COSTI en 5 y i oe ) ner bet IRLIAI » ue x ( n‘ Ù” y anpalstinì + sula w ; bi n a pla® LI l cul . È Ùi Va A : a bh PESO UILATI . PETTECII l a A y \ ETC LITe rg i a Sui u ice cea, a i ln poli È n : RAC î ) Jo : DI $$ : RETTO RANA gf | tenero MOLE i dI FAI ) ' i n 4 , - MENO Ò st Co A È i ’ * ° l ‘ NL I la Ù i è x è ì Ù ur de 6 è ALTO HR NIC RA ATA } E d° th DANTKIGRE IN URLON i ARIA VRRICKIE TORE ATTI 5.0 PUBBLICATI “DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI - VOLUME QUARANTESIMONONO 1913-1914 di iauri TORINO | Lib breria FRATELLI BOCCA dot Via Carlo Alberto, Bui 1914 SMI do RIOTT 14 Lili ANI ICAO divi MEDI 4) Metto UETAIT ME LU JIU N; SSR > ah i “i \Eer ; PO "e € SOOLR eno Tin mene PRI 19 sirediA citò BY sini ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI aL 81 Dricemere 1915. x NB. — La prima data è quella dell’elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l'elezione. PRESIDENTE Boselli (S. E. Paolo), P.° Segretario di S. M. per l'Ordine Mauriziano e Cancelliere dell'Ordine della Corona d’Italia, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza della R. Università di Genova, già Pro- fessore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Uni- versità di Bologna, Presidente dell'Istituto Storico Italiano, Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della Classe di scienze morali della R. Accademia delle Scienze dell’ Isti- tuto di Bologna, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente del- l'Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia Patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure di Storia Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio della R. Accademia di Agri- coltura, Corrispondente dell’Accademia Dafnica di Acireale, Presidente Onorario della Società di Storia Patria degli Abruzzi in Aquila, Membro del Consiglio e della Giunta degli archivi, Presidente del Consiglio Centrale della Società “ Dante Alighieri ,, Presidente del Consiglio E di Amministrazione del R. Politecnico di Torino, Presidente del Con- z 3 | siglio Superiore della Marina Mercantile, Membro del Consiglio del Contenzioso diplomatico, Deputato al Parlamento nazionale, Presidente # del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Cord. & e «29, Gr. Cord. del- +» l'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. A di Bertoldo I di Zàhringen (Baden), e dell’Ordine del Sole Levante del D Giappone, Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., È della L. d’O. di Francia, e C. O. della Concezione del Portogallo. — di Torino, Piazza Maria Teresa, 3. Rieletto alla carica il 18 maggio 1913 — 5 giugno 1913. CR STI O RE RE n SES LI aisi A ron sh deli Mb n fe, TR , pece Vice-PRESIDENTE Camerano (Lorenzo), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia com- parata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Presidente del Club Alpino Italiano, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del ‘R. Istituto Veneto ‘di Scienze, Lettere ed Arti e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro della Società Zoologica di Francia, Socio corrispon» dente del Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di Storia naturale, Socio straniero della Società Zoologica di Londra, Socio onorario della Società scientifica del Mes- sico, Socio onorario della Società zoologica italiana, Socio Onorario del- l'Accademia dei Zelanti di Acireale, &, Comm. es. — Torino, Museo Zoologico della R. Università, Palazzo Carignano. Rieletto alla carica il 22.giugno 1913 — 11 luglio 1913. TESORIERE : Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Professore di Geologia e Direttore del Museo di Geologia e di Paleontologia della R. Università di Torino, Presidente della Società Geologica Italiana, Presidente della Commissione per lo studio agrologico della Tripolitania, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, e Corrispondente del- l’I. R. Istituto Geologico di Vienna, Membro del R. Comitato Geo- logico, ecc., Comm. * «®. — Torino, Museo Geologico della R. Università, Palazzo Carignano. Rieletto alla earica il 27 novembre 11910 — 15 dicembre :1910. CLASSE DI SCIENZE RISICHE, MATBMATICHE E NATURALI Direttore Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell'Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell'Accademia Pontaniana, Uffiz. &, Comm. asp. — Torino, Via Sant'Anselmo, 6. Rieletto alla carica il 22 gennaio 1911 — 5 febbraio 1911. -. È re e a 7 7 ER n PI id P4 i | Ò d- Li "“ Ò Segretario Segre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lin- cei e della Società Italiana delle Scienze (dei XL), Membro onorario della Società Filosofica di Cambridge e della Società Matematica di Londra, Socio straniero dell'Accademia delle Scienze del Belgio e di quella di Danimarca, Socio corrispondente della Società Fisico-Medica di Er- langen, dell’Accademia delle Scienze di Bologna, del R. Istituto Lom- bardo e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, em, — Torino, Corso Vittorio Eman., 85. Rieletto alla carica il 16 novembre 1913. ACCADEMICI RESIDENTI Salvadori \Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Diret- » tore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze naturali delle Indie Neerlandesi e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Orni- thological Club, Socio Straniero dell'American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordi- nario della Società Ornitologica tedesca, Comm. #28, Cav. dell'O. di S. Gia- como del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). — Torino, Via Principe Tommaso, 17. 29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. D’Ovidio (Enrico), Senatore del Regno, Dottore in Matematica, Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica nella R. Università di Torino, incaricato di Geometria analitica e proiettiva e Direttore del R. Poli- tecnico di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio ordinario non residente della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, Comm. %, e em. — Torino, Via Lagrange, 2. 29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 28 novembre 1889. Naccari (Andrea), predetto. 5 Dicembre 1830 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. a* VI Camerano (Lorenzo), predetto. 7 go STINO 10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 21898, si: 3 Segre (Corrado), predetto. © SSIS 10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 suestasa 1898. — Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesi-. do i ‘al male nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica ,, | del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo, della Società matematica di Kasan, della Società filosofica di Ginevra, corrispondente. be. d della R. Accademia dei Lincei, @. — Torino, Via Barbaroua, 4. fi 1 >-14 fp, Jadanza (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica bo nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nel R. Politecnico, 00 Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, del Circolo matematico a Ca 25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. Ao di Palermo, dell’Accademia Dafnica di Acireale e della Società degli vi ZI Ingegneri Civili di Lisbona, Membro effettivo della R. Commissione — a $ Geodetica italiana, Uff. &&, — Torino, Via Madama Cristina, 11. # lx z 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. 19 i; Foà (Pio), Senatore del Regno, Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore 3a 7 di Anatomia Patologica nella R. Università di ‘Torino, Socio Nazionale ve. = della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle | il 7 Scienze, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto i i Veneto, Presidente della Commissione Reale per l’educazione fisica, ece., sa “I ecc., Uff. &, Comm. e. — Torino, Corso Valentino, 40. 2 È 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. Rs D Guareschi (Icilio), Dottore in Scienze naturali, Professore ordinario e Di- de Si rettore dell'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica ed incari- | SR cato di Chimica bromatologica nella R. Università di Torino, Direttore SI “ della Scuola di Farmacia, Socio della R. Accademia di Medicina e della — È: R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio della R. Accademia dei Be: »: Fisiocritici di Siena, Socio onorario della Società di Farmacia di È Dai Torino, già Membro anziano del Consiglio Sanitario Provinciale, Citta- dino Onorario di Crespellano (Bologna), Socio corrispondente della De g R. Accademia dei Lincei, Socio onorario dell’Associazione chimico-farm. | toscana, Membro corrispondente dell’Accademia di Medicina di Parigi, — a Membro corrispondente della Società di Farmacia di Parigi, Membro d'onore della R. Accademia delle Scienze di Romenia (Bucarest); Membro fe onorario della Verein Chemikér-Coloristen; Socio Onorario dell’Associa- zione Chimica Industriale di Torino; Socio della Deutsche Gesellschaft f. | Geschichte d. Medizin und Naturwissenschaften, Membro della Società e: | Chimica di Berlino, della Berliner Gesellschaft f. Gesch. A. Naturwiss., ece., Comm. €, %. — Torino, Corso Valentino, 11. Bi. i 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. — Pensionato 28 maggio 1908. - if e Guidi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica grafica e scienza. SA : i delle costruzioni e Direttore dell'annesso Laboratorio sperimentale dei Re: VII materiali da costruzione nel R. Politecnico in Torino; Comm, este, Uff. &. — Torino, Corso Valentino, 7. - 81 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 11 giugno 1903. Fileti (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica gene- rale nella R. Università di Torino, Comm. &ss. — Torino, Via Bidone, 36. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 10 marzo 1904. Parona (Carlo Fabrizio), predetto. 15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 21 gennaio 1909. __Mattirolo (Oreste), Dottore in Medicina, Chirurgia e Scienze naturali, «Sa Professore ordinario di Botanica e Direttore dell’Istituto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di Medicina, Presidente della-R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell'Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bo- È logna, della Società Imperiale di Scienze naturali di Mosca, della Royal Botanical Society di Edinburgh, della Società Veneto-Trentina, della Società Antonio Alzate di Mexico, ecc., Comm. &&, Officier du mérite agricole. — Torino, Orto Botanico della R. Università (al Valentino). © 10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. — Pensionato 15 dicembre 1910. È Grassi (Guido), Professore ordinario di Elettrotecnica e Direttore della | scuola Galileo Ferraris nel R. Politecnico di Torino, Socio ordinario della R. Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, del: l'Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Membro del Consiglio 4 Superiore della Pubblica Istruzione, Membro della Commissione supe- riore Metrica al Ministero di Agricoltura, Ind. e Comm., Membro del Consiglio Superiore dei servizi elettrici al Ministero delle Poste e Te- legrafi, Uff. &, Comm. «e. — Torino, Via Cernaia, 40. 9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. — Pensionato 30 novembre 1911. _ Somigliana (nob. Carlo), Dottore in Matematiche, Professore ordinario di È Fisica matematica e incaricato di Meccanica razionale nella R. Uni- ue; versità di Torino, rappresentante dell’Accademia nel Consiglio ammi- nistrativo del R. Politecnico di Torino, Socio nazionale della R. Acca- ‘ demia dei Lincei, Socio nazionale della Società italiana delle scienze a . (detta dei XL) e corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze » —@ Lettere, Membrò del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. — Corso Vinzaglio, 10. > 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. — Pensionato 20 luglio 1913. Fusari (Romeo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore ordinario di de Anatomia umana, descrittiva e topografica e Direttore dell’ Istituto \ anatomico della R. Università di Torino, Socio dell’Accademia di Me- È dicina di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Fon- È datore della Società medico-chirurgica di Pavia, Onorario dell’Acca- demia delle Scienze mediche e naturali di Ferrara, & e em. — Via Ba- er retti, 45. —__—». 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. È 3 È “ ù E è Set Aaod Ad 4 vi ve SE Balbiano (Luigi), Dottore in chimica e Professore ordinario di Chimica — organica nel R. Politecnico di Torino, Socio corrispondente della R. Ae- cademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di medicina di Roma, | n Socio onorario delle Società di Farmacia di Torino, di Parigi e di Liegi, Uff. *. — Via Po, 22. a 15 maggio 1910 — 12 giugno 1910. SE i ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI R: î Volterra (Vito), Senatore del Regno, Dottore in Fisica, Dottore onorario lo. i in Matematiche della Università Fridericiana di Christiania, Dottore se onorario in scienze della Università di Cambridge, Dottore onorario in RR Filosofia della Università di Stockholm, Dottore onorario in Fisica | Vai della Clark University di Worcester, Mass., Professore di Fisica mate- \ Sa matica, incaricato di Meccanica superiore e Preside della Facoltà fa È Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Roma, — È Ù ‘ Professeur agréé à la Sorbonne (1912), Louis Clark Vanuxem lecturer 7 (1912) all’Università di Princeton N. J., uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, 3 Accademico corrispondente della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro nazionale della Società degli Spettroscopisti_ _ italiani, Membro straniero della Società Reale di Londra, Socio corri- M spondente nella Sezione di Geometria dell'Accademia delle Scienze di i Parigi, Membro straniero nella classe di matematica pura della Reale. Accademia Svedese delle scienze, Membro onorario straniero della Società Reale di Edimburgo, Membro straniero dell'Accademia nazio- x nale delle Scienze (Stati Uniti d'America, Washington), Socio corri- spondente della R. Accademia delle Scienze di Gottinga, Membro corrispondente straniero dell'Accademia Ungherese delle scienze di Budapest, Membro corrispondente dell'Accademia Imperiale delle scienze di Pietroburgo, Membro onorario dell'Accademia Rumena di Bucarest, Socio corrispondente della Società medico-fisica di Erlangen, Membro. dell’Accademia Imperiale Leopoldina Carolina di Halle, Membre du r Bureau della Società matematica di Francia, Membro onorario della — Società Matematica di Londra, Membro onorario della Società mate- matica di Kharkow, Membro onorario della Società matematica di Calcutta, Membro onorario della Società di Scienze fisiche e naturali di | È Bordeaux, Membro corrispondente della Società Scientifica di Enne Si Aires, Vice-Presidente del R. Comitato Talassografico Italiano, &, d,li — Roma, Via in Lucina, 17. 3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. “SE IX Fergola (Emanuele), Senatore del Regno, Professore emerito nella R. Uni- versità di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei e dell’Accademia Ponta- niana, Socio ordinario del R. Istituto d’incoraggiamento alle Scienze . naturali, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto, Gr. Uffiz. $, Gr. Croce ess. —. Napoli, Via dei Mille, 74. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. Bianchi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei e della Società Ita- liana delle Scienze, detta dei XL; Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze Sa e Lettere in Milano, %, «59, =. — Pisa, Via Manzoni, 3. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi Superiore nella R. Università di Pisa e incaricato di Analisi infinitesimale, Direttore della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei e Presidente della Società Italiana detta dei XL, Corrispon- dente dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna e. del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, lettere ed arti, Socio ordinario non residente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche della Società Reale di Napoli nella Sezione di Scienze matematiche, Socio onorario della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, dell’Accademia di scienze na- turali di Catania e della R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Zelanti di Acireale, Membro del Consiglio Direttivo del Circolo mate- matico di Palermo, Socio della Società italiana per il progresso delle scienze (Roma), della R. Società delle scienze di Gottinga, Membro stra- niero della London mathemat. Society, Dottore onorario delle Università di Christiania e di Glasgow, Comm. &, Gr. Uff. ee, >=. — Via S. Mar- È tino; 32. Pisa. ì 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Golgi (Camillo), Senatore del Regno, Membro del Consiglio superiore di > Sanità, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze ad honorem dell’Università di Cambridge, Membro onorario dell’Università Imperiale di Charkoff, uno dei XL della Società italiana È delle Scienze, Membro della Società per la Medicina interna di Berlino, Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corrispondente onorario della Newrological Society*di Londra, Membro corrispondente della Société de Biologie di Parigi, Membro dell’Academia Caesarea Leo- poldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e’ delle Società Fisico mediche di Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anatomica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di Medicina di b, Torino, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di da CE ca i - »; * <*.g c ta 1 aero ri * PESOS e Sa da Mena 1% e dai 6 20 a * SSA GOI p 43% > Aerea SELE » ne - y 2 Ù X >. BS +SnI Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Melodia fisica Fiorentina; ì della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Sictetil Medico-chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Mei dica di Roma, Socio onorario della R. Accademia Medico-chirurgica di Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, del- ai Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell’ American Neurological Asso- sa ciation di New-York, Socio onorario della Royal Microscopical Society di. pe Londra, Membro corrispondente della R. Accademia di Medicina del Belgio, Membro onorario della Società freniatrica italiana e dell’Asso- =: ciazione Medieo-Lombarda, Socio onorario del Comizio Agrario di Pavia, Professore ordinario di Patologia generale e di Istologia nella R. Uni- 4 versità di Pavia, Membro effettivo della Società Italiana d’'Igiene e CSA dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro onorario dell’Uni- versità di Dublino, Socio corrispondente della Società medica di Batavia, Membro straniero dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro ono- rario dell’Imperiale Società degli alienisti e neurologi di Kazan, Socio emerito della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, Socio corri- spondente dell’Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, Socio onorario — della R. Società dei Medici in Vienna, Comm. # ©, Cav. if. LIE 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Lorenzoni (Giuseppe), Dottore negli Studi d’ Ingegnere civile ed Architetto, Professore emerito di Astronomia nella R. Università e Direttore del- l'Osservatorio astronomico di Padova, Socio nazionale della R. Accademia — dei Lincei, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio effettivo del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente della R. Acca- demia di Scienze ed Arti di Modena, Membro della Società Imperiale dei | Naturalisti di Mosca, ecc., Uff. #, Comm. &. — Padova, Osservatorio astronomico. È 5 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. ACCADEMICI STRANIERI Klein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. — 10 Gennaio 1897. = 24 gennaio 1897. Haeckel (Ernesto), Professore nella Università di Jena. — 13 Febbraio 1898 © - 24 febbraio 1898. Y Darboux (Giovanni Gastone), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). % 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. a Helmert (Federico Roberto), Direttore del R. Istituto Geodetico di Prussia, p. Potsdam. — 14 Giugno 1908 - 28 giugno 1903. pia Noether (Massimiliano), Professore nell'Università di Erlangen. — 15 mag- — cs gio 1910 - 12 giugno 1910. i Baeyer (Adolfo v.), Professore nell'Università di Minchen, — Id. id. Thomson (John Joseph), Professore nell'Università di Cambridge. — Id. id, Suess (Edoardo), Professore nell’ Università di Vienna. — Id, id. XI CORRISPONDENTI È 3 Sezione di Matematiche pure. PPT? SE (1 Tardy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova (Firenze). — 16 Luglio 1854. À Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di Heidelberg. — 25 SI 1876. # Schwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di Berlino. — 19 Di- | cembre 1880. Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di Pisa. — 9 Marzo 1890. __ Jordan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto | (Parigi). — 12 Gennaio 1896. |. Mittag-Leffler (Gustavo), Professore all’Università di Stoccolma. — 12 Gen- naio 1896. Picard (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia, Parigi. — 10 Gennaio 1897. Castelnuovo (Guido), Prof. nella R. Università di Roma. — 17 Aprile 1898. _——’Veronese(Giuseppe), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Padova. — 17 Aprile 1898. Zeuthen (Gerolamo Giorgio), Professore nella Università di Copenhagen. — 14 Giugno 1903. - Hilbert (Davide), Prof. nell'Università di Gottingen. — 14 Giugno 1903. Enriques (Federico), Professore nell’ Università di Bologna. — 15 mag- gio 1910. Guccia (Gio. Batt.), Professore nell'Università di Palermo. — Id. id. Sezione di Matematiche applicate, Astronomia e Scienza dell'ingegnere civile e militare. Ewing (Giovanni Alfredo), Professore nell’ Università di Cambridge. — 27 Maggio 1894. Celoria (Giovanni), Senatore del Regno, Direttore dell’ Osservatorio di Mi- lano. — 12 Gennaio 1896. Pizzetti (Paolo), Professore nella R. Università di Pisa. — 14 Giugno 1903. Cernlli (Vincenzo), Direttore dell’ Osservatorio Collurania, Teramo. — 15 maggio 1910. Boussinesq (Valentino), Membro dell’ Istituto, Professore nell'Università di _ Parigi. — Id. id. Levi-Civita (Tullio), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. Rena a XII Sezione di Fisica generale e sperimentale. Blaserna (Pietro), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 30 Novembre 1873. Roiti (Antonio), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze. — 12 Marzo 1882. Righi (Augusto), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Bologna. — 14 Dicembre 1884. Lippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 15 Maggio 1892. . Rayleigh (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella Royal Institution di Londra. — 3 Febbraio 1895. Rintgen (Guglielmo Corrado), Professore nell'Università di Miinchen. — 14 Giugno 1903. Lorentz (Enrico), Professore dell'Università e Curatore del Laboratorio Teyler di Haarlem. — 14 Giugno 1903. Battelli (Angelo) Professore nell'Università di Pisa. — 15 maggio 1910. Garbasso (Antonio), Professore nell’ Università di Genova. — Id. id. Neumann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — Id. id. Zeeman (P.), Protessore nell'Università di Amsterdam. — Id. id. Cantone (Michele), Professore nell'Università di Napoli. — Id. id. Sezione di Chimica generale ed applicata. Paternò (Emanuele), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 2 Gennaio 1881. Korner (Guglielmo), Professore nella R. Scuola superiore d'Agricolbuza in Milano. — 2 Gennaio 1881. Lieben (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna. — 15 Maggio 1892. Fischer (Emilio), Professore nell'Università di Berlino. — 24 Gennaio 1897. Ramsay (Guglielmo), Professore nell'Università di Londra. — Id. id. Schiff (Ugo), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento in Firenze. — 28 Gennaio 1900. " Dewar (Giacomo), Professore nell'Università di Cambridge. — 14 Giugno 1903. Ciamician(Giacomo), Senatore del Regno, Professore nell'Università di Bo- logna. — 14 Giugno 1903. Ostwald (Dr. Guglielmo), Gross Bothen (Sachsen). — 5 Marzo 1905. Arrhenius (Svante Augusto), Professore e Direttore dell’ Istituto Fisico del- l’Università di Stoccolma. — 5 Marzo 1905. Nernst (Walter), Professore nell’ Università di Berlino. — 5 Marzo 1905. Haller (Albin), Membro dell'Istituto di Francia, Professore nell'Università di Parigi. — 15 Maggio 1910. Will]stiitter (Richard). Professore Kaiser Wilhelm Institut, Berlin. — Id, id. Engler (Carlo), Professore nella Scuola superiore tecnica di Karlsruhe. — Id, id. Meyer (Ernesto v.), Professore nella R. Scuola superiore tecnica in Dresda, — Id. id. L] XIII Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Striiver (Giovanni), Professore nella R. Università di Roma. — 30 No- vembre 1873. Rosenbusch (Enrico), Professore nell'Univ. di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. Capellini (Giovanni), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Bologna. — 12 Marzo 1882. Tschermak (Gustavo), Professore nell'Università di Vienna.—8 Febbraio 1885. Geikie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica, Londra. — 3 Dicembre 1893. Groth(Paolo Enrico), Professore nell'Università di Monaco.—13 Febbraio 1898. Taramelli (Torquato), Professore nella R. Univ. di Pavia. — 28 Gennaio 1900. Liebisch (Teodoro), Professore nell'Università di Gottinga. — Id. id. Bassani (Francesco), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 14 Giugno 1903. Issel (Arturo), Professore nella R. Università di Genova. — Id. id. Goldschmidt (Viktor), Professore nell’Univ. di Heidelberg. — 5 Marzo 1905. Suess (Francesco Edoardo), Professore “ Deutsche Technische Hochschule , di Praga. — Id. id. Haug (Emilio), Professore nell'Università di Parigi. — Id. id. Lacroix (Alfredo), Membro dell’Istituto di Francia, Professore al Museo di Storia naturale di Parigi. — 15 Maggio 1910. Kilian (Carlo), Professore nell’ Università di Grenoble. — Id. id. Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale. Saccardo (Andrea), Professore nella R. Università di Padova. — 8 Feb- braio 1885. Pirotta (Romualdo), Professore nella R. Univ. di Roma. — 15 Maggio 1892. Goebel (Carlo), Professore nell'Università di Monaco. — 13 Febbraio 1898. Penzig (Ottone), Professore nell'Università di Genova. — Id. id. Schwendener (Simone), Professore nell’Univ. di Berlino. — Id. id. Wiesner (Giulio), Professore nell’Univ. di Vienna. — 14 Giugno 1903. Klebs (Giorgio), Professore nell'Università di Halle. — Id. id. Belli (Saverio), Professore, Torino. — Id. id. Baccarini (Pasquale', Professore nell’ Istituto di Studi superiori in Firenze. — 15 Maggio 1910. Mangin (Luigi), Membro dell’ Istituto di Francia, Professore al Museo di Storia naturale di Parigi. — Id. id. Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. Chauveau (G. B. Augusto), Membro dell'Istituto di Francia, Professore alla Scuola di Medicina di Parigi. — 1° Dicembre 1889. Waldeyer (Guglielmo), Professore nell'Università di Berlino. — Id. id. Guenther (Alberto), Londra. — 3 Dicembre 1893. Roux (Guglielmo), Professore nell'Università di Halle. — 13 Febbra Minot (Carlo Sedgwick), Professore nell’ “ Harvard Medical Sch Boston Mass. (S. U. A.) — 28 Gennaio 1900. ta Boulenger (Giorgio Alberto), Assistente al Museo di Storia Londra. — Id. id. < (59 Marchand (Felice), Professore nell'Università di Leipzig. — Eu Giugno 90 Weismann (Augusto), Professore nell'Università di piadina i. Br. Ba Bade 5 Marzo 1905. Lankester (Edwin Ray), Direttore del British Macon of eterni — Id. id. dl Dastre (Alberto Giulio), Membro dell’ Istituto di Figli Professore + l’Università di Parigi. — Id. id. sa Ramòn y Cajal (Santiago), Professore nell'Università di Madrid. — 15 Maggio 1910. i et TO Metchnikoff, Vice Direttore dell’ Istituto Pasteur in Parigi. — Id. id. pe I Kossel (Albrecht), Professore nell’Università di Heidelberg. - — Id. id Ehrlich (Paolo), Professore, Direttore dell'Istituto sperimentale. di t in Frankfurt a. M. — Id. id. Sai _ XV ni i Ì (CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE B FILOLOGICHE CORTEI Ag 7 pg n Direttore. Chironi (Dott. Giampietro), Senatore del Regno, Professore ordinario di Diritto Civile nella R. Università di Torino, Direttore della R. Scuola superiore di studi applicati al Commercio in Torino, Dottore aggregato della Facoltà di Giurisprudenza nella R. Università di Cagliari, Membro del Consiglio superiore dell’Istruzione pubblica, del Consiglio superiore per l'Istruzione commerciale, agricola, industriale, della Commissione Reale per la riforma del Diritto privato, Socio corrispondente dell’Ac- cademia di Legislazione di Tolosa (Francia), dell’Associazione interna- È zionale di Berlino per lo studio del Diritto comparato, dell’Accademia Americana di Scienze sociali e politiche, Comm. &, €. — Torino, Via Monte di Pietà, 26. Eletto alla carica il 18 maggio 1913 — 5 giugno 1913. Segretario. Renier (Rodolfo), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore di Storia comparata delle Letterature neolatine nella R. Università di To- rino, Socio attivo della R. Commissione dei testi di lingua; Socio non residente dell’. R. Accademia degli Agiati di Rovereto; Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Deputazione Ve- neta di Storia patria, di quella per le Marche, di quella per l'Umbria, di quella per l'Emilia e di quella per le Antiche Provincie e la Lom- bardia, della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia patria e di Arti belle della Mirandola, della Deputazione municipale ferrarese di storia patria, della R. Accademia Virgiliana di Mantova, dell’Accademia Pontaniana di Napoli, dell’Accademia di Verona, della R. Accademia di Padova, dell'Ateneo Veneto e di quello di Brescia; Membro della Società storica lombarda e della Società Dantesca italiana; x _ Socio onorario dell’Accademia Etrusca di Cortona, della R. Accademia di scienze e lettere di Palermo, dell’Accademia Cosentina e dell’ Acca- | demia Dafnica di Acireale, Uffiz. #, Comm. &, — Torino, Corso LS Vittorio Emanuele, 90. Eletto alla carica il 18 maggio 1913 — 5 giugno 1913. Lat a PI Cr RD 4 RT, PI MIRA I XVI 5 ACCADEMICI RESIDENTI Manno (Barone D. Antonio), Senatore del Regno, Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi e dell'Istituto storico italiano, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Bibliotecario e Conservatore del Medagliere di S. M. (Incaricato), Dottore honoris causa della R. Università di Tiibingen, Gr. Uffiz. & e Gr. Cord. ee», Balì Gr. Cr. d’on. e devoz. del S. M. O. di Malta, decorato di Ordini stranieri. — Torino, Via Ospedale, 19. 17 Giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. Carle (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di . Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, &, Uff. %, Comm. €95. — Torino, Via Principi d’Acaia, 5. 7 Dicembre 1879 - 1° gennaio 1880. — Pensionato 4 agosto 1892. Boselli (Paolo), predetto. 15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. Cipolla (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore emerito nella R. Uni- versità di ‘l'orino, Prof. di Storia moderna nel R. Istituto di Studi Supe- riori in Firenze, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. De- putazione Veneta di Storia patria e della R. Deputazione Toscana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Ac- cademia delle Scienze di Monaco (Baviera), del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e della Società Storica Friulana, Comm. @®, — Firenze, Via Lorenzo il Magnifico, 10. 15 Febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. Renier (Rodolfo) predetto. 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 30 ottobre 1901. Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore di Persiano e Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della Società Colom- baria di Firenze, Dottore onorario dell’Università di Lovanio, Socfo eor- rispondente dell'Ateneo Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, dell’Accademia Dafnica di Acireale, dell’ Accademia dell'Arcadia di Roma, della Società Reale di Napoli, *, €, — 7orino, Corso Vittorio Emanuele, 16. £ 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. — Pensionato 16 giugno 1907. Chironi (Dott. Giampietro, predetto). 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. — Pensionato 20 maggio 1897. De Sanctis (Gaetano), Dottore in Lettere, Professore di Storia antica nella R. Università di Torino, Socio ordinario della Pontificia Accademia romana di Archeologia, 2, — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 44. 21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. - Pensionato 15 febbraio 1912. Ruffini (Francesco), Dottore in Leggi, Rettore della R. Università di Torino, Membro corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, fia aa nima % to TTI PRI he A, Pa fedi XVII Professore di diritto ecclesiastico, &, Comm. aes. — Torino, Via Prin- cipe Amedeo, 22. 21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. — Pensionato 19 giugno 1913. Stampini (Ettore), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore ordinario di Letteratura latina e Direttore della Biblioteca della Facoltà di Filo- sofia e Lettere nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia Peloritana di Messina, dell'Ateneo di Brescia e dell’Acca- demia Virgiliana di scienze, lettere ed arti di Mantova e della R. Ac- cademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Direttore della Rivista di Filologia e d'Istruzione classica, Decorato della Medaglia del Merito Civile di 1® Classe della Repubblica di S. Marino, Uff. $*, Comm. €55. — Piazza Vittorio Emanuele I, 10. 20 Maggio 1906 - 9 giugno 1906. D’Ercole (Pasquale), Dottore in Filosofia, Professore di Filosofia teoretica nella R. Università di Torino, Membro della Società Filosofica di Ber- lino, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze morali e politiche di Napoli, Uff. &, Gr. Uff. em. — Corso Siccardi, 26. 17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. Brondi (Vittorio), Dottore in Legge, Professore di Diritto amministrativo e Scienza dell’Amministrazione nella R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore di assistenza e beneficenza pubblica, Socio corrispon- dente onorario del Circolo di Studi sociali di Firenze, Uff. &, Comm. &3. — Torino, Via Montebello, 26. 17 Febbraio 1907 - 19 Aprile 1907. Sforza (Conte Giovanni), Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia patria di Modena, per la Sotto-Sezione di Massa e Carrara, Socio effettivo di quelle delle antiche Provincie e della Lombardia, di Parma e Piacenza, e della Toscana, Socio onorario della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, dell'Ateneo di Brescia, della Società Ligure di Storia patria, della R. Accademia Lucchese, Socio onorario della R. Accademia di Belle Arti di Carrara, Membro d’onore dell'Académie Chablaisienne di Thonon- les-Bains, Membro aggregato dell’ Académie des Sciences, Belles Lettres et Arts de Savoie, Socio della R. Commissione per i testi di lingua, Membro della Commissione Araldica Piemontese, della Società di Storia patria di Vignola, della Commissione municipale di Storia patria e belle arti della Mirandola, della Commissione Senese di Storia patria e della Società storica di Carpi, Corrispondente della R. Accademia Valdarnese del Poggio in Montevarchi, della Società Georgica di Treia e della Colombaria di Firenze, Consigliere del Comitato Piemontese per la Storia del Risorgimento ‘italiano, Presidente onorario della R. Accademia dei Rinnovati di Massa, Soprintendente del R. Archivio di Stato di Torino, Gr. Uff. dell'Ordine del Medjidiè, Uff. #& e Comm. es. — Via S. Dalmazzo, 24. 17 Febbraio 1907 - 19 aprile 1907, Einaudi (Luigi), Dottore in legge, Professore di Scienza delle finanze e Diritto finanziario della R. Università di Torino ed incaricato di eco- et = SO” ARI 4 al ITA a) ad L £ a Vul IAS nÉ st Ed i è * e kE msi sovra gli Studi di Storia patria per le antiche provincie. | > "ia dei Mille, 54. i “St Ù Aprile 1910 - 1° maggio 1910. i, Schiaparelli (Ernesto), Dottore in lettere, Socio nazionale della R. Acca- i demia dei Lincei, corrispondente del R. Istituto Veneto di scienze, let: tere ed arti, dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Membro onorario dell'Istituto Khediviale egiziano e della Società Asia- tica di Francia, della Società di Archeologia biblica di Londra, Direttore i del R. Museo di Antichità di Torino, Uff. &, Comm. ds». 10 Aprile 1910 - 1° maggio 1910. } h. x —- da - ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Villari (S. E. Pasquale), Senatore del Regno, Socio dell'Istituto Storico di Roma, Presidente del Consiglio degli Archivi, Professore di Prope- deutica Storica e Presidente della Sezione di Filosofia e Léttere nell’Isti- tuto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio " residente della R. Accademia della Crusca, Presidente della R. Acca- demia dei Lincei, Socio nazionale della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei teorgofili, della Pontaniana di Napoli, Presidente 3 della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscama, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio straordinario del R. Istituto Lom-. |__| bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Baviera, Socio straniero dell'Accademia °° di Berlino, dell’Accademia di Scienze di Gottinga, della R. Accademia — ee Ungherese, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Scienze morali e politiche), Dott. on. in Legge della Università di Edimburgo, di Halle, Dott. on. in Filosofia dell’Università di Budapest, Professore emerito della R. Università di Pisa, Cav. dell'Ordine supremo della SS. Annunziata, Gr. Uffiz. * e Gr. Cord. es, Cav. , Cav. del Merito di Prussia, Membro del Consiglio dell'Ordine Civile di Savoia e del Consiglio dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ecc. 1 i n 16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. Comparetti (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’ Uni: versità di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- — — È namento in Firenze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente o l'Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Li si a % + > [4 ur a “feti ri We da = È XIX Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di Copenhagen e di Pietroburgo, Dottore ad honorem delle Università di Oxford e di Cracovia, Uff. &, Comm. «29, Cav. &. — Firenze, Via La- marmora, 20. 20 Marzo 1892 - 26 marzo 1892. D'Ancona (Alessandro), Senatore del Regno, già Professore di Letteratura italiana nella R. Università e già Direttore della Scuola normale supe- riore in Pisa, Membro della Deputazione di Storia patria per la Toscana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles Lettres), della R. Accademia di Copenhagen, dell’ Accademia della Crusca, del R. Istit. Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli e della R. Accademia di Lucca, Doct. Philosoph. (honoris causa) dell’Università di Berlino, Cav. della Legione d’Onore, Cav. ©, Gr. Uff. &, Comm. &sa. — Firenze, Piazza Savonarola, 2. 20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. Savio (Sacerdote Fedele), Professore di Storia ecclesiastica nella Pontificia Università Gregoriana, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio della Società Storica Lombarda. — Roma, Via del Seminario, 120. 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. Scialoja (Vittorio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore ordi- nario di Diritto romano nella R. Università di Roma, Professore onorario della Università di Camerino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della -R. Accademia di Napoli, di Bologna, di Modena e di Messina, Socio onorario della R. Accademia di Palermo, ecc., Gr. Uffiz. &, «@. — Roma, Piazza Grazioli, 5. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Rajna (Pio), Dottore in Lettere, Dottore “ honoris causa , dell’Università di Giessen, Professore ordinario di lingue e letterature neo-latine nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, Socio nazionale della R. Acca- demia dei Lincei, Accademico residente della Crusca, Socio ordinario della R. Deputazione di Storia patria per la Toscana, Socio Urbano della Società Colombaria, Socio onorario della R. Accademia di Padova, della Società Dantesca americana, della “ New Language Association of America ,, della “ Société néophilologique , dell’Università di Pietro- burgo, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Let- tere, del R. Istituto Veneto, dell'Ateneo Veneto, della Società Reale di Napoli, della R. Accademia di Palermo, della R. Accademia delle Scienze di Berlino, della R. Società delle Scienze di Gottingen, dell’Isti- tuto di Francia (Académie des Inscriptions et Belles-Bettres), della Società Reale di Scienze e Lettere di Goteborg, dell’Accademia R. Luce- chese, &, Uff. &, Gr. Uff. es». — Firenze, Piazza d’ Azeglio, 13. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Par Poi vo È ila ri ci 4 È AO è Dr) E "PORSI | Ma Pa "i di 18 fg È : v Li TSGa da Dt.Y € ® Ai Poi 5 » uf x a ' ee lP.; Caio 1 LO A rita STE di SS ERA È, 7 i. a, de Kerbaker (Michele), Dottore in lettere, Professore di Storia comparata delle > DE lingue classiche e incaricato di Sanscrito nella R. Università di Napoli, sic Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei, Socio residente della Società Reale di Napoli, della R. Accademia Pontaniana, Membro della < OE Società Asiatica italiana di Firenze, Socio corrispondente del R. Istituto — Kit Lombardo di Scienze e Lettere, Accademico corrispondente della Sezione — x di Scienze storiche e filologiche dell'Istituto di Bologna, Socio corri- © spondente dell'Ateneo Veneto, Comm. # e €. — Napoli, Vomero, — Via Scarlatti, 60. 26 Marzo 1905 - 27 aprile 1905. Guidi (Ignazio), Dottore, Professore di Ebraico e di Lingue semitiche com- | parate nella R. Università di Roma, Socio e Segretario della Classe di sS scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia dei Lincei, &, Uff. +, es, C. O. St. P. di Svezia. — Roma, Botteghe Oscure, 24. 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. Pigorini (Luigi), Senatore del Regno, Direttore dei Musei Preistorico e Etnografico, Professore nella R. Università di Roma, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. — Via del Collegio Romano, 26. 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. ACCADEMICI STRANIERI Meyer (Paolo), Membro dell'Istituto, Professore nel Collegio di Francia, | Direttore dell’Ecole des Chartes (Parigi). — 4 Febbraio 1883 - 15 feb- A Dì p braio 1883. A TA » Maspero (Gastone), Membro dell'Istituto, Professore nel Collegio di Francia È Dik (Parigi). — 26 Febbraio 1893 - 16 marzo 1893. pi Brugmann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — 31 Gennaio 1897 A - 14 febbraio 1897. Ro) > Bréal (Michele Giulio Alfredo), Membro dell'Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) (Parigi). — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1908, Wundt (Guglielmo), Professore nell'Università di Lipsia. — 29 Marzo 1908. - 9 aprile 1903. Foerster (Wendelin), Professore nell’ Università di Bonn, Comm. ss, — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. di: Duchesne (Luigi), Membro dell’Istituto di Francia, Direttore della Scuola | Francese in Roma. — 12 Aprile 1908 - 14 maggio 1908. È XXI CORRISPONDENTI Sezione di Scienze Filosofiche. Pinloche (Augusto), Prof. nel Liceo Carlomagno di Parigi. — 15 Marzo 1896. Chiappelli (Alessandro), Prof. nella R. Università di Napoli. — 15 Marzo 1896. Masci (Filippo), Professore nella R. Università di Napoli. — 14 Giugno 1903. Zuccante (Giuseppe), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 31 Maggio 1908. Sezione di Scienze Giuridiche e Sociali. Schupfer (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università di Roma. — 14 Marzo 1886. Gabba (Carlo Francesco), Prof. nella R. Univ. di Pisa. — 3 Marzo 1889. Buonamici (Francesco), Senatore del Regno, Prof. nella R. Università di Pisa. — 16 Marzo 1890. Bonfante (Pietro), Prof. nella R. Università di Pavia. — 21 Giugno 1903. Toniolo (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Pisa. — 10 Giugno 1906. ‘Brandileone (Francesco), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Brini (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Fadda (Carlo), Prof. nella R. Università di Napoli. — Id. id. Filomusi-Guelfi (Francesco), Prof. nella R. Università di Roma. — ld. id. Polacco (Vittorio), Prof. nella R. Università di Padova. — Id. id. Stoppato (Alessandro), Prof. nella R. Università di Bologna. — Id. id. Simoncelli (Vincenzo), Prof. nella R. Università di Roma. — Id. id. Sezione di Scienze storiche. Birch (Walter de Gray), del Museo Britannico di Londra. — 14 Marzo 1886. ‘ Chevalier (Canonico Ulisse), Romans. — 26 Febbraio 1893. Bryce (Giacomo), Londra. — 15 Marzo 1896. Patetta (Federico), -Prof. nella R. Università di Torino. — 15 Marzo 1896. - Venturi (Adolfo), Professore nella K. Università di Roma. — 31 Maggio 1908. Luzio (Alessandro), Direttore del R. Archivio di Stato in Mantova. — Id. id. Sezione di Archeologia ed Etnografia. Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Milano. — 14 Marzo 1886. Poggi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a Savona. — 2 Gennaio 1887. Palma di Cesnola (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquari di Londra. Firenze. — 3 Marzo 1889. Barnabei (Felice), Roma. — 28 Aprile 1895. Gatti (Giuseppe), Roma. — 15 Marzo 1896. te SU 9 CR è sv.i>% 5 mi e CI PI PETE - » Para bei XXXII Dalla Vedova (Giuseppe), Professore nella R. Università di Roma. — Ca » LIO + AI PI Ri ste RA vi. ade a nd ILE ; i, or, pò id a) bri Pisi “” TO 2 © . . "i - pr di =, LI ? EI =t eee) CE4 1 x AR OLI E A - e n Pa ad A Pai Orsi (Paolo), Professore, Direttore del Museo Aiaiaclogico' di Siracoma. È 31 Maggio 1908. | Patroni (Giovanni), Professore nella R. Università di Pavia. — Id. id. — s I Sezione di Geografia. À 28 Aprile 1895. @ Bertacchi (Cosimo), Professore nella R. Univ. di Torino. — 21 Giugno 1908. NE, i Sezione di Linguistica e Filologia orientale. È ; Marre (Aristide), Vaucresson (Francia). — 1° Febbraio 1885. ‘E Amélineau (Emilio), Professore nella École des Hautes Études di Parigi. — A 28 Aprile 1895. - 300 Salvioni (Carlo), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria dil Milano. — 31 Maggio 1908. Lasinio (Fausto), Professore nel R. Istituto di studi superiori e di. perte. k zionamento in Firenze. — Id. id. a Parodi (Ernesto Giacomo), Professore nel R. Istituto di studi superiori e° di perfezionamento in Firenze. — Id. id. Schiaparelli (Celestino), Professore nella R. Università di Roma. — Id. id. Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia. Del Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca Pol d Si renze). — 16 Marzo 1890. Novati (Francesco), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. — 21 Giugno 1903. si ch Rossi (Vittorio), Professore nella R. Università di Roma. — id. id. «Te : Boffito (Giuseppe), Professore nel Collegio delle Querce in Firenze. — id. id. D’Ovidio (Francesco), Senatore del Regno, Professore nella R. Università | di Napoli. — id. id. Ne sa Biadego (Giuseppe), Bibliotecario della Civica di Verona. — id. id. MI, 3 ; Cian (Vittorio), Professore nella R. Università di Torino. — id. id. : MO È Vitelli (Gerolamo), Professore nel R. Istituto di studi superiori e di perfe: di zionamento in Firenze. — 31 Maggio 1908. vs Flamini (Francesco), Professore nella R. Università di Pisa. — Id. ia A Gorra (Egidio), Professore nella R. Università di Padova. — Id. id. vr: Fraccaroli (Giuseppe), Professore. Milano. 26 Febbraio 1911. Sei Sabbadini (Remigio), Professore nella R. Accademia scientifico letteraria di Milano. Id. id. i di Zuretti (Carlo Oreste), Professore nella R. Università di Palermo. — ld. id. A XXIII MUTAZIONI AVVENUTE nel Corpo Accademico dal 31 Dicembre 1912 al 51 Dicembre 1915. ELEZIONI SOCI Eletti nell'adunanza del 2 marzo 1913 della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche per comporre la Commissione del premio Gautieri per la Storia (triennio 1910-1912). De Sanetis (Gaetano) Sforza (Giovanni) Raffini (Francesco) . Camerano (Lorenzo). Fusari (Michele) . Gaareschi (Icilio). Foà XPio). cao) Eletti nell'adunanza a Classi Unite del 13 aprile 1913 Raffini devi) , per comporre la 2* Giunta del XVIII premio Renier (Rodolfo) . Bressa, quadriennio 1909-1912 (Nazionale). Naccari (An ca) | } De Sanctis (Gaetano) Stampini (Ettore) . Sforza (Giovanni). Boselli (S. E. Paolo) rieletto a Presidente dell’Accademia nell'adunanza a Classi Unite del 18 maggio 1913 e approvata l’elezione con R. Decreto 5 giugno 1913. Chironi (Giampietro) eletto a Direttore di Classe nell'adunanza del 18 maggio 1913 della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, approvata l’elezione con R. Decreto 1913. Renier (Rodolfo) eletto a Segretario di Classe id. id. Camerano (Lorenzo) rieletto a Vice-Presidente dell’Accademia nell’adu- - nanza a Classi Unite del 22 giugno 1913 ed approvata l’elezione con R. Decreto 11 luglio 1913. 30 Maggio 1913. ‘ Graf (Arturo), Socio nazionale residente della Classe di Scienze 1 storiche e filosofiche. Lo 24 Giugno 1913. Allievo (Giuseppe), id. id. pf 27 Giugno 1913. Sclater (Filippo), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisie] matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia. e . comparata). 74. 6% Ca . - i - e * PA à A è . ni half P al a * i Pepi “og o DASAL Dedira "22 - "> E di ar bi cai zi et ite "i PUBBLICAZIONI PERIODICHE RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 1° Gennaio al 31 Dicembre 1913. NB. Le pubblicazioni novate con # si hanno in cambio; quelle notate com ** sì comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Aberdeen University. Studies. N. 52-62, vol. I. * Acireale. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Zelanti. Atti e Memorie. — Memorie della Classe di scienze, ser. 3%, vol. VI. — R. Stazione Sperimentale di Agrumicoltura e Frutticoltura. Annali, vol. I. * Aix. Université. Annales de la Faculté de Droit, T. IV, 3-4; V, 1-4. — Annales de la Faculté des Lettres, T. IV, 3-4; V, 1-4. * Alba. Società di Studi storici ed artistici. Alba Pompeia. Rivista bime- strale, ann. V, 1-4. * Albuquerque. University of New Mexico. Bulletin. Chemistry Ser., vol. I, 1. America. American Philological Association. Transactions and Proceedings, vol. XLII, 1911. * Amsterdam. Royale Académie des sciences. Verhandelingen Afd. Natuur- kunde, 1° Sect., DI. XVII, 1;. Letterkunde, N. R., DI. XII, 2, 3; XII, 1. — Verslagen, Natuurkunde, vol. XX, 1, 2. — Proceedings (Section of Science), vol. XIV, 1, 2, Jaarboek, 1911. — Prijsvers Thalhssa. * — Wiskundig Genootschap. Nieuv Archief., DI. X, 3, 4. — Wiskundige Opgaven met Opiossing Elfde, Deel 1-5. * Angers, Société d'Études Scientifiques; Bulletin, Nouv. Sér., XLI° an., 1911. Atene. Observatoire National. Annales, T. VI Austin. Texas Academy of Science. Transactions, vol. XIII. * Baltimore. Johns Hopkins University. American Journal of Mathematics, vol. XXXIV. — American Chemical Journal, vol. XLVI, 6; XLVII; XLVIII, 1-4. — American Journal of Philology, XXXII, 4; XXXIII, 1-3. — Studies historical and political Science, Ser. XXIX, 1; XXX, 1-2. — - Circular, 1911, 9, 10; 1912 Summer session N. 1-3, 5, 7. Baltimore. Peabody Institute. Forty-Sixth annual Report, May 31, 1943. * Barcelona. Real Academia de Ciencias y Artes. Memorias, 3* época, vol. X, 18-23. — Boletin, 3° época, vol. III, 4. — Nomina del Personal Académico, 1912-1913. * Basel. Naturforschende Gesellschaft. Verhandlungen, Bd. XXIII. Atti della R. Accademia. — Vol. XLIX. B XXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Bassano. Museo Civico. Bollettino, anno IX, N. 4; X, 1-4. * Batavia. Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. 0u- Aheidkundig Verslag, 1912, 4 kwartaal, 1913, 1-83. — Dagh-Register Casteel Batavia, 1680. — Supplement to the Catalogue of the erabie manuscripts. — Tijdschrift, Deel LV, Afl. 1-6. — Notulen, Deel L, 3-4; I.I, 1-2. — Verhandelingen, Deel LX, 1. — Rapporten van de Commissie in Nederlandisch.-Indié von Oudheidkundig onderzoek op Java cu Ma- doera, 1912. — Nadere bijdrage tot de kennis van het Talavetsch door Dr. K. G. F. Steller. — R. Magnetical and Meteorological Observatory. Observations, vol. XXXII, 1909. — Appendix, vol. XXIX, 1906. — Regenwaarnemingen in Neder- landisch-Indié, 1910, Deel II. * Bergen. Bergens Museums. Aarbog, 1912, 1} 3; 1913, 1, 2. — Aarsbe- retning for 1912. — An account ot the Crustacea of No vol. VI,. Copepoda, Cyelopoida, p. 1% e 28. * Berkeley. University of California. Chronicle an ‘Official Ne vol. XIV, 1-4. — Memoirs, vol. I, 2. — Agricultural sciences, I, 1. — American Archaeology and Ethnology, X, 4; XI, 1. — Botany, IV, 15; V, 1-2; XIV, 12-14. — Geology, VII, 1-8. — Modern Philology, Il, 4-5; II, 1. — Pathology, II, 4-10. — Physiology, IV, 8-17. — Zoology, VII, 9-10;. VI, 8, 8, 95, b Lu debiti Lo * Berlin. K. Preussische Akademie der Wissenschaften. Physikalisch-ma- thematische Classe Abhandlungen, 1912, 1913, N. 1. — Philosophisch- historische Classe. Abhandlungen, 1912, 1913, 1-7. — Sitzungsberichte, 1913, I-XL. — Acta Borussica. Miinzwesen. Munzgeschichtliehen Teil. IV Bd. — Association Géodésique internationale. Comptes Rendus de la Dix-septième Conférence réunie à Hamburg du 17 au 27 septembre 1912, 1 vol. 4°. ** — Historischen Gesellschaft. Jahresberichte der Geschichtswissenschaft, XXXIV, 1911. * Bern. Naturforschende Gesellschaft. Mitteilungen aus dem Jahre 1911-12. * Bologna, Istituto di Bologna. R. Accademia delle Scienze, Classe di Scienze fisiche. Rendiconto, N. S., vol. XVI (1911-1912). Memorie, ser. VI, t. IX. — Classe di Scienze morali. Rendiconto, ser. 1%, vol. VI. Memorie. Sez. di Scienze giuridiche, ser. I, t. VII. Sez, di Scienze storico-filologiche, ser. I, t. VIL — Osservatorio della R. Università. Osservazioni meteorologiche dell’an- nata 1912. * — Società Medico-Chirurgica. Bullettino, ser. IX, vol. I, fisc. 1-12, * — Biblioteca Comunale. L’Archiginnasio, An. VIII, 1-4. * Bordeaux. Société des Sciences Physiques et Naturelles, Procès-verbaux 1910-11, 1911-12. — Observations météorologiques 1910. * BoMeaux. Faculté des Lettres et des Universités du Midi. Revue des Études anciennes, t. XV, n. 1-3. — Bulletin hispanique, t. XV, n. 1-4. — Bulletin italien, t. XIII, n. 1-4. x ms American Academy of Arts and Sciences. Proceedings, vol. XLVI, s XLVII, 22; XLVIII, 1-17. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXVII * Boston. Boston Society of Natural History. Memoirs, vol. VII. — Procee- dings, vol. XXXIV, 9-12. — Massachusetts General Hospital Publications. Medical and Surgical Papers, vol. IV, n. l. * Brescia. Ateneo. Commentari per l’anno 1912. * Bruxelles. Académie Royale des Sciences. Annuaire 1913. — Classe des sciences. Bulletin, 1912, 8-12; 1913, 1-3. Mémoires, Collection in 8°, 2° sér., t. III, 4. — Mémoires, Collection in 4°, 2° sér., t. IV, 1, 2. * — Musée Royal d’Histoire naturelle de Belgique. Mémoires, t. VI. — La Faune Conchyliologique du terrain houiller de la Belgique. — La Faune du Gedinnien inférieur de l’Ardenne. * — Société Royale d’Archéologie. Annuaire, t. XXVI, 1913; Annales, t. XXVI, 3, 4; XXV années d’activité, 1887-1912. — Tables des publi- cations (Annales-Annuaires), 1887-1911. * — Société des Bollandistes. Analecta Bollandiana, t. XXXI, 4; XXXII, 1-3. * — Société Royale Botanique de Belgique. Bulletin, an. 1912, t. XLIX, 1-4; XLI (vol. jubilaire). * — Société Entomologique de Belgique. Annales, t. LVI. — Mémoires, t. XXI. * — Société Géologique de Belgique. Annales, t. XXXIX, 4; XL, 1-2. — Publications relatives au Congo Belge et aux Régions voisines, an. 1912- 1913, fasc. 1-3. * — Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Bulletin. Procès-Verbal, 1-8. — Mémoires, t. XXVI, 1, 2. — Observatoire Royal de Belgique. Description des installations du ser- vice de l’heure. — Annales. Nouv. sér. Physique du Globe, t. V, 3. — Annuaire météorologique pour 1913. — Jardin Botanique de l’État. Conspectus Flore Africe ou énumeration des plantes d’Afrique par Th. Durand et Hans Schinz, vol. 1° (2° part.), vol. V, Bruxelles, 1905-1908, 2 vol. 8°. * Bucarest. Academia Romana. Bulletin de la Section scientifique, 1° an., n 1-67 Hd. * — Société Roumaine des Sciences. Bulletin, an. XXI, n. 6; XXII, 1-3. — Observatorul Astrenomie si Meteorologic. Buletinul lunar, an. XXII, n. 1-12. * Budapest. K. Ungarische Geologische Reichsanstalt. Jahresberichte, 1910-11. — Fòldtani Intézet évi Jelentése, 1911, ròl. — Mitteilungen, XIX Bd., 650 ITA 1: * — Ungarische geologische Gesellschaft. Geologische Mitteilungen, XLII, 9-12; XLIII, 1-3. i * Buenos Aires. Museo Nacional de historia natural. Anales, t. XXIII. * -- Sociedad Cientifica Argentina. Anales, t. LXXIV, 4-6; LXXV, 1-6; LXXVI, 1-3. * — Sociedad Quimica Argentina. Anales, t. I, n. 1-3. — Direccién General de Estadistica. Boletin, an. XIII, 144-146. — Annuaire statistique de la ville de Buenos Aires, an. XX et XXI, 1910 e 1911. — Ville de Buenos Ayres. Bulletin mensuel de Statistique Municipale, 1912, n. 11-12; 1913, 1.9. * XXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Calcutta. Asiatic Society of Bengal. Memoirs, vol. III, 5-7. — Journal and proceedings, vol. LXXV, 1; parte II, VI, 12; VII, 4-11 e n. extra; VIII, 1-10. — Index to Numismatie Supplements, I-XVI. — Index to rare Mughal coins noticed in Numismatics suppl., I-XV. * — Geological Survey of India. Records, vol. XLIII, 1-2. — Memoirs, vol. XXXIX, 2; XL, 1; XLI. — Board of Scientific Advice for India. Annual Report of the year 1911-12. — Agricultural Adviser to the Government of India. Report on the Progress of Agriculture in India for 1911-12. * Cambridge. Cambridge Philoscphical Society. Proceedings, vol. XVII, p. 1-3. — Transactions, vol. X.XII, 2-3. * — Cambridge (Mass.). Museum Comparative Zoology at Harvard College, vol. LIII, 10. — Bulletin, vol. LIV, n. 15-18, 20, 21; LV, 2; LVII, 2. — Memoirs, vol. XXXIV, 4; XXX, 4; XL, 4, 5; XLIV, 1. * Cape-Town. Royal Society of South-Africa. Transactions, vol. III, p. 1:2. * Catania. Accademia Gioenia di scienze naturali. Atti, ser. 5°, vol. V. - Bollettino delle Sedute, fasc. 24-27. — Società degli Spettroscopisti italiani. Memorie, vol. II, ser. 2*, Disp. 1-12. — Indice generale delle Memorie, vol. I-XL (1872-1911). Chambéry. Société Savoisienne d’histoire et d’archéologie. Mémoires et Documents, t. LII. * Charleroi. Société Paléontologique & Archéologique, t. XXXIII. * Charlottenburg. Physikalisch-Technischen Reichsanstalt. Tatigkeit Jahr., 1912. * Cherbourg. Société Nationale des Sciences naturelles et mathématiques. Mémoires, t. XXXVIII. * Chicago. Field Museum of Natural History. Report Series, vol. IV, 2. — Anthropological Ser., vol. VII, 4; X; XI, 12. — Owmnithological Ser., vol. I, 7. — Botanical Ser., vol. I, 5. — Zoological Ser., vol. VI, 12; A, 0; 05 BI, — John Crerar Library. Annual Report (18°) for the year 1912. * Cincinnati. Lloyd Library. Bibliographical Contribution, 1912, n. 7-10. * Concarneau. Laboratoire de Zoologie et de Physiologie maritimes. Travaux scientifiques, t. III; IV, 1-7. * Copenhague, Académie R. des sciences et des lettres. Bulletin, 1913, 1-5. — Mémoires, Section des Sciences, t, IX, 2; X, 2-4; XI, 1. * Cracovie. Académie de Sciences. Bulletin international. Classe des sciences mathématiques et naturelles, 1912: A, n. 9-10, 19183, 1, 3; 8, n. 8-10, 1913, 1, 2. — Classe de Philologie. Classe d'histoire et de Philosophie. Bulletin, 1912, 1-10. -- Rozprawy wyd., ser. Il, t. XXX. De Bilt. Konink. Nederlandsch Meteorologisch Institut. Mededeelingen en Verhandelingen, 15-16. * Delft. Bibliotheek der Technische Hoogeschool. 7 Tesi. * Dorpat. Imp. Universitatis Jurievensis (olim Dorpartensis). Acta et Com- mentationes, 1911, t. XIX, XX, XXI, 1-6. * Dublin. Royal Irish Academy. Proceedings, Section A, vol. XXXII, 1; PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXIX Section B, vol. XXX, p. 3-5, XXXII, 1-2; Section C, vol. XXX, p. 14-21, XXXII, 1-5. — Proceedings, vol. XXXI, 3, 32, 42, 45, 48-50, 55, 61, 62. Dublin. Royal Dublin Society. Scientific Proceedings, vol. XIIT, 27-39; XIV, 1-7. — Economie Proceedings, vol. II, 6. * Edinbargh. Royal Society. Proceedings, vol. XXXII, p. 5; XXXIII, 1-4. Transactions, vol. XLVIII, p. 3, 4; XLIX, 1?, 28. * — Royal Physical Society. Proceedings, vol. XIX, 1-3. * Erlangen. Physikalisch-medizinische Sozietàt. Sitzungsberichte, 44 Bd., 1912. * Firenze. R. Accademia della Crusca. Atti, 1911-1912. * — R. Accademia economico-agraria dei Georgofili. Atti, ser. 5*, vol. X, 1-4. * — R. Istituto di Studi superiori e di perfezionamento. Sezione di Scienze fisiche e naturali, fasc. 31. — Sezione di Filosofia e Filologia: G. Gia- nelli, “ Il sacerdozio delle Vestali Romane ,, 1913. * Fiume. Deputazione Fiumana di Storia patria. Bollettino, vol. III. Formosa. Bureau of Productive Industries. Icones plantarum formosanarum necnon et Contributiones ad Floram Formosanam, by B. Hayata. Taihku. Fasc. 2°. * Freiburg i. Br. Naturforschende Gesellschaft. Berichte, XX Bd., 1. * Gap. Société des Études des Hautes-Alpes. Bulletin, 3° sér., 40 (1911); 41-44 (1912). * Genève. Institut National Genevois. Bulletin, t. XL. — Mémoires, t. XXI. * — Société de Physique et Histoire naturelle. Compte rendu des Séances, XXIX, 1912. — Observatoire. Quelques anomalies climatiques è Genève: hivers chauds; années très-humides et très-sèches, par R. Gautier. — Résumé météo- rologique de l'année 1911 pour Genève et le Grand Saint-Bernard, par R. Gautier. — Observations météorologiques faites aux fortifications de Saint-Maurice pendant l’année 1911, par R. Gautier et H. Duhaime. * Genova. Museo civico di Storia naturale. Annali, ser. 8%, vol. V. * — Società Ligure di letture e conversazioni scientifiche. Rivista ligure di scienze, lettere ed arti, an. XL, 1-5. * — KR. Scuola Navale superiore. Relazione del Consiglio Direttivo sull’an- damento della Scuola nell’anno scol. 1911-12; 8°. — Istituto Idrografico della R. Marina. Annali Idrografici, vol. VIIIL — Tavole logaritmiche a cinque decimali. * Gottingen. K. Gesellschaft der Wissenschaften. Mathematisch physikalische Klasse. — Abhandlungen, N. F. Bd. VIII, n. 5; IX, 4. — Nachrichten, 1912, n. 5; 1913, 1-3. — Philologisch-historische Klasse. — Abbandlungen, N. F. Bd. XIV, 3-5. — Nachrichten, 1212, Heft 3-4; 1913, 1. Beiheft. — Geschùftliche Mitteilungen, 1912, Heft 2; 1913, 1. * Granville. Denison University. Scientific Laboratories. Bulletin, vol. XVII, art. 1-4. Halifax. Nova-Scotian Institute of Science, vol. XII, p. 4. * Halle. Academiae Caesareae Leopoldino-Carolinae Germanicae Naturae Curiosorum Nova Acta, t. XCVI-XCVII. Leopoldina, 1912, XLVIII. XXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. AGCADEMIA * Hamburg. Hamburgische Wissenschaftliche Anstalten. Jahrbuch XXIX, 1911; Beiheft XXIX, 1911. * Harlem. Société hollandaise des sciences. Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles, Sér. ILI A (Sciences exactes), t. III, 1-2. * — Fondation de P. Teyler van der Hulst. Verhandelingen-Teyler's twede Genootschap, N. Reeks, VIII DI. —- Archives des Musées Teyler, sér. III, vol. I. * Heidelberg. Naturhistorisch-Mecicinischer Vereines Verhandlungen, N. F., XII Bd., 2-3 Heft. * Helgoland. Biologische Anstalt. Wissenschaftliche Meeresuntersuchungen, N. F., X Bd., Abth. Helgoland 2; N. F., XV Bd., Abth. Kiel. * Helsingfors. Societatis Scientiarum Fennicae Acta, t. XXXVIII; XLI, 8; XLII, 3. — Ofvergit, LIV, B. — Bidrag, LXXI, 3; LXXII, 1; LXXVI, 1. — Meteorologische Zentralanstalt. Meteorologisches Jahrbuch fiir Finnland, Bd. VII-JX (1907-1909). — Schnee- und Eisverhàltnisse in Finland im Winter 1898-1899. * Jena. Medizinisch-Naturwissenschaftliche Gesellschaft. Jenaische Zeitschr. fiir Naturwissenschaft, N. F., XLII, 3, 4; XLIII, 1-4. — Denkschriften, Bd. 1Y; V, 2. * Jowa City. University of Jowa. Bulletin, N. S., n. 44 (Bull. Laborat. of Natural history, vol. VI, 3). — Bulletin, n. 53, vol, I, 5 (Contributions from the Physical Laboratory). * Kasan. Société Physico-Mathématique. Bulletin, 2° sér., t. XVIII, 1, 2. * Kharkow. Société mathématique. Communications, t. XIII, 6; XIV, 1-2. Kodaikanal. Observatory. Bulletin, n. XXVII-XXXI, XXXIII. — Annual Report of the Director Kodaikana] and Madras Observatories for 1912. * Kinigsberg. Physikalisch-5konomische Gesellschaft. Schriften, LIJI. * Kyoto. Imperial University. College of Sciences and Engineering. Me- moirs, vol. IV, 1, 2; V, 1-8. * Lawrance. University of Kansas. Science Bulletin, vol. XIII, 2, 3. * Leipzig. K. Sichsische Gesellschaft der Wissenschaften. Mathematisch- physikalische Klasse: Abhandlungen, XXXII, Bd. 7. — Berichte, 1912; 5-7; 1913, 1-3. — Philologisch-historische Klasse. Abhandlungen, XXIX, 8,9; XXX, 1. — Berichte, 64 Bd., 4-5; 1913, 1, 2. * — Gesellschaft fiir Erdkunde. Mitteilungen fiir das Jahr 1912. — Fiirstlich Jablonowskische Gesellschaft. Jahresbericht 1918 (Mùrz). — Preisschriften XXV der geschichtlich-5konomischen Sektion. Léopol. Société Polonaise pour l'avancement des sciences. Bulletin, XII, 1913. * Liège. Société Géologique du Belgique. Annales, t. XXXIX, 3-4; XL, 1,2. Mémoires, an, 1911-1912, 1, 2. * — Société Royale des Sciences. Mémoires, 3° sér., t. IX. Lima. Cuerpo de Ingenieros de Minas del Peri. Boletin, 78. ** Lipsiae. Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum. Nicolaus Progymnasmata Procopius. * Lisbonne, Société Portugnise des sciences naturelles. Bulletin, vol. V, 2; Wii: * * * Ae * - * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXI London. British Association for the advancement of science. Report of the Meeting. Dundee 1912, 1 vo]. 8°. — Royal Astronomical Society. Monthly Notices, vol. LXXIII, n. 3-9; LXXIV, 1. — Memoirs, vol. LX, 3. — Chemical Scciety. Journal, 1913, January-November. Indexes, 1912. — Proceedings, vol. 29, n. 409-421. — Index, vol. 1912 (XXVIII). — Geological Society. Quarterly Journal, vol. LXIX, p. 1-8, List of Fel- lows, 1913. — Royal Institution of Great Britain, vol. XX, 1 — Linnean Society. List of Fellows, 1913-14. — Journal: Botany, vol. XLI, 282, 283; Zoology, vol. XXXII, 215, 216. — Transactions, 2nd Ser.: Botany, vol. VII, 19, 20; VII, 1,2; Zoology, vol. XI, 11, 12; XV, 2-4; XVI, 1. — Proceedings, November 1912 to June 1913. — Catalogue of Papers in the Transactions from 1791-1905. — Royal Society of Literature. Transactions, 2nd ser., vol. XXXII, 1, 2. — List of Fellows, 1913. — London Mathematical Society. Proceedings, 2nd ser., vo!. XII, p. 1-7; XII — Royal Microscopical Society. Journal 1913, part. 1-5. — British Museum (Natural History). History of the Collection, vol. II, Appendix. — Catalogues: of Mammal of Western Europe; Hume Col. lection of Indian Horns; Birds Eggs, vol. V; Ichneumonidae, part II; Moths, vol. XII (Lepidoptera Phalaenae and Plates); Chaetopoda, part I, Arenicolidae; Marine Reptiles of the Oxford Clay, part II. — Guide to Anthropology, 2nd edition. — Guide to Domesticated Animals, 2nd edition. — The House-Fly as a Danger to Health. — Catalogue of the Library, vol. IV; Ungulate, vol. I; British species of Pisidium; South Nigerian Plants. — Special Guide, n. 6, Flight Exhibition. — Royal Society. Proceedings: Ser. A, vol. 88, n. 600-606; 89, 607-611 —- Ser. B, vol. 86, n. 585-591; 87, 592-593.— Transactions: Ser. A, vol. 212 — Ser. B, vol. 203. — National Antartic Expedition Meteorology, part. II. — International Catalogue of scientific literature, 1912, 16 vol. 8°. — The celebration of the two hundred and fiftieth Anniversary, July 15-19, 1912, 1 vol. 8°. | — Royal Society. Index to the Proceedings (Old Series), vol. 1-75 (1800-1905), 1 vol. 8°. — University College. Catalogue of the periodical publications including the serial publications. of Societies and Gouvernments, Oxford, 1912, 1 vol. 8°. — Zoological Society. List of Fellows. — Proceedings, 1913, part. 1-3. — Transactions, XX, 3, 4. Louvain. Université catholique. Annuaire, 1918. — G. Kissersrem, Les dons et legs aux fabriques d’églises paroissiales en Belgique. Étude juridique. Louvain, 1912. — L. 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Sciences, Médecine, fasc. 31-33; II, Droit, Lettres, fasc. 23-25. — Diocèse de Lyon. Bulletin historique, 1911, n. 78-83. Madrid. Real Academia de la Historia. Boletin, t. LXII, quad. 1-6 LXIII, 1-6. * — Real Academia de Ciencias exactas, fisicas y naturales. Anuario, 1913. — Revista, t. XI, n. 1-12. * — Sociedad Matematica Espaîiola. Revista, an. 2°, n. 13, 14, 16-22. * Mantova. R. Accademia Virgiliana. Atti e Memorie, n. ser., vol. V, p. 1-2. * Marseille Faculté des Sciences. Annales, t. XVIII, XX et Supplément. México. Escuela Nacional preparatoria. Boletin, t. IV; 3, * — Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. Memorias y Revista, t. XXX, 7-12; XXXI, 1-12; XXXII, 1-6. * — Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Anvario 1918. — Boletin, n. 3. — Observatorio Meteorolégico Magnético Central. Boletin mensual, 1912, Julio-Diciembre; 1913, Enero-Febrero. * Milano. Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere. Rendiconti, ser. II, vol. XLV, fase. 19-20; XLVI, 1-15. — Memorie, vol. XXII, 9. * — Società Italiana di scienze naturali e Museo Civico. Atti, vol. LI, 8,4;LII, 1. — R. Osservatorio Astronomico di Brera. Anno 1914. Articoli generali del Calendario ed effemeridi del sole e della luna per l'orizzonte di Milano. Con Appendice. — L'eclisse totale di sole del 20-21 agosto 1914. — Università Commerciale Luigi Bocconi: Annuario 1911-1912. — Collegio degli Ingegneri ed Architetti. Atti, an. XLVI, n. 1. — Città. Bollettino statistico 1912, dicembre; 1913, gennaio-ottobre. — Rias- sunto dei Bollettini mensili, 1912. — Dati statistici a corredo del Re- soconto dell'Amministrazione comunale. Minnieapolis. Geological and Natural History Surwey of Minnesota. The Leeches of Minnesota, Zoological, ser. V. — University of Minnesota Studies in Chemistry, n. 1. * Modena. Regia Accademia di scienze, lettere ed arti. Memorie, ser. III, vol. X, parte 2*, Monaco. Institut Océanographique. Bulletin, n. 258-278,°275. — Résultats des Campagnes scientifiques par Albert I" Prince de Monaco, fase. XLI, XLIV. * # & PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIII Moncalieri. Osservatorio del Real Collegio Carlo Alberto. Osservazioni meteorologiche, 1912 dicembre, 1913 gennaio-novembre. — Osservazioni sismiche, 1912, n. 12; 1913, 1-6, 8-12. Montevide»v. Instituto Nacional Fisico-Climatologico. Boletin mensual, 1911, vol. IX. * Montpellier. Académie des sciences et lettres. Bulletin mensuel, 1913, n. 1-7. — Mémoires: de la Section de Médecine, 2° sér., t. II, 4; de la Section des Sciences, 2° sér., t. IV, 3-5; de la Section des Lettres, 2° sér.. ti Vi oe * Moscou. Société Impériale des Naturalistes. Bulletin, 1911, 4. * Miinchen. Kgl. Bayerische Akademie der Wissenschaften. Jahrbuch 1912. — Sitzungsberichte,. Mathematisch physikalische Klasse, 1912, 3; 1913, 1, 2. Register, 1860-1910. — Abbandlungen, XXVI Bd., 2-6. — Beitrige zur Naturgeschichte Ostasiens Abh. d. Il K1., IT Suppl. Bd.,9 Abth. — Sitzungsberichte, Philologisch-philosophische und bhistorische Klasse, 1912, 6-8, Schlussheft, 1; 1913, 1-8. Register, 1860-1910. — Abhand- lungen, XXVI, 4-5. — Monumenta Boica, XLVIII, LIIIL — Physik u. Technik auf dem Wege zum absoluten Nullpunkte der Temperatur, Festrede, von Dr. Carl v. Linde. * — Ornithologische Gesellschaft in Bayern. Verhandlungen, Bd. XI, 2-4. * Nancy. Académie de Stanislas. Mémoires, 1911-1912, 6° sér., t. IX. * Nantes. Société des sciences naturelles de l’Onest de la France. Bulletin, 3° sér., t. II, 1"-4° trimestre 1912. * Napoli. Società Reale. Annuario 1913. — R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche: Rendiconto, vol. XVIII, fase. 10-12; XIX, 1-10. — Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti: Memorie, Il (1918); Rendiconto, nuova ser., an. XXVI. — Accademia di scienze morali e politiche: Atti, vol. XLII; Rendiconto, an. LI. # — R. Istituto d’Incoraggiamento. Atti, ser. 6*, vol. LXIV, 1912. # — Società di Naturalisti. Bollettino, vol. XXV (1911-12). * — R. Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Contributi astronomici, n. 1-3. — Saggio di determinazione della estinzione atmosferica per Capodimonte. — Osservazioni meteoriche, 1912. — La Cometa perio- dica 1906 IV Koptf nella sua prima apparizione. * — Zoologischen Station. Mittheilungen, XX, 4; XXI, 1-5. Neuchàtel. Société Neuchateloise des sciences naturelles. Bull., t. XXXIX. * New-York. American Mathematical Society. Transactions, vol. XIV, n. 1-4. Bulletin, vol. XIX, n. 4-10; XX, 1-3. — Annual Register, January 1913. * — New York Academy of Sciences. Annals, vol. XXI, pp. 177-263; XXII, pp. 1-337. — Carnegie Foundation for the Advancement of Teaching. Seventh Annual Report of the President and of the Treasurer, 1912; Medical education in Europe. — Bulletin, n. 6, 1912. * — New York Public Library. Bulletin, vol. XVII, n. 1-11. — Memorial Meeting in honor of the late D>. John Shaw Billings, April 25, 1913. # Niirnberg. Naturhistorische Gesellschaft. Abhandlungen, XX Bd.— Beilage zu Festschrift-Piidagogik der Tami Mitteilungen, 1909, 2; 1910, 1, 2. * XXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Oberlin. Wilson Ornithological Club. Wilson Bulletin, vol. XXIV, m. 4; XXV, 1-3. Odessa. Observatoire météorologique et magnétique de l'Université Impé- riale. Annuaire 1911-12. Ottawa. Ministère des Mines. Division de la Commission Géologique, n. 116, 188, 1215, 1216. — Mémoires, n. 16-E, 24-E, 27. — Bulletin, 4. — Rapport sur les Dépòts de fer chromé des cantons de l'est de la pro- vince de Quebec. — Rapport sur les minéraux de Tungstene du Canada. — Minéraux industriels et Industries minières. — Department of Mines. Mines Branch. — Report on the Building amd Or- namental Stones of Canada, vol. I — Pyrites in Canada, n. 167. — Tourbe et Lignite, ecc., n. 188. -—- Report (Preliminary) on the Mineral production of Canada during Year 1912. — The Nickel industry: with special reference to the sudbury Region Ontario. — Economic Minerals and Mining Industries of Canada. — Annual Report on the Mineral production of Canada, 1911, n. 201. — The Magnetic Iron sands of Na- tashkwan, 145. * — Royal Society of Canada. Proceedings and Transactions, 3* ser., VI. * Padova. R. Università degli Studi. Annuario 1912-13. * — Museo Civico. Bollettino, an. XIII, 1911. * Palermo, Circolo Matematico. Rendiconti, t. XXXV, fase. 1-3; XXXVI,1. 8, — Verbali, vol. VII, n. 5-6; VIII, 1-6. — Hexri Porscarf, A l’oecasion du premier anniversaire de la mort, 17 juillet 1913. Paris. Ministère de l’Instruction Publique et Beaux-Arts. Musée Guimet. — Annales, Bibliothèque d'Étude, t. XXIV, 2 — Ministère de l’Instruction Publique et des Beaux-Arts. (Euvres com- plètes De Laplace, t. XIII, XIV. — Ministère de l'Instruction Publique. Catalogue des Thèses et Écrits aca- démiques, fasc. XXVIII®. an. scolaire 1910-11, 1911-12. — Ministère de l’Instruction Publique. Inventaire sommaire des Archives Aépartementales: Allier, Ar. post. 1790, sér. L, t.I. — Alpes Maritimes, Répertoire numérique, sér. I; sér. C Administration provineiale. — Ardennes, Personnel et Administration générale, sér. M. — Aridge, Répertoire numérique, sér. N. — Aube, Archives civiles, sér. E, t. III. — Aude, Travaux publies, sér. S. — Cantal, Répert. numér., sér. L, Période révolut., t. I. — Charente Infr., Répert. num., sér. X. — Corréze, Répert. num., sér. A, B, C, D, E; E suppl.; G et H, Q (Domaines). — Corse, Répert. num., sér. L. — Dordogne, Répert. num., sér. V. — Doubs, Répert. num., sér. L. Ville de Besangon, Arch. Communale ant. 1790, sér. BB, t. L, (3 B) et (ZE). — Gironde, Répert. num. Ville de Bordeaux, Archives municip., Période révolut., t. III. — Hérault, Ville de St.Pons. — Indre et Loire, Arch. civiles, sér. E. — Loire, Répert. num,, sér. Q. — Loiret, Répert. num., sér. K. — Lozère, Répert. num., sér. K et L. — Manse, Répert. num., ser. G et V. Arch. Ecel., sér. H, t. II. — Meurthe et Moselle, sér. E, t, IX, suppl. t. III. — Meuse, Réper. num., sér. X. — Morbihan, sér. E, t. IV, Table générale. — Orne, Répert. num., sér. V. — Pas-de-Calajs, Répert. num., sér. V. Arch. Eecl., sér. H, d PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXV t. III — Sane (Haute), Répert. num., sér. T. -- Savoie, Répert. num. du Fonds Sarde (1814-1860) et du Fonds de l’annexion de 1860. — Savoie (Haute), Répert. num., sér. U, Y et R. — Seine et Oise, Répert. num., sér. C. — Seine Inférieure, Arch. Eccl., sér. G, t. VII; Arch. civiles, sér. C et D. Ville de Havre, Répert. num. des Archives anciennes et révolutionnaires. — Serre (Deux), Répert. num., sér. K et V. — Tarne et Garonne, Répert. num., sér. Let V. — Vandée, Répert. num., sér. Vi. — Vosges, Répert. num., sér. S. — Yonne, Arch. de la Révolut., sér. L. * Paris. Ministere des Travaux Publics, des Postes, etc. Annales des Mines, XI° sér., t. II, 12° livrs., 1912, III, 1-6; IV, 7-10. — Tables des matières de la X° sér., 1902-1911. * — Bureau des Longitudes. Annuaire 1913. * — Institut de France. Annuaire 1913. — Académie des Sciences. Procès- Verbaux des séances de l’Académie tenu:s depuis la fondation de l’Institut jusqu'au mois d’aoùt 1835. Tome II, an. VII-XI (1800-1804), * 1 vol. fol. * — Société Nationale des Antiquaires de France. Bulletin, 4° trimestre 1912; 1°-3° trimestre 1913. — Mettensia, VI, Mémoires et documents, fase. 4. -—— Mémoires, 8° sér., t. II (1912). — École Polytechnique. Journal. 2° sér., 16° cahier. * — Société de Géographie. La Géographie. Bulletin, XXV, 3-6; XXVI, 1-6; XXVII, 1-4. * — Société Géologique de France. Bulletin, 4° sér., t. IX, 9, t. X, 7-9; XI, 1-9; XII, 1:6. * — Muséum d'’histoire naturelle. Bulletin, an. 1911, 6, 7; 1912, 1-7. — Ca- talogue de la Collection de Lépidoptères. — Nouvelles Archives, 5° sér., GND, 18 TV, 10°2 * — Société Mathématique de France. Bulletin, t. XLI, 1,2. * — Société Philomathique. Bulletin, sér. X°, t. IV, n.3; V, 1,2. * — Société de Spéléologie. Bulletin et Mémoires, t. IX, n. 70. — Société Zoologique de France. Bulletin, t. XXXVI, XXXVII. — Meé- moires, t. XXIV, XXV. Pavia. Società Pavese di Storia patria. Bollettino, an. XIII, 1-2. Perugia. R. Deputazione di Storia patria per 1’ Umbria. Bollettino, an: XVIII, 1-3. * — Università degli Studi. Annali, Facoltà di Medicina, ser. IV, vol. II, fasc. 4; III, 1-3. — Facoltà di Giurisprudenza, ser. III, vol. Mes 2.. III, 1-4. * Philadelphia. Academy of Natural Sciences. Proceedings, vol. LXIV, p. 1-3. — Journal, 2nd ser., vol. XIV, XV. * — American Philosophical Society. Proceedings, vol. LI, 204-207. — Trans- actions, vol. XXII, N. S., p. 2, List-of Fellows, 1912. * — Wagner Free Institute of Science. Annual Announcement, 1912-13. * Pisa. Società Toscara di scienze naturali. Atti. Memorie, vol. XXVIII. — Processi verbali, vol. XXII, 1-4. * — R. Università. Annuario per l’anno accademico 1912-1913. — Annali delle Università Toscane, t. XXXII. * * * * XXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * — R. Scuola Normale superiore. Annali. Filosofia e Filologia, vol. XXIV, XXV. * Porto. Academia Polytecnica. Annaes scientificos, vol. VII, n. 4; VII, 1-3. Potsdam. K. Preuss. Geodàtischen Instituts Verdffentlichungen, N. F., 57, 58. * Prag. Kgl. Bòhmische Gesellschaft der Wissenschaften. Jahresbericht 1912. — Zu d. Problem der Vererbungstriger, Von Prof. Dr. F. Veidowsky, Prag, 1911-1912, 1 vol. fol. — Sitzungsberichte: Mathematisch-Natur- wissenschaftliche Klasse, 1912; Klasse fiir Philosophie, Geschichte und Philologie, 1412. Prag. K. K. Sternwarte. Magnetische und Meteorologische Beobachtungen, 73 Jahrg. * Praze. Céska Akademie Cisale Franti$ka Josefa pro védy, slovesnost a uméni. Almanach, Roenik XXIII. — Rozpravy, Trida I, Cislo 46-48; Trida II, Rotnik XXI. — Historicky Archiv, 36, 38. — Sbirka pramenùv, Skupina II, 17. — Sbornik filologicky, Rocnik II. — Bibliografie Ceské Historie. Dil Paty, II Zpracovaini. — Vestnik, Rocnik XXI. — Biblio- teka klassikii réckych a rimskych, Cislo 20, 21. — Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Classe des sciences mathématiques, na- turelles et de la médecine, XVII an. (1912). Princeton. University Observatory, n. 2. * Pusa. Agricultural Research Institute. Memoirs Department of Agriculture in India. Report, 1911-12. — Bacteriological Ser., vol. I, n. 1-2. — Bota- nical Ser., vol. V. 2-5; VI, 1-8, 5. — Chemical Ser., vol. II, 6; III, 1-4. — Entomological Ser., vol. IV, 5. * Reims. Académie Nationale. Travaux, 130° vol. * Rennes, Société Scientifique et Médicale de l’Quest. Bulletin, t. XX, 4; XXI, 1-4. * Riga. Naturforscher-Vereins. Korrespondenzblatt, LVI. * Rio de Janeiro. Bibliotheca Nacional. Regolamento. * — Museu Nacional. Archivos, vol. XIV, XV. — E. Gortpr, Monographia Brasileiras, I. Os Mammiferos do Brasil; II. As Aves do Brasile, 1° e 2, 3 vol. 8°, — C. M. Dergano pe Carvarno, Le Brésil méridional (Étude économique), Paris, 1910, 1 vol. 8°. — Observatorio Nacional. Annuario 1913. * Rochester. Academy of Science. Proceedings, vol. V, pp. 39-58. * Roma. Senato del Regno. Biblioteca. Bollettino delle pubblicazioni di re- cente acquisto, 1913, an. IX, 1-4. * — Camera dei Deputati. Commissione Reale per studi e proposte relative ad opere d'irrigazione. Seconda Relazione, 1913, 4°. *.— Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Annuario statistico italiano, 2* ser., vol. II, 1912. — Statistica delle cause di morte nel- l’anno 1910. — Statistica della emigrazione italiana per l'estero negli anni 1910 e 1911 con un'appendice di confronti internazionali. — An- nali di Statistica, ser. 5*, vol. 5, 6. — Movimento della popolazione secondo gli Atti dello Stato civile nell’anno 1911. — Ministero delle Finanze. Movimento commerciale del Regno d'Italia, 1911, PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXVII parti 1°-3*; 1912, 1*. — Statistica del commercio speciale di importa- zione e di esportazione, 1912 dicembre, 1913 gennaio-ottobre. — Bol- lettino di legislazione e statistica doganale e commerciale, 1912 no- vembre-dicembre, 1913 gennaio-agosto. - Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1911, vol. I, p. 2*, Tavole analitiche, II. Tavole riassuntive. * Roma. Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti. Atti della Commissione di statistica e legislazione. Relazioni e verbali delle discussioni della Sessione di febbraio 1912. — Statistica della criminalità per l’anno 1908. — Ministero dell’Interno. Statistica delle carceri e delle colonie per domi- ciliati coatti, 1911. — Statistica dei Riformatorî, 1911. ** — Ministero dell'Interno. Calendario generale del Regno per l’anno 1913 (An. LI). * — Ministero dei Lavori Pubblici. Seconda relazione della Commissione incaricata di rivedere le norme edilizie obbligatorie per i Comuni col. piti dal terremoto, 19153. * — R. Accademia dei Lincei. Annuario 1913. — Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Rendiconti, vol. XXII, 1° e 2° semestre 1913; Memorie, ser. 5, vol. IX, fasc. 7-14. — Classe di scienze morali, storiche e filologiche: Rendiconti, vol. XXII, 1-10; Notizie degli scavi di anti- chità, vol. IX, fasc. 7-12 e supplemento X, 1-4; Memorie, ser. V, vol. XIV, 7; Rendiconto dell'adunanza solenne del 1° giugno 1913. * — Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei. Atti, an. LXVI, Ses- sioni 1*-7® (1912-13). — Memorie, vol. XXX. * — Imperiale Istituto Archeologico Germanico, Bullettino, vol. XXVIII, fasc. 1-4. * — Istituto di Diritto Romano. Bollettino, an. XXV, 2-4- * — R. Comitato Geologico. Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’Italia, vol. V, p. 2°. — Bollettino, vol. XLIII, 2-4. — R. Commissione Geodetica italiana. Processi verbali delle sedute tenute in Padova nel giugno 1912. — Differenza di longitudine fra Bologna (Osservatorio della R. Università) e Firenze (Istituto Geografico militare). * — R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica. Il clima di Roma. Esame delle osservazioni meteorologiche eseguite dal 1782 al 1910. * — R. Osservatorio Astronomico al Collegio Romano. Memorie ed Osser- vazioni, ser. III, vol. VI, parte 1°. — Società degli Agricoltori italiani. Bollettino quindicinale, an. XVIII, 1-25. * — Società italiana delle scienze (detta dei XL). Memorie, ser. 8*, t. XVII. — “ Mathesis ,. Società Italiana di matematica. Bollettino, an. IV,9; V, 1,2. * — Biblioteca Nazionale centrale “ Vittorio Emanuele ,. Bollettino delle Opere moderne e straniere acquistate dalle Biblioteche pubbliche gover- native, an. 1912, ser. IV, 2998-5761. — Indice alfabetico per autori, 1901-1910. — Scuola di Roma. Bollettino della Direzione centrale, fasc. 2. * Rovereto. I. R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Agiati. Atti, ser. 8*, vol. XVIII, fasc. 3 4; ser. 4*, vol. I. * Saiht-Louis. Missouri Botanical Garden. Twenty-Third Annual Report. XXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * St-Pétershourg. Académie Imp. des sciences. Bulletin, 1918, n. 1-8. — Mémoires, VIII* sér., t. XXVI, 3; XXX, 9-11; XXXI, 1. * — Comité: Géologique. Bulletins, t. XXX, 6-10; XXXI, 1,2. — Mémoires, N. S., livrs. 58, 63-65, 69, 75, 78, 81. *— Commission sismique permanente. Comptes-rendus des séances, t. V, livrs. 2,3; VI, 1. — Seismometrische Beobachtungen in Baku und Ba- lachany in der Zeit vom 1 Januar bis 31 Dezember 1910. * — Musée Géologique Pierre le Grand. Bulletin, t. VI, n. 4-7; VII, 1-3. * — Société Physico-Chimique, t. XLV, 1-6. * San Francisco. California Academy of Sciences. Proceedings, Fourth ser., vol. I, pp. 431-446; II!, pp. 187-264. * Santiago de Chile. Instituto Central Meteorolégico y Geofisico de Chile. Observaciones en la Mina Aguila 5.200 m. (Cordillera de Quinza Cruz, Bolivia) dal 26 de abril hasta el 12 de septiembre de 1909, n. 1. — Anuario meteorolégico de Chile, 1911, n. 3. * Sendai. Tohoku Imperial University. Sciences Reports: 1* ser., Mathe- matics, Physics, Chemistry, vol. I, 5: II, 1, 2. - Second ser., Geology, vol. I, 2, 3. i * Siena. R. Accademia dei Fisiocritici. Atti, vol. VI, 1-10. * — R. Università degli Studi. Annuario accademico 1912-1918. * — Circolo Giuridico della R. Università. Studi Senesi, vol. XXIX, 3-5. Stettin. Gesellschaft fiir Pommersche Geschichte u. Alterthumskunde. Mo- natsblitter, Jahrg. 1911, 1912. — Baltische Studien, N. F., Bd. XV, XVI (dono del prof. G. Piolti). “ Stockholm. Kungl. Svenska Vetenskapakademiens. Handlingar, Bd. XLVIII, 3; L, 1. — Arkiv fér Matematik, astronomi och fisik. Bd. IX, 1, 2. — Arkiv for kemi, mineralogi och geologi, Bd. IV, 4,5. — Arkiv fér bo- tanik, Bd. XIII, 1. — Arkiv féòr zoologi, Bd. VII, 4. — Meteorologiska iakttagesler i Sverige, Bd. LIV. — Meddelanden frin K. Vetenskapsakad Nobilinstitut Accessionskatalog 1896-1905. — Kungl. Biblioteket. Sveriges offentliga bibliotek Stockholm, Uppsala Lund, Goteborg. Accessions-Katalog 27. Stonyhurst College Observatory. Results of Meteorological, Magnetical and Seismological Observations, 1912. Strassburg. Internationale Kommission fiir wissenschaftliche Luftschiffahrt, Veròtfentlichungen. Jahrg. 1910, Heft 10-12; 1911, 1-12. * Stuttgart. Verein fiir vaterlindische Naturkunde in Wiirttemberg. Jahres- hefte, Jahrg. 1913. * Svizzera. Geologische Kommission der Schveiz. Naturforschenden Ge- sellschaft. — Beitriige zur Geologisechen Kart der Schweiz, Il sér., livrs. 36-39. — Speciale Carte, Nos. 65-68. * — Schweizerische Naturforschenden Gesellschaft. Verhandlungen: 94. Jah- resversammlung vom 30 Juli bis August 1911 in Solothurn, Bd. 1, II; 95. vom 8-11 September 1912 in Altdorf, I, II Teil. — Nouveaux Mé- moires. Sciences naturelles, vol. XLVII. - Catalogue des Écrits académiques Suisses 1911-12. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIX * Sydney. Royal Society of New South Wales. Journal and Proceedings, Vol. XLV, p.4j XLVI, 1, 2; XLVII, 1. — University Library. Reprints of Papers from science Laboratories... 1908-9 to 1911-12 A. From the department of Mathematic, Physics, Chemistry and Engineering, 1 vol. 4°. * Tananarive. Académie Malgache. Bulletin, vol. X, 1912. Teddington. National Physical Laboratory. Report for the Year 1912. * 0ky0. Imperial Academy. Proceedings, vol. I, n. 1, 2. * — Imperial University. College of.Sciences. Journal, vol. XXXII, 8-1 0 XXXIII, 1. * — K. Universitiàt. Medizinische Fakultàt. Mitteilungen, X, 3, 4; XI, 1. * — Imp. Earthquake Investigation Committee. Bulletin, vol. V, n. 2, 3. — The contents of the Publications of the Imp. Earthquake Investi- gation Committee. ; # Torino. R. Accademia di Agricoltura. Annali, vol. LV. * — R. Accademia di Medicina. Giornale, an. LXXV, n. 12; LXXVI, 1-5. * — R. Deputazione sovra gli Studi di Storia patria per le antiche pro- vincie e la Lombardia. Biblioteca di Storia italiana recente, vol. ]V. — Le Campagne di guerra in Piemonte (1703-1708) e l'assedio di To- rino (1706), vol. VI. — Bibliografia Storica degli Stati della Monarchia di Savoia compilata da A. Manno, vol. IX. — Miscellanea di Storia patria, ser. 3*, vol. IV. — Società Astronomica italiana. Rivista di Astronomia e scienze affini, an. I (1907); VII, 1-12 (1913). (Omaggio del Socio corrispondente V. Ce- rulli, Presidente della Società). * — Società degli Ingegneri ed Architetti. Atti, an. 1912, 3, 4; 1918, 1, 2. * — Società Meteorologica italiana. Bollettino bimensile, ser. III, vol. XXXI, n. 9-12; XXXII, 1-6. * — Club Alpino italiano. Rivista mensile, vol. XXXII, n. 1-12. — Bollettino pel 1911-1912, vol. XLI. — L'opera del Club Alpino italiano nel primo suo cinquantenario 1863-1913, 1 vol. 4°. — Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università. Bollettino, vol. XXVII. ‘ — Associazione “ Pro-Torino ,. Pro-Torino, pubblicazione mensile illustrata, an. VIII n. 5! — Scuola Professionale per gli orefici. Relazione della Direzione, anno sco- lastico 1912-1913. — Scuole officine serali. Bollettino bimestrale, an. I, II (1911-12). * — Consiglio Provinciale. Atti, an. 1912. * — Municipio. Servizio d’igiene. Bollettino statistico, an. XLI, n, 9-13; XLII, I-4. — Annuario 1911-12. — Atti, 1911. — Statistica demografica- sanitaria e servizi dell’ Ufficio d’igiene, 1911-1912. — Onoranze a G. B. Bodoni. Esposizione delle edizioni bodoniane. — Cassa di Risparmio. Resoconto dell’anno 1912; 4°. * Toronto. Canadian Institute. Transactions, vol. IX, p. 3. * — University. Studies: Review of historical publications relating to Ca- nada, vol. XVII. — Philological ser., n. 2. XL PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Tortosa. Observatorio del Ebro. Boletin mensual, vol. II, n. 4-12; IV, 1-2. Toulon, Société d’Histoire Naturelle. Annales, 1912, 8. * Toulouse. Université. Annuaire 1912-1913 et Livret de l’étudiant, Rapport annuel du Conseil de l’Université et Comptes-rendus des Travaux des Facultés, etc. — Annales de la Faculté des sciences, 3° sér., t. II. — Faculté des Lettres, Bibliothèque Méridionale, 1° sér., t. XV; 2° sér., tXIVa eV. * — Université. Annales du Midi. Revue de la France méridionale, an. XXIV, 93-97. * * Trieste. Società di Minerva. Archeografo Triestino, MII ser., vol. VII, 1. * Tufts College. Tufts College studies, vol. III, 2 (scient. ser.). * Udine. Società Storica friulana. Memorie storiche forogiuliesi, an. ]X, 1-4. * Upsala. R. Societatis Scientiarum Upsaliensis Nova Acta, ser. 4°, vol. III, fasc. 1. * — Upsala Universitets. Arsskrift, 1912. * — Observatoire météorologique de l'Université. Bulletin mensuel, vol. XLIV, 1912. * — Kgl. Humanistika Vetenskaps-Samfundet Skrifter, Bd. 14. — Wilhelm Ekmans Universitetsfond. Arbeiten, 13, 14. * Urbana. Illinois State Laboratory of Natural History. Bulletin, vol. IX, art. 6-10. Utreeht. K. Nederlandsch Meteorologisch Institut, n. 93 (Liste de publi- cations). Valence. Société d'Archéologie de la Drome. Ulysse Chevalier: Son (Huvre scientifique. Sa Bio-Bibliographie. Nouvelle édition. Valle di Pompei. Calendario del Santuario di Pompei, 1913. * Venezia. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Atti, t. LXXII. 1-9. * — R. Magistrato alle Acque. Bollettino mensile, 1912, 5-12; 1918, 1-9. — Pubblicazioni, n. 46, 47, 54-56. — Notices sur le Bureau Hydrogra- phique et sur quelques-unes des principales systémations fluviales en cours dans la Vénétie. * Vercelli. Società Vercellese di Storia e d'Arte. Memorie e Studi, an. IV, 1,2, 45 #12 * Verona, Museo civico. Bollettino, an. VI, fase. 24; VII, 25-27. Vicenza. Accademia Olimpica. Atti, nuova serie, vol. III. Warzawa. Towarystwa Naukowego Warszawskiego. Sprawozdania z po- siedzen z, Rok. V, 8, 9. — Prace Wydzialu 1: Jezykoznawstwa i lite- ratury, 3. — Prace Wydzialu II: Nauk antropologieznych, spoteeznych, historyi i filozofii, 8, 9. Washington. Library of Congress. Report; Publications... issued since 1897. * — U. S. Geological Survey (Department of Interior). Geological Atlas of the U. States, fol. 174-184, 186. — Bulletins, 471, 485, 492, 494, 496-503, 506.510, 513, 520, 521, 523, 524. — Wather-Supply Paper, 259, 279-285, 289, 291, 293, 294, 296-298, 800, 801, 304, 810, 811, 318, 316. — The publications of the U. S. Geological Survey, april 1, 1912. — Profes- sional Paper, 69, 71, 74, 77. — Mineral Resources, 1911, p. 1, 2. — Annual Report, 33. * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLI * Washington. Coast and Geodetie Survey. Report of the Superintendent... for the Fisical Year ended June 30, 1912. — Department of Commerce and Labor. Coast and Geodetic Survey. Geo- desy. Special publication, n. 11, 12. — Department of Commerce. Bureau of Standards, Bulletin, vol. ]X, 2, 8. — Smithsonian Institution. Publications available for distribution, 1912. — Miscellaneous. Collections, t. LVII, 9, 10; LVIII, 2; LIX, 1, 6-18, 20; LX, 1-29. — Index to the Genera and Species of the Foraminifera, P.I. A. to Non, n. 856. — Annual Report of the Board of Regents. * * — Smithsonian Institution. Bureau of American Ethnology. Bulletin, 52. * — Smithsonian Institution. United States National Museum. Proceedings, vol. XLI, XLII. — Bulletin, 79-81. — Contributions -U. S. National Herbarium. vol. XVI, 2-9, 12; XVII, 1-3. — Report on the Progress and condition of the U.S. National Museum for the Year ending June 30, 1912. * — Carnegie Institution. Publications, n. 74 VI, 90 A, I, 85 (2 vol.). 149 II, 152, 153, 159, 166, 167, 170, 171, 174-176. — Year Book, n. 11 (1912). — Avata B., De Jure et Officiis Bellicis et Disciplina Militari. Wash- ington, 1912, 2 vol. 4°. — Grorivs H., De Jure Belli ac Pacis Libri Tres, in quibus Jus Naturae & Gentium, item Juris Publici praecipua explicantur. Editio Nova. Washington, 1918, 1 vol. 4°. * — National Academie of Sciences. Memoirs, vol. X. Weltevreden. K. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandisch Indie. Na- tuurkundig Tijdschrift, Deel LXX, LXXI. * Wien. K. Akademie der Wissenschaften. Almanach 1912. — Mathematisch- Naturwissenschaftliche Klasse: Denkschriften, LXXV, Bd. 1, Heft, LXXXVIII. — Sitzungsberichte: CXXI. Bd., Abth. I, Heft 8-10; II a, 8 10; Il db, 7-10; III, 4-10; CXXITI. Bd., Abth. I, 1, 2; IL a, 1-4; IT b, 1-5; HI, 1-3. — Erdbeben-Kommission, Mitteilungen, N. F., n. XLV, XLVI. * — K. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-Historische Klasse. Denkschriften, Bd. LV, 2-4; LVI, 3, 45. — Sitzungsberichte, 170 Bd., 2, 4, 6, 10; 171, 1; 172, 1, 4-6; 173, 1, 2, 4; 174, 1. — Register zu den Bd. 161 bis, 170 (XVII). * — K. Akademie der Wissenschaftlichen. Historischen Kommission Archiv Gsterreichische Geschichte, CII. Bd., Erst Halft; CIII, 1, 2. — Pràbhi- storischen Kommission, Mitteilungen, II, Bd. 2, 1912. * — K. K. Geologische Reichsanstalt. Verhandlungen, 1912, 16-18; 1913, 1-12. — Jahrbuch, Jahrg. 1912, LXII Bd., 3, 4; LXIII, 1, 2. — Abhandlungen, Bd. XVI, 4; XXII, 2. — Osterreichische Commission fiir die internationale Erdmessung. Verhand- lungen. Protocolle iber die 5 April-19 October 1911. * — K.K. Zoologisch-Botanischen Gesellschaft. Verhandlungen, LXII Bd. * Wiirtzburg. Physikalisch-Medicinische Gesellschaft. Sitzungs-Berichte, 1912, n. 1-7; 1913, 1-2. — Verhandlungen, N. F., Be. XLII, 3. * Zagreb. Società archeologica Croata. Vjesnik, N. S., Sveska XII. * — Jugoslavenske Akademije Znanosti i umjetnosti. Ljetopjs, 27 svezak. — Rad Knjiga 194, 196, 197 (Razredi historicko-filologicki i filozoficko-juri- dicki), 81-83. — Monumenta spectantia historiam Slavorum meridio- Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. c XLII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA nalium, vol. XXXIII. — Zbornik za narodni Zivot i obicaje juznih sla- vena Kng. XVII, 3; XVIII, 1. — Grada za provijest hnijzevnost, Kng. 7. — Djela, Knjiga XXIV. — Diplomaticki zbonik (Codex diplomaticus) kraljevine Hrvatske, Dalmacije i Slavonije. Svz. X, 1332-1342. — Riecnik hrvatskoga ili srpskoga jezika. Svz. 31, 2 Naci-Nakon. — Prinosi za hrvatski pravno-povjestni Rjetnik. Svz. III (Gradi-Kanat). * — Hrvatsko prirodoslovno druStvo (Societas scientiarum naturalium eroa- tica). Glasnik, God. XXIV, 4; XXV, 1-3. * — K. Hrvatsko-Slavonsko-Dalmatinskoga-Vjesnik... Zemaljskoga Arkiva. Godina XV, 1-3. * Ziirieh. Naturforschende Gesellschaft. Vierteljahrsschrift , Jahrg. 1911, 4; 1912, 3, 4. * — Commission géologique Suisse. Matériaux pour la Carte géologique de * x Ei ** * la Suisse. Livrs. 41 et 42 de la II° sér. 1 Carte, textes expl., n. 12 et 13. — Spezialkarten, n. 67 u. 69. PERIODICI 19153. Acta mathematica. Zeitschrift herausgegeben von G. Mittag-Leffler. Stockholm; 4°. Almanacco italiano. Piccola enciclopedia popolare della vita pratica. Firenze; 16°. American Chemical Journal. American Journal ot Mathematics. American Journal of Phylology. Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. Annales de biologie lacustre publiées sous la direction du dr. E. Rousseau. Annales de Chimie et de Physique. Paris; 8°. Aunales scientifiques de l’École Normale supérieure. Paris; 4°. Annals and Magazine of Natural History. London; 8°. Annals of Mathematics, second series. Charlottesville; 4°. Antologia (Nuova). Rivista di scienze, lettere ed arti. Roma; 8°. Archiv fir Entwickelungsmechanik der Organismen, Leipzig; 8°. Archiv fir Protistenkunde. Jena; 8°. Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève; 8°. Archivio storico italiano. Firenze; 8°. Archivio storico lombardo. Milano; 8°. Archivio storico sardo. Edito dalla Società storica sarda. Cagliari; 8°. Archivio storico per la Sicilia orientale. Catania, 8°. Archivum Franciscanum historieum. Ad Claras Aquas; 8°, Ateneo veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia; 8°. Athenaeam (The). Journal of English and Foreign Literature, Scienee, the Fine Arts, Music and the Drama. London; 4°. Beibliitter zu den Annalen der Physik und Chemie, Leipzig; 8°. Berliner philologische Wochenschrift. Berlin; 8°. Bibliografla*italiana. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Milano; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIII Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Firenze; 8°. ** Bibliotheca mathematica. Zeitschrift fir Geschichte der Mathematik. Stockholm; 8°. ** Bibliotheca Philologica Classica. Berlin; 8°. «* Bibliothèque de l’École des Chartes; Revue d’érudition consacrée spé- cialement è l’étude du moyen dge, etc. Paris; 8°. ** Bibliothèque universelle et Revue suisse. Lausanne; 8°. ** Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Istruzione Pubblica. Roma; 8°. * Brixia Sacra. Bollettino bimestrale di Studi e documenti per la Storia Ecclesiastica bresciana. Brescia; 8°. ** Bullettino (Nuovo) di Archeologia cristiana. Roma; 8°. * Baullettino di Archeologia e Storia dalmata. Spalato; 8°. ** Centralblatt fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie in Verbindung mit dem neuen Jahrbuch fiir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. Stuttgart; 8°. * Cimento (Il nuovo). Pisa; 8°. Comptes rendus hebdomadaires des Séances de-l’Académie des sciences. Paris; 4°. * Elettricista (L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma; 4°. ** ’Epnuepìg dpxaroXoyixn. Ev 'A@nvarc. 4°. Eranos. Acta philologica Sueècana. Goteborg; 8°. ** Euphorion, Zeitschrift fiir Literaturgeschichte. Leipzig; 8°. ** Fortschritte der Physik. Braunschweig; 8°. * Gazzetta chimica italiana. Roma; 8°. * Gazzetta Ufficiale del Regno. Roma; 4°. * Gegenbaurs Morphologisches Jahrbuch. Leipzig; 8°. * Giornale del Genio civile. Roma; 8°. ** Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini Milano; 8°. ** Giornale storico della Letteratura italiana. Torino; 8°. Giornale storico della Lunigiana. La Spezia; 8°. *#* Guida commerciale ed amministrativa di Torino. 8°. * Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg; 8°. * Historische Zeitschrift. Minchen; 8°. * Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. Berlin; 8°. ** Jahrbuch (Neues) fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, etc. 1909, I. II. Beil. Bd. VIII, 1, 2. Stuttgart; 8°. «* Jahresberichte der Geschichtswissenschaft im Auftrage der historischen Gesellschaft zu Berlin herausgegeben von E. Berner. Berlin; 8°. * Journai (The American) of Science. Edit. Edward S. Dana. New-Haven; 8°. ** Journal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices relatifs è l’histoire, è la philosophie, aux langues et à la littérature des peuples orientaux. Paris; 8°. ** Journal de Conchyliologie, comprenant l’étude des mollusques vivants et fossiles. Paris; 8°. 1 ** Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris; 4°. XLIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA lai EI * Journal des Savants. Paris; 8°. Journal fiir die reine u. angewandte Mathematik. Berlin; 4°, Journal of Physical Chemistry. Ithaca; 8°. ** Minerva. Jahrbuch d. gelehrten Welt. Strassburg; 16°. ** * * ** ** * Modern language notes. Baltimore; 4°. Monatshefte fir Mathematik und Physik. Wien; 8°. Morphologisches Jahrbuch. Leipzig; 8°. Moyen Age (Le). Bulletin mensuel d’histoire et de philol. Paris; 89. Nature, a weekly illustrated Journal of Science. London; 8°. Navigazione (La) aerea: Rivista italiana di aeronautica. * Nieuw Archieff voor Wirskunde. Uitgegeven door hel Wiskundig Genoot- *x * * * DAI schap te Amsterdam; 8°. Palaeontographica. Beitrige zur Naturgesch. der Vorzeit. Stuttgart; 4° Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes' Geographisch. Anstalt Gotha; 8°. Physical Review (The); a journal of experimental and theoretical physic. Published for Cornell University Ithaca. New-York; 8°. Prace matematyczno fizyezne. Warzawa; 8°. i Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London; 8°. Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia. 8°. Revue archéologique. Paris; 8°. Revue de la Renaissance, Paris; 8°. Revue de l’Université de Bruxelles; 8°. Revue des Deux Mondes. Paris; 8°. Revue du Mois. Paris; 8°. Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris; 8°. Revue numismatique. Paris; 8°, Revue politique et littéraire, revue bleue. Paris; 4°. Revue scientifique. Paris; 4°. Revue semestrielle des publications mathématiques. Amsterdam; 8°. Risorgimento italiano. Rivista storica. Torino; 8°. Rivista di Artiglieria e Genio. Roma; 8°. Rivista di Filologia e d'Istruzione classica. Torino; 8°. , Rivista d'Italia. Roma; 8°. Rivista di filosofia. Continuazione della Rivista Filosofica, Pavia; 8°. Rivista internaz. di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma; 8°, Rivista italiana di Sociologia. Roma; 8°, Rivista storica benedettina. Roma; 8°. Rivista storica italiana. Torino; 8°. Rosario (11) e la Nuova Pompei. Valle di Pompei; 8°. Science, New-York; 8°. Science Abstracts. Physics and Electrical Engineering. London; 8°. Scientia. Rivista di scienza. Organo internazionale di sintesi scientifica Bologna, 8°. Sperimentale (Lo). Archivio di Biologia. Firenze; 8°. Stampa (La). Gazzetta Piemontese. Torino; f°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLYV ** Studi medioevali diretti da F. Novari e R. Rexwier. Torino; 8°. * Tridentum. Rivista mensile di studi scientifici. Trento; 8°. ** Vegetation (Die) der Erde. Leipzig; 8°. * Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig Genootschap. Amsterdam; 8°. ** Zeitschrift fir Gletscherkunde fiir Fiszeitforschung und Geschichte des Klimas. Berlin; 4°. * Zeitschrift fir matematischen und naturwissenschaft]. Unterricht, herausg. v. J. C. Horrmann. Leipzig; 8°. ** Zeitschrift fiir physikalische Chemie. Leipzig; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'AGCADEMIA NB. Le pubblicazioni segnate con * si hanno in cambio: quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in deno. Dal 22 Giugno al 16 Novembre 1913. Agassiz (G. R.). Letters and Recollections of Alexander Agassiz with a sketch of his life and work. London, Boston and New-York, 1913; 1 vol. 8° (dal sig. G. R. Agassiz). Augelitti (F.). Sugli accenni danteschi ai segni, alle costellazioni ed al moto del cielo stellato da occidente in oriente di un grado in coni anni. Nota II. Torino, 1913; 8° (dall'A.). Berlese (A.). Intorno alle metamorfosi degli insetti. Firenze, 1913; 8° (Id.). Catalogo analitico per soggetto in ordine alfabetico delle opere, atlanti, carte e periodici della Biblioteca Centrale del Ministero della Marina. Roma, 1913; 1 vol. 4° (dono del Ministero della Marina). Cavazzi (G.). Forza e lavoro in Cinematica pura. Pensieri e proposte. Mi- lano, 1913; 8°. — Circa l'attrazione universale e la gravità terrestre. Milano, 1913; 8° (dall’A.). Colonnetti (G.). Sulla teoria dei sistemi reticolari triplamente iperstatici. Roma, 1913; 8° (Id.). Euleri (L.). Opera omnia. Ser. I: Opera mathematica, vol. X, XI, XXI. Gay (Fr. P.). A Method of correlated teaching of Pathology and Bacte- riology in the second Year of medical instruction. Baltimore, 1912; 8° (dall A.). — and Robertson (T. B.). A comparison of paranuclein spilt from casein with a synthetic paranuclein, based on immunily reaction. Baltimore, 1912; 8° (dal sig. Gay). Guerrieri (E.). Stelle variabili da osservarsi in Italia durante l’anno 1918. Torino, 1913; 8°. — Sulla variazione di luce della Nova (18 .1922) Geminorum 2. Catania, 1913; 4° (dall’A.). Gaidi (C.). Sulla stabilità delle condotte d'acqua con tubi di grande dia- metro. Roma, 1912; 8°. — Sulla attendibilità di certi calcoli statici. Roma, 1913; 8° (dall'A. Socio residente dell’ Accademia). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLVII Helmert (F. R.). Die Bestimmung des Geoids im Gebiete des Harzes. Berlin, 1913; 8° (dall’A. Socio straniero dell’ Accademia). i Hiibner (E.). Beitrag zur Theorie der isostatischen Reduction der Schwe- rebeschleunigung. Leipzig, 1913: 8° (dall’A.). Issel (A.). Naturalisti e viaggiatori liguri nel secolo XIX. Roma, 1913; 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). Lazzarino (0.). Osservazioni fotometriche della variabile RZ Cassiopeiae eseguite nel 1912 nel R. Osservatorio di Capodimonte. Catania, 1913; 8° (dall'A.). Molinari (E.) e Quartieri (F.). Notizie sugli esplodenti in Italia. Milano, 1913; 1 vol. 8° (Pubblicazione della Società italiana prodotti esplodenti. Dono della medesima). Nobile (V.). Sul carattere di universalità della legge Newtoniana. Catania, 1913; 4° (dall’A.). ‘Onoranze alla Memoria di Lagrange: Annali di matematica pura e appli- cata, Ser. III, XX-XXI (1 e 2 della Raccolta di scritti per le Onoranze). Milano, 1913; 2 vol. 4° (dono della Direzione). Puig y Soler (D.). Din4mica atmosférica y Barografia de Europa. Barce- lona, 1913 (dall'A. pel XIX premio Bressa). ** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe: I. Fauna palaeartica, livrs. 104, 105. — II. Fauna Exotica, livrs. 149-151, 154-164. Shiraki (T.). Acrididen Japans. Tokyo, 1910; 8°. — Monographie der Grylliden. Taihoku, 1911; 8° (dall’A.). ‘Soler (E.). Primi esperimenti con la bilancia di Eétvòs appartenente al Gabinetto di Geodesia della R. Università di Padova. Venezia, 1913; 4° (Id.). Vilip (J.). Un opuscolo in lingua russa di argomento astronomico. Pietro- burgo, 1913; 4° (/d.). Webb (W. L.). Brief biography and popular account of the Unparalleled '. discoveries of T. J.J. See ecc. Lynn (Mass. U. S. A.); 1 vol. 8° (I). Dal 21 Giugno al 23 Novembre 1913. Bargoni (A.). Memorie di Angelo Bargoni. Milano, 1911; 1 vol. 8° (dono del socio, residente Renier). Bernardi (F.). Fiori pallidi. Napoli, 1913; 8° (dall’A.). Bertolini (C.). Bibliografia dell’antico diritto greco e romano. VI. Roma, 1913; 8° (Id.). Billia (L. M.). 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Voghera, 1911; 8°. — Un economista greco del secolo VI. Firenze, 1911; 8°. — Contro la profanazione dello spirito. Milano, 1911; 8°. — L'esilio di Sant'Agostino. 2* ediz. Torino, 1912; 1 vol. 8°. — Pourquoi le Libre-Échange n'est pas populaire. Paris, 1912; 8° (/d.). Bonelli (G.). Ludwig Traube e gli studi paleografici. Torino, 1913; 8°. Bourgeois (H.). Petite grammaire Judéo-Allemande. Paris, 19183; 8° (Jd.). Cagiati (M.). Supplemento all'opera © Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo d'Angiò a Vittorio Emanuele II ,. An. III, 5-10. Na- poli, 1913; 8° (Id.). Casaretto (P. F.), I problemi dell'espansione urbana nelle città tedesche. Utili confronti. Genova, 1912; 8° (Id.). ** Litta. Famiglie celebri italiane (2* Ser.). Fasc. LXI, -LXII. Carafa di Napoli. ** Monumenta Germaniae historica. Scriptorum rerum Merovingicarum.. T. VI. Auctorum antiquissimorum. V. XV, p. 1. ** Muratori (L. A.). Archivio Muratoriano. Studi e ricerche in servigio della nuova edizione dei “ Rerum Italicarum scriptores ,. N. 11, 12. ** Rerum italicarum scriptores. Fasc! 114-119; fasc! 1, 2 (ultimo), T. XXIV, peri; 5. XK p.ti T_ IX, 1:3, pa Il: Pagliaini (\.). Catalogo generale della letteratura italiana dall'anno 1900 a tutto il 1910; 1° Suppl. Vol. II, 1-3. Rasi (P.). Bibliografia Virgiliana (1910-1911). Mantova, 1918; 8° (Zd.). Rassegna Universitaria catanese. Vol. VIII, N. 1-2 (dono del Direttore prof. A. Zocco-Rosa). Regesto dell'antica Badia di S. Matteo de Castello o Servorum Dei pub» blicato a cura de’ Monaci di Montecassino. Montecassino, 1914; 1 vol. 8° (dono dvi Monaci). Sforza (G). Veronica Cybo. Spezia, 1913; 8° (dall’A. socio residente del- V Accademia), Soyez-Le-Roy (Tib) (S.). Amour et Vaillance. 3° édit. Lille, 1918; 1 vol. 8° (dall’ Autrice). Tordi (D.). Li Chiesa dei Santi Michele e Jacopo di Certaldo e le sue filiali. Orvieto, 1913; 8° (dall'A.). — Orvieto. Perugia, 1913; 16 (72.).. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIX Dal 16 Novembre al 14 Dicembre 1913. Bertarelli (L. V.). Relazione finale al Consiglio del Touring Club Italiano sulla “ Carta d'Italia ,. Milano, 1913; 4° (Dono del Touring Club Italiano). Coblentz (W. W.) The «diffuse reflecting power of various substances. Washington, 1912; 8° (dall’A.). Fileti (M.). Guida alla analisi chimica qualitativa. 16* ediz. Torino, 1914; 1 vol. 8° (dall’A. Socio residente dell’Accademia). Guareschi (I.). Ascanio Sobrero nel centenario della sua nascita. Bru- xelles, 1913; 8° (Id.). Sasse (E.). Fermat ’s Gleichung x” = y" + 2” unlòsbar, wenn » ungerade prim, x, y, 2 relativ prim. Kolberg, 1913; 8° (dall’A.). ** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. Fauna Exotica, livrs. 165-174. Tavaui (F.). Principles of a new theory of the Series. Kingsway, 1913; 8° (dall’A.). Zappa (G.). La Cometa periodica 1906 IV Kopff nella sua prima appari- zione. Roma, 1913; 4°. Dal 23 Novembre al 7 Dicembre 1913. Bertacchi (C.). La Geografia nella scienza, nella scuola e nella vita sociale. Roma, 1913; 8° (dall'A. socio corrispondente dell’ Accademia). i Bruno (F.) e Noberasco (F.). Il crepuscolo della libertà savonese e l’opera di Giulio II. — Lettere e documenti. San Pier d’Arena, 1913; 8° (dagli Autori). Carle (G.). Per la Filosofia della Storia nella R. Università di Roma. Roma, __ 1915; 8° (dall’A. socio residente dell’ Accademia). *#* Corpus agrimensorum romanorum. Vol. 1, fasc. 1. Lipsiae, 1913; 8°. Galati di Riella (A.). Alcuni uomini politici del mio tempo. Vol. I. Fi- renze, 1914; 8° (dall’A.). ** Miracula S. Georgii. Lipsiae, 1913; 8°. Nei Parentali di G. B. Bodoni. Saluzzo, 1913 (dal Sig. Gio. Lobetti- Bodoni). Orsier (J.). Notes et documents inédits pour servir à l’histoire d’ Eustache Chapuys d'Annecy, Ambassadeur de Charles-Quint. Paris, 1912; 8°. — La Duchesse de Géènes et Ferdinand de Savoie. Paris, 1913; 8°. — Le Meunier, son fils et l’àne en patois savoyard et ses. origines litté- raires. Paris, 1913; .8° (dall'A.). Pansa (G.). Un decreto di Ferdinando I d'Aragona per la tutela dei ripo- stigli monetali. Napoli, 1912; 8°. — Saggio di una bibliografia analitica della zecca medioevale degli Abruzzi. Napoli, 1912; 8°. — Documenti inediti relativi alle zecche abruzzesi nei secoli XV e XVI. Napoli, 1913; 8° (Id.). ** Pasolini (G.). Adriano VI. Saggio storico. Roma, 1913; 1 vol. in-8°. L PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Sacerdoti (A.). Rapport présenté à la Sixième Commission d'étude de l’Institut de droit international. — Inchiesta monetaria tenuta dal Consiglio Superiore del Commercio di Francia e deposizione fatta nel seno del medesimo. Padoya. 1871; 8°. — Sul titolo IX, capo I, del progetto di riforma del Codice di Commercio intorno alle cambiali; osservazioni. Bologna, 1874; 8°. — Il contratto di assicurazione. Padova, 1874-1878; 2 vol. 8°. — Teoria e Teorica nell'odierno diritto mercantile. Padova, 1879; 8°. — Le projet définitif du Code de commerce pour le Royaume d'Italie. Gand, 1880; 8°, — Del fallimento. Teoria fondamentale. Verona-Padova, 1881; 8°. — L'art. 417 del Codice di commercio italiano e la teoria del contratto di assicurazione. Pisa, 1883; 8°. — Diritto dei creditori per gli atti compiuti dal fallito anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Verona-Padova, 1885; 8°. — Contro un Codice unico delle obbligazioni. Padova, 1890; 8°. — Osservazioni sul progetto della Commissione ministeriale per il concor- dato preventivo. Padova, 1897; 8°. — Le colleganze nella pratica degli affari e nella legislazione veneta. Ve- nezia, 1899; 8°. — Dell’assicurazione e di altri provvedimenti per il caso di sciopero in- volontario. Venezia, 1901; 8°. — Sulle convenzioni fatte durante il pericolo per l'assenza ed il salvataggio in materia marittima. Milano, 1903; 8°. — Cenni sulle tavole di vitalità composte dal professore Don G. Toaldo edite in Padova nel 1787. Padova, 1903; 8°. — Sul privilegio dei venditori di macchine secondo l'art. 773 n. 3 del Codice di commercio. Milano, 1907; 8°. — Conflitti di leggi in materia di perdita del possesso dei titoli al por- tatore. Firenze, 1907; 8°. Y — La Legge Imperiale Germanica sul contratto d'assicurazione del 30 maggio 1908. Venezia, 1909; 8°. — Progetto preliminare d'una convenzione internazionale sull’unificazione del diritto relativo alla lettera di cambio e al biglietto d'ordine. Ve- nezia, 1911; 8°. — Il Codice svizzero delle obbligazioni del 30 maggio 1911. Milano, 1912; 8°. — Sulla prescrizione in materia di Società. Milano, 1912; 8°, — Delle obbligazioni decadute o prescritte col diritto cambiario uniforme. Milano, 1918; 8°. i — La convenzione cambiaria internazionale nei riguardi del bollo. Pa- dova, 1913; 8° (dall’A.). Statuti (Gli) Marittimi Veneziani fino al 1255, editi per cura di R. Predelli e A. Sacerdoti. Venezia, 1903; 1 vol. 8° (dall'avv. A. Sacerdoti). ** Tamassia (N.). La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e decimo- sesto. Milano; 1 vol. 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LI Dal 14 Dicembre 1913 all'8 Febbraio 1914. Angelitti (F.). La forma della terra secondo Aristotele nel trattato “ De Caelo ,. Torino, 1913; 8°. — Le antiche misure della lunghezza del meridiano terrestre. Torino, 1913; 8° (dall’A.). Bottino Barzizza. L’eclisse totale di sole del 20-21 agosto 1914. Milano, 1913; 8° (Dal R. Osservatorio di Brera). Coblentz (W. W.). Constants of spectral radiation of a uniformly heated inclosure, or so called black body, I. Washington, 1913; 8° (dall’A.). Corsini (A.). Il primo congresso degli scienziati. Roma, 1913; 8° (Id.). Ferrari (R.). Teorema de FEuclides. Buenos Aires, 1913; 8° (Id.). Franceschi (F.). Colture attuali e colture probabili in Libia. Novara, 1913; 8° (Id.). Guidi (C.). Alcune formole per il calcolo dei solai. Roma, 1913; 8° (dall'A. socio residente dell’ Accademia). Negri (G.). Appunti di una escursione botanica nel'’Etiopia meridionale (marzo-agosto 1909). — Contributo alla Briologia dell’isola di Rodi. Roma, 1913; 8° (dall’A.). Panetti (M.). Le prove dei motori leggeri nel laboratorio di Aeronautica del R. Politecnico di Torino. Roma, 1913; 8°. — Note illustrative sui calcoli delle costruzioni stabili alle azioni sismiche. Roma, 1913; 8° (Id.). Scanavino (E.). ...de Euclides. Buenos Aires, 1913; 8° (Id.). **Beitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe. Parte I, N. 106, 108; Parte II, N. 175-177. Silvestri (F.). Viaggio in Africa per cercare parassiti di mosche dei frutti. Portici, 1913; 1 vol. 8°. — Descrizione di un nuovo ordine di insetti. Portici, 1913; 8°. — Novi generi e specie Koenemidae. Portici, 1913; 8° (I4.). Taramelli (T.). Sul lembo pliocenico di S. Bartolomeo presso Salò: Pavia, 1913; 8°. — Ricordo dello Spallanzani come vulcanologo. Pavia, 1913; 8° (dall'A. Socio corrispondente dell Accademia). Dal 7 Dicembre 1913 al 1° Febbraio 1914. Abello (L). Della locazione, nella serie: Il diritto civile italiano secondo la dottrina e la giurisprudenza. Napoli-Torino, 1908-1913; 3 vol. 8° (dall A.). Ansidei (V.). Resti di un antico sconosciuto edificio esistenti in Norcia. Perugia, 1913; 8° (Dono della Deputazione di Storia patria dell'Umbria). ** Caggese (R). Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento italiano. Firenze, 1912-1913; 8°. ** Carcereri (L.). Il Concilio di Trento. Bologna, 1910; 1 vol. 8°. LII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA ** Cardinali (G.). Studi Graccani. Genova, 1912; 1 vol. 8°. Cenleneer (A. de). La dernière Cène de Balthasar Mathysens à la Soperga. Bruges, in fol. (Dono del Socio A. Baudi di Vesme). Crucé (Émeric) [Émeric La Croix). Le Nouveau Cynée ou Discours d’'estat représentant les occasions et moyens d’establir une paix générale et la liberté du commerce par tout le monde. Paris, 1623; 1 vol. 4°. Con traduzione di fronte in lingua inglese dell’editore T. W. Balch, Ristam- pato in Philadelphia, 1909. Eguia Lis (J.). Informe acerca de las labores de la Universitad Nacional de Mexico, durante el periodo de septiembre de 1910 i septiembre 1912 i la Secretaria de Instruccién Priblica y Bellas artes. Mexico, 1913; 8° (dall’A.). Gonella (E). Relazione statistica dei lavori compiuti dalla Corte di Cas- sazione di Torino nell’anno 1912-1913. Torino, 1913; 8° (/d.). Manacorda (G.). Storia della Scuola in Italia. Vol. 1, Il Medio evo, Palermo, R. Sandron; 2 vol. 16° (dall'A. per il premio Gautieri per la Storia). Martin (M.). Almanacco scientifico cristiano sociale. Padova, 1914 (dall’A.). Mastropasqua (0.). Assedi e battaglie memorabili dai tempi più recenti al 476 d. Cr. con brevi cenni critici di storia civile navale-militare. Molfetta, 1910; 1 vol. 8° (Id.). Mattiauda (B.). Di alcuni errori gravissimi sulla Storia e la Lingua dei Liguri. Savona, 1913; 8° (Id.). Mininni (C. G.). Pietro Napoli Signorelli. Vita, opere, tempi, amici, con let- tere e documenti. Città di Castello, 1914; 1 vol. 8° (dal sig. S. Lapi, editore). ** Monumenta Germaniae historica. Necrologia Germaniae. T. V. — Legum sectio IV. Constitutiones et Acta publica. Imperatorum et Regum. T. V, parte 3%. ** Muratori (L. A.). Rerum italicarum scriptores. T. XVIII, p. 1, fase. 8 (120); T. XXXII, p. 1, fasc. 10, 11 (121, 122). ** Philodemus De ire liber. Lipsiae, M.CM.XIV; 1 vol. 16°. Scealvanti (0.). Di un documento inedito su Benedetto Bonfigli. Perugia, 1912; 8° (Dono della R. Deputazione di Storia Patria dell'Umbria). Silva (P.). Il Governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti. Pisa, 1911; 1 vol. 8° (dall’A. per il Concorso al premio Gautieri per la Storia). Studii critici offerti da antichi discepoli a Carlo Pascal nel suo XXV anno d'insegnamento. Catania, 1913; 1 vol. 8° (Dono del prof. C. Pascal). ** Tamassia (N.). La famiglia italiana nei secoli XV e XVI. Milano-Pa- lermo-Napoli, 1910. Dall'’8 Febbraio al 10 Maggio 1914. Angelitti (F.). Sugli accenni danteschi ai segni, alle costellazioni ed al moto del cielo stellato da occidente in oriente di un grado in cento anni. II]. Torino, 1918; 8° (dall’A.). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LITI Boccardi (G.).. Observations de latitude faites è Pino Torinese (Italie). Paris, 1913; 8° (Id.). Chelli (F.). Sur la latitude et ses variations périodiques. Kiel, 1913; 4° (I4.). Cossavella (G.). L’astronomo Giovanni Schiaparelli. Torino, 1914; 8° (I4.). Eulero {L.). Opera omnia, Sez. I. Opera mathematica, vol. XII. Favaro (G. A.). Sulla flessione del piccolo meridiano Bamberg del R. Os- servatorio di Torino. Torino, 1912; 8°. — Sulle correzioni alle letture dei cerchi fatte col microscopio microme- trico (Correzioni di Run). Roma, 1913; 8°. — Sulla distribuzione degli errori di chiusura fra i gruppi di coppie. stel- lari osservate nelle Stazioni Internazionali di latitudine. Kiel, 1913; 4°. — Declinazioni per il 1900,0 di 121 stelle di riferimento per il Catalogo Astrofotografico di Catania. Catania, 1913; 4° (Id.). Grassi (G.). Impressioni e desideri di un vecchio insegnante di elettro- tecnica. Roma, 1914; 8°. — Corso di elettrotecnica. Vol. 1°, 3* ediz. Torino, 1913; 1 vol. 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). @uareschi (I.). Neue sehr scharfe auch in Gegenwart anderer Halogene brauchbare Reaktion des Broms. Wiesbaden, 1913; 8°. — Ueber die Verbreitung des Broms in der Natur und iiber seinen Nachweis, besonders in organischen Substanzen. Wiesbaden, 1913; 8°. — Neue Beobachtungen iber meine neue charakteristische und scharfe Reaktion auf Brom. Wiesbaden, 1913; 8° (Id.). ‘Guidi (C.). Sul calcolo della lastra rettangolare. Roma, 1914; 8°. — Prove di resistenza sulla ghisa. Roma, 1914; 8° (dall’A. Socio residente dell’ Accademia). ‘Guye (Ph. A.). Rapport sur l’unification des abréviations bibliographiques dans les Mémoires de Chimie. Genève, 1914; 8° (dall’A.). Lacroix (A.). Les latérites de la Guinée et les produits d’altération qui ‘ leur sont associés. Paris, 1914; 4° (dall'A. Socio corrispondente del- V’Accademia). Lussana ($.). La termodinamica dei gas e dei liquidi in rapporto alle ap- plicazioni pratiche. Roma, 1914; 8° (dall’A.). Meyer (E. v.). Geschichte der Chemie von den iiltesten Zeiten bis zur Gegenwart. Zugleich Einfihrung in das Studium der Chemie. 4* ediz. Leipzig, 1914; 1 vol. 8° (dall'A. Socio corrispondente dell’ Accademia). Noether (M.). Paul Gordan. Leipzig, 1914; 8° (dall’A. Socio straniero del- l'Accademia). Roggero (H.). Formales pour la détermination de la polodie d'après les observations systématiques de latitude. Paris, 1913; 8° (dall'A.). Serkowski (St.). Les Opsonines et les Bactériotropines au point de vue des expériences personnelles et la critique de la théorie de Wright. Paris, 1914; 8° (Id.). Taramelli (T.). Il paesaggio della * Gioconda , e 1° “uomo pliocenico di Castenedolo ,. — Giovanni Riva Palazzi. Commemorazione (dall’A. Socio corrispondente dell’ Accademia). LIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Dal 1° Febbraio al 17 Aprile 1914. ** Archivio Muratoriano. Studi e ricerche in servigio della Nuova edizione dei Rerum italicarum scriptores: N. 13. Biagini (R.). Scripta latina. Lucae, 1912; 1 vol. 8°. Bianchi (D.). L'opera letteraria e storica di Andrea Alciato. Milano, 1913; 1 vol. 8° (dall’A.). Brondi (V.). La trasformazione degli Istituti equiparati e l’iniziativa lo- cale (dall’A. Socio nazionale residente dell'Accademia). ** Catalogo generale della libreria italiana: 1° Supplemento; vol. II, 4-7. Congrès (1°) de Police-Judiciaire international. Avant-programme. Princi- pauté de Monaco, 14 20 avril 1914; 8°, Monaco — Monte-Carlo. Donadoni (E.). Antonio Fogazzaro. Napoli, 1913; 1 vol. 8° (dall'A. per il premio Gautieri per la letteratura). Donati (A.). Gabriele D'Annunzio. Milano-Roma-Napoli, 1912; 1 vol. 8° (74.). Falchi (L.). Studi di poesia cristiana. Roma, 1914; 1 vol. 8°, — Nuove osservazioni sul sentimento civile del Leopardi. Roma, 1913; 8°(Id.). Inaugurazione del nuovo anno accademico dell'Istituto di Storia del diritto romano della R. Università di Catania. Catania, 1914; 8°, Meninni (C. G.). Pietro Napoli Signorelli: vita, opere, tempi, amici; con lettere. documenti ed altri scritti inediti. Città di Castello, 1914; 1 vol. 8° (dall'A. per il premio Gautieri per la letteratura, 1911-1913). ** Monumenta Germaniae historica: Legum Seetio IV. Constitutiones et Acta publica Imperatorum et Regum. T. VI, part. prior., fasc. 1. ** Muratori (L. A.). Rerum italicarum sceriptores. Fasc. 2 e ultimo del da ÎVI, p..8*: fasc, 1 dol EI, p. 1° ** Narducci (H.). Catalogus manuscriptorum praeter graecos et orientales Angelica de Urbe. Indice; 16 pp. 4°. Pettine (P. S.). Lettera e replica ad una Signora protestante tedesca in merito di religione. Aquila, 19183; 1 vol. 8° (dall'A.). Sacerdoti (A.). Nuovo progetto di legge sulla responsabilità degli alber- gatori. Milano, 1914; 8°. Savio (F.). L'apparizione della Croce e la conversione di Costantino Magno. 2* ediz. Roma, 1913; 1 vol. 8°, — La lite per i corpi dei SS. Vittore e Satiro a Milano. Milano-Roma- Napoli, 1913. — La realtà storica dell'invenzione della Croce. Monza, 1918; 8°, — La realtà del viaggio di S. Paolo nella Spagna. Roma, 1914; 8°. — San Calogero e i monasteri di Albenga e di Civate. Roma, 1914; 8° (dall'A. Socio nazionale non residente). Seneca, Ad Lucilium epistolarum moralium quae supersunt. Lipsiae, 1914, vol. 1IlL Sforza (G.). La caduta della Repubblica di Venezia ne’ dispacci inediti della Diplomazia piemontese. Venezia, 1918; 1 vol. 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). Venturi (A.). Storia dell'Arte italiana. La pittura del quattrocento. Vol. VII, parte 8*. Milano, 1914; 1 vol. 8° (dall’A. Socio corrispond. dell’Accad.). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LV Dal 10 Maggio al 14 Giugno 1914. Arctowski (H.). On some climatie changes recorded in New York City. 1913; 8°. — Studies on Climate and crops corn crops in the United States, 1912. (dall’A.). Bassani (F.). Commemorazione del professore Giuseppe Mercalli. Napoli, 1914 (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). Guareschi (I.). Discorso storico-critico preliminare alle Memorie di Ascanio Sobrero, Torino, 1914 (dall’A. Socio residente dell’Accademia). — Sulla legge della dilatazione dei gas di Volta. Notizie storiche. Lipsia, 1914; 8° (Zd.). Helmert (F. R.). Die isostatische Reduktion der Lotrichtungen. Berlin, 1914; 8° (dall’A. Socio straniero dell’ Accademia). Mangin (L.). Sur la flore planetonique de la rade de Saint-Vaast-la-Hougue, 1908-1902. Paris, 1914; 4° (dall’A. Socio corrisp. dell’ Accad.). Medaglie commemorative degli XI Congressi degli Scienziati italiani. Rac- colte e riprodotte per cura di Giuseppe Ardizzone. Firenze, 1914 (dono del cav. G. Ardizzone). Modigliani (E.). Viaggio in Malesia. Riassunto generale dei risultati zoo- logici. Genova, 1909; 8° (dall’A.). i Morse (H. N.). The Osmotie pressure of aqueous solutions. Washington, 1914 (dall'A. per il concorso al premio Avogadro). Parona (C.). Giacomo Doria e l’opera sua. Genova, 1914; 8° (dall'A.). Sanchez Perez (J. A.). Los inventos de Torres Quevedo. Madrid, 1914; 8° (dall A.). Sasse (E.). Die orthosymmetrische Determinante der Fermat’schen Glei- __ chung. Kolberg, 1914; 1c. ** Seitz (A.). Les Macrolépidoptères du Globe: I. Fauna palaeartica, livr. 100, 110-114. — IT. Fauna exotica, livr. 152, 155, 173, 179, 186-190. Serkowski (St.). Bacillus s. Granulobacillus putrificus nov. sp. Varszawor, 1913; 8° (dall’A.). Sobrero (A.). Memorie scelte pubblicate dall’Associazione Chimica Indu- striale di Torino con Discorso storico-critico ed Annotazioni di Icilio Guareschi. Torino, 1914; 1 vol. 4° (dono dell’Assoc. Chim. Ind.). Dal 17 Aprile al 21 Giugno 1914. A Paolo Boselli. Il Comitato savonese per le Onoranze. Savona, 1913; 1 vol. 8°. Arnò (C.). La “ bonorum possessio sine re ,. Il problema dell'origine. Modena, 1914; 4° (dall’A.). Biadego (C.). Piazza delle Erbe [Verona]. Cenni storici. Verona, 1 v. (dall'A. Socio corrispondente dell’Accademia). LVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Bollea (L. C.). In memoria del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gual- dana nel primo anniversario della sua morte, 5 aprile 1913. Pavia, 1914; in 4° (Id.). Caviglione (C.). Morale e Filosofia. Novi Ligure, 1914; 4° (Id.). Dalla Vedova (G.). Scritti geografici. Pubblicati a cura di un Comitato di Geografi in occasione dell'80° Genetliaco dell'A. Novara-Roma, 1914; 1 vol. 8° (dall’A. Socio corrispondente dell’Accademia). D’Ercole (P.). L'antico Egitto e la Caldea come precursori dell'ebraismo e del cristianesimo in morale e religione. Bologna, 1913; 8° (dall'A. Socio residente dell’Accademia). Desmaison (J. J. P). Dictionnaire Persan-Frangais, publié par ses neveux. Vol. 2-4. Rome, 1910-1914; 3 vol.in-4° gr. (Dono della Sig. Marguerite Buffa di Perrero Reymond). Discorsi pronunziati per la inaugurazione della Scuola Tecnica pareggiata Paolo Boselli [in Carmagnola] e per il XXV anniversario della regi- ficazione del Liceo-Ginnasio 23 novembre 1918. Carmagnola, 1918; 4 (Omaggio della città di Carmagnola). Einaudi (L.). Corso di scienza delle Finanze, 2* ediz. curata dal Dr. Achille Necco. Torino, 1914 (dall’A. Socio residente dell’Accademia). Gastaldi (E ). La soluzione della questione sociale. Genova, 1914; 8° (dall'A.). **Hecker (0). Nuovo dizionario tedesco-italiano e italiano tedesco ricavato dalla parlata vivente delle due HBgua, Brunswick e Berlino, 1918-1915, 2 vol. 8°. Koser (R.). Jahresbericht iber die Herausgabe der Monumenta Germaniae historica. Berlin, 1914; 8° (dell'A.). Manacorda (G.). Storia della Scuola in Italia. Vol. I, p. 1* e 2*. Milano- Palermo-Napoli, 1914; 2 vol. 8° (74). Passamonti (E.). Il Giornalismo Giobertiano in Piemonte nel 1847-1848, 1 vol. 8°. — Una Memoria di Cesare Balbo a Carlo Alberto nell’ottobre 1847. To- rino, 1914; 8°. — (Gioberti e il popolo piemontese nel dicembre 1848; Roma, 1913; 8° (dall’A.). Pellegrini (C.). Luigi Pulci. L’uomo e l'artista. Pisa, 1912; 8° (dall'A. per il premio Gautieri per la Letteratura 1911-1913). Ruffini (F.). Camillo Cavour e Mélanie Waldor. Torino, 1914; 8° (dall'A. Socio residente dell’ Accademia). Salas (C. P.). Elementos par el estudio de la demografia de la provincia de Buenos-Aires. La, Plata, 1913; 8° (dall'A.). Santarem (2° Visconde de). Ineditos (Miscellanea). Colligidos, coordenados e annotados para Jordào de Freitas e Trazidos è publicidade pelo 3° Visconde de Santarem. Lisboa, 1914 (Dono del 3° Visconde de San- tarem). **Sertus Empiricus. Opera recensuit H., Mutschmann. Vol. II. Lipsiae, MCMXIV. 1 vol. 16°. PE © CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 16 Novembre 1913. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CamerANO, il Direttore della Classe, NAccaRI, ed i Soci SaLvapori, D’'OvipIio, PEANO, Foà, GuaRrEscHI, FiLeTI, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, FUSARI, BaLBIANO, e SEGRE, Segretario. Il Socio JADANZA scusa l'assenza, per indisposizione. La Classe gl’invia i suoi voti di rapida e completa guarigione. — Anche il Socio Guipi scusa la propria assenza. Si legge e si approva il verbale dell’ultima adunanza. Il Presidente, riprendendosi oggi i lavori accademici, dà un cordiale saluto ai Colleghi. Indi partecipa la morte del Socio corrispondente ScLAaTER, avvenuta il 17 giugno scorso. Apparteneva all'Accademia dal 1885. Si dà incarico al Socio SALVADORI di commemorarlo in una prossima adunanza. Il Presidente rileva, fra le pubblicazioni pervenute all’Ac- cademia, le seguenti: Letters and Recollections, di ALessanpRo Agassiz, che fu nostro Socio straniero. Le invia in omaggio il figlio G. Ri. AgassIz. Die Bestimmung des Geoids im Gebiete des Harzes, del Socio straniero HELMERT. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 1 LO Naturalisti è viaggiatori liguri nel secolo XIX, del Socio corrispondente IssEL. FE. Moninari ed E. QuartIERI, Ricorrendo il centenario della nascita (1812-1912) e il 25° anno (1888-1913) della morte di Ascanio Sobrero scopritore della nitroglicerina (Notizie sugli esplodenti in Italia). Omaggio della Società Italiana prodotti esplodenti. — Il Vice-Presidente CAMERANO, a nome del Club Alpino ita- liano, presenta un volume pubblicato da questo intorno alla propria opera nel primo cinquantennio. Il Socio Segre a nome della Direzione e degli Editori degli “ Annali di Matematica , presenta il secondo dei volumi dedi- cati alla memoria di Lagrange per iniziativa dell’Accademia. Sono presentate per l'inserzione negli Atti, le seguenti Note: L. ToneLLi, Sul valore di un certo ragionamento, dal Socio PEANO ; I. Guareschi, Ricerca dei bromuri in presenza dei solfo- cianati e dei ferrocianuri; azione dell'acido cromico sul bromuro di cianogeno. Nota VI; R. Rec, Licerche anatomiche sui tessuti corticali del rizoma di aleune Iris, dal Socio MATTIROLO; ” E. BomPrANI, Sistemi di equazioni simultanee alle derivate parziali a caratteristica, dal Socio SEGRE (*); E. Laura, Sopra le deformazioni per distorsione dei solidi elastici, isotropi di rivoluzione, dal Socio SOMIGLIANA. Lo stesso Socio SomieLiana legge la Commemorazione del Socio straniero Enrico Poincaré. Essa viene accolta con plauso dalla Classe. Sarà pubblicata negli Atti. Il Socio GuaRrEscHI presenta una sua Memoria, contenente: Notizie storiche intorno a Giulio Usiglio ed all'acqua del mare. (*) Questa Nota uscirà in una prossima dispensa, sd 3 La Classe unanime ne delibera l'accoglimento nei volumi delle Memorie. Per gli stessi volumi vengono offerti i seguenti lavori: Dal Socio Naccari, Declinazioni di 121 stelle di riferi- mento per il Catalogo Astrofotografico di Catania (zona da + 46° a | 48°) osservate al Cerchio meridiano Reichenbach di Torino e ridotte al 1912,0 da G. A. Favaro; Dal Socio Foà, Ricerche sperimentali sulla meningo-ence- falite sifilitica, del Dott. F. VanzeTTI. Vengono incaricati di riferire sul primo i Soci NAccarI e JADANZA, sul secondo i Soci Foà e Fusari. — Raccoltasi poscia la Classe in seduta privata, si procede alla votazione per l’elezione del Segretario della Classe, ed è ricon- fermato in detta carica, per un nuovo triennio, il Socio SEGRE, salvo l’approvazione Sovrana. 4 LEONIDA TONELLI” LETTURE Sul valore di un certo ragionamento. Nota di LEONIDA TONELLI. Un ragionamento ormai classico, per la dimostrazione di- retta dell’esistenza del minimo (0 massimo) in problemi di Calcolo delle Variazioni, è quello che, partendo da una successione mi- nimizzante, conduce a determinare una nuova successione, estratta dalla precedente e convergente ad un elemento limite, ed a mo- strare poi che questo elemento dà in realtà il minimo per l’in- tegrale di cui si tratta. La successione minimizzante, come è noto, è una successione di curve o superfici (a seconda della natura del problema) per le quali l'integrale da render minimo tende al suo limite inferiore; e sulla sua esistenza reale non sì crede generalmente di soffermarsi a esitare (*); anzi, per soprammercato, si aggiunge comunemente che di tali successioni ne esistono, non una sola, ma infinite. E in questa abbondanza la mente dei più si è sempre adagiata soddisfatta. Peraltro — e in omaggio almeno al carattere odierno dell'analisi, che è quello di una continua e non troppo comoda diffidenza — non è del tutto ozioso il domandarsi se di successioni minimizzanti ne esiste sempre veramente per lo meno una. E la domanda è tanto più legittima in quanto, nel caso generale, non sembra possibile rispondervi in modo affermativo. Vediamo di chiarire la difficoltà. A giustificazione della tacita ipotesi, fatta di solito, dell'esi- stenza di una successione minimizzante stanno le seguenti con- siderazioni. Sia ? il limite inferiore dell’integrale / da minimiz- zare e che, per fissare le idee, supporremo esteso a curve. Esistono certamente, per la definizione stessa di ?, delle curve per le quali (*) Il primo a formulare la critica, che ha dato origine alla presente Nota, fu il Cararneopory, Veber die starken Maxima und Minima bei einfachen . Integralen (* Math. Ann. ,, 62 Band), % Ca 3 4 . da - TAR OTO SE VET a Sr $. > hell! PRATI IRE PILOT STATA Mo NI Para. Peer 71 PO ge I PO SUL VALORE DI UN CERTO RAGIONAMENTO 5) è IZi}-1. Sia C; una di esse. Ne esistono poi di quelle che rendono Id, e qualunque sia la funzione f di W, scenda l’altra If) fl@m)i ”., e per qualsiasi funzione f,, di W,, sia verificata la disuguaglianza precedente. 2. -—- Ciò premesso, dimostriamo che se W (f) è una varietà di funzioni ugualmente continue e ugualmente limitate (*) in (a, b), esiste per essa almeno una fun- zione limite (necessariamente continua) (**). Sia (2) 1, La) «03 Tag una successione di punti di (a, 5) uniformemente densi in tutto l’intervallo (p. es. l'insieme dei punti razionali) e (3) Ere RI una successione di numeri positivi, decrescenti, tendenti a zero. L'insieme numerico /, dei valori che tutte le funzioni f assu- mono in x, ha almeno un punto limite (#**). Considero il mag- giore e lo indico con F(x;). Se # è un numero di cui rimangono inferiori i moduli di tutte le f, è | F(x,)|=#. Considero poi, (*) Ugualmente limitate == a tutte, in modulo, inferiori «d un numero fisso. (**) Questa diventa la proposizione dell'Ascoli, sopra ricordata, suppo- nendo che la W(f) sia una successione di funzioni. Nella forma generale del testo fu dimostrato dall’Arzerà (Sulle serie di funzioni, È Mem. Acc. di Bologna ,, 1899-1900) con la tacita ammissione del principio della libera scelta, che è appunto quanto qui si vuol evitare. (***) Se infinite funzioni di W ammettono in x, uno stesso valore, questo valore deve riguardarsi come punto limite di /,. eZ Mi (Sa ar IA IO N, r °° Alta i _ x e 8 - LEONIDA TONELLI per ogni n, l'insieme W,, di tutte le funzioni di W che sod- | disfano alla disuguaglianza If(2) — F(2)|= €. Ogni W,, contiene necessariamente infinite funzioni ed è, a sua volta, contenuto in tutti gli insiemi precedenti. L'insieme numerico /,,, dei valori che le funzioni di W,,, assumono in #3 ha un insieme derivato /'3,, contenuto in /'3,,_1; e l'insieme 73.5 dei punti appartenenti a tutti gli /',,, (che sono tutti chiusi) contiene certamente degli elementi ed è, a sua volta, chiuso. Il suo massimo lo indicherò con (xs) ([F(x,)|[=#); e indi- cherò poi con W., l'insieme di tutte le funzioni di W,,, che soddisfano la If) -- F(c)|= en. Ogni W,., contiene infinite funzioni ed è contenuta in tutte le W,, precedenti, e se indico con fs, una qualsiasi funzione di W.,, è [fon (21) — F(e,) | = €; |fon (20) — F(cs)|< n. E così si prosegua indefinitamente. Formo allora la suc- cessione d’insiemi (4) Wi one, Ogni suo insieme è contenuto nel ee e contiene infi- niti elementi, uno qualunque dei quali fan di W,, soddisfa alle (5). |fnn(e,) — F(2.)]= € (e=-1) 2; 40008 Nello stesso mentre ho costruito sull'insieme (2) una fun- zione F, sempré in modulo inferiore o uguale a %. Dico che X è continua su (2). Siano x,, x, due punti di (2) soddisfacenti alla |x, —e,|<èd, dove il d è quello di cui si è parlato al n. 1. Sia 7» maggiore tanto di r quanto di s. Tutte le funzioni fi di W;ai soddisfano alle \fra(e, ) n F(x, |< En , \faa(2) PT F(x.)|< En SUL VALORE DI UN CERTO RAGIONAMENTO 9 e (n. 1) alla fan (2) — fri(e)i » per il quale qualche elemento fin, di /sn, soddisfa alla [fam (79) — Fleo)}= €, indicheremo con W,, l'insieme di tutte le funzioni di W», per le quali è soddisfatta la disuguaglianza precedente. Avremo così la successione Wii, Was, ..., Wa, .. dove Wa, è estratto da un insieme W,, d’indice r >», e dove, per tutte le funzioni fa, di Wa,;_ è |fon(21) — F(21) | < Cn, fan (2) — F(xs)|< €, E così via. Formeremo allora la successione Wii, H 22) 0-3 H mv go **. SUL VALORE DI UN CERTO RAGIONAMENTO 11 L’insieme W,, risulta una parte di un insieme W, di in- dice » > n, ed ogni sua funzione f,, soddisfa alle M@) = Fa)}=e a PMR 0 Proseguendo qui come al n. precedente, si giunge al ter- mine della dimostrazione. 4. -- Una varietà di funzioni, definite in (a, 0), la diremo compatta se ogni successione d’insiemi di funzioni appartenenti alla varietà ammette almeno una funzione limite, limitata in tutto (a, 6) (#). Vale allora la proposizione: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una varietà di funzioni continue, definite in (a, b), sia compatta, è che tutte le sue funzioni siano ugualmente continue e ugualmente limitate nel campo detto. Che la condizione sia sufficiente, risulta da quanto si è detto al n.3. Veniamo a dimostrare che è anche necessaria. Suppo- niamo, dapprima, che le funzioni non siano tutte ugualmente li- mitate. Potremo in tale ipotesi, formare la successione d’insiemi di funzioni W,, W., ... comprendendo in W,, tutte le nostre funzioni che in almeno un punto di (a, 6) hanno il modulo mag- giore o uguale ad n. La successione scritta deve avere, per la definizione stessa di varietà compatta, qualche funzione limite, limitata su tutto (@, 5). E questo è impossibile, perchè, preso un intero x, convenientemente grande, esiste di certo una di queste funzioni limiti di modulo < »;, ed esistono, di conse- guenza, degli insiemi W,, di indice grande quanto si vuole, che hanno delle funzioni le quali si mantengono in modulo sempre inferiori a 2w,, il che contraddice alla costruzione me- desima della successione W,, Wa, ... Le funzioni della varietà, oltre che ugualmente limitate, sono anche ugualmente continue. Infatti, in caso contrario, presa una successione d;, ds, ..., è,, ... di numeri positivi, decrescenti, (*) Modifichiamo così la definizione di insieme compatto posta da M. Frécner, Sur quelques points du Caleul Fonctionnel (* Rend. Ann. Mat. ,, Palermo, 1906). x e? ” 12 LEONIDA TONELLI tendenti a zero, esisterebbe un e (ed anche infiniti altri) tale che, per ciascun ò,, si potrebbe trovare almeno un funzione f,, della varietà ed una coppia di punti x’, «'" di (a, è) soddisfa- centi alle |x' —x"|e. Sia W, l'insieme di tutte le funzioni della varietà conside- rata, ciascuna delle quali, per almeno una coppia di punti sod- disfacenti alla |x' —x"|<òè,, verifichi la disuguaglianza prece- dente. La successione degli insiemi W, ammette, per ipotesi, qualche funzione limite, necessariamente continua. Sia (x) una di esse e dè un numero tale che, per ogni coppia x’, x” di (a, d) che verifichi la |e' — "|<ò, si abbia |F@e)— F(2") Ci sono infiniti insiemi W, che hanno almeno una fun- zione f, soddisfacente alla Ifn@) — F@)l< È in tutto (a, 5). Per ogni coppia x’, x‘, tale che sia |x'—x"|<ò, è allora VAC CEE Ora, quando » è abbastanza grande, in modo che sia d,, < d, questa disuguaglianza contraddice alla |f,(x") — f,(e')|> €, ve- rificata per almeno una delle coppie dette. Il teorema è dunque dimostrato. : 5. — Al. n.2, per dimostrare che ogni varietà di funzioni ugualmente continue e ugualmente limitate ammette almeno una funzione limite, abbiamo effettivamente costruita una di tali funzioni. Il procedimento costruttivo dato là conduce ad una funzione limite /(x) ben determinata e distinta da tutte le altre che eventualmente potrebbero esistere. Per mezzo di questo pro- cedimento si può dunque, in ogni caso, far corrispondere ad una varietà compatta n suo ente limite. Se poi la varietà è anche SUL VALORE DI UN CERTO RAGIONAMENTO 13 è chiusa (vale a dire, se contiene ogni sua funzione limite), o stesso procedimento fa corrispondere alla varietà un suo elemento, ed-inoltre prova l’esistenza di una (almeno) successione di fun- zioni, convergente ad una funzione limite qualsiasi della varietà. 6. — Fondandosi sulle proposizioni precedenti, si hanno le altre seguenti: Una varietà di curve, per le quali esista una rappresen- tazione analitica simultanea ITA yy), azt» CN +Br+P2. Ottennero buoni risultati raccogliendo il bromo il e bromuro di cianogeno in una soluzione diluita di potassa, invece che nel joduro di potassio; i due corpi vengono assorbiti. In seguito sì decompone con acido solforico e permanganato e si raccoglie il bromo nella soluzione di joduro potassico. Se in questa reazione dell’acido cromico sul solfocianato, in presenza di bromuro, si formasse anche, com'è molto probabile, e come suppongono Kiister e Thiel, del bromuro di cianogeno, questo resterebbe decomposto dall’acido cromico stesso e darebbe il bromo libero. Tanto meglio se si fa la reazione lentamente a temperatura ordinaria e scaldando dopo un certo tempo. Per assicurarmi che veramente l'acido cromico non sola- mente sviluppa il bromo dal bromuro potassico, ma anche dal .bromuro di cianogeno che potrebbe formarsi in presenza dei solfocianati, ho voluto vedere come si comporta il bromuro di cianogeno puro coll’acido cromico. Il bromuro di cianogeno è molto venefico; solido a tempe- ratura ordinaria, ma che si evapora colla massima facilità dando un gas incoloro. Il bromuro di cianogeno adoperato CNBr era in bei cristalli incolori, di odore acuto, fusibili a 51°-52°; questi cristalli lasciati a sè in presenza dell’aria entro vasetto chiuso con tappo sme- rigliato non dànno affatto reazione di bromo libero. Ma, anche (1) “ Zeits. f. anorg. Chem. ,, 1903, t. 35, pag. 43. Dda È : "I è RICERCA DEI BROMURI IN PRESENZA DEI SOLFOCIANATI, ECC. 21 in piccolissima quantità, messi in contatto di una soluzione di acido cromico al 50 °/, ed anche a temperatura ordinaria si nota quasi subito una decomposizione con sviluppo di bromo, e nel tempo stesso si produce dell’ossido di cromo, dell’anidride carbonica e dell’ammoniaca. La reazione può essere espressa nel modo seguente : 6CNBr + 12H?0 —-» 6C0? +4 6NH* + 6HBr 6HBr + 2H?Cr0* —» (€r203 + 5H?°0 + 3Br?, Mettendo in contatto il bromuro di cianogeno con soluzioni . diversamente concentrate di acido cromico si scorge che bastano delle soluzioni anche molto diluite di acido cromico per mettere in libertà il bromo dal bromuro di cianogeno, a temperatura ordinaria. Con soluzione al 25 °/, si ha quasi subito intensa la reazioue del bromo, così pure con soluzione al 15 °/,. Con so- luzione al 5°, e sempre a temperatura ordinaria, la reazione è un poco lenta ma netta e intensa; per concentrazione del 2 9/5 la reazione si manifesta dopo circa !/, ora, e con soluzione all’1°/, la reazione del bromo si ottiene assai lentamente, dopo circa 12 ore. Con soluzione al !/3 °/; la reazione è lentissima. Ma si ha reazione del bromo anche con soluzione al 0,25 %o, specialmente se si scalda un poco. In questa reazione non si forma dell’ossamide, ma subito dell’acido ossalico, ossia dell’os- salato di ammonio, che rimane bruciato dall’acido cromico. In una prossima nota esporrò il modo di riconoscere i gas 0 vapori bromurati, anche quando trovansi mescolati con derivati clorurati e a molta aria. Torino, R. Università. Laboratorio di Chimica farm. e tossic. 14 Novembre 1913. — Ricerche anatomiche sui tessuti corticali del rizoma di alcune Iris, Nota della Dr. ROSINA REGÉ. Le ricerche, che sono oggetto di questa nota, mi sono state consigliate dal chiarissimo Prof. Oreste Mattirolo. Esse prendono il loro punto di partenza dalla constatazione fatta nel R. Orto Botanico di Torino, della diversa struttura della porzione corticale del rizoma appartenente ad un certo numero di Iris coltivate nelle aiuole dell'Istituto stesso. È noto come il rizoma di Iris germanica, Iris florentina, Iris pallida, venga messo in commercio sotto il nome di rizoma d'Iris, perfettamente mondato, cioè privo d’ogni traccia del tessuto corticale per mezzo di una operazione, che viene faci- litata dalla struttura degli elementi proprii del tessuto corti- cale stesso. La sezione trasversale della droga allo stato fresco, prima cioè che la preparazione l'abbia privata della porzione corticale, ci presenta la corteccia nella sua integrità, comprendente nor- malmente tre parti distinte. Lo Tschirch (1) vi riscontra al di sotto dell'epidermide uno strato soveroso costituito da 15 a 20 strati di cellule, re- golarmente disposte, parallelepipede ed a pareti che -perman- gono sottili; ed al di sotto trova un collenchima che presenta fra gli angoli ispessiti de’ suoi elementi meati intercellulari. In questo collenchima appaiono le sezioni dei fasci provenienti dalle foglie, tagliati con angoli diversi, a seconda della sezione, AI di sotto infine esiste ancora, secondo lo Tschirch, uno pseudo- endoderma, poco distinto dal confinante parenchima e distin- guibile solo per la mancanza d'amido e per gli ispessimenti (1) A. Tscumon e 0. OksterLe, Anatomische Atlas der Pharmakognosie und Nahrungmittelkunde, I. Leipzig, 1895. VIE e PRI Se, RICERCHE ANATOMICHE SUI TESSUTI CORTICALI DEL RIZOMA, ECC. 23 suberosi appena visibili. L'esistenza di questo strato, ammessa anche da Moeller (1), è invece negata da Karsten (2) e da Gilg (3), il quale dice che il passaggio dalla porzione corticale al cilindro centrale viene segnato dall’addensarsi dei fasci al limite di quest’ultimo. Le mie osservazioni, estese ad oltre una ventina di specie del gen. Iris, mi hanno dimostrato che l’endoderma indistin- guibile in alcune specie, come nelle officinali, è perfettamente” distinto ed individualizzato in altre. Constatai inoltre che lo strato suberoso della corteccia del rizoma non risponde alla reazione del sughero nel caso delle Iris officinali, ma prende invece quella della lignina; e che vi sono Iris in cui la porzione corticale più esterna è costituita da un solo tessuto lignificato, mentre altre l’hanno costituito di due tessuti: l’uno suberificato e l’altro lignificato. Dalle mie osservazioni ho rilevato anzitutto come la con- sistenza, la durezza, il colore, lo spessore, la distaccabilità della porzione corticale differissero così marcatamente da specie a specie ed assumessero un comportamento così caratteristico se- condo tipi diversi, da spingere a ricercarne le cause. Le mie ricerche mi hanno permesso di riconoscere quattro tipi principali, che descrivo considerando le specie nelle quali il tipo si presenta più caratteristico. Per il primo tipo scelgo l’/ris germanica Linn, che pre- senta un grosso rizoma avente una superficie esterna liscia e di colore bruno-giallastro, ed una sezione interna bianca. La vera corteccia del rizoma in sezione trasversale si pre- senta costituita da un unico tessuto di 14 o 15 strati di cellule, disposte con sufficiente regolarità, molto grandi, a sezione ret- tangolare, aventi un larghissimo lume vuoto e parete sottile, lignificata, colorata in giallo chiaro. Le cellule dei primi dieci strati hanno le pareti laterali ondulate e sono più schiacciate di quelle degli strati più in- terni, che hanno le pareti diritte ed il lume più largo. Ciò (1) MorLLer Jos., Lehrbuch der Pharmakognosie. Wien, 1906. (2) Karsren G., LeAhrbuch der Pharmakognosie der Pflanzenvreiches. Jena, 1903. (3) Grce E., Lelhrbuch der Pharmakognosie. Berlin, 1905. 24 ROSINA REGÉ dipende, a parer mio, dal fatto che le prime sono più vecchie e maggiormente esposte agli agenti esterni. Non ho riscontrata la presenza del tessuto fellogenico nei preparati dei rizomi provenienti da Iris in stato di riposo e di fioritura, cioè raccolti nell'inverno e nella primavera. Ritengo però che tale tessuto debba riscontrarsi a fioritura 3 finita, quando preparandosi la pianta ad affrontare la siccità estiva, è richiesta anche da parte del rizoma la formazione di un tessuto di protezione all’esterno. Dato il periodo in cui si svolsero le mie ricerche (Inverno-Primavera 1912) non mi è stato naturalmente possibile ottenere preparati della regione corticale in queste condizioni. Al tessuto corticale segue un parenchima formato di cel- lule molto grandi, pressochè isodiametriche e poliedriche, aventi grosse pareti cellulosiche, forate da grandi punteggiature, e lume grande ripieno di granuli d’amido ovali, presentanti le linee di accrescimento molto evidenti. Fra le cellule amilifere sono interposte cellule contenenti cristalli di ossalato di calcio in forma di prismi lunghi 200w e larghi 25w. Al limite del parenchima non mi è stato possibile consta- tare la presenza dello pseudo-endoderma, ma al luogo di esso trovai in sezione trasversale tante sezioni trasversali di fasci con disposizione sparsa, più fitti e più avvicinati nella parte inferiore del rizoma, e uniti l'uno all’altro da una specie di guaina vascolare qua e là interrotta. A questo proposito, le mie osservazioni collimano per- fettamente con quelle del Gilg, per cui, contrariamente a quanto i + afferma Tschirch, ritengo che lo pseudo-endoderma abbia a mancare, Per i caratteri-corticali sono dello stesso tipo le seguenti Iris: /. pallida Lamk, I. florentina Linn, I. Susiana Linn, I. ochro- leuca Linn, I. pumila Linn, I. variegata Linn, I. aphilla Linn, I. virescens led, I. sordida Wild, I. bifiora Linn, 1. dicothoma Pallas, che differiscono però dall’I. germanica per qualche carattere. Iris pallida Lamk, — Il rizoma ha mediocri dimensioni, è esternamente liscio e colorato in giallo-chiaro, internamente è bianco. Le cellule lignificate del tessuto corticale più esterno, '‘ ebiedlAta tt adi ti berdeli teo i st Mbit à r Ù di i È \ RICERCHE ANATOMICHE SUI TESSUTI CORTICALI DEL RIZOMA, ECC. 25 pur essendo simili nella forma a quelle dell’ I. germanica, sono meno grandi. 1l parenchima corticale è costituito di cellule tondeggianti, ricche di granuli d’amido, molto grossi e aventi linee d’accre- scimento molto evidenti. I cristalli di ossalato di calcio sono più corti di quelli dell’ Iris precedente. Iris florentina Linn. — Il rizoma è grosso, liscio, colorato esternamente in giallo-bruno, in bianco all’interno. Le cellule del tessuto corticale lignificato che sono disposte in 17 a 18 strati, sono più piccole delle analoghe delle Iris germanica e florentina e sono meno schiacciate. Il parenchima corticale contiene cristalli di ossalato di calcio non molto grandi. Iris Susiana Linn. — Il rizoma è grosso, esternamente liscio, di colore aranciato, internamente gialliccio e provvisto d’un odore speciale, abbastanza gradevole. Il tessuto corticale lignificato è costituito da 14 a 15 strati di cellule di grandi dimensioni, disposte con notevole regolarità. Il parenchima corticale è formato da cellule molto grandi, isodiametriche, poliedriche, aventi pareti cellulosiche molto sot- tili e lume larghissimo contenente amido. I cristalli di ossalato di calcio, sparsi nel parenchima, hanno forma di piccoli prismi a base rombica. Iris ochroleuca Linn. — Il rizoma è grosso, liscio, giallo- bruno esternamente, bianco internamente. La membrana delle cellule costituenti il tessuto corticale lignificato è sottilissima. Il parenchima corticale è formato da cellule isodiametriche, tondeggianti, con membrana cellulosica mediocremente spessa e lume ripieno di grossi granuli d’amido ovali, con stratificazione ed ilo molto evidenti. Iris pumila Linn. — Il rizoma è di mediocri dimensioni, liscio, giallo bruno esternamente, bianco internamente. Il tessuto corticale lignificato presenta numerosi strati di cellule aventi diversa dimensione, e di solito trovansi in esso alternate le cellule piccole alle più grandi. Il parenchima corticale è formato di grandi cellule aventi parete cellulosica sottile e lume grande contenente grossi gra- nuli d'amido. f 26 ROSINA REGÉ I cristalli prismatici di ossalato di calcio sono molto corti. Iris variegata Linn. — Il rizoma è simile a quello del- l'Iris pumila. Le cellule dei primi due strati del tessuto corticale lignificato hanno dimensioni maggiori delle cellule degli strati seguenti. Il parenchima corticale è formato di cellule aventi una parete cellulosica non molto spessa ed un lume larghissimo contenente granuli d’amido molto grossi ad ilo e stratificazione evidente. I cristalli di ossalato di calcio hanno forma di prismi a base rombica. Iris aphyla Linn. — Il rizoma è giallo-bruniccio, di di- mensioni mediocri, internamente bianco-gialliccio. Il tessuto corticale lignificato è simile a quello dell’Iris germanica. Il parenchima corticale è formato da cellule di mediocri dimensioni, isodiametriche con parete cellulosica sottile e lume grande, contenente granuli d’amido tondeggianti. I cristalli di ossalato di calcio hanno forma di prismi molto grossi e molto lunghi. Iris virescens Red. — Il rizoma è simile al precedente. Il parenchima corticale è costituito di cellule molto grandi, con parete cellulosica spessa e lume contenente piccoli granuli d'amido rotondi. Le cellule cristallifere presentano lunghi e grossi cristalli di ossalato di calcio. Iris sordida Wild. — Il rizoma è grosso, liscio, di color giallo all’esterno, bianco all’interno. Il parenchima corticale è costituito di grandi cellule iso- diametriche, con pareti cellulosiche sottili e lume grande, ri- pieno di grani d’amido tondeggianti. I cristalli prismatici di ossalato di calcio non sono molto lunghi. Iris biflora Linn. — Il rizoma è simile al precedente. Il parenchima corticale è costituito di cellule aventi pareti cellulosiche spesse e lume pieno di grossi granuli d’amido rotondi. Iris dicothoma Pallas. — Il rizoma è grosso, liscio, giallo esternamente, bianco internamente. RICERCHE ANATOMICHE SUI TESSUTI CORTICALI DEL RIZOMA, ECC. 27 Le pareti delle cellule costituenti il parenchima corticale sono sottili e il lume di esse contiene plasma e piccoli granuli d'amido rotondi. Del secondo tipo ho trovato come caratteristica l’Iris foe- tidissima Linn, che presenta un rizoma di mediocri dimensioni, avente superficie esterna liscia e di color giallo mentre la sezione interna è bianca. La corteccia del rizoma è costituita da due sorta di tes-, suti. Il più esterno è formato da 9 a 10 strati di cellule, di- sposte più o meno regolarmente, schiacciate, con parete colo- rata in giallo-chiaro, ispessita e subderificata. Il tessuto più interno è formato da 2 a 3 strati di cellule disposte con molta regolarità, grandi, poligonali-poliedriche, a lume grande e con parete lignificata e non ispessita. Fra una cellula e l’altra trovansi spazi intercellulari. Non ho riscontrato tessuto fellogenico. Il parenchima corticale presenta cellule poliedriche, isodia- metriche, aventi pareti cellulosiche spesse e lume contenente granuli d’amido. = Sparse nel parenchima si trovano cellule cristallifere. Manca lo pseudo-endoderma. Caratteristica per il terzo tipo scelgo l’Iris sibirica Linn, avente un rizoma piccolo, rugoso, provvisto di squame, dotato di notevole consistenza e durezza, bruno-scuro all’esterno, bianco all’interno. In sezione trasversale la corteccia presenta due tessuti: il più esterno è formato di 4 a 5 strati di cellule schiacciate, aventi le pareti ispessite, di colore giallo, e suberificate. Il tessuto più interno consta di pochi strati di cellule (3 a 5) disposte con regolarità, molto grandi, ma di varie dimensioni, poligonali-poliedriche, aventi lume grande e vuoto e membrana lignificata, uniformemente e mediocremente ispessita. Nelle cel- 28 ROSINA REGÉ lule più ispessite la membrana presenta piccoli canaletti che dal lume vanno alla periferia. Non ho riscontrata la presenza del tessuto fellogenico. Il parenchima è costituito da cellule pressochè isodiame- triche, poliedriche, molto piccole in confronto a quelle del pa- renchima appartenente alle Iris del 1° tipo. Esse hanno pareti cellulosiche sottili e lume grande, contenente plasma ma privo di amido. In luogo di questo trovasi certamente un altro idrato di carbonio, solubile in acqua, simile o uguale all’idrato di ear- bonio che Wallach estrasse dal rizoma dell’/. pseudo-acorus e che chiamò irisina. Sparse nel parenchima trovansi cellule cristallifere. Evidentissimo è lo pseudo-endoderma, costituito d’un solo strato di cellule, non molto grandi, che hanno tutte le pareti fortemente ispessite, tranne quella dorsale rivolta alla periferia, che è sottile. Per i caratteri corticali sono dello stesso tipo le: Iris pseudo- acorus Linn, lris tridentata Pursh, che differiscono però in qualche carattere dall’/ris sibirica descritta. Iris pseudo-acorus Linn. -— Il rizoma è grosso, rugoso, provvisto di squame, bruno-scuro all’esterno, d'un bel color rosa carico all’interno. Il tessuto corticale suberificato è costituito di cellule schiac- ciate a pareti fortemente ispessite, di color giallo-bruno o rosso- bruno, ed a lume piccolo. Le cellule del tessuto corticale lignificato sono più piccole e più regolari di quelle dell’/. sibirica. Le cellule del parenchima contengono plasma e cristalli d'una sostanza rossa, di cui non ho indagata la natura chimica, e che certamente colora in rosa il rizoma. In luogo dell'amido si trova nel parenchima un idrato di carbonio, levogiro, solu- bile nell'acqua, chiamato irisina. Lo pseudo-endoderma è simile a quello dell’/.. sibirica. Iris tridentata Pursh. — Il rizoma è molto piccolo, rugoso, provvisto di squame, esternamente bruno, bianco internamente. Alcune cellule del tessuto lignificato sono molto grandi. Le cellule del parenchima contengono plasma e grandi goccie d'una sostanza oleosa, di cui ignoro la natura chimica, e sono prive d’amido, RICERCHE ANATOMICHE SUI TESSUTI CORTICALI DEL RIZOMA, ECC. 29 Nel parenchima trovansi anche corti cristalli prismatici di ossalato di calcio. Lo pseudo-endoderma è simile a quello dell’I. sibirica. zi Per il quarto tipo descrivo l’Iris tuberosa Linn, che pre- senta un rizoma grosso, rugoso, provvisto di squame, dotato di notevole consistenza e durezza, di color bruno-scuro al- l'esterno, bianco all’interno. In sezione trasversale la corteccia del rizoma presenta due tessuti: il più esterno è formato da 6 o 7 strati, più o meno irregolari, di cellule schiacciate, irregolari, con membrana ispes- sita e suberificata, di color giallo-chiaro. Segue un tessuto compattissimo, di consistenza quasi cornea, di 7 a $ strati di cellule disposte con sufficiente regolarità, sclerenchimatiche, aventi pareti fortemente ispessite e lignifi- cate. In esse la membrana presenta evidentissime le linee d’ac- crescimento, attraversate da piccoli canali che dal lume vanno alla periferia. Il lume è ridotto ad una fessura, e talora ad un piccolo foro pressochè circolare. Non ho riscontrato tessuto fellogenico. Il parenchima corticale presenta cellule di notevoli dimen- sioni, poliedriche, isodiametriche, aventi pareti cellulosiche e lume contenente piccoli granuli d’amido rotondi e grandi goccie di una sostanza oleosa. Nel parenchima si trovano anche cristalli di ossalato di calcio. Manca lo pseudo-endoderma ed in luogo di esso si ha una guaina di fasci, molto simile a quella già descritta per l’'Iris germanica appartenente al 1° tipo. A questo tipo pei caratteri corticali del rizoma apparten- gono le: Iris xiphium Linn, I. spuria Linn, I. graminea Linn, I. maritima Mill, I. guldenstaedtiana Lepech, che hanno però qualche caratteristica loro propria. Iris ciphium Linn. — Il rizoma è molto piccolo, bruniccio, duro, rugoso, provvisto di squame, di color bianco internamente. La membrana delle cellule del tessuto sclerenchimatico è 30 ROSINA REGÉ meno ispessita di quella delle cellule corrispondenti dell’ Iris tuberosa. Per conseguenza anche il lume cellulare non è mai ri-. dotto ad una fessura nè ad un foro. \ Il parenchima contiene grossi granuli d’amido e piccoli cristalli di ossalato di calcio. Iris spuria Linn. — ll rizoma è grosso, rugoso, duro, prov- visto di squame, internamente di color bianco. Il tessuto corticale suberificato consta di 5 o 6 strati di cellule, colorate vivamente in giallo-bruno, disposte assai irre- golarmente, schiacciate e di forma irregolare. Il tessuto lignificato presenta cellule di varia dimen- sione, ed in generale ho osservato che le cellule più piccole, più stipate e più schiacciate formano gli strati volti verso l'esterno. Il parenchima è costituito da piccole cellule ricche di gra- nuli d’amido tondeggianti e non molto grossi. Iris graminea Linn. — Il rizoma ha mediocri dimensioni, è bruno-scuro, rugoso, di considerevole durezza e consistenza, internamente di color bianco. Il parenchima corticale consta di cellule non molto grandi, isodiametriche, poliedriche, con pareti cellulosiche non molto spesse e lume contenente amido. Sono abbondanti le cellule cristallifere. Iris maritima Mill. — ll rizoma ha i caratteri del pre- cedente. Il parenchima corticale è costituito di cellule grandi, iso- diametriche, a membrana cellulosica sottile, e lume contenente poco amido, e grandi goccie di una sostanza oleosa. Le cellule cristallifere contengono cristalli di ossalato di calcio molto grossi. Iris guldenstaedtiana Lepech. — Il rizoma di mediocri di- mensioni ha corteccia durissima e resistente. Il tessuto corticale suberificato consta di strati di cellule disposte con regolarità aventi membrana colorata in rosso-bruno. L'ultimo strato del tessuto lignificato, che si trova al contatto del parenchima, è costituito di cellule meno ispessite e con lume più largo. L'amido è contenuto nel parenchima sotto forma di grossi granuli tondeggianti. RICERCHE ANATOMICHE SUI TESSUTI CORTICALI DEL RIZOMA, ECC. 31 Riassumendo: gli elementi dei tessuti corticali dei rizomi delle Iris variano nella forma, nel numero, nella disposizione da specie a specie, ma essenzialmente nelle specie descritte secondo 4 tipi, che sono riuscita a mettere costantemente in evidenza. La perfetta e costante riconoscibilità di questi caratteri, il loro variare a seconda delle specie, sebbene fossero coltivate nelle identiche condizioni, mi hanno persuasa che, quantunque la corteccia risponda, secondo ogni probabilità, alla necessità di difesa dell'organo di fronte all'ambiente, e possa quindi presu- mersì soggetta ad un certo grado di variabilità, essa è tuttavia tale da conservare in ogni caso il suo tipo caratteristico. Lo studio che ne ho fatto e quello che si potrebbe fare in seguito, potrebbe tendere appunto ad accertare, per il più grande numero possibile di specie, il valore sistematico di questo carat- tere e a mettere in evidenza l'eventuale esistenza di nuovi tipi. Dato lo stato d’incompletezza attuale delle ricerche, ho conservato nel corso del lavoro la distribuzione adottata dal Baker (1) nella monografia del genere. i È innegabile tuttavia che la sistemazione attuale del genere Iris è lontana dal potersi considerare come soddisfacente. Le ricerche, che la presente nota intende di avere sempli- cemente iniziate, potrebbero ritenersi giustificate se l'adozione di questo carattere venisse riconosciuta come un utile contri- buto ad una migliore sistemazione del genere. (1) Mr. G. J. Baker's, Systema Iridacearum. London, 1878 (£ The Journal of the Linneal Society ,, vol. XVI. 2-4 » he a *» ’ ra è CO Sopra le deformazioni per distorsione dei solidi elastici, isotopi di rivoluzione. Nota di ERNESTO LAURA Sono ben noti i risultati acquisiti alla Teoria della Elasti- . cità con il metodo introdotto dal De St.-Venant per lo studio delle deformazioni dei cilindri, e le molte applicazioni che di questi studi furono fatte alla Resistenza dei Materiali. Questo metodo consiste, in ultima analisi, nell’annullare parte delle componenti di tensione e nel determinare le rimanenti in modo da soddisfare alle condizioni di equilibrio e di compatibilità. Più recentemente le deformazioni dei cilindri furono studiate (*) supponendo le tensioni attraverso ogni sezione, parallela alle basi, funzioni lineari (o più generalmente polinomiali) della quota della sezione stessa. Analoghe ricerche per solidi di altra forma, per quanto io sappia, ancora non furono intraprese metodicamente (?), benchè, forse, esse potrebbero essere di giovamento anche dal punto di vista delle applicazioni. Si è perciò che ho pensato di studiare le deformazioni di solidi limitati da una porzione di superficie di rotazione Z e da due sezioni meridiane 0,, 0s, ricercando per essi quelle distribuzioni di tensioni interne che dànno ten- (*) Cfr. W. Vorar (* Gòttingen Abhandlungen ,, Bd. 84, 1887). Cfr. pure C. SomioLiana, Micerche sulla deformazione e i fenomeni piezoelettrici in un cilindro cristallino (* Annali di Mat. pura e applicata ,, Serie II, Tomo XX, 1892), e per la Bibiografia dell'argomento: A. E. H. Love, The mathematical Theory of Elasticity, 1906, Cap. XVI. (*) Se si toglie la Memoria del Prof. E. Padova citata in questa Nota . a pag. 12. Il metodo (approssimato) pelle applicazioni usato per le defor- mazioni dei solidi ad asse curvilineo si può vedere esposto in FE. ALmansi, Introduzione alla scienza delle costruzioni, Cap. 1X (Torino, 1901). SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ECC. 33 sioni nulle sopra X e dipendono dalla longitudine 0 della sezione attraverso cui sono calcolate a mezzo di una funzione lineare di sen 9, così. Il risultato di questa ricerca, che sembrami interessante, è allora il seguente: Ze deformazioni qui considerate (supponendo che le facce 0,, 0, sieno coincidenti, cioè il dato solido abbia forma anulare) coincidono con quelle per distorsione di cui il Volterra (1) recentemente si occupò in modo affatto generale. Ne consegue subito (cfr. il n° 2): La determinazione delle deforma- zioni per distorsione dei solidi di rivoluzione dipende dalla inte- grazione di sistemi differenziali in due variabili indipendenti, di cui ho assegnato la forma generale. Si ottiene così un metodo semplice e diretto per la determinazione di questa classe di de- formazioni. Se poi si osserva che, operando una distorsione, si gene- rano particolari sforzi nei punti del taglio, si riconosce facil- mente, ammettendo valido per i solidi qui considerati il Prin- cipio di De St.-Vénant (cfr. n° 3), che il procedimento prima esposto può usarsi con vantaggio per la determinazione delle deformazioni di un solido S limitato da una superficie di rota- zione X e da due sezioni meridiane 0,, 0, quando la X è libera da tensioni e le sezioni 0,, 0, sono sollecitate da forze che si riducono prendendo, come centro di riduzione, un punto dell’asse di rotazione, o ad una forza ed un momento a quest’asse per- pendicolari, o ad una unica forza diretta lungo l’asse, o ad una coppia a quest’asse perpendicolare. Lo studio dei casi semplici di elasticità dei solidi qui con- siderati dipende perciò (cfr. n° 3) dalla integrazione dei sistemi (1), (III), (IV) con le condizioni al contorno (1°), III°), IV %), È allora evidente l’analogia di questo risultato con quelli clas- sici del De St.-Venant. 1. — Mi propongo dapprima di determinare la forma più generale delle componenti di spostamento che dànno tensioni che dipendono dalla longitudine 0 della sezione meridiana at- (4) Cfr. la Memoria riassuntiva delle diverse note pubblicate da quest’A, sull'argomento: V. VoLrerra, Sur l’équilibre des corps élastigues multiplement connexes. “ Annales de l'École Normale ,, XXIV, 1907. Atti dellu R. Accademia. — Vol. XLIX. a 04 Tee ° @w a 0 “a Rio e el 7» Wed è RR RIO CIT La AI P 3-1 Pte € Paes \ % 34 i ERNESTO LAURA - traverso cui sono calcolate a mezzo di espressioni lineari di sen 9, cos 0. Mi riferisco perciò ad un sistema di coordinate cilindriche r, 0, 2 ed osservo che ad analoga proprietà. soddi- sfanno le componenti di deformazione. Usando di notazioni solite si ha ora: du RIE Sa du (1) Cn dr ego = < d9 + pod 2% de ’ den; — dug U} dr: dur ita der DUE 1 dui du; en= +73; = ; “0 7a egg de dove le u,, %:, vg indicano le componenti di spostamento nelle direzioni r, 2, 0; le er, €::, 63 le tre dilatazioni nelle direzioni stesse e le er, e.4, e:4 gli scorrimenti. Si verifica ora agevol- mente che le espressioni più generali degli spostamenti che dànno dilatazioni (nelle direzioni r, 2; 0), funzioni lineari di sen 6, cos 8, sono le seguenti: : u,= A, send + B; così + Ci + ME (2) | us = As sen0 + Bs così + Cs + 9(r,0) u; = Ag sen9 + B; cos0 + C3 — f (2,9) + D; 8 nelle quali le lettere maiuscole indicano funzioni, per ora arbi- trarie, di r e 2; e f e @, funzioni pure arbitrarie degli argo- menti in essi messi in evidenza. Imponiamo che pure gli scorri- menti sieno funzioni lineari di sen @, cos 0. Si ha per le (1) e (2): du DIE fa dA dda (2 | da) Cra — dz t dr =(* d* h) sen 0 + + dr cos 8 + AE dC d*f(2,0 dP(r,0) VR “om ogni ARCI Per l’ipotesi posta dovrà dunque essere ; \ 0°/(2,0) | dP(10) _ 4 ’ ” (3) nasa + e = A' send + B così+ C°, le A4', B', C' indicando funzioni di r, 2. Si derivi la (3) prima rispetto a r e quindi rispetto a 2. Si deduce: dQ°A° Gila d° B 68 dC’ VIA. drda © ded ded SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ECC. 35 Potremo quindi porre : I AAA da, (1) das (2) BA sì + sro le e, %,... essendo funzioni arbitrarie dei loro argomenti. La (3) per queste posizioni si scinde nelle due equazioni: dP( Ri da, (r) sale sura si Risi dr te sen 0 {+= 0080 LL “i d°f(219) __ das(2) da ent AF(08) d200 =—— de sen@ gr? de cor: (e) la F essendo una funzione arbitraria di 0. Da queste integrando si ha: ®(r,6)= a, (r) seno + pi (1) coso + 111) +r “AL 0, (0) f(2,0) = — a3(2) coso + Rs(2) seno + 013(2) — 2/°(0) + + ®:(0) + f(2) le funzioni introdotte essendo arbitrarie. Sostituisco le espressioni così trovate per la @ e la f nelle (2) ed inglobo nelle A4,, B,, ... le a,, B,, ...; otterremo: ur = A, send + B, cos0 + C} — — -- TAO ino (4) Î uz = Ag seno + B, coso -+- (+ r + ®, (0) ug = 43 sen0 + B3 cos + G; Uso — D,(0)+- D, 0. \ Affinchè la e. sia lineare in sen@ e cos@ dovrà dunque aversi: = (5) do) 4a 1 dial IONE 32 = A'son8 + B'coso+C" le A", B", C" essendo funzioni di r, 2 Derivando i due membri della (5) rispetto a 2 si conclude: d? Da SD ddr 20 di (6) Guida de da =0. 36 ERNESTO LAURA Derivando invece rispetto ad r si deduce: (Mm Pio, dea, a_i da __M arde a de dr — è? dre. Al Dalle (6) e (7) consegue infine : a'=—t_2P p'=—L 29. o=24n Ds=dz+ y(r) | le a, B, P, 0, è, w, essendo costanti. La (5) si scinde allora nelle equazioni : LE + F+d9 + 2Psen0 + 2Q così —Y,=0 cas] + asen0 + B coso —w=0. Dalle quali integrando, ed indicando con a, 83, Ys costanti arbitrarie : ‘ F = — P0 cos6 — Q8 send + yi — d@ + as cos8 + B, sen0 ®, = 0 così — Bsen0 + 20009 + Ya. Le (4) divengono allora, inglobando delle costanti nelle A, Py us RE i ur = A; sen -|- B, così + C, — 2 (P0 send —Q9 0080) + LO ®) (8) n u, = A, sen8 + Bs così + C, + r (PO send — Q0 0068) A Î ug = 43 sen8 + Bg cos + C + 2(— PO cost — 90 seno) — — ®y(0) + 0Y(). Imponiamo infine alle funzioni che compaiono nelle (8) di rendere la e,g lineare in sen@, cos 0. Spragi mine le (1) si con- clude che dovrà essere : do, 40,0) da (9) 0-20 L 1 (0) — ° ym+1 PRO A”sen0+B’cos +” le A’, B'". C'" essendo funzioni della sola r. i Ri 2-0 sd 39 Ret, 6) 4 SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ECC. 37 Si derivi la (9) rispetto a 0 avremo: Y(, Y(») d® 1, de 2 “lA | = + | = A" così — B"' seno. Moltiplicando i due membri di questa equazione per 2 e derivando quindi rispetto ad r si deduce: @d dt) i derd” _ RITA Ae dr [È di e) dra Dalle quali : ASI ed + Br dove le %o, vo, è, E sono costanti. La (9) si scinde inoltre nelle due equazioni (dò essendo una nuova costante): 2 cai + d, — dè;jé = — 20, seno + 2u così +- d ò x CI! —_ dalle quali integrando si ha : D.(0) = — 200 così + 2,0 send + d, 0 + d. In definitiva le (8) acquistano la forma (inglobando come al solito delle costanti arbitrarie nelle A,, Bi, ...): ur = A,sen0 + B,cos9 + C, — 2 (Pasena — Q0c0s0) + + 0,9 send + 409 eosì (10) ) uv. = A»sen8 + B3cos0 + C, + r(Pasend — Q0c089) + w00 u = Azsen09 + B3c0s9 + Co d- 2 (— Po cost — Q0sen 0) + + 009 così — v00 send + Fr0. Sono queste le espressioni più generali delle componenti di spostamento in coordinate cilindriche che dànno tensioni attraverso la sezione meridiana di longitudine 9 dipendenti da 8 a mezzo di funzioni lineari di sen, così. 38 ERNESTO LAURA Riferiamoci a coordinate cartesiane ortogonali x, y, 2 di cui l'asse x giaccia nel piano 8 = 0. Si ha allora, dette come soli- tamente «, v, 0 le componenti di spostamento secondo questi assi: u = u, così — x sen 0 \ x =r così \ v=u,sen0 -|- vu; così I y=rsen0 | 0 ==7.Ux: Dalle (10) discende allora : \ u = (2,4, 2) + (uo + Q2 — Ry) aretang È (11) v= (x,y, 2) + (vo + Re — Pa) arctang > w= X (x,y, 2) + (wot Py — Qx) aretang È nelle quali le @, w, x sono funzioni uniformi delle «, y, 2. Il solido di cui le (11) indicano la deformazione sia di rotazione ed esterno all'asse e allora i tagli in esso fatti secondo i primi meridiani sono, secondo una dicitura del Volterra (Memoria ci- tata, pag. 419) equivalenti e le (11) dànno le componenti di una deformazione di cuì le caratteristiche della distorsione sono le quantità wo, vo, wo, P, 0, R. 2. — Consideriamo ancora le componenti di spostamento in coordinate cilindriche date dalle (10). Il solido S, di cui le (10) dànno la deformazione, sia limitato da una superficie X di rota- zione di asse 2 e da due piani meridiani 0,, 0. Sia s la linea meridiana (che supponiamo chiusa) e il solido S non abbia punti in comune con l’asse 2. Il solido S sia inoltre isotropo e non sollecitato da forze di massa. _ Le equazioni indefinite dell'equilibrio, a cui devono soddi- sfare le u., u,, % e che devono essere verificate in ogni punto di S, sì decompongono allora in equazioni differenziali nelle due variabili indipendenti r, 2 tra le funzioni incognite A,, Bi, ... e che devono essere verificate in ogni punto di 0. i RA p i; > Y SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ACC. 89 Indichiamo con @,, è;, è. le componenti della rotazione nelle direzioni r, 0, 2 e con © la dilatazione cubica. Si ha al- lora (1):. O=L È (ru) +15 pda > du ag TE co ii seni rai Con facile calcolo si ha ora: O=0; seno + ©, coso +O,=sen0|-1 3 5a ri; SAL po det prmeofl xB, dal pablo (Larga 2, =(f — dl Lapo 0) cos$ +(— ddr 4.206 — (12) = sa + r) send — o + = 2, i dd: 9 Po) seno +3 dB L 209) cos6+- ur co, = (I eri Ps — vo) sen@ da 200 RES Q2— to) coso +1 -d_.,0,+2Re. Le equazioni indefinite dell’ equilibrio in coordinate cilin- driche sono d’altra E DIE 1 db. A+ 2u)30 2U7 Sa +23 LUa fan Li 1 0 .TÒ) DICI EEE 1 do +8 +2 = 0 (4) Love, The mathematical Theory of Elasticity, 2° édition, pag. 56. 40 ERNESTO LAURA — t-2 LS dat a by». si Ponendo in queste equazioni per le 0, ,, da, Eo le espres- x sioni date dalle (12) e separando in esse i coefficienti di sen@, — cos8 si ottengono le nove equazioni seguenti: : i 4 « 2 si AAj— (41 B)+ Ed =0 ; 1) AB (Bj— A) +K-%=0 3 A (O) e | AA-G +53 29€ È 2 | AA,- È (4/+B)—K-®=0 | (I) = AB (B+A4)+Ed®=0 9 B, d0 "i | AD n \ SESTO RL ESTE. i 3 rì par Tall (11) dI I AC+ ES =o0 (Iv) ) AC-3=0 nelle quali si è posto: MS h) d? a=G+13+è Queste equazioni si ripartiscono in quattro sistemi a cui Pai soddisfanno le (A), Ag, B3), (Ag, Bi, Bs), (Ci, Ca), /,. I due primi sistemi non sono però effettivamente distinti ASn l'uno si trasforma nell'altro ponendo (A1, As, Bs, Quo) in luogo di (B,, B.ì, — As, a P, — vo). Per determinare le condizioni che devono essere verificate SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ECO. 41 in superficie determiniamo le sei componenti di tensione. Si ha facilmente: SS sen 0 + (0, + 2u I cos +10; + Re [o dc n EA 0; =(10; 4 op alia Uno) seno + DE (10, + 2u let Atm) cos +X0,+ 2u (Li E R) Zi =(10; + 2u | sen0 + RO B dia) cos8 + \0, + C: j + 2u Da 13 cn PUPA dAg — A3- Pz+- w B Ry= (4 AT — È) seno + + (32 dae IE 4) cos8 + ui (e — di R= (2 LL o) seno + p(3i + Al] cos + A B; B À; A= (30 —- 22 + p)seno + (3 4 o) così + \ 1 dC Wo è da $ Supponiamo la superficie X libera da tensioni, e sia v la sua normale interna (essa giace in 0 ed è pure normale ad s). Le condizioni superficiali saranno: E, cosrv + R., cosev=0 (14) {< ©, cosrv + O.cosev=0 Z, cosrv + Zs cosev=0. Esse per le espressioni delle R,, ... date dalle (13) si spez- ciale ditta STI RS TORA cut < "A 7 nia. Pas +9 ta 7 , at) o ATE ba < J î ur o - DE * fr , ” o pa 42 | ERNESTO LAURA bo: bo: zano nelle nove seguenti equazioni (ottenute eguagliando a zero. i coefficienti di sen 8, cos 8 nei primi membri delle (14): ?< el "700 A A . crt (torta e ai eta LOS P, (e) | (Bd + 34) 2 L (10, +2 de) de no, i [fia nine a) ione (opantt)z ta gio | o)! (384 2) ++ attezo I (postare zia (4 pi (0040) ) u (0 4 20) 2r 4 (10, 9u de) de È (vai e Queste equazioni come già quelle indefinite dell’ equilibrio si scindono in quattro sistemi contenenti rispettivamente i gruppi 7 di funzioni incognite (A,, 4g, Bs), (43, Bi, B3), (G,, 0a), Cs. Le equazioni (II”*) si riducono alle (1°*) ponendo (A;, 43, Bs} 9) in luogo di (B,, Bi, — 43, — P). I risultati della presente Nota si possono infine così rias- sumere (usando della nomenclatura di Volterra, Memoria citata): 1° Le componenti di spostamento di un solido di rivoluzione esterno al suo asse nel quale è operata (lungo la sezione meri- diana 6—= 0) una distorsione di ordine 1 ed una di ordine 5 si — possono rappresentare con le formole: di u, = A, send +- (0209 + 099) così u, = Ag send — Qr8 così ug = By cosò — (0209 + u,9) seno. SOPRA LE DEFORMAZIONI PER DISTORSIONE DEI SOLIDI, ECC. 48 Le A,, Az, Bg sono funzioni di r, z, e qualora il solido con- siderato sia omogeneo, isotropo e non sollecitato nè da forze di massa, nè da tensioni superficiali, soddisfanno il sistema (1) nei punti di 6 (sezione meridiana) e le equazioni (I°) nei punti di s (linea meridiana). 2° Le componenti di spostamento in un solido di rivoluzione nel quale lungo la sezione 0=0 è eseguita una distorsione di ordine 0 sono rappresentati con le formole : U, = Ci ua u = Br9. Le C,, C, sono funzioni di r, z le quali nelle ipotesi del pro- blema precedente soddisfanno in 0 le equazioni (II) e sulla linea meridiana s le equazioni (III°). 3° Eseguendo infine lungo la sezione 0=0 di un solido di rivoluzione una distorsione di ordine 3 le componenti di spo- stamento si possono rappresentare con le formole: 78) Us = Wo9 ug = Cs La Cz dipende solo dalle r, z e nelle ipotesi precedenti sod- disfa in 0 l'equazione (IV) e sopra s l'equazione (IV") (1). 3. — I problemi così postulati sono a soluzione unica. Di essi si può dare un’altra interpretazione meccanica de- terminando le tensioni interne sollecitanti ogni sezione. Consideriamo perciò un solido $S limitato lateralmente da una superficie di rotazione X e da due sezioni meridiane; il (1) Le deformazioni dei solidi di rivoluzione così definite già furono incontrate dal Prof. E. Papova, Sull'uso delle coordinate curvilinee in alcuni problemi dello. Teoria matematica della elasticità. Studi offerti dall'Università Padovana alla Bolognese nell'VIII centenario. € , ER A E RAI RA NA NI FIGI LE SO RO RIRE À . 7 RA , - ea do = ; a, È 4 Sa sa “i 44 ERNESTO LAURA — SOPRA LE DEFORMAZIONI, ECC. solido S sia inoltre esterno all'asse di Z. Ammettiamo che per questi solidi valga il principio enunciato in modo definitivo dal De St.-Venant (!) e conosciuto come il principio di equivalenza elastica dei sistemi di carichi staticamente equivalenti. Secondo questo principio le deformazioni che sono prodotte in un corpo per l'applicazione ad una piccola parte della sua superficie di un sistema di forze di somma geometrica e momento nullo sono di grandezza nulla a distanze ritenute grandi a confronto delle dimensioni lineari della parte considerata. Il solido S sia ora tale che la sua lunghezza longitudinale sia grande rispetto alle dimensioni trasversali della sezione meridiana 0; allora lo stato di deformazione, escluso al più regioni prossime alle sezioni ter- minali 0,, 0», dipenderà solo dalla forza e dalla coppia che costituiscono un sistema staticamente equivalente al sistema delle tensioni sollecitanti 0, e non dalla distribuzione delle ten- sioni stesse. Applicando allora un teorema di Volterra (Memoria citata, pag. 442) si vede subito che i problemi 1°, 2°, 3° equivalgono alla determinazione della deformazione dei solidi S ora consi- derati la cui superficie X non è sollecitata da forze, supponendo che le forze sollecitanti le sezioni terminali 0), 0s si riducono rispettivamente o ad una coppia per l’asse 2 e ad una forza appoggiata e perpendicolare all’asse 2 stesso, oppure ad una coppia giacente in un piano perpendicolare a 2, oppure ad una forza diretta lungo l’asse 2. Sotto questo aspetto, i sistemi (1), (III), (IV) con le condi- zioni al contorno relative (1°), (III°), (IV®), sono proprì di casi particolari di deformazione dei solidi S, i quali possono considerarsi come i corrispondenti di quei casi semplici di de- formazione dei cilindri che vengono studiati nei trattati di Re- sistenza dei Materiali (*). (') Cfr. ad es.: Love, The mathematical Theory of Elasticity, 2* edizione, pag. 129. (*) Cfr, ad es.: C. Guipr, Lezioni sulla Scienza delle costruzioni. Torino, 1909. Parte Il: Teoria della elasticità e resistenza dei materiali. C. SOMIGLIANA — ENRICO POINCARÉ 45 ENRICO POINCARÉ - Commemorazione di C. SOMIGLIANA. Pochi uomini di scienza hanno avuto ai giorni nostri così universale rimpianto e incontrastato riconoscimento di valore eccezionale, quanto ne ebbe, alla sua morte, ENRICO PoIncaRÉ. È poco più di un anno da che egli è scomparso, appena cin- quantottenne, e le pubblicazioni intorno a lui continuano nu- merose, rivelando sempre nuovi aspetti della sua poderosa opera scientifica. Il fatto è tanto più notevole trattandosi di un cultore delle matematiche, scienze le più lontane dal comune pensiero, ap- prezzate e comprese solo fra un numero limitato di studiosi. Esse non toccano problemi appassionanti della vita sociale, sono compatibili con tutte le credenze, non destano ire od amori eccessivi; solo richiedono un culto speciale, che assorbe quasi sempre tutte le energie intellettive di chi le coltiva. Ma la produzione scientifica del Poincaré, pur restando essenzialmente matematica, ebbe tali caratteri di estensione e generalità, in così perfetta consonanza colle tendenze evolutive scientifiche della nostra epoca, che si spiega perfettamente l'interesse grandissimo che essa ha destato in tutto il mondo intellettuale. La matematica nell'epoca moderna è andata per- dendo il suo carattere iniziale di scienza esclusiva del numero e della forma geometrica. Essa penetra sempre più in tutti i campi dello scibile e della vita, essa è divenuta il linguaggio comune delle scienze naturali prese nel loro significato più largo. Tutto il nostro sapere è imbevuto di spirito matematico. E anche le matematiche vanno perdendo in questa loro trasformazione quei caratteri di rigidità formale, che parvero un tempo co- stituire la loro essenza e formarono l'ammirazione degli antichi. 46 C. SOMIGLIANA La produzione scientifica del Poincaré rappresenta in modo «Pi mirabile questa evoluzione moderna della nostra scienza. Essa ha penetrato quasi tutti i problemi naturali a cui le matema- tiche furono applicate e quindi un campo enormemente esteso dell'umano sapere. Ed inoltre quando si è rivolta alla specula- zione analitica pura ha raggiunto altezze meravigliose di con- cezione e di invenzione che fanno pensare ai giganti del pen- siero matematico, quali Abel o Gauss. Egli ha fatto anche un’opera che si può dire eccezionale fra i cultori delle scienze esatte. Si disse che fu anche filosofo, Forse l’espressione non è esatta, in quanto egli non ha mai costruito nessun sistema di spiegazione generale dei fatti na- turali, neppure basato sui risultati scientifici positivi. Ma ci ha dato, nelle così dette opere filosofiche, le impressioni sue intorno alle teorie che andava costruendo, o che i contemporanei co- struivano, impressioni circa il loro valore intellettuale e pratico, — — — circa l'utilità dei metodi usati, circa le direzioni più probabili che prenderà nel suo evolversi il pensiero scientifico. Sopratutto poi ha sottoposto ad una critica acuta, sebbene talvolta un po paradossale, i fondamenti della scienza. Egli ci ha così svelato, in certo modo, la sua coscienza i matematico. La sua figura di scienziato si presenta così formi- dabilmente completa, nella sua forte ossatura, in ogni sua parte. Delineare queste singole parti, raccogliere con qualche pre- cisione i risultati ai quali egli è arrivato, dire quale sia stata l’origine e lo svolgimento delle grandiose teorie che egli ha dato alla scienza, è opera estremamente ardua e che non potrà essere compiuta che col passare del tempo e collo svolgersi successivo di molte idee da lui enunciate. Tanto meno posso pretendere di arrivarvi io in questa È Commemorazione — involontariamente tardiva — che null'altro vuol essere che l'omaggio doveroso della nostra Accademia ad ; uno dei suoi Membri più illustri e gloriosi. ; i I progressi dell'analisi matematica sono in gran parte legati. ai progressi del concetto di funzione. Dalle prime relazioni ele- ENRICO POINCARÉ 47 mentari fra due quantità variabili in dipendenza l’una dall’altra, alle quali portavano le equazioni lineari e quadratiche, o le semplici funzioni geometriche dell'arco di cerchio, il concetto di funzione, specialmente colla introduzione delle variabili imma- ginarie, è andato sempre più acquistando in generalità e com- plessità e quindi diventando mezzo sempre più potente alla risoluzione dei problemi analitici. Le difficoltà dell’integrazione dei differenziali algebrici hanno portato Abel e Jacobi, nella prima metà del secolo scorso, a scoprire un campo nuovo, immensamente vasto, di funzioni il cui studio ha arricchito la scienza di una delle più varie e complesse teorie che siano state pensate. La straordinaria mol- teplicità di rapporti e le leggi così complesse di dipendenza fra le variabili che si incontrano nella teoria delle funzioni ellittiche ed abeliane avevano dato materia di studio e di ricerca per circa un mezzo secolo agli analisti. Weierstrass in particolar modo aveva ridotte queste teorie ad una mirabile armonia e chiarezza; ma già si apriva la via a nuove scoperte. Il Poincaré, non ancora trentenne, fece fare al concetto di funzione un nuovo progresso, quasi d’un tratto, e di tale importanza da poter es- | sere paragonato a quello fatto dagli analisti della prima metà del secolo colla scoperta delle funzioni ellittiche. Come nella maggior parte delle scoperte matematiche il criterio che servì di guida al Poincaré fu un criterio di gene- ralizzazione per analogia, ma quale solo una mente poderosa, dotata di un intuito straordinario poteva immaginare. La teoria delle funzioni ellittiche aveva portato alle fun- zioni doppiamente periodiche, ossia a quelle funzioni che ri- prendono il loro valore per due aumenti costanti, ripetuti quante volte si vuole, attribuiti alla variabile indipendente. Erano già apparse in queste teorie anche funzioni le quali sì riproducevano pei valori della variabile formanti gruppi speciali. Il Poincaré partendo dai risultati fondamentali di Fuchs intorno alle proprietà degli integrali delle equazioni differenziali lineari, i quali costituiscono dei gruppi, allorchè la variabile indipendente compie un giro intorno ad un punto singolare, concepì il piano grandioso di una teoria completa delle funzioni, i cui valori non mutano per le sostituzioni della variabile co- 48 C. SOMIGLIANA stituenti un gruppo. Ciò richiedeva anzitutto uno studio esau- riente preventivo dei gruppi discontinui, quistione assai com- plessa e difficile, che il Poincaré seppe risolvere colla teoria dei gruppi da lui chiamati fuchsiani e kleiniani in omaggio ai due illustri analisti tedeschi Fuchs e Klein. L'analogia colla teoria delle funzioni jacobiane lo portò poi alla costruzione di funzioni che si riproducono a meno di un fattore per le sostituzioni del gruppo, e che mediante i loro quozienti dànno luogo alle funzioni cosidette automorfe, che ri- mangono del tutto inalterate per le stesse sostituzioni. L'importanza di queste ricerche è legata a due risultati di fondamentale importanza nell'analisi e di una generalità meravigliosa. Essi sono i seguenti: 1° Mediante le nuove funzioni si possono rappresentare gli integrali delle equazioni differenziali lineari, i cui coefficienti sono funzioni algebriche della variabile indipendente. 2° Le coordinate dei punti di una curva algebrica, me- diante le stesse funzioni, possono essere espresse come funzioni uniformi di un parametro. Il primo di questi risultati portava nel campo delle equa- zioni differenziali lineari una luce analoga a quella portata dalla teoria delle funzioni ellittiche nel problema della integrazione dei differenziali irrazionali. Il secondo forniva all’analisi un nuovo mezzo di ricerca nella teoria degli integrali abeliani. La immensa generalità di queste ricerche non permetteva al Poincaré di entrare nei particolari di queste nuove teorie, di cui egli tracciò con mano sicura soltanto le linee fonda- mentali. Cosicchè, a ragione, alla fine dell'ultima delle cinque poderose memorie che riassumono questi studi negli “ Acta Matematica , egli poteva concludere: “ dans les cing Mémoires que jai consacrées à l'étude des trascendantes fuchsiennes et klei- néennes je n'ai fait qu'effleurer un sujet très vaste, qui fournira aux géombtres l'occasion de nombreuses et importantes découvertes ,. Nell’analisi pura lo spirito di ricerca è in certo modo libero d’innalzarsi dove meglio l'immaginazione e la generalizzazione ENRICO POINCARÉ 49 lo invitano. Nelle quistioni di applicazione, quando si tratta di penetrare nell’intima natura dei fatti naturali, ci si trova invece davanti a quistioni che provengono da questi fatti stessi e che conviene affrontare direttamente. Nell’epoca in cui il Poincaré cominciò a svolgere la sua attività scientifica, alcune quistioni fondamentali, di straordi- naria difficoltà, dominavano la Fisica matematica. Egli le at- taccò con vedute nuove, valendosi della sua straordinaria pa- dronanza dell’analisi e arrivò a risultati, che anche attualmente rappresentano, si può dire, il limite delle nostre conoscenze. La quistione dell’esistenza delle soluzioni delle equazioni a derivate parziali, a cui conducono i problemi della Fisica ma- tematica, dopo che Weierstrass aveva provato non essere atten- dibile la dimostrazione di un principio geniale dovuto a Dirichlet, si presentava come formidabile per difficoltà e complessità. Schwarz e Neumann avevano trovato risultati importanti in casi speciali e indicata una via per la risoluzione che era al coperto da ogni obiezione. Il Poincaré cominciò col porre in evidenza come fosse stato a torto bandito dal campo scientifico il principio di Dirichlet. Esso poteva invece gettare molta luce sulla natura delle solu- zioni cercate, ed applicato anche in più larga misura di quella iniziale dovuta al suo autore. Naturalmente i risultati così ot- tenuti risentono del difetto d’origine, ma tale difetto può essere poi, in molti casi, sanato. Trovò poi un nuovo metodo per ri- solvere il problema classico di Dirichlet, completò in un'ampia memoria la soluzione di questo problema dovuta a Neumann estendendola a campi non più limitati dalla restrizione di essere convessi. Finalmente in un lavoro magistrale, pubblicato nei nostri “ Rendiconti del Circolo matematico di Palermo ,, consi- derò e studiò in modo completo l’equazione differenziale più com- plicata che sì presenti nei problemi di Fisica matematica, e che si riattacca particolarmente al problema delle vibrazioni dei corpi sonori ed al calcolo dei suoni fondamentali. Un problema che appartiene tanto alla Meccanica che alla Fisica matematica, ed ha speciale importanza per l’Astronomia, è quello delle forme di equilibrio d'una massa fluida in rota- zione. Ammesso lo stato iniziale fluido delle masse che costi- tuiscono i corpi celesti, questo problema implica la spiegazione Atti della R. Accademio — Vol. XLIX. 4. 50 C. SOMIGLIANA delle forme ellissoidiche, che noi effettivamente osserviamo nella. terra e nei pianeti, e ancora ci può rendere ragione del modo di formazione del sistema solare a partire dalla massa unica iniziale secondo la celebre ipotesi di Laplace. Mac Laurin e Jacobi avevano dimostrata la possibilità di forme speciali d'equilibrio ellissoidico, il primo per ellissoidi di rotazione, il secondo per ellissoidi a tre assi. Thomson e Tait nel loro grande trattato di Filosofia naturale poi avevano enun- ciate alcune proposizioni assai importanti, prendendo a consi- derare, oltre alla quistione della forma, anche quella della stabilità dell'equilibrio; e avevano indicato anche una nuova figura di equilibrio di forma anulare. Poincaré, proponendosi di dimostrare queste proposizioni dei fisici inglesi, stabilì anzitutto una teoria generale delle figure d'equilibrio e della loro stabilità, introducendo alcuni concetti nuovi, fondamentali per questo problema. Nel caso speciale di un pianeta fluido la sua forma dipende essenzialmente -dalla velocità angolare di rotazione. Egli prese quindi a studiare da un punto di vista generale le configurazioni di equilibrio stabile di un sistema, che sono funzioni di un parametro variabile. Chiamò equilibrio di biforcazione una configurazione d’equilibrio che si trova comune a due serie differenti di configurazioni d'equilibrio, corrispondenti alla stessa suecessione dei valori del parametro. Queste serie di configurazioni di equilibrio pos- sono farsi corrispondere ai punti di una curva di un certo spazio. L'equilibrio di biforcazione corrisponde ai punti d'in- contro di due rami di questa curva. Sussiste allora un teorema assai notevole. Seguendo cia- scuno dei due rami e passando pel punto di biforcazione le proprietà di stabilita e di instabilità dell'equilibrio sì scambiano sui due rami. E il teorema che il Poincaré chiamò dello scambio delle stabilità. Servendosi di queste idee egli potè ritrovare i risultati di Thomson e Tait, e stabilirne altri che gettano una nuova luce sull’importante problema, specialmente perchè permettono in certo modo di seguire le trasformazioni di forma che una massa planetaria dovrebbe aver subito nel processo successivo di raffreddamento e di condensazione. Conservando dapprima una forma ellissoidica di rivoluzione, la massa va continua- Pesa ii rn scettica te iaia i Abit rie ic a DI tà” (a , È o TR TP 7 I ENRICO POINCAREÉ 5I mente appiattendosi; per diventare poi, quando l’appiattimento ha raggiunto un certo limite, un ellissoide jacobiano a tre assi. In seguito assume una forma dissimmetrica piriforme, secondo una nuova forma d’equilibrio, scoperta da Poincaré, avente una specie di strozzamento centrale, che accentuandosi sempre più può infine portare alla separazione della massa in due corpi isolati. i L'analogia di questi risultati colle idee di Laplace è evi- dente. Tuttavia egli non osa servirsene nè per accettarle, nè per rifiutarle, a cagione dell’ipotesi dell’omogeneità, inerente a queste ricerche, mentre non concorda colle considerazioni di Laplace. Ben più arduo còmpito sarebbe il voler render conto dei lavori del Poincaré nel campo della Meccanica celeste, riguar- danti cioè il problema fondamentale dell’astronomia di posizione, il moto di un sistema di punti che si attraggono colla legge di Newton. Tre volumi intitolati: Les méthodes nouvelles de la Méca- nique céleste riassumono le sue principali scoperte in questo campo. Altri tre, che portano il titolo di Lecons de Mécanique céleste, professées à la Sorbonne, dànno un'esposizione delle teorie classiche e moderne secondo le sue speciali vedute. Vi sono nella matematica alcuni risultati di carattere del tutto negativo che rappresentano alcune delle più faticose con- quiste che la Scienza abbia fatto. Tale, per citarne una, la di- mostrazione dell’impossibilità della quadratura del cerchio, da pochi anni raggiunta, mentre il problema era stato posto da tanti secoli dai geometri greci. Una delle scoperte più importanti fatte dal Poincaré nella Meccanica celeste è appunto di questa natura, e consiste nella dimostrazione completa della non esi- stenza di integrali uniformi per le equazioni del moto di un si- stema di masse newtoniane, in numero maggiore di due, oltre gli integrali elementari già noti. Ciò ha portato ad un mutamento fondamentale d'indirizzo nel problema del moto. Poichè, data "l'impossibilità di una soluzione analitica generale, che compren- desse in sè tutte le soluzioni speciali, come avviene nel caso 5a C. SOMIGLIANA di due masse, altre vie conveniva cercare per l'indagine delle proprietà del movimento, già nel classico problema dei tre corpi. Il Poincaré percorse il nuovo cammino trionfalmente, proponen- dosi direttamente lo studio delle proprietà delle traiettorie sulle equazioni differenziali del movimento, e facendo rientrare nei nuovi metodi quasi tutte le più fondamentali quistioni della Meccanica celeste. Poichè, accanto al problema di assegnare quali furono nel passato e quali saranno nel futuro le posizioni degli astri che osserviamo, altre quistioni si impongono di in- dole più generale e di importanza fondamentale per la filosofia naturale. Si può infatti domandare se è rigorosamente vero che la legge di Newton sia l’unica legge che regge l’universo; ed anche ammesso che ciò si verifichi, si può chiedere se il nostro si- stema seguiterà indefinitamente nel suo moto regolare, che l'umanità da tanti secoli osserva, senza collisioni e senza di- spersione di materia. Sono quistioni fondamentali alla cui so- luzione è indispensabile il lavoro accumulato di molte ge- nerazioni. Ma anche al problema più pratico del calcolo effettivo delle posizioni degli astri, le ricerche del Poincaré hanno portato contributi importanti, con un’acuta analisi intorno alle serie usate per le soluzioni approssimate delle equazioni del moto e colla introduzione anche in questo campo di nuove idee e di nuovi mezzi di ricerca. Per chi volesse approfondire i mutu! rapporti che esistono fra matematica e fisica, sarebbe estremamente interessante lo studiare l'influenza che il Poincaré ha avuto nello svolgimento delle teorie fisiche più recenti, e la ripercussione che queste teorie hanno esercitato sulle sue indagini matematiche. Un articolo pubblicato pochi giorni sono dal Langevin nellà Revue du Mois (1), ci mette in evidenza come quasi tutte le quistioni e le ricerche più appassionanti di Fisica sperimentale (1) N. 94, 18 ottobre 1918, pag. 419. dat 0 | i se ene pg ' clint ENRICO POINCARÉ 53 siano state oggetto di profonde considerazioni da parte del nostro matematico, e come anche molte ricerche sperimentali siano state inspirate da lui. Ed è curioso ed interessante il fatto, ri- ferito dal Langevin, che il primo passo nel campo della radio- attività, dovuto al Becquerel, abbia avuto origine dal tentativo di verificare sperimentalmente una ipotesi del Poincaré. Il momento attuale della Fisica è caratterizzato da un’in- tima unione fra esperienza e concetto matematico. Mentre la tecnica sperimentale si affina sempre più, d’altra parte l’espe- rienza è spesso null’altro che la realizzazione di un concetto matematico. Si comprende perciò quanta attrazione abbiano esercitato i progressi moderni della Fisica, sul Poincaré, sempre intento in tutte le sue ricerche alla realtà del fenomeno, e che, padrone sicuro dell'analisi matematica, era in grado più di qualunque altro di piegarla ai bisogni della ricerca sperimentale. Furono dapprima le teorie di Maxwell che avevano trovato nel 1887 una così brillante conferma nelle esperievze di Hertz, lo scopritore delle onde elettriche, quelle che lo occuparono per lungo tempo. Egli imprese a studiarle sotto ogni aspetto ed a diffonderle in Francia, ove i metodi del grande fisico inglese avevano trovato un serio ostacolo nelle abitudini mentali di logico e ordinato rigore dei classici francesi. Egli approfondì le quistioni che si riattaccano alla propagazione delle onde elet- triche, fino a quelle che riguardano le applicazioni pratiche e la telegrafia senza fili. E si interessò tanto alla pratica ed alla tecnica relativa, che non disdegnò di insegnare per diversi anni nella Scuola superiore di telegrafia di Parigi. Ma sopratutto dovevano attrarre l’ingegno poderoso del Poincaré le nuove idee che si andavano diffondendo intorno alla costituzione dell’elettricità col ritorno ai concetti atomistici, e la teoria della relatività, che dovevano portare una rivoluzione negli antichi concetti della meccanica, e tutto quel complesso di teorie moderne per cui si va delineando una sintesi gran- diosa di tutti i fenomeni fisici e chimici. Il suo nome si trova fra mezzo a tutte le complicate di- seussioni che i nuovi indirizzi hanno sollevato, nè vi è punto delicato o difficile nel quale egli non abbia cercato di portare la luce del suo intelletto. Cosicchè, non perdendo la sua qualità di matematico, ha potuto contribuire validamente ai progressi 54 C. SOMIGLIANA — ENRICO POINCARÉ della Fisica, e provare col fatto come la Fisica matematica non sia quell’astrazione superflua, che parve talvolta a qualche in- domito sperimentatore. ci ESSA Giudicare ora in modo completo dell’opera scientifica del Poincaré è cosa estremamente difficile. Essa ha dimensioni troppo grandiose; e noi le siamo ancora troppo vicini. Non vi è dubbio che essa ha penetrato e dominato il mo- vimento scientifico delle Matematiche, della Fisica e dell’Astro- nomia negli ultimi trent'anni, come una forza travolgente che ha del meraviglioso. X Una tale foga appassionata di ricerche e di scoperte, una tale sovrapposizione di studi nelle più svariate direzioni, hanno dato alla sua produzione scientifica alcuni caratteri speciali che la differenziano dalla più gran parte. Volendo cercare un’im- magine sensibile, potremmo paragonarla a certe cpere di scul- tura moderna, ove solo le grandi linee sono tracciate, e pochi particolari sono ricercati e studiati. Molto quindi vi è da scoprire, da sviluppare, da comple- tare nella miniera inesauribile che egli ha aperto al mondo scientifico. Potrà anche darsi che qualche concetto debba ca- dere, qualche teoria rivelarsi inadeguata. Ma la grande figura dello scienziato scomparso rimarrà sempre, non vi è alcun dubbio, fra le più notevoli dell’epoca nostra. Egli sarà sempre da considerarsi come uno degli intelletti più alti che abbiano onorato l'umanità. i L’Accademico Segretario CorRADO SEGRE. : i i | È È i | | È CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 23 Novembre 1913. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manno, CarLE, De SanoTIS, RUFFINI, StAMPINI, Bronpi, Srorza, FinAupI, BAUDI DI VESME, SCHIAPA- RELLI e ReNIER Segretario. — Scusa l’assenza il Direttore della Classe CHIRoNI, il quale anche per iscritto ringrazia la Classe per la sua elezione a Direttore. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 22 giugno 1913. Il Presidente commemora il defunto Socio GrusePPE ALLIEVO, facendone notare il valore nelle discipline pedagogiche e la te- nacia nel propugnare le dottrine che a lui sembravano inconte- stabilmente vere. Comunica, inoltre, le molte condoglianze per- venute all'Accademia per questa perdita. Con elogi, offre il Presidente all’ Accademia, in nome dei singoli autori, le seguenti pubblicazioni: 1° Veronica Cybo, Spezia, tip. Zappa, 1913, del Socio Giovanni SFORZA ; i 2° una serie di scritti di diritto commerciale dell’avvo- cato Adolfo SacerpotI, fra cui emergono l’opera in due volumi Il contratto d’assicurazione, Padova, 1874-78 e Gli statuti marit-. 56 timi veneziani fino al 1255, Venezia, Visentini, 1903, editi per cura del SacerpotI e del compianto Riccardo PREDELLI; 3° La geografia nella scienza, nella scuola e nella vita so- ciale, Roma, 1913, discorso di Cosimo BERTACCHI; 4° Il crepuscolo della libertà savonese e l’opera di Giulio II, S. Pier d’Arena, Scuola tipografica Don Bosco, 1913, di Fede- rico Bruno e di Filippo NoBeRASCcO. A nome dell’ editore Giovanni Lobetti Bodoni il Socio STAMPINI offre il suntuoso volume Nei parentali di G. B. Bodoni, Saluzzo, tip. Lobetti Bodoni, 1913, encomiando l’idea di questa silloge commemorativa e la splendida esecuzione tipografica di essa in caratteri bodoniani, Il Segretario dona all'Accademia i seguenti opuscoli numi- smatici del valente investigatore di storia abruzzese Giovanni Pansa: Saggio di una bibliografia analitica della zecca medioevale negli Abruzzi; Documenti inediti relativi alle zecche abruzzesi nei secoli XV e XVI; Un decreto di Ferdinando I d' Aragona per la tutela dei ripostigli monetari, tutti stampati a Napoli, tip. Melfi e Joele, 1912. Per l'inserzione nelle Memorie accademiche il Socio ErmAupI propone una dissertazione di Carlo Contessa dal titolo: Aspirazioni commerciali intrecciate ad alleanze politiche della Casa di Savoia coll’Inghilterra nei secoli XVII e XVIII. Il Presidente designa a riferirne il Socio proponente EinaupI ed il Socio Srorza. Sono presentati per la pubblicazione negli Attî i seguenti scritti: 1° dal Socio Rurrini: Gian Carlo Buraggi, / giureconsulti dell’ Università di Torino nel Quattrocento, I, Signorino Omodei; 2° dal Socio RenieR: Santorre DesenEeDETTI, Due ballate del “ Sollazzo , di Simone Prudenzani. ) GIAN CARLO BURAGGI — I GIURECONSULTI, ECC. 57 LETTURE I Giureconsulti dell’Università di Torino nel Quattrocento. I. — Signorino Omodei. Nota di GIAN CARLO BURAGGI. Di Signorino Omodei, giureconsulto milanese vissuto fra la metà del secolo XIV e il primo quarto del XV, si è già occu- pato il Lattes, al quale spetta il merito di averlo definitiva- mente distinto così nella persona come negli scritti dall’altro più antico e più famoso giureconsulto Signorolo con cui i vecchi autori lo confondevano (1). Tuttavia finora poco o nulla si sa del periodo della sua vita trascorso a Torino e dedicato all’in- segnamento nell'Università che ivi fu aperta sul principio del quattrocento. È appunto agli anni della sua dimora in Piemonte che si riferiscono le presenti ricerche, le quali mirano a portare un contributo tanto alla biografia del giureconsulto quanto alla | storia dei primordi dell’Università torinese. $ 1. — Compiuti gli studi legali a Pavia, Signorino co- minciò assai presto a insegnare in quella Università (2); passò più tardi alle cattedre di Padova e di Piacenza, che occupò per breve tempo e alternatamente con quella pavese. Nel 1412 prese parte alla fondazione dell’Università di Parma, ed è dopo (1) Lartes, Due giureconsulti milanesi: Signorolo e Signorino degli Omodei nei “ Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere ,, serie II, vol. XXXII (1899), pp. 1017-1045. Alla bibliografia ivi citata conviene ora aggiungere il Codice diplomatico dell’ Università di Pavia, vol. I, 1361-1400, pubblicato dal Maroccni (Pavia, 1905). Fra le opere poi che tramandarono la confusione dei due giureconsulti Signorolo e Signorino in una persona sola, vanno annoverati anche i Privilegia almae taurinensis Universitatis, Torino, 1679, contenenti un catalogo dei professori che insegnarono a To- rino, nel quale è compreso Signorolo (p. 105). (2) Ebbe la licenza in diritto civile il 2 settembre 1378, la laurea il 20 maggio 1380. Cfr. Maroccai, op. cit., p. 53 n. 88 e p. 62 n. 112. L'inizio del suo insegnamento non data già, come si crede (LarTES, op. cit., p. 1022), dal 1383, ma da qualche anno prima. Infatti un documento del 4 maggio 1380 ce lo presenta già come lettore. V. MaroccHÙi, op. cit., p. 62 n. 111. 58 GIAN CARLO BURAGGI di allora che gli storici pongono la sua venuta a Torino. La cosa infatti non avrebbe potuto verificarsi che verso quell'epoca. È noto che lo Studio torinese, istituito nel 1404 con bolla di Benedetto XIII, ebbe nei suoi primordi vita assai stentata, e poco mancò che non morisse sul nascere. Prese a funzionare regolarmente soltanto alla fine del 1411, allorchè fu aperto in modo definitivo (1). L'Omodei pertanto non vi potè venire prima di allora; ma il trovarlo a Parma nel 1412 ci prova che nel primo anno scolastico (1411-1412) dello Studio testè rinnovato egli non ne faceva ancora parte. Forse vi fu chiamato nell'anno seguente, e certo nel terzo anno scolastico (1413-1414) già vi insegnava (2). $ 2. — A partire da questo momento la sua presenza a Torino è documentata a più riprese e in vari modi. Egli aveva fissato la sua abitazione “ in contrata sancti Grigorii ,, e cioè nella parrocchia in cui forse già allora, e certo più tardi, ebbe sede l'Università (3). Era il lettore più reputato dello Studio, (1) Cfr. VaLcauri, Storia delle Università degli studi del Piemonte, I, Torino, 1845, p. 44 e sgg.; Bona, Della costituzione dell’Università di Torino dalla sua fondazione all'anno 1848, 1, Torino, 1852, p. 1 e sgg.; Gasorro, L'Università in Piemonte prima di Emanuele Filiberto, Torino, 1898, p. 17 e sgg.; Rurrini, L'Università di Torino: profilo storico nell'° Annuario della R. Università di Torino 1899-1900 ,, Torino, 1900, p. 4 e sgg. (2) In seduta del 28 giugno 1414 il consiglio comunale di Torino de- liberò © quod in auxilium solvendi doctoribus legentibus, seu qui legent in futurum, de avere comunis dentur et concedantur prefacto illustrissimo domino nostro floreni ducenti parvi ponderis solvendi ipsis doctoribus omni anno dum studium in ipsa civitate tenebitur et ibidem legetur per do- minum Segnorinum de Omodeis legum doctorem, vel alium in legibus mayis ipso domino Segnorino famossum et ydoneum, et per dominum Ber- tolomeum Dinam decretorum doctorem, vel alium ut prefertur in decretis magis famossum et ydoneum, et non aliter nec alio modo , (Archivio co- munale di Torino, Ordinati, vol. 55, cc. 40 0-41 r.). (3) Il dibattimento della causa dei pedaggi, di cui farò parola in se- guito, si svolse appunto in casa di Signorino. I cittadini torinesi vennero citati a comparire il 23 febbraio 1415 * ad domum habitacionis prefati domini Signorini sitam in contrata san[e]ti Grigorii ,; e nel giorno fissato essi sì presentarono “ coram prefatis dominis comissariis sedentibus pro tribunali in domo habitacionis prefati domini Signorini in studio suo , (Archivio di Stato in Torino, Provincia di Torino, mz. 8°, n. 1: atti della causa, ce. 2». e 6r.). La chiesa parrocchiale di S. Gregorio sorgeva poco ri Po pa I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO NEL QUATTROCENTO 59 il quale per altro scarseggiava ancora di insegnanti. Vi aveva per colleghi Bartolomeo Dina (1), Pietro Besozzo (2), Francesco de Thomatis (3), e, per poco tempo, anche Cristoforo Casti- discosto dal luogo in cui è presentemente la chiesa di S. Rocco. Cfr. Ci- BrARIO, Storia di Torino, Torino, 1846, vol. II, p. 172. Lo Studio era allora allogato in varie case che il comune teneva in affitto. Nel 1443 ne acquistò alcune poste di fronte all’attuale chiesa di S. Rocco per adibirle a sede dell’Università, che vi si fissò e vi rimase fino al sec. XVIII. Cfr. Vartauri, op. cit., I, p. 92, n.3; Dupors, Raccolta per ordine di materie delle leggi, ece., t. XIV, vol. XVI, Torino, 1847, p. 111 in nota; Gasorto, op. cit., p. 41; RurrINI, op. cit., p. 9. (1) Di questo lettore il Vallauri non ricorda che il nome, serivendolo però inesattamente: Bertoglino Duyna (op. cit., I, p. 51). Bartolomeo Dina (Dina, de Dinis) di Valenza studiò all’Università di Pavia dove si licenziò in diritto canonico il 22 novembre 1397 e si addottorò in ambe leggi il 17 novembre 1398. Cfr. MaroccHi, op. cit., nn. 616 e 719. Insegnò diritto canonico nello Studio pavese dal 1402 al 1411. Cfr. Rosorini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, vol. V, parte II, Pavia, 1836, pp. 116-117. Nella causa dei pedaggi dibattutasi nel 1415 tra il principe Ludovico d’Acaia e alcuni cittadini torinesi, fu invitato ad assumere la difesa d'ufficio di questi ultimi che erano privi di avvocato. Egli però rifiutò “ dicens..... pro sui excusatione quod advocationi et patrocinio dicte cause nequiret intendere, cum fuerit et sit alteratus propter insolitum iter per ipsum nuper factum in partibus Allamanie, propter quod iter habuit et habet spiritus comotos et afflictos ita et taliter quod ob id in ipso debita sanitas non viguit nec -viget; tum etiam quia etsi in debita sanitate persisteret, in qua tamen non persistit, non teneretur advoca- tionis officium assumere contra prelibatum dominum dominum principem, cum fuerit et sit in eius obsequis et serviciis astrietus et deputatus, et ab eodem exinde emolumenta percipiat, etc. , (Archivio di Stato in Torino, Pro- vincia di Torino, mz. 3°, n. 1: atti della causa dei pedaggi, ce. 70 v.-71r. [6 maggio 1415]). (2) Per notizie sul Besozzo v. ArGkLatI, Bibliotheca scriptorum mediola- nensium, Milano, 1745, t. I, p. II, col. 154 e t. II, p. II, col. 1951; RoBoLinr, op. cit., pp. 120 e 203. Venne allo Studio torinese con Signorino Omodei, e insieme con lui se ne allontanò poco prima della morte del principe Ludovico di Acaia, passando a Pavia. Cfr. Rosonini, op. cit., pp. 120 e 203. Durante la sua permanenza in Piemonte occupò, oltre quella di lettore, anche la carica di avvocato fiscale deì principe Ludovico. (3) Il nome di Francesco de Thomatis è il primo che figuri nel cata- logo dei dottori ascritti al collegio dei giureconsulti di Torino. Cfr. Statuta venerandi sacrique collegii iurisconsultorum Augustae Taurinorum, Torino, 1575, p. 26. Fu uno dei tre riformatori dell’Università creati con patenti del 29 settembre 1424. Cfr. [Garti], Cariche del Piemonte, Torino, 1798, II, p. 3; Vaccauri, op. cit., I, p. 53; Boxa, op. cit., p. 60; Gasotto, op. cit., rd È © - V” . e: Yes eg è Lal. Yice x . 60 GIAN CARLO BURAGGI I glione (1). Ignorasi a quanto ammontasse il suo onorario di lettore (2); ma risulta che il comune di Torino, il quale già si dibatteva in quelle strettezze finanziarie che furono una delle principali cause della traslazione dello Studio a Chieri avvenuta un paio di lustri dopo, non sempre glielo corrispondeva con pun- tualità (3). Probabilmente questa circostanza ebbe il suo peso nella decisione dell’Omodei di allontanarsi dall’ Università su- balpina dopo avervi insegnato per pochi anni. Poichè la sua partenza non ebbe luogo, come comunemente si crede (4), in se- guito alla morte di Ludovico d'Acaia. Mentre infatti quel prin- p. 29. Più tardi, nel 1433, venne innalzato alla carica di presidente della suprema generale udienza. Cfr. [GaLLI], op. cit., I, pp. 157-159; DronisorTI, Storia della magistratura piemontese, Torino, 1881, I, p. 63, nota 2. Morì verso il 1460: “ nuper defunctum , è detto in un documento del 17 feb- braio di quell’anno. Cfr. Archivio di Stato in Torino, Protocolli Segretari ducali, Serie Archivi di Corte, vol. 98, e. 455. (1) Per notizie su Cristoforo Castiglione vedasi PanciroLo, De claris legum interpretibus, Lib. II, cap. LXKXX; AreeLaTI, op. cit., 1I, 11, coll. 355-856; Trraposcni, Storia della letteratura italiana, tomo VI, parte II, Modena, 1790, p. 506; Rosotini, op. cit., V, 1, p. 99 e 175-176; MaroccÙI, op. cit., passim. Fu uno dei lettori che vennero a Torino per la riapertura dello Studio del 1411, ma se ne allontanò assai per tempo. Nel 1419 il Capitano del Piemonte inviò espressamente a Milano Francesco de Thomatis perchè lo riconducesse all'Università torinese. Cfr. Dusors, op. cit., t. XIV, vol. XVI, Torino, 1847, p. 83 in nota. Ma il Castiglione non accettò l’offerta e rimase a Pavia, ove allora insegnava, fino alla sua morte avvenuta nel 1425. Cfr. RosoLini, op. cit., V, 11, p. 99. (2) All'Università di Pavia nel 1418 Signorino godette lo stipendio di 600 fiorini. Cfr. RosoLini, op. cit., V, rr, p. 100. Per gli onorari assegnatigli nel sec. XIV v. MaroccHi, op. cit. (3) Il consiglio comunale di Torino il 7 marzo 1415 fu chiamato a provvedere “ super satisfaciendo et solvendo domino Segnorino legum doctori pro secunda solucione sui salarii eidem alocati per illustrem do- minum nostrum Achaye principem ,. Il 9 settembre dello stesso anno do- vette deliberare “ pro satisfaciendo domino Signorino de Homodeis qui dicitur habere debere in deductione salarii sui pro lectura id quod comu- nitas Taurini pro presenti dare debet quasi videlicet pro duobus terminis ultimis,. E in seduta del 30 ottobre dell'anno predetto ebbe ancora a. decidere * super inveniendo modum et viam de solvendo domino Segno- rino legum doctori... [et aliis)... qui habere debent a comunitate , (Ar- chivio comunale di Torino, Ordinati, vol. 55, c. 139 r., 197 r., 223 r.). (4) Pancrroto, op. cit., Lib. II, cap. LXIV; RopoLisi, op. cit., pp. 177-178; Lares, op. cit., pp. 1022-1023. I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO NEL QUATTROCENTO 61 cipe mancò ai vivi il 6 dicembre 1418, Signorino era già iscritto fin dal 4 ottobre di quell’anno nel rotulo dei lettori dell’ Uni- versità di Pavia (1). Per altro il suo abbandono del Piemonte precedette di poco la fine dell'ultimo degli Acaia, giacchè ab- biamo la prova che nel 1417 egli insegnava ancora a Torino (2). Lasciò questa città insieme con Pietro Besozzo, e con lui tornò a Pavia. Entrambi partirono senza ottenere il pagamento dei loro onorari; e alcuni anni dopo gli eredi di Signorino, già morto, e il Besozzo, tuttora in vita, ne erano sempre in credito, tanto che Cristoforo Castiglione scrisse un consiglio in difesa dei loro diritti (3). $ 3. — Ma l’attività di Signorino Omodei in Piemonte si esplicò anche fuori del campo dell’insegnamento. A Torino egli aveva subito conquistato quella preminenza cui gli davano di- ritto il suo sapere e la sua fama. Il principe Ludovico di Acaia non tardò a crearlo suo consigliere (4) e, presentatasene l’oc- (1) RosoLini, op. cit., pp. 100 e 177. (2) Il 30 agosto 1417 il consiglio comunale di Torino deliberò “ con- scideratis rationibus et de causis contentis et descriptis in refformacione proxime precedentis conscilii celebrati, scilicet attentis honore et comodo qui et quod pretextu studii comunitati et hominibus Taurini perveniunt, quod per ipsam comunitatem pro anno proxime futuro solvantur et solvi debeant scole seu salaria scolarum ubi presencialiter legitur per dominos Signorinum, Petrum de Bissucio, dominum Franciscum de Thomatis, dominum Bertolomeum Dinam et medicos, et ultra non, obstantibus multis et diversis gravaminibus et honeribus quibus ad presens dicta comunitas subiacet et habet, in auxilium solucionum doctorum qui hoc anno venturo legent ut assueverunt hic in Taurino dentur et solvi debeant floreni centum parvi ponderis sive ad rationem solidorum XXXII viennensium pro quolibet, sub condicionibus tamen ac modo et forma quibus infra declaratut, etc. , (Ar- chivio comunale di Torino, Ordinati, vol. 57, c. 73 v.). (3) Pancrroro, op. cit., Lib. II, cap. LXIV; TirasoscHI, op. cit., t. V, parte I, p. 317; Sauri, Sulla condizione degli studi nella Monarchia di Sa- voia sino all’età di Emanuele Filiberto, Torino, 1843, p. 154; VALLAURI, op cit., I, p. 52; Lartks, op. cit., p. 1023. (4) Lettere di commissione per la causa dei pedaggi del 19 feb- braio 1415: “ Ludovicus de Sabaudia princeps Achaie, etc. dilecto consci liario nostro domino Segnorino de Homodeis de Mediolano legum doctori famoso, ete. ,; lettere di citazione spiccate da Signorino il 22 febbraio dello stesso anno: “ Nos Signorinus de Homodeis legum doctor ac consi liarins prelibati domini, ete. , (Archivio di Stato di Torino, Provincia di Torino, mz. 3°, n. 1: Atti della causa dei pedaggi, c. 1 »., 2 r.). lele) 62 GIAN CARLO BURAGGI casione, si valse dell’opera sua di giureconsulto affidandogli un incarico di speciale importanza. A quei tempi diversi privati cittadini torinesi esigevano in forza di antica consuetudine da chi transitava per la città due pedaggi, denominati l’uno “ del- l'imperatore ,, l’altro “ del marchese di Monferrato ,. Il prin- cipe di Acaia volendo impedire l'ulteriore esercizio di tale pre- teso diritto, nel 1415 li chiamò in giudizio per mezzo del proprio procuratore fiscale, dopo di aver delegato la decisione della controversia a un apposito collegio composto di tre giudici : Signorino Omodei, Beltramo Cornaggia (1) e Francesco de Tho- matis. Fu Signorino che presiedette il giudizio e diresse il corso della causa la quale si trascinò per parecchi mesi (2). Non sap- piamo quale esito sortisse; certo non terminò con un giudicato definitivo perchè poco dopo venne ripresa e portata davanti ad altro magistrato. Anche allora Ludovico d'Acaia ricorse a Si- gnorino, che da giudice era ritornato libero giurista, e lo inca- ricò di assumere il suo patrocinio. E Signorino scrisse un lungo consiglio a sostegno delle ragioni del principe (3). (1) Beltramo Cornaggia, giudice di Moncalieri, era stato condiscepolo di Signorino all’Università di Pavia. Ivi infatti lo troviamo nel 1376-77 rettore dei giuristi. Cfr. Maroccni, op. cit., pp. 44, 46, 47, 50, nn. 55, 63, 66, 67, 76. (2) Sono giunti fino a noi gli atti di questa causa, e si conservano nell'Archivio di Stato di Torino, Provincia di Torino, mz. 3°, n. 1. Signo- rino Omodei, Beltramo Cornaggia e Francesco de Thomatis furono inve- stiti dei loro poteri con lettere del principe Ludovico d'Acaia del 19 feb- braio 1415, e subito si accinsero al compimento del loro mandato, citando i cittadini torinesi esattori dei pedaggi a comparire alla loro presenza il 23 febbraio. Da questo momento cominciano gli atti della causa e vanno innanzi fino al settembre, con il qual mese termina l'incarto processuale che è incompleto. (3) Di questo consiglio steso da Signorino e convalidato da Pietro Besozzo, da Bartolomeo Dina e da Michele de Amberris (?) ci è stato tra- mandato l'originale che si custodisce nell'Archivio di Stato di Torino, Pro- vincia di Torino, mz. 3°, n. 1. Esso è costituito da un fascicolo cartaceo in-f° di ce. 26 n. n., delle quali le prime 22 contengono il consiglio e le ultime 4 sono bianche. Il testo venne scritto da un amanuense, e le sole sottoscrizioni sono uutografe. Comincia così: * In nomine Patris et Filii et Spiritus San[e]ti glorioseque Virginis Marie nec non beate Catarrine pa- trone mee amen. In questione vertenti inter illustrissimum ac excelsum dominum dominum Lodovicum de Sabaudia Achaye principem... ,. Le sot toscrizioni sono in questi termini: * Secundum ea que vidi in procesu et sedia be < miserie cc i) cante LI I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO NEL QUATTROCENTO 63 $ 4. — Questo consiglio è assai interessante perchè si ag- gira sull’istituto della prescrizione immemorabile; esso costi- tuisce anzi un contributo non spregevole alla letteratura medie- vale intorno all'argomento (1). L'acquisto del diritto controverso (esazione per parte di privati cittadini di nova vectigalia) per il decorso di tanto tempo cuius principii memoria non existit, avrebbe potuto verificarsi secondo Signorino non già in forza della prescrizione vera e propria, che per operare richiede il possesso o il quasi possesso accompagnato dalla buona fede, e nemmeno della consuetudine propriamente detta, il cui valore deriva unicamente dal consenso popolare, ma soltanto in forza di una speciale consuetudine che formatasi con l'esercizio con- tinuato sciente e paziente ‘il principe, diventa come un tacito privilegio del principe stesso. Ecco il fondamento del diritto : la concessione del principe che il concorso di certe circostanze fa presumere avvenuta tacitamente. Com'è naturale, Signorino, dimostrato questo assunto, passa poi a provare che non sussiste- vano a favore dei cittadini torinesi le condizioni di fatto ri- chieste per giustificare l'acquisto del diritto stesso. In questo _ scripturis utriusque partis ita videtur in iure ut supra plene concluxum est mihi Signorino de Homodeis legum doctori, et in signum huius me subscripsy et sigillum meum aposuy. — Similiter ita in iure videtur ut supra conclusum est per prefatum dominum Segnorinum michi Petro de Besutio legum doctori, in quorum testimonium me subscripsy sigillumque meum apposui consuetum. — Et idem videtur dicendum michi Bartholameo de Dinis iuris utriusque doctori prout supra conclusum fuit per prefatos spectabiles et egregios dominos doctores, et in testimonium premisorum me propria manu subscripsi et sigillum meum aponi iusi, etc. — Et ego Michael de Amberris (?) legum doctor dico de iure et consulo prout supra conclusum est, et in huius testimonium me manu propria subscripxi et corneola mea qua pro nunc utor signavi ,. Ogni sottoscrizione è accompa- gnata dal sigillo. Quello di Signorino raffigura un dottore seduto sulla cat- tedra in atto di leggere. In basso è lo scudo con lo stemma del giurecon- sulto (un leone rampante). La leggenda, in carattere gotico maiuscolo, è la seguente: © x S. SEGNORINI . D. HOMODEIS . LEGVM . DOCTORIS ,. — Insieme con l’originale del consiglio si trova una copia non autentica. (1) Quanto alla prescrizione immemorabile vedasi ScauPrer, Ad imme- morabili, tempo immemorabile, prescrizione immemorabile nel © Digesto ita- liano ,, vol. I, p. I, Torino, 1884, pp. 69-79; e per le vicende dell’istituto in Piemonte dopo Emanuele Filiberto, MoxGini, La prescrizione immemorabile nel diritto piemontese: tema di laurea, Torino, 1906. 64 GIAN CARLO BURAGGI consiglio vi sono alcuni passi notevoli perchè ricordano il giu- reconsulto Signorolo (1). E però strano che Signorino, il quale secondo le testimonianze più attendibili (2) sarebbe stato suo figlio, parlando di lui lo chiami semplicemente “ dominus meus ,. $ 5. — Di consigli scritti dall’Omodei durante il suo sog- giorno in Piemonte ce ne è pervenuto anche un altro che verte in materia feudale e penale (3). Nel 1414 era stato commesso a Cuorgnè un furto di 250 ducati d’oro in danno di Antonio Varaglia; e avendo poi questi ricuperato il denaro sottrattogli, i signori di Cuorgnè pretendevano che esso spettasse a loro anzichè al derubato. Contrastandolo il Varaglia, quei feudatari sì rivolsero per un parere ai due giureconsulti Signorino Omodei e Girardo de Calcinado, ciascuno dei quali stese un consiglio. La questione era troppo ovvia per richiedere una lunga tratta- zione; bastarono perciò poche parole ad entrambi i giuristi per dimostrare che il prodotto del furto doveva restituirsi al pro- prietario, giacchè non ricadeva in alcun modo nel novero dei diritti signorili. A TIA Et plene notat recolende memorie dominus meus dominus Segnorolus de Homodeis in 1. II C. Nova vectigalia..... agi Unde ille summus legum monarcha dominus Segnorolus in 1. II C. Nova vecti- galia, quam publice repetiit in civitate Padue dum ivisset in comittiva illustrissime domine Ysabelle uxoris condam illustris ac excellentissimi do- mini domini Luchini de Vicecommittibus, in materia presenti sic dicit, ete. ,. È Sf Et dicit prefatus dominus meus..... , (Originale del consiglio, ce. 2r.,, 40,5 v.). (2) Cfr. Osro, Documenti diplomatici tratti dagli Archivi milanesi, vol. 1, Milano, 1864, p. 276, n. CC; Rosotisi, op. cit., p. 177. (3) Si legge in copia del sec. XV a cc. 22 v.-23 r. di un codice degli statuti di Valperga conservato nella Biblioteca di S. M. in Torino (Muno- scritti di Storia Patria, n. 618%, Cfr. Fontana, Bibliografia degli statuti dei comuni dell’Italia superiore, Torino, 1907, vol. III, p. 260). Il breve consi- glio di Signorino comincia così: “ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti glorioseque Virginis Marie nec non beate Catherine patronee (sic) mee amen. Prime questioni qua queritur an dieta peccunia..... ” ed'è sottoscritto in questi termini: “ Et ita dico et consulo ego Segnorinus de Homedeis (sic) legum doctor, ete. ,. Devo la conoscenza di questo ms. d>gli statuti di Valperga all'amico conte dott. Giuseppe Frola, il quale lo darà alle stampe nel suo Corpus statutorum Canapicii di imminente pub- blicazione. ddl pera, 7.) SANTORRE DEBENEDRTII — DUE BALLATE DEI « SOLLAZZO », ECC. 65 Due ballate del “ Sollazzo ,, di Simone Prudenzani. Nota di SANTORRE DEBENEDETTI. T. Il marito entro l’albero e la simulata cecità (1). Ho già accennato altrove a questo soggetto (2), che ora riprendo con maggiore informazione, non già colla pretesa d’esaurire l'argomento, ma per lumeggiare meglio che prima io non abbia fatto la novella del Prudenzani intitolata Violentia. Dobbiamo volgere la nostra attenzione ad un racconto del Panciatantra (3), che, non più testimoniato nelle letterature orien- tali, risulta in occidente sotto molteplici forme: “ C'era una volta in un certo paese un Bramino di nome “ Yaginadatta. La moglie di lui, una sgualdrina innamorata d’un “ altro, senza posar mai faceva ciambelle con burro e con pez- “ zetti di zucchero, e di nascosto del marito le portava al suo “damo. Ma, un giorno, il marito vedutala far cotesto, le disse: “O cara, che è quello che là si vede? e dove porti tu sempre “ tutto ciò? Suvvia dimmi la verità. — E quella, come se ri- “ spondesse da senno, così rispose fintamente al marito : C'è non lontano di qui un oratorio della santa Dea. Io, come ho “ digiunato, le porto oggi per la prima volta in offerta questi “ scelti cibi. — Così, sotto gli occhi di lui, togliendo con sè “ (1) Per la bibliogr. v. J. Borre, in “ M. Montanus Schwankbiicher ,, Tii- bingen, 1899 (“ Bibl. des Litter. Vereins in Stuttgart ,, 217), p. 611. Al Bolte stesso vado debitore di parecchie indicazioni bibliografiche, delle quali lo ringrazio pubblicamente di tutto cuore. (2) L’Orbo che ci vede, in “ Miscellanea Crescini ,, p. 523 sgg. (3) Trad. Pizzi, Le novelle indiane di Visnusarma, Torino, 1896, p.174; nella trad. del Benrey, Pantschatantra, Leipzig, 1859, p. 276. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. UT LRIALI = DIS $i 2LR PIL 66 SANTORRE DEBENEDETTI “ tutta quella roba, s'incamminò verso l'oratorio della Dea. Con “ questo pretesto dell’avergli indicato la Dea, ella pensava: Mio “ marito si crederà che la sua Bramina, appunto per la santa, è “ solita portar con sè quei tali cibi scelti. — Così adunque, in- “ tanto che, venuta all'oratorio della Dea, entrando nel fiume per “ Je abluzioni di rito, essa attendeva a lavarsi, il marito, andatole “ dietro per un'altra via, sì appostò in modo da non essere ve- “ duto, dietro il simulacro della Dea. La Bramina frattanto, fatte le abluzioni, entrata nell’oratorio della Dea; fatte le pu- rificazioni, le unzioni, e data l’offerta delle ghirlande, dei suf- fumigi e d'altro, inchinando la Dea, così le si volse dicendo: . “0 santa Dea, in qual maniera mio marito potrebbe diventar “ cieco? — Udendo ciò, il Bramino, con voce contraffatta e “ stando pur sempre dietro la Dea, mormorò queste parole : “Se tu darai continuamente a tuo marito alimento di ciambelle “ di burro e d’altro, ben presto egli diventerà cieco. E la sgual- “ drina, ingannata da quelle finte parole, così tutto il dì diede “ di quelle cose al Bramino. All’altro giorno il Bramino disse: “0 cara, io non vedo più tanto bene! — Udendo questo, la i “ donna pensò: Ecco che mi è stata fatta la grazia della Dea! “ Allora, il damo di lei, l'amante del suo cuore, senza sospetto “e pensando: Questo Bramino che fra poco sarà cieco, cosa “ mai mi potrà fare? — cominciò a recarsi da lei ogni giorno. “ Ma un giorno il Bramino, vedendolo entrare, quando se lo “ vide vicino, afferrandolo per i capelli, tanto lo malmenò con “le busse, incominciando col bastone e coi calci, che quegli “ morì. Reciso poi il naso alla rea mogliera, la discacciò ,. = » ® La novella consta di 3 parti : 1° Un mawito che sospetta della moglie adultera, si na- sconde in un luogo sacro ch'essa frequenta ; 4 ;% 2° Appreso che ha l'intenzione di accecarlo, simulando la voce della divinità, le consiglia, per raggiungere l'intento, di impartirgli alcune vivande e propriamente delle ghiottornie; 3° Fingendosi cieco, può sorprendere in flagrante gli adulteri, che punisce. È 3 î 2 È È 5 È 3 d,, VIT: nc” Ai te DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 67 * * * Poichè nelle versioni e nelle opere sulle quali più o meno venne ad agire il vetusto Panciatantra la nostra narrazione manca, e d’altra parte, come vedremo subito, essa risulta non meno in Italia che in Germania, in Russia, ecc., riesce mala- gevole dire per qual via siasi propagata in occidente. La più antica redazione a me nota è quella contenuta nel Sollazzo (1). | La ballata tratta di donna Fiore, che tradisce il marito, purtroppo monocolo ma ottimo balestriere (il Magagnato), con un ricco amante, Carglicosta. Più volte, vicina ad essere sco- perta, colla sua presenza di spirito era riuscita a salvarsi (2). Il misero, per vero, vive sospettoso, ma come fare ad ac- certarsi ? “ Moglie mia , un bel giorno le dice: “ ho da raccontar- “ tene una bella: la quercia della Costa stamattina mi ha par- “ lato; essa risponde a tutte le domande e sa tutto. Mi consigliò “ ch'io, per salvarmi l’anima, ‘ te tegnia sempre in palma Et che io non aggia altra speranza ’ ,. La donna vorrebbe correr subito; il marito la persuade essere più utile interrogar l’al- bero di mattina. | “« (1) Il Sollazzo e il Saporetto, ece., ed. DezeneDErTI, nel Suppl. n. 15 del “ Giorn. stor. ,, p. 45. (2) Un giorno costei, che usava “ per suo cenno , una mascella con- ficcata in un bastone, avendo dimenticato il consueto segnale, sente l’amante venire : il marito è in casa! Come fare? Con una ballata ammonitrice av- verte Carglicosta del frainteso, poi, quando è vicino, con un buon pretesto giustifica la sua presenza (È ispirato dal Boccaccio : v. DEBENEDETTI, Spunti e motivi boccacceschi in un antico novelliere umbro, in © Miscellanea Renier,, Torino, 1912, p. 682). Un'altra volta il Magagnato è sul punto di cogliere in flagrante gli adulteri. Senza perdersi d'animo, donna Fiore nasconde l’amante dietro il canniccio, e, col pretesto d’un sogno che le aveva rivelato che la vista marito era completamente guarita, gli copre l’occhio sano. Carglicosta può ancora una volta svignarsela (cfr. per questo motivetto, che in grazia della Disciplina clericalis ebbe un'immensa fortuna, W. SoperBJELM, Oculus- Linteus, in ° Neuphilologische Mitteilungen ,, 1912, p. 57 sgg.). 68 SANTORRE DEBENEDETTI Questa quercia era internamente vuota e ad essa accedevasi per un foro di sopra. Nessuno lo sapeva. Il Magagnato andò a rimpiattarcisi dentro. Donna Fiore giunge e incomincia a parlare collo ‘ spirito remposto quicie’. Lo spirito le domanda se essa desideri la morte del marito. “ Non la morte sua , risponde “io voglio, “ ma potermela godere liberamente col mio amante ,. La cosa è assai semplice. Lo spirito le dice ch'egli perderà la vista, se essa gli darà a mangiare, per venti giorni, delle galline nere e delle lasagne, e a bere del duon vino. | Donna Fiore, tornando, racconta tutto a Carglicosta, ch’ è ben lieto di pagare le spese della “ cura , pur di godersela colla donna. © E così si fa per l'appunto quel che l'oracolo aveva consi- gliato. A poco a poco, a misura che gli si ammanniscono quelle certe vivande, il marito dà a credere che la sua vista s’indebo- lisce e finalmente, dopo venti giorni, è costretto ad andare col bastone, ed inciampa ad ogni passo. Carglicosta ormai va e viene a suo talento, e, sicuro del fatto suo, osa persino ba- ciare donna Fiore in presenza del Magagnato, che fremendo stringe i denti. In seguito il Magagnato prega un amico, promettendogli un buon compenso, di venirsi a nascondere in casa sua; da un altro ottiene di potersi valere della sua “ rocchetta ,. Ciò fatto, entra in casa e prega la moglie di condurlo in letto perchè da solo non può. Essa l’accompagna. Poi, secondo il solito, Cargli- costa arriva e le si pone accanto amorosamente. Allora il ma- rito, impaziente di vendetta, con un colpo di balestra uccide la femmina, e, coll’aiuto dell'amico, trascina Carglicosta, ben le- gato, alla “ rocchetta ,; per riscattarsi, il prigioniero deve pa- gare 6000 ducati. La principale differenza fra i due racconti consiste in questo, che il marito non si cela in un luogo sacro, ma entro il cavo d'un albero, al quale ha attribuito, creduto, virtù profetiche e di cui viene a rappresentare lo spirito. Si potrebbe aggiungere che le vivande hanno un carattere all Canali ” ET, Ran | e SO iii i he ii dti DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 69 più determinato che nel Panciatantra: trattasi di galline nere in numero di venti. Non è un elemento importante la diversità della forma del castigo: il castigo “ orientale , delle adultere consiste nel taglio del naso; qui la donna è uccisa con un colpo di balestra. L’a- mante è bastonato a morte nel Panciatantra: i costumi borghesi che noi possiamo conoscere traverso il Sercambi, il Sacchetti e il Prudenzani, ci mostrano i mariti punto alieni dal castigare gli amanti sorpresi con forti multe. Già altra volta ho accennato che le astuzie della moglie (v. p. 3, n. 2) non entrano in nessuna redazione dell’“ orbo che ci vede ,, ond’è ben da credere che il Prudenzani per rendere la novella più ricca ed interessante abbia cucite due tradizioni, giuntegli dal Decamerone, e, indirettamente, dalla Disciplina cle- ricalis, colla nostra storia. Per il rimanente, vedremo subito qual giudizio convenga pronunziare. Le numerose redazioni raccolte di questa novella, sì potreb- bero dividere in due gruppi: 1° Più vicino, sostanzialmente, al Panciatantra, ove il ma- rito, od altri per lui, celasi in chiesa, simulando la voce d’un santo o la voce divina: 2° Gruppo che si collega col “ culto degli alberi , ed ha il suo più antico rappresentante nella novella, or ora descritta, del Sollazzo. Non intendo qui che di raccogliere alcuni appunti intorno a questo secondo ramo. Che la novella già in oriente, o tra genti orientali, abbia assunta questa forma è assai probabile. La credenza che gli al- beri possano essere popolati di spiriti ammonitori od onniscenti è diffusa non meno tra gli Indiani che tra i popoli semitici. Ed un inganno, ordito appunto sfruttando questa credenza, è ricor- dato nel Panciatantra stesso in una narrazione, che per essere contenuta nel 2° libro, lascierà dietro di sè una lunga scia. Alludo al dissidio tra il Savio e il Matto. E se così stanno le cose, la novella non aveva alcun bisogno di svestirsi di questo suo carattere come fanno le novelle per “ adattamento , quando p vengono a trovarsi in contatto con una ciyiltà diversa da quella che le ha prodotte, chè l’accennata superstizione non è punto estranea all’occidente. 70 SANTORRE DEBENEDETTI Certo, la nov. conservata dal Prudenzani è antichissima. Basta osservare che in un territorio assai lontano odesi ancora e con mirabili somiglianze. E bensì vero che dell’adulterio non si fa cenno, ma esso risulta dal complesso. Una tale, raccontasi nella Russia Grande (1), s'annoia col vecchio marito, ed egli se n’avvede. Per provarla, un giorno, tornando dalla campagna, le racconta d'aver trovata una pro- digiosa quercia che gli chiarì molti segreti. Poichè la donna vuole consultarla, il marito si nasconde entro il cavo dell’al- bero. Giunta, costei inginocchiatasi s'’ affretta a domandare come mai potrebbe rendere il consorte cieco, ed ottiene la so- lita risposta: “ Fiittere ihn nur fetter, brate eine Henne mit Schmeten, koche Graupen mit Milch, backe Talken mit viel Butter, dann wird er stockblind werden ,. E così avviene. Ure- dendolo cieco, convita i suoi amici, che s'ubriacano ben bene. Profittando d'un momento che la femmina è uscita per attin- gere dell'altro vino, il marito esce fuori, uccide tutti gli ospiti e pone in bocca a ciascuno una frittella, come s’ essi fossero morti soffocati. È troppo manifesto, chi ponga mente alle altre varianti ed alla gravità del castigo, che, se pur l'amante non è men- zionato, tutta questa faccenda si collega cogli amori della donna, e che forse, anzichè d’uno, come altrove, trattasi qui di nume- rosi drudi. Ciò che colpisce è l’albero incantato, una quercia, come presso il Prudenzani. Insieme con questa andrà posta una narrazione raccolta a Kiew (2), per aversi ivi conservato l’albero che parla. Il servi- tore si nasconde entro la pianta ed alla padrona che passa per colà dà per consiglio di apprestare sia a lui, sia al padrone: “ Mehltaschen und Eierspeisen..... Wonach sie beide stumm und wahnsinnig wiirden ,. Così infatti avviene, ma, quando costei sta sollazzandosi coll’amante, i finti muti si slanciano su di lui e l’uccidono. Troveremo nello stesso territorio, invece del semplice albero, (1) J. Jaworskis, Santt Stòlprian, in “ Ztsch. des Vereins fir Volks- kunde ,, 8 (1898), p. 221. (2) Jaworsk1s, p. 220. DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 71 delle pseudo-divinità silvestri (1). Queste ultime rappresentano «un adattamento e una modificazione della forma più semplice e rudimentale. Una femmina amoreggia con un giovanotto. Il marito se n’accorge e le dice: “ Sono andato al bosco, e ho trovato Nicola Duplianscoi: tutto ciò che gli si domanda egli l’accorda ,. Egli poi, assai per tempo, va nel bosco, trova un antico pino, si nasconde dentro. La donna fa cuocere “ des pàtés, des pains ronds, des crèpes au beurre ,, e s'avvia a pregare Nicola Du- plianscoi. Giunge presso l’albero, vede un vecchione, e pensa: “ Ecco il piccolo padre Nicola Duplianscoi, rivolgiamogli la nostra preghiera: Rendi cieco mio marito! ,. Il vecchio le pro- mette d’accontentarla, purchè lasci il paniere colle vivande, ed essa depostolo se ne va. Costui esce subito dall'albero, divora il contenuto della cesta, e ritorna a casa camminando a tentoni. Alla moglie che l’interroga risponde che ha perduto la vista. Essa l’accompagna a dormire. Il giovanotto non si fa lungamente aspettare, ed a lui l’amante offre delle frittelle, ch’egli si mangia con molto gusto. Temendo che soffochi a furia d’impinguarsene, la donna va a prendere del burro. Durante la sua assenza, il vecchio afferra una balestra e l’uccide, poi gli riempie la bocca di frittelle, come s’egli fosse soffocato, e ritorna a dormire. Qui viene ad innestarsi un altro motivo, assai comune, quello del “ prétre qu’on porte ,, che presentemente non ci interessa. Aitra versione: La moglie d'un pope aveva un amante. L’operaio se n'era accorto, onde la donna pensò di disfarsene. Va da una fattuc- chiera, che la consiglia di recarsi nel bosco ad interrogare Ni- cola Duplianscoi. Essa acconsente. “ L’ouvrier s'est complète- “ ment barbouillé et a saupoudré sa barbe de farine, il monte “sur un sapin et gémit ,. La donna subito gli domanda: “ Pic- colo padre Nicola, come potrò liberarmi del pope e dell’operaio? ,. Esso risponde: “ Sarebbe peccato ucciderli, rendiamoli ciechi. Domani fa cuocere molte frittelle, e imbevile di molto burro : essi ne mangeranno e perderanno la vista ; inoltre dà loro delle ova: mangiatele, perderanno l'udito ,. La popessa ritorna a casa (1) Kryptadia, I, 240. (p?4 SANTORRE DEBENEDETTI e s'occupa delle frittelle e delle ova. Il pope e l'operaio si disponevano ad andare ai campi, ma essa con sollecitudine, li fa mangiar ben bene, in conformità delle prescrizioni dello spi- rito. Mangiato ch’ebbero, dissero di veder tutto buio. La popessa li conduce “ sur le poéle ,, e chiama senz’altro l’amante, col quale si diverte. A questo punto i due uomini discendono e li legnano di santa ragione. Prima di finire, voglio ancora citare una novellina che si racconta a Charkow (1). Il servo d’una tale che amoreggia col parroco, una domenica, mentre essa è in chiesa, si nasconde nel coro ed ascolta le sue preghiere. La sventurata domanda come possa liberarsi del marito e del servitore. Dal suo nascon- diglio costui le risponde: “ Va domattina nel bosco e racco- mandati a S. Iwan Kusényk ,. La mattina seguente il servo la precede e va a nascondersi entro l'albero. Là giunta, la donna accende innanzi alla pianta un lume e incomincia a pregare. L'albero le risponde: “ Koche Obstsuppe und Mehltaschen und brate eine Henne ,, dopo la prima vivanda entrambi verranno sordi, dopo la seconda, ciechi, e dopo la gallina moriranno. E tutto avviene a questo modo. Morti i due pericolosi testimoni, la donna convita l'amante; ma essi a un tratto balzano fuori, li bastonano entrambi e li cacciano via. È evidente che, se il servitore consiglia alla femmina di recarsi a pregare l’albero, ciò prova che al suo responso attri- buivasi veramente fede. E la cerimonia del lume acceso presso la pianta, ci lascia intravedere oscuri riti sepolti in un’antichità remota. Notisi che il servo poteva assai bene dal suo nascondiglio dare quella risposta che invece riserva alla pianta. * >* _>* Sin qui noi abbiamo ritrovati quasi tutti gli elementi della ballata del So/lazzo. Un punto però mi rimaneva ancora oscuro. È noto che presso molti popoli le galline nere son riguardate con un senso di superstiziosa paura, onde taluno potrebbe in- dursi a credere che questa piccola variante sia stata introdotta (1) Jaworskrs, p. 220-1. 5 » : E° è $ ‘ cit e int cri ti ci DUE BALLETE DEL « SULLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 73 dal poeta stesso per rendere alquanto più credibili ed efficaci le parole dell'oracolo. Invero, in parecchie novelline citate ri- cordansi bensì le galline, tuttavia piuttosto come vivande ghiotte e alquanto rare per la povera gente, che come cibi forniti d’una particolare virtù. La novella originaria, io penso, suggeriva all’adultera d’ap- prestare vivande, o in forma o in numero tale da influire sulla sua piccola mentalità, sì ch’ella credesse potersi agevolmente con tal mezzo accecare un uomo. E le galline che ancora com- paiono nelle novelle russe son forse elementi disgregati e privi ormai di significato d’un motivo che nel So/lazzo ha ancora una salda espressione. Mi conferma in questo pensiero una redazione veronese (1). Ecco il consiglio dato alla donna per ottenere l’intento: “ Hai tu galline a casa?, — “Ne ho dodici e un gallo ,. — “ Eb- bene, dagliele da mangiare, una per volta, e quando sarai al gallo vedrai che avrà perduta la vista ,. Non si tratta, è vero, di galline nere, ma il “ consigliere , influisce sulla donna col numero, che è il tredici. È dunque certo che, anche per questo particolare, il Pru- denzani non fece opera personale. = IT Storia del Mangiacipolle. La follia di Marcone parve al Prudenzani (2) veramente degna di riso e scherno. Questo contadino, “ perfido , come (1) La mujer che ’olea copar so marì, pubbl. da A. BarLaporo, in “ Niccolò Tommaseo ,, I (1904), p. 85. Si divide in 3 parti: 1° alla voce dell’albero o del santo si sostituisce il consiglio del confessore, cioè, a dir meglio, del “ marito confessore , (v. per questo le note del Bolte, nel- l’op. cit., p. 606); 2° il “ confessore , persuade la donna ad accecare il marito colle vivande accennate e poi a buttarlo in un fiume ; 8° ottenuto l'intento, la femmina conduce il marito lungo il fiume, ma quando proprio son vicinissimi all'acqua, egli spalanca gli occhi e la precipita giù, ove annega (la variante del “ cieco annegato , è comunissima: l'esempio più vecchio di quest'inserzione è fornito da un “ meistergesang, di H. Voet, Die Keskiichlein (1541). (2) Il Sollazzo, ed. cit., p. 70 (Pertinacia). # 74 SANTORRE DEBENEDETTI ogni altro villano, fatto prigione (non sappiamo perchè) venne in potere d'un certo Sbardellato (1), che non mancò, per istrap- pargli larghe promesse, di tormentarlo ben bene. E tra i mar- tiri, Marcone, ch'era agiato, stabilì per sua taglia 30 fiorini. Ma poi il pensiero di dover pagare la bella somma non gli lasciava pace, e di sua bocca uscivano continui lamenti. Lo Sbardellato che l’udiva, gli propose (per compassione!!) “ tre partiti ,: Se un ne fai, agia per carte Che sirai fuor di presgione. Marcone s'’affretta ad accettare : Vuoi mangiar(e) trenta cipolle? Vuoi tu trenta bastonate ? Se non, fa che sien pagate Fiorin trenta, ch’è tua talglia. Per quanto le cipolle sian grosse, par questo ancora il più lieve castigo. Il villano mangia e mangia, ma giunto alla ven- tesima è costretto a domandare pietà : «Slo io crepo et ardo! Non ne va più giù boccone. E tuttavia, prima di pagare, vorrebbe sostenere le basto- nate: lo Sbardellato l’accontenta e con tutte le sue forze lavora a rompergli la persona. Dopo 28 colpi, quando la sua pertinacia par così vicina alla vittoria, Marcone si sente venir meno, e domanda pietà, disposto a pagare i fiorini d’oro. Così fece e poco dopo potè ritornarsene a casa, ma così malconcio che tutte (1) Si potrà ricordare, data l'estrema rarità del nome, che ai tempi del Prudenzani visse un Conestabile di 125 fanti ai servigi di Francesco Sforza, che chiamavasi ‘ Sbardellato da Civita Ducata ,. Costui, d’accordo con Niccolò Piccinino, tentò di tradire il suo signore (luglio 1484), che, avvisato, lo pose alla tortura senza però riuscire a strappargli la confes- sione; poi “ perchè era guasto, lo fe' ben medicare e tennelo seco , (v. Cro- nache e Statuti della città di Viterbo, ed. Ciampi, Firenze, 1872, p. 143-4). . DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 75 le medicine riusciron vane, e morì. Naturalmente fu dannato, come responsabile della sua morte. A le spese di Marchone Ridarem (comme fo folle!); De denari et de cipolle Fo corecto et de bastone. * * * La novella ha una lunga storia. Se noi ci rivolgiamo, come di dovere, all’oriente, nel Tan- trakhyayika ritroveremo tutta quanta la nostra ballata: Un ladro di cipolle è costretto dai giudici a scegliere tra il pagare 100 rupie d’ammenda, il ricevere 100 bastonate, il . mangiare 100 cipolle. Tenta quest’ultima prova, che non gli riesce che in piccola parte (ne divora 7 od 8), poi la seconda, . che parimente gli fallisce, onde si rassegna a pagare fra le risa della gente (1). Assai per tempo penetrava questo esempio tra i popoli se- mitici. È da notare che, invece delle cipolle, troveremo un pesce marcio. Il re manda un servo al mercato a comprargli un pesce. Come costui torna con un pesce andato a male, il re gli dice: “o mangialo, o ricevi 100 legnate, o paga un'ammenda ,. Tenta bensì d’inghiottire l'amaro boccone, e vanamente pure tenta di sopportare i colpi, sì che da ultimo conviene che paghi. Questa variante si raccomanda per la sua antichità. La pesicta che contiene il nostro racconto s’attribuisce da alcuni al IV sec. D. C.; altri vorrebbe assegnarla al 700 circa. L'esempio è posto in bocca a Rabbi Ismaele che viveva nel II sec. D. C. (2). Come sia giunto al Prudenzani è difficile dire. Ma poichè trattasi di una di quelle narrazioni che ai predicatori offrivano materia di esempio, la sua diffusione e trasmissione orale è per questo assicurata. (1) F. Herret, Eine indische Quelle zu La Fontaine (Contes et Nouvelles, I, 11), in © Studien zur vgl. Literaturgesch. ,, 5, 131. Altre recensioni che con questa si collegano son ricordate dallo stesso, Tantrakhyayika, die dilteste Fassung des Paricatantra, Leipzig u. Berlin, 1909, 1, 139. (2) Per questa ed altre redazioni affini v. T. Zacmariar, Die indische Erzihlung vom Zwiebeldieb, in “ Studien , cit., 6, 362 sgg. 76 SANTORRE DEBENEDETTI In Occidente il racconto entrava nel gran filone della sa- tira contro il villano. Con quella del Sollazzo coincide la du- plice redazione conservata dalla Summa praedicantium di Giovanni Bromyard: (1) AT ut sic in processu suo illi assimiletur rustico, qui po- tius elegisse legitur quinquaginta cepas quam sustinere quinqua- ginta ictus vel magnam quam dominus postulaverat dare pecu- niam. Sed cum tot cepas comedisset et tot ictus sustinuisset, quod plures nec concedere nec sustinere poterat, pecuniam solvit primo requisitam. Mic sicut de illo qui potius quam certam summam daret domino suo, elegit quinquaginta comedere cepas, deinde quinqua- ginta sustinere ictus. In quibus duobus dum multum fuisset vexatus, de pecunia petita ultimum exsolvit quadrantem. Dato il carattere dell'opera (la Summa è un Manuale in servizio dei predicatori) è naturale che ivi non s’abbia più d’un semplice schema. Sta però di fatto che qui, come in tutte le successive elaborazioni, trattasi di cipolle anzichè di pesci, il che è quanto dire che sulla diffusione del racconto in occidente non operò la variante semitica. Manca la motivazione della pena. Anche presso il Pauli, che dal Bromyard deriva, è espressa in modo indeterminato: “ es was ein buer der wider sein iunckern gethon ,. Il padrone gli fa la solita proposta: “ entwe- ders er solt .L. rowe ziilblen essen, oder .L. streich uff seinen blossen rucken lassen schlagen, oder .L. schilling geben ,. Il villano era ricco, ma, piuttosto di pagare, s’appigliò alle ci- polle: dopo 3 o 4 cede e passa alle bastonate: dopo 3 o 4 s'in- duce a sborsare i quattrini. Come è noto, Hans Sachs (2) due volte trattò questo mo- tivo che gli era ispirato dal Pauli. Salvo che, a rendere più interessanti e significativi questi casi, venne a fondere parecchi altri elementi novellistici: il villano risulta tanghero e mali- zioso, e però meritevole d'un buon castigo. (1) Citato dall’Oesterley nelle note al Schimpf und Ernst del Pauli, Stuttgart, 1866, p. 512. (2) Stimtliche Fabeln und Schwinke, ed. Goetze e Dreschen, Halle, 1894, 2, n. 349; 5, n. 627. deliocii ii A i: Miani ict RIA RA Gi "97 Z alari 1 i ei To LAIe ù tal vai e DUE BALLATE DEL < SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 77 si Apro una breve parentesi per accennare ad una torbida tradizione, che, misera e guasta, giunse all’orecchio di Gior- dano Bruno; nella penultima scena del Cundelaio (1582) egli l’andò sviluppando a’ danni d’un pedante, Mamphurio. Non vo- lendo costui sborsare certa quantità di scudi, Sanguino l’obbliga a scegliere fra “ diece spalmate con questo ferro di correggia , ed “ un cavallo de cinquanta staffilate... a brache calate ,. Dopo alcune “ spalmate ,, si rassegna piuttosto ai colpi di staffile: i lazzi si moltiplicano, il pedante sbaglia il conto, convien rico- minciare un paio di volte. Sinchè, non potendone proprio più, esclama: “ Misericordia: prendetevi gli scudi, la giornea, e tutto ‘quanto quel che volete, dimittam vobis... , Doveva essere ben poco diffusa la novella nella sua wvera forma, se questo frammento ebbe una certa fortuna benchè manchi il tratto così comico e così adatto alla scena e alla grossolanità dei gusti teatrali del tempo, delle indigeste cipolle. L’opera tradotta nel 1633 col titolo Boniface et le Pédant, fornì a Molière argomento per una scenetta (A. I, Int. JI) del Malade imaginaire (1% rappresentazione 10 febbraio 1673). Po- lichinelle, preso dagli Arcieri che pretendono 6 pistole, rifiutasi . di pagarle col pretesto di non aver quattrini. E costoro: Au défaut de six pistoles, Choisissez donc, sans fagon, D'avoir trente croquignoles, Ou douze coups de bàton. Dopo 15 “ croquignoles , preferisce le bastonate; dopo 6 colpi, paga senz’altro le 6 pistole (1). x * * Di questo tenue rivoletto giovava fare ricordo, solo perchè la scenetta del Boniface solevasi addurre come fonte d’un no- (1) Nell'Ed. dei Grands Écrivains, 9, p. 334; a p. 493 è riprodotta la scena, or ora accennata, del Candelaio. VITÀ LO e si St 78 SANTORRE DEBENEDETTI tissimo “ conte , del La Fontaine, conte d'un Paysan qui avait offensé son Seigneur (1665). È inutile indugiarsi a confutare un'opinione che poteva solo sussistere quando non si conosce- vano precedenti e redazioni parallele ben più vicine al “ conte , che non sia la scena di (Giordano Bruno. E lo Zachariae ha perfettamente ragione scrivendo: “ meines Erachtens haben wir gar kein Recht, Giordano Bruno, La Fontaine und Molière mit- einander zu vergleichen und diesen Vergleich etwa zu ungunsten La Fontaines ausfallen zu lassen ,. Il titolo originario era Conte d'un Gentilhomme espagnol et d'un Paîsan, son vassal ; altre varianti avremo occasione di os- servare in seguito (1). Par superfluo riassumere un conto che la maggior parte dei lettori conoscerà a memoria : Un paysan son seigneur offensa : é L'’histoire dit que c’étoit bagatelle ; Et toutefois ce seigneur le tanga Fort rudement: ce n’est chose nouvelle. Per sua bontà il padrone, invece di farlo morire, come avrebbe diritto, gli lascia la scelta : ou de manger trente aulx, Ù snthindi sans boire et sans prendre repos; Ou de souffrir trente bons [var.: cinquante] coups de gaules, Bien appliqués sur tes larges épaules; Ou de payer sur-le-champ cent écus. Poichè a queste proposte mostruose il contadino grida: mi- sericordia! il gentiluomo veramente offeso che questo disgraziato osi ancora rispondere, ordina senz'altro che lo si impicchi. — Che fare? Convien dunque provare il triste giuoco. — Dopo 12 teste d'aglio non ne può più: vuol bere. Gli si offre gaia- mente del buon vino. Ormai la scelta è limitata ai colpi di bastone e agli scudi. Prima d’indursi a pagare, fa fidanza sulla forza dei suoi muscoli. Ai colpi vigorosissimi, prima si racco- manda a Gesù, poi digrigna i denti, si curva, saltella, il viso fa un’orribile smorfia, e infine grida disperatamente. Il signore continua, colla sua consueta gravità, a dar ordine ai manigoldi (1) Nell'Ed. dei Grands Écrivains, 4, 131, DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO » DI SIMONE PRUDENZANI 79 di flagellare senza posa. Dopo 20 bastonate, finalmente il con- tadino s'arrende e paga. Ce paysan eut beau s'humilier; Et, pour un fait assez léger peut-étre, Il se sentit enflammer le gosier, Vuider la bourse, émoucher les épaules... Certo, tolto di mezzo, ed a ragione, il Boniface, rimaniamo completamente al buio. Dove mai l'avrà pescata il La Fontaine? Altri andò arzigogolando sopra una “communication orale , del d’Herbelot, ma converrebbe almeno esser sicuri che il d’Her- belot conobbe questo motivo, il che io non garantirei. D'altra parte, perchè proprio pensare all’Oriente ? Da più secoli la no- vella correva, se non proprio in Francia, in paesi vicini. Lo Zachariae pensa che la fonte immediata sia tedesca, e ravvi- cina il principio del “ conte , a quello della facezia del Pauli (Pauli: “es was ein buer der wider sein iunckern hat gethan ,; La Fontaine: “un paysan son seigneur offensa ,). Ma il La Fon- taine non ha mai ricavato nulla direttamente da scrittori tedeschi. Fu già osservato che nella prima redazione VA. aveva lo- calizzata la scena in Ispagna, e questa circostanza, se non fu dettata da ragioni di prudenza, potrebbe far sospettare una fonte spagnuola. Forse nuove indagini risolveranno l’interessante problema. Prima di finire, voglio ancora accennare ad una versione danese (1). Il contadino che, facendo. legna, ha ingannato il suo signore, deve presentarglisi ed è costretto da lui a pagargli 20 talleri, ovvero a ricevere 50 bastonate od a mangiare 20 ci- polle. Incomincia da queste, poi passa alle seconde e da ul- timo paga. Che su questa novellina abbia agito il “ conte , io non credo, sia perchè i numeri non corrispondono, sia perchè il ca- rattere della narrazione continua la satira contro il villano, rivelandosi quindi a noi come un frutto popolaresco e tradi- zionale. Le poche redazioni a noi note si possono dividere in due gruppi : (1) Nit Vade mecum til Tidsfordriv, Kisbenhavn, 1783, n. 635 (p. 268). 