo critico, spettano le seguenti denomi- nazioni generiche e specifiche: Radiolites Catulloi Par. Sauvagesia turricula (Cat.) |= Radiol. Da Rio Futt. (non Cat.), = Sauv. Da Lio Touc. (non Cat.)]. ci contorta Cat. Durania Futtereri, Par. Ea Ritornando ora ai fossili di Ponte Racli, occorre notare che nella serie tagliata dalle cave devono essere rappresentati il Turoniano ed il Senoniano. Al primo si riferiscono la Chomn- drodonta Joannae, la Lima carnica e la Sauvagesia turricula (?), in quanto che queste forme finora furono attribuite all'orizzonte turoniano con Caprina, che si svoige dal Col dei Schiosi a Bocca di Crosis sopra Tarcento. Gli ippuriti, H. giganteus (coniaciano) e H. Oppeli (campaniano), si riferiscono al Senoniano, che nella stessa regione si accompagna all’accennato orizzonte. Ormai le ricerche dei diversi autori hanno fatto conoscere una bella serie di ippuriti, che attesta l’esistenza del Senoniano nei calcari so- vrastanti all’orizzonte Turoniano a camacee, e questi ippuriti si ripartiscono nel Coniaciano, Santoniano, Campaniano (3°— 6° li- vello ippuritico). Ma, se possiamo ammettere paleontologica- mente dimostrata l'equivalenza di questi calcari al Senoniano inferiore e medio, nulla finora di preciso si può dire riguardo al riconoscimento stratigrafico dei diversi livelli; anzi possiamo domandarci, se nel Veneto è in fatto possibile giungere alla di- stinzione e separazione dei numerosi livelli ad ippuriti (2 nel Turoniano e 7 nel Senoniano) ammessi dai geologi e paleonto- logi francesi. CESARE AIMONETTI — UNA MODIFICAZIONE, ECC. 893 Una modificazione all'apparato pendolare di Sterneck e nuova determinazione della gravità relativa a Torino e Genova Nota del Dr. CESARE AIMONETTI. Fra gli apparati pendolari usati per determinazioni di gra- vità relativa, uno dei più semplici, specialmente per osserva- zioni di campagna, è quello ideato dallo Sterneck, col sostegno a mensola da fissarsi al muro. Senonchè l’apparato originale unipendolare, quale fu dallo Sterneck ideato, presenta il grave inconveniente che in ogni stazione è impossibile tener conto dell'influenza che può avere la flessione del supporto sulla du- rata di oscillazione dei pendoli. L'apparecchio è bensì munito di un dinamometro a molla, col quale si può verificare la sta- bilità della mensola, esercitando su di essa delle pressioni 0 trazioni regolari e periodiche, ed osservando se il pendolo so- speso all'apparato assume oscillazioni sensibili in conseguenza di esse; ma questo espediente, se può servire a verificare la stabilità della mensola, nulla dice relativamente all'effetto della flessione che, benchè piccola, può nondimeno avere il disco di sostegno dei pendoli, che si appoggia sulle viti che servono per la livellazione di esso. Nè si può a priori ammettere che tale flessione risulti la stessa nelle varie stazioni, e quindi eliminabile dalle osserva- zioni, non potendosi esse effettuare nelle identiche e precise condizioni. 894 CESARE AIMONETTI I diversi metodi proposti per determinare direttamente l'oscillazione del disco, e dedurne quindi le correzioni da appor- tare alle durate di oscillazione dei pendoli per ridurle, come suol dirsi, a supporto rigido, in generale sono troppo delicati e laboriosi, e non conviene eseguirli in stazioni di campagna. La massima parte degli sperimentatori trovò più semplice e pratico il determinare la riduzione a supporto rigido mediante l’oscil- lazione impressa da esso ad un pendolo ausiliario ; e il profes- sore Lorenzoni (!), il Borrass (*), il Furtwiingler (*) dimostrarono delle formole per calcolare con sufficiente approssimazione tali riduzioni : formole abbastanza semplici e pratiche quando il pen- dolo ausiliario abbia lo stesso peso e lo stesso coefficiente di smorzamento del pendolo principale. Si idearono quindi gli apparecchi a due, tre, ed anche quattro pendoli, nei quali i sostegni pendolari possono sopportare con- temporaneamente due, tre, quattro pendoli, in modo, che due di questi possano oscillare in un medesimo piano, e servire a determinare l’oscillazione del sostegno e la conseguente riduzione delle durate d’oscillazione a supporto rigido. In questi apparati, che generalmente derivano dall’apparato di Sterneck con sostegno a pilastro, data la loro forma, tale riduzione risulta, naturalmente, piuttosto grande, e raggiunge pa- recchie diecine di unità della settima decimale del secondo; e, benchè si possa determinare con una buona concordanza di risultati, può rimanere il dubbio se non convenga piuttosto ri- correre all'antico apparato di Sterneck colla mensola a muro, che presenta il carattere di una molto maggiore stabilità. E la sotto-commissione nominata in seno alla Commissione Geodetica (!) Lorenzoni, Relazione sulle esperienze eseguite nel R. Osserv. astr. di Padova in Agosto 1885 e Febbraio 1886 per determinare la lunghezza del pen- dolo a secondi (“ Atti della R. Acc. dei Lincei ,, S. IV, vol. V). — Id., Swl- l’equaz. differenziale del moto di un pendolo fisico, ete. (£ Atti del R. Istit. Veneto di Sc. lett. ed arti ,, t. V, serie VI). (?) Borrass, Best. der Polhòhe und der Intensitàt der Schwerkraft von Arkona bis Elsterwerda (Verof. der “ Kònigl. Preuss. Geod. Inst.,, 1902, p. 90). (3) FurrwaeNGLER, Ueder die Sechwingungen zwei pendel mit annahernd gleicher Schwingungsdauer auf gemeinsamer Grundlage (È Sitzung. der Kénigl. preuss. Akad. der Wissensch. ,, 1902, XII). UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 895 Italiana per la carta gravimetrica d’Italia, esprimeva il parere che si potesse usare in tali determinazioni l'apparato a mensola, purchè vi fosse per ogni stazione una fede di stabilità della mensola. Allo scopo, quindi, di poter utilizzare con sicurezza l’appa- rato posseduto da questo Gabinetto di Geodesia, e di determi- nare l'eventuale oscillazione del disco di sostegno dei pendoli, ho apportato a questo una modificazione analoga a quella che è stata fatta all'apparato danese (*), ed a quello della Commissione Svizzera (2) con sostegno a pilastro. Le figure 1 e 2 rappresentano schematicamente la piastra di sostegno dei pendoli modificata, vista di sopra e di fianco, e la fig. 3 l'insieme dell'apparato. A è un pezzo di bronzo ag- giunto dalla parte anteriore, equilibrato da un contrappeso £, e terminante anteriormente in una robusta forchetta B, sulla quale sono incastrati due pezzi d’acciaio CC spianati in modo che le due facce superiori siano, quanto più è possibile, in un medesimo piano parallelo al piano d’agata D. Un’opportuna for- chetta F, che si può alzare ed abbassare per mezzo della vite V, serve per tenere sospeso il pendolo ausiliario nella posizione di riposo. Tanto la vite V quanto la vite V° che servono per alzare ed abbassare i due pendoli vengono manovrate dal- l'esterno della cassetta di protezione dell'apparato per mezzo del solito arnese foggiato ad imbuto e rivestito internamente di gomma elastica. Per potere osservare contemporaneamente le oscillazioni del pendolo motore e quelle del pendolo ausiliario, o pendolo mosso, è disposto davanti allo specchietto del pendolo motore, che rimane nascosto dallo specchietto e dal coltello di agata del pendolo anteriore, un prisma romboidale di cristallo P, a doppia riflessione, che sposta parallelamente a sè stessi i raggi luminosi emessi dalla scala del relais, e riflessi dallo specchietto del pendolo motore. Tale prisma, semplicemente appoggiato sul disco di sostegno dei pendoli, non è necessario che vi sia fis- (!) Den Danske Gradmaaling. Relative Tyngdebestemmelser, 1908. (*) Internationale Erdmessung. Astronomisch-geodetische Arbeiten in der Schweitz. Zwéòlfter Band, 1910. 896 CESARE AIMONETTI sato, perchè un suo eventuale spostamento non cambia meno- mamente il cammino dei raggi luminosi. Siccome le due immagini della scala del relais, date dai due pendoli risultavano un po’ troppo distanti, e non ben visi- bili contemporaneamente nel campo del cannocchiale, disposi di fianco ad esso un’altra scala che si poteva opportunamente spo- stare in modo che le immagini delle due scale apparissero vi- cine. Non potendo modificare l’oculare del cannocchiale del relais e sostituirlo con un oculare micrometrico per misurare con precisione le ampiezze di oscillazione del pendolo mosso, queste venivano stimate sulla scala ausiliaria, che dapprima fu divisa in parti di 3 mm. di lunghezza, indi sostituita da un’altra divisa di 2 in 2 mm. Per arrestare poi i movimenti del pendolo mosso, è fissata nella parte interna della cassetta o vetrina, che protegge l’ap- UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 897 parato durante le osservazioni, ed alla parete anteriore di essa una molla d’acciaio terminante all'altezza della massa del pen- dolo in un pezzo di sughero. Spingendo, per mezzo di una vite sporgente esternamente, la molla contro il pendolo, se ne arre- stano le oscillazioni ; indi, girando la vite in senso contrario lentamente e dolcemente, si riesce con tutta facilità ad ottenere che esso resti libero e perfettamente in quiete. Uno schermo di lastra d’alluminio, che può venire facil- mente fissato alla mensola per mezzo di due viti, serve ad evi- 898 CESARE AIMONETTI tare che il movimento impresso all’aria dal pendolo motore possa da questa essere trasmesso al pendolo mosso (1). La determinazione della flessione del supporto si può ese- guire prima di ogni stazione di campagna ; indi, tolto il pendolo mosso, il prisma e lo schermo, l’apparato si adopera come il comune apparato di Sterneck. Terminata la stazione, si può ripetere la determinazione della flessione, per verificare se non è intervenuta nessuna va- riazione nelle condizioni del supporto. Il procedimento da tenere nell'eseguire tale riduzione a supporto rigido, è stato indicato e studiato dal Furtwingler (*?) e dal Borrass (*), ed illustrato am- piamente del prof. Alessio (4); esso consiste nell’imprimere al pendolo motore un’oscillazione di data ampiezza a, mentre il pendolo mosso è in quiete, e nel determinare l’ampiezza a' di oscillazione che questo assume dopo un certo numero di se- condi #. Indicando con o la riduzione a supporto rigido, con a ed a rispettivamente le ampiezze di oscillazione del pendolo motore e del pendolo mosso, s ed s' le loro durate di oscilla- zione, il Borrass (5) ha dimostrato la seguente formola, valida quando i due pendoli abbiano la medesima massa ed il medesimo coefficiente di smorzamento (5): osi O Sali 9 s (USE ra] cosec |m —° #R ISS Nell’apparato di Sterneck del Gabinetto di Geodesia di questa R. Università, si possono assumere come pendolo motore del R. Istituto Idrografico (£ Annali idrografici ,, vol. IV, Genova, 1904). (5) V. Borrass, Op. cit. (9) Questa formola, secondo le esperienze del prof. Alessio, per deter- minare sperimentalmente il coefficiente di riduzione a supporto rigido, sembra soddisfare meglio di quella del Furtwingler ai risultati dati dal- l’esperienza (Cfr. Aressio e SiLva, Esperienze comparative sopra alcuni ap- parati gravimetrici, © Annali idrografici ,, vol. 7, 1909-1910, pag. 73 e seg.). UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 899 e pendolo mosso i pendoli 41 e 45, i quali hanno durate di oscil- lazione poco differenti, e per Torino : S45 = 0,508 0365 8, = 0,508 0287, Negli apparati con sostegno a pilastro, nei quali la fles- sione del supporto è molto sensibile, si fanno delle serie di 0s- servazioni di 5 in 5 minuti, dalle quali si deducono i valori di 0, e la media per ciascuna serie; ma nell’apparato a mensola, avendo osservato che il pendolo mosso non incominciava ad avere oscillazioni apprezzabili, cioè di uno o due decimi delle divisioni della scala, se non dopo almeno 20 o 30 minuti, è conveniente di fare delle serie di osservazioni a partire da 380 minuti, osservando di 20 in 20 minuti, od anche ad inter- valli più lunghi, onde diminuire l'errore proveniente dall’incer- tezza nella stima del decimo di divisione sulla scala. Per provare la praticità di questo metodo, e per avere un'idea dell’entità della riduzione o, volli eseguire alcune serie di determinazioni di 0, cambiando l’attacco della mensola ogni due serie; ma sempre assicurandomi, ad ogni volta, mediante il dinamometro a molla, della buona stabilità di essa. 900 CESARE AIMONETTI I risultati ottenuti furono i seguenti : 1® Posizione. Serie Intervallo a a’ a Yo 1a 90m 124 | 02.15 —83 30 LS 0.20 =—7.8 40 10.8 0.30 —9.5 Media —8.5 Za 20 12.3 0.20 — 8.3 30 LEO 0.20 TM 40 TO 7 025 dl Media —8.4 28 Posizione. 1a 20 dis 0.20 Ce 30 11.6 0.20 —7.9 40) LOR 0.25 —-8.1 Media —9.0 2a 20 i 0.20 —11.2 30 i Dv; 0.20 —7.8 40 10.9 0.25 —8.1 Zr20m 6 0.50 — 9.0 Media | —9.0 9® Posizione. 1a 20 T063 0.15 —10.0 30 9.0 0.20 —10.1 60 TT 0.30 —8.9 90 6.5 0.40 —9.4 Media —9.6 Za 30 9.3 0.20 —9.8 60 75 0.30 —9.2 90 6.5 04395 =—8% 120 502 0.35 858 Media —8.9 UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 901 Dalle prove fatte risulta che, mentre la mensola a muro si può ritenere rigida, il disco di appoggio dei pendoli subisce delle piccole oscillazioni di cui l'influenza sulla durata d’oscilla- zione dei pendoli, pure essendo molto piccola, non è trascura- bile; però, quando la mensola sia fissata solidamente al muro ; in modo che col dinamometro non dia indizio di flessione, tali influenze risultarono, entro i limiti di approssimazione raggiun- gibili in queste determinazioni, sensibilmente eguali, e quindi trascurabili in determinazioni relative di gravità. In ogni modo, data la facilità colla quale si può determi- nare in ogni stazione il valore di 0, l'apparato di Sterneck così modificato può dare risultati sicuri quanto i migliori apparati escogitati in seguito. EI. Nell'intento di provare l'apparato colle modificazioni intro- dottevi, volli rideterminare il valore della differenza di gravità fra Torino e Genova. Tale differenza era già stata da me deter- minata nel 1900 (!); ma il risultato ottenuto era in disaccordo con quello ottenuto in seguito dal prof. Alessio coll’apparato tripendolare dell’Istituto Idrografico : 1 risultati da lui ottenuti erano stati poi confermati da ulteriori sue determinazioni, nè mi era riuscito di trovare la ragione del disaccordo riscontrato colla mia determinazione : le osservazioni erano state fatte colla solita cura e non avevano presentato nessun fatto anormale, che mi facesse dubitare di esse. L’unico dubbio, che potevano presentare, era che, non avendo determinato direttamente a To- rino l'andamento del cronometro d’osservazione, ma avendolo de- sunto da confronti fatti coi pendoli dell’osservatorio astronomico, mi fosse sfuggito qualche errore inavvertito nella trasmissione dei segnali: dubbio che fu avvalorato dall’avere riscontrato allora una variazione nella durata d’oscillazione dei pendoli per Torino, variazione che scomparve nelle determinazioni fatte negli anni successivi. (!) Armonenti, Determinazione della gravità relativa a Genova, Savona, Albenga e Sanremo (* Atti d. R. Acc. d. Sc. di Torino ,, vol. XXXVI, 1901). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 58 902 CESARE AIMONETTI Il luogo di stazione scelto per eseguire questa nuova de- terminazione a Torino fu un sotterraneo situato nel centro del- l’edificio della R. Università ; luogo in cui non erano sensibili le vibrazioni prodotte dal movimento dei veicoli nelle strade adiacenti, e la temperatura si manteneva abbastanza costante. La mensola fu fissata al muro per mezzo di tre bulloni a vite, e tra la parete e la mensola fu collocato uno spesso strato di ovatta, per impedire che la temperatura della parete potesse avere un'influenza sensibile sulla temperatura dei pendoli. Come orologio di osservazione si adoperò il cronometro Frodsham N. 3576 a tempo siderale : esso venne installato nel locale d’osservazione qualche giorno prima, e non ne venne ri- mosso che ad osservazioni finite. Esso fu confrontato cronogra- ficamente, nei giorni d’osservazione, col pendolo Riefler N. 164 e col cronometro Plaskett N. 5190. Le determinazioni del tempo furono fatte generalmente nelle sere precedenti e seguenti i giorni d’osservazione, adope- rando un teodolite di Repsold a cannocchiale eccentrico, coll’ob- biettivo di mm. 60 e di lunghezza focale cm. 48 con ingrandi- mento 61. Il metodo adoperato fu quello dei passaggi delle stelle orarie nel verticale della Polare, osservando 6 od 8 stelle ogni sera alternativamente col cerchio ad est e col cerchio ad ovest, e deducendone il valore più probabile dello stato del cro- nometro. Nella prima stazione a Torino le osservazioni furono fatte col cronografo e col pendolo Riefler, nella seconda ad orecchio con un'cronometro Dent N. 49502 a t. m., che veniva confron- tato immediatamente prima e dopo ogni sera d’osservazione col Riefler e col Frodsham. A Genova le osservazioni furono eseguite nel R. Istituto Idrografico, nel locale stesso in cui furono ultimamente eseguite le osservazioni gravimetriche dal prof. Alessio. In un locale vicino, appartato e ben difeso da ogni variazione di tempera- tura, furono installati il cronometro Frodsham e il pendolo Strasser e Rohde gentilmente messo a mia disposizione dal Prof. Alessio. Opportuni circuiti elettrici permettevano di met- tere i detti orologi d'osservazione, in comunicazione sia col relais delle coincidenze, sia con un cronografo a secco Cavignato comu- nicante col pendolo regolatore Dent, per prendere i confronti UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. _903 durante le osservazioni. Le determinazioni di tempo furono ese- guite collo strumento dei passaggi dall’assistente sig. Ferrari, che mi fu di valido aiuto nel prendere i confronti col pendolo regolatore e nel calcolare gli andamenti degli orologi di osser- vazione. Della preparazione del locale d'osservazione, dell’instal- lazione del cronometro e del pendolo, nonchè di tutto quanto mi potesse occorrere nell'eseguire detta stazione, si occupò gentil- mente lo stesso prof. Alessio, onde sento il dovere di rivolgere al sig. Direttore del R. Istituto Idrografico, al prof. Alessio, ed al suo assistente sig. Ferrari le più sentite grazie. Potendo disporre di due orologi di osservazione ho deter- minato contemporaneamente con entrambi la durata di oscilla- zione di ogni pendolo, osservando prima undici coincidenze col Frodsham, e immediatamente dopo altre undici collo Strasser e Rohde; indi, calcolato l'istante della 618 coincidenza da osser- varsi col Frodsham, e la 61 collo Strasser, si osservavano nuo- vamente due serie di dieci coincidenze successivamente coll’uno e coll’altro, sicchè, senza toccare il pendolo, si poteva dedurre la durata di oscillazione con entrambi, ed avere anche una norma per giudicare della regolarità del loro andamento. Il metodo tenuto nelle osservazioni è il medesimo tenuto nelle altre determinazioni eseguite da me (!): le costanti stru- mentali sono quelle determinate dallo Sterneck, e usate per le riduzioni delle osservazioni nelle altre stazioni eseguite: la pressione barometrica fu letta sul barometro aneroide, del quale furono determinate le correzioni nelle due stazioni con ripetuti confronti col barometro a mercurio. I risultati ottenuti nelle due stazioni di Torino e nella sta- zione di (@enova sono contenuti nelle seguenti tavole : (') ArmonertIi, Determ. della gravità terrestre a Torino fatta nel 1896 ete. (© Atti della. R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXII). 904 CESARE AIMONETTI Stazione a Torino. Determinazione della flessione del supporto: Stazione I. Stazione II Serie | #1] 00 o’ i (o) Serie|. #° a o) o) 1° | 20w10?.8/02.15/—10.0 13 | 30m 92.2/02.20) —99 IO IO T0TREZ0O SI 60 | 7.8/10.27| —7.9 60 7780 .30, 3490, 90 | 6.6/0.40) —9.3 90 | 6.5)0.40 —9.4 Med be=chu Med. —9.0 da SOLO 98 92 | 30|9.4|0.20] —9.7 60 | 7.50.30 —9.2 60 | 7.4/0.33|/—10.2 0A oro 0 SE 90 | 6.4/0 .40| —9.6 120'| 5420735) —83 120 | 5.2/0.46/-—10.3 Med. fesso 99 Determinazioni del tempo. | > | Pendolo Riefler Cronometro Frodsham | î | p,; S rrer DATA inceece «ua | = i Stato | Andam. Stato | Andam | & medio assoluto Ora i diurno assoluto | Ora | diurno Si 1910 | ms h i | z Luglio 23 |—1 29,28/16,75 "i 16 | 8 |+0.05 ì 24 |—1 29,44 15,43) 9/99 | 8 [+0.05 n 24 ll 30,32/16,25 1 | 6 |+0.08 1911 | | mit ivi Aprile 12|—2 11,15 9,82 _0 98 —8 08,41) 9.83) _3 74 8 |+0.04 » 13.—211,54/10,32|_g;gj|-8 12,23/10.33 e 8|+0.08 x 14/—2 11,85/10,08| © © |—3 15,5210.10 ‘94 8 |+0.04 | | (4) Le ampiezze a’, in questa stazione ed in quella di Genova, furono lette sulla scala divisa in parti di 2"" e ridotta alla scala divisa in parti Adi gmm, UNA MODIFICAZIONE ALi'APPARATO- PENDOLARE, ECC. 905 Andamenti del cronometro Frodsham durante le osservazioni. Dal Riefler Dal Plaskett Media 1910 Luglio 24 Au=— 25,82 Au=—8512 Au= — 25,97 n 025 Au = ele Ag ST Au =" 3,46 Direttamente 1911 Aprile 13 Au=— 3,76 Au=— 3,74 4Au=— 3,75 sn ch. An — Sil Am 9,32 Au— 3,94 + Stazione a Genova. Determinazioni della flessione del supporto. 1° ga 3a "i | , | (0) | s Il LA (0) | ° , (0) PA A a IX 107| DÈ A | (04 IXK107| t (04 (0 | X 107 30% 10P,1/0?,13|—5,9| 60m) 72,9 (0P,23/—6,7| 70m 9? 4 6 60 | 8,20,33|—9,2| 80 |7,1/0,30|--6,61130 |6,3|0,47| 8,1 90 | 7,00,40-—8,8/100 |6,3|0,33.—7,3|160 (5,1 9 Melia | 8,0 Media | — 6,8 Media (= | | Determinazioni di tempo. Pendolo Dent, N. 43520 (Osserv. FERRARI). | | | 11 Agosto 1910 | 12 Agosto | 13 Agosto STELLA legiune—= 0a a | irrnnni ga Sl | Stato | Andam. Stato | Andam. Stato | Andam. assoluto diurno assoluto | diurno assoluto \ diurno mt {+ SANE E SEA do 109 Here. | \—4 21,67 |—423,25/-—1,58 23H Cam. p.i. cat Late | 110 Here. (4 20,22 (4 21,74.—1,52\—4 23,40/—1,66 R Lyrae ‘—4 20,07 2£9,70—1,09P24 23,32 162 Z Aquilae (4 20,17] —4 21,76.—1,59/—4 23,40.-—1,64 | | RSI |P | | Media |—1,58| Media |—1,62 906 CESARE AIMONETTI Andamenti diurni degli orologi d'osservazione dedotti dai con- fronti presi col Deut seralmente e durante le osservazioni pendolari. Frodsham Strasser e Rohde DATA _—_—_-=Tr_r__,r! —_T — ss ii .| Dai confronti | Dai confronti RI CORTEO durante. | Media |Paiconfronti durante | = Media serali le osservaz. serali le osservaz. | | | | 1910 carl s | S | Ss | S s | È Agosto 12 | —2,15 | 2,08] —2,11;| 2,78) —2,70|--2,74 | fs a e | - già 3igg| ogni 998 | oo pl Lo std Sassa Durata d’oscillazione dei pendoli, ridotta al vuoto, a 0° ed al- l'ampiezza infinitesima. mete sore Lorbat nei TP Orologio — —2m2p{EÈ_ STAZIONE | dlosserv. n WAR (BE ui Torino I |Frodsham (0,508 0829(0,507 6829/0,508 0363/0,508 3355 | 0297 6847, 0377 SDA 0264 6803 360 3545 0257] 6796 0344 3984 | | IERALAL | Media | 10,508 0287 0,507 6819) 0,508 03610,508 | Torino Il 10,508 02910, 507 6842! 0,508 0385 0,508 3358 0250] 6843 0372 3961 0279] 6814 0394 3348 0327 na 0372 ZIdA Media 0,508 028 70, 507 68280 ,508 1810 ,508 3852 | Genova Frodsham (0,508 02190,507 6808 0,508 0355/0,508 3331 0280 6826 0359 33947 0246| 6813 0350. SOLe 0238 6788 0322 3335 Media 0,508 0246 0,507 6809 0,508 0346,0,508 SOS ST 0,508 0256 0,507 6801,0,508 0374 0,508 3344 e Rohde 0273; 6801, 0365, 3925 02 “ 6795, 0341 3943 0260, 6801 0342] 3347 Media 0,508 02 2350 507 6799 0,508 0355/0,508 3340 UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 907 Dai risultati registrati nella tabella precedente, si, nota una piccola differenza tra le durate di oscillazione dei pendoli 42, 45, 46 nelle due stazioni a Torino. Tali differenze, che risultano rispettivamente —-9, —20, —5 unità della 7% cifra decimale, non sono in realtà maggiori degli errori da cui possono essere affette le durate di oscillazione osservate ; di più, essendo tutte del medesimo segno, potrebbero derivare da un piccolo cambia- mento nei valori assunti per le costanti di riduzione : valori che furono gentilmente determinati dal sig. V. Sterneck, quando si incaricò della costruzione e del collaudo dell’apparato, e che di poi mì fu impossibile rideterminare. E tanto più potrebbe es- sere plausibile questa ipotesi, se si considera che le due stazioni furono eseguite in condizioni di temperatura e densità dell’aria assal differenti: nella prima la temperatura oscillò tra 179,00 e 179,25 con una media di 17°,16, e la densità dell’aria tra 0,908 e 0,912 con una media di 0,909 ; nella seconda la tem- peratura variò tra 9°,25 e 9°,75 con una media di 9°,50, e la densità dell’aria tra 0,929 e 0,941 con una media di 0,935. Non avendo però elementi sufficienti per dedurre eventualmente nuovi valori di dette costanti, ed essendo tali differenze molto piccole, si è preso come valore delle durate di oscillazione dei pendoli a Torino, le medie dei due valori ottenuti. Similmente leggere differenze presentano i risultati ottenuti a Genova a seconda dell’orologio di osservazione: le medie delle durate d’oscillazione per ciascun pendolo, dedotte dal Frodsham differiscono da quelle ottenute collo Strasser rispettivamente di +9, — 10, + 9, + 9 unità della 72 decimale. Ora tali dif- ferenze, anch'esse d’altronde molto piccole e dell’ordine degli er- rori d'osservazione, non si possono, dato il procedimento seguito, attribuire ad una piuttostochè ad un’altra causa di errore: gli stessi orologi di osservazione non diedero indizio di qualche irregolarità nell’andamento medio : i valori di esso dedotti dai confronti serali col Dent dopo le osservazioni di tempo, e quelli dedotti dai confronti presi più volte durante le osserva- zioni pendolari sono molto concordanti : probabilmente potranno esservi in detti andamenti delle lievi irregolarità che si com- pensano tra due successivi confronti, e che tuttavia si rendono manifesti mediante le oscillazioni pendolari. Tuttavia, sia perchè tali differenze si compensano quasi completamente tra i quattro 908 CESARE AIMONETTI pendoli, sia perchè anch’esse sono molto piccole, si possono rite- nere come valori definitivi le medie dei due valori per ciascun pendolo. Ed applicando a queste le riduzioni a supporto rigido, che ammontano per Torino a -—9 X 10%, e per Genova a — 8 X 107, si hanno i seguenti valori, come valori definitivi delle durate di oscillazione per i quattro pendoli nelle due stazioni : Pendoli 41 42 45 46 Torino 05,5080278 05,5076815 05,5080362 05,5083341 Genova 0,5080242 0,5076796 0,5080342 0,5083327 Da questi, assumendo per Torino y,= 9",80571 si dedu- cono mediante la formola (s9 dia st) (st 89) Sat Baila STO En Sg i seguenti valori di y, — 9g. per i quattro pendoli: Pendoli GI It 41 0,000139 49 0,000073 45 0,000097 46 0,0000854 Media 000009143100 Volendo applicare il metodo di compensazione suggerito dal prof. Venturi (!), si hanno le seguenti correzioni alla durata di oscillazione in unità della 7? cifra decimale: Pendoli 41 42 45 46 Torino — 6,9 — 1,6 + 1,1 + 4,1 (renova + 6,9 — 1,6 — 1,1 — 4,1 (1) Cfr. VentuRI, Sulla compensazione dei risultati nelle misure di gra- vità relativa terrestre (“ N. Cim. ,, serie IV, gennaio 1900). UNA MODIFICAZIONE ALL'APPARATO PENDOLARE, ECC. 909 onde la durata d’oscillazione corretta: Torino 055080271 055076817 055080368 05,508334/ Genova 0,5080249 0,5076794 0,5080341 0,5083323 dalle quali si deduce coma valore di 9g, — %:: gi, Ye= 0,00008.5 L’error medio unitario e, e quindi l’error medio £ che com- pete ad ogni valore definitivo delle durate d’oscillazione, e l'error medio My da cui può essere affetto il valore di g, risul- tano rispettivamente: e = +05,0000006.7 E = 0,0000005.3 My == 0,00002.8 Si può perciò assumere, come valore della differenza di gra- vità tra Genova e Torino: Gi, Ge= 02,00008.8 £ 2.3 X 105. onde ritenendo : G= PLIM risulterebbe per valore della gravità a Genova: gi S0 9A ritenendo la gravità a Padova: 9, = 9%,80677. Dalle determinazioni di gravità relativa Padova-Torino, eseguite nell’anno 1898 e nel 1902, era risultato (!): go ge= 0,00106 e sottraendone 9g, — ge= 0,00008.8 si ottiene gi — Gr =:0;00097.2 (!) Armowerti, Determinazioni di gravità relativa in Piemonte (“ Atti della R. Acc. delle Scienze ,, vol. XXXIV, e vol. XXXVIII). 910 CESARE AIMONETTI — UNA MODIFICAZIONE, ECC. avendo assunto come luogo di stazione a Padova la stazione dove il prof. Lorenzoni eseguì le determinazioni di gravità assoluta. Riferendomi alla stazione eseguita dal prof. Alessio, che è di 4 m. più bassa, risultereble: Io 9, = 0,00098.2 Il valore trovato dal prof. Alessio coll’apparato di Sterneck fu Go Yg= 0000994 e dalla media dei risultati ottenuti cogli apparati Bipendolare, Tripendolare e di Sterneck, il valore (!): Io Ig 0,00100. Tali valori sono in soddisfacente accordo con quello da me ottenuto, e confermano inoltre l'esattezza del risultato ottenuto nelle determinazioni anteriori di gravità relativa Torino-Padova. Torino. Gabinetto di Geodesia della R. Università. Giugno 1911. (4) Cfr. ALessio e SrLva, Op. cit. C. JORIO — COLLEGAMENTO DEL GABINETTO, ECC. 911 Collesamento del Gabinetto di Geodesia annesso alla R. Università di Torino alla rete geodetica italiana. Nota dell’Ime. Prof. C. JORIO Nell'anno 1907 il Chiar.m° Prof. N. Jadanza, direttore del Gabinetto di Geodesia della R. Università di Torino, dava in- carico allo Scrivente dello studio e della costruzione di una ter- razza osservatorio per poter fare osservazioni geodetiche, studi Fio. l. relativi e le esercitazioni degli allievi di geodesia. Il problema presentava tre difficoltà: 1° la terrazza doveva essere ad oriz- zonte libero; 2° l’accesso doveva essere facile e comodo in modo da potere portare sulla terrazza strumenti delicati e pesanti; 3° la costruzione non doveva intaccare menomamente il tetto esistente. Come si vede dal disegno allegato (fig. 1), il problema 912 C. JORIO venne felicemente risolto in modo da soddisfare alle tre con - dizioni sopra accennate. Servendosi di un locale soprastante al Gabinetto di Geodesia lo Scrivente ha potuto ricavare da questo una camera che può servire di deposito di strumenti e di tutto l'occorrente per le osservazioni. Da questa camera con una scala laterale in pietra, e costruita al disopra del tetto esistente, si arriva al piano della terrazza, il pavimento della quale è formato di griglie, per cui essendo sempre sgombro da pioggia o da neve esso è sempre accessibile. Il pilastro delle osservazioni, a sezione circolare, poggia direttamente sopra di un pilastro quadrato (m. 0,70 X 0,70) che venne innalzato sopra un muro maestro interno ed è tenuto completamente isolato, mediante intelaiatura di ferro, dal pavimento e dalle altre parti della costruzione. A lavoro ultimato il Prof. Jadanza dava incarico allo Scri- vente di collegare tale punto con la triangolazione geodetica italiana (1). Per tale collegamento si era dapprima pensato di servirsi unicamente di punti di 1° ordine e precisamente si era stabilito il quadrilatero Musinè-Monte Soglio-Monte Vesco-Su- perga. Lo Scrivente recatosi sul Monte Musinè e sul M. Soglio ha proceduto al rintracciamento del centro dei punti geodetici dell’I. G. M. e sopra di essi fece costruire due pilastrini per la se- gnalazione. Però all'atto delle osservazioni detti pilastrini, per l'ignoranza altrui, vennero per ben due volte abbattuti, per cui rinunciato a tale quadrilatero, per l'esecuzione del lavoro venne scelto il seguente quadrilatero (fig. 2): Musinè (m. 1149,85), Superga (m. 727,23), S. Giorgio di Piossasco (m. 842,12), Bric Vay (m. 583,50); i primi due sono di 1° ordine, gli altri due sono di 5° ordine; il punto S. Giorgio è costituito da un pila- strino, ripristinato dallo Scrivente, posto sull’ arco maggiore del- l'abside di una cappella che trovasi ad un'ora di distanza da Piossasco. Il punto Bric Vay posto sopra una collina nei pressi di Castagneto Po attualmente è costituito da un pilastrino im- biancato di altezza 2 m., formato di tre tubi di cemento di dia- metro 0,50 e riempiti di pietrame, fatto costruire appositamente dallo Scrivente. Le operazioni di campagna vennero eseguite nell'estate del 1910 e furono costituite dalle stazioni in Musinè, (1) Nella figura della triangolazione è pure segnato il punto True Ban- diera, la cui determinazione fa seguito al presente lavoro. 