80 SANTORRE DEBENEDETTI — DUE BALLATE DEL « SOLLAZZO », ECC. 1° Gruppo indiano (cipolle). 2° Gruppo semitico (pesce marcio). Il primo ebbe una grande fortuna, chè molti secoli dopo il suo nascere ci risulta superstite in vari territori e lontani l’uno dall’altro; al secondo invece non arrise che una vita effimera e puramente letteraria. Originariamente dovevasi proprio trattare d'un ladro di ci- polle. Il carattere ladresco del contadino risulta ancora presso Hans Sachs e nella redazione danese. Altrove la colpa non è espressa, il che non meraviglia, perchè l’interesse novellistico consisteva soprattutto nella triplice prova. Nel racconto primitivo il numero delle cipolle, delle basto- nate e delle monete era certo uguale: e ciò. s’osserva ancora in tutte le redazioni, fuorchè in quella del La Fontaine e nella danese. Che poi questo numero sia differente da testo a testo è cosa che non può colpire: l'identità sarebbe senz'altro una prova eloquente di derivazione diretta. Osservo infine che solo presso il Prudenzani il contadino muore, ed è probabilmente una variante scaturita dal suo cervello. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. CLASSE SD DI A SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI x Adunanza del 30 Novembre 1913. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO Si VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA b- Sono presenti il Direttore della Classe NaccarI, ed i Soci: f SaLvapori, D’Ovipro, Prano, Foà, GuarescHI, Guipi, FILETI, Parona, MartIROLO, GRASSI, SomigLiana, Fusari e SEGRE, Se- 6 gretario. La Vien letto e approvato il verbale della precedente adunanza. È _ Il Presidente è lieto di poter dare buone notizie della salute del Socio JADANZA, che è ormai quasi perfettamente guarito. È Il Socio GuaRrESscHI offre in omaggio un suo opuscolo: _ Ascanio Sobrero nel centenario della sua nascita; ed il Socio —_ Fiueri la 16° edizione della sua Guida alla Analisi chimica qua- litativa. È. Il Socio SaLvapori legge la Commemorazione del Socio cor- — rispondente ScLaATER. B- Il Socio Prano presenta, per la stampa negli Atti, una Nota di C. Poni: Sulla dimostrazione della integrabilità delle j Funzioni continue; ed il Socio Guipi una Nota di G. CoLonnETTI su L’estensimetro di Cambridge, ed un’altra di G. ALBenGA: Su _ di alcune teorie approssimate della lastra piana. Atti dellu R. Accademia. — Vol. XLIX. 6 i AA E TR CARE tei SOSIA Le e ri cost, TESA RE PN TRS ne e t- - n roi ri dara 9 > e. È % c eee RIS e pica > Ciotia r RI È e giro VETO A : “ % x i Re é SR x PRA "S ta Per le tre Memorie, RT dei Dottori Fava o. sea un SA Maco, VanzerTI, presentate nelle ultime adunanze della Classe ac LA + i no vengono successivamente lette le Relazioni dai Soci Naco: mx” a (per incarico del collega JApAnzA), PrANO (anche a nome ( “a | VEC ; È: Socio D'Ovipro), Foà (a nome pure del Socio Fusari). Accoglien do > le proposte fatte, si delibera, con tre successive votazioni cea dt) ad ri nimi, la stampa di quelle Memorie nei volumi accademici. — “a i Infine il Socio Fusari presenta, per questi medesimi ( vO- , Topo: vani Non lumi, un nuovo lavoro del Dott. Alfonso Bovero: Sulla fn Si: PO - struttura e sulle connessioni del ganglio vestibolare del nervo eu | rg stico. Riferiranno su di esso i Soci Foà e Fusari. di CE ar* " Se, nor: LISI ks * : ì PE p* = # 3 Ss x - ui RCS: 3 co y Li 4 x RR i Li I, Ù / ae Udi è PI # PI ri di e dd rac E ce, bh e 9 e” E. BOMPIANI — SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 83 5 LETTURE Sistemi di equazioni simultanee alle derivate parziali a caratteristica. Nota di E. BOMPIANI “ Un grand avantage de la géométrie (sur l’analyse) c'est précisément que les sens y peuvent venir au secours de l’in- telligence, et aident à deviner la route à suivre, et bien des esprits préfèrent ramener les problèmes d'analyse à la forme géométrique ,. i Porncaré. $ 1. Preliminari. 1. — Il concetto sul quale s'imperniano tutti 1 metodi d’inte- grazione delle equazioni alle derivate parziali è quello di carat- teristicu. Esso può ritenersi stabilmente definito dai lavori del Darboux e da quelli che vi si collegano, sia per le equazioni di prim'ordine ad un numero qualsiasi di variabili indipendenti, sia per le equazioni (e sistemi di equazioni) del 2° ordine, e di ordine superiore, a due variabili indipendenti (!). L'estensione al caso di più variabili indipendenti del con- cetto di caratteristica può farsi in più modi, in relazione alla proprietà delle caratteristiche che si vorrà generalizzare: poichè, in generale, le loro proprietà apparterranno ora ad enti diversi (?). Le equazioni alle derivate parziali di 2° ordine, lineari ed omogenee, in due variabili si possono distinguere (proiettiva- vamente) in due tipi: parabolico e non parabolico. Se sì esamina un sistema di più equazioni simultanee si pone subito la do- (4) Cfr. E. Goursar, Legons sur l’intégration des équations aux dérivées partielles du second ordre (Paris, Hermann), t. Il (1898), ch. X, n. 208. (£) L. e. (4), ch. X, n. 219. 84 E. BOMPIANI r «|» . : DPS . "9% » manda: E possibile in generale una classificazione analoga (e la conseguente riduzione a forme determinate)? Se ciò non è in. generale, quali particolarità deve presentare il sistema perchè quella riduzione sia possibile ? A tali sistemi di equazioni lineari ed omogenee darò il nome di sistemi a caratteristica : mi sembra notevole il fatto che questi sistemi si presentano in una interessante ricerca di geo- metria iperspaziale cui accennerò in seguito. Eccone intanto la definizione. o 2. — Siano date più equazibni simultanee, lineari ed omo- genee alle derivate parziali del 2° ordine in un numero qualsiasi di variabili indipendenti ; relativamente a ciascuna di esse può introdursi (come d’ordinario) il concetto di ipersuperficie carat- - teristica e il cono quadrico delle sue normali in un punto (cfr. più in esteso il n. 7}; i coni così costruiti per le singole equazioni non hanno in generale parti comuni; nè possono coincidere se supponiamo, come appunto faremo in seguito, che dalle equazioni date non possano ricavarsi equazioni del primo ordine. Perchè essi abbiano una parte comune, che si dirà ca- ratteristica del sistema dato, debbono spezzarsi in due iperpiani, dei quali uno (caratteristica) è fisso per tutte le equazioni, mentre l’altro varia da equazione ad equazione. Date più equazioni simultanee tutte dello stesso ordine n(>2) si potranno costruire coni d'ordine n come precedente- mente; ma, se essi debbono avere una parte comune, questa potrà essere un iperpiano, o un cono quadrico, ..., o un cono d'ordine n-—- 1: non d'ordine » se escludiamo che dalle equazioni date possano ricavarsi una o più equazioni d'ordine n-— 1. La parte comune potrà dirsi caratteristica del sistema. Dati più gruppi di equazioni simultanee lineari ed omogenee nelle derivate parziali di una stessa funzione, comprendente ciascuno equazioni dello stesso ordine 2, ..., n, perchè possa definirsi una caratteristica comune a tutti gruppi considerati occorre che questa sia un iperpiano. Per poter comprendere anche questo caso definiremo equazioni simultanee a caratteri- stica quelle (lineari, omogenee, alle derivate parziali) per le quali i coni sopraddetti si spezzano tutti in un iperpiano fisso e nella parte residua variabile da equazione ad equazione. ì 1 SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 85 3. — In mancanza di un mezzo diretto d’integrazione di queste equazioni, conviene servirsi, per lo studio delle relazioni che passano fra un certo numero d’integrali e delle loro deri- vate, della rappresentazione geometrica seguente (?). Siano xo, Zi, «...%,, n +1 soluzioni linearmente indipendenti delle equazioni date: per ogni sistema di valori delle % varia- bili indipendenti t,, Ts, ..., t, (n > È) si possono assumere gli n--1 valori delle x come coordinate proiettive omogenee di un punto x in uno S,. Al variare delle t il punto x descrive una varietà V, che rappresenta il sistema di equazioni dato (0 meglio il gruppo di soluzioni da cui siamo partiti) (4). Poichè le equazioni sono lineari ed omogenee, una trasformazione proiettiva dello S, muta il gruppo delle x + 1 soluzioni scelto in un altro pure di n + 1 soluzioni fra loro indipendenti; sicchè interesserà ricercare quei caratteri della 7, che rimangono inalterati per trasformazioni proiettive. In altri termini, possiamo formulare, dal nostro punto di vista, il problema dell’integra- zione così: Caratterizzare proiettivamente la V,, così costruita per n + 1 soluzioni generiche. Mi sono proposto questo. problema per le equazioni simul- tanee a caratteristica di 2° e di 3° ordine. Fra i resultati otte- nuti scelgo come più espressivi i seguenti: Le varietà che rappresentano k equazioni a caratteristica del 2° ordine (fra loro indipendenti) in k variabili, ed eventualmente altre equazioni del 2° ordine indipendenti dalle prime k, sono necessa- riamente rigate con carattere di sviluppabile (cioè con spazio tangente fisso lungo tutta una generatrice). Se la varietà V, rappresenta esattamente k equazioni a caratteristica (cioè non altre dello stesso ordine e da quelle indipendenti) essa è un cono di prima specie. Le varietà V, che rappresentano m gruppi di tali equazioni a caratteristica del 2° ordine si compongono di o*-" S,, aventi (3) Analoga a quella comunemente usata per l'equazione differenziale ordinaria, lineare ed omogenea; vedasi la Nota del Segre, Su una classe di superficie degli iperspazii legate colle equazioni lineari alle derivate par- ziali di 2° ordine [° Atti Accad. reale delle Scienze di Torino ,, vol. XLII (1906-1907), pp. 1047-1079]. (i) Questa Vx potrebbe anche chiamarsi varietà integrale del sistema. 86 E. BOMPIANI lungo ogni spazio generatore uno S, tangente fisso ; se la V, rap- presenta esattamente (nel senso di prima) m gruppi di tali ec zioni è necessariamente un cono di specie m. Se si considerano v equazioni simultanee a caratteristica del 2° ordine, con v < #, occorre distinguere due casi che, per ragioni che appariranno in seguito, si diranno parabolico e non parabolico : nel primo caso, le V, che rappresentano esattamente v equazioni si compongono di o" coni; nel secondo, si possono anche punge le V, geometricamente, ma in modo meno semplice (cfr. n. 18). Se infine insieme alle v equazioni del 2° ordine pe caso (f—wlk—-v+1) 2 ratteristica, del 3° ordine, indipendenti da quelle (e non altre), si ha nel caso più generale (e per maggiori dettagli cfr. il $ 7) il risultato: parabolico) consideriamo equazioni, pure a ca- Le varietà V, che rappresentano un tal sistema si compon- gono di o" coni di prima specie aventi î loro vertici sopra uno Sk_v. 4. — Una parola sul metodo. Come sarà mostrato (n. 7), segue dalla definizione di equazioni simultanee a caratteristica che, con un (eventuale) preliminare cambiamento delle variabili indipendenti, i gruppi di termini contenenti in ciascuna equa- zione le derivate d'ordine più alto possono considerarsi come derivate di una espressione (identica per tutte le equazioni) lineare ed omogenea nelle derivate prime della funzione incognita. Ottenuta questa forma del sistema di equazioni si procede a caratterizzare la V, del n. precedente facendo uso di due osser- ‘azioni. La prima riguarda l’arbitrarietà della scelta di aleune delle linee su cui variano le t separatamente entro la V,; l’altra riguarda le condizioni d’integrabilità, alcune delle quali possono scriversi senza alcun calcolo e rivelano l’esistenza, entro la V,, di varietà caratterizzate proiettivamente (p. es. svilup- pabili). L’arbitrarietà che rimane nella loro scelta (per effetto della prima osservazione) determina la natura della V,. Risulta già da questo cenno quale sia il vantaggio delle considerazioni geometriche sull’indagine puramente analitica : prima perchè non occorre scrivere tutte le condizioni d'integra- i talco RESET POTRO GTA Re RO I PE MOT I VITI | , Pri ” si SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 87 bilità e quelle adoperate danno un carattere intrinseco della V,; poi perchè dall'aver riconosciuto questo fatto si caratterizza la V, stessa in virtù di teoremi noti. Le osservazioni indicate possono sfruttarsi anche per equa- zioni d'ordine superiore al terzo: non m'è parso che, per ora, valesse la pena di farlo. Il passaggio dalle equazioni del secondo a quelle del terzo ordine presentava invece un vero interesse: essendo necessario per queste di ricorrere alla nozione di indice di sviluppabilità da me introdotta in altra occasione (9). 5. — Il problema geometrico che si riattacca a questa ri- cerca è quello di caratterizzare le V, per le quali la varietà ‘ luogo degli spazi tangenti ha dimensione minore dell’ordinaria. Se la V, (4 =3) deve soddisfare a sole % equazioni indipen- denti del 2° ordine, queste sono a caratteristica, e quindi la V, è un cono. Un problema analogo per gli spazi 2-tangenti (*) sl ricollega alle equazioni a caratteristica del terz’ordine. Un argomento in certe parti affine a quello del presente lavoro è stato studiato dal Dr. Terracini nella Memoria: Alcune questioni sugli spazì tangenti e osculatori ad una varietà (che verrà pubblicata in questa raccolta). Però, pur proponendoci inizialmente uno stesso problema, il Dr. Terracini ed io ne affrontiamo due lati diversi, incon- trandoci solo nel teorema del n. 12, al quale giungemmo con- temporaneamente, per diverse vie. Più che l'interesse geometrico, di per sè evidente, a me preme rilevare quello analitico dei risultati ottenuti. Essi assegnano in ciascuno dei casi studiati una forma alla (9) Cfr. a): Recenti progressi nella geometria proiettiva differenziale degli iperspazi [“ Proceedings of the fifth international Congress of Mathema- ticians , (Cambridge, 1912), vol. II, pp. 22-27]; b): Alcune proprietà protettivo-differenziali dei sistemi di rette negli iperspazi [“ Rendiconti del Circ. Mat. di Palermo ,, t. XXXVII (1914), n. 2]. (9) Spazio 2-tangente è lo spazio lineare di dimensione minima conte- nente l’intorno di primo e di secondo ordine di un punto di una varietà: cfr. la mia Nota, Sopra alcune estensioni dei teoremi di Meusnier e di Eulero [° Atti Reale Accad. delle scienze di Torino ,, vol. XLVIII (1912-1913), pp. 393-410], n. 5, nota (1°). 88 4 E. BOMPIANI quale l'integrale generale deve necessariamente ridursi con un oppor- tuno cambiamento di variabili indipendenti. Però l'effettiva riduzione dipende dalla conoscenza di in- tegrali particolari del sistema. $ 2. Generalità sulle equazioni a caratteristica. 6. Locuzioni e notazioni. — Siano date » -- 1 equazioni (fra loro indipendenti) alle derivate parziali di una sola funzione incognita lineari ed omogenee, di 2° ordine. Una soluzione delle r4+ 1 equazioni è pure soluzione d'ogni altra equazione che si ottenga dalle precedenti con combinazioni lineari ed omogenee (i cui coefficienti possono essere funzioni delle variabili indi- pendenti). Un gruppo di » + 1 equazioni, indipendenti fra loro, ottenute con combinazioni lineari ed omogenee da quelle del gruppo dato sì dirà perciò equivalente a quest’ultimo. La totalità di tutti i gruppi equivalenti ad uno dato si dirà sistema di equazioni ; il sistema è perciò definito da uno qualsiasi dei gruppi di rx 4 1 equazioni indipendenti in esso contenuti; si dirà r la dimensione del sistema ; 2 l'ordine ("). Diremo che un sistema è chiuso quando le equazioni dello stesso ordine che da esso si possono ottenere per derivazione ed eliminazione appartengono al sistema stesso. Le nozioni di sistema e di sistema chiuso sono invarianti rispetto alle trasformazioni delle variabili. Analogamente, dati più gruppi di equazioni di ordini diversi, p. es. del 2° e del 3°, formeremo un sistema del terz’ordine as- sociando al gruppo di equazioni del terz’ordine quelle (pure dì terz'ordine e fra loro indipendenti) che si ottengono derivando le equazioni del 2° ordine. Diremo che il sistema misto così formato (cioè la totalità delle equazioni di 2° e di 3° ordine che si possono ottenere combinando linearmente ed omogeneamente le equazioni date e quelle ad esse associate) è chiuso quando le equazioni di 3° e di 2° ordine che si possono trarre dal si- stema con operazioni di derivazione ed eliminazione appartengono ("*) Mi pare utile definire un sistema di equazioni differenziali in questo senso, per le stesse ragioni per cui conviene parlare di spazio definito da aleuni suoi punti. SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 89 al sistema stesso. Anche qui le nozioni di sistema misto e di sistema misto chiuso sono invarianti rispetto alle trasformazioni delle variabili. Analogamente per le equazioni di ordine superiore (delle quali però non avremo occasione di servirci). Per brevità di scrittura introduciamo le notazioni (3): da Rk dx ee A ee A at=— , agg = — i ( Lp ? n); dT, , ’ dt, s PORRI x 19 dî si pla) tas OT" OT ÒTa Punto derivato rispetto a t,, p. es. di un punto « (di coordi- DI » . . IX; nate x,), è il punto x! di coordinate x; SOLA dti 7. I due tipi di sistemi di equazioni a caratteristica del se- condo ordine. Siano date v equazioni simultanee alle derivate parziali, del 2° ordine, lineari ed omogenee li li ee A pia Vi (12 00 1 1 ove le A, B, C sono funzioni di t;, Ty, ..., t; noi facciamo l'ipotesi che al sistema da esse definito non appartengano equa- zioni del prim'ordine. Nello spazio a % dimensioni Sy} (°) ove si assumono come coordinate proiettive non omogenee le T,, T3, ..., T; conviene con- siderare i coni quadrici li (2) p NINE UE l (8) Per il metodo e per le notazioni qui riportate cfr. la Memoria del Prof. Secre, Preliminari di una teoria delle varietà luoghi di spazi [* Rendic. del Circ. Matem. di Palermo ,, t. XXX (1910), pp. 87-121]. (*) Credo opportuno avvertire il lettore che la rappresentazione iper- spaziale di questo n. non ha a che vedere con quella di cui è parola al n. 3 e che costituisce la base del metodo di questo lavoro. Questa rap- presentazione del n. 7 serve a trovare una forma semplice per le equa- zioni che definiscono il sistema ed è quella comunemente usata: vedasi Counon, Sur l’intégration des équations aua dérivés partielles du second ordre par la méthode des cavactéristiques |* These ,, Paris, Hermann, 1902]; . mentre quella del n. 3 serve a caratterizzare proiettivamente la varietà integrale del sistema. 90 E. BOMPIANI aventi il vertice nell'origine, e le generatrici parallele alle nor- mali alle ipersuperficie caratteristiche, integrali di ©) = Lu Amd af 1 i nel punto di coordinate t,, Ts, ..., t4: le 7' indicano coordinate correnti; le funzioni ®((f) si dicono caratteristiche delle singole equazioni. Troviamo subito che se Ze (1) sono a caratteristica la dimen- sione del loro sistema è = k — 1, cioè il numero delle equazioni indipendenti fra le date è =# (numero delle variabili ind.). Infatti, per definizione di equazioni a caratteristica (n. 2), i coni (2) debbono tutti spezzarsi in due iperpiani dei quali uno, che diremo iperpiano caratteristico, è fisso per tutte le equa- zioni ; l’altro iperpiano, variabile da equazione ad equazione del sistema, potrà al più descrivere tutto il sistema o0*- degli iper- piani uscenti dall'origine nello S,, entro il qual sistema % sono linearmente indipendenti. D'altra parte non possono esservi due equazioni (1) indipendenti con lo stesso cono (2) (e quindi con uno stesso iperpiano variabile), perchè se vi fossero si potrebbe ricavare da esse un'equazione del 1° ordine, ciò che abbiamo escluso. Quindi se le (1) sono fra loro indipendenti dev'essere v < #. Se v= k, cioè se l’iperpiano variabile descrive tutto il sì- stema o*-! nominato, esso deve venir a coincidere in una sua posizione con l’iperpiano fisso ; cioè esiste necessariamente nel sistema definito dalle (1) un'equazione per la quale il cono (2) corrispondente si spezza nell’iperpiano caratteristico contato due volte: più brevemente diremo (secondo la locuzione ordinaria) | che l'equazione ha caratteristica doppia. Si presenta spontanea la definizione seguente : Un sistema a caratteristica si dice parabolico quando pos- siede un'equazione a caratteristica doppia (1°). L'ultimo resultato s’enuncia allora così : ('°) Nel senso ordinario: due di tali equazioni mon possono esistere (con la stessa caratteristica) perchè da esse potrebbe ricavarsi un'equazione del 1° ordine, ciò che abbiamo escluso. MII TI, RE i ti SR dol — SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 91 Il sistema definito da k equazioni a caratteristica del 2° or- dine (in k variabili) fra loro indipendenti è necessariamente parabolico. Se invece è v< £ può verificarsi l’una o l’altra delle due eventualità : 1° l’iperpiano variabile viene in una sua posizione a coin- cidere con l’iperpiano caratteristico fisso ; 2° l’iperpiano variabile non viene mai a coincidere con l’iperpiano fisso. Nel 1° caso il sistema possiede un'equazione a caratteristica doppia, e si dirà perciò parabolico ; nel 2° caso non esiste nel sistema alcuna equazione a caratteristica doppia, e si dirà perciò non parabolico (11). In ogni caso i v iperpiani che dipendono dall’indice s co- struiti per le equazioni (1) potranno assumersi come quelli di equazioni 7T,= 0, T$=0, ..., Tv=0, mentre l’iperpiano fisso avrà un’equazione del tipo a,T,tagT,t+...+taxT,=0; ciò significa che: È sempre possibile, con una trasformazione delle variabili indipendenti, dare alle equazioni che definiscono un sistema a ca- ratteristica la forma : fx (are + age + .. + ax) + 0,301 + 01912 + ... + + 0," + aa =0 SE (are! + age + ... + an2*) + 09,01 + 099142 +... + (1). = 09,0% + 0900 = 0 < # (ao + ago? +... +- ax 25) + ov1 21 4 ava a? +... + | + ayra'+ ave =0 ('4) In queste ricerche di carattere proiettivo non si distingue il reale dall’immaginario e quindi non v'è luogo ad ulteriori distinzioni. di SEI ia FRAN DE ie ne sar LI + y ? at | ea a RES sed 4 E N i bi Pag “i SA VSS rs x 9° a } ; p: i SLA » % x r4 "i 6 o e. "a prete (RS is. 92 E. BOMPIANI me 05 E ee > x | di pi a . ’ . Sa la . 0, se si vuole, l'altra equivalente = > - Paoli asti t ag! +. +bax0! 4 B11014- B190° +... + Brne* +prge 0 i br SORTE SA iii E. "TP e si SS È . 2° 1 RI n: «55708 DI : . . . . *4 0 : ba ® (0S Pa ie degne mob. UST buzit pormi Regia +ana=0 bi dc ISO | °C per ove le 4, a, 8 sono funzioni di t,, Tg, ..., Tx. 3 > —_ Nel caso parabolico l’iperpiano a, 7, + ag Ty ..., + TZ SE appartiene al sistema lineare definito da 7, =0, ..., Ty=0, 3° quindi ayyj =... = 4,=0; con un eventuale cambiamento di Ri variabili può o iperpiano supporsi coincidente con 7, = 0, "a lt a AI p. es. Ne segue: f 3 Pi #% ; Se il sistema definito dalle v equazioni (1) è parabolico, ciò i: » » . . po. che avviene necessariamente se v=k, al sistema (1) può darsi da PA forma : > di w 1 + ag10! + 132° +... +e + age =0 upar : 0%, x1° + ag, 014 assa® +... + coxe* +- aspa = 0 LA : ma e!" 4 ave! + avge? +... + avnat + avoe =:0 i a Nel caso non parabolico l’iperpiano 4; isa Tt+... +. d, + a,T,=0 non appartiene al sistema lineare definito da 4 Lg La Oy 07 i van A eventuale cambia- mento di variabili, questo iperpiano può supporsi coincidente è con 7v,,=0, p. es. Ne segue: L pe Se il sistema definito dalle v equazioni (1) è di tipo non pa- rabolico, al sistema (1) può darsi la forma : o Dv 4 auge + 110! +92 4... + ana" 0 mero L*Yt+1 + 900 + 09,01 + a99x° +... + aggat =0 Di eVvt! 4 avor + ave! + 0y9r* + ... + aygat=0 uit nin n iii dl \ - bi y te nt nic derit dini Wet SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 95 8. — Le considerazioni precedenti, che ci hanno condotto alla scelta di una determinata forma per le equazioni di defi- nizione di un sistema a caratteristica, permettono anche di di- mostrare che : Un sistema chiuso a caratteristica è completamente integrabile. Poichè le nozioni di sistema chiuso e di sistema comple- tamente integrabile sono indipendenti dalla scelta delle varia- bili, possiamo ragionare sulla forma (1) delle equazioni che lo definiscono. Le condizioni d’integrabilità si scrivono eguagliando due espressioni differenti delle derivate seconde di A = 4, x! + +asr? +... + ax" che si possono trarre da (I); queste condi- zioni sono equazioni di 2° ordine in x, che per definizione di sistema chiuso appartengono al sistema stesso, o, in altre parole, sono soddisfatte identicamente in virtù delle (I) stesse. $ 3. Sistemi di equazioni a caratteristica di 2° ordine di tipo parabolico. 9. — Sia v=%. Il sistema, necessariamente di tipo para- bolico, si può scrivere, come s'è visto, "zii pe a, 2! 01902 +... 402% + asa = 0 \ L12 + 09311 + 0991? +... + agga" + aa =0 rp e TE Sap 0 Vle lita Ùxn 0 | dina =D. Consideriamo la varietà V, che rappresenta il sistema scritto (nel senso del n. 3) e in un suo punto la tangente alla linea t, x (cioè su cui varia soltanto t;) definita dal punto x! n SÌ 1 Al variare di x su V, varia questa tangente e se essa non giace su 1, descrive una varietà a # + 1 dimensioni V',1; se invece questa retta descrive una V', essa è necessariamente la (descritta da un suo punto. x). Per decidere quale delle due eventualità si presenti basta cercare la dimensione dello spazio 94 E. BOMPIANI tangente (& + 1 nel primo caso, % nel secondo) alla varietà de- scritta dal punto X=x+Àa! al variare di X e delle t. Esso è lo spaaio di X e dei suoi punti derivati primi X, 23, x1 +e, e° +29, ..., e +-Ax* cioè anche per le (I), quello dei punti x,21,?, ..., e*, cioè un S (quindi la W, è rigata); anzi, qualunque sia , coincide con lo S, tangente a V, in x. Riassumiamo queste osservazioni nel teorema: Una V, che rappresenti k equazioni (indipendenti) a carat- teristica del 2° ordine è necessariamente rigata con carattere di sviluppabile (cioè con Sy tangente fisso lungo ogni generatrice). Ne segue che con un eventuale cambiamento della varia- bile t; la prima equazione del sistema (1) può sceriversi: all= 0. 10. — Fino ad ora non s'è fatto uso della nozione. di si- stema chiuso definito dalle (I), cioè non s'è fatta alcuna ipotesi relativa alla non esistenza di altre equazioni di 2° ordine (non contenute nel sistema) alle quali soddisfino le x. Supponiamo ora (e così sempre in seguito, se non si avverta il contrario) che il sistema sia chiuso, cioè completamente integrabile. Prescindendo dalla prima equazione x!! = () (che si ottiene col cambiamento accennato) il sistema (1) si scrive : I 0124 Bore! + Bone? +... + Bano" 4 Boe =0 \ x13 + Bg, 0! + Bsoo® +... 4 Bgne* + Boe =0 (1) È Brini Ba Mea a + Brog =0. Applichiamo ora le due osservazioni di cui è parola al n.4. Il sistema conserva la sua forma per un cambiamento dei parametri Ty, Tg, .... T,, del tipo: Pa = Pe (T9, v0eg Ty), Ps = Ps (Ta, buoy Ti), sn Pa = Pa (Tg, notg Ta) it SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEF, ECC. 95 d(Pa, P3. +», Pr) (TITTI sia diverso da zero (necessaria perchè le nuove variabili t,, 3, ....Px deserivano tutta la V,). Infatti il sistema (I°) prende la forma: con la condizione che il determinante funzionale D= de! Ò) SC SEO) e dumdi PL ÒTa k Se fg: L Dei) 1° Ban Do Ge + Bro =0 L OP. IT k k dae Se 1 de dp d, dp; + B31% + fon D, dp, dTo + Ln 1% k dr dp seo Psx d, dp. AdTx ts =0 k : k sula Sei IRE Bua e! —- Bs 9 n _ n So se 1 Pl 2 A ..S E i + Broe =0. i dp: : î ? ei Da esso possono ricavarsi le derivate du=>, ..., k) espresse l linearmente e RATTI, per mezzo di x e delle derivate AE e. dpa” dpa’ a cienti della = è appunto D==0): sicchè anche nelle nuove l variabili t,, pa, N03; --., Px le equazioni che definiscono ili sistema possono seriversi nella forma (1°). Diciamo rigata (t, t») la su- perficie individuata dalla variabilità di t, e di t, soltanto: l’os- servazione ora fatta si può esprimere geometricamente dicendo che ogni rigata entro la V, può considerarsi come rigata (T, Ts). Ciò è essenziale per il seguito. Passiamo ora a scrivere alcune delle condizioni di illimi- tata integrabilità delle (1°). prime x!, (perchè il determinante dei eoeffi- ì ni LC i u A +8 x Lai t) » tw RO x Lc ca e lo ai PRIA » dè » st » "gin è + F « . N È ne ed vere , LAT dii, — “i * > > x enti NA [ran 6. * ” 3 rado ; CI E % eri fa da > dg ACT en e n y ì i ZIATPIRINTÀ sa le pago er Ba C o qR : Di e dé pet 90 E. BOMPIANI 3 AI È cv Le due espressioni di «!23 tratte dalla prima e dalla s sa conda equazione debbono essere identiche (in virtù delle no] KE stesse e dell'ipotesi che il sistema sia chiuso). Ciò esige intanto, v che siano , 3; se k==2 o l'integrale può ridursi alla forma precedente È o, come avverrà in generale, all'altra - AI ke e dA dal” x(t, Ta) = Alt) + t1 ind pi . 2 bf 4 a a n | 1 0); 2° pur appartenendo i punti «, x4, 274 ad uno spazio di dimensione = 2% i punti che individuano lo spazio tangente sono linearmente dipendenti per valori qualsiansi delle «. Questa seconda ipotesi dà luogo alle equazioni a caratte- ristica. Si riconosce infatti ('9) che se la W relativa ad una W, ha dimensione 2% — 1 e se la V, soddisfa esattamente a % equa- (5?) Segre, l. c. (*), n. 20, (5) Per K=8, cfr. A. Terracini, Sulle Va che rappresentano più di k(kT— 1) 2 Mat. di Palermo ,, t. XXXIII (1912), pp. 176-186), n. 1; o più elementar- mente per confronto diretto ecc. equazioni di Laplace linearmente indipendenti [* Rend. del Circ. 2 b “ ur < SA SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 99 zioni di 2° ordine (linearmente indipendenti), queste si posson supporre della forma: Ar + age! +... 4a e! +-0,321+ 019r° +... + ana + asge = 0 air 4 aga®2 +... + axe2* + 291014 09912 +... + ag ,a%+ agg®g = 0 arr + age 4... 4 xe" + 2321 + x9r22 +... + anne" + ano®e = 0 cioè a caratteristica. Viceversa, ogni V, che rappresenti un si- stema di questo tipo ha una W (luogo dei suoi spazi tangenti) di dimensione 2% — 1. Per il resultato del n. 10 abbiamo il teorema : Le varietà Vx(k =>3) per le quali la varietà W degli spazii tangenti ha dimensione 2k —1 e che rappresentano k equazioni di 2° ordine (linearmente indipendenti) sono coni generici di prima specie (14). $ 5. Gruppi di equazioni simultanee a caratteristica di 2° ordine di tipo parabolico. 13. — Abbiamo dimostrato al n. 7 che il numero delle equazioni linearmente indipendenti che posseggono una data ca- ratteristica è minore o eguale al numero delle variabili indipen- denti. Ciò non esclude la possibilità di considerare più gruppi di equazioni possedenti ciascuno una caratteristica propria. Vogliamo estendere ad un sistema composto di più gruppi i resultati ottenuti precedentemente (per un solo gruppo di equa- zioni che definiva tutto il sistema). Prescindiamo ora dall’ ipotesi che la V, non soddisfi ad altre equazioni di 2° ordine non contenute nel sistema definito; e supponiamo che siano dati due gruppi di % equazioni a carat- (4) Questo resultato, per X= 3, si trova, raggiunto con metodi difte- renti, in Sisam, On Three Spreads Satisfying Four or More Homogeneous Linear Partial Differential Equations of the second Order [° American Journal of Mathematic ,, vol. XXXIII (1911), pp. 97-128], p. 109; e in Terraomi, L'es(4), n. 5. 100 E. teristica: il resultato s'estende senz'altro ad un numero m qual- siasi di gruppi di % equazioni. Con le stesse considerazioni del n. 7 vediamo che le equa- zioni che definiscono il sistema si possono scrivere : ao! + asa! +... ax! te Ag 12? + aa (I) |, ac 4 ago +... bic +4 boat? 4... be 4- bra? +... (19) bi 11 t by at? + she + bre + Ba 2! _ Bas 2? + PIC + BOMPIANI + da e'* 1 1214 0398? aa + anne + age = 0 i + 4,2% + 02,2! + assrat +... + È Agr x + aga=0 ri + are + ana! 4 Qua +... + ss (PE i + Ax dt = () + bre! + Bir at 4 Big? d... 4 + Rx ef t Boe =0 * + dae 4 Bs 1 4+- Paso + FSE + Bano 4 Bsoorr= 0 Pe ni + Bara + Bre = 0 e perciò alla W, che lo rappresenta appartiene per ogni punto il piano determinato inoltre A=a;x 4... + a" lo spazio tangente alla V, è fisso in tutt'i punti di un piano. (ili stessi ragionamenti valgono per un numero qualsiasi di. gruppi, quindi: Le V, che rappresentano a caratteristica del 2° ordine, mente altre equazioni del 2° dai due punti : B= ba 4... + ba: m gruppi ciascuno di k equazioni fra loro indipendenti, ed eventual- ordine, non appartenenti al sistema . 2 sad da quelle individuato, si compongono di cv*-" S,, ed hanno lungo ogni spazio generatore uno 5) degli spazii tangenti ha dimensione 2k — m. tangente fisso. Per queste Vi la W "a SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 101 Per m=1 ha mostrato il prof. Segre (!5) che una tal V, è caratterizzata dal contenere %X —1 varietà focali Vi; alle quali le sue generatrici sono tangenti (con i casi di degenera- zione delle V,_,). In modo analogo sì possono caratterizzare le V, composte di c0*- S,, con S, tangente fisso lungo un S,,. Basta osservare che la sezione di una tal V, con uno spazio di dimensione con- veniente è una V°,_,,;1 composta di co*-" rette con S,_,,,, tan- gente fisso lungo una generatrice, cioè per il teorema ricordato, xk-m rette tangenti a % — m varietà V'._,,. Poichè lo spazio secante è affatto generico, purchè della dimensione voluta, si conclude che: Le V, dell'ultimo enunciato contengono k —m varietà V,_, alle quali i loro S, sono tangenti (con i casiì di degenerazione delle Vy_1). 14. — Supponiamo ora che non esistano altre equazioni di 2° ordine cui soddisfino le x; oltre quelle del sistema defi- nito dagli m gruppi, e supponiamo anche m = 2. Poichè la nostra V, è generata da piani, possiamo sempre scegliere due delle variabili indipendenti, per es. t,, tg, in modo da dare a due delle equazioni dei gruppi (I, e Is)la forma a1! — 0 x? = 0 (cfr. il ragionamento analogo al n. 9); in conseguenza di questa scelta le altre equazioni si scrivono DI? = Y310! + Ya00° d-... + Yao" 4 oo 113 = Yg101 | Ys0° (+... + Yan" + 10 (1',) DE = ag + Yao 2? +... + Ye" + Yo a12 = dii al | Ò130? + c00 4 dx 1° sa do £ 228 = day at + dgg e? +... + dae + deo e (1°9) 4% vati Mora toa or n = dal GE t/a mi To dar e" + deo ® (!5) L. c. :(8), n. 29. 102 E. BOMPIANI (a noi non interessa che la forma di queste equazioni, e non l’espressione effettiva delle y e è per mezzo delle a e f). Le due equazioni scritte in prima riga debbono essere fra loro identiche, perchè abbiamo supposto che al sistema non ap- partengano equazioni del primo ordine. Tenendo conto delle condizioni d’integrabilità (come al n. 10) sì vede che le equazioni dei gruppi (I',), (Is) debbono scriversi più semplicemente: 01° = 1310! 4 Y29€° +- Ya0£ 113 = Y310! 4 Y39%2 + 13323 + Ys0€ (1',) < ° . e . . . A . . . . ell = Ya e! + Yao + rane + Yao® 11° = Ya1 0! 4 Yao d2 + Yao & 025 = dg1 0! H- dga e? + dgg 13 + do e (1a) O \ ak = dai qs + dg €? + da e + dxo Prescindiamo dal caso banale %X = 2, nel quale la VW, sì riduce al piano individuato da tre dei suoi punti (p. es. , 1, x°); cioè quattro soluzioni del sistema sono sempre legate linear- mente (1°). Occorre distinguere il caso X = 3 dal caso generale % > 3. Sia k = 3. La prima equazione identica nei due gruppi ci dice che ogni rigata su cui variino t, e t,3 solamente è svilup- pabile: il che già sappiamo essendo essa nel piano dei punti , x*, x?. Le altre due equazioni mostrano che il piano generatore della V} (x, 2!, x*) e quello infinitamente vicino (al variare di Tg) sì tagliano lungo una retta; la V} è la seconda sviluppabile di una curva (eventualmente può comporsi dei piani passanti per (49) Cfr. Appecc, Sur les fonctions hypergéometriques de deux variables {“ Journal de Liouville ,, 3° série, t. 8 (1882), pp. 173-216], n. 16, teor. è, p. 193. Cia SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 103 una retta; non è uno S; perchè questo soddisferebbe a più equazioni). Sia £>3: all'osservazione ora fatta associamo l’altra sui cambiamenti variabili che lasciano inalterata la forma (1', 13) per concludere che ogni co! di piani entro la V, è la seconda sviluppabile di una curva. Da ciò si ricava facilmente che la TV, è un cono di seconda specie (cioè generato da co'-? piani pas- santi per una retta) (!). Che poi una V, di questo tipo rappresenti effettivamente un sistema definito da due gruppi di % equazioni a caratteri- stica, si verifica subito. Se i punti A e 5 individuano la retta vertice del cono, e C è un punto generico di esso, si ha : a=A+qt,B4 q13C(73,..., Ta) (Ae B costanti) e quindi | gi—=-0 / ve) \ pii0: 35M et —0 ) E cello a 0) To gi _ a 8 Il I ragionamenti, e quindi il resultato, si trasportano senz'altro al caso di m gruppi di % equazioni a caratteristica (algebrica- mente compatibili) che formino un sistema completamente inte- grabile. Le Vx che rappresentano un sistema del tipo ora detto si com- ('7) Allo scopo si consideri entro il sistema oo"—? (k> 3) di piani una qualsiasi 00°. Si noti inoltre che si può ragionare sopra una proiezione . generica del sistema in S, (perchè l’incidenza supposta per ogni co! di piani è superiore a quella imposta da S,). Per dualità si ha un sistema 00° di rette entro il quale ogni co! è sviluppabile: si tratta quindi delle rette di un piano o di un cono, cioè, ritornando alla configurazione data, dei piani passanti per una retta o appartenenti ad uno $3; questa seconda eventualità è da scartare perchè si avrebbero troppe equazioni, quindi ecc... Ragionamento analogo è da farsi per m gruppi di % equazioni a carat- teristica. Ai Re o i Si Vla.‘ 4g i a r 4 104 E. BOMPIANI pongono di x0%-" S,.; seck=m laV, è uno Sn (15); sek=m+ 1, gli 0! S,, generatori della V,,.1 sono osculatori ad una curva (con i casì degeneri); se infine k > m-|- 1 (caso generale) la Vi è un cono di specie m (cioè i suoi spazii generatori passano per uno S,,_3 fisso). | e Per tutte le varietà finora considerate in questo paragrafo la W degli spazii tangenti ha dimensione 2k — m. Il resultato analitico contenuto nell’ ultimo enunciato è il seguente : Un integrale generico del sistema definito da m gruppi di k equazioni a caratteristica completamente integrabile può sempre porsi, con un opportuno cambiamento di variabili, nella forma LE Ao | Ti Ai + CISTI ss Tm1 Asa -1 + Tar Ciro Tn 42; DLE] Tr) (Ao; + Am-1, costanti) sek>m+ 1; sesk=m4+1 la forma a cui potrà ridursi è, in generale, dA dA d"A o A (Ta. 1 + Ti dae n t- , ul mn ir } + ) I ATm+1 dtm-1 È dtm+) (o la precedente). 15. OsseRvaZzIONE. — A prescindere dal caso banale m = #, dev'essere sempre m <%. Abbiamo visto ($ 4, n. 12) che la ricerca delle V, per cui la varietà degli spazii tangenti W ha dimensione minore dell’ordinaria conduce a distinguere due casi: di .. k(k—- 1) nel 1° la V, rappresenta più di LL ordine linearmente indipendenti (!*); lo studio dei sistemi a ca- ratteristica ci ha condotti a varietà che appartengono in gene- rale al secondo caso: ora ci domandiamo quando le equazioni fra loro indipendenti contenute negli m gruppi di % equazioni i : e(k —1 4 > 4 ML siano in numero < i li (in modo che il loro studio non coin- equazioni del secondo cida con quello del primo caso). Poichè due gruppi debbono aver sempre un'equazione co- (45) Più propriamente una 00° di Sm, cioè un numero discreto di Sn. (19) Skore, 1. c., n. 6 (3); n. 21; Ternacini, 1. c., n. 12 (19). SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULT'ANEE, ECC. 105 mune (quella che fornisce x" nell’r-esimo e nell’s-esimo gruppo). il numero delle equazioni indipendenti è | srt (A mk (5) c kl 1 ; = , che dev'essere peo. Per l'uguaglianza deve aversi ne) dolelegh) mk — iP) == 9 2mk —m(m—-1)=k(k—1) k? — 2m+1)kK+m(m_-1)=0. Quest’'equazione dev'essere risoluta in numeri interi e tali che risulti X > m. Dovrà intanto essere (2m + 1)? — 4(m° — m) = a? (a intero), cioè @+1)(0-1 __9,, 4 quindi a dev'essere un numero dispari; posto a = 2#-|- 1 (t in- tero) si ha = tE+1) 2 che dà per % 1 valori oe La, k= il quale ultimo essendo minore di m va scartato. Quindi, se £ è l’intero per il quale ((+1)@+4)>2X—22=t(+3), t(e+1) i dev'essere m < -- : queste disuguaglianze assegnano, dato £, il limite che può raggiungere m (senza che la varietà V, rientri nel 1° caso). 106 E. BOMPIANI 16. — Abbiamo finora considerato più gruppi di equazioni a caratteristica, contenenti ciascuno % equazioni linearmente in- dipendenti. Cerchiamo di trasportare questi resultati al caso in cui le equazioni di ciascun gruppo siano in numero minore di &, e supponiamo che le equazioni indipendenti siano v in ciascuno dei gruppi. Diverse ipotesi si potranno presentare; dopo averle esposte, prenderemo in esame la più semplice. Riprendiamo a questo scopo le considerazioni del $ 2, n. 7. Relativamente a ciascun gruppo di v equazioni (o al si- stema da esso definito) esiste un iperpiano (caratteristico) fisso, mentre l’iperpiano variabile da equazione ad equazione descrive un sistema o! al quale (essendo per ipotesi il sistema para- bolico) appartiene l’iperpiano fisso. Se i gruppi di equazioni sono nm, abbiamo così m sistemi w7! d’iperpiani; le posizioni re- ciproche che questi sistemi d’iperpiani possono assumere nello $S, delle variabili t,, t», ..., tx sono le seguenti: 1) non esiste una parte comune a tutti questi sistemi; 2) esiste una parte comune a tutti questi sistemi; 3) tutti questi sistemi coincidono. Quest'ultimo caso si presenta necessariamente quando v — & (cioè nell’ipotesi già studiata), perchè ciascun sistema si com- pone di tutti gli iperpiani uscenti da uno stesso punto. È quindi chiaro che se vorremo ottenere resultati analoghi a quelli dei numeri precedenti, sarà appunto di quest’ultimo caso che dovremo occuparci. Facciamo ancora qualche osservazione di carattere gene- rale sulla forma che può darsi alle equazioni dei singoli gruppi nei diversi casi che si presentano. Nel primo non si potrà, in generale, assegnare alle equa- zioni date una forma più semplice di quella a cui conducono le considerazioni del n. 7. Il secondo caso si può dividere in due sottocasi, a se- conda che : a) la parte comune a tutti i sistemi d’iperpiani varia- bili non contiene tutti gli iperpiani caratteristici fissi di tutti i gruppi di equazioni date ; b) la parte comune a tutti i sistemi d'iperpiani variabili contiene tutti gli iperpiani caratteristici fissi di tutti i gruppi di equazioni date. SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 107 Nel sottocaso 5) si può assegnare un massimo per il nu- mero m dei gruppi di equazioni. Infatti, perchè questi gruppi siano fra loro indipendenti, occorre che tali siano i loro iper- piani caratteristici. Sia u — 1 la dimensione della parte comune ai sistemi d'iperpiani variabili (4 + Gp Ci +... + ar + ava =0 SR ATE Nuelle + Be + Boe =0 > + Bor 014... + Bono" + Boo =0 T (Ia) SORA ep dB A » “a Bay 2! “i SUE - Bur a | BuoX = 0) ove A=a,x1 + a3x? +...+- ava”, B=b1x1 +-b9x2 +...+ dvo”, ...; le altre equazioni in ciascun gruppo contengono pure derivate di A, B, ..., ma in modo che una stessa variabile di derivazione non comparisca in tutti i gruppi. Nel sottocaso 5) a u delle equazioni di definizione in ciascun gruppo può darsi la forma più semplice: tara +... + re + asa = 0 gl? x oi Aa | ce. - Aor oa - doo Dani 0 (1) CITA MIRA BERIERES Cc Os ed ay 2! +. Live — dun + Uuo® = 0 end let ia SARI fr v'è do” . id L 105 E. BOMPIANI x 4 Be +... + Bn + Broe=0 °° + Bere +... 4 Ba o + Box =0 (13) . . . . . . . . . . . . att 4 Bue +... + Bene -|- Buogr = 0 Il terzo caso infine non differisce dal secondo che per es- servi u = v. Quindi accade necessariamente che gli iperpiani caratteristici fissi dei singoli gruppi si trovano tutti nel sistema comune descritto dagli iperpiani variabili dei gruppi dati, quindi m=v(= k). Questo caso potrà perciò opportunamente chiamarsi totalmente parabolico. Assunti gli iperpiani caratteristici fissi come quelli di equa- zioni T,. 0, Ta=0, ..., Ta =0, può darsi alle equazioni di definizione del sistema la forma xl + A x1 L 00. + A, x” + Ao LE 0 x12 + (LET x - 000 i Ador x t (LETI) v= 0 (13) ’ LV+ ay a! +... + ava + ave = 0 DUI L 0, ad +... + 0,1" + 0,00 =0 (1) amm L 0,101 +... + Om + Omo£ = 0 4 rei “E Oy +... 5° Once" Di Ove = 0 La discussione ora fatta serva a far notare quanti diversi tipi si presentano (anche rimanendo in quello che abbiamo chia- mato caso parabolico) quando si cerchi di estendere l'ordinaria nozione di caratteristica ad un sistema di equazioni simultanee del 2° ordine. 17. Prendiamo a considerare un sistema totalmente pa- rabolico costituito da m gruppi di v equazioni a caratteristica del 2° ordine (e sempre manteniamo l'ipotesi che dalle equa- Pe fe SA SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 100 zioni date non se ne possano ricavare del 1° ordine) e illimi- tatamente integrabile. Per caratterizzare la V, che lo rappresenta, riprendiamo le considerazioni del n. 10. Se si tien conto al solito modo delle condizioni d’integrabilità per la forma in cui abbiamo visto po- tersi sempre scrivere le equazioni che definiscono il sistema (in fine al n. prec.) si vede che le variabili tv4;, ..., tx non vi figurano che apparentemente come variabili di derivazione; e allora per il resultato già conseguito al n.14 si ha il teorema: Le V, che rappresentano un sistema totalmente parabolico de- finito da m gruppi di v equazioni a caratteristica del 2° ordine sono costituite da x*—" S,,, e precisamente: sev=m la V, è luogo di o*-Sy (disposti nel modo più generale, in senso protettivo); sev=m--1 la V, sì compone delle m-esime sviluppabili di om 1(—o%-) curve (cioè i suoi S,, generatori si possono ordinare in modo da riuscire osculatori ad. xo"-"-1 curve); se infine v>m + 1 (caso generale) la Vi, è luogo di x" coni di specie m. Analiticamente si ha il resultato : Un integrale generico di un sistema totalmente parabolico de- finito ec. s. si può con un opportuno cambiamento di variabili ri- durre, in corrispondenza ai tre tipi elencati della V,, ad una delle seguenti forme : E SERE AA STD ia i Ta), (m= v) ta dA dA QUA r=A (Ty LO ES URL T,) sr Ti dt, * a EE + «ne cn Tin dry” , (Mm=v— 1) ds Ao (ty41 tata) +7 A,(ty4, sv Ta) tt Tr Anna(Ty+1s 00) Tx) + <* Tm C(Tnti AL UNE T,) s (m ant + Tvv+iaY=T" | A n) Y= , dTs Le condizioni scritte in prima riga portano che la curva, luogo dei vertici dei coni, è descritta dal punto ag vt! — x mentre quelle nell’ultima riga dicono che è nullo uno degli in- varianti di ciascuna delle equazioni date. Se il punto scritto è indeterminato, cioè se la varietà che consideriamo non è in realtà una Vy+, ma una Vy, si ha (trattandosi di coordinate omogenee) att —ra=0; cioè i= evi Kitiara {ove X è simbolo di funzione arbitraria degli argomenti indi- cati) è l'integrale generale del sistema. Escluso questo caso d’ec- cezione, si riconosce (in modo del tutto analogo a quello che sì tiene per una sola equazione integrabile col metodo di Laplace) che l'integrale è del tipo e = eSPATY(X(1,,...,Ty) +-SY(1y41) SY1tdtrt + prat VAT 4 ATy 43] ma perchè questo possa soddisfare al sistema dev'essere ancora r 7 pr fiv41 = Ya(T); Yav4a = YalTo), n Yyyaa = Ly (Ty). 20. — Per le V, studiate in questo paragrafo la W degli spazi tangenti ha dimensione ordinaria. ar (n È lag) SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 118 $ 7. Sistemi di equazioni a caratteristica del terzo ordine. 21. — Prendiamo ora a considerare un sistema di equa- zioni a caratteristica di 2° e di 3° ordine. S'è già osservato che i coni di 2° e di 5° ordine che possono associarsi alle sin- gole equazioni (n. 7) debbono avere un iperpiano comune, cioè i termini contenenti in ciascuna equazione le derivate d’ordine più elevato debbono potersi considerare come derivate (prime o seconde) di una medesima espressione contenente linearmente ed omogeneamente le derivate prime della funzione incognita x. Come già nel caso delle sole equazioni del 2° ordine, si può trovare un massimo per il numero delle equazioni linear- mente indipendenti; e si riconosce subito che, se le equa- zioni di 2° ordine indipendenti sono v, quelle del 3° sono in @—-v@&—-v+1 a e che il sistema può definirsi con numero di le equazioni EE mph pk pl . A! —_—— Cir L - A1,k-1 Hi i 1 - PIA + Ad, o) | + 1,0 % M i “= ya | ye 014... + 09101 + 0y,07 de i LA LE Toytia dA api a +. + 0y41,0 dea | avi fan LEDA + 0y+1,v42,11 011 + Oyp1,vtan 2 +... + ya, v+-930.1 (ID) pk ypk,k — I Î| 11 dla LL \ + A,,k di - Ser LL Ax. L ove A=a;x1 + asa? + ... + aye”; le a; a sono funzioni delle t. Ci limiteremo a studiare un sistema definito appunto da questo numero massimo di equazioni illimitatamente integra- Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 8 114 E. BOMPIANI bile, nell'ipotesi che le equazioni del 2° ordine definiscano uno sistema di tipo parabolico. i Converrà distinguere diversi casi a seconda dei valori di v : nel caso di sole equazioni del 2° ordine la V,, rappresentatrice del sistema, possiede un’'asintotica (se v = 1), o è luogo di svi- luppabili (se v — 2) o di coni (se v=3); si tratta di vedere quale sia l’ influenza delle equazioni del 3° ordine sulla natura della V,. I casì che tratteremo sono: v=1, kK=2; v=2, k=38; v. qualsiasi, Xx =v-+-1; v=1, #* qualsiasi; v>34 k qualsiasi. 3 22. — Premettiamo qualche osservazione di carattere ge- nerale sulla forma a cui possono ridursi le equazioni di defini- zione del sistema. Intanto, con un eventuale cambiamento dei parametri t, Ta, ...; Ty, può porsi A=z! (cfr. n. 7) e anzi si può sempre fare in modo che la prima equazione del sistema (1) sia a!! = 0. e di conseguenza le altre: i q13 = Ba + 01 Le 4 Bar Deb Rep \ 209 = Boro 4 Boac10%1 4a + Bad Bo | x LV = Bin®" + Bya-1 0714... 4 By d + Byo® LIN+LV+I =... + Bypsim DA... + Byira 24... + + Brad! 4 Byt1.0 £ QIN+IN+I 2. A Bypiivtain Let Brita + Bv+1,v+2,1 DA By+1,v+2,0 (come al solito non interessa l’espressione delle f per mezzo delle a, ma la sola forma delle equazioni). SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 115 Applicando alle prime v equazioni le condizioni d’integra- bilità si vede (cfr. n. 11) che il primo gruppo ha la forma XI = Yo9 1° 4 Yard! 4 Ya04 \ 11° = 133.23 4 Ya1 21 +4 Y30.£ (1) VE SOL = Toy dt + Yvi C1 H- Tvo X dea ala pv Cerchiamo di semplificare in modo analogo le equazioni del secondo gruppo. Osserviamo perciò che in forza delle equazioni scritte la coppia (/, 1) di indici (nei termini con le derivate se- conde di x) può ritenersi variabile nel quadro: A,v+1) (L,v+2).. (1,5 Gap pesto ew, e, ve) (Vv +2) (2,0) (BIST ve BV 1) (3,v+4-2). (3,9) (v2) (v3)--... (vw), (Mv+1) (vy,v+2).. (V,5) (v4-1,1) (v+1,2) (v--1,3) ...(v4-1,v), (v+1,v4-1) (+1,v+2)...(v+1,4) Ode VER) v+ 1) (&,v-+- 2)... (k3) Ricaviamo ora dalla prima equazione delle (I°) la deri- vata x!?v+1v+!; essa risulta combinazione lineare (di alcune) delle dC, 03, 13, DNH1, gIV+1, g3V+1 gVtLvtl gliv+1Lvt1, gB3Y+Lvt1 o, in forza della prima equazione del gruppo (II), delle sole ee VELI, l’unica derivata terza che vi possa figurare è 2%%+1v#1, Procuriamoci la stessa derivata x!®v+1%+1 dalla prima equazione del gruppo (II); si ha come combinazione lineare delle al ank nprs a2lin STO OI PORRI ARRESE le PRTBERIOL, 1, ORSI 116 E. BOMPIANI Fissiamo la nostra attenzione sul gruppo delle derivate terze. ricordando il quadro soprascritto. Le derivate del tipo 1°!" (m > v) si possono, in virtù del gruppo (I), esprimere li- nearmente per mezzo della x e delle sue derivate prime e se- conde; nell'equazione prima del secondo gruppo potranno: Lei comparire i termini contenenti GAINerte glia Le hai Anzi non vi potrà comparire di più altra derivata seconda che la x**>+1; perchè, secondo l’altra espressione trovata di g1.®Y+1.v+! non figura in essa che la derivata terza x®*+1.v+1 (e, ripetiamo, facciamo l'ipotesi che x non soddisfi ad altre equazioni di secondo e di terzo ordine non appartenenti al si- stema misto (n. 6) definito da quelle scritte). Così intanto rico- nosciamo che x!%*1.v*1 è combinazione lineare ed omogenea delle sole Sr 5 vl PF dll Ber AAA ai, pITLV+I, Dico di più che in x!**i*+1 non compariscono le derivate x*, .... x”. Infatti se vi fossero esse darebbero origine (per de- rivazione rispetto a ts) ai termini Nè questi possono venir eliminati dalla espressione di cb3%+1.v+1 perchè le espressioni delle x!?” (m > v) ricavate dalla prima equazione di (1’) non li contengono. Ma nella espressione di x!®+1v+1 ricavata derivando #!* essi neppure figurano: quindi *, ..., x” debbono mancare in qovtLv+1 che si può infine scrivere 7 .LV+Lvt1 — :V4-1,V+1 .Lv+1 | x! +11 = Yy+yv+1,v+1î t Yw+1,1,v412 Joe HYv4si a 2 TP Tytsvt1 LE +.A- fobia OH Yv+11T + fv+10%. Discutendo in modo analogo le altre equazioni si vede che, SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 117 ‘con la scelta eseguita della variabile t,, le equazioni date si serivono nella forma gl ==> (0) 012 = Y99 2? + Yad! + Yo0£ Av E VA Td (Yso =... =Yyy = Y) | peli vElvt+i — :V+1,V+1 » A SS FIVE a Î I :1k :V+1 al T Yy+1,1h £ + Yy+1,v+1 4 ROTA ge gi + 1 2 + Yyt11T * Yv+1,0 4 FAV; SIA V+1,V+2 Lx .1,V+1 QIYTLYE? Yyti,v+2,v+1v+24 + Yy+s,v+3,1,vt1 LPVILÀ 1% NY Revista EAT vivi O DL vk bal î + Yvtnveaa C+ Yy+nvea1 2! + Tytn,v+2,0 L (11°) e a RT a bra LE | Sira Tav Di asa Eb Ta He Tad Passiamo ora a trovare la loro interpretazione geometrica nei diversi casi che si possono presentare. 23. — Si abbia v= 1; &=2, cioè il sistema d-0. 0 1-41; l’ultima equazione può scriversi anche X2°— djg 012 + db, a2 + di 21 + dx i ponendo X = x! — Ys97; cioè il piano osculatore alla curva de- scritta dal punto X al variare di t, (individuato da X, X?, X?2) è contenuto nello Sy dei punti x, x!, x?, x!?; questo S; è tan- gente alla rigata lungo tutta la generatrice cui appartiene X (1, x!), dunque sulla rigata esiste una curva i cui piani oscu- 118 E. BOMPIANI latori giacciono negli Sy tangenti alla rigata lungo le sue gene- ratrici. Adoperando una locuzione già da me introdotta per lo studio delle rigate negli iperspazii, diremo che la rigata ha indice di sviluppabilità 2; è noto (*?) che in tal caso le sue ge- neratrici giacciono nei piani osculatori ad una curva (e casì degeneri) (28). 24. — Si abbia ora v= 2, kX=3; il sistema, con osser- vazioni analoghe alle precedenti, si scrive: gii. =0 018 = Yas 0 + Ys1 1 + Yao L 1193 = Yg33 188 4 Y313 113 + 133 08 4 Ya1 2! + Y30 1. La prima equazione esprime che la V; integrale è rigata, la seconda che le 00! superficie rigate definite entro Vz da tz = cost. sono sviluppabili, la terza che le o! superficie definite da tg = cost. sono rigate della specie considerata precedentemente, cioè hanno il primo indice di sviluppabilità = 2. Per l’ipotesi fatta che non esistano altre equazioni di 2° e di 3° ordine sod- disfatte da #, si può fare un cambiamento di variabili tale che le rigate t, = cost. siano qualsiansi entro la V3. Dunque ogni rigata entro la V, ha indice di sviluppabilità 2 (o 1 per le c0! sviluppabili). ‘erchiamo di caratterizzare queste V3. Cominciamo dal supporre che gli o! spigoli di regresso delle sviluppabili non si riducano a punti: si riconosce subito che tre di essi infinitamente vicini stanno in uno S, (?4). Se escludiamo che tutta la rigata (22) L. c., n. 4 (5), d). (2) Questo fatto non avviene in generale per una rigata di Sn sen > 4. (*) Analitiecamente. Se X (T3, t3) è il punto che descrive lo spigolo di regresso (su cui varia Tg) si ha (1) 1332 x 33° + 133 x + lag X®? L la X° I la XK + lo X= 0. Ma poichè la proprietà notata vale per una rigata qualsiasi entro la con- gruenza, deve aversi una relazione lineare omogenea fra i punti: dx dX®* d@X d'Xx* Dia de e SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 119 appartenga ad uno S, (tutte le rigate in S, appartenendo alla specie in esame) ciascuna sviluppabile dev'essere costituita dalle tangenti ad una curva piana ; i loro oe! piani sono osculatori ad una medesima curva. La V} è la seconda sviluppabile di una curva. Ma una tale V; soddisfa a quattro equazioni di 2° e di 3° ordine; e va quindi esclusa, Le sviluppabili devono ridursi necessariamente a coni aventi i loro vertici sopra una curva e questa dev'essere quasi- asintotica (25) per tutte le rigate di V3 (cioè deve possedere la proprietà della curva descritta da X nel caso del n. prec.). Si vede subito che (per non ritornare sulla seconda sviluppabile di una curva) questa quasi-asintotica dev'essere una retta. Rias- sumendo: La Vg integrale di un sistema del tipo \ ql =00 plein rzicine X1°9 = 1333 13 + Y313 C18 4 138.03 + Y31 214 130 £ ove dX s SIRIA, 3, eg x EX a È dé a Nar T' + dra "di == ART sa DIR 7 — D Eito. Q2XATT,+..; d°X? 229 p) TaR” = Keen? È 0 con T,, T3, 17, 1” qualsiansi. Ponendo intanto ta=0, t:=1 si ha, in virtù della (1) (2) mr X® + 10035X® + mo X® + mg X3 + m>X* + moX = 0 e ponendo invece 73=0 (69) tizog XK? + N33 XK + ag XX + n3X* + n3X* + no XX =: . Le relazioni (1) (2) (3) mostrano che i punti * x x3: x, x®, x3, x33, x, xX233 appartengono allo S, dei primi cinque p. es. (se questi l’individuano). Pro- curiamoci X???; poichè X?® appartiene a questo S,, > spazio determinato da S, e dai punti derivati X®, X?®; ma questi ap- partengono ancora allo stesso S,, quindi vi appartiene X?®?®, La stessa ope- razione ora fatta può ripetersi su X?®, e così di seguito: concludiamo che lo spigolo di regresso generico sta in uno S,. Ma questo contiene anche X* e X*, dunque, per lo stesso ragionamento fatto su _X, contiene tre spigoli di regresso infinitamente vicini. Ora si può continuare come nel testo. 72222 apparterrà allo (25) L. c., n. 4 (8), d). 120 E. BOMPIANI si compone di x! coni di prima specie aventi i loro vertici sopra una retta. Non mettiamo il resultato sotto forma analitica, perchè ciò sarà fatto appresso in un caso più generale. 25. — Mostriamo invece quale sia, anche in un caso così semplice, l’importanza dell'ipotesi che non esistano altre equa- zioni (indipendenti dalle date) alle quale soddisfino le # (d’or- dine <= 3). Riprendiamo perciò in esame questo sistema abban- donando l’ipotesi ora ricordata. Rimangono inalterate le considerazioni fatte fino al cam- biamento di variabili. Consideriamo gli 00! spigoli di regresso, sui quali assumiamo come variabile t,, delle o! sviluppabili : sulla superficie luogo vengono tracciati i due sistemi di linee ts, tz. La V; rigata è costituita dalle tangenti alle linee ts; le tangenti alle t, in 3 punti successivi di una tz stanno in uno Sy (appunto perchè le rigate t,= cost. entro V, hanno indice di sviluppabilità 2). Indicando con 2 (T3, T3) un punto della superficie detta, può porsi c=2 +. I punti 2, 2*, 2°, 28°, 233, 2552 debbono appartenere ad uno S; sicchè la 2 dev'essere integrale di un'equazione del tipo a2382 + ba88 4 c25° +-_d2e3 + ee? +fa=0. Eliminando e e le sue derivate fra questa e la relazione che da x si ritorna sul sistema precedente. Ma dico che la x soddisfa necessariamente ad un'altra equazione del terz'ordine. Insieme allo S, considerato pensiamo lo $, costruito per un punto infinitamente vicino di ty: questi due S, hanno in comune lo S, osculatore a tz nel punto, cioè stanno in uno Sy. Espri- nuamo analiticamente questo fatto. Lo spazio congiungente no- minato è quello dei punti DEA SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 121 esso dev'essere uno S;; cioè, tenuto conto delle relazioni pre- cedenti, deve valere una relazione del tipo lx293 L mx + na?3 + pa! + qa + ra? + sat +ia=0, ‘equazione differenziale di terzo ordine cui deve soddisfare la x. Il resultato può enunciarsi così: L'integrazione del sistema delle tre equazioni date e dell’ultima scritta è equivalente all'integrazione di un’unica equazione di 3° or- dine del tipo: a333% L ba383 + c25° + de3 4 ee? 4+- fa =0. Per questa equazione si può costruire una teoria del tutto simile a quella dell'equazione di Laplace. 26. — Il sistema di v equazioni del 2° ordine e di una del terzo si discute allo stesso modo del precedente. Le prime v equazioni indicano che nella Vy,;, vi sono co! coni definiti da ty+, = cost.; l’ultima indica (nell'ipotesi che non esistano altre equazioni di 2° e di 3° ordine fra le x) che ogni rigata entro la Vy+, ha indice di sviluppabilità = 2 al massimo. Per un teorema già da me dimostrato (25) queste V,.; sì compongono di o! coni aventi i vertici sopra una retta, o ap- partengono ad uno spazio di dimensione 4. Quest'ultima ipo- tesi è da scartare (si è già visto nel caso precedente). D'altra parte si verifica subito che una V,4, composta di co! coni aventi i loro vertici sopra una retta è integrale del nostro sistema. Siano A e B due punti fissi che individuano la retta del vertici; C (T,, ..., tv, Tv+;) un punto preso sulla ge- neratrice generica. Un punto x della Vy+, è della forma TRO gio i dt = Ty (A + Tyti B) Le (8) (Ta, «019 Ty, Ty+1); per esso si ha: Lode RENE 0; sistema di equazioni del nostro tipo. Riassumendo: Crea e 122 E. BOMPIANI SG Le Vv, integrali di un sistema del tipo indicato si compon- gono di o! coni (generici) di prima specie aventi i loro vertici sopra una retta. Alla soluzione si può dare la forma o; te. La T (A + Ty+1 B) + C(t3, ar-g tv Tg +1) Sigg. SR mediante un opportuno cambiamento di variabili. ea e 1 i 1 Re Se invece si partisse dallo stesso sistema = É SE ai = 0 “R X1° =Ysa XY + Ya! + Yao T v Sn LI ZYyyXd" 4 Vv © 4 Yo € Z ql vt+tLvti — Tuba aka ved aVtLv+i + Tat-f.v-ha dIvTI + + rv+nvt1 DIL + tvtsa + Yao x . . . è ammettendo però che le x possano soddisfare ad altre equazioni del 3° ordine, ma non del secondo (non appartenenti al si:tema), | la Vv+, integrale sarebbe ancora costituita da co! coni WVy di prima specie, definiti da Tv, = cost. > a Ciascuna delle rigate (V,) definite da t, = cost., ..., ty = cost. | ha indice di sviluppabilità = 2, cioè le sue generatrici sono nei piani osculatori ad una curva su cui varia tv; : il luogo di. queste curve è una Vy sulla quale interessa notare le Vy-i definite da tv., = cost. Infatti : i piani (Ss) osculatori alle linee tv, nei punti di una Vv_1 passano per un punto ; i lo Ssy congiungente due spazi tangenti a Vy in punti consecutivi di una tv, contiene gli Sy, tangenti alle Vv, in tre punti consecutivi della curva stessa ty_,, e passa per un punto dipendente solo da tv... Da queste proprietà potrebbero ricavarsi (come al n. 25) le altre equazioni differenziali cui soddisfa , br 27. -- Esaurito così lo studio di un sistema di #=v-+ 1 equazioni del nostro tipo, prendiamo a considerare il sistema (1°), (IT) nel caso più generale, cominciando dall'esame delle % È SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 123 equazioni del 2° gruppo associate alla x!! = 0). Esse, per l’ipo- tesi che non valgano altre equazioni di 2° e di 3° ordine fra le x, debbono potersi scrivere a pk .h fue Let va CAVE Trey et ++ Yvtavia CHL + Yyt11 2 + Yy+1,0.£ rs pk une ANFIVEI 2 Teeivegga LI i RT e LL borvigvean DE+ + rv+nveovti DIL + Yvti,v+aa D+ (11°) sii Yy+1,v+2,0 4 kk — pa , sk SITR VE di Sasa vrt4 dazio pel d 9° w* = d& n + Yk,vt1 ra + ) psi Di. + Yk,o L Tv+1v+1vti = Ty+1v+2,v+1,v+2 = Yh,kh,g —Y. Il punto X=x! — 1x appartiene alla generatrice rettilinea passante per il punto x, e descrive una V,_, al variare di Iena TE Esaminiamo questa V,_y in rapporto allo spazio Sg-y)+1 dei punti a, 21, eVt4, ..., 2%, g1V41,..., e1* I punti X, XV+1,.,., 0 stanno nello Ss-y)+1 e per le equazioni (II°) vi stanno. anche i punti XV+bv+H1, XY+Lv+2, ..., X*: questi sono in numero di —-v+D&k—-v+2) ©» 2 : confrontiamolo al numero dei punti che definiscono lo Syx--v+1 in cui quelli si trovano. Per k>v+1 (e l'ipotesi 4 =v+1 è già stata studiata) si trova rt EDE eta >2k—-wy)+2 il segno d’uguaglianza valendo solo per % = v + 2. Ne segue in ogni caso che lo Sxx-v+1 tangente alla rigata lungo una sua generatrice è lo spazio 2-tangente alla varietà descritta da un determinato punto (X) di essa (cioè lo spazio che contiene 4, i suoi punti derivati primi e derivati secondi) (?°). La varietà Vi-v, (X), descritta dal punto X può perciò dirsi x asintotica della V,-vs1 rigata in cui è immersa. La proprietà di ()Y Lee: n.05 (8). 124 E. BOMPIANI possedere questa Vy-v asintotica è caratteristica per le DIvsa Vi_ys1 integrali del sistema (IN). Sia ora #=v-|-2; una superficie generica ha per spazio 2-tangente uno S;, quindi potrà assumersi come superficie asin- totica di una rigata del tipo precedente. Ma nel caso generale (&k > v-+ 2) lo spazio 2-tangente ad una W,_, ha dimensione > 2(kf — vv) +1; quindi per costruire la Vy+, rigata occorre risolvere un problema preliminare : Costruire una Vv + cui spazio 2-tangente generico hbei dimensione = 2(k — v) + Poniamo k — v= W; ; spazio 2-tangente ad una V, ha in Muti; se questa deve ridursi a 2u-- 1 occorre che fra X e le sue derivate prime e seconde passi un numero € di relazioni lineari ed omogenee tali che generale dimensione - AGE Ly_e=25+1 quindi RENO i = 9 — 1. Supponiamo, p. es., che lo spazio 2-tangente ad (X) in X sia individuato dai punti x Xv+1, P4A XV+1.vt1, XV+1,v+2 Xyv+1,k XVv+3,v+2 7, GE” uaas p 4 si ig n (essendo uno S3241): forniscono le altre derivate A”. Integrato questo sistema è facile integrare quello dato (11) u(u+1) 9 ; (che contiene equazioni del terz'ordine). Infatti un punto y generico sulla generatrice per A essendo contenuto nello spazio 2-tangente nominato dev'essere del tipo: Y 2 tX + ty41 Xv+I + ULTI L tr 0° sa ty+1,y +1 >. € di + oe. + r 7 - e $i AVFIR A fvg vip ANFIA, cioè le sue coordinate sono combinazioni lineari ed omogenee dei punti indicati a secondo membro. Ciò dev'essere anche vero, — 1 equazioni cui soddisfa X 253 - di - “ de i; SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 125 come s'è osservato, per i punti y#1, ..., y": quindi derivata la relazione precedente e sostituite in essa le derivate seconde e terze di X che è possibile ricavare dalle equazioni cui A sod- disfa debbono annullarsi i coefficienti dei termini che non figu- rano nella relazione stessa. Ciò impone dei legami differenziali ai coefficienti nell'espressione di y. Riassumendo : DE È È : . ulu+ 1) E: L'integrazione del sistema (II°) di ——;— equazioni del terzo ordine (insieme alla x!! —= 0) è ricondotta all integrazione di un : ne =) Spar , : i ; sistema di BL] equazioni del 2° ordine, lineari ed omo- genee, in una funzione X. La soluzione di (Il') è del tipo e=TAXA+4 y OVE yi tX+ (ATI XVI + do + È XxX EL ivt1.v+i INVEEIRVA n 74 Slo I 7 7a 9 9 SA VAIL vega AVE i coefficienti di questa combinazione lineare essendo legati da rela- zioni differenziali del 1° ordine che si sanno costruire (e che na- turalmente bisogna integrare). In particolare, per u = ri ra h= 0) sì può pren- dere per X una funzicne qualsiasi, sicchè basta soddisfare alle relazioni differenziali ora dette. Finora abbiamo esaminato il solo gruppo (II°); vedremo che il problema si semplifica quando il gruppo (I°) contenga altre equazioni oltre alla x1! = 0. 28. — Esaminiamo ora l’ultimo caso: v > 2 e & qualsiasi (caso generale). Ci è già noto che la V, si compone di oo" - coni (cfr. n. 11). Se indichiamo con X(ty4;,..., t}) un vertice generico e con Y (Ta, ..., Ty; Ty+1; »--, T4) un punto di una sua generatrice, si ha ET) a veri con questa scelta di parametri le equazioni del primo gruppo prendono la forma VI DO 126 E. BOMPIANI «I n . . . nin . s* “go ei da Se si applicano al solito modo le condizioni d'integrabilità alle equazioni del terz’ordine, si vede che in esse non possono comparire che le derivate rl, LLYHI, di Digli LLYtLV+I, ghYt+L.v+a, la qhbt. cioè, poichè x! = X, quelle equazioni si scrivono: AVTLVEI = dypavenvi DLL... Poytivirn + deo AVTIRTI dy+1,v+-2,v+1 E ae dy+1,v+2,% AH d)4+1v+2,0 X La 4 Nk o dDarvti XYHI + vee + dh, PC + dx,kx,0 i be : Tutte le derivate seconde di .X si esprimono per mezzo di X - Ri stessa e delle sue derivate prime, linearmente ed omogeneamente: altrettanto accade per le derivate successive di qualsiasi ordine; | — cioe ‘la varietà (X) descritta da X è uno Su. Si verifica poi subito che se la (A) è uno CA la varietà Vx è del tipo voluto. Bo Lo S.(u=k— v) sia definito dai punti fissi Ap, Ayii; Ax © - i è un punto della nostra V, rigata è del tipo È E pr L= T (Ao n= Vi A;ti) t B (Ts. 009 Tyg Tyt1) Tr). - 27 v+i = ei pai 2 Si ha Rec i A +. quae gt=. = Pd PIA È quindi 2 QIN+LVHL — 0), gbV+Lvt? 2 0... glv+Lk — Od ch O;i d) le x non soddisfanno in generale (cioè se le B sono scelte in : . , . e, modo generico) ad alcun’altra equazione non appartenente al na sistema individuato dalle precedenti. Riassumendo: da , A DAI Le V, integrali di un sistema di v equazioni del 2° ordine | — . k—v)k—-v2. Atti della R. ia caVol, Au 9 130 E. BOMPIANI 31. — Si vede invece subito che il sistema ammette delle trasformazioni analoghe a quelle definite dal Darboux per l’equa- zione di Laplace, formate con soluzioni dell’equazione stessa (?°). Consideriamo perciò un punto di una Vy (T,,..., Tv) Ty+, = cost. e lo Sy ivi tangente (°°). Gli Sy costruiti analogamente per % + 1 punti successivi di una tv., appartengono ad uno Sy+, definito dallo Sv tangente in un punto a Vy e dallo S, ivi osculatore a Tv+1. Così per ogni punto della Vv+, luogo di x si definisce uno S, ed uno Sy+,. Se l’ambiente è uno S, e sì sega la con- figurazione degli S, e degli Sy+» con uno S,_,, si ha dalla prima una V, alla quale sono tangenti gli Sy ottenuti segando la se- conda configurazione. Analiticamente: Se xi, 3 Xa+1 SONO soluzioni linearmente indipendenti del sistema dato, è determinanti che s'estraggono dalla matrice Ci Un Ln+1 Un+1 | dr, DE7I d2h41 dln+1 rp ie Mari nt 3 dTV+1 dTYALI dTY+I dTY41 I h h h | d'a, dn Lhasa d'Zy+1 “T3 Tai > eli mf h SG DIGRSE a) “LE ST OT yi dt'y41 dti OT y+I tenendo fisse le prime h colonne sono soluzioni di un sistema dello stesso tipo di quello dato. Assunti questi determinanti come coor- dinate proiettive omogenee di un punto di una V'v, le coordinate di v altri punti che individuano lo Sv ivi tangente si ottengono dalle precedenti sostituendo nella -prima linea alle x le loro deri- | dr de vate prime rate ta =» Al sistema è anche applicabile una trasformazione analoga ad una già da me data per un'equazione di Laplace con un (29) G. Darnovx, Lecons sur la théorie générale des surfaces (Paris, Gauthier- Villars), t. II (1889), livre IV, ch. VIII (*°) Queste considerazioni geometriche sono del tutto analoghe a quelle da me svolte nella Nota, Sur les configurations de Laplace [* C. R. de l'Aca- démie des Sciences ,, t. 156, pp. 603-605, 24 février 1918]. SISTEMI DI EQUAZIONI SIMULTANEE, ECC. 191 invariante nullo (81). Con ragionamenti analoghi a quelli svolti nella Memoria ora citata si vede che se x è integrale del si- stema dato, la funzione Palio ia vid AT, a tea) — + Ot; e) (11 mtv) ove O = e-SPuyH dt1t..+7 41 404) è integrale di un sistema dello stesso tipo avente per variabili di derivazione T,, Tg ..., Ty+; mentre T,, ..., t, rappresentano valori fissati ad arbitrio di t;, ..., Ty. Questa trasformazione può applicarsi più volte, ed ogni volta s’introducono v parametri completamente arbitrarii nei coefficienti del nuovo sistema. Gottingen, 31 luglio 1913. (#4) L. c., n. 19 (#5); parte II. Qui si profitta appunto della circostanza che ogni superficie ® entro la Vy_, ha un invariante nullo (cfr. n. 19). INDICE $ 1. — Preliminari : i ; : . Pag. 83 $ 2. — Generalità sulle equazioni a Losi 3 ; BE $ 3. — Sistemi di equazioni a caratteristica di 2° ordine di na parabolico . i Ma 93 4. — La varietà W degli spazi rici 5; una RR TA Ma 98 5. — Gruppi di equazioni simultanee a caratteristica di 2° or- dine di tipo parabolico. . +: 99 $ 6. — Sistemi di equazioni a dliginia di 9° Veaine di bos non parabolico È 1 ; el VR $ 7. — Sistemi di equazioni a iaia di 30 Sdi ; Re $ 8. — Sulle trasformazioni di un sistema di equazioni a carat- teristica di tipo non parabolico . ; ) È LOLA ERE }:L'inbhi di 132 CINO POLI — SULLA DIMOSTRAZIONE, ECC. Sulla dimostrazione dell'integrabilità delle funzioni continue. Nota di CINO POLI 1. In questa nota mi propongo una questione di impor- tanza principalmente didattica, cioè di dimostrare l’esistenza dell’integrale definito di una funzione continua in un dato in- tervallo senza far uso del teorema di Cantor sulla continuità uniforme. Prendo a base di questa dimostrazione la definizione di integrale di Riemann come è stata modificata da G. Darboux coll’introduzione degli integrali infero e supero, e semplificata da G. Peano (1). 2. — Se a, b sono numeri reali (a < 6) ed f è una funzione reale nell'intervallo «bd, considero un numero finito n di punti do=a, d,, dy,... dj =b, di” kt rsen(o+ ®) A cos? (a + @) la lunghezza del segmento di retta perpendicolare a BB' in- nalzato da Cl fino a incontrare la retta O A, si può scrivere più semplicemente (2) set. dl D La variabilità, evidente, di questo rapporto implica, come era da prevedersi, la necessità di utilizzare lo strumento sol- tanto per variazioni convenientemente limitate dell'angolo @, l’ap- prossimazione della misura dipendendo ovviamente dalla varia- zione corrispondente dell’ingrandimento. A parità di altre condizioni, l'apparecchio consentirà il maggior grado di approssimazione se utilizzato nei dintorni di quella posizione per cui è 2. (%)=0 FCR VA cioè a dK - OD 9 VEC — =. (3) I # { n ( Eseguendo le operazioni indicate, questa equazione di con- dizione assume la forma : ì (4) Fato t2t80+9)=cotg8+9— È. Tra le infinite soluzioni che essa caratterizza non mancano i casì particolari caratteristici. Supponiamo ad esempio che, nella sua posizione media di funzionamento, il braccio 0 P debba riuscire normale all'asse PP della provetta. Allora cotg (B+@)= / L'ESTENSIMETRO DI' CAMBRIDGE 145 onde la [4] diviene r+25sen(a+%@©)=0. Scritta sotto la forma (5) r=2Ksen(a + g— n) essa giustifica facilmente le costruzioni grafiche delle fig. 8 e 9. Nella prima di esse si è supposta già progettata, con criterii nt. “ x A = e ei pratici, la parte inferiore dello strumento : fissato allora l’in- grandimento È e scelto D ad arbitrio, colla sola condizione che si abbia SRL, _ si determinerà la posizione del punto A (e contemporaneamente la direzione da attribuirsi alla retta A4') cercando il punto in cui la semicirconferenza di diametro OA' = 2K tracciata in figura incontra la parallela a BB' che dista da O di 0A,=2 (£ — K). Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 10 Do, dI A n Sa de, Lai a. La BI . ci pa 146 GUSTAVO COLONNETTI Nella fig. 9 invece si è supposta già costruita la parte su- periore dello strumento e si è determinata la posizione da at- tribuirsi all'asse BB' della vite mierometrica coll’ aiuto di uno cerchio di raggio MC = K avente il centro nel punto di mezzo M del segmento VA. | p epy de (4) M=-75 EI(ÎS È Si) od anche 5 sat Re mo { i Me Si 12 Foe dy° |” È E: AR Ma è notoriamente rr n. e quindi per la precedente IATA ST, Dono 9‘ ) A cda Pica 20 Ual Poniamo per brevità fi: MOLLI BRA 350 RE SORA SA grane. 9» pria "a dove D è la cosidetta cylindrical rigidity degli inglesi. / Avrem Mei allora 83 pe e analogamente SU DI ALCUNE TEORIE APPROSSIMATE DELLA LASTRA PIANA 155 Per la relazione p=Px- + Py sopra ricordata, avremo quindi () p= Di +i 4 m ded dy* Il dott. ing. Bosch, partendo dal teorema del minimo lavoro di deformazione (!) e il prof. Hager (?) ispirandosi al procedi- mento contenuto nella nota memoria di Walter litz (*) “ Ueber eine neue Methode zur Lòsung gewisser Variationsprobleme der mathematischen Physik , hanno dato soluzioni del problema della lastra che, come può facilmente verificarsi, coincidono con quelle che derivano dalla (5). L’imperfezione di queste risoluzioni venne subito notata da Jovo Simit (4) e più tardi riconosciuta dallo stesso Hager (?). La (5) si semplifica alquanto e si riduce alla equazione di Lagrange, quando si prendano in considerazione anche i mo- menti delle tensioni tangenziali agenti sulle faccie laterali delle striscie. In questo caso, accettando le ipotesi di Kirchhoff, sarà, con gli ordinari simboli, E E) sfide dm) d°7 r=G=6(+% = 264 cd) (4) Berechnung der gekreuzt armierten Eisenbetonplatte und deren Aufnah- metriger, Berlin, Ernst. (*) Hacer, Berechnung ebener, rechteckiger Platten mittels trigonometrischer Reihen, Minchen, Oldenbourg, 1911, (4) Pubblicata nel “ Journal fiir die reine und angewandte Mathe- matik ,, 1909. ia (*) Beitrag zur Berechnung der rechteckigen, ringsum aufliegenden Platten, in “ Oesterreichische Wochenschrift fiir den éffentlichen Baudienst ,, 1909, pag. 349. (*) Berechnung ebener, rechteckiger Platten. Deurscue Bauzeruno, Mit- teilungen ete., 1912, pag. 6. y SF ad REI = 2 pel RO Lea) x e fata var io Ati i d | SITR REA RR AS LIS POSSA ASINI AI PI DOT TRE ISLA RETE SINO 156 GIUSEPPE ALBENGA: | c po. Ca e quindi, per unità di lunghezza della striscia, ida 8° VE cei RE 3 M; == 26 12 dedy È 2 3 Ma è notoriamente i 1 m 1 A care iene 3 sarà quindi anche 1 fi i 1 d°Z 6 Mi =D (I —_ 2) (6) ; 4 dedy | n Per l'equilibrio alla rotazione intorno all’asse y dell'elemento generato dall’ incrocio di due striscie fra loro ortogonali, indi- Do 33 cando con T,, lo sforzo di taglio sulle faccie parallele all'asse x, der sarà evidentemente, 50 gi: — de | de (7) | I LE pda e per la (4) e la (6) È tal Se rid [0 pd lar Diga i : e ancora : 3% dTe dz d°Z pe=— 3 = Pt): Analogamente 2 più pat p,= D fo mis soa) e quindi LL DIA a 0 = noe che è la equazione differenziale di, Lagrange. L'integrazione della (8) per varie condizioni al contorno ha dato origine a numerose ed interessanti ricerche relative spe- cialmente ai contorni circolare ed ellittico. Per quanto riguarda le lastre rettangolari hanno speciale importanza, dal punto di SU DI ALCUNE TEORIE APPROSSIMATE DELLA LASTRA -PIANA 157 vista delle applicazioni tecniche, gli studi di Navier, di Maurice Lévy, di Estanave e di Simic. Navier integrò per mezzo di una doppia serie di seni la equazione (8) per il caso di lastre sem- piicemente appoggiate al contorno sopra un quadro rigido e ca- ricate da un carico uniforme esteso a tutta la lastra o limitato ad una parte di essa opportunamente definita (!). Simi trattò recentemente alcuni problemi già risoluti da Navier ricorrendo invece ad una doppia serie iperbolica (?). Maurice Lévy indicò una soluzione molto elegante del problema della lastra per il caso in cui due almeno dei lati opposti siano semplicemente ap- poggiati (*); il metodo di Lévy venne sviluppato con molta lar- ghezza nella tesi di Estanave (4). Di carattere tutto speciale sono le ricerche di Ritz sulla lastra perfettamente incastrata: elegantissimo dal punto di vista matematico il procedimento di Ritz riesce eccessivamente faticoso nelle applicazioni pratiche. Una soluzione relativamente semplice, che basta per i bi- sogni della pratica, si ottiene seguendo la via additata da Féoppl (°), ricercando cioè una funzione Z, delle x e delle y la quale soddisfi alle condizioni al contorno, sostituendola in luogo di Z nella (8) e calcolando il corrispondente valore p; del carico. Con una opportuna combinazione di un limitato numero di queste soluzioni è facile giungere in molti casi a formole abbastanza approssimate. La via seguìta nello stabilire la relazione (8) conduce subito a quelle equazioni che definiscono le condizioni di posa imposte agli orli della lastra dalla natura dell’appoggio. (4) Cfr. la citata Nota di Saint Vénant al $ 73 dell’opera di Clebsch. (°) Ein Beitrag zur Berechnung der rechteckigen Platten, in “ Zeitschrift des Oest. Ingenieur und Architekten-Vereines ,, 1908, N. 44. (*) Comptes Rendus de V Académie des Sciences, 1899, tome 129. (‘) Eueine Esranave, Contribution à Vétude de l’équilibre élastique d'une plaque rectangulaive mince dont deux bords opposés au moins sont appuyés sur un cadre, Paris, Gauthier-Villars, 1900. (5) FoppL, Vorlesungen iiber technische Mechanik, Vi. i “ Pa L POREZZA Consideriaimo per titanio le idee un Jato perito all'asse i e di equazione o” di c. Sd sa Se il lato preso in esame è perfettamente libero sarà Va cessariamente nullo lungo di esso il momento flettente e pe Ss | ; la (4) si avrà È, pero pren Da sett S n (ae + n aghe tro” Per l'equilibrio della traslazione nella direzione delle LA A ba un elemento di striscia parallelo all'asse x preso in corrispon- g denza dell’appoggio dovrà poi essere a per y=c pe - T, Ge L06RE = CAI FSE o per la (6) e la (1 i ì EA î pi d (dr | 2-1 2A} af n (10) lE (7 it mio du?) |y=e 0 SE ie La (9) e la (10) sono le note relazioni di Kirchhoff (1). “ a . Se la piastra è semplicemente appoggiata al contorno Y dove, per le relazioni precedenti, (20) bin — SU DI ALCUNE TEORIE APPROSSIMATE DELLA LASTRA PIANA 161 Supponiamo ora che il carico p sia uniformemente distri- buito, dalle note relazioni (21) St o Te o ed (e _s) 92): “9 NV {n sen me (22) n, x Di ( 1) #77) (8) dove m assume tutti i valori interi positivi, si ha subito som- mando ; sa ne (23) m=4 33 sen > dove la sommatoria va limitata ai soli numeri interi positivi dispari. Avremo quindi per la (23) 4 Ig 9 = n: de (24) 1 = > > Sen 1 0 e la id 4 È 1 $ ke (25) p=

Pi " Ai lr cin i P.I3p Se e Pa LI 1 Asi "a î #4 . dei ee 7 06 #° PIT eran V < A È 16 AA Ye : " Î 172 EER DI Adunanza del 7 Dicembre 1913. PRESIDENZA DEL PROF. ITALO PIZZI SOCIO ANZIANO ÙI Sono presenti i Soci: Srampini, Srorza, EINAUDI, Bacpr_ pi Veswe e Renier Segretario. — È scusata l’assenza dei So Ù CamronI, Direttore della Casta, Manno, CARLE, RUFFINI, "99 UL, Lu e D'ErcoLe. 1 i È letto ed approvato l'atto verbale dell'adunanza antece- Il Socio Ernaupr, incaricato col Socio Srorza di rifer intorno allo scritto del Prof. Carlo Contessa, Aspirazioni merciali intrecciate ad alleanze politiche della Casa di Sa )O coll’Inghilterra nei secoli XVII e XVIII, legge la sua relazio i a. favorevole. La Classe, approvata la relazione, delibera ì pienezza di voti segreti l'inserzione della monografia € ps Prof. Contessa nelle Memorie accademiche. A xi i per: fd I DI Relazione intorno alla Memoria del Sig. Prof. CarLO Contessa, intitolata: Aspirazioni commerciali intrecciate ad alleanze politiche della Casa di Savoia coll’Inghilterra nei secoli ALE XVI: Argomento della Memoria del Prof. Carlo Contessa è lo studio di un trattato del 9 settembre del 1669 tra il Duca di Savoia ed il Re d’Inghilterra, detto di Firenze, dalla città dove era stato firmato. Il trattato, che era esclusivamente di com- mercio, confermava ed ampliava numerosi privilegi contenuti negli editti precedenti di portofranco per Nizza e Villafranca, insieme ad alcune concessioni speciali già accordate nel se- colo XVII ai commercianti inglesi. Carattere peculiare di esso era non tanto la franchigia o la diminuzione dei dazi doganali concesse alle merci inglesi, quanto le limitazioni gravissime che esso apportava alla sovranità del Duca di Savoia. Impegnavasi infatti questi a non modificare le sue tariffe gabellarie se non col consenso del console e dei mercanti inglesi residenti in Nizza e Villafranca; affidavasi la risoluzione di ogni questione insorta tra i mercanti inglesi ad un giudice o ad un collegio di giudici della loro nazione; stabilivansi tribunali misti per la risoluzione delle controversie miste. Ai sudditi di Savoia non era concessa alcuna reciprocità di vantaggi negli Stati di S. M. Britannica; e nessun impegno assumevano gli inglesi di giovarsi effettiva- mente dei privilegi ad essi consentiti, ma unicamente si espri- meva il desiderio che le agevolezze loro consentite invoglias- sero i navigli mercantili dell’Imghilterra ad approdare nei porti nizzardi anzichè in quelli di Genova e Livorno. Vane speranze queste nudrite dal ministro Giovanni Trucchi; chè nessun effetto seguì al trattato e questo medesimo finì per cadere in disuso e persino in dimenticanza. Nè durante la prima guerra di Vittorio Amedeo II con la Francia nel 1690-96, nè durante la guerra di successione spa- mn". Re TO RISI el fa 1 alle rici iP di SE AR FT ti z ST TA I MOTAN I PRRR TOL OMAR PVI Cool CORIETISERRE i - ea ol ha Pia MI , 174 gnuola (1700-7183) l'Inghilterra, pur desiderosa di surrogare il proprio commercio d'importazione e la propria bandiera a quella della Francia, pensò di far ritornare in vita il vecchio trattato; ma si stette paga di ottenere che le sue merci fossero in ge- nere trattate negli Stati del Duca secondo le migliori condizioni che erano fatte ai forestieri. L'occasione di rinfrescare il trattato di Firenze fu un editto del 1722 di Vittorio Amedeo II, il quale proibiva l'estrazione delle sete crude a tutela dei filatoi piemuntesi, che si lagna- vino di mancare in quell’anno di materia prima per lo scarso raccolto dei bozzoli. L'Inghilterra, che vendeva in Piemonte so- pratutto pannilana e ne estraeva sete gregge per i suoi filatoi e le sue tessiture, vivamente si lagnò del divieto e pretese fosse una violazione dell’oramai dimenticato trattato di Firenze del 1669. Si ripeterono le lagnanze inglesi pochi anni dopo, quando Vittorio Amedeo II, a proteggere alcune manifatture di lana appena allora iniziate nei suoi Stati, aumentò il dazio su certe qualità di panni, come i Frisoni d'Irlanda ed i Kersy, che provenivano dall’Inghilterra. La Corte di Londra minacciò rappresaglie e parve immi- nente nel 1728 l'approvazione del Parlamento inglese ad un bill, il quale aumentava i dazi contro gli organzini di seta pie- montesi. L'A. esamina i pareri numerosi stesi dai consiglieri del Re di Sardegna per dimostrare l'infondatezza delle pretese inglesi di far rivivere il trattato di Firenze, e le istruzioni date agli inviati sabaudi alla corte di Londra. Dalle quali traspare tal- volta una certa arrendevolezza a cedere pel momento sui punti controversi, pur di mantenere fermo il principio che un trat- tato, menomatore della sovranità, potesse ancora essere consi- derato in vigore. La controversia non fu condotta ad alcuna risoluzione esplicita: ancora nel 1731, nel 1768 e nel 1773 l’In- ghilterra rinnovava le sue proteste e dichiarava di considerare in vigore il trattato del 1669; ed ancora nel luglio 1784 la corte di Torino dava al cavaliere di Pollone l’istruzione di evi- tare qualsiasi accenno a conclusioni di nuovi formali trattati di commercio, Il trattato del 1669 era certamente ispirato a concetti, che anche oggi appaiono corretti e fecondi, di libertà commerciale; di a di” 4 : ia. Turchia. È perciò dina di studio la monografia, in cui il pre narra le vicende sale resistenza ostinata e tacita con issione ne propone la stampa nelle iugosio accademiche. GIOVANNI SFORZA Lurei EINAUDI, relatore. L’Accademico Segretario RopoLro RENIER. >» IA "nt ue sha DeERI IST] attra ERO ssa SMIEGRCI: o MI DI Veg E: eo fra Hr He dla TIAORE A, pe tia) Wo Rea (#6 Mpa oh 16, UER nen QAR tte at atte Ri “Gate To 1 di, wr AIEIRT RE FO AEON 7° atti e pi io ile Gonne SATA It È hp AFFINA SReRD ante dr VERECA tai CACMOLTE cd dr b ea re nr. LATE i (vili (RIVA IA LIST a ‘ e 54 14 rx CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 14 Dicembre 1913. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe NaAccaRI, ed i Soci SaLvapori, D’Ovipio, GuAaRrEscHI, Guipi, FiLeTti, PARONA, MATTI- RroLo, Grassi, Fusari, BALBIANO e SEGRE, Segretario. Si legge e si approva il verbale della precedente adunanza. Vengono presentate, per l'inserzione negli Atti, le seguenti Note: S. ZUBLENA, Dosamento rapido dello zinco nei suoi mine- rali, dal Socio D’'OviIpIO; L. CaHinaGLIA, Contributo allo studio delle anomalie dei Lumbricidi, dal Socio CAMERANO; A. TERRACINI, Alcune questioni sugli spazi tangenti e oscu- latorìi ad una varietà, dal Socio SEGRE; C. Poi, Sugli integrali estesi al contorno di un campo qualunque, dal Socio SEGRE. Il Socio Fusari, anche a nome del collega FoA, legge la ‘ Relazione sulla Memoria del Dott. Alfonso Bovero: Sulla fine struttura e sulle connessioni del ganglio vestibolare del nervo acu- stico. Accogliendo le conclusioni della Relazione, la Classe una- nime delibera la stampa di quel lavoro fra le Memorze. —_—_—_——r—m—t ra Atti della R. Accademia — Vol. XLIX, 12 178 SILVIO ZUBLENA LETTURE Dosamento rapido dello zinco nei suoi minerali. | APPLICAZIONE DIRETTA DEL METODO DI FRARY ALL’ANALISI DEI MINERALI). Nota del Dott. SILVIO ZUBLENA. Avendo dovuto occuparmi per parecchio tempo delle analisi. dei minerali che il Reale Corpo delle Miniere inviava al R. Po- litecnico di Torino, ed in special modo dei minerali solforati di piombo, zinco, arsenico, ecc., provenienti dalla Sardegna, cre-. detti opportuno di provare diversi dei metodi rapidi ora tanto in uso nei Laboratorî analitici, fermando la mia attenzione su quelli riguardanti lo zinco e cercando di applicarli direttamente all'analisi dei minerali. Metodi rapidi di dosamento dello zinco ne esistono parecchi: . basterebbe citare i metodi volumetrici. Ma se per tutti questi metodi il tempo richiesto dalla determinazione si riduce a pochi minuti, un tempo molto lungo è richiesto per la preparazione - della soluzione da analizzare. È i In considerazione appunto di ciò abbandonai i metodi volu- metrici e mi servii esclusivamente del metodo elettrolitico, elet- trolizzando con agitazione elettromagnetica la soluzione di zin- cato sodico col metodo e coll’apparecchio ideato dal Frary (*). L'apparecchio mi diede ottimi risultati e, data la sua sem- plicità, ritengo debba preferirsi, per il caso che ora ci interessa, a tutti 1 sistemi di elettrodi rotanti. Serve come catodo un cilindro di rete di nichel alto 5 em. (*) Von Francis C. Frary, ‘ Z. f. Angew. Chem. ,, 1907, pagg. 1897. e 2247. DOSAMENTO RAPIDO DELLO ZINCO NEI SUOI MINERALI 179 e di diametro tale che possa adattarsi perfettamente alla parete del bicchiere. Dopo la pesata lo zinco depositato viene sciolto immergendo l'elettrodo per alcuni istanti nell’acido solforico diluito, ed essendo la quantità di nichel che contemporaneamente sì scioglie molto piccola, l’elettrodo può servire per un grande numero di determinazioni (*). L'anodo è costituito da una spirale di platino di 1 mm. L’elettrolito è costituito da zincato sodico; la sua resistenza è piccola e sono sempre sufficienti 5 o al massimo 6 Volts. La quantità di idrossido di sodio che si raccomanda di impiegare è di 7 a 8 gr. per gr. 0,1 di Zn; quantità maggiori o minori hanno la tendenza a dare dei depositi di zinco spu- gnosi. Il volume dell’elettrolito deve raggiungere 100-125 cc. e per evitare un riscaldamento durante l’elettrolisi, il bicchiere viene raffreddato circondandolo con un tubo di piombo di 4 mm. percorso da una corrente d’acqua. Alla fine di ogni determinazione gli elettrodi vengono lavati nel solito modo senza interrompere la corrente e senza lasciare mai pervenire il deposito di zinco in contatto dell’aria prima che tutto l’alcali sia stato completamente eliminato. I primi 200 cc. della soluzione travasata vengono acidificati con acido solforico, vi si aggiungono 3-5 cc. di soluzione di ferrocianuro potassico (1:10) e si lascia in riposo per 10 minuti se prima non si ha intorbidamento: in queste condizioni mgr. 0,2 di zinco dànno un intorbidamento molto distinto. Il catodo ben lavato con acqua, si tuffa in un bicchiere con alcol, si essicca in stufa a 100°-120° C., si lascia raffreddare in essiccatore e si pesa. L'intensità di corrente da impiegare per la precipitazione di gr. 0,2 di Zn è per i primi 15 minuti di 4-4,5 Amp. e per successivi 20 minuti di 1-a 2 Amp (**). (#) Osservai però nel corso delle mie esperienze che allorquando la superficie dell’elettrodo per il lungo uso era divenuta appannata, lo zinco che vi si depositava, non era più di aspetto brillante, ma di natura spu- gnosa e facilmente ossidabile. (#*) Operando con 4,5 Amp. dopo 15 minuti la quantità principale del metallo è già precipitata, ma le ultime tracce si lasciano separare molto difficilmente. Frary, loc. cit. 180 SILVIO ZUBLENA Durante questa seconda fase dell’elettrolisi conviene però man- tenere attraverso il solenoide una corrente di 4-4,5 Amp. per avere l'agitazione dell’elettrolito sempre vivace. Applicazione del metodo di Frary direttamente all'analisi dei minerali. Preparazione della soluzione. — Ha grande importanza la scelta del solvente che si deve impiegare. Non si può adoperare l’acido nitrico perchè riducendosi questo per effetto dell’elettrolisi in ammoniaca, questa, se pre- sente nell’elettrolito anche in piccolissime tracce, impedisce o in tutto o in parte il depositarsi dello zinco (*) e per le ragioni a tutti note non si può elettrolizzare per scopi analitici in pre- senza di cloruri. ll solvente che si deve impiegare è l’acido solforico, e per attaccare bene il minerale e per eliminare la silice, l’arserico e l’antimonio, sì opera in presenza di acido fluoridrico. Il minerale qualunque esso sia, finamente polverizzato e por- firizzato si tratta in capsula di platino con acido fluoridrico e solforico concentrato e sì riscalda con precauzione prima a ba- gnomaria e poi a bagno di sabbia. In questo modo il minerale viene completamente attaccato, lo zinco passa facilmente tutto in soluzione come solfato, e alla temperatura alla quale si opera, la silice, l’arsenico e l’antimonio vengono completamente elimi- nati allo stato di fluoruri. Tutti gli altri fluoruri che eventual- mente hanno potuto formarsi sono completamente decomposti dall’acido solforico, e dopo questo trattamento abbiamo nella capsula come residuo insolubile il solfato di piombo ed even- tualmente i solfati delle terre alcaline dai quali si può facil- (*) Non basta la grande quantità di soda presente nell'elettrolito, anche dopo averlo fatto bollire per alcuni minuti, a garantirei dell'assenza di ammoniaca; ho verificato molte volte che tracce anche piccolissime di acido nitrico ostacolano il deposito completo dello zinco. Se fu impiegato l'acido nitrico bisognerà scacciarlo completamente coll’acido solforico concentrato. tici it

“ig : WE > 196 LEOPOLDO CHINAGLIA nitali, l’attenzione degli osservatori è richiamata di. preferenza su di essi. L'apparato sessuale, per altro, data la sua notevole complessità ed il grande numero di organi da cui è formato, è facilmente sede di anomalie. Queste consistono essenzial- mente : A) Nella dissimmetria di posizione, B) Nella riduzione o nell’aumento di numero, C) Nell’anormale sviluppo e struttura di alcuni organi. In alcuni casi, non infrequenti, in cui gli organi interni ed esterni si trovano spostati all’innanzi di un egual numero di anelli, rimanendo normali le distanze reciproche fra gli organi stessi, appare evidente la mancanza di uno o più segmenti an- teriori. E possibile che tale riduzione di numero sia soprav- venuta in seguito ad una rigenerazione, ma è anche possibile che sia dovuta ad una perturbazione nello sviluppo embrionale. Quest'ultima maniera di formazione è l’unica che si possa in- vocare per spiegare l'origine di un gran numero di anomalie. Si può dunque concludere che una parte delle irregolarità di strut- tura che si osservano nei Lombrichi hanno origine nell’adulto in seguito ad un fenomeno rigenerativo, mentre altre hanno un'origine più remota poichè appaiono già nell'embrione in con- seguenza di uno sviluppo anormale. Non è da «escludere che talvolta possano anche presentarsi fenomeni di ibridismo. Ri- cordo a questo proposito un individuo di Helodrilus (Eiseniella tetraedrus (Sav.)) “ dont la formule du clitellum et des tubercula pubertatis correspondait exactement avec celle de l'A/lolobophora chlorotica. Mais la forme du corps, la disposition des poils, la coupe tétraédrique de la queue et la couleur coîncidaient avec celle des A//urus tetraedrus avec lesquels il vivait. S'agirait-i] là d'un cas d'hybridité? , (de Ribaucourt, 53, p. 71). Nulla si oppone a credere che ciò possa essere. L'accoppiamento fra in- dividui di specie diversa è stato sorpreso dal Friend, il quale vide coniugati un Lumbricus rubellus, Hoffmstr. ed un L. ru- bescens (= L. festivus (Sav.)) (36). Rimane da provare che tali accoppiamenti possano essere fecondi. La fecondazione nei Lom- brichi non è ancora chiara in tutti i suoi punti (*) e l’ibridismo (*) Recentemente il Cognetti si è ocenpato di questo argomento (82). 4 CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 197 è stato poco studiato. L'Harms (39) ha proposto un metodo per ottenere ibridi, consistente nel trapiantamento degli ovarî. È forse più facile ottenerne costringendo individui di specie affini ad accoppiarsi mediante allevamenti opportuni. Senza diffondermi intorno alla rigenerazione dei Lom- brichi (*), dirò solo che i segmenti rigenerati presentano di solito un complesso di caratteri esterni ed interni diversi da quelli dei segmenti normali. Nella regione anteriore ad esempio fu osservata la mancanza di nefridìî, l’anormale struttura dei dissepimenti e la riduzione numerica delle setole (Morgan, 47). Spesso quando si tratta della regione caudale è facilissimo ri- conoscere la parte rigenerata che rimane molto più sottile di quella normale con segmenti più corti e più ravvicinati. Questo avviene in numerosi individui di Hel. (AMlolobophora) caliginosus form. trapezoides e di Allolobophora terrestris, Rosa (= Hel. (All) longus (Ude) osservati dal de Ribaucourt (53, p. 50 e 56, tav. II, fig. 65). Il tipo dell Hel. (Eophila) laurentii, da me descritto (14) come pure sei esemplari di Hel. (A2.) chloroticus (Sav.) (16, p. 173) presentavano anch'essi la coda rigenerata in modo ana- logo. Ciò non si verifica però sempre. Il de Ribaucourt figura, ad esempio, (tav. I, fig. 26) un lumbricide in cui la coda rige- nerata si presenta con un diametro di poco inferiore a quello normale. In un individuo di Hormogaster redii, Rosa, che qui riporto, quantunque non si tratti di un Lumbricide, perchè pre- senta un esempio di anomalia nella disposizione delle setole, le distanze fra i fasci setolari a, è, c erano alterate dopo il 70° segmento. Interpretai questa anomalia (18, p. 2) come dovuta a rigenerazione caudale, sebbene il diametro della parte rigenerata non fosse diverso da quello della parte normale. Si deve al Rosa (54) il seguente saggio di classificazione delle più frequenti anomalie esterne dei Lumbricidi, in cui sono pure considerati alcuni organi dell'apparato sessuale. “ 1° Accorciamento anormale del corpo con riduzione del numero dei segmenti per cui il clitello viene a trovarsi a metà della lunghezza del corpo. (*) Rimando per questo argomento al volume sulla Rigenerazione del Przibram (52) ricco di bibliografia. 198 LEOPOLDO CHINAGLIA “ 2° Biforcazione della coda e simili mostruosità 0). “ 3° Dissimmetria nella segmentazione o nella posizione delle aperture sessuali e dei tudercula pubertatis. “ 4° Trasposizione simmetrica delle aperture sessuali. Generalmente questi casi si riconoscono come anomali per es- _ sere allora trasportate anche le aperture femminee che devono trovarsi sempre al 14° segmento. Anche i tubercula pubdertatis seguono generalmente la trasposizione de]le aperture sessuali. “ 5° Trasposizione del clitello e dei tudercula pubertatis. Oltre i casi in cui queste parti sono trasposte coordinatamente ad una trasposizione avvenuta nelle aperture maschili o fem- minee, c'è qualche caso in cui il clitello e sopratutto i tubercula pubertatis sono trasposti di un segmento innanzi o indietro senza alcuna altra variazione corrispondente, nemmeno nella po-_ sizione delle spermateche; tali casi sono, ora semplici anomalie isolate, ora sono abbastanza fissi in modo da dare origine a va- rietà locali ,, Quest'ultima categoria ha per noi poca importanza, si tratta più che altro dell’oscillazione dei caratteri dovuta alla varia- bilità individuale. Il rapido moltiplicarsi delle osservazioni dopo la fondamen- tale revisione dei Lumbricidi del Rosa, in cui sono enumerate le categorie di anomalie sopradette, misero in luce sempre nuovi casi in parte ascrivibili a tali categorie, in parte di tipo diverso. Specialmente frequenti sono le irregolarità nella segmen- tazione, consistenti nella fusione o nella scissione di uno o più segmenti. Ciò può avvenire da uno solo o da entrambi i lati del corpo. Nel caso più comune un segmento si divide in due e non di più, e così pure due sono i segmenti che si fondono in uno solo. Questo si verifica in alcuni Lumbricidi anormali descritti dal de Ribaucourt (58, p. 57), dal Cognetti (20, p. 18) (*) La biforcazione della coda o della parte anteriore dipende spesse volte da rigenerazione. Lo Joest (44) ottenne mostri doppî per mezzo del- . l'innesto, ma in natura questa genesi evidentemente non è possibile. Anche il Tellyesniczky (58) si è occupato dello studio della produzione di mostri bifidi. Esemplari naturalmente doppî anteriormente o posteriormente fu- rono, a varie riprese, descritti dall'Andrews (1 e 2), dal Collin (33), dal Friend (37 e 38), dal Service (56), dal Williamson (59), ecc. CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 199 e da me (15, p. 111), mentre un individuo di Helodrilus (AUlo- Lobophora) caliginosus (Sav.) osservato dal primo autore presenta tre anelli consecutivi, il 14°, il 15° ed il 16°, “ complètement fusionnés ventralement et latéralement , (58, p. 52). La segmen- tazione anormale in questa specie non è rara; individui in cui erano presenti irregolarità nella disposizione e continuità di . alcuni segmenti senza che ne risultasse alterato il numero to- tale furono ricordati dal Cognetti (23, p. 2) e da me (16, p. 172). Interessante è un esemplare di Hel. (Dendrobaena) octaedrus (Sav.), che aveva “le clitellum situé aux anneaux 29 à 34 = 6 et les tubercula aux anneaux 32, 33; les trois premiers anneaux dis- posés les uns par rapport aux autres en tire-bouchon , (de Ri- baucourt, 58, p. 29). (Metamerismo a spirale) (*). Quasi tutte le altre anomalie riguardano più o meno da vicino l'apparato sessuale. Esse infatti colpiscono sia gli organi che entrano in funzione durante l'accoppiamento (aperture ses- suali, tubercuia pubertatis, clitello), sia gli organi utili per la fecondazione (spermateche), sia quelli che servono alla matura- zione ed alla conduzione dei prodotti sessuali (vescicole seminali, padiglioni cigliati e canali deferenti, per l'apparato maschile; receptacula ovorum, padiglioni ed ovidutti, per quello femminile), sia infine direttamente le gonadi. Le anomalie nelle aperture sessuali possono presentarsi ri- spetto alla posizione e rispetto al numero. La maggior parte dei casi descritti riguarda le aperture maschili, le quali essendo più visibili sono più facilmente osservabili. Sono frequenti i casì in “cui esse non giacciono nella posizione normale ma sono spostate di uno 0 più segmenti sia da un lato solo, sia da entrambi i lati del corpo. Quando la trasposizione è simmetrica si nota spesso uno spostamento analogo nei tubdercula pubertatis, ma non sempre. (*) A proposito delle anomalie di segmentazione nei Lumbricidi è utile leggere anche i lavori del Cori (85), del Morgan (46) e dello Smith (57). Ricordo ancora le ricerche condotte con metodo statistico dal Pearl e dal Fuller (50) intorno alla variabilità del numero dei segmenti, della lunghezza del corpo, del clitello, della posizione delle aperture ma- schili, ecc. 200 LEOPOLDO CHINAGLIA Può avvenire ancora che le aperture maschili invece di essere sol- tanto un paio, come di regola, siano più numerose. Questa anomalia si presenta sia che le aperture normali occupino la posizione rego- lare, sia che esse siano spostate. Per lo più poi non è simmetrica. Riassumendo, si può avere: 1° uno spostamento delle aperture maschili, a) simmetrico, è) non simmetrico; 2° un aumento nel numero delle aperture stesse, «) simmetrico, 5) non simmetrico. Esistono individui in cui le due forme d'anomalia si trovano riunite. Casi di trasposizione simmetrica nelle aperture maschili furono osservati dall’Hoffmeister (41, p. 78), dal Bretscher (13, p. 414) e dal Cognetti (24, p. 4 e 25, p. 105), ed interpretati per mezzo della rigenerazione della parte anteriore del corpo (*). Nell’Octolasium damianii, Cogn. furono descritti spostamenti sim- metrici o no delle aperture maschili fino a giungere al primo segmento del clitello. Spostamenti analoghi ma meno ampiî fu- rono pure osservati nell’Octolasium hemiandrum, Cogn. (Cognetti, 25, p. 121 e 122). Lo spostamento di una sola apertura è ad. ogni modo più frequente. Esso fu osservato iù Lumbricidi di varie specie; dal Morren (48, tav. V, fig. 19 e 20), dall’Hoff- meister (41, p. 8), dal Cognetti (20, p. 18, 24, p. 2 e 8, 25, p. 106), dal de Ribaucourt (53, p. 72, tav. II, fig. 59 e 61), dal Collin (34), ecc. (**). La presenza di aperture maschili in soprannumero fu notata: dal de Ribaucourt (58, p. 28 e 52, tav, I, fig. 29-32, tav. II, fig. 36, 42), dal Chinaglia (17, p. 2), dall’Hoffmeister (41, p. 8), ecc. In un esemplare di Lumbricws herculeus Sav. del R. Museo Zoologico di Torino, determinato dal Rosa, sono presenti due paia di aperture maschili, mentre un giovane di Hel. (Allolobophora) caliginosus (Sav.) form. tra- pezoides (A. Dug.) di Bari, determinato dal Cognetti, possiede (*) Non è da escludere però che talvolta queste trasposizioni siano anomalie di prima formazione. Il Cognetti stesso ha osservato, ad es., un giovane esemplare di Dichogaster Aloysii Sabaudiae, Cogn., in euì si notava uno spostamento all'innanzi di tutti gli organi interni ed esterni, senza che fosse visibile traccia di rigenerazione (30, p, 9). (**) Anche fuori della fam. dei Lumbricidi fu osservato lo spostamento non simmetrico delle aperture maschili. Il Cognetti, ad es., lo vide, ac- compagnato da quello delle spermateche, in Ocnerodrilus (Iyogenia) cal- woodi, Michlsn. (26, p. 2). CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 201 a destra due aperture maschili, una al 14°, l’altra al 15° seg- mento. Le anomalie nei tubercula pubertatis consistono anch’esse per lo più nello spostamento di tali organi in segmenti diversi da quelli in cui si trovano normalmente. Quando questo sposta- mento non si accompagna a quello di altri organi (come le aper- ture maschili, quelle delle spermateche, il clitello), di solito non esiste corrispondenza fra i due lati del corpo. La posizione dei tubercula pubertatis del resto, per quanto sia uno dei buoni ca- ratteri specifici, tuttavia non è sempre assolutamente costante in una medesima specie. Spesso anzi si osserva una variabilità entro limiti più o meno ristretti. Naturalmente in questi casi di variazioni individuali esiste sempre simmetria fra il lato destro e quello sinistro. È possibile però, in taluni casi, considerare come anomali quegli individui in cui i fubdercula si trovino spo- stati simmetricamente, ad esempio quando siano trasposti di un numero notevole di segmenti rispetto alla giacitura normale. L’anomalia è, ad ogni modo, più evidente quando la simmetria viene a mancare. Anche per i tubercula pubertatis possono darsi casì in cui esiste solamente uno spostamento, e casi in cui in- vece si nota un aumento di numero. Anomalie di questi due tipi furono descritte dal Cognetti (25, p. 109, 22, p. 4, 24, p. 6), dal de Ribaucourt (53, p. 5 e 46), da me (18, p.3. 16, p. 173), ecc. Nel clitello le anomalie sono poco frequenti. Per lo più si notano oscillazioni nei suoi limiti anteriore e posteriore, ma si tratta quasi sempre di variazioni individuali, più o meno fre- quenti. Naturalmente quando la segmentazione è irregolare anche la posizione del clitello, come quella di altri organi. è alterata, ma questa anomalia non è che una conseguenza della prima. La dissimmetria nel clitello si osserva raramente. Ac- compagnata da irregolarità in altre parti fu notata dal Co- gnetti (25, p. 105) (*). Un notevole arretramento del clitello, (*) Il Beddard (56) osservò l’asimmetria del clitello anche fuori della fam. dei Lumbricidi, nel gen. Pheretima. In questo stesso genere il Rosa riscontrò le aperture maschili, quelle delle spermateche ed il clitello spo- stati sul lato destro di un segmento in dietro (55, p. 775, tav. fig. 12). “ Qualche esempio di anomalie analoghe , egli aggiunge “ si trova talora nei 202 LEOPOLDO CHINAGLIA insieme ad irregolarità nella segmentazione e nelle aperture maschili, vidi io stesso in un individuo di Hel. (Eiseniella) fe- traedrus (Sav.) (17, p. 2). Ricordo di avere pure esaminato un esemplare di Hel. (Allolobophora) caliginosus (Sav.) form. trape- zoides (A. Dug.) proveniente da Moncalieri in cui il clitello era anomalo, non già per posizione, ma per struttura. Nei segmenti della regione clitelliana di questo individuo l’ispessimento ghian- dolare si arrestava qua e là in modo tutto affatto irregolare, per cui apparivano altrettante aree rigonfie, biancastre, di varia forma e grandezza, perfettamente separate l'una dall’altra da tratti in cui il segmento aveva la sua struttura ed il suo co- lore normale. Quantunque l’esemplare avesse i caratteri e le dimensioni di un adulto, può darsi che il suo clitello fosse in via di formazione, è più probabile però che esso abbia subìto un anomalo arresto di sviluppo. Le anomalie negli organi sessuali interni dei Lombrichi consistono, nella maggioranza dei casi, nell’aumento, nella dimi- nuzione numerica, nella trasposizione simmetrica o no di essi. Non mancano però anche le irregolarità strutturali e morfolo- giche degli organi stessi (*). Le spermateche sono tra quelli in cui si rinvengono più di frequente. Le principali anomalie delle spermateche si possono divi- dere come segue: 1° aumento nel numero, a) segmentale o me- tamerico, 5) laterale; 2° riduzione nel numero; 3° spostamento . in senso longitudinale nel segmento, 7) delle spermateche e delle Lumbricidi, sopratutto negli Allurus: esse sono interessanti per far vedere quanto sia profonda la correlazione fra questi organi che pure non hanno morfologicamente alcun nesso speciale fra loro ,. «Intorno alle variazioni del numero delle spermateche e delle papille copulatrici nel gen. Phere tima ha scritto l'Horst (42), ed è interessante a questo riguardo l’asim- metria di posizione riscontrata dal Beddard nelle spermateche dei tipi della P. forbesi, Beddard (9). (*) Alcune volte si tratta di irregolarità dovute all'azione di parassiti, i quali, come è noto, si trovano frequentemente nel corpo di questi ani- mali. Essi possono cagionare l’atrofia di aleuni organi (Chinaglia, 16, p. 175), vd alterazioni nella struttura e nella forma, a cui si può aggiungere iper- trofia (Cognetti, 30, p. 6 e 31), In questi casi non si tratta di vere ano- malie, ma di fenomeni che rientrano nel campo della patologia. . CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 203 ‘loro aperture, 5) delle sole spermateche, che possono sporgere in uno o nell’altro dei due segmenti contigui; 4° spostamento trasversale delle aperture esterne; 5° alterazione nella forma delle spermateche. L'aumento nel numero di questi organi può - essere di due sorta. In un caso esse sono presenti oltre che nei segmenti in cui si trovano di regola anche in altri posteriori ad essi. L'anomalia è accompagnata talora da dissimmetria nelle aperture maschili (Cognetti, 23, p. 4, 5 e 25, p. 123, Baldas- seroni, 8, p. 55, Michaelsen, 45, p. 19). Nell’altro caso invece le spermateche soprannumerarie si trovano entro a segmenti in cui già ne esiste un paio normale (Cognetti, 25, p. 119, fig. 3). All'’aumento si contrappone la diminuzione numerica la quale è più frequente. Tanto l'aumento quanto Ja diminuzione nel numero possono essere simmetrici o no. Lumbricidi con alcune sperma- teche assenti sono stati descritti, tra gli altri, dal Cognetti (25, p. 121, 28, p.8 e 17) e dal Baldasseroni (3, p. 54). Talvolta questa riduzione numerica raggiunge il limite estremo con la scomparsa totale delle spermateche. Ciò avviene con frequenza nell’Hel. (Eisenia) roseus (Sav.) (Cognetti, 21, p. 10 e 25, p. 108). Gli esemplari anomali segnano in questo caso il passaggio fra la forma typica, munita di quattro paia di vescicole seminali e di due paia di spermateche. e la form. bimastoides Cogn., munita di due sole paia di vescicole seminali e priva di spermateche. Alcuni esemplari esa- minati da me segnano un grado più spinto. Essi infatti mancano di spermateche ed hanno tre sole paia di vescicole seminali (18, p. 2). Oltre a queste anomalie nel numero, le spermateche possono ancora presentarne rispetto alla loro posizione nel segmento. Sono noti, infatti, casi di spostamento in senso antero-posteriore (Co- gnetti, 23, p. 4 e 5) e casi di spostamento in senso laterale (Cognetti, 28, p. 16). Avviene ancora che le spermateche siano anomale nella forma. Talora si presentano segnate da solchi che danno luogo a strozzature ed a lobi irregolari (Cognetti, 25, p. 121). Talora sono bilobe (Beddard, 4, p. 455, fig. 1 e 2, Co- gnetti. 25, p. 119, Chinaglia, 18, p. 3) o trilobe (de Ribaucourt, 53, p. 9). Le spermateche bilobe possono essere considerate come un grado morfologico intermedio fra la struttura normale e l'aumento numerico laterale. In un individuo di Octolasium complanatum (A. Dug.) il Co- gnetti notò la fusione delle vescicole seminali del 12° segmento 204 LEOPULDO CHINAGLIA sopra il vaso dorsale in modo che rimanevano distinti i pedun- coli (27, p. 3) (*). Assai interessanti sono le anomalie che colpiscono diret- tamente le gonadi. Esse consistono: 1° nello spostamento sim- metrico o no, a) dei testes, 2) degli ovarî, c) di entrambe le gonadi; 2° nell’aumento, simmetrico 0 no, del numero delle go- nadi per la presenza: 4) di testes soprannumerarî, 4) di ovarî soprannumerariî, c) di gonadi ermafroditiche soprannumerarie (**). Un caso di spostamento non simmetrico degli ovari fu descritto dal Benham (11, p. 257, tav. III, fig. 3-4). Anomalie negli ovarî ricordò ancora il Bergh (12, p. 308, nota a piè di pagina). In un individuo di Lumbricus agricola Hoffmst. il Pearl (49) riscontrò anomalia in tutto l'apparato sessuale e la presenza di testes ed ovarì soprannumerarî. In varie specie di Lumbricidi l’Hesse ritrovò gonadi soprannumerarie poco sviluppate (40, p. 424, tav. 25, fig. 24). Ovarî soprannumerarî (sei paia) riconobbe pure il Woodward (60) in un “ Earthworm , (= AQoobophora, sp. inc.) ed in altri Lumbricidi (61). Questo autore ha pure osservato un individuo di Helodrilus (Allolobophora) longus (Ude) il quale, oltre ai testes che pendono dai setti */,o e !9/,; e gli ovarî del dissepimento !2/,3 normali, possedeva gonadi soprannumerarie appese ai setti 1!/,, e !8/,,. Quelle del setto !!/,3 egli riconobbe essere ghiandole ermafroditiche (***). Dallo studio comparativo delle anomalie a cui ho accennato (*) Sono da ricordare qui, prima di passare alle anomalie che interes» sano le gonadi, la duplicazione anormale di un padiglione cigliato osservata e fisurata dal Cognetti (19, tav. fix 8) in un Enchitreide, e l'interessante irregolarità di posizione dei padiglioni stessi osservata in un Lumbriculide dal Pierantoni (51, p. 232, tav. 14, fig. 6). (**) Anomalie varie con presenza di spermateche ed ovarî in soprannu- mero osservò il Beddard, fuori della famiglia dei Lumbricidi, nel Perionya ercavatus, Perr. (5, p. 308, fig. 3, 4, 6). Ovarî soprannumerarî egli riscontrò pure in specie appartenenti ad altri generi, come il gen. Ewdrilus (6, p. 446), il gen. Phreodrilus (7, p. 287), il gen. Acanthodrilus (8, p. 452), ecc. (***) Ghiandole ermafroditiche esistono normalmente in un Glossosco» lecino, l'Enantiodrilus Borellii, Cogn.; ed appunto il Cognetti descrivendone l'apparato sessuale ricorda, insieme ad altre, l'anomalia illustrata dal Woodward, traendo dal confronto considerazioni interessanti a cui rimando il lettore (29). CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 205 possono trarsi conclusioni importanti sia riguardo alla interpre- tazione della struttura degli Oligocheti, sia ri- guardo alla filogenesi, ma non è mio compito en- trare in questi argomenti, trattati più o meno ampiamente dagli autori che ho man mano ricordato. Premesse queste considerazioni descriverò un individuo di Helodrilus (Allolobophora) cali- ginosus (Sav.) forma trapezoides (A. Dug.), rac- colto dal Dottor Enrico Festa ad Agios Isidoros nell’isola di Rodi, profondamente anomalo nella struttura. In esso l'anomalia non colpisce sol- tanto l'apparato riproduttore, in modo analogo a quanto avviene in un altro individuo della me- desima specie, studiato dal Cognetti (24, p. 5). Ho preferito procedere ad un'accurata dissezione piuttosto che all'esame microscopico, perchè ho voluto rivolgere la mia attenzione sopratutto alla morfologia ed ai rapporti anatomici fra i varî organi. Ed ecco le particolarità più note- voli che ho potuto osservare. CARATTERI ESTERNI. — La lunghezza del- l'esemplare, conservato in alcool, è di mm. 60; il diametro di mm. 5. I segmenti sono in numero di 90 sul lato destro; su quello sinistro tale numero è assai superiore per la parziale scissione di alcuni di essi. Esaminando il Lombrico dal lato ventrale (v. fig. 1), si presentano a sinistra visibilmente divisi in due i segmenti: 3°, 5°, 9°, 11°, 13°, 16°, 24°, 27°, 30°, 36°, 51°, ecc. Il segmento 25° .è diviso in tre e quelli 41° e 42° sono invece alquanto fusi nella regione mediana. Dal lato dorsale si presentano scissi a sinistra, oltre a quelli sopradetti, anche i segmenti: 12°, 14°, 21°, 25°, 26°, 29°, ecc. I solchi intersegmentali soprannumerarî sono variamente profondi ed evidenti. Per lo più non oltrepassano la linea Fig. 1.- Schema- tica, rappresentan- te il lombrico dal lato ventrale. 206 LEOPOLDO CHINAGLIA mediana longitudinale sia dorsalmente che ventralmente. Molto spesso terminano più lateralmente di tale linea. Alcuni di essi finiscono per esaurirsi sfumando, senza avvicinarsi ai solchi intersegmentali contigui, eccezionalmente raggiungono invece il margine anteriore o posteriore del segmento, di prefe- renza quello posteriore, e così la parte di segmento soprannu- meraria rimane meglio circo- scritta ed assume l’aspetto di un segmentino soprannumerario in- esame più attento fa rilevare accenni a disturbi nella segmen- tazione anche in altri segmenti oltre a quelli ricordati. I seg- menti scissi, osservati dal lato ventrale, mostrano a destra la solita triannulazione con le se- Fig. 2. tole impiantate nell’annulo cen- A. Tre segmenti scissi dorsalmente, trale sopra un leggero rilievo viekidisdo. papilliforme; a sinistra invece B. Quattro segmenti scissi a sinistra, . s € , aio ventarla i due deboli solchi che dànno la triannulazione si approfondi- scono e le setole sorgono su due, o più raramente su tutti e tre, gli annuli, che acquistano così carattere di sezmenti veri e proprì (v. fig. 2, B). Possono apparire in essi anche accenni di. triannulazione soprannumeraria (v. fig. 2, A). Le setole sono regolarmente disposte. È solo da notare l'aumento numerico di esse a sinistra, poichè, come si vide, anche gli anelli soprannumerarì ne sono muniti. Esse occupano pure in tali segmenti la posizione normale in modo che ciascuna sì im- pianta al livello corrispondente al proprio fascio, continuando così la linea delle setole degli altri segmenti. Riguardo alle papille, i ben noti rilievi del 9°, 10° e 11° seg- mento sono normalmente sviluppati solo a destra. A sinistra invece quello del 9° è quasi indistinto; quello del 10° giace sulla parte anteriore del segmento, il quale è diviso in due; quello dell'11° quasi non si vede. A sinistra sono poi visibili accenni papilliformi anche in segmenti posteriori all'11°, cuneato fra quelli normali. Un. x CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 207 Il clitello è completamente anomalo. A destra si estende dal 26° segmento al 34° (= 9). Esso però non abbraccia interi questi segmenti, poichè si ferma dorsalmente presso a poco a livello della linea longitudinale mediana in modo’ che i segmenti a sinistra non appaiono diversi da quelli normali. Man mano che dall’innanzi si procede verso l’indietro si vede il clitello spingersi sempre più verso sinistra in modo che i segmenti 31°, 32°, 33°, 34° ne sono completamente ricoperti. A sinistra esso incomincia dunque al 31° segmento e si estende posteriormente fino al 51° (= 21). Anche in questo caso esso interessa sol- tanto la parte sinistra dei segmenti e si arresta dorsalmente presso a poco alla linea mediana dorsale. I tubercula pubertatis giacciono a destra normalmente al 31°, 32°, 33° segmento, per cui il lombrico appartiene alla forma trapezoides (A. Dug.). A destra sono notevolmente più numeosi. Si può dire che a partire dal 36° tutti i segmenti del clitello sono, da questo lato, forniti di tubercula, ad eccezione del 37° e del 45°. Le aperture maschili hanno posizione irregolare, sia a destra che a sinistra. A destra se ne nota una al 16° segmento. Tale segmento è diviso a sinistra in due più sottili ed il solco che li separa viene a terminare dietro il labbro posteriore dell’aper- tura maschile. L’atrio di quest’ultima è irregolare poichè fra le due labbra viene ad inserirsi, a destra, un piccolo segmentino che può rappresentare la continuazione di quello soprannumerario di sinistra. Il solco che segna la segmentazione anomala viene danque ad essere interrotto dall’atrio dell'apertura maschile, al di là della quale riappare. Questa particolarità, insieme a quelle ri- ferite precedentemente, mi sembra provare che l’ irregolare aumento numerico di alcuni metameri è dovuto ad una vera scissione di quelli normali, per modo che la segmentazione irre- golare viene a sovrapporsi a quella regolare primitiva. Sul lato sinistro le aperture maschili sono due, una al 17° e l’altra al 22° segmento, entrambe munite di labbra tumescenti, leggermente estese sui due segmenti contigui, simili alle aperture normali. CARATTERI INTERNI. — I dissepimenti 6/7 - 18/,, sono notevol- mente ispessiti, infundibuliformi, rinforzati da legamenti muscolari. Alla duplicazione esterna corrisponde internamente una duplicazione della cavità del segmento per l’apparire di setti soprannumerariì del tutto simili a quelli normali. Così il setto 208 LEOPOLDO CHINAGLIA soprannumerario che divide in due il 10° segmento è fortemente ispessito come tutti i dissepimenti di questa regione, mentre quelli dei segmenti posteriori, ove i setti normali sono più sot- tili, sono più -sottili anch'essi. Questi setti soprannumerarî di. preferenza si estendono fino a raggiungere il tubo digerente, indipendentemente da quelli normali più prossimi, in alcuni casi invece si avvicinano ad uno dei due setti che delimitano - il segmento e si saldano con esso. Nelle cavità, che così si originano, sì trovano di regola tutti gli organi che normal- mente giacciono nel segmento, per cui a sinistra gli organi disposti metamericamente sono in numero maggiore che a destra. I cuori, per esempio, che a destra si notano rego- larmente dal 6° segmento all’11° incluso e sono quindi sei, a sinistra sono invece sette, perchè il 6° segmento ne è privo, il 7° e l'8° ne contengono uno -ciascuno, il 9° segmento essendo duplicato ne contiene due, il 10° e 1’'11° uno, ed il 12°, privo di cuore a destra, ne possiede invece uno a sinistra sorretto dalla superficie anteriore di un dissepimento soprannumerario, dal quale il segmento stesso rimane a sinistra diviso in due. Così pure le vescicole seminali, che a destra sono quattro nor- mali ai segmenti: 9° sorretta dal dissepimento */10, 10° sorretta dal dissepimento !°,,, 11° sorretta dal dissepimento !°/,3, 12° sor- retta dal dissepimento !!/,9. A sinistra sono invece cinque, una al 9° piccola, sorretta dal dissepimento °/;o, una al 10° pure piccola sorretta dal dissepimento !°/;, una all’11° ben visi- bile, sorretta dal dissepimento !%/,;, una al 12° maggiore delle altre sorretta dal dissepimento !!/,3 ed una infine nel 12° ap- pesa alla superficie posteriore del dissepimento soprannumerario che divide questo segmento. Anche il 9° segmento è duplicato a sinistra, e ciò non ostante non possiede vescicole seminali soprannumerarie. Ciò dipende forse dal fatto che in tale seg- mento il setto addizionale si salda con quello anteriore prima di raggiungere il tubo digerente così che la cavità che ne ri- sulta non è quella di mezzo segmento completo, e non può quindi possedere tutti gli organi che giacciono in mezzo segmento. E ancora da notare la presenza di un nefridio in ciascuno dei mezzi segmenti soprannumerari. Come si vede, in questo esemplare sono anomali quasi tutti gli organi sessuali ed anche alcuni che con l'apparato n CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELI,E ANOMALIE DEI LUMBRICIDI 209 sessuale non hanno rapporti diretti, come il sistema circolatorio. Non ho potuto vedere se esistano irregolarità anche nelle go- nadi. Ad ogni modo l’anomalia principale, da cui le altre irre- golarità di struttura dipendono, è quella che interessa la seg- mentazione e consiste nella scissione di alcuni segmenti a sinistra. Fra le anomalie di segmentazione più frequenti negli Anellidi è appunto da annoverare la presenza, da un solo lato del corpo, di parapodîì, nefridî,, ecc., e di mezzo setto soprannumerariî. Per il fatto che questa anomalia presenta un segmento, con gli organi che vi si contengono, raddoppiato, cioè scisso in due, da un lato, i tedeschi la dissero Spaltmetamerie. Mi pare che si possa escludere che essa abbia avuto origine, nel Lumbricide descritto, in seguito a rigenerazione irregolare. Tutto fa invece credere che dipenda da uno sviluppo embriologico anormale. Anche il Morgan (46) è d’opinione che queste scissioni asim- metriche dei segmenti siano spiegabili per mezzo di uno spo- stamento dei somiti nell’embrione, oppure ammettendo che da un lato del corpo uno o più somiti avessero nell’embrione stesso una larghezza metà di quella dell’altro lato. È noto come “ bei “ den Anelliden zerfallen die Mesodermstreifen spàter in seg- “ mentale Abschnitte, welche, in dem sie sich aushéhlen, zu den “ Colomsicken der betreffenden Segmente werden. Aus ihrer “ Wand entwickeln sich die Rumpf- und Darmmusckulatur, die “ Gonaden, und die Nephridien , (Korschelt e Heider, 43, p.278). È probabile che durante la formazione dei setti siano avvenuti, nell’individuo anomalo che. ho descritto, del turbamenti per cui il numero di essi non venne ad essere uguale sui due lati del corpo. I setti soprannumerari si inserirono lungo i leggeri solchi, che segnano la pluriannulazione esterna del segmento, e che di- vennero perciò veri e propri solchi intersegmentali. E notevole che i mezzi segmenti così originati siano provvisti di setole per- fettamente come quelli normali. Le setole essendo alla dipen- denza dell’ectoderma, dobbiamo pensare che il loro apparire sia dovuto ad un fenomeno di correlazione nello sviluppo degli or- gani. La presenza di setti e quindi di cavità segmentali sopran- numerarie è accompagnata naturalmente dal formarsi di vasi sanguigni, di nefridî e di altri organi metamerici anche in tali segmenti. In questo modo mi pare che l’origine dell’anomalia possa Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 14 210 LEOPOLDO CHINAGLIA = - dole più generale. Ci si può infatti chiedere se essa era già segnata da qualche irregolarità nell’idioplasma, o se invece non rappresenta che la reazione a circostanze particolari di ambiente interno od esterno sopravvenute. Argomenti favore- voli e sfavorevoli si potrebbero trovare sia per l’una che per l’altra ipotesi. Sta il fatto importante della correlazione com- pleta degli organi anormali. “ These correlations in abnormal “cases ,, concluderò con il Pearl (49, p. 127), “ together with “ the facts of normal development seem to indicate that the developmental process in the earthworm at any rate, may be “regarded as a series of responses to stimuli, partly coming “ from the external environment and also to a large extent “ from the interaction of the parts of the embryo, one upon another. It is this latter phase of the process, namely the de- “ velopment of parts in definite interrelations to one another, » “ that I vould emphasize. More study of variation and regenera-. D “ tion from this point of view would be desirable and possibly “lead to important results ,. LAVORI CITATI. (1) Anprews E., Bifurcated Anellids “ Amer. Naturalist ,, vol. 26, p. 725, tav. 21, 1898. 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O L: È Introduzione e generalità ('). 1. — Quando si consideri una varietà a & dimensioni, VW, immersa in uno spazio $S, (che supponiamo pel momento di di- mensione abbastanza alta, n > 2%), generalmente avviene che due S, tangenti a quella varietà, infinitamente vicini tra loro, si possono riguardare come incidenti in un punto. Esistono tut- tavia delle particolari V,, tali che ogni S, ad esse tangente in un punto generico P è incontrato dagli S, tangenti in punti in- finitamente vicini a P secondo uno S,, con / > 0; V, che go- dono pure della proprietà che la varietà W costituita dagli S,_ tangenti alla V, ha dimensione 2% — 2, anzichè 2%, come avviene in.generale (2). Orbene, può avvenire che queste due proprietà si verifichino come conseguenza del fatto che lo spazio oscula- (!) Alcuni risultati del presente lavoro (precisamente i teoremi dei 5 e 9) si trovano pure, diversamente dimostrati, nella Nota del D." E. Bompiani, Sistemi di equazioni simultanee alle derivate parziali a ca- _ ratteristica,in corso di stampa in questi Atti. Tuttavia il Bompiani ed io, nei nostri due lavori, pur prendendo le mosse da uno stesso problema, ne n. affrontiamo, per diverse vie, lati diversi. (2) L'equivalenza delle due proprietà riesce quasi evidente nella loro traduzione analitica, come si vedrà al n.° 6. STI 9, SET 7 ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI ECC. - 215 tore alla V, in un suo punto generico (*) abbia dimensione 2k — I, ossia che la V, verifichi un sistema. di ui —2k + 1 k(k_-1 SIR SE - È = ian +! equazioni lineari omogenee alle derivate par- ziali del secondo ordine (equazioni di Laplace) linearmente in- dipendenti (4). Infatti, quando -sia soddisfatta questa ipotesi, gli S, tangenti alla V, in punti infinitamente vicini (del primo ordine) a un suo punto generico P, i quali S, stanno nello spazio osculatore alla V, in P, tagliano lo S, tangente in P almeno secondo uno $S,; e del pari si riscontra subito diretta- mente come la W abbia dimensione non maggiore di 2% — 1. Tuttavia, per kt > 2, affinchè abbia luogo questa proprietà, non 3 È SARA 4 -. elle — è necessario che la V, verifichi un sistema di 0) sta su una varietà U,, luogo di x" S,. tale che gli S, ad essa tangenti nei punti di uno S, stanno in uno Say _n-1, essendo V=hZ=k— 1. Ora, già facevo rilevare in quella Nota come questa pro- posizione non sia invertibile: dal fatto che una Y, sia situata sopra una varietà U,, quale è indicata nel precedente teorema, segue bensì immediatamente che la W relativa alla V, ha di- mensione non maggiore di 2% —/: ma, già lo ricordammo più sopra, da questo non è ancora lecito inferire che la V, veri- Lc ot 2 quando si conoscano tutte le VW, che, pur non verificando un tale sistema di equazioni alle derivate parziali, sono tuttavia tali che la W abbia dimensione 2% —/, si sarà in grado di precisare maggiormente quel risultato sulle V, che rappresen- tano più di el) tibile. In questa Nota, e in una successiva che porterà lo stesso titolo e ne sarà la continuazione, il problema che abbiamo così delineato, problema che si pone solo per le varietà a più di due dimensioni, verrà risolto per le varietà a quattro dimen- sioni (per quelle a tre la sua soluzione è contenuta in una pro- posizione ricordata più sopra). Tuttavia i metodi che terremo potranno pure contribuire alla soluzione dello stesso problema per le varietà di dimensione maggiore; e, di più, per varietà a un numero qualunque di dimensioni ho stabilito senz'altro al- cune proposizioni che servono ad agevolare la trattazione della nostra ricerca, ma che mi pare possano offrire un certo inte- resse anche per sè stesse: tale p. es. il teorema secondo il quale, se per ogni punto di una VW, si ha uno S, tangente, lnogo di rette tangenti osculatrici, con 2=p <=, e la W, non rappresenta altre equazioni di Laplace, se non quelle che tra- ducono questa proprietà, la V, è necessariamente luogo di S,; fichi almeno +/ equazioni di Lap. lin. ind. Invece, eq. di Lap. lin. ind. e di renderlo inver- ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 217 tale pure un teorema, analogo a questo, che mostra come certe varietà algebriche (sono tra le varietà che, insieme collo Scorza (5) che ne ha assegnate recentemente alcune nuove proprietà, chia- meremo varietà di SEGRE) si possano caratterizzare mediante una proprietà di natura differenziale. Si aggiunge così un nuovo esempio agli altri, noti, di varietà algebriche che, in alcuni casi sole, in altri insieme con varietà dipendenti da fun- zioni arbitrarie, vengono definite da condizioni di carattere non algebrico (°). Inoltre alcuni di questi stessi teoremi offrono degli utili elementi per lo studio di un altro problema: la determinazione delle varietà tali, che le loro sezioni iperpiane generiche veri- fichino un sistema di equazioni di Laplace di dimensione mag- giore di quello che sarebbe lecito aspettarsi dalla dimensione del sistema di equazioni di Laplace rappresentato dalle varietà stesse, come si dirà più minutamente in seguito: pertanto la soluzione di questo problema per le varietà la cui dimensione è minore di 5 formerà l’oggetto dell'ultima parte di questo la- voro (cap. Il della Nota II). Ci sia infine permesso di osservare come alcuni dei risul- tati che troveremo dovrebbero non essere totalmente privi di interesse, anche prescindendo dalla loro interpretazione geome- trica; in quanto, da un punto di vista analitico, per parecchi sistemi di equazioni di Laplace, nell'ipotesi che da tali equa- zioni non discendano nè altre equazioni di Laplace che non (6) Scorza, Sulle varietà di Segre, ‘ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, t. 45 (1910), pp. 119-131. (*) Ricordo come tali, oltre alla superficie di Veronese (cfr. Der Pezzo, Sulle superficie dell'n° ordine immerse nello spazio di n dimensioni, * Rend. del Circ. Mat. di Palermo ,, t. I (1887), pp. 241-271, n.° 12; e Severi, In- torno ai punti doppi impropri di una superficie generale dello spazio a quattro dimensioni, e a’ suoi punti tripli apparenti, ibid., t. 15 (1901), pp. 33-51, n.° 8); aleune varietà che compaiono nelle due Note dello Scorza, Deter- minazione delle varietà a tre dimensioni dello S; (r = 7) i cui Sy tangenti si tagliano a due a duej Sulle varietà a quattro dimensioni di Sr (>9) i cui S, tangenti si tagliano a due a due (ibid., t. XXV (1908), pp. 193-204. e t. XXVII (1909), pp. 148-178); e infine le varietà che rappresentano al modo di Grassmann uno spazio rigato, insieme con certe loro proiezioni (cfr. la mia Nota: Sulle varietà di spazii con carattere di sviluppabili, © Atti della R. Acc. di Torino ,, t. 48 (1913), pp. 411-438). 218 ALESSANDRO TERRACINI siano loro combinazioni lineari, nè equazioni lineari del primo ordine, riusciamo, introducendo un opportuno sistema di nuove variabili, ad assegnare la forma che necessariamente dovrà es- sere assunta da un numero convenientemente grande di solu- zioni del sistema (8). 2. — Sia una Y, di S,, data (*) in coordinate proiettive omogenee mediante le formole: (1) DC AU le x essendo coordinate proiettive omogenee nello $,. Avremo in seguito a considerare il caso che tale V, rappresenti una o più equazioni del tipo: k ka (2) dr + Lab + Lage! 0. il s=lg=1 Accanto a tali equazioni introdurremo le rispettive “ forme quadratiche associate , in # variabili omogenee 60;, 04, ..., 9: k,k #(0)= x (aj 0,0;; = ,)= o anche le loro quadriche associate, intendendo come tali le quadriche che, in uno S_ [0] dove si assumano le 0 come coor- dinate proiettive omogenee di punto, sono rappresentate dalle equazioni ottenute annullando le rispettive forme associate. A tale proposito osserviamo che i sistemi lineari di forme quadra- tiche associate a un sistema di equazioni di Laplace rappresentato da una V,, î cui punti si esprimano come funzioni di diversi si- (8) Cfr. per una questione analoga il n.° 5 della mia Nota, /oco cit. (*) b). (*) Seguo in questo lavoro le stesse notazioni di cui mi sono valso nella mia Nota, loco cit. (*) b), cioè indico con # il punto che ha per coordi- nate proiettive omogenee 1, z3..., Tnt1, 0 non omogenee 2... n i scrivo brevemente la (1) per indicare che le coordinate del punto # sono funzioni 1 i da di ty, ...,T4; e pongo a!!! = person 00). i ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 219 stemi di k parametri, sono tutti fra loro proiettivamente equiva- lenti (1°). Supponiamo infatti di prendere un nuovo sistema di para- metri 0,, 03,...,0,, che si esprimano mediante i primitivi t con formole, invertibili : [3 PR 607 (RARA PORSI, (AES) Avremo : al) a ol ia 9 n a ge n 0} ((=43, 7 p==l k (ij) = I (27) DO. ol ) x 205; 0; “n BLA >» d9) 1 3 a e-lu1 (IS cosicchè la (2) diviene: k Rik k,k k,k dx (i) LIT ( È Bid 0A 00) — 0049) 2 (Duo + Vason) + De Vasopoto p=1 =! ly =1 ST q=l (ZSE= La forma associata a questa nuova equazione sarà: k,k k a k cHe) F@ (9’) Di A Ai; vi c0) 0, x oi 0, - q= v=\,j=l p=l Se dunque poniamo (!!): la F(0) si trasforma nella /" (6°). E poichè nella trasformazione lineare delle 6' nelle 6 non compaiono i coefficienti della (2), (49) Si osservi anche che il sistema lineare delle forme quadratiche associate ha la stessa dimensione del sistema delle equazioni di Laplace rappresentato dalla Vx, perchè altrimenti questa varietà rappresenterebbe anche delle equazioni del primo ordine, e perciò avrebbe dimensione mi- nore di %. (04 (91, 09, ..., Ok) d (Ti, Ta, e, Ta) (445) Il determinante di questa sostituzione non è altro che ed è perciò, nell'ipotesi fatta di sopra, diverso da zero. nie 220 ALESSANDRO TERRACINI i vediamo che effettivamente una stessa trasformazione lineare muta il sistema delle forme associate a un sistema lineare di equazioni di Laplace nel sistema delle forme associate al si- stema trasformato di quello mediante un cambiamento di va- riabili. 3. — Le coordinate di un punto y dello S, tangente in un punto «© alla V, definita dalla (1) del n.° precedente saranno della forma: k y=r +e. i=l Poichè, al variare delle X e delle r, il punto y descrive la va- rietà W degli S, tangenti alla V,, se la W ha da essere di dimensione 2% — 7, (2 > 0) dovranno il punto y e i suoi 2% de- rivati rispetto alle X e alle t essere legati, per ogni sistema di valori di quelle variabili, da / relazioni lineari omogenee linearmente indipendenti; e perciò un fatto analogo si dovrà presentare per i punti : tik) VE A k k 4 (1) (2) k il 19) LE LORI LADRO ia Lù, gl), x), "SPARA i = = id” Ciascuna di queste relazioni, per un determinato sistema di va- lori delle ), costituirà una equazione di Laplace soddisfatta dalle coordinate di un punto variabile sulla V,. Questa varietà rappresenterà pertanto un certo sistema di equazioni di Laplace; dal quale sistema noi, in base a quanto abbiamo detto nel n.° 1, supporremo che non sì possano estrarre che d <= È = 1) +1 equazioni linearmente indipendenti. E facile vedere come la de- terminazione effettiva di tutti questi sistemi si riconduca al problema algebrico della determinazione dei sistemi di forme quadratiche linearmente indipendenti, la cui matrice jacobiana è identicamente nulla. Infatti la V, dovrà verificare un sistema di equazioni di Laplace tale che, date ad arbitrio ),, \g ...,);, se ne possano estrarre / linearmente indipendenti, le cui forme associate con- tengano il fattore s), 0,. Il sistema delle quadriche-inviluppo ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 221 apolare a questo, di dimensione i ia —a2=k—l,dovrà quindi essere tale che un iperpiano sia, rispetto a tutte le qua- driche del sistema, coniugato a tutti gli iperpiani per uno S.-1-1 dello Si, ambiente; cosicchè, estratto da questo sistema il massimo numero possibile di forme linearmente indipendenti, la loro matrice jacobiana dovrà essere identicamente nulla, di caratteristica 4 — /. E, poichè il ragionamento è invertibile : Se una Vi ha da essere tale che la W abbia dimensione 2k —L, e se la Vx deve rappresentare d = FD. +1—1equa- zioni di Lap. lin. ind., îl sistema di forme quadratiche associate a questo sistema di equazioni di Laplace ha un sistema lineare 131 7 k(k-4-1) : SIE 3 apolare, di dimensione SE —d—1,lacui matrice jacobiana (1°) è nulla, di caratteristica k —l, e viceversa. IRR Alcuni sistemi di equazioni di Laplace le cui varietà integrali sono coni. 4. — In relazione col risultato finale del n.° precedente, è facile stabilire, quando siano fissati # e /, quale è il minimo valore che può essere assunto da d. Intanto, se {= 1, tra le forme associate alle equazioni di Laplace rappresentate dalla W, ve ne è una che contiene un fattore lineare arbitrario, cosicchè quelle forme sono almeno co” -!; e, se X > 2, sono proprio co"! quando e solo quando esse contengano tutte uno stesso fattore lineare (!3); il che equi- vale anche a dire che, in S,_,, per £ > 2, la massima dimen- sione possibile di un sistema lineare di quadriche-luogo, tale che la corrispondente matrice jacobiana sia nulla di caratteri- stica X — 1, viene raggiunta quando e solo quando il sistema (42) Dicendo che la matrice jacobiana di un sistema lineare è nulla, con una certa caratteristica, intendiamo dire che è tale quella matrice per un sistema di forme che serva a individuare quel sistema lineare. ('3) Cfr., p. es., Berrini, Introduzione alla Geometria proiettiva degli iper- spazi. Pisa, 1907, p. 232. %» 232 ALESSANDRO TERRACINI è costituito dalla totalità dei coni quadrici che hanno un dato vertice. Se > 1, consideriamo entro uno $,_; un sistema lineare 4 ampio quanto è possibile di quadriche luogo, la cui matrice jacobiana sia identicamente nulla, di caratteristica % —/, co- sicchè gli iperpiani polari di un punto generico P dello S,_, ri- spetto alle quadriche di A si taglieranno in uno S;_;. Un iper- piano generico dello S,_, non fa certamente parte di nessuna quadrica di A. (Infatti non può avvenire che ogni iperpiano contato due volte faccia parte di A, perchè allora il sistema A abbraccerebbe tutte le quadriche dello S,_.; quindi, se un iper- piano generico mt facesse parte di qualche quadrica di A, un suo punto generico avrebbe come iperpiano polare rispetto a quelle quadriche di A che contengono n lo stesso m, e perciò m do- vrebbe contenere lo S,_; comune a tutti gli iperpiani polari di P rispetto alle quadriche di A. E questo è assurdo, poichè, preso nello S}_, un punto P in modo generico, un iperpiano generico per esso non conterrà quello S,_,). Adunque su un iperpiano generico t il sistema lineare A segherà un sistema lineare di V;_; della stessa sua dimensione, sia A‘, dotato della proprietà che gli S._; polari di un punto generico di mt rispetto alle quadriche di A' passano per uno stesso S,_s3. Operando su A’ come abbiamo fatto su A per ottenere A' ecc...., sì otter- ranno successivamente certi sistemi di quadriche, A", A'’” ecc... tutti della stessa dimensione, finchè si giungerà a un sistema A“! di quadriche di uno S,_;, tale che gli S.,_;_; polari di un punto generico dello S,_, rispetto alle Wé_,_, di A“! si taglieranno in un punto. Ora, come abbiamo visto più sopra, la dimensione di questo sistema sarà, se / < %# — 1, uguale o mi- (kl —1—-1)—1+2) 2 numero, sarà A“! costituito dalla totalità dei coni che hanno per vertice un punto. In tal caso A avrà (una varietà base doppia, che taglia in un punto uno S,_; generico, ossia) uno S,_, base doppio. Viceversa il sistema delle quadriche che hanno un dato S,_, doppio gode evidentemente della proprietà che gli iperpiani polari di un punto si tagliano in uno S,_;: esso, per quanto abbiamo visto, è il più ampio sistema possibile che goda di una tale proprietà. Operando su 4 con una reciprocità, e nore di ; e anzi, se uguaglia proprio questo passando al sistema apolare, conceludiamo: ALQUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 223 Se la W relativa a una Vx ha dimensione 2@k#—1(0 2) soddisfa il minimo numero possi- bile, cioè # eq. di Lap. lin. ind., assumendo coordinate proiet- tive non omogenee %;, X2, ...,%,, e prendendo inoltre .t, = 2}, To = %9,..., = %, Il sistema delle equazioni soddisfatto dalla V. si potrà supporre della forma : ai XA ag gl Li... + ana) — 0 (3) \ ax E AL gg x ds ba 0 =0 | adi Za gl Li. tarx9=0. Le « non saranno certo tutte nulle: non diminuiremo la gene- ralità supponendo diverse da zero le prime p(p <= 4). Ora dalle (3) segue subito : (4) v al) gli) — 3 al gl. (1, s= 1, Di A k) = Ciascuna delle (4), in quanto non sia soddisfatta identicamente, costituisce una nuova equazione verificata dalle soluzioni del sistema (3), e dovrà perciò essere una combinazione lineare di quelle equazioni. In tal caso, se m <= p(m == r, m == s), cosicchè €, non è identicamente nullo, nella combinazione lineare delle (3) per cui si esprime una equazione (4) relativa a certi valori di r k(k—-1) 2 questi due casi (che conducono rispettivamente a Vx di uno Sgt 0 00! di S- sviluppabili ordinarie, e a Sx) saranno esclusi nel seguito del lavoro. (44) Se 7=% —1, oppure /=%, sarà certo d = + 1. Perciò À x SEO III SARI PRONTA 924 ALESSANDRO TERRACINI e di s, non può comparire la mf" equazione (3), perchè essa è | la sola che contenga x‘ che non compare nella equazione (4) considerata: ma anche se m > p, cosicchè a, ==0, si arriva alla stessa conclusione, perchè allora la mf equazione (3) sarà la sola a contenere termini della forma x” con np, mentre questi termini non compaiono nella (4). In ogni caso adunque la equazione (4) considerata sarà combinazione lineare della resina e della s*'" fra le (3). Poiremo perciò porre (anche se la (4) è identicamente soddisfatta): al’ == qa; (i=1,2,-ask;t##) (5) I _a8=Qa (i=1;3.,k;i9) a — a = Va, +- ga... Da queste equazioni segue intanto: | 4 =» =Lisc0 a r== i) quindi, se m = p, = p, il rapporto di 4, e a, non dipende dalle t con indici diversi da m e da n. Distinguiamo ora il caso p=k dal caso p=#%. Nel primo caso si prenda s > p, e allora le (5) permettono di concludere (togliendo la limitazione è r): al] i ! IT0:; Wetra;p;ir= h.000 | Adi cosicchè i rapporti delle a non identicamente nulle saranno co- stanti, e si potrà perciò supporre che le stesse a siano costanti. Se invece p= &, essendo £ > 2, il fatto che il rapporto di due fra le a dipende solo dalle t cogli stessi indici di quelle due « permette (!5) di concludere che, a meno di un fattore comune a (‘°) Posto infatti : 0 Gr? Ga = Pre (Tr, Ta), (r,8=1,2,..., p) si avrà: Pr (Tr, Ts). Pst (Ts, Te). Per (Te, T= 1 Questa equazione mostra che il prodotto Prs (Ty. T+) Ps (T4, T:) non dipende Po e ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 225 tutte le a, ogni @ dipende solo dalla t collo stesso suo indice. Allora, supposto di aver liberate le a da quel fattore comune, il primo gruppo delle (5) mostra che dovrà sempre essere O=q=0, e perciò: I 7 REA LAM c essendo una costante. Avremo perciò, le è essendo costanti, aj= ct; + ò,. leo =" 3a Anche il caso trattato prima di p< # si può fare rientrare in questo prendendo c=0 e supponendo nulle le è con indice maggiore di p. Tutto questo permette di concludere che i piani tangenti alla V, passano per un punto fisso : basterà perciò pro- vare che, fissato un sistema generico di valori per le t, si pos- sono determinare le \ in modo che uno dei due punti: Ve x tx xl, i= non dipenda dalle t. Ora, se c= 0, basterà prendere ), = 8, af- finchè il secondo di questi due punti sia fisso. Invece affinchè il primo dei due punti considerati sia fisso occorre e basta che sia: k + YAN 20=0, ledono i=] . < i bi e questo si può ottenere, se c += 0, prendendo \, = — th La V, considerata sarà tale che i suoi S, tangenti passano per un punto fisso e sarà perciò un cono. da Ts, cosicchè dovrà essere: @rs (T,, T)= de ) Pse(ts, te) = TI da cui: i ea se SL Perciò: ar:as:ag = A(tr): B(1:3): C(Tr), Ecc. i Atti dellu R. Accademia» — Vol. XLIX. n5 Tie EIA ON PE RT IIE Sr 226 ALESSANDRO TERRACINI Se k > 2, una Vx rappresentante k sole equazioni di Laplace linearmente indipendenti, e tale che la W abbia dimensione 2k — 1 è necessariamente un cono generico (proiettante da un punto un V._, che non soddisfaccia nessuna equazione di Laplace); e vice- versa (18). 6. — Prima di procedere vogliamo fare un'osservazione, che ci permetterà pure di dedurre in modo assai semplice dal teorema finale del n.° precedente una proprietà, del resto già nota, della superficie di Veronese e di alcune varietà ad essa analoghe. Se una V, è tale che la W abbia dimensione 2% — /, due spazi tangenti della V, infinitamente vicini tra loro si tagliano in una S, e viceversa. Infatti pel verificarsi della prima proprietà è necessario e sufficiente che la matrice: = ; k j k 2, 280, 29, .., 20, LA 29, LA 209. LA 29] i=l ee s=l sia identicamente nulla, di caratteristica 2% — /; mentre la se- conda si traduce analiticamente nel fatto che, qualunque siano le dt, i punti : k 1; 00 28, e, 20 + Y dr, ql) O +% dt; a!®, ..., 20 + Y dre i=l i=l stanno in uno Syx_:, ossia ci riporta alla stessa condizione detta di sopra. D'altra parte, se una YV, gode della proprietà che due suoi S, tangenti generici si taglino in una retta (!"), avverrà in (4°) È chiaro che un sistema discreto di tali coni costituirebbe ancora una varietà a X dimensioni, dotata di una W di dimensione 2% — 1, mentre k (k nu 1). la dimensione dello spazio osculatore in un punto generico è; Ma, qui e nel seguito, intenderemo sempre che tali varietà (varietà pia dove però questa parola non ha il consueto significato della geometria algebrica) siano escluse dalle nostre considerazioni. (17) Questa ipotesi equivale all'altra che le corde di una tale varietà riempiano una varietà di 2%—1 dimensioni (efr. la mia Nota: Sulle Wx per cui la varietà degli Sn(h+4+1) -seganti ha dimensione minore dell'ordi- nario. “* Rend. del Circ. Mat. di Palermo ,, t. XXXI (1911), pp. 392-396); e questo mostra di nuovo che la W ha dimensione = 2%— 1. Pe, ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 227 particolare che due S; tangenti infinitamente vicini della V, si —taglieranno in una retta (almeno) (18). Consideriamo ora una V, tale che la sua sezione iperpiana 2 È e SIEZA " Te) G generica sia una varietà /*,_, di uno |(ARESI rappre- sentabile su uno S,_;, mediante il sistema di tutte le quadriche di questo spazio. La varietà / non rappresenta nessuna equa- È zione di Laplace (infatti essa sta in uno spazio (EER. e d'altra parte la sua rappresentazione iperpiana mostra che ‘non c'è in quello spazio nessun iperpiano la cui intersezione colla F abbia un punto triplo), cosicchè la V, non può verifi- «care più di £ equazioni di Laplace linearmente indipendenti (poichè altrimenti in un punto generico la V, ammetterebbe ‘uno spazio osculatore di dimensione < RGCnA —k—-1 Sa CEI cioè , e perciò la / sua sezione iperpiana ammette- rebbe in un suo punto generico’ uno spazio osculatore di di- | mensione < Ret) | equazione di Laplace). D'altra parte, poichè le / sono tali che due loro S,_, tangenti si tagliano in un punto, due S, tangenti della V, (in particolare due S, tangenti infinitamente vicini) si tagliano in una retta (!*). Applicando l’osservazione fatta in {principio di questo numero, e il risultato che chiude il n° pre- cedente, si conclude che la V, è un cono. Quindi: _ Una V, tale che la sua sezione iperpiana generica sia una FL. di uno | RETII, rappresentabile su uno Sx; me- diante il sistema di tutte le quadriche di questo spazio, è necessa- ; . . ° k_-1 _riamente un cono protettante dal suo vertice una tale F*,_; (2°). — 1, e verificherebbe perciò qualche A ('8) Questo spiega perchè alcune delle V, che noi troveremo più avanti J come caratterizzate dal fatto che la relativa W ha dimensione 7, mentre S esse non verificano più di 6 eq. di L. lin. ind., compaiono anche tra quelle «che lo Scorza (v; il n.° 10 della prima delle sue Memorie citate alla nota (*)) ha caratterizzato come V, i cui S, tangenti si tagliano a due a « due in una retta. (49) Due Sx tangenti infinitamente vicini non si potranno tagliare in uno spazio più ampio, perchè se no la Vx verificherebbe (cfr. il n.° 5) più di X eq. di Lap. lin. ind. (29) Per K=3 cfr. SeGre, Sulle varietà normali a tre dimensioni com- MI 228 ALESSANDRO TERRACINI 7. — In seguito avremo occasione di servirci del fatto che un risultato analogo a quello stabilito alla fine del n.° 5 continua a sussistere anche quando si consideri una W, che rappresenti un sistema di equazioni di Laplace ottenuto da un sistema di & equazioni le cui forme associate contengano uno stesso fattore lineare, quando ad esso si aggreghino delle altre equazioni di Laplace, purchè in numero convenientemente limitato. Precisamente dimostreremo il seguente teorema: Se una Vi (k > 3) rappresenta un sistema di d =2k--3 equazioni di Laplace linearmente indipendenti, ed entro quel si- stema ve ne è uno vo di equazioni le cui forme associate con- tengono uno stesso fattore lineare, quella V, è un cono proiettante da un punto una V,_, rappresentante d — k equazioni di Laplace linearmente indipendenti; e viceversa (?3). poste di serie semplici razionali di piani, © Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXI (1885), pp. 95-115; e Berrisi, op. cit. (‘), p. 821. Per % qualsiasi, delle proposizioni che comprendono questa come caso particolare si trovano in TanrurrIi, Sopra una proprietà della superficie di Steiner e sue estensioni agli spazi superiori, © Giorn. di Matematiche ,, vol. XLV (1907), pp. 291-297, e in Scorza, Sopra una certa classe di va- rietà razionali, “ Rend: del Circe. Mat. di Palermo ,, t. XXVIII (1909), pp. 400-401. (2) Si osservi che se fosse d > 2% — 8, non solo non sussisterebbe più il ragionamento che faremo in seguito, ma cesserebbe di sussistere la propo- sizione stessa. Si consideri, p. es., in uno spazio abbastanza ampio, una Vx luogo delle rette che incontrano una curva e una Vx-, generiche e in posizione mutuamente generica. Come equazioni parametriche della Vx si potranno assumere le seguenti : e= Ata) ti + B(t3,T4 i; ta); cosicchè la WVx verifica le 2% — 2 equazioni di Lap. lin. ind.: \ xD 0, £09= L cda. =; : Ti / A — gl) — ,,., ==; di cui le prime X hanno precisamente le forme associate contenenti uno stesso fattore lineare. Sarà poi: 2 Snai A dr, aolmn) — pimn) . (mn=3,4,...; k); cosiechè. se la V, verificasse delle equazioni di Lap. che non fossero com- Castle etite è i 4 D ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 229 Supponiamo infatti (fatte sul sistema di coordinate e sulla scelta dei parametri le stesse ipotesi che al principio del n.° 5) che una V, verifichi un sistema di d <=2% — 3 equazioni di Laplace linearmente indipendenti, tra cui vi siano le % equa- zioni (3). Operiamo su queste % equazioni come si è fatto nel n.° 5 fino a dedurne le (4), che dovranno pure essere verificate dalla V,. Orbene, nelle nostre ipotesi, le forme quadratiche asso- ciate alle equazioni (3) e a quelle tra le (4) che non sono iden- ticamente soddisfatte, e perciò anche le quadriche associate a quelle equazioni, dovranno appartenere a un sistema lineare di dimensione <= 2% — 4. Ora le equazioni delle quadriche asso- ciate alle (4) si ottengono annullando i singoli determinanti di 2° ordine della matrice: Les 0 RIC | | (6) |a si ESA | }2 ad 6; 2) al 0, mote » al) 0; | a=l s=l i=l mentre le quadriche associate alle (3) sono tutte quelle che con- tengono l’iperpiano Da,0,= 0: pertanto la dimensione del si- stema lineare che i aiviote associate alle (4) segano sull’i- \perpiano La; 8, =0 dovrà essere = 4% — 4. Facciamo ora nello Sk_1 [0] TA di coordinate (di determinante non nullo poichè a, == 0): poi= x dd, il Perc; (j=2,3,..,4) e indichiamo con B;, Bs, ecc., le espressioni assunte dalle k k forme lineari Y al 0,, Ya” 6,, ecc., scritte nelle nuove coor- il i=l binazioni lineari delle 2% — 2 soprascritte, dovrebbe passare qualche rela- zione lineare omogenea tra dASACA E de MI il che contraddice alla ipotesi che la curva e le Vx-s direttrici della Vx siano state scelte in posizione generica. A , B, B®), BA, .. B®, B83, B(8,... BO, 230 ALESSANDRO TERRACINI dinate, e con B,, Bs, ecc., le stesse espressioni dove si ponga 8,= 0; cosicchè la matrice (6) si trasforma nella E) AD ’ PE | —(0— ;8ì 0,0... (6’) | a, (0, Z di i) 2 0, | i } Bi By ge dix Il Allora nello S,_s 8,=0 il sistema delle quadriche le cui equazioni annullano i singoli determinanti della matrice: | È , 7 7 I (6) | -PZa0 B...% | I — x; 3. | B, Ba "a Bi | deve aver dimensione < £ — 4, il che implica che altrettanto avvenga per la matrice ottenuta trascurando la prima colonna della precedente. Ora, se quest'ultima matrice non fosse iden- ticamente nulla, le quadriche (certo non tutte evanescenti): 0; B. — 0/B,=0 (= 3,4,...,.}) segherebbero lo S,_3 = 86 0 nel sistema 0: (B.)re=0, (e =3,00000 sistema che risulterebbe, contrariamente alle nostre ipotesi, di dimensione 4 — 3, qualora non fosse (Bs)g:-o =0. Dovrebbe quindi essere B,= by 0;, e analogamente B, = dg 9, ..., Bi =dx0; e di più, come si riscontra facilmente (22), do = by =... =; (2) Infatti nello Sx-,8=0 un qualsiasi gruppo di quadriche (by = bs) 0’, È =0 (», s= 2, 3, 3 k) in ciascuna delle quali il coefficiente d, — ds sia diverso da zero, è costi- tuito da quadriche tra loro linearmente indipendenti: quindi, se quelle quadriche devono appartenere a un sistema di dimensione <% — 4, le dif. ferenze br — bs sono tutte nulle, salvo forse %X — 3. Ma pure queste diffe- renze dovranno ridursi a zero; perchè, se fosse, p. es., da — d3 ==0, dovrebbe essere diversa da zero una almeno delle differenze dg — bp, 03 — dp, per ogni valore di p tale che sia 4 _ i k dalla (6) contengono come fattore Y 4;0;: le forme quadratiche s=1 a associate alla (4) dovranno essere combinazioni lineari delle sole forme associate alle X equazioni (3), senza che a formarle intervengano le forme associate alle ulteriori equazioni, non fa- "centi parte del sistema (3), verificate dalla V,. E poichè nel n.° 5, dopo aver osservato che le (4) dovevano essere combina- zioni lineari delle (3), non ci siamo più serviti dell'ipotesi che la V, integrale del sistema (3) verificasse % sole eq. di Lap. lin. ind., si potrà ora continuare a ragionare come in quel n.°, e concludere che la YV, è un cono, proiettante da un punto una V.-: rappresentante d — % eq. di Lap. lin. ind., se la V, deve verificarne d. 2532 ALESSANDRO TERRACINI 8. — Supposto / > 1, la ricerca analoga a quella compiuta al n.° 5 per Z= 1 si può agevolmente ricondurre ai risultati già ottenuti mediante il seguente. teorema, che troverà pure ap- plicazione nell'ultima parte di questo lavoro. Se una V, e la sua sezione iperpiana generica V',_, ammet- tono in un loro punto generico degli spazi osculatori le cui dimen- sioni siano rispettivamente w e w', affinchè sia w' < w — 1 è ne- cessario e sufficiente che si presenti uno dei due seguenti casi: a) w raggiunge il massimo valore possibile cioè —1) (9) TÀ, mentre w soddisfa alla condizione Ser BIESLO) +2w' + 1, si ha che la matrice jacobiana delle forme associate dovrà essere identicamente nulla, di caratteri- stica d — (w — w' — 1); e viceversa. 9. — Consideriamo ora una V, che verifichi un sistema di #— “5! eq. di Lap. lin. ind. (1<1<%— 1), del tipo indicato nel teorema del n.° 4, tale cioè che il sistema delle quadriche associate sia costituito dalle quadriche per uno S_1-1. La sezione iperpiana generica V',_, della V, verificherà almeno (—1)(kK +2) k (I + 3) RE I fr ie pie 2 Aa sla Zi plSi i CERRI e SA. Ve 234 ALESSANDRO ‘ERRACINI eq. di Lap. lin. ind.; anzi precisamente tante e non più, poichè (cfr. il teorema del n.° 8) il sistema delle quadriche associate alle equazioni soddisfatte dalla V, è attualmente tale che la sua matrice jacobiana n0n è identicamente nulla; mentre, d’altra parte, il luogo degli S._, tangenti a quella V',_, ha dimensione 2h_-l1-1=2(k—-1)—(2— 1). Così continuando si trova che la varietà di %X — f + 1 dimensioni, sezione generica della W,, con uno S,_1+1, verifica un sistema di 4 —/+1 eq. di Lap. lin. ind. e ha una W di dimensione 2 (k —Z4+1)— 1, ed è perciò un cono (cfr. il n.° 5): tanto basta per concludere che la V, è uno S,_j — cono generico. Quindi possiamo completare il teorema finale del n,° 4 nel seguente modo: Sela W relativa a una V,, ha dimensione 2k--1(0<1 Air Pr,n:s ro + )> (Gimr Ans Yinr Ayms) 0 rig ene 0 ; rs ry5 (2; = 4, CES dove il segno — sta ad indicare che il primo membro di questa relazione differisce da zero per una espressione lineare omo- genea nella e nelle sue derivate prime, la cui forma effettiva non ci interesserà nel seguito. Le soluzioni del sistema (8) ve- rificano dunque anche le (10); e perciò, nelle nostre ipotesi, ciascuna delle (10) sarà combinazione lineare delle (8). Ora nello S_; [6] il sistema delle quadriche associate al sistema (8) è costituito dalle quadriche che ammettono come doppio lo spazio m_,_, intersezione degli iperpiani : La,0,=0; (= r e perciò dovrà m,_,_, essere doppio anche per le quadriche as- sociate alle (10). Quindi (prendendo nelle (10) n =/) nei punti di m._,_, dovranno essere soddisfatte le : ((77° x (Prii.r É gimr) 0, t (Pra + Yims) p> Ai 0, PIÙ Ius Di Amy 0, SL" — any B 9i0,=0; (m=1,2, pi = Le cioè le; Us X (Pr.t:r + Gimr) 0, — Ams } > ur 8, —= 0 £ (n=, pes 10 il che, essendo % > 1, ed essendosi supposta non identicamente nulla Ja matrice (7), implica che nei punti di m,_,_; Sa: LP, + Yin) 9 = Lgur 0.—-0 (im = 1,0; o: 3 : ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 237 Osserviamo ora che ®,,;., = — ®,,m»; e che, non potendo la V, rappresentare delle equazioni del primo ordine, si ha: Yimr ma Ymir = X (4, da Ans af) = Prari;r 3 s (,m=1,2,...p;r=1,2,...4) cosicchè nei punti di m,_,_, sarà: 0 —_ b> (Ptr + Gimr) 0, — }> (— 21 mir + Ymir) 0,; L (Dior A Ymir) de — 0 ; e perciò: 3» Prinz 0, == 0) (2, Mm “= de 2, = )} Si ha dunque identicamente: d411 di PRES 6/9 dol 499 A (11) Sn pe Vale Ago EI (Pn =" 2:43 DE Api dp2 strata Apk | Pini Primo < | | Pim Ì Ricordando il significato delle 9, definite dalla (9), questo equivale a dire che il sistema lineare omogeneo del primo or- dine nella funzione incognita / : Ari ASP A 0 è completo; cosicchè esso ammette % — p integrali distinti F,, Fs, .. Fx-;; e il sistema co"? di V,: (12) E,()°=-ebst; Bad = cost. Ap); 238 ALESSANDRO TERRACINI sarà inviluppato precisamente dagli S, luoghi delle tangenti tripunte pei singoli punti della V,. Eseguito ora il cambiamento di variabili (che, se non fosse invertibile, si potrebbe certo rendere tale mediante una oppor- tuna permutazione tra le 1’): u="h() (0=1,2,...4£—-p), T,=1T; (J=k-PHt1l,54), su ciascuna delle V, (12) variano solo gli ultimi p parametri del nuovo sistema: se indichiamo ancora con tT;, Tg, ..., T anche i nuovi parametri, la V, verificherà un sistema della forma: (13) 2 PE ge + gme=0 (m=k—-p+t+1,.,5). Poichè tutte le equazioni di Laplace rappresentate dalla V, de- vono essere combinazioni lineari della (13), sarà : doo (m=k_-p+H#1,..,k;r= 1,2, ak) (come si vede paragonando le diverse espressioni che da queste equazioni si ricavano per una stessa derivata terza). Ciascuna delle V, su cui variano solo Tx_,,,.., t rappresenta adunque Pet equazioni di Laplace linearmente indipendenti, ed è perciò uno S,: la V, è luogo di S,. Viceversa una VW, luogo di S, verifica precisamente un sistema della forma (8); e, se è generica, non verifica ulteriormente altre equazioni. Concludiamo dunque: Nell'ipotesi che la matrice (7) non sia identicamente nulla, una V, rappresentante tutte e sole (2°) le equazioni di Laplace di un sistema del tipo (8), è, per2<=p+ 1) — 1] che rappresentano nel Ro indicato dal Prof. Segre (2°) le coppie di punti di uno Sp, e di uno Spi). i 12. — Vogliamo ora accanto ai p operatori A definiti in principio del n.° 10 introdurne altri g (p>1,9>1l,p+qg=f£), siano : «= Edu (u=1,2,..9 (") Sulle varietà che rappresentano le coppie di punti di due piani o spazi, * Rend. del Cire. Mat. di Palermo ,, tomo V (1891), pp. 192-204. si de sa Ti 7 ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. nell” ipotesi che la matrice : das. | non sia (oo nulla; e considerare una V, che verifichi pprutto e sole le equazioni di Laplace del sistema (di dimensione dl PI RE o) è 2 (17) A, B,% + E ly a 4 he =0 E (CE AA SO) | Ora, le soluzioni di questo sistema soddisfanno anche alle equa- zioni: An (A, B,£ + X le 8 + hi 0) = Ax (An Bat + Ein & +hmu 8) e ani ape =) LE IR tI UA _ ) ossia, definite ancora le @ colle formole (9) del n.° 10, alle equazioni : ° b> Plim; héi glr9) Sei 3 CRA la Can limus) 2° Se 0 ; SRL ( EA) SARAI E SII SAT, IE % | che dovranno dunque essere combinazioni lineari delle (17). - Perciò le quadriche associate a queste ultime equazioni dovranno SE assare per i due spazii 0x_1_,, Bx--1- dello S,-: [0], in cui si Mii rispettivamente gli iperpiani : os= 01,2, 23 DI di b.,0,= 0 (u = 4h ia t 4 x 244 driche composte dei due iperpiani: Lio, 000 Ed 0)= 0 (lm = 1,2, .3p;«=1472 0006 devono contenere lo spazio Gx_\_,; €, poichè la matrice (16) non è identicamente nulla, cioè gli spazii 0,_1-, @ Br-1-y Sono in- dipendenti, dovrà a,_,_, stare entro il primo di quei due iper- piani. Dunque anche attualmente la matrice (11) del n.° 10 è identicamente nulla, cosicchè si conclude che il sistema del primo ordine: A\F= Ay3F=..= A,F=0 è un sistema completo; e analogamente è pure completo il si- stema : B,db=B,d=..=B,0=0. Siano F,, Fs, ..., Fini Di, Pa, P-, rispettivamente k—pek—'q integrali distinti di questi due sistemi; e fae- ciamo il cambiamento di parametri (?8) : t,=.®;(1)-_($==17283t2); to:j=.F(1) (G=Laea Il sistema (17) scritto nei nuovi parametri è della forma: 2 , , v y dx dTi DT; Zar ba a GG - n (0) l rs PARI ij dii dt; dTr ÒdTs : | =1,....piu=1,..49 d (14, t'%) Ò (Ti PETTO Tk) nullo, perchè, se no, vi sarebbe un'equazione del tipo X e» yi! = 0 soddisfatta r (2) Il determinante jacobiano non è certo identicamente quando al posto della w si ponesse una qualsiasi tra le Y o tra le ®; il che, essendo completi i sistemi del prim'ordine che definiscono le Fe le ®, implicherebbe l’annullarsi identico della matrice (16). + | ossia: — | riranno nelle equazioni del sistema soltanto quelle, in numero di pg, in cui la derivazione è fatta rispetto a uno dei primi p SÙ Sr è ti ZA: (1) B. (5) a 0; Cedo =14;749) " 29, | cosicchè delle derivate seconde delle x rispetto alle t° compa- _ ea uno degli ultimi 9 parametri. Dalle equazioni del sistema | si potranno certo ricavare queste pg derivate espresse linear- mente nella x e nelle sue derivate prime; e perciò, scrivendo | ora per semplicità t al posto di 1’, al sistema (17) potremo so- | stituire il seguente: (7) 200 — Lf fue (1=1,2,...p;u=p+1,p+2,...,4) Ora, poichè tutte le equazioni di Laplace rappresentate . dalla V,, e in particolare quelle che si ottengono dalle prece- denti paragonando le diverse espressioni di alcune tra le deri- % vate terze della x, devono rientrare nel sistema ora SCRAR, si ottiene facilmente : Fas =0 se r==/,r=P; be =T (u= p + 1,p+ 2,...; A - Fipirpti = fappopta = = fi (=1,2,..., p). Il sistema precedente è dunque della forma : E I. g0 sE Y, A) =D Fat (= LP 2, .., piju=p ne 1, veg k). Di più, il fatto che la V, non può verificare equazioni lineari «omogenee del primo ordine porta alle condizioni : È A Ii a Perito fa la m=1,2,...,p;u=p+1,...,k); rari \ rafio PfR=0 fn +fIO n | Yi = Vita + fu e piu, v=p+1,...,k); O = Rent) AAT RETE ca % FILE: 9 3 Se VERRA “As DE è na ad ara e ” hi ei si dl Di : ne a a bo È $ " A x 9 7 N» 1,q9>1,p+9g=%), con un oppor- _B ni - ui ve P' Mie \a ALCUNE QUESTIONI SUGLI SPAZI TANGENTI, ECC. 247 tuno cambiamento di variabili le coordinate di un punto che de- scriva la V, sì possono ridurre alla forma: STO L= (T1, To; e Ti) 3 w (Tsth DELE) Tx); — cosicchè la Vx contiene un sistema x? di V, e uno co? di V, tali che gli S, tangenti alla V, del sistema vw” nei punti di una V, del 7] . è x . . È sistema o? passano per uno stesso S,-1; e gli S, tangenti alle V, nei punti di una V, passano per uno stesso Sp-1 (2°). Viceversa, se una Vi, è data dalle (19), in generale essa verifica tutte e sole le equazioni di un sistema della forma (17). — Si osservi anche qui come le ipotesi fatte abbiano una semplice interpretazione geometrica; e come da una proprietà della V, che interessa solo un intorno di un suo punto gene- rico, l'ipotesi che gli spazi osculatori abbiano dimensione abba- stanza alta permetta di dedurre per la V, una proprietà in- tegrale. Altri esempi dello stesso tipo si vedranno nella Nota II. Torino, 29 novembre 1913. ba È _ (9 Su alcune di queste varietà,.cfr. Secre, Sulla generazione delle su- | perficie che ammettono un doppio sistema coniugato di coni circoscritti (£ Atti della R. Acc. di Torino ,. vol. XLIII, 1908), dove si troveranno altre cita- Sa zioni; e Carro, Sopra un sistema X di superficie P di S,, (£ Periodico di Ma- tematica, tt. XXVII-XXVIII, 1912, 1913). A) 3 “gi DI sa ‘ Mc 3 m Ri; È, \ ° = ni a DI 3 LARE VE: DE a, # e Ip di Fai x ù vidi zittea SON e e an A X Pi 248 Ì CINO POLI Sugli integrali estesi al contorno di un campo qualunque. Nota di CINO POLI. 1. — In questi ultimi anni molti teoremi del calcolo infi- nitesimale hanno acquistato una semplicità e generalità vera- mente notevole per merito della nuova definizione di integrale dovuta al Lebesgue. Vi sono però ancora alcune parti che non ne hanno ritratto finora notevole vantaggio in questo senso: tali ad esempio i teo- remi sulla trasformazione degli integrali multipli. Essi infatti sono dimostrati rigorosamente solo facendo ipotesi assai restrit- tive sulla natura dei contorni dei campi che si considerano. In questa nota mi propongo appunto di fare uno studio dettagliato della costituzione dei campi più generali e dei rela- tivi contorni per mostrare in qual modo si possano porre in essi i problemi al contorno, ed estendere infine le definizioni degli integrali curvilinei e superficiali in modo che valgano ancora le formole di Gauss e di Green. 2. — Nello spazio a » dimensioni, S, (cioè nella classe delle disposizioni con ripetizione di tutti i numeri reali ad ad n) chiamo sfera di centro x e raggio a >0 che indico con o (2. a) l'insieme dei punti di S, la cui distanza dal punto x è minore di 4. Dato un insieme v di punti di S, dico che x è un punto interno di u se esiste una sfera di centro x e raggio non nullo contenuta in u, cioè se esiste un numero a >{() tale che tutti i punti di S,, distanti da x meno di a appartengano ad x. Il concetto di punto interno è dunque strettamente legato al numero delle dimensioni dello spazio in cui si considera il gruppo dato. Esso è stato introdotto per la prima volta da Gi. Peano nel 1889 per S, e da C. Jordan nel 1893 per Ss, ed è di fondamentale importanza per la definizione matematica del dB ) its Pai ici VRRSI SU@LI INTEGRALI ESTESI Al, CONTORNO, ECC. 249 concetto intuitivo di porzione continua di uno spazio. Poichè quando penso p. es. un pezzo continuo di piano la prima pro- prietà che vedo è che ogni suo punto è interno, tranne quelli del contorno che posso attribuire tanto al pezzo considerato che al rimanente. Quindi chiamerò campo aperto di S, un gruppo di punti di S, formato di soli punti interni. Quando non vi sia luogo ad equivoci tralascerò l’aggettivo aperto. Se il campo aperto v non esaurisce l’intero spazio, i punti non appartenenti ad esso si distinguono in due categorie: quelli esterni ad u, che sono centri di sfere non contenenti nessun - punto di «, e quelli del contorno di « che sono i punti « tali che qualunque sia il numero a > 0, 0 (x, @) contiene sempre dei punti di vu e dei punti non di w. L'insieme dei punti esterni ad v forma pure un campo aperto v il cui contorno è contenuto in quello di w. Se « non coincide con S,, ma è illimitato, cioè non esiste un punto x e un numero a >Q tali che 0 (x, a) contenga tutto w, i punti esterni possono mancare ma esiste almeno un punto del contorno. Se vu è limitato esistono anche punti esterni: precisa- mente sono tali di certo tutti quelli esterni alla sfera che rac- chiude «. Ogni punto interno è punto limite di punti interni, quindi ogni campo aperto « è condensato. Un punto limite di punti del contorno appartiene necessariamente al contorno il quale è dunque chiuso. Infine l’insieme di « e del suo contorno è perfetto. 8. — Teorema. — Un campo aperto si può determinare in infiniti modi come l'insieme dei punti interni a una successione di sfere (1). Dim. — Dato il campo aperto «, per ogni suo punto x chiamo sfera inscritta in w, che indico con 0 (v:), quella che ha per raggio il limite superiore / dei raggi delle sfere di centro x e con- tenute in u. Essa è pure tutta contenuta in «, poichè se y è un (4) Per brevità di linguaggio invece di classe numerabile (finita 0 no) userò sempre il vocabolo equivalente successione. 250 CINO POLI punto qualunque di 0 (x; x) dista da x meno di 2, sia {— €, 2 - 3 SRO (SÌ < : quindi è interno alla 0 (2,1 s) che è contenuta in w. ei Scelto ora un qualunque gruppo numerabile di punti denso in v, l'insieme dei punti interni alle sfere inseritte coi centri net punti di quel gruppo esaurisce il campo w. Per fissare le idee considero l'insieme dei punti di x che hanno coordinate razionali. Basta dimostrare che un qualunque punto y di w è contenuto in una 0 (wv;x) dove x è razionale. Detto infatti % il raggio di 0(w;y) esiste un punto razionale x distante da y meno ; } Sita di 4<- per cui y è contenuto in 0 (x, #), la quale a sua volta essendo contenuta in 0 (v;y) sta tutta in x e quindi in 0(; x). Con ciò rimane dimostrato il teorema enunciato in principio. Esso dà anche il modo più generale di costruire gli in- siemi chiusi osservando che l'insieme dei punti non appartenenti a un qualunque insieme chiuso è un campo aperto. Poichè se v è un insieme chiuso e w è l'insieme dei punti non di », ogni punto di w non può essere limite di punti di » ed è quindi centro di una sfera contenente soli w. Dunque ogni insieme chiuso di S, si ottiene togliendo da S,, i punti interni a unu successione di sfere (*). In S,, cioè sulla retta, le sfere diventano segmenti senza estremi e il più generale campo aperto è costituito dai punti di una successione di segmenti che si possono supporre senza punti interni comuni, poichè due segmenti che abbiano un punto interno comune costituiscono un unico segmento. I punti di un campo « di S, che stanno in un dato spazio. di minor dimensione, cioè l'insieme dei punti che si ottengono sopprimendo nei punti di x un certo numero di coordinate di posto determinato, formano ancora un campo; in particolare i punti di v che stanno su una qualsiasi retta saranno i punti interni a una successione di segmenti i cui estremi apparter- ranno al contorno di w. Infine dai precedenti teoremi segue immediatamente che i campi aperti, gli insiemi chiusi e le loro sezioni rettilinee (4) Questo risultato è già stato dimostrato per altra via e per insiemi limitati da L. Zoretti. V. “* Eneyclopédie des sc. mathém. ,, t. I. 3 - E SP, ab O Pere +, SUGLI INTEGRALI ESTESI AL CONTORNO, ECC. 251 sono misurabili nel senso di Borel e a fortiorî. nel senso di Lebesgue. 4. — Per esprimere completamente l’idea intuitiva di por- zione continua di uno spazio, bisogna tradurre in linguaggio matematico il concetto di essere formata o meno di un sol pezzo, cioè bisogna definire la connessione. Un campo aperto si dirà connesso se dati due suoi punti qualunque x e y si può trovare un numero finito p di sfere tutte contenute in v e di raggio non nullo, s1, $2,....; 8, tali che due consecutive abbiano dei punti interni comuni e x sia con- tenuto in s, mentre y sta in s,. Nel seguito dirò brevemente che x e y si possono collegare mediante una successione finita e continua di sfere. Questa definizione è equivalente a quella che chiama con- nesso % se x e y sl possono conglungere con una spezzata di un numero finito di lati tutta contenuta in u, ma è da prefe- rirsi perchè non fa uso del concetto di segmento rettilineo che è estraneo all’unalysis situs. TEOREMA. — La somma di due campi aperti connessi ue v aventi un punto comune z è un campo connesso; intendendo per somma l'insieme dei punti che appartengono a qualcuno dei due campi. Dim. — È evidente infatti che l'insieme w somma di v e v è ancora un campo aperto: inoltre, detto x un punto qualunque di x e y un punto qualunque di v, esiste una successione finita e continua di sfere contenute in « che collega x a 2 ed un’altra pure finita e continua contenuta in v che unisce 2 ad y, onde queste due insieme costituiscono una successione ancora finita e continua contenuta in w2 e che permette di passare da x ad y dimostrando la connessione di w. Allora le sfere di raggio massimo inscritte in due campi senza punti comuni non possono avere punti comuni e poichè esiste al più una infinità numerabile di sfere senza punti co- muni, ne risulta immediatamente che « più generale campo aperto è la somma di una classe numerabile di campi connessi a due a due senza punti interni comuni. 5. — Dirò che una successione di sfere s;, sg..... tende ad un punto 2 quando per ogni numero 4 > 0 esiste un intero m tale che per qualunque n >wm sia s, contenuta in 0 (x, 4). [iso] (SA DO CINO POLI Allora dato un campo aperto u dico che x è un punto rag- giungibile del suo contorno se esiste una successione continua di sfere (cioè tale che due sfere consecutive abbiano qualche punto comune) tutte contenute in u e tendenti ad x. I punti raggiungibili così definiti sono tutti e soli i punti del contorno che possono essere estremi di una curva di Jordan tutta interna ad 1. Infatti se x è raggiungibile esiste per definizione una suc- cessione continua di sfere s,, s9..... interne ad x e tendenti ad x. I punti del segmento rettilineo che congiunge i centri di due sfere consecutive sono interni all'una o all’altra sfera, quindi interni ad w. Allora la successione di questi segmenti costituisce una spezzata tendente al punto x, i cui punti insieme ad « formano precisamente una linea di Jordan tutta interna ad « tranne l'estremo x. Viceversa sia data una curva di Jordan Cl interna ad w tranne un estremo che è un punto x del contorno. Le coordi- nate dei suoi punti siano funzioni continue di un parametro # nell'intervallo 071 in modo che « corrisponda a # — 0. Chiamo allora Ce -Casne' Casi ui i punti di € corrispondenti ai valori D, 5) dei ii del parametro. L'arco compreso fra i punti O,, Cis+1 è costituito di punti che sono tutti centri di una sfera inscritta in v. Per il teorema di Heine-Borel si potrà trovare un numero finito di queste sfere tali che ogni punto dell'arco considerato sia interno ad almeno una di esse, e si potranno disporre in successione continua. Allora l’insieme di queste sue- cessioni di sfere relative a ciascuno degli archetti in cui ho diviso C' costituisce una successione infinita di sfere contenute in w che dimostrerò tendente ad x. Infatti, qualunque sia %& >0, a causa della continuità delle funzioni che definiscono Cl posso trovare un punto c, tale che tutti i segmenti siano distanti da x meno i h ; ; PRA di XK < CÀ I raggi delle sfere inscritte in x che hanno il centro nei punti di C compresi fra c, e x saranno quindi al più uguali a k e perciò tutte le sfere della successione considerata, che seguono quella contenente c,, sono contenute in 0 (x, À). L'insieme dei punti raggiungibili è sufficiente ad individuare il contorno, poichè dimostrerò il seguente SUGLI INTEGRALI ESTESI AL CONTORNO, ECC. 258 TroREMA. — Il contorno di un campo è la somma dell'insieme dei suoi punti raggiungibili e del derivato di questo. Se x è un punto del contorno, basta che dimostri che è esso stesso raggiungibile o che qualunque sia % > 0 esistono punti raggiungibili di s interni a o (x, 4). Ora per la definizione di contorno esisterà certo un punto y di « interno a 0 (x, 4), e lo congiungo a x con un segmento rettilineo, il quale risulta di punti tutti interni a 0 (x, 4). Se tutti i punti interni del segmento 7y appartengono ad «, x è raggiungibile perchè estremo di una linea di Jordan contenuta in «; altrimenti i punti di w formano su xy più segmenti senza punti interni comuni i cui estremi sono punti raggiungibili di s. 6. — Prima di procedere a mostrare che nella posizione dei problemi al contorno è di importanza fondamentale la considera- zione dei punti raggiungibili, mentre gli altri che non possono es- sere raggiunti con una linea continua dall’interno e non sono che i punti limiti dei primi non hanno alcuna importanza, è necessario mettere in chiaro il concetto di multiplicità dei punti raggiungibili. Se x è un punto raggiungibile del contorno di un campo aperto connesso «, i punti di « interni a 0 (x, %) per un dato h>0 possono dividersi in più campi connessi. Indico con #, il numero di quelli che hanno ancora x come punto raggiungibile deì proprio contorno mentre con p, indico ciascuno di essi. In ogni p, fisso una successione continua di sfere contenute in esso e tendente ad x, in modo da ottenere n, successioni distinte. Se ora #k0 tale che in o (2, A) « formi due campi connessi distinti m ed » aventi entrambi & per punto raggiungibile del proprio contorno. Fisso un punto y in n ed uno 2 in n. Unisco y con x mediante una linea di Jordan interna ad m, 2 ad x con altra linea di Jordan interna ad n, y con 2 mediante una terza linea interna ad x. Se questa taglia, per es., la prima linea, considero fra tutti i punti di incontro quello il cui parametro (sulla yx) è il più prossimo al valore assunto sul punto x, e lo assumo per nuovo punto y anche se coincidesse con x. Analogamente opero sulla linea 2%. L'insieme delle linee congiungenti x, y, 2 è così una linea chiusa ./ di Jordan tutta costituita di punti non di v. Ora esisterà un k= h tale che qualche punto di y sia esterno a 0 (x, #). Chiamo p la porzione di m contenuta in 0 (x, %), q la parte analoga di w. Tanto p che q contengono punti di J. Infatti m contiene punti di J prossimi quanto voglio ad x, e similmente ». Quindi in ciascuna delle due regioni in cui ./ divide il piano vi sono sia punti p che punti g e quindi punti s. Ma ogni punto s è limite di punti », quindi ciascuna delle dette regioni contiene punti di », il quale perciò non è connesso. E importante notare che il teorema vale esclusivamente sul piano e non è più vero già nello spazio ordinario. 7. — Detto x un punto raggiungibile del contorno di un campo u, dirò che due successioni continue di sfere tendenti ad x, tendono al medesimo elemento del contorno di u se esiste un h > 0) tale che per ogni k da > dg >... Allora posso con- giungere p, a ps con un pezzetto di linea di Jordan contenuto in 0 (x, d;), quindi ps a pz con un altro pezzetto contenuto in 0 (x, da), ecc. La catena di questi successivi pezzetti costi- tuisce un'unica linea di Jordan C; tendente al medesimo ele- mento 2. Se ora fp,, fp3, ... avesse un limite diverso da fps, fp, ..., la f su ©; non tenderebbe a nessun limite determinato contrariamente all'ipotesi. Dunque il valore di f nell'elemento = del punto x di s sarà il limite dei valori di f nei punti di « interni al campo di 0 (x, A) che determina l’elemento 2, quando 4 tende a zero (1). E si potrà dire che la f è continua anche sul contorno di w, poichè nel caso che i punti di s siano funzione biunivoca con- tinua di un parametro ?, la f è funzione continua di #. Infatti se nel punto x corrispondente al valore # la f non è continua vuol dire che esiste una quantità m >0 tale che esistono punti 2 del contorno prossimi quanto voglio a x in cui (1) [fe fe|>m. (') Altrimenti esisterebbe una successione di punti tendente all’ele- mento 2 nei quali f non tenderebbe a fz; ma riunendo ogni punto al suc- cessivo con un tratto di curva di Jordan si otterrebbe una linea avente un estremo in 2 e su cui f non tende a fz che è stato dimostrato assurdo. 256 CINO POLI Invece esisterà per quanto si è detto un %# >0 tale che nei Bi punti y di w interni a 0 (x, 4) sia (!) “Mi mi (2) [fa fyi<". Ì h ‘ À ; , esisterà un k<4 tale che per ogni y di « interno a 0 (2, #) (e «a fortiori interno a o(x, h)) sia (3) Fidoul i Ins Così scelto 2 distante da x meno di Allora sottraendo dalla (1) la (3) si ha [fy — fe|>\fe= fel—'fe—fyl>® che contraddice alla (2). E così rimane dimostrata la continuità di f anche sul con- torno. Se il contorno è generale la f in un punto multiplo può avere più valori distinti, ciascuno dei quali è individuato dando una linea che abbia un estremo nell'elemento al quale esso corrisponde. 4 Così siamo condotti naturalmente a porre la seguente DEFI- NIZIONE: Dico che f è una funzione del contorno s di un campo dato, quando z essendo un elemento di s, fz è una quantità reale. 8. — Sul contorno s di un campo piano m sia definita la funzione f nel modo detto. Su una retta 2 = cost i punti di m formano una successione di intervalli senza punti interni comuni i cui estremi inferiori sono individuati dalle ordinate y,, ys, ... e i relativi estremi superiori da y,,Ys... Ciascuno di questi estremi è un punto raggiungibile del contorno e, se è multiplo, il segmento di cui è l'estremo ne individua un elemento. Se quindi con f («,y;) indico il valore di f nel detto ele- mento del punto che ha le coordinate x,y; e supposto che il gruppo dei punti 2 in cui la somma pe = N[f(a, yi) —f(e. ya] (') Si ricordi l'osservazione a piè di pagina relativa al teorema del n° 6, che cioè ogni linea di Jordan ha solo punti semplici. SUGLI INPEGRALI ESTESI AL CONTORNO, ECC.. 257 non è assolutamente convergente, abbia misura nulla, pongo per definizione ff (2, y) de = — fo: da dove a e d sono i limiti inferiore e superiore delle ascisse dei punti di m. Invece segando m con una retta y= cost ottengo una suc- cessione di segmenti i cui estremi superiori abbiano per ascisse X'1,X3,... e quelli inferiori rispettivamente x;, x9,... e suppo- nendo che il gruppo dei punti y in cui vy=E[f(2, y) — f(@, 9) non è assolutamente convergente abbia misura nulla, porrò ancora per definizione | 60, 9) dy = [yy ay dove c e d sono i limiti delle ordinate dei punti di 7. Se m è costituito da più campi connessi senza punti comuni i cui contorni siano s1, sg, ... raccogliendo fra loro i termini della sommatoria definente w che provengono da un medesimo campo connesso, si dimostra facilmente che |fay SS [Lay - |, fay +... e analogamente per | di Osservo infine che le condizioni di convergenza richieste per le serie che definiscono @ e w sono certamente soddisfatte in ogni campo contenuto nel rettangolo di lati « =a, ax =, y=c, y=d se f (x,y) è funzione assolutamente continua (!) di y quando x varia fra a e 6 escluso un insieme di misura nulla, ed è funzione assolutamente continua di x quando y varia fra c e d escluso ancora un insieme di misura nulla. (4) G. Vrravi, Sulle funzioni integrali. © Atti d. R. Accademia d. Scienze di Torino ,, vol. 40 (1904-5), p. 1021-1086. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 17 pe, "ed 258 CINO POLI 9. — Teorema. Dato un campo piano aperto 0 di contorno s, e due funzioni P (x,y), Q (x,y) delle variabili reali x e y per le quali suppongo : a) l'insieme dei valori x pei quali P (x,y) non è funzione assolutamente continua di y, come pure quello dei valori y in cui Q (x, y) non è funzione assolutamente continua di x, hanno misura (lineare) nulla ; 8) OP(x,y) dO(7r,m) dg) = gg ARE integrabili superficialmente in G; allora vale la identità (1) Fe 90) day = | (Pdr + 0 dy). Drm. — Nelle ipotesi poste, per il teorema di Fubini sugli integrali superficiali, si ha | DE dry a ( | di de) dy ddr È A day = [(j È du " dy) dx dove (20 dr è esteso alla sezione fatta in © da una retta y= cost, cioè a una successione di intervalli non sovrapposti, e quindi per la assoluta continuità di Q vale la somma degli incrementi di Y relativi a ciascuno di questi intervalli. Ora l'integrale di questa somma, che è funzione di y, è appunto per definizione |0 (1, 4) dy onde "00 È È pra dry = IC dy. (4) Uso la notazione | f(xcy) dry per indicare l'integrale di f esteso al- Jo l'area 0 invece di I{ fax dy oppure pree perchè il primo di questi inte- JJo grali si può confondere con un integrale iterato che può non essergli equivalente e può indurre in errori nel cambiamento di variabili, mentre la notazione del secondo è incompleta. 4% a > IT I, CR RT - ui 4° % “ RO ES SE TTI da ; SUGLI INTEGRALI ESTESI AL CONTORNO, ECC. 259 i: i P i : Similmente ragionando per [BE ay sì ottiene una somma di > incrementi di P che è funzione di x e il cui integrale è per definizione -| Pda, onde s e rimane dimostrato il teorema. Ne risulta immediatamente che la condizione necessaria e sufficiente affinchè l'integrale {| Pdx + Qdx esteso al contorno di qualunque campo contenuto in 0 sia nullo, nelle ipotesi del teorema dì Arai: i a: 0 x precedente è che l'insieme dei punti in cui ded non è uguale p P dy da I a zero abbia misura nulla. Quindi p. es. il teorema di Cauchy 2 Jsa—t (= EE de varrà quando s sia il contorno di un campo qualunque in cui w (t) è funzione regolare dei punti # del campo. 10. — Supposto u e v funzioni assolutamente continue di due variabili insieme alle loro derivate prime e i cui quadrati, come pure quelli delle derivate seconde, siano integrabili în 0, si ha: # v du SON nto td NC poni Se) dy — (1 we DI dae= CI Av—- vAu) day. Infatti nelle ipotesi poste si ha per il teorema del n. 9 Deli? a da dif 00 du i BESC da 0) I (1 dy C 0 )| dey= Sio ape _ du) le » Di De) dy ( a 0 w da RIE Salt FREIRE O LE i s vi (1 v )+ (1 v => > mentre dx de dy dY dY , da dv d°v ai (is ch de) a (du da WE, o(DI+ or) =uAv—oAu, così resta dimostrato in campi qualunque il 2° lemma di Green. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 10 Le stesse A fatte per la « in questo teorema sono suf A ficienti a legittimare i calcoli che si. fanno ordinariamente per dimostrare la formola di Green : i n= (le — logi 34) de — È. ea re) 4] —f108-7 du day È, %& dove (E, n) è un punto interno a o e nel 2° membro al posto . di x si intende @ y) mentre r = V(a — 5 + (y— n. " °) bito POOR e » ha 11. — Giunti a questo punto sorge il problema di risol- — vere particolari problemi al contorno nei campi qualunque; ad , quello delle funzioni armoniche. Data una funzione continua dei punti raggiungibili del con- _ torno di un campo trovare la funzione armonica che sul contorno. coincide colla data. L'unicità della soluzione si può dimostrare ancora col solito — metodo dell’integrale di Dirichlet senza alcuna modificazione. Il teorema di esistenza si può ricondurre, come è noto, a una equazione integrale di Fredholm se il contorno è una curva uu à di Î pi | dei i se rettificabile; ma se il contorno è generale si ha una equazione; È di tipo nuovo. de Siamo così condotti a un problema di fondamentale impor- tanza : lo studio delle equazioni integrali del tipo Sx sto ® sel el. u (2, 7) =|[u (E, n) [P(E,n;e, 7) dE+0(z,n;2,y) dn] + (e, y) » dove p è funzione nota e (x,y) varia in un campo 0 di con-. torno s. kr È Ì Savona, 28 luglio 1913. d Relazione sulla Memoria del D" Arronso Bovero, Sulla fine struttura e sulle connessioni del ganglio vestibolare del nervo acustico. Nonostante il rifiorire rigoglioso di ricerche sulla fine struttura dei gangli annessi ai nervi cerebro-spinali, provocata nell’ultimo decennio particolarmente dall’introduzione nella te- cnica microscopica del metodo all’argento ridotto di Cajal, man- cano quasi del tutto studî sistematici sull’organizzazione dei gangli annessi alle due radici del nervo auditivo. In questa sua Memoria il D" Bovero rende note le risul- tanze delle sue osservazioni sul ganglio vestibolare o ganglio di Scarpa. osservazioni compiute su materiale abbondante tolto dall'uomo nelle differenti età, e da parecchi altri mammiferi dei varì ordini. L'A. ha usato nelle sue ricerche prevalentemente delle di- verse formule del metodo all’argento ridotto di Cajal e subor- dinatamente di altri metodi acconci per la delucidazione dei differenti quesiti impresi a trattare. Premesso un capitolo in cui è riferita la letteratura sulla fine costituzione del ganglio vestibolare, l'A. dà minute notizie delle varie forme offerte dalle cellule gangliari vestibolari, delle dimensioni e della intima organizzazione delle stesse. In seguito studia le modalità di origine, di comportamento ed il volume relativo dei processi di dette cellule ed in base al numero od alle qualità dei processi distingue e descrive cellule bipolari, cellule monopolari, cellule pluripolari (con 3 o 4 pro- cessi), cellule con processi a clava. Un altro capitolo è dedicato alla struttura delle capsule delle cellule gangliari. Infine nell’ultima parte viene trattata la questione, quasi affatto nuova, dell’esistenza di fibre nervose esogene nel ganglio vestibolare. A questo riguardo l'A. dimostra come tutte le cellule gangliari siano in rapporto con reti e con particolari terminazioni di fibre simpatiche, le quali formano dei plessi o direttamente accollati alle cellule gangliari o situati nelle capsule pericellulari e nel tessuto interstiziale. L'A. fa risaltare l’importanza grande di questi nuovi reperti per le de- duzioni fisiologiche che se ne possono trarre e per la possibi- | _ lità di spiegare, mediante i fatti anatomici constatati, determi- È ì ba nati fenomeni clinici, finora rimasti oscuri nella loro genesi. Il lavoro è corredato di una tavola con 16 figure illustra- | — tive. La parte di esso che riguarda la letteratura sull’argo- mento è condotta con quella particolare accuratezza che si di- stingue in tutti i lavori dello stesso D" Bovero; la parte che si riferisce alle ricerche delucida molte questioni importanti e contiene osservazioni veramente originali; perciò i commissarii ne propongono la lettura alla Classe e, qualora questa l’approvi, la stampa nei volumi accademici. i R. Fusari, Relatore Pro Foà. L’ Accademico Segretario CorraDO SEGRE. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 21 Dicembre 1913. PRESIDENZA DEL PROF, ITALO PIZZI SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci: De SAanoTIS, RurrIni, StAMPINI, D’ER- coLe, Scorza, ErnAupIi, BAuDI DI Vesme, ReNIER Segretario. — Scusano l’assenza i Soci: CamronI, Direttore della Classe, CARLE, e BRonpI. , È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 7 dicembre 1913. Il Socio RurrInI, anche a nome del Socio CHTRONI, presenta l’opera in tre volumi del prof. avv. Luigi AseLLO, Della locazione secondo la dottrina e la giurisprudenza, Torino-Napoli, Unione Tipogr. Editrice, 1908-1913, encomiandone altamente il valore dottrinale e pratico. Il Socio Baupi pi Vesme offre una Memoria di ADOLF DE CeuLENEER, La dernière Cene de Balthasar Mathysens à la Su- perga, estratto dall’opera Les arts anciens de Flandre, Bruges, 1913. Insieme con le lodi di questa ricerca dell’erudito belga, il Socio Baupr pr VesmE espone una serie di buone e nuove osservazioni che valgono a completarla, sicchè la Classe lo in- vita a scriverne una Nota per gli Atti, ed egli accondiscende. ta: x Pia . 4 È esalta : SARE 7 I FA NINTEATUO Me E MR to o le dipl fa: LARE RI Pari da LI, = Pa CS PA, Pi, ed ea ni 24 A "a Ò È, b. Ò ni n basco PRSTTRS 4 va Mia: So Le Ag RAVE I DI «SR $ fe. Dal posi VR è fatta presentazione pina sua nio n° segreti unanimi la Classe i UE codesto scritto nelle Memorie accademiche. i l Rispondendo a quesiti di massima posti dal Segretario ell in nome di persone interessate, la Classe delibera: sa) 1° che al concorso pel premio Pollini possono essere am + messe monografie che abbraccino, anzichè un Comune solo, una ‘a serie di Comuni della regione stabilita, purchè in essa serie non — e siano compresi i capoluoghi di provincia e di circondario; | 2° che al suddetto concorso possa accettarsi anche un’o- si pera che rappresenti un rifacimento di lavoro pubblicato qualche — cd anno prima del periodo compreso nei termini del programma, — lasciandosi alla Commissione giudicatrice il compito di consta- tare se veramente la seconda redazione del lavoro rappresenti — un vero rifacimento, con l’uso di materiale nuovo e con elabo- | razione nuova. “ NSSNSNSISSSISASSSSNSSNSANA a Rinnovazione del bando pubblicato nel gennaio 1904. L. ; Alla fine dell’anno 1915, l'Accademia Reale delle scienze SF Torino conferirà un premio di fondazione del cav. Dr. Giacomo di, Pollini. Esso sarà di Lire 1200, dedotte le tasse e le spese di i amministrazione, e sarà conferito alla migliore monografia sto- =. È rica degli attuali Comuni delle antiche provincie piemontesi, È. manoscritta ovvero stampata negli anni 1904-1914, sul genere di quella dello stesso Dr. Pollini pubblicata in Torino nel 1896 — sul comune di Malesco. Sono esclusi i Comuni capoluogo di pro- da veri È vincia e circondario, ad eccezione di quelli di Domodossola e È di Pallanza. i «SS A tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette provincie. I concorrenti dovranno consegnare i loro lavori stampati o manoscritti non più tardi del 31 dicembre 1914. À L'Accademia non restituirà agli autori nè le opere a stampa, MB nè quelle manoscritte presentate al concorso. ” SV MAU REMORE È Pe tai ie Bite EA a . SISI 16 CARE ALLES SOT N tedlice tà statine iti i CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 28 Dicembre 1913. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CamerANO, il Direttore della Classe NaccarI, ed i Soci SALvaDpoRrI, D’Ovipio, PrANO, Foà, GuarEscHI, GuiDI, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, FUSARIEe SEGRE, Segretario. Vien letto e approvato il verbale dell'adunanza precedente. La R. Accademia di Scienze ed Arti di Barcellona ha in- vitato la nostra Accademia a farsi rappresentare alle feste che si celebreranno il 18 gennaio 1914, nella ricorrenza del 150° an- niversario della sua fondazione. Il Socio Guipi offre in dono un suo opuscolo, Alcune for- mole per il calcolo dei solai. Il Socio PraNo presenta, per l'inserzione negli Att, una Nota di M. Borrasso, Sulla determinazione del tasso di una ren- dita temporanea, variabile e continua; ed il Socio SEGRE un suo scritto, Sulle congruenze rettilinee W, di cui una od ambe le falde focali sono rigate. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 18 7] » 26 MATTEO BOTTASSO Sulla determinazione del tasso di una rendita temporanea, variabile 6 continua. Nota di MATTEO BOTTASSO Il Prof. Boero in una sua Memoria (*) ha indieato vari metodi per determinare dei valori approssimati del tasso (dis- continuo, continuo, anticipato) di una rendita immediata e tem- poranea. Questa può supporsi, indifferentemente, certa o vitalizia e si ammette di conoscerne il valore attuale A, le singole rate (positive) 41, 49, ..., a, pagabili alla fine degli intervalli conside- rati di tempo e di conoscere inoltre, nel caso di rendita vita- lizia, le probabilità p (#, 1), p (#, 2), ....p (#, #) (**) che il benefi- ciario della rendita — di età attuale # — sia in vita alla fine dei detti periodi di tempo. Tutto si riduce alla risoluzione dell'equazione: (1) b,v+ b,0° +... + bo = A, indicando, come d'uso, l’incognita v il valore attuale d’una lira pagabile quando sia trascorsa una unità di tempo; ed essendo bi= a; ovvero bì= p(t, i) a;; (i = 1,2, ....#) secondo che si tratta d'una rendita certa o vitalizia. L'importanza consiste nell'avere ben stabilito, per ciascuno dei metodi di risoluzione approssimata della (1), quando il va- lore della radice ottenuto è approssimato per difetto e quando per eccesso (indagando il segno del resto); cosa affatto trascu- rata nei trattati preesistenti di Matematica finanziaria ed attua- riale, nei quali inoltre si accenna alla risoluzione della (1) nella (*) T. Boaero, Sulla risoluzione di una classe di equazioni algebriche che si presentano nella matematica finanziaria e attuariale, * Mem. della R. Accad. di Torino ,, 1909, serie 2°, vol. XL, pp. 107-188. (**) La notazione p (t,n) è assai più comoda della ,». usata dagli At- tuari inglesi, sovratutto quando le lettere #, n portano degli indici, DI ETTI n° de sei P veg e SPP ER ge Cp e panno ' "TIE TE TT I Re I n SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 269 sola ipotesi delle 8, tutte fra loro eguali, nel quale caso può anzi supporsi siano tutte eguali ad 1. In questo Lavoro mi sono proposto di estendere i risultati ottenuti dal Prof. Boegio al caso di una rendita continua, e di fissare quali dei detti risultati presentano una forma analoga a quella» ottenuta quando il numero delle rate della rendita è finito, ovvero quando e come tale forma viene a modificarsi. Per precisare, mi occuperò della ricerca delle soluzioni dell'equazione trascendente in v (*): (2) È vb, du =A; - 0 ove si avrà rispettivamente: (3) v=(1-P9)7, (4) = dr”, (5) o=l—- ea, secondo che si considera il tasso d’interesse (unitario) come discontinuo (x), continuo (y) od anticipato (2). Tanto questi tassi come, di conseguenza, v si ritengono numeri positivi inferiori ad uno, e s'ammette pure sia positivo il valore attuale A della rendita. La funzione bd, si riterrà pure positiva ed integrabile nel- l'intervallo 07n; essa rappresenterà in ogni istante v il valore della rata di rendita riferita all'unità di tempo nel caso di ren- dite certe, mentre nel caso delle rendite vitalizie sarà eguale al prodotto di tale rata per un conveniente fattore demografico, il quale nel caso per es. di una rendita vitalizia immediata (temporanea) sopra un individuo di età #, sarà p (f, n). Si potrebbe in modo affatto analogo, con una scelta oppor- tuna dei limiti nell’integrale di (2), considerare il caso delle rendite differite. (*) La (2) ha la forma di un’equazione integrale di 1* specie di cui »*, funzione di due variabili, sarebbe il nucleo; ma il problema nostro è ben distinto dal problema di risoluzione di una tale equazione integrale, il quale ultimo consiste (com'è noto) nella determinazione della funzione du, da considerarsi come incognita, soddisfacente alla (2). 270 MATTEO BOTTASSO Nei primi numeri l1,...,6 si sono esaminati i metodi più convenienti per ottenere direttamente dei valori approssimati della soluzione di (2), ovvero per ottenere termini di correzione a valori già noti, indicando sempre il senso dell’approssimazione e, per lo più, anche la forma del resto. In seguito (ni 7, 8) si è fatto altrettanto per le più sem- plici forme d’interpolazione, indicando poi (n° 9) un altro me- todo di risoluzione approssimata quando d, soddisfa a certe particolari condizioni. Come applicazione sì è considerato nel n° 10 il caso di una rendita certa e continua la cui rata è, è un polinomio del tempo v, esaminando in modo particolare il caso d’una rendita la cui rata è variabile in progressione aritmetica, od in par- ticolare è costante, per il quale ultimo s'è anche fatta una ap- plicazione numerica. Infine si è mostrato come i risultati ultimi, relativi a ren- dite certe, si possono render validi anche per le rendite vitalizie, supposto sia costante il tasso o coefficiente istantaneo di mor- talità u,. 1. — Converrà anzitutto osservare che, in virtù delle ipo- tesi fatte, il 1° membro della (2), considerato come funzione di v e per valori positivi di questa variabile, è definito (posì- tivo) e crescente. Limitandoci a considerare per v i valori del- l'intervallo 071, il 1° membro della (2) assume il suo minimo valore — annullandosi — per v= 0, ed assume come valore . . . n . massimo in detto intervallo | b,du, corrispondente a v= 1. 0 Ne segue che la (2) ammette sempre una ed una sola solu- zione reale, positiva e non maggiore di 1, quando sia: (6) 0 1 ovvero ng < 1. Su In modo più esplicito, 2, sarà approssimato per difetto 0 per eccesso secondo che l’integrale RCA (u—- 1) b, du risulta positivo o negativo. Esisterà pertanto, com'è evidente, un numero positivo v tale che : È (10) fi ulu— 1)b,du=0, per cui quando n > v il valore 2, è approssimato per difetto, mentre risulta approssimato per eccesso quando n < v. L'errore commesso, assumendo in luogo di 2 il valore 2,, è TARARE Il : sempre inferiore a Ce 1)z pern>v eda, zo (1 20)7® SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 273 per n 1 — 2, e siccome a valori approssimati per difetto dei tassi corrispon- dono per le (3), (4), (5) valori approssimati per eccesso di », è facile ricongscere che x, è meno approssimato di y,, il quale a sua volta è meno approssimato di 2, quando questo sia ap- prossimato per difetto. Si deve osservare che non è facile determinare il valore v della (10), perciò, anche per ottenere per 2, invece di 2,, un va- lore approssimato in un solo senso qualunque sia », conviene assumere quello che si ricava per es. dall’equazione di equiva- lenza del-detto tasso con il tasso continuo, cidè dall’equazione ottenuta eguagliando i secondi membri delle (4) e (5). Così si ha un valore 2/j=1 — e-% il quale è approssi- mato per difetto come y,, qualunque sia »; e l'errore, che si commette assumendo 2’, in luogo di 2, è minore di E nYo ta log? (1 — 20) ese?) = el — 1-29? o 1 2 ossia è minore di 1 — (1 ssa, Nes per 2° = 2. Osserveremo che qualora si ritenga nulla la funzione 5, nel- l'intervallo 071, il che equivale a supporre la rendita continua differita di un anno, nella (10) si ha v=0 e quindi, in tale ipotesi, 2, è un valore sempre approssimato per difetto del tasso anticipato 2. 8. — Per i tassi <, y, 2 sì possono ottenere valori appros- simati in senso opposto a quello dei valori ottenuti nei numeri precedenti, considerando un altro termine negli sviluppi (7), (7°), (7') e quindi nelle successive (8), (8‘), (8). In tal modo, invece per es. della (8), s'avrà: n n x? (n i fia du—a ["ub, du + A (u+ 1) db, du — — 8 & [uu + 1)u+2)b,du=A, 274 MATTEO BOTTASSO , ove 0<0<1, e quindi l’ultimo termine del primo membro è negativo. Indicando questo termine con — £, la relazione scritta di- venta un’equazione di secondo grado in x; se la risolviamo trascurando ®, e ci limitiamo a considerare la radice che è sempre minore di qualunque sia n, cioè quella corrispondente al valore negativo del radicale, si ha: i (11) _ Sududu—Vfubudu® —2(fubdudu — A) fu(u + 1) du du AVETZ Sul(u+ 1) bu du : che si riconosce facilmente essere approssimato per eccesso. In modo analogo si potrà pure ottenere, per il tasso con- tinuo y, il seguente valore anch'esso approssimato per eccesso: budu—V(fubudu? —2(fubudu — A){ut bud (11) Y = Subudu—V(fub A da u Su? bu du. Il Non è conveniente invece considerare l'analogo valore ap- prossimato del tasso anticipato, poichè nel determinare il senso dell’approssimazione s'incontra una difficoltà simile a quella in- dicata nel n° 2. Si potrà pertanto anche qui ricorrere all’equi- valenza dei tassi, la quale ci dà, per es., il valore: Zg — 1_- e" approssimato a 2 per eccesso. 4. — Possiamo ricavare per i tassi dei valori per difetto più approssimati di quelli espressi dalla (9), nel modo seguente. Se nella nota diseguaglianza (*): p? bi 23 , (12) mor<(F% ove tanto le sommatorie come il prodotto del 1° membro sono (*) Cfr., per es., G. Peano, Formulario Mathematico, t. V (Torino, Bocca, 1905), p. 128, = SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 275 tutti estesi agli stessi valori interi 1, 2, ..., m dell’indice è, po- n . — tf E k niamo a, = v”" , essendo x >Q, sì avrà: (127) pei Sia ora è, una funzione di « integrabile nell’intervallo 0 Tn e, diviso questo in un numero wm di parti eguali, indichiamo ‘con B,, 8», ....8, i valori che essa assume negli estremi supe- riori di ognuno degli intervalli parziali ottenuti. Poichè si ha allora: ee Cud du = lim (* i} i8)), fe b, du=lim (* YVon' B)), ‘dalla (12°) seguirà subito la seguente diseguaglianza: c sa by di So" bu du \fdudu (18) ci <( Î du du i Da questa, per la (2) e per le ipotesi fatte, si ha: Î bu du A vue E Ta (14) logo <==——=-= fa Indicando con v, il valore, approssimato per eccesso, che si ottiene per v assumendo il secondo ‘membro della (14) quale valore di log v;, i valori x,',... che ne conseguono per i tassi risulteranno approssimati per difetto. È facile riconoscere che tali valori sono maggiori di quello dato dalla (9), sempre quando quest’ultimo rappresenti un valore approssimato per difetto. Così, per es., si ha: (15) PI AE ILL Sud. du 5 fbudu ” - I no pt i: per $ et” 3 | - S' % * tal SERENE se. A d7@ A MATTEO BOTTASSO Or att age da cui segue immediatamente: psi i ER eg e fbud = Su bu du Sbudu—A Vic atte See + Li —(1- eni a Subudu Similmente si riconosce essere: , bu d (16’) Yi ie IRSA 7 ca lo 0g Ta du YI pas del 5. — Quando già si conosce un valore approssimato del. tasso, si può ottenere un altro valore più ‘approssimato, appli — cando il procedimento di Newton alla ricerca di un termine di ui. correzione. s. 4; cioè: (18) o =(A4; — A)| f' u(1+x,)"d,du, ci da un valore approssimato per difetto di a, ed x, = x, +4 a è un valore più approssimato di x,, ed approssimato per difetto. Quindi, applicando replicatamente il procedimento esposto, si avrà una successione di valori ordinatamente crescenti %3; £3; ..., Che tendono ad x come limite superiore. In simil modo, se y, è un valore approssimato del tasso continuo y si otterrà, come altro valore più approssimato, ed approssimato per difetto : Pi n (19) y=% + (Ag==4) / fi ue" b, du, USE 3 ri, peryr2=mod(y— y,). Dato un valore approssimato e, del tasso anticipato 2, col mezzo dell’equivalenza dei tassi si potrà ottenere, per es., un valore y, del tasso continuo, ed allora come corrispondente al valore ys» dato dalla (19) s'avrà un nuovo valore 23 più appros- simato a 2 di 2, ed approssimato per difetto. Anche per il tasso discontinuo x può ricavarsi il valore xy =e-—1 dato dalla relazione di equivalenza di esso col tasso continuo; ed è facile riconoscere che «3°, pure approssi- mato per difetto, è maggiore e quindi più approssimato di x, + d,. con un errore minore di (*#) Il valore del 1° membro della (2), corrispondente ad un valore as- segnato di v, si potrà calcolare (quando la forma particolare della fun- zione du non permetta di eseguire altrimenti l’integrazione) con una delle formule di quadratura dei trapezî, di Simpson, ovvero con quella di EuLeRro- Maccavris, della quale ho indicato un modo di trovare il resto nella Nota: “ Sopra alcune formule di quadratura usate in attuaria , (Rivista Italiana di Ragioneria, Roma, 1914). «i ù A en ARR A Aa ha i e AI Seri aa IS 1 VO PISANI È né. >, tea rici Pica sa peo: è WR, e — a A de la ri LETRAS PBI NOLI NI 278 - MATTEO BOTTASSO c.c Sea » SLA È . 6. — Possiamo ottenere per la (17) del n° precedente un : termine di correzione a, più approssimato del valore a, dato — 3 dalla (18) >, Per questo si osservi che se nella (13) o (14) sostituiamo v . . . 7 ave vi db, a by, SI ottiene subito: 1 log () Trota (7). e siccome nel caso del tasso discontinuo per la (17) è: sì avrà: sie a Ai Ai È log(1 * dk Su (14 23)" du du le8:=7} = perciò assumendo: ay pics Ai Ar (20) log (1 = = fSu(1+x;)" du du log > Me a, rappresenta un valore approssimato per difetto di a. . Con procedimento analogo a quello seguito nel n° 4 per dimostrare che il valore x, ricavato dalla (15) è maggiore del valore x, dato dalla (9), si riconosce che a," è maggiore e quindi più approssimato di a,; e sarà pure xy =, | a, più appros- simato di xs. e. Similmente, per il tasso continuo si ottiene il valore appros- simato per difetto : \ € dg 18, A A (21) VET Tarnehdi log 7» più prossimo ad y del valore ys espresso dalla (19). À 7.1 precedenti procedimenti permettono di ottenere dei valori di v approssimati per difetto e per eccesso. Ora, noti due SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 279 valori v;, v» approssimati il primo per difetto ed il secondo per eccesso, si possono dedurre infiniti altri valori mediante l’inter- polazione per parti proporzionali, il che può farsi sotto varie forme. Si può, per es., ritenere che gl'incrementi del capitale A siano proporzionali agli incrementi della variabile v. Siccome però in questo modo, nella determinazione esatta del senso dell’approssimazione, s'incontrano difficoltà analoghe a quelle indicate nel n° 2 per la determinazione del segno di 2 — 2, essendo 2, espresso dalla (9), potremo invece conside- rare l’interpolazione fra i capitali ed i tassi. Ammetteremo cioè che gli incrementi del capitale A siano proporzionali agli incrementi del corrispondente tasso (discontinuo, continuo). Così, se x,, 23 sono due valori approssimati rispettivamente per difetto e per eccesso di x, ed A,, As soni valori del capi- tale ad essi corrispondenti, cioè i valori assunti dal 1° membro della (2) quando si sostituisca v successivamente con (1 + 2,)T}, (14 x3)-!, un nuovo valore approssimato di x sarà: AT- A Aa da 9)- (22) o = + re Quale espressione del resto R=%—' di questa formula, si ha (*): 1 (23) R=J(4-4)(4—4)(15), dA? vo] indicando (25), il valore che la derivata in parentesi assume per un certo valore B compreso fra A; ed A,; e poichè si ha: PA d°x de _ Sulu+1)(1+ 2)? du du da’ —— (aA\SB 7 (Ju(1+x)}*budu? * A (*) V., per es., G. Prawo, Lezioni di Analisi infinitesimale, t. I, p. 106. \'@e Sell po 280 MATTEO BOTTASSO sì riconosce essere sempre £f < 0, cioè x’ risulta approssimato per eccesso. Facendo una nuova interpolazione, partendo dai va- lori #1, x, si ottiene un altro valore x" di x approssimato an- cora per eccesso, ma più approssimato di x"; e così proseguendo s'ottiene una successione x’, x‘, ... di valori, ordinatamente de- crescenti, aventi per limite il tasso %. Similmente si può procedere per il tasso continuo, di cui un nuovo valore, approssimato per eccesso, sarà: (24) y=It+ICT Ca ei n che si ottiene partendo dai due valori y,, » approssimati ri- spettivamente per difetto e per eccesso. Per il tasso anticipato si può trovare un nuovo valore ap- prossimato 2' per mezzo, ad es., di y', considerando l’equiva- lenza fra i due tassi = ed y, il che equivale a fare l’interpola- zione fra A e log(1— 2). Si può seguire la stessa via per il tasso discontinuo, cioè eseguire l’interpolazione fra il capitale A e log (1-| x); in tal modo sì otterrà per x un valore approssimato per eccesso, che si riconosce subito essere minore e quindi più approssi- mato di x. 8. — Un altro modo di applicare l’interpolazione segue dall'ammettere che gli incrementi del logaritmo del capitale A siano proporzionali agli incrementi del corrispondente tasso con- tinuo Y. Si ha allora: log A — log A; (25) = te) ed il resto corrispondente (cfr. n° precedente) è: Ad log A i(dlogA\8 ran 40 (099) (A), E O, E ° * na Ii he. TOLTI RETTO p ‘SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 281 ove yi A0, ne segue che il resto suddetto è sempre negativo, cioè y,° è approssimato per eccesso. Dopo ciò, ripetendo un ragionamento fatto dal BoeGro (Mem. cit., n° 9), si può dimostrare che l’ultimo valore y, ot- tenuto per y è minore e quindi più approssimato del valore y°, ottenuto nel precedente numero, espresso dalla (24). Si può pure eseguire. l’interpolazione fra il logaritmo del capitale ed il tasso discontinuo; si ottiene in tal modo un valore di x approssimato per eccesso, poichè, nel caso considerato, dalla x A=|1+2"% du, si deduce facilmente: dlogA __ ca a ra, (1+27 db du<0, d°logA __1 He (u—w?-+-u4w 5 24 f 0 GF) bb, du dw > 0. Peraltro, dal valore y;° ottenuto poco fa per il tasso con- tinuo, si può dedurre un valore approssimato x," per quello discontinuo, considerando l’equivalenza fra i due tassi, il che equivale a fare l’interpolazione fra log 4 e log(14 x); il va- lore x!" risulta più approssimato di quello che si ricava dal- l’interpolazione or ora accennata (Boeero, loc. cit., n° 9, pag. 120). In simil modo, si potrà ottenere un valore approssimato per il tasso anticipato considerandone l’equivalenza col tasso continuo, cioè eseguendo l’interpolazione fra log A e log(1— 2). SIE 15 SEE SALINE RESO SI SI ® a î DI e 282 MATTEO _BOTTASSO Si può ancora applicare l’interpolazione ammettendo la pro- ; "Tai SE porzionalità fra gli incrementi del reciproco del capitale ed i cor- ; rispondenti incrementi del tasso discontinuo, nel qual caso però, — Bai ‘£ come per le rendite non continue (Boero, loc. cit., n° 10), non si può in generale determinare il segno del resto. TR 9. — La (2) si può pure risolvere in altro modo, mediante — sE approssimazioni successive, quando la funzione è, sì supponga Ln soddisfare, nell'intervallo 07n, a speciali condizioni; per es. se CE 149 > sì ha: “0 E 4, E (26) db, _ bl ' "= essendo « un valore qualsiasi dell'intervallo 055 ì sa ACL Infatti, poichè dalla (2) segue: È n ai n_- 2u I it oa=A]| b,v 20 du, 0 SA e può scriversi : ; 2 i n c ROTTE] Wi A S-- CE fino 2 du= |. (be 2 + bru® 2 )du, Spf x indicando con v, un valore di v approssimato per eccesso, cioè supposto 1=>v >v>0, dalla (26) seguirà essere: nT_ 2u n_- 2u n_ 2u n_2u (27) bio 3 +boud # D>butr FP + bat 800) e quindi: od anche: (28) SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 283 Se perciò si assume: n n e dd (28') AE Ai sarà v un valore approssimato per eccesso, minore (perchè A A;. è Vv > 0. Casi speciali ed applicazioni. 10. — Consideriamo ora il caso speciale in cui nella (2) sì abbia: b,= 00 + dgu+ agu+ ... +-da, ", ove le a0, 4, ... 4, SOno costanti assegnate; si verrà così a stu- diare, per es., il caso d’una rendita certa e continua la cui rata, riferita all'unità di tempo, è un polinomio di grado m del tempo u contato a partire dall’istante attuale, dal quale deve iniziarsi il pagamento della rendita. In tal caso la (2) diventa: m D' ilo du=A. i ) ; 2a fia v“ du Mediante l’integrazione per parti e ricordando che log v = — y, si ha: fi vu du = — È u' Lar carine — —- utt. t vl ia n , i FT se) E È nti bi CUS (i uf ni+ 4 i a nti +a, Y Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 19 Se quindi sostituiamo nea @) si ha: RIE LIAE ven | L i! cla î i As Dio pa y't Lox DI (i — k)! UT: | ta m mo m_k AEM A "61 “0A G+o! i TRA ua REP E so gr 7 ins SE U 0 nr dici di 3, per u=n, cioè ponendo: i vi ba = - hl An +47 SEL 22 An:1 nt - met. An+2 n? + cl +. h5 ri +e (=0,172 sì avrà: od anche: LE Ay"t'=— 0" [(b,y" 4 8, Ni + det up r4 +2!asy" +... - + man: a ba i va DE Ora, se dopo aver sostituito a v = e il suo sviluppo serie, eseguiamo il prodotto di questa per il polinomio pe in [...]|, poichè è, in n eta bra, = W! — nb +3 6 —.. 4 (— e gna Dro R> (A=0,1, 2,. ci Mm) De . pi VOTE si riconoscono esser nulli i coefficienti dei termini di grado in “268 feriore ad m + 1; dividendo perciò per y"*', la relazione; se di a diventa : lea Mc [.) x Du Ù {a n n'*! , Ne fe Ù + Ss 29) A=Y (Dn (E bo preti + SI ì e DON e TI na “i Me caio ve SI ue] Sal Prata la È sa dr ni i n y ta Ma Yie ft ’ , f uo SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 285 È: i Abbiamo così ottenuto, per la rendita considerata, un’equa- zione in y in cui non compaiono più integrali pur risultando sempre, in generale, trascendente. Essa ha forma simile alla (1) considerata dal Prof. Boeero, dalla quale differisce in quanto la sommatoria è, nel nostro caso, estesa ad un numero infinito di termini ed il segno dei coeffi- cienti non è più costante; questi si possono peraltro riconoscere aver segno alternato, quando si suppongano positivi 40, 41, ... 4. Alla (29) si possono ancora applicare i metodi d’approssi- mazione del Prof. Boggio, il che ci limiteremo a vedere (per brevità) in qualche caso particolare. 11. — Il caso particolare di in=0 corrisponde ad una rendita continua la cui rata, riferita all'unità di tempo, è sempre costante; e poichè questa costante 4, può supporsi eguale ad uno senza ledere alla generalità del problema, l'equazione (29) si ridurrà alla seguente in ®: i : i o VE PI Apt | i (30) i dr= dn | poichè y = — log»; od anche: (30) v_-Alogo=1. Il primo membro dell'ultima equazione, considerato come h 1-0 ITA A w ,, è ere- funzione di v presenta un minimo nel punto ‘= | | scente per » >» e decrescente per v< vo. Perciò, volendo ot- | tenere per tentativi dei valori approssimati di v si attribuirà a | questo un valore qualsiasi (minore di 1), ed a seconda che per tale valore il 1° membro della (30’) risulta minore o maggiore «di 1, per avvicinarsi maggiormente alla soluzione occorrerà | rispettivamente diminuire od aumentare il valore considerato | per v (ovvero aumentare o diminuire il corrispondente valore del tasso). Peraltro, possiamo ottenere dei valori approssimati della radice di (30) procedendo in modo analogo a quello seguito nei _ ni 1 e 3; e ci limiteremo a considerare il tasso continuo y, dal quale si possono dedurre subito i valori corrispondenti del tasso I sa si A x : a DE x A - he ESE AS 286. *. MATTEO BOTTASSO | dr Fi . sr e ME a discontinuo # e di quello anticipato 2 con CT note relazion . d'equivalenza: ta a=@—1, a=1—e*. Posto adunque nella (30) oe, si.ha: evHAy=1, dalla quale, mediante lo sviluppo di e", si deducono le segue ati È. equazioni : °C : - "SIN > SPES) : È i \ mimi ny MI+R+TtAS90,; ove 0<0<1 ed R,>0. (0° CoA Se risolviamo la 1* delle (31), dopo aver trascurato il te er: mine con il fattore 8, otteniamo un valore approssimato. per difetto del tasso y espresso da: i : (32) yi = 2(n— A) ù 4 2 ’ e n (positivo perchè si suppone » > A) e l'errore commesso sil | minore di ing, essendo Y, > Y. 7 di Risolvendo invece la 2* delle (31), si ha: 2 Bn +-V24n°(. (A+ Ri) — 15n4 — 15n4 2n3 i) ig = 7, » AvRRE e poichè per ogni valore di n dev'essere y< 1, non è accet- i tabile innanzi al radicale il segno -}-, quindi sarà: 1 04 TERE 3 A+ Ro ela si A (33) y= Qlri:/4 + +R _ 18. Mas. - Bets, Se trascuriamo /è, sotto il radicale, s'avrà un valore sr h; di y, approssimato per eccesso, che è: 1 î bo (33) n= SULLA DETERMINAZIONE DEL TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 287 "3 sempre quando sia 42=$ —. Quando invece è — 4<3 l’espres- sione scritta di 73 cn imaginaria; si potrà Sg ovviamente DE) otte- nuto trascurando il radicale che compare nell’ espressione (33) di y, il quale deve sempre essere reale. Trovati così due valori y,, y» del tasso y, approssimati l’uno per difetto e l’altro per eccesso, si potranno dedurre infi- niti altri valori sempre più approssimati coll’applicazione dell’in- terpolazione, in una delle diverse forme considerate nei n' 7, 8; per es. coll’interpolazione fra il tasso continuo ed il logaritmo del capitale come s’è indicato nel n° 8. assumere quale valore approssimato per eccesso ys = 12. — Per meglio mostrare l'applicazione pratica delle cose esposte, supporremo per esempio nella (30’) A= 15, n= 20; cioè di dover risolvere l’equazione: fe (30) v0 — 15logo= 1. Quali valori y,, ys del tasso continuo, espressi nel n° pre- cedente, si trovano: Ya. — 00255, Yys= 0,032, mentre gli equivalenti valori del tasso discontinuo sono: x, —=:0,0258,, x, =0,0824; e sostituendo nella (30”), quali valori del 1° membro si hanno rispettivamente 0,988 e 1,007. i Calcolato dello stesso primo membro di (30”) il valore cor- rispondente ad x = 0,03 si ha 0,99705, perciò x, sarà ancora un valore LA per difetto; e ua il detto primo membro per x, = 0,031 diventa: 0,54303 + 0,45793 = 1,00096, si conclude che il tasso discontinuo cercato è compreso fra il 3%, ed il 3,10 9/0. | si vino BOTTASSO Applico ora , l’interpolazione seguendo la via indicata o] n° 8; per il nuovo tasso approssimato x', in virtù della (24 ) iL: Ca È . 1 log (1 cp x')=log 1,031 + J06 4 Ai logi (log 1,031 — E , 09) ove A; ed A, sono i valori dei capitali corrispondenti rispet Lt vamente ai valori 0,031 e 0,03 di x; da cui, eseguendo i cal- coli, s'ottiene x' = 0,03066, valore approssimato uri eccesso. sà Se invece adottiamo l’interpolazione fra x ed +, come si — i è accennato alla fine del n° 8, cioè poniamo: Uli "= 0,08-+-#_4 (0,031 — 0,03), Ar . sì ottiene 2” —= 0,0305386, il quale valore è approssimato! | difetto perchè il valore di A che ad esso corrisponde è 15,25 >. Per le applicazioni pratiche sarà, in generale, più che ca è ficiente l'avere stabilito che si ha: 0,03053 < x < 0,03066. 13. — Si può trattare in modo analogo, per la (29), il casal ch di m=1, in cui Za rata della rendita continua varia in progres: | «sione aritmetica, cioè è una funzione lineare del tempo: b,=a + bu, In tale ipotesi, dalla (29') si ha subito: A HE id gra Di (a + bn) — Fi o| yi, 4= DM ip lé+ Da + ly 1 SULLA DETERMINAZIONE DEI TASSO DI UNA RENDITA, ECC. 289 ove per & e d positivi (come supporremo) la serie del secondo membro ha i suoi termini con segno alternato. Si possono allora ottenere immediatamente due valori del tasso, risolvendo le equazioni seguenti : A=-7 (a + bm) si (3a + 2bn) y + R A= gr (2a + dn) — IE 2bn)y + 7 (4a + 36n) yÈ — È,, ove È ed È, sono positivi; trascurandoli si ha: __ 3n(2a 4 bn) — 6A AT n° (3a + 2bn) L 2n (3a + 2bn) — 2 Ven (4a + 3bn) A — n° (1508 + 55%n° + 18abn) — n (4a + 3bn) Il 1° di questi valori è approssimato per difetto ed il se- condo per eccesso; essi ci permettono quindi, sia per interpola- zione, sia col metodo del termine di correzione, di determinare altri valori più approssimati per y e quindi anche per v o per gli altri due tassi x e 2. Le espressioni ora ottenute di y,,ys contengono natural- mente le analoghe ottenute nel n° 11 per a=1, b==0. 14. — Possiamo domandarci se, ferma l’ipotesi che la rata di rendita riferita all'unità di tempo sia un polinomio di grado m del tempo u contato a partire dall’istante attuale, anche per il caso di una rendita vitalizia continua sia possibile trasformare la (2) in altra equazione priva di integrali, RE a quella otte- nuta nel n° 10 per le rendite certe. Ora, se si ammette la legge di sopravvivenza del MAKEHAM (che contiene come caso particolare quella del GompeRrtz per a= 0), cioè si suppone che il coefficiente istantaneo di morta- lità per l’età # sia: u=a+ be’, ove a, b,c sono costanti, e quindi per la probabilità p (t, u) che un individuo di età # sopravviva all’età t + « sì abbia: c(e—-1), log p (t, u) = par > x Sa n "la (Ra ice | k: 290 MATTEO BOTTASSO — SULLA DETERMINAZIONE, ECC. in generale non sarà possibile eseguire sotto forma finita a grazione nella (2). E lo stesso può ripetersi anche quendiili suppone: u=atbd, e quindi: { — uu — > (u +20)u p(t,u)= e Se invece, in una prima approssimazione, sì suppone € stante u, = a, e quindi (iu) = e questo fattore potrà riunirsi nella si con v“" e sarà facile tal 3 tal caso, cioè per d, = e" (40 + + ... + an"), ottenere ì du luogo della (2) una forma analoga alla (29) senza integrali. 1 sufficiente anzi, come si vede subito, nella (29) sostituire v con 14 e-°v per ottenere senz'altro l'equazione cercata. ASS Quindi, quanto s'è detto nei n' 11, 12 e 18 in merito a casi DS particolari della (29) si può ancora ripetere per le analoghe equa- > zioni particolari relative a rendite vitalizie, tenendo presente la a % sostituzione indicata, il che equivale a togliere a da ogni va- lore prima ottenuto per il tasso continuo, onde ottenere il nuovo tasso relativo alla rendita vitalizia. dl g ‘Torino, dicembre 1913. Be C. SEGRE — SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 291 Sulle congruenze rettilinee W, di cui una od ambe le falde focali sono rigate. Nota del Socio C. SEGRE 1. — Una curva L sia tale che, per ogni suo punto, entro al piano osculatore, passi una retta di una congruenza lineare fissa N. Dico che la curva (cioè ogni sua tangente) starà in un complesso lineare di rette passante per N. La cosa riesce intuitiva se riguardiamo L come costituita di punti successivi, infinitamente vicini, ...@ 403 03 ... Nel fascio dei complessi lineari passanti per N consideriamo quello che contiene la retta (tangente) aa,. Per ipotesi nel piano (oscula- tore) aaa» sta una retta di N passante per a,, e diversa in ge- nerale da «a. Così al complesso lineare considerato apparten- gono due rette di quel piano, passanti per a,; e quindi gli apparterrà pure la retta a,@s. Da ciò si dedurrà similmente che il complesso contiene la 43403; poi la a34,, e così via. Volendo invece una dimostrazione analitica, rappresentiamo le coordinate omogenee projettive x, xs 73 #4 dei punti di L come funzioni di un parametro t; indichiamo con apici le deri- vazioni rispetto a #, e con x, x" i punti che han per coordinate le x;, x;". La tangente inx ad L è allora la retta dei punti x, x’, retta le cui 6 coordinate sono / SEGA ' (Ca) = — 2. Il piano osculatore in x è il piano dei punti «,', x" (che non sono in generale allineati). Quindi una retta passante per x e giacente in questo piano ha le coordinate Mec) + Ue) Me 292 C. SEGRE I e e 4 % di - Pa” ri i Re % % Per ipotesi, prendendo per ) e u convenienti funzioni di #, si ba 50 così una retta di una congruenza lineare fissa, cioè di due com- +9” . . . . . È i E plessi lineari fissi. Ossia: i Laax [Me 2)ax + (ee) =0 > 3000 È k : e: V La Mer) + (e) =0, A x x ove le 4,,, d,x son costanti. Poniamo, per brevità, * A=Yan( Lx : 5 - sicchè, derivando (rispetto a t), EL A'=FLanx(22")n; PI e similmente B=Mbaec)a, B'=V ban (12). 4 I Allora le due equazioni precedenti, eliminandone X e u, danno: ti; / AB" Ba =0, te; il cui integrale x aA4BB=0 (ove a, B indicano costanti) esprime che le tangenti xx di L stanno in un complesso lineare passante per la data congruenza: il che appunto volevamo dimostrare. è 2. —— Ciò premesso, consideriamo una congruenza retti- linea W, che abbia per una falda focale una rigata sghemba &, e faccia corrispondere alle generatrici rettilinee di questa (o ad un sistema di tali generatrici, se / è una quadrica) un sistema di asintotiche dell’altra falda focale S, che non siano rette (!). Sia L una di queste asintotiche di S, 2 la corrispondente generatrice di R. Le oo! rette della congruenza che hanno i loro. (!) Ricordo che (seguendo il sig. Brancmi) si chiamano congruenze W h, quelle congruenze di rette che determinano tra le due falde focali una tal. — corrispondenza da mutare le asintotiche di un sistema in asintotiche: onde anche le asintotiche dell'altro sistema si muteranno in asintotiche. SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 293 fochi risp. su quelle due linee, stanno nella congruenza lineare speciale composta delle tangenti a & nei punti di ? (congruenza lineare che ha per direttrici ! e la generatrice di / infinitamente vicina ad 7). D'altronde ognuna di esse è pur tangente a 5, per ipotesi, in un punto di L; sta cioè nel piano che in quel punto è tangente a S, vale a dire (essendo L asintotica) osculatore a L. Possiamo dunque applicare a L il lemma del n. 1; e conclu- diamo: Ogni asintotica di S, del suddetto sistema, appartiene (con le sue tangenti) ad un complesso lineare di rette. Questo complesso i contiene la congruenza lineare delle tangenti ad È nei punti della generatrice corrispondente a quell’asintotica L di S. 3. — Supponiamo ora che anche S, come £, sia rigata. Si tratti cioè di congruenze W le cui falde focali siano entrambe ri- gate. In un’altra Nota (?) io mi ero occupato, come già aveva fatto il sig. BrancHI, del caso in cui alle gencratrici rettilinee di una falda focale (o ad un sistema di tali generatrici, se sì tratta di una quadrica) corrispondano sull’altra falda focale ge- neratrici rettilinee. Ora invece siamo (secondo il n. 2) nell'altra ipotesi: che alle generatrici considerate di È corrispondano sulla S le asintotiche che non son rettilinee. Vedremo facilmente che quest’ipotesi non dà nulla di nuovo (5). À Applichiamo in fatti la proposizione del n. 2, tenendo conto . che adesso la superficie S è rigata. Per ognuna, L, delle curve | asintotiche di cui ivi si parla, il complesso lineare di rette, che ne contiene le tangenti, contiene tutte le rette che passano per un punto di L e giacciono nel rispettivo (piano osculatore di £, (*) Le congruenze rettilinee W aderenti a due superficie rigate, in questi Atti, vol. 42 (1907), p. 539. (*) Cfr. M. Picone, Sulle congruenze rettilinee W, Rendic' Circolo matem® di Palermo, t. 37, (1914),. (L’estràtto è uscito nell’ottobre 1913). Il risul- tato di questo Autore, per quel che riguarda l’attuale problema, non coin- i cide con quello che qui otterremo (n. 6). Informato di ciò, il sig. Picone. ha proseguito ulteriormente i suoi calcoli, giungendo infine a conclusioni concordanti colle nostre: come apparirà in una nuova Nota di lui, in quei Rendiconti. Cfr. anche le parole di E. J. Wirczyxski alla fine del $ 9 della sua Memoria premiata Sur la théorie générale des congruences, Mém. (in-4°) de l’Acad. de Belgique, (2) t. 3, 1911. 294 C. SEGRE ossia) piano tangente di S: cioè tutte le tangenti ad $S nei punti di ZL. In particolare tutte le generatrici della rigata S staranno in quel complesso lineare. Variando L, il complesso lineare dovrà variare: perchè non possono tutte le tangenti di una superficie S (non piana) giacere in uno stesso complesso lineare. Varierà in un fascio di complessi lineari: se no, le generatrici di S, essendo comuni a tre com- plessi lineari, linearmente indipendenti, starebbero in una schiera di generatrici di una quadrica; non vi sarebbero asintotiche curve. Dunque tutte le generatrici di S stanno in una congruenza lineare fissa. — Diciamo m n le direttrici (distinte od infinita- mente vicine, ma sghembe fra loro) di questa. 4. — Abbiam rilevato al n. 2 che il complesso lineare che contiene L contiene pure la congruenza lineare delle tangenti a PR nei punti di 2: in particolare conterrà la stessa 2. Ne segue intanto che non possono tutte le generatrici / di £ appoggiarsi ad m; perchè in tal caso dovrebbero stare nella congruenza lineare (m n) testè detinita. Le due rigate /, S starebbero in una stessa congruenza lineare: dal che si trae subito che, chia- mando omologhi su £, S i punti di contatto delle rette che le toccano entrambe, ai punti di una stessa generatrice di & cor- risponderebbero su Si punti di una generatrice (o di più gene- ratrici) (4), e non già quelli di un’asintotica curva. Considerando su f una successione di generatrici infinita- mente vicine / /, /3 /3..., potremo esprimere il fatto ricordato or ora (dal n. 2) così: la congruenza lineare che ha per diret- trici //, sta in uno stesso complesso lineare colla congruenza (mn). Tenuto conto che le quattro rette / /, m n sono sghembe fra loro, ciò equivale a dire che queste rette stanno in una stessa (4) In fatti, se una retta g tocca due rigate R, S di una stessa con- gruenza lineare, risp. in due punti che non siano singolari per la con- gruenza, ciò equivale a dire che due generatrici infinitamente vicine di R e ilne generatrici infinitamente vicine di S incontrano 9, e quindi stanno nella schiera costituita dalle rette della congruenza lineare appoggiate a y. Le infinite rette dell’altra schiera che è incidente a questa tocche- ranno R,S nei punti delle generatrici passanti risp. pei due punti di contatto di 9g. V. anche il n. 9 della Nota citata in (*). POTGRTA SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 295 schiera rigata (vale a dire sistema di generatrici di una quadrica sghemba). Similmente staranno 2, 2, mn in una stessa schiera rigata, la quale coinciderà colla precedente, avendo comuni con essa tre rette; e così /s 3 m n, ecc. Ossia A non è altro che una quadrica passante per m, n, e della quale si assumono come ge- neratrici /... quelle della stessa schiera di w, n. 5. — Alla stessa conclusione si giunge analiticamente. Le coordinate /,, della generatrice variabile / di & siano date fun- zioni di t. Per brevità scriviamo (p, 9) in luogo del polinomio P12 934 | -.. che, uguagliato a zero, dà la condizione d’incidenza di due rette p, q. Le rette p tangenti a È nei punti di una / (ossia incidenti ad / ed alla infinitamente vicina) son quelle che soddisfano alle due condizioni (p; 1} 0- (pil4+did)=0, vale a dire (p, )=0 ; (p, bv0 (sempre indicando con un apice la derivazione rispetto a 1). Questa congruenza lineare di rette p sta in un complesso lineare che, al variar di #, varia entro un dato fascio. Ciò significa che da quelle due equazioni nelle p deve seguire: \(p,a) + u(p,0)=0, ove le a e d sono i coefficienti di due complessi lineari fissati in quel fascio, e \, u son convenienti funzioni di f. Sarà dunque, per ognuna delle 6 combinazioni 2%: pla + Ol = Nax + pda, ove p, 0 son funzioni di #. Riguardando questa relazione come equazione differenziale per la funzione /,;, di t, e tenendo conto che a,,, d;x son costanti, si trova subito che l’integrale avrà la forma Lin = dix P (4) + din W (4) + Cik X (t), % la “> 296 C. SEGRE ove ec, è costante, e le funzioni 9, w, x non dipendono dagli indici dk. da Da queste espressioni delle coordinate.della retta / segue che questa varia appunto entro una schiera rigata, ecc. ecc. Are PUPOO 2 ipa 21 si ti È 6. — Sulla quadrica sta, oltre alla schiera descritta da /, le una seconda schiera rigata, avente per direttrici m, n, cioè situata E; in una stessa congruenza lineare colla serie delle generatrici | di S. Perciò, applicando di nuovo un'osservazione ricordata al È n. 4, la corrispondenza fra i punti di f, S che son fochi di una ——— stessa retta della congruenza W mutera le generatrici di S in È quella 2* schiera di R. Ciò s’accorda col fatto che, la con- i gruenza essendo una W, deve mutare ogni sistema di asintotiche di S in un sistema di asintotiche di R. î Così siam giunti al seguente risultato. intorno alla questione posta al n. 3: Se una congruenza avente per falde focali due ri- 3 gate sghembe R, S, fa corrispondere ad un sistema di asintotiche i essenzialmente curve di S un sistema di generatrici rettilinee di R, A sarà R una quadrica, e due di queste sue generatrici (distinte od infinitamente vicine) saranno direttrici per la rigata S. La con- qruenza farà corrispondere alle generatrici rettilinee di S la seconda schiera di generatrici di R. 7. — Alla proposizione del n. 2 aggiungiamo un’osserva- zione quasi evidente (e che non sarà certo nuova) intorno alle superficie S che hanno un sistema di asintotiche curve apparte- nenti a complessi lineari di rette. Fissata una, L, di quelle asintotiche, le seconde tangenti principali di S nei punti di L (cioè le tangenti in questi punti 9 alle asintotiche del secondo sistema) stanno tutte in una con- gruenza lineare, limite dell’intersezione del complesso lineare che contiene L con quello che contiene l’asintotica L, infinita- mente vicina ad L. È Geometricamente ciò risulta subito dal fatto che ognuna di quelle tangenti, riguardata come congiungente due punti in- i finitamente prossimi, a e 4,, di Le Ly, essendo tangente prin- 3 cipale di S, può pure considerarsi come intersezione dei piani tangenti in a, 4,: è dunque comune ai fasci di rette che vanno SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 297 in quei piani da questi punti, fasci cn stanno nei due com- plessi lineari di L, L,. Analiticamente: le 4 coordinate x; dei punti x di S siano date funzioni di «, v, sì che le linee «= cost., v = cost. siano i due sistemi di asintotiche. Indicando con 4, (i, & = 1,...4) delle funzioni di « tali che a, + ax; =0, scriviamo l’equazione del complesso lineare di rette a cui appartenga, per ipotesi, la u= cost., così: La x; Yn= 0 (essendo #y due punti di una retta del complesso). Il piano che corrisponde al punto x di S rispetto a quel complesso lineare è il piano tangente in « ad S, e quindi il piano osculatore in x alla v= cost. Contiene dunque i punti x’, x" (se cogli apici.in- dichiamo le derivazioni rispetto ad «); sicchè: , 3À Gin tit ="0 I 5 E AI Derivando rispetto ad « la 1% di queste identità e tenendo conto "della 2* abbiamo: ba IG di Cr a Questa esprime che la retta dei punti x x’, vale a dire la tan- gente in x alla v = cost., sta nel complesso lineare a,;’, ben de- terminato quando « è fissata, e diverso dal complesso a, in cui pure varia quella retta. 8. — Così gli o! complessi lineari di rette a cui appar- tengono, per ipotesi, le asintotiche L di un sistema, della super- ficie S, portano a considerare co! congruenze lineari, colle loro coppie di direttrici 9g, 4, e le rigate G, H descritte da queste (5). Quelle congruenze lineari costituiscono un complesso particolare (°) Si vede subito che G, H sono, in generale, le due falde focali di una congruenza W che fa corrispondere su esse due generatrici, come g, A. Cfr. 298 C. SEGRE (l’inviluppo della 0! di complessi lineari), che contiene la con- gruenza delle seconde tangenti principali di S. Se siamo nel caso del n. 2, cioè S è, con una rigata È, falda focale di una congruenza W che fa corrispondere alle L le ge- neratrici di #2; abbiam visto che il complesso lineare cui appar- tiene una L contiene la congruenza lineare che ha per direttrici la generatrice / di f#, omologa della L, e la generatrice succes- siva /,. Similmente il complesso lineare cui appartiene la succes- siva della L conterrà la congruenza lineare (/,, ls). Quindi la congruenza lineare (y, 4), intersezione dei due complessi lineari, conterrà la schiera rigata comune alle congruenze (1, 24), (2, la), vale a dire la schiera rigata delle tangenti principali di & nei vari punti di / (diverse da 7). In altre parole, g ed % stanno nella schiera rigata //, 2, osculatrice ad R lungo 4. 9. — Se, in particolare, & è una quadrica, staranno g ed nella schiera di generatrici di R che è descritta da /. E consi- derando anche l’altra schiera di &, e le corrispondenti asinto- tiche di S, otteniamo la seguente proposizione : i Se una congruenza W ha per falda focale una quadrica (non cono) R, l'altra falda focale S (quando non sia rigata) gode della proprietà che le sue tangenti principali dell’un sistema determinano, per sezione, fra i punti di R, una corrispondenza che fa accoppiare fra loro le generatrici di una schiera di R; e similmente le tangenti principali di S del secondo sistema, per la seconda schiera di genera- trici di R. Le tangenti principali di S (del 1° sistema), che s'ap- poggiano ad una coppia (9, 4) di generatrici di & della 1% schiera, escono dai punti di un’asintotica L di S del 2° sistema (cioè asintotica inviluppata da tangenti principali del 2° sistema). Quest'asintotica appartiene al complesso lineare di rette che contiene la congruenza lineare (9, #), e quella analoga infinita- mente vicina (91, #,). — Similmente, scambiando i due sistemi, e mutando la 18 schiera di & nella 2°. Si noti poi che, se per una superficie S avviene che ognuna delle sue tangenti principali di un sistema si appoggi a due gene- ratrici di una schiera di una data quadrica R, omologhe in una corrispondenza involutoria assegnata entro quella schiera, ciò basta perchè R ed S si possan riguardare come le falde focali di una, anzi, di due congruenze W. Pa É SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 299 Invero, siano a a, «s punti infinitamente vicini di S tali che la retta «a, sia tangente principale di S, del detto sistema, appoggiata alla coppia g, % di generatrici omologhe della schiera nominata, di &, e la retta aa, lo stesso, per la coppia gi, #; infinitamente vicina a quella. Il complesso lineare C che con- giunge le due congruenze lineari (9, 4), (91, #1), contiene le due rette «a;, 4,43, e quindi fa corrispondere ad a; il piano a449, che è osculatore in a, ad un’asintotica, ossia tangente in a,, 0 (ciò che al limite fa lo stesso) ina ad S (5). — Di qui intanto si trae che il luogo L dei punti a le cui tangenti principali (del sistema considerato) si appoggiano ad una stessa coppia g, À della data corrispondenza involutoria è un’asintotica di S: perchè luogo dei punti a cui, rispetto ad un complesso lineare fisso C, corrispondono i piani tangenti in essi a S. Consideriamo ora le tangenti comuni ad È, $S; e precisa- mente le due rette che da un punto qualunque « di L, entro al piano a tangente in a ad S, si posson condurre a toccare la conica sezione di R con a. La corrispondenza che è data fra le gene- ratrici di una schiera di È, produce per:sezione con a una cor- rispondenza fra i punti della conica. Il fatto che le due con- gruenze lineari (9, 4), (91, #;) stanno nel complesso lineare C che contiene il fascio di rette a a si traduce in quest'altro: che. le traccie di g, X sulla conica, e così pure le tracce di 91, A; (infi- nitamente vicine a quelle), sono allineate con a. Ne segue che i punti di contatto 5, d' della conica colle tangenti tirate da « si posson definire come le tracce di quelle rette /, l' della schiera rigata R, che son limiti delle rette doppie di quell’involuzione fra rette della schiera stessa, che è determinata dalla coppia g, X e da un’altra coppia 91, %, della data corrispondenza, infinita- mente vicina a quella. Perciò se un punto « si muove su S, in modo che la coppia 9, % non muti, e descrive quindi un’asin- totica L, il corrispondente punto 6 (0 5°) su È descriverà una generatrice determinata / (o /'). La congruenza generata dalle tangenti comuni ad (oppure a6') di R, Sè dunque una W. (5) Anche questa considerazione infinitesimale si può sostituire con un breve calcolo, analogo ad altri che abbiam fatto precedentemente. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 20 ra pa Pepe dio 300 C. SEGRE 10. — Le considerazioni del n. 9 conducono eta ad una soluzione del problema: data una quadrica (non dege- nere) R, costruire le congruenze W di cui essa è falda focale (7). Sarà anzi la seconda falda focale S quella che noi costruiremo. Dimostreremo che si può prendere ad arbitrio la corrispon- denza involutoria fra le generatrici della 1% schiera di R, deter- minata dalle tangenti principali di S del 1° sistema; e così pure %: l’analoga corrispondenza fra le generatrici della 2 sr R:.con la condizione che nessuna delle due corrispondenze sia un'involu- ce zione ordinaria (cioè quadratica) (*). : si È Si osservi che questo enunciato si può anche presentare in — altro modo. Per ogni coppia g, % di generatrici omologhe della 13 schiera di R, e per la coppia infinitamente vicina gi, hg, sì considerino le due congruenze lineari che le hanno risp. per di- rettrici, e si chiami di nuovo C il complesso lineare contenente queste due congruenze. Al variar della coppia (g, 4) il com- plesso C descrive il sistema 00! dei complessi lineari che con- tengono le asintotiche del 2° sistema di S (*). Dare, ad arbitrio, la corrispondenza fra le generatrici, come g, 4, della 1* schiera di R equivale a dare ad arbitrio un sistema di 00! complessi lineari come C, entro la rete dei complessi lineari passanti i per la 2* schiera di R: giacchè la congruenza lineare interse- zione di ogni complesso C col suo infinitamente vicino C, del dato sistema co! avrà per direttrici appunto due rette g,, della 1° schiera, omologhe nella 1% corrispondenza. — Analo- gamente per un 2° sistema o! di complessi lineari /, passanti: per la 1* schiera di È, e legati alla corrispondenza fra le ge- neratrici della 2* schiera. Per un punto « si consideri il cono delle rette che vanno da « ad incontrare le varie coppie di generatrici g, A della 1a schiera di £, omologhe nella corrispondenza data: cono che può anche riguardarsi come inviluppato dai piani che corrispon- ’ se Vee (?) Cfr. un'altra costruzione nella nota a pag. 5 della Mem* del Braxcnr Sui sistemi coniugati permanenti nelle deformate delle quadriche, Rendic, Acecad. Lincei (5) 22, 1913,, pag. 3. (8) Abbiamo così due funzioni di una variabile arbitrarie. + (*) Il complesso € risulterebbe fisso solo quando la data corrispondenza tra le generatrici della 1* schiera di £ fosse un’ordinaria involuzione; © — perciò appunto si è escluso questo caso. - * d È vc ; p- ì 4 : Di SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, ECC. 301 dono ad « rispetto agli o! complessi lineari C. Se « sta su una superficie S, soluzione del nostro problema, il piano a tan- gente ad S in a sarà uno dei piani ora nominati. Così pure, se, invece di quel cono, prendiamo il cono inviluppato dai piani corrispondenti ad « rispetto agli 0! complessi lineari . Ciò posto, ad ogni punto a dello spazio si associ un piano a quando questo sia tangente ad entrambi quei coni uscenti da a. Otterremo così, in generale, (se esistono tali piani tangenti co- muni) 003 elementi composti di punto e piano incidenti (faccette, come dice il sig. BrancHI). Ciò è l'equivalente geometrico di un'equazione (di Prarr) ai differenziali totali fra le 3 coordinate non omogenee xy di punto, della forma Xdx + Ydy + £Zde = (ove X, Y, Z son funzioni date di quelle 5 coordinate). Noi vogliamo dimostrare che quegli 008 elementi si posson raggrup- pare in oo! sistemi costituiti ognuno dagli elementi (punto e piano tangente) di una superficie (integrale). E ciò è come dire che il 1° membro di quell’equazione, alterato per un conveniente fattore, si può esprimere come il differenziale totale di una fun- zione di x, y, 2. È ben noto che la condizione perchè ciò av- venga (condizione d’integrabilità) è: dh 2359 ag 2)+.=o Dobbiamo mostrare che essa è verificata (1°). 11. — A questo scopo mettiamo quella condizione sotto forma geometrica. Fissato un elemento (a, a) di una varietà 00 di elementi, prendiamo un punto a, infinitamente vicino ad a, nel piano a (!!); (19) Possiamo anche dire così. Ognuno dei due coni uscenti da a, fra i cui piani tangenti deve trovarsi e, ci dà un’equazione alle derivate par- ziali, di 1° ordine, per la funzione 2 di x, y, che definisce la superficie S. Il nostro asserto equivale a questo: che queste due equazioni alle derivate parziali sono in involuzione. (4) Od. anche a una distanza da « che sia infinitesima d'ordine supe- riore rispetto al segmento daa,. 302 C. SEGRE e sia a, il piano infinitamente prossimo ad a che forma ele- mento con a,. Le rette «a;,, aa, hanno per limiti due rette del fascio di centro a e piano a, le quali si corrisponderanno in una ben determinata projettività. La condizione d’integrabilità che abbiamo ricordata equivale a dire (!°) che questa projettività è un’involuzione Sarà poi l’involuzione delle tangenti coniugate per la superficie integrale contenente l'elemento (a, a)]. Ora la varietà 005 di elementi sia precisamente quella de- finita al n. 10, coi due sistemi o! di complessi lineari, o colle corrispondenze tra le due schiere di /. Sia (a, a) un suo ele- mento, sicchè il piano a corrisponda ad « rispetto ad un com- plesso lineare C del 1° sistema, e ad uno / del 2°. Diciamo C, e F, risp. due complessi lineari di quei sistemi, infinita- mente vicini a C e F. La congruenza lineare di C, C; abbia per direttrici g, & (della 1* schiera di £); e quella di f, f abbia per direttrici », s (della 2* schiera). Siano p e t risp. le rette delle due congruenze, che stanno nel fascio di rette aa. La retta p è comune a C; e 7, e quindi contiene due punti per ognun dei quali passa un fascio di rette della con- gruenza Cif. Sia 5 quello, fra questi due punti, che è infi- tamente vicino ad @ (a essendo un analogo punto singolare per la congruenza CF, infinitamente prossima a quella). La retta t, condotta da 5 ad incontrare r, s sta nei complessi f, i: sicchè il piano che corrisponde a è rispetto ad /, e quindi anche rispetto a C,, è il piano pt. La retta t, starà pure nel com- plesso Ci: è dunque comune a C; e fi. Analogamente si trova su # un punto c, infinitamente vi- cino ad a, tale che la retta p, condotta da c ad appoggiarsi su 9g, A risulta comune a C; e fi. Le due rette p,, t, così ottenute, infinitamente prossime risp. a p, t, s'incontrano. Questo fatto essenziale appare subito considerando la quadrica 9, che contiene le due coppie di rette, mutuamente appoggiate, 9, & e r, s, e che inoltre passa per a. Su essa in fatti giaceranno di conseguenza p, t e poi anche pi, tyy le quali risultano generatrici di diverso sistema. (4°) Voss, Zur Theorie der allgemeinen Punktebenensysteme, Math. An- nalen, 23 (1884), p. 45 (v. p. 51). SULLE CONGRUENZE RETTILINEE W, Ecc. 303 Sia a, il punto d'incontro di p,, t,. Sarà infinitamente vi- cino ad a. Poichè le rette p,, #1 sono comuni ai complessi C; e F,, il punto a, forma elemento, della nostra varietà 008 di elementi, col piano a, che unisce le rette stesse. Questo piano taglia a secondo la retta dc. In conseguenza nella projettività fra rette del fascio qa, che abbiam definito in generale al prin- cipio di questo n°, saranno rette omologhe i limiti delle due rette «a,, be. Ora queste sono evidentemente rette polari l’una dell'altra rispetto a Q; e tali si conserveranno al limite. Quella projettività sarà dunque l’involuzione che ha per raggi doppi le due generatrici p, t di Q. La integrabilità della varietà 008 di elementi è così dimostrata. L’ Accademico Segretario CorRADO SEGRE. CLASSE DI MILA AIA, . i x + Meo) | Adunanza del 4 Gennaio 1914. Rae pre 3a i ì Sa "e e JO PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI = ga È z PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA da E sso prc * bs EI SM Sa pi Si Mt > Sono presenti i Soci: Caironi, Direttore della Classe, Manno, a: si CarLe, De Sanoris, RUFFINI, SrAMPINI, BRONDI, SFORZA, ErvAUDI, Ù casa Baupi pi Vesme, ReNnIER Segretario. vd Di n db. È letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza antece-. 