918 COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. go 29) i 37727 Tot fl © 2 Sa e 914 C. JORIO S. Giorgio di Piossasco, Bric Vay, Gabinetto di Geodesia; la sta- zione in Superga non venne eseguita avendo potuto avere dal- VI. G. M. i valori originali delle misure fatte ‘in detto punto dal predetto ufficio. Strumento adoperato. — Quantunque alcuni degli angoli che occorrevano per il calcolo fossero già stati misurati dal- l'I. G.M., nullameno essi vennero nuovamente misurati per l’omo- geneità del lavoro; le misure vennero eseguite con un teodolite Trougthon e Simms a vite micrometrica appartenente al Gabinetto di Geodesia; esso è reiteratore, ha un'apertura di obbiettivo di mm. 48, un ingrandimento (relativo all’oculare che venne usato in questo lavoro) di 25, distanza focale ecm. 30, ha una livella a cavalcioni e due altre livelle fisse, una al lemlo, l'altra al cerchio verticale. La misura angolare si eseguisce nel seguente modo. Sul lembo mediante uno speciale microscopio si leggono i gradi e le cinquine di primi: nel campo di ciascuno dei due microscopî micrometrici diametralmente opposti è situata una lastrina con 5 denti il cui intervallo complessivo corrisponde alla più piccola divisione del lembo, cioè a 5’, per cui l'intervallo fra ogni dente è di 1°. Una coppia di fili mobili può passare da un dente al. l’altro mediante un giro completo del tamburo della vite micro- metrica, che è diviso in 60 parti. Di ogni parte si può stimare il decimo, quindi la lettura venne eseguita al 1" con stima del decimo. Di questo strumento sono stati determinati l’error medio di lettura mm, e l’error medio di puntamento w,. Per la prima determinazione si fecero N. 20 osservazioni e si trovò come valor medio 7, = 0',458. Per la seconda determinazione scelta una giornata molto calma si collimò con 20 osservazioni ad un parafulmine di- stante 4900 m. che si proiettava nettamente nel cielo e nelle mi- gliori condizioni per la luce: si trovò per error medio m = 1’,307 e per la formola: m=Vm+mj sì ricavò: COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 915 Metodo di misura. — La misura degli angoli venne eseguita mediante il metodo delle direzioni isolate come quello più esatto. Per le stazioni Musinè e S. Giorgio venne scelto come punto di origine Pietra Borga, costituito da una croce metallica a di- stanza rispettivamente di m. 12075,42 e m. 3400,00, segnale che si presentava molto nitido e che poteva servire per ulteriori misure. Per la stazione Bric Vay venne scelta la croce del cam- panile di S. Raffaele distante m.1900, e finalmente per la stazione al Gabinetto di Geodesia venne assunto l’asse della cupola di Superga, distante m.6320,35, come origine: venne usato il metodo di reiterazione facendo 7 strati, e poichè il reticolo del teodolite portava 5 fili verticali, così per ogni collimazione venivano fatte > letture corrispondenti ai puntamenti dei 5 fili, per cui di ogni direzione si ebbero 35 misure medie fra le letture destre e si- nistre; così i valori attualmente ottenuti sono presso a poco omogenei con quelli dell’I. G. M. che sono medie di 32 misure eseguite. Si procurò infine che i vari strati per ogni angolo ve- nissero eseguiti in ore e giorni diversi per avere un valore più esatto. La stazione Gab. Geodesia ((. G.) venne puntata mediante elioscopio, essendo difficile il suo rintracciamento nella città. Così pure si fece uso dell’elioscopio nelle stazioni di S. Giorgio e di Musinè per collimare ad esse dalla stazione Gab. Geodesia. Le altre collimazioni si fecero puntando i pilastrini posti sui singoli vertici. A Superga sì collimò alla croce della cupola maggiore. Risultati originali. — Qui appresso sono riportati di ogni cinquina i valori medî trovati nelle misure eseguite: per ogni stazione è riportato l’error medio di una osservazione m e quello della media pw. 916 C. JORIO Stazione a Gabinetto di Geodesia. Direzione a Bric Vay Musinè (pilastrino) (elioscopio) 1° Str. 168°46' 19.185 206°37' 24.805 Qoauss 21 .675 QAat915 i808(9 21 .905 24 150 TIA T9YE095 24.070 SON 29.100 Lala USO) (3 1ETIOREA 20.765 23:.905 1 Ms 23.400 Do 075 Media 21,891 DA 1829 np= 1.562 0.590 Visse 0.548 0.208 Stazione a Bric Vay. Direzione a Superga G. Geodesia (asse cupola) (elioscopio) Je Ste 08310097 447530 3190475990975 ATE Loleoa DONSTO Dici 48 .130 56.790 Li SCANIA 45 .965 52 L00 no 45 .530 50 .020 600, 45 .925 DIGALOO cai 44 .195 54035 Media 46 .316 54 904 ai 1 .455 2.648 ie n Ul (un pa coni «—» ©) S. Giorgio (elioscupio) 341250252070 23.210 211135 20925 24 .340 26. .620 23.830 Musinè (croce fuori centro) 342°45 200010 26 .840 .945 .6590 .290 .510 185 DIN N o_N H> 006 Do ID COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 917 Stazione a S. Giorgio di Piossasco. Direzione a Musinè G. Geodesia Superga (pilastrino) (elioscopio) (asse cupola) Wiste 39°35 17 “I65. 104°16-10,30b.. 1060582.13:.035 da 19. .097 14 .200 12 .565 di, 16 .810 19.480 10 .650 DE 18 .262 10 -.210 15 .755 53 ai 19 .235 lent95 10 .845 80, 19 .535 22 .230 10 .107 e 21 -.000 14 .265 12.695 Media 18 .700 14 .833 12 .236 ni 1 482 4 .298 1.930 u = 0.524 520 0 .682 Stazione a Musinè. Direzione a Bric Vay Superga G. Geodesia (pilastrino) (asse cupola) (elioscopio) 1° Str. 248°56' 61.280 SIGLE 07 4207" ST0°4S STT250 RA 61 .865 09 .330 30 .810 GINE 62 .595 07 .670 2o .215 4°,05 63 .815 07.215 23.350 Da a 4 61 .985 04 .490 27 .260 GA hi 67 .225 06 .390 21.830 TSI” 68 .095 09°-1M5 25 .615 Media 63.337 07 .419 25 .044 i) = 2 .739 1.652 dò .929 ù = 0 .968 0.584 1;.175 Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 59 918 C. JORIO Riepilogo delle direzioni. 1° Stazione in Gabinetto di Geodesia. Direzione a Musinè 168° 46° 21.391 ; S. Giorgio 206 37 24 .329 x Bric Vay dA Sed Ei 3° Stazioné in Bric Vay. Direzione a Superga 310° 37* 46.316 5 (3. Geodesia SUIRAZI 54 354 o Musinè (croce) 342. 45. 26 .619 2° Stazione in S. Giorgio. Direzione a Musinè 996354 185.700 ci G. Geodesia LOUIS 14. 1893 à Superga 106 53 12 .236 4° Stazione in Musinè. Direzione a Bric Vay DAS ISS ; Superga 264 13 07 .419 3 (7. Geodesia 270 ‘43 25 .044 Calcoli preliminari. 1° Riduzione al centro della direzione Brie Vay-Musinè. Non essendo possibile, data la grande distanza (Km. 34), vedere dalla stazione Bric Vay il pilastrino di pietra eretto sul segnale al Musinè, si è collimato all'asse della croce in cemento (alta m. 15) che venne innalzata a non molta distanza dal se- gnale stesso. Gli elementi della riduzione sono r=34.35 (1) e y==62°02'10%; per il calcolo della distanza D che entra nella formola relativa si è risolto il triangolo provvisorio Superga-Musinè-Bric Vay e si ottenne D = 34455.00; con questi elementi, applicando la re- lazione Sr s0nr MIDI enel si è trovata la correzione e= 3:06 420 (1) Questo valore è la media di tre misure eseguite. COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 919 per cui si ritenne come valore della direzione Bric Vay-Musinè in centro 9420 48’ 33.044. 2° Calcolo dell’eccesso sferoidico. Esso venne eseguito mediante la formola (1) __ _b.csen A a calcoli eseguiti si ebbero i seguenti risultati : Triangolo Bric Vay-Superga-Musinè eccesso = 0.573 . S. Giorgio- Musinè-Superga P =) 8t5 a Gab. Geodesia-Musinè-Bric Vay , = 0222 : S. Giorgio-Musinè-Gab. Geodesia , =:0. 024 Chiusure angolari. Tenuto conto dei calcoli precedenti, si hanno le seguenti chiusure angolari: 1° Triangolo Bric Vay-Superga-Musinè (vedi figura). ( (13) 3420 48° 33,044 Masini) Vox) © divisa rà | (10) 132 33 11 .620 (dat.) uperga Î (9) 000 00 00 .000 a (| (@) 264 13 07 419 usinè Î (1) 248 56' ‘63 .837 (1) Vedi N. Japanza, Geodesia, 1905. 32° 10° 46.728 15 16 03 .582 180° 00° 01'.930 Ed — Olioo w, = — 1.357 920 C. JORIO 2° Triangolo S. Giorgio-Musinè-Superga. 7) 060853 127236 67° 17°.58".596 S. Giorgio ( (5) 39 85 18 .700 (4) 83 58 22 .800 (dat.) Musinò . 83 58 22 .800 (2) 00 00 00 .000 (9) 000 00 00 .000 (dat.) Superga . 28 43 43 .220 . n —_ __ n (8). 381 16.116.780 3° Triangolo G. Geodesia-Musinè-Bric-Vay. (16) 341° 50’ 23” 447 G. Geodesia 1350012 59/418 l (15) 206 37 24 .329 \ (9) 270 43 25 .044 Musinè . 2146 21005200 “l (1) 248 56 63 .837 (13) 342 48 33 .044 Bric Vay . 33 00 38 .690 ( (12) 819 47 54 .854 179° 59” 59045 e =+0 .222 w;y= + 1,207 COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 921 4° Triangolo G. Geodesia-S. Giorgio-Musinè (05) (. Geodesia (14) 124.4 (6) S. Giorgio l (6) (4) Musinè O) 206° 37° 24.329 168 46 21 .391 104 16 14 .8353 39 39 18 .700 348 11 30 .219 270 43 25 .044 Calcolo di compensazione. 97° 51’ 02.938 64 40 56 .133 di 23 do 400 180° 00° 04.246 e —=+0 .024 w, = — 4.222 Il punto Gabinetto di Geodesia venne collegato alla rete geodetica dell’I. G. M. mediante 2 coppie di triangoli. Dai due triangoli Brie Vay-Superga-Musinè e S. Giorgio-Musinè-Superga aventi il lato comune noto Musinè-Superga, si ricavarono i lati Musinè-Brie Vay e Musinè-S. Giorgio. Il primo servì al calcolo del triangolo Gab. Geodesia-Musinè-Bric Vay, il secondo al cal- colo del triangolo Gab. Geodesia-S. Giorgio-Musinè. Il calcolo di compensazione venne instituito e sviluppato come segue (per l'indicazione delle rispettive lettere veggasì la figura annessa; le correzioni hanno l’indice corrispondente alla direzione segnata in figura): Equazioni angolari 1° triangolo: v13 + vio ca Vaia Ve Di Pa d Va — do data Dis + Us + dis — Vis — di — Vie Wg tè + va + vis — 05 — 03 — Via = Wa ape vita TREE qu. = Wj — Wo 922 G. JORIO Equazione laterale dl — (15)] 6) da sen [(7) — (5)] sen [(15) — (14 )] sen [(10) — (9)] sen [(13) — (12)] =l sen n (8)] sen [(6) — (5)] sen [(13) — (11)] sen [(1 5) ovvero dis 0 — di-505 + dis14 V15 + dis-12 013 — dis-19 Via + dos 08 — dog Vo + desvo — des ve + disn vii — dis-1 V13 + die15 vis — die-1s vie TA =0 910 — d10-9 Va ove si è posto A = [log sen[(10)—(9)]--logsen[(7)—(5)]+log sen|((13)—(12)]| + log sen[(15)—(14)]— log sen [(9)—(8)] — log sen[(6)--(5)] — log sen [(13)—(11)] [(16) — (15)]. — log sen . Equazioni correlate Seguendo i procedimenti noti ed indicando con I, II, III, IV e V i correlativi si trovano le seguenti equazioni correlate: ve = +14 II vv =—-I+I o = — IMI IV v =—I-IV pese lepiicaeeeioee vw =—-IVH+ ds V v=—-II-di_sV vw =-+I1—ds_gyV Vg nana e: 9 + d9-s) V vio = —I— dio-s va = PI dis-n si va = + IN 4 43-18 V vg = — I-II (43-13 — dig-11) V Da = + IV 4 dis V dg — lit Weta) V vis = — HI 4- dig_15 V COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 923 Equazioni normali Sostituendo questi valori delle correzioni nelle equazioni di condizione, e ponendo per brevità: = [2410-9 + des — 2013411 + dr3-10] —[2d,_; — da — Bdgig dios] = [2413-10 — discn == distia sù, 24,615] [da — 249 — 245-104 dis15] — [(Ax_5 — des)? + des? 4 das + de_3° 4 (dios + des)? + di0-9° + dass? + disio + (di310 — di3-11)? + dis148 + (dis14 + d6-15)* + d16-18Î] a b e d e Î si hanno le seguenti equazioni normali: — 61+-2I-2III4+0IV+aV=uw; —2I-61I—-0IHI-2IV+3V=w, —2I40I—-61I+2IV+cV=wg +0I--2IHII+#+2HI- 6IV+dV=uw, +al+dbH+el+dIV+ eV=—-A queste equazioni risolte, quando per brevità si ponga: A=w— av B=w,— dbV C=Ww3— cV D= ww, — dV danno: I = —14--8B+83C4+2D dr 30 30 Rap 3D LI 30 el +24 +8B=38C— 7D 30 924 C. JORIO sostituendo questi valori nell'espressione della V si ottiene: ng 304 + mw, + 2ws + pw, + qu, am + bn + cp + dq — 30e ove si è posto: m=—fa—3b+3c+ 2d = —da—7b4 2ce +4 34 p=+ 3a +26 — 7e— 3d q=+2a+385—3e— 7d Valori numerici. a) Calcolo di A. log sen.:|(10)— (9).Ji==9.8672609) dona == log sen [ (7) — (5)]=9.9649786 di, = + 8.8 log sen [(13) — (12) — 9,5920698 dis, = + 49.6 log sen [(15) — (14)]= 9.7878907. dis_u=+ 27.1 9.2122000 log sen [ (9) — (8)]= 9.6818405 dig = + 38.4 log sen[(6) — (5)]=9.9561433. dig = + 10.0 log sen [(18) — (11)] = 9.7263813 ‘d,;_,, = + 33.5 log sen [(16) — ( (15)] = 9,8478384 dies = — 21.2 9.2122035 9.2122000 8) Calcolo di @, è, e, d. Sostituendo i valori numerici trovati si ha: a="5i-,, 77.8 b=+ 498 ee. N8L.0 d=— 218 e = — 7451.8 COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. . e) Calcolo di m, », p, q. m = — 560.6 n = —6294 p=+ 785.4 q=+ 580.6 con questi valori si ricava: e quindi: N22 0934 IV=— 10201 II = + 0.7380 HI = +.1.3798 I. —= —0.0248 + 0,3046 — — 0.5867 Dio + 0.6418 bn — 0.5597 V12 + 0.3895 013 — 1.6279 Via -L 1.2383 Vis — 0.0678 U16 vo = + 0.1855 = + 0.0477 + 0.3974 = 104991 — + (0947 — + 07077 — — (4955 — i ‘0.2122 Direzioni compensate. 64.142 (9) 06 .832 (10) 25 .686 (11) 29 .859 (12) 19 .089 (13) 13 .205 (14) 13 AT4 (15) 16 .612 (16) 360° ( 132 310 319 342 168 206 541 50) 00.135 11 .572 46 .719 d3 .862 59 .139 22 .099 23.894 23.239 92 926 C. JORIO Verifiche delle equazioni di condizione. 1° triangolo: Brie Vay.. +.G87. spo 10: Superga... irbga. 132 33 Musne note 15 16 180 00 ee= 2° triangolo: Si Giorgio; gar: TE Musinò — ig ts. 89 58 STPonga: fia i 4 28 43 180 00 Ec= 3° triangolo: G. Geodesia ... . l'3BDC42 Marsimtò o siii 9. 21 46 Bue Noys: cf 23. 00 180 00 = 46.426 11 .437 02 .710 0.000 549985 Zoe 43423 00 .815 0815 00.000 59.408 00 .222 0.222 4° triangolo: G. Geodesia . . . dio bl DS: fpresoni oi. 64 40 Muse: gn (18 28 04 .175 00 .024 0.024 180 00 00 .000 COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. log sen [(10) — (9) | = 9.8672612 log sen | (7) — (5) ]= 9.9649793 log sen [(13) DA )]= 9.5920728 log sen [(15) — (14)]= 9.2122008 log log sen [ (9) — (8)] = 9.6818402 log log sen [ (6) — (5) ] = 9.9561425 log log sen [(13) — (11)] = 9.7263803 log log sen [(16) — (15)] = 0.8478378 9,2122008 9.2122008 927 Calcolo dei triangoli rettilinei aventi i medesimi lati 1° triangolo: Superga = m. BV 32 (1) Cfr. R. Commissione Geodetica Italiana, dei triangoli sferoidici. Angoli | Log. seni Log. lati ° 10‘:46/:235| 9.7263798 |4.3963685. | \0.2736202 | 19.8672616 33' 111246) 98672616 |45372508 | 0.1327384 | 9,4204898 16 03.519! 9.4204898 |4.0904785 | Elementi della tica fondamentale a nord del Parallelo di Roma. Firenze, 1908. Bric Vay-Superga-Musinè. Lato noto Musinè- 24909.70 (1). Lati 24909.70 34454.84 rete geode- SG. Su. G.G. BiV. S.G. C. JORIO 2° triangolo: S. Giorgio-Musinè-Superga. Angoli 6 dA 118 28 43 45 .151 Log. seni 9.9649790 9.9475928 9.6818399 | Log. lati | 4,3963685 | 0.0350210 | 9,4975928 | 44289823 1 0.0024072 9.6818399 41182296 5° triangolo: G. Geodesia-Musinè-Bric Vay. Angoli 35912595327 21 46 21 .470 23 200.39 .203 his Angoli 64 40 IO 28 STO o 54 .108 Log. seni 9.8478379 9.5692858 Log. seni 9.7878875 9.9561425 04 .165 | 9,9895224 | Log. lati 4.53972503 | 0.1521621 | | 9.5692853 | | 4.2586977 | 0.4807147 4,5920724 | 42814848 | triangolo: (. Geodesia-S. Giorgio-Musinè. Log. lati 41132294 | | 0.2121125 9.9561425 | 4,2814844 | 0.04388575 9,9895224 Lati 24909.70 26852.38 12978.65 34454.84 19119.86 12978.65 19119.85 4,3148643 |20647.35 COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 929 Calcolo dell’error medio del lato G. Geodesia-Musinè. Si ha (indicando con /D tale distanza e con 5 il lato noto Musinè-Superga): __ Bsen[9) — (8)] sen [(6) — (5)] — sen[(15) — (14)] sen [17) — (5)] log D= log B + log sen[(9) — (8)]={d9_g vo — ds 3 %8 + + log sen [(6) — (5)| + d;_sv — di-st5 — — log sen [(15) — (14)] 4- discia vis — dis-1a 014 == + log sen [(7)— (5)] + ds ®7 i-5.Vs].; ponendo: U, = log B + log sen [(9) — (8)] + log sen [(6) — (5) — log sen [(15) — (14)] — log sen [(7) — si ha: U=U,+ ds_g 09 — dg-3.03 + des 0 — de-sta — — disa4 Vis + dais14 Via — di-5 Vi 3 di-5%5; in questa espressione non figurano tutte le correzioni v, per cui si aggiungeranno a questa le equazioni di condizione moltipli- cate per le indeterminate 4, ks k3 #4 #; e sì otterrà: U—=U, + dsstv9 — ds gg + des Ve — deg 05 — dis Vis + + dis14 Va — di-5.% a SL der + ki [013 + tro dv — da — vv — w]+ + ka [074 va + ve — 85 V9 Vs ws] + + ks [ve + ®8 + Vas — Vis — Vi — Via — ws] 4 ki PIPA ks]? [kx — *o)? [Ra — ka]? [leo 4- ku]? [Ceo — dei — dighe — ky}? File su des + ku LE sua ks 1) di- A 3 du; dy_g]? ; la ki 4_ka + ks dig — (k5 — ) dl cal li + Es dio > i [ re, di3- dà - [a su (d13-12— di3- dl ES ka — (ks — 1) di;- 141? [—k3+ (5 — 1) disus ih + da 1a [ks Fee ks dig als -Mè = 6225.8760 m? M., = 08.904 _m. Ig AE 12.1104 7.9524 0.4489 24.1081 . 168.3981 2738.4226 9389.2912 2754.9011 442.9292 0.2735 1739.8400 709.8494 6225.8760 932 C. JORIO Essendo : m= Îa [rel qs sì avrà: M.,=80 espresso in unità della 7° cifra decimale dei logaritmi. L’error medio temibile relativo sul lato D sarà (dove M è il modulo): (db pd ae Dì M. . 56500 ossia: dD = 02,34. Calcolo delle coordinate geografiche del punto Gab. Geodesia. Non superando la distanza Musinè-G. Geodesia i 20 Km. ed essendo sufficiente l’approssimazione del centesimo di 1' si sono adoperate le formole (1): ; MI afSicoste (s sen 2)° v—9 vas tag® ne pis 2pNsen1l” ssen2 di -00= SZ N sen 1” cos Indicando con 2 l’azimut di G. Geodesia su Musinè e con 2° l’azimut di Superga su Musinè si ha (2): e' = 98° 23’ 38.04 (3) — (@) = 6 30 18..85 I ei MA ap 09 (1) Cfr. N. Japanza, Guida al calcolo delle coordinate. (2) Cfr. R. Commissione Geodetica italiana, Elementi della rete geodetica fondamentale a nord del Parallelo di Roma, Firenze, 1908. COLLEGAMENTO DEL GABINETTO DI GEODESIA, ECC. 933 si ha poi: s= 1911988 log s = 4.2814844 log s — 4.2814844 log s —= 4.28148 log cosa = 9.4101527 n 4.28148 log psenl” — 8,5105036 log sen 2 — 9.98515 1 legno» 9.98515 1 i 2.2021207 n log donare 1.40410 — 159.265 logtagg =0.00172 = 0.869 ser ra 9.93908 o—- © = — 160.134 0.869 log s = 4.2814844 logsene = 9.9851480 1 ve log Nicea? = 8.5090580 log cosp' = 0.1510386 log 0 — 0 = 2.9267240 0° — 6 —=14'04".742 pi — — ‘09002 40194 | e'-0—= 0° 14° 04”.795 ® —= 45 06 48 .334 0 AA MIAO ©' EIA 0 =- 21lrpootg: 056.858 Come riassunto del presente lavoro si hanno i seguenti risultati: a) Distanza: Gab. Geodesia-S. Giorgio m. 20.647,35 l©) ’ 3 -Musinè 219: PLOSO 7 -Bric Vay oli i CY 5) error medio del lato Musinè-Geodesia: m. 0,34 c) coordinate geografiche del punto Gab. Geodesia: @ = 45° 04' 08.200 9107300890. Atti della R. Accademia. — Vol. XLVI. 60 934 MARIO PONZO Osservazioni intorno alla direzione degli errori di localizzazione negli spazi intercostali. Nota del Dottor MARIO PONZO. Nei miei studi sulla localizzazione delle sensazioni cu- tanee (1), uno dei fenomeni che più fermarono la mia atten- zione, fu quello della grande costanza nella direzione degli errori in corrispondenza del V° spazio intercostale sinistro sulla linea ascellare media. Nessuno prima di me aveva, io credo, particolarmente studiata la direzione degli errori su tal regione e nemmeno su altre del tronco, ma le esperienze sulle localiz- zazioni erano state fatte in massima parte sugli arti. Se si pensa ora al grande interesse che si deve rivolgere a questi fenomeni, dovendosi certo riconoscere in essi i fondamenti delle nostre rappresentazioni spaziali più complesse, non parrà strano che io sia ritornato sull’argomento estendendo e modificando le espe- rienze per mettere fuori dubbio il fatto stesso. Mantenni in questa ricerca, in generale, lo stesso metodo che nelle ricerche antecedenti. Le localizzazioni furono fatte secondo il metodo di Weber, nel quale il soggetto, ad occhi chiusi, cerca, tastando qua e là sulla parte con un bastoncino, di ritrovare il punto stimolato. Misurai la grandezza e la di- rezione degli errori servendomi del dermolocalimetro, appa- recchio da me ideato (2), che permette di prendere con facilità e rapidità tali misure. Nelle tabelle che seguono ho però dato solo conto della direzione degli errori. Come direzione di rag- guaglio venne mantenuta quella prossimale lungo l’asse verti- (1) “ Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, Serie II, T. LX, p.41 e T. LXI, p. 15. ° (2) Di un apparecchio per la determinazione facile e precisa della gran- dezza e della direzione degli errori di localizzazione nel campo delle sensa- zioni cutanee, © R. Accademia di Medicina di Torino ,, 1911. OSSERVAZIONI INTORNO ALLA DIREZIONE DEGLI ERRORI, ECC. 935 cale del tronco, che fu costantemente segnata dal grado 45 del disco graduato del mio apparecchio. Avendo io, come al solito, prese in considerazione quattro direzioni principali, ciascuna delle quali è espressa dai gradi di un intiero quadrante, la fi- gura seguente dimostra come io abbia disposto in queste espe- rienze i quadranti nelle misure sugli spazi intercostali di si- nistra (S) e di destra (D) del Prof. Kiesow, e in modo simile negli altri soggetti. Sulla parete antero-laterale del torace gli spazì intercostali corrono obliquamente dall’alto in basso e dal- l’indietro verso l’avanti e la loro direzione può essere espressa da un diametro del cerchio graduato colla stessa inclinazione. wo 6° Q S L> 72) i) Questo diametro è indicato nella figura dalla freccia a due punte. In basso e in avanti esso viene a cadere, per il lato sinistro, in corrispondenza del grado 285; in alto e indietro, in corrispondenza del grado 105. A destra invece alle due estre- mità del diametro inclinato corrispondono i gradi 160 e 340. Facendo di detto diametro, corrispondente alla direzione degli spazì intercostali, Îa linea bisettrice di due quadranti opposti, avremo che tali quadranti saranno compresi a sinistra tra i gradi 60-150 e 240-330; a destra invece tra i gradi 295-25 e 115-205. Gli errori che cadono in questi due quadranti sono quelli che per la loro direzione maggiormente si avvicinano alla direzione degli spazi intercostali; mentre gli errori che cadono 936 MARIO PONZO negli altri due quadranti sono quelli che maggiormente ne di- vergono. Nele tabelle I e II ho raccolto, secondo il criterio sud- detto, i dati ottenuti, nei lavori antecedenti, nel V° spazio in- tercostale sinistro sulla linea ascellare media, e nei quali i quadranti erano stati diversamente disposti. In queste tabelle, come pure nelle successive, in testa alle colonne stanno segnati i gradi limitanti i singoli quadranti ed al di sotto ho trascritto il numero degli errori "caduti in ciascuno di essi. I due primi qua- dranti indicati a sinistra corrispondono alla direzione degli spazi intercostali: sotto al primo è segnato il numero degli errori aventi una direzione verso l’alto e l’indietro; sotto al secondo quello degli errori verso il basso e l’avanti. Gli errori che ca- dono nei due quadranti presi insieme ci danno il numero totale degli errori la cui direzione si avvicina maggiormente a quella dello spazio intercostale. Sotto gli altri due quadranti, a destra dei primi, è segnato il numero degli errori nelle altre direzioni e la loro somma. Nell’ ultima colonna a destra della tabella è riportato poi il numero di quei casi in cui non si ebbe nessun errore. Il numero totale delle localizzazioni nei singoli soggetti per ciascun campo sensoriale è di 50. Tap. I. — Direzione dello spazio intercostale 105° Y 285°. (Sogg. Prof. Kiksow). 60°-150° | 240°-330° | 330°-60° | 150°-240° | 0 DIL "n 30 20 Sr » x Sensazioni tattili Calev: _ 23 1 dot 530 20 best < Mt 7 36 1 4 9 Sensazioni dolorifiche = (AAA Li SE 43 5 2 OSSERVAZIONI INTORNO ALLA DIREZIONE DEGLI ERRORI, ECC. 937 Tag. II. — Direzione dello spazio intercostale 100° ‘4 280° (1). (Sogg. M. Poxzo). | | | | 55°-145° | 2350-3250 | 3250-55° | 145°-235° 0 — aa ili Parte ago zia Sensazioni Tipi se vi | Ù nr tattili "fistie Pag = caina 4 46 d —_ e Esa N “a guitole ug arti i 1 Sensazioni | | dolorifiche | ra Sg so Bitta | 43 6 1! | Da queste tabelle appare chiaramente come si abbia la maggioranza degli errori appunto nei due quadranti corrispon- denti alla direzione dello spazio intercostale: ciò vale per en- trambe le qualità delle sensazioni cutanee investigate. Delle due direzioni lungo lo spazio intercostale la preferita è quella verso il basso e l’avanti. A conferma dei fatti precedenti presi in esame alcune altre località sulla regione toracica sinistra. Usai come stimolo un sottile bastoncino di osso applicato all'estremità dell'estesiometro di Kiesow. La posizione del soggetto fu la stessa che nelle ricerche precedenti; essa si trova descritta nel primo lavoro citato. Scelto un punto tattile sulla regione da esaminarsi, questo veniva stimolato e localizzato 5 volte nella medesima seduta; nella seduta successiva ne veniva esaminato un secondo, e così di seguito. In totale in ogni regione si ebbero 50 localizzazioni per soggetto, di cui 5 per ogni singolo punto. Le esperienze fu- rono fatte sul prof. Kiesow e sul sig. Chinaglia, allievo nel labo- ratorio. A lui e specialmente al prof. Kiesow, anche per gli aiuti ed i consigli, di cui egli non manca mai di soccorrere i suoi al- lievi durante le ricerche, esprimo qui i miei vivi ringraziamenti. (1) La direzione dello spazio intercostale in P. essendo leggermente diversa che nel prof. Kiesow, anche i quadranti risultano di poco spostati. Lo stesso vale per le tabelle concernenti il soggetto sig. Chinaglia. 038 MARIO PONZO Tag. III. — Direzione degli spazi intercostali 105° \ 285°. (Sogg. Prof. Kiksow). | 60°-150° | 240°-330° | 330°-60° | 150°-240° | 0 ot pie glo boglve [f gfie qgion: vt VI spazio interc. 1a avanti; i all | 6 3 drsmistà solo = et n PA DAD Ti 301 lin. mammillare | 30 | 17 9 gere sele pre na icaro i VII spazio id. id. 5) 40) 5) | 2 # sulla lin. ascel- olii RIGLA di i lare anter. 45 5 ab mg Art | VIII spazio id. id. Siti tths43 — | 3 1 sulla lin. ascel- | | \g jroerqa è P ona lare media 46 3 i Tap. IV. — Direzione degli spazi intercostali 100° ‘% 280°. (Sogg. sig. L. CHINAGLIA). | 55°-145° | 2350.8250 | 3250.55° | 1450°-325° | 0 | | | E | VI spazio intere. 17 | 24 — di sinistra sulla lin. mammillare 41 | 9 pri VII spazio id. id. 10 | 1 i | 4 3 sulla lin. ascel- | lare anter. | 38 | 9 3 VIII spazio id.id.| 11 | 30 e 2a 9 sulle: mil ascoli. ‘4 si slsrsccvatat ni cllab nanizd: da so lare media 41 7 | 12 : OSSERVAZIONI INTORNO ALLA DIREZIONE DEGLI ERRORI. Ecc. 939 Nelle tabelle III e IV, riassumenti le esperienze nelle di- verse regioni, tornano a vedersi chiaramente i medesimi risul- tati delle prime e rendono certo il fatto della tendenza delle localizzazioni a disporsi secondo la direzione degli spazî inter- costali. Ad eliminare il dubbio che tale disposizione fosse in re- lazione col braccio localizzatore e colla posizione di questo rispetto alla parte stimolata, condussi una serie di altre esperienze, in alcune delle regioni di cui sopra, alternandole alle prime e facendo eseguire le localizzazioni dalla mano si- nistra, anzichè dalla destra, come prima. Ma, da quanto risulta dalla tabella V, tale fattore non pare eserciti alcuna influenza notevole su'la direzione degli errori, i quali seguitano, in gene- rale, a disporsi nello stesso modo. Tag. V. — Direzione degli spazi intercostali 105° x 285°, L (Sogg. Prof. Krksow). | | | 60°-150° | 240°-330° | 330°-60° | 150°-240° 0 | | VI spazio interc. 2 41 4 | 8 o e di sinistra sulla | Pa. È Db lin. mammillare | 43 7 TPopuso ) 2 _ VII spazio id.id:| 8° | Cral = sulla lin. ascel- | al lare anter. | 43 7 le — Continuando poi ancora a fare localizzare dai soggetti colla mano sinistra, scelsi per di più alcune regioni negli spaz? degli spazî intercostali esaminati. Nel prof. Kiesow si nota, però, da tal parte un predominio degli errori verso l’alto e verso l’indietro su quelli verso il basso e l’avanti, i quali predominavano invece, come si vede dalle tabelle precedenti, nelle altre regioni; continua la prevalenza di questi ultimi nel secondo soggetto. 940 MARIO PONZO Tag. VI. — Direzione degli spazi intercostali 340° 4 160°. (Sogg. Prof. Kresow). 295°-25° | 1150-2050 | 25°-115° | 205°-295° | 0 VI spazio interc. Ai 8 3 12 _ di destra sulla RO -M0O UCI) Jiw lin. mammillare 95 15 St VII spazio id. id. Sd 7 2 | 7 =. sulla lin. ascel- De 5 fre br A ls lare anter. 41 9 sd Tag. VII. — Direzione dello spazio intercostale 345° 165°. (Sogg. sig. L. CÒinAGLIA). 300°-30° | 120°-210° | 80°-120° | 210°-300° 0 VII spazio intere.| 13 | 23 6 5 8) di destra sulla|__01|@_ re de, I IA lin. ascell. anter. | 36 | 11 | 8 Se ora, dopo l’esposizione dei fatti, si tenta di risalire alle loro cause, non sì può, di fronte alla costanza constatata, non pensare ad un probabile rapporto tra la direzione degli errori e quella dei nervi sensitivi che decorrono negli spazì intercostali medesimi e che mandano le loro terminazioni alla pelle della regione costale. Sugli arti pure i nervi sensitivi sono obbligati a seguire l’asse dell'arto e colà parimenti vediamo il predominio degli errori in senso longitudinale, ma non è facile stabilire il rap- porto tra i due fatti, perchè molteplici altri fattori possono in- fluire sulla loro direzione. Così, questa potrebbe essere deter- minata, già di per sè, dalla forma allungata dell’arto, o, tra i fattori psicologici, dalla direzione dell’attenzione, dalle rappre- OSSERVAZIONI INTORNO ALLA DIREZIONE DEGLI ERRORI, ECC. 941 sentazioni visive di certi rilievi anatomici, che sugli arti sono numerosi e ben visibili, ecc. Negli spazi intercostali i tronchi nervosi sono disposti in una maniera molto semplice, per quanto, anche qui, uno stesso nervo si distribuisca alla pelle di diversi spazi ed ogni tratto di pelle sia innervato da varî nervi (1). In codeste regioni man- cano inoltre in gran parte le condizioni complicanti che sì hanno sugli arti, onde il rapporto si afferma più chiaramente e diventa necessario ammettere la relazione tra la direzione del nervo e quella in cui la sensazione viene localizzata. Sul perchè di questa relazione potrà ancora discutersi, ma. in via di ipotesi, non sarebbe improbabile che ciò dipendesse da che processi associativi partecipino al fenomeno. Cioè, po- trebbe darsi che sensazioni riprodotte, originariamente legate ad un eccitamento di terminazioni nervose appartenenti allo stesso nervo, si associno alla sensazione provocata dallo sti- molo. Delle due direzioni, distale e prossimale, possibili lungo l’asse del nervo, la preferita, in queste esperienze, è quasi sempre la distale, cioè, la direzione verso l’estremo periferico del nervo. Tuttavia nel prof. Kiesow a sinistra si è osservato un predominio degli errori in direzione verso l’alto e verso l’indietro nelle localizzazioni fatte colla mano sinistra; e ciò corrisponderebbe ad una direzione prossimale rispetto al nervo intercostale. Tale corrispondenza, però, non può affermarsi in via assoluta, fornendo i nervi intercostali i nervi perforanti, ciascuno dei quali si biforca a sua volta in due branche secondarie, una anteriore che decorre da dietro in avanti ed una posteriore che si volge invece all’indietro, cosicchè gli errori in direzione prossimale potrebbero anche essere in realtà in direzione distale rispetto a tale branca del nervo intercostale. Gli errori in direzione distale stanno probabilmente anche in rapporto colla legge della proiezione eccentrica, per la quale, eccitando un punto qualsiasi di un nervo sensitivo con una certa intensità, la sensazione viene proiettata a quella parte del corpo (1) A. Rauser, Lehrb. d. Anat. d. Menschen, VI Aufl., Bd. II, 1903, p. 590. 9049 MARIO PONZO — OSSERVAZIONI, ECC. alla quale si distribuiscono i suoi rami periferici {1). Così, per es., esercitando una pressione sul nervo cubitale al gomito, si loca- lizza una impressione di dolore o di formicolio sul lato mediale della mano. Ammettendo poi i processi associativi antecedentemente accennati, si comprende che, qualora questi fattori secondarì predominino per ciò che concerne il tratto di nervo situato più a valle, o in quello situato più a monte del punto stimolato, si abbia la possibilità dell’errore nella direzione ‘distale, o in quella prossimale. Siccome, però, nel maggior numero delle regioni del nostro corpo si ha una distribuzione dei tronchi nervosi più complessa che negli spazi intercostali, e la sovrapposizione di parecchi strati muscolari, anche per le sole condizioni anatomiche, di- ventano molto più complesse le cause delle direzioni degli er- rori. Così, per es., su molteplici altre parti del tronco, da me esaminate nello studio delle localizzazioni, forse per tal causa non può più osservarsi una chiara e non mutevole predominanza degli errori in una speciale direzione. È mia intenzione di ritornare ancora sulle considerazioni qui esposte sotto forma di ipotesi preliminare, di portare in favore loro un ulteriore contributo di fatti e di trattenermi anche nella critica di altre teorie, poche del resto, esistenti sullo stesso argomento. Istituto di Psicologia sperimentale della R. Università di Torino (Fondaz. E. E. Pellegrini), diretto dal Prof. Kiesow. (1) A. v. HavLer, Elementa physiologiae, T.IV, Sectio VII, Phaenomena vivi cerebri, 1762, p. 296: © Ergo nervus quicunque compressus, quocunque “loco, modice quidem pressus dolorem facit singularem, vehementius vero “ elisus sensum aufert ei parti corporis animalis, quam suis ramis adit ,. MARIO PONZO — DI ALCUNE OSSERVAZIONI, ECC. 943 Di alcune osservazioni psicologiche fatte durante rappresentazioni cinematografiche. Nota del Dott. MARIO PONZO. $ Secondo il Wundt e la sua scuola il fattore principale della percezione del movimento di oggetti nei dischi stroboscopici e negli apparecchi analoghi sarebbe riposto nell’intervento di ele- menti di rappresentazioni visive riprodotte. Anche senza volere scendere in lizza per codesta teoria, non credo assolutamente sì possa negare che processi associativi partecipino a questi fenomeni e completino l’impressione, manchevole spesso, della proiezione cinematografica. Difatti, come potrebbero acquistarsi così rapidamente. le percezioni di distanza, di grandezza, di di- rezione e di velocità del movimento, senza il soccorso di ele- menti delle nostre esperienze antecedenti ? Non sempre questi processi associativi rimangono nello stesso campo delle sensazioni visive, ma spesso si svolgono anche tra campi sensoriali diversi; ed è su alcune di queste complicazioni che io ho raccolte le osservazioni qui riportate. Le complicazioni in questione possono avere due origini. In un caso, il più frequente certo, le sensazioni associate alle vi- sive non sono determinate da stimoli esterni, ma sono elementi psichici riprodotti. Così, al cadere di acque, al movimento di potenti macchine, allo scorrere delle ruote di una vettura sul selciato, non è insolito che si associ l’immagine acustica ripro- dotta degli stessi rumori. Sono, cioè, parti di molteplici rap- presentazioni acustiche antecedentemente provate in connesso con rappresentazioni visive simili, che ci soccorrono in questo caso e rendono più completa l'impressione visiva, che è la sola effettivamente presente. Questi elementi riprodotti appartenenti ad altri campi sensoriali ed associantisi alle scene della vita portate dinnanzi a noi in immagini visive, sono esponenti non 944 MARIO PONZO piecoli dell'interesse suscitato dal cinematografo. A volte, per esempio, assistendo a codesti spettacoli, sentiamo in noi l’im- pulso ad applaudire. Tale impulso rimarrebbe inesplicabile se fossimo sempre ben consci, nel momento in cui esso sorge in noi, di trovarci di fronte ad una tela e non davanti agli avve- nimenti che ci spingerebbero all’applauso. È indubbio, però, che le fusioni di immagini visive reali con elementi riprodotti non possono mai raggiungere la chia- rezza che osserviamo in associazioni tra elementi sensoriali di- pendenti tutti da impressioni dirette. Così, per es., sono assai vivaci le fusioni fra impressioni acustiche provenienti dalla sala del cinematografo con le immagini proiettate sulla tela. Sono questi i casì che più ci sorprendono quando diventiamo consci dell'illusione stessa. L'illusione dipende in questa circostanza da un errore di localizzazione. Le impressioni sonore vengono riferite ad un luogo diverso dalla loro sede effettiva. In seguito a questo falso riferimento e all'associazione che si stabilisce colle immagini visive, ne sussegue di necessità anche un cambiamento nell’interpretazione delle cause che le determinano. Ciò rende spesso difficile, nell'analisi consecutiva del fenomeno, il compito di rintracciare la loro origine reale. Non è insolito, per es., il caso in cui noi dobbiamo ricer- care la causa di tali impressioni sonore fra i suoni prodotti dalla piccola orchestra che comunemente accompagna lo spetta- colo. Mi ricordo che durante la proiezione di una pellicola rap- presentante le pagode della Birmania, mentre due giovinetti battevano con delle corna su certe campane, io fui sorpreso dal fatto di notare, tratto tratto, non il loro suono, ma il tre- mito speciale che sussegue abitualmente al colpo del batacchio. Risalendo alla causa dell'illusione potei constatare che essa di- pendeva da un'associazione dell’impressione visiva con alcune delle note più basse degli strumenti ad arco dell’orchestra. Questi frammenti di rappresentazioni acustiche fuse con impressioni visive hanno per lo più il carattere di rumori. Un esempio della facilità con cui certi rumori possono essere rife- riti alle scene svolgentisi sulla tela è il seguente: Il tema della proiezione cinematografica era una corsa in automobile nei dintorni di Rio de Janeiro. Durante questo spettacolo ebbi per un momento l’ illusione, mentre l'automobile si avanzava velo- DI ALCUNE OSSERVAZIONI PSICOLOGICHE, ECC. 045 cemente da un punto lontano della strada verso l'osservatore, di sentirne pulsare il motore. Subito dopo mi accorsi che ciò era de- terminato dal rumore di un ventilatore elettrico che agiva nella sala. Parecchie volte mi accadde pure di sentire lo scroscio lon- tano dell’acqua di torrenti alpini e di cascate, e di riconoscere poi come causa di ciò o il rumore del ventilatore o quello pro- dotto dal proiettore cinematografico. Mi ricordo anzi di averne osservato un caso molto distinto dovuto a quest'ultimo motivo, insieme al prof. Kiesow, in una rappresentazione illustrante alcune valli della Savoia. Quanto più brevi sono tali impressioni acustiche, tanto meno facilmente possiamo a tutta prima riconoscerne la vera causa e riferirle al luogo di provenienza, per il che tendiamo subito a fonderle in un’unica rappresentazione totale colle per- cezioni predominanti nella coscienza, che sono, nel caso del cinematografo, quelle visive. In una proiezione cinematografica, alla quale assistevo poco tempo fa, si rappresentava la scena del distacco di un figlio dalla madre: ora, mentre la madre ap- poggiava le sue labbra sulla fronte del figlio, uno del pubblico imitò il rumore del bacio, che fu da me perfettamente localiz- zato sulla tela, tanto pronta in questo caso era stata l’asso- ciazione tra le due rappresentazioni sensoriali. Invece, quando intenzionalmente si cerca di fare associare interi decorsi rappresentativi nei due campi di sensazione, diffi- cilmente si ottiene l’effetto voluto. A tutti sono noti i tentativi di accoppiare le rappresentazioni cinematografiche con quelle acustiche per mezzo del fonografo. Non so se l’avvenire serbi a questi tentativi un risultato più soddisfacente di quello avuto finora, per quanto io ne abbia potuto fare esperienza diretta. A parer mio, anche quando si possa ottenere una sineronicità perfetta nel funzionamento dei due apparecchi, cinematografo e fonografo, in modo da eliminare gli inconvenienti più grossolani, rimarrà sempre la difficoltà grande, e forse insormontabile, della diversa localizzazione del luogo di provenienza dei suoni da quello in cui localizziamo le impressioni visive, che impedirà la fusione perfetta nei due ordini di impressioni. Un riempitivo estetico di molto maggiore valore è rappre- sentato dalla musica, che nei cinematografi italiani viene suo- 946 MARIO PONZO nata mentre sulla tela si svolgono i varì quadri; riempitivo, nel senso che, indipendentemente dal significato del pezzo ese- guito, fa entrare in azione in questi spettacoli muti anche l'orecchio, per quanto le impressioni uditive rimangano sempre nella zona periferica e meno chiara del campo della coscienza. Ed è un'impressione assai penosa che si prova quando, per un motivo qualsiasi, s' interrompe la musica, o quando, essendovi abituati, essa manchi totalmente. Direi quasi che ci accorgiamo di più della mancanza che non della presenza dell'’accompagna- mento musicale. A favorire le associazioni acustico-visive sono diretti gli artifici coi quali dietro la tela vengono imitati i rumori corri- spondenti a quelli che abitualmente si accompagnano al movi- mento di certi oggetti, quali, per es., il rumore delle ruote delle vetture, ecc. Così, provai un'illusione perfetta dall’imitazione dello scroscio della pioggia accompagnante la visione di una scena dell’inferno dantesco e più precisamente di quella pioggia che tormenta i golosi nel terzo cerchio. Se le associazioni tra rappresentazioni visive ed impres- sioni acustiche dirette sono le più facili ad osservarsi, non man- cano però i casi in cui le prime si fondono con sensazioni di altri campi. Nell'ultima osservazione citata dell'inferno dantesco, all’im- magine visiva e a quella acustica sopradetta fu notata chiara- mente da una persona vicina a me un'impressione di umidità e di freddo suscitata in lei dalla visione della scena. Questa impressione, così inconsapevolmente riferita alla rappresenta- zione visiva, era senza dubbio dovuta alle condizioni atmosfe- riche della sera (27 marzo 1911) che era piovosa e alla sala umida e fredda. Assistendo nel mese di giugno dell’anno scorso in un cine- matografo ad una gita di escursionisti torinesi a Tunisi, mia mamma, mentre sulla tela si svolgeva la corsa del piroscafo nel Mediterraneo e si vedevano le onde battere contro il basti- mento, mi disse: “ Pare di sentire fresco a vedere quel bel mare ,. Anche qui certamente l'impressione di fresco, attribuita alla vista delle onde del mare, non dipendeva unicamente da tal fatto, ma vi entrava a comporla. la corrente d’aria prove- niente dal ventilatore che stava appeso al soffitto e che, girando DI ALCUNE OSSERVAZIONI PSICOLOGICHE, ECC. 947 attorno ad un asse verticale, ci rinfrescava di tanto in tanto, quando era volto dalla nostra parte. Impressioni di tal genere rimarrebbero inosservate, se esse per mezzo appunto delle rappresentazioni visive non venissero poste maggiormente in evidenza. Un esempio tipico di una complicazione delle sensazioni visive colle olfattive fu l'illusione a cui soggiacemmo contem- poraneamente, ed indipendentemente l’uno dall’altro. il profes- sore Kiesow ed io. La scena rappresentava una scuderia, nella quale veniva rimosso violentemente del fieno da una greppia. Il professore spontaneamente uscì a dirmi in quel momento: “ Pare di sentire l’odore del fieno ,. Egli preveniva così un’eguale esclamazione da parte mia. Oggettivamente vi era, come con- statammo in seguito, un profumo nella sala, proveniente da una persona che era entrata poco prima e che si era seduta non lontana da noi. Non potemmo stabilire la qualità del profumo, ma potemmo insieme escludere assolutamente che si trattasse di quello del fieno. L'impressione visiva era stata tanto predomi- nante in quel momento da fare associare ad essa un odore di natura diversa e proveniente da ben altro luogo. Si può dire in generale che tutto il nostro complesso or- ganismo sensoriale prende parte ad un decorso rappresentativo effettivamente ed unicamente legato ad un dato campo di sen- sazioni. Anche i fattori secondarî che partecipano assai da lon- tano, nell'estremo limite del conscio, ad una rappresentazione visiva, giovano, associandosi ad essa, alla sua completa perce- zione. Mancando queste parti secondarie, l'illusione della realtà risulta meno perfetta. Così, accade spesso di assistere a vedute cinematografiche prese da una locomotiva in movimento o dai finestrini del treno. Gli oggetti fotografati in questo caso si ingrandiscono rapidamente sulla tela; ciò noi interpretiamo come l’avvici- narsi degli oggetti stessi e subito anche riconosciamo che è la medesima impressione provata tante volte guardando ad un panorama da un treno in moto. Diverse cose, però, indeboli- scono l’illusione, tra le quali, fino a un dato punto, l’imperfetta visione del rilievo e il fatto che, per l’esistenza di una certa luce nella sala, sono visibili i bordi oscuri limitanti la tela illu- minata. Noi possiamo eliminare quasi completamente questi due 948 MARIO PONZO — DI ALCUNE OSSERVAZIONI, ECC. motivi di disturbo guardando monocularmente alla tela attra- verso la mano foggiata a tubo in modo che l’occhio non veda più questi bordi. Procedendo così, l’illusione diventa più per- fetta, ma manca ancora un fattore secondario, che le toglie una parte dell'efficacia e che è costituito da quelle sensazioni muscolari e tattili dovute alle scosse del treno, che accom- pagnano di solito la visione reale degli oggetti in tali con- dizioni. Da notarsi infine è il curioso effetto inibitorio che ha su tutti questi fenomeni associativi, che si svolgono nel campo della coscienza, il fatto stesso di proporci di osservarli. Ogni qual volta mi recai. al cinematografo col proposito deliberato di raccogliere dei nuovi dati intorno alle associazioni acustico-visive, non potei invece mai notarne alcuno. Perciò 1 fatti qui descritti sono stati osservati casualmente, quando, cioè, meno vi pen- savo: una volta percepiti, io li potevo poi analizzare portando su di essi la mia attenzione. - Mi è parso degno di comunicare queste osservazioni, perchè, nel campo non ancora chiaro, per quanto studiato, delle asso- ciazioni, ogni contributo di un nuovo fatto o della maniera di osservarlo può significare un passo di più verso la decifrazione di questi processi psichici assai complicati. Istituto di Psicologia sperimentale della R. Università di Torino (Fondaz. E. E. Pellegrini), diretto dal Prof. Krrsow. LUIGI BOTTI — SUI MOVIMENTI BILATERALI, ECC. 949 Sui movimenti bilaterali contemporanei e non contemporanei. Nota del Dott. LUIGI BOTTI Assistente volontario nel R. Istituto di Psicologia sperimentale (Fondaz. E. E. Pellegrini), diretto dal Prof. F. Kiesow, in Torino. (Con una figura). Scopo di questa nota è di far conoscere alcune ricerche sui movimenti bilaterali dell’uomo e sulla possibilità che essi si compiano o no contemporaneamente, per giungere a qualche conclusione in proposito. Ricerche analoghe furono già intraprese da altri. Alcuni autori, in esperienze sui tempi di reazione, fecero reagire i sog- getti ora con la mano destra ora con la sinistra: alcuni altri fecero compiere movimenti bilaterali intenzionalmente simultanei. Tutti, poi, verificarono una grande frequenza di errori commessi dai soggetti in un senso o nell’altro. Richiamandosi all’ Exner (1), il Buccola (2) conferma pa- recchi suoi risultati, e trova che il tempo di reazione della mano destra è quasi sempre più breve di 5 o (!) fino a 100 di quello della mano sinistra, il che sarebbe per lui spiegabile col mag- giore esercizio della mano destra in tutte le funzioni di movimento. Il Kiilpe (3) raccolse i risultati di quattro tipi di reazione (muscolare, sensoriale, volontariamente preparata, volontaria- mente impreparata) con movimento simultaneo delle due mani; e trovò delle preferenze naturali dell'una o dell’altra mano, dipendenti in massima dalla diversa disposizione psicofisica e da casuale direzione dell’attenzione. Il Wundt (4), citando il Kilpe, dice che le sue esperienze non permettono di trarre conclusioni immediate sulla precedenza dell'una o dell’altra mano. (4) 160=0,001”. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 61 950 LUIGI BOTTI A. Herlitzka (5) reagì simultaneamente con le due mani, e sopra 556 valori ottenuti trovò una precedenza media di 14,24 0 dell'indice destro: questo fatto secondo lui dimostra che “ esiste per i movimenti volontari un unico centro, in cui si forma l’im- pulso motorio, e che ha sede nell’emisfero sinistro ,, donde quell’impulso viene diretto alle zone motrici dei due emisferi e di lì rispettivamente a ciascuno dei due organi reagenti: sicchè la via nervosa, che deve esser percorsa da quell’impulso, ri- sulta più lunga per l’organo di sinistra che non per quello di destra. Nel Laboratorio di Psicologia sperimentale di Torino, il prof. Kiesow incaricò il dott. Civalleri di fare eseguire delle rea- zioni strettamente muscolari, alternativamente con la mano destra e con la sinistra, a 4 soggetti destri e a 3 mancini. Pei primi 8 egli ottenne (su 1000 valori per ciascuno) precedenze dell’indice destro di 4,070; 4,620; 3,480; pel quarto (su 500 valori) 3,110 di precedenza del destro; pei mancini (200 valori cia- scuno) 8,97 0; 2,98 0; 3,200 di precedenza dell’indice sinistro. Questi risultati sono favorevoli alla ipotesi dell’esercizio soste- nuta dal Buccola. Il Kiesow (6), per la reazione sensoriale ad uno stimolo acustico, si valse egli stesso di ciascun dito delle due mani, ottenendo con ciascuno 50 valori. Per tutte le dita, meno che pei mignoli, trovò una precedenza nel movimento di quelle della mano destra. Il fatto inverso trovato pei mignoli è da lui posto in relazione con il lungo uso ed esercizio del suo mignolo si- nistro nel suonare una volta il violino. In un recente lavoro di Paul Salow (7) si parla, fra l’altro, del rapporto di movimenti simmetrici, contemporanei o isolati, e della loro coordinazione col relativo valore temporale. 1l Salow riferisce poi alcuni risultati di Féré (!), cioè un allungamento della reazione nel movimento contemporaneo, e una preferenza della mano destra in confronto della sinistra: ricorda poi che Sinn (2) presuppone maggiore per la mano sinistra la capacità di movimenti automatici e per la destra quella dei motivati (') In “ Rev. philos. ,, vol. 28, p. 37, 1889. (2) In “ Monatschr. f. Psych. und Neur. ,, Bd. 26, S. 234 ff., 321 ff, 430, ete.; 1909. SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 951 (£ Motivbewegungen ,), onde da principio la sinistra lavora nelle reazioni semplici con un maximum di esercizio, a cui la destra tende con maggiore difficoltà. L'esercizio è posto qui in rap- porto con l’appercezione più che con la lunghezza delle vie nervose. Dal rapido esame di questi risultati emerge che raramente la simultaneità effettiva nei movimenti bilaterali è raggiunta. Gli errori, intesi nel senso di precedenze, talora tendono a compensarsi, come appare dalle tabelle del Kiilpe, tal’altra sono presentati a preferenza da uno solo dei due organi reagenti (Buccola, Kiesow, Herlitzka, Civalleri, Féré, Sinn). * * * Per suggerimento del prof. Kiesow ho ripreso queste ricerche. Colla speranza di giungere a risultati concludenti, decidemmo di ripeterle nelle condizioni già volute dagli altri autori, servendoci dei due metodi della reazione separata e successiva dei due or- gani, e della reazione simultanea dei medesimi. Una modificazione fu però da noi introdotta nella scelta degli organi reagenti: in- vece delle mani, facemmo reagire i piedi, i quali sono pure organi bilaterali motori, simmetricamente disposti a destra ed a sinistra dell’asse principale del nostro corpo. In un primo gruppo di esperienze facemmo reagire l’uno e l’altro piede separatamente. Per questo modo si aveva il van- taggio di poter confrontare i tempi impiegati, senza che il sog- getto si preoccupasse di abbinare due processi distinti rendendo volontariamente sincrona la esecuzione dei movimenti. Confor- mandoci alle esperienze di Civalleri, adottammo quindi il metodo della registrazione cronoscopica della reazione rigorosamente muscolare di ciascuno dei due piedi. Il tasto di reazione (v. la figura qui annessa), ampio, slab- brato sul davanti, era posato sul suolo. Il soggetto sedeva comoda- mente su una sedia. Le mani pendevano inerti lungo i fianchi. Le ginocchia erano piegate e le gambe stavano in posizione pres- sochè verticale, tendendo però a portarsi in avanti con l'estremità inferiore. Ciò fu fatto perchè si osservò che, se le gambe stavano o rigidamente verticali o piegate all’indietro, troppo sforzo mu- scolare occorreva per sollevare la punta del piede, che ricadeva più 952 LUIGI BOTTI pesantemente a terra e veniva risollevata con maggior fatica. In- vece, distendendo un po’ più la gamba verso il davanti, sì riusciva a far muovere il piede senza far partecipare che solo pocola gamba al movimento, e la punta del piede rimaneva più libera. Due con- dizioni si rendevano ancora necessarie, e ad esse fu provveduto. Dovevasi far sì che la coscia avesse un appoggio comodo che le risparmiasse contrazioni troppo faticose: poi era d’uopo che il piede si stancasse il meno possibile, giacchè, facendosi punto di leva il tallone, si aveva a sollevare consecutivamente un peso notevole. Per rimediare a inconvenienti di tal fatta, si pose sulla sedia, sotto alla coscia, sino quasi a sostenere il ginocchio, un sostegno, e sovra di esso un cuscino, su cui la coscia riposava completamente in posizione d'inerzia. Così rendevasi inutile un secondo appoggio per la gamba. Il piede poggiava su una tavo- letta orizzontale, su cui di poco sollevato giaceva nella parte anteriore il tasto. Per diminuire lo sforzo del sollevamento del piede, si poggiava quest’ultimo sul tasto non con la punta estrema ma all’altezza dei metatarsi, ossia con quella parte che ese- guisce continuamente il massimo di pressione sul suolo e che è più vicina, che non la punta, al fulcro della leva. Il tasto veniva collocato di fronte al piede che doveva reagire. Il sog- getto reagiva col piede privo di scarpa, per togliere motivi di complicazioni oggettive della reazione. Da principio le esperienze riuscirono un po’ faticose, ma poi il soggetto si abituava facil- mente. Il movimento di sollevamento fu usato per conservare costanti le condizioni, sotto le quali furono condotte le espe- rienze con le mani. Pei due piedi, separatamente, serviva il medesimo tasto. Lo stimolo era acustico e di media intensità. Le esperienze erano ordinate in serie di ca. 10. La reazione era quella muscolare. I soggetti furono due, B. e S. Trattan- dosi di reazioni col piede, va osservato che questi due soggetti sono buoni camminatori. Per ciascun soggetto furon presi 800 va- SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 959 lori. Nelle tabelle sono contenuti i valori medì (nelle tabelle indicati sotto: Media arit.) per ciascun centinaio, le relative variazioni medie (nelle tab. indicate sotto: Vm), la media e la variazione media generali. Soggetto B. Centinaia Piede destro Piede sinistro | Media arit. | Vm | Media arit. Vm Pale | nr rear porti DI fe » 1 ‘150/440 | 11,8250 | 148,310 | 124080 2A (1420 nto TORO dona Mo TEL, Odi oT4 2590075 3. | 146,70, | 10,522, {| 138,03, 9,931, 4. | 145,6%,0 1001039550 .| 136,55, 8,841, 5% 148,50, 9,290 , | 143,62 , 11,014, 6. EI TIA IA gdo MT 5429, 10,368, di: USER RS (Lo wa Raiti Est o 11,906, 8. | 156,76, TA-TUO: pochi TRO 12,040 , Media generale. Piede destro: Media arit. 150,7100; Vm 11,892 o s sinistro: 3 145:698 (el pued2,4548 Soggetto S. | Centinaia | Piede destro Piede sinistro omette Hip cho San 2235 SRI se saba | Media arit. | Vm | Media arit. Vm 1. | 146,880 15,9170 148,760 15,978 0 P.I ll - 148,24, 16,057 , 149,90, 15,988, 35! ||-1145,22 , (16,878 ,,0|1-189,72,- |) 18,607, 4. TIRI 0 YI APPIA RENI ESCI TRI ELE 16312. hi | 147,28, 16,959, 45. 854 14 49% 6. | 146,49, 15,640, 140,76 , 16,049, (8 146,64 , T9r/09%, 139,93 , 16,736 , 8. 147,16, 16,960 , 149,43, 15,544, Piede destro: » | sinistro : Media generale. Media arit. 146,454 0; Vm 16,204 0 > EIAIOI nin A ig 954 LUIGI BOTTI Guardando ai risultati generali ottenuti in entrambi j sog- getti, nel soggetto B. si nota, su 800 valori, un tempo medio pel piede destro di 150,71 0, pel sinistro di 145,69 0, con una differenza di 5,010 di precedenza del piede sinistro. Ciò che qui v'ha di notevole è adunque la precedenza del movimento del piede sinistro. — Nel soggetto S. la media generale di tutti gli 800 valori è di 146,45 o pei tempi del piede destro, e di 144,93 0 per quelli del sinistro: la differenza tra l’un valore e l’altro è di 1,520 di precedenza media del piede sinistro. Anche qui, adunque, precedenza del piede sinistro, ma minore e -con più forti oscillazioni. — In entrambi i soggetti risultano così prece- denze medie, su 800 valori, del piede sinistro. La condizione principale, dalla quale dipende questo fatto, deve con tutta probabilità rieercarsi nell’uso quasi generale, e più frequente nei camminatori, di iniziare la marcia col piede sinistro, la cui maggiore prontezza nel movimento di reazione ci sembra che dia ragione, più che alla ipotesi della varia lun- ghezza delle vie nervose, a quella dell’esercizio. Difatti militari, ginnasti, alpinisti, ecc, sogliono iniziar le marcie col piede si- nistro, e questa preferenza è pure comune nella danza. Veduto il comportarsi dei due piedi nella reazione musco- lare separatamente in modo successivo, pensammo di stabilire alcune esperienze di abbassamento simultaneo dei piedi, per poterne paragonare i risultati con quelli precedenti. Pensammo inoltre di far reagire nel modo indicato, contemporaneamente non più soltanto due organi, le cui distanze dal centro motore differissero di una quantità minima, ma due tali che risultassero l'uno molto più lontano dell’altro da quel centro. Sorse perciò in noi il proposito di mettere direttamente a confronto le rea- zioni della mano con quelle del piede, organizzando combinazioni diverse d'una mano con un piede, per vedere se, variando ogni volta le condizioni di lunghezza delle vie nervose dal centro agli organi motori, si veniva a variare in modo analogo i tempi di quei movimenti, e sopratutto se il ritardo del movimento del piede in confronto di quello della mano tornava a manifestarsi in modo sufficiente e costante. Anche in questo caso, come in quello dell’abbassamento simultaneo dei due piedi, si rendeva SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 955 più necessario il metodo grafico, il quale permette di registrare agevolmente e in modo diretto più movimenti simultanei. Nelle tabelle sono indicati prima i risultati dell’abbassamento dei piedi, poi quelli del sollevamento di una mano e di un piede, diversamente combinati ogni volta. I soggetti sono ancora due, B. e S. Per regolare la successione dei movimenti a intervalli eguali, si scelse il ritmo di un metronomo o anche il solo ritmo interno soggettivo. Nell’un caso e nell’altro l’intervallo tra due battute consecutive era eguale a ca. 1”. Prima, però, di esporre i risultati, faremo alcune. osserva- zioni sulla disposizione delle esperienze, e precisamente di quelle con combinazioni diverse e alternate di mano e. piede. — Dei due tasti identici, uno era posato sul tavolo e serviva per la mano, l’altro sul suolo e doveva esser premuto dal piede. Le condizioni di appoggio e di posizione del piede e della mano erano tali che, il corpo giacendo immobile e senza alcun disagio, rimanevano solo libere di reagire le estremità in questione. Si temeva da principio che la coordinazione dei due movimenti riuscisse difficile; invece, col crescere dell’esercizio, essa divenne più facile. Dapprima, non essendo stabilito ancor bene interna- mente il ritmo cadenzato, si aveva notevole dissociazione di movimenti con tendenza al ritardo del piede. Il soggetto che di ciò si avvedeva, cercava di rimediarvi rafforzando l’im- pulso, accentuando l'onda ritmica e cercando di meglio regolare la preparazione alla coincidenza. Allora, mediante la fusione dei suoni dei due tasti, consecutivi al movimenti, ed anche mediante la conscia coincidenza dei due impulsi e dell’inizio dei due movimenti, si stabiliva man mano un adattamento delle due funzioni allo scopo della simultaneità : la mano cer- cava di ritardare, mentre il piede tendeva ad accelerare, compensandosi così gli errori in un senso e nell’altro. L’atten- zione mirava non soltanto alla preparazione simultanea dei movi- menti, ma ancora alla simultaneità del loro periodo finale, mercè la rappresentazione dei movimenti delle estremità reagenti e l’attesa dell'istante della loro coincidenza, nel quale si deve accentuare l’onda ritmica e soddisfare la tensione dell’attenzione stessa. Quindi, oltre la volontà e l'intenzione soggettiva di com- piere movimenti simultanei, l’acegrdo iniziale nell’impartire e ripartire gli impulsi si manteneva per tutto il decorso del pro- 056 LUIGI BOTTI cesso psico-fisico sino a tutto il movimento eseguito, ed anzi si rafforzava nell'istante della esecuzione della reazione motrice. Con ciò non intendiamo parlare di coincidenza effettiva, costante ed assoluta, ma solamente di tendenza generale e soggettiva, che si rivela in una specie di equilibrio nella distribuzione degli errori. Quanto ai risultati delle tabelle per le combinazioni di mano e piede, essi riguardano combinazioni di mano e piede dello stesso lato (sinistro o destro) o di lati diversi (piede destro e mano sinistra, o piede sinistro e mano destra), tre serie per ciascuna specie di movimento, sia con ritmo soggettivo che col ritmo del metronomo (intervallo = ca. 1°). Infine si aggiunsero 3 serie, per ciascun soggetto, di movi- menti di mano e piede dello stesso lato (destro) con solleva- mento e non più abbassamento dell'organo (in ambo i casì si utilizzava l'apertura del circuito elettrico nel tasto), perchè, es- sendo sorto in noi il dubbio che nell’abbassamento il piede pel suo maggior peso tendesse ad abbassarsi e quindi a reagire più presto, volevasi vedere se, eseguendo il movimento opposto più sfavorevole al piede che alla mano, si avessero risultati giusti- ficanti quel dubbio. Per quanto riguarda la giusta interpretazione delle tabelle, considerando le colonne verticali, in cui son distribuiti i valori, da sinistra verso destra, la prima contiene la data, la seconda la media dei valori di una serie (media calcolata sommando separatamente le precedenze del piede destro e del sinistro, poi sottraendo uno dall’altro i due totali trovati e dividendo la dif- ferenza pel numero dei valori; essa nelle tabelle è indicata con: Med. ar.); la colonna seguente contiene la variazione media cor- rispondente (nelle tab. indicata con Vm); segue una colonna in cui è data la media assoluta sull’esempio del Kiilpe, calcolata sommando insieme tutti i valori e dividendo il totale per il loro numero (essa è indicata nelle tab. con M in corsivo); poi è data la variazione media di questa media assoluta (nelle tab. indi- cata con Vm in corsivo); infine il numero delle esperienze per ciascuna serie. Il segno + indica precedenza dell’organo destro, e il — precedenza del sinistro. Nelle tabelle riassuntive generali la prima colonna a sinistra contiene l’indicazione delle esperienze eol metronomo e col ritmo soggettivo, e l’ultima indica i soggetti. SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 957 I. Abbassamento simultaneo dei due piedi. a) Esperienze col ritmo del metronomo. Soggetto B. Data Med. ar Vm M Van n 17-1-1910 +4,229| 9,690 | 12,590 | 7,680 | 22 id. 2096, | (19.083 ATI, \14,27, 25 id. + 3653, 14500 17,23, | 10,71, | 26 Soggetto S. dd | nia A 19-1-1910 —2,54,| 28,68, | 31,00, | 20,36,| 22 id. 18:88 le B0899t 43128, 15,297 | 215 id. 210,457 | ROSS ZI 0 24 | B) Esperienze col ritmo soggettivo. Soggetto B. Data Med. ar. Vm M | Vm n 13-1-1910 +4,580| 19,000 | 22,420 | 14,590 | 24 id. —18,00,| 13,24, | 23,24, | 14,10, 21 id. HE, | 17,92, | 16,08, 999, 24 ii S. 17-1-1910 —1,25,| 24,09, | 25,13, | 14,78, | 16 id. = 605042579: (-20;755 7 e Liybo , 24 id. — 1126, 39, 81, | 49,70, | 26,13, 23 958 LUIGI BOTTI TABELLA RIASSUNTIVA (*). SM SVm.;|. SM. | SV | n [Soggetto di (O | Esperienze 3,240 | 14,260 |15,650|10,890| 73 B. col metronomo | —8,63,|22,03, 28,38 ia E S | | | | Esper. con ritmo| —4,42 , |16,72,|21,25,|12,51,| 69| B. soggettivo —28:9£ 320590 731,907 M735, 03 S. II. Combinazioni di mano e piede nell’abbassamento simultaneo. a) Esperienze col ritmo del metronomo. 