20 dente, 21 dicembre 1913. 250 tr Il Presidente augura alla Classe un anno felice ed operoso, — a: augurio che gli viene corrisposto. - vo 5 Il Segretario ReNIER presenta per gli Atti: A 1° La canzone di quattro rime, del dott. Ferdinando Nu JE LE P. SITE 2° La resistenza dei Bresciani contro Enrico VII gica 5 Mc a Firenze, del Socio €. CreoLra; ‘ DI | è LL n” no 4 ss va n p° “I “a Re ” } n “es ariinnzie fa ica, RETTA pera: cu FERDINANDO NERI — LA CANZONE DI QUATTRO RIME 305 n La canzone di quattro rime. Nota del dott. FERDINANDO NERI. Così traduco il termine che Benvenuto da Imola impiega nel commento al canto XXVI del Purgatorio: “ Arnaldus... a quo Petrarcha fatebatur sponte se accepisse modum et stilum cantilene de quatuor rithimis, et non a Dante , (1). Poi che sugli excerpta del Muratori (2), il Diez n’ebbe riconosciuto la diffi- coltà (3), la discussione ha una sua storia. A qual genere, a quale componimento petrarchesco si allude in quel passo ? Il Wolf (4), movendo dalle “ prose di romanzi ,, attribuì ad Arnaldo una strofe quaternaria di alessandrini; il Galvani (5) pensò al sonetto, diviso in quattro periodi ritmici. Delle due interpretazioni fece agevolmente giustizia il Ca- nello (6), proponendo l'ipotesi che oggi ancora sembra a critici valenti (7) la più accettabile: si tratterebbe della sestina, per errore di un IV “ male trascritto o male scritto per un VI ,: Dante infatti derivò la sestina da Arnaldo, e il Petrarca le diede maggior fortuna. Ma osserva il Mari (8), che la scrittura dei codici darebbe un .iii]. di fronte ad un .vj., ciò che non lascia supporre uno sbaglio, e comunque, nei vari mss. del commento di Ben- (1) Vedi lo spoglio dei mss. in Mari, La sestina d’ Arnaldo, la terzina di Dante, in È Rendiconti , del R. Istituto Lombardo, S. II, vol. 32 (1899), p. 980 (2) Antiquitates, T. I, col. 1229. (3) Leben und Werken der Troubadours, ed. Bartsch, p. 282, n. 2 (orig., 348). (4) Ueber die Lais, Sequenzen und Leiche, Heidelberg, 1841, pp. 3805-06. (5) Fiorita provenzale, in “ Rivista filol.-letter. ,, di Verona, II (1872). p. 107. i (6) La vita e le opere del trovatore Arnaldo Daniello, Halle, 1883, p. 56, n. 3. (7) ScueriLLo, IZ Canzoniere di F. Petrarca, Milano, 1908, p. Lvni; DeBe- NEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino, 1911, p. 8, n. 1. (8) Op. cit., pp. 980-84. 306 5 FERDINANDO NERI venuto, il numero figura sempre in tutte lettere; ricorda inoltre un’obbiezione del Wolf: è difficile che la voce cantilena indichi una specie di canzone (“ ... eigentlich Minne- oder Kunstlied ,), com'è la sestina : per Dante, De vulgari eloquentia, Il, vini, 7 (ed. Rajna), la canzone è “ tragica coniugatio ,: “ cum comice fiat hee coniugatio cantilenam vocamus per diminutionem ,. Finalmente: “non c'era proprio nessun bisogno che il Petrarca si scusasse d'aver preso da Dante ciò che Dante stesso replicatamente af- ferma d’aver tolto ad Arnaldo ,. Il Mari è indotto a pensare alla terzina, di cui ricerca le affinità con la sestina arnaldesca, e il modus et stilus che il Petrarca, dei 7rionfi, avrebbe tratto da Arnaldo non sarebbe che il collegamento cruciato continuo “ l’unica cosa che in una serie A BA.BCB.CD.. di fronte ad un serie A_A A6.BBBc.CC... a quei nostri trecentisti doveva parer notabile ,. Per parte mia, non sono persuaso nemmeno della nuova ipotesi: nè i quatuer rithimi possono stare come una denomi- nazione propria della terzina (1), nè questa è suggerita così chiaramente da Arnaldo che altri, dopo Dante, potesse negar tale esempio; lo stesso rapporto fra Dante ed Arnaldo — e dirò altrove com’io sia disposto ad ammetterlo — volge su con- dizioni intime dello stile, e non sulla genesi diretta di una forma metrica (2). Credo che il Petrarca alludesse alla sua canzone Lasso me, ch'i non so in qual parte pieghi, quella che termina la prima stanza con un verso, Drez et (1) Cfr. Framini, in “ Giornale storico ,, XXXVIII, p. 139; anche gli altri critici del lavoro del Mari si mostrarono restii su questo punto : VanpeLu, “ Bull. della Soc. dantesca ital. ,, N. S., 1X, p. 315; BrapenE, “ Rassegna bibliogr. ,, VIII, p. 93. (2) Mette conto di ricordare che l'ipotesi dell'origine della terzina dalle rime di Arnaldo era già balenata al Plumptre, sì che il Toynbee, nell’Aca- demy del 31 marzo 1888, analizzò gli schemi di quel trovatore, giungendo a conclusioni negative: la breve nota fu riprodotta nei Dante Studies and researches del Toynsee, London, 1902, pp. 304-6 (Dante, Arnaut Daniel, and the: terza rima); nel frattempo era uscito in Italia lo scritto del Mari, ma i due studiosi s’ignorarono a vicenda. Della traduzione dantesca del Plumptre si ha una ristampa del 1899. LA CANZONE DI QUATTRO RIME 307 rayson es qu'ieu ciant e 'm demori ,, che per il Petrarca, come per i suoi commentatori, è di Arnaldo (1). Fra tutte le canzoni del Petrarca è la sola di cui la stanza sia costrutta su quattro rime (2); e questa proprietà non si affida al caso di un numero, ma importa una differenza orga- nica. Infatti, il suo schema ABBAAccADD non offre la netta divisione tra fronte e sirima ch’è quasi una legge della stanza nel Petrarca (3): la rima A comprende in due quartetti le minori B e e e tace soltanto nella coppia finale. La speciale struttura, conclusa in ogni stanza da un verso di poeti famosi, ed il fatto che di tutte le canzoni sorelle, sola- mente questa, e Mai non vo’ più cantar com'io soleva (composta nei modi della frottola) vanno senza commiato, ci spiegano forse il nome di cantilena, che il Petrarca stesso adopera nel citare una canzone di Arnaldo, Amors e jois e liocs e tems, onde tolse il v. 40 per la fine del sonetto Aspro core e selvaggio: “ 1350 . septembris 21 . martis hora 3 . die Mathei apostoli; propter unum quod leggi (sic) Padue in cantilena Arnaldi Danielis, Aman (1) Scarano, Fonti provenzali e italiane della lirica petrarchesca, in “ Studi di filologia romanza ,, VIII, p. 266, n. 2; DEBENEDETTI, Op. cit., pad nB. (2) Una ve n’ha di tre, sempre uguali per tutte le stanze (8°7°/ dissi mai); tutte le altre sono di cinque o più; il massimo è nove con Di pensier. (8) La rima del verso di chiave non si ripete nella sirima: le sole ec- cezioni son date da Sl dissi, per il suo evidente artificio, Qua? più di- versa (a Bb C.e DA A:a BEeBFf- A) e Vergine bella. Dobbiamo osser- vare come proprio in queste canzoni apparisca la rima interna (le due ultime, nel verso finale d’ogni stanza; S° dissi, nel commiato; la can- zone a stanze indivisibili, Verdi panni, ha pure due rime interne e conti- nuate, nel 4° e 6° verso, rispettivamente al trisillabo e al quinario ini- ziali). In Mai non vo’ la concatenazione sta nella rim’al mezzo del 7° verso, ma nemmen questa non ricorre più nella sirima (v. FLAMINI, Studi di storia letter. ital. e stran., Livorno, 1895, p. 192). Il Brapene ha studiato di pro- posito Il collegamento delle due parti principali della stanza per mezzo della rima nella canzone italiana dei secoli XIII e XIV (in “ Scritti vari di filo- logia ,, offerti al Monaci: cfr. pp. 29, 30, 31); si veda come, posto lo schema di Lasso me con la fronte di quattro versi, esso si distingua tut- tavia dagli esempi dello stesso tipo in altri poeti, dove l’intera stanza ha maggiore sviluppo. 308 FERDINANDO NERI "Sl prians s’afrancha cor uffecs , (1). Il Wolf credo in un punto avesse ragione, in quanto il Petrarca stesso, chiamando “ can- tilena , quella di Arnaldo |“ mon chantar ,, v. 44], doveva mi- rare ad un’ascosa distinzione di tecnica: perciò avrà potuto dir “ cantilena , Lasso me — e fors’anco Si dissi, ch'è un *“ es- condic , (2), Mai non vo’. la “ frottola , — quando non avrebbe dato quel nome a Di pensier in pensier, a Chiare fresche, a Spirto gentil...; per noi, l’uso della parola confonde queste sfu- mature: canzone è la “ cantilena , d’Arnaldo, canzone ciascuna di quelle del Petrarca. “ Rithimus , per “ rima , è dell’uso nei trattati di poetica volgare del '300, e, come sapeva già il Trissino, “ Dante Ali- ghieri et Antonio da Tempo, i quali scrissero in latino di questi poemi, sempre la rima nominarono rithmus , (3). Il termine “ canzone di quattro rime , è dunque legittima traduzione di “ cantilena de quatuor rithimis ,, e denota con. proprietà e pienamente distingue dalle altre del Petrarca quella che comincia Lasso me. Ma perchè il Petrarca avrebbe avvertito che quella poesia non gli era stata suggerita da un’altra di Dante? Perchè la canzone si accosta, come fu più volte osservato, al discordo (4), (1) De Notnmac, Pétrarque et lHumanisme, 2% ediz., 1l, p. 225, n. 2; Mascerra Caraccer. Sulle pretese rime prepostere del Petrarca, in * Zeitschr. f. rom. Philol. ,, XXXI, pp. 38-42. — “ Cantilenam pulcherrimam , serive ancora Benvenuto alludendo a Dre et rayson (il passo era stato rilevato dal Barsieri, Dell'orig. della poesia rimata, p. 97: cfr. CankLLo, pp. 57-58); nomina invece ‘ cantiones, quelle di Dante: Comentum, ed. Lacaita, III, p. 75 (var. cantationem), IV, 75 e 485; con “ duae cantiones placibiles , (II, 411), allude, come pare, ©nlle corone di Folgore e di Cene. Nella tradu- zione di G. Tamsurini, vol. II, Imola, 1856, pp. 521-22, il passo che ci oc- cupa è reso grossamente: “ da cui Petrarca confessa d'aver tolto ed impa- rato rispetto a stile e ritmo delle canzoni ,. (2) GaLvani, Osservaz. sulla poesia de’ trovatori, Modena, 1829, pp. 193-94; — ScueriLLo, Dante e Bertram dal Bornio, in * N. Antologia ,, 1° sett. 1897, pp. 85-86; Scarano, cit., pp. 255 e 316.17; Branene, / collegamento, ece., cit., p. 35 e n. 2. (3) Mari, Ritmo latino e terminol. ritmica medievale, in * Studi di filol. romanza ,, VIII, p. 68 e n. 1; e per l’etimo stesso di “ rima ,, D'Ovipro, Versificazione ital. e arte poetica medioevale, Milano, 1910, p. 236, n. (4) Garvani, Osservaz., pp. 117-18; Scarano, p. 348, n. 1; ScweritLLOo, ed. cit. del Canzoniere, p. Lxu e 92. Il tipo della canzone petrarchesca vien ” DI x LA CANZONE DI QUATTRO RIME 309 di cui l'esempio italiano più insigne era appunto di Dante: Ai fals ris (1). Si guardi. anche oggi, un commento al Petrarca, del Carducci, dello Scherillo, del Moschetti: nessuno dimentica la canzone “ in lingua trina , di Dante, ed è il solo esempio ch’essi ricordino di poeti italiani. Quell’uso era provenzale (“ cantilena habens sonos diversos , come il discordo è definito nel Donats (2)); il Petrarca, che vi si conformò per una piccola parte, inserì, fra tutte le sue rime, un solo verso straniero e lo prescelse dal “ gran maestro d’amor ,, il cui nome appare, solo dei Provenzali, nelle chiose latine del poeta. Non dunque, s’avverta, che il modus et stilus del “ de- scort , sia tutto derivato da Arnaldo : di tale mescolanza, questi non porgeva — che per noi si sappia — l'esempio; Arnaldo e Dante non istanno di fronte come due rappresentanti di un ge- nere; ma il Petrarca, per quella canzone, mosse di sua elezione (sponte) dal primo, nè volle — come altri poteva credere — imitar Dante che aveva intrecciato versi provenzali nella can- zone trilingue e. in ogni modo, nella Comedia, dove proprio Arnaldo si esprime nel “ parlar materno ,. Mentre la sestina petrarchesca ritrae manifestamente del modo e stile di quella di Dante, sì che il Petrarca, per escludere il grande precursore, avrebbe alterato il vero, quanto al descort s'intende ch'egli fa- cesse i conti pari pari e dichiarasse che non si era conformato all'esempio di Dante: esso, infatti, non si può dire necessario. Se così è, riman tolta, per la storia aneddota del Canzo- niere, una causa tenace di brevi errori. così a presentarci delle deviazioni metriche nelle forme più vicine alla _frottola, all’escondie, al descort, e si potrebbe aggiungere, non senza re- strizioni, alla Zauda (Vergine bella): son questi i componimenti che fra le rime del Petrarca si piegherebbero al nome latino di “ cantilena ,, corrispondente al generico “ chantar ,, ed anche al “ serventese , dei Pro- venzali. — In Lasso me è pur notevole il numero di rime equivoche : preghi — ripreghi, tempo - per tempo, passo — passo, ecc. : cfr. Brapene, La rima nella canzone itul. dei sec. XIII e XIV, in “ Raccolta D'Ancona ., p. 736. (1) A Dante lo assegna l’autorità dei mss., che non ha trovato alcuna seria contestazione. (2) AppeL, Vom Descort, in ° Zeitschr. f. rom. Philol. ,, XI, p. 212 (efr., per Dante, p. 225); ZincareLLi, Intorno a due trovatori in Italia, Fi- renze, 1899, p. 55. 310 -. €. CIPOLLA È; La resistenza dei Bresciani contro Enrico VII giudicata a Firenze. Nota del Socio C. CIPOLLA. In una nota che apposi al libro IV della Historia (1) di Ferreto dei Ferreti raccolsi varie notizie sulle relazioni fra i Fiorentini e i Bresciani nel momento in cui questi coraggiosa- mente resistettero contro Enrico VII. I Fiorentini bene avevano inteso che il fato di Brescia era decisivo anche per la Toscana; e così fu, giacchè se è vero che Brescia cedette. non è men vero che la lunga resistenza dai Bresciani opposta all'imperatore, spuntò l’impeto di quest’ultimo, sicchè quando Enrico VII scese in Toscana spingendosi fino a Roma, i Guelfi si erano ormai or- ganizzati ed i Ghibellini erano indeboliti. L'esito della spedi- zione di Enrico VII devesi, per non piccola parte, ai Bresciani e al loro capo Tebaldo Brusati, che morì vittima di una sen- tenza inumana, atrocissima, dell'alto Arrigo. Durante l’assedio i Bresciani ricevettero soccorsi in denari anche dai Fiorentini; così, a cagion d’esempio, addì 3 set- tembre 1511 i Fiorentini scrissero al comune di Lucca, raccoman- dando un ambasciatore dei Bresciani, che, dopo aver ottenuti con- tribuzioni in denari dai Fiorentini, si indirizzava col medesimo scopo a Lucca (2). Leggendo, l’una dopo l’altra, le lettere che i Fio- rentini scrissero ai Bresciani dal 31 agosto al 17 settembre 18311, partecipiamo quasi all’ansietà di quei momenti. Vero che in queste lettere si leggono elogi, e non altro che elogi ai Bre- sciani per la loro costanza, mentre nella lettera, ora citata, ai (1) Roma, Istit. stor. ital., 1908, 1, 329. (2) Documenti presso Bonaini, Acta Henrici VII, Firenze, 1877, II, 37, n. 46. LA RESISTENZA DEI BRESCIANI CONTRO ENRICO VII, ECC. 311 Lucchesi, si parla dell'interesse che i Guelfi di Toscana avevano nel protrarsi della resistenza dei Bresciani (1). Fino dalla lettera del 80 agosto 1 Fiorentini li incoraggiano “ quatenus prosequi velitis in constantia consueta et circam defensionem civitatis et libertatis vestre , (2). Simili incorag- giamenti fecero i Fiorentini il 9 settembre (3). Le lettere del 13 e del 16 settembre dicono ai Bresciani: “ per totum iam orbem commendata vestra constantia , (4). In altra lettera del 16 set- tembre (5) leggesi: “ ..... Quatenus in solita, vitali, firma et per totum iam orbem commendata et diffusa vestra constantia per- manentes circa custodiam et defensionem civitatis et libertatis vestre continue vigilatis ,. E in altra lettera del 17 set- tembre (6): “ famam vestram per universi mundi climata se- minatam, continuata constantia roboratis et ampliatis ,. Nella primavera del 1317 Cangrande mosse coll’esercito contro Brescia, e quando nell’estate i legati di Giovanni XXII vennero a Verona per indurre lo Scaligero a pensieri pacifici, egli non vi si piegò (7). Al 1327 nella Cronaca Veronese, secondo il testo della Bod- leiana, abbiamo: “ dominus Canisgrandis de la Scala existens in exercitu, cum eius militia circa civitatem Brixie et castrum Lonadi, districtus Brixie, audito quod Veronsenes et Vicentini extinseci, una cum comite Sancti Bonifacii, venerunt Vincentiam cum Paduanis, credentes obtinere civitatem Vincentia per tra- ctatum..... equitavit subito..... , (8). n (1) Nella Nicolai episcopi Botrontinensis Relatio, pur nella edizione curata da E. Heycx, Innsbruck, 1888, p. 24, si legge: “ potestas Brixiensis, qui tune erat Florentia, Pynus nomine ,, con che si accenna a Pino della Tosa. Giustamente il Davipsonn, Geschichte von Florenz, Berlin, 1912, III, 637, os- serva che in luogo di “ Florentia, si deve leggere “ Florentinus ,. Colla lezione volgata il senso cade. (2) Bownarxr, II, 36, n. 44. (3) Bowarnr, II, 38, n. 48. (4) Bowa1nt, II, 41, n. 52. (5) Bonarnr, II, 42, n. 54. (6) Bonanni, II, 43, n. 55. (7) Spancensere, Cangrande I della Scala, Berlin, 1892, I, 129. (8) Grac. MaLvezzi, Chronicon, ap. Murar., XIV, 984, sul cadere del 1317, parla dei danni da Cangrande recati ai Bresciani intrinseci. 5312 C. CIPOLLA Ai Fiorentini premevano assai le vicende della valle Pa- dana. Essi diedero (1) 100 cavalieri quando Giberto da Correggio era all'impresa di Parma, nella primavera del 1317. Insieme con Bologna, Siena e Padova cercarono di. organizzare una lega guelfa di Lombardia. Sul cadere del novembre del medesimo anno, Giberto da Correggio fu preposto ai cavalieri che Firenze e Bologna tenevano in Lombardia. E fu allora che, a preghiera dell’ambasciatore di Brescia, Firenze mandò denari a quest’ultima città, come risulta da un documento del gierno 11 novembre 1317, che il Davidsohn accenna di passata, e che a me ora interessa per il ricordo che casualmente in esso si fa di Enrico VII. In questo volger di tempo il pericolo che assai prima in- combeva sopra Firenze, sì presentava per cagione dello Scali- gero, che mirava oramai apertamente all’Emilia e alla Romagna: da Reggio, da Modena, da Bologna sarebbe stato breve il passo verso Firenze. I Fiorentini nei loro Consigli (2) addì 11 novembre 1317 deliberarono di sovvenire di 1000 fiorini d’oro i Bresciani. La provvisione comincia: “ Post hec etiam infrascripte provisiones, pro evidenti Comunis Florentie utilitate, per dominos Priores Artium et Vexilliferum Iustitie Populi et Comunis Florentie super infrascriptis, cum diligenti examinatione et deliberatione noviter edite et facte, et infra proxime et immediate per ordinem et distincte annotate et seripte, et que in ipsis provisionibus et qualibet earum continentur et scripta sunt per me Gratiolum notarium infrascriptum in predictis Consiliis, ut supra dicitur, congregatis lecte et lecta fuerunt, modo, forma et sub tenore, salvis etiam (3) conditionibus inferius annotatis et seriptis. Quarum quidem provisionum tenor talis est : “ Audita et diligenter intellecta querula naratione et expo- sitione per oratores Comunis Brixie dictis dominis Prioribus Artium et Vexillifero Iustitie Populi et Comunis ,Florentie super infrascriptis pro parte ipsius Comunis Brixie porrecta et facta, ante omnia supradicti domini Priores et Vexillifer recol- (1) Davipsons, III, 627.8. (2) Provvigioni, XV, 102, Arch. di Stato di Firenze, (3) Ms.: et ni ii po 5. Mi «DAI LA RESISTENZA DEI BRESCIANI, ECC. 313 lentes antiquam et veram amicitiam et sinceram dilectionem, quibus olim unita erat et uniti sunt et hodie unitur civitas Brixie civitati Florentie. Et considerantes quod ipsa civitas Brixie in | adventum imperatoris Henrici exposuit se, et sua quibuscumque | periculis pro generali defensione totius Partis Guelfe Ytalie et _ quod hodie in tantum premitur incursibus hostium et guer- | rarum procellis, quod necessario pro sui defensione expedit, quod per Comune Florentie dicto Comuni Brixie impendatur auxilium et sucursus, sine quo a suis hostibus defensari non posset. Volentesque quod ipsa civitas Brixie a prefatis hostibus . defendatur, habito namque super hiis consilio et tractatu cum quam pluribus nobilibus et sapientibus viris civitatis Flo- rentie..... sa Appare adunque che, anche mutate in parte le condizioni politiche, e passati non pochi anni, pure il ricordo della resi- stenza contro Enrico VII era vivissimo ancora in Firenze, sic- come di un fatto politico e militare veramente memorabile. La costanza dei Bresciani restò in ammirazioue ai Guelfi di To- scana, che la rammentavano come una delle cause precipue della loro salvezza: infatti l'ammirazione verso quei di Brescia, presso di essi rimaneva saldamente unita all’utilità riportatane. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Ft SIA da RTRT ur “LEA A SEL PI NZ Tank IE ARE SALTA SITA IO A O Sw ue Si: ad ae a SE ca de Led E Re, Ra O i —d% Pi SO) spa RR SVEZIA 1 04 SPIE TA ate “Sarno ‘ina II ia 1 esi v Ran wa re a e Si ‘aa TAI Ti GeSIOTa STE iaia Pi VENI 409 t4Y #at sr RO LIA Mento: 2 Vi RULE PERRIN R da: | miioue NI RAIL eri VIA oe VANO DIA LIZA ATO DI al I | È CLASSI UNITE Adunanza dell’11 Gennaio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CAMERANO ed i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: | ‘Naccari, D’Ovipio, Seere, PEANO, JADANZA, GUARESCHI, GUIDI, Parona, MarTIROLo, Grassi, SomwreLiANA, FusaRI e BALBIANO; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: Manno, CarLE, ReNIER, CHtroNI, De SancTIS, RUFFINI, STAMPINI, D’ErcoLe, Bronpi, Scorza, ErnAuDI e BAuDI DI VESME. - È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente a Classi Unite, 22 giugno 1913. Pi Vengono comunicati i R. Decreti 5 giugno e 11 luglio 1913 coi quali furono approvate le rielezioni dei Soci BosELLI e CA- MERANO a Presidente e Vice-Presidente dell’Accademia. Il Comitato per l’Esposizione internazionale di S. Francisco del 1915 invita la Presidenza ed i Membri dell’Accademia a tenere sedute colà fra il febbraio ed il dicembre 1915. Si procede alla votazione per l'elezione del Socio Tesoriere per compiuto sessennio del Socio PARONA, e riesce eletto il Socio ErnaupI, salvo l'approvazione Sovrana. ‘ Invitato dal Presidente, il Socio NaccarI, Segretario della 2* Giunta per il XVIII premio Bressa, quadriennio 1909-1912 (Nazionale), legge la Relazione della Giunta stessa. Questa, dopo i 3 Atti della R. Accademia — Vol. XLIX, 21 . 3 x hs . ae '— RG % Pe ” < Li Si mf Li derazione, deliberò a maggioranza di proporre all Accademia per. primo Vittorio Fiorini e in seconda linea Aldo PerRoNcITO. | ca Infine il Socio Rurrini legge la Relazione della Commissione del premio Gautieri per la Storia (triennio 1910-1912). La lazione, firmata dai Soci Srorza, DE Sanctis e RUFFINI, pro, che il premio sia assegnato per metà al Prof. Pietro SiLvA | pe Li volume Il Governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue rela — zioni col resto della Toscana- e coi Visconti, contributo alla Sto ria delle Signorie italiane (Pisa, Nistri, 1912), e per l’altra metà I Prof. Nino Tamassia per l’opera La famiglia italiana nei se- " LS coli XV e XVI (Milano-Palermo-Napoli, Sandron, 1910). 3 sg È è siae ita rita iii SE Relazione della seconda Giunta per il XVIII premio Brrssa. Nell’adunanza del giorno 13 aprile dell’anno scorso ebbi l'onore di leggere all'Accademia la relazione intorno ai lavori della prima Giunta per il XVIII premio Bressa. Le opere che la Giunta stessa aveva ritenuto meritevoli di essere prese in considerazione per il premio erano le seguenti : 1° La nuova edizione dell’opera Rerum italicarum Scrip- tores del Muratori, diretta da Vittorio Fiorini, 2° Varie memorie di argomento biologico del D' A]do Perroncito. i Il Perroncito s'era presentato al concorso, l’altra opera invece era stata proposta da quattro soci. Non essendo stata fatta in quell’adunanza nessun'altra pro- posta, alla seconda Giunta spettava soltanto l’ufficio di esami- nare quelle due opere e di farvi le sue proposte per il premio. Riferirò qui sotto con qualche ampiezza i giudizi relativi alle opere proposte, valendomi dell'aiuto cortese dei miei col- leghi della Giunta competenti nei rispettivi argomenti. Nel 1900, Vittorio Fiorini con arditezza somma impren- “deva una nuova edizione, recata a giorno delle recenti ricerche e sorretta dai progressi metodici degli studi, di quella grande e fondamentale raccolta storica che costituisce i Rerum itali- carum Scriptores del Muratori. Alla nuova stampa dell’opera insigne, che esce pei tipi del Lapi di Città di Castello, andò innanzi uno splendido discorso di Giosuè Carducci, ora ristam- pato nel vol. XVI delle Opere. Fu quella una delle ultime prose magistrali a cui il Carducci attese con vero fervore; e volle l’opera dedicata Aa Maestà | della | Regina Margherita | fra la storia antica d’Italia | e la novissima | stella ferma candida pro- piziatrice. 318 L'impresa grandiosa fu proseguita in mezzo a difficoltà d'ogni genere, materiali e non materiali. Il Fiorini seppe tro- vare un manipolo di studiosi, che ben presto crebbe a legione; a costoro si deve la ristampa, condotta con tutti gli accorgi- menti scientifici, commentata talora dottissimamente, di testi storici ormai irreperibili fuorchè nelle maggiori biblioteche. Rin- tracciò e incoraggiò il Fiorini quei valentuomini, li diresse, disciplinò le loro fatiche, sicchè ormai nella gran mole dei 110 fa- scicoli sinora usciti dei nuovi Scriptores si ha una serie rag- guardevolissima, e quasi sempre sicura, di fonti storiche di straordinario valore. Ben si può dire che se Lodovico Antonio Muratori, nel sec. XVIII, fece il miracolo di dare da solo all’Italia il fonda- mento primo della sua storia, nel sec. XX, la cooperazione degli studiosi, addestrati al miglior metodo nelle scuole universitarie della nazione rivendicata, riesce, sotto la direzione del Fiorini, a rinnovare l’opera insigne, a noi invidiata dagli stranieri. Con la differenza che se in tempi di politico servaggio il Muratori rinvenne nella generosa Società Palatina di Milano (accolta di patrizi tanto diversi dal “ giovin signore , pariniano) chi fece largamente le spese dei suoi volumi, il Fiorini, nei tempi pro- grediti d'oggi, dovette vincere difficoltà economiche straordi- narie, sia quando era ancora in vita il Lapi (editore disinte- ressato e animoso), sia, ancor più, dopo la morte di lui. Gli ostacoli furono sormontati mercè la tenacia del volere, e l’im- presa, nobile e grande, cammina franca verso il termine, uni- versalmente lodata. I nostri colleghi della Giunta, che proposero quest'opera, stimano che difficilmente fra le opere pubblicate in Italia nel quadriennio potrebbesi trovarne un'altra, che al pari di questa onori la patria e meriti il premio. Nel periodo di tempo a cui è destinato il presente premio, essa è venuta arricchendosi di ben 43 fascicoli (1). All'obbie- zione che l'opera fu iniziata prima del quadriennio e non è finita, si risponde che la parte pubblicata nel quadriennio è degna per sè sola del premio. E si ricorda che fu dato il (1) Vedi nota in fine. 519 premio Bressa alla Bibliografia del Pitrè, con che s'è voluto premiare tutta intera la sua ricerca originale di demopsicologo, come premiando gli ultimi scavi fortunati di Ernesto Schiapa- relli s'è voluto riconoscere tutta la sua degna e assidua attività di ricercatore delle antichità egizie. L'Accademia delle Scienze ha più d'una volta dimostrato che nell’assegnare i suoi premi essa ha di mira unicamente l'utilità degli studi, l’incoraggiamento ed il guiderdone alle no- bili iniziative, senza lasciarsi sviare da pregiudizi meschini e pedanteschi. Nè altro nome, a parere dei proponenti, merite- rebbero le obiezioni che si movessero contro l’opera del Fiorini per essere essa opera continuativa e frutto d’una larga collabo- razione di dotti. Uno dei premi Gautieri fu pure conferito al Croce e al Gentile per la pubblicazione del periodico La Critica. In uguale senso e seguendo il medesimo criterio potrebbe l'A cca- demia aggiudicare il premio a Vittorio Fiorini per la nuova, gigantesca edizione rinnovellata degli Scriptores muratoriani. Gli scritti che il D' Aldo Perroncito presentò al concorso possono venir divisi per i loro argomenti in più gruppi. Il più importante di questi tratta della struttura della cellula e della natura di certi organi endocellulari. L’autore, dopo aver passato in rassegna le diverse forma- zioni che furono negli ultimi anni osservate entro la cellula, fa rilevare il significato attribuito ad alcune di esse e la tendenza di molti istologi a considerarle tutte come variazioni di una formazione unica. Per chiarire tale questione il Perroncito scelse le cellule della serie spermatica tanto dei vertebrati quanto degli invertebrati e trovò condizioni favorevoli specialmente. negli elementi della Paludina vivipara. Un primo fatto impor- tante che egli potè osservare è che esistono due categorie di formazioni mitocondriali con evoluzione, situazione e destino finale differenti. Gli elementi di una categoria, i mitocondrii del Benda, riunendosi vanno a formare il filamento elicoidale situato nello strato periferico del corpo degli spermii; gli elementi del- l’altra categoria, i mitocondrii del Meves, si dispongono a fascio e vanno a costituire il filamento assiale degli stessi spermii. . Ancora più interessanti sono le osservazioni che riguardano l'apparato reticolare interno del Golgi. Il Perroncito riuscì a di 320 mostrare l’esistenza contemporanea, nella stessa cellula, dell’ap- parato reticolare interno (prima non conosciuta nelle cellule sessuali), dei mitocondrii e di una formazione avente i caratteri del centrosoma. Circa all'apparato reticolare egli dimostra che al momento della divisione mitotica della cellula ed alquanto prima che appaiano nel nucleo i segni di tale divisione, esso sì decompone in filamenti (dittiosomi), i quali si dividono in due gruppi e poi ricostituiscono l'apparato reticolare interno nelle. due cellule figlie. Questo fenomeno, che dall’antore ha ricevuto il nome di dittiocinesi, si esplica attraverso una serie di figure caratteristiche le quali ricordano quelle formate dai cromosomi durante la cariocinesi. Il fenomeno della dittiocinesi ha un grande interesse per la citologia, perchè per esso resta dimostrato che l'apparato reticolare interno del Golgi è una parte integrante caratteristica delle cellule e che esso, al pari del nucleo, al pari del centrosoma, si divide e durante la scissione cellulare passa dalla cellula madre alle cellule figlie. Le conclusioni del Perroncito furono accettate dall’ Heiden- hain, il quale, modificando le sue idee precedenti, incluse nel 1911 fra gli organi essenziali della cellula e distinto dai mitocondrii l'apparato reticolare del Golgi e le parti in cui esso si scompone durante la scissione. I professori P. Hertwig e W. Waldeyer, dopo aver avuto occasione di esaminare i preparati del Perroncito, pubblicarono un ampio riassunto del lavoro di lui nell’Archiv fr mikroskopische Anatomie, fatto che è eccezionale per questo pe- riodico, il quale non pubblica che lavori originali. Devesi ag- | giungere che la dittiocinesi venne da parecchie parti successi- vamente osservata in altri elementi cellulari: vanno qui ricordate le osservazioni del Deinika sulle cellule di parecchi epitelii, quelle del Fananas e quelle del Barinetti in cellule di diversi altri tessuti. ‘ In un secondo gruppo di pubblicazioni il Perroncito rife- risce che le imagini di catene di cellule, che si osservano nei processi di degenerazione dei nervi e che dai più furono inter- pretate come indizii della rigenerazione delle fibre nervose per parte delle cellule di Schwamm, hanno invece il significato di cordoni di giovani cellule connettivali derivate dagli elementi del tessuto connettivo interstiziale. I lavori di questo gruppo riuniti ad altri precedenti dello stesso autore sulla rigenerazione 321 dei nervi furono onorati nel 1910 col premio Lallemand dal l'Accademia delle Scienze di Parigi. In due note preliminari VA. dà notizia di un fenomeno os- .servato per la prima volta da lui e da lui chiamato isotossicità del sangue. Per esso il sangue di animali, i quali sì trovano in condizioni apparentemente fisiologiche, può riuscire fortemente tossico per altri animali della stessa specie qualora sia iniettato nelle loro vene. Questi studi ebbero larga conferma all’estero, tanto che si tende ora ad ammettere che l’isotossicità del sangue sia un fenomeno generale di grande importanza nella patologia. In altre due note lA. tratta delle variazioni di resistenza delle cellule degli organismi superiori di fronte a diverse pressioni osmotiche e cerca di trarne delle leggi sulla regolazione osmo- tica degli organismi. Dagli studi fatti sulle cellule dei tuboli contorti del rene e sulle emazie risuita che è possibile, modifi- cando l'alimentazione, variare la resistenza degli elementi di fronte alla pressione osmotica. Gli elementi degli animali lun- gamente trattati con vitto povero di albuminoidi e di sali di- vengono molto più resistenti alle soluzioni ipotoniche che non gli elementi degli animali normalmente alimentati. Due scritti riferiscono i risultati di una serie d’esperienze istituite a controllo delle asserzioni di Jammes e Mandous, i quali ammisero che i vermi cestodi ritardano o arrestano lo svi- luppo dei batterii patogeni, mentre i vermi nematodi non sarebbero atti a ciò. Il Perroncito trovò invece che gli estratti dei cestodi e dei nematodi non hanno alcuna influenza che sia dannosa al bacillo della tubercolosi o ad altri organismi patogeni dell’inte- stino. Fanno eccezione gli estratti di alcune specie di vermi : ad esempio gli estratti di ascaridi e di alcune tenie agiscono contro il bacillo di Flexner e quelli della tenia inerme del- l’uomo contro il vibrione del colera. Un'altra nota del Perron- cito tratta della presenza del grasso nelle ghiandole linfatiche in conseguenza dell’azione delle sostanze contenute nel bacillo della tubercolosi. Riassumendo si può dire che il Dott. Perroncito con la serie di pubblicazioni presentate al concorso ha confermato la sua fama di valente ricercatore che s'era già acquistata con i suoi primi lavori. I suoi risultati ebbero già molte conferme in Italia ed all’estero e molti fra i contributi da lui dati alla Biologia sono 322 di grande importanza. Notiamo l'osservazione dell’isotossicità del sangue e soprattutto i lavori citologici, i quali possono dirsi i mi- gliori del genere che sieno apparsi in tutto il mondo scientifico nel quadriennio 1909-1912. Il Perroncito con tali studi, in cui con continue prove e riprove e seguendo i migliori e più fini metodi della tecnica microscopica dovette superare gravi diffi- | coltà, riuscì ad apportare una viva luce su parecchie questioni insorte intorno al significato ed al valore di certe formazioni endocellulari ed a far conoscere un fenomeno nuovo nel periodo della scissione delle cellule, cioè quello della dittiocinesi che sì accompagna alla cariocinesi. La scoperta è troppo recente per poter ora dire se la dittiocinesi costituisca un fatto così gene- rale come la cariocinesi, ma molti istologi si occupano ora di tale questione. Ciò non fa maraviglia perchè chi considera che nelle cellule stanno racchiusi, si può dire, tutti i misteri della vita, può facilmente comprendere quale immenso valore abbia l'acquisto di una nuova nozione sull’organizzazione di questi ele- menti nei diversi periodi della loro attività. La Giunta discusse minutamente i pregi delle opere, di cui Vi ho parlato, e, venendo poi a deliberare intorno alle proposte da farsi all’ Accademia, decise a maggioranza di proporre ai vostri voti per primo Vittorio Fiorini e in seconda linea Aldo Perroncito. i Il Segretario della Giunta A. NACCARI. Nota. Nel quadriennio che ci riguarda uscirono in luce 43 fascicoli di cui diamo qui l'elenco : Fase. 66 (1° del Tomo XIV - parte 1) Antonii Astesani. De ejus vita et for- tunae varietate Carmen a cura di Armanpo TarLone — Da pag. 1 a xerv e da 1 a 16 con due tavole fuori testo (continua). Fase. 67 (2° e ultimo del Tomo III - parte II) /l Diario romano di Gaspare Pontani già riferito al * Notaio del Nantiporto , a cura di Dromepe Toni — Da pag. 38 a 134 (completo). Fase. 68 (1° del Tomo XVII - parte 1) Galeazzo, Bartolomeo e Andrea Ga- tari, Cronaca carrarese a cura di Anronro Mepry e Gvinpo ToLomer — Vol. I; da pag. 1 a 112 (continua). Fase. 69 (1° del Tomo XXIV - parte I) Annales Arretinorum maiores et mi- nores a cura di Arruno Bini e Giovanni Grazzini — Da pag. a a €, da ra xxvi e da 1 a 80 (continua). 328 Fasc. 70 (3° e ultimo del Tomo XII - parte IIl) Dominici de Gravina notarii Chronicon de rebus in Apulia gestis a cura di ALBANO SORBELLI — Da pag. 161 a 240, con due tavole fuori testo (completo). Fase. 71 (unico del Tomo VIII - parte Il) Cronaca di Antonio Godi vicen- tino a cura di Giovanni Soranzo — Da pag. 1 a xxvir'e da 1 a 52 (completo). Fase. 72 (2° e ultimo del Tomo XXII - parte 11) Annales forolivienses a cura di Gruseppe Mazzatinti — Da pag. 1 a xx e da 113 a 232 (com- pleto). i Fase. 73 (4° del Tomo XXXII [Accessiones novissimae - Cronache romane] - parte I - vol. I) Johannis Burckardi Liber notarum a cura di Exrico CeLanr — Da pag. 5321 a 432 (continua). Fase. 74 (2° del Tomo XXIV - parte I) Annales Arretinorum maiores et mi- nores a cura di Arruro Brnr e Grovayxi Grazzini — Da pag. 81 a 192 (continua). Fase. 75 (2° del Tomo III - parte XVI) Le Vite di Paolo II scritte da Ga- spare da Verona e da Michele Canensi a cura di GrusepPE Zierer — Da pag. 65 a 176 (continua). Fase. 76 (2° del Tomo XXIV - parte XIII) Breve Chronicon monasterii man- tuani sancti Andree ord. bened. di Antonio Nerli (an. 800-1431) a cura di Orsini Becani — Da pag. 65 a 176 (continua). Fase. 77 (5° del Tomo XVIII — parte 1) Corpus Chronicorum Bononiensium a cura di Arsano SoreeLLi — Vol. I del testo: da pag. 401 a 480 (continua). Fase. 78 (5° e ultimo del Tomo XXXI - [Accessiones novissimae - Cron. napolet.] - parte I) Petri Ansolini de Ebulo De rebus siculis carmen @ cura di Errore Rora -— Da pag. 171 a 256 con 11 tavole fuori testo (completo). Fase. 79 (5° del Tomo XXXII - [Accessiones novissimae - Cronache ro- mane] - parte | - vol. I) Johannis Burckardiîi Liber notarum a cura di Exrico CeLani — Da pag. 433 a 544 con 2 tavole fuori testo (continua). Fase. 80 (3° e ultimo del Tomo XXIV - parte XIII) Breve Chronicon mona- sterii mantuani sancti Andree ord. benedictini di Antonio Nerli (aa. 800-1431) a cura di Orsini Begani — Da pag. 177 a 236 (com- pleto). Fase. 81 (2° del Tomo XIV - parte I) Antonii Astesani De ejus vita et for- tunae varietate Carmen a cura di Armanpo Tarrone — Da pag. 17 a 128 (continua). Fase. 82 (2° del Tomo XVII - parte I) Galeazzo, Bartolomeo e Andrea Ga- tari, cronaca carrarese a cura di Anronio MepIn e Gumo ToLomer — Vol. I: da pag. 113 a 224 (continua). Fase. 83 (4° del Tomo XXX - [Accessiones novissimae - Cronache toscane] - parte 1) Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani a cura di Niccorò Roporico — Da pag. 209 a 320 (continua). ai A noe Sai DS Fase, S4 (6° del Tomo XXXII - [Accessiones novissimae - Cronaché romane] | 9 - parte I - vol. I) Johannis Burckardi liber notarum a cura di Exrico CeLani — Da pag. 545 a 664 (completo). " Fase. 85 (1° del Tomo XXIV - parte Il) La Mesticanza di Paolo di Lello , Petrone, 18 agosto 1434 - 6 marzo 1447 a cura di Francesco IsoLpr — a Da pag. I a LXXXIV e da 1 a 32 (continua). " A Fase. $6 (1° del Tomo IX - parte 1) Fratris Stephanardi de Vicomercato x Liber de gestis in civitate Mediolani a cura di Giuserre CaLtiGARIs — DÀ Da pag. @ a p, da 1 a rxxvm e da 1 a 84, con una tavola fuori S° testo (continua). È n Fasc. 87 (1° del tomo XXIII - parte I) Antonii Galli Commentarii de ; 4 À rebus Genuensium et de navigatione Columbi a cura di Eminio Panprani da — Da pag. a a k, da 1 a xL e da 1 a 48 (continua). fo. ta Fase, 88 (2° e ultimo del Tomo XXII - parte IIl) Cronica gestorum in par: i tibus Lombardie et reliquis Italie a cura di Giucrano Bonazzi — Da e” hi pag. 1 a iv e da 113 a 262, con una tavola fuori testo (completo). ui Pe " Fase. 89 (6° del Tomo XVIII - parte 1) Corpus Chronicorum Bononiensium sa a cura di ALrano SorseLti — Vol. II del testo; da pag. 1 a 112, con L una tavola fuori testo (continua). ATO E Fase. 90 (5° del Tomo XXIII - parte 111) IZ Diario romano di Jacopo IR ae Gherardi da Volterra a cura di Exrico Carusi. Appendice: Diario | G romano di Sebastiano di Branca Tedallini a cura di Paoro Pie- ‘% coLomini — Da pag. 343 a 446 (continua). È Fase. 91 (3° del Tomo XVII - parte 1) Galeazzo, Bartolomeo e Andrea Ga. — tari, cronaca carrarese a cura di Anroxio Mepin e Gumo ToLomer — 3 A Vol. I: da pag. 225 a 336. con una tavola fuori testo (continua). sl sm a Fase. 92 (3° del Tomo XXVIII - [Mittarelli] - parte ]Il) Bernardini Ri: Azzurrini Chronica breviora aliaque monumenta faventina, Vol. 1, a 2A cura di Avxroxio Messeri; da pag. 49 a 144 (continua). sd k- Fase. 93 (7° del Tomo XXXII - [Accessiones novissimae - Cronache ro- p mane] - parte | - vol. II) Johannis Burckardi liber notarum a cura — Ci: di Exrico CeLani — Da pag. 1 a 112, con una tavola fuori testo (con È so tinua). «SOR Fasc. 94-95 (6°-7° e ultimo del ‘l'omo XXIII - parte Il) IZ Diario romano — bu pa di Jacopo Gherardi da Volterra a cura di Exrico Carusi. Appen: A dice: Il Diario della città di Roma dall'anno 1480 all'anno 1492 di An- DI : tonio de Vascho a cura di Giuseppe Curesa. — Da pag. 447 a 602, I : con due tavole fuori testo (completo). 5a Fase. 96 (3° e ultimo del Tomo IIl - parte XVI) Le Vite di Paolo LIS scritte da Gaspare da Verona e da Michele Canensi a cura di Du Giuseppe Ziere, — Da pag. 177 a 286 (completo). bi E Fase. 97 (5° e ultimo del Tomo XXII - parte IV) Le vite dei Dogi di 3 i Marin Sanudo a cura di Grovanxi MonricoLo — Vol. 1; da pag. 438 v y a 576 (completo). ri o 325 Fasc. 98 (8° del Tomo XXXII - [Accessiones novissimae - Cronache romane] - parte I - vol. II) Johannis Burckardi liber notarum a cura di Enrico CeLanr — Da pag. 113 a 224 (continua). Fase. 99 (2° e ultimo del Tomo XXIII - parte I) Antonii Galli Com- mentarii de rebus Genuensium et de navigatione Columbi a cura di Emirio Panprani — Da pag. 49 a 136 (completo). Fasc. 100 (unico del Tomo XVII - parte III) Chronicon parvum Ripaltae a cura di Ferpinanpo Gasorro — Da pag. 1 a xxrv e da 1 a 96 (com- pleto). Fase. 101 (3° del Tomo XXIV - parte I) Annales Arretinorum maiores et minores a cura di Arturo Bini e Grovanni Grazzini — Da pag. 193 a 304 (continua). Fasc. 102 (1° del Tomo XXIII - parte Il) Cronica gestorum ae factorum memorabilium civitatis Bononie edita a fratre Hyeromino de Bursellis con la continuazione di Vincenzo Spargiati a cura di ALsano SoRBELLI — Da pag. 1 a 112 (continua). Fase. 1083 (4° del Tomo XVII - parte I) Galeazzo, Bartolomeo e Andrea Gatari, cronaca carrarese a cura di Axronio Mepin e Guipo ToLomer — Vol. I; da pag. 337 a 448 (continua). Fasc. 104 (9° del Tomo XXXII - [Accessiones novissimae - Cronache ro- mane] - parte I - vol. II) Johannis Burekardi liber notarum a tura di Exrrco CeLasi — Da pag. 225 a 336 (continua). Fasc. 105 (2° e ultimo del Tomo XXIV - parte II) La Mesticanza di Paolo di Lello Petrone (18 agosto 1434 - 6 marzo 1447) a cura di Frax- cesco Isorpi — Da pag. 65 a 188 (completo). Fase. 106 (2° e ultimo del Tomo IX - parte I) Fratris Stephanardi de Vi- comercato Liber de gestis in civitate Mediolani a cura di Giuseppe Car- LIGARIS — Da pag. 35 a 202 (completo). Fase. 107 (7° del Tomo XVIII - parte 1) Corpus Chronicorum Bononiensium a cura di ALpano SorseLri — Vol. II del testo; da pag. 113 a 224 (continua). Fase. 108 (3° e ultimo del Tomo XIV - parte I) Antonii Astesani De ejus vita et fortunae varietate Carmen a cura di Armanpo TarLone — Da pag. a a L; 129 a 240 (completo). Chi abbia qualche esperienza negli studi storici potrà rilevare che in quest'elenco si trovano opere di fondamentale importanza, annotate magi- stralmente. Per la storia di Lombardia hanno valore insigne lo Stefanardo curato dal compianto prof. Calligaris e la Cronica curata da Giuliano Bonazzi. Per Bologna è segnalabilissimo il Corpus Chronicorum esemplar- mente illustrato da Albano Sorbelli. Per Venezia è ormai considerata ge- neralmente come indispensabile la serie delle Vite dei Dogi di Marin Sa- nudo perla ricca ed illuminata documentazione di cui la corredò il compianto prof. Monticolo. Per l’edizione della storia padovana è pietra angolare la Cronaca Carrarese dei Gatari, aaa da due espertissimi 30 tori di quella storia, Antonio Medin e Guido Tolomei. Roma trova illu «zione nei Diarii chiariti da Enrico Carusi e da Paolo Piccolomini; e Roi è tanta parte del Rinascimento nel preziosissimo Diario del Burcardo c Enrico Celani, giovandosi di nuovi testi a penna, ha ridato al pubbl: studioso in un assetto tanto più corretto e compiuto di quello conteni nell'unica edizione integra prima esistente, la parigina del Thuasne. storia delle lettere interessa il Carmen di Pietro da Eboli curato da Et Rota; a quella delle lettere e della cultura in genere il commento, miro bile per ricchezza e compiutezza, di Giuseppe Zippel alla Vita di Proto : il cardinal Pietro Barbo, che fondò il grandioso palazzo Venezia in Bisognerebbe essere ciechi per non riconoscere che anche nel quadiem a cui l'attuale premio Bressa si rivolge, l’accuratissima direzione del rini hr saputo arricchire il paese nostto di un tesoro di Pei > — storica, che sovranamente lo onora e che rivaleggia con ciò che fanno d i Relazione della Commissione dei Premi GAUTIERI, triennio 1910-1912 (Storia). Egregi Colleghi, La Commissione, a cui deste l’onorifico incarico di indagare e di riferire intorno alle pubblicazioni storiche, apparse in Italia nel triennio 1910-1912, e di proporvi quella o quelle fra di esse, che si potessero ritenere meritevoli del premio Gautieri, ha preso anzitutto in accurato esame tutte le opere, che furono inviate dai loro autori all'Accademia per concorrere a tale premio, consegnando i suoi giudizi su ciascuna di esse in una relazione manoscritta, della quale vi sarà data lettura nella se- duta del prossimo giorno 11 di gennaio; ed ha, poi, come era suo dovere, allargato la propria indagine anche a quelle opere, comprese nel detto triennio, delle quali però gli autori non fe- cero invio all'Accademia. Risultato ultimo dei lavori della Com- missione fu quello di proporvi per il premio due libri, di cui l’uno, del Prof. Pietro Silva, è fra i presentati al concorso, e l’altro, del Prof. Nino Tamassia, è fra .i non presentati. Pietro Silva, nel volume intitolato Il Governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, contributo alla storia delle signorie italiane (Pisa, Nistri, 1910), studia profondamente un periodo non meno im- portante che oscuro della Storia Pisana. Accanto alla cronaca di Ranieri Sardo e alla cronaca pisana pubblicata dal Muratori nel XV vol. dei Per. It. Ser., sue fonti sono sopratutto docu- menti inediti dei quattro archivi di Stato toscani, di Firenze, Lucca, Pisa, e Siena; dei quali documenti una scelta pubblica l’autore in appendice al libro. Ma queste fonti il Silva non si è limitato a studiare accuratamente; il suo libro non è nè vuole essere una raccolta di appunti eruditi; è un tentativo, il primo, di una vera storia di Pisa dal 1369 al 1392. A superare le gravi difficoltà, che l'argomento gli oppo- neva, era spianata in parte la via al Silva da parecchi lavori recenti sulla Toscana nel Medioevo, e sopratutto, per la storia interna della città, dall’eccellente libro del Volpe Studi sulle istituzioni comunali di Pisa e, per la storia esterna, dal saggio dello stesso Volpe Pisa, Firenze, Impero ai principî del 1300. Ma, pure usando gli spunti che il Volpe ed altri gli offrivano, può dirsi che il Silva ha saputo fare opera organica ed origi- nale. Egli lumeggia efficacemente il contrasto di interessi tra Firenze e Pisa. Spiega come le esigenze che aveva Firenze, centro commerciale, di trovare ai suoi prodotti un facile sbocco sul mare, la inducevano necessariamente ad aprirsi la via del basso Arno; e come, se gli armatori pisani e le società di mercanti che si occupavano del traffico coi paesi stranieri potevano tro- vare il loro conto in accordi opportuni che aprissero il porto di Pisa al commercio fiorentino, non si acconciavano agevol- mente a tali accordi i produttori pisani che temevano di essere per tal modo sopraffatti dalla concorrenza fiorentina nei mer- cati che avevano saputo aprirsi oltre mare. Così la lotta con Firenze si intrecciava col contrasto fra i due elementi preponderanti della borghesia pisana, che pren- dono nome gli nni, la classe dei produttori, di Raspanti, l’altro, la classe degli armatori, di Bergolini. Il cozzo furibondo delle fazioni e il contrasto irreconciliabile degli interessi facilitarono in Pisa, come negli altri comuni italiani, il sorgere del princi- pato. E Pietro Gambacorta, assunto il potere, credette di tro- vare la salvezza per la città in una politica d'accordo leale con la vicina Firenze; sola via del resto di fronteggiare sui mari la concorrenza genovese. Del Gambacorta illustra il Silva non la sola politica estera, ma anche i provvedimenti economici, e studia in specie accu- ratamente la unificazione da lui tentata del debito pubblico con la creazione di una nuova massa praestantiarum e i tentativi per renderlo meno gravoso all’erario del Comune, la riforma del- l'estimo, diretta a meglio proporzionare i carichi agli averi, 1 provvedimenti per porre termine allo spopolarsi del contado tutelando gli interessi dei contadini, che i Comuni solevano in tutto trascurare per promuovere egoisticamente gli interessi cittadini. > Pre >» seri sal rta iii" la ATALA SMP ST aa, AT Bo i 7 tf: =. * 9 val Ò "2, Ì Pa 2A si - 329 Nè con minor cura cerca il Silva di determinare in qual modo e con quale veste giuridica si esercitasse il governo gam- bacortiano. Ufficialmente Pietro Gambacorta non è che il coman- dante perpetuo delle milizie di Pisa: di fatti, avendo in mano la forza e impersonando gli interessi della classe degli armatori e dei maggiori trafficanti, governa a sua posta la città, senza per altro diminuire in alcun modo le apparenze del governo repubblicano, sopratutto per mezzo dei Consigli dei Savi, che dirige di persona, o con l’opera dei suoi parenti ed amici. . Con tale autorità, badando sempre agli interessi della classe che lo sostiene, il Gambacorta cerca di destreggiarsi in mezzo alle contese politiche che si svolgono in Toscana al suo tempo, sempre fedele alla direttiva dell'amicizia con Firenze; finchè una forza perturbatrice che interviene in Toscana e vi sposta l'equilibrio, ormai entro certi limiti raggiunto, delle forze in contrasto, la potenza dei Visconti, dà in Pisa agli avversari del Gambacorta e dell'amicizia con Firenze, gli industriali, il sopravvento e travolge nel sangue la signoria gambacortiana, spingendo Pisa a nuove lotte con la potente vicina. Tale il quadro che il giovane studioso offre del governo di Pietro Gambacorta; lodevole anche per la forma sobria e precisa, aliena da ogni declamazione rettorica, pel giudizio misurato e se- reno, di cui l’autore dà -prova, e per la sicurezza con cui egli si muove in mezzo alle difficoltà non lievi che l'argomento presenta. ‘ Designando a Voi, egregi Colleghi, il Prof. Pietro Silva, la - Commissione vi ha proposto di premiare e di incoraggiare un giovane studioso, il quale di primo acchito sì è acquistato un bel posto nel campo degli studi storici; e se lo è acquistato, come ‘ai giovani meglio si conviene, con un lavoro di indagine co- scienziosa e penetrante in un terreno esattamente circoscritto. Designando ora a voi il Prof. Nino Tamassia, essa vi propone invece di riconoscere le benemerenze di uno studioso provetto, di un maestro degli studi storico-giuridici, il quale ha, come ai provetti e ai maestri unicamente è consentito, affrontato col suo libro un vasto e complesso argomento, recandovi quel cor- redo di cognizioni, quel sussidio di esperienza e quella superio- rità di vedute e di giudizio, che sono il risultato dei lunghi anni dati per intiero a indefessamente ricercare tutti gli aspetti della propria disciplina. 4 330 Ma l’opera del Tamassia, che si intitola La famiglia italiana nei secoli NW e XVI (Milano-Palermo-Napoli, Sandron, 1910), è fatta per interessare ogni maniera di studiosi e non i soli giuristi. Poichè essa è una di quelle sintesi di quanto le fonti storiche più svariate possono fornire e di quanto la scienza ha potuto assodare in un determinato momento intorno ad un dato istituto, alle quali possono ricorrere con piena fiducia e con sicuro profitto tutti coloro, che lo studio di tale istituto tocchi ; e non occorre dire quanto larga ne debba essere la cerchia nel caso nostro, trattandosi dell'istituto della famiglia. Il lavoro si apre con un ampio capitolo, forse il meglio costruito o quanto meno il più attraente di tutta l’opera, de- stinato a scrutare quanto nella fisionomia del popolo italiano dei due primi secoli dell’Evo moderno fosse rimasto dell'uomo medioevale e quali nuovi tratti invece vi avesse segnati l'epoca nuova. Sempre considerando il campo della sua indagine da un punto di vista, diremo così, panoramico, il Tamassia ricerca poi l'influenza, che nella costituzione della società italiana ebbero, per un verso, quei due elementi disgregatori e perturbatori, che sono la delinquenza e — residuo di antica e non ancora elimi- nata barbarie — la vendetta privata, e, per un altro verso, quei due elementi di coesione e di disciplina, che sono la mo- rale e la religione; e, quasi a coronamento di questa duplice ricerca, egli esamina quale fosse l'ordinamento giuridico, da cui società e famiglia traevano le norme del loro vivere quo- tidiano. Entrando poi nel cuore stesso dell'istituto famigliare, egli lo considera prima di tutto nella sua unità o, come chi dicesse, nella sua compaginè generale; e tratta, subito di poi, del rap- porto giuridico, che ne è come il nucleo, vale a dire del ma- trimonio; il quale viene esaminato in tutti i suoi aspetti e po- sitivi e negativi, che sono la separazione, il divorzio, ecc. Accanto al matrimonio legittimo è pure considerato quello, che possiamo designare come l’illegittimo, e cioè l'unione, la quale nei tempi andati assumeva pur tuttavia, per la sopravvivenza delle tradizioni classiche e la sopravvenienza delle consuetudini germaniche, aspetto di vero istituto giuridico, il concubinato, L'indagine si volge quindi ai rapporti di figliazione, che sono anche essi considerati in tutti i Joro varì aspetti, della Ra + VR 5381 figliazione legittima, della naturale e della adottiva. Con cura «e ampiezza particolare è ricercata la condizione della donna, come figlia, come moglie, come vedova, e non solo nella fa- miglia, ma in quell’ambiente, che era nel passato quasi un suc- cedaneo necessario di essa, il convento. ._ A questo quadro della famiglia un tocco sarebbe mancato, ove non ne fosse stato studiato pure quell’elemento integratore, che è la servitù; argomento tanto più importante in un’epoca, in cui la famiglia era ancora fondamentalmente concepita alla romana, come il complesso di tutti coloro che sono sottomessi al capo di casa anche per ragione diversa dal vincolo del ma- trimonio e del sangue, e in cui accanto alle persone di servizio, le quali locano liberamente l’opera propria al padrone, permane — inestirpabile residuo di tempi e di ordinamenti per tutto il resto superati — la schiavitù. Il Tamassia designa, con modestia che gli fa onore, questo suo come un semplice tentativo o un saggio; noi gli contrap- porremo solo, e con sicura coscienza, che il suo lavoro rappre- senta indubbiamente quanto di più fino e di più completo si abbia in Italia intorno al delicatissimo e gravissimo argomento. La Commissione pertanto è concorde nel proporvi, egregi Colleghi, che il premio Gautieri per la Storia sia assegnato, per una metà, al Prof. Pietro Silva, e, per l’altra metà, al Prof. Nino Tamassia. GiovanNI Srorza, Presidente. GarrtaNO De SANCTIS ) Relatori. Francesco Rurrini | Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 22 CLASSE si AG DI ; : io: sa SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI — Lei Pei an DA IRpa , SE6E i Ca Adunanza dell’11 Gennaio 1914. + 4 Sei a PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI usi Deo À PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. pato x: n è d i ve TeL: «o e ; RI 4 "Te % Sono presenti il Vice-Presidente CAMERANO, il Direttore dell ; ca n 5 Classe Naccari ed i Soci SaLvapori, D’ Ovipio, PrANO, Gira vo? È ° he bs rescHi, Gui, PARONA, MaTTIROLO, GRASSI, SOMIGLIANA, Fusari, — ; o oo Bariano e Seere Segretario. ced "pe i | Du Vien letto e approvato il verbale dell'adunanza preéedanio sali DE Il Socio corrispondente TarameLLI ha inviato in omaggio — Mi due sue Note: Ricordo dello Spallanzani come vulcanologo, € A; lembo pliocenico di S. Bartolomeo presso Salò. i ia i ae Il Socio MarTIROLO, per incarico dell'Autore, presenta due DI A tà pubblicazioni del Dott. G. NeGRrI: Appunti di una escursione bo- — i tanica nell’Etiopia meridionale, e Contributo alla Briologia € de. È | l’Isola di Rodi. vi Per la stampa negli Afti, i Soci Guipr e SOMIGLIANA offrono, rispettivamente, le seguenti Note: di Di: G. ALsenga, La cerchiatura delle condotte forzate. de F. VerceLLi, Sul gradiente termico alla superficie dei Via: e sulla loro temperatura interna. si "op de Li > o persia ». SL 9 SPIRI € TAI Peli “rent TE TA GIUSEPPE ALBENGA — LA CERCHIATURA, ECC. 333 LETTURE La cerchiatura delle condotte forzate. Nota di GIUSEPPE ALBENGA Per aumentare la resistenza di condotte forzate sottoposte a battente molto elevato si usa talora ricorrere alla cerchia- tura dei tubi. La condotta vien rinforzata o infilando su di essa anelli di acciaio, generalmente piatti, più di rado sagomati, i quali appoggiano sul tubo per semplice contatto o vi sono chio- dati, oppure applicando a caldo anelli i quali contraendosi du- rante il raffreddamento serrano con forza la condotta e provo- cano in essa sforzi di senso contrario a quelli che saranno dovuti alla pressione interna. Quest'ultimo procedimento, sug- .gerito dal Rogé verso il 1895 per tubi di ghisa, viene impie- gato dalla Société Anonime des Hauts Fourneaux et des Fon- deries di Pont-à-Mousson per la preparazione dei tubi frettés ed ha avuto di recente applicazioni grandiose (!). In qualche caso si è anche ricorso al frettuge con fili metallici avvolti a spirale sulla condotta. Il problema di determinare le tensioni interne in un sistema così costituito presenta un grande interesse pratico e venne già da molto tempo risoluto per alcune particolari disposizioni. Nel caso di anelli di rinforzo perfettamente rigidi Hermann Scheffler ne indicò una soluzione in alcuni punti discutibile fin dal 1859 nell’ “ Organ fiir die Fortschritte des Fisenbahnwesens , (2). Queste prime ricerche diedero origine ad un magistrale studio di Winkler, pubblicato nel 1860, dove souo largamente studiate (!) Becamann et Basinet, Notice sur la dérivationdu Loing et du Lunain in “ Annales des Ponts et Chaussées ,, 1905, III trimestre, pag. 5 e segg. (*) Die Elastizitàtsverhdiltnisse der Ròhren, welche einer hydrostatischen _Drucke ausgesetzt sind, edito anche a parte, Wiesbaden, 1860. Len pat x Reti 3’ 334 GIUSEPPE ALBENGA e discusse numerose questioni relative ai tubi sotto pressione | ed alle caldaie (*). or È "i Ad alcuni dei risultati di Winkler vennero mossi appunti. nel secondo volunie della History of the Theory of Elasticity di È Todhunter e di Pearson (?), ma per quanto riguarda la influenza delle cerchiature su condotte forzate le obbiezioni di Pearson 2 se gli anelli di rinforzo non sono troppo discosti gli uni dagli DI td altri. $ 3 Sr, Problemi che presentano una stretta analogia con quello. 3 qui trattato sono la ricerca della influenza delle flangie, di cui _ si occupò Wetsphal (*) e l'esame dell’efficacia di nervature cir- colari, che venne studiata da Rudolf Lorenz (4). Le” A Le memorie degli autori sopra citati contengono lunghi pi i sviluppi algebrici e conducono a formule di una grande com- ‘Sd plessità. Una soluzione molto rapida del problema si ottiene # invece applicando a questo caso il principio di Ritz, di cui mi sono valso recentemente nello studio della deformazione di un anello circolare soggetto a forze distribuite lungo il contorno (5). Supponiamo la condotta orizzontale, sufficientemente lunga perchè non sia risentito l’effetto delle estremità; di spessore costante ed abbastanza piccolo perchè il tubo possa conside- rarsi di parete sottile e non si debba tener conto della curva- tura, soggetta a pressioni così elevate che riescano trascurabili — le deformazioni e le tensioni interne provocate dal peso proprio (!) Festigkeit der Ròhren, Dampfkessel und Schwungringe. * Civilinge- nieur,, 31860 (VI), col. 325 e 427 e segg. (*) Pag. 447. (9) Wesrpnar, Berechnung der Festigkeit loser und fester Flanschen. * Zeitschrift des Vereines deutscher Ingenieure ,, 1897, pag. 1086. (4) R. Lorenz, Achsensymmetrische Verzerrungen in diinnicandigen Hohl- zylindern in “ Zeitschrift des Vereines deutscher Ingenieure ,, 1908, p. 1706. (5) * Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, 1912-18, pag. 142. LA CERCHIATURA DELLE CONDOTTE FORZATE 395 e dalla variazione del battente ai diversi livelli della sezione trasversale. Riteniamo ancora che gli anelli di rinforzo siano uniformemente spaziati; tutte queste condizioni si verificano molto prossimamente in quei casi della pratica, ai quali si è in principio accennato. In grazia della simmetria. basterà considerare l’equilibrio di una striscia di tubo di larghezza uno e della corrispondente porzione di anello e ci limiteremo al tratto di striscia compreso fra le mezzerie di due anelli consecutivi. Consideriamo dapprima il caso di anelli posati a freddo. Quando nel tubo non si ha pressione interna gli anelli non esercitano alcuna azione sulla condotta; per effetto d’una pres- sione unitaria p le generatrici del tubo prendono la forma di- | segnata in figura. UÙ >» Bi sedere + alora DTA a E Asse dell'anello dna del tubo Se con r; e con r si indicano rispettivamente il raggio in- terno e quello medio della parete la pressione agente sull’ele- . . . x . Vi . mento dx di striscia varrà notoriamente p das dx ed il lavoro L, da essa compiuto durante la deformazione del tubo sarà, nella solita ipotesi di p crescente con continuità da zero al valore finale e con le indicazioni della figura: 1! ri L=3| not de. ve DICA : GIUSEPPE “tm DI: Il lavoro interno di deformazione L sar ma ‘s0 nm Fal lavoro dovuto alla flessione del tubo e di quelli provocati dilatazione del tabo e dell’anello. Il primo di questi lavori, servando che le deformazioni delle faccie laterali delle « sono impedite, varrà notoriamente (') 29 mile (4 Mi di sd: 2 am iL Bd. ” O per essere + mi—1 dx? } e indicando con s lo spessore del tubo i cli 73) vi # 466 2 m'=1 ela da. a - Il lavoro di dilatazione del tubo, se e è 1° allurigani ULapazio: varrà : 1 diet ù _ bs| e da 2 —l n : 1 n e per essere €=— POdSITEA î fe 9 Ei [nido e Se Il lavoro di dilatazione dell’anello di rinforzo ‘india con £, il modulo di elasticità dell'anello e con le notai le figura, sarà dato da l Di gg 5 Ln8,2la EI Il principio di Ritz ci dice che le deformazioni m incognite % sono quelle per le quali sta la relazione SA L.-—2L,= min., (‘) Seguo i simboli contenuti nelle Lezioni sulla Scienza del. zioni del prof. Guipr. 5A _ 0 sostituendo ad L; e ad di i valori sopra calbatati Li) 3 2. / | of et 1 (a) + am_2pin de 42h e — min. “E Perchè la (1) sia soddisfatta occorre notoriamente che sia 2 90 DE m s3 Di fi S ( ) mi [9 = +4 "a ro x A Facciamo nella (2) »; =, ricadremo sulla equazione diffe- 33 vee .; 2 è È te SA . . . . . WI S e; n | renziale di Winkler; poniamo invece 1 =) ritroveremo Dia — la equazione di Rudolf Lorenz. l “a Bi Se per semplicità si pone È ; % x Ù * N m 1 12 i —-_- 3 = 4k* > mao lg i SE fe . I lu È ; pri? SI È cd 3 E. s . dove a rappresenta evidentemente la dilatazione del raggio del _ tubo che si avrebbe quando mancasse ogni cerchiatura, la (2) RI | diventa: SO #0) * (Mm — a)=0. e i * * * _ —L’integrale generale della (3) può venir posto sotto forma — molto comoda per le applicazioni e tale da mostrare esplicita- | mente la influenza della natura e delle dimensioni delle cer- B chiature sulla condotta, quando si scriva: È È (4) n—_a=(;e* cos (kx + a) + Ca e" cos (ke + B) «dove C,, C3, a e B sono 4 costanti di integrazione. “PECE STI RAI RRI - Ma DEA suite è ni | GIUSEPPE ALBENGA | SESTA > NR SRI e dn 11 Per la scelta del sistema di assi coordinati di riferim “ui la linea elastica delle generatrici del tubo è simmetrica rispet all’asse delle n: questo potrà aversi soltanto quando sia Ci = Cs = ed = B, con che la (4) diviene I LRD (5) n_—-a=C(e* cos [kx + a] + e* cos [kx — a|). î n e hi ; N n È + . . . . . x . i In corrispondenza degli anelli di rinforzo dovrà inoltre aversi per ragioni di simmetria, sl di) ee | È hi (Gi NERA. Cc PRE SPERA $ o avuto riguardo alla (5) e con facili inse ea trigono- do. metriche Mt VACna __ tgh.kl—tgkl "00 de L (6) iene par pp ST ini O die Fg Va Pd È a È » Segl ; È Con il crescere di # la tangente iperbolica tende al nl SR lore 1 e per i casi della pratica molto spesso ne differisce di La pochi millesimi; la (6) può quindi spesso venir sostituita dalla — PEA al Ri Du? 0 TFiga # Ro dalla quale Di (7) a=1 — HI. ; 4 è "» Pal * î * * ha à fe. vi : Nella, (5) rimane così una sola costante incognita; essa ada È A pende dalla forma, dalla elasticità e dalla natura degli anelli — A) di rinforzo. de di ; z Per anelli assolutamente rigidi si avrà, $ " per eb, n=0 h- ” = < Li k A A PA Pai » al n LA CERCHIATURA DELLE C)NDOLTE FORZATE 339 Beto quindi per la (5) # (8) —a= Ce" cos (kK1 + a) + e-*° cos (kl — a)] dalla quale C. In pratica sarà spesso lecito trascurare il secondo termine in | parentesi rispetto al primo e servirci della (7): con queste sem- — plificazioni la (8) diviene #4 di È ME UA «e } 7 Ce! cos 7 «_—dalia quale Sr de È: be al? STI E; Nel caso di anelli elastici, la cerchiatura permette una 7 ( p certa dilatazione n, del tubo. In luogo della (8) avremo allora ; Re (10) ni — a= C|e! cos (kK1-+ a) + e" cos (kl — a)|. La n, può determinarsi osservando che la pressione tras- messa dalla cerchiatura al tubo è eguale e contraria alla pres- sione che il tubo esercita sull’anello. 2a | Gli anelli sono d’ordinario così sottili che si può ritenere Soa le tensioni interne si ripartiscano uniformemente sulla se- zione di essi: indicando con p, la pressione unitaria sulla su- perficie interna dell’anello si avrà subito se con S, si rappre- senta la tensione totale in esso: S= Pata? = 2E sh e quindi sulla striscia considerata, posto Sal > NE =, ld Tr | ‘avremo una pressione di E Lo lena Ma. La pressione trasmessa dal tubo all’anello sarà evidente- cioè a > : i uv. 2 wo eee - l (12) mì 112 \de® /a=t ba da* Ja=1 ME. se ove si ponga pr CRAL A RT 1 A Dovremo quindi avere (12) (13) n= 4 x C&* [sen (k1-t-a) Cosh. SETE (kK1—a) Sen h.H1 ast LA î s Eliminando n, fra (10) e (13) si ottiene rt la C. Per n. abbastanza grande la (10) si trasforma nella "a DI uo a do 4 n — 4 ce Bs. "i a ni ) A È vr? d ma “E it, e la (13) nella ; - card SRO KI a =20% Se > E er dalle quali i k SICA. va: L. È PI (14). c= ; “FAI ; È (1 +2 s ) t I ©. # È sta "A Ri 4 A NE di Se gli anelli sono posati a caldo alle tensioni precedenti |a E ” si aggiungono quelle dovute alla contrazione delle cerchiature. È. * ne Indichiamo con 24 la differenza fra il diametro della Mpa Pa se tura a freddo e quello della condotta, una analisi perfettamente — È ‘ Ù Cia + Li } i € i A 33) 2 ha ì ia. > ma = " V i La o) i Scar È panta; LI A . . * DA - ghisa, materiale che presenta una resistenza a flessione note- è) LA CERCHIATURA DELLE CONDOTTE FORZATE 341 identica a quella svolta più sopra conduce in luogo della (12°) Pea alla a’ (15) Md n= (E) Kliminando n, fra la (13) e la (15) si trova il nuovo va- lore della costante C. Per &# abbastanza grande si troverebbe invece della (14) i (16) E eR (+2) “s6 1, Determinata la linea elastica delle generatrici sono facil- da mente trovati i valori delle tensioni interne. L'applicazione ai casì della pratica mostra come si abbia «un vantaggio sensibile nelle tensioni agenti secondo le diret- trici del tubo solo quando le sollecitazioni a flessione raggiun- gono valori elevati. Questo stato di cose già rilevato da Winkler : e molto chiaramente posto in luce negli esempi numerici cal- colati da Rudolf Lorenz, mostra come non riesca conveniente la cerchiatura dei tubi di ferro, quando non si abbia di vista la necessità di opporsi allo sfiancamento dei tubi e come invece sia razionale rinforzare con anelli di acciaio le condotte di i “SR volmente più grande di quella a tensione. FRANCESCO VERCELLI Sul gradiente termico alla superficie dei pianeti e sulla loro temperatura interna. Nota di FRANCESCO VERCELLI 1. Posizione del problema. — Nel suo celebre studio sul raffreddamento e sull'età della terra, Lord Kelvin (') suppone il raggio terrestre di grandezza infinita, in guisa che la super- ficie terrestre sia assimilabile ad un piano indefinito che separi la terra dallo spazio celeste. Il problema del raffreddamento della terra è ricondotto, in tale ipotesi, a quello che, nella teoria di Fourier, è chiamato problema del muro indefinito raffreddantesi per contatto. Tale semplificazione è abbastanza legittima, come osserva H. Poincaré, determinando il tempo occorrente perchè il raf- freddamento si estenda alle zone profonde (?). Tuttavia vale solo per la terra ed i pianeti di maggior dia- metro. : E possibile invece, seguendo un procedimento analogo a quello di Lord Kelvin, e prendendo come corpo rappresentante il pianeta, una sfera, anzichè un piano limitante un semispazio, ottenere formole valide in ogni caso, e con esse studiare l’in- fluenza del raggio nel raffreddamento di una sfera e confron- tare lo stato termico attuale della terra con quello degli altri pianeti, supponendo beninteso che i loro caratteri fisici non si scostino notevolmente da quelli della terra. Inoltre l'introduzione delle funzioni ellittiche rende le so- luzioni particolarmente agevoli pei calcoli mumerici richiesti (!) Trans. Roy. Soc. Edinburgh, XXIII, 1862, pagg. 157-159; Mathem. and Physical Papers, III, pagg. 295-311. (*) H. Porscaré, Lecons sur les hypothèses cosmogoniques. Paris, 1911, pag. 214. v SA — > ai DI Lo d Re % # Pi 1 ve dice i its SUL GRADIENTE TERMICO, ECC. 343 nelle applicazioni fisiche. Tra queste tratteremo ampiamente anche la questione della età della terra. Come ipotesi fondamentali del problema conserveremo quelle stesse di Lord Kelvin: temperatura inizialmente uniforme; raf-. freddamento per contatto della superficie verso l’ambiente; con- ducibilità superficiale grandissima. Queste ipotesi sono sufficienti ad individuare la soluzione: ma non corrispondono che approssimativamente alle condizioni reali di raffreddamento della terra e dei pianeti: di più non tengono conto veruno di due fattori a cui oggidì si attri- buisce una influenza, non ben precisata ancora, ma certa, sul calore interno della terra: la contrazione della massa e la ra- divattività. Mi pare utile, quindi, cominciare questo lavoro esaminando anzitutto, in base alle moderne vedute nel campo della geologia e dell'astronomia, quali sono le condizioni termiche in cui si trovano ora la terra ed i pianeti e quelle in cui si trovarono nel passato, per dedurre, dal confronto delle condizioni reali con quelle supposte, quale peso si possa poi dare ai risultati del calcolo. Bit La temperatura della terra. 2. La temperatura negli strati superficiali. — Le co- gnizioni nostre riguardo alla temperatura della terra, si limi- tano a quella parte di crosta terrestre, che è accessibile alla osservazione, o a cui si può con qualche fondamento applicare l’induzione matematica. Le temperature delle acque nei laghi e negli oceani sono distribuite secondo leggi note (!); le temperature del suolo sono (4) Si può consultare a questo proposito: F. VerceLLI, Relazione e ri- cerche sulle osservazioni della temperatura del lago di Como, fatte dai pro- fessori M. Cantone, L. De Marchi, C. Somigliana; “ R. Istituto Lombardo di S. e L.,; XXI, serie XII, 1911. L. De Marcat, Geografia fisica, pag. 370 e seg. 344 FRANCESCO VERCELLI distribuite in modo più complesso e che ha relazione con la forma, con la ubicazione e con la natura delle rocce; ma, ad ogni modo, possiamo sempre determinarle con sufficiente ap- prossimazione, sino ad una profondità di qualche chilo- metro (1). Come vari la temperatura a maggiore profondità non lo. sappiamo, od almeno solo questo possiamo affermare, in base alle manifestazioni vulcaniche: che la temperatura deve cre- scere sino ad una profondità di circa 30-40 Km. ed ivi rag- giungere un valore da 1000 a 1200 gradi centigradi (*). Tutto induce a credere che la temperatura aumenti oltre ancora, ma più nessuno oggidì crede all'esistenza di quelle temperature di centinaia di migliaia di gradi che pure erano ammesse. anni addietro. Allora veniva pure attribuita alla superficie del sole una temperatura di milioni di gradi, mentre è dimostrato og- gidì, in base alla legge di Stefan ed al valore della costante della radiazione solare, che tale temperatura si aggira sui 6000- 6500 C° (3). i 8. La terra si raffredda? — Esaminiamo ora la questione: se la terra sia effettivamente un corpo che perde continuamente calore verso lo spazio che lo circonda. La risposta non è evi- dente ed occorre anzi una sottile indagine sui dati della osser- vazione. È comunemente noto che le oscillazioni termiche del suolo vanno rapidamente diminuendo in ampiezza, con la profondità, e che ad una decina di metri sotto il suolo la temperatura si mantiene press'a poco costante tutto l'anno. La temperatura negli strati sottostanti va crescendo conti- nuamente verso l’interno, o al più, come caso limite, potrà man- tenersi costante. La terra quindi si trova attualmente nelle (!) Vedi: C. Somiociana e F. VerceLui, Sulla previsione matematica della temperatura nei grandi trafori alpini. È Memorie R. Acc. delle Scienze di Torino ,, Serie JI, tomo LXIII, 1912. (*) Il Prof. Barroti durante l'ernzione dell'Etna del 1892 trovò come temperatura della lava numeri compresi fra 976° e 1087°, (*) A. Rorri, Elementi di fisica, vol. III, pag. 31. SUL GRADIENTE TERMICO, ECC. 945 condizioni di un corpo che perde calore verso l'esterno. Questa quantità di calore è misurabile ed è circa 52 piccole calorie per cm? all'anno: quantità piccolissima, pari a meno di un mil- lesimo del calore, che un cm? del suolo terrestre dal sole ri- ceve, nello stesso tempo, alle nostre latitudini (1). Ma per quanto piccola, questa quantità di calore viene perduta inces- santemente. Abbiamo ricordato l’esistenza di uno strato la cui temperatura è minima rispetto a quella degli strati sottostanti e che si mantiene all'incirca costante al variare delle stagioni. La temperatura di tale strato è anche minima rispetto alle temperature medie degli strati più prossimi alla superficie, per il riscaldamento che questi subiscono assorbendo le radiazioni solari: per cui il calore da questa zona più esterna dovrebbe propagarsi verso l’interno (?). Questo però non avviene, perchè quantità notevoli di acqua e di aria sono ognora presenti negli strati esterni del nostro globo e i loro moti convettivi, in modo analogo a quanto av- viene nei laghi, nei mari e nell'atmosfera, tendono, in ogni caso, a trasportare calore dall'interno verso la superficie, e sono quindi il veicolo con cui il calore dalla terra si propaga verso lo spazio che ne circonda. La terra va costantemente perdendo calore. 4. Calore sviluppato nella contrazione. — Questo però non basta a concludere che la terra vada raffreddandosi. Un globo, che perda calore tende a contrarsi e questa contrazione, per ragioni termodinamiche, tende a scaldarlo: che avviene in definitiva: riscaldamento o raffreddamento? Secondo Helmholtz e Kelvin lo sviluppo di calore che si produce nel sole a causa della contrazione costante a cui sarebbe soggetto, dev'essere considerato come la sorgente stessa del calore solare. Per un globo costituito da un gas perfetto, si può dimostrare che si possono avere i due casi: riscaldamento se il gas è mono- o biatomico, raffreddamento se pluriatomico (*). (4) e (®) M. P. Repzxi, Physik der Erde. Leipzig, 1911, pag. 118. (3) H. Porncaré, Lecons sur les hypothèses cosmogoniques. Paris, 1911, cap. VIII, $ III. 346 FRANCESCO VERCELLI Per i corpi solidi di piccole dimensioni, invece, ogni per- dita di calore è sempre accompagnata da diminuzione di tem- peratura, tanto che, volgarmente, questi due fatti sono ritenuti come inseparabili. Quando però si tratti di corpi di grandi dimensioni, il Ja- voro compiuto dalle forze di attrazione, durante la contrazione della massa, non è più trascurabile, e la quantità di calore sviluppata può essere grandissima: basta pensare difatti che il calore sviluppato da un globo omogeneo contraentesi è propor- zionale al quadrato del raggio (!). Per conseguenza, se nello studio di una sfera, che perde calore verso l’esterno, si trascura il calore di contrazione, come nella teoria classica di Fourier, si fa opera manchevole, e ciò tanto più quanto maggiore è il raggio. Ma. d'altra parte, neppure è possibile sottoporre al calcolo questo calore sviluppato dal lavoro di contrazione, poichè igno- riamo affatto quali valori i calori specifici e i coefficienti di dilatazione dei materiali interni di un globo, assumono alle enormi pressioni a cui sono sottoposti. Ad ogni modo ci pare sì possa ritenere come certo, che il raffreddamento di una sfera deve essere più lento di quanto si deduce dalle teorie di Fourier e di Kelvin; e ciò tanto più quanto maggiori sono le dimensioni del corpo considerato. 5. Radioattività e sua influenza sul calore terrestre. — In questi ultimi anni l'osservazione della immensa quantità di energia termica emessa dal radium, fece pensare se non sì do- vesse cercare la causa prima del calore terrestre nelle emana- zioni radioattive, o per lo meno, se il calore dovuto a tali emanazioni non fosse tale da rallentare il raffreddamento della terra, forse anche da impedirlo. Si è calcolato a circa 133 X 107 grammo-calorie la quan- tità totale di calore che può essere emessa da 1 grammo di radium nel suo disgregamento: calore equivalente a quello emesso da 2550 m? di superficie del suolo terrestre in un anno. Ora, le rocce terrestri, anche quelle d'origine vulcanica, con- (4) M. P. Rupzxt, loc. cit., pag. 121. mi sure lai Cl Éaceti ver n , [dI Se a °° pe i È I Ì SUL GRADIENTE ERMICO, ECC. 347 tengono, secondo J. Joly e J. R. Strutt, una quantità di radium che oscilla da 0,6 X 10712 ad oltre 30 X 10712 gr. per ogni grammo di sostanza ('): se pure le rocce interne possedessero quantità analoghe di radium. il calore che ne deriverebbe, sa- rebbe tale da compensare non solo quello perduto dal suolo, ma da produrre altresì un aumento continuo nella temperatura; le teorie di Kelvin sul raffreddamento e sull’età della terra più non avrebbero significato alcuno; le ideo di Helmholz sull’ori- gine del calore solare, che inducono a limitare a poche decine di milioni di anni la vita del sole considerato come corpo irra- diante energia, perderebbero ogni valore: la dinamica stessa della crosta terrestre verrebbe a dipendere dall’energia prodotta nel disgregamento molecolare ed atomico della materia. Dinanzi a conclusioni di sì grande portata stettero esitanti gli stessi uomini che le avevano provocate; così J. Strutt emette perfino l’ipotesi che il radium sia diffuso sino ad una profondità di 72 Km. e che il calore sviluppato serva solo a compensare quello perduto dall'esterno. Quest’ipotesi è confortata dal solo fatto, che nelle meteoriti il radium è totalmente assente, o presente appena in piccole tracce: del resto è arbitraria. Lord Kelvin non. volle piegarsi alle nuove teorie: egli “ mon ammetteva che vi fosse qualche valida evidenza sperimentale per dimostrare che il calore del radio fosse sufficiente per spiegare il calore del sole e la temperatura sotterranea , (?). Nè queste evi. denze sperimentali furono trovate ancora. Neppure è certo se la radioattività sia un fenomeno del- l'epoca geologica presente, ovvero sia comune anche alle epoche trascorse. (4) J. Joy, Uranium and Geology, “ Nature ,, vol. 78, Nr. 2028, pag. 456. — Radioactivity and Geology: An Account of the influence of Radioactivity Energy on Terrestrial Hystory, 1909 (Constable). — J. R. Strurr, On radium in the Earths Crust and the Earths internal Heat, “ Proc. R. S. ,, Ser. A., vol. 77 (1906), pagg. 472-485. () Lettera al “ Times, del 20 agosto 1906, riportata nella “ Life of Lord Kelvin ,, by S. Thomson, vol. Il, pag. 1190 (Macmillan, 1910). È interessante anche leggere nella stessa opera, vol. I, le controversie suscitate nel campo della geologia dalla teoria di Kelvin sull’età della terra. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 23 348 FRANCESCO VERCELLI SA Solo questo ci è noto, che il radium si dissocia in un pe- riodo di circa due millennii e che proviene a sua volta dal- l’Uranio; questo processo di provenienza non si conosce ancora . chiaramente, ma pare sia così lento, che ogni anno si dissocia A appena !/,o° di Uranio e quindi la dissociazione può durare. “i molte epoche geologiche (*). ce Incerta e prematura sarebbe per ora una teoria dei feno- meni radioattivi; è certo tuttavia che le basi delle teorie an- si tiche sul calore terrestre e solare, se non abbattute, sono for- temente scosse, e che le cifre da quelle teorie dedotte, non possono — più venire accettate senza esplicite riserve (?). A; Contro quelli che vollero esagerare la portata delle influenze | radioattive, stanno però dei fatti inoppugnabili. Da taluni, per. esempio, si volle attribuire alle emanazioni radioattive l'elevata temperatura che regna nelle viscere dei monti: così fece il Joly | a proposito del Sempione. Tali affermazioni però partono dalla falsa concezione, che la temperatura elevata nell'interno delle montagne sia una specie di anomalia fisica: mentre l’esperienza insegna che il calore è distribuito, nell'interno del suolo, in modo conforme alle equazioni di Fourier, come se la distribu- zione attuale provenisse effettivamente da un graduale raffred- damento del globo terrestre, il che permette si possa determinare la temperatura nell’interno di un monte per via matematica (8). Ciò non esclude la possibilità che il calore terrestre possa es- sere di origine radioattiva. È notevole, ad ogni modo, il fatto che nelle località più rieche di radium, la temperatura è distri- buita in modo del tutto normale (4). cs te } «« f È È » 6. La temperatura primitiva della terra. — Le consi- derazioni precedenti riguardano lo stato attuale della terra. La storia del suo passato è collegata con il grande problema delia sna stessa origine, problema che da secoli preoccupa le menti, (!) Vedi J. Joy, loc. cit. — A. BarreLLi, A. Occniatini, S. CnevuLa, La radioattività. Bari, 1909. — B. Borrwoop, On the life of Radium: * American Journal of Science, vol. XXV, 1908. (*) H. Porncaré, Legons, ecc., pag. 220. (*) C. Somraziana e F. Vercerti, Sulla previsione, ecc. (cit. a pag. 3). (4) H. Macne und Sr. Meyer, “ Wien. Ber. ,, 1905. SUI, GRADIENTE TERMICO, ECC. 349 senza che sia stato possibile finora, raggiungere qualche risul- tato positivo. Le ipotesi cosmogoniche si sono moltiplicate e sono rimaste tutte egualmente incerte (!). Si ammette general- mente, ad ogni modo, che la terra si trovi ora in quella fase della sua storia, che corrisponde a quella che, per le stelle, suole essere detta fuse di decadenza. Questa fase segue a quella della nascita e dello splendore di una stella e rappresenta l’inizio di quel lungo periodo di vita latente, oscura e silenziosa, durante il quale essa va via via consolidandosi, salvo, forse, a ridestarsi e ricominciare altra vita, all'urto con qualche altra | stella. Oggidì non si ammette più quello che Laplace supponeva per la sua celebre nebulosa: che, cioè, esista una altissima tem- peratura nelle nebulose, da cui comunemente le ipotesi cosmo- goniche derivano il nostro sistema solare. Piuttosto si ammette, con Sir Lockyer, che le nebulose siano fredde e la luce di cui brillane sia d'origine elettrica. Le meteoriti che le compongono, con i loro urti incessanti, si scal- dano, si vaporizzano, e formano una massa estremamente calda, una stella, che per irraggiamento si raffredda e finisce per con- solidarsi e spegnersi, ripigliando in questo periodo di decadenza, le temperature assunte nella primitiva formazione. Anche partendo quindi da ipotesi opposte si giunge alla stessa conclusione: che lo stato attuale della terra, rappresenta una fase di raffreddamento, che dovette essere preceduto da una fase in cui la terra era a temperatura altissima (?). 7. Conclusione. — Tenendo presente la discussione ora fatta, possiamo formulare la seguente conclusione che servirà di guida nella interpretazione dei calcoli. 1° L'ipotesi che la fase attuale della terra sia una fase di raffreddamento è giustificata dalle comuni teorie astronomiche e geologiche. 2° La teoria del raffreddamento di una sfera considerata — come rigida, è applicabile rigorosamente solo a sfere di piccolo (4) Porncare, loc. cit. (3) L. De Marca, Geografia fisica, pag. 16, 17, 25, 504. 350 FRANCESCO VERCELLI raggio: nel caso dei pianeti, il calore sviluppato nella contra-. zione e quello proveniente da emanazioni radioattive possono compensare, in parte, il calore perduto per irraggiamento e rendere più lento il raffreddamento; e perciò 3° L'età, la temperatura ed il gradiente termico della È terra e dei pianeti, calcolati in modo conforme alle teorie di Fourier, vanno ritenuti come valori minimi. 8. Le ipotesi sul modo con cui avviene il raffredda- mento. — Le ipotesi del problema, enunciate al N. 1, suppon- gono che il raffreddamento si faccia per contatto; cioè, che il globo, trovandosi in uno spazio a temperatura zero, assuma in superficie la temperatura stessa di questo ambiente. Questo non corrisponde alla realtà, poichè il raffreddamento è sopratutto dovuto all’irraggiamento. La terra non assume in superficie la temperatura del mezzo che la circonda, ma perde ad ogni istante, una quantità di calore, che è funzione della differenza di temperatura fra la superficie stessa e l'ambiente. Questa funzione è data dalla legge di Stefan-Boltzmann, secondo cui, l'energia totale irraggiata è proporzionale alla quarta potenza Me AI della sua temperatura assoluta. L'emissione dei corpi reali è sempre minore di quella del corpo nero, e in particolare è pic- cola sui gas. In conseguenza, nell’irraggiamento effettivo della terra o di un pianeta verso l'esterno, la superficie ha sempre una tem- peratura superiore a quella dell'ambiente, e ciò rende il raf- freddamento più lento di quanto possa avvenire nell'ipotesi da noi supposta. Questa considerazione dà maggior peso ancora alla propo- sizione enunciata in fine del numero precedente, che la tempe- ratura e il gradiente della terra e dei pianeti, quali risultano dai calcoli, dovranno solo essere interpretati come valori minimi. $ 2. Raffreddamento di una sfera omogenea. 9. — Sia data una sfera di raggio / ed in essa, all’ori- gine dei tempi, la temperatura sia funzione della distanza » SUL GRADIENTE TERMICO, ECC. 9851 dal centro. Lo stesso avverrà in ogni altro istante per ragioni di simmetria. L’equazione di Fourier relativa al movimento del calore assume allora la forma 1d7_ 7, 2 dV (1) CP Re a n K ove V è la temperatura e a? RA ove le quantita K, C, D rappresentano il coefficiente di condu- cibilità interna, il calore specifico e la densità. Se poniamo ona =" la (1) assume la forma du ge Da (2) mirato "E d3 Quest'equazione coincide, nella forma, con quella che si ha nei problemi del raffreddamento di un filo o di un suolo piano e da essa si deduce il noto integrale # Li 2 (3) so Sa e-©Cnt. sen Caf m=l ove Bm, Cm sono costanti da determinare in guisa che siano soddisfatte le condizioni ai limiti. Queste condizioni possono venire scelte in modo arbitrario: qui ci limiteremo al caso particolare che più interessa le applicazioni che vogliamo fare. Supponiamo che all’origine dei tempi (£= 0) la tempera- tura sia uniforme in tutta la massa, e diciamola V;; inoltre la conducibilità sia grandissima, in guisa che la temperatura superficiale sia in ogni istante eguale a quella dell'ambiente ; questa temperatura dell'ambiente sia assunta come tempera- tura zero. Con queste ipotesi. le costanti B, C della relazione (3) sì riducono a TT Ca ===itày R Ba (- 4a 2 Mm gr d sauvcesoo. re RI; e la (3) diviene. 0 reef Ala - m=l î * Dalla (4), derivando rispetto ad r e mutando segno, duce il gradiente termico a in un punto qualunque della fera; in particolare sulla superficie. i 6) a=($ Se si ar 900, — (6) VOREE =g(9<1) la (5) assume la forma Pat cds Coi ata a=zMd". A m=l . Ricordiamo ora la relazione che i ari la funzione 33 (x, 9) di Jacobi: i 4 33 (c,gà=142 » qu” cos an è mal da cui 33(0,9=1+2£9 Dalla (7) si deduce quindi a=%(0,9—1 (8) ang 071 Questo risultato può servire a risolvere i seguenti que dati R, V,, q determinare a; dati R, V,, a determinare q. SUL GRADIENTE TERMICO, ECC. 3589 10. — Se nella (4) poniamo lim. r==0, otteniamo il va- È . lore della temperatura V al centro: indichiamolo con V,. Sic- come numeratore e denominatore tendono a zero, possiamo ese- «guire il calcolo colla regola di de ?’ Hospital e otteniamo ” vo m2IT? a? Ù y ce D Vo » (— 9 ni sog ESS i m=l : amd (ie ESC 1g) Ricordando ora la definizione della funzione %0,) di Jacobi : S(0,9=1+22(—1)"9*, possiamo scrivere: (9) Vo=V[1—3(0,9]}=V0|1-3(t,9)]. OVVEero: (10) Ve=Mo[1—Vk 3:(0,9)] più oppurtuna per i calcoli. x Le formole (8) e (10) possono servire a determinare gli ele- menti che caratterizzano lo stato termico di un globo che si raffreddi; cioè il gradiente superficiale e la temperatura interna, quando siano note la temperatura iniziale e il tempo decorso dall’inizio del raffreddamento; ovvero a determinare 4 tempo impiegato nel raffreddamento, note che siano la temperatura ini- ziale ed il gradiente termico attuale. Questi calcoli possono essere risolti facendo uso di tavole delle funzioni ellittiche (1). i (4) Nei calcoli seguenti vennero usate le tavole che si trovano in fondo al libro VI del trattato di J. HoiieL, Cours de calcul infinitésimal. Paris, 1880. e Pera - x o RAIL 5319 A REI A e ni 5 « 4 Sa ret ASI 354 FRANCESCO VERCELLI 88. Applicazioni. 1° L'età della terra. i 11. — Per età della terra intenderemo, con Lord Kelvin, il tempo decorso, sino ad oggi, dall'epoca in cui la terra, rag- giunto uno stato di equilibrio termico in tutta la massa, ha cominciato a solidificarsi. Digi Le formole date nel paragrafo precedente permettono ese- guire rapidamente il calcolo. L'esperienza dà come valore medio del gradiente termico del suolo - “@ 20030 + 122000] n 29 +9 " che corrisponde al grado geotemico di 33 m. per grado centi- grado (1). Ù È Come raggio terrestre, è sufficiente al nostro scopo assu- mere il valore approssimato 6.10 metri. Me Dalle osservazioni si deduce che la velocità di propaga- zione delle onde termiche nel suolo è di 1 metro al giorno cirea; la teoria della propagazione del calore in un suolo piano con- duce allora alla formola (?) race | ji l ; +5 ef ia "2010 $ A . . . © a Il valore di 4 si potrebbe anche calcolare direttamente colla relazione che la definisce : È K pera. SD? pi: ma per la incertezza dei dati che conviene assumere per tali “ quantità si suole comunemente adottare il valore dato. (‘) Vedi il cap. II della memoria citata di C. Sowreniana e F. VeroeLLi. — ci (°) Questo valore è adottato da Lord Kelvin e da Kirchhoff e viene | comunemente usato anche oggidì. È SUL GRADIENTE TE':MICO, ECC. 355 Per temperatura iniziale della terra adottiamo, con Kelvin, il valore Vo =4000° C, temperatura che corrisponde allo stato di fusione di tutte le rocce (almeno alle pressioni ordinarie). Con questi valori di £, «, De: Vo, otteniamo dalla (8) 4000 - 0,08 = 00 1*s (0,9) — 1] e da questa 6.10%.0'3 3 (0,@=*pig +1=46. Da questa relazione possiamo dedurre il valore di gq. Il nu- mero 46 non è più contenuto nelle tavole delle funzioni ellittiche ; _ il valore corrispondente di g è perciò molto prossimo ad 1. Per determinarlo ricorriamo alle formole usualmente ado- . perate nei calcoli numerici sulle funzioni ellittiche, e che sono dedotte colla trasformazione di Landen. Queste formole vengono qui riportate colle notazioni stesse usate nel trattato citato di Hoiiel, perchè ci varremo, nei calcoli seguenti, delle tavole delle funzioni ellittiche (Table 1 — Fonctions du module) date in fine del trattato stesso. 12. Formole fondamentali pei calcoli numerici. 1° Gruppo: DE K=|° dp o V1— #2 sent @ k*°=1 — k? SII ene 4 2 1+W q=a+20 +15 +... Aa pig p= 5 log q Shi 3 0 DIA SE 1 2a)2 Il 4 4 7 193 (0, 1 =(1 + 20)? (1 + dat +...). R'= E 0=9(1+20}?(14-4at+..)= ppr=t 1 Pe EA. 356 FRANCESCO VERCELLI 2° (GRUPPO: Ku (a') K' Dea 2 _do dia o VL1 xk? sen? @ (e') LITE i 21+Ik (d') qÎ=a +2a'5=150? +... ecc. Le formole di questo secondo gruppo differiscono da quelle del primo per lo scambio delle lettere con e senza accento. Convengono nei calcoli le formole del primo gruppo quando & è prossimo a zero; quando % è prossimo ad 1 e quindi %' è piccolissimo sono preferibili quelle del secondo gruppo. 13. Calcolo di q. — Per risolvere il problema propostoci dovremmo partire da un valore noto per 33 e risalire al valore di g. Questa inversione di calcoli non pare facilmente raggiun- gibile per via diretta, mentre invece può essere fatta, in modo rapido, con un metodo di interpolazione, col quale è pure pos- sibile raggiungere sufficiente approssimazione. Ricordiamo perciò che la funzione 33 è sempre crescente al crescere del modulo g. Diamo a g successivi valori 91, 48, +. Qu: i corrispondenti valori di *3 siano 30, 39, ..., 35. Il valore dato alla funzione 3g è certo compreso tra due numeri di quest’ultima serie: siano 34), #*". Il corrispondente 9g sarà compreso tra 4,, 4-11. Con approssimazione che è tanto maggiore quanto più piccola è la differenza r+1 r II grotte si può stabilire la proporzione rt! — Sq Sgr —@Q glrtl 30 qr+4: — Ar (11) (come si vede facilmente applicando il teorema della media) e da questa dedurre il numero g. - Usiamo i le formole del secondo Do È: Indichiamo con Log e log rispettivamente i logan de- È cimali e neperiani. È: Sl 1° TENTATIVO: Poniamo q' — 1072090, Data la piccolezza di questo numero potremo trascurarne le potenze superiori alla prima in tutti i calcoli seguenti in cui occorra una somma di potenze. Abbiamo per le formole (29), (f), al = 1072090 2K = 14 4.1072000 Tm ; = 7 log 102% — 1000 log 10 = 2302 ‘ 58 — 28 = 2302-58 _ | ‘2 — 88:28 T | valore minore di quello dato (*5 = 46). 2° TENTATIVO: g' = 10-3900 a = 100-300 Bi 1-+4.10-3900 T p'= 3 log 109% — 1500 log 10 = 3453 ‘ 87 ps p'= 3453 ‘87 33(0,9) — 46 ‘89 valore maggiore di quello dato. 3° TENTATIVO: 1 g' = 1072500 a' = 1072890 PIE 1072590 = log 10289 = 1400 .log 10=3223 61 K=?! -— . p=8223.1;61 33 (0, q) = 45 È 30. Teniamo conto dei soli valori ottenuti nel 2° e nel 3° ten- tativo e calcoliamo i corrispondenti valori di g. Per ì g' = 107-300 abbiamo, per la (4), log g7* . log 10900 = mr? Log log g7 = Log n? — Log log 10390 = 0° 9942997 — 3° 8393370 = 31549627 logg*=0 0014288 logg=-—0 0014288 In modo analogo per g' = 1072800 sì ottiene logg= — 0 0015308. Nella formola (11) possiamo, con approssimazione suffi ciente nel nostro caso, sostituire i logaritmi ai numeri vo: si suol fare comunemente nei calcoli di interpolazione di loga- ritmi. Otteniamo fo”. — 46°89—46 ———0’0014288— logg 4689 — 45130 © — 00014288 + 0° 0015308 ; } SUL GRADIENTE TERMICO, ECC. 359 - da cui log qu — 0: 0014859. 14. Calcolo di t. — Noto il valore di 9 possiamo calco- lare il tempo t per mezzo della formola (6) del paragrafo pre- cedente : 1 a=—= 2Vn Allora si deduce 2 RARO ERI a X 0: 0014859 giorni cioè circa 187 milioni di umni. 15. Confronto con i risultati ottenuti per altra via. — Come ordine di grandezza questo risultato è in pieno accordo con quello dedotto da Kelvin nell’ipotesi che la terra. fosse considerata come piana: secondo Kelvin l’età della terra è com- presa difatti fra 20 e 400 milioni di anni. Lo stesso accordo si mantiene pure nel confronto con al- cuni risultati forniti dalla Geologia e che qui riportiamo toglien- doli dal trattato parecchie volte citato del Poincaré. 1° Secondo Joly, la salsedine del mare, dovuta al tributo annuo recato dalle acque fluviali, esige un tempo di formazione calcolabile in 100 milioni di anni; 2° I sedimenti depositati a partire dal periodo Cambriano inducono a ritenere che il tempo decorso da quell’epoca sino ad oggi sia compreso fra 100 e 600 milioni di anni; î 3° Il tempo occorso a sviluppare la quantità di elzum attualmente presente nelle rocce uranifere è calcolato 400 mi- lioni di anni. Ricordiamo infine quanto già si disse alla fine del primo paragrafo: che, cioè, l’età della terra, calcolata colle ipotesi 360 FRANCESCO VERCELLI semplificatrici poste a base della teoria, non può avere altra — pretesa che di rappresentare un valore minimo. « calcolare facilmente in questo modo : ricaviamo prima g' d alla relazione w loggloggt=nr. Siccome nel caso nostro logg*=0 2144 si deduce Logg = — 20. Logg1=20; SLI Dalla formola (12), n. 16, si deduce Di Ried Va = ti Ma % DE Essendo #' piccolissimo vale la formola (!) ns | K=log 4. « pare Perciò 2 onde ( ve uu. K= 10 log 10=23 02 5 fi , . ill nd e De È > 0,)=|E=3-8 st ve i x] Va mero Vk'.33 (0,9) = 107 (circa) - de EP, CIG I IRE Ve = Vo 10000 «Ali MI 19. — Passiamo ora al calcolo del gradiente termico su- Dare perficiale. i i pd i Di (') Hotiex, pag. 299. R= 50: 100, 200, 250, 500. ‘ Ò __ Per R=50km. si è trovato Log q= 10 - 69 oa (0, q)= di | perciò il gradiente a, che è dato dalla formola (8), ESS Sa 2 [31 (0, d —1] risulta uguale a zero. Del resto si è già trovato che in questo 2 caso la temperatura interna è nulla, il che equivale a un gra- | diente nullo in ogni punto. Se poniamo R = 100 km. risulta «Log: g=="3 672 e a cui corrisponde, nelle tavole, Log 2£ —:(061008; Log 3,=0 004 Fg; 001 53 rana | Let ron Sti ra = 4 10 5 iù 84 - L'incremento medio sarebbe invece di 1° C per ogni 2,5 chi- lometri, cioè dieci volte maggiore. Bca modo analogo otteniamo i valori dati nella seguente A ‘abella. 35 FRANCESCO VERCELLI Gradiente termico superficiale e gradiente medio. Gradiente Gradiente superficiale medio 4 50 km. 0 i o. e metro metro 20. — I risultati di questi calcoli ana confrontare in quali condizioni termiche si troverebbero attualmente i n versi corpi del nostro sistema solare, se essi avessero comin- ; ciato insieme a raffreddarsi, fossero partiti da una eguale tem- È peratura iniziale e si fossero trovati pure, inizialmente, ino condizioni fisiche analoghe a quelle della terra. dI dr î Diamo a tale scopo nella pagina seguente un prospetto i ino “a | d, x cui i corpi celesti sono classificati in ordine di grandezza cosa 3 SE scente e sono ripetuti i risultati dati nei due prospetti prece- | si "a denti per pianeti ideali aventi raggi di 50, 100, 200, 250, È 500, 1000, 6000, 10000 km. È Degli asteroidi sono menzionati solo i quattro maggiori e il piccolo pianetino Eros. lay sis i su: DI) è È Rileviamo subito che il confronto stabilito in questo pro- Es ii . x spetto è in pieno accordo con quanto l'osservazione rivela sulla i» costituzione fisica degli astri del nostro sistema. . fer La temperatura nei globi minori è eguale a quella dello dd spazio in cui si trovano. La temperatura bassissima che osser | Confronto delle garan delle mata e dai gradienti x fi nei pianeti e nei satelliti (1). Temperat. | Gradiente Grado pagato Pianeti e Satelliti | | assoluta | termico termico ip 7 al centro” i i _ inkm. i in C° \gradi/metro|metri/grado Deimos (Marte) Phobos E Eros V Sat. Giove VE SRO ” IX. , Saturno” XxX ” » VI Sat. Giove Giunone @ Iperionie (Saturno) Vesta ® _Umbriel (Urano) Mimas (Saturno) Ariel (Urano) Pallade (0) i Encelado. (Saturno) Japeto 5 Cerere (1) Dione (Saturno) Teti Réa (Saturno) Qbero {an 1000 DE a Leo age Ri, 27510? 1575 | Europa (II Giove) 1741 Luna 1825 Titano (Saturno) 1889 Io (I Giove) 2379 Mercurio "a 2612 Callisto (IV Giove) . 2921 Ganimede (II , ) _ 3867 Mar te > 6000 LEeT Se RR A dee 30.107 barian Voiona 6378 Terra 10000 ROTA Sg Sa -30,2.10-8 BA 202 Nettuno 36975 | Urano. 59251 Saturno . _70476 Giove | i 4 i 4) Le dimensioni attribuite ai corpi celesti sono conformi a quelle adot- tate da V. ANDRÉ, Les planòtes et leur origine, Paris, 1909. "I PRESE RC È RITA SERE 7 368 pianeti il cui raggio non superi di molto i cento chilometri. da Col raggio, cresce Lai rapidamente la temperatura interna: i maggiori satelliti di Giove e di Saturno, e la Luna, hanno, 3 ì internamente, la medesima temperatura dei pianeti a cui Più partengono ('). Il gradiente superficiale cresce, meno rapidamente, sino. a globi di 1000 km. di raggio: poi si mantiene quasi c0-- stante. Consegue da questa ineguale distribuzione termica nei di* versi corpi, che, nei minori di essi, la solidificazione essendo i estesa sino alle parti centrali, e nei medii, inclusa la Terra, sino a notevole profondità, la loro configurazione esterna è in uno stato di assetto quasi definitivo e non presentano quindi Re. indizio di trasformazioni. so. Nei maggiori, la crosta solida, che potrebbe essersi for-. mata col raffreddamento, sarebbe così sottile, rispetto alle di- mensioni del pianeta, da non poter assumere ancora una confi- Ri gurazione stabile : essi corpi infatti ci appaiono in uno stato di “i continua trasformazione (?). Mi Notiamo, ad ogni modo, che nel caso dei pianeti maggiori della terra, i risultati dei calcoli fatti vanno intesi solo come indizio di quanto avverrebbe in essi se avessero struttura fisica P analoga alla terra: in realtà invece i maggiori di essi hanno di una densità relativa minore: Giove 0-2, Saturno 01, Urano 0 *2, “A Nettuno 03. Gli altri hanno densità non molto diversa: Mer- n) curio 1‘2, Venere 08, Marte 0 ‘7. ue I risultati trovati non ci permettono però di fare un cal- colo, anche lontanamente approssimato, della temperatura sulla si superficie dei pianeti: poichè molte cause concorrono a modi- (!) Cioè, per le ipotesi fatte, circa 4000°. Secondo una formola empi- È: rica del Fritz, riportata nella Geografia fisica del prof. De Marcmi, la temperatura centrale della terra sarebbe 3700°, in buon accordo quindi î, coi nostri calcoli. , d À (*) Una descrizione elementare della configurazione dei pianeti, oltre 4 che nel trattato citato di V. Axpré, è data nel manuale di Astronomia di I J. Norman Lockyer, tradotto e completato da G. CeLoria. — U. Hoepli, ; Milano. . 1 suna RADIENTE in ECC. 1 N ) : temperatura interna, gradiente, CRA dal sole, ati a ‘propria, periodo di rotazione e di rivoluzione, ece. Inoltre, | | per i pianeti che hanno periodi di rotazione e di rivoluzione eguali (Mercurio e Venere, secondo lo Schiaparelli) può essere | molto diversa sull’emisfero che. rivolge sempre la faccia al sole e su quello che non ne viene mai illuminato. Qualche tentativo per stabilire la probabile a È esterna dei pianeti venne fatto dal Poynting e dal Lowell, in 3 base ad ipotesi più o meno attendibili e senza tener conto al- — cuno delle temperature proprie e dei valori del gradiente: i loro risultati sono dati nel trattato citato dell’André. L’ Accademico Segretario. CorrAaDo SEGRE. SR va CI LIETI e 00 5 VI, 7 Y, sila Mag ip Las sà lu de. CLASSI UNITE AT | Adunanza del 18 Gennaio 1914. IS o PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI. i: PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA è _ ì Lotti ni 4 Sono presenti il Vice-Presidente Camprano ed i Soci: “Si sì ; i do 14 Si I “i della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali 6 Re SaLvapori, D’Ovipio, Naccari, Sere, Prano, JADANZA, Foà, bt FEIS] cer, al, Le # GuarescHI, Gurpi, FiLeri, PARONA, MarTIROLO, GRASSI, Somi= = Mer è è 7 Pol GLIANA, FusaRI, BALBIANO; co) ? della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: | 3 Sai Manvo, CarLe, Renier, Pizzi, Camroni, De SANCTIS, RorFINI, — bi StAMPINI, Bronpr, Srorza, EinAauDI e BaupI DI VESME. © 28 pre : Letto ed approvato l'atto verbale della precedente adunanza — SERE 11 gennaio 1914 a Classi Unite, si procede alla votazione per a i 9 schede segrete, pel conferimento del premio Bressa, NAZIONE NI SE «Sl 2/1) È relativo al quadriennio 1909-1912. sé fa SA L'Accademia conferisce il premio Bressa al Comm. Vittorio DE Si Frorini, Direttore Generale per l'Istruzione media al Ministero — a SÒ dell'Istruzione pubblica, per la nuova edizione da lui curata dei » po Rerum italicarum Scriptores. È. E; Si passa quindi alla votazione pel premio Gautieri per la a Storia, relativo al triennio 1910-1912. e; Si delibera, ad unanimità, di accogliere la proposta dela i A i Commissione di dividere il premio per metà fra due Autori. o Ta i «Sa PE 4% ‘ de” ” SR Ù + E £ i A” i Vie dal è vete! Pad PRRPPA PN I “De ee viene alieni al prof. Pietro StLva da Regia ‘Ne cademia Navale di Livorno per l'opera I Governo di Pietro À Maroni in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e fo e coi Visconti, contributo alla storia delle signorie italiane (Pisa, CA 1910), e l’altra metà viene conferita al prof. Nino Ta- MASSIA della R. Università di Padova per l’opera La famiglia ca | italiana nei secoli XV e XVI (Milano-Palermo-Napoli, Sandron, H1910). — In conformità all'art. 1° del Regolamento interno per il conferimento del premio Bressa, ognuna delle due Classi procede | alla votazione per la nomina di quattro membri per ciascuna | Classe per comporre la 1° Giunta del XIX premio Bressa (inter- nazionale) relativo al quadriennio 1911-1914. $ i Per la Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali È riescono nominati 1 Soci Naccari, Parona, MaTtTIROLO, Somr- | GUIANA; per la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche «i Soci Renier, De Sanoris, RUFFINI, STAMPINI. SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGIOHE — — i Adunanza del 18 Gennaio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PA PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CamronI, Direttore della Classe, Mari lo, _CarLe, Pizzi, De SANCTIS, RUFFINI, BronpI, SFORZA, Ematn de BaupI pi Vesme, RenieR Segretario. — Scusa du il Socio. 2 ba STAMPINI. . dente, 4 dune 1914. > Il Socio De Sanctis offre per gli Atti una Nota di Augusti Roo Ri Rosrani, La vita e l’opera di Pitagora secondo Timeo. x Il Socio ErnAupI presenta per l'inserzione nelle Men si accademiche una monografia largamente documentata del più RE fessore Giuseppe Prato, Un episodio della vita di Giovanni - - s- a ) di Sii = da Pt ” en LL FL f " ; e i PET Pica SR ER SEI Ù 378 | AUGUSTO ROSTAGNI appunto con lo spazio intercedente fra il 529, della vent 000 Pitagora, e il 509, successivo allo sterminio di Sibari — ster Ne minio il quale dimostro essere perno al racconto di Timeo - — i anche senza scoperta l'identità della fonte, anche a priori, ben «s ogni ragione consiglierebbe di attenerci a sì fatto procedimento. E, già, il Liber annalis potè dedurre da Timeo e, in ogni modo, Cicerone, operando il suo riscontro, moveva dal compnto delle — olimpiadi (1). SORTE di, 3 « - ko. che vi fosse seguìta la cronologia polibiana di Nepote, secondo la quale SA Hi il IV anno di Tarquinio il Superbo cadeva nel 532 cioè alla fine dell’olim- piade LXI. Laddove Cicerone manifestamente, dichiarando che Pitagora > . venne in Italia nel IV anno del regno di Tarquinio e soggiungendo che «A sa dall’olimpiade LXII è designato ad un tempo il principiare del regno di i Tarquinio e la venuta di Pitagora in Italia, addita e per essa venuta e per IV anno del Superbo il 529/8, anno IV dell’olimpiade LXIl: dunque 5A mostra di assecondare l’altra cronologia, varroniana, secondo la quale il ai regno di Tarquinio comincia col principiare dell’olimpiade LXII: 582/1-. he: 529/8. Perciò, se nel De Republ. Il 14, 27 compare la cronologia polibiana (cfr. Leuze p. 174) non è da concludere sempre comparisse, ma si oscillasse “i ancora, come in altre opere (Leuze p. 244, n. 302), tra i due sistemi. E non de: si può consentire con G. Cosra I fasti consol. rom. (Milano 1910) p. 115, se mel passo ciceroniano vede * una patente contraddizione , — Pitagora SE essere giunto in Italia nel IV anno del regno di 'l'arquinio, e poi, invece, l’inizio del costui regno essere contemporaneo con la venuta stessa del filosofo —: poichè, come ognuno noterà, egli attribuisce ad Olympias una Fal rara e qui tutt'altro che giustificata interpretazione, nel senso ristretto di . Ri . ‘anno in cui si celebrano i giuochi olimpici ’, introducendo contraddizioni 3% LI 3A che non esistono (v. anche p. 128). — tiiortà di Cicerone ha la sua © A ; base, perspicua, in ciò che la venuta di Pitagora apparteneva all’olim- x piade LXII e al IV anno del regno di Tarquinio, regno con la medesima Ss N x uc. olimp. iniziatosi. Che poi i 140 anni dalla morte di Numa, già solo ape 358 oe prossimativamente indicati - fere — (il fere, modo all'oratore abituale, | b. - costante, è per Cosra o. ce. p. 134 sgg. una traccia di Nepote), presuppon= gano un calcolo diverso da quello di Nepote, è ben chiaro, nè l'approssi- Ren mazione stupisce: cfr. Leuze p. 152, n. 182. Nei limiti che ci oceupano, la cronologia non lascia adito a dubbii, quando si assodi che una tra: dizione speciale, di Timeo, largamente accolta, fissò l'adventus Pythagorae : appunto al 529/8. Così viene meno l’appoggio che ad un diverso com- pi. dl prendimento del passo ciceroniano avevasi in credere predominante, per la venuta, la data 532, SA (1) È da contraddire ora all'opinione comunemente assodata e ripetuta _ fin da Jaconr Apollodors Chronik ‘ Philol. Unters.* XVI pp. 219 sgg. la quale, > come ritiene che Cicerone si conformi alin cronologia di Nepote, così vi ha M Li . 3 ui è Salt aa] '« EZIO È nidi tft i I Ci REIBORI RANE SATIRO RE tal LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 379 Chè poi egli stesso, generalmente e più che mai nelle 7'u- sculane, avea innanzi per la parte storica della sua varia espo- sizione l’opera dello scrittore siceliota (1). Timeo egli ricorda vede traccia d’Apollodoro. Apollodoro avrebbe attribuito la venuta di Pita- gora all'anno 532. Ma il Jacoby stesso osserva essere determinato, nel De Republica, non il 532, sibbene il 529: nè riesce ad eliminare la difficoltà. Che cade, una volta riconosciuta la dipendenza da Timeo. D'altra parte eredo non si possa con ragione riferire a Pitagora il frammento delle Cronache apollodoree riferitogli a questo proposito su congettura del Diels (fr. 24 Jacoby). E, scartando questi elementi, scartando come propria di Timeo ogni altra determinazione di olimpiade LXII che l'avviso dei dotti, a partire dal Kriscne 0. c. p.9 sino al Jacosy e al BrLoca Griech. Gesch. I, 1, p. 439, 1(e v. oltre p. 383, n. 2), ascriveva ad Apollodoro, resta solo a discutere, unico dato attendibile, quello fornito da Dioporo X 3, 1: l’@xti del filosofo all’olimpiade LXI, anno IV (533/2). Ma che tale dato derivi, come si credeva, da Apollodoro, anche è oltremodo dubbio ed improbabile, se consta ormai la fonte cronologica di Diodoro non dover essere lo sto- riografo ateniese. Laddove tenendoci ormai all'opinione prevalente che addita la fonte in Castore di Rodi (cfr. Wacnsmuta, E?nl., p. 102, n. 3) viene fatto di spiegare e ricondurre alla sua origine in modo consentanec l'elemento controverso. Nel quale presumendo che l’&z#) coincidesse, come di solito, con l’adventus, questa conseguenza si offre. Il 533, anno IV del- l’olimp. LXI, designava la venuta di Pitagora ed era il IV anno del regno di Tarquinio il Superbo nei sincronismi di Nepote. Dunque la fonte di Diodoro — e sia Castore, che potè snbire l'influsso dei cronografi romani — ha accolto i dati di Timeo circa il nesso degli avvenimenti, e solo ad essi applicato quel computo che compare in Nepote e che porta ad un semplice spostamento di quattro anni. Ciò ha facilitato — ora sì vede assai bene — le confusioni degli serittori: identico l'ordine dei fatti, su un’'èra diversa. Ond’è che, parlando del IV anno di Tarquinio per la ve- nuta di Pitagora, Cicerone accennò al 529, e Castore e Nepote al 533; ed altri, ad es. Gero XVII 21, 6 postea Pythagoras Samius in Italiam venit, Tarquini filio regnum optinente, cui cognomentum Superbus fuit, pote- rono benissimo, pur sembrando identificarsi con Cicerone, dipendere preci- samente da Castore e da Nepote così come sembra più verisimile (che Gellio ricavi da Nepote v. Jacory p. 219). Per la via descritta, oltre a definire la cronologia controversa, eliminiamo anche la difficoltà che pur era in JacoBr o. c. p. 220 di reputare l’olimp. 61°, 4, data da Diodoro, un errore per il preteso anno olimp. 62*, 1. Punto fermo è dunque da prima l’olimpiade 62% 4 fissata da Timeo: di qui le fonti romane deducono il sincronismo col IV a. di Tarquinio il Suberbo, su éra varroniana il 529 — su era polibiana il 533, onde si viene per converso all'olimp. 61°, 4. (1) Cfr. Susemat Gesch. d. griech. Litt. in d. Alex.-zeit I, p. 582, 307. Nelle Tusculane ciò è contestato, ma soltanto per quel che concerne Dionisio I di Atti dellu R. Accademia. — Vol. XLIX. 25 380 AUGUSTO ROSTAGNI spessissimo, sebbene non ignori, soprattutto sui dettami filosofici della Scuola, e Aristosseno ed Eraclide Pontico (1). Ad una affermazione di cui Timeo con insistenza si compiaceva (fr. 77 Mueller), essersi diffuso nella Magna Grecia a tempo di Pita- gora il motto xowd tè gpiZ@r, l'oratore fa eco ripetutamente (De leg. 112. 34) (2); la casa di Pitagora in Metaponto da lui conosciuta (De finib. V 2, 4) è conosciuta da Giustino 1. e. 18: la preghiera del filosofo sull’ara incruenta di Apollo in Delo (De nat. deor. III 36, 88) è aneddoto desunto dalla medesima miniera (fr. 79 Muell.). Traccie delle “/orogie. che si potrebbero accrescere e che solo attendono di essere meglio allineate al loro legittimo posto. Però che intanto Cicerone, nel divario delle altre fonti bio- grafiche vetuste ch’erano a sua disposizione, sì tiene costante- mente alla cronologia enunciata (3), facendo punto fermo l’anno 529 per l’avvento in Italia, e conducendosi all'anno 509, dopo Sibari distrutta, per la rivoluzione ciloniana e per l’allon- tanarsi del filosofo da Crotone : talchè interceda una dimora di Siracusa V 57-63, da F. KortnE, Timaios und Ciceros Tusculanen * Jahrbb. f. class. Phil.” CXXXIX (1889) pp. 637 sgg.; e nè anche persuasivamente. La cronologia di Dionisio, in Cicerone, sembra infatti suggerita da Timeo: cefr., contro Korn De Timaei vita, ete.; CLasen Untersuchungen iiber Ti maios Diss. Kiel 1883 pp. 27 sgg. Le espressioni stesse dell’oratore, V 63-7, animate da vivo odio per la tirannide, risentono di Timeo. (1) Per Aristosseno cfr. Tuscul. I 10, 20; 11, 24; per Eraclide ibid. V 3, 8. (2) Anche Laerr. Diog. VIII 1,10 cita, a questo proposito, come fonte, Timeo : elzé re agOros, Gg pyov Tiunatrogs, zomà tà qiAov elvar na qpihiav èîndinia. (3) È ben chiaro che con essa non contrasta quanto lo serittore afferma pur nelle Tusculane IV 1,2: ... Pythagoras qui fuit in Italia temporibus isdem, quibus L. Brutus patrium liberavit. Nulla che accenni alla renuta: e si esamini il contesto: gli studii filosofici furono introdotti in Italia, e Roma fu liberata dall'ignoranza per merito dei Pitagorici, nell'epoca medesima in cui ebbe ad essere liberata dalla tirannia per merito di Bruto. — So- Lino XI 31 (p. 86 Mommsen) fraintende nella guisa che vorrebbero alcuni moderni, e, pur interpretando l'identico concetto di tirannia e di libertà, riporta al consolato di Bruto (509)la venuta in Italia: Pythagoras... offensus fastu tyrannico, relicta domo patria, Bruto consule qui reges urbe eregit, Italiam aAvectus est. Su che costruiscono una strana cronologia Réra Gesch, A. abendl. Phil. I p. 288 e Unger 1. c. p. 154 sgg. A > i LA VITA E L'OPERA DI PIPAGORA SECONDO TIMEO 381 vent'anni. E così come stava seritto — concludiamo ormai — nelle Storie di Timeo. Nè questo soltanto. A render più evidente la dimostrazione, e prima di averne riprova nel processo della ricerca, sarà ap- pena necessario aggiungere che dal dutto siciliano provengono le altre più precise affermazioni di Apollonio tianeo. L'intervento degli Achei, quale coincide in Polibio II 39, non solo è un par- ticolare storico, ma anche appartiene all’àmbito segnalato. E così dicasi della vittoria crotoniate contro Sibari, la cui impres- sione, ancor fresca, il compilatore descrive operante su gli spiriti dei rivoluzionari: presso IamBr. $ 260: aioyoòv siva... TOÙS tordzovta uvordòwv mvegì tòv Todevta(1)rotauòv regryevomevove dò toÙ YiÀLostod uéo0vs éxgivov év aùtij tij néder pavivai zateotaciaouevovs. Dove la cifra incredibile di 300.000 combat- tenti porta il suggello di Timeo, ricorrendo, la medesima, e nel capitolo di Diodoro già preso in considerazione XII 9, 5 (e di nuovo X 23) e in Strabone VI p. 2653. E dove otteniamo in più. da attribuire a Timeo, la designazione del campo di battaglia. il fiume «Traeis (Trionto), cui Diodoro e Strabone non sì preoc- cuparono di notare. Ma con assoluta evidenza viene a galla l’opera del Siracu- sano, dall’accostamento dei compilatori, allorquando Apollonio in armonia con Giustino annovera e gli affigliati alla lega pita- gorica e i caduti nella ribellione: che è cosa tanto più signifi- cativa quanto più varia disparità di computi regnava al riguardo nelle tradizioni. Scrive Giustino 1. c. 14 sgg.: Sed CCC ea iuve- nibus cum sodalicii iure sacramento quodam mnexi separatam a ceteris civibus vitam exercerent, quasi coetum clandestinae coniura- tionis haberent, civitatem in se converterunt quae eos, cum in unam domum convenissent, cremare voluit. In quo tumultu seraginta ferme periere; ceteri in exilium profecti. Ed Apollonio in TamBL. $ 254, 10, non senza dar parimente rilievo al carattere ari- stocratico della Scuola e al malumore che se n’ingenerava nei popolani: 70av yào drèo tograzociovs (2). E più innanzi, (1) Così è da correggere il testo: zòv Tergdevra, in base a Drop. Ste. XII 22, 1. Vedi la nota del Nauck a q.1l. di Giamblico. (2) Laert. Dro. VIII 1,3 raccoglie la medesima cifra, 300, in un brano che anche per altri rispetti tiene di T'imeo: cfr. appresso p. 885 n. 2. Vedasi Atti della R. Accademia — Vol. XLXI. 950 382 AUGUSTO ROSTAGNI in Iampr. $ 264, si fa all'altra cifra, sessanta: #00v dè tOV Ilvdayogixòv ai megì éÉfzovta tòv dorduòvr..., sebbene questa egli, avvezzo a prender nota dei fatti e poi a torcerli liberamente nel proprio contesto, riferisca non già alle vittime, bensì agli scampati. Eppure basta la coincidenza esteriore per segnare un nuovo punto della tradizione di Timeo: non solo, ma per vietare di correggere la cifra di Giustino da LX in XL come i critici per lo più vorrebbero (1) nell'intento di uniformarsi agli altri testi (Dicearco presso PorpÒÙÒ. 56, fr. 31 Muell. e Laerzio Diogene VIII 1,39 parlano infatti di quaranta vittime; Ermippo, fr. 23 Muell. e presso LarRrt. Droe. VIII 1, 40 si limita a trentacinque): versioni differenti, che, pel loro valore puramente tradizionale, non vanno conciliate, sibbene disposte e contrapposte. PI Josì i testi comparati di Giamblico, Giustino, Cicerone, Po- libio, mentre sono serviti a dimostrare derivante da Timeo la connessione del tumulto ciloniano con la caduta di Sibari, hanno in pari tempo tolto il velo ad un ricco sostrato di tradizione storiografica, proprietà del medesimo autore. Là onde giova continuare in questo indirizzo, perlustrando da prima, così come per avventura anche ripetutamente si offrano, le affermazioni varie o le anella del racconto, disegnando poi, con organica disposizione e col proposito di avviare ad una più ferma cono- scenza della storia pitagorica, l'ordine dei fatti: in Timeo, na- turalmente. La trama essenziale è costituita dalla cronologia, di cu i cardini abbiamo intravisti. Nel riportare, come Cicerone riporta, la venuta di Pitagora in Italia all’olimpiade LXII e per l'appunto altresì Lucrano Biowv Ig. 6. Arnenao. Suppl. c. 31. Grampuico $ 29 ha #Eazogtiovs: quando si pensi alle infinite rimembranze di Timeo, che rin- traccieremo, particolarmente in quella serie di paragrafi, par giusto cor- reggere con Corser Coll. crit. p. 316 sgg. rorazociovs. (1) Per es. Busorr Griech. Gesch. 11° p. 771, 83; Unarr |. e. p. 166, 1. LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 383 all'anno quarto, quarto anno del regno di Tarquinio il Superbo, fu ragione di credere assecondato il Siracusano. Ed ora leggasi, infatti, Giamblico $ 35: Hi dè dei xaì rd xad” fxaotov arrouvy- uovedoa ©v | Hvdayboas| Enoafe naì eîme, 6ntéov ©g mageyé- vero uèv eis IrakZiav xatà riv OR vuridda tIV devréoav Eni taîs égiMnzxovta, xad9° Î)v ’Eqvéias è XaAxideds otdòrov gvixnoer, eùdùs dè megiBhertos rai negioraros Eyévero, xaddneo al nodregov bre eis AîjZov zatendevoev. èreT te yo moòs uòvov tòv Pouòv tòv toù l'evétogos ’Andilovos mgoceviduevos ds udvos avainartos gotv, Edavudodn maoà toîs èv ti) vijow. Che la data, olimpiade LXI (532-29), sia anche qui dello storico di Sicilia, non resta dubbio (1), se tutto il contesto, la menzione della preghiera ad Apollo Genitore in Delo, quale già s’ebbe modo di conoscere da Cicerone, palesa una medesima apparte- nenza : e tanto più, associandosi ai passi seguenti (fr. 79 Muell.): CensorIn. De die nat. c.2 Denique Deli ad Apollinis genitoris aram, ut Timaens auctor est, nemo hostiam caedit; MacROB. Saturn. III 6 Deli ara est Apollinis levétogos in qua nullum animal sacrificatur, quam Pithagoram velut inviolatam adoravisse produnt. Quando poi si consideri che questa data è, fra tutte, pre- dominante e che compare, accolta da un maggior numero di compilatori, non tornerà vano saperla diffusa, contro le altre divergenti, da Timeo (2). E sapere altresì ch’essa valse a deter- minare, generalmente, pur l’età del filosofo. Ne discendono Ta- zIANO (Advers. graee. e. 41), EuseBro ( Vers. Arm. II p. 98 Schéne), CrriLLo (în Lul. I 13 A.) e quanti insomma affermano il filosofo esser salito in fama circa quella olimpiade; dove non è da sup- porre un calcolo speciale di @zw (3), ma un riflesso inerente al concetto di Timeo: che, giunto in Italia, Pitagora tosto at- trasse a sè gli sguardi: eddògs dè megiBhentos xai megiotatos èyévero. (1) A torto perciò il Coser Coll. crit. p. 445 la attribuiva ad Aristosseno. (2) Non si può pensare ad Apollodoro, così come vogliono, cominciando da «KriscHE 0. c. p. 9, Ronpe 1. c. p.570, Unser 1. c. p. 145, Jacopy Apoll. Chron. pp. 215 sgg. Lo ho dimostrato dianzi in nota. (3) Con Uncer l. c. e Jacony i quali si riferiscono naturalmente ad Apollodoro. TRE 384 AUGUSTO ROSTAGNI Ancor altri elementi cronologici emergono, fin dai primi ca- pitoli, nell'opera di Giamblico. E sono connessi — conforme ebbe ad osservare il Rolde (1) — con quelli, non meno espliciti, che occupano la chiusa ($ 265) e che vanno sotto il nome di Apol- lonio tianeo. La conseguenza si offre, non indifferente: come Apollonio risultò serbare i dati storiografici di Timeo, copiosi, così da quest'ultimo debbonsi, in massima e con ogni verisimi- glianza, ripetere pur gli elementi cui alludiamo ; e come, per esempio, le particolarità riguardanti la venuta del filosofo, nel contesto di Giamblico $ 32, apparvero informate a Timeo, così è a buon diritto presumibile che il racconto apolloniano, attra- verso a cui penetrano in (riamblico le impronte delle “/otogiar, abbia per grandi tratti rimpolpato di sè l’opera del biografo neoplatonico. Sulla patria e sulla stirpe di Pitagora non sembra in particolar modo seguìto il nostro storico, se non in quanto anch'egli, conforme leggiamo in Giustino ]. c., conveniva coi più nel far sua culla Samo, a differenza, ad esempio, di Aristosseno, Aristotele. T'eopompo, i quali asserivano il filosofo esser Tirreno di Samotracia (Arisror. Fragm. 190 Rose = CLeM. ALex. Strom. I 14, 62); ma pel nome del padre, Demarato, la versione di Timeo si opponeva, secondo di nuovo ci apprende Giustino, alla vulgata, designante Mnesarco (e la vulgata ha in proprio favore una te- stimonianza di Eraclito fr. 17 (2)). — Comincia la relazione dei viaggi. A diciott'anni Pitagora lascia Samo ($ 11). èrrogpvonérng dè dor 175 IHorvxgdrovs tvpavvidos megi èxtmaardéxator uddiota Éros yeyovme, mog000muevds te oi ymoroer zaì dg éunbdros Eovat t)) aòbrod 1g0déoer xai mt} aviìù ndviov adrp Grovdatoméry pihouadeig; soffermatosi presso Ferecide di Siro, Anassimandro, Talete, eccolo in fine percorrere l'Egitto, dove dimora 22 anni ($ 19), conseguendo ampia cultura, per poi passare in Babilonia e rimanervi 12 anni: tornando a Samo è ormai ‘in età di 56 anni (ibid.). Ma succedono altri viaggi, a Creta e a Sparta, (1) Cfr. 1. c. p. 573 e vedi in seguito. a (2) V. sia ‘ Sitzungsber. d. Berlin. Akad. d. Wiss.' 1889 I pp. 985-996. La testimonianza di Kraclito non è ignota a Timeo, al quale, anzi, essa suggerisce parole di vivace contrasto: v. innanzi. È È 4000 o Ag rr LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 385 nell'intento di conoscere le vetuste legislazioni, e, frattanto, ha luogo la comparsa a Delo e l'omaggio reso ad Apollo (e- nitore ($ 25). Poichè in patria Pitagora non rimane: le sue dottrine trovano inciampo negli ordinamenti e nelle norme ivi imperanti — cuvid®v dtt toîs tijs matgidos vomors nerdouevov galenòv aùtob uévovta qpiAocogpeîv ($ 28) — e salpa alla volta d'Italia. Tale la relazione dei viaggi, che, ove si prescinda dall’epi- sodio di Delo, già per altro specificato, collima perfettamente con Giustino: a differenza di altre fonti, cioè di altre speciali tradizioni tendenti ad accrescere il novero dei luoghi visitati (1): l. c.: magnisque sapientiae incrementis formatus Aegyptum primo, mox Babyloniam ad perdiscendos siderum motus originemque mundi speclandam profectus summam scientiam consecutus erat. Inde re- gressus, Cretam et Lacedaemona ad cognoscendas Minois et. Lycurgi inclitas ea tempestate leges contenderat. Quibus omnibus instructus Crotonam venit populumque in luxuriam lapsum auctoritate sua ad usum frugalitatis revocavit. Da prima l'educazione variamente asseguita sotto la guida di Ferecide e di altri maestri; poi l'Egitto e la Babilonia ; poi il ritorno, sùbito interrotto dai nuovi viaggi a Creta e a Sparta ; infine la partenza decisiva. — E questo medesimo procedimento è presupposto, non senza anche diretti riscontri con le espressioni di Giamblico circa la tirannide po- licratea e circa la giZouddera del giovane, ma in maniera com- pendiosa e di fuggita, da Strabone XIV p. 638: émrì rovtov | ILo- Avrodtovs] dè zaì Ivdayigav iotogodorv idbvia pvonevnv t)v tugavvida éxhineîv tiv n6div xaì aneddeîv eis Aîyvntov zaì Bagviòva prAouadeiag ydouv © énavibvia d' éxetder, boOvta Et cvuueévovoav tiv ivgavvida nZevoavta eis IraZiav éneî diatedécar tòv Biov (2). (1) Su che, e sulle infinite questioni suscitate dalla critica, v. ZeLLeR o. c. pp. 300 sgg. (2) Così Lakrr. Dro. VIII 1,3 in un passo che anche pel computo dei 300 Pitagorici manifesta la provenienza da Timeo: el é7av74bev eÙs Iduov, xaì eboòv tiv matgida tvoavvovutvnv brò IoAvuodrovs, arigev sîs Kodrava vîjs “IraZias® noneè vbuovs dels toùs ’Iralibtarg édoédodn gòv toîs padnraîs, o m9ds tods tgraxogiovs dvres puovbuovv dorota tà mohitind, Gate cyeddv agiorongatiav elvar tiv mohiteiav, i La tirannia di Policrate samio, del quale era memoria che Pitagora fosse contemporaneo, aveva servito ai biograti e, tra gli altri, ad Aristosseno (presso PorpÒ. 9) da caposaldo onde datare approssimativamente la vita dell’antico filosofo. Timeo infatti non possedeva altro fondamento quando per la venuta in lralia toccava all'olimpiade LXII. Soltanto, di lui era proprio, oltre che far partire definitivamente alla volta della Magna Grecia il suo personaggio causa la tirannide policratea, fargli già imprendere le lunghe peregrinazioni pel medesimo motivo: e ciò con riguardo forse al dominio cui Polierate ed altri della sua famiglia avrebbero tenuto già prima a certa di- stanza di tempo (1); e col proposito fors anche di conciliare fonti disparate, fouti assegnanti la stessa ragione or alla venuta in Italia, or ai viaggi in Oriente (2). Se Timeo in persona, ovvero, sulla sua scorta, Apollonio, abbia spartito in periodi d'anni ben recisi il peregrinare di Pi- tagora non può asserirsi con sicurezza (3): ma ch'egli sia stato a porre per la venuta il termine addizionale di 56 anni d'età (0 poco più, lasciando un margine fra il ritorno dall'Oriente e la definitiva partenza), in contrasto con Aristosseno il quale propendeva pei 40 (presso PorpH. 9), può provarsi, allorchè si combini questo coi dati di Apollonio presso lampi. $ 265. Dove il Maestro governa la scuola per 39 anni. ne vive circa 100: @Uròv uèv yào IHvdaybgav dpnyijoacdar déyerar évòg déovros &tn teccagdzovia, tù ndvia Pimoavita Et Èyyùs tOV 380 AUGUSTO ROSTAGNI (1) Srrapn XIV p. 638. Sulla cronologia «di Polierate che converrà a parte novamente studiare cfr. per ora BusoLr Griech. Gesch. 11° p. 508,3; Uxger |. c. pp. 149 sgg.; BeLoca Griech. Gesch. 1° 1, p. 376. (2) Antifonte (che non è il sofista, come erroneamente mostra credere Unger |. c. pp. 145, 150: efr. ZeLLer 0. c. p. 309, 1), presso Poren. 7 narra esser Pitagora andato in Egitto con raccomandazioni di Policrate al re Amasi (Ahmes Il 570-25). Sulle relazioni tra Policrate e Amasi d'Egitto cfr. Br Loca Griech. Gesch. 1° 1 p.376; De Saneris “Ardés® p. 302. (3) Ad ogni modo, è da vedere una svista grossolana, un ricamo del compilatore, nella leggenda che nl Babilonia Pitasora fosse trasemato, schiavo, da quelli di Cambise: ciò per cui si scenderebbe al 525 eiren, data in perfetta contraddizione con le altre pur da Apollonio ammesse. Tl'uttavia Rbrnm Gesch. d. abendlindischen Philos, 1 p. 268 ne costruisce una sua bizzarra cronologia. LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 387 éxat6v. Non è puro caso: venendo in Italia sulla sessantina, stando a capo della scuola 39 anni, egli raggiunge difatti un’esi- stenza secolare: così come — di su questa tradizione, è ormai lecito dire — SinceLLo I p. 469 Dindorf computa 99 anni di vita : Ilvday6gas è pirAdoogpos tédvnuev éròv GI, oi dè oe’, e pari- mente Trerze Chil. XI 92: dvijoze Erov brdogov Exatov, mÀiv étovs évòs ubòvov (1). Ma l'evidenza maggiore ridonda dalla cifra 39,]a quale par appositamente acconciarsi con la cronologia di Timeo: nel 529 Pitagora prende stanza a Crotone; nel 509, preannunziandosi la catastrofe ciloniana, egli passa a Metaponto, e sono vent’anni di dimora a Crotone e ne rimangono diciannove — poichè anni di scuola non sono da registrare, con questo novero, prima della venuta in Italia (2) —: diciannove pel soggiorno in Metaponto. E sia, anzitutto, il soggiorno di Crotone. Ivi e, per riflesso, nelle città d'intorno, si fece tosto sentire l'influenza benigna di Pitagora. La quale alla mente dello storiografo assume per na- tura le sembianze d’un fenomeno politico consertantesi con le progressive condizioni della civiltà nell'Italia inferiore. Ecco, per vero, i concetti riepilogati da Giustino: la popolazione, corrotta, coinvolta in vicende disastrose quali e la battaglia del Sagra e la distruzione di Siri, priva di ogni energia, prossima a cadere nelle mani dei tiranni, sì risollevò per merito delle dottrine pi- tagoriche, le quali assiduamente la chiamavano all'esercizio della virtù, alla frugalità, alla temperanza. (1) Potrebbesi anche pensare che nel testo di Giamblico uno sposta- mento sia avvenuto di évòs déovros da éxarov a reccagduovia. Pur conviene tenersi ai 39 anni di scolarcato. — Lakrrt. Droe. VIII 1 44 ©s' d° oi Asiovs rn BLodg Evevijaovia. Da che questa cifra non occorre affatto presso altri scrittori, il Casaubon consiglia di aggiungere évvéga. — Il computo dei 75 anni d'età, otfertoci come canonico accanto a quello dei 99, risale — è probabile — ad Apollodoro: efr. Jacony Apollod. Chron. p. 226, del quale rimane invece contraddetto l’avviso che ad Eratostene appartenga la data di 99. Abbiamo da un lato Timeo, dall’altro Apollodoro (nè forse senza che quest’ultimo assecondi il primo nella data della venuta in Italia). (2) La tradizione, nel brano sopra esaminato di Giamblico ($$ 26-7), narrava dei tentativi fatti per un insegnamento in Samo fra il ritorno dall'Oriente e la definitiva dipartita; aveva memoria di un antro nel quale il filosofo era venuto meditando. Ma ciò non sì collega con la Scuola vera e propria. n TT Pe, DISIS AUGUSTO ROSTAGNI Che dire ora di Giamblico ? Giamblico coincide nell’avvia- mento del pensiero: non appena al filosofo ha fatto por piede in Italia, durante l’olimpiade LXII, subito prospetta questa iden- tica azione: $$ 33-6 (1). E le analogie eréscono; e qua e là, per ciò che concerne l'insegnamento da Pitagora esercitato, rompe fuori un tocco, una nota di Timeo, tanto che di Timeo sembri esser realmente ricalcata, non ì che ogni dispersa peculiarità. anche la trama espositiva. — Cominciamo, di nuovo, con Giustino |. e.: matronarum quoque separatam a viris doctrinam et puerorum a pa- rentibus frequenter habuit. Docebat nune has pudicitiam et obsequia in viros, nunc illos modestiam et litterarum studium. Inter haec velut genetricem virtutum frugalitatem omnibus ingerebat consecutusque disputationum adsiduitate erat, ut matronae auratas vestes ceteraque dignitatis suae ornamenta velut instrumenta lueuriae deponerent eaque omnia delata in lumonis aedem ipsi deae consecrarent, prae se ferentes vera ornamenti matronarum pudicitiam, non vestes esse. Chi, dopo ciò, sì volga a Giamblico, troverà parimente classificata l'opera educatrice del Maestro : la speciale attenzione avuta ai fanciulli, con precetti di obbedienza e di studio ($$ 37-54); l'am- monizione diretta alle donne, con esortazioni di pudicizia e di parsimonia ($$ 54-8). E troverà via via, quando felici combinazioni o riscontri lo comportino, più testuale e rispondente imagine della fonte comune: siccome nel tratto che segue, tolto all'am- maestramento delle donne, $ 56: “Hr dè ròv cop@tator TOYV andvriov heybuevov zai ovvidÉéavta tiv poriv Or drdoeonov za tò civohov ebgetiv xataotaria TtOV Ovondtor, elite deòv elre daimova site delbv tiva Advdgwrovr, ovridbria didit. 1ijg evoepeias oizerbratov Eoti tò yévos tOV yurarzòr, xdomnv tiv phziav adrov ocvv@ovvuov monjocaodar dep, xaiì xadéoa tiv uèv Gyauov xbonv, tiv dè nods dvrdoa dedonuérnv viugpnr, v)}v dè tézva yevvnoanevnv untéoa, tiv dè naîdas éx maid@v Ent dodoav zatà tiv Amor didAextovr uaîar: © ciugpovor eva rò zai toùc yonouode ev Amdbrn xaì Aekpoîc dnZodattar drà (1) Da escludere è ciò che concerne Zalenco legislatore di Locri a $ 83: del quale Timeo negavn l’esistenza : fr. 69 Muell. Crcen. De ?eg. 11 6. Ma le relazioni di Pitagora e con Zalenco e con Caronda e con altri leggendarii autori di statuti italici erano un punto molto genericamente e universal. mente ninmesso nelle compilazioni dei biografi. li Tr W_e '_——__o insita a. 9° LA VITA E L'OPERA DI PITA(0RA SECONDO TIMEO 389 puvarzds. dà dè tOV sÎg tiv sboéBerav Enaivov mods tv ed- térerav tiv natà tòv iuatiouòvr tnAzavinv rmagadédorar xa- taozevdooi tiv ueraBolv, dote tà noRvielij 1Ov iuatiov undeuiav évdsecdar toRuav, ail davadelvar ndoas es tò tig “Hoas îsoòdv mo%kiàs uvorddas inatimv. Dove non solo appartiene a Timeo l'episodio, armonizzante con Giustino, circa la rinuncia delle vanità fatta al tempio di Era; ma tutto il periodo, e, segnatamente, l’idea, tipica, sulle denominazioni di Core, Ninfe, Metere. Però che si affaccia in buon punto, ad integrare le nostre conoscenze. LAFRZIO DIOGENE VII 1, 11: Tiuat6s té pnow év dexdmi) fotogr Zéyeww abtòv |Ilvday6gar| tas ovrorrovoas avdodor dedv Eyerv èvouata, K69as, Nbugpas, eîtta Matéoas raZovutévas. Esaltazione delle virtù fem- minili: ed è il contesto nel quale Timeo menzionava la figlia del filosofo così : presso PorpH. 4 Tiuatog è’ forogeî tiv Iv- Jayigov dvyartoa zaì rmagdévov odoav iysicdar tOv magdévov zai yuvaîza tOv yuvarzov (1). Nè le “/orogiar limitavansi all'esposizione della dottrina impartita, sibbene raffiguravano il sorgere della Scuola, e con quanto zelo i giovani ambissero aggregarsi e a quali pratiche, novizi, sottostessero : special importanza assumendo il severo esame, doziuoia, cui ogni candidato adempiva. E. per vero, intorno alla doxiuacia, è dato afferrare di bel nuovo in Giam- blico quasi la forma originaria dello scrittore: si confronti TamBL. $ 71: rmagsozevacuevo dè adirb obtows eis tI)v mardelav TOY ouAntor, mogootòrimv tOV EtaIgmv ai BovZontvov ovvòratgi- Bev oò% eddòs ovveyrboei, ueéyos Av adiov tv doxruaciav zai tv xoioww mononta..... e ScHoL. PLaTt. Phaedr. 279° vol. VI p. 275 Hermann: g7oi yoòv è Tiuaros év ti} 9'(2)obrtw* ng 0- ot6viWmv Ò ov aòdrò tOv ventéomv ai BovZonerov cvvoòLatoiperv oùx eÙdÙS cvvermonoev, ahi Epn deîiv zai tas ovolas xovàs eîvar tOv Evrtvyyavovior. elta nera (1) Non altrimenti lamsr. $ 170, senza citare Timeo (ctr. fr. 78 Muell.). Con ciò era connesso, ancora, nell'esposizione di Timeo quanto segue a p. 393. (2). Il cod.: E": corr. Korns De Timaei vita ete. p. 35. Vedi in se- guito. 390 : AUGUSTO ROSTAGNI mozhd qpnor xaì dl Ezgivovs 1gOrov énIfvar zatà vi)v ° IraZiav bu xorvà tà T1OV pihov (1). Nè senza maggiori conseguenze. Poichè lo scoliaste plato- nico, il quale, citando, adopera, sul principio, le identiche pa- role ripetute da (Giamblico, mostra poi anche più chiaramente di tenere innanzi la citata opera di Timeo e di seguirne la di- posizione, con osservare che, fatto quel principio, esso scrittore “dopo molte altre cose , veniva al celebre motto intorno la comunione dei beni. E queste “ molte altre cose ,, d’innanzi a cui non manca di Impuntarsi per stupore o sospettosa diffidenza la buona lena di qualche critico più arcigno (‘ exspectes mer òkiya’ nota il Nauck p. Lix), parrà tutt'altro che temerario ri- conoscerle in Giamblico, quando a punto prima del xomwà rà piZwv egli interponga un'esposizione precisa e coerente sul for- marsi della Scuola, anzi sui varii gradi occupati dai discepoli S$ 72-4, 80. Ch'è oggetto assai discusso nella storia di Pitagora; ricco di elementi definiti, e pur discordanti a traverso le varie tradizioni. Rivendichiamo a Timeo questa che resulta una delle forme più compiute (2). Narra: consistendo la doxiuecie in un'acuta disamina del carattere individuale, chi era approvato conveniva tollerasse anzi tutto tre anni di dispregio e di indif- terenza, a provare la propria costanza e fermezza di proposito ; poi susseguivano cinque anni di silenzio; al nuovo discepolo non si concedeva di discutere: ascoltare soltanto, nè anche godere la vista del Maestro. E durante questo periodo era l'obbligo di accomunarevi proprî beni, consegnandoli ad alcuni compagni, per tale ufficio designati e detti z0Zerizoi od oixovomizoi ovvero anche vouoderzoi. Dopo i cinque anni di difficile prova, chi fosse respinto riaveva doppii i suoi beni — e nella Scuola una tomba stava ad indicare la sua morte spirituale —, chi rima- nesse era ammesso alla presenza del Maestro e all'attività diri- gente della consorteria col nome di éomregixis. E Pitagorici erano detti quelli soltanto che avevano parte attiva e comunione di beni, Pitagoristi i discepoli d'ordine inferiore, non in tutto (1) Il confronto è istituito dal Navcx nei Prolegomena alla sua edizione pp. vmi-1ix dove vedi quel che concerne la lezione 7ageoxevaguerp, (2) Vedansi i raffronti in ZeLLer 0. e. p. 316, 1. LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 301 partecipanti: tO» uèv 08v IHvdayogsior zoriv elvar ti)v odoiav diérafe ai tiv ovufimorr dua did mavtòs toùò yodvov drate- Aeîv, toùs dè Etégovs idias uèv xrnoes Eye [ExtAevoe], ov- viovias dè eis tadtò ovoyoRaterr dlAln}o1s. La Scuola tanto elettamente costituitasi sta per aver fine violenta. Qui Timeo, dopo essersi rappresentata l'apparizione di Pi- tagora in particolar modo sotto l’aspetto politico, trova agio di spiegare, coerente, il fenomeno della decadenza, insistendo sul carattere di aristocrazia, sulle tendenze oligarchiche, sulle fun- zioni da veri e proprii iniziati, onde i discepoli, non più che tre- cento, stretti da sacro vincolo, provocavano la folla popolana: ap. Laerr. Dio. VIII 1, 3 790gs roùòs roLazociovs dvres @xové- uovv dorotea tà Ioàitiza, Gore ogedòv dototozxoatiav eivat tiv mokitziov (1). Alle parole di Giustino interpretanti con fe- deltà il pensiero della fonte — sed CCC ex iuvenibus cum soda- liciù iure sacramento quodam nexi separatam a ceteris civibus vitam erercerent, quasi coetum clandestinae coniurationis haberent, civi- tatem in se converterunt — risponde, astraendo dalle ridondanze e dai colori drammatici, l'esposizione di Apollonio presso Giam- blico $$ 254 sgg., intorno ai prodromi della sommossa ed alla sommossa stessa. Poichè anche gli aneddoti grossolanamente inventati, anche le motivazioni ridicole e piccine di cui il fanta- sioso Tianeo non fa risparmio s’inspirano però a quell’àmbito d’idee; e, non di rado, una frase, un accenno rispecchia lo sfondo stesso voluto da Giustino: come il quadro dei trecento giovani, coalizzati in possente sodalizio ed usi a primeggiare, anche fuori della vita privata, e a tenersi discosti dai rimanenti cittadini — énea zai tov veaviozov bvimv éx TtOV év toîs délw- uao xaì taîs ovoiars rg0eg6viwr, ocvvéBave m900yovons ts MAzias ui) udvov aùrods Ev toîs idiors Bios momteverrn, dilà TtÒò zovij tiv m6liv oizovoueîv, ueydÀnv uèv Eétargeiav cvvaynogborr, Qoav yào drèo torazodgiovgs, uragòv dè uéoog tig m6hiews odor, tig ox év toîs aùroîs Èdeowv odò’ énrindevuaoiv éxgivors rtoAitevonEévns —, e come questo (1) Che provenga da Timeo è stato dimostrato sopra, con altre ragioni. . Ae e 392 AUGUSTO ROSTAGNI altro punto che traduce la clandestina coniuratio di Giustino : $ 260: zadarnaî t)v piridocopiav adròv cvvr@onociar dant- parve zatà tOòv molhov. Il tumulto è determinato, per quanto dimostrai dianzi, da un'occasione cospicua, dalla lotta di Crotone con Sibari. Nella quale Timeo, inteso a concatenare, a subordinare, ad intuire gli avvenimenti, ben vede una lotta di principii politici, tale che per natura faccia sentire l'influsso sulla Lega di Pitagora o, meglio, dalla Lega ripeta il proprio indirizzo (1). Telys, erettosi a tiranno in Sibari, espulse dalla città i capi dell’aristocrazia: che tosto, non ostante il contrario avviso del popolo. vennero accolti e protetti dal governo dei Pitagorici. aristocratico. Così Timeo presso Diodoro XII 9 (2). La vittoria di Crotone portò straordinario incremento alla potenza dei governanti — così presso ArHen. XII 522 « (fr. 82 Muell.) xaì Koormwridtar d’, e qnor Tinaros uerà rò #EeZeîv SvPagiras gEmzerhav es tgvpiv... — ed ebbe a suscitare più vivo il contrasto delle passioni po- polari. Pitagora — continua a riferire Apollonio -, Pitagora, il quale aveva consigliato di accogliere i profughi sibariti, si allon- tana da Crotone. Che durante la dolorosa vicenda il Maestro fosse assente, riconoscono, unanimi, le varie tradizioni, e solo discordano sul luogo della dimora : gli uni, come Nicomaco (presso lAmBL. $ 252), facendolo partire alla volta di Delo in cerca di Ferecide (3), gli altri, come Aristosseno e i più {cfr. lamBL. $ 251-2) condu- cendolo a Metaponto. — Fra questi ultimi si schiera anche Timeo: abbiamo, ad esempio, in Tusrin. |. c.: cum annos XX Crotone egisset, Metaupontum emigravit ; ibique decessit. Però convien fare una distinzione. Dal rendiconto di Giustino non risulta af- (1) Intorno a questi stessi avvenimenti vedasi il giudizio del Meykk (resch. d. Altert. 11 pp. 814 sg. (2) Eraclide Pontico, lo storico del Pitagoreismo, ér r@ regi dixaco- o6vns ap. Armes. XI, p. 521 f, narrava la caduta di Telys, complemento alla sconfitta campale e preparazione allo sterminio della città. — Sembra presumibile che a ciò fosse condotto dalla connessione con le vicende pi- tagoriche. (3) Così anche Apollodoro: cfr. Jacony Apoll. Chron. p. 218. eee — LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 393 . fatto che, venuto a Metaponto, Pitagora subito morisse, allo stesso modo che neanche risulta da Aristosseno presso JamBL. $249,15: dx74dev sis tò Meranbvitov, xdxei déyerar xaractgéwei tòv Biov; e a questa versione va contrapposta non assimilata quell'altra di Dicrarco presso PorpÙ. 57 e presso LaERt. Dios. VEI 1,40: arrivando a Metaponto il filosofo essersi rifugiato nel tempio delle Muse e, per quaranta giorni astenendosi dal cibo, esser perito. Era memoria infatti del soggiorno di Pitagora fra i Metapontini: varie leggende vi sì riferivano (cfr. Aristor. Fragm. 191 Rose); monumenti se ne conservavano; reputavasi avervi egli conchiuso la sua esistenza (1). A ciò pone mente Timeo, descrivendo la casa del filosofo, che i Metapontini fecero tempio di Demetra, e il vico, per lui denominato Museo: Iusrin. 1. c.: cuius | Pythagorae] tanta admi- ratio fuit ut ex domo eius templum facerent eumque pro deo cole- rent; IamBr. $ 170: roògs dè Merazoviivovs diù uvijuns Egovtas et tòv IHvdaybgav xai uetà toùs aùtoù yo6vovs tijv uèv oiziav aùroò Afuntoos isgòdv tedéocar, tòv dè otevowrnòv Movoeîov (2). La dimora in Metoponto rappresenta, a buon diritto, un nuovo ‘ultimo stadio nell’attività di Pitagora, tale da raggiungere. suc- cessivamente al ventenne periodo crotoniate, un'estensione di di- ciannove anni e da prodursi, per conseguenza, sino al 490 circa. Con che, lo storico siciliano teneva l'occhio ad altri indizi, validi, forniti pel termine approssimativo della morte da Senofane (fr. 7 Diels*) e da Eraclito (fr. 129 e cfr. fr. 40 Diels) designanti, intorno al 480-70, Pitagora quale una “personalità, ormai fa- mosa, di trapassato (3). Poichè, anzi, sulle aspre parole con le (1) Lico presso Porpn. 5 diceva Pitagora Metapontino. (2) La fonte è qui indicata da Porra. 4 T/uacos d icrogeè tv IHvda® yioov Fvyaréoa na) maodévov odoav fpyetodar tOv magdévov év Kodravi naì yvvaîna TtOV yuvarabv: tiv È oiziav Aruntgos isgòv morjoar tOds Koorovidras, tòv dè otevozòv sxadeîv Movoestov: dove per errore si parla di Crotoniati anzichè di Metapontini. E che sia errore, non diversa tra- dizione, dimostrano, oltre ai passi di Giustino e di Giamblico, Crorrone De finib. V 2, 4; Favorino presso Larrr. Droe. VII 1, 15 (cfr. anche Ronpr l. e. p. 28); nè a ciò contraddice il fatto che Timeo stesso ap. Iampr. $ 264 ricorda, per quanto vedremo, un Museo pitagorico in Crotone. (3) Senofane, da Timeo, è fatto vivere a tempo di Jerone (478-67): fr. 92 Mueller = CLem. Arex. Strom. I 64 p. 353 P. Su che v. Jacosy Apoll. 394 AUGUSTO ROSTAGNI quali il secondo discorse di Pitagora — le parole stesse di cui noi conosciamo qualcosa ap. Laerr. DioG. VIII 1,6 2Zv3ay60ns Mrnodogov ioroginv ijoxnoev Aavdobaor udhiota ndvior xaì exheSduevos tavtas tùS ovyyoagàs èrmoinoev Emviod cogpinv, nokvuadeinv, xazotegvinv — egli soffermavasi parecchio (1): e mentre ne profittava quasi di antico documento (nè anche tanto però, che credesse opportuno attenersi al nome del padre Mne- sarco ivi attestato) prendeva poi a ritorcerne le maligne affer- mazioni, negando, ciò che sembra essere stato più o meno ine- rente al concetto di Eraclito (Puironem. ZZegi $ntog.-col. 57: zarà tòv HodxAertov zoridov torìv doxnyòs (Ivday6gas| (2)), avere Pitagora introdotto “le arti retoriche ,; e denotando ciarlatano e vantatore Eraclito stesso, non il filosofo samio: così ap. ScHoL. Eurip. Hec. 134 (p. 26 Schwartz, I p. 254 Dindorf) Tiunarog obtws yodper bore xai paiveodai wi) tòv Ivdayboar eboduevov tOVv diNdIvov zoridov, undè tòv gp “HoaxAeitov zatnyogovuevov, GiR aùròv “HodxAertov eîvar tòv dAiafovevds- uevov (3). Evidentemente il giudizio eracliteo, quelle ovyyoagai (che ancor oggi si vorrebbero dai più espungere), quella xaxo- regvin, davano a credere a molti storici Pitagora inventore delle régvar 6ntogrzai o zorides. Timeo come assegna con ferma co- noscenza a Gorgia da Leontini tale atiributo (ap. Drop. XII 53 e fr. 95 Muell.), così combatte di lena l’assurda interpretazione, non senza in pari tempo rilevare quanto ingiusta sia stata per parte d'Eraclito l'accusa di dotta ciarlataneria, di furbesca osten- tazione, di frodolenta disciplina. Onde certa immagine si affaccia delle tendenze filosofiche, dal Maestro con serietà perseguite. E Timeo sa molto in buon Uhron. pp. 204 sgg. — Per le testimonianze v. ZeLuer Uedber die diltest. Zeugn. 2. Gesch. d. Pyth.* Sitzangsber. d. Berl. Akad. d. Wiss.” 1889 II pp. 985-96 (parim. * Kleine phil. Schrift. 1 (Berlin 1910) pp. 458-72). (1) Cfr. H. Diers Ein gefiilschtes Pythagorasbueh * Archiv fiir Gesch. d. Philos.” III (1890) pp. 454 sgg. Ì (2) Frammento illustrato da Tn. Gomprnz * Zeitschr. f. Ust. Gymn.* X (1866) p. 698 e ‘Rhein. Mus.” XXXII (1877) p. 476. (3) Uredo arbitraria la correzione del Diels rOr ègp° ‘HoaxAetrow xarn- pogovutvrov con cui egli vuole un contrapposto a r@r @Z73. xom.; molto meglio s'intende il testo tradizionale. Invece di e09gduerov è probabilmente da leggere col medesimo Diels d&gEdueror. LA VITA E L'OPERA DI PITAGORA SECONDO TIMEO 395 punto osservare che carattere precipuo della setta era: conce- dere ai soli iniziati il patrimonio scientifico, tramandandolo con serupoloso segreto, fuori da contatti estranei, non già diffondere i preziosi dettami (1). E sa rammemorare, ad esempio, che Em- pedocle fu escluso dalla Scuola per avere frodato e divulgato negli scritti la dottrina: ap. Laert. Droe. VII 2, 54 (fr. 81 Muell.): duovdoa. 0° aùròv | EunedoxZéa|] Hvday6gov Tiuarosg dà tig évdtns iotogei héyov du xatayvwodeis eri Aoyoxhonig tore... tOv Àidyov éxmibin uetégerv (2). Con questa immagine e con questi richiami, inspirati dalla vivace polemica, lo storico chiude il periodo della diretta in- fluenza di Pitagora. (1) È probabile che da Timeo provenga la lettera di Liside ad Ipparco, scritta tevì érirArtor, meradidovir tOV Adyov toùs averodutors va) dvev uadnudrov zaò Fempias Er1pvouevos, e riportata da lampi. $ 75 frammezzo all’esposizione dei gradi e delle norme della Scuola che già a Timeo fa- cemmo risalire. Trovasi, in parte, anche ap. Laerr. Dro. VIII 1, 42. — A questo risultato giunge pure, con speciale indagine. A. DeLarte, La lettre de Lysis à Hipparque “ Rev. de Phil. , 1911 pp. 255 sgg. (2) E ad Empedocle Timeo riserbava l'accusa stessa dalla quale difese Pitagora: @Aafova naì piAavtov: fr. 88 Muell. ap. Laert. Droe, VIII 2, 66. — Ben s'intende che le relazioni di Empedocle con Pitagora, supposte da Timeo, richiedono poi speciale indagine. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. eni into HS risi cu mertet | dite pit SEMINA rog der imbottiti ceti 1 aridi pira POnohy stated i ded ioni mazdopi, neggorte, Gb ché in 83 MEET VA CRE OLIO alibi rasta PENARE Ata Pe o sat ati iBemer etiopi o birinio Sojpotde 07 j dv uns P'ibagggap'si rat note la «rh; rotorichanopagi 4 > intiniuuoDAvantatsnt Creta a san, fot agito Kun pra A ta IDO ka gu Pl TRA, 20. Sete] pi. 264 hr Pl fe GRIP 1 TANI Aiino WIM la avro i‘ ERPIIRIO ULTI IRENE catia poeredì E sifo ssgarato 1A dn o dd) POTITO cofattori Te nti. ib el Mat: lat Là al TI V/ gray MELUZI Pe SARRI SALME LULA ò i RIT Ap (a WA scipi valn Sale MA! gr ‘vigna i (PO, VD RI he gg LIO AR Ain» Ù MAT densa nr ati aa La deals e atora | ROL AI VA pel Dr ib, dita CATE sep pio pabig, i dae pain safe ra MR BT prc, gennaio; dla oa, tt I AIA piioeda oli he 4a gini nua basa fo di uraniito 1 &pcusn dv i060taà cinvlatmornin, di nigra Lo FIDI riu frodolegie “| # î da Î RETTO 2.11 i nad Mancia delle toylanze 9 ehi DIA ISIMMO ®, IRON lagignd s IT IMuen pen ky amanti ut0an si n st Aron. pi deri t è Las] agire 4 i A i Phpi dra h rante) id Devi Ant 1, Win ET MNT PRPIATT luo ;ri Liz! » foresta IMOLA. -P Fi : \ f HM. in } imille, a Tipheggriahorh ' A v See] pit LNUTI ’ è Y 9 t ) br LU TP04 dh ji ipa). i PL, Nun.” AZZ GIRI 641) (n); rr tag apcogtatin Ort 'INbig Lé to aos id) sa cad agli wai, ‘ rami appesi. o CARO nia sa ;ii i Vama ? jbuate Mabonq rosvap preheo RIPETTA a USI ‘1 397 PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI ogg L'Accademia Reale delle Scienze di Torino conferirà nel 1914 un premio di fondazione Gautieri all'opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle pubblicate negli anni 1911-1913. Il premio sarà di L.1900, e sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa però non farà restituzione delle opere ricevute. — — —__ —= ——acq————_———_—@@m@mm- b 141 danilo» onto! ib oxasio? alleb oluotiaimobandiAi chi nt? ntatiat ib atogo'Ia inoiiunt ancisabnot ib a ovilygiat. stavibuig sis odo \strerottol csoitin) hi dine ott 1 SEIRI-TTRP ion ifaom osavilddog al indivi i jenfoss) osaitati g10Î18 ha ofangosze Fia è, miaqu 199 9 (alimabasnA "Toh itaobizor a0n è idnobteo FIANO sonnilati. at 50 «ssilddog oro sllue rimasidoni otnatohisob edo, oto i agg catsonp a sfintvmni otoezag itrohannA*Hoh ncoisnetta E afivenit stogo alleb. sunisniideoi Arat vo dI Uan e e —____ CN °oO >» vee CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Gennaio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Vice-Presidente CameRrANO, ed i Soci Naccari, Direttore della Classe, SALvapoRI, D’'OvipIio, GuARE- scHi, Guipi, FrLeti, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, e SEGRE Segretario. — Scusa l'assenza il Socio Fusari. Si legge e si approva il verbale della precedente adunanza. Il Presidente comunica i ringraziamenti dei Professori SILvA e Tamassia pel premio Gautieri, a loro conferito, e quelli dei Comm. Fiorini a cui fu assegnato il premio Bressa. Il Socio Guipr offre in omaggio, a nome dell'Autore, due opuscoli del Prof. M. PanErTI, Le prove dei motori leggeri nel laboratorio di Aeronautica del R. Politecnico di ‘l'orino, e Note illustrative sui calcoli delle costruzioni stabili alle azioni sismiche. Vengono presentate, per la pubblicazione negli Atti, le seguenti Note: . I GuarescHI, Sulla ricerca dei gas e dei vapori bromurati, Nota VII. Atti dellu R. Accademia. — Vol. XLIX. 26 gie «è >» A n ft e O > e eo ac va "> o 3 Mio E. Gasranpi, Cenni bilie occie della ( dal Socio PARONA. S. Dezani, Ricerche sulla tossicità del succo semi germinanti, dal Socio MatTIROLO. T. SaLvapori, Intorno ad un lavoro ornitologico del Carlo Luciano Bonaparte. = i Le LARVA 8 BHOITAMITAM .,MBDICIA ANVBI i lob asnanobA î Ve 331 AS#AC0ISAR4 Ù "i (TA risa 11238 ha è Ù "a n! i TA: q. 7 i3inosotg _ ON È P°: SP PEER TÀ BIIAD yiottoni( 10 ADD 3 MO vd 4 ar audi gio Di 05 { ReGoees Ì SERUDT oivatongol bassa alto! .d10v li avo1gga ia o ogzol ie lo14 jab rigomaisnitaari i a0inumo09 sinobison900i o : i ifuat oi 1919 at: AISRA a | : vici USI : ' l Ì ira n «mol. È Off 2 .0FRRINIOTO | Hi sanre) ie : bd az . a © x LISTA mi L'LTINRI M doni lob ifonai : ] d P : : ino bb poi Ì d . z È = VRM EROS A Mesi î î è) HADOTIL f ‘0 5904 rad ( e : i n | | PE : DI » ato M ite ” Vw db i sie Inmeuta Do Ab ». avi A 1 ICILIO GUARESCHI — SULLA RICERCA DEI GAS, ECC. 401 LETTURE Sulla ricerca dei gas e dei vapori bromurati. Nota VII del Socio I. GUARESCHI Questa nota può essere riguardata anch’essa come una continuazione dei miei studi intorno al bromo ed ai bromuri. Applico la mia reazione, cioè la colorazione violetta o azzurra che si ottiene per l’azione del bromo sulla fucsina decolorata coll’acido solforoso oppure sul violetto d’Hofmann pure decolo- rato, alla ricerca ossia al riconoscimento, di piccole quantità di gas o di vapori bromurati. Questo studio può avere importanza anche per la ricerca chimica-tossicologica di anestetici bromu- rati, in casi di avvelenamento. Riconoscimento di gas e di vapori bromurati. Il metodo di Beilstein per riconoscere gli alogeni mediante la colorazione della fiamma con un pezzetto di ossido di rame sul quale sta una traccia di sostanza alogenata, non serve per di- stinguere i tre alogeni perchè il colore della fiamma è verde- azzurro tanto col clore come col bromo e col jodo. Dunque in questa maniera non sì potrebbe riconoscere il bromo. Trattan- dosi poi di corpi gasosi o in vapore, ed in piccolissima quan- ‘ tità, il metodo non potrebbe servire. Quando si dovesse esaminare un gas o vapore misto con piccole quantità di un altro gas o vapore bromurato per ritro- vare quest’ultimo, cioè per svelarvi il bromo, il procedimento, coi metodi conosciuti, sarebbe molto lungo, non sempre facile e talora non si riescirebbe. È noto che nel caso della ricerca 4092 ICILIO GUARESCHI del cloroformio o di altro anestetico clorurato nell'aria espi- rata, bisogna far passare l’aria attraverso un lungo tubo scal- dato contenente calce viva purissima mista a carbonato sodico secco, oppure attraverso un tubo contenente pezzetti di porcel- lana scaldati al rosso. Per quantità piccolissime questi proce- dimenti sono lunghi e non sempre con risultati sicuri, tanto più se trattasi di traccie di gas o vapori bromurati. Anche col far passare attraverso al liquido in cui trovasi la sostanza da esaminare una corrente di idrogeno e la fiamma dell’idrogeno farla incontrare su una rete di rame metallico (reazione di Beilstein-Vitali pel cloroformio) in questo caso non serve perchè non si potrebbe distinguere quale sia l’alogeno. Io invece colla mia reazione del bromo ed applicando l’azione ossidante dell’acido cromico concentratissimo, e, vo- lendo, anche a caldo, ho ottenuto ottimi risultati. Si fa pas- sare l’aria, mista a piccole quantità di gas o vapori bromu- rati, attraverso una soluzione satura di acido cromico, meglio se insieme a cristallini d’acido cromico, contenuta in un tubo a bolle detto di Mitscherlich e tenuta verso 100° in un b. m. di vetro. Per molti gas o vapori basta la soluzione di acido eromico al 75 °/, ed anche a temperatura ordinaria. Fa seguito al tubo a bolle un secondo tubo vuoto, per trattenere l'umidità e l’acqua che si elimina dal primo tubo, poi il gas passa in un tubetto ove è la carta imbevuta col reattivo. Con un aspiratore si fa passare una regolare corrente d’aria. Non conoscendosi il gas o vapore che si ricerca è bene far passare l’aria quando il tubo ad acido cromico è ben caldo. Se si deve esaminare dell’aria o un liquido quale l’urina, il latte, il sangue, ecc., attraverso a questi si fa passare la corrente d’aria. La figura seguente rappresenta l’apparecchietto necessario in queste ricerche: D è il matraccio od altro recipiente ove è l’aria o il liquido da esaminarsi; C un tubo di Mitscherlich contenente la soluzione cromica satura, circa 10 cm'; B un tubo vuoto, semplice o doppio (o un secondo tubo Mitscherlich vuoto) per trattenere la maggior parte dell’acqua trascinata dall'aria; A un tubetto colla cartina inumidita col mio reattivo fuesinico; la cartina deve entrare sino entro la strozzatura del tubo. In A sì applica un aspiratore. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 403 Si fa passare prima per alcuni minuti attraverso l’appa- recchio una corrente di aria pura per verificare che non vi sia traccia di bromo; in tal modo il reattivo si concentra anche di più e nella parte destra del tubo rimane dell'acido eromico quasi secco e caldo aderente alla parete; qualunque gas o va- pore bromurato difficilmente attaccato dall’acido cromico, come ad esempio il bromuro di metile, il bromuro di etile ecc. che sono fra i più resistenti, rimangono ossidati mettendosi in li- bertà il bromo. Per taluni composti bromurati, quale il bromuro di cianogeno, non vi è nemmeno bisogno di scaldare il tubo contenente l’acido cromico. Cc D Io ho esperimentato con piccole quantità di gas o vapori bromurati delle sostanze le più diverse ed ho sempre ottenuto ottimi risultati: tali sono ad esempio le miscele di traccie di vapori di bromo libero con molto gas cloro e vapori di jodo, con cloroformio e poco bromoformio, bromuri alcolici diversi, bromuro di etilene e di trimetiletilene, di clorobrommetano, ece. Anche i vapori di bromobenzene, di monobromodifenile, di bromonaftalina, di clorobromonaftalina, ecc. misti con grande quantità di aria danno subito la reazione. Anzi i vapori di idrocarburi bromurati aromatici, cioè a doppi legami, sono bru- ciati meglio dall’acido cromico che non i derivati saturi alifa- tici quali il bromuro di metile, il bromuro di etile, ecc. Gas cloro con vapori di jodo e traccie di bromo. — Se si fa passare l’aria che contenga un miscuglio gasoso di cloro, di jodo e di pochissimo bromo, attraverso all’acido ero- = CT 404 ICILIO GUARESCHI mico (nel qual caso non ve ne sarebbe veramente bisogno) la reazione del bromo sulla carta bagnata col mio reattivo si o0s- serva benissimo. In alcune esperienze, ad esempio, mescolai 0,0020 gr. di bromuro di potassio con 0,0110 gr. di joduro po- tassico entro un largo matraccio di circa 1,5 litri, poi vi ag- giunsi 3 cm? di acqua di cloro; si ebbe intensissima la reazione del bromo; come si ebbe intensa anche con solamente 0,0010 di bromuro potassico. In altro modo mi parrebbe impossibile ri- conoscere così poco bromo misto a tanta aria, con cloro e jodo. Bromuro di cianogeno CNBr. — Il bromuro di ciano- geno è una sostanza velenosissima che anche a temperatura ordinaria si trasforma in aeriforme. In piccolissima quantità misto a moltissima aria si può riconoscere facilmente colla mia reazione. Gr. 0.0018 di UNBr furono mescolati con 1500 cm di aria, la quale mediante un aspiratore fu poi fatta passare attraverso l'acido cromico. Dopo pochi minuti si manifestò nettamente il bromo, che colorò in violetto la cartina inumidita col mio re- attivo. Gr. 0.0008 di bromuro di cianogeno in 5-6 litri di aria, diedero nettamente la reazione del bromo dopo 6-8 minuti, & temperatura ordinaria. In un altro esperimento 0.0016 di CNBr in un largo matraccio del contenuto di 10 litri d’aria, diedero dopo 3-4 minuti la reazione del bromo; si ebbe ancora indizio netto del bromo con gr. 0.0004 di bromuro di cianogeno in 10 litri di aria, dopo 10 minuti; la sensibilità in questo caso sarebbe di circa 1:32000. i Il metodo è dunque di una grande sensibilità. Per mezzo «dei sali d’argento mi pare improbabile che si possano identifi- care delle così piccole quantità di bromo combinato. Gr. 0.0034 di bromuro di cianogeno furono mescolati con 60 em3 di latte, poi attraverso al liquido fu fatta passare una corrente d'aria; dopo pochi minuti si ebbe visibilissima la rea- zione del bromo. Anche con un latte molto inacidito, gr. 0.002 di CNBr in 50 em3 danno intensa la reazione. Così pure mescolando gr. 0.0015 di bromuro di cianogeno con 80 em' di acqua e poi facendovi passare una corrente d'aria si ha subito la reazione del bromo. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 405 Invece mescolando gr. 0.0027 di CNBr con 80 cm? di sangue e facendovi passare una corrente d’aria non si riuscì anche dopo 10 minuti ad avere la reazione del bromo. Il bromuro di cianogeno in presenza dell’acqua non è joniz- zato; nel maggior numero delle sue reazioni però si comporta come CN’ + Br'; ma può anche riguardarsi come C = N.Br o meglio C = N.Br. Comunque sia, in presenza dell’acido cromico si idrolizza e dà ammoniaca, ossido di cromo, acido carbonico e bromo libero. Sangue e bromuro di cianogeno. — Pare che il sangue impedisca, ostacoli, il ritrovamento del bromo nel bromuro di cianogeno; questo composto è velenosissimo ed ha odore acuto; perde quest’odore quando è mescolato col sangue. Gr. 10 di sangue di cavia furono mescolati con 40 cm? di acqua e gr. 0.004 di CN.Br, operando poi come al solito; non si ebbe indizio nem- meno di traccie di bromo. In un’altra esperienza con 25 cm? di sangue e gr. 0.008 di bromuro di cianogeno, non fu possibile ritrovare il bromo col metodo sovraindicato. Nemmeno quando il sangue era aci- dulato con acido tartarico. Invece nelle stesse condizioni gr. 0.0018 di CN.Br sono ancora riconoscibili quando siano mescolati a 25 em? di latte; dopo 3-4 minuti si nota la reazione intensissima. Mi venne il dubbio che questo risultato negativo fornito dal sangue misto col bromuro di cianogeno dipendesse dall’alca- linità del sangue; ma ciò non è, perchè facendo una soluzione, anche molto diluita, di fosfato e carbonato sodico, e aggiun- gendovi gr. 0.0043 di CNBr dopo 4 minuti comincia a sve- larsi il bromo, il quale colora intensamente due o tre cartine reattive. Emoglobina e bromuro di cianogeno. -— Ho voluto ve- dere come si comportava la così detta ossiemoglobina fornita dalle fabbriche di prodotti chimici. Mescolai gr. 0.10 di ossie- moglobina fornitemi da una delle migliori fabbriche di prodotti chimici tedesche, con 50 cm di acqua e gr. 0.0032 di CNBr; dopo 1-2 minuti si ebbe evidentissima la reazione del bromo. 406 ICILIO GUARESCHI Siero di sangue e bromuro di cianogeno. — Non ho potuto fare l’esperienza di mescolare il bromuro di cianogeno con siero puro di sangue, privo affatto di globuli. Bromuro di cianogeno e bianco d’uovo. — Quando si agita il bianco d'uovo con bromuro di cianogeno l’odore di questo scompare. A gr. 26 di bianco d'uovo mescolai gr. 0.0017 di CNBr, feci passare una corrente d’aria; non si ebbe indizio e nemmeno traccia di bromuro di cianogeno. In un’altra esperienza aggiunsi ad un bianco d’uovo (19 gr.) gr. 0.0054 di bromuro di cianogeno, anche in questo caso l’odore scomparve e non si ebbe traccia di bromo sviluppato. Ripetei l’esperienza con un altro bianco d’uovo (gr. 25) e gr. 0.0053 di bromuro di cianogeno; si esaminò dopo 15 mi- nuti e non si riuscì ad avere la reazione nemmeno dopo 10 mi- nuti dacchè passava la corrente d’aria. Di confronto e nelle stesse condizioni furono mescolati gr. 0.005 di bromuro di cia- nogeno a 50 em? di latte, si esaminò dopo un quarto d’ora e subito si ebbe la bella reazione del bromo, già nettissima e intensa dopo due minuti. Interrotta la corrente d’aria e lasciato a sè lo stesso latte per 18 ore non diede più la reazione del bromuro di cianogeno. Dunque l’albume d'uovo impedisce il riconoscimento di quantità, anche rilevanti, di bromuro di cianogeno. Probabil- mente il bromuro di cianogeno forma un composto di addizione con gruppi aminici contenuti nella moleola albuminoide, come fa anche il cianogeno (1). Estratto di carne e bromuro di cianogeno. — Ho voluto vedere se l’estratto di carne, il quale è ricco di sostanze or- ganiche basiche, impediva il riconoscimento del bromuro di cianogeno, come era prevedibile dopo quanto ho esposto. A gr. 7-8 di estratto di carne sciolto in acqua sino a 50 em* aggiunsi gr. 0.0130 di bromuro di cianogeno; dopo pochi mi- nuti l'odore era scomparso e facendovi passare l’aria nel mio apparecchio, dopo un quarto d’ora dava lievissima la reazione (1) O, Loew, Veber die Himwvirkung des Cyans auf Albumin, “ Journ. pr. Chem. ,, 1877, t. 16, p. 60. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 407 del bromo, non la dava più dopo circa tre quarti d’ora che il bromuro di cianogeno era in contatto coll’estratto di carne: ri- petei l’esperienza con quantità diverse di bromuro di cianogeno ma non si potè svelare dopo che era stato aggiunto da mezz'ora. Dunque alcuni componenti la carne impediscono la reazione data dal bromuro di cianogeno allo stato gasoso: questo si fissa o si decompone. Si sa che il bromuro di cianogeno reagisce colle amine. Bromuro di cianogeno e urina. — (Quando si aggiunge il bromuro di cianogeno all’urina, a poco a poco il suo odore acuto scompare, ma‘ saggiando col mio metodo lo si riconosce. Però se sì lascia a sè l’urina col bromuro di cianogeno, ad esempio durante 16 ore, ed anche meno, il bromuro non si svela più. Il vino impedisce meno o quasi nulla la ricerca del bro- muro di cianogeno. Gr. 0.006 di CNBr aggiunti a 50 cm? di vino, lasciata a sè la miscela per 15 minuti, diedero subito la reazione del bromo; anche dopo 5 ore gr. 0.0058 di CNBr in 50 cm di vino si riconobbero benissimo. Bromuro di cianogeno misto a joduro di cianogeno. — La presenza del joduro di cianogeno non impedisce la rea- zione del bromuro. In una mescolanza di gr. 0.002 di bromuro di cianogeno con 0.269 di joduro di cianogeno contenuta in un matraccio di 1500 cm? si fece passare una corrente d’aria. Dopo pochi minuti, può dirsi subito, s’ebbe la reazione del bromo. Operando nello stesso modo ho potuto svelare il bromo in molte sostanze bromurate anche molto stabili. Bromuro di metile. — Gr. 0.0019 di bromuro di me- tile, bollente a + 4°.5, in un matraccio di 1500 cm, diedero la reazione del bromo dopo dieci minuti. La corrente d’aria era regolare. Il bromuro di metile è intaccato non facilmente dal- l’acido cromico, ma colla soluzione satura e calda si riesce bene. Una gocciolina piccolissima di bromuro di metile in 25 cm? di urina diede nettamente la reazione. Anche il bromuro di metilene CH?Br? (benchè bollente a 98°) misto in piccola quantità con molt’aria dà nettamente la rea- zione. CAO ARE 408 ICILIO GUARESCHI Bromuro di butilene C*4H*Br®. — Anche il bromuro di butilene nella quantità di gr. 0.0015 in 1500 em8 di aria dà, a temperatura ordinaria, dopo 1-2 minuti, intensa la reazione del bromo. Così pure dà bene la reazione una traccia di bromuro di trimetiletilene (CH*)*.CBr mista con molt'aria, Egualmente il bro- CH*.CHBr muro di etilene. In questi e in altri casi di sostanze bromurate volatili a temperatura elevata sarà bene scaldare alquanto il matraccio; oppure usare un matraccio più piccolo. Bromuro di etile C*H°Br. — Bastano delle minime traccie di questo corpo, che ha importanza in tossicologia, miste anche a moltissima aria, per dare la reazione del bromo. Gr. 0.0005 in 1500 em? di aria sono ancora facilmente sve- labili. Bromuro di etile misto a joduro di etile ed a joduro di metile. — Il bromuro di etile può essere svelato anche quando trovasi mescolato a molto joduro di etile o anche joduro di metile. Gr. 0.0046 di bromuro di etile (bollente a 38.5) furono mesco- lati con gr. 0.150 di joduro di metile (bollente 43°44°); dopo 7-8 minuti cominciò a manifestarsi il bromo e la reazione di questo fu nettissima; nessun indizio della presenza del jodo. Il joduro di metile si ossida pure completamente dando anidride carbonica e probabilmente dell'acido jodico, perchè durante la corrente d’aria non si ha indizio di jodo colla salda d'amido se non quando il joduro è in grandissima quantità, forse la reazione ha luogo secondo: CHSI + 4Cr05 = CO? | HIO* + H?0 + 20r203. Dunque anche un grande eccesso di joduro alcolico non impedisce di riconoscere il bromuro alcolico. Io non so se in altro modo si potrebbe svelare una così piccola quantità di bro- muro etilico mescolato a tanto joduro. Con gr. 0.0045 di bro- muro etilico in 0.050 gr. di joduro metilico la reazione del bromo si fa straordinariamente intensa appena dopo due minuti dacchè è cominciato il passaggio dell’aria attraverso al reattivo. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 409 Diclorbrommetano CHC1?Br. — Gr. 0.0062 di diclor- brommetano bollente a 89°, misti a 1500 cm? di aria danno dopo 7-8 minuti nettissima la reazione del bromo. Anche con quantità minore si può avere la reazione. Bromalioidrato. -- Grammi 0.0021 di bromalioidrato CBr3.CH(0H)? misti con 0.0150 di cloralioidrato in un pallone scaldato a bh. m. diedero, benchè lentamente, la reazione del bromo. Bromoformio. — Gr. 0.0042 di bromoformio in 1500 cm di aria, dopo 7 ad 8 minuti già a temp. ordinaria danno benis- simo la reazione. Gr. 0.003 di bromoformio misti con 0.015 di cloroformio in 1500 cm di aria danno dopo 7-8 minuti nettissima la re- azione. In un’altra esperienza gr. 0.0022 di bromoformio furono posti in un matraccio della capacità di 1500 cm? e dopo 2-3 mi- nuti dacchè passava la corrente d’aria, anche senza scaldare, si ebbe ben netta la reazione del bromo. Con gr. 0.0010 di bromoformio si osserva ancora la reazione benchè molto debole. Bromuro di boro BBrì. — Questo composto bolle a 90° e manda fumi all’aria. Gr. 0.0021 di tribromuro, in 1500 em? di aria, dopo circa mezzo minuto dà intensa la reazione del bromo, già a tempe- ratura ordinaria. Bromuro di jodo IBr. — Era in bei cristallini che a tem- peratura ordinaria davano lievemente la reazione .del bromo col mio reattivo, ma a caldo si scorgeva subito la dissociazione anche con traccie di sostanza; il bromo naturalmente si elimina prima del jodo e dà subito la reazione azzurro-violetta. Gr. 0.0027 di IBr furono posti in matraccio con 1500 em di aria, facendo passare con l’aspiratore la corrente d’aria; poco dopo già a temperatura ordinaria o meglio scaldando al b. m. si ha intensissima la reazione del bromo, dopo 4 o 5 minuti. To credo che in altro modo sarebbe impossibile svelare in presenza di tanta aria una così piccola quantità di bromuro di jodo. ET) CAO a TA 410 ICILIO GUARESCHI Bromobenzene C*H°Br. — Bolle a 1550. Si introdussero gr. 0.0038 di bromobenzene in 1500 cm8 di aria, poi facendo funzionare l’aspiratore si fece gorgogliare l’aria attraverso al- l'acido cromico (anche la soluzione cromica al 75° può ser- vire): dopo 5-6 minuti la carta reattiva si colorò intensamente in violetto. Quantità anche minori sono svelate. Gr. 0.0044 di bromobenzene misti con gr. 0.0096 di cloro- benzene in 1500 em? di aria diedero, dopo 3-4 minuti, la rea- zione, che era marcatissima, ancora dopo 8 o 10 minuti. a Bromonaftalina (C'°H"Br. -- Gr. 0.0031 di questa so- stanza, bollente a 280°, in 1500 em? di aria danno, già a tem- peratura ordinaria, la reazione; dopo 10 minuti la reazione è intensissima. Gr. 0.0032 di a monobromonaftalina mescolati con 0.0105 di monocloronaftalina, in 1500 em? di aria, e scaldando un poco il matraccio, danno netta la reazione del bromo. Dunque anche in questo caso la presenza di grande quantità di composto clo- rurato non impedisce la reazione del bromo. Ed invero la: Clorobromonaftalina ('°HC]Br. — Fusibile a 68°; dà net- tamente la reazione anche nella proporzione di gr. 0.0020 in 1500 em? di aria. Dopo 5-6 minuti la reazione è intensa. Anche il monobromodifenile, scaldando, dà benissimo, e subito, la reazione. Tribromofenolo. — Il tribromofenolo si ossida assai fa- cilmente coll’acido cromico e dà subito la reazione del bromo. Gr. 0.0025 di tribromofenolo in circa 2000 em8 di aria e scal- dando leggermente, diedero, dopo 5-6 minuti, intensissima la reazione, Monobromocanfora. — Una traccia minima di bromocan- fora fusibile a 76°, scaldata entro matraccio, diede quasi subito la reazione del bromo. Coi vapori di tribromoanilina e di ortobromonitrobenzene sì ha pure, subito, la reazione del bromo. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 411. IT Applicazioni alla ricerca chimico-tossicologica di gas e vapori bromurati. Questo mio metodo per la ricerca di gas o vapori bromu- rati può essere utilizzato per la ricerca chimico-tossicologica di alcuni narcotici a base di bromo, quali: il bromuro di metile, il bromuro di etile, il bromoformio, ecc. Nei trattati di chimica tossicologica si trovano poche no- tizie (o non se ne trovano affatto (1)) intorno alla ricerca chi- mica dei gas o vapori bromurati e distinguerli dai composti analoghi clorurati e jodurati. La reazione coll’ossido di rame, di Beilstein, ci potrà dire in certi casi se vi è un alogeno o no, . ma per piccole quantità specialmente, è difficile, quasi impos- sibile dal colore della fiamma, decidere di quale alogeno si tratti. La mia reazione per la ricerca del bromo può essere appli- cata quando sia necessario distinguere certi composti bromurati dai corrispondenti derivati clorurati o jodurati, come ad esempio 1 vapori di bromoformio da quelli del cloroformio, il bromuro di etile dal cloruro o joduro di etile, il bromuro di cianogeno dal cloruro di cianogeno, ecc.; oppure distinguerli quando siano mescolati. I metodi di Schmiedeberg, di Ludwig, di Vitali e Tornani, scrivono Baumert e Dennstedt (2) per il cloroformio, danno gli stessi risultati col bromoformio. Il prof. Vitali ha indicato un metodo per riconoscere il bromoformio (3), ma non so se possa servire per piccolissime quantità. Il mio metodo sovradescritto offre il vantaggio di decidere subito se vi sono o no derivati bromurati volatili. Ricorderò qui alcune esperienze che ho fatto con il più importante ane- stetico bromurato, cioè il bromuro di etile. (1) L’AurenrIETa nel suo Die Auffindung d. Gifte u. stark wirkender Arzneistoffe, 1909, non ricorda nessun derivato bromurato. (2) Baumerr e DennsreDT, Lehrb. d. Gericht. Chem., 1907, pag. 280. (3) “ Supplemento Annuale all’Encicl. di Chim. ,, 1906, t. XXII, pag. 11. 412 ICILIO GUARESCHI Bromuro di etile. — La ricerca di piccole quantità di bromuro d’etile è operazione tutt'altro che facile. La reazione di Beilstein per riconoscere gli alogeni modificata anche dal Vitali, come già dissi, non può con sicurezza servire, perchè i tre alogeni sì comportano pressochè nello stesso modo. Il bro- muro di etile, scrive anche Gadamer nel suo Lehrb. d. Chem. Torikologie, 1909, pag. 291, non ha reazioni caratteristiche. B. Fischer (1) in un caso di morte di una signora per nar- così con bromuro di etile, per ricercare questa sostanza ha do- vuto far passare una corrente d’aria attraverso gli organi e l'aria attraverso un tubo rovente (secondo il metodo di Ludwig pel cloroformio) e poi in nitrato d’argento per avere il bro- muro d’argento (2); il precipitato fuso con carbonato sodico- potassico, poi la soluzione del prodotto acidulata con acido sol- forico, fa decomposta con acido nitrico fumante ed estratta con cloroformio per riconoscere il bromo. In alcuni organi trovò il bromo, in altri no. Come si scorge, è un processo lungo che richiede molte ope- razioni e che per piccolissime quantità di C?H°Br molto proba- bilmente darebbe risultati incerti o negativi. Rabuteau (3) ricerca il bromuro di etile nelle urine facen- dovi passare attraverso una corrente d’aria e poi questa per un tubo di porcellana scaldato al rosso e contenente della calce viva. Naturalmente, si forma del bromuro di calcio. Ma anche questo procedimento è tutt'altro che semplice, quando si tratti di traccie di bromuro d'’etile. Perciò ho voluto vedere se il mio metodo poteva servire a svelare in breve tempo delle piccole quantità di bromuro d’etile in animali narcotizzati con questo composto. Una cavia del peso di 325 gr. fu narcotizzata con bromuro di etile; circa 20 gr. di sangue esaminati dopo poco tempo die- dero in 4 minuti benissimo la reazione del bromo, e colora- (1) Ricordato da Baumert e DennsreDT, loc. cit., pag. 281. (2) L'operazione a questo punto sarebbe abbreviata se avuto il piccolo precipitato supposto di bromuro d’argento si saggiasse col mio metodo, cioè riscaldando con soluzione satura di acido ceromico; il bromo sviluppato sarebbe riconoscibile col mio reattivo. (3) Ranureav, Comptes Rendus, 1876, t. 83, pag. 1295. SULLA RICERCA DEI GAS E DEI VAPORI BROMURATI 413 rono intensamente due cartine. Gli organi sanguigni del mede- simo animale ridotti in poltiglia con acqua diedero in 2-3 minuti la reazione del bromo. Dopo circa 6 ore si esperimentò ancora sul sangue, che da rosso scuro si era fatto di color rosso vivo, e dopo 6-7 minuti diede ancora la reazione del bromo benchè lievemente. Il giorno dopo, cioè dopo 24 ore, fatta una poltiglia del cervello dello stesso animale, con poca acqua, dopo 3-4 mi- nuti si ebbe nettissima la reazione del bromo. Meglio se sì scalda un poco con lampada ad alcool. Dopo 24 ore fu esaminata anche la vescica piena di urina e anche questa dopo 3-4 minuti diede la reazione del bromo. Esperienze analoghe ho fatto col bromoformio. Si mescolarono intimamente 26 gr. di cuore di bue con 50 em? di acqua, con poco acido tartarico e gr. 0.0082 di bro- moformio ; subito, facendo passare l’aria attraverso l’apparecchio, si ebbe intensissima la reazione del bromo; meglio però è ri- scaldare moderatamente il palloncino. Un miscuglio intimo di gr. 22 di fegato di maiale con 150 cm? di acqua e 0.0015 di bromoformio, dopo 1-2 minuti, diedero evidentissima la reazione del bromo. In brevissimo tempo si può dunque riconoscere se la nar- cosi ha avuto luogo per mezzo di un composto bromurato. Avvelenamento col bromuro di cianogeno. — Avendo osservato che il bromuro di cianogeno CNBr in presenza del sangue oppure del bianco d’uovo, non si riconosce più mediante una corrente d’aria ed il mio reattivo, ho voluto esaminare la questione: se era riconoscibile in caso d'avvelenamento. Una cavia del peso di circa 300 gr. fu posta sotto campana di vetro nella quale avevo introdotto gr. 0.029 di CNBr in cristallini. L'animale diede quasi subito segni di agitazione, lacrimazione pronta e abbondante, difficoltà di respiro, ecc.; dopo circa 25 mi- nuti morì. Dopo quattro ore furono esaminati tutti i visceri, acidulati con acido tartarico, ece., ma non fu possibile ricono- scere la presenza del bromuro di cianogeno. Visto che dalla poltiglia sanguigna contenente il fegato, i polmoni, il cuore, l’urina, ecc. non si aveva la reazione del bro- muro di cianogeno, ne aggiunsi appositamente di questo gr. 0.0091 (quantità relativamente enorme per essere svelata in altre con- 414 ICILIO GUARESCHI — SULLA RICERCA DEI GAS, ECC. dizioni), agitai bene e m'accorsi che l'odore acuto del bromuro di cianogeno era scomparso; non riuscii ad ottenere colla cor- rente gasosa nessun indizio di bromo. Invece, quale esperienza di confronto, aggiunsi ailo stesso liquido una minima traccia di bromuro di etile e questo si svelò dopo nemmeno due minuti, con reazione intensissima di bromo. Danque in queste condizioni molto probabilmente il bro- muro di cianogeno, che agisce analogamente al cloruro e joduro di cianogeno, è decomposto entro l'organismo in acido cianidrico (che non ho ricercato) e bromuro, oppure forma un composto stabile con qualcuno dei corpi numerosi che trovansi nell'orga- nismo stesso; probabilmente viene assorbito dalle materie albu- minoidi. Non ho più fatto altre esperienze in proposito. Concludendo, si può affermare che qualunque composto bro- murato gasoso o in vapore e misto anche a moltissima aria, ed anche in presenza di cloro, di jodo o di derivati clorurati e jodurati, può essere svelato col mio metodo sopraindicato; io non conosco altro metodo che possa servire in queste condizioni a svelare delle traccie minime di gas o vapori bromurati. Con questo mio procedimento si potrà con sicurezza affermare se in certi casi la narcosi (talora seguìta da morte) ha avuto luogo per l’azione di un derivato bromurato, quale il bromoformio, il diclorbrommetano, il bromuro di etile, anche quando questi siano in piccolissima quantità. Nel caso del bromuro di cianogeno pare che questo com- posto resti decomposto entro l'organismo e come tale non possa più essere riconosciuto. Bisognerebbe forse ricercare l'acido cia- nidrico, ed il bromo che sarà stato trasformato in bromuro. Con questa mia reazione potranno essere risolti altri problemi. Torino, R. Università, Gennaio 1914. ENRICO GASTALDI — CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI, ECC. 415 Cenni sopra alcuni minerali e roccie della Cina, Nota del Dott. ENRICO GASTALDI Presso il Museo Mineralogico di Torino ebbi occasione di esaminare una collezione di minerali e roccie adunata dai RR. Padri delle Missioni di Parma nelle prefetture cinesi di Scin-ngan-fu e Han-tsun-fu e da essi presentata all'Esposizione di Torino del 1911 e poi donata, con altre collezioni paleonto- logiche, ai nostri musei universitari. Quantunque tale materiale non sia stato da me raccolto, ho tuttavia creduto bene di determinarlo un po’ più precisa- mente di quanto non lo fosse prima, sia perchè esso possa così servire come termine di paragone per ulteriori determinazioni, sia affinchè questo lavoro serva come contributo allo studio geo-mineralogico di questa regione, in cui i RR. Padri spiegano la loro attività. Ritengo utile innanzi tutto riportare testual- mente le notizie geologiche con cui Padre Desiderio (Vicario M. A.) accompagnò questa collezione. “ Note intorno alla prefettura di Han-tsun-fu. “ Il carbon fossile si trova a Mien Scien nel cui luogo viene scavato; si trova pure nella sottoprefettura di Luo-cian sotto le arenarie di Mao-or-coo; colà spunta appena sul fondo del letto di un torrente, e non è scavato (Vedi Carta generale Lean-huo-coo sull’affluente che viene da nord-ovest del Cian- “ liu-cian a nord-ovest di Luo-jan sopra Tsie-coo). “ Da questo punto andando a nord-est e ad est il carbon fossile si fa vedere a U-cia-in, nei monti sud di Pei-suei-cian e fino nei monti che dividono il corso del Lia-liu-ciau (che passa da Yan-scien) dalle sorgenti settentrionali del fiume SPERI, “ Le roccie ignee (granito) cominciano subito ad oriente di Luo-ian a Co-lao-lin, dove spuntano appena sotto le roccie pirosseniche di detto luogo: riappaiono di nuovo molto meglio Atti della RP. Accademia — Vol. XLIX. y « È “- « mM 7 416 ENRICO GASTALDI dl “ La ® » La x all'’oriente di Ts'a-tien-z dando luogo a una piccola catena metallifera dove si trova ferro, piombo, manganese e qualche filone di quarzo aurifero (Vedi carta topografica). A_Co-lao-lin invece, il granito al nord è coperto da roccie pirosseniche (Diallaggio, amianto, asbesto), al sud-est invece è circondato da cloritoschisto il quale include filoni di magnetite; calcare siliceo e argilloso fanno un generale cappello a tutte queste rocce. “ Il carbone amorfo, l’antracite, il carbone grafitoide si fanno vedere qua e là; e generalmente i nidi o piccoli depositi di tal materia si trovano immediatamente tra gli strati di cal- care soprastante e le rocce di micaschisto e talcoschisto sot- tostanti, si trova pure raramente nelle stesse rocce di mi- caschisto, ma sembra portato dall'acqua: si trova pure misto alle rocce detritiche. Ciò avviene su quasi tutta la linea dei monti che circondano la valle al nord fino ai monti di Jan- scien dove vi sono dei grandissimi lunghi filoni contenenti ferro e manganese in piccola quantità. « All’oriente di Han-stun-fu, miniere di carbone (Distretto di Scin-ngan-fu) all’occidente di Luo-jan Mien-scien altre mi- niere di carbone, tra questi due, una grande linea di carbone amorfo che li unisce come un ponte ormai disfatto dal tempo e dalle acque erodenti: ciò farebbe vedere che anticamente formavano un solo grande bacino carbonifero, diviso poi dal sollevamento delle tre grandi catene granitiche: «) di Mien- scien (granito a mica bianca e nera e a feldspato bianco o rosso come quel di Mont'Orfano, Baveno, ecc.); 4) di C'en-cu granito a mica nera, sienite in filoni alternati, smaragdite, diorite); e) di Jan-scien (Gneis, granito a mica bianca e nera e a ortosio bianco e rosso). “ Il raddrizzamento quasi verticale degli strati d'’argillo- schisto sottostante al litantrace e la pochissima pendenza (dai 15° ai 20°) degli strati d'arenaria soprastanti indicherebbe che il sollevamento della roccia granitica avvenne appunto dopo il periodo carbonifero o al più presto verso la fine di esso, ma forse a più riprese o lentamente. “ Questa roccia granitica passando sotto la valle ricom- pare al sud del finme Han e forma le montagne basse al sud tra Han-tsun-fu e Si-scian (Sa-huo-c'an); con questa differenza n =» LS x » Pai LS » » » bal CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI E ROCCIE DELLA CINA 417 che tra Han-tsun e Pa-co-san domina il granito di Mien-scien. Dal Pa-co-san a Sa-huo-c'an domina il granito della catena del nord di C’en-cu. « Il terreno alluvionale dell’epoca dei terrazzi che riempie tutta la valle, arrivò fino a 250 metri sul livello moderno della pianura come ne fan fede i ciottoli d’arenaria, di quarzo e di granito abbandonati sui pendii dei monti intorno al Cu- lupa. Presentemente esiste ancora in parte a 50 metri sulla pianura, al Culupa stesso e a San-cuan-miao (Vedi Carta topo- grafica (spaccato geologico a destra)). Ciò avvenne dopo il sollevamento della roccia granitica, gli strati del terreno al- luvionale essendo ancora orizzontali. “L'oro del fiume Han ha la sua origine dalla catena che divide il Cian-li-cian dalle sorgenti del fiume Han : quello in- vece del fiume Cia-lin-cian in parte viene dalla stessa ca- tena. in parte viene dai monti dell'ovest che dividono la pro- vincia del Can-shù. Il quarzo aurifero si trova nei monti di Siao-cia-huo (sorgenti nord occid. del fiume Han). A Jen-z-pieu (fiume Cia-lin-cian), a Ts'ai-pa (Mien-scien), a Li-cia-nan (Mien- sien) sono depositi antichi di fiume. A trenta li da Jan-scien nel letto di un fiumiciattolo si vede pure quarzo aurifero. A Fa-se-iuen (sud-est di Han-tsun-fu) finisce il granito; al di là del fiume Lien-suei-huo s’alzano le cupole del basalto con a occidente l’acque sulfuree. “ Prefettura di Scin-ngan-fu e sue sottoprefetture. “ Nota — L'orizzonte geologico di questa prefettura è diffe- rente da quello di Han-tsun-fu, in cui dominano le rocce ignee (granito, basalto, ecc.); rassomiglia in parte alle parti occiden- tali di Luo-ian. Quivi vi sono rocce più recenti e speciale è il bacino del fiume di Han-in-t'in, che non trova pari altrove. “ Il fiume che ha origine nei monti orientali e australi di Sce-chuen ha scavato il suo letto tortuoso in direzione sud-est erodendo perpendicolarmente parecchie colline che si dirigono da nord-est a sud-ovest e terminano bruscamente ai piedi delle alte montagne che lo separano dal letto del fiume Han al sud-ovest. “ Queste colline a rocce stratificate sono tutte di terra rossa di magnifico aspetto : vi si trovano pure strati di are- narie e conglomerati; gli strati rialzati verso nord-est di 418 ENRICO GASTALDI “ forse 20° lasciano che il fiume continui la sua erosione tra- “ sportando il suo letto verso sud-ovest; da questa parte gli “ strati sono a picco, lasciando vedere la loro rottura sul letto “ del fiume, mentre dalla parte nord-ovest lo strato superiore “ discende inclinato fino a lambirne le acque. “ In tutta la prefettura abbonda il litantrace: vi sono “ anche miniere d’oro e di rame, ma è prematuro ora il dire « altro, essendone lo studio ancora agli inizii ,. La raccolta da me osservata contiene carboni, minerali e roccie. I carboni e le roccie carbonifere appartengono alla pre- fettura di Scin-ngan-fu, divisa nelle sottoprefetture Ngan-can- scieu, Pin-li-scien e C’en-pin. Fra essi si trovano dei veri car- boni assai riechi di parte carboniosa e combustibile: tale è il campione N. 17 (contraddistinto dai Padri col N. 3 di Tsu-ci-huo), che brucia facilmente svolgendo abbondanti gas infiammabili e spandendo forte odore catramoso : le ceneri leggere, brune, non fuse sono nella proporzione dell’8 °/, e prevalentemente silicee. Anche il campione N. 5 (N. 1° di Sciao-sce-ts’a-huo) brucia facilmente e svolgendo gas infiammabili; esso contiene però il 20° di residuo minerale. Anche questo residuo è siliceo. Si ha quindi una serie di scisti sempre meno carboniosi: così pel N. 19 il residuo alla calcinazione rappresenta il 29 °/; pel N. 16 il 42%, e pel N. 21 il 58 °/o. Il residuo di tutti questi campioni è sempre in massima parte siliceo e più o meno colo- rato da ossidi di ferro. Alcuni di questi scisti (N. 18 e N. 18 dis) presentano ampie faccie lucide di scorrimento. Nel campione N. 21 noto abbondante pirite : essa esiste più o meno alterata e visibile nella massa della roccia, inoltre vi notai presenza di solfato di calcio. Il campione N. 22 si può classificare anch'esso fra le rocce carboniose, si stacca però dagli altri campioni pel fatto di con- tenere molti carbonati: attaccato con HCl dil. si disgrega com- pletamente. Nel residuo grigio-nero trovo presenza di grafite, silice ed allumina. Questa roccia appare un argilloscisto grafi- toso a cemento calcare. I carbonati sono rappresentati nella collezione da una nu- merosa serie di campioni: essi furono raccolti nella provincia di Han-tsun-fu e sue sottoprefetture. Fra essi si trovano dei campioni di calcite ben cristallizzata formante degli ammassi CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI E ROCCIE DELLA CINA 419 bacillari (N. 5-23-24-25) talora in forme radiali (N. 6-26) imi- tanti la forma dell’aragonite ma da essa facilmente distinguibili per la sfaldatura secondo il romboedro osservabile all'apice dei bacilli. Altri campioni sono di calcare compatto cristallino, a struttura saccaroide, bianco e variamente colorato in grigio-chiaro e grigio-scuro (N. 1-4-11-101). Altri si presentano con evidente forma concrezionare (N. 27-102), talora stalattitica (N. 22); uno di essi contiene pi- soliti con limonite (N. 112). Tra i calcari che presentano qualche particolarità noto: un calcare fetido che al trattamento con HCI dil. svolge H,S (N. 51), un calcare contenente piriti (N. 7) ed un altro con pirite e gra- fite (N. 10); ed infine un calcare roseo con venature grigie (N. 3) il quale attaccato con HCl dil. lascia un residuo piut- tosto abbondante costituito da granuli incolori lucenti, forse di quarzo, e da cristalli allungati quasi aghiformi di color bianco latteo, probabilmente di WolZlastonite (silicato di calcio). Vi è pure un campione di Aragonite (riconosciuta colla reaz. di Meigen) (N. 12) e alcuni campioni di calcare debolmente ma- gnesifero (N. 2-8); da questi si passa a campioni di calcari con abbondante magnesia e con residuo siliceo (N. 9-13) e ad una dolomite (N. 49) compatta, grigiastra che non lascia alcun re- siduo all’attacco con HCI. In seguito a questi carbonati noto alcuni altri minerali di calcio : cioè una fluorite e due campioni di gesso. Il N. 50 è un bel campione di fluorite azzurra associata a materia di apparenza limonitica e che oltre a ferro contiene anche fosfati. Il N. 109 è un ammasso di aghetti sottili compatti quasi sericei di gesso che presentano una piegatura, segno evidente delle compressioni subìte dal minerale; l’altro campione (N. 110) è costituito da molti cristalli allungati secondo l’asse C, più o meno tabulari secondo 010, colle faccie 010, 110, 111 solite a riscontrarsi nel minerale. Parecchi fra di essi sono geminati a ferro di lancia, secondo la. solita legge: asse di geminazione, la normale a 100. Abbondano nella raccolta i minerali di ferro, ossidi, solfuri e loro prodotti di alterazione: anch'essi raccolti nella provincia di Han-tsun-fu. 420 ENRICO GASTALDI Notevoli sono tre campioni di Magnetite (N. 44-103-104): i campioni N. 103-104 si presentano sotto forma di ciottoli assai pesanti, nerastri, fortemente magnetici; il campione N. 44 pre- senta alterazione limonitica. Vi è anche qualche ciottolo di ematite (N. 35-54) e parecchi campioni edi ematite rossa (nu- meri 37-40-41-43-45) che attaccati con; HCl conc, lasciano un residuo siliceo più o meno abbondante. sin: Te Notai nel campione N. 40 traccie di rame, e nel campione N. 45 traccie di manganese: ricercaì anche altri metalli ma con risultato negativo. ll campione N. 105 è una limonite conerezionare, il cam- pione N. 42 appare un oligisto micaceo. Un minerale di ferro molto manganesifero è il campione N. 31; esso contiene pure abbondante carbonato di calcio e un poco di fosfati: il residuo dell'attacco con HCI cone. è formato da straterelli bianchi e da polvere grigia prevalentemente silicea. Abbondanti pure sono le piriti; nella raccolta trovo due campioni di pirite filoniana (N. 106-105); il campione N. 61 è formato da pirite ben cristallizzata; vi si notano cubi con le tipiche strie del pentagonododecaedro ; il campione N. 62 è co- stituito da cristalli di pirite profondamente limonitizzata; all'in- terno si trovano ancora residui di pirite, all’esterno sì presenta come una limonite pseudomorfa della pirite. Infine i campioni N. 108 e 48 sono prodotti di decomposizione di minerali piri- tiferi: durante la decomposizione i prodotti di essa hanno rea- gito sui minerali vicini attaccandoli e trasformandoli. Così dal campione N. 45 per trattamento con acqua ottenni una soluzione bruno-scura fortemente acida, contenente solfato ferrico e solfato di magnesio. Cito qui anche due minerali di manganese segnati coi N. 32 e 47. Il campione N. 82 appare proveniente da un filone quar- zoso e contiene pirolusite intimamente mescolata a Wad: la pirolusite ha come una struttura cellulare nei cui vani trovasi il Wad. Misto al manganese trovasi anche ferro. Il campione N. 47 è formato da materiale Wadoso tipicamente leggiero, ricco in manganese e con poco ferro. Il manganese vi appare anche contenuto in forma di silicato, perchè trovasi ancora abbondantemente anche nel residuo del- l'attacco con HCI; esso residuo contiene infatti anche silice. CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI E ROCCIE DELLA CINA 421 Nella raccolta esistono parecchi campioni di quarzo di mag- giore e minor limpidezza; v'è del quarzo assai limpido (N. 117), del quarzo così detto affumicato (N. 111) e del quarzo a struttura granulare non trasparente. Alcuni campioni presentano partico- lari inclusioni; il N. 112 è un cristallo di quarzo coni nclusioni di fini aghetti di rutélo; un altro appare includere della mica nerastra (N. 114); un altro presenta un accrescimento zonare alternato incoloro e rosso per inclusioni di ossido di ferro ; in un altro (N. 115) si nota un’inclusione lamellare (grigio-nera) di ma- gnetite. Cito qui anche un campione di silice cellulare, spugnosa; esso era probabilmente di formazione filoniana ed includeva pirite; la pirite fu decomposta dagli agenti atmosferici e restò la massa silicea così spugnosa. Vi sono altri minerali silicei più complessi ; noto una oficalce (N. 39) formata da carbonato di calcio e magnesio e silicato di magnesio ; ed alcune masse talcose (N. 29-30-122) con quantità variabili di cemento calcareo ; il campione N. 29 all'attacco con HCI lascia un residuo di struttura fibrosa. Noto poi una massa fibrosa di Amianto (N. 46); le fibre sottili fon- dono facilmente al cannello dando un vetro nero, esse conten- gono alquanta acqua igroscopica ma solo il 0,89% di acqua d combinazione. Notevole è un campione di scisto paragonitifero segnato col N. 118; in esso notasi un bel cristallo di Staurolite geminato secondo la legge: asse di geminazione, la normale a 252. L'individuo più grande del geminate misura 28 mm. secondo C, 14 mm. secondo B, 12 mm. secondo A: ambedue gli individui sono rotti all'estremità dell’asse verticale, e non vi potei riconoscere altre faccie eccetto quelle del prisma 110 (dominante) e del pinacoide 010 (subordinata). Nello stesso campione si trova un cristallo unico di staurolite, rotto ai due estremi dell’asse C nella cui direzione raggiunge i 42 mm. Il cam- pione N. 51 è una muscovite ; coll’esame della figura di percus- sione stabili che essa è una mica alcalina della prima serie (infatti i raggi di rottura contengono fra di loro la traccia del piano che unisce gli assi ottici); coll’analisi vi riconobbi pre- senza di potassio ed assenza di magnesio. Noto poi un bellissimo campione di cianite (N. 67), un feldspato (plagioclasio) (N. 119) con un bel cristallo di granato rosso presentante la forma dell’icositetraedro; un pirosseno (N. 120) ed un epidoto (N. 121). 422 ENRICO GASTALDI Roccie. L'indicazione d'origine delle roccie è anch'essa assai vaga: la maggior parte fra esse porta l'indicazione Han ed è citata nelle note di P. Desiderio come raccolta nella provincia di Han-tsun-fu e sue sottoprefetture : ad alcune è pure unita una indicazione più precisa del luogo ove venne raccolta ; come pei minerali io scelsi fra esse quelle che apparvero meno alterate. Nel determinarne la specie mi valsi sopratutto della osserva- zione microscopica delle sezioni sottili. Ho così determinato come graniti i campioni N. 58 e 60. Il camp. N. 58 è un gra- nito a grana assai fine, in esso osservai presenza di microclino rivelantesi a nicols incrociati col suo caratteristico aspetto a graticcio ; di biotite con toni giallo-verdi; di abbondante musco- vite e di quarzo. Nel quarzo notai pure la presenza di prismetti di apatite, senza punta, con frattura trasversa. ]l campione N. 60 appare di una formazione filoniana. Abbondantissima in esso è l’albite che determinai per tale isolandola per frantuma- zione dal resto della massa ed osservandone gli angoli di estin- zione (risultarono di -+- 19 per la faccia 010 e di + 1 per la faccia 001) e col metodo di Becke. Vi osservai pure la presenza di quarzo, di biotite e di clorite di colore verde e di basso tono di polarizzazione. Il campione N. 123 appare essere costituito anch'esso da una massa granitica. Noto poi alcuni bei campioni di pegmatite filoniana, a grandi elementi, con mica bianca argentina, e grossi cristalli di tor- malina nera (N. 12-124 bis) e altri due campioni pure di pegma- tite (N. 63-125) in ciottoli. Esaminai quindi gli scisti contraddistinti coi N. 56 dis-57-33. Il N. 56 dis è uno scisto granatifero superficialmente alterato. Oltre ai granati ben evidenti vi osservai presenza di biotite, con forte policroismo: essa si presenta di colore intensamente verde, quasi nero, per raggi vibranti parallelamente al piano di sfaldatura, e di colore giallo per posizioni ad esso normali; vi sì trova pure abbondante muscovite: la parte fondamentale è costituita da quarzo. Il N. 57 è uno scisto compatto, a grana minuta costituito da abbondantissimo quarzo e da biotite ana- loga alla precedente. CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI E ROCCIE DELLA CINA 423 Specialmente degno di nota è il campione N. 33: esso è co- stituito da strati verdi lamellari facilmente divisibili e riducibili in lamelle brillanti, alternate senza ordine con strati bianchi. All’osservazione microscopica delle sezioni esso appare formato da quarzo e da mica in parte bianca ed in parte verde. La mica verde presenta distinto policroismo: osservata con raggi vibranti parallelamente alla sfaldatura essa è di color verde-gialliccio, normalmente ad essa è bleu-verdiccio, Ne feci anche un saggio chimico scegliendo specialmente la parte verde e disgregandola per fusione con carbonato sodice: trat- tando la massa fusa con acqua passarono così in soluzione silice, sotto forma di silicato, e cromo sotto forma di cromato ; il cromo lo identificai colle sue note reazioni. Nella parte indi- sciolta in acqua notai presenza di alluminio; erano assenti calcio e magnesio. Questo campione apparirebbe uno scisto con fuchsite. Noto qui anche un talcoscisto grigio onduloso (N. 127); un altro talcoscisto è il campione N. 128: esso è bianco con se- zioni di un minerale di ferro, limonite. Causa l’alterazione della roccia e del minerale, i contorni si presentano incerti, sì da non poter decidere se trattasi di un carbonato di ferro o di una pi- rite alterati in limonite. Il camp. N. 129 appare uno scisto carbonioso inglobante cristalli di pirite già in parte limonitizzata. Il camp. N. 54 è anch'esso uno scisto carbonioso: ne determinai la perdita in peso alla calcinazione: essa risultò essere del 3 °/. La parte carboniosa è intimamente frammista alla massa fondamentale a brucia assai difficilmente. i Osservando le sezioni esse apparvero formate da una massa caolinica fondamentale a grana finissima in cui si os- servano piccolissimi nuclei probabilmente di sericite. Affine di fare una migliore osservazione tentai di asportare la parte carboniosa trattando una porzione dello scisto con miscela di clorato potassico e acido nitrico: le sezioni che poi ne ottenni non differivano dalle prime che per essere alquanto più chiare. Rivolsi pure la mia attenzione al campione N. 61 costi- tuito da una massa gialla, durissima e compatta simile ad un diaspro. Ne esaminai le sezioni sottili: apparvero di color caffè, di aspetto granulare e quasi opache. Trattai le sezioni con HC1 conc. asportandone così l’ossido di ferro che le colorava: la massa SITE +» 424 ENRICO GASTALDI — CENNI SOPRA ALCUNI MINERALI, ECC. apparve allora essere costituita da quarzo in granuli finissimi an- golosi fra loro cementati a mosaico. Non vi notai radiolarie. Il campione N. 126 è costituito da alcune amigdali del basalto. Determinai pure nella raccolta alcune dioriti. Il camp. N. 56 è un ciottolo di roccia alterata, scura con abbondanti cristalli grigio-verdi. In esso predomina l'orneblenda (di cui misurai l'angolo di sezione prismatica e lo trovai eguale a 56°), che si presenta con netto policroismo coi colori giallo-breno, giallo- chiaro e verdiccio; vi si notano pure: un plagioclasio alterato, mal determinabile; dei granuli di quarzo; e dei granuli quasi incolori a contorni che s’avvicinano a contorni cristallografici e che sembrano di pirosseno. Il camp. N. 64 è pure un ammasso dioritico analogo al camp. N. 56 e anch'esso con prevalenza di amfibolo. Il camp. N. 62 e costituito da una massa predomi- nante di amfibolo e quarzo e da un plagioclasio alterato mal determinabile; l’amfibolo si presenta colle sue caratteristiche linee di sfaldatura a traliccio, ben evidenti nelle sezioni pri- smatiche. Il camp. N. 55 è costituito da una massa feldspatica, eventualmente filoniana, a contatto con dioriti, tipica pel suo colore a chiazze verdi e rossicce; essa si presenta parzialmente alterata e con macchie di limonite. Nelle sezioni i feldspati si presentano tutti torbidi ed alterati. Vi domina un oligoclasio acido, alterato, le cui lamine di geminazione si presentano cur- vate come se avessero subìta una ripiegatura dovuta a rammolli- mento. Mal determinabile è la presenza di un feldspato potassico molto alterato. V'è inoltre poco quarzo e qualche cubetto di pirite. La massa verdiccia è data da epidoto misto a poca clo- rite. Probabilmente trattasi di una varietà di diorite, ove, per la forte alterazione, l’orneblenda si sarebbe mutata in clorite ed epidoto. Anche il camp. N. 133 può essere qui citato formato da un ammasso di granati con materiale verde di ap- parenza pirossenica e con piccole vene di calcite: esso si pre- senta coll’aspetto di una ectogite. Noto infine un bel campione di serpentino nobile (N. 130), un ciottolo pure di serpentino (N. 131) ed un serpentino con una vena di amianto (N. 132). Torino, R. Istituto di Mineralogia, Giugno 1913. S. DEZANI — RICERCHE SULLA TOSSICITÀ, ECC. 425 Ricerche sulla tossicità del succo spremuto da semi germinanti, Nota di S. DEZANI. La tossicità degli estratti e dei succhi vegetali su organi e su semi vegetali è stata finora oggetto di poche ricerche, e gli autori che si sono occupati della questione si sono limitati a constatare il fenomeno senza risalire alla ricerca della causa. Il Soave (1) ha osservato la tossicità dei succhi ottenuti per pressione dai semi germinanti su altri semi della stessa natura. Le esperienze erano fatte lasciando rigonfiare un certo numero di semi in acqua distillata (semi di mais, di frumento, di lu- pino) ed un certo numero di altri semi nel succo espresso da semi germinanti della stessa specie, e ponendo poi tutti i semi in apposito germinatoio. In altri casi l’autore trapiantava dei semi già in via di germinazione su sabbia silicea in piccoli vasi; di questi taluni venivano inaffiati con acqua comune, altri con succo. Le esperienze hanno dato costantemente lo stesso ri- sultato comprovante l’azione dannosa del succo tanto sui semi ancora allo stato di riposo come su quelli già in via di germina- zione. E cioè nei semi allo stato di riposo la facoltà germinativa è notevolmente diminuita, negli individui in cui tuttavia s’inizia ciò avviene con grande ritardo sui semi termine di confronto; nei semi già in via di germinazione l’accrescimento è — si può dire — arrestato al punto in cui comincia la somministrazione del succo. Il Soave non tenta di dare alcuna spiegazione ai fatti da lui accertati; egli si limita a rammentare che l’acido carbonico emesso in tanta copia dagli organismi animali impedisce di la da certi limiti le più importanti funzioni vitali; l’urea, prodotta pur essa in tanta copia dagli animali, avvelena se iniettata ; (1) Sopra il succo spremuto da semi germinanti. * Annali della R. Ac- cademia di Agricoltura di Torino ,, vol. XLVIII. 'WeT_sàà . rv 426 S. DEZANI l’aleool, che si produce nella fermentazione alcoolica, agisce quando raggiunge certi limiti paralizzando l’attività delle cellule del fermento stesso. Van Heiynsbergen (1) ha invece studiato la tossicità degli infusi di piante medicinali e velenose per gli animali su organi o parti di organi vegetali secondo il metodo di Verschaffelt (2). Questo metodo è fondato sul fatto che quando un organo vege- tale è immerso ancora vivo nell'acqua esso aumenta — o per lo meno non muta — di peso ; quando l’organo invece è morto esso subisce una diminuzione di peso. Van Heiynsbergen immer- geva negli infusi organi o parti di organi vegetali ricchi di tes- suto parenchimatico e decorticati: prima dell’immersione gli organi venivano lavati, seccati fra carta da filtro, e pesati. Dopo 24-48 ore questi organi venivano tolti, posti nell’acqua e dopo qualche tempo nuovamente seccati e pesati. Poteva così l’autore constatare la tossicità degli infusi dacchè gli organi stati in essi immersi perdevano di peso. Ricercò anche l’autore la tossicità di questi infusi sul processo vegetativo: osservò così spesso un ritardo nel germinare dei semi o la soppres- sione della germinabilità stessa. L'autore fa osservare che la concentrazione degli infusi non era sufficiente ad uccidere il protoplasma. La tossicità di questi succhi e di questi infusi appare tut- tavia un fatto abbastanza strano se si rammenta che le piante possiedono una certa immunità verso i loro veleni. Lo Starcke (3) che si occupò umpiamente della questione, esperimentando con quattro metodi diversi la tossicità di un veleno sulla pianta che lo produce, trovò che quasi in tutti i casi da lui consiì- derati la pianta presentava una certa resistenza all’azione delle sostanze tossiche da essa prodotte e che questa resi- stenza si estendeva anche verso altri veleni, fossero o no questi chimicamente affini coi veleni della pianta stessa. Alle stesse conclusioni giungeva — tra gli altri — recentemente il d'Ippolito (4). 1) ‘ Maly's Jahresber. f. Thierchemie ,, 1907, pag. 1169. (2) Ibid., 1905, pag. 794. (3) Ibid., 1905, pag. 795. (4) “ Le Stazioni sperimentali agrarie ,, 1915, pag. 395. RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 427 Quali adunque le cause della tossicità di questi succhi ve- getali? — Esse possono essere molteplici: basta infatti richia- mare alla mente il concetto di “ veleno , e ricordare quanto svariate sono le azioni dei veleni. In casi della natura di quello qui considerato noi non possiamo limitare il concetto di veleno a quello di una sostanza la quale introdotta in piccola quantità in un organismo lo danneggi o l’uccida. A prescindere dal fatto che piccole quantità di un veleno possono agire favorevolmente sull'organismo o stimolandone certe funzioni o sopprimendo certi disturbi, può avvenire che sostanze le quali per comune con- senso non sono ritenute veleni, sono anzi parte della nutrizione, sviluppino un’azione tossica. Così il glucosio, che forma il mi- gliore substrato nutritizio per la maggior parte dei funghi è invece un potente veleno per i Nitrobacteri, così che essi ven- gono da questa sostanza uccisi più facilmente che dal subli- mato. Lo stesso glucosio, che è tanta parte e non sostituibile della nutrizione degli organismi superiori, è perniciosissimo per il diabetico ; il cloruro sodico, che non è certo elencato fra i veleni, può in dose eccessiva provocare la morte di un uomo. È poco probabile, a mio avviso, che nei succhi studiati dal Soave esistano sostanze alle quali possa ascriversi un'azione specifica tossica : noi in questi succhi non troviamo veleni — almeno per gli organismi animali — nel senso ristretto della parola. È ben più probabile che altre siano le cause di questa tossicità. È bene qui ricordare che anche nei vegetali — sebbene non certo nella stessa misura che negli animali — l’azione tossica di un corpo può assumere diverse forme; dobbiamo cioè distinguere anche qui veleni che uccidono il protoplasma, veleni che soppri- mono certe funzioni (assimilatrici, respiratorie), veleni che para- lizzano l’azione degli enzimi, ecc. Così il Marcacci (1) ha dimo- strato che la chinina, la stricnina e la morfina impediscono nella Lemna minor e nell’Elodea canadensis la trasformazione dell’amido in zucchero; lo Tschirch (2) ha dimostrato che il rame ha grande tendenza a formare dei composti stabili colla clorofilla; così l'acido cianidrico iniettato nelle piante ne produce la morte sop- (1) “ Nuovo giornale botanico italiano ,, 1895, pag. 222. (2) Kosert, Lehrbuch der Intoricationen, pag. 165. 428 S. DEZANI primendo probabilmente l’attività degli enzimi della respira- zione (1). Occorre ancora ricordare che certi sali, di per sè non tossici, possono sviluppare un'azione antagonistica — quando siano assorbiti dalla pianta — su altri sali utili preesistenti nelle cellule o possono produrre dei gravi squilibri nella pressione osmotica delle cellule. Sono poi interessanti assai e debbono essere qui ricordati i fatti messi in luce dal Portheim (2) sulle reazioni che si possono ottenere dagli estratti degli organi di una stessa pianta o di piante diverse quando siano messi a contatto. Il Portheim ha dimostrato che non tutte le cellule ed i tessuti di una stessa pianta si comportano ugualmente in rapporto alle reazioni biologiche. Se si prepara un estratto dei petali di una pianta da una parte e di foglie della stessa pianta dall'altra e si mescolano i due liquidi, il miscuglio rimane perfettamente chiaro. Ma se si impiegano estratti di tessuti omologhi di piante della stessa specie si nota la formazione di un precipitato. Se all’estratto acquoso di un organo si aggiunge un estratto al- coolico delle foglie di piante della stessa specie si ottiene un caratteristico precipitato: se si adopra l’estratto alcoolico di foglie di piante di specie diversa la reazione è negativa. Bastano queste poche considerazioni per farci comprendere quanto varia può essere l’azione tossica dei succhi spremuti dai semi germinanti e quali difficoltà si oppongono perciò ad un’esatta definizione di questa azione stessa. E stato tuttavia scopo delle ricerche di cui io qui rendo conto di risolvere al- meno in parte la complessa questione della tossicità dei succhi, e precisamente di rispondere alle seguenti domande: 1° Costituiscono questi succhi un veleno per il proto- plasma dei semi sui quali si fanno agire ? 2° La tossicità sui succhi può essere dovuta all’azione antagonistica che i sali del succo possono in seguito al loro assorbimento esercitare sn quelli dei semi? 3° Può l'azione tossica dei succhi essere ascritta ad un abbassamento da essi provocato delle varie attività enzimatiche dei semi ? (1) Dezani, * Archivio di farmacologia sperimentale e Scienze affini ,, vol. XVI, pag. 539. (2) Grare, Biochemie, pag. 422, Leipzig, 1913. RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 429 ag Per tutte le esperienze mie io mi sono servito del succo ottenuto dai semi germinanti di grano turco (Zea mais). I semi venivano fatti rigonfiare durante 48 ore in acqua distillata: in seguito venivano lavati e posti a germinare su cotonina umida in adatto germinatoio dove la temperatura oscillava da 20 a 25°. Dopo otto giorni i teneri germogli, i cui fusticini raggiun- gevano la lunghezza di 3-5 em., venivano triturati, la poltiglia ottenuta veniva impastata con sabbia silicea e la pasta sotto- posta alla pressa di Buchner. Si otteneva così un succo di color giallo paglierino contenente in sospensione numerosi granuli d’amido, dai quali lo si liberava mediante centrifugazione o ri- petute filtrazioni. Le proprietà di questo succo sono quelle già descritte da Soave. Ha reazione acida, sapore dolcissimo: pre- cipita per azione del calore o per aggiunta di alcali e di acidi, ecc. Io ho voluto su di essi determinare, oltre la condu- cibilità elettrica, alcune altre costanti fisico-chimiche non deter- nate da Soave. Conducibilità elettrica a 18°: Succo N.1....XK=383 X 1074 A LVL 0-40 1674 = ME: adr 4%X 1004 Punto di congelamento : Succo N.1.....A=— 0.84 ‘ sole Ab ATAE-1 22 ; atororiranis Aa 1.08: Pressione osmotica : Succo iN. 1 è. t= 10.10 atmosfere È nt, n =(14.6% > ; AEG: dI @=:19:11 s Joncentrazione osmotica : SUCCO NET i DEI 046 A IAA 0.65 ” AI "Did. Se in questi succhi si pongono a rigonfiare durante 48 ore dei semi di zea mais si nota che la loro facoltà germinativa è sempre notevolmente ritardata, spesso del tutto soppressa. 430 S. DEZANI Riporto qui dal mio diario alcune tabelle delle esperienze fatte. I semi venivano lasciati per 48 ore nel succo: in seguito venivano lavati e deposti su cotonina imbevuta d’acqua distil- lata. Si notava ogni giorno od a giorni alterni il numero dei semi germinati: come termine di paragone servivano altri semi lasciati rigonfiare in acqua distillata. a) N. 10 semi rigonfiati in acqua distillata 6) è È 4 succo. Succo N. 1. —_ —— 33 Novembre 7. | 8 | 9 | 10 | 12 | 14 | 16 | 18| 20 | 3@ sd ice ia Prova a | <=É| 7 | 10 10|10 10 10 10/10) #85 Prova 5 ra gip peg] anpipoa pla agri 5| 536 Succo N. 2. Î | | | file Pi Dicembre 2 |8|]4|5 | 6|38 | 10|15|20| #7 | | 2 s Prova a | #5! 6 | 10 10 I 1010} 10|10 | 10) = 2", (Use | | a Prova 6 | È$ 0! | 01324 - 8,1 -5| «5. |..6|_7 sii Succo N. 3. Dicembre 15 16 | 17 | 19) 21| 23 | 25 | 28 | 80 Prova « 8 1010 | 10 10 {10 10! 10 Li babe]. 8 19] 10 |_10-4.20% Rezia Semi germinati Prova d Constatata la tossicità del succo dei semi germinanti di mais sui semi di mais, io ho cercato di stabilire il grado di tos- sicità per rispetto ad un’altra sostanza tossica, “ l'alcool ,, col metodo proposto dal Vandevelde (1). Questo metodo consiste (1) Hamnoroer, Osmotischer Druck und Jonenlehre, 11I, pag. 282. RICERCHE SULLA TOSSICITÀ. DEL SUCCO, ECC. 431 nell’aggiungere ad una soluzione al 10 °/ di cloruro potassico l’egual volume di varie soluzioni d'alcool etilico in acqua, e di stabilire per quale concentrazione dell’alcool nel miscuglio non si provochi più la plasmolisi che nella metà delle cellule di una sezione microscopica di pianta adatta. All’alcool si sosti- tuisce in seguito la soluzione della sostanza di cui si vuol sta- bilire il grado di tossicità per rispetto all'alcool. Come tipo di pianta il Vandevelde propone le cellule epidermoidali, ricche di antociano, della cipolla comune (Allium cepa), varietà rossa. Io ho trovato però più comodo sostituire nelle mie espe- rienze all'indice di tossicità adottato dal Vandevelde (plasmo- lisi limitata alla metà delle cellule) quella della plasmolisi in- cipiente ma subito soppressa. Per dosi tossiche di alcool si nota infatti che nelle cellule, non appena esse vengono a contatto del miscuglio (KC1+- alcool), si ha un fugace accenno alla pla- smolisi, ma questa subito scompare poichè la massa protopla- smatica viene uccisa e la sostanza colorante riempie tutta la cavità cellulare: tutta la sezione appare allora uniformemente colorata in rosso. Io ho anzitutto stabilito la “ soluzione critica , dell'alcool: questa corrispondeva ad una soluzione al 18,80 9 di alcool (in volume). Essa è inferiore a quella del Vandevelde il quale aveva fissata la soluzione critica in quella contenente il 28,2 %; di alcool. La minor resistenza delle cellule dell’ AZZium cepa verso l’aleool nelle mie esperienze può forse essere dovuta alla tarda stagione in cui esse vennero fatte (dicembre): già il Vandevelde aveva constatata una minor resistenza al veleno in agosto che in primavera — (Soluzione critica in agosto = 24,44 °/o d’alcool). Io passai in seguito alla determinazione della tossicità dei succhi di semi germinanti di mais sulle stesse cellule di cipolla. Per questo aggiungevo alla soluzione di KC1l quantità cre- scenti di succo. Dei tre succhi da me esperimentati uno solo (il N. 2) si dimostrò già di per sè solo leggermente ipertonico, per rispetto alla cellula di cipolla. L'osservazione veniva fatta alla distanza di 1 minuto ed in seguito di 15 minuti dal mo- mento in cui la sezione veniva immersa nel miscuglio plasmo- lizzante. Riporto qui alcune tabelle dimostrative delle esperienze da me fatte. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 28 S. DEZANI 43 esIgdmoos & rqgopui “ 9]Iqeqs ISITOWISE|] BqqopLi ; rsIeduoos VYJOPLI E O[Iqugs ISHOWSE]] “ “ #sIeduooIs “ RqJOpui è I “ ® 114 RINYRIMP_ISI[OWSB]] qnumu G] 0doq ISI[OWISR[] ISI[OWUISE[L] R105S9] ISI[OWISE]K] “ ISI]OUISB]] ISI[OWISE]d] ognutu | odo N mE enboe,p z + 09908 Ip _yWòd 000ng (1) . 13€ ‘ enboe p_glud “ » enboe p z| 09908 Ip gl? 00INS et ‘ andboe p gd enbor p 7 + 00908 Ip gu? 09UNKg ‘enbor p_gtuo 4 Ft g G Ta) } & a I S + + | gue + t + 4 “ - - (P - - “ (‘ A) “ “ - (q GgUD |OM "TOS (q d DI “ "A (P » ” “ (0 “ “ “ (q G_elU9 OM "[0S (V RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 433 Le prove vennero tutte ripetute ed i risultati furono tutti sostanzialmente gli stessi: in nessun caso si potè osservare un’azione veramente tossica dei succhi nel senso che la plasmo- lisi non potesse più avere luogo. In tutti i casi esaminati la plasmolisi si è manifestata con la stessa intensità come nelle prove di controllo: è solo dopo qualche tempo (10 minuti al- meno) che si può constatare una differenza. La tossicità dei succhi di mais sul protoplasma delle cellule di cipolla è adunque assai piccola. Già il Vandevelde che aveva esperimentato con estratti acquosi di caffè, di cacao, di the, di tabacco, aveva trovato che essi erano assai poco tossici per rispetto all’alcool: così il coef- ficiente critico dell’estratto di cacao è = a 1063,8 quando la tossicità dell'alcool è posta = 100: in altre parole l’estratto di cacao ha una tossicità uguale a ’/ioo0 di quella dell’alcool assoluto. a Dai risultati delle sudescritte esperienze può già dedursi che l’azione tossica dei succhi non può certo paragonarsi a quella di un vero veleno protoplasmatico. Ma poichè le espe- rienze precedenti furono fatte su cellule di piante assai lontane dal mais, io ho voluto ripetere le ricerche su le cellule dei semi stessi di mais. Per questo i semi venivano fatti rigonfiare per qualche ora in acqua, indi si preparavano sezioni dell’em- brione, le quali venivano allora poste a contatto del miscuglio sol. KC1 + succo. Ma non mi fu possibile di giungere per questa via ad alcunchè di positivo, poichè la plasmolisi non risultò mai evidente : le cellule dell'embrione del mais male si prestano a ricerche di simile natura. Io ho tentato allora di stabilire la morte del protoplasma ricercando se dopo la permanenza delle cellule dell'embrione nel succo queste si colorissero con un colore non vitale. Le sezioni dell'embrione venivano perciò lasciate per un certo periodo di tempo nel succo: dopo di che si estraevano, si lavavano, e si immergevano in una soluzione all’1°% di bleu d’anilina per !/, d’ora. Le sezioni venivano in seguito nuovamente lavate nell'acqua ed osservate allora al microscopio. 434 S. DEZANI Riporto qui alcune tabelle dal diario delle mie esperienze. Come controllo servivano sezioni dello stesso embrione lasciate per gli stessi periodi di tempo in acqua distillata. Ogni osser- vazione aveva luogo su tre diverse sezioni. Succo N. 2. Durata dell’immersione Radio Acqua nel succo o nell'acqua 15 minuti . . nessuna colorazione | nessuna colorazione la OTBrasp -8,f na A | bo îì 1 ” . . . n ” ”» ”» 8 ore . . . poche cellule colorate i ù 6 ” . . . ” ii ” | ” » 10 , . . .| colorazione parziale ù s 18, . . .|vcolorazione completa | poche cellule colorate Succo N. 3. Durata. | SUO Suoo i.| 0 gna o nell'acqua | !, or® . . .| nessuna colorazione , nessuna colorazione Lincei 1dh ita 4 i ' b " è Ares... A 5 | ù Fi 6 ” . y . | | ” »” 10 , . ..| colorazione parziale 10. EL | poche cellule colorate Camesigotong È colorazione completa pole P P Una violenta azione tossica dei succhi sul protoplasma non la si osserva dunque nemmeno quando le cellule dell’em- brione sono portate a diretto contatto dei succhi. Nei semi, che lasciati 48 ore a contatto dei succhi hanno perduta la facoltà germinativa, il protoplasma viene ucciso già durante la loro permanenza nel succo, o la sua morte non segue che più tardi? RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 435 A risolvere la questione io ho pensato di applicare ai semi av- velenati il metodo già applicato agli organi animali per tentare di stabilire la data della loro morte. Come è noto, un organo staccato dall’animale ed immerso nell’acqua distillata cede a questa i suoi sali e con tanta maggior facilità quanto più lontano è il tempo della morte dell'organo. Il crescere della conducibilità elettrica del liquido in cui sta immerso l’organo permette di seguire con tutta facilità il fenomeno (1). Io ho pensato quindi ex analogia che qualora i semi avvelenati si potessero conside- rare senz'altro morti essi potessero pure cedere all'acqua distil- lata i loro elettroliti. A verificare questo N. 20 semi di mais si lavano dapprima con soluzione diluita di ac. cloridrico, indi ripetutamente con acqua distillata; si pongono allora a rigonfiare durante 48 ore nel succo. Altri 20 semi che hanno subìto lo stesso lavaggio sì pongono a rigonfiare in acqua. In seguito i semi vengono nuovamente lavati ed immersi rispettivamente in 20 cm? di acqua distillata. In questa si seguono le variazioni della condu- cibilità elettrica con tutte le norme indicate per questa opera- zione (2). La temperatura del termostato è di 25°. Alla stessa temperatura si tengono fra una determinazione e l’altra i liquidi in cui stanno immersi i semi. KX1075 a + 25° i Semi sani Semi , avvelenati Tizio atti .snalogi 61 75 I Dopo;1 ora. n. 76 93 | K. finale s. s 410 ps = Siate, 96 126 TA SCO e 6.7 5) 144 205 8, 186 212 srarsadii Si ati nella. giro paga TRAE (O } 24 ì ì i 286 396 | .niziale s. a. a. Adro, 410 559 (1) TomeLuini, “ Archivio di farmacologia sperimentale e Scienze affini ,, vol. XII, pag. 217. (2) Hamsoreer, Osmotischer Druk una Jonenlehre, 1. 436 S. DEZANI Nell’esperienza seguente i semi di controllo non erano stati rigonfiati in acqua: questo ad evitare il dubbio che una prolun- gata immersione di essi nell'acqua, come avviene in queste esperienze, potesse provocare in essi se non la morte almeno dei disturbi di una certa gravità. KX.10-° a + 25° | Semi sani | Semi “— | avvelenati ]| Imizio ji quavol, 14 | 17 Dopo 2 ore . . 55 | 136 | K.finales.s. _ 828 __90 027 MOORE, 68 | “Re |K.inisialespr., Mo sE SR6B, n) a POCHATE 219 pio ge paro: 195 SOGR | nsle o, 8: — eGo op iatoe i. 212 | ‘292 /|X.iniziale:s; a. 11R00A n EBUS, Mii sispuaa92Bogkrr 455 Come è facile a vedersi dalle su riportate tabelle, i semi cedono con facilità elettroliti all'acqua distillata in cui stanno immersi, siano essi stati avvelenati o no. Si può osservare pure che il rapporto fra la conducibilità finale e quella iniziale è maggiore nelle esperienze con l’acqua contenente 1 semi avvelenati; ma di fronte al forte aumento della conducibilità che presenta anche l’acqua contenente i semi sani, non parmi che si possa da queste differenze trarre alcun elemento di giudizio sulla vitalità o sulla morte dei semi. Il fatto tuttavia della facilità con cui i semi sani cedono elettroliti all'acqua è degno di essere qui rilevato e non è su- scettibile per ora di una spiegazione plausibile: la cosa merita certo di essere ulteriormente e profondamente studiata. Riuscito vano questo tentativo di dimostrare la morte del protoplasma nei semi avvelenati, io ho voluto verificare se le cellule dell'embrione di questi semi potessero colorarsi traspor- tate nella soluzione di bleu d’anilina. Le sezioni microscopiche dell'embrione venivano perciò lasciate per '/, d'ora nella solu- zione della materia colorante; dopo di che venivano lavate in acqua distillata ed osservate al microscopio. Su una cinquantina RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 437 di sezioni provenienti ognuna da un seme avvelenato io ho por- tato il mio esame: ma in nessuna di esse le cellule apparvero colorate. Il protoplasma dei semi rimasti 48 ore immersi nel succo deve adunque considerarsi ancora vivente. Il. L’azione tossica ed antitossica dei sali è stata ripetuta- mente osservata non solo sugli animali ma pure sui vegetali ; anche per le piante esistono soluzioni isofisiologiche (physiologisch ausgeglichene Lòsungen, dei tedeschi) e soluzioni nutritizie (n@l- rende Lòsungen). Primo il Loew dimostrò che l’azione dannosa di un eccesso di sali di Magnesio sulle piante può essere an- nullata per l’aggiunta di sali di Calcio ed inversamente. Ma più estese cognizioni al riguardo noi dobbiamo all’Osterhout il quale ha dimostrato che l’azione antagonistica dei sali è d’im- piego generale per le piante così come per gli animali. Mentre ad esempio le zoospore di Vaucheria sessilis vivono da tre a quattro settimane nell’acqua distillata, esse muoiono in pochi minuti quando siano immerse in una soluzione 3/33 mol. di NaCl. L'aggiunta di MgCl,, MgSO,, KCI, nelle proporzioni in cui questi sali entrano nella soluzione del Van t’Hoff, non prolunga gran che la vita delle spore; ma l'aggiunta di 10 cm? di una sol. 3/30 mol. di Ca Cl, ad un litro di soluzione 3/33 mol. Na CI, sopprime completamente l’azione tossica di quest’ultimo sale, e permette alle spore di vivere in questa soluzione così a lungo come nell'acqua distillata. Fatti analoghi l’Osterhout ha osservato sperimentando sulla Ruppia maritima, sul Triticum vulgare: mentre ognuno dei seguenti sali KC1, NaC], CaCl,, MgCl,, MgS0, esplica da solo una decisa azione tossica, poteva il miscuglio di alcuni di essi o di tutti nella proporzione in cui entrano nella soluzione del Van t'Hoff fornire una soluzione isofisiologica. Altre esperienze sull’azione antagonistica dei sali sui ve- getali dobbiamo a Benecke, a Micheels e ad altri (1). (1) Asner unp Spiro, Ergebnisse der Physiologie, X, pag. 340 e seg. 438 S. DEZANI Ora il succo spremuto dai semi germinanti di Zea mais, come del resto anche quello spremuto da altri semi, presenta una conducibilità elettrica discretamente elevata, poco inferiore a quella ad esempio del sangue: questa conducibilità attesta la presenza di ioni liberi nei succhi. Non mi è quindi parso privo di interesse indagare se un assorbimento di elettroliti abbia luogo per parte dei semi quando essi vengono posti a rigonfiare nel succo, ed in caso positivo verificare se all’entrata di questi elettroliti nelle cellule dell'embrione potesse ascriversi una qualche azione dannosa, dovuta all’azione antagonistica che qualcuno di questi elettroliti potesse esercitare su quelli conte- nuti nelle cellule stesse. i Jo non ho creduto di procedere alla determinazione del- l’acidità ionica dei succhi, dacchè questa deve naturalmente es- sere di poco elevata, dovendosi la loro acidità attribuire alla presenza di acidi organici deboli: d'altra parte si sa che agli idrogenioni compete una funzione speciale e favorevole sullo sviluppo dei semi e che gli acidi entro certi limiti di concen- trazione accelerano la germinazione. A constatare un assorbimento di elettroliti del succo per parte dei semi l’unica via a me aperta — data la complessità della composizione del succo — era quella di seguire le varia- zioni della conducibilità elettrica del succo stesso in cui stanno immersi dei semi: evidentemente se assorbimento avesse luogo questo dovrebbe manifestarsi con una diminuzione della con- ducibilità. A questo scopo N. 20 semi di mais, lavati come già è stato detto precedentemente, si immergono in 20 em? di succo: come controllo si segue pure il modificarsi della conducibilità in altri 20 em? di succo solo. La temperatura del termostato in cui sì facevano le misurazioni ed in cui venivano tenuti i liquidi fra una determinazione e l’altra era di +4 25°, er È RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 439 Prova N. 1. KX104 a + 25° Succo solo | Succo + semi lazio «e. hi 49 Dopo” tarda" 0.1 51 | 49 L'AZIONE Dec) 92 5A palio Sormato: 52 I 5A paga Lt io 56 | DD A Ageoup i pi 55 55 iur30003 _trasgin DÒ | 61 7548 inoixibgos 61 | 68 Prova. iN.:2. KX1075 a + 25° | Il | Succo solo Succo + semi | | PRIZIONE, DT. EBAT gi 49 49 Dopo l'ora’... 49 49 HI BeGreore9T8, | 51 | 51 sit Dapgiona id 52 | 55 bibi 51 55 pi id ali 52 61 EROE, ne, Db 64 | Come risulta facilmente dalle su esposte tabelle, non si hanno differenze sostanziali nella conducibilità del succo solo e di quello in cui stanno immersi i semi. In tutti e due si osser- vano variazioni, ma queste sono indubbiamente dovute a feno- meni autolitici, per cui nei succhi si liberano altri elettroliti ; la conducibilità di conseguenza aumenta e maggiormente nel succo in cui stanno immersi i semi: avviene qui precisamente l'opposto di quanto si sarebbe aspettato. Questo aumento può essere dovuto al fatto che dai semi diffondono nel succo enzimi i quali aiutano ed accelerano in esso i fenomeni autolitici, o 440 S. DEZANI può questo aumento essere dovuto ad una diffusione di sali dai semi nel succo. Nell’un caso e nell’altro non si ha assorbimento di sali per parte dei semi; o se un assorbimento può aver luogo, questo viene sopraffatto dal fenomeno inverso. E di con- seguenza poco probabile che in questo stato di cose possa aversi un antagonismo fra i sali del succo e quelli dei semi. II. Io ho infine rivolto il mio studio a ricercare se nei semi avvelenati coi succhi potesse l’azione di questi provocare un abbassamento nell’attività dei vari enzimi contenuti nei semi stessi, sia uccidendoli, sia ereando condizioni sfavorevoli allo sviluppo della loro attività, sia anche provocando delle modifi- cazioni del protoplasma tali che questo abbia a perdere la ca- pacità di fabbricarli. Per ricerche così delicate occorreva natu- ralmente — ad escludere ogni causa di errore — abbandonare nella preparazione degli enzimi ogni operazione che potesse già di per sè provocare modificazioni nell'attività loro. Per questo io immergevo 50 semi di mais scelti fra i mi- gliori nel succo durante 48 ore a + 25°. Altri 50 semi (aventi lo stesso peso complessivo dei 50 precedenti) si facevano rigon- fiare in acqua distillata durante lo stesso periodo di tempo. Dopo di che i semi venivano lavati, asciugati fra carta da filtro, e triturati: la poltiglia era allora posta a digerire per 36 ore in 50 cm? d’acqua glicerinizzata (2 vol. di acqua, 1 vol. di glicerina). In seguito si filtrava e l’estratto così ottenuto; perfetta- mente limpido, era adoperato senz'altro alla determinazione delle varie attività enzimatiche. + Catalase. — Si prepara una soluzione o di perossido di idrogeno puro Merk; 5 cm* di questa soluzione si addizionano di 2 em? di estratto (1) e si pone il miscuglio in termostato a + 40°. Dopo qualche tempo il liquido viene diluito con acqua, (1) In questa come in tutte le altre prove che seguono si aggiungono ai liquidi come antisettico aleune goccie di eloroformio. RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 441 acidulato con acido solforico, ed in esso si dosa con una so- i N° di me. € 3 luzione ->G di permanganato potassico il perossido non de- composto. Ossidase -- perossidase. — A 5 cm? di estratto si ag- giungono 25 em? di una sol. di pirogallolo 4 °%/ in acqua, 5 em? di sol. di H,0, (3.6 °/o). Il miscuglio viene posto in termo- stato: dopo 24 ore si raccoglie su filtro tarato il precipitato di purpurogallina formatosi; si lava, si secca e si pesa. Amilase. — A 2 cm? di estratto si aggiungono 5 cm? di salda d’amido 1°/ e 10 cm} di acqua. Dopo 15 ore di perma- nenza dei liquidi in termostato si titola in essi lo zucchero ri- duttore formatosi col noto metodo del Bertrand. Naturalmente dal valore ottenuto si deduce la quantità di glucosio preesistente nei 2 cm? d’estratto impiegati. Invertase. — A 2 cm? di estratto si aggiungono 5 cm di sol. di saccarosio 5 °/, 5 goccie di acido acetico diluito e 10 cm? di acqua. Dopo 15 ore di permanenza dei liquidi in ter- mostato si titola in essi gli zuccheri riduttori formatisi. Si de- duce naturalmente dal valore trovato quello del glucosio pre- esistente nell’estratto. Protease. — A 2 cm? di estratto si aggiungono 5 cm? di acqua, 1 goccia di ac. cloridrico diluito ed un fiocco di fibrina colorata al carminio. Si nota dopo quale tempo i liquidi si colorino in rosso e si abbia la scomparsa della fibrina. Peptase. — A 2 em? di succo si aggiungono 5 em? di so- luzione di Peptone Witte 5°: si nota dopo quale tempo si riscontri nei liquidi la presenza del triptofano con la reazione dell’acqua di Bromo. Lipase. — A 2 cmì di estratto si aggiungono 5 cm? di latte, !/° cm? di tintura di tornasole : si osserva dopo quale pe- riodo di tempo si abbia arrossamento dei liquidi. Riporto ora ‘i risultati delle esperienze. 442 S. DEZANI Estratti 1% serie. Catalase. — KMnO, DI consumato in emi: Inizio Dopo 4/; d'ora Dopo ‘/ ora Dopo 1 ora Estratto s. s.(1). . 16.8 1.7 1.1 0.4 ; 000) tav 1708 9.8 vb 4.0 Ossidase + perossidase. — Purpurogallina ottenuta: Hatratto 8.9... (Lia ALT 0.080 . elio. rari arrioni ci Amilase. - Glucosio formatosi: Estratto s.s. . . . . gr. 0.009 È Sa. ide gatylità 00010149 Invertase. — Glucosio: HStPAbCO SS. n, 0 er UA | A te Pe dgirt a - Protease. — Non si osserva colorazione del liquido nè dis- soluzione del fiocco di fibrina nemmeno dopo 48 ore. Peptase. — Non si ha per aggiunta di acqua di Br. a piccole porzioni di liquido reazione alcuna dopo 48 ore. Lipase. — Non si osserva arrossamento del liquido dopo 24 ore. Estratti 2% serie. Li N | Catalase. — KMn0, ih consumato in cem': Inizio. Dopo '/, d'ora Dopo ‘/s ora Dopo 1 ora Estratto s. s. .- . 15.6 3.0 1.0 0.9 . PRG 7 RSI 16.5 8.6 5.0 3.2 (1) Con s.8s. si indicano ì semi sani e con s.a, i semi avvelenati. RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. i 443 Ossidase + perossidase. — Purpurogallina formatasi: Estratto s.s. . . . gr. 0.0068 Big, Wgq 100,463) ‘010040 Amilase. — Glucosio formatosi: Estratto,8. 8... Mors gr. 0.004 A Gribic allatta Invertase. — Glucosio formatosi: MAbFEv0:8. Sì: ., * PI. V.UO7 î SR PRA Nagai aghi 311 Protease. — Assenza di reazione dopo 48 ore. Peptase. — Nessuna reazione dopo 48 ore. Lipase. — . I DELUSE INI Estratti 82 serie. Catalase. — KMn0, È consumato in cmì: Inizio Dopo 4/, d'ora Dopo ‘/ ora Dopo 1 ora Estratto s.s. . . 16.2 5.0 1.2 0.8 A LEO. LI 17.6 12.0 8.6 6.0 Ossidase + perossidase. — Purpurogallina formatasi (1): Estratto s. s.. . . . gr. 0.0120 i ee cel a 00090 Amilase. — Glucosio trovato: Estratto s.s.-. . . gr. 0.002 A 9. Ah sostand b0:002 Invertase. — Glucosio trovato: Estratto s. s...... . gr. 0.005 n Sagra. ©_ar.0.009 Protease. — Nessuna reazione. Peptase. — . sal Lipase. — 4 ” : (1) Per questo saggio si sono adoperati rispettivamente 10 cm? di estratto. Ta 444 S. DEZANI Ro I risultati ottenuti esperimentando ancora su due altri estratti (e che qui per brevità ometto) furono del tutto ana- loghi ai precedenti. Da essi non può trarsi alcuna deduzione su possibili modificazioni che le varie attività (proteolitica, lipa- sica, amilolitica, invertiva e maltasica) dei semi avvelenati subiscano in paragone di quelli sani. Mancano infatti negli estratti — nelle condizioni delle mie esperienze — protease, peptase e lipase (1) e forse anche maltase ed invertase, 0 se questi due ultimi enzimi sono presenti, la loro azione è pres- sochè nulla. Si può invece in essi dimostrare con tutta facilità la presenza dell’amilase: se agli estratti si aggiunge della salda d’amido e si saggiano i liquidi con l’acqua di Jodo, si nota già dopo poche ore la scomparsa della colorazione bleu del ioduro d'amido: non si riesce invece nemmeno dopo 48 ore di perma- nenza dei liquidi in termostato a far scomparire la reazione della destrina con l’acqua di Jodo. Un fatto invece costantemente da me osservato è quello della notevole diminuzione delle attività catalitiche ed ossida- siche negli estratti provenienti dai semi avvelenati in confronto degli estratti ottenuti dai semi sani. Riunisco nella seguente tabella i risultati ottenuti, in cui sono dati anche i risultati di 2 altre esperienze. Catalase. — KMnO0, DI consumato in em8: Inizio Dopo '/, d'ora Dopo ‘/ ora Dopo 1 ora dee, bi-9: 16.8 1.7 1. (0,4 s. a. ? 17.8 9.8 TA 4.0 Da FS.» 15.6 3.0) 1.0) 0.9 tig Pt 8.6 5.2 3,2 ga DIS è 16.2 5.0) 1.2 0).8 ae I 12.0 8.6 6.0 4° de ce Pe 19.7 7.2 4.0) 1.6 : dI A 16.4 13.2 9.8 pa | i Mg 18.2 8.2 33.6 1.0 tratta tgp 17.6 11.8 9.0 7.2 (1) Con l'applicazione di altri metodi — che però male rispondevano agli scopi delle presenti ricerche — non è difficile dimostrare nei semi di mais la presenza di tutti questi enzimi. estinti RICERCHE SULLA TOSSICITÀ DEL SUCCO, ECC. 445 Ossidase + perossidase. — Purpurogallina ottenuta: Serie 1% Serie 28 Serie 3° Serie 4% Serie 5% B. S. gr. 0.0080 0.0068 0.0120 0.0050 0.0050 S. a. s 0.0058 0.0040 0.0090 0.0050 0.0032 *» * * Risulta così dimostrato che l’azione tossica dei succhi espressi dai semi germinanti di Zea mais su semi di Zea mais consiste — almeno in parte — nella diminuzione (diminuzione che forse nei semi i quali hanno perduta la germinabilità po- trebbe spingersi fino alla soppressione) delle attività ossidasiche e catalitiche. Potrebbe darsi che questa diminuzione di attività non ri- guardi solo l’ossidase e la catalase, ma che si estenda pure a tutti gli altri enzimi contenuti nei semi: è cosa questa che merita di essere ulteriormente studiata, edio spero di poter tornare presto sull'argomento, riprendendo le ricerche con metodi più delicati di quelli ora applicati. Tuttavia bastano i fatti accertati da queste esperienze a spiegarci in parte l’azione tossica di questi succhi. Poichè è evidente che agli enzimi ossidanti e catalitici compete nei fenomeni vitali una funzione non secondaria. Noi ignoriamo purtroppo ancora quasi completamente quale sia questa funzione, e su quali sostanze negli organismi s’eser- citi questa funzione: di tutte le ipotesi poste innanzi a questo riguardo nessuna è ancora suffragata da fatti positivi. Ma sia che a questi enzimi spetti una semplice protezione contro l’azione dannosa dei perossidi o dei composti che essi ossidano (Portier), sia che essi prendano veramente parte ai fenomeni della respirazione (Palladin, Bertrand), la loro importanza può ben dedursi dal fatto che essi sono largamente sparsi in tutti gli organismi vegetali ed animali. Indubbiamente quindi la soppressione, od anche solo la diminuzione dell’attività di questi enzimi deve produrre dei 446 S. DEZANI — RICERCHE SULLA TOSSICITÀ, ECC. danni non facilmente reparabili per la cellula e per l’ or- ganismo intero. Le conclusioni del presente lavoro possono essere le se- guenti : 1° I succhi espressi da semi germinanti di Zea mais non costituiscono un veleno protoplasmatico per i semi di Zea mais; 2° L’azione tossica dei succhi sui semi non pare debba ascriversi ad azioni antagonistiche fra i sali dei succhi e quelli dei semi, dacchè non pare che un assorbimento di sali abbia luogo per parte dei semi dal succo ; 3° Nei semi avvelenati coi succhi si nota una notevole diminuzione delle attività catalitiche ed ossidasiche in confronto dei semi sani. Torino. Laboratorio di Materia medica e Jatrochimica dell’Università. de a T. SALVADORI — INTORNO AD UN LAVORO, ECC. 447 Intorno ad un lavoro del Principe Carlo Luciano Bonaparte. Nota del Socio T. SALVADORI. Nel volume nono della Rivista Contemporanea, fascicolo qua- rantesimo, ed alle pagine 209-217 (febbraio 1857), si trova un lavoro di Carlo Luciano Principe Bonaparte, intitolato “ Paral- lelismo fra le tribù dei Cantori Fissirostri e quella dei Volucri hianti e dei Notturni ovvero insidenti ,. In questo lavoro vi è un elenco dei generi e delle specie delle quattro famiglie: Hi- rundinidae, Cypselidae, Steatornithidae e Caprimulgidae. Questo lavoro, per la rarità del volume nel quale fu pu- blicato, non si trova mai citato dai sistematici, colla sua pa- ginazione originale, ma soltanto con quella dell’estratto. Questa cosa mi è stata fatta notare recentemente da (. W. Richmond dell'Istituto Smithsoniano di Washington, il quale mi ha scritto pregandomi di verificare la paginazione originale del lavoro del Bonaparte nella Rivista Contemporanea. In tre delle famiglie, contenute nel lavoro del Bonaparte, sì trovano compresi taluni generi nuovi, i quali, per la ragione suddetta, non vengono citati in modo esatto e taluni sono ri- masti al tutto ignorati. Questa cosa è avvenuta anche nel diligente lavoro del Wa- terhouse, intitolato: Index Generum Avium. Nella famiglia delle Hirundinidae furono proposti dal Bo- naparte i seguenti nuovi generi: Hemicecrops Bp. Riv. Contemp. IX, p. 210, gen. 4 (1857). Pristoptera Bp. l. c. gen. 6. Questi due nomi si trovano debitamente annoverati nella Bibliografia premessa alla Monografia delle Hirundinidae dello Sharpe e del Wyatt (pag. Lvir), il primo sotto la forma (cor- retta?) di Hemicecropis, ma sempre colla paginazione dell’estratto. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 29 448 T. SALVADORI Lo Sharpe (1. c.) annovera anche il genere Phedina fra quelli fondati dal Bonaparte nella Rivista Contemporanea, ma a lui è sfuggito che il genere Phedina non prende data dalla Rivista Contemporanea nel 1857, ma dal volume XLI dei Comptes Rendus nel 1855. Al genere Hemicecrops Bonaparte attribuisce le seguenti specie: Hemicecrops dimidiata (Sund.) Bp. 1. c. p. 210, n. 18 (= Hi- rundo dimidiata). ° scapularis (Cass.) Bp. l. c. n. 19 (= H. dimi- diata). i leucosoma (Sw.) Bp. 1. ce. n. 20 (= AH. leuco- soma). — griseopyga (Sund.) Bp. l. c. n. 21 (= H. gri- seopyga). ù atrocacyanea (Sund.) Bp. l. c. n. 22. î ? semirufa (Sund.) Bp. l. c. n. 23 (= H. semi- rufa). La specie n. 22 è indicata col nome specifico atrocacyanea Sund., nome evidentemente errato, forse invece di Hirundo atrocaerulea Sund., che il Bonaparte non menziona. Nel genere Pristoptera il Bonaparte annoverò una unica specie, la Hirundo pristopera Riipp., alla quale, per evitare l’eufe- mismo, dette il nome di Pristoptera typica Bp., Riv. Contemp., p. 210, n. 29 (1857). Anche il genere Phedina è annoverato dal Bonaparte nel lavoro citato colle tre specie: Phedina borbonica (Gm.) Bp. 1. c. p. 210, n. 32 (1857). A spilodera (Sund.) Bp. l. c, n. 33 (= Petrochelidon spilodera). L subfusca (Gould) Bp. 1. ce. n. 34 (= Hirundo tahitica Gm.), ma esso era già stato fondato dal Bonaparte nel 1855 (Compt. Rend. XLI, p. 977). Oltre ai due generi suddetti (Hemicecrops è Pristoptera) il Bonaparte nel suo lavoro creò anche il nuovo genere 7upera Bp. INTORNO AD UN LAVORO DEL PRINCIPE C. LUC. BONAPARTE 449 l. c. p. 211, gen. 11 (1857) col tipo Hirundo pascuum Neuw. (= Hirundo Tapera Linn.). _ Nel genere Tapera sono annoverate dal Bonaparte le se- guenti specie: Tapera pascuum {Wied) Bp. l. c. p. 211, n. 40 (1857) (= Hi- rundo tapera Linn.). di cyanoleuca (Vieill.) Bp. ]. ec. p. 211, n. 41 (= A4#- ticora cyanoleuca). Ri melanoleuca (Wied) Bp. 1. c. n. 42 (= Atticora me- lanoleuca). È leucoptera (Gm.) Bp. 1. c. n. 43 (= Tachycineta al- biventris Bodd.). E maculosa (Kuhl) Bp. 1 c. n. 44 (=? 7. maculata Bodd.). patagonica (Orb.) Bp. l. c. n. 45 (= Atticora cya- noleuca). leucorrhoa (Vieill.) Bp. 1. c. n. 46 (= Tachycineta lencorrhoa). i > leucopyga (Meyen) Bp. l. c. n. 47 (= 7. meyeni Bp.). ll genere Tapera Bp., sebbene menzionato dal Waterhouse (op. cit., p. 218), è stato ommesso dallo Sharpe, tanto nel “ Ca- talogue of Birds ,, vol. IX, nel quale sono annoverate le Ron- dini, quanto nella Monografia citata. Il genere Tapera Bp. è equivalente in parte a Phaeprogne Baird, Rev. Am. B. p. 283 (1864), ed in parte a Tachycineta Cab. e ad Atticora Boie. Ad ogni modo non potrebbe essere usato perchè già proposto dal Thunberg nel 1819 (Gòthedorg. Vet. o. Vitt. Nya Handl. D. 3, pp. 1-6) (1). Nella famiglia delle Oypselidae il Bonaparte, nel lavoro menzionato, proponeva i due seguenti nuovi nomi generici: Achantylops Bp. l. c. p. 212, gen. 2 (1857). Pallenia Bp. ]. c. p. 212, gen. 3 (1857). (1) Il genere Tapera Thunb. è sinonimo di Diplopterus Boie, Isis, 1826, p. 977, ed ha la priorità. Nella recente opera di Lord BrasourNnE e CHARLES Cuuss, The Birds of South America, a pag. 153, il genere Tapera è attri- buito al Billberg colla data 1828. 450 T. SALVADORI Il primo nome è citato dal Waterhouse (op. cit., p. 2), ma non dallo Hartert, nè nel “ Catalogue of Birds ,, vol. XVI, nè nella Monografia delle Macropterigidae (nel Thierreich). Cosa il Bonaparte intendesse col genere Achantylops non è facile dire, giacchè ad esso non segue alcun nome di specie. Non è improbabile che ciò sia avvenuto per un errore di stampa e che la prima specie annoverata nel genere seguente, Pallenia, cioè il Cypselus senex 'Temm., dovesse invece seguire il nome Achantyiops. È anche possibile che quel nome stia invece di Achantylis Boie, rectius Acanthillis (cf. AGAssiz, Index Univers. p. 3, 1846. — Newton, Pr. Zool. Soc. 1880, p. 2). Il genere Pallenia, che il Bonaparte adopera nel lavoro ci- tato, sembra una semplice modificazione di Pallene Less. Compl. de Buff. VIII, p. 493 (1837). Ad ogni modo esso avrebbe do- vuto essere citato nei lavori dello Hartert intorno alle Cypselidae. Le specie comprese dal Bonaparte nel genere Palleria sono le seguenti: Pallenia senex (Temm.) Bp. 1. c. p. 212, n. 5 (1857) (= Oy pseloides senex). î gigantea (Temm.) Bp. 1. c. n. 6 (= Chaetura gi- gantea). 4 fusca (Shaw) Bp. 1. c. n. 7 (Chaetura caudacuta (Lath.)). i nudipes (Hodgs.) Bp. 1. c. n. 8 (= Chaetura nu- dipes). Infine nella famiglia delle Caprimulgidae il Bonaparte, nel lavoro citato, introdusse per la prima volta i due seguenti nomi generici: Ramphaoratus Bp. Le. p. 215, gen. 9 (1857) Capripeda Bp. l. c. p. 215, gen. 23 (1857) laddove i generi Nyctiphrynus e Nyctiprogne, pure del Bonaparte, erano stati menzionati da lui in un altro lavoro precedente, nel Conspectus systematis Ornithologiae (Ann. Se. Nat., Zool. (4) 1, p. 139, 1854), ma nella Rivista Contemporanea egli ne” fissò i tipi. Questi nomi sono esattamente citati dal Waterhouse (op. cit.), INTORNO AD UN LAVORO DEL PRINCIPE C. LUC. BONAPARTE 451 ma quello di Capripeda viene dal medesimo attribuito al Ver- reaux sulla fede del Gray (Hand-l. I, n. 180), laddove ciò era avvenuto per opera dello stesso Bonaparte. Il genere Ramphaoratus Bp. (rectius RAkamphaoratus) non è menzionato dallo Hartert nei due lavori citati (Cat. of Birds, XVI e Thierreich, 1); esso avrebbe per tipo il &. truncatus Bp.. che si conservava nel Museo Britannico, ma che non è stato rintracciato dallo Hartert, che non ne fa alcuna menzione. Dalla Sinonimia citata dal Bonaparte pare che il È. truncatus Bp. sia identico col Caprimulgus labeculatus Jard. Ann. and Mag. N. H. 1846, p. 118 (= Chordeiles acutipennis Bodd.). Nello stesso genere Ramphaoratus il Bonaparte annoverava il Caprimulgus exilis Less. Rev. Zool. 1839, p. 44 (= Capri- mulgus pruinosus Tsch. Wiegm. Arch. 1844, I, p. 268). Il genere Nyctiphrynus (già menzionato dal Bonaparte nel 1854) ha per tipo il Cuprimulgus ocellatus Tsch. (Bp. Riv. Contemp. IX, p. 215, n. 41 (1857)) ed il genere Nyctiprogne (pure menzionato dal Bonaparte nel 1854) ha per tipo il Capri- mulgus leucopygius Spix (Bp. Riv. Contemp. IX, p. 215, n. 50). Finalmente il genere Capripeda, che ha per tipo il Capri- mulgus natalensis Smith, viene dal Bonaparte attribuito al Ver- reaux, il quale non pare che lo abbia pubblicato; esso non è menzionato dallo Hartert ed anche al Waterhouse è sfuggita la originale citazione del Bonaparte. La esatta citazione della specie tipica nel lavoro del Bonaparte è la seguente: Capripeda natalensis (Smith) Bp. Riv. Contemp. IX, p. 215, n. 100 (1857). Torino, Museo Zoologico, Gennaio 1914. L’ Accademico Segretario CoRRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 1° Febbraio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Manno, SramPINI, Sforza, BAUDI DI Vesme e De Sancris in funzione di Segretario. Scusano l’as- senza i Soci ReNnIER, Rurrini ed ErnaupI. E letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 18 gennaio 1914. Il Presidente comunica i ringraziamenti dei professori SILVA e Tamassia pel premio Gautieri ad essi conferito e del com- mendatore Fiorini pel premio Bressa assegnato alla nuova edi- zione da lui diretta dei Rerum Italicarum Scriptores. Il Socio SrAMmPINI presenta con parole di encomio il volume degli scritti latini di R. BraginI edito in Lucca (1912) a cura dei professori di quel Seminario. Costituitasi quindi la Classe in seduta privata procede a scrutinio segreto alla nomina dei tre membri componenti la Commissione pel conferimento del premio Gautieri di Lettera- tura (triennio 1911-18). Risultano eletti i Soci RENIER, STAMPINI © SFORZA Vengono inoltre confermati per un triennio i Soci CUARLE e Srorza come rappresentanti della Classe nel Consiglio di Am- ministrazione dell’Accademia. L'Accademico Segretario RopoLro RENIER. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’8 Febbraio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE- PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe NaccarI, ed i Soci D'Ovipio, PrANo, Foà, GuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, Mat- TIROLO, Grassi, FusaRrI e SEGRE, Segretario. — Scusa l’assenza il Socio SOMIGLIANA. Vien letto ed approvato il verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica: 1° La partecipazione della morte, avvenuta il 20 gen- naio scorso, del nostro Corrispondente RosenBuscH, il quale ap- parteneva all'Accademia fin dal 1876. Furono già inviate le condoglianze alla vedova. 2° Una copia conforme di R. Decreto 21 dicembre 1918 col quale fu approvata la rielezione del Socio Srcre a Segre- tario della Classe per il triennio dal 16 novembre 1913 a tutto il 15 novembre 1916. 3° Un invito della Società Reale di Edimburgo a prender parte ad un congresso e ad una pubblicazione, da farsi per sot- toscrizione pubblica, nel luglio prossimo, in Edinburgh, per ce- lebrare il tricentenario dell'invenzione dei logaritmi dovuta a Napier. Il Socio PARONA presenta in omaggio due volumi su La Tripolitania settentrionale, pubblicati dalla Commissione per lo Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 30 454 studio agrologico della Tripolitania, da lui presieduta. — Simil- mente il Socio Fusari offre, a nome del prof. B. Morpurso, Direttore dell'Istituto di Patologia generale nell’ Università di Torino, due volumi di lavori compiuti dal 1903 al 1913 in quell'Istituto. Il Socio Grassi offre in dono alla Biblioteca accademica un secondo esemplare della preziosa ristampa della celebre Memoria di PacinortI, Descrizione di una macchinetta elettro-magnetica, che già era stata presentata alla Classe, per incarico dell’Asso- ciazione elettrotecnica italiana, nell'adunanza del 27 aprile 1913. Il Socio GuaRrESscHI presenta, per la stampa negli Atti, una sua 1® Nota di /icerche sull'acqua di cristallizzazione. Com- posti con 2H*O; ed il Socio FiLeri una Nota di G. CHARRIER ed L. Casate, Sugli ortoossiazocomposti derivanti dall’ a-naftol, ed una di G. FERRERI, Su alcuni eteri di naftilen-n- ossifeniltriazoli. Il Socio D'Ovipro offre, pei volumi accademici, una Memoria di G. SANNIA, Caratteristiche multiple delle equazioni lineari «lle derivate parziali in due variabili. Si dà l'incarico di riferire in- torno ad essa ai Soci D'OvIpIo e SOMIGLIANA. Infine il Socio CAameRANO presenta, pure per la stampa fra le Memorie, la Parte seconda delle sue Ricerche intorno ai Ca- mosci. amoscio delle Alpi. Essa viene accolta dalla Classe con votazione unanime. Costituitasi quindi la Classe in seduta privata, si procede alla votazione per la elezione del Direttore della Classe, essendo scaduto il Socio NAccaRI per compiuto sessennio. Riesce eletto il Socio D'Ovipro, salvo l'approvazione Sovrana. Inoltre si procede alla nomina del rappresentante della Classe nella Commissione per la biblioteca accademica, per compiuto triennio del Socio MartIRoLo. Rimane confermato per un nuovo triennio lo stesso Socio MamTTIROLO. ICILIO GUARESCHI -— RICERCHE SULL'ACQUA, ECC. 455 LETTURE Ricerche sull'acqua di cristallizzazione. Composti con 2H°0. Nota I del Socio I. GUARESCHI. E Introduzione. In uno dei miei lavori sui bromuri (1) ho fatto cenno dello stato dell’acqua di cristallizzazione e dei modi di determinarla. La questione riguardante lo stato dell’acqua nei cristalli, o come suol dirsi di cristallizzazione, ha una importanza grande, anche per il fatto che si è voluto connettere lo stato dell’acqua di cristallizzazione nei sali colla costituzione mo- lecolare dell’acqua stessa, cioè se l’acqua esiste nei cristalli allo stato di molecole multiple. Io ho avuto occasione di determinare l’acqua di cristalliz- zazione in molti sali, particolarmente in molti bromuri metal- lici, ed ho quindi dovuto occuparmi della relativa bibliografia. Allora mi sono avveduto di molti errori in cui sono caduti non pochi chimici. E un argomento molto spinoso, certamente ; i dati speri- mentali che si hanno sono, spessissimo, assai discordanti, ed in molti Trattati di Chimica, del resto anche pregevoli, e così pure in memorie originali, si trovano molti e molti errori ri- guardo l’acqua di cristallizzazione. Di questo argomento ho dovuto occuparmi varie volte; anche a proposito di sali ra- meici notai, già da molti anni, che alcuni di questi in am- (1) I. GuarescuI, Ricerche intorno ai bromuri. Nota V in * Atti R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1918, t. 48, p. 981. 