1. Abbassamento di piede destro e mano destra. Soggetto B. Data | Preced.| Med. ar. Vm M Vm n 15-1-1910 | mano |:10,860 | 12,530 | 21,210 | 12,180 | 28 id. mano | 11,30, | 14,14, | 20,20, ,..| 15.dI 40 id. piede 26,35, | 16,92, | 26,35, 16,92, | 26 | Soggetto S 19-1-1910'| piede | 19,31, | 11,67, | 17,54, | 12/161.| 26 id. piede | 18,77, | 12,08,.|21;15, | 12,09, | 26 id. piede | 10,36, «|12256 ,, | 10,540 00 17303 | Î Î Î Ì (*) La lettera S sta ad indicare, nelle colonne dei valori, che si tratta di medie e variazioni medie generali, desunte dalle esperienze con metro- nomo e con ritmo soggettivo. — Le abbreviazioni: Med. ar. e Vm indicano la media e variazione media delle precedenze; M e VYm la media e varia- zione media assoluta; » il numero delle esperienze. SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 959 2. Abbassamento di piede sinistro e mano sinistra. Soggetto B. | | | Data Preced.| Med. ar. Vm M | Vm NICO 15-1-1910 | piede | 7,200 | 13,980 | 18,480 | 12,94 0 | 25 id. piede | 16,30 , | 16,84, | 29,33, | 12,84, | 27 id. mamo (07, | 540, | 20,1, | 10,28, | 28 Soggetto S. n kl ANI | 19-1-1910-|-mano |,}.9;58 , |14,24 , |,19,17, | 15,31, | 24 id. piede 15,84 , | 15,22 , | 26,08 ,,| 14,18, | 25 id" | mano| 5,52, | 15,85, | 20:56, M98, (025 | | | | | 3. Abbassamento di piede destro e mano sinistra. Soggetto B. Data | Preced. | Med. ar. Vm | M Van n ai | iù mira MARR I 15-1-1910 mano | 4,640 | 17,620 | 21,68 0 16,150 | 25 id. ‘| piede! .9,09, |:14,58, | 20,80g0|:13,10, | 23 id. | mano | 13,45, | 11,46, | 19,09 gnE11,57 , 10:22 Soggetto S. | | | | | 20-1-1910.| mano |: 9,31, |-1275, | 18,77 ,1.| 12,751, | 26 id. piede (:,2/20, (112526 , 418,96 axk;10,04 , È: id. inano 1,016 0016]57, 412044 sbhid5;17 , 1125 | 960 LUIGl BOTTI 4. Abbassamento di piede sinistro e mano destra. Soggetto B. Data Preced. | Med. ar. Vm M | Von n 15-1-1910 | piede | 9,790 | 22,030 | 28,460 | 24,890 | 24 id. |’piedéel 9,88, | 15,90, | 22,62, | 13,28, | 26 id. piede | 5,91, | 8,53,» \1322, 10,13 , 123 Soggetto S. | | 20-1-1910 | piede | 5,77 id. piede id. piede LUb5I, | ode, siglare lor 5 | 1,40 999,794 1-2 619, P4E94, n L14927 203948051, 26 | | | B) Esperienze col ritmo soggettivo. 1. Abbassamento di piede destro e mano destra. Soggetto B. Data Preced. | Med. ar. | Vm M 077) IRC 14:1-1910' | mano | 14;81 0 |:14;390 | 26,33 0. | 11,680 | 21 id. mano |:20,62 , | 26,29, | 39,19,,|/27,59, |.21 id. mano | 7,42, | 14,52, | 18,190] 15,10, | 26 Soggetto S. UNI E sel Ide | 17-1-1910 | piede | 2,36, | 19,84, | 20,36, | 12,56, | 25 id. | mano ‘|' 488, |/14}37, |-18,32/| 10,44 ,.1|/25 id. | piede | 4,04, | 16,97, | 20,13, bot 9,82 pali 23 | | | nr. ....éé—__rr—mr_’T————r——r—r’r_—’..iEkE*-EEE kkpx;«@x;€.eeEEÈb»®@MIÉ SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 2. Abbassamento di piede sinistro Soggetto B. e mano sinistra. 961 Data Preced. | Med. ar. Vm M Vin n 14-1-1910. mano | 0,080 | 28,770 | 28,850.) 19,530 | 26 id. piede i°.1x/3:, 27,04, | 28,99, | 18,41, 126 id. mano 44,42 20,60, | 48,92, | 20,82, | 24 Soggetto S. | TEL: 17-1-1910* |) mamo" 6,96%5|17,74*7.) 22,76% 14,390! | 25 id. piede. \_0,25.a| 15,43, (15,67 | _8,96., | 24 id. mano | 9,227 | 10,10, | 19,09, | (24. 28 3. Abbassamento di piede destro e mano sinistra. Soggetto B. Data Preced.| Med, ar. Vm M Vm » 14-1-1910 | piede | 5,500) 16,780 | 20,580 | 17,250 | 26 id. mano | (2,95, | 17,87, | 20,32, | 9,98, | 22 id. mano | 13,31, | 10,67, | 17,99, | 11,56, 29 Soggetto S. Î Îî eta 19-1-19Î0 | mano-|14,92/)-ln,440!. us sot 11,a5hpi 24 dl LE mano | 209, laici, Lioagode L06795 USL id. mano | 23,43 , | | 29,43, ei TI | 9,95, | 962 i LUIGI BOTTI 4. Abbassamento di piede sinistro e mano destra. Soggetto B. | Î Data | Preced.| Med. ar. Vm | M Vm n 14-1-1910 soda Ts | 14850 (15,860 II2100024 id. mano #oi41 20/1842 39 418398 7461525 4025 id. | piede | 20,133: 23,250441425, 2900] 2503 ARNZE Soggetto S. | nl | | piede | «6,84, | 1015 | I 19:1-1910 (-14;28,77 80606 id. piede. 19,96, 10,32 ;- 220,42, 0 10/2425 id. | piede | 17,81: | 13,53% 23,422 | 18,78 26h26 | | TABELLA RIASSUNTIVA. a) Esperienze col ritmo del metronomo. Preced. | SM (4) SVm | SM | SVmn | n (e 1. Abbassamento di piede destro e mano destra. | | TI | piede 1,560 | 14,590 |. 23,610. | 14,720.| 81... B. piede | 16,055@ 011,97 p&|0:20,425RC11,60rg%) 582 | S. 2. Abbassamento di piede sinistro e mano sinistra. | | | | | piede | 3,16, | 14,07, | 22,84, | 12,02, | 80 | B. piede 0,2 dA 0 baie 25, | 15,10, 21,94, |13,62, | | (4) M= Media aritmetica. SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 963 3. Abbassamento di piede destro e mano sinistra. | | | ì | mano | 3,00, | 14,55, | 20,35, | 13,61, | 70 B. mano | 4,76, | 13,53, | 17,72, | 12.65, | pe tot | | | Ì | 4. Abbassamento di piede sinistro e mano destra. piede | ae on el ra op piede | 8,325 19,12 (48:70 12,07, | 8 Di Ì PIEDI | = SII Ra — all no 8) Esperienze col ritmo soggettivo. — Sica e Preced. SM | SVm SM SVm | n |Soggetto Ì 1. Abbassamento di piede destro e mano destra. mano | 14,280 | 18,400 27,900 | 18,120 | 68 | B. piede 0,515 [A#:06oia 419,60 AT1;94-,0 | 079-| S. — a - - —_ ai 2. Abbassamento di piede sinistro e mano sinistra. Î | | =» | diri nano. 14200 25:50 35,5 LI MU959%4 76 B. mano, (53,11 56 14,644 7.07.27 po G19,98.s18 72 sbpliò. 5. Abbassamento di piede destro e mano sinistra. | li 59, dla ,59 119,61, |12,98, |, 970 CR. 55 ,.| 12,1 mano LL È 1218, 21,30, | 12,31, 4. Abbassamento di piede sinistro e mano destra. piede |' 464, |'16/843/| 19,84, 16,625) 74 piede | 14,87, | 11,33, |-19,37, | 10,93, | 77 ni 964 LUIGI BOTTI III. Sollevamento di piede destro e mano destra. Esperienze col ritmo del metronomo. Soggetto B. Data Preced.| Med, ar. | Vm. M | Van n 21-1-1910 | piede | 19,57 0.| 15,710 | 23,140 | 16,730 | 28 id. mano | 32,25 , | 22,00, | 34,68, | 22,40, | 28 id. piede 10589," 242519798, ESA | Î | | | Ì Soggetto S. Î Î 21-1-1910|nano. 10,14, LILSTO., 22:29 0200 | 98 | Md id. piede | 9:92, 13.:990 | 18,23... 13,860 826 id. PIEdEN III NS N SITO | 28 | | | | | TABELLA RIASSUNTIVA. | | | Preced.. |. |. .SM. | > SVm. | SM | SV n |Soggetto jul | | i | mano | 0,600 | 16,710 |.25,930.| 16,940 |: 83 | B. piede |. 3,13, | 13,69, | 20,73, | 10.,87Jd,&8:82_ man. | | I | | Primo gruppo di risultati. — Nelle esperienze col ritmo del metronomo, il soggetto B. ha una piccola precedenza media (in 3 serie) del piede destro, molto grande la deviazione media assoluta dalla contemporaneità, una coincidenza sola, e alter- nati con frequenza i valori massimi e i minimi ; il soggetto S. ha una precedenza media del piede sinistro abbastanza note- vole, un forte squilibrio tra errore relativo ed assoluto cioè discontemporaneità accentuata e variamente distribuita, un er- rore massimo di 110 o, e una sola coincidenza. — Le stesse esperienze con ritmo soggettivo diedero per risultato nel sog- SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 965 getto B. una precedenza del piede sinistro, che è di poco più che 40, quindi non molto diversa dalla media ottenuta nelle reazioni muscolari separate di ciascuno dei due piedi; è però alta la Vm., grande la differenza tra errore medio assoluto e relativo; insomma frequenti sono gli errori, ma non pochi i compensi. Nel soggetto S. in questo caso si ha pure una precedenza media del piede sinistro di ca. 8.0, con alta Vm. e alto errore medio assoluto. — Come risultato generale di questo primo gruppo di esperienze s’avrebbe che in media entrambi i sog- getti dimostrano qui, come nelle precedenti esperienze, una pre- disposizione alla precedenza del piede sinistro. Questa tendenza, che contrasta con quella in senso opposto, che si verifica per le mani nei comuni soggetti destri, starebbe a confermare l’in- fiuenza dell’esercizio sul tempo di reazione, perchè, come delle due mani è in media più pronta a reagire quella che è più esperta nel lavoro manuale, così dei due piedi risponde in ge- nere più direttamente al comando centrale quello che è più esercitato. Secondo gruppo di risultati. — Diverso è il caso delle espe- rienze con combinazioni varie di mano e piede. Anzitutto abba- stanza grande è la deviazione assoluta dalla simultaneità, spie- gabile con la più difficile coordinazione dei movimenti eseguiti. Dalla tabella riassuntiva si desume che in B., su otto gruppi di esperienze, ha luogo in media 4 volte la precedenza del piede, e 4 quella della mano ; in S. 5 volte in media precede il piede e 3 la mano. In B.,, fatta la media di tutte le medie, risulta una precedenza media generale della mano di 2,18 0: in S. una precedenza media generale del piede di 1,57 o. Valori, questi, di poco rilievo, cioè poco diversi da zero: dal che si può dedurre che in media in queste esperienze di reazioni simultanee di mano e piede, non si ha affatto un costante ritardo del piede, come sarebbe da attendersi per l'ipotesi del ritardo dovuto alla più _lunga via nervosa; ma si ha bensì una generale tendenza media alla compensazione degli errori, forse dovuta in parte alla coin- cidenza voluta nella preparazione del movimento simultaneo, favorita dall'impulso interno ritmico o dalle battute del metro- nomo. Questa tendenza sarebbe diretta non ad assecondare gli effetti di vie diversamente lunghe di propagazione dell’energia nervosa, ma bensì a correggerliì. Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 62 966 LUIGI BOTTI Venendo a qualche dato più particolare, osserviamo che nelle combinazioni di mano e piede dello stesso lato, tra l’uno e l’altro soggetto si ha in media una quasi insignificante pre- cedenza del movimento della mano. Quanto alle combinazioni di mano e piede di lati diversi, si nota nel caso di piede destro e mano sinistra una precedenza media della mano, e nel caso di piede sinistro e mano destra una precedenza del piede; e ciò in modo quasi eguale e di pieno accordo nei due soggetti. Quello che, poi, più sorprende è il vedere che nella combina- zione di mano destra e piede sinistro, nella quale si ha pel piede la via nervosa più lunga del lato sinistro e per la mano quella più breve del lato destro, proprio allora si ha, invece di un ritardo del piede, una notevole precedenza di esso e in entrambi i soggetti. Se diamo uno sguardo ai risultati delle esperienze analoghe eseguite col soccorso del solo ritmo soggettivo, vediamo che, mentre B. ha le medie relative più alte nelle combinazioni di mano e piede dello stesso lato, per S. si verifica il contrario. Alta è ancor qui la media assoluta, notevoli le oscillazioni; in genere, risulta maggiore qui Ja deviazione assoluta dalla con- temporaneità e maggiori anche le oscillazioni nella distribuzione degli errori. — Confrontando queste esperienze a ritmo sogget- tivo con quelle regolate dal ritmo del metronomo, osserviamo che le tendenze ad una data precedenza non son sempre iden- tiche nelle combinazioni identiche: ciò che in tutte egualmente si manifesta è la tendenza media generale alla compensazione degli errori. Terzo gruppo di risultati. — Venendo alle esperienze di sol- levamento, fatte secondo il ritmo del metronomo, rileviamo press’a poco le stesse caratteristiche di quelle precedenti. Anche qui è grande la sproporzione tra la media assoluta e quella re- lativa, che è inferiore alla prima. La Vm. è pure alta, più alta che nelle esperienze col metronomo. Importante è la prevalente tendenza media alla precedenza del piede ; il che dimostra che la maggior fatica durata dal piede nell’alzarsi con tutto il suo peso non influisce affatto nel senso di cagionare un ritardo del suo movimento. Difatti il soggetto B., su tre serie, ha bensì una precedenza media della mano, ma essa non raggiunge nep- pure 10; e il soggetto S. ha una precedenza generale media del piede, la quale supera di poco i 3 0. SUI MOVIMENTI BILATERALI CONTEMPORANEI, ECC. 967 Da tutte queste esperienze dei tre gruppi citati, risulta adunque non una precedenza costante della mano o del piede, ma una distribuzione compensatrice, in media, delle precedenze dell'uno e dell’altra. * * * Riassumendo e concludendo : Sia nelle reazioni intenzionalmente simultanee dei due piedi che nelle loro reazioni muscolari separate e successive, il sog- getto commette errori, cioè fa precedere quasi sempre e indi- pendentemente dal proprio volere l’uno o l’altro movimento. Questi errori sono dovuti in generale ad oscillazioni e disturbi della disposizione psicofisica, e, per quanto risulta dalle nostre esperienze, dimostrano una lieve tendenza a reagire più presto col piede sinistro, che è il più esercitato. Nei movimenti simultanei combinati di mano e piede non sì può dire che uno dei due organi reagenti si dimostri costan- temente più pronto dell’altro. Senza entrare in ulteriori discussioni, per ora ci limitiamo ad osservare che le nostre esperienze, come quelle di Civalleri, non sembrano parlare molto in favore dell’ipotesi di Herlitzka. Esse sembrano piuttosto dimostrare quanta importanza abbia l'influenza dell'esercizio sulla durata di una reazione, e si accor- dano inoltre col pensiero del Kiilpe, il quale dice che, mentre la dipendenza dalla disposizione psicofisica produce solo una rea- zione dei due organi bilaterali con differenze di tempo ed oscil- lazioni, la intenzione -di reagire simultaneamente tende a can- cellare quelle differenze, in ciò facilitata dal ritmo. Posto così termine a questa nota, mi sia permesso rivolgere un pensiero di gratitudine al mio Maestro. Prof. F. Kiesow, da cui m’ebbi validissimi aiuti e consigli. 968 LUIGI BOTTI — SUI MOVIMENTI BILATERALI, ECC. LR TIRATURA (1) Exxer, Physiologie der Grosshirnrinde, © Handb. d. Physiol. ,, herausgeg. von Hermann, Bd. II, 2. Th. S. 262, Leipzig, 1879. — In., Experimentelle Untersuchung d. einfachsten psychischen Processe, I Abhandl., “ Pfliigerîs Arch. f. d. ges. Physiol. ,, Bd. VII, S. 601 ft.; II Abhandl. (Ueber Reflexzeit u. Riickenmarksleitung), “ Pfliger’s Arch., etc. ,, Bd. VIII, S. 526 ff.; III Abhandl. (Reducirte Reflexzeit), “ Pfliiger's Arch., ete. ,, Bd. XI, S. 403. (2) Buccora, La legge del tempo nei fenomeni del pensiero, pagg. 58, 113, 145, 169, ecc. (3) Kiiler, Ueber d. Gleichzeitigkeit u. Ungleichzeitigleit v. Bewegungen, “ Wundt’s Philos. Stud. ,, Bd. VI, S. 514 ff.; Bd. VII, S. 147 f. (4) Wunpr, Grundziige d. physiol. Psych., V Aufl., Bd. II, S. 471, 475 fi; Bd. I, S. 257. — in., Untersuchung zur Mechanik d. Nerven u. Nervencentren, I, S. 193, Stuttgart, 1876. — In., Ueber psychologische Methoden, © Philos. Stud. ,, Bd. I, S. 1 ft., 1883. — In., Menschen- u. Thierseele, III Aufl., Leipzig, 1897. (5) A. HerLitzkA, Ricerche cronoyrafiche sui movimenti volontari bilaterali, “ Arch. di Fisiologia ,, vol. V, fasc. III, marzo 1908. (6) Kresow, Beobachtungen ib. d. Reaktionszeiten momentaner Schalleindriicke, “ Arch. f. d. ges. Psych. ,, Bd. XVI, 3. u. 4. H., S. 352. (7) PauL SaLow, Untersuchungen zur uni- und bilateralen Reaktion. I (Ent: wicklung der Auffassung und Behandlungsweise der Reaktionsversuche), “ Psychol. Stud. ,, herausg. v. W. Wundt, VII Bd., 1. u. 2. Heft, 1911. (14 GABRIELE LINCIO — D'UNA DOLOMITE FERRIFERA, ECC. 969 D'una dolomite ferrifera del traforo del Sempione. Nota dell'Ing. Dr. GABRIELE LINCIO. (Con 1 Tavola). Visitando alcuni anni fa le gallerie e le discariche al Sem- pione sul versante italiano, durante i lavori del traforo, trovai alcuni interessanti esemplari d’una dolomite ferrifera. Una certa quantità di essi mi venne poi fornita da un minatore, che mi disse d’averla trovata nella gran galleria, versante italiano, a ca. 4590 m. d'avanzamento. Debbo infine alla squisita cortesia del collega prof. Gilardi, allora ingegnere presso l'impresa di costruzione del traforo, se potei avere anche il materiale della medesima dolomite da lui stesso raccolto in posto e per questo gli rendo cordiali ringra- ziamenti. La dolomite ferrifera qui studiata si depositò sulle pareti d'uno schisto micaceo già rivestite da cristalli di mica, clorite, pirite, quarzo e siderite. Ad intervalli di tempo pare che si sia depositata con essa e su di essa la calcite. Insieme con la dolomite si formarono pure finissimi reticoli di sagenite. La dolomite si presenta cristallizzata in aggregati di cri- stalli costantemente a facce curve. Vedi nella tavola fig. 1-6 nello ingrandimento di 1 + -, volta. Essa mostra la tendenza ad una specie di bi- e tri-gemina- zione, dirò, d’aggregato; vedi rispettivamente fig. 1 e 3 e poi fig. 2 e 4. I bigeminati (fig. 1 e 3), riportati ad individui semplici a faccie piane, avrebbero gli assi c paralleli tra loro con piano di contatto (1120) == (101). Un terzo individuo, connesso allo stesso modo coi due, chiuderebbe il ciclo e darebbe un trigeminato (fi. 2 e 4) ovvero, ciò che fa lo stesso, può darsi che il trige- minato (fig. 2 e 4) si sia formato in origine attorno ad un rom- 970 GABRIELE LINCIO boedro nucleo e che i tre individui si sieno messi attorno a questo in posizione di geminato secondo (1010) = (211) con gli assi c paralleli nei quattro individui. Con ciò i tre individui ri- sultano tra loro paralleli. Simili geminati della dolomite di Tra- versella vennero studiati da Quintino Sella (*) e da lui disegnati nella Tav. II e specialmente a fig. 17. Vedi pure H. Hofer (**): Ankerite di Erzberg presso Fisenerz. Data la forte tendenza della dolomite ferrifera all’aggre- gazione ed avendo essa i romboedri fondamentali a facce curve, ne risultò che coll’aggregazione di questi si formarono delle branche ricurve, come mostra la tavola con le fig. 1-6 e che nel caso di geminazione queste branche la mantennero almeno se- condo l’angolo equatoriale. Gli assi c vennero invece in ogni branca rispetto agli individui, che per aggregazione li formano, a divergere gradatamente fra loro. Lo spigolo culmine d'ogni branca suole presentarsi o dolcemente ricurvo, fig. 1 e 2 ed anche fig. 4, ovvero viene a dentellarsi come in fig. 5, visto di fianco, od infine presenta una specie di costa, fig. 6. Figura 3 mostra un bigeminato visto di sotto. Allo spigolo culmine soprastà qui una faccia concava, che si presenta in pieno a sinistra della figura e mette in rilievo l'aggregazione. Fig. 10 fa vedere un romboedro di una dolomite coronato in giro da scalenoedri di calcite aventi con la dolomite l’asse e parallelo. Come si vede, l’asse c è normale al piano della tavola. Va fatta eccezione per una parte della faccia anteriore del rom- boedro, che porta un altro individuo di dolomite in posizione di geminato rispetto al primo. In questa parte si trova pure uno scalenoedro di calcite non orientato. Detto gruppo venne trovato nella stessa località della dolomite ferrifera. Per determinare il peso specifico e far l’analisi della dolo- mite qui studiata cercai con la lente il materiale più traspa- rente, privo di inclusioni di sagenite e di pirite, e ne potei raccogliere una buona quantità. In questo però si osservavano al microscopio delle inclusioni minutissime di liquido e di gas. (*) Quintino Serra, Studi sulla mineralogia sarda, 1856, pag. 14. (**) H. Horer, Mineralogische Beobachtungen, 2 Reihe, “ Tschermak Min. Petrogr. Mittlgn. ,, XII Bd., pag. 504. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 971 Scelsi pure alcuni romboedri di sfaldatura con le facce meno curve che mi fu dato di rinvenire, e li adoperai per la misu- razione dell'angolo del romboedro medesimo. Con tutto ciò al goniometro le facce si presentarono decisamente curve e con immagini multiple. La media di varie osservazioni al goniometro Goldschmidt con messa in posizione polare media ad anello mi diede hi= p.==43097' Con questo si calcola: sin 43°37'. sin 60° = sin 36941’ = sina la — oo — Ae -r (Dana) 180° — 73022’ = 4 106°38/, esterno dal R. di sfaldatura. Con p=43°37’ si calcola facilmente l'angolo ottuso piano della faccia di sfaldatura del romboedro, cioè l'angolo ottuso del parallelogramma di sfaldatura = 4 102°52°. Lo stesso angolo misurato al microscopio mi diede una media di 102°40'. Il peso specifico lo determinai in picnometro. Scrivo brevemente il Peso del picnometro vuoto ZSIT:P 1 di pieno d’acqua. B=-Q: PI x È contenente il minerale . . . = P., P,,—— P= peso del minerale . — 1 Peso del picnometro + Minerale + Matra per orrembibto ==#1PRA 1° DETERMINAZIONE | 2% DETERMINAZIONE Temp. 15° C. Temp. 14° C. iPpige=> 917943 Pit 1937841 = an90 o = IRISRO Pc = LOLA PROSS Fr = 20092206 Fg = 209204 Ms w464953 M. =. 7,4485 Peso specifico: Peso specifico: rr = 30058 aa 972 GABRIELE LINCIO Il peso specifico della dolomite ferrifera è con ciò = 3,003 a 14° — 15° 0. Il materiale ridotto a piccoli frammenti, tanto pel peso spe- cifico che per l’analisi, lo scaldai previamente dai 70° ai 90°. A tale temperatura scoppiettava in causa delle inclusioni di gas e di liquido. Faccio notare che dopo tale riscaldamento esso sì presentava assolutamente incoloro, cioè inalterato rispetto al ferro. Il picnometro da me usato venne ideato dal Prof. W. Muth- mann. Anni sono, trovandomi a Monaco di Baviera, egli me lo mise a disposizione nel suo laboratorio ed ora tanto gentilmente mi permise di qui riprodurlo con la fig. 11. Per questo mi pregio di rendergli qui pubbliche grazie. Data la semplicità e perfezione di questo pienometro, col quale sì ottengono ottimi risultati, io credo che i mineralogi lo p'- trebbero con vantaggio adottare. Pregio del medesimò è di avere una chiusura unica a tappo forato comunicante con la capillare. Il tappo nella parte inferiore che entra nella bottiglietta, dev'essere piano e ben levigato per evitare che vi restino appiccicate delle bollicine d’aria. La parte superiore del collo della bottiglietta dev'essere pure piana e deve aderire perfet- tamente al tappo: così si potrà sicuramente asciugarla una volta che il picnometro sia pieno d’acqua. Se questo non si riempie totalmente, lo si prenda in mano nel grosso della bottiglietta, ciò che per aggiunta di calore dilaterà il liquido e ne farà uscire ancora qualche goccia dalla capillare. Allora immergendo la estremità di quest’ultima in acqua (disposizione come a fig. 11) e levando la mano dalla bottiglietta, essa si riempirà total- mente per raffreddamento e contrazione del liquido. Come con tutti i picnometri, si abbia cura di applicare il tappo premendolo sempre allo stesso modo e facendolo poi gi- rare di un dato numero di gradi all'incirca. Del resto se anche la capillare non si mantiene totalmente piena in causa di con- trazione del liquido o di posteriore assetto del medesimo attorno - al tappo, non importa nulla, si abbia solo cura di pesare il picnometro tutt'e due le volte col liquido allo stesso livello nel- l'estremità della capillare. Si tengano modelli di differenti gran- dezze: uno anche della grandezza la metà di quella data da D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 973 fig. 11, pel caso in cui non si disponga di molto materiale. Come con tutti i piecnometri, per estrarre le bolle d’aria dal minerale messo nella bottiglietta sott'acqua in grani od in polvere, si adopera o la pompa o si tiene la bottiglietta in acqua bollente per alcun tempo. In caso che le polveri in parte galleggino o non si inumidiscano, si possono far precipitare col resto me- diante alcune goccie di etere od altro liquido volatile, che non si mescoli con l’acqua. L'analisi qualitativa della dolomite del Sempione svelò la presenza di Carbonato di calce abbondante Carbonato di ferro in una certa quantità e Carbonato di magnesio pure in considerevole quantità. Non trovai manganese. Il minerale si sciolse senza residuo. A freddo anche in HCI conc. è difficilmente solubile. i Per l’analisi quantitativa ossidai il ferro, che precipitai due volte con ammoniaca per liberarlo da tracce di Mg(0H), e lo pesai come Fes0,. Così pure il calcio lo precipitai due volte con ossalato am- monico e lo pesai come Ca0. Il magnesio, precipitatolo come fosfato doppio, lo pesai come MgoPa07. Determinai il CO, del minerale per perdita al calor bianco, arroventandolo lunghe ore in polvere. finissima fino a peso costante. La dolomite perse così il CO», ma acquistò un atomo di ossigeno per ogni coppia di FeO, essendosi il ferro cambiato in Fes0;. Sapendo dall'analisi quantitativa quanto FeO è contenuto nella dolomite, levai l'ossigeno in più dal peso cumulativo degli ossidi ottenuti coll’arroventamento, ciò che mi diede: ,28%, = Somma degli ossidi di Ca, Fe e Mg. Taie=" Co 974 GABRIELE LINCIO Unendo i risultati dell'analisi, determinazioni degli ossidi, con quello della determinazione del CO, per differenza, si ha: Cal =—="*2951 Somma = 55,54. Con la determinazione Mg0 = 12,94 i b Fe0 — 1299) de 00» si ebbe 55,28. COSTA 100,26 Ovvero, dando agli ossidi la quantità di CO, che loro spetta, sl ha: Ca00; = 52,88 | 0,5288 | 2,933 | 3 Ca00; 51,31 MgC0, = 27,04 | 0,3205 | 1,778 | 2 MgC0, f 28,85 FeCO, = 20,92 | 0,1803 | 1,000 | 1 FeCOs { 19,84 bj 100,84 | rapporto molecolare \ 100,00 (teoric.) Dalla formola (3CaC0; + 2MgC0; + 1FeC0,) si calcola: 54,85 = Somma degli ossidi di Ca, Fe e Mg 45,15 = CO; 100,00 Da quanto sopra si vede come la nostra dolomite ferrifera si avvicini alla formola (3CaC0,; + 2MgC0; + 1FeC0,). M’accontentai di questa sola analisi, bastando essa al mio intento, e d’altronde con un materiale ricco di inclusioni liquide e gassose, che sono irregolarmente disposte in esso, il farne un’altra non avrebbe portato più luce e non avrebbe compen- sato il tempo perduto. lito ora i dati d'analisi di alcune dolomiti ferrifere ana- lizzate da altri autori e che s’accostano molto a quella qui studiata. J. Samoiloff (#) descrive dei be’ cristalli d’ankerite "= }1011{, incolori, trasparenti, provenienti dalla galleria Uralskaja. (*) J. SamorLorr, La mineralogia del giacimento a filoni di Nagolnij Krjasch {Donetz), 1906, riferito: “ Ztschft. f. Krist. ,, XLVI, pag. 287. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 975 L'analisi diede i seguenti risultati: Ca0 = 28,77 | TOSSE PEZZA GRECO DA CaCO, = 51,38 Mg0 = 13,49 | 55,19} .° REA Lù si ha: | MIg00s= 28,20 _Fe0 = 12,98 | Me i | FeC0; = 20,83 CO, = 44,60 100,41 99,79 Peso spec.'a 15,5° C = 3,03. Questa ankerite si avvicina pure alla formola: (8CaC0; + 2MgC0; + 1FeC0}). M. Ungemach (*) analizzò un’ankerite, romboedri grandi, bianco giallicci, ottenendo i seguenti risultati: Ca CONI 255 MgC0, = 25,47 99,97 Così pure il minerale analizzato da Ettling, proveniente da Belnhausen, e citato da Rammelsberg, (**), s'avvicina al mio: CaC0, = 51,24 Peso spec. = 3,006 MgC0, = 27,32 4R= 106°6' esterno = 73°54' interno (Fe, Mn) CO} = 21,75, A. Genth (***). Un’ankerite di Antwerp, che venne trovata con stilpnomelano, da lui analizzata, diede i seguenti risultati: (*) M. Uncemac®, I filoni del Weilerthal (Alsazia-Vogesi), © Bull. de la, Soc. frange. de Min. ,, 1906, 29, pag. 279. (*#*) Ramxecssere, Handbuch der Mineralchemie. (#**) A. GevntH, © Americ. Philos. Soc. ,, Oct. 2, 1885. 976 GABRIELE LINCIO CaC0, = MgC0, FeCO, MnC0, 54,98 24,91 19,28 0,78 E. Weiss (*). L’autore trovò nel pozzo Camphausen in Val Fischbach presso Saarbriicken un carbonato bianco cristal- lizzato, avente le forme (1011) e (4041) con un angolo dello spi- golo polare del romboedro fondamentale in media = 73°80', avente un peso specifico di 2,9404 e la composizione chimica seguente: Cage 290 Mg0= 14.21 He #925 Mn0=.. 1,63 CO. SUO 100,14 CacO; = 53,16 MgC0; ovvero FeC0, MnC0; 2 DITE 14,90 == 2000) 100,50 Rapporto molecolare 1,496 Mo 1,000 DI 0,370 ) D'OIIINIE 0,063 4 VE La miscela isomorfa si avvicina a quella di un’ankerite manganesifera dove 2(MgC0; + CaC0;) sono uniti con 1(CaC0, + (Fe, Mn) C0;) OVVEro : 3CaC0, + 2MgC0; + 1(Fe, Mn) C0,. F. Sandberger (**) ci dà i risultati dell’analisi di tre Braunspat: CaC0, MgC0; FeC0, MnC0; secondo Pecher 5l.Li 25,00 100,73 secondo Petersen 53,90 23,12 2009 2,94 99,99 56,07 22,00 18,47 3,06 99,60 (*) B. Werss, Einige Carbonate aus der Steinkohlenformation, “ Jhbch. der preuss. geol. Landesanstalt ete. fir 1884 ,, 113-119. (**) F. Sanpsercer, Le due prime analisi: Untersuchung iiber Erzgiinge, “ Ztschft. f. Kryst. ,, 13, pag. 416; la terza analisi: “ Sitzungsber. bayer. Akad. d. Wiss. ,, 24, pag. 231-248. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 977 T. Cooksey (*). Studiò l’ankerite di Sandhurst, Victoria. Cristalli lenticolari di composizione chimica corrispondente alla formola: 5CaC0; . 2FeC0; . 3MgC0;. A. Bukovsky (**). Nel suo studio intorno ai minerali di Kuttenberg ci dà i risultati delle analisi (1% e 2°) di due Braunspat cristallizzati in romboedri e di quella (3*) di un’an- kerite in masse spatiche, madreperlacee. I II III Calo, 50,69 52,16 51,49 MgC0; 20,52 24,07 17,28 FeC0, 21,98 49 25,80 MnC0, 5 1,95 4,94 99,32 99.37 99,41 Peso spec. 2,95 Peso spec. 3,05 3CaMg[COg]s + 2CaFe[COs], | 5CaFe[COg]s . 4CaMg[COs]: Il manganese venne calcolato col ferro. Calcolandolo sepa- rato, l’autore pose il rapporto per le analisi: CaC0; : MgC0; : FeC0; : MnC0; | CaC0, : RCO,; (11) ATI Lore aree lina di 5 (ITD) è 120 STEMEETTI II PRE PE Vera 1 Pongo l’analisi di F. Heddle (***) (N° IV) di un’ankerite, proveniente dal serpentino dell’isola Ting of Norwick sulla costa di Unst ed avente un angolo del romb. di sfaldatura = 73°54' ed un peso spec. = 2,91, insieme con le tre analisi di Hermann Miller (£*) (Ni I-II): (*)T. Cookser, “ SOI f. Kryst.,, XXXI, pag. 285. (**) A. Bukgovsky, “ N. Jrbch. Centralblatt ,, 1901, pag. 502. (***) F. HeppLe, Analisi di minerali scozzesi, * Ztschft. f. Kryst., 8, p. 330. (****) H. MiiLuer, Die Ereginge des Freiberg. Bergreviers, * Central BI. f. Min. ,, 1901, pag. 236. 978 GABRIELE LINCIO I. Perlspat II. Tautoclino JII. Tharandite IV. Ankerite CaC0; 53,20 49,07 56,45 51,80 MgC03 40,15 33,28 18,89 38,00 FeC0; 2,14 14,89 15,94 7,82 MnC00; 5.21 2,09 10,09 Quarzo —D02 100,70 99,99 101597 99,95 Faccio notare ancora l’ankerite studiata da A. F. Rogers (*), proveniente da Phelps County, Missouri, in forma di masse cri- stalline del peso spec. = 2,99. L'analisi diede il seguente risultato: Rapporto Comp. teorica mol. (2CaC03.MgC0;.FeC03) CaO0t=T2354 CaCO, = 50,74 2,00 CaO — 28,00 Mg0 = 10,20 MgC0, = 21,34 0,99 MgO — 10,03 Feo == 17:22 ReC0, =#27<79 0,94 FeO — 18,00 dog = 2 q (È —_i 49° CO, 4, 1 99.83 (0 43,97 100,04 100,00 Interessanti sono pure le analisi di L. Diirr (*#*), che studiò alcuni tipi di passaggio dalla calcite alla siderite: ciale siasi am a Minerale 03) 2 O | 3 = Formola chim. approssimativa a È. Ò S E = 3 Dolomite (1). | — |74,80/21,61, 3,68. — 100,09] 3CaCO;.(Mg, Fe) CO; Dolomite. . . | — |57,33|37, 00, 5,01] — | 99,54] 4CaC03.3(Mg, Fe) CO; Perlspat (2) . | 2,75,60,50 30, 88 5,94) 1,94| 99,26|10CaC0;.5MgC0;.FeC0; Braunspat (3) | 3,55) 4, 12 Di 24 77,44|12,95) 99,75) SFeC03.MnC0;.(Ca.Mg)C0g (') Raramente incolora, per lo più lattea. Spigolo polare di (1011) in media 106°17. (@®) Dolomite ricca di ferro. Cristalli fortemente ricurvi. Angolo dello spigolo polare del R. di sfaldatura = 106°20”. (*) Masse spatiche di color bruno. (*) A. F. Rocers, “ Ztschft. f. Kryst.,, XXXIV, pag. 206. (**) L. Diirr, / minerali dei filoni metalliferi di Markirch, * Ztschft. f. Kryst.,, XLVII, pag. 304. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 979 Infine abbiamo pure un’ankerite di provenienza dal Sem- pione, dal traforo, versante italiano, avanzamento 300 m., stu- diata da G. Spezia (*) nel lavoro: Sopra un deposito di quarzo e di silice gelatinosa trovato nel traforo del Sempione. Il prof. Spezia riferisce che, trattando il materiale gelati- noso con molt'acqua, ottenne un residuo bianco. “ Tale residuo consta per la maggior parte anche di cri- stalli di quarzo, la cui lunghezza supera raramente il mezzo “ millimetro; inoltre si osservano in discreta quantità minuti romboedri incolori, bianchi od anche giallognoli, con le facce un poco ricurve e con tracce di poliedria come in certi cri- stalli di dolomite. Rarissimo poi è il caso di trovare detti romboedri senza qualche cristallo di quarzo che emerga da essi; anzi tali romboedri, la cui maggiore dimensione non ar- riva al millimetro, sono talvolta opachi per la La di cri- stalli di quarzo inchiusi ,,. Su cento parti di carbonato l’analisi quantitativa gli diede i risultati seguenti: Carbonato di calcio = 5956 e di magnesio = 20,90 ; di ferro =“y19,55 100,00 “ Perciò (conchiude l’autore) ritenni il minerale come una “ varietà di ankerite, tanto più che i romboedri riscaldati nel- “ l'ossigeno annerivano ,. Interessante è qui il modo di formazione della dolomite in presenza di silice gelatinosa. La formazione della dolomite sembra sia qui posteriore a quella del quarzo, se non è a riprese con quella di quest’ultimo. Ben lontano dal voler misconoscere il lodevole tentativo fatto da Em. Boricky (**) di raggruppare e classificare chimi- camente i minerali ankerite e braunspat, io però ritengo che tale classificazione non ha più per oggidì che un valore storico. (*) G. Spezia, “ Atti R. Ace. Scienze di Torino ,, 1899. (E Bor:cky, “ Tschmk. Min. Petr. MttIgn. ,, 1876, pag. 47 segg. 980 GABRIELE LINCIO Boticky sui dati di 36 analisi esistenti di minerali del gruppo ankerite-braunspat fondò la formola base: GERENTE i saio 3 Ù \ CaFe0,0; = gi ori è Qubo bolo »(* 10) _— ————_—__—_m — r ___m—__m | rCaMgl, ankerite parankerite Chiamò la formola più semplice: \ CaFe0s0g | l CaMg0,0; | \ CaFeC30x | | 20aMg0,0; = ankerite normale, = parankerite normale Egli fissò inoltre i tipi: Ankerite a; ankerite normale; ank. 8; ank. y: ank. è. Parankerite normale; p. ank.; p. ank.y; p. ank.d; p. ank. e: i BUD 1 L AO ma delle 36 analisi - non potè venmr incorporato. D Nè la letteratura posteriore coi dati fino ad oggi ci portò materiale più obbediente alla legge di Boricky. Vediamo ora come il gruppo ankerite-braunspat viene defi- nito dai principali trattatisti d'oggidì : Tschermak (*). “ Eine besondere Gattung ist der Ankerit “ mit R= 73°48' und dem Spec. Gen. 2,95-3,1. In demselben “ erscheint der Dolomitsubstanz MgCa0,0; die damit isomorphe “ Substanz FeCaC;0; bis zu gleicher Menge beigemischt ,. Un esempio ideale sarebbe l’analisi di Rogers pag. 978. Dolomiti contenenti ferro e manganese vengono denominate braunspat. Xroth (**) scrive l’ankerite (Braunspat): CO; (Ca, Mg, Fe, m,). Doelter (***) nelle generalità intorno ai Carbonati serive: Ca-Mg-Fe-haltige : Braunspat Ca-Fe-haltige : Ankerit Ca-Mn-Mg-Fe-haltige : Kutnohorit. (#) £ Tschermak Mineralogie ,, 1905, pag. 500. (**) Grora, Tabellen der Mineralien, 1898. (***) DoeLtER, Handbuch der Mineralchemie, 1911, pag. 93. D'UNA DULOMITE FERRIFERA DEI TRAFORO DEL SEMPIONE 981 Kutnohorite (*) (A. Bukowsky, 1901). Nome dato ad un car- bonato romboedrico, trovato in masse spatiche, bianco rossastre, presso Kutnà Hora, Boemia. Esso ha la proporzione atomica: Ca: Mo:Fe:Me=#7:;5ab02. Doelter (**) a pag. 84, cita come esempio di corpi isomorfi aventi completa somiglianza chimica e cristallografica, ma mo- stranti un debole potere di mescolarsi, rispettivamente mostranti de’ vuoti nella serie di miscela: MgCO; ed FeC0,. A pag. 49: “ Secondo J. W. Retgers, “ Chemische Bindung und Mischung schliessen sich aus ,, e corpi isomorfi non pos- sono dare sali doppi. Nella dolomite (CaMgC,0;) e nell’anke- rite (CaFeC,0;) si hanno però dei sali doppi di composti, i quali non si possono considerare come veramente isomorfi, perchè (CaCO,) appartiene ad una classe di simmetria diversa da quella a cui appartengono MgCO,; ed FeC03. In natura si ha pure la tendenza alla formazione di sali doppi e sarebbe interessante lo studiarne le cause; così i due CaC0; e MgC0;, molto affini tra loro ma non strettamente isomorfi, formano “ la dolomite, CaCO, ed FeCO; l’ankerite ,. Infine Doelter (***) nel capitolo di G. Link: Mischsalze der Carbonate, p. 127: “ Diese Mischsalze gehòren entweder der Form “ des Calcits oder des Dolomits oder des Magnesits ,. A pag. 135, parlando della Breunerite e del Braunspat, dice che tali miscele, “ ebenso wie die sogenannten kalkreichen “ Dolomite dringend der Untersuchung bediirfen in der Richtung niihmlich, ob man es nicht zum Theil mit gesetzmissigen Verwachsungen mehrer Carbonate zu thun hat, wie es fiir einige “ schon nachgewiesen wurde ,. Il vecchio “ Dana-Mineralogie ,, 1875, porta le analisi del- l'ankerite. che vengono citate insieme con altre da Boricky. «& i (*) Dana, Min., Appendix Il, pag. 61. (**) DoeLrter, “ Physikal-Chem. Mineralogie ,, 1905. (***) Doeurir, Handbuch der Mineralchemie, 1911. Atti della R. Accademin — Vol. XLVI. 63 982 GABRIELE LINCIO Dana (*) sotto l’ankerite raccoglie la Dolomite in parte, il Braunspat, il Tautoclino, ete. La definisce bene come una sottospecie intermedia tra la calcite, la magnesite e la siderite, contenente alle volte piccole quantità di manganese. Formola: CaC0,; . (Mg, Fe, 712,) CO, Ar MIA Max Bauer (#*) invece distingue, io ritengo, molto oppor- tunamente : l’Ankerite: L'ankerite è CaC0; + FeC0,; con più 0 meno carbonato di magnesio e poi un po’ di manganese. Una composizione tipo p. es.: 50 CaC0, \ Variazioni pos- 34 FeCO; |sibili; in generale 4 MnC0; prevalenzadel Fe 12 MgCO, \ sulMg,a differen- 100 za del Braunspat. 4 Romb. di sfald.=106°12' esterno ovvero 73°48' interno. Peso fspect_ doo L’ankerite è già abba- stanza facilmente solubile in HCI freddo. il Braunspat (che io chiamerei dolomite ferrifera): Miscela isomorfa di carbo- nato di Ca, Mg e Fe. Prevalenza del Mg sul Fe in generale. Comp. va p. es. per lo più da CaC03 = 50 %/o (ESE : Mgc0=25—30%|#=$# FeC03 = 5 — 20 °lo| ze E CISSE MnC0;= 9 === 5) 0 0 = 2 Sa 4. Romb. di sfald. —106°30' esterno ovvero 73°30' interno. Peso spec. = 2,85 — 2,95. Il braunspat (la dolomite ferrifera) è solubile solo in HCI caldo. Caratteristico: Accresci- menti di cristalli a gruppo, con facce curve, ripiegate, sel- liformi, cristalli allungati, a lancia, a fascio, ecc. Uniformandomi al criterio di Bauer, ascrissi al Braunspat il materiale da me studiato e lo chiamai una dolomite ferrifera. (*) Dana, Mineralogy, 1892, pag. 274. (**) Max Baver, Mineralogie, 1904, pag. 592 e 593. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 983 Al Braunspat dovrebbe così pure venir ascritta la maggior parte del materiale di cui citai le analisi, eccettuato quello di Rogers, pag. 978. Per le varietà analizzate dai diversi autori non è possibile basare la distinzione rigorosamente anche su altri dati all’in- fuori dei puramente analitici, per es., su dati di solubilità, an- golo di sfaldatura, abito cristallografico e relative costanti, peso specifico, eventualmente dati ottici, etc. etc. Questi non sempre ci vennero portati o sono attendibili od il materiale stesso non si prestava, non essendo ben cristallizzato e puro. Riguardo al materiale d'analisi sovente si legge: mate- riale di filone, spatico, latteo, roseo, rossiccio, parte insolubile tanti per cento, etc. Fatta l’analisi, si calcolarono le formole di un’ ankerite o parankerite a, 8, 1, dè ete. e tutto finì Di. Non si pensò che se il materiale è latteo, roseo, rossiccio, etc. lo è per inclusioni e cause di varia natura e non sempre trascurabili. Come vedemmo, anche il nostro materiale, uno de’ buoni, incoloro e quasi del tutto trasparente, conteneva oltre alle poche e sporadiche inclusioni di pirite e sagenite, facilmente evitabili, anche le numerose inclusioni di CO, ed H,0. Ma v'è di più. Nel caso dei carbonati, qui considerati, avendo del mate- riale limpido e cristallizzato, s'impone la necessità di studiarne la costituzione o la forma d’aggregazione: se si abbia cioè ve- ramente una miscela intima isomorfa di carbonati, ovvero un accrescimento alterno più o meno secondo una data legge, ov- vero solo delle ramificazioni od inclusioni di un carbonato nel- l'altro, vale a dire brevemente, se si abbia una regolare conti- nuità nella struttura del materiale o una soluzione della medesima. Trattando a caldo ed a freddo con acidi differenti una faccia levigata o di sfaldatura di tali carbonati, si potrà facilmente svelarne la struttura. Conosciuta su varie sezioni una regolarità continua di quest’ultima, allora si potrà coi dati d’analisi, del peso specifico ed in genere coi dati fisico-chimici ed ottici, veramente con profitto della scienza portare un contributo alla conoscenza di questo gruppo di carbonati così poco intima- mente noto. Potendomi procurare materiale più adatto, spero in seguito di condurre a termine alcune ricerche secondo questo fine. 984 GABRIELE LINCIO Passiamo ora a considerare le figure di corrosione della dolo- mite ferrifera del Sempione. Le fig. 7 ed 8 rappresentano figure di corrosione (incavi) ottenute su lamine di sfaldatura, che erano, come sempre, al- quanto curve e quindi difficilmente fotografabili. N. 8 indica l'orientazione delle figure di corrosione rispetto alla direzione di sfaldatura, vedi il margine destro e la frattura nera in alto inclinata da sinistra a destra. Dette direzioni fanno un angolo di 102°52”. Le figure di corrosione, ottenute immergendo il minerale per pochi secondi in acido cloridrico concentrato bollente, per lo più sono asimmetriche, raramente monosimmetriche rispetto alla direzione d'estinzione nella lamina, direzione che coincide: con la mediana dell’angolo ottuso del parallelogramma della faccia di sfaldatura. Detta mediana coincide con la direzione d’'allangamento delle figure di corrosione. Queste vanno d’ac- cordo con quelle studiate pure su una dolomite ferrifera da Paul Gaubert (*). Figura 7 mostra nella stessa orientazione di fig. 8, al centro una bella figura di corrosione, molto grande e perfettamente dello stesso tipo ed orientazione delle piccole. Fig. 7 rappresenta un ingrandimento lineare di 190 volte; fig. 8 di 117 volte. Il triangolo (fig. 7), direi sferico, più grande, il bordo della cavità, ha nel suo interno un altro triangolo più piccolo, che rappresenta il fondo della medesima; le tre facce inclinate sono le pareti laterali. I vertici dei triangoli interno ed esterno sono uniti da linee curve. I vertici destro interno ed esterno, in causa d'una piccola inclusione preesistente in tal posizione, sono uniti invece da una gradinata di piccole faccette curve. Faccio osservare però che le figure di corrosione studiate su facce curve (concave e convesse), come le si ottengono sfal- dando gli esemn!ari della dolomite ferrifera, i quali già ad occhio nudo e c 1 lente si mostrano connessi. da subindividui (© NPA 5 £ Bull. Soc. Frans. de Minéralogie ,, Tome 24, 1901, pag. 326 e segg., sig. 9, PI. 2. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 985 pure a facce curve e non paralleli tra loro, non servono per nulla a determinare la simmetria appartenente al subindividuo medesimo. Esso, contribuendo per contatto e sovrapposizione inclinata all'edificio dell’aggregato, non può che influenzarlo direttamente e le facce di sfaldatura di quest’ultimo debbono risultare curve, concave o convesse secondo certe direzioni. At- taccando ora con acidi tali facce di sfaldatura, è ovvio che le figure di corrosione, che su di esse si formano, non possono esser regolari come quelle che si otterrebbero su facce di sfaldatura, formate da subindividui esattamente paralleli tra loro; ciò che rilevò anche pel caso suo P. Gaubert 1. c. Riguardo alle inclusioni liquide e gassose trovate nella do- lomite ferrifera, vedi fig. 9, rappresentante una lamina di sfal- datura con inclusione a due liquidi ed un gas, all’ingrandimento di ca. 493 volte. Esse si presentano molto simili alle inclusioni studiate da G. Spezia (#) nel suo lavoro: Sulle inclusioni di ani- dride carbonica liquida nella anidrite del traforo del Sempione. L'autore studiò le inclusioni raffreddandole con etere e scal- dandole fino a 30°. L’anidrite presentava inclusioni ad un liquido e gas ed altre a due liquidi, non mescolabili, e gas. L'autore ritiene che si tratti di acqua, di CO, liquido e CO, gas e lo prova con esperienze. Egli crede che, tenuto conto delle condizioni di ubicazione, la formazione dell’anidride carbonica sia avvenuta a tempera- tura non superiore a quella critica di detto composto e che la sua riduzione a liquido sia avvenuta a non meno di 70 atmosfere di pressione. G. Spezia (**) nella tavola del suo lavoro Sulle enclusioni di anidride carbonica liquida nella calcite di Traversella, ci mostra un’inclusione piena di solo CO; liquido a 15°, che raffreddata successivamente a 9°, a 6°, a 0° ed a — 7° lasciava comparire una bolla, la quale col raffreddamento andava man mano di molto crescendo. In quattro figure della tavola si scorge anche la presenza di inclusioni acquose con bolla, che rimasero quasi insensibili alle variazioni di temperatura, le quali ultime agirono (*) G. Spezia, “ Atti R. Ace. Se. Torino ,, vol. XXXIX, pag. 521-532. (© Ipreddemi vol sosgli 986 GABRIELE LINCIO invece così evidentemente sopra le inclusioni di anidride carbo- nica liquida. Passando ora a considerare le nostre inclusioni, premetto alcuni dati: Per CO, la temperatura critica è da 30°,92 a 31°,9 C° alla pressione critica da 72,9 a 77 atmosfere. A_27° per CO, si ha una tensione di 68 atmosfere. A t° = 81°,35 CO; liquido passa tutto a CO, gas con quasi nessun aumento di volume (*): Peso in Kg. | SIE ne: 10.E per cmq. ili DOTiGO 1 on Be o ea g. occupa g. occupa [ta (heat bri fra (°i E i gui | pai + 319,35 (5,30 | 0,00216 | 0,0022 | me. me. | | La condensazione di CO, gas a liquido avviene: a 0n(0: ed alla pressione in Atmosfere 0° 36 - 10° 27 — 30° 18 + 30° 73 Ricordo pure che a 0° ed alla pressione di un'atmosfera un litro d’acqua assorbe 1,7967 litri di CO,, mentre alla stessa pressione ed a -|- 15° non ne assorbe più che 1,002. Questo litro d’acqua a + 15°, messo però alla pressione di 1, 2,3, fino a 10 atmosfere, assorbirà ancor sempre 1,002 litri di CO,; ma siccome la densità del gas in questo caso sta pure nel rapporto di 1, 2, 5, ... 10, nello stesso rapporto staranno anche i pesi del CO, assorbito. Voglio dire, l’acqua a gran pressione si soprasatura fortemente di CO.. La lamina di sfaldatura fig. 9 venne osservata al micro- scopio sul tavolino disposto in posizione verticale. Al tavolino in tal disposizione appoggiai una lastra di vetro pure in posizione (*) Erpmann, Chemie, 1898. LINCIO G. - D'una dolomite ferrifera del traforo del Sempione. LI o LXVI. zmo Vol. O) (e) Y: C1 Ale Scienze (04° 4 Dan) CC’, della R. Acc Atti otecnica Ing G. Molfese. Torino Fot Off. D'UNA DOLOMITE FERRIFERA DEL TRAFORO DEL SEMPIONE 987 verticale facendole fare un angolo acuto coll’asse del microscopio qui orizzontale. Tra l’asse del microscopio e la lastra di vetro posi una lampada Bunsen e soffiando ugualmente su di questa feci scivolare sulla lastra una corrente d’aria calda verso il ta- volino del microscopio. La bolla gassosa dapprima s’impiccoliva e saliva in alto e quando il termometro, che pendeva presso la lente frontale dell’obbiettivo, segnava dai 28-29° la bolla scom- pariva. Analogamente alle inclusioni studiate da G. Spezia, le nostre inclusioni constarebbero di acqua, acido carbonico liquido ‘e gassoso, che sarebbero inclusi in un vano (fig. 9) avente la forma dell'ospite. In fig. 9 a destra si vedono alcune linee indicanti la dire- zione di sfaldatura della lamina, che vanno parallele alle pareti apparentemente verticali del vano. L'angolo misurato sulla foto- grafia è di circa 102°, invece di 102°52' (vedi pag. 971). Nella nostra dolomite osservai pure piccole bolle semoventi. In generale le inclusioni sono piccolissime. Riguardo alla formazione delle inclusioni, visto che i cristalli di dolomite si trovano in geodi, è lecito di ritenere che esse in- clusioni si sieno formate sotto pressione delle acque sovrastanti, contenute dalle litoclasi e provenienti da altezze considerevoli’ L'azione di pressione dell’acqua nei vani (geodi) delle lito- clasi, in cui si trovava, si potrebbe paragonare a quella che l’acqua nel lungo braccio aperto d’un sifone capovolto esercita sull’estremità dell’altro braccio molto corto. Orbene tenendo conto dei dati suesposti ed ammettendo una pressione d'una colonna d’acqua di 500-700 m., una tempera- tura superiore a 0° ed al disotto della temperatura critica del- l’acido carbonico, cioè temperatura e pressione capaci a man- tenere CO, liquido, ammettendo inoltre la soprasaturazione di CO, nella soluzione acquosa al punto dell’avviata cristalliz- zazione della dolomite, io ritengo che si possa formare un'idea del come CO, liquido, che è per sè più leggero dell’acqua e si scioglie pochissimo in essa, insieme con acqua satura di CO, sia stato inchiuso nei cristalli della dolomite ferrifera. Questa a giudicare dalla forma degli aggregati di cristalli dovrebbe essere cristallizzata piuttosto celeremente. Data la grande dilatabilità di CO, liquido e la facoltà del- l’acqua presente nell’inclusione d’assorbire o rimandare C0, gas 988 M. PANETII a seconda della crescente o diminuente pressione, si comprende come, aumentando o diminuendo la temperatura e quindi la pressione al disotto della temperatura critica di CO,, la bolla gassosa debba impicciolirsi od ingrandirsi. Istituto Mineralogico della R. Università, Torino, 24 giugno 1911. L'Ellisse di elasticità delle verghe incurvate ad arco di cerchio. e le sue applicazioni al calcolo dei regolatori Lentz. Nota dell’Img. M. PANETTI 1. Semplicità di particolari costruttivi e di mezzi meccanici atti a coordinare la regolazione della velocità di una macchina con quella della pressione del fluido motore negli impianti con ricupero, hanno dato in questi ultimi annì una grande diffusione al sistema di distribuzione ideato dall’Ing. H. Lentz di Mannheim. Esso si vale di un regolatore volano (fig. 1) con capsula £ avente la funzione di massa d'inerzia, nel quale le ordinarie molle di torsione ad elica cilindrica sono sostituite da una molla unica 7» di flessione, costituita di una verga di sezione costante, rettangolare o circolare, incurvata ad arco di cerchio. La molla Lentz è fissa ad un capo A alla capsula, all’altro capo ad una espansione £, che è, o si rende solidale all’albero P intorno a cui la capsula è girevole. I piccoli movimenti relativi fra capsula ed albero, consentiti dal sistema articolato PQS7' che li collega, sono contrastati dalla molla, che viene fissata con una tensione iniziale capace di mantenere le masse attive in una delle posizioni estreme, finchè la forza centrifuga e la forza tangenziale d'inerzia, che in esse si sviluppano con la rotazione dell'albero e con la even- tuale sua accelerazione angolare, non superino un limite prefisso per entrare in azione. Quasi sempre in questi tipi di regolatori esiste la possibilità di variare la tensione iniziale della molla, anche durante il movimento, per esempio, come indica la figura, modificando le condizioni di fissamento dell'estremo B con lo spostamento del dito è rispetto all’arresto 8. Ne risulta in con- L'ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, ECC. 989 seguenza alterato il limite pel quale incominciano a prodursi i moti relativi del regolatore, e quindi si modifica la velocità media di funzionamento della motrice. Nella teoria di queste molle occorre dunque stabilire nel modo più generale 1 rapporti fra le deformazioni e le forze con le quali esse reagiscono, sia per applicarli ai calcoli di controllo, sia per discutere le disposizioni di fissamento e di registrazione dalle quali dipendono le tensioni iniziali e quelle di esercizio. Non consta a chi scrive che una tale ricerca sia stata fatta. L'importanza tecnica delle molle di flessione ad asse curvilineo era di fatto in passato molto limitata. L'unica loro applicazione agli apparecchi di orologieria aveva suggerito al Castigliano (#) di trattarne il problema discutendo sopra tutto il caso in cui le sezioni estreme subiscano moti relativi di rotazione intorno all'asse di figura. Per contro egli aveva dovuto prendere in con- siderazione le molle a spirale piana, ossia un caso che richiede calcoli più laboriosi di quello dei tipi moderni Lentz. Finalmente il procedimento analitico fondato sul teorema delle derivate del lavoro, dal quale il Castigliano dedusse la sua (*) A. CasriaLiano, Teoria delle molle, Tip. Negro, 1884. 990 M. PANETTI teoria delle molle, risolve con minore evidenza il quesito fon- damentale di stabilire i rapporti fra deformazioni e reazioni, di quanto faccia il procedimento dell’ellisse di elasticità, al quale vogliamo ricorrere. Qui esso presenta di fatto tutti i suoi van- taggi, potendosi trascurare le forze distribuite lungo il solido elastico rispetto a quelle applicate alle sue estremità. A differenza però di quanto si fa nella teoria degli archi determineremo l’ellisse con un procedimento diretto, vista la forma eccezionalmente regolare del solido che ci interessa, e daremo a questa ricerca la maggiore generalità per altre pos- sibili applicazioni, quantunque nel caso presente le conclusioni utili si potrebbero dedurre, come si dirà, in modo assai più semplice. 2. Deduzione analitica dell’ellisse di elasticità di un solido soggetto a deformazioni piane. — Conside- riamo un corpo elastico con le due sezioni estreme A4,B inde- formabili. La 1° A sia fissa, la 2* B suscettibile degli spostamenti che sono conseguenza delle deformazioni del corpo. Supporremo che tali deformazioni avvengano tutte parallelamente al piano del disegno, che è piano di simmetria, e in cui giacciono, o a cui si possono ridurre le forze esterne. La sollecitazione del corpo elastico può dunque risultare di sforzo normale, di sforzo di taglio e di momento flettente, non di momento di torsione. Alla sezione b sia collegata invariabilmente l’asta rigida BO, il cui punto O scegliamo come origine di una coppia di assi x y di riferimento e come centro di riduzione delle forze applicate a 5, le cui caratteristiche indichiamo con: H componente diretta secondo © ; V componente diretta secondo y; M momento destrogiro relativo ad O. La risultante & delle forze applicate in 5 risulta così defi- nita in grandezza da R=VH?+V?, e in posizione dall’equazione della retta secondo la quale opera (1) Ve — Hy:M=0, la cui distanza da 0 è dA =—=WNM/R. L'ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, Ecc. 991 Per altra parte siano E ed n le componenti dello spostamento del punto O se- condo x ed y, 8 la rotazione della sezione B, o dell'asta BO che le è invariabilmente collegata, positiva nel verso del momento M, tutte piccolissime, come in genere le deformazioni elastiche. ly Per conseguenza il movimento della sezione B con l’asta BO è una rotazione elementare il cui centro C ha per coordinate a va ge Se la deformazione che produce questo movimento è l’ef- fetto della sollecitazione £ sul corpo elastico A B, la legge di Hooke, combinata col principio della sovraposizione degli effetti, ci permette di scrivere che le caratteristiche & n 6 dello sposta- mento sono funzioni lineari omogenee delle caratteristiche H VM della sollecitazione. I 9 coefficienti delle 3 equazioni che ne risultano sono le deformazioni speciali prodotte dalle particolari condizioni di carico la == E. pago = (0 992 M. PANETTI Ad esempio : il coefficiente di V nell'espressione di & è la proiezione orizzontale dello spostamento subito dal punto 0 per effetto di una forza verticale uguale ad uno: il coefficiente di H nell’espressione di n è la proiezione verticale dello spo- stamento di 0 prodotto da una forza orizzontale uguale ad uno. Applicando il principio di reciprocità (Maxwell) si riconosce che i due coefficienti nominati sono identici, e che in generale sono identici tutti quelli che nel determinante occupano posti simmetrici rispetto alla diagonale principale. Scriveremo quindi \ z =aH+bV-cM p NS LE \| 0=cH+fV+:% E I ku (Questo sistema di equazioni lineari fra le coordinate omo- genee V T— H N della retta / di equazione (1), e quelle — & n ) del punto C di coordinate (2) stabilisce nel piano del disegno una correlazione fra & e C, la quale, essendo uguali i coeffi- cienti che occupano posti simmetrici nel determinante, è una polarità. Essa però non ammette elementi uniti, poichè se la linea d’azione / di una forza passasse pel centro C' della rota- zione elementare che essa produce, il suo lavoro sarebbe uguale a zero, mentre il lavoro di deformazione è sempre diverso da zero. Dunque la conica fondamentale della polarità definita dalle (3) è immaginaria. Si considera perciò un’altra polarità fra le rette / e i punti 0° simmetrici dei centri C rispetto all'origine O, di coordinate L'’ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, Ecc. 993 Sostituendole nella (1) si ottiene la condizione che C ed È si appartengano (4) H+ Vn_Mo=0, la quale, grazie alle (3), è l'equazione di un luogo di 2° grado, considerato come inviluppo delle rette (1). Questo luogo è la nota ellisse di elasticità. Invero, come conica fondamentale della antipolarità definita dalle (3), la linea d'azione R della forza e il centro. C' della rotazione elementare sono rispetto ad essa polare ed antipolo. Intanto noi siamo in grado di calcolarne i 6 parametri: Ricorriamo perciò all'espressione del lavoro di deformazione di un solido con dimensioni trasversali piccole rispetto allo svi- luppo s del suo asse geometrico, nel caso di sollecitazione com- binata allo sforzo normale N, al taglio 7’ ed alla flessione M, PAESI RE REI ARA 2GF ' | 2EI° In essa E e G sono i moduli di elasticità normale e trasversale, F ed .J l’area della sezione e il suo momento d'inerzia rispetto all'asse baricentrico perpendicolare al piano di simmetria. Siano xy le coordinate del baricentro di una sezione qual- siasi del solido, e sia @ l’angolo che Vasse y forma con essa. Con le convenzioni abituali sui segni delle quantità NM7'(*) si ha N=Hcosg-Vseng (5) T=— Hsen@—Vcosg M=-MH+Hy_ Va. Per mezzo di esse L diventa funzione delle caratteristiche della forza & applicata al solido. (*) Cfr. C. Guipi, Lezioni sulla scienza delle costruzioni. » 994 M. PANETTI Quindi, ricorrendo al teorema delle derivate del lavoro, si trova ciascuno dei parametri suddetti. Per esempio a, proiezione su x della spostamento prodotto dalla condizione di carico H = 1, risulta uguale a Dr, fattovi..H/==4 VesM= 0; e analogamente si deducono gli altri parametri. Allora, se la forma del solido permette di ritenere costante il coefficiente x del lavoro di deformazione al taglio, si deduce: a= | y#dw + | p*cos® @dw4- x c |P} sen? @ du = — | aydw + (x È — 1) p? sen @ cos © dw RS | x°dw + | p? sen? p dw + X È fee cos? p dw ydw pe | aedw EAT In queste formole e in quelle che seguiranno gli integrali sì devono intendere estesi a tutto il solido. Si è posto poi = ds (8) = EI come simbolo del peso elustico dell'elemento compreso fra due sezioni trasversali vicinissime del solido, e si è introdotto il raggio d’inerzia p corrispondente al momento d’inerzia J col quale la sezione resiste alla flessione. Immaginiamo ora che il peso elastico elementare dw sia diffuso nella regione circostante all'elemento ds dell'asse geo- metrico in modo che vi corrisponda un’ellisse d’inerzia col centro nel punto medio S di ds e coi semi-assi principali po e elx$ distesi rispettivamente sulla normale e sulla tangente in S al- l’asse geometrico. L’ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLR VERGHE INCURVATE, Ecc. 995 Si deduce subito che — c ed f sono i momenti statici della distribuzione sopra definita del peso elastico; a, e, — b sono rispettivamente i momenti d'inerzia e il momento centrifugo di questa distribuzione rispetto agli assi 2, y. Se dunque scegliamo il punto O nel centro elastico G, e orientiamo gli assi x ed y in modo che ne siano assi principali d'inerzia, riescono uguali a zero i parametri cis bi e le (3) si riducono alle forme semplicissime (3') e QH., nek, o= 10M =uwM. Se ne deduce ricorrendo alla (4) la seguente equazione del- l’ellisse di elasticità, come inviluppo della retta £ di coordinate omogenee HVM: (9) aH? + eV? — wM = 0. Ponendovyi successivamente o=9 ed N00 con che la R riesce parallela prima ad x poi ad y, come si de- duce dalla (1), la (9) dà i semiassi dell’ellisse a d data e ’ (10) | Bi sull'asse y, Ve sull'asse x. Una semplificazione notevole nella determinazione dell’el- lisse di elasticità si raggiunge trascurando i lavori di deforma- zione allo sforzo normale ed allo sforzo di taglio rispetto a quello di flessione, come è lecito sempre nel caso di dimensioni trasversali molto piccole rispetto alla lunghezza del solido. Allora nelle espressioni (7) dei parametri dell’ellisse si de- vono omettere i termini che contengono p?. Ne risulta quindi (11) a= |y?dw eee xeydw e= (a2dw 996 M. PANETTI Adunque, quando il cimento a flessione sia di importanza molto prevalente rispetto alle deformazioni sofferte dal corpo, l'ellisse di elasticità si può ritenere coincidente con l’ellisse d'inerzia del peso elastico distribuito semplicemente lungo l’asse geometrico del solido secondo la legge definita dalla (8). 