456 ICILIO GUARESCHI biente secco, o nel vuoto, cambiano di colore e perdono l’acqua che poi ricuperano insieme al colore primitivo stando all'aria. Così pure da lungo tempo notai che certe sostanze, non cristal- lizzate, perdono la loro acqua nel vuoto, in gran parte, e poi la ricuperano stando all’aria; tale è il caso delle farine, degli amidi, ecc. A me pare prematuro il discutere intorno allo stato del- l’acqua nei cristalli, il trarre delle regole generali intorno alla sua eliminazione ed anche alle relazioni che vi possono esistere col numero delle molecole d’acqua, ecc., come hanno invero fatto alcuni chimici basandosi su dei dati incerti, discordanti 0 incompleti. Per Ja grande maggioranza dei composti chimici contenenti acqua di cristallizzazione, siano salini o no, siano inorganici od organici, le osservazioni fatte sino ad ora sono assai imperfette, tanto relativamente alla temperatura quanto alla pressione, al tempo ed altre condizioni in cui l’acqua si elimina. Quasi sempre nei sali molto idrati, e specialmente secondo le vecchie esperienze, si è determinata l’acqua di cristallizza- zione scaldando il sale direttamente alla temperatura di fusione, o anche superiore, e, come suol dirsi, fusione acquosa; ma in questi casi si può incorrere in errori gravi, sia perchè il sale se è ad acido volatile può per idrolisi perdere in parte l'acido, sia perchè il sale in fusione nella propria acqua non è nelle condizioni normali del composto solido e le molecole dell’acqua possono cambiare orientamento relativamente al sale anidro. E quindi meglio in ogni caso saggiare le varie temperature sino a coglier quella in cui comincia a eliminarsi l’acqua. Come confronto poi si può determinare l’acqua alla tem- peratura alla quale il sale fonde, o, come spesso si è fatto, a 100°, Nella numerosa bibliografia riguardante l’acqua di cristal- lizzazione si trovano sparsi qua e là dei dati sperimentali in- teressanti, ma non sono lavori, come suol dirsi, d'insieme, A cagion d'esempio il Mallet nel 1882 (1) determinò il nu- mero delle ore necessarie per eliminare ognuna delle 19 molecole (1) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1882, p. 277. RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 457 che si staccano dall’allume ammoniacale quando lo si lasci a 20°-27° sull’acido solforico. Così pure il Mulder (1) relativa- mente alla perdita d'acqua dell’allume ordinario a varie tem- perature. Ma in generale questi lavori non furono tenuti in considerazione. Sono tutti fatti staccati che meritano di essere riuniti e coordinati secondo un punto di vista generale. Non è indifferente il modo di determinare la maggiore o minore facilità di eliminarsi delle molecole d’acqua; varia molto colle condizioni diverse. Per trarre qualche conclusione sullo stato dell’acqua di cristallizzazione bisogna eseguire un lavoro metodico molto lungo su ciascun composto. Fa d’uopo cioè de- terminare l’acqua: 1° in termostati a temperature gradatamente crescenti da 30°....., 40°....., 50°, ecc.; 2° in istufe a vapore di liquidi bollenti a temperatura costante; 3° lasciando il sale in disseccatore a cloruro di calcio, o ad acido solforico od anche ad anidride fosforica; 4° sull’acido solforico e a pressione ri- dotta; 5° in termostato solo, od entro disseccatore (2); 6° in stufe a pressione ridotta e a temperatura costante; 7° scal- dando il sale a temperatura gradatamente crescente e in cor- rente di aria o di altro gas secco. Talora pure non è indifferente determinare prima l’acqua in un modo e poi in un altro. Magnier de Ja Source (3) ha notato il fatto che l’idrato CuS0*. 3H?0 preparato lasciando il solfato ordinario nell’aria secca a 25°-30° nel vuoto restava inalterato, mentre l’idrato ordinario CuSO*4. 5H?0 nel vuoto per- deva 4H?0. Alcuni fatti analoghi ho osservato anch'io. Se si vogliono fare dei confronti e se si vogliono trarre delle conclusioni sullo stato dell’acqua nei corpi cristallizzati, bisogna operare come più sopra ho indicato; è lavoro lungo e (1) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1864, p. 92 e Gwenvin-Kravr-Friepnerm, T. II, parte II, p. 660. Il lavoro originale è in lingua olandese. Rotterdam, 1864- Delle considerazioni interessanti trovansi anche in una Memoria di Prc- xerine (“ J. Chem. Soc. ,, 1877, t. 49, p. 411), ma non sono in relazione col presente mio lavoro. (2) L'uso dell’acido solforico come agente disseccatore va fatto con prudenza, perchè anche puro può emettere vapori acidi al disopra della temperatura ordinaria. (3) “ Comptes Rendus ,, t. 83, p. 899. 458 ICILIO GUARESCHI che va eseguito con grande cura. Con quasi sicurezza potrebbe dirsi che quasi tutti i dati sperimentali relativi alla eliminazione dell’acqua di cristallizzazione, da dieci anni in dietro, dovrebbero essere riveduti. Da taluni chimici si sono stabilite delle leggi, o meglio delle regole generali, sulla eliminazione dell’acqua di cristalliz- zazione, che l’esperienza, secondo il mio parere e le mie osser- vazioni, ha dimostrato non corrispondere al vero. Il Mendeleeff, a cagion d'esempio, nei suoi Principes de chimie, vol. I, pag. 170-171, relativamente al solfato di rame afferma che questo sale perde 28,8 ° di acqua a 100° e 7,2 %y a 240°; mentre si vedrà dalle esperienze mie, e da quelle di altri chimici, che il solfato di rame CuS04. 5H?20 già a 50° perde 28,42 °/,, cioè 4H?0 e in altre condizioni ne perde solamente 2H20, ecc. Inesattezze simili si trovano riguardo gli allumi. Così pure non esatta la regola generale enunciata dal Mendeleeff, che cioè: “ Sovente la temperatura alla quale comincia lo sviluppo del- l’acqua di cristallizzazione è superiore al punto di ebollizione del- l’acqua ,. E l'illustre chimico cita quale esempio il solfato di rame come ho ricordato più sopra. Riguardo a questa sua re- gola, la quale evidentemente non è esatta, ricorda, come altro esempio, l'eliminazione dell’acqua dall’allume. “ L'allume, egli scrive, che contiene 45,5 %, di acqua ne abbandona 18.9 % a 100°, poi ne perde ancora 17,7 %, a 120°e 7,7%, a 180° ed infine 1° ancora a 180° e non abbandona il resto, eioè ancora 1 °/, se non alla temperatura della sua decomposi- zione ,. Ma egli dava nessuna importanza al modo di dissec- care e disidratare i sali, ed invero scriveva: “ Per verificare questo fatto (disidratare il solfato di rame, ecc.) basta dissec- care un peso noto di cristalli in una stufa ad aria calda o non importa in quale altro apparecchio a disseccazione ,. lo ho fatto molte esperienze su un gran numero di allumi, che saranno esposte in un altro lavoro. E noto che in seguito ad una ipotesi assai ingegnosa emessa dal Roòntgen, e sviluppata da altri fisici e chimici, si attribuisce all'acqua liquida una costituzione molecolare colla quale sì pos- sono spiegare le variazioni di molte delle sue proprietà chimico- fisiche; l’acqua sarebbe costituita dalla miscela di molecole allo RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 459 stato liquido e da molecole allo stato di ghiaccio; in ogni caso molecole polimerizzate. Ora, se veramente tutti i corpi cristalliz- zati con 2H?0 e con 3H20, od un multiplo, lasciassero eliminare, sfuggire, le loro molecole d’acqua contemporaneamente, cioè a gruppi di (H?0)* e (H®0)3, sarebbe forse (1) un buon argomento di prova per ammettere le molecole polimerizzate. Ma da espe- rienze già conosciute e da altre molte che ho fatto io, è dimo- strato che moltissime volte le molecole d’acqua si eliminavano successivamente, separatamente e non a gruppi, oppure si eli- minavano con velocità molto diversa. Fu in seguito a queste, e ad altre, considerazioni, e all’aver veduto quanto sono discordanti i dati forniti dai vari autori per l’acqua di cristallizzazione in uno stesso sale, che la mia atten- zione si rivolse anche ad alcune regole generali che il signor Rosenstiehl crede di aver stabilito. Rosenstiehl nella seduta 16 dicembre 1910 della Soc. frane. de Physique ha comunicato una statistica relativa al numero delle molecole di acqua di cristallizzazione che trovasi nei sali. Risulterebbe che il gruppo (H?0)8, o un multiplo di tre, sarebbe il più frequente. Dopo vengono i sali con 2H?0 e 1H2 (2). Il sig. Rosenstiehl (3) ha poi pubblicato nel 1911 alcune altre note relative allo stato dell’acqua nei cristalli ed al numero di molecole di acqua contenute nei diversi sali. Egli dà una sta- tistica desunta dal Chemiker Kalender del Biedermann ; opera questa eccellente per gli usi pratici dei chimici, ma non di natura tale da poter servire allo scopo che voleva raggiun- (1) Dico forse, perchè l’acqua si elimina allo stato gasoso e quindi anche se preesistesse nei cristalli a gruppi di molecole (H?0)?, (H*0)3 questi potrebbero dissociarsi ed uscire allo stato monomolecolare. Sotto questo riguardo è interessante la esperienza di A. Kirscuner (* Zeits. f. physik. Chem. ,, 1911, t. 76, p. 174), secondo il quale una soluzione concen- trata di BaC1?.2H?O nell’alcool metilico lascia rapidamente depositare il sale BaC1?. H?0. (2) Vedi il riassunto fatto -da G. Lippmann nella “ Rev. Gén. des Sciences ,, 1911, p. 217. (3) “ Bull. Soc. Chim. de France ,, 1911 (4), t. IX, p. 78 e 174; Eaw polymérisée et eau de cristallisation, “ ivi ,, p. 281; La température et les conditions de la déshydratation, “ ivi ,, p. 184; Eau de cristallisation, SVI, p. 291; Réponse à M. Lecoq de Boisbaudran, “ ivi ,, pp. 827 e 1087. o — MI E 7 460 ICILIO GUARESCHI gere il Rosenstiehl; sotto questo riguardo è opera molto in- completa, e dalle poche centinaia di corpi che vi sono accen- nati, anidri e idrati, non se ne possono dedurre delle regole generali. Il Rosenstiehl ammette, in linea generale, che i sali con- tengano in prevalenza 3H?0 o un multiplo di tre, quali sono gli allumi con 24H?0 od i solfati di sesquiossido con 9 e 18 ag., i clorati isomorfi, ecc. con 6H?0. Egli prese in considerazione 178 composti idrati su 977 composti contenuti in quelle tabelle e ne trova: N. 16 contenenti 1H?0; »s 54 con 2H?20 o un multiplo di 2; » 100 con 3H?0 o un multiplo di 3 sino a 24; A 8 non classificati. È da notare che il Rosenstiehl comprende nel N. 100 anche quei sali che contengono 4.7.10H?0, essendo, egli dice, spesso formati di 1 +3, 1+ 6, 149, ece.; e così pure i sali con 5H?0 e 8H?0, perchè li considera come aventi 1--4 oppure 34-2,24+ 6H?0. Inoltre si osservi che nelle tavole del Bie- dermann sono compresi gli allumi, i solfati della serie magne- siaca ed altri corpi contenenti 6, 18 e 24H?0, mentre mancano numerosissimi altri sali con !/sH?0, 1H20, *sH?0, 2H20, ece. Ma anche limitando la discussione ai sali minerali, a me pare che per dedurre delle conclusioni generali, questa meschina statistica sia insufficiente. Non ho voluto enumerare tutti i composti inorganici cristallizzati con acqua di cristallizzazione, ma ho raccolto i dati relativamente a molti metalli, e a molti composti organici; valendomi delle memorie originali dei sin- goli autori, e dei migliori Trattati di chimica inorganica quali il Gmelin-Kraut-Friedheim, Handb. d. anorg. Chem., VAbegg, Handb. anorg. Chem., ecc. e per i dati più recenti: i giornali scientifici. Accenno ora solamente ai sei metalli: potassio, sodio, cesio, rubidio, bario. Pel potassio ho notato che su 97 sali ben cristallizzati con acqua di cristallizzazione ve ne sono solamente 20 con 3H®0 od un multiplo di3; 22 con numero frazionario (*/3H?0, 1/2H?0, ece.); 20 con 1H*0; 15 con 2H20, poi tutti gli altri con: 5-8-10-11- 12-14-19 e 36H20, RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 461 Su 210 sali di sodio ne trovai 17 con numeri frazionari (da 1/s$H?0 a 51/,H?0); 22 con 1H?°0; 31 con 2H?0 e 22 con 3H?0, il resto con 4-5-7-8-10-11-15-14-16-19-20-22-23 e 26H?0. Cioè tutti i rapporti possibili ! Su 122 sali di bario ne trovai: 8 con numeri frazionari (da 1/3 H?0 a 19/3 H?0); 30 con 1H?0; 23 con 2H?0, solamente 9 con 8H20; 12 con un multiplo di 3; il resto con 4-5-6-7-8- 10-11-14 e 25H?0. Su 11 composti di rudidio : 4 con 1H?0; 2 con 2H?0; 2 con 3H20; 1 con 4; 1 con 5H20 e 1 con 6H20. Su 8 composti di cesio: 5 con 1H?0; 2 con 2H?0 e 1 con 5H20. Nessuno con 3H?0. Tra 54 composti di litio ve ne sono 8 con numeri frazio- nari {da 1/, H?0 a 2!/, H20); 14 con 1H?0; 9 con 2H?0; 7 con 3H20; 3 con 4H?20; 1 con 5, 2 con 6 e 2 con 7H?0; poi il resto con S-9-10-11 e 16H?0. Il sig. Rosenstiehl (1) afferma che i sali a 5H?0 sono otto, ma io solamente nei sali di sei metalli (potassio, sodio, bario, cesto, rubidio e litio) ne ho trovati 34. Così pure, egli dice, che i sali con 1 sola molecola d’acqua sono 16, ma io fra i sali dei sei metalli surricordati, ne ho con- tati almeno 85. Dei sali con 7H?0 Rosenstiehl ne enumera solamente 10, ma io ne ho trovati 19 solamente nei sali dei metalli litio, darzo e sodio; i sali di potassio, cesio e rubidio non contengono mai, o quasi mai, 7H?0. Dei sali a 10H?0 egli ne enumera 10, io solamente in quattro metalli ne ho trovati 20. i Con differenze numeriche così enormi una discussione frut- tuosa non è possibile (2). (1) Loc. cit., p. 287. (2) Su un totale di circa 180 minerali che contengono acqua di cri- stallizzazione io ne ho trovato 24 con H?0; 20 con 2H*0; 19 con 3H°0; 11 con 4H°0; 7 con 5H*°0; 8 con 6H?°0; 11 con 7H°0; 12 con 8H°0; 5 con 9H?0, ed il rimanente con 10, 12, 15, 18, 20, 22, 24H°0. Quale re- gola generale può derivare da questi dati numerici? A me pare, nessuna. Si potrà forse ricavare qualche conclusione importante quando si conosce- ranno con esattezza le condizioni nelle quali si elimina l’acqua in questi composti. Ma sino ad ora si conosce assai poco a questo proposito. lese na e _. 462 ICILIO GUARESCHI Ma, potrà dirsi, i composti R.'3H?O e R.1/,H?0, ecc. si possono ridurre a intere molecole raddoppiando i pesi mole- colari e così si avrebbe 2R.H?0 e 2R.3H20, ece. Però il fare questo cambiamento è arbitrario, sino a quando non si conosca esattamente il peso molecolare del composto nel quale ora sì ammette la *s mol. di acqua. Di questa questione dirò in altro lavoro. Anche per gli allumi non siamo ancora sicuri se dobbiamo rappresentarli con RR'(S04)?, 12H?0 oppure con R?R2(S04)f. 24H?0. Vedremo che non è indifferente l'una piuttosto che l’altra formola. Se poi passiamo ad esaminare i sali metallici degli acidi organici troviamo ancora una maggiore sconcordanza, troviamo ancor meno il numero 3 e suoi multipli. Moltissimi acetati con- tengono 1H*0, I propionati di Ba. Ca. Mg. rame, contengono 1H?0 ; i butirrati di Ca. e Cu. 1H°0; Gli ossalati di ammonio, sodio, calcio, bario, stronzio, ecc. contengono 1H?0; Su 9 salicilati ben definiti ve ne è 1 solo con 3H?0 e invece 2. con !/$H?20, 2 con 1, 2 con 2 e 2 con 4H?0; Su 15 citrati, nessuno contiene 3H?0, ma 6 con 1H30 e i rimanenti con 2, 2 1/9, 4, 5-51/0-6-7-14; Su 10 fartrati, nessuno contiene 3H?0 0 un multiplo, ma 2 con 1/»H?0, 1 con 14/3, 1 con 2, 4 con 4H?0 e 2 con 1. k così potrei moltiplicare gli esempi. Ma vi ha di più: in una discussione di questa natura de- vesi tenere in considerazione anche l’acqua di cristallizzazione di un gran numero di sostanze organiche, quali gli acidi orga- nici, gli idrati di carbonio, i glucosidi, ece. e allora sì scorgerà che il numero 3H?0 o un suo multiplo è molto raro. La grande maggioranza degli idrati di carbonio cristallizzati con acqua di cristallizzazione, contiene 1H?0 oppure 2H?0 od anche !/s H®0, I glucosidi contengono */s H*0, H?0, 1*/3 H*0, 2H?0, 2 !/s3H?0, 4 e 41,H?0 e due solamente con 3H?0 (la quercitina e l’amig- dalina). Anche i sali degli eteri acidi, quali i solfovinati, gli cerofosfati, eteri aB dichetonici, i sali di acidi solfonici, ben di rado contengono 3H?0, ma bensì '/a H?0, 1H?0, 2H20, Tutti i composti mercuralcoil-arilammonio contengono 1H®0; RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 463 un gran numero di cloroplatinati contengono 1 e 2H?0O, di raro 3H?20 o un multiplo. I composti del gruppo dell’antracene, quali la brasilina, la purpurina, ecc. contengono 1H°0 oppure 1!/,, uno solo, la ema- tossilina con 3H?0. Fra i solfoacidi aromatici pochissimi con- tengono 3H20 od un multiplo, ma quasi tutti 1/, H?0, 2, 4H?0, ece. Anche quei pochi acidi organici aromatici che contengono acqua di cristallizzazione (acidi: protocatechico, gallico, cinurico, ben- zimidazolcarbonico) non contengono mai 3H?0, ma 1H?0 e di raro 2H?0. Secondo me dunque, la regola tratta dal sig. Rosenstiehl potrebbe valere, e solo in minima parte, per quei pochi com- posti che egli ha tenuto in considerazione, ma non può dirsi una regola generale, perchè sono numerosissimi i composti con un numero di molecole d’acqua di cristallizzazione diverso da 2H20 e 3H20. Quando ho incominciato queste mie ricerche io ero della opinione, e mi pareva molto logica, che nell'acqua di cristal lizzazione vi fossero dei gruppi associati (H?0)?, (H?0)?, ecc. Anzi io avvaloravo la mia opinione con un altro fatto e cioè che anche gli altri liquidi detti, come l’acqua, anomali, quali sono gli alcoli, hanno tendenza a tenere le funzioni dell’acqua nei cristalli e spesso con un gran numero di molecole. Ma ora la mia opinione è scossa dalle mie stesse espe- rienze che ho fatto e dall’essermi accorto che molti dei dati riportati dal Rosenstiehl sono errati; le fonti alle quali egli ha attinto l’hanno tratto in inganno. Il Rosenstiehl (1), ad esempio, afferma: “ Il y a des cas intéressants qui montrent que la faci- lité avec laquelle de l'eau de cristallisation se dégage augmente avec le nombre de molécules d’eau de cristallisation ,. “ C'est ainsi que l’on constate que le compose : x à 1 mol. TIC] i aq. perd aq. à 100°; 2, CaS042Na?2S04+2ag., 80°; 9 n Be(N03)} +3aq. 8061 [sula à (1) Loc. cit., p. 78. 464 ICILIO GUARESCHI “ Ce sont les températures les plus basses qui aient été signalées ,. Ma anche questa regola e queste asserzioni, nel caso at- tuale non valgono, perchè sono errate le temperature; quelle qui indicate non corrispondono al vero; vedremo jin seguito che del composto CaS04. 2Na?S042 aq. non si conosce la tem- peratura di disidratazione, la temperatura di 80° è quella del miscuglio che ha servito a Fritzsche per preparare questo com- posto; 60° non è la temperatura di disidratazione, ma è il punto di fusione del nitrato di berillio il quale già a 60°-65° perde molto acido nitrico; così pure è errata la temperatura di di- sidratazione del cloruro di tallio; e poi il cloruro di tallio nor- male contiene 4H?0. Quando intrapresi queste mie ricerche volevo vedere se le molecole d’acqua di vari sali contenenti 2H?0, 3H?0, 4H?0, ece. sì eliminavano insieme a gruppi, oppure successivamente, come ho osservato in alcuni bromuri di bario, di cobalto, di manga- nese ed ho dovuto quindi esaminare anche molti dei sali accen- nati dal Rosenstiehl nei suoi lavori più sopra ricordati; ebbene, i miei risultati quasi sempre sono contrari alle indicazioni date da questo chimico distinto, e conosciuto per le sue ricerche sulle rosaniline. Il. Composti cristallizzati con 2H?0. Da lungo tempo io ho fatto numerose determinazioni di acqua di cristallizzazione, ma per ora mi limito a far conoscere le esperienze relative alla temperatura di disidratazione di alcuni sali con 2H?20, Sono moltissimi i composti inorganici che nelle condizioni ordinarie cristallizzano con 2H*0, come sono numerosi anche 1 sali metallici di acidi organici ed anche dei composti organici senza metallo, che pure contengono 2H?0, Secondo però il Rosen- stiehl sarebbero solamente 25 i sali inorganici contenenti 2H20, dei quali appena 5 si conoscerebbe la temperatura di disidrata- zione, ed inoltre egli ammette come regola generale che i com- RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 465 posti con 2H?0 perdono contemporaneamente, e sempre, le due molecole insieme. A pag. 175 egli scrive (1): “ En classant les sels hydratés crystallisés è ce point de vue, on constate que les sels è 2 mol. d'eau perdent ces 2 mol. en méme temps. ll en est de méme des sels renfermant (H?0)?. “ Il n'y a pas d'exemples de sels ne perdant qu’une mol. (H*0) en dehors de ceux qui n’en contiennent qu’une ,. Contro quest'ultima frase, tanto recisa, assoluta, il Lecoq de Boisbaudran fece osservare che egli da sali con più mole- cole d’acqua aveva potuto eliminare una sola molecola d’acqua. Ma successivamente il Rosenstiehl (2) osservò che la sua propo- sizione era relativa solamente ai sali contenenti due oppure tre molecole d’acqua. “ Et, dans ces limites, la proposition cor- respond aix faits actuellement connus ,. E più avanti (3) scrive ancora : “Il n°y a pas un seul exemple d’un sel renfermant deux molécules, qui n’en perde qu’'une ; les 2 mol. se dégagent toujours ensemble (4). De méme les sels à trois molécules d’eau. Ils perdent les trois du méme coup. A moins qu’ils n’appartiennent, a la série magnésienne où le méme sulfate forme 5 ou 6 hy- drates différentes. “ Le deurième groupe comprend les sels à 3, 6, 9, 12, 15, 18, 24 mol. d’eau. Les sels de ce groupe ne perdent leur eau de cristallisation que sous la forme de 3 mol. d'eau (H?0)? è la fois ou un multiple de 3 ,. “On peut admettre que l'eau qu’ils renferment appartient à une seule espèce. Et l'on voit que dans ce cas le maximum de mol. d’eau est atteint. Il est de 8(H?0)? qui est caractéri- (1) Loc. cit. (2) Loc. cit., p. 328. (3) Loc. cit., p. 292. (4) Basterebbe il solo cloruro di bario per distruggere questa atter- mazione apparentemente tanto sicura. Ma al cloruro di bario si può ancor meglio aggiungere il bromuro di bario Ba Br®. 2H*0 da me studiato (Vedi Ricerche intorno ai bromuri, Nota V in “ Atti R. Accad. delle Scienze ,, 1813, t. 48, p. 937), il quale in modo nettissimo perde separatamente le due molecole d’acqua; la prima molecola si elimina stando in un dissec- catore a 12°-13° oppure in termostato a 40°, e meglio a 50°, la seconda si elimina solamente a 125°. 466 ICILIO GUARESCHI stique des aluns et peut-étre en relation avec leur forme octaé- drique ,. Ma le proposizioni del sig. Rosenstiehl, anche limitate ai sali con 2 oppure con 3 mol. di acqua, mi sembrano per lo meno molto azzardate; non corrispondono alla realtà speri- mentale. Ma dove sta il guaio più grosso egli è che sono errati tutti, o quasi tutti, i dati della temperatura di disidratazione dei sali, indicati dal Rosenstiehl. E limitandomi ora ai sali con 2H?0, ecco quanto egli scrive a pag. 285 (1): “ Composés à 2 mol. d’eau. “ Il y en a 25, sur lesquels il y a 6 indications, de tempé- ratures de déshydratation. + “ Le sulfate double de chaux et de soude CaS04.2Na?S0* + 2 aq. est anhydre à Omar dt. APRO, i Cor 80° “ Le tungstate de soude Na?Tu0'+2 aq. à . . . 100° “ Le bichromate de sonde Na?Cr°?07 4-2 aq.à . . . 110° “ Le chlorure de barium BaCl? + 2 aq-.à . . . . 113° “ Le sulfate de chaux CaS0*+ 2 aq. à . . . . . 130° “ Le chlorure d’étain SnC1? + 2 aq. à. . . . . . 250° “ Pour les autres composés, c'est le plus souvent au rouge que ces corps se déshydratent, à moins qu'’ils ne soient détruits par la chaleur. “ NB. Ces corps perdent toujours les 2 mol. d'eau en méme temps, autant qu@on peut juger par les indications qui manquent pour beaucoup ,. Ed ora ecco le esperienze che io ho fatto relativamente ai sei sali più sopra accennati. 1) Solfato di calcio e di sodio Cas04.2Na?S04.2H20. Fritzsche (2) ha preparato questo sale doppio, e prima di analizzarlo l'ha scaldato a 180° e vi ha trovato 8 °/, di acqua (1) Loc. cit, (2) “" J. pr. Chem.,; t. 72, p. 291. RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 467 (si calcola 8.4). Non dice di aver fatto esperienze se perde tutte due le molecole d’acqua in una volta o separatamente. Il Fritzsche non afferma che il suo composto perda l’acqua a 80°, ma dice che per prepararlo si fa digerire a 80° una poltiglia (die Fliissigkeit an breiartig ecc.) di 1 p. di solfato di calcio con 50 p. di solfato sodico e 25 p. d'acqua. Non è, dunque, 80° il punto di disidratazione, come crede il Rosenstieh], ma deve es- sere molto più elevato se il Fritzsche a 180° ha ottenuto 89/, di acqua. To non ho fatto esperienze speciali. 2) Tunstato di sodio Na?Tu04.2H20. Secondo Rosenstiehl, la temperatura di disidratazione di questo sale sarebbe a 100°. Ma ciò non mi sembra esatto. E vero che Riche (1) affermò di aver ottenuto il tunstato sodico anidro a 100°, ma disse che poteva ottenersi anidro anche nel vuoto. Che sia anidro a 100° lo affermarono Forcher (2) e R. Funk (3). Ma con tutto ciò non è detto che 100° sia la tem- peratura di disidratazione. Questo sale è stabile all’aria, ma nell'aria secca sfiorisce. Anche Pawlewski (4) afferma che questo sale, stando lungo tempo in un disseccatore ad acido solforico, diventa anidro; come pure diventa anidro a 100°, Pel tunstato di sodio normale Na?Tu042H?0, Roscoe e Schorlemmer (7reatise on Chemistry, 1913, p. 1089) scrivono : “ When heated to 200° it becomes opaque and loses its water, and fuses at a red heat ,. Io ho eseguite varie esperienze per decidere da qual parte fosse il vero e togliere queste discordanze, e queste mie espe- rienze dimostrarono che la temperatura di disidratazione è molto inferiore a 100°. (1) “ A. Ch. , (3), 1857, t. 50, p. 52. (2) “ Wien-Akad. Sitz. Ber. ,, 1862 (ID), t. 44, p. 177. (3) “ Berichte ,, 33, p. 3700. Funk trovò a 100°, 11,06%, di H?O, calcol. = 10,91 %. (4) “ Berichte ,, t. 33, p. 1223. 468 ICILIO GUARESCHI Il tunstato sodico puro Na?Tu04.2H?0 in disseccatore con cloruro di calcio, non perde di peso. Gr. 1.0858 scaldati all'aria libera in stufa di vetro a va- pore di cloroformio (60°-61°) perdettero solamente 0.0100, in- vece in stufa a 72° (vapore di etere acetico) dopo 3 ore per- dettero gr. 0.0660, cioè 7 °%,, e per 1H?0 si calcola 5.45 %; dopo ancora 6 ore a 72° perdettero 0.0280, e dopo ancora 6 ore appena 0.0032, vale a dire in totale 9,57 °%.; a 82° (va- pore di cloruro di etilene) dopo 3 ore ancora 0.0048 e dopo, 16 ore a 99° ancora 0.0070, cioè in totale 0.1175, vale a dire 10.77 9/0 trovata calcolata per 2H?0 H?20 % 10.77 10.91 Come si scorge, la prima molecola si elimina assai presto e la seconda molecola assai lentamente; anzi 1!/s H?0 (8.17 %/0) si eliminano già a 72° nelle prime ore, mentre per scacciare l’ultima mezza molecola occorrono molte ore ancora a 72°, poi a 82° e anche 99°. Gr. 1.0823 scaldati in termostato a 30°, 40°, 50° non per- ‘ dettero di peso; a 60° dopo 18 ore perdettero gr. 0.0695, cioè 6.4 %,, e per 1H20 si calcola 5.45 °; dopo ancora 32 ore per- dettero gr. 0.0420, cioè in totale 0.110, vale a dire 10.26 ®, e scaldati ancora a 99° in stufa a vapor d’acqua perdettero 0.005, cioè in totale 10.77 °/,, cioè 2H?0. Il sale anidro lasciato all'aria non riassorbe l’acqua. Dunque in queste condizioni la temperatura di disidratazione sarebbe 60°. La prima molecola sì elimina più presto e la se- conda più lentamente. (ir. 1.25838 di tunstato sodico scaldati a 50° in termostato e dentro disseccatore ad acido solforico, dopo 17 ore perdet- tero 4.8 °, dopo altre 24 ore in totale 9.3 °/,, dopo ancora 24 ore arrivò a 10.46 °/ e infine perdette dopo ancora 24 ore 0.0016 e poi più; dunque in totale perdettero gr. 0.1326, cioè 10.6 °,. Vale a dire tutta l'acqua di cristallizzazione, meno forse un residuo di 0.2-0.3 °%/o. In queste condizioni, la temperatura di disidratazione sa- RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 469 rebbe dunque 50°, Im ogni caso la temperatura di disidratazione è assai inferiore a 100°. Gr. 0.8393 di tunstato sodico furono scaldati, in corrente d’aria secca, a 54°-55° (vapore di acetone); dopo 11 ore per- dettero 0.0848 e dopo ancora 6. ore 0.0045 e poi non più; in totale 0.0893, cioè 10.62 °/, vale a dire tutte due le. molecole d’acqua insieme. In questo caso dunque la temperatura di disidratazione sarebbe di 549-560. 3) Bicromato di sodio Na?Cr?07.2H?0. Il bicromato di sodio è descritto da alcuni chimici (1) come cristallizzato in prismi triclini rosso-giallastri, igroscopici, deli- quescenti. Questo sale invece, quando è puro, non è deliquescente ; io ho lasciato all'aria dei bei cristalli di bieromato sodico, anche recentemente ricristallizzati, e sono rimasti inalterati. Secondo Rosenstiehl, la temperatura di disidratazione del bicromato sodico sarebbe 110°. Anche questo dato è errato. Forse quella temperatura è desunta dalle ricerche di Siewert (2), se- condo le quali il bicromato sodico già a 30° e poi a 110° perde tutta l’acqua. Invece, secondo le ricerche di Stanley, il bicromato sodico a 75° perde la prima molecola d’acqua e sopra 100° la seconda (3). To ho fatto varie esperienze le quali dimostrano che la tempe- ratura di disidratazione del bicromato sodico è di molto infe- riore a 110°. Non sono però riuscito ad eliminare separatamente le due molecole d’acqua. Gr. 0.7854 di bicromato sodico, recentemente cristallizzato, scaldati per circa 22 ore a 50° in termostato entro un dissec- catore perdettero gr. 0.0954, cioè: trovata calcolata per Na?Cr°07.2H?0 H?0 °/, 12.14 12.08 (1) “ Stanley Chem. News ,, 1886, N. 54, p. 194 e “ Jahresb. f. Chem. ,, 1886, p. 442. H. Roscoe e C. ScnorLemmer, Treatise on Chemistry, 1913, i. Jp 1081. (2) Citato in Gxwecin-Kraut-FriepaEIMm, Handb. anorg. Chem. IL, p. 666% (3) Loc. cit. Atti delli R. Accademia — Vol. XLIX. 31 470 ICILIO GUARESCHI Dunque in queste condizioni la temperatura di disidrata- zione è 50°, Gr. 2.7004 di bieromato sodico sealdati all'aria in termostato a 30° e poi a 50° per circa 6 a S ore perdettero solamente 0.0140 gr.; invece dopo 5-6 ore a 72° perdettero in totale gr. 0.3156. cioè 11.7 %. Ma gia a 60° perde tutta l'acqua. Gr. 1.4790 di un bicromato, cristallizzato da lungo tempo, scaldati a 60° in termostato semplicemente, perdettero in 18 ore ().1717, cioè 11.5 °/,. Queste mie esperienze non concordano con quelle di Stanley, secondo le quali il bicromato a 75° perde- rebbe 1H?0 e sopra 100° la seconda molecola. Dunque la temperatura di disidratazione in termostato solo è di 60°, ed in termostato, entro disseccatore, è solamente di 50°. Perde tutte due le molecole d’acqua insieme. 4) Cloruro di bario BaC12.2H?0. Tutti, o quasi tutti, i chimici che hanno determinato l’acqua di cristallizzazione del cloruro di bario hanno osservato che delle 2H?20 una può eliminarsi separatamente dall'altra e che si hanno quindi due idrati: BaCl?.2H?0 e BaCl®.H?0. I cristalli di cloruro di bario non sì alterano all'aria (Ma- rignac, 1855). Secondo Pope (1), il cloruro di bario sfiorisce a 58°, e se- condo Mulder (2) a 56° perde 1H?0 e a 121° è anidro. Le ri- cerche invece di Guthrie (3) avrebbero dimostrato che i eristalli di cloruro di bario in corrente di aria secca e a 25° perdono 1H?0 e la seconda verso 60°. Secondo Lesccoeur (4) esistono tre idrati Ba(1?,H?0, BaC12.,2H*0 (1) “ Pogg. Ann. ,, 1865, t. 125, p. 513. (2) Loc. cit. in Gmerin-Kravr-Friepnere, Hand, anorg. Ch., pi 61. (3) “ Phil. Mag. ,, 1878 (5), VI, p. 105 e “ Jahresb. f. Chem. ,, 1878, DICO (4) Sur les hydrates du chlorure de barium, * C. R.,, 1887, t. 104, p. 1511. RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 471 e BaCl2.6H20 ; lo stesso Lescoeur (1) ha determinato la tensione di dissociazione dell’ idrato con 2H?0 ed ha dimostrato l’esi- stenza dei due idrati con H?0 e con 2H20. Già Thomsen (2) trovò che per l'aggiunta al cloruro anidro di 1H?0 e poi di una seconda molecola si sviluppano quantità imeguali di calore. Miiller- Erzbach aveva già notato (3) che l'eliminazione delle 2 mol. di acqua ha luogo con velocità disuguali. Le ricerche poi di Beckmann dimostrerebbero che il clo- ruro di bario BaCl2.2H?0 perde la prima molecola nell'aria secca a 15° e la seconda a 75°; anzi, stando sull’acido solfo- rico perderebbe presto 1H?0 e la seconda lentissimamente (4). Si vegga pure a questo proposito Richards in Zeits. f. amorg. Chem., 1898, XVII, p. 165. Già coll’alcool metilico si può togliere una molecola d’acqua; secondo A. Kirschner (5) una soluzione concentrata di BaC1?.2H?0 nell’alcool metilico dà rapidamente un deposito cristallino di Ba(12.H?0. Dopo tutte queste ricerche troviamo anche nei migliori trattati dei dati erronei; alcuni affermano che il cloruro di bario perde la sua acqua a 113° (6), altri che il cloruro di bario stando sull’acido solforico, o a 60°-70°, perde 1H?0 e che a 120° perde tutte due le molecole. Nell'Encycel. del Fremy, t. III, p. 11, è detto chiaramente che il cloruro di bario scaldato, decre- pita e perde la sua acqua a 200° (Krauss, Pogg. Chem., t. 43, p. 140). Il Rosenstiehl ammette quale temperatura di disidrata- zione 113°, ed afferma che a questa temperatura il sale perde tutte due le molecole d’acqua insieme. Io ho fatto diverse esperienze che, com'era da prevedersi, contraddicono completamente queste ultime asserzioni. Gr. 0.7842 di cloruro di bario furono scaldati a 42° (va- (1) Recherches sur la dissociation des hydrates salins. Lille, 1888, p. 72. (8)-©.J.-pr. Chem. ,- (2); te XVHI, p. 43. (3) “ Jahresb. f. Chem.,, 1885, p. 215 e 1886, p. 143; “ Zeits. f. physik. Chem. ,, 1895, XVIII, p. 446. (4) “ Berichte ,, XVI, p. 781. (5) “ Zeits. f. physik. Ch. ,, 1911, t. 76, p. 174. (6) Roscor e ScrorLemmer, A Treatise on Chemistry, 1913, II, p. 607. 472 ICILIO GUARESCHI pore di metilale) in corrente di aria secca; dopo 7 ore perdettero gr. 0.0308, cioè 5 ®,, e dopo ancora gr. 0.0147, cioè in totale 7.389, e poi più, mentre per la eliminazione di 1H?0 si calcola 7.36 %. A_52° (vapore d'acetone) perdettero appena 0.0012, ma a 60° (vapore di cloroformio), benchè lentamente, perdono di peso, e dopo 30-32 ore in corrente d’aria perdettero ancora 0.0585, cioè in totale gr. 0.1125, cioè 14.30 %, mentre per la elimi- nazione di 2H?0 si calcola 14.72 ®,. Dunque in corrente d’aria a 42° perde 1H?0 e poi a 60°-61° la seconda molecola. In questo caso la temperatura di completa disidratazione è 60° e le due molecole possono eliminarsi separatamente. Il cloruro di bario in termostato a 30°, entro disseccatore, perde, dopo tre giorni, 1H?0 cioè 7.3 %,, poi a 50° dopo sei giorni perde la seconda molecola cioè 14.66 °, in totale. Il clo- ruro così disidratato lasciato all'aria ricupera completamente l'acqua di cristallizzazione; la prima molecola molto rapida- mente e la seconda lentissimamente. 5) Cloruro stannoso SnC12.2H?0 Secondo Berzelius (1) il cloruro stannoso idrato contiene 9.55 °/, di acqua, cioè SnC12,H?0, mentre secondo Turner (2) conterrebbe 3H?0. Henry (3) però dimostrò che conteneva 2H?0 e che perdeva tutta l’acqua stando in disseccatore ad acido solforico o nel vuoto ; ottenne 16.41 °/ di acqua (sull’acido soXforico perde anche HCI). Penny (4), pure poco dopo Henry, trovò SnC1°.2H?0, dimostrò che fonde a 37°7 e che per raf- freddamento cristallizza. W. Clarke (5) pure vi trovò 2H?0 e Marignac (6) riconobbe che all'aria non è deliquescente, ma non vi dosò l’acqua. (1) Traité de Chimie, 1838, II, p. 185. (2) Citato da Henry. (8) © Phil. Trans. ,, 1845, p. 367 e “ Jahresb. ,, 1851, p. 350. (4) ‘ Journ. Chem. Soc. ,, 1851, t. IV, p. 289; “ Jahresb. ,, 1851, p. 356. (5) “ Sill. Am. J., (3), t. XIV, p. 281 e “* Jahresb. ,, 1877, p. 45. (6) “* Ann. d. Mines, (5), t. 9, p. 1 e “ Jahresb. ,, 1856, p. 394: (Euvres de Manionac, vol. I, p. 486. RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 473 Il Moissan, nel suo Traité de chim. minér., vol. Il, p. 588, non riporta che le vecchie osservazioni di Vogel, secondo le quali il cloruro stannoso scaldato perde acqua, sviluppa acido cloridrico, dà del cloruro stannico e una massa a struttura cri- stallina contenente SnO e CI. cioè un ossicloruro. Tutto ciò è in gran parte esatto. Altri trattatisti si limitano a dire che il cloruro stannoso scaldato si decompone parzialmente con sviluppo di HC], ma che nel vuoto o sull’ acido solforico perde l’acqua (1). Alcuni affermano che scaldato a 100° perde l’acqua e si trasforma in una mota bianca che fonde a 250° e a 606°, disciolta senza quasi scomporsi (2). Scaldato in corrente di gas cloridrico, perde tutta l'acqua e rimane SnCl* inalterato (3); anidro fonde a 250° e bolle a 603°; l’idrato nelle condizioni ordinarie perde H?0 e HCI e lascia, pare, un residuo di ossicloruro. Il Rosenstiehl invece afferma che la temperatura di disidra- tazione di questo sale è 250°. Ma per quanto esistano delle di- scordanze nei dati forniti dai vari autori, facilmente si scorge che il Rosenstiehl deve aver confuso il punto di disidratazione col punto di fusione 250° del sale anidro. Viste queste più o meno grandi discordanze, io ho deter- minato l’acqua in due bellissimi campioni di cloruro stannoso cristallizzato, stabile all’aria. Gr. 1.0145 di cloruro stannoso in termostato a 30° dopo 23. ore perdettero 0.1023, cioè 10.03 %,, e dopo ancora 28 ore perdettero 0.0534, cioè 15.34 °/, ed infine, dopo ancora 48 ore, 0.0048, cioè in totale gr. 0.1605, ossia 15.8 °, cioè: trovata cale. per 2H?0 del SnC1°.2H?0 = — _—rPf—--S-- MO” 15.8 15.92 Come si vede, in questo caso non vi ha un punto d'arresto e le due molecole d’acqua si eliminano insieme e solamente (1) H. Roscoe e ScHorLEeMmER, loc. cit., Il, p. 859. (2) ScHwior, Lehrb. d. Pharm. Chem., 1, p. 514. (3) Biurz e V. Merer, ‘ Z. f. phys. Chem. ,, 1888, vol. 2, p. 184' e‘in Asree, Handb. anorg. Chem., III, p. 565. 474 ICILIO GUARESCHI a 30°; però nelle prime 23 ore si eliminano quasi 1!/, H?O e l'ultima mezza molecola molto più lentamente. Dunque in termostato a 30° perde tutta l'acqua; questa tem- peratura sarebbe dunque la vera temperatura di disidratazione del cloruro stannoso. Il cloruro stannoso stando sull’acido solforico perde insieme all'acqua anche dell'acido cloridrico. Ed invero: Gr. 1.2050 di SnC12.2H*0 scaldato a 30° in termostato entro un disseccatore ad acido solforico, perdettero dopo 18 ore gr. 0.1895, cioè 15.7 ®, e per la eliminazione di 2H?0 si cal- cola 15.92 ©; ma continuando a scaldare ancora per 2 0 3 giorni perdette in totale 0.2435, cioè 20.2 %,. Questo sale così secco, scaldato alcune ore in stuta a 99°, perdette ancora gr. 0.0134, dando però vapori acidi e un sublimato bianco in piccola quantità. Dunque, in queste condizioni, il sale si decom- pone, almeno in piccola parte, dando acido cloridrico. Gr. 1.1837 di sale cristallizzato lasciato in macchina pneu- matica a 20 mm. (temp. 12°-14°) e su potassa caustica, perdet- tero gr. 0).1890, cioè 15.96 °/,; vale dire tutte due le 2H*0, per le quali si calcola 15.92 %. Dunque anche nel vuoto perde tutta l’acqua. Il cloruro stannoso scaldato a 40°41° in corrente di aria, prima fonde, poi perde acqua e acido cloridrico e lascia un re- siduo solido cristallino, che non ho esaminato. Dunque questo sale si disidrata completamente a 30° op- pure nel vuoto. La temperatura 250° data da Rosenstiehl è invece la temperatura di fusione del sale anidro. Le due mo- lecole d’acqua si eliminano insieme, però l’ultima mezza mole- cola molto più lentamente. 6) Solfato di calcio JaS04.2H?0, Numerosissime sono le ricerche fatte sul solfato di calcio cristallizzato per stabilire la temperatura alla quale questo sale diventa anidro. In determinate condizioni fu ottenuto l’idrato in- termedio CaS04,1/,H?0 che alcuni rappresentano con (CaS04)?.H®0, lo ho fatto molte esperienze per stabilire le condizioni precise nt tà lt RICERCHE SULL'ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE 475 in cui sì forma questo idrato e per fissare la temperatura di disidratazione. Ora dirò solamente: che la temperatura di disidratazione non è 130°, come afferma il Rosenstiehl; che il solfato di calcio idrato, benchè in molti casi si disidrati completamente senza passare per il composto intermedio CaS04. 1/3 H?0, cioè non dimostri un punto di arresto, in altre condizioni perde 1 1/3 H?0 solamente, e che non è indifferente esperimentare col solfato di calcio artificiale preparato per precipitazione e ricristallizza- zione ed il solfato di calcio idrato e cristallizzato naturale. Di- mostrerò, spero, che così è per altri minerali. Di queste esperienze dirò in un’altra nota insieme a quelle fatte su altri sali con 2H?0. Da queste osservazioni ed esperienze risulta che non si può stabilire una temperatura di disidratazione in senso gene- rale, se non si specificano le condizioni nelle quali la disidrata- zione avviene completa. Secondo il mio parere, la temperatura di disidratazione dovrebbe essere quella temperatura alla quale il sale perde tutta la sua acqua di cristallizzazione, esperimentando in ter- mostato, ed occorrendo in ambiente secco (per acido solforico, oppure cloruro di calcio o anidride fosforica), oppure anche in corrente di gas secco. La temperatura di disidratazione dei cinque sali esaminati sarebbe dunque, secondo le varie condizioni nelle quali furono fatte le determinazioni: CaS04.2Na?S042H?0 . . . verso 180°? NS Ae te a 0099, odo 60° NSOROSSH?O 00 0) 50° e 60° BRR e n 50° e 60° bei ERO si e > 30° Dai risultati delle analisi dei cinque composti salini prece- denti con 2H?0 risulta che uno di essi può perdere separata- neo 2 = «| SI . VAI 476 ICILIO GUARESCHI — RICERCHE SULL'ACQUA, ECC. mente le due molecole d'acqua (cloruro di bario), tre le perdono. contemporaneamente, ma però con velocità alquanto diversa, e di uno (solfato di calcio e sodio) non si conosce la temperatura di disidratazione. È quindi completamente erroneo porre in ordine crescente le supposte temperature di disidratazione dei cinque sali conside- rati più sopra, come ha fatto il Rosenstiehl, perchè quelle tem- perature in nessun caso corrispondono al vero, come non è esatta quella del solfato di calcio. Così è di molti altri dati riferiti dal Rosenstiehl. Vi sono molti altri sali contenenti 2H®0, anche di acidi organici e non pochi di essi perdono insieme: le loro due molecole di acqua di cristallizzazione; altri la per- dono separatamente. Così è di molti sali con 3H20, come esporrò in un altro lavoro. ° Torino, R. Università, 8 febbraio 1914. G. CHARRIER E L. CASALE — SUGLI )MRTOOSSIAZOCOMPOSTI, ECC. 477 Sugli ortoossiazocomposti derivanti dall’o-naftol. Nota dei D" G. CHARRIER e L. CASALE È noto che per azione dei sali di diazonio sul fenol e omo- loghi si formano orto- e para-ossiazocomposti, e che dal 8-naftol si ottengono invece soltanto orto-ossiazocomposti; si ammette pure che dall’a-naftol si abbiano soltanto paraderivati salvo nel caso in cui su di esso si faccia agire un sale di nitro- arildiazonio (1), perchè allora si formano anche orto-derivati OH TO LI PATTO CO I Gallen anali NANO I PR OEZIATN ana "NYA che sono identici, come ha dimostrato Bamberger (2), coi. pro- dotti ottenuti per azione delle nitro-arilidrazine sul B-naftochi- none, cioè coi nafto-o-chinon-nitroarilidrazoni. (1) Bampererr, B. 28, 848 (1895); Hanrzscn, B. 28, 1124 (1895); Bam- BERGER e MemBere, B. 28, 1887 (1895). (2) B. 30, 518 (1897). 478 G. CHARRIER E L. CASALE Ora noi abbiamo trovato, che gli ortoderivati [1] si for- mano sempre, assieme ai para |2], ma in molto minor quantità, nell'azione dei sali di diazonio sull’a-naftol, qualunque sia il diazonio che si faccia agire OH OH Po a“ Liù DA / NZ_ NN=N-+Ar A Ò Meter miliare Ni MATE ire dg "i è a e - np. * [1] [2] N=N-Ar e che essi sì dimostrano identici colle sostanze state ottenute per azione delle idrazine corrispondenti sul f-naftochinone, cioè coi B-naftochinonarilidrazoni. (ili o-ossiazocomposti, che descriviamo in questa nota, sono sostanze ben cristallizzate, di color rosso vivo a rosso cupo, alcune dotate di riflesso metallico, generalmente poco solubili nei solventi organici, insolubili a freddo, pochissimo solubili a caldo nelle soluzioni degli idrati alcalini. Soltanto per il 2-p-anisilazo-1-naftol venne notata la solu- bilità nelle soluzioni alcaline diluite bollenti e anzi la forma- zione di un sale di sodio cristallizzato; ma ciò si conosce già anche per altri o-ossiazocomposti, per esempio, per il fenil- azo-p-cresol e per gli ortonitro-arilazo-anaftoli di Bamberger. Abbiamo notato che gli orto-arilazo-anaftoli, analogamente agli o-ossiazocomposti derivanti dal B-naftol, si sciolgono gene- ralmente nell’acido solforico concentrato con colorazione rossa, che va in alcuni pochi casi sino al rosso violetto, mentre che i paraarilazo-anaftoli impartiscono generalmente all’acido sol- forico concentrato una colorazione azzurra ben netta, che va dal bleu violetto all’indaco. Questa caratteristica colorazione delle soluzioni in acido solforico concentrato degli ortoossiazocomposti della serie nafta- linica, che li distingue nettamente dai paraderivati, può servire molto bene come mezzo analitico per decidere immediatamente se sì ha fra mano un orto- o un para-composto. Col solfato di metile gli o-arilazo-anaftoli in presenza di SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL'A-NAFTOL 479 soluzioni alcaline concentrate reagiscono facilmente dando gli eteri metilici corrispondenti, che sono O-eteri, perchè coi ridu- centi si scindono in etere metilico del 2-amido-1naftol e nel- lamina aromatica corrispondente. Azione del cloruro di fenildiazonio sull’o-naftol sciolto in alcool. Abbiamo operato esattamente come viene generalmente indicato a proposito della preparazione del 4-fenilazo-1naftol (1). Una soluzione di gr. 93 di anilina in una miscela di 250 ce. di acqua e 200 ce. di acido cloridrico fumante si diazota a 0° con una soluzione satura di una grammomolecola di nitrito sodico, e la soluzione del sale di diazonio, così ottenuta, si versa, man- tenendo la temperatura a 0°, in una soluzione di gr. 155 di a-naftol in 2 litri di alcool. Il cloridrato del 4-fenilazo-anaftol, contenente il 2-fenilazo-a-naftol, che si separa a poco a poco, viene raccolto, dopo circa 24 ore di riposo in luogo freddo, lavato bene con alcool diluito (circa al 40 °/) e quindi ulte- riormente trattato per la separazione dei due isomeri. Isomeri orto- e para-fenilazoonaftoli. Se si tratta il precipitato ottenuto nella preparazione pre- cedentemente descritta, anzichè con idrato potassico concen- trato come viene suggerito nella preparazione del 4-fenilazo- l-naftol, con circa due litri di soluzione di idrato sodico al 4 9/5 agitando bene e si filtra, si riesce agevolmente a separare dalla soluzione intensamente colorata in rosso sangue del sale sodico del 4-fenilazo-1naftol, una sostanza insolubile, che lavata an- cora con idrato sodico al 4°/, sino a che questo passa inco- loro e cristallizzata ripetutamente dall’alcool, forma aghetti di color rosso-cupo, con riflesso metallico dorato, fondenti a 138° con leggera contrazione anteriore di qualche grado. (1) Vedi, per esempio, Meyer-Jacosson, Lelrbuch der organischen Chemie, 2° vol., 2* parte, pag. 414 (1903), oppure Bercsrern, Handbuch der organischen Chemie, IV, 1427 (1899). 480 G.: CHARRIER E L. CASALE I. Gr. 0,3153 di sostanza fornirono gr. 0,8926 di anidride carbonica e gr. 0,1410 di acqua. II. Gr. 0,1574 di sostanza diedero cc. 15,1. di azoto. (Ho = 737,164 t= 14°), ossia gr: 0,0173185. Cioè su cento parti: 4 trovato calcolato per Oy;HiaNs0 I II Carbonio 77,20 — parer 1 Idrogeno 4,96 — 4,83 Azoto — 11,00 11,29 La sostanza, il cui ricavo oscilla, secondo le operazioni, da 4 a 5 gr. per grammomolecola di anilina impiegata, è tal , . 1)OH dunque costituita da 2-fenilazo-Inaftol Cabla ei poichè ne possiede le costanti fisiche e la composizione, e si dimostra inoltre identica col 2-fenilazo-Inaftol, finora esclusiva- mente ottenuto per azione del eloridrato di fenilidrazina sul B-naftochinone sciolto in acido acetico. il cui punto di fusione è posto nella letteratura appunto a 158° (1). 1 Viene quindi così dimostrato, che agendo il cloridrato di fenildiazonio sull’a-naftol in soluzione alcoolica dà origine as- sieme al derivato para anche al derivato orto e inoltre viene direttamente stabilita l'identità tra il prodotto ottenuto per azione della fenilidrazina sul B-naftochinone e l’o-ossiazocom- posto ottenuto dal sale di fenildiazonio e l’a-naftol. Facciamo notare che le soluzioni del 2-fenilazo-1naftol, preparato sia per azione del cloruro di fenildiazonio sull'a-naftol, che per azione della fenilidrazina sul -naftochinone, in’ acido solforico concentrato sono nettamente rosse, di un bel rosso ru- bino e non rosso-violette come viene affermato nella letteratura. Per azione del solfato di metile in presenza di idrato so- dico al 30%, si ottiene facilmente, col metodo generale di ete- rificazione degli o-ossiazocomposti trovato da uno di noi (2), dal (1) Zixeke, B. 16, 1568 (1883); Ziveke e Binpewarp, B. 77, 3080 (1884). (2) G. Umarrien e G. Ferrini, Eterificazione di v-ossiazocomposti, Nota 18, II*, TII® e IV*; G. 42, II, 117 (1912); #43, I, 548, LI, 211, 227(1918)! SU@LI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL'Q-NAFTOL 481 2-fenilazo-lnaftol, l'etere metilico, che cristallizza dall’alcool in splendide lamelle lucenti, di color arancio, fusibili a 102°, se- condo i dati di Noelting, Grandmougin e Freimann (1). Gr. 0,2052 di sostanza diedero cc. 18,5 di azoto (Ho= 743,279 t= 13°), ossia gr. 0,021492. Cioè su cento parti: trovato calcolato per Ci7Hy,N30 — - —.— a Azoto 10,47 10,68 L’etere metilico del 2-fenilazo-1naftol è discretamente . so- lubile a caldo, molto meno a freddo, nella maggior parte dei comuni solventi organici: cristallizza molto bene dall'alcool, nel qual solvente si scioglie molto a caldo, pochissimo a freddo. In acido solforico concentrato è solubile con magnifica colora- zione rosso-rubino, è insolubile invece negli acidi diluiti anche bollenti. Azione del cloruro di p-tolildiazonio sull’a-naftol sciolto in alcool. 2.p-tolilazo-inaftol Co po osservando precisamente le condizioni esposte a proposito della preparazione del 2-fenilazo-1naftol dal cloruro di fenildiazonio e a-naftol, si sostituisce ad una grammomolecola di anilina una di p-toluidina, si ottengono circa gr. 4 di prodotto insolubile negli alcali: questa sostanza, che cristallizza dall’alcool in aghi lucenti di color rosso che fondono esattamente a 145°, costi- tuisce il 2-p-tolilazo-1naftol, già ottenuto per azione del clori- drato di p-tolilidrazina sul B-naftochinone e il cui punto di fu- sione giace appunto a tale temperatura (2). Gr. 0,1360 di sostanza diedero ce. 12,5 di azoto (H,= 740,045 = 15°), ossia_ gr, 0,0149333. Se, (1) B. 42, 1383 (1909). (2) Zincxe, Rarucen, B. 19, 2491 (1886); NoeLtInG, GRANDMOUGIN, FreiMmann, B. 42, 1385 (1909). 482 G. CHARKRIER E L. CASALE (Jioè su cento parti: trovato calcolato per C,;Hy N30 Azoto 10,53 10,68 Il 2-p-tolilazo-1naftol è discretamente solubile a caldo, poco a freddo, nell’alcool, mentre si scioglie più abbondantemente negli altri solventi. Nell’acido solforico concentrato è solubile con colorazione rossa. Azione del cloruro di o-anisildiazonio sull’a-naftol in soluzione alcoolica. La soluzione del cloruro di o-anisildiazonio, ottenuta da gr. 30 di o-anisidina, sciolta in 65 ce. di acqua coll’aggiunta di 50 ce. di acido cloridrico fumante, colla quantità teorica di nitrito sodico, si versò in una soluzione fredda di 39 gr. di a-naftol in 500 ce. di alcool. Il liquido, colorato intensamente in rosso-sangue, diede a poco a poco un precipitato cristallino rosso con riflessi verde cantaride, che non aumentò dopo circa trenta ore. Raccolto e lavato con alcool molto diluito e quindi con acqua sino a che questa passò incolora, venne riscaldato a bagnomaria con circa un litro di soluzione di idrato sodico al 4 %p: in questa soluzione si sciolse buona parte della sostanza, e pre- cisamente il p-ossinzocomposto, che nel prodotto della reazione si trovava in gran parte sotto forma di cloridrato, mentre ri- mase insolubile l'o-ossiazocomposto, il quale pesò allo stato greggio circa 5 grammi. Possiamo conchiudere, considerando parecchie preparazioni, che il ricavo in questo composto oscilla da 4 a 5 gr. per gr. 30 di o-anisidina impiegata. Isomeri orto- e para- o-anisilazo-anaftoli. (1)OH 'N(2)N=N(1)CgH.(2)OCHg°® Il] prodotto ottenuto nella preparazione precedente insolubile nelle soluzioni alcaline diluite e che costituisce il 2-o-anisilazo- Inaftol allo stato greggio, venne purificato eristallizzandolo dal- 2-0-Anisilazo-1naftol (,;H, Tae 6 SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL'O-NAFTOL 483 l’acido acetico, dal cloroformio e infine dall’alcool, e si ottenne da questo solvente in fogliette rosse a riflesso dorato, fusibili con decomposizione a 180-181°, con leggiero rammollimento a cominciare da 178°. I. Gr. 0,4804 di sostanza fornirono gr. 1,2870 di anidride carbonica e gr. 0,2192 di acqua. II. Gr. 0,2947 di sostanza fornirono gr. 0,7908 di ani- dride carbonica e gr. 0,1348 di acqua. - II. Gr. 0,1809 di sostanza diedero ce. 15,4 di azoto io = alii), ossia gr. QLL. IV. Gr. 0,1921 di sostanza diedero cc. 17,4 di azoto (Ho = 731,984 t= 17°), ossia gr. 0,019574. Cioè su cento parti: trovato calcolato per Cy7Hy4N303 I Il III IV Carbonio 15,00. 73:18... — —. 13,38 Idrogeno 5,06 5,08. — sù 5,03 Azoto Zi 219,79. 10,18 10,07 È discretamente solnbile a caldo, poco a freddo nell’acido acetico glaciale, e lo si ha da questo solvente in splendide ]a- melle rosse, dotate di lucentezza verde cantaride. Dall’alcool o da una miscela di alcool e di etere acetico si separa anche in forma di lunghi aghi piatti di color rosso a riflesso dorato. Po- chissimo solubile nell’alcool, nell’etere e nella ligroina a caldo, quasi insolubile a freddo, si scioglie di più nel cloroformio. ben- zolo. solfuro di carbonio e etere acetico. Colora appena a caldo le soluzioni acquose degli idrati alcalini, sia concentrate che diluite, cosicchè si può ritenere insolubile negli alcali. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione rosso-violetta: è insolubile negli acidi diluiti. nolan pissriliai O CH, va a Etere metilico Orots< (NN (1)GxH,(2)OCH; Otte nuto per azione del solfato di metile sull’o-ossiazocomposto collo stesso metodo di eterificazione descritto da uno di noi per la preparazione degli eteri metilici degli arilazo-Bnaftoli (1), (1) Vedi loco citato. 484 G. CHARRIER E L. CASALE cioè in presenza di un eccesso di soluzione di idrato sodico al 30°, si presenta cristallizzato dall’aleool in forma di pri- smetti di color rosso-vivo, fusibili a 90-919, I. Gr. 0,1281 di sostanza diedero gr. 0,3466 di anidride carbonica e gr. 0,0663 di acqua. II. Gr. 0,1396 di sostanza diedero cc. 12 di azoto (Ho = 728,823 t= 16°), ossia gr. 0,0138498. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHygN20, I II Carbonio 73,79 — 75,97 Idrogeno 5,75 — 5,47 Azoto _ 9,66 9,58 Piuttosto solubile a caldo nell’alceool e negli altri solventi organici, meno a freddo, si scioglie leggermente negli acidi diluiti a caldo con colorazione rossa. Nell’acido solforico con- centrato è solubile con colorazione rossa. L’etere metilico bollito con acido cloridrico e alcool si sa- ponifica facilmente dando alcool metilico e 2-0-anisilazo-1naftol, che cristallizzato dall'alcool fuse a 180-181°. Ridotto con pol- vere di zinco in soluzione acetica, si scinde in o-anisidina e in etere metilico del 2-amido-1naftol Oni che è costi- tuito conformemente ai dati di Noelting, Grandmougin e Frei- mann (1) da fogliette bianche lucenti, facilmente volatili col vapor d'acqua, fusibili tra 48° e 49°, Acetilderivato Ce IN ENTO H, (2)OCH;' per azione dell'anidride acetica sulla soluzione acetica dell’'os- siazocomposto in presenza di acetato sodico e per ebollizione prolungata di circa 8 ore, forma cristallizzato dall'alcool] aghetti prismatici rossi, fusibili a 106°. Gr. 0,1204 di sostanza diedero cc. 9 di azoto (Ho = 722,051 t = 15°), ossia gr. 0,010066. — Ottenuto (1) B. 42, 1884 (1909). SUGLI ORTOUSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL'O-NAFTOL 485 Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,gHjgNa03 Azoto 8,36 8,75 Molto solubile nell’alcool e negli altri solventi organici co- munemente impiegati, si scioglie nell’acido solforico concentrato con colorazione violetta. (1)OH va (4)N=N(1)CgH,(2)0CH;' La soluzione del sale sodico del 4-o-anisilazo-1naftol, separata per filtrazione dal 2-0-anisilazo-1naftol, venne trattata con acido acetico, e il composto separatosi venne purificato preparandone il sale di ammonio, sciogliendo il prodotto in ammoniaca con- centrata: il filtrato ammoniacale, che contiene il sale di am- monio, venne concentrato a bagnomaria e quindi saturato con anidride carbonica: si precipitò così il p-ossiazocomposto, che cristallizzato dall’alcool diluito, si ottenne in fogliette di color rosso-granato, con riflesso dorato o verde cantaride, fusibili con decomposizione a 173°. I. Gr. 0,3196 di sostanza fornirono gr. 0,8568 di anidride carbonica e gr. 0,1448 di acqua. II. Gr. 0,1246 di sostanza diedero ce. 11 di azoto (Ho = 725,900 t= 17°), ossia gr. 0,012270. Cioè su cento parti : 4-0-Anisilazo-1naftol CroHs trovato calcolato per C47Hy,Na03 I II Carbonio 73011 _ 19198 Idrogeno 5,03 _ 5,03 Azoto -- 9,84 10,07 Solubilissimo in alcool e cloroformio, abbastanza solubile in benzolo e solfuro di carbonio, è poco solubile in etere, pres- sochè insolubile in etere di petrolio e ligroina. Si scioglie nel- l’acido solforico concentrato con colorazione bleu-indaco, nel- l'acido cloridrico concentrato con colorazione bleu-violetta, ed è pure leggermente solubile negli acidi diluiti a caldo con co- Atti della RP. Accademia — Vol. XLXI. 32 TT l) 486 G. CHARRIER E L. CASALE lorazione rosso-violetta. Solubilissimo negli alcali caustici anche molto diluiti con magnifico color rosso, si scioglie poco invece nell’ammoniaca. /(1)OCH CN N16,H1 (21008, = Otte nuto per azione del solfato di metile sulla soluzione dell’os- siazocomposto in idrato sodico al 10 °, cristallizza dall'alcool in fogliette di color giallo-ranciato, fusibili a 121-122°. Gr. 0,1416 di sostanza diedero cc. 12 di azoto (Hj= 742,300 t = 16°), ossia gr. 0,013751. (lioè su cento parti: Etere metilico CioHy trovato calcolato per CygHigN303 — —_ _— -— r Azoto 9,71 9,58 Molto solubile in alcool, etere, cloroformio e benzolo, si scioglie pure discretamente in ligroina: in acido solforico con- centrato dà una soluzione bleu tendente al verde; è pure so- lubile a caldo negli acidi diluiti con colorazione bleu-violetta. /(1)OC3H; x (4)N= M(1)C;H,(2)0OCHy' col solfato di etile operando nelle stesse condizioni della pre- parazione dell'etere metilico, forma, cristallizzato dall'alcool, aghetti di color ranciato, fusibili a 84°. Gr. 0,1161 di sostanza diedero cc. 9,4 di azoto (Hj=744,500 t= 15°), ossia gr. 0,010842. Cioè su cento parti : Etere etilico C.9Hy Ottenuto trovato calcolato per C;gHygNa0s .— - “"—-..[/ —-rr- Azoto 9,34 9,15 Molto solubile nella maggior parte dei solventi organici, sì scioglie nell’acido solforico concentrato con colorazione bleu- verdastra e negli acidi minerali diluiti con colorazione rosso- violetta. ca «vr /(1)0C3Hs0 P Acetilder vato CroHg< (4)N-=NM(1)0;H,(2)OCHy . Forma, cristallizzato dall'alcool. aghetti rossi, lucenti, fusibili a 92°. SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL’ O-NAFTO]. 487 Gr. 0,1225 di sostanza diedero ce. 9 di azoto (Ho = 741,567 : t= 12°), ossia gr. 0,010468. Ù Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHigNs0g Azoto 8.54 8,75 È solubile discretamente in tutti i comuni solventi orga- nici: insolubile negli idrati alcalini, si scioglie in acido solfo- rico concentrato con colorazione bleu-indaco. Bollito con alcali acquosi, si saponifica facilmente. /(1)0CH50 INNI) E (00A, — otte nuto col metodo Schotten-Baumann, cristallizza dall’acido ace- tico in fini aghi giallo-bruni, fusibili a 140°, Gr. 0,1478 di sostanza diedero cc. 10 di azoto (Ho=733,154 t= 24°), ossia gr. 0,010928. Cioè su cento parti: Benzoilderivato CH trovato calcolato per Ca, HigN30g _c.__-7” rr. _Y_YT— —_a—r-rFr Azoto 7,99 7,92 È poco solubile nei comuni solventi organici, un po’ di più nell’acido acetico. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione rosso-violetta, che passa tosto al bleu-indaco, poichè avviene saponificazione (infatti il 4-o-anisilazo-1naftol si scioglie nell’a- cido solforico concentrato con magnifica colorazione bleu-in- daco) (1). Viene saponificato facilmente anche dalle soluzioni bollenti diluite degli idrati alcalini. (1) Infatti sciogliendo il benzoilderivato nell’acido solforico concentrato e dopo pochi minuti, cioè appena il colore dal rosso-violaceo è passato al bleu-indaco, versando la soluzione solforica sul ghiaccio pesto, si ottiene un precipitato cristallino di colore verde cantaride o violetto metallico co- stituito dal solfato del 4-o-anisilazo-1naftol: diluendo fortemente con acqua o trattando con idrato sodico e acidificando quindi con acido cloridrico di- luito si ha il 4-o-anisilazo-1naftol, che cristallizzato dall'alcoo), fonde a 173°. .” 488 G. CHARRIER E L. CASALE 2-0-Anisilazo-1naftol dal 8-naftochinone e o-anisilidrazina. È noto che agendo in quantità equimolecolari le arilidra- zine sull’1-2-naftochinone danno luogo ai monoidrazoni, che istan- taneamente si traspongono negli o-ossiazocomposti corrispon- denti. 0) 20) OH 7 VA CioHe_ +Ar—-NH.NH; mr Cioe. e Crolla . No NNT—NH—Ar NN=N-Ar Era quindi da prevedersi la formazione del 2-o-anisilazo- Inaftol per azione della o-anisilidrazina sul B-naftochinone se- condo lo schema: 0 0 NNO HiN-NHGH,0CH; NNN-NHG;H,0CH; gue: DA AZINTO] NEL: Ra a «+ O0H NNN=N-C;H,0CHy NANA Infatti aggiungendo a una soluzione di f-naftochinone in acido acetico una soluzione equimolecolare di o-anisilidrazina (1) (1) L’o-anisilidrazina Gui nanna venne ottenuta con ottimo rendimento col metodo di V. Meyer al cloruro stannoso anzichè col me- todo al solfito di Fischer, che secondo Reisenegger (A. 227, 818 [1883]) dà risultato poco soddisfacente. Infatti da 25 gr. di o-anisidina abbiamo potuto ottenere facilmente 22 gr. di o-anisilidrazina pura. Ecco come abbiamo ope- rato: 25 gr. di o-anisidina, sciolti in 80 gr. di acido cloridrico concentrato e 250 gr. di acqua, e addizionati di gr. 300 di acido cloridrico concentrato, vennero dinzotati in miscuglio frigorifero con gr. 15 di nitrito sodico sciolti in 50 ce. di acqua; alla soluzione del cloruro di o-anisildiazonio così otte- nuta si aggiunsero a poco a poco e con buon raffreddamento gr. 125 di cloruro stannoso in 250 gr. di acido cloridrico concentrato. Lasciando a sè per qualche tempo si separa il cloridrato dell'idrazina, che viene raccolto, SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL 0-NAFTOL 489 in acido acetico e raffreddando accuratamente con ghiaccio al- l'esterno si ha subito, accompagnata da un leggero sviluppo di gas, la formazione dell’o-ossiazocomposto, poichè la colorazione della soluzione istantaneamente dal giallo-bruno passa al rosso- vivo. Lasciando a sè si separano cristalli dell’ossiazocomposto, che può venir completamente separato dalla soluzione acetica per aggiunta di acqua. Cristallizzato ripetutamente dall’alcool, si ottiene in fogliette rosse a riflesso dorato, fusibili a 180-181° e perfettamente identiche col 2-o-anisilazo-1naftol ottenuto per azione del cloruro di o-anisildiazonio sull’a-naftol. Gr. 0,1004 di sostanza diedero cc. 8,8 di azoto (Hj,—=742,918 fs="Lo°), ossia sr. 0,0101530, Cioè su cento parti: trovato calcolato per Cy7Hy4Na0% Azoto 10,09 10,07 Per maggior conferma venne con solfato di metile trasfor- mato nell’etere metilico, che fuse a 90-91°, precisamente come quello che si ottiene dal 2-o-anisilazo-lnaftol, preparato dal- l’a-naftol per azione del cloruro di o-anisildiazonio. Azione del cloruro di p-anisildiazonio sull’a-naftol sciolto in alcool. La diazotazione della p-anisidina e la copulazione del clo- ruro di p-anisildiazonio ottenuto coll’a-naftol, furono eseguite esattamente come venne descritto per l’o-anisidina. Si riscon- trarono i due isomeri, di cui l’orto in quantità di circa il 10 °/o di p-anisidina impiegata. La separazione venne qui pure ese- guita colla soluzione di idrato sodico al 4°/. La parte insolu- bile è costituita da 2-p-anisilazo-1naftol, la parte solubile da 4-p-anisilazo-1naftol. lavato e quindi decomposto con eccesso di idrato sodico; la base, messa così in libertà, viene estratta con etere, e si ha facilmente solida e quasi bianca per distillazione dell’etere. Cristallizzata dall’etere di petrolio, si ha in lunghi aghi bianchi, che fondono, secondo i dati di Reisenegger (vedi loco citato), a 43-44°. è ita . de. 4 490 G. CHARRIER E L. CASALE Isomeri orto- e para-p-anisilazo-a-naftoil. 1)OH zi 2)N=N(1)C;H,(4)OCHy° Si separa dall'alcool in cristalli, costituiti da fogliette di color rosso-granato, che cominciano a rammollirsi verso 115° per fondere completamente soltanto a 127-128°. I. Gr. 0,2374 di sostanza fornirono gr. 0,6364 di anidride carbonica e gr. 0,1106 di acqua. Il. Gr. 0,1306 di sostanza diedero cc. 11,4 di azoto (Ho = 740,925 t= 16°), ossia gr. 0,013038. Cioè su cento parti: 2-p-Anisilazo-1-naftol CaBKt trovato calcolato per Ci;H;,jN20g ——— —-_— — I II Carbonio 73,11 _ 73,98 Idrogeno 5,17 - 5,03 Azoto - 9,98 10,07 Nell’alcool è molto più solubile specialmente a caldo del- l’isomero 2-o-anisilazo-1naftol: anche negli altri solventi di- mostra una solubilità maggiore. Nell’acido solforico concentrato sì scioglie con colorazione rossa. Poco solubile negli alcali acquosi a freddo, si scioglie discretamente a caldo. Per raffred- damento cristallizza il sale dell’o-ossiazocomposto. E pochissimo solubile in ammoniaca. Il 2-p-anisilazo-1naftol ridotto diede origine a p-anisidina e a 2-amido-1nafto], che, posto in libertà dal cloridrato con ammoniaca, formò le caratteristiche pellicole violette di imido-Bnaftochinone n Sale di sodio C,3H,3Ns0gNa. — Cristallizza dalle soluzioni bollenti dell’ossiazocomposto in idrato sodico al 10° in fini fogliette rosse con riflesso dorato, ed è facilmente decomposto dall'acqua. L'ossiazocomposto, ottenuto per decomposizione del sale con acido cloridrico diluito, cristallizzato dall’acido acetico, fuse completamente a 127-128°, SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALI'a-NAFTOL 491 1)OC,H30 CR Ao == nno per ebollizione prolungata della soluzione acetica dell’o-ossiazo- composto con eccesso di anidride acetica in presenza di acetato sodico, forma, cristallizzato dall'alcool, aghetti di color giallo- arancio, fusibili a 178°. Gr. 0,1537 di sostanza diedero cc. 11,4 di azoto (Ho= 727,175 t= 11°), ossia gr. 0,013062. Cioè su cento parti: Acetilderivato C,oH trovato calcolato per CigHigNa0; e” —r——_ T"T- Azoto 8,49 8,75 Solubile discretamente a caldo, molto meno a freddo in alcool, cloroformio, benzolo ed etere, è molto solubile in acido acetico, quasi insolubile in ligroina. Si scioglie in acido solfo- rico concentrato con colorazione rossa. Scaldato all’ebollizione con soluzioni alcaline, viene facilmente saponificato. /(1)OH N (4)N=N(1)G;H4(4)0CH;" Cristallizza dall’alcool in fini aghetti di color verde cantaride o in fogliette di color giallo oro, che si decompongono fonden- dosi a 168°, con anteriore contrazione di volume verso 165°. Gr. 0,0982 di sostanza diedero ce. 8,6 di azoto (Hj= 736,925 t= 16°), ossia gr. 0,009782. Cioè su cento parti: 4-p-Anisilazo-inaftol C,,H trovato calcolato per Cy7Hy,N303 nn —{T_ rrP—_ PTT Azoto 9,96 10,07 Discretamente solubile a caldo, poco a freddo nell’alcool e nella maggior parte dei solventi organici, che comunemente si impiegano. L'acido solforico concentrato lo scioglie con colorazione bleu. Negli alcali diluiti a freddo è poco solubile, poichè si copre di uno strato di sale poco solubile in acqua, che lo pro- tegge dall’ulteriore attacco della soluzione alcalina, a caldo in- vece si scioglie molto e per raffreddamento cristallizza il sale. È poco solubile in ammoniaca anche concentrata. 492 G. CHARRIER E L. CASALE Sale di sodio C,xH,3Ns0sNa. — Si separa in fogliette di color giallo oro dalle soluzioni concentrate dell’ossiazocomposto in idrato sodico al 10 ®, bollente. È solubile in acqua con co- lorazione rossa. Etere metilico Osio H,(4)0CHy" — Cristal- lizza dall'alcool in finissimi aghetti di color giallo-rossastro, fusibili a 134°. Gi". 0,1078 di sostanza diedero ce. 8,8 di azoto (Ho="741,447 t= 15°), ossia gr. 0,010110. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHigNa0a e——____T SS P_ ——. Azoto 9,37 9,58 Poco solubile a caldo, ancor meno a freddo nell’alcool, si scioglie di più nell’etere, cloroformio e benzolo ed è pressochè insolubile in ligroina. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione bleu, negli acidi diluiti è leggermente solubile soltanto all’ebol- lizione. Etere etilico C,oHs< ato ie, (1) C,H,(M)0CH," T Cristal- lizza dall'alcool in fini aghi di color giallo-ranciato, fusibili a 128°. Gr. 0,1721 di sostanza diedero ce. 14 di azoto (Hj= 722,051 t = 15°), ossia gr. 0,015659. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,4HygNa0s yr_—" =... --- Azoto 9,09 9,15 Nell’alcool è molto solubile a caldo, poco a freddo: in acido solforico concentrato si scioglie con colorazione azzurra. (1)00,H30 ‘i e X(4)N= 2N(1)C, .H,(4)OCHy : Cristal lizza dall'alcool in aghetti gialli, fusibili a J{gu. Acetilderivato CygHy SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL'O-NAFTOL 493 i Gr. 0,1452 di sostanza diedero ce. 11 di azoto (Ho= 722,051 Mi t=15°),.ossia-gr. 0,0128303. ; Cioè su cento parti: trovato calcolato per CisHigNa0g Azoto 8,47 8,75 E molto solubile in alcool e negli altri ordinari solventi. L’acido solforico concentrato lo scioglie con colorazione azzurra. Azione del cloruro di o-fenetildiazonio sull’o-naftol sciolto in alcool. La copulazione eseguita nello stesso modo che col cloruro . di o-anisildiazonio (quantità calcolate corrispondenti a quelle impiegate in questo caso) diede origine ai due isomeri, di cui l’orto in quantità di circa il 15 °/, di base impiegata. La sepa- razione venne eseguita trattando il prodotto separatosi in so- luzione acida con idrato sodico al 4°: la porzione insolubile è costituita da 2-o-fenetilazo-1naftol, la porzione solubile da 4-o-fenetilazo- lnaftol. Isomeri orto- e para-o-fenetilazo-anaftoli. : 1)OH 2-o-Fenetilazo-1naftol Cio (0) N-:N(1)0;H,(2)00,H; — Cristallizza dall'alcool in lunghi aghi di color rosso con ri- flesso verde cantaride, fusibili a 162° con leggero rammolli- mento verso 159°. LyGr 0,3045 di sostanza fornirono gr. 0,8234 di anidride carbonica e gr. 0,1508 di acqua. II. Gr. 0,1500 di sostanza diedero cc. 13 di azoto (Ho = 730,940 t= 16°), ossia gr. 0,014665. III. Gr. 0,1194 di sostanza diedero ce. 10 di azoto (Ho=-730,940 t= 17°), ossia gr. 0,011242, Cioè su cento parti: 7% TI 404 G. CHARRIER E L. CASALE trovato calcolato per CigHigN:0a re; — n — .. I II III Carbonio 73,74 _ — 73,97 Idrogeno 5,50 — Sd 5,47 Azoto — 9,77 9,41 9,58 E poco solubile a caldo, pochissimo a freddo nell’alcool e nella ligroina, più solubile nell’acido acetico, nel benzolo, nel cloroformio e nel solfuro di carbonio. L'acido solforico concen- trato lo scioglie molto con colorazione rossa tendente al vio- letto. Colle soluzioni degli idrati alcalini si comporta come il 2-o-anisilazo-Jnaftol, cioè le colora appena all’ebollizione. Negli acidi diluiti è insolubile. 1)OC,H3s0 i N NIC (00, iblagini. o lizza dall'alcool diluito in fini aghi rossi, lucenti, fusibili a 77-78°. Gr. 0,1336 di sostanza diedero ce. 9,7 di azoto (Hj= 722,051 t= 15°), ossia gr. 0,010849. Cioè su cento parti: Acetilderivato Coll trovato calcolato per CsoH,gN20, Azoto 8,12 8,38 E molto solubile nell’alcool e nei comuni solventi organici. Nell'acido solforico concentrato si scioglie con colorazione violetta. /(1)O0H “x (4)N= N(1)C;Hy(2) 0C4H; -— Cristallizza dall’aleool] in aghi piatti, di color rosso-granato cupo, splendenti, fusibili a 160-161°. Gr. 0,1672 di sostanza diedero ec. 14,2 di azoto (H,= 730,940 t= 16°), ossia gr. 0,016019. Cioè su cento parti: 4-0-Fenetilazo-1naftol ©,,H trovato calcolato per CigHigNs0è Azoto 9,58 9,58 de SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI DERIVANTI DALL Q-NAFTOL 495 Molto solubile in alcool, cloroformio, acido acetico e altri solventi a caldo, lo è relativamente poco a freddo. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione bleu indaco. Si scioglie facilmente nelle soluzioni diluite degli idrati alcalini, poco invece nell’ammoniaca anche concentrata. Etere metilico bolina ()00,.H,: — Dal- l’aleool si ha in bei cristalli prismatici, di color rosso vivo, fu- sibili a 91°. Gr. 0,1779 di sostanza diedero cc. 14 di azoto (Hoy = 734,933 t= 16°), ossia gr. 0,015881. Cioè su cento parti: trovato calcolato per Cs9HigN30a Azoto 8,92 9,15 Molto solubile a caldo, poco a freddo nell’alcool, si scioglie molto nell’etere, nel benzolo e nel cloroformio. In acido solfo- rico concentrato si scioglie con colorazione bleu che tende al verde: è leggermente solubile a caldo negli acidi diluiti. 1)0CsH; Etere etilico Crati (ON N(1)C5H.f0) )OG,Hy: dall'alcool in aghi prismatici, rossi, fusibili a 98°. Gr. 0,1341 di sostanza diedero ce. 10 di azoto (Ho = 734,933 b=" 16%), ossia gr. 0,0113453. Cioè su cento parti: Si ha trovato calcolato per CsoHsgNa0a ——. d—___> Ln — Azoto 8,45 8,75 Si scioglie poco a freddo, mentre è molto solubile a caldo nell’alcool e negli altri solventi. Nell’acido solforico si scioglie con colorazione bleu-verdastra. Acetilderivato CIA STI CREARE — Cristal- lizza dall'alcool in aghetti rossi, fusibili a 101°: Gr. 0,1995 di sostanza diedero cc. 14 di azoto (Ho="741,447 t= 15°), ossia gr. 0,016084. 496 @. CHARRIER E L. CASALE — SUGLI ORTOOSSIAZOCOMPOSTI, ECC. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CsoHigNa03 ori e ri —..!——— Azoto 8,06 8,38 Discretamente solubile nell’alcool e negli altri solventi or- ganici, si scioglie nell’acido solforico concentrato con colorazione bleu-indaco. Insolubile negli alcali acquosi, viene da questi sa- ponificato facilmente all’ebollizione. /(1)00:H50 6\(4)N=N(1)CéH,(2)OC3Hg" nuto col metodo Schotten-Baumann, cristallizza dall’alcool in aghi di color rosso-mattone, che si fondono a 111°. Gr. 0,1648 di sostanza diedero cc. 10,5 di azoto (Hj= 736,925 =-16°), ossia gr. 0,011943. Cioè su cento parti: Benzoilderivato (!,gH — Otte- trovato calcolato per C,;HaoN:03 ruta. —_ da di ii Azoto 7,24 7,07 Molto solubile a caldo e poco a freddo nell’alcool, lo è di- scretamente nel benzolo, etere e cloroformio. Nell’acido solfo- rico concentrato si scioglie con colorazione rossa, che passa dopo pochi istanti al bleu indaco, poichè avviene saponificazione con messa in libertà di 4-o-fenetilazo-1naftol. Torino, Istituto Chimico della R. Università. Febbraio 1914. G. FERRERI — SU ALCUNI ETERI, ECC. 497 Su alcuni eteri di naftilen-n-ossifeniltriazoli. Nota del Dott. G. FERRERI È noto (1) che gli o-amidoazocomposti si decompongono per azione del calore in amina primaria, o-diamina e triazoli della gia UN na struttura Ar |} N—Ar o Ar | N-Ar: mi sembrò interes- \XNZ NN sante esaminare se sì comportassero analogamente gli o-amido- azocomposti ottenuti per copulazione dei cloruri di o- e p-anisil e di o- e p-fenetildiazonio colla B-naftilamina (2), poichè in tal caso si sarebbe giunti facilmente agli eteri dei naftilen-n-ossifenil- triazoli, finora sconosciuti, e da questi ai naftilen-n-ossifenil- triazoli stessi, ottenuti per la prima volta da Zincke (3) per azione dell’acido cromico o del biossido di piombo sugli o-amido- azocomposti, con una reazione che conduce a prodotti in gene- rale di difficile purificazione. Trovai che effettivamente, scal- dando quei composti verso 300°, avviene anche in questo caso la reazione seguente: AQN=NGH,0R 10 6, \(B)NH> N NH;(1) OR Mio, N He: = A = 2C,0Hg | NCH,40R+C,oHy +-CsHa NNZ NNH,(2) -NHy ed essa costituisce un ottimo metodo di preparazione degli eteri metilici ed etilici dell’o- e p-naftilen-n-ossifeniltriazolo. Si for- mano inoltre in piccola quantità, per saponificazione degli eteri, (1) G. 40, II, 132 (1910). (2) G. 43, II, 230 (1913). (3) B. 18, 3136 (1885). 498 G. FERRERI e specialmente nel caso degli o-composti, gli ossiderivati corri- spondenti. (li eteri che descrivo in questa nota sono sostanze incolore, ben cristallizzate, assai solubili negli ordinari solventi, meno nell’alcool, specialmente a freddo. Sono solubili nell’acido solfo- rico concentrato e riprecipitano inalterati per diluizione con acqua. Coi riducenti non si alterano; il cloruro di alluminio anidro li saponifica facilmente. Coll'acido nitrico, i paracomposti possono dare mononitroderivati nel nucleo benzenico, aventi il nitrogruppo in posizione orto coll’ossidride eterificato, mentre gli ortocomposti, nelle medesime condizioni, non reagiscono. N Naftilen-n-o-anisiltriazolo Cral | I N(O,H (2)0CH; N Si ottiene per azione del calore sulla o-anisilazoBnaftilamina, che scaldata verso 300° si decompone secondo la reazione prin- cipale seguente: 2(0N=N-(1)G;H(2)OCHz 3CioHe panna (B)NH, N NH;(1) OCHy(2) 290,8 | \N(1)G;H()0CH,+-CxoH{ vit NNZ \NHy(2) XNH; (1) Distillando il prodotto della reazione si ha verso 220° una porzione costituita dall’o-anisidina, che ridistillata passa quasi completamente a 218° e che venne caratterizzata diazotandola e copulandola con 8-naftilamina, riottenendosi così la o-anisil- azo3naftilamina, fusibile a 133-134°. Versando il residuo della distillazione, ancora fuso, nell’alcool, si separa una massa cristallina bruna costituita da naftilen-n-0- anisiltriazolo e da piccole quantità di naftilen-n-o-ossifeniltriazolo, mentre la 1,2 naftilendiamina rimane in soluzione; essa venne isolata precipitandola sotto forma di solfato, che cristallizzato dall'acqua in presenza di carbone animale, si separò in fogliette leggermente giallognole. Gr. 0,1498 di sostanza fornirono gr. 0,0841 di solfato di bario, corrispondenti a gr. 0,03533041 di acido solforico. SU ALCUNI ETERI DI NAFTIILENN--OSSIFENILTKIAZOLI 499 Cioè su cento parti: trovato calcolato per (CiyHyNoH,)3H:S0, |—_—r Tr ————1r-—r— HsS0, 23,61 23,67 Per separare il naftilen-n-0-anisiltriazolo dall’ossiderivato, la massa cristallina rimasta indisciolta dall'alcool venne scal- data a b.m. con una soluzione di idrato sodico al 25 %,: in tal modo tutto l’ossiderivato passa in soluzione, mentre l’etere ‘ può essere raccolto e purificato cristallizzandolo una prima volta dall’acido acetico in presenza di carbone animale, ed infine due volte dall'alcool. Si ottiene allora sotto forma di tavole prisma- tiche ben sviluppate, incolore e trasparenti, che fondono a 113°. I. Gr. 0,1928 di sostanza fornirono ce. 25,8 di azoto (Ho= 738,045 t = 14°) ossia gr. 0,0292163899. II. Gr. 0,1168 di sostanza fornirono cc. 15,4 di azoto (Ho = 743,279 t = 13°) ossia gr. 0,017891329. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C;3Hy3N30 de {7 —————P6—_ I II Azoto To. 15 15,31 15,27 Molto selubile in benzolo e cloroformio, relativamente poco solubile a freddo in alcool ed acido acetico. Solubile in etere. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione ver- dognola e riprecipita inalterato per aggiunta di acqua. Acidificando il liquido alcalino che servì alla purificazione sì possono isolare piccole quantità di naftilen-n-0-ossifeniltri- N\ azolo Crotti | “N(1)C;H,(2)OH. che purificato per cristallizza- N/ zione dall’acido acetico e dall’alcool si separa in fini aghi bianchi che fondono a 140°, secondo i dati di Zincke (1). Grammi 0,1353 di sostanza fornirono cc. 18,4 di azoto (Ho = 741,799 t= 10°) ossia gr. 0,021597371. (1) B. 18, 3136 (1885). 500 G. FERRERI Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,gHy}N30 ———rr si Ta ss Azoto 15,96 16,09 Molto solubile in acido acetico, benzolo, cloroformio, alcool, poco a freddo in quest’ultimo. Solubile negli alcali, non nei car- bonati alcalini. Si lascia facilmente eterificare per azione del solfato di metile: la reazione si eseguisce sciogliendo l’osside- rivato in idrato potassico al 50 %, e quindi trattando con un . eccesso di solfato di metile, a caldo ; lasciando raffreddare si separa il naftilen-n-o-anisiltriazolo che ricristallizzato dall'alcool fonde a 113°. Il naftilen-n-o-anisiltriazolo sciolto in benzolo anidro si saponifica facilmente per azione del cloruro di alluminio: la reazione avviene già a freddo e si completa scaldando a b.m.: sì ottiene così una massa bruna, da cui per trattamento con acido cloridrico concentrato o con acqua si separa l’ossiderivato, che cristallizzato dall'alcool fornisce aghetti bianchi fondenti a 140°. Grammi 0,1332 di sostanza fornirono cc. 18,8 di azoto (Ho = 729,058 t= 15°) ossia gr. 0,021234331. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHy;N30 Azoto 15,94 16,09 Il naftilen-n-o-anisiltriazolo non reagisce con l'acido nitrico diluito (4 n), per dare il mononitro derivato come fanno i para- composti: ho però preparato un mononitro derivato partendo dalla p-nitro-o-anisilazoBnaftilamina ed ossidandola con una so- luzione acquosa di acido eromico, secondo il metodo seguito da Meldola e Ughes (1) a proposito della preparazione delle nitro- benzolaziminofnaftaline. (1) Soc. 59, 379. (1891). pe SU ALCUNI ETERI DI NAFTILEN-N-OSSIFENILTRIAZOLI 501 /0CH;(2) <(QAN=N(1)C6HsCyo, (4) p-nitro-o-anisilazognaftilamina Ciots< (8)NH ) Si prepara facendo agire il cloruro di p-nitro-o-anisildiazonio su una soluzione alcoolica di B-naftilamina, ottenendosi così una massa rossa che cristallizza dall'alcool sotto forma di aghetti rossi a riflesso dorato, fondenti a 206°. Grammi 0,1801 di sostanza fornirono ce. 27,2 di azoto (Ho = 733,340 t = 13°) ossia gr. 0,031173779. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,7Hy,N,0O5 de ir i 2 — -— Azoto 17,30 17,39 Poco solubile a freddo in alcool, benzolo, acido acetico, di- scretamente a caldo. Più solubile in cloroformio. nd 0 70CHs(2) naftilen-n-o-anisil-p-nitrotriazolo CioHgs. | N(1)C;Hs \NZ NNO, (4) Si ottiene facendo agire su una soluzione di p-nitro-0- anisilazoSnaftilamina in soluzione acetica, una soluzione acquosa di acido cromico. Il colore della soluzione passa dal rosso rubino al giallo bruno, e per diluizione con acqua si separa il composto sotto forma di una sostanza giallognola, che cristallizzata una prima volta dall’acido acetico, quindi dall’alcool, forma finissimi aghetti bianchi che fondono a 203°. Grammi 0,1440 di sostanza fornirono cc. 22,2 di azoto (Ho = 734,577 t = 17°) ossia gr. 0,025064536. Cioè su cento parti: trovato calcolato per Cy7HiaN;03 —— -—rr ——_ —- Azoto 17,36. 17,50 Solubile a caldo in acido acetico, benzolo e cloroformio, poco a freddo. Nell’alcool si scioglie poco a caldo, pochissimo a freddo. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 33 502 G. FERRERI PX naftilen-n-o-fenetiltriazolo Cioe A H(2)06,H; N A. Venne ottenuto analogamente all’etere metilico, per azione del calore sulla o-fenetilazoBnaftilamina KR 2 Il naftilen-n-o-fenetiltriazolo, dopo trattamento con idrato so- dico, cristallizzato prima dall’ acido acetico, quindi due volte dall’alcool, si separa sotto forma di tavole prismatiche ben svi- luppate che fondono a 85°. Grammi 0,3234 di sostanza fornirono ce. 41,4 di azoto (Ho = 729,058 t= 15°) ossia gr. 0,046760709. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,3Hy;N30 — Sora — rr". Azoto 14,45 14,53 Molto solubile in benzolo, cloroformio, etere. Nell’alcool e nell’acido acetico si scioglie pure molto a caldo, ma è relati- vamente poco solubile a freddo. Si comporta analogamente al corrispondente etere metilico. Acidificando il liquido alcalino, adoperato per la purifica- zione, si ottengono piccole quantità di naftilen-n-0-ossifeniltriazolo, che venne identificato dal punto di fusione 140°, e trasforman- dolo nuovamente in etere per azione del solfato di etile, nello stesso modo già indicato per la preparazione dell'etere meti- lico : i cristalli che così si ottengono fondono a 85°. Grammi 0,1450 di sostanza fornirono cc. 18,5 di azoto (Hj = 738,045 t=: 14°) ossia gr. 0,020949736. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CxHygN30 Azoto 14,44 14,58 SU ALCUNI ETERI DI NAFTILEN N-OSSIFENILTRIAZOLI 503 % N Naftilen-n-p-anisiltriazolo Caoll N (1)CsH,(4)OCHy N Si ottiene per azione del calore sulla p-anisilazo8naftilamina, la quale, scaldata verso i 300°, si decompone secondo la seguente equazione: 3C10Hs, o \(8)NH; N NHs(1) OCH;(4) I EPA: Pa 3 =2C,0He, | _N(D)C5Hx(4)OCH3+C,6Hy TT Uell4 . \NZ NNHy,(2) N\NH; (1) Distillando il prodotto della reazione, si ha verso 250° una porzione costituita dalla p-anisidina, che ridistillata passa a 245° e che venne caratterizzata diazotandola e copulandola con 8-naftol, ottenendosi così il p-anisilazoBnaftol fusibile a 137°. Versando il -residuo della distillazione, ancora fuso, nel- l'alcool, il triazolo, che vi è poco solubile, si separa in una massa cristallina bruna, mentre la 1,2-naftilendiamina rimane in soluzione e si può isolare facilmente precipitandola sotto forma di cloridrato, per mezzo di una soluzione eterea di acido cloridrico, e quindi mettendo in libertà la base con ammoniaca: cristallizzata dall'acqua fornì lamelle bianche, lucenti, fon- denti a 95°. Il nattilen-n-p-anisiltriazolo venne purificato trattandolo con una soluzione calda di idrato sodico, per separarlo dalle traccie di ossicomposto che pure si formano nella reazione, quindi cri- stallizzandolo dall’acido acetico glaciale in presenza di carbone animale ed infine due volte dall'alcool: lo si ottiene allora sotto forma di lunghi aghi bianchi che fondono a 129°. Grammi 0,1004 di sostanza fornirono cc. 13,8 di azoto (Ho = 737,372 t= 22°) ossia gr. 0,01529694. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,:H3N30 6 nn ui" ce —_ —. Azoto 15,23 15,27 504 G. FERRERI Il naftilen-n-p-anisiltriazolo è assai solubile in acido ace- tico glaciale, benzolo, cloroformio, etere, meno nell’alcool e nella ligroina pesante. Nell’acido solforico concentrato si scioglie con colorazione verdastra, riprecipitando inalterato per aggiunta di acqua. Trattando il naftilen-n-p-anisiltriazolo, sciolto in benzolo anidro, con cloruro di alluminio a freddo, quindi scaldando per pochi minuti a b. m., e trattando poscia la massa bruna con acido cloridrico concentrato o con acqua, si separa il N naftilen-n-p-ossifeniltriazolo Csotls | )N(M0,1,(4)01 che, pu- N rificato sciogliendolo in idrato sodico diluito e riprecipitandolo con un acido, ed infine cristallizzandolo dall’acido acetico, forma fini aghetti bianchi fusibili a 198-199° secondo i dati di Zincke (1). Grammi 0,1164 di sostanza fornirono ce. 16,3 di azoto (Ho = 742,798 t= 70°) ossia gr. 0,018611721. Cioè su cento parti : trovato calcolato per CygHyjN30 Azoto 15,98 16,09 Facilmente solubile in acido acetico e nell’alcool, poco nel ben- zolo e nel toluene. Sciogliendo l’ossiderivato così ottenuto in idrato potassico al 50 °/, e trattando con un eccesso di solfato di metile, si riottiene facilmente l'etere, con rendimento quantitativo: la rea- zione si eseguisce a caldo; per raffreddamento si separa poi il prodotto che cristallizzato dall’alcool forma fini aghi bianchi di naftilen-n-p-anisiltriazolo fondenti a 129°. Grammi 0,1321 di sostanza fornirono ce. 17,5 di azoto (Hh= 729,058 t= 15°) ossia gr. 0,02025803. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,;Hy3N30 — °° si en —_— Azoto 13,33 15,27 (1) B. 18, 3136 (1885). SU ALCUNI ETERI DI NAFTILEN-N OSSIFENILTRIAZOLI 505 Il naftilen-n-p-anisiltriazolo reagisce facilmente con l’acido nitrico diluito (È n) dando luogo al mononitroderivato : con acido nitrico d = 1,40 avviene la stessa reazione, ma si formano pure piccole quantità di altri nitroderivati di cui non mi sono per ora occupato. La reazione con acido nitrico diluito venne eseguita sciogliendo il naftilen-n-p-anisiltriazolo in poco acido acetico glaciale e facendolo bollire per pochi minuti con acido nitrico doppio normale in eccesso: lasciando poi raffreddare, si separò una massa gialla che cristallizzata dall’acido acetico, quindi dal cloroformio ed infine dal benzolo, fornì aghi giallo- chiari fondenti a 220-221°. I. Gr. 0,2680 di sostanza fornirono gr. 0,6276 di anidride carbonica e gr. 0,0916 di acqua. IT. Gr. 0,1360 di sostanza fornirono ce. 21,6 di azoto (Ho= 728,055 t= 24°) ossia gr. 0,023437749. III. Gr. 0,2369 di sostanza fornirono ce. 37,6 di azoto (Ho = 730,154 t= 23°) ossia gr. 0,0411035834. Cioè su cento parti: trovato cale. per CoBioN, (0h I II I Carbonio 63,89 — — 63,75 Idrogeno 3,09 — — d, (9 Azoto SARI ,09 I90 Pochissimo solubile in alcool, più solubile in acido acetico e nel cloroformio, si scioglie facilmente nel benzolo. Per stabilire la posizione del nitrogruppo venne preparato il naftilen-n-p-anisil-o-nitrotriazolo partendo dalla o-nitro-p-ani- silazo8naftilamina in soluzione acetica, per azione di una solu- zione acquosa di acido cromico. /0CHy(4) /(d)N=N(1 )C5Hsk NO, (2) o-nitro-p anisilazonaftilamina C,0H< (8) La o-nitro-p-anisilazoBnaftilamina si ottiene facendo agire il cloruro di o-nitro-p-anisildiazonio su una soluzione alcoolica di B-naftilamina: si separa una massa rossa che cristallizza dal- SZ, 9 e ® "I l'alcool o dal cloroformio in aghetti rossi con riflesso dorato fondenti a 186°. Grammi 0,1870 di sostanza fornirono cc. 28,3 di azoto (Ho = 738,686 t= 16°) ossia gr. 0,032268647. Cioè su cento parti: 506 G. FERRERI trovato calcolato per Cy;Hy;N4O3 = — ——r—’!'— Azoto 17,25 17,39 Poco solubile a freddo, discretamente a caldo in alcool, acido acetico, cloroformio, benzolo. Poco solubile in etere. VAN 20CHs(4) Naftilen-n-p-anisil-o-nitrotriazolo C,oHy | N(1)CyHs NN N\NO, (2) 4 gr. di o-nitro-p-anisilazoBnaftilamina vennero sciolti in circa 500 cc. di acido acetico glaciale e quindi trattati, goccia a goccia, con una soluzione acquosa di acido eromico: il colore della soluzione passa dal rosso al giallo bruno e per diluizione con acqua si separa una sostanza bruna che si purifica cristal- lizzandola dall’acido acetico glaciale, quindi dal cloroformio ed infine dal benzolo. Da quest’ultimo solvente il composto si se- para sotto forma di fini aghetti giallo chiari fondenti a 220-221°. Grammi 0,1006 di sostanza fornirono ce. 15,2 di azoto (Ho = 742,678 t= 16°) ossia gr. 0,0174263017. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C;7HygN;03 Azoto . 17.32 17,50 Anche pel comportamento coi solventi il naftilen-n-p-anisil- o-nitrotriazolo così ottenuto si dimostra identico al mononitro- derivato ottenuto per azione dell'acido nitrico sul naftilen-n-p- anisiltriazolo, per cui si può affermare che il nitrogruppo va a fissarsi in posizione orto col metossile nel nucleo benzolico. SU ALCUNI ETERI DI NAFTILEN-N-OSSIFENILTRIAZOLI 507 N Naftilen-n-p-fenetiltriazolo E | \x(1)G,H,(4)00,H; N\NNZ Venne ottenuto analogamente al naftilen-n-p-anisiltriazolo per azione del calore sulla p-fenetilazoBnaftilamina i eli Il naftilen-n-p-fenetiltriazolo, purificato nel modo avanti indicato. si ottiene cristallizzato dal- l’alcool sotto forma di fini aghi bianchi fondenti a 141°. Grammi 0,2027 di sostanza fornirono cc. 25,8 di azoto (Ho = 737,164 t= 16°) ossia gr. 0,029351962. Cioè su cento parti: trovato : calcolato per C,gHy;N30 ia a ME Azoto 14,48 14,58 Facilmente solubile nell’acido acetico bollente, cloroformio, benzolo. Nell’alcool si scioglie pochissimo a freddo, discreta- mente a caldo. Le proprietà di questo composto sono in tutto analozhe a quelle dell'etere metilico precedentemente descritto. Per azione dell’ acido nitrico, operando nel modo già detto, si ottiene il maftilen-n-p-fenetil-0-nitrotriazolo N OCsH;(4 ca Ma O \NNZ NNO; (2) fini aghi giallo chiari che fondono a 177°. Grammi 0,1354 di sostanza fornirono ce. 19,7 di azoto (Ho = 740,045 t= 15°) ossia gr. 0,02258997. Cioè su cento parti: che cristallizza dal benzolo in trovato calcolato per CigHy,N,03 nn dl — —.rrr _— —. Azoto 16,68 i 16,76 facilmente solubile nel benzolo, meno in acido acetico e nel cloroformio. Difficilmente solubile in alcool. Torino, Istituto Chimico della R. Università. ‘Febbraio 1914. L’Accademico Segretario CORRADO SEGRE. 508 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 15 Febbraio 1914. PRESIDENZA DEL SENATORE GIAMPIETRO CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Pizzi, Rurrini, SramPini, BRONDI, Srorza, Ernaupi, Baupr pi Vesme e De Sanoris in funzione di Segretario. — È scusata l’assenza del Presidente Bosetti e del Segretario RENIFR. Il senatore Chironi porge un saluto ai colleghi che per la prima volta presiede come Direttore della Classe; e dà poi la parola al ff. di Segretario per la lettura dell’atto verbale dell'adunanza antecedente 1° febbraio 1914, che viene ap- provato. Il Socio Rurrini presenta per la inserzione negli Atti una Nota di Gian Carlo Burager intitolata: / giureconsulti dell'Università di Torino nel Quattrocento. II. Giacomino da San Giorgio. Pure per gli Atti il Socio De Sanoris offre a nome del collega ReNIER, assente, un saggio di Etimologie piemon- tesi del prof. Attilio Levi, e a nome proprio uno studio di 509 Augusto Rosragni su Le vicende della Scuola pitagorica se- condo Timeo. Invitato dal Presidente, il Socio ErnAUDI, anche a nome del Socio Rurrini, dà lettura della relazione intorno alla me- moria del prof. Giuseppe Prato intitolata: Un capitolo della rita di Giovanni Law (da documenti inediti). La Classe, appro- vata con voto palese la relazione e presa cognizione della mo- nografia del Prato, ne delibera con pienezza di voti segreti la inserzione nelle Memorie accademiche. ‘pit dia * | 510 GIAN CARLO BURAGGI LETTURE I (riureconsulti dell’Università di Torino nel Quattrocento. II. — Giacomino da San Giorgio. Nota di GIAN CARLO BURAGGI. $ 1. — Giacomino da San Giorgio (1) nacque nel primo trentennio del secolo XV. Non sappiamo precisamente in che (1) Di Giacomino da San Giorgio (Jucobinus Michelonus (o de Michelo- nibus) de Sancto Georgio) tacciono il DirLovaraceio (De praestantia docto- rum) e il Ficarpo (Vitarum recentiorum iureconsultorum periochae). Il Fon- stero (De historia iuris civilis romani, lib. 1II) ne ricorda soltanto il nome, mentre Marco Mawrua (Epitome virorum illustrium qui vel seripserunt vel iurisprudentiam docuerunt in scholis, n. 154) ne dà un breve cenno biogra- fico, dal quale però si ricava soltanto che il San Giorgio fu discepolo di Giasone, insegnò a Torino ed ebbe per successore Claudio di Seyssel. Il PawciroLo (De claris legum interpretibus) lo ricorda appena come maestro di Gio. Francesco Balbo (lib. II, cap. CLVI) e per essere stato sostituito temporaneamente nel 1487 da Claudio di Seyssel (cap. CKXXVII). 11 cata- logo di libri giuridici del Nevizano (Index omnium librorum in iure tam pontificio quam civili passim editorum, con aggiunte del Gomrsio e del Fi- carpo, nell'opera Iurisconsultorum vitae, Basilea, 1539) ne enumera Je opere. Il Guiini fra i suoi inediti Z/ogi di uomini illustri ce ne lasciò anche uno del San Giorgio, in cui però non fa che ripetere con lusso di parole il poco che era stato precedentemente scritto (Il ms. del Guiuii si conserva nella Biblioteca Marciana; se ne trovano copie nella Biblioteca dell’Acca- demia delle Scienze di Torino, E. IV. 28, e in quella di S. M., st. p. 427). Pochissimo ne dice il Fanricio (Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis, vol. IV, Firenze, 1858, p. 293). Il Dea Cisa (Catalogo de’ scrittori pie- montesi, savoiardi e nizzardi, Carmagnola, 1660, p. 85) ne elenca gli scritti» e lo stesso fa sulle sue orme il Rossorri (Syllabus scriptorum Pedemontii, Mondovì, 1667, p. 305). Ciò che scrissero questi due ultimi autori è ripor- tuto, con lievi aggiunte, nel “ Catalogus doctorum qui in alma taurinensi Academia pro tempore iura interpretati sunt , contenuto nella raccolta dei Privilegia almae taurinensis Universitatis, 'lorino, 1679, p. 104. Rieordano I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 511 anno, ma poichè è certo che nel 1452 già insegnava nello Studio di Torino, la data della sua nascita non può collocarsi dopo il terzo decennio del ‘400. Uscì dalla famiglia canavesana Miche- loni (1), e trasse il predicato “ de Sancto Georgio , dal luogo natale, San Giorgio Canavese (2). Il predicato poi fu da lui, e più ancora dai posteri, preferito al cognome. È generale l’er- rore di attribuirgli per patria Torino ; ebbe però certamente la cittadinanza torinese. A fargliela conseguire, in mancanza di altri requisiti, sarebbe bastato il suo insegnamento nello Studio di quella città, giacchè nel medio evo era pacificamente am- messo che i dottori acquistassero la cittadinanza del luogo in cui insegnavano (3). Nessuna parentela col nostro hanno altri giureconsulti dello stesso predicato “ de Sancto Georgio ,. Gio- vanni “ de Sancto Georgio ,, canonista vissuto nel sec. XIV, era di famiglia bolognese (4). Giovanni Antonio “ de Sancto Georgio ,, giurista famoso e cardinale, fu bensì contemporaneo del nostro essendo morto soltanto 15 anni dopo di lui, ma appar- tenne a famiglia piacentina (5). Lasciò quest'ultimo tra le molte sue opere anche un commentario “ super usibus feudorum ,, che, le opere di Giacomino da San Giorgio i repertori bibliografici generali del Geswero (Bibliotheca universalis, Zurigo, 1545, e, con aggiunte del Siero, 1555 e 1583) e del Draupro (Bibliotheca classica, sive catalogus officinalis, Francoforte, 1625), e quelli speciali giuridici del Fontana (Amphitheatrum legale, seu Bibliotheca legalis amplissima, Parma, 1688-1694) e del LrpenIo (Bibliotheca realis iuridica con aggiunte di Struvio e Jenicnen, Lipsia, 1746). (1) Non già “ Michelotti , come scrivono il DeLLa CHizsa, op. cit., p. 85, il RossortI, op. cit., p- 805, e sulle loro orme molti altri. (2) “ Jacobinus de Michelonis de loco Sancti Georgii , (Archivio di Stato in Torino, Protocolli dei Segretari Ducali, Serie Archivi di Corte, vol. 96, c. 127); Jacobinus Michelonus de Saneto Georgio Canepicii , (ibidem, Marchesato di Saluzzo, cat. 4%, mz. 7, n. 25) — Autografi di Giacomino da San Giorgio si possono vedere nell’Arch. di St. di Tor., March. Sal., cat. 4°, mz. 7, n. 25; Prot. Segr. Duc., Serie Camerale, vol. 26, cc. 152 e 174. (3) Cfr. Lenauperna, De privilegiis doctorum, par. II, $ 29, n. 39, nei Tractatus universi iuris, Venezia, 1584, t. XVIII, f. 8 0; BoLoGnini, Repe- titio in auth. habita. C. ne filius pro patre, n. 89, nelle Repetitiones in varias iuris civilis leges, Venezia, 1608, t. VII, f. 399 ®. (4) Cfr. Scuuure, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canoni- schen Rechts, Stuttgart, 1875-80, vol. II, p. 253. (5) Scuutte, op. cit, vol. II, pp. 338-341. 512 GIAN CARLO BURAGGI data la somiglianza dell'argomento e l’omonimia degli autori, po- trebbe essere scambiato col trattato “ de feudis , di Giacomino, $ 2. — Ben poco sappiamo dei suoi studi. Qualche indizio ci fa ritenere che frequentasse l’università patria, la quale dopo le traslazioni a Chieri e a Savigliano era tornata a Torino, dove aveva preso stabile sede. Ma egli fu anche a Pavia (1), al cui Studio accorrevano allora in gran numero gli studenti pie- montesi. Dei suoi maestri ne conosciamo, per sua stessa testimo- nianza, due, Giason Del Maino (2) e Giovanni da Mombaruzzo (3). Quest'ultimo, giureconsulto pressochè ignoto, insegnò a Torino, e quivi probabilmente lo udì Giacomino, il quale più tardi gli divenne collega (4). Quanto a Giasone, se la notizia che egli ne (1) Jacorini pe Sancro Grorero, Lectura aurea nusquam antea impressa super prima et secunda partibns Codicis, Lione, 1521, ec. 96 », col. 1% n. 1 (commento alla ce. 3 unde liberi 6, 14): © Et ego andivi ab aliqmbus docto- ribus papiensibus... ,. (2) Jacosini pe Sancro Georio, op. cit., ce. 124 r, col. 2% n. 5 (com- mento al tit. de edicto di. Adr. toll. 6, 33): “ ...cuius [scilicet Bartoli] opi. sequitur etiam ful. hic. sed Pau. de ca. cuius opi. secutus est clarissimus preceptor meus d. Iason sunt in contraria opi. s. quod utraque... ,. (3) Jacorini pe Sancero Grorero, op. cit., e. 96 r, col. 1%, n. 1 (commento alla c. 3 unde liberi 6, 14): “ Et refert hic subtilissimus doctor preceptor meus dominus Io. de monte barutio: quod in primo anno studiorum suorum hec lex fuit data in punetis domino Raphaeli de adurnis civi Genne: qui postea fuit creatus dux in illa vivitate ,; Inem, Lectura aurea nusquam antea impressa super secunda parte Digesti veteris, Lione, 1521, e. 18 », col. 1%, n. 18 (commento alla 1. 88 de cond. ind. 12, 6): * Preceptor meus d. Io. de monte burutio doctor subtilissimus in isto puncto dicit... ,. (4) Giovanni da Mombarnzzo insegnò diritto civile all'Università di Torino fino al 1459. Fa emulo e rivale del collega Luchino da Genova col quale ebbe contrasti. Cfr. Ganorro, L'università in Piemonte prima di Ema- nuele Filiberto, Torino, 1898, p. 42. Lo troviamo fra i dottori giuristi del collegio di 'Porino. Ufr. Statuta renerundi, sicrique Collegii Iurisconsul- torum Anyustae Taurinorim, "Torino, 1575, p. 26. Ci lasciò, mamostritte, delle lezioni da Imi tenute nello studio torinese. Cfr. Pasixr, RivavtetLA e Berra, Codices manuscripti bibliothecae regii taurinensis arhenaci. To- rino, 1749, vol. II, p. 85, codd. CCOXII, COCXII, CCCXIV, e Inventario dvi cotici superstiti greti e latini antichi della Biblioteca Nazionale di To» rino, nella ‘ Rivista di Filologia e d'Istrazione classica ,, vol. XXXII p. 528, nn. 723-725, I GIURECONSUILTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 519 fu discepolo non ci pervenisse da ]uì stesso, noi stenteremmo a crederla, tanto poco i dati biografici dei due giureconsulti si prestano a darle fede. E invero Giasone, essendo nato nel 14835 (1), aveva soltanto diciassette anni all’epoca in cui il San Giorgio di già insegnava nello Studio di Torino (1452). D'altra parte, siccome Giasone occupò la sua prima cattedra soltanto nel 1467, il giureconsulto piemontese non potè essere suo discepolo prima di allora, tornando così studente dopo di aver professato per tre lustri almeno. Qualora perciò non voglia intendersi l’appel- lativo di “ preceptor meus ,, dato da Giacomino a Giasone, nel senso scientifico anzichè in quello didattico, converrà ritenere che egli ne frequentasse le lezioni, allo scopo di perfezionarsi. quando già era avanti negli anni. Il suo soggiorno a Pavia, poichè soltanto colà potè udire Giasone, andrebbe in tal modo collocato dopo il 1467. Verrebbe invece assegnata alla prima giovinezza la frequenza allo Studio torinese. dove con ogni pro- babilità conseguì il dottorato (2). $ 3. — Consacratosi all'insegnamento, la sua opera di let- tore si svolse tutta quanta nell’università di Torino, dove in- cominciò ad insegnare assai per tempo continuandovi fino alla morte. Ve lo troviamo già nell’anno scolastico 1452-53, e vi era ancora nel 1494 quando mancò ai vivi; è quindi più di un quarantennio dedicato allo Studio piemontese. Nel corso della sua carriera occupò varie cattedre prima di raggiungere quella, che fu la definitiva, di ordinario di di- ritto. civile. Cominciò col leggere la Rolandina, insegnamento che gli era affidato nel 1452-53 (3). Poco dopo passò alle Isti- (1) Ctr. Gagorto, Giason del Maino e gli scandali universitari nel Quat- trocento, Torino, 1888. . (2) Non si può supporre che l'andata allo studio pavese avesse per scopo il conseguimento del dottorato, perchè già in un documento del 1461 figura come, © iuris utriusque doctor , (Archivio di Stato in Torino, Proto- colli dei Segretari Ducali, Serie Archivi di Corte, vol. 110, c. 6). (3) Archivio di Stato in Torino, Protocolli dei Segretari Ducali, Serie Camerale, vol. 50, c. 160: “ ad lecturam Rolandine dominus Jacobinus de Michillinis, con lo stipendio di 10 fiorini “ parvi ponderis ,. 514 GIAN CARLO BURAGGI tuzioni, cattedra che tenne fino al 1459 (1). Nell'anno succes- sivo fu trasferito alla lettura “ extraordinaria ordinariorum , di diritto civile (2); ma presto la lasciò (1461), assumendo in- vece la cattedra ordinaria di diritto canonico (3). Abbandonata più tardi anche quest'ultima. ottenne finalmente quella ordinaria di diritto civile, che coperse per tutto il resto della sua vita. Abbiamo notizia delle materie svolte dal San Giorgio in qualche anno del suo insegnamento. Così sappiamo che nel 1482 le sue lezioni ebbero per oggetto i seguenti titoli del digesto : De iurisdietione omnium iudicum (2,1); Quod quisque iuris, ete. (2, 2); De legatis (30, 31, 32); De transactionibus (2, 15) (4): e nel 1483-84 i seguenti dieci altri: De iustitia et iure (1, 1): De officio praetorum (1.14); De officio eius cui mandata est iuris- dietio (1, 21); De iurisdictione omnium iudicum (2, 1); Quod quisque iuris, etc. (2, 2); Si quis ius dicenti non obtemperaverit (2,3); De edendo (2,13); De pactis (2, 14); De transactionibus (2, 15); De iudietis (5, 1) (5). Nel 1487 svolse in lezioni il suo (1) A. 1456-57 ‘ ad lecturam institucionum dominus Jacobinus de Mi- chelonis de loco Sancti Georgii ,; a. 1458-59 * ad lecturam institucionum dominus Jacobinus de Sancto Georgio unicus et solus, con 40 fiorini di stipendio (ibidem, Serie Arch. Corte, vol. 96, c. 127; vol. 98, c. 14). (2) “* Ad extraordinariam ordinariorum dominus Jacobinus de Saneto Georgio , (ibidem, Serie Cam., vol. 52, ce. 85, 86% r, 39). (3) Lettere patenti del duca Ludovico della fine del 1461 (è incerta la data del mese e del giorno): * ...Cum nuper... deputaverimus dilectum fi- delem consiliarium nostrum dominum Jacobinum de Michelonibus de Saneto Georgio iuris utrinsque doetorem ad leeturam ordinariam iuris canonici de [....] in studio alme universitatis nostre thaurinensis semoto ipso domino Jacobino a leetura extraordinaria ordinariorum iuris eivilis quam in eodem studio pro tune obtinebat... , (ibidem, Serie Arch. Corte, vol. 110, c. 6). A “ extraordinaria ordi- nariorum iuris civilis, Emiliano da Confienza * legum studens ,, fratello del famoso medico Pantaleone. (4) Lettera dedicatoria di Ugo Le Vassenr a Bartolomeo de Chasseneuz che accompagna l'edizione delle letture di Giacomino fatta a Lione nel 1521: “ Illud tandem advertas velim: Jacobinum nostrum: imo potius tuum: ti- tulos quatuor (de iurisdie. scilicet omnium indieum, Quod quisque iuris. De legatis et de transactionibus. ft.) Anno ab incarnati verbi mysterio. 1482. Taurini (dum ibi magno (ut scis) anditorum concursu publice profiteretur) interpretatum fuisse ,. (5) Ms. G. HI, 13 della Biblioteca Nazionale di Torino. Giacomino da San Giorgio succedette nella cattedra [ GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. DIO trattato “ de feudis , (1); ma nel 1490 e nel 1491 tornò al Corpus iuris, interpretando il digesto e il codice (2). $ 4. — Gli studi e l'insegnamento non assorbirono però intera la vita di Giacomino da San Giorgio. I duchi di Savoia, che sempre lo tennero in gran conto, lo chiamarono a far parte del loro Consiglio (3), e gli affidarono varî incarichi, qualcuno dei quali di notevole importanza politica. Tale quello relativo alla questione di Saluzzo. Come è noto, la guerra scoppiata fra il marchese di Sa- luzzo, spalleggiato dalla Francia, e il duca di Savoia Carlo I subì una tregua ed entrò in una fase di trattative diplomatiche con la convenzione di Chateaubriant del 20 agosto 1487 che fissò per il 25 settembre dello stesso anno una conferenza a Pont Beauvoisin di delegati del re di Francia e del duca di Savoia per esaminare i titoli relativi alla controversia e riferirne poi ad un apposito collegio di arbitri (4). Uno dei rappresentanti del duca fu appunto Giacomino da San Giorgio, il quale parte- (1) Biblioteca Nazionale di Torino, Ms. H. II. 14, e. 1»: “ Incipit lectura famosissimi iuris utriusque monarche domini Jacobini de Saneto Georgio, iuris cesarei ordinariam legentis in felici symnasio thaurinensi, in libellum feudorum, incohata anno currente 1487, 17 ianuarii in festo sancti An- tonii ,. (2) Lettera dedicatoria di Ugo Le Vasseur: “...Dein anno. 1490. se- cundam per modum additionum ad Imolensem maxime Alexandrum edi- disse lecturam..., — A c. 27 dell’edizione lionese del 1521 della lettura di Giacomino sul Codice sta scritto: * Clarissimi iuris utriusque monarche et luminis: ac interpretis profundissimi domini Jacobini de Sancto Georgio lectura super codice: quam legit l'aurini anno Domini. 1491 ,. (3) Figura già come consigliere ducale in un documento del 1461, V. Archivio di Stato in Torino, Prot. Segr. Duc., Serie Arch. Cor., vol. 110, c. 6. Menzione di tale sua carica si ha in numerosi altri documenti po- steriori. Cfr. ad es. ibidem, Marchesato di Saluzzo, 4* cat., mz. ‘spnna:18, 21, 24; Prot. Segr. Duc., Serie Arch. Cor., vol. 123, c. 164 v. In qualità di consigliere intervenne ad atti importanti dei suoi sovrani, come il giura- mento di fedeltà della duchessa Bianca all'imperatore (3 marzo 1493), ibidem, vol. 123, c. 149. (4) Vedasi per questa fase della quistione di Saluzzo UsseeLio, Bianca di Monferrato duchessa di Savoia, Torino-Roma, 1892, parte I, capi IV e V; (ragorro, Lo Stato Sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, vol. II, Torino-Roma, 1893, capo XIV. 516 GIAN CARLO BURAGGI cipò a tutti i lavori della conferenza, che, apertasi con ritardo, sì perdette in vuote discussioni e si chiuse senza nulla decidere il 31 marzo 1488 (1). Stabilito poco dopo con l'accordo di Chinon (24 maggio 1488) un secondo convegno di francesi e di savoiardi, il San Giorgio fu nuovamente inviato con altri a rappresentarvi il sovrano sabaudo (2). Fallito infine anche questo secondo ten- tativo, e deferita senz'altro la decisione della questione a un arbitrato, Giacomino si recò a Ginevra ad assistere l’arbitro eletto dal duca di Savoia (3). Ma anche in altre circostanze partecipò alla vita pubblica dello Stato e della capitale del Piemonte. Così dal 17 al 29 gen- naio 1473 lo troviamo insieme con tre suoi colleghi dell'università di Torino, Cristoforo Nicelli, Pietro Trete e Pietro Cara, a Ver- celli, dove in quel momento risiedeva la duchessa Iolanda, vedova da poco tempo di Amedeo IX (4). Probabilmente i quattro giu- reconsulti si erano colà recati per trattare circa le udienze generali che la duchessa inaugurò alcuni mesi più tardi a To- rino. Pare infatti che al magistrato della suprema generale udienza appartenesse (Giacomino, figurando spesso il sno nome tra i sottoscrittori di sentenze emanate da essa (5). Il comune di Torino poi si valse più volte dell’opera sua eleggendolo a pro- prio deputato per le adunanze dell’assemblea dei tre Stati (6). Ebbe, in considerazione del lungo insegnamento, il titolo di conte palatino (7), e, poco prima di morire, ottenne anche una (1) Archivio di Stato in Torino, Marchesato di Saluzzo, 4* cat., mz. 7, nn. 18. 21 e 24. Nota dei pagamenti fatti dall’'erario al San Giorgio e ai suoi compagni per rimborso di spese di viaggio e di soggiorno a Pont Beauvoisin si ha nei Conti dei tesorieri generali di Savoia, vol. 142, c. 291 #, 292 r, 292 v (Arch. St. 'l'or., Sez. Camerale). (2) Arch. di St. in Torino, March. di Saluzzo, 4* cat., mz. 8, n. 3. (3) UsseaLio, op. cit., p. 120. (4) Gapsorro, Lo Stato Sabaudo, vol. Il, p. 101, n. (4). (5) Vedasi ad es. nell'Archivio di Stato di Torino il volume 138 dei Protocolli dei Segretari Ducati (Serie Camerale), che contiene sentenze della snprema generale udienza del 1463 e 1464, a ce. 59 e, 65 0, 111 r. (6) Ebbe tale incarico dal consiglio comunale di Torino nelle adunanze del 28 luglio, 24 agosto e 29 novembre del 1470. Cfr. BorLani, Atti e do- cumenti delle antiche assemblee rappresentative della Monarchia di Savoia, vol. I, Torino, 1879 (Monumenta Historiae Patriae, t. XIV, Comitiorum 1), coll. 338, 839, 351 e 852. (7) Ritengo che questo titolo fosse della natura sopra indicata, non lieti ite I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. dI concessione feudale. Infatti con lettere patenti del 20 marzo 1494 la duchessa Bianca, confermando l'acquisto che egli ne aveva precedentemente fatto, lo investì di una casa e di un orto, nonchè della sesta parte della giurisdizione di Altessano Superiore (Ve- naria Reale) con i relativi diritti feudali (1). constandomi di alcuna speciale concessione in suo favore. Come è noto, secondo la dottrina medievale i dottori avevano diritto al titolo di conte palatino dopo 20 anni di insegnamento. Cfr. CaccraLupi, De deditore suspecto et fugitivo, par. V, n. 11, nei Tractatus universi iuris, Venezia, 1584, t. III, par. II, f. 150 v; Rocker, De summo bono, n. 14, ibidem, f. 3 r; Boni pe Cur- rILI, De nobilitate, par. II, n. 110, ibidem, t. XVI, f. 8 #; Borri, Repetitio super l. consentaneum, C. quomodo et quando iudex, n. 152, nelle Repetitiones in varias iuris civilis leges, Venezia, 1608, t. VIII, f. 483 ». -- Giacomino da San Giorgio così si sottoscrive in un consiglio: “ Jacobinus Michelonus de Sancto Georgio Canepicii iuris utriusque doctor et comes ordinarie legens in felici studio Taurini in iure civili, (Arch. St. Tor., March. Sal., cat. 48, mz. 7, n. 25). È ricordato come conte in un documento del 1501: “ Jacobus Michellonis filius quondam spectabilis et preclarissimi iurium interpretis doctoris et comittis domini Jacobini de Sancto Georgio , (Arch. St. Tor., Provinoia di Torino. mz. 6, Altessano Superiore, n. 7). E come conte pala- tino lo danno gli Statuta venerandi, sacrique collegii iurisconsultorum Au- gustae Taurinorum, 'l'orino, 1575, p. 26 e i Privilegia al. taur. univ., p. 104. (1) Ecco il testo di tali lettere patenti: “ Blanca, ete. — Universis sit manifestum quod nos, viso instrumento vendicionis presentibus annexo et consideratis contentis in eo, supplicacioni itaque spectabilis benedilecti fidelis consiliarii nostri domini Jacobini de Saneto Georgio emptoris inibi nominati super his nobis facte benivole annuentes, vendicionem ipsam ac omnia et singula in ipso instrumento contenta ex nostra certa sciencia, et consiliariorum nostrorum super his matura deliberacione prehabita, lau- damus, ratifficamus et approbamus, ipsumque dominum Jacobinum pre- sentem, ac pro se suisque beredibus et successoribus universis stipulantem et recipientem, de domo et orto, nec non sexta parte tocius iurisdicionis loci: Altessani, ac partibus furni, molendini, resie. pedagii. homagiorum illaramque redditibus et obvencionibus, ac aliis rebus, bonis et iuribus quibuscunque per eum ut in dieto instrumento acquisitis, per nos preli- batumque illustrissimum filium nostrum ducem suosque heredes et sueces- sores universos harum serie investimus et retinemus, sub serviciis, tributis, oneribus et aliis quibus ipsa acquisita effecta sunt; eidemque domino Ja- cobino, suorum consideracione serviciorum in hunc illustrissimum Sabaudie Statum, de quo benemeritus est semper, et in ipsorum serviciorum ali- qualem recompensacionem, remittimus et quictamus landes et venduas pre- fato illustrissimo filio nostro duci propterea debitas, omnemque commis- sionem et excheytam, si que eidem filio nostro in premissis competerent ratione presentis investiture forte infra tempus debitum non petite vel Atti delli R. Accademia. — Vol. XLIX. 34 sia io 518 GIAN CARLO BURAGGI $ 5. — Giacomino da San Giorgio terminò la sua lunga vita a Torino il 17 ottobre 1494 (1). Pochissime notizie ci sono rimaste intorno alla sua famiglia. Ebbe più figli, uno dei quali, Bartolomeo, accompagnò il padre alla conferenza di Pont Beauvoisin, ove lo troviamo nel marzo del 1488 (2). Un altro, Giacomo, viveva nel 1501 ed era pro- messo sposo di Pietrina Avcatori, dei signori di Altessano Supe- riore (3). Giovanni Becuti, signore di Lucento, con testamento del 24 novembre di quell’anno, lo nominò suo erede universale a parti uguali con Ribaldino e Ludovico Becuti (4). obtente, alio tamen iure ducali quocunque cum alterius racione in his semper salvis. Mandantes itaque Consiliis nobiseum et Thaurini residen- tibus, universisque et singulis officiariis, commissariis et subditis nostris mediatis et immediatis id quos presentes, ete., sub pena centum librarom forcium pro quolibet ipsis Consiliis inferiore, quatenus has nostras laudimii et investiture litteras memorato consiliario nostro et suis predictis teneant, at- tendant et inviolabiliter observent, ac per eos quorum, ete., in nulloque, ete., quibuscunque opposicionibus, exceptionibus et aliis, ete., has in testimonio concedentes. Datum Vercellis die vigesima mensis marcii millesimo qua- tercentesimo nonagesimo quarto. -—- Per dominam presentibus dominis Tharantasiensi, Cancellario, Lausannensi, Glaudio de Sabaudia, Romagnano, Dyvona, Vaxino de Solavio, Henreghuino de Valpergia, Azelio, Agacia, Cara, Vignate, Deffendente et Sebastiano tbesaurario , (Archivio di St. in Torino, Prot. Segr. Duc., Serie Arch. Corte, vol. 123, e. 164 »). Cfr. pure (vasco, Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia, Pi- nerolo, 1911, vol. I, p. 58. — Qualche altra notizia si ha ancora relativa a Giacomino da San Giorgio. Così lo troviamo iseritto fra i dottori giur risti del collegio di Torino. Cfr. Statuta venerandi, sacrique collegii iuris: consultorum Augustae Taurinorum, Torino, 1575, p. 26. Il suo nome figura nelle lettere patenti di conferma degli statuti e capitoli di Balangero, Mathi e Villanova del 1461. Cfr. FroLa, Corpus statutorum Canavisii (in corso di pubblicazione), vol. I, p. 300. : (1) Biblioteca Nazionale di Torino, Ms. H. ll. 14, e. 227 »: * Explicit hic tractatus homagiorum, confederationum et feudorum per vas legum et pratice facetum quoque lectorem dominum Jacobinum Michelonis de Saneto Georgio; qui in studio taurinensi obiit xvi octobris 1494 fatigatus tedio quartane duplicis qui per plures dies animam agebat, sed exitum eius in- venire non poterat, ,. (2) Figura come teste nel verbale del 31 marzo 1488 con cui si chiuse la conferenza. Cfr. Atti della conferenza di Pont Beauvoisin in Archivio di Stato di Torino, Marchesato di Saluzzo, 4* cat., mz. 7, n. 24, (8) Arch. St. Tor., Provincia di Torino, mz. 6, Altessano Superiore, n. ©. (4) Arch. St. Tor., Provincia di Torino, mz. 18, Lucento, n. 30. I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 519 $ 6. — Fra i suoi discepoli ne vanno sopratutto ricordati due che salirono in gran fama, Giovanni Francesco Balbo (1) e Claudio di Seyssel (2). Quest'ultimo, che è troppo noto come giureconsulto, come prelato e come uomo politico, ebbe a sosti- tuire più di una volta il suo maestro, ora perchè ammalato (3), ora perchè assente per incarichi affidatigli dal duca di Savoia (4). Morto poi Giacomino, Claudio di Seyssel gli succedette e occupò la sua cattedra. $ 7. — Le opere lasciate da Giacomino da San Giorgio sono le seguenti : a) Tractatus de feudis; Tractatus de homagitis. La fama del nostro giureconsulto è sopratutto raccoman- data a questi due trattati, che, specialmente nel sec. XVI, eb- bero molta fortuna e numerosissime ristampe. Il trattato “ de feudis , è un'esposizione di tutto quanto il diritto feudale fatta secondo il metodo in voga presso gli scolastici del commento ad un testo. L'autore prende in esame un tipo di investitura concessa dal duca Carlo I di Savoia, e in tanti distinti capitoli ne analizza le parti, studiandone le formule e raggruppando at- torno a ciascuna di esse la materia che vi ha relazione (5). (1) PanciroLo, op. cit., lib. II, cap. CLVI. (2) PanerroLo, op. cit., lib. II, cap. CXXXVII. (3) Ciò accadde, secondo il Pancirolo, nel 1487. (4) Così scrive Claudio di Seyssel nella lettera dedicatoria a Filippo di Savoia della sua Repetitio in l vim ff. de iustitia et iure, stampata a Torino il 17 ottobre 1493: “ Oblata est mihi alia exercitandi ingenij lucu- brationumque subenndarum occasio. agente enim in legatione pro eodem principe (Carolo) ultramontes prestantissimo et toto orbe terrarum nomi- natissimo iuris utrinsque interprete. legumque comite dignissimo. domino Jacobino de michelonibus de saneto georgio preceptore meo colendissimo: quum alius qui lecturam ordinariam iuris civilis eni preerat exerceret: non appareret. pro ea qua semper eum sum prosequutus observatione venera- tioneque id onus licet meis humeris longe impar non recusavi sed tres menses continuos in hac felici achademia thaurinensi utroque munere non sine magnis laboribus functus nonnullas leges in prima digesti veteris parte vice eiusdem preceptoris mei quam accurate potui comentavi ,. Cfr. Maw- zoni, Annali tipografici torinesi del sec. XV in “ Miscellanea di Storia Ita- liana ,, tomo IV, Torino, 1863, p. 316, n. (1). (5) Il trattato è diviso nei seguenti trenta capitoli, ciascuno dei quali ha per titolo una formula dell’investitura: [I] Carolns dux Sabaudie — "3 SIIAPTI ar 520 GIAN CARLO BURAGGI Anche un sommario esame rivela la singolare semplicità e la perspicua chiarezza di quest'opera, doti che giustificano piena- mente il successo che le arrise. Il trattato è preceduto da una breve prefazione in cui l’autore dichiara ai suoi discepoli che fu mosso a scriverlo dal desiderio di dare, dopo più di un venti- cinquennio di insegnamento, una prova di gratitudine e di devo- zione al duca di Savoia (1). (II) Marchio in Italia — [III] Princeps Pedemontium — {IIIl] Comes de Villaris — [V] Vicariusque perpetuus — [VI] Investivit talem — [VII] No- biles Agasi et Anto. de Sola. fratres — [VIII] Presentes et recipientes pro se et eorum filiis — [VIII] Ft femininis, ete. — [X] Et quibuscunque he- redibus — [XI] In feudum — [XII] De castro Rubei Montis — [XIII] Cum mero, mixto imperio, et omnimoda iurisdietione — [XIII] Et cum molen- dinis — [XV] Et cum venationibus — [XV1] Et cum piscationibus aqua- ticis et fluminibus — [XVII] Cum argentifodinis et salinis — (XVIII) lta quod ipsi investiti habeant — [XVIIII] Ita etiam quod ipsi vasalli et eorum heredes et successores et quibus concedere et alienare voluerint habeant et possideant -— [XX] Et cum pacto quod dicti vasalli prestent singulis annis ipsi domino unum eulem argenteum vel x libras piperis, ete. — (XXI) Et cum pacto de non alienando — [XXXII] Et cum paeto quod de ipso feudo possint ipsi vasalli investiti testari «t per ultimam voluntatem disponere — [XXIII] Qui quidem investiti prestiterunt iuramentum fideli- tatis prelibato eorum domino — [XXIIII] Et promiserunt eidem domino suo prestare debita servitia. — [XXV] Dictique vasalli promiserunt non committere felloniam contra dominum suum — [XXVI] Et unus ex dictis vasallis refutavit fendum — [XXVII] Dictique vasalli promiserunt recogno- scere dictum fendum specifice particulanter et distinete quotienscunque fuerint requisiti — [XXVIII] Et dieti vasalli pro dictis rebus feudalibus conventi coram quodam iudice ordinario petierunt se remitti coram eorum domino fendi, ete. — [XXVIIII] De adherentibus et confederatis — [XXX] Bt unus ex dicetis vasallis habens filios ex prima uxore nobili ea mortua re- cepit aliam ignobilem in uxorem cum pacto quod filii nascituri ex ea non succederent in bonis feudalibus. (1) Ecco la prefazione quale si legge nelle edizioni. Indico in nota le varianti del Ms. H. II. 14 della Biblioteca Nazionale di Torino. * Ad sco- lares prefaciuncula — Quum iam longo tempore fluxo et annis .xxv. (') et ultra, auditores (*) dilectissimi, in exercitio legendi in hoc felici gymnasio thaurinensi insudaverim, tandem consideravi pro debito sincere et optime gratitudinis et donationis (sie) (*) intime illustrissimo (*) ac excellentissimo principi domino domino nostro Sabaudie duci me teneri ad aliquod munu- (1) Ms. 28 (®) Nel ms. manca nuditores dilectissimi — (*) Ms. devo- tionis — (4 Ms. ad ill." et excellentissimum principem d. d. nostrum Sa- bandie dneem. I GIURECONSULTI DELL UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 921 A complemento del trattato “ de feudis , Giacomino da San Giorgio ne scrisse un altro speciale sugli omaggi, in cui espose la dottrina relativa all'argomento. Si divide in due parti; la prima tratta degli omaggi propriamente detti (“ de ho- magiis ,), la seconda delle prestazioni feudali di opere o roide (* de roydis ,). b) Quaestiones feudales. Sono in numero di cinquanta e riguardano diversi punti del diritto feudale. c) Lectura super prima et secunda partibus Codicis; Lec- tura super prima et secunda partibus Digesti Veteris. Queste letture differiscono ben poco dalle altre simili degli scrittori contemporanei. Assai apprezzate, vennero date alle stampe dopo la morte del giureconsulto per cura di Ugo Le Vasseur. d) Consilia. Fra i consigli di Giacomino da San Giorgio ha una parti- colare importanza quello scritto in difesa dei diritti del duca di Savoia durante la controversia sorta fra questi e il re di Francia, signore del Delfinato, per l'omaggio del marchese di Saluzzo. e) Designationes et distinctiones domini Rolundini lecte per dominum Jucobinum de Sancto Georgio. L'opera svolta in questa lettura è forse quella di Rolandino de Romanciis indicata dal Savigny (1) col titolo “ Determina- tiones et quaestiones , e da lui data come perduta. sculum quod sue (*) iustissime dominationi esset gratum. Hoe (5) ideo in hac materia feudorum, in qua de principum nec (°) non nobilitatis materia tractatur, scribere decrevi. Sed quia sine sancte Trinitatis presidio nihil possumus, et nisi omnipotens Deus sit operis (*) fandamentum non superest aliquod bonum edificium (*), I. q. I. c. quum Paulus, ipse enim est omnium scientiarum auctor, e. legimus. xxxvij. di. et, ut ait propheta (‘). propi- tius (!) est Dominus invocantibus eum, ideo ex corde et animo huie meo operi divinum (‘) invoco presidium ut mihi in hac nobilissima (‘) materia feudali aperiat veritatem ,,. (1) Storia del diritto romano nel inedio evo, trad. BoLrari, vol. Il, To- rino, 1857, p. 520. (5) Ms. sue dominationi verisimiliter esset — (5) Nel ms. manca hoc — (7) Ms. et — (8) Nel ms. manca operis — (°) .Ms. principium — (!°) Ms. clarissimus propheta -— (4) Ms. prope -- (1°) Ms. invoco suppremum Deum omnipotentem — (i) Nel ms. manca nobilissima. pe È 522 GIAN CARLO BURAGGI Oltre alie opere sopra ricordate ne vengono erroneamente attribuite al nostro giureconsulto anche altre che non furono da lui mai scritte. Così parecchi autori fanno parola di un trat- tato sull’investitura distinto da quello “ de feudis , (1). L'errore è certamente dipeso dal fatto che quest’ultima opera è pubbli- cata “ per modum investiturae ,. Così pure quasi tutti gli stessi autori (2) menzionano un altro trattato “ De legatis, officialibus, castris, castellanis et confederatis ,, nel quale deve vedersi una corruzione del titolo del penultimo capitolo del trattato “ de feudis , che è appunto “ De adherentibus et confederatis ,. Il Lipenio (3) infine cita un'edizione fatta a Colonia nel 1574 di “ Parerga ,. Ritengo che si tratti di un equivoco. $ 8. — BIBLIOGRAFIA. a) Manoscritti. 1. [Tractatus de feudis et de homagiis|. Di questi due trattati possediamo un ms. che si conserva nella Biblioteca Nazionale di Torino (segnato H . II . 14) (4). È cartaceo, in-f°, del sec. XV, di cc. 227 n. Nell’incendio della Biblioteca del 1904 fu assai danneggiato dall'acqua. Ha per titolo “ Tractatus de feudis domini Jacobini de Saneto Georgio optimus ,, e appartenne nel 7400 ad Antonio Rugis dottore d'ambe leggi. Il “ tractatus feudorum , occupa le ce. 1-176, quello “ homagiorum , le cc. 177-227. Quest'ultimo è scritto con diverso carattere, ed è un'evidente aggiunta. Il testo di entrambi corrisponde a quello delle numerose edizioni a stampa. 2. [Lectura super Digesto veteri |. Il codice latino G. III. 13 della Biblioteca Nazionale di Torino (cartaceo, in-f°, del sec. XV, di cc. 5 n. n. e 292 n.) (5) contiene una (1) Geswero, op. cit., ediz. 1545, e. 351 », ediz. 1583, p. 868; Decta Curesa, op. cit., p. 85; Rossorti, op. cit., p. 805; Gaiuini, op. cit.; Privi- legia al. taur. univ., p. 104; VanLauri, Storia delle università degli studi del Piemonte, Torino, 1845, vol. I, p. 85, n.(1); Manno, Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino, 1884 e sgg., vol. I, n, 6186. (2) Gessero, DeLca Curesa, Rossorri, Guiini, Privilegia, ete., VaLLavRI. (3) Op. cit., p. 428. (4) Cfr. Pasini, op. cit., vol. 1I, p. 83, cod. CCU; Inventario dei codd. su- perst. cit., p. 526, n. 711. (5) Cfr. Pasini, op. cit., vol. 1I, p. 84, cod. CCCIII; Inventario cit., p. 526, n. 714. I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 929 lettura sul digesto vecchio svolta all’Università di Torino nell’anno sco- lastico 1483-84. Il ms. è formato dalla riunione di parecchi fascicoli in cui sono trascritte le lezioni (recollectae). Non contiene però soltanto, come erroneamente indica il Pasini, la lettura del San Giorgio. Questa termina a c. 161; a c. 162 comincia la lettura su alcuni titoli del di- gesto nuovo"di un altr® lettore dell’università di Torino, Antonio Pon- ziglione. 3. [Responsum ad causam Marchiae Salutiarum |]. Possediamo il manoscritto originale del consiglio steso da Giaco- «mino da S. Giorgio per la questione di Saluzzo. È un fascicolo cartaceo in-f° di cc. 42, che si conserva nell'Archivio di Stato di Torino, Marche- sato di Saluzzo, cat. 4*, mz. 7, n. 25. 4. [Lectura super designationibus et distinctionibus do- mini Rolandini]. Questa lettura ci è stata tramandata da un ms. di appunti scola- stici di uno studente che frequentava, a quanto pare, l’università di Pavia (1). È un codice cartaceo del sec. XV, in-8°, di ce. 129. A c. 16 si legge: “ Hic mcipiunt designationes et distinctiones domini Rolan- dini lecte per dominum Jacobinum de Sancto Georgio legentem in dicto studio. Et primo, etc. ,. Siccome non mi consta che Giacomino da San Giorgio abbia mai insegnato altrove che a Torino, ritengo che l’in- dicazione “in dicto studio , debba riferirsi a quello torinese, non ostante la presunzione che il codice sia stato scritto a Pavia. Probabil- mente lo studente copiò nel suo libro queste lezioni da un altro mano- scritto, lasciandone inalterato il titolo. b) Edizioni. 1. Va ricordata anzitutto la raccolta completa delle opere di Giacomino da San Giorgio che fu stampata a Bologna nel 1575. Consta di 3 volumi in-f° e di un indice. 1° volume: Jaccbini de S. Georgio praestantiss.®! legum interpretis in quattuor matutinos iuris civilis tractatus, uberrima commen- taria. Quibus in fine adiectos invenies facundissimos eiusdem, (1) Questo ms. fa parte delle pregevoli collezioni del prof. F. Patetta, al quale mi è caro esprimere qui i miei ringraziamenti per la cortese co- municazione fattamene, e più ancora la mia riconoscenza di discepolo a Maestro per i consigli di cui sempre mi è stato largo. 524 GIAN CARLO BURAGGI Feudorum nempe, Homagiorum, pariter et Roydarum tractatus, cum nonnullis aliis additionibus, eorumdemque copiosissimo Re- pertorio, nunc primum in lucem editis. = Bononiae, Apud Societatem Typographiae Bononiensis. MDLXXV. Curiae Episc. et S. Inquisit. concessu — in-f°; 4 esn., 655 pp. è Contiene i commentari o letture sulla prima e sulla seconda parte del Digesto vecchio. 2° volume: Jacobini de S. Georgio clariss. iur. utr. monarchae, et luminis, ac interpretis profundissimi. Uberrima, ac subtilissima in priorem, et posteriorem partem Codicis Commentaria. = Bononiae, Apud Societatem Typographiae Bononiensis. MDLXXV. Curiae Episc. et S. Inquisit. concessu — in-f°; 2 esn., 384 pp. Contiene, come indica il titolo, i commentari alle due parti del Codice. 3° volume: P.1.—Jacobini de Sancto Georgio clarissimi iuris utriusque monarchae, ac luminis, et interpretis profundissimi Tractatus utilissimi Feudorum, nempe Homagiorum, et Roydarum, quibus nonnullae quaestiones etiam Feudales additae fuerunt — in-f°; 146 pp. Il “ Tractatus feudorum , va da p. 1 a p. 120; il “ Tractatus homagiorum , da p. 121 a p. 181; il titolo “ de roydis, da p. 131 a p. 142. Nelle pp. 143-146 si leggono le “ Quaestiones quinquaginta feudales ,. Indice : C. 1a. — Index copiosissimus, quo alphabeti serie ea omnia indicantur, Quae universis hisce commentariis fuere diligentis- sime pertractata a clarissimo, atque subtilissimo iuris inter- prete D. Jacobino de S. Georgio, Cui seiunetim eo ipso ordine adiecta quoque invenies quaecunque adnotari potuerunt ex tractatu Feud, Homagiorum, Rhoydarum, et nonnullarum etiam. quaestionum Feud. — in-f°; 88 cesn. Di quest'edizione ho esaminato l'esemplare posseduto dalla Biblio- teca Vaticana (fondo Barberiniano). Un altro esemplare si conserva nella I GIURECONSULTI DELL'UNIVENSITÀ DI TORINO, ECC. 525 Biblioteca Nazionale di Brera a Milano. Il primo volume si trova anche nella Biblioteca Angelica di Roma. Dei trattati “ de feudis , e “ de homagiis , si annoverano molte edizioni. Ecco quelle che ho potuto esaminare: 2. C. 1a. — Aureus et in pratica perutilis totus | et singularis tractatus feudorum per | clarissimum monarcham do- minum | Jacobinum de sancto georgio | Jurisutriusque doctorem ac | interpretem consumatis | simum in thaurinensi | gymnasio editus | per modum in | vestiture. | Cum privillegio. C. 43 6. — Explicit tractatus feudorum magnifici iuris utriusque monarche et comitis. d. Jacobini de saneto georgio civis Thaurinensis noviter impressus Papie per Gasparem de nebiis de burgo francho anno. 1502. die primo mensis Marti) — in-f°; 43 cn. Un esemplare si conserva nella Biblioteca Nazionale di Torino. 3. C. 1a. — Incipit anreus et in pratica perutilis totus et singularis tractatus de homagiis per clarissimum monar- cham dominum Jacobinum de sancto georgio iurisutriusque doc- torem ac interpretem consumatissimum in thaurinensi gymnasio editus. C. ult. -— Explicit tractatus homagiorum excellentissimi Turisutriusque doc. d. Jacobini de sancto georgio civis thauri- nensis. Impressus Papie per magistrum Gasparem de nebijs de burgo francho. M. cccccij . die . xlij . mensis Martij — in-f°; 7 csn. Un esemplare è posseduto dalla Biblioteca Nazionale di Torino. 4. C. La. — De feudis et homagiis. | Opulentissimus iurium | egregiique luminis do. Jacobini de scto | Georgio Trac- tatus feudalis civilibus | practicis commodissimus : Cui iunetus est | Tractatus de Homagiis et Roydis | fecundissimus, avidis- simusque Summarijs | ubique numeratim sparsis. Indiceque fa| cili preposito nunc castigatissimus habetur. | Vincentius. | de Portonariis. de | Tridino. de | Monte. Ferrato | 1533. C. 124 a. — Explicit Tractatus homagiorum excellentissimi Iuris utriusque docto. do. Jacobini d sancto Georgio civis Thau- TTT a 526 GIAN CARLO BURAGGI rinensis. Apprime cum summariis copiosis reimpressum: curaque vigilantiori purgatum Lugd. Opera et industria Benedieti Bonyn. Anno nativitatis domini nostri Jesu Christi . M_. ceccexxxiij . die . xxvili). Mensis Junij. — in-89; 12 esn., 124 en. Esemplare della Biblioteca Angelica di Roma. 5. 0. 1a. — De feudis et Homagijs. | Opulentissimus Ju- | rium egregijque luminis do. Jacobini de | sancto Georgio Tractatus feudalis civi | libus praeticis commodissimus: Cui iun- | ctus est Tractatus de Homagiis et Roy- | dis fecundissimus, avidissimusque: | Summarijs ubique numera- | tim sparsis. Indi- ceque fa | cili preposito mune | castigatissimus | habe- | tur.| 1545 | Veneunt Ludd. apud Jacobum Giuneti | in vico Mer- curiali. C. 124 a. — Explicit Tractatus homagiorum excellentissimi Iuris utriusque docto. do. Jacobini de sancto Georgio civis Thau- rinensis. Apprime cum summariis copiosis reimpressum : curaque vigilantiori purgatum Lugd. Opera et industria Benedieti Bonnyn. Anno nativitatis domini nostri Jesu Christi. M . ccecexlij . die . xxix. Mensis Novembris — in-89; 12 esn., 124 cn. Esemplare della Biblioteea Nazionale di Torino. 6. Edizione uguale alla precedente, con la data del 1544. È uguale anche 1’ “ explicit , in data 29 novembre 1542. Se ne ha una copia nella Biblioteca Universitaria di Pavia. 7. Jacohbini de S. Georgio iureconsulti clarissimi feu- dalis tractatus, omnibus civilibus practicis commodissimus, summo labore et industria ab innumeris mendis vindicatus. Cum indice materiarum copiosiss. i = Coloniae, apud Joannem Birckmannum, et. Theodorum Boumium. Anno 1566. Cum gratia et privilegio aes. Maiest, — in-89; 8 cesn., 359 cen., 32 csn. Isemplare della Biblioteca Casanatense di Roma. 8. Tractatus de feudis, omnibus civilibus practicis com- modissimus, authore Jacobino de S. Georgio, iureconsulto cla- rissimo. Nunc denuo impressus, et ab innumeris mendis, quibus scatebat, repurgatus. Adiectus est materiarum index locuple- tissimus. I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 527 = Coloniae Agrippinae, Apud Theodorum Baumium, sub signo arboris. Anno M. D. LXXIII — in-8°; 319 cn., indice sn. Esemplare della Biblioteca Vaticana (fondo Barberiniano). 9. Edizione identica alla precedente, con la data del 1575. Se ne trova un esemplare nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia. 10. Tractatus feudalis Jacobini de S. Georgio iurecon- sulti clarissimi omnibus civilibus practicis commodissimus. = in Tractatus universi iuris, Venezia, 1584, t. X, par. ], cc. 179-225. 11. Tract. aureus et practica perutilis totus et singu- larisde homagiis per Clarissimum monarcham, Dominum Jacobum de S. Geor. iuris utriusgue Doctorem ac interpretem consuma- tissimum in Thaurinensi Gymnasio editus. —= in Tractatus universi iuris, Venezia, 1584, t. X, par. II, cc. 172 v-179 v. Dei trattati “ de feudis , e “ de homagiis , oltre alle precedenti trovo citate anche queste altre edizioni che non ho potuto consultare: 12. Jacobi de S. Georgio De feudis et aliorum tractatus canonici. = Bononiae per Ugonem de Rugeriis 1499 — in-f°. Panzer, Annales typographici, Norimberga, 1793-1803, vol. I, p. 237, n. 258; Harn, Repertorium bibliographicum, n. 7581. 13. Aureus et in practica perutilis totus et singularis tractatus feudorum et Homagiorum. Per Clarissimum Monarcham dnum Jacobinum de Sancto Georgio Iuris utriusque doctorem — Cum privilegio. (In fine) Explicit tractatus feudorum magnifici — D. Jaco- bini de sancto georgio civis Thaurinensis noviter impressus. Mediolani per Johannem Angelum scincenzeler. Anno M.CCCCC.II. die XXIX. mensis Augusti — in-f°. PANZER, op. cit., vol. IX, p. 533, n. 19 d. 14. Aureus et in practica perutilis, totus et singularis Tractatus Feudorum; editus per modum investiturae. bin; ia 528 GIAN CARLO BURAGGI (In fine) Papie per Jacob. de Burgo Franco, anno Domini MCCCCCX, die XVI mensis decembris — in-f°. Manno, Bibliografia storica degli Stati della Monarchia di Savoia, Torino, 1884 e segg.. vol. I, n. 6154. 15. Aureus et in practica perutilis, toties et singularis Tractatus de Homagiis. (In fine) Impressus Papie per magistrum Jacob. de Burgo Franco, MCCCCCX, die XIII mensis decembris — in-f°. Manwo, op. cit., vol. I, n. 6135. 16. De feudis et homagiis. = Lione, 1520. Lipenio, Bibliotheca realis iuridica (con aggiunte di StRrUviIo e Jexicnen), Lipsia, 1746, p. 205. 17. De feudis et homagiis. == Colonia, 1554. LipenIo, op. cit., p. 203. 18. Jacobini de S. Georgio iureconsulti clarissimi feu- dalis tractatus, etc. = (oloniae apud Joannem Bireckmannum et Theodorum Boumium an. 1567. Fontana, Amphitheatrum legale, seu Bibliotheca legalis amplissima, Parma, 1688-94, par. II, col. 234; LireNIo, op. cit., p. 203; ScLoprs, Storia della antica legislazione del Piemonte, Torino, 1833, p. 398. 19. Tractatus de feudis. = Torino, 1574. DeLLa Cnigsa, Catalogo de’ scrittori piemontesi, savoiardi, e miz- zardi, Carmagnola, 1660, p. 85; RossortI, SyMlabus scriptorum Pede- montii, Mondovì, 1667, p. 305; VaLLauri, Storia delle Università degli studi del Piemonte, Torino, 1845, vol. I, p. 85, n. (1). 20. Tractatus de feudis. = Francof. apud Porsinm 1605, Dravpro, Bibliotheca classica, sive catalogus officinalis, Francoforte, 1625, vol. I, p. 726; Fovrana, op. cit., par. II, col. 284. : I GIURECONSULTI DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. 529 21. Tractatus de homagiis, cum notis Matthaei Boys. = Francoforte, 1606 — in-8°. Draupro, op. cit., vol. I, p. 769; FONTANA, op. cit., par. II, col. 234; LipeNIO, op. cit., pp. 203, 244, 410, 548. 22. D. Jac. de S. Georgio, et D. Georgii Obrechti, Cynosura iuris feudalis. DravpIO, op. cit., vol. I, p. 769; FoNTANA, op. cit., par. II, col. 234. 25. Le letture sul Codice e sul Digesto vecchio vennero stam- pate a Lione nel 1521. Constano di 3 volumi in-f° e di un repertorio. 1° volume: C. 1a. — Clarissimi iuris utriusque monar | che: ac doc- torum facile principis domini Jacobini de | sancto Georgio Lec- tura aurea nusquam antea impressa | super prima et ii. partibus Codicis: diversorum docto. | apostillis aucta et illustrata: Cumque summariis ante | leges et paragraphos numeris respondentibus positis | Necnon cum subtili indice seu repertorio per numeros | qui secundum materie varietatem immutantur remittente. C. 142. — Imprimebat Lugduni Joannes de Jonvelles dictus Piston a nativitate domini anno. 1521. Mense Januario — in-f°; 142 cn. 2° volume: C. 1a. — Clarissimi iuris utriusque monar | che: ac doc- torum facile principis domini Jacobini de | Sancto Georgio Lec- tura aurea nusquam antea impressa | super prima parte Digesti veteris: diversorum doctorum | apostillis aucta et illustrata : cumque summariis ante | J]eges et paragraphos numeris respon- dentibus positis | necnon cum subtili indice seu repertorio per numeros | qui secundum materie varietatem immutantur re- mittente. C. 184 a. — Imprimebat Lugduni Joannes de Jonvelle dictus Piston a nativitate domini Anno. 1521. mense martio — in-f°; 184 cn. 8° volume: C. 1a. — Clarissimi iuris utriusque monar | che: ac doc- . . D . . . Lo D . torum facile principis domini Jacobini de | Sancto Georgio 530 GIAN CARLO BURAGGI Lectura aurea nusquam antea impressa | super secunda parte Digesti veteris: diversorum docto. | apostillis aucta et illustrata: i cumque summariis ante | leges et paragraphos numeris respon- 7 dentibus positis | necnon cum subtili indice seu repertorio per i numeros | qui secundum materie varietatem immutantur re- mittente. | C. 52 a. — Imprimebat Lugduni Joannes de Jonvelle dietus Piston a nativitate domini anno. 1521. Mense Aprili — in-f°; i 52 cn. i Repertorio: C. 14. — Repertorium sive maius index | admodum solemne rerum omnium nota ac memo | ratu dignarum super lecturis iuris utriusque luminis | ac Monarche domini Jacobini de Sancto (ieorgio: | necnon additionum super eisdem lecturis conten- | ta- rum alphabeti serie affabre complexum (1). (1) Sul verso della 1* c. è stampata una lettera con cui Ugo Le Vassenr dedica quest'edizione, da lui curata, a Bartolomeo de Chasseneuz. Eccone i punti più importanti: * Ad amplissimum ac magnificum virum divini ac humani iuris consultum tersissimum: equissimum non minus: quam excel- . lentissimum d. Barptolemenm Chasseneium : aut de Chasseneuz: distrietuum: sen ballituum Hedun. ac Montissinerii fiscalem: seu reginum advocatum meritissimum Hugo le vasseur eorundem iurium doctor ac regius Cabilon. Index — Lugdunum proximis his diebus negotia aliqua expediturus dum accessissem: e nostra felici Burgundia; archetyporum emporio (postquam a te emissus est Albericus Rosaceus: a nobis vero Joannes a turre cremata: et plura alia) lecturas condiscipuli tui. d. Jacobini a saneto Georgio: du- calis consiliarii: quondam dum in humanis ageret: tibi familiaris: ae no- tissimi colende sororie nobisenm attulimus. Qui nt maximus veritatis in- dagator in hoc Iuculento contextu apte: distinete: et dilueide recensens: non tam crebrias sententias: redundantes: ardentes: concitatas: et nervoruam plurimum habentes: quam verba facunda: ornata: tersa: non barbara (ve- Inti communis nostrorum mos est iure consultorum) in hoc interpretandi genere aggregavit. Quas adamussim emendatas: summariis et apostillis anctas tibi veluti benemerito dicatas mitto -— ..... I]lud tandem advertas velim: Jacobinum nostrum: imo potius tunm: titulos quatuor (de inrisdie. scilicet omnium indieum. Quod quisque iuris. De legatis. et de transactio- nibus. ff.) Anno ab incarnati verbi mysterio. 1482, Taurini (dum ibi magno (nt scis) anditorum conenrsu publice profiteretur) interpretatum fuisse, Dein anno, 1490, seeundam per modum additionum ad Imolensem maxime Ale- xandrum edidisse lecturam. Nes vero ne talem autorem tanto frustraremur È. ciei incanti I GIURECONSULTI DELL UNIVERSITÀ DI TORINO, ECC. DSL C. ult. — Lugduni in edibus Joannis de Jonvelle dicti Piston. mense. Aprili. Anno domini Millesimo quingentesimo vigesimo- primo — in-f°; 56 cn. Di questa edizione possiede un esemplare la Biblioteca Casanatense di Roma. 24. Responsum ad causam Marchiae Salutiarum. = in Responsa diversorum iurisconsultorum ad causam Mar- chiue Salutiarum pro Serenissimo Carolo Emanuele Dei gratia Duce Sabaudiae, etc., Augustae Taurinorum, apud haeredem Ni- colai Bevilaquae, 1589, ce. 15 v-32 r. labore : loco suo ambas mistim inseruimus lecturas: easque simul cum ce- teris Simoni Vincentio fido bibliopole imprimendas tradidimus: cusso insuper copiosissimo repertorio —- ...E nostra Cabilon. urbe: a parthenopeo partu post unam cum dimidia annorum chiliade Anno primo ac vigesimo. Mense aprili,. Bartolomeo de Chasseneuz (n. 1480, m. 1541), come è risaputo, fu un eminente giureconsulto francese. 532 ATTILIO LEVI 01° ; Etimologie piemontesi. Nota di ATTILIO LEVI. AVVERTENZE Assreviazioni: À = Arch. glottol. ital. — D = Diez, Etym. Wort 5* ed. — DG = Dict. génér. de la l. fr. — IG = Meyer Liibke, Ital. Grar — K= Kérting, Lat.-rom. Worterb., 3* ed. — M = Meyer-Liibke, i etym. Worterb. — N = Nyrop, Gramm. de la 1. fr. — R= Romania — = RG = Meyer-Liibke, Gramm. d. rom. Sprachen — Z= Zeitschr. f. rom. Phil. E son citati K. e M. per numero, gli altri tutti per pagina. Trascrizione: È conservata quella delle fonti; ma pel piemontese s'osano i segni seguenti: e, 0, u aperti; 2 turbato o misto; €, % chie c < vocale indistinta; é, g palatali: s spirante sorda, = spir. sonora; no ir terno dentale, finale velare; n finale dentale; » faucale; # palatali ui I vocaboli senza accento sono parossitoni. I Accanto a bulin “ urtone ,, pusin “ spintone ,, strinkum “scossa, strappo , il piem. ha du/uné “ urtare sgarbatamente ,, pusuné “ sospingere ,, strinkuné “ scuotere, squassare ,. E potrebbe. a primo aspetto parere che i verbi derivino da' nomi a quel modo che per es. it. dastonare deriva da bastone. Ma è precisamente l'opposto. Infatti buln, pusùn, strinkin designano atti: ora nella Romanità il suff. -one aggiunto a temi verbali forma nomi — di persone e di cose, non nomi d'azione, cfr. RG. II ita | |A torto perciò il DG. s. plongeon “ uccello acquatico , attribui a questo vocabolo pure il significato di “ tuffo , doversi dalla frase usitatissima fwire le plongeon, la quale è analoga a : Ae'onorriritbeeItÒ©6eeNIP ETIMOLOGIE PIEMONTESI 583 fr. faire la béte, it. far l'asino, piem. fe l’uluk “ far l’allocco ,, e significa quindi “ comportarsi come detto uccello , |. Dunque dulun, pusun, strinkun devon essere posverbali, cioè derivare da buluné, pusuné, strinkuné, i quali sono una specie di frequentativi formati col suff. -uné, che corrisponde al fr. -omner, es. chantonner, machonner (cfr. RG. II 611, N. III. 201). Quanto poi alla lor base, duluné e pusuné sono chiarissimi : il primo è un derivato di dulé in quanto significa “ contundere, ammaccare , e risale a lat. dullare (M. 1386); il secondo è un derivato di pusé, il quale, come fr. pousser, risale a lat. pul- sare (K. 7536). Men chiaro strinkuné. Io direi che nella Romanità lat. strin- gere si sia in epoca assai remota incrociato con basi germaniche affini di senso e di suono, cioè quella, da cui discende ted. Strang “corda ,, e quell’altra, da cui deriva ted. Strit “ id. , (cfr. Kluge, Et. Wtb. d. deutsch. Spr., s. v.). E di questi due incroci riman- gono traccie più o meno copiose in punti varî del territorio romanzo. Dal primo risultò uno *stringare, da cui discendono it. stringare “ restringere ,, mil. stringd “ strozzare ,, genov. stringà “ costringere ,, nprov. estringà “ vestire stretto ,, e il posverbale it. piem. mil. gen. stringa “ cordoncino ,, nprov. estringo “ cintura de’ calzoni ,. Dal secondo sorse uno *strincare, che si riscontra intatto in ptg. estrincar “ torcere , e nprov. estrined “ vestire stretto ,, e da cui derivano sp. estrinque “ corda , e gen. strinca “ cor- doncino ,, posverbali entrambi, e lo strinkuné nostrano. A’ parlanti poi *strincare dovette parere un composto col prefisso s: e, come accanto a sbattere, smuovere, stendere sì hanno battere, muovere, tendere, così venne foggiato uno pseudo verbo semplice *trincare, che si ha in gen. trincà “ legar fortemente con più giri di corda un albero di nave — tendere una corda — tirar da parte un oggetto pesante ,: e da questo sorse il posverbale pur gen. trinca “ legatura. che unisce il bompresso al tagliamare ,. Sono dunque trincé e trinca voci marinaresche, e, se noi pure abbiamo trinké e trinka, li dovremo ritener ligu- rismi. Tanto più che usiamo il sostantivo soltanto nella locu- zione nov-d-trinka “ nuovo di zecca ,, che corrisponde al modo egualmente gen. newvo de trinca “ id. id. ,, il quale dalla nave, che ha nuova l’anzidetta legatura, fu esteso alle cose nuove in Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 35 9 11 5B4 ATTILIO LEVI genere. Il verbo poi ha da noi subìto un singolar deviamento di senso : significa * coagularsi, quagliare , e si dice particolar- mente del latte: ora, poichè il latte coagulato non presenta più una superficie unita, ma nel raggrumarsi sì è, per così dire, “ diviso ,, crederei che nell'accezione del nostro trinké si debba scorgere l'influsso semasiologico de’ pur nostri tranéa “ fr. tranche ,, trinèdant “ trinciante ,. Che se trinca “ gomena di nave , si trova anche in Ispagna e Portogallo, nulla vieta di supporre che pur colà sia stata tolta a mutuo da' navigatori genovesi [Diversamente K. 9111. 9743]. Il. supaté “ scuotere — battere , e sopratutto “ spolverare , a me sembra semplicemente la metatesi di un *pusaté, frequen- tativo di pusé (lat. pulsare) formato con quell’-até, che è variante subdialettale di -et6, risposta piem. del suff. verbale -ittare, donde it. scoppiettare, fr. feuilleter, piem. bruketé “ inchiodare ,: cfr. RG. II. 613 [Diversamente R. xxvm. 200. Quindi, potendosi postulare una base *pu/sittare, il nostro supaté viene ad essere identico al fr. épousseter (astraendo dal prefisso, che ne fa un parasinteto: cfr. DG. s. v.). III. bele “ proprio —— pure , è locuzione avverbiale, che ha valore intensivo o concessivo a seconda de’ casi. Trae l'ori- gine dall'uso, che il nostro dialetto ha comune coll’it., di espri- mere il perfetto compimento d’un'azione col premettere bell'e ad un partie. passato, es. piem. del e fuit = it. dell'e fatto: epperò, quando la si adopera parlando di morte o rovina (es. it. bell'e ito), si avrà una specie di antifrasi ironica. Ma fra piem. ed it. corre questo divario, che i parlanti nostri non sentirono più in bel e due voci distinte, quindi le congiunsero in una, che premet- tono non solo a participi, ma anche ad altre forme verbali, a nomi, pronomi, aggettivi ed avverbi: es. dele mi “ io stesso ,, bele freid “ benchè freddo ,, dele lì “ proprio lì -—- anche © ,. ETIMOLOGIE PIEMONTESI 555 È insomma un modesto caso di concrezione, che (a giu- dicar da’ lessici nostri) sembra aver preso le mosse dalla par- lata urbana : infatti dele è registrato da’ torinesi Capello (1814) e Sant'Albino (1858), dal quale è passato al Gavuzzi (188...), mentre lo disconoscono del tutto o quasi il chierese Zalli (1815, 2* ed. 1830), il Ponza, ch’era di Cavour (1830), e il Gelindo novarese (1839: cfr. led. Renier, p. 161) |Per usi analoghi in altri idiomi romanzi vedi M. 1027|. IV. badola “ bietolone , e desbela “ rompicollo , han questo di comune, che sono seconde persone singolari di imperativi sostantivate, cioè formazioni del tipo di it. (il) procaccia, (mastro) impicca, ecc. E derivano ; il 1° da dadulé “ andar a zonzo ,, in cui la base è quel- l’onomatopeico *batare, dal quale discendono it. badare, badaluce- care e fr. badaud (cfr. M. 988), e la terminazione è -ulare rimasto intatto come in it. sventolare, brancolare, ecc. (cfr. RG. II. 611); il 2° da desblé “ disfare ,, che (come già fu visto: Z. xxvui. 643).è un *disbellare, derivato di lat. bellus. De’ quali due verbi ben indigeno è desblé, mentre badulé col suo -d- conservato si palesa non originario: e vi scorgerei un prov. baducd (nel Var badoucd) “ badauder , con suffisso mutato. Ora, poichè un prov. badolo “ badaud , si trova nel Forez ed appar voce straniera in quanto che un vocabolo nprov. con terminazione siffatta dovrebbe essere un femminile, sembra se ne possa inferire che i Provenzali han dato a noi il verbo e noi ad essi il nome |Ma s’avverta, e lo dico una volta per tutte, che uso il termine “ provenzale , nel senso larghissimo, in cui l’ha inteso il Mistral|. V. feramia, var. faramid “ ferravecchio ,. Delle due forme la prima, più vicina all’etimo, s'è conservata, perchè i parlanti sentono la base “ ferro ,: la seconda è più conforme al fone- 536 ATTILIO LEVI tismo nostro, perchè in piemontese e atono, che preceda r, tende a mutarsi in « (es. marenda “ merenda ,, marsé “ merciaio ,). E codesto nome si dà o meglio si dava ad un individuo, che andava in giro per la città con un sacco e un peso indosso e gridava appunto faramit, cercando di comprare e vendere roba usata. Io credo che la voce significhi “ ho del ferrame ,, propo- sizione, che in piem. suona }0-d-ferdm: ma quegli individui an- davano ripetendo il lor grido e lo emettevano con una cadenza sempre uguale. Ora, io suppongo che dalla sequela j-0-d-ferdm- }-0-d-ferdm... sì sia a lungo andare staccato un *feram-j-6, perchè la frase così foggiata si prestava meglio alle esigenze di quella particolare modulazione: e *feramjò si sarà poi a sua volta cambiato in farami, perchè in piem. un -6 (turbato o misto), che si trovi all’uscita assoluta, tende a mutarsi in % (chiuso), es. adi, (fr. adieu), munsù (fr. monsieur). Del resto di frase divenuta sostantivo non mancano esempiî analoghi: tali il nostro mendavénd (propriamente “ niente da vendere ? ,), che significa “ rigattiere , (mancante a’ lessici), e il fr. décroche-moi ca, che s'adopera nel senso di “ marchand fripier , (N. III. 278). E il processo, per cui il grido diventa nome, si coglie in atto nelle Baruffe chiozzotte del Goldoni: ivi (atto I, scena II) Toffolo per chiamare a sè il venditore di zucca arrostita, il quale va gridando “ Zucca barucca ,, gli dice ap- punto: “ Ohé, zueche barucche , [Sebbene appartengano ad altro ordine d'idee, si potrebbero ancora addurre piem. fafiuké (alla lettera “ fa nevicare ,) e il facnabdi del Gavuzzi (che era da seri- versi fa-k-it-n-abie, cioè “ fa di averne , e s'intende “ quattrini ,): locuzioni, che son passate a significar “ citrullo ,]. vi Da segutiu (K. 8580: base non chiara nè certa, ma in cui s'accordano la risposta it. e la nostra) il piem. trae rego- larmente suz “ segugio ,, in cui si ha g intervocalico dileguato ed e atona assorbita dalla tonica (cfr. piem. fre? “ fratello ,) e sonora finale desunta dal pl. (sì e come la palatale della cor- rispondente it.: efr. piemo daria = it. bardigi e v. IG. 142). » eee ini ES”RAAr©e © AA Ae sAs SA À >; Ses I i i i e oe TTT E: ul ‘ PRC, ETIMOLOGIE PIEMONTESI ‘5807 Da suz col suff. -inare (cfr. RG. HI. 611) deriva il nostro suzné, che propriamente designa l'atteggiamento supplichevole de’ cani, quando stanno guardando persona, che mangi (cfr. A. XV. 393), ma, essendo stato esteso agli uomini, passò a signi- ficare “ appetire, agognare ,. Di suzné poi è posverbale suen “ segugio ,, che presenta . un singolare passaggio dall’astratto al concreto, ma non sembra suscettibile di altra spiegazione. Del resto a suené: suen si raffrontino i pur nostri luené “ lampeggiare ,: loena « lampo ,: cfr. M. 5142. VII. valamber. (sost. masch.) chiamano i nostri muratori un ‘filo di ferro, che appoggiato a pali confitti nel suolo circo- scrive e determina mediante fili a piombo, che da esso discen- dono, l’area, su cui deve sorgere un edifizio : ed è parola, che non trovo fuor di Piemonte. A me pare che si abbia in essa un derivato del basso lat. aequalare, cioè un *aequalamen, che, na- turalmente, subì alterazioni molteplici. Quale mera possibilità, indicherei questa via. Poichè un *aequalamen da noi sarebbe divenuto e rimasto *ralam (es. eva “ acqua ,), converrà pensare ad un *requalamina, neutro pl. divenuto, giusta il ber noto processo, femm. sing. Ma un'*aequalamina sarebbe a sua volta divenuto *rvalammna, e tale sarebbe rimasto, perchè in piem. -mn- romanzo resta immutato, es. fumna “ femmina ,, omni “ uomini ,, damne “ dammene ,,, antamné “ intaccare ,, semné “ seminare ,, ecc. Suppongo perciò che *aequalamina sia stato mutato in *aequalamula per sostituzione dell’usitato suff. -%la alla men frequente terminazione -îma : e codesto *aequalamula normalmente si ridusse a *valamla, poi per dissimilazione a *valamra, quindi per la consueta epentesi a *valambra : quest’ultimo al pl. dovette sonar ral@nbre (come da molti il vocabolo si pronunzia pur oggi): ma, poichè in parte del nostro territorio (v. p. es. Gav. s. brustia) l'articolo deter- minato al femm. pl. suona al anzichè le, ne conseguì che a/ valambre, come voce non chiara a’ parlanti stessi, potè parere non già un pl. femm., ma un sing. masch.: e tale diventò, e, “% 538 ATTILIO LEVI venuta meno la coscienza del numero, valambre si mutò in va- lamber come e perchè Novembre-, Decembre- da noi suonano nu- vember, Azember. A conforto di questa ipotesi (che certamente è un po’ com- plicata: ma talora sono tortuose anche le vie della natura) sì possono addurre i nostri fumra “ femmina ,, ambra “ animella (de’ bottoni) ,. Infatti, poichè (come s'è mostrato più sopra) da noi -mn- rimane, per fumra mi par che si debba risalire ad un | femina mutato in *femula, che sta a femella, come fabula a fa- | bella, rotula a rotella, ece.; e per ambra direi che si debba ricor- rere ad animula passato per la trafila di *dnimla (con accento retratto per influsso di anima), *anmla, *amla [Vedasi poi se da i un *amla siffatto non potrebbe per metatesi essere sorto it. alma]. Che se abbiamo » in luogo di / nelle voci nostrane, si è perchè fumra è monferrina, e similmente ambra sarà monferrina d’ori- gine [Diversamente A. XVI. 543]. VII. fidéi “ sorta di pasta da minestra ,. Comune a tutta l’Italia superiore, la voce appare anche in prov. cat. fideus, sp. ptg. fideos. La dichiarazione da filello (A. II. 345 sg.), sebbene larga- mente accolta, mi lascia perplesso. Certamente, esiste un tose. filello, che significa * filetto della lingua ,, ma è voce singolare e peregrina, sicchè non è credibile ch’essa sia giunta a cono- scenza de' pastai del nostro Settentrione. Nè più probabile è che un *filello sia sorto di per sè nell’ Italia superiore, perchè a formar diminutivi anzichè -ello adoperiamo abitualmente i suft. -ino, -etto, -otto. Ma, quando pure si volesse ammettere un *filellto subalpino, per dissimilazione esso sarebbe divenuto *firello, e tale sarebbe rimasto [Ofr. it. caramella da calamellus “ can- nuccia , (M. 1484) con genere mutato per influsso del basso lat. cannamella, it. cannamele, ne' quali la base suddetta s'è inerociata con canna e miele). Perciò tento altra via. Muovo da una forma, quale il mantov. filadin (ritlesso di “ filatino ,), che è uno de’ nomi di codesta pasta. Suppongo che filadin si sia cambiato per metatesi ETIMOLOGIE PIEMONTESI 539 in *fidalin (cfr. IG. 167) sotto l’influsso de’ numerosi diminutivi in -Zino (quale ad es. il nostro faudalin “ grembialino , e si- mili). Avvenuta l’inversion del vocabolo, si sarà in esso sentito il verbo fidare, che è vivo in tutto il territorio (piem. fidese, lomb. fidass, em. fidars, ecc.): e fidare avrà richiamato al pen- siero de’ parlanti fidelîs “ fedele ,, voce dotta, ma nota pure agl’indotti, perchè frequente nel linguaggio della Chiesa. Di qui *fidalin per l’immistion di fidelis si sarà mutato in fidelin, poscia con scambio di suffisso in fidelitt e fidelott (pav. fidlon citato in A. II. 346, nota 2 non mi risulta esistente): e da cotesti pseudo-derivati si sarà poi estratta una pseudo-base /ideZ! (0 fidel, pl. fidei). La quale si trova nel ferrar. col senso di “ filetto della lingua ,, e sarà il “ filo di pasta , passato ad altra ac- cezione. E che i parlanti abbiano sentito “ fedele , in questo vo- cabolo, mi par certo, perchè 1° esso suona fedelen a Bologna, ed ivi, come fidlin da noi, lo si usa per ischerzo nel senso di “ innamorato fedele ,; 2° in prov. e cat. la cosa, che verosi- milmente è d’importazione nostrana, è detta fideu, voce semi- dotta, che per sè stessa significa “ fedele , [Sarà poi quasi superfluo notare che sp. fideos così nell’iniziale come nella ter- minazione -eos si palesa mutuato al prov.-cat.]. IX. turin, it. torrone, sp. turron, nprov. tourroun. Il ben noto dolciume. Da lat. torrere (come dubbiosamente s’accenna già in Tomm.-Bell. s. v.): ed è un derivato, che sta al conti- nuatore romanzo del verbo lat., come fr. coupon sta a couper (N. III. 139). Ora (a tacere del retico forrer, che D. 493 men- ziona, ma di cui non trovo traccia nel Pallioppi nè altrove) lat. torrere non sembra rimasto che nello sp. torrar (var. turrar) “ arrostire ,, nel prov. tourrd “id. , (e nel logod. turrare, cfr. RG. II. 144: ma si sa che il sardo è lessicalmente una propaggine di Spagna): dunque appare evidente che torrone ci deve venir dall’Occidente, giacchè il derivato non può essere sorto che là dov'era la base. E, poichè la risposta schietta- mente prov. di lat. -one è -6 (es. razo “ ragione ,), così anche il 540 ATTILIO LEVI prov. tourroun dovrà ritenersi mutuato allo spagnuolo. Quindi riesce indubbia l’origine iberica della parola e della cosa. S'aggiungano poi alcuni altri dati : 1° In Italia il torrone, che da’ lessici non risulta atte- stato prima del sec. XVII, fu anche detto miele di Spagna (cfr. Tomm.-Bell., 1. c.); 2° Nell’Italia meridionale ha speciale rinomanza il tor- rone di Napoli, nella settentrionale quello di Lombardia: dunque vi sì può scorgere un’importazione diretta dalla Spagna; 3° Sp. turron in gergo ha pure il senso di “ sasso ,, e sp. turronada è voce gergale, che significa “ sassata ,: così da noi a turdn si dà pure l’accezione scherzosa di “ pugno, ur- tone, ecc. ,. Questa concordanza semasiologica sarà del tutto casuale ? [Diversamente K. 9837]. X. Fr. meringue, piem. gen. meringa, parm. marenga, bol. mareingh, it. marenga, cat. merenga. sp. merengue “ sorta di dolciume ,. Si ritiene generalmente che la voce muova di Francia: il che è al tutto probabile, trattandosi di termine gastronomico. Il divario nella tonica (-f- od -é-) attesta secondo ogni verosi- miglianza che fu introdotta più anticamente in Piemonte (e Liguria) che non altrove. Per lo sp. v'è poi un altro indizio : nel 1734 l'Accademia spagnuola non registrava ancora il voca- bolo. D'altra parte, nell’-a- ed -é- delle forme italiane può aversî un rifacimento nostrano della parola. Quanto all’etimo suo, già il Littré s. v. ricordava il basso lat. meringa, che si riscontra in carta medievale renana e che significa “ merenda ,. Nella quale verosimilmente si ha appunto lat. merenda, che scambiò la sua terminazione col suff. germanico -ing: scambio, che trova forse la sua ragione in ciò che fra i riflessi romanzi di 1. merenda ve n’ hanno che presentano -i- nella tonica (M. 5521). ETIMOLOGIE PIEMONTESI 541 Ma alla connessione di b. lat. meringa con fr. meringue sembra opporsi il divario de’ sensi “ piccolo pasto .— dol- ciume ,. Però è difficoltà sormontabile. Usano i nostri confet- tieri chiamar merendine certe loro chieche, intendendo evidente- mente ch’ esse possano di per sè costituire una merenda: e l'usanza è ben antica, perchè in carta torinese del sec. xv si menzionano fogatiae seu merendinae (Ducange s. v.). Ora, un ugual trapasso semasiologico può essere avvenuto in meringa, cioè unà molto semplice e naturale restrizion di senso. [Analogamente potrebbe spiegarsi sp. melindre “ sorta di dolciume ,: io vi scorgerei una base *merendula, che diede prima *meliendra (cfr. sp. almendra “ mandola ,: M. 436), poi *me- lindra (cfr. sp. mirla “ merlo ,, siglo “ secolo , : Pidal, Gram. hist. esp. 38), quindi, allorchè venne foggiato il denominativo melindrear, parve un posverbale e fu mutata in melindre ad analogia delle numerose coppie, quali sacar “ estrarre ,: saca, saque “ estrazione , (Pidal. o. c. 150 sg.). Diversamente M. 5469]. Sarebbe dunque meringa una voce latina germanizzata e ri- tornata nella nuova veste in territorio romanzo. Ma, colmata la lacuna semasiologica, rimane la geografica e cronologica. Infatti, meringa si riscontra a Colonia nel Medio Evo e poi non più in Germania (De’ lessicografi tedeschi solo i Grimm registrano meringel, var. meringe, recandone due esempî tardi, che mi paiono poco probanti). D'altra parte, in Francia meringue non appare attestata che nel 1739 (DG. s. v.). Che è dunque successo della voce nel non breve intervallo di tempo e di spazio? Bisogna supporre che essa abbia serpeggiato silenziosa per secoli nel paese di confine tra Germania e Francia, finchè, mutata di senso, riuscì a penetrar stabilmente nel linguaggio della seconda. Il che non è punto impossibile: ma non è men vero che per questa via l'ipotesi si sottrae in parte alla dimostrazione. [Nessuno crederà che, come altri propose (cfr. Littré s. v.), nome e cosa traggan l'origine da Mehringen, che è un villaggio d’un migliaio d’anime nel Ducato d’Anhalt: cfr. Vivien de Saint- Martin, Nouv. dict. de géogr. univ. s. v.). “ 542 ATTILIO LEVI XI. biu (Pipino, Ponza, Gavuzzi), var. diò (Capello, Zalli, Sant’ Al- bino, Dal Pozzo) “ arnese di vimini o di vetrice ,. Mi è noto soltanto nella prima forma e nel senso di “ cesto, che regge i bimbi ne’ lor primi passi ,. La voce è siffatta che sembra non poter essere indigena. Ravviserei quindi in div il nprov. diko “ bastone , e nella var. bié il savoiardo dio “ vetrice, ramo di vetrice ,. Così la voce prov. come la sav. risalgono ad una base celtica significante “ tronco d'albero , (cfr. DG. s. dille, M. 1104) colla differenza che nella prima si ha la base schietta, come nel sullodato fr. bille “* bastone ,, mentre nella seconda si ha un derivato corrispondente a fr. dillot, che ora significa sopratutto “ ceppo ,, ma in addietro significò pur “ ramo , (cfr. Littré, s. v.). Ciò premesso, mi par che si debba scorgere qui un pro- cesso semasiologico, di cui queste sono forse le fasi : 1° “ tronco d'albero ,; 2° “ ramo — bastone , (trapasso dal tutto alla parte: fr. bille, prov. biho, fr. billot nel senso più antico); 3° * ramo d'un albero particolare , (trapasso dal genere alla specie: sav. bio). Passando poi di bel nuovo dalla parte al tutto fr. billot ritornò al senso di “ tronco ,, e sav. dio giunse a designar per intiero l'albero particolare, di cui prima designava soltanto un ramo. Ma più oltre è proceduto il nostro dialetto : ha mutuato il sav. bio in quanto significava “ vetrice , e tal nome diede all'arnese di vetrice a quel modo che si dice “ ferro , la spada e gli operai chiamano “ ferri , gli strumenti dell’arti loro: poi, quando s'imbattè nel prov, diko. l'ha mutuato del pari e, tratto dall’esterna somiglianza de’ due vocaboli (chè, naturalmente, l'intima affinità loro non gli poteva esser nota), diede pure alla voce prov. il significato, che già aveva attribuito alla sa- voiarda. XII. Monf. sabaké * scuotere , (Ferraro, Gloss. mf.) è mutuato, parmi, al provenzale, ove da dassae “ sacco grande , (frutto | ETIMOLOGIE PIEMONTESI l 543 dell'incrocio di disaccium con saccus: M. 1121) fu foggiato un denominativo bassacd £ scuotere , (cfr. fr. saccader), il quale per metatesi si è cambiato nel limos. sabachd. Queste le forme attestate. Ma il guasc. soudacado “ scossa , (efr. fr. saccade) ci permette di presumere che esiste od esi- stette pure un *sabacd, da cui è desunto il nostro sadaké, e che per scambio della sillaba iniziale sa- nell’usitato prefisso sub (subtus) sì è mutato in un *soubacd, da cui discendono e il vo- cabolo guascone e il genov. subaccd, che significa “ tuffare , con divario di senso dovuto al mutamento della sillaba ini- ziale ed al conseguente prevalere del concetto di “ (porre, an- dare) sotto ,. E che monf. sabaké sia mutuato mi par che si debba am- mettere, se si considera che al nostro dialetto mancano bassac e bassacda, che ne sono le basi. [Diversamente R. XXVII. 200]. XII. falabrak “ uomo grande e grosso, ma sgarbato e goffo ,. Credo che in esso si celi Fier-à-bras, gigante saraceno, le gui gesta son celebrate nell’epopea carolingia, e il cui nome di proprio diventò comune in francese e in provenzale (DG., Mistral s. v.). Però, naturalmente, fier-à-bras non potè per sè stesso mutarsi in falabrdak, ma fu necessario l'intervento di uno o più elementi estranei. Ora, uno ed anzi il più importante de’ fattori della tras- formazione del vocabolo lo scorgerei nel piem. falurku uomo sgarbato e goffo ,, provenzalismo anch'esso, poiche mi pare che altro non sia se non alterazione di prov. falourdo “ bestialità, goffaggine — fandonia, frottola , (che, come piem. fiaka * in- dolenza ,, è femm. sostantivato di falourd “imbécile — dròle ,, in cui si sono incrociati i prov. falot “ plaisant , e dalourd : cfr. Z. XXVIII. 145). Come spesso avvenne (ed è questo l’indizio del mutuo), da noi non si sentì in falowrdo un femminile e grazie all'uscita in -0 la si cambiò in mascolino : poi, a quel modo che ad es. “ peste , si dice di persona, dell’astratto si fece un concreto. o Cai SETTI CAMENai ANNO ed 544 ATTILIO LEVI Sarà poi dovuto ad ulteriori analogie (quali p. es. ferluké “ vanesio , = fr. freluquet, diminutivo di ferluk « denari , = fr. freluques “ moneta di scarso valore ,, e terluk “ citrullo ,; che è alterazione di “ astrologo , fatto parossitono alla francese: cfr. A. xv. 425), se nel passaggio dal prov. al piem. la tonica si chiuse e il -d- si mutò in -k-. Comunque, un rapporto tra falabrak e falurku mi pare innegabile: anzi direi che sotto il rispetto semasiologico le due voci si siano influenzate recipro- camente. XIV. “ lira * ghiro — poltroneria ,, luirtn “ poltrone ,. I ri flessi romanzi di lat. glis “ ghiro , son tali che sembrano legittimar l'ipotesi che accanto al classico glire esistessero tre altre basi popolari: *gQre, *lare, *lire (M. 3787). Ora codesto *lire, a cui risale ad es. fr. /oir (DG. s. v.), da noi avrà dato *leir, e da questo si sarà foggiato un *Zeéryn, diminutivo di tipo gallico (cfr. fr. Ziron, prov. liroun) tanto più verosimile in quanto si tratta d'un animaletto. Ma nel nostro dialetto, che per designarlo possiede altre voci (e cioè agi, aghi), il semplice *Leir andò smarrito ; sì conservò per contro il derivato *Zeirwn, ma (come avviene delle voci, di cui non si sente più l’ etimo) rimase più esposto all’azione delle leggi fonetiche: quindi ebbe luogo l'assimilazione dell’atona alla tonica, e *leirun si mutò in luirin ora esistente. Dipoi da /uirun venne estratto loira, che presenta 0 aperto nella sillaba radicale, perchè i parlanti hanno messo la pseudo-base e il derivato in quel rapporto apofonico, che intercede fra korda: kurdin, skola: skulé, porta: purtùn, ecc. Quanto al senso, è verosimile che in origine sì Zora che lmirin significarono semplicemente “ ghiro ,. Ma l'animale, che dorme per più mesi all'anno, doveva na- turalmente suggerire il concetto della “ pigrizia , ed anzi appa- rirne il simbolo. Quindi lora, che come femminile si prestava meglio alla espressione d’un concetto astratto, acquistò il senso di * pol- troneria , pur conservando il senso primitivo: invece luirun, che come masc ile meglio si prestava all'espression del con- ETIMOLOGIE PIEMONTESI 545 ereto, acquistava (non senza influsso di plandrun, pultrin, ecc.) il senso di “ indolente, pigro , e perdeva il senso primitivo. Il procedimento qui descritto non si è compiuto recente- mente, e la voce, se pure è del tutto nostrana, si è diffusa, poichè nell’a. mil. si ha Zoirén “ neghittoso ,: cfr. Salvioni, Fon. mil. 283 nota. Si usa poi /oira “ pigrizia , nelle locuzioni awvej la loira ados e bate la loira: la prima è, parmi, foggiata sul modello di “ aver il diavolo in corpo , e quindi si connette colla credenza dell’ossessione e dell’'invasamento: la seconda invece è desunta, direi, dall’orologio, che “ batte le ore ,, in quanto che la loira fu. considerata come un morbo, che ricorre periodicamente (cfr. Gavuzzi s. v.). XV. bartavela, var. bertavela “ lingua , (cfr. la locuzione 1mné la bartavela “ menar la lingua ,) — poi (come si suol dire “cuore , per “ bontà , e “ testa , per “ intelligenza ,) “ lo- quacità , — “ sorta d'uccello ,. Corrispond. al prov. barta- vello * lucchetto, saliscendi — ciarlone — sorta di uccello ,. Il quale discende da lat. vertibella, var. di vertibula (cfr. Corp. gloss. lat. v. 253, 8), a cui sta come tabella a tabula e simi- glianti. Quindi nel dar- dovrà scorgersi la sillaba iniziale ver- sostituita colla risposta romanza del pref. dis (Altrimenti R. XXVII. 221): e il secondo a sarà desunto da qualche parlata vi- cina, come ad es. il savoiardo, ove il denominativo prov. bar- tavelà “ ciarlare , (direi, per una serie di assimilazioni regres- sive) si è ridotto a bdartavala “ id. ,, ed in cui il nome (per reazione del derivato sulla base) suona dartavala “ buratto della farina — ciarlone ,: forma e sensi così remoti dall’etimo che si può ritener che il sav. abbia mutuato al prov. la voce, su cui esercitò di poi il suo influsso. Sotto il rispetto semasiologico, il senso primo è “ cosa gi- revole, mobile , ristrettosi poi a “ lucchetto, saliscendi ,; di qui il vocabolo batte doppia via: da una parte la mobilità del- l'oggetto suggerisce l’idea di cosa non meno mobile, cioè “ la lingua ,, donde “ loquacità , e “loquace ,: d’altra parte il 546 ATTILIO LEVI rumore dell'oggetto medesimo dà il nome ad un uccello, il cui verso ha qualche affinità con esso rumore (cfr. Mistral s. v.). Resta a vedersi se e quale rapporto interceda fra il nostro bartavela e il prov. bartavello. Io propenderei a scorgere nella voce nostra un mutuo per due ragioni: 1° il prov. ha il voca- bolo nel senso proprio e nel figurato, noi soltanto al figurato ; 2° difficilmente una parlata, che tende alla sincope, come la nostra avrebbe lasciata intatta la protonica mediana. Ne è prova piem. varrela “ spranghetta di ferro, in cui si infila l'arpione ,, che corrisponde bensì a fr. vervelle “ anneau fixé aux courroies, qui retiennent les fancons par le pattes , (K. 10096, DG. s. v.), ma non ne deriva: onde i due costitui- scono soltanto una concordanza franco-piemontese, in quanto risalgono entrambi a lat. vertibella, var. di vertibula. cardines (Corp. gl. lat., 1. c. 9). E forse questo vertibella non è identico al precedente, poichè esso è un neutro pl. divenuto femm., mentre quell’altro sembra già un femm. per sè stesso. XVI. buru “ sorta di giuoco di carte — sbaglio, sproposito ,: ed è lo stesso gioco, che ora si chiama /a bestia e in frane. la béte ((avuzzi). Ora, nprov. bourro * asina , (vocabolo estratto da lat. durricus: M. 1413) è pure nome d'un gioco di carte. Non mi par dunque che sia da dubitarsi che la voce nostra sia mutuata al prov., tanto più che da noi buru è maschile, mentre in prov. è femminile : e codesto scambio del genere, che deriva dalla ingannevole uscita in -0 del femminile provenzale, è indizio del mutuo. E dal gioco stesso deriva il senso di “ sbaglio, sproposito 4, perchè in esso si chiama buru la mossa fallita, che obbliga il giocatore a versare una somma, la quale viene poi devoluta al vincitore della partita (cfr. DG. s. béte). XVII. katerla * la cispa degli occhi ,. Usato per lo più al plur., corrisponde a quelle, che in ‘Toscana anticamente si i decide ETIMOLOGIE PIEMONTESI 547 chiamavan cedecole. Credo che, stia per *kakerla (= *kakerula : da cacare, cfr. M. 1443) e sia voce del linguaggio infantile ac- colta dagli adulti per amor di decenza. Tale la direi, perchè i bambini sogliono scambiare # con &: ma di siffatto scambio ab- biamo anche altri esempî, come v. g. tampé = kampé “ gettare , (da campus: M. 1563): nè a tutti i casi si potrà con sicurezza attribuire codesta origine. XVIII. buleta “ rovina ,. S'usa nelle locuzioni ese, andé n bu- leta “ essere, andare in rovina ,. È un francesismo schietto, poichè riproduce fr. doulette “ pallottola di carne tritata , (da I. bulla: M. 1385): e che tale sia lo palesa la terminazione non indigena -eta, mentre -ilta in piem. dà -etta, es. buletta “ bol- letta, polizza , (cfr. RG. II 548 sg.) È un'immagine gastronomica desunta da ciò che la condi- zione dell’uomo, che va od è in rovina, fu paragonata a quella della carne, che vien tritata e ridotta in pallottole. Analogamente diciamo ese a tok, letteralmente “ essere a pezzi ,, per significare “ essere rovinato ,: locuzione, in cui l’immagine degli abiti laceri, che sono indizio e simbolo della miseria, si associa a quella della carne fatta a pezzi. “ XIX. mlika (canav. mlekka) è parola, che manca a’ lessici, ma s'usa nella locuzione è fi dla ml. “ i fichi del giulebbe ,. Le corrisponde nprov. melico (mielico Rouergue, mialico Limoges, melico, merico, merigo Marsiglia) “ hydromel, eau miellée — la- vure de la cire fraîchement séparée du miel — gomme des ce- risiers et des pruniers — boisson doucatre, vin trop doux ,. Si deve dunque postulare una base *melicca (chè quanto alla va- riante canavesana si può pensare che sia stata rifatta sulle forme rizotoniche del vb. “ leccare ,, es. « lekka “ egli, essa lecca ,). Ma nella terminazione -ieca non conviene (a tacere della inverosimiglianza intrinseca) scorgere il ben noto suff. ibe- 548 ATTILIO LEVI rico formatore di diminutivi, sia perchè nulla d’analogo offrono sp. e prtg., sia perchè il vocabolo non ha senso diminutivo, Ond’è che esso viene ad accrescere l’oscura categoria delle voci uscenti in -@cco; -occo, ecc. (quali it. vigliacco, balocco): cfr. RG. II..542. XX. kuera, kualera, rela sono sinonimi, significando egualmente “ codazzo — strascico — orlo delle vesti infangato ,. Il primo è chiarissimo, poichè non può essere altro che un *co- daria. Il secondo mi sembra metatesi di un *kuarela, che de- riva da un *coderella mutatosi in *codarella per una tendenza, che il nostro dialetto ha comune con più altre parlate d’Italia (cioè e atono, che davanti a r passa ad a). E da *kuarela per aferesi della sillaba iniziale direi che sia sorto rela. [rela da *orella: A. XVI. 535, nota 4. Non crederei, perchè lat. ora sembra ignoto al territorio gallo-italico: cfr. M. 6080. 1]. XXI. munada * smorfia, moina ,: si trova pure a Milano, Parma, Venezia. È lo sp. monada “ gesto affettato e fastidioso , : il quale è un derivato di sp. mona, che, come it. monna, significa “ scimmia ,, e discende da quella voce turca, che ab- biamo noi pure nella locuzione gat maimun (M. 5242. Z. Bhf. I. 92). Dunque monada per sè stesso significa “ atto scimmiesco ,. A noi la voce verosimilmente proviene di Lombardia, chè la palesa non indigena l'uscita -ada (mentre -ata in piem. si risolve in -d, es. kutla “ coltellata ,): ma indigena non è nep- pure nelle altre regioni dell’Italia superiore, alle quali la base aferetica mona (nel senso di “ scimmia ,) è ignota. Sarà dunque una delle scarse reliquie del dominio spagnuolo. XXII. In A. XIV. 115 si citano piveron. anave (che meglio si scriverebbe nave) ed ande (che è poi il piem. comune andò); PE ETIMOLOGIE PIEMONTESI 549 e del primo non si propone alcuna etimologia. mentre si trae il secondo da andito. Ora, i due vocaboli sono sinonimi, significando ‘entrambi « mossa, aire, slancio, abbrivo ,: perciò, dato un tal significato, non mi par da ammettersi l’etimo proposto pel secondo, poichè non riesco a concepire il processo logico, per cui il nome di luogo sarebbe divenuto nome d'azione. Per contro nomina actionis per eccellenza sono i posverbali (RG. IL 447, N. HI. 256). Quindi in andi (var. ande) direi che si debba scorgere il posverbale del vb. piem. andié (composto anandié) “ avviare, addestrare, dirigere, spingere ,, che deriverà da un *andicare (RG. mm. 607): naturalmente, da andare. Così, poichè in Canavese v'è un vb. navié “ avviare, dirigere ,, che altro non è che un *in-avvtare (di formazione analoga al succitato anandié = *inandicare), il nave (od anave, di cui sopra) ne sarà il posverbale. XXIII, bertin “ cavallo cogli orecchi mozzi , si connette co’ ri- flessi romanzi di lat. *bis-fondere, quali ad es. a. fr. dbestondre, bertondre (D. 49. 711. Altrimenti Z. Bhf. I. 93). Ma anzitutto è da escludersi la derivazione francese, perchè la voce non si trova che in Italia. ove sì hanno tosc. bertone e piem. bertun. E in Toscana non dev'essere nè molto antica nè molto diffusa, poichè il Tommaseo la registra con un solo es. di Buonarroti il giovine (sec. XVII) e la Crusca? non Ja re- gistra affatto. Per contro in Piemonte bdertun ha una certa dif- fusione, poichè lo si dice non solo del cavallo sullodato, ma anche di una qualità di riso più basso e di una di grano, che in altre parti del territorio è detto mut “ mozzo , (M. 57983). Quindi crederei nostrano il vocabolo, e in esso scorgerei una forma di piem. dertundé “ tosare , (che è *bistondere pas- sato alla I coniùg.), cioè *bertund “ tosato ,, che sarebbe uno di quei “ participî accorciati ,, di cui fa largo uso il nostro dialetto. [Eccone alcuni esempîì: bre “ bruciàto , —- skw2 “ scusato , — stup “ turato ,: da stupé (lat. stuppa) — stuv “ stipato , (con Atti della R. Accademia — Vol. XLTX. 36 550 ATTILIO LEVI u dovuto alla labiale seguente) — skis “ schiacciato ,: da skisé (d’ incerta origine: A. IX. 257 nota 1, XII. 430. K. 8456) — séas “ stretto, compatto ,: da scasé (= it. schiacciare? K. 5280) — ambés * rovesciato, riverso ,: da ambusé, M. 1425: che questo vb. prima di quello di “ rovesciare , abbia avuto senso analogo ad it. imbottare mi par che si desuma dalle locuzioni volgari ambés-la, stip-la, che significano “ taci! , e in cui la bocca è paragonata ad una bottiglia. — poz, che si dice del pane raf- fermo: da puzé (lat. pausare) — destis “ spento ,: da destisé (che connetterei con lat. titio “ tizzone ,) — séos * nato ,: da scode (lat. claudere) — skuz “ nascosto ,: da skunde (lat. abscon- dere) — tuk (“ toccato , poi), “ mentecatto , : da distinguersi da tuk “ tatto , posverbale — ensi “ cominciato ,: da ensé (lat. ini- tiare: M. 4440) — muk (propriam. “ mozzato ,). metaforicam. “ mortificato ,: da muké, M. 5706: ma, dato lo stretto rapporto logico fra il mut sopraccennato (M. 5793) e codesto muk, sorge il dubbio se le due voci non siano identiche e non sia fra esse semplicemente intervenuto lo scambio dell’esplosiva finale]. Ora, *bertund, formazione simile a queste, può prima aver perduto il -d per analogia di bertun “ berrettone ,, poi dal senso di “ tosato , esser passato a quello di “ corto, basso ,, che presenta come epiteto di vegetali. E di bertin poi bertuné “ tosare , sarà il denominativo (Il bertonare menzionato in M. 1052 e altrove manca a’ lessici italiani). XXIV. bauti “ altalena , è affine a ticin. baltigh “ id. , (cfr. Boll. stor. Svizz. it. XVII. 83). Dunque conviene muovere da lat. ballare (M. 909): ampliato col suff. -ittare (RG. m. 613), ne risultò un frequentativo, che suona variamente a seconda che la parlata pratica o no la sincope: di qui tosc. ballettare e parm. baltar (che è passato a significar “ vagliare ,). Da quest’ultimo, considerato come esempio e tipo della risoluzione gallo-italica, si è col suff. -icare (RG. II. 607) for- mato un altro verbo, che da noi suona bautié “ dondolare , : cfr. sotto il rispetto fonetico il nostro mastié “ masticare , e » MEP ETIMOLOGIE PIEMONTESI 551 sotto il rispetto tematologico il ticin. baltigd “ oscillare ,. E di bautié son posverbali bauti e il sinonimo bautia, che, come it. dondolo, avran significato dapprima l’azione espressa dal- l’idea verbale, quindi passarono a significar la cosa, che la produce. Da dautia poi s' è foggiata la var. diauta per la pro- pagginazione regressiva dell’? di iato postonico (Per altri esempiî del procedimento cfr. A. XVI, 237). Nè queste son l’uniche derivazioni della base daltare: per “ altalena , si hanno ancora piem. baudis, comase. bdaltigh, baltri, balzingota. [E sarà da vedersi se qui non si potrebbero recapitare it. ribaltare e balzare co’ suoi derivati e composti: altrimenti M. 919]. XXV. ankerna “intacco , si collega con lat. crena “id. , (Dal Pozzo). Ma non ne deriva direttamente: lo esclude già la pre- posizione, con cui è composto, ma sopratutto il colore della tonica. Infatti crena avrebbe dato piem. *kreria come creta diede kreja. Per contro in piem. un Xkre- (e in genere un gruppo “cons. +r + voc. ,) in atonia dà Ker- (ed esiti simiglianti), evidentemente perchè nella sillaba protonica cade la vocale, l’r, che viene a trovarsi fra consonanti. diventa sonante, e da esso si sviluppa l’e irrazionale: così si spiegano terzént “ tre- cento ,, #ersé “ cresciuto ,. kerdi “ creduto , [|Ne' verbi poi questa risoluzione propria delle forme arizotoniche si estende alle rizotoniche: e di qui Xerse “ crescere ,, kerde “ credere ,. Similmente per “ imprestare . (K. 7393) abbiamo due forme presté e pesté, che (come indica l’e irrazionale) risalgono ad una sola, cioè ad un *persté, in cui da una parte » è caduto per alleggerimento di policonsonanza, donde pesté, e dall’altra è “ avvenuta la metatesi di -er- in -re-, donde presté|. Dunque per ankerna bisognerà partire da *incrinare, che avrà dato *ankerné “ intaceare , (e forse il participio di questo verbo entra un qualche poco nella locuzione unga ankarna “unghia incarnita ,): e di esso verbo ankerna è il posverbale, a quel modo che tersa “ treccia , è il posverbale di antersé “ intrecciare , (di incerta origine: K. 9728). 052 ATTILIO VEVI XXVI. daîé “ stillare ,: si dice de’ recipienti, che da una qualche fessura lasciano sfuggire il liquido contenuto. Risale a damnum (A. XVI. 537, M. 2467). Ma donde la palataliz- zazione della nasale? Abbiamo bensì ne’ contadi da per “danno ,: ed è un “ plur. pro sing. ,, in cui l'è finale ha in- taccato la nasal precedente: ma non s'ha da pensare che dané ne derivi, perchè il verbo esiste anche nella parlata urbana, a cui dan è ignoto. Perciò in danié vedo dan ampliato col suff. -idiare (RG. IL. 610), che da noi si risolve in -ié (cfr. piem. datié “ bat- tezzare ,): dunque *danié, donde danié, il quale per questa via viene ad identificarsi con it. danneggiare. XXVII. burlét * cuscino pieno di borra — cercine pei bimbi ,. Corrisponde al fr. dourrelet, ma non ne è necessaria deri- vazione. Anzi il fr. non possiede la base vera e propria del vocabolo, poichè il bdourreau “ sacco pieno di paglia ,, da cui lo si trae (cfr. DG. s. v.), è uno de’ frequenti plur., che si son sostituiti al sing. (N. 1r, 251). Per contro il nostro dialetto ha burél “ collare imbottito, che si mette alle bestie da soma ,. Ora, da burel possiamo aver formato burlét a quel modo che da baril formammo darlét “ bariletto ,. Ma la base è la stessa per la voce nostra come per la fr., cioè lat. durra, it. dorra, piem. bura (M. 1411). Anche qui si può forse recapitare durela (M. 1214.1224. 1385). K nome men recente delle boccie. Ora, il gioco delle boccie è una forma del gioco antichissimo della palla. La quale, prima d'essere (com’ora) di gomma, fu di stoffa e riempita di sughero od altra materia leggera. Perciò, come dur4 significò “ collare imbottito ,, così durela potè in origine aver significato “ palla imbottita , ed essere poi passata a designar la sfera di legno, a quel modo che in questa accezione fu usata boccia, che pure in origine significò verosimilmente * globo di vetro ,. ETIMOLOGIE PIEMONTESI 553 XXVIII. kerpii “ stopposo, asciutto, arido ,. Risale, parmi, a kerpé “ crepare ,: del quale conosco un derivato Xerpun, che manca a’ lessici e s’'usa nella locuzione kerpun d rie “ scoppio di risa ,,. Ora, codesto Kerpun, come “ nomen actionis ,, non può essere che il posverbale di un *Kerpuné formato come il du- luné, di cui sopra. Come poi accanto a duluné si ha buluné, che è lo stesso verbo ampliato con -ié (= -idiare od -icare), così può postularsi un *kerpuié analogo pel senso e (in parte) per la forma ad it. screpolare. E di questo verbo scorgerei il “ participio accorciato , in Xerpuf, che prima avrà avuto il senso di “ screpolato ,, poi quello di “ asciutto, secco ,: e Si dice de’ frutti, che seccando si screpolano e perdono il lor sugo, ma si estende pure alle persone dal volto rugoso. + XXIX. takesla a j urie, letteralmente “ attaccarsela a gli orecchi ,, significa “ proporsi di ricordare alcunchè, ma specialmente un torto sofferto per trarne vendetta a tempo opportuno ,. È locu- zione, che verosimilmente risale a quell’antica credenza, se- condo cui “ est in ima aure memoriae locus , (Plinio, Nat. IMRE. USE XXX. camé bute, letteralm. “ chiamar: Bottiglie! ,, significa “ ri- conoscersi vinto ,. Viene dalle taverne, ove si giuoca mettendo come posta una o più bottiglie: ora, chi perde si riconosce vinto, quando chiama, cioè ordina le bottiglie messe in gioco. Gennaio 1914. 554 AUGUSTO ROSTAGNI Le vicende della scuola pitagorica secondo Timeo. Nota di AUGUSTO ROSTAGNI. Nuovi e gravi sconvolgimenti occupano nel secolo V e poi sul principio del IV la storia de’ Pitagorici, facendo eco alla memorabile catastrofe che li aveva colpiti ancor vivo, se bene assente da Crotone, il Maestro. Nessun dubbio che le due diverse sedizioni le quali ser- vono da capisaldi in tutta questa storia, eppure e in Giustino e in Apollonio, come vuole la tendenza quasi universale delle nostre fonti indirette, si trovano contaminate, abbiano avuto da Timeo il lor giusto allogamento: però che, se la prima, di cui fu discorso, è posta in attinenza con la distruzione di Sibari del 510 (1), della seconda ora un anello sopravvive storica- {1) V. lo studio precedente La vita e l’opera di Pitag. ete. Abbiamo dimostrato che il nesso della distruzione di Sibari con la sommossa cilo- niana non è da ascrivere alla fantasia d’Apollonio tianèo, come si suole, bensì da vedere rispecchiato in Timeo : ed anche ne abbiamo supposte pro- babili le traccie in Eraclide Pontico. Aggiungasi ora che tale nesso appar- tiene di fatto alla tradizione pur anteriormente a Timeo. Così è dato con- chiudere da una notizia dispersa e universalmente trascurata: ap. Eusen. Praep. Evang. X 3 pp. 464-5 (vol. I p. 535 Dindorf). Eusebio riferisce a traverso a Porfirio un frammento del To/z0vs di Androne d'Ffeso (fr. 6 Muell. II pp. 347-8), storiografo il quale grazie a questo stesso luogo re- sulta anteriore a Teopompo. Orbene dice Eusebio: Androne esponeva vari fatti miracolosi proprii di Pitagora, quali la previsione di un terremoto in Metaponto, la previsione di nn naufragio in Megara di Sicilia, la pre- visione, ad un ospite suo, della caduta di Sibari; e questi fatti erano da ‘l'eopompo ricopiati e attribuiti a Ferecide con semplice sostituzione di nomi: al r)jv Tvpdpews dAimow ènì tiv Mecoivns uerédyuev' va dé ti dop) Adyerv rmepiurtbv, naì tod Eévov ngooréderne rovopa, HepiAaov adròv LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO DDD mente apprezzabile, l'intervento degli Achei. Intervento che cade oltre la metà del secolo V: in corrispondenza coi dati approssimativi della tradizione di Aristosseno, nella quale l’es- sersi il futuro maestro di Epaminonda, Liside, salvato giovanis- simo (insieme con Archippo) dall'incendio della casa di Milone, dà a pensare per sì fatta sommossa al 450 circa (1). E si può ancor sempre, in Timeo, determinare con maggiore certezza tanto la cronologia quanto il carattere degli avveni- menti, traendo partito di un buon numero d’indicazioni storio- grafiche, sue, che agli studiosi sono passate inavvertite o male intese. Ben presto i Pitagorici, dopo il tumulto ciloniano, eran tornati in Crotone a riassumere le redini del governo; poichè la democrazia, così violentemente insorta, non aveva però sa- puto gettar salde basi. E qui forse lo scrittore inquadra la efimera tirannide di Clinia — presso Dronvs. Hatic. XX 7 (2) — onde si motivava il cedere delle velleità popolari e il prorompere, di nuovo, della reazione oligarchica. Tutto questo è confacente alla valutazione storica da lui in principio instaurata e all’indirizzo nahetodar Aéyov. Con che appena è necessario confrontare 'l'aropome. fr. 66 Muell. I p. 287= Larrr. Droe. I 11, 2. Par chiaro dunque che se- condo antica tradizione Pitagora non sarebbe stato estraneo alla caduta di Sibari e da Crotone si sarebbe allontanato prevedendo i prossimi tor- bidi. Il che tanto più è notevole se si era altrimenti indotti a credere quel nesso determinato soltanto dalla concezione storica del Siciliano. (1) Cfr. sulla tradizione d’Aristosseno BusoLr Griech. Gesch. II° p. 771, 3; J. Burner Die Anfinge d. griech. Philos. aus A. engl. tibers. v. E. Scnengt Il Ausg. (Berlin 1913) p. 79: libro d’informazione larga e chiara. — Da re- spingere è l’ipotesi di Uxneer ‘ Sitzungsber. d. Akad. d. Wiss. zu Miinchen , Philos.-philol. Cl. 1883 pp. 168 sgg. che tende a fissare un ferminus ante quem della seconda rivoluzione nell’anno 461; ciò, muovendo dal testo di Aristosseno in Iampr. $ 251, lacunoso e più innanzi interpretato. Corssen “ Philologus, LXXI (1912) pp. 347-8 vede nel racconto di Apollonio una inverisimiglianza interna, sì da respingerlo totalmente, nè comprende la confusione dei due avvenimenti. Anche A. Derarte “ Rev. de Philol. Bi 1910 pp. 180 sgg., pur riconoscendo non senza perspicacia le orme di Timeo, sembra accogliere tal quale la bizzarra contaminazione retorica e novellistica di Apollonio ed elementi suppositizii come ad es. la figura del rètore Ninone. (2) Su Clinia v. Uneer l. c. p. 165; Busorr Griech. Gesch. 11° p. 771. 556 AUGUSTO ROSTAGNI altresì che i fatti prendono allorchè, in un conflitto pel governo delle città, megì tds moditeias, soggiacciono i Pitagorici domi- nanti: 7Ov 100t0v dvdo®v éÈ éxdomns m6hews ... dapdagérimn. Timeo non ignora l'incendio della casa di Milone, per quanto ricaviamo da Giustino: | Pythagorei| civitatem in se converterunt, quae eos cum in unam domum convenissent cremare voluit; chè anzi narra i sessanta scampati. Ma, al di sopra della ben scarna, semplicista e unilaterale tradizione d'Aristosseno che tutto ri- duce al piccolo tumulto locale, egli scorge nella otdoLs r0ds todg Ilvdayoggiovs una vicenda d’indole più vasta, ripercossasi conta- giosamente attraverso le varie città della Magna Grecia, per i varii ovvédoia, rappresentante un complessivo travolgimento politico, proceduta quindi entro una larga cerchia di cause e di manifesta- zioni. Leggasi per disteso, com'è indispensabile. il compendio, parecchie volte citato, di Polibio, Il 39: xad'ods yo xeroods éw toîs xatà tiv Iradiav r6rr01g xavà vv MeydAiv ' EXidòa vére 1900ayogevonevnv éverngnodn rà cvvédora tòOv IHvdayogsimr, uerà taùta yevouévov xivijuatos dhocgegods meoì tas moditeiag, Oneo eixic, © @v tOV n0obrov avdobv gi èrdomns n6he©s obo nagal6yos diapdagérvimr, ovvétn tas zavézeivove TOdsS torrove “EhAnvinàs néhers dvarAnodfvar povov ai otdoews xai mavtodari)s tagagijg * èv oÎg zxargoîs drò tOv nAeiotOv ueoOv tie “ERAidòos noeopevovimv Enì tàùs dradvoeis, ‘Agaroîs xaì ri) TOUTt")YW IoTEL OvvEYQIEvIO nQÙS TI)v TtOV mag6viODVU AAXOY é5ay©yiv. E il compendio polibiano continua ricordando che, oltre a ciò, anche qualche tempo appresso — wmerd rivas y06vovs — quei di Crotone di Sibari di Caulonia, unitisi in confederazione, adottarono gli statuti e le costumanze degli Achei, e, così organizzati, ebbero a combattere poi, da un lato, Dionisio il Vecchio di Siracusa, i barbari (Lucani) dall'altro. La lega, cui qui allude Timeo, era sorta dopo la fonda- zione (445) e dopo il rapido incremento di Turii, nel proposito di combattere, con le forze dei colonizzatori Achei, questo centro sviluppantesi: ad essa partecipava la nuova Sibari, già fondata, a sua volta, in contrasto con Turii (Drop. XII 10 sgg. 22) (1). — Così vien fatto di sorprendere le direttive e quasi (1) Cfr. BeLoca Il' p. 164. n LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO BOT il punto di veduta dello scrittore: poichè le fasi di che prece- dentemente è parola sono ben collegate, e l’ingerenza degli Achei dopo il secondo tumulto antipitagorico, tante volte da noi menzionata senza ancora poter intendere in che consistesse e a quale ambito di fatti appartenesse, ha carattere ormai defi- nito, da identificare non altrimenti che in quest'ordine di vi- cende. Nè reca meraviglia se la caduta dei Pitagorici intesa come xivnua dhoogegès rmeoì tàS moditzias tocca da vicino e la fondazione di Turii e le lotte scatenatesi vivissime, per contrarii avviamenti politici, nella Magna Grecia. L’anno 453 i profughi sibariti avean cominciato a ricostrurre la loro città, ma in capo a non molto tempo, nel 448/7, furon abbattuti © dispersi dai loro uaturali nemici i Crotoniati (Drop. XI 90, 3 XII 10) (1). Gli è poco di poi, intorno al 445, che gli Achei con altri coloni, particolarmente ateniesi, s'interpongono, asse- condano i Sibariti, donno origine alla nuova città, Turii (Drop. X 10) (2). Crotone non repugna. Questo interporsi degli Achei, del quale ignoriamo per altro i compiuti motivi e l’indole storica, ha nell’opera del Si- racusano un significato, una determinazione notevole che in- tegra d’assai le nostre conoscenze al riguardo: sussegue al di- sastro pitagorico, esprime il pacificarsi degli animi, segna il mutamento di governo. E vuol dire adunque: che nel 453-48/7 il governo di Crotone, oligarchico, e cioè pitagorico, seguendo il suo primo instituto, s'oppose al rinascere di Sibari; sedi- zione scoppiava perciò nella citta e abbatteva i Pitagorici (3); (1) Cfr. Busorr Griech. Gesch. III 1, p. 522. (2) La cronologia è minutamente discussa da Busorr Griech. Gesch. III 1, pp. 523 sgg.; De Sanctis Storia dei Rom. II p. 183, 4. Avere posto in pre- dominante rilievo la parte avuta dagli Achei nella nuova colonia, accanto agli Ateniesi e ad altre genti, è forse carattere di Timeo, carattere che per- siste in qualche fonte, in Diodoro. Sulla parte dei varii popoli: BusoLr Griech. Gesch. INI i p. D47, 4. — È da ritenere probabile, ora, con BeLock Griech. Gesch IL 1° (Strassburg 1914) p. 200, 4 che la città così fondata, intorno al 445, dai profughi sibariti, avesse dapprima il nome di Sibari, e Turii si chiamasse soltanto in seguito alla secessione di essi profughi, recatisi a costruire altra Sibari, la Sibari sul Trionto (v. pp. segg.). (3) Che, all’epoca della fondazione di Turii, Crotone fosse impegnata dalla sommossa interna, è ipotesi di Busorr Griech. Gesch. HI 1, p. 523) cui ora ‘Timeo ricostituito reca conferma. 558 AUGUSTO ROSTAGNI nel 445, non senza il concorso degli Achei, Turii sorge, libe- ramente. Nè soltanto liberamente — aggiungiamo —, ma col favore di Crotone fattasi democratica. Poichè molto in buon punto presso Drop. XII 11,5 ricorre la notizia: Turii, di fresco nata, essere retta a democrazia ed avere alleanza con Crotone: ciò che non poteva accadere se non pel mutato governo di Crotone stessa (1). L'epoca e l’indole degli eventi sono mani- feste; e tutto, ora, balza fuori, fedelmente rispecchiato e rico- noscibile, dalla narrazione apolloniana di Giamblico $ 262. A comporre le difficoltà sorte dalla catastrofe pitagorèa, quei di Crotone chiedono l’arbitrato de’ Tarantini de’ Metapontini de’ Canloniati: gli arbitri decretano di mandare in esilio i Pitagorici, ©g év voîs 1Ov Kootoriatov drourijuaow» avayé- yoarta.. Perciò nuove leggi, popolari, si instaurano; ed ha luogo una spartizione delle terre, in conformità col desiderio onde già il primo tumulto, dopo Sibari distrutta, era mosso: ai td te yoéa daréxoypav zai tiv yijv avddaotov émoiNoar. Come ognun vede, Timeo, o sia che pur soltanto si ap- poggi sulla corrispondenza cronologica, o sia che a ciò s'induca con preciso apprezzamento dei fatti, o piuttosto anche obbe- disca ad una naturale e diffusa inclinazione della storiografia antica, certo finisce per assomigliare la prima alla seconda sommossa, quali entrambe determinate dall’azione dei Pitago- rici contro Sibari e quali entrambe consistenti nella caduta dell’oligarchia: crea, per conseguenza, un parallelismo che non piccolo impulso fu poi alla effettiva confusione dei compilatori, immedesimanti le due lontane vicende in una sola. Ma di questo suo schema le particolarità sono parecchie, le quali si prestano a dimostrazione non che a piena illustrazione. E sia la prova più tangibile. Apollonio in IamBL. $ 263, de- scrivendo l'intervenire degli Achei e il ritornare dei Pitagorici espulsi, non senza parole che sottolineino le espressioni stesse di Polibio, — wmerazeunduevor dè noeofevràg éÉ ‘Ayatas di ézeivov 006 toùs éxnentozitas dLeZ0INoav xaì tods (1) wgòs rods Koormwvidras pidiav cvvdénevoi xa4®g emoAirevovio ' cv- ornoduevor dè modirevna Onporgarizòv diedhov rodg moAdiras eùs déxa pvhds... LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 559 Boxovs eis Aedpoùs dvédnzav — coglie un elemento sostanziale della fonte. Dopo cacciati i Pitagorici da Crotone, dopo fon- data Turii, le fazioni erano ripullulate, pur in Turii, causa la varia provenienza dei popoli colonizzatori: gli originarii del- l’antica Sibari, dissidenti, si staccavano, costruendo una seconda Sibari; le parti rimaste dividevansi e contendevansi il dominio della città. E, quali fossero i principii in lotta, lo dice il fatto che da prima imperava la democrazia (Drop. XII 11, 3), di poi sovra- starono gli ottimati (ArIsror. Polit. V, 7 pp. 1307 a. 1307 d) (1). Per ricondurre la pace fu consultato l'oracolo di Delfi che alla questione della preminenza, circa il cvvorziouos, rispose: non spettare l'onore all'una più tosto che all’altra parte, sibbene ad Apollo: Drop. XII 35 (2). Cid avveniva, in conformità con quanto narra Diodoro (nè par improbabile ch'egli anche attinga dalle Storie del Nostro), nell’anno 4834/3, arconte, ad Atene, Cratete (3). Dunque, ecco la data da assegnare al ritorno dei Pitagorici espulsi, di perfetto accordo col contesto d’Apollonio secondo cui (tenendo conto delle due rivolte sovrapposte) un certo tempo intercedette fra la sedizione e il ritorno: quella nel 448-5, questo nel 434 circa. Fu — riferisce Apollonio — la sazietà dei persistenti conflitti a persuadere la conciliazione coi fuggiaschi. Per cui sembra ormai palese: che nel lavorio dei partiti, contendentisi il dominio di Turii, Timeo additava un altro riflesso della contrastata oligarchia pitagorica, il pro- pagarsi della medesima rivoluzione di Crotone agli altri centri: così come mostra intendere, da lui desumendo, Polibio nel proprio quadro compendioso (4). La pacificazione di Turii, in- (1) Sulla costituzione di Turii vedasi Busorr Griech. Gesch. Il 1, p. 533. (2) ... rOv Iovgiov rmeupartov eîgs AeApods toòds éreowrporovias tiva yo) tîîs n6hemws oixiotiv dyopesverv, 6 deòs Eyonoev abròv deîv ntiotgv vo- uiceodoi... al tò rAd05 TS otdoems amoAvdèv eis tv mo0bndogovoav duovorav aronateéoti. | (3) Su tali contingenze cfr. Busorr Griech. Geseh. INI 1, p. 587; BeLocn Griech. Gesch. 11 1° p. 202. Naturalmente va osservato che qui Diodoro non vede altra questione che quella isolata dello 0%x1077)5; però nota la con- cordia civile a questo fatto successa. (4) Un segno, ancora, affatto disperso trovo di ciò in TertuLL. Apolog. XLVI 13: Pythagoras apud Thurios, Zenon apud Prienenses tyrannidem © p e —_ Lalacù® > Sl 550 AUGUSTO ROSTAGNI culcata dall’oracolo di Delfi, si esplica, oltrechè per avventura sotto altri aspetti, nel richiamo dei Pitagorici esiliati. Tanto è vero, che Timeo persiste ad illuminare delle vi- cende successive quel lato ancora. L'indizio raccolse, per l’en- nesima volta, Apollonio presso IamBL. $ 264: i Pitagorici tor- nati a Crotone in breve aver saputo guadagnare il favore del popolo, comportandosi da prodi nella guerra con Turii: é&ufe- hovrov TOVv Bovgior zatà yogav éxBondboavras ai mer ah- lihov avòdvvevoartas darodaveîv. Parole di cui la critica non par essersi chiesto ragione: inesplicate : e inesplicabili fuori delle contingenze che tendiamo a ricostruire. Tornati a Crotone, nel 434 o giù di lì, 1 Pitagorici partecipano alla vita pubblica, e com- battono contro Turii, che, col cambiarsi del partito dirigente, è di bel nuovo la naturale nemica, essendosi a tal fine costi- tuite in lega e Crotone e Caulonia e Sibari: la lega di cui fu sopra discorso e con cui conchiude anche il compendio po- libiano. Tornati, dan prova del loro buon talento verso la folla: la quale per riconoscenza stabilisce che i pubblici sacrifici sieno fatti nel santuario stesso dei Pitagorici, nel Museo. Si illustrano in varie guise, Sin che vengono meno. A compiere la sua trattazione Timeo aggiunse, e in parte riepilogo, alcune notizie generali circa lo sviluppo dell'intera Scuola pitagorica, le date più importanti, la lista degli sco- larchi. È Apollonio che ce n’informa. concisamente, alla fine, presso lamBL. $ 265 seg. Qui egli ricorda essere Pitagora vissuto poco meno che centenario ed aver governato la Scuola trenta- nove anni (1). E qui pure prende ad enunciare una serie di yeveni. L'enumerazione, se per certi rispetti offre carattere sol- tanto estrinseco, mera tradizione da delineare e da porre a fianco alle altre, senza valore assoluto, tuttavia poggia su tali ardlfectant: dove i commentatori Rauschen e Waltzing vedono un errore, Turiji per Crotone, riferendosi a Larnr. Dioo. VII 1, 39 (il concetto della dominatio anche in Arxos. 1 40). Pur non è se non da supporre attribmto a Pitagora in persona, come di consueto, ciò ch'era proprio dei Pitagorici. (Quanto a Zenone questa è testimonianza isolata. (1) V. sopra. LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 561 rapporti storiografici i quali sono da avere in massima consi- derazione e dai quali trae novello vigore la nostra tesi (1). Al Maestro succede Aristeo, sebbene sia di poco poste- riore, anzi quasi coetaneo: trovasi di sette generazioni an- tecedente a Platone, cioè all’epoca in cui sono per fiorire gli ultimi Pitagorici: ‘Agroraîos Aauopòvros è Kooromdrns, zat aùròv IIvdayboav toîs godvors yevéuevos Erntà yeveaîs èy- vuota r0ò HMAdtovos. — Con ciò lo scrittore tien fronte al com- puto di Aristosseno il quale giunse sino a nove o dieci gene- razioni (ap. LarrT. Droe. VII, 1. 45) (2) e introduce un per- sonaggio che altri racconti, facendo tosto seguire a Pitagora il figlio, ignoravano (3). E sta bene. Ma un dubbio si offre alla nostra mente: come mai sette generazioni abbiano potuto trascorrere fra il succes- sore di Pitagora, che governò durante il secolo V già inoltrato, e, sia pure, la morte di Platone del 347: spazio di neanche un secolo e mezzo, nel quale gli antichi, soliti a computi fissi e certi di generazioni, non avrebbero trovato posto che per un novero di quattro o cinque al più (4). Dalla difficoltà non ci sì scioglie a bastanza con inchiudere la generazione stessa di Pitagora, contemporaneo, o quasi, al suo successore; e tanto meno è da supporre un errore paleografico ‘di cifra: poichè tutto ciò non sembra poi o giusto od opportuno quando altra tradizione, che arriva sino a nove 0 dieci yeveai, fa rinascere ad ogni modo il medesimo ostacolo (5) mostrando chiaro che uno speciale sistema, non quello additato, tenevano, qui, gli storici del Pitagoreismo. infatti, giova pensare: le sette genera- (1) ZeLLer 0. c. p. 342 (oltre che a p. 327, 1) respinge senza alcun ri- guardo l'esposizione di Apollonio, denoiando sconnessa e mal fida questa lista di Pitagorici contenuta “in dem verworrenen, kritiklos zusammege- lesenen Verzeichniss JAMBLICHS ,. (2) Inaccettabile la combinazione fatta da UxnGER l. c. p. 183 delle ge- nealogie di Apollonio con quelle d’Aristosseno. — Ricordo delle yeveai di Timeo conviene osservare nei saecula di Cicerone Tuscul. I 16, 38 multa sae- cula... viguit Pythagoreorum nomen e parim. Tim. 1. (3) Cfr. Uneer 1. e. pp. 174 sgg. (4) Così ebbe ad osservare anche Corser Coll. crit. p. 446. (5) Errato apparve perciò il computo al Bentley presso Unger 1. c. p. 183, 2. 562 AUGUSTO ROSTAGNI zioni esser determinate dal novero degli scolarcati, alla guisa che si usava talvolta nei computi delle dinastie regie (1) con l’effetto di una somma alquanto più considerevole e quale, certo, noi ci si attende, se i capiscuola salirono in carica già molto anziani, se Aristeo sopravvisse ben poco al Maestro, se altri — com'è il caso di Gartida — morì tosto. Senonchè, annoveriamo i diadochi della lista, Aristeo Mne- sarco Bulagora Gartida Aresa, e non veniamo a sette, neanche includendo, da ultimo, Diodoro d’Aspendo, il quale non fu sco- larca, ma pur rappresentava una nuova generazione di disce- poli. Perciò è forza ammettere la caduta di qualche nome, — per lo meno uno od anche due —: quale facilmente si spiega nel testo già sotto altri riguardi corrotto (2), e quale poi giova alla sostanza stessa della storia, in un punto dove sì fatta la- cuna aprasi opportuna e manifesta. Che è per apparire fra breve. Proseguiamo nell'esame del racconto. Aristeo, cui ormai vecchio r9e0Bviat@ Ovii, è affidata la direzione, ha per suc- cessore il figlio di Pitagora, Mnesarco (3); Mnesarco lascia erede Bulagora sotto il quale, una contingenza dolorosa sì svolge: used dv /'Aguoraîor] iyijoacdar Mwvioaggov tòv IHv- day600v, toòrov dè BovZaybog magadodvrar, ép'où dragrracdàva ovvé8ny t)v Koormviatòv m6div. Questo avvenimento, breve- mente e sintomaticamente richiamato, tale che, ove bene lo si identifichi, assume grande importanza. altro non è, per noi, se non la presa di Crotone ch’ebbe luogo dopo la battaglia del- l’Eleporo, intorno al 389-7, da parte di Dionisio il Vecchio. Il computo delle generazioni precedenti, Aristeo Mnesarco Bulagora, può bensì convenirvi senza stento, adattandosi allo spazio di un secolo dalla morte di Pitagora, ma se consideriamo che a punto Aristeo fu quasi coetaneo del Maestro, che appena Mnesarco come figlio ch'era rappresentava una nuova genera- zione rispetto a Pitagora, che Bulagora interruppe per la guerra (1) Vedi l'esempio di Hrkrop. I 7 addotto da Unaer 1. c. p. 183, 2. (2) E studiato, come tale, particolarmente da Coner Coll. crit. pp. 445-9. V. ad es. $ 266 11. 4-5. (3) Sul contrasto con altre tradizioni, che denominano Telauge il figlio successore di Pitagora, cfr. Consrr Coll. crit. p. 446; Unerr |. e. Pp. 170 SEg. LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 363 il suo scolarcato, crediamo giunta l'occasione per la lacuna di uno 0 due scolarchi, da interporre o fra Mnesarco e Bulagora o fra Bulagora stesso e Gartida (prima di ép°oò diagrracIQva... sì che non Bulagora stesso ma quest'altro scolarca abbia assi- stito alla presa della città). E certo, ottimamente si acconcia il computo delle yeveai successive. Perocchè Gartida, cui tocca occupare il posto lasciato libero dallo scolarca ép'oò diegra- ocdijvar cvvéBn tiv... T6ÀLv, muore ;quasi immediatamente, causa l’impressione tristissima subìta per la sventura della patria (1); e soltanto qualche tempo di poi, y06v@ puévtor ye doregov si procede alla nomina di Aresa, sotto il cui scolarcato viene in Italia Diodoro d’Aspendo, intorno al 350. Tanto è vera l’identificazione coi fatti di Dionisio il Vecchio da noi proposta che, anzitutto, essa elimina ogni difficoltà altri- menti inevitabile: gli studiosi di Pitagora hanno in mente — nè si comprende il perchè — la seconda sommossa, la quale pur non poteva denotarsi con parole accennanti alla presa e al sacco della città; sono costretti quindi a spostare di quasi un secolo — enorme inverisimiglianza! — la data di Diodoro d’Aspendo; suppongono — ben comodo sistema — grossolane trovate della fantasia d’Apolionio (2). Ma, quel ch'è più, otteniamo poi per la via segnalata un nuovo ordine di vicende da connettere con le fasi precedenti, e da darne luce non troppo discontinua alla storia, nebulosissima, degli ultimi Pitagorici. La lega di Crotone, Sibari, Caulonia che vedemmo for- marsi dopo il concordato del 434 e per la quale i Pitagorici comparvero nell’atto di combattere contro Turii, ha volto ben presto le sue energie, insieme con Regio e con altre città mi- nacciate, a fronteggiare da una parte la renetrazione dei Lucani, dall'altra la invadente tirannide di Dionisio. Così fece no- tare, da ultimo, Polibio stesso. Nel 887 dopo lunga guerra Regio cadeva, e cadevano Caulonia, Ipponio, le cui terre pas- (1) Il nome di l'agrsdas è probabilmente corrotto : efr. Naucx a q. l. (2) Vedansi tra gli altri Uneer ]. c. p. 185; ZeLLer o. c. p. 339; Coser Coll. crit. p. 445 — Conosciuto dal sillografo Timone e dal musico Stra- tonico, Diodoro d’Aspendo appartiene sicuramente alla metà del IV secolo. Nè si può scendere all’epoca di Tolemeo di Lago, come pretese col BenrLEY Itesp. ad. C. Boyl. p. 48 il Coser Coll. crit. p. 411: efr. Rope ]. e. p. 59. 564 AUGUSTO ROSTAGNI sarono ai Locresi fautori di Dionisio (1). Fu occupata anche Crotone (2). Non stupisce che i Pitagorici abbiano avuto giuoco in così fatto travolgimento: da Crotone, il caposcuola e i com- pagni son forzati ad allontanarsi, ed è esilio notevole: il suc- cessore (Gartida torna, perchè si trovava già ad essere discosto prima della guerra: é&rave496vta éx tijg armodnuias #)v Erow- cato 9ò toù moàéuov. Infatti narra la nostra fonte, Dionigi d'Alicarnasso, che la città rimase 12 anni in mano al nemico (3). A meglio sbozzare la situazione politica che Timeo ci ad- dita, nulla conviene quanto il parallelo di aleune frasi di Ari- stosseno, le quali, a lor volta, non essendo state peranco in- terpretate, dànno e ricevono conferma. Aristosseno presso IAMBL. $ 251, dopo narrato il prolungarsi delle lotte antipitagoriche e la seconda sedizione, aggiunge brevemente: oi dè Aorzroi tOYV Ivdayogsiov arngornoav js “IraZias nÀiv Aggbtov voò Tagav- tivov: ddgorodévies dè eis vò Pijytov éxeî diérgifov ner ARRnA0v < ngoibvtos dè toù yobvov xaìi tòOv moditevudt@v Eni tò yeîgov agofavoviov... ti Hoav dè oi omovdarstator Parviov te vai Eyexodtns ai IHokXiuvaoros ai Aroxkîjg DArtoroi, EevbgprA0g dè XNa7nideds tOV dò AOoguns [Xa4Zxidé®r]. Gl’inciampi che di consueto s'incontrano nel brano, le cor- rezioni di ‘AgzUtov in ’Agginzov, gli spostamenti di periodo (4) non hanno più ragion d'essere, prescindendo dall’inevitabile lacuna, quando vi si riconosca un accenno complessivo agli ul- timi Pitagorici: i quali finiron per spicearsi dall'Italia, tranne Avchita di Taranto, nel modo e per le ragioni seguenti: rac- colti in Regio, se ne stavano insieme, continuando il loro in- (1) Drop. XIV 106, 108-12. Cfr. Paus. VI 3, 11; De Sanctis Storia dei Rom. II p. 190; BeLoca Griech. Gesch. 11! pp. 167 sgg. (2) Liv. XXIV 3; Dionys. Hacic. XX 7. 3) Cfr. |. e. Il BeLocn Griech. Gesch. Il! p. 173 crede falsa la notizia ; d'altra parte sposta la data della presa di Crotone: ciò che non è giusti- ficato. Ora infatti Timeo, presso Giamblico, viene ad aggiungersi alla di- spersa notizia conservata da Dionigi d’Alicarnasso. (4) Cfr. Ronpe 1. c. p. 565, 1 il quale propose l'inversione comune» mente seguìta, anche dagli editori, per togliere, egli dice, il controsenso: che i Pitagorici, partiti d'Italia, trovinsi a Regio. Ne accettabile l'interpre- tazione di Unser |. e. p. 168. Ancor meno Corssex l. c. pp. 337-2, Buanert o, e. p. 252 si limita a parafrasare il passo. LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 565 stituto; peggiorate le condizioni politiche — e che altro è questo se non il ricordo della rovinata città? — non poteron rimanere, si dispersero (1). — Manca il compimento del pe- riodo; ma son fatti i nomi; le persone che Aristosseno stesso narrava di aver visto verso la metà del sec. IV : cfr. ap. LAERT. Dro. VIII 1, 46: reZevraîor yo éyévovio tòv Ivdayogeiar, os xa “AguoréEevog eide, EevogiAés Vò XaAnideds arnò Oodans zai Davtmv è DUdoros xaù Eyexodtns ai Arox4hijs xaè IIo- Abuvaotos, DAiidoror zai aùtoi. Non sarà vano osservare che Cice- rone commemora dimorante in Locri il medesimo Echecrate (2): in Locri cui era passata l’eredità di Regio distrutta. Sullo sfondo cospicuo determinato dagli avvenimenti del 390-87, se Aristosseno persegue uno speciale nucleo di Pitagorici da lui ancora conosciuti, non trascura Timeo di compiere le linee della propria rassegna. Aresa, l’ultimo scolarca, eletto dopo la guerra, è d'origine lucana (che di questo popolo esistessero Pi- tagorici dicono espressamente le fonti (3)), e, mentre i più hanno avuto a perire durante l'incursione nemica, egli è rimasto salvo grazie ad alcuni suoi ospiti in patria: poichè difatti non solo sì guerreggiava con Dionisio il Vecchio, ma anche coi Lucani: .. Agéoav tx tOv Asvxavòv c0dévta did tVvOVv Éévav dpnyi- oacdar ti og0àîs (4). (1) Con questa interpretazione si manifesta chiaramente il grave errore ch'è correggere Archita in Archippo. Archita appariva come uno degli ul- timi Pitagorici: ebbe parte notevolissima nelle vicende dell'invasione di Dionisio siracusano; e mentre questa invasione portava al disperdersi dei Pi- tagorici, egli Archita rimaneva, governando Taranto ed inaugurando una politica remissiva e conciliatrice dinanzi all'impero di Dionisio. Su Archita come uomo politico: BrLoca Griech. Gesch. Il! p. 174; WeLLuann “ PauLy- Wissowa , II coll. 599 sgg. (2) De finib. V 29 Cur... Tarentum ad Archytam [Plato peragravit]? cur ad reliquos Pythagoreos, Echecratem, Timaeum, Arionem Locros ? (3) lamer. $ 241; Porpa. 22; Laert. Dro. VIII 1, 14. L'interpretazione del passo qui sopra citato è stata variamente discussa: cfr. UnGER l. c. p. 182, 1. Mi par chiaro che “ éx 70v Aevxavor, dipenda &rò xovod e da codeévra e da ’Agéoav. (4) Contaminazione della seconda rivolta con questi ben diversi avve- nimenti è da vedere in PLur. De gen. Socr. 13; dove compare Filolao eis Aevravods pvyòv, e ricorda cioè il nostro Aresa; e compare poi come per- sonalità fra i Pitagorici spiccata un ”Agxeos che ricorda parimenti Aresa. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 37 566 AUGUSTO ROSTAGNI Ad Aresa viene Diodoro Aspendio, il filosofo cinieo del quale consta che nell'età immediatamente prealessandrina as- sorbì le teorie pitagoriche e le diffuse in Grecia: 790dg è» [Agéoar] apizéiodar Abdmgov tòv ’Aormévòror, dv ragadeg vat dà tv ondviv tOV Eév tbò ovorpuarn avdoòv : odbrog dè eis vv "Elidòa Enaverd®v diédboze vs Ivdayogsiovs povds. Era, tale incontro, uno tra i più tardi documenti della vi- talità dei Pitagorici: l’ultimo che la nostra fonte adduca, con- clusivo, e rispondente all'affermazione preliminare circa le sette generazioni e circa i tempi di Platone : rispondente al giudizio comune, raccolto da Diodoro XV 76, che intorno al 366, es- sendo sul fiore e Platone e Isocrate e altri eccellenti, fiorissero pure tOv IHvdayooiabv pirRoocdpov oi redevraîor. E qui, come a suggellare l’opera d'Apollonio o a por certo fermaglio alla collana man mano rinsaldata, nn frammento si annette, assicurandoci della provenienza dallo storico siciliano: fr. 80 Muell. = Arnen. IV 163 e: Tiuarog d'ò Tavoouevitnys év ti) évatn tOV “Iotogròv neoì abroò [Arodbg0v tod ‘Aomev- diov] yodper obtws: diodboov toù tÒ yévos “Aomerdiov vv #EnZAayuévnv eioayaybvios xaraoevi)v zai toîs IHvdayogetos mermAinorazévar 0000 dévtos... II. Con ordine e con compiutezza si lasciano cogliere, ora, le fila della narrazione di Timeo. Ad avviare il primo stame servono i fatti più significativi svoltisi nella Magna Grecia verso la metà del sec. VI, ciò sono lo sterminio di Siri e la battaglia del Sagra, onde spontanea- mente s'imponeva la disamina delle condizioni morali, intellet- tuali, civili. Le troppo floride città, proclivi al lusso e alla raf- finatezza, toccherebbero tosto inevitabile decadenza, se non L'identificazione di "Agé0as con “Agzxesros (e l'eventuale correzione da al- cuno proposta) diviene arbitraria, quando non s'intenda come effetto di con- taminazione, bensì volgasi, secondo i critici fanno, a determinare la data dell'Aresa di Giamblico: così, tra gli altri, Unegr 1. e. p. 185. LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 567 sopravvenisse a sollevarle, a rinsanguarle la propaganda dei Pitagorici, recante impulso alla vita politica ed etica. Filosofia questa maturata in Oriente. Pitagora nasce a Samo, intorno al 589, da un ricco negoziante, Demarato, e pro- fonda cultura attinge dall’ insegnamento de’ maggiori sapienti dell'età sua. Giovanissimo ancora, ai sintomi di quella che sarà la tirannide di Policrate, prevedendo ciò ch'è per avvenire e pre- sentendovi un ostacolo ai proprii studii abbandona la patria : si reca da Ferecide, da Anassimandro, da Talete, poi imprende grandi viaggi, visita l'Egitto, dove fa assai lunga e profittevole dimora, e la Babilonia, dove arricchisce il suo pensiero di co- noscenze astronomiche. Quando torna a Samo, Pitagora conta già 56 anni. Susseguono altre peregrinazioni a Creta, a Sparta col proposito di acquistar nozione delle leggi di Minosse e di Licurgo, a Delo, ove il filosofo suscita le meraviglie degli iso- lani per essersi inchinato soltanto all’altare di Apollo Genitore, come all'unico incruento. E, dopo breve esperienza, reso certo che le condizioni po- litiche di Samo non si confanno ai suoi intenti, Pitagora parte definitivamente alla volta della Magna Grecia cui lo attrae la fama e il lustro della civiltà ; e mette piede in Crotone, du- rante l’Olimpiade LXII, anno quarto, cioè nel 529. L'attività molteplice manifestasi soprattutto in salvare le popolazioni ita- liote dai pericoli che le minacciano: adduce la frugalità, la temperanza, il buon ordine. Con nuove leggi e norme sapienti. K l'insegnamento non disdegna la pratica della vita, nè è rivolto agli uomini soltanto, ma, parte a parte, e ai fanciulli e alle donne, stimolando i primi all’obbedienza e allo studio, le seconde alla pu- dicizia, alla pietà, alla riverenza verso i mariti. Pitagora in persona si recava alla palestra, ove convenivano i giovani: li traeva a sè, li educava al bene, i genitori vivamente pregandolo di così fare. Alle donne insegnava essere propria del loro sesso la pietà re- ligiosa, l’edoéfera: e portava a prova le denominazioni che per ciascuna delle loro età aveva ad esse serbato chi, o dio o dé- mone od uomo divino, creò per primo il linguaggio : denomi- nazioni sinonime con quelle dei Numi: Cora la fanciulla, Ninfa la sposa, Metere la madre, Maia in Dorico l’avola. Di che i frutti erano palesi: basti ricordare la rinuncia che le donne crotoniati fecero dei loro ornamenti e delle vesti preziose al Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. SI 568 AUGUSTO ROSTAGNI tempio di Era; gli esempii di virtù che rifulsero nella famiglia stessa di Pitagora, la figliuola prescelta, fanciulla, a guidar il coro dello fanciulle, donna, delle donne; onde i Metapontini eres- sero poi a tempio di Demetra la casa del filosofo e Museo chia- marono il vicolo attiguo. Viene costituendosi, frattanto, la Scuola vera e propria dei Pitagorici. Alla quale non è ammesso se non chi abbia dato sicura prova delle proprie inclinazioni dei costumi delle consue- tudini; poichè il Maestro su ognuno che si presenti esercita un severo esame, e sono pratiche ardue ed obblighi singolari, dai quali emerga il carattere individuale. Approvato in questo primo esame, il novizio ha da far saggio di costanza e di risolutezza d'intenti, sottostando con pace all'abbandono cui gli altri lo la- scino per un periodo di tre anni. Poi sono cinque anni, durante i quali conserva il silenzio, non partecipa alle discussioni, ode la voce del Maestro pur rimanendo escluso ancora dalla vista: ed ottempera al dovere più notevole, ch'è di far comunanza dei suoi beni, con affidarli ad alcuni compagni denominati per tale officio “ gli amministratori , : :so4Zirxoi oppure oizorosuroi 0 infine anche vouoderixoi. Questa la norma essenziale. Onde al- lora per la prima volta ebbe a diffondersi nella Magna Grecia il motto famoso xorà tà piZmr. — Trascorsi i cinque anni, chi sia respinto si vede restituire duplicati i suoi beni: però nella Scuola gli erigono come una tomba, monumento il quale segni la morte spirituale dell'adepto; i rimasti divengono discepoli veri e proprii col nome di éomregixoi, entrano alla presenza del Maestro, prendono parte attiva agli interessi del sodalizio, Pitagorici soltanto questi che dirigono e ai quali incombe l’ob- bligo della comunanza di beni; Pitagoristi gli altri che assecon- dano, ma non governano, esenti da sì fatta legge. Ma questa tendenza di estrema selezione nonchè di pra- tiche singolari, diede alla Scuola un carattere ed un potere ari- stocratico, tale che irritava la folla dei popolari. Erano non più che trecento, gli oligarchi della città, e tenevano nelle loro mani il governo : provenuti dalle migliori famiglie, ed ora stretti come da un sacro patto religioso, avvezzi a primeggiare nella vita pri- vata e nella vita pubblica, sovrastavano ai rimanenti cittadini, Nè senza che il loro dominio apparisse più odioso per i vincoli e i costumi dell'iniziazione mistica, per le tendenze auliche LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 569 della setta. Perciò grande malcontento serpeggiava fra i demo- cratici; e proruppe in rivoluzione successivamente alla caduta di Sibari. Telys, fattosi tiranno in Sibari, ha espulso gli oligarchi sibariti, i quali cercano rifugio in Crotone, e, a malgrado del popolo, su consiglio di Pitagora e dei Pitagorici, rappresentanti l’identico indirizzo politico, vi sono accolti, in guisa da suscitare la guerra. Sibari cade, con un esercito di 300.000 combattenti scon- fitto presso il fiume Traeis. I Pitagorici trionfano ; ma, di contro alla cresciuta loro autorità, più vivo urge l'attrito dei demo- cratici, togliendo pretesto dalla negata spartizione delle nuove terre al popolo. Accusano la Scuola, denotandola — essa che co- stituiva e avvalorava in forme d’indole mistica, nel fascio delle energie santamente coalizzate, le tradizioni dell’aristocrazia — quasi una congiura fatta a danno dei più. Pitagora fra tali con- trasti si allontana, nel 509, dopo che da vent'anni dimorava in Crotone ; e passa a Metaponto, l’ultimo soggiorno, centro alla sua attività per altri diciannove anni. A_Metaponto, infatti, egli ebbe a dare altre prove di virtù e di beneficenza; nè pochi sono i ricordi che ivi lo commemorano: della casa in cui era abitato i cittadini crearono un tempio a Demetra, e Museo denomina- rono il vicolo contiguo. Moriva intorno al 490. Non molto tempo appresso fanno menzione di lui e Senofane ed Eraclito. Del quale ultimo, anzi, vanno refutate le violente ed ingiuriose pa- role; poichè, s'egli condanna Pitagora quale introduttore delle ‘arti retoriche’, Pitagora non fu nulla di tale, e le ‘ arti’ vere e proprie ebbero altra origine, più tarda, per opera di Gorgia da Leontini; e se pur, semplicemente, mira a porne in dubbio la serietà della dottrina, è da sapere che il ciarlatano e l’acciar- pone è lui, Eraclito, non Pitagora. Infatti nella Scuola del filo- sofo samio la scienza non usciva dall’àmbito degli iniziati, nè potevasi propalarla, nè scriverne: onde Empedocle non fu più ammesso alle discussioni, il giorno ch’ebbe a trasgredire questo dovere, con frodare i segreti dettami. Partito il Maestro, la rivoluzione era frattanto scoppiata a Crotone, parte mettendo a morte, parte cacciando i Pitagorici. E pur ess’era prematura. Come di consueto, un tiranno, Olinia, profittava del disordine e della inettitudine popolare, trovando 570 AUGUSTO ROSTAGNI opportunità di facilmente imporsi (1). E Clinia ebbe nelle mani la città. Se non che la tirannide, così d'improvviso instaurata, diede luogo alla reazione e, per conseguenza, al sopravvento dei Pitagorici oligarchi. I quali ricuperano il comando dello stato ; e rimangono, finchè col tempo la parte democratica non prenda nuovo sviluppo. Ed è allora una sedizione più grave; da Crotone divampa ai sinedrii degli oligarchi nelle varie città della Magna Grecia. Come gioverà esporre, di seguito. Nel 448 i capi Crotoniati violentemente hanno impedito ai profughi dell'antica Sibari di ricostrurre Ja città, per essi medesimi distrutta; ciò provoca, alla stessa guisa che l’altra volta, conflitti interni quali da lungo covavano, e l'incendio della casa di Mi- lone, la casa in cui stanno radunati i Pitagorici : e ben sessanta periscono; i rimanenti son perseguitati, non trovano scampo. A ricondurre l'ordine giunge l’arbitrato dei Tarantini dei Me- tapontini dei Cauloniati, che decretano l'esilio dei Pitagorici e una nuova costituzione con base popolare e una nuova distri- buzione di terre. Il governo dunque appartiene al popolo. Perciò nel 445 col concorso degli Achei e di altre genti, sorge la con- trastata città, Turi; la quale, retta anch'essa a democrazia, gode da prima, e naturalmente, del favore di Crotone. Ma la reazione degli oligarchi, da per tutto fortissima, s'appunta pur in Turii. Ed è merito degli Achei colonizzatori di ricondurre la concordia, facendo richiamare e in Crotone e nelle varie città della Magna Grecia i Pitagorici. Con arbitrato dell'oracolo di Delfi, nel 434/3 (arconte, ad Atene, Cratete) i Pitagorici ritornano. E qui una nuova situazione si disegna. Ritornati, godono ormai il favore della folla stanca di discordie intestine; così, proseguendo nella loro via, conducono notevoli imprese; si vol- gono contro Turii, che dopo il passeggiero disordine dei partiti viene ad essere di nuovo la naturale nemica di Crotone; anzi, con l'impulso ancor sempre degli Achei, costituiscono un'appo- sita confederazione, Crotone, Sibari, Caulonia. E la confedera- (1) Naturalmente la data 509 è, per Timeo, data della partenza di Pi- tagora, soltanto. La rivoluzione è posteriore, non di molto se allo storico importi spiegarne i falliti resultati. e ERBA 0 - VE ST 4 LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 571 zione, col procedere degli anni, si trova occupata in più gravi difficoltà, stretta per un lato dai Lucani invasori, per l’altro dalla tirannide di Dionisio il Vecchio. I Pitagorici, i quali, come ottimati, sono a capo del governo, rappresentano ora, sotto un certo aspetto, la resistenza delle città italiote d’innanzi alla doppia penetrazione nemica: ed in questo orizzonte essi com- paiono decisamente, sentendone profondo influsso le sorti della Scuola. Poichè, quando, dopo la battaglia dell’Eleporo, intorno al 388, Ipponio Caulonia Regio ed altri centri vengono in potere dell’invasore, i Pitagorici sono costretti, di nuovo, a disperdersi. A Crotone, infatti, caduta dopo viva resistenza la città, non poteron restare e il caposcuola stesso scampava a stento. Per parecchi anni, i sopravvissuti non si radunarono; nè, dopo quella sventura, fu più raggiunta la grandezza di prima. Le vi- cende della Scuola si chiudono. E di essa qui giova esporre brevemente la successione. — Pitagora era vissuto novantanove anni e, di questi, trentanove aveva diretto la Scuola. Gli tenne dietro Aristeo, già vecchio e poco meno che suo coetaneo: era infatti di sette generazioni anteriore agli ultimi Pitagorici, conosciuti da Platone. Morendo, Aristeo lasciava successore il figlio del Maestro, Mnesarco : a Mnesarco successe ...Bulagora... sotto il quale avvenne la presa di Crotone per parte di Dionisio il Vecchio; pci Gartida, che, essendo lontano già prima della guerra e tornando poi, muore per la dolorosa impressione del disastro toccato alla patria; poi, dopo un certo tempo, Aresa, che riesce a tornare perchè ha trovato tra i Lucani, suoi connazionali, degli ospiti i quali lo salvarono. K così termina la serie; gli è ad Aresa che viene Diodoro d’Aspendo, il filosofo destinato a propagare in Grecia, con immi- stione di elementi cinici, i ricordi degli ultimi Pitagorici. Questo vasto congegno di esposizione storica, nel quale il primo spunto, ch'era l'influenza di Pitagora sul terreno della Magna Grecia, condusse ad esaminare compiutamente e la vita 572 AUGUSTO ROSTAGNI di Pitagora e le vicende successive della Scuola — questo con- gegno offre un'idea non disforme, dei procedimenti narrativi da Timeo seguiti. Ed occupa nelle Storie del nostro scrittore un posto ben determinato (1). Poichè, alcuni frammenti che siam venuti qua e là ordi- nando, e che sembrano bene rientrare nella sostanza del rac- conto, dai compilatori sono citati come spettanti al libro nono : e la doxsuacia cui il Maestro sottoponeva i giovani desiderosi di essere aggregati alla sua disciplina, e la comunanza de’ beni (PHoT. Lex. e. 129 = fr. 77 Mueller e Scmor. Plat. Phaedr. 279 e (2)); e l'espulsione di Empedocle dalla Scuola, espulsione ivi ram- mentata a fine di comprovare, in contrasto con Eraclito, le ten- denze austere dell'insegnamento pitagorico (LArrt. Droe. VIII 2. 54 = fr. 81 Muell.); e la venuta di Diodoro Aspendio, filosofo ci- nico, presso gli ultimi Pitagorici e sotto l’ultimo scolarca, Aresa (ArHen. IV 163 = fr. 80 Muell.). Con che, del racconto si con- trassegnano, in pari tempo, alcuni punti, alcune membra dispa- rate e, quasi a dire, le estremità: non una sezione soltanto, sì che le sezioni rimanenti possano appartenere, col procedere di tutta l’opera storica cronologicamente suddivisa, ai libri sue- cessivi; ma nel libro nono davvero s’incardina anche l’ultimo documento delle vicende pitagoriche, la venuta di Diodoro d'Aspendo (3). Nè rimane per altro a dubitare. Una citazione divergente che in Laert. Dio. VII 1, 11 assegna al libro decimo il di- scorso del filosofo sopra i nomi di Core, Ninfe, Metere, se non è tale da far difficoltà in quanto e nel libro immediatamente sue- cessivo e poi ancora potè tornare parola di Pitagora, tuttavia (1) Per la struttura dell'opera di Timeo è da vedere particolarmente BeLocn Die Oekonomie der Gesch. d. Tim. * Jahrbb. f. cl. Phil., 1881 pa- gine 697 sgg. Inoltre: Korne Zur Oekon. d. Hist. d. Tim. ibid. 1883 pp. 809-183: Scuwantz Timaeos Geschichtswerk * Hermes, XXXIV (1899) pp. 481 sgg. (2) Il testo dello scoliaste platonico legge év £'; ma il riscontro col luogo di Fozio rende certa la correzione proposta da Korne De Tim. vita p. 35: év 8. (3) Che nellibro IX fosse narrata tutta la storia di Pitagora mì sembra la conclusione migliore, se pure contraddice a quanto Berocn art. cit. p. 699 espone circa l'ordine cronologico delle "Zorogiu. LE VICENDE DELLA SCUOLA PITAGORICA SECONDO TIMEO 575 va preso più tosto come un errore, una svista della fonte: in- fatti quell’asserto stava nella lunga e congrua esposizione degli ammaestramenti impartiti alle donne. Del libro nono questo era, perciò, il contenuto sostanziale inteso ad illuminare largamente nel fenomeno del Pitagoreismo le condizioni civili degli Italioti. Così gli statuti e le leggi delle varie città; così, ad esempio, una disamina dell’antica costituzione di Locri, con principii di polemica contro Aristotele e con negata l’esistenza di Zaleuco, il mitico legislatore che di consueto facevasi dipendere da Pitagora (ArHEN. VI p. 264 c; Rave. XII 5, è, PI, 12, 245Cionz. De leg. Il 60= ter: 67-72 Muell.) (1). E la storia dì Pitagora, proseguìta per tutta la sua esten- sione, a mo’ di ereursus, oltre i normali limiti cronologici del libro nono, si allacciava da un lato agli avvenimenti di Sicilia e di Magna Grecia esposti nei libri settimo ed ottavo, dall’altro, con ricordare la invasione di Dionisio il Vecchio, riapriva lo studio della tirannide siracusana (fr. 85 Muell.). i Per la ricchezza e compattezza del suo racconto, Timeo ebbe un'efficacia profonda sulla posteriore tradizione di storia pitagorica. E ciò si rivelò a sufficienza. L’opera di Giamblico che per le sue parti sostanziali dalla critica moderna era la- sciata quasi assolutamente da banda, viene ora fuori informata in massima, attraverso la fonte intermedia del reietto Apollonio tianèo, a molti e molti elementi dello storico siracusano. Ma quel che più importa, la conoscenza di Pitagora e dei Pi- tagorici offerta da Timeo, si fa essa stessa oggetto prezioso di studio, a denotare le tendenze dello scrittore, ad avviare non indifferentemente una visione storica migliore e più compiuta. I caratteri suoi appaiono chiari. Se le altre fonti in genere (1) Per la dipendenza da Pitagora: Drop. XII 19-20; Laert. Dios. VIII 1, 16; Porpu. 21; Iampr. $ 104 e passim. 574 AUGUSTO ROSTAGNI — LE VICENDE DELLA SCUOLA, ECC. si tengono dall’addurre rapporti e nessi di fatti, se mancano di induzioni storiografiche, Timeo, non senza assecondare il natu- rale razionalismo del suo pensiero, getta la narrazione sullo sfondo delle vicende politiche, illuminando con essa e percor- rendo la storia della Magna Grecia durante tutto questo ampio periodo: e sono, nella narrazione così proiettata e trascorsa, per lungo ordine di tempi, in supremo rilievo, tre momenti es- senziali collegati il primo con lo sterminio di Sibari, il secondo con la fondazione di Turii, l’ultimo con le guerre di Dionisio il Vecchio. L’ Accademico Segretario — R. RENIER. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Febbraio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANDREA NACCARI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci SaLvapori, Peano, GUARESCHI, FILETI, Parona, MaTtTtIRoLo, Grassi, Fusari, BaLBIANO e SEGRE, Segre- tario. — Scusano l’assenza il Vice-Presidente CamEeRANO ed il Socio GUIDI. È letto e approvato il verbale della precedente adunanza. Il Socio GuaRrEscHI offre in omaggio tre opuscoli contenenti le traduzioni fatte nella “ Zeitschrift fiir analytische Chemie , di tre sue Note sul bromo comparse nei volumi 47 e 48 degli Atti; ed il Socio GrassI offre similmente una sua Nota stam- pata: Impressioni e desideri di un vecchio insegnante di elet- trotecnica. Jl Socio Prano presenta, per l'inserzione negli Atti, uno scritto di M. Borrasso, Sopra alcune estensioni dei teoremi di Guldino; ed il Socio MartIRoLo, per i volumi delle Memorie : La * Flora Sardoa , di Michele Antonio Plazza di Villafranca, redatta con î suoi manoscritti dal Dott. AcHILLE TERRACCIANO. Vengono incaricati di riferite su questa Memoria i Soci PARONA e MaTTIROLO. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 38 576 MATTEO BOTTASSO LETTURE Sopra alcune estensioni dei teoremi di Guldino. Nota di MATTEO BOTTASSO Il BarpeLLi (*) ha determinato in modo elementare l’area’ coperta da un qualsivoglia arco di linea piana che si muove rigidamente, nel proprio piano, con una determinata legge. Il problema analogo nello spazio è stato trattato dal Kormes (**). che ha espresso il volume generato da un diaframma qualsiasi condotto per un contorno chiuso invariabile, al quale sia stato impresso un arbitrario moto di corpo rigido. In questo Lavoro, per mezzo del calcolo vettoriale, è sta- bilita dapprima (n° 1) sotto forma assoluta l’espressione del- l’avea generata da un arco di linea piana, area eguale (come già dimostrò il BaRDELLI) a quella descritta dalla corda che sottende l'arco; ed inoltre l’area descritta nel piano da un seg- mento comunque variabile. Si trova poi (n° 4) una espressione analoga -— che ritengo pure nuova — per il volume generato (*) G. Barpecri, Sull’area descritta da una linea invariabile che si muove * in un piano con una determinata legge, © Rend. R. Istit. Lombardo ,, (2%), 12, 1879, pp. 290.98. Cfr. G. Vivanti, Commemorazione del M. E. Prof. Com- mendatore Giuserre BarpeLLi, “ Rend. R. Ist. Lomb.,, (2), 46. Questioni affini erano state trattate da V. Liouine, Sur les aires des trajectoires dé- crites dans le mouvement plan d'une figure de forme invariable, * Bulletin des Sciences Math. et Astron. ,, 1878, 1° partie, pp. 306-333 e da G. DarBoux, Sur le mouvement d'une figure invariable: propriétés relatives aua aires, aux ares des courbes décrites et aux volumes des surfaces trajectoires, * Ibidem ,, pp. 333-356. Il primo ha considerato nel piano l'area racchiusa da una roulette, cioè dalla curva generata dal moto di un punto invariabilmente collegato ad una curva chiusa convessa che rotola sopra un'altra curva chiusa convessa fissata. Il secondo tratta in modo più ampio tale questione e le analoghe nello spazio. (**) G. Koexras, Sur Za détermination générale du volume engendré par un contour fermé gauche ou plan dans un mouvement quelconque, “ Journal de Mathématiques pures et appliquses ,, (4°), 5, 1889, pp. 321-343. ——6m____—_—_T——’—@—————_ nor SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 577 da una parte qualsiasi di piano limitata da una linea chiusa, che si muove nello spazio deformandosi comunque (con conti- nuità), pur restando sempre piana; e ciò dopo un opportuno lemma (n° 3) sulla derivazione di integrali superficiali. Nel n° 5 si è ottenuta, con procedimento analogo, un’esten- sione del teorema di GuLpino per le aree generate da un arco di curva piana, nell’ipotesi che l’arco si deformi muovendosi col proprio piano. Nel n° 6 si ottiene una notevole e semplice espressione del volume generato da un diaframma limitato da un contorno (piano o gobbo) qualsiasi, nell’ipotesi che tanto il contorno quanto il diaframma muovendosi si deformino, in modo che la velocità d’un punto qualunque sia esprimibile come il rotazio- nale (le rotationnel o le tourbillon) d'un vettore (*). Tale condi- zione è soddisfatta, in particolare, se il contorno col suo dia- framma si muove rigidamente; ma esistono moti più generali, come si è mostrato nel n° 7, che soddisfano alla medesima con- dizione. Per i moti rigidi si è ottenuta, nel n° 8, sotto forma as- soluta ed espressiva la formula fondamentale del KoENIGs, mo- strando come da essa si deducano più semplicemente tutte le proprietà stabilite dal KoenIes stesso. In particolare, la nostra formula (19) ha permesso di dedurre facilmente il teorema di GuLpiNno sui volumi di rotazione e le sue estensioni ai volumi generati da una qualsiasi superficie limitata, piana o gobba, in rotazioni intorno ad un asse arbitrario, e di enunciare in forma semplice i risultati ottenuti. Con un esempio relativo alla finestra di Viviani si è mo- strato infine, nel n° 12, come si possano ottenere senza diffi- coltà il vettore areolare ed il vettore che ho chiamato di pseudo- inerzia rispetto ad un punto, relativi ad un dato contorno, con i quali è possibile esprimere subito il volume generato da un qualsiasi diaframma, passante per il contorno stesso, in un moto rigido arbitrario. (*) V., per es., C. Burari-Formi et R. MarcoLonco, Analyse vectorielle gé- nérale, t. I, Transformations linéaires (Pavie, Mattei & C., 1912), p. 70. Nel seguito indicheremo, per brevità, quest'opera con Transf. lin. 578 MATTEO BOTTASSO Area generata da un arco di linea, che si muove in un piano. 1. — Sia P(w,t) un punto, funzione continua insieme alle sue due prime derivate delle variabili w,t, posto in un dato piano IT in guisa che, per # fisso, al variare di « da vo ad % il punto P descriva in IT un arco d'’estremi P(wvo,t) = Po, P(u,,t) = P,. La forma di questo arco risulterà invariabile, cambiando #, quando si abbia (*): dp 7 (1) de wi(P= 0), dt essendo w — velocità istantanea di rotazione — un numero fun- zione di t soltanto, è l'operatore che applicato ai vettori paral- leli a TT li fa ruotare (in un senso determinato) d'un angolo retto, e C un punto — centro istantaneo di rotazione — di TT, funzione soltanto di #. st e L'area descritta dall'arco P Pi in un dato intervallo #7% del tempo # è (**): | - ti (wu dP ta. dp di" h ui dp S=[ [MIX La dudt=— [{wdt["{P_0X SE du. Ora, essendo C funzione della sola #, si ha: fun dp (un d(P_C)? 1 x | (P_0)X Ss iu=|. — du = o (Pi —CP—t ee e quindi: gueroi fw (e; - P)X(P,— C+ P— C)dt, tu) (*) C. Burari-Forri et R. MarcoLonGo, Eléments de Caleul Vectoriel avec de nombreuses applications à la Géométrie, à la Mécanique et à la Physique Mathématique. ÈA. frang. traduite de l’ital. et augmentée d'un supplément par S. Larrés (Paris, Hermann, 1910), p. 128. (**) V., per es., OC. Burani-Forti, Corso di Geometria analitico. proiettiva per gli allievi della R. Accademia militare (Torino, G. B. Petrini, 1912), p. 259. SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 579 e, per la (1): bf .(dP, dp, (2) S=3|(- Xi +) a, che è pure l’area descritta dal segmento di estremi P, P, (*). Si è così dimostrato in modo rigoroso (Cfr. BARDELLI, loc. cit., p. 292) che l’area generata da un arco di curva di forma inva- riabile, che si muove in un piano di moto arbitrario, è sempre eguale all'area «descritta dalla corda che sottende l'arco. È da notarsi che questa proprietà, geometricamente intui- tiva (**), vale senza alcuna restrizione tanto per l’arco di curva considerato, che può per es. essere intrecciato, quanto per il moto, nel quale le traiettorie dei varî punti dell'arco possono (in parte) sovrapporsi. Basterà convenire, com’è indicato dal- l'espressione di .S, di assuniere come positivo o negativo ogni elemento d’area descritta da un elemento ds dell'arco a seconda che per portare a coincidere il vettore unitario parallelo alla tangente all’arco, nel senso delle «w crescenti, con il vettore unitario parallelo alla traiettoria nel senso delle t crescenti, occorre una rotazione — minore d’un angolo piatto — positiva o negativa. 2. —- Se due punti P, Q funzioni di # variano in un piano, l'elemento di area descritta dal segmento PQ, è eguale al mo- dulo del bivettore: (0 PiSTe = (gr Pad essendo G il punto medio del detto segmento PQ (***); per cui (*) C. Burari-FortI, Corso ecc. cit., p. 259. (*#*) Tale proprietà è anzi evidente geometricamente, quando si tratti di archi non intrecciati e non avvengano sovrapposizioni nel moto; infatti, tutto si riduce allora ad aggiungere o togliere l’area compresa fra l'arco e la corda. (*#*) V., p. es., G. Peano, Lezioni di analisi infinitesimale (Torino, Cande- letti, 1893), t. II, $ 394, p. 225. 580 MATTEO BOTTASSO l'area descritta dal segmento PQ comunque variabile nel piano nell'intervallo to t1, è: mod NC —.P)dG,. ‘od'anche; [ NC — P)X id@. Cioè: Se un segmento si muove e varia comunque in un piano, l'elemento di area da esso descritto è eguale al prodotto della lun- ghezza del segmento per la proiezione, sulla normale a quest'ul- timo, dello spostamento subito dal suo baricentro. Ora, una proprietà affatto analoga sussiste per il volume descritto da una parte finita di piano comunque variabile e mobile nello spazio, com’è dimostrato nel n° 4. Occorre però premettere un teorema, che possiamo mettere sotto la forma generale enunciata nel n° seguente; tale teorema si può riguar- dare come estensione, agli integrali superficiali di formazioni geometriche, del noto teorema relativo alla derivazione d’un integrale. Volume generato da una superficie piana che si muove deformandosi, ma conservandosi piana. 3. — Si abbia una superficie limitata mobile, d’area 0, funzione della variabile # e sia P(«,v,#) un punto generico di tale superficie, funzione delle tre variabili w,v,#, in guisa che assegnato un valore a # per un <=, vv == ti SÌ otten- gano tutti i punti della superficie corrispondenti a quel valore. Sia poi p(P) una F,, per »= 1, 2,3, 4 (cioè una formazione geo- metrica di GrassMaNnN-PrANO di specie r (*)), funzione del punto /° variabile sulla superficie e 9 (1) una F, (r= 1, 2,3,4) funzione soltanto della variabile t. Si ha il (*) V., p. es., C. Burari-Forri, Corso di Geometria ecc. cit., Cup. I,$le Cap. IV, $ 1. SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 581 TroREMA. — Per ogni valore di t per cui è da 0 è de- terminata una ed una sola F,, che diremo po, funzione di t sol- tanto, tale che: ; d «Le dp do @) d | pdo=| Ldo+ Tp, 7 Ò (p9) d (4) . Perciò, se 2 è un vettore unitario normale a questo piano, sì ha: [EXE di). do =0.n XK dG ; e poichè il primo membro dell’eguaglianza ultima esprime l’ele- dad 7A mento di volume = dt generato da X nel tempo dt, essendo . dP 2 E ovviamente do . n X = & il volume elementare generato in tale tempo infinitesimo dall’elemento do di 2, risulta dimostrato il teorema, cioè è: (8) dV,=:G..nm_XK.dG. Osservazione 1°. — La proprietà ora dimostrata si può ottenere in modo più rapido e semplice, senza il lemma del n° 3, quaudo la superficie X mantiene invariata col tempo la sua area 6 (cioè il numero che esprime la misura di %). 584 MATTEO BOTTASSO Infatti, nell'ipotesi di o indipendente da t, differenziando la (6) rispetto a f, si ha: | dP.do=0dG; è dalla quale, per essere 22 indipendente da Z, segue: 0 Vv AP.ido Ural Perciò, sostituendo nell'espressione dell'elemento di volume dV generato da X: Wa [n Xx dP.do, s'ottiene senz'altro la (8). Osservazione 2°. — Il teorema nostro, cioè la (8), permette di dedurre immediatamente: a) il teorema di GuLpino sui volumi (Cfr. n° 9); fio + . 5) la nota formula | '‘odx per calcolare il volume di uno 0 spazio chiuso, la cui sezione generica con un piano normale ed una direzione fissata è 0, mentre è dx l'altezza d’uno strato in- finitesimo compreso fra due di tali sezioni successive; ecc. Area generata da un arco di linea in un moto arbitrario. 5. — Dal lemma del n° 3 relativo ad un arco qualsiasi di lunghezza s (n° 3, Oss. 1*), di baricentro G, e posto in un piano la cui normale è parallela al vettore unitario », si de- duce subito la relazione, analoga alla (7): LEA ( dP dG ds ) (1) larb=sat a (0 Bò), ove il vettore G — P, è parallelo al piano dell'arco. Supposto dp : Pesi ri complanare con i due vettori unitari e fra allora il vettore de e 0° Ire SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 585 SIIP ’ loro ortogonali —, ed », l’area elementare (C. BuraLi-FortI, ds A pio d.P 0 Corso ecc., cit., p. 258) dt mod Fari SA ds, generata dal nostro arco piano mobile nell’intervallo di, può esprimersi per la (7’) così: (9) de( mX dPas=s.mXKdG; cioè: Se un arco di curva piana, pur restando sempre tale, si muove deformandosi in guisa che il piano dello spostamento infinitesimo d'un suo punto generico e della tangente all'arco in quel punto risulti sempre normale al piano dell'arco, l'elemento di area gene- rata dal detto arco è eguale al prodotto della sua lunghezza per la proiezione dello spostamento del suo baricentro sulla normale al piano a cui esso appartiene. Se una superficie è generata da una linea piana, la quale muovendosi e deformandosi soddisfa sempre ed in ogni suo punto alla condizione enunciata, il piano tangente in qualsivoglia punto della superficie risulta normale al piano della linea genera- trice, cioè questa sarà una linea di curvatura della superficie. Inversamente, il teorema enunciato offre un modo gene- rale per calcolare l’area d'una superficie, la quale abbia come un sistema di linee di curvatura delle linee piane; ad es., una qualsiasi porzione finita di una superficie cilindrica, o di una superficie di rotazione. Si deduce subito, in particolare, il teorema di GuLpino sull’area generata da un arco piano in una rotazione intorno ad un asse del suo piano. Volume generato da un diaframma limitato da un contorno chiuso qualsiasi in un moto arbitrario. 6. — Sia X un diaframma, limitato da un contorno chiuso arbitrario s, e si voglia considerare il volume V generato da È, che si muove deformandosi insieme ad s, in un intervallo tot del tempo #. 586 MATTEO BOTTASSO Il punto generico P(«, v, t) di X risulta funzione di tre va- riabili w, v,t in guisa che, in un istante assegnato t, variando u,v, si hanno tutti i punti del diaframma nella posizione da. questo assunta in quell’istante; ed il volume V è espresso dal- l'integrale triplo (*): r=d e{(3È du As dv Ai dt aci de. Indicando nel punto generico P di X con do l'elemento di superficie, e con # un vettore unitario parallelo alla normale a X, si ha: d à dP P dudv=n d0, du dv e quindi: ì: lai | SE (10) v= [af mx do Se ora ammettiamo che la legge, secondo cui X ed il suo contorno s si muovono deformandosi nello spazio, sia tale che: 0P (11) divp di di ossia (Transf. lin., p. 133 [1], |1']), che esista un vettore u fun- zione di P e di t, tale che: > Fe rotpt, (12) sostituendo nella (10) e ricordando il teorema di Strokes (**), si ha subito, per il volume V generato da X, la semplice espressione seguente ; (13) va=[la fu X dp. (*) V., per es., C. Buravi-Forrt, Corso ecc., cit., p. 261. (**) C. Burari-Forri et R. Marcoronao, Hl6ments ece., cit., p. 111, op- pure: Transf. lin., p. 117 [1]. SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 587 Osserviamo che la (11) è verificata, e quindi sussiste la (13) nel caso d'un qualsiasi moto rigido. Infatti, indicando allora con O un punto invariabilmente legato a Z, si ha (*): (14) sia Ss 49 NP-9), essendo 2 un vettore determinato il quale, al pari di O, è funzione della sola t, per cui è (Transf. lin., p. 70 [2], [1). p. 81 [3)): MPS | dei 10 21, divp- cha (P_ 0) X rotpQ2—Q X rotp(P_ 0), dalla quale per essere rotp(P— 0)=0, ed inoltre si == rotp2 = 0, poichè tanto O quanto 2 sono indipendenti da P, segue subito la (11). Ed allora risulta in particolare (Cfr. KoeNIGs, loc. cit., $ 1) che: nel moto rigido il volume V generato dal diaframma X è in- dipendente dal diaframma (**), poichè dipende esclusivamente dal contorno S di >. 7. — Sarebbe interessante studiare la classe dei movi- menti a cui si può assoggettare un dato diaframma £, limitato da s, per i quali sussista la (13) insieme alla (12), ma ci ba- sterà qui di mettere bene in evidenza con un esempio che tale classe è più ampia di quella dei moti rigidi. Supponiamo che ogni punto del diaframma Z, e del suo contorno s, si muova di moto uniforme e rettilineo in una di- rezione costante, parallela ad un vettore unitario &, in guisa però che la velocità v varì (solamente) col variare del punto generico, Ph d'incontro della retta PX con una certa posizione (4) Eléments ecc.,;cit.,, p..123, n° 3 (9). (**) Anche questa proprietà, come l'analoga del piano (n° 1), è geome- tricamente evidente nei casi più semplici, poichè cambiando il diaframma, se questo non è intrecciato e nel moto non avvengono sovrapposizioni, non sì fa che aggiungere e togliere lo strato compreso fra i due diaframmi. 588 MATTEO BOTTASSO iniziale (arbitraria del resto) X, del diaframma. In tali ipotesi si ha: dP (15) P=P,+v(P).tk, =0(P)k, ove v(P)=v(P+ xk)=(£), per © numero reale arbitrario; e quindi (Transf. lin., p. 79 [2]): divo SP — divpk+ gradoo XK, e siccome div 7% = 0 perchè A è costante, e grad v è normale a KR, perchè v non varia quando P si sposta parallelamente a Fk (*), risulta verificata Ja (11). Se con m(P) s'indica un numero funzione di P variabile soltanto, come v, al cambiare del punto d'incontro P della retta PX con X, (e rimane quindi costante quando P sì sposta parallelamente a X), ed O è un punto fisso qualunque, si ha (Transf. tin., p. 79 [2], p. 81 [3], p. 136 [2] ed Zl6ments ecc. cit., p. 34 [2]): rotp [mk \ (P— 0)]= =mrotp[kK \ (PT 0)] + gradom \[RA(P_ 0)]}= = 2mk + (P— 0) X gradpm.k—gradpmXk.(P_ 0); ossia, per essere gradpm (come gradpv) normale a X: rotp [mX /\ (P— 0)}=[2m +(P— 0) X gradp m] K. Ne segue che, assumendo per m(P) una soluzione della equazione differenziale: (16) 2m(P)+(P_ 0) X gradpm(P)=e(P), (*) Infatti nella (Transf. lin., p. 77 [2])): de= grad v X dP, si ha de=0 per dP= dx. k. rr 3 | __ SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 589 per le (15) risulta: E = rotp [mk \(P— O)], e quindi la (10) diventa: ù (" "1 Ù (17) v= | x de| mk \(P-0)XdP=kx |! dt| m.(P--0) \ ap. È chiaro che assumendo convenientemente e (2), nelle (15), si potrà ottenere che V esprima il volume Jimitato da un’ar- bitraria superficie cilindrica e da due suoi diaframmi qualsi- vogliano: ad es. i cosidetti volumi cilindrici considerati dal Burt (*), in cui uno dei diaframmi è formato da una sezione piana normale alle generatrici del cilindro. Moto rigido di un contorno chiuso. Casi particolari. 8. — Nell'ipotesi del moto rigido, possiamo pure trovare per il volume V l’espressione data dal Koen16s nella sua for- mula fondamentale (**), e ciò molto più rapidamente di quello che non abbia potuto fare il KoeNnIGs stesso mediante la teoria dei segmenti di MégIus. Considerando intanto l'elemento 4V di volume generato nel tempo infinitesimo dt, per le (10) e (14), si ha: av=d|,n Pd (+? A\(P_ 0)| do = = dti; mXK do QX n (P_ 0) do. (*) A. Bua, Sur les applications géométriques de la formule de Sroxrs, “ Annales de la Faculté des Sciences de l’Univ. de Toulouse ,, (3°), 2, 1910, pp. 83-84, chap. I. (**) Koesres, loc. cit., $ V, p. 330 (5) e $ VIII, p. 336 (F). 590 MATTEO BOTTASSO Ora, osservato che le equazioni (in 2 ed y): do rotae= grady=P—_ 0, sono soddisfatte ponendo |Transf. lin., p. 136 [2], p. 138 (a)]: = SO AP — 0), y=|(P—0)XaP= 3 (P_ 0), per il teorema di Srokes (Transf. lin., p. 117 [1] e [4]), s'avrà: È mX 2° do, n vot, ANP_ 0) do= 2 di 140 a) | ,n\(P- Odo=4|, n /\grad(P_0}do=-} 5 [( P_ OP aP; e sostituendo nell'espressione di dW, si ha: (18) av=l at TÈ X [, (P- 0) \dP_QX | (P— o} dP|, È questa, in sostanza, la formula fondamentale (5) del KoenIGS, posta però sotto forma assoluta più espressiva, in quanto non compaiono che gli elementi P ed s, relativi al contorno, e quelli relativi al moto (la velocità istantanea di traslazione, dO dt’ invariabilmente legato al contorno; essa è quindi pure di facile interpretazione. e quella istantanea di rotazione, £), essendo O un punto 1 Il vettore -; | e_- 0) \dP=u (1) è il vettore areolare (impropriamente detto asse, o segmento) del contorno s, il cui senso dipende ovviamente dal senso fissato come positivo per percorrere s; tale vettore è affatto indipendente dal punto O, ri- sultando l’indice (di Grassmann) “|, del bivettore | PdaP, cioè, per essere ì OdP= 0, sì ha: 2u (1) = | (P— 0) /\\ dP=| | PdP. SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 591 La componente del vettore areolare , secondo una dire- zione arbitraria, esprime l’area piana racchiusa dalla proiezione del contorno s di X sopra un piano normale a quella direzione. Quindi, quando il contorno s è piano, modw è eguale all’area piana limitata da s, mentre in ogni altro caso mod è minore anche dell’area minima limitata da s. Il vettore I i to [, (P— OfdP= w (t,0) dipende dal punto O (centro di riduzione del moto) e può chia- marsi vettore di pseudo-inerzia del contorno rispetto al punto O. Se consideriamo per O una retta qualsiasi Oà, parallela al vet- tore unitario é, poichè per il contorno chiuso s si ha: [UX(P- pix dp=o0, la proiezione sulla retta Oè del vettore w è: wXi= 1 | (P_0—iX(P— Pd X dp, cioè è espressa dall’integrale, esteso a tutto il contorno s, del semiquadrato della distanza d’un punto di s dalla retta Oé, per la proiezione sopra questa del corrispondente elemento di arco. Il Koenres chiama coordinate del sistema di segmenti legati al contorno s le proiezioni sopra una terna ortogonale di assi cartesiani uscenti da O, dei vettori w e — w, cioè le coor- dinate (*) della formazione di 2% specie |n— Ow, mentre le coordinate della vite (dopo il BALL) del moto considerato non sono altro che le coordinate della formazione di 2* specie 1 ( DOSI ZUR (*) V., per es., G. Pramo, Calcolo geometrico secondo l’Ausdehnungslehre di H. Grassmann (Torino, Bocca, 1888), p. 118. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 39 592 MATTEO BOTTASSO Con ciò la (15) esprime che l'elemento di volume AV s'ottiene moltiplicando l'ampiezza, mod £ dt, del moto elicoidale infinitesimo per il prodotto alternato delle due formazioni: NO Lu _(g'40 4° lu 0w, mod £ (0 dt +19), cioè (col MòBrus) il momento dei due sistemi di segmenti le- gati l'uno al contorno e l’altro al moto (Cfr. KoenIes, loc. cit., $ VII). Se consideriamo un moto arbitrario durante un intervallo finito #6 t, del tempo, il volume generato dal diaframma È limi- tato da s risulta espresso da (Cfr. KoeNIGs, loc. cit., $ VII e IX): L h 1 h 1 19) V= ih d0x | (P_0) NdP-[{Qatx | 1 (P_0PaP= 8 Js DE sh (u X do — QX wdi), od anche, indicando rispettivamente con aé, e dis il vettore areolare ed il vettore di pseudo-inerzia rispetto ad 0, essendo i, ed é, due vettori unitari, ed a, è numeri indipendenti da #, sì ha: | , Tr t . Dt . (19) pitt l'a XK do-dl'i x Qat. I to PJLO) 9. — Nel caso di un contorno piano s, che si muove rigi- damente, possiamo assumere per O il centro di gravità G della superficie Z limitata da s, e poichè per la (6) si ha: | (P_@Mdo=0, [e N(P- G)do=0, per essere P_—G = + grad (P— G)?, e per la formula di Srokes (Transf. lin., p. 117 [4]), ne segue: ( (P_@pap=0. SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 593 Perciò, siccome nel caso considerato il vettore areolare è (*): | P_0\dP=} | rotrli(P— 0)]d0=0n, la (19) diventa: (19”) v=0|{nx4do, espressione che nel n° 4 si è riconosciuta esser valida anche nel caso di un’area piana, limitata da un contorno s, comunque variabile col tempo. In particolare, per una rotazione intorno ad un asse Vé appartenente al piano di X, si ha (teorema di GuLpIino) che 4 volume generato è dato dal prodotto dell’area 0 per l'arco descritto dal suo baricentro. Quando invece Oè non giace nel piano di X, è costante l'angolo a che questo piano forma col piano OiG, e se de è l'elemento d’arco di circonferenza percorsa da G, si ha: v=ofin sE dG =0 cosa. |} des ossia: è volume generato dalla superficie piana X, in una rota- zione intorno ad un asse arbitrario, è eguale al prodotto dell'arco descritto dal baricentro G di X per l’area della proiezione di questa superficie sul piuno individuato dal baricentro G e dall’asse di rotazione. Osservazione. — È da notarsi che questo enunciato al quale ci ha direttamente condotti il metodo vettoriale usato per ricavare la (19), è affatto simile al teorema di GuLpino ed è più semplice dell’enunciato dato dal Koenies (che l’ha rica- vato mediante le sue considerazioni sui momenti; loc. cit. $ XI), che s’ottiene dal nostro sostituendo al baricentro G, di X, (4) V., per es., M. Borrasso, Omografie vettoriali del piano, * Rendic. del Circ. Matem. di Palermo ,, t. XXXV, 1913, pp. 1-46, n° 25, (91/) e Transf. lin., p. 70 [1], p. 68 [1/7], osservando inoltre che l’omografia i del piano di s ha come vettore n. il punto B d'incontro della retta Gn (normale al piano di X) colla perpendicolare comune a questa retta ed all'asse Oi di rotazione. Per riconoscere come dalla nostra proposizione si possa dedurre quella del KoENI6s, e viceversa, indichiamo con ro, #4 le distanze dall'asse dei due punti G, B; con #, #, due vettori unitarî rispettiv. normali ai piani OéG, ViB (e quindi rispettiv, paralleli ai vettori 4G, dB) ed entrambi normali ad 4; con @ l’an- golo di 2, n;; e con w l'angolo dei due vettori n, #;, com- planari con è. Si ha: 594 MATTEO BOTTASSO n= cosy n, + senwi, e quindi: cos (n, AG) = cos (2, 0) cos y. N; X Mo = c0sYy cosp, cos (n, dB) = cos (n, n) = cosy, per cui, essendo 7, = 7 cos, se 8 è l'ampiezza della rotazione, si ha: ro8 .0 cos (2, 2) =719.0 cos (n, n), la quale esprime appunto che il prodotto della lunghezza del- l'arco percorso da (G, per l’area della proiezione di 2 sul piano ViG, è eguale all’analogo prodotto relativo al punto 5. 10. — La nostra (19) permette pure di dare un enunciato semplice all'estensione, che ne risulta per il teorema di GuLpINo, considerando la rotazione d’un contorno chiuso qualsiasi (*). Se prendiamo in tal caso il punto O sull'asse attorno a cui si è . ; OLO E 4 compie la rotazione, s’'avrà Pr = 0 e la proiezione del vettore vw di pseudo-inerzia sull’asse risulta ovviamente indipendente da {; (*) Per questo caso il Kokxies non ha dato alcun enunciato esplicito, giacchè quest'ultimo non si sarebbe presentato sotto forma semplice dedu- cendolo dalla sua formula fondamentale (F). SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 5095 perciò, indicando con 0 l'ampiezza della rotazione e con è un vettore unitario parallelo all'asse, si ha: v=-tef.(P_0}eXdP=-diX, cioè: Il volume generato da un diaframma qualunque, limitato da un contorno chiuso s, in una rotazione intorno ad un asse, è eguale al prodotto dell’ampiezza 8 della rotazione per la proiezione sul- l’asse del vettore di pseudo-inerzia rispetto ad un punto dell’asse stesso; od anche: detto volume è eguale al prodotto di 6 per l’in- tegrale, esteso al contorno, del prodotto del semiquadrato della di- stanza d'un punto generico di tale contorno dall’asse di rotazione, per la proiezione su questo dell'elemento del contorno medesimo. 11. — Supponiamo che il nostro contorno si muova, re- stando rigidamente collegato al triedro principale di una curva direttrice del moto, generata da un punto 9 (#); se indichiamo con £, n, b i vettori unitari rispettiv. paralleli alla tangente, alla normale principale ed alla binormale di questa curva, e con dI, p, t rispettiv. l'elemento d’arco, il raggio di curvatura e quello di torsione della curva stessa, si ha (*): di. NE ee I dqu=d.t, Qd=(1 lea Perciò, osservando che nel moto non cambiano le proie- zioni sopra #, 2, d tanto del vettore areolare e, quanto del vettore di pseudo-inerzia w, l’espressione (19) del volume ge- nerato da un diaframma per s, mentre 0 percorre un arco ll — lb della curva direttrice, è: n tXul—)+tXw] - ln dal 1 dl Ù/ DI lo p = XWw0 lo Si riconoscerà così subito, per es. (Cfr. KoexnIes, loc. cit., $ XII) che, affinchè tale volume risulti proporzionale a (*) V., per es., Éléments ece., cit., p. 127. 596 MATTEO BOTTASSO ZLl—b, la curva percorsa dal punto VO dev'essere una curva di BERTRAND. 12. — Per mostrare ora, con un esempio, come si otten- gano facilmente il vettore areolare e quello di pseudo-inerzia, che compaiono nella (19), relativi ad un dato contorno, consi- dereremo una finestra di VIVIANI. Sulla semisfera di centro 0, raggio r e coll’asse parallelo al vettore unitario X, si consideri la curva di Viviani tagliata dal cilindro circolare retto passante per la retta OX, di raggio ” A è 1 . 9° e col centro d'una sua sezione retta nel punto O + FRAZII sendo é un vettore unitario normale a 7. Indicando con è l’ope- ratore che fa ruotare d’un angolo retto ogni vettore normale a 7, in guisa che per tali vettori sia 7 = #/\, come espressione del punto generico della finestra di Viviani si ha subito: (20) P=04-r cos © eP i + r mod (sen p) . & Ù È . m T e si ottiene tutta la curva facendo variare ®@ da — 9% 9° Noteremo intanto che per la curva considerata, come del resto per qualsivoglia contorno chiuso della sfera, il vettore di pseudo-inerzia rispetto al centro della sfera è nullo, cioè si ha evidentemente: w=[(P— 0P.dP=r°| ap=0, cosa che non risulta certamente con altrettanta facilità dalle espressioni cartesiane delle proiezioni di tale vettore date dal Koenros (loc. cit., $ V). Dalla (20) si ha poi: AP sen Po — = —rsengePit+ rcospePidi +-+ —T—T_ cospk= dp P pr P "re mod sen P P od.» sen p =re'P ii +-r cospk, Sr mod sen P a sen p mod sen @ ì Ò ed osservando che = , segue essere: mod sen P sen P SOPRA ALCUNE ESTENSIONI DEI TEOREMI DI GULDINO 597 (P- 0) \dP=r®cos®gkd@—r® —EP_ (ciP;i4+seng cospePi) do. ai sen 7 e siccome sì ha: IT IT i; cos? pd 40 (1— sen? 9) do = Dr Di ePiido=e@Pi, | sen p cosp e? idpo = — A | (e8°P ii — e-'Pii) do = 1 Zi 1 310 2 = — ea II) 13 € AO) € i, il vettore areolare della finestra di VIVIANI è: 2 20 l i "di [ (P-0)AdP="7k+5 | a (E0id + song cospePi)dp— IT —5|? (e'P ii + seng cosg e? è) dp = Tr 3, LAblesboacodta De rilivde dlisala =Tr+l 1° pi+i+ +] —(i+ iti i+ i+). Possiamo limitarci a considerare il contorno formato dalla metà della finestra di Viviani, luogo dei punti P corrispondenti ai valori di @ dell’intervallo ma nella : (20) P=04+rcospePi4rsenpk, e dal quadrante di circolo massimo luogo dei punti : Q=0+rcosywi+rsenyk, NE T e -, Co A < e ni Li ne j 598 MATTEO BOTTASSO — SOPRA ALCUNE ESTENSIONI, BCC. L che corrispondono ai valori di y da F a 0. Allora, anche da le formule or ora svolte, quale parte di vettore areolare spetta alla mezza finestra si ha subito : e(ida+ta) e poichè è: (Q_- 0) \dQ=r®.ii dp, l’altra parte del detto vettore spettante al quadrante di del colo massimo è — A r?. ii; quale vettore areolare di tutto il il contorno consi- derato si ha dunque : 11000 ripi(7+3)#+54]. I > che non è (come si potrebbe pensare) la metà del vettore areo- lare (21), prima ottenuto, per l'intera finestra di Viviani. Torino, Febbraio 1914. | nia: p > L’ Accademico Segretario | it. CorrADO SEGRE. dI 599 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 1° Marzo 1914. PRESIDENZA DEL BARONE SENATORE MANNO SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci: CarLe, Pizzi, De SancmIS, RUFFINI, Srampini, D' ErcoLe, BronpI, Srorza, ErnAuDI, BAuDI DI VESME e ReNIER Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 15 febbraio 1914. Il Presidente presenta con parole di caldo elogio il volume del Socio SrorzA: La caduta della Repubblica di Venezia stu- diata nei dispacci ‘inediti della diplomazia piemontese, Venezia, dalla Deputazione di storia patria, 1913. Il Socio De SancrIs presenta sotto la propria responsa- bilità per gli Atti uno scritto di PLinio Fraccaro dal titolo : La procedura del voto nei comizi tributi romani. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 40 —_ 600 PLINIO FRACCARO LETTURE La procedura del voto nei comizi tributi romani. Nota di PLINIO FRACCARO. La procedura di voto nei comizi tributi romani è stata ri- costruita dal Mommsen fondandosi specialmente sulle disposi- zioni sancite dalla lex Malacitana per le votazioni nei comizi curiati di Malaca indubbiamente regolati sull'esempio dei comizi curiati romani, sui quali alla loro volta vennero modellandosi i comizi tributi (vd. Mommsen Gesammelte Schriften 1 1 p. 317 sg. e Staatsrecht III p. 396 sg.). Lo statuto di Malaga prescrive per i comizi, da tenersi sotto la presidenza di uno dei // wviriî, che prima si estragga a sorte in qua curia incolae (cioè i cives Ro- mani e Latini domiciliati) suffragia ferant (c. 53) e poi che così si voti (ce. 55 de suffragio ferendo): Qui comitia ex h(ac) lege) habebit, is municipes curiatim ad suffragium ferendum vocato ita, ut uno vocatu omnes curias în suffragium wvocet, ecaeque singulae in singulis consaeptis suffragium per tabellam ferant. Seguono disposizioni sui custodes alle cistae, qui suffragia custodiant diri- beant, e sui rappresentanti dei candidati da assegnarsi ad ogni curia; poi (c. 56): /s qui ea comitia habebit, uti quisque curiae cuius plura quam alii suffragia habuerit, ita priorem ceteris eum pro ea curia factum creatumque esse renuntiat[|o], donec is numerus, ad quem creari oportebit, expletus sit. Seguono disposizioni per il caso che due o più candidati abbiano riportato in una curia lo stesso numero di suffragi: riesce eletto chi è in determinate condizioni rispetto agli altri, e in caso di assoluta parità decide la sorte. Quindi (e. 57): Qui comitia h(ac) Uege) habebit, is relatis omnium curiarum tabulis nomina curiarum în sortem coicito sin- qularumque curiarum nomina sorte ducito et ut cuiiusque curiae nomen sorte erierit, quos ea curia fecerit, pronuntiari iubeto; et uti quisque prior maiorem partem numeri curiarum confecerit, eum, LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 601 cum h(ac) Uege) iuraverit (cfr. c. 59) caveritque de pecunia com- muni (cfr. c. 60), factum creatumque renuntiato, donec tot magi- stratus sint quod h(ac) l(ege) creari oportebit. Si totidem curias duo pluresve habebunt, uti supra conprehensum est de îs qui suf- fragiorum numero pares essent, ita de is qui totidem curias ha- bebunt facito. cademque ratione priorem quemque creatum esse re- nuntiato. Dunque la votazione s’apre con l'estrazione a sorte di una curia nella quale voteranno i domiciliati isopoliti: quindi la votazione procede curiatim e uno vocatu e in modo che le curie singulae in singulis consaeptis suffragium ferant. Il Mommsen intende l’espressione uno vocatu nel senso che “ werden simmt- liche Curien von dem vorsitzenden Beamten gleichzeitig angewiesen sich jede in ihren Verschlag zu verfiigen , e che tutte le curie votavano contemporaneamente. E in caso diverso lo statuto avrebbe dovuto parlare dell'ordine secondo il quale chiamare al voto le curie, e la prescrizione del c. 52 (II vèr) comitia... h. l. habeto, utique ea distributione curiarum, de qua supra conprehensum est, suffragia ferri debebunt, non si può certo rife- rire ad un ordine per la votazione successiva delle curie. Segue, secondo l’interpretazione della legge data dal Momunsen, la renuntiatio pro curia, cioè la proclamazione dei risultati d’ogni singola curia. Lo spoglio è fatto dai diribitores, che ne riferiscono poi al magistrato, il quale proclama eletti per ogni singola curia i candidati che hanno riportato la mag- gioranza relativa, tanti quanti sono i posti da coprire e dando la precedenza mano mano a chi ha riportato un maggior nu- mero di voti, e a parità di voti a chi si trova in determinate condizioni, e a parità di condizioni all’indicato dalla sorte. Fatto lo spoglio delle singole curie, il presidente fa porre nell’urna i nomi di tutte le curie, li estrae quindi a sorte ad uno ad uno, e fa proclamare (pronuntiari iubeto) volta per volta i candidati riusciti in ogni curia, finchè uno abbia raggiunto la metà più uno delle curie. Così secondo il Mommsen; recentemente però questa interpretazione è stata impugnata dal RosenpeRe Un- tersuchungen zur ròmischen Zenturienverfassung (Berlin 1911) p. 68 sg. e ora dal De Sanctis La riforma dell'ordinamento centuriato (in “ Studi Romani , II p. 16 — l'Autore ha corte- semente messo a mia disposizione le bozze della sua memoria "i 602 PLINIO FRACCARO sulle quali ho ritoccato qua e là questa nota), i quali riferi- scono ad un'unica renuntiatio, quella del c. 57, anche le pre- scrizioni del c. 56; allora si dovrebbe intendere che, relatis ta- bulis, riferiti cioè al presidente i risultati delle singole curie, questi non li fa proclamare se non quando il nome di una curia esce dall’urna: quindi il voto di ogni sezione non sarebbe stato annunciato che una sola volta. Effettivamente due passi di VaR- RONE (r. rv. III 17, 1) e di Cicerone (pro Plancio 49), che rife- riremo tosto, non parlano fra la relatio tabularum e la renun- tiatio coll'estrazione a sorte di renuntiatio pro tribu; ma il testo della legge di Malaga pare proprio considerare due proclama- zioni (prima pro ea curia fuctum creatumque esse renuntiato; poi, durante l'estrazione a sorte, quos ea curia fecerit pronuntiari iubeto |non renuntiato|; e infine factum creatumque renuntiato chi ha ottenuto la maggioranza), e la sua autorità è grande di fronte a due testi non giuridici e che accennano assai compen- diosamente alla procedura comiziale; e le ragioni addotte dal Rosenberg e dal De Sanctis per dimostrare l’inopportunità e l'inverosimiglianza della doppia proclamazione, per quanto assai ingegnose, non mi sembrano assolutamente probanti. Questa questione non ha tuttavia qui per il nostro scopo grande im- portanza. Il Mommsen è invece inesatto quando scrive (Ges. Schr. p. 319): “ Als gewîihlt gilt indess nur, wer die absolute Majo- ritàt der Curien vereinigt; zuerst renuntiirt wird, bei wem dies zuerst eintritt ,. Solo chi ottiene la maggioranza delle curie può essere eletto; ma sono effettivamente eletti coloro che per primi riescono a raggiungere questa maggioranza. T'osto che un candidato prior maiorem partem numeri curiarum confecerit, sì sospende la renuntiatio e si fa giurare il candidato secondo le prescrizioni del e. 59 (efr. la lex municipiù Tarentini 1. 15 sg. in Mommsen Ges. Sehr. 1 1 p. 146 sg.); quindi il presidente lo renuntiat factum creatumque senza alcun riguardo ai voti delle curie successive. Questo curioso procedimento spiega l’impor- tanza data all'ordine della pronuntiatio dei risultati delle sin- gole curie. Infatti dall'ordine della pronuntiatio poteva dipendere l'elezione o no di un candidato. La cosa è stata più volte os» servata (vd. Pernice in Mommsen Staatsr, IM p. 414 n. 4; KLeps in Zeitschrift der Savigny Stiftung, Ròm. Abteil. XII (1891) LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 603 p. 230) e messa ora chiaramente in rilievo dal De Sanctis, dal quale prendo l'esempio assai perspicuo che egli dà (p. 17): « .....1 magistrati da eleggere siano due... e la loro scelta sia affidata ai comizi tributi. Se 10 tribù (A) votano per Claudio e Valerio, 12 (B) per Cornelio e Valerio, 13 (C) per Claudio e Cornelio, sono eletti, noi diremmo, Cornelio con 25 voti e Claudio con 23. Giusta l’uso romano invece, determinandosi per sor- teggio l'ordine secondo cui si proclamano i risultati del suffragio e sospendendosi la proclamazione man mano che i candidati raggiungono la maggioranza assoluta, se le tribù A per caso precedono, seguendo le B e poi le C saranno eletti Valerio e Cornelio, seguendo 8 delle C e poi le B saranno eletti Claudio e Valerio ,. Notevole è pure che con questo sistema un candi- dato può riuscire eletto prima di un altro che abbia tuttavia riportato un numero di voti superiore al suo: basta che nella renuntiatio le tribù a lui favorevoli siano uscite prima dall’urna. Il Mommsen, specialmente avendo riguardo all’onore che por- tava seco la priorità della proclamazione, ha perfino dubitato (Staatsr. III p. 414 n. 4) che la legge di Malaga fosse qui ine- satta: ma a torto; anche in Roma l’eletto era chi aveva ripor- tato la maggioranza più uno, senza badare agli altri voti in più: vd. Cicerone de leg. agr. II 16: 2ubet enim tribunum plebis, qui cam legem tulerit, creare decemviros per tribus septemdecim, ut quem novem tribus fecerint, is decemvir sit; cfr. 21: quos novem tribus decemriros fecerint... dominos habebimus. Atque hi, ut grati ac memores beneficiù esse videantur, aliquid se novem tribuum notis hominibus debere confitebuntur, reliquis vero sex et XX tri- bubus nihil erit quod non putent posse suo iure se denegare. lÌ sistema può sembrare strano a noi moderni; ma era così. Tali i comizi di Malaga. Sul loro modello e col sussidio di altri testi, il Momwmsen nello Staatsrecht ha così ricostruito la procedura dei comizi tributi romani. I) primo atto della vota- zione è l'estrazione a sorte della tribù nella quale voteranno per quella volta i Latini. Quindi dalla conventio, nella quale i cittadini stanno senza ordine alcuno, si passa ai comitia; ed i cittadini si dispongono per tribù entrando nei saepta. Sull’or- dine del presidente poi, tutte le tribù votano contempora- neamente: non c'è nei comizi tributi una tribù che voti per prima, come la praerogativa nei centuriati. Avvenuta la vota- 604 PLINIO FRACCARO zione, comincia contemporaneamente per tutte la diribitio dei voti delle singole tribù: prevale in esse il voto della maggio- ranza relativa dei votanti, qualunque sia il loro numero. I ro- gatores riferiscono quindi al presidente il risultato della vota- zione della loro tribù, e il presidente, mano mano che questi risultati gli pervengono, li fa renuntiare dall’araldo all'assemblea per tutte le tribù. La recitatio dei risultati avviene quindi se- condo un ordine indicato dalla sorte; la tribù il cui risultato è proclamato per primo, è il principinm e si proclama pure chi diede per primo il voto in questa tribù (primus scivit). La re- citatio continua fino a che la maggioranza assoluta dei voti delle tribù sia raggiunta: allora il presidente proclama il risultato finale, e i voti delle altre tribù non vengono recitati. Questa è nelle linee generali la ricostruzione del Mommsen, che oggi fa testo. Non tutti i trattatisti però l’accettano tale e quale; parecchi s'allontanano dal Mommsen sull’uno o sul- l’altro punto. Il Rosenberg e il De Sanctis, ad es., non ammet- tono la renuntiatio pro tribu: il presidente fa noti i risultati delle varie sezioni solo nella renuntiatio a sorte. Altri ritengono che il principium dei comizi tributi fosse una tribù prerogativa, votante effettivamente per prima: ma di ciò più avanti; ora invece ci proponiamo la questione, se i passi delle fonti antiche a noi giunte s'accordino con la ricostruzione del Mommsen spe- cialmente riguardo alla contemporaneità della votazione, e se sia possibile trovare per quelli che non s’accordano una spie- gazione plausibile della discrepanza. S'accordano con la ricostruzione del Mommsen gli aecennì ad un comizio tributo contenuti nel III libro sull'agricoltura di Varrone. Questi, com'è noto, immagina che il dialogo del terzo libro avvenga nella villa publica del campo Marzio durante le elezioni degli edili (c. 2, 1): comitiis aediliciis cum sole caldo ego et Q. Arius senator tribulis suffragium tulissemus et candidato, cui studebamus, vellemus esse praesto, cum domum rediret, Axius mihi: Dum diribentur, inquit, suffragia, vis potius villae publicae utamur umbra, quam privati candidati tabella dimidiata (parole corrotte) aedificemus nobis? Se la votazione nei comizi fosse stata successiva, tribù dopo tribù, bisognerebbe ammettere che Varrone e il sno tribulis avessero votato nell'ultima tribù chia- mata al voto: e ciò è difficile a pensarsi. Infatti nè qui nè più LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 605 avanti si accenna al voto di altre tribù, ma solo alla diribditio: efr. c. 5, 18: cum haec loqueremur, clamor fit in camipo..... ventit ad nos Pantuleius Parra, narrat ad tabulam, cum diriberent, quendam deprensum tesserulas coicientem in loculum. Più avanti poi (c. 17, 1) si allude alla recitatio finale dopo lo scrutinio: Interea redit ad nos Pavo et: Si vultis, inquit, ancoras tollere, latis tabulis sortitio fit tribuum, ac coepti sunt a praecone recini, quem quaeque tribus fecerit aedilem. Poco dopo arriva il candi- dato trionfante. Così s'accorda bene con il sistema del Mommsen l’accenno che Cicerone fa ai comizi in cui Gn. Plancio fu designato edile (pro Plancio 49): Quasi non comitiis iam superioribus sit Plancius designatus aedilis..... Vocatae tribus, latum suffragium, diribitae (tabellae), renuntiatae. Longe plurimum valuit Plancius. Invece se si leggono altri passi antichi che descrivono pure dei comizi tributi, si prova subito l’impressione di una grande difficoltà a spiegare molti tratti essenziali di queste descrizioni stesse secondo la ricostruzione tentata dal Mommsen. Questi ha notato le difficoltà, ma se n'è sbrigato presto attribuendole ad errore e malinteso di scrittori poco competenti o poco pre- cisi (cfr. p. 397 n. 4;0399 n. 1; 409 n. 1; 413 n. 4). Questa soluzione potrà essere persuasiva se adottata per incidenza nelle note e a varie riprese per singoli gruppi di notizie: ma se noi riuniamo insieme tutti i più importanti di questi passi e li di- scutiamo ampiamente, l'impressione che essi possono dare è forse diversa e le spiegazioni del Mommsen possono sembrare meno persuasive. Esaminiamo quindi una serie di descrizioni antiche di vo- tazioni in comizi tributi. Non ho badato a seguire un ordine cro- nologico, perchè non avrebbe importanza alcuna; anzi parecchie descrizioni riferentisi a tempi più antichi sono state indubbia- mente costruite in età più recente di altre riferentisi a tempi più vicini, e rappresentano soltanto l’idea che dei comizi tri- buti avevano gli annalisti usati dalle nostre fonti. 1) Votazione per il trionfo di L. Emilio Paolo (a. 167). — La descrivono Livio XLV 36 e PLurtARco Aem. 31 evidente- mente dalla stessa fonte (Polibio: cfr. Peter Quellen Plutarchs p. 88; Scuwarze Quibus fontibus Plutarchus in vita L. Aemilii Pauli usus sit, diss. Lips. 1891 p. 55 sg.): in Plutarco sembra 6065 PLINIO FRACCARO cha l'originale sia stato più fedelmente conservato. ll primo giorno che la rogazione concedente l’imperium a Paolo e ai suoi due ammiragli fu portata da un tribuno dinanzi alle tribù, non si arrivò alla votazione per un discorso ostruzionista di Sulpicio Galba, avversario personale di Paolo, che incitò i soldati del- l'esercito di Macedonia a votar contro. Il giorno dopo gran folla sul Campidoglio ove si teneva l'assemblea: i soldati di Macedonia occupano tutto lo spazio così che gli altri diffieil- mente possono partecipare alla votazione. Intro vocatae primae tribus cum antiquarent, concursus in Capitolium principum civitatis factus est, i quali protestano contro l’indegno trattamento fatto a Paolo: il consolare M. Servilio chiede ai tribuni ut de integro eam rem agerent e concedessero a lui la parola. I tribuni si ritirano per deliberare e victi auctoritatibus principum de integro agere coeperunt, revocaturosque se easdem tribus renuntiarunt, si M. Ser- vilius altique privati, qui dicere vellent, dixissent. Anche in Plutarco: "Aua duéoa 75 wijpov dodsions i te 1901) pudi) tòv IgiauBov dareynpitero. I senatori allora roîs Onudoyors Eheyov érmiogeîn tiv wnypogogiar. Servilio termina poi il sno discorso con queste parole: 472’ dye Zafòv aùroùs Ei tv wijpov: éyò dè zataBàs nagazolovdijom maot, xaì yvogcouai TOoÙs xazoùs zai dayagiorovs ai dnuayoyeiodar uaiiov gv toîg modéuors È) otgatnyeindar BovAonévovs. È evidente che qui Livio pensa ad una votazione successiva delle tribù; specialmente perchè i tribuni dichiarano che avrebbero fatto votare da capo anche le tribù già intro vocatae; se la votazione fosse stata contempo- ranea, tutte le tribù o quasi dovevano aver già votato e avreb- bero dovuto esser fatte votare da capo. Lo stesso in Plutarco: la prima tribù vota contro, e si domanda dai senatori di inter- rompere la votazione (wypogogierv), non la proclamazione dei voti. E le parole sopra riferite di Servilio mostrano che lo scrittore pensava alla possibilità di sorvegliare mano mano il voto di tutte le tribù, ciò che sarebbe stato impossibile con una votazione simultanea. Il Mommsen invece interpreta così (p. 415 n. 4): “ Das Plebiscit iiber die Gestattung des Triumphs fiir L. Aemilius Paulus... wird von der ersten Tribus verworfen; worauf der vorsitzende Magistrat beschliesst der Renun- tiation keine Folge zu geben, ein weiteres Suasionsverfahren anordnet und dann abermals die Abstimmung vornimmt ,. È LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 607 ‘altrove (p. 399 n. 1): “ In den meisten der livianischen Stellen ist der Ausdruck (cioè intro vocatae tribus) insofern denaturirt, als fiir das Aufrufen zur Abstimmung diese selbst sich unter- :schiebt und wahrend der Aufruf an alle Abtheilungen gleich- zeitig ergeht, die successive Vollendung der Abtheilungsabstim- mungen sich auf das inlro vocari iiber trigt. Es ist das wohl nichts als eine Nachlissigkeit des Ausdrucks ,. Questa confu- sione tra la votazione e la renuntiatio è piuttosto strana: e strano è pure che Livio, se sì rappresentava così male il pro- cedimento di un comizio, non abbia avuto modo di ricredersi leggendo le descrizioni di comizi date dalle sue varie fonti e certo spesse volte con ricchezza di particolari. Infatti la vota- zione successiva è evidente anche nel passo sulla 2) votazione delle leggi Licinie-Sestie (a. 368) in VI 38. Si chiamano al voto le tribù nonostante l’intercessione dei col- leghi; allora i patrizi nominano Camillo dittatore. Ma i tribuni popolari persistono e concilio plebis indicto, tribus ad suffragium vocant. Cum dictator, stipatus agmine patriciorum, plenus irae minarumque consedisset atque ageretur res solito primum certa- mine inter se tribunorum plebi ferentium legem intercedentiumque et, quanto iure potentior intercessio erat, tantum wvinceretur favore legum ipsarum latorumque et “ uti rogas , primae tribus dicerent, tum Camillus ete. Se qui Livio parlasse della ‘renuntiatio, non s'intenderebbe come Camillo attenda solo allora ad intervenire, enon subito tosto che i primi risultati delle tribù votanti ven- gono riportati al presidente. La stessa concezione delle tribù votanti successivamente informa, per quanto meno evidente per la maggior concisione del testo, anche il passo seguente: 3) Liv. XL 42, 10: cum plures iam tribus intro vocatae dicto esse audientem pontifici duumvirum iuberent, multamque re- mitti, sì magistratu se abdicasset, ultimum de caelo quod comitia turbaret intervenit. Si confronti anche 4) IV 5, 2: oportet licere populo Romano, sì velit, iubere legem; an, ut quaeque rogatio promulgata erit, vos dilectum pro poena decernetis, et, simul ego tribunus vocare tribus in suf- fragium coepero, tu statim consul sacramento iuniores adiges et in castra educes et minaberis plebi, minaberis tribuno? ove si sarebbe detto vocavero e non vocare coepero se l'appello delle tribù non venisse pensato come successivo. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 41 608 T PLINIO FRACCARO Ora è già difficile ammettere che Livio, in punti assai di- versi dei suoi annali e dipendenti da fonti diverse, abbia ripe- tuto lo stesso errore: ma sarebbe addirittura strano che nello stesso errore di rappresentazione fossero cadute parecchie altre fonti, di solito ben informate ed esatte, per fatti di tempi recenti. 5) Nel 67 a. C. il tribuno L. Trebellio si oppose ener- gicamente alla rogazione Gabinia sulla guerra contro i pirati: allora Gabinio, sospesa la votazione sul suo progetto di legge, chiamò le tribù a votare l'abrogazione della potestà tribunizia di Trebellio. Questa votazione è descritta da Asconro p. 64 K. Sch. e da Dione Cassio XXXVI 30 B. e il concetto della vo- tazione successiva delle tribù è evidente. Asconio: quo (re- bellio) perseverante intercedere... intro vocare tribus Gabinius coepit (e non introvocavit 0 intro vocare iussit, come si sarebbe detto se tutte le tribù contemporaneamente fossero state chiamate al voto), ut Trebellio magistratum abrogaret..... Et aliquamdiu Trebellius ea re non perterritus aderat perstabatque in interces- sione, quod id minari magis quam perseveraturum esse Gabinium arbitrabatur; sed postquam X et VII tribus rogationem accepe- runt et una modo supererat, (ut) populi iussum conficeret, re- misit intercessionem T'rebellius. E Dione: ò odwr l'afivios dya- vaztoas, tiv’ uèv regi roò Iouzmniov diamijpioro néoyer, éréoav dè megi aùrod èxgivov avreoij ye . xaì Edofev intazaidena pviaîs tas nQHraLs yonuatiodoars ddizeîv ve aÙtòv vaè utt yofvar dnuagyeiv. ueddovone oòv ai te bxtmzardezdine tà aùrà wygpieîodat (votare, non essendosi per annunciare il voto della 182 tribù), 6415 zorè è ToeBéXkios toronnoev. Per il Mommsen, abbiano qui la solita inesattezza: Trebellio avrebbe desistito dall’intercessione dopo fatta la recitazione per 17 tribù, mentre si stava per recitare la 184. Ma Trebellio era là pre- sente con Gabinio e se già tutte le tribù avessero contempo- raneamente votato e i singoli risultati fossero già stati riferiti al presidente, egli doveva ben sapere che la maggioranza o la totalità delle tribù gli avevano votato contro ed era inutile attendesse la recitazione dei risultati delle prime 17 tribù per battere in ritirata. 6) La stessa procedura per una votazione sullo stesso argomento, cioè la proposta fatta da Tiberio Gracco per l’abro- rg. ng °° pv —_ e’ LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 609 gazione della potestà tribunizia del collega M. Ottavio, abbiamo in Appiano bd. c. I 12, 52 sg. e PLurarco 7? Gr. 12. Ambedue questi autori riproducono la stessa fonte, e tutto il racconto in Appiano della rivoluzione di Tiberio Gracco è condotto con grande precisione. Tuttavia si rivolge generalmente ad Appiano l'accusa di essere qui impreciso e di aver confusa la successiva recitazione dei risultati del voto delle tribù con la votazione stessa: alcuni storici moderni anzi raccontano la scena della deposizione di Ottavio riproducendo Appiano ma riveduto se- condo la trattazione del Mommsen (cfr. ad es. GreenipeE Hi story of Rome I p. 124). Eppure difficilmente s'intende perchè la fonte di Appiano dovesse così alterare i fatti, e tutta la drammaticità del racconto va perduta se si sostituisce alla effet- tiva votazione successiva delle tribù la recitazione dei singoli voti dopo avvenuta la votazione contemporaneamente. Appiano dice: émeite yào "Oxtdovios oddèv xatardayeis adds èviotato (intercessit), è dè mootéoav tijv neoì aùdrod wijpov avredidov (in suffragium misit). xaì tijs omne puiîjs zataypnpioanevns tv doxi)v tòv ’Oxtdoviov danodécdar, Eniotgagpeis 1009 aùtòv Ò Todxyos édetto uetadécdar. 0ò nerdouevov dè tas dAÀlas wrpovs &mijyev. odobv dè tOtE pvi®v névte xaì tordxovia rai cvvòoa- uovobv ès tò aùtò cÙ»v doyf) tOv mpotéowv Entazaidera, î uèv oxtmrardendtn tò xògos EuedAev émdipoerv (cfr. sopra Asc.: ut populi iussum conficeret), è dè Todnyos addi, év diper toùò duov, tote udhdiota xivdvvevovii to "Ozxtaovim Arragos EvÉzerto . .... zai tude Zéyov..... énfjye tiv wijpov. xaiì è uèv "OxtdoviOS adriza iormtng yevduevos draladòv dnedidoaoze. È inutile ri- ferire anche la versione di Plutarco, la quale però dimostra che il racconto di Appiano non è stato alterato passando d'au- tore in autore, ma che così stava nell’ottima fonte alla quale risalgono i tratti comuni ai due serittori greci. Se la votazione successiva in Appiano è più evidente che mai, ciò dipende non da una maggiore imprecisione o da più grave malinteso, ma dalla precisione con la quale la fonte di Appiano si esprime in proposito. 7) Nell'87 a. C. il senato romano dovette capitolare di fronte a Mario e Cinna che assediavano la città, riconoscere Cinna come console e riaccogliere l’esule Mario in città. Al momento di entrare però, Mario, con terribile ironia, disse che 610 PLINIO FRACCARO egli era legalmente bandito dalla città e che non poteva quindi entrarvi (App. d. e. I 70, 323): bisognava prima far approvare una legge che lo richiamasse. E così fu fatto (VeLr. II 21,6: Cinna de recipiendo Mario legem tulit; Dio Cass. fr. 102, 8 Boiss.; Cic. post red. in sen. 38; ad Quir. 10). Ora ecco come Pru- rarco Marius 43 racconta di questo comizio: Mdagios dè ragà taîs nvAars drrootàs elowveveto 00s doynv, puyàs elvar héy ov zai tijs nargidos elgyeodar xatà tòv vouovr, ei dè yontor vg aùroò magbvios, étéog Wipw Avréov eivai vv éxBaliovoar, ©g di) vouimoòs is Ov avo xai ratio» eis ddiv Ehevdéoav. éxdhet di) tò aZijdos eis dyogdv, xaì n9ò toù rgeîs i) tévtagaz pviàs éveyzeiv ti)v Wijpov apeis tò nidoua zai tiv puyadizizv éxeivnv dizarohoyiav xamijer xtZ. Qui è impossibile intendere che Mario pazientasse sino alla recitazione delle tribù prima di gettare la maschera: è invece evidente che, avendo cominciato le tribù a votare successivamente, egli attese solo il voto di tre o quattro e poi impaziente passò oltre. 8) Una prova assolutamente decisiva della votazione sue- cessiva delle tribù abbiamo in VaLerio Massimo VIII 1,7 per un fatto accaduto probabilmente nel 329 (cfr. Miinzer in PauLY- Wissowa dè. E. VI c. 2528 n° 19). Q. Flavius a C. Valerio aedili apud populum reus actus, cum quattuordecim tribuum suf- fragiis damnatus esset, proclamauvit se innocentem opprimi. Cui Valerius aeque clara voce respondit, nihil sua interesse, mocensne an innoxius periret, dummodo periret. Qua violentia dicti, reliquas tribus adversario donavit. La votazione successiva è qui così evidente, che per rimanere coerente al suo sistema, il Mommsen dovette per questo passo fare l’inverosimile ipotesi (respinta ora energicamente anche dal De Sanctis p. 14), che i votanti potessero fino alla renuntiatio cambiare i loro voti (Staatsr. IM p. 410 n. 3: dieses ist nicht wohl anders zu denken als nach vollzogener Abgabe der Stimmen wihrend der Auszihlung und der Theilrenuntiation und nur verstindlich unter der Voraus- setzung, dass die Wiihler bis zur Renuntiation ihre Stimmen iindern konnten). Anche il Herzoo (Geschichte und System I p. 1184), che pure ammette la votazione contemporanea, deve riconoscere che nel passo di Valerio è evidente la votazione successiva, e pensa che le tribù abbiano potuto votare sueces- sivamente quand'eran poche (al tempo del processo riferito da LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 611 Valerio. erano solo 29), mentre più tardi questo procedimento avrebbe richiesto uno spazio di tempo eccessivo (cfr. anche Mapvia Verfassung I p. 258 n. 2). Ma di un passaggio dalla vota- zione successiva ad una votazione contemporanea non è traccia in alcuna delle nostre fonti: e non si vede poi come il tempo richiesto per la votazione non dovesse sembrare eccessivo per 29 tribù, lo dovesse sembrare per sole 6 di più. 9) Dopo la guerra sociale e il riconoscimento del diritto di cittadinanza agli alleati italiani, gli uomini di stato romani sì preoccuparono dell'influenza che avrebbe avuto nei comizi la gran massa dei nuovi cittadini. Appiano 5. c. I 49, 214, in una notizia che va riferita alla lex Iulia (Momwmsen Staatsr. INI p. 179 n. 1), c'informa che si tentò di risolvere così il problema: ‘Pwsuaîtor uèv dè tovode toùSs veormolitas oùx ég tàg mévte rai tordzovta pvAds, aî tére ffoav aùroîc, xatélefav, iva ui) tOV dogaimv mAiéoveg Ovtes év taîs yergotoviois èrnimgatoîev, dilù dexatevovies (così i codd., corretto in déxa, déxa névte, déza évedoevovtes: vd. Viereck al passo) @répqvav éréoas, è&v aîg égerootovovv Eogator. vai moRàdnis aùrov Î wijpos dyoetos Tv, dre tOv méviE val tordxovta mootéowv te xalovuevov ai odo®ov drèo fuov. Anche qui si accenna ad una votazione suc- cessiva, nella quale le nuove dieci tribù avrebbero votato per ultime; l’éoy@toe (cfr. Dronis. VII 59 per il voto dell'ultima centuria nei comizi centuriati: #0gator ti)v wijpov avelduBavov) infatti esclude l’interpretazione che le 35 vecchie tribù venis- sero fatte votare per prime contemporaneamente e i loro voti venissero renuntiati e poi votassero le dieci nuove, come avve- niva per le varie classi nei comizi centuriati. Quindi si ripete anche per questo passo il ritornello che Appiano renuntiationem cum suffragiorum latione confudit (Mendelssohn al passo): non s'intende però come tutti questi autori dovessero cadere con tanta concordia nello stesso errore. Vedremo che qui invece Appiano si riferisce specialmente ai comizi legislativi tributi, e i comizi tributi avevano importanza sopratutto legislativa. 10) Polibio VI 14, parlando della giurisdizione popolare romana, così s’esprime: qoîg..... davdtov nxowvonévors, Èràv zatadizdtoviat, dibwor tV Efovoiav tò mag’adroîs Èdos arraA- Aatreodar paveoòs, xàv tr uila Aginmnitar pviî tv E nt- xvQ0vo dv Tv xQiocuiv Ayypopbdontos, érovorov Éavrod 612 PLINIO FRACCARO zatayvovia gvyadeiav. Ho riferito questo passo per ultimo, perchè assai discusso. Per il Momwmsen (Staatsr. II p. 413 n. 4) l'espressione dp pog6gytos è inesatta, come è un errore par- lare di gv47) in processi capitali da discutersi dinanzi alle cen- turie (id. p. 357 n. 4). Per il Rosenberg (p. 68) invece il passo si riferisce ai comizi tributi, mentre il De Sanctis (p. 8) man- tiene fermo il riferimento al comizio centuriato e osserva che in questo passo gvZ ha lo stesso valore che l'espressione extrema tribus suffragiorum in Cioerone de l. agr. Il 4, che si riferisce indubbiamente a comizi centuriati. Non è mio compito discutere qui questo passo, del quale del resto il De Sanctis dà una spiegazione soddisfacente: però se si dovesse riferire a comizi tributi, è evidente che Polibio non poteva parlare di una gvZì) étL Aynpopbgntos se non pensando ad una votazione successiva delle tribù: e che non possiamo, senza grave ragione, impugnare d’inesattezza un'espressione di quei capitoli in cui Polibio trattava della costituzione romana. Riassumendo, dopo aver esaminati tutti i testi sopra rife- riti, si rimane assai perplessi: le tribù votavano successiva- mente o contemporaneamente? Lo statuto di Malaga, VARRONE nel de re rustica e Cicerone pro Plancio l. c. ci rappresentano indubbiamente le tribù come votanti contemporaneamente; tutti gli altri testi si spiegano invece solo con una votazione succes- siva. La via d'uscita si può trovare osservando che i comizi di Malaga sono disposti soltanto per l'elezione dei magistrati, man- cando a loro del tutto la competenza legislativa e giudiziaria: così pure in Varrone e in Cicerone si tratta di comizi eletto- rali, mentre in tutti gli altri testi si parla di comizi legislativi o giudiziari. È naturale quindi pensare ad una differenza di procedura tra l’una e l’altra specie di comizi: e la differenza più importante sarebbe stata appunto, che negli elettorali si votava contemporaneamente da tutte le tribù, negli altri successivamente. Rimane però una difficoltà. L'espressione wr0 rocatu sarebbe perfettamente a posto nella legge di Malaga per i suoi comizi elettorali; ma Dionisio VII 59 adopera per un comizio tributo giudiziario dell'età di Coriolano un'espressione che sembra l'esatta traduzione di quella contenuta anche nello statuto ma- lacitano; nei comizi tributi, egli dice, su@ 470€ )v wipov Tic LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 615 Emeveyuwor xatà pv4ds. E il passo di Dionisio, collegato con quello della legge, ha indotto specialmente i trattatisti a rite- nere che la votazione fosse sempre contemporanea. Io invece, fra i passi testè riferiti a provare la votazione successiva e Dionisio, sto con i primi. Nessuna meraviglia che un retore costretto a lavorare su annali stesi con criteri giuridici a lui ‘estranei e colpevole quindi di tante confusioni e inesattezze (cfr. Scawartz in PauLy-Wissowa V ce. 939 sg.), abbia adope- rato per comizi giudiziari un'espressione esatta in sè ma solo per i comizi elettorali. L’interminabile racconto delle vicende di Coriolano come sta in Dionisio, non può essere stato ripro- dotto fedelmente da una fonte romana buona conoscitrice del diritto: le discussioni in senato riferite da Dionisio si collegano assai probabilmente colla falsa teoria del mgofovAevua del se- nato prima dei plebisciti, e invece del concilium plebis di soli plebei, Coriolano è fatto erroneamente condannare dai comizi tributi dell'intero populus: Dionisio dice perfino VII 64 che se Coriolano avesse avuto 10 voti su 21 tribù sarebbe stato as- solto per parità di voti! In questa erronea costruzione non fa meraviglia sia entrato a torto anche l’accenno alla vocatio unica delle tribù per i comizi elettorali. Stabilita così la votazione successiva delle tribù per un determinato genere di comizi, veniamo ad altri particolari. Com'è noto, la praeseriptio di una legge romana portava l'indicazione della tribù ch'era stata principium e del primo vo- tante pro tribu: lex Quinctia in FRONT. de aquis 129 (Bruns Fontes® p. 115): 7. Quinetius Crispinus consul populum iure rogavit popu- lusque iure scivit in foro pro rostris aedis divi Iulii pr(idie) Ck.) lulias. Tribus Sergia principium fuit, pro tribu Sex... L. f. Virro (primus scivit): cfr. lex agraria 1; lex Cornelia de XX quaesto- ribus. Il principium è ricordato anche per i comizi curiati: Liv. IX 38, 15: ZFaucia curia fuit principium. Ora per il Mommsen il principium è la tribù che la sorte designava per essere reci- tata per prima dopo fatto lo spoglio dei voti di tutte le tribù che avevano contemporaneamente votato (Stadtrechte p. 426; Staatsrecht III p. 411). All’estrazione a sorte del principium, dopo avvenuto lo spoglio dei voti di tutte le tribù, si accen- nerebbe chiaramente in Varrone rer. rust. Ill 17, 1 (comizi edilizi): Zatis tabulis sortitio fit tribuum, «c coepti sunt a praecone "a 614 PLINIO FRACCARO” resini (recitari Mommsen), quem quaeque tribus fecerit aedilem. Così pure si riferirebbe all'estrazione a sorte della curia prin- cipium la disposizione del c. 57 dello statuto di Malaga. Que- st'opinione del Mommsen si presenta subito come assai. diffi- cilmente accettabile. Non s'intende come i Romani facessero votare tutte le tribù contemporaneamente, per trarne poi a sorte dopo il voto una qualunque dalla quale cominciare la recitatio: e scrivessero poi nella praescriptio della legge che il primo vo- tante della tribù estratta era stato il primo a votare (primus scivit): un po’ che l'inizio delle operazioni elettorali nella sua. tribù, per un incidente qualunque, fosse stato ritardato, egli poteva essere stato il 35° o il 70°, per modo di dire, a votare. Nella sua arringa per Gn. Plancio, Cicerone dice (35): Quamquam, iudices, (agnosco enim ex me) permulta in Plancium, quae ab eo numquam dicta sunt, conferuntur. Fra l'altro, gli sì faceva colpa d'aver votato per primo la lex Iulia de publiconis rogata da Cesare nel 59. Nam quod primus scivit legem de publicanis tum, cum vir amplissimus consul id illi ordini per populum dedit, quod per senatum, si licuisset, dedisset, si in eo crimen est, quia suf- fragium tulit, quis non tulit publicanus? si, quia primus scivit, utrum id sortis esse vis an eius, qui illam legem ferebat ? Si sortis, nullum crimen est in casu; si consulis, splendor etiam Planci lune a summo viro principem esse ordinis iudicatum. Questo passo, sul quale anche il Mowmsen (Staatsr. HI p. 411 n. 2) s'è fermato, mi sembra inintelligibile se si accetta la sua opinione sul prix- cipium (Gn. Plancio doveva essere stato colui che primus scirit della sua tribù, ch'era stata la prima recitata — principiun — in quella votazione). Gli avversari dovevano rinfacciare a Plancio d'essere stato il primo a votare la legge nel senso che egli aveva dato così il brutto esempio: Cicerone dice che nessun publicano poteva votare diversamente e che la sorte aveva de- stinato che egli fosse il primo a votare. Ma il rimprovero ha. senso solo se si ammette che Plancio sia stato effettivamente il primo a votare di tutti i comizianti, non dei soli suoi #r/0ules, per esser toccato in sorte alla sua tribù di votare per prima; non l’ha se si interpreta che la sua tribù fu indicata dalla sorte. (o dal presidente) ad essere recitata per prima ed egli si trovò ad: essere il primo votante della tribù designata a principium. Posto dalla sorte in condizione di essere il primo effettivamente LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 615 e sulla prerogativa del principium sono concordi molti dei trat- tatisti anteriori e posteriori al Mommsen (cfr. Becker-MARQUARDT Handb. Il 1 p.374; Il 3 p. 131 cfr. 136; Lance Rom. Altert. 113 p. 483; Herzoc System I p. 1184; LieBenAM in PauLy-WiIssowa IV c. 706; cfr. però e. 684 per le curie; Borsrorp The Roman Assemblies — New-Jork 1909 — p. 466; mentre rimasero col Mommsen p. es. HumBert in DaremBERG6-SAGLIO I p. 1385; Mapvie Verfassung I p. 262; GreENIDGE Roman public life p. 259). Bisogna quindi ammettere che la sifella portata innanzi per l'estrazione a sorte che valeva come il primo atto del comizio (passi in Momwmsen Staatsr. INI p. 397 n. 1), servisse non sol- tanto per l'estrazione a sorte della tribù nella quale dovevano votare i Latini, ma anche per l’estrazione a sorte del princi- pium. Se Livio XXV 3, 16 ricorda solo la sortitio per la tribù dei Latini, è perchè questa avveniva per prima, e in rapporto all’intercessio (della quale qui Livio parla) segnava l’ultimo mo- mento in cui secondo le buone norme essa poteva esser fatta valere. In quale ordine votassero le altre tribù dopo il principium non sappiamo; ma molto probabilmente doveva valere l’ordo tribuum che era fisso e generalmente osservato (vd. ad es. Co. de lege agr. Il 79: quae est ista superbia et contumacia, ut populi pars amputetur, ordo tribuum neglegatur? e cfr. Mommsen Staatsr. III p. 164 sg.). Si può ritenere che per le tribù chia- mate al voto secondo l’ordo, si adoperasse l’espressione iure vocatae tribus che è in un passo di Livio (V 18, 2) che è però sospetto e che si riferisce ai comizi delle centurie. Inoltre due ipotesi si possono fare: o che le tribù venissero chiamate al voto secondo l’ordo cominciando dalla prima (la Suburana? cfr. Momwmsen Staatsr. IU p. 164 n.1) e saltando naturalmente la tribù principium che aveva votato per prima, o che venis- sero chiamate secondo l’ordo ma cominciando da quella che ve- niva dopo il principium sino alla fine per continuare poi con le tribù che nell’ordo precedevano il principium. Noi non abbiamo elementi per decidere per l’una o per l’altra ipotesi. Una grave difficoltà è ora presentata da un altro fatto. Lo statuto di Malaga ed altri testi mostrano che quando un can- didato ha raggiunto nella recitatio la maggioranza dei voti, si proclama eletto; coperti tutti i posti colla recitatio di un nu- 016 PLINIO FRACCARO votante di tutti i comizianti, diede col suo voto il cattivo esempio e ciò poteva essergli rimproverato (Cicerone lo seusa dicendo che come publicano non poteva fare diversamente); ma gli sì poteva serbar rancore se, a votazione compiuta, la sorte indicò la sua tribù ad essere recitata per prima? In tal caso egli avrebbe dato il cattivo esempio alla sua sola tribù, e molti altri potevano essere incolpati della stessa cosa, mentre evi- dentemente qui s'intende che Plancio diede il cattivo esempio a tutto il comizio. i La lex Clodia del 58 sull’esilio di Cicerone portava nella praescriptio il nome di un tale Fidulius, come quello del primo votante della tribù principiwm. Se questo Fidulio non avesse effettivamente votato per primo, non s’intenderebbe come (Ci- cerone desse importanza al fatto, accanto all’altro che in quel comizio aveva votato un branco di miserabili e di schiavi (de domo 79: consulari homini P. Clodius erersa re publica civitatem adimere potuit concilio advocato, conduetis operis non solum egen- tium, sed etiam servorum, Fidulio principe, qui se illo die con- firmat Romae non fuisse). Non solo; ma non avrebbe significato l'allusione ironica che Cicerone subito dopo ($ 80) fa alla con- dizione di vagabondo di questo Fidulio: Sin autem is primus scivit, quod facile potuit, (qui) propter inopiam tecti in foro per- noctasset, cur non iuret se Gadibus fuisse, cum tu te fuisse Inte- ramnae probaveris? In altre parole: non c'è da meravigliarsi che quel Fidulio sia stato lì pronto a votare per primo, poichè egli non aveva una casa e dormiva sul foro. Il pensiero di un primo votante su tutti è ben chiaro. Si deve quindi ritenere, contro il parere del Mommsen, che nei comizi legislativi la tribù principivm era designata dalla sorte a votare effettivamente per prima, analogamente a quanto avveniva nei comizi centuriati ove una centuria della prima classe veniva tratta a sorte per votare per prima e il risultato del suo voto veniva proclamato subito dopo (centuria praero- gativa: Mommsen Staatsr. III p. 398). Al principium, votante per primo, si allude nel racconto in Plutarco della votazione sulla proposta per il trionfo di Einilio Paolo (sopra p. 7: 4 ve not pud vòv dgiauBPov aneynpitero: efr. Scnwarze m. e. p. 56) e in quello di Appiano sulla deposizione di Ottavio (sopra p. 10: xaè 7g n90@rns pudijo xataypnpioanerng xrà.); sal LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 617 mero di tribù inferiore a 35, il voto delle tribù rimanenti non veniva pubblicato. Colla doppia proclamazione sostenuta dal Mommsen, si sarebbe saputo però ufficialmente quanti voti nei comizi elettorali un candidato aveva effettivamente ottenuto, e la sorte, cioè in fondo la divinità (Klebs p. 231), decideva nel caso che parecchi avessero ottenuto la maggioranza assoluta. Con la renuntiatio unica del Rosenberg invece, doveva accadere spesso che solo l’ultimo candidato proclamato venisse ufficial- mente eletto con la sola maggioranza di 18 tribù, mentre quelli proclamati prima dovevano spesso sentir comunicare ufficial- mente anche i voti che potevano aver avuto oltre i 18. Era una diversità di trattamento notevole. In ogni caso la votazione effettiva doveva essere facilmente nota appena fatto lo spoglio delle tribù votanti contemporaneamente: quantunque non s'aspet- terebbe che gli annali sapessero di voti mai fatti ufficialmente noti. Ma le fonti danno spesso il voto di tutte le tribù anche per casi nei quali la votazione doveva essere successiva e per i quali s'aspetterebbe che le tribù votassero tutte solo quando colla 34% tribù i voti fossero ancora pari (ad es. votazione della lex Sempronia iudiciaria in Dronporo XXXIV 27). Invece Asconio p. 71, 27 K. Sch.: plenissime Silanus absolutus est; nom duae solae tribus eum, Sergia et Quirina, damnaverunt. Per alcuni passi di Livio come III 63, 11: ommes tribus rogationem accepe- runt; XXIX 13, 7: omnes tribus e così XXX 43, 3; XXXVII 54, 12 potrebbe anche valere la spiegazione che il Rosenberg (p. 71) dà dei passi ove si parla di votazione unanime di tutte le centurie, cioè che la maggioranza fu ottenuta senza alcun contrasto. Ma ci sono altri passi di Livio come questo XLIII 8, 9: omnes quinque et triginta tribus eum condemnarunt, o quello VIII 37,10: tribus omnes praeter Polliam antiquarunt legem. Anche Ti. Gracco in PLurarco Ti. Gr. 15, 4 contrappone l'elezione del tribuno Ottavio avvenuta a maggioranza alla sua deposi- zione approvata all'unanimità: xaì mi)» ei dizeims E4aBe vv Onuaggiav, tòv adetotov pviòv ywnpwoauévov, TOS oùgi nav dparoedein dizardregov mACOVv Aropngioauevovi; viceversa la decisione che avviene effettivamente col voto della 18* tribù è messa fortemente in rilievo da Appiano d. e. 1 12, 54 ap- punto per la deposizione di Ottavio (@ùriza idi@rys yevduevos : cfr. sopra p. 10): cfr. anche Asconio p. 64 (sopra p. 9). Tut- 618 PLINIO FRACCARO tavia, colla votazione successiva, non resta che ammettere che tutte le tribù votassero. Ciò che specialmente urtava la plebe nei comizi centuriati era il fatto che parte del popolo non era di solito neppur chiamata a votare: e non dovrebbe quindi far meraviglia che nei popolari comizi delle tribù, queste volessero far tutte ugualmente noto il loro voto anche dopo raggiunta la maggioranza. La recitatio dei voti delle tribù secondo un ordine indicato dalla sorte, è ammessa dal Mommsen per i comizi tributi in genere; ma essa si rivela evidentemente come una particolarità dei comizi elettorali ed ha scopo solo se considerata in rela- zione alla necessità di determinare gli eletti fra i candidati che abbiano avuto la maggioranza assoluta dei voti e che potevano facilmente essere in numero maggiore dei posti da coprire. È infatti noi la troviamo nello statuto di Malaga e in Varrone, ove si tratta di comizi elettorali. Viceversa non si saprebbe vedere quale scopo essa potesse avere nei comizi legislativi e giudiziari, nei quali si votava solo sì o no e nei quali una mag- gioranza non si poteva non formare in un senso o nell’altro, dato che ogni tribù disponeva di un sol voto. È quindi ragio- nevole pensare che nei comizi legislativi, dopo il voto succes- sivo delle tribù, si annunciasse senz'altro il risultato finale senza estrazione a sorte. Invece non è parola di principium nella legge Malacitana; e non è in generale verosimile che nei comizi elettivi si traesse a sorte una tribù prerogativa (così noi intendiamo il principium contro l'opinione del Mommsen), che poi fra l’altro avrebbe potuto non essere indicata dalla sorte fra le tribù il cui voto si doveva renuntiare: quindi si può escludere che nei comizi elettorali vi fosse un principium. Ciò è confermato da un passo di Cicerone sui comizi edilizi che elessero Planeio (cfr. sopra, p. 6) e che sembra, a ben leg- gerlo, escludere in essi un principium (pro PI. 49): Ain tandem? una centuria praerogativa tantum habet auctoritatis, ut nemo um- quam prior eam tulerit, quin renuntiatus sit aut iis ipsis comitiis consul aut certe in illum (alium? Mommsen) annum; aedilem tu Plancium factum esse miraris, in quo non erigua pars populi, sed universus populus voluntatem suam declararit, cuius in honore non unius tribus pars, sed comitia tota comitiis fuerint praerogativa. Se in questi comizi, nei quali pare che Plancio abbia riportato LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 619 tutte le tribù, ci fosse stato un principium, Cicerone, anche in relazione con quello ch'egli dice nella prima parte del periodo, avrebbe dovuto esprimersi press’'a poco così: in quo non solum exigua pars populi..... cuius in honore non unius tantum tribus pars, cioè notare che Plancio non aveva avuto solo il voto del principium, l’omen comitiorum, ma anche quello di tutte le tribù. Invece tutte le tribù furono per lui la praerogativa favorevole: cioè voto contemporaneo di tutti senza principium. Stabilite queste diversità di procedura fra comizi elettorali e giudiziari, una serie di difficoltà che prima potevano sem- brare insormontabili (venivano infirmati numerosi passi di vari scrittori relativi a comizi) sparisce facilmente. Non crederei tuttavia (prove decisive però mancano affatto) che questa dif- ferente procedura dei comizi legislativi e elettorali sia sempre esistita da che le tribù furono chiamate a votare o sia anche soltanto molto antica. Si potrebbe pensare che il sistema della votazione contemporanea di tutte le tribù e della recitatio in un ordine determinato dalla sorte dei risultati pro tribu sia stato introdotto più tardi d’un solo tratto. L’assoluta ugua- glianza che con questo sistema venivano ad avere le tribù i cui voti potevano sì avere un valore diverso a seconda che erano recitati prima o dopo, ma sempre ad arbitrio della sorte, ac- cenna ad un periodo di avanzata democrazia, quando la diffe- renza di dignità fra le tribù era meno sentita; perciò questo ordinamento non è forse di molto anteriore alla proposta di democratizzazione dei comizi centuriati fatta da Caio Gracco (ps. Sanr. de re publ. ord. 2, 8). Io penserei alla democratica legge Gadinia sul voto scritto e segreto nei comizi elettorali approvata nel 139, pochi anni prima che si scatenasse in Roma la rivoluzione. Infatti bisogna tenere anche presente quale con- seguenza aveva per la durata della procedura elettorale il voto scritto. Col voto orale, ogni votante, passando dinanzi al ro- gator (Mommsen Staatsr. IIL p. 403), pronunciava due nomi o quattro ete. a seconda dei posti da coprire coll’elezione: il r0- gator avrà segnato un punto sotto o accanto al nome del re- lativo candidato che egli aveva già dinanzi sulla tabula. Le operazioni per un centinaio, ad es., di votanti (ordinariamente le tribù non dovevano comprendere molti votanti; alle volte qualcuna era deserta e si doveva far rappresentare in altro "TE Po i LE 620) PLINIO FRACCARO modo) non dovevano richiedere così molto tempo. Ben diverso era invece il caso colla tabella. Noi non abbiamo molti parti- colari in proposito (Staatsr. III p. 404): ma possiamo ben im- maginare che la distribuzione delle tadellae con parecchi nomi nell'interno del saeptum. la deposizione nella cista votante per votante e poi la diribitio, lo serutinio, dovevano richiedere un gran tempo. Per questo Varrone ha potuto, sceneggiando il terzo libro del de re rustica, immaginare che dopo la votazione gli interlocutori, per non annoiarsi, sì siano recati all'ombra e lì abbiano potuto tenere un dialogo che si svolge per un libro intero prima che lo spoglio dei voti fosse compiuto. Questa difficoltà era infinitamente minore per i comizi le- gislativi o giudiziari, nei quali si doveva deporre nella cista delle tabellae con espressioni assai semplici, uti rogas 0 antiquo, libero o damno, abbreviate in V 0 A, L 0 D, e quindi tali da potersi facilmente e rapidamente fare e ancor più rapidamente scrutinare. Ciò spiegherebbe perchè la legge Gabinia abbia or- dinato diversamente i comizi elettorali, mentre invece le poste- riori leggi tabellarie che estendevano il voto segreto anche agli altri comizi, conservarono per questi l'antico sistema di veta- zione. Con l'introduzione della votazione contemporanea nei co- mizi tributi elettorali, deve essersi accompagnata l'abolizione del principium. La prima traccia di un comizio elettorale senza principium io la vedrei nelle elezioni tribunizie dell'estate del 133 (Apprano d. ce. I 14, 60), nelie quali Tiberio Gracco si presentò candidato per la seconda volta al tribunato. yiyvonuérns dè 176 gergorovias dio uèv Epdacav ai nobrar pviai l'odagov @ro- piva: ma i ricchi si oppongono sostenendo che la iterazione del tribunato era illegale. Col sistema del principium, l'oppo- sizione avrebbe dovuto sorgere subito dopo lo spoglio della tribù votante per prima, come si deve forse intendere nel rac- conto di Pisone sull’elezione di Gn. Flavio ad edile in GeLLto VII (VI) 9, 2: Gn. Flavius patre libertino natus scriptum faciebat, isque in eo tempore aedili curuli apparebat, quo tempore aediles subrogantur, eumque pro tribu aedilem curulem renuntiaverunt. Aedilem, qui comitia habebat, negat accipere etc. (= Livio IX 46, 1: in questi due passi non è però necessario supporre, come alcuni credono, il principium). Nell'elezione di Gracco in- LA PROCEDURA DEL VOTO NEI COMIZI TRIBUTI ROMANI 621 vece, si tratta evidentemente delle due prime tribù delle tren- tacinque votanti, i cui scrutatori giunsero, compiuta l’opera loro prima degli altri, al presidente per riferire i risultati. Con l'introduzione della votazione simultanea nei comizi tributi elettorali, si collega poi il fatto che poco dopo essi co- minciarono ad essere convocati nel campo Marzio, ove si tene- vano già 1 comizi delle centurie, invece che sul Campidoglio e sul Foro (vd. Momwmsen Staatsr. HIT p. 380). L'ultimo comizio elettorale tributo, tenuto sul Campidoglio, a noi noto, è quello in cui trovò la morte Ti. Gracco; suo fratello Caio, dieci anni dopo, è già eletto in campo (roò nediov ui) defautvov tò 105) secondo una notizia di PLruraRco (C. Gr. 3, 1) che il Mommsen ritiene (ib. p. 381 n. 6) senza ragione inesatta. Per il primo secolo a. C. tutte le notizie di comizi tributi dn campo si rife- riscono a elezioni (Mommsen è. p. 382 n. 8). La ragione è chiara. Nelle. ristrette aree del Foro e del Campidoglio intorno al tempio di Giove, sempre più diminuite da nuove costruzioni,. era difficile disporre agevolmente i saepta per 35 tribù votanti contemporaneamente: si richiedeva uno spazio ed un armamen- tario non indifferente, e perciò si pensò di utilizzare anche per le elezioni da parte delle tribù l’ampia spianata del campus. lo non ritengo che con l’antico sistema della votazione succes- siva si disponessero tanti saepta quant’erano le tribù: sarebbe stato perfettamente inutile. Dalle notizie degli autori (MommsEN o. c. p. 398) nulla si ricava in proposito: ma si può congettu- rare che all'invito si vobis videtur, discedite, Quirites (Liv. II 56, 12) i cittadini si disponessero in gruppi per tribù, e che quindi ciascuna tribù venisse mano mano intro vocata (cfr. Livio X 13, 11 per le centurie: ut quaeque intro vocata erat centuria ; per le tribù XL 42, 10: cum plures iam tribus intro vocatae dicto esse audientem pontifici duumvirum iuberent; XLV 36, 7: intro vocatae primae tribus). Infatti del discedere e dell’intro vocare si parla come di due atti distinti (Mommsen o. c. p. 398 n. 5; 399 n. 1), mentre ciò sarebbe stato inutile se tutti i votanti avessero dovuto entrare ciascuno nel saeptum della sua tribù per votare contemporaneamente. È più logico quindi ritenere che per la votazione successiva si erigesse un recinto da occu- parsi mano mano da una tribù dopo l’altra. Così si spieghe- rebbe anche come, dopo costruiti nel campo Marzio i monu- "> 622 PLINIO FRACCARO — LA PROCECURA DEL VOTO, ECC. mentali saepta Iulia, terminati da Agrippa nel 26 a. C., siasi continuato a convocare altrove i comizi tributi quando si trat- tava non di elezioni, ma di approvare delle rogazioni; la dex Quinctia sugli acquedotti del 9 a. C. fu votata în foro pro rostris aedis divi Iuliù (Hiisen Foro Romano p. 127), come è detto nella praescriptio (sopra p. 14), e VALERIO ProBo de iuris. no- tarum (Grammatici Latini IV p. 272) nella praescriptio che egli dà come tipica indica il foro come il luogo in cui regolarmente si tenevano i comizi legislativi: P(opulum) I(ure) R(ogavit) P(o- pulus) Que) Ire) S(civit) Im) F(oro) P(ro) R(ostris) K{x) A(nte) D(iem) P(ridie): cfr. Momwmsen o. c. p. 383. Ora sarebbe stato assurdo di rizzare altrove un macchinamentoso edifizio di ta- vole e di corde per i saepta necessari a 35 tribù, se i saepta esistevano stabili e marmorei in campo: vuol dire che l’appa- recchio richiesto dai comizi legislativi era molto più semplice. Roma, gennaio 1914. L’ Accademico Segretario R. RENIER. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’8 Marzo 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO LORENZO CAMERANO VICE- PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti i Soci D’ Ovipro, NAccarI, Foà, GUARESCHI, Guipi, FrLeti, PARONA, MATTIROLO, SOMIGLIANA, FUSARI, e SEGRE Segretario. Si legge e si approva il verbale dell'adunanza precedente. Vengono comunicati i tre seguenti inviti: 1° a contribuire alle onoranze alla memoria di Giovanni SCHIAPARELLI; 2° a prender parte alla cerimonia che si farà a Palermo il 14 aprile in onore del Prof. Guccia, fondatore del Circolo Matematico; 3° a partecipare al Congresso internazionale di Meteorologia che si terrà a Venezia verso la metà di settembre. Il Socio straniero NoerHER ha inviato in omaggio la sua commemorazione di P. GoRDAN. Il Socio PARONA presenta, per la stampa negli Atti, una Nota del Prof. L. CoLomBa intitolata: Speziaîite, nuovo anfibolo di Traversella. Vengono successivamente lette dal Socio SomreLiaANA e dal Socio MartIRoLo (anche a nome dei Colleghi D’Ovipio e Pa- RONA) le Relazioni sulle Memorie SANNIA e TERRACCIANO, pre- sentate nelle ultime sedute. E con due successive votazioni una- nimi vengono accolte quelle Memorie per i volumi accademici. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 42 Il Socio MartIRoLo trae occasione dalla Memoria TeRRAC- crano per informare la Classe come egli, continuando nelle pra- tiche iniziate con MicneLe Lessona fin dal 1891, sia giunto ora felicemente ad attuare il desideratissimo scambio dei materiali dell’Erbario Re, riguardante la Flora Segusiensis e la Flora To- rinese, che si trovavano all'Università di Sassari (legati del Pro- fessore M. RevieLIo), con una collezione dei doppi dell’Erbario della Flora Sardoa di G. G. Moris, che si conserva a Torino. Egli comunica all'Accademia l'importante notizia, lieto che final- mente i documenti che illustrano l’opera scientifica di G. F. RE siano ritornati nell'ambiente più adatto per la loro utilizzazione scientifica. Infine il Socio Somi@LIANA presenta una Memoria di E. LAURA Sopra il problema esterno della Dinamica dei mezzi elastici iso- tropi. Vengono incaricati di riferirne i Soci NAccarI e Somr- GLIANA. LETTURE Speziaite, nuovo anfibolo di Traversella. Nota di LUIGI COLOMBA. Tra le formazioni di contatto più caratteristiche del gia- cimento di Riondello, a Traversella, sono da menzionare le pirosseniti spesso granatifere che costituiscono una parte molto importante delle grandi masse di silicati localmente indicate col nome di porta del ferro, perchè al di là di esse gene- ralmente incominciano a comparire le vere forniazioni me- tallifere. Queste pirosseniti sono spesso anfiboliche e, come appunto sì osserva nelle parti centrali della galleria indicata col nome di Ribasso Mongenet, passano a vere anfiboliti pirosseniche il cui tipo più frequente venne già descritto da A. Traverso (1). Però, mentre in queste comuni anfiboliti pirosseniche, Van- fibolo è sempre costituito da attinoto, nelle vere pirosseniti al posto dell’attinoto è contenuto un altro minerale che, per quanto ancora riferibile, come si vedrà in seguito, al gruppo degli anfiboli monoclini, tuttavia presenta un complesso di caratteri che permettono di considerarlo come una varietà ben distinta e meglio ancora come una vera specie minerale indi- pendente. A detto minerale, il cui studio forma oggetto della pre- sente Nota, ho dato il nome di Speziaite in omaggio alla ve- nerata memoria del mio compianto maestro Prof. Giorgio Spezia. (4) “* Atti della Soc. Lig. di Sc. Nat. e di Geogr. ,, V, fasc. 1°. 620 LUIGI COLOMBA Il modo di presentarsi di questo minerale nelle pirosseniti varia assai per il fatto che, oltre ad essere diffuso, per quanto sempre scarsamente, nella loro massa, lo s'incontra anche ac- cumulato in alcune loro parti. Quando è disseminato nella massa delle pirosseniti, esso non presenta, per quanto riguarda la sua frequenza e la sua ripartizione nell'interno delle pirosseniti, nulla di particolare, essendo in fibre isolate o riunite in fascetti, dotate di tinta nera o verde scurissima a luce riflessa e disseminate fra i cri- stalli di pirosseno. A differenza però di quanto si nota nelle anfiboliti pirosseniche della stessa località, nelle rocce conte- nenti la speziaite non si osservano mai cristalli di pirosseno parzialmente o totalmente trasformati direttamente in spe- ziaite; tuttavia ho osservato in alcune sezioni di pirossenite che talvolta l’anfibolo derivante dalla parziale trasforma- zione del pirosseno era sotto forma di aggregati di fibre che all'estremità opposta, cioè nella parte più lontana dal pi- rosseno, presentavano caratteri molto prossimi a quelli della speziaite, perdendo il primitivo aspetto di attinoto; tuttavia non potendosi in tal modo escludere che la speziaite possa essersi formata a spese del pirosseno preesistente, dal com- plesso dei suoi caratteri di giacitura, sembra più logico con- cludere che essa rappresenti un minerale di formazione poste- riore al pirosseno. Quando è in accumuli questi possono essere di varie di- mensioni, assumendo a seconda dei casì l'aspetto di geodi o di druse. Le prime, quando hanno piccole dimensioni sono disse- minate, senza ordine alcuno, qua e là nelle pirosseniti ed hanno forme assai varie, sebbene prevalgano quelle foggiate a man- dorla od a lente; in esse la speziaite apparisce in fasci di cristalli aciculari o fibrosi molto allungati ed associati a gra- nato ed a calcite spatica, la quale, come ultimo minerale for- matosi, ne riempie le cavità, avvolgendo gli altri minerali in esse contenuti, Nelle geodi, specialmente nelle maggiori, si hanno pure talvolta cristalli pentagonododecaedrici di pirite, i quali sono specialmente visibili dove abbonda la speziaite; si osserva anzi che nelle loro vicinanze la speziaite modifica sensibilmente il suo colore passando, con gradazioni molto rapide, ad un altro SPEZIAIE, NUOVO ANFIBOLO DI TRAVERSELLA 627 anfibolo bianco-grigiastro, non essendo raro il caso di fibre in parte costituite da vera speziaite ed in parte dal detto anfibolo chiaro, a seconda che dette parti siano lontane o vicine a qualche cristallo di pirite. Quando invece gli accumuli formano druse, la speziaite si presenta con caratteri differenti; essa è ancora in detti casi sotto forma di fasci di fibre, ma queste compariscono nei fasci curvate a spirale, spiccando assai, per il loro intenso color bruno e per la loro viva lucentezza, sul fondo costituito da un intreccio di fibre di un anfibolo bianco-verdiccio e di clorite microla- mellare verdastra, ottenendosi in tal. modo un aspetto molto elegante per gli esemplari. Anche le fibre dell’anfibolo chiaro presentano in parte le stesse curvature a spirale, essendo generalmente, in detti casi, intercalate fra le fibre di speziaite. La speziaite è monoclina; però dal lato dei suoi caratteri geometrici poco posso dire per il fatto che per l’abito preva- lentemente fibroso o puramente aciculare dei suoi cristalli, come anche per la scarsità grandissima di cristalli dotati di facce terminali, non potei ottenere che poche misure ed anche solo approssimative, rese ancora più difficili dalle esigue dimensioni dei cristalli di cui potevo disporre. Nei cristalli di speziaite, anche quando essi hanno facce terminali, si nota sempre una grandissima povertà di forme, es- sendo queste esclusivamente rappresentate dalle 110,010, 011. La prima è costantemente presente; però mentre nei cri- stalli di dimensioni minori le sue facce, come anche quelle della 010 pure assai frequente, appariscono molto nitide, ciò non avviene nei cristalli più grossi; in questi la nitidezza delle facce di dette forme va diminuendo fino a scomparire com- pletamente, essendo i cristalli, più che da un solo individuo, costituiti da un aggregato di più individui riuniti in posizione parallela. Questo fatto, assai comune del resto in tutte le specie del gruppo dell’anfibolo, mi rese assai difficile di ottenere buone misure per l’angolo del prisma 110, non avendo potuto impie- gare per tali ricerche i cristalli dotati di facce nitide in causa de. 628 LUIGI COLOMBA della loro piccolezza; malgrado queste difficoltà ebbi da un gruppo di cristalli accuratamente scelti fra le molte centinaia che avevo a mia disposizione, alcune discrete misure che mì permisero di stabilire che l’angolo acuto del prisma 110 oscilla fra 55° 30' e 56°. Per quanto riguarda l'angolo 8 ebbi pure modo di ricavare alcuni valori, però anche meno approssimati dei precedenti, usando alcuni fra i cristalli dotati di facce terminali, appar- tenenti, come già ho detto, alla 011. Trattandosi di cristalli del tutto microscopici, dovetti limitarmi a compiere alcune misure coll’oculare goniometrico; scelsi a questo scopo alcuni cristalli nei quali, oltre alle facce della 110 e della 011. erano anche presenti e bene sviluppate quelle della 010 e li disposi in modo che essi venissero ad appoggiarsi sul porta oggetti con una delle facce di quest’ultima forma. In tal modo, misurando l’an- golo piano fatto dalla coppia di spigoli 110.110 e 011.011, am- bedue giacenti in un piano parallelo alla 010, e quindi, data la disposizione dei cristalli, al piano del porta-oggetti, potei determinare l'angolo 8, essendo detto angolo uguale a quello da me misurato; trovai per esso valori oscillanti fra 73° e 74°. La speziaite presenta a luce naturale, per trasmissione, un color verde-scuro molto intenso, per cui la sua trasparenza è sempre molto scarsa anche nei cristalli piccoli, mancando com- pletamente in quelli maggiori, i quali, come già ho detto, as- sumono in conseguenza di ciò un color nero ed una viva lu- centezza vetrosa tendente all’adamantina; nelle sezioni allungate si osservano al microscopio striature parallele all’allungamento dei cristalli e nelle sezioni rombiche è visibile un reticolato in cui l'angolo acuto delle maglie oscilla fra 55° e 57°; tanto le une quanto le altre dipendono evidentemente dalla presenza di una sfaldatura prismatica secondo la 110, corrispondente quindi a quella propria degli anfiboli monoclini. Ho anche notato spesso nei cristalli di speziaite una tendenza a rompersi quasi normalmente al loro massimo allungamento. Il pleocroismo è assai intenso nelle sezioni relativamente poco sottili, mantenendosi però sempre nettamente visibile anche nelle sezioni sottilissime; in queste anzi la perfetta trasparenza lascia vedere molto bene i colori e la maggiore o minore intensità dell’ assorbimento nelle varie direzioni. SPEZIAITE, NUOVO ANFIBOLO DI TRAVERSELLA » 629 Si ha: a= verde-smeraldo con tendenza talvolta al verde-gial- liccio : 6 = bruno-giallastro ; c= aAZZUurIro : essendo b >c>a; per quanto la differenza fra 6 e c sia molto piccola. . Misurando l'angolo di estinzione sulle facce della 010 ot- tenni per ce valori compresi fra + 23° e + 24°; sulle facce del prisma 110 tale angolo oscilla fra + 15° e + 16°; nei cri- stalli policromi si nota che le parti dotate di tinta chiara hanno per l'angolo di estinzione sulle facce della 010 valori oscillanti fra + 14° e + 16°. Per il momento non ho potuto compiere altre osservazioni ottiche, in causa delle difficoltà insormontabili opposte dal ma- teriale di cui disponevo; ho stabilito però che il piano degli assi ottici coincide col piano di simmetria. Riguardo al peso specifico della speziaite constatal che i suoi cristalli intro- dotti nel joduro di metilene puro, ad una temperatura di circa 12°, rimanevano sospesi nel liquido avendo però una certa tendenza a portarsi verso il basso, dimostrando in tal modo di possedere una densità molto prossima a quella del liquido. Onde avere risultati più esatti, impiegando oltre quattro grammi di sostanza, ho fatto col picnometro una determinazione diretta che mi diede il valore di 3,362. Considerata rispetto ai suoi caratteri chimici si osserva che la speziaite, nelle ordinarie condizioni fisiche, non è decom- posta che dal solo acido fluoridrico; scaldata al cannello fonde senza troppa difficoltà in uno smalto bruno che è decomposto anche dall’acido cloridrico. Dall'analisi qualitativa essa risulta essenzialmente costi- tuita da un silicato di ferro, calcio, magnesio e sodio, conte- nente anche piccole quantità di alluminio, potassio, manganese ed acqua, essendo il ferro per la massima parte allo stato di sesquiossido. Da una serie di saggi quantitativi, compiuti su 630 LUIGI COLOMBA materiale accuratamente scelto e disaggregato con carbonato sodico-potassico o con acido fluoridrico, ottenni risultati assai concordanti che mi hanno portato ai seguenti valori medii centesimali : | Sio, alati RO Ade lic FesOa mik stenti BALDI Uol): sic alveari Met. si. lu ge a Foliué Led il Mn0 aiar Nasl i size utt di barriera Halle a oiet (),50) 99,71 Date le minime quantità del sesquiossido di alluminio e degli ossidi di manganese e di potassio, ho creduto utile, allo scopo di evitare formole troppo complicate, di trasformarle rispettivamente nelle corrispondenti quantità di sesquiossido e di protossido di ferro e di ossido di sodio; ho reputato però conveniente di non trascurare l’acqua per quanto anch'essa sia presente in quantità molto piccola. Compiendo tale trasformazione peri detti ossidi e portando la somma a 100, si ottengono dai soprascritti dati analitici i valori riferiti nella prima colonna della seguente tabella, nella quale sono pure contenuti i corrispondenti rapporti molecolari : Composizione centesimale Rapporti molecolari SiO, 36,26 = 0,604 2,69 Fe,O, (Al30,) =— 35,88 0,224 1 Cao 10,55 0,188 | Mg0 7,88 0,195 FeO (Mn0) 4,23 0,059 è 0,546 2,43 Nas0 (Ks0) 4,70 0,076 Hs0 0,50 0,028 100,00 SPEZIAITE, NUOVO ANFIBOLO DI TRAVERSELLA 651 Questi rapporti molecolari portano con grandissima appros- simazione alla seguente formola greggia : 27 Si0, < 10/Fe,0; . 24 (Ca, Mg. Fe, Nas, H,) 0 come risulta dai valori contenuti nella seguente tabella e teo- ricamente corrispondenti alla detta formola, quando si man- tengano per i varîì protossidi gli stessi rapporti: Ca0:: Mg0 : Fe0 : Nas0 : Hs0 ::6,7:7:2,1.:2,7:1 determinati dalle analisi: Siopo della arfyeadaon86,50 HesOsitrcntiitib+bai 185580 Ua@ibissà za vl 10,68 Ma0r0dg sbatti hiva89 È Fe rigrilatà ib W}8724902 Nabele sab eMmnAai Ha@:0 4jbréd bue asp50 100,00 non potendo avere alcuna sensibile influenza le piccole diffe- renze che si hanno nel tenore in silice ed in protossido di ferro. Per cui, supponendo che il sesquiossido di ferro abbia esclusivamente funzione basica, si giungerebbe per la speziaite alla seguente formola di un ortosilicato 5Fe'”, (Si0,); + 12 (Ca, Mg, Fe”, Nas, Ha) SiO, essendo pure presenti piccole quantità di K,0, di A1,03 e di MnO. Dal complesso delle precedenti ricerche risulta che la spe- ziaite, pur presentando caratteri specifici ben distinti, deve, come già ho detto, riferirsi. per i suoi caratteri geometrici al gruppo degli anfiboli monoclini. Infatti, se si considerano i valori angolari da me ottenuti per il prisma 110 e per l’an- golo 8, essi sono compresi fra quelli che si hanno per i detti 9 angoli nelle principali specie e varietà appartenenti al detto gruppo, come risulta dalla seguente tabella che contiene alcuni fra i più sicuri valori dei detti angoli: 632 LUIGI COLOMBA 110 110 100.001 Orneblenda 55° 8' (1) 73° 58' 15” (1) x 5508286” (®) | 750413" (2) ' 55° 5430” (9) 74085’ 24” (8) Glaucofane 55° 57 (4) 73° (5) Riebeckite 56° (1) 73°4' (8) Arfvedsonite 56° 5' (7) 73° 2' (7) Crocidolite 56° (1) — Barkevikite 55° 44' 30" (8) de Sebbene questi dati indichino chiaramente l’esistenza di un isomorfismo geometrico fra la speziaite e le sopra riportate specie e varietà, tuttavia, data la poca approssimazione delle mie misure, non è possibile di stabilire se essa, presenti dal lato geometrico una qualche maggiore affinità per taluna di esse e particolarmente per quelle che, al pari di essa, sono molto ricche in ferro ed in alcali. L'esistenza di queste relazioni è però da escludersi quasi completamente quando si tenga conto di ciò che io ottenni dalle ricerche chimiche e dalle osservazioni ottiche da me compiute sulla speziaite, risultando evidente, sia dalle une che dalle altre, quanto io ho in principio della presente nota affermato sulla impossibilità di identificare la speziaite con qualcuna delle dette specie e varietà, opponendovisi le differenze molto grandi che sì notano nelle loro composizioni chimiche e nel loro compor- tamento ottico rispetto a quei caratteri da me determinati nella (') Dana, System of Mineralogy (1892), pag. 885. (*) Zamgonini, © Zeit. fiir Kryst. und Miner., XL, pag. 231. (*) In., “Id. ,, XXXVII, pag. 369. (*) In., “ Atti della R. Ace. dei Lincei ,, Roma (1902), I, pag. 204. (*) KLocumana, Lehrbueh der Mineralogie (1912), pag. 523. (*) Sorras, “ Proc. R. Irish Acad, (1894), 3, pag. 516. (?*) Brbaggr, * Zeit. for Kryst. und Miner. ,, XVI, pag. 398. (*) Ip., “Id. ,, id., pag. 412. | SPEZIAITE, NUOVO ANFIBOLO DI TRAVERSELLA 635 le) ( speziaite, cioè rispetto al pleocroismo, all’assorbimento ed agli angoli di estinzione. Ciò è evidente nel caso della glaucofane, la quale, mentre presenta un pleocroismo ed un assorbimento del tutto differenti da quelli della speziaite, se ne allontana pure notevolmente tanto per il piccolo valore in essa assunto dall'angolo ce, quanto per la composizione chimica, non solo perchè in essa, a differenza di quanto avviene nella speziaite, è sempre in prevalenza il sesqui- ossido di alluminio, ma anche e specialmente perchè, in causa del suo alto tenore in silice, la glaucofane è da considerarsi come un metasilicato. mentre la speziaite, come si è visto, ha la formola di un ortosilicato. A conclusioni analoghe si giunge considerando gli altri anfiboli sodici del gruppo della arfvedsonite, della riebeckite ecc. ; anche questi, sebbene presentino in alcuni casi una notevole ricchezza in sesquiossido di ferro ed una conseguente scarsità. talvolta molto spiccata, in sesquiossido di alluminio, tuttavia mostrano differenze sensibilissime nella loro composizione chi- mica in confronto a quella della speziaite, per il fatto sopra- tutto che, pur essendo in generale centesimalmente meno abbon- dante la silice, tuttavia corrispondono ancora, al pari della glaucofane, a formole di metasilicati; inoltre differenze non meno importanti si hanno per quanto riguarda sia il pleocroismo e l'assorbimento che hanno nulla di comune con quelli della spe- ziaite, sia gli angoli di estinzione i quali sono per nulla para- gonabili a quello da me ottenuto per la speziaite, essendo in esse, come è noto, l’angolo cc grandissimo e prossimo a 90°. A risultati poco dissimili si arriva confrontando la speziaite colla orneblenda e con le sue varietà, poichè anche in questo caso, se pure sì può riconoscere che esista dal lato chimico una qualche maggiore affinità che non colle precedenti specie, tut- tavia i caratteri complessivi si mantengono sostanzialmente distinti. Invero, se, per quanto riguarda la composizione chimica della speziaite, il fatto che sono abbastanza frequenti nella orneblenda i tipi riferibili ad ortosilicati o che molto vi si approssimano, può lasciar supporre che esista una certa affinità di costituzione fra le due sostanze, tuttavia occorre non dimenticare come anche riguardo ai caratteri chimici si abbiano differenze assai grandi, 634 LUIGI COLOMBA specialmente in quanto si riferisce ai rapporti nei quali entrano i singoli componenti nell’una e nell’altra. Tali differenze sono pure assai grandi dal lato ottico, perchè, mentre al pari di quanto si è visto avvenire nel caso degli an- fiboli riechi in alcali, non esiste nessuna relazione fra il pleo- croismo della speziaite e quello della orneblenda, ciò pure av- viene per l'assorbimento, essendo estremamente rari i casì di orneblende che presentano lo stesso schema di assorbimento della speziaite. Rispetto alle estinzioni, il fatto che i valori da me trovati per l'angolo ce nella speziaite sono compresi fra quelli presen- tati per il detto angolo dalla orneblenda, lascia a tutta prima. supporre che per detto carattere esistano relazioni abbastanza strette fra l’uno e l’altro minerale; ma anche in questo caso sì può conchiudere negativamente se si tiene conto delle osser- vazioni compiute da Wjik (!) sulle variazioni del valore dell’an- golo cc negli anfiboli col variare delle quantità di sesquiossido di alluminio in essi contenute. Infatti il detto autore ha dimo- strato che il valore di questo angolo aumenta nelle dette specie coll'anmentare delle quantità di sesquiossido di alluminio, per modo che i massimi suoi valori, paragonabili a quelli da me trovati per la speziaite, si hanno negli anfiboli che contengono oltre il 20°, di detto sesquiossido, il quale invece manca quasi _ completamente nella speziaite. Rimane quindi in tal modo confermata la completa indi- pendenza della speziaite dalle altre specie e varietà costituenti il gruppo degli anfiboli monoclini e quindi la necessità di con- siderarla come una specie a sè. Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari. 5 marzo 1914. 655 Relazione sulla Memoria del Dott. Gusravo SANNIA: Carat- teristiche multiple delle equazioni lineari alle derivate par- ziali in due variabili. In una precedente Memoria, pubblicata dalla nostra Acca- demia (S. II, vol. LXIV, 1913) il Dott. Sannia si è proposto lo studio delle caratteristiche multiple delle equazioni a derivate parziali con due variabili indipendenti. E potè compiere tale studio per le caratteristiche il cui ordine di multiplicità non supera il quarto. Nella presente Memoria il Dott. Sannia riprende a trattare lo stesso problema, e limitandosi alle equazioni lineari, riesce a fare lo studio completo delle loro caratteristiche con qualunque ordine di molteplicità. Egli classifica le caratteristiche v-ple in v classi, che poi suddivide in numerosi tipi, trovandone le proprietà più notevoli. Particolarmente interessanti sono le ca- ratteristiche di una delle dette classi, le cui proprietà si pre- sentano come la più naturale estensione delle proprietà delle caratteristiche semplici. Per esse, come per le semplici, passano infinite superficie integrali dell’equazione. Dopo avere studiata una caratteristica multipla isolata, il Sannia tratta dei sistemi di caratteristiche multiple ed assegna forme tipiche per quelle equazioni che ammettono non più di due sistemi di caratteristiche multiple appartenenti a classi o tipi prefissati. Ciò gli permette di arrivare ad una classifica- zione completa delle equazioni lineari dei primi cinque ordini, che può essere utile nella ricerca dei teoremi di esistenza delle superficie integrali delle equazioni medesime. i Questi risultati, sebbene limitati alle equazioni lineari, sono di notevole importanza, sia perchè tali equazioni sono quelle che più frequentemente si incontrano nelle applicazioni, sia perchè da essi sembra si possa ricavare qualche lume anche LAZ : ne riguardo al problema insoluto delle catulteriscalle multi) un'equazione qualunque. Il Sannia ritiene infatti di poter din strare che la maggior parte delle proprietà trovate nel i ) lineare non mutino sostanzialmente nel passaggio al caso gi nerale. “ple Per queste ragioni riteniamo che il lavoro del Dott. di Se la possa essere accolto nelle Memorie Accademiche. E. D'Ovipro. Lr ve C. SOMIGLIANA, Ratoe «i ford “vota n sura «bitinvitni } 4 ogofì 4 rà sin ipite nigit @ 1530Ì 40 Relazione sulla Memoria presentata dal Prof. AcaiuLe TER- RAacciano dal titolo: La “ Flora Sardoa , di Michele An- tonio Plazza redatta sui suoi manoseritti. Nell'anno 1906, io ebbi, unitamente al Professore Belli, l’onore di presentare a questa Accademia una Memoria intorno a “ Michele Antonio Plazza da Villafranca (Piemonte) e la sua opera in Sardegna ,. Un fortunato evento e la generosità di un pronipote del PLazza, il Signor Cav. FRANCESCO PACcHIOTTI, mi avevano concesso di poter rintracciare alcuni preziosissimi ma- noscritti che il PLazza aveva lasciato sulla Flora della Sardegna e sulle antichità dell’ Isola. Lo studio di questi cimelii ci rivelò il PLAZza sotto una luce novissima, assolutamente insospettata; ci mise in presenza di un’opera di grande importanza sulla Flora della Sardegna; e noi di questi manoscritti ci eravamo allora di proposito occupati, studiandoli da un punto di vista generale, nella Memoria pre- sentata all'Accademia nella Adunanza del giorno 29 aprile 1906. In detta Memoria il BeLtr, allora Professore di Botanica a Cagliari, si interessò dell'esame dei mss. botanici. Il Profes- sore TarameLLI Direttore del Museo di Antichità di Cagliari, e il Dott. Lonpo pure di Cagliari, si occuparono di quelli riguar- danti i preziosi documenti archeologici raccolti dai PLAZZA; mentre io mi studiai di ricostruire e di seguire la vita e l’at- tività scientifica del nostro chirurgo, botanico, archeologo, che visse in Sardegna dal 1748 al 1791, anno della sua morte. Queste cose ho stimato necessario premettere all'esame del lavoro oggi presentato alla Accademia dal Prof. Acme Ter- rRaccrano della Università di Sassari, perchè si potesse conve- nientemente valutare l’importanza dello studio al quale il TER- RACCIANO si accinse, or fa un anno, nel nostro Istituto. Egli riprese l'esame particolareggiato del principale mano- scritto botanico del PLazza (per generosa disposizione del Ca- 638 valiere PaccHiorti ora di proprietà dell'Istituto di Torino) e volle così completare l'opera che noi avevamo appena lumeg- giata nei suoi momenti principali. Così la “ Flora Sardoa , lasciataci manoscritta dal PLAazza viene fuori oggi illustrata e messa in paragone colle opere po- steriori che trattano lo stesso argomento, e principalmente con quella classica di Gruseppe Giacinto MoRrIs. Il lavoro del TERRACCIANO, pur troppo, per ragion di tempo, finora dall'Autore ristretto allo esame delle Crittogame e delle Monocotiledoni (ma che speriamo verrà presto completato collo studio delle Dicotiledoni), è riuscito un documento interessan- tissimo, e molto onorevole per la storia dei botanici piemon- tesi. Esso ci dimostra, con nuovi documenti, quale realmente fosse stato il valore scientifico del PLAZZA, già da noi alta- mente proclamato. Noto per il solo cenno che di lui aveva fatto CarLo AL- LIONnI nel “ Fasciculus Stirpium Sardinie in Diocesis Calaris lectarum a M. A. Plazza Chirurgo Taurinensi, quas in usum botanicorum recenset Carolus Allionus , il nome del PLAZZA, da tutte queste pubblicazioni, documentate colla più scrupo- losa serietà di critica, balza fuori come quello di un vero scienziato. Egli è vero che occorse più di un secolo, ed una fortunata combinazione, perchè il suo nome uscisse dall'oblio immeritato nel quale fu mantenuto, anche per l’incomprensibile silenzio che il Morris tenne su di lui e sulle opere sue; ma oggi rifulge la sua memoria di nuova luce e la sua natìa Villafranca può ben vantarsi di tale suo figliolo, perocchè l’opera sua oggi sì ma- nifesta in tutta la sua importanza, in tutto il suo alto valore scientifico. La “ Flora Sardoa , di M. A. PLAZza, che precorse di molti anni quella del Moris e che fu dovuta agli eccitamenti illuminati del celebre Ministro di Carlo Emanuele III, G. B. Bo- GINO ed a quelli di CARLO ALLIONI, ci appare anche per un altro riguardo che non sia quello scientifico, interessante e simpatica, perocchè essa rappresenta un nuovo nobile documento di quei vincoli di fratellanza che legarono e legheranno sempre il Pie- monte alla nobilissima Isola di Sardegna. Il lavoro del Terracciano fu in parte eseguito sotto gli 639 occhi di uno di noi nell'Istituto di Torino (dove si conservano i cimelii del PLAZZA), per cui, anche per riguardo al metodo di studio seguito dall’Autore, possiamo assicurare che esso è, se- condo il nostro giudizio, condotto in modo ottimo e che noi perciò lo riteniamo degnissimo di essere accolto nei volumi delle Memorie, dove già si trovano la massima parte degli studi finora eseguiti sulla Flora di Sardegna. Torino, 1° Marzo 1914. C. F. PARONA. Oreste MaTtIROLO, Relatore. L’Accademico Segretario CorrADO SEGRE. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 43 640 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 15 Marzo 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE. Sono presenti i Soci: Prizzi, De SanctIs, BronpI, SFORZA, ErnaupI, Baupr pr Vesme, RenIiER Segretario. — Scusano l’as- senza i Soci: CARLE, RUFFINI, STAMPINI. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza prece- dente, 1° marzo 1914. Il Socio Bronpr presenta un suo lavoro stampato su La trasformazione degli istituti equiparati e l'iniziativa locale, Milano, Soc. editr. lombarda, 1913. | Il Socio DE Sanoris presenta per gli Atti: 1° la seconda parte di una Nota del compianto dott. Emilio Pozzi, Studi sulla guerra civile sillana, della cui prima parte ha fatto presentazione nell’adunanza dell’8 giugno 19183; 2° alcune proprie Note di epigrafia ellenistica. A nome del Socio SrAmPINI assente e sotto la responsabi- lità di lui, il Segretario offre, pure per gli Atti, alcune Note di fonetica italiana meridionale del prof. Clemente MerLo dell’ Uni- versità di Pisa (*). Sempre per l’inserzione negli Atti, il Socio RENIER pre- senta uno scritto del prof. Giuseppe Manacorpa intitolato U» testo di grammatica latino-veneta del sec. NIITI. (*) Questa Nota cogpparirà in una prossima dispensa. Er o rr 7 EMILIO POZZI — STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 641 LETTURE Studi sulla guerra civile Sillana, Note di EMILIO POZZI (1). I precedenti e la campagna dell’ 83 a. C. La guerra nella quale Silla riuscì a distruggere il governo democratico, che era stato istituito nell’anno 87 a. C. da Cinna e da Mario, per sostituirvi la costrnzione geniale, ma, per ne- cessità fatale di cose, effimera, della propria costituzione, rap- presenta un momento importantissimo nella storia della rivo- luzione secolare in cui maturò il passaggio dello Stato romano dalla forma repubblicana a quella monarchica (2). Essa fu vinta (1) Presentate nelle adunanze dell’ 8 giugno 1918 e del 15 marzo 1914 [Questo saggio, la cui seconda parte s’arresta ai precedenti immediati della battrglia di Porta Collina, non è se non un frammento d'un più ampio la- voro che il giovane studioso preparava e che la morte (22 novembre 1912) gl’impedì di compiere. Chi lo presentò postumo a questa R. Accademia e ne cura ora la pubblicazione ritiene che, incompiuto com’esso è, rechi un utile contributo alla conoscenza d’un periodo. oscurissimo della storia di Roma. G. De Sanerts). (2) Momwsen, Storia di Roma antica (nuova vers. ital.), II, p. 257 e segg.; lune, Geschichte Itoms, V, p.370 e segg.; Drumann-GrorgBE; Geschichte Roms in scinem Uebergange von der republikanischen zur monarchischen Verfassung, Il (L. Corn. Sulla Felix) p. 383 e segg.; Neumann, Geschichte. Roms wihrend des Verfalles dev Republik (Breslau 1881), p. 572 e segg.; FrénLica, L. Corn. Sulla Felix (Pauty-Wissowa, IV, p. 1544 e segg.). Una trattazione compiuta dell'argomento, che abbia reale valore scientifico, manca. Citerò soltanto Pr. Mérimie, Etudes sur l’histoire romaine? (Paris 1853), p. 155 e segg.; P. Can- raLupi, La guerra civile Sillana in Italia — Studio delle fonti (Roma 1892); E. Linpen, De bello civili Sullano (Freiburg 1896, Diss.); P. CanraLuPi, La 642 EMILIO POZZI da Silla, in nome d’un partito che rappresentava la minoranza nello Stato, contro la stragrande maggioranza democratica, col favore d'un esercito fedele a tutta prova al suo duce, ad opera sopratutto del suo genio di stratega e di diplomatico, e del suo temperamento freddo e raziocinatore, ad ora ad ora audace e prudente, sempre sorretto da una acuta e sicura visione degli avvenimenti, così come spregiudicato nella scelta dei mezzi. Una indagine che cerchi di sviscerare dalle scarse notizie delle fonti, integrate fra di loro e interpretate reciprocamente (1), il carattere e la natura della guerra nelle sue varie fasi, ten- magistratura di Silla durante la guerra civile (Roma, 1900), p. 53 e segg. e p. 65 e segg. Non conosco direttamente la dissertazione del CysuLsxi, De bello civili Sullano (Berlin, 1888). (1) Sulle fonti citerò solo alcune opere principali: H. Perer, Die Quellen Plutarchs in den Biographieen der Ròmer (Halle 1865); BusoLr, Quel lenkritische Beitriige zur Geschichte der Rimischen Revolutionszeit (* Fleckei- sen’s Jahrbiicher , vol. 141 (1890), pp. 321 e segg.; 405 e segg., dove mi pare che l’influenza di Posidonio, esattamente veduta nelle linee generali, sia erroneamente seguita nei particolari); ArwoLp, Untersuchungen iber Theophanes von Mytilene und Posidonios von Apamea (* Fleckeisen's Jahr- biichec ,, Suppl. Bd. XIII, p. 75 e segg.); MaurenBrecHER, C. Sallustiù Crispi Historiarum fragmenta Prolegomena (Leipzig 1891); Scawanrrz, Ap- pianus (PauLy-Wissowa, II, p. 222 e segg.); e particolarmente la magnifica memoria di E. Meyer, Untersuchungen zur Geschichte der Gracchen (Halle 1894), [ora riprodotta in “ Kleine Schriften , (Halle 1910), pp. 381 segg.), le cui osservazioni sono fondamentali, benchè riferentisi a un periodo di tempo limitato; E. Korxemanx, rec. dello studio del Linden in “ Woch. f, kl. Philol. ,. 1897, p. 207 e segg.; In., Zur Geschichte der Gracchenzeit, Leipzig 1903 (“ Klio ,, Beiheft 1). Degli studiosi che si occuparono della guerra civile Sillana in particolare hanno compiuto uno studio delle fonti il Lixpen (op. cit., p.1e segg.) e il CanraLupI (Guerre civ., p. 41 e segg.), l'uno e l’altro limitandosi ad esaminare negli autori i pochi capitoli relativi alla guerra stessa. Il Linden per parte sua non ha che desunto, e, direi, trascritto dallo studio del Busolt; quanto al Cantalupi, egli è giunto per conto suo a risultati affatto errati, com'io credo, ciò che era da presumersi, data la ristrettezza della base della sua ricerca. In massima io penso che possa dimostrarsi l’unità sostanziale della tradizione storica pel periodo 1383-78 av. C., pur.nella va- rietà delle tendenze degli scrittori. Converrà quindi procurarci la maggior conoscenza storica di questo periodo integrando fra loro i dati delle varie fonti. Nè questo procedimento potrà essere tacciato di antiscientifico ; poichè infatti solo dove entra in campo la tesi che l'una o l’altra parte sostiene noi troveremo nella tradizione varianti notevoli. RI \ .__'c_'T—r_—.—" .—x —_————_——»—»—»m»_m_ STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 643 tando di lumeggiarle nei vari rapporti così militari che diplo- matici, potrà essere non inutile per una più completa cono- scenza d’uno dei più geniali uomini di Roma antica. Che, se è vero che la storia non debba essere ridotta al còmpito, pur esso importante, di formare una serie di biografie degli uomini più segnalati e, diremo, rappresentativi, ma debba seguire il sorgere, lo sviluppo, il decadere dei grandi organismi sociali, rare volte come nel nostro caso potrà darsi, e a ragione, come fine d’una parziale ricerca, la più esatta conoscenza d’una per- sonalità, poichè rare volte si presenta un caso, come quello di Silla, di una personalità, che tenta di opporsi al grande corso degli avvenimenti della storia; sì che possa dirsi, che essa formi il centro propulsore e direttivo degli avvenimenti in cui la tro- viamo impegnata. Dopo la pace conclusa a Dardano con Mitridate e il sui- cidio di Fimbria le cui truppe passarono tutte a Silla (1), Silla (1) La data della pace, e della susseguente morte di Fimbria, si ricava facilmente. Dopo la battaglia di Orcomeno, Silla devasta la Beozia, per punirla dell'amicizia verso Mitridate (App., Mithr., 51) e quindi sverna in Tessaglia (ibid.). Le trattative di Delio, narrate nel e. 54, intavolate ap- pena Mitridate, residente a Pergamo, ha notizia della sconfitta di Orcomeno, cadono evidentemente prima dello svernare in Tessaglia, quindi sulla fine dell’a. 86. Contemporaneamente si svolge l’azione del console Flacco e i suoi dissensi con Fimbria. Il dissenso di Flacco con Fimbria a Calcedonia o Bisanzio avvenne nell'inverno 86-5, poichè Fimbria(Dro, fr. 101-3) eccita i soldati contro il console, accusandolo di stare nel lusso in città, mentre soffrivano sotto le tende év yecuovre. Nella primavera 85 pertanto si svolge la rapida e vittoriosa offensiva di Fimbria, mentre Silla, dopo la risposta di Mitridate, attende i risultati delle ulteriori trattative, per opera di Ar- chelao (PLur., Sy2., 23, 3). Silla intanto guerreggia in Macedonia contro al- cune popolazioni barbare (Lrv., Per., LXXXIII; App., 55 fine; Gr. Lic., 35 p. 35 B). Silla è ancora occupato in Macedonia quando gli giunge la dedi- zione che gli offre Ilium assediata da Fimbria; egli promette che verrà (App. 53). La pace a Dardano non è che la ratifica dei patti di Delio, e quindi è conclusa rapidamente. La data che le assegno è perciò il principio dell’estate 85, conforme alla comune opinione. Non so su che si fonda la cronologia del CantaLuPI (La magistratura di Silla, p. 50-83). Intra biennium di Velleio, II, 23, si spiega benissimo colla morte di Flacco al principio dell’85. — MEANA Mi; 644 EMILIO POZZI poteva guardare innanzi, libero da ostacoli, alla guerra contro il governo democratico di Roma. Ma egli era troppo prudente per procedere nella lotta con indebita precipitazione. Egli sapeva troppo bene che il governo impersonato particolarmente da Cinna in Roma, aveva con sè il consenso dell'Italia e delle pro- vince occidentali. Esso aveva poi l'appoggio sicuro ed entusiasta degli antichi alleati italici di Roma, dei neo-cittadini, dei quali aveva regolato la posizione in modo pienamente conforme ai loro desideri. Quando nell'87 s'iniziò il “ Bellum Octavianum ,4 circondata Roma dai quattro eserciti democratici di Mario, Cinna, Carbone, Sertorio, il Senato pregò Q. Cecilio Metello Pio, pre- tore con imperio proconsolare, che guerreggiava i Sanniti, di far pace con essi ai patti migliori possibili. Le condizioni dei Sanniti (concessione della cittadinanza a sè e ai rifugiati nel loro campo, restituzione dei loro beni e della preda) furono re- spinte senz'altro dal Senato come non confacentisi al prestigio dello Stato, e di questo passo del Senato approfittò Cinna, che, accordata loro pace, per mezzo del legato C. Flavio Fimbria, a tutte le condizioni che essi richiedevano, li trasse dalla parte democratica (App., I, 68; Dio, fr. 100, 7; Gr. Licin., XXXV, p. 27 B). Invano il proconsole Cn. Pompeo Strabone, accortosi del passo falso del Senato, che, sotto l'influsso dell’intransigenza del console Ottavio, aveva senz'altro troncate le trattative, fa- cendo così l'utile dei propri avversari, aveva proposto e fatto approvare una legge, che, a quanto pare, prorogava il termine stabilito dalla legge Plauzia Papiria per la sottomissione degli Italici. La legge venne tardi, e la colpa del suo insuccesso, che la tradizione Liviana rigetta tutta sul proconsole Strabone, evi- dentemente toccava piuttosto chi il male, fatto ora irrepara- bile, aveva voluto colla sua ostinazione e il suo poco tatto politico. Seguì la vittoria dei democratici ed allora, oltre alla cit- tadinanza concessa a tutti gli alleati italici, per cui erano ces- sate le ostilità completamente, veniva compiuta dal governo di Cinna la seconda grande riforma che gli alleati richiedevano e che solo poteva rendere praticamente utile il vantaggio della ottenuta cittadinanza, la divisione dei nuovi cittadini in tutte le trentacinque tribù, anzichè in otto, e dei libertini in tutte le tribù anzichè solo nelle quattro urbane. E la grande riforma er STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 645 veniva completata col censimento compiuto precisamente nel- l'anno 85, nel quale veniva per Ja prima volta fatto il censo dei nuovi cittadini, a tutti gli effetti legali di esso (Periochae, LXXXIV). L'Italia era pertanto concorde nell’appoggiare il go- verno democratico, e particolarmente l' Etruria, dove la conces- sione della cittadinanza romana, aveva spezzato il ferreo giogo secolare delle aristocrazie dominanti (1). E profondamente fe- dele al nuovo governo era del pari la Gallia Cisalpina. Eccetto Silla, tutti gli altri avversari del nuovo regime erano o periti nelle stragi, o organizzavano qua e là piccole resistenze senza speranze di successo. Contro questo governo. in apparenza così forte, Silla non aveva che due sussidi, il suo genio di generale e di diploma- tico, e l’esercito, del quale in lunghi anni di ininterrotto co- mando dalla guerra marsica alla guerra mitridatica aveva col- l’accorta concessione e colle lusinghe. dando alle sue truppe quelle soddisfazioni che una soldatesca suole sempre richiedere . al suo generale, a volte indulgendo anche a gravi loro colpe (l'assassinio del legato L. Postumio Albino in Campania nell’a. 89), aveva formato uno strumento perfetto di azione, ligio al suo capo e a lui solo, pronto per lui a qualunque prova. Ma le sue forze erano ben misere di fronte a quelle che poteva mettere in campo il governo democratico. Egli era partito per la spe- dizione contro Mitridate con 5 legioni (App., Mithr. 30): quelle stesse forze e poco più poteva portare in Italia, poichè le le- gioni già di Flacco e poi di Fimbria, passate a lui a Per- gamo, egli doveva lasciarle a presidio della riconquistata pro- vincia di Asia. Per quanto, come vedremo, avesse rinforzato i suoi contingenti con leve di ausiliari Tessali e Macedoni, noi dobbiamo essere convinti, considerando le ‘perdite da lui subite nei vari sanguinosi scontri della campagna contro Mitridate, che non più di 30.000 uomini in cifra tonda, come ci dice Vel- leio (II, 24, 4), egli recasse in Italia nell’a. 83. Di contro sta- vano le forze immense di cui poteva disporre il governo demo- cratico, calcolate da Silla (pr. PLut., Sy2l., 27) a 15 comandanti e 450 coorti, e cioè 225.000 uomini, o 200.000 in cifra tonda (1) BeLoc®, Der stalische Bund, p. 163 seg. 640 EMILIO POZZI come dà Velleio (1). Questa enorme sproporzione di forze mili- tari (ancorchè, dopo la morte del vecchio Mario, il partito av- versario non possedesse un generale, che anche lontanamente potesse accostarsi a Silla; e benchè le truppe avversarie si ri- velassero poi alla prova, com'era da presupporsi, nè agguerrite, nè fedeli come quelle sillane) doveva anch'essa consigliare a Silla prudenza. E poichè intanto doveva procedere al riordinamento della provincia d'Asia e regolare le cose in Grecia, attività che, come vedremo, seppe del pari porre a servizio della sua causa, egli aprì una serie di trattative diplomatiche, che non potevano muovere in lui da una fiducia nella possibilità d'una pace, ma che intendevano introdurre un elemento di discordia nel campo avversario. In una lettera diretta al Senato, subito dopo la morte di Fimbria e la defezione del suo esercito, Silla (la data sicura in App., Mithr., 60), rilevando che in ricompensa dei ser- vizi da lui resi, i suoi nemici lo avevano dichiarato nemico della patria, avevano distrutto la sua casa, ucciso i suoi amici, sì che a stento la moglie ed î figli di lui, Silla, avevano po- tuto fuggire, dichiarava che contro coloro che questo avevano fatto egli sarebbe venuto subito quale vendicatore; ma agli altri, ed ai nuovi cittadini, egli non avrebbe fatto alcun male (App., d. e. I, 77). Questa lettera doveva produrre una grande impressione in Roma, dove i consoli L. Cornelio Cinna e Cn. Pa- pirio Carbone, all’annunzio della pace conclusa da Silla con Mitridate a Dardano, sul principio dell'estate, avevano iniziato grandi preparativi, facendo leve, sopratutto nei territori degli alleati, cui facevano presente l’obbligo morale di aiutare un governo che per causa loro si trovava in questo pericolo. Nello stesso tempo veniva stabilita una crociera a guardia delle coste (1) N Canracupi (Guerra civ. p. 27) ritiene che si tratti del numero complessivo delle forze messe in campo dai democratici durante la guerra. L'interpretazione che mi pare preferibile è quella data nel testo. Si con- fronti quanto sappiamo per la seconda guerra punica, in cui il massimo delle forze che Roma tenne in campo contemporaneamente fu di 20 legioni (negli a. 212 210, 207 a. C.) corrispondenti allora, ad effettivi completi, a 240.000 uomini, tra romani e alleati (efr. BeLoca pr. CanraLuPI. Studi di storia antica, 1, p. 48). STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 647 italiche per prevenire possibili sorprese e veniva richiamata dalla Sicilia nell'Adriatico la flotta che vi era di stazione (App., I, 76). Questa era la situazione, allorchè giunse a Roma il messaggio di Silla, ed ebbe l’effetto che l’accorto generale si attendeva. Poichè di fronte ad uomini partigiani d’una resi- stenza ostinata, e che comprendendo l’inevitabilità della guerra volevano combatterla nelle condizioni più vantaggiose per loro, quali, oltre ai due consoli dell’anno, C. Mario il Giovane, C. Nor- bano, Q. Sertorio, esisteva un forte gruppo che vedeva con terrore l’appressarsi d'una nuova terribile guerra civile coll’ine- vitabile seguito di stragi e di processi, e si lasciava guidare dall’illusione che una pace fosse possibile; tra essi il princeps Senatus, L. Valerio Flacco, e il futuro console L. Cornelio Sci- pione. E il messaggio di Silla era anche abile nel togliere agli avversari quella che sarebbe stata la piattaforma più atta per la loro campagna, mettendo fuori di discussione i neo-cittadini, con una frase molto generica. Abbiamo già accennato alla ma- niera con cui il governo di Cinna aveva risolto la vasta que- stione della cittadinanza agli alleati: la concessione, cioè, a con- dizioni onerose per lo Stato romano, della cittadinanza ai ribelli ancora in armi nell’a. 87 a. C. e la assegnazione dei nuovi cit- tadini e dei libertini in tutte le tribù. Quest'ultima disposizione, come vedremo da accenni ulteriori (Liv., Periochae, LXXXVI), Silla non volle oppugnarla: essa era una concessione che era stata richiesta con tanta ostinazione e accolta con tanto entu- siasmo dagli Italici, che il combatterla gli avrebbe moltiplicato dinanzi la resistenza; e perciò non lo fece neppure più tardi nel corso della guerra; tanto più che oramai essa era cosa com- piuta, essendo stata introdotta nel censo dell’85 a. C. Piuttosto egli fu sempre avversario della concessione fatta da Cinna ai ribelli Sanniti e Lucani, la stessa che il Senato aveva respinto, come indegna del nome romano. Ma per ora ne dovette tacere, aperta la via per l'avvenire con qualche frase di valore am- biguo; l’anno seguente però, allorchè vincitore a Sacriporto si ritenne sicuro dell’esito della campagna, egli cominciò a mostrare chiaro il suo pensiero al riguardo, coll’uccisione dei prigionieri fatti nella battaglia, sistema che poi seguì nel corso della guerra con quella logica fredda e implacata nella crudeltà che forma una delle caratteristiche di quest'uomo singolare. Di qui 648 EMILIO POZZI la terribile sollevazione dei Sanniti e Lucani, guidati da Ponzio Telesino e M. Lamponio, e la ferocia senza pari della lotta di- nanzi alla porta Collina; di qui le stragi dei Sanniti che segui-. rono la battaglia e la resa di Preneste. Naturalmente dal messaggio di Silla, che tendeva a ridurre il dissenso profondo di idee e di programmi esistente fra lui e il partito democratico a una questione personale, aprendo per giunta una porta di salvezza a molta gente semi-compromessa, che sperava in questo modo di togliersi dagli impicci senza troppa difficoltà. ebbero buon giuoco i membri del partito della pace, che poterono accusare i consoli Cinna e Carbone, di av- versare le trattative, perchè per i loro speciali interessi dove- vano desiderare la guerra. E la proposta di inviare messi a Silla per la pace, dopo un discorso del princeps Senatus L. Va- lerio Flacco, venne approvata. Proponeva il Senato che Silla deponesse l’esercito, e che delle sue controversie cogli avver- sari lasciasse giudice il Senato, che a lui (e agli altri esuli) avrebbe garantito la sicurezza personale. Intanto venivano invi- tati i consoli a sospendere gli armamenti (App.. ibid.; Perio- chae, LXXXIII). Nello stesso tempo (fine dell’estate 85 a. €.) Silla riordi- nava la provincia d'Asia: premiate le poche città rimaste fedeli a Roma, Ilio, Chio, Rodi, Magnesia e la confederazione Licia, le altre ebbero tutte un presidio. Quindi in un proclama, dato da Efeso, stabiliva per la provincia il pagamento di 5 anni di tri- buto (= 20.000 talenti, e cioè 120 milioni) più il pagamento delle spese di guerra e di quelle per il riordinamento della pro- vincia stessa; inoltre i disgraziati abitatori dell'Asia dovevano alloggiare a loro spese le truppe di Silla e pagare loro doppio soldo (App., Mithr., 61-3; PLut., Syll., 25, 3). Le enormi con- tribuzioni che Silla, secondo la sua caratteristica mancanza di riguardo nella scelta dei mezzi, imponeva alla provincia, quasi non fosse già stata saccheggiata abbastanza dai pubblicani, e poi dai cavalieri per la legge di €. Gracco, mostrano che egli non aveva mutato pensiero rispetto alla guerra. Egli la riteneva, come aveva sempre pensato, inevitabile, e mandava innanzi, di pari passo colle trattative, la preparazione militare. Ed infatti la risposta che egli dava agli inviati del Senato mostrava chia- ramente il suo pensiero. Egli non sarebbe mai stato amico di STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 640 coloro che s'eran macchiati di siffatte colpe (i capi del partito democratico): ma se la città si fosse interposta per la loro sal- vezza, egli non avrebbe mancato di riguardo ad essa. Quanto alla sicurezza personale, egli poteva sempre assicurarla agli esuli che erano nel suo campo, avendo l’esercito favorevole. Chiedeva poi al Senato la restituzione degli onori, dei beni e delle dignità a sè e agli altri esuli, e inviava suoi ambascia- tovi, insieme con quelli senatori, a presentare le sue proposte al Senato (App., I, 79; Periochae, LXXXIV). In complesso Silla delle condizioni del Senato respingeva precisamente quella che formava il punto essenziale delle proposte, lo scioglimento del- l’esercito, e chiedeva senz'altro la reintegrazione degli esuli nei loro, diritti dando una ambigua promessa rispetto ai capì del partito avversario. Questi intanto non stavano inattivi. Non appena partiti i legati di Silla, essi avevano ripreso, contro il divieto del Se- nato, i preparativi militari. L'idea di Cinna era precisamente di evitare lo sbarco di Silla in Italia, dove le sue forze scarse avrebbero trovato largo appoggio da parte di tutti i malcontenti del nuovo regime, portando la guerra in Grecia. A tale scopo la flotta e un importante corpo d’esercito venivano concentrati ad Ancona, donde il passaggio poteva avvenire più facilmente senza contrasto del nemico, perchè troppo lontano da poter ac- correre in tempo (1). Per ciò fare i consoli alla partenza da Roma convocavano anticipatamente i comizi consolari, per non essere costretti a ritornare dopo breve tempo e si facevano rieleggere per l’anno seguente, quindi si recavano presso l’esercito. Sul principio dell’anno 84 a. C., non appena si pensò che l’imbarco (1) La località di Ancona è data da [Aur. Vicm.], De vir. illustr., c. 69 4. È noto il fulso che ritroviamo a questo riguardo in PLur., Pomp., 5, come pure in Drone Cassro (pr. Zox., X, 1) che però quasi nessuno ha accolto come ve- rità storica. Piuttosto è singolare a questo punto l’economia dell’opera Liviana, come ci appare in Periochae, LXXXIII. In questo libro, narrandosi i fatti dell'a. 85 a. C.. viene introdotta una parentesi sui fatti di Roma tra i preparativi di guerra dei consoli Cinna e Carbone posteriori alla pace di Dardano (estate 85) e la morte di Cinna (a. 84), e ciò dopo la narrazione dell'impresa di Fimbria; e prima della pace di Dardano. Che la morte di Cinna sia avvenuta nell’a. 84, sappiamo sicuramente e dai fasti Capitolini, e da Oros., V, 19, che lo dice in questa occasione “ consul quartum ,. 650 EMILIO POZZI potesse farsi con sufficiente sicurezza, si cominciò a far traghet- tare il mare ai soldati del corpo di spedizione. Le prime navi approdarono felicemente, ma quelle sopraggiunte più tardi fu- rono colte da una violenta tempesta e in parte affondate. Nei soldati che stavano in Ancona a questa notizia scoppiò una sommossa. Cinna avendo tentato di costringerli colla forza a imbarcarsi sulle navi, venne ucciso. Allora il console Carbone, vedendo impossibile per l’indisciplina dei soldati la spedizione in Oriente, richiamò le truppe già sbarcate in Dalmazia. L’of- fensiva dei democratici fuori d’Italia, era così troncata prima di nascere. Carbone richiamato a Roma dai tribuni della plebe a nominare il cons. suffectus, in luogo di Cinna, dopo aver a lungo indugiato con vari pretesti, alla fine costretto si recò a Roma, ma colse a pretesto che un fulmine era caduto sul tempio della Luna e di Cerere, per far rimandare, secondo il consiglio degli aruspici, le elezioni stesse ad oltre il solstizio di estate. E così egli restò per tutto l’anno solo console (App., I, 78 e le altre fonti) (1). (1) A questi precedenti della guerra civile non è stata data di solito dagli storici moderni l’importanza che ad essi compete. Solo P. CanraLUPI (La ma- gistratura di Silla, p. 53 e segg.) li ha fatti tema d’un’indagine particolare, che non mi pare nè troppo acuta, nè esatta. Egli vede in queste tratta- tive di Silla apparire “ l'uomo d'ordine, logico e risoluto, consapevole del grave momento che la repubblica attraversa ai segni che se ne manife- stano, consapevole della crisi alla quale tenta porre rimedio colle idee conciliatrici pur non mancando di tenersi pronto a una possibile e neces- saria azione di forza, consapevole dei bisogni che la repubblica ha di rior- dinamento. profondamente irritato delle responsabilità che per la guerra si erano assunte il console Scipione e Norbano, ete. , (p. 62). Per me invece Silla, da uomo politico accortissimo qual’era, non dubitò mai un istante dell’inevitabilità della guerra, come pure avevano fatto i capi democratici, mentre politici di corta vista erano proprio quei membri del partito della pace, che avevano la prevalenza in Senato. Certo, come dice il Cantalupi (p. 61), la condotta abile e prudente di Silla era riuscita a far cadere la responsabilità della guerra sul governo democratico, e questo è una prova della sna grandissima accortezza diplomatica; ma l'accusa d'insipienza che il Cantalupi muove a questo governo (ibid.) non tocca i capi del partito, che da Cinna a Carbone e na Sertorio non vollero sentir parlare di pace, bensì proprio il Senato, a cui pare che il Cantalupi dia lode dell'iniziativa, Che la guerra fosse inevitabile lo dimostrò il furore spaventevole con cui divampò l'anno 82, E questo furore (e particolarmente l'episodio ceulmi» STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 651 In queste condizioni di cose, a Roma giunsero coi messi del Senato gli inviati di Silla. Ma questa volta le trattative erano destinate immediatamente a fallire. Infatti gli inviati Sillani non avevano alcun desiderio che si venisse ad un ac- cordo, poichè pensavano che se la guerra doveva essere. come infatti era realmente, inevitabile, si doveva approfittare di questo momento di confusione in cui il partito democratico veniva pri- vato inopinatamente del suo capo riconosciuto e rispettato (1). nante di quell’anno, la sollevazione dei Sanniti e dei Lucani) avrebbe do- vuto mostrare al O., coll’esperienza storica alla mano, che per un contrasto ben più profondo di idee e di tendenze si combatteva, che non fossero i dissidi personali tra Carbone e i suoi e Silla. Un particolare. Che Silla coll’esercito potesse avanzare fino a Roma (p. 57), mentre coll’estensione della cittadinanza agli Italici territorio romano era divenuta tutta l’Italia, questo può dirlo il C., ma deve ricordare che di diverso parere era il go- verno democratico che nell’83 a. C., appena conosciuto lo sbarco di Silla a Brindisi, affidava il noto potere straordinario ai consoli col SC. ultimum. È segno che del conferimento della cittadinanza all'Italia erano state tratte tutte le conseguenze, e che non si può affermare il contrario, come fa senza prove, il C. (1) Mi sono perinesso di contaminare le narrazioni di Apr., 1, 79, e Pe- riochae, LKXXIV, che, riferendosi ai medesimi fatti, sono apparentemente diverse. Secondo Appiano, i legati da Silla inviati a Roma, insieme coi le- gati del Senato di ritorno, a presentare le sue condizioni #«dddgs &zò toùò Boevtegiov, Kivvav te 1vdduevor tedvavaL nai tiv n60Aiv dbdioi- untov elvai, mods tòv Ti} lav avéotoepov dagartoi La Perioca non ha nulla di questo. Riferita la risposta di Silla al Senato, prosegue: “ quae condicio cum iusta senatui videretur, per Carbonem factionemque eius, cui bellum videbatur utilius, ne conveniret effectum est ,. Ho ritenuto che in Appiano vi fosse un errore di riassunto assal comprensibile; e cioè che egli, avendo letto nella sua fonte che i legati di Silla, appresa a Brindisi la morte di Cinna, non cercarono di spingere innanzi le trattative troppo ala- cremente, e in breve ritornarono [da Roma, s'intende] &g@exzo:, ne abbia dedotto che essi ritornarono da Brindisi senz’altro. La mia opinione non deriva da vaghezza di conciliare gl’inconciliabili, bensì dal fatto ch'io ri- tengo assai grave, che se i legati di Silla avessero commesso l’errore di abbandonare l’incarico avuto, giunti a Brindisi, anzitutto non si sarebbe avuta quella forte tendenza per la pace, che Livio ci mostra, nelle tratta- tive, e queste sarebbero state singolarmente esautorate; in secondo luogo, la colpa del fallimento delle trattative stesse e quindi della guerra non avrebbe potuto da nessun accorgimento esser allontanata da Silla, e questi non avrebbe potuto seguire la direttiva che invece sempre tenne, e che 652 EMILIO POZZI Non dunque per colpa della frazione Carboniana, come vuole la tradizione, fallirono le trattative, ma piuttosto perchè nes- suno, salvo i membri del partito senatorio, aveva interesse a proseguirle. Certo, il partito di Carbone approfittò delle circo- stanze per prendere sicuramente la direzione del governo, e i per dargli quella unità di indirizzo che era venuta a mancare in seguito all'iniziativa poco felice del Senato. Poichè in questi tempi Q. Cecilio Metello Pio pretore con imperio proconsolare durante la guerra sociale, e poi richiamato a Roma alla difesa della città contro i democratici durante il “ Bellum Octavia- num ,, riunitosi con altri proscritti, tra cui M. Licinio Crasso, il futuro triumviro, reduce dalla Spagna in cui s'era tenuto na- scosto sin che gli giunse la notizia della morte di Cinna (Prum., Crass., 6), aveva tentato una sommossa in Africa, ed era stato respinto dal pretore della provincia €. Fabio Adriano, essi ot- tenevano che fosse emesso un senatus-consultum, di contenuto generale, che veniva a colpire particolarmente Silla, e che in coerenza col principio fissato dal Senato nelle trattative prece- denti, stabiliva: ut omnes ubique erercitus dimitterentur ( Perio- chae, LXXXIV). Era ormai la rottura: e mentre da un lato il console Carbone proseguiva le leve nell'Italia settentrionale, cercando di assicurarsi con ostaggi la fedeltà delle ricche e grandi colonie latine della valle del Po, procedimento che ap- parve illegale al Senato, che perciò vi si oppose (Periochae, ibid.; cfr. VaL. Max., VI, 2, 10); dall’altro lato Silla il quale sul principio dell’a. 84 s'era da Efeso, con tutte le sue forze, trasferito ad Atene per osservarvi meglio, più da vicino la piega degli avvenimenti (PLur., 59y7., 26) (1) (dopo aver lasciato in Asia le due legioni di Fimbria sotto il comando del legato L. Licinio Murena) ed aveva atteso l'esito dei negoziati di Roma in Atene e ad Aedepsos, nell’Eubea settentrionale, dove si era recato a curare la gotta, avuta notizia del fallimento delle gli fu politicamente utilissima, di far le viste d'esser sempre stato contrario alla guerra stessa ed esservi stato costretto contro voglia. (1) La data si deduce da Cassron., che sotto i coss. dell'84 a. C. ha “ His coss. Asiam in XLIII regiones Sulla distribuit ,, dal che si apprende che parte di quell’anno Silla rimase ancora ocenpato ad Efeso, nel riordi- namento dell’Asia. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 653 trattative, apriva leve per corpi ausiliari nella Tessaglia e nel Peloponneso e dava tutte le disposizioni necessarie per il pas- saggio in Italia sul principio dell’anno seguente. Sul principio dell’anno 83, Silla che probabilmente aveva sulla fine dell’anno precedente concentrato le sue forze nella Macedonia meridionale, e in essa aveva svernato, moveva colle sue forze per la via Egnatia diretto a Dyrrachium. Lo stesso obiettivo aveva assegnato alla flotta, forte di 1200 navi tra onerarie e da guerra, in cui erano comprese le 70 conse- gnate da Mitridate, la quale dal Pireo, circumnavigando il Pe- loponneso doveva toccare Patrae e di qui trovarsi a Dyrrachium per trasportare e scortare l’esercito (1). Al principio della buona stagione l’esercito di Silla sbarcava di sorpresa a Brindisi frrndcpt9 PEUT: SV pla, I, 24; LIV.,, LAAAN: Eurrop., V, 7), dove nessuna resistenza era preparata. Un’'ope- razione importantissima era compiuta. Le forze di Silla conta- vano 5 legioni italiche, 6000 cavalieri, più ausiliari Peloponne- siaci e Tessali, un totale, a quanto si vede, di 40.000 uomini, ad effettivi completi, così come lo calcola Appiano: ma effetti- vamente non poteva essere superiore a 33 o 34.000 uomini, sì che realmente possiamo considerare esatta la cifra di Velleio, II, 24, 4 (da Livio, e quest’ultimo evidentemente da Silla), che parla in cifra tonda di 30.000 uomini. Questo contingente si andava via via acerescendo di fuorusciti, che si univano di mano in mano a Silla, portandogli l’appoggio dei loro aderenti, di manipoli di soldati, di familiae di schiavi. Così M. Licinio Crasso, che si era congiunto con Metello in Africa, e poi se n’era diviso per discordie scoppiate tra loro, aveva raggiunto Silla forse ancora a Dyrrachium (Linpen, p. 33; PLur., l. cit.); Metello Pio stesso, sconfitto in Africa, colle poche forze che gli restavano si era congiunto con Silla, dopo il suo sbarco a Brin- (1) App., 1, 79 dà il numero delle navi in 1600: ho scelto. il numero minore, senza però troppa fiducia d’aver colto nel segno. La fusione dei dati di Appiano con PLur., Sy2., 27, proposta dal Linpen (op. cit., p. 33) mi par buona. 654 EMILIO POZZI disi (App., I 80) (1); M. Licinio Lucullo, fratello del legato di Silla durante la guerra Mitridatica (PLuT., Syl!., 27; VeLt., II, 28), L. Marcio Filippo ( Per., LXXXVI), Cn. Cornelio Dolabella (PLUT., Syll., 29); e poi i primi disertori dal campo nemico P. Cornelio Cetego (ApP.. l. c.), che già era stato uno dei dodici banditi da Silla nell’88 a. C., in seguito alla rivoluzione Sulpicia, C. Verre, già questore del console Carbone (Cro., Verr., I, 2, 38), Q. Lucrezio Ofella (VeLL., II. 27, 6). E del pari come tale do- vrebbe considerarsi, benchè la tradizione tenti di nasconderlo quanto più le è possibile, Cn. Pompeo, figlio del vincitore di Ascoli Cn. Pompeo Strabone, che colla sua condotta incerta tra i due partiti nel “ Bellum Octavianum , si era acquistata viva avversione ed era morto durante la guerra (87 a. C.); il figlio aveva avuto salvo il patrimonio, dopo la vittoria demo- cratica, per intervento di Cn. Papirio Carbone il futuro console (Var. Max., V, 3, 5), e nell’a. 84, se almeno questo può trarsi dall’aneddoto di Plutarco (Pomp., 5), militava nell'esercito di Cinna ad Ancona. Alla notizia della venuta di Silla, Pompeo lasciata Roma si recava nel Piceno, pieno di clientele paterne, vi coscriveva una legione e con essa raggiungeva Silla (cfr. per lè forze di Pompeo sopra p. 659). Aumentate così le proprie forze, in cui dava un comando pari al suo a Q. Metello Pio, Silla per la via Appia (Brundisium-Tarentum-Beneventum) moveva verso la Campania (2). Poichè il punto di vista di Silla nella guerra attuale era sempre che egli la combatteva costretto, ed egli ne rigettava la colpa su pochi agitatori (i capi del partito demo- cratico); perciò aveva astretto i soldati, al momento della sua partenza da Dyrrachium, a un singolare giuramento di ubbi- dienza, obbligandoli a non devastare, senza ordine suo, i territori dei popoli Italici (PLuT., Sy22., 27). Conseguentemente la marcia di Silla attraverso l’Apulia e il paese degli Irpini fu contras- (1) La correzione del Linpen, p. 34 e n. 29 (p. 57), in Appiano, di é» Aiyvoridi, in év AiBvoridi, è ottima, e fu giustamente accolta dal Viereck nell'ed di Appiano. (2) L'itinerario è noto con sicurezza sulla scorta dei luoghi dove son riferiti essere avvenuti i prodigi narrati da Silla (pr. PLur., Sylt., 27). Uno di questi, $ 6, presso Tarentum, un altro, $ 11, a Silvium, in Apulia. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 655 segnata (come dice Velleio, II, 25) da un singolare riguardo avuto per i campi e i beni delle popolazioni. Frattanto, alla notizia, giunta improvvisa a Roma, dello sbarco di Silla a Brindisi, il governo di Roma rispondeva col SC. ultimum (ExuP., 7) dando ordine ai due consoli, Scipione e Norbano, di muovere contro Silla. La forza totale delle milizie democratiche allora sotto le armi sommava, come ci informa Appiano (I, 82), a 200 coorti di 500 uomini, cioè un totale di 20 legioni e di 100.000 uomini, naturalmente in cifra tonda e sui quadri. Queste forze erano presumibilmente distaccate in varie parti; un primo nucleo di 8 legioni distinte in due eser- citi consolari (FLoro, II, 9, 18; cfr. PLur., Sy22., 28) fu inviato immediatamente a fronteggiare Silla. Il console Norbano avanzò per la via Appia fino alla nuova colonia di Capua; il console Scipione d’altra parte procedeva per la via Latina. Ma le mosse dei democratici non giunsero a tempo, perchè intanto Silla aveva già occupato la posizione importantissima di Beneventum: ed allora presero il consigiio pericoloso di operare separata- mente per ovviare alle due possibili vie di avanzata di Silla: il console Norbano, facendo base di operazioni Capua, fortificò i passi delle Furculae Caudinae; il console Scipione da Venafrum guardava il corso dell'alto Volturno e Ja via Latina. Successe quanto era inevitabile. Silla approfittando della divisione delle forze avversarie, si gettò con tutto l’esercito su Norbano, tentando di isolarlo e di staccarlo dal collega. Anzichè assalirlo di fronte, nelle sue posizioni sulla via Appia, egli le girò di fianco, e si avanzò sulla via Caiatia — Castra Hanni- balis e (passando il Volturno) Capua, dandogli battaglia presso il santuario di Diana, sul monte Tifata, che sorge appunto a metà strada tra le due località a N-N-E di Capua (1) (Prur., (1) La località precisa e i precedenti della battaglia sono stati veduti esattamente dal Liwxpen (n. 34 p. 58). Per il noto fatto che in Appiano sia nominato, come luogo della battaglia, Kavsocor, rimando alla più recente raccolta del materiale pr. Linprn, ibid., avvertendo che credo si tratti d’una svista d'Appiano per KeccZîvov (= Capua moderna), vicino alla quale real- mente la battaglia fu combattuta. Non è un errore di riassunto, in cui Appiano abbia ripreso un nome ricordato prima dalla sua fonte come una delle tappe della marcia di Silla. Questi infatti non passò per Canusium. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 44 656 EMILIO POZZI Syll., 27; App., I, 84; Oros., V, 20, 2; Eurrop., V, 7; FLor., II, 9, 19., Vect., II, 25; Liv., Per., LXXXV). Dopo uno scontro ac- canitissimo Norbano fu ricacciato dalle sue posizioni e costretto a rinemudersi in Capua; che venne bloccata da Silla (App., 1,84; la località esatta in VeLLero, H, 25,4). Le perdite, intorno alle quali discordano le nostre fonti, non dovettero però essere di troppa gravità (1). Alla notizia del pericolo del proprio collega, il console L. Cornelio Scipione da Venafro passava a Teano e di qui scen- deva rapidamente in soccorso di Norbano rinchiuso in Capua. La posizione di Silla, con 6 legioni soltanto. di fronte agli av- versari forti di S legioni, in pericolo di essere assalito da due parti, si faceva grave. Una circostanza fortunata lo salvò. Il con- sole L. Corn. Scipione e molti dei comandanti dell'esercito erano sempre dell'idea che fosse stato un errore il rompere le trat- tative che il Senato aveva iniziato con Silla; e perciò mal vo- lentieri conducevano una guerra che non reputavano necessaria. Avvertito di queste disposizioni del campo nemico, Silla, che con una parte delle sue forze (20 coorti) si era avanzato per sbar- rare il passo all’esercito consolare, come già aveva fatto, senza successo, col console Norbano prima della battaglia al monte Tifata (Liv., Periochae, LXXXV; Vett., Il, 25), così fece pro- Incidentalmente e senza discutere ricordo P. CanraLuPI (La magistratura ete., p. 71) che ammette uno scontro a Canusium, differente da quello del Ti- fata (!). (1) Le perdite di Norbano sono secondo Appiano e Eutropio 6000 uo- mini, per Plutarco e Orosio 7000; secondo Eutropio e Orosio ancora 6000 prigionieri. Le perdite di Silla, secondo Appiano 70 morti e molti feriti, secondo Orosio e Eutropio 124 morti. Le redazioni appaiono diverse, anche nelle fonti che sappiamo con sicurezza ridursi a Livio. La differenza sì spiega in questo punto, come nei casi analoghi, nel senso che Livio doveva dare, delle perdite, diverse relazioni, citando i vari autori, e gli epitoma- tori hanno scelto tra queste. Certo non possiamo, per quanto sappiamo degli avvenimenti successivi, ammettere anche approssimativamente le perdite di 60 7000+6000= 12 o 18.000 uomini per Norbano. Chi ci spiegherà allora come con 7 0 8000 uomini Norbano abbia tenuto testa con successo a Silla, forte, dopo la dedizione dell’esercito del console Scipione, di 10 legioni ? Vonglobiamo pertanto i prigionieri nella cifra totale delle perdite 6000 o 7000, ritenendo ancora quest’ultima assai esagerata. Non molto minori de- vono essere state le perdite di Silla. o e e e n n STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 657 poste al console Scipione per riannodare le trattative di pace, interrotte l’anno precedente. Mostrava evidentemente Silla che egli si era indotto alla guerra solo contro volontà, perchè co- strettovi dagli avversari. E ora, pure già vittorioso una volta d’un esercito consolare, si induceva ad accordi collo stesso spi- rito di conciliazione che per l’innanzi. Fu pertanto stabilito un armistizio generale (sicuramente esteso anche al console Norbano a Capua), e a tre delegati per parte fu deferito l’incarico di trattare. Un passo importantis- simo di Cicerone (Phil., XII, 27) ci attesta che nella discussione si decise de auctoritate Senatus, de suffragiis populi, de iure ci- vitatis. Tanto più sentiamo dolorosa la mancanza in Cicerone, e ciò si comprende per la menzione del tutto incidentale che ne è fatta, d'una parola sul risultato di questa discussione stessa; perchè, e ciò è indubitato, si trattava d'una vera pace che il console Scipione aveva già sottoscritto, e per cui veniva in- viato Q. Sertorio al console Norbano in Capua, per ottenere anche la sua approvazione; e come una pace vera e propria, violata dai propri avversari, la considerò Silla, che stabilì il fondamento legale delle proprie proscrizioni, nell’anno seguente, precisamente in questo (App., I, 95): che egli non avrebbe ri- sparmiato alcuno dei suoi nemici; di più avrebbe punito colla forza (uetelevoecdar xatà xodtoc) toùs otoatnyods Î) tauias È gididogovs î door ti cvvéngasar dhlor toîs moleutors, ued Î)v Muégav Surrimv ò Bratos ox évéuerve toùs TQÒS aùtòv QuokoyRueévots. Ma questa maniera di condurre la guerra suscitava una vivace indignazione nel campo dei democratici, in cui si lamen- tava che rà uèv dvavòdoia rai ualazia tOV ot9gatnyOv Epdei- gesto, tà dè oi mgodidévies dam%hvoar, e particolarmente si la- mentava che gli avvenimenti prendessero una piega pericolosa ÒLà tÒ geioov pooveîv toùs uaGhdAov dvvanevovs (PLuT., Sert., 6) precisamente per la tendenza favorevole alla pace, di cui ab- biamo parlato. Partecipe di questa indignazione era nel campo di Scipione il suo valoroso legato Q. Sertorio, il quale aveva tentato invano di distogliere il console dagli accordi con Silla. E a lui si riconduce, o almeno Silla e la tradizione che da Silla procede (Plut., App., ed evidentemente anche Livio, come appare dalla Periocha) hanno ricondotto, la responsabilità della rottura 658 EMILIO POZZI della pace. Ma è evidente che non era se non un pretesto di Silla per rompere le trattative, dato che nel frattempo abili suoi emissari, inviati nell’accampamento avversario, avevano saputo attrarre la maggior parte dell'esercito alla causa Sillana. Mentre si svolgevano le trattative, Silla era riuscito a guada- gnare a sè la colonia latina di Suessa sulla via tra Teanum e Minturnae, una posizione che minacciava il fianco destro del- l’esercito di Scipione. Inviato dal console a comunicare al con- sole Norbano gli accordi intervenuti a Teano, Sertorio credette necessario ristabilire lo statu quo, rioccupando di sorpresa Suessa. Di fronte all'immediata protesta che del fatto avanzò Silla a Scipione, questi non seppe trovare altra soluzione che rinviare gli ostaggi a Silla. In questo modo confessava di essere egli la causa della rottura delle trattative: un atto di debolezza gra- vissimo, di cui Silla non poteva mancare di trar profitto. E infatti se ne videro presto i risultati: riprese le ostilità, non . appena le due legioni di Silla giunsero in vista dell’accampa- mento di Scipione, i soldati, accusando il console di aver vio- lato i patti della pace, passarono in massa a Silla. Il console Scipione, sorpreso affatto impreparato dagli avvenimenti, fu trovato dai soldati Sillani nella sua tenda col figlio e condotto a Silla, che li lasciò liberi. Gli altri duci dovevano essere fug- giti prima. Tra essi Sertorio (AppP., I, 85-6; PLuT., Syli., 28; Drop., XXXVIII-IX, fr. 16). L'esercito di Silla veniva così portato a 10 legioni, cioè una forza effettiva di un 45.000 uomini, e con tale esercito rin- forzato egli tentò di indurre a battaglia Norbano. Ma questi, appoggiato saldamente sulle fortezze di Capua, Nola e Neapoli (1), sì tenne in una stretta difensiva, che gli era assai vantaggiosa, perchè le comunicazioni gli restavano aperte per via di mare. E Silla non potendo venirne a capo, tentò la via delle tratta- tive, che così felicemente era riuscita con Scipione. Ma Nor- bano, ammaestrato dal caso del collega, non troppo sicuro della fedeltà delle truppe di fronte alle abilissime arti di Silla, ri- fiutò di accondiscendere. (1) Neapoli fn acquistata di sorpresa dai Sillani sul principio del- l’anno 82 (Apr. I 89); Nola nell’a. 81 (Liv., Periochae, LX XXIX). STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 659 E a questo punto le sorti dei democratici che fino ad al- lora parevano precipitare nel modo più indecoroso, si rialzano improvvisamente. Per sventura Appiano qui nel suo estratto ha quasi troncato gli avvenimenti: pertanto la costruzione che ne faremo non potrà essere che ipotetica. Press’a poco i fatti de- vono essersi svolti così. Noi sappiamo da Appiano (I, 86) che in quel tempo il proconsole Carbone venne in Roma, dove dichiarò nemici della patria Metello e quanti altri s'erano uniti a Silla dopo il suo sbarco. Da questo punto data una parziale riscossa democratica. Cn. Pompeo, il giovane figlio di Pompeo Strabone, che aveva saputo colla sua particolare abilità attrarre a sè la simpatia di Silla, era stato da lui inviato ad eseguire nuove leve nell’agro Piceno (la distinzione tra la prima legione reclutata e le altre 2 che reclutò più tardi è solo in ApP., I, 80). Carbone apprestò un colpo ardito che, se non riuscì a pieno, ebbe però sostanzialmente il successo che il suo autore desiderava. Tre corpi di esercito, guidati da legati di Carbone, dovevano convergere sul Piceno e circondare e soffocare il focolare della ribellione: i due primi, comandati dai legati C. Celio Caldo e C. Carrinate, forse provenienti dall’Umbria; il terzo inviato da Roma stessa, probabilmente per la via Valeria sotto il pretore L. Giunio Bruto Damasippo (1), doveva tagliare all’audace luo- gotenente di Silla la ritirata. Mentre inviava a Silla messi ur- genti per esserne appoggiato, Pompeo seppe togliersi egregia- mente dalla propria difficile posizione: infatti con tutte le sue forze fatto impeto sul più prossimo dei suol avversari, il pre- tore Damasippo, lo sconfisse. Silla frattanto, 10dg... tàs r0©bras dyyehias xai piuas èrèo aùbtoò dedorz®g Ev tocovtoLs xai tnAKzObTOLS dvaotoepouévov otoatimyoîs nokeuiois, gdimze Bondnowv (PLut., Pomp., 8). Benchè la susseguente narrazione di Plutarco presupponga che Silla raggiungesse Pompeo, io non crederò fino a conferma in con- trario che il corpo d’esercito inviato da Silla in soccorso di (1) Per l’identificazione dei personaggi ricordati da Plutarco Drumann, Gesch. Roms, IV?, p. 55 seg., la cui opinione è generalmente accettata. — Miinzer, P. W., III, 1612 s. v., mostra che Carrinate è nome gentilizio non cognome come altri crede (P. Albius Carrinas). 660 EMILIO POZZI Pompeo fosse comandato da Silla in persona (1). E poichè l’anno seguente noi troviamo al comando delle truppe Sillane il pre- tore con imp. proconsolare Q. Cecilio Metello Pio, mentre Silla conservava colla direzione suprema della guerra il comando nel versante del Tirreno, non vedendo che esista una ragione di opportunità e quindi una verosimiglianza di supposizione per ammettere uno scambio susseguente negli alti comandi, ritengo che a Metello Pio fosse affidato il comando delle forze Sillane (che, ipoteticamente, computerò a 4 legioni) inviate in soccorso di Pompeo. In questo modo fu fermato il movimento d’offen- siva Carboniano sull’Adriatico, ma al tempo stesso Silla colle forze rimanenti (6 legioni, secondo la nostra ipotesi) non era più in grado di mantenere il blocco delle 4 legioni di Norbano. E affatto oscuro quale genere preciso di avvenimenti si cell sotto la frase che Appiano adopera subito dopo aver parlato delle fallite trattative di pace tra Silla e Norbano a Capua: dvaotijoas Diilas égmoer 96000 tà modéuia navita ONnbòv * tò dadrò zaì NooParòs Engarte zar dhlas 60065. Ad ogni modo è certo che in seguito a questi avvenimenti (ignoti) il console C. Norbano riuscì a liberarsi dal blocco di Capua e a ritirarsi verso il Nord. Cercare di sapere di più vorrebbe dire, almeno fino a che le nostre conoscenze storiche per questo punto non siano accresciute, eventualità affatto improbabile, lavorare di (1) L'opinione, che credo poco fondata, è del Mérimée (op. cit., p. 169 seg.), che ritiene, come il Lixpen (op. cit., p. 39), che Silla in persona sia mosso verso l'Adriatico in soccorso di Pompeo. Il Linden poi ha creduto troppo in verba Plutarchi, ripetendo ad litteram la narrazione ampollosa che questi fa delle gesta di Pompeo. Così per la sua cronologia fa che Pompeo debba attendere un mese la venuta di Silla (cfr. la nota cronologica) mentre è chiarissimo che la vittoria su Damasippo ebbe per Pompeo l'esito, impor- tante certo, di farlo sfuggire all’accerchiamento del nemico, ma è pure in- dubitato che, lasciato a se stesso, egli sarebbe stato dalla forza stessa del numero sopraffatto. Nè l’uno nè l'altro studioso accennano a questo punto a una divisione dell’esercito di Silla, e come a questo punto si debba far risalire lo scaglionamento delle forze avversarie sui due versanti, che poi si mantenne per tanta parte della guerra. Ma in tutt'e due l'osservazione non è troppo proseguita. Citerò, per finire, P. CanraLuri (La magistratura di Silla, p. 74-5) che vuole che l'esercito di Norbano (4 legioni) si sia arreso a Silla, come quello di Scipione. . STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 661 pura fantasia. Nello stesso tempo Q. Sertorio e altri duci de- mocratici aprivano nuove leve in Etruria, raccogliendovi 40 coorti, pari a 4 legioni (ExuP., 7); e anche nelle altre regioni e par- ticolarmente nella Gallia Cisalpina venivano aperte leve che portavano a un considerevole accrescimento degli eserciti de- mocratici. Per altro, per il rimanente di quest'anno non vi furono più ‘operazioni militari. Le due parti (App., I, 86) si preparavano febbrilmente per la lotta decisiva. Da un lato il console C. Nor- bano, ancorchè sfuggito al blocco di Silla a Capua, non poteva mantenersi saldamente sulla difensiva sbarrando la via di Roma, su un punto un po’. più arretrato; e perciò si ritirò decisamente fino a Praeneste, rocca naturale fortissima in ogni tempo, dalla quale gli era possibile guardare così la via Latina, come, attra- verso alla pianura di Velitrae tra i monti Albani e i Lepini, la via Appia, le due grandi vie di accesso a Roma. E d'altra parte il proconsole Carbone (poichè evidentemente Scipione. seppure da Diodoro appaia (XXXVIII-IX, fr. 16) dopo la resa aver co- mandato altre forze, non può che aver avuto un comando no- minale) si riportava anch’egli indietro fino ad Ariminum, dove stabiliva la sua base d’operazione all’inizio della via Aemilia, la grande rete di comunicazione della Gallia Cisalpina, mentre la via Flaminia attraverso l’Appennino lo manteneva in comu- nicazione con Roma, e conseguentemente col console Norbano a Praeneste. La sua avanguardia era sul fiume Aesis (Esino) poco sopra Ancona. Nello stesso tempo Silla aveva anch'egli procurato di accre- scere il suo esercito con leve nei paesi da lui dipendenti (la Campania, il Sannio, l’Apulia, la Lucania, il Bruzio), sia con concessioni, sia con minacce, sia con denaro (App., I, 86). E mandava innanzi un altro dei giovani avventurosi, accorsi al suo campo, M. Licinio Crasso, a fare leve tra i Marsi (PLUT., Crass., 6). Il suo esercito era diviso, come abbiamo veduto, in due parti. L'esercito del Nord, comandato da Q. Cecilio Metello Pio, aveva probabilmente come base Asculum sulla Salaria. L'altro, l’esercito del Sud, comandato da Silla in persona, aveva probabilmente per base Capua. Queste operazioni occuparono i capi dei due opposti eser- citi, uéyoi tÒò Aouròvr toò déoovs ératégors és tadta Avnimdm. 662 EMILIO POZZI L'a. 83 non poteva definirsi se non un anno di preparazione: le forze democratiche erano tutt'altro che distrutte, anzi sva- Î nito quello che per molti era stato un vivo miraggio, la speranza della pace, tutta la tensione degli animi e delle energie si vol- geva alla lotta mortale e decisiva che si attendeva per l'anno seguente. Ma non era men vero che Silla, colle sue qualità elettissime di uomo di stato e di generale aveva riportato un grande successo. Aveva sorpreso il nemico e aveva approfittato della disorganizzazione del primo momento per stabilire la sua base di operazioni in Campania: un'altra ne aveva quindi posta nel Piceno. Contro qualunque evento avvenire si presentava saldo nelle posizioni dominanti l'uno e l’altro mare, nelle mi- gliori condizioni per la lotta decisiva. Nota cronologica. È noto come unico termine che abbiamo per stabilire la cronologia degli avvenimenti di quest'anno sia l'aneddoto, riferito da PLurarco (8y0., 27) di su le memorie dello stesso Silla, che, allorchè Silla procedendo verso la Campania, giunse a Silvio in Apulia, gli apparve dinanzi uno schiavo, il quale come ispirato dalla divinità lo ammonì ad affrettarsi a muovere su Roma, perchè se non si fosse affrettato il Campidoglio sarebbe arso: 3 (scil. l'incendio) — soggiunge Plut. — zaì cvufigvar ts Meéoas éneivns, Ts è dvdomros rgonyégevoev, È cioè il 6 Quintile = 6 luglio. La data di questo incendio del tempio di (Giove Capitolino (che dovette produrre una enorme impressione e apparire come un triste prodigio della divinità adirata per le stragi delle lotte civili; cfr. le fonti presso Linpex, op. cit., p. 35) è stata dal Linden adottata per ordinare cronologicamente gli avvenimenti di quest'anno, Egli, volendo distribuirli equamente in tutto l'anno, ha con- getturato che la data del 6 luglio sia quella della dimora di Silla a Silvio, opinione possibile dal testo greco inteso alla lettera, ma assurda nel senso che se l'incendio fosse avvenuto in quel giorno, non si capisce il costrutto del consiglio e della profezia, dato che a Silla non era umanamente pos- sibile in quel giorno essere a Roma. Ma andiamo innanzi. Feco l'ordine approssimativo che il Linden dà degli avvenimenti: Silla parte dai suoi quartieri di inverno, che sono pre. supposti in Attica al principio di marzo, e per la metà di aprile è a Dyr- rachium (noi abbiamo supposto che egli svernasse in Macedonia stessa). Quivi si ferma un mese, fino alla metà di maggio, attendendo gli aiuti del Peloponneso raccolti a Patrae dalla flotta, e poi alla fine di maggio opera lo sbarco a Brindisi. Quivi attende nn mese, non si sa bene cosa, e quindi alla fine di giugno o al principio di luglio si pone in via; il 6 luglio è a Silvio; STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 663 circa la fine di luglio combatte con Norbano al monte Tifata, mentre in questo mese si svolge l'azione di Pompeo nel Piceno contro i legati di Carbone. L’agosto è dedicato alle trattative tra Silla e Scipione a Teano; finite queste al principio di settembre, Silla, un po’ troppo in ritardo, pensa a soccorrere Pompeo. Per occupare il mese viene a proposito la de- fezione dell’esercito di Scipione a Pompeo (PLur., Pomp., 7; Zon., X, 2) (un secondo caso, identico alla defezione dell’esercito del console stesso a Silla, una falsificazione non so come nè perchè fatta buona dal Linden, mentre nessun altro studioso ha mai pensato a considerarla storica). Alla fine, nell'autunno, avviene la sosta nelle operazioni militari, le leve di Sertorio e degli altri duci in Etruria. Finalmente gli eserciti entrano negli accampamenti di inverno. La mia costruzione è alquanto differente e tiene conto «) del testo di Appiano I, 86, secondo il quale, dopo narrate le trat- tative di Silla con Norbano a Capua, posteriori alla defezione dell'esercito del console Scipione, si soggiunge della venuta di Carbone a Roma, con- temporanea circa ai fatti narrati prima, aÎs @fuégaes, accadde lin- cendio del tempio di Giove Capitolino. Questo in senso un po’ lato, im- possibilmente però alla distanza di tempo in cui l'ha posto Linden; d) di esi- genze militari di prim'ordine, la cui importanza pare ignorata dal Linden stesso. È evidente che Silla, di fronte alle forze superiori degli avversari doveva operare di sorpresa lo sbarco in Italia (e vi riuscì), e quindi, ap- pena sbarcato, colla maggiore celerità possibile raggiungere il suo obiettivo, la Campania, prima che una forte resistenza gli impedisse di varcare i passi dell’Apennino. Ed infatti egli mosse innanzi così rapidamente, che gli avversari non poterono opporglisi se non dinanzi a Capua. E là avvenne appunto il primo scontro. Pertanto, considerando il vasto e complesso ordinamento della spedi- zione e i movimenti della flotta e dell’esercito per concentrarsi a Dyr- rachium, possiamo calcolare almeno un mese necessario per gli apparecchi di questo concentramento e la partenza; quindici giorni almeno per gli sbarchi: totale un mese e mezzo. Tempo sufficiente, ponendo il principio dei preparativi alla metà di marzo, per dare allo sbarco di Silla a Brin- disi la data del principio di maggio. Ammettendo qualche tempo per la sistemazione della base d’operazione, e ricordando d'altra parte la rapidità necessaria alla mossa di Silla verso la Campania, noi porremo nel giugno le trattative di Silla con Norbano e la battaglia al monte Tifata, e sino alla fine di luglio la serie degli avvenimenti (trattative e loro rottura) che conducono alla defezione dell'esercito di Scipione. Subito dopo, la venuta di Carbone a Roma, contemporanea al tentativo di rinnovate trattative di Silla con Norbano; @Zs guéoe:s (con una latitudine di tempo perfettamente possibile), il 6 Zuglio avvenne l’incendio del Campidoglio. Intanto, Pompeo sì recò per nuove leve nel Piceno, e, sulla fine di luglio o sul principio di agosto, contemporaneamente alla venuta di Carbone in Roma, sì svolsero le operazioni dei tre legati Carboniani contro Pompeo. Lo spostamento di parte dell’esercito Sillano da Capua al versante Adriatico, la liberazione del console Norbano dal blocco, con particolari ignoti, sono avvenimenti 664 EMILIO POZZI che possono ben empire il mese di agosto e parte del settembre succes- sivo. Se, del resto, Pompeo, contro forze superiori, avesse dovuto attendere un mese il soccorso di Silla, la sua impresa nel Piceno sarebbe terminata con una catastrofe. Nel rimanente poi della buona stagione, dalla metà di settembre ad ottobre (novembre), si chiusero le operazioni militari e s'ini- ziarono i grandi preparativi per l'enno seguente. II. La campagna dell’82 a. C. fino alla battaglia di Porta Collina. Le elezioni consolari per l’a. 82 avevano portato al potere due dei più risoluti partigiani della guerra, Cn. Papirio Car- bone, dopo la morte di Cinna, possiamo dire, capo riconosciuto del partito democratico in Italia, e C. Mario, giovane ardente e valorosissimo, seppure la fresca età (aveva soli 26 anni) non gli consentiva soverchia esperienza, caro alle moltitudini pel nome glorioso e popolare del grande capitano, suo zio (1). Il partito della guerra era dunque vittorioso su tutta la linea. Ora doveva farsi il tentativo della riscossa generale, se non sì voleva cadere a mano a mano, ingloriosamente, per le abili arti e gli intrighi di Silla. A noi sarebbe caro, per meglio valutare il valore e la por- tata delle operazioni militari, vaste e importantissime, di que- st'anno di guerra, di conoscere la quantità esatta delle singole forze impegnate: ma disgraziatamente questo, per lo stato della tradizione, ci è possibile solo fino a un certo punto. Il calcolo generale riesce abbastanza profittevole per Silla, di cui cono- sciamo (App., I, 100, cfr. 104) il numero esatto delle legioni (1) Sull’età di C. Mario, il giovane, quando ottenne il consolato, cfr. Linpex, n. 51, p. 60, che riassume i precedenti risultati. È indubbio che egli lo ottenne a 26 anni compiti, l'oscillazione tra i 26 e 27 anni che troviamo nelle fonti non provenendo che da un diverso sistema nel com- puto degli anni (a. iniziato, a. compiuto), che si verifica tuttora. Che il console dell'a. 82, uguale al proscritto dell'a. 88 (Arp., I, 60; 62, dov'è detto viòv adroò Magiov). fosse nipote per parte di fratello, &deZp1d0ds, del vecchio Mario, come dice App., I, 87, adottato da lui (BusoLr, art. cit., p. 434 n. 83, seguìto dal Linxpex, ibid.), ha grande apparenza di verità. STUDI SULLA GUEIRA CIVILE SILLANA 6605 alla fine della guerra (23) (1) e le forze dell’esercito del quale abbiamo potuto seguire sino alla fine dell’anno precedente, in cui abbiamo riscontrato nell'esercito Sillano un totale di 12 le- gioni. Tenendo calcolo che, a quanto vediamo dalla narrazione più completa di Appiano, non meno di 4 legioni, e certamente più, disertarono nel corso della campagna a Silla — 5 coorti di fanteria e 2 turmae di cavalleria a Sacriporto (I, 87), 5 coorti in una battaglia durante la ritirata di Carbone (I, 88), 6000 uo- mini = 12 coorti nella battaglia di Faventia (1,91), 1 legione lucana di P. Albinovano (ibid.), totale 32 coorti e 2 turmae di cavalleria, più i presidì prossimi a Rimini etc. che si arresero dopo il tradimento di Albinovano (ibid.) — avremo come risultato delle leve promosse da Silla sulla fine dell’anno precedente 6 o 7 legioni. Di queste, due o tre certamente coscritte da Crasso nei Marsi; il resto da Silla nei paesi occupati. Questo scarso numero (che si accresce non di molto, calcolando le leve sup- plementari che dovettero essere fatte per supplire alle perdite verificatesi di mano in mano nella campagna) sta a dimostrare ancora una volta quale fosse rispetto a Silla l’animo delle popolazioni italiche: nè poteva presumersi diversamente, qua- lora solamente si pensasse che i Sanniti e i Lucani formavano un nucleo fortissimo negli eserciti democratici, e si ricor- dasse la loro sollevazione in massa nell’a. 83. Essi dovet- tero tenere quindi rispetto a Silla un contegno di diffidenza e di sospetto, nè Silla dovette insistere, conoscendo l’ambiente, per non avere sorprese pericolose. Ad ogni modo sta il fatto che Silla iniziò la campagna con meno di 19 legioni ai suoi ordini, deile quali presuppongo circa 12 (6 per ciascuno) con- tassero gli eserciti di prima linea, di Silla e di Metello, le altre 7 adoperate in vari uffici, per es., con probabilità un forte nucleo in Campania, dove Neapoli ancora resisteva e così Nola, che fu occupata solo nell’a. 80. (1) Ho accettato il dato di Appiano, perchè, essendo in lettere, era meno soggetto a corruzione di testo; infatti esso è confermato più oltre c. 104, dove si dice che i soldati di Silla che avevano ottenuta la distri- buzione di terreno erano 120.000 (Infatti 5000 X 23 = 115.000, 120.000 in cifra tonda). In Livio (Periochae, LXKXXIX) il numero delle legioni è di XLVII, che alcuni hanno corretto in XXIII, altri in XXVII. 666 EMILIO POZZI Quanto alle forze dei due consoli democratici, abbiamo so- lamente l’accenno di Appiano (I, 82) che esse superavano il totale di 200 coorti (= 20 legioni) raggiunto nell’a. 83. Con- siderando che le 4 legioni coscritte da Sertorio e dagli altri in Etruria, andavano in compenso di quelle che avevano disertato dal console Scipione, possiamo ritenere che le legioni democra- tiche fossero superiori di numero di circa 10 alla somma ini- ziale delle forze Sillane. Più tardi nel corso delle ostilità molti aumenti ebbero, ma anche molte perdite. Gli eserciti di prima linea, comandati l’esercito del Sud, già di Norbano, dal console (. Mario, con base, come abbiamo veduto, a Preneste, e quello del Nord dal console Carbone, e a lui in sottordine dal proconsole C. Norbano (legati: Flavio Fimbria, C. Carrinate, C. Celio Caldo, Marcio, P. Albinovano), con base ad Ariminum, non dovevano essere di molto superiori a quelli Sillani loro contrapposti. Di più si doveva contare il presidio di Roma, 2 legioni sotto il pretore L. Giunio Bruto Damasippo, e importanti corpi di ri- serva in Etruria e in Gallia Cisalpina. Mancava dei comandanti democratici Q. Sertorio, che era partito per prendere il governo della sua provincia, la Spagna Citeriore. Durante l’inverno, infine, che, come ci avverte Appiano (I, 87), fu in quell’anno assai lungo, Silla provvide ad assicu- rarsi le spalle stringendo trattati coi singoli popoli italici, ga- rantendo loro il mantenimento del diritto di cittadinanza, e, più, del ius suffragii, ben inteso in tutte le 35 tribù (Periochae, LXXXVI). Poichè abbiamo sopra illustrato (p. 647) quale è la nostra profonda convinzione circa l’attitudine adottata da Silla di fronte agli accordi tra i ribelli e Cinna nell’87 a. C., avremmo viva curiosità di conoscere quale fosse il testo di questi trattati, ma dobbiamo rassegnarci ad ignorarlo. Il carattere speciale degli avvenimenti militari seguenti, svolgentisi su due versanti opposti, era l’influenza reciproca che doveva esercitarsi tra l'una e l’altra serie di operazioni, dato che il primo successo notevole riportato dall'uno dei bellige- ranti su uno dei versanti, costituendo una minaccia sul fianco dell'avversario che operava sul versante opposto, gli avrebbe dato la vittoria o almeno un risultato molto favorevole anche su questo. Era una gara di prontezza, di abilità, di decisione, nel STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 667 condurre una offensiva a fondo, e Silla si mostrò in essa su- periore. Egli avanzò col suo esercito, al principio della buona sta- gione, per la via Latina incontro al console C. Mario, che gli sbarrava la via. Una sorpresa, colla quale Silla occupò la forte città di Signia (Segni) sul fianco destro di Mario, costrinse que- st'ultimo ad abbandonare la sua posizione e portarsi più in- dietro, a Sacriportum. Dei precedenti della battaglia abbiamo un confuso accenno in Plutarco. A quanto pare C. Mario deve aver preso una posizione di fianco alla via Latina, e assaliti alcuni reparti Sillani in marcia, affaticati da un temporale so- praggiunto. Dietro le preghiere di alcuni ufficiali, Silla si vide indotto contro sua voglia ad arrestarsi ed accamparsi. Era questo il momento atteso dal console democratico, che assalì con veemenza l’esercito Sillano mentre stava procedendo ai la- vori dell’accampamento. Ne successe un combattimento accani- tissimo, che iniziatosi nelle condizioni più sfavorevoli per Silla, si mutò in suo favore da ultimo, e in seguito al tradimento di 5 coorti di fanteria e 2 turmae di cavalleria democratica formanti l'estrema ala sinistra nemica, si ridusse per Mario in disfatta completa. C. Mario cercò di riparare nella piazza forte di Prae- neste coi suoi, ma non vi riuscì se non in mezzo a una terribile strage dei fuggiaschi, avvenuta durante l'inseguimento e sopra- tutto sotto le mura della città. Solo 15.000 uomini poterono chiudersi in essa col console, il quale evidentemente, avendo fatto argine sino alla fine con un corpo di retroguardia all’avan- zata nemica per permettere ai suoi lo scampo, potè a stento riparare anch'egli tra le mura, trattovi su dagli abitanti per mezzo d'una corda. Ma il resto dell’esercito, e cioè più di 20.000 uomini, andò perduto: di essi 8.000 prigionieri, gli altri o caddero nella strage, o si dispersero (fonti principali App., I, 87; PLur., Syll., 28; Drop., fr. 15; inoltre Periochae; LXXVII; FLor., II, 9, 23; EurRoP., V, 8; Oros., V, 20, 6) (1). Ed è a questo punto che (1) La forza dell’esercito di C. Mario combattente a Sacriporto è data da Plutarco (ibid.) in 85 coorti, che però, come ha ben notato il CanrALUPI (La guerra civ. p. 34), sono il risultato d'un calcolo. Infatti, sommando 668 EMILIO POZZI noi vediamo per la prima volta l’esplicazione del pensiero di Silla, di fronte agli accordi della reggenza democratica coi Sanniti nell’'87. Ci viene attestato da Appiano che 47dog algualbtorv è Siilias éhlaPBev, ©®v toùs Zavvitag Exteve advias © aleì yahemods ‘Pwuaiors yevonévovs. Evidente- mente, quella addotta da Appiano non è la ragione vera. Essa può solo essere invece che Silla non considerò in questa occa- sione, come più tardi, i Sanniti come cittadini Romani, bensì volle mostrar loro che li riteneva alleati ribelli. Il suo proce- dimento però doveva suscitare terribili complicazioni, e ad esso dobbiamo ricondurre l'insurrezione dei Sanniti e dei Lucani che poco più tardi scoppiò alle sue spalle. Silla aveva creduto colla battaglia di Sacriporto di aver dato all'avversario un tale colpo, che, pur non essendo definitivo, avesse determinato per altro l'esito ultimo della guerra; ma il suo atto, oltrechè un atto crudele, era anche un errore politico, e le conseguenze non se ne fecero attendere. Come dice con una frase scultoria Sallustio (fr. 35) “ Marins vietus duplicaverat bellum ,. Intanto Silla lavorava attivamente a stabilire una linea di circonvallazione intorno a Preneste éx uaxgod diaotijUaTOS ; e quindi, dovendo procedere, richiamò (questo almeno si deve supporre) altre forze dalla Campania, certamente un 4 legioni, per poter tenere efficacemente il blocco, e ad esso prepose Q. Luerezio Ofella, un ex-mariano, con ordine tassativo di non indurre mai a battaglia Mario, ma di prenderlo per fame. Si- stemato il blocco di Preneste, mosse su Roma. Qui però i Ma- riani, com'era naturale, non si apprestavano ad alcuna resi- stenza, perchè la città aperta e solo protetta a N-W dal monte 20.000 (morti), 8.000 (prigionieri), 15.000 salvi (Drop. fr. 15: PLur., Sy2., 82) sì hanno 43.000 nomini, e 85 coorti = 42.500, in cifra tonda lo stesso. La cifra degli scampati è l’unica sieura : il resto è tratto per calcolo, e, secondo me, nei ventimila — cifra data da Silla pr. Plut.(Oros. da Claudio [Quadrig.] 28.000) — vanno compresi gli 8.000 prigionieri, come pure i dispersi etc. Si verrebbe a un esercito di 35.000 uomini = 7 legioni, quale è affatto probabile fosse quello del console C. Mario. Per le perdite di Silla, mettendo da parte i 23 morti, che egli solo accusava nei suoi commentari, e considerando la cifra di Eutropio: 400 morti, abbiamo un totale complessivo delle perdite di 2000 o 3000 uoinini. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 669 Gianicolo non si sarebbe potuta difendere in alcun modo, tanto più colle due legioni di cui disponeva il pretore urbano L. Giunio Bruto Damasippo. Questi infatti aveva ricevuto ordine dal con- sole Mario, rinchiuso a Preneste, di sgombrare immediatamente la città portandosi al Nord in Etruria. Prima però egli doveva sopprimere quei membri del Senato che erano sospetti di favo- rire nascostamente il partito Sillano. Adunato con un pretesto il Senato, P. Antistio e C. Papirio Carbone Arvina, lo stesso che come tribuno era stato l'a. 89 uno dei proponenti della legge Plauzia Papiria de ciritate, furono trucidati nella Curia stessa; il Pontefice massimo Mucio Scevola, che aveva tentato di rifugiarsi nel tempio di Vesta, fu ucciso prima di raggiun- gere la soglia (App., I, 88; Lrv., Per., LXXXVI; Oros., V, 20, 4; Vetn., I, 26; Fror., II, 9, 21; cfr. Dron., fr. 17). Compiute così le ultime vendette, Damasippo colle sue legioni abbandonò la città, e lo seguirono i principali membri del partito demo- cratico (1). In questo modo senza resistenza si compiè l’entrata di Silla in Roma. L'esercito Sillano aveva ricevuto ordine di occupare di sorpresa le porte della città, e per ogni evenienza era stato stabilito come punto di concentramento dei singoli corpi di truppa, qualora qualcuno fosse stato respinto, la città di Ostia. Ma non fu necessario alcun combattimento. L'occupazione delle città vicine, che si diedero senza resistenza a Silla, affamò in breve la città, e questa si arrese. Silla vi entrò lasciando l’esercito accampato fuori delle mura nel campo Marzio. Ra- dunato il popolo in assemblea, egli deplorò di essere stato (1) È noto come, secondo la tradizione liviana (Orosro, Periochae) l’uc- cisione sarebbe stata ordinata da C. Mario al pretore Damasippo prima della battaglia di Sacriporto; mentre in Appiano è detto espressamente che fu dopo. Le ragioni per cui il Lrxpen (op. cit., n. 60, p. 61) ha creduto di dover accettare la tradizione liviana, non sono persuasive (improbabi- lità che i Mariani dopo la battaglia di Sacriporto osassero commettere le stragi ricordate [le grandi stragi in epoca rivoluzionaria sono appunto conseguenza di disastri esterni, cfr. le stragi di settembre del 1792] — im- possibilità per Mario ‘rinchiuso in Praeneste, di comunicare con Roma [egli poteva farlo per mezzo d'un emissario, prima che fosse stretta la linea di circonvallazione, come avrebbe anche potuto farlo dopo. Lastoria di tutti gli assedi insegni]). 670 EMILIO POZZI costretto contro sua volontà alla presente guerra, ma assicurò che lo stato attuale non sarebbe durato a lungo. Quindi pose all'asta i beni degli avversari, e riordinò le cariche dello Stato e cittadine. Terminate queste cose, egli mosse contro il nucleo più forte dei democratici, raccolto in Etruria. Ma per compren- dere gli avvenimenti seguenti è necessario che ora ci facciamo indietro ad esaminare le vicende che erano occorse nel frat- tempo sull’altro teatro della guerra. Apertesi le ostilità anche sul versante adriatico, Q. Me- tello Pio aveva riportato un successo su ©. Carrinate, in un primo scontro sul fiume Aesis (Esino), così che aveva stabilito la propria autorità sui paesi vicini; ma il console Carbone, ac- corso in aiuto (1) del suo luogotenente, aveva vinto l’esercito Sillano e lo aveva pressochè circondato (MéreZZov dè KdoBww zatadatov Epgovyer reorwzadijuevos, App., I, 87). Nel frattempo però gli giungeva la notizia della gravissima disfatta del col- lega €. Mario a Sacriporto e del suo assedio a Preneste per opera di Silla. Continuare nell'offensiva contro Metello in queste condizioni non era possibile, perche l'avanzata di Silla poteva prenderlo di fianco, mentre egli aveva Metello di fronte (era questo, lo abbiamo veduto, un rischio dovuto allo speciale teatro in cui la guerra si combatteva). In queste condizioni Carbone iniziò una operazione difficilissima, la ritirata di fronte ad un esercito nemico pressa poco pari a lui di forze, e la disposizione delle sue forze su tutt'altra linea, per obbedire alle mutate esigenze del momento. L’aver condotto sapiente- mente a termine questa colossale operazione militare, che per- (1) Non comprendo la ragione, per cui il Lrypen (p. 41) fa partire Carbone da Clusium per muovere nell’Agro Piceno: egli vi era già, e de- durre dal fatto che in epoca posteriore, per rispondere a mutate esigenze militari, Carbone aveva posto il quartier generale a Clusium, che egli lo avesse fatto anche prima. contro ogni necessità militare, è fuor di luogo. ll Linden poi ha fatto compiere ben quattro volte questa marcia a Carbone coll'esercito; la seconda volta (p. 45) [unica reale) dopo la notizia della sconfitta di C. Mario a Sacriporto; la terza volta (p. 47) prima della bat- taglia di Faventia; la quarta (p. 48) [una fuga] dopo la battaglia. Ha il L. mai pensato quale operazione complessa e difficile sia il trasporto d'un esercito, e fosse particolarmente allora, e specie a sì grave distanza? Di più, che, come vedremo, non ce n’è affatto necessità. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 671 mise ai democratici la riscossa, e per poco non assicurava loro la vittoria finale, è una prova di particolari virtù militari «di Carbone, un merito che non gli è stato dai moderni adegua- tamente riconosciuto. Il primo punto del nuovo piano di Carbone era la ritirata dell’esercito dal fiume Aesis ad Ariminum. Benchè la retro- guardia dell’esercito Carboniano, comandata dal legato Marcio, fosse danneggiata in alcuni scontri dall’avanguardia di Metello, guidata da Cn. Pompeo — abbiamo notizia particolarmente d’uno scontro vittorioso, attribuito in modo generico a Metello, sui Carboniani, in cui 5 coorti passarono a Metello, e d’una vittoria di Pompeo su Marcio a Sena Gallica (App., I, 87-8; Oros., V, 20) — la ritirata fu eseguita felicemente. Ad Ariminum Carbone divise il proprio esercito. Un corpo che possiamo calcolare ipoteticamente a 4 o 5 legioni fu la- sciato in questa città al comando del proconsole C. Norbano, a guardia della Gallia Cisalpina, assistito dai legati C. Flavio Fimbria, P. Albinovano e altri. Colle rimanenti due o tre le- gioni Carbone scendeva per la via Faventia-Faesulae-Florentia- Arretium a Clusium. E qui si operava il concentramento dei comandanti democratici e si stabiliva il quartier generale delle loro forze: conviene calcolare oltre aile due legioni del pretore Damasippo, provenienti da Roma per la via Cassia, almeno quattro legioni o già stanziate in Etruria o quivi concentrate, cosicchè possiamo pensare a un totale da 40 a 45.000 uomini, rac- colti in Etruria in attesa dell’assalto di Silla. Contro ad essi Silla poteva disporre, a quanto abbiamo calcolato, d’un 30.000 (6 legioni), forze assai inferiori, tanto che egli dovette, come or ora vedremo, distaccare dall’esercito di Metello un corpo di truppe, che possiamo valutare a 2 legioni (10.000 uomini), sotto Cn. Pompeo. La posizione di Carbone a Chiusi appariva otti- mamente scelta per quello che costituiva ora il fine supremo degli sforzi dei democratici: la liberazione del console C. Mario a Preneste. Essa infatti era in posizione centrale, domina- trice della rete stradale dell’Italia media. E come Norbano da Aviminum copriva la Gallia Cisalpina. così Carbone, collegato con lui sicuramente per la via di Faventia, copriva l’Etruria, le due fidissimae terrae dei democratici, donde essi traevano copia quasi inesausta di forze. Ma prima dell’offensiva, Carbone Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 45 672 EMILIO POZZI e Norbano dovevano attendersi l'attacco di Silla. E questi nom tardò a sopraggiungere. Silla aveva elaborato a sua volta un piano arditissimo e vastissimo, che mirava all'avvolgimento e alla distruzione com- pleta delle forze democratiche, così in Gallia, come in Etruria. Tre corpi d’esercito: un distaccamento per la via Clodia, con obiettivo Saturnia; il corpo centrale comandato da Silla in per- sona per la via Cassia e il corso del Clanis (Chiana) con obiet- tivo Clusium, quartier generale e posizione fortissima di Car- bone; un distaccamento, comandato dal legato M. Crasso, che per la via Amerina, di conserva con un corpo di truppe staccato dall'esercito di Metello e comandato dal legato Un. Pompeo (via Auximum-Nuceria Camellaria), doveva assalire da due parti le posizioni presso Spoletium tenute dal legato C. Carrinate e assicurare a Silla il dominio della via Flaminia. Contempora- neamente Q. Cecilio Metello, dalle sue posizioni dinanzi ad Ari- minum, doveva per via di mare prendere posizione dietro al- l'esercito del console Norbano, sbarcando a Ravenna con obiet- tivo a Faventia, staccandolo al tempo stesso e dalla Gallia Cisalpina e dalla via principale di comunicazione col console Carbone, che appunto in questa città fa capo alla via Emilia. Le operazioni procedettero con un sincronismo straordi- nario: toò aùroò yo6vov il distaccamento operante sulla via Clodia vinceva a Saturnia un corpo avversario che gli era op- posto, e Silla sul fiume Clanis prendeva contatto colle avan- guardie di Carbone (in uno scontro tra la cavalleria Sillana e un corpo di cavalieri Celtiberi, inviati dai governatori della Spagna ai consoli, questi furono respinti colla perdita di 50 uo- mini, 270 passarono a Silla, gli altri furono fatti uccidere dal console Carbone, per dare un esempio di severità alle sue truppe); mentre nell'Italia Settentrionale Q. Metello Pio, sbarcato a Ra- venna, devastava alle spalle del proconsole Norbano l’ager Uritanus (0 viritanus) pr. Faventia (App., I, 89). Subito dopo M. Crasso, avanzando per la via Amerina, occupava ‘Tuder (PLur., Crass., 6) (1) e d'accordo con Pompeo vinceva ©. Car- (1) Che Crasso agisse in relazione con Pompeo, è dato dalla combina- zione tra Arr. e Prur. L'ocenpazione di l'uder (contro quanto ha supposto | STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 673 rinate nella pianura Spoletina, infliggendogli una perdita di tremila uomini e circondandolo da ogni parte (ApP., I, 90 prin- cipio). Ma l'attacco del corpo principale, guidato da Silla in persona, contro le trincee di Carbone, falli completamente. Dopo uno scontro accanitissimo, durato dalla mattina alla sera, egli venne respinto (App., I, 89 fine). Nello stesso tempo, Carbone procurava di disimpegnare Carrinate, inviandogli un corpo di truppe in soccorso. Riuscì a Silla di tendere un agguato alle truppe Carboniane (inviate per la via Clusium-Perusia), e di ca- gionar loro gravi perdite (2000 uomini); ma €. Carrinate riu- sciva ugualmente a ingannare la vigilanza dei suol avversari, e in una notte di tempesta, lasciati accesi i fuochi dell’accam- pamento per simulare la sua presenza in esso, fuggiva colle sue truppe riunendosi a Carbone (App., I, 90). Ed ora Silla veniva a trovarsi in una posizione difficilis- sima, perchè nello stesso tempo gli giungeva notizia d’una gra- vissima sollevazione scoppiata alle sue spalle, fra 1 Sanniti e i Lucani, i quali avevano compreso dall’eccidio di Sacriporto, quale sarebbe stato in avvenire il contegno di Silla contro di loro, dopo la vittoria. Ed egli giunse a tempo, possiamo dire miraco- losamente, per opporsi all’attuazione del piano concordato tra Carbone e gli insorti, che tendeva a schiacciare Silla nell'Italia Centrale. Infatti, da una parte l’esercito dei ribelli, forte di circa 30.000 uomini (1), comandato dal Sannita Ponzio Telesino, uno dei il Linden, p.46) deve essere anteriore alla sconfitta di Carrinate a Spoleto, perchè la città si trova sulla via, e subito dopo la battaglia di Spoleto accadde il concentramento e la ritirata delle forze sillane. Crasso non viene dalle leve dei Marsi (Linpex, p. 45), che furono compiute sulla fine del- l'anno precedente, tra altre leve, cui accenna in generale Appiano, ma è distaccato dall’esercito di Silla. (1) La forza attribuita all'esercito Sannita-Lucano è di 70.000 uomini (App., I, 90; FLoro, II, 9, 24, a proposito della battaglia di Porta Collina,); forza enormemente esagerata, che prova soltanto l'enorme impressione pro- dotta in Roma dalla battaglia di Porta Collina stessa; Vett. II, 27, dà presenti alla battaglia 40.000 uomini, cifra assai più moderata, e credibile perciò, benchè sempre considerevolissima. Tenuto conto che la battaglia fu com- battuta dopo che ai Sanniti si erano congiunti i contingenti di Marcio, C. Carrinate e Damasippo, la cifra iniziale delle forze sannitiche deve esser all’incirca quella indicata nel testo. tenia 674 EMILIO POZZI duci superstiti della guerra sociale (VeLL., II, 31, 1), e che aveva per legati M. Lamponio, lucano, uno dei capi nelle ultime resistenze della guerra stessa (Diop., XXXVII, fr. 24, 11), e il capuano Gutta, moveva per la via Latina in soccorso di Preneste, dove, cooperando cogli assediati, doveva distruggere i 20.000 uomini circa sillani, che attendevano al blocco sotto Q. Lucrezio Ofella, e unitosi ai 15.000 uomini di Mario, cioè con una forza totale di 45.000 uomini, occupata Roma, doveva poi muovere contro Silla. D'altra parte, un corpo di 8 legioni (a effettivi completi 40.000 uomini), in gran parte composti di leve recenti, al comando del legato Marcio, ‘doveva assalire. Silla dal Nord. Fd è indubbio che preso così tra due fuochi (comprese le forze di Pompeo, egli non poteva avere che 8 le- gioni o poco più, e cioè /a metà delle forze nemiche), Silla do- veva necessariamente soccombere, anche se le legioni di Marcio erano in gran parte composte di soldati recenti. Del pari rin- forzato (possiamo pensare a una legione), il proconsole C. Nor- bano doveva dare battaglia decisiva a Q. Metello, che isolato ormai dopo la sua mossa alle spalle dell'avversario, in cui come egli aveva tagliato a quello la base di operazione, così l'aveva avuta tagliata egli stesso, e non potendo ricevere soccorso da Silla, si trovava rinchiuso, pareva, senza speranza di uscita, tra la Gallia nemica alle spalle, e l’esercito di Norbano di fronte. Era il piano di offensiva del console Carbone che si espli- cava in tutta la sua ampiezza. E se questo piano, che ci appare egregiamente concepito, non ebbe l’effetto a cui mirava, e cioè la distruzione delle forze Sillane allora operanti, ciò fu merito principalmente della mirabile freddezza e serenità d'animo, che Silla dimostrò sempre nei più gravi momenti, della sua perspi- cacia e sicurezza d'azione come generale. e in secondo luogo dello scarso valore militare e della dubbia fedeltà di buona parte delle milizie democratiche (eccezione fatta dei Sanniti e Lucani), che non corrispose alle speranze e all’aspettativa di chi il piano stesso aveva ideato. Certamente Silla ebbe notizia della natura delle mosse nemiche, e stabilì di prevenirle. Il punto essenziale era impedire che i Sanniti e Lucani riuscissero nel- l'intento di liberare Preneste, facendo la loro unione col con- sole C. Mario. E perciò Silla prese rapidamente la sua deci- ] | »’ STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 675 sione: abbandonare al suo destino Metello, ordinandogli di difendersi da sè quanto meglio gli era possibile, e concentrare le sue forze disperse tra Spoleto, la valle del Chiana e Saturnia. Dopo questo concentramento, che dovette avvenire tra Horta e Narnia, egli divise le sue forze. Egli stesso con parte di esse, possiamo calcolare la metà, 4 legioni, proseguì per la via Fla- minia, verso Roma, e di qui per la via Latina, prese una po- sizione atta a coprire le trincee di Q. Lucrezio Ofella, e si tenne risolutamente sulla difensiva, data la sua manifesta in- feriorità numerica (secondo il nostro calcolo, che è ipotetico, ma non improbabile, 20.000 uomini di fronte a 30.000). La posizione di Silla non è facile a definirsi. App., I. 90 parla di t@ otevda, 7 ubòvn diaBatòv fv, e quest'ultima determinazione esclude qualunque altra posizione che non sia sulla via Latina, la via più diretta per cui i Sanniti potevano muovere verso Preneste, e non sia prima del punto in cui la vallata di Velletri si apre tra 1 monti Albani e i Lepini. Un passo quale apparirebbe da Appiano: tà otervd, non esiste nel- l'ampia valle del Trerus (Sacco) che conduce a Preneste; e poichè, anche per quanto dobbiamo presumere riguardo ai pre- cedenti della battaglia di Porta Collina, dobbiamo ritenere che la posizione di Silla non fosse troppo lontana da Roma, rite- niamo con quanti ci hanno preceduto, che la parola di Appiano, con cui ha tradotto la parola latina corrispondente della sua fonte, non sia completamente esatta. Ora tra Artena sull’estremo orlo dei monti Lepini, e i monti su cui sorge Palestrina (Prae- neste) di fronte esiste un passaggio, di circa 12 km. e !/s in linea retta. Naturalmente Silla non poteva coprire tutto il pas- saggio, tanto meno con le deboli forze che gli abbiamo asse- gnate (circa 20.000 uomini). L'opinione che mi pare più proba- bile è di supporre che egli abbia occupato una posizione colla destra sulla via Latina sotto Artena (alt. m. 277), avendo in quest'ultimo paese (sede, nell’antichità, dei Fortinesi), che sorge a strapiombo sulla pianura (da m. 277 a m. 448 di colpo) e che è pressochè inaccessibile anche dal lato S, un piccolo presidio, il centro su Valmontone (m. 303) e la sinistra circa colle Pra- tarolo (m. 366), con un'estensione di 8 km. in linea retta, in modo da potere, d'accordo colle trincee di Ofella, éx uax00d diaotfjuatos da Preneste, sbarrare tutto il passaggio. In questo 676 EMILIO POZZI modo Silla avrebbe dominato la via Latina e la Labicana, Ofella la Praenestina; in una posizione che a Silla permetteva sempre di gettarsi sul fianco dell’avversario, qualora avesse immediatamente assalito le trincee di blocco (1). Mentre Silla era giunto a tempo ad impedire, chiudendo il passaggio, che i Sanniti potessero compiere la loro mossa su Preneste — invano ©. Mario tentò in una sortita disperata (2), concentrate tutte le sue forze su di un colle, sorgente tra la città e la linea di circonvallazione di Ofella, di rompere il blocco, perchè dopo una giornata di lotta varia ed incerta, dovette ritirarsi (App., I, 90) —, non meno attivo era rimasto il suo luo- gotenente Cn. Pompeo, che aveva il compito di respingere quelle truppe che Carbone avesse inviato, per cooperare coi Sanniti alla liberazione di Preneste. La posizione di Pompeo credo che non andremo errati ponendola a Narnia, un centro di comunicazioni stradali, e quindi un punto strategico impor- tantissimo per dominare i passaggi che conducono a Preneste. A cavaliere della via Flaminia, nel punto ove vi si ricongiunge la diramazione passante per Spoletium, questa posizione domina altresì la via Amerina e la linea del Tevere, lasciando solo fuori del suo controllo immediato la Cassia, via più lunga e (1) La posizione generale delle trincee di Silla di fronte ai Sanniti è stata veduta dai precedenti studiosi (Mérimée, Neumann, Mommsen, Canta- lupi; Linden); ma ho creduto precisare un po’ maggiormente perchè questi scrittori hanno lasciato alcuni punti oscuri. Così il Mommsex (II p. 286 n. 6) dice che Silla aveva libere le comunicazioni con Roma per la Via Prae- nestina, i Sanniti per la Via Latina e Labicana. Ciò non mi pare sostenibile, anzitutto perchè esistevano attorno a Praeneste le trincee di Ofella, e poi perchè Silla sbarrara il passo. Dobbiamo quindi intendere che la prima via era chiusa da Ofella, le altre due da Silla. Ammettere lo sbarramento (CaxraLuei, La guerra civ., p. 19) a Nord di Palestrina è insostenibile pure, perchè i Sanniti, se avessero avuto tal via aperta su Roma, non avrebbero tarlato tanto a seguirla; nè si potrebbe attribuire ad un generale come Silla un errore così grave. (2) Comunque si voglia evitare di far doppioni, evidentemente la sortita di C. Mario ricordata da Appiano non si può far coincidere con quella narrata in Livio (Periochae, LXXXVII) subito dopo la battaglia di Saeriporto e la presa di Roma, “ (Sulla) Marium erumpere temptantem reppulit ,, perchè essa è narrata anche prima della battaglia di Clusium, di cui si parla nella /erioca seguente. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 677 poco atta ad esser seguita (che però Pompeo poteva raggiun- gere facilmente p. e. a Forum Cassii distante in linea retta da Narnia circa chilometri 37) e la Clodia lontana circa km. 44. Dal lato Sud la posizione di Pompeo dominava i due gruppi di linee a) per la vallata del Tevere, anzitutto il fascio di vie ricordate, a cui bisogna aggiungere la Salaria per mezzo della via Quinctia (Narnia-Reate); 4) per la valle dell’Avente, dove la via più fa- cile era quella del Tolenus, Carsioli (sulla Valeria) Sublaqueum Anagnia. Questa via sboccava però oltre Preneste, e non doveva per allora esser tentata dagli eserciti Carboniani, che per ora, anzichè a riunirsi coi Sanniti per superare la posizione di Silla, dovevano mirare a prenderlo tra due fuochi. Il grande tentativo del legato Marcio, su cui erano riposte da Carbone tante speranze, fallì miseramente. Appiano (I, 90) non ce ne dice se non che esso fu sorpreso da Pompeo é$ évéd0ag #v t© otevD, e sconfitto con gravi perdite: il resto dell’eser- cito venne circondato. Marcio, ingannando il nemico col lasciare accesi i fuochi dell’accampamento, come già aveva fatto Car- rinate, riuscì a liberarsi felicemente, ma l’esercito gli si ribellò, incolpando della rotta la scarsa abilità del comandante. Una parte si disperse alle proprie case, una legione senza ordine si ritirò ad Ariminum, presso C. Norbano; Marcio ritornò con sole 7 coorti al console Carbone presso Clusium. Non sappiamo dove sia avvenuto lo scontro, ma il dato della legione ritiratasi ad Ariminum, rende assai probabile che esso sia avvenuto sull’uno dei rami della via Flaminia: inutile sarebbe pensare, per ora, a saperne di più. E contemporaneamente all’incirca le speranze di Carbone rovinavano per quanto si riferiva anche alla riscossa nell'Italia Superiore. Anzi il tentativo di riscossa del proconsole Norbano, preludeva allo sfacelo delle forze democratiche in tutta la Gallia Cisalpina. ZZegì tas adràs Quéoas, della rotta di Marcio, il pro- console C. Norbano, rinforzato, lo abbiamo veduto, da truppe inviategli dall’Etruria dal console Carbone (1), aveva tentato un (1) Da Appiano (I, 91) sembra apparire che anche Carbone abbia preso parte alla battaglia: xal meoì tùs adràs feéoas év Davevria KdoBwv xaù NwpBavòs ..... 8) rtò MetéXAov otparoredov #Ad6vtes .... é6 udynv égérattov 678 EMILIO POZZI colpo decisivo contro l'accampamento di . Metello a Faventia. Ma dobbiamo dire che della sconfitta subìta una grande respon- sabilità risale sul comandante, il quale non considerò qual im- prudenza grandissima fosse il tentare una sorpresa in condizioni difficili, con truppe poco sperimentate e pressochè raccogliticce. Egli assali pertanto Metello sull’imbrunire (4017775 08075 ©9@g mas) su un terreno difficile e coltivato a vigneti. Conseguen- temente Metello ebbe buon gioco, respinto il nemico, a con- trattaccarlo con esito decisivo. Secondo Appiano circa 10.000 furono i morti (si intende il complesso delle perdite), 6000 pas- sarono dalla parte di Metello, gli altri si dispersero; solo 1000 ripararono ad Arretium, congiungendosi coll’esercito di Carbone. Ed ora avvenne lo sfacelo doloroso e vergognoso delle forze democratiche della Gallia dinanzi a Metello: una legione lucana, comandata da P. Albinovano, ad insaputa del comandante, passò al campo di Metello. Il suo comandante allora, uno dei mariani proscritti nell’88 a. C., in seguito alla rivoluzione Sulpicia, pensò di salvarsi col tradimento dalla catastrofe che vedeva ormai imminente. Accordatosi segretamente con Metello invitò a banchetto i capi dell'esercito democratico ©. Antipatro, Flavio Fimbria ed altri, e li trucidò. Quindi passò a Metello. Arimino z.t.À. Così hanno ritenuto i più dei moderni (Drumanx-Grorse, p. 394 ; Neumann, p. 584; Mérimér, p. 180; Linpen p. 47). Non mi posso indurre a ritenere che Carbone per qualunque motivo abbia abbandonato la posi» zione centrale di Clusium, dalla quale poteva mantenersi in comunicazione ugualmente facile colle varie forze distaccate al suo comando, e ritengo col Momxsen, II, p. 280, e il CantaLUPI (La guerra civ., p. 21) che vi sia in Appiano uno spiegabilissimo errore di riassunto; di eni abbiamo veduto più sopra esempi notevoli e pienamente analoghi, e che si debba intendere che la battaglia fu combattuta dal proconsole 0. Norbano, avuti rinforzi dal console Carbone. Fffettivamente, mel racconto della catastrofe del legato Marcio, vien detto che una legione senz’ordine éravQAdev è "Apiuuvov, cioè * ritornò indietro nella direzione di Arimi- num ,, mentre Marcio con 7 coorti sole tornò a Carbone. Questi non era dunque ad Ariminum. Nè può dirsi che Carbone fosse già tornato in Etruria, come fa il Linden. È chiaro infatti che il particolare d’essersi la legione ritirata ad Ariminum, prova che la situazione qui appariva più sicura che in Ftruria, e non s'era ancora combattuta la battaglia di Fa- ventia. Senza contare quanto ho osservato più sopra sulla verosimiglianza di questi “ andirivieni di eserciti ,. STUDI SULLA GUERRA CIVILE SILLANA 679 e gli altri presidi passarono allora alle parti Sillane, e C. Nor- bano, vista ormai disperata la situazione, fuggi a Rodi. Più tardi, l’anno seguente (Periochae, LXXXIX), richiesta la sua estradizione da Silla, perchè segnuto nelle liste di proscrizione, egli si uccise, mentre i Rodii stavano deliberando in proposito. La Gallia Cisalpina cadde così tutta in potere di Metello: non si tentò più, qua e là, che qualche disperata difesa isolata (App., JI, 91). Il piano grandioso di Carbone era fallito: dinnanzi alle truppe agguerrite di Silla, le truppe democratiche si erano mo- strate d’un’insufficienza bellica e d'un'indisciplina impressionante. Ed anche i duci, Marcio e lo stesso C. Norbano, avevano mostrato quale maggiore, quale minore imperizia, mentre si doveva dire l'opposto per i legati di Silla. Un ultimo tentativo di Carbone, non sappiamo con quali intenti e quali speranze concepito, per soccorrere Preneste, inviando due legioni al comando del legato L. Giunio Bruto Damasippo, falliva pure come il precedente (App., I, 92). Al tempo stesso Quinzio, forse un altro legato, in- viato nella Gallia Cisalpina, per tentare di iniziarvi una insur- rezione generale, e che aveva già ottenuto con 5 legioni di mi- lizie raccogliticce un successo notevole sorprendendo M. Licinio Lucullo, e obbligandolo a rinchiudersi con 8000 uomini (16 coorti), veniva sorpreso da una sortita del generale Sillano, e il suo esercito di volontari non resisteva all’urto e si disperdeva. Car- bone, ormai disperato, dopo aver tentato ogni sforzo per rial- zare la situazione del proprio esercito, abbandonava le truppe ai suoi ordini in Etruria, e si imbarcava per l'Africa. Ma le forze democratiche, abbandonate dai loro duci, Carbone e Nor- bano, disperse e ormai sfiduciate, trovavano nell'ultimo momento nel sannita Ponzio Telesino, mo4suotis Avio xaì ueydAav dyovav éurmegos, come lo dice Plutarco da Livio, il generale geniale e audacissimo che doveva risollevare ancora una volta le loro fortune, e che per poco non riuscì a strappare a Silla una vittoria di cui questi si sentiva ormai sicuro, e per la ge- nialità dimostrata in tutta la guerra, aveva mostrato di essere pienamente degno. Uno studio sulla marcia di Ponzio e sulla battaglia di Porta Collina non potrebbe non portare a conclu- sioni importanti e nuove. GAETANO DE SANCTIS Note di opigrafia ellenistica. Del Socio GAETANO DE SANCTIS. Tra le iscrizioni delfiche pubblicate recentemente dal Pomtow nelle “ Gétting. gelehrte Anzeigen , del 1913 (fasc. III p. 143 segg.) una ve n'è di speciale interesse, che egli ha saputo ricostruire da tre frammenti d’incerta provenienza (p. 171 seg.). In essa gli ieromnemoni e il loro segretario son lodati, tra l’altro, perchè u 10 n96g te toùs BaorReîs | ITroZ|suaiov xaì Avtiyov| ov rgeo- Beis antoterdav vaì di éom]oav bor elvar tv dopdA[ e av nGowv mag duporéomv, |a|btoi te odg toùds @Ah0|vs “EXlmvas diengtofevoar xaì xijgvzas drarrootéA| Z0v- tes magendheodv te xaì nageorevacav dopader av mao toùs nagayivonévors, piiazas martaygo|ù xaraoti)oavtes eéxbhaod|v te t0ds dbrxipoarias] tOV è- vayxdévimv mods aùrods xTÀ. e perchè ts ov|vidov tOV ‘Aupixtuovov èv Oequornviaus did tòv mbde|uov diazmAvdeions xatà yg6- vov modbv, obror ngOòrov ma|gtogov ovveddeîv tod " E%- Anvas rai maguoxevdoar|tes piiazas xaréotnoav ndo toîs apiavovuevors dyog|atgoîs tiv dopaderav zai tùs Ivoias rai rdZla mav[ra ovveréheoav xarà toùs viuove tOV ‘Aupiatuorov iauroòs piAotinms xaì edoe- pos. NOTE DI EPIGRAFIA ELLENISTICA 681 Queste lodi — che io, salvo un lieve ritocco ai v. 14-15 (ragaozevdcavies dopalerav naréornoav n. t. d. d. puiazas xaì aùtdodi Pomtow) ho qui ripetuto coi supplementi del Pomtow, soddisfacenti per la sostanza se pur non sempre, al v. 9 ad esempio, soddisfacenti in tutto per la forma — si riferiscono a provvedimenti presi non già per la sicurezza delle sacre am- bascerie dirette ad una solennità panellenica, ma per assicurare il libero intervento dei rappresentanti degli Stati anfizionici al sinedrio comune e render possibile che novamente gli anfizioni si riunissero alle Termopile. È chiaro che a ciò si richiedeva soltanto, col consenso delle libere repubbliche greche, quello dei principi che avevano possessi territoriali nella penisola e più precisamente o presso le Termopile o in paesi appartenenti al- l’anfizionia. Ora i Tolemei d'Egitto non ebbero mai in Grecia possessi territoriali, se si eccettua Megara che fu tenuta da Tolemeo di Lago per qualche mese o settimana del 308, Co- rinto che lo stesso principe presidiò dal 308 al 305 o 4, Me- tana nell’Argolide che Tolemeo Filadelfo, pare, acquistò, non sappiamo precisamente quando, e i suoi successori conservarono (Beloch G. G. II 1 p. 640 n. 1). Di queste città Megara e Co- rinto erano atte, veramente, ad impedire o a render men facile il passo agli anfizioni peloponnesiaci; ma la ipotesi che la epi- grafe spetti al 305 circa non è neppur degna d’essere discussa. Quanto poi al possesso di Metana, esso per le riunioni anfizio- niche non aveva importanza alcuna. Nè vale il dire che il Fila- delfo o l’Evergete potevano persuadere i loro amici di Grecia, Atene e i suoi alleati al tempo della guerra di Cremonide, Alessandro figlio di Cratero quando si ribellò ad Antigono, gli - Achei da ultimo e Sparta, a lasciar tranquilli i popoli anfizio- nici; perchè Tolemeo ed Antigono nel decreto non intervengono punto presso i rispettivi alleati, ma per conto proprio assicu- rano agli Anfizioni la dogdAzia. E quindi evidente che può trattarsi soltanto di quell’unico Tolemeo che ha avuto ampi possedimenti nei pressi delle Ter- mopile, Tolemeo Cerauno il re di Macedonia. La iscrizione è pertanto un documento del breve periodo in cui, anteriormente alla invasione gallica, i Greci cercavano di destreggiarsi tra lui e il suo nemico e rivale Antigono Gonata (marzo-aprile 281 — agosto-settembre 280; per la cronologia v. la mia Storia dei 682 GAETANO DE SANCTIS Romani II 390 n. 2). È così si spiega bene come vi si dica che negli anni antecedenti per la guerra eran rimaste chiuse le Termopile e sospese le riunioni anfizioniche colà. Per la lunga guerra, deve intendersi senza dubbio, combattuta pel possesso della Grecia centrale e settentrionale da Demetrio Poliorcete prima, da Antigono Gonata poi, che con lievi intervalli si pro- trasse dall'intervento di Demetrio in Macedonia nel 294 fino quasi alla invasione gallica. Sarebbe invece assai più strano che le riunioni anfizioniche alle Termopile rimanessero sospese più tardi quando le Termopile erano in mano degli Etoli, ed essi avevano di fatto la preponderanza nell’anfizionia. Questa loro preponderanza, com'è noto, cominciò ad affermarsi per l’ap- punto dopo la invasione gallica; e allora o poco dopo essi acqui- starono le Termopile per non abbandonarle più, pare, fino al 190. Il nostro decreto è dunque anche per questo anteriore all’età della preponderanza etolica nella Grecia centrale. Il che sì con- ferma dal vedervi regolate faccende politiche importanti, come il libero passo ai delegati anfizionici e il libero intervento dei popoli anfizionici alla pilea, senza il menomo cenno d'intro- missione etolica. Vedasi quanto diversamente il decreto anfizio- nico dell’anno di Damaios, che il Pomtow ripubblica nello stesso saggio con l'aggiunta di un nuovo cospicuo frammento (p.174 seg.), ai déyuara tOv Aupixtvorov associ tà dbéarta toîs AltwAoîs. Entro quei termini la data del nostro documento può an- cora precisarsi maggiormente. Ad esso diede occasione il buon esito d'un convegno anfizionico, che non sappiamo però se fosse di quelli che si tenevano in autunno o di quelli di primavera. ‘Esclusa pertanto la riunione primaverile del 281, per la quale non vi sarebbe stato il tempo di ottenere guarentie da Tolemeo Cerauno, che appunto nel marzo-aprile di quell'anno, assassinato Seleuco, occupò la Macedonia, e l’autunnale del 280, che av- venne probabilmente quando il Cerauno era già perito combat- tendo contro i Galli, non rimangono se non l’ultima pilea del 281 e la prima del 280; tra le quali non abbiamo modo di scegliere ; e del resto, in ragione del breve intervallo, non importa. Comunque, la situazione politica presupposta dal decreto è quella originata in Grecia dalla disfatta navale d'Antigono Go- nata levatosi contro Tolemeo Cerauno per contendergli il regno di Macedonia (Memn. 13). Allora fra la Macedonia indebolita NOTE DI EPIGRAFIA ELLENISTICA 683 da tanti cambiamenti di dinastia e Antigono esautorato dalla nuova sconfitta potè parere che per gli Stati della Grecia cen- trale s'aprisse una nuova éra di libertà sotto la guida degli Etoli usciti incolumi da tante contese, mentre nel Peloponneso Patre, Dime, Tritea e Fare iniziavano la nuova lega achea. Ma fu speranza fallace. Chè da una parte l’incremento della potenza etolica suscitò tosto le gelosie di quella città che dal 294 aveva capitanato nel Peloponneso la guerra per la indipendenza e che. ora, rassodata (o ricuperata) la propria autonomia, aspirava a maggiori fortune, Sparta. Dall'altra la invasione gallica mostrò tosto ai Greci la necessità d'una Macedonia potente, che fosse baluardo contro i barbari del settentrione. La nostra epigrafe non importa solo come documento di questo periodo oscurissimo, sì anche per quel tanto che intorno alla cronologia delfica se ne ricava, confrontandola con altre iscrizioni men sicuramente databili. Circa 1 caratteri paleografici di essa veramente non c’informa punto il Pomtow che la pub- blica, dal particolare di poco conto in fuori che Vo, il 3 e l'@ sono più piccoli delle altre lettere. Ma egli non manca di no- tare a buon diritto la somiglianza che corre tra essa e il de- creto anfizionico, già sopra menzionato, di Damaios; e rileva pure che la lode data al segretario degli anfizioni ha riscontro e in quel decreto e nelle iscrizioni in generale del gruppo d’ar- conti tra cui Damaios s'inserisce. Quel gruppo (Athambos, Da- mosthenes, Pleiston), che designa con la sigla D!, il Pomtow lo riporta ora al 237-231, mentre il Beloch (G. G. II 2, 329 seg.) lo riferisce invece al 270-263. Non è questo certo il luogo di trattare a fondo la spinosissima questione della cronologia degli arconti delfici. Ma prescindendo da argomenti che a più d’uno non parranno, come nor parvero al Beloch, decisivi, tratti dalla grafia e dalla disposizione di certe iscrizioni di questo gruppo, l'argomento principale contro la cronologia del Beloch è il se- guente che riferirò con le parole del Walek Die delphische Am- _phiktyonie in die Zeit der aitol. Herrschaft (Berlin 1911, Diss.) p. 122:° Vor allem zeichnen sich alle Urkunden unserer Gruppe in formeller Hinsicht durch die Hinzufugung des Namens des Grammateus der Amphiktyonen aus. wodurch sie mit den Inschriften der folgenden Gruppe aus den zwanziger Jahren eng- verwandt erscheinen und anderseits im scharfen Gegensatz zu 684 GAETANO DE SANCTIS allen iilteren Urkunden stehen, welche den Grammateus niemals erwiihnen. Schon diese Tatsache allein wiirde geniigen, um die Unhaltbarkeit der Belochschen Ansicht zu beweisen? ”. Ora se veramente, come credo non dubbio, la epigrafe nostra in cui è messa in tanta evidenza l’opera del segretario spetta al 280, non solo la menzione del segretario anfizionico non basta più ad escludere per quelle altre la data del 270, ma riferendole a questa data si spiega anzi assai bene. Una differenza vi è del resto, capitale, tra il decreto anfizionico di Damaios e il nostro: la preponderanza manifesta che in quello hanno gli Etoli nel- l’Anfizionia. Ma siffatta differenza si giustifica anche se i due decreti distano d’un solo decennio: perchè di mezzo c’è a ogni modo, con tutte le sue conseguenze, la invasione gallica. In conclusione non basta certo la nostra iscrizione da sola, a fissare la data di Damaios e degli arconti vicini. Basta però a dimostrare quanto sia vacillante anche questa parte dell’edi- fizio cronologico del Pomtow. Dal quale edifizio del resto con la dimostrazione che abbiamo dato indipendentemente il Tarn (Antigonos Gonatas, Oxford 1913, p. 394 n. 84), e, qualche tempo prima, io (negli ‘ Atti di questa R. Accademia? vol. XLVII, a. 1911/2, p. 267 segg.), doversi riferire ad Areo II e non ad Areo I la epigrafe dell’arcontato di Emmenida edita dal Bourguet ‘ BCH? 1911 p. 488, è stata già smurata, come nota il Ferguson ‘ Class. Review ? 1913 p. 271,‘ if not the keystone..... at least a stone of structural importance ”. Il. Rinvenuto in Delfi, fu pubblicato non ha molto dal Walek in ‘ Revue de philologie” XXXVII (1913) p. 262 segg. un no- tevole frammento d’un trattato fra Etoli e Beoti, in cui ad un accenno lacunoso agli opliti (che i contraenti, pare, dovevano all’occasione inviarsi scambievolmente con certi patti) e ad un articolo concernente la pubblicazione del trattato in Etolia, in Beozia e in Delfi segue in questi termini il testo del giura- mento: NOTE DI EPIGRAFIA ELLENISTICA 685 Dvuua|[yio|o xarà toòs bouovs xaì tas ovvdizas tàs yeyevnuevas 10 |Borwr]oîs xa AitwAoîs ai Doredorv voîs uev Aî- tWhov addio |oddè] évxataZeiy|0] odte modéuov dvros obte eionvns [dAXà Bo|n®ow marti odéver xa dd ti @v ragazaloor è ei uèv eÙ- [ogxoinv |oR}d uo xayadà eincar, si d Eprogzoinv é®Ans elnv [adtòs xai] y8vos' si dé us brrda éripéoor érì Borwrods éstù IT0- 15 [Aéuoi 7) n Ai)rmAods Bondeîv dARnA01S ravtì cdéver, [ei dé tis pià|]os Borortoîs 7) cv|uuayos.... Per intendere storicamente la importanza di tale accordo, conviene determinarne anzi tutto la data. Al qual fine giova tenere presente che E. Bourguet, giudicando dai caratteri, sa- rebbe disposto ad attribuire la epigrafe alla fine del IV secolo o al più tardi al principio del III. Entro questi limiti il conte- nuto dimostra alla prima che il trattato è posteriore alla bat- taglia d’Ipso. Dalla guerra di Lamia infatti a quella battaglia i Beoti, ora propendendo per l’uno ora per l’altro dei Diadochi, non furono in realtà che satelliti minori nel sistema degli Stati ellenistici. Solo dopo il 301 gli Etoli, i Focesi, i Beoti, gli altri piccoli Stati della Grecia cominciarono ad avere in parte una relativa libertà di movimento. Chè alla Beozia e alle regioni vicine pare soprattutto riferirsi quanto Plutarco Demet. 3 dice dei possedimenti di Demetrio Poliorcete dopo la battaglia d’Ipso: éÉém1t0v yo Exaoraybdev ai poovocì xaù uediotato ndvra 905 toùs moZeuiovs; mentre Megara, Corinto e buona parte almeno dei possedimenti peloponnesiaci rimasero fedeli, volenti o nolenti, al principe sconfitto (Beloch III 2 p. 302). Ma stupirebbe in questi anni di non vedere partecipe ad un trattato per la difesa della libertà quello fra gli Stati della Grecia centrale che più efficacemente si studiava di mantenere la propria autonomia a fronte del Poliorcete, Atene (cfr. i miei Contributi alla storia ateniese in È Studi di storia antica’ II 25 seg.): tanto più che le buone relazioni fra Atene e la Beozia e art "77775 SIR >» 686 GAETANO DE SANCTIS in quel torno, son testimoniate dall’essersi in Beozia rifugiato l'ateniese Lacare (Plut. Demet. 33. Polyaen. III 7, 1) quando la città nel 294 venne novamente in mano di Demetrio Polior- cete. E del resto nella misura stessa che s’estendeva la ribel- lione contro Demetrio pare che tornasse allora a vigoreggiare l'autorità di Cassandro. Ne sono indizio e la frase di Plutarco su citata, uediotato ndvra n0ds toùSs moZeuiovs, e una notizia di Pausania (I 25, 7) circa le origini della tirannide di Lacare (v. i Contributi cit., p. 26 n. 2) e l’asserzione d’Eusebio (I 241 Schoòne) che ad Elatea morì nel 297 il figlio di Cassandro Fi- lippo, se per Elatea deve qui intendersi col Beloch (II 2, 301) la città focese. Difficoltà del resto queste gravi sì, ma non in- superabili per riferire al 300 circa il nostro trattato fra l’Etolia e la Beozia; se non si aggiungesse che in questo periodo, prima delle dimostrazioni di forza date dagli .Etoli intorno al 290 nella guerra accanita contro Demetrio Poliorcete, riesce meno spiegabile l'incremento di potenza all’esterno che è presupposto dalla stretta amicizia loro coi Focesi o meglio dalla egemonia su parte della Focide significata nella espressione del trattato Poxsîc oi uet Altmz®r. Ma anche men verisimile è che il documento spetti agli anni 294-282. In quegli anni novamente, come prima della bat- taglia d'Ipso, i popoli della Grecia centrale furono travolti nelle guerre dei maggiori Diadochi. È non si vede qual posto e quale importanza avrebbero potuto avere, in tanto strepito di guerra, alleanze così limitate come quella cui si riferisce l’epigrafe, Vediamo a ogni modo più partitamente. Conquistata la Mace- donia, Demetrio tre volte fece guerra ai Beoti. La prima li trovò impreparati affatto e, pare, soli (Polyaen. IV 7, 11, cfr. Wilamowitz Antigonos v. Karystos p. 203): la seconda su- però una loro ribellione promossa dagli Spartani sotto Cleonimo (Plut. Demetr. 39): la terza li vinse, novamente indotti a insor- gere dalla sua spedizione in Tracia, per quanto soccorsi anche da un altro suo nemico, Pirro, che invase appunto la Tessaglia per fare una diversione a loro profitto (Plut. Demet. 39 seg.). Se dunque i Beoti nella prima guerra rimasero probabilmente soli, nella seconda e nella terza Etoli e Focesi non furono nè i loro unici alleati nè i più attivi. Siechè come non alla prima, così neanche all'una o all'altra delle due ultime pare sia da ri- NOTE DI EPIGRAFIA ELLENISTICA 687 ferire il documento in cui come alleati dei Beoti compaiono soltanto Focesi ed Etoli. E tuttavia circa questo tempo si avverò per la prima volta una delle condizioni di fatto che la nostra epigrafe presuppone: vale a dire, il predominio degli Etoli in Delfi, che non è molto anteriore al 290 (Plut. Demet. 40) e contro cui appunto nelle Eleusinie celebrate in Atene nel 290 gli Ateniesi invocavano, in un carme itifallico conservato da Ateneo VI 253 e inteso per la prima volta a dovere dal, Wilamowitz Antigonos p. 242, la protezione del re, permise e preparò il predominio etolico nella Focide (cfr. A. Reinach, “ Journ. d'arch. numism. ,, 1911, p. 224 sgg.). Da allora, per circa un decennio, gli Etoli perseverarono nell’avversione, i Beoti nell'amicizia verso Demetrio Poliorcete e il suo successore Antigono Gonata. Così quelli si accostarono a Lisimaco quando ebbe occupato il trono macedonico (v.i miei Contributi p. 33 n. 1). E questi riebbero bensì la libertà da Demetrio nel 287 (0yfaios arédoze t)v moditeiav, Plut. De- met. 46), ma rimasero fedeli alla sua casa, tanto che come in Beozia, dopo cacciato di Macedonia, il Poliorcete aveva radu- nato e ricostituito quel che gli rimaneva di forze, così in Beozia ripiegò nel 281 Antigono sconfitto da Tolemeo Cerauno (Memn. 18). Dopo ciò peraltro, se è forse arrischiato l’asserire che avvenne in Beozia una vera e propria ribellione contro Antigono — in questi termini il Walek Die Delphische Anphiktyonie p. 54 n. 20 può aver ragione contro il Beloch III 1, 259 — e se anzi è probabile che le relazioni d’amicizia non fossero troncate, la Beozia, già libera da guarnigioni, si riaffermò potenza indipen- dente. Come tale essa mandò nel 279 un suo contingente alle Termopile (Pausan. X 20, 3); e come tale, più tardi, in lega con gli Achei resistette, invano, circa il 245, agli Etoli (Polyb. XX, 4; Plut. Arat. 16). Sembra quindi assai acconcia la suppo- sizione che, allora, nel primo momento della novamente asse- rita indipendenza, si stringesse in amicizia non con gli avver- sari della Macedonia nel Peloponneso, ma con gli Etoli i quali, dopo aver combattuto per un decennio e mezzo Demetrio ed Antigono, dovevano aver fatto pace con Antigono vinto in Tessaglia e aver stretto con iui, da pari a pari, s'intende, da poienza a potenza, relazioni amichevoli. Ia Graecia (narra Giu- Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 46 688 GAETANO DE SANCTIS — NOTE DI EPIGRAFIA ELLENISTICA stino XXIV 1, 1-5 non senza qualche inesattezza d'espressione, ma dipingendo bene nel tutt’insieme le condizioni della penisola in quei tempi) dissidentibus inter se bello Ptolomeo Cerauno et Antiocho et Antigono regibus, omnes ferme Graeciae civitates du- cibus Spartanis velut occasione data ad spem libertatis erectae missis invicem legatis per quos in societatis foedera alligarentur in bellum prorumpunt et ne cum Antigono sub cuius regno erant bellum coepisse viderentur socios eius Aetolos adgrediuntur. Queste relazioni amichevoli, che non menomarono punto la libertà d'azione dell’Etolia all’estero nè posero un freno alle sue mire d'espansione, durarono poi a lungo (cfr. i miei Contributi p. 35 n. 1) negli anni seguenti, interrotte appena da una breve pa- rentesi aperta dal ritorno di Pirro in Grecia e chiusa dalla sua morte. Riferendo pertanto il trattato fra Etoli e Beoti al 281/0 si spiega assai bene e lo spirito d'indipendenza che tra i prin- cipi contendenti mostrano i popoli della Grecia centrale e la mancanza d’Atene, indebolita ed esautorata, e quella dei Pelo- ponnesiaci avversi alla Macedonia, che le loro particolari am- bizioni mettevano in lotta con gli Etoli. Dopo la invasione gallica e prima della guerra di Cremonide un trattato come il nostro sarebbe stato impossibile fra Etoli e Beoti? Non oserei asserir ciò. Nulla, per questo periodo, sap- piamo dei Beoti e poco degli Etoli. Ma, fra le possibilità varie, quella è da preferire che meglio s’accordi con le osservazioni cronologiche fatte dal Bourguet sulla paleografia: quella dunque che meno si discosti dai primordi del sec. III. Tale è la ipotesi or ora proposta, che mi sembra d'aver anche dimostrata per ogni rispetto consentanea con quel che sappiamo sulle condi- zioni della Grecia circa il 280. GIUSEPPE MANACORDA — UN TESTO DI GRAMMATICA, Ecc. 689 Un testo di grammatica latino-veneta del sec. XIII Nota di GIUSEPPE MANACORDA. Un testo di grammatica latino-volgare del sec. XIII, desti- nato ad uso scolastico, non è più una rarità, dopo che fram- menti di un libretto siffatto, di origine bergamasca, pubblicò, commentandolo grammaticalmente, Remigio Sabbadini (*), ed un altro, di provenienza veronese, molto più esteso e ricco di esempi volgari, rese noto, illustrandolo in particolare dal lato glottologico, il De Stefano (**). Questo che io ora segnalo agli studiosi, è rappresentato da un solo foglietto — due facciate — il quale trovasi a guardia del cod. 1796, pergamenaceo, del- l’Universitaria di Bologna, contenente il noto testo grammati- cale in versi di Everardo di Bethun, voglio dire il Graecismus. Il codice del Bethun paleograficamente appare del sec. XIII, ed a quel secolo lo assegna nel suo catalogo Lodovico Frati (***); il foglio di guardia — se pure è lecito tentare una assegna- zione di tempo in base alla sola scrittura — pare a me, ed a qualche valente paleografo, al quale lo sottoposi per esame, dell'estremo sec. XIII o del principio del XIV. È notevole il fatto che questo stesso foglio di guardia, ove si legge il fram- mento di grammatica latino-volgare, reca l'indicazione che il libro — s'intende il Graecismus — fu ad usum del domenicano bolognese Tommaso de poetis, ma appartenne al Convento dei predicatori di Bologna. Questa notazione, che appare del sec. XV, (*) In “ Studi medievali ,, vol. I (1904), fasc. 2°, pag. 281. (**) In “ Revue des langues romanes ,, tom. XLVIII (1905), pag. 495. (***) Indice dei codici latini conservati nella R. Biblioteca universitaria di Bologna, negli © Studi italiani di filologia classica ,, vol. XVI e XVII, Firenze, Seeber, 1909, n° 930 (1796). Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 46* 690 GIUSEPPE MANACORDA non va trascurata, anzi, per quello che dirò poi, va posta a confronto col fatto che anche il testo di grammatica latino- bergamasco, edito dal Sabbadini, fu trovato a frammenti, usati come guardia, in un codice ascetico, appartenente ai frati mi- nori milanesi. L'importanza di questi testi latino-volgari dei secoli XIII o XIV è doppia, perchè interessano, da un lato la storia della cultura e della scuola, dall’altro la glottologia. L'età nella quale questi testi vengono compilati — l'estremo duecento — risponde a quella nella quale la scuola laica e libera nei nostri Comuni si afferma risolutamente di fronte alla scuola vescovile e parrocchiale; la scuola laica è sostenuta dalla bor- ghesia mercantile dei Comuni, che a detta scuola invia i propri figli, pagando l’onorario — maggiore o minore, a seconda della classe o del grado di studio — al pedagogo (*). È l’età nella quale dai Comuni liberi sorge una poesia in volgare, schietta e viva nella sua rozzezza, che si fa interprete dei sentimenti sinceri del popolo minuto. — Se a Bergamo, a Verona vanno assegnati i due testi fin qui noti di grammatica latino-volgare, questo che io presento è certo veneto e mi pare debba rife- rirsi a Padova, glottologicamente. Siamo adunque davanti a documenti di quel volgare, che già in quel tempo era usato in componimenti poetici, quali i poemetti di Giacomino di Verona ed il Lamento della sposa padovana. Non sì dimentichi che nel- l'estremo duecento in Toscana un maestro-notaro (e forse anche poeta), Goro d'Arezzo, scrivendo di grammatica, adduceva non pochi esempi in volgare (**). La borghesia insomma, avida di cultura, si creava scuole proprie e per quelle si preparava dei (*) Mi sia lecito a questo proposito rinviare alla mia Storia della scuola in Italia, vol. I: il Medio Evo; parte I, cap. IV, V, VI (scuole ce- nobiali, private, comunali), e parte II, cap. V, $ 1. — Le grammatiche. — Palermo, Sandron. (**) Il testo di Goro vien fatto conoscere, ed in parte edito, da 0. Mar- caesi, Due grammatici latini del M. E., in * Boll. d. Soc, filologica romana ,, n° 12, Perugia, 1910. — Il Marc®esr dubita che (Goro grammatico possa essere tutt'uno con Goro notaio e poeta, ma il Novari (Le epistole di Dante, Firenze, Sansoni, 1906) pose già in rilievo come Goro di Arezzo succedette a fra' Guidotto, quale maestro di retorica in Siena. UN TESTO DI GRAMMATICA LATINO-VENETA DEL SEC. XIII 691 testi pratici, che permettessero — a chi non poteva avere col latino la dimestichezza continua, che avevano i chierici — di vedere la corrispondenza di significato tra il latino, in uso nelle carte, ed il volgare corrente sulle bocche di tutti (*). È notevole che questi testi latino-volgari, in quanto sorgono nel sec. XIII o XIV, sono perfettamente contemporanei ai grandi trattati versificati di grammatica, i quali sono scritti appunto nel sec. XIII, dopo le vaste riforme scolastiche-clericali di Innocenzo III e di Onorio III (1215-1219). Di tali testi versifi- cati sono sempre autori monaci, come è noto, dei due nuovi ordini religiosi, i francescani, cioè, e — zelantissimi della scuola — domenicani. La Poetria nova dell’inglese Gaufredo di Vinesauf — com- mentata da Bartolomeo di San Concordio (**) — il Graecismus del Bethun, molto spesso glossato nei codici pervenutici, come in questo appunto bolognese — sopratutto il Dottrinale del Vil- ladei, tutti testi poetici redatti da monaci del sec. XIII, non- chè il Catholicon di Giovanni Balbi, domenicano di Genova, eb- bero presso di noi una fortuna immensa, come provano le tavole delle biblioteche scolastiche medievali, che io compilai (***). Pure quelle tavole sono frutto di spogli fatti sui cataloghi di biblioteche cenobiali; alcune librerie di maestri privati di cui mi fu noto il catalogo, recano, è vero, i testi poetici di grammatica: ma sono librerie di maestri dell'estremo sec. XIV o del sec. XV. Se un catalogo si conoscesse del sec. XIII o del sec. XIV di una biblioteca appartenente ad un maestro libero e laico, è pro- babile che in quello, non i testi poetici del Villadei, del Bethun, o del Vinesauf troveremmo, bensì quelli latino-volgari: mi in- duce a crederlo, per ragion di antitesi, il fatto stesso che due dei testi latino-volgari che noi conosciamo, li ritroviamo in librerie cenobiali lacerati, dissi, ed usati come legatura di testi sacri, oppure, come nel codice bolognese, a guardia appunto del (*) Anche in Francia il Tuauror segnala del sec. XIV qualche codice contenente testi in volgare (Notices et extraits, vol. XXII, pag. 169). (*#) Il commento di Bartolomeo da San Concordio alla Poetria nova trovasi nel cod. 311 della Casanatense e di esso si è occupato già il sot- toscritto in apposito studiolo. (***) Nella cit. Storia della scuola, vol. II, Appendice. Graecismus di Everardo. È vero che lo stesso Alessandro di Villadei consiglia che talora nella scuola è bene usare il vol- gare (*), ma è vero altresì che questi testi scolastici latino- volgari appaiono extra-chiesastici — quasi dicevo — antichie- sastici, anche per certo soffio più vivo di umanità, di vita reale, pratica, comunale, che corre e si diffonde, pur tra le bigie pa- gine grammaticali, e scoppietta qua e là negli esempi. Si noti nel testo nostro l'esempio in latino: Petrus amat Bertam e Berta amatur a Petro — e — a parte l'eco della leggenda ca- valleresca, pur manifesta nella scelta del nome — si cerchi se si trova alcun che di simile in Alessandro, in Everardo, o nel- l'arcigno Giovanni Balbi, nemico ai laici. Ed ancora sì noti l'esempio: Mesere la podeste priva Pero del so oficio, eco schietta questa di vita comunale risonante in scuola! Gli esempi addotti tanto dal nostro testo, quanto da quello veronese, sono tolti per lo più dalla vita scolastica: così essi da un lato provano l’uso didattico del testo, dall'altro recano testimonianze non trascurabili del costume scolastico medievale. Se il testo veronese adduce ad esempio: i scolari batuj va « la piaza (**), e in quello di Goro d'Arezzo si legge il nobile esempio: vapulo a magistro (***); non altrimenti nel nostro troviamo questo significante esempio: Pero fu despoià de le vestimenta dal maistro. E perchè Pery debba essere stato spogliato dal maestro, è ben chiaro a chi osservi la fig. 15 del lavoro mio su citato, ove si vede un maestro che percuote le nude parti posteriori di uno scolaro sorretto a cavalcioni e tenuto fermo dai compagni! Remigio Sabbadini dimostrò già che Guarino non fu quel grande riformatore dell’insegnamento grammaticale che si cre- deva; anzi egli non poco si mostra fedele ai grammatici me- dievali. Nel’400 -— se si eccettua il Valla — gli umanisti, da 592 UIUSEPPE MANACORDA (*) Rercauino, Praef. al Dottrinale ed. in “# Monumenta Germaniae Pae- dagogica ,, vol. VII, pag. Lx1. 7-10: vit qui doctoris vice fungens Atque legens pueris, layca lingua reserabit, Et pneris etiam pars maxima plana patebit. (**) De Srerano, pag. 522. (***) Marcnesi, pag. 35. UN TESTO DI GRAMMATICA LATINO-VENETA DEL SEC. XIII 693 noi, furono ancora ligi al Villadei, che ritrovasi in tutte le loro biblioteche, che viene dato alle stampe più volte, che trova anzi in Italia vari commentatori, quali Pilade da Brescia e — fortunatissimo — Lodovico Guasco. Il vero e proprio tentativo di creare un testo scolastico spontaneo, fresco, lontano dalle artificiosità e dagli arzigogoli scolastici, lo troviamo nel nostro Comune medievale, in quel Comune borghese, mercantile, in cui tutto, arte, poesia, sgorga spontaneo dal popolo, senza dottri- nario sforzo, per schietta creazione. Ebbene, se il testo edito dal De Stefano contamina — dirò così — la didattica popolare con quella culta e chiesastica, disseminando qua e là regole in versi, il testo bergamasco del Sabbadini e questo restano do- cumento della pura, schietta didattica ducentesca, sorta tra il popolo, e che tramonterà per cedere il posto ai testi versificati, o, più tardi, a quelli umanistici, via via che la scuola, da li- bera e popolare, si tramuterà in comunale o signorile, ed uma- nistica. — Notinsi, nel testo che segnalo, le lunghe serie di vo- caboli latini colla versione volgare a lato: qui siamo di fronte, non ad una pura grammatica, ma ad una grammatica-glossario, quale la pratica della vita richiede. Di fronte ai glossari me- dievali di Ansileubo, del Papia, di Uguccione, del Balbi, che dànno in latino la spiegazione dei vocaboli latini, e si rivolgono quindi a coloro che l’antica lingua conoscono, questo testo è destinato agli indotti, a chi di latino non sapeva, proprio come agli indotti si rivolgevano nel sec. XIV i dettatori in volgare. È noto ad es. che il Fiore di rettorica si propone appunto di ammaestrare “i laici, che hanno valente intendimento... i gen- tili huomini volgari ,. Come incunabulo adunque dei nostri vo- cabolari latino-volgari il testo bolognese può trovare posto fra gli antichi glossari romanzi, che già il Diez prese ad illustrare (*), benchè di quelli sia più recente. Glottologicamente, il testo nostro, dissi, è facilissimo ad assegnarsi al territorio veneto, nè occorre, credo, prova in pro- posito; difficile invece appare il riferirlo a questa od a quella (*) Anciens glossaires romans, Paris, 1870. 694 GIUSEPPE MANACORDA città del veneto, appunto perchè i molti esempi di verbi tra- dotti si presentano tutti all’infinito, senza varietà di flessioni, e le proposizioncine, sulle quali siamo costretti a poggiare le nostre osservazioni, sono in realtà assai povera cosa. A farlo ritenere padovano ci induce la conservazione o ‘interpolazione della e atona postonica: notisi libero (= libro), eénzere (= cin- gere). Non farebbe al caso nostro il participio toleto (tolto) che il Mussafia (*) trova anche in altri testi: veronesi (Giacomino) ed avrebbe la sua origine in un participio toZlectum della bassa latinità. Alcune forme e particolarità dialettologiche meritano, parmi, d'essere rilevate. Fonetica. c iniziale palatina passa in 2: eénzere da cingere. Cfr. emil.: zento, zentura, zento d’una zentura (Monaci, Crestomazia, 445, 183). c intervocalico degrada in g: gramadega, di regola nel ve- neziano, ma anche nel cremonese (PareccHIo, D. 7, 147). t intervocalico passa in d (podeste); il gruppo li intervo- calico in j: da spoliare si ha despojare; cfr. asomejare, fameja, ecc. Osservisi pure la forma nurigare, e si confronti con nurigamento nella Regola dei servi, testo bolognese del 1281 (Monaci, ivi, 362, 151) e nel testo veneto Della caducità della vita umana (ed. Mussaria, testo E, v. 55). Nel testo però di RArnaRDO e LisencrINo, pure veneto, leggesi nudrigare (Monaci, 352, 196). Morfologia. Gli infiniti dei verbi non sono mai tronchi, ma sempre colla e finale, il che non è proprio del dialetto veneto, antico e moderno: che si tratti di influenza toscana già sul finir del sec. XIII? Regolarmente venete sono le forme tronche dei participi ina, u, i: comparà, metù, vestì,ecc. Notevole la forma doppia del - (*) Monumenti antichi di dialetti italrani, nei * Sitzungsberichte , del- l'Acc. di Vienna, 1864. dl UN TESTO DI GRAMMATICA LATINO-VENETA DEL SEC. XIII 695 participio del verbo odire, che fa 02v ed 02udo. Di questa forma non trovo altri esempi: il Monaci segnala nel veneto il parti- ‘cipio o/dà, nel lombardo 0/2udo, nell’emiliano 0l/duo, dal verbo oldire (= udire). Il Salvioni rileva nel trevigiano la forma 2%, zudo da gire (*). GrusePPE MANACORDA. (v) ...Petrus dat... soldos Martino. do das per dare contradico-cis per contradire mito-is per mandare fero-es per portare prepono-is per metere inanci compero (sic) as per asomeiare manifesto-as per manifestare mando-as per mandare oppono-is per metere incontra, et sic similibus Notandum est quod ista sunt illa verba activa quae possunt re- gere, ultra activum persone facientis, activam neutrius persone ex na- tura cause finalis vel ex natura cause materialis: verbi gratia dicendo lo maistro amaistra i scoleri gramadega, dicemus: magister docet sco- lares gramaticam — scilicet: doceo-es per amaistrare rogo-as per pregare disco-is per domandare induo-sis per vestire cingo-is per zenzere moneo-es per amonire peto-is per domandare vestio-is per vestire calcio-as per calzare celo-as per celare Notandum est quod ista sunt illa verba activa quae possunt re- gere, ultra accusativum persone pacientis, ablativam neutrius persone, (*) “ Arch. Glott. ,, XVI, 271. 696 GIUSEPPE MANACORDA a vel ab mediante, ex natura separacionis: verbi gratia dicendo: Pero ode la lecion dal maistro, dicemus: Petrus audit lecionem a maistro (sie) — seilicet : audio-audis per odire suscipio-suscipis per recevere acipio-acipis per tore inteligo-inteligis per intendere recipio-recipis per recevere divido-dividis per partire segrego-as per partire et sic similibus Notandum est quod ista sunt illa verba activa quae possunt regere, ultra accusativum persone pacientis, ablativum neutrius persone sine praeposicione, ex natura cause materialis: verbi gratia dicendo: mesere la podeste priva Pero del so oficio, dicemus: dominus potestas privat Petrum suo oficio — scilicet: spolio-as per despoiare pasco-is per pasere alevio-as per aleviare honoro-as per onorare nutrio-is per nurigare onero-as per caregare privo-as per privare cibo-as per cibare vacuo-as per nudare tamen michi videtur quod possent computari in una et eadem manerie cò verbis regentibus, ultra accusativum persone pacientis, genitivum vel ablativam neutrius persone sine preposicione, ut emo, vendo, ece. Notandum est quod verbum passivum est illud quod desinens in or, formatur ab activo desinente in 0 per adiunctione istius littere, scilicet r, ut amo, addicta r, fit amor et vult suppositum per nominativum per- sone pacientis et determinacionem per ablativam agentis, a vel ad me- diante; et potest fieri conversa locucio, ut, Berta amatur a Petro — cum - Petrus amat Bertam, et sic de similibus. Notandum est quod verbi passivi quinque sunt maneries, nam qui- dam possunt regere ultra (la pergamena qui è mutila) (r) possunt regere ultra ablativum persone agentis, ablativam neu- trius persone sine preposicione. UN TESTO DI GRAMMATICA LATINO-VENETA DEL SEC. XIII 697 Notandum est quod ista sunt illa verba passiva quae possunt re- gere, ultra ablativam persone agentis, genitivum vel ablativum neutrius persone ex natura cause materialis, verbi gratia dicendo: uno libero e sta compara da mi cento fiorini, dicemus: unus liber fuit emptus a me centum florenorum vel centum florenisj — scilicet : vendor-ris saclor-ris dampnor-ris emor-ris estimor-ris purgor-ris redarguor-ris per fire vendu per fire sacia per fire dana per fire compara per fire astima per fire purga per fire represo. Notandum est quod ista sunt illa verba passiva quae possunt re- gere, ultra ablativam persone agentis, dativam neutrius persone ex na- tura acquisicionis: verbi gratia, dicendo: la sciencia fi data da ... a i omini del mundo, dicemus: scientia datur a Deo hominibus mundi; — scilicet: dor-daris contradicor-ris mittor-ris opponor-ris comperor-ris (sic) manifestor-ris ferror-ris (sic) preponor-ris per fire per fire per fire per fire per fire per fire per fire per fire dato contradito manda metu incontro asomela manifesta porta metu inanci. Notandum est quod ista sunt illa verba passiva quae possunt re- gere, ultra ablativum persone agentis, accusativum neutrius persone ex natura cause finalis vel materialis: verbi gratia dicendo: Pero fi amaistrà gramadega dal so maistro, dicemus: Petrus docetur gramaticam a suo magistro — scilicet: moneor-ris rogor-ris petor-ris poscor-ris postulor-ris doceor-ris celor-ris induor-ris vestior-ris amictor-ris per fire amoni per fire prega per fire domanda per fire domanda per fire domanda per fire amaistra per fire cela per fire vesti per fire vesti per fire vesti. ap - Lerp "a di - a 693 GIUSEPPE MANACORDA — UN TESTO. DI onnnnamOA, 80 Notandum est quod ista sunt illa verba passiva quae: pane i gere, ultra ablativum, accusativam persone agentis, ablativum ne persone, a vel ab mediante, ex natura separacionis: verbi pnt ; ia d cendo: la lecion fi ozuda da mi dal maistro, dicemus: lecio aud itur me a magistro — scilicet: i cla ji IRONA . accipior-ris per fire toleto dividor-ris per fire desparti segregor-ris per fire desparti seperor-ris (sic) per fire desparti audior-ris per fire ozu inteligor-ris per fire inteso recipior-ris. © per fire recevu hr suscipior-ris per fire recevu. og nti per Notandum est quod ista sunt illa verba passiva quae possunt re: % gere, ultra ablativam persone agentis, ablativam neutrius persone sine i praeposicione ex natura cause materialis, verbi gratia dicendo: Pero fi _% despoia le vestimente dal maistro, dicemus: Petrus expoliatur vestibus | a magistro — scilicet: privor-ris per fire priva spolior-ris per fire despoia honoror-ris per fire onora. A per Se ie NE I pe”. Ve CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Marzo 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SALvapoRI, D’Ovipro, NaccaRI, PEANO, SuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MaTTIROLO, GRASSI, FUSARI, BaLBIANO e SEGRE, Segretario. È letto e approvato il verbale della precedente adunanza. Il Presidente comunica un telegramma di saluto inviato .dal nuovo Ministro della Pubblica Istruzione, S. E. Daneo. La Classe unanime ringrazia e ricambia cordiali saluti. Il Socio corrispondente TarameLLI ha inviato in omaggio un suo opuscolo su Giovanni. Riva-Palazzi, ed. un altro inti- tolato: I paesaggio della “ Gioconda , e l'“ Uomo pliocenico di Castenedolo ,. Il Socio CameRANO presenta, per la stampa negli Atti, una sua Nota: Osservazioni intorno al lacrimale e al nasale bipartiti nel Camoscio; ed il Socio SeGRE uno scritto di S. CHERUBINO: Sulle curve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè e sui loro moduli algebrici. Atti della R. Accademia. — Vol. XLIX. 47 700 LORENZO CAMERANO LETTURE Osservazioni intorno al lacrimale e al nasale bipartiti nel Camoscio. Nota del Socio LORENZO CAMERANO. (Con una tavola). In una mia precedente nota (*) a proposito delle ossa fon- tanellari della fontanella fronto-naso-marillo-lacrimale del ca- moscio formulai la domanda se esse si possano saldare col la- crimale, oltre che col nasale, col quale la saldatura è frequente. La domanda era provocata dall'esame di due crani uno 9 delle Valli Piemontesi e l’altro è delle Valli Ossolane (figg. 15 e 16 della tavola unita alla nota sotto citata) e conchiudevo che da essi non era possibile una risposta sicura e che erano ne- cessarie più ampie ricerche. La questione è da studiarsi in rap- porto col fatto, non infrequente nei cranii di camoscio, della divisione dell'osso lacrimale in due parti. Una nuova serie di 170 cranii di camoscio maschi, fem- mine e giovani di numerose località delle Alpi e del Caucaso, che ho potuto studiare dopo la pubblicazione della nota sopra- citata, mi concede di precisare meglio il fenomeno della divi- sione del lacrimale. I nuovi casi di divisione simmetrica del lacrimale sono: 1° In un cranio $ di due anni del Churfirsten (fig. 8); 2° in un cranio 7 di meno di un anno di Cauco (fig. 2); 3° in un cranio + adulto della Revier Rothis (Vorarlberg); 4° in un cranio $ di un anno di Ayse (fig. 5). (*) Osservazioni intorno alle ossa wormiane della * fontanella fronto- naso-mazxrillo-lacrimale e intorno all'osso * lacrimale , nel camoscio s — “ Atti R. Acc. Scienze Torino ,, vol. XLVII, 1912. OSSERVAZIONI INTORNO AL LACRIMALE E AI, NASALE, ECC. 701 La divisione del lacrimale è ben evidente nel solo lacri- male sinistro: 1° in un cranio 9 di pochi mesi di Val Bavona (fig. 3); 2° in un cranio è di pochi mesi di Val Formazza (fig. 4); nel solo lacrimale sinistro 1° in un cranio è adulto di Peccia (fig. 6); 2° in un cranio di S. Bernardino (fig. 7). Oltre che negli esemplari figurati nella tavola unita a questo lavoro, ho trovato segni di divisione del lacrimale ana- loghi a quelli dei lacrimali rappresentati nelle figg. 5 e 6 anche nei casi seguenti: Nel lacrimale sinistro: 1° in un cranio di Val d’Aosta; 2° in un cranio di Valsavaranche; 3° in un cranio è adulto di Val d’Ossola; 4° in un cranio di pochi mesi del Cimolais. Nel lacrimale destro: 1° in un cranio di Cauco; 2° in un cranio $ di un anno dei Dents Vertes (Cant. e Friburgo). Sono poi frequenti i lacrimali nei quali nel loro margine a contatto col frontale si presenta assai spiccata una intaccatura seguìta da una sporgenza che corrisponde al punto in cui viene a far capo la linea di divisione del lacrimale (figg. 5, 8, 6, a e fig. 9 a) e che lascia supporre una primitiva divisione del lacrimale susseguita da una saldatura completa. Rari sono i casi in cui la linea di divisione del lacrimale lo tagli in due parti quasi eguali per estensione e in cui la linea stessa sia schiettamente in direzione trasversale dell’osso, come nei lacrimali rappresentati nelle figg. 11, 14 della tavola della precedente nota e nelle figg. 4, 8 nella tavola unita a questo la- voro; per lo più il segmento inferiore, anche quando la linea di divisione è in direzione trasversale, è più piccolo del segmento superiore (figg. 3, 2). Frequentemente la linea di divisione del lacrimale invece di essere in direzione trasversale e di giungere al margine a contatto col zigomatico, si porta in basso e fa capo al margine del lacrimale a contatto col mascellare superiore (figg. 16, 15, 13 della tavola della precedente nota, fig. 1 della tavola unita a questo lavoro). In questi casì il segmento inferiore del lacrimale è note- volmente più piccolo del superiore e viene ad assumere una forma più o meno regolarmente triangolare. In un cranio (fig. 7 d) si ha una disposizione particolare 702 LORENZO CAMERANO dovuta forse a qualche causa traumatica, come. lascia credere l’incisione anormale del mascellare superiore. Nella mia precedente nota avevo espresso il dubbio che. nei casi dei cranii rappresentati nelle figg. 15 e 16 della rela- tiva tavola si trattasse non del segmento inferiore del lacri- male: ma dell'osso fontanellare che invece di unirsi col nasale si unisce invece col lacrimale. Il nuovo caso che ho potuto esaminare nel cranio del Vorarlberg rappresentato nella fig. 1 della tavola, unita alla presente nota, in cui lo spazio fontanellare ha il suo wormiano cospicuo, unito al nasale e contemporaneamente presenta; il segmento inferiore del lacrimale nella forma appunto indicata nelle figg. 15 e 16 sopra citate, concede di affermare che il wormiano non si salda col lacrimale e che, quando. si ha la disposizione di cose come nelle figg. 15 e 16, si tratta del « segmento inferiore del lacrimale e non di un wormiano della fontanella fronto-naso-mascillo-lacrimale. La fig. 8 della tavola unita a questa nota, presenta pure il caso di un wormiano piccolo e saldato col nasale e di un grande segmento inferiore del lacrimale. Dal numero relativamente notevole di casi osservati, nel materiale che ho avuto a mia disposizione, di divisione del la- crimale nei giovani e negli adulti, in tutta l’area di distribu- zione geografica della specie, e dal numero relativamente note- vole di casi in cui, pur non essendovi la divisione del lacrimale, si può tuttavia arguire, per le ragioni sopradette, che tale. di- visione vi sia stata, si può pensare che la divisione stessa sia da considerarsi come fatto normale, e che nel camoscio il la- crimale abbia due centri di ossificazione. Nella maggior parte dei cranii di camoscio l'unione delle due parti del lacrimale è precoce e completa. A chiarire questa ipotesi sarebbe necessario studiare il lacrimale all’inizio della sua formazione, cosa. certamente non agevole per la difficoltà di procurarsi il materiale adatto. * * * In un cranio $, di poco più di due anni, proveniente dal Caucaso occidentale (Valle dello Tschache, Gruppo del Ciugsce), OSSERVAZIONI INTORNO AL LACRIMALE E AL NASALE, ECC. 703 ho osservato una rara conformazione della parte inferiore del frontale in rapporto coi nasali, accompagnata da una speciale conformazione di questi ultimi, e da un caso di divisione tras- versale di uno dei nasali stessi. Il frontale si insinua profondamente fra i due nasali. Questa conformazione non è frequente e, oltre che nel cranio in discorso, l'ho osservata in un cranio di 9 di tre anni di val di Campo (fig. 10) e in un cranio di $ di quattro anni del monte Antelao e, in una misura meno spiccata, anche in un cranio è adulto di Dent du Broc (Friburgo), in un cranio di è adulto della Valle del Gesso, in due cranii di individui molto giovani di Valle d’Ossola, in un individuo di Val Bavona e in un cranio fem- mina adulta del Vorarlberg. In nessuno tuttavia i prolungamenti dei frontali sono così estesi come nel cranio del Caucaso sopra detto (fig. 11) e nel cranio di Val di Campo (fig. 10). Nel cranio del Caucaso i nasali sono più corti di ciò che sogliono essere in generale nei cranii di poco più di due anni di età e hanno una forma che è frequente sopratutto nei giovani. Il nasale si- nistro è nettamente separato in senso trasversale in due parti quasi di eguale estensione. Casi di nasali bipartiti in senso trasversale se ne conoscono parecchi, oltre che nell'uomo, particolarmente negli Equidi e nei Suidi (*). Nei camosci credo che il caso in discorso sia il primo che viene osservato. In questi animali tale conformazione è certamente molto rara. (*) Confr. a questo riguardo : F. Le DouBLE, Traité des variations des os de la face de l'homme ece., Paris, Vigot Frères, pag. 27 (1906); U. Z- MERL, Intorno ad un'anomalia delle ossa nasali in alcune specie di animali domestici, “ Monitore Zool. Ital. ,, vol. XII, pag. 48 (1901); P. Livini, Va- rietà delle ossa nasali, “ Tdem ,, vol. IX, pag. 100 (1898); ecc. 704 Fig. L. Do 10. 11. CAMERANO — OSSERVAZIONI INTORNO AL LACRIMALE, ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Le figure sono in grandezza naturale). . — Maschio adulto di camoscio (Revier Rothis) (Vorarlberg) (a wormiano fontanellare saldato col nasale — d segmento inferiore del lacrimale — ce segmento superiore del lacrimale — f frontale — » nasale — m mascellare superiore). — Femmina di meno di un anno di Cauco (lettere come nella figura precedente). — Femmina di meno di un anno di Val Bavona (o interma- scellare che eccezionalmente si spinge fino a contatto coi na- sali — le altre lettere come nella figura 1). — Maschio di meno di un anno di Val Formazza (lettere come nella figura 1). -— Maschio di Ayse di un anno (lettere come nella fig. 1 — a punto di partenza della linea di separazione dei due segmenti del lacrimale). — Maschio adulto di Peccia (lettere come nelle figure 1 e 5). — S. Bernardino (m zigomatico — max. mascellare — le altre lettere come nella figura 1). — Maschio di due anni del Churfirsten (p wormiano saldato col nasale — le altre lettere come nella figura 1). — Maschio adulto — Valli Piemontesi (a insenatura del lacrimale dalla quale parte nei lacrimali divisi la linea di sepa- razione dei due segmenti e prominenza susseguente — 2 zigo- matico — / lacrimale — f frontale — » nasale — m ma- scellare). — Femmina di tre anni di Val di Campo (n nasali — m ma- scellari — lacrimale — f frontali). — Maschio di poco più di due anni della Valle della Tschache (Caucaso occidentale) (2 lacrimali — f frontali — m mascel- lari — » nasale intiero — 0 segmento superiore del nasale diviso — p segmento inferiore). CAMERANO L. Lacrimali e nasali nel Camoscio Atti dRAccad.d.Scienze di Torino. VOZAZLY Fig. 1 # sica ai ANA LR e S. CHERUBINO — SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 705 Sulle cupve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè e sui loro moduli algebrici. Nota di SALVATORE CHERUBINO Nella presente nota mi occupo delle curve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè. Poichè la condizione d’identità birazionale di due curve iperellittiche rappresentate sopra una retta doppia mediante i gruppi di diramazione G, G' è che i gruppi stessi siano proiet- tivi, per scriverle tutte basta ricercare le forme binarie che ammettono gruppi proiettivi in sè. Tale questione è senz'altro risoluta dalla formola del KLEIN f (c1,, 10) = F,%. F0. Fw. TI; (FM o; F3°2) (*). Tra le forme binarie così ottenute, volendo avere curve iperellittiche birazionalmente distinte, occorre sceverar quelle che sono proiettivamente distinte. Il che equivale a costruire i gruppi proiettivi che mutano in sè i gruppi poliedrali. La ri- cerca si compie agevolmente: il relativo risultato trovasi al ob). Come conclusione della I° parte del lavoro, dò la tabella completa delle curve iperellittiche con trasformazioni birazio- (*) Vorlesungen iiber das Ikosaeder (Leipzig, 1884, p. 49). (**) Non trovo traccia di tal risultato nè in Wiwman (ed. tedesca del- l’Encicl., Bd. 1, Heft 5, p. 523), nè in VrvantI (Funzioni poliedriche e mo- dulari, Milano, 1906), nè in pe Sféeuier (Théorie des groupes finis, Paris, 1904, 1912). Tuttavia credo che implicitamente possa esser occorso varie volte nella teoria dei gruppi proiettivi sulla retta. 706 SALVATORE CHERUBINO nali in sè, assegnando per ciascuna famiglia il numero dei mo- duli ed il genere del relativo gruppo poliedrale. Nella seconda parte, mi occupo del problema della deter- minazione dei moduli algebrici delle curve suddette: questo problema, come è noto, equivale a quello della determinazione dei periodi normali degli integrali di prima specie, su dati tagli. Già il Borza (*) aveva risoluto questo problema per il caso particolarmente semplice p = 2. Ma, almeno pel caso generale, non ho notizia che altri l'abbia già risoluto oppure tentato. Valendomi dei noti principii esposti in una classica me- moria del Sig. Hurwitz (**) scrivo le relazioni 2p » pa Msi Was = Vi Tri Wil (k= 1 2, “aa D) fila i. 2, pes 2p) I 1 fra i periodi normali w degli integrali di prima specie linear- mente indipendenti per una curva algebrica dotata di una cor- rispondenza algebrica qualunque (***). Dopo aver indicato in generale ($ 6) la possibilità ed il modo di calcolare gli intieri m, delle precedenti relazioni, mi trattengo brevemente sulle curve algebriche con trasformazioni birazionali in sè. Passando alle nostre curve iperellittiche, deduco che la co- noscenza degli intieri m, e di certe radici n"° dell'unità è suf- ficiente per determinare tutti i periodi degli integrali di prima (*) On binary sextic with linear transformations on themselves (* Am. Journ. ,, vol. X, 1888). (**) Ueber algebraischen Correspondenzen, ecc. (* Math. Ann. ,, Bd. 28, 1887, s. 561). (***) Il Sig. Hurwirz veramente scrive le relazioni suddette pel caso particolare di integrali normali, ma le sue considerazioni valgono in ge- nerale. Delle relazioni sotto forma generale fa uso il Sig. Severi nella sua nota: Le corrispondenze fra i punti di una curva variabile in un sistema lineare sopra una curva algebrica (* Math. Ann. ,, Bd. 74, 1913) (V. anche * Comptes Rendus de l’Ac. des Sc. de Paris ,, 156 (1918), p. 287). Anzi il Sig. Severi ha anche dimostrato, a priori, che quando son date le w, i coefficienti 1 ed m sono univocamente determinati gli uni per gli altri (loc. cit., n° 3, pag. 7). SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 707 specie, meno, naturalmente, quelli che dipendono dai \ moduli che rimangono arbitrarii per la curva. Infine, mercè opportuna scelta delle retrosezioni sulla rie- manniana a due fogli della curva, riesco ad assegnare le rela- zioni lineari che determinano, in generale, i periodi w per il caso di un gruppo ciclico qualunque operante sul gruppo di diramazione. Ed in questo caso rientrano tutti gli altri. È Forme algebriche binarie ammettenti un gruppo finito di sostituzioni lineari che le trasformi in sè. Loro indipendenza proiettiva. 1. I tipi normali di forme poliedrali. Considerando i gruppi poliedrali sotto la forma normale solita, la citata formola del KLEIN, dove le 7 sono tre forme fondamentali, dà subito, con qualche facile semplificazione, i seguenti tipi normali di forme poliedrali: 1. Forme cicliche: f (11, 02) = 21%. 23°. (29 + Pi gm, put + ps a 4 2), pr Ri cid ca al agA-bn + 97"). 2. Forme diedrali: f (21,02) =2,% 290. (21° +3"). (ex). (2124 4-p, "i media Ea e e + pae”. 299" 4 pa, e VM gg Là. h3 _ Pi Figi gegl2Z_1m - qg9n). 3. Forme tetraedrali: f (21, 2) = 10299 (21° — 4) (ct +2V— 3a + o96)t. Art —2V— 3x2 + Xot). i, (2,12+ 60, V—3 10 e — — 33 2,8 xt + 120;V—3 7,535 — 33,4 8 + + 60; V—3 21? 291° + 2912). 708 SALVATORE CHERUBINO 4. Forme ottaedrali : f (1, 2) = 1% 29% (214 — 2,4)®. (218 +14 2,4 x + 2,9)8. À A (111° —33 LA or — 33 cite +x012)7. TT, [(x,24—6a, L1°0x1 + 1 + 3(253 + 8a) 2,14 2,8 4 4(644 — 9a) 0? ag? + A 5: (253 | 8a,) 28 0310 = 60; ci Dall - 16394], 5. Forme icosaedrali: f (21, %2) = 21% 02° (01° + 11 21° #39 — 2319)%. [— (2190 + 2399) + + 228 (2115 w25 — 21° 20315) — 494 2310 x319]P. [(2150 + 2399) + + 522 (0129 #85 — 21° x3°9) — 10005 (2129 x319 + 2110 2329) 2. A . TT; [(1—@;) (2154-2399) +36 (29+19a,) (2,99 x05—x,5.r355) + l + 6 (42079 — 26239 a.) (19° 231° + 2,10 2359) — — 20 (5222610 — 626373a,) (2149 2315 — 2,15 0945) + + 15 (6672001 — 5164053 a;) (10,40 x3°9° + 2,290 2349) — — 24 (435261 — 5445381 a;) (219° 1329 — 2125 2395) + + 4 (49913771 + 8302981 a;) x,50 380). In tutte queste forme va sempre posto a, 8, y = 0, 1,2,... 2. Gruppi che trasformano in sè stessi i gruppi poliedrali. E evidente che due forme binarie fra loro proiettive am- mettono gruppi isomorfi di sostituzioni lineari che le trasformano ciascuna in sè. Trattandosi di due forme poliedrali entrambe ridotte a forma normale, esse, se proiettive, ammettono lo stesso gruppo @G: e ogni sostituzione capace di trasformare una delle due forme nell'altra è una di quelle che, senza appartenere a G, trasformano G in sè stesso, E viceversa. Queste ultime formano esse stesse un gruppo, che indichiamo con È. Qualunque sia il gruppo finito di operazioni G, mercè un isomorfismo che si stabilisce fra G e Z, si riconosce immedia- tamente che: Se è finito il numero delle operazioni (della stessa specie di quelle di G) che trasformano, ciascuna in sè, tutte le opera- SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 709 zioni del gruppo finito G; — ovvero è finito il numero delle ope- razioni che trasformano in sè stesso un sottogruppo di G, od anche una sola operazione di G; — è finito il numero di tutte le ope- razioni della stessa specie che trasformano G in sè stesso (è finito 2). Questa osservazione permette di trovare subito, con metodo unico, i gruppi di trasformazioni lineari che trasformano in sè i 5 gruppi poliedrali. Eccoli: 1. Il più ampio gruppo di trasformazioni lineari che con- tiene come invariante (che trasforma in sè stesso) un gruppo ci- ; x STRA k' clico G,! è il gruppo infinito £,j}) = | ’=skej 0.= pi k, k' ar- bitrarii |. 2. Il più ampio gruppo di trasformazioni lineari che con- tiene come invariante (che trasforma in sè stesso) un gruppo die- drale Gg,°, per n > 2, è il gruppo diedrale di ordine doppio: Fo, = Gy. Per n= 2, èl più ampio gruppo contenente come în- x . variante il G,® è il gruppo ottaedrale: 2,9 = G,,®. 5. Il più ampio gruppo trasformante in sè stesso (che con- tiene come invariunte) il gruppo tetraedale è quello ottaedrale: L,30= Gg. 4-5. Il gruppo ottaedrale e quello icosaedrale non sono con- tenuti, come invarianti, in nessun altro gruppo di sostituzioni li- neari, nè finito, nè infinito. 3. Forme poliedrali normali proiettivamente indipendenti. Se le due forme f e @ ammettono lo stesso gruppo G, ed S è una sostituzione che trasforma f in @, ogni G S (od ogni S G) farà altrettanto. Da ciò e dal paragrafo precedente si deduce che: 1. Tutte le forme normali proiettive ad una forma ciclica normale si ottengono applicando a questa le sostituzioni x' = kx 2rgri (k=iei "sr =0;1} 2}; )px'== = (E° arbitrario). 2. Tutte le forme normali protettive ad una forma diedrale normale si ottengono, se n > 2, applicandovi la sola sostituzione TAI 710 SALVATORE CHERUBINO ITi x =e".x. Sen=2, si ottengono invece applicando le sostitu- zioni è pio ca a ri x+1 ; FI x° > Ri Vil x— i "Ti o_s 3. Tutte le forme normali proiettive ad una forma tetra- edrale normale si ottengono applicando ad essa la sola sostituzione citi gi 0) È | 4-5. Le forme normali ottaedrali ed icosaedrali già trovate son tutte proiettivamente distinte. i 4. Curve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè e birazionalmente indipendenti. Tutte le curve cui si riferisce questo titolo sono quelle le cui equazioni hanno per primo membro 7? x,’ e per secondo membro una forma poliedrale normale di ordine 2p + 2, dove p è il genere della curva. E sono hirazionalmente indipendenti quelle che hanno gruppi di diramazione proiettivamente distinti. Ricordiamo che, a meno di una trasformazione birazionale della curva (**), il gruppo di diramazione non ha radici multiple. Ed osserviamo che le tre forme /,, Fs, Fg sono a radici sem- plici ed a 2 a 2 non hanno radici a comune; così per una 0 due forme come /;-+ % X, (per % generico o per due valori di- versi di k). Si ottiene perciò senz'altro la seguente tabella, la quale contiene i gruppi di diramazione, cioè i secondi membri, per tutte le richieste curve iperellittiche birazionalmente indipen- denti. I. Gruppo ciclico (1= 0, 1, 2, ...): 1. 0,7% + pi ox 4-1". eg" +... + pan 01". 09/910 + gin, 2. 1 (217° + pi 007". 9" +. + par 21" agli!" + ng7n), 3. ci. Le. (A+ pic 4-0* 2a +... + pan". ag + gn). AQ>0). Per n= 2, il tipo 83 rientra nell’1. (*) Si osservi che ogni trasformazione S che scambia una forma f, ammettente un G®,, (n > 2) od un G',3, in un’altra p scambia anche @ in f. (**) V., ad es., Severi, Geom. alg. (Padova, 1908), p. 189. SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 711 II. Gruppo diedrale (n >2;X=0,1,2,...): I PIRZZ, + pi a, (41m 005" Sl pù, + pa xe. e" + PAIA ga, caeg+0 +... + pi ai”. ag (4-1 4 pg?An, LE a e e a eee ggAn), dA i RO SERRE RIE RO Pea > qgin), CRI A n Per n==2, il tipo 3 rientra nel 2. ed il tipo 4 nell’1. III. Gruppo tetraedrale (XA=.0,1,2,...): A+1 gag =a I n EE? +60, = 3a a 33 48 cat +12, = 3 2,8 298 — 1 — 332142, + 6a,V—32:x!0 + 2319), Ed À 2: (4 +2 na ox ea + 0004). Ti (ip 0 ag), A+1 3. 1% (21° — 294) MT CT RR RARI TA 4. (et+2V— 3x3? +e). (ot 2V—3aa8 +2). À+41 CAME CER SS 1 FIA À 5. cielo — xt). (A+ 2V— 3x1? 23° + 224) TT; (£11° +... + 2219), 1 6. La La (cr: — x34) » (ext + 2 Vs ci Za + Xat) . SCSI . À S (12,4 sui pia 3 2% La? +34) . TT; (1° d s0s + pg) € 1 IV e V. Gruppo ottaedrale e gruppo icosaedrale : Rimandiamo alle 4 e 5 dell’art. 1, posto, però, a, B, = 0; 1; x =071 2039 Osserviamo che tutte le forme di questa tabella si possono ottenere dando, a. parte dei parametri dei 3 tipi.ciclici, speciali valori numerici (*). (*) Da questa tabella deduconsi subito le osservazioni del Sig. Wrman nel caso del periodo massimo 2(2p + 1) della trasformazione (“ Bih. till K. Svenska Vet-Akad. Handlingar ,, Bd. 21 (1895), Afd. 1, n.:1). x — a i 712 SALVATORE CHERUBINO Poichè il G,° è contenuto come invariante in Gy, si hanno ancora i seguenti altri casi di identità birazionale delle nostre curve. Due curve iperellittiche, i cui gruppi di diramazione siano rispettivamente dei tipi: 01° 2,0. (213 1-23). î, (21° + pie 3° + 2034); xt xh. (21° + 2,8). LI (2144 gi 21° 2° + 234), sono birazionalmente identiche se sono soddisfatte le \ rela zioni: (pi—-2)(gi.-2)=1 (= 1,205 Analogamente per altre due coppie di tipi ottenuti come i precedenti, salvo una permutazione circolare delle F}, Fs, Fg. E poi ancora, ponendo: A f= (21? + Wst)%, (21? = Xo?)8. TT, (2,4 + Pi x? Io? dL xat), cd f=ar, (21° + 299)?. TT, (7,4 + qs 11° 29° +.x34), À f= (01° — x39)4. 218 230. TI, (218 + ri 21° 29° + 234), sì ha che sono birazionalmente identiche due curve iperellittiche i cui secondi membri sono f ed f', quando si ha p;(g. 1) = 2 (gi — 3), (i=1,2....,)). Altrettanto avviene, se i secondi membri sono f ed f, quando (9g; — 2) (r, +2) = 1, (î=1,2,...,)); ed ancora se i secondi membri sono f' ed f, quando si ha Pi(re +3) = —2(rit 1), (i= 1,2, 5. Ordine di Infinità delle curve precedenti per un genere dato. Loro moduli algebrici. Generi dei gruppi poliedrali. Fissato il genere p, mediante la nostra tabella si verifica immediatamente che: Dato il genere della curva iperellittica ed il gruppo che la trasforma in sè, essa curva non può appartenere che ad uno solo dei tipi della tabella. SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 7183 Chiamato l’ordine di infinità delle curve birazionalmente distinte, ossia il numero dei coefficienti arbitrarii figuranti li- nearmente nei tipi sopra elencati, si ha che \ soddisfa, rispet- tivamente, le seguenti equazioni: pei gruppi: ciclico 2p+2=a+B+(X4+1)n diedrale 2p+2=20a+4n8+2Ax tetraedrale 2p+ 2=4a +4B+6r+12X -a,By=0,1. (1) ottaedrale 2p +2=:6a + 8B-+- 12y + 24A icosaedrale 2p ++2=120+20B+50y +60 | Quindi: Ogni curva iperellittica di genere p, ammettente un certo gruppo di trasformazioni birazionali in sè, non può aver varia- bili più di \ moduli, dove \ soddisfa la corrispondente equazione (1). I rimanenti 2p —\-—1 moduli sono numericamente fissati. Intendendo per genere di un gruppo poliedrale (*) il minimo genere di una curva iperellittica il cui gruppo di diramazione lo ammette, si ha che i cinque generi sono, rispettivamente: q= cei noi, 3, 2,5 (n pari). Se n è dispari, i generi dei due gruppi ciclico e diedrale sono rispettivamente ssi n_ 1. II I periodi degli integrali di prima specie delle curve iperellittiche con trasformazioni birazionali sin- golari in sè. 6. Le corrispondenze 7 (a, 8) ed i periodi normali degli integrali di prima specie di una curva algebrica. Se sopra una curva algebrica di genere p esiste una cor- rispondenza algebrica 7 (a, 8), fra i valori, nel punto « della curva, dei p integrali abeliani di prima specie linearmente in- (*) Per questa locuzione, vedi anche Hurwirz: Ueber diejenigen alge- braischen Gebilde welche eindeutige Transformationen in sich zulassen (£ Math. Ann. ,, 32, 1889, s. 290). RE è p De # O 714 SALVATORE CHERUBINO dipendenti w,, vs, ..., u ed i valori negli a punti y‘, y, ..., y(®, della curva stessa, corrispondenti ad x, sussistono le relazioni :. (1) 5 uz, (4) = I miu; (a) + mx (& == 1,2) seo dove i coefficienti m,; sono numeri non dipendenti dal posto x, ma bensì dagli indici & ed i, e le m, sono costanti additive (*), Fissiamo nn sistema di retrosezioni sulla riemanniana È appartenente alla curva, e scriviamo la tabella dei periodi nor- mali degli integrali v,, vs, ..., relativi a queste retrosezioni: Ar, Ag; 3 Ap Aia Bigi Apo = Ba Ug +... Wii Wijoo ... Wip Wipsi Wipso ceo Wi 2p Ug ... Wai Wss ... Wap Wapti Wapyg 00 Wp 2) Up ii. Wp Wpa ... Wpp Wyp+1 W,py9 *d e Wpop. Si faccia attraversare ad x uno dei tagli, p. es. A;; allora, nella (I), u; (7) diventa w;(x) + w,, mentre il primo membro si altera di una combinazione lineare a coefficienti interi di tutti i 2p periodi di x, e si ottengono le relazioni generali 2 (1) 3 miw,=Y tw, (k=1,2,.,9) ((=1,2 Jai 1 Gli intieri m,, sono caratteristici per la corrispondenza e dipendono dall’indice 2, ma non dall’indice %. Si dimostra agevolmente che: Fissati i tagli della. riemanniana, ad un sistema di coeffi- cienti mi, non può corrispondere che un determinato sistema di my, e viceversa (**). Come determinare direttamente gli intieri m,? Basterà considerare un modello concreto della riemanniana sostegno della curva, con il fissato sistema di retrosezioni. Si (*) Hurwrrz (“ Math. Ann. ,, Bd. 28, 1887, s. 561, $ 1). (**) E la già citata proposizione del Sig. Severi. | i Li di ca SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 715 faccia ad x descrivere un circuito fondamentale A,: i corrispon- denti punti y°, y”, ..., y‘ descriveranno dei cammini, — in ge- nerale aperti, — formanti tanti circuiti quanti sono i cicli della permutazione da essi subita. A ciascun circuito è omologo una combinazione lineare a coefficienti interi dei 2p circuiti fonda- mentali. Come si deduce immediatamente da un lemma del Sig. Se- VERI (*), i coefficienti intieri della somma di queste combina- zioni sono appunto gli m1,, i quali risultano, per lo stesso lemma, determinati univocamente. È questa, in sostanza, la via che ho seguita per la riso- luzione del problema propostomi. 7. Le trasformazioni birazionali di una curva algebrica in sè. Per queste trasformazioni — o corrispondenze — biuni- voche, le relazioni (I) si lasciano scrivere: (11) du =, du, + To du +... +Te9du (k=1,2,...,D), ove u, dinota il valore dell’integrale v, nell’unico punto y' cor- rispondente ad x, od anche, ciò che è lo stesso, l’integrale tras- formato di vu; mediante la data corrispondenza. E, cambiando opportunamente gli «, ancora più sempli- cemente : (III) du'v= di (AE PRE n) le e, essendo radici n"® dell’unità, ed x il periodo della tras- formazione (**). Onde le (1) si riducono alla forma : sla \(E=1, (1 ) L: Msr Was = € Wyr } (1 n 1 Tutti i sistemi di relazioni analoghe alle (II) che si otten- gono dalle corrispondenze biunivoche esistenti sulla curva, — (*) Mem. cit. (£ Math. Ann. ,, Bd. 74, 1913), $ I, pag. 4. (**) Huorwrrz: Ueber diejenigen..... (£ Math. Ann. ,, Bd. 32, 1889, s. 290), $ 3. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 48 716 SALVATORE CHERUBINO ciascuno interpretato come una trasformazione lineare omogenea che fa passare da un sistema ad un altro di p differenziali di prima specie linearmente indipendenti per la curva data, — co- stituiscono, come è noto, un gruppo oloedricamente isomorfo al gruppo delle trasformazioni birazionali ammesso dalla curva (*). Parimenti, detto w',, il periodo di «' al circuito trasfor- mato di A,, si ha 2p (IV) w',, = x: Msi Wks (k = "A 2, 009 p) (2 = la 2, ‘009 2p). Queste relazioni si interpretano come una trasformazione lineare omogenea (a determinante eguale all'unità) che fa pas- sare da un sistema ad un altro di 2p*? periodi normali di p in- tegrali di prima specie linearmente indipendenti per la data curva. Stante la corrispondenza biunivoca fra i sistemi di in- tieri m,, e quelli di coefficienti m; ($ prec.), di trasformazioni come la (IV) se ne hanno tante quante le precedenti, e formano anche esse un gruppo oloedricamente isomorfo a quello delle trasformazioni birazionali ammesso dalla curva. Concludendo, alla considerazione del gruppo di corrispondenze biunivoche sulla data curva, — rispetto ai periodi normali su quei fissati tagli della riemanniana, — può sostituirsi quella delle rela- zioni (1), derivate dalle prime nel modo già indicato. 8. Curve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè. Loro moduli. Se il gruppo di diramazione di una curva iperellittica vien trasformato in sè da una sostituzione lineare non identica z'i= ax, + Bg, ca =Yx, + des (4), la curva è trasformata in sè dalle due trasformazioni birazionali singolari (5) yxP=tyx?, x, =ax,+ Br, ca =Yr1+ des. A queste corrispondono, sui differenziali, rispettivamente due trasformazioni lineari omogenee come le +du,=q du, + mia du +... +, du, (i=1,2, DI (*) Horwrrz: Uebder algebraische Gebilde..... (£ Math. Ann. ,, BA. 41, 1898, 8. 403), III Absch., $ 9, s. 428. SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 717 Convenendo di scegliere il solo segno positivo, tutte le ‘trasformazioni come queste ultime, corrispondenti a quelle lineari del gruppo di diramazione, formano un gruppo in isomorfismo ‘oloedrico con quello poliedrale cui appartiene la (4). Ora, parte I, $ 5, — dato il genere ed il gruppo polie- drale, — tutti i moduli della curva iperellittica, tranne certi A, sono numericamente fissati. E tenendo presente la conclusione .del $ precedente, deduciamo: Noti gli intieri my ed i coefficienti ex delle relazioni 2p (1°) pi Ms Was = € W (102 Tres) iie="13-d70, 2); per tutte le trasformazioni birazionali della curva in sè, queste relazioni lasciano determinare, in generale, tutti è 2p® periodi ww, meno quelli che dipendono dai \ moduli della curva rimasti arbi- trarti. Considerando gli integrali iperellittici pai — x dx s ua fs aa =1,2,..,p), f (21, 2) «ed applicando ad x le sostituzioni chi Ti anne = egiien=e (= 0,1,..,n—-1), ‘sì ottiene subito : Ve dove c è una radice n"? dell’unità che si calcola caso per caso, senza difficoltà. Il problema dei moduli, per una curva iperellittica a gruppo di diramazione ammettente un gruppo ciclico, è dunque risoluto con la sola determinazione degli intieri my. Gli altri casi dipendono da questo. 718 SALVATORE CHERUBINO 9. Le riemanniane delle nostre curve iperellittiche: retrosezioni notevoli. In questo $, e nel seguente, ci occupiamo delle curve iper- ellittiche il cui gruppo di diramazione ammette un gruppo .ci- clico. Però, poichè ogni gruppo poliedrale contiene sempre un sottogruppo ciclico, tutte le considerazioni e costruzioni fatte e le relazioni ottenute valgono, tutt'al più con lievi varianti ed opportune avvertenze, anche per gli altri casi. Jon riguardo al gruppo di diramazione ed all'ordine n della sostituzione canonica che lo trasforma in sè, possiamo distin- guere i 5 casi seguenti: 1. Il gruppo di diramazione della curva iperellittica possiede il punto zero, ma non quello all'infinito (ovvero, caso proiettivo, il punto all'infinito, ma non quello zero). In tal caso si ha neces- sariamente: n dispari. 2. Il gruppo di diramazione possiede i punti zero e all’in- finito, ed n è pari. 3. Idem, con n dispari. 4. Non vha punto zero nè punto all'infinito, ed n è pari. 5. Idem, con n dispari. Meno il punto zero e quello all'infinito, tutti i punti del gruppo di diramazione si distribuiscono ad » ad » in cicli che, mercè la considerata sostituzione, si scambiano ciascuno in sè stesso: quelli dello stesso ciclo avendo egual modulo, tutte le radici sì possono rappresentare, nel piano complesso, su tante circonferenze concentriche, col centro nell'origine. Le nostre figure schematiche, di cui diamo quella corri- spondente al primo tipo, suppongono tutte queste circonferenze di raggi distinti ed i punti di diramazione situati a X a A sullo stesso raggio: ad esse ci si può sempre ridurre, per deforma- zione continua sulla riemanniana dei circuiti che si considerano. Quando n è pari (n= 2v), i punti del gruppo di dirama- zione sono indicati cogli indici da 1 ad » sulla prima circonfe- renza, da n-|- 1 a 2 su la seconda, ete., in modo che gli in- dici congrui fra loro, modulo », siano allineati con l’origine. Quando n è dispari (n= 2v + 1), gli indici vanno rispettiva- mente da 1 a 2v, da 2v+1 a 4vy, ete., come sopra, restando n ——__Prr—__————_— "zz: -—r——’ rn SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 719 allineati con l’origine quelli congrui fra loro modulo 2v: gli nuvi punti, sulle varie circonferenze, vengono indicati cogli indici da N+1 ad N+X(N=)(n— 1)). Se v’ha punto zero, senza quello all’infinito, l'indice N-4-1 si assegna ad esso. Quando v'ha punto zero e punto all’infinito insieme, vi si assegnano, ordinatamente, gli indici 2p +1 e 2p + 2. I tagli propriamente detti, o linee di passaggio fra i 2 fogli della riemanniana (A;,..., Ap), sono disegnati con linee piene e 720 SALVATORE CHERUBINO grosse. Sul loro bordo sinistro rispetto al senso crescente degli indici e sul foglio superiore, si calcolano i periodi a, ..., @, (*), ciascuno dei quali è il doppio del valore di un integrale di prima specie u, calcolato su questi tagli sul bordo, nel senso e sul foglio ora detto. Con /, indicheremo il valore di w lungo un cammino che va dal punto è al punto #. I tagli B,,..., B,, che completano le retrosezioni e sui quali si calcolano i periodi bd, ..., è», non sono disegnati nelle nostre figure. Ad essi sono sostituiti v linee tratteggiate: ciascuna di esse parte dall’origine (se questa fa parte del gruppo di dira- mazione) ovvero dal punto di indice 1 (in caso contrario) passa. per un punto di indice dispari sulla prima circonferenza e per tutti quelli allineati con esso e con l'origine. Quando n è dis- pari, altre linee, tratteggiate e partenti dallo stesso punto, vanno ai punti 2%v + 1 (% dispari) seguendo le linee tratteggiate già segnate e da questi ai punti N + r, dove r è dispari, seguendo le circonferenze. I periodi b,, ..., 6, sono eguali ai doppi dei va- lori di x calcolati lungo queste linee, sul foglio superiore e nel senso crescente degli indici, senza tener conto del lato, partendo dal punto di indice 1 (o dall’origine) fino ai singoli punti ora nominati. Il valore dell’integrale «, lungo un tratto di questi cammini che vada dal punto è al punto &%, lo indicheremo con Ln. Quando alla curva, ossia alla riemanniana, si applica la Dist sostituzione x’ = ex (e = e " ) le linee piene grosse si trasfor- mano in quelle piene sottili, e le linee tratteggiate in quelle punteggiate. Su queste altre linee si calcolano i periodi tras- formati a’; e 5';. Si determinano, in tal modo, tanti circuiti non racchiudenti punti critici: ciascuno di essi dà luogo ad una relazione lineare fra i periodi a, d, a‘, d'. Per chiarire la differenza fra le regioni bianche e quelle nere delle figure, immaginiamo che la trasformata l° della curva € e la curva stessa, ossia la riemanniana P' trasformata della / e la f stessa, siano fra loro distinte, ma sovrapposte. (*) Qui e nel seguito i periodi son indicati a e d sui due tipi di tagli, invece che con w. Si adopera un solo indice, perchè quello dell’integrale è qualunque. SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. 721 Definiamo foglio superiore della È quello sul quale y è posi- tivo: così per la £”. Intorno all’origine le due riemanniane coincidono (si corrispondono) foglio con foglio, e cioè i superiori fra loro e così gli inferiori. Le linee di passaggio per la È sono le grosse piene: per la £' sono le sottili piene. Partendo dal- l'origine, col valore positivo di y in entrambe le riemanniane, nell’attraversare un taglio grosso si passa sul foglio inferiore della R, rimanendo sul superiore della R'; attraversando un taglio sottile si rimane sul superiore della & passando sull’in- feriore della R': avviene il contrario attraversando un secondo taglio, grosso o sottile. Perciò le regioni nere sono quelle in cui le due superficie si corrispondono senza scambio di foglio: le bianche quelle in cui i due fogli sono scambiati. In conclusione, ritornando alla R unica, i tagli grossi e le linee tratteggiate si intendono descritte sul foglio superiore, i tagli sottili e le linee punteggiate si intendono descritte sul foglio superiore se appartengono a regioni nere, sull’inferiore se a regioni bianche. Infine, sono tagli soltanto le linee grosse piene, e perciò soltanto su esse ha sempre influenza il lato, oltre che il senso (*). Con queste norme; dalle rispettive figure risultano senza difficoltà i varii sistemi lineari le cui soluzioni dànno tutti gli intieri m,, che noi ricerchiamo. Per brevità, riportiamo soltanto queste ultime. 10. Gli intieri caratteristici m,,. 1° ripo (quello della figura): PLY odia pl = ii di n=2v+1, N=2P+1, N (0 (1). x (*) Questa speciale costruzione delle retrosezioni mi è stata suggerita da quella data dal Sig. Borza al $ 10 della cit. Mem., pel caso p==2. Ciò non pertanto, la costruzione presente non può ritenersi un’ovvia genera- lizzazione della prima. 722 SALVATORE CHERUBINO Nella figura (quella annessa) abbiam posto: ‘ di Uy == 2For-1,2r , b,, fai) Dda = 21xr-v)-1,2r-1 , 7 (r=1,2,....p— 0). Ap—t+1 = 2F, N+2i+1, N+-2i+2» bpi+i Ias dbizi-1)v+1 =» 2I22i-1)v+1, N+2i+1 GL1, 00 Formole di risoluzione : (— i ura d'ivit= 2 pa Arvti + Adkyti + divi — baviid1 (&=0,1,...X—1)(i=1,2,.4v= 1) MESTOVZI À | | d'y = Da x: Ary+i + i Ary HH Z; dp-j by ’ Av) — @'2ry==2 x. Z, Ary+; + @2ky qui po: arr +2 dest — > dany + bp- 14% (= = 1, 2, «003 l), Men iyi d'(2k+1)y= =.2 x. x, Arv+j Ho A(2k4-1)v + gi Da ae + Ap—14-k * 14 + 25; Up 1377 db, 244+-1)v A bp—t+k (& ud, Biel, 0 pit == baiy cs biei-1)v+1 (i BE 1, 2, 0349) 1), k-1l (— 1} d'avti = Ahy+i + 2 (— 19° x. (— 1) bry+i