3. Ellisse di elasticità di una verga di sezione costante piegata ad arco di cerchio. — Applichiamo prima le formole generali al caso presente. L'ipotesi della se- zione costante conduce ad una distribuzione uniforme del peso elastico, quindi il centro di elasticità G@ deve cadere nel bari- centro dell'asse geometrico. Trattandosi di un arco di cerchio, esso apparterrà alla bi- settrice 0U dell'angolo al centro che lo comprende, e disterà dal centro O della quantità vi (12) h= l se r è il raggio, i la semicorda, ! la semilunghezza dell'arco. Presa G come origine e GU come asse delle y, si ha per un punto qualunque dell'asse geometrico (13) y =#cos®'—T h % =D. Sostituendo questi valori nelle (7) si può di fatto consta- tare che i 3 parametri b, e, f sono uguali a zero, e si possono calcolare gli altri 2, a ed e. Preferiamo prima trasformarne le espressioni, sostituendovi i valori di sen @ e cos @ deducibili dalle (13), con la quale ope- razione si ottiene / 2\ 2 ni 2 \ a= (! - ra) do + h? Puo + x 2 "ica p° r° Gy he In queste espressioni si è posto (14) - (1 su n) 00 + a Go. 7? uc) o (10 + A°w) al (15) dg = | y2dw to € dwi L'ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, ECC. 997 Precisamente ad @, e ad e, si riducono i valori di @ ed e quando si tenga conto soltanto del lavoro di deformazione a flessione. È facile riconoscere con l’aiuto delle (14) che questa ipotesi è perfettamente plausibile quando, come si disse, la grossezza s della verga incurvata ad arco di cerchio sia abba- stanza piccola rispetto al raggio r. Nel caso di sezione rettan- golare ad esempio si ha rapporto piccolissimo numericamente rispetto all’unità, appena s/r si riduce a valori alquanto bassi. Sono quindi trascurabili i ter- mini che lo contengono rispetto agli altri coi quali sono som- mati, e ciò dimostra l’asserzione premessa. Calcoliamoci ora le (15). Dalla fig. 3 risulta ui 1 gra (+ A):r=dx:ds. Ricordando quindi il valore di dw si ha ndy ag = Sa ZE = uds , e EJ } EJ }: EJ . Il 2° termine di 4, è nullo perchè esprime il momento sta- tico dell'arco AUS rispetto ad un suo asse baricentrico. Gli altri due integrali, estesi sempre a tutto l’arco AUB, espri- mono le aree racchiuse fra esso e le sue ordinate estreme, pa- rallele per il 1° all’asse y, per il secondo all’asse x, e indicate nella fig. 3 con tratteggio per la metà sinistra e per la metà destra rispettivamente. Si ha quindi [ yde=r1 — i(k+2) |ady=s1+ ik detta # la distanza della corda AB dal centro P. E finalmente, introducendo il simbolo w col quale abbiamo indicato il peso elastico totale 22/E/, e ricorrendo alla (12), si deduce (16) ao =0 ETRE] = 4-40). Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 64 998 M. PANETTI Dalle quali espressioni, direttamente nel caso in cui si tenga conto soltanto del lavoro a flessione, o indirettamente nel caso generale per mezzo delle (14), discendono i valori dei qua- drati dei semiassi dell’ellisse di elasticità a € a € (17) Da 2, OVVero — —, w (7% w I primi si possono dedurre con semplici costruzioni geome- triche, suggerite in modo evidente dalle formole (16), che risol- vono il problema (*). i) Îì Fig. 3. Ora è bene tener presente che a questo risultato sì può giungere direttamente, notando subito che, nel caso di verghe sottilissime, l’ellisse di elasticità si riduce all’ellisse di inerzia della curva che ne costituisce l’asse geometrico, e limitando quindi il ragionamento al calcolo dei 2 integrali (15). Ma è sembrato che una trattazione generale, diretta a ri- cercare per via analitica l’ellisse di elasticità di un corpo di forme regolari, potesse presentare interesse, e perciò si è svolto prima il caso generale, quantunque in questa applicazione sì utilizzino soltanto le (16). (*) Cfr. H. Hartmann, Die Ermittlung der Zentralellipse von Kreisbogen durch Zeichnung, © Schweiz. Bauz. ,, febbraio 1910. L'ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, ECC. 999 4. Tensione iniziale delle molle Lentz. — La ten- sione iniziale delle molle dei regolatori descritti nel n° 1 nasce nella operazione di montaggio, la quale si fa cominciando dal fissare l'estremo A della molla (fig. 1) al morsetto solidale alla capsula L, poi forzando l’altro estremo 5 fino a costringerlo nel ritegno offerto dall’appendice £ solidale all'albero. La reazione della molla avrà intanto portato il sistema in una sua posizione estrema, determinata dal contrasto del tallone N contro l’ap- pendice £, e ve lo manterrà. Supponiamo che i mezzi di vincolamento di ambi i capi della molla siano due incastri con direzione obbligata. Vedremo che a questa disposizione si possono ridurre i casi pratici. Per stabilire la relazione che passa fra la forza È, con. la quale la molla reagisce e lo spostamento relativo delle sue estremità che l’ha prodotta basta determinare il centro G, della rotazione elementare a cui si può ridurre il moto di B ri- spetto ad A. Si segnino perciò (fig. 4) le tangenti &, e # al punto estremo £ dell'asse della molla nella sua posizione iniziale B; e in quella finale .. La perpendicolare al segmento BB, nel suo punto medio e la circonferenza che passa per i suol estremi e per l’incontro T delle tangenti determinano con la loro intersezione il centro © 1000 M. PANETTI cercato, come si riconosce subito osservando che l’arco BC, Bo è capace dell'angolo ®, formato dalle due tangenti. 3 uo 5 3 : " “IVO e Costruito poi l’ellisse di centro G e di semiassi J —D V Là wW U l’antipolare del punto ©, rispetto ad essa sarà la linea d’azione della reazione della molla &,. La sua grandezza risulta dalla nota relazione della teoria dell’ellisse di elasticità (18) R:d=0/w, la quale del resto discende dall’ultima delle (3°). Questo modo semplice e rigoroso di stabilire il rapporto fra la reazione iniziale della molla e la deformazione che le si vuole far subire all’atto del montaggio, permette di accostarsi alla soluzione migliore, la quale consisterebbe nel sollecitare la verga uniformemente, conservandole al tempo stesso la forma circolare che conviene darle in fabbricazione. Supponiamo in fatti che il centro della rotazione elemen- tare C, venga a coincidere col centro elastico della verga G. In tal caso la £& andrebbe a distanza infinita, e quindi tutte le sezioni della molla risulterebbero cimentate dal medesimo mo- mento flettente (19) Mo — 00/w , senza sollecitazioni combinate al taglio o allo sforzo normale. Ma è noto che la variazione di curvatura di un solido ela- stico ad asse curvilineo è proporzionale al momento flettente che in ciascun suo punto lo sollecita. Ne deduciamo, essendo questo costante, che la verga dovrà semplicemente passare dalla figura circolare primitiva di raggio », ad un’altra di raggio r tale che (20) r—tro= Mr = ca 9% Ci siamo riferiti al raggio r, che corrisponde alla configu- razione della. molla dopo il montaggio, perchè in pratica con- verrà prendere questa come punto di partenza del calcolo. Da essa si risalirà alla sagoma della molla scarica, in modo da ottenere effettivamente una tensione iniziale capace del mo- mento M, che le caratteristiche del regolatore richiedono. L'ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, Ecc. ]001 Naturalmente la soluzione è esatta soltanto per deforma- zioni piccolissime, a cui si possono applicare le costruzioni pro- prie degli spostamenti virtuali; mentre nella fig. 4 il centro ©; della rotazione capace di portare Boto nella posizione Bt, è stato dedotto come se si trattasse di uno spostamento di am- piezza finita. L'errore che si commette non eccede però l’ordine di gran- dezza di quello che si fa applicando l’ordinaria teoria della ela- sticità alle molle, per le quali in genere gli spostamenti dei punti di applicazione delle forze non sono piccolissimi. Confrontiamo ora i risultati ottenuti con la disposizione in- dicata nella fig. 1, che è la più largamente usata. In essa l'estremità B della molla è costretta fra 2 appoggi 6 B rivolti in senso opposto, i quali complessivamente equivalgono ad un incastro se il tratto di verga compreso fra essi è abbastanza corto rispetto alle sue dimensioni trasversali per potersi con- siderare come indeformabile. Allora la retta j che congiunge i centri 5 e f delle sezioni estreme al tratto suddetto e la tan- gente # all’asse geometrico nel punto è si devono riguardare come un tutto rigido, cosicchè lo spostamento che si dovrà dare alla 1° per costringere l’estremità della molla nei suoi ritegni sarà uguale a quello che nel procedimento della fig. 4 è stato attribuito alla tangente # onde risolvere il quesito. 5. Tensioni successive di esercizio. — Nel funziona- mento del regolatore il modo di deformarsi della molla non può essere che unico. Quello di variare la posizione di uno degli incastri ri- spetto all’altro, in conseguenza delle rotazioni relative della capsula rispetto all’albero. Allora la reazione supplementare £, della molla, da comporsi con quella iniziale &,, avrà per linea d'azione l’antipolare rispetto all’ellisse di elasticità del centro di rotazione dell’apparecchio intorno a cui il movimento ha ne- cessariamente luogo. Ne discende una regola costruttiva per conservare nella molla un cimento uniforme: quella di far coinci- dere con l’asse di rotazione del regolatore il suo centro elastico G, invece di disporla, come è uso, concentricamente alla capsula. È noterole però che sia con l’una sia coll’altra delle dispo- sizioni indicate la soluzione riesce tanto migliore quanto più 1002 M. PANETTI l'arco .4B della molla è prossimo all’intera circonferenza. In vero in tal caso con la disposizione che noi suggeriamo, essendo piccola l’eccentricità 4, si utilizzerà bene la capacità della capsula per collocarvi una molla di massima lunghezza: con la disposi- zione abituale poi riuscirà meno grave la variazione del momento flettente da punto a punto della molla. Si può rendersi facilmente conto di detta variazione, 0s- servando che in questo caso il centro della rotazione elementare appartiene all'asse di simmetria y, e quindi R, deve riuscirgli normale ad una distanza dal centro elastico espressa da aj=® n= (7-21). Ne discende il momento utile M; dovuto alla forza È, ri- spetto all'asse P del regolatore: M,= R,(d,4- A), mentre, analogamente alla (19), si ha: dt di = 0,/w, se 0, è la rotazione relativa della capsula rispetto all'albero. 9 Da queste 3 uguaglianze si deduce: Mi, (! n 5) ai rl vaga» i ss %w Questo momento, restando uguali le dimensioni della molla e l’angolo di cui hanno rotato l’una rispetto all’altra le sue se- zioni estreme appare dunque maggiore di quello Mi; = 0/6 che si avrebbe a disposizione, portando il centro elastico della molla sull'asse del regolatore. Ma in ciò, è importante notarlo, non vi ha alcun guadagno, poichè anzi il cimento massimo della molla supera alla sua volta il momento M;. Precisamente, pur trascurando le sollecitazioni L’ELLISSE DI ELASTICITÀ DELLE VERGHE INCURVATE, Ecc. 1003 a sforzo normale e sforzo di taglio che in questo caso esistono, risulta per le sezioni di incastro un momento flettente AIA i (1 + sr al quale si dovranno proporzionare le dimensioni della molla, diminuendone il rapporto caratteristico, ossia il lavoro di defor- mazione che essa può immagazzinare nell’unità di volume. La soluzione più vantaggiosa che abbiamo potuto indicare per ottenere sia la tensione di montaggio, sia quella comple- mentare di esercizio, non è invece raggiungibile con la disposi- zione costruttiva della fig. 1 quando .si tratti di variare la tensione iniziale modificando le condizioni di fissamento del- l'estremità B. Invero, spostando nella direzione del raggio il dito d mentre l’arresto 8 rimane fermo, si provoca una rotazione del complesso rigido #j intorno a f, e, trattandosi di un punto relativamente lontano dall’ellisse di elasticità, la linea d’azione della reazione aggiunta Py della molla, che così viene eccitata, non può a meno di attraversarla in prossimità del suo centro elastico, perturbando gravemente l'uniformità del cimento che si potè rispettare nel montaggio e nell'esercizio. Questa disposizione abbassa dunque molto sensibilmente il rapporto caratteristico della molla, obbligando a progettarla assai più voluminosa per assicurarsi lo stesso effetto utile, e quindi rendendola più soggetta all’azione della forza centrifuga, che importa, per quanto è possibile, ridurre. Invece l’altro modo di ottenere il medesimo risultato, consistente nel dare ad uno degli incastri di estremità della molla uno spostamento di rota- zione intorno all’asse del regolatore per variarne la tensione iniziale, è perfettamente conciliabile con la osservanza della uni- formità del cimento, quando, come è stato detto, si faccia ca- dere il centro elastico della molla sull'asse dell’apparecchio. Merita quindi che i costruttori riprendano in esame il se- condo dispositivo, oggi quasi dimenticato, perchè soltanto esso può condurre ad una soluzione perfetta. 1004 GIUSEPPE GOLA Contributo alla conoscenza delle Epatiche delle Isole Canarie. Nota del Dott. G. GOLA Durante un viaggio alle Isole Canarie compiuto nel 1905 a scopo di studi briologici, il collega dott. G. Negri, oltre ad una notevolissima raccolta di materiali di Muschi, dei quali è pros- sima la illustrazione, riunì anche una collezione di Epatiche che gentilmente affidò a me per lo studio. Al collega ed amico ca- rissimo esprimo perciò i più vivi ringraziamenti per avermi dato la possibilità di compiere questo studio. La flora epaticologica delle Isole Canarie è stata oggetto di numerose ricerche da parte di parecchi autori, e specialmente gli ultimi viaggi di Bornmiiller e di Pitard hanno accresciuto di molto il numero delle Epatiche facienti parte della Flora Cana- riese (1). Se le raccolte del Negri non hanno perciò potuto portare alla conoscenza che di una sola specie non ancora nota per le Isole atlantiche, esse hanno tuttavia condotto alla constatazione di stazioni non ancora note, e ad una più esatta conoscenza della loro distribuzione. Gli esemplari della raccolta sommavano a 101, e si riferi- vano a 42 specie, delle quali dò l’elenco. In esso sono segnati con asterisco i nomi delle isole nelle quali ogni singola specie non era stata segnalata fin qui, e con due asterischi il nome della specie che risulta nuova per le Isole atlantiche. Riccia erinacea Schiffn. Gran Canaria. Tra S. Mateo e La Cumbra, m. 1000. R. Crozalzii Levier. * Gran Canaria. Terreno umido argilloso a Lechucilla presso S. Mateo, m. 1000; Juncal presso Tejeda. (1) Oltre alle classiche pubblicazioni di Montagne, di Gottsche, portarono un contributo importante quelle più recenti di Bormiiller (Hedwigia, 1902), di Pitard et Corbière (Les Iles Canaries, Paris, Klinksieck, 1908), di Bryhn (“ Det. Kg]. Norske Videnskabers Selskabs Skriftes ,, 1908). CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLE EPATICHE, ECc. 1005 R. glauca L. * Gran Canaria. Terreno umido argilloso presso S. Mateo, m. 1000. Corsinia Marchantioides Raddi. Gran Canaria. Caldera di Bandamas presso Las Palmas. Plagiochasma rupestre (Forst.) Steph. Palma. S. Cruz da la Palma. Reboulia hemisphaerica (L.) Raddi. Gran Canaria. Los Tylos de Moya. — # Palma. Barranco del fio, m. 900. Grimaldia dichotoma Raddi. Gran Canaria. S. Mateo, fra Tatira e S. Brigida, m. 300-500. Fimbriaria africana Mont. Palma. Cumbra nueva presso C. Cruz, m. 1200. Lunularia cruciata (L.) Dum. Gran Canaria. Fra Tafira e S. Brigida, m. 300-500; S. Mateo, m. 800. — Palma, presso S. Cruz de la Palma. Dumortiera irrigua (Wills) Nees. * Hierro. Fuente Maquena presso Las Lapas, m. 250. Aneura sinuata Dum. * Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya. ## A. pinguis. Gran Canaria. Los Tylos de Moya. Metzgeria furcata (L.) Linde. Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya. Fossombronia angulosa (Diks.} Raddi. Gran Canaria. Tejeda. Boschi di Los Tylos de Moya. — MHierro. Jinama. Southbya hyalina Lyell. * Gran Canaria. Tejeda. DI 1006 GIUSEPPE GOLA Calypogeja ericetorum (Raddi) Spruce. Estrella, sopra S. Cruz, sui muri dei campi. Plagiochila spinulosa (Hook.) Dum. Tenerife. Boschi di Agua Garcia. — Palma. Barranco del Agua, Los Sauces. — Gomera, sul tronco di Erica arborea nel bosco della Sarsa. L'esemplare raccolto a Gomera rappresenta una forma assai allungata, con foglie assai piccole e più distanti che nel tipo; è perciò da ritenersi come una forma psicrofita propria degli ambienti caldi e umidi. Lophocolea heterophyla (Schrad.) Dum. Palma. Barranco del Agua a Los Sauces. L. bidentata (L.) Dum. * Gran Canaria. Fra Tafira e S. Brigida, m. 300-500. — Palma. Barranco del Rio presso S. Cruz, m. 900. Chyloschyphus denticulatus Mitt. * Gran Canaria. Los Tylos de Moya. — Tenerife. Boschi di Palmar sopra Garachito. - Ass. Saccogyna viticulosa, Ma- dotheca Thuja, Eulejeunea ulicina. Saccogyna viticulosa (L.) Dum. Tenerife. Tegueste, Monte de la Mina, Monte di Aguirra. — Gomera. Cumbra del Carbonero, m. 850. — Palma. Bar- ranco del Agua a Los Sauces. - Ass. Plagiochila spinulosa, DiplophyUlum albicans. — Gomera. Boschi della Sarsa. Cephaloziella divaricata (Sw.) Warnst. # Gomera. Boschi di Lauracee a Fuente Santa. - Ass. Scapania curta. Diplophyllum albicans (L.) Dum. Gomera. Cumbra del Carbonero, m. 850. - Ass. Saccogygna viti- culosa, Scapania compacta. Scapania compacta (Roth.) Dum. Palma. Puntallana. — Gomera. Cumbra del Carbonero, m. 850. - Ass. Diplophyllum albicans. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLE EPATICHE, ECC. 1007 S. gracilis (Lindb.) Kaal. Tenerife. Laguna, Bosco di Las Mercedes, m. 800. - Ass. Zrwul- lania, Plagiochila spinulosa. S. dentata Dum. Gomera. Cambra del Carbonero, m. 850. - Ass. Diplophyllum al- bicans, Saccogyna viticulosa. S. curta (Mart.) Dum. * Gomera. Boschi di Lauracee a Fuente Santa. - Ass. Cephalo- ziella divaricata. Radula ovata Jack. * Gran Canaria. Firgas. R. Lindenbergiana Gottsche. Gran Canaria. S. Mateo, m. 800; tronchi di castagno a Lechu- cilla presso S. Mateo, m. 1000; Los Tylos de Moya. — Palma. Sui muri dei campi all’Estrella presso S. Cruz de la Palma. — Hierro. Valverde. - Ass. Frullania squarrosa. Madotheca canariensis Nees. Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya, fra Tafira e S. Bri- gida, m. 300-500. — Tenerife. Monte de la Mina a Tegueste, m. 800; Laguna, Boschi di Aguirra. — Palma. Cumbra nueva presso S. Cruz, m. 1200; Barranco dell’Agua a Los Sauces. — Gomera. Boschi del Barranco Cedro. - Ass. Sac- cogyna viticulosa, Eurynchium Bornmulleri. M. Thuja (Dicks.) Dum. Gran Canaria. S. Mateo. Eulejeunea Pitardii Steph. in Corb., loc. cit. Tenerife. Bosco de la Mina a Tegueste, m. 800. - Ass. Radula Lindenbergiana, Madotheca canariensis. E. Ulicina (Tayl.) Spruce. * Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya. Cheilolejeunea Bonaventurae Steph. * Palma. Barranco dell’Agua a Los Sauces. 1008. GIUSEPPE GOLA — CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA, ECC. Phragmicoma Mackaji (Hook.) Dum. Tenerife. Bosco de la Mina a Tegueste, m. 800. - Ass. Eulejeunea Pitardii, Radula Lindenbergiana. Frullania dilatata (L.) Dum. Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya. F. squarrosa Nees. * Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya; Firgas. — Hierro. Mocanal. F. polysticta Lind. Gran Canaria. Boschi di Los Tylos de Moya. — Gomera. Bar- ranco Cedro. IF. Teneriffae Nees. Tenerife. Buena vista presso Palmar. — Palma. Barranco del Rio, m. 900; Cumbra nueva presso S. Cruz, m. 1200; Cumbra vieja; Puntallana. — Gomera. Boschi di lauracee a Barranco Cedro; Cumbra del Carbonero, m. 850. - Ass. Sac- cogyna viticulosa, Eulejeunea ulicina. F. fragilifolia Tayl. Palma. Sui muri dei campi all’Estrella presso S. Cruz. Anthoceros dichotomus Raddi. Gran Canaria. Firgas; Los Tylos de Moya; S. Mateo. — Palma, presso S. Cruz. Estrella sui muri dei campi. — Gomera. Cumbra del Carbonero. A. Husnoti Steph. * Gran Canaria. S. Mateo, m. 800; Caldera di Bandamas a Las Palmas. — Tenerife, presso Laguna. — * Palma. Barranco del Rio. — Hierro. Jinama. A queste va aggiunta una specie riferentesi con tutta pro- babilità ad una Dilenaea, ma che non fu possibile determinare per l'insufficienza dell'esemplare. Torino, R. Istituto Botanico, Giugno 1911. G. CHARRIER = G. FERRERI — SULL'AZIONE, ECC. 1009 Sull'azione del pentacloruro di fosforo sugli ossiazocomposti. Nota dei Dott. G. CHARRIER e G. FERRERI. Kekulé e Hidegh (1) facendo agire il pentacloruro di fosforo sull’ossiazobenzolo ottennero un composto da essi considerato come ossiazossibenzolo CH; —N-N—- G;Hj0H. DS o Wallach e Belli (2) usarono più tardi questa reazione per caratterizzare l’ossiazobenzolo, e Wallach e Kiepenheuer (3) poi confermarono la formola C,sHioNs0,, data da Kekulé e Hidegh, e considerarono come una conferma della struttura attribuita a questo composto, il fatto, che per l’azione del sodio sulla so- luzione alcoolica di questo corpo si riotteneva l’ossiazobenzolo. Heumann e Paganini (4) riprendendo questa reazione dimo- strarono erronee le osservazioni precedenti, e misero in chiaro che per azione del pentacloruro di fosforo sull’ossiazobenzolo, come sui suoi omologhi o-, m- e p-toluolazofenol, si formano due composti diversi: il cloroazocomposto risultante dalla sosti- tuzione dell’ossidrile coll’alogeno, e l’etere fosforico dell’ossiazo- composto impiegato nella reazione, etere fosforico che Kekulé e Hidegh avevano erroneamente considerato come ossiazossi- benzolo. Noi abbiamo ripreso lo studio di questa reazione, e descri- viamo ora i risultati ottenuti facendo agire il pentacloruro di fosforo su alcuni ossiazocomposti provenienti dalla copulazione del f-naftol coi cloruri di o- e p-anisildiazonio e di 0- e p-fene- tildiazonio. È noto che gli ossiazocomposti che si ottengono per azione dei sali di diazonio sul B-naftol sono ortoderivati; essi possono (1) B. 3, 235 (1870). (2) B. 15, 526 (1880). (8) B. 14, 2617 (1881). (4) B. 23, 3550 (1890); 24, 365 (1891). 1010 G. CHARRIER - G. FERRERI esser rappresentati con le due forme tautomere seguenti, la prima di vero azocomposto e la seconda di o-chinonidrazone: ma hanno tendenza, secondo Auwers (1), a entrare in reazione colla prima, per il fatto che l'anello chinonico tende a trasfor- marsi nell’anello aromatico, tendenza verificata da uno di noi anche in un caso riguardante o-amidoazocomposti (2). Ciò premesso, noi abbiamo osservato che i composti pre- parati dalla p-anisidina e dalla p-fenetidina reagiscono con pen- tacloruro di fosforo lasciandosi sostituire l’ossidrile con un atomo di cloro conformemente all’equazione: N=N[1]0xH,[4]0R H &XC1 Cioko | PCI — Cio + POCI, + HC1 mentre che quelli preparati dall’o-anisidina e dalla o-fenetidina sì comportano in modo affatto diverso. Infatti in questo caso non si forma ossicloruro di fosforo, ma si svolgono acido cloridrico e cloruro di metile o di etile, e contemporaneamente si ottiene un composto, contenente fo- sforo e cloro, pochissimo stabile e non avuto ancora allo stato puro, il quale per azione dell’acqua dà o-ossifenilazo-R-naftol. Per farsi un qualche concetto della formazione di quest’ultimo composto, alla sostanza contenente fosforo si potrebbe forse attribuire in modo tutt’affatto preliminare, la formola N=N-GH 0 Cole 10 A POI, 2 ammettendo che essa sostanza si produca in virtù dell’equazione : (1) A. 360, 11 (1908). (2) G. 40, II, 132 (1910). SULL'AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1011 /N=N-[1]CH,[2]0R ness 0H + Pol, = HO RCOI + SD RUE | \o: 2 si IoBgk e che per azione di una molecola di acqua dia origine all’o-os- sifenilazo-f-naftol: NN H, 50 C10H | + Hs0 = POCO]; ## g /N=N1]H,[2]0H Nell’azione del pentacloruro di fosforo su tutti gli ossiazo- composti studiati si formano inoltre in seguito a reazioni secon- darie piccole quantità di composti infusibili, fosforati, di cui continuiamo lo studio. I cloroazocomposti che descriviamo in questa nota costitui- scono i primi termini di una serie non ancora conosciuta: essi contengono il cloro in posizione 2 nel nucleo naftalinico e l’azo- gruppo in posizione 1: per azione dei riducenti infatti si scin- dono facilmente in 2-cloro-1-naftilamina e nel p-amidofenol so- stituito corrispondente secondo lo schema: N=N-[1]C;H,[4]OR |. , NH; (1 Cola IO ii | Sta 2H, = Cis gi E I) Sa E + GH<0R" dl Una cloroazonaftalina venne ottenuta da Zincke (1) per azione della fenilidrazina sull’a-dicloro-B-chetonaftalina, ma con- tiene secondo questo chimico il cloro in posizione 1 e l’azo- gruppo in posizione 2: è cioè C, Hi < 1| SE Ba p* \N=N—-C;H; 2]. (1) B. 27, 3540 (1888). 1012 G. CHARRIER - G. FERRERI o-Anisilazo-B-naftol Coi Ca[210CH, 13) Si ottiene questo composto per azione del cloruro di o-ani- sildiazonio sul 8-naftol in soluzione alcalina. Si separa sotto forma di un precipitato rosso, che cri- stallizzato dall’alcool costituisce finissimi aghi di color giallo- rossi con riflessi dorati, fondenti a 178°. I. Gr. 0,2623 di sostanza fornirono gr. 0,7046 di anidride carbonica e gr. 0,1199 di acqua. II. Gr. 0,1695 di sostanza diedero cc. 15,5 di azoto (Ho= 724,479 t=13), ossia ‘gr. 0,0171383. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C;:Hy,Ns0, I Ta Carbonio 783,26 —_ (3:98 Idrogeno 5,07 =_= DATO Azoto — 10,13 10,07 Solubile discretamente nel cloroformio e nel benzolo, si scioglie invece poco nell’aleool a caldo, pochissimo a freddo. È pure poco solubile nella benzina. Nell’acido solforico conc. si scioglie con colorazione rosso-violetta. Per azione di una molecola di pentacloruro di fosforo su una molecola di o-anisilazo-B-naftol e decomponendo con acqua il prodotto della reazione, si forma l’o-ossifenilazo-Bnaftol, se- condo l'equazione che è stata già scritta; il cloruro di metile, che contemporaneamente si produce, venne caratterizzato tra- sformandolo in metilmercaptano e questo in composto mercurico. Per eseguire la reazione, si mescolano accuratamente le due sostanze finamente polverizzate, e si scalda la miscela a bagnomaria sino a cessazione dello sviluppo di acido cloridrico. La massa non si fonde, ma si mantiene polverosa, soltanto il colore passa al verde-scuro. Trattando poi con acqua avviene una lenta reazione (quando non vi sia eccesso di pentacloruro e la reazione abbia proceduto bene), che si avverte dal fatto che il colore della sostanza dal verde nero passa al rosso : questo composto rosso è appunto l’o ossifenilazo-8-naftol, impuro SULL'’AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1013 per piccola quantità di o-anisilazo-Bnaftol che non ha reagito e di un composto contenente fosforo, di cui non ci occupiamo nella presente nota. Per separarlo da queste sostanze si scioglie a caldo in una soluzione di idrato sodico all’8 °/,, si filtra al- l’ebollizione per impedire la separazione del sale sodico, e quindi si decompone quest’ultimo con acido solforico diluito. Si separa così allo stato libero l’ossiazocomposto (il ricavo in prodotto greggio arriva all’85 °, della teoria) che si può ottenere cristallizzato in larghe tavole di color verde-cantaride dall’etere acetico. Ricristallizzato dall'alcool ordinario si fonde alL95°, I. Gr.0,2511 di sostanza fornirono gr. 0,6670 di anidride carbonica e gr. 0,1080 di acqua. II. Gr. 0,2884 di sostanza diedero cc. 26,5 di azoto (Ho= 726,469 t=19°), cioè gr. 0,0293534. Cioè su cento parti : trovato calcolato per C,sHiaN303 _mm-e—rT.- — rrT/8"_—"_=%868 I II Carbonio 12,44 —_ (2,02 Idrogeno 4,07 — 4,54 Azoto — TOSI 10,60 o- Fenetilazo-B-naftol Cio 0H /N=N[1]CH[2]0C,H; [1] [2] Questo composto si ottiene analogamente all’o-anisilazo- B-naftol sostituendo al cloruro di o-anisildiazonio il cloruro di o-fenetildiazonio. Cristallizza dall'alcool in minutissime fogliette rosso-ranciato con riflessi dorati, fondenti a 158°. I. Gr. 0,2167 di sostanza diedero gr. 0,5882 di anidride carbonica e gr. 0,1110 di acqua. II. Gr. 0,1984 di sostanza diedero cc. 17 di azoto (Ho= 728,94 t=15°); cioè. gr, 0,019298. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CisHigN20» —_ >=°>—rr _—_ —T — —. I II Carbonio 74,02 — 73,98 Idrogeno 5,69 — 5,47 Azoto —_ 9,67 9-58 Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 65 1014 G. CHARRIER - G. FERRERI Come il corrispondente o-anisilderivato, è poco solubile nel- l’alcool caldo, pochissimo nel freddo; poco solubile in benzina, molto negli altri solventi organici. Si scioglie nell’acido solfo- rico conc. con colorazione rosso-violetta. Per azione di una molecola di pentacloruro di fosforo sì ottiene lo stesso o-ossifenilazo-B-naftol, fondente a 193°, prepa- rato partendo dall’o-anisilazo-B-naftol. I. Gr. 0,1970 di sostanza fornirono gr. 0,5223 di anidride carbonica e gr. 0,0822 di acqua. II. Gr. 0,1581 di sostanza diedero cc. 15,5 di azoto (Ho ="#28,409gt=482) cioe, pr. 00172700 Cioè su cento parti : trovato calcolato per CysHiaNa0a -—- >ò>[/‘‘.0 Tr — r_rrP—_ Tr I II Carbonio 12/90 _ 72,72 Idrogeno 4,65 -_ 4,54 Azoto — 10,92 10,60 Il cloruro di etile che contemporaneamente sì forma nella reazione, venne caratterizzato trasformandolo in etilmercaptano e quindi in composto mercurico. Oropa napo Str SeH4—[2]OH 1a) L’o-ossifenilazo-B-naftol che si forma nell’azione del penta- cloruro di fosforo sui due ossiazocomposti descritti sopra, è identico con quello che si può preparare facendo agire il clo- ruro di o-ossifenildiazonio sul 8-naftol in soluzione alcalina se- condo la reazione: CHXNEN_- GI sin Ciod70H=CHx_N__0,H;,—0H + HCl Anche Niementowshi lo ottenne fusibile a 193° (1). L’o-ossifenilazo-B8-naftol si presenta in tre forme diverse : dall'alcool etilico o dall’etere acetico si separa in tavole di (1) C..B. 1902, II; 988. SULL’AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1015 color verde-cantaride, fondenti a 193°. Dal benzol e dal toluene sì separa in mammelloni costituiti da finissimi aghetti di un bel rosso-ciliegia, senza riflessi metallici, che si elettrizzano fa- cilmente durante la polverizzazione. Infine dall’alcool metilico si separa in forma di aghi rossi ben sviluppati con riflessi dorati, i quali possono venir polve- rizzati molto facilmente. Le due ultime forme messe in contatto con alcool etilico si trasformano dopo pochi minuti in una polvere verde-cantaride, formata da minutissime scagliette della prima forma. Anche per azione del calore succede lo stesso fenomeno: verso 120°- 130° le due ultime forme cominciano a trasformarsi in sca- gliette verdi-cantaride della prima forma e a 193° si fondono. L'identità della composizione delle due forme ottenute dal toluene e dall’alcool metilico, con quella della forma ottenuta dall’aleool ordinario, è messa fuori di dubbio dalle seguenti analisi : Sostanza dal toluene : I. Gr. 0,1392 di sostanza fornirono gr. 0,3706 di anidride carbonica e gr. 0,0613 di acqua. II. Gr. 0,1386 di sostanza diedero cc. 12,5 di azoto (Hh= 9644%t= 17°); cioù”str= 0,0144149. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CigHi3N20s —_ —T_ e _ o. ——©— I Ii Carbonio 72,60 e 12,72 Idrogeno 4,89 — 4,54 Azoto _ 10,59 10,60 Sostanza dall'alcool metilico : Gr. 0,1504 di sostanza fornirono gr. 0,4000 di anidride carbonica e gr. 0,0674 di acqua. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CisHigNs0s è FT =. —.— _=*=”©@ Carbonio 72,59 72,72 Idrogeno 4,98 4,54 1016 G. CHARRIER - G. FERRERI Dell’o-ossifenilazo-B-naftol abbiamo preparato alcuni sali ed eteri; però non abbiamo potuto sostituire più di un atomo di idrogeno ossidrilico; e pare che l'idrogeno sostituibile sia quello dell’ossidrile legato al nucleo benzolico, perchè l’o-anisil- e l’o-fe- netilazo-B-naftol avanti descritti (nei quali al posto di quell’a- tomo di idrogeno si trova un radicale alcoolico) sono insolubili negli alcali. N-=N—C;H,jONa OH cristallizzato sotto forma di minutissime pagliette verde-sme- raldo dalle soluzioni dell’ossiazocomposto in idrato sodico bol- lente (8 °/,) o in carbonato sodico: abbastanza stabile con acqua fredda, nella quale si scioglie con colorazione violetta intensa, è invece idrolizzato dall'acqua calda: le soluzioni con eccesso di alcali hanno color rosso e sono stabili al riscaldamento. I. Gr. 1,2026 di sostanza fornirono gr. 0,1896 di acqua e gr. 0,2429 di solfato sodico, cioè gr. 0,078767 di sodio. II. Gr. 0,4204 di sostanza fornirono gr. 0,0650 di acqua e gr. 0,0844 di solfato sodico, cioè gr. 0,027369 di sodio. Cioè su cento parti : Sale di. sodio C,H< +3H,0. Si separa trovato cale. per C6Hy;N203Na.8H_0 SET II miti. Acqua 15,76 15,46 15,98 Sodio 6,54 6,52 6,76 Sale di potassio CR en AN + 1!/ Hs0. Si prepara nello stesso modo del sale di sodio e ne ha le stesse proprietà: è costituito da pagliette minutissime di color verde- smeraldo. I. Gr. 0,9547 di sostanza diedero gr. 0,0775 di acqua e gr. 0,2499 di solfato potassico, cioè gr. 0,112222 di potassio. II. Gr. 0,5374 di sostanza diedero gr. 0,0464 di acqua e gr. 0,1413 di solfato potassico, cioè gr. 0,063453 di potassio. Cioè su cento parti : trovato cale. per CigHyjN303K.1'/3H230 eee e ces rr — 559, I II Acqua 8,11 8,69 8,20 Potassio PIRO 11,80 11,85 SULL'’AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1017 Acetilderivato deg N_GLoGHo Si ottiene facil- mente scaldando a ricadere per cinque ore l’o-ossifenilazo-8-naftol con acido acetico, anidride acetica in eccesso e acetato sodico. Cristallizza dall’alcool in fini aghi rosso-rubino, fondenti a 153°. I. Gr. 0,2968 di sostanza diedero gr. 0,7658 di anidride carbonica e gr. 0,1271 di acqua. II. Gr. 0,2692 di sostanza diedero cc. 22 di azoto (Ho= 734,577 t=18°), cioè gr. 0,024734. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CygHyjN303 — —-— —_a—— — _—-—r. I Il Carbonio 70,96 — 70,58 Idrogeno 4,75 _ 4,57 Azoto — 9,18 9,15 Solubile discretamente nella maggior parte dei solventi or- ganici, molto nell’alcool a caldo e discretamente anche a freddo: poco solubile nella benzina. Benzoilderivato Co n, Venne prepa- rato col metodo Schotten-Baumann: cristallizzato dall’alcool dove è pochissimo solubile a caldo, quasi insolubile a freddo, forma finissimi aghetti di color giallo-arancio, fondenti a 216°. I. Gr. 0,2120 di sostanza fornirono gr. 0,5835 di anidride carbonica e gr. 0,0890 di acqua. II. Gr. 0,1625 di sostanza fornirono ce. 11,7 di azoto (H,=?718,492 t=19°), cioè gr. 0;012807: Cioè su cento parti : trovato calcolato per CagHigNa03. —.rrr -_-—-r 9-7 I II Jarbonio 75,06 — 75,00 Idrogeno 4,66 _ 4,94 Azoto — 7,88 7,60 Molto solubile in cloroformio e benzolo, poco in benzina. 1018 G. CHARRIER - G. FERRERI Tanto l’acetilderivato, che il benzoilderivato vengono facil- mente saponificati dalla soluzione di idrato sodico (8 °/,) a caldo: si ottiene con questo trattamento una soluzione rossa del sale di sodio dell’o-ossifenilazo-B-naftol, che cogli acidi dà l’ossiazo- composto in forma di fiocchi rossi, i quali per cristallizzazione dall’etere acetico si ottengono fusibili a 193°. Etere benzilico Co area N_-0;H,00; 2h Si ottiene per azione del cloruro di benzile sull’o-ossifenilazo-B-naftol in pre- senza della quantità teorica di etilato sodico. Cristallizzato dal- l'alcool forma finissimi aghetti rossi, fusibili a 152-155°. I. Gr. 0,2010 di sostanza fornirono gr. 0,5728 di anidride carbonica e gr. 0,0964 di acqua. II. Gr. 0,1390 di sostanza fornirono cc. 10 di azoto (Ho= 739,495 17°); ossia. erK0 0114272. Cioè su cento parti: trovato calcolato per Ca3HigN303 _—+— pira a I II Carbonio PR _- 77,96 Idrogeno 5,92 — 5,08 Azoto —_ 8,10 7,90 Molto solubile in celoroformio e benzolo, abbastanza nella benzina. p-Anisilazo- 8- naftol GO =N-1]G;H] 4]0CHs [1] [2] Si ottiene per azione del cloruro di p-anisildiazonio sul B-naftol in soluzione alcalina. Cristallizzato dall'alcool forma aghi rossi fondenti a 137°. I. Gr. 0,2786 di sostanza fornirono gr. 0,7470 di anidride carbonica e gr. 0,1294 di acqua. II. Gr. 0,2334 di sostanza fornirono ce. 20 di azoto (Ho=737,164 t=15°), ossia gr. 0,022843. SULL’AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1019 Cioè su cento parti : trovato calcolato per CxHy4N30» _— —___—& —_ —- I LI Carbonio 1312 _ 73,98 Idrogeno 5,16 -- 5,05 Azoto — 9,78 10,07 Poco solubile a caldo, pochissimo a freddo nell’alcool, 2 più solubile in cloroformio, benzolo e solfuro di carbonio ; solubile nella benzina. Si scioglie nell’acido solforico ‘conc. con colora- zione rosso-violetta e riprecipita inalterato per aggiunta di acqua. Se si scalda una molecola di p-anisilazo-B-naftol con una molecola di pentacloruro di fosforo, avviene la reazione princi- pale seguente: N=N-C;H0CH, * uu /N-N-GH,00H GEIE N Ce 4 GELA e = Cosa Ce 4 C aL 4 POCO + HC1 Per ottenere nel modo più conveniente la 1-p-anisilazo- 2-cloro-naftalina si opera nel modo seguente: si mescolano accuratamente le sostanze finamente polverizzate, scaldando quindi la miscela a bagnomaria sino a cessazione dello sviluppo di acido cloridrico: si ottiene una massa fusa, che si versa in molta acqua agitando bene. Avviene subito solidificazione e tri- turando in mortaio con acqua si ottiene una polvere giallo- bruna: questa ben lavata e triturata in mortaio con alcool freddo, si raccoglie a pompa e si lava sino a che l’alcool passa debolmente colorato: si asportano così le resine, che impedi- rebbero la cristallizzazione del cloroazocomposto, mentre questo rimane indisciolto, essendo pochissimo solubile in alcool freddo. La sostanza, così trattata, viene sciolta in cloroformio bollente, e la soluzione cloroformica addizionata di un egual volume di alcool lascia cristallizzare il cloroazocomposto. Questo è ancora però impuro per piccole quantità di un composto contenente fosforo; cristallizzandolo dall’alcool bollente, in cui il composto fosforato è insolubile, si ottiene la 1-p-anisilazo-2-cloro-naftalina in prismetti rosso-arancio o in scagliette giallo-rosse lucenti, fusibili a 87°. {id I. Gr. 0,3853 di sostanza diedero gr. 0,1863 di cloruro di argento, ossia gr. 0,046072 di cloro. 1020” G. CHARRIER - G. FERRERI II. Gr. 0,1998 di sostanza diedero cc. 16,5 di azoto (Ho ="132;285. t—_I0"), ossia gr. 0,0108720. Cioè su cento parti : trovato calcolato per C,7Hi3Ns0C1 TT —. —r “e — e — a - I II Cloro 11,95 _ 11,97 Azoto — 9,96 9,44 È molto solubile in eloroformio, etere, benzolo e solfuro di carbonio, poco solubile in benzina: solubile discretamente nell’alcool a caldo, poco a freGdo. Nell’acido solforico conc. si scioglie con colorazione rosso-violetta. La 1-p-anisilazo-2-cloro-naftalina, trattata in soluzione ace- tica con polvere di zinco, si scinde facilmente in p-anisidina e in 2-cloro-1-naftilamina Cio? i; che’ cristallizzzio gal l'etere di petrolio forma aghetti bianchi, fusibili a 56°; anche Cleve (1), che la ottenne per azione dello stagno ed acido clo- ridrico sulla dicloro-acet-a-naftalide, ha trovato lo stesso punto di fusione. Per breve riscaldamento della 2-cloro-1-naftilamina con acido acetico e poca anidride acetica abbiamo ottenuto il deri- vato monoacetilico Ca che cristallizza dall'alcool in fini aghi bianchi, fondenti a 191°. Gr. 0,3353 di sostanza fornirono gr. 0,2192 di cloruro di argento, ossia gr. 0,054197 di cloro. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CigHyg NOCI — o. —F—. ——>—— _»Vt_"t—-wr rP 3 Cloro 16,16 165147 Molto solubile in tutti i solventi organici, cristallizza assai bene anche dall’alcool diluito. Se invece si riscalda la 2-cloro-1-naftilamina per qualche ora a ricadere con eccesso di anidride acetica, acido acetico e /N(C3H30)g il CI i quale costituisce prismi incolori, ben sviluppati, fusibili a’ 88°. (1) B. 20, 450 (1887). acetato sodico, si ottiene il diacetilderivato C,oH SULL'AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1021 I. Gr. 0,2766 di sostanza fornirono gr. 0,1498 di cloruro di argento, ossia gr. 0,037061 di cloro. II. Gr. 0,1952 di sostanza fornirono ce. 9 di azoto (Ho = 732,696 t=129), ossia ‘gr. 0,010342. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,,HyaN03C1 — —r [_y —rFP rr Ts — I II Cloro 15,89 —_ last) Azoto = 5,29 5,99 Molto solubile in tutti i solventi organici, cristallizza bene dall'alcool diluito. La diacetil-2-cloro-1-naftilamina scaldata all’ebollizione con potassa alcoolica diluita per pochi minuti si trasforma, lascian- dosi sostituire un acetile con un atomo di idrogeno, in mono- acetilderivato, fusibile a 191°. I. Gr. 0,1369 di sostanza fornirono gr. 0,0882 di cloruro di argento, ossia gr. 0,021807 di cloro. II. Gr. 0,1341 di sostanza fornirono ce. 8 di azoto (Hi=754,340 t6= 14°), ossia*er. 0,009125. Cioè su cente parti : trovato calcolato per CiaHyNOCI T_T _»u_ _ù “e AR en I II Cloro 15,92 _ TOxko Azoto —_ 6,90 6,37 Per azione dell’acido nitroso abbiamo ottenuto in soluzione dalla 2-cloro-1-naftilamina il cloruro di 2-eloro-naftil-diazonio, che con £-naftilamina fornisce facilmente l’amidoazoderivato, la e e cristallizza dall’alcool in aghi rosso-granata, fondenti a 125°. Gr. 0,2070 di sostanza diedero gr. 0,0891 di cloruro d’ar- gento, ossia gr. 0,022029 di cloro. Cioè su cento parti : 2-cloronaftilazo -B-naftilamina CioHe trovato calcolato per CsgHyN3C1 2. _—— —_se=_'r_ Cloro 10,64 10,70 Abbastanza solubile nell’alcool, più solubile negli altri sol- venti organici come il benzolo, il cloroformio, l’acetone, ecc., 1022 G. CHARRIER - G. FERRERI poco solubile nella benzina. Nell’acido solforico conc. si scioglie con colorazione azzurra intensa. Il cloruro di 2-cloro-naftildiazonio copulato con B-naftol in soluzione alcalina da facilmente il corrispondente ossiazocom- posto, il 2-cloro-naftilazo-B-naftol CH N oH:0H, so. stanza di un bel rosso-granata, che cristallizza da una miscela di alcool e cloroformio in minutissimi aghetti di color rosso- cupo con riflessi dorati, fusibili a 177°. I. Gr. 0,1608 di sostanza fornirono gr. 0,0694 di cloruro di argento, ossia gr. 0,017159 di cloro. II. Gr. 0,1080 di sostanza fornirono ce. 8 di azoto (H9="795/221 = I4)Poss1aet#*0;009187. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CaHi3N30C1 I II i Cloro 10,67 = 10,67 Azoto — 8,45 8,42 Solubile abbastanza nella maggior parte dei solventi orga- nici, si scioglie nell’acido solforico conc. con bellissima colora- zione bleu-violetta. p- Fenetilazo-B-naftol RE 13 d | Si forma per copulazione del cloruro di p-fenetildiazonio col g-naftol in soluzione alcalina. Cristallizzato dall'alcool è in finissimi aghi di color rosso-ciliegia, fondenti a 132°. I. Gr. 0,1758 di sostanza fornirono gr. 0,4752 di anidride carbonica e gr. 0,0952 di acqua. II. Gr. 0,2300 di sostanza diedero cc. 18,2 di azoto (H,= 739;284't=12%),' ossia ‘gr!’ 0,0211083. II. Gr. 0,1691 di sostanza diedero cc. 13,5 ‘di azoto (H°=741798— 170). ossia 20, 05595: Cioè su cento parti: trovato cale. per CisHisN303 -— _ T—_m———— _—___ tm ——r I II III Carbonio aa — _ 73,98 Idrogeno 6,01 <> _ 5,47 Azoto — 9,18 9,10 9,98 SULL'AZIONE DEL PENTACLORURO DI FOSFORO, ECC. 1023 È poco solubile nell’alcool bollente, pochissimo nell’alcool freddo, poco solubile nella benzina, molto invece nel cloroformio, benzolo, etere e solfuro di carbonio. Si scioglie nell’acido solforico conc. con colorazione rosso- violetta, e da questa soluzione precipita inalterato per aggiunta di acqua. Per azione del pentacloruro di fosforo sul p-fenetilazo-8-naftol avviene la reazione seguente, analoga a quella del p-anisilde- rivato : Z/N=N—-CH40 aida Cio OH _ PCl; —_ Cp fer OH al Le pO6K arci Usando lo stesso procedimento indicato nel caso del p-ani- silazo-Bnaftol abbiamo potuto facilmente ottenere allo stato puro la 1-p-fenetilazo-2-cloronaftalina, che cristallizza dall’alcool in fogliette giallo-ranciate, fusibili a 94. I. Gr. 0,2935 di sostanza fornirono gr. 0,1383 di cloruro d’argento, ossia gr. 0,034195 di cloro. II. Gr. 0,2009 di sostanza fornirono cc. 15,8 di azoto (= 42519 = £9°), ossia pr 0,0183179. Cioè su cento parti : trovato cale. per CigHi;sNa30CI I II Cloro du: 65 — 143 Azoto — 9,04 9,01 La 1-p-fenetilazo-2-cloronaftalina è molto solubile in cloro- formio, etere, solfuro di carbonio, benzolo, poco solubile nella benzina. Nell’aleool è poco solubile a caldo, pochissimo a freddo. Si scioglie nell’acido solforico conc. con magnifica colorazione violetta. Con acido acetico e polvere di zinco si scinde facilmente in p-fenetidina, che si dimostra colle reazioni colorate caratte- ristiche, e in 2-cloro-1-naftilamina DR DI fusibile a 56°. l'orino. Istituto Chimico della R. Università. Giugno 1911. 1024 TOMMASO BOGGIO Sul moto di una corrente libera, deviata da una parete rigida. Nota di TOMMASO BOGGIO. In questa Nota studio il moto permanente di una corrente: libera, proveniente dall’infinito, la quale viene deviata dalla pre- senza di una parete rigida, situata tutta al finito. Il problema, ove lo si volesse affrontare nella sua genera- lità, e cioè per il caso di tre dimensioni, presenterebbe diffi- coltà gravissime, anzi, nello stato attuale dell'Analisi, insor- montabili. Limitandolo invece al caso di due dimensioni, esso può esser trattato in modo relativamente semplice ed esauriente, giacchè si riesce ad assegnare l’integrale generale della classe di moti considerata. i Il metodo che applico è quello stesso che è stato introdotto nella Scienza dal prof. Levi-Civita nella Memoria: Scie e leggi di resistenza (*), e che è già stato applicato dal prof. Cisotti per la risoluzione di svariate ed importanti questioni di Idro- dinamica (**). Nuove applicazioni idrodinamiche di tale metodo sono pure state fatte recentemente dall’ing. Colonnetti, il quale ha ottenuto dei risultati molto notevoli, anche dal punto di vista pratico (***). Se, in particolare, la parete rigida si estende indefinitamente a monte del moto, in guisa che la corrente liquida sia guidata da tale parete, si ha il problema delle cascate; se poi la parete rigida si estende indefinitamente a monte e a valle, si ha un (*) “ Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo ,, t. XXIII, a. 1907. (**) Cfr. ad es. Crsorri, Vene fuenti (4 Rend. Circolo Palermo ,; t. XXV, a. 1908); Sul moto di un solido in un canale (id. id., t. XXVIII, 1909); Sulla derivazione dei canali (° Zeitschr. fir Mathem. und Physik ,, 59 Bd., a. 1911); Sulla biforcazione di una vena liquida (£ Accad. Lincei ,, t. XX, a. 1911). (***) CoLoxnertI, Sul moto di un liquido in un canale (* Rend. Circolo Palermo ,, t. XXXII, a. 1911); Sulefflusso dei liquidi: fra pareti, ece. (£ Accad. Lincei ,, t. XX, a. 1911). SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1025 problema studiato dall’ ing. Colonnetti (*). Le formule per questi casi particolari si deducono subito da quelle che stabilisco nel caso generale. $ 1. — Posizione del problema. Sia © una parete rigida situata in un piano, e limitata da due punti P,, P., e si abbia poi una vena liquida, proveniente dall’infinito, la quale viene deviata (senza urti) dalla parete ri- gida @ (fig. 1), dopo di che prosegue fino all'infinito. Per sem- plicità assumeremo eguale all'unità la densità del liquido. Per fissare bene le condizioni del problema, introduciamo le ipotesi seguenti: a) lo spazio A occupato dal liquido (fluido incompres- sibile) in moto si estende indefinitamente a monte e a valle di ©; inoltre il moto è continuo, stazionario ed irrotazionale ; 5) il campo A è semplicemente connesso, e separato dalla rimanente regione B di piano dal contorno \} + © + \3+ yu, formato dalla parete rigida © e da tre linee lidere ,, \a, U, di cui la prima si stacca da P, e si estende indefinitamente a ‘monte, la seconda si stacca da P., e si estende indefinitamente a valle, e la terza si estende indefinitamente a monte e a valle; c) le linee libere ), e u hanno (a monte) due asintoti fra loro paralleli, e così pure le linee libere \, e u hanno (a valle) due asintoti paralleli. Queste linee inoltre sono dotate di tangente variabile ovunque con continuità. (*) Cfr. la memoria già citata: Sul moto di un liquido in un canale. 1026 TOMMASO BOGGIO La parete rigida è invece, pur ammettendo generalmente tangente variabile con continuità, può eventualmente presentare punti angolosi (o vertici), nei quali cioè la tangente varia bru- scamente di direzione; tali punti si suppongono però in numero finito e di più (per l’ammessa continuità del moto) tali che l’an- golosità sia concava verso il campo A del moto (*). La curva- tura di © è inoltre supposta finita e continua (eccezion fatta, quanto alla continuità, per i punti angolosi); d) scegliamo come origine delle coordinate un punto qua- lunque 0 di è, come direzione positiva dell’asse Ox la direzione asintotica del moto a valle, e come direzione positiva dell’asse Oy la normale ad Ox, che penetra nella regione A. Supponiamo poi eguale all'unità la grandezza della velocità asintotica delle particelle liquide a valle; allora chiamando wp, vp le componenti della velocità in P, si ha, se P si allontana in- definitamente a valle: (1) lin lim vp=0. Le particelle liquide situate all'infinito a monte, hanno tutte egual velocità, la quale forma colla direzione positiva di Ox un angolo che chiameremo a, e che sarà misurato fra t e — tl, positivamente nel verso antiorario (cioè da Ox verso 0y). Nel caso della fig. 1, l'angolo a è dunque negativo; e) La grandezza V= Vu?+ #2) della velocità è in tutto il campo A, contorni compresi, diversa da zero, eccezion fatta soltanto per i punti angolosi della parete ©, nei quali la ve- locità deve, per l’ammessa continuità del moto, necessariamente annullarsi. $ 2. — Equazioni fondamentali. Dalle ipotesi fatte, segue notoriamente che debbono esistere due funzioni (x, y) e w(x,y) — potenziale di velocità e fun- zione di corrente — armoniche e regolari in A, definite risp. dalle equazioni differenziali: (2) do = udxr + rdy, dy= — vdr + udy, colle determinazioni p=w=0 nell’origine .0. (*) Per la giustificazione di quest’ipotesi cfr. il $ 9. SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1027 La funzione w deve assumere un valor costante sulla linea \A,} +, come pure sulla linea u, perchè tali linee sono linee di flusso. Si avrà perciò: (3) wi=0, su ip DATA. In ogni punto di u la w deve assumere un valor costante necessariamente maggiore di zero; infatti considerando una se- zione della vena, sufficientemente lontana da 0, a valle, e nor- male alla vena, la seconda delle (2), che porge i ==> 0 mostra che w è funzione crescente di y. Noi supporremo: (4) w=.T, su d. È facile vedere che la portata della vena liquida in moto vale pure n. Diciamo poi p la pressione in un punto generico di A, e po la pressione costante che regna nel campo B (in cui c'è la quiete); allora siccome nei punti di \,, \,, u si ha p=po, si conclude dalla nota equazione idrodinamica di Bernoulli, che in questi stessi punti la velocità V dovrà esser costante. E sic- come V= 1 all’infinito a valle, ne segue che (5) Ri=K su \,+-u+ a, perciò l'equazione di Bernoulli può scriversi: 1 9 p= Po + a (1—-V?). Risulta poi subito che la larghezza della vena all’infinito, sia a monte che a valle, vale m. Posto al solito (6) ae=x+dy, w=u— iv, f=P+iw, sì conclude che w ed f risultano entrambe funzioni della va- riabile complessa e, legate dalla relazione: 1) © dt 1028 TOMMASO BOGGIO e che la f è regolare in tutto A salvo che per 2 = ©, ove: (8) lim|f|=©, mentre la w è regolare in A, compreso il punto all’infinito. $ 8. — Cambiamenti di variabile. Se si rappresentano nel piano complesso f=@+ iy, i va- lori che la funzione f(2) assume al variare di 2 nel campo A, si scorge subito che la f descrive la striscia A' compresa fra le cette un=0Scetui— asi contorni dei due campi cor- rispondendosi nel modo in- dicato dalla fig. 2. Ai punti P, e P, del piano = corrispondono due punti dell'asse reale @, di Fig. 2. ascisse rispettive pi <0 e pa > 0. La relazione funzionale f = f(2) stabilisce perciò la rappre- sentazione conforme del campo A sulla striscia A’. Considerando reciprocamente = come funzione dell’argomento f, la w, funzione regolare di 2, può quindi considerarsi come funzione di f, finita e continua nella striscia A”. Dalla (5) risulta che |w|=1 sull'intero bordo superiore della striscia, mentre sul bordo inferiore ciò avviene solo per <=, e p=> Ps. Nei punti angolosi si ha invece |w}= 0, mentre in ogni altro punto del campo |w|=V>0. Se perciò si pone: (9) vi = e, e si conviene che per f= + co (cioè w= 1) sia w=0, la (9) definisce una funzione w, uniforme finita e continua nella striscia A’, bordi compresi, esclusi soltanto i punti corrispon- denti ai punti angolosi della parete ©, avvicinandosi ai quali punti iw tende verso + co. Per f= — o si ha, per quanto si disse al $ 1, w= e7'9, perciò w= a. Infine, sui tratti dei bordi della solita striscia, corrispon- denti alle linee libere, la w assume valori puramente reali. SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1029 $ 4. — Rappresentazione conforme su un semicerchio. Conviene effettuare un cambiamento di variabile, che sosti- tuisca alla striscia A' un semicerchio, il cui contorno corrisponda alle rette che limitano la striscia, in modo che i tratti di esse corrispondenti alle linee libere del piano 2 vengano trasformate nel diametro del semicerchio, e il tratto corrispondente alla parete è, nella semicirconferenza. Per questo, poniamo anzitutto: (10) F=d, « e consideriamo il semipiano (complesso) /' di ordinate positive. È facile allora vedere che la (10) riferisce biunivocamente la striscia 4" al semipiano anzidetto, e i contorni dei due campi si corrispondono nel modo indicato dalla fig. 3: E A, (C24 Aa Fig. 3. All’origine del piano f corrisponde il punto £# = 1, e ai due punti @;, 9, due punti dell’asse reale, di ascisse positive F,, 3, «coni <= Led F4y>1: Trasformiamo ancora il semipiano F in un altro semipiano 4 {pure di ordinate positive) in guisa che ai punti: EI Pun Ri Pos «dell'asse reale del semipiano /, corrispondano rispettivamente i punti: . Z=—- 1, A=0 Z=<+1, dell'asse reale del nuovo semipiano Z. Queste tre coppie di punti determinano una corrispondenza proiettiva fra gli assi reali dei due semipiani, e quindi / si può esprimere come funzione lineare fratta di Z, e si trova imme- -diatamente che: tel PZ (11) dora: NESTA, Atti della R. Accademia — Vol. XLVI. 66 1030 TOMMASO BOGGIO oOVe: (12) a RT (cs —hd i F,+-E- 25? F+F3—-2 Ai punti F=0 e F= corrispondono rispettivamente 1 punti: (13) Z=—-a, Z4=b(8). Le linee libere e la parete rigida del piano 2, hanno per immagine dei segmenti dell’asse reale del piano Z, come mostra la fig. 4. Fig. 4. Se infine st passa dalla variabile complessa 4 ad una nuova variabile complessa Z colla formula: n» "pla FE al variare di Z nel semipiano di ordinate positive, il punto cor- rispondente Z descriverà il semicerchio di raggio 1 e di ordi- nate positive (**), e il contorno di questo semicerchio corrispon- derà al contorno del campo A, nel modo indicato dalla fig. 5. Al punto Z= co corrisponde il punto Z= 0, e ai punti Zy, Z, due punti di ascisse rispettive &,, &. All’origine del piano = corrisponde il punto Z= è. Lo (*) I punti Z, Z; sono simmetrici rispetto all’origine, cioè a=bd, se F,F3=1; ne segue allora 71 + 73 > 2, quindi a e 6 sono maggiori di 1. Giova notare che è sempre possibile scegliere su è l’origine 0 in guisa che F,F3=1, cioè che il potenziale p assuma valori, che differiscano solo per il segno, nei punti P, e P;. Qui tuttavia non ci serviremo di questa pro- prietà, perchè dalle formole che si otterrebbero, non sarebbe più possibile dedurre, come caso particolare, quelle relative al problema delle cascate. Supporremo invece scelta l’origine (ciò che è sempre possibile) in modo che a e d siano soltanto maggiori di 1 (senza essere eguali). (**) Cfr. Levi-Crvira, Scie e leggi di resistenza, $ 6. SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1031 Per mezzo delle (10), (11), (14) si passa da f a Z, perciò ogni funzione di f, regolare nella striscia A’, si può considerare come funzione di Z, regolare entro il semicerchio. In particolare, godrà di tale proprietà la funzione w legata a w dalla (9). Li -f Fig. 5. Perf=-+c0, si ha (83) w=0; e siccome se fi=" po, onde la convessità delle linee libere. 1040 TOMMASO BOGGIO $ 8. — Contorni simmetrici. Supponiamo che la parete ò ammetta un asse di simmetria r e che le direzioni delle velocità asintotiche a monte e a valle siano egualmente inclinate sopra r, in guisa dunque che il vet- tore somma di tali velocità (le quali hanno grandezza 1) sia normale ad r. In tali condizioni si può dimostrare (*) che l’intero sistema delle linee di corrente sarà simmetrico rispetto ad ». Ogni linea di corrente sarà dunque tagliata ortogonalmente dall’asse », il quale perciò sarà una linea equipotenziale; se quindi scegliamo l'origine delle coordinate del piano 2 nel punto d’intersezione dell'asse r colla parete è, l'equazione di r sarà @= 0. Nei punti simmetrici P,, P, i potenziali @,, ®» differiranno solo per il segno, perciò, come abbiamo già osservato ($ 4), le costanti a e è che figurano nella (11) sono eguali, e ne viene che, nella corrispondenza fra i piani 2 e Z, l’immagine di r è l’asse immaginario del semicerchio, mentre a punti simmetrici rispetto ad r, corrispondono punti simmetrici rispetto al detto asse Immaginario, Di qui è facile dedurre che la funzione: wu — - deve essere funzione dispari di Z. In conseguenza, le formule generali precedenti subiscono varie semplificazioni. Così, ad es., se la parete è è priva di punti angolosi, la (29') si riduce alla: 0 DI wa 92 Fri DS Con41 den [0] e poichè ora &, = — %, le costanti c, risultano legate dall’unica condizione che si trae dalle (32): (Cel ONTO o Da Con4+1 Egna REIT D) . Si può poi soddisfare alla (33) assumendo, ad es., positive tutte le costanti c2,,1. (*) CoLonnetTI, Sopra un caso di emisimmetria che si presenta in certe questioni di Idrodinamica (* Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, serie 5°, vol. XX, 1° sem. 1911). SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1041 $ 9. — Parete rigida poligonale. Supponiamo che la parete © sia una spezzata poligonale (di » lati) i cui vertici successivi siano i punti: EMO 01, O, Fa; i punti @, sono allora punti angolosi per ù. Diciamo, come a $ 6, Z, l’affissa del punto del semicerchio, immagine di Q,, e poniamo Z= e°%., Ricordando il significato di 9, si trae che la 0 deve assu- mere valori costanti, che indicheremo con 6}, 03, ..., 9, ri- spettivamente sugli archi (+ 1, Zi), (Zi, 40), ..., (Zi, — 1) della solita semicirconferenza, in guisa che le (28) possono scri- versi semplicemente: (28) 6=0,, per Z contenuto nell’arco (Z,_1, Z,). Sulla semicirconferenza (+1, —?, — 1) si ha naturalmente il comportamento che risulta per riflessione. I valori 0,, 92, ..., 9, non sono altro che gli angoli che i successivi lati della spezzata P,0,, 0,0, ..., Qu1Pa for- mano colla direzione positiva dell’asse Or. È facile costruire una funzione wy(Z), reale sull’asse reale, regolare entro il cerchio |Z|= 1, e la cui parte reale verifichi le (28'), e si ottiene (*): n-]l GI) sl = 3 (+9) +) a — elog(i 77). 1 Questa funzione rientra nella (29) per 2 = 0, e rappresenta l’integrale generale dei moti su parete poligonale. Gli angoli 06, sono legati dalle condizioni che si deducono dalle (32) per £2= 0, cioè per c, = 0, e che scriveremo fra poco. Prima però osserviamo che se si chiama x, l’angolo sotto il quale dal punto Z si vede l’arco (Z,, 1, Z,), del solito semi- -. 0(*) Cfr. CisortI,, Vene fAuenti, $ 12. 1042 TOMMASO BOGGIO cerchio, ed r,, #, le distanze del punto Z dagli estremi Z,, Z, di detto arco, si riconosce facilmente che: . Z—- Uh "h ; T log (i e oe im— 0 — DE perciò la (34) porge: (35) wo(Z) = Le TT 3A (0,11 8,) [log S o L D (n — 5) $ in particolare, se il punto Z si muove sul diametro reale, risulta: n_1l (0 fd 1 1 | (351) up 3 (0, -| "in 0, ) — = ) i (0,41 Cra 0,) (n = (0g 5) 1 Dopo ciò, le relazioni a cui abbiamo accennato, fra le co- stanti 0,, si scrivono: n_1l 1 1 ò i | 9 (0, + 0,,) seri mt h (0,41 =. 9,) (28, = Car 5) 0) ” (36) 15 6 A Ogg ] 1 | 9 (0, + 0,) TN 5 Penna seni sic) e 0,) )(2 On (077 Pe ove a,, 8, sono gli angoli (fig. 5) sotto i quali l’arco (1, Z,) è visto rispettivamente dai punti &,, È; sottraendo risulta: n_-1 (37) I (0,1 — 9, ) (B» “si oa = Sottraendo poi dalla (35°) la prima delle (36) si ha: n_-1l (38) T.Edh (nza — 0a) (2B:— x) Supponiamo ora che tutte le differenze 0,,, — ® siano po- SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1043 sitive, cioè che la parete poligonale sia concava verso la re- gione A occupata dal liquido in moto, allora la (38) mostra che wo(Z) cresce quando Z decresce da +1 a — 1, cioè che wo(2) soddisfa alla condizione (33), la quale esprime che le linee li- bere debbono esser convesse verso il campo A. Ne segue che la larghezza della corrente va diminuendo quando ci si allontana verso monte o verso valle [e tende ($ 2) al valor limite m, che raggiunge all’infinito|], e quindi la velo- cità deve andare crescendo [avvicinandosi ($ 1) al valor limite 1, che raggiunge all’infinito|. Nel caso in cui ci sia simmetria, alle condizioni precedenti dobbiamo aggiungere, come è facile vedere, queste altre: \ 0, a O,-h = (= — 1): | 0, 35 CAS = A Il caso di una parete curvilinea concava verso la regione A, può considerarsi come caso limite di una parete poligonale concava, perciò la (33) può ancor ritenersi soddisfatta, perchè dalla (38), passando al limite, e chiamando w(Z) il limite di wo(Z) si deduce l’espressione di w(Z) sull’asse reale: n 1 (TT do en | 0x0) ape Similmente, la (35) fornisce al limite w@)= 1 (+ 8a) + i |M [logtt +ilxo— - 3)[1749, Jo L la quale può ancor trasformarsi con un'integrazione per parti. Questa formula ci dà, sotto forma finita, l'integrale generale dei moti su parete curvilinea, priva di punti angolosi; l’espres- sione di tale integrale sotto forma di serie, è invece la (29). La funzione 6, che va riguardata come funzione arbitraria del- l'argomento 0, è solo soggetta alle due condizioni che risultano sostituendo l’espressione precedente di w(Z) nelle (15), (16), e che si ottengono pure dalle (36) passando al limite. 1044 TOMMASO BOGGIO $ 10. — Parete bilatera. Come applicazione delle formule precedenti, consideriamo il caso in cui la parete © è costituita da due segmenti OP,, OP, ortogonali fra loro (fig. 6). L'origine O è un punto ango- loso che ha per immagine, sul piano Z, il punto Z, = î, perciò o, = n/2. Le inclinazioni 9,, 9, di OP; e OP. sull'asse 0x sono legate dunque dalla condizione: (39) 0, —-0,= di nella quale 8, va riguardato come positivo e 0, come negativo. Ciò premesso, dobbiamo porre x = 2 nella (34) e si ha così: (40) u= 3 +0++ logi?) poi dalla (38), se Z è reale: (41) n= Wi gli angoli 0,, 9, debbono poi soddisfare, oltre che alla (39), alla prima delle (36), perciò: o, +0,=28,— q, da cul: (42) of La (37) porge poi: (43) a=f,— di. Fig. 6. Supposti dunque dati a, e 8,, risultano noti 0,, 0, ed a. Il dare a, e 8, equivale a dare i punti #, e z, e quindi anche i valori di Z, e Z;, cioè i potenziali di velocità in P, e P.. (45) SUL MOTO DI UNA CORRENTE LIBERA, ECC. 1045 Calcoliamo ora le lunghezze dei segmenti OP, e OP,. Basta applicare le (24), perciò occorre calcolare prima la grandezza della velocità, cioè e”. Se il punto Z è sopra la semicirconfe- renza (+ 1, i, — 1), in guisa che Z= e°9, con0 <0< n, si ha: Cir cos o pe ae elsono dunque, ricordando la (20), cioè che it è la parte immaginaria di w, ossia, nel caso attuale, di wy, si deduce dalla (40): | cos O |. (44) ui? | 14+ seno |” log po sostituendo nelle (24) si ottengono integrali che si possono cal- colare sotto forma finita; limitandoci al caso particolare in cui b= 0 (cio&z;(= 0); s1 trova: Î | fa +1) Voa — VWatEt V2+1 OP,=-=>3— | ° È : + 209 — Sull’equilibrio elastico dei sistemi ul piani ; s 450 Corrapi (Giuseppe) — Di Seleuco I e della quistione della Ca 585 Dareste (Rodolfo) — V. Manno (A.). D'Ercore (Pasquale) — Breve commemorazione del Socio corrispon- dente prof. F. BonarELLI . n _ MZ — Presentazione all'Accademia del “ Sr di DARI Gich dell here liano Pietro Ceretti , . ; gi LE — Breve commemorazione del Socio ia non RO Felice Tocco. ; AR) — Presentazione all’ iccadenia so un SATIRA di Etica n A sn » 880 — e Dr Sancris (G.) — Relazione sulla Memoria del Dr. Cesare Travaenio: La vera conoscenza secondo Plotino ” , 555 n — V. Rurrixi (F.), D'ErcoLe (P.) e RexieR (R.). De Sancris (Gaetano) — Ancora il decreto di Cn. Pompeio Strabone , 727 — Presenta l’opera del prof. Martino ScHanz, Geschichte der ròmischen Litteratur Il 13. ; : È 7 . o 3 ; et —- V. Crporra (C.) De Sanctis (G.) e Srorza (G.). — V. D’Ercore (P.) e De Sancms (G.). — V. Srampini (E.) e De Sanctis (G.). Dezani (Serafino) — Contributo allo studio dell’Antipepsina . a LL D’Ovipro (E.) — Parole colle quali offre a nome del prof. F. CALpa- rera la seconda edizione del suo libro: Sul moto dei pianeti , 515 Ernavpi (Luigi) — Le pubblicazioni dell'Istituto internazionale d’agri- coltura di Roma . i, ra 02 — Parole dette presentando i libri SERI del Prof. GI PLS Il protezionismo operaio. L'esclusione del lavoro straniero. — Le dogane interne nel secolo XX. Il mercantilismo municipale , 675 INDICE DEL VOL. XLVI 1077 Errera (Carlo) — Un mappamondo medievale sconosciuto nell’Ar- chivio Capitolare di Vercelli. ; 7 ì S deg. : 8 FerrErI (G.) — V. CHarrier (G.). Foà (Carlo) — Ricerche sull’apnea degli uccelli a 49 — V. Fusari (R.) e Camerano (L.). Foà (Pio) — Angelo Mosso. Commemorazione . : 701 — Incaricato a rappresentare l'Accademia alle onoranze a Cile GracoMINI —. » 885 Fownrana (Vittorio) — Il sarotietro dell’ Fu iaibo ritto dell’ Dear taltbisto Peratoner a Firenze . ; } A s 634 FraccaroLi (Giuseppe) — Eletto Socio atrio dito s 486 — Ringrazia per la sua nomina . 7 n 495 Fusari (Romeo) — Incaricato di rappr citta l Avia alle ono- ranze a Carlo Gracomini —. gI0885 — Presenta per la pubblicazione nei calar elle Mein îe, un Mvoro del Dott. Carlo Foà, Sulle cause del ritmo respiratorio . n 732 — e Camerano (L.) — Relazione sulla Memoria del Dott. Carlo Foà, Sulle cause del ritmo respiratorio È ; ; 3 f n 8283 GareLLi (Felice) — Contributo alla spiegazione del fenomeno della concia . : RE LIS GuaieLieno (Mario) — Nediui spriposti briiezaronprntioni. dietilsomtittite 87 Giacosa (Piero) — Sulla morte di Amedeo VII . i «160 GrarpineLLi (Giulia) — V. MartrroLo (0.) e Parona (C. F.). GronimtI (F.) — Studî metallografici sulle armi preistoriche n 446 — e Carnevari (F.) — Sulla cementazione degli acciai al nichelio , 409 — — Sulla cementazione degli acciai al cromo , 998 Gora (Giuseppe) — Contributo alla conoscenza delle Fpatiche dette Isole Canarie A : ì 5 3 } A , 1004 — V. Marmroto (0.) e rasi (L.). Grassi (Guido) — Incaricato di rappresentare l'Accademia alle ono- ranze ad A. PacinortI . , i PR (5) GuarescHi (Icilio) — Presenta una sua bia nota: Fr ancesco Selmi und die kolloidalen Lisungen , G g14 06 — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Menkiri îe sicendemnicha la 1* parte del suo scritto su Francesco Selmi e la sua opera scientifica ; E È » ; . i: , 3 p n 180 — Id. id. la 2* parte . È ; L : È n 62 — Giuseppe Albini. Brevi parole o commemorazione È . ‘208, 210 — Cenni biografici su J. H. van't HoreF ] : s } i » 439 — Aleuni nuovi derivati qei cicloesanoni . . 5 : 4 n 662 — Omaggio di fac-simile del libro di Giovanventura RossertI sul- l’arte dei tintori . * i, » 182 Gui (Camillo) — Presenta per l'inadrionb nei valuti delle rad ie accademiche un lavoro dell’ Ing. C. L. Riccr, intitolato: L'ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella Scienza delle Costruzioni . { ì i ; : ì 4 7 } gi 66 Me dalla RP: Accaleniia. = Wall WINE de, 69 1078 INDICE DEL VOL. XLVI Gurpr (Camillo) e Segre (C.) — Relazione sulla Memoria dell'Ing. Carlo Luigi Ricci: L'ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella Scienza delle Costruzioni . ; 7 . ; + yiFagi Horr (G. E. van't) — V. Camerano (L.). — V. GuarescauI (I.). JacoangeLI (0.) — Dimostrazione geometrica della regola di Bessel , Japanza (Nicodemo) Nominato delegato della Classe al Consiglio di Amministrazione dell’Accademia ; z È — Presenta per l’inserzione nei volumi delle ded. sceadegii uno scritto del prof. G. Boccarpr, intitolato: Sulla latitudine del R. Osservatorio di Torino . s — e Naccari (A.) — Relazione intorno me CNN di G. to carpi, Sulla Latitudine del R. Usservatorio di Torino i ci — Sopra alcuni sistemi composti di due lenti e sul livello di H. Wild costruito dalla Casa Zeiss in Jena . , " — Dà lettura della commemorazione del Socio G. V. Soap che sarà inserita nelle Memorie . ; A Jaraca (Cesare) — Gli eftetti di una imposta cesoie So Me sui profitti . ; È x ; : : , ; xt JeLuineg (Camilla) — Ringrazia per le condoglianze inviatele . A JeLuinex (Giorgio) — V. Bosetti (P.). Jorro (C.) — Collegamento del Gabinetto di Geodesia annesso alla R. Università di Torino alla rete geodetica italiana ? ; Laura (Ernesto) — Lain una classe jin di vibrazioni dei mezzi isotropi . 3 5 5 È o Lincro (Gabriele) — D’una nuova geminazione dela nno 3 a — Di una dolomite ferrifera del traforo del Sempione . - A Luzio (Alessandro) — Gli è conferito il premio Gautieri . : 3 — Ringrazia . . 3 Manno (A.) — dui la ciao i n ao dell Con- gresso artistico internazionale di Roma che invita a nominare un Delegato dell’Accademia s ? ; n — Presenta d’ufficio un manoscritto iaia dal ui H. BoureEors per essere inserito negli Atti. 7 ° È î î — Partecipa la morte della madre del Socio Spini ? $ — Partecipa gli annunzi fatti dall'Istituto Veneto e dall'Acas dna Olimpica di Vicenza per la morte di A. Fogazzaro : È — Comunica il R. Decreto che approva l'elezione del Socio Parona a Tesoriere dell’Accademia } E : “ — Partecipa la morte del Socio corrispondente. R. Dio 3 i Marte (Edoardo) — Su alcuni fenomeni osservati nelle Ombrellifere e nelle Papaveracee . : i È x : i i & — V. Marmroto (0.) e Parona (C. F.). MarmiroLo (Oreste) e Parona (C. F.) — Relazione sulla memoria del Prof. E. MarreL: Nuove contribuzioni all’anatomia delle Solanacee , — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche i due seguenti Mer ori: Sul valore sistematico del tegumento se- 203 143 INDICE DEL VOL. XLVI 1079 minale delle Vicieae (D. C.) italiane della Dott.* G. GraRDINELLI e Lo Stagno di S.' Gilla (Cagliari) e la sua vegetazione. Parte II : Costituzione ed ecologia della Flora, del Dr. Angelo Casu. Pag. 209 MarmIRroLo (Oreste) — Presenta per l'inserzione nelle Memorie ac- cademiche un lavoro del Dr. G. Gora, intitolato: Le Avene pie- montesi della Sez. Avenastrum Koch — e Parona (C. F.) — Relazione sulla Memoria abna Dott.® Giuli GrarpINELLI: Sul valore sistematico del tegumento seminale delle 262 Vicieae (DC) italiane . ; 29 — —. Relazione sul lavoro del Dr. n vd dal vitro! 5) Stagno di S. Gilla (Cagliari) e la sua vegetazione 5 È $ IRR 2.8,]: — e Camerano (L.) — Relazione sulla Memoria presentata dal Dr. G. Gora, Le Avene piemontesi della Sez. Avenastrum Koch, 432 — Presenta una Memoria del Dr. G. Negrr. intitolata: La vegetazione del “ bosco Lucedio , (Trino Vercellese). Contributo allo studio fitogeografico dell'alta pianura padana . 7 Î a, 1082 — e Parona (C. F.) — Relazione sulla Memoria del Dr. 6. NecrI: La vegetazione del “ bosco Lucedio , (Trino Vercellese), ecc. ., 1048 Moxri (V.) — Sul clima del Gran Paradiso È } ? i, E 5}:10) Mosso (Angelo) — V. Foà (Pio). Morzo (Bacchisio) — Un'opera perduta di Filone È 7 » 860 Naccari (Andrea) — Presentando le numerose Rn ricevute per la morte del Socio Mosso, e i ringraziamenti della famiglia per la parte presa al suo lutto, ricorda quanto già ebbe a dire il Presidente della grande perdita fatta . 5 AND — Rieletto Direttore della Classe di scienze fisiche, pani ene e naturali : È 3 5 : x : : - 5 (7405) — Presenta le “ Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1910 all'Osservatorio della R. Università , . : 7 7 262 — V. Japanza (N.) e Naccari (A.). NoerHER (Massimiliano) — Ringrazia per la sua nomina a Socio straniero 4 : ; : 34 2 Pagciero (G.) — Resto dali (POR di Labuask ; : t , 389 — I numeri primi da 100000 000 a 100 005 000 . : : Dod 166 PawertIi (Modesto) — L’ellisse di elasticità delle verghe cura ad arco di cerchio e le sue applicazioni al calcolo dei regolatori Lentz . a e > 9 i 4 . : - 3 n 988 Pareri (Luigi) — Zama . î - 2. 902 — Per la storia di alcune SARO stra nell’ Agi Mido 7 colo Parona (Carlo Fabrizio) — Rieletto alla carica di Socio Tesoriere del- l'Accademia . 3 : : 5, 488 — Esposizione finanziaria per il pra BAate esercizio 1910 e dies preventivo per l’anno in corso e gestione dei lasciti BressA, GaurIERI, VaLLauRI e PoLLINI . ; x : I; n 699 — A nome del collega MartIRoLo, presenta per la inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del prof. Edoardo 1080 INDICE DEL VOL. XLVI Marret, intitolato: Nuove contribuzioni all’anatomia delle Sola- nacee . è s . bi NC Bag: Parona (Carlo Babi) = Prossola per Test nei volumi delle Memorie uno studio geologico del irc F. Sacco, intitolato: Il Gruppo dell’ Argentera — e Spezia (G.) — Relazione sulla memoria: 17 Grasa dell’ Argon tera; studio geologico del Prof. Federico Sacco — Le Rudiste del Senoniano di Ruda sulla costa milioni dali l’isola di Lissa . — Note per lo studio del NooAiatgnsa nel Fiali derigcniae — Presenta per l’inserzione nelle Memorie accademiche un suo seritto, intitolato: Nuovi studi sulle Rudiste dell'Appennino (Radiolitidi) , — V. Marmtiroto (0.) e Parona (C. F.). Pasrore (Annibale) — V. Rurrini (F.), D'ErcoLe (P.), Remier (R.). ParertA (Federico) — Come il manoscritto Udinese della così detta “Lex Romana Raetica Curiensis , e un prezioso codice Sesso- riano siano emigrati dall'Italia . — Il preteso epitaffio di Ugo Visconte morto lla spedizioni del- l’anno 1087 contro i pirati saraceni di Mehdia ProLti (Giuseppe) — Sintesi della Smithsonite e dell’Anglesite Pizzetti (Paolo) — Sopra il calcolo teorico delle deviazioni del Geoide dall’ Ellissoide Ponzo (Mario) — Osservazioni i alla diriaione degli. errori di localizzazione negli spazi intercostali , i > n — Di alcune osservazioni psicologiche fatte durante le rappresen- tazioni cinematografiche ; ) " 5 Provana (Ettore) — V. Sramprni (E.) e De Sancris (G.). RarnaLpi (B.) — La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di ”» n ” » n ” n tal Torino nel quadriennio 1906-1909 . E 2 ; ; 5 Ramòn y Cayar (Santiago) — Ringrazia per la sua nomina a Socio corrispondente . ; 7 Si Renrer (Rodolfo) — A nome del Socio DI Pecci A una memoria del Dr. Annibale Pastore, intitolata: Dell’essere e del conoscere , — Anche a nome del Socio Srorza, presenta e illustra lo scritto del Socio corrispondente I. DeL Luno: Il canto XVII del Paradiso , — Presenta con encomio il volume: La prosa di Galileo per saggi criticamente disposti ad uso scolastico e di coltura di Isidoro Der Lunco ed esprime il voto di un’edizione REESSRE delle Opere del Galileo 3 i . — Comunica le condoglianze inviate al cl Bios per la maori della madre È , È : 5 — A nome del Socio Srorza presenta una memoria dallo Sani pr sopra Il testamento di un bibliofilo e la famiglia Farsetti di Venezia , — V. Rurrini (F.), D'Ercore (P.) e Renier (R.). Ricci (Carlo Luigi) — Relazione tra le forze e gli spostamenti per un sistema rigido soggetto a legami elastici . : ; , — V. Guzpi (C.) e Sere (C.). 80 =] 285 789 INDICE DEL VOL. XLVI 1081 ‘Roccari (Alessandro) — La Mollieresite. Anagenite gneissificata del vallone Marges presso Mollieres (Alpi Marittime) . +. Pag. 733 Rurrini (Francesco), D’ErcoLe (Pasquale) e Renier (Rodolfo) — Rela- zione intorno alla memoria del Prof. Annibale Pasrore: Del- l’essere e del conoscere . > na lr — Ringrazia della parte presa dall' ide al int (che l’ da dio n 255 — Parole dette presentando i seguenti libri di Mario FaLco: Il rior- dinamento della proprietà ecclesiastica. Progetti italiani e sistemi germanici. — Le disposizioni “ pro anima ,. Fondamenti dottri- nali e forme giuridiche : 5 671 SaspapinI (Remigio) — Giovanni Colonna et e Vibliograso co) secolo XIV . È p î : 5 : ; i 5 s 830 — Eletto Socio corrispondente . N i . : . i n 436 — Ringrazia per la sua nomina . . È ; ? ; sn 495 Sacco (Federico) — V. Parona (C. F.) e Sheziù (G-). Sannra (Gustavo) — Il reciproco di un determinante infinito normale, 31 — Estensione di teoremi di Sylvester e di Hadamard ai determinanti infiniti normali . : ; ; ; È i 2 07 Scnanz (Martino) — V. Di cia (G)). ScHIAPARELLI (Giovanni) — V. Bosetti (P.). — V. Japanza (N.). ScLavi (Mario) — Azione dell’etere cianacetico sulle aldeidi orto- € paraossibenzoiche in presenza di ammoniaca . - : 2 181 Seere (C.) — V. Gum (C.) e Seare (C.). Srorza (Giovanni) — Nominato rappresentante della Classe al Con- siglio di Amministrazione dell’Accademia . 7 i i n 150 — V. Renier (R.). — V. Cipotta (C.), De Saneris (G.), Scorza (G.). Sisam (C. H.) — On Algebraic Hyperconical Connexes in pn of r Dimensions È à » 481 Seezia (Giorgio) — Sopra alcuni OSARE effetti fena della pres- sione nel metamorfismo minerale 5 ) È È , » 682 — V. Parona (C. F.) e Spezia (G.). Srampini (Ettore) — Presenta per le Memorie accademiche una Mono- grafia del Dr. E. Provana, intitolata: Blossio Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario i s 435 — e De Sanctis (G.) — Relazione sulla Mio (dol n Hitore pa vana: Blossio Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario , 778 Suess (Edoardo) — Ringrazia per la sua nomina a Socio straniero , 2 Tagore (Raja Kumar Nawab Shyama Kumar) — Ha inviato in dono un prezioso manoscritto tibetano a e 6 829 T'Homson (John Joseph) — Ringrazia per la sua nomina a saio straniero , 2 Tocco (Felice) — V. D’ErcoLe (P.). — V. Bosetti (P.). Tocco-Poxzani (Cristina) — Ringrazia per le condoglianze inviatele, 829 Zurerti (Carlo Oreste) — Eletto Socio corrispondente , $ n 436 — Ringrazia per la sua nomina . 7 y : 5 . : » 495 —___—_—_—__ tile ve het Aa Std SITI mi razg 341 n " Li "ida WA ‘ sti È M SSMLLL v eritrea 6; UA tti cn rie î ACCADEMIA DELLE SCIENZE — DI TORINO PUBBLICATI E; dI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLÉ DUE CLASSI Vor. XLVI, Disp. fl? » 2°, 1910-1911. TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S, M. e dei RR. Principi. 1911 cercorcercereercccene DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE H (16 DI TORINO SATA 1910- Sh, divise per Classi merorrocorrrecorrcoc_ecrcroeoecorco Classe di Scienze | Classe di Scienze. fisiche, matematiche | morali, storiche e naturali e filologiche 20 Novembre 1910 27 ic 4 Dicembre » 11 Dicembre 19 Rs» 1911 1 Gennaio 8 Gennaio » det 22 » 5 Febbraio (Qt î Marzo 19 » 2 Aprile 29 » 12 Febbraio 26.» 12 Marzo esco 9 Aprile SA a aggio 8 11 Giugno 18 Fa 25 » 2 Luglio Sea Re pro o IVI III GIS VII 4 4 e caga al 81 Dicembre 1910 Pubblicazioni periodiche ricevute dall'Accademia dal 1° Gennaio al 81 Dicembre 1910 S Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’ Adunanza del 20 Novembre 1910 5 Pag. BE Classi Unite. e Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 27 Novembre 1910 . Pag. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 27 Novembre 1910. Pag. Errera (Carlo) — Un mappamondo medievale sconosciuto nell’ Ar chivio Capitolare di Vercelli SI Bersano (Arturo) — Alcune lettere inedite di Carlo Botta 55, Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 4 Dicembre 1910... Sanwnia (Gustavo) — Il reciproco di un determinante infinito normale n Foà (Carlo) — Ricerche sull'apnea degli uccelli , z ; Japanza Nicodemo) — Relazione intorno alla Memoria di G. Boe carpi, Sulla Latitudine del R. Usservatorio di Torino Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell’11 Dicembre 1910 ta Pag. Einaupi (Luigi) — Le pubblicazioni dell'Istituto internazionale d'agri- coltura di Roma . Tip Vinnanzo Bona Vor ne + Qual TORINO PUBBLICATI © DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI > TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e dei RR Principi. 1911 E 3 (SLNIE pe Ù ber ATO K Ax DL 4 s 2 #1 a a 2 i rt Da na 3% PATIRE fata: se P Sal & SA RA È da = Ra Vate PRA % ta “a se) È, "< è 5 nd ” ; ” R Î n Ca È sE - Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 18 Dicembre 1910 . Pag. Sannia (Gustavo) — Estensione di teoremi di Sylvester e di Hadamard ai determinanti infiniti normali . i È 7 È 5 s GareLLI (Felice) — Contributo alla spiegazione del fenomeno della concia . 3 ; 3 È È ; ; ; Ri: GurieLieno (Mario) — Nadri composti trimetilenpirrolici diclilioi A MarteL (Edoardo) — Su alcuni fenomeni osservati nelle Ombrellifere i e nelle Papaveracee (con 1 Tavola) . | . î È ; ss RaraLpr (B.) — La durata dello splendere del sole sull’orizzonte di Torino nel quadriennio 1906-1909 (con 1 Tavola) . È MartrRoLo (Oreste)-— Relazione sulla memoria del Prof. E. MarteL: Contribuzioni all’Anatomia delle Solanacee . : De Parona (Carlo Fabrizio) — Relazione sulla memoria: Il Grano del- l’Argentera; studio geologico del Prof. Federico Sacco. = Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. n Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 1° Gennaio 1911. Pag. 147 4 Gracosa (Piero) — Sulla morte di Amedeo VII . ; Cet Rurrini (Francesco) — Relazione intorno alla memoria del Prof. An- nibale Pasrore: Dell’essere e del conoscere ; " 5 et em @ne—_—_ T____—_—t_ Tia. Vincanzo Bona Tor ne DELLA à a ACCADEMIA DELLE SCIENZE PES TOOIREINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO VIRCENZO. BONA Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 1911 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza dell'8 Gennaio 1911 . Pag. Scravi (Mario) — Azione dell'etere cianacetico sulle aldeidi 0 paraossibenzoiche in presenza di ammoniaca È Carzorari (F.) — Sul perossido di Torio . . ; È a Guipi (Camillo) — Relazione sulla Memoria dell’ a Chili Luigi Ricor: L'ellisse di elasticità trasversale e le sue applicazioni nella Scienza delle Costruzioni <. : : fe Mo Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche.. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 15 Gennaio 1911. Tae: 06 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e ret Sunto dell’Atto Verbale dell’Adunanza del 22 Gennaio 1911. Pag. 208 Le Guarescni (Icilio) — Giuseppe Albini. Commemorazione . 3 i 210 Lixcro (Gabriele) — D’una nuova geminazione della calcite (con una. Sa Tavola). 3 i i i } ; 4 TRE CoronnertI (Gustavo) — Le linee dica della LEVE continna so- lidale coi suoi piedritti (con una Tavola) - i i 3 feta Camperti (Adolfo) -— Sulla mobilità degli ioni positivi prodotti nella ] ossidazione del rame . i, : ; : ; ; E 5 Programma dei premi di Fondazione VaLvauni pei quadrienni1911-1914 e 1915-1918 . 2 + $ % ì Programma per il XVIII premio dissi È ) i : Premi di Fondazione Gaurieri.. ì ù i r } Tip. Vincenzo Bona - Torna DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e dei RK. Principi, 1911 t pi PSA LIE o ud "alia DE ra 17 x RA = Po, ce È. i F i fa 1 VI ae ALTA pet) C vi Weta a) Ra iano AR bea ne i . 3 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 5 Febbraio 1911 IE Camerano (Lorenzo) — Osservazioni sullo Stambecco del Baltoro nei. Monti del Karakoram e su quello del Lahul (con 1 Tavola) , — Le “ Ocapia , del Museo Zoologico di Torino (con 1 Tavola) } MamtiroLo (Oreste) — Relazione sulla Memoria della Dott.* Giulia GirarpinEeLLI: Sul valore sistematico del tegumento seminale delle Vicieae (DC) italiane . : i . È È pi — Relazione sul lavoro del Dr. A. Casu dil tolo: Lo Stagno di Santa Gilla (Cagliari) e la sua vegetazione È È N ui Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 12 Febbraio 1911. Pag JaracH (Cesare) — Gli effetti di una imposta generale ed uniforme sui profitti . i : : dia 5 ; : 7 ni Paren (Luigi) — Zama (con 1 Tavola) . . . . . ” _ __—_ ———_ ‘eten nn——— Tio. Yinvenzo Bara - Terna è ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e dei RR. Principi. 1911 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’ Adunanza del 19 Febbraio 1911 . Pag. 329. ca Pizzetti (Paolo) — Sopra il calcolo teorico delle deviazioni del Geoide dall’ Ellissoide ” Japanza (Nicodemo) — Sopra sini sen san di 1 Iebfi e sul livello di H. Wild costruito dalla Casa Zeiss in Jena , DEZANI ani — Contributo allo studio dell’Antipepsina —. i Parona (C. F.) — Le Rudiste del Senoniano di Ruda sulla costa me-. ridionale dell’isola di Lissa à s PagLiero (G.) — Resto nella formula di Labbock i Ri a Grovirti (F.) e Carnevati (F.) — Sulla cementazione degli acciai cai i nichelio. I (con 1 Tavola) . : ; ; Do MarriroLo (Oreste) — Relazione sulla Moworia DresciAaie dal Dr. G. Gora, Le Avene piemontesi della Sez. Avenastrum Koch , Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 26 Febbraio 1911. Day. 485 ———————_—_——_—_ * elfi ue !_—-——_-— fio Yincanze Honn lor ne Vor. XLVI, Disp. 8*, 1910-19f1. x «TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e dei RK Principi. 1911 GuarescHi (Icilio) — Cenni biografici su Jacobus Hendr. van’t Hoff , JacoangeLI (0.) — Dimostrazione geometrica della regola di Bessel , GioLirTI (F.) — Studî metallografici sulle armi preistoriche (con 1 Tav.) , CoronnettI (Gustavo) — Sull’equilibrio elastico dei sistemi reticolari piani (con 1 Tav.) ; ; ; i Bvrari-Forti (C.) — Alcune applicazioni alla su di una superficie dell'operatore omografico C Sisam (C. H.) — On Algebraie Hyperconical Connexes in Space of Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 12 Marzo 1911. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’ Adunanza del 5 Marzo 1911 . i SOMMARIO vr Dimensions Classi Unite. CipoLra (Carlo) — Relazione sul premio Gautieri Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 12 Marzo 1911. Parerra (Federico) — Come il manoscritto Udinese della così detta “ Lex Romana Raetica Curiensis , e un prezioso codice Sesso- Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. invenzi riano siano emigrati dall'Italia . —_—__ —__— —__ueme——_t——_———t___________—€&6 geometria differenzial . 437 439 441 446 450 461 481 . 488, 490 . 495 497 et. III LOT ACCADEMIA DELLE SCIENZE STRO RINO. PUBBLICATI Vor. XLVI, Dise. @*. 1910-1911. TORINO VINCENZO BONA Tipografo di S. M. e dei RK. Principi. 1911 SOMMARIO Classi Unite. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 19 Marzo 1911 RE Si di ù Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 19 Marzo 1911 ue Laura (Ernesto) — Sopra una classe generale di vibrazioni deî mezzi - isotropi . 2 1 È ; SALA 5 ; È eo | Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. | Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 26 Marzo 1911. fe). D'Encore Gioni - Hiknono sulla Memoria del Dr. Cesare 'Pra- vaotio, intitolata: La vera conoscenza secondo Plotino | . | DEMIA DELLE SCIENZE. DI TORINO PUBBLICATI TORINO VINCENZO BON-A Tipografo di S.M, e dei RR. Pnncipi. LIL SOMMARIO Sunto dell'Atto Verbale ddl’ del 2 Aprile 1911. n 3 Grow (F.) e Carwevani (F.) — Sulla cementazione degli acciai al cromo (con 1 do Sì i I CETENTRI RESO nella «peli dell anno 1087 contro i #8 saraceni di Mehdia . ; 5 È ; 5 4 i s F Cornani (Giuseppe) — Di Seleuco I e della quistione della den DR Paget (Luigi) — Per la storia di alcune dinastie. greche pelli Asia Minore . ; : : i È È SNA —r_——_____.uir:=t==x.--- E en Tip. Vinoonzo Bona - fersa DELLA | ACCADEMIA DELLE SCIENZE y Ì La CDETORINO. # PUBBLICATI » : ala Di | DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI la - TORINO VINCENZO BONA \ ‘npograto di 3. M. e dei RR Principi. POLI DA 23 SOMMARIO i Classi Unite. Sunto dell’Atto Verbale dell’ Adunanza del 28. Aprile 1911 ; Pag. 6 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 23 Aprile 1911. Pag. Fontana (Vittorio) — Il micrometro dell’equatoriale dell’Osservatorio Peratoner a Firenze . ; é s x = ; Mowri (V.) — Sul clima del Gran Paridizo» SIOE ona Guarescni (Icilio) — Alcuni nuovi derivati dei cicloesanoni . Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 30 Aprile 1911 E Rorrini (Francesco) — Recensione dei due volumi di Mario FaLco: Il riordinamento della proprietà ecclesiustica. Progetti italiani e. sistemi germanici. — Le disposizioni “ pro anima ,. Fo ndamenti dottrinali e forme giuridiche ; ; ; . - E Eivavpi (Luigi) — Recensione dei due volumi del Prof. Giuseppe Prato: Il protezionismo operaio. L'esclusione del lavoro stra- niero. — Le dogane iuterne nel secolo XX. Il mercantilismo municipale ; È i ; é ; ; ; 7 Tip, Vincenzo Bona » Ter ns 20% DI FORINO PUBBLICATI D 2 TORINO VINCENZO BONA 17% Tipograto di S. M. e dei RR_ Principi. (oGSIofi SOMMARIO Sunto dell'Atto Verbale dii del 7 Maggio 1911 Spezia (Giorgio) — Sopra alcuni presunti effetti chimici della pr sione nel metamorfismo minerale . è SE È Classi Unite. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 14 Maggio 1911 Foà (Pio) — Angelo Mosso commemorato . x È SUL Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologicl Sunto dell’ Atto Verbale dell’Adunanza del 14 Maggio. 1911 dix De Sanoris (Gaetano) — Ancora il decreto di Cn. Pomprio Strabone. Tip. Vinoenzo Bona -. Tor ne n: î Fo VESSE NRE urina 3 pl w” î ACCADEMIA DELLE SCIENZE — DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI XLVI, Disp. 13:, 1910-1911. TORINO VINCENZO BONA ìi l'ipografo di S. M. e dei RR. Principi. 7 1911 do 4 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 21 Maggio 1911 « Page Roccari (Alessandro) — La Mollieresite (con 1 Tavola) . si pi Burari-Forri (C.) — Sopra una formula generale per la trasforma zione di integrali di omografie vettoriali . ; : Pagrero (G.) — I numeri primi da 100.000 000 a 100 005 000 . Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 28 Maggio 1911. Pug. D'Ercore (Pasquale) — Presentazione all'Accademia del “ SAEGIO di Panlogica dell’hegeliano Pietro Ceretti , . i È ; s Srampini (Ettore). — Relazione sulla Memoria del Dott. Ettore Pro vana, Blossio Emilio Draconzio. Studio biografico e letterario 1a Ut n ——____ Tip. Vincenzo Bona -- Tor ne Lo DELLA . n ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TOBINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLVI. Disp. 4°. 1910-1901 TORINO È VINCENZO BONA T'ipografo di S. M. e dei RR. Principi. L9aeLe SOMMARIO Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell’11 Giugno 1911. ProLri (Giuseppe) — Sintesi della smithsonite e dell’anglesite . Ricci (Carlo Luigi) — Relazioni tra le forze e gli spostamenti. per un sistema rigido soggetto a legami elastici . ; s RISI Fusari (Romeo) — Relazione circa alla memoria presentata dal Dott. Carlo Foà: Sulle cause del ritmo respiratorio . sec, oi { 5 5 . . : ? Morzo (Bacchisio) — Un'opera SI di Filone } cara D’Ercore (Pasquale) — Presentazione all'Accademia di un volume di sg Etica di Filippo Masci 3 s Ore, ; 8; Tip. Vincenzo Bona Ter no THE NFW YORK n e, tan de a) N ACADERY OP SCIENCES ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI DORENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLVI, Disp. f5:, 1910-1911. TORINO VINCENZO BONA Tipograto di S. M. e dei RR. Principi. 1911 ‘SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natur Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 25 Giugno 1911 Parona (Carlo Fabrizio) — Per lo studio del Neocretaceo nel Friuli | occidentale . " ; d ; } < Ù { fi. ArmonettI (Cesare) — Una modificazione sanparato pendolare di Sterneck e nuova determinazione della gravità relativa & Torino e Genova . ) È È È È pi Jorto (C.) — Collegamento del Gabiucho di ORTI annesso alla R. Università di Torino alla rete geodetica italiana È «; Ponzo (Mario) — Osservazioni intorno alla direzione degli errori di localizzazione negli spazi intercostali ; È - È 1° SE — Di alcune osservazioni psicologiche fatte durante rappresenta. zioni cinematografiche . ; ; i i . n - n CCM Borri (Luigi) — Sui movimenti bilaterali contemporanei e non con- cr temporanei . x i - ì s } ponO Lrncro (Gabriele) — D’una FRETTA ferrifera de traforo del Sempione. ate (con 1 Tavola) . ; È ; ì ; 5 4 i Panerti (Modesto) — L’ellisse di elasticità delle verghe incurvate ad arco di cerchio e le sue applicazioni al calcolo dei rego. latori Lentz . / È È 1 5 si Gora (G.) — Contributo alla conoscenza gela Fipatiché delle Isole” Canarie : ì i È CaarriERr (G.) e FERRERI (ages Sull': azione Ae pentacloruro di facto sugli ossiazocomposti . 4 : 3 È pair Do Boggio (Tommaso) — Sul moto di una SR libera, ARES da una parete rigida ì 5 : . . 5 È È ” i a (Oreste) — Relazione sulla Memoria presentata dal . G. Neari: La vegetazione del “ Bosco Lucedio , (Trino Ver- dir: Contribuzione allo Studio fitogeografico dell'Alta Dist: nura padana È ; ; É È È 3 ; h Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’ Adunanza del 2 Luglio 1911 dello Siotto-Pintor e l’accanimento isolano contr’essa INDICE Ù ; ) A > Tip. Vincenzo Bona - for ne Vi (RA Laici