fi kit MU — 10° 2, 20) 2), À=1 i<È (— DE a' ky — 4ky +2 DI Ary 2 L x: drv 2 x, Ap 14,7 Pro PEQA ERRO (= 1,2, ‘003 \— 1), a'prti= da i-1)v — di -1)v (er= 132,3 0), foi Baio = = (1) Ukyti a 3; drv+; la x Ap—-1+j Ss pa 1 2 I ni 1) bryti #é (— 1)” brvti (SES i ta garrone aa n ASIVIESÌ 2i-3 b'oii = L; Uryv+;j +Y j dp_t+j AO x e 1) bry + + e bi — Ja 2, 2039 2). Nella penultima formola, si escluda la coppia &#=i= 0. 11. Sufficienza delle relazioni ottenute. Abbiamo ora determinati gli intieri my per la sola trasfor- mazione lineare omogenea dei periodi che corrisponde alla tras- formazione proiettiva del gruppo di diramazione (6) x = ex, PeSgn Questa genera tutto il gruppo ciclico, perciò la corrispon- dente trasformazione dei periodi genererà tutto il gruppo al primo isomorfo. Tenendo presenti le proposizioni del $ 5, si conclude che la sola trasformazione lineare (6), insieme col ge- nere della curva, è atta ad individuare la stessa, a meno dei corrispondenti \ moduli arbitrarii (*). E quindi ancora ($ 8), il (*) S'intende anche a meno di trasformazioni birazionali. 726 S. CHERUBINO — SULLE CURVE IPERELLITTICHE, ECC. corrispondente sistema di relazioni fra iì periodi è da solo suf- ficiente, in generale, a determinare tutti i periodi numerica- mente fissati, e tutte le relazioni fra questi. Riguardo a gli altri gruppi, necessiterà almeno trovare gli intieri my ed i coefficienti my; per tutte le generatrici del gruppo. ‘ Però ogni gruppo poliedrale non ciclico contiene un sotto- gruppo ciclico. Quindi, per completare la tabella dei moduli della curva, bisogna considerare, insieme ai periodi, o relazioni fra essi, — ottenuti mediante la risoluzione delle equazioni lineari corri- spondenti al gruppo ciclico di ordine massimo contenuto nel gruppo considerato, — i valori numerici di quelli fra i X para- metri che, dalla consultazione della tabella del $ 5, risultano determinati nel passaggio dalla forma ciclica a quella consi- derata. Napoli, ottobre 1913. L’ Accademico Segretario CorRADO SEGRE. 72% CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE "Adunanza del 29 Marzo 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: CARLE, De SANCTIS, RUFFINI, STAMPINI, Srorza, ErnAupIi, BaupI DI VeEsme, RENIER Segretario. — È scu- sata l'assenza del Presidente BoseLLi e del Socio BRronpi. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza prece- dente, 15 marzo 1914. Il Presidente legge l’invito della Deutsche Shakespeare Ge- sellschaft di Weimar alle feste del cinquantesimo anno di sua fondazione, che si terranno alla fine del prossimo aprile. La Classe delibera che la suddetta benemerita Società sia ringra- ziata per l'invito e che sia pregato il presidente di essa di rappresentare l'Accademia. A nome della Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, il Segretario offre il vol. V della Biblioteca di storia italiana recente, Torino, Bocca, 1914. Il Socio BauDI DI VESME riferisce intorno al contenuto del volume, che è il primo della corrispondenza del conte Vittorio Amedeo Balbo Bertone di Sambuy, a cura del conte Mario degli Alberti. Per l’inserzione negli Atti il Socio RurrINI presenta sotto la propria responsabilità uno scritto di Emilio ALBERTARIO, Nuove osservazioni sulla trasmissibilità del “ indicium operarum , all’erede estraneo. 728 EMILIO ALBERTARIO LETTURE Nuove osservazioni sulla trasmissibilità del “ iudicium operarum ,, all'erede estraneo. Nota di EMILIO ALBERTARIO. In un suo recente e ingegnoso scritto sul iudicium ope- rarum (1) il Biondi si occupa della trasmissibilità di questo iudicium agli eredi estranei del patrono. La stessa indagine io feci già da qualche tempo (2). Ma il Biondi, pur consentendo nel principio da me allora fissato e chiarito, che le opere spettano al figlio, non all’erede estraneo — precisamente come i sepoleri familiari spettano al figlio, anche non erede; non spettano all’estraneo, benchè erede — perviene a risultati diversi dai miei. Egli ritiene che le opere dei liberti proprio nell'epoca clas- sica si distinguessero in praeteritae e futurae, a seconda che fossero, o non, già state richieste (indictae) dal patrono. Le prime gia nell'epoca classica sarebbero passate anche all’erede estraneo: le seconde sarebbero state nell'epoca classica intra- smissibili. Con Giustiniano, invece, anche le operae futurae, passereb- bero all'erede estraneo; ed alla distinzione fatta dai classici rispetto al passaggio agli eredi estranei tra opere praeteritae e opere futurae verrebbe sostituita l’altra tra opere fabriles ed opere officiales. Nel diritto giustinianeo passerebbero all’erede estraneo solo le opere fabriles e non le officiales. (Queste affermazioni del Biondi mi presentano la buona oe- casione di ritornare sull’interessante argomento. lo eredo di non dover modificare il risultato che ho già raggiunto: spero, anzi, (1) Estr. dagli “ Annali della Fac. di Giur. dell'Univ. di Perugia ,, 1914. (2) Sul diritto dell'erede estraneo alle opere dei liberti, in * Filangieri ,, 1910. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 729 di poterlo forse sviluppare maggiormente. Quando mi accinsi allo studio di questo tema la prima volta, non osai spingere la mia indagine fin dove poteva essere condotta; fin dove ora, bre- vemente, cercherò di condurla. I. Operae officiales, artificiales, fabriles. A proposito delle opere dei liberti non è agevole compren- dere l'oscuro, qualche volta anche contradditorio, linguaggio delle nostre fonti. Nella dottrina romanistica del secolo scorso (Burkard, Zimmern, Miihlenbruch, Danz, Keller, Kuntze, Karlowa, Leist) le opere dovute dai liberti ai loro patroni solevano essere clas- sificate in due grandi categorie: officiales e fabriles. Le prime erano da tutti quegli scrittori a un di presso intese “ als Ehren und Liebesdienste persònlich-individueller Natur ,; le se- conde “ als professionelle und daher geldwerthe Arbeitsleistun- gen ,. Questa classificazione poteva trovare la propria base in tre frammenti ulpianei: 26 $ 12 D. 12. 6; 6 D. 38. 1;9 D. eod., che verranno in seguito riferiti e considerati. Ma la dottrina romanistica tradizionale è stata sopraffatta da un’acutissima nuova analisi dei testi, intrapresa dal Mitteis (1). Il grande romanista rileva che l’apparente distinzione delle opere dei liberti in opere officiales e opere fabriles spicca solamente nei tre frammenti di Ulpiano. I più antichi classici l’ignorano. Giuliano, sopratutto. Dai Digesti di questo giureconsulto balza fuori la prova luminosa che egli considera le opere fabriles completamente diverse dalle opere che il liberto deve al suo patrono. I frammenti giulianei, richiamati dal Mitteis, non possono lasciare dubbii a questo riguardo. D. 38. 1. 23. pr. (Jul. ]. 22° dig.): Hae operae, quas libertus promittit, multum distant a fabrilibus vel pictoriis operis. Denique si libertus faber aut pictor fuerit, quamdiu id artificium exer- cebit, has operas patrono praestare cogitur. Quare sicut fabriles operas quis potest sibi aut ,Titio stipulari, ita patronus a. li- (1) Operae officiales und operae fabriles, in “ Z. S.S. , (1902), 23, 143-158. 730 EMILIO ALBERTARIO berto operas sibi aut Sempronio recte stipulatur: et libertus obligatione solvetur, si tales operas extraneo dederit, quales patrono praestando liberaretur. D. 38. 1. 24 (Julianus ]. 52° dig.): Quotiens certa species operarum in stipulationem deducitur, veluti pictoriae fabriles, peti quidem non possunt nisi praeteritae, quia etsi non verbis, at re ipsa inest obligationi tractus temporis, sicuti cum Ephesi dari stipulemur, dies continetur. Et ideo inutilis est haec stipulatio : «“ operas tuas pictorias centum hodie dare spondes? , Cedunt tamen operae ex die interpositae stipulationis. Sed operae, quas patronus a liberto postulat, confestim non cedunt, quia id agi inter eos videtur, ne ante cederent, quam indictae fuissent, sci- licet quia ex commodo patroni libertus operas edere debet: quod in fabro vel pictore dici non convenit. In entrambi i testi le opere, che il liberto promette, sono contrapposte nettamente alle opere fubriles vel pictoriae. Nel primo di essi è fatta anche l'ipotesi che il liberto sia un faber o un pictor, ma non è punto detto che per conseguenza le sue opere siano fabriles o pictoriae. In questo caso è solamente am- messa la validità di una adiectio solutionis causa. I testi or ora considerati, pertanto, consentono di conchiu- dere così. Le opere fabriles sono opere completamente estranee al rapporto giuridico del patronato. Esse veramente, come dice il fr. 9$S1 D. 38. 1, eius generis sunt, ut a quocumque cuicumque solvi possint. Le opere, che il liberto deve al patrono, sono sempre nel- l'epoca classica opere officiales. Il liberto può essere un faber 0 un pictor: non perciò le sue opere diventano fabriles: rimangono opere officiales, perchè sono anch'esse la concreta manifestazione di quell’officivm che il liberto deve al patrono. E i giuristi, per designare le prestazioni professionali del liberto, adoperano sempre una stessa parola: artificium (fr. 26 $ 12 D. 12. 6: officiales operas... nisi forte in artificio sint — fr. 9$ 1 D. 38. 1: si in artificio sint — fr. 16 D. eod.: eius ar- | tificii... operas — fr. 23 pr. D. eod.: si libertus faber aut pietor | fuerit, quamdiu id artificimm exercebit — fr. 25 D. eod.: nam si quis pantomimum vel archimimum libertum habeat... medici servos eiusdem artis libertos perducunt, quorum operis perpetuo uti non aliter possunt, quam ut eas locent. ea et in ceteris NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 731 artificibus dici possunt — fr. 38 $ 1 D. eod.: si tamen libertus artificium exerceat... quod sì artificium exercere desierit — fr. 50 pr. D. eod.: dignitati facultatibus consuetudini artificio eius con- venientes edendas). La prestazione professionale del liberto è univocamente in- dicata. E, mentre questa prestazione professionale, nel fr. 23 pr. D. 38. 1, già considerato, è nettamente contrapposta all’opera fabrilis vel pictoria, nel fr. 26 $ 12 D. 12. 6 (officiales operas... nisi forte in artificio sint) è esplicitamente riassunta nella ca- tegoria dell’opera officialis (1). Non essendo la prestazione professionale del liberto che un’opera officialis anch'essa, si comprende come i giuristi defi- niscano l’opera un officium e adoperino le due parole l'una in- vece dell’altra. fr. 1 D. 38. 1: Operae sunt diurnum officium. fr. 3 $ 1 D. eod.: Nec pars operae per horas solvi potest, quia id est officiù diurni. fr. 22 pr. D. eod.: cum enim operarum editio nihil aliud sit quam officti praestatio. fr. 26 $ 12 D. 12. 6: si non operae patrono sunt solutae sed, cum officium ab eo desideraretur, cum patrono decidit pe- cunia et solvit..... Ammettendo che il liberto deve al patrono anche le opere fabriles differenziate dalle opere officiules, anzi contrapposte ad esse, i testi ora riferiti non sarebbero assolutamente spiegabili. È preparata la via per giungere ad apprezzare il valore che hanno i tre testi delle Pandette, i quali distinguono le opere officiales dallo opere fabriles e le une e le altre ricollegano al rapporto giuridico del patronato. I testi sono i seguenti: fr. 26 $ 12 D. 12. 6 (Ulp.): Libertus cum se putaret operas patrono debere, solvit: condicere eum non posse, quamvis putans se obligatum solvit, Julianus libro decimo digestorum scripsit: natura enim operas patrono libertus debet. sed et si non operae patrono sunt solutae, sed, cum officium ab eo desideraretur, (1) In un mio precedente studio (cfr. E. ArserTARIO, La costruzione nisi - tunc enim ed altre somiglianti, in “ Filangieri ,, 1911, nn. 11-12, p. 24 estr.) ho ritenuto questo fr. alterato, ma solo formalmente. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 49 732 EMILIO ALBERTARIO cum patrono decidit pecunia et solvit, repetere non potest. sed si operas patrono erhibuit non officiales, sed fabriles, veluti pictorias vel alias, dum putat se debere, videndum an possit condicere... Poi, due testi collocati sotto la rubrica de operis libertorum. fr. 6 D. 38. 1 (Ulp.): Fabriles operae, ceteraeque, quae quasi in pecuniae praestatione consistunt, ad heredem transeunt, officiales vero non transeunt. fr. 9 D. eod. (Ulp.): Operae in rerum natura non sunt. Sed officiales quidem futurae nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono, cum proprietas earum et in edentis persona et in eius cui eduntur constitit: fabriles autem aliaeve eius generis sunt, ut a quocumque cuicumque solvi possint. sane enim, si in artificio sint, iubente patrono et alii edi possunt. Quanto al primo testo, riesce facile dimostrare che il pe- riodo — in cui le opere fabriles rappresentano insieme con le opere officiales le prestazioni che il liberto deve al suo patrono — è stato alterato. Il Biondi ritiene il testo alterato anche in più larga mi- sura. Non è compito mio determinare qui i limiti precisi della alterazione: rilevo, però, che il Biondi ha addotto, per una più larga alterazione di quella da me supposta, indizi abbastanza no- tevoli (1). A me importa fissare l'origine tribonianea del periodo, in cui le opere fubriles sono nettamente richiamate al rapporto giuridico del patronato. Ed il fissarla è — lo ripeto ancora — agevole. Proprio poco prima nello stesso paragrafo Ulpiano avverte: sed et si non operae patrono sunt solutae, sed, cum officium ab eo desideraretur, cum patrono decidit pecunia et solvit...; lascia chiaramente intendere, in altre parole, come già rilevai, che operae ed officium sono due sinonimi; che nel rapporto di patronato non vi possono essere che opere officiales, in qua- lunque modo l’officium sì presti, quale che sia l’opera (profes- sionale, o non) che viene prestata. Se così è, come è possibile che poi lo stesso Ulpiano di- stacchi le prestazioni professionali del liberto dal novero delle opere officiales e le chiami fabriles ? Faccio un altro rilievo. Erhibere operas è espressione che (1) Cfr. anche BrseLer, Beitrdge, III, 148. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 199 non sembra usata dai giuristi; che può, invece, benissimo ap- partenere a quei compilatori, 1 quali in testi interpolati adope- rano nei più varii significati il verbo exhidere (1). Una scorsa, fatta attraverso il titolo de operis libertorum (D. 38. 1), dà il seguente risultato. 1 giuristi dicono: edere operas (fr. 9 $ 1, 38 $ 1, 49, 50) o solvere operas (fr. 3 $ 1, 10 $ 1, 15 $ 1) o più spesso ancora praestare operas (fr. 7 $ 3, 15 pr., 16, 18, 20 pr., 22 pr., 23, 35, 87 pr., 38, 48 $ 2). Queste considerazioni mi sembrano sufficienti per far rite- nere che le opere fabreéles sono nel fr. 26 $ 12 D. 12. 6 riferite al rapporto di patronato dai compilatori, non dal giureconsulto. Quanto ai due testi ulpianei, riferiti nel titolo de operis libertorum (D. 38.1), non resta che da richiamare quanto acu- tamente osservò già il Mitteis. Soltanto la collocazione, che diedero ad essi i compilatori, può far ritenere che le opere fabriles rientrino nella categoria delle opere dei liberti. Nel titolo de operis libertorum si distinguono le opere fabriles dalle opere officiales: perciò sembrano opere dei liberti le une e le altre. Ma nell’opera ulpianea, nel Commentario di Ulpiano ad Sabinum, i due testi non avevano questo esplicito riferimento alle operae libertorum, che hanno nella compilazione giustinianea. Il fr. 6 D. h. t. si riferiva originariamente all’adrogatio ed il giurista, rilevando quali erano i diritti che dall’arrogato tra- passavano nell’arrogante e quali non trapassavano, separava le opere officiales, cioè le opere dei liberti, dalle altre opere (von den gew6hnlichen ‘ operae fabriles ’). Anche il fr. 9 si riferiva originariamente alla restituzione della dote soluto matrimonio, e riguardava precisamente l’ipotesi che il marito avesse manomesso uno schiavo dotale. Quid delle opere che il liberto aveva promesso al marito manomettente ? Ulpiano avvertiva che, essendo esse operae officiales, dovevansi prestare solo al patrono, a meno che consistessero in prestazioni professionali: sane enim, si in artificio sint, iubente patrono et alii edi possunt. “ Die daneben noch genannten fabriles — sog- giunge il Mitteis — sind dann nicht als unmittelbarer Gegenstand (1) Cfr. ALBertARIO, Rend. Ist. Lomb., 1913, p. 856, n. 4. 734 EMILIO ALBERTARIO der Dotalrestitution genannt, sondern nur als theoretisches Beispiel, um fiir die officiales die Untersuchung zu vertiefen ,. Dopo ciò possiamo conchiudere. Il diritto romano classico non ricomprendeva nelle operae libertorum le operae officiales e le operae fabriles. Affermava che operae libertorum erano sola- mente le operae officiales, le quali sempre così si chiamavano e sì consideravano, anche se consistevano in artificio, anche se erano, insomma, prestazioni professionali. Le operae fubriles erano estranee al rapporto di patronato, completamente. La riforma giustinianea è duplice : terminologica e sostanziale. I) Mitteis lo negò, a mio modesto avviso non esattamente. Dopo essersi domandato, come mai i compilatori poterono tra- sportare i testi ulpianei sotto la rubrica de operis libertorum in modo da far credere che essi annoverino tra le opere dei liberti anche le opere fabriles, egli risponde: “ Der Grund ist ganz einfach der, dass sie auf einer fest- stehenden Terminologie fussten, welche dieses Missverstàndniss ausschloss. Dass Freigelassenendienste immer officiales sind und fabriles immer Handwerkerdienste, das wusste eben damals, wo das Patronat noch ein lebendes Institut war, Jedermann... ,. A mio avviso, invece, riferendo sotto il titolo de operis liber- torum i due testi ulpianei (fr. 6 e fr. 9) che avevano originaria- mente esplicito riferimento non al rapporto di patronato, ma a tutt'altri rapporti, i compilatori dimostrano di voler chiamare operae fabriles quelle prestazioni professionali dei liberti, che i classici ritenevano sempre officiales, per quanto consistenti in artificio. Le prestazioni professionali dei liberti non sono più chiamate nella nuova epoca operae officiales, non sono più indi- cate col tecnico classico termine ‘ artificium’, ma diventano operae fabriles. Interpolato il fr. 26 $ 12 D. 12.6, artificiosamente spostati dalla loro originaria sede i ffr. 6 e 9 D. 38.1, i compilatori non alterarono gli altri testi: non alterarono sopratutto il fr. 23 pr. e il fr. 24 D. eod. Così un’altra volta il cattivo metodo dei compilatori lascia agevolmente scorgere l'alterazione profonda che, a questo ri- guardo, la classica terminologia romana subì. Ma la riforma giustinianea è sopratutto sostanziale. La NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 755 riforma terminologica non fu che il mezzo adoperato per ese- guirla. I compilatori vogliono che le prestazioni professionali del liberto siano — come qualsiasi altra prestazione professionale al di fuori del rapporto di patronato — ereditariamente trasmis- sibili (trapassino, cioè, anche nell’erede estraneo); e siano esi- gibili da chiunque. Perciò alterano, ampliandolo, il significato dell’espressione ‘ operae fabriles”. Perchè così vogliano i compilatori, vedremo in seguito. Per ora importa conchiudere che anch’io ritengo, come ritiene il Biondi, che la distinzione tra opere officiales e opere fabriles in ordine alle opere dei liberti risale ai compilatori giustiniarei; che anch'io ritengo, com’egli ritiene, che i compilatori per i primi ammettano il passaggio delle prestazioni professionali del liberto agli eredi estranei del patrono; ma che non giungo a questo risultato attraverso la profonda alterazione del fr. 6 e del fr. 9 D. 38.1, che egli suppone: alterazione non dimostrata e, per quanto a me sembra, inverosimile. I due testi furono, è vero, alterati; ma mediante quel semplice spostamento, sul quale richiamò l’attenzione il vigile acuto occhio del Mitteis, dal quale — però — il Mitteis non dedusse quella innovazione dei Giusti- nianei, terminologica e sostanziale insieme, che affermiamo — per vie diverse — il Biondi ed io. . Mediante quel semplice spostamento l’opera fabrilis è espres- sione che indica la prestazione professionale anche del liberto: mediante esso, come qualsiasi altra prestazione professionale al di fuori del rapporto di patronato, anche le prestazioni profes- sionali del liberto ad heredem transeunt: trapassano, cioè, nel- l’erede estraneo (fr. 6); cuicumque solvi possunt (fr. 9). Il. Operae praeteritae, futurae. Il Biondi ritiene che il diritto classico distinguesse le opere dei liberti in praeteritae e futurae, a seconda che fossero, o non, già indictae; cioè, già richieste dal patrono: che le prae- teritae fossero trasmissibili anche all’erede estraneo: le futurae, ad esso intrasmissibili : che Giustiniano abbia stabilito il pas- e 736 EMILIO ALBERTARIO saggio all’erede estraneo anche delle futurae sostituendo, però, alla distinzione classica tra opere praeteritae e opere futurae la distinzione tra opere officiales e opere fabriles: all’erede estraneo passerebbero soltanto le opere fabriles. non le officiales. Tutta questa complicata innovazione non è, se io vedo bene, esatta. Io ritengo invece che le opere dei liberti — fossero esse indictae o non, fossero d’indole strettamente personale (officiales, senz'altro) o di carattere professionale (officiales, in artificio) — non si trasmettevano nell'epoca classica all’erede estraneo. Nell'epoca giustinianea il diritto alle opere vien fatto aderire con tutti i possibili sforzi alla qualità di erede: perciò in ordine alle opere dei liberti sorge la distinzione tra opere officiales e fabriles: queste passano all’erede estraneo, sempre; perciò le opere officiales si distinguono in praeteritae e futurae: le praeteritae passano anche all’erede estraneo. Le sole opere, che non passano all’erede estraneo, sono le opere officiales futurae. A tanto neppur Giustiniano si sentì di arrivare. Il Biondi riconosce l'esattezza del principio, da me posto in luce, che il diritto alle opere era nell'epoca classica ricol- legato alla qualità di discendente agnato del patrono e non a quella di erede. Ma ritiene che, ciò non ostante, le opere prae- teritae passassero anche all’erede estraneo, appunto perchè quel carattere strettamente personale e familiare del diritto alle opere veniva*meno con l’indictio fatta dal patrono. Per provare il suo assunto egli cita la e. 7, C. 6, 3: Imp. Alexander A. Minicio (a. 224) Nec patronis pro operis mercedem accipere licet, quamvis, si indictae operae praestitae non sint, ad pecuniae exactionem obsequii non praestiti aestimatio convertatur. Queste ultime parole della ce. sono, secondo il Biondi, deci- sive per far ammettere il passaggio delle opere praeteritae anche all’erede estraneo. Svanito, dopo l’indictio, il carattere fami- liare del diritto alle opere, non resta che una obbligazione avente per oggetto una somma di denaro, perciò ereditaria- mente trasmissibile. A me non sembra che, così, sia bene intesa la ce. di Ales- sandro. L'imperatore vuol affermare il principio che il diritto alle opere non deve considerarsi fonte di luero, anche se per le opere richieste, e non prestate, il liberto è tenuto a dare al NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 737 patrono l’equivalente in danaro. E niente più. Non è possibile dedurre dalla c. che anche l’erede estraneo può pretendere la exactionem pecuniue per le opere richieste dal patrono e non prestate. Anzi, dalla c. si deduce il contrario. Essa dice preci- samente così: Ad pecuniae exactionem obsequii non praestiti aestimatio con- vertatur. Dice che, dopo l’'indictio, verrà valutato in una somma di denaro l’obsequium non praestitum. Ora, se all’erede estraneo l’ob- sequium non è dovuto — come il Biondi ha pur giustamente riconosciuto ricollegando il diritto alle opere alla qualità di di- scendente agnato, non alla qualità di erede —, come è possibile valutare in denaro un obseguium che non si deve? Se la somma di denaro sostituisce — dopo l’indictio — la prestazione delle opere non avvenuta; se è dovuta invece del non prestato 08- sequium, è evidente che essa non può spettare all’erede estraneo, perchè a lui l’obsequium non è dovuto, perchè nel caso dell'erede estraneo essa non sostituisce alcuna cosa. Per sostenere il suo assunto il Biondi invoca anche l’ana- logia del passaggio agli eredi delle azioni penali. L’obligatio ex delicto — egli avverte — è strettamente personale ed in- trasmissibile agli eredi; ma dopo la Vitis contestatio l’obbliga- zione passa agli eredi, perchè alla precedente obbligazione se ne è sostituita un’altra, ex litis contestatione, avente carattere e contenuto patrimoniale. Io innanzitutto rilevo che questo argomento analogico po- trebbe essere addotto nel solo caso che, iniziatosi il iudicium operarum, fosse avvenuta la contestazione della lite. L’ ana- logia, insomma, invocata dal Biondi reggerebbe se il iudicium operarum fosse già stato intentato contro il liberto e se già in questo ivdicium fosse intervenuta la Vitis contestatio: non reg- gerebbe per le opere praeteritae (che sono le opere non pre- state durante il tempo stabilito), a proposito delle quali non si fosse ancora verificata la contestatio litis nel corso del iudicium operarum. Questa osservazione non mi sembra discutibile. Ma, anche così limitato, l'argomento analogico addotto dal Biondi a mio avviso non regge. Il diritto alle opere spetta al patrono: morto il patrono 738 EMILIO ALBERTARIO spetta al suo discendente agnato, anche se non è erede, anche se il iudicium operarum non era stato promosso dal patrono e la litis contestatio non ‘era intervenuta. Cid è detto con la più limpida chiarezza dal fr. 29 D. 38. 1: Si operarum iudicio actum fuerit cum liberto et patronus decesserit, convenit translationem heredi extraneo non esse dandam: filio autem et si heres non extat et si lis contestata non fuerat... Se quell’analogia, che il Biondi richiama, realmente esi- stesse, ne deriverebbe che il liberto, convenuto col iudicium operarum dal proprio patrono — che però muore dopo la. litis contestatio — sarebbe contemporaneamente tenuto e verso il figlio e verso l'erede estraneo. Cosa assurda ed impossibile, L'azione penale passa dopo la litis contestatio all'erede; il diritto alle opere, no. È naturale. Perchè il diritto alle opere è un diritto in ogni momento estraneo all'eredità. Ce lo dicon chiaramente le fonti. Nel fr. 4 D. 38. 1 Ulpiano avverte: A duobus manumissus utrique operas promiserat: altero ex his mortuo nihil est, quare non filo eius..... operarum detur petitio: nec hoc quiequam commune habet cum hereditate aut bo- norum possessione, Credo di aver già così scalzati gli argomenti sui quali il Biondi appoggia la tesi che anche all’erede estraneo potevano nel- l'epoca classica spettare le opere praeteritae»sia che per praeteritae si intendano — come qualche volta il Biondi intende — le opere indictae e non prestate nel tempo per il quale furono richieste, sia che per praeteritae s'intendano — come egli intende qualche altra volta — le opere, a proposito delle quali è stato esperito il iudicium operarum e la litis contestatio è già intervenuta. Possiamo ora considerare i singoli testi per dimostrare come l’esegesi fattane dal Biondi è, se non erro, insostenibile. E innanzitutto vediamo più da presso il fr. 4 D. 38. 1 (Ulp. 1. 4° ad Sabinum), or ora in parte riferito: A duobus manumissus utrique operas promiserat: altero ex his mortuo nihil est, quare non filio eius, quamvyis superstite altero, operarum detur petitio. mec hoc quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione: |perinde enim operae ar pecunia credita petitur.| haec ita Aristo seripsit, cuius NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 739 sententiam puto veram: [nam etiam praeteritarum operarum actionem dari heredi extraneo sine metu exceptionis placet. dabitur igitur et vivo altero patrono. 1 Secondo il Biondi, i compilatori avrebbero interpolato sol- tanto ‘etiam’, giacchè, mentre — secondo lui — i giuristi classici ammettevano il passaggio all’erede estraneo delle opere praeteritae, i compilatori -—- sempre secondo lui — vorrebbero ammettere il passaggio all’erede estraneo anche delle opere futurae, purchè fabriles. Cavar fuori tutto ciò dal testo ulpianeo non è possibile. Per un motivo assai semplice. Il Biondi — che afferma passare all’erede estraneo nell'epoca giustinianea le opere fabriles (anche se futurae), non le officiales (anche se praeteritae) — non s'è dato pensiero di vedere che nel testo non si distingue tra opere fabriles e opere officiales. Ora, anche non ritenendo che le opere dei liberti sono nell'epoca classica soltanto officiales e che opera è sinonimo di officium, avremmo qui un testo, che parla generica- mente di opere (le quali possono essere e anche più solitamente non essere in artificio); un testo, in cui i compilatori intercalando ‘etim’ avvertirebbero che, praeteritae 0 futurae, le opere passano all’erede estraneo: tutte le opere, anche le officiales. Ed ecco, così, che il Biondi ammette una interpolazione che rovina la sua stessa tesi. A mio avviso, il testo è diversamente e più largamente interpolato. In esso il principio classico e il principio giusti- nianeo — come molte altre volte — si sovrappongono, in modo che il separarli non è difficile. Consideriamo perchè Ulpiano dice che l’operarum petitio possa esser data al figlio di uno dei due manomittenti, anche se ancor viva l’altro. Ulpiano spiega così: nec hoc quicquam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione: | perinde enim operae a libertis ac pecunia credita petitur]. Questa spiegazione ulpianea è composta di due parti, che cozzano fra loro. Nec hoc quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione — va benissimo. È una volta di più affermata energicamente l'indipendenza del diritto alle opere dalla eredità o dalla bonorum possessio. 740 EMILIO ALBERTARIO Ma, come si riallaccia a questa osservazione la motivazione suc- .- cessiva: perinde enim operae a libertis ac pecunia credita petitur? Io proprio non so. Se le opere si chiedono ai liberti come . una pecunia credita, perchè dire che il diritto alle opere dei liberti nec quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione? Dovrebbe essere tutto l'opposto: come ogni altra pecunia credita, dovrebbe far parte della eredità e della donorum possessio. Non si può uscire da questo intrico, se non ammettendo che la frase perinde enim operae a libertis ac pecunia credita petitur sia tribonianea. A ciò deve indurre anche la imperdonabile sgrammaticatura, sulla quale io prima non insistei, e che il Biondi ora non rileva: operae (pl.) ..... petitur (sing.)! Perchè i compilatori interpolarono questa frase? È facile comprenderlo. Essi volevano concedere l’operarum petitio per le opere praeteritae anche all'erede estraneo. Trovavano un ostacolo nell’affermazione del giurista affermante che il diritto alle opere ‘nec quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum posses- sione’ e vi riparano avvertendo — con una frase che è sostan- zialmente una stonatura e formalmente una sgrammaticatura — che il diritto alle opere è come il diritto a una pecunia credita! Fatto ciò, essi possono, subito dopo, interpolare: nam etiam praeteritarum operarum actionem dari heredi extraneo sine metu exceptionis placet. lo dimostrai già come questa frase si dovesse ritenere tri- bonianea, e ho avuto il piacere di veder accolto questo mio modesto rilievo critico dal severo intelletto di P. Kriiger. Il bisogno, che il Mommsen sente, di inserire, dopo ‘ dabitur igitur et vivo altero patrono’, le parole ‘patroni filio’ nasce per l'ap- punto e solamente dall'aver i compilatori intrusa la menzione dell'erede estraneo. Liberato dalle alterazioni subite per conce- dere anche all'erede estraneo il diritto alle opere praeteritae, il testo ulpianeo presenta un limpido dettato: A duobus manumissus utrique operas promiserat: altero ex his mortuo nihil est, quare non filio eius, quamvis superstite altero, operarum detur petitio. nec hoc quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione. haec ita Aristo seripsit, NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 741 cuius sententiam puto veram. dabitur igitur et vivo altero patrono. Veniamo al fr. 6 D. h. t. (Ulp. 1. 26° ad Sabinum): Fabriles operae ceteraeque, quae quasi in pecuniae praesta- tione consistunt, ad heredem transeunt, officiales vero non transeunt. Il Biondi crede di ricostruire il testo classico in modo sicuro, così: Praeteritae operae, quae quasi in pecuniae praestatione consistunt, ad heredem transeunt, futurae vero non transeunt. Egli sostituisce praeteritae a fabriles, futurae a officiales non per qualche nuova considerazione, ma per quell’ ‘etiam’ che egli crede sia la sola parola interpolata nel fr. 4 D. h. t., che abbiamo testè veduto. L’erroneità della sua esegesi e dei suoi rilievi intorno al fr. 4 prova l’inconsistenza della sostituzione che egli vuol fare nel fr. 6. Perchè poi egli sopprima ceteraeque, data quella ricostruzione e data la sua tesi in ordine alle opere dei liberti, io non comprendo. Anche il fr. 6 è interpolato, ma in ben diversa maniera e per ben diverso fine da quel che il Biondi suppone. Che cosa sono le ceteraeque (operae) quae quasi in pecuniae praestatione consistunt? È pronta la risposta: le opere praeteritae! Le opere fabriles sono per i giustinianei — come abbiamo visto — le prestazioni professionali del liberto, valutabili în denaro: le altre opere, quae quasi in pecuniae praestatione consistunt, non possono essere che le opere officiales (nel senso giustinianeo, già chiarito) praeteritae! Nel fr. 4 i giustinianei ammettono il pas- saggio delle opere praeteritae all’erede estraneo perchè le con- siderano ‘pecunia credita’: qui nuovamente le considerano opere ‘ quae quasi in pecuniae praestatione consistunt’. La stessa mano interpolante; in fondo, anche lo stesso concetto inter- polato. A far vieppiù ritenere Ja interpolazione, rilevo l’indetermi- natezza di ‘ceteraeque’ e le frequentissime interpolazioni fatte con questa parola; noto anche il compilatorio uso del ‘quasi’. Il testo classico diceva soltanto: Fabriles (e s'intendevano le opere estranee al rapporto di patronato!) operae ad heredem transeunt, officiales (e s’intende- vano tutte le opere dei liberti!) vero non transeunt. . 742 EMILIO ALBERTARIO Consideriamo ora un successivo testo ulpianeo, il fr. 9 D, h. t, (1. 34° ad Sabinum): Operae in rerum natura non sunt. Sed officiales quidem futurae nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono, cum pro- prietas earum et in edentis persona et in eius cui eduntur con- stitit: fabriles autem aliaeve eius generis sunt, ut a quocumque cuicumque solvi possint. sane enim, si in artificio sint, iubente patrono et alii edi possunt. Il Biondi trova, come tutti del resto, stranamente collocato il ‘futurae’ e da ciò prende la spinta per ricostruire il testo classico in questa maniera: Operae in rerum natura non sunt. Sed quidem futurae nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono et liberis eius. prae- teritae eius generis sunt, ut cuicumque solvi possint. Questa ricostruzione è ben lungi dal persuadere. Intere frasi sono tolte via dal frammento del giurista, parole sono sostituite a parole, senza saperne il perchè. Perchè la frase ‘cum proprietas earum et in edentis persona et in eius cui eduntur constitit’ è spazzata via? perchè egual sorte tocca alla frase finale ‘ sune enim, si in artificio sint, iubente patrono et ali edi possunt' ? Perchè è interpolato ‘ aliaere "; perchè è interpolato * @ quo- cumque’ ? Il Biondi non dice una parola. E, a mio modesto avviso, non poteva dirla. Ma anche l'eliminazione della parola ‘ officiales ’, anche la so- stituzione di ‘ praeteritae” a ‘ fabriles’ sono impossibili. Prescindo da tutte le considerazioni già svolte. Curiosi quei compilatori, che intercalerebbero tra un ‘ sed’ e un ‘ quidem’ la parola ‘ officiales' e lascierebbero sopravvivere ‘futurae’ proprio per esprimere ine- sattamente la loro pretesa riforma! E che cosa vorrebbe dire nel testo ricostruito dal Biondi il barbaro ‘sed quidem *? Che il giurista poi dica: fubriles (operae) eius generis sunt, ut a quocumque cuicumque solvi possint, 10 capisco; ma non capirei se dicesse: praeteritae (operae) eius yeneris sunt, etc. Le opere praeteritae possono essere giuridicamente disciplinate (Giu- stiniano, secondo me, le disciplina) in modo diverso dalle opere futurae: ma si può dire che perciò esse hanno uno speciale genus? Io credo di doverlo negare. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 143 Vediamo invece come i compilatori hanno alterato il testo. Chiudo tra le parentesi le parole che io ritengo interpolate. Operae in rerum natura non sunt. Sed officiales [quidem futurae| nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono, cum proprietas earum et in edentis persona et in eius cui eduntur constitit: fabriles autem [aZiaeve] eius generis sunt, ut a quo- cumque cuicumque solvi possint. sane enim, si in artificio sint, iubente patrono et alii edi possunt. L'aggiunta ‘quidem futurae’ è compilatoria. I compilatori, che nel precedente fr. 4 e nel precedente fr. 6 ammettono il passaggio delle opere officiales praeteritae anche all’erede estraneo (fr. 4: nam etiam praeteritarum operarum actionem dari heredi extraneo sine metu exceptionis placet — fr. 6: ceteraeque quae quasi in pecuniae praestatione consistunt, ad heredem transeunt) non possono riferire, senza alterarlo, il principio classico riaf- fermato da Ulpiano che ‘officiales (operae) nec cuiquam alii deberi possunt quam patrono’. Il principio non è più vero per le opere officiales, che siano già praeteritae: perciò essi sog- giungono la limitazione ‘quidem futurae’. Così si spiega ‘ quidem futurae’ nel testo, così si spiega ‘quidem’ (1). Connessa con questa è la successiva intercalazione di ‘aliaeve’. Che cosa significa ‘aliaeve’ accanto a ‘fabriles’? Non mi par dubbia la risposta: significa ‘operae officiales praeteritae’. La interpolazione di ‘aliaeve’ richiama irresistibilmente la interpo- lazione fatta nel precedente fr. 6: ‘ ceteraeque’. È la innovazione giustinianea che spicca limpida anche qui. Le opere officiales futurae non spettano che al patrono (e ai suoi discendenti agnati): le opere fabriles e le opere officiales praeteritae possono essere prestate a chiunque, anche all’erede estraneo: sono come una ‘ pecunia credita’ (fr. 4); ‘ quasi in pecuniae praestatione consistunt’ (fr. 6); ‘ eius generis sunt ut cuicumque solvi possint’ (fr. 9). Un testo, a proposito del quale le considerazioni del Biondi sono ancor più evidentemente inaccettabili, è il fr. 20 $ 2 D. 29.2 (Ulp. 1. 61° ad ed.): (1) Il Kriicer segnala nella sua dodicesima edizione del Digesto anche questa interpolazione da me rilevata, per quanto non gli sembri così sicura come quella avvertita nel fr. 4. Spero che queste nuove osserva- zioni convertiranno la probabilità in certezza. a 744 EMILIO ALBERTARIO Si quid tamen quasi heres petit, sed ex his quae ad heredem extraneum non transeunt, videamus an oneribus se immerserit hereditariis. ut puta a liberto parentis operas petit; has heres extraneus petere non potuit, hic tamen petendo consequi potest. et constat pro herede eum non gessisse, cum petitio earum etiam non heredibus (Cuiacio: la Fiorentina ha un impossibile: eredi- toribus) competat |et marime futurarum). Secondo me, è interpolato questo ultimo inciso ‘et mazime futurarum'’. La forma stessa dell’inciso è sospetta: ‘maxime ’ è un tipico modo di dire dei compilatori. Qui essi riaffermano un'altra volta la loro innovazione. Il testo classico diceva che il figlio, istituito erede, non compie una gestio pro herede se chiede le opere al liberto del proprio padre, giacchè gli spetterebbero anche non erede. I compilatori che concedono anche all’erede estraneo il diritto alle operae officiales praeteritae e riservano al discendente agnato solamente il diritto alle operae officiales fu- turae, non possono più dire in modo assoluto che le operae offi- ciales spettano al figlio anche non erede, ma devono porre in rilievo che le opere spettanti al figlio anche non erede, non spettanti all'estraneo anche erede, sono ora le operae officiales futurae. Perciò soggiungono ‘et marime futurarum’, che altri- menti non sarebbe spiegabile. Le osservazioni che il Biondi fa intorno a questo testo sono, se io non vedo male, addirittura inverosimili. Anch’egli ritiene interpolato l’inciso ‘et marime futurarum’, ma per di più egli ritiene interpolato anche il precedente ‘etiam’ e, d'altra parte, ritiene l'una e l’altra interpolazione fondate su considerazioni, che mi sembrano strane assai. Egli è ugualmente disposto a leggere col Cuiacio “ etiam non heredibus , o col Mommsen “ etiam liberis tamquam credi- toribus ,. Ma, dopo ciò, osserva: “Qualunque delle due emendazioni si accetti, è chiaro che l'etiam si appalesa intruso: Ulpiano verrebbe a dire che anche ai figli compete la petitio delle operae! L’etiam invece si spiega in bocca dei compilatori ed ha la stessa portata dell'altro etiam intruso nel fr. 4 esaminato: cioè accordare anche all’erede estraneo la petitio delle operae futurae ,. Per me, tutto ciò è incomprensibile. Non dice una esattis- sima cosa Ulpiano, se dice (tenendo presente l'emendazione cuia- 7% PA Ì NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 745 ciana, che pure il Biondi accetta) che il diritto alle opere spetta ai figli anche non eredi? Non è ciò il principio riaffermato altrove dallo stesso Ulpiano, proprio nel fr. 4 D. 38. 1 che il diritto alle opere non ha alcunchè di comune colla eredità e colla donorum possessio (nec hoc quiequam commune habet cum hereditate aut bonorum possessione)? E, d'altra parte, che cosa permette di riferire l’etiam all’heres extraneus? Io non so come il Biondi possa pensare a questo fantastico riferimento. Ancor più strano è il modo col quale egli spiega l’inter- polazione dell’inciso ‘et marime futurarum ’. “Solo i compilatori — egli incalza — rispetto al diritto dei figli alle operae possono dire marime futurarum perchè per essi anche l’erede estraneo ha diritto anche alle operae futurae ,. Se io non m'inganno, il Biondi è caduto in un grave equi- voco. Ma, se i compilatori avessero voluto affermare il principio (dal Biondi a loro attribuito) che all’erede estraneo passano anche le opere futurae, io dico che se ci sono parole che essi non dovevano mai interpolare, sono proprio quelle in realtà interpolate ‘et mazime futurarum’, colle quali queste opere sono riservate ai figli non eredi. C'è ancor di peggio. Il Biondi non si è accorto che il testo parla genericamente di operce: che non parla assolutamente di operae fabriles: che perciò, anche secondo la sua tesi, le operae in questo caso non dovrebbero passare per il diritto giustinianeo all’erede estraneo. E non si è accorto che il limpido dettato del testo scalza d’un colpo tutta la sua tesi. Egli sostiene che nel diritto classico l’erede estraneo aveva diritto alle opere prae- teritae. Questa affermazione trova in questo testo la sua confu- tazione più netta e più recisa: Si quid tamen (filius) quasi heres petit, sed ex his quae ad heredem extraneum non transeunt... ut puta a liberto parentis operas petit: has heres extraneus petere non potuit. Incredibile è l’esegesi, che il Biondi fa del fr. 29 D. 88. 1 (Ulp. 1. 64 ad ed.): Si operarum iudicio actum fuerit cum liberto et patronus decesserit, convenit translationem heredi extraneo non esse dandam: filio autem et si heres non extat et lis contestata non fuerat, tamen omnimodo competit, nisi exheredatus sit. Io addussi questo testo, sfuggito all’attività interpolatrice 746 EMILIO ALBERTARIO dei compilatori (e poteva sfuggire tanto più che appartiene alla massa edittale mentre il fr. 4, il fr. 6 e il fr.9 appartengono alla massa sadiniana), proprio per riprovare che nell'epoca clas- sica le opere dei liberti, anche praeteritae, non passavano al- l'erede estraneo. È ho avuto il piacere di notare che, mentre nelle precedenti edizioni del Digesto veniva richiamato in nota a questo testo il tentativo cuiaciano (sconsigliato dai Basilici!) di togliere il non, il Kriger nella sua più recente edizione (1911) insiste nell’avvertire che il no» dev'essere mantenuto. Se c’è testo che rispecchia nel modo più chiaro il classico stato di cose, è per l'appunto questo. L’erede estraneo non ha diritto alle opere anche se è stata contestata la lite col patrono; il figlio ha diritto ad esse anche se la contestatio litis non s'è verificata, anche se non è erede. Che cosa fa il Biondi? Giustamente egli non si sente il co- raggio, per eliminare l’insormontabile difficoltà che questo testo costituisce per la sua tesi, di sopprimere il non; ma fa di peggio. Egli ritiene interpolato il non e interpolato tutto l’inciso ‘ filio autem et si heres non extat et si lis contestata non fuerat, tamen omnimodo competit, nisi erheredatus sit’. Questa esegesi mi sembra disperata. Che all'attività inter- polatrice dei compilatori un testo possa sfuggire, è cosa non soltanto spiegabile, ma anche indubitabile, dati i frequenti esempi che ormai possediamo. Che, invece, i compilatori, trovandosi innanzi un testo che fa per loro, lo interpolino per fargli dire cosa opposta a quella che è la loro dottrina, è cosa che nessuno ha detto finora e che nessuno potrà mai dire. Ciò avverto per quanto riguarda la supposta interpolazione del non. Ciò posso avvertire anche per la frase ‘filio autem et sì heres non extat et si lis contestata non fuerat’. Questa frase, se appartiene al giurista, si spiega; se appartiene ai compila- tori che innovano come pensa il Biondi, non si può spiegare. Se appartiene ad Ulpiano, non fa che ripetere ciò che lo stesso Ulpiano altrove dice: ‘nec hoc (petitio operarum) quicquam com- mune habet cum hereditate aut bonorum possessione’ [fr.4 D. 38.1); hic (filius) petendo (operas) consequi potest, et constat pro herede eum non gessisse, cum petitio earum etiam non heredibus competat [fr. 20 $ 2 D. 29. 2]. Se appartiene ai compilatori, perchè costituire una diffe- NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 747 renza tra il filius e l’heres extraneus col dire che al filius spet- tano anche se lis contestata non fuerat, dal momento che il Biondi ritiene che per innovazione giustinianea all’erede estraneo spettano anche le opere futurae? E ancora: non ritiene il Biondi che nell'epoca giustinianea passino all’erede estraneo le opere fabriles anche se futurae, non passino le officiales anche se prae- teritae? come mai i compilatori qui non distinguono? Egli è trascinato a supporre l’interpolazione da questo mo- tivo: “la dichiarazione che le operae spettano al figlio et si heres non extat è in aperto contrasto coll’insegnamento che ci tramanda come ius receptum Gaio nel fr. 22 $ 1 D. h. t.: constat liberis eius ita demum deberi, si patri heredes extiterint ,. Ma, anche a questo riguardo, mi pare che il Biondi non colga nel segno. Il testo gaiano, da lui riferito, dice così: Cum libertus promiserit patrono operas se daturum neque adiecerit liberisque eius, constat liberis eius, etc. Il Biondi ha trascurato la circostanza essenziale ‘ neque adie- cerit liberisque eius’. In questo caso era necessario che i figli fossero eredi, ma questo era anche il caso eccezionale. Perchè solitamente le opere venivan promesse al patrono ‘ liberisque eius’. Accadeva per le opere quel che accadeva per i sepolcri. Era cosa eccezionale che il patrono facesse promettere le opere soltanto a sè, come era eccezionale che il paterfamilias dedicasse un sepolcro a sè soltanto. Il patrono faceva promettere le opere a sè e ai suoi figli, nella stessa guisa che il paterfamilias de- dicava il sepolcro ‘ sibi liberisque suis’. Paolo riferisce nel fr. 37 pr. D. 38.1 le parole della lex Julia et Papia: ‘ ne quis eorum operas doni muneris aliudve quicquam libertatis causa patrono patro- naeve liberisque eorum, de quibus iuraverit vel promiserit obliga- tusve erit, dare facere praestare debeto ’ (1). (1) In un altro suo seritto (Il giuramento decisorio nel processo civile romano, Palermo, 1913, 28, n.- 1) il Brownpr afferma che nel fr. 29 D. 38. 1 sì nega la translatio iudicii all’erede estraneo, perchè l’erede acquistava in questo caso iure proprio il diritto alle opere. Jus proprium? Ciò con- traddice a quanto afferma anche il Browpr, che le opere nell'epoca classica spettavano al patrono e ai discendenti agnati, non agli eredi. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 50 748 EMILIO ALBERTARIO II. Il rapporto di patronato e l’eredità. Ho cercato, modestamente, di confutare gli argomenti ge- nerali e i rilievi esegetici particolari sui quali il Biondi con molto acume ha collocato la sua nuova tesi. Io spero, così, di aver ristabilita l'esattezza del risultato già raggiunto in quel mio primo scritto e di averlo anche più ampliato e più deter- minato: di avere, insomma, intorno a questo punto del diritto dell'erede estraneo alle opere dei liberti, esaurita l’interessan- tissima indagine. Prima di chiudere queste nuove osservazioni, è opportuno rivolgere uno sguardo al vario atteggiarsi del rapporto di pa- tronato rispetto all'eredità nel mondo romano. Il diritto di patronato e il diritto di sepolcro hanno la stessa storica vicenda. Sono elementi extrapatrimoniali dell’ eredità in un’ epoca molto remota, nella quale soltanto i figli potevano essere eredi. Nell'antica organizzazione politica della familia romana gli ele- menti costituenti il nucleo centrale della eredità sono i sacra, il diritto di sepolero, il diritto di patronato. Un meraviglioso ricorso storico dello stesso fenomeno constatiamo, a più di due millenni di distanza, presso la familia giapponese, anch'essa pic- colo organismo politico come l'antica familia romana. Sopraggiunge nel mondo romano un momento in cui sono chia- mati alla eredità estranei alla familia. La chiamata di eredi estranei altera e .scompone l'originario contenuto dell'eredità romana. Non essendo più il concetto dell'eredità in funzione del concetto di familia, nel senso che ora potevano essere eredi anche i non familiari, occorreva provvedere alla trasmissibilità di quei diritti che, come il diritto di sepolero e il diritto di patronato, ave- vano un carattere familiare, essenziale e indistruttibile. Il contenuto patrimoniale dell'eredità poteva spettare anche all’estraneo, ma il contenuto ertrapatrimoniale di essa, avente un incancellabile carattere familiare — come il diritto di sepolero e il diritto di patronato — non poteva spettare all’estraneo anzichè alla familia v all'estraneo insieme con la familia. La profonda fondamentale struttura di quei diritti sarebbe stata colpita. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 749 È appunto per questo che, quando si attuò la possibilità di chiamare all’eredità estranei, il diritto di sepolcro e il di- ritto di patronato si staccarono dall’eredità per restare sempre attaccati alla familia. È, questa, la fase classica dello svolgi- mento dei due diritti. Io ripresento un’altra volta, notevolmente aumentati, i testi classici che affermano Ja indipendenza del diritto di patronato dalla eredità, o che comunque pongono in splendido risalto il suo carattere familiare. DRayz10. Lib: #79.! edicto Carboniano locus non est: ac similiter cum certus est, quamvis filius sit, eum tamen heredem non fore, veluti si Titio herede instituto postumus aut impubes exheredatus negetur fillus. nec ad rem pertinet, quod interest illius in quibusdam filium esse, veluti propter fratris ex alia matre nati bona vel iura libertorum.....: istos enim casus ad Carbonianum constat non pertinere ,. D. 38. 1.29: “ Si operarum iudicio actum fuerit cum liberto et patronus decesserit, convenit translationem Heredi extraneo non esse dandam: filio autem et si heres non extat et sì lis con- testata non fuerat..... DI D. 29. 2. 20. 2: “ Si quid tamen (filius) quasi heres petit, sed ex his, quae ad heredem extraneum non transeunt, videamus, an oneribus se immerserit hereditariis. ut puta a liberto parentis operas petit; has heres extraneus petere non potuit... ,. C. 6.3.6: “ Liberti libertaeque defunctorum operas neque extraneis heredibus patronorum debent neque maritis patro- narum ,. D. 37. 14.9. pr.: “ Filii hereditate paterna se abstinentes ius, quod in libertis habent paternis, non amittunt..... , D. 38.1.4: “ A duobus manumissus utrique operas promi- serat: altero ex his mortuo nihil est, quare non filio eius, quamvis superstite altero, operarum detur petitio. nec Roc quiequam com- mune habet cum hereditate aut bonorum possessione... ,. D. 48. 22. 3: “ Eum, qui civitatem amitteret, nihil aliud iuris adimere liberis, nisi quod ab ipso perventurum esset ad eos, si intestatus in civitate moreretur: hoc est hereditatem eius et libertos, et si quid aliud in hoc genere repperiri potest ,. D. 38. 2. 47. 4: “ Paulus respondit, quamvis filii a patre mi- lite praeteriti pro exheredatis habeantur, tamen non eo usque 750 EMILIO ALBERTARIO silentium patris eis nocere debere, ut et a bonis libertorum avi- torum repelli debeant. idem responsum est etiam de bonis li- bertorum paternorum ,. D. 38. 1. 48. pr.: “ Sicut patronus, ita etiam patroni filius et nepos et pronepos, qui libertae nuptiis consensit, operarum exactionem amittit... ,. $ 2: “ Patronae, item filiae et nepti et pronepti patrovi, quae libertae nuptiis consensit, operarum exactio non denegatur... ,. D. 38. 1.51: “ Interdum operarum manet petitio, etiamsi ius patroni non sit: ut evenit in fratribus eius, cui adsignatus est libertus, aut nepote alterius patroni extante alterius patroni filio ,. C. 2.2.2: “ Venia edicti non petita patronum seu patronam parentes et liberos — a libertis seu liberis eorum non debere in ius vocari certissimum est... ,. D. 2. 4. 4. 1: “ Parentem patronum patronam, liberos pa- rentes patroni patronae in ius sine permissu meo ne quis vocet ,. In alcuni testi sembra che il diritto di patronato sia con- globato coll’eredità. Ma ritenere ciò sarebbe errore. Quei testi riguardano casi in cui l'erede è il filius e in cui, perciò, quei diritti spettano per la qualità di filius, non per la qualità di erede, D. 36. 1. 57 (55): “ Si patroni filius extrario restituerit ex Trebelliano hereditatem, operarum actio, quae transferri non potuit, apud heredem manebit... ,. D. 37.1. 24: “ Camelia Pia ab Hermogene appellaverat, quod diceret iudicem de dividenda hereditate inter se et cohe- redem, non tantum res, sed etiam libertos divisisse: nullo enim iure id eum fecisse. plane nullam esse libertorum divisionem ». D. 38. 1. 7.6: “ Si liberi patroni ex inaequalibus partibus essent instituti, utrum pro parte dimidia an pro hereditariis habeant operarum actionem? et puto verius liberos pro aequa- libus habituros actionem ,. Il diritto di sepolero e il diritto di patronato entrano nella loro ultima fase, quando incomincia l'epoca romano-ellenica. L'ultima fase del diritto di sepolero ci è nota. ll sepolero familiare viene aperto anche all’erede estraneo (1). (1) Le interpolazioni in questo campo sono state viste dal Mrrrers, Rimisches Privatrecht bis auf die Zeit Diocletians, 103, n. 22 e da me, sSe- NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 191 L’ultima fase del diritto di patronato si svolge in modo uniforme e parallelo. Il liberto non poteva durante l’epoca clas- sica, venia edicti non petita, chiamare in giudizio il patrono e certe persone a lui più vicine (patronum patronam eorumque parentes et liberos). Il liberto non poteva (è il caso che le fonti più chiaramente segnalano) chiamare in giudizio i figli del proprio patrono defunto. Ma l'epoca romano-ellenica ‘anche a questo 'riguardo innovò. L’ innovazione spicca in C. th. 4. 10. 2; C. iust. 6. 7.3 (a. 423); nella Nov. XXV (a. 447) di Valentiniano, e nella: c. 2 C. 2. 2, la cui interpolazione, già vista dal Mitteis (1), è stata con finezza di osservazioni dimostrata dal Castelli (2). E l’innovazione con- siste nel pareggiare la condizione dell'erede estraneo a quella del figlio. Ora il liberto non può chiamare in giudizio neppure l’erede estraneo del patrono defunto. Analogamente si sviluppò il diritto alle opere. Il liberto durante l’epoca classica doveva le opere al patrono e ai suoi discendenti agnati. Occorreva per aver diritto ad esse la qualità di figlio: non era richiesta, ed era vana, la qualità di erede. Ma l’epoca ro- mano-ellenica fu anche qui innovatrice. L’erede estraneo ora ha diritto a tutte le prestazioni professionali. valutabili in de- naro (operae fabriles) ed anche a quelle prestazioni di carattere strettamente personale, non prestate nel tempo per il quale furono richieste, anch'esse valutabili in denaro (operae officiales prae- teritae). Il diritto di sepolcro e il diritto di patronato sono, per- tanto, nell'epoca romano-ellenica e giustinianea riaccostati nuo- vamente, per quanto incompletamente, all'eredità. Il riaccostamento è incompleto per l’uno e per l’altro diritto. La vittoria del- l’erede estraneo non è assoluta. pulchra familiaria e sepuichra hereditaria in “ Filangieri ,, 1910. Nella dimostrazione, da me data, consente ora il Cosra, Storia del dir. rom. priv., 1911, 466, n. 1. (1) Rbmisches Privatrecht bis auf die Zeit Diocletians, 103, n. 23. (2) Sulla ‘in ius vocatio’ dell’erede estraneo del patrono in “ Filan- gieri ,, 1913, p. 3 (estr.). La genuinità della c. di Gordiano è affermata — ma, come il CasreLLi dimostra, non esattamente - dal Costa, Storia, ecc., 1911,,:467, n.d. 752 EMILIO ALBERTARIO Anche l’erede estraneo può essere seppellito nel sepolero familiare; ma l’erede estraneo non può, in forza del suo titolo di erede, escludere il famziliaris non erede dal sepolcro familiare. Anche l'erede estraneo ha diritto alle opere del liberto, quando siano prestazioni professionali (operae fabriles) o comunque va- lutabili in denaro (officiales praeteritae), ma l'erede estraneo non ha, in forza del suo titolo di erede, diritto alle prestazioni di carattere strettamente personale non ancora richieste (officiales futurae), che al filius spettano appunto per la sua qualità di filius. Lo sviluppo del diritto di sepolcro e del diritto di patro- nato nella nuova epoca non romana sembra essere stato im- perfetto : complicato assai e poco armonico. In realtà (specialmente per quel che riguarda il diritto alle opere dei liberti, di cui mi sono occupato in questa indagine) lo sviluppo — ch’esso subì -— s’intravede e si spiega, a ‘mio avviso, chiaramente. Il rapporto di patronato, innestato sull’or- ganismo della familia agnatizia romana, era destinato a modi- ficarsi e ad alterarsi nella nuova epoca, che segnò lo sfacelo di quell’antico organismo, e nel nuovo territorio. Sfasciatasi l’orga- nizzazione agnatizia della familia, i rapporti su essa innestati non potevano sopravvivere illesi; e d’altra parte, nel nuovo am- biente ellenico, i rapporti tra patrono e liberto dovevano smar- rire anch'essi l’antica impronta potestativa e familiare. Pertanto, quei diritti, che prima erano esclusivi del discen- dente agnato, perdono il loro carattere di esclusività e spettano, anche, in gran parte ad una persona, che nel nuovo riordinamento della familia, nel mutato ambiente giuridico-sociale, ha più lu- minoso risalto : l'erede. La nuova epoca, innovando, doveva anche qui procedere cauta: sovrapporsi all'antico stato di cose senza distruggerlo, neanche senza gravemente scomporlo. E il processo di riforma è, più che mai, cauto per ciò che riguarda le opere dei liberti, Come spetteranno le opere dei liberti all’erede estraneo? 1 giustinianei hanno dato questa risposta. Le opere, che non hanno carattere strettamente personale, possono spettare anche a lui, appunto per la sua qualità di erede, perchè costituiscono, in fondo, un credito del patrono verso il liberto. E l'erede, qua- lunque esso sia, subentra in tutti i crediti del patrono defunto. NUOVE OSSERVAZIONI SULLA TRASMISSIBILITÀ, ECC. 703 Essi avevano dinanzi a sè ciò che il diritto classico sta- biliva per le opere, che venivano prestate al di fuori del rap- porto di patronato. Quelle opere, essendo professionali, quindi valutabili in de- naro, passavano naturalmente all’erede. Erano le classiche operae fabriles. I giustinianei stabiliscono la trasmissibilità all’erede delle opere professionali anche del liberto che chiamano anch’ esse fabriles. Un gran passo, così, veniva compiuto. Ma, se si trasmettono all’erede estraneo le prestazioni pro- fessionali, :n quanto sono valutabili in denaro, perchè non si trasmetteranno le altre opere di carattere strettamente personale, non prestate nel tempo per il quale furono richieste, e che non sî possono prestare se non in denaro? Con questa considerazione i giustinianei compiono un altro passo : riconoscono la trasmis- sibilità all’erede estraneo delle opere officiales, richieste e non prestate (praeteritae). Il poter essere (operae fabriles), o il dover essere (operae officiales praeteritae) valutate in denaro è il momento per i giu- stinianei essenziale. Per i giuristi classici, questo momento era di nessun va- lore. La prestazione delle opere era incardinata sull’obsequium che il liberto doveva al patrono e ai discendenti agnati. All’erede estraneo l’obsequium non era dovuto mai : l'erede estraneo, quindi, mai poteva aver diritto alle opere. febbraio 1914. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. —_-——_—————_r__———8 100% rune ed dat ade) potersio. oJdnih li ga ma $& sa Di rio i +b Ja njudz dA ROMBERIE, of i È Lo 'Lago Ai nali N RITETO Pa nhao Tia preti DR, illob dbero Ma sluidiaRinani NI qui Abe dii 4 ‘Wong, ogsmaidto bit) yet sh PE IRA ago vealg O 49 ». ÙÒ à (dl ’ $i VITRO "TT vità L ste 10 11100, AVIMSY, £200 PERL: N8TR “rt IMGiRAadRanio di 0aAngtiRo sabers Ha anodiamagti ia SAL 18 : éd04 M] RASISSTURO si AVTUZUALOE pstos, ARMI VE Mia edi * pre larnos leq agnamzizatie sinodipiso iù 91 du anita ol uao Cul * mu sd: rianitini, onori aiBup li ta], Lasnsi l9n 61 dr - agtolsrtaiiago) sisslp sn Hdinnsk MUR AVO. 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Il Socio Grassi presenta in omaggio il 1° volume della 3* edizione del suo Corso di Elettrotecnica. — Inoltre, risultan- dogli che nella collezione degli “ Atti del Reale Istituto d’in- coraggiamento di Napoli ,, posseduta dall’Accademia, manca il volume 6° della 4? serie, egli offre in dono quel volume. — Il Presidente ringrazia. Vengono presentate, per l'inserzione negli Atti, le seguenti Note: G. Gora, Epatiche del Kashmir raccolte dalla spedizione Piacenza, dal Socio MarTIROLO ; C. L. Ricci, Dell’attrito nei freni e nei perni, inviata dal Socio GUIDI; G. Fusini, Definizione proiettivo-differenziale di una super- ficie, dal Socio SEGRE; Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 51 “ Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1913 all’Osser- vatorio della R. Università di Torino, calcolate dal D' Ettore Rogcero , inviate dal Socio NAccaRI. Il Socio Segre legge la Relazione dei Colleghi NaAccarI e SomieLiana sulla Memoria del D" Laura: Sul problema esterno della Dinamica dei mezzi elastici isotropi. Con votazione unanime la Classe accoglie la proposta di quella Relazione, favorevole alla stampa della Memoria. Infine il Socio MartIRoLo presenta, pure pei volumi delle Memorie, un altro lavoro del D" G. Gora: Epatiche della re- gione del Kenia (Africa orientale), ed uno di Enrico Mussa: La flora dell'Agro torinese, dopo i lavori di G. Balbis e di G. F. Re, e considerazioni sopra l’indigenato di talune specie. Riferiranno su entrambi i Soci MartIRoLo e PARONA. GIUSEPPE GOLA — EPATICHE DEL KASHMIR, ECC. 79 LETTURE Epatiche del Kashmir raccolte dalla Spedizione Piacenza. Nota del Dott. GIUSEPPE GOLA (con una tavola). Nella recente (Maggio - Settembre 1913) spedizione nel Kashmir, organizzata e diretta dal dott. Mario Piacenza, il dottor prof. Lorenzo Borelli, tra le altre importanti osservazioni e rac- colte, radunò una collezione briologica donata all'Istituto Bota- nico di Torino, e che fu affidata per lo studio al collega dottor Negri per i Muschi, e a me per le Epatiche. a La collezione, ricca di esemplari rappresentanti assai bene tutte le località percorse dalla Spedizione, è costituita per la massima parte da Muschi (400 esemplari circa) ancora sotto studio, e da un assai minor numero di esemplari di Epatiche (17); di queste rendo conto nella presente nota. Esprimo anzitutto i più vivi ringraziamenti agli egregi esploratori per avermi fornito l’occasione di studiare una regione epaticologicamente pressochè sconosciuta; del Kashmir infatti sì conoscono solo poche specie raccolte nel 1892-93 dal Duthie, e che sono state studiate dallo Stephani, senza fare oggetto, per quanto io so, di una pubblicazione speciale, ma che vennero e vengono descritte a poco a poco dallo stesso Stephani nel corso dell'opera “ Species Hepaticarum ,. Esse provengono special- mente dalla Valle Lindar. Gli esemplari che io ho avuto da studiare furono raccolti per la massima parte nella Valle del Sind a Nord e Nord-Est di Srinagar, ad una altezza tra i 1700 e 2600 m. sm. Altre provengono dal versante SW della catena del Nun-Kun nelle Valli Prool, Kiar e Brahma tra i 1900 e i 2800 m. sm. Uno È ii. 758 GIUSEPPE GOLA solo fu raccolto nella regione elevata verso i 4500 m. al Campo Safet. In tali 17 esemplari sono rappresentate 10 specie, delle quali tre nuove. Tutte mostrano la, stretta affinità che lega la flora epaticologica di questa regione con quella del sistema alpino e dell'Europa e dell'Asia settentrionali. Fimbriaria Calciatii n. sp. Dioica, parva, fusco-virens, margine subatra, crassa. Frons ad 8 mm. longa, 4 mm. lata, saepius minor, simplex, rarissime apice furcata, postice innovata, antice canaliculata, postice late convexa, costa lata plano-convexa, fronde subduplo angustiore, alis attenuatis. Stratum anticum in medio frondis costae aequi- latum, cavernis parvis, sub poro filis liberis brevibus. Stomata magna (30 4) parum convexa, 7-9 cellulis biseriatis instructa; Cellulae epidermidis altae, trigonis maximis acutis. Squamae po- sticae majusculae atropurpureae, tenerae, appendiculo lanceolato- acuminato, apice integro. Pedunculus brevis 3-8 mm., basi infima paleatus, paleis setaceis thallo adpressis, ceterum omnino nudus. Capsula (valde matura) sphaerica, plano-convexa, centro magno, papuloso, lobis oblique patulis, inflatis, parvis, usque ad api- cem connatis. Perianthia hyalina; capsulae fusco-flavescentes. Sporae 54 x (immaturae flavescentes), postea rufae, alis angustis, grosse papulosae. Elateres 300 4 rufi, bispiri, longe acuminati. Androecia non vidi. Hab. in Kashmir prope Srinagar. Kashmir: Valle Sind; prima catena a partire da Srinagar: Gund-Sonamarg: 21 V 1913 m. 2100-2600 sm. (N° 3). Metzgeria coniugata Ldbg. Kashmir: versante SW della catena del Nan Kun: Valle Brahma 6, IX 1913, m. 2800-3300 sm. (N° 41); id. 4, IX 1913, m. 1900-3800 sm. (N° 39); id. 5 IX 1913 m. 2800-3300 sm. (N° 40). Metzgeria pubescens (Schl.) Raddi. Kashmir: versante SW della Catena del Nun-Kun; Valle Brahma 5 IX 19153, m. 2800-3300 (N° 40); id. 6 IX 1913 m. 2800-3300 (N° 41). EPATICHE DEL KASHMIR, ECC. 759 Lophozia Piacenzai n. sp. Dioica, minor, brunneola, caespitosa, terricola. Caulis ad 1 em. longus, parce ramosus, ramis interdum flagelliferis, sub flore innovatus. Folia oblique inserta, arcuato-recurva, subsym- metrica, oblongo-rectangulata, basi postica parum ampliato- rotundata, ad 1,6 excisa, sinu rotundato obtuso, laciniis late triangulatis. Cellulae apicales 25 4, medianae 40 4, basales 22 Xx 50 #, trigonis magnis acutis, cuticola laevi vel subpapil- losa. Amphigastria parva sed semper bene distineta, ovata, ad medium bifida, laciniis acutis. Folia ei amphigastria floralia caulinis subduplo maiora, ceterum similia, amphigastria autem laciniis 1-2 dentatis. Perianthia (sterilia) 3 mm. longa, ovato campanulata, ore truncato laciniato, laciniis gemmiferis. Gonidia ad summitates ramulorum sterilium, subfusca, 2-3 cellularia. Hab. in Kashmir in montibus Himalayae occidentalis. Prossima alla L. heterocolpa, ma ne differisce, tra altro, per gli amfigastrii non ciliati, sempre evidenti, per le foglie meno profondamente incise. Kashmir; Valle Sind; prima catena a partire da Srinagar: Mummer-Gund. 20 V 1913 m. 2000-2100 sm. (N° 2). Lophozia alpestris (Schl.) Ev. Kashmir; Valle Surù ai piedi del Nun-Kun: Campo Safet. 24 VII 1913 m. 4500 sm. (N° 23). Plagiochila asplenioides Dum. Kashmir: versante SW della catena del Nun-Kun: Valle Brahma; 5 IX 1913, m. 2800-3300 sm. (N° 40). Lepidozia reptans (L) Dum. Kashmir: versante SW della Catena del Nun-Kun; Valle Prool: 30-31 VIII 1913 m. 3300-2500 sm. (N° 30). Radula Lindembergiana Gott. Kashmir: versante S W della catena del Nun-Kun: Valle Brahma 5 IX 1913, m. 2800-3300 (N° 40. 760 GIUSEPPE GOLA Madotheca Borellii n. sp. Dioica, mediocris, inferne fusco-virens, superne laete virens, vel olivaceo-virens, flaccida, caespitosa. Caulis ad 5 em. longus, debilis, irregulariter bipinnatus, ramulis interdum flagelliferis. Folia caulina valde contigua, imbricata, oblique patula, subsym- metrica (2 mm. longa, medio 2 mm. lata), valde decurva, late ovato trigona, apice rotundato-obtusa, integerrima, brevissima basi inserta, ibique subcordata, antice brevissime appendiculata, appendiculo ovato acuminato, marginibus ubique integerrimis, vel tantum margine basali antico angulato, vel 1-2 denticulato. Cellulae superae 23, mediae 30, basales 18-25 4, membrana valida, trigonis minutis. Lobulus parvus, ligulatus, canaliculatus, integerrimus, breviter appendiculatus, appendiculo. Amphigastria caule duplo latiora, semicircularia, apice valde decurva, late rotundata, integerrima, utrinque longe et late decurrentia. Folia floralia intima caulinis subaequimagna, perianthio valde minora, integra. Amphigastrium florale intimum late ovatum, integerrimum, Perianthium compresso-campanulatum, ore leviter angustato, truncato-lobato, lobis ciliolatis. Planta mascula gracilior. Androecia parva, trijuga, sub- globosa. Hab. in Kashmir in montibus Himalayae occidentalis. Affine alla M. decurrens St., ma ne differisce per la posi- zione delle foglie caulinari, oblique e non patenti, per le di- mensioni delle cellule delle foglie, per la forma del lobulo che non è appendicolato; differisce pure dalla M. ovalis Gott. per la forma delle foglie, del lobulo, per le foglie florali assai diverse, nella forma e dentatura del margine. Anche la M. den- siramea St. ne è ben distinta specialmente per la posizione delle foglie. Kashmir: Valle Sind, prima catena a partire da Srinpagar: Gunderbard]-Mummer. 19 V 1913 m. 1700-2000 sm. (N° 1); id. Gund-Sonamarg 21 V 1913 m. 2100-2600 sm. (N°3); id. Ver- sante SW della catena del Nun-Kun: Valle Brahma, 4 IX 1918 m. 1900-2800 sm. (N° 39); id. 5 IX 1913 m. 2800-3300 sm. (N° 40). Barr te n 49 CT LAV “aiusePPE GOLA - Epatiche del Kashmir raccolte dalla Spedizione Piacenza. SN dh EPATICHE DEL KASHMIR, ECC. 761 Id. Id. f. umbrosa, a tallo più flaccido e più verde. Kashmir: versante SW della catena del Nun-Kun: Valle Kiar. 2 IX 1913 m. 2200-1900 sm. (N° 36). Madotheca angusta St. Kashmir: versante SW. della Catena del Nun-Kun: Valle Kiar, 2 IX 1913 m. 2200-1900 sm. (N° 37). Torino, R. Orto Botanico, aprile 1914. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Lophozia Piacenzai n. sp. Fig. 1: porzione di pianta fertile (14/1); fig. 2: perianzio (15/1); fig. 3: un amfigastrio fiorale (42/1); fig. 4: go- nidii (272/1); fig. 5: una foglia fiorale (42/1). Madotheca Borelli n. sp. Fig. 6: una foglia (15/1); fig. 7: un lo- bulo della foglia (15/1); fig. 8: perianzio (15/1); fig. 9: porzione di pianta (15/1); fig. 10: un amfigastrio (15/1); fig. 11: una foglia fio- rale (15/1). 762 CARLO LUIGI RICCI Dell'attrito nei freni e nei perni. Nota I* del Dott. Ing. CARLO LUIGI RICCI La teoria del Reye per la determinazione della legge di ripartizione della pressione tra due superficie di rotazione com- bacianti, e striscianti l’una sull’altra, delle quali solo quella esterna sia soggetta a logoramento, fu applicata dal suo autore esclusivamente allo studio dell'attrito nei perni. Per la prima volta nel 1908, in una sua pregevole Me- moria pubblicata nel “ Giornale del Genio Civile , (1), il Chiar,® Prof. M. Panetti mostrò come detta teoria fosse appli- cabile pure allo studio dei freni a ceppi; ed all'uopo ideò al- cune eleganti costruzioni grafiche e formole analitiche, le quali poi a loro volta poterono essere applicate allo studio dei perni, specialmente per la soluzione del problema dell’accostamento in direzione della risultante. Nel presente scritto, riferendomi appunto a detta Memoria, mi propongo di esporre una costruzione geometrica abbastanza semplice della linea d’azione della risultante sia delle pressioni normali, che delle pressioni totali ($ 2); e quindi farne alcune applicazioni alla determinazione della direzione dell'accostamento data quella della risultante ($$ 3 e 4), alla soluzione del pro- blema dell’accostamento in direzione della risultante ($$ 5 e 6), già trattato nella citata Memoria $ 8, pag. 13; infine determi- nare il luogo dei centri di applicazione delle risultanti e l’invi- luppo delle linee d'azione delle stesse forze ($ 7). Le conside- razioni d'indole geometrica sono accompagnate da espressioni (1) M. Pawerni, Contributo alla teoria dei freni ad attrito (* Giornale del Genio Civile ,, Roma, 1908). DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 763 analitiche, le quali ne permettono l’applicazione mediante il calcolo numerico. Come già accennai, in questo studio considero soggetto a logoramento soltanto il cuscinetto, o il ceppo; mi riservo però | | [piezsig a Fig. 1. di esporre, in una successiva nota, uno studio analogo, tenendo conto anche del logoramento del perno e della puleggia del freno. “E 764 CARLO LUIGI RICCI Nel seguente $ 1, per maggior chiarezza e comodità, ri- 5 hi Db ’ chiamerò alcune nozioni generali sulla teoria del Reye, già note, ed esposte pure nella Memoria citata. $ 1. — Il Reye fece la nota ipotesi, che il lavoro consu- mato in un dato tempo dalla resistenza d’attrito su ogni ele- mento delle superficie di rivoluzione combacianti di due organi meccanici striscianti l’uno rispetto all’altro, sia proporzionale alla quantità di materiale logorato nello stesso tempo sullo stesso elemento. Se il logoramento del corpo interno è trascu- rabile rispetto a quello dell’altro, la pressione unitaria p è in ogni punto proporzionale allo spostamento nel punto conside- rato, prodotto dal logoramento, proiettato sulla normale di con- tatto in quel punto. La pressione unitaria massima si avrà quindi in quel punto della superficie in cui la normale ha la direzione dello sposta- mento. Il caso più comune che s'incontra nello studio dei freni e dei perni, è quello delle superficie cilindriche, ed a questo noi ci limiteremo. Per fissare le idee considereremo il caso di un freno a ceppi, qual'è quello rappresentato in figura 1. Il ceppo può rotare intorno al suo centro di sospensione €. Lo spostamento di un punto qualunque M delle superficie in contatto, nella direzione della normale di contatto OM, è noto- riamente proporzionale alla distanza del punto C dalla retta OM, distanza che si può esprimere con C0 cos®, se indichiamo con 3 l'angolo che il raggio generico OM fa colla retta 0£ normale alla C0. La direzione della retta 0 si dice anche direzione dell’ae- costamento. Se indichiamo quindi con py la pressione unitaria massima che si verifica nel punto £, abbiamo che la pressione unitaria p nel punto M generico della superficie di contatto è espressa da: p= Do c08Ì. Il diagramma polare delle pressioni unitarie p è quindi un cerchio, passante per il centro O della puleggia, il cui diametro al DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 765 giacente sulla O£ (in figura uguale al segmento VE), rappre- senta in grandezza e direzione la pressione massima po. — Su ogni elemento della superficie di contatto, definito da un angolo al centro 43, avremo una pressione elementare prd*, indicando con r il raggio della puleggia; questa pressione provoca una resistenza d’attrito misurata da fprd3*, ove f è il coefficiente d’attrito. $ 2. — Si potrà determinare la pressione N normale, ri- sultante delle prd*, che concorrono tutte nel punto 0, som- mando geometricamente i vettori pd3, ossia si avrà: N=x pds esteso l’integrale a tutto l’arco di contatto. Si osservi che l’angolo elementare d* stacca sul cerchio di diametro è = OE (diagramma delle p) un archetto elementare ds, il quale è visto dal centro di detto cerchio sotto un angolo, che per le note proprietà è uguale a: ds o PRESCINDE |: Spi) 243 = 39 5 Quindi avremo: Ora l’fpds, se leggiamo le p nella scala delle lunghezze, è un vettore che diviso per fds, ossia per la lunghezza dell’arco 4 EB, ci dà il vettore che da 0 va al baricentro dello stesso arco A EB. Questo baricentro G si determina facilmente colla nota costru- zione, e la retta che lo proietta da O è la linea d’azione della N, risultante delle pressioni normali. La grandezza della N si troverà poi moltiplicando il segmento OG per la lunghezza dell’arco A'EB' (uno di questi fattori deve esser letto nella scala delle lunghezze, l’altro nella scala delle forze per unità di lunghezza); inoltre moltiplicando 766 CARLO LUIGI RICCI questo prodotto per il rapporto 7 (che nel caso della figura si è fatto uguale all’unità). Il punto d'applicazione P della pressione totale del ceppo contro la puleggia è l'intersezione della N colla risultante delle resistenze elementari d'attrito fprd*, agenti tangenzialmente alla puleggia. Per trovare la linea d'azione di questa risultante, la quale sarà normale alla N, si può fare astrazione dal coef- ficiente di attrito, e poichè le forze tangenziali elementari prd& hanno tutte la stessa distanza r dal punto 0, il loro momento M rispetto ad O sarà uguale al prodotto di » per la loro somma numerica 0 scalare; cioè sarà: M= | pd3> ove s'intende con p il valore numerico (modulo) della pressione unitaria. Ma essendo: p= Po 083, sì ha: M=r? po f costd* esteso l’integrale a tutto l’arco di contatto; ossia: M=r?p,(sen3,-+ sen 3,) indicando con 3, e 3, i due angoli AOL ed EOB. Il fattore p, (sen3, + sen3») altro non è che la proie- zione A,B, dell'arco AB sulla retta 00, il quale segmento deve esser letto nella scala delle forze per unità di lunghezza. La distanza e = OP della risultante di dette azioni tangen- ziali dal centro 0, si ottiene dalla relazione: M__r°ps(sen3 + senSa) f — —_- —_ si x | N} s Spade] DELL ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 767 Si può esprimere e in funzione di lunghezze misurate diret- tamente sulla figura: XdX A, Bi e= O0P=- == OG X AB Il segmento OP si può quindi facilmente determinare con costruzioni di quarte proporzionali. La risultante complessiva delle azioni tra freno e puleggia agisce quindi secondo una retta passante per P ed inclinata alla OP (risultante delle pressioni normali), dell'angolo @ d’at- trito, in un senso o nell’altro secondo il verso del movimento. © $ 3. — Nello studio dei perni il Reye ammetteva che l’ac- costamento avvenisse nella direzione della risultante delle pres- sioni normali, e trascurava così l’azione delle resistenze d’at- trito; di queste occorre invece tener conto, come già fece osservare il Chiar.®° Prof. Panetti nella sua Memoria, per ac- cordare i risultati della teoria con quelli delle ricerche speri- mentali del Beauchamp e del Tower relative al diagramma delle pressioni. Nel caso più generale è data la direzione della risultante totale, che deve essere uguale e contraria alla risultante delle forze esterne applicate al perno; quindi nell’applicare l’ipotesi del Reye occorre determinare la direzione dell’accostamento in modo che la risultante totale delle azioni tra perno e cuscinetto abbia la data direzione (V. fig. 2a). Fissata questa direzione e noto l’angolo d’attrito, è pure fissata quella della risultante delle pressioni normali, la quale passa per il centro O del perno, per il baricentro G dell’arco A'B', ed inoltre incontra l’arco A'B' in un punto N che è determi- nato dalla data orientazione della risultante, essendo dati gli angoli A'0N ed NOB'. In questo caso per trovare il punto O basterà determinare i punti N e G; la retta NG incontra il cerchio delle pressioni nel punto O, il quale deve, come sap- piamo, riuscire esterno all’arco A' EB' ; se riuscisse interno, sa- remmo nel caso del contatto parziale, che deve essere trattato a parte. DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 164 Si noti che dalla figura risulta immediatamente che la ri- sultante delle pressioni normali è sempre compresa tra la di- rezione dell’accostamento e l’asse OS di simmetria del cuscinetto. Volendo risolvere il problema per via analitica, si può as- sumere come dato l’angolo w= SON che la risultante delle pressioni normali forma coll’asse di simmetria del cuscinetto ; si tratta di determinare l’angolo a= SOD formato dalla dire- zione dell’accostamento col detto asse di simmetria; poniamo: B= NOD, ed avremo: a=w + p. Dal triangolo NGD (essendo GD = 235) si ricava: 2'o Ne=|/=® Cia cong att cal cos 2w, Ss? inoltre: sen 2w senS sen uu — f , Vs? — 25 sen53 cos$ + sen?S S— sen$ cos2w coop a VS2 — 25 senS cos3 + sen?5 e quirdi: sen2w sen £ tangu= 3 $— senò> cos2w * Si può anche trovare direttamente un'equazione in tang a. Dal triangolo DOG, osservando che l’angolo SDE vale 2a, sl ricava: AE RA OG sen2a 2 sena cosa È Analogamente dal triangolo SOG si deduce: SG __ senw O0GT sena * Dividendo membro a membro queste due relazioni, si ottiene: Da sen u SG. 2senw cosa * Ma si ha: N vel u=a—- w, DG = 5e2° sa— 3803 si b:) 5 770 CARLO LUIGI RICCI quindi: x] DG _ sens SG 5—sen$3 ’ e sostituendo si ricava: sen a cosw E. 8605 2 cosa senw eo el b6n9 ossia, trasformando: S+sen5 $ —.sen3 tanga = tangw. Il valor limite (massimo) che può assumere l’angolo a, com- patibilmente colla condizione del contatto completo, è: In questo caso l’angolo u assume il valore u, che, come si ricava dal triangolo A4'DG, soddisfa alla relazione: seni, === = ott ela ed il corrispondente valore di w sarà: Wo — bo — Rope rage» Dal triangolo A'GS si ricava pure: d cos 9 ($ — senS) © sen Wp = e —"— "csf (1) VS2 — 25 sen3 cos$ + sen? 3 sen 3 ($S + sen 3) COosuwgj—= —”——eet =" + VS? — 25 sen3 cos 3 + sen?3 DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 771 I valori estremi assunti dall’angolo che l'accostamento fa colla risultante sono dati da a) +, ove al solito il segno di- pende dal verso del movimento. $ 4. — Nel caso del contatto parziale, che si avrà per w> wo, il contatto tra perno e cuscinetto incomincierà con pressione nulla in un punto intermedio del cuscinetto, e sul cerchio delle pressioni dovremo determinare un punto nel quale si possano ritenere coincidenti il centro 0 del perno e l'estremo A° dell’arco utile A4'B' di detto cerchio. Se è data la direzione della risultante totale, e quindi quella della risultante delle pressioni normali, è determinato il punto N in cui questa incontra il cerchio delle pressioni, e resta fissato l'arco B'N, e perciò l’angolo inscritto che lo com- prende NA B'. Basta quindi, per risolvere il problema del con- tatto parziale, determinare il punto A' in modo che la retta A'N, — che deve essere la linea d’azione della risultante delle pres- sioni normali, — contenga il baricentro dell'arco A'NB'. Siamo quindi condotti a risolvere il problema: determinare un arco AB’ di un dato cerchio, tale che la retta che da uno degli estremi dell'arco, per esempio da A', proietta il bari- centro G dell'arco stesso, formi colla corda A'B' dell'arco un angolo fissato. Chiamato y quest’angolo, che è la metà dell’angolo al centro del dato arco NB’, avremo: distanza del baricentro dalla corda tane y = : SY semicorda Indichiamo ora con ’ la semi-ampiezza angolare del- AES . ’ . l'arco AB’ incognito, che sarà pure l’ampiezza dell’arco di contatto. Se r è il raggio del cerchio, la distanza del baricentro del- ; è Ni sens” ; l’arco dalla corda è notoriamente = r( 7— — COS 9), e la semi- ni corda è espressa da rsen?'; quindi sostituendo si ha: tangy= "i — cotg'. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. DO 772 CARLO LUIGI RICCI Questa equazione si può risolvere facilmente rispetto a #, per approssimazioni successive; e con pochi tentativi si può de- terminare 3' con l’esattezza richiesta. Trovato così il punto A'=0, risulta pure determinato l’accostamento nella direzione 0D, e quindi è individuato il diagramma delle pressioni. L'angolo ' si può pure determinare agevolmente per via grafica, con un metodo di falsa posizione, mediante il traccia- mento di una curva di errore. Ci riferiamo alla figura 3, nella quale si eseguì la costru- zione per un cuscinetto abbracciante il perno secondo una mezza circonferenza, supponendo la risultante diretta secondo l’asse di simmetria del cuscinetto, ed il coefficiente d’attrito f= tango = 0,30. In questo caso risulta: y = 5 —®e quindi: tangy = cotgp = 3,33. Immaginiamo di far variare l’arco 4"B' in modo che il suo punto di mezzo si trovi sempre in S; sulla tangente in S si sviluppa il.semicerchio SS, e si segnano sul cerchio e sulla tangente alcuni punti corrispondenti. Considerato ciascuno dei . punti A'; con cui è diviso il cerchio, come estremo di un arco simmetrico rispetto al punto S, si determina il relativo bari- centro situato sul diametro SS", e condotta per il punto A4',; una retta inclinata dell'angolo w sulla corda A4'‘;B';, si trova la sua distanza da detto baricentro; questa distanza si porta poi, col dovuto segno come ordinata, normalmente alla tangente su cui si è sviluppato l’arco, in corrispondenza del punto A". Si costruisce così per punti una curva di errore, la quale incontra la tangente SS" in un punto il cui corrispondente sul cerchio è il punto 0 = A' cercato: infatti per esso risulta nulla la distanza tra il corrispondente baricentro e la retta inclinata di yw sulla corda. Analiticamente, risolvendo per successive approssimazioni l'equazione: puri ; — cotg 3 = 3,338 pi si ottenne per 3’ il valore in gradi 161°,25' », il cui supple- mento (18°,35') differisce poco dall'angolo d'attrito (16°,40' =); questo valore di 3” concorda perfettamente con quello ottenuto per via grafica. In questo caso la direzione dell’accostamento e "6 ‘Fd 774 CARLO LUIGI RICCI la risultante delle pressioni normali sì scostano pochissimo (1°,55/) e l'angolo up ch'esse formano si può pure dedurre dalla formola ricavata nel precedente paragrafo. Nella figura 3 è pure segnata (a tratti) la curva che rap- presenta la legge di variazione di cos w in funzione di #' se- condo la precedente equazione (assunto uguale ad uno il raggio del cerchio): 1 cosy = - + [teo] Questa curva permette di risolvere assai speditamente e direttamente il problema. Può interessare il caso in cui il contatto sia completo su una mezza circonferenza, e l’accostamento avvenga secondo l'asse di simmetria di questa, e coincida quindi colla risultante delle pressioni normali; in questo caso la risultante comples- siva è inclinata dell'angolo d'attrito rispetto all'asse di sim- metria. Tale caso si verifica per una bronzina estesa per un semi- cerchio, quando la risultante delle forze esterne abbia la dire- zione conveniente, ed anche, qualunque sia la direzione di questa risultante, quando si tratti di un perno infilato in una bronzina di un sol pezzo, esattamente calibrata sul perno. $ 5. — Veniamo ora a trattare il problema dell’accosta- mento in direzione della risultante. Abbiamo visto che in generale, data la direzione della ri- sultante, quella dell’accostamento risulta determinata, ed è in generale distinta da quella della risultante. Vogliamo ora determinare la direzione della risultante in modo ch’'essa coincida con quella del corrispondente accosta- mento. Bisogna a tal uopo orientare il cerchio di diametro d = OE, diagramma delle pressioni unitarie, — in modo che il dia- metro OE formi l'angolo @ d'attrito col raggio OG che dal centro O della puleggia, o del perno, proietta il baricentro G dell'arco A°EB'. DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 775 Si noti che, finchè dura il contatto completo, variando l’orientazione di detto cerchio, non varia la lunghezza del- l'arco A'EB', diagramma utile. Quindi, trovato il baricentro G per una posizione qualunque del cerchio, basterà determinare sul cerchio stesso un punto O, dal quale il raggio vettore DG sia visto sotto l’angolo @ d’attrito (Fig. 2a). Basta quindi descrivere sul segmento DG come corda un arco di cerchio capace dell'angolo @; questo cerchio incontra il diagramma circolare delle pressioni in due punti, uno dei quali, e precisamente quello più vicino alla mezzeria S dell’arco A'B', dovrà essere escluso, giacchè esso risulta interno all’arco A'SB', mentre il punto O che noi cerchiamo deve essere esterno al- l'arco stesso; l’altro punto d’intersezione sarà la posizione cer- cata del punto 0; se entrambi i punti d’intersezione risultassero interni all’arco A"SB', si cadrebbe nel caso del contatto parziale, che sarà trattato a parte. Poichè gli archi capaci dell’angolo @ descritti su DG sono due, otterremo due punti come 0, dei quali si dovrà assumere l’uno o l’altro, secondo il senso della rotazione. Determinato il punto O nel modo indicato, le rette OA' ed OB' rappresentano i raggi che dal centro del perno proiet- tano gli estremi dell’arco di contatto col cuscinetto. Dalla figura si può quindi ricavare la orientazione del diagramma delle pressioni, e della risultante, rispetto al cu- scinetto. Analiticamente questo problema, per il contatto completo, si può trattare osservando che dal triangolo ODG, ponendo u= ®©, si ottiene: sen? sen2a = (+ + sen* cos 2a) tang ©, da cui, operando le sostituzioni: 2t Fa 2 RPS vos da = tanga ROIO I, SI ATA A 1+tang?a ’ 14 tang?a ’ ed ordinando i termini, si ricava l'equazione: (® —sen3)tanggtang?a —2sen*tanga +(*+sen*)tangg=0, i 776 CARLO LUIGI RICCI e risolvenda: 1 —— =» ——— = ———————__m_—>ùpu piso [sen® —\sen?*(1+tang*9)—??tang* 9]. tanga = Il segno + al radicale è da escludersi per ragioni ovvie. Questa formola coincide, come deve essere, con quella otte- nuta per altra via dal Chiar.®° Prof. Panetti nella citata Me- moria, pag. 14, $ 8. $ 6. — Nel caso del contatto parziale, accennato più sopra, bisogna determinare l’arco A'EB' in modo che il segmento GD sia visto dal punto A4' sotto l’angolo @ d'’attrito. Per determinare l'ampiezza 3' dell'arco di contatto, si può ricorrere all'’equazione che ci ha servito or ora per il contatto completo, considerando che per il contatto parziale si deve porre, come risulta anche immediatamente dalla figura : 2a=nm —+, e quindi: sen2a= sen #; cos 2a = — cos$. Perciò si ottiene: sen?3 = (#' — sen 3’ cos?) tang g. Questa equazione si può risolvere facilmente per approssi- mazioni successive. Anche in questo caso l’angolo *' si può pure determinare con metodo di falsa posizione, costruendo una curva di errore (V. fig. 4). Possiamo, come più sopra, far variare l’arco A'B', in modo che resti fisso il suo punto di mezzo $S; si sviluppa l’arco SA'S' sulla tangente in S (SS), e si segnano sull'arco alcune posi- zioni di tentativo del punto A;', e sullo sviluppo i punti cor- rispondenti 4",;. Di ciascuno degli archi 4; B; si determina il baricentro, e tirata per A; una retta inclinata dell’angolo d’at- trito rispetto al raggio DA' (e quindi tangente al circolo d’at- trito), si determina la distanza di questa retta dal baricentro, distanza che si porta come ordinata normalmente ad SS", nel punto A4;'. La curva ottenuta con tali ordinate (curva di er- rore), taglia la tangente SS nel punto A”, corrispondente del- l'estremo A' dell'arco A4'B' che risolve il problema. Nella figura 4 si segnarono pure le curve rappresentanti, in funzione di #’, le quantità: sen@ (a tratti) e tangp=f (a punti). ‘5 ‘314 CARLO LUIGI RICCI “JI =] (0.8) Queste linee sono rappresentate dalle equazioni: sen? 3’ sen? S’ tang pp = 3 - sen3' coss”” senp= Î = air TS 35) YVsen*5" +(5’ — sen 5’ cos 3))? e si prestano ad una soluzione immediata del problema. La soluzione grafica colla curva di errore è abbastanza spedita, e dà un'esattezza sufficiente nelle applicazioni pratiche ; se si vuole poi un’approssimazione maggiore si può ricorrere alla soluzione analitica; però il procedimento grafico può ancora essere utile per determinare con larga approssimazione il va- lore di 3, evitando così un certo numero di tentativi che si dovrebbero fare se si partisse da un valore scelto a caso, e quindi molto più lontano dal vero. Il contatto risulta parziale se l'angolo a calcolato per il contatto completo risulta maggiore del valore a, = soi od anche se * è maggiore del valore #' dato dall’equazione pre- cedente. Se il contatto è parziale si ha: (0 A 9 Calcolando 3’ numericamente coll’equazione sopra esposta, per tangg= 0,3, valore adottato per eseguire la costruzione della figura, si trovò + = 119°,30', valore che s’accorda bene con quello ottenuto graficamente. Nelle figure 2% e c, 3 e 4, furono costruiti i diagrammi cartesiani delle pressioni unitarie, riferite alle proiezioni dei varii punti della superficie di contatto sul diametro del perno perpendicolare all'asse di simmetria del cuscinetto. Se indichiamo con € l’angolo formato da un raggio gene- rico, uscente dal centro del perno, coll’asse di simmetria del cuscinetto, avremo le coordinate x ed y di un punto del detto diagramma espresse da: c=rsenk, y= po cos (E — a) che sono le equazioni parametriche di un’ellisse. DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 779 $ 7. — Può interessare la determinazione del luogo dei punti P, centri di applicazione delle risultanti totali, e così pure l’inviluppo di dette risultanti. Basterà immaginare di far variare la direzione della risultante delle pressioni normali, e conseguentemente la direzione dell’accostamento, e si dovrà al solito distinguere il caso del contatto completo e quello del contatto parziale (V. fig. 5). Consideriamo anzitutto il caso del contatto completo, il quale, come abbiamo visto, si verifica per valori di w minori — 3 2 del luogo cercato saranno l’angolo w e la distanza OP che in- dicheremo con p e che è data da: di wu = — uo (V. $ 3). Le coordinate polari di un punto ben r? AB, 0GX AB Colle convenzioni fatte più sopra si ha: PZ A,B,= 4 sen 3 cosa, Ab=Aa Inoltre possiamo porre: OG=0ON— NG e si ha (V. anche $ 3): 2(3 — sen$ cos2 w) VS°—25 sen3 cos2w + sen?3 1 =——————t——————_—_—6———@——8@———m6 '—’1t- NGe= 3.992 23 sen? cos2w-+ sen? 3, ON =2cosu= e quindi: OG ue S* ea sen? Si I — —_r—__—— dar MP'QgZ @fu( ea“ SVS—25sen3 cos2w + sen? 3 Inoltre, ricordando che: a=w + u, dalla formola del co- seno della somma, ricorrendo alle espressioni di cosu e senp 780 CARLO LUIGI RICCI trovate al $ 3, ed esprimendo al numeratore cos 2wW e sen 2w in tucsiglo) del solo cos w, si ottiene: cos w (5 — sen 5) cosa = —- 4 V5° — 25 sen$ cos2w + sen? 3 Sostituendo questi varii valori nell'espressione di p, si ottiene: PRIGNAA pesi Il che dimostra che il luogo cercato del punto P è un cerchio È, 8 sen passante per 0, di diametro po = cura: ni col centro sull’asse di simmetria del cuscinetto. Naturalmente questo cerchio ha significato per il caso qui trattato del contatto completo solo tra i punti corrispondenti adw=+w (V. più sopra). Per un dato valore dell'angolo d’attrito @ le risultanti to- tali passano per i punti P e sono inclinate rispetto ai relativi raggi vettori dell'angolo costante @; esse quindi, finchè benin- teso dura il contatto completo, passano tutte per uno stesso punto È del cerchio di diametro pop= 04; il punto È soddisfa alla condizione: OP,R= p. È ovvio che cambiando il senso del moto, il punto R viene sostituito dal suo simmetrico P'. Il punto È rappresenta così l’inviluppo delle risultanti to- tali per il contatto completo e per il dato angolo di attrito. Nel caso del contatto parziale varia l'ampiezza dell'arco di contatto effettivo tra perno e cuscinetto, e sia 3' quest’'am- piezza: avremo quindi: r=2, A4,B;=2(1—cos*), AB=2%. Si ricava poi dalla figura in modo ovvio: dae V 9 — 089)? + sen? 3 Ve Sr +1—2 n ? cog$'. = DELL'’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 781 Sostituendo questi valori nell'espressione di p, e riducendo, sì ottiene: Ward 4(1 — cos$)) y CoA Vsen?7 +9? — 29 sen Sy cosy In questo caso già sappiamo che la risultante delle pres- sioni normali fa colla corda dell’arco circolare diagramma delle pressioni un angolo yw dato dalla relazione: ata 7 y cotg 3, tangy= e quindi il raggio vettore p, diretto secondo detta risultante, forma coll’asse di simmetria del cuscinetto l’angolo: e quindi avremo: tang (3 — Ù) =} — cotg 5”. Quest'ultima relazione e l’espressione di p sono le equazioni polari parametriche del luogo cercato (parametro 3). Per studiare alcune proprietà di questo luogo possiamo far variare l'angolo *' in modo che un suo lato coincida sempre col raggio OB', e per ogni valore di quest’angolo, consideriamo disteso sulla sua bisettrice quel raggio vettore po il quale sa- rebbe diametro del cerchio luogo dei punti P, per il contatto completo, su un cuscinetto di ampiezza 3'; esso è dato da: LA 8 sen 7 Due S+senS ° L’estremo Py di detto raggio vettore ha per coordinate polari po e Le La tangente al luogo descritto da P)' fa col raggio vettore un angolo e dato dalla relazione: po dI x 2dpo , tang.e + 782 CARLO LUIGI RICCI eseguendo la derivazione e semplificando si ottiene: tang e= tang # ‘gh . Se ora indichiamo con wy il valore dell'angolo limite per il contatto completo w, corrispondente all’ampiezza di con- tatto 3’, dalle formole (**) del $ 3 risulta: tang e = cotg wy'. Ciò significa che la tangente al luogo del punto Py' è per- pendicolare alla risultante delle pressioni normali relativa al contatto completo limite per l’arco #'; essa tangente incontra quindi questa risultante nel punto P relativo, poichè questo appartiene al cerchio di diametro OP). Si noti che si può porre: P= Po COS Wo' e sostituendo in questa relazione il valore di cos w', esposto nel $ 3, si ritrova l’espressione di p più sopra ricavata, come deve essere. Se immaginiamo ora di spostare di un angolo infinitesimo dwy' il raggio vettore OP, per avere su di esso il punto del cerchio di diametro 0P,', bisogna proiettare su esso normalmente il punto Py ; mentre per ottenere il corrispondente P@y+d0g) 0 corre proiettare sullo stesso raggio, pure normalmente, il punto Py" relativo a quel valore di #' che corrisponde all'angolo wy' + dwy'; tale punto sarà infinitamente vicino alla posizione di P)' prima considerata; e si noti che d3' e dw', sono sempre infinitesimi dello stesso ordine. Ma poichè la tangente in Py' al luogo di questo punto è normale al raggio OP, le due proiezioni ora indicate su questo raggio, a meno di infinitesimi di ordine non inferiore al secondo, coincidono nel punto Poy+40y); il che vuol dire che il cerchio di diametro 0P,' è tangente in P al luogo di questo punto. Questa proprietà si può pure ricavare per via puramente DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 784 CARLO LUIGI RICCI analitica, cercando l'angolo ) che la tangente al luogo di P fa col raggio vettore, dato dalla relazione: tangi=? o (AdAy=—dw). A tal uopo si ricavano le espressioni : fi 4 sen3'(3' — sen 53)? , as’ (sen? +5? — 259’ sen3' cos) dy _ 3? — sen? 3’ as’ sen?3" + 5? — 25’ sen5' cos$' * e sostituendo si ottiene: Q/ tang\= tang = è Ciò dimostra appunto che il luogo considerato è tangente in Pal cerchio di diametro OP). Ne risulta quindi che il luogo di P, per il contatto par- ziale, è l’inviluppo delle diverse posizioni del cerchio di dia- metro OP,, ove questo diametro varii nel modo indicato. Per #' = e quindi w =w, il luogo di P si raccorda col cerchio che vale per il contatto completo. Per #'=0 si ha w/=0 e po = 2, com’ facile verificare applicando il teorema di L’Hopital all'espressione di py' che per tale valore assume forma indeterminata. Quindi la nostra linea, per w= -— viene a raccordarsi col cerchio di raggio 2 (circonferenza del perno). Nella fig. 5 è tracciato il luogo di Py' (po a tratti), ed il luogo di P (p, continuo). Le risultanti totali nel caso del contatto parziale invilup- pano una curva la quale si distacca dal punto È, e va a rac- cordarsi col cerchio di attrito del perno, nei punti di contatto delle tangenti tirate a questo, nel verso opportuno, secondo il senso del moto, dai punti A e B estremi del luogo di P. Come coordinate polari di una retta generica dell'inviluppo possiamo assumere la sua distanza è dal centro 0: _____4(1— c085)seng Vsen:7 +9? — 25 sen3” cos$ * dò=psenp= DELL ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 785 e l'angolo v ch’essa forma coll’asse di simmetria del cuscinetto: vesadig ove a è data dalla relazione trovata più sopra. (Dei due segni vale l’uno o l’altro a seconda del senso della rotazione). La linea inviluppo che consideriamo contiene i punti È ed P', i quali sono per essa punti angolosi, ed anzi tale linea sì può considerare come il luogo del punto È relativo al con- tatto completo sull’arco variabile 3’. Si potrebbe pensare di far funzionare il perno come una cerniera, e cercare a quali forze applicate al perno il cuscinetto sia capace di fare equilibrio. In questo studio l’inviluppo ora considerato viene a sosti- tuire il cerchio d’attrito delle cerniere che ordinariamente si considerano nella Statica grafica. Infatti, escludendo anzitutto quelle forze che non incontrano la superficie d'appoggio tra perno e cuscinetto (le quali sono incompatibili coHa chiusura della coppia cinematica), il cusci- netto fa equilibrio a quelle forze le cui linee d'azione tagliano, od al limite toccano detta linea inviluppo. Si ha invece rotazione del perno rispetto al cuscinetto per l’azione di forze che riescono esterne al detto inviluppo. Torino, Aprile 1914. 786 GUIDO FUBINI Definizione proiettivo-differenziale di una superficie. Nota di GUIDO FUBINI È classico il teorema che una superficie S si determina con due forme differenziali quadratiche (di Gauss), quando si prescinda dalla posizione di S nello spazio, così che le due su- perficie sono uguali, se ad esse corrispondono forme rispettiva- mente uguali. Se (con notazione che conserveremo quasi sempre) con x,y, 2 sì indicano le coordinate cartesiane ortogonali di un punto della superficie, e con «, v coordinate curvilinee, tali torme sono E du? + 2 Fdudv + G dv® = da? + dy° +- de? dix dîy' d?x| i ti 1.| de dy da | Ddu? + 2 D du dv + D dv = ma du du du | da dy dz dv do de ove A=ÉEG—-F®. Con Re (i,k,1=1,2) indichiamo i simboli di Christoffel di 2* specie relativi alla prima forma (elemento lineare). Si può chiedere: Esiste qualche metodo analogo per lo studio di una superficie nel gruppo proiettivo? come si indi- vidua cioè una superficie dal punto di vista della geometria differenziale, così che superficie trasformate l’una dell'altra me- diante una collineazione riescano definite in modo identico? Questo problema sembra ora di qualche interesse, mentre rapi- damente progredisce lo studio delle proprietà differenziali-pro- iettive di una superficie. Ad esso è dedicato il seguente lavoro; esso dimostra che in questo studio si presenta nel modo più DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIATLE DI UNA SUPERFICIE 787 spontaneo una forma differenziale del Pascal (*), che noi esami- niamo per brevità in un caso specialmente importante, confer- mando poi per altra via i risultati ottenuti. $ 1. — Sezioni piane di una superficie. Condizione necessaria e sufficiente affinchè una corrispondenza tra i punti di due superficie S, X sia una corrispondenza protettiva è che alle sezioni piane di S corrispondano le sezioni piane di X. Che la condizione sia necessaria è ben evidente. E per le superficie algebriche è anche ben chiaro che la condizione è suf- ficiente. Infatti, se r è una retta qualsiasi, alle sezioni di S coi piani passanti per r corrisponderanno le sezioni fatte su ® coi piani passanti per quella retta p, che incontra X nei punti B corrispondenti ai punti A, ove » incontra S (i quali punti B devono necessariamente essere collineari). Vale a dire la nostra corrispondenza individua una corrispondenza tra piani tale che ai piani passanti per una retta r corrispondono piani passanti per una retta p: la nostra corrispondenza è dunque una collineazione. Per. dimostrare, anche nel caso generale, che la condizione è sufficiente, si procede nel seguente modo. Pensiamo le super- ficie S, Z£ come immerse in spazii distinti; e, se ABCD è un tetraedro inscritto in S, ed A'B'C'D' il corrispondente inscritto in X (cioè se A', B', ecc. sono i punti di X corrispondenti ai punti 4, B, ecc. di $S), scegliamo nei due spazii i piani BCD e B'C'D' a piani all’infinito, i piani ABC ed A/B'C' a piani x=0, ACD ed A'C'D' a piani y=0, i piani ADB ed A'D'B' a piani e — 0 (essendo «, y, 2 coordinate cartesiane ortogonali o no). Indicheremo con lettere maiuscole le coordinate di un punto di X. Ai piani del fascio BC corrispondono piani del fascio B'C'; cioè a piani x = cost. corrispondono piani X= cost. Ossia X si può considerare (su $S) come funzione della sola x, e analogamente Y della y, Z della 2. In simboli X= @ (2), Y=f(y), Z= F(2). Ai piani del fascio AC corrispondono i . . . QC . . . XL . . piani del fascio A'C"; cioè ai piani E cost. corrispondono i (*) Cfr. E. Pasca, La teoria delle forme differenziali di ordine e grado qualunque. “* Mem. della R. Acc. dei Lincei.,, ser. 5*, vol. 8 (1910). Atti della R. Accademia — Vol. XLIX, 09 788 GUIDO FUBINI seen Zi, ai 9 3 P piani È = cost. Dunque 7 Si può considerare (su S) funzione ; na be > di £, e similmente - di Fan ecc. Y Z z Due delle tre variabili x, y, 2 si possono considerare (su .$) indipendenti. Si deduce subito (annullando p. es. lo Iacobiano delle 2 n che sarà: (1) b ES CX, YF= 3 Y%, ta , (c1, €», €3, £ costanti). Consideriamo due piani 2 = a, y= È, dove a, 8 sono così piccoli che la retta » loro intersezione incontri S in più punti distinti H, K, ... Ad essi corrisponderanno i piani A=c; a", Y—=c,8" incontranti 2 nei punti H', X,... immagine dei o . . . . [OE . . o L= punti H, K, ... Ai piani del fascio per r, cioè ai piani — = cost. y_B L Ue U ‘ MAU UAN GA e. corrisponderanno i piani del fascio H'K' cioè i piani = "= cost. lidi - RIE dI). ci at — a Quindi == 4; deve essere (per a, B abba- Y_cyB Can, 4 _ pr P . . « RT en < . stanza piccoli) funzione di era E ciò può evidentemente av- venire soltanto se % = 1 (come si riconosce, p. es., annullando xl — al x ©) e” ke BR.) gio 8 y_B Le (1) per X==1 ci dicono appunto che $, X sono collineari. lo Iacobiano delle $ 2. — Il problema fondamentale. Acquista dunque senso preciso il problema: Data la equazione v = ® (u, a, b, c) delle n sezioni piane di una superficie S (dipendenti dai tre parametri indipendenti @, b, c), si deducano le equazioni parametriche della superficie S. Noi vedremo che tale determinazione richiede (quando è possibile) SOLTANTO delle quadrature. Dai risultati del $ 1 sappiamo già che questo problema ammette una unica soluzione, se consideriamo identiche due superficie collineari. Per risolverlo noi ricorderemo che le sezioni passanti per un punto A e per le quali il valore in A di ci è una costante 4 DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 789 determinano un fascio di piani, la cui retta sostegno descrive, al variare di %, un fascio di rette, per il quale % si può con- siderare come coordinata. Partendo da questa osservazione, indichiamo con m una funzione generica ® delle «, db, c e scriviamo le equazioni: (1); o=@(, a, b,c) (1)s fi. (ui, a, b, c) (1)s k= Pu (1, a, b, c) (1); m= ® (a, b, c). La (1), e la (1)3 ci dicono che la sezione piana (1), passa a 3 dv per il punto «,, v;) e che in questo punto vr calcolato su tale sezione ha il valore £. Eliminando a, 6, c dalle (1) noi troveremo un'equazione : (2) m= FE (u;v, uv, E). Teniamo fisso il punto u,, v;. Al variare di m la (2) ci de- finisce tutte le sezioni passanti per it punto (v,, v:) e per una retta tangente ad S uscente da questo punto. Per il fascio di queste rette tangenti la % sarà poi una coordinata proiettiva (non omogenea). Se scegliamo il piano tangente in (,, 0) 24 S come piano all’infinito, e il punto w,, v, come punto all’infinito dell'asse delle 2, noi potremo ancora fissare le x, y (*) in guisa che la (1) equivalga su S, per ogni valore di %, ad una equazione x + ky = cost. Dunque x ed y saranno su $ tali funzioni x («, v) ed y(v,v) delle «, v che F(w,v,X) sia per ogni valore di % fun- zione di x(«, v) + ky («, v). Notiamo che qui abbiamo sottinteso le «,,v, tenute fisse; altrimenti avremmo dovuto considerare anche x ed y come funzioni x (v, v, 1, v1) ey (, v, v1, v;) delle «, v, ‘1, v; e dire che / è per ogni sistema di valori delle u,, v;, £ funzione di x + Xy. Noi seriveremo dunque che (x, v, £#) è funzione di % e di x + %Xy [che F(«, v, «1, ©, X) è funzione di U1, vi, kE, e (u, v) + ky (u, v)], cosicchè Fu (u,e,k) _ cu + kyu' Fo (u,v,k) xv + ky E, (uo) + En (0, ©) SA Ea (u, 0) + Eno (u, v) sarà una funzione lineare (*) Le «, y, 2 essendo coordinate cartesiane ortogonali od obblique. 790 GUIDO FUBINI Le x,, x, Yu, Y, saranno dunque proporzionali ai coeffi- cienti E,, Z9, 1, ns di tale funzione lineare: coefficienti noti (a meno naturalmente di un fattore) quando sia data la /, cioè la @. E quindi potremo scrivere: (3) dx = M(E du+ E, dv) (4) dy == M (n, du + n3 de), dove le z, n sono note, il fattore integrante M è incognito. Poichè le x, y si devono poter assumere a variabili indipen- denti, &, ng — &sm ==0. Scrivendo che M è fattore integrante ò log M du , e quindi con quadrature il valore di M (determinato a delle (3), (4) potremo perciò ricavarne i valori di d log M dv meno di un fattore costante). Integrando poi le (3), (4), se ne trarranno le x,y (a meno di costanti additive). Tutte queste costanti indeterminate non corrispondono affatto a una indeter- minazione del problema, perchè si possono eliminare con una conveniente collineazione. Noi indicheremo con x,, y i valori così ottenuti per le x, y, per ricordare che esse in realtà dipendono anche dal punto (u,, 7) considerato. Corrispondentemente a un’altra coppia di valori (us, v,) troveremo altre funzioni xs, ys tali che un’equa- zione xs + &, y» = hs (dove 4g, £#s sono costanti) rappresentano una sezione piana di S passante per il punto (ws, v2), così come le equazioni x, + #1y1= 4; (4;, &, costanti) rappresentano se- zioni passanti per il punto v,, v;. E poichè tra tutte queste sezioni ve ne sono ! passanti contemporaneamente per i punti (,, v;) ed (vs, vg), esisteranno ©! sistemi di valori per le k,, As, ki, ks tali che le equazioni x; + %;yj= 4; per î= 1,2 rappre- sentino le stesse sezioni. Anzi i valori corrispondenti di %,, %s sono in corrispondenza lineare, perchè le 00! sezioni ora consi- derate determinano sui piani tangenti in (vj, v)) ed in (ws, ©) due fasci proiettivi. E noi potremo fare una tale trasformazione lineare intera p. es. sulle xs, ys in guisa che sia %, = Xs, cioè che gli o! piani #, + 4yy =; coincidano con infiniti piani rg + kys = hs. I valori di 7%, e quello di 4g si determinano os- servando che questi piani passano per i punti (w,, v) © (ws, ve). DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 791 Perciò i piani: [1 (wu, 0) — 21 (un, vo] +-E[y1 (0) — yi (00, v9)) = 0 coincidono coi piani: [wa (, 0) — o (1, va)] + % [ya (, 0) — yo (01, 0)) = 0. Ora sia 2; la terza coordinata cartesiana di un punto di S (quando x,y; sono le altre due); anche x,y, si possono in unione a una terza variabile 2, pensare come altre coordinate cartesiane di S (quando però siano cambiati tanto gli assi coor- dinati, che il piano all’infinito). Perciò xs, y, 2 saranno fun- zioni lineari fratte di x,, Y1, 21. Ricordando quanto abbiamo detto per i piani passanti per i punti (v;, v) € (43, vs) avremo che sarà in particolare Xx — E (Ua, to) px + qui + ra 48 Y, — Yi (ua, v2) — Y2 (U,, v) = 9 Yo (001, 11) pet qu + rzi + 8 Lo — La (1, 0) = dove p, g, r,s sono costanti. Se il punto (vs, v») è scelto in modo generico in guisa che il piano m tangente nel punto (us, v3) non passi per (w, v;) sarà r==0; perchè px, + qu + rar 4 s=0 è l'equazione di m nel sistema di coordinate x,, y1, 21. E, se fosse r= 0, il piano n sarebbe un piano x, + ky, = % (k, h = cost.), e passerebbe per w,, v. Noi potremo dunque, cambiando an- cora una volta coordinate, assumere a coordinate cartesiane le «= ya z= px, + qu + ra + 8. Così dunque le equazioni parametriche della superficie sono date da: xi x (3, 09) a=2 (0,0), ge (4, 0), er co — La (4; 14) che risolvono il nostro problema. Riassumendo brevemente, quando sieno trovate le funzioni x (u, v; u,, vi) e y(u, 0; u1, v;) (ciò che si sa fare con sole qua- 792 GUIDO FUBINI drature) si possono assumere ad equazioni parametriche della superficie le | 2A ai farti y=y(u,v; uv), (5) Î suda 3 x (u, v; ui, t) — C(ug, va; 4, 114) ala (u, 0; ua, va) — 2 (w4, 01; 2,09) +-B{y (ww, 0; 2, 02) —y(04, 04; 02, 03)] dove i punti (x,, v)) @ (ws, v») sono punti fissi generici, e le co- stanti a, 8 sono scelte (com’è possibile certamente) in modo che coincidano le sezioni rappresentate dalle equazioni L (x, Vi U, vi) cond! (9, Va; Un, vi) =0 a [x (u, Vi Ua, vs) _d (1, Vi; U9, va) | + Il problema da noi posto non è sempre possibile; perchè non ogni equazione v = ® (u, a, b, c) può rappresentare le cod se- zioni piane di una superficie; lo studio precedente ci insegna a trovare le condizioni necessarie e sufficienti affinchè questo av- venga. Come abbiamo già visto, è intanto necessario che l’equa- zione di una sezione piana si possa, con certe eliminazioni ese- guite sulle (1), ridurre alla forma: m= F[k;u,v;c(u,v; u,v) + ky (u, 0; %, v)], dove con %, v indico le variabili, a cui nelle pagine precedenti abbiamo dato successivamente i valori ,, v, ed ws, v. La è e la X sono i valori di v e di v' per u=% (i valori iniziali di v e di v'); come costante m si potrebbe, volendo, scegliere il va- lore iniziale di »”. Sarà poi ulteriormente necessario e suffi- ciente che le x (u,v; «, 7) e y(u,v; v, v) siano funzioni lineari fratte (a denominatore comune) a coefficienti funzioni delle sole #, v delle variabili definite dalla (5). Non sarebbe certo difficile scrivere più esplicitamente queste condizioni; ma dì ciò non ci occuperemo. DEFINIZIONE PROIETTIVO DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 793 $ 3. — Equazione differenziale delle sezioni piane. Ma sembra più conveniente, per caratterizzare una super- ficie, di dare l'equazione differenziale delle sezioni piane, piut- tosto che darne l’equazione in termini finiti v = @ (u, a, 8, 0), perchè i parametri a, d, c si possono scegliere in modo troppo molteplice. Comincieremo dal caso che le x= cost., v = cost. sieno sezioni piane, cosicchè l'equazione di una sezione piana generica vale v + au +54 co (vu, v) =0, ove @ è funzione delle u, v ed a, dj, c sono i parametri, che si tratta di eliminare. + sL_ } h; 2 Si trova (indicando con v' la di con e. Ja x ecc.) v page a + eP'u 6) 1 + ep "i (4 ” = pag du + 2001, +0 pr v' = — I Ta Puuu Lr 30 Pu + 30"? Pao + 03 Pr ft + 5 3 (1 + incos (Pur sa Pr, v) (uu si 2v Pur + v? ®.); donde: vv (Pun + 2 20 Pur v2 ? @oo) + AM CL oi, Pe Re Ecco la forma canonica di tale equazione. Se, come pos- siamo supporre, = w, y= v, 2 = @ («, ©) sono coordinate car- tesiane ortogonali dei punti della nostra superficie, il primo termine della nostra equazione vale (moltiplicato per du?) 00 ‘1422 Didi ZETA albgit de |=— VA (Ddu + 2 D'dudv + Ddr). dz Ret Da cui già deduciamo un primo risultato, che sarà confer- mato anche dai calcoli dei seguenti $$ per le più generali coordinate curvilinee. 794 GUIDO FUBINI Le linee asintotiche sono linee singolari per l'equazione delle sezioni piane (e quindi, come è ben noto, si conservano per col- lineazioni). ; Noi ora scriveremo la nostra equazione in coordinate ge- nerali, e ne troveremo il primo membro sotto forma differen- ziale. $ 4. — La forma fondamentale 4A. Indichiamo con x; (i = 1, 2; 3, 4) coordinate proiettive omo- genee: e siano x; = x; (u, v) le equazioni parametriche di una superficie. Le x; sono determinate a. meno di un fattore co- mune. Le sezioni piane sono quelle, che rendono nulla la forma differenziale Xi Lo Lg Ly dae dr des. dx. dx, dix, d'x dix, d'x; «diri d'xz Wa, (1) bas) o, come scriveremo brevemente: (1° o e— (x, dx;, d?x;, d3x;). Gli elementi di ciascuna colonna si ottengono da quelli scritti nella (1)?, ponendovi è = 1,2, 3, 4. È ben evidente che: Se si moltiplicano le x; per uno stesso fattore p(u, v), la forma A resta moltiplicata per pt. Se si fa subire alle x; una trasformazione lineare intera omogenea a coefficienti costanti (col- lineazione), la forma A resta moltiplicata per il determinante della trasformazione; tale forma individua le sezioni piane e quindi, per quanto abbiamo già visto, individua proiettivamente la su- perficie corrispondente. Tale forma costituisce dunque l’invariante che noi cerca- vamo. Se si pone p. es. d°u = d*u = 0, e si divide per du dalla forma A sì deduce in coordinate curvilinee generali l'equazione differenziale delle sezioni piane. DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 795 Per trovare nel modo più semplice le relazioni tra A e le forme di Gauss. si. ponga, p. es. x1= 1, ca=%, x =, oy= 2. Si otterrà: A = (da, d°x, dx) dove gli elementi scritti sono quelli della prima colonna, e quelli delle altre colonne se ne deducono sostituendo la y e la 2 alla x. Sviluppando si trova: A=— (d*vdu — d8udv) VA (Ddu? + 2D'dudv + D'dv) + + 3 (420du — d*udv) VA [Ddud?u + D'(dud?v + dv d2u) + + D''dvd?v) + + (d2vdu — d?udv) } d (VA D) du? + + 2d(VA D') dudv + d (VA D') det + 4P,VA'!+ Pi ove du 1 dv 0 e ASI gi A e I a = Da Dda P;=| 1 t1) 24 12) 12 (22) 12 22 / e set du 43920 do otdu+$"?! do D'du + D''de è un polinomio (*) di terzo grado in du, dv e P; è un polinomio di 6° grado in du, dv. La forma A resta invariante, sia al mutare delle linee coor- dinate, sia quando si effettui una collineazione unimodulare. I suoi coefficienti sono perciò invarianti per collineazioni (ma non per cambiamento di coordinate). Un tale coefficiente è p. es. P; un altro, più semplice, di cui ci occuperemo più avanti, è, p. es.: 4 P,VA + d (VA D) du? +2d (VA D') dudv + d (VA D') de?. i Rd ) 022 (ef 11 (de) (114 -d2 (* e ” Ò acute" = 4 ber (*) Per il calcolo si ricordino le de aL ni 2\ dr analoghe, dove con X, Y, Z sì indicano i coseni direttori della normale; e si ricordi che (ru, xy, X)=VA. + DX e 796 GUIDO FUBINI $ 5. — Significato geometrico e calcolo della forma A. Ponendo in A nulli i d?u, d3v, e dividendo per du5, ed ugua- gliando a zero, si trova l'equazione differenziale (del terzo or- dine) delle sezioni piane delle superficie. In altro modo questa equazione si può trovare, osservando che le sezioni piane sono le curve a torsione nulla. Indicando con s, -, e LT l’arco, 9 la curvatura, la torsione, la torsione geodetica di una curva, e l'angolo che la normale principale forma con la normale alla 1 mini nato po LAT : superficie, sl trova [posto v = Fae: e): coso __D+2D'v+D"r? curvatura normale = RU E+2Fv0+ Go" n ‘an ere, — eg MI SI 18 curvatura geodetica = + È ETIFI TGA (0 + av'8 + +.Be2 +10 + gg 6221 a 1220 va 122 262) dI, pr "Ti r1658=1}21 diyigiT=" pg | LET =}21 Saito att VA. + SP porke "È e ° VE+2F/+ Gv? DH+2D'v+ D"v° 144 da d 1 d PR © det ld VALI A linea i i (ove si indica la derivata rispetto ad x, quando si tenga conto che v, v, v' sono funzioni della x). 1 1 (FD_ED')+(GD—ED")v +(6D'— FD")v" Ts" VA E+2Fv + Gv? che noi scriveremo anche nella forma : l riori 1 ( , dl, 7) PR | D+2D'e+D"v | ; lai vai + Dv) (F4.@ E+2F/+ Gv? $° Abbiamo una indeterminazione di segno (che si toglie su- DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 797 bito, come vedremo) nella formola che dà + Ponendo +=0, e moltiplicando per: A (0° a av'3 + Bo? A vo -- e)? + SL) + (E+2F + 602) (D+ 2D'y + D'e— 1 E "he si trova che per le sezioni piane è nullo : 1 1 ds DI + D'v A " 13 , / = == — Vv (08) 2 - » 2 Tp R? duò VA } ( » + B t YU + €) _ +(E+2Fv + Gv?) (D+ 2D'0' + D'v2)*{ + + +04 (p4-2Dv+D'0+ VA(D+2D'v + Dv) (0! + av + Br? + yo + e) - X E+2Fv + Gv? KIPPGIe" 40040 pri (E + Nt +(D+2D'v + D'0%) È }VA (0+av3+-B02+ 10 +0) + FVA (0° +-ow® + Bo + y +) £(D+2Dv + Dv). Si debbono scegliere i segni superiori, come si vede con- frontando i termini in v” e »* con quelli dell'equazione cal- colata col metodo indicato al principio del paragrafo. Dallo stesso confronto si deduce che nella formola non devono com- parire denominatori che in apparenza (*). Ponendo in questa formola v” =" =0 e ricordando l’identità citata in nota, il secondo membro si riduce al valore di P;, che è dato così dalla: Pi Po — _(D'+ Dv) (a+ pe? + ro + VA + + gg (D+ 2D'v+ D''092)(FD—ED')+(6D—ED")v'+ (*#) Per verificarlo basta osservare la seguente identità: ld (0° + av + Bo? + Yo + e)(F+ Go aio rese 2Fv + Gr?) = ROTTI PERSISTE! ra (VII (124, i) SS (E+2ere+009(10(+2) |P +|1|? 3 - Res 798 GUIDO FUBINI + (GD' — FD")v?} — & "16 (D+ 2D'v + Dv?) X x (ae! + Bo'® + ro + è %}1) +22 +) + + (D+ 2D'v + D'"02) z| VA (av. + Be +10 +)t— — VA (av? + Bo? + re +) 7 (D+2D"v + D"0'2) ove made. , d “=, 5; Non serivo P; nella forma più semplice, sia per facilitare il calcolo al lettore evitando soverchie trasformazioni, sia perchè inutile al nostro scopo. Concludendo dunque, abbiamo che la nostra SA A vale —# È ds*; è dunque trovato il significato metrico di tale forma (*). $ 6. — Applicazioni e verifiche. Si potrebbe ora approfondire lo studio della forma A. Noi, per brevità, lo faremo nel solo caso che le linee «, v siano asintotiche. Questo è infatti il caso più importante, perchè le asintotiche si conservano per trasformazioni proiettive. L'espressione 4 P, VA + d (VA D)du? + 2d (VA D') du de + + d(VAD')dv? si riduce nella nostra ipotesi (D=D"=0) in virtù delle equazioni di Codazzi a 4V/A D' Hera dv3 + tal. Ne 014 RO casi i (22) (117 deduciamo quindi: Una collineazione non muta î valori di 31426 per l'elemento lineare riferito alle assintotiche. Per completare la ricerca, dovremmo ora studiare il poli- nomio P;; preferiamo però ritrovare per altra via il precedente risultato, completandolo poi senz'altro con questo secondo me- todo. (*) Che i coefficienti E, F, G comparissero in forma non semplice nella nostra A, era prevedibile a priori, perchè tali coefficienti hanno un signi- ficato puramente metrico, e non proiettivo. DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 799 Osserviamo che per l’illimitata integrabilità del sistema di equazioni bh 1[èfea&iioa gd da A |ibingno «tra, Bra dai + dx da * Loft odi devono essere soddisfatte tre equazioni, che a noi è comodo seri- vere nella forma seguente: , ut, =", 1 ,’ er IZÀ , Ud (2) < 9 sd, == Boa Cr BY. o (BY). 1 / ” , ,’ 2 B., = Yuu e? TB, Fg (BY), ove si è posto: (3) A=?2a, — a? — 2Be, B=2e, — &— 2ay. lae (log r), = Esiste dunque una r tale che (log r), = a Si trova che: (3) bis i dt i a dr dr \ a=t(e tata) B 4 (33 dr È Da i r \ dd ati hod d° dn Ora le (1) sono equazioni soddisfatte dalle quattro coordi- nate 1,,y,z (omogenee) di una superficie S riferita alle assin- totiche «, v; purchè sia UL sc a _ 622), _ 4124 Come si sa, se X è la curvatura della superficie, deve essere: ih i. na (12) du Fa 7 AGLI dv Ta EL (*) Le a, B, y, € hanno ora un significato affatto distinto che nei pre- cedenti paragrafi. Per il contenuto di questo $ cfr. WiLezyNski, Transactions of the American Mathematical Society (tomi 8, 9, 10). Memorie sulla Proiective differential geometry of curved surfaces. 800 GUIDO FUBINI È facile (ma un po’ lungo) riconoscere che le (2) sono con- seguenza delle (4), (5). Se noi indichiamo con una lineetta gli elementi analoghi relativi ad un’altra superficie S, la condizione necessaria e suf- ficiente, affinchè S, S siano collineari, è che si passi dalle (1) al sistema analogo per S con una trasformazione x = Ma. Le (1), ove si ponga a =), diventano: dx ta i Nu Ù , 1 I, î nie du (a cali x . Lu + Bz, Frs ce fa > aù, ati BÀ,) = (0) dr , sl x Ma Vo , ”" / IN 07 de re +(e- 20) + MM _a)e=0. Dovrà dunque essere : (6) e=f, r=f, 2-08) ama, 2-08. Cee, (7) Nu — A — Be=Mmo AA =0. Le (6) danno: on pu=SE, DR. asi E le (7) diventano : (7)% Adi in Bi Le (6) e le (7)%* ci dicono dunque: Gli invarianti proiettivi di una superficie riferita alle assin- $11) 422) d :(114:c/611)2 — 641) (224 totiche 800) os), 4A—-23230 ibi LL 0 39 (280, 2209 SARIRAILI A RETI "ESTERE I primi due ci erano noti dallo studio di Pz; gli altri due si sarebbero potuti ottenere studiando P;. Notiamo in più che i due nuovi invarianti ottenuti A e B non sono indipendenti dai precedenti. Le (2) dicono infatti che 4’, e B', si esprimono in funzione dei precedenti due; cosicchè per l'identità proiettiva delle nostre DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE DI UNA SUPERFICIE 801 due superficie è necessario e basta che siano uguali in punti corrispondenti le ata sarà e che in punti corrispondenti p. es. delle v= 0 le A abbiano valori uguali, in punti cor rispondenti p. es. delle u=0 le B abbiano uguali valori. L'identità ora enunciata per A o per B lungo la e=0, 0 lau=0 equivale ad ammettere che le asintotiche «= 0 e v=0 di una superficie sieno proiettivamente identiche alle asintotiche dell’altra. Ciò che si può enunciare anche dicendo: Se due superficie in corrispondenza biunivoca che conserva le assintotiche u = cost. e v = cost. si intersecano lungo due assin- totiche, p. ess u=0 e v=0, le superficie coincidono se î sim- boli dali i È hanno lo stesso valore per le due superficie. Basta dimostrare che A ha valori uguali per le due su- perficie lungo la v=0, e che altrettanto avviene per B lungo laj == 0: pina e 3221 hanno gli Basta evidentemente provare che vi 125 stessi valori sulle due superficie lungo la u=0 e la v=0. E ciò si dimostra facilmente. Se è data la assintotica u = 0, sono noti per u=0 i valori di G e di G, cut curvatura della x = 0 \ Sari (22) de) Poichè G e 3, sono noti, anche VA e quindi anche (VA), # kind ini sono coincide con la curvatura geodetica noti per x = 0. Essendo nota la torsione della «= 0, è nota la Otog RO. \ 12} pg e v curvatura XK della superficie, e quindi anche to per u=0. Cioè per x= 0 sono noti anche i ' ; (Rot VA, K, (VA), Ki. Poichè G,=2 dis | + ri?) , se ne deduce che anche F resta determinato per «= 0. Essendo così noti G, 7, A=EG— E° per u=0, anche FE è noto per u= 0. Peru=0 sono dunque noti E, F, G, e quindi cda Bio Pos ge AO }s-p find Li SA (GE, — FG.) e quindi anche G,. Poichè per u= 0 è noto: re pla tie)- a(1). pure noti per u= 0 il simbolo 802 GUIDO FUBINI — DEFINIZIONE PROIETTIVO-DIFFERENZIALE, ECC. sarà per x=0 noto anche A, = E,G + EG, — 2FF. e quindi i 04 | 11 sarà noto anche £,G —2 FF, e perciò anche infine i == x (FE: + GE, — 2FF.). Dunque ri e de risultano deter- minati per u=0 (e, per simmetria, anche per v = 0). c.v.d. $ 7. — Cenno di alcuni problemi analoghi. Accanto alla forma A si potrebbe studiare la forma duale A' = (&;, dé;, d°&;, d8E;), dove con &,, 3, &3,E, Si indicano coor- dinate omogenee del piano tangente, trovando anche le relazioni che passano tra A ed 4A', e quindi tra le superficie duali di una superficie data. Anche il metodo del $ 6 si potrebbe applicare alla super- ficie, pensata come inviluppo dei suoi piani tangenti. In tal caso l'elemento lineare dell'immagine sferica avrebbe l’ufficio, che nel $ 6 ha l'elemento lineare della superficie stessa. Infine, servendosi della trasformazione di S. Lie che tras- forma rette in sfere, si potrebbe fare uno studio analogo, nel quale le linee di curvatura avrebbero l’ufficio, che nel presente lavoro hanno le assintotiche. Si potrebbero applicare i principii di questa memoria a problemi speciali (*). Ma non vogliamo qui studiare casi par- ticolari. (*) Naturalmente di indole proiettiva. L’ Accademico Segretario UoRRADO SEGRE. CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 19 Aprile 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Carront, Direttore della Classe, MANNO, Pizzi, RuFFINI, StAMPINI, D’ ErcoLe, Srorza, FinAuDI, BAUDI DI Vesme, RenieR Segretario. — Scusa l'assenza il Socio CARLE. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza prece- dente, 29 marzo 1914. Il Presidente presenta le pubblicazioni di cui fa omaggio all'Accademia il Socio nazionale non residente Fedele Savio, cioè il volume su L'apparizione della Croce e la conversione di Costantino Magno, 2% edizione a cura del Comitato romano delle feste Costantiniane, Roma, tip. Befani, 1915, e quattro opu- scoli di storia ecclesiastica. È pure presentata dal Presidente la parte III del vol. VII della Storia dell’arte italiana del Socio corrispondente Adolfo Venturi, Milano, Hoepli, 1914. — Su proposta del Socio Se- gretario Renier la Classe unanime delibera che al prof. Ven- TURI siano inviate, coi ringraziamenti, le congratulazioni per la vista ricuperata mediante un atto operativo ed i migliori auguri pel proseguimento dell’opera sua, che è decoro all'Italia e agli studi sulla nostra arte gloriosa. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 54 804 Il Socio D’ ErcoLe presenta un proprio opuscolo dal titolo: L'antico Egitto e la Caldea come precursori dell'ebraismo e del cristianesimo in morale e religione, Bologna, 1913, di cui rife- risce alcuni dati. Con particolari chiarimenti il Socio ErnaupI offre: 1°, La Riforma sociale, rivista critica di economia e finanza, serie 3, anno XX, vol. XXIV, 1918, Torino, Società tipografico-editrice nazionale, 1914; 2°, Riccardo BacHI, L'Italia economica nel 1912, Torino, 19183; 3°, Luigi ErnAuDI, Corso di scienza della finanza, 2* ediz. curata da Achille Necco, Torino, 1914. — Il Presi dente si rallegra col Socio offerente per le sue benemerite pubblicazioni nella scienza della finanza, notando quale inere- mento e quanta sicurezza e precisione scientifica quella disci- plina abbia conseguito mercè i suoi lavori. Per l'inserzione negli Atti il Segretario ReNIER presenta la Nota del Socio Carlo CipoLLa, Sulle tradizioni anti-bonifaciane rispetto a Giulio da Montefeltro e alla guerra dei Colonna. C. CIPOLLA — SULLE TRADIZIONI ANTI BONIFACIANE, Ecc. 805 LETTURE Sulle tradizioni anti-bonifaciane rispetto a Guido da Montefeltro e alla guerra dei Colonna. Nota del Socio CARLO CIPOLLA. Negli ultimi anni la questione del “ consiglio frodolente , di Guido da Montefeltro a Bonifacio VIII fu trattata e ritrattata più volte. Ultimi a discorrere furono il prof. Giacomo Parodi nel Bollettino della Società dantesca, dicembre 1911 (XVIII, 262), che sottopose ad esame le pubblicazioni meno lontane, e il padre Girolamo Golubovich Biblioteca bio-bibliografica della Terra Santa e dell'Oriente Francescano, Firenze, 1912, p. 483 nel ca- pitolo Una pagina dantesca, notizie inedite su frate Guido conte di Montefeltro |a. 1222-1298], edizione ampliata e corretta. Il p. Golubovich scoperse, anni sono, in un manoscritto della Nazionale di Parigi quella cronaca di frate Elemosine, che con- serva la narrazione francescana sul colloquio di Guido. Alla narrazione dei partigiani di Colonna, degli autori del- l'attentato di Anagni, si aggiunse un’altra pagina per merito di A. Messeri I consiglio frodolento di Guido da Montefeltro, Rimini, 1911. Nella nota al II volume del mio Ferreto ritornerò presto sulla questione, ma in forma laconica, fermandomi piuttosto su frate Elemosina, che non sulle altre fonti. Qui al contrario. A me pare che sia necessario allargare la questione, non isolare la questione di Guido; una vera e completa illustrazione della questione si avrà soltanto in una trattazione generale sulla leg- genda avversa a Bonifacio VIII, condotta secondo le traccie se- gnate dal Finke nel suo mirabile libro Aus den Tagen Bonifaz VIII, Miinster i/w 1904: Ma a tanto non è ancora preparato il ter- reno, e mi accontenterò di cenni. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 54% "> 806 CARLO CIPOLLA Qui voglio cercare di ordinare alcuni elementi, senza so- verchie pretese, per vedere se si può tentare una cronologia della diffusione della leggenda anti-bonifaciana in riguardo alla rovina dei Colonna. Primieramente richiamiamo alla memoria la condizione degli animi eccitatissimi. La lotta dei Colonna contro Boni- facio VIII non avea solo carattere personale, ma traeva seco anche una più vasta controversia politico-religiosa, che si col- legava colle tendenze “ spiritualistiche ,. La distruzione di Palestrina e delle altre terre dei Colon- nesi fece profonda impressione, nè i Caetani la attenuavano. Nella risposta che il card. Francesco Caetani (1) diede alle accuse dei Colonna non si impugnava nè il fatto, nè la sua gravità, ma si diceva soltanto che era la conseguenza della sentenza. “ Ad id vero quod dicunt, quod ipse dominus B. rupta fide destruxit et dirui fecit civitatem Penestin. et quod castra et; alias terras ipsorum Colunpnen. distribuit et dedit inimicis ipso- rum, respondetur, licet sic ex predictis responsum, quod exigen- tibus culpis et excessibus eorum, quos ipsi recognoverunt, ut supradictum est, iuste dirui fecit predictam civitatem et alia eastra et terras dare iuste potuit, cum iam essent eorum bonis per sententiam iuste privati ,. Invece si nega che avesse pensato di “ occidere omnes Co- lumpnenses ,. Dall'altra parte i Colonna si preparavano al fatto di Anagni. L'avversione la più arrabbiata contro Bonifacio VIII era diffusa presso i Gioachimiti e gli Spirituali, che arrivava fino a im- pugnare la validità della rinuncia di Celestino V e della ele- zione del suo successore. La tensione degli animi è rappresen- tata da Ubertino da Casale, che in questi ultimi anni richiamò sopra di sè l’attenzione di molti e pur testòè del p. Adolfo Mar- tini (2), che esaminando ampiamente l’ Arbor vite crucifive nelle sue fonti e nel suo contenuto, espone ciò che dice per impu- gnare la legittimità di Bonifacio VIII Gli attacchi violenti contro papa (Caetani, uomo senza dubbio caldo ed a scatti, (1) P. Perrini, Memorie prenestine, Roma, 1795, p. 484. (2) Martino da Casale alla Verna, in * La Verna ,, 1913, XI, 273. “ SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 807 fanno vedere fino a quale frenesia molti si lasciavano portare. Ubertino difende i due cardinali Pietro e Giacomo Colonna, e afferma che Bonifacio VIII avea relazione cogli spiriti infernali, del cui aiuto, a suo credere, si servì per opprimere i due car- dinali, la qual cosa, dice con asseveranza, “ usque ad me here- sissimorum suorum revelatione verum esse pervenit ,. Il Martini opina che tutte queste narrazioni, come la “ pessima mors et finis eius ,, e che Ubertino accettava senz’ombra di esame, proven- gano probabilmente dal card. Napoleone Orsini, del quale Ubertino nel 1307 divenne cappellano e familiare. Ubertino era entusiasta di Filippo il Bello, e in ciò si stacca da Dante, mentre è con- corde con lui nell’avversione’ contro Bonifacio VIII e nell’im- pugnarne la elezione. Dante accenna, ma alla sfuggita, a Uber- tino, mentre Jacopone da Todi è da lui trascurato. Le parole di Ubertino possono indicarci con quali disposi- zioni d'animo si parlasse e si scrivesse, del che devesi tener conto a proposito della credibilità storica delle varie narrazioni. Sul testo di G. Villani. L’episodio di Guido da Montefeltro nel c. XXVII dell’/n- ferno ha il suo punto culminante nel colloquio con Bonifacio VIII. Che quel colloquio non sia stato inventato da Dante a me parve sempre cosa non solo probabile, ma anche sicura, per quanto in queste questioni ci possa essere cosa provata; e ciò anche indipendentemente dalle fonti prosaiche. Dante ha per abitudine di raccogliere la base della sua narrazione dalla storia, o al- meno da ciò che potea riguardarsi per storia ; e mettervi at- torno le sue concezioni artistiche. Prima che il Parodi, che di tutto questo parlò con tanta competenza, non lo negasse, io era davvero propenso a credere che anche l’assoluzione data da Bonifacio VIII avanti al peccato si dovesse riguardare come una diceria suggerita a Dante da qualche testimonianza, scritta od orale, qualunque fosse il suo valore; dico il vero, per quanto Dante fosse avversissimo a Bonifacio VIII mi sarebbe sembrato, non supponendo ciò, di aver dimenticato la reverenza delle somme 9 chiavi che egli professava. Vero è che Dante riteneva Bo- nifacio VIII come illegittimamente eletto. Ma le considerazioni del Parodi mi dànno a pensare, per quanto basate soltanto su ragioni estetiche; accenno anche all'argomento negativo che nes- suno parla di ciò di coloro che accennano al colloquio. Vi allude, è vero, il Ferreto (I, 74), ma egli è posteriore a Dante, ed usò la Divina Commedia. È piuttosto a notare che G. Villani (VIII, 21 e 23) nel fondo della narrazione che egli fa della guerra fra Bonifacio VIII e i Colonna non inserisce alcun cenno al colloquio di Guido, e solo vi fa allusione in un passo evidente- mente aggiunto: un passo che vi sta dentro a disagio. Queste parole non significano mica che io pensi trattarsi di una inter- polazione da altre mani, no davvero, ma io dubito invece trat- tarsi di un ritocco dovuto al cronista medesimo. Ma conside- rando il passo nella sua forma più piana, devesi da ciò rico- noscere che dell’assoluzione non si parla. Parlando del colloquio ha il solo ‘ consiglio frodolente, e tutto il resto è omesso, il che fa pensare che il Villani o abbia fatto anch'egli l’acuta argomentazione del Parodi, o che leggesse il racconto su una fonte simile a Ricobaldo o a Pipino. Presso G. Villani la lotta fra Bonifacio VIII ed i Colonnesi si partisce in due capitoli, 21 e 23 del libro VIII; nel cap. 21 si accenna alla condanna dei due cardinali Colonna, 1297, si ricordano le rocche di Palestrina, Nepi e Colonna, accennandosi all'assedio o alla presa di Nepi, e agli aiuti dati da Firenze al papa. Nel cap. 23, settembre 1298, si afferma un accordo fatto a Rieti, colle mancate promesse di Bonifacio VIII per il che “ innanzi sì compiesse l’anno si ribellarono , perchè il papa indarno promise di restituire loro Palestrina, donde la nuova condanna e il disperdersi. Tra l'accordo e la nuova rivolta, aleuni testi collocano il discorso di Guido da Mon- tefeltro. Gli aiuti mandati da Firenze al papa rimasero in campo contro i Colonnesi dal luglio 1297 all’aprile 1298, secondo i documenti riferiti dal Davidsohn (1) il quale colloca la tratta- 808 CARLO CIPOLLA (1) Geschichte von Florenz, III, 42. Presso il Tartini, Rer. Ital. Script., II, 58, citansi documenti del 1298 in cui Michele q. Orlando del Popolo di SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 809 zione per la cessione di Palestrina all'agosto 1298 quando real- mente il papa trovavasi a Rieti; egli poi richiama l’attenzione nostra sopra un documento vaticano sulle trattative o sulla cessione di Palestrina; cioè la risposta che il card. Francesco Caetani, nipote di Bonifacio VIII, di cui dicemmo, diede alle la- gnanze dei Colonnesi. Presso il Villani, il testo non è sicuro, poichè in alcuni codici il passo sul consiglio fraudolente c’è e in alcuni manca. Esaminai i cinque manoscritti che di Giovanni Villani sì conservano nella Laurenziana, e ve lo trovai in due. In uno del sec. XIV-XV (Pluteo, 62, 1) il passo è in questa forma: “ e tutto questo trattato falso e frodolento fece il papa per lo con- siglio del conte da Montefeltro allora fra Minore, ove gli disse la mala parola: lunga promessa coll’attender corto et cetera ,. Similmente c’è nel cod. Pluteo 94, 4, del sec. XVI. Manca nei se- guenti PI. 62,3 (sec. XIV-XV) (1), PI. 62, 5 (sec. XV), PI. 62, 2 (fine del sec. XIV). E il passo di fra Guido da Montefeltro manca anche nel Villani della Capitolare Veronese CCCCXLVI, f. 119 (sec. XV). Il passo inserto nel testo del Villani ha relazione stretta col c. XXVII dell’ Inferno dantesco; il che fu riconosciuto da F. Neri (2), il quale ritiene che il Villani dipendeva appunto dalla Divina Commedia. Il resto della testimonianza del Villani sul fatto dei Colonna non ha invece relazione diretta con Dante, appena l’ha indiretta, poichè dice che i Colonnesi rimasero “ in- gannati di ciò ch'era stato loro promesso ,. Ma non dice che cosa fosse stato ad essi promesso. Accanto al Villani può citarsi Paolino Pieri (3), che sotto il 1298 scrive: “Su questo tempo e mese di settembre essendo Bonifazio papa colla corte in Rieti, una terra della Marca, S. Pietro in Gattolino (Firenze) si obbligò ad andare a Roma per recarsi all'esercito ‘ contra illos perfidos de Colupna et contra quoscunque alios Ecclesie et summi pontificis inimicos atque rebelles* per sei mesi, e ciò dal 15 maggio. (1) Il codice è di varie mani, ma tengo nota soltanto della parte che a noì interessa. (2) Dante e il primo Villani, © Giorn. dantesco ,, 1912, XX, 8. (3) Tarrini, II, 53; Apami, Cronica di P. Pieri, Roma, 1758, p. 61. 810 CARLO CIPOLLA messer Jacopo e m. Pietro figliuoli di un Gianni dalla Colonna, con gli altri Colonnesi, vennero alla misericordia, ai quali il papa graziosamente e di buon'aria perdonò ed assolvetteli dalla scomunicazione e disfecesi allora Palestrina; avvegnachè poco passò meno d’un anno, che si partiro dall’ubbidienza ed il papa da capo li scomunicò ,. Qui non c'è alcuna allusione al tradimento che la voce diffusa dai Colonna acereditò. La spiegazione delle testimonianze del Pieri e del Villani sta nel documento edito da P. Petrini (1) opportunamente ci- tato dal Davidsohn, che ne dichiara l’alto valore. È la risposta che il card. Francesco Caetani fa all’accusa mossa dai Colonna a Bonifacio VIII Lo sunteggio : “ essî dicono di non aver rico- “ nosciuto la propria colpa. Ma la cosa andò così. Essendo il “ papa a Rieti in concistoro, in presenza di cardinali e prelati “e del principe di Taranto ‘qui nunc hic extat’ e di altri chierici e laici in gran numero, i Colonna si presentarono so- “ lennemente a Bonifacio, riconoscendolo come legittimo papa, e “ confessando i loro eccessi. I Colonna dicono che furono segnati “ patti fra essi ed il papa, asserendo di tener bolla del papa e di “ aver diritto a custodire la città di Preneste, pur ponendovi “il papa le sue armi. Ma ciò non è vero, e cotali patti sono “ bene inverosimili, non essendo ammissibile che dopo avere “ confessati i loro eccessi, venissero a patti. Prima di presen- “ tarsi al cospetto del papa, aveangli già consegnato tanto Pre- “ neste, quanto le altre castella; nè è possibile credere che il “ papa si accontentasse soltanto di questo che essi alzassero le “sue armi. Smentisce che Bonifacio VIII avesse tentato di far “ morire Stefano Colonna. All’accusa che il papa solo ‘ corrupta “ fide’ distrusse le castella dei Colonna, si risponde che questi “erano già stati privati, per sentenza, dei loro beni: sicchè “ quanto egli fece fu per loro colpa ,. Il resto del documento ha minore interesse per noi. Il passo del Pieri contiene un cenno alla misericordia, il che fa pensare alle seguenti parole del presente documento (p. 433): “ nec ipsi Columpnenses, nec prefati per eos vocata petebant pacta aliqua sed ut solum eis misericordia fieri in- sistebant ,. (1) Memorie prenestine, Roma, 1795, doc. n. 85, p. 482. SULLE TRADIZIONI ANTI BONIFACIANE, ECC. 811 : Il Petrini (pp. 148-9) illustra molto laconicainente il docu- mento, e fa desiderare maggiori notizie là dove dice che il car- dinale Giovanni Boccamazio ed altri, che si interposero come mediatori, ingarbugliarono l’affare. | Il Davidsohn (III, 46) riguarda come perfettamente chiaro il documento di Francesco Caetani, nè contro di esso propone alcun motivo di dubbio (1). Delle carte che riguardano il processo contro la memoria di Bonifacio VIII si occupa R. Scholz (2), e dà l'elenco del mate- riale da lui trovato nell’archivio Vaticano ; ma delle carte da lui trovate, nessuna riguarda la questione nostra; anzi egli non ricorda neppure il documento riferito dal Petrini. Egli dice che abbiamo quasi solo i documenti avversi a Bonifacio VIII, così che quasi non si può neppure in qualche modo applicare l’adagio Audiatur et altera pars. LI; Ricobaldo da Ferrara. Di Ricobaldo da Ferrara abbiamo due testimonianze in- torno alla guerra di Bonifacio VIII contro i Colonna e intorno a Guido da Montefeltro. Ricobaldo nacque verso il 1244-45, dacchè egli era fanciullo settenne quando udì predicare Innocenzo IV il 4 ottobre 1251. Qualche documento del 1290 lo denomina “ Ricobaldus condam Bonmercati notarius ,; nel 1293 trova- vasi a Padova. Contava 73 anni quando scrisse la Historia Romana, la quale infatti giunge tino al 1318 (3). Della Mist. Rom. esiste la versione italiana nel cod. Marciano, Zanetti 38 (1) Il cardinale Francesco era nipote ex fratre di Bonificio VIII. Cfr. Euset®, Hist,, I. 12. (2) Zur Beurteilung Bonifaz VIII und seines sittlich-religiòsen Charakters. “ Hist. Vierteljahrschr. ,, 1906, IX, 470 sgg., 484 sgo. (3) Le notizie biografiche sono raccolte dal compianto 0. Horner Ecerr, Der Schlussteil Ricobalds von Ferrara Hist. Romana; * Neues Archiv ,, 1911, XXXVI, 448-450, 453, e da A. F. Massera, Intorno alla. Hist. Romana di Ricobaldo da Ferrara, © Arch. Murat. ,, n' 11-2 (a. 1913), p. 609. 812 CARLO CIPOLLA “(nuova numerazione 4774) ,, sec. XV, che C. Frati (1) ha illu- strato ; la Historia è chiusa da questa nota: “ Qui finisce questo autore la sua opera, lo quale vide queste cose, le quali esso scrive qui ultime (pare dunque, alluda alla guerra di Cangrande contro i Padovani nel detto anno 1318); ed infine a questo tempo esso visse ,. Ignoto è l'anno della morte di Ricobaldo. Dunque la Historia Romana fu terminata nel 1318, forse alla vigilia della morte del suo autore ? Anteriori alla Hist. Rom. sono varie compilazioni storiche di Ricobaldo, in parte edite dall'Eccard e dal Muratori, e nel 1886 elencate da Holder Egger (2). Fra queste opere la più notevole è naturalmente il Pomarium Ravennatis Historie, dedi- cato a Michele arcidiacono di Ravenna; da esso fu tolta in gran parte la Historia Romana. Il Pomarium fu pubblicato dal Mura- tori nel t. IX degli Scriptores, e giunge fino al 1304 cioè fino alla rivolta di Modena e di Reggio contro Azzone d'Este. Se- condo A. F. Masera il Pomarium fu sostanzialmente scritto a Padova nel 1300. Holder Egger elenca ancora: “ Chronica extracta de archivo Ecclesie Ravennate — Chronica de septem etatibus mundi — Compilatio chronologica ,. Della Chronica parva Ferariensis parla il Masera (Archivio. Muratoriano, fasc. 10, p. 549, del- l'anno 1911). P.Gribaudi (3), dopo aver ricordato due monografie di M, Lon- ghena (1905, 1907) sulle scritture geografiche di Ricobaldo, estrae dal Cod. Ottoboniano 2073 (sec. XIV) e dal Parmense Palat. 331 l’aneddoto ‘de partibus Italie et de laudibus eius ‘. Nel Pomarium e nella Historia Romana si parla dei Co- lonna e di Guido da Montefeltro; ma in modo diverso. Da una (1) Volgarizzamento di un'opera storica inedita di Ricobaldo Ferrarese, * Miscellanea A. Hortis ,, Trieste, 1910, p. 847 sgg. (2) Berichte iiber eine Reise nach Italien 1885, * Neues Archiv ,, 1886, XI, 277-86. (3) Una descrizione inedita dell’Italia di Riecobaldo da Ferrara, nel vo» lume miscellaneo Scritti di geografia e di storia della geografia concernenti l'Italia pubblicati in onore di G. Dalla Vedova, Firenze, 1908, p. 179 sgg. cita anche il Cod. Mare. 318 coll’opuscolo dal titolo * de origine urbium Italie ,. SULLA TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 813 comunicazione che il Masera fece al Prof. Parodi (1) viene il dubbio che anche in altre opere parli il Ricobaldo dell’episodio di Guido, ma finora non è molto chiara la cosa. Il passo del Pomarium riguardante il conte Guido fu scritto dopochè questi si fece francescano, e prima che morisse, o al- meno che Ricobaldo sapesse della sua morte. Di quest’ultimo periodo della vita di Guido così parlano gli Ammnales Cesenates (Murat. XIV, 1114) evidentemente bene informati: ‘de reli- gione comitis Guidonis et de morte. Millesimo CCLXXXVI die xvir novembris Guido comes Montis Feretri, dux bellorum, Fra- trum Minorum religionem ingressus, currente millesimo CCXCVII die dedicationis beati Michaelis [29 settembre] in civitate An- cooae est viam universe carnis ingressus et ibi sepultus’ (2). E poco appresso questi Annales (c. 1125) sotto al 1297 par- lano della lotta di Bonifacio VIII contro i Colonna, senza eol- legare questo con Guido; donde appare che il loro autore nulla sapeva dell’aneddoto del consiglio frodolente. Serisse dunque Ricobaldo ‘ Hoc tempore Guido comes de Montefeltro dux bellorum, strenuus quondam contra Bononienses Forolivensibus ductor belli et Pisanorum post clades repa- rator depositis honoribus seculi, Minorum Ordinem ingressus est, ubi hodie militat in castris Francisci ”. ‘Anno Domini MCCXCVII magna Rome seditio inter Boni- facium papam et duos cardinales de Columna, quibus mandavit, ut pileos deponerent, cardinalatus. insignia. Eos quoque, cum non parerent ac ceteros illius generis usque ad quartam genera- tionem privavit ecclesiasticis beneficiis et honore; palatia eorum dirui fecit in orbe ; castella eorum dirui fecit et que vinci non potueront, perpessa sunt populationem agrorum, hinc cedes in (1) “ Boll. Soc. dantesca ,, fasc. del dic. 1911, p. 271. ‘ (2) Altre testimonianze sulla fine di Guido veggansi - allegate dal P. GoLuovicu, nella sua pregevolissima Biblioteca Bio-bibliografica della Terra Santa, Quaracchi, 1913, II, 486, nota 5. Per mia comodità studiai la Historia Romana, oltre che nei saggi a stampa, nel manoscritto cartaceo 1287 (sec. XVI) della biblioteca Uni- versitaria di Bologna. I passi che ne riferii furono da me riveduti nel cod. Vat. Ottob. lat. 2073, sec. XIV ex., mostratomi dalla cortesia di mon- signor Marco Vattasso, al quale presento i miei ringraziamenti. 814 CARLO CIPOLLA Urbe et prelia, Nepam et Columnam postea obsidione subacta duces belli in deditionem receperunt’. Questo brano ricompa- risce nella Historia Romana del medesimo Ricobaldo, ma con varianti. Anzitutto manca la testimonianza su Guido da Montefeltro, che entrò nell'ordine francescano, e la data 1297 viene riferita senz'altro alla lotta fra Bonifacio VIII e i Colonna. Nel seguito abbiamo le seguenti varianti : Pomarium Hist. Rom. duos cardinalium duos cardinales quibus Jacobum ac Petrum. quibus - pileos deponerent card. ins. pil. ins. card. dep. illius generis usque in quar- illius familie tam generationem pro- palatia quoque eorum di- eorum palacia in Urbe sita di- ruit fecit in Urbe; ca- rui fecit, castella — stella eorum — Il Pomarium chiude con permessa sunt populationes agrorum, mentre la Historia si accosta tosto al racconto del Villani c. 21 scrivendo : ‘hine cedes in Urbe et prelia, Nepam et Columnam postea in obsidione. subactas duces belli in deditionem re- ceperunt ’. i Quindi la Hist. Rom. riprende il brano del Pomarium, ch’era stato soppresso intorno a Guido, e ne usufruisce per pro- seguire a dire della rovina dei Colonnesi, così: ‘ Érat eo tempore in Ordine beati Francisci Guido, qui comes olim de Montefeltro dux fuerat bellorum pro Gibillinis, hune ad se vocavit papa Bonifacius, persuadet, orat ut dux belli sit contra cardinales adversos. Cum omnino talia abnueret constanter, tum ait: ‘ saltem me instruas quonam modo eos subi gere valeam ’; tum ille: ‘ multa promittite, pauca servate de pro- missis’. Porro papa mediatores invenit, afferit se illis pie par- surum, dummodo agant id quid deceat magnitudinem sui status, ad cardinales res refertur, ex hac re gaudio affluunt. Itaque sumpta veste pulla, miserabili vultu et habitu, supplices ad pedes eius prosternuntur, culpam suam fatentur, orant atque im- plorant veniam, castigati verbis admittuntur ; venia datur, plura SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. ‘S15 promittuntur, spe plurima implentur ; offertur deinde alimonia cotidiane decenter; tandem ad id quod conceperat, satagit. Nobilem et prepotentem virum Canem de Cacano propinquum ‘cardinalium captum in compedibus nexuit, tum aliquo clam re- pente ad cardinales mittente ad fugam accelerent, aufugiunt illi et per aliquos annos latitarunt apud eorum amicos ut om- nino nesciretur utrum viverent, ceteri de familia Colunnensium dispersi sunt per regiones diversas ‘. La parentela fra questo racconto e quello del Villani non si può negare, ma con alcune varianti. Presso Ricobaldo si no- mina Giovanni Zacano; invece quello che riguarda il diffondersi degli esuli, nel Villani è più esteso. Questo accordo fra le due narrazioni dà rilievo alla forma del discorso di Guido, specie nella frase: Ric.: multa promittite, pauca servate de promissis. — Vill.: lunga promessa coll’attender corto. Le scritte dei Colonna contro Bonifacio VIII furono pub- blicate dal compianto H. DenIrLE, Die Denkschriften der Colonna gegen Bonifaz VILI und die Kardindle der Colonna, nell’ “ Archiv fiir Litteratur- und Kirchengeschichte des Mittelalters ,, an- nata 1889, p. 493. Le scritture (p. 509) dei Colonna sono datate da Longhezza 10 maggio, Palestrina 16 maggio, 16 giugno dell’anno 1297, in esse essi parlano di Celestino V dichiarando illegittima la rinuncia, e quindi illegittimo papa Bonifacio VIII, che accu- sano di aver carcerato Celestino, che “ detentum miserabiliter expirare coegit, licet a pluribus asseratur, non absque truculente iniquitatis studio, vita funetum ,. Asseriscono ancora che Bo- nifacio VIII agì contro di essi perchè essi vedendo “ ritum an- tiquum et consuetudinem immutari et per ipsum omnino con- fringi ,, resistettero almeno a .parole; si appellano al futuro Concilio. In documento senza data risposero gli altri cardinali com- preso Giovanni [Boccacamati] Toscolani sostenendo la legitti- mità di Bonifacio, e ancora: “ Nos igitur ipsos Jacobum et Petrum reputamus non tam scismaticos, quam insanos... ». Questi documenti Giacomo e Pietro Colonna opponevano alla bolla di scomunica che contro di essi Bonifacio VIII aveva pubblicato il 10 maggio 1297 (Baronio, 1297, $ 27-33 — Potthaft, 24513). 816 CARLO CIPOLLA Ancora una questione. È proprio certo che il capitolo su Guido da Montefeltro sia stato scritto nel 1318? La prefazione in cui Ricobaldo dice d’essere in età di 73 anni accenna ap- punto a quell’anno. Gli ultimi capitoli riferiti nel testo del co- dice di Poppi riguardano appunto quell'epoca, giacchè il fatto d'armi nel sobborgo di S. Pietro a Vicenza (1) avvenne il 22 maggio 1317 (2). Nel Codice Ottoboniano lat. 2073 la nar- razione fissa molto più presto al 1306. Ma i capi finali della Historia, nei diversi codici possono es- sere stati fatti e finiti in più volte. È curioso che nel codice Ot- toboniano la prefazione sia non quella che conviene al testo della Historia. Romana, ma quella che si riferisce al Fomarium. Quando il Masseira, che della sua preparazione diede prova così bella, avrà finite le sue indagini su Ricobaldo, potremo dir qualche cosa. Qui possiamo dire questo solo, che nel passo riflettente Guido, la frase “ multa promittite, pauca servate de promissis ,, sembra scritta, almeno rivista, da chi lesse il c. XXVII dell'Inferno. Non voglio entrare nelle questioni che E. Gorra e tanti altri vanno facendo sull’epoca della pubblicazione degli ultimi canti dell'Inferno. II. Francesco Pipino. Di Francesco Pipino, domenicano, si occupò L. Manzoni (3), raccogliendone molte notizie biografiche. Probabilmente nacque avanti al 1247 e morì verso il 1325. Segnalò e descrisse il bellis- simo codice della Estense CCCCLXV (VI, H. 9). Quanto all’epoca del manoscritto, io non lo ho ancor veduto direttamente, ma per mezzo altrui. L'altra volta in cui ebbi occasione di parlare del- (1) Horner Esger, “ N. Archiv ,, XXXVI, 462-3. (2) Spancenpeno, Cangrande della Scala, Berlin, 1892, I, p. 126. (3) Fra Francesco Pipino da Bologna dei Padri Predicatori, geografo, storico e viaggiatore, * Mem. Deput. storia patria d, prov. d. Romagna ,, 1896, 3* ser., 257 sgg. SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 817 l’aneddoto di Guido da Montefeltro, mi giovai della cortesia del prof. Giulio Bertoni; adesso mi procurai il parere del Prof. Luigi Simeoni, il quale cortesissimamente mi fece una minuta descri- zione paleografica del manoscritto. È icomposto in quel gotico quadrato della cui età è difficile giudicare, perchè dura nell’uso per lunghissimo tempo. Comincia nel sec. XIV e continua addentro nel sec. XV “ Tuttavia — mi scrive il Simeoni — non mancano elementi, che accennano a epoca più tarda: il carattere è ango- loso e spinoso, e mi pare che questa qualità si trovi sopratutto nei grossi codici giuridici della prima metà del sec. XV. Ma l'elemento che più fa pensare al XV è l’uso assoluto dei nu- meri arabici, con i quali è formata la tavola fino al 208 per certi libri. Si potrà obbiettare che la tavola è d’altra mano (e questo è vero) e quindi posteriore, ma si può rispondere che una mano che usa numeri arabici, con la stessa forma, ha po- stillato il codice in rosso fin dal principio, mettendo in margine le rubriche. Questa mano deve essere di poco posteriore alla copiatura del codice, perchè mentre nelle prime due pagine ab- biamo segnati dalla prima mano. del copista i numeri dei capi- toli in romano e in rosso, poi questa segnatura viene omessa e continua solo l’altra, che è rossa fino al f. 22 e poi vien fatta in nero. Coeva e forse dell’istessa mano è la segnatura, che vien fatta in altra pagina... Devo però osservare che queste cifre arabiche hanno una forma assai antiquata, che a me par di aver visto piuttosto negli ultimi anni del XIV o al più all’inizio del XV... Concludendo io non saprei dare un giudizio reciso..., ma come impressione personale crederei che il codice fosse degli ultimi anni del XIV con le note marginali, mentre la tavola la porrei un po’ più tardi: ma si deve essere lì a cavallo dei due secoli, per cui è difficile decidere nettamente ,. Quattro volte Pipino ripete l’aneddoto dei Colonna e di Guido da Montefeltro e in diversa maniera, in due casi Guido è collegato coi Colonna, e in due casi ne è staccato. Nel primo caso si parla solo dei Colonna. Fol. 183 (= Murat. IX, 737), cap. 8: “ duos. cardinales romanos Jacobum et Pe- trum de Columpna decappellavit ac deposuit, privans eos omni cardinalatus titulo, commodo et honore... Hos tamen sucecessor eius Benedictus XI reconciliavit ad Ecclesiae unitatem... Du- rissime illos prosequntus fuit Bonifacius ipse et sine ulla mi- 818 CARLO CIPOLLA sericordia eos exulare coegit dum vixit, fuitque tamen (tantum?) severa persequutio, ut vix reperirent latibulum, quo effugerent manus eius, castra eorum et edes diripuit, nonnulla tradidit Ursinis, ut eos faceret hostes et multa alia gravamina irrogavit. Venientes ad eius misericordiam supplices, nigris vestibus, nudo scilicet capite et pedibus, et cingulum ad collum ferentes, ae de se ostentationem populo facientes, spretis lachrymosis eorum confessionibus atque precibus, velut aspis surda, non est mi- sertus eorum, ut et ipse postmodum, non dormitantibus Colum- nensibus, immisericordem et miserabilem habuit finem, ut infra dicetur ,. Qui per lo svolgimento della narrazione non è necessario l'episodio di Guido, anzi al contrario: qui c'è l'accusa, non di inganno, ma di durezza d’animo. Le prime frasi ‘ decapellavit et deposuit’ dipendono dal brano sulla magna seditio, che sta nel Pomarium e nella Hist. Romana di Ricobaldo. Nel secondo caso, abbiamo unicamente l’aneddoto di Guido, e dei Colonna appena quel rapido cenno che è necessario per intendere ciò che riguarda il conte Guido. Fol. 184 (— Mur. IX, 741 c). Cap. 16. Hic est qui Guidonem de Monte Feltro strenuum ducem bellorum, quum abdicatis seculi pompis Ordinem Mi- norum fuisset ingressus solicitavit, ut deposito habitu dux belli esset contra Columnenses et sollicitus fuit ei plurima, al- legans ei quod multum meretur obedientia sui, maxime [quia] contra hereticos ageret. Qui cum constantissime recusaret, id se facturum, dicens se mundo renunciasse et iam esse gran- devum, papa respondit: ‘ doce me saltem hostes illos subigere, qui talium es peritus ’. Tune ille ait: ‘ plurima eis pollicemini : pauca observate’ quid et fecit. Evidentemente il tratto ha stretta relazione col racconto della Hist. Rom. di Ricobaldo, nella sua prima parte, omesso tutto quanto riguarda la guerra dei Colonna. Il terzo racconto ha in apparenza, oltre al ricordo di Guido, anche i fatti dei Colonna, ma è chiaro che le poche parole riguardanti questi ultimi sono un'aggiunta, un semplice richiamo. Fol. 184 (Murar. 743 e). SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 819 Cap. 21. Qualiter Guido comes de Monte Feltro se seculo abdicavit. Guido comes de Monte Feltro anno Domini MCCXCVI strenuus dux bellorum olim adversus Bononienses Forliviensis conductor belli et post Pisanorum clades rerum reparator eorum, depositis honoribus seculi Ordinem beati Francisci ingressus est, in quo terminem vite dedit. Hunc cum instantia solicitavit papa Bonifacius ut deposito habitu, dux belli esset contra Co- lumpnenses romanos, ut, dictum est in gestis eiusdem pape ,. Omettendo queste ultime parole, resta il brano su Guido che è tolto dal Pomarium, ma con questa variante, che dove il Po- marium dice che Guido “ hodie militat in castris Francisci , qui si sostituisce la notizia della sua morte. Il quarto racconto consta di due parti. La prima dipende . dalla Hist. Romana nel paragrafo ‘ anno MCCXCVIJ magna Rome seditio — populationem agrorum sunt passa’. Dove è aggiunto l’aneddoto di Guido ‘ Erat eo tempore ’, qui invece si fa parola di fatti anteriori sulla origine della lotta fra Benedetto Caetani, poi Bonifacio VIII, e i Colonna e si accenna alla abdi- cazione di Celestino V, ma senza porre in dubbio la legitti- mità di Bonifacio VIII. La conclusione alla quale tutti questi passi conducono è questa, che sugli avvenimenti in discorso correvano vari rac- conti. 1) Guido si fa frate. Fonti. Il Pomarium di Ricobaldo — Pipino. Nessuna relazione col racconto sulla guerra dei Colonna. 2) Fatti dei Colonna, e la loro magna seditio. Fonti. Nel Pomarium c'è il brano, fino a perpessa sunt populationes agrorum, che si ripete nella Hist. Rom. Ci sono corrispondenze con Vil- lani c. 21 e c. 23. 3) Al passo ora citato, altro ne segue nella Hist. Ro- mana, ed è quello che espone il colloquio del papa con Guido, il quale è rappresentato da questa cronaca, e da un passo .di Pipino. Sono dunque tre diversi racconti di origine fra loro diffe- renti. Si tratta, in altra parola, di una folla di voci, che anda- vano crescendo dal poco al molto, e si sviluppavano sotto l’im- pressione e seguendo la direzione di quei filoni, che provenivano dai Celestini. 820 CARLO CIPOLLA È Ma sottoponendo a nuova riflessione il colloquio nella Hi- storia Romana, esso appare messo insieme da due fonti, e questi — secondo il consueto — mal d'accordo fra loro. Il col- loquio può spezzarsi così. Guido da Montefeltro era dux bdellorum, e quindi Boni- facio VIII gli offerse di essere dux delli contro i Colonna, e di riprendere le armi, presso a poco come avea fatto Waltarius nel Chronicon Novaliciense. Egli si trovava dunque in quella condizione in cui stava quando depositis honoribus seculi entrò nell'Ordine francescano, secondo che c’insegna il Pomarium. E appunto in armonia a ciò egli vuol abnuere l'offerta. Pipino ha qualche cosa di più e qualche cosa di meno in confronto di Ricobaldo. Caratteristiche in Pipino sono le parole ‘ maxime [quia] contra hereticos ageret ’. E anche più caratte- ristiche sono le altre: ‘ cum costantissime recusaret id se fa- cturum, dicens se mundo renunciasse et iam esse grandevum ”. Tutto ciò sta benissimo per un fatto d’armi. Poi di colpo la scena si cambia, e Guido non dà un sug- gerimento di carattere militare, ma un consiglio di furberia, che a lui non era stato chiesto. Come è facile rilevare, tale col- loquio, che è in contraddizione coi precedenti, non si sarebbe potuto neppur conoscere: nè Bonifacio VIII nè Guido ne avreb- bero parlato. È uno di quei passi che un galantuomo non fa, e un birbante per lo meno non riferisce. È proprio il caso del sogno dell’Innominato, che il Manzoni descrive con tanta verità ; leggendo quelle mirabili pagine, bisogna pur dire: ma chi narrò quel sogno al Manzoni o al famoso anonimo secentista? Che Ricobaldo e Pipino per quanto riguarda il colloquio abbiano una qualche relazione fra loro è chiaro, ma che Pipino dipenda da Ricobaldo non mi pare finora dimostrato. Uomo d'armi, di lui disse Salimbene che “ peritiam habuit artis pugne ’. Egli era ‘ homo noilis et sensatus et discretus et morigeratus, liberalis et umilis et largus, strenuus miles et probus in armis et doctus ad bellum ’ (1). La lettera ghibellina (1) Ed. HoLper Eagsr nei Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXII, p. 527. L'editore confronta con Guglielmo Ventura (Mon. Hist. Patriae, SS. NI, 781 : ‘ sapientissimus fuit, fortis, largos et cordialissimus ”. SULLE TRADIZIONI ANTI-BONIFACIANE, ECC. 821 di Cristoforo priore a Siena, del 21 giugno (1280), dice che forse Guido ed i suoi seguaci “ cotidie suos nuntios habent in Curia, ut statum partis nostre suis fallaciis suisque blandimentis sal- vare’ (Kern, Acta imperi Angliae et Franciae | 1263-1313], Tu- binga 1911, p. 8, n. 14); ma mi pare troppo ardita ipotesi il vedervi un riscontro con Dante, che rappresenta Guido diverso dal tipo tradizionale. Questo era un uomo d’armi, l’altro non era un leone, ma una volpe, che avea pienamente conosciuti “ gli accorgimenti e le coperte vie ,. Risulta adunque che il racconto sulla guerra dei Colonna si fondeva con quello del colloquio di Guido: la credibilità delle varie dicerie che correvano sull’una si intralciavano con quelle che giravano sull’altro. E tutto ciò si andava dicendo entro un medesimo circolo di persone e di aspirazioni. Ricobaldo e Pipino, che dapprima aveano ignorato il racconto, l’accolgono più tardi, senza amalgamarlo col racconto precedentemente raccolto. Dante e Villani si aggirano fra i. medesimi confini. C'è peraltro una questione riflettente il Villani, presso del quale se quanto riguarda i Colonna è accolto da tutti i codici, quello che si ri- ferisce al colloquio soltanto da alcuni codici è ricevuto. Presso Ricobaldo le parole messe in bocca a Guido non sono un po’ vaghe come presso Pipino; non determinate così, da doverle dire la tradizione del verso di Dante. Vi corri- spondono, così come quelle che di Cangrande scrisse Rinaldo da Villafranca, traducendo il verso 78 del c. XVII del Para- diso, nell’epitafio inciso appunto sul monumento di Cangrande. Di un colloquio intervenuto tra Bonifacio VIII e Guido possiamo avere una certa probabilità anche solo seguendo i racconti di Ricobaldo e di Pipino. Ed in fondo è il punto prin- cipale che risulta anche dalla cronaca di frate Elemosina, di questa cronaca nulla voglio dir qui, toccandone nel commento a Ferreto. Conchiudo ritornando ancora a Dante. Osservammo che in Ricobaldo e in Pipino si hanno diverse sovrapposizioni nei rac- conti esaminati. Lo stesso possiamo avvertire in Dante, il quale conosce nel Contivio (IV, c. 28) soltanto la narrazione dell’in- gresso di Guido nell’Ordine francescano: “ certo il cavaliere Lancilotto non volle entrare colle vele alte, nè il nobilissimo nostro latino Guido Montefeltrano. Bene questi nobili calaron 822 CARLO CIPOLLA le vele delle mondane operazioni, chè nella lunga età a reli- gione si rendero, ogni mondano diletto e opera diponendo ,. Serivendo il e. XXVII dell'Inferno Dante si ricorda di quanto avea detto nel Convivio, e lo richiama apertamente col verso 81 «“ calar le vele e raccoglier le sarte ,, ma muta il colorito trat- tando la sua prima narrazione come avean fatto i cronisti ri- spetto alle proprie scritture. Si può dunque seguire racconto per racconto, come avvenne di ciascuno di essi come si formò e si diffuse. Leggendo nella Hist. Rom. di Ricobaldo la frase “ multa promittite, pauca servate de promissis , restiamo meravigliati della sua identità col v. 110 “ Lunga promessa con l’attender corto ,, mentre pare provato che il passo di Ricobaldo sia stato scritto nel 1318 al più tardi. Ma non vedo assolutamente esclusa la possibilità che Ri- cobaldo sia tornato sopra se stesso, e, fosse pure lavorando in- torno ad un risarcimento anteriore, siasi accostato a Dante quando ebbe fra mano l'Inferno. Ritocco più, ritocco meno, nella condizione attuale degli studi non è facile tagliar corto in queste delicate questioni testuali; nè so se la data del 1318 si deva assumere come le colonne d'Ercole in tutto e per tutto (1). (1) I capitoli che costituiscono la fine della Historia edita da Homer EaGer, sì susseguono in questo ordine cronologico: 1312, 1318, 1313-14, 1314, 1314-1316, 1314, 1314, 1315, 1316, 1314, 1817, 1817, 1315-7, 1318, il che vuol dire che non furono iscritti di volta in volta che accadevano i fatti. — Il Masera, “ Arch. Murat. ,, n. 10 (1911), promise di ritornare sulla cronologia della vita di Ricobaldo. L’Accademico Segretario R. RENIER. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 26 Aprile 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D’OviIpIo, e i Soci Naccari, Foà, GuarescHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MATTIROLO, SomieLiana, FusaRI, e SEGRE Segretario. Vien letto e approvato il verbale della precedente adunanza. Il Presidente ricorda il lutto che ha colpito il Socio GRASSI, colla perdita del figlio Ing. Marco. La Classe unanime delibera d’inviare all’amato Collega le proprie vivissime condoglianze. Si dà comunicazione del R. Decreto 12 marzo 1914 con cui è approvata la elezione del Socio D’Ovipro a Direttore della Classe per un triennio, a decorrere dal 9 febbraio 1914. Il Socio corrispondente E. von MeyFeR ha inviato in omaggio una sua Geschichte der Chemie von den diltesten Zeiten bis eur Gegenwart. Il Socio GuaRrEscHI rileva i notevoli pregi di questa opera. Il Socio SEGRE, a nome del Prof. G. BoccarpI, presenta in omaggio gli Annuari Astronomici pel 1914 e 1915 del R. Osser- vatorio di Pino Torinese, ed altre pubblicazioni astronomiche dello stesso Istituto, dovute al Prof. BoccARDI e ai D" CHELLI, Favaro e Rocgero. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 5O 824 Viene inoltre rilevato, fra i doni giunti all'Accademia, l'opuscolo del Prof. G. CossaveLLA: L’astronomo Giovanni Schia- parelli. Il Socio Guipi offre in omaggio alcune sue pagine Sul calcolo della lastra rettangolare e Prove di resistenza sulla ghisa. Il Presidente legge una Commemorazione del Socio corri- spondente Alberto GiintaER, morto a Londra il 1° febbraio scorso, e appartenente alla nostra Accademia dal 3 dicembre 1893. Sarà stampata negli Atti. Pure per gli Atti sono presentate le seguenti Note: I. GuarescHI, Nuove ricerche sui bromuri metallici, Nota VIII; R. ToreLLI, Un criterio di equivalenza per le curve di una superficie algebrica, dal Socio SEGRE. C. FoA, Nuove ricerche sulla funzione della ghiandola pineale, dal Socio FuSARI ; Il Socio MartIRoLo, anche in nome del collega PARONA, legge le Relazioni sulle due Memorie, dei Dottori Mussa e GoLa, presentate nell'ultima adunanza. Con due votazioni unanimi la Classe accoglie le conclusioni di quelle Relazioni, favorevoli alla stampa delle Memorie. Infine il Socio Foà presenta, per i volumi accademici, uno scritto del Dott. M. SapeGno, Contributo all’istologia normale e patologica del fegato. Sì da incarico di riferire su di esso ai Soci Foà e Fusari. LORENZO CAMERANO — ALBERTO GUNTHER 825 LETTURE ALBERTO GUNTHER Commemorazione del Socio LORENZO CAMERANO. Il dottore Alberto Giinther, socio corrispondente della nostra Accademia, moriva a Londra, nel suo ottantaquattresimo anno di età, il 1° febbraio di quest'anno. Egli appartiene alla più eletta schiera dei zoologi che nella seconda metà del secolo scorso diedero la parte precipua della loro attività allo studio della sistematica degli animali. L'opera compiuta da questi zoologi fu di grande importanza per la scienza. Dopo la riforma Linneana e dopo il susseguente grande impulso dato dal Cuvier, lo studio degli animali procedette, nella prima metà del passato secolo, con attività febbrile in tutte le nazioni incivilite. Le numerose esplorazioni delle terre lontane portavano senza tregua ai Musei d'Europa ingenti col- lezioni di animali non ancora conosciuti e in breve volger d'anni cresceva in modo meraviglioso il numero delle specie descritte e catalogate. Le divisioni tassonomiche, stabilite da Linneo nel suo Sy- stema naturae, o in quelli posteriori del Cuvier e degli altri classificatori, divenivano insufficienti per accogliere tanta”copia di nuove forme che continuamente e con grande rapidità si andavano aggiungendo alle già conosciute. Fervevano intanto in ogni parte le ricerche intorno alla struttura degli animali e si andavano iniziando le ricerche embriologiche, fisiologiche ed istologiche, che in breve tempo si affermavano con metodi ri- gorosi, e rendevano sempre più indispensabile la precisa identi- ficazione delle specie animali. Questa, per le ragioni sopradette, 226 LORENZO CAMERANO diveniva assai difficile e talora quasi impossibile, col pericolo grave di far ricadere lo studio degli animali nella confusione caratteristica del periodo prelinneano. Nella prima metà del secolo scorso, si iniziò in Francia col sussidio delle collezioni del Museo di Parigi, allora il più ricco, un lavoro intenso ed esteso di revisione dei vari gruppi di animali colla pubblicazione di cataloghi sistematici e descrit- tivi. A questo lavoro prese parte, in breve, anche il Museo Britannico nel quale rapidamente si andavano riunendo ingenti collezioni di animali di tutto le regioni terrestri. Nel 1843 il Museo Britannico incominciò Ja serie dei suoi importanti Cataloghi, elementi anche oggi indispensabili per lo studio sistematico degli animali, colla “ List of Mammalia di John Edward Gray ,, nella quale sono le descrizioni dei generi e delle specie di mammiferi allora conosciute. Seguirono rapidamente i cataloghi dei Chelonii, dei Sauri, degli Ofidi, degli Anfibi urodeli e si iniziarono quello degli Uc- celli per opera di G. Robert Gray e per opera di Edward Gray quello dei Pesci, fra i Vertebrati. Quasi contemporaneamente, lo stesso Edward Gray, il Daubleday, il Walker, lo Stephens, lo Smith, Thomas Desvignes, il Dallas, il Walton, il Boheman, il Newport, il Baird, il Pfeiffer, il Deshages, il Busk pubblica- vano i cataloghi descrittivi di molti gruppi di Insetti, Molluschi, Raggiati, ecc. Alberto Giinther prese parte a questo grande lavoro del Musco Britannico colla pubblicazione, fatta nel 1858, del “ Ca- talogue of the Batrachia Salientia , col “ Catalogue of the Fishes in the collection of the British Museum ,, in otto vo- lumi dal 1859 al 1870; col “ Catalogue of Colubrinae Snakes , e col lavoro intitolato: “ Gigantie Land Tortoise (living and extinet) in the Collection of the British Museum ,, nel 1877. A dare un'idea dell'importanza di tali lavori, saranno utili alcuni dati numerici. Nel 1802, lo Shaw elencava 51 specie di Batraci anuri, nel 1838 lo Tschudi 110. — Duméril e Bibron nella loro clas- sica opera “ Erpétologie générale ou Histoire naturelle com- plete des Reptiles ,, nel 1854, ne descrivevano 164. Il Giinther nel suo catalogo descrittivo del 1858 illustrava 280 specie, con diagnosi dei varì gruppi tassonomici, con opportune tavole ALBERTO GiNTHER 827 dicotome dei caratteri e con bellissime figure delle forme più importanti, magistralmente disegnate dal Ford. Nel catalogo dei serpenti,colubriniformi il Giinther studiò 3100 esemplari, chè a tanto ammontava allora la collezione del Museo Britannico. Il catalogo dei Pesci del Giinther è lavoro di lunga lena, che occupò l'Autore dal 1859 al 1870. Negli otto grossi volumi di cui è costituito, il Giinther studiò ben 6843 specie col sus- sidio dei 29275 esemplari della collezione del Museo Britannico. Indubbiamente il Catalogo del Giinther è, come lavoro gene- rale intorno alla sistematica dei Pesci, il più importante che la scienza abbia dopo | “ Histoire naturelle des Poissons ,, di Cuvier e Valenciennes, che, incominciata nel 1828, venne ultimata nel 1849. Alberto Giinther iniziò le sue pubblicazioni nel 1853 con un lavoro di elmintologia “ Ueber den Puppenzustand eines Distoma , (Wirtemberg, Jahresheft IX); ma nello stesso anno passò allo studio dei pesci col lavoro dei pesci del Neckars (idem) e proseguì col pubblicare nel 1855 un lavoro intitolato “ Beitràge zur Kenntniss unserer Siisswasserfische , nell'Archivio di Wiegmann (XXI). Queste pubblicazioni e quella del 1858 che ha per titolo: “ On the systematic arrangement of the tailles Batrachians and the structure of Rhinophrynus dorsalis , (Proc. Zool. Soc., Londra, XXVI), sono le prime di una lunga serie di lavori, parecchie centinaia, intorno ai Pesci, ai Rettili e agli Anfibi, che il Giinther pubblicò durante tutta la sua vita labo- riosissima, portando con esse un cospicuo contributo alla cono- scenza dei sopradetti gruppi di vertebrati, non solo dal punto di vista della loro destrizione, ma eziandio per ciò che riguarda la loro struttura e la loro corologia. Non devono essere dimenticate, per il loro speciale inte- resse, le sue ricerche intorno alla Hatteria (Phil. Trans. CLVII, 1867) e intorno al Ceratodus dell'Australia (idem, CLXI, 1871): le descrizioni di nuove specie di Serpenti delle collezioni del Museo Britannico del 1872 (Ann. Mag. N. H., IX): il suo la- voro : “ Die Fische der Sudsee , (Mus. Godeffroy, Amburgo, 1909, con 20 tavole), l'importante studio illustrativo delle raccolte del Challenger “ The zoology of the voyage of H. M. S. Challenger. Report on the Shore Fishes e Report on the deep-Sea Fishes. 828 LORENZO CAMERANO Report on the Pelagie Fishes , (1880 con 32 tavole, 1887 con 73 tavole e 1889 con 6 tavole): le sue numerose contribuzioni alla conoscenza della fauna erpetologica di Madagascar (Ann. Mag. N. H.): le sue pubblicazioni sui Rettili, Batraci e Pesci raccolti da Potanin e Berezowski in Cina, e da Miss Kingsley nell'’Ogowe e nel Calabar, dal Donaldson Smith nella spedizione al Lago Rodolfo, da Walker nella Costa d'Oro; i Rettili e gli Anfibi della “ Biologia Centrale Americana ,, di Godman e Salvin, grosso volume di 326 pag. con 76 tav. (1885-1902), ece. Speciale menzione si deve fare del trattato di Ittiologia che il Giinther intitolò: “ An Introduction to the Study of Fishes , (Edimburgo, 1880, volume di 720 pagine), opera di grande uti- lità, che ebbe meritato successo e venne anche tradotta in te- desco dal Hayek nel 1886. Con una ventina di pubblicazioni il Giinther illustrò pure numerose specie di mammiferi di Madagascar, dell'Asia Centrale, di Borneo, del Giappone, delle Filippine, ece. e in qualche nota si occupò di argomenti ornitologici. Il dottore Alberto Giinther passò al servizio del Museo Britannico nel 1857; in seguito, fu nominato aiuto capo del di- partimento zoologico e nel 1875 capo del dipartimento stesso. Sotto la sua direzione, dice R. Bowdler Sharpe (1), “ a new era in the administration was about to commence ,. 1l Giinther si adoprò con grande energia perchè la grande opera dei cataloghi del Museo venisse proseguita a colmare le lacune che ancora esistevano per vari gruppi di animali e venissero rifatti quei cataloghi che per il continuo acerescersi delle collezioni del Museo e per il numero delle specie nuove che venivano ad es» sere conosciute, apparivano al tutto insiifficienti. il primo volume del catalogo degli Uccelli, redatto da R. B. Sharpe, era stato pubblicato sotto la direzione di J. E. Gray. Nel 1875, sotto la direzione del Giinther, uscì il secondo vo- lume, pure dello Sharpe. Quando nel 1895, il Giinther, giunto all’età di 65 anni, si ritirò dalla direzione, i 27 volumi del ca- talogo erano compiuti. Egli aveva saputo assicurarsi la coope- (1) The History of the Collections contained in the Natural History de partments of the British Museum. Birds, 1906, pag. 85. sil ALBERTO GUNTHER 829 razione dei più celebrati ornitologi di tutte le nazioni, lo Sharpe, il Gadow, lo Sclater, l’Hartert, Ogilvie Grant, E. Hargitt, G. E. Shelley, Osbert Salvin e il nostro collega Conte Tom- maso Salvadori, al quale si devono tre volumi del catalogo stesso (1). Il catalogo degli Uccelli, dice il Flower, il quale succedette al Giinther nella direzione del dipartimento zoologico del Museo Britannico (2), “ is based, not only upon the immense collection of birds in the Museum (3), but also upon all other available material contained in public or private collections, or described in zoological literature. It therefore professes to be a complete list of every bird known at the time of the publication of the volume treating of the group to which it belongs. Under the heading of each species is 1° a copious synonymy : references being given to every mention of it which occurs in standard books or journals. This has been a work of prodigious labour, but it is hoped that, being fairly exhaustive, it has been done once for all, as far as existing literature is concerned. 2° A full description of the external characters of both sexes, and, (1) I collaboratori del Catalogo degli Uccelli vennero ricordati dallo ScLater (“ Bull. of the British Ornithologists-Club ,. vol. IX) nei versi seguenti: “ De Catalogi Avium Magni Scriptoribus undecim , Sharpius incepit scripsitque volumina multa; Seebohmus sequitur, promptus ad auxilium. Teutonicus, zelo plenus, venit inde Gadovus, Salvinusque bonam praebet amicus opem. Jam Sclaterus adest, tria longa volumina complens Americanarum notus amans avium. Expers Hargittus nune Picos ordinat omnes, Hartetusque sagax Cypselidas numerat, Multum etiam pensae Shelleyi profuit ardor Multum Saundersi mens operosa dedit. Clarus'ab Italia jam Salvadorius adstat, Et tandem Grantus fine coronat opus. (2) Catalogue of Birds, vol. XXVI (1898), pag. vi. (3) La collezione del Museo Britannico che servì per la formazione del catalogo constava di 400.000 pelli e di 100.000 uova. 830 LORENZO CAMERANO as far as possible, all stages of plumage. 3° A general account of the habitat of the species. 4° A list of every individual spe- cimen in the Museum collection, with a statement as to the source from whence it was obtained and its original loca- lity, ecc. ,. Mentre il Giinther dava le sue cure alla pubblicazione del catalogo degli Uccelli, provvedeva pure alla pubblicazione dei cataloghi di numerosi altri gruppi di animali. Ricorderò fra tutti quelli degli Anfibi e dei Rettili redatti da G. A. Boulenger; di essi dal 1882 al 1894 uscivano otto volumi. L'ultimo venne pubblicato nel 1896, sotto la successiva direzione del Flower. A dare una idea dell'importanza di questa opera basterà ricor- dare che in essa sono descritte 5170 specie, in gran parte col sussidio dei 38086 esemplari delle collezioni del Museo Bri- tannico. Se la serie dei cataloghi del Museo Britannico è oggi un’opera grandiosa e fondamentale per lo studio sistematico degli animali, in special modo dei vertebrati, lo si deve in gran parte all’azione esercitata dal Giinther sia direttamente coi la- vori da lui stesso eseguiti, e colla sua direzione amministra- tiva, sia coll’aver saputo assicurare ad essa la cooperazione dei più insigni cultori della sistematica. “ Gli organi della scienza futura saranno gli indici ,, ha detto Gladstone. Di ciò era così intimamente persuaso il Giinther che rivolse una parte notevole della sua attività a provvedere ad un altro bisogno impellente degli studi scientifici in genere e in particolar modo degli studi intorno agli animali. Mentre, nella prima metà del secolo scorso, il numero delle specie conosciute di animali andava crescendo con rapi- dità grandissima, si facevano pure ogni giorno più numerose le pubblicazioni relative, poichè gli studiosi degli animali lavora- vano attivamente in tutte le nazioni incivilite. D'altra parte, l'applicazione rigorosa delle leggi linneane, condizione essen- ziale al progresso della scienza, rendeva indispensabile ai lavo- ratori di conoscere tutto ciò che si veniva pubblicando intorno alle specie degli animali, considerate da tutti i punti di vista. Era necessario e nrgente redigere elenchi bibliogratici completi di tutte le pubblicazioni relative agli animali state fatte nel tempo passato ed era pure necessario che speciali pubblicaziom ALBERTO GUNTHER 831 bibliografiche dessero rapidamente e in modo completo notizie ai ricercatori dei lavori a mano a mano che essi si venivano pubblicando. Nel 1846, l’Engelmann pubblicava la diligentissima sua “ Bibliotheca Historico-naturalis ,, riguardante il periodo di tempo che va dal 1700 al 1846. Carus ed Engelmann in due grossi volumi la continuavano dal 1846 al 1861. H. A. Hagen pubblicava nel 1862 la sua “ Bibliotheca entomologica ,, lavoro diligentissimo : varie pubblicazioni periodiche davano conto dei lavori più importanti che uscivano per le stampe nei varì rami della zoologia; ma il crescere si può dire vertiginoso del nu- mero delle pubblicazioni rendeva tutto ciò insufficiente. Spetta al Giinther l’iniziativa della pubblicazione del “ Record of zoo- logical literature ,, il quale in volumi annuali comprendeva l’enumerazione sistematica di tutti i lavori riguardanti gli ani- mali pubblicati in ciascun anno, con esatte indicazioni bibliogra- fiche, colla precisa enumerazione delle specie, generi, famiglie descritte, ecc. La relazione della bibliografia riguardante i varî gruppi di animali era affidata agli specialisti più competenti nello studio dei gruppi stessi. Il primo volume uscì nel 1864, sotto la direzione del Giinther, il quale vi redigette i capitoli riguardanti i Mammi- feri, i Batraci, i Rettili ed i Pesci. Dal 1864 ad oggi la pub- blicazione non subì alcuna interruzione e i suoi 50 volumi sono la più preziosa miniera di indicazioni bibliografiche che pos- segga lo studio degli animali. Il Giinther ne tenne la direzione fino al 1870 in cui subentrò il Newton: ma dal 1864 al 1873 ogni anno vi stampò la bibliografia dei Mammiferi, dei Rettili, dei Batraci e dei Pesci. Con questa iniziativa e coll’opera personale Alberto Giinther si è acquistato la riconoscenza imperitura di tutti gli zoclogi. Alberto Giinther nacque a Esslingen, nel Wiirtemberg, il 3 ottobre 1830. La sua famiglia, che lo destinava alla Chiesa Luterana, lo inviò al collegio teologico di Tubinga. Il giovane non aveva nessuna vocazione per gli studi teologici; egli si sen- tiva attratto invece dalla medicina e dalle scienze naturali. Gli insegnamenti di Giovanni Miiller gli segnarono la via. Dopo aver studiato a Berlino e a Bonn, divenne dottore in Medicina e in Filosofia. 2 832 LORENZO CAMERANO Per qualche tempo si occupò di medicina e pubblicò un manuale di zoologia medica e, come sopra ho accennato, anche qualche ricerca sopra un Distoma; ma la zoologia lo traeva a sè, e, ben presto, iniziò le sue ricerche sui pesci. Nel 1856, visitò Londra dove per poco tempo frequentò l'Ospedale di S. Bar- tolomeo. Una visita, che poco dopo fece a Riccardo Owen, capo del Museo Britannico, lo spinse a lasciare la medicina per dedicarsi intieramente agli studi zoologici. Riccardo Owen, che aveva giudicato molto favorevolmente le qualità e le attitudini del gio- vane naturalista, lo accolse fra gli addetti al Museo Britannico e gli assegnò la sezione dei Pesci, dei Rettili e degli Anfibi, nel 1857. La grande attività che subito dimostrò il Giinther, il suo ingegno, la sua speciale capacità amministrativa gli valsero nel 1875 la nomina a capo del dipartimento zoologico, carica che tenne fino al 1895, nel quale anno egli si ritirò a vita pri- vata nelle vicinanze del giardino di Kew, dove, pur continuando nelle ricerche di zoologia sistematica, diede una parte notevole della sua attività alla avicoltura. In questo campo della zoo- logia applicata ottenne, coll’allevamento di specie difficili, larghi e meritati successi, che espose in numerosi scritti nell’ Avieul- tural Magazine ,. La società di Avicultura gli decretò una spe- ciale medaglia d’onore. Il Museo Britannico deve a lui il trasporto delle collezioni zoologiche dalla primitiva sede all'attuale bellissima e il loro ordinamento, la formazione di una biblioteca zoologica comple- tissima, aiuto di incomparabile utilità per lo studio delle colle- zioni; alla sua personale influenza presso numerose e facoltose persone d'Inghilterra e delle sue colonie i doni di riechissime serie di animali che acerebbero l’importanza delle collezioni del Museo; e gli deve pure una oculata e saggia ammini- strazione. Le sue speciali qualità di amministratore il Giinther esplicò in altre mansioni. Per trent'anni, fu l'editore e il direttore degli “ Annals of Natural History ,, membro del Consiglio direttivo della “ Zoological Society , dal 1868 al 1905 e suo vice-presidente dal 1874 al 1905. ALBERTO GUNTHER 833 Membro della Società Reale di Londra dal 1867, ne fu vice-presidente nel 1875-76 e la Società stessa gli conferì la medaglia Reale d’oro di benemerenza. Fu presidente della se- zione Biologica dell’Associazione Britannica per le Scienze nel 1880, e Presidente della Società Linneana dal 1898 al 1901. Molte Accademie e Società scientifiche, Europee ed Ame- ricane inscrissero il Giinther fra i loro soci. La nostra Accademia lo nominò socio corrispondente il 3 dicembre 1893. Alberto Giinther fu uno dei più attivi ed efficaci ricercatori nel campo della zoologia sistematica e tutti gli zoologi gli devono ammirazione e riconoscenza per l’opera compiuta, illuminata e feconda di pratici risultamenti. La Nazione Inglese non dimenticherà che fu Alberto Giinther che, in breve volger d’anni, seppe portare la sezione zoologica del Museo Britannico ad essere la prima fra i Musei zoologici, facendola strumento potente per il progresso della scienza. SIA ICILIO GUARESCHI Nuove ricerche sui bromuri metallici. Nota VIII del Socio I. GUARESCHI. Nelle mie due Note IV e V: Ricerche sui bromuri (1) io ho esposto gli studi che ho fatto sui bromuri della forma MeBr e MeBr? e particolarmente quelli di calcio. di bario, di stronzio e di cobalto, ed ho fatto vedere in qual maniera si comportano per l’azione del calore e del jodo, ed in quali con- dizioni si elimina l’acqua di cristallizzazione di questi sali. Ho continuato queste ricerche su molti altri bromuri ed ora espongo una parte dei risultati. Dei bromuri della forma MeBr? ho esa- minato i seguenti : Bromuro di ” ” di di di di di manganese glucinio magnesio . cadmio nickel . mercurio . . MnBr?.4H20, . GIBr?. . MgBr?.6H20, . CdBr?.4H20, . NiBr?. . HgBr?. Bromuro di manganese MnBr?.4H20, Il bromuro di manganese anidro MnBr® per riscaldamento si decompone e sviluppa del bromo. Il sale in cristalli è in (1) “ Atti R. e p. 929. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1918, vol. 48, p. 785 NUOVE RICERCHE SUI BROMURI METALLICI 8595 tavole monocline o prismi MnBr?.4H?0 di color rosa isomorfi col cloruro manganoso (Marignac). Questi cristalli scaldati perdono acqua e vapori acidi; il sale anidro è quasi bianco, e scaldato a temperatura più alta fonde di nuovo e si decompone svi- luppando molto bromo. Precisamente come aveva descritto Berthemot. Bromuro MnBr.4H?0. Secondo Kusnetzoff (1) questo sale fonde a 64°.3. Ma io non ho potuto confermare questo dato. I bei cristalli che 10 ho esaminato si rammolliscono a 70°-80° ma non fondono in liquido trasparente nemmeno a 110°. Bi- sogna badare che questo bromuro è molto deliquescente, più del cloruro corrispondente. Secondo Lescoeur (2) il sale monoidrato MnBr?.H?0 si ot- tiene lasciando sfiorire il sale con 4H?0 alla temperatura or- dinaria. In queste condizioni si eliminerebbero dunque 3H?0. Io ho esaminato il bromuro purissimo in bei cristalli rosei, ed ho visto che perde bensì tre molecole d’acqua ma stando in un disseccatore ad acido solforico. Ne perde invece solamente due stando in termostato a 49°-50° ed anche a 40°. Gr. 0.5591 di sale lasciati in termostato a 49°-50° per sei ore perdettero 0.0681; a 60° e anche a 70° non perde più di peso. Dunque : trovata calcolata per eliminazione di 2H°0 i 2 n sr — H?0:°/5 12.15 12.5 Alla temperatura di 80° lo stesso sale perdette ancora 0,0375 e a 90° non perdeva più di peso. Dunque si è eliminata una terza molecola d’acqua : trovata per eliminazione di 8H?0 >— Pare e _caconi* H*09/ 18.8 18.8 (1) “ Chem. Zentralb. ,, 1897, II, p. 329. (2) SA. (Ch! (7); 11894; 6.02, p. 103. 836 ICILIO GUARESCHI Anche a 100° il sale MnBr?.1H?0 non perde più di peso, ma a 120° in stufa Bunsen perdette ancora 0.0358 cioè la quarta molecola: trovata calcolata per MnBr®.H?0 —————_——— — —— ® H?0 9/ T.E 7.8 Cioè in totale 25.45 %, mentre per 4H?0 si calcola 25.06 %o. Anche a 40° in termostato perde 2H?0 ed infatti gr. 1.0159 di MnBr?.4H?0 dopo sei giorni perdettero 0).1184, cioè: trovata calcolata per 2H°0 LT FTT. e —— H20 °/o 11.65 12.5 In disseccatore ad acido solforico il bromuro MnBr®4H?0 perde invece 3H?0, ma molto più rapidamente le prime due molecole, e più lentamente la terza molecola : Gr. 1.0213 di sale con 4H?0 dopo 48 ore perdettero 0.1089 cioè circa 40.6 %, il che corrisponde a poco più di 1!/s H?0 (si calcola 9.4); dopo un altro giorno perdettero 0.0205, in totale 12.6 °% e per 2H?0 si calcola 12.5 °/. Solamente dopo altri 12 giorni perdettero ancora 0.0628 cioè in totale 18.81 °o e per 3H?0 si calcola 18.8 °/p. Invece stando in un disseccatore a cloruro di calcio perde solamente 2H*0 come per il riscaldamento in termostato a 40°, Ed invero gr. 0).7296 di bromuro di manganese cristallizzato, dopo 10 giorni a 22° in disseccatore a cloruro di calcio per- dettero gr. 0.0471 cioè 6.42 %, corrispondenti all'eliminazione di 1H?0 per la quale si calcola 6.28 %,. Dopo altri 10 giorni perdettero ancora gr. 0.0404 cioè in totale 0.0875 cioè corri- spondenti a 12.0%, mentre per 2H?0 si calcola 12.5 %,. Dopo altri 3 giorni il peso non variò. Allora posto il sale a 2H?0 in disseccatore ad acido solforico perdette lentamente la terza molecola d’acqua e dopo 12-13 giorni perdettero ancora gr. 0.0485 e in totale 0.1360 cioè 18.63 ®/, mentre per 3H?0 si calcola 18.8. Dunque le due prime molecole si eliminarono stando sul cloruro di calcio e la terza sull’acido solforico. Andamento perfettamente regolare. NUOVE RICERCHE SUI BROMURI METALLICI 837 Così pure, ma molto più presto, come è facile prevedere, si comporta sull’acido solforico e alla pressione di 40 mm. Rapidamente perde le due prime molecole: gr. 1.7229 del sale MnBr®.4H?0 lasciati in macchina pneumatica sull’acido solforico alla pressione di 40 mm. e temp. 23°, dopo 24 ore perdettero 0.2065 cioè 11.97 e per 2H?0 si calcola 12.5; dopo altre 24 ore perdettero ancora 0.0576 in totale 0.2641 cioè 15.33 %/o e dopo molti giorni (dall’8 al 21 luglio) 0.0341 cioè in totale 17.3, un po’ meno di 3H?0. In un’altra esperienza alla pressione di 20 mm. e sul- l’acido solforico gr. 1.0085 di bromuro di manganese cristal- lizzato perdettero in 48 ore gr. 0.1869 cioè 18.55 °/, e dopo an- cora 24 ore pochi milligrammi cioè in totale 0.1921, cioè 19.0 °/g; e per 3H20 si calcola 18.88 0/y. Come si vede, anche in queste condizioni vi è tendenza ad eliminarsi le prime due molecole, poi più lentamente la terza, e la quarta rimane. Il bromuro monoidrato MnBr?.H?0 scaldato in stufa a vapore d’acqua (99°) non perde di peso, ma in istufa a vapore di acido acetico (116°) perde l’ultima molecola di acqua. Gr. 0.5936 per- dettero 0.0472 ancora cioè 7.9 °/, mentre per MnBr?.H?0 si cal- cola 7.8 9/0: Il bromuro di manganese scaldato in corrente di aria secca dà risultati analoghi, ma la disidratazione completa ha luogo a temperatura molto più bassa. Gr. 1.0412 di sale crist. con 4H?0 scaldati in stufa a va- pore di metilale (41°) e corrente di aria secca, dopo 12 ore perdettero 0.1300 cioè 12.5 °/, corrispondenti a 2H?0 per le quali si calcola 12.5 °/ e dopo 20 ore ancora a 41° perdettero 0.0650 cioè in totale 0.1950 cioè 18.73, corrispondente a 3H?0 (calcolato 18.8). Dopo 6-7 ore di riscaldamento a 80° (vapore di cloruro di etilene) e anche a 91°-92° (vapore di eptano) non perdettero che pochi milligrammi; a circa 99° (vapore d’acqua) in 17 ore perdettero ancora (.0725 e in totale 0.2675 cioè 25.65 °/, corrispondenti a 4H?0 per le quali si calcola 25.06 9/0. Come si vede, in queste condizioni il sale sì disidrata com- pletamente a 99° mentre nel modo ordinario in istufa non perde tutta l’acqua che a 120°. Gr. 1.0165 di bromuro MnBr?4H?0 in termostato a 40°, LAS ICILIO GUARESCHI ma entro nn disseccatore ad acido solforico perdettero già a 40° le prime 3H?0, ma la quarta non sì eliminò che a 98°-99°. In questi casi l’uso del disseccatore ad acido solforico non è da raccomandarsi. Riassumendo, il bromuro di manganese a 40° e meglio a 50°, in termostato, perde 2H?0 e a 80° perde 3H20 ; la quarta molecola in istufa Bunsen a 120°, In disseccatore ad acido sol- forieo perde 3H?0, ma rapidamente le due prime e molto len- tamente la terza; in disseccatore a cloruro di calcio perde so- lamente 2H?0 e messo il sale con 2H?0 in disseccatore ad acido solforico perde ancora 1H?0 e rimane MnBr®1H®0. Alla pressione di 40 o di 20 mm. e sull'acido solforico perde sola- mente 3H?0 e rimane MnBr?1H?0; questo diventa anidro a 116° in stufa a vapore di acido acetico. In corrente di aria secca e a 41° il bromuro MnBr?®.4H?0 perde 2H?0 assai rapidamente, più lentamente la terza e sola- mente a 99° perde la quarta. Si hanno quindi i tre idrati : MnBr?.4H20 s 2H20 nd 'DEDI Non sono ancora riuscito ed ottenere l’idrato MnBr®.3H?0 cioè ad eliminare solamente la prima molecola d’acqua. Ri- guardo dunque la temperatura di disidratazione completa si avrebbe : Temperatura di disidratazione In corrente di aria secca... . 99° In istufa a vapore d’acido acetico . 116°-117° II. Bromuro di magnesio MgBr®.6H?0. Il bromuro di magnesio idrato si ha in bei cristalli pri- smatici incolori. Scaldato fonde, poi perde l'acqua insieme ad acido bromidrico, e appena il residuo è disseccato, conti- NUOVE RICERCHE SUI BROMURI METALLICI 839 nuando a scaldare sviluppa abbondantemente dei vapori di bromo. Già si sapeva che il bromuro di magnesio cristallizzato non perde l’acqua di cristallizzazione senza scomporsi e che scaldato fonde, poi si decompone in Mg0 e acido bromidrico; la soluzione acquosa pure per riscaldamento dà acido bromi- drico (Rammelsberg, Loewig, ecc.). Se invece si fa bollire una soluzione concentratissima del bromuro con del jodo non si osserva sviluppo di bromo. Sino ad ora non si è riusciti a dosare direttamente l’acqua perchè insieme a questa si elimina dell’ acido bromidrico. Lerch (1) trovò 37.20 (calcol. 37.04 °/) ma la dosò per dif- ferenza dopo determinati il magnesio ed il bromo. Io ho voluto tentare in quali condizioni questo sale per- deva tutta l acqua in modo da averlo anidro senza scom- porlo. In una esperienza, posi in un disseccatore a cloruro di calcio gr. 1.4162 di bromuro di magnesio (che è molto igro- scopico) e dopo molti giorni non perdette che gr. 0.0144 cioè 1.1°/, e dopo tre ore a 100° in stufa ad aria perdette ap- pena 0.0018; il sale così disseccato (1.4000) scaldato a 125°-130°, dopo 2 ore perdette 0.0377 e dopo altre 2 ore e !/, solamente 0.0043; continuando a scaldare non perde più di peso. cioè perdette 3 °/, mentre per !/, H?0 si calcola 3.06 °/,. Si ha, come si vede, un punto di arresto; allora si scalda a 138°140° e la perdita sale a 0.1270 cioè in totale gr. 0.1690 pari a 12.07 °/o e per 2H20 si calcola 12.3 °/. Poi, dopo altre 3 ore anche a 140°-141° non perde che 0.0169. A 150° si ha una perdita di 36.8, e per l'eliminazione di 6H?0 si calcola 36.8, ma continuando a scaldare a 150° la perdita ascende a 49.0 %,. In tutto questo periodo del riscaldamento si era sviluppato in- sieme all’acqua anche dell'acido bromidrico. Gr. 0.4909 di bromuro di magnesio MgBr?.6H?0 nel vuoto a 40 mm. sull’acido solforico dopo 30 ore perdettero gr. 0.0079 e dopo ancora 10 giorni non perdettero più nulla. (1) “J. pr. Chem. ,, 1883, t. 28, p. 345. Atti della R. Accademia. — Vol. XLIX. 56 240) ICILIO GUARESCHI Gr. 1.0376 in disseccatore su cloruro di calcio perdettero solamente 2.38 °/,, cioè quasi 1/, H?0. Gr. 0.4718 in corrente di aria secca, a 42° dopo 2 ore non perdettero di peso. A 99° dopo 2 ore perdettero 0.74 °/g; dopo 1 ora a 113°-114° perdettero 0.0157 ma la poca acqua svilup- pata era acida per acido bromidrico. Non si riesce dunque a determinare direttamente l’acqua in questo sale senza scomporlo. Non si conosce una temperatura di disidratazione. II. Bromuro di berillio o di glucinio BeBr?. Il bromuro di berillio manda lumi dell’aria; quando è ben secco e lo si scaldi sviluppa del bromo in grande quantità. Secondo Berthemot il bromuro di berillio per l’azione del calore si decompone in acido bromidrico e ossido di berillio. Ciò è esatto solamente in parte perchè si elimina anche una grande quantità di bromo. Scaldato all'aria e in presenza di umidità possono aver luogo le seguenti reazioni: BeBr? + 0 = Be0 - Br? BeBr? + H20 = 2HBr + Be0. W. Bromuro di zinco ZnBr?. Il bromuro di zinco era perfettamente anidro. Scaldato fonde (a 695°-699° secondo Carnelley e Williams) (1) poi entra in ebollizione, ma non ho potuto svelare la minima traccia di bromo. Bolle dunque inalterato. Secondo V. Meyer e Freyer (2) bolle a 642°-652°.4, ma non dicono se si scompone o no al punto di ebollizione. (1) * Jahresb. f. Chem. ,, 1878, p. 36 e 1879, p. 58. (2) “ Berichte ,, 1892, t. 25, p. 628. NUOVE RICERCHE SUI BROMURI METALLICI 841 Invece mescolando del jodo al bromuro di zinco anidro e scaldando si osserva nettamente lo sviluppo abbondante di bromo. La reazione ha luogo nel senso: ZnBr®? +1° —> Znl* + Br?. V. Bromuro di cadmio CdBr? e CdBr2.4H20, CdBr?. Il bromuro di cadmio anidro quando è scaldato vicino al punto di ebollizione sublima e sviluppa nettamente del bromo e meglio poi, in grande quantità, quando lo si scalda rapidamente con del jodo. Berthelot (1) aveva già notato che il bromuro di cadmio scaldato in una atmosfera di azoto perde del bromo. Secondo Carnelley (1878) il bromuro di cadmio fonde a 577° e bolle a 806°-812° (Carnelley e Williams) (2). Secondo Weber bolle a 863° e sublima in lamelle splendenti. C. e V. Meyer (3) hanno determinato la densità di vapore del bromuro di cadmio a 925° e 914° circa, ma non accennano alla sua decomposizione con sviluppo di bromo. Trovarono 9.22-9.28 invece di 9.40. Bromuro di cadmio cristallizzato. CdBr?.4H?0. Intorno all'acqua di cristallizzazione del bro- muro di cadmio vi sono dei dati molto discordanti. Secondo Rammelsberg (4) il bromuro CdBr?.4H?0 perde la metà del- l’acqua di cristallizzazione a 100° e l’altra metà a 200°, senza fondere, poi a temperatura più alta fonde. Secondo Berthemot, per rapido riscaldamento il bromuro fonde, perde l’acqua di cristallizzazione e diventa anidro. (1) “ C. R_,, t. 91, p. 1028. (2) “ Jahresb. f. Chem. ,, 1880, p. 38. (3) “© Berichte ,, 1879, p. 1284. (4) “ Pogg. Ann. ,, 1842, t. 55, p. 241. 842 ICILIO GUARESCHI Invece, secondo Croft (1), questo sale con 4H?0 perde tutta l’acqua per efflorescenza in aria secca. Il Dietz poi trovò (2) che a 100° il sale cristallizzato perde lentamente e a 145° più facilmente e totalmente l’acqua di cristallizzazione. i Croft aveva trovato 20.95 °, di acqua e Rammelsberg so- lamente 19.5 °/o. Per 4H?0 si calcola 20.98 0/0. Queste differenze si spiegano ora col fatto da me osser- vato che questo sale perde facilmente dell’acqua stando all’aria nelle condizioni ordinarie; perciò anche il sale puro ma troppo asciutto all'aria ha già perduto un poco dell’acqua di cristal- lizzazione. Ecco i risultati da me ottenuti: Gr. 0.6945 di bromuro, stato un poco all'aria, in cristalli asciutti, lasciati per 24 ore sull’acido solforico a temperatura di circa 20° perdettero 0.0927; cioè: si trovato calcolato per 24/» H°0 =-—. ——°SCTT#<- o ———-— H20 °/ dti 19.1 poi stando ancora 48 ore sull'acido solforico perdettero 0.0459 cioè in totale 0.1380; cioè: trovato calcolato per 4H°0 rr _— So PPP r_—” H20 9 19.9 20.98 (ir. 1.2522 di un altro campione, dopo 2 ore in termostato a 50° perdettero 0.2496; cioè: trovato calcolato per 4H?°0 rn n _——_T- +2 H?20 °/ 20.25 20.98 Anche a temperatura più alta non perdette più di peso. Come si vede, erano due campioni che avevano già perduto un (1) “ Phil. Mag. ,, 1842 (8), t. XXI, p. 355. (2) “ Zeits. f. anorg. Chem. ,, 1899, t. 20, p. 260. NUOVE RICERCHE SUI BROMURI METALLICI 843 poco, di acqua. Infatti io ho osservato che il bromuro di cadmio già alla temp. di 17°-18° stando all’aria perde dell’acqua di cristallizzazione : È Gr. 2.2370 di un campione di bromuro di cadmio recente- mente da me ricristallizzato, ed ancora lievemente umido, fu- rono lasciati all’aria alla temperatura di 16°-18°. Dopo 24 o 48 ore perdettero 3.8 °/ del proprio peso e dopo ancora 24 ore in totale perdettero 0.1300 cioè 5.8 % e per la perdita di 1H?20 si calcola 5.25 °/, e dopo ancora 24 ore 0.1775 cioè 7.9%, mentre per 1!/, H?0 si calcola 7.8°/,. Lasciato ancora all'aria continuò a perdere del proprio peso e dopo 3 giorni perdette in totale 0.2875 cioè 12.89 e per 2!/, H?0 si cal- cola 13.08 °/. Dopo ancora 48 ore arrivò a perdere sino 14.1 % cioè quasi 3H?0 per le quali si calcola 15.6 °/,; per 23/, H?0 si calcola 14.4 °/;. Gr. 1.5515 di bromuro di cadmio recentemente cristalliz- zato come sopra furono tenuti in termostato a 30°: dopo 5 ore perdettero 4.25 ° del proprio peso, dopo altre 4 ore, in to- tale, 7.6°/, dopo ancora 5 ore la perdita totale fu di 13.8 9/0 ed infine dopo ancora 13 ore sino a peso costante perdettero in totale 0.3280 cioè 21.1 °/, mentre per 4H?0 si calcola 20.98 9/0. Dunque il bromuro di cadmio, anche cristallizzato di re- cente, perde l’acqua colla più grande facilità: in termostato a 30° perde 4H?0 e già all’aria alla temperatura di 16°-18°, perde quasi 3H?0. Le mie esperienze concordano con quelle di Croft, e non concordano affatto con quelle di Rammelsberg, di Berthemot e di Dietz. Concludendo : Temperatura di disidratazione completa In termostato . . . 30° In disseccatore ad acido solforico 180-200 844 ICILIO GUARESCHI — NUOVE RICERCHE SUI BROMURI, ECC. ; VI. Bromuro mercurico HgBr?. Questo bromuro è anidro. Scaldato anche rapidamente su- blima ma non dà bromo. Invece se rapidamente lo si scalda con eccesso di jodo dà nettamente la reazione del bromo libero. Il bromuro mercurico scaldato con soluzione anche al 50 % di acido cromico non sviluppa bromo; bisogna adoperare l’ani- dride cromica con appena qualche goccia d’acqua od anche la soluzione satura di anidride cromica e scaldare, allora il bromo si elimina rapidamente. Se si agita il bromuro mercurico con soluzione di joduro potassico poi si scalda con soluzione al 50 %/, di acido eromico, allora si sviluppa il bromo riconoscibile fa- cilmente. VII. Bromuro rameico. Il bromuro rameico anidro CuBr® in bei cristalli, appena lo si scalda direttamente in tubo d’assaggio sviluppa torrenti di bromo. (C. G. Jackson (1) ha determinata la tensione di dissocia- zione del bromuro rameico ad una serie di temperature. Il bromuro CuBr®.4H?0 perde l’acqua nell'aria secca. Fu esaminato bene dal Sabatier (2) ed io non me ne sono occu- pato più oltre. Intorno ad alcuni altri bromuri e a derivati bromurati or- ganici riferirò in un altro lavoro. ‘l'orino. Laboratorio chimico-farm. e tossic. della R. Umiversità, 19 aprile 1914. (1) “ J. Chem. Soc. ,, 1911, t. 99, p.1066; “ Bull. ,, 1912, t. XII, p. 7. 2) * Bull. Soc. Chim. , (3); 1894, XI, p. 676. _e_— RUGGIERO TORELLI — UN CRITERIO D'EQUIVALENZA, ECC. 845 Un criterio d’equivalenza per le curve di una superficie algebrica. Nota di RUGGIERO TORELLI. $ 1. — Generalità. 1. — Nella geometria sopra una superficie o una varietà algebrica sono stati utilissimi i criteri, dati dal SevERI, per de- cidere della equivalenza (lineare) di curve tracciate sopra una superficie. Tali criteri, ben noti ai cultori di geometria alge- brica, sono espressi dai seguenti tre enunciati: I. Se le curve di un sistema continuo segano gruppi equi- valenti su una curva appartenente a un sistema continuo che non sia un fascio irrazionale, esse sono equivalenti. II. Se due curve segano gruppi equivalenti sulle curve di un fascio, esse sono equivalenti o differiscono per curve fondamen- tali del fascio. III. Se due curve A, B segano gruppi equivalenti sulle curve di un sistema o! (irriducibile) X, di indice v, allora le curve vA, vB sono equivalenti ovvero differiscono per curve fondamentali di X (1). 2. — Relativamente a quest’ultimo criterio III è da notare che, come si riscontra facilmente su esempi, le due curve A, B di cui esso parla possono benissimo non essere equivalenti nè differire per curve fondamentali di X. Indicherò fra poco un modo di costruire esempi siffatti. Mi è parso perciò opportuno ricercare un quarto criterio analogo al III, e nel quale, sia pure aggiungendo (come è d’al- (1) Cfr. Severi, Alcune relazioni di equivalenza... [“ Atti del R. Ist. Ve- neto ,, t. LXX (1910-11)], ove si trovano anche le citazioni relative ai cri- teri I e II; e anche Severi, Notizie sulle mie pubblicazioni scientifiche dal 1900 al 1913 (Padova, 1913), n' 32, 35, 36, 55. 846 RUGGIERO TORELLI tronde necessario) qualche ulteriore limitazione al sistema Z, si ottenga un risultato più preciso relativamente alle curve A, B. Il teorema da me ottenuto, che costituisce lo scopo principale di questa Nota, è il seguente: IV. Se due curve A, B_segano gruppi equivalenti sulle curve di un sistema co! (irriducibile) Z, PRIVO DI PUNTI MULTIPLI VARIA- BILI, esse sono equivalenti ovvero differiscono per curve fondamen- tali di X. 3. — Ciò che entra in modo essenziale nella dimostrazione del criterio IV è una proprietà da me recentemente dimostrata per le corrispondenze unirazionali fra due .curve (1); proprietà che si estende facilmente alle superficie e varietà superiori. Spiego brevemente di che si tratta, pel caso delle superficie. Fra due superficie F, ® abbiasi una corrispondenza 0, di indici 1, v: ai punti di / corrisponderanno dunque su ® i gruppi di un’ involuzione /; supporremo per semplicità che © sia priva di elementi fondamentali. Siano poi A e B due curve di F; A', B' le loro omologhe su ®. Se le curve A, B sono equivalenti, saranno anche equivalenti, per un notissimo teorema di SEVERI, le curve A’, B'; e anzi noi diremo, con denominazione analoga a quella da me adoperata per le curve, che A’, B' sono equi- valenti identicamente (rispetto ad 1). Ma se viceversa noi supponiamo che siano equivalenti le curve A', B', potremo solo, per lo stesso teorema di SevERI usato poco fa, dedurre l'equivalenza delle curve vA, vB: giacchè sono queste le curve omologhe di A', B' nella corrispondenza 0. Ed effettivamente può benissimo darsi, come si riscontra su esempi, che sia A4' = B' e non A = B;: ossia che le curve A’, B' siano equivalenti non identicamente. Tuttavia l’esistenza di curve equivalenti non identicamente va riguardata come un caso d'eccezione. Infatti nel $ 2 io di- mostro che, analogamente a quanto vale per le curve (M, n° 30), se l'involuzione | non è composta, esisteranno curve equivalenti non identicamente allora e solo allora che la I sia ciclica e priva di (1) Sulle serie algebriche... [* Rend. Palermo ,, t. XXXVII (1914)]), $ VII. Designerò in seguito questa mia Memorin con M. UN CRITERIO D ©QUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 847 coincidenze: sia cioè generata da una trasformazione birazionale ciclica, priva di coincidenze, della superficie in sè (1). Propriamente ciò che serve per dimostrare il criterio IV non è il risultato ora enunciato, ma un’altra proprietà un po’ più generale: il Lemma III del n° 9. 4. — Quanto ho or ora esposto permette di costruire su- bito esempi di curve che segano gruppi equivalenti sulle curve di un sistema, senza tuttavia essere equivalenti nè differire per curve fondamentali del sistema. Si prendano perciò due superficie F, ®, in corrispondenza © (1v) fra loro, e tali che su ® esistano coppie di curve equi- valenti non identicamente rispetto all’involuzione / indotta da © su ®; siano 4’, B' due di tali curve; 4, B le curve di F che hanno per omologhe le A’, B'. Si scelga ora su ® un sistema o, Z', d’indice > 1, di curve Cl’, la generica delle quali non contenga infinite coppie di punti coniugati nella /; ad esso per la © corrisponderà su F un sistema 00!, X, di indice > 1, di curve C: ogni C' è bir. identica alla sua omologa. Ora, come le A’, B' sulle C’, così le A, B sulle C segheranno gruppi equi- valenti: eppure le A, B non sono equivalenti, e neppure diffe- riscono per curve fondamentali di X: poichè, dette £, F due tali curve, ed E, F' le loro omologhe per la ©, se fosse A4+E=B4+ F, seguirebbe 4’ + E = B'4- F, e quindi, es- sendo A4’'= B', ne verrebbe E = /F'; ciò che è assurdo, poichè le curve E, F°, fondamentali per 2’, sono curve isolate. Si noterà peraltro che, com'è facile mostrare (cfr. n° 11), la generica C possiede singolarità variabili. Ciò sì vede imme- diatamente se la / è ciclica e priva di coincidenze: poichè al- lora una Cl’ variabile, dovendo incontrare in punti variabili la sua curva coniugata nella I, possiede necessariamente coppie variabili di punti (distinti) coniugati nella /. Osservazione. — Dalla dimostrazione, che daremo nel $ 3, del criterio IV si possono facilmente ricavare le restrizioni mi- ‘nime da aggiungere all’ipotesi del criterio III per dedurne la (1) Ricordo che, per un recente teorema di Gopraux [° Rend. Lincei ,. vol. XXIII, marzo 1914], una involuzione non composta, priva di coinc - denze, è necessariamente ciclica. 848 RUGGIERO TORELLI tesi del criterio IV: con che potrebbe aversi un criterio più generale del IV (1), però meno maneggevole. $ 2. — Sulle involuzioni nelle superficie algebriche. 5. — Cominciamo dal trattare la questione accennata al n° 2. Fra due superficie algebriche Y, ® abbiasi una corrispon- denza © (1v), che supporremo priva, su entrambe le superficie, di elementi fondamentali. Questa condizione (messa per evitare inutili complicazioni di forma) non lede la generalità: essa può sempre ritenersi soddisfatta sostituendo, se occorre, alle F, ® due loro opportune trasformate birazionali. I gruppi di punti di ® omologhi dei punti di Y formeranno una involuzione / di ordine v; ì punti di coincidenza della / su ® (di diramazione per la © su /) si distribuiranno in un numero finito (= 0) di curve (2). (1) In quanto la restrizione che il sistema 2 sia privo di singolarità variabili è sovrabbondante. Cfr. il n° 15. (2) Non possono esistere punti di coincidenza (di diramazione) isolati; come si vede con un ragionamento analogo a quello fatto da Exrrques- Severi per il caso v==2. Cfr. Severi, Sulle superficie algebriche che ammet- tono un gruppo continuo... [° Atti del R. Ist. Veneto ,, t. LXVII (1907-08)], n° 2. Espongo in breve la dimostrazione, per comodità del lettore. Diciamo K l'eventuale curva di diramazione su F; D la curva di coincidenza per l’in- voluzione / su ®. Prendiamo poi su Y, in modo affatto generale, un si- stema lineare | X|, e diciamo | X”| il suo trasformato su ®. La gene- rica X” contiene una involuzione ?, di ordine v, birazionalmente identica alla corrispondente X, e le cui coincidenze sono le intersezioni di X” con D. Se m,p sono i generi di |! X]},{X"|],e w è il numero delle intersezioni di una X' con D (0 di una X con K), sì ha per la formula di Zeurnen: u=2(p—1)—2v(n—-1) Sia ora, se possibile, P un punto di diramazione isolato su F, e P',, P'o..... le corrispondenti coincidenze isolate dell’involuzione / su P. Quando una X viene a passare genericamente per P, la i esistente sulla corrispondente X” non può acquistare nuove coincidenze, perchè il genere della X resta eguale a m, e non può crescere quello della X”: quest’ultima dunque deve venire a passare per ciascuno dei punti P”,, P’3... con due 0 più rami coniugati nel- l'involuzione /; e ciò è assurdo, perchè allora diminuirebbe il suo genere nentre rimarrebbe invariato il numero delle coincidenze della è. UN CRITERIO D'EQUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 849 Cominciamo col dimostrare il seguente Lemma I. — Stîa R una rete di curve X su F; R' la rete delle curve omologhe X' su ®; sulla generica X' la 1 subordinerà dunque una involuzione i. Se l’involuzione i sulla generica X' è composta con una involuzione di ordine e, anche la I risulta com- posta con una involuzione di ordine €. La cosa è evidente se sulla generica X” la i è composta con una sola involuzione j di ordine e: giacchè allora, se X' de- scrive un fascio della rete R', la j descrive una involuzione .J con cui la / risulta composta. Nel caso poi in cui la ; della generica X° è composta si- multaneamente con più involuzioni ;.,J"... di ordine e, ba- sterà, per dimostrare l’asserto, far vedere come, preso un ge- nerico fascio di fR', su ciascuna sua curva si possa determinare razionalmente una delle dette involuzioni. Ed infatti, si fissi una generica .X°, e su questa un gene- . . . . Vv è rico gruppo G della 2; G si decompone in — gruppi ig da della ;; ui ermuippi Gy, Gy... della" 7", gte.; e i sruppi G,, Gs... G,, Gg... son tutti distinti fra loro. Considerando allora il fascio delle X° passanti per G, ciascuna delle dette Vv decomposizioni di G in gruppi fissa razionalmente su una curva variabile di tal fascio una delle involuzioni j, J", j" .... Covo di. 6. — Orbene adesso faremo vedere che Trorema I — Se esistono su ® due curve A'; B' equivalenti non identicamente, e la involuzione I non è composta, essa è ciclica e priva di coincidenze. . Si dicano infatti A, B le curve di / aventi per omologhe le A’, B'; e si scelga su f una rete £ priva di co! curve spez- zate. Un generico fascio S di tale rete sarà dotato di punti base e privo di curve spezzate (e non avrà come fondamentale alcuna componente della A, nè della B, nè della eventuale curva di diramazione di 0). A una curva variabile X di S cor- risponde su ® una curva X°, variabile in un fascio S' e in cor- rispondenza 9 (v1) con X: e mentre i gruppi segati su X da A, B non sono equivalenti (altrimenti sarebbe A = 5). i loro gruppi 850 RUGGIERO TORELLI omologhi nella 6, essendo segati su X” dalle curve A‘, B', sono equivalenti. D'altronde essendo, per ipotesi, la involuzione / non composta, tale risulta anche, pel Lemma I, l’involuzione i subordinata su XX” dalla /: la è allora, per un mio teorema già ricordato, sarà ciclica e priva di coincidenze; e tale quindi ri- sulterà anche la / (1); c. v. d. 7. — La precedente proprietà si inverte facilmente nel se- guente modo: Trorema II — Se l'involuzione I è ciclica e priva di coin- cidenze (anche composta), esistono su ® coppie di curve equivalenti non identicamente. Si può infatti prendere su F un sistema lineare completo |A] il cui sistema trasformato |.4"| non sia completo (2). Detto al- lora A'|il sistema completo cui appartiene | A'|, il sistema | A] sarà mutato in sè da ogni trasformazione generatrice di /: precisa- mente una tal trasformazione, dicasi 7, inducein|A'|una omografia | ciclica non identica. Quindi in | A'| dovrà esistere, oltre | A'|, (1) Poichè, con argomentazione analoga a quella fatta in fine del n° 5, si può fissare razionalmente, su nna X' variabile di 8’, una trasformazione generatrice della i. 4 (2) Si prenda su / un sistema lineare completo |M |, tale che i suoi multipli, almeno da un certo punto in poi, sieno regolari: ad es., secondo Severi, l'aggiunto ad una curva atta ad individuare un sistema continuo diverso da un fascio irrazionale. Detti allora n, m, il grado e il genere del sistema (completo) | AM | , la dimensione ry di | AM | , per X abbastanza alto, sarà data da TNA —.TtrckiPac ho essendo Pa il genere aritmetico di /. Il sistema trasformato | AM" | di |AM | avrà il grado n,)/= vn,, e il genere n,/= vm — v+ 1 (poichè la sua curva generica possiede una involuzione d'ordine v e genere m, priva di coincidenze); per la dimensione r,’ del sistema completo cui esso appar- tiene avremo . rsu n’) + Pi! L i =M(nx ski TT, ) + v + Pa essendo P’, il genere aritmetico di ®. Poichè, crescendo A, la differenza n, — m, cresce all'infinito, finirà certo coll’essere r > n: si può dunque prendere come sistema | A| del testo il sistema |XM]| con A sufficien- temente grande. ii UN CRITERIO D'EQUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 851 almeno un altro sistema lineare di curve mutate in sè dalla 7°: una qualunque di queste ultime curve e una qualunque curva di | A'| risultano allora equivalenti non identicamente; c. v. d. 8. — Dal teorema I risulta subito una condizione neces- saria (ma non sufficiente) perchè esistano su ® curve equiva- lenti non identicamente, nel caso in cui l’involuzione / sia com- posta. Ed infatti in tal caso si potrà prendere un certo numero di superficie F;, F», ..., 7, in guisa che la corrispondenza 0(1v) intercedente fra F, ® risulti prodotto di % + 1 corrispondenze unirazionali 0,, 93, ..., 0x, 0x+1 (prive sempre di elementi fon- damentali), intercedenti rispettivamente fra le coppie di super- ficie (FF), (FP F3) (AF), (Fx), e che l’involuzione /, indotta dalla 0, (s= 1,2,..., #41) su #, (su®,ses=%+ 1) sia non composta (1). Queste ultime involuzioni anzi le chiame- remo le involuzioni componenti della data involuzione /. Orbene si vede immediatamente che: Lemma Il. -— Se su ® esistono coppie di curve equivalenti non identicamente rispetto a I, una almeno delle involuzioni com- ponenti di 1 dovrà essere ciclica e priva di coincidenze. Questa proposizione vale anche per le curve; il fatto ch’essa non è invertibile risulta, per le curve, dalle considerazioni fatte nel n° 32 della mia memoria M, e potrebbe facilmente stabi- lirsi, con argomentazioni analoghe, per le superficie. 9. — È essenziale pel seguito quest'altra proprietà. Si decomponga, come al n° 8, la corrispondenza O tra f, © nel prodotto delle 0,, 94, .... 9,41, intercedenti risp. tra le coppie di superficie (FF), (FF), ..., (Fx®) [se / non è composta, sata-kat e BH > DI Si prenda poi su F una curva X, variabile in una rete £; a essa, per la 9,, corrisponderà su /, una curva X, variabile in una rete R;; alla X,, per la 9,, una curva X,; variabile in (1) Tal decomposizione può anche essere effettuabile in più modi di- versi (rispetto alle trasf. birazionali). In tal caso intendiamo riferirci a una, fissata ad arbitrio, di tali decomposizioni. 852 RUGGIERO TORELLI una rete R, su #3; ...; alla X,, per la 6x1, una curva Xi variabile in una rete #,,, su 2. Orbene, si vede facilmente che Lemma III. — Se rispetto all’involuzione i subordinata dalla 1 sulla generica Xxy, esistono gruppi equivalenti non identicamente, qualcuna I, dalle involuzioni I,, Is, ..., Ix+1 componenti della I deve esser ciclica, e avere come curva di coincidenza una curva fondamentale per la rete R,. Infatti, pel Lemma I, le involuzioni è, d2, ..., 2441, Subordi- nate dalle /,, £, ..., {4,1 risp. sulle curve Xi, Xg, ..., Xx+1 SONO non composte, talchè esse sono le componenti della i; e poichè su X,,; esistono, per ipotesi, gruppi equivalenti non identica- mente rispetto a i, qualcuna delle involuzioni è, és, ..., îa41, @ sia p. es. la ;,, deve essere ciclica e priva di coincidenze. Fa- cendo variare la X, nella rete /,, si vede che /, è ciclica, e la sua (eventuale) curva di coincidenza non può incontrare X, in punti variabili, poichè questi sarebbero coincidenze della in- voluzione i,; e. v. d. Osservazioni. — 1) Applicando a una curva fondamentale della rete R, la 0,;1(h=0,1,..., &), ovvero la 0,(4=1,2,..., k+ 1), si ha una curva fondamentale della /,,,, ovvero della R,_,. 2) Il Lemma III può considerarsi come un'estensione del Lemma II. Basta osservare che se esistono curve equivalenti non identicamente rispetto a 7, scelta la 2, priva di co! curve spezzate (talchè, per l’osserv. precedente, ne saran prive anche le f,, 2g, ..., Rx;1), sulla generica X,,; esistono gruppi equiva- lenti non identicamente rispetto a i (per una considerazione fatta al n° 6); si deduce allora che qualcuna delle Z,, I, a Zu deve essere ciclica e priva di coincidenze. $ 93. — Dimostrazione del criterio IV. 10. — Passiamo adesso alla dimostrazione del criterio IV. Sopra una superficie # abbiasi un sistema co! (irriduci- bile) Z, di curve Cl (generalmente irriducibili); sia v(>1) il suo indice. UN CRITERIO D'EQUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 8589 Rappresentando le curve di X coi punti di una curva T, tra Fe l resta stabilita una corrispondenza tale che a ogni punto di f corrisponde su F una curva ©, mentre al generico punto di F corrisponde su l un gruppo di v punti, imagini delle v curve C' passanti per quel punto. Se consideriamo allora la superficie ® che rappresenta, senza eccezione, le coppie di punti omologhi di #,T, vediamo che fra /, ® intercede una corrispondenza © (1v): tal corrispon- denza indurrà su ® una involuzione / di ordine v. Si notino ora queste due proprietà: a) Mentre un punto di F descrive una curva C, uno dei suoi omologhi in © descrive una curva C° bir. identica a quella C: le curve l’ così ottenute su ® formano un fascio Z' bir. identico a I. | 5) I coniugati in / di un punto variabile sulla generica 0° descrivono una curva che non contiene altre curve C' (altri- menti a X' la © farebbe corrispondere un sistema di indice < v). Supporremo al solito di avere (occorrendo) trasformate le F, ® in guisa che la corrispondenza © sia priva, su entrambe le superficie, di elementi fondamentali (e quindi X sarà privo di punti base). E chiaro che dalla validità del criterio IV dimo- strato in questa ipotesi, si ricava subito la validità in gene- rale del criterio stesso. 11. — Decomponiamo, come al n° 8, la corrispondenza © tra , ® nel prodotto delle corrispondenze 0,, 83, ..., 9,3, inter- cedenti risp. fra le coppie di superficie (FF), (F, F.), ....(Fx®) [se I non è composta, sarà 4=1 e F,= ©]. Sia poi £ l'insieme delle eventuali curve fondamentali irriducibili del sistema X; ad £ corrisponderà, per la 6,, una curva E, di 7,; a questa, per la 0,, una curva E, di 73;....; a E,, per la 6,41, una curva Ex, di ©. Alle curve C° del fascio Z' corrispondono, per la 0,,;, curve GC, di f,; a queste, per la $,, curve C,_; di F,_,;...; alle C,, per la 8;, le curve C del sistema X su Y. Si potrebbero facilmente calcolare gli indici dei sistemi co- stituiti dalle C,, Cx_1, ..., 01; a noi basta osservare che, per la proprietà 4) del n° 10, tali indici sono superiori a 1. Orbene, si vede facilmente che 854 RUGGIERO TORELLI Lemma IV. — Se per qualcuna delle involuzioni I, 13, ..., Ixj1 componenti della I, e sia p. es. la I., avviene che la curva di coincidenza manca, ovvero le sue componenti irriducibili sono con- tenute in R,, le curve C posseggono punti multipli variabili. Infatti (convenendo per un momento di scrivere Fxy1, Cui invece di ®, C*) su F, la generica C, non contiene infinite coppie di punti coniugati in /, (per la proprietà @) del n° 10), e non incontra in punti variabili la enrva £,. Essa d'altronde deve incontrare in un gruppo di punti variabili la sua curva coniu- gata in /.: giacchè, se ciò non fosse, le €, formerebbero un fascio, il che accade, come s'è dianzi detto, solo per r=%+-1; e le loro coniugate sarebbero fondamentali per tal fascio: ciò che è escluso dalla proprietà 4) del n° 10. Adunque una ©, variabile possiede coppie variabili di punti distinti coniugati in /.; ne segue subito che una € variabile su possiede singolarità variabili. 12. — Dal Lemma ora dimostrato e dal III segue questa proprietà, fondamentale per la dimostrazione del criterio IV : Lemma V. — Se le C sono prive di punti multipli variabili, presa su F_ una rete di curve X le cui eventuali curve fondamen- tali siano fondamentali per X, la curva X' omologa in © della generica X non contiene gruppi equivalenti non identicamente ri- spetto all’involuzione su essa subordinata dalla I. In particolare ‘su ® non esistono curve equivalenti non identicamente rispetto a 1. Osservazioni. — 1) Avverto che per la dimostrazione del criterio IV si potrebbero omettere i Teor. I, II e il Lemma Il. 2) Dalle considerazioni che servono a dimostrare il Lemma II risulta anche che: | Allorquando l’involuzione I non è composta, si può nel Lemma V, all'ipotesi che le C non abbiano punti multipli variabili sostituire l'altra, più larga, che su F esista una curra di diramazione per la © che non sin fondamentale per X. 13. — Supponiamo ora che esistano su £ due curve A, B, seganti gruppi equivalenti sulla generica C. Allora sulla gene- rica ( resta individuata, a meno di un fattore di proporziona- lità, una funzione razionale y(x) avente come zeri e poli risp. UN CRITERIO D'EQUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 855 i punti dei gruppi (AC), (BC). Possiamo, con SevERI (1), deter- minare razionalmente su ogni Cl il detto fattore, prendendo una curva D su F, e considerando su ogni C la funzione Priret y (x) rar y(2) + ye) ++ y (27) dove x}, %s,...,%, sono i punti comuni a D e alla conside- rata C. Con ciò adunque veniamo a fissare su ogni C una funzione razionale Y (x) di cui (AC), (BC) sono risp. i gruppi degli zeri e dei poli. E per conseguenza resterà fissata su ogni C° una funzione razionale Y (x°), di cui i gruppi di zeri e di poli sono rispetti- vamente i gruppi (A4’'C’), (B'C’); essendo A’, B' le omologhe delle curve A, B nella corrispondenza © (2). Le Y(x') saranno subordinate sulle C° da una funzione ra- zionale @ del punto scorrente su ®; e le curve A', B' saranno curve di zeri, risp. di poli, per ©. Mediante la corrispondenza © che trasforma ® in 7, la funzione @ si muta in una funzione algebrica f a v (eventual- mente meno (3)) valori del punto scorrente su F. Le curve A, B sono curve luogo di zeri, risp. di poli, per f. e le eventuali ulteriori curve luogo di zeri e poli per f dovranno essere fon- damentali per X. Perciò se indichiamo con E’, F' le ulteriori curve di zeri, risp. di poli, della funzione razionale ®, esse sa- (1) Alcune relazioni d'equivalenza... (citata), n° 4. Ivi sono anche con- siderate le funzioni @, f, di cui tra poco si parlerà nel testo. (2) Ciò anche se qualche componente di A o B tocca una C variabile in punti variabili. Basta osservare che tal componente è curva di dirama- zione per O (cfr. n° 15), quindi la sua omologa possiede una componente doppia (almeno). (3) Precisamente: se la curva di livello di @ uscente da un generico punto P di ® passa per € — I dei coniugati di Pin I, sarà E l’indice di polidromia di f. In realtà, come risulta dal n° 14, la f è razionale (supposte, beninteso, le C prive di singolarità variabili). Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. sofà 856 RUGGIERO TORELLI ranno le omologhe in © (o parti delle omologhe in © (1)) di curve E, F, fondamentali per X. 14. — Noi dimostreremo adesso che, se le C sono prive di singolarità variabili, il fascio delle curve di livello della @, fascio che contiene totalmente le curve A' + E, B'+ F, è composto coll’involuzione /; ossia è il trasformato in © di un fascio di F; e da ciò, com'è chiaro, risulterà senz'altro il eri- terio IV (2). Prendiamo perciò su una rete & di curve X per la quale le curve fondamentali di Z, e solo esse, siano fondamentali, e anzi abbiamo zero intersezioni colla C generica: tale è p. es. una generica rete del sistema lineare individuato da un gruppo di curve l (poichè X è privo di punti base: cfr. n° 10, fine). Alla rete R corrisponderà su ® una rete #' di curve X': e pel Lemma V non esistono sulla generica X° coppie di gruppi equi- valenti non identicamente rispetto all’involuzione i subordinata da I su essa N°. Consideriamo allora sulla generica X' (che non incontra le curve £', F) i gruppi (A'X°), (B'X°): essi saranno equivalenti identicamente rispetto a i; epperò la 9! che li congiunge, la quale è segata su X” dal fascio delle curve di livello della @, è composta colla involuzione +. Ne segue, facendo variare la X” entro R', che le curve di livello della g sono composte colla involuzione I: c. v. d. Risulta così completamente dimostrato il nostro criterio IV. 15. —— Osservazione. — Nel caso in cui la generica C pos- segga r punti doppi variabili (0 singolarità equivalenti) il gruppo delle intersezioni di una Cl e della sua infinitamente vicina (gruppo caratteristico) consta delle » coppie di punti costituite dai detti punti doppi, e di un certo gruppo £ (che, se r > 00, (1) Questa eventualità, ammissibile @ priori, viene esclusa dalle con- siderazioni del n° 14, quando X è privo di singolarità variabili. (2) Se E è privo di curte fondamentali, talchè non esistono le E”, F", dalla relazione 4’ = 2’ si può subito dedurre A = B quando le Cl siano prive di punti multipli variabili: poichè allora non esistono curve equi. valenti non identicamente rispetto a ) (Lemma V). | | UN CRITERIO D'EQUIVALENZA PER LE CURVE, ECC. 857 potrebbe anche mancare (1)). La curva X descritta da que- st’ ultimo gruppo è curva di diramazione per la corrispon- denza © (2). Orbene: se l’involuzione I non è composta (p. es. se v è primo) l’esistenza di K è sufficiente ad assicurare che il fascio delle curve di livello di ® è composto colla I. Basta, per veder ciò, ripetere la dimostrazione del n° 14; applicando, invece che il Lemma V, l’Osserv. 2) del n° 12, e tenendo presente che KX non è certo fondamentale per £. Segue che: Supposto v primo, quand’anche le C posseggano singolarità variabili, l’esistenza di K basta per affermare che le A, B sono equivalenti o differiscono per curve fondamen- tali di X. Quest'ultima affermazione si controlla direttamente, in modo semplicissino, nel caso v = 2. In tal caso infatti, supposto dap- prima (oltre il fatto dell’esistenza di X) che qualcuna delle componenti irriducibili di K non faccia parte nè di A nè di B, si osservi che la funzione f non può essere a due valori: giacchè, se fosse, subordinerebbe sulla generica C una funzione spezzata in due funzioni razionali aventi, com'è facile vedere, lo stesso ordine (3); ma tali funzioni avrebbero lo stesso gruppo (AC) di zeri, lo stesso gruppo (BC) di poli, e inoltre in qualche punto (semplice per C) del gruppo caratteristico assumerebbero uno stesso valore non nullo nè infinito: esse dunque coinciderebbero. Ne viene la razionalità di f, e quindi per le A, B la tesi del criterio IV. Se poi ogni componente irriducibile di XK è conte- nuta in A o in B, presa una curva M in guisa che i sistemi lineari | A + M], !B+ M! siano privi di parti fisse, si stabili- rebbe dapprima il risultato per due curve estratte generica- (1) Si pensi p. es. al sistema delle sezioni di una superficie del 4° or- dine dello spazio ordinario coi suoi piani bitangenti. (2) La curva XK, la curva luogo dei punti doppi delle C (contata due volte); ed eventualmente altre curve contenute parzialmente o totalmente in 2, costituiscono l’inviluppo di X. (3) Basta osservare che su ® le funzioni razionali subordinate da @ sulla generica C' e sulla curva C' coniugata di C” nell’involuzione (di ordine 2) 7, hanno lo stesso ordine: i loro gruppi di zeri sono infatti rispettivamente (40, (A'C"), epperò son formati da egual numero di punti. È: ‘ Ta 858 RUGGIERO TORELLI mente dai due detti sistemi; e ne seguirebbe subito il risultato. per le curve date (1). Pisa, Aprile 1914. (1) Colgo l'occasione per fare due avvertenze relative a due miei re- centi lavori. 1) Il teorema dimostrato nella Nota Sopra una proprietà caratteristica delle superficie regolari (* Rend. Lincei ,, vol. XXII, novembre 1913) di- scende immediatamente dai n° 12 e 13 della Memoria di Severi (anteriore alla mia detta Nota): Le corrispondenze fra î punti di una curva variabile in un sistema lineare... (£ Math. Ann. ,, Bd: 74); Memoria che io non co- noscevo quando scrissi quella Nota. 2) La dimostrazione del criterio I (n° 1) della mia NotaeII Sulle va- rietà di Jacosi (‘ Rend. Acc. Lincei ,, vol. XXII, novembre 1913) è troppo succinta: non risultando ben chiara l’esistenza delle varietà Vi di cui si parla in fine della detta dimostrazione. Espongo perciò qui dettagliata- mente la parte sostanziale di quel ragionamento. In una varietà Picardiana 0%, V), si consideri una curva C ad essa appartenente, e si applichino a C tutte le 00! trasformazioni di 1* specie di VW, che portano un punto di C in un punto fisso P di Vp. Si avranno così 00! curve C uscenti da P: e si tratta di far vedere che il cono A' delle tangenti in Pa tali curve appartiene all’Sp tangente in Pa Vp. Dicansi infatti w;(X) [i=1,2,...,p]i valori dei p integrali di prima specie di W, nel suo punto X (coordinate di X entro Vp): e, preso un punto Y di C, sì consideri la trasformazione 7 di 1* specie che porta il punto Y in P. Tal trasformazione, definita dalle formule wi(X)- u;(X)=ui(P)— u;(Y) (modd. periodi), al punto infinitamente vicino ad Y su C, punto che ha le coordinate ui(Y) + du; (i differenziali essendo presi lungo ©), farà corrispondere il punto w(2) + du;: le du; saran dunque coordinate proiettive omogenee (nella stella che ha per sostegni P e |’ S p tangente in Pa Vy) della tan- gente in P alla curva € che si ottiene applicando la Za C. Se ora il cono K appartenesse a uno spazio di dimensione < p, le dui dovrebbero, al variare di Y su C, restar legate da una (almeno) relazione lineare omo- genea a coefficienti costanti, e quindi gli w; non fornirebbero p integrali indipendenti di C: contrariamente all'ipotesi che Te) appartenga a W,. CARLO FOÀ — NUOVE RICERCHE SULLA FUNZIONE, ECC. 859 Nuove ricerche sulla funzione della ghiandola pineale. Nota del Dott. CARLO FOÀ Libero docente e aiuto di fisiologia nella R. Università di Torino. Dopo le ricerche che pubblicai nel 1912 (1) sugli effetti della estirpazione della ghiandola pineale nel gallo, controllai e confermai i risultati fino allora ottenuti, con nuove esperienze sul gallo e sul ratto completandole con l'esame istologico delle ghiandole sessuali e di quelle a secrezione interna. Nel frattempo, oltre ad alcuni casi di lesioni della pineale nell'uomo, vennero pubblicati alcuni lavori di indole morfologica e sperimentale che riassumerò brevemente. Ort e Scorr (2) ammettono che le iniezioni di estratto di gh. pineale producono vasodilatazione dei genitali del gatto maschio, diminuiscono dapprima, poi accrescono la pressione arteriosa, stimolano i movimenti dell’intestino e dell’utero, pro- ducono vasodilatazione renale, diuresi e glicosuria fugace. F. PoLvani (3), in base allo studio istologico della gh. pi- _neale umana in diversi periodi dello sviluppo, esclude che tale organo sia di natura nervosa o linfatica, ammette l’esistenza di tessuto di nevroglia ma gli attribuisce un'importanza secondaria, rispetto alle cellule principali alle quali l'A. riconosce il carat- tere ghiandolare. Lungi dall'essere un organo in via di regres- sione, la gh. pineale è secondo il Polvani filogeneticamente in via di sviluppo, essendo essa omologa non già all'occhio parie- tale dei rettili ma al diverticolo epifisario nei pesci. (1) Carro Foà, Ipertrofia dei testicoli e della cresta dopo l'asportazione della ghiandola pineale nel gallo. © Pathologica ,, 1912, n. 90 e “ Archives Italiennes de Biologie ,, LVII, p. 233. (2) Ott's Contributions to Physiology, Part XIX, 1912. (3) F. PoLvani, Studio anatomico della ghiandola pineale umana. * Folìa Neuro biologica ,, VII, 1918, 655-695. 860 CARLO FOÀ Ca. L. Dana e W. BerkeLey (1) trovarono che le iniezioni endovenose di nucleoproteidi ricavati dalla pineale del vitello, non hanno azione apprezzabile sulla pressione arteriosa del cane. Iniezioni intraperitoneali di tali nucleoproteidi praticate in gio- vani cavie durante 4 settimane provocarono un aumento di peso superiore a quello dei controlli, e lo stesso effetto gli AA. ot- tennero alimentando con pineale di vitello giovani cavie e co- nigli. L'alimentazione con pineale produsse per contro nei fan- ciulli un minore sviluppo fisico rispetto a quello dei bambini di controllo, mentre accrebbe lo sviluppo intellettuale. È evidente che tali risultati abbisognano, come gli AA. stessi ammettono, di ulteriori estesi controlli. BerkeLEY parla pure di esperimenti nei quali gli sarebbe riuscito di distruggere la gh. pineale in giovani conigli, ma nessuno di essi sopravvisse oltre due set- timane; quanto occorre per osservare il resultato dell'operazione. Una importante conferma dei miei resultati venne data in questo ultimo anno dal SartEscHI (2) che invano prima di essi aveva tentato l'asportazione della gh. pineale. Seguendo la stessa tecnica che io avevo ‘adottato sul pulcino, cioè praticando la legatura del seno longitudinale secondo Lo Monaco, Sarteschi riuscì ad asportare la pineale ad alcuni conigli e cani giova- nissimi, ottenendo nei maschi sopravissuti all'operazione una notevole ipertrofia dei testicoli rispetto ai controlli. Quanto al- l’effetto dell'operazione sulle femmine, che io non avevo potuto apprezzare sulle galline, nessuna conclusione possiamo trarre dalle esperienze finora pubblicate dal Sarteschi, non essendo sufficiente l'osservazione isolata dell'A. sopra una coniglia che, operata presumibilmente all’età di 45 giorni circa, partorì al- l'età di circa 5 mesi e mezzo. Mancano tutt'ora i reperti istologici riguardanti gli espe- rimenti del Sarteschi. Degni di nota sono i due cani della 3* serie di Sarteschi nei quali oltre il maggiore sviluppo dei testicoli l'A. osservò un notevole accrescimento somatico in con- fronto ai controlli, ed una tendenza a spiccata adiposità. Seb- (1) On, L. Dana è W. Berkecey, Die funotions of the pineal gand. * Me- dical Record ,3 1918, p. 885. (2) U. Sarrescni, Za sindrome epifisaria * Macrogenitosomia precoce , ottenuta sperimentalmente nei mammiferi. * Pathologica ,, 1918, n, 122. O 5 dà sti NUOVE RICERCHE SULLA FUNZIONE DELLA GHIANDOLA PINEALE 861 bene non si comprenda come tale risultato sia mancato sempre nelle mie esperienze, ed anche in tutte le altre del Sarteschi su conigli e cani, esso non perde tuttavia di importanza perchè trova riscontro nei sintomi che caratterizzano la macrogenito- somia precoce che Pelizzi descrisse nell'uomo. Questa importante conferma delle mie prime esperienze non potè per la data della pubblicazione esser conosciuta dal Polvani, il quale fra le conelusioni delle sue ricerche, esclusi- vamente morfologiche, commenta poco favorevolmente i resul- tati delle ricerche sperimentali. Egli infatti così si esprime: “ Le esperienze eseguite sull’influenza della estirpazione della “ epifisi invece di portare della luce hanno portato dell’oscurità : “ negative quelle di Exner e Boese, isolata quella del Sarteschi, “ le uniche di una certa attendibilità sono quelle di Foà, ma “eredo che abbiano bisogno di essere controllate. Il metodo “ proposto ed eseguito da Foà per estirpare la epifisi mi sembra “ — per averlo provato — più brillante che pratico, e sopra- “ tutto è discutibile che si riesca anche in quel modo ad estir- “ pare tutta la pineale e solamente la pineale; in ogni modo “io sono il primo a riconoscere che esso rappresenta un note- “ vole passo nella tecnica ,. r Non è dubbio che le mie esperienze sull’asportazione della pineale, appunto perchè furono le prime coronate da successo, abbisognavano di un serio controllo da parte di altri sperimen- tatori, ed io sono ben lieto che le ricerche posteriori del Sar- teschi le abbiano confermate. E sarò anche molto lieto se altri vorrà sperimentalmente controllarle, mentre non mi pare scien- tificamente giusta una critica superficiale come quella del Pol- vani, il quale ha potuto portare soltanto un contributo nega- tivo alla risoluzione del problema: quello cioè di non essere riuscito ad eseguire, col metodo da me adottato, l'estirpazione della pineale; con che non è detto, ed il successo delle espe- rienze di Sarteschi lo dimostra, che altri o l’autore stesso, usando di maggior pazienza e non scoraggiandosi di fronte ai primi insuccessi, non possa riuscire ad eseguire l’operazione. Conoscendo l’anatomia della pineale nel pulcino e nel co- niglio è assurdo pensare che col metodo da me adottato si possa estirpare, senza volerlo, altro che la. pineale, se si eccettua qualche lembetto di plessi coroidei; quanto alla possibilità di 262 CARLO FOÀ asportarla completamente ho detto nel mio primo lavoro quali siano le difficoltà e come esse si possano superare: Nè mi pare che il Polvani abbia ragione di ritenere che dalla contraddi- zione fra i miei esperimenti e quelli negativi di Exner e Boese venga oscurità piuttosto che luce sul problema, perchè tra questi due ordini di esperienze esiste una differenza sostanziale: quella del metodo operatorio, che mentre a me permise l’allon- tanamento dell’organo, non lo poteva certamente permettere nelle esperienze di Exner e Boese. Non ripeterò quanto dissi nella mia prima nota sul metodo adottato da questi ultimi Au- tori, la cui insufficienza ammetterà certamente anche il Polvani, se vorrà rileggere la mia nota e sopratutto se vorrà tentare l'operazione secondo quel metodo. Ma io credo che il Polvani sia senz'altro disposto ad am- mettere i resultati delle mie esperienze, poichè egli li cita in ciò che hanno di essenziale quando se ne vale per provare le sue conclusioni sulla funzione della gh. pineale (pp. 690 69) del suo lavoro citato). Sulle quali conclusioni del Polvani. che dif- feriscono dall’interpretazione accettata dalla maggioranza degli Autori, debbo fare alcune osservazioni. Il punto essenziale di questa divergenza è il seguente: altri ammise che la gh. pineale funzioni fin dalla nascita dell'individuo inibendo lo sviluppo degli organi genitali e dei caratteri sessuali secondari fino alla pubertà, epoca nella quale diminuendo la sua funzione avver- rebbe lo sviluppo sessuale. Il Polvani così si esprime: “io in- “ vece ritengo che chi risveglia l’attività della gh. pineale sia “ la secrezione interna delle ghiandole sessuali delle quali poi “non come organo di riproduzione, ma come ghiandole a se- # erezione interna essa diventa regolatrice, e solo quando i ca- “ ratteri sessuali secondari si sono impiantati in modo organi- “ camente euritmico, la epifisi va incontro a regressioni, il che “ vuol dire dopo la pubertà , (p. 691). La gh. pineale non eser- citerebbe adunque la sua azione moderatrice dello sviluppo ses- suale se non in quanto le stesse ghiandole sessuali ne risve- gliano la funzione. Non vedo sn quali fatti poggi questa ipotesi, che non mi pare nè provata nè utile per la interpretazione dei resultati. Così l’ipertrofia' dei testicoli e quindi dei carat- teri sessuali secondari negli animali privati della pineale in giovane età, come il normale sviluppo sessuale nella pubertà NUOVE RICERCHE SULI.A FUNZIONE DELLA GHIANDOLA PINEALE 863 che coincide con la resressione anatomica e funzionale della pineale, inducono a. ritenere che questa eserciti un'azione mo- deratrice sullo sviluppo sessuale, senza ricorrere all’ipotesi che tale azione venga risvegliata dalla secrezione interna delle ghiandole sessuali. Se questa fosse necessaria, la castrazione in età giovanile dovrebbe avere per resultato l’atrofia della pineale, ed è strano come il Polvani non. sì stupisca che invece la ca- strazione non porti alterazioni nella pineale e si esprima anzi dicendo che tali alterazioni non si hanno perchè con la castra- zione “ alla pineale sono mancati gli elementi stimolanti, gli ormoni della gh. interstiziale del testicolo e dell’ovaio ,. Oggi possiamo tutt'al contrario affermare che la castra- zione induce un’ipertrofia della gh. pineale (PELLEGRINI (1)), e questo sempre più ci allontana dal credere che il suo sviluppo abbia per condizione l’azione stimolante degli ormoni sessuali. Il Polvani stesso ha del resto morfologicamente confermato per l’uomo che “ la funzionalità. specifica di questa ghiandola “è attiva nella prima infanzia (circa 5 anni) e che essa dimi- nuisce perchè va incontro ad involuzione all’iniziarsi della “ pubertà , (p. 691). La sua funzione si esplica adunque come altri ed io stesso abbiamo affermato quando gli ormoni sessuali non hanno: ancora cominciato ad agire, per cessare quando questi esplicano la loro massima azione. “ Nuove ricerche sull’estirpazione della. gh. pineale nel gallo. Seguendo la stessa tecnica che descrissi nel mio primo la- voro ho eseguito nel 1912 una nuova serie di esperimenti sul pulcino ottenendo risultati operatori migliori della prima volta. Su 10 animali operati 7 sono sopravissuti all’estirpazione to- tale della ghiandola pineale. Di questi 5 erano femmine. Tutti i pulcini provenivano da uova di razza Padovana incubate ar- tificialmente. I risultati di questi esperimenti non sono che la (1) R. Perregrini, Gli effetti della castrazione sulla ghiandola pineale “ Arch. per le scienze mediche ,, XXXVIII, n. 6, 1914. 864 CARLO FOÀ conferma di quelli che avevo reso noti in antecedenza. Dopo una diminuzione iniziale di peso gli animali operati raggiunsero a capo di una settimana il peso dei pulcini di controllo, e poi il peso degli uni e degli altri procedeva di pari passo con minime differenze talora in più, talora in meno, non eccedenti i cinque grammi. Nessun effetto apprezzabile produsse adunque l’ope- razione sulla crescita dell'animale. Le galline furono sacrificate in tempi diversi dopo l'operazione: due di esse dopo 5 mesi, due dopo 7 mesi e una dopo 9 mesi. Contemporaneamente ve- niva sacrificata una gallina della stessa età non operata. L'esame degli organi genitali, la quantità e la grossezza delle uova emesse (dalla gallina sacrificata dopo 9 mesi dall’operazione). il peso del corpo, lo stato dello scheletro, non dimostrarono alcuna differenza fra le galline operate e quelle della stessa età non operate. Molto apprezzabili invece furono le differenze riscontrate nei maschi. Dei due galli operati uno fu sacrificato dopo 5 mesi e mezzo dall'operazione, l’altro dopo 10 mesi as- sieme al rispettivo controllo della stessa età. Riferirò con qualche particolare ciò che riguarda fe due maschi, che appartenevano alla medesima covata. Operati il 30 aprile del 1912 all’età di 32 giorni, i primi dieci-quindici giorni dopo l'operazione rimanevano quasi di con- tinuo fermi in piedi con le penne arruffate e la testa infossata tra le penne e con gli occhi chiusi. Scossi da un rumore alza- vano la testa, facevano qualche passo e poi ripiombavano im- mobili. Non si nutrivano spontaneamente, ma deglutivano fram- menti di lombrici e grani di riso e di mais che venivano loro introdotti nel becco. Poi poco a poco ripresero a muoversi spon- taneamente, a beccare nel terreno ed a cibarsi da soli. Le penne crebbero e non erano più arruffate. Il peso che durante i primi 10 giorni era rimasto quasi stazionario ricominciò poi a crescere e un mese dopo l'operazione divenne uguale a quello di tre galletti non operati appartenenti alla stessa covata. In quest'epoca difficilmente si riconoscevano i galletti operati dai controlli. A capo di 3 mesi nessuna differenza apprezzabile. Non li rividi durante i mesi di agosto e settembre. Il 10 ot- tobre le differenze fra i due galletti operati e i tre non ope- vati erano evidenti: La cresta dei primi era notevolmente più NUOVE RICERCHE SULLA FUNZIONE DEI.LA GHIANDOLA PINEALE 865 grossa di quella dei controlli, il portamento più maestoso, nes- suna differenza nelle penne e nello sperone. Il 15 ottobre sacrificai per dissanguamento uno dei galletti operati e uno dei controlli. Erano trascorsi 168 giorni dall’ope- razione e l’età dei galletti era di 200 giorni. Il peso del corpo era per l'operato di gr. 1671, per il controllo di gr. 1652. La cresta pesava rispettivamente gr. 35 e gr. 25. Un testicolo gr. 8 e gr. 5,2. Nelle figg. 3 e 4 sono riprodotte le fotografie delle creste e di un testicolo di questi due galli, ridotte esatta- mente a un quarto della grandezza reale degli organi. Trattenni l’altro testicolo, l’ipofisi, le gh. surrenali, il timo e Ja tiroide per l'esame istologico, fissandone parte in liquido di Zenker, e parte nella miscela formol-cromica di Ciaccio. Nessuna dif- ferenza apprezzabile nello scheletro. Malgrado l'esame più ac- curato di sezioni delle diverse ghiandole a secrezione interna, colorate con l’ematossilina ferrica, col metodo di Ciaccio per i lipoidi e con ematossilina Delafield ed eosina, non mi riuscì di poter stabilire la menoma alterazione consecutiva all'operazione. La differenza era invece notevole fra i testicoli, ma era, se così posso esprimermi, una differenza quantitativa, non riguar- dante il numero degli strati delle cellule spermiogeniche nè il loro rispettivo stato di maturità, nè l'aspetto degli sperma- tozoi abbondantissimi nel lume dei canalicoli testicolari in en- trambi i casi, nè la ricchezza relativa di tessuto interstiziale. La differenza consisteva unicamente nell’ampiezza dei canalicoli che, misurata in quelli sezionati normalmente all'asse longitu- dinale e che presentavano quindi una sezione circolare, era di !j maggiore nel testicolo dell'animale operato rispetto a quello del controllo. Si può affermare che i due testicoli, rag- giunta entrambi la maturità sessuale, si trovavano tuttavia in uno stadio differente di sviluppo ed era avvenuta una crescita maggiore del volume di ogni canalicolo e quindi dell'organo nell’animale operato che non nell'altro. Vedremo più innanzi come questo resultato sia identico a quello ottenuto sui ratti. Il secondo galletto operato anch'esso il 30 aprile del 1912 all’età di 32 giorni presentò durante i primi 15 giorni dopo l'operazione gli stessi sintomi che ho descritto per il prime, e anch’esso dopo circa un mese raggiunse il peso dei controlli non operati. I primi giorni di ottobre la cresta era uguale a 866 CARLO FOÀ quella dell’altro galletto operato e quindi considerevolmente più grossa di quella dei controlli. Essa crebbe poi ancora notevol- mente fino al 27 febbraio 1913, giorno in cui sacrificai ad un tempo il gallo operato e i due galli di controllo della stessa, età. Erano trascorsi 303 giorni dall'operazione e l’età dei galli è di giorni 335. Le figg. 5 e 6 riproducono la fotografia delle creste e di un testicolo del gallo operato e di uno dei controlli, ridotti esat- tamente ad un qnarto della grandezza reale degli organi. peso peso peso dell'animale della cresta di un testicolo Gallo operato gr. 2076 gr. 85 gr Ls 1° controllo »s 2082 Me 11: diet PA; a s. 2005 son 04 e 4. Dalla tabella dei pesi e dalle fotografie appare evidente quale maggiore sviluppo abbiano assunto i testicoli e la cresta del gallo operato. Quanto dissi dell'esame istologico del testi- colo per il caso precedente posso ora ripetere per questo caso. Non sviluppo maggiore del tessuto interstiziale a danno dei canalicoli, nè viceversa, ma proporzionale maggiore sviluppo di entrambi i tessuti caratterizzato da una maggiore ampiezza del diametro e del lume dei canalicoli, e da un maggiore distanzia- mento di essi per opera del tessuto interstiziale. Il testicolo dell'animale operato è uniformemente più sviluppato di quello dei controlli, sebbene gli uni e gli altri siano attivi e secernenti. La differenza è simile a quella che si riscontra esaminando due galli di età differente ma entrambi sessualmente maturi, co- sicchè mentre lo sviluppo somatico non viene influenzato dall'ope- razione viene invece notevolmente anticipato lo sviluppo degli organi genitali e di quelli che costituiscono i caratteri sessuali secondari. Non è impossibile che lasciando vivere più a lungo i galli essi avrebbero raggiunto un'età nella quale tali differenze sarebbero scomparse; questo fatto se fosse accertato significherebbe che l'asportazione della ghiandola pineale non produce una ipertrofia dei testicoli, ma soltanto ne anticipa lo sviluppo. Vedremo come le esperienze sui ratti confermino questa interpretazione. L'esame istologico dei testicoli conduce inoltre alla conclusione che l'iper- NUOVE RICERCHE SULLA FUNZIONE DELLA GHIANDOLA PINEALE 867 trofia della cresta cioè l’anticipato sviluppo di un carattere sessuale secondario, va di pari passo con l’anticipato sviluppo del testicolo, senza che si possa attribuirlo più alle cellule interstiziali che al tessuto canalicolare. Con questo non si può nè affermare nè ne- gare che i caratteri sessuali secondari dipendano dalle cellule interstiziali del tessuto, come oggi si ritiene. Esperimenti sull’estirpazione della ghiandola pineale nel ratto. La tecnica di questo esperimento è identica a quella da me adoperata sul pulcino; le maggiori difficoltà consistono nella maggiore vulnerabilità dei giovani ratti, nella maggior durezza delle ossa craniche, e nella facilità all’infezione che esige tutte le cautele asettiche, punto necessarie invece operando sul pul- cino. Avendo operato 8 giovani ratti del peso fra gr. 60 e gr. 85 ne sopravissero 4, dei quali tre maschi. Quando gli animali non erano morti entro le prime 24 ore, sempre si salvarono. Resta- vano da principio raggomitolati con respiro affannoso senza nu- trirsi e poi dopo un giorno cominciavano a correre per la gabbia e a cibarsi spontaneamente. Gli animali operati dovevano essere tenuti isolati, perchè attratti forse dall'aspetto insolito della ferita cranica avevano la tendenza di morderla o di graffiarla a vicenda. L'alimentazione così per i ratti operati come per i controlli era mista di pane, frumento, riso e mais. Il formaggio ha una influenza notevolissima sullo sviluppo dei ratti, tanto che questo procede lento se manca il formaggio, e pochi grammi di esso bastano ad aumentare in pochi giorni notevolmente il peso dei ratti. Poichè una differenza nella somministrazione del formaggio poteva dunque portare a notevoli errori nel giu- dicare il peso degli animali, lo esclusi dal regime dei miei ratti. Ho seguito con discreta frequenza il peso degli animali e il tracciato riprodotto nella fig. 1 dimostra l'andamento del peso di due ratti operati e di quello di un ratto di controllo appar- tenente alla stessa nidiata dei primi. Gli animali operati, che pesavano inizialmente uno 5 e l'altro 2 gr. e mezzo meno del controllo, rimasero più leggeri di quest’ultimo durante i primi e —— ano 2 rati (B) pesava come il controllo, l’altro (C) pesava soltanto 2 gr. di più. I tre ratti furono sacrificati 48 giorni dopo l’ope- razione. l'aspetto nel peso e nel volume dei testicoli, del pene, delle ii A 868 È CARLO FOÀ “n È S giorni, ne raggiunsero il peso verso il 10° giorno e dall’un- dicesimo fino al quarantaseiesimo crebbero più rapidamente. Il massimo della differenza di peso si notò dopo 26 giorni, poi ja È, differenza andò decrescendo e dopo 48 giorni uno dei ratti ope- — me MG ssa Te ra N ni cre eat D3) topo controllo A AAA topo operato 8 LL Ie 46 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 giorni io Capo Lenlezbeio tiali dia È v Î ci = - ea seni e pina ir sn: ua SNA ca ITER Fig. 1. All'autopsia non potei riscontrare differenza alcuna nel- NUOVE RIC€ERCHE SULLA FUNZIONE DELLA GHIANDOLA PINEALE 869 vescichette spermatiche, e di tutte le ghiandole a secrezione interna. L’esame istologico dei testicoli fissati in liquido di Zenker o nella miscela formol-cromica di Ciaccio, per mettere in evi- denza i lipoidi non permise di distinguere per differenza alcuna quelli pel controllo da quelli dell'animale operato, nè per il er __——‘’’’ — È —- alli di FARA n Ì del so È ME ratori dio 10 solco cl 6A PE OTT a ul LA a LE | 4 di L adi i | | i | Ì | RA des 1250 i | si === A sii 7 È | CE ch oo) virlipo baipsoro fe 4 S| uk [oli Bali |] E) da LL Cass SNA PET, n | lopo maschio controlla ------- lopo maschio operato —-—-— /opo femmina controllo ® /opo femmina operata I Lu | io pera lcd PRIA: 8 (0. fe el4pg.i6 8 ag20) ‘220, -24:26)- 428 130). 3234. 36 38 40: 42 4446 Fig. 2. tessuto spermiogenico nè per il tessuto e per le cellule inter- stiziali. Pensando che forse una differenza sì sarebbe potuta notare nel periodo di massima differenza di peso degli animali, sacri- ficai un altro ratto operato ed il relativo controllo della stessa covata dopo 30 giorni dall'operazione. La fig. 2 dimostra che il peso del ratto operato, inizialmente di 4 gr. più elevato di quelio del controllo, rimase invece durante i primi 8 giorni dopo l’operazione inferiore, per raggiungerlo nel nono giorno e 870 CARLO FOÀ superarlo poi progressivamente, fino a toccare al trentesimo una differenza di 25 grammi. Sacrificati gli animali in questa epoca, l'autopsia dimostrò che i testicoli del ratto operato erano più voluminosi di quelli del eontrollo, mentre il pene e le vesci- chette spermatiche non presentavano alcuna differenza. Il peso di un testicolo. del ratto operato era di gr. 1,6, un testicolo del controllo pesava gr. 1,2. L'esame istologico dei pezzi fissati in liquido di Zenker, di Hermann e nella miscela formol-cromica di Ciaccio, mentre non permise di scoprire differenze apprezzabili nell’ipofisi, nelle sur- renali, nella tiroide e nel timo, rese evidente che fra i testicoli del ratto operato e quelli del controllo esisteva una differenza notevole nel grado di sviluppo. Si osservino le microfotografie riprodotte nelle figg. 7 e 8 eseguite entrambe da preparati fis- sati in liquido di Zenker, colorati con ematossilina ed eosìina e fotografati con obiettivo 4 Koritzka mediante l'apparecchio di Edinger. La differenza evidente fra i due preparati concerne il diametro ed il lume dei canalicoli, la distanza che li separa la quale lascia anche supporre uno sviluppo proporzionalmente maggiore del tessuto interstiziale. Ma una ipertrofia assoluta di quest’ultimo a danno del tes- suto canalicolare non esiste, e l'aspetto e la quantità apprez- zabile dei lipoidi delle cellule interstiziali resi evidenti col me- todo di Ciaccio non sono diversi nell’animale operato e nel controllo. Nel testicolo del ratto operato, al maggior diametro del cana- licolo corrisponde pure un lume proporzionalmente maggiore, cosicchè lo spessore degli strati delle cellule spermiogeniche non differisce molto nei due testicoli. Non si può affermare che il processo di spermiogenesi sia diverso nei due testicoli, se non per una maggiore abbondanza di spermatozoi contenuti nel-lume più ampio dei canalicoli del ratto operato. La linea a tratti inframezzata da punti nella fig. 2 indica la crescita di peso di un ratto femmina normale, ed i punti isolati contornati da un cerchio corrispondono ai pesi di un ratto femmina della stessa covata, operato di asportazione della pineale. Si vede che la crescita avviene ugualmente nei due ratti, e questa osservazione così come la nessuna differenza macero è microscopica nelle ovaie e nelle mammelle della femmina ope- C.FOAÀ - Ghiandola pi neale Atti della R. Accad, delle Scienze di Sozino Vol. XLIX Officina Fototecnica Ing. Molfese. Torino NUOVE RICERCHE SULLA FUNZIONE DELLA GHIANDOLA PINEALE 871 rata e del controllo, confermano il resultato negativo ottenuto sulle galline con l'asportazione della pineale. Conclusioni. 1° Dalle nuove esperienze sull’asportazione della ghian- dola pineale nei pulcini maschi in giovane età viene confermato il resultato da me precedentemente ottenuto, che cioè all’ope- razione consegue uno sviluppo dei testicoli e della cresta più rigoglioso che nei galli di controllo non operati. La differenza comincia a rendersi manifesta cinque mesi dopo l’operazione e diviene sempre più accentuata fino al nono mese. Nessun effetto produce l’operazione sullo sviluppo gene- rale del corpo — nessun effetto sulle galline. 2° L’asportazione della pineale in ratti giovanissimi mentre non produce effetti apprezzabili sulle femmine, provoca nei maschi un più rapido sviluppo somatico, e la differenza massima fra il peso degli animali operati e quello dei controlli si osserva 26-30 giorni dopo l'operazione. Poi gradatamente il peso dell’animale operato raggiunge quello del controllo. 5° Nel momento in cui è massima la differenza di peso si osserva pure uno sviluppo notevolmente maggiore dei testi- coli nell’animale operato. La differenza dei testicoli scompare quando si uguaglia il peso del corpo. 4° L’esame istologico dei testicoli così dei galli come dei ratti nel momento delle massime differenze di volume e di peso, rivela uno sviluppo uniformemente più avanzato di tuttii tes- suti della ghiandola. Più elevato il diametro dei canalicoli, più ampio il lume di essi, maggiore la massa di spermatozoi che riempie il lume canalicolare, più distanziati fra di loro i cana- licoli e quindi maggiore lo sviluppo del tessuto interstiziale. Nessuna differenza nel processo spermiogenico se non per la quantità degli spermatozoi che occupa il maggior lume del ca- nalicolo. 5° Essendo uniformemente più sviluppati il tessuto ca- nalicolare e le cellule interstiziali negli animali operati, non è Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 58 872 CARLO FOÀ possibile dire a quale di questi due tessuti sia dovuto il maggior sviluppo somatico nel ratto. 6° Le esperienze sui ratti hanno dimostrato che l’aspor- tazione della zhiandola pineale non produce una ipertrofia as- soluta dei testicoli, bensì un anticipato sviluppo di essi. Passati circa 48 giorni dall'operazione il ratto operato non si distingue più in nulla dal controllo. Questa osservazione conduce a con- fermare la dottrina che attribuisce alla ghiandola pineale una funzione inibitrice sullo sviluppo sessuale, onde si comprende che con l’iniziarsi della pubertà coincida una involuzione della ghiandola pineale. Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. GrusePPE GoLa dal titolo: Epatiche della Regione del Kenia (Africa orien- tale). La Memoria del Dott. Gola è un contributo alla conoscenza della Flora epaticologica della regione situata intorno al M. Kenia (Africa orientale) a S. e a SW. di tale monte. Le conoscenze su tale argomento sono finora pressochè nulle, e l'A. ha potuto valersi di due collezioni raccolte dai Missionarii di N. S. della Consolata di Torino residenti in quella regione. Si è potuto così stabilire l’esistenza di 33 specie, delle quali 19 nuove, con tre nuove varietà, le quali costituiscono un con- tributo notevole alla conoscenza epaticologica dell’Africa equa- toriale. L'A. ha corredato di illustrazioni le diagnosi delle specie nuove, ha potuto completare la descrizione di specie finora in- completamente conosciute. Ha infine aggiunto qualche conside- razione sulle affinità che la regione studiata presenta con quelle circostanti, in parte già considerate in altri lavori dell'A. (Spe- dizione di S. A. il Duca degli Abruzzi — Etiopia). Sotto il punto di vista distributivo si conferma per questa regione quanto è già stato osservato per altri gruppi montuosi dell’Africa centro-orientale, e cioè l’affinità della flora epatico- logica della zona montuosa inferiore con quella dei paesi situati più a Sud e a Est (Madagascar, Mascarene, Usambara, ecc.). Nella zona montuosa elevata, salvo qualche scarso elemento del sistema alpino europeo, sono pure i tipi del Sud quelli che pre- valgono, sia per affinità sistematiche, sia per portamenti e ca- ratteri biologici; vi si. trovano infatti tipi affini (Plagiochila Aloyisii Sabaudiae, Sphenolobus Savioi) a quelli che si osservano nella Nuova Zelanda, nel Sud della Catena Andina, e che, lungo la Catena Andina, come in Africa seguendo le vette montane, raggiungono la regione equatoriale. 874 La breve Memoria che il Prof. Gola ha presentato all’Ac- cademia sarà indubbiamente cara ai biologi, perocchè essa ri- vela un notevole gruppo di interessanti forme nuove, il cui nu- mero speriamo abbia ad aumentare coi muovi contributi che seguiranno questa prima illustrazione delle Epatiche proprie alla regione montuosa dell’Africa centrale, se si potrà presto in- traprendere lo studio di nuovo materiale, che, come annunzia l'A. è già stato raccolto e potrà quanto pr,ma essere inviato in Europa. Siamo lieti che queste osservazioni, le quali portano nuova luce alla Epaticologia di una regione sulla quale sinora pareva dovesse imperare il monopolio scientifico esclusivamente inglese, partano da un laboratorio italiano e sieno condotte su mate- riali esclusivamente raccolti da italiani. Il lavoro è inspirato a concetto scientifico accurato, e cri- ticamente ci è sembrato bene impostato, così che siamo lieti di proporne l’accettazione per i volumi Accademici. Torino, 22 Aprile 1914. C. F. PARONA. Oreste MartIROLO, Relatore. 875 Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. Enrico Mussa dal titolo: La Flora dell'Agro Torinese dopo i lavori di J. B. Balbis e di G. F. Re e considerazioni sull’indigenato di talune specie. Il Dottore Enrico Mussa Direttore della Biblioteca Civica di Torino, distinto e appassionato cultore delle Scienze Natu- rali, ha presentato una Memoria sulla Flora dell'Agro Torinese dopo î lavori di J. B. Balbis e di G. F. Re, sulla quale la R. Ac- cademia ci ha dato l’onorevole incarico di riferire, ciò che oggi facciamo, lieti di segnalare ai suffragi dell’Accademia un la- voro di merito non comune, attentamente e faticosamente messo insieme, collo studio di ingente quantità di materiale da lui raccolto, e coll’esame delle collezioni conservate nel Museo dell’Orto botanico Torinese, che egli ha integrato con osservazioni originali numerosissime, e colla consultazione di tutte le opere che hanno riguardo alla vegetazione dell'Agro di Torino. In questo lavoro l’autore ricorda che, dopo le classiche flore dei botanici Torinesi J. B. Balbis e G. F. Re, più non compar- vero studi complessivi sulla vegetazione di tutto 1’ Agro, epperò richiama l’attenzione sulla opportunità che ora, a distanza di circa un secolo, si proceda ad una revisione integrale della vegetazione locale per addivenire alla compilazione d’una nuova Flora delle nostre regioni. Egli rileva come, durante il secolo scorso, l’Agro Torinese, specialmente là dove più si è intensificato il fenomeno dell’ur- banesimo, abbia profondamente modificato la propria fisionomia e come, correlativamente, l’azione invadente della città sul ter- 876 ritorio rurale abbia pure disturbato energicamente la vegeta- zione locale. Ricorda come nel frattempo anche le erborizzazioni — che furono attivissime specialmente per merito del personale del- l'Orto botanico di Torino — abbiano rivelato la presenza di molte forme vegetali non avvertite dai primi floristi dianzi ci- tati, per esempio: Corynephorus canescens, Gladiolus imbricatus, Hesperis matronalis, Isoùtes malinvernianum, Nardosmia fragrans, Poa serotina, Trisetum myrianthum, Tulipa praecor, Wolffia arrhiza, ecc.; e come certe specie esotiche, originariamente avventizie, siansi talmente adattate al nostro ambiente da assumere vera sembianza di piante indigene, esempi: Acer Negundo, Amorpha fruticosa, Polygonum cuspidatum, Solidago glabra, ecc. Ciò premesso, egli ritiene che la ricompilazione della Flora dell'Agro Torinese sarebbe giustificata da varie conside- razioni. Le flore del Balbis e del Re, ottime per i tempi in cui furono pubblicate, evidentemente non possono più corrispondere alle esigenze della Botanica moderna, la quale omai richiede in questi lavori, oltre ad una esatta ed esauriente descrizione si- stematica, anche l’adozione d'un sistema di classificazione riì- specchiante le acquisizioni attuali della scienza; una documen- tazione critica per ogni specie, quando occorra, per dirimere certe intricate complicazioni di sinonimia, e per stabilire la vera posizione sistematica d’ogni entità tassonomica; crede inoltre che omai una flora moderna completa voglia essere integrata da un buon corredo di elementi biologici illustrativi delle specie registrate, quali i fenomeni periodici vegetativi (fioritura, frut- tificazione, ecc.), la posizione dell'habitat, la natura mineralo- gica e geologica del suolo, le considerazioni ecografiche e le associazioni, ecc. Certe specie coltivate sono ora generalmente ammesse nelle trattazioni floristiche, non così in passato, come quelle che indubbiamente conferiscono, e spesso in modo notevole, alla formazione del paesaggio botanico della regione: le così dette piante da frutta: peschi, peri, meli, ecc. in aprile imprimono un carattere del tutto peculiare alla vegetazione. L'importanza dello studio delle piante avventizie, che in 877 questi ultimi tempi ha preso sì largo sviluppo, esige che in una flora locale si tenga il massimo conto di tali forme, delle quali almeno alcune possono considerarsi quali future specie virtual- mente locali, esempi: Amorpha fruticosa, Ailanthus glandulosa, Aesculus Hippocastanum, Aster Novi Belgii, Bignonia Catalpa, Brussonetia papyrifera, Chenopodium ambrosivides, Commelina vulgaris, Cyssus hederacea, Erigeron canadensis, Fragaria indica, Hesperis matronalis, Lepidium virginicum, Oenothera biennis, Ro- binia Pseudoacacia, Solidago glabra, Xanthium spinosum, ecc. La topografia stessa — come già venne avvertito — ha subìto enormi cambiamenti, tanto che i nomi di certi siti sono omai persino cancellati dalla memoria della popolazione attuale, per esempio: la località dell’Idraulica così frequentemente ci- tata dal Balbis, quelle del Pilonetto e del Po morto, ecc. L’autore prospetta quindi i limiti che, a suo avviso, sareb- bero da assegnarsi all’Agro Torinese, agli effetti della ricompi- lazione d'una nuova flora, ampliando di qualche poco la circo- scrizione fissata dal Balbis e già alquanto allargata dal Re, dandone le ragioni. Presenta un Saggio di Bibliografia della letteratura floristica torinese, accennando in modo particolare ai recenti lavori che sono bensì contributi di notevole valore, e di cui si dovrà tenere il massimo conto dal futuro Florista; ma che, essendo limitati a singole regioni dell'Agro, fanno anche maggiormente deside- rare un’opera complessiva, fondamentale e completa della ve- getazione del nostro territorio. Nella seconda parte del suo lavoro poi l'Autore enumera sistematicamente le specie esotiche comparse nella nostra flora locale, avventizie o naturalizzate, coltivate o spontanee, e quelle indigene scoperte nel tempo, citando dati storici, che riguardano le specie che gli venne fatto di raccogliere. Tale enumerazione comprende circa 300) forme e cioè una cinquantina di indigene spontanee o coltivate, un duecento circa di esotiche coltivate o naturalizzate, ed una cinquantina di av- ventizie. | Il lavoro del Mussa, eseguito in gran parte sotto i nostri occhi, raccolto in lunghi anni di ricerche, ci è sembrato accu- rato, completo e ben condotto. Esso riassume una raccolta pre- ziosa di dati illustranti la Mora Torinese tali che riesciranno a CE sd 878 | ve r Y 26 di grande utilità per lo studioso della nostra. Flora] loca sentato dal Massi venga favorevolmente accolto dall'Aci e pubblicato nei volumi delle sue Memorie. i Torino, 19 Aprile 1914. | C. F. PARONA Lg Oreste MartIROLO, Relatore. | De Relazione sulla Memoria del Dott. Ernesto LAuRA: Sul pro- blema esterno della Dinamica dei mezzi elastici isotropi. Il Dott. Laura tratta in questa Memoria uno dei più im- portanti problemi della Dinamica dei mezzi isotropi, quello cioè della propagazione delle onde generate in un mezzo ambiente indefinito da una perturbazione continuata, da un certo istante in poi, sulla superficie di un corpo limitato. Come possano essere distribuite le onde longitudinali e trasversali in un tal mezzo, non può dedursi dalle ordinarie equazioni del moto senza ricorrere ad ipotesi che specifichino il problema analitico. Il Dott. Laura però, invece di ricorrere ad ipotesi speciali, costruisce senz'altro @ priorì un modello di movimento, quale l'intuizione più ovviamente può suggerire, con condizioni ai limiti che sembrano le più semplici possibili e riesce a dimostrare che in tal modo il problema analitico ri- sulta univocamente determinato. Il concetto fondamentale di una tale rappresentazione è che il moto si propaghi entro le due superficie d’onda longitudinale e trasversale, corrispondenti alla superficie generatrice del moto al tempo t, in modo che dappertutto regni la continuità per quanto riguarda le vibrazioni, e che sulle due fronti d’onda cia- scuno dei due moti ad esse corrispondenti si annulli. Il contenuto ipotetico non potrebbe quindi essere più sem- plice e naturale. Il Laura ne trova poi una notevole giustifica - zione facendo vedere che anche il moto elementare prodotto in un mezzo indefinito da un centro di forza può essere interpre- tato come conforme al suo modo di concepire la propagazione. Siccome è noto che in generale i moti vibratori possono con- siderarsi come rappresentabili per via integrale mediante quei 880 moti elementari, trovati da Stockes, tale ala si effettivamente come una giustificazione attendibile. La importanza dei risultati, la possibilità della Voli cazione a problemi speciali concreti, la correttezza del E tazione raccomandano l'accettazione del lavoro del Dott. Laur: L nelle Memorie Accademiche. A. NACCARI I - C, SOMIGLIANA, relatore. (IE 1 albedo! Sagra CorRADO Sere. alle sinftel uti i og ni ino) Si rvventà” inagpa soldo togi. ha nivou oixihaoe 3 s0a6Ì% mt niloe (1 n ti > : jom li ves 0 109. darai î O D Ù vi { Ì sé De bali : gi mi. LT fi st’ GERI . br da DE (MORE > mebiî : I l La ‘a (9°) 00 (ari CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 3 Maggio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO S. E. PAOLO BOSELLI PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CamtronI, Direttore della Classe, CARLE, Pizzi, De SANCTIS, RuFFINI, STAMPINI, D’ ErcoLE, SForza, EINAUDI, Baupi DI Vesme e ReNIER Segretario. — Scusa l’assenza il Socio BRONDI. E approvato l’atto verbale dell’ adunanza antecedente, 19 aprile 1914. Il Presidente partecipa la morte del Presidente della Im- periale Accademia delle Scienze di Vienna Edoardo Surss. geo- logo illustre, che era anche Socio straniero dell’Accademia nostra nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. D'’ufficio è presentato il volume inviato in omaggio dal Socio corrispondente Giuseppe DALLa Vepova, che contiene i suoi Scritti geografici scelti e coordinati a cura di un Comitato di geografia per festeggiare l’ottantesimo genetliaco dell’autore, che cadeva il 29 gennaio 1814 (Novara-Roma, Istit. geogr. De Agostini, 1914). Con molte e notabili informazioni e con parole di vivis- simo elogio il Socio Pizzi offre i volumi 2°, 3° e 4° del Dzetion- 882 naire persan-francais del barone Jean-Jacques-Pierre DesmAISON, pubblicato dai nipoti (Roma, Tipografia Vaticana poliglotta, 1910-1914). Donatrice di questi volumi, come già del primo, è la contessa Margherita Burra pi PeRRERO nata ReyMonp. Per l'inserzione negli Aftî vengono presentate le seguenti Note : 1° da parte del Socio De Sanctis, Zeds. “Aporos e il nome “Apgoditn del prof. Vincenzo CosTANZI; i 2° da parte del Socio Rurrini, Un memoriale inedito di Prospero Balbo nel dicembre del 1799, per cura di Eugenio PASSAMONTI. Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata, elegge, salvo l'approvazione Sovrana, il prof. cav. Federico PATETT Socio na- zionale residente. Da sostituire a pag. 882. Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata, elegge, salvo l'approvazione Sovrana, il prof. cav. Federico PATETTA a Socio nazionale residente. MP MÉ, CLEMENTE MERLO — NOTE DI FONETICA ITALIANA, ECC. 883 LETTURE Note di fonetica italiana meridionale. Nota di CLEMENTE MERLO, (I. -4- da -1- intervocalico preceduto da vocal velare in alcuni dia- letti di tipo pugliese settentrionale. — II. « da *2 dietro / nel dialetto pugliese di Ostuni). Nei vernacoli di una piccola parte della Puglia settentrio- nale (Bitonto, Bari, Modugno), il -1- intervocalico, dietro vocal velare (6, 0) di sillaba debolmente aec- centata, volse nella semivocale w e fu facilmente assor- bito (A); si mantenne dietro vocal tonica in genere e dietro vocale di sillaba debolmente accentata che non fosse 6 od où (): BITONTO (1) (4: -ue -iiLu ( (aretàg. “ inquilino, casigliano , (v. andr. avatak,ualo)| (2), [capit. ‘ capitolo ’|, cord. (da cnoRDU) “ serotino, tardivo (di frutta) ,, crìst. (v. class. cRÎsriiLA) “ cresta, bargiglio ,, càr. “ cilindro, curro, rullo , (v. nap. cr- rula), chunz. “ castello del frantoio (3); lenza (4) ,, còunz. “ de- (1) I materiali sono tolti dal piccolo ‘* Lessico dialettale bitontino-ita- liano’ del S Giacomo Saracino (Molfetta, 1901). Con ‘ Note fonet.’ ri- mando alla prima parte del saggio ‘ Note fonetiche sul parlare di Bitonto (Bari)*, pubblicato negli ‘ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino”, vol. XLVII, pp. 907/932; v.. in particolare, i $$ 22 c e 17 e. (2) Canue * gola dei pozzi ,, se è maschile. (3) A Molfetta, cuenze; entrambi da ‘conciare’ ( *compriane. La voce ital. lett., tosc. è uno dei molti esempi dello scambio tra cs e 5 di cui ragionai nel vol. LVIII (1908) delle ‘ Memorie’ di questa R. Accademia, a p. 162, n. 7. (4) Cfr. il molf. cuenzele; entrambi da ‘conciare’ (v. qua sopra). Nel tarant., cuenzo ‘ concio’ * cordellina che si ravvolge intorno alla trot- tola ,; “ palamiti per la pesca , (De Vine.) CINA 884 CLEMENTE MERLO sinare che si fa alla morte di alcuno (1) ,, couzz. “ bae- cello, ece. , (v. molf. cuezzele, mater. %uzzal2, ecc.) (2), dàtt. pacryLus “ frutto di mare e di terra , (v. molf. dattele), [diàv.], frisk. * arnese di giunchi per mettervi dentro il pastone delle ulive o la vinaccia, quando si posano sotto il torchio o stret- toio , (v. tar. fikolo, nap. fisc., friscole s. m. pl., ece. (3)), gràng. *@rancÙùLU “ contrazione dolorosa dei muscoli , (v. molf. grén- ghele, ecc.), |man)p. “ manovale , (4), manipolo (de’ sacerdoti)|, | màsq. (p. 39) maschio |, |mét. “ mòdano, misura 0 modello, ece. , |, mùr. *munn- *mun. (da MONDARE) “ fruciandolo , (v. irp. munul, abr. monnala, castell. (rom.) munnuru, ecc. (5)), pisci. “ goccia, gocciola , (vw. irp. pisciolo, ecc.) (6), pizz. “ becco, beccata , (v. molf. pizzele, irp. pìazolo, ecc.), ràs. “ raso, colmo (agg.), rasiera (s. m.) (7) ,,, ressìg. “acciarino (della sala dei veicoli a a ruote), (v. molf. rezzichele, sor. arzikala, ecc.), ràut. “ stru- mento che adoperano i muratori a far la calcina, marra , (v. irp. ruòtolo “ battiburro ,,, ece.), rùuzz. (deverb. di rezzuèue; v. più sotto) “ frullino per la cioccolata ,, |scdmb. ‘ scampolo |, sceddùv. (deverb. di scedduvudue; v. più sotto) “ lo sdrucciolare ; sorta di giochi fanciulleschi ,. s&deque (deverb. di 3kacquèue) “ papavero, rosolaccio ,, spìg. (deverb. di sPicuLarE) “ ribri- scola, il ricercare sulle viti o su altri alberi i frutti che per av- ventura vi possano essere rimasti, dopo la raccolta , (v. molf. spichele, ece.), strìpp. * sterpolo ’ “ torso. torsolo ; favule , (v. molf. (1) V. Salvioni in * Oss. varie’, 162. La voce andriese è Kku®nz9, Notevole il palen. (abr.) cunz2)2 (Fin.). (2) Al *cocia da cocrtra, accolto dal Meyer-Libke in REW. 2011, mi pare di gran lunga preferibile un *cocra da (co)cocra * testa, zueca e sim. , (v. il mio ‘ Grillotalpa vulgaris’ in ‘ St. Rom.’ IV, p. 154, n. 1). (3) A_ Molfetta, fischele (-sk-?); nel teram., e in vari luoghi del chiet., friscul? s. f. (v. R. de Dial. Rom., I, p. 259, n. 3). (4) V. molf. ménipele. (5) Nel teram., minn2/2 s. m. * grande sozzura, sozzura personificata , (Sav.); nel calabr., munnula s. f. (e munnarèlla, sic. munnalora) * bruciata ,. Qui anche l'abr. munn?/? s. m. pl. “* sambuco selvatico ,? in quelle con- trade i fruciandoli si farebbero mai, o si sarebbero fatti un tempo, con frasche di sambuco? — Il bel deverbale manca al REW, (6) Deverb. di ‘pisciolare’ (v. sotto). (7) Deverb. di un *rasudèue * rasare ,. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 885 stripele s. pl.), tendìn. “ battaglio (della campana); ànsola (del battaglio) , (cfr. i lat. TINTINNUM e TINTINNABULUM (1)), verrùg. “ cavalletta , (v. tarant. wirruculo, ecc.; ‘ Sdruce. nel dl. di Molf.”’, a p. 166, n. 9), vie. vicùLu; ancora, checèv. (v. tar. cw- civule, ecc.; ‘ Sdruce. nel dl. di Molf.’, a p. 166, n. 3) e con suffisso, o presunto suffisso, scambiato, idddb. APALU (v. sic. apulu, ecc.; REW. 512) e càci. crormos REW. 2435 (2), -duazue ‘òzzolo’ (carr. “ sorta di carro, lungo, basso, stretto, a quattro ruote; cassino ,, canar. “ sorta di pasta , (v. molf. chénéruez- zele), ecc.; - pizzuafremmbdiche s. m. “ rampichino (ucc.) , (v., più sotto, pizzudue (3)); -ue -ULA (ardig. “ ortica , (v. ‘ Note fon.’, $ 1 d), n. 3), [brisk. ‘ briscola ’|, brusk. *BRusc(i)La REW1341 + -iina “ spazzola con la quale si ravversa il pelo ai cavalli, dopo strigliati, brusca ,, bur. *BuruLa REW. 1418, chellàq. “ lucciola , (4), [ciòt. ‘ ciòtola ’|, dònn. * donnola’, facèt. rIcE- pùLA (v. ‘ Note fon.’, $ 2, I d), fèr. rERÙLA “ pianta della fa- miglia delle ombrellifere , (v. calabr. fièrula, ecc.) (5), ghian. “ ghianda ,, macèn. macHINULA (v. Salvioni in ‘ App. mer.’ 45), magnàtt. ‘ magnattola’ (6) “ sanguisuga ,, pds. *PASSÙLA (v., più sotto, a p. 896, n. 4), pètt. “ frittella (7),; “ lembo della camicia che esce dietro dai calzoncini spaccati dei bimbi (8) ,, pin. “ pillola , (1) Il molf. fendidde dev'essere una riestrazione da un assimilato o dissimilato *tintillulu. (2) Da contaminazione tra -iLe ed -ULu, verisimilmente, la serie mbèsue “ di soppeso , (v. nap. pèsole, irp. pésolo, ecc., scambio di pis-), iàbbue uabìLe, mbèrtue (‘fertile’ con prostesi di rx-), sfèrtue “ sterile , (‘fertile con prost. di Ex-), uèrdue “ trivella , (v. a. pugl. guerdile, sor. uerd9la, abr. verdala, nap. verd?n? *-al2, ecc.). (3) Nell‘ Avifauna’ del Giglioli, a p. 158, un pugl. pizzola menua (propriam. pizzua men.? barese?) “ becca mandorle, Parus ceruleus e, a p. 162, un catan. (sic.) pizzulazucchi “ becca ciocchi, Sitta cesia, picchio muratore. (4) Deverbale di un *colluguèue ( coLrocare “ espandere viva luce, ri- splendere , ? (5) Il molf. fèrghe “* ferula , sarà rerùLA + virca? e il nap. fèrcola “ramo di pianta infruttifera troncato a forza, forcina, forca , SArà FERÙLA + reiirca ? (6) V. minrarutLus in Cicerone (‘ Att.”, XVI, 11). (7) V. molf. pètele, mater. pettal9, irp. péttola, ecc. (8) V. molf. pètele, cerign. pettel? ($ 79), irp. péttola, campb. pettula 886 CLEMENTE MERLO (v. molf. pinele e qua sotto a p. 892), preppèt. “ pipita (dei polli), (v. nap. pepitola, ecc.), [radiqg. “ graticola ,], seèsci. “ giug- giola , (1), sème. ‘semola’ (v. molf. sèmele), sès. *sEssiLa (v. molf. sesele e Schachardt in Ztschr. Gròb. XXX, p. 657), sèt. sk- tÙLA (v. molf. sètele), spìng. “ spillo; informicolamento , (v. molf. spinghele, irp., tar. spìngola, agn., cal., sic. sp)ngula, abr. -ula, ecc.), spìn. spinòLa “ succhiello; spillo (delle botti), (v. abr., molf. spinele, irp., tar. spinola, ecc.),. [tàv. ‘tavola ’|, terròzz. “ carru- cola; girella , (v. molf. trozzele, nap. terdec-, tròcciola, ecc.), trezzèt. “ alzavola , (v. bar. (?) terzedola; Giglioli in ‘ Avi- fauna’, p. 312), vdeg. “ chioccia , (v. molf. vochele. irp., nap. vòecola, ecc.); ancora, amìn. “ mandorla , (v. molf. eminele, irp. (a)mènnola, e REW. 436), pìst. ‘ pisside ’ ( bar. pisde, abr. pìsete, irp., napol. pìseta + -iLa; -ue -ùLaE (meg. s. pl. “ lenti , (v. campb., agnon. miccula, irp. nemiccola, ecc. (2)), ròs. “ ge- loni , (v. ‘ Note fon.’, $ 7 I 8) (3); sm cuèue COLARE, vudue VOLARE (v. v&ule in ‘ Note fon.’, $ 8 II a), -utune -ULANU (rt. ‘ortolano’, -uèure -ùL-ARIU ( greff. “ grifo del porco , (v., più sotto, greffudue), -uèuue -iL-ARP ( aggrang. “ aggranchire , (v. molf. aggrénghela e, qui sopra, gràngue), appas. “ appassire , (v. irp. (p. 152), castr. (rom.) pett2la, -ula, ecc. Notevole l'irp. pettolancul? * pett. in ce.’ “ fanciullone ,. (1) Come il bar. scescive (v. più sotto) e il tar. scèsciola, da una base *JeJslLa con E da gr. v, di contro al nap. jbjela (e jéjema, jbjma). (2) A Molfetta, micche “ piselli freschi ,. (3) Perue “ pergola; pergamo , va certo col molf. pèrghe (v. ‘ Saruec. nel dl. di Molfetta’, a p. 158, n. 4) (*). Anche mòrue continuerà un *amîirGa (v. il tar. moria e le mie ‘ Note it. centro-merid.’, a p. 251). Il lessico b i- tontino ci da pur tarànde ( molf. tarénde, ecc. (Salvioni m ‘ App. mer.” 31) e un bel pamnevènde “ rivendigliolo , (**). — Ha -/- semivoca- lizzato anche dammìue È dimmelo ,; e qui la vocal velare seguirebbe. È cotesto un duro problema e io non ne tenterò la soluzione prima d'aver quei dati che ancora mi mancano. Non è improbabile che si tratti di esiti nati in protonia, da mandar con le forme dell'articolo di cui si ragiona più sotto. (*) E così il bar. pèrrue in cui non occorre leggere col Salvioni (v. ‘Oss. varie”, a p. 770) un *péruvula (cfr. sorrue *sorevo sornu, surrue "suvero *surevo siùneru, ecc.). (**) V., pel costrutto, Salvioni in ‘Wòrter und Sachen®, INT, p. 184. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 887 appassoli, molf. -ela, ecc.), car. “ tarlare , (v. vicent. carolare, molf. carla, ecc.), case. “ dimagrare; affloscire (forse da cASCcU; REW. 1734), chet. “ tentennare; smuovere , (v. molf. cheteld, nap. cotold, ecc.), frece. ‘ forbiciolare’, frucc. (?) “ tagliar con le forbici ,, greff. “ russare , (v. molf. grefelà, irp. gruoffola, ecc.), lucq. “ bociare , (v. mater. lokkald, tar. lucculd, ecc., donde tar. licculo, molf. lùchele, ecc.) (1), narv. *‘inarbolare’ “ acculare (di barroccio e sim.) , (v. irp., nap. drwvolo, ecc.), nzemm. (da sùmma) “ raggruzzolare , (v. molf. nzemeld), pisc. *‘ pisciolare ’ “ gocciolare , (v. ven., pad., vic. pissolare, friul. piscla, vegl. pesla 3% sng. e irp., nap. pescioleji * -oleggiare ’), pizz. “ beccare; bezziccare; mangiucchiare , (v. molf. pezzeld, irp. pizzoli, tar., cal. -ulare, sic. -arî), resceng. “ avvincidire ,, rezz. , agitare; rimenare , (2) (v. molf. rezzeld, irp. rozzold, ecc.), sbend. (da ‘ spinta ’) “ spingere, sbatter via ,, scap. “ uscire di scuola ; smet- tere un lavoro , (v. abr., molf. scapeld, irp. scapola, cal. -ilari, ecc. e REW. 2955), scarz. “ sbaccellare (fave, piselli e sim.) , (3), Skacq. “ l’aprirsi dei fiori, sbocciare , (v. molf. 3kacheld), scedduv. “ sdrucciolare ,, scheff. “ demolire, abbattere , (v. tar. scuffula “ rovinare, crollare (di muri) ,, irp. scoffol4 “ sgranare; smal- lare; dirocciare ,), schet. “ scuotere, spolverare ,, (v. molt. sche- leld, mater. skatala, irp. scotola, ecc. e più sotto a p. 898), sfrene. (da sfronze rronpIA) “ sfrondare ,, spen. (da sPINULA, v. sopra) “ spillare (il vino), (v. molf. speneld, irp. spinold, ecc.), speg. sPICILARE (4) “ spigolare, racimolare , (v. molf. specheld, irp. speculd, ecc.) (è), spezz. “ sbocconcellare, spilluzzicare; guada- gnar poco , (v. molf. spezzeld) (6), tezz. “ cozzare , (v. molf. “ (1) Negli Abruzzi, nel Napoletano, nell’Irpinia, ecc., allucecd * bociare, strillare ,, donde «lucco s. m. (nap., irp.) “ strido, strillo forte ed acuto ,, Son tutte voci da aggiungere al $ 4224 del REW.; per l’Italia basterebbe *iccare. Degno di nota il nap. làecal?, -arà Strix Bubo, il quale mi ri- corla i bellissimi bar. lagna, andr. Za, nomi dell’allocco, del cuculo. ‘ Lagno’, un deverbale di ‘Zagnare’ ch'è quanto dire “lamento ,, “ strazio ,.! (2) Nella 2* sng. dell’Imper. Pres., rùuzzue/ (3) Verisimilmente, da carproLum (REW 1683). (4) Manca al ‘Lat. rom. Worterb.® del Kòrting. (5) Nel calabr. e sicil. vive il deriv. spiculiare, -ari ‘-oleggiare ?. (6) Verisimilmente, non con ‘pèzzo’, ma con ‘pizzolo’ © becco , € ‘ pizzolare’ “ bezzicare ,; v. napol. pezzoliar? “ beccare; piluccare ,, irp. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 59 883 CLEMENTE MERLO tezzeld, nap., ip. tozzold, ecc.), vrezz. (1) “ far girare la trot- tola ,; — -wèute -iL-atu'(amin. “ mandorleto ,, (v., qua sopra, amìnue), arv. (da ERVUM) “ pisello ,, case. “ magro, sparuto, ecc. , (v., qua sopra, casceudue), |ndiav. *indiavolato ’], tav. “ palco, soffitto, solaio , (v. molf. tavelate, tar. -ulato, ecc.); -uèute -ÙL-ATA ([cecq. * cioccolata’ (v. irp. ceccolata, ece.), donde cecquattire (v. irp. ceccolatèra)], fress. “ padellata , (v. irp. fressolata) (2), schet. “ bastonatura; scrollatina di spalle , (v. irp. scotoluta, ecc.). sem. (da sèmue; v. sopra) “ pulenda , (v. molf. semelate); -uatìure -UL-ATORIÙ (scap. “ cestino , (l’arnese fatto di vimini dentro al quale si pongono i bambini perchè imparino a camminare) (3), tezz. “ battente, picchiotto , (v., qua sopra, tezzuèue); -vatàure -UL-ATORIA ( speg. “ spigolatura, racimolatura; pagliuolo (4) , (efr. il molf. spechelatouere sPicù LATORE); -vattidde -UL-ATELLU (tav. “ palco morto , ; -udune -ùL-ONE ( sping. “ spillone , (v. irp. spengolone). tav. ‘tavolone’; riparo di legno o altro sulle porte delle botteghe o delle finestre per ripararle dalla pioggia , mariungìille * mariuolo’ + ‘-oncello’ “ ladroncello ,; -miuse -L-0sU ( mbrug. ‘ miracoloso ’ (v. * Note fon.’, $ 17 b); — aduèsce ADOLESCERE; «udire -DL-ERIA (2anz. “ cenciosa (di donna) , (efr. nap., irp. 2ènzola, molf. eèneele, ecc. “ cencio, brandello ,); - udite -i-ETU (frug. “ bolliciattola pruriginosa; sudamina , (v. molf. freghelajete); -uicchie -ùL-icbLu (diav. “ peperoncino , (v. tar. diavuliechio, cal. -icchiu), fes. “ tarallo (?) , (5), -uèechie -ùn-icuLa -oleji “ bezzicare; sbocconcellare, ecc. ,, cal. pizzuliare, sic. -uliari * bez- zicare; butterare ,; irp. pezzolejato * beccato; butterato ,; Castelb. (sic.) pizzulia zucchi * bezzica ciocchi , picchio muratore; — nap. spezzoleare, irp. colejà, tar. spizulisciare, cal. -uliare * spilluzzicare, piluccare ,. (1) Vezzudue nel lessichetto, ma l'ordine delle voci richiede vrezz-. (2) E bitont. fressàul?, irp. -dla, bar. fresolè, tar. frizzdla * padella ., forme dissimilate da aggiungere al $ 3524 del REW. (3) V. V’irp. a la scapula * in balìa; senza duce ,. (4) V. per lo scambio del suftisso, ‘ Saruec. nel di. di Molfetta’, p. 163, n. 1. (5) A p. 11) si parla di “ taralli, che si mettono nella spasaràule (v. sotto) con gesso e altro per informarli. lo cerco invano la voce nei lessici italiani. Di che si tratterà mai? Feswechie sembra un derivato di risu, da mandare col tosc. fusaiudlo, col nap. f2si2/2 * libellula ,, col molf. fasiedd? * capezzolo ,, con l'irp. fusiddi s. pl. * una specie di pasta ,, i quali potevano figurare nel $ 3620 del RE W. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 889 (amin. “ mandorla tenera , (cfr. cal. mienn., sic. minnulicchia dimin.), cresci. (da crescèule correggiolo) “ viluechio ,, pet. “ pet- tegola , (cfr. molf. petelèdde), vequ. (da BiccuLA ( cal. vtecula, ecc.) “ maglietta dov’entra il gangheretto , ; -ulinde -UL-ENTU ( chiangi. «“ piagnucolone , (v. molf. chiéngeliende, ecc., lomb. piango- rent, ecc.), mazz. (da mazze “ magro , (1)) “ macilente, spa- ruto ,; -uidde -iL-iLLu (am. (2) (da HamùLa ( molf. émele, mater. dmala, ecc.) “ ampolla dell'olio; utèllo ,, credd. (da cHORDA) “ cordellina ,; -wuètte -iiL-irtA (0 -ETTA) ( man. “ manovella ,, scref. “ dado (delle viti), (cfr. nap. seròfola, -olella ev. Barbier in ‘ Bull. de Dial. Rom.’ IV, 17); -wizze -6L-1r10 ( fum. (da F@MU) “ vapori che dallo stomaco salgono al capo , (v. molf. femelizze), trem. (da rrREMULU) “ parlètico , (v. molf. tremelizze, cal. trem., tar. trimul. “ parlètico ,, abr. trem., sic. trim. “ tremito ,, ecc.); -uuscèue ‘-oleggiare’ (men. (3) (da minDuU; v. il bar. menwiscid “ spolverare , (4)), mest. ‘invest.’ “ avvoltolare ,, vind. “ far vento, sventolare; scompannare , (v. nap. ventoleare, molf. ven- dlescid, ecc.), strequescèue *-uuse. “ strofinare N (v. irp. strecold, molf. strecheld, ecc.); -uoène -iL-INU, -A (masce. ‘ mascolino ’, “ malescio ,, vert. “ bastonatura , (v. nap. irp. vertolina s. f. (5)), mudine ‘ mulino (?)È “ trambusto, baraonda ,, -udie -iL-1RE ( ab- brest. “ tostare ,, ecc. (6). -L- intatto in addelerèute ‘ addol.’, chelàure ‘ colore’, sco- latèure, semeline ‘ semolino’, voci recenti, e in ngheldisce “ desiderio, voglia , (7) (su cùLA?), fasulìne ‘ fagiolini’ (su *fasule?) (8), in cane- licchie (da cannuLU) Solen siliqua (v. nap. kannalikkia, tar. ca- (1) V. Salvioni in ‘ Fonet. e morfol. delle parlate merid. d'Italia’, a p. 16. (2) Se di genere maschile; altrimenti, -iLLA. (3) In scuple de — “ pennacchio , (sic). (4) Più sotto, a p. 899 e cfr. irp. munulà “ spazzare il forno ,. (5) Da vèrtola “ bisaccia ,. (6) Nota anche le forme, semplici e composte, dell’articolo maschile : u *uu ‘lo’, au ‘al’, du del, cu col, le quali sono, è vero, ben altrimenti diffuse nel mezzogiorno, e in cui la vocal velare segue, non precede, ma che avranno in fondo dappertutto la stessa ragione, una pronunzia v e- lare del 1. (7) V. * Note fon.’, $ 3, Ila. (8) Manca al lessichetto, ma v. bar. fasule. 890 CLEMENTE MERLO niliechio, ecc.)(1), chelumme “ fico fiore ,, prevelàune ‘* provolone ” (v. nap. provola, ecc.), spingolètte “ sorta di chiodi ,, taveltire (v. molf. -eliere, irp., nap. -olièra, ece.), non indigeni? — Assi- milazione, anteriore al semivocalizzarsi del -2-, in t@mene TUMiLU che è anche cerign.(tm2n2; Zingarelli in ‘ AGI, XV, $ 48), tarant. (tummino), lece. (fimmenu; Morosi in ‘ AGUIt.® IV, 134), cal. (tuminu), sic. (teomminu). (B: sòbule ‘suòla’ “ suolo (della scarpa) ,; “ cuoio , -dule *.(MOLA (castagn. (da castANEA) “ schiocco fatto con le dita (2); nacchera (3), (v. molf. castégnouele, nap. castagnola (4), ecc.), var. *virioLa “ ghièra ,, vener. (da veNDERE) “ rivendugliola ,, ecc.; seòlabro'ute (v. * Note fon.°, $ 7 Ie); vdule ‘ vuole’; stàule stOLU, -ùule *-()OLU ( magghi. ‘ magliuolo ’, chiumazz. piumacciuolo (pezzetta ecc. la quale si mette sull’apertura della vena onde si leva sangue), mestazz. mostacciuolo, pedezz. pedagnuolo (il fusto dell'albero ancor giovane), ece., rule s. m. (5) (v. molf. vuele e * Note fon.°, $ 8 IL a); gàule Gira, -aule *-qua (tagghi, tagliuola, ma2z. mazzuolo (degli scalpellini), tragn. “ allodola , (6); cazzar. casseruola, grattar. “ grattugia; graticola de’ confessio- nari ,, pendar. (da ‘ punta ) “ cappelletto , (delle calze), spasar. (7) “ specie di canestro per seccarvi fichi, ecc.; arnese di ferro, in (1) Fa eccezione anche a Bari (canelicchie; v. più sotto). A un in- crocio con canace vieta di pensare l'e protonico (v. ‘ Note fon.’, $ 16). (2) Dal rumore caratteristico che fan le castagne, messe a cuocere tra la brace, scoppiando. V. anche il tosc. castagnòla * involto di cartoncino pieno di polvere e legato a più doppi con spago impeciato che, incen- diato, produce un forte scoppio ,. (3) Che si suole anche dire castagnétta. (4) All. a castagnélla. Tra i derivati di -(MòLu da casraneu che man- cano al $ 1742 del REW., si notino ancora i seguenti: it. castagnuolo ‘ eastagno giovane e piccolo ,, sic. castagnolu * di color castagno (agg.); travicello di legno di castagno (s. m.),, nap. castagnola Echinus miliaris, genov. castagnéua Psammechinus microtuberculatus. (5) In pegghidue a — (p. 82), spardue a — (p. 110). (6) V. Salvioni in ‘ Post.* e agg.: umbro tarragnola, nap. terr-, tar. tirr-; ostun. tranola “ allodola , ; agn. terragnuole * trave di albero reciso a fior di terra ,. “ cesta, sporta , col der. spasella, il molf. spase * cesta piena e larga per riporvi abiti di gala; vassoio ,, i velletr. (7) V. il nap., irp. spasa spasetta, spasino * cestello di forma allungata ,, ece. e REW. 3050. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 29] cui si mettono taralli (?) (1), gesso, ecc. per informarli ,, spenar. (da spina) “ dente canino (v. bar. diente spinarole s. pl.: Zonno, 56) ,; “ sponderuola ,; cammes. camiciuola, ece.; -)ule -QLu ( crese. (da corriGia) “ correggia (delle scarpe); codetta (della frusta) , (2); carvenar. £ carbonaio , (v. molf. carvenéraule, ecc.), erar. (da AREA) (3) “ colui che nella trebbiatura dei grani accosta le bestie all’aia dove son distesi i covoni, accostatore ,. ervar. (da HERBA) erbaiuolo, fafur. (da raBa) “ tonchio , (v. tar. favarulo, lece. faraulu e falauru, ecc.); “ lima sorda (di chi opera coperta- mente) , (4), grattar. (da ‘grattare ’) (5), pagghiar. (da ‘ paglia ’) “capanna , (6); “ chi vende paglia , (v. molf. pagghiarauele, irp. pagliarula, ecc.), papar. “ peperone , (v. irp. pep-, peparuolo, abr. pepardlo, molfett. paparuele, rom. (castr.) paparugla, ecc.), pedar. (7), pendar. (da ‘ punta ’) “ punteruolo (ferro, ecc.); spillo (delle botti); orzaiuolo , (v. molf. pendarauele “ stiletto ,, irpin. pontarula, ecc.), renar. (da ARENA) “ polverino (vasetto, ecc.) , (v. nap., irp. arenarulo, cerign. ranarula, tarant. -arulo, cal. rina- (1) V. qua sopra a p. 888, n. 5. (2) V. REW. 2253 e agg.: molf. cresciauele, tar. crusciulo, irp. cor- rejulo (pl. -ola), agn. erjuole, ter. currejula, rmgn. curzòl, cremon. courez- zool, ecc. “ striscia di cuoio ,; napol. corriulo, -ejulo £ viticcio ,, correjola s. f Convolvulus sepium, vast. crijéule s. f. viluechio (*), metaur. co-, euriòl vilucchio, piac. corzòla Polygonum aviculare, ecc. Può essere che il mezzogiorno muova da una fase con -rR- scempiato, d'accordo con la voce toscana. (3) V. ere AREA in Ere de Léie n. loc. (4) Altri derivati di raga che mancano al REW.: tose. fa(e)ule È campo dove sono state seminate fave, e poscia svelte; gambo delle fave svelto e seccato ,, lucch faraccio, paves. favass, mod. favàz, piac., parm. -aze, ecc. “colombaccio , (-AcEU; -ArIU); irp., tar. faval, ven. -dle, faent. -él, friul. -àl, ecc. “ campo seminato di fave , (-aLe); mil. favde (in colomb f.), nap. favara “ colombaccio ,, abr. favara, vast. faf-, bol., parm. favar; piac. -dr, mod. -èr, ecc. “ campo, ecc. , (-ARIU); parm. favareul Motacilla cenan- thus; agn. fafedta s. f. “ vivanda fatta con le fave ,; piem. favot * bac- cello pieno di fave fresche , (-6rru), piem. favuss “ gambo delle fave , (-ficev), ecc. (5) In cardàune — “ cardoncello ,. (6) Ctr. il cal. pajjalora s. f. * stalla ,. (7) Del fuoco; focolare (?). (*) Anche l’abr. crijéle è femm. in questo senso. 892 CLEMENTE MERLO tuoru, sie. -aloru (1), ecc.); cinar. *cinerar. “ cenerscciolo (v. molf. cenerauele, vom., march. cenerolo) , ; “ cenerone , (2); ecc.; n9hiule ‘in culo”, -iule -dLE; peule ‘ pala’, schèule * scala’, sèule SALE, -dule -ALE ( cann. (da canna “ gola ,) “ collare (de’ cani , (v. molf. chénnéle, nap. cannale, ecc.), dent. pèNTALE (v. REW. 2559 e agg.: abr. dendale, vast. dind., irp., tar. dentale, andr. danta,la, ecc,, piem., friul. dental, ecc. (3)), discet. piGitALE (v. molf. descetale, tar. diseit-, irp. iditalo *dijit-, *jidit-, cal. (cas.-aprigl.) jiritale s. m., ecc.), gangh. “ dente molare (v. irp. jancala, nap. gangala, tar. vangale, ecc. (4)) ,, garz. “ guanciata; gonfiore delle guance per mal di denti o per altro , (v. gàrze “ guancia; branchia , (5)); “ (1) Nel sicil. dice anche cano coteste voci al REW. (2) Derivati di cixis che potrebbero figurare nel REW.: nap. cenne- raéé * lisciva ,, cal. cinnerazzu, sic. cinnirazzu, rmgn. zindrazz, ece. * ce- panno che copre la conca del chi compra o porta la cenere ,, abr. cene- ralè *.ar?, vast. cinnirir? s. m. “ ripostiglio della cenere ,, nap. cenneral? *.ar? “ cenerone; ceneracciolo ,, metaur. cnerèr “ ceneracciolo , (-ARIV); molf. cenérédd? *-erar-, abr. hatta cenerèllà (vast. h. cinnirèlle) * cenereno tola ,; berg. sendrardl, bol. zindrarol, ecc. * chi compra cenere , (-ARÙLO); it. cenerata “ cenere che resta nella conca dopo che vi è passata sopra l'acqua bollente ,, cal. cinner-, tar. cinirata, abr. (vast.) cinniratà, met énerèta, rmng. zindré s. f., bol. zindré s. f., mod. -éda, berg. sendrada, ecc. (-ar4); rom., march. cenerato s. m. “ cenerata ,, sie. cinniratu s. m. * cene- racciolo ,: sic. cinniraturi, tar. ciniratur?, irp. ceneratur?, ostun. é?n2latur? “ ceneracciolo , (-AarorIv); sic. cinniredda s. f. “* cinigia ,; irp. ceneril? “ fornello del camino ,, ecc. ecc. — Tra gli esiti di crnis non erano da dimenticare il reat., aquil. cene e gli abr. cin? (di S. Euf.), ciàin? (di Pal. e Rocc.). (3) Il tar. dendal? (REW. 2561) va corretto in -atà. (4) Altrove, negli Abruzzi, gangine che nel sie. dice * dente lungo che nasce wi giumenti nella vecchiaia (ganguni) , e nel cal. * mangione; avaro; prepotente ,. Ma più diffuso nello stesso senso è il primitivo , ganga’: v. molf. gAhénghe, mater. ia#?, cal. ganga, sic. anga, agna, ana, ece. (5) Un derivato della radice onomatopeica Gars- di cui in REW. 3685, un “carera. È di tutto il mezzogiorno (v. abr. gar? s. pl., irp. garza, molf. tar. -2, ost. iarza; nap., sicil. gargia, cal. gargie s. pl.); dice per lo più “ branchia,, ma anche “ mascella, (abr., irp.), ‘ guancia , (bit., molti, ost.), ‘ faccia , (sic.), ‘ gola, laringe, (nap., cal.). Gargia * branchia , è nella Crusca; garza * mascella del cavallo , è in altri lessici. V. ancora i molf. sgarzd “ pulire i pesci dalle ‘garze’,, sic. sgargiari * id. e sgo- “ugola , (di c. all'agn. gurzumiel22), ecc). chi porta rena , (v. tosc. renatuolo). Man- “ nerone , (-AceuU, -atIÙ); tosc. cenerdeciolo “ bucato ,, parm., ecc. zendrar larsi ,, l'abr. yarzamell?, harzamillo NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 893 marg. “ manico (della zappa, ecc.) (1) ,, sen. (da sinu) “ grem- biale , (v. calabr. sinale, mater., irp., napol. s2nala, agn., abr. 2e- nala, sen. zinala, ecc.); mertèule “ mortaio , (2); fèile ‘ fiele’, clile CAELU; pòile PiLU, t@ile TELA, ecc.; pòile PILA, -Qile - ILE ( canar. (da canna “ gola ,) “trachea; esofago (v. molf. chénérajele, mat. kannariila, vell. -arile, ecc.); leccornia ,, mann. “ asciuga- mano , (v. REW. 5325), varr. barile (v. sic. warrili. cal. -ile, mat. -d/l2, ecc.), fdile ‘filo’, ecc.; ngulazzèue (da cùLU) “ accu- lare (di carri) ,, mw/eckidde (da muLu) “ trovatello , (cfr. tar., nap., abr. mula, tar. mulacchiidda, -acchione, abr. mulétta, -acchi?, -acchiona) (3); aldice * alice’, uulèue HALARE “ sbadigliare , (v. molf. ala e REW. 3998), valdisce s. m. “ sbadiglio , (4); caldue ‘ calare’, paldute “ sogliola , (5). paledde (da PALA) “ sca- pola (v. molf. palèdde “ clavicola) ,; “ lippa ,, palomme PALUMBA “ colomba; farfalla; lunetta (term. d’archit.) ,, palumme Pa- LuMBU, paluscene ‘ peluggine ’? “ muffa ., (v. molf. -uscene, andr. -d3;ana, irp. palùjona (6), ecc.), salèire ‘ saliera ’, salute ‘ salata ’, (1) Vedine Ribezzo in ‘Il dl. ap.-salent. di Francavilla Fontana”, $ 1. 1 sinonimi sic. marruggiu, cal. maruce rendono probabile una connessione con ‘marra’, ma il mar(rI)craLe immaginato dall’egregio autore è un mo- stricino morfologico. Semmai, da un *MARREx, -Icis passato al femm. di 1?, con espunzione della postonica e conseguente sonorizzarsi della sorda, come nei pugl. sorge sor’ce, spird?, -u sPir'TU, mardd MAR'TARE, e sim. — Del composto cacamargèul? “ stiaccino ,, v. più sotto a p. 902. (2) Dissimilazione ben diffusa, non solo abruzzese (REW. 5693), ma arpin., sor. (m?rtal?), agn. (murteal?), campb. (murtal?), irp. (m?rtala), andr. (-ael?), tar. (murtal?), ecc.; di c. al nap. mortara, cal., sic. murtaru. (3) Come nella campagna romana (v. luna duna LONA, lin? tin? Lixu, di contro a lumm? rimsu), l’ù va con l'i, anzichè con l’ù 0; e ciò mi rafforza viepiù nell'idea ch'esso fosse un « tinto di 7, di contro all’è ch’era un « verso o. Ne parlerò di proposito altrove. (4) Deverb. di uno *walescèue © sbadigliare ,; verisimilm., formazione analogica su scattdisce * schiocco , (v. scattescèue È schioccare) ,, stambbdisce “ orma, pedata , (v. stambescèue “ calpestare, pestare ,) e sim. (5) Lo manderei col gr. zaZ@3» “ pastone di frutti (fichi, noci) co m- pressi,, se non gli stesse a lato il diffuso sibillino ‘palaia’ ( abr. pa- laj? (*), nap., tar. palaia, cal. -aja, sic. -ai (plur.?) (**). (6) Donde palunejàrese * ammuffire ,; a Taranto dice “ fuliggine , (*) Più comunemente sfòdjje. (**) Nel sic. anche linguata. Q904 CLEMENTE MERLO salbume ‘ salume’, salìute * salute’, valdune “ mandriano, ecc. nomo rozzo, maleducato , (v. irp., nap. gualana “ bifolco ,, ece.); accialeue “ acciarpare, abboracciare ,, calandràune “ calandro (ucc.) , (v. irp., nap. calandrone, friul. -andron, ecc. (1)), calan- dredde “ mattolina (v. sie. calandredda (2)) ,, “ canicola (v. nap. calandrella) ,, malalèengue e sim., ammalagnèue * stazzonare, sciupare , (v. molf. emmélégné “ id. ,, tar. malagnare “ andar male (di salute) ,), ecc., «die ‘ olive’; pelèue PiLARE “ scottare , (v. abr. peld (3)), spelèue “ ‘spelare’, spellare; ecc. ,, spelèute “ nudo (di ramo); calvo ,, mbelèue ‘ impelare È “ mettere i peli, le penne ,, pelàcce (da PiLo) “ peluria, lanuggine; la polverina argentea che riveste la buccia delle susine ,, pelàuse ‘pelosa ” «“ srancevola , (v. molf. pelowese, bar. p2l0s2 (4)), ndelèute ‘ inte- lata’ “ muro finto (di tela, legno, ecc.) , (cfr. l’it. 1. intelare), melèdde -iLLa “ mela ,, melidde “ zigomi , (v. molf. -idde, nap. melilla, pl. -6Ula, ecc. e cfr. it. 1. meluzze, pomelli, lomb. pomtt, ecc.), melaune ‘ melone” (5), [caneltire ‘ candeliere ‘|, celamèdde (cfr. it. cennomella ; R EW. 1484); felèute ‘ filato’ (6), felattidde “ capellini (sp. di pasta) (v. molf. -atiedde e cfr. sic. filatu), felèire ‘ filiera ” “ filare (d’alberi, ecc.) ,, varelèechie -icùLa “ bariletto ,, ecc. Qui ancora le forme composte dell’artic. femm. a la alla, de la della, che la colla (v. quel che ne scrissi in Zeitschr. Gròb. XXX, p. 17, n. 1) Assimilazione regressiva in chembessiendine “ confessionario ,; dissimilazione nel diffusissimo pinue *pinula (v. chiet. pinele, ort., ter. pinnalo, vast. pènn., pal. pìinarà, campb. pinnula, molf. pinele, cal., sic. pinnula; — nap.. *_dile “ (piluscina). — AI $ 6415 del REW. agg.: nap. p?rire “ muffire ,, donde perimma 8. f. -ime(n) © muffa; secrezione di materia cenerognola alle narici dei moribondi ,. (1) Nel sic., la “ lodola, (mess. calandruni, caltag. calannuruni); più “ spesso la “ calandra , (lomb., ven., ver. calandron, rom., bar. -one, palerm. -uni, girg. calanniruni). V. Giglioli in ‘ Awif. Ital.” 67, 57. (2) E molf. caléndrédie, nap. calandrella * calandra ,. (3) “ Di liquido o vivanda caldissima dicesi che péle (sbuccia) la lingue s; Finam. (4) A Ostuni, p?l0s2na s. f. (5) In mel. d'acque * cocomero ,, m. de pèune * popone ,; anche * testa risa; zuccone ,,. (6) In flirre f. “ fil di ferro ,. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 895 irp. pin(n)olo s. m., tar. pìnilo, cal. pinnulu, bar. pinnue (v. qua sotto); — andr. pelna *pen(n)-). BARI (1) (A: -wu2-vLU (|cale. A. 70], datt. 67,76, [dia. 88], [discib. 8 (dascibb. A. 22, 143) ‘ discepolo ’|, grim. 89 “ ladron- cello ,, |manib. 54 “ operaio ,; v. qua sopra], mier. 71 MERULU, mign. 33 “ foro (?),, [miragg. 89 ‘miracolo ’|], pàpp. (2) 78 Numenius tenuirostris 3 “ chiurlotello ,, piîr. 9 (8) “ piuolo ,, recc. 8 (rècc. A 152) ‘broccolo’ “ torsolo , (v. tar. rudecolo, ecc.), |sèg. A. 50, seggaua N. 38 saecoLU], |scad. 91 ‘scapolo ’|, scar- ciòff. A. 104 “ carciofo ,, scatt. 65 “ papavero , (v. molf. 3kat- tala ‘ Note it. centro-merid.’ 259, n. 7 e qua sopra a p. 884). spraggh. 91 “ sprazzo , (v. molf. sprachele “ sprazzo, barlume ,), sprecc. 91 “ sprocco , (v. molf. spruechele, irp. spruòccolo e spuòrcolo e spuòrco, nap. spruoccolo, pl. -occola, agnon. spruoc- chele, ecc.), strifinz. 14 *strifr.? “ frinzèllo ,, tentin. 22 “ batta- glio , (v. qua sopra a p. 885), tere. 52 TORCULU, verrug. 74 (varr. A. 44, 68) “ bruco , (v. qua sopra a p. 885), vic. 20 ‘ vicolo’, vinn. 54 ‘ guindolo” (v. molf. wuinele, irp., nap. (vinnolo, ecc.) verruzz. 47 “ trottola ,; ancora, ciaffuà A. 13 cePHALU, garòff. A. 54, 68 ‘garòfolo’, imm. 93 < cembalo ,, [ Annibb. A. 68], pès. A. 96, 107 (v. irp. pésolo, ecc.), sangi. A. p. 49 ‘angiolo’, Ar- cangi. A. 1, e pin. 90 (pinn. s. m. A. 21, ecc.) “ pillola , (v. qua sopra); ancora, checcî. 32 “ cottoio , (v. a p. 902, n. 2); -w2 -ùLI ( màsc. A. 47; — rodua-rodua 80 (ròdua-ròdua A. 68 avv. “ roto- lando ,); -v2 (-ua) -tLa (amin.66 “ mandorla ,, ardic. 65 (ard., radij- Geua N. 16) “ ortica , (v. qua sopra a p. 885), brusch. 34 “ brusca ,, carrozz. 54 “ fusaluolo ,, cogh. 47 “ palla , (v. andr. koky2la, molf. cocle, tar. cocla, ecc.), copp. 8 (coòpp. A. 68) “ berretto , (1) Attingo dalla “ Nomenclatura barese italiana , di G. Zonno (Bari, 1892) senza trascurare la “ Fonologia del dialetto barese , dello Abbate- scianni (Bari, 1896) e il “ Vocalismo del dialetto di Bari , del Nitti di Vito (Milano, 1896). Alle parole che ho dallo Zonno, segue il numero della pagina senz’altra indicazione; a quelle che ho dall’Abbatescianni e dal Nitti segue il numero del paragrafo, preceduto da un A. oppur da un N. Scrivo -? l’-e mutola finale. (2) Da rappa REW. 6213? (3) Da *Pirev X aret. pio, roman. piro, abr. pir?, arcev. piro, carr. piri s. pl., ece. +iu (cfr. gidgnolo da sonIU e sim.). Nota il teram. mbiriss? “ irrigidirsi,, mbirità “ morto di freddo; ritto, ritto, (come un piuolo). 896 CLEMENTE MERLO (v. irp., nap. cdppola, ece.), cor(r). 34, 42, 51, ecc. (korraua N. 28 *corNnuLA) “ carruba , (v. tar. còrnola, ecc.), faced. 71 (facèdd. A. 118, fateddauo N. 52) ricenpuLa, faren. 74 (da rarina) “ far- falla ,, fer. 89 * ferula’, frascat. 38 “ sp. di polenta di semo- lino , (v. cal., sic. frascàtula “ sp. di farinata , e cfr. agn. fra- scariellà « polenta piuttosto sciolta ,, abr. frascari/la s. pl. “ bo- nifàtali. sorta di minestra ,), fritt. 41 “ frittella , (v. molf. frittele “ id. ,; irp. frittola, cal., sic. frittula “ àeciolo, lardello ,, (1)), ghiann. 89, A. 74 “ ghianda ,, [gran. 61 ghiandola], macen. 54 (macènn. A. 27) “ arcolaio ,, magnatt. 74 (mamattaua N. 52) “ blatta ,, mose. 74 “ mosca , (v. molf. moscle, tar. -a), 54 “ cde- cola del fuso , (v. cal., sic. muscula, tar. moscla, molf. -e, irp. moscola, agn. muscra, abr. moschala e musch. s. f., sor. muskara, rom. (cl., ecc.) moskula (2)), pappamoscue 71 * cutrettola , (3), parpet. 55 (parpèd. A. 158) “ palpebra , (v. irp., nap. parpe- tola, ecc.; REW. 6176, 2), pass. 67 *pPassiLa “ uva passa » (v. molf. pàssele, cal., sic. -ula, tosc. pàssola, ecc. (4)), pett. 16 “lembo della camicia , (v. a p. 885), [radig. 31, A. 115], ra- nogn. 70 “ ranocchia , (cfr. irp. ecc. ranogna RANUNCLA), [r2s2bb. A. 68, 143 ‘resìpola’| rugh. 63 (5) “ ruca, ruchetta , (all. a (1) E la mia monografia ‘ Die roman. Benennungen des Faschings’, &a'p. 105, n- 6: (2) Altrove, il deriv. in ‘-one?: ngp. moscolbn?, abr. muscul., musche- lin, rom. (amas.) muskulono, ecc. (3) V. bar., nap. pappamosca Budytes flavus “ cutti, cutrettola gialla , (Gigl. ‘Avif.’, p. 75), nap. pap. Budytes cinereicapillus “ strisciarola , (ibid. 76), nap. pap. Calobates melanope “ cutrettola , (ib. 84). girg. (sic.) pappamoschi ‘-e’ Muscicapa atricapilla “ balia nera , (ib. 180); Capri pappamosche, sic. (mess, ecc.) appappamuschi Butalis grisola “ pigliamosche , (ib. 182). L'‘ue- cello delle mosche” è propriamente il Butalis grisola: v. ‘ pigliamosche ' (lomb. piamoseh, mod pijamosch, ece.; lomb. ciappamosch, palerm. acchiup- pamuschi); * ingoiamosche * (catan. ammucecamuschi msuce-); ‘ moschino ? (lomb. moschi), ‘ moscaiola’ (bar. moscarola, lecc., otr. muscarola, -alora), ‘ moscardo ’ (nap.); ece. (4) V. ancora: irp. passato, -olo s. m.; tar. pàssili s. pl. “ uve disseccate al sole, indi infornate ,; — nap. passolon? s. m. * grosso granello d'uva passa; nomo vecchio, pingue, ecc. ,, cal. -ulune “ grosso granello ecc.; agg. di fico molto maturo ,, sic. -uluni * uliva passa; susina moscia; fico secco non a piecia , (donde a passuluni * penzolone ,, come le frutte messe a seccare’. (5) Se di genere femminile, come nel tarant. (ar. rùeola). È ma- e PT Pr_—m—_——_TT—————————_———yv@Ò@—P NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 897 un ruccasci. (2) ib.), [scat. 15 ‘scatola ‘|, scese. 66 (v. qua sopra a p. 884), scezosci. 92 “ sciatta , (ctr. molf. sciuscele “ sciatto ,), scopp. 91 “ scapaccione , (v. irp., nap. scòppola, abr. scòppele, cal., sic. scòppula), sem. (1) 38, 64, spign. 13, A. 26 “ spillo , (v.qua sopra a p. 886), spin. 50 “ succhiello , (v. qua sopra a p. 886), * spigola, pesce ragno , (v. nap. spinola, cal., sic. -ula) (2), stre- fenz. 92 *strefr.? “ stracciona , (v, qua sopra), terroe. 32 (v. a p. 886), ferzed. 72 (v. a p. 886). vocc. 72 (v. a p. 886). zoce. 69 “ ratto , (v. cal. sdccula, tar., irp., nap. -ola, agnon. zocela, abr. 2dcchele (3)); | mela. 57 “ milza , (v.‘ Note ital. c. mer.’, a p. 246, n. 5)] (4); -ua -îiLi ( mugn. 89 “ moine , (5), ece.; -u2 ( -ULAE ( amin. 44, 45, pett. 41 “ frittelle , (v. qua sopra a p. 885), ross. (sic) 61 “ geloni, (v. a p. 886). set. 51 ‘setole’, spign. 13 “ spilli ,, ta. *fau. 28 ‘ tavole’ “ assicelle ,, zepp. 41 “ frittelle dolci, galletti , (v. irp., nap. zeppola s. f. col deriv. zeppolarà “ friggitore ,, abruzz. 2éppal? s. f. pl. “ specie di fritto che si mangia, come cibo di rito, nel dì di S. Giuseppe ,, cal. (6), sic. eippula “ frittella , (7)); ecc.; — diva 79 dillo, 6 schile nel nap. (arùcolo, dim. -olillo), irp. (ràcolo), cal. (aràeulu); su ‘cavolo’? Nel sic., aruca, aruchedda. Sono esiti da aggiungere a quelli registrati nel $ 2907, 2 del REW. (1) sèman? in A. 25. (2) Degno di nota il nap. spinole s. pl. © denti canini ,. (3) Dice, per traslato, anche “ furbo, scaltro , (abr. 2. eéechie, 2uecu- lone; epperò sarà da *zocchele anche il molf. zocchene * furbaccio, ecc.) ,. (4) Lo Zonno, purtroppo, non segna mai il genere; può essere che taluno degli -w2 registrati qua sopra sia un -ULa scambio di -ULu e viceversa. Col bit. rùutue, e però, verisimilmente, maschile, il redu23° marra, arnese da mura- tore , di p. 49; incerto trimue (-1-?) 75 “ torpedine , (v. nap. tremmola, tar. trè mola, sic. -ula). Trai deverb. di È tremolare ”, notevoli. oltre all’irp. triemolo (*), molf. triemele © tremito ,, il sic. trèmula s.|f. “ terreno molle e fangoso; mòta; frana , col deriv. trimulina s. f. © scolopendra , (la * paurosa ,). (5) A Molfetta, miynele (sic) * vezzi ,, megnelescià “ vezzeggiare, far moine, svènie ,; a Taranto, tené li mugnili (*) “ essere schifiltoso ,, mugni- luse. -osa * schifiltoso, -a ,. (6) Cibo di rito del Natale. (7) Verisimilm., con l'abr. 2épp202, sic. 2èppula “ zeppa , e con l’abr. zépp?l? “ fascetta per ferite ,, molf. zèppele “ toppe ,; tutti da ‘zeppa’. (*) E trémmola s. f., donde tremmolejà ‘-eggiare’ “ tremare ,. (*) Dice propriamente “ broccoli ,: ostun. mugnelu £ cavolo novellino ,, » 4 Do) molf. mugnele È costoli (sic) ,. 898 CLEMENTE MERLO spiènnutiuà N. 52 spenditelo (1); 2 scudi -33 ‘scolare’ “ co- lare , (v. molfett. scheld, ecc.), catura (2) 33 ‘colatoio ’ (3), scuarò 8 ‘scolare’ s. m. (di e. a scola); -uana -LANU ( ert. 63 (4) ‘ortolano’, ort. 72 Emberiza hortulana (v. nap. ortolana, sic. -ulanu, ecc), -uara -lLARIÙ (copp. 52 (da ‘còppola’; v. qua sopra) “ berrettinaio ,, -ud -ùLARE ( allecg. 9 “ gridare , (v. a p. 887), «mm. A. 68 * arrotare , (v. molf. emmeld, irp., nap. ammala, tar. -uld, cal. -ulare, sic. -ulari), car. 74 (v. a p. 887), chadd. N.63 “ scuotere , (v. REW. 3000 e agg.: molf. chetela “ dondolarsi ,, irp., nap. cotold “ dimenare; barcollare ,, -arese “ sculettare ,, tar. cutulare “ tentennare , col deriv. -ulata, sic. cutulari “ abbacchiare, ecc. ,, (5), chanz. A. 57 ‘consolare’, greff. 84 (v. a p. 887), rezze. 84 “ agitare , (6) (v. a p. 887), scab. 8 “ uscire di scuola , (v. a p. 887), schiff. 85 “ diroccare , (v. a p. 887), sci. 85 ‘scivolare’, sfrinz. 85 (sfrana. A. 68) “ sfrondare , (v. a p. 887), speg. A. 68 (v. a p. 887), spezz. A. 68 (v. a p. 887), tezz. 85 “ bussare, picchiare , (v. a p. 887), trimm. 85 “tremare , (v. molf. tremeld, ecc.), -uata -ULATA ( friss. 41 (v. a p. 888), pign. 45 “ pinocchiata , (v. irp. pignolata, cal., sie. -ulata) (7), -uatbrà -ùLATORE (sc29. A. 65 JOCULATORE, -watura -GLaroRIÙ ( bar. tezz. 24 (fazz. N. 24) “ martello (delle porte), picchio , (v., qua sopra, taz2ud), -uatiedde -©nArELLU ( picci. 37, 45 “ ciambella , (v. irp. piccilatiedda e Salvioni in ‘Wòrter u. (1) V., qua sopra, la nota 6 di p. 889. (2) Se non è un errore di stampa per cuatur?, si spiegherà dall'alter- nare tra carvaun? e u cuarv., du cuare, e sim. (3) Agg. al $ 2035 del REIV.: abr. edl2 s. f. “ ranno fortissimo ,, cal. cula s. f. * qualunque strumento per colare , (deverb.); nap. colata, campb., tar., cal., sie. culata s. f. * bucato ,; sie. culaturi “* colatoio ,; it. colatoto * strum. per colare ,, cal. culaturu, rmgn. culadir, ece. * id. ,; chiet. cla» tir? s. f., vast. -ataur? s. m., friul. coladbr, istr. kuladur, ecc. * cenerac- ciolo ,, tar. culatur? * sgabello ece. ,. (4) Su ert? nORTU. (5) E ancora: abr. cutiji ‘-eggiare’ * muoversi andando qua e là senza costrutto ,, vast. cutiji * piegarsi, molf. cheteleji * dimenarsi ,, irp. cotolejà (= cotola) col der. -olejata * scossa ,, cal. cuotulinre * scuotere ,; Tocco (abr.) cutulijirs? -ink- * sculettare ,. (6) rozzu?/ (Imp.) 79. (7) Da *rixeòLu (irp., nap. pignuol?, abr. -62, sor. peRol?, ecc., bar. ponel?, cal. pignuòlu, sic. -olu (e -ola s. f.). NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 899 Sachen’ I, p. 114 (1)); — -wesce -ULESCERE ( ngni. 62 “ sveni- mento , (v. molf. gnevelesce, ecc.; ‘ Note it. c. merid.’, a p. 255) -uiéro -ULeRrIÙ ( sbann. N. 3 ) “ sciupone , (2), -uera -A_(sbann. N.3, patt. N. 3 “ pettegola , (cfr. molf. petelèdde, bitont. petuèechiò, qua sopra a p. 889), -uzcchie -uLIicuLU ( migni. 39 “ maccheroncini fatti a mano , (3), -wecchie -ULicuna (chian. 50 “ pialla , (4), -uento -OLENTA ( schisci. (2) 92 “ lorda ,, -vîdda -iLmLLU, -1 ( picci. 90 “ bimbo , (v. cal. picciulillu), zie. 32 (da zoca) “ funicella ,; dia. s. pl. 64 “ peperoncini , (v. qua sopra a p. 888), -uedd2 -ULILLA { picci. 90 (pacci. A. 18) “ bimba ,, -wetta ‘-oletto’ (fazz. 8 (e fazzuettona 20), -wizza -ULiTIÙ ( chid. 87 “ scossa , (v., qua sopra, cheddud), trem. 62 “ brivido , (v. a p. 889), -wiscid ‘ oleggiare ’ (men. 84 “ spolverare , (v. a p. 889 e cfr. menezzara “ spaz- zaturaio ,). -uin2 -ULina (vert. 93 (v. a p. 889), -uina -dLINU opp. N° ‘58° coppolino au *51;V67*< ulivor -a?3, VA. 58); 42 ‘ulive”. -L- intatto, come nel bitontino (v. a p. 889), contro la norma in ka/9rà N. 22 (e dalgro N. 22, -ora A. 31), ghelì 59 ‘golio’ (5) voglia, camneliechia 76 “ cannelletto ,, chelumma 67 PST, Li (1) Secondo me, succeLcartum + ‘ pizza ’. (2) Da ‘spendere’? V. il pugl. sblend-, sbiendor2 ‘splendore’, ecc. (3) Verisimilmente, da mentuLA (v. nap. migno, minchio “ pene ,). Al $ 5513 del REW. (sarà poi vero che tutti gli esiti romanzi muovano da un prerom. MINTULA ?) agg. : cerign. menghj?, sic. minchia “ pene ,; — nap. minchillo *-ii- “ bellimbusto svigorito ,; sic. minchiali “ grullo, sciocco ,; irp. mignaril?, bitont. menghiarajala, mater. -arilo, cal. minchiarile -ARiLE “ baggèo, scemo ,; tar. minghiaridd? -arRkLLU “ verme di mare che serve da esca ,; sic. minghiozzu ‘-bzzo0’ * grullo ,, tar. minghiuèzzala ‘-dzzolo ' “ altro verme di mare ,; tar. minghiata “ trappoleria, frode ,; Scanno (abr.) mignacc?, Tocco wign- *im- “ pene del maiale ,, ecc. (4) V. rom. piana, chiet., ecc. pian2, Pal., A. plan?, cerign. chjéin?, mater. kjan?, cal. chiana * pialla, grossa pialla , (deverb. di pLanarE (a. it. lett. pianare, sic. chianari È spianare, livellare, piallare ,). Deriv.: tar. chiànola * pialla ,; sor. pianozz? s. m., irp., nap. chianòdeza s. f. ‘ pialla ,, agn. chianuozz? s. m., abr. pianòzz? s. m., Città s. Angelo s. f. “ pialletto ,, cal. chianudzzulu, tar. -udzzolo s. m. * pialletto ,; bit. chianett? © pialla ,; ter. pianucc? s. f. “ pialletto ,, cal. chianuzzu, molf. chienuzz? “ pialla ,, ece. (5) Nap., irp. golto (donde golius?, -osa “ avido ,), sor. u222 s. m. “ vo- glia di mangiare ,, arp. uuli2, abr. vu2ì(,j)j? (donde vulios? “ goloso ,); aq. culìja, sor. ulia s. f., agn. guloja; campb. (9)ul2jus? “ ghiotto ,, ecc. I les- sici registrano un letter. goliare “ appetire , e un golioso “ avido ,. 900) CLEMENTE MERLO (k'lIumma N. 36), taveliara 31 (-al- A. 5), -oline 27 (taulina A. p. 56), -oletta 27, provelò 42, -ola 43, e in chalòstra A. 57 *cl-2, velé 12 ‘volere’ (e valieva N. 6 ‘-evi’ (1)), cìchelo s. pl. 44 *-cl-? “ siccioli , (2), fraule 64 ‘ fragola’ (e fraulona 66 “ corbezzolo ,), rèula A. 16, tèula (tèu.) A. 6, 126, trozzola 24 “ raganella , (v. molf. trozzele “ raganella , e “ girella , (3)), vongole 76 (*ngl-? o dal nap.?) “ arsella ,, oltre a chelonna s. pl. 22 (chalòn. A. 48), abresteli 33, abrostulature 32 “ tamburlano ,, cartolare 11, cecchelate 45 (6kk'lata N. 62), -atine 45 (4), sola- turà 17 * risolatura ,, pezzelana 77 * pozzolana’, Angelina A. 54. (B: stéla A. 36, scola 8, sola 16, 31 ‘suola’, mola s. pl. 56 “ molari ,, dé A. 36, vole N. 25, ecc. ecc., -ela N. (-éa A.) -*oLu ( par., ranz. N. 27, ece., muela 21, 80 (A. 68) ‘ mòlo”, kola N. 40 (cola A. 53) “ cavolo ,, sola N. 22 (-6- A. 31) SOLE, soLa, -0la N. *-oLA (3katar. 24 “ sputacchiera ,, #ran. 50 (v. a p. 890) (5), -ula -FoLu (ras. 35, N. 24, A. 35 (v. ‘ Sdruce. nel dl. di Molfetta’, a p. 164, n. 3), ras. 61, A. 38 orzaiuolo, 2. 32, A. 38 “ orciuolo , (v. qua sotto la n. 5), padazz., var- mazz. A., p. 56, carasci. (sic) 21 “ rigagnolo ,, -arula *-ARQLU (ac. 13 “ agoraio , (v. Salv. in ‘ R. de Dial. Rom.” IV, p. 97), aqu. 72 Merops apiaster (v. nap. acquarula, Capri -aruolo; (1) Sulle forme rizotoniche ? (2) V. le mie ‘ Bricciche Romanze”, a p. 12, n. 1. (3) La ‘raganella’ è fatta di canne o altro con una ‘girella’ a denti che, rotando sopra un pezzo mobile, fa rumore; di qui l'identità del nome. V. qua sopra a p. 886. (4) A _p. 32, ceclatàre * cioccolattiera” (é%k'later? N. 62). (5) Quanto all’o’ (e all'£') v'è disaccordo tra il Nitti e l'Abbate- scianni: il primo dà 0 (e) come esito normale di 0 (é) non metafonetico di sill. aperta, 0 (e) come esito normale di 6’ (x') non metafon. di sill. aperta; il secondo dà come unico esito in entrambi i casi un o (e) di pronuncia chiusa. Agg. dallo Zonno (il quale non nota che ben di rado la qualità della tonica): rasòla 31 * padella bucherellata ,, stidla (sic) 61 * vaiuolo ,; cola 71 “ taccola ,, vasenecol? 63 (-6- A. 68) basilico, -0%? ( scar. 63 ($car. A. 39, 93), var. 19 “ ghiera ,, zzola 7, 32 (26. A. 38) “ mezzina , (v. Salw. in‘ App. mer.’ 100, n. 1), castagn. 88 castagnetta, cames. 18 (-28- A. 39), -arol? ( bann, 36 (da ‘banda’ “ lato, parte ,) paraocchi, cazz. 31, gratt. 31, muss. 35 (da muss? muso), nazz. 66 lazzeruola, ped. 35 pedana, ecc.; v?lan- zolè s. pl. “ bilancini ,, ecc. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 901 Giglioli ‘ Avif.’ 216) (1), cald. 31 “ calderotto ,, cen. 38 (éan. N. 24, cin. A. 55) “ ceneracciolo , (v. a p. 892, n. 2), fav. 73, A. 38 (faf. A. p. 56) “ tonchio , (v. a p. 891), fese. 73 “ chiurlo , (2), figghi. A. p. 56; penn. 8 “ portapenne ,, pent. 13 ‘ punteruolo ’, renar. 10 (ran. N. 24), ece., sula A. 34 ‘solo’, vula s. m. A. 86, -ulo *-oLi (cetr. 42, 64 (3) “ cetriuoli ,, fas. 38, 64; mula A. 44, neulo 83; pala 49, cecale T4, sale 44, male 62, -ale (sacr. (in ache s. “ grosso ago , (4)) 13 (sa&k’rala N. 63); acchi. 18, anem. 10, arn. 7 ‘orin.’, bue. 7 “ boccale ,, cegn. 39, 68, chezz. 54, 63 “ contadino ,, discet. 13, gamm. 17, gang. 56 (v. a p. 892, n. 4), garz. 89 “ guanciata , (v. a p. 892, n. 5), mess. (sic) 31 “ tovaglione , (v. REW. 5498 e agg.: irp. mas., cal. misale), pent. 19 (da ‘ punta ’) “ aghetto , (per affibbiare fascette, stivaletti, ecc.) petter. 35 ‘ pettorale’, recchi. 78 (da ‘orecchia ’) “ guanciata ,, sen. 8, 20 (v. a p. 893), ecc., camban. 22 “ campanile , (5), mert. 31 (v. a p. 893, n. 2), pedequ. 57 “ pollice, (6), pegher. 70 “ pecoraio , (7); varvazz. 35 ‘barbazzale’; cacamargiale 72 (1) La voce it. mer. sembra essere *apaizolo, un deriv. di APIS (v. nap., irp., bar. aparul?, otr. apaluru, sic. apaluoru, Castelb. apaluori, calabr. lapa- lori). Come per l’ornitologo così pel popolo, è soprattutto l’uecello che si ciba d’api, di vespe e sim.: v. rom. mangia api; fior. lupo (= divoratore) d'api, otr. lupu de api; sard. apiolu; — lomb. vespee ‘ vespaio ’; ver. vespier ‘ vespière *; ven. vesparolo, lomb. vespajeu; lomb. pia vesp ‘piglia vespe ’; — mant. asiolèr -ARIU (v. asiel vespa), ecc. (2) I] Numenius arquata, detto fischione in più d’un vernacolo toscano e campano, fischiabovi (*) nel leccese e pigolone, pivolone (da È pi- golare ’) nel chianaiolo e nel chiusino. (3) V. nap., irp. c2trul? (pl. -0l2), tar. -ul2, cal. citrulu; sic. citrolu. Donde il nap. catru2l2 del REW. 1956? Ai deriv. di crrrus (REW. 1957) agg.: abr. cetròn? (Pal. -6un?, At. -an?, Vasto citraun?) “ cocomero ,. Il molf. cetraun? s. pl. “ cetrioli, dev'essere un *cetrauel? (v. frauen? *frauel? ‘ fragola ’). (4) Propriamente “ l’ago da sacchi, da cucir sacchi , : ‘ saccora” (v. desctre dita, ossre ossa, casre case, ecc.) + aLe [o anche ‘saccora’ + aRIU, con r-r dissimil. in »-2; Nitti, l. c.). (5) La voce it. mer. sembra essere ‘campanaio’: v. arp., nap., irp. kampanar?, agn. -anear?, mat. kuampanar?, cal., sic. campanaru. (6) V. bitonto pedequère, tar. pudicar?, ecc. (7) V. nap., irp. pecorar2, cal. pec., sic. picuraru. (*) Pare segua da presso i buoi: v. i sic. buvaru (Castrog.), vujara (Pal.), buvarotta (Caltag.), dovar. (Sir.); Gigl. in ‘Avif.’ 407. 902 CLEMENTE MERLO “ stiaccino , Pratincola rubetra (v. bit. margèule, qua sopra, a p. 895, n. 1) (1); fela N. 8, méla A. 12, sucamela 65 “ giusquiamo , (sic), ciala A. 50, ngiala A. 106; pila A. 22, ecc., mele N. 2 (méla A. 1) ‘ melo; fila 13 “ ‘filo’; frenulo ,, -il2 ( kanar. N. 6, n. 1, mann. 7, A. 131, vac. 7 ‘bacile’, varr. 31, ecc.; chenfes- ston. 23 “ confessionario ,, cred. 32 “ di difficile cottura , (v. bit. credbdile) (2); — céfala 75 ' cèfalo '; vòdlenà A. 37 voLENT, sàlece 68 SALICE, elece 67 élce; = faliscana A. 21, 61; alisca 42, 74, alazzà 62 “ sbadiglio , (3), galetta 34 “ bigonciuolo , col der. -ettone 34 * bigoncio , (v. abr. di ©. fr., V., Sc. galétta s. £. (4), molf. -etto, cal. -itta e REW. 3656), palaia 75 * sogliola , (v. a p. 893, n. 5), paluzza 24, paliccha s. pl. 30 “ stuzzicadenti , (v. abr., nap., irp., tar. paliecha, cal. -iccu (5)), palumma 71 (coi der. palemmar? 70 “ colombaia ,, palummiedda 71 “ piccione ,), saléra A. 5, scialà A. 100, ecc., valèsta A. 27, nzalata 43, cala- mara 10, 75 (col der. calamariedda 75), calamedda *camam- *cal- 65 “ camomilla ,, calandrona 72 “ calandra , (v.a p. 894, n.1), canalone 24 * doccione ,, malaciedda 71 * malo uccello’ “ bar- (1) V. bitont. caca margèule, otr. cacammargiali (1x-?) (*); sic. cacamar- ruggiu (v. marruggiu * manico della zappa, pala, ecc. ,), e cfr. messin. ca- capalu, sic. cacasipali (v. sipala * siepe, e ° pala del fico d'India .). Dalle tracce manifeste che gli agricoltori trovano sui manichi dei badili, zappe, ecc. lasciati incustoditi. È uccelletto che predilige le punte, su cui sì posa per pochi momenti, sbattendo rapidamente le piccole ali; da ciò i nomi di ‘salta in punta’ (bient. saltinp. (**), fior. saltanpunta (**); sie. saltinpizzu (*); sen. saltinvetta (**): ‘ salta in palo’ (it. 1., luech., sen. sal- tinpalo (**), it. l., valsug. saltimp.(**), mod. saltinpal, ecc.); ‘salta in van- ghile’ (fior. saltinv.; v. vanghile * manico della vanga ,); ‘ salta in seccia (sen. saltins., fior. saltanseccio) (**), ecc.; v. Gigl. in ‘Avif.’, 114 sg. (2) Per quel che sembra, l’it. mer. ‘erudevole’ (v. ‘ SaArucce. nel di. di Molfetta”, a p. 166, n. 3) con suffisso scambiato (-îue). (3) A Bitonto, ualdise? (v. qua sopra a p. 893); a Napoli e nell'Irpinia, alizz?, Sarebbero mai de' derivati di un *alo, deverb. di maLare, che s'avesse nel mezzogiorno a un dato momento? — Notevole l'agn. alièr? -Ersv “ in- fermiccio , (= che sbadiglia). (4) A Palena, walitt? s. m. (5) Nel sic., palicu (col der. -ichera * portastecchi ,). (*) Anche la Pratincola rubicola, e così nel barese. (**) La Prat. rubicola. NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 903 bagianni ,, malamendo N. 11, salamòrà 44, salescinna 25, uala- miechia 72 (da ‘ gualano’ “ bifolco ,) “ lui piccolo , Phylloscopus rufus, cecaledda 73 “ gambecchio , Actodromas minuta (1), pe- dalina 13 “ pedule ,, senaline 15 “ grembiulino ,, ecc.; acchia- lara 52. cambanalieràa 22 “ campanaio ,, ecc.; feld 54, mbald A. 92 ‘infilare’, felata 54 “ accia ,, sfelazza (de carna) 59 “ fibre ,. feletto 40 “lombata ,. melogno 69 “ tasso , (v.R EW. 5474), palusa N. 24, A. 35, palosà N. 22 (-689 A. 35) “ ‘ pelosa’; grosso gambero , (v. qua sopra a p. 894), spelàta 60 “ calvo ,, telara 14, vilanza 33, A. p. 54, affelaturo 29 “ cuoietto , (cfr. irp. affelatora “ cote ,), celamedda 88 “ cennamella , (v. REW. 1484), ecc. ecc. MODUGNO (2) (A: deuènnese ‘ dolendosi’ (3) — B: la queuule ‘la quale’; — malandrdine, chenzelaziàune; vileteuude ‘ viltade’; — la, de la, da la, pe la, le. Quanto all’età della legge, il bitont. aldie ‘ olive’ la di- rebbe posteriore. il bar. au anteriore al volgere di o0- in a-; anteriore la metatesi nel bitont. e bar. Zumera 67 *mur. “ more , (v. Salvioni in ‘ App. mer.’ 42 e in ‘ Oss. varie’ 102 (4)). II Del dialetto di Ostuni (Lecce) ebbi occasione di notare altra volta due caratteristiche di natura fonetica che parevano limitate a pochi vernacoli della Sicilia: a) una nasale dalla vibrante dei nessi di -L+- T-, 1J-, s-, L+ é- (v. ‘ Revue de Dial. Rom.’ I, a p. 245, e agg.: vonda (1) Dal radicale *cig- “ pochezza; piccolezza , donde il tose. cica inezia , (*), il napol., irp. cicol2 “ briciolo, minuzzolo ,, ecc. V. il nome scientifico e il ven. diseghin, il sic. spirdicchiu che vengono a dire * frugo- lino ,; è il trampoliere esile e irrequieto fra tutti. (2) Sola fonte la versione della novella boccaccesca in Papanti ‘I parl. ital. in Certaldo’, a p. 462-3. (3) Voce dotta, velentière. (4) Dove è sol da notare che, come prova la qualità della tonica (0), le voci molfettese e barese non possono non essere anch'esse maschili. “ (*) Altrimenti il Meyer-Liibke in REW. 1899. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 60 904 CLEMENTE MERLO ‘ volta’, |n anta vonta 71, less.) (1), |ruvunta less. ‘ rivoltare '|, |canzune less. ‘ calzoni’), peggai m bunza 1n PÙLSU “ sollevar col polso ,, sanzizza *sals- “ salciccia ,; fanga 1° p. sng. ‘ falcio ’, fanga s. f. (pl. li -2) falce, donga (pl. dunga) ‘ dolce’, kanga s. m. calcio, s. f. ‘calce’. b) n dal nesso di -n+ e- (v. ‘ibid.’, a p. 252, e agg.: {li jagnalu App. 2, less. ‘ gangali’ molari (v. qua sopra a p. 892, n. 4)], [sagninazze ‘sanguin.’ “ biroldo ,], [fagnara 12, 29 (da ‘fango ’) “ fanghiglia ,]) (2). Qui ne aggiungo una terza che non so ricorra altrove nel nostro mezzogiorno, il volgere in « dell'a, sia interno (I) che finale (II) (3), cui preceda un 2: I) luttera ‘lettièra’ giaciglio, |luzione 65 ‘lezione ’|, [maluditta 57, maludetta 10], avvalumusa velenoso, mulunara MOLINARIU, salunara (da ‘salina ’?) venditore di sale; maluvasia *malar. malvagìa; vasalukora basilico (cfr. REW. 973 e agg.: irp.,, nap. vasenecòla, molf. -necouele, tar. rasinikòla, mater. masandkelo, ecc.), kanluiera *cannel-, *canlai- (1) Ricordo tra parentesi quadre i materiali che ho da un rapido spoglio delle ‘ Poesie in dialetto ostunese’ del Prof. Arcangelo Lotesoriere (Ca- nonico), 2* ediz., Ostuni, 1885; quelli in grafia fonètica provengono da raccolte mie proprie. (2) La legge è pur di Matera, come risulterà da un bel saggio del Dott. G. B. Festa di imminente pubblicazione. — L’'ostun. vugnulu * bac- cello dei legumi , non è da ùUneùLu, come scrive il Ribezzo ‘1. e. $ 5 (p. 6), e neppure da cùxeu, come propose lo Ziccardi in ‘Zeit. fùr r. Phil.” XXXIV $ 37 per l’agn. koàn? * guscio ,, ma da *coxcaùLu, con -N6L- seconlario da -NncL-, e però una cosa sola con l’abr. e6ngh22 s. m., ricor- dato dal Meyer-Liibke in REW. 2113, col tar. vancol? * la fava fresca col suo guscio , (cfr. il tosc. baccèZo), col francav. ungulu, ecc. A Napoli, gingola s. f. * baccello ,, donde ngdngol?, detto delle fave secche che si cuociono senza mondarle dai gusci (D’A.). (3) Anche nell'ostunese la sola vocale che si regga in sillaba pro- tonica e nella finale assoluta è l’a; in sillaba postonica anche l'a si ridusse a vocal neutra. Rari gli esempi di w, primario o secondario, vicino a consonante velare o labiale. Dietro a è secondario, ostunese, di sillaba finale, scambio di -?, s'ode un ? debolissimo, tanto da -î, quanto da -0, -90 (e, verisim., da -e): allili ‘ leghi’, niîi ‘ neghi’, prieii ‘ preghi; alleii ‘ lego”, neii * nego’, preii ‘ prego"; neti ‘neo (v. REW. 5807 e agg.: arcev. niégo, ort., at. (abr.) néch? s. f., vast. néch? s. m., pal. njeck?, campb. castigo "], ecc. nie)? (*), ecc.), [castii (*) Tutte forme che richiedono una base con -@, un *xaeGu. Pi NOTE DI FONETICA ITALIANA MERIDIONALE 905 ‘candeliere’, fuzluiettero *fazzaliett- *fazloi- “ fazzoletti ,, ma- ksluiettara *maskoli- Fma3kl2j- (pl. (1) di ma3kletto (2) s. m. “ bietta di legno, imperniata da un capo, che serve a chiudere usci e sim.),, ecc.j == d4luga ALiCA, [tiolugu 74 ‘teologo ’|, doluna DOLENT, voluna (3) e sim., [vwluna 10 ‘volano ’|, ecc. II) malu ‘male’ (azia mmalu ‘ ogni male ‘’), salu ‘ sale ’, -alu ‘ -ale ” ( [anim. 12, 66], [carni. 12, 72], dasat., [margi. 21, 85|, rann. ‘ orinale ’, sin. 11, 93], spot., partar. *partan.? (v. irp. portinalo) “ porti- naio ,, |pastur. 85], ecc., |valu 47 * vale’, na mmalu ‘ non vale”, melu * miele” -ilu ‘ -ile’ (|civ. App. 1], fac. *vae. ‘ bacile’ “ piatto grande di terra cotta ,, [abb., adilu bile 49, 76], ece., dolu DOLET, solu soLe; dolu *-ERE “ dolére ,, ecc.; -ivulu ‘-évole’ (kué., krad., [piacevulu 9), pesalu PensILE, | mobulu 60 ‘mobile ’|; — scalu 10, 84 ‘* scale ’], [cull’alu anzate 50], [cicalu 10 “ cicale ’|, ecc., kannelu ‘ candele’, molu s. pl. ‘ mole”, stolu ‘ stole ”, -olu ‘ -ole ’ (ras. (pl. di rasola “ radimadia ,), tran. (pl. di tramola “ allo- dola ,), sputar. “ sputacchiere ,, sattar. (da ‘ gettare ’) “ fogne ,, vannar. “ venditrici ,, ecc., solu ‘sole’; [fragulu 15 ‘fragole |, amenulu mandorle, sfmalu (pl. di simala), kornulu (pl. di kornula “ baccello delle carrube ,), [nuvwlu 10 (pl. di nuvula)], ecc. (-E, -AE); co malu ‘mali’, -alu ‘-ali’ Cakki- ‘occhiali’, kamn., [li jagn. App. 2 ‘ gangali’ (v. a p. 904)], [stiw. 9], [duzzin. 11], ecc., -ilu ‘-ili’ ( varr. barili, ece., spilu desiderì |sfilu 90] (4), [filu 90 figli (5)], sulu ‘soli’, [-tellu “-èlli’ (biat. 53]; filu 2* sng. ‘ fili’, (1) Strani plurali, certo analogici sul modello: sng. e, pl. te (v. verd?, verm?, ece., pl. vierda, vierm?). (2) V. le mie ‘ Note it. c. merid.’, a p. 243, n. 2. (3) Che si tratti di -ENT, prova la tonica non metafonizzata. (4) Irp. sfil? s. m., sic. sfilu, cal. scilu (*) “ voglia ardente, bramosìa; ùzzolo ,; deverb. di ‘sfilare’ “ ridurre a un filo (v. gli abr. m2 sa sfila lu eér2! “ ho una pena al cuore ,, sfilacér? s. m. “ pena intima ,, sfilaménd? s. m. “ languore di stomaco, di cuore, per causa fisica o morale ,, il sic. sfilari lu cori * bramare , e cfr. l’it. lett., tosc. struggersiî); — ostun. spelus?, -osa È voglioso, -a ,. (5) [Filuma (**) 18 “i miei figli ,], di e. a figg? ‘ figlio’, -a ‘ figlia”. (*) Ha a lato uno scilare (scilu, -i, -a, ecc.) “ sfilare, sfilarsi (contr. di mpilare ‘ infilare’? ,. Entrambi accennano a una fase *sfii-, notevolissima per le conseguenze che se ne possono trarre quanto ai cal. j, } da r +1. Ne dirò quanto prima.. (**) Nel -ma un neutrale *-ma (mea? Anche Li filu mei, all. a li filu mei fem?n2 “ le mie figlie ,. 9 906 CLEMENTE MERLO — NOTE DI FONETICA, ECC. affilu ‘ affili” arroti, spilu ‘ peli’, Quelu ‘ duoli', [te lu cuelu 42 ‘te lo coli’|, ece.; — [angelu 38 * angeli "|, [cweccilu 10 nicchi], |li nobilu 73), [jarvulu 9 alberi], [masculu 26, 73), [pe chidde ciefulu 43 cefali), [quervulu 10 corvi], [aggradevulu 9 ‘ -oli ”], |spignulu 63 (sng. -ulu)], [cundiscì)pulu 53). [disc)pulu 41), |li mobbulu 79), [jucculu 9 grida (v. jucculd)],. [dò trùfulu 45), [dò jarufulu gintilu 82], ecc. (-1). Come prova la tonica intatta, non metafonizzata, di melw ‘ miele’ e di solu ‘séle’, il fenomeno (il quale accenna a una pronunzia spiccatamente velare del -/-) dave essere relativa- mente recente, posteriore all’affievolirsi delle vocali di sillaba debolmente accentata. Dietro / hanno -u, scambio di -2, pur le prime persone del verbo e i sostantivi della seconda (temi in -6 (cl. -ùs): filu ‘filo’, affilu “ arroto ,,, spilu ‘ pelo”, î ma dolu mi dolgo, ecc. «= filu, pilu PiLU, ecc., suelu * suolo”, uelu * bolo” “ terra rossastra attaccaticcia ,, sulu ‘sélo’, -ulu (magg. ‘ magliolo ’, più. (da pPineA) “ bica ,, raze. ‘orc.’, ecc., -arulu (famm- *faf- *fam- “ tonchio ,, fegg. (da roLia) “ erbi- vendolo ,, pajy, ecce., mazkulu “ chiavistello ,, niervulu nervo, piernulu perno, kueééulu, 2ueppulu “ paretaio ,, anvizzulu nde- ciolo, furiulu razzo, mummulu “ vaso di terra cotta per olio , (v. REW. 1201 e Salvioni in ‘ R. de Dial. Rom.” IV, p.211, e agg.: Tocco, Cast. Cas. (abr.) vmmie), skupulu (v. ‘ Sdruce. nel dl. di Molfetta”, a p. 166, n. 7), tiimulu, ecc. ecc. Anche cotesti -mx saranno da anter. *a. Al nesso di -L + 4- risponde -99- nell’ostunese: v. del ge CILIA, sue? ‘ giòglio ’, spuegg? s. m. ° la spoglia della serpe a primavera ,, paggarulu “capanna di paglia ,, sg garulu (da sueg'ge) ‘* vaglio pel grano ,, ecc: Anchea Matera,fil2 s. pl.(=filo) “ figli , di c. al sng. fina. Si tratterebbe mai di un rîrî da riLiî con assorbimento? Al vocat. riLi non mi par proprio sì possa pensare, VINCENZO COSTANZI — Zeùg “AQpiog E IL NOME Agppoditn 90 Zeùs “Agoros E IL NOME Agpooditmy. Nota del Prof VINCENZO COSTANZI. La lettura A4caggiov dell’epigrafe che si trova in IG IX 2 n. 452 (1) sembra preferibile all'altra Acaggiov (2), che ci darebbe un nome senza esempio nell’onomastica greca e di molto discutibile analisi etimologica. Infatti 4Araggoiov fu letto dai primi ritrovatori. e si credette il nome della persona cui apparteneva il monumento sepolcrale (3): per quanto senza ri- scontri, il nome si potrebbe senza sforzo risolverlo in elementi schiettamente greci. Il Rutgers van der Lòff (4) che col Prott; legge Aaggiov dichiara questa forma rdathselhaft. e inclina al- l'opinione del Giannopulo che scompone il gruppo in due pa- role Ai ‘Aggiov (5). Questa scomposizione approva il Kern (6), quantunque in forma un po’ dubitativa. ]l Giannopulo (7) giu- stifica la sua interpretazione, adducendo la forma contratta Ai da Ae nell’iscrizione dedicatoria dè Nai@ (Carapanos Dodone et ses ruines AM XX p. 409), 4° Poovrbvit (AM XXV p. 498) e dè Megavò (BCH XV p. 6255). Rileva inoltre che ‘Aggiov è una forma regolare di dativo tessalico, come in ‘Ar4odve Kegdoiov (AM VII 64-69). (1) AsAziov mis év Aluvod prAapyatov Erargeias ts "030vos V p. 24 n. 19: “ ‘0 uèv Aidos Aevuds, péomv détmua àaronengovonevov, naù aùtòs aronengovonevos natomdev... ,. (2) I G 2 n. 452 Acapoiov ceteri, cum Prottius adnotet: “ Eine Linie unter den Buchstaben. Doch ist sie nicht gar so stark wie die Hasten der Buchstaben, und es ist daher AIADPIOY, wenn auch nicht ganz sicher, so doch wahrscheinlicher als AIADPIOY ,. (3) AeAziov ib. “H ér1y0ap) elvar Enitiufios cNuaivovoa: dda è tiuBos gori Araggiov, (4) AM XXIX 1904 p. 220, 1 “ Der Name Ac@gpgeos scheint ritselhaft und wahrscheinlich richtiger erklirt Giannopulos a. a. 0. de Agpoi@ ,. (5) AeAziov ib. p. 24. (6) I G ib. An Aìè ‘Aggiov? (7) AeAziov ib. p. 47 IHagarnooduev St adtì) [} ér1ygagà] eTvar dva- Inuatini Alù Agpgip (Aì ’Agpgiov). 908 VINCENZO COSTANZI Essendo stata trovata l'iscrizione a Fere, arriderebbe a prima vista l'idea che Zeòs “Aggros quasi dio dei flutti (4pgòs) fosse un equivalente di Zeùs #v@4:0s (1), essendo potuto pro- venire da Pagase, che fu sino da tempi abbastanza remoti il porto di Fere. Ma a quest’'interpretazione contrasta alquanto l'esistenza di un mese “Aggios, corrispondente all’attico elafe- bolione (2), che si trova nel calendario di Larissa, di Farsalo, Eginio. Questa denominazione per un mese in tante città in- terne, rende oltremodo difficile che si riferisca a una deità marittima. D'altra parte ad Aenos, colonia di Lesbo (3). era venerata una divinità ‘Aogeia, forma metatetica di ’Agoeta, che per la sua connessione con Enea si è identificata con Afrodite (4). Siccome Lesbo venne colonizzata dai Tessali, fu vista la relazione tra quest’’Aggeia e il mese “Aggios, inter- cedendo tra ambedue le forme la relazione che tra Avxeros e Avzxios (5). Infatti ‘Aggsia è senza dubbio forma d’aggettivo, rientrante in quella categoria di divinità che l'Usener ha chia- mato Sondergòtter (Gotternamen p. 122). Per determinare il significato dell’epiteto “Aggros, non ci dobbiamo certamente arrestare all’accezione del nome @pgés da cui è ben difficile separarlo, nella lingua greca, ma oc- corre risalire al valore originario della radice, Sembra che tra i glottologi regni un certo accordo nello stabilire una parentela tra il greco @poés e il latino imber, avvicinando la voce al sanscrito «bhram, allo zendico awra, al persiano moderno «wr indicante la nuvola (6). Adunque se non la parola @gg6g, che (1) Vedi i luoghi citati in PreLLer-Ropnert I p. 566 n. 4 per l’esistenza di uno Zeds èvdu0g. (2) Biscnorr in Leipziger Studien XVII 1884 p. 319, 327, 412; De Sanoris Monumenti Antichi dei Lincei p. 71; Renscn De Manumissionum titulis apud Thessalos p. 124. . (3) Vedi i luoghi raccolti dal BeLoew in I' 1 p. 256 n. 2. (4) AM VI p. 261 Karser Hermes XIX 1884 p. 261 Appeins’ viji rereru(é)vov iegd[v dotv) dogaimv Tiovpa. Non mi pare necessario ricorrere col Kamer all'ipotesi d'un errore del lapicida per spiegare la forma "Aggpetys. (5) Kerr Hermes XX 1885 p. 630, (6) Borsaco Dictionnaire Etymologique de la Lanque Grecque, Deuxième livraison, p. 106. Zeùg “Aqpiog E IL NOME ’Ampodim 909 può essere stata anche in uno stadio molto arcaico della lingua greca fissata nel significato di schiuma, almeno la radice da cui proviene, si riferiva alla pioggia, e questa primitiva nozione può essere rimasta negli aggettivi @pgoros e &poetos, da cui deriva la divinità ‘Agosta. Pertanto Zeùs “Agoios ci appare con tutta verisimiglianza un equivalente di Zeùs vegpeAnye0étns ed ha perfetto riscontro col Jupiter Pluvius latino. La parentela etimologica dell’epiteto “Aggios applicato a Z8vs, con l'aggettivo sostantivo ‘Agozia, in cui gli antichi hanno riconosciuto un altro nome di Afrodite, ci obbligano a ripren- dere in esame la questione dell’origine di questo nome, che non è indifferente per intendere l’origine stessa del mito. Ma prima va sbarazzato il terreno da alcune induzioni dei moderni, che offuscano il problema e fanno deviare dalla sua giusta so- luzione. L’analogia di ‘Aggosia e ‘Agpooyévera con Avzeros e Avxnyevis (1) è solo speciosa, perchè la forma ’Apgoyévera è una conseguenza del mito etimologico che fa sorgere Afrodite dalle spume del mare; e quindi, se veramente esisteva una re- lazione tra i nomi ‘Aposia e ‘Apooyévera, bisognerebbe ammet- tere che il primo fosse stato ricavato dal secondo, risultanac così un processo inverso di quello tra Avxetos e Avxnyevis. Ma l’esistenza dell’epiteto e del nome di mese “Aggtos sta a dimo- strare la formazione glottologicamente in apparenza legittima, non provenuta da falsa analogia, del nome ‘Agosta. Va anche eliminata da ogni tentativo d’esegesi la testi monianza conservataci da un tardo scrittore che “Aggos sarebbe stato il padre d'Afrodite. Secondo Giovanni Antiocheno, Kronos ebbe per tiglio Pico, che i genitori chiamarono Zeus, Nino ed Hera (2). Pico ebbe un figlio chiamato Belo, e Kronos avendo lasciato Pico nell’Assiria, venne in Occidente, e sposò Filira, da cui ebbe il figlio Afro: questi, avendo sposato Astinome, ebbe una figlia che chiamò Afrodite. Lo stesso storico aggiunge in accordo col Chronicon Paschale (edit. Bonn p. 66) e con Gio- vanni Cedreno (ed. Bonn p. 28) (3) che Kronos ebbe da Filira anche il centauro Chirone. Quest'ultima notizia risale a Fere- (1) Kaiser ib. p. 262; Tiimper in Philologus p. 117 n. 65; Dtmmier in RE II 1 p. 2729. (2) FHG IV p. 542. (3) Grorero CepRrENO cita espressamente come fonte Sesto Giulio Africano. 910 VINCENZO COSTANZI cide (1), ma da questo solo riscontro non è facile ricavare, come fa il Tiimpel (2), che lo stemma di Sesto Giulio Africano ist echt thessalisch. S'intende che i cronografi posteriori lavora- | vano su fonti antiche manipolando, rimpolpando e modificando, | quando avevano bisogno di escogitare combinazioni, alle quali non poteva mancare il materiale. “Aggos è l’eponimo degli “Aggoi, cioè degli Africani, e, se un autore bizantino lo attesta esplicitamente (3), mentre dice che Afro ebbe Afrodite da Asti- nome, non attribuisce ad Afro l’eponimia degli Africani perchè ingannato dalla somiglianza dei nomi, ma a causa di questa collega Afro con Afrodite. Nè alla grecità dell’eponimo Afro conferisce il fatto narrato dallo stesso cronista, che Afro ebbe Afrodite da Astinome, perchè dal momento che di Afro si dovea fare il padre di Afrodite, era naturale che un ripiego sì dovesse escogitare a giustificazione della genealogia. Come sì giungesse a questa combinazione, non è possibile rintrac- ciarlo, dal momento che a noi è pervenuta solo l'eco d’'un’eco della voce iniziale; ma si comprende come ‘Aotevéun epiteto di Afrodite in qualche città della Tessaglia, diventasse per sdoppiamento madre di Afrodite (4). Accertata la fallacia della relazione che si vorrebbe sta- bilire tra le due forme, ‘Aposia e ‘Apgoyévera da una parte, tra “Apgos e Agpgoditn dall'altra, veniamo a discorrere sul mito e sul nome di Afrodite. All'origine orientale di essa, nonostante l'impenitente pervicacia di qualche mitologo o di qualche altro dotto (5), che ripete opinioni antiquate per non aver studiato il problema di proposito, non si dovrebbe ormai più prestar fede; ma, dopo le scoperte di Creta, si è fatta strada un'ipotesi, che sembrerebbe a prima vista aver tutte le parvenze della pro- babilità. Essa sarebbe una divinità preellenica (6), accolta dai (1) Schol. ad Aporu. Rmop. Il 1235 = FHG I p. 70 fr. 2 Pegexsdyg pnoiw Str Kobvos ànernaodels Tano èuiyn DiAboa ti “Queavodò nai dià rodro dipvijs è Xeigmv. (2) Philologus XLIX 1890 p. 116. (3) Grorgro Ceprevo |. c. © dè Aporxards poi xa Fregov viòv Eoyev 6 Kob6vos tòv "Apgov #5 od oi “Agpgot, e vedi anche i risarcimenti al testo del Chronicon Paschale. (4) Un''Agpoditn Aorvviun suppone il TimpeL Philologus ib. p. 117. (5) Vedi p. e. Niusson Griechische Feste p. 363. (6) Evans BSA IX 1902-3 p. 87; Burrow 7he discoveries in Crete p. 115. Zeùg “Appiog E IL NOME Aqpodimtn OLI Greci invasori: il sostrato preellenico sarebbe dimostrato dalla colomba, uccello a lei sacro da Pafo a Erice. Senonchè dalle particolarità del culto non si può, senza peccare contro i più rigidi canoni del metodo storico, ricavare nulla sull’essenza del mito. Ciò non ha bisogno di dimostrazione: con quest’argo- mento negativo cospira l’altro positivo che un mese “Agguos in Tessaglia e un nome d'una dea ‘Agggia, d'origine tessalica, ritenuta identica ad Afrodite, tendono a mostrare l'origine greca del nome Afrodite. Si dovrebbe ammettere una fortuita somiglianza nelle due parole e la conseguente assimilazione ? Non nego la possibilità teorica di questa soluzione; ma sì con- verrà che è estremamente improbabile. Afrodite ci si presenta in Tessaglia con caratteri così particolari e spiccati, che si stenta a ritenerla una dea importata. A Tricca abbiamo un'Afro- dite ‘Avdgopovos, a Farsalo un’Afrodite IZetd@, che non hanno riscontro altrove (1): nel calendario di Magnesia abbiamo il mese ‘Apgodioròv (2), e non era certo in quello di Magnesia soltanto. Tutto concorre dunque in favore dell’ipotesi che il mito d’Afrodite sia stato portato dai Greci invasori, ed abbia seguito la sorte e i successivi adattamenti secondo i paesi in cui prendeva piede, e si modificasse secondo i contatti con popoli non greci. L’Enmann ha tentato un’etimologia del nome ‘Aggoditr con elementi puramente ariani. Egli comincia col respingere l'etimologia di Leo Meyer che pone a base del nome greco un ap90d- corrispondente al sanscrito dhrdj “ accendere , con la vocale protetica come dpovs skr. dhrà + il suffisso ita. La maggiore difficoltà di questa etimologia egli la trova nel fatto che un'iscrizione cretese dà ‘Agpogdita, che secondo le regole della metatesi greca dovrebbe essere più antica di ‘Aggoditm. Egli preferisce vedere nel secondo elemento un corrispondente del sanscrito dîti = “ splendore , e si appella a una testimonianza di Tacito, secondo la quale nel tempio di Afrodite Pafia (H.1112) “ precibus et igne puro altaria adolentur nec ullis imbribus quamquam in aperto madescunt , (3). Ma è facile vedere come l’illustre ricercatore sia stato troppo sedotto dalla sua tesi per (1) Vedi DiiwwLer in RE Il 1 p. 2729. (2) IG IX 2 n.1100; 359 a). (3) Kypros und der Ursprung des Aphroditekultus p. 69-71. SFR 912 VINCENZO COSTANZI scorgere un carattere primigenio del culto d'Afrodite in un uso praticato dove esso aveva subìte molte influenze orientali. Basta ricordare quanto dice Ovidio (F. 1 339 se.): Nondum pertulerat lacrimatas cortice murras Acta per aequoreas hospita navis aquas, Tura nec EFuphrates nec miserat India costum Nec fuerant rubri cognita fila croci. Ara dabat fumos herbis contenta Sabinis, Et non exiguo laurus adusta sono. Più validi sembrano gli argomenti linguistici: col primo ele- mento «gpg0 egli pone in relazione la dea rutis dei Latini, che suppone derivata da /wrtis, in origine Fortis: onde anche Fortuna si riannoderebbe a questa trama etimologica. In base a una testimonianza di Agostino, che parla di una /ructiseia menzionata negli Indigitamenta, suppone l’esistenza originaria di forme come Forctis, Foretuna e di ‘Agpogxdity, allegando poox6s lucente, e postulando la protesi dell’a. Tuttavia come si stenta ad ammettere il nome ‘Aggodity d'origine preellenica accanto a quello greco ‘Agggia, così non ci si rassegna a ricercare la coesistenza di due nomi, uno ‘Apooditn derivato dalla radice gogx, l’altro “Aggeia che con questa non si può connettere, ed è molto difficile separare dal sostantivo @9965. A meno quindi che non si voglia ricorrere all'ipotesi comoda della somiglianza fortuita, anche nel nome ‘Aggoditn si deve scorgere un derivato, se non di dggés, almeno della radice da cui @gg6g deriva. Il sostrato originario di questa parola, sembra quello di umidità e di pioggia, e ad Afrodite. dea della fecondazione, si attaglia abbastanza uno stretto rapporto con la pioggia vivificatrice (1). In tal caso appare molto problematica la legittimità dell’etimologia sup: posta pel secondo elemento d:77, in cui l'Enmann ha ricono- (1) Vedi Borsace citato a. p. 906 n. 6. Cfr. Axscn. fr. 44 Nauck® so 92 } 3 7-€ Vv. € dufoos d'ar'edvdevtos odpavod necòv Envoe yaîav' $) dè rixrerar Pgoroîs uiAiov te foonàs ra) Piov Anpitgior* devdp@ris Goa d'éx voritovros ydmov réherds torn' rv d'éyò mapaitios. Zeùg “Appiog E IL NOME ’Aqpoditn 913 sciuto una forma corrispondente al sanscrito diti “ splendore ,, e non è agevole pensare ad un'altra spiegazione. Ma questo non sarebbe il primo caso in cui una parola, specialmente un nome proprio, offrisse qualche ostacolo alla completa decompo- sizione nei suol elementi, pur non potendosi dubitare della sua etimologia. Del resto non sarebbe senza difficoltà l'etimologia dell’Enmann, in quanto suppone una composizione di due ele- menti aventi lo stesso significato. Resta a vedere se il mese ”Aggtos fosse consacrato a Zeus o ad Afrodite, o indicasse semplicemente un carattere della stagione. Nell’onomastica dei mesi greci abbiamo esempio di denominazioni derivate dalla divinità, cui il mese era consa- crato, come Artemisione, Posideone, Dio, o di feste e riti, come Ecatombeone, Gamelione, Sviroforione ; ma non mancavano quelle relative al carattere del mese, come l’attico Memacte- rione (1) e forse l’epidaurico e coo-rodio Agrianio. Il mese "Aggios appartiene quasi di certo a quest’ultima categoria, perchè. in qualche città abbiamo un mese consacrato ad A fro- dite, ma è chiamato, come abbiamo visto, addirittura ’Aggo- diotov. Che fosse consacrato a Zeus, è alquanto improba- bile, perchè a una divinità maggiore quale Zeus, non si con- sacra un mese ponendo in evidenza un attributo, che per la mancanza di diffusione, come risulta dalla singolarità della nostra iscrizione, si ha ragione di credere non fosse d’uso molto frequente in Tessaglia. ”Agotos è quindi il mese della pioggia, e ben s'adatta a un mese che corrisponde all’attico Elafebo- lione, che è quanto dire il nostro marzo-aprile. (1) Harpocrar. Maruaziagiov ... uciuartis déoriv è eérdovoroòngs val tagantinds, Ge ppgor Avoruazidns év th meoì tOVv 'Advnor unvò». 914 EUGENIO PASSAMONTI Un memoriale inedito di Prospero Balbo nel dicembre del 1799, Nota di EUGENIO PASSAMONTI. Il Piemonte, nel dicembre del 1799, si trovava in una con- dizione difficilissima: la vittoria degli austro-russi non gli aveva ridonato la libertà sperata: ma lo aveva fatto cadere in una nuova servitù non dissimile da quella in cui era stato sotto il Direttorio. L'Austria, che non poteva, nè voleva perdonare agli Stati Sardi l'alleanza con la Francia, approfittando delle circo- stanze, mirava ad impossessarsi della pianura padana al di qua del Ticino, ed a ridurre gli altri dominii della casa di Savoia in una sudditanza larvata da speciose forme diplomatiche. Il governo di Vienna non celava le sue intenzioni. Se uno dei cardini della politica dell’imperatore di Russia era il restau- rare Carlo Emanuele IV sul trono degli avi, il barone Thugut, che in Austria agiva dispoticamente, imponendo la sua volontà al sovrano, mirava a costituire agli Absburgo un nuovo dominio. Il 18 giugno 1799 lo Czar aveva inviato da Pavolosck al Souwarow istruzioni sulla condotta da tenere con i reali di Sardegna. “ Voi conoscete, caro conte Alessandro Wassiliewitch, scriveva Paolo I, che in questa guerra contro la Francia noi siamo guidati specialmente dal desiderio di vedere restaurata la vera fede e ristabiliti sul trono i Principi spodestati. Avendo pertanto conquistato il Piemonte credo necessario, appena la cittadella di Torino abbia capitolato, che invitiate il Re di Sar- degna ad andare a Torino. Voi curerete di riporlo sul trono, che la Sovranità gli sia pienamente restituita e conservata ,. Tali parole rivelavano la ferma decisione dell'imperatore russo di non accettare, in nulla e per nulla, cambiamenti nel go- verno degli Stati Sardi. Il Thugut non recedè di un palmo dalla Jil UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 915 sua politica; e, mentre inviava in Piemonte il conte Nicola Con- cina con il compito di eliminare ogni impedimento alla effet- tuazione dei suoi disegni, dall’altra, con sottile diplomazia, gio- vandosi delle clausole dell'alleanza con la Russia, usando gli stessi mezzi per fini diversi, piegava il maresciallo Souwarow a secondarlo nell'opera sua. La conseguenza fu che il grande generale, il quale, ricevuti gli ordini dello Czar, il 18 giugno 1799, si era affrettato ad invitare Carlo Emanuele IV a ritornare nei suoi dominii; dopo le lettere speditegli dall’imperatore Fran- cesco d'Austria, il 3 e il 17 agosto dello stesso anno, dichia- ravasi pronto a sostenere l’opera del governo di Vienna negli Stati del Re di Sardegna. E, quando il Duca d'Aosta, tenuto per desiderio del Re all'oscuro delle macchinazioni diplomatiche, il 20 agosto 1799 diresse da Livorno al Souwarow una lettera piena di entusiasmo nella quale dicevasi desideroso di cono- scere .il liberatore d’Italia e di volere prendere con lui gli ac- cordi per la completa restaurazione della casa di Savoia, il ma- resciallo gli inviò incontro il principe Gortschakoff per invitarlo a non proseguire il cammino verso Torino ed a fermarsi in Vercelli (1). Il Thugut, nello stesso tempo, in cui costringeva il Sou- warow a subire la sua volontà, teneva fronte allo Czar che, intravedendo le macchinazioni dell’Austria, per amore di giu- stizia, idealista com’era, voleva convocare un congresso delle potenze a Pietroburgo per decidere sulle singole pretese che sarebbero state avanzate alla conclusione della pace. Il Ministro degli affari esteri austriaco dimostrò la inutilità di ciò, e ri- cordò a Paolo I un articolo segreto del trattato del 1795 per la spartizione della Polonia, secondo il quale all'Austria, per risarcirla della parte della pecora toccatale al banchetto polacco, era promessa una eventuale ricompensa nella Baviera od in Italia (2). Il Thugut ben sapeva che in questo modo si alie- nava la simpatia della Russia; ma era altrettanto certo che (1) Brancui, Storia della monarchia Piemontese dal 1763 al 1861, Torino, Bocca, III, pp. 264, 265; CarumtrI, Storia della casa di Saroia durante la ri- voluzione francese e l'impero, Torino, Roux, 1892, II, pp. 57 passim. (2) BrancHiI, op. cit., III, p. 267. 416 EUGENIO PASSAMONTI l'Europa, in lotta contro la Francia, doveva essere strettamente unita, se desiderava conseguire la vittoria. In ogni caso l’Austria, assicuratosi e consolidatosi il dominio dell’Italia, avrebbe po- tuto tenere fronte a chiunque si fosse opposto ai suoi disegni. Il Thugut non agiva solo nel mondo diplomatico ma spie- gava tutta la sua energia in Piemonte (1). I diversi rami del- l'amministrazione del Regno Sardo erano stati a poco a poco mo- dificati secondo i concetti ed i metodi austriaci. Il 30 giugno 1799 il Concina aveva fatto convocare dal Sant'Andrea il Consiglio di Reggenza formato dal Souwarow, appena entrato in Torino, che ne aveva scelti come membri i rappresentanti più sinceri del fedelismo monarchico. L’inviato austriaco riferì ai consì- glieri, che per ordine di Vienna tutti gli atti e gli editti gover- nativi dovevano essere sottoposti per l'avvenire all'approvazione del Melas. E, sebbene il Revel, con proclama del 9 agosto 1799, dichiarasse agli abitanti di prendere egli la direzione dello Stato e mostrasse così di tenere in non cale la missione del Concina, il Thugut non mutò idea, servendosi, in luogo del Melas, vecchio e debole, dello Zach. A questo imponeva di operare in modo che il dominio austriaco fosse stabilito in Piemonte. Lo Zach, il quale non comprendeva altro che la disciplina militare e che considerava ogni luogo straniero occupato dalle sue mi- lizie quale terra di conquista, agì in maniera tale, che lenta- mente si vennero concentrando nelle mani del rappresentante dell’imperatore Francesco tutti i diversi rami della amministra- zione degli Stati Sardi. Si comprende come nei dominii della casa di Savoia non restasse ora altro che il nome dell’antica libertà. Gli nomini politici, che avevano negli anni precedenti lottato contro la Francia per conservare alla loro patria l’indi- pendenza, furono per volontà del Thugut allontanati dai pub- blici uffici, primi il Prioeca ed il S. Marzano. L'esercito, che erasi dimostrato il difensore più saldo della monarchia sabauda, privato dei suoi duci era stato ora messo alla mercè di generali ed uffi- ciali austriaci che l'avevano ordinato e regolato alla foggia straniera. Le potenze protettrici del Piemonte erano impossibi- litate ad agire, o per le imprescindibili necessità che avevano E e (1) Brancni, op. cit., III, p. 284. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 917 determinato la presente coalizione o costrette a provvedere ài loro immediati interessi (1). Il Regno di Sardegna era quindi in baha dell'Austria, privo di tutti i mezzi politici, militari ed economici. Infatti le sue condizioni finanziarie erano tristissime: guerre costose prima, l'annessione alla Francia poi ed in ultimo l’occupazione delle truppe austriache l'avevano ridotto alla assoluta impotenza. Sospesa ogni industria, per l’interrotta libertà dei trasporti, negletto il commercio, trascurata l'agricoltura, annichilito il cre- dito, non si trovava modo alcuno di uscire da quello stato di- sperato, chè le spese e le esazioni pretese dallo Zach e dal Melas aumentavano di giorno in giorno, mentre languiva sempre più la vita economica del paese. Come se ciò non bastasse minac- ciava il Piemonte una carestia asprissima; e gli Austriaci non lasciavano importare negli Stati Sardi il grano necessario alle esigenze della popolazione. Raccontano le fonti, che tutte le insistenze del Luogotenente generale e del Consiglio supremo, per ottenere dal Melas, verso la fine del 1799, il permesso di introdurre grano dalla Lombardia, non valsero che la conces- sione di 18.000 sacchi di cereali; mentre gli Austriaci ed i Russi dal luglio al settembre dello stesso anno avevano consu- mato 80.000 sacchi di frumento e di segala diminuendo di un buon terzo la già scarsa raccolta. La carestia era resa più do- lorosa dalle circostanze che l'avevano preceduta e che l’accom- pagnavano. La epizozia menava strage fra le bestie bovine. Le malattie contagiose mietevano numerose vittime fra la gente di campagna priva di ogni mezzo di difesa. Essendo arrestate le industrie molti operai e braccianti erano privi di lavoro e au- mentavano il numero dei bisognosi. I contadini per l'enorme rincaro dei viveri (2) si cibavano di meliga quando trovavano da acquistarla. Nè a tante miserie potevano fare fronte le classi abbienti, perchè molte famiglie nobili o erano state salassate dalla amministrazione repubblicana o avevano dovuto subire forti perdite dalle contribuzioni loro imposte dal governo di Vienna; senza contare, che su di esse pesavano in maggior (1) BrancHi, op. cit., III, pp. 290, 295, 299. (2) Braxcat, op. cit., III, p. 353 passim. 918 EUGENIO PASSAMONTI parte i pubblici balzelli. Ciò nonostante non diminuivano le pre- tese austriache. Il 4 settembre 1799 il Revel scriveva: “ A mi- sura che aumenta la nostra impossibilità le esigenze del Com- missario austriaco si fanno maggiori e più aspre: le casse sono assolutamente vuote , (1). Quando si rifletta a ciò che siam venuti esponendo si com- prenderà quale grande bisogno il Piemonte sentisse di potere, libero da amici e nemici, riconcentrare in sè stesso tutte le sue energie e tentare di uscire dalla rovina in cui si trovava. La indipendenza gli avrebbe restituito la forza perduta. A conse- guire ciò dovevansi prima di ogni altra cosa allontanare gli invasori, che non intendevano di abbandonare un territorio con- quistato con la forza delle armi. Necessitava persuadere l’opi- nione pubblica europea ed i gabinetti delle singole potenze, che l’opprimere il Piemonte costituiva un pericolo per la pace europea, mentre, se si fosse concesso a questo Stato di rifarsi dei danni subiti, la Francia avrebbe avuto un nemico di più e un nemico non disprezzabile per ragioni implicite ed esplicite. Ma non era cosa agevole il parlare di un argomento siffatto, quando impe- ravano gli austriaci, i quali sorvegliavano tutti i movimenti di coltura e le varie manifestazioni del pensiero (2). A ciò si ac- cinse Prospero Balbo. Egli, che per due lunghi anni aveva so- stenuto una guerra a coltello contro le malizie del Direttorio, poteva ora con diritto tutelare gli interessi della sua patria. Cooperatore efficace della politica piemontese dal 1796 al 9 di- cembre 1798 ne conosceva i più riposti intenti ed era nella condizione di ribattere le ragioni dell’occupazione austriaca che si fondavano specialmente sulle nascoste direttive del passato governo di Carlo Emanuele IV; mentre, provato alla fine scher- maglia del Talleyrand, non certo inferiore all’astuzia felina del Thugut, lo avrebbe efficacemente fronteggiato in ogni sua mossa. Educato dal conte Bogino, Prospero Balbo era cresciuto nel mondo della diplomazia e degli affari di governo, acquistando, (1) Biancar, op. cit., III, p. 277. Archivio di Stato — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia patria, anni 1798-1799: lettera del Revel del 4 settembre 1799, (2) Branca, op. cit., INI, p. 331; Carri, op. cit., HI, p. 62. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 919 fin da giovine, la pratica dell’uomo di stato. Di questa sua speciale attitudine aveva dato prova, più che nella carriera per- corsa in patria dal 1783 al 1796, nella ambasceria di Parigi, ove, quasi periodicamente, aveva dovuto lottare contro ogni specie di ostacoli a lui frapposti dalle sfere ufficiali e dall’opi- nione pubblica francese, che tendevano, fin dopo la pace di Parigi, ad impossessarsi del Piemonte. Lo studio dei documenti, che numerosi il Balbo ha lasciato riguardanti questa parte del- l’opera sua di statista e di diplomatico, ci fa intendere quale profondo politico fosse e come conoscesse gli uomini e l’ambiente nel quale viveva (1). Terminato il suo ufficio in Parigi, il Balbo, rifiutata la rap- presentanza diplomatica della Baviera nella capitale francese, si era unito, in Barcellona, con alcuni dei più schietti soste- nitori del fedelismo monarchico piemontese, i quali avevano abbandonato Torino dopo la fuga del Re. Da Barcellona con una nave inglese era venuto in Livorno. Quando corse la voce che Carlo Emanuele IV sarebbe ritornato in Piemonte, il Balbo tutto si rallegrò e si preparò ad andare incontro al suo so- vrano; ma, essendo stato questo costretto a disporre diversa- mente, il Balbo ricevette lettere regie, nelle quali e lo sì ringra- ziava dell’opera data a pro de’ suoi signori e lo si incaricava del controllo generale del Piemonte: compito grave questo per le at- tuali condizioni dello Stato, ma non affatto nuovo per il grande diplomatico, che dal 1783 al 1792 negli uffici del municipio di Torino, negli studi privati, nelle riunioni dell’Accademia delle Scienze, di recente formata, si era occupato profondamente di questioni economiche (2). (1) Della vita e in modo particolare dell’ambasceria di Prospero Balbo andiamo occupandoci da alcuni anni, ricercandone tutto quanto è possibile sia nell'Archivio di Stato in Torino, che in quello ricchissimo di casa Balbo, la quale ci ha concesso con rara magnanimità di godere dei tesori ch’essa racchiude. Di queste nostre fatiche uscirà presto frutto, che racco- mandiamo fin d’ora ai benevoli che ci hanno consigliato in tanto dilette- voli studi. ScLopis, Notizie della vita del conte Prospero Balbo, Torino, Paravia, 1874, p. 7 passim; CrsrariIo, Il conte Prospero Balbo, Torino, 1873, passim. (2) ScLoprs, op. cit., p. 3 passim. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 61 920) EUGENIO PASSAMONTI Quantunque conscio delle responsabilità, che si assumeva, il Balbo non rifiutò la missione affidatagli. Suo fratello Gaetano dal maggio del 1799 era andato in Pietroburgo per difendere gli interessi di Carlo Emanuele IV; Prospero Balbo nell'ottobre di questo anno parti per Torino per assumere la carica di con- trollore, nella quale, con poco frutto, lo aveva preceduto il ca- valiere Giuseppe Massimino. Appena arrivato, nei primi di no- vembre, egli comprese, che era vano lo sperare di porre rimedio ai mali della sua terra, fino a quando gli austriaci l'avessero occupata, e sentì la necessità di liberarla in modo realmente efficace. A tale scopo scrisse il presente memoriale, che do- veva essere consegnato alle singole potenze coalizzate, perchè, rendendosi conto dello stato reale delle cose, vi avessero posto una buona volta riparo. La condotta dell'Austria verso gli Stati Sardi si fondava sopra varie ragioni le quali si potevano riassumere in una principale: il Piemonte ha in questi ultimi tempi seguita una politica favorevole alla Francia servendola a danno delle altre nazioni europee: la tranquillità dell'Europa esige che sia per sempre impedita questa politica: nessun mezzo più adatto quanto il lasciare al governo di Vienna tutta l’amministrazione del principato sardo allontanandone una casa regnante sospetta cd inetta. Lo scopo del Balbo fu quindi di persuadere i gabinetti europei, che le teorie del Thugut avevano poca o punta consi- stenza, dimostrando che il Piemonte aveva in ogni momento, tin dallo scoppio della rivoluzione francese in poi, salvaguar- dato gli interessi altrui più ancora dei propri non piegandosi mai ai voleri di Parigi quando avrebbero potuto danneggiare la stessa Austria. E non era fuor di luogo il ricordare di quale natura fossero stati precedentemente i rapporti degli Stati Sardi coll’Impero, perchè, dato il nemico con cui si aveva da fare, bisognava mostrarsi di averne sempre favorito la politica. Es- sendo il governo di Vienna arbitro del Piemonte, gravissimo errore sarebbe stato il provocarlo vieppiù con un contegno ri- sentito ed ostile: era invece astuzia di fine diplomatico il far vedere di condividerne pienamente le idee generali, di averle già seguite e anche di non essere alieni dal conchiudere una alleanza contro la Francia. Per questo scioglimento della questione propendevano molti Be UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 921 uomini di Stato in Torino: fra i quali lo stesso S. Gennaro, che al S. Marzano da Vienna il 2 dicembre 1799 scriveva essere il miglior partito per il Re di Sardegna quello di cedere alle cir- costanze. Di sentimento avverso erano coloro i quali si senti- vano, oltre che piemontesi, anche italiani, e che in modo assoluto non volevano aver che fare con chi li opprimeva contro ogni giustizia: eco fedele di siffatta tendenza fu Prospero Balbo (1). Senza molte ambagi, con quel fare secco e preciso che già aveva tanto imbarazzato il l'alleyrand, il Balbo entrava in ar- gomento: “ Il est nécessaire, scriveva, il est très urgent que toutes les Puissances coalisées soient instruites de la situation actuelle du Piémont, pays si intéressant pour sa position. dont le sort a toujours décidé de celui de l’Italie, quelques fois des destinées de l'Europe , (2). Premeva al Balbo di far rilevare, come l’Austria tendesse a nascondere l’importanza politica del Piemonte, temendo che le potenze coalizzate, quando se ne fos- sero reso il debito conto, avessero impedito una tale sopraffa- zione restituendo a questo Stato la sua piena facoltà di agire nel concerto europeo. Il grande diplomatico, per conseguire il suo intento, doveva, prima di ogni altro argomento, dimostrare l’assurdità del con- cetto, che l’Austria aveva e faceva avere sulla natura della po- litica sarda: egli volle quindi, per quanto la natura di un me- moriale gli concedeva, esporre l’opera del governo di Torino da quando si era manifestata la rivoluzione francese. E si propose, in modo speciale, di chiarire gli intendimenti di Vittorio Ame- deo III e di Carlo Emanuele IV, in quell’agitato periodo, perchè fossero private di ogni consistenza le accuse del ministro degli affari esteri austriaco contro gli ultimi re del Piemonte. Fin dal principio il Balbo accusava l’Austria di operare coscientemente e con perfidia a danno degli Stati Sardi: “ Il (1) Branca, op. cit., III, p. 317. (2) Documenti per servire alla Storia Patria, anni 1790-1800. Archivio di Stato. — Collezione Balbo. — Avvertiamo che i diversi luoghi che citeremo di Prospero Balbo sono contenuti nel surricordato volume di documenti; ovvero nell’altro pure della collezione Balbo nell'Archivio di Stato, intitolato: Correspondance de P. Balbe avec monsieur de Priocca, anno 1796-1798. 922 EUGENIO PASSAMONTI est peut-ètre indispensable, egli diceva, de remonter à des faits dont l’époque n'est pas très eloignée, mais dont le souvenir presque effacé par la rapidité des événemens est encore obscuré à dessein par la profonde méchanceté des ennemis communs. Leur perfidie astucieuse et savante n'a que trop reussi à pre- senter sous un faux jour la conduite la plus simple, les dé- marches dictées par la plus imperieuse nécessité ,. Queste parole si potevano riferire alla Francia; ma quando si rifletta alla natura del momento storico, ai problemi che si dovevano allora sciogliere, agli ostacoli immediati che era indi- spensabile il sormontare, saremmo tentati di asserire che il Balbo, con tali espressioni, mirava unicamente all’Austria. Il presentare, sotto falsa luce, una politica, di per sè chiara, era l'arma di Vienna contro il piccolo Stato italiano. Il Balbo, pur conoscendo, che la condotta di Vittorio Amedeo II e Carlo Ema- nuele IV si difendeva da sè, voleva mettere, fin da principio, in rilievo il fatto che essi erano stati per partito preso travi- sati nell'opera loro. Il nostro statista basò la difesa dei suoi sovrani su due sostanziali concetti: la casa di Savoia osteggiò fin dalle sue prime manifestazioni la rivoluzione sia con la diplomazia che con le armi: e, se, vinta dalle circostanze, accettò l'alleanza con la Francia, la formulò in modo da non danneggiare giammai l'Austria. Per la prima tesi il Balbo non aveva bisogno di usare ar- gomenti speciosi. L'opera di Vittorio Amedeo III, ostile ai moti di oltr'Alpe sia per l’indole sua, sia per interessi famigliari e politici, era efficace dimostrazione dell'assunto del diplomatico piemontese, che cioè gli Stati Sardi non avevano agito diver- samente dalle direttive del governo di Vienna. Se ai primi sin- tomi della rivoluzione il Piemonte aveva tenuto un contegno di attesa, lo aveva fatto solo per volontà dell’imperatore austriaco (1); ed il Balbo si valse di ciò per far risaltare ancora, come Vit» torio Amedeo, a differenza dei suoi predecessori, che avevano (1) Braxcui, op. cit., I, p. 512 passim; CarurtI, op. cit., p. 218 segg.; Manno, Tesoretto di un bibliofilo piemontese, in curiosità e ricerche di storia subalpina, I, p. 759. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 923 piegato or qua or là nei grandi moti europei secondo l'oppor- tunità del momento storico, aveva saputo resistere agli allet- tamenti del governo francese il quale mirava a strapparlo dalla lega dei principi europei. L'ordine dato al conte Solaro dal Re di non lasciar passare il Semonville inviato straordinario della Francia, alla fine dell’aprile del 1792, sebbene mascherato dal punto di vista di questione personale, era, ora, per il Balbo, prova convincente della sua tesi. Se Vittorio Amedeo avesse così agito per l'interesse proprio, in quanto riteneva dannoso l’unirsi con il governo di Parigi, non conveniva indagare; re- stava sempre il fatto, che il principe sardo aveva respinto trat- tative di cessione di territorio a danno dell'Austria per la ferma volontà di non separarsi da questa potenza. E ciò confermavano le pratiche che erano state, nel 1792, contemporaneamente al- l'invio del Semonville, compiute per una pronta alleanza austro- piemontese in difesa del minacciato Delfinato (1). E, continuava il Balbo nel suo memoriale, non solo fu re- spinto il Semonville, ma Audibert Caille ebbe egual sorte. La proposta di quest’ultimo, inviato a sostituire il Semonville, di- mostrava quanta volontà la Francia avesse di allearsi con il Piemonte e il nuovo rifiuto del Re chiariva la purità e l’inte- grità dei suoi intendimenti. Il Balbo non osservava però che la stessa ragione, per la quale erasi respinto il primo inviato francese, aveva determinato il conte Viretti a ritenere inutile di iniziar trattative con il secondo: per il nostro statista l’ap- parente consentaneità della politica piemontese non poteva es- sere messa in dubbio dopo tale operato (2). Il grande diplomatico faceva risaltare un altro lato impor- tante della questione. Se il governo di Parigi aveva a quello di Torino offerto in cambio dell’alleanza la Lombardia, quest'ultimo erasi unito all'Austria senza alcun immediato interesse: “ Au- trefois, osservava il Balbo, l’Autriche achétait du Piemont la défense de la Lombardie par la cession de quelque lisière. Le cas était différent; le Roi de Sardaigne pour défendre l’Italie (1) BrancHi, op. cit., I, pp. 182, 190 segg.; FrancHerti, Storia d’Italia dal 1789 al 1799, Vallardi, Milano, pp. S1 segg. (2) CarurmI, op. cit., I, p. 173; BrancHI, op. cit., I, p. 60. 924 EUGENIO PASSAMONTI entière ne fait pas la moindre démande ,. Era un colpo da maestro contro la politica austriaca verso il Piemonte, nelle guerre della prima metà del secolo XVIII nelle quali l’aiuto tedesco era stato comprato a prezzo di dolorosi sacrifizi (1). Vittorio Amedeo III, scriveva il Balbo, non aveva chiamato in suo aiuto ventimila uomini da Vienna come un suo illustre predecessore, ma solo alcuni battaglioni. È se il Piemonte era stato scontitto dal Montesquieu e dall’Anselme, dal qual fatto i denigratori del Regno Sardo deducevano l'impossibilità per esso di difendersi colle sue forze, bisognava ricordare che le truppe austriache, giunte in ritardo, non si erano, nella prima campagna contro la Francia, mostrate degne della loro fama. La causa delle nostre sconfitte dipendeva, per il Balbo, dalle stesse cause che avevano fatto subire ai tedeschi i rovesci sul Reno. In Piemonte quarant'anni di pace avevano disavvezzi gli abitanti dal mestiere delle armi: e d'altra parte la perdita della Savoia e di Nizza era dovuta, per il nostro statista, più che alla deficienza organica dell’esercito alla inesperienza di alcuni capi. Il Balbo attribuendo al conte Lazary la facilità della vittoria francese non aveva tutti i torti (2). Ma, osservava egli imme- diatamente, la prostrazione degli Stati Sardi non fu che mo- mentanea: “ Loin de s'abattre l'homme national se réveille et se ressouvient de notre ancienne gloire ,. Dovendo persuadere le potenze coalizzate di lasciare il Piemonte libero di sè era neces- sario convincerle che esso possedeva energie vitali nell’intimo suo, le quali si sarebbero destate al primo apparir del pericolo. Il Balbo quindi, pur essendo costretto ad ammettere le sconfitte, cercava di controbilanciarne l’effetto con il far ad esse seguire atti che potevano dare un’idea della capacità del piccolo stato italiano. E descrivendo la ripresa delle ostilità colla Francia nel 1793, mentre taceva le dolorose condizioni alle quali aveva dovuto sottostare Vittorio Amedeo nel luglio di quest'anno, (1) Carvrri, Storia di Vittorio Amedeo II, Torino, Clausen, 1897, p. 297. (2) Costa pe Brauregarp, Mémoires historiques de la maison de Savoye, III, p. 308 sg.; Prnecui, Storia militare del Piemonte dalla pace di Aquisgrana fino ai d) nostri, Torino, De Giorgi, I, p. 85 segg.; Tuaon pe Rever, M& moires de la querre des Alpes, Torino, Bocca, 1871, I, p. 17 passim. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 925 narrava con giovanile entusiasmo le prime vittorie delle truppe sarde comandate da’ loro generali file che esse amavano e seguivano con lo slancio della persuasione cieca. Il Balbo po- teva a ragione parlare del risveglio bellico che si era ma- nifestato in Piemonte dopo la perdita di Nizza e Savoia: egli come decurione di Torino aveva proposto di formare una milizia urbana per difendere il territorio nazionale, nel luglio del 1792; ed aveva veduto rispondere al suo appello 4.256 torinesi, dei quali 36 sacerdoti (1). Prospero Balbo accennava appena alla presenza delle sol- datesche austriache in questa seconda campagna e lo faceva solo allo scopo di rilevare l'eccellenza dei piemontesi e la per- spicacia dei generali sardi in confronto agli errori commessi dagli alti ufficiali tedeschi. Non una parola, non una frase usci- vano dalla sua penna che non fossero dirette allo scopo che si era proposto. (li smacchi di Aigues Blanches e di S. Germano, dell'assedio di Giletta, il fallito tentativo su Tolone il Balbo attribuiva alla tattica austriaca. Il non avere dato a Vittorio Amedeo III ed ai suoi generali la completa libertà d’azione aveva, per il nostro statista, cagionato la rotta degli austro- piemontesi nel resto della campagna. Con un’esattezza storica non priva di mal celata soddisfazione, ricordando le sconfitte del 1793, dove i rovesci erano dovuti in parte ai duci sardi, non obliava il Balbo lo sventurato anno 1794 ove i disastri di guerra erano stati voluti dai comandanti austriaci. “ La cour de Vienne envoya des forces considérables, mais par une malheureuse fatalité, la brillante armée du général Devins après des succès importans fut reduite pendant six mois à une en- tière inactivité , (2). In quell’espressione malheureuse fatalité v'era tutto l’animo del Balbo, che, addolorato nel vedere la sua patria serva dell’Austria, voleva rifarsi delle angosce e delle vergogne sofferte, ricordando che anche gli eserciti tedeschi avevano conosciuto assai spesso la sconfitta: più ancora delle milizie che essi tanto disprezzavano. Accennando appena al (1) Pinetti, op. cit., II, p. 118. (2; Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia Patria, 1790-1800. 926 EUGENIO PASSAMONTI danno, che, in Italia, alle potenze coalizzate aveva portato la violazione voluta o subita della neutralità della repubblica ge- novese, e esponendo le fasi della guerra del 1795, il nostro sta- tista ne attribuiva il mal esito, anche questa volta, alla inet- titudine dei generali austriaci: e quel che più importa è che non errava con un tale giudizio. È vero che alla vittoria dei francesi avevano cooperato varie e molteplici cause, sia estrin- seche che intrinseche, contro le quali poco o punto sarebbe valsa la mente di qualsiasi capitano: ma è anche vero che le forze dei piemontesi e degli austriaci erano state mal con- dotte e mal organizzate dai duci tedeschi. La conclusione, che si traeva da quanto il Balbo era venuto fin qui dicendo, era che gli Stati Sardi non potevano essere accusati di inca- pacità bellica; quindi nessun impedimento si poteva da questo lato opporre a che fossero lasciati liberi di difendersi con le loro forze. Tutto ciò non serviva al Balbo che di preparazione e di introduzione per discutere l'argomento più importante, i rap- porti cioè che il Piemonte aveva avuto con la Repubblica francese. Perchè, domandava il nostro diplomatico, gli Stati Sardi avevano accettato di venire a patti con la Francia? Perchè, rispondeva, l’Austria ve li aveva costretti. Il Re, diceva il Balbo, aveva secondato con tutti i suoi mezzi l’imperatore; ma ne era stato mal ripagato. Il Piemonte aveva bisogno di pace da lungo tempo; eppure il nostro sovrano aveva in nulla rece- duto dalla sua politica di fedele alleato dell'Austria sottostando anche a patti dolorosi, resistendo a tutte le pressioni, che gli facevano molti dei suoi statisti, sostenitori poco entusiasti della collaborazione tedesca. In cambio di questa completa dedizione Vittorio Amedeo III aveva avuto sconfitte, danni infiniti mate- riali e morali: ed inoltre nell'aprile del 1796 era stato abban- donato alla mereè dei francesi dal generale Beaulieu. Questi, sebbene, notava ironicamente il Balbo, avesse sempre goduto di grande reputazione, aveva commesso il madornale errore di dividere i piemontesi dagli austriaci, facilitando, colla separa- zione delle forze, la vittoria francese. Da ciò, continuava il nostro statista, era derivata un'importante conseguenza; la di- stinzione completa degli interessi dei due paesi. Finchè le ban- eten è UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 927 diere austriache avevano sventolato con quelle sarde nella stessa battaglia, era giusto, che le due nazioni avessero avuto eguali fortune; ma, ritirandosi ed abbandonando il campo la più forte, era consentaneo che la più debole cercasse di uscire dalla pe- nosa situazione. In questo argomento, che offriva diversi punti di appoggio. fondavasi in gran parte la difesa che il Balbo erasi assunto della politica di Casa Savoia: non l’Austria era stata tradita dal Piemonte, ma il Piemonte dall'Austria. Un'ultima salvezza, continuava il nostro statista, rimaneva nella difesa di Cherasco, perchè le truppe francesi, decimate e stancate dalle precedenti vittorie ottenute a caro prezzo, non avrebbero potuto attaccare immediatamente l’avversario ed il Uolli aveva ancora seco numerose milizie (1). Eppure, esclamava il Balbo, “ l’évacuation de Querasque laissait la capitale décou- verte et cette évacuation avait été décidé par le général autri- chien qui commandait nos troupes. C'est lui qui fit les premières ouvertures d'une suspension d’armes: c'est lui qui donna les pouvoirs et les instructions aux militaires chargés de la ne- gocier; il leur permit de livrer sil le fallait, comme prisonniers de guerre jusqu@aux régimens autrichiens qui servaient sous ses ordres et ce ne fut pas que pour les remontrances des officiers Piémontais qu'il fit courir après eux pour retracter cette fa- cilité ,. Aveva il Balbo parlato con serenità e verità o non si era lasciato andare ad antipatie personali che ne avevano offuscato in certo qual modo il giudizio? Non è qui il momento di di- scutere tanta difficile e delicata questione: del Colli molto è stato detto in un senso e nell'altro come tattico (2); ma nes- suno ha mai dubitato dell’elevatezza dei suoi principii. Riser- bandoci a tempo migliore lo studiare quanta verità meriti l’opi- nione del Balbo importa a noi constatare che, al dire del nostro diplomatico, l'armistizio e la pace tanto discussi erano stati iniziati da un generale austriaco. Non avevano quindi più ra- gione d’essere le accuse che Vienna lanciava contro Vittorio (1) CarurtI, op. cit., I, p. 324. (2) Cosra pe BraureGARD, op. cit., III, pp. 383, 386 passim; PineLtLI, op. cit., I, p. 644. so 928 EUGENIO PASSAMONTI Amedeo III. Che, se il Beaulieu il 22 aprile, appena iniziate le trattative della sospensione d’armi, aveva, anche perchè ecci- tato dal Revel, scongiurato la Corte piemontese di riprendere le ostilità ed aveva fatto la mossa su Asti, S. Stefano e Nizza il 24 aprile, non era possibile supporre che una campagna ideata male e peggio condotta avesse cambiato di punto in bianco (1). L'argomento del Balbo presentava però un lato debole: era mai lecito attribuire ad un intero governo l’operato di una sin- gola persona e si doveva per gli errori di questa abbandonare una lunga amicizia? L'opposizione era di natura sua inoppu- gnabile, ma si poteva rispondere, che in quel peculiare momento storico, con in vista la completa rovina politica ed economica, con il nemico alle porte della capitale, con lo scompiglio delle forze alleate era resa impossibile una prolungata difesa e che la prima mossa di pace era naturale fosse immediatamente ac- cettata. La mossa attesa era partita da un generale austriaco, quindi la dialettica rigida del Balbo riversava sull’impero tutta la responsabilità degli eventi. Il Balbo, però, non poteva negare la pace del 16 maggio 1796 con tutte le sue dolorose conseguenze. Se era lecito acensare Vienna di avere operato solo in vista dell’immediato interesse e di avere abbandonato il proprio alleato, il Piemonte, dal canto suo, aveva buttato a mare le potenze europee, con le quali era unito con stretti vincoli d'amicizia, in un momento in cui tutto precipitava. Il nostro statista difendeva così da quest’accusa il zoverno sardo: “ le malheureux armistice, diceva, aména néces- sairement une paix plus malheureuse encore. A-t-elle besoin d'excuse? la dureté des conditions en fait elle méme l’apologie ,. Poichè la pace del 16 maggio era stata causata dall’armistizio del 22 aprile il Balbo concludeva, per le ragioni precedente- mente esposte, che il Piemonte non poteva agire diversamente. Se avessimo conchiusa la pace, per solo nostro interesse, non avremmo dovuto sottostare a tante dolorose condizioni: * Ce n'est pas lorsqu@on est réduit è prendre la loi du vainqueur qu'on peut étre accusé de défection ,. (1) Carurti, op. cit., I, p. 326 passim. Ea) UN MEMORIALE INEDITU DI PROSPERO BALBO, ECC. 929 Il Balbo aveva ragione, perchè il Direttorio si rifaceva ora ad usura degli smacchi diplomatici degli anni precedenti e det- tava leggi ferree al piccolo stato italiano. Il Revel ed il Tonso nel corso delle trattative avevano più volte scritto al Priocca se non convenisse ricorrere ad un ultimo sforzo disperato piut- tosto che sottostare a tanta vergogna: ma il ministro degli esteri sardo aveva ordinato di piegare di fronte alla forza degli eventi. L’opera del Revel, a fatti compiuti, fu biasimata dalla maggior parte della opinione pubblica piemontese; eppure poche volte il governo di Torino era stato difeso nella propria dignità come ora (1). Discusse le ragioni, che avevano determinato la fine delle ostilità con i Francesi, il Balbo esaminava la complicata que- stione dell’alleanza. Il Thugut sosteneva, che la separazione del Piemonte dall'Austria e la trasformazione di quello stato in una base di operazione delle truppe francesi avevano contribuito ai rovesci delle truppe tedesche in Lombardia, nel Veneto; ed al tramonto, nella penisola, del partito conservatore. Il Piemonte, asseriva il ministro austriaco, ha approfittato della condizione dell'Austria assalita da tutte le parti per gettarsi nelle braccia della Fiancia al fine di ottenere un territorio cui ambiva da lungo tempo. Esso ha agito in vista dei suoi interessi; nessuna meraviglia quindi che il governo di Vienna, ora, operi in suo vantaggio e cerchi di estendere in un modo o nell’altro il suo dominio fino alle Alpi occidentali. Con il rigore dialettico. che lo caratterizzava, il Balbo non sì perito di contraddire questo ragionamento; tanto più che l'alleanza con la Francia era stata opera sua. Giunto in Parigi, quando regnava diffidenza e dispetto reciproco fra le due na- zioni, egli aveva dovuto studiare la difficile situazione, dibat- tendosi contro le arti sottili della diplomazia francese: aveva restituito una certa tranquillità e confidenza al Piemonte ed al Re; aveva allontanato la procella, che pareva dovesse da un momento all’altro scoppiare. E, quel che più importava, aveva ridonato al Piemonte il (1) Carurti, op. cit., I, pp. 336 segg.; FrancHETTI, Op. cit., p. 236; vedi nota pp. 305, 306. 430 EUGENIO PASSAMONTI prestigio perduto per le numerose sconfitte, facendone valere, nei consigli del Direttorio, nei colloqui con il Delacroix ed il Talleyrand, la potenza politica e militare. Mentre all’esterno e con gli uomini di stato francesi atteggiavasi a rappresentante di una grande nazione, nell’intimo dell'animo suo, del quale specchio fedele sono il copioso carteggio con il Priocca ed i documenti lasciatici, angosciosamente studiava tutti i mezzi per evitare gli scogli che ad ogni momento trovava nel condurre la sdrucita nave del Piemonte. Aveva dovuto ii Balbo lottare contro tutto e contro tutti; all'aperto ed all'oscuro, colle arti della diplomazia e con la corruzione: in due anni di asprissima pugna aveva salvato il proprio paese dal dominio della Francia, aveva conchiuso il trattato di alleanza che aveva suscitato le ire dell'Austria; egli solo poteva sostenere ora la discussione contro lo specioso Thugut. Concetto fondamentale del Balbo, fu che, in sostanza, gli Stati del Re di Sardegna non avevano mai acconsentito ad in- vadere i territori imperiali per impossessarsene ed a combat- tere contro i soldati tedeschi, quantunque infinite fossero state per ciò le pressioni della Francia. La condotta del Re, diceva il nostro statista, è stata sempre coerente. Fin dal 16 giugno 1796 il Direttorio nella seduta solenne per il ricevimento ufficiale del Revel e del Tonso aveva proposto al Piemonte, per mezzo del Carnot, di unire immediatamente alle colonne francesi in Italia alcuni reggimenti sardi, ottenendo in cambio la Lombardia (1). ll 7 maggio prima ancora della conclusione della pace il Sali- ceti al San Marzano in Piacenza aveva osservato, presente il Bonaparte, che, se il regno di Sardegna non avesse stretta al- leanza offensiva con la Repubblica non avrebbe mai potuto ri- farsi delle perdite subite (2). Eppure, notava il Balbo, “ les ordres du Roi leur liaient les mains, tout hormis de l’alliance ,. Era vero che Vittorio Amedeo III aveva creduto anche allora in una risurrezione della potenza austriaca, in virtù della quale non voleva troppo compromettersi con la Francia repubblicana (1) Carorti, op. cit., I, 352; Tuaown ne Revrt, op. cit., p. 375 segg.; Synex, Geschichte der Revolutionzeit, IV, p. 189 segg. (2) Carurti, op. cit., 1, p. 352. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 931 da cui lo separavano irremediabilmente numerosi interessi e pubblici e privati: ma per Prospero Balbo v'era 1l fatto, che il re di Piemonte, anche dopo la pace che lo metteva in balìa del nemico, aveva voluto conservarsi fedele all'antico alleato. Se il Piemonte, continuava il Balbo, aveva finalmente ce- duto alla forza delle circostanze, lo aveva fatto solo per assi- curare la propria esistenza. Un dopo l’altro gli Stati italiani avevano piegato di fronte alla potenza del Direttorio ed al genio di Napoleone: che restava alla Sardegna? Essa era alla com- pleta mercè dei francesi. I patti stabiliti il 16 maggio 1796 avevano dato alla Repubblica i passaggi alpini, l'occupazione delle città a questi vicine, la fortezza di Alessandria, il man- tenimento delle truppe galliche nel territorio piemontese; ave- vano, in una parola, messo il Piemonte in dominio completo dei suoi avversari, sì che presto o tardi il Re avrebbe dovuto chinare il capo dopo un ultimo tentativo disperato. E che sa- rebbe allora avvenuto? Il Re Carlo Emanuele IV, continuava il Balbo, come il suo illustre genitore che era morto in quei giorni di angoscia, era contrario all'alleanza, sia per principio, che per natura. Ancor principe erasi opposto nei consigli reali ad una in- tima unione con la Francia ed aveva avversato la politica del Priocca e del Balbo che giudicavano necessario per la salvezza del Piemonte l’accostarsi al potente vicino occidentale. “ La si- gnature de l’alliance, scriveva il nostro diplomatico, fut pour lui sans doute le plus grand de tous les sacrifices qu'il fit pour la tranquillité de ses États ,. I Francesi infatti non lieti del modo con cui andavano i loro affari negli Stati del Re avevano cercato d’imporre la loro volontà in maniera più efficace. I fautori della repubblica nei dominii sabaudi furono riordinati, preparati, aizzati alla lotta contro la monarchia da agenti segreti del Direttorio che costi- tuiva quasi nello stesso tempo, ai confini del principato sardo, le repubbliche ligure e cisalpina. Prospero Balbo, quando era stato inviato a Parigi, aveva avuto come principale incarico di persuadere il governo della repubblica che nulla doveva temere dal Piemonte, mentre dannoso sarebbe stato il logorarne le forze con moti all’interno e con guerre all’esterno. Il nostro statista aveva agito con energia in mezzo ai mille ostacoli che gli op- 932 EUGENIO PASSAMONTI ponevano i diplomatici milanesi e genovesi. “ Je ne puis vous donner, scriveva al suo ministro il 14 luglio 1797, une idée des difficultés de tout genre que je rencontre ici dans les petites affaires, comme dans les grandes , (1). E, ciò non ostante, aveva continuato nel suo cammino difendendo il suo Principe e, con questo, proteggendo l’integrità del partito monarchice non solo in Italia, ma anche in Europa. Così giudicava il nostro scrit- tore e quanto fondamento avesse l’opinione sua tratteremo al- trove: a noi importa notare come egli facesse vieppiù risaltare il valore politico del Piemonte e la coerenza della politica se- guita dai suoi ultimi sovrani. Quale alleanza era la nostra, domandava il Balbo, se i Francesi ci opprimevano d'ogni parte? Fallito il tentativo delle rivoluzioni interne, la Francia aveva indotto la repubblica ligure a dichiararci la guerra e ci aveva impedito di continuare le ostilità quando potevamo far sentire la nostra potenza al pic- colo e turbolento vicino. Avremmo meritato un simile tratta- mento se la nostra condotta fosse stata di ossequio, di fedeltà, di devozione a Parigi? Il Piemonte, osservava il Balbo, non aveva mai nel corso delle trattative acconsentito ad occupare, come compensi. del- l'unione con la Repubblica francese, i territori conquistati al- l'impero: “ Au premier moment qu'on apprit è Paris la. prise de Mantoue Carnot et Letourneur offrirent positivement à l’am- bassadeur de S. M. cette place si importante et l’état qui en dépend avec la reserve de s’'entendre sur les pays à ceder pour rejoindre le Mantouais au Piémont. Une si brillante offerte qui aurait pu seduire un cabinet moins sage fut d’abord accueillie froidement et ensuite poliment refusée ,. Infatti il 12 marzo 1797 il Balbo riferiva al Priocca, che il Carnot gli aveva accennato, dopo molte circonlocuzioni, al possesso di quella fortezza. L'am- basciatore sardo aveva rifiutato presentando la ragione che l'acquisto di Mantova avrebbe fatto più male che bene agli Stati Sardi per l'estensione del territorio e la difficoltà della difesa. Il Balbo ben si valeva nel Memoriale di questo atto (1) Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Correspondance de P. Balbo avec monsieur de Prioccea, 1796-1798. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 933 perchè serviva a dimostrare come e quanto il Piemonte avesse provveduto all’integrità del territorio dell'impero. Come di Man- tova così di Massa e Carrara e dei feudi imperiali in Italia il nostro statista giovavasi al suo intento. Il 12 maggio 1797 il Balbo riferiva al Priocca sulla delicata questione della cessione di que’ dominii: “ Comme ces fiefs se réduisent è très peu de chose je ne juge pas è propos de faire aucune demande pour les obtenir, à moins que on ne fut prolongé de ce coté la ligne de frontière de fagon è empécher la Republique Cispadane è tenir aux deux mers ou du moins de couper la lisière pour con- server une comunication entre les états monarchiques d’Italie, ce qui ne laisserait pas d’étre assez important pour faciliter la stipulation d’un traité de garantie et de secours pour la sureté intérieure de ces états ,. Come aveva difeso la politica piemontese per quanto ri- guardava il preteso acquisto di Mantova, Massa e Carrara, dei feudi imperiali, così il Balbo sostenne e dimostrò vane le ac- cuse che il Piemonte avesse voluto impadronirsi della Lombardia. Era argomento difficile, perchè, in realtà, nella discussione dei termini generali dell’alleanza tanto il Delacroix che il Balbo, nel novembre del 1796, avevano accennato subito ai territori lombardi come di efficace compenso per gli Stati Sardi. Il 26 no- vembre 1796 l'ambasciatore spediva al Re un dispaccio cifrato pieno di allusioni ad un ampliamento del regno al di là del Ticino: il 17 dicembre 1796 il Balbo scriveva al Priocca che la Lombardia non sarebbe stata più restituita all'Austria, ma data al Piemonte: ii giorno dopo il Balbo inviava al Re un nuovo dispaccio nel quale riferiva un lungo colloquio avuto la sera prima con il Carnot intorno al diritto che il principe sardo aveva a preferenza di ogni altro sull’antico dominio imperiale. Il 23 di- cembre dello stesso anno l'ambasciatore piemontese in Parigi discuteva con il Priocca sulla opportunità di preferire a Torino Milano come capitale del nuovo Stato, sebbene fin d’allora mo- strasse già di disperare della vittoria, perchè il Direttorio sma- scherandosi lentamente aveva fatto capire che non avrebbe mai concesso un boccone tanto ghiotto ad una nazione così povera. La conseguenza fu che fin dal gennaio 1797 il Balbo aveva compreso essere tramontata ogni speranza di ottenere il terri- torio lombardo e di essere stato giocato abilmente dal governo 934 EUGENIO PASSAMONTI francese; onde troncò ogni ulteriore trattativa per questo ed altri eventuali compensi, che sarebbero sempre rimasti allo stato ipotetico e mai effettivamente concessi. Il breve corso di giorni, in cui erasi discussa la possibilità di acquistare la Lom- bardia, e la condotta del Piemonte di un costante rifiuto offri- vano al Balbo mezzo di difendere il suo sovrano dall'accusa lanciatagli dal Thugut di avere mirato ad illeciti acquisti. Se in un articolo segreto dell’alleanza si parlava di compensi, * quel cas, esclamava il nostro statista, pouvait-on faire d'une telle espèce d’engagement de la part du Directoire et comment pou- vait-on ésperer qu'il détachait une portion de la Cisalpine pour en faire cadeau è Sa Majesté? , Il Balbo, compiuta la prima parte della sua opera, si ac- cinse alla seconda. Lo spirito acuto, che aveva manifestato nel dare ai fatti una interpretazione tale, che non solo il Piemonte uscisse purgato dalle macchie di tradimento e di fellonia, ma da rappresentarlo quale vittima della mala politica austriaca, gli suggerì ora un fierissimo attacco contro il governo di Vienna, tanto più facile in quanto non doveva destreggiarsi fra gli osta- coli oppostigli da una condotta ambigua. Lo spirito pubblico degli Stati Sardi, osservava il nostro diplomatico, se aveva subìto, come il suo Re, l'occupazione francese, non era venuto mai meno alla fedeltà monarchica ed al principio legittimista. Infatti i rivoluzionari, che avevano agitato le terre sabaude, erano una minoranza assai esigua di fronte all'intera popolazione: le idee del 1789 non erano con- cepite dalla massa o concepite male. Il Piemonte era stato go- vernato negli ultimi anni del secolo XVIII da un regime di riforme sapientemente iniziate dal Bogino e si sentiva per tradizione e per convinzione legato alla casa regnante. Le statistiche, che il Ginguené nel tempo della sua legazione in Torino inviava al Direttorio, provavano essere sì pochi gli ade- renti alle nuove dottrine sociali da riconoscere egli implicità- mente la necessità di ricorrere ad ogni mezzo lecito ed illecito per riuscire nel suo intento (1). Mancando una coscienza poli- (1) Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia Patria, anno 1798. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 935 tica nazionale, era in Piemonte una forte coscienza regionale: quivi lo stato era penetrato nel sentimento popolare e vi tro- vava il suo fondamento più saldo. Il Balbo si servì di questa condizione generale degli animi per persuaderè come fosse vano il pretesto dell’occupazione au- striaca di mantenere puri gli Stati Sardi dal contagio repub- blicano. L’animo della massa si era manifestato dopo il 9 di- cembre 1798: una lotta fierissima era scoppiata fra gli invasori e la nazione tutta che si era ribellata alla prepotenza del Di- rettorio per ragioni di sentimento, di interesse, di onore. Le insurrezioni, scriveva il Balbo nel suo Memoriale, che i Fran- cesì non erano mai riusciti negli anni precedenti a far scoppiare fra noi contro la monarchia, sorsero ora possenti, e, compresse in un luogo, rinacquero in un altro con un’alternativa sangui- nosa di repressioni e di sangue. Il facile ingresso delle armi austriache si era dovuto all’aiuto che le avevano dato le popo- lazioni del Piemonte. “ Il faut avoir été temoin de l’entrée de ces troupes liberatrices, scriveva il Balbo, pour peindre la ma- nière dont elles furent regues; il faut comparer cet accueil avec celui qu'on avait fait aux Frangais pour juger cette nation indi- gnement calomniée ,. Ed, approfittando dell’occasione, il nostro statista ricordava l’eroismo dei popolani torinesi nell’assedio della cittadella della capitale per dimostrare con nuova prova come questa gente fosse capace di difendere sè stessa ed i propri diritti. Ed ora, che il Piemonte aveva riacquistato la sua indi- pendenza, ora che poteva compiere la sua rigenerazione dive- nendo efficace collaboratore delle potenze coalizzate, ora, notava il Balbo, era impedito nell'opera propria. Questo disgraziato paese, esclamava l’antico ambasciatore, stanco di cinque cam- pagne che gli sono costate 200 milioni, non può approfittare neppure di un armistizio per cicatrizzare le sue ferite. Già pro- strato dalla lotta contro i Francesi, dalla dimora di queste truppe negli ultimi tempi del principato esso è stato ridotto all’assoluta indigenza dall’avidità dei generali gallici. Con la vio- lenza e con il terrore questi hanno trovato il modo di succhiare il poco denaro che era rimasto nella nostra terra (1). (1) Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia Patria, anni 1790 1800. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX., 62 936 EUGENIO PASSAMONTI Il Balbo aveva ragione: le nuove dottrine di umanità, di libertà erano state vendute a peso d’oro. Il 10 dicembre 1798 il generale Joubert aveva imposto una taglia di 2.000.000 sugli abitanti più riechi di Torino ed il 13 dello stesso mese aveva chiesto al governo piemontese il pronto versamento di 500.000 lire. Dal dicembre del 1798 al febbraio del 1799 il Piemonte aveva pagato a’ suoi liberatori dal servaggio monarchico più di dieci milioni senza contare le requisizioni ai Comuni di vettovaglie e foraggio. I beni delle corporazioni lombarde situati negli Stati Sardi, in difesa dei quali il Balbo si era tanto adoperato nella sua ambasceria, avevano dato al Direttorio altri cinque milioni. Il 27 gennaio 1799 il governo di Parigi aveva decretato che i beni mobili ed immobili della corona passassero in proprietà della nazione francese e ne aveva ordinato la vendita. Con il pretesto di coprire il deficit lasciato dalla amministrazione reale i repubblicani avevano ridotto di un terzo il valore della carta moneta; e sul clero e sulla nobiltà erano cadute in massima parte le gravezze del nuovo governo (1). In questa condizione, continuava il Balbo, le potenze li- beratrici hanno trovato gli Stati Sardi: eppure il governo ha avuto tanta vitalità da dare alle truppe austro-russe ogni specie di soccorso per il valore di dieci milioni. Ma questa nostra generosità è stata mal ricompensata, chè siamo stati sottoposti a nuove ed aspre gravezze. Abbiamo raccolto appena i tre quinti del frumento necessario al nostro paese: gli altri cereali sono stati in proporzione deficientissimi: eppure abbiamo dato alle milizie dei due imperii 4.300.000 doppie razioni di pane. Abbiamo speso per le forniture agli alleati 8.496.147. I Comuni hanno contribuito fino a quest'epoca per il valore di venti milioni: che uniti alle somme versate per le artiglierie e le munizioni salgono a più di trenta (2). Nessuna dimostrazione più convincente il Balbo poteva tro- vare per la sua tesi, quanto quella fredda enumerazione di cifre. Se per difendere il Piemonte dalla politica tenuta con la Francia (1) Braxcni, op. cit., III, p. 17 passim. (2) Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia Patria, anni 1790-1800. UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 937 aveva dovuto ricorrere ad artifizi di concetto e di forma, ora non aveva bisogno di altro che dell'esposizione nuda e cruda delle condizioni finanziarie del suo paese. Le rendite dello stato, ordinarie e straordinarie, osservava il nostro statista, sommano a 19 milioni, dei quali più di un terzo è assorbito dal debito pubblico: le spese di amministra- zione e di giustizia non lasciano all’esercito che 11.300.000: e può questa esigua somma, domandava il Balbo, bastare alle esigenze degli austro-russi e mantenere i 30.000 uomini di mi- lizia piemontese che il Melas esige dal nostro Re? Nè si riflette che noi non possiamo servirci di quelle somme, le quali sono il prodotto del paese in condizioni normali: troppo chiaro ad ognuno è la prostrazione, nella quale giace ora il Piemonte, e giacerà per qualche anno ancora, dopo la distruzione che vi hanno portato i Francesi. Senza danaro, senza vitto la nostra terra, concludeva il Balbo, non può offrire nessun vantaggio: gli Austriaci stessi dovranno andarsene se non vorranno morire di fame (1). Venendo direttamente, dopo queste dolorose premesse, al suo assunto, l'antico ambasciatore lamentava che i sistemi am- ministrativi impiantati negli Stati Sardi dall'Austria tendessero alla completa rovinà di questa regione italiana. Cercava il Balbo di far risaltare le singole disposizioni come ispirate a malva- gità, non al desiderio del generale benessere. Egli ricordava che la gabella del sale era stata tolta alle casse del Piemonte. Ob- bedendo ad una grande prudenza non accusava nessuno di questo atto arbitrario, ma ne parlava con la fredda maniera dell’uomo di stato che, ponendosi al disopra delle ire di parte, osserva il pro ed il contro della questione. L’avere impedito uno dei cespiti più fecondi per la monarchia sabauda era cosa che nessuno perdonava al governo di Vienna: il Balbo, facen- dosi eco della riprovazione generale, citava questo fatto, piccolo in sè, alle potenze coalizzate, perchè, intendendo esse i sistemi repressivi dell'Austria, vi avessero posto immediatamente ri- medio. E come il sale così il tabacco, notava il nostro statista, (1) Archivio di Stato di Torino — Collezione Balbo — Documenti per servire alla Storia Patria, anni 1790-1800. 938 EUGENIO PASSAMONTI era sottratto alle dogane piemontesi non da aperti impedimenti, ma dal contrabbando favorito da agenti austriaci. “ Les douanes, egli esclamava, les droits de traite, l’impòt sur le vin, celui sur la viande et les autres de ce genre ne rendent pas davantage par la stagnation du commerce, par la devastation de l’ennemi et par la contrebande que les agens autrichiens favorisent tous les jours ,. Più chiaro di così non si poteva parlare: lasciato da parte ogni ritegno il Balbo svelava alle potenze europee le magagne e le prepotenze dell'Austria. Prospero Balbo, a un tale quadro desolante, faceva seguire una visione di consolazione: “ Un peu de repos et une bonne administration suffiront è retablir les finances: mais il ne faut que le mal empire, il ne faut pas qu'il se prolonge. Il est de l’intérét de l'Europe que le Piémont conserve sa force: sans cela plus de barrière entre la France et l’Italie: il faut aux Alpes une défense locale qui ne consiste pas seulement dans les places et dans les armées, mais dans le courage et dans la fidelité des habitans, dans le système suivi d’un gouvernement dont l’éxistence est liée à sa position. Une ancienne et recente expé- rience a demontré de nouveau ce que nous apprenait l’histoire ; depuis Hannibal jusqu'à Charles VIII et depuis ce Roi de France jusqu'à Bonaparte le vainqueur du Piémont a pu devenir le conquerant de l’Italie. Il est donc nécessaire que toutes ses parties concourent è la défense commune... Le Piémont fatigué par huit ans de malheurs s’est devoué sans réserve... il doit en récevoir la recompense: il ne doit au moins porter la peine de son généreux dévouement , Il Balbo terminava così l’opera sua. Egli aveva parlato come gli avevano dettato la consapevolezza piena della neces- sità del momento e la profonda conoscenza dell’ ambiente. Era riuscito nell'intento propostosi? Se egli non avesse do- vuto affrontare le prepotenze austriache radicate sulla vio- lenza, e se avesse potuto esporre il suo Memoriale di fronte ad un consesso di giudici, avrebbe ottenuto la vittoria. Ogni luogo della cavillosa argomentazione del Thugut era stato ri- battuto dalla sottile diplomatica diatriba del Balbo. Egli aveva distrutto l'accusa, che il ministro degli esteri austriaco aveva formulato contro il Piemonte, dalla pretesa unione con la Francia alla fedeltà all'impero di Vienna; ed aveva anche, in UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 939 termini sobrii, ma non meno efficaci, dimostrato il danno che, agli Stati Sardi ed all'Italia, cagionava l'occupazione austriaca : associando il Piemonte all'intera penisola egli compiva opera di patriottismo, nuova in quei tempi, ma non meno nobile e bella. Era però destinato, che la fatica del Balbo dovesse rima- nere senza effetto alcuno: nè è da stupirsene quando siano con- siderati quei tempi nei quali solo il più forte aveva ragione. Le potenze coalizzate avevano ben altro da fare che occuparsi se- riamente del piccolo Piemonte; e l’Austria non si sarebbe lasciata commuovere da alcuno. Nè il nostro statista potè neppure in patria conseguire, almeno in parte, quello che bramava; la storia del 1800 ci dice a quale rovina andassero incontro gli Stati Sardi (1). In ogni modo rimaneva sempre al Balbo la soddi- sfazione intima di chi ha compiuto un’opera buona. Nel Me- moriale, del quale abbiamo parlato, alitava un sentimento vi- vissimo di italianità, che, quantunque, allora, solo virtù di pochi, dimostrava come nor fosse mai spento nelle anime italiche il grande principio della indipendenza e della nazionalità: prime ed incerte luci del nostro risorgimento. MEMOIRE sur la situation actuelle du Piémont et sur les événements qui 1’ ont précédé. Il est nécessalre, il est méme très urgent que toutes les Puissances coalisées soient instruites de la situation actuelle du Piémont, pays si intéressant par sa position, dont le sort a toujours décidé de celui de l’Italie, quelquefois des destinées de l’Europe. Il est peut étre indispensable de remonter à des fait dont l’époque n'est pas très eloignée, mais dont le souvenir presque effacé par la ra- (1) Branca, op. cit., III, p. 362 passim. 040 EUGENIO PASSAMONTI pidité des événements est encore obscuré à dessin par la profonde mé- chanceté des ennemis communs. Leur perfidie astucieuse et savante n'a que trop réussi è présenter sous un faux jour la conduite la plus simple, les démarches dictées par la plus imperieuse nécessité. Mais faut-il encore en revenir à l’apologie du Roi défunt, ou au Roi régent ? Nous ne croyons pas craindre d’aborder cette question, qui n’en est pas une pour tout observateur impartial et éclairé. Quel est le prince qui se soit dévoué à la cause générale plus de bonne foi, de zèle, d’abandon que Vietor Amédé ? La politique de ses prédécesseurs avait toujours été de s’offrir ou du moins de se faire prier des deux cotés. Le roi Victor a vu de bonne heure que cette guerre ne ressemblait pas aux autres. Il a donné, lui le premier, l’exemple, trop peu suivi, d’arréter è la frontière et de ren- voyer sur le champ un ambassadeur frangais. Malgré l’éclat de l’affaire de Semonville un autre négociateur fut expedié de Paris. Audibert Caille se tint plusieurs mois près de nos limites; jamais il ne peut les franchir. La guerre éclate. Autrefois l’Autriche achetait du Piémont la défense de la Lombardie, pour la cession de. quelque lisière. Le cas était différent: le Roi de Sardaigne, pour défendre l’Italie entière ne fait pas la moindre demande. Il prend presqu’è la solde quelques bataillons entretiens, garnison ordinaire du Milanais. Le faible secours arrive trop tard et les troupes qui le composent, separées depuis longtemps de l’armée imperiale, ne se montrent pas dignes de lui ap- partenir. Les premiers revers des armées piémontaises avaient eu la méme cause: malgré l’esprit militaire du Roi, une paix de 45 ans avait, pour ainsi dire, fait oublier le métier de la guerre. Ce ne fut pas ce- pendant la faute des soldats, ou des officiers, mais celle de quelques chefs qui fit perdre la Savoie et le comté de Nice. Mais loin de s’abattre l'homme national se réyeille ou se ressouvient de notre ancienne gloire : un général habile est mis à la téte de l’armée. Les princes vont l’animer par leur présence, la défensive se soutient, on reprend l’offensive, on rentre dans le comté de Nice. Quelques bataillons de plus et on allait aux bords de la mer et la porte de l’Italie était à jamais fermée à ses éternels ennemis. Des généraux autrichiens arrivent, nos troupes sont mises à leur disposition. Elles sontiennent constamment leur reputation qu'elles avaient regagnée, l'exemple d’Assiette se renouvelle an col de Rauss et une armée francaise vient se fondre anx pieds de nos retran- chements. Inutiles efforts. La prétendue neutralité des Génois ouvrit è l'ennemi l’entreé de l’Italie. Pour un respect mal entendu pour cette republique la ligne im- pénetrable de nos postes ne fut pas poussée jusqu’àè Ventimille, elle fut tournée sur ce point comme on devait s'y attendre et Saorgio tomba. £ egg e e a ‘0 UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 94] Il y eut un temps où l’intérieur de la France et surtout l’état des départements qui nous avoisinent, donnait è la coalition les plus belles espérances qu'elle ait jamais eues avant ou après cette époque ; si l’on eùt soùtena Lyon, si l’on eùt défendu Toulon, la cause était décidée. La France hérissée de deux lignes de place sur la frontière des Pays Bas et de l’Allemagne, ne présentait de notre còté, aucun moyen de résistence. Dans cette occasion, comme dans les autres, le Roi de Sar- daigne ne manqua pas à son dévoir. Il encourage les Lyonnais: pour les secourir il tente une expédition en Savoie, que la faiblesse des moyens fit seule échouer. Nul doute qu’elle n’eut réussie, si le Roi eùt eu la disponibilité de ses troupes. Nul doute aussi que Toulon n’eùt été soutenu, si on eùt pu y envoyer des forces. Le petit corps d’élite que le Roi y fit passer, se couvrit d’honneur et emporta les suffrages des nations alliées. Pour la chùte de cette place, il fallut prendre la défensive de l’Italie sur les frontières de (énes. La cour de Vienne envoya des forces considérables; mais pour une malheureuse fatalité, la brillante armée du Général Devins après des succès importants fut réduite pen- dant six mois à une entière inactivité. L’'armée piémontaise ne fut occupée qu'à la défense des pas- sages des Alpes: on ne voulut pas aller è Nice, ou du moins è Ventimille, on ne voulut pas s’assurer de Savone et la fin de la campagne de 1795 fit perdre les avantages qu’on avait gagnés au com- mencement. On prévit dès lors les malheurs de la campagne suivante: une ligne trop étendue de Coni à Tortone ne présentait plus qu’un cordon et pouvait étre trop aisément enfoneée. La cour de Vienne envoya plu- sieurs corps de ses excellentes troupes avec un général qui jouissait d'une grande réputation. Le Roi de Sardaigne de son còté secondait de tous ses moyens les efforts de l’Empereur; son armée, toujours com- mandée par des généraux Autrichiens, fut mise sous les ordres immé- diats du Général Beaulien: mais celui-ci trompé par une maneuvre habile de Bonaparte se porta sur la gauche et rompit la ligne. Les Frangais en profitèrent et après plusieurs jours de combats sanglants, ils pénétrèrent dans le Piémont et se portèrent rapidement sous Qué- rasque à quelques lieues de la capitale. Les deux armées Piémontaise et Autrichienne étaient également en déroute et entièrement séparées l’une de l’autre. Cette malheureuse séparation des armées produit né- cessairement une séparation d’intéréts. Le Roi fut contraint à s’oecuper avant tout du salut de son peuple. Il fit auparavant une dernière ten- tative auprès de Beaulieu. Ce geénéral à la vérité se préta, mais trop tard au plan de campagne qu’un habile tacticien piémontais, M” de Silva 942 EUGENIO PASSAMONTI était allé lui proposer. S'il eùt envoyé d’avance ce plan de defensive dietée par les circonstances et connu des militaires instruits du pays, si an lieu de se retirer et de se retenir dans une position inutile il eùt pu anparavant, ou s’'il eùt voulu marcher vers Turin, rien n’était perdu, et le Roi n’était plus dans le cas de négocier l’amnistie, quand méme il l’aurait souhaité, ce qui certainement n’était pas. Dans ces entrefaits l'éevacuation de Quérasque laissait la capitale è découvert et cette éva- cuation avait était décidée par le général autrichien qui commandait nos troupes. C'est lui qui fit les premières ouvertures d'une suspension d'armée, c'est lui qui donna les pouvoirs et les instructions aux mili- taires chargés de la négocier, il leur permit de livrer s’'il le fallait comme prisonniers de guerre, jusqu'aux régiments autrichiens qui ser- vaient sous ces ordres et ce ne fut que sur les remontrances des of- ficiers Piémontais, qu'il fit courir après eux pour retracter cette faci- lité; an contraire le premier soin du Roi, sa plus grande sollicitude fut de garantir la retraite des Imperiaux et ses intentions à cet égard, furent exactement suivies. Cex malheurenx armistice amena nécessai rement une paix plus malheureuse encore. A-t-elle besoin d’exeuse? la dureté des conditions en fait elle meme l’apologie. Ce n’est pas lorsqu’on est reduit à prendre la loi de vainqueur qu’on peut étre accusé de dé- fection. La Prusse et l’Espagne avaient fait leur paix: celle-ci avait stipulé sa médiation en faveur de S. M. Le roi ne l’avait pas acceptée. Il avait regu des frangais, à plusieurs reprises, des propositions avan- tageuses. Quel usage en avait-il fait? il les avait communiquées an ca- binet de Vienne. Aucune vue ambitieuse, aucune arrière pensée n’avait souillé la pureté de ses motits. Il avait refusé les offres d’un agrandis- sement en France; il refusa bien plus nettement les proposition, du Di- rectoire qui voulait lui donner la Lombardie. Une colonne de troupes Piémontaises et la Lombardie est à vous. Jl fut le propos du Président Carnot è nos plénipotentiaires. Les ordres du Roi leur liaient les mains: tout, hormis l’alliance: telles étaient leur instructions. Mais cet acte auquel il répugnait si fort, cet acte illégitime pour acquérir dévenait nécessaire pour le conserver. Le Piémont était à la merci entière des Frangais: la politique du cabinet ne pouvait étre que de temporiser de céder le plus tard et le moins possible, mais de céder toujours puisque on n’avait plus moyen intérieur de résister et qu'on était complètement isolé de tout appui extérieur. Le nouveau Roi répugnait à l'Alliance autant et plus que son Père, ses sentiments et ses prineipes sont bien connus. On sait méme les oppositions qu'il avait faites è la ratification de la paix et la signature de l’Alliance fut sans doute le plus grand de tous les sacrifices qu'il fit pour la tranquillité de ses états. Les Francais travaillaient depuis longtemps pour se ménager le prétexte d’une revo- UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 943 lution: jamais ils ne puret parvenir; ils mirent en avant les démago- gues Génois, ennemis implacables du repos de lenrs voisins. Les Génois furent battus malgré tous les secours des Frangais, malgré toutes les entraves que ceux-ci mettaient au plus petit déployement de force de la part du gouvernement piémontais; mais la conclusion de l’alliance et surtout la négociation précédente avait fait gagner du temps et avait empéché les Frangais de se démasquer plutòt. C’est tout ce qu'on en pouvait espérer, et sous ce rapport la politique du Cabinet de Turin avait été très utile à l'’empereur; car si le Piémont eùt été révolutio- naire avant la paix de l’Autriche un tel surcroit de moyens dans le premier moment de leur exploitation aurait rendu cette paix bien plus difficile, ou moins avantageuse. Il est bon qu’on sache qu’au premier moment qu’on apprit è Paris la prise de Mantoue, Carnot et Letour- neur offrirent positivement à l’Ambassadeur de S. M. cette place sì im- portante et tout l’Etat qui en dépend avec la reserve de s’entendre sur les pays è céder pour rejoindre le Mantouais au Piémont. Une offre si brillante qu’aurait pu seduire un cabinet moins sage, fut d’abord ac- cueillie froidement et ensuite poliment refusée. On avait de méme laissé tomber d’autres propositions, celles par exemple des fiefs impériaux et du Duché de Massa et Carrara. C’est pour une telle conduite que la négociation de l’Alliance tut tramée jusqu'au moment où elle ne pouvait plus qu’etre utile à la sùrete du Roi sans étre nuisible aux intéréts de l’Empereur. Aussi les préliminaires de Leoben furent signés à peu près à la méme époque du traité de Turin et c'est pour une marche ana- logue que la ratification de l’alliance ne fut aucunement sollicitée qu’au moment où l’Autriche allait conclure sa paix définitive: en effet la nouvelle du traité de Campoformio avait sanctionné l’alliance avec le Roi de Sardaigne. Il est positif que ce traité d’alliance ne contenait aucun article secret. Parmi les articles publiés il y en a un qui annonce très vaguement des avantages que la France voulait faire espérer au Roi à l’occasion de la paix générale, mais quel cas pouvait-on faire d’une telle espèce d’enga- gement de la part du Directoire et comment pouvait-on esperer qu'il détachat une portion de la Cisalpine pour en faire cadeau è S. M.? Il est donc bien demontré que ce n’est pas l’ambition de s’agrandir mais le besoin de sa propre conservation qui a décidé au Roi cette Alliance et par conséquent qu'on ne peut pas la lui reprocher sans la plus grande injustice. C’est par ce moyen qu'on traîna une pénible existence dans tout l’intervalle qui s’écoula entre la paix de l'Autriche et la rup- ture de Naples. Pour principe et pour nécessité le Roi se gardait bien de donner aux Frangais tout puissants chez lui le moindre sujet de mécontentement: il remplissait méme avec exactitude les engagements ate — ea 944 EUGENIO PASSAMONTI que la foree lui avait fait contracter, mais il ne pouvait s'empécher de soupirer après un autre ordre de choses. Il était possible qu'on prit le change sur les veritables sentiments du Roi et de ses conseils, on n’aurait qu’à lire le mémoire qu'un des ministres de S. M. dans le charger lui fit passer au mois d’oetobre 1798 et qui se trouva parfaitement d’accord avec sa manière de voir et d'agir. La tragédie approchait de son terme, les hostilités commencées par le Roi de Naples en accélérèrent le dénoument. Dans ces pénibles moments, pour sauver les jours de la famille royale et conserver l’espé- rance de l’avenir, il fallait exiger des troupes une dernière preuve de dévoument, la plus pénible sans doute qu'on put demander à des fidèles sujets. A quelques exceptions près le pays entier a été témoin des regrets de ces braves soldats. Sans doute ils ne pouvaient renoncer à leur bravoure lorsqu’ils furent forcés de se battre pour une cause dé- testée, mais dès qu'ils en trouvèrent l’occasion, le plus grand nombre se hata de quitter les drapeaux des ennemis de leur Roi. La masse de la Nation (quelques centaines de jacobins ou quelques milliers de laàehes ne composent pas une nation) les paysans surtout déployèrent généra- lement la méme énergie contre un régime absourd. Les insurreetions que jamais les Frangais n’avaient pu parvenir è organiser contre l’ancien gouvernement, éclatèrent partout dès que la spoliation la plus inique fut proclamée comme une plausible révolution. Comprimées dans un endroit, ces insurrections renaissaient dans un autre. De la province d'Asti elles passèrent dans le haut Monferrat, d’un còté le dénouement de tout secours, de l’autre les seductions et les fusillades n’empé@chaient pas ce mouvement. Mais lorsque une lueur d'espérance annonga de loin l’aurore d’un plus bean jour, e’est alors que des peuplades entières cou- rurent aux armes. C'est ainsi qu'un partisan hardi le Major autrichien Borda Lucumi parcourant les villages avec 25 hussards fait lever tout le Canavais, vient jusqu'aux portes de Turin, force l’ennemi à s'’enfermer dans la ville lui coupe de ce coté toutes. les comunications, construit des ponts sur plusieurs rivières et fraye le chemin aux armées vieto- rieuses. Mais les habitants du Canavais ne s'en tiennent pas à ces conrses et è ses travaux. Aidés par une partie du régiment de la Province ils emportent le chatean d'Ivrée et le fort important de Bard qui ferme la Vallée d'Aoste. Les environs de Carmagnola s’insurgent dans le méme temps trop tot pour eux, un riche fanbourg de cette ville est pillé, in- cendié, rasé par les Frangais. La province de Mondovi devient le théatre d'une guerre sanglante, les braves habitants sont joint par le régiment de Belly, après bien de revers leur constance est encouronnée par le succès, ils mettent le siège à la place de Cève très essentiel position et, eux seuls sans le moindre secours, sans l’appui d’aucun corps de troupes: UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 945 ils la forcent à capituler. En attendant les armées victorieuses avangaient sur Turin, è leur approche les portes leur furent ouvertes de force par la milice et les habitants, malgré la rage des Frangais qui s’en ven- gèrent d’une manière atroce en cannonant et bombardant la ville, de la citadelle où ils s’étaient retirés. Il faut avoir été témoin de l’entrée de ces troupes libératrices pour peindre la manière dont elles furent regues: il faut comparer cet acueil avec celui qu’on avait fait aux Frangais pour juger cette nation indignement calomniée. Déjà une partie du ré- giment de la Province avait rejoint l’armée et était entrée avec elle dans la ville: on établit tout de suite un dépòt pour rassembler les officiers et soldats des differentes corps au service du Roi: et dans peu de jours on fut dans le cas d’envoyer de forts détachements aux postes avancés, outre le contingent qu'on faudrait pour le service de la ville (1). On allait commencer le siège de la citadelle, on demanda des ma- telats pour ouvrir la tranchée, dans quelques heures on en eut une si grande quantité que les Autrichiens en marquèrent leur étonnement et leur satisfaction. Le corps royal d’artillerie fut employé à ce siège et y servit avec une telle distinction qu'il s’attira les plus grands éloges du général en chef et des autres généraux: il soutient cette réputation par d’écla- tants services aux sièges de la citadelle d’Alexandrie, de Tortone et de Coni. Les excellents tireurs, employés dans ces occasions furent aussi très utiles: les assiégés n’osaient plus paraître sur les remparts. Les cava- liers et les dragons, faute de chevaux, ont marché à pieds et ont fait d’une manière très honorable le sgrvice des postes avancés. Tous les ré- giments provengaux ont pris les armes: celui de Pignerol s’est battu souvent soit contre les Frangais, soit contre les Vaudois leurs partisans. Mondovi a été plusieurs fois aux prises avec l’ennemi: Suse s’est trouvé aussi aux différentes affaires qu'il y a eu dans cette ville: Acqui a re- poussé l’ennemi toutes les fois qu'il s'est présenté. De détachements tirés de la totalité des régiments provincaux la force de 954 hommes ont servi dans la vallée d’Aosta è Suse è Pignerol et autres endroits. Les autres détachements près du dépòt de Turin ont été portés depuis à 3844 hommes. On a de plus formé en grande partie sur ce dépòt les corps autrichiens de Brentano et de Bonacossi. (1) A Suse 1157 hommes — a Mondovì 218 — a Salux 216 — aux environs de Coni 108 — a Pynérol 228 — 1927, portés è 3844 — Autres tièrs des régiments provencaux 934 — 4778 — outre l’artillerie, les ca- valiers et les dragons et les compagnies légères. 946 RUGENIO PASSAMONTI Il faut aussi porter en compte les deux compagnies légères au service du Roi St. Ambroise et Saissi qui dans differentes affaires ont donné des preuves éclatantes de leur bravoure et de leur zèle pour la cause commune. Ce n’est pas seulement en Piémont que cette cause sacrée était si bien servie par les débris de nos troupes. Celles qui se trouvaient a Li- vourne aidèrent puissamment à chasser les Frangais de cette partie de la Toscane et de toute la còte. Joints aux habitants de Volterra et des Maremmes ils attaquèrent et prirent l’une après l’autre les tours du litoral, dont quelques unes sont bien fortifiées. Les Aretins avaient aussi une petite légion Piémontaise qui se trouva aux sièges de Perugia et de Civita Castellana et passa ensuite à celui d’Ancone. Enfin on peut dire que depuis la proclamation de Souwarow les troupes et les habitants du Piémont n’ont cessé de concourir au grand bùt de la délivrance de leur pays et de toute l’Italie. Anssi les généraux leur ont toujours rendu des témoignages publics de leur satisfaction. Dernièrement encore sur l’invitation du Général Melas et du gouver- nement Piémontais plusieurs milliers de volontaires se sont portés aux siéges de Coni. Ce n’est pas seulement dans cette occasion, mais dans toutes les autres que notre gouvernement dès qu’il a existé, a cherché tous les moyens pour conserver l’esprit national et le diriger à l’appui des ar- mées victorieuses. Il s'est haté de proposer une nouvelle formation de l’armée Piémontaise moyennant laquelle il se flattait de fournir bientòt 8 o 10 mille hommes de bonnes troupes sans y comprendre les Pro- vencaux. Il avait encore è cette époque des ressources pour les solder quil n'a plus à présent. La nécessité de cette opération È é6t6 sentie par les Autrichiens: ils demandent maintenant 25 ou 30 mille hommes qu'il sera difficile de trouver, plus difficile encore et pour mieux dire impossible d’entretenir dans l'état actuel de finances. Cependant le Roi s’est prété à tout et le gouvernement qu'il a établi s'est décidé à toucher au dernier terme de toute possibilité è employer constamment tout les moyens pécuniaires en faveur de la cause commune, à ne cesser enfin les fournitures énormes qu'il fait tous les jours que lorsque tous les moyens cesseront. Mais ce triste avenir ne se présente pas dans le lointain, il est malheureusement très proche, il faut avant qu'il arrive s’entendre de bonne foi et trouver d’accord d’autres moyens à la place de ceux qui vont étre. Ce malheureux pays, fatigué par cinq campagnes désastreuses qui avaient compté aux finances près de 200 millions, ne. put profiter pour cicatriser les playes d'une paix mensongère qui dans le fond n’était pas méme nn armistice véritable. Les cireonstances avaient forcé à mul- tiplier le papier monnaie au délà de toutes limites. Il perdait les deux UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 947 tiers de sa valeur nominale. Les réformes, les impòts, les ventes des biens, ne purent remedier au mal qui alla toujours en croissant. Il restait encore des ressources au pays. Les Frangais les épuisèrent entiè- rement. Par la violence et la terreur ils trouvèrent le secret de pomper le peu d’argent qui était enfoui et ne laissèrent qu'un papier discrédité. C'est dans cet état de dénouement total que les armées libératrices trouvèrent le Piémont. Cependant tel fut le zele du Gouvernement et de la Nation, qu'on donna toute espèce de secours à ces braves troupes et qu'on se chargea presque en totalité de leur entretien. Il existait heureusement des magazins militaires que les Frangais avaient trouvé après eux en Lombardie où s’etaient reservés. Tls tombèrent comme de raison en pouvoir de nos libérateurs. Ces magazins qui étaient dans le fond une propriété piémontaise sont évalués à la somme d’un million. Une bonne récolte aurait donné les moyens de fournir encore pendant quelques mois aux besoins des armées, mais notre bonheur devait étre mélé d’amertume et d’embarras de toute espèce. Nous avons & peine recueilli le */, de froment nécessaire è notye consommation (on entend que la consommation ordinaire du Piémont en pur froment est au moins de deux millions de sacs. La récolte a été de 1.800.000). Les autres bleds n’ont pas été plus abondants et néammoins nous avons déjà fourni aux armée plus de 4.300.000 rations doubles de pain. Les autres denrées ont été livrées en proportion et le total des fournitures faites par le bureau de la solde soit commissariat général de guerre, jusqu'’au 30 novembre monte à la somme de L. 7.452.822. Il faut ajouter l’argent que les frangais ont directement déboursé pour le méme objet ont fait passer dans les provinces pour les moyens de quit- tance et rescription ; il monte è 1.023.625. Total de fournitures faites par le gouvernement jusqu'au 30 novembre L. 8.496.147. On ne peut pas évaluer au juste le montant de fournitures faites à l’armée par les administrations locales; mais par des calculs d’approximation, fondés sur des bases assez solides, on peut assurer que la valeur des denrées four- nies par les commissaires, en bleds, avoine, foin, paille, bois de chauf- fage, vin, viande, riz, se en y ajoutant les voitures et transport sur- passe 20.000.000. On peut en juger par le tableau des depenses et fournitures faites par la seule ville de Turin et son territoire qui n’a pas été, à beaucoup près le plus sujet au passage et séjours des armées et dont le total monte à L. 3.055.516. Total de fournitures faites aux armées par le gouvernement et par le pays 8.476.147. Il faut ajouter les dépenses faites pour le bureau d’artillerie, pour le service de l’armée 542.078. Pour les ouvrages de fortification 806.008. L’approvisionne- ment de places en munitions de bouche, fait sur pareille demande par le bureau général de la solde 725.404. wa SA 948 EUGENIO PASSAMONTI Dépense totale de la campagne aux frais du Piémont du mois de mai au mois de novembre 30.549.530. Il s'agit maintenant de démontrer, ce qui n'est que trop facile, que les ressources de l’état ne peuvent plus suftire à la continuation de ces dépenses. Le revenu net des finances y compris les impòts extraordi- naires ne va pas à 19 millions. Les intéréts de la dette publique sur- passent trois millions et demi. Il ne reste disponible que 15.300.000. Les frais de justice et de administration les appointements qui sont tous très modiques et toutes les autres dépenses indispensables montent à la somme de 4.000.000. Il ne reste que 11.300.000 à destiner aux objets militaires. Sur cette somme il faut entrétenir les places, l’arsenal, les maga- zins, les invalides et les autres débris d’une armée qui a fait la guerre. Qu'on juge du fond qu’on peut employer à l’entrétien d’une armée active. Tel serait l’état des finances si elles pouvaient compter sur leurs revenus et si elles n’étaient pas gravées d’énormes dépenses extraor- dinaires. Mais ce que personne n’aura peine è croire c'est que les revenus de l’armée ont été mangés d’avance par les Frangais et par quelques uns de leurs agents fort habiles dans ce genre d’opération. Ce qu’il faut de plus remarquer, c'est que les provinces harassées par le passage et le séjour des armées par les réquisitions de toute espèce etepar le sureroit des dépenses locales que cet étàt de choses entraîne nécessairement bien loin, les caisses royales ne font que dé- mander des secours. Partout on est menacé d’une horrible famine et tandis que les pe- tits grains propres à la nourriture des hommes tel que le bled de Turquie et le seigle sont consommés par les chevaux par une funeste inversion il y a des peuplades reduites à se nourrir d’avoine. Méme dans le temps tranquille l’effroyante disette dont nous avons parlé auparavant tari toutes les ressources, épuisé tous les moyens le terrible fléan n’est pas seul à ajouter aux malheur de la guerre. Dans un tel pays que le nòtre où toute la culture se fait pour les bétes è cornes, une épizoozie affreuse portée de la Hongrie attaque depuis cinq ans la souree de la reproduction et ne cesse de ruiner les seuls fonda- ments de la richesse réelle de l’Etat. Mais voici le dernier trait de cet affligeant tableau. La presque to- talité de nos provinces a été assiégée par l’ennemi. Le haut Novara:s, le Duché d'Aoste, le Marquisat de Suse, le haut Monferrat, les provinees d'Alexandrie et de Tortone ont été à plusieurs reprises le théatre des ineursions des Frangais et en conséquence de plus terribles dévasta- UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 949 tions, une très grande quantité de subsistances a été pillée, emportée ou détruite. Les propriétaires sont reduits à la misère, les cultivateurs au désespoir. On sent bien que dans cette position les impòts directs, soit les tailles sont reduites à rien et les indirects ou gabelles à fort peu de chose: mais pour ceux-cì il existe encore d’autres causes de diminution et méme d’anéantissement. Le plus productif qui est celui sur le sel ne peut plus entrer en ligne de compte. Telle est la disette de cet objet de première néces- sité qu'on a été obligé à permettre et encourager la contrebande. Nous en avons il est vrai des magazins è l’embouchure du Po; mais nous ne pouvons obtenir des agents autrichiens, les boeufs nécessaires pour le transport. Les tabacs beaucoup plus chers qu’autrefois, ont la méme difficalté è nous arriver et d’autre còté les fournisseurs de l’armée impé- riale se permettent d’en faire le débit au public de sorte que les fermiers des gabelles ont déclaré qu’ils ne payeront plus les sommes portées par leurs contrats. Les douanes, les droits de traite, l’impòt sur le vin, celui sur la viande et les autres de ce genre ne rendent pas davantage par la stagnation du commerce, par la dévastation de l’ennemi et par la contrebande que les agents autrichiens favorisent tous les jours avec abus de passeports et méme quelquefois de force militaire. Au défaut de revenus ordinaires et extraordinaires c’est par une émission de 20 millions de papier monnaie qu'on a fait faire aux dépenses dont les finances ont été chargées. Il en est déjà sorti près de 9 millions et demi, il y a des payements indispensables à faire an commencement de janvier pour près de douze millions. Il ne reste donc qu’un peu plus de 8 millions et demi et il y a 300/m. sacs de blé à payer qui vaudront peut étre 15 millions. Ces 8 millions et demi de billets ne sont plus méme faits et les précautions à prendre pour empécher les contrefagons il exigent encore bien du temps. Mais il y a plus; les 20 millions des nouveaux billets n’ont été émis qu’avec l’engagement de retirer les anciens dès le commencement de l’année prochaine, à mesure qu’ils rentreront dans les caisses royales. Voilà done que pour longtemps toutes les entrées seront réduites à des non valeurs. Fera-t-on encore des billets ? ils perdent déjà les tiers, la perte croît toujours, en croissant, le bénéfice serait nul et l’opération ruineuse. Une operation plus ruineuse encore ce serait celle d’invader le pays de mauvaise monnaie. Ce que nous avons dit sur les impòts existant: fait assez voir quel compte peut faire sur les nouveaux impòts. Point d’espoir d’emprunter le pays et les emprunts avec l’étranger ne pourraient se faire que sous la caution d’une provinee amie. 950 EUGENIO PASSAMONTI Il reste encore, il est vrai, une masse assez considérable des biens soit appartenants à la couronne soit è sa disposition, mais on sent bien que ce n'est pas le moment de les mettre en vente. L’opération doit 6tre lente et graduelle et en attendant ils ne peuvent servir que d’hypothèques. Sans doute le pays est excellent, le sol très fertile, la culture bien étendue, les productions abondantes et variées, la population très nom- breuse, les habitants actifs et industrieux. La dette de l’état n’est pas encore disproportionnée à ses moyens. Un peu de repos et une brave administration suftirait à retablir les finances: mais il ne faut pas que le mal empire, il ne faut pas qu'il se prolonge. Il est de l’intérét de l'Europe que le Piémont conserve sa force : sans cela plus de barrières entre la France et l’Italie: il faut aux Alpes une défense qui ne consiste pas seulement dans les places et dans les armées, mais dans le courage et la fidélité des habitants et dans le système suivi d’un gouvernement dont l’existence est liée à la fortune. Une cruelle et recente expérience a démontré de nouveau ce que nous apprénait l’histoire: depuis Hannibal jusqu’à Charles VIII et depuis ce Roi de France jusqu'è Bonaparte le vainqueur du Piémont a pu de- venir le conquérant de l’Italie. Il n'y a pas un coin de cette péninsule qui soit en sùreté dès que les barrières sont franchies. Il est done juste et nécessaire que toutes les parties concourent à la défense commune. Si ce système proposé par la cour de Turin eùt été suivi dans la pre- mière guerre avec 20 on 80 millions on en aurait épargné 7 à 800. Jamais les circonstances n’ont été plus favorables pour réaliser cette idée. D’après tous les principes de justice distributive, ceux qui ont le moins fait et le moins souffert pour la cause sociale doivent apporter plus de moyens dans l’association commune sur cette base combinée avec les richesses et la population des différents pays de l’Italie, on peut recevoir un impòt de guerre à durer, par exemple 2 ou 3 années pour chaque campagne qui serait encore nécessaire. Le Piémont de son coté, qui paye en particulier ses impòts de guerre très considérables pouvait encore fournir à la solde et à l’entretien de son armée portée à la force de 20/m. hommes en état d’activité pourvu qu'il soit déchargé de l’entretien de l’armée Autrichienne qui renoncerait au système des réquisitions ruineuses sons tous les rapports et aurait ses fournisseurs payés sur la caisse générale, où serait versé l’impot de guerre de tout le reste de l’Italie. Comme la chose est très urgente et que sans une prompte déter- mination l’armée antrichienne finirait par manquer du nécessair par UN MEMORIALE INEDITO DI PROSPERO BALBO, ECC. 951 l’épuisement total du pays, la cour de Vienne pourrait faire les avances indispensables par des cédules de sa banque qui perdent beaucoup moins que le papier monnaie de Turin et on pourrait s’entendre aisé- ment pour leur faciliter les moyens de circuler avantageusement dans le Piémont. Qu’on pense que les coalisés n’ont pu le soutenir en Hol- lande, nì en Suisse: les hollandais plus riches, la Suisse aussi belli- queuse que les Piémontais, n’ont pas seconde de tous leurs moyens les efforts des armées. Le Piémont fatigué par 8 ans de malheurs s’est dévoué sans ré- serve; il doit en recevoir la récompense : il ne doit au moins porter la peine de son généreux dévoument. Turin le 15 décembre 1799. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 63 952 Relazione sulla Memoria del prof. Gruseppe Prato, Un capi- tolo della vita di Giovanni Law. Il giudizio dato su Giovanni Law e sull’opera sua dai suoi biografi e dagli storici del periodo di cui egli fu tanta parte, rimane tutt'ora assai discorde. Fra l’ottimismo entusiastico di taluni suoi apologisti e le requisitorie implacabili dei suoi detrattori prendono posto molti apprezzamenti intermedii, dei quali però soltanto pochi sanno tracciare una linea di distin- zione ben netta tra i diversi e successivi periodi della vita di Law e tra le teorie da lui professate e le azioni per le quali il suo nome è famoso nella storia. Ciò risulta chiaramente da un largo esame analitico che il Prato nella memoria presentata al nostro esame innanzitutto compie delle principali opinioni espresse sul conto suo. Ma un equo giudizio sull'uomo e sulle sue dottrine non può darsi se non scomponendo la vita del grande avventuriero in tanti momenti distinti, che corrispondano alle diverse fasi della sua evoluzione mentale ed alle diverse manifestazioni della sua attività multiforme; onde riesce interessante sorprenderlo pensante, scrivente ed operante in anni anteriori alle sue gesta sulla terra di Francia, dove una frenesia fatale lo trascinò alla catastrofe. Il passaggio di Law in Piemonte, ed i suoi rapporti con Vittorio Amedeo II appaiono, da questo punto di vista, impor- tantissimi. Li studiò con grande diligenza Domenico Perrero ; ma alla sua ricerca sfuggì un gruppo di documenti dell'Archivio di Stato, Sez. I, soltanto in parte riprodotti in quelli della Sezione II da lui scoperti : e, d'altronde, non avendo conosciuto od almeno tenuto conto delle opere a stampa del Law, fu indotto in qualche inesattezza circa la novità ed originalità degli esa- minati documenti e teorie. 953 Tale serie di carte inedite è fatta invece oggetto di speciali analisi del Prato, il quale ne raffronta il contenuto non soltanto coi documenti veduti dal Perrero, ma altresì con tutta la co- piosa massa di scritti diversi che nelle successive edizioni delle opere di Law vennero alla luce. Ne risulta anzitutto che la maggior parte dei memoriali con cui lo scozzese guadagnò la fiducia del reggente e del Con- siglio di Francia erano stati da lui elaborati assai prima, per offrirli al Principe Sabaudo ; e che non furono in seguito va- riati se non in particolari formali o nella disposizione dei di- versi capitoli e paragrafi. Ma taluni degli scritti redatti e pre- sentati in Piemonte non ricompaiono nelle ulteriori raccolte, ed è in questi che convien cercare la nota originale relativa al particolare atteggiamento assunto dal genio di Law in quel pe- riodo della sua vita. Il Perrero pubblicò una importante lettera al Duca, in cui è tracciato il piano di una banca non molto dissimile da quella che, sotto il nome di Banca Generale, fu attuata in Francia, nel 1716. Ma più caratteristiche proposte contengono i documenti studiati dal Prato, e specialmente L’In- troduction au crédit, lango memoriale esplicativo dei concetti fondamentali del Law, un piano particolareggiato per lo stabi- limento della Banca a Torino e la minuta d’editto per la sua erezione (questi due ultimi documenti riportati in appendice). Se ne desume che, di fronte forse alla riluttanza di Vit- torio Amedeo ad accogliere i concetti illustrati nella lettera memoriale del 1711 (pubblicata dal Perrero), lo scozzese venne ulteriormente perfezionando il suo piano fino a giungere a due proposte che, per genialità costruttiva e correttezza tecnica, rappresentano una sorprendente anticipazione di quanto soltanto un secolo più tardi fu, in tema di banca d'emissione, pacifica- mente ammesso e generalmente attuato. Consiste la prima in una banca privata, dotata di privi- legi ma non monopolistica, strettamente specializzata nelle ope- razioni di credito (in esse compreso il prestito su pegno), debi- tamente garantita contro ingerenze ed esigenze pericolose dello Stato, sottoposta alla più assoluta pubblicità di gestione, dotata della facoltà di emissione, ma con molte garanzie. Si concreta invece la seconda in una vera e propria Banca di emissione di Stato, solidamente fondata e rigorosamente amministrata, con 954 le più severe norme riguardo alla circolazione dei biglietti e particolarmente con l'obbligo d’una riserva metallica fortissima (pari ai tre quarti dei biglietti emessi) a garanzia del cambio a vista. Prescrizione quest'ultima che sembra sopra tutte le altre notevole, in un'epoca in cui il concetto della copertura bancaria appena incominciava a farsi strada lentamente, così nella pratica che nella dottrina, anche in Inghilterra ed in Olanda. dove Law aveva attinte le sue migliori cognizioni in materia. La fase Piemontese della randagia esistenza di Law sembra dunque giovevole a riabilitare in parte la sua tanto contestata fama, contribuendo ad avvalorare l'opinione di coloro che so- stengono doversi giudicare l’uomo e le idee, non in base alle aberrazioni finali soltanto, ma tenendo conto di tutte le cireo- stanze e di tutti i fattori che ne determinarono l’evoluzione mentale e psicologica. Certo è che, se tanta importanza fu data dagli apologisti di Law all'esperimento felice della Banca generale del 1716, unargomento ben più forte offrono in suo favore i piani elabo- rati in Piemonte, per la correttezza tecnica e scientifica assai maggiore a cui sono ispirati. Ne risulta sempre più chiaramente che — come già accen- narono altri biografi — ci sono nella storia due Law: l’uno che per la genialità degli intuiti e delle dottrine, può ascriversi fra i più insigni precursori della libertà economica e della rivolu- zione scientifica che fa capo allo Smith (pur non essendosi an- cora emancipato del tutto del bagaglio d’errori dei suoi contem- poranei); l’altro che, nella pazzesca aberrazione di un'ora di follia, rinnega con le opere quanto aveva proclamato con gli scritti, e di violenza in violenza, precipita in una spaventosa catastrofe. Dopo il 1718, coll’'erezione della Banca reale e la costituzione della Compagnia del Mississipì, la megalomania di Law assorge al sogno frenetico d'una specie di* socialismo di Stato mostruoso e despotico, il quale costituisce la più perfetta antitesi degli equilibrati sistemi e delle geniali teorie da lui illu- strate a Vittorio Amedeo. Dalla esposizione fatta sopra chiaramente si scorge come la memoria del Prato riesca non soltanto a riassumere docu- menti inediti importantissimi per la storia delle idee economiche 955 nel Piemonte, ma questi documenti collochi in un ampio quadro, illuminando di viva luce uno dei momenti più caratteristici della vita di un uomo, il quale di sè lasciò così gran traccia nella storia di Francia. Perciò i sottoscritti propongono l'inserzione nelle memorie accademiche di questo saggio, che è un contributo di altissimo pregio alla storia del sistema di Law in particolare e più in generale alla storia degli istituti economici e bancari. F. RUFFINI Lurei ErNnAUDI, relatore. L’ Accademico Segretario R. RENIER. PIO Bos ua 79 te Bea ic heel TOPI ROTTA SORPOE pc ri 1 n Mali inifaivatfivinà tig! HhStew Gebo: «ih bt At indi ner fg hindi digit agis. qu vi sa in PSN "dee Siromamt AM fia Daudet tià rosi ao eo e: si ty VIVA tcf e RE Torp str ol Abrio © Ao ‘1 RL arto at nua casptazina di Lal Ù "Mi : > e AOVOLAI SA DAR LELLA DI % 4 | Lpinnate fi «otongî* siudtoato Annan è dd bon non ‘in tateia., aa Lene mto di fmttea betpee col na. «letarminareto 08 > ogni mona I l (MITMINT. 66 barra aziportania 'o data. Gaggi , f i Lecalo de te MI stette a, rd Lg 2 na, può MESSSINO, Le iOmjan, © elio lgptlP mot, Gotati ortotà. det, iva vici atte hi N RCA LI TRITO gue decst [3404 Udo hl PALIO Rava] miuia od Misa mi. sea - AUeteo Gua ji” mei otico. 41 VALAT,A RURZALO o Pe pia fn, € quis TEN lì noti iti copre ShikrAgitbio chi nun polloniu. 4, Cisssbi tuti tà? pon tu abeti dalia tg CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 10 Maggio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti il Direttore della Classe D’Ovipio e i Soci Naccari, Peano, Foà, GuaRESscHI, Gutpi, PARONA, FusarI, BaAL- BIANO e SEGRE, Segretario. Scusano l'assenza i Soci MartIRoLo e Grass. Si legge e sì approva il verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica una lettera di ringraziamento del Socio Grassi per le condoglianze che gli furono inviate dalla Classe. L'Accademia delle Scienze di Vienna ha partecipato la notizia della morte del proprio Presidente Edoardo Surss, av- venuta il 26 aprile scorso. Apparteneva egli alla nostra Ac- cademia, come Socio straniero, dal 15 maggio 1910. Furono inviate le condoglianze alla Famiglia ed all'Accademia di Vienna. Il Socio Parona legge una Commemorazione dell’emi- nente Scienziato, la quale verrà pubblicata negli Atti. Il Socio Corrispondente Bassani ha inviato in omaggio una sua Commemorazione del Prof. Giuseppe Mercalli; ed il Socio Corrispondente Lacrorx una sua Memoria: Les latérites de la Guinée et les produits d’altération qui leur sont associés. Atti della PR. Accademia — Vol. XLIX. 64 958 Per la stampa negli Atti vengono successivamente tate, dai Soci Gui: e Peano, le due Note seguenti: | C. L. Ricor, Dell’attrito nei freni e nei perni, Nota. A. Pensa, Sulla risoluzione di equazioni vettoriali ed 01 grafiche. > fi Infine il Socio. Foà, anche a nome del Collega Di legge la Relazione sulla Memoria del Dott. SAPEGNO: Cor all’istologia normale e patologica del fegato. Accogliendo lè posta della Relazione la Classe unanime delibera la stà della Memoria. . 24 pe a, 1.0 dei pito bo € Lod meino .) to is ì) Mb ® C. F. PARONA —- EDOARDO SUESS 959 LETTURE EDOARDO SUESS Cenni commemorativi del Socio C. F. PARONA. Nel secolo scorso parecchi grandi ingegni, fra i numerosi cultori delle discipline geologiche, hanno promosso colle loro opere il rapido progresso della geologia, e ad essa legarono indissolubilmente il loro nome. Ma due eccelsero segnatamente per l'impulso che hanno dato alle indagini geologiche e per l'influenza che ebbero nel nuovo indirizzo dato alla interpreta- zione dei fenomeni geologici — LyeLL e Suess —; perchè l’uno e l’altro, in campi diversi e con apprezzamenti diversi sulla intensità d'azione delle forze telluriche, fecero opera grande, nella quale la profondità e genialità dei concetti teorici e delle sintesi ebbero il fondamento scientifico delle ricerche documen- tatrici, estese a tutto il mondo geologicamente conosciuto. Però ad essi spetta principalmente il merito di avere fondato la geo- logia positiva e comparata. Il progresso scientifico e la critica hanno reagito contro certe deduzioni troppo spinte, od erronee nelle loro applicazioni, della dottrina dell’attualismo del LyELL, e mettono in dubbio o negano la realtà di certe concezioni fondamentali del Suxss, e la possibilità delle applicazioni ch'egli ne fece nel definire i fattori dell'evoluzione geologica, geogratica e biologica della su- perficie terrestre, dei mari e dei continenti. Ma i Principî della Geologia del LveLL e l’Aspetto della Terra del Surss, riassunto e sintesi delle conoscenze sulla geologia, sono e rimarranno 960 C. F. PARONA opere classiche, perchè hanno segnato e caratterizzato due mo- menti decisivi nel cammino della geologia, del pensiero umano e delle conquiste scientifiche. Le Alpi e la Penisola furono campo prediletto di ricerche e di studî per E. Surss, dove raccolse molti degli elementi che, elaborati e coordinati nella sua vasta mente, lo condussero a sintesi originali sulle cause generatrici delle dislocazioni e de- formazioni della corteccia terrestre e delle catene di montagne. Riconosciamogli dunque subito anche il merito di avere larga- mente contribuito allo studio del nostro paese, nel quale fece ripetuti viaggi e che disse incomparabile. Ricordo le sue osservazioni sui rappresentanti del Carbo- nifero e del Permiano nelle Alpi, e la scoperta della flora per- miana a Walchia nell'alta Val Trompia; le sue ricerche sulle formazioni paleogeniche del Vicentino e l'ordinamento propo- stone; il contributo portato alla conoscenza del Trias alpino. Notevoli poi le ricerche sulla origine e struttura dei Colli Eu- ganei. La visione sua del grande Vulcano Venda, del quale i colli attuali rappresenterebbero i relitti, pare non possa essere confermata dai risultati delle successive indagini: tuttavia è da ritenere che si accordino colle più recenti vedute i rilievi da lui fatti sulla ricorrenza a diversi livelli delle lave trachitiche e doleritiche, e sulle intrusioni di grandi masse trachitiche fra gli strati del mesozoico recente. Ancora più notevoli, per l’importanza e complessità del pro- blema considerato, sono le sue idee sulla struttura della Penisola italiana. Secondo il Surss, l'Appennino vero e proprio, cioè la catena del Gran Sasso, che è la linea orografica principale del- l'Italia, corrisponde ad una zona di ripiegature, laterale ad un rilievo di tipo alpino, del quale la Catena metallifera, colle Apuane, le isole dell'Arcipelago Toscano ed i massicci del Monte (ocuzzo, dell'Aspromonte e del Messinese sarebbero i residui. Questo asse primitivo, tectonico della Penisola, continuazione EDOARDO SUESS 961 forse dell'asse curvato in arco delle Alpi, giace sotto il Tirreno; e l’antica, supposta terra tirrenica sarebbe oggidì rappresentata dai frammenti rimasti della sua rovina, sporgenti dal mare. Una linea di fratture decorre dalla Spezia verso sud, delimi- tando il Tirreno: ad essa si collegherebbe geneticamente il vul- canismo tirrenico. Il Suess si propose di dimostrare in modo più particolareggiato questa connessione in altro lavoro, col quale contribuì alla teoria tectonica ed orogenetica dei grandi terremoti. Intendo di riferirmi alla pubblicazione sull’attività sismica dell’Italia meridionale, in correlazione col vulcanismo, colle linee di frattura e di separazione delle catene montuose, nella quale egli propose la distinzione dei gruppi vulcanici che comunicano scosse radiali a grandi distanze e dei vulcani isolati su linea periferica, oppure su linea radiale. Il MenEGHINI, richiamando con una lettera al CoccHi l’at- tenzione degli studiosi sulla concezione del Suess riguardo alla struttura della Penisola, mentre ricordava come già il SAVI avesse riconosciuta l’individualità della Catena metallifera “ benchè smembrata nelle anella ellissoidali sparse per l’Italia centrale , ed avesse manifestata l’idea ch'essa catena si fosse parzialmente subissata nel mare, faceva rilevare la genialità del quadro delineato dal collega viennese; soggiungendo che all’annunzio della nuova teoria del Suess molte altre que- stioni insorgevano e si affollavano alla mente, come avviene al manifestarsi di idee importanti, che fanno epoca nella scienza, perchè uniscono la grandiosità alla semplicità del concetto. Si può dire che il MEeNEGHINI previde esattamente, perchè l’interpretazione data dal Surss dell’importante problema del- l'origine e struttura della Penisola in rapporto coi fenomeni sismici e vulcanici, che le sono caratteristici, provocò una gara scientifica appunto sulle controverse questioni della unilateralità dell'Appennino, della troncatura delle sue pieghe verso il Tir- reno, della esistenza della Tirrenide e delle relazioni genetiche fra il vulcanismo e la sismicità della regione calabro-sicula coll’avvallamento del Tirreno meridionale. Alle discussioni sulla supposta Tirrenide, anche nei suoi legami colla Penisola, colla Corsica e colla Sardegna, parteciparono geologi e geografi, pa- leontologi, zoologi e botanici. E gli approfonditi studi sulla 962 C. F. PARONA geologia dell'Appennino e della Sicilia, e le ricorrenze ed i risvegli frequenti dell'attività vulcanica e sismica offrirono agli studiosi ripetute occasioni per la critica scientifica dei con- cetti del Suess; e nel Jargo e fecondo movimento di idee e nella verifica dei fatti sembra che i contradditori abbiano il sopravvento. La serie dei numerosi lavori del Surss, pubblicati da Ac- cademie e da Riviste europee ed americane si iniziò nel 1851: e questi lavori riguardano argomenti assai disparati, per quanto tutti coordinati ai fini dell’opera ch’egli si proponeva di com- piere. Fra le molte altre pubblicazioni, oltre quelle già men- zionate, ricorderò ancora, in considerazione dell'importanza loro, quelle sul bacino terziario di Vienna e sulla formazione sarma- tica, e le ricerche istituite coll’OppeL sulla estensione degli strati di Késsen e sul significato stratigrafico di questo oriz- zonte. Fu anche paleontologo, e si occupò di graptoliti, di bra- chiopodi, di ammoniti ed inoltre di vertebrati: particolarmente notevoli gli studi sui brachiopodi e sugli ammoniti, per il contributo portato ai criteri sulla nomenclatura e sull’ordi- namento razionale sistematico di questi fossili così importanti anche per i riferimenti cronologici dei sedimenti che li con- tengono. Ma l'opera — monumento — di Suess, che esercitò una reale influenza nella scienza e che gli procurò fama mondiale e duratura, è quella che porta il titolo suggestivo di “ Aspetto della Terra ,. In quest'opera presenta, con insuperata erudizione, una meravigliosa raccolta di documenti ordinati in modo da pro- spettare i tratti caratteristici della “ Faccia della Terra , e disposti al fine di dare l'appoggio della realtà dei fatti a idee nuove e alle sue vedute scientifiche. Le idee fondamentali che informano quest'opera di carat- tere generale si presentano abbozzate o già precise nelle pub- blicazioni suaccennate relative alla struttura della Penisola e nel lavoro, di poco più recente, sull'origine della catena delle EDOARDO SUESS 963 Alpi. Egli attribuisce la formazione della catena alpina, la più meridionale, la più interna, la più recente delle tre catene si- nuose che sorsero l’una dopo l’altra sull’area che ora corrisponde all'Europa Centrale, ad un corrugamento per spinte tangenziali moventi da sud: sul fianco esterno a nord, nel loro successivo costituirsi, le rughe urtarono e si arrestarono contro massicci di antica consolidazione, residui di altra catena, che determi- narono colla loro presenza e resistenza l’orientamento dell’arco alpino, a pieghe ravvicinate ad occidente e che si stendono a ventaglio verso oriente. Il fianco interno, o mediterraneo, è in- vece troncato sopra un'area di sprofondamento, ed il distacco è segnato da una linea di fratture che aprì il varco a roccie eruttive. A questo riguardo è da notare ch’egli attribuisce la maggior importanza agli sprofondamenti di porzioni della cor- teccia terrestre col riflesso di corrugamenti ai margini. Il Suess mise in evidenza l’importanza della dissimmetria nei versanti delle catene montuose, disposte in archi convessi verso nord o verso sud, generalizzando il fatto rilevato nella struttura della catena alpina, nonchè l'influenza esercitata da massicci primigenî sulla direzione e modalità dei corrugamenti impressi alle masse in movimento, loro attigue od interposte. Confermò nel tempo stesso che le roccie eruttive hanno nel- l'’orogenesi soltanto un’azione passiva di presenza, e che le ma- nifestazioni del vulcanismo sono piuttosto l’effetto del costituirsi delle catene di montagne. E in questi ordini di idee, alla luce dei fatti e col controllo dei fondamenti della geodinamica e delle ricerche sperimentali, che tendono a riprodurre le condi- zioni realizzate in natura, egli aprì nuovi orizzonti alla geologia meccanica, o, in altri termini, alla interpretazione della strut- tura dell’involucro esterno terrestre, che chiamò stratosfera, in considerazione del grande sviluppo ed influenza che ebbero nel costituirla i terreni stratificati. Un'altro concetto, fra i più discussi, che informa l’opera, è quello relativo ai grandi movimenti positivi e negativi del mare; movimenti che sono attribuiti a spostamenti generali (eustatici) dell’idrosfera, dall'equatore ai poli e dai poli all’equatore, de- terminati da cause astronomiche periodiche. Ben considerata nel suo insieme, l’opera appare come un logico concatenamento e coordinamento di fatti e di deduzioni: 964 C. F. PARONA sì inizia coll’esame critico delle tradizioni sul Diluvio nella vasta pianura del Tigri e dell'Eufrate, studiato nella sua natura ed estensione, in relazione colle varie fonti dei documenti e cogli avvenimenti tellurici recenti nel bacino inferiore dei fiumi del- l'India, e si chiude cogli studi regionali; particolarmente inte- ressanti per noi i capitoli relativi alle Alpi e al sistema alpino in Italia e nel Mediterraneo occidentale. I movimenti della crosta esterna della Terra sono studiati nelle loro cause, negli effetti e nei rapporti col vulcanismo. Delle catene di montagne si stabilisce l’età relativa, si indaga l'origine, si descrive la struttura; e, rintracciando le correlazioni fra l'andamento delle pieghe e le regioni che stanno all’avanti (esterno) o all'indietro (interno) delle arcuate catene, si ricono- scono dei raggruppamenti naturali nei fasci di pieghe, secondo un piano di linee direttrici. Dei mari, come dei continenti, sì narra la storia, se ne cercano i contrasti, come quelli caratte- ristici fra il Pacifico e l'Atlantico, ed i rapporti reciproci sue- cessivi; e si mettono in rilievo le vicende del grande mare me- diterraneo (T’ethis), che nel succedersi dei periodi geologici fu sede degli avvenimenti fra i più decisivi nell’imprimere nuovi tratti alla “ faccia della Terra ,; nel tempo stesso si discute sull’in- dole degli spostamenti delle linee di spiaggia e sull’importanza e significato geo-biologico dei ritorni periodici delle grandì trasgressioni marine. Così delle aree della superficie terrestre geologicamente conosciute si fa un esame particolareggiato e comparativo. Le diverse parti dell’opera, pubblicate successivamente a notevole distanza di tempo (1883-1909), risentono, e sono al corrente, del progresso portato in questi ultimi decenni dal mo- vimento scientifico. E merita a questo proposito di rilevare come il Suess, formatasi la convinzione che l'esame dei fenomeni na- turali ha mostrato che le ipotesi le più azzardate, quali si po- tevano proporre pochi anni or sono, sull'importanza dei movi- menti orizzontali stanno ben al disotto della realtà, non abbia esitato a seguire le discusse idee dei geologi francesi e svizzerì riguardo alla frequenza e sviluppo delle falde di ricoprimento ed alla realtà dei carreggiamenti; aderendo egli al concetto che nel fatto generale delle deformazioni della parte superficiale della corteccia terrestre si presentano dei casi nei quali il cor- EDOARDO SUESS 965. rugamento passa nell'ordine dei fenomeni secondari, mentre il movimento tangenziale assume importanza fondamentale per aver determinato superfici di discontinuità di assai grande estensione. Dovendosi riassumere con una frase l’impressione gene- rale, parmi si possa dire, che l’opera del Suess è un quadro grandioso, concepito da mente poderosa e geniale, che è il saggio di analisi e di sintesi geologiche più fondato e me- glio riuscito, e la guida indispensabile alle ricerche future sulle trasformazioni evolutive della superficie terrestre e sulla paleografia. M. BeRrTRAND, in un entusiastico elogio della grande opera, premesso alla traduzione francese curata da Emm. De MARGERIE, osservando com’essa fosse lodata da tutti, ma anche criticata, soggiunge che questa è la sorte obbligata per tutto ciò che è nuovo. Dice che i metodi ed anche le idee nuove del Surss, maestro indiscusso di una nuova generazione di geologi, non sono che un mezzo, un istrumento di studio, e che si dovranno giudicare in base ai risultati; vale a dire sui progressi ch'esse, idee nuove, hanno portato nella conoscenza della steria del globo. Qui sta realmente la grandezza dell’opera; e per valu- tarla basta confrontare ciò che si poteva dire or son trent'anni di questa storia col quadro che ora ne possiamo fare. Nel 1896 la Società Geologica di Londra gli assegnava la medaglia Wol- laston, e Sir John Evans, riferendo su questo conferimento, notava che la grande influenza esercitata dal Surss sulla scuola geologica di Vienna era derivata dalla sua qualità di grande maestro della scienza; e lo dichiarava degno del premio perchè la serie incessante dei suoi lavori era prova della tenace sua tempra di lavoratore, e perchè l’originalità della sua opera e lo stimolo intellettuale esercitato dai suoi scritti anche sui geologi stranieri Jo segnalavano come un grande pensatore. Epoarpo Surss, nato a Londra il 20 agosto 1831, morì a. Vienna il 26 dello scorso aprile. e 965 C. F. PARONA — EDOARDO SUESS Nominato nel 1852 assistente di mineralogia e nel 1857 professore di geologia all'Università di Vienna, egli diede mente ed opera per oltre 55 anni all'insegnamento universitario. Riti- ratosi dall’insegnamento, tenne dal 1898 l’alta carica di Presi- dente dell'Accademia di Vienna, della quale ultimamente era Decano. Il lavoro dell’insigne geologo e geografo si svolse dunque ininterrotto per ben 60 anni a vantaggio della scienza. La R. Accademia di Torino, che si onora di avere avuto Epoarpo Surss fra i suoi Accademici stranieri, si associa al- l'omaggio di ammirazione e di riconoscenza che il mondo scien- tifico tributa in questi giorni alla sua memoria. 10 maggio 1914. CARLO LUIGI RICCI — DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 967 Dell’attrito nei freni e nei perni. | Nota II* del Dott. Ing. CARLO LUIGI RICCI $ 1.— In queste pagine, come preannunciai nell’introduzione della Nota precedente, espongo lo studio delle azioni che mutua- mente si trasmettono un perno ed un cuscinetto, 0 la puleggia ed il ceppo di un freno, applicando l'ipotesi del Reye, ed in certo qual modo generalizzandola, col tener conto del consumo di en- trambi i corpi striscianti a contatto. Il trascurare il consumo del corpo inferno (perno o pu- leggia), secondo quanto si usa fin qui, è giustificato dal fatto che detto corpo è generalmente di materiale molto più duro dell’altro (cuscinetto o ceppo); ma non può essere del tutto privo d'interesse uno studio più rigoroso che detto consumo non trascuri, specialmente qualora i materiali costituenti i due corpi abbiano durezze poco diverse. Si noti che questo studio, come pure quello della Nota I, può avere interesse per i perni con lubrificazione scarsa 0 nulla, mentre nel caso della lubrificazione completa la ricerca della ripartizione delle pressioni, meglio che sull’ipotesi del Reye, va impostata sul comportamento meccanico del fluido lu- brificante. Maggiore interesse possono avere le presenti ricerche per lo studio dei freni a ceppi, e per la soluzione di tutti ì pro- blemi pratici che in esso si presentano, sulla determinazione delle sospensioni più convenienti dei ceppi e sull’analisi delle forze in giuoco su questi. Si noti pure che il caso del contatto parziale qui considerato interessa in generale soltanto lo studio dei perni, giacchè nel progettare i freni occorre por mente ad evitarlo, od almeno a restare nelle condizioni limiti; ed infatti ov’esso si verificasse, all’atto di staccare il ceppo dalla puleggia si produrrebbe un 963 CARLO LUIGI RICCI accostamento, e perciò una pressione nell'arco del contatto prima inattivo, e non si potrebbe quindi far cessare del tutto l’azione frenante. È ovvio che i volumi di materiale logorato contempora- neamente nei due organi stanno tra loro in un rapporto co- stante, dipendente unicamente dalla natura dei due materiali ; rapporto che nel seguito indicheremo con m, e che potrebbe caso per caso venir determinato da apposite esperienze dirette, basate sulla misura (per esempio in peso) del materiale logo- rato contemporaneamente per strisciamento tra i due corpi. Poichè entrambi i corpi si logorano, si verifica non sol- tanto (come nel caso della Nota precedente) l'accostamento, ossia la penetrazione del perno nel cuscinetto in una data dire- zione, ma anche una riduzione del diametro del perno, il quale però naturalmente rimane sempre circolare. Sia a l'accostamento, cioè lo spostamento del centro del perno; la riduzione del raggio » del perno sia #a, essendo £ un rapporto da determinare in base alla natura dei materiali ed ai caratteri geometrici del sistema. La proporzionalità qui ammessa tra queste grandezze è giustificata dal fatto che esse sono rispettivamente proporzionali ai volumi di materiale logorato nei due corpi, volumi che stanno tra loro nel rapporto costante m. In un punto della superficie di contatto individuato dal- l'angolo 4 contato dalla direzione dell’accostamento, la pene- trazione del perno nel cuscinetto, misurata secondo il raggio, è espressa da: a (così — k), e questo valore si annulla in corrispondenza dell'angolo +, tale che sia: così — k= 0. Perciò detto spostamento si può esprimere come segue: a (così — cos). Applichiamo ora l'ipotesi del Reye, ritenendo anche qui, come quando si trascura il consumo del perno, che il volume di materiale del cuscinetto logorato su un dato elemento della s DELL'APIRIVO WEI WVUINI WD MRI PRINI 009 superficie di contatto sia proporzionale al lavoro consumato con- temporaneamente sull'elemento stesso; questa proporzionalità non può venire alterata dal maggiore o minore grado di logo» rabilità del perno, Quindi, indicando con pla pressione unitaria in un punto qualunque della superficie di contatto e con py una costante, dovrà essere : (1) p = py (c089 — cost), La pressione unitaria massima si verifica nella direzione dell'accostamento (9 = 0) e vale; Pn = Po (1 — 068). Per determinare #,, 0, ciò che fa lo stesso, k, basta capri mere che il consumo totale del perno e quello del cuscinetto stanno tra loro nel rapporto costante m; ed invero questi cone sumi sono dovuti ad uno stesso lavoro complessivo al quale sono in diverso grado proporzionali. JI consumo totale del perno è evidentemente: Lara c08d%, Jl consumo elementare del cuscinetto è: sr (089 — c0889) DI ; per avere il consumo totale basterà integrare tra i limiti ts e — i; corrispondenti ai punti estremi del cuscinetto, € ottiene : Di [sen DA + sent, ce (9; + DA, 08 dg. Quindi facendo il rapporto dei due volumi complessivamente consumati si ottiene : = ZIONE) Du seni, — 73 +59) cod, * e da questa relazione si ricava : i m(seni, 4 sen 33) (2) coste LZ) 4 te” ut è Aa 970 CARLO LUIGI RICCI Indichiamo ancora con è l'ampiezza del cuscinetto, e sia @ l'angolo che l'accostamento fa coll’asse di simmetria del eusci- netto; se il contatto è completo si ha: I, +9=3, send + send, = 2 sen 7 cosa e quindi: > 2 sen g 089 OI —_ . —=-.-a i (2) c08 do mt +2 e Ja condizione che dev'essere soddisfatta perchè il contatto sia completo è: n=3+a. Il valor limite ao di a al disopra del quale il contatto di- viene parziale si ottiene dalla (2') ponendovi: % = La + ossia : $ 2m sen - cos Oy cos($ + (0 sala siepi ij > "4, Penna mi + 2 da cui sviluppando si ottiene : 3 2m (3) tang A, = cotg 9 — 3 1-20. Si potrà avere contatto parziale unilaterale, ossia da una sola parte del cuscinetto, quando risulti : 7 +o>%>7—a Si noti però che % non può in tal caso venir calcolato colla formola (2), ma bensì con quella che dalla (2) si deduce sostituendo #, ad uno dei due angoli 3, o 4; fissiamo per esempio >, = d,, (e quindi riteniamo 3, = d'a a); sviluppando 2 sì ottiene: (2°) tang do — db + send, secdh = Lo + dh mm DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEL PERNI 971 equazione trascendente che andrà risolta per tentativi o per successive approssimazioni. È chiaro che in questo caso l'ampiezza dell’arco di contatto effettivo sarà minore dell’ampiezza totale + del cuscinetto, ed indicandola con &, sarà:

o, send hà da 8m sen ra LCA: m3 +27 & a oa, m3 + 273 2 ossia: 3 m3? + 2n3 — 4m sen? Di da MELLA Se Pie in3* +4 23 Quindi : qu 3 — sen3 md? + 2r1S | k n 3 a x 9 ‘ ins + 25 — 4m sen? » cioè : ST= ms + 2rn3 — m$ senS — 277 sen $ mSt + 273 — 4m sen? dd ’ da cui si ottiene infine : Q nJ mà sen S + 27 sen S — 4m sen? 2 (5) DE SL n. - A È, imS® + 23 — 4m sen? a Nel] seguito questa distanza verrà appunto indicata con n. Determiniamo ora il punto P nel quale la risultante delle azioni tangenziali incontra la risultante delle pressioni nor- mali; per questo punto dovrà quindi passare pure la risultante totale. Per trovare la linea d’azione della risultante delle azioni tangenziali si potrà fare astrazione dal coefficiente d’atirito, ossia ritenerlo uguale ad uno. Il momento delle forze prd9 agenti tangenzialmente si può esprimere come segue: M=r{pdd9=r°({pd3—|{p'"dd) 976 CARLO LUIGI RICCI ove le p indicano i moduli dei vettori p e gli integrali vanno estesi a tutto l’arco di contatto. Ricordando le espressioni di p' e p'” si ha: M= rp, (così — cosd)) dd ed integrando tra i limiti — 8, e + &,, si ottiene: Me r°Po [sen d, -|- sen ds = (3, — ds) cos dol. La distanza e = OP della risultante delle azioni tangen- ziali dal centro O del perno è data da: M _ r°’polsen5 + senS$ —(% +39) c08S0] . re r (31 + 3a). GG i : _— Po | sen5 + send, (6) Tel n+% — cosÙù|. Se indichiamo come più sopra con è l'ampiezza totale dell’arco di contatto ed introduciamo l’obliquità a dell’accosta- mento si ha: 3! conti SOA rl) o Prina Frel As (6 ) ez GG! | 3 COS al . Possiamo pure esprimere questa eccentricità in funzione di lunghezze misurate in figura, ed avremo : 32294 r.p,(A,B— A"B") A' B' 1 G'G! . $ 3. — Vediamo ora come si possa determinare la dire- zione dell’ accostamento quando sia data la risultante delle pressioni normali. Questa sarà nota pure quando sia data la risultante totale, se è noto l'angolo d'attrito e il verso della rotazione. Si tratta di determinare l'angolo a obliquità dell’acco- stamento. sail DELL’ATTRITO. NEI FRENI E NEI PERNI 977 Poichè è dato il punto N in cui la risultante delle pres- sioni normali incontra il cerchio diagramma delle p', costruito nel modo noto il punto 7 ($ 2, fig. 1), la retta NT è la linea d’azione della detta risultante, ed incontra il cerchio nel punto 0 centro del perno; perchè il contatto sia completo il punto O ‘non deve oltrepassare la posizione limite 0* di cui si disse più sopra. L'angolo SOD è l’obliquità a dell’accostamento cercata. Per determinarla analiticamente (come già si fece nella prima Nota) indichiamo con wu l'angolo che la risultante delle pressioni normali forma colla direzione dell’accostamento, e po- niamo w=0— u. Dal triangolo DOT si ricava: DT __ senu OT sen Za e dal triangolo SOT: ST. __senw OT = sena da cui, dividendo membro a membro, si ottiene : DI, BC sena = sen M ST © senwsen2a — 2senw cosa * Ma si ha: u=oa—-w; DT=n; ST=1-n; e quindi sostituendo si ricava: sen a cos ti n 2 cosa senw din! _ ossia: 1 tanga = po tang w. Se ad n sostituiamo Ja sua espressione già trovata in fun- zione di è, semplificando, troviamo: (mS +27) (3 + sen 3) — 8m sen? + (m3 + 2) ($— sen 5) Do | (7) tanga= tang w. 978 CARLO LUIGI RICCI Questa relazione risolve il problema proposto nel caso del contatto completo, ossia se il valore da essa ricavato risulta minore del valor limite a, dato dalla (83). $ 4. — Il valor limite w, di w, al disopra del quale il contatto diviene parziale (unilaterale) dovrà soddisfare alla re- lazione che si ottiene combinando la (3) e la (7) ossia: (3 — sen5) (cotg z —_ e) (8) tangw, = - _ S+ sen3 — Di Lea — fa fa E Supponiamo che, essendo parziale il contatto, il punto in cui la pressione si annulla sia dalla parte di A, e che quindi in B il contatto si mantenga completo. Ciò posto, se è data la risultante delle pressioni normali, risulta fissato l'angolo w che essa forma col raggio che dal centro del perno va all'estremo B del cuscinetto. Occorrerà determinare l'ampiezza &' dell'arco di effettivo contatto, in modo che il valore wy ottenuto dalla (3) ponendo & in luogo di + soddisfaccia alla relazione : yw = o: Fia Se sviluppiamo l’espressione di tang w, e sostituiamo a tangw, il suo valore, otteniamo : 6 Br y 8 DA ni 9 2 tang5 3 +send'— ie sen | —(Y— senz )(cotg3 —ioiraa) (9) tangy= —— dad gr — : S'+sen9— AMA sen® — +tang —(9'—sen®) (cotgi _ dee) mS'4+2 2 2 i 2 mS'+2r Dato l'angolo yw, da questa espressione risolta per succes- sive approssimazioni si potrà ricavare l'angolo #. Questo si può pure determinare graficamente con un metodo di falsa posizione, costruendo una curva d'errore. Facciamo variare l'arco A'B' in modo che il suo punto di mezzo resti fisso in S. Per una posizione generica A; B;' del- DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 979 l'arco, considerato come diagramma delle p', costruiamo nel modo indicato il relativo punto 7;, e la posizione limite del Fig. 2. centro 0,*; per questo punto si conduca una retta che faccia colla 0;*B;/ un angolo uguale al dato y; essa in generale non 980 CARLO LUIGI RICCI \ passerà per 7’; quindi la sua distanza da questo punto si portà come ordinata sul raggio DB; a partire dal cerchio conside- rato come asse delle ascisse curvilinee. Così per punti si co- struisce una curva d’errore e;, la quale interseca il cerchio nel punto B' cercato, estremo dell’arco diagramma A'B' che risolve il problema (V. fig. 2 a pag. prec.). Può essere utile la curva ottenuta portando sui raggi DB; a partire dal cerchio dei segmenti rappresentanti nella scala 1= DS il sen w,, indicando con w; l'angolo w corrispondente all’arco A; B;, ossia l'angolo 7;0;*B;'. Questa curva si presta ad una soluzione diretta del problema; basta infatti, dato un valore dell'angolo w, costruire un cerchio col centro in D e distante dal cerchio diagramma di un segmento rappresen- tante sen y ; l'intersezione di questo cerchio colla curva sud- detta, proiettata dal centro D sul cerchio diagramma ci dà il punto B' cercato. Nella figura 2 si cercò l'ampiezza & per m = 1 nelle stesse condizioni dell’analogo problema risolto nella Nota I, e si trovò & = 151°, 20’ invece di 161°,25’, valore colà ottenuto per n=0. $ 5. — Veniamo ora a determinare quel particolare acco- stamento che avviene nella direzione della corrispondente risul- tante totale. Graficamente questo problema si risolve costruendo sul seg- mento DT come corda un arco di circolo capace dell'angolo d'attrito @; delle intersezioni di questo arco col cerchio dia- gramma delle p’, quella che risulta esterna all'arco 0*A4'S rap- presenta il centro del perno da assumersi in questo caso. Se entrambe queste intersezioni risultassero interne a detto arco, il contatto diventerebbe parziale ed il problema andrebbe ripreso in altro modo, come faremo più innanzi. Analiticamente il problema si risolve esprimendo tang u= tang (a — w) e sostituendo a tang w il suo valore in funzione di tanga che è fornito dalla (7); si ottiene così : n 8m Ss 2ien9 — — = séh'- langpr ro lio Ot pere” c NE. Gr I pr avo? S+sen3 mé + dr sen" —, + ($ — senS) tang? a DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 981 Si avrà l’accostamento in direzione della risultante se sarà: u=="®; se quindi nella relazione precedente si pone © in luogo di u, si ottiene un’equazione di 2° grado in tanga dalla quale si ricava la cercata obliquità dell’accostamento. Delle due ra- dici di questa equazione ha significato per noi soltanto quella. che porta il segno — al radicale, poichè all’altra, com'è facile verificare, corrisponderebbe una posizione del centro O sempre interna all'arco 0*A'S, come già si osservò nella trattazione grafica. $ 6. — Come già sappiamo, se risulta: a > og [V. for- mola (3)], il contatto è parziale. Per studiare questo caso c’in- teressa conoscere il valor limite u di u compatibile col contatto completo ; esso si può ottenere dalla formola precedente sosti- tuendo in essa a, in luogo di a, e ricordando la espressione di tang ®, data dalla (3): così si ottiene: 8ni $ $ 2m | (cotg 9 it = a £ a 8m E E 2m ) î S+sen3 mS+2m sen +(5— sen5) (cote 9 i tang uo= o Indichiamo con &' l’ampiezza effettiva del contatto par- ziale; se l'accostamento è nella direzione della risultante to- tale, deve essere soddisfatta la relazione che si ricava dalla precedente ponendo in essa @ in luogo di up e & in luogo di 3. L'equazione così ottenuta, risolta per successive approssi- mazioni ci potrà dare l’angolo & quando sia dato @. Lo stesso problema si può trattare per via grafica me- diante una curva d'errore. Si fa variare, come già più sopra l’arco A'SB' in modo che il punto medio $S resti fisso; per ogni posizione scelta dell'arco 4;'B;' si costruisce il corrispondente punto 7; e la posizione limite del centro 0,#; per quest’ultimo si tira una retta la quale faccia col raggio 0;*D l'angolo. d’at- trito @, e quindi sia tangente al cerchio di centro D e di ‘raggio DS sen © (cerchio d’attrito) ; la distanza di questa retta. dal punto 7; si porta sul raggio DB; a partire da B; tenendo conto del segno; l’estremo di tale segmento al variare di 5; 982 CARLO LUIGI RICCI descrive una curva d'errore es la quale taglia il cerchio nel punto B; cercato. Sono utili le curve ottenute portando sui raggi DB; a par- tire dal cerchio segmenti rappresentanti sen pu); 0 tang poi, i quali si possono ricavare direttamente dalla figura; dato il va- lore di @, se si costruiscono i cerchi col centro in D e distanti dal cerchio diagramma delle p' di sen o tang @ rispettiva- mente (per DS = 1), essi tagliano le rispettive curve in punti che stanno sul raggio che dal centro proietta il punto B' che risolve il problema. Il cercato angolo # è dato allora da B'DS. Nella fig. 2 furono costruite dette curve per m = 1; inoltre per f= 0,3 si determinò nel modo ora detto l’angolo #, otte- nendo 9 = 103°,30’' — ; si osservi che nella Nota I, pure per tango = 0,3 si ottenne 9 = 119°,30. Nella fig. 3 (a e 8) si segnarono i diagrammi cartesiani delle pressioni unitarie, riferite alle proiezioni dei varî punti della superficie di contatto sul diametro del perno perpendico- lare all'asse di simmetria del cuscinetto: si fece, come già nella fig..1; 9.=1000, L’accostamento nella fig. 34 corrisponde alla posizione O del centro segnato in fig. 1; nella 35 invece si ha l’accosta- mento nella posizione limite del contatto completo, corrispon- dente al centro 0*. Se E è l'angolo che un raggio qualunque forma coll’asse di simmetria del cuscinetto, le equazioni parametriche del detto diagramma cartesiano, essendo l'origine nel centro del perno, sono della forma: x=rsen& y=p=po|cos (E — a) — cosdyl, ossia il diagramma è un’ellisse, il cui centro dista da quello del perno, nel verso delle y negative, di un segmento = pp così, = pl» Detti diagrammi, calcolati per m = 1, si tracciarono con linea continua; inoltre a tratti si segnarono per confronto i diagrammi analoghi delle pressioni corrispondenti alla stessa risultante, nell'ipotesi però che il perno non sia soggetto a logo- ramento, ossia per m = 0). Il cerchio diagramma delle pressioni per questo caso viene DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 983 determinato colla condizione che il suo baricentro G stia sulla risultante delle pressioni normali, e che la distanza OG ri- sulti eguale al segmento G'G" del diagramma bicircolare per ere L 984 CARLO LUIGI RICCI $ 7. — Cerchiamo ora il luogo del punto P intersezione della risultante totale con quella delle pressioni normali: di questo assumiamo come coordinate la distanza p dal centro del perno e l'angolo w che il raggio vettore relativo (risultante delle pressioni normali) fa coll’asse di simmetria del cuscinetto. Il valore di p è stato calcolato nel $ 2 (ov'è indicato con e); dalla formola (6') ponendo in luogo di cos % il suo valore dato dalla (2’), si ottiene: p=s 2 sen È coso(1 — sea) de 2 “i ms + 2) Per semplicità porremo r = po = 2; inoltre si ha (V. $ 2): I o ai ge SON. 86° = SCPERZIX Bar 20 (1 Li De) f_nddh sen? 3) cos a ms° + 25 2 è A_N Quindi dal triangolo SG'G” in cui si ha l'angolo G'SG"=a si ricava: ese: Limina nina —- Ts c"G=| 623 Questa equazione esprime che il luogo cercato è un cerchio passante per il centro del perno, avente il centro sull'asse di simmetria del cuscinetto, ed il diametro 16 sen? La Poretti tai 6 i Si (m3 +2) (5 + sen 35) — 8m sen? 7 DELL'ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI 985 L’arco di questo cerchio che interessa nel caso del contatto completo è soltanto quello compreso tra i punti corrispondenti ad w=+wy (V. formola (8), $ 4). Se il contatto è parziale indichiamo al solito con 9' l’am- piezza variabile dell'arco di contatto. Il corrispondente valore di p si potrà ottenere dall’espressione valevole per il contatto completo per w=uw, (P = po cos wy), esprimendo in esso cos wy in funzione di 3 e ponendo poi &' in luogo di 3. Si ha: à 8m Je S+ sen5 — ms +2n sen’ > COS Wo = ==: = 8 "x S 9 5 2a 3 su m i 2) nd :( Fa m \ V6+ sen$- Pan 8°, +($—sen $) cotg 7 nS+dm, Sostituendo nell’espressione di p, semplificando e ponendo d’ in luogo di è si ottiene : nf 16n sen 2 p=- Mt) / / pix, 8m SAY (RA) 7, gi 2m 2 (n3+27)] È oa + o Y(cote 2 rd Inoltre si osservi che colle notazioni più sopra adottate sì ha: ed introducendo questo valore nell’espressione di tang yw prima ricavata si ottiene : Ss 8m s' 4 Si 2m t —|9" en'————se ci S'- senS” | otoe—-—- —-, tan (3 on w) 25 De: | va mi Fan 9 SHREROR 2° m94+2m hi Hi S+ senS iL en? Da Is senS)(cotg CARE DA ) È Pe sa = =s$en=- hi i ha o, Fb” = ms +27 2 89 °2 m3+2n Questa relazione e la precedente espressione di p sono le equazioni parametriche del luogo del punto P per il contatto parziale (parametro 9). È ovvio che le proprietà geometriche del luogo del punto P, che sono state dimostrate nell'ultima parte del $ 7 della Nota I valgono pure in questo caso; e per esse ci riferiamo a quanto 986 CARLO LUIGI RICCI — DELL’ATTRITO NEI FRENI E NEI PERNI è esposto nel detto paragrafo; esse si possono verificare se- guendo gli stessi procedimenti colà indicati; lo stesso sì dica per l’inviluppo delle linee d'azione delle risultanti totali. Il luogo di P per m=0 e per d= 100°, tracciato nella fie. 5 della Nota I, non differisce sensibilmente da quello che si ha per m=1; soltanto l'angolo w in questo caso ha il valore 11°,45' —, mentre nel caso precedente si aveva: Wo = 13° o, = È facile verificare che, come deve essere, tutte le formole di questa Nota, facendo m = 0, si trasformano nelle corrispon- denti della prima Nota, trattanti problemi analoghi; lo stesso sì dica delle costruzioni grafiche. Si può perciò dire che la presente Nota come caso parti- colare comprende pure la precedente; però non sembra inop- portuno l’aver esposto separatamente ed indipendentemente il contenuto della prima Nota, sia perchè esso è basato sull’ipo- tesi più comunemente usata nelle applicazioni e realizzante una buona approssimazione, sia perchè è costituito da concetti e relazioni più semplici che si prestano a dimostrazioni dirette ed immediate. Torino, Maggio 1914. ii — ANGELO PENSA — SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI, ECC. 987 Sulla risoluzione di equazioni vettoriali ed omografiche. Nota di ANGELO PENSA. 1. — Nella presente Nota sono studiate alcune equazioni ed alcuni sistemi di equazioni, che si presentano nelle applicazioni della teoria dei vettori e delle omografie; e di qualcuna di queste applicazioni si dà un cenno (n. 2 e n. 10). Altri tipi di equazioni omografiche e vettoriali sono già stati studiati, ed hanno già ricevuto numerose ed importanti applicazioni nella trattazione assoluta (cioè indipendente da coordinate) di molte questioni geometriche e meccaniche (1). Sk Due sistemi di equazioni vettoriali. 2. — Nella recente Nota di Keravar, Sur une famille de systèmes triplement orthogonaux (2), è studiato un particolare si- stema triplo ortogonale. Considerate le superficie u (P)= costante (ove « è un numero funzione della posizione di P), sono deter- minate le condizioni affinchè le linee asintotiche del primo (4) Cfr. C. Burari-Forti et R. MarcoLongo, Analyse vectorielle générale ; vol. 1°: Transformations linéaires, traduit de l’'italien par P. Baridon; vol. 2°: Applications à la Mécanique et à la Physique (Pavia, Mattei et C., 1912, 1913). i Cfr. pure: C. Burari-Forrt et R. Marcoronao, Hl4ments de caleul vecto- riel, avec de nombreuses applications à la Géométrie, à la Mécanique et à la . Physique mathématique (Paris, Hermann et Fils, 1910). (*) “ Comptes Rendus de l’Académie des Sciences de Paris ,, t. 157, a. 1913, 2° semestre, n. 20, pag. 905. 988 ANGELO PENSA sistema, sulle superficie v (P) = cost., ammettano delle superficie traiettorie ortogonali, e che le asintotiche del 2° sistema am- mettano esse pure delle superficie traiettorie ortogonali; e le condizioni perchè ciò avvenga si hanno eliminando a dalle equazioni \ x X gradu=0 dgradu _, _ (1) I MX X dP =" = 0 do. X-rokge = 0. Dalle prime due, col metodo che ora esporremo, si ricava x; e questo, sostituito nella terza, dà un'equazione differenziale di terzo ordine, che determina w. 3. Le prime due equazioni (1), indicando con @ ed x due vettori, e con a una dilatazione, si possono scrivere: È | cXxa=0 (2) I xXaa=0. Di qui risulta che x è normale ad @ e ad ax, e quindi, detto m un numero reale, si può porre: x=ma /\ ax, onde x è direzione unita per l’omografia @/\a. Per trovare queste direzioni basta applicare il metodo generale noto (8); cerchiamo perciò le radici dell'equazione cubica in #: ossia (4) 9+taXRaa=0 (5). Esse sono t=0, e t=+V—aX Raa. (*) Cfr. C. Burari:Forti et R. MarcoLoxso, Analyse vectorielle générale; vol. I: Yransformations linéaires (Pavia, Mattei et C., 1912), pag. 160. (*) Loe. cit. (*), pag. 42, formola [(1|. (5) Se a fosse un'omografia generale, l'equazione sarebbe t+ 2a Xx Va.t2+-aXRaa.t=0. SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 989 Allora, quando per # si assume una delle radici ora trovate, il vettore x=RK(a/\a—- t)®, ove è un vettore arbitrario, soddisfacente alla sola condi- zione che sia RK (a/\a —t)==0, sarà una delle direzioni unite cercate (È da notare che x conserva sempre la medesima di- rezione qualunque sia ®). Si osservi ora che la soluzione t= 0, trovata, deve essere ‘esclusa, nel caso nostro, perchè, come si riconosce subito, il corrispondente vettore x non soddisfa alla prima delle (2). Si deve quindi tener conto solo degli altri due valori di #, che soddisfano entrambi alla detta equazione. Assumendo in particolare, come vettore ®, il vettore a, si trae che se € = RK (a/\a—t)a è vettore non nullo, esso dà le soluzioni cercate. Ora si ha: RK (a/\\a—-t=R(—-a.a/\—-t)= cioè f A.V.G.,I, n.12,[2]i (0): = Ra.R(a1)—tC(a/\a)+t= e quindi { A.V.G., II, pag. 132, [7]{: — Ra.H(a,a)+t.a/\a+t:=H(a, Raa)+t.a/\a+ t?. Sostituendo a t? il suo valore — a X Raa, si ottiene x=a?.Raa +t.a/\gaa — a X Roa.a od anche x=_—a/{(a/\Raa)+t.a\a=—a/ (a/\Ra— ta)a che risolve la questione proposta (7). (9) Indicheremo, qui e nel seguito, con A. V. G. VAnalyse rectorielle générale di C. Burari-Forti et R. MarcoLonco [efr. nota (*)]. (*) La determinazione di 2 equivale, in coordinate omogenee nel piano, a trovare i punti comuni a una retta e una conica, e in coordinate non omogenee nello spazio, a trovare le generatrici di un cono quadrico, nor- mali ad una direzione data. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 66 990 ANGELO PENSA 3 4. — Considereremo ora un secondo sistema di equazioni vettoriali, che pure si presenta assai sovente nelle applicazioni. Si ha: Trorema. — Se a, 8 sono dilatazioni, 1 è una omografia qualunque, u, sono vettori, ed A=1,(aB) — Iyx? + I, }a.Ry.p.RKyr—y.RB.Ky.Ra}, allora il sistema di equazioni ; \ axXe+ 1YU=% d | Kre+By=®, nell'ipotesi A=0, dà, per i vettori x, Y, le espressioni: li = m Ea I y=KruH4 Bi ove a,, Bi sono dilatazioni e Y, è un’'omografia generale. Se a, B, r sono invertibili, allora: a=(a—v.B7. Kr) (III) B=(8— Ky.o.y)" Ya (ir — B.1 0) Per a, B, 1 invertibili 0 no, si ha: ( Aaj= 38. Ra-+ Ry.8.RKr— R'(a,v.R8.Ky), (IV) | AB,=]3a. RR + RKy.a. Rr— R' (8, Ky.Ra.v), Ayx,= — Isy. RKy — R8. Kr. Ra + R' (8. RKy ..0; Kr). Dim. — Supponiamo, per ora, a, 8, y invertibili. Operando (a sinistra) nella 1% delle (1) con y°', nella seconda con fi7', I ai SULLA RISOLUZIONE” DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 991 e sottraendo, poi operando nella prima con a7! e nella seconda con Ky! e sottraendo, si otterrà: (1) \ (ta —B3*.Ky)aea=rY1u—B®, 0. (aty—Kx*.B)y=otu— Kyo. Per formole note } A. V. G., I, n. 25, [9]; [2], [5]; n.9, [3]; n. 17, [7]{, si ha: 2 s (fra — B- La Taste @] gt (2) birra Eee) cpp ha. Kf3.-RA7. RKvr®y. 711. Ry +. Ral, e quindi } A.V.G., I, n. 20, [4], [6]; n. 16, [2] {: Î, (9 1RI20 Bet 100) E Dre sp Tr I3B re Lung ippelee pent Se a +h}%gr gg BA Ye Egon d: e analogamente: n. 1 3 I le — Wet rea (3) gle y_-K%B) I; (0Y) Dunque, essendo A==0, le omografie che nelle (1) sono applicate ad 2 ed y sono invertibili. Operando nei due membri delle (1) con le inverse di tali omogratfie, sf ha (A.V.G., I, Int. n. 7, p. 7): (4) (agnelli ae +09 id Volatat $: ( y=(1-a.Ky*.BY1w+(8—Ky.oaty)}1®; e se osserviamo che (A.V.G., I, n. 9, [3]; n. 16, [2]; n. 17, [5]): Kay. fi:E)=a_-y.B1.kr, K(8— Kr.a!.y)=B—Kry.at.y, Kikr-g.i1.o)=7T_- 0.K1.B,; risultano dimostrate le (II) e (III). 992 ANGELO PENSA Osservando che : yta—B1.Kr=yt(a—y.8.Ky), ay — Kyt.B=—Ky!(B—Kr.a.y), yia—B1.Kr=—B(KY—B.11.0), dalle (2) e (3) si ha (A.V.G., I, n. 12, [1]; n. 17, [7]; n. 25, (1), [2], [5]): I: Mn 130 | Is (Kr-B.rt.o)=— 1. | I,(a—-y.81.K)= (5) I;(8—Ky.o°.y)= Tenendo ora presenti le formole (A.V. G., I, n. 20, [4']):: __ RKo o1t= ar Ro +=: Ko | La (ove o è un'omografia qualunque), si ha (A.V.G., II, p. 134): Aa, =IB.R(a—Y.B1.Ky)= —1;8.) Ra + Ry.RB. RKy — R'(a,v.B3.Ky){= so \ B 7 7 RB_ rl __ =1,8. Ra +Rr.7-REr—R (av.15Kr){= —1;8.Ra + Rr.f.RKr— R'(a,y.R8.Kvy), che è la prima delle (IV). La seconda si ottiene da questa cambiando a, 8, y in f, a, Ky; la terza si ottiene come la prima. Le (IV) non contengono le inverse di a, f, y e quindi val- gono per a, 8, y invertibili o no (A. V. G., II, pag. 131, Théor. 2). 5. — Analogo teorema si ha per il sistema : \ ac+yy=w ( de4fy=" SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 993 ove a, 8, Y, è sono omografie qualunque: si ottiene: | (ta — Bd) e=r1u— BB! I (ay dr8)y au — drv ed A=I;(0a8) — I3 (19) +1,} Ka.RKy.KB.Rd — Kd.RK8.Ky.Ra}, ecc. 6. Osservazioni. — Facendo uso di un sistema cartesiano O, i, j, FK, invece delle (I) si presentano sei equazioni lineari tra le coordinate a, d, ce di x, e le coordinate f, 9g, & di y. Si ha, dalla 1° delle (I): aci + baj + cake 4- fré + grid + hrk=w e una analoga dalla 22. Moltiplicando (XK) ciascuna per è,Jj, & si ottengono le sei equazioni cartesiane. Il determinante dei coefficienti delle a, d, c, f, 9, A è: È OTO VB GR ORTO OT, € x VIE dXKoad, FK, FXKak, SX, FX, d XK kx at, kXaj,FeXialo,TeX ro, kXa, BX xk ix Kyé, éx Ktj, tX Krk, 4X pi, dx Bj, 6X pl d XKrî, FXKEvd, FXKrk, jd XK Bi, FXKBI, dX BE ke XKvè, EX Kr, EX Krk, kEX Bè, ke X BI, kX BI Facendo uso delle identità (ove w, v, w, @, d, c indicano vettori) : uXa, uxb UvXa, vXb Uuxa, uxb,uxoc PAR vKe —uX o/e be; W.Xa,wXb,wXe =(u/\v)X(a/d), con calcoli laboriosi si trova che A'= A, e si trovano anche le a, b, c, f, 9, h, come vengono date dalle (II), (IV). Risulta 994 ANGELO PENSA ora perfettamente inutile sviluppare questo calcolo, avendolo già effettuato rapidamente sotto forma assoluta. È utile osser- vare che gli operatori R, R' sostituiscono efficacemente l’algo- ritmo dei determinanti minori di un determinante, e che l’uso sistematico delle coordinate cartesiane conduce a complicazioni notevoli, e, ciò che più importa, del tutto estranee alla natura. della questione. $ IL Funzioni vettoriali omogenee. 7. — Siano %,, %s, ..., «, vettori variabili, indipendente- mente l’uno dall'altro, e sia: f (ui, U2, 005 Un) un ente (numero, vettore, omografia, ecc.) appartenente ad un sistema lineare, e funzione degli w. Come in analisi, noi diremo che f è funzione omogenea di ordine m quando, qualunque sia il numero #, si ha: (a) fi(teb, teca; i tn) = È 4 wa Sussiste, come per le funzioni numeriche (ammessa la de- rivabilità, ecc.), il teorema di EvLERO, cioè: (5) iu, ut id 1 +... paco Sr. Un=mf (1, Wa s.acns Pd La (5) si dimostra derivando la (a) rispetto a # (A.V.G., I, Intr. au Chap. II), e ponendovi poi t= 1. Viceversa, dalla (5) si deduce la (a). In particolare, se f è un numero funzione degli w, allora la (5) diviene (A.V.G., I, n. 39, [1]): (c) grad,,f X %, + grad,,f X st... + gradu,f X un="mf, ed è chiaro che grad,,f è un vettore, funzione omogenea di ordine m — 1 degli @. SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 995 8. — Daremo qui due teoremi relativi ai numeri funzioni omogenee quadratiche di due vettori. Teor. 1°. — Se è punti M, N variano, indipendentemente uno dall'altro, in un campo a tre dimensioni, e O è un punto fisso, la più generale funzione numerica omogenea quadratica dei vettori M—-O0, N— 0 è: (M_0)Xa(M—0)+2(M—0)Xy(N—0)+(N—0)XB(N—0), ove a e B sono dilatazioni, e Y è un'omografia generale. Dim. — Qualunque sia il numero 7, funzione omogenea quadratica di M — 0 e N—- 0, dal teorema di EuLero si ha: (1) 2T= gradyTX(M—- 0) + gradyT X(N—- 0); inoltre i gradienti di 7° rispetto ad M e N devono essere fun- zioni lineari di M—0 e N— 0; esisteranno quindi le omo- grafie a, f, Y, è tali che: (e) | gradyT=a(M—0)+x(N- 0) ) gradyT=d(M- 0) +B8(N- 0). Dalle (1) e (2) si ha subito: (3) 27=(M—0)X a (M— 0) + (M— 0) X (r + Kèò) (N— 0) + (EIN); ‘e operando in (3) con grady e grady, si ha: 2 gradyT=(a + Ka)(M— 0)4+(r+Kòd)(N--0), 2 gradyT= (d + Kr) (M— 0) +(B-+ KB) (N— 0), che, confrontate con le (2), dànno : a+ Ka= 20, y+Kòè=2y, d+K=2ò, B+KB=28B, ossia : a= Ka, dae AV}, BP =)K8% Queste, per la (3), ricordando la [3] di A.V.G., I, n. 9, dimostrano il teorema. 996 ANGELO PENSA Teor. 2°. — Se, essendo a, B dilatazioni, e Y una omografia qualunque, M, N, O punti, come nel teor. 1°, si pone: (A) 27=(M—0)Xa(N-0)+2(M— 0)X1(N— 0)+ +(N-0)XB(N-0), allora, posto ancora : (e) P=0+ gradyT, Q=04+ grad, T, si ha: i (°° 2712 (M_ TXT 04 (N XS 9 (9) M=04+ gradp7, N=0+gradyT, purchè il numero A, considerato nel $ 1, n. 4, di questa nota, non sia nullo. Dim. — Essendo 27° un numero funzione quadratica omo- genea di M—0 e N—O, si ha dal teorema di FuLero e dalla (d): 2T=gradyTX(M—- 0) + gradyTX(NT--0), che, per la (e), dà la (f). Da (4) ed (e) si ha: gradyT=a(M—- 0) +-Y(N--0)=P—0, grady®=Ky(M— 0)+B(N_ 0) =@—0, e per le (II) del $ 1, n. 4, si ha: n | M_0=a,(P-0)+n(0—0) | N_-0=K(P-0)+4B,(Q0—- 0), con a,, Bi dilatazioni e Y, omografia qualunque. Posti i valori (4) nella (f), si ha: 27=(P— 0) X ax (P— 0)+2(P— 0)X 11(0 — 0) 4 +(@0_-0Xf(Q0—- 0), SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 997 da cui si trae: gradpT=a,(P— 0){(-y.(0- 0) =M_—O, grado T==Ky,(P_ 0) + B,(0—0)=N_-0, in virtù delle (4). Queste formole dimostrano le (9). 9. Osservazione. — L'espressione (d) di 27 mostra che 27” dipende dai punti M ed N, e quindi, complessivamente, da 6 pa- rametri numerici: interpretandoli come coordinate di un punto in uno spazio a 6 dimensioni, ed indicando con « ed a rispet- tivamente un vettore ed una dilatazione in tale spazio, scelti convenientemente, potremo porre : 2d-rerXKae da cui: Brad Ie: e, posto ae = y, risulta, supponendo a invertibile, x = 07! y. E quindi: — n°7lal —:‘ grad, T=a"1y=x. Si ha così immediatamente il passaggio dalla equazione grad. T= y all’altra grad, T=%x. La condizione di essere a invertibile porta alla conseguenza che il numero A, di cui si tratta al n. 4, sia diverso da zero. Questo procedimento, molto più rapido del precedente, è però puramente formale, mancando la corrispondenza biunivoca fra le coppie di punti dello spazio ordinario e i vettori dello spazio a 6 dimensioni. 10. — Le cose esposte nei ni 8 e 9 dànno modo di rica- vare, in forma assoluta, gl’integrali delle equazioni differenziali del moto di un corpo immerso in un fluido. Tali equazioni sono state date da KircHHorr (8), e in seguito poste da CLEBScH sotto forma di equazioni differenziali di 1° ordine (°). (8) Kircanore, Ueber die Bewegung eines Rotationskòrpers in einer Fliis- sigkeit (£ Crelle’s Journal ,, Bd. 71). (°) A. CLessca, Ueder die Bewegung eines Kòrpers in einer Fliissigkeit [‘ Mathem. Annalen ,, Bd. 3 (1871), pag. 239, equazioni (1) e (2)]. 998 ANGELO PENSA In esse compaiono le derivate di una funzione omogenea di 2° grado 7, rispetto alle sue sei variabili w, v, w, p, 4 La 7 rappresenta l’energia cinetica del corpo e del fluido in- sieme; le x, v, w, le componenti della traslazione di un punto ge- nerico del corpo, e p, 9g, r quelle della rotazione dello stesso punto. Le u, v, w si possono interpretare come coordinate di un punto M, e le p, g, r come coordinate di un secondo punto N. Allora le (1) e (2) della citata memoria di CLeBscH |cfr. la nota {9)] si possono scrivere : (5) -£ graduT=(N—0)/\gradyT, (6) -5 gradyT=(M— 0) /\gradyT + (N 0) /\gradyT ed è anche facile ottenere queste, direttamente, in modo asso- luto, senza ricorrere a quelle di CLEBSCH, citate. Essendo dati i due vettori grady 7, grady 7 ed il punto 0, fisso, consideriamo i due punti P e @ tali che si abbia: (7) ( P=04H,gradyT 4 ( x | Q=0+gradyT. Di qui, pel teor. 2° di questo $, si deduce : i | M=0+grad=T ( N=0+grad9T7. Queste sono le equivalenti delle relazioni (12) della citata memoria di CLEBSCH. Servendoci di queste e delle (7), e sostituendo nelle (5) e (6), si ottiene : s (P_0)=grade7T/\(P—_ 0) 4 (@— 0) =grad»T/\(P— 0)-+ grado \(@—0), c106: 0) <=_(P_0)/grady7, (10) “®=_ (P_0)/\grad:T—(Q — 0) \gradoT. dt SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 999 Le (9) e (10) sono rispettivamente le (13) e (14) di CLeBScH [loc. cit., (9)]. Calcoliamo ora i tre integrali, trovati da KircHHore (19), delle equazioni (5) e (6), e riportati da CLeBscH (!!). Si ha, per le (9) e (10): 2 GE d grad p TX è” + gradg 7 xe = = gradp TX gradg 7 A(P—0)— gradp TX gradg TA(P— 0)=0, cioè : ra 0, da cui: (11) L=, gosk. Si ha poi, per la (9): dF DA 7% XAPe0O)=30.. Quindi: d Da (P_0}=0; ossia: (12) (P— 0)? = cost. Infine si ha, per le (9) e (10): de X(Q-0)+ XxX (P_0)= =-(P—0)gradgTX(Q—0)+(P—0)Agrad TX(Q—0)=0. Quindi : d[(P_0X(0—-0)]=0, * ossia : (13) (P_0)X(Q0—-0)=0. Le relazioni (11), (12), (13) costituiscono i tre integrali di KircHBOFF (1°). (4°) Loc. cit. (8). (4) Loc. cit. (°), pag. 240, formole (6). (1°) Cfr. loc. cit. (4). 1000 ANGELO PENSA Ed è utile osservare che, mentre nelle opere dei citatì autori, i calcoli, coll’uso di coordinate cartesiane, sono appena accennati, e si presentano lunghi e laboriosi, coll’uso delle omo- grafie vettoriali si riducono invece ad essere semplicissimi, e così brevi da potersi sviluppare per intero in poco spazio. $ NI. Risoluzione di equazioni omografiche. 11. — Siano a, f, z omografie, e l’omografia € debba sod- disfare alla condizione : (1) BE—=4. Se 8 è invertibile, allora si ba subito : E= Ra; ma se £f non è invertibile, allora l'equazione proposta non sempre ha soluzioni, e se ne ha, non possono essere trovate col metodo precedente. In ogni caso, l'equazione : EB =a si riduce alla prima forma operando con K, perchè sì ottiene: KB.KE= Ka. In ciò che segue risolveremo la (1) per B degenere, cioè per i casi in cui sia 8 omografia assiale, o diade, o somma di due diadi (*8)., 12. Tror. 1°. — Se a è un vettore unitario e a è una omo- grafia, l'equazione: (1) a/\E==a (9) Se B è degenere essa è somma di due diadi od è una diade, se- condochè Ra=i=0 od Ra=0. Anche l'omografia assiale è somma di due diadi (A. V. G., 1I, pag. 127), ed è soltanto sotto questa forma complicata che essa può essere trattata coi metodi del Grass. SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1001 ammette soluzione, rispetto alla omografia E, solo quando: (11) Kaa = 0, e, in tale ipotesi, la soluzione generale è: (089) z=—a/\a-H(u,a), essendo U un vettore arbitrario. Dim. — Qualunque sia il vettore x, si ha dalla (I): adxke= 90, e quindi : i Maso cioè (A.V.G., I, n. 15, [1]): e x Kaa=0, che, valendo per x arbitrario, dà la (Il), che è quindi condizione necessaria. Operando, a sinistra, con 4 / sulla (I), si ha: H(a,a)z —z=a/\a, cioè : H(Kza,a) —z=a/\aq, da cui: i (2) z=—a/\a + H(Hza, a). Posto Kza = « la (2) coincide con la (III), cioè la solu- zione generale della (1) ha la forma (II). Ma occorre provare che nella (III) il vettore w può essere arbitrario, contrariamente a quanto apparisce formalmente dalla (2). Invero, operando con 4/ nei due membri della (III), e tenendo conto della (I) si ha, qualunque sia : a/\z=—-}H(a,a)-1{a+H(w,a/\a)= —=—H(Koa, a) + a=a. Si osservi che dare ad arbitrio w equivale a dare ad ar- bitrio Kza, perchè anche dalla (III) si ha identicamente Kîa = x. 1002 ANGELO PENSA 13. Osservazioni. — a) Facendo uso di formole note (A.V.G., I, n. 12, [3]; n. 20, [3]; n. 23, [1]; II, pag. 136), si hanno le seguenti formole : IE=aX(u+2Va) hE=aX}Raa + C(Ka.a/\)w: IE=a X Raw 2VEe=(u/\— Ca)a. 5) A causa della (II) la a può essere assiale solo quando è della forma ma A, con m numero, e in tal caso si ha: (1°) aNnE=ma/\, e quindi: (III) s=m+H(w,a), indicando con w un vettore arbitrario. Se, nelle stesse ipotesi, si vuole che € sia dilatazione, allora deve essere 2VE= 0, ossia, ricordando l’espressione di 2VE data precedentemente, risulta che deve essere u/\a=0, cioè u=na, indicando con n un numero reale arbitrario; e si ha: (III!) E=m+ nH (a, a). c) Se poi si vuole che tanto a quanto E siano dilatazioni (cioò Va=0, VeE=î), allora la soluzione generale della (I) è: (III) s—-mH(a, a) +rnaA}2H(i, 4-1, ove m, n sono numeri reali, arbitrarii, ed é è un vettore uni- tario, arbitrario, purchè normale ad a. Infatti, dalla (1) del n. 10, si ricava (A.V.G., n. 12, [3]; n. 23, [2])): | 2Ve=—(ha—a)a + Kza/\a, : la quale diventa : 0=— (I0)a + Kza/\a, e porge: La =*0., Kia = ma. SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1003 Poichè Va=0, dalla (II) si ha, indicando con % un nu- mero reale, e ,j un vettore unitario tale che è, J, a sia un sistema ortogonale destrorso : a=/AH(é, d + aH(j,3), perciò : ba=kX-bn=0, cioè h=— n. Dunque : d=_nH(@- H(0,j)l; ma si sa che (A.V.G., I, n. 6, [8]): H (i,é) -H(3,j)+H(a,@)=1. Dunque : a=-—n}2H(i,é, -1+ H (a, a})}. Sostituendo nella -(1) del n. 10 si ha la (III). Si vede che l’omografia 2H (è, è) — 1 che compare in (HI) è la simmetria rispetto ad 4. 14. Tror. 2°. — Se a, d sono vettori (a unitario) ed a è una omografia, l'equazione: (IV”) Ha, 0) ammette soluzioni solo quando a è una diade, il cui secondo ele- mento è D. E l'equazione: (IV) H(a,0)z=H (c, 6) ammette come soluzione generale : (V) z=H(ca)+H(u,é + H(v,3) ove u, v sono vettori arbitrarii, e è, j formano con a una terna unitaria, ortogonale, destrorsa. Dim. — Dalla (IV’) si ha: E)\(Kza, d) =, lui Ra È 1004 ANGELO PENSA e quindi a deve essere una diade, e precisamente della forma H (e, d). Dalla (IV) si ha: H (Kza, 0) = H (€, 0) e quindi Kza=€; in conseguenza: K:=H(a,c) -H(éi,u+H(3j,v), da cui risulta subito la (V). 15. — Abbiamo risolta l'equazione RE=a, proposta al n. 11, nei casi in cui f sia una omografia assiale od una diade. Ci resta da considerare il caso in cui sia B una somma di due diadi. Ci sarà utile il seguente Tror. 3°. — Se BR è somma di due diadi, non riducibile ad una sola diade, allora, fissati ad arbitrio i vettori (non paralleli) e, d, complanari con tutti i vettori Ba, sono determinati, e in un solo modo, i vettori a e V tali che B=H(a,c) +-H(0,d); e se invece fissiamo i vettori (non paralleli) a, bd, complanari con tutti i vettori Ka, sono allora determinati, e in un solo modo, i vettori e, A tali che B ha la forma precedente. Dim. — Si ha, per ipotesi: B=H(w,0)+H(w','), con Au #0, vAv #0, ed i vettori Ba sono complanari con ® e è; i vettori Kfpa sono complanari con w e w'. Fissati, ad es., c e d compla- nari con v e v’, si ha: eu=mc+ nd, v=me+nd, e quindi : B= H (w, me) + H (x, nd) + H (2, m'e) + H (w', nd) = = H (mu + m'e', c) + H (ne + n'u, d). c.v. d. re —— = SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1005 TroR. 4°. — Se a, b, c, Ad sono vettori, e a, bd unitari e ortogonali, c, d non paralleli, e a è un’'omografia, l'equazione: (IT) \H (a, e) --H(, d){E=a ammette soluzioni solo quando a è somma irriducibile di due diadi, cioè (Teor. 3°) quando si ha : (VD }H(a,0+H0b,d){E=H(w,c)-+ H (8, d); e in tal caso la soluzione generale è: (VII) z=-H(a, a) +H(0,0)+H(u,ad), indicando con u un vettore arbitrario (14). Dal teorema 3° risulta che l'equazione (VI’) deve avere la forma (VI). Dalla (VI) si ha: H (Kza, c) + H (Kb, da)=H(a',c) +H(d' d), e pel Teor. 3°: Ka do K0b=d'; e per una nota identità (A.V.G., I, n. 6, [7]):: Ke=H(a,a')+H(0,0) +H(aAd, u), ove u= Kz(a Nd). Di qui si ha la (VII). OsseRvaziIONE. — Operando con R sulla (VI') si ha (A.V. G., E'a20N15]Y n620019)) H(a\b,cA1d).RE= Ra, che è del tipo (IV). Dovrà essere Ra una diade. Soddisfatta tale condizione, la (V) determina R&, e si potrà quindi avere £ (A.V. G., II, pag. 133, Théor.). (14) È interessante confrontare questa soluzione con quella del Teor. 1°, n. 12, ed esaminare quale complicazione di forma e di calcolo si avrebbe se, come col metodo del Grss, si fosse costretti a considerare l’omografia assiale come somma di due diadi. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 67 1006 ANGELO PENSA $ IV. Sulla condizione R' (a, 8)=0. 16. Teor. 1°. — Se a e B_ sono omografie, una almeno delle ) invertibile (ad es. 13B == 0), e per a vettore arbitrario si ha: quali è (ax) /\Bxr=0, allora esiste un numero reale m tale che a = mn. Dim. — Dall’ipotesi segue che per x arbitrario si ha : axvr= mpa, ove m è un numero che può essere funzione del vettore x. Se R è invertibile, opero con 87! a sinistra, sui due membri di quest’ultima uguaglianza, ed ho: Bag = ma. Dunque l’omografia B7!a trasforma ogni vettore in un vet- tore avente la stessa direzione. Perciò (A. V. G., I, pag. 14) essa, deve essere un numero, cioè : rio = ai da cui a="mB; con m indipendente da «. cv. d. Teor. 2°. — Se a è un’omografia, e se per a, y vettori ar-. bitrarii si ha: xceXa(ae/Nny=0, allora a è un numero. Infatti, pel teorema di commutazione (A. V. G., I, n. 15, 1) dalla ipotesi segue : Kaa X (e Ay)=0, ossia : (Kax Aa) Xy=0, SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1007 per y arbitrario, e quindi: KagAae=0, per x arbitrario. Cioè Ka (e quindi a) è un numero. Teor. 3°. — Se a, R_ sono omografie, si ha: R'(0,B)= 0 solamente nei seguenti casi: a) Quando B=0 (0 rispettivamente a= 0) ed a (0 risp. 8) non è degenere; b) Essendo a e B degeneri, e una almeno delle omografie. Ra, RB non nulla, occorre che le omografie Ra, RB trasformino ogni vettore in un altro parallelo ad un medesimo vettore k (cioè Ra e RB devono essere diadi aventi k per secondo elemento), per i quale sia pure R' (Ka, KB)k=0; c) Essendo le omografie Ra, RB entrambe nulle (il che im- plica che a e B siano: degeneri (15)) occorre che a e B, ovvero Ka e KR trasformino ogni vettore in un altro parallelo ad un mede- simo vettore (cioè a e B siano diadi aventi paralleli i primi od è secondi elementi). Dim. — a) La condizione R' (a; B)=0 dà, per x ed y ar- bitrarii: (1) (ar) A By + (Be) Aay=0, la quale prova che, ad es., i vettori Ba, ax, ay sono compla- nari; quindi si ha, ad es.: (62) X (ax) Aay= 0, od anche Ba X Ra(eAy)=0, e quindi (A.V.G., In. 15; []): Valendo questa per x ed y arbitrarii, dal Tcor. 1° (n. 16) si ha: Kp.Ra=wm, (45) Cfr. A. V. G., I, n. 20, [4]; IT, pag: 131. 1008 ANGELO PENSA indicando con m un numero reale. Moltiplicando a destra per Ka si ha (A.V.G., I, n. 20, [4]): (I3a) KB=mKa, cioè (130) B= ma. Supposto I3za==0 (cioè a non degenere ('5)), si ha: B= ha, ove h è un numero reale. E quindi (A.V.G., II, pag. 134, [1]; I, n. 20, [1]): R' (a, B)= R' (a, ha) = 24Ra. E affinchè sia R'(a, B)=0, deve essere 4=0, cioè B=0, perchè, essendo a non degenere, non può essere Ra= 0 (A.V. G., I, n. 20, [4]; 1I, pag. 131). La condizione a) è dunque necessaria. È pure sufficiente, perchè R' (a, 0)=0. 5) La (1) dice che i vettori ax, ay, Ba, BY sono com- planari, e quindi i vettori : (ax) \ay= Ra (xe 4), (Be) ABy=RB(xe/4) sono paralleli, vale a dire che, per & arbitrario, si ha : (2) (Rax) \RBx =0. Se a e 8 sono degeneri, allora Ra ed Rf sono diadi (A. V. G., I, n. 22, [1]; II, pag. 138), e se non sono entrambe nulle, allora la (2) dice che: (3) Ra=H(p,K), RB= H (9, &) ove p, g, k sono vettori, e & può ridursi ad essere unitario (17). (A. VG. IL pag. DSL. (5") Perchè H (a, mb) = H (ma, db). SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1009 Si deve allora avere, essendo è, j, X un sistema unitario destrorso (A. V. G., I, n. 21, [5]): (4 \ a=H(a,é)+H(w,j) con a\u= p | B=H(b, 4) +H(v, 3) con bA\v=gqQ. Per questi valori di a e B si ha (A.V.G., II, pag. 134, [5] [12])): R'(a,B)=H(aAvT—-uNADd,K), e la condizione R' (a, B)=0 equivale a: (5) av=uNbD. Ma dalle (4) si ha subito : a= Kai; u=Kaj; b=KBi; ve Epp e quindi la (5) diviene : (Kaé) \\KBé + (KBé) /\\Kaj=0, cioè : (6) R'(Ka, KB)E=0. Le (3), (6) dimostrano. che la condizione bd) è necessaria. È pure sufficiente perchè, valendo le (3) e (6), valgono pure le (4) e (5). c) Se Ra=0 e RB=0, allora a e f sono diadi (A. V. G., II, pag. 133), cioè: a ='iH.(@,1), B=H(0b,v). E poichè (A.V.G., II, pag. 134, [12]): R'(a,B)=H(a Ad, uv), si ha R'(a,8)=0 solo quando: a/\b=0 ovvero uAi0=04, cioè solo quando a, R sono diadi aventi paralleli i primi od i secondi elementi. La condizione c) è dunque necessaria e sufficiente. 1010 ANGELO PENSA $V. Derivate dei vettori, funzioni di un punto, formanti un sistema unitario, ortogonale, destrorso. 17. I vettori è, j, &#, funzioni del punto P, variabile in un campo a tre dimensioni, formino un sistema unitario, orto- gonale, destrorso, cioè : (a) a=1;: 21,0) Pt, (5) SXk=0, KkX4=0, iXj=0. 7 di, s_ di wa dk cruxl (a ) Ksst=9} KE p SH, K_pk= , dj dle; da dk AR pgti (8) RR TA ; I Gp Li; —= 0, di dj \ pi UL Per le derivate rispetto a P dei vettori é,, # sussiste un teorema analogo a quello fondamentale della cinematica (!5). Si ha invero il seguente Tror. — Esiste una omografia w tale che (1°) dn. cc Ap E -" (1) PT Pranzi ap INW, aper (!8) Cfr. C. Burari-Forti et R. MarcoLongo: a) Eléments de calcul vecto- riel... (Paris, Hermann, 1910); 5) Analyse vectorielle générale: I. Transfor- mations linéaires... (Pavia, Mattei et C., 1912). Cfr. pure: A. Pensa, Sopra alcune proprietà del moto di un corpo rigido [“ Rendie. del Circolo Matem. di Palermo ,, vol. 36 (1913, 2° semestre), n. 2]. (49) Si noti l'analogia con le formole di Frener (Cfr. C. Burari Forti et R. MarcoLoxso, loc. cit. ('5), a)]. Esiste infatti il vettore tale che SULLA RISOLUZIONE DI EQUAZIONI VETTORIALI, ECC. 1011 Dim. — Si ha identicamente, ad es.: © -n(,d)+E(r%;j)+H(K4xk,k), dP e quindi per la prima delle (a'), e osservando che j= —è/\F, dbi="@/\j, si ha; ata È di 1, | S=\|-H(K-j,k)+H(K-$%.d)|. e per le (2): di È dk j di 1, 2 =i/\|H(K-j, i) +H(K-$ 4,3) +H(K3 dik). Ma l’omografia entro parentesi quadre è simmetrica rispetto ad è, j. K: indicandola con w, risultano senz’ altro dimostrate le (1). Si ha poi, che: La forma effettiva di w in funzione delle derivate di è, .j, k è: dk | e) saga rag. ran gn e Dim. — Dalla (1) si ha (A.V.G., I, pag. 43, nota 1?): iN =(i\P}.w=)}H(—-1{w e due altre analoghe, in cui è è sostituito da j e da &. Som- mando si ha (A.V.G., I, n. 6, [8]): Di Li st i\ap TÎÌ IN + pe da cui si ha la (2). 18. — Giova osservare che dalla (2) si ha: A METTO —2di\u=H(,9 “gag i+HaamM gt, che, per le (8°) e (c) dà ancora la prima delle (1). > 1012 ANGELO PENSA — SULLA RISOLUZIONE, ECC. Notiamo anche le formole seguenti, che si deducono facil- mente dalle (1): (3) roté=(Cwi, rot.j= Cwj, rotk=(Cwk, (4) divi=—2iXVw, divj=—2jXVuw, divk=—2%kXVw, (4) divé.d + divg.J+divk.kK=_—2Vw, (5) i Xroté+4.j X rotj + KX rot&k=1Cw=21w, (6) d \roté+j /\rotjt+ KA rot&k=2VCw=—2Vw (29). Torino, 6 maggio 1914. (2°) Mediante l’omografia w, alcune delle formole della interessante nota di M. Pieri, Sui sistemi di o! superficie (“ Atti R. Accad. di Torino,, vol. XLVIII, anno 1912) possono rendersi più semplici. 1013 Relazione sulla Memoria del Dott. Mario SapeGno, Contri- buto all’istologia normale e patologica del fegato. Nella sua Memoria l'A. porta un primo contributo ad im- portanti questioni concernenti tanto l’istologia che l’istopato- logia del fegato umano, usando di nuovi metodi tecnici di in- dagine microscopica da lui stesso studiati e basandosi sull’esame: sistematico di 200 esemplari di fegati. Premesso sinteticamente quanto ci è noto oggi sulla costi- tuzione dell’apparato connettivo-vascolare del lobulo epatico, notate le lacune e le contraddizioni che vi esistono e i problemi nuovi che tuttora aspettano la loro soluzione, l'A. dimostra che è possibile isolare dal complesso di fibrille precollagene che attorniano i capillari portali e che rivestono le trabecole epa- tiche, un sistema particolare di membrane delimitanti uno spazio perivascolare. Con i metodi proposti dall'A. non solo. riesce di dimostrazione facile anche nel materiale cadaverico umano, e su sezioni, l’esistenza di tali guaine, ma riesce ancora agevole studiare di esse le variazioni strutturali patologiche. Gli spazi perivasali descritti dall’A. sono delimitati da due membrane composte di una sostanza omogenea in cui decorrono nervature di rinforzo fra loro anastomizzantesi a rete: essi cir- condano il capillare portale e si mettono in comunicazione con i contigui per mezzo di derivazioni laterali passanti fra due cellule epatiche della trabecola interposta: le membranelle in -parola, fra loro congiunte da tenui tramezzi che decorrono dal- l'una all’altra, non posseggono un rivestimento endoteliale ma. sono fornite di elementi cellulari triangolari o stellati, con pro- lungamenti, che sembrano identificabili con le cellule descritte da v. Kupffer e la cui funzione era tuttora ignota. 1014 L'A. dopo di aver descritto i rapporti che intercedono fra queste speciali strutture e le fibre cosidette a “ graticcio ,, e aver dimostrata la possibilità di riscontrare in esse un conte- nuto di natura varia (sostanza amorfa, pigmento biliare, glo- buli rossi etc.) passa ad esaminare le alterazioni istologicamente rilevabili nelle guaine perivasali. In un primo gruppo di casi esse consistono nella comparsa di fibrille precollagene nello spazio perivasale con o senza proliferazione di esse secondo modalità diverse: in un secondo gruppo consistono invece in evidenti e pure metamorfosi regressive delle membranelle deli- mitanti gli spazi perivascolari. Tutte queste alterazioni non si riscontrano solo in svariate condizioni morbose sia locali del fegato che generali, ma anche in quei particolari stati dell'organismo che più direttamente son collegati con la insufficienza o la deviazione dei processi di nutrizione, quali lo stato linfatico o timo-linfatico, il marasma, la cachessia, l'atrepsia, il mixedema, etc. Dalla morfologia in condizioni normali e dal comportamento delle guaine perivasali in condizioni patologiche, l'A. è indotto ad attribuire ad esse una notevole importanza nella nutrizione dell'elemento cellulare e ad interpretarle come costituite da membrane permeabili che regolano gli scambi fra cellula e plasma sanguigno. In base a tali dati ci è quindi possibile penetrare più intimamente di quanto finora non si sia potuto fare la na- ‘tura di molti processi morbosi e di dare a questi una base anatomica morfologicamente dimostrabile. Particolarmente degni di nota sono due reperti che l'A. potè mettere in evidenza nell’amiloidosi e nell’atrepsia: nel primo caso si ha un quadro affatto specifico e che differisce da quello riscontrato in processi che all’amiloidosi si vollero avvi- cinare — ialinosi —: nel secondo si nota che lo sviluppo del sistema perivasale è rimasto inferiore a quello che esso, data l'età del soggetto, avrebbe dovuto aver già raggiunto, reperto che differisce completamente da quello osservato dallo stesso A. nel marasma e nella cachessia degli adulti. Fra altre osservazioni raccolte dall'A. ricordiamo infine an- cora come più notevoli e per la prima volta descritte, la dimo- strazione di una proliferazione di tessuto precollageno in fegati di alcoolisti eronici che non presentavano nessuna alterazione 1015 cirrotica, e la dimostrazione di una proliferazione notevolissima sempre di tessuto precollageno nel fegato in casi di nefrite pa- renchimatosa cronica, proliferazione che manca invece comple- tamente quando si tratti di un rene grinzo genuino. L’originalità e l’importanza delle osservazioni fatte dall'A. ci inducono a giudicare il lavoro del Dott. Mario Sapegno come degno di essere pubblicato fra le Memorie della nostra R. Ac- cademia. Torino, 10 Maggio 1914. Pro Foà R. Fusari, Relatore. L’Accademico Segretario CorRADO SEGRE. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 17 Maggio 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE CHIRONI DIRETTORE DELLA CLASSE Presenti i Soci: Manno, De SancrIs, RUFFINI, STAMPINI, D’ErcoLe, Ernaupi, Baupi pi Vesme, RenieR Segretario. — È scusata l’assenza del Presidente BoseLLi e dei Soci CARLE, BronDI, SFORZA. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 3 maggio 1914. Il Socio Rurrini offre in omaggio, da parte dell’autore, due opuscoli ed il volume: Il giornalismo giobertiano in Torino nel 1847-1848 di Eugenio PASSAMONTI. Per l'inserzione negli Atti il Socio BaupI pi VESME presenta la sua Nota, a lui richiesta dalla Classe, su Ba/dassare Mathieu, pittore d’ Anversa. Pure per l’inserzione negli Atti il Socio DE SaneTIS porge sotto la propria responsabilità i seguenti lavori, di cui chiarisce l’importanza : 1° Achille VogLiano, Una iscrizione greca arcaica j 2° Adele Cortese, Le origini di Taranto; 3° Aldo FerRABINO, Ancora Cirene mitica. 1017 Raccoltasi quindi la Classe in Seduta privata elegge a Soci corrispondenti : nella Sezione di Scienze filosofiche: Giovanni GENTILE, Pietro MartINETTI, Guglielmo WinpeLBAND e Enrico BERGSON; nella Sezione di Scienze giuridiche e sociali : Pasquale JANNACCONE e Camillo MONTALCINI ; nella Sezione di Scienze storiche: Roberto DAvIDSOHN, Edoardo MeyER, Silvio Lippi. 1018 ALESSANDRO BAUDI DI VESME LETTURE Baldassare Mathieu, pittore di Anversa. Nota del Socio ALESSANDRO BAUDI DI VESME (Con una tavola). Nell’adunanza che la nostra Classe tenne il 21 dicembre 1913, io ebbi l'onore di presentare, per incarico datomene dall'autore, una memoria del Prof. Adolfo de Ceuleneer, intitolata La Der- nibre Cène de Balthasar Mathysen à la Soperga ed inserta nel periodico Les Arts anciens de Flandre (Bruges, 1913). Avendo io accompagnato la mia presentazione di quella memoria con al- cune informazioni verbali intorno al pittore studiato dal Pro- fessore Ceuleneer, fui invitato dalla cortesia dei Colleghi a sten- dere una Nota per i nostri Atti nella quale fossero riportate le dette informazioni e quelle altre che eventualmente avrei potuto aggiungere in proposito. Il presente scritto è in adempi- mento di quell’invito. Comincio col dichiarare ch'io sono d'accordo col Ceuleneer nel ritenere che il Balthasar Mathysen che, stando ai Liggeren ossia alle matricole della Corporazione d’Anversa, fu nel 1647 ricevuto maestro pittore, sia l’identico artista che in Piemonte pochi anni appresso era chiamato Baldassare Mathieu; ma non intendo per ciò rinunciare alla forma del nome di famiglia “ Mathieu ,, — che è quella che più comunemente incontrasi nei documenti e nei libri antichi, e quella pure, probabilmente, in cui l'artista stesso, durante gli anni da lui trascorsi in Pie- monte, soleva sottoseriversi, — per adottare la forma “ Ma- thysen ,, la quale sinora non risulta che da un unico docu- mento e si riferisce ad un tempo in cuì l'artista era ancora ignoto. Il più antico libro, per quanto io sappia, in cui trovasi menzione di Baldassare Mathieu è la Notizia delle pitture, scul- BALDASSARE MATHIEU, PITTORE DI ANVERSA 1019 ture ed architetture..... delle città d’Italia, di Francesco Bartoli (Venezia, 1776), ove, a pp. 20-21 del 1° volume, descrivendosi l’Eremo di Torino (allora chiamato di Pecetto), è detto : “ Nel refettorio il considerabile quadro esprimente Ja Cena di Cristo cogli Apostoli è di Matteo d'Anversa che vi lasciò il suo nome così: “ MATTHEVS ANTVERPIENSIS , (1). Già alcuni anni prima la Guida de’ forestieri per la real città di Torino (To- rino. 1753), a p. 156, aveva ricordato quella Cena come * sti- mata molto da’ periti nell’arte ,, ma non ne aveva indicato l’autore altrimenti che col dire ch’esso era “ un celebre pittore fiamengo , ; ed Ignazio Nepote, l'anonimo autore di / pregiv- dizio smascherato da un pittore (Venezia, 1770), a p. 59. in uno dei suoi sgangherati settenari sdruccioli la disse “ pittura di un buon gallico ,, tacendo il nome dell’artista e facendo errore sulla nazionalità di lui. La Nuova Guida per la città di Torino di Onorato Derossi (Torino, 1781), a p. 150, aggiunse un nuovo particolare, dicendo che la Cena fu dipinta nel 1657. Questo particolare fu certamente comunicato al Derossi dall’erudito Giuseppe Vernazza, al quale, com'è noto, è dovuta la massima e miglior parte delle notizie artistiche contenute in quella guida, ed il Vernazza lo trovò senza dubbio nelle scritture d'archivio dell’Eremo dei Camaldolesi, donde egli estrasse pure un’altra indicazione, cioè il prezzo pagato all’artista, che fu di lire 545 e soldi 10 (2). Il Lanzi, la cui Storia pittorica ebbe la sua prima edizione nel 1789, scrisse: “ Dopo un Baldassare Mathieu d’Anversa, di cui è una Cena di Nostro Signore nel refettorio dell’Eremo, pregiata molto, si trova dichiarato pittor di corte Giovanni Miel dei contorni pure d’Anversa..... ,. J]l Dizionario dei pittori di Stefaro Ticozzi (Milano, 1818) afferma anch'esso che il Mathieu (da lui, forse per errore tipografico, chiamato Mattein) “ era pittore di Corte in Torino nel 1656 ,. Per contro il Cibrario, (1) Presentemente nè questa firma nè altra qualsiasi è visibile sia sulla pittura che a tergo della tela. Forse le parole segnalate dal Bartoli si leggevano sulla cornice del quadro, quando questo aneora si trovava all’ Eremo. (2) Biblioteca del Re, Miscellanea Vernazza, XLIII, f. 129. 1920 ALESSANDRO BAUDI DI VESME . nella Storia di Torino (II, 69), ebbe il capriccio di negare che il nostro artista sia mai stato pittore ufficiale della Corte di Savoia; ma il seguente documento dimostra che la sua negazione è infondata. 1656, 31 maggio. — “Il Duca di Savoia..... AI Tesoriere generale..... Havendo noi per patenti nostre in data delli 30 ge- naro 1654 dechiarato per nostro pittore Baldassare Mathieu fiamengo, e volendo noi hora che si trattenga appresso la no- stra persona per travagliare, li stabiliamo un trattenimento col quale possa convenientemente sostenersi alla nostra servitù ; onde con le presenti ..... vi ordiniamo che ..... debbiate pagare PA annualmente et a quartieri, cominciando dal primo del cor- rente anno 1656 et durante il nostro beneplacito in avvenire, al sopradetto nostro pittore Baldassare Mathieu la somma di livre due milla d’argento .... Torino .... Carlo Emanuel , (Ar- chivio Camerale in Torino, Controllo, vol. 135, f. 196). Ecco altri due documenti concernenti l'opera del Mathieu in servizio del Duca di Savoia. 1655. — “ Al signor pittore Mattia, a consideratione di due gran quadri presentati a S. A. R.; livre 675. , (Archivio Camerale, Tesoreria Generale). Quantunque in questo documento (come pure in un altro che darò fra poco) il nome di battesimo sia taciuto e quello di famiglia sia alquanto sfigurato, non può esser dubbio che vi si alluda al nostro pittore d’Anversa, tanto più se si bada che fra gli artisti che in quel tempo vivevano a Torino non se ne trova alcuno il cui nome o il prenome fosse “ Mattia ,. 1657. — “ Al signor Baldassar Mattheus fiamengo, pittore di S. A. R., a conto del suo stipendio..... , (Ibidem). Darò ora su Baldassare Mathieu due preziose nozioni bio- grafiche che non si trovano in alcun libro a stampa da me co- nosciuto. Entrambe sono desunte dalle carte del piccolo archivio della Compagnia di San Luca in Torino, le quali presentemente si conservano presso la R. Accademia Albertina di belle arti. Una di queste nozioni ci apprende che “ Monsù Mattia , era nel 1658 priore della sunnominata Compagnia di San Luca, la quale si componeva di pittori, scultori ed architetti. La ca- rica di priore era elettiva, annuale e la più alta che avesse la Compagnia di San Lnca. Questa società data almeno dal 1652, : . BALDASSARE MATHIEU, PITTORE DI ANVERSA 1021 ‘anno in cui ottenne l’uso di una cappella nella chiesa catte- drale ; nel 1675 essa fu aggregata all'Accademia di San Luca di Roma, e nel 1676 fu da Maria Giovanna Battista, Duchessa Reggente di Savoia, onorata della protezione sovrana ; essa ebbe. alternatamente periodi di floridezza e periodi di languore, sino ‘all'occupazione francese del Piemonte sul cadere del sec. XVIII, ‘epoca in cui cessò. Talora si chiamava ambiziosamente Acca- demia, anzichè Compagnia, ma in nessun caso essa dev'essere confusa con la Reale Accademia di pittura e scultura di Torino, istituita dal re Vittorio Amedeo III nel 1768. Grazie all’altra notizia fornitaci dalle carte amministrative della Compagnia di San Luca veniamo a sapere che “ Baldas- sare Mattia , morì nell’anno istesso in cui fu priore, cioè nel 1658. Il Ceuleneer, il quale non seppe menzionare che un’unica ‘opera di Baldassare Mathieu, cioè la Cena originariamente al- l’Eremo ed ora a Superga, termina il suo articolo dicendo: “ Je souhaite que des recherches ultérieures permettent de découvrir d’autres ceuvres de cet artiste qu'on peut ranger parmi les bons maîtres de l’École anversoise du XVII siècle ,. Questo augurio sin qui rimase senza effetto, ma oggi io mi credo in grado di segnalare alcuni altri dipinti eseguiti dal nostro artista. Il 19 settembre 1657 i frati dell’Eremo di Torino, ai quali Baldassare Mathieu già aveva dipinto la nota Cena, gli paga- rono lire 97,15 per due quadri, l'uno rappresentante S. Bene- detto e l’altro S. Romualdo. Così trovasi nei manoscritti di Giuseppe Vernazza (1), il quale evidentemente attinse la notizia alla stessa fonte dove trovò la data e il prezzo del quadro della Cena, cioè nei libri contabili del convento dell’Eremo. Non si sa che sia divenuto di questi due quadri dopo la ven- dita ai pubblici incanti del detto convento e del suo arredamento nel 1809. Nello stesso anno 1657 Baldassare Mathieu dipinse per il Principe Emanuele Filiberto di Carignano (il sordomuto) un ri- tratto equestre del Duca Carlo Emanuele II, che gli venne pa- gato 25 doppie (2). Anche di questa tela s’ignora la sorte. (1) Biblioteca del Re, Miscellanea Vernazza, XLIII, 129. (2) Miscellanea Vernazza. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 68 1022 ALESSANDRO BAUDI DI VESME Il Dizionario geografico di Goffredo Casalis (IV, 610) ha che all'Eremo di Cherasco, detto anche di Selva Maggiore, late- ralmente al coro eranvi due gran quadri del Mattei (sic) fiam- mingo. Non è, a parer mio, un'ipotesi soverchiamente audace il ritenere che questo “ Mattei fiammingo , debba essere iden- tificato con Baldassare Mathieu. In tal caso rimane notevole il fatto che questo pittore durante il non lungo suo soggiorno in Piemonte abbia eseguito non meno di cinque quadri — tre dei quali erano certamente di grandi dimensioni — per l’ordine dei frati Camaldolesi. Il Casalis parla dei due quadri dell’Eremo di Cherasco come già non più esistenti quand’egli stampava il IV volume della sua opera (cioè nel 1837), nè in appresso essi vennero ritrovati. Ma sebbene nessuna delle pitture pur ora menzionate sia più in essere, mi proverò a dimostrare esser falso che la Cena di Superga sia la sola opera di Baldassare che ci sia pervenuta. È noto ai bibliofili un pregevole volume che ha per tix tolo: La Venaria Reale, Palazzo di piacere e di caccia, ideato dall’Al.® Reale di Carlo Em. II Duca di Savoia Re di Cipro, di- segnato et descritto dal Conte Amedeo di Castellamonté; L’Anno 1672. Esso è illustrato da 66 tavole incise a bulino da Giorgio Tasnière, fuorchè una sola ch'è lavoro di Antonio de Piene. Il testo e in forma di dialogo: uno degli interlocutori è il Conte di Castellamonte, il quale fu non soltanto l’autore del libro ma anche l'architetto del grandioso castello della Venaria, e l’altro e il Cavalier Lorenzo Bernini, Questo celebre artista vide vera- mente la Venaria quando, durante l'autunno del 1665, nel suo ritorno da Francia a Roma, passò per Torino. Nel summenzio- nato volume leggesi che quando il Bernini in quella sua visita al castello giunse nella gran sala che si chiamava la Reggia di Diana, dopo aver ammirato i ricchi freschi della volta espri- menti soggetti mitologici e venatori, così interpellò il Castella- monte che gli serviva di cicerone (p. 28): “ E quest'altro or- ‘ dine di quadri maggiori dipinti ad oglio, cinti di grandi cornici “ dorate, rappresentanti Cavaglieri e Dame al naturale, in “ habiti chi d'Amazoni e chi di Cacciatrici, sopra generosi ca- “ valli, in atti tutti di saltare e di correre; chi sono? poichè “ non devono esservi posti a caso ». Alla qual domanda il Conte di Castellamonte rispose: “ Se BALDASSARE MATHIEU, PITTORE DI ANVERSA 1023 “la su, Signor Cavagliere, nel cielo di quella volta V. S. ha “ mirate le bellezze di quelle Deità poetiche e favolose della “ Reggia di Diana, qui nella corona di questo gran fregio di- “ stribuito in dieci altri quadri ammirerà le non finte, ma vere “ e naturali bellezze del corpo e dell'animo delle Reali Heroine “ e principali Dame di questa Regia Corte, le quali distintamente “ darò a conoscere a V. S. ,. Ed infatti l'architetto piemontese addita e nomina al Ber- nini i cavalieri e le dame effigiati in quelle dieci tele. Egli non enuncia i nomi dei pittori, ma siccome fra le incisioni del suo libro della Venaria Reale ve n'ha dieci che riproducono ap- punto i quadri in discorso e portano in basso, oltre ai nomi delle persone rappresentate, del delineatore e dell’incisore, anche i nomi (talora abbreviati) dei differenti pittori che li fecero, v'ha per noi la possibilità di venir a conoscere chi furono gli autori dei singoli dipinti. Qui sotto trascriverò le iscrizioni che indicano i pittori, ma ometterò quelle che si riferiscono al delineatore (ch’è sempre G. B. Brambilla) e quelle che si riferiscono all’incisore (ch'è sempre (riorgio Tasnière). “ Math. pinx. — C. Delphinus pinx. — C. Delphin. pine. — « Spirit. pinx. — J. Miel pierix. (sic). — Cau. Mombasilio pina. “-- C. Delphin. pinx. — B. Carauoglia pina. — Math. pina. — “ Cau. Mombasilio pinx. ,. L'epigrafe “ C. Delphinus pinx. ,, che figura in tre compo- sizioni, dimostra che queste sono dovute al pittore francese Charles Dauphin. “ Spirit. pinx. , significa che il relativo quadro è di mano di Esprit Grandjean, di Chambéry. Il nome “ J. Miel , dinota il fiammingo Giovanni Miel, che dal 1658 al 1664 fu pittore di Corte del Duca di Savoia e morì in Torino. “ Cav. Mombasilio , è il dilettante Cavaliere di Mombasiglio. “ B. Ca- rauoglia , è Bartolomeo Caravoglia. — Solamente rimane a spiegarsi a chi alluda la scritta “ Math. pine. ,, che occorre due volte. La circostanza, già da me riferita, che fra i pittori che operavano in Torino nella seconda metà del secolo XVII non ne fu trovato alcuno il cui nome di battesimo o di famiglia co- minci con “ Math. ., mi fece sospettare a priori che quest'ab- breviazione accenni al nostro Mathieu. Ma poichè in questioni 1024 ALESSANDRO BAUDI DI VESME d’arte poco valgono gli argomenti ed ancor meno gl’indizi di carattere documentario quando non sono confermati da prove basate sulle affinità o diversità degli stili e delle tecniche, volli che fosse riservata a siffatte prove la decisione della questione, servendo la Cena di Superga, ch'è opera indubitabile del. Ma- thieu, come di pietra di paragone. Nessuno dei dieci quadri di questa serie si trova più alla Venaria. Si conosce però esattamente quando è avvenuta la loro emigrazione da quel castello, per l’adornamento del quale erano stati dipinti. In una lettera (1), curiosa per l’incolta na- turalezza dello stile, del 2 ottobre 1693 il custode del castello della Venaria Reale informa da Torino il suo sovrano Vittorio Amedeo II del saccheggio e del parziale incendio dato tre giorni innanzi a quel magnifico edifizio dalle truppe di Catinat. Fra l'altre cose egli scrive che, temendosi nuove rapine da parte del nemico, un certo Maulandi “ si porterà alla Venaria “* per far venire a Torino tutto quello che si potrà di quadri “ ed altri mobili, ed io resterò a Torino per riceverli. Già sono “ oggi arrivati carri cinque quadri, e si continuerà sino a che “ ce ne sarà ,. Cessata la guerra, i dieci quadri non ritorna- rono alla Reggia di Diana, ma furono, in epoca che non potei determinare, portati al Castello Reale di Moncalieri. Nel 1889, non so se tutti o solamente alcuni di essi furono mandati alla Villa Reale di Monza per l’addobbo provvisorio di alcune sale in occasione della visita fatta dall'Imperatore di Germania al Re d'Italia, e poscia furono restituiti al Castello di Moncalieri. Ma mi fu riferito (ed io non potei appurare la verità della cosa) che immediatamente prima del loro invio a Monza essi furono consegnati al pittore Rodolfo Morgari affinchè li ripulisse e re- staurasse, e che essendo disgraziatamente scoppiato un incendio nello studio del Morgari, alcuni andarono distrutti dal fuoco. Se la notizia è esatta, rimarrebbe spiegato perchè presente- mente la serie non si trovi più in numero completo al Uastello di Moncalieri, dove i soli che mi fu dato riscontrare sono i seguenti : (1) Pabblicata da Gaupenzio Crarkerra, in * Atti della Società d'archeo- logia e belle arti per ln provincia di Torino ,, I, 56. BALDASSARE MATHIEU, PITTORE DI ANVARSA 1025 La Principessa Ludovica di Savoia, e la Contessa di Bagnasco ; Margherita di Savoia, Duchessa di Parma, e la Contessa di Villafalletto ; Enrichetta Adelaide di Savoia, ed il marito suo Ferdi- nando Elettore di Baviera ; La Marchesa di San Giorgio, ed il Principe Emanuel Fili- berto di Carignano ; La Marchesa del Marro, e la Marchesa di San Maurizio ; La Marchesa di Caluso, e la Marchesa di Rodi. Esiste dunque ancora, oltre la Cena di Superga, un quadro ch'io, grazie all'iscrizione che leggesi sulla riproduzione inta- gliata dal Tasnière, ritengo di Baldassare Mathieu. Esso è l’ul- timo di quelli qui sopra registrati (vedi fig. 1). Il confronto di esso con la Cena di Superga non si presenta guari facile, l’una pittura essendo un soggetto all’aperto, illuminato da luce solare e rappresentante due dame a cavallo, e l’altra pittura un sog- getto d’'interno, con luce notturna e con figure maschili sedute. Nondimeno potei constatare ch’esss hanno comuni le seguenti caratteristiche : composizione bene equilibrata, ma troppo ricer- cata e pomposa; tonalità generale bituminosa ; colorito che evita gli accenti forti che non siano prodotti da un violento contrasto di bianco e di fosco ; tocco di pennello molle ma singolarmente elegante ; tipi fisionomici poco pronunciati, tanto che si può argomentare che il pittore non aveva temperamento di ritrat- tista; maggior studio e maggior felicità nel rendere il vestiario che la figura; notevole abilità nel trattare i cani. Nè scorsi che fra le due tele esistesse alcuna incompatibilità per cui si do- vesse loro attribuire due paternità differenti. Spero dunque che sarà accolta la mia tesi, che questo quadro di Moncalieri sia anch'esso di Baldassare Mathieu, del quale si conoscerebbero così, non più una sola, ma due opere. Sinora non ho parlato che di uno solo dei quadri che, se- condo le epigrafi che leggonsi sulle incisioni del Tasnière in- serte nel volume della Venaria Reale, sarebbero di Baldassare Mathieu; ma poichè un’altra delle dette incisioni — rappresen- tante il Duca Carlo Emanuele II con la madre sua Cristina di Francia — ha pure l'indicazione “ Math. pinx. ,, il dipinto che le corrisponde dovrà anch’esso esser ascritto al Mathieu. Ma 1026 ALESS. BAUDI DI VESME — BALDASSARE MATHIEU; ECC. pur troppo tale dipinto non fu da me rintracciato, ed è possi- bile ch'esso sia perito nell'incendio nello studio del Morgari. Non potendo io dunque qui dar la riproduzione di esso, darò quella della relativa incisione del Tasnière (fig. 2), affinchè se il dipinto originale è distrutto, rimanga almeno più diffusamente memoria della sua composizione, e se esso è soltanto smarrito, ne riesca più facile il riconoscimento. Nel libro dialogato della Venaria Reale il Conte di Castel- lamonte così parla al Bernini dei due quadri che io qui, e spero con buon fondamento, ho dichiarato essere della mano di Bal- dassare Mathieu: “ Questa |Dama| che vede a man dritta in “ capo la sala maneggiare con maestosa gravità le redini del superbo destriere, e frenar più col comando della voce che con la forza della mano gl’impeti del suo furore, è la gran Cristina di Francia, madre al nostro Regnante Carlo Ema- nuele, che pur in questo quadro l’accompagna, come in ef- fetto l’ha più volte con le Regie Caccie ossequioso figliuolo divertita dalle noiose cure nella sua longa e spinosa Reg- “ genza ,. cad Queste altre due sono, l’una Madamigella di Caraglio “ poi Marchesa di Caluso, e l’altra Madamigella di Parella hora “ Marchesa di Rodio, pari di bellezze, di spirito, e di fortuna, poichè hanno havuto ugualmente adoratori delle loro Virtù non solo li Pianeti tutti del Cielo di questa Corte, ma il Sole Istesso ,. U La ti Li A.BAUDI DI VESME - SUul pittore Hecad, delle Scienze di Sovino Vol. XLIX d | Sher TINA DI FRANCIA DVCHESSA DI SAVOIR Officina Fototecnica Ing. Molfese . Torino, A.BAUDI DI VESME - Sul pittore Mathieu Atti della R, Necadi delle Scienze Fi Forino Vol. XLIX Officina Fototecnica Ing. Molfere _ Torino, ACHILLE VOGLIANO — UNA ISCRIZIONE GRECA ARCAICA 1027 Una iscrizione greca arcaica. Nota del Dott ACHILLE VOGLIANO. Ss adyyv debuapes oUverov nbonoat mavii TOdI(0). SAPPHO Per gentile concessione di Luigi Siciliani sono in grado di presentare al pubblico degli studiosi un documento epigrafico di una notevole importanza. Si tratta di una iscrizione incisa sopra una piccola targa di bronzo, rinvenuta a Cirò (presso l'antica Crimisa) (1), in occasione di uno scavo, eseguito da quel Comune, per costruire un serbatoio d’acqua. Dato il carat- tere giuridico del documento, sarebbe di un certo interesse poter determinare, con sicurezza, la natura del luogo di-ritrovamento, per poter fare delle deduzioni legittime sulla originaria collo- cazione della targa. La presenza di frammenti di grosse lastre di terracotta, apparter:enti sicuramente alla camera di un se- polereto, porterebbe alla supposizione che in quella località esi- stesse una necropoli e che il documento in parola facesse parte del corredo di una tomba; ma per. dichiarazione dello stesso Siciliani, che, non presente allo scavo, potè per altro rendersi conto esatto del luogo di ritrovamento, il terreno appariva si- curamente esplorato in precedenza; e per conseguenza, anche ammessa la esistenza di una necropoli, è tutt'altro che sicuro che la targa, in origine, fosse proprio collocata in una delle tombe (2). (1) LenormanT, La Grande Grèce, I p. 328; Nissen, Landeskunde, II 2 ip. 935. i (2) La laminetta si trova nelle mani di Luigi Siciliani (a cui pervenne dopo varie peregrinazioni non ostante che lo scavo fosse eseguito in una località appartenente. alla sua famiglia) che subito si rese conto del- l'importanza del ritrovamento. 1028 ACHILLE VOGLIANO La laminetta ha sofferto parecchio dalle ingiurie del tempo? la parte inferiore ed un lembo di destra sono andati perduti ; la parte superstite è contorta in due punti, la superficie è qua. e là sgretolata. La lettura si presenta quindi in condizioni tutt'altro che favo- revoli specialmente a prima vista. La scrittura però fu tracciata. da mano abilissima ed è quindi possibile determinare, con piena sicurezza, il valore di ciascuna lettera; permane semplicemente i] dubbio là dove la frattura della lamina ha troncato la lettera in modo da poter essere questa completata in più di una maniera. Le dimensioni della targa, l'altezza delle lettere, la loro forma precisa si possono ricavare dalla riproduzione da me ese- guita, colla massima scrupolosità, dell'originale, a grandezza naturale. Come ho avvertito, la targa presenta in due punti due accentuati ripiegamenti in senso longitudinale : nel mio face- simile invece la lamina appare svolta, o quanto meno il gioco. delle ombre, che dovrebbe determinare il rilievo, è stato di molto. attenuato per permettere di rendere leggibile, nella sua inte- rezza, tutta la superficie della laminetta. 4 La lettera che segue il M è quasi tutta asportata dalla frattura ; non rimane che la parte superiore di un'asta verticale, che ci può con- aurre ad un | 0 ad un K. 6 dopo l'A 0 è 0 O; — sotto il secondo A di 1. 5 la parte superiore di un | o di un K. UNA ISCRIZIONE GRECA ARCAICA 1029 Come si vede, ci troviamo dinanzi ad un documento scritto nell’alfabeto delle colonie Achee dell’Italia inferiore. Paleogra- ficamente abbiamo un esemplare che ripete in tutto e per tutto, si può dire, il tipo unico di scrittura, già conosciuto dagli altri, non copiosissimi, documenti forniti dalle iscrizioni e dalle mo- nete di queste colonie. | Per la datazione dell’epigrafe non è possibile riferirsi al dato paleografico semplicemente, mancando per questo rispetto un sicuro criterio di classifica: fissando come terminus ante quem il 400 circa, avremmo la possibilità di risalire assai indietro, al sesto secolo e magari più in là. Nè maggior luce ricaviamo dal dialetto dell'iscrizione: il dorico delle colonie Achee. L'esame del contenuto giuridico del documento potrà permetterci di sta- bilire dei termini meno lati. Veniamo ora a fissare il testo dell’iscrizione. 0e6s : Tuya . KoAhMipdo- vos daurogyéovtos. Pihov didbori tadr|ò ndvra ai foòs [xaì ix- 5 avòs [t]ac pur[arxì - - - -Lai -—_ — - - —- —- - - - - Il supplemento ix]awvés che mi pare, quanto al contenuto, certissimo, è un po’ lungo: occorrerebbero quattro lettere nella lacuna e non sei (KAIHIK). Il prof. De Sanctis proporrebbe di introdurre la crasi yixavòs (cfr. yixetevere Eurip. Hel. 1024) avvertendo che non si violerebbero quelle leggi di concinnitas, che andrebbero rispettate in una formula di uso corrente (i due xai si dovrebbero rispondere), perchè la crasi riduce trisillabico il secondo membro yixavos, come è trisillabico il primo xaì Lods. Confesso di non sapermi decidere: in fondo non sarei alieno dal pensare che l’artefice non abbia mantenuta la simmetria nella lunghezza di alcuni righi o che magari per la tirannia. dello spazio abbia raggruppato maggiormente le lettere. Ad altro supplemento non so pensare. Per completare il contenuto della laminetta non occorre- ranno molte linee ; il confronto con due altre di contenuto af- 1030 ACHILLE VOGLIANO fine, e la presunzione legittima che giuridicamente per dare va- lidità all'atto, occorra la presenza dei testimoni, ci fa credere che dopo il nome della donna si debbono trovare quelli di cinque nodgevot. Rispetto all'’onomastica della nostra iscrizione sarà bene notare che il nome Callifonte, tutt'altro che infrequente nelle iscrizioni greche, specialmente attiche, è forse già documentato nella storia delle colonie Achee. Il padre del famoso medico Crotoniate Democede era precisamente un Callifonte e non è da escludere che anche questi fosse nativo di Crotone (1). Nel corso del lavoro avrò più volte occasione di ricordare l’altra iscrizione, or ora menzionata, proveniente da una loca- lità che dista da Crimisa non molti chilometri: intendo parlare della laminetta di Petelia che. salvo un particolare, ripete il contenuto della nostra. Sarà quindi opportuno darne la tra- scrizione : Oeés - Toga . Ndousg diò-. ott Nixavviar tav For- ziav zaì raXZia navi- a: Aauiogyòs IHagay6g- 5 ag. IHodEevor Mivxor, Aquofidanos, Ayddag- gus, *Ovartas, ’ Errixog- OS. E veniamo finalmente a determinare il valore giuridico di questi due documenti (2). Di recente Eb. Friedrich Bruck, a (1) Cfr. Heron. III, 125: IToZvxgdens dè adons ovupovAins dAoyoas Enhee nagà tòv *Opoltea. dua àybuevos dARovs te modhods r@v Eraig@r, ev dè dj) xa) Amnpuonijbea tòv KaZAipòvtos Koorowiimv dvdpa, întgov te ébvra na tiv tegvnv dontovra doiota rOv var éwuròv, (2) Conosco un po’ tutta la letteratura giuridica sull'argomento, rias- sunta del resto dal Bruck nel suo principale lavoro: Die Schenkung auf den Todesfall im griechischen Recht bis zum Beginn der hellenistischen Epoche 2ugleich ein Beitrag zur Geschichte des Testaments. Breslau, Marcus, 1909. Recensì il lavoro il Tuacuen * BphW , 1909 878-881; rispose il Bruck in UNA ISCRIZIONE GRECA ARCAICA 1031 diverse riprese, ha cercato di ribadire la sua tesi che tende- rebbe ad abbassare notevolmente la data dell’istituzione giuri- dica del testamento, attribuita a Solone; nella disposizione So- loniana, non vedrebbe che una riforma delle precedenti istituzioni inerenti la donazione. Nel periodo pretestamentario il Bruck, accanto alle adozioni, non vede che donazioni, donazioni mortis causa e fra queste rientrerebbe la iscrizione di Petelia. La tesi del Bruck, se da una parte è stata accolta con al- cune riserve (1), che per altro non infirmerebbero la linea evolu- tiva dei due istituti giuridici paralleli da lui tracciati (dona- zioni mortis causa, dad senza adozione ; adozioni, dia d7)x7 con adozione), ha trovato fra gli oppositori (2) il Thalheim, che attribuendo ogni valore alla formula tà savroò diadéodar del passo della legge Soloniana, ha negato ogni fondamento alla tesi del Bruck, e tacitamente è stata respinta dal Beauchet, che nel suo recentissimo articolo Testamentum del Dictionnaire des Antiquités di DAREMBERG-SAGLIO, mantiene immutate le con- clusioni esposte nella sua grande opera sul diritto privato della Repubblica Ateniese. Io confesso che per amore della tesi semplicista, per quanto suggestiva del Bruck, non sono disposto a forzare la interpre- tazione del passo fondamentale per la istituzione del testamento citato da Demostene Adv. Steph. II, 1133, 14 “ “Ocor ui) ésve- moinvio, dote uire danerneiv unt énidixtoacdai, bte DbAmv sione tiv doyv, tà éavtoùò diadéocdar eîvar brws àv éde4n, @v ui) maîdes or yvijoror dogevec, @v ul) uaviòv i) yMows 7 paoudumv i) vooov Evexev i yuvarni merdouevos, dò TOvTOWV tov magavobr 7) èn'avdyans i) èrnò decuoò xatalnpdis ,. Nè qui si limita l’arbitrio del Bruck; come si è detto, la iscrizione “ BphW , 1909, 1166-68: e replicò il Tuacueim © ib.,. — Seguì an nuovo lavoro del Bruck, Zur Geschichte der Verfiiyungen von Todeswegen im alt- griechischen Recht. Breslau, Marcus, 1909, poi il TmatHer con un articolo Testament, adoption und Schenkung auf den Todesfall * 7SS ,, XXXI Rom. Abt. 398-401 (1910) e con una recensione al secondo lavoro del Brucg in “ BphW , 1910, 369-372, da ultimo ribattè il Bruck in “ ZSS,, XXXII Rom. Abt. 353-359. (1) Fra gli altri ricordo il GLorz * REG, XXIII, 102, p. 228-229, il RaseL in “ ZSS, XXX Rom. Abt. 465-475. (2) Fra questi va pure ricordato il De Saneris in “Ardé5* 213 n. 3. 1032 ACHILLE VOGLIANO di Petelia è da lui considerata come una donatio mortis causa (ragionevolmente esclude l’ipotesi avanzata da qualeuno che qui sì possa vedere una semplice donazione). Sentiamo un po’ in che modo spiegherebbe per esempio la mancanza di una clausola imprescindibile dato il carattere che si vorrebbe at- tribuire alla donazione: “ Unsere Inschrift ist anscheinend ein auf konsistenterem Material aufgezeichneter Auszug, der einer in Publizitàtsinteresse errichteten, ausfiihrlicheren Beurkundung des ganzen (reschifts entnommen worden ist. Hierfiir wiirde — abgesehen von der soeben erwihuten Bezeichnung des veriiusserten O)bjekts — auch die Weglassung der Bestimmung sprechen, dass der Anfall des Eigentums bis zum Tode des Schenkers suspendiert sein sollte ,. E ammesso pure il com- pendio sarebbe possibile omettere niente meno la formula “ che il trapasso della proprietà dev'essere sospeso fino alla morte del donatore , ? Non si nasconde il Bruck, così io penso, che negato il ca- rattere di semplice donatio inter viros tutte le apparenze stiano per il testamento piuttosto che per la donatio mortis causa. Ma eccolo tolto dall’imbarazzo : “ l’iserizione, traduco testualmente, è dello stesso tempo, anzi è forse più antica del Codice di Gor- tina, che..... non conosce nè il testamento, nè il testamento con adozione, ma la donazione mortis causa, precisamente del ma- rito alla moglie. Ora è difficile supporre che già in un tempo così antico la legislazione di una colonia Achea come Petelia fosse così innanzi rispetto alla legislazione dei Dori Uretesi, da aver fatto il passo importante dalla donatio mortis causa al testa- mento (per di più con una successione universale), ecc. ,. Come mai il Bruck non sì meraviglia che la piccola Petelia conosca la donatio mortis causa del marito alla moglie senza limiti, mentre il diritto di Gortina limita sempre più questo potere ? Petelia concedendo il diritto di donare mortis causa illimitata- mente, si noti bene, alla moglie, mostrava di avere spezzato quel vincolo gentilizio che limitava in Gortina la libera dispo- sizione del patrimonio. In altri termini per cansare una difficoltà il Bruck incappa in un'altra non meno grave. Per di più il Bruck ricorda come in queste regioni della Bassa Italia sia passata una corrente legislatoria per influenza dei vonor di Zelenco e Caronda. E perchè mai dovremmo ne- + nette mn noia nn UNA ISCRIZIONE URECA ARCAICA 1033 gare a priori che, magavi per alcuni determinati istituti giuri- dici, appunto per influenza di questa corrente, le colonie Achee dovessero trovarsi in uno stadio di evoluzione maggiore rispetto ai Dori dell'Isola di Creta? A buon conto nemmeno si è sicuri che proprio Solone in persona sia stato il creatore dell’istituto del testamento: pare anzi probabile che il legislatore ateniese non facesse che introdurre nell’Attica un'istituzione già prati- cata in qualche altra città greca. Prima di concludere voglio richiamare l’attenzione sopra un documento epigrafico già edito, ma rimasto, può dirsi, com- pletamente ignorato. Si tratta di un frammento di iscrizione arcaica, pure su bronzo, in alfabeto acheo, edita da Federico Halbherr in “ Not. Scavi ,, 1890, p. 361. Oggi mediante il confronto delle due iscrizioni precedenti è possibile aggiun- gere qualche cosa a quanto egregiamente ha detto l'editore, che a sua disposizione aveva semplicemente la laminetta di Petelia. PEONATA DA 1DSASTESHA ONAMSNSyO OTAVTOTAN «KASOANO O+ENOSpv.d DS FSM OM +ANDOPKEV Dia. È nota la perizia dello Halbherr nel riprodurre le iscrizioni; quindi « priori debbo giudicare il suo facsimile —- che ho ri- prodotto — in tutto e per tutto rispondente al vero. Nè deve far troppa meraviglia la incostanza nei segni di divisione tra parola e parola, non rara nelle poche epigrafi greche che hanno tali segni. 1034 ACHILLE VOGLIANO La prima difficoltà consiste nello stabilire quanta parte della lamina sia andata perduta. Parrebbe che questo dato lo sì potesse ricavare dal 44M di ]. 1 che completato in IOPIEONTO/£X farebbe supporre l’esistenza di una lacuna di nove lettere circa nei righi superiori dell’iscrizione, di dieci circa per gli altri. A confermare in certo modo questa ipotesi sta- rebbero due fatti: nel primo rigo rimarrebbe esattamente lo spazio per il supplemento 9EOXTYXA che doveva figurare in testa all'iscrizione ; negli ultimi tre righi ci sarebbe posto per includere o completare i nomi coi relativi compendi, a significare i patronimici o ì demotici, dei tre prorenoi per raggiungere il numero di cingue, quanti sono quelli che compaiono nella lami- netta di Petelia. Esaminiamo i termini di questa disposizione ; il più impor- tante è senza dubbio il dreezeî del rigo 2, per il quale lo Halbherr raffronta ET. M., p. 267, 4 diarmniai è xgitai ai diarteîv diazgiverv. Nella parola seguente HA lo Halbherr ve- drebbe volentieri un neutro plurale: data la mia restituzione Z/e. Ovdarta daufrogyéovto/fs questo diverrebbe impossibile. Qui, se- condo me, dovremmo ravvisare un articolo femminile. Dalle linee seguenti si ricava sicuramente che abbiamo a che fare con un atto giuridico in rapporto con una disposizione testamen- taria. Il prof. De Sanctis vedrebbe quindi nel diazteîvr un equi- valente di diadiraferr. La dradizacia xAig@®v (Lipsius, Att. Recht II, p. 382 sgg.) spettava in Atene a un tribunale eliastico presieduto dall’arconte, ma vi aveva una. qualche parte l’'as- semblea popolare (Aristot., 49. 704. 43, 4. Cfr. De Sanctis, Ardis®, p. 122). Nulla di strano che in città ordinate oligarchi- camente, come è precisamente il caso di queste colonie Achee, la diadizacia xAijgwv spettasse alle B0v4:; è perciò assai probabile che nella nostra iscrizione si abbia a leggere diarre? & /L0AXAé]. Le linee seguenti vengono illuminate da un supplemento proposto dal prof. De Sanctis a ]. 4: #yé7/o radrò adv[ra]. — Nell'ova (uova 0 Zova) bisognerà riconoscere il frammento di un nome proprio di donna (che potrebbe essere ad es. IZegaméra), evidentemente la moglie di Simico. Possiamo quindi scrivere (1): (1) Non si conosce la località di provenienza della laminetta (Ofr. Hacnnerr ]. c.); non credo per altro si debba andar molto lontano da UNA ISCRIZIONE GRECA ARCAICA 1035, 0e65: Tiya.| He .’Ovara dau- Logyéovto]|s. diarteò ha BoAAd: - - |]6va Ziuiyo yvuvà égyétlo taùrò ndv- 5 ra honboa) xaì davòv uatédiste» 1o|béevor dv. A- ------- | Didinzos sto: O Due ]6, Eav. Aoguev- Mi pare che da questa restituzione (che potrà essere dal punto di vista formale molto perfezionata) sia possibile cavare una netta disposizione giuridica. La moglie di Simico diviene la legittima erede dei beni lasciati dal marito in forza di una dradizacia della 80vAZ1, che probabilmente, per procedere a questa assegnazione avrà dovuto invocare le disposizioni testa- mentarie del defunto. Così io giustifico la presenza dei 7r96$evor in rapporto non colla di@itzors, ma colla donazione di Simico. La mancarza di formule parallele impedisce di dare consistenza a queste restituzioni. Esse per altro rispondono sufficientemente- a quel carattere di austera semplicità che abbiamo riscontrato. nelle laminette di Petelia e di Crimisa. Giuridicamente con. questa nuova laminetta abbiamo fatto un passo innanzi: le isti- tuzioni testamentarie di queste colonie Achee incominciano a delinearsi. Dalla persistenza di alcune formule siamo indotti a pensare alla esistenza di vero e proprio linguaggio giuridico rispecchiante istituzioni fisse e determinate. La facoltà di di- sporre dei propri beni al di fuori della cerchia gentilizia, il diritto di entrare in possesso della eredità fondato sopra una diadizacia della B0vZ ci mostrano il progresso giuridico di questi istituti. Petelia. Parrebbe anzi di ravvisare un //e(774 ....) nel compendio che pre- cede il nome ’Ovaze (cfr. la laminetta di Petelia) al primo rigo. Nell’ul- timo rigo dell'iscrizione si potrebbe pure pensare al compendio Te]es. Cfr. IG. XIV, 614 e 615 (Reggio). "n 1036 ACHILLE VOGLIANO Se paleograficamente è possibile far risalire queste iscri- zioni fino al secolo sesto non è altrettanto facile ammettere in un'epoca così remota istituzioni tanto evolute, io penso quindi che sia nel vero il prof. De Sanctis che le assegna al quinto secolo. lRiaffermata la piena forza giuridica della legge Soloniana di poter liberamente disporre dei propri beni non c'è più al- cuna difficoltà per vedere nelle due donazioni di Crimisa e di Petelia due veri e propri testamenti e nell'altra un diadizaoia zi 00v fondata sopra un testamento. Nella laminetta di Cri- misa noi per di più potremmo vedere per via della formula Cmòds xaì ixavés uno stretto legame di parentela colle restrizioni volute dal legislatore ateniese per assicurare la capacità giuri- dica del testatore. ADELE CORTESE — LE ORIGINI DI TARANTO 1037 Le origini di Taranto. Nota della Dottoressa ADELE CORTESE. La tradizione parla concorde di abitanti che precedettero in Taranto i Laconi: Japigi-Messapi li chiama Antioco (1), e le ‘origini ne deriva, come fa Erodoto (2), da Creta. Cretesi di ri- torno dall'assedio di Camico in Sicilia avrebbero naufragato sulle coste della Japigia, ove diedero origine agli Japigi, così detti da Japige figlio di Dedalo. La favola degli Japigi-Cretesi, si è osservato più volte, ebbe origine con molta probabiiità dal raffronto tra il nome dei Mes- sapi-Japigi e il fiume Messapio in Creta (3). Il Pais credette poter dire di più: la leggenda dell'arrivo di Minosse e dei suoi Cretesi in Sicilia sorse per effetto della colonizzazione rodio- cretese di Gela e Agrigento, la quale localizzò nell'isola i miti portati dalla madre patria; di una colonizzazione rodio-cretese nella Sallentina serberebbe ricordo la tradizione, che parla di Cretesi, i quali tuttavia non sarebbero giunti soli in Italia, ma, come in Sicilia, insieme coi Rodîì, di cui rimarrebbe qualche traccia sulle coste messapiche e in generale dell’Apulia. Inte- grando la versione degli antichi, secondo il Pais, Rodio-cretesi avrebbero preceduto a Taranto i Laconi (4). (1) Antroca. ap. Srras., VI, 279. (2) Heropr., VII, 170.. (3) E. Pars, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, I, p. 30 e n. 1; G. De Sancrrs, Storia dei Romani, I, p. 165. (4) E. Pars, op. cit., p. 29, e specialmente App.1I: I Messapi e gli Ja- pigi, p. 347 sgg.; e XIII: La colonizzazione greca sulle coste dell'Adriatico, p. 566 sgg. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 69 1038 ADELE CORTESE Ma nè la notizia isolata di una colonia rodio-coa a mezzo- giorno del Gargano (1); nè qualche omofonia geografica che il Pais porta a sostegno della sua tesi (2); nè le relazioni com- merciali fra le coste della Messapia e le città della pentapoli dorica in età assai posteriore dimostrano che i Rodî abbiano realmente colonizzato l'Apulia. E a spiegare l’identificazione tra gli Japigi e i Cretesi è superfluo far giungere a Taranto coloni da Creta, tanto più che nessun indizio in questo senso ricaviamo dall'esame del dialetto tarentino. Esempi consimili frequenti inducono piuttosto a riconoscere nella connessione degli Japigi- Cretesi coi miti siciliani il resultato puro e semplice di tarde speculazioni letterarie. Ma pure ammettendo che coloni venutì dalle stesse regioni abbiano avuto efficacia nel formarsi di leg- gende consimili nei vari paesi occupati, è noto che al movi- mento colonizzatore parteciparono popolazioni greche di varie stirpi fra loro mescolate, e però, quando fosse dimostrata la presenza di un elemento cretese a Taranto, non sarebbe suffi- cientemente provato per questo solo un più antico strato cere- tese nella città, nulla vietando di credere che quell’elemento vi giungesse contemporaneamente coi Laconi, o magari dopo. Altre congetture etimologiche posero i Messapi in relazione con la Beozia per il monte Messapio che ivi sorge e che avrebbe avuto nome dal beoto Messapo, e da lui la terra d'Otranto (3). Ancora somiglianze toponomastiche favorirono l’altra credenza, che i Messapi traessero origine dall'Etolia (4). Alcune tradizioni assegnano agli Japigi-Messapi origine illi- rica (5), e il confronto dei nomi di persone e di luoghi, e lo (1) Elpie, v. Stras., XIV, 654. La notizia ha valore assai dubbio, come l’altra, riferita contemporaneamente, di una Partenope colonia di Rodi nella Campania; v. BeLocn, Campanien, Ergiinzungen, p. 440. (2) Il Pars (op. cit., p. 569) crede rodia la città di Rudiae, ‘Podiaz, che è detta da Strabone 7645 '"EZAnvis. Ma l’epiteto si lascia spiegare altri- menti. (3) Stras., IX, 405; cfr. Srern. Byz. s. v. Meoodatom, (4) Brindisi sarebbe stata fondata da Etoli compagni di Diomede (Iusr., XII, 2, 5 sgg.). Nelle coste dell’Etolia esisteva un lago Vdglae (Srran., X, 459); la forma è usata da Strabone anche per la messapica Hyria. (5) Sui Daumi v. Pavt. £p., p. 69 M. s. v. Daunia; sui Peucezi v. Pim, N. H. III, 102; per i Sallentini v. Varr., ap. Pron. ad Verg. Eel., VI, 31, se- i IE ORIGINI DI TARANTO 1039 studio della lingua delle iscrizioni messapiche danno a queste notizie fondamento di verità (1). Origini illiriche sono attribuite a un altro popolo della pe- nisola, i Veneti; e però l'ipotesi che gli Japigi fossero discesi per via di terra attraverso l’Italia centrale, ove per l'Umbria è attestata l’esistenza di Sallentini e di Japidi, fino nell’Apulia, in cui essi rappresenterebbero il più antico strato etnografico della regione, sino all'arrivo dei coloni greci e prima dell’inva- sione osca (2). Ma i dati linguistici, in accordo con la tradizione, dimo- strano che gli Japigi rappresentano una invasione di popoli illirici attraverso il canale d'Otranto, dall’opposta riva dell’Adria- tico. Difatti la lingua delle iscrizioni messapiche presenta col moderno dialetto dell'Albania, che è l’ultima fase di un antico dialetto illirico meridionale, molto maggiori affinità che con la lingua delle iscrizioni venete (3). Si aggiunge il criterio geogra- fico, per la breve distanza fra le due coste dell'Adriatico. Non condo il quale la gens Sallentina era formata da genti venute * tribus e locis, Creta Illyrico Italia ,; cfr. Fesr., p. 829, M. Nicanpro ap. Anm. Lis., Metam. 31, deriva gli Japigi da Licaone, il noto eroe Arcade (cfr. PmerecyD. ap. Dion. Hax., I, 13 =fr. 85 in Miiruer, I, p. 92). però aggiunge: #7» dè zò mAÀéov adtoîs tig otgatiàs Erornov “IAA vgroì Megodzioi; e chiama Iliri i sudditi di Dauno (ap. Anron. Lrs., 37). (1) Il materiale toponomastico e onomastico trovasi raccolto in HeLBIG, Studien îiber die ilteste italische Geschichte, in © Hermes ,, XI (1876), p. 257, 290; Dercke, in ‘ Rhein. Museum ,, XXXVI (1881), p. 576 sgg., KiePeRT, Lehrbuch d. alt. Geograph., p. 450; Pars, op. cit., p. 358-362; KreETscHMER, Einleitung in die Geschichte der griech. Sprache (Gòttingen, 1896), p. 244 sgg.; Scuurze, Zur Gesch. latein. Eiyennamen, in “ Abhandl. der kénigl. Gesell- schaft der Wissensch. zu Géttingen ,, Ph. H. KI., 1904, p. 29 sgg.; Hrrr, Die sprachliche Stellung des Ilyrischen in “ Festschr. fir H. Kiepert ,, p. 179-188, e Die Indogermanen, Il, 607-609; Rigezzo, La lingua degli an- tichi Messapi, Napoli, 1907, p. 6 sgg.; Von Scara, Umrisse der diltesten Geschichte Europus (* Sonderabdruck aus der Universitàtschr. ,, Innsbruck, 1907-1908) e Die Anfiinge geschichtlichen Lebensin Italien, in)“ Hist. Zeitschr. , 108, p.1 sgg. (1912. Per le iscrizioni v. Droop, Messapian Inscriptions, in “ Annual of the British School at Athens ,. XII, p. 157 sgg. (2) E. Pais, op. cit., p. 368 sgg. (3) V. Hecsie, “ Bull. de l’Inst. ,, 1882, p. 86 segg.; PauLi, Die Veneter, Altital. Forschungen, IIL Vorgriech. Inschrift von Lemnos, ibid., VI, 2, p. 200; 1040 ADELE CORTESE lungi dalla costa apula popolazioni illiriche, i Liburni, posse- devano, secondo Eforo, Corcira, prima dell'arrivo del corinzio Chersicrate (1). La somiglianza fra il nome degli Japigi e degli Japodi ve- neti e simili omofonie non implicano naturalmente la deriva- zione dell’un popolo dall'altro, poichè abbondano gli esempi di nomi consimili in regioni abitate da stirpi affini, se pure giunte in tempi e per vie diverse. E perciò cade l'argomento addotto dal Pais a sostegno della sua tesi, e cioè l'assurdo storico che una popolazione formatasi nel caldo e snervante suolo di Puglia sia risalita a occupare un paese vastissimo, l'Umbria, la Ve- nezia e oltre, fino alle rive della Sava. Se non è dimostrabile che gli Apuli siano venuti dal nord, non ne segue che le popo- lazioni illiriche del nord e magari del centro d'Italia siano ve- nute dal sud. Degli Apuli dice la tradizione che essi giunsero fino al Gargano (2). Se furono essi a impedire, come è verosi- mile e probabile, lo sviluppo della colonizzazione ellenica sulle coste dell’Apulia durante i sec. VIII, VII, VI, e forse, aggiun- giamo, la colonizzazione greca nel golfo di Taranto e più al sud prima dell'VIII sec., nulla si oppone a che riconosciamo negli Japigi un popolo venuto dal mare piuttosto che un popolo ter- restre disceso dal nord, una gente emula dei Greci nelle im- prese coloniali piuttosto che i precursori dei Sanniti e dei Ro- mani. Parrebbe che i Messapi si siano addentrati nel paese respintivi dall'arrivo dei Greci. A ogni modo una emigrazione iapigia per via di terra non è richiesta affatto da quanto sap- piamo dell'estensione, del carattere, della storia di quel popolo. All’ipotesi che gli Japigi fossero discesi nell’Apulia per via di terra giovò la distinzione fatta da alcuni moderni fra gli Japigi e i Messapi: questi ultimi rappresenterebbero stirpi greche venute dalla Grecia settentrionale e centrale, conforme- Krerscumer, Zinleitung in die Geschichte der griech. Sprache (Gòttingen, 1896), p. 266 sgg.; Hrrr, Die Indogermanen, 1905-7, p. 151, 604-607. Per le iscrizioni venete v. Corpenons, Silloge delle iscrizioni renetiche, 1911. Per l'albanese v. Barrori, Das Dalmatische, in “* Schriften der Balkankom- mission,, Linguistische Abt., IV, $ 109, 111, 121, 186 sgg. (1) Ap. Srras., VI, 269. (2) Ps. Scyt., 14; cfr. Dionys. Periko., 379 sgg. LE ORIGINI DI TARANTO 1041 mente alla tradizione che i Messapi fa giungere per via di mare. Ma la tradizione considera come un solo popolo tanto gli Japigi che 1 Messapi (1); furono dunque stirpi illiriche quelle che i Greci chiamavano con voce greca Messapi, e però tanto il nome che i raffronti toponomastici fatti in base ad esso nulla provano a favore della grecità di quel popolo (2). Così resta escluso che la tradizione serbi ricordo, nei Messapi, di genti greche venute in Italia prima della fine dell'VIII sec., rimanendo aperto il campo a discutere con quale gente greca i Messapi siano venuti prima a contatto (3). Tentiamo ora di determinare l’epoca cui fare risalire l’in- vasione messapica. Gli Japigi-Messapi adottarono l'alfabeto dei coloni greci, abbiamo dunque un terminus ante quem per fissare la data della loro immigrazione: essi giunsero prima del sec. VIII. Ma non abbiamo ragione di porre una data molto alta. Il materiale archeologico scoperto presso Taranto non prova in modo assoluto che la civiltà dei metalli sia stata introdotta nel paese in epoca molto anteriore alla colonizzazione elle- nica nell'VIII secolo. Le scarsissime notizie che abbiamo degli Japigi non sembrano dimostrare che il loro arrivo abbia pre- ceduto di molti secoli i Greci. In età storica appaiono ri- stretti fra il Gargano, il Capo di S. Maria di Leuca, le foci del Bradano; che si fossero spinti prima più a mezzogiorno fino ai luoghi dove sorse Crotone dice la tradizione, ed è reso per lo (1) Herop., l. e.; Tauc., VII, 33. (2) Messapio monte della Beozia (Srras., JX, 405; SrePH. Byz. s. v. Meo. odor); tribù di Messapi nella Locride (Tavc., III, 101); fiume Messapio a Creta (Ps. Scyr., 47). Un Poseidone Messapio era venerato a Sparta (Meocareds, Tuaror. ap. StepHu. Byz. s. v. Meocargar; Meocarévs, Pavs., II, 20, 3). (3) Di una emigrazione dalle coste dell'Epiro serba traccia il nome dei Coni nel golfo di Taranto (Anrroca. ap. SrraB., VI, 255), che ritroviamo nei Caoni epiroti. La vicinanza dei luoghi rende improbabile che si tratti di omonimia casuale. V. BeLocn, Griech. Gesch., 1°, p. 1%, p. 234, e la me- moria di V. Cosranzi, Gli Enotri Itali, nei “ Rend. dell’Accad. dei Lincei ,, 1913, p. 4 sgg. Ma per i Caoni rimane il dubbio se si tratti di un popolo greco o piuttosto di una gente illirica che non vada perciò distinta dai nostri Japigi. A ogni modo l’indizio è troppo tenue perchè si possa par- lare di un più antico strato di Greci settentrionali sulle coste italiche. 1042 ADELE CORTESE meno probabile dal fatto che tre promontori del territorio ero- toniate serbarono il nome degli Japigi (1). L'arrivo dei Greci dovè porre un argine all’estendersi delle stirpi illiriche. Tut- tavia non trovare a occidente di Taranto maggiori tracce di un popolo che dalla penisola balcanica dovè giungere in possesso di una civiltà superiore a quella degli indigeni, è forse un in- dizio che il loro dominio non ebbe in quella regione lunga du- rata. D'altronde non è probabile che fra la colonizzazione più antica della costa apula e i progressi verso il sud sia corso un lungo intervallo. È necessario ammettere a priori che nell’epoca relativa- mente tarda in cui giunsero gli Japigi dal mare, la piana e ferace terra di Puglia fosse da tempo abitata. E del resto non mancano dati archeologici per stabilire che il paese fu abitato fino dall'età neolitica. Appunto dai ritrovamenti archeologici parve anzi giungere improvvisa luce sui primitivi abitanti della regione. Gli scavi fatti in Taranto nel 1899-1900 a nord della sta- zione ferroviaria allo scoglio del Tonno parvero condurre alla scoperta di un abitato terramaricolo perfettamente analogo alle terramare della bassa valle padana; e però restava aperta la via ad una emigrazione lungo le coste dell'Adriatico del popolo terramaricolo. Tuttavia, restandoci una relazione assai parti- colareggiata degli scavi eseguiti (2), in base ad essa, e con il consenso di insigni cultori di preistoria, non solo non restiamo convinti che si tratti di una terramara, ma si forma in noi il convincimento che non possa trattarsi di una terramara, man- cando punti essenziali di contatto tra gli abitati terramaricoli e la stazione di Taranto (3). In questa tuttavia il materiale fittile ed eneo venuto in luce presenta notevoli somiglianze coi bronzi e la ceramica delle terramare. Si noti che il materiale tarentino è perfettamente analogo ai resti dell'età del bronzo (1) Erm. ap. Srras., VI, 262; Srran., VI, 261. (2) Quagciati, Not. degli scavi, 1900, p. 411 sgg. (3) Fooria, Osservazioni intorno alla pretesa terramara di Taranto, “ Atti dell’Accad. d’arch. lett. e b. Arti di Napoli ,, XXIII, 2, 1905, p. 65 sgg., ove è riportata l'opinione del MonreLtvs, p. 392, n. 1. V. pure le sobrie osservazioni del De Sawerrs, op. cit., I, p. 184, n. 2. LE ORIGINI DI TARANTO 1043 della intera regione pugliese, dal Gargano al Capo di Leuca (1); tutta questa suppellettile, se da un lato presenta delle affinità con la ceramica terramaricola, d’altro lato se ne differenzia per la tecnica più progredita e una decorazione sconosciuta alle palafitte e terramare dell’Italia del Nord, e più completi ri- scontri trova nella ceramica delle terre balcaniche (2). È gene- ralmente ammesso che la tecnica vascolare terramaricola fu introdotta in Italia dai Balcani per i varchi delle Alpi Giulie; ora, poichè la civiltà enea delle Puglie trova più strette ana- logie nei Balcani che nell’Italia del Nord, volendo pure attri- buirle carattere etnico, il che è lecito fare nel nostro caso per il netto distacco fra lo strato eneo e il precedente neolitico, ne segue che genti balcaniche dovettero giungere nelle Puglie di- rettamente, traverso l'Adriatico (3). Tentiamo ora di rispondere alla questione, quale fu il po- polo che immigrò nelle Puglie dai Balcani in possesso di una civiltà affine alla terramaricola. In tali condizioni, a quanto pare, giunsero nell'Italia del Nord popolazioni illiriche; difatti (1) Per le comparazioni, diligenti e accurate, v. M. Gervasio, I Dolmen e la civiltà del bronzo nelle Puglie, Bari, 1913, specialmente cap. IV, pa- gina 151 sgg. V. pure Perr, The stone and bronze ages in Italy and Sicily, 1909, p 400 sgg.; Iarra, La Puglia preistorica, Bari, 1914. (2) Per le relazioni sugli scavi della Bosnia v. TruneLkA, WoLDRICH, Mary, Der wvorgeschichtliche Pfahlbau im Savebette bei Donja Dolina, in “ Wissensch. Mitteil. aus Bosnien und der Herzegovina ,, IX, Wien, 1904, p. 3-175; TruneLKkA, Der Pfahlbau von Donja Dolina, nelle cit. © Mittei- lungen ,, XI, 1909, p. 3 28, e PrahQistorische Funde aus Bosnien, “ ibid. ,, p. 28-75; Curcio, Der pràhistorische Pfahlbau der Bronzezeit in Ripac bei Rihac' in Bosnien, “© ibid. ,, 1912, p. 3-12; Nopcsa, Beitrige zur Vorgesch. und Ethnologie Nordalbaniens, “ ibid.+,, 1912, p. 168-254. (3) A tale conseguenza non potendo sottrarsi gli archeologi, ammet- tono generalmente il doppio fenomeno, una corrente transadriatica la quale avrebbe influito sulla corrente nordica (cfr. Peer, The carly settlements at Coppa Nevigata and the preistory of the Adriatie, in * Liverpool Annals of Archaeology and Anthropology ,, vol. II, 1910, p. 132; M. Gervasro, op. cit., p. 239, 254). Che i terramaricoli abbiano avuto scambi attivi con gli abi- tanti delle Puglie in sè è verosimile, ed è reso probabile della presenza «i speciali strumenti terramaricoli nella regione pugliese (come l’ascia ad alette), ma ogni base manca per affermare che i terramaricoli rappresen- tino nelle Puglie uno strato etnografico. 1044 ADELE CORTESE nel Veneto, e cioè in una regione ove Illiri furono precedutò dal popolo delle terremare, manca una stratificazione archeolo- gica che contraddistingua gli Illiri {1). Nelle Puglie dagli scavi eseguiti sembra potersi ricavare che la prima età del ferro procedè direttamente dall'età del bronzo (2). A Bari lo strato eneo è immediatamente sottostante alla ceramica apulo-zeome- trica ascritta agli Japigi, non anteriore, secondo la cronologia più alta, al sec. VIII (3), quindi posteriore all'immigrazione illi- rica. Per tutto ciò si è detto che manca nelle Puglie uno strato caratterizzante gli Illiri al loro apparire. Ma poichè di una ci- viltà affine a quella dell'età enea nelle Puglie troviamo traccia nella penisola balcanica, e, in Italia, presso un popolo della stirpe medesima che gli Japigi, siamo pure indotti a credere che la traccia della immigrazione illirica nelle Puglie sia da ricercarsi appunto nello strato dell’età del bronzo (4), che sì protrasse, gradatamente evolvendosi, sino all'VIII sec. In base agli scavi eseguiti fino ad oggi non pare quindi dimostrato che gli Japigi giungessero nell’Apulia quando era già in possesso della civiltà dei metalli. In mancanza di dati archeologici non soccorre meglio la toponomastica, poichè per i nomi italici che si ritrovano nell’Apulia accanto ai nomi iapigi vi è sempre la possibilità che non siano anteriori alla invasione osca (5). Quanto alla tradizione, essa afferma che gli Japigi abi- tavano una terra precedentemente posseduta da Ausoni. Ni- candro narra che i trigemini Japige Dauno Peucezio, figli del- (1) De Sanctis, op. cit., I, p. 158. (2) Quaguiati, “ Bull. di Paletn. ,, XXXVI, 1910, p. 38 sgg.; M. Ger- vasio, Op. cit., p. 106 sgg. (3) La cronologia del FurrwaEenGLER, Beschreid. der Vasensammi, im An tiquarium zu Berlin, 1885, p. 248-275; efr. Porrier, Catalogue des vases an- tiques du Louvre, Paris, 1899, Il, p. 372; Warrkrs, Catalogue of rases in British Museum, I, parte JI, Londra, 1912, p. 264. (4) Queste stesse considerazioni contrastano all'ipotesi (per cui vedi M. Mayer, Zur Topographie und Urgeschichte Apuliens, in * Philologus ,, LXV, 1906, p. 530 sgg.) che sia invece da attribuirsi agli Japigi un gruppo di antichità apule della prima età del ferro, i così detti cumuli delle Murge e di Modugno, allo stato delle nostre conoscenze privo di rapporti col resto della civiltà apula, e in genere dei paesi intorno all'Adriatico. (5) Il materiale toponomastico della regione apula è raccolto in E. Pais, op. cit., p. 375-380. LE ORIGINI DI TARANTU 1045 l’arcade Licaone, si divisero la regione pugliese, dopochè ne ebbero scacciati gli Ausoni (1). Secondo Ellanico furono gli Japigi a spingere gli Ausoni nella Sicilia (2). Sono induzioni disgraziatamente incontrollabili. All’alba della storia popola- zioni italiche occupano la Campania e la Lucania: certo può sedurre l’ipotesi che alla prima invasione italica non rima- nesse estranea una regione come la terra d'Otranto e la pro- vincia di Bari, priva di barriere naturali, ferace, aperta agli scambi marittimi pei quali doveva farsi sentire allora il bisogno anche dalle stirpi italiche. Queste avrebbero perduto terreno di fronte all'arrivo dei Messapi. Ma siamo così poco informati sull'età in cui avvennero tali stanziamenti di popoli, che nes- suna ipotesi mi pare abbia in proposito sufficiente fondamento di probabilità. Gli scavi eseguiti a Taranto allo Scoglio del Tonno por- tarono alla scoperta, oltre che della suppellettile di cui ho già parlato, creduta terramaricola, di notevolissimi resti di ceramica micenea. Ai Messapi ne attribuisce l'appartenenza il De Sanctis, poichè essi traevano l’origine da una terra che fu pervasa a un certo momento dagli influssi della civiltà micenea (3); ma ho cercato poc'anzi di dimostrare che l'immigrazione illirica nell’Apulia è caratterizzata dal materiale creduto terramaricolo ; per conseguenza i Messapi avrebbero subìto gli influssi micenei quando si erano stanziati già nell’Apulia, circa l'epoca in cui gli influssi medesimi agivano sulle popolazioni sicule. Tuttavia la nazionalita dei Messapi, la loro provenienza dai Balcani, quindi il carattere particolare dei loro rapporti con le popola- zioni balcaniche, intervengono per sempre a spiegare come il fenomeno miceneo assuma a Taranto un aspetto così notevole, (1) Ap. Anton. Lis., Metam., 81. (2) Ap. Drom. Hat., J, 22,=fr. 53 in MicLeR, l, p. 52. (3) De Sancris, op. cit., I, p. 163, ove per altro si attribuiscono allo stesso periodo, in base alla prima relazione degli scavi (Mayer, Le sta- zioni preistoriche di Molfetta, Bari, 1904), le terrecotte dipinte di Molfetta, pertinenti invece all’età neolitica: v. Peer, “ Liverpool Annals ,, II, 1909, p. 84; M. Gervasio, op. cit., p. 183. Per la civiltà micenea nell’Illiria v. S. Rernaca, “ Anthropologie ,, 1896, p. 270; 1897, 536; Hoerxes, Ur- geschichte des Menschen, p. 229. 1046 ADELE CORTESE a differenza che nella Sicilia. La popolazione illirica della re- gione tarentina offrì per così dire un ambiente più favorevole alla diffusione della nuova civiltà. Nè la mancanza di uno strato archeologico intermedio fra la suppellettile creduta terramaricola e la micenea mi sembra nuocere alla mia tesi, chè non mi pare se ne debba inferire una grave difficoltà cronologica. Così per l'Attica gli scavi non ci fanno davvero assistere a un gra- duale passaggio fra due tipi diversi di civiltà, che, nettamente distinti, tuttavia direttamente si sovrappongono. Però non ritengo che i Messapi ricevessero la civiltà mi- cenea dai loro connazionali rimasti di là dell'Adriatico. Mentre par certo che furono i Greci a portare la civiltà micenea sulle coste della Sicilia prima della colonizzazione dell’ VIII se- colo, è assai probabile che essi toccassero anche le coste del golfo tarentino, come ci aspetteremmo per motivi geografici: difatti la navigazione di cabotaggio portava dalla Grecia prima in Italia che in Sicilia. Forse qualche indizio in proposito è lecito ricavarlo dal dialetto di Taranto (1): trattasi, come è noto, di un dialetto laconico; o tuttavia si riscontrano in esso sodravvivenze di un dialetto non dorico, che non hanno le cor- rispondenti nella lingua parlata a Sparta (2), benchè a Sparta ricorrano pure fenomeni linguistici predori. E perciò sorse l’ipo- tesi che i Tarentini non provenissero veramente da Sparta, e quindi nessun indizio si potesse dedurre dal confronto dei dia- letti. Tuttavia per i Tarentini è provato ch’essi vennero da Sparta: ne sono argomento irrefutabile la caratteristica istitu- zione degli efori che ritroviamo in Eraclea, colonia di Taranto (3), tracce delle tribù di Sparta che ricorrono anche a Taranto (4) (1) Sul dialetto tarentino v. Tuums, Handb. der Griech. Dial., 1909, p. 92-96. La nostra conoscenza del dialetto di Taranto è basata, come è noto, principalmente sulla iscrizione di Fraclea, nota sotto il nome di ta- vole di Fraclea (I. Sic. /t., 645). (2) Per Taranto z0d@gds e ropròv (Tuums, Hund., 1. e.) e gli infiniti in ev (efr. Tuums. “ N. Jahrb. ,, XV, 398). Nel dialetto di Eraclea si conserva il o intervocalico e x@rà + consonante. Cfr. Sorwsen, “ Rh. Mus. ,, 1907, p. 334 sgg.; Tnums, HMandb., 94 (3) I. Sic. It., 645. (4) Srran., VI. 250. LE ORIGINI DI TARANTO 1047 e la tradizione concorde. Però sembra accertato che i fenomeni arcadici osservati nel dialetto laconico si produssero dopo la deduzione della colonia di Taranto, e che i fenomeni non dorici del dialetto tarentino hanno origine non laconica. Infiltrazioni non laconiche poterono aver luogo anche al tempo della dedu- zione e dopo, ma se riconnettiamo questo indizio con la impor- tazione di ceramica micenea a Taranto intorno al primo mil- lennio avanti l’éra nostra, eabbiamo presente il criterio geografico, che una più antica colonizzazione delle coste italiche dovesse partire dall’occidente del mondo ellenico, noi giungiamo alla completa intelligenza del fenomeno. Intorno al mille con molta probabilità popolazioni arcadiche restavano nel Peloponneso oc- cidentale e lentamente cedevano ai Dori; l'invasione di questi ultimi provocò l’esodo degli Arcadi verso l'occidente, e ne ab- biamo forse una traccia nei dialetti di Zante, Itaca, Corfù e nel tarentino, con perfetta analogia con quanto era avvenuto alcuni secoli prima per il Peloponneso orientale: quivi mentre i Dori si sostituivano ai più antichi abitanti arcadi, questi emi- gravano fino a Cipro e alla Pamfilia. Vi è forse un altro indizio in questo senso. Le colonie greche del golfo di Taranto, le più vicine dunque alla madre patria, sono tutte di origine pelopounesiaca: i Calcidesi, benchè la tradizione affermi che furono essi i primi a colonizzare in occidente, si stabilirono sulle coste più lontane della Sicilia e della Campania. Dobbiamo immaginare che all’aprirsi della co- lonizzazione greca in occidente gli abitanti del Peloponneso si trovassero in una condizione di favore, per così dire, rispetto agli altri Greci; e le relazioni svoltesi nell’età precedente fra il Peloponneso e le coste del golfo di Taranto renderebbero perfettamente ragione del fenomeno. ighe La tradizione afferma che Taranto fu colonia di Sparta; dai moderni la notizia è stata accolta subordinatamente a tutto il complesso di tradizioni relative alla più antica storia greca, e perciò variamente interpretata. 1048 ADELE CORTESE Da alcune circostanze riferite dai nostri autori parrebbe che i Parteni coloni di Taranto provenissero da Amicle (1), ma Amicle secondo un’antica versione da poco era entrata a far parte dello stato spartano (2) e perciò era sempre achea, e Achei, non Dori, dovettero essere gli emigrati che si recarono in Occidente a fondare Taranto. Come andassero le cose, il Geffcken spiega nella seguente maniera: gli Achei recente- mente sottomessi da Sparta si ribellano alla nuova signoria ; Sparta, ch'è impegnata contro i Messeni, viene a patti coi ri- belli Laconi e permette il loro esodo verso l'Occidente. Ta- ranto non fu dunque colonia dorica (8). Per noi viceversa è dimostrato che Taranto fu proprio una colonia dorica: testimone inoppugnabile la lingua, che è, come abbiamo veduto, un dialetto dorico ancora più schietto di quello parlato nella Laconia in epoca storica, dopochè ebbe subìto influssi stranieri. È dunque sicuro che al momento della dedu- zione della colonia il territorio da cui provenivano i coloni era perfettamente dorizzato. A tale conclusione hanno trovato modo di sottrarsi i mo- derni seguendo una via di mezzo: Taranto fu colonia dorica, ma i coloni dori furono immediatamente preceduti a Taranto da Laconi predori, nella stessa guisa che Achei non dori pre- cedettero gli Spartani nel dominio della Laconia. E poichè la tradizione non parla che di una colonia mandata da Sparta, tutto il racconto deve essere una contaminazione di tradizioni varie, riferentisi le une alla colonia dorica, le altre alla colonia più antica (4). La tesi, con qualche variante, fu sostenuta dallo Studniezka, di cui mi farò a esaminare gli argomenti. (1) La rivoluzione dei Parteni doveva scoppiare ad Amicle durante le Jacinzie; v. Anrioca. ap. Srras., VI, 278. Il culto di Apollo Jacinzio a Ta- ranto è attestato da PoLirro, VIII, 30, 2. Falanto, l’ecista di Taranto, è detto Amieleo, Six. Irar., 7, 665 (Amyclaei stirps impacata Phalanti); efr. Dionvys., Perieg., 377. (2) Pavs., II', 2, 6, 7 (cfr. Schol. Pind. Isthm., VII, 18), secondo cui Amicle fu sottomessa da Teleclo. Sul valore della notizia v. Brnoca, Griech. Geschichte, 1°, 1, p. 205, (3) Gerreken, Die Grindung von Tarent, in * Jahrb. fiir Philol. ,, 1898, p. 177 sgg. (4) Sui vari tentativi per spiegare le origini di ‘Taranto v. per es. Lorentz, De origine veterum Tarentinorum, Berlin, 1827, p. 38 sgg.; Grumern, LE ORIGINI DI TARANTO 1049 I Parteni tarentini, benchè ci vengano presentati come Spartani, non sono però, stando alla tradizione, cittadini di Sparta con pieni diritti. Antioco li dice figli di Spartani discesi a condizione di servi per non avere partecipato alla guerra messenica; Eforo li dà come nati durante la guerra da accop- piamenti illegittimi. In altra colonia greca, Tera, i coloni sono detti Mini dalla tradizione, e mescolati con la storia di Sparta, fatti venire dalla Laconia. I Mini rappresentano uno strato della popolazione predorica; d'altronde sappiamo che a Tera fu de- dotta una colonia spartana: se la leggenda fa venire dalla La- conia i Mini, è perchè essa contamina i racconti della coloniz- zazione dei Mini e di quella più recente degli Spartani. Deve essere avvenuto per Taranto qualche cosa di simile; ecco come i Parteni sono fatti venire da Sparta mentre non sembra ne siano stati essi i coloni; difatti le varie versioni sulla loro origine e disparità sociale di fronte al resto degli Spartani tro- verebbero la loro spiegazione nella diversità della stirpe (1). Fin qui lo Studniczka, ma egli non prova poi sufficiente- mente che i Mini a Tera siano una popolazione storica, nè mi attenterò di dimostrarlo io. I Mini che secondo Erodoto anda- rono nella Laconia e di lì a Tera, erano i discendenti degli Argonauti (2); se i coloni di Tera. di origine, sappiamo, spar- tana, si consideravano discendenti dei Mini, vale a dire degli Argonauti, è chiaro che si tratta di genealogie favolose, e la popolazione prespartana di Tera non c'entra nè punto nè poco (3). Quanto alle leggende sulla nascita dei Parteni, è evidente che a noi manca ogni motivo per inferirne l’origine predorica dei Parteni stessi. Un altro argomento a sostegno di una colonizzazione pre- dorica a Taranto si volle vedere nel culto di Falanto. È merito Studien zur altspart. Geschichte, Gòttingen, 1872, p. 180 sgg.; DòHLE, Ge- schichte Tarents, Strassburg, 1877 (Progr.), p. 4 sgg.; BvsoLr, Gr. Gesch., 1°, p. 405; E. Pars, Storia d. Sicilia, I, p. 609; Brvanix, De magnae Graeciae hist. antiq., 1912, p. 63 sgg. (1) Srupviczra, Kyrene, Leipzig, 1890, p. 176 sgg. (2) Heropr., IV, 145. (3) Ep. Meyer, Gesch. d. Alterth., Il, p. 195 ($ 26). Sui Mini, popolo mitico, v. BeLoca, Griech. Gesch , 1°, p. 2*, p. 63. 1050 ADELE CORTESE del Dohle, seguito dallo Studniczka, avere dimostrato che Fa- lanto, l’ecista della colonia spartana, rappresenta in origine un culto del mare (1). Ma lo Studniezka vorrebbe dimostrare pure che il culto di Falanto è anteriore alla venuta dei Laconi perchè lo ritroviamo a Brindisi, città dei Messapi, i quali abitarono Taranto prima dei Greci, e furono nemici acerrimi dei coloni tarentini di origine spartana. Ora nulla esclude che i Messapi abbiano derivato un culto dai loro vicini, benchè nemici. Per citare un esempio, i Carta- ginesi nemici dei Sicelioti non introdussero a Cartagine nel IV sec. il culto siracusano di Demetra? E a prescindere dai rapporti fra Tarentini e Messapi, tanto gli uni che gli altri possono aver ricevuto il culto di Falanto da genti greche che non ebbero nulla a vedere con la fondazione di Taranto e di Brindisi. Insomma a noi manca ogni base per affermare che il culto di Falanto nell’Apulia, anche se non fu spartano in ori- gine, sia più antico della colonia spartana. Un'altra conferma dell'origine predorica di Taranto venne parallelamente allo Studniczka dall’avere attribuito al medesimo personaggio mitico origine achea. Un Falanto troviamo in Ar- cadia, quindi in territorio non dorico (2), un altro Falanto in Acaia, rocca di Jaliso a Rodi (3); trattasi dunque di un culto non dorico, acheo: come Falanto, furono Achei i suoi Parteni. A questo punto lo Studniezka ricorre alla tradizione: secondo Eforo i Parteni si imbatterono in Achei, insieme con i quali combatterono contro gli indigeni (4). E con gli Achei andreb- bero identificati i Cretesi di Antioco; tanto vero che di Cretesi si parla anche per Brindisi (5), la quale accolse il culto acheo di Falanto. (1) Done, op. cit., p. 13 sgg.; STUDNICZKA, Op. cit., p. 185 sgg. V. pure l'art. Phalanthos nel dizionario mitologico del Roscner (1lberg). (2) Pavs., VIII, 35, 9 parla di Falanto città in Arcadia sul DaAZavdor dos, fra Trikolonoi e Methydrion; cfr. Stern. Byz. 8. v. Paiavdos. (3) V. Ergras Rnoprus e Poryz. Rnop. ap. Arnen., VII, p. 360 = F. H. G., IV, p. 405, 481. (4) Epu. ap. Stran., VI, 280. (5) V. Srras., VI, 282, e per il culto di Falanto a Brindisi, Srrar., ibid.; cfr. Jusr., INI, 4, 12; LE ORIGINI DI TARANTO 1051 Quanto alla patria di origine di questi Achei, lo Studnicezka. aveva già infirmato, si è veduto, la provenienza dei Parteni della Laconia; in base ad alcune circostanze di luogo contenute nel racconto leggendario li derivò invece dall’Acaia, madre delle colonie achee d'Italia. Ma dall’Acaia non può essere venuto un culto che non fosse dorico, per l'eccellente ragione che i coloni venuti in Italia dall’Acaia vi portarono un dialetto dorico (1). E se gli Achei sono Dori e Falanto è un culto acheo, ne segue ch'esso è un culto dorico, se non originariamente, almeno di- venuto tale; e come mai un culto dorico testimonierebbe di per sè una colonizzazione prespartana ? Per concludere: nulla dimostra che il culto di Falanto non appartenga originariamente ai coloni spartani; quando ciò fosse dimostrato, non proverebbe tuttavia l’esistenza di una colonia prespartana in Taranto. Il. Da quanto ho esposto credo risulti sufficientemente dimo- strato che i racconti delle origini di Taranto non contengono nessun accenno a quei Greci predori, i quali, come per altra via credo aver dimostrato, effettivamente abitarono la regione tarentina. Sulla fondazione della colonia spartana abbiamo due ver- sioni principali, di Antioco siracusano e di Eforo, conservateci entrambe da Strabone. Secondo Antioco (2), scoppiata la guerra messenica, quei Lacedemoni che non vi presero parte furono dichiarati servi e detti eloti, e i loro figliuoli, nati durante la guerra, furono chiamati Parteni e tenuti in dispregio. Congiurarono allora i Parteni contro i cittadini, e fu stabilito che la ribellione do- vesse scoppiare, a un dato segnale, durante le feste iacinzie nel- (1) Che la tradizione degli antichi sugli Achei predori è del tutto inammissibile dimostra il BeLoca, “ Rh. Mus. ,, 1890, p. 555 sgg.; “ Hist. Zeitschr. ,, 1897, p. 207 sgg.; “ Ausonia ,, IV, 2 (origini cretesi); Gr. Ge- schichte; I°, specialmente, p. 2%, p. 85, p. 92 sgg. (2) Anrioca. ap. StraB., VI, 278. 1052 ADELE CORTESE l’Amicleo. La congiura viene scoperta; i partecipi alcuni fug- gono, altri chiedono perdono, e, dietro la risposta dell'oracolo, Falanto e i Parteni muovono alla volta di Taranto. Quivi sono accolti da Barbari e da Cretesi, reduci dalla spedizione di Mi- nosse in Sicilia, e dalla tempesta gettati sulle coste dell'A pulia, ove diedero origine agli Japigi (1). Secondo Eforo (2) nel 10° anno della guerra i Lacedemoni, che avevano giurato di tornare in patria solo dopo avere presa Messene, mandarono a Sparta i più giovani tra i combattenti, quelli che partiti prima dell'età adulta non avevano pronun- ciato il giuramento, affinchè avessero prole daile vergini spar- tane. I nati furono perciò detti Parteni, figli delle vergini, ma non si volle poi considerarli alla pari dei figliuoli nati da giuste nozze, ed essi congiurarono contro la patria insieme con gli Eloti. La congiura viene scoperta, i colpevoli sono invitati e persuasi ad andarsene, si promette loro, se l'impresa coloniale dovesse fallire, la quinta parte dell’agro di Messene da poco conquistato. I Parteni lasciano Sparta, e giunti in Italia vi in- contrano gli Achei; insieme lottano contro i barbari e fondano Taranto. La prima guerra messenica, come è noto, viene datata in base alla notizia di Tirteo (fr. 5) secondo il quale essa fu com- battuta all’epoca di Teopompo, il cui regno nella serie genea- logica degli Euripontidi cade nella seconda metà del sec. VIII (3). La data della colonia sembra ottenuta anch'essa mediante com- puti genealogici: fra la guerra e la fondazione di Taranto l’in- tervallo è di una generazione; si giunge così alla fine del secolo. V'è tuttavia adito a supporre che non facessero completamente difetto a Taranto materiali per la cronologia: le liste degli (1) Antioco distingue i Cretesi dai Barbari, il che ha dato occasione ai moderni di fardistinzione fra Cretesi, o comunque Elleni, e Japigi. Ma Cretesi per Antioco non sono altri che gli Japigi: risulta in modo chiaro dal contesto. Ho cercato innanzi di far valere che l’identificazione Cre- tesi-Siculi-Japigi è frutto di pura speculazione letteraria; ne ho qui, mi sembra, la conferma. È il tardo elemento erudito che si sovrappone, senza coprirla esattamente, alla tradizione genuina, onde lo sdoppiamento. (2) Ernor. ap. Srran., VI, 279. (3) V. in proposito BeLocn, Griech. Gesch., 1°, p. 2*, p. 262 sgg. LE ORIGINI DI TARANTO 1053 efori sarebbero state redatte a Sparta a cominciare dalla metà del sec. VIII (1), nè si può escludere in modo assoluto che gli elenchi degli efori tarentini risalissero ad epoca remota. È un periodo, del resto, nel quale i computi genealogici danno pure resultati apprezzabili; difatti, partendo da altri criteri, non an- diamo lontani dalla data che le nostre fonti stabiliscono per la fondazione della colonia di Sparta. Taranto, avuto riguardo all’eccellenza della sua posizione, dovette essere contemporanea o di poco posteriore alle colonie achee nel golfo omonimo; l'occupazione del golfo, poi, non è ve- rosimile sia stata preceduta da quella della più lontana Sicilia, che risale alla fine dell'VIII secolo. A conferma della data della tradizione, il materiale archeologico rinvenuto a Taranto con- tiene vasi protocorinzi pertinenti alla colonia greca. Datata la colonia dalla fine del secolo, la correlazione in cui viene posta con la prima guerra messenica è frutto di spe- culazione, che non è senza esempi nella storia di altre colonie italiote. Locri e Crotone, secondo Pausania, sarebbero state fon- date al tempo del re di Sparta Polidoro dagli Spartani (2); l'errore che attribuisce alle due colonie la stessa origine, e pre- cisamente origine spartana, trova con probabilità la sua spie- gazione nel sincronismo degli avvenimenti (3). Difatti Locri e Crotone dovevano essere considerate coeve e fatte risalire al- l'epoca in cui da Sparta si combatteva contro Messene, al al tempo cioè del re Polidoro. La fondazione di Reggio è posta. da Antioco in relazione con la prima guerra messenica sulla base di una notizia, erronea del resto, che. esuli Messeni vi avessero avuta parte (4); viene così attribuita alle stesse cause la fondazione tanto di Taranto che di Reggio, colonie ritenute coeve. Torniamo ai coloni di Taranto. In Eforo ricorre la spiega- zione etimologica del nome dei Parteni, i nati delle vergini; (1) V. BeLoc4y, 1°, p. 1’, p. 24. (2)-Paus, 13, L (3) Niese, “ Gott. Gel. Anz. ,, 1884, Nr. 2, p. 56; v. anche Busotr, 1°, 401, n..2. (4) Anrioca. ap. Stras., VI, 257. Atti della IR. Accademia — Vol. XLIX. 70 1054 ADELE CORTESE per Antioco i Parteni sono figliuoli di eloti, e che la spiega- zione sia anch'essa di natura etimologica è reso assai probabile dal racconto analogo di un’altra colonia italiota, Locri Epizefiri. Secondo Polibio, che sostiene la testimonianza in proposito di Aristotele combattendo le asserzioni contrarie di Timeo, i Locresi sarebbero stati discendenti di servi o combattenti allon- tanatisi dal campo, i quali furono perciò scacciati, e andarono: a fondare Locri in occidente. 1 Locresi a occultare origini così umili solevano derivare dalle madri la loro nobiltà (1).. Questa circostanza è storica (2); quanto alla spiegazione degli antichi, è la stessa che assegna origine servile ai Parteni, i quali traevano dalle madri il nome. Se agli Spartani disertori, e perciò decaduti a condizione di eloti, Eforo sostituisce citta- dini debitamente autorizzati a lasciare il campo, trattasi con probabilità di una modificazione escogitata dal nostro storico, esistendo pure la tradizione che i coloni di Taranto fossero Spartiati di pieno diritto (3). Del resto Eforo ebbe presente la vecchia versione, e fa partecipare gli eloti alla ribellione dei Parteni. La tendenza della storiografia ad attribuire origine servile ai coloni di Taranto ritorna in un’altra versione riferitaci da Diodoro (4). Secondo tale versione, parteciparono alla congiura di Falanto gli Epeunacti, anzi, fallito il colpo, mentre i Parteni desistettero dai propositi di secessione, gli Epeunacti stabilirono di fondare una colonia, e poichè la Sicionia venne loro negata dall’oracolo, ottennero di abitare Taranto. Epeunacti erano, se- condo Teopompo, eloti che gli Spartani sostituirono ai loro guerrieri morti combattendo contro Messene, affinchè il nemico non si accorgesse dei vuoti nell'esercito (5). I servi chiamati a occupare i letti dei cittadini, e©vei, donde Epeunacti, ebbero il conferimento della cittadinanza. Abbiamo ancora una spiega- (1) PoLyB., XII, 5-10. (2) Pars, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, p. 203; BrLocn, op. cit., 1°, p. 1% p. 84. (3) Arisr., Pol., V, 6, 1, p. 1306 Bkk. (4) Diop., VIII, 21. (5) Tagore. ap. Araenagus, VI, p. 271 C.; in Miruer = F. H..G..103 p. 310. LE ORIGINI DI TARANTO 1055 zione etimologica inquadrata, per così dire, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo che entrano nel racconto dei Parteni, ed è probabilmente in grazia di ciò che gli Epeunacti vengono introdotti nella storia di Taranto. È possibile che la leggenda dei Parteni serbi traccia di un antico diritto familiare, per cui la discendenza era ricercata dal lato materno; tanto più che la poliandria, sopravvissuta a Sparta in età storica, sembra presupporne in un dato periodo l’esistenza (1). Per concludere, ben poco è lecito di ricavare dalla versione degli antichi sulla deduzione della colonia. I fondatori proveni- vano da Sparta e dal territorio, una parte, sembra, da Amicle: difatti con la presenza di Amiclei a Taranto si spiegherebbe l’importanza che vi ebbe il culto amicleo di Apollo Jacinzio, attestato da Polibio, come pure la circostanza che nella ver- sione di Antioco sulle origini di Taranto queste fossero ricon- nesse con la celebrazione delle Jacinzie. La città fu fondata verso la fine dell'VIII sec.; l'espansione coloniale di Sparta tiene dietro a guerre di conquista, e pare ne conservi gli impulsi; il suolo della patria non bastava più agli abitanti. E l'oscurità che avvolge le origini di Taranto conviene a una colonia fon- data da povera gente, che le necessità della vita sospingevano oltre i confini della terra natale. 19 Delle vicende di Taranto nulla ci è tramandato per tutto il sec. VII e per il VI, sino alla fine. I racconti delle origini parlano di lotte che i coloni spartani ebbero a sostenere contro i barbari indigeni (2). Altre notizie accennano a guerre fra Ta- ranto e Metaponto per contestazioni di confine (3). A due secoli di distanza all’incirca la tradizione riprende il filo interrotto. (1) BeLocn, Griech. Gesch., I°, p. 1°, p. 84. (2) Era. ap. Srras., V, 280. (3) Anrroca. ap. SrraB., V. 264. 1056 ADELE CORTESE I Tarentini non sono mai nominati a proposito delle lotte che si svolsero fra le città achee durante il secolo sesto. Pre- sumibilmente fra il 530-520 le città collegate di Sibari, Crotone, Metaponto rasero al suolo Siris sul fiume omonimo (1). Quest’ul- tima, come Sibari, Crotone, Locri, aveva aperto ai suoi com- merci la via fino al Tirreno, ove Pyxus, le cui monete atte- stano un'alleanza con Siris, ne rappresenta con molta probabilità una colonia (2). Verso le rimanenti città achee Siris dovè assu- mere la posizione di una temibile rivale, e fu abbattuta. Du- rante la prima metà del sec. V la città non fu riedificata, e la conquista del territorio divenne oggetto delle mire di Taranto. Diodoro riferisce al 473 l'alleanza fra Reggio e Taranto, al 471 la deduzione di una colonia reggina a Pyxus sul Tir- reno (3). Fra le due notizie vi è un nesso probabile, come il Pais ha veduto (4), nè toglie che il nesso vi sia la non contem- poraneità dei due avvenimenti quale risulterebbe da Diodoro, e che è forse solo apparente (la divergenza fra le due date si lascia spiegare per il diverso carattere delle fonti cui Dio- doro dovè attingere l’una e l’altra notizia). Difatti la vecchia alleanza fra Pyxus sul Tirreno e Siris nel golfo di Taranto farebbe luce sui rapporti tra i Reggini padroni di Pyxus e i Tarentini, i quali più tardi sostennero con le armi le loro pre- tese sulla Siritide. A occidente di Taranto Metaponto tagliava alla colonia spartana la via a espandersi verso l’ovest, cui la chiamava, per l'eccellenza della posizione geografica, il suo compito natu- rale d’intermediaria fra la Grecia e l’Italia. Dall’opposta sponda tirrenica il bisogno era sentito di mantenere le tradizionali re- lazioni con la costa orientale, vale a dire ormai con Taranto, che dominava le acque dello Ionio. L'intesa con Reggio, dive- nuta per la colonizzazione di Pyxus città tirrenica, sgomberava ai Tarentini gli ostacoli, porgendo loro un importante vantaggio sulla vicina Metaponto. (1) V. Beroca, Siris, in Griech. Gesch., 1°, p. 2*, p. 238-245. (2) BeLoca, loc. cit., p. 243. (3) Diop., XI, 52, 59. (4) E. Pars, Ricerche storiche e geografiche sull'Italia antica, II, L'al- leanza di Reggio e di Taranto contro gli Japigi, p. 29-42. LE ORIGINI DI TARANTO 1057 Il Pais ritiene invece la conquista della Siritide già avve- nuta al tempo dell'alleanza fra Taranto e Reggio. Taranto avrebbe dominato tutta la valle del Siri, e per conseguenza, essendovi di mezzo Metaponto, avrebbe tenuto in soggezione anche quest’ultima. Ma nell'epoca cui ci riferiamo Metaponto aveva pienissimi diritti di sovranità: ne sono prova le monete, le quali attestano pure il massimo fiorire della potenza meta- pontina nella prima metà del sec. V. È inammissibile che Me- taponto fosse già incuneata nei dominii della potente vicina: quando Taranto divenne realmente padrona della Siritide e vi fondò la colonia di Eraclea, Metaponto non tardò ad assumere fra le due una posizione assai mediocre. Il Pais porta a sostegno della sua tesi il fatto che Meta- ponto non partecipò alle lotte fra Turi e Taranto per il pos- sesso della Siritide, arguendolo dal silenzio delle fonti. E che i Metapontini non abbiano preso le armi contro Taranto può trovare conferma in questo, che dopo la vittoria di Taranto, Metaponto conservò la sua posizione indipendente; difatti al momento della spedizione ateniese in Sicilia i Metapontini disposero liberamente di aiuti per gli Ateniesi, a differenza di Taranto, che si mantenne neutrale. Cade così l’argomento che la mancata partecipazione di Metaponto al conflitto per la Siritide stia a significare la sua soggezione alla vicina Taranto. D'altronde, ove si ammetta che Taranto al principio de V secolo possedesse tutta la valle del Siri e di fatto anche Metaponto, si comprende assai meno l’interesse dei Tarentini ad allearsi con Reggio. Dopo tutto Taranto si sarebbe trovata in condizioni più favorevoli che le colonie achee quando coloniz- zarono la costa tirrenica, e sarebbe strano che non avesse pen- sato a imitarne l’esempio. Il Pais riconosce che il vantaggio nell’alleanza stava dalla parte di Reggio: questa lo avrebbe tuttavia compensato con aiuti militari. Ma in tal senso la re- ciprocità fra i due stati doveva essere già convenuta: Pyxus ai confini della Campania, allora infestata dagli Etruschi, non si trovava per questo rispetto in condizioni più favorevoli che Taranto. Dell’attività guerresca dei Tarentini abbiamo scarse notizie, e solo approssimativamente databili. Una loro vittoria sui Mes- 1058 ADELE CORTESE sapi fu celebrata con un ex-voto a Delfi opera di Agelada (1). L'iscrizione dedicatoria ne è stata scoperta di recente: ricopiata nel sec. IV, serba però traccia dei caratteri originari, per i quali sembra debba essere posta in epoca non anteriore al 480 (2). La cronologia di Agelada ci riporta agevolmente alla stessa epoca. Sappiamo inoltre di una vittoria ottenuta dai Tarentini sui Peucezi, per la quale mandarono a Delfi statue di Onata (3). Di questo artefice è sicuramente databile, com'è noto, fra il 467 e il 466 l’ex-voto di lerone mandato a Delfi dal figlio di lui Deinomene (Paus., VI, 12, 1). È impossibile peraltro ristabilire la successione di questi fatti d’arme in rapporto alla grande sconfitta toccata all'esercito di Taranto e Reggio collegate contro i Messapi, e che da Diodoro è riportata al 473. Diodoro racconta che i vinti si divisero in due parti: gli uni, e cioè il contingente tarentino, piegarono su Taranto; gli alleati reggini fuggirono verso Reggio, e i Messapi li insegui- rono sino in fondo, ed espugnarono la stessa Reggio; partico- lari questi ultimi evidentemente assurdi. La correlazione in cui sono poste le due notizie fa sospettare che si tratti di una congettura dello stesso Diodoro: la fuga dei Tarentini a Ta- ranto gli avrebbe suggerito l'indicazione a lui mancante rela- tiva ai Reggini. Il Pais crede di utilizzare il dato di Diodoro sostituendo a Reggio, ch'è fuori questione, un possedimento di Reggio nella Siritide, concessole da Taranto. Ho già esposto per quali motivi ritengo che non si possa parlare in questa epoca di possesso della Siritide da parte di Taranto. È su- perfluo aggiungere che la notizia di Diodoro non rende in nulla più probabile la tesi contraria. La sconfitta ebbe conseguenze per la politica interna di Taranto, che passò dalla forma oligarchica a reggimento demo- (1) Paus.,.X, 10, 6. (2) Della iscrizione si sono occupati l'Homo.re (* B. ©. H.,, 7, 1894, p. 187; 1897, p. 801 egg.; 1898, p. 579; ‘C. R. A. I. ,, 1894, p. 584); il Powrow, ‘ Arch. Anzeiger ,, 1895, p. 9, n. 1: “ Klio ,, 1908, p. 326-387; “ Berl. Phil. Wochenschr. ,, 1910, p. 187; il Bounaver, in * Fouilles de Delphes ,, 4, II, fase. I, p. 73 sgg. (3) Paus., X, 18, 10. LE ORIGINI DI TARANTO 1059 MgC0; + FeC0, e solo in due casi essa è nel senso opposto CaC0, < MgC0; + FeC0,. La relazione limite suaccennata non è certamente un fatto nuovo nè è da considerarsi come proprio esclusivamente delle do- lomiti di Traversella, ricorrendo invece spesso in questi carbonati misti, come si può vedere esaminando le numerosissime analisi di dolomiti ferrifere di località diverse riferite dal DoeLTER (1). Nel caso speciale di Traversella però essa acquista evidente- mente un’importanza maggiore perchè quivi si verifica in una serie di carbonati che presentano una composizione gradual- mente variante che da quella della vera dolomite contenente minime quantità di ferro tende verso quella dell’ankerite tipica mediante una serie di termini che si possono considerare come intermedi fra le due specie. Questi termini inoltre sono colle- gati fra loro dalla stessa giacitura e certamente dallo stesso modo di formazione, mentre le differenze che si notano nella loro composizione dipendono sopratutto dall’essere contenute in zone più o meno prossime a quella nella quale i fenomeni di metamorfismo acquistarono la massima intensità. Se ora esaminiamo le già citate formule date per le do- lomiti ferrifere e cerchiamo di metterle in accordo colla rela- zione CaC0, = MgC0; + FeC0,, vediamo tosto che soltanto le formule date dal Dana, dal RammeLsBERG e dal NaumaNN, quella (1) Handbuch der Mineralchemie, vol. I. Atti della It. Accademia — Vol. XLIX. 74 1114 MARIO DELGROSSO data dal Boricky e quella corrispondente alla prima ipotesi del LEITMEIER possono esprimere in modo generale la relazione suddetta. Invece la seconda ipotesi del LertMEIER di un isomor- fismo fra dolomite e siderite non ci può dare una spiegazione generale di questo fatto. E evidente infatti che considerando la dolomite come un sale doppio: CaMg(,0;, e spiegando quindi la costituzione delle dolomiti ferrifere come un fenomeno di miscela isomorfa fra questo sale doppio e il carbonato ferroso FeC0,, essendo nel carbonato doppio CaMgC,0; uguali le quan- tità di CaCO, e MgCO;, non si può in nessun caso ottenere la relazione CaC0; = MgC0, + FeC03;. Limitandoci quindi a gli altri tipi di formule suaccennate, resta a vedere quale di esse abbia in sè maggior probabilità di esattezza. Il tipo di formula dato dal Boricgy e dal LeirtMEIER pre- suppone l’esistenza di un carbonato doppio di calcio e di ferro che finora non è stato ancora trovato in natura. Malgrado questo però la possibilità che il carbonato di calcio si associ a quello di ferro indipendentemente dalla presenza di quello di magnesio non è da escludere per ora in modo assoluto, perchè abbiamo un'analisi di una siderite di Altemberg, dovuta a Mon- HEIM (1), e che per maggior chiarezza credo utile qui riferire: FeC0; = 64,04 CaCo, = 20,12 MnlC0, = 16,56 in cui, come si vede, il carbonato di ferro è associato a quello di calcio senza traccia di quello di magnesio. Ma a parte il fatto che si tratta di un caso isolato, occorre anche notare che qui è presente pure una quantità notevole di carbonato di manganese. Ora, come osserva il LerrmereR (2), esiste una serie quasi completa di miscele di CaCOgy e MnUO;, mentre altrettanto non si può dire per la coppia CaC0g, FeC0g; si potrebbe quindi dedurre con verosimiglianza che la presenza del CaC0, nella (1) Daxwa, A System of Mineraloygy, 5* ediz., pag. 690. (2) DoeLren, Handbuch der Mineralchemie, vol. |, pag. 277. SOPRA ALCUNI CARBONATI MISTÌ DI TRAVERSELLA 1115 suddetta siderite dipenda da quella del MnC0;, cioè che questo minerale sia da considerarsi piuttosto come un’associazione di siderite pura con un termine della serie accennata di miscele di CaC0;, MnC03. Con ciò, senza voler escludere che in determinate condi- zioni possa formarsi il carbonato doppio di calcio e ferro, 0s- servo che la difficoltà a formarsi di un tale composto trova pure una conferma nel caso appunto dei giacimenti di Traver- sella, dove non si è mai trovato traccia di tale carbonato quan- tunque, in causa della grande importanza assunta dal ferro in detto giacimento, non solo abbondino i carbonati misti di calcio, magnesio e ferro ma siano anche presenti carbonati di magnesio e ferro quali la mesitina e pistomesite. La formula del tipo dato dal DANA di fronte a quelle del tipo del Borîcgxy ha senza dubbio il vantaggio di non presup- porre l’esistenza del suaccennato carbonato finora ignoto e am- mettere invece una reciprocità di funzione fra magnesio e ferro su cui non esiste aleun dubbio perchè si nota pure in altri minerali, quali ad esempio gli anfiboli in cui si osserva che mentre la quantità di CaO rimane pressochè costante, le quan- tità di MgO e Fe0 variano in senso opposto l’una all’altra. Ciò non ostante però, se si tien conto del fatto che per un complesso di caratteri, fra cui principale quello cristallografico della tetartoedria, la dolomite è ora quasi universalmente con- siderata non più come una semplice miscela isomorfa, ma bensì come un vero e proprio sale doppio, è evidente che la formula del DANA non può dare una spiegazione netta del fenomeno della sostituzione parziale del MgC0O; col FeCO;. In conseguenza di ciò se si considera la dolomite tipica come un sale doppio e d’altra parte si vuole evitare il presup- posto dell’esistenza in natura dell’ancora ignoto carbonato doppio di calcio e ferro, per spiegare la costituzione delle dolomiti ferrifere si potrebbe ammettere l’esistenza di un sale triplo di calcio, magnesio e ferro corrispondente alla formula: CagMgFeC,0;s3 . Questo sale triplo che per la sua composizione chimica corri- sponde precisamente all’ankerite normale della classificazione del Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 74* 1116 MARIO DELGROSSO BorìcKy (1), unendosi in miscela isomorfa con quantità variabili del sale doppio della dolomite CaMgC,0; darebbe luogo a tutti i termini della serie delle dolomiti ferrifere. Sebbene non sì possa per ora dimostrare la reale esistenza di questo sale triplo, tuttavia la probabilità che esso esista e che si possa quindi interpretare la costituzione delle dolomiti ferrifere nel modo suesposto trova un appoggio in natura nel fatto che si cono- scono alcuni carbonati aventi una composizione centesimale che è estremamente prossima a quella teoricamente richiesta per il detto sale triplo CayMgFeC,0;3, tali sono quello di ZAICOV in Boemia (I) analizzato dal BiLek (2) e quello di PrLEPS nel Missouri (II) analizzato dal Rogers (3) le cui composizioni cen- tesimali sono riferite nella qui sotto riportata tabella unita- mente ai valori teorici: I II comp. teorica Cds! si rrdo 50,70 50 MgCOs. . . 21,66 21,33 21 TOO, ta PCOS ASI 29 102,23 99,80 100 Inoltre occorre notare che, come apparisce dai lavori del BentIvoeLIo (4) e dell’ Ersennur (5), nelle dolomiti ferrifere l'angolo del romboedro presenta variazioni molto piccole man- tenendosi sempre molto prossimo a quello del romboedro della dolomite tipica. Ora questo fatto potrebbe trovare una spiega- zione abbastanza chiara considerando appunto le dolomiti fer- rifere nel modo sopra accennato cioè come miscele isomorfe di dolomite tipica e di ankerite normale per le quali infatti gli (1) Tschermak Min. Petr. Mitteilungen, 1876, pag. 47 e seg. (2) Ibidem. (3) Kansas Univ. Quart. 8, 183 (1899). (4) “ Atti Soc. Nat. Modena ,, 26, pag. 84 (1892). (5) Beitriye ziir Kenntniss der Bitterspithe, * Zeitschr. fiir Kryst. und Min. », vol. 53, pag. 582. SOPRA ALCUNI CARBONATI MISTI DI TRAVERSELLA 1117 autori dànno valori angolari molto prossimi; così il DANA (1) ad esempio per il romboedro della dolomite dà il valore di 73°45' mentre per l’ankerite dà il valore di 73°48', cosicchè, anche supponendo che le proporzioni relative dei due carbonati variino entro limiti abbastanza estesi il valore dell’angolo del romboedlro non può subire variazioni sensibili. Istituto di Mineralogia della R. Università di Sassari, Maggio 1914. (1) A System of Mîneralogy, 6* ediz. (1899), pag. 261. 1118 LORENZO CAMERANO Osservazioni intorno alla mucosa palatina del Camoscio delle Alpi. Nota del Socio LORENZO CAMERANO. (Con una tavola). Il signor G. Ghidini di Ginevra m’inviava recentemente una serie di mucose palatine di Camosci di varie località, richia- mando la mia attenzione sulla conformazione delle plicae palati, in ordine ad una loro possibile utilizzazione come caratteri tas- sonomici, per la separazione di speciali forme di camosci, se- condo le diverse località. Intorno alle plicae palati dei mammiferi la scienza possiede una numerosa serie di pubblicazioni a cominciare da quella di G. Cuvier (1) e a venire fino ai recenti lavori di F. Eilhard Schulze (2) e di Jacob Rechs (3) (che ha anche la completa bi- bliografia dell'argomento). Particolarmente interessante per noi è quello descrittivo di G. Retzius, “ Die Gaumenleisten des Men- schen und der Thiere ,, corredato di 13 bellissime tavole (4). In nessun lavoro il Camoscio viene preso in conside- razione. (1) Lecons d'anatomie comparée, rec. e pub. par M. Duwmérit, 2* ed., vol. III, pag. 745 (1845). | (2) Die Erhebungen auf der Lippen und Wangenschleimhaut der Sùuge- thiere * Sitz. Kònigl. Preuss. Akad. Wiss.,, 1912, pag. 510. (3) Beitrige zur Kenntnis der makroscopischen und mikroskopischen Ana- tomie insbesondere der Topographie des elastischen Gewebes des Palatum durum der Mammatlia, * Zeitsch. fiir Wiss. Zool. ,, vol. CIX, fase. 1, 1914. (4) Biologische Untersuchungen von G. Rerzius. * Neue Folge ,, XII, 1906, pag. 117 e segg., tav. XXXV-XLVIII. OSSERVAZIONI INTORNO ALLA MUCOSA PALATINA, ECC. 1119 Il materiale che ho potuto studiare è così costituito : Mucose palatine di 2 è adulti di Valsolda (Bacino del Po); & » © di 2 anni, di Passiria (Bacino dell'Adige); î » © di 4 anni di Val Sarentina (Bacino del- l'Adige); LI » 2 è di Ampezzo (Bacino del Piave); x » è di 6 anni dei Monti di Plezzo (Bacino dell’Isonzo); È » ò 2 anni di Rakipnica (Erzegowina) (Bacino del Narenta); s 9 2 anni di Papura (Alta Valle Dimbovita) (Bacino del Danubio); i s 5 adulto di Papura (Alta Valle Dimbovita) (Bacino del Danubio); 4 s 9 adulta Fogaras (Bac. dell’Oetu Unghe- rese); P » £ di 9 anni Fogaras (Bac. dell’Oetu Unghe- rese); s È Isére (Delfinato) (Bacino del Rodano); È s 2 è giovani di Tschache (Caucaso) (Ciuguscc); } » 6 adulto. |, 4, ; ’ La mucosa palatina del Camoscio, nella disposizione ge- nerale delle sue plicae e delle sue papille, si presenta come quella degli Artiodattili Ruminanti e rassomiglia in particolar modo a quella delle Capre, delle Pecore e dei Cervi (confronta Retzius, op. cit.). — Si possono, seguendo il Retzius, conside- rare in essa due regioni. La regione della papilla palatina e la regione delle plicae palati. La regione della papilla palatina è nettamente divisa da un solco longitudinale in due metà che circondano la papilla pa- latina stessa. che è collocata verso il margine posteriore. La regione della papilla palatina si prolunga posteriormente e ai lati in due porzioni triangoliformi, più o meno estese e, tal- volta, fin quasi alla fine delle due prime plicae palati. Il margine posteriore della regione della papilla palatina è, nel suo insieme, di aspetto variabile. Esso dipende, in parte, dallo sviluppo dei prolungamenti sopradetti e dalla configura- 1120 LORENZO CAMERANO zione dei margini interni di essi. Nel materiale sopradetto ho trovato le principali forme seguenti : 1° La porzione mediana del margine posteriore della re- gione della papilla palatina è rettilineo e rettilinei sono pure i margini interni dei prolungamenti triangoliformi, in guisa che l’intiero margine assume una spiccata forma poligonale; 2° La porzione rettilinea mediana è assai breve e i margini interni dei prolungamenti triangoliformi sono fortemente arcuati : 3° I margini interni dei prolungamenti triangoliformi, sono in forma di arco, largo e si continuano fra loro nella parte mediana, in modo che l’intiero margine posteriore della regione della papilla palatina ha la forma di un arco poco convesso ; 4° I margini interni dei prolungamenti triangoliformi, invece di essere rettilinei, come nella 1° forma, o arcuati come nella 2* e nella 3°, sono fortemente convessi; la porzione me- diana del margine posteriore è rettilineo, ma con intaccature che vi determinano come dei larghi lobi, poco sporgenti. La prima forma si trova in esemplari è di Valsolda, di Val Sarentina, di Papura (Bac. del Danubio), di Rakipnica (Bac. del Narenta) e di Isère (Bac. del Rodano). La seconda forma l'ho osservata in una 9 di Ampezzo. La terza forma si trova in 1 maschio di Plezzo (Bae. del- l’Isonzo). La quarta forma si osserva in una 9 di Ampezzo e in una Q di Fogaras (Bac. dell'Oetu Ungherese). Fra l’una e l’altra delle forme sopradette si trovano confor- mazioni intermedie. Il margine posteriore della regione della papilla palatina sì presenta ora liscio, cioè senza piccoli tubercoli, ovvero è con tubercoli piccoli, quasi in tutta la sua lunghezza, ovvero, verso i lati, oppure solo verso il mezzo. Ho osservato i tubercoli in esemplari è di Papura, di Plezzo, di Passiria. Tubercoli si osservano pure talvolta (Isonzo, Valsolda) sulla parte allargata della regione della papilla palatina, sopratutto verso la regione mediana, nei suoi due terzi posteriori. Variabile è pure la forma della papilla palatina. Più frequentemente (Valsolda, Plezzo, Rakipnica, Fogaras, Ampezzo), essa è a contorno piriforme coll’apice più assottigliato » OSSERVAZIONI INTORNO ALLA MUCOSA PALATINA, ECC. 1121 verso la parte anteriore. Talvolta l’aspetto piriforme è appena accennato, tanto che essa appare come quasi rotondeggiante {Val Sarentina, Isère, Passiria). In altri casi tende ad essere più o meno ovale, con una parte più assottigliata rivolta poste- riormente (Ampezzo, Papura). Dietro il margine posteriore della regione della papilla pa- latina e lungo ad esso vi è una serie di papille tuberculiformi, che ora sono spiccatamente piccole e numerose (Papura), ora re- lativamente grosse e poco numerose (Valsolda). — Negli altri esemplari variano di grossezza e di numero fra i due estremi ora indicati. La regione delle plicae palati è divisa in due metà da un solco palatino longitudinale, mediano, che è molto spiccato nei due terzi anteriori e poi va facendosi meno ampio e profondo col diminuire di altezza delle plicae. La prima plica è non raramente assimmetrica. Si può tro- vare nella metà sinistra e mancare a destra (3 di Valsolda) oppure se ne trova una a destra e a sinistra manca, o è assai piccola (Fogaras, Val Sarentina, Plezzo) ovvero a sinistra è grande e a destra è appena sviluppata (9 di Fogaras). La seconda, e talvolta la 3? e la 4%, non si corrispondono fra loro esattamente, essendo quelle di una metà un po’ più alte di quelle dell’altra metà. Le sette od otto plicae seguenti pos- sono essere sensibilmente eguali nelle due metà, corrispondendo fra loro per la posizione rispettiva, ovvero alcune di esse pos- sono essere più o meno spostate in alto o in basso nelle due metà. Queste variazioni hanno al tutto carattere individuale. La larghezza delle pieghe va, nel loro complesso, facendosi più ampia dalle anteriori alle posteriori e così pure la sporgenza del loro margine libero. Le pieghe collocate nella parte posteriore sono talvolta appena accennate da una serie di tubercoli di al- tezza decrescente, che incomincia ai lati e si estende, talvolta, per breve tratto verso la regione mediana, senza raggiungerla. Le irregolarità assimmetriche di conformazione delle pieghe, non sono rare, sopratutto in quelle posteriori. Il margine libero delle pieghe palatine è variabile nella sua forma: ora è rettilineo, ora è regolarmente concavo, ora infine è concavo convesso, cioè per un tratto è concavo e per l’altro è più o meno spiccatamente convesso. 1122 LORENZO CAMERANO Nella mucosa palatina dello stesso animale si possono nelle varie pieghe trovare riunite tutte queste conformazioni. Il margine libero delle plicae palati presenta una serie di papille tubercoliformi, più o meno sviluppate e numerose. Le ho trovate relativamente ben sviluppate, regolari e nu- merose negli esemplari di Valsolda, Ampezzo, Papura ; piccole, numerose e regolari in quelli di Passiria, Val Sarentina, di Fo- garas; poco numerose e distanti fra loro in esemplari di Am- pezzo, Papura, Rakipnica, Plezzo, e in un esemplare di Fogaras. Il numero di paia di plicae palati (tenendo conto anche delle posteriori, più o meno sviluppate) varia nel modo seguente: 10 in è 2 anni di Papura; 11 in è di 4 anni di Val Sarentina, in è di 2 anni di Papura, in $ di 2 anni di Isère, in 9 di 9 anni di Fogaras; 12 in $è adulto di Papura, in una 9 adulta di Fogaras, in due & di 4 anni di Ampezzo; 13 in un $ adulto di Val- solda, in un è adulto di Plezzo; 14 in un è di 2 anni di Passiria; 15 in un5 adulto di Valsolda. Nei casi in cui le plicae sono più numerose, soltanto 11° 0 12, sono in generale le più sviluppate. Fra le due metà del palato vi può essere la differenza di 1 nel numero delle plicae per le ragioni sopra dette relative alla prima plica. Nelle mucose palatine degli esemplari del Caucaso, sopra menzionati, ho osservato : in un 54 giovane il margine posteriore della regione della papilla palatina conformato come nella forma 2? sopradetta e nell'altro è giovane, il margine stesso come nella forma 4. Nel $ adulto è come nella forma 1?. La papilla palatina in uno dei è giovani è piriforme, col- l'apice dalla parte posteriore nell'altro; esemplare, è grossola- namente ovale con una parte più assottigliata posteriormente. Questa conformazione si osserva pure nel $ adulto. Le due mucose palatine dei giovani non sono complete po- steriormente e perciò non si può vedere quale era il numero totale delle plicae. Nel è adulto esse sono in numero di 14. Come appare dalle cose sopra esposte, la regione della pa- pilla palatina, la papilla palatina stessa, e le plicae palati va- riano sensibilmente nel Camoscio delle Alpi, senza tuttavia che le variazioni conducano a deviazioni notevoli dal piano generale di conformazione proprio di questa forma. pe Uuti I. R. Accad. I. Scienze di Forino L. CAMERANO - Mucosa del camoscio Vol. XLIX Officina Fototecnica Ing. Molfese. Torino n n ” 3 ° se i etti, letinte: OSSERVAZIONI INTORNO ALLA MUCOSA PALATINA, ECC. 1123 Dal materiale studiato, pare a me, non si possa trarre alcun dato sicuro per utilizzare le dette variazioni come caratteri dif- ferenziali di sottospecie o varietà locali. Pare a me che le dette variazioni abbiano, più che altro, carattere di variazioni individuali che si presentano parallela- mente negli individui delle diverse località. Credo, ad ogni modo, che sarebbe utile estendere le osservazioni sopra un ma- teriale più numeroso proveniente dalle singole località abitate dal Camoscio. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (Le figure sono di grandezza naturale). Fig. 1. Camoscio 3 adulto di Valsolda. Preah. + GTA di Papura (Rumenia). 3» di 5 9 di 4 anni di Ampezzo. 4 è li ° di Val Sarentina. 5 È $ adulto di Valsolda. 6 : È =» di Plezzo (Bac. dell’Isonzo). » n n L’ Accademico Segretario CorraDpo SEGRE. ST 1124 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Il 31 maggio, tenendosi nei locali dell’ Acca- demia la solenne commemorazione dell’ illustre Ascanio Sobrero, che fu Segretario perpetuo del- lVAccademia, la Classe deliberò che in quel giorno Vadunanza fosse soppressa. L’Accademico Segretario R. RENIER. Pa «È CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 14 Giugno 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE LORENZO CAMERANO VICE- PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA. Sono presenti il Direttore della Classe D’OvIpIo ed i Soci SaLvapori, Naccari, PrANo, Foà, GuaArEscHI, GuIpi, FILETI, Parona, MaTTIROLo, Grassi, SomiGLIANA, FuSsARI e SEGRE Se- ggretario. Si legge e si approva il verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente partecipa la morte, avvenuta il 6 corrente a Vienna, del Socio corrispondente LieBEN, che apparteneva alla Classe dal 15 maggio 1892. Furono inviate le condoglianze alla famiglia. L'Accademia delle Scienze di Vienna ha ringraziato per la parte presa al lutto di lei per la morte del suo Presidente Edoardo SuEss. Il Socio GuaREscHI offre in omaggio un suo opuscolo Sulla legge della dilatazione dei gas di VoLta. Notizie storiche. In esso l'Autore, basandosi su documenti ed affermazioni d’illustri fisici e chimici, dimostra che la legge deila dilatazione dei gas deve portare il nome di VoLra, perchè a lui veramente è dovuta. Lo stesso Socio GuaRrEscHI presenta in omaggio, a nome del Comitato per le onoranze ad A. SoBrERO, il volume delle Memorie scelte di questo scienziato e una medaglia commemo- Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 75 rativa, insieme ad una copia a parte del proprio Discorso. storico-critico preliminare al detto volume di Memorie. Vengono presentate, per la stampa negli Atti, le seguenti Note : E. Perucca, /l potere rotatorio dei cristalli misti NaC10g — AgC103, dal Socio NACCARI; A. Pensa, Alcune applicazioni delle formole di Frenet, dal Socio PEANO; G. A. Favaro, Istrumento dei passaggi Heyde del Gabi- netto di Geodesia della R. Università di Torino, con prefazione del Socio JADANZA, inviato da questo Socio; G. NEGRI, Le unità ecologiche fondamentali in Fitogeografia, Nota 2, dal Socio MATTIROLO ; L. CasaLe e Maria CasaLe-SaccHI, Su alcuni amino- azocomposti, dal Socio FrLeTI. ELIGIO PERUCCA — IL POTERE ROTATORIO, ECC. 1127 LETTURE Il potere rotatorio dei cristalli misti Na010:-Ag010:. Nota di ELIGIO PERUCCA. (Con una tavola). Il clorato di sodio forma facilmente dei bei cristalli misti col clorato di argento. Tali cristalli monometrici, il più spesso tabulari a base quadrata, ottenuti e studiati dapprima dal Retgers (1), sono stati oggetto, più tardi, di un nuovo studio da parte del Foote (2). Quest'ultimo riprende le esperienze di Retgers per mostrare che i cristalli monometrici di NaC10;- AgCl0; possono conte- nere fino alle seguenti percentuali: fino al 24°/, (15°/ molecolare) alla temperatura di 12° s 31% (20% POTRO i 250 » 86% (23% iti : 350 » 45% (81% FI } 50°, Cioè la percentuale massima di AgC10; cresce fortemente con la temperatura. Infine il Foote trova che non è più possibile separare, con ripetute cristallizzazioni, il NaC10; puro dai cristalli misti. Da sua parte, molti anni prima, il Retgers ha ottenuto cristalli misti monometrici, aventi al più 18 °/, di AgC103, ha mi- surato il peso specifico del AgC10; cubico, che risultò circa 4,21; e infine ha notato come i cristalli, non molto grandi, limpidi (1) J. W. Rercers, Beitrige zur Kenntnis des Isomorphismus, Il, “ ZS. fiir Phys. Chem. ,, 5, 436, 1890. (2) H. W. Foore, Mixed Crystals of silver and sodium clorate, “ Am. Ch. Journal ,, 27, 315, 1902. 1128 ELIGIO PERUCCA appena ottenuti, intorbidiscono all’aria col tempo, e immediata- mente a contatto con l’acqua, quando contengano più del 5 o 6° di AgCI03. Limpidi, essi mostrano al polarimetro anomalie ottiche: i cristalli si mostrano divisi in settori come il lato posteriore di una busta, e sono lievemente birifrangenti, a causa di tensioni interne. Infine il Retgers dice che verosimil- mente tali cristalli misti sono attivi, si potrebbe anzi tentare su di essi una verifica della legge di Bodlinder (1) sulla rela- zione tra potere rotatorio e composizione chimica delle miscele isomorfe, e si potrebbe anche giungere a una misura del po- tere rotatorio del clorato di argento. Nè il Retgers, nè il Foote, nè altri hanno meglio studiato le proprietà ottiche, in particolare il potere rotatorio di tali cristalli misti. Ciò io mi sono proposto; le esperienze hanno confermato la previsione del Retgers, e qui desidero esporne i risultati. Dal Kahlbaum mi sono fornito di AgC103 purissimo; ho ottenuto il NaC10; ricristallizzando quello commerciale. Fatte soluzioni acquose concentrate dei due sali, e riunitene propor- zioni diverse facevo cristallizzare per lentissimo raffreddamento, o, più spesso, per evaporazione. Nessuna regola esatta può se- guirsi per ottenere cristalli aventi un certo °/, di AgC103, perchè piccole variazioni nelle concentrazioni dei due sali o nelle con- dizioni di cristallizzazione, producono forti variazioni nella com- posizione dei cristalli misti. Scelti i cristalli più belli di ciascuna cristallizzazione, ne serbavo parte per la misura della percentuale di AgC10,, parte per le misure al polarimetro. La determinazione del °/, in AgCl0O; veniva fatta, come già dal Retgers e dal Foote, mediante una soluzione titolata (1) G. BopLinper, Ueder das Optisches Drehungsvermbgen isamorpher Mischungen aus den Dithionaten des Bleies und Strontiums, “ Inaug. Diss. Breslau ,, 1882. — “ Beibl. ,, 7, 396, 1888. 14 IL POTERE ROTATORIO DEI CRISTALLI MISTI NaC10z-AgC10, 1129 di NH,SCN e l'indicatore di Volhard (1) (soluzione concentrata di allume ferro-ammoniacale, decolorata con alcune gocce di acido nitrico puro). La titolazione della soluzione di NH,SCN venne eseguita da me sia con NaCI] purissimo e AgNO;, sia, direttamente, con una soluzione titolata di AgC10; Kahlbaum accuratamente essic- cato. Quest'ultimo metodo, molto più comodo del precedente, è risultato precisissimo, certamente in virtù della purezza dell’AgC10; adoperato. A causa della scarsezza dei cristalli belli ottenuti da ogni cristallizzazione, poche volte ho potuto misurare il °/, in AgC10; con una precisione vicina o eguale a quella raggiunta dal Retgers, cioè del 0,01 °/; in media la precisione da me ottenuta fu del 0,19/ e al mio scopo saufficientissima. Del resto ho trovato che il °/ in AgCIO; può variare fino a circa l’1°/ da cristallo a cristallo di una stessa cristallizza- zione. E poichè è ben di rado possibile ottenere cristalli belli tanto grossi che basti uno solo per la determinazione del po- tere rotatorio e poi della composizione, occorre fare numerose determinazioni al polarimetro, e ottenere, con una sola misura, il % medio in AgcCIO; di tutti i cristalli. Per ciò che riguarda i cristalli destinati alle esperienze polarimetriche, ne misuravo lo spessore con un buon palmer (+ 0,005 mm.), li masticiavo con balsamo del Canadà tra due vetrini coprioggetto, poi ancora li inceravo tutt’attorno, in modo da impedirne il contatto con l’aria. Così preparati, li montavo su di un cerchio graduato posto tra i nicol del polarimetro. Potevo così esaminarli in ogni azimut. Per le osservazioni ho sempre usato la luce gialla di un arco ricco di vapori di sodio, monocromatizzata da un prisma a deviazione costante. Il baricentro luminoso è quindi molto prossimo a 589.3 uu. La temperatura si mantenne sempre tra 17° e 19°. I cristalli misti monometrici, così esaminati, presentano sempre visibilissime e sistematiche anomalie ottiche, la cui gra- vità cresce con continuità al crescere del °/, in AgC10,;. (1) V., ad es., TreapweLr, Kurzes Lehrbuch der Anal. Chemie, vol. II, pag. 534. 1130 ELIGIO PERUCCA Nella tavola unita a questo lavoro ho disegnato l’aspetto caratteristico dei cristalli misti (esemplare contenente circa il 7° di AgCIlO;, base quadrata 8 X 8 mm., spessore 1,99 mm.). Si distinguono sempre quattro settori principali 1; 2; 3 e 4; 5 e 6, separati dalle diagonali del quadrato base; queste dia- gonali sono qualche volta sostituite da linee spezzate, come ad es. il tratto che separa le zone 1 e 5. Dei quattro quadranti fondamentali così formati, due, op- posti al vertice, sono più birifrangenti, gli altri due lo sono meno. I due quadranti più birifrangenti (in figura: 1 e 2) sono divisi non molto nettamente da una larga linea ad la quale attraversa il cristallo in tutta la sua larghezza solo se il ®/, in AgC10; è piuttosto forte (8-9 °/, almeno); altrimenti, come in figura, svanisce prima di giungere ai bordi del cristallo. La birifrangenza di questi quadranti è sensibile anche nei cristalli misti più poveri di AgCI0g che io ho esaminato (1,59 %/o). Gli altri due quadranti appaiono, qualunque sia il % in AgC10; del cristallo, attraversati completamente da una finis- sima linea cd, la quale ben di rado è una retta, più spesso è una spezzata che presenta una o più insenature trapezoidali caratteristiche. Questi quadranti sono quasi monorifrangenti, finchè il °/,, in AgCl0, è inferiore a 5 circa, poi, al crescere del °/,, van presentando anch'essi una birifrangenza sempre più forte. Se il °/, in AgCIO; è 3 o 4 al più, tutti e quattro i qua- dranti hanno sensibilmente assi ottici paralleli; poi (4 ad 8% di AgC10;) sono paralleli gli assi ottici dei quadranti 1 e 2 e quelli delle zone 3, 4, 5, 6, ma questi ultimi sono ad angolo con i primi; più tardi (9-12 °/, di AgC10g) nen sono più paral- leli gli assi ottici delle zone 1 e 2, nè 3 e 4, nè 5 e 6; infine (dal 12-14 °/, in su), nemmeno tutti i punti di una sola delle 8 zone in cui allora compare diviso il cristallo, hanno assi ottici paralleli; ma l’asse ottico varia in ogni zona in modo tale da assumere forse tutti gli azimut possibili. Sulla probabile origine di queste anomalie ottiche dirò qualche parola più oltre. Passiamo al potere rotatorio dei cristalli misti. Tra nicol incrociati, il cristallo che si esamina ristabilisce IL POTERE ROTATORIO DEI CRISTALLI MISTI NaC10,-AgCIO, 1131 la luce qualunque sia il suo azimut. Ma se si bada ad una sola delle zone in cui appare diviso il cristallo, si può, con una ro- tazione opportuna a dell’analizzatore, ottenere l’estinzione com- pleta per quattro azimnt del cristallo sensibilmente ad angolo retto. In questi casi, cioè, la vibrazione rettilinea incidente esce ancora sensibilmente rettilinea, ma ruotata di un angolo a. Ciò mostra che il cristallo non è soltanto birifrangente, ma è anche dotato di potere rotatorio. : Tralascio le considerazioni elementari sull’effetto della biri- frangenza e del potere rotatorio su di una vibrazione incidente polarizzata in un piano, che esca, dalla lamina in istudio, ancor polarizzata in un piano. Da queste considerazioni si deduce fa- cilmente che: se la birifrangenza del cristallo è lieve, come fu quasi sempre per le zone 3, 4, 5, 6, l'angolo a misurato nel modo suddetto rappresenta con grande approssimazione la ro- tazione del piano di polarizzazione dovuta al cristallo. Ma se la birifrangenza del cristallo è molto sensibile (settori 1 e 2 per 4-59, di AgC10;; settori 3 e 4; 5 e 6 per 12-14 °/, di AgC10) l'angolo a è sensibilmente maggiore dell'angolo di rotazione dovuto al potere rotatorio. Ho sempre curato che la birifrangenza delle zone in cui mi- suravo il potere rotatorio, fosse molto piccola, non più di i; \. Partendo dalle formule che dànno l’azimut dell’asse maggiore dell’ellisse risultante da due vibrazioni rettilinee sinusoidali ad angolo retto, presentanti una differenza di fase <= 12°, si trova che, quando a è di qualche grado, come è sempre stato nelle mie misure, l'angolo di rotazione misurato sorpassa di qualche minuto primo (al più 4' o 5’) il vero angolo di rotazione che la lamina presenterebbe se fosse monorifrangente. Ho eseguito numerose misure su cristalli, il cui °/, in AgC10; ha variato da 1,59 a 16,7. Per ogni °/, ho esaminato numerosi cristalli, di ciascuno di essi ho calcolato il potere rotatorio spe- cifico [a]. I valori di [a] così ottenuti presentano quasi sempre delle differenze molto sensibili, che si devono ascrivere alla ‘composizione variabile da cristallo a cristallo. Ma in ciascuna serie di valori di [a] è evidente il loro condensarsi attorno al valore medio. Specialmente penose, ma anche più numerose fu- rono le osservazioni nei cristalli più ricchi di AgC103. Varie 1132 ELIGIO PERUCCA misure, fatte nelle zone più birifrangenti, hanno costantemente dato per [a] valori più forti di quelli ottenuti dalle zone meno birifrangenti. I valori medi ottenuti, sono i seguenti: °, in AgClOz media delle [a], 0) 3,118° 1,55 ? 3,20° 2,6 3,26° 3,23 5,30° 3,91 3,98° 4,2 3,945° 5,61 3,44° D, 6,90 9,5109° 7,65 3,59° 8,55 3,600 9,9 3,700 12,2 5/80 13,1 3,880 14,3 3,95° 16,7 4,10 Con percentuali maggiori di AgClO; non mi sono state pos- sibili misure di qualche precisione, ma ho trovato segni sicuri di potere rotatorio in cristalli misti aventi perfino il 33 % di AgCiO,. Il modo più semplice di interpretare questi risultati è di ritenere che l’AgC10; cubico sia anch'esso attivo, anzi sia più attivo del NaC10gy. Questa interpretazione è anche rafforzata dalle osservazioni seguenti. Retgers ha misurato il peso specifico di cristalli misti aventi il 16,7 fino al 18°/ di AgClO;, e ne ha dedotto il peso spe- cifico del AgC10;3 monometrico che è risultato 4,21, cioè sensi- bilmente diverso dal peso specifico 4,40 del clorato di argento dimetrico. Poichè le osservazioni del Retgers sono state fatte con percentuali poco varie, ho fatto nuove determinazioni del peso specifico dei cristalli misti per dedurne quello del AgC104 monometrico, È risultato per quest’ultimo: IL POTERE ROTATORIO DEI CRISTALLI MISTI NaC10-AgClO, 1133 Ofyo dba ot:0;1 peso specifico 4,14 + 0,2 0/o::13;87 10,05 k 4,21 + 0,05 0/o 12:65 + 0,08 ‘% 4,18 + 0,06 Soraga b: ES #04 3 4,14 +0,1 La precisione delle misure non ha potuto essere migliore a causa della piccolezza dei cristalli disponibili. Si può quindi concludere che il AgCIO; che fa parte dei cri- stalli misti monometrici si trova in una forma definita e co- stante. La birifrangenza regolarmente îmaggiore in due settori del cristallo, e continuamente crescente al crescere del °/, in AgC10;, non si può ritenere accidentale, ma deve avere una causa ben determinata. Diventa così probabile che la birifran- genza sia dovuta alla presenza nei cristalli misti di una certa. quantità di aggregati molecolari di AgC10; a struttura cristal- lina dimetrica, frammista a molto AgC10; monometrico. Tale interpretazione della birifrangenza osservata è la sola che mi si presenti, essa è confermata dalla estrema fragilità dei cri- stalli misti (quelli contenenti più del 14-16 °/, di AgC1O; non possono venir toccati senza che si rompano) e dalla misura del °/, in AgClO; fatta separatamente nei settori più birifran- genti e in quelli meno birifrangenti. Nei primi ho ottenuto sempre un °/, lievemente maggiore (fino a 0.65 °/, di differenza per un °/ medio di 15,3). Infine se l’AgCl0; monometrico è otticamente attivo se ne potrà dedurre il potere rotatorio ritenendo (è questa la legge di Bodlinder) che la rotazione dovuta al cristallo misto sia la somma delle rotazioni dovute ai due componenti. Se c indica il °/, in AgCl0z; P,, e Py, i pesi specifici del AgClO; e del NaCIO; rispettivamente; [a],,, [@]y, i poteri rotatori specifici corrispondenti; e [a]. il potere rotatorio specifico del cristallo misto, la legge di Bodl:inder può esprimersi mediante la formula : 1 pend Pi n = dal, Bk ine Pr, +-0=0p, Mediante i valori sperimentali : c= 16,7; [0]1e.==4,10%; [a]x = 3,118°; Pr = 2,490; P,,= 42 la formula precedente dà fa], == 12,65°. 1134 ELIGIO PERUCCA Si possono allora calcolare, in base a questo numero, i va- lori di [a]., ho così ottenuto la curva della tavola (ascisse = e; ordinate = [a].). Sulla stessa grafica ho riportato, mediante cro- cette, i valori di [a], ottenuti sperimentalmente (v. pag. 1132). La curva accorda ottimamente con i punti sperimentali, e si ha così una conferma sia dell’attività del AgC10; mono- metrico, sia della legge di Bodlinder. Un accordo migliore tra curva e punti sperimentali non sarebbe sperabile, cionoftostante il valore [a|],,= 12,65° è sol- tanto approssimativo, perchè lo si ottiene, in ultima analisi, mediante una estrapolazione enorme. Ripeto ancora che un accordo così buono tra la curva e i punti sperimentali si è ottenuto soltanto perchè questi ultimi rappresentano la media di numerose osservazioni. Queste osser- vazioni prese singolarmente sarebbero molto spesso rappresen- tate da punti molto più in alto o molto più in basso della curva. L'incertezza dell’esatto ®/ in AgClO; di ogni cristallo esaminato, più che tutti gli altri errori di osservazione, è la causa di tali divergenze. Concludendo: Ho trovato che la composizione dei cristalli misti varia sensibilmente da cristallo a cristallo di una stessa cristallizza- zione e anche da settore a settore di uno stesso cristallo. Ho descritto le anomalie ottiche dei cristalli misti AgC10g — NaClO,, e ne ho dato una possibile spiegazione. Ho misurato il potere rotatorio di tali cristalli misti e ne ho dedotto l’attività ottica del AgCl0; monometrico, attività che è risultata circa quadrupla rispetto a quella del NaCl0g,. Ho trovato che la legge di Bodlinder si accorda molto bene con le misure eseguite, Incidentalmente ho eseguito alcune misure che mi hanno permesso di concludere che il AgC10, monometrico ha un peso specifico prossimo a 4,20, qualunque sia il °/, col quale entra a far parte dei cristalli misti. R. Istituto Fisico di Torino, 8 giugno 1914. i ‘07 | Ro 01 8 % “Z 1. È snsaanit Fer CHRFTEREEIZII En Refessasie Messicisigsinisraaziio si SO ; SOERENLI STATA IHERERE nanna SSSSRREREsanEsanEeneenaaaaezazenezee Ss È His sIB UO ch EH ATA È nen I Ja EH ì FRI a di dti (SCR i i] il | Li | I 1 SI : tear Ì pui | | ur Atti dRAccad.d.Scienze di Torino.- 102 fi i a | | HH a 4 lac e SEZ na 1°, 1 ASILI CRISI Di sissopososasceatette i sesnsenoti EEA SEESEREARERREREGEEZSZIZIAnE Daegssnaanaeaaenceneazenianasene n îi ARR ttt tt = a DA ot SO sSoNNeNe a sa sesesenananeneosasazanzzesenenezeeneozeoszonez0a SaeseenatzzzlI HKE WEEK AAA REEF ECEEECE REFERER, ERUCCA E.- Potere rotatorio dei cristalli misti. ei e e n en iii aa ANGELO PENSA — ALCUNE APPLICAZIONI, ECC. 1135 Aleune applicazioni delle formole di Frenet. Nota di ANGELO PENSA Applicheremo le formole di Frenet, sotto forma vetto- riale (1), a trattare le questioni qui sotto accennate. Nel $ I, fissata una sezione retta di un cilindro, e imposto ad un punto di muoversi su questo in modo che uno dei vet- tori fondamentali #, 2, d, della curva da esso descritta, faccia angolo costante con uno degli analoghi vettori della sezione retta, si considerano le varie specie di curve che ne risultano. Nel $ II si tratta della curva di inseguimento ( Verfolgungs- curve), o curva di caccia, nel caso che la curva fondamentale sia qualunque, piana o sghemba. Nei $$ III e IV sono infine considerate le concoidi e le cissoidi di linee sghembe, e, per la prima volta, a quanto mi consta, la antievolvente di una curva data. 81. Curve tracciate sopra un cilindro e loro trasformate piane. 1. — Si consideri una sezione retta di un cilindro; sia P il punto generico e s l’arco di tale sezione. Siano £, n, #_(=d) 1 soliti (?) tre vettori unitari, rispettivamente paralleli alla tan- gente, alla normale principale, alla binormale in P alla curva considerata. Il vettore /# è costante, e parallelo alle generatrici del cilindro. (4) Cfr. C. Burari-Forti et R. MarcoLongo, Hl6ments de calcul vectoriel (Paris, Hermann et fils, 1910), pag. 87, formole [3]. (®) Per la esatta definizione di questi tre vettori #, n, & si veda a pag. 86 degli E/éments de calcul vectoriel, citati alla nota (1). 1136 ANGELO PENSA Sia ancora p (positivo) il raggio di curvatura, in P, della curva da questo descritta: per essa è Tt= co (raggio di tor- sione). Perciò le formole di Frenet (*) dànno: Consideriamo, sullo stesso cilindro, una curva descritta dal punto : (1) P,=Ptyk, con y funzione arbitraria di s. Qualunque sia y, abbiamo, indicando con gli apici le deri- vate rispetto all’arco s della linea P: (2) Pi=t+4y'k ‘ " 1 "I (3) Lil deo II 1 si I (4) P, al odo ops 130 y k. Da queste si ricava immediatamente la direzione della bi- normale d, : (5) pi\Pi=—t-y"m+1k e quella della normale principale », : (6) (P/NP)ANP!=yy't — L4a mn--y"k. Si ha inoltre: 3 si; ni , I, JI LIO 05, ; È (7) (P/AP:')X Pi — gTeev Erso, i E chiamando p, e t; i raggi di curvatura e di torsione in P,, della curva descritta dal punto P, stesso, si hanno le formole (4): (j L= mod(P'APM)., 1 PINPXPM », Pi pen (mod P;'}° , Ti pr (Pl A Pf? , Ù (?) Cfr. nota (!). i (*) Cfr. loc. cit. (*), pag. 88. ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 11837 da cui, nel caso nostro : 1 _VP+py+1 (9) Pi pig 9) EN “aloni u + pp'y + pay!” a pyP+py7 +1 Queste formole dànno tutti gli elementi fondamentali della linea P,. 2. — Sviluppiamo il cilindro su un piano. Sia O un punto fisso di questo, @ un vettore unitario, costante, parallelo al piano. Distendiamo la curva descritta da P, sulla retta 0a, con l'origine dell’arco s in 0. Il punto P, verrà nella posizione : (10) P,=0+sa+ yia. E chiamando ss, l’arco descritto da /,, corrispondente all'arco s descritto da P sulla sezione retta del cilindro, e ps il raggio di curvatura in P., avremo, come è ben noto (5): per sl Y == 1 4 2 d . == —__-. ui Sa Îy 35 Y 8; Pa (1 + y 3. — Supporremo ora che al variare di P, e quindi di P,, uno dei vettori della terna t,, ni, di faccia angolo costante con uno dei vettori t, n, k, e cercheremo di determinare la natura della curva descritta allora da P, (0 quella della sua sviluppata piana). I casi in cui d, od n; sono costantemente normali ad 2 0 &, rispettivamente, ci dànno, come curva P,, un'elica (5). Così pure abbiamo un’elica, come curva P;, in ciascuno dei SA O $ T si s 5 5 : casl In cul sia costante, e diversa da --, l’inclinazione di #, su # o su 7, oppure quella di d, su X. (5) Cfr. C. Burari-Forti, Corso di Geometria analitico-proiettiva (G. B. Pe- trini, Torino, 1912), pagg. 71, 73 (ni 100, 103). (9) Cfr. loc. cit. (5), pag. 117 (n. 148). 1138 ANGELO PENSA Restano da considerare i casi in cui d, faccia angolo co- stante, non retto, con # o con t, e quelli in cui », faccia an- golo costante, non retto, con # od 2 0 W. 4. — Volendo che d, faccia angolo costante (non retto) con n, basta porre: b,Xn= cost (#=0) od anche (ciò che è equivalente, perchè #,, complanare con è e k, è sempre normale ad n): niXn=cost (#0). La prima equivale a porre (con 0 costante e diverso da 5): PI A P,” x ui I _or__ 0. mod (PA P;”) sa Allora, per la (5), sarà: re 2, —= AO Re cos 8. pria E ponendo cotg 0 = — m, avremo: y” dy' ds (11) —— =} ovvero rc = Vi4y Ate" inots Indicando con @ l’angolo che # fa con un vettore unitario e fisso é del piano della sezione retta, potremo porre: t= 24, e quindi, per Ja prima delle formole di Frenet (°): — 7 ossia dp = (*) Cfr. loe. cit. ('), pag. 87. ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1139 La seconda delle (11) diventa allora: da cui integrando, e includendo in @ la costante d’integrazione: begin o. Di qui risulta infine: (12) y=senh(m@) e quindi y=fsenh (m9) ds. 5. — La (12) ci permette di calcolare il raggio di curva- tura p;, e quello di torsione t; della curva descritta da P,. Si ha. infatti: " m y' = senh (m@); pra p cosh (m@); , mr mp I paia cosh (m@) + Di senh (m@) e per le (8) e (9): cosh°(m@) _—_ cosh? (m@) (13) Pi Vanoi dio senh (m@) E per la curva descritta da P,, cioè per la sviluppata piana della curva descritta da P,, si ha: cosh? (m@) m (14) Pa= Da questa e dalla (13) risulta subito che il rapporto fra i due raggi di curvatura pi e ps È costante: Pi __" —— 6089 (Teor. di CATALAN). Pa VI1+ mi Per questa sviluppata piana si ha ancora (cfr. n. 2): (15) ss =fV1-+ senh? (m@) ds = f cosh (m@) ds. 1140 ANGELO PENSA Se da (14) e (15), ricordando che @ = |, si potrà eli- minare @, si otterrà un’equazione implicita fra ss e ps, cioè l'equazione intrinseca della curva descritta da P.. 6. — Supponiamo, ad es., che P descriva una circonferenza: pe==‘e08t; allora: e la (12) da: y= fsenh (n 2) ds=-? cosh (E s) e quindi: PPar £ cosh (È ) k. Per la sviluppata piana, descritta dal punto P., dato dalla (10), interpretando s ed y come coordinate cartesiane @ ed y, si ottiene l'equazione cartesiana : pipe p m m yz=_--|@€ e g=(e +e *) che è l'equazione di una catenaria (8). 7. — Passiamo al caso in cui d, e € facciano angolo co- ne n stante 0 (diverso da AI (*) Cfr. G. Vivanti, Esercizi di Analisi infinitesimale (Pavia, Mattei e C., 1913), pag. 347, $ 459. Si può osservare che per questa sviluppata piana si ha: 8= È senh (# o) m p pa = P_ cosh? (£ s) î m "ile; Di qui, eliminando s, si ottiene l'equazione intrinseca di una catenaria (m e p essendo costanti): , DI ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1141 Sarà allora : Di, eb 050» E ricordando le (5) avremo: È Y pî 2 yi I = cos $, è Mi y"2 Sr p a era F da cui: I4À Y » e ra“ VANS; Vy? — cot*8 p ‘ossia dy' ds Vy'® — cot?9 p = sig integrando, e ponendo tang0 = m, si ottiene : {(L6) ary = 2 cosh (mg) e quindi y= 5 { cosh (m®) ds. Si hanno anche subito i raggi p; e t, di curvatura e di torsioned ella curva descritta da P,: [m? + cosh? (m@)]"* ____ (m°? +1) cosh(m9), m°Vi1+ a. cosh (m@) 3 m(m+- 1) 8, — Se p=costx si hat # e quindi dalle (16): y=- | cosh (Pi s) ds=-?. senh (E s) b È m , p m° Bih?, Ed il punto P, è allora espresso da: p=r+5 5 senh (AR ) k, espressione analoga a quella trovata al n. 6. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 76 1142 ANGELO PENSA 9. — Supponiamo ora che sia : n, Xt= cost = così, essendo 9 (costante) diverso da 7° Per la (6) questa condizione equivale alla seguente : F (lt sn i Ri (yy + (TS y” p E questa, ponendo cotg 8 = A, diventa: u (yy)? (Eaga tà da cui: y' CE h(1 * VI. alga Da questa equazione differenziale dipende l’espressione di y im funzione di s, e quindi, per Ja (1), quella di P,. 10. — L'ultimo caso che ci resta da considerare, cioè: n, Xk=-cost., può scindersi in due: la costante, qui considerata, può essere nulla, e allora: Hi Kee = 0, e la curva descritta da P, è in questo caso un'elica; se invece ni X k= cost. (#0), potremo porre: n, X k= cos (con 0=* n). Per la (6) si ha di qui: y"2 L70080. y' + (yy)? + ( Pa RE pa ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1143 E ponendo cotg08=A, risulta : 112 I SE: LE Re r E PAL TAV nai , wyp+(- y \ p da cui: ui BET pVi—y? 7? : Integrando questa equazione differenziale, si avrà y in funzione di s, e quindi, dalla (1), l’espressione del punto P),. E. Curva di inseguimento o linea di caccia. 11. — La curva di inseguimento (°) si può ottenere in modo generale come segue: Un punto P descrive una linea data, piana o gobba, di arco s: un punto P, descriverà una “ curva di inseguimento (di arco s;), 0 linea di caccia, rispetto alla linea descritta da P e al numero positivo costante e non nullo m ,, quando il rapporto degli elementi di arco in P, e P è m, e inoltre dii è un vet- Si tore diretto da P, a P. Si ha, per dato: (1) a =m Se poniamo : r= mod (P— P,) si avrà pure, per dato : (°) Cfr. R. MarcoLonco, Theoretische Mechanik (Leipzig, G. B. Teubner), Bd. 1 (1911), pag. 67; G. Loria, Spezielle algedbraische und transcendente Ebene Curven (Leipzig, B. G. Teubner, 1902), pagg. 607-614; SaLmon-FIEDLER, Analytische Geom. der hòheren ebenen Curven (Leipzig, B. G. Teubner, 1882), Il'* Aufl., pagg. 378-379. 1144 ANGELO PENSA Dalle (1) e (2) segue che l'equazione differenziale del sistema delle linee P, è: 3 dh tep A (3) do PRE Derivando si ha : mi dia Ca m ( dP da) ds © ds (P Pt, (7 È ossia, per la (2): m ° i Mm m ere iel(piop) += Z(P_P)]. Moltiplicando, a sinistra, per la (3): A EA MAt=zaAt, ds? r da cui si ha che “ il pianò osculatore in P,, alla curva descritta da questo punto, passa per la tangente in P alla curva descritta dol 12. — Siano p; e t; i raggi di curvatura e di torsione della curva P,. Avremo, tenendo presenti le espressioni tro- vate (2) e (3’) di P\' e P;': > / "i m P_ P, Pi A Pi ir gra . r TA\ t e quindi, indicando con @ l'angolo di P, — P con #, avremo: 2 mod (P, /\\P}")= ci senP; e poichè mod P,'= m, sarà, per le (8) del $ I: d D: sen 7 pp: rm Bed er (P_P)AtXn quuoqprnagiti NÙ — == ò —-—__—__—_—n L———_____—____mÒ@e oo@d {ci — TI RIT Ti (8 (PP) Ne| pu»m sen? @ di A AI s°. pm sen? p ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1145 13. — Nel caso in cui la traiettoria di P sia piana (e è sia il tempo), posto (5) do, e=%, e quindi P>= sk, potremo porre: (6) Po Pi.reft, ed r e @ risulteranno funzioni di #. Poichè, come risulta dalla prima formola di Frenet, ae 105 derivando la (6) si avrà: (7) P,=(0+ ret + (r0' + me) ePit. La velocità di P, è diretta verso P solo quando : PiKePit=0; cioè, per la (7), solo quando : (8) vsengp=ro' +7. In virtù di questa, la (7) diviene: P,=(v+4r'e9)t+vsenpePit, che si trasforma subito nella seguente : (9) P/=(vcosp+r')e?t. E poichè oo che la grandezza della velocità di P, sia costante, indicando con v questa quantità costante, avremo, dando ad « un segno conveniente: (10) vcosp+r =. 1146 ANGELO PENSA Le (8) e (10) sono le equazioni differenziali dalle quali (poichè p è in generale funzione di #) si devono ricavare r e © in funzione di t. 14. Raggio di curvatura p;, in P,. — Ponendo mod P,/ = w, si ha: Pii=—we'?t, da cui: P,,=—wuwqp'ePit — a epit= — (9 - 2) e'Pit e per la (8): P,j=-—=-w = senpe'Pit, . , 10V ; tri senpe'?t, e quindi : PU: So iP," = — ld sen ®© Ma è noto che (19): Lan (mod P,/)? pg == P/Cip” IN EI Quindi : pre w __ w r te riga w0°v 1 sen r Sen® che dà p, in funzione di @ e non di r. 15. Caso di —=0. — Eliminando dt dalle (8) e (10) si ha: (11) v(seng— L)dr=r (u— 10089) do. (‘°) Cfr. loc. cit. (4), pag. 94, a). ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1147 1 a a Se supponiamo gia = 0, il punto P descriverà una retta, e dalla (11) si avrà: dr __ u—TUC0s® do (1 vsenQ da cui, integrando (e indicando con r, la costante di integra- zione): na (te 4) log = logtg ? — log senp = log > To ide 2 tà senp e quindi: PACI 1a Ti (12) 1 Fatina figlio: ‘od anche: a sen 2) : (12) r=. ten ne (cos 2) ; | 2 Sostituendo nella (8), si ha, se o=0: (te 9) do Rel Daadibitoeanod Gra da cui: p\ CAVI dt (te 5 Ta (te 2 se ° sen? ria ser. ali 2 cioè : E: a2\ (ie 2) dite 2 fu 2 (14% 7) (18 di AAT 1148 ANGELO PENSA e P_i tI fl leg tto = +, : 2 utmv ut v ove t, è una costante (!!). SL: Sulle concoidi e cissoidi di linee gobbe. 16. — Il punto P descriva una curva di arco s, e sia @ un punto della tangente in P, cioè: O=P+HXut, con « funzione di s. Si ha, indicando con p il raggio di curvatura in P: Teorema. — / piani normali in Pe @ si tagliano secondo una retta parallela alla binormale in P, e che passa per il punto P4 p(1+w')m della normale principale in P. Dim. — Si ha: o'= (1 +u)t+ Tn. Il piano normale in P alla curva descritta da P è normale a t: il piano normale in @, alla curva descritta da @, è nor- male a Q9'= (1 + n. Quindi i due piani si tagliano secondo una retta % parallela a d. Detto H il punto d’intersezione di tale retta colla normale principale in P, si può porre (indicando con # un numero reale): H=P+zn. Si dovrà perciò avere : (H_-Q)XQ =0, da cui: (en — ut) X a Lu')t + ra n}=0, (!') Cfr. R. MarcoLongo, Theoretische Mechanik, loc. cit. (°). ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1149 ossia : dra — u(1+u)=0, e quindi: oa=Pp(14w). Sarà dunque : H=P+p(1+w)» C.VEÙ. La retta % ora considerata corrisponde all’ estremo della sottonormale polare per le curve piane (al polo è sostituita la. linea P). 17. — Se poniamo Q,=@ + vt, con è funzione di s, e consideriamo per la curva @; la nuova retta 4, questa coinci- derà colla precedente solo se p(l1+u)=p(1+ 7), ossia quando w = v', cioè: u-—-v= cost. Nell'ipotesi u — v= cost., la curva Q, può chiamarsi concoide della linea @ rispetto alla linea P. 18. — Se poniamo: H=P+p(l14uw)®, si ha: H=-ut+[0(1+w)]}]n_-t(1+w)b. La retta 4, cioè la H® descrive una rigata. La giacitura del suo piano assintotico è normale a d A d' (12), cioè (ricordando la 2 formola di Frenet) a DAn=#. Quindi: Il piano assintotico della rigata descritta da h è il piano normale in P. i Il piano centrale di h è dunque il piano uscente da H e pa- rallelo al piano rettificante in P. (42) Cfr. loc. cit. (*), pagg. 140-141 (n. 164). ì 19. — Troviamo ora il punto centrale, cioè il punto K che descrive la linea di stringimento della rigata generata da % (0 lo spigolo di regresso, se la rigata è sviluppabile). 1150 ANGELO PENSA Si ha: K=H4+ asd, con la condizione che il vettore : dK dK ie LAVASI sia parallelo a #/\D, cioè ad ». Ora si ha: dK dK s | ’ +fp(1+w)]}fnA\dB+TaDd. Deve dunque essere : e=—t(p(1+w)]". Si ha quindi (!8): K=P4+p(14u)n—-t[p(1+w)]d. Se per brevità si pone u=p(1+- w'), si ha: K=P+un— ihp'b, €e quindi: K'=l —_b)e {E +(1w)|b. La rigata descritta da % è sviluppabile solo quando K' è parallelo a d (!4), cioè solo quando: 1-{=0 ossia jrone bare tiogfa p p (3) L'espressione del punto X è analoga a quella che dà il centro € della sfera osculatrice in P, cioè [efr. BuraLi-Forti, Corso di Geometria analitico-proiettiva, 1912, pag. 114]: C=P+pn—-t cu ds (14) Cfr. loc. cit. (*), pagg. 141-142 (n. 167). b. ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1151 cioè : ww = 0, da cui u= così. Quindi: La rigata descritta da h è sviluppabile solo quando la curva Q è una concoide di P rispetto a P (cfr. n. 17). In tal caso K è il centro della sfera osculatrice in P. 20. — Da quanto precede si ha che: La tangente in Q è la perpendicolare ad HQ, uscente da @ e giacente nel piano osculatore in P alla curva descritta da questo punto. Questa proprietà si può anche dimostrare così : Si è trovato Q'=(1+w)t + si n; ciò prova che la tan- gente in Q sta nel piano osculatore in P. Che sia perpendicolare ad HQ si vede osservando che: (H— Q)X @"=}P+p(1+u")m—P—ut{X}(1+w)t+Tt= =} —ut+p(1+w)sm' X!1+#)t+7n{= = —u(14+u)+u(1+4«)=0 (1). ed. d. Segue che: Tutte le concoidi Q, di Q rispetto a P hanno le tangenti nel piano osculatore in P e sono normali alle rette Q, H. 21. — Per wu=—s, la curva Q è una evolvente della curva P, ed i punti H e K coincidono con P. Se P descrive una linea piana sussistono le proprietà pre- cedenti, e HQ è la normale in Q. (45) Si può dimostrare direttamente questa seconda parte del teorema come segue. Nel piano osculatore in P sia è l'operatore tale che i#= n. Allora: @- Tp ++. È id=1\p1+w)m-ut{=-7}H-P-(0-P)(=7}1H-00 o|H Operando con i: @= (0-1) c.d. d. 1152 ANGELO PENSA 22. — Si ponga ora: VO, = Pt, H,=P4+p(14-«,)w, . perr==1,2,46î Indichiamo con m, dei numeri costanti, e tali che sia m=Zm,==0, e poniamo: Q=- Ziitr@r VT Avremo allora : o=p+tmtes, e per espressione del relativo punto H si ha: Come per le cissoîdi ordinarie, vale la proprietà : DI Ne H, mn = ‘A. Si ha infatti : nin m Dime P az ca pa :=P+(p+ Ermete | na dedi 23. — Più in generale, si consideri una rigata ®, svilup- pabile o no, e su di essa un punto P descriva una linea. Sarà P funzione dell’arco s di tale linea. Sia w un vettore unitario funzione di s, parallelo alla ge- neratrice di ® uscente da P, e si ponga: (A) tr” + au essendo a costante. Il punto: così definito descrive una concoide di P ri- spetto a ©. E si ha: TroreMma. — I piani normali in Pe @ si tagliano secondo una retta indipendente da a (retta che corrisponde all'estremo della sottonormale polare per le concoidi di curve piane). ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET IT55 La retta comune ai piani normali in Pe Q è: Pt.Q|Q'=Pjt_(P+au)\(t+aw)=. —= P|t.(Pt4+aP|u + au]t)= =aP|t.(P|u'+u!t). c. d. d. La stessa cosa si può dimostrare anche così : Sia in generale : Q=P+xu, con x funzione di s. Si ha allora: P,t.Q|Q'=P|t.(P+au)i(t + cu4xu')= = P|t.(P.t+eP|u4 xeP|w + cujt+ 20/929) = =xP|t.(P|w4u!t) + ax. P|t.9. Affinchè questa retta sia indipendente da «x occorre che sia ex =0, cioè (2°) =0, ossia, indicando con a una costante: c="d (cost). 24. — La retta % comune ai piani normali in P e Q è, a meno di un fattore costante (cfr. n. 23): P\t.(P;u'+ ut). Il punto H in cui la retta % incontra la Pn è anche il punto in cui il piano normale in @ incontra la Pn, e quindi per avere H basta sviluppare il prodotto regressivo : Pn.(Q,0). Si ottiene così il punto: Infine, osservando che la retta % è parallela al vettore |(£w') si potrà porre questa retta sotto la forma : Î P+ so n) (Ea). 1154 ANGELO PENSA L'espressione del punto che descrive la linea di stringi- mento della rigata % si otterrà applicando la 18 formola di pag. 148 della Geom. amnalitico-proiettira di C. Burari-Formi (36). $ IV. Sulla antievolvente di una curva data. 25. — Il punto @ descriva una linea di arco 0. Allora il punto : R=@Q—- 0T descrive una evolrente di Q. Ed il punto : P=@Q+ 07, simmetrico di È rispetto a Q, descrive anch'esso una curva, che» potremo chiamare antievolvente di @. Data la Q è nota la curva &, e anche la curva P; così, data , sono note le curve Q e P. Risolviamo ora il problema: Data la linea P trovare la linea Y (e in conseguenza anche È). 26. — Indicando con s l'arco della curva P, conservando a t il solito significato, poniamo @ = ang (t, Q9 — P), e consi- deriamo i punti : i = Piru (14) ('’REPIIrW: Dovremo determinare r ed w, che sono funzioni di s, in modo da soddisfare alle condizioni : (15) Q/\u=0, Rata, us=1. Dalle (14) si ha: (a) o=t+rutru', R'=t+2rut+2ru' ('9) Cfr. nota (*). ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1155 e le (15) divengono: (154) ((+rw)/\\w=0,. tXu+t2r =0,. u?=1. La prima di queste dice che # -4- ru =mw, con m reale, e poichè u X w' =0, si avrà m=t X «, e per la seconda delle (15), m= —2r'. Vale a dire, la prima e la seconda delle (15’) equivalgono a (5) t+ru +2r'u=0. Perciò le condizioni (15) o (15') divengono : (16) POESIE IT (16°) e 27. — Dalla (16°) si ha, derivando: a Xe =, perciò dalla (16) si trae: (17) uXet=—-2r'; derivando, e ricordando le formole di FreNET, si ha: u Xt+t ui uXn=—-2r", cioè, per la (16): (18) Xn=£ (1 4r—2rrM)= Eli 9" ù Derivando questa, si ha: wXn-uX(Le+13)=[/2{1-4,2-2rr)], (indicando, nel secondo membro, coll’apice posto alla parentesi quadra, la derivata dell'espressione che essa racchiude). ea. Dda. °s-"< € Coe are 1156 ANGELO PENSA Per le (16) e (17) si ottiene, dall’ultima eguaglianza scritta: (19) uXdb=—1t È (1-42 —-2rr”)|— Lau (1-42 2rr"]+ Li \{p(1-4r2—2rr"]r—pr(1-4r?—2rr").; 2pr'[1--4r?—-2rr7] 25 Lt soa 0 e N diva leo oli ao E roc - SA azoa ql Aree Left ) alle , pi oh Ora, dalla identità : NI (20) u=uXt.tt-uXn.nktuXbDb.db, si ricava: (u X 0° + (u Xn (uXDdE=1. Di qui, per le (17), (18), (19), sì ha: [pr {is4r= SARTO Si i p 7? (21) 4r?+ La (1 — 4r2 — 2r”") + 1) Da questa equazione differenziale di 3° ordine sì ricava r in funzione di s. Le (17). (18), (19), (20) daranno, in conseguenza, a in funzione di s. 28. — Dalle (a) e (5) del n. 26 si ha ancora: Q=ruT-2ru=_—ru e quindi: \ o =_—ru (22) q., Quetr'uc ru QUatr"ar_c2r'u —rvu". 1) Avremo quindi la direzione della dinormale in Q: o'/\Q'=r?u/\w e quella della normale principale in @ : (CA) \O=- rie. Bup ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1157 Si ottiene inoltre : Q'/\ o' X q! a 134 X d' /\ uu. E quindi chiamando p, e t; i raggi di curvatura e di tor- sione in Q: 1 7°. mod e mod w' aa pena Pi 7 1 ICI MMXAFAL < ERMANI Ti 4. uu? r'.u'? Dalla (16) calcolando anche w"” si ha subito : u/\u'=-1u Nt; u/\uXKu'=1uXb. Ricordando che per la (17): e — Br si avrà, pure dalla (16): age sa eran i Quindi, le espressioni di ra divengono : 1 1 pa È SO nio ax (23) avi vr! 7 ti di pil (1 47/2) : ricordando che il valore di # X ® è dato dalla (19). 29. — Le espressioni (14) di Q ed FR danno: [ 0) — f a r'eit + r (0° -L 2) evit, (24) | p Î R'=t+2r'ert+2r (p' _ 2) e'Pit, e le prime due condizioni (15), cioè: Q' X ePit= 0% SERE = 0, Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. Ce | I] i e I © x_ e—r'o® ri 1158 ANGELO PENSA diventano : (25) —seng+r(9+1)=0, (26) cosp+2r =0. Inoltre, dalla prima delle (24) si ha, tenendo conto delle (25), (26): (0) = 1 cospert, 2 da cui: o'=— 3 'senpe'Pt + 1 p cospePit +5 cose'Pit. E quindi : Q'= n cos? 4 Q'X id'= — + 9' cost g — “% costp=— cos? @ (9° SS 1)= SE coi 4 r Se €, è il centro di curvatura in Q, si ha: O=04+ ——i0 = =0+ 3 cotgo. e'Pit. sen E quindi se s, e p, sono l’arco ed il raggio di curvatura in 9, si ha: 27) ds = da cosP. ds, po= — o cotgp. 2 Si otterrà l'equazione intrinseca della curva Q, in funzione di p ed s della curva di P, eliminando r e «p tra le (25), (26), (27). 30. — Il caso più semplice, cioè quello in cui la curva P è una retta, si otterrebbe ponendo T=0 e L=0 nelle for- mole precedenti, ma si può facilmente trattare in modo diretto considerando i due punti : Q=0+wt+rePi, R=04wi+2re'Pi, ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1159 essendo é un vettore unitario parallelo alla retta su cui si muove P, e w un numero reale. In questo caso le (25) e (26) divengono : (28) r=w seng; wcosp+2r=0. Eliminando w' tra queste, si ha: rcosp4+2r sengp=0, ossia : de — cos P PI sen , e integrando (e indicando con a una costante): 2log-=—logsenp, da cui: (29) res ia 5 Vsen® Sostituendo nella prima delle (28), si ha: do ___ a do seni (o) da cui: a d (30) w= a| i * sen? @ Le (29) e (30) determinano la linea @ cercata. 31. — È facile trovare la relazione fra r e l’arco s della linea descritta da P, nel caso attuale, cioè per i ip Per p==0 la (18) si può scrivere: ei Lg uxnilt9]. Se in questa poniamo si = 0, abbiamo: ; di r3 a, 3 (31) nta. eu und Di “ue. Coro 1160 ANGELO PENSA Per integrare questa equazione, poniamo r*= y. Avremo: dy _ 3 3 cub Moltiplicando i due membri per 2 sha , si ha: di dy — dy i L(Al- su da Te = 30. ds” pe: ds \ds = Integrando, e indicando con Cl una costante, risulta : dy ( DI +1. E di qui, dopo aver rimesso r3 al posto di y: dr? ala ca © awd da cui: dr ds = AF 2 r+ C % che è la relazione cercata fra r ed s. 32. — Nel caso attuale, in cui P descrive una retta, si può facilmente trovare l'equazione intrinseca della curva Q. Si ha, essendo s variabile indipendente :. P=QQ+ st. Affinchè P descriva una retta deve essere (!): P'\\P"=0, (7) Loc. cit. (!), pag. 94. ALCUNE APPLICAZIONI DELLE FORMOLE DI FRENET 1161 ovvero : PX iP"=0. Ora, si ha: P'=2t +ait pol it+ —è irc: i prin Regola tte o. p p E quindi: , "I 3 == n — PXiPp'=2° ot 5=0, ossia : (32) | 6p°-- s° = 2spp. Posto in questa p? = #, si ha: si = 64 s? AE 6 moi collo ca) il cui integrale generale è (ritornando a porre p? al posto di £): (33) p= — — L s2 a' 4 essendo a una costante arbitraria. Questa è l’equazione intrin- seca cercata. Torino, 12 giugno 1914. 1162 G. A. FAVARO L’Istrumento dei passaggi « Heyde > del Gabinetto di Geodesia della R. Università di Torino. Nota di G. A. FAVARO con Prefazione del Prof. N. JADANZA. (Con 1 Tavola) PREFAZIONE. Al Gabinetto di Geodesia della R. Università di Torino è annessa una terrazza con un pilastro che poggia su di un solido muro maestro. Tale pilastro è essenzialmente destinato ad ad- destrare gli allievi al maneggio degli strumenti ed è indicato col simbolo G. G. Per la determinazione del tempo si è adoperato fino ad ora un teodolite di 1° ordine (altazimut) che si portava sul pi- lastro G. G. tutte le volte che bisognava fare le osservazioni astronomiche. Ma tale procedimento era certamente incomodo, oltre al possibile guasto dell’altazimut per il continuo trasporto sul pilastro G. G. Avendo avuto occasione di acquistare un cannocchiale dei passaggi trasportabile del costruttore Heyde, pensai di metterlo stabilmente in un posto di facile accesso, in modo che la de- terminazione del tempo riuscisse la più comoda possibile. Ciò sl ottenne costruendo una piccola stanzuccia sulla volta del porticato del secondo piano della R. Università a cui si accede dal corridoio di accesso alle diverse aule della Facoltà di Scienze, mediante una porticina a muro. Nel mezzo di tale stan- zuccia sì è costruito un pilastro in muratura su cui è stato posto il cannocchiale dei passaggi di Heyde. Per la posa dello strumento in meridiano e per la deter- minazione delle costanti, pregai il Dott. Favaro astronomo del- l'Osservatorio di Torino. Egli accolse benevolmente la mia pre- ghiera ed in questo scritto è esposto quanto egli ha fatto. Di tutto io lo ringrazio cordialmente. L'ISTRUMENTO DEI PASSAGGI « HEYDE », EUC. 1163 Il cannocchiale dello strumento Heyde ha l'apertura libera di 47 millimetri e la distanza focale di 55 centimetri. La livella è sospesa all’asse di rotazione del cannocchiale. Nella tavola annessa che rappresenta la pianta del Gabi- netto di Geodesia si vede in P la posizione del nuovo strumento Heyde, come pure la proiezione del pilastro G.G. a cui si accede mediante una scala a chiocciola. Si vede anche un terzo pilastro Q che si trova sul davanzale di una finestra sovrapposta a quella che figura in pianta. A questo pilastro si accede mediante un’altra scala a chiocciola. N. JADANZA. Determinazione delle distanze dei fili del reticolo. Avuto dal Chiar.®° Prof. Jadanza, Direttore del Gabinetto di Geodesia della R. Università di Torino, il gradito incarico di determinare le distanze dei fili del reticolo dell’istrumento dei passaggi “ Heyde ,, con permesso del sig. Direttore dell’Os- servatorio (!), ho fatto portare l’istrumento nella sala meridiana del R. Osservatorio Astronomico, dove mi riusciva più facile l'orientamento, dove poteva osservare stelle quanto vicine al polo era necessario (?), e dove aveva a mia disposizione e a più comoda portata il pendolo e il cronografo a secco. (') Mentre ringrazio qui il Prof. Boccardi per questo piccolo favore, sono dolente di non poterlo ringraziare per avermi negato un altro grande favore, quello di permettermi ch’io studiassi il Telescopio zenitale dello stesso Gabinetto di Geodesia, impedendomi in tal modo di farmi un ottimo titolo e_di rendere un segnalato servizio al detto Gabinetto ed al suo ottimo Direttore, il Comm. Prof. Jadanza. ì Il dubbio, espresso dal Boccardi, che io volessi fare una latitudine di Palazzo Madama, anche se avesse avuto ragione di sussistere, sarebbe stato, a parer mio, una ragione di più per permettermi il lavoro, perchè in Lui stesso dovea essere il desiderio che possibilmente fossero tolti i dubbi che ‘esistono sulle passate determinazioni di quella latitudine. (*) Dal posto destinato all’istrumento presso il Gabinetto di Geodesia sì può arrivare ad osservare soltanto stelle di declinazione inferiore & circa + 60°. 1164 G. A. FAVARO Messo l’istrumento sopra un solido tavolino di legno a tre piedi, ed assicuratomi della stabilità sufficiente, nel collocarlo in meridiano mi eurai, allo scopo prefisso, che le stelle attra- versassero il campo perpendicolarmente ai fili orari e paralle- lamente quindi ai due fili orizzontali. Avendo quindi l’avvertenza di non produrre neanche il più piccolo movimento durante l'osservazione di ogni stella, osservaì il passaggio di tre stelle: 3 Draconis (d=+ 67°13'), 14 H.' Dra- conis (+ 77°24') e 4 H. Draconis (+ 78°6°). Le distanze dei fili del reticolo dal filo di mezzo — tenendo presente che i fili orari sono 12, così che da una parte del filo centrale ne esistono 5 e dall’altra 6, e che la numerazione è fatta a partire dalla parte dei 5 e propriamente in ordine dì tempo con cerchio ad W — risultarono come segue: 3 Draconis 14 H: Draconis 4 H. Draconis Fili (+ 67°13/) (+ 77°24/) (4 78°6)) Tuo 205.28 205.44 208.39 2 15.29 15.45 15.40 3 10 .59 10.65 10.56 4 Canp 7.81 Tek 5) bauli 5.24 5,383 6 Lera pb tal 7 4.80 4 .82 .82 8 7.59 7.42 7.46 9 10.26 10.08 10.14 10 15.89 15.29 15.22 11 20.16 19.99 20 .06 12 25.46 25.24 25 .98 Nel fare la media ho tenuto conto soltanto delle ultime due stelle, sia perchè osservate in migliori condizioni, sia perchè di più opportuna declinazione, così che sì possono usare come distanze filari i seguenti valori: L'ISTRUMENTO DEI PASSAGGI « HEYDE », ECC: 1165 Filo» Distanza filare una 208.41 2 15 42 3 10.60 4 7.06 5) 5.18 6 0-05 K=-{ 0.62 Kk = — 15.16 a= 1541-58 C=+1,01 Ce 08 TE N=-- 23553 — (Kk+ Ce)=+ 1.29 u=— 2 .56.68 Dalle tre stelle contrassegnate a fianco dai numeri (1), (II) e (III) (equatoriale, zenitale e boreale), applicando rispettiva- mente gli indici 1, 2, 3 alle varie lettere, si ha: N=— 225797 .E=d 0.60. Co N = dei DM ed 0 e Ns=—2 .56 .00 K,=—-0.50 Ca =+ 1.96 N; csi Ns c_ —_ 0°.93 N; sa Ns cc 1'.97 K,- K,= + 0.52 K,-Kg=+1.12 { ag =—-1.79 ag = — 1.76 | C; sea Co= — ()? 32 Ci xi Goa — 0° 95 ] O R0G-Istrumento dei passaggi "Heyde, Atti d.R.Accad.d.Scienze di Torino.- V0Z Ad È I-Ì LL. Iit.Salussoli L'ISTRUMENTO DEI PASSAGGI <« HEYDE », ECC. 1175 7 prioni = RIG a pane Bonn 1 bs “o bh = + 09025) a, = — 1°.79 ag =— 1°.76 e="—0*13 lbs >. ke = — 15:87 _ Con questi valori di c e di % sono stati ricavati dai valori di N di ogni stella i valori dei rispettivi «, la media dei quali dà la correzione media dell'orologio — 2%.5658.76 che è stata più sopra riportata. Torino, Maggio 1914 —— Ty 9% RT a — —] 90 Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 1174 GIOVANNI NEGRI Le unità ecologiche fondamentali in Fitogeografia. Nota II* cel Dott. GIOVANNI NEGRI Il. £ Nelle pagine precedenti ho cercato di mostrare come uno studio delle condizioni nelle quali il rivestimento vegetale della. superficie terrestre raggiunge quegli stati di temporaneo equi- librio che sono le formazioni stabilizzate e che noi ci abituiamo a distinguere, anche all'infuori dell'analisi scientifica, nei linea- menti generali del paesaggio sotto forma di un numero limi- tato di consorzii a fisonomia presso a poco uniforme, debba necessariamente muovere dal riconoscimento del meccanismo elementare di una tale occupazione di spazio da parte della. vegetazione. Il sottile strato che, con varia continuità ed anzì talora con vaste lacune, s'interpone, alla superficie delle terre emerse, fra atmosfera e litosfera e che, colle sue mutazioni più o meno varie e più o meno lente, in ogni caso continue, ne esprime come un reattivo sensibilissimo le interazioni, si risolve in una colonia di unità omologhe, spesso addensate in dipen- denza di affinità più o meno strette, non mai identiche, gli ecoidi, espressione ciascuna della soddisfazione delle esigenze ambientali di un organismo vegetale verificantesi su di un sub- strato che, primariamente il clima e l’individuo stesso, secon- dariamente, ma non necessariamente, la presenza di altri orga- nismi o dei loro prodotti, hanno preparato a spese della crosta minerale del globo. È superfluo ripetere che ad ogni area ele- mentare di terreno corrisponde un clima particolare, tanto che il Kraus ha potuto parlare di un involuero di calore proprio alla pianta e studiarne le variazioni. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1)75 La semplice constatazione però delle esigenze ambientali proprie ai singoli individui non permette di spiegare il ravvi- cinamento di forme ecologicamente molto discordanti, così fre- quente ad osservarsi nei consorzi empiricamente distinguibili pel loro facies generale in seno alla vegetazione: ho anzi rile- vato più addietro come essa ci conduca al riconoscimento di una fondamentale eterogeneità. E appunto merito del Cowles (1) di aver invece fra i primi fondata la sua classificazione delle formazioni vegetali sulle condizioni ambientali, prendendo le mosse dalla tendenza generale che si riscontra in natura alla costituzione od al costante ritorno ad un mezzo ambientale uni- forme; fatto che trova la sua corrispondenza fisiografica nel processo di incessante demolizione meteorica delle terre emerse, mercè il quale ogni altopiano tende ad un penepiano attra- verso una successione di pendii, alla denudazione che avviene in corrispondenza delle quote più elevate corrispondendo la deposizione del materiale residuo nelle bassure e l'eventuale colmata delle depressioni. Espressione della condizione ecologica di una data porzione della superficie terrestre potrebbe essere considerata la somma dalle modificazioni che il clima solare subisce da parte di cause topografiche, edafiche e biotiche; modificazioni tanto più spic- cate quanto più ristretto è il campo che vien preso in esame. Ma noi siamo ancora troppo lontani dal poter dare in tal modo l'equazione dell'ambiente, e l'accertamento di una con- dizione ecologica, anche espressa da un numero ristretto di fat- tori, ma che possa in ogni caso riconoscersi nella regione in esame come il limite al quale teoricamente essa tende in tutta la sua estensione, quando sia lasciato libero il gioco delle forze naturali, rappresenta già un passo notevole verso una classifi- cazione razionale dei consorzi vegetali attuati nella regione stessa, in quanto essi vengono posti in dipendenza genetica delle note leggi del modellamento superficiale del suolo. È a questo processo del resto, continuato sino in corrispon- (1) Cowres Henry C., The Physiographie Ecology of Chicago and Vicinity : a Study of the Origin, Development and Classification of Plant Societies (* Bot. Gazette ,, XXXI, 73-108; 145-182, 1901). 1176 GIOVANNI NEGRI denza di aree estremamente piccole, che noi siamo debitori delle ultime differenze di dettaglio intercedenti fra le aree dei sin- goli ecoidi. Ammessa anche, per una limitata area, l'uniformità litologica e l'identità dell’azione che gli agenti meteorici vi esercitano, nonchè l’assenza di qualunque modificazione secon- daria dovuta all'esistenza alla sua superficie di materiale orga- nico, rimarranno sempre da computare quelle variazioni eda- fiche, e conseguentemente climatiche, che il Gola (1) ha rilevato . in rapporto colla topografia anche su minima scala ed alle quali non può sottrarsi nessun substrato che non sia isolato dagli agenti atmosferici. Per esse “ la superficie del suolo può “* essere distinta in tre categorie, che potremo chiamare di “ scorrimento quando l'inclinazione e la poca permeabilità del “suolo provocano lo scorrimento della massima parte dell’acqua “che vi cade e quindi un dilavamento degli strati affatto su- * perficiali, mentre quelli situati a minima profondità non ne risentono quasi; di filtrazione quando la scarsa o nulla incli- “ nazione fa sì che l’acqua di pioggia venga in gran parte 0 “ tutta assorbita dal suolo, onde si verifica un dilavamento delle “ particelle terrose; ed infine una di raccoglimento nella quale “oltre all'acqua di pioggia si raccolgono le acque più o meno mineralizzate risultanti dallo scorrimento sulle superfici più elevate o dalla filtrazione attraverso strati pure più elevati ,. La stabilità edafica richiesta dallo sviluppo di un individuo vegetale pone nell’area corrispondente un limite a questo dif- ferenziamento topografico del suolo; e questa appunto, cioè la costituzione dell’ecoîde, è la base dell’azione ritardatrice opposta dalla vegetazione agli effetti dell'erosione meteorica; e nello stesso tempo del formarsi dei consorzi vegetali quando, molti- plicandosi per via vegetativa o per semi, il primo individuo stabilitosi in stazione giunge ad occupare coi suoi disseminuli le aree prossime ed adatte, ed a costituire così una colonia di ecoidi simili. Iniziatasi dall’ecoide, la reazione della vegetazione alla trasformazione fisica dell'ambiente, tende, attraverso gli episodi svariatissimi di una serie di successioni, al limite della ta s (1) Gora G., Suggio di una teoria osmotica dell’edafismo (* Annali di Bota- nica ,, vol. VIII (Roma, 1910), p. 53-59). LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1177 stabilizzazione, per tutta la durata della quale l’azione meteo- rica rimane annullata dal rivestimento vegetale chiuso della stazione; mentre, estendendosi essa ad aree relativamente vaste della superficie terrestre, possono venirne modificate condizioni climatiche che, per l'ampiezza della superficie del globo che esse interessano, noi dobbiamo considerare come generali. A giustificare del resto la costante eterogeneità biologica che, anche nelle formazioni più caratteristiche, troviamo mascherata da alcuni tratti fisionomici comuni e perciò dominanti, vale per una parte la già accennata limitata adattabilità dell’individuo vegetale, il quale molte volte anzichè accomodarsi a condi- zioni generali realmente sfavorevoli di stazione, vi si mantiene ad onta di esse pel compenso che trova nella limitata area su cui si costituisce l’ecoîde; nozione senza la quale non sareb- bero spiegabili, nè la frequenza di specie relitte conservatesi da tempo immemorabile in mezzo a formazioni discordanti, nè la facilità di invasione di alcune specie in formazioni appa- rentemente stabilizzate; e alla quale mi pare sia dovuto il fatto opposto e più frequente della difficile penetrazione di nuove specie in un territorio di antica popolazione piuttosto che ad un assetto definitivo della sua flora (1), tanto meno agevole da (1) Il Beeurnor, accennando a questa spiegazione (Osservazioni e docu- menti sulla disseminazione a distanza. È Atti dell’Acc. Sc. Veneto-Trentino- Istriana ,), trae motivo per una giudiziosa riserva sull'opportunità di parlare di bilancio chiuso per la vegetazione di un distretto anche isolato. dalla supposizione del suo possibile inquinamento — prescindendo dall’azione antropica — da parte di disseminuli trasportati a distanza con mezzi natu- rali di disseminazione. L'indipendenza ecologica delle singole unità del rive- stimento vegetale sembrerebbe facilitare l'accoglimento di questo concetto se, in diretta opposizione con esso, non stessero la scarsità o meglio la rara accidentalità dei casi accertati di spontanea disseminazione longinqua; e d'altra parte la complessità dei fattori, il concorso dei quali rende possibile la costituzione di un ecoide e quindi la difficoltà dell’ecesi, quand’anche l’in- vasione sia avvenuta da parte di un individuo la lontana provenienza del quale poco si concilia colla supposizione di un'identità di esigenze ambien- tali; o per lo meno di una sufficiente accomodabilità. Se le condizioni del rivestimento vegetale sono in continua fluttuazione e se di bilancio chiuso non sì può parlare per nessun distretto, nè tampoco per nessuna forma- zione stabilizzata, ciò mi sembra dipendere, molto più che da ipotetiche invasioni di disseminuli trasportati a distanza, dalla natura necessariamente 1178 GIOVANNI NEGRI ammettersi in quanto la stessa fase di stabilizzazione della formazione più omogenea non può essere considerata che come un momento del suo ciclo evolutivo. D'altra parte allo stesso risultato giunge pure la conside- razione che alla composizione floristica di ogni formazione, la quale non rappresenta che una percentuale assai bassa delle specie che potrebbero vivere nella stazione, concorre un impor- tante elemento aleatorio, rappresentato dalla diversa capacità di diffusione di queste specie e dalle circostanze in cui questa si esercita, il quale regola la loro comparsa o la loro assenza nelle stazioni, indipendentemente da qualunque fenomeno di con- correnza ecologica. Sono molto interessanti sotto questo rapporto gli studi re- centemente e minuziosamente compiuti sulla diffusione dei dis- seminuli per piccole tappe, in seno alla vegetazione occupante il suolo. Così Clements ha potuto sperimentalmente stabilire che, data un'area denudata, la vegetazione contigua fornisce il 75-90 o delle specie costituenti la formazione che vi si stabilisce, aggiungendo che nelle regioni montane, dove l’influenza della disseminazione antropica è minore, la percentuale della vegeta- zione prossimiore occupante il terreno nuovo è ancora più grande. L'invasione attraverso la vegetazione intermedia, se non è del tutto impossibile, è tanto lenta che gli scarsi disseminuli che riescono a compierla trovano sempre l’area già occupata da elementi della vegetazione attigua, a meno che la denudazione non ne abbia talmente mutate le proprietà ecologiche da esclu- dere la sua invasione da parte degli elementi prossimiori (1). Anche fra tali stazioni, che si vanno più lentamente popolando mediante le specie adatte che vi giungono per piccole tappe da stazioni affini attraverso gl’intervalli sui quali si è mantenuta la vegetazione primitiva, intercedono del resto notevoli diffe- transitoria di qualunque stabilizzazione, dal lento, ma incessante rimescolio al quale soggiace l'intero rivestimento vegetale del globo per opera di cause ancora parzialmente indeterminate, ma tuttavia abbastanza note per permetterci di pensare che dalla loro traccia poca deviazione rappresen- terebbe anche la prova raggiunta della maggior parte dei casi, ancora assai problematici, di disseminazione longinqua. (1) Crements F. E, Research Methods ece., p. 227. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1179 renze floristiche, quantunque tutte attingano la loro popolazione dalle riserve di specie adatte esistenti nella regione; cito come esempio la diversità rilevata dal Beauverd (1) nella florula dei Points de Sable della pianura ginevrina e quella che io stesso ho potuto osservare fra le piccole stazioni di vegetazione alofitica del Monferrato e della pianura Pavese (2). Anche Gallemierts e Jaccard (3) del resto hanno recentemente dimostrato, con ricerche dirette sul terreno, che la composizione della florula di una data stazione dipende essenzialmente dalla prossimità del ter- ritorio di alimentazione e dalla frequenza relativa delle specie che vi crescono. In questo trasporto della. spiegazione dell’eterogeneità di composizione della vegetazione, dall’ammissione di una ipotetica accomodabilità, all’utilizzazione della riconosciuta specializza- zione dell'ambiente (4). sta la giustificazione del concetto di for- (1) Brauverp G., La florule des “ Points de sable, du Bassin de Genève {° Bull. Herb. Boissier. ,, Ser. 1I, VI, 1906, p. 969, e Compléments, p. 1017. (2) Nearr G., Colonie di Fanerogame alofile dell'alta pianura padana {° Bull. Soc. Bot. Ital. ,, 1912, p. 202%. (3) GaLremAerTs V., Sur les phanérogames épiphytes de la partie poldé- rienne du Veurne-Ambacht et des bords de l’Escaut (* Rec. de l’Inst. bot. Léo Errera ,, VIII (1909), Bruxelles — Jaccard P., 1. c., p. 73). (4) A questo proposito non è superfluo insistere su di un possibile equivoco. È infatti fuori discussione la capacità di accomodamento, proba- bile in qualche caso quella di adattamento, mediante le quali l'organismo vegetale è suscettibile di far fronte, ad una certa latitudine di variazioni ambientali, segnalando l’azione subita da parte dell'ambiente coll’assunzione di alcuni caratteri secondari: il fenomeno è frequente e non v'è alcuno ‘che ne disconosca l’importanza. Dal punto di vista ecologico però, una specie e le sue varietà danno luogo ad ecoidi eterogenei, la variazione morfologica raggiunta essendo l’indice di una mutazione di rapporto fra l'individuo ed il suo ambiente elementare. Interessa invece qui accennare ai casi in cui, con sensibile pregiudizio dell’apprezzamento della struttura della formazione, viene ammessa, in organismi che non presentano nessuna reazione morfologica, una larga accomodabilità alle condizioni ecologiche, accomodabilità difficilmente conciliabile con una quantità di fatti di inva- sioni e di ecesi, tutti concordi nel provare il contrario. Così lo Jaccard (1. c., p. 71) ha potuto scrivere che il numero delle specie, l'espansione delle quali è legata a condizioni stazionali strettamente determinate, è relativa- mente piccolo: ciò che può ammettersi soltanto quando l'individuo si ponga in confronto colle condizioni complessive della stazione occupata dalla for- 1180 GIOVANNI NEGRI mazione vegetale sostenuto al Congresso di Bruxelles dai de- legati del Comitato per lo studio della flora inglese, concetto condannato forse troppo sollecitamente dalla maggior parte dei fitogeografi d'Europa (1). Per esso la formazione vegetale, unità fondamentale della fitogeografia, è determinata dalle unità fisio- grafiche della superficie del globo, corrisponde, termine a ter- mine, alla sua stazione, nei limiti di una zona o regione pos- sedente condizioni climatiche approssimativamente costanti ; comprende la serie completa delle fasi naturali di vegetazione succedentisi nella stazione che essa ricopre e, come tale, rias- sume la composizione floristica totale della vegetazione che l'’occupa e può quindi essere definita in base alla stazione stessa. Questo concetto è così logico, che può dirsi col Moss (2) che è stata necessaria tutta la grande autorità del Warming mazione alla quale esso appartiene, e che possono essere molto modificate in corrispondenza della sua stazione elementare. Pare a me che l'equivoco risieda appunto nel non essersi tenuto conto della larga parte che, la di- versa combinazione ed efficacia dei fattori delle stazioni elementari, può avere nel rendere possibile la completa evoluzione vitale di una specie anche in condizioni generali di stazione avverse, grazie alla correzione che esse subiscono in corrispondenza dell’area elementare direttamente occupata. Un caso caratteristico ne è la dipendenza, dimostrata del Wiesner, del bisogno di luce delle singole specie vegetali dalla latitudine e dall'altezza sul livello del mare della loro stazione (Wieswer J., Der Lichtgenuss der Pflanzen, Leipzig, 1907, p. 182-204). Anche Massart del resto (Le wéle de l’expérimentation en Géographie botanique. * Rec. de l’Inst. bot. Léo Errera ,, 1913, p. 73-74) si avvicina al concetto sopra esposto, in quanto osserva che, nel caso in cui uno stesso vegetale abita stazioni molto diverse senza mu- tare nè nel suo aspetto esterno, nè nei suoi caratteri anatomici, se sarebbe interessante ricercare sperimentalmente se non si tratti talora di razze fisio- logiche paragonabili a quelle ammesse pei funghi parassiti, in altri casì è più probabile che il clima aiuti l'individuo vegetale a sormontare la dif- ficoltà delle condizioni edafiche. (1) Nomenclature Phytogrographique, 1. e. Propositions des Rapporteurs. (2) Moss C. E., The fundamental Units, }. c. Vedasi anche dello stesso Antore la memoria: Geographical distribution of vegetation in Somerset, Bath and Bridgwater District (Royal Geogr. Soc, London, 1907), nella quale (p. 12) è originariamente esposto il suo concetto, che la formazione vegetale consti della serie completa delle fasi naturali di vegetazione succedentisì nella stazione corrispondente; nonchè il recentissimo lavoro: Vegetation of the Peak District (Cambridge University Press, 1918), ove lo stesso concetto è largamente svolto ed applicato. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1181 per sostituirvi il criterio di distinzione delle formazioni in base alle forme di vegetazione attuate in esse e farlo prevalere nel Congresso di Bruxelles ove esso ha avuto la maggioranza mal- grado le contraddizioni implicite che esso contiene e che i de- legati del British Committee avevano messe in evidenza: e quan- tunque il Warming stesso nella sua opera, che è il manuale di ogni fitogeografo moderno (1), avesse scritto che “l'ordinare le “forme di vegetazione in un sistema genetico è un compito “ intricato, data la loro straordinaria diversità e gli stadi in- “termedi esistenti fra l'una e l’altra, nonchè la difficoltà di “ adottare criteri veramente naturali ,. I fitogeografi della scuola del Moss tuttavia si sono mantenuti fedeli alla sua interpreta- zione della formazione vegetale ad onta delle obiezioni mosse loro anche dopo il 1910 e che possono ridursi a tre essenziali: il concetto di stazione viene ristretto dai naturalisti inglesi sino ad esprimere quasi esclusivamente il carattere edafico ; l’unità della stazione &si perde nel corso delle fasi evolutive della formazione che l’occupa; la geografia-botanica, scienza biologica, deve fondare le sue categorie su dati puramente bio- logici, ed è quindi opportuno che la formazione sia definita piuttosto in base alle forme di vegetazione che la costituiscono, che alla natura delle cause ecologiche che ne hanno determi- nata la costituzione. Esaminando partitamente queste tre affermazioni, rilevo anzitutto che il concetto di stazione, quale è inteso dagli eco- logi americani nel senso di habitat completo, non mi pare affatto ridotto dai naturalisti ingiesi ad esprimere esclusiva- mente il carattere edafico. Per citare uno dei loro lavori più recenti e più noti, il manuale Types of British Vegetation del Tansley, il quale è redatto secondo le tendenze che fanno capo al British Committee, specifica nettamente nell’introduzione (p. 4 e 5) la distinzione dei fattori ecologici in climatici ed edafici. D'altra parte, in studi affatto recenti, il Crampton (2), (1) Warmine E., Oecology of Plants. Oxford, 1909, p. 6-7. (2) Crampron C. B., The vegetation of Caîthness considered in relation to the geology. Edinburgh, 1911 (Estr. in “ Bot. Centralblatt ,, 119 (1912), p. 111); Ip., The yeological relations of stable and migratory plant formations (* Scottish Bot. Review ,, I (1912). Estr. in “ Journ. of Ecology , I (1913) p. 47-50); 1182 GIOVANNI NEGRI sviluppando il noto concetto dei cicli di vegetazione quale ci appare nella trattazione che ne ha dato il Cowles (1), insiste appunto sull'importanza preponderante, nell’apprezzamento della distribuzione della vegetazione in una determinata contrada, del criterio fisiografico, di un concetto cioè ecologicamente molto più largo e comprensivo, non soltanto di una nuda analisi pe- dologica, ma della stessa defimzione di stazione proposta dai relatori al Congresso di Bruxelles: “ E. d. La stazione (Station ; Standort) comprende l’assieme dei fattori agenti su di una lo- calità determinata, nella misura in cui essi influiscono sulla vegetazione ,:; in quanto che con esso la stazione viene defi- nita da un punto di vista genetico, che comprende, come ve- dremo più avanti, tanto la sua differenziazione morfologica, quanto la costituzione di un substrato più o meno abbondante e più o meno discontinuo direttamente appropriato alla vita vegetale. D'altra parte, trattandosi di condizioni stazionali, l’attri- buire un'importanza primaria e preponderante alle condizioni del terreno. è riconosciuto legittimo da numerosi ecologi anche perfettamente estranei alla scuola del Moss. (rà lo Schimper (2) aveva riconosciuta l’esistenza di forma- zioni edafiche 0 formazioni stazionali determinate in prima linea dalla costituzione del terreno; ed affatto recentemente il Gola (3) insisteva sull'importanza dei fattori climatici locali nel deter- minare il carattere delle stazioni, pure costituitesi sulla traccia delle condizioni edafiche, ed il Kraus (4) nel lavoro al quale mi sono già riferito più indietro, rilevava come il concetto delle costituzioni del terreno naturale da parte di una quantità di Ip. e MacGregor M., The plant ecology of Ben Armine Sutherlanashire (* Scottish Geogr. Magazine , 29 (1913), pp. 169-192; 256-266. Estr. in “ Journ. of Ecology ,, 1 (1913). pp. 219-229). (1) Cowces C. H., The fundamental eauses of succession among Plant associations (* Rep. brit. Ass. Sc. Winnipeg. Sect. K.,, p. 668-670. * Rec. Bot. Centralbl.,, 116, p. 217-18); Ip., Ye causes of vegetation cycles (‘Bot. Guz.,, L 1, p. 161-184, Mich., 1911. “ Rec. in Bot. Centralbl. ,, 117, p. 69-70). (2) Scumper W. 0., Planzengeographie auf physiol. Grundlage. Leipzig, 1898, p. 175. (3) Gora G., Saggio ecc., 1. c., p. 55. (4) Knaus G., Boden und Klima ecc, ). e. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1183 aree ristrette e contrastanti fra di loro, fornisse, nella sua forma più semplice, l’interpretazione delle condizioni ecologiche ele- mentari. Infatti, per una catena di cause e di effetti, ciascuno di questi distinti lembi di terreno acquista un clima suo proprio; in corrispondenza di essi si ripete lo stesso processo che. nel caso di estese regioni, dà luogo alla costituzione del clima fisico o reale, per modificazione del clima solare. Del resto che le condizioni stazionali stieno in diretta dipendenza delle condizioni pedologiche ho già altra volta (1) cercato di mettere in evidenza nel tentare l'applicazione della classificazione geofisica dei climi proposta qualche anno fa dal Penck (2) ai climi stazionali, svilup- pando le idee espresse dall'autore stesso sui distretti climatici, per dir così, eterotopici, provocato dall'esistenza di fiumi alloctoni o dalla costituzione di aree pseudoaride. Rimane a vedere come si concilii il concetto di stazione vegetale dipendente dalle differenziazioni morfogenetiche del suolo col riconoscimento di questo illimitato frammentarsi delle condizioni edafiche e della fondamentale eterogeneità del rive- stimento vegetale che ne consegue. Se noi seguiamo il processo pel quale un terreno nuovo invaso dalla vegetazione viene a rivestirsi in definitiva di una coltre vegetale stabilizzata, ve- diamo come, lungo tutti gli stadi intermedi della successione, nulla contrasti la libera costituzione degli ecoidiî, e come, ogni individuo stabilendosi o rimanendo escluso in dipendenza dei soli agenti fisici, l’incoerenza della popolazione vegetale sia la regola costante: essa risponde infatti alla minuta specializza- zione del terreno vergine della stazione in una moltitudine di aree piccolissime e rappresentanti tipi edafici assai diversi. È soltanto negli stadi più avanzati. quale sintomo della stabiliz- zazione che si va effettuando, che, accentuandosi la moltiplica- zione di alcuni ecoidi, favorita dalla particolare frequenza di sta- zioni elementari adatte e dal trattarsi di specie particolarmente diffusibili, avviene una modificazione generale dell’ambiente stazionale da parte di questi ultimi, con eliminazione di una (1) Neeri G., Appunti ecc., l. c. (2) Penckx A., Versuch einer Klimaklassification auf physiographischer Grundlage (“ Sitzber. d. K. Preuss. Ak. d. Wissensch. Math. Naturwiss. Klasse ,, (1910), XII). 1184 GIOVANNI NEGRI parte degli ecoidi primitivi, insofferente delle novissime condi- zioni ecologiche, e consecutiva riduzione della ricchezza flori- stica a profitto di poche forme biologiche divenute dominanti. Ma se, a stabilizzazione prossima o compiuta, la rispondenza della formazione alla sua stazione appare più netta, quale ri- flesso di condizioni ambientali meno numerose e più general- mente agenti, ciò non è che una prova di più dell’azione deter- minante dell'ambiente sul consorzio vegetale che lo riveste, in quanto. durante il processo di stabilizzazione, anche le condi- zioni ecologiche sono sostanzialmente mutate. Sul suolo infatti l'accumulo del materiale di degradazione, sempre più difficil- mente asportabile coll’addensarsi del rivestimento vegetale, ha determinato per una parte il rallentamento dell’azione meteorica e la conseguente differenziazione edafica crescente, e, colla col- mata delle cavità di erosione già esistenti, una riduzione ulte- riore della varietà morfologica del terreno; mentre d'altra parte lo sfatticcio accentuava, in proporzione del suo accumulo, le sue qualità peculiari, diverse da quelle della roccia madre sottostante e veniva inoltre modificato a sua volta secondaria- mente dall’inquinamento progressivo ed eustatizzante da parte dei materiali organici abbandonati dalla vegetazione. Si con- fronti, per rendersi ragione di ciò, il rivestimento vegetale di due morene, l’una fresca e l’altra ferretizzata, o le florule er- hacee di una fustaia, rispettivamente a sviluppo completo ed immediatamente dopo il taglio. In conclusione l'arresto della degradazione del substrato da parte degli agenti meteorici viene attuata dal ripetersi, sino alla saturazione dello spazio dispo- nibile, di un limitato numero di specie, gli ecoidi delle quali, specificamente corrispondenti alle condizioni di stabilizzazione, si sono mantenuti e moltiplicati a spese di altri entrati in sofferenza pel preponderare dei primi. ll numero di questi è poi tanto più ristretto in quanto una buona parte della florula occu- pante le stazioni è dovuta ad una invasione secondaria alla stabilizzazione della formazione e vive in dipendenza delle con- dizioni create da un ristretto numero di eccidi simili e domi- nanti, i quali, come ho già detto più addietro, determinano colla loro presenza, ed affatto passivamente, una stazione nella sta- zione. Si potrebbe anzi andar più oltre dicendo che l’occupa- zione, attuata sempre, allo stato di stabilizzazione, da parte di LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1185 una serie di ecoidi simili (boschi di un'unica essenza dei paesi temperati) o strettamente omologhi (gramineti, cipereti, callu- neti, ecc.), rappresenta per approssimazione il rivestimento che teoricamente finirebbe collo stabilizzarsi su di un substrato as- solutamente uniforme. Ora se, praticamente, quando si studia uno di tali consorzi prendendo per base le condizioni ecologiche della forma di vegetazione dominante, si considera tale limite come raggiunto, salvo poi a riconoscere le eccezioni singole che la presenza di ecoidi discordanti introduce nel regime ecologico; esso non potrà mai essere espresso assolutamente da tale forma di vegetazione, per l'irreducibilità già ripetutamente affermata delle esigenze individuali, che mantengono, in seno alla colletti- vità, aperta la via ad una evoluzione ulteriore, sia pure re- gressiva. Se poi in natura una colonia assolutamente pura e definitivamente stabilizzata non può darsi, ciò dipende anzitutto dalla degradazione ininterrotta, anche se, in confronto a quella dovuta al libero gioco degli agenti meteorici, essa appare estremamente rallentata, che la vegetazione stessa esercita sull'ambiente e gli effetti della quale finiscono col dare l’at- tacco, in seno a qualunque formazione, a successioni secon- darie. In secondo luogo dall’accennata invadibilità secondaria delle formazioni stabilizzate, che diventa essa pure una causa degradatrice, ed il cui materiale non può stabilizzarsi a sua volta, in quanto il fattore biologico, dal quale dipende il suo speciale ambiente, soggiace ad una continua evoluzione, natu- ralmente non contemporanea, nè identica negli elementi singoli di cui consta. Infine dai fenomeni di zonazione più o meno ac- centuati in tutte le formazioni, quale reazione al variare quan- titativo nella distribuzione dei fattori ambientali (Clements) determinati dalla struttura stessa della formazione stabilizzata, che fa sì che gli individui si dispongano in zone di densità progressivamente crescenti o decrescenti attorno al punto di massima attività di ogni singolo fattore. Così, malgrado la sta- bilizzazione, rimane sempre a giustificare la convivenza di ecoidi distinti, una diversità biologica: diversità che può essere se- guìta sino al limite delle differenze individuali e che esclu- derebbe che, anche la colonia di ecoiîdi simili teoricamente supposta più sopra, potesse considerarsi come assolutamente omogenea. 1180 GIOVANNI NEGRI L'individuo, la colonia dei discendenti da un unico proge- nitore e legati quindi da affinità specifica, il consorzio legato ad una modificazione della stazione dovuta alla sua precedente oc- cupazione da parte di individui vegetali che vi perdurano, l’as- sociazione adattata all'anteriore costituzione di uno speciale ter- reno, 0 ad un'unità fisiografica, o ad un distretto climatico, formano tutta una scala di categorie insensibilmente sfumanti l'una nell'altra od alla quale invece manca talora qualche termine. Così, come s'è veduto, l’azione dell'elemento biologico sul- l'ambiente stazionale manca sempre negli stati iniziali e spesso negli intermediari perchè i singoli ecoîdì vi sono ancora troppo disgiunti e diversi per esercitare un'influenza collettiva: mentre diventa costante col procedere della stabilizzazione verso i suoi ultimi gradi. Similmente il suolo non può esercitare un'azione uniformante col favorire il predominio di ecoidi simili e con- tigui, ogniqualvolta, in dipendenza di cause fisiche la cui azione si mantenga più attiva di quella delle cause biologiche, diventi impossibile la permanenza dello sfatticcio d’erosione alla super- ticie delle aree erose o del materiale di trasporto grossolanamente frammentario. Il primo fatto geomorfologico che troviamo costan- temente alla base della distribuzione dei vegetali è la forma del terreno, la quale costituisce non soltanto l'unità elementare del paesaggio fisico, ma anche quella della fisonomia botanica, in quanto, corrispondentemente al suo mutare, in piccolo od in grande, il manto vegetale vi si modella sopra pel variare delle condizioni a cui sono soggetti i suoi elementi, od anche s'in- terrompe quando l’ecesi, e tanto più l’accomodazione, diventi impossibile non soltanto per questa o quella specie, ma addi- rittura per la vita vegetale. Tutti i gradi di diradamento o di addensamento sono naturalmente attendibili in tale rivestimento, con anticipo 0 ritardo della costituzione della fase di equilibrio, con acceleramento od arresto di una degradazione iniziata ; e se la stabilizzazione di una formazione deve riguardarsi come uno stato di equilibrio in detinitiva instabile, pel numeroso concorso di circostanze che la sua manutenzione richiede e pel fatto che essa stessa possiede in sè Je cause della sua degradazione, l’indipen- denza degli ecoidi spiega la notevole resistenza che le forma- zioni in genere oppongono ad una definitiva degradazione ed in ultimo la frequente conservazione dei loro relitti in mezzo alle LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1187 formazioni che le hanno sostituite. Così, finchè l’unità fisiografica rimane immutata e la conservazione del terreno vegetale alla sua superficie dimostra che lo stato della vegetazione è ancora tale da contrastare attivamente l’azione degli agenti meteorici immutati, la sospensione della causa degradatrice della forma- zione, riconduce la vegetazione al tipo primitivo e caratteristico della stazione. È per aver rilevata una costante inerzia nella riproduzione delle formazioni forestali, che il Chevalier (1) è giunto alla convinzione che la degradazione delle selve dell’Africa tropicale, quantunque accelerata dall'opera devastatrice dell’uomo, risponde essenzialmente ad una evoluzione del clima verso un tipo più continentale dell’attuale: conclusione alla quale le mie osservazioni mi permettono di sottoscrivere. In questa costante dipendenza della costituzione delle unità associative della vegetazione dalla configurazione del suolo, trova la sua giustificazione la scelta, come unità di stazione sinecologica, della forma del terreno: di un’area cioè in corrispondenza della quale si è stabilito un equilibrio più o meno durevole fra l’azione delle forze fisiche che l'hanno determinata e quella della vegetazione che ne contrasta la progressira demolizione. Noi chiamiamo for- mazione questa vegetazione considerata nel complesso delle sue attitudini biologiche, non nella sua composizione floristica; ed intesa nella totalità dei suoi individui ed in tutte le variazioni secondarie di composizione, di raggruppamento e di frequenza che essa subisce durante la permanenza sull'unità fisiografica di condizioni edafiche sensibilmente immutate (2). (1) Carvacier A., L'estension ct la véyression de la forét vierge (* C. R. Ac. Sciences ,, Paris, CIL, pp. 458-61). Cfr. anche Neori G., Appunti di una escursione botanica nell’Eticpia Meridionale, 1. c., p. 46-48, nota. (2) Dall'esame di questa definizione appare subito che, in quanto il raggruppamento della vegetazione in unità sinecologiche riposa nella evo- luzione morfologica della superficie terrestre, rimarrebbero esclusi dalla classificazione delle formazioni, sia il complesso delle idrofite che la tota- lità della vegetazione epidendra ed epizoa, nonchè quella stabilita su ma- nufatti umani, od in corrispondenza di aree della superficie terrestre così modificate a scopo culturale da rappresentare un substrato assolutamente artificiale e per necessità legato ad una continua azione conservatrice da parte dell’uomo. Effettivamente la distribuzione geografica delle idrofite ripete la sua origine da condizioni geografiche troppo speciali per non 1188 GIOVANNI NEGRI Neppure mi sembra. che l’unità della stazione si perda nel corso delle fasi evolutive della formazione: almeno a provare ciò non vale l'esempio citato dal Diels (1) “ se su di un terreno “ costituito da /ekm il querceto trapassa regressivamente nel- “ l'erbario, anche l'habitat è diventato necessariamente un altro “ ed il carattere edafico può tuttavia mantenersi ,. Quando ciò fosse anche i vari stadi della brughiera boschita, che s’interca- lano fra l'associazione della quercia e quella di brughiera, do- essere trattata a parte; e l'intrusione nelle formazioni di specie od aggrup- pamenti di specie vegetali in condizione di simbiosi — includendo in questo termine anche il parassitismo — cogli individui del consorzio, se può mo- dificare entro certi limiti la fisionomia di quest'ultimo, in quanto non ne induce il deperimento, non ne altera il carattere. Non si tratta in fondo che di un caso particolare d’invasione di quella speciale stazione che risulta dall'aggiungersi all'ambiente fisico l'elemento vegetale di prima occupa- zione: fatto che come ho già detto non menoma l'indipendenza ecologica degli ecoidi di primaria invasione. Le piante epizoe poi rientrano com- pletamente nel dominio della parassitologia. Infine l'interferenza della ve- getazione sinantropica con quelle delle formazioni naturali, data l’importanza generale del fenomeno in sè stesso e della sua azione sulla evoluzione ge- nerale della vegetazione, è giustamente studiata come un fatto di sovrap- posizione e quindi secondario alla vegetazione preesistente, della quale importa determinare, nella misura del possibile, i limiti ed i caratteri na- turali. Le stazioni direttamente create dall'uomo trovano del resto i loro equivalenti nelle stazioni naturali; un muro, un tetto di stoppie, di tegole o di lastre di pietra, un terreno ruderale fortemente aloide, un'area colti- vata, rappresentano bensì altrettanti substrati indipendenti nelle loro ori- gini dalla evoluzione morfologica della regione in cui li consideriamo: ma l'introduzione e l'attecchimento su di essi di specie diffusesi per con- tiguità, o migratevi per piccole tappe, o direttamente importatevi dal- l'uomo e pur sempre subordinate alle condizioni climatiche locali, come la possibilità di scambi floristici fra queste stazioni neoformate e le stazioni naturali circostanti, dipende dal grado maggiore o minore di affinità che intercede fra di esse, tanto che una stazione antropica diventa il luogo di rifugio, di conservazione e persino di ridiffusione di specie che, nella ve- getazione naturale, non avevano che il rango di relitto di formazioni ormai irreparabilmente degradate. La natura stessa del resto ci offre esempi di stazioni che, pel loro carattere edafico, si differenziano profondamente dal- l'ambiente circostante e sono affatto indipendenti dalla sua evoluzione fisio- grafica: tale, per esempio, l'acquitrino salso che si determina per lo sgor- gare di una sorgente ricca di sali minerali e lontana dal littorale marino. (1) Dies L., Recensione citata, p. 282. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTATI IN FITOGEOGRAFIA 1189 vrebbero valere come altrettanti consorzi distinti, coll’alterna- tiva, qualora questa conclusione sembrasse eccessiva, di adottare l'’opposta, l'identità cioè dei consorzi estremi, ciò che parimente è inconciliabile con quanto si osserva in natura. — Che invece, sotto l’azione di determinate circostanze, in corrispondenza di una certa superficie di terreno, sensibilmente riducibile ad unità topografica, si vadano raccogliendo con un addensamento pro- gressivo, gli ecoidi che determineranno collettivamente, allo stato di stabilizzazione, una formazione chiusa di querceto, è un ‘ fatto unico nei rispetti tanto della stazione che della forma- zione, e tale rimane sino a che la degradazione sia a tal punto da rendere impossibile una ricostituzione autonoma anche quando cessino le cause lesive che l'avevano determinata. Nelle condi- zioni generali di eterogeneità del rivestimento vegetale, la sta- zione, intesa come unità fisiografica è anzi la sola base sulla quale sia possibile fondarsi per stabilire praticamente una cate- goria associativa, in quando appunto essa è il luogo di concorso di ecoidi simili e viene, a rivestimento compiuto, ad assumere anche quell’unità fisionomica, che, se è insufficiente come carat- tere di classificazione, può avere però un certo valore di con- trollo. Invece non sarebbe giustificabile il scegliere come rap- presentante della stazione uno qualunque dei momenti di tale successione e tanto meno il considerare ognuro di essi come una formazione distinta. Neppure l’unità della stazione e della formazione così in- tesa è alterata da quelle variazioni di dettaglio che, come è stato detto più addietro, si riscontrano con uguale frequenza nell’una come nell’altra, anzi appunto si corrispondono in esse. Se per noi l’'eterogeneità dei concorsi vegetali non ha altro li- mite che l’individuo, quella dell'ambiente, l’ambiente elementare, i raggruppamenti secondari di ecoidî che si fanno in seno alla stazione ed alla formazione che vi corrisponde — non rappre- sentano che un fatto assai naturale, un raggruppamento subor- dinato al consorzio d’ordine superiore, come subordinate ne sono le cause rispettive. In una scala più vasta le regioni geografiche ed i tipi climatici di vegetazione di Schimper e di Koòppen non sono altro che categorie di grande comprensività in cui rispet- tivamente rientrano ia stazione. unità topografica — e la for- mazione corrispondente. Ho già accennato a questa graduatoria Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 79 1190 GIOVANNI NEGRI di cause naturali influenti sulla vegetazione e di categorie asso- ciative che vi corrispondono ed al merito del Cowles di avervi da tempo insistito, dimostrando in parecchie pubblicazioni, come l'andamento generale della distribuzione della vegetazione ter- restre, si attui secondo una serie di cicli di estensione progres- sivamente decrescente ed all’azione dei quali corrisponde un dif- ferenziamento sempre più intimo del rivestimento vegetale. Orbene l’evoluzione individuale in seno all’ecoide è il limite inferiore della scala, ma è da tenersi sempre presente che la sua breve durata è contemporanea ad un tratto progressiva- mente e proporzionalmente sempre minore di tutti i cieli sub- ordinati secondo cui si svolge in un'unica armonia la vita della. vegetazione terrestre. n Che tuttavia in questa serie di cicli, rispettivamente com- presi l’uno nell'altro, la stazione, unità topografica, e la forma- zione che la riveste rappresentino due termini la facile defini- zione dei quali ha una particolare importanza pratica e che quindi, a preferenza di altri debbono essere scelti quali unità sinecologiche, risulta, oltre che dalle considerazioni sopra esposte, anche da altre osservazioni. Prescindendo dal fatto che, anche empiricamente, si fonda su di essi la nozione che noi abbiamo dal paesaggio, in quanto il ciclo topografico è il più vasto che rientri ancora nell’espe- rienza diretta di una vita umana o di un numero limitato di generazioni, è da notarsi che esso rappresenta anche il limite di azione di numerose cause minori modificatrici incessanti del rivestimento vegetale del globo, veri cicli interferenti colla re- golare evoluzione del ciclo topogratico. Così nei limiti della sta- zione rimane circoscritta l’azione di numerose cause fisiche in dipendenza delle quali riesce possibile o non avviene la stabi- lizzazione della formazione corrispondente. Su quest'ordine di fatti vertono appunto le osservazioni già citate del Crampton (1), concludenti alla sua classificazione delle formazioni in stabili e migratorie. Ho per parte mia già in altra occasione insistito (2) sull'importanza di connettere lo studio delle formazioni colla determinazione della data in cui avvennero gli ultimi rivolgi- (1) Crampron €. B., The geological relations, ecc., 1. e. (2) Near G., Lu vegetazione del bosco Lucedio, 1. c., passim. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1191 menti del suolo sul quale esse si sono costituite e che è sup- ponibile averle albergate in seguito in condizioni ecologiche pressochè immutate. È però interessante il rilevare che quando ci troviamo di fronte ad una causa fisica perturbatrice del sub- strato vegetale di una continuità alla quale non possiamo mettere limite nel tempo, il circoscrivere nello spazio, cioè topograficamente, l’azione di questa causa corrisponde all’iden- tificare una vera e propria stazione vegetale, tutte le volte che la sua attività non è così contrastante colla vita vegetale da escluderla completamente dall’area in cui essa si manifesta. La formazione corrispondente alle stazioni di tal natura avrà senza dubbio una fisionomia ‘caratteristica data la : peculiare accomodabilità richiesta dai suoi individui, una notevole va- rietà floristica a causa degli svariatissimi ecoidî che possono costituirsi su di un substrato in continuo rinnovamento : e presenterà insomma la più tipica dipendenza dalle condizioni ambientali le quali sole saranno in grado di definirla. Si pensi, per esempio, alla vegetazione di un’alluvione recente o di una duna mobile. Analogamente l’opera dell’uomo, la estesa e profonda importanza della quale il fitogeografo deve aver costantemente presente nello studio della vegetazione dei paesi intensamente popolati, si esercita modificando la compa- gine della vegetazione sino alla formazione inclusiva: è raro infatti, o per lo meno ridotto a casi particolari, che la sua in- fluenza oltrepassi, immutata, l’ambito della stazione. Egli mo- difica infatti per lo più le stazioni naturali a profitto di una vegetazione selezionata nel senso del suo vantaggio economico: oppure facilita indirettamente il lavoro di demolizione degli agenti meteorici, alterando i consorzi vegetali che ne contra- stano l’azione. In ogni caso egli riapre e moltiplica, nelle formazioni naturali stabilizzate, le successioni secondarie, favo- rendo l’aumentata costituzione di ecoidi eterogenei, sia a spese di materiali la cui recente immigrazione esso stesso ha facili- tata attivamente o passivamente, sia rimettendo a disposizione di relitti di vegetazioni degradate, nuove aree elementari occu- pabili. Si può infatti pensare, scrive il Thellung (1), che al- (1) TaeLLune A., La flore adventice de Montpellier (* Mitth. aus d. bot, Mus. d. Univ. Ziirich ,, LVIII (1912), p. 597). 1192 GIOVANNI NEGRI cune specie che s'incontrano oggidì quasi esclusivamente nei campi, abbiano precedentemente abitato stazioni naturali, di- strutte poi dalle culture, e che esse si siano rifugiate nella steppa culturale — come i campi sono stati chiamati — che presenta condizioni ecologiche non troppo differenti da quelle delle stazioni primitive, Similmente Braun e Furrer (1) osser- vano che, quantunque l’uomo sia riuscito a scompaginare la ve- getazione naturale, delle associazioni definite si costituiscono a spese delle popolazioni incoerenti aggregatesi per opera sua: trasformazione che si compie per dir così sotto ai nostri occhi. Quanto alla terza obiezione, i delegati del British Com- mittee hanno già dimostrato al Congresso di Bruxelles, che il si- stema di definire la formazione per mezzo delle sue forme di vegetazione, anzichè in base a quei caratteri ambientali dai quali le une e le altre dipendono, è riuscito insufficiente allo stesso Warming, il quale è stato obbligato, a parecchie riprese, ad applicare simultaneamente i due criteri classificativi. Il eri- terio di Warming potrebbe valere alla stessa stregua di quello ecologico, quando tutte le forme di vegetazioni corrispondessero esattamente alle condizioni generali di stazione. Ma, data la diversità elementare degli ecoidî e le speciali condizioni di am- biente attuate in ciascuno di essi e di cui l'individuo vegetale è rispettivamente il riflesso, non è affatto illogico l’ammettere che, in corrispondenza di una parte delle aree elementari, le condizioni stazionali risultino così modificate da giustificare la presenza nella formazione di forme di vegetazione anche più 0 meno discordanti da quella che dovrebbe essere la reazione biologica ad un ambiente uniforme in tutta la sua estensione. Il questo appunto è quanto avviene in natura ed appare nella eterogeneità delle forme di vegetazione che .troviamo rappre- sentate nelle formazioni a primo aspetto più omogenee. Sarebbe però un equivoco l’intendere che l'aver messo il criterio stazionale alla base della classificazione delle forma- zioni equivalga al disconoscere la necessità per l’ecologo dello studio delle forme di vegetazione. Nelle formazioni stabilizzate (1) Braun J. et Furrer E., Sur l'itude des associations (* Bull. de la So- ciété languedocienne de Géographie ,, XXXVI (1913), p. 5-6 estr.). LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1193 anzi — come ho già detto -— troviamo la più gran parte dello spazio disponibile accaparrato da una sola forma, spesso addi- rittura da una sola specie, che, diventando uno degli elementi modificatori delle condizioni fisiche estese all’intera stazione, viene a formare come l’impalcatura del consorzio che la riveste. Ora l’importanza dello studio biologico di un tale fattore è evi- dente. Una conoscenza più intima del consorzio vegetale in esame non potrà poi essere raggiunta che distribuendo l’intera florula della stazione nelle categorie biologiche in essa rappresentate e computando, colla maggiore precisione possibile, la proporzione secondo la quale le varie forme di vegetazione così messe in evidenza, entrano a costituire la formazione, nonchè i loro rap- porti colle variazioni ecologiche secondarie verificabili entro i limiti della stazione. Con questo procedimento verranno chia- riti e disposti secondo l’importanza rispettiva quei raggrup- pamenti secondari sui quali mi sono diffusamente trattenuto discutendo le proposte degli Autori che hanno voluto attribuir loro l’importanza di unità sinecologiche elementari. Il non accettare tali apprezzamenti non include che di questi concentramenti secondari di ecoidì, ad affinità più strette di quelle che determinano la costituzione dell'intera formazione, non debba essere tenuto conto (1). Ma con tutto ciò il concetto ge- (1) Senza entrare in dettagli tecmici troppo minuti, ricordo l’impor- tanza che i nuovi metodi di rilevamento della vegetazione, proposti dal Raunkiaér, possono assumere, quando siano adottati su larga scala, non solo a causa della loro sufficiente precisione, ma anche per la rapida appli- cabilità che essi presentano in confronto ai sistemi proposti prima, quale quelli del quadrato, della zona trasversale e simili (cfr. Clements Research Methods, ecc., p. 161 e seg.). La sommarietà apparente dei loro risultati cessa di sembrar tale quando si rifletta alla possibilità di aumentare, a seconda delle esigenze di qualunque ricerca, il numero dei campi rilevati e di di- sciplinarne la distribuzione sul terreno in modo da escludere del tutto l’ele- mento soggettivo, anche inconscio, nella loro scelta, spaziandoli regolarmente secondo una proporzione paragonabile poi nei vari rilevamenti, e di tener conto della frequenza colla quale gli spazi vuoti sono intercalati nelle for- mazioni aperte fra gli spazi rivestiti da vegetazione. In questo senso sono già stati fatti dei tentativi dal Vant (Les types biologiques dans quelques for- mations végétales de la Scandinavie, © Bull. Ac. Sc. et Lettr. Danemark ,, 5, p. 319-393, Copenhague, 1911) e mi propongo di pubblicare il risultato di ricerche personali già iniziate ed in via di completamento (RaunkraER C., 1194 GIOVANNI NEGRI netico della formazione, che s'impone a tutto rigore quando s'intenda quest'ultima determinata dalla stazione in tutto lo spazio e lungo tutto il tempo che essa dura immutata, conduce a comprendere nella medesima unità, come s'è visto, una serie troppo estesa di variazioni locali secondarie e di stadi evolu- tivi, perchè qualunque di essi valga a caratterizzarla: mentre ognuna di esse e tutte nel loro complesso possono mettersi in rapporto colle condizioni stazionali generali, mantenentesi sen- sibilmente immutate. Ancora infine può dirsi che l'indicazione di una stazione caratteristica per una data formazione costituisce come un punto di repere per designare un certo raggruppamento di eco?dì ri- spondente ad un certo concorso di fattori ecologici. Oltre i li- miti dell'unità topografica ed edafica essi si dissociano entrando nelle composizioni di altri e diversi consorzi, a seconda della frequenza colla quale, nelle stazioni corrispondenti. si ripetono le aree elementari soddisfacenti alle esigenze loro. Lo stabilire oltre all'area di distribuzione delle singole specie, la frequenza delle aree elementari capaci di ospitarne gli individui, ed il modo di addensamento di tali aree in dipendenza delle forme del terreno, cioè delle stazioni sinecologiche possibili, ha una im- portanza evidente, sia per stabilire il grado di importanza at- tuale di ogni specie nella regione in studio, sia per computare la tendenza maggiore o minore delle singole formazioni e del- l’intera vegetazione della contrada ad avvicinarsi o ad allonta- narsi da quella condizione ecologica media e per dir così tipica della determinazione della quale il Cowles ha dimostrato l’im- portanza fondamentale. Una questione rimane ancora a trattare: quella dell'esten- sione da assegnarsi al termine associazione vegetale così larga- mente usato dai fitogeografi. Pei relatori del Congresso di Bruxelles, l'associazione, con- sorzio di composizione floristica definita, sviluppatosi con fiso- nomia uniforme in condizioni stazionali pure uniformi, è l'unità Formations undersigelse 0g Formations statistik, * Bot. TiAsskr. ,, 30 (1909) ». 110, fig. 20; In., Measuring apparatus for statistical investigations of plant, formations, Ibid.. 33 (1912), p. 45-48 e fig. 1). LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1195 fondamentale della sinecologia. Noi le vediamo quindi attribuite una quantità delle caratteristiche che più addietro sono state ritenute proprie della formazione : è unità ecologica in quanto è determinata dalla stazione, è caratterizzata floristicamente dalla lista delle specie che la compongono, mentre la sua fiso- nomia dipende dalla frequenza relativa delle forme di vegeta- zioni che dette specie assumono ; è suscettibile di zonazione, di mutamenti stazionali di fisonomia, di facies secondarie, per rag- gruppamenti più intimi di una parte dei suoi elementi: final- mente è limitata geograficamente dall’estensione delle specie che la costituiscono e specialmente delle specie dominanti e può essere considerata come uno stadio di una successione. I rela- tori ricusano invece la loro adesione alla tendenza espressa dal Comitato per la fiora Inglese, di applicare il termine di associa- zione alle prime suddivisioni della formazione, separate nello spazio o nel tempo. Ora, con una definizione dell’associazione quale è quella sopra esposta ed in cui, alla nozione puramente e semplicemente floristica, si assomma una serie di dati ecologici che non pos- sono separarsi dalla nozione biologica della formazione, il porre l'associazione alle dipendenze della formazione diventa possibile, malgrado l’assurdo logico di subordinare l’una all’altra due en- tità stabilite su criterì sostanzialmente diversi. Ciò è stato tal- mente sentito, che i relatori del Congresso di Bruxelles (1), hanno dovuto riassumere distintamente in proposito le più di- scordi opinioni dei più noti Autori: pareri oscillanti fra Ja completa assimilazione delle due unità sinecologiche, con ab- bandono di uno dei due termini; la subordinazione dell’uno all’altro con maggiori o minori riserve; e la loro conservazione, sotto forma di unità indipendenti e corrispondenti, partito espresso anche ultimamente da Pavillard, ritenendo che /a for- mazione sia l’espressione fisionomica ed ecologica dell'associazione, come la forma biologica è l’espressione fisionomica ed ecologica della specie (2). Pare a me, in accordo con tutte le considerazioni svolte, che secondo quest’ultimo criterio i due termini conservino (1) Nomenclature phytogéographique, ). c. p. (2) PaviLcarp J., l. c. p. 1196 GIOVANNI NEGRI ciascuno un valore proprio e si corrispondano nel determinare una diversa disposizione dell'osservatore nell’apprezzamento del medesimo fatto, cioè il rivestimento di una determinata forma di terreno da parte della vegetazione. Limitazione che ci dà della associazione una espressione distinta e concreta. Conseguentemente mi sembra eccessiva l'estensione data dalla. relazione citata al concetto di associazione ed ammessa, quale amplificazione teorica della nozione precisa sopra riferita, anche dal Pavillard, pel quale l'associazione vegetale s'identifica attra- verso il tempo e lo spazio colla somma totale dei suoi individui presenti, passati e futuri. Il criterio assai più modesto adottato non esclude che, in una ricerca di titogeografia storica, si rag- gruppino gli elementi delle associazioni a seconda’ delle affinità. presentate dalle loro aree di distribuzione: è anzi quanto sì fa normalmente e con risultati interessanti, quando non si dimen- tichi che, aree di distribuzione attualmente coincidenti possono aver raggiunto la loro estensione e configurazione attraverso vicende molto diverse ed essere quindi l’espressione di elementi anche storicamente assai eterogenei. Anche la formazione del resto, entro i limiti delle maggiori regioni climatiche. si ripete ogni qualvolta una medesima condizione fisiografica rinnova a suo favore l’ambiente adatto e probabilmente gli studi avvenire permetteranno di precisare maggiormente l'estensione di unità. superiori alla formazione ed all'associazione, continuantesi pa- rallelamente al di sopra di esse; le Climax formations dei fito- geografi inglesi ed americani sono l’esempio di un tentativo già in corso in questo indirizzo (1). Invece un concetto puramente speculativo dell’associazione non mi pare adatto a chiarire la già troppo intricata nomenclatura dei consorzi vegetali. Similmente poco persuasivo, quando non s’identifichi con quello di specie dominante, mi sembra il concetto di specie ca- ratteristica quale è sostenuto da Braun e Furrer (2). Per rima- nere nell'esempio citato da questi Autori, una palude montana non sarà meno completa dal punto di vista ecologico per la. (1) Cfr. Cooper Wiciam S., The Climax Forest of Isle Rovale, Lake Su- perior and its Development (* Bot. Gaz. ,, LV (1918), 1-4, 115-140, 141-285). 2) Braun J. et Firrer F., l. c., p. 4. LE UNITÀ ECOLOGICHE FONDAMENTALI IN FITOGEOGRAFIA 1197 mancanza di una o di tutte le varie specie che, pure essendo strettamente legate alle condizioni di stabilizzazione della for- mazione stessa, non hanno sulla sua comparsa e sulla sua du- rata la minima influenza. Floristicamente d'altra parte quando, come nel caso citato, si tratti di specie di reperto assoluta- mente sporadico, noi avremo da rilevare nell’associazione in studio il fatto geograficamente e storicamente interessante della loro presenza: potremo anche trarne le più logiche deduzioni sul passato o sull’avvenire della vegetazione locale; ma avremo pur sempre a che fare con ecoidi isolati, sentinelle avanzate di una immigrazione o relitti di una vegetazione pregressa, indici preziosi di qualche interessante particolarità climatica, ma, per dir tutto in una parola, estranei al ciclo topografico dal quale ripete la sua origine l’associazione. Differente è la questione nel caso in cui la specie caratteristica sia nello stesso tempo una specie dominante; chè, in questo caso, essa ha un valore ecologico generale in quanto rappresenta, come forma di vege- tazione, la reazione a condizioni generali della stazione. Concludendo è necessario, che nel corso di qualunque studio dei consorzi vegetali ed in genere del rivestimento vegetale del globo, sia tenuto presente il principio della irreducibile auto- nomia ecologica dell’elemento fondamentale — l’'ecoide ; inten- dendo come tale il sistema rappresentato dall’individuo vegetale e dal suo ambiente elementare. Il lavorìo incessante di modellamento delle terre emerse da parte degli agenti fisici, fraziona la superficie terrestre in aree ben delimitate topograficamente e presentanti, entro i loro limiti un certo numero di caratteri ecologici uniformemente distribuiti, tanto da diventare il luogo di concentramento di ecoidi simili. In rapporto dunque colla geomorfogenesi, alla quale dob- biamo, in generale, la fisonomia del paesaggio, sì costituiscono in particolare le stazioni e le formazioni vegetali corrispondenti: è quindi naturale che la stazione caratterizzi la formazione che ha determinata in tutti i momenti della sua evoluzione, dall’in- vasione alla stabilizzazione, da questa alla degradazione estrema; e che la formazione vi assuma certe forme di vegetazione inca- paci tuttavia di darne l’espressione completa, a causa della sua 1198 GIOVANNI NEGRI — LE UNITÀ ECOLOGICHE, ECC. fondamentale eterogeneità ecologica, del variare delle succes- sioni che vi si verificano e d'altra parte per le differenze speci- fiche ed individuali di tolleranza e di accomodabilità dei suoi elementi. Il rilevamento delle forme di vegetazione tuttavia, se è male adatto a distinguere le singole formazioni nel complesso della vegetazione regionale, è invece indispensabile per lo studio di dettaglio della struttura e della fisonomia delle stesse for- mazioni e deve essere eseguito mettendo in evidenza i rapporti proporzionali secondo i quali i singoli elementi entrano a costi- tuire i singoli consorzi. Alla formazione — termine biologico — corrisponde esatta- mente l'associazione — termine floristico. L'una e l’altra carat- terizzate dal complesso degli individui che entrano a comporle considerati, nel primo caso come forme di vegetazione, nel se- condo come entità sistematiche: convenuti su di una certa area in seguito alla soddisfazione delle loro esigenze ecologiche che vi si verifica ed in dipendenza dei loro attuali mezzi di diffu- sione o dei precedenti storici della loro distribuzione sulla su- perficie del globo. Fra le specie dell’associazione la qualità di caratteristiche si confonde con quella di dominanti, vale a dire, sta in dipen- denza delle condizioni ecologiche attuali. Mancando questa cor- rispondenza, l'interesse anche grandissimo per la storia della ve- getazione o per l'apprezzamento di condizioni di ambiente secon- darie alla stabilizzazione di un elemento raro e costituente o conservante il suo ecoide in seno alla formazione stabilizzata nella sua stazione caratteristica, è subordinato, dal punto di vista della sistemazione ecologica, a quello rappresentato dagli elementi che, costituendo la compagine o gli accessori costanti del consorzio, si debbono considerare quale l’espressione degli adattamenti che — finchè la stazione dura immutata — espri- mono più generalmente la rispondenza della sua vegetazione all'ambiente. Torino, R. Istituto Botanico, Maggio-Giugno 1914. SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1199 Su alcuni aminoazocomposti. Nota di L. CASALE e MARIA CASALE-SACCHI Gli aminoazocomposti derivanti dall’a-naftilamina si otten- gono trattando questa base con un sale di diazonio C;H;NgC14 CoH;NHs = CxH;N3C;0HyNH,. HI. Dopo Griess (!), che fece agire sull’a-naftilamina il nitrato di fenildiazonio, preparando il primo termine della serie, la benzolazo-a-naftilamina, numerosi altri derivati furono ottenuti per l’azione di diversi sali di diazonio provenienti da aniline sostituite in posizione para o meta. Abbiamo voluto colmare la lacuna copulando coll’a-naftilamina i sali di diazonio ottenuti da alcune aniline sostituite in posizione orto. Come gli aminoazocomposti di questa serie già conosciuti, anche quelli da noi preparati formano cogli acidi sali ben cri- stallizzati e discretamente stabili. Inoltre anche in questi l’azo- gruppo si trova in posizione para rispetto al gruppo aminico della naftalina, giacchè la 4-o-tolilazo 1-naftilamina diede, per riduzione, la p-naftilendiamina NH, NH, CARA Leal ioni ae È BIBOH#O 1A gr | | fo CE Ae NEI IPIRA AVIRA N=NC;H,CH; NH; (2) (1) (4) Griess A. 137, 60. 1200 L. CASALE E MARIA CASALE-SACCHI 4-o-tolilazo-1-naftilamina. Si ottiene il cloridrato di questa sostanza trattando l’a-na- ftilamina, sciolta in alcool, col cloridrato di o-tolildiazonio. Il miscuglio colorato intensamente sì rapprende quasi subito in una densa poltiglia cristallina dai riflessi bleu acciaio. Dopo un riposo di qualche ora si filtra alla pompa e si lava prima con alcool al 40 °/, poi con acqua, dove è insolubile, si scalda a b. m. con soluzione diluita di idrato sodico per mettere in li- bertà la base (rendimento oltre il 90 °/;), e si cristallizza que- st'ultima da alcool diluito, dal quale si separa in lunghi aghi sericei color rosso vivo. La 4-o-tolilazo-1-naftilamina si fonde a 95°; è solubilissima in etere, è molto solubile in cloroformio, benzolo, alcool con colorazione rosso sangue; in acido acetico si scioglie con colorazione intensamente violetta. Traccie di essa colorano in rosso l’acido solforico concentrato, in violetto l'acido solforico diluito. I. Gr. 0,2105 di sostanza fornirono gr. 0,6015 di anidride carbonica e gr. 0,1096 di acqua. II. Gr. 0,0818 di sostanza fornirono ce. (Ho= 742,8;et = 18°). Cioè su cento parti in peso 11,6 di azoto trovato ato i I II (arbonio 77,95 _ Idrogeno 5,83 _ Azoto —_ 16,16 calcolato per Cy;HisNa *u__ "t_an>PT SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1201 Nella diazotazione dell’o-toluidina bisogna evitare un eccesso di nitrito sodico, perchè l’acido nitroso presente nella solu- zione del sale di diazonio fa abbassare il rendimento dell’amin- oazocomposto dando luogo alla formazione secondaria di un composto solubile negli alcali e di altri prodotti resinosi che rendono difficile la purificazione del prodotto principale. La so- stanza solubile negli alcali precipita per la neutralizzazione con acido acetico sotto forma di una polvere rossa cristallina, che, raccolta e lavata, cristallizza dall'alcool in aghi rossi lucenti che si fondono a 143°-144°, Traccie di questa sostanza colorano l’acido solforico conc. in azzurro indaco. Da questi caratteri e dall'analisi la sostanza fu riconosciuta per 4-o-tolilazo-1-naftol Cala prepa- rato da Zincke e Rathgen (1). Gr. 0,0928 di sostanza diedero cc. 8,8 di azoto (Ho = 781 L10900). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per Cy;H,,N30 Tr — __r—r_r—r Pc A ee. * Azoto 10,55 10,69 Il rendimento in ossiazocomposto non supera il 2°. Del- l’ossiazocomposto preparammo anche l'etere metilico col metodo di Charrier e Ferreri (?). /(1)OCH3z \(4)N=N(2)C;H,(1)CHg' scritto da Zincke e Rathgen. Cristallizza dall'alcool in aghi di color rosso cupo fondenti a 92°-93°. Gr. 0,0612 di sostanza diedero cc. 5,4 di azoto (Ho = 729; Lasa Lic} Etere metilico C,;H — Già de- trovato calcolato per CigHigN30 — FP — —— Azoto pop i EOLO 1202 L. CASALE E MARIA CASALE-SACCHI Monoacetilderivato della 4-o-tolilazo-1-naftilamina 1,/(1)NH(CH300) 5 (4)Ns.CeHa.CHg t-o-tolilazo-1-naftilamina con anidride acetica, si lava il pro- dotto con acqua bollente, si cristallizza dall’acido acetico e poi dall'alcool. Si presenta in aghi color rosso ranciato P. F. 215°, Solubile in acido acetico, in alcool, in benzolo, in cloroformio, è meno solubile in solfuro di carbonio. Gr. 0,1331 di sostanza, diedero ce. 16,1 di azoto (Ho = 730,7; t.ad832à Cioè su cento parti in peso Col — Si prepara scaldando leggermente la trovato calcolato per CygHyzN30 ce” Sr dl Azoto 1345 15,86 Diacetilderivato e ne facendo bollire la 4-o-tolilazo-1-naftilamina con un eccesso di anidride acetica. Cristallizza dall'alcool in tavolette prismatiche color rosso mattone fondenti a 136°. È solubile in alcool, alquanto in acido acetico, in benzolo e in toluene, poco solubile in etere e in solfuro di carbonio. Gr. 0,0928 di sostanza diedero cc. 9,8 di azoto (Ho = 732; ii}: Cioè su cento parti in peso — Si ottiene trovato calcolato per CaHygN30s — — e eo Azoto 1,93 12,18 Benzoilderivatotiolls {N W'CHCH, — Si prepara col metodo Schotten-Baumann e cristallizza dall’acido acetico da cui sì deposita in aghi fini e lunghi color giallo chiaro fondenti a 200°, Solubile in acido acetico, in benzolo, in toluene, poco solubile in alcool ed in etere. Gir. 0,0725 di sostanza fornirono ce. 7,5 di azoto (Ho = 782; t= 179). (Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CuHygN30 —— PP _— Azoto 11,58 11,51 SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1203 La 4-o-tolilazo-1-naftilamina forma cogli acidi sali ben cri- stallizzati e stabili, solubili in alcool, acido acetico, insolubili in etere: nell'acqua, dove sono quasi insolubili, subiscono una parziale dissociazione idrolitica. Ma lo studio di questi sali e di quelli degli aminoazocomposti di questa serie sarà fatto più ampiamente da uno di noi in una nota di prossima pubblica- zione. Riduzione della 4-o-tolilazo-1-naftilamina. Si sospende l’azocomposto in acido acetico al 20 °/, sì scalda all’ebollizione e si tratta con polvere di zinco in piccole porzioni fino a che il liquido si scolori. Filtrando in acido sol- forico diluito e freddo, si separa il solfato in begli aghi bianchi splendenti. Da questi si libera la base trattando con idrato so- dico in imbuto separatore in presenza di etere; si dissecca la soluzione eterea, si distilla l'eccesso di solvente e si lascia eva- porare la soluzione così concentrata nel vuoto secco. La p-na- ftilendiamina si deposita sotto forma di cristalli splendenti leg- germente verdastri, che all’aria imbruniscono lentamente, e che si fondono a 118°-119°. Gr. 0,0728 di sostanza diedero ce. 11,3 di azoto (Ho = 736,6; t = 200,6). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CioHioNa i _P____ >” sv Azoto 17,29 17,72 Solfato di p-naftilendiamina C,oHioNs.H,50,. — Cristal- lizza da acido solforico diluito in begli aghi bianchi che dopo 250° imbruniscono senza fondersi. I. Gr. 0,5834 di sostanza diedero gr. 0,5232 di solfato di bario. II. Gr. 0,4533 di sostanza diedero gr. 0,404 di solfato di bario. Cioè su cento parti in peso di sostanza trovato calcolato I II Acido solforico 37,68 31,99 38,3 1204 L. CASALE E MARIA CASALE-SACCHI 4-0-anisilazo-1-naftilamina. Trattando l’a-naftilamina sciolta in alcool con il solfato di o-anisildiazonio si ottiene una densa poltiglia cristallina di un bleu mare intenso con riflessi verdi, costituita dal solfato della base, dal quale, per trattamento cogli alcali, si mette in libertà la base, che si purifica per cristallizzazione dall'alcool. La 4-0-ani- silazo-1-naftilamina è solubilissima in cloroformio, discretamente solubile in alcool ed in etere con colorazione rossa intensa, so- lubilissima in acido acetico glaciale con colorazione intensa- mente violetta; cristallizza bene dal benzolo in brevi ciuffetti di aghi di un bel rosso cremisi. Si fonde a 184°-185°. Rendi- mento circa il 95 %. I. Gr. 0,2 di sostanza fornirono gr. 0,5383 di anidride car- _ bonica e gr. 0,1012 di acqua. II. Gr. 0,1202 di sostanza diedero cc. 16,2 di azoto (Ho = (96, ves 7% Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per C:H;gN30 de erge e ———_TmmPPò I II Carbonio 73,4 — 73,6 Idrogeno 5,66 cs 5,45 Azoto —_ 15,2 15,18 Anche qui l'impiego di un eccesso di nitrito sodico nella preparazione del sale di diazonio provoca un forte abbassamento nel rendimento dell’aminoazocomposto, mentre si forma, insieme SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1205 a prodotti resinosi, una piccola quantità (non più del 2 °/,) di un composto solubile negli alcali da cui si precipita con acido acetico. Questa sostanza colora in azzurro indaco l’ac. solforico conc. e cristallizza da alcool diluito in pagliette rosse dorate fondenti a 173°. Questi caratteri e l’analisi dimostrarono trat- tarsi del 4-o-anisilazo-1-naftol CsoBs A N_-N(2)0,H,(1)00H; già descritto da Charrier e Casale (1). Gr. 0,0733 di sostanza diedero ce. 6,5 di azoto (Hj = 727,8; 113855) Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per Cy;Hy,N303 —_ ER —_—- Azoto 9,81 10,07 1)0.(C6Hs CO " IRE dea a scritto da Charrier e Casale. Cristallizzato dall’acido acetico si fonde a 140°. Gr. 0,1240 di sostanza fornirono cc. 6,4 di azoto (Hj = 732,6; i.= 20°). Cioè su cento parti in peso Benzoilderivato C,;Hy trovato calcolato per Cx,HjgN303 rr —. e e _—r". _—_/ Azoto 49 7,38 Acetilderivato della 4-0-anisilazo - 1 - naftilamina /(1)NH(CH;3C0) i Cross ()N=N(2)C,H,(1)O0H; — Ottenuto scaldando l’azo- composto con anidride acetica e lavato con acqua bollente. Cri- stallizzato da acido acetico e ricristallizzato da alcool diluito si presenta in aghetti splendenti color rosso granato fondenti 2039-2049. Gr. 0,0757 di sostanza diedero cc. 9,0 di azoto (H, = 736,5; + — 209,6). (4) “ Atti R. Ace. Scienze di Torino ,, vol. 49, 485. Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 1206 L. CASALE E MARIA CASALE-SACCHI Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CgHy;N30a Azoto 13,24 15,17 Benzoilderivato Cio ON NigiG voi — Fu ot- tenuto col metodo Shotten-Baumann. Cristallizza dall’acido acetico in begli aghi rosso ranciatì fusibili a 182°. Gr. 0,1986 di sostanza diedero cc. 19,2 (Ho = 783,7; t= 19°). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per Cy,HygN30a Azoto 10,77 11,02 4-0-fenetilazo-1-naftilamina. NH; Pi: | Di \ : urlo ra A uva <=" N=N/ | | | A Mi zi Versando la soluzione acquosa di cloridrato di o-fenetildia- zonio in una soluzione alcoolica di a-naftilamina, si separa a poco a poco una massa finamente cristallina di color violetto a riflessi azzurri, che dopo qualche ora prende una colorazione verde scuro; allora si filtra, si lava con alcool al 40 °% poî con acqua, in cui è insolubile, e si scalda a b. m. con soluzione diluita di idrato sodico per mettere in libertà la base che sì purifica cristallizzandola dall'alcool (Rendimento 90 %0). SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1207 La 4-o-fenetilazo-1-naftilamina è solubile in alcool e ben- zolo, è solubilissima in cloroformio ed in etere; si presenta in aggruppamenti cristallini di color rosso vermiglio fondenti a 169°. I. Gr. 0,0714 di sostanza diedero cc. 9,2 di azoto (H, = 741; = 21°) Il. Gr. 0,2068 di sostanza fornirono gr. 0,5609 di anidride carbonica e gr. 0,1097 di acqua. Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CgH,;N30 1 SUNT “ea lle Azoto -- 14,37 14,43 Carbonio 73,98 _ 74,18 Idrogeno 5,95 —_ 5,89 . E /(1)NH(CH;C0) ti Acetilderivato CioHsx £JN=N(2)C,H,(1)0CxH;' — Si pre- para come i precedenti. Si cristallizza dall’alcool, ed i cristalli, che si fondono a 191°, hanno l’aspetto di corti aghi prismatici rossi e lucenti. È solubile in alcool, cloroformio, benzolo e to- luene, meno in solfuro di carbonio, quasi insolubile in etere. Gr. 0,0701 di sostanza diedero ce. 8 di azoto (Ho = 737,3; t = 2205). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CooHygN303 Azoto 12,56 12,61 /(1)NH(G;H;C0) Benzoilderivato Cioe (A)N=N(2)C,H,(1)00,H; ‘ — fi scioglie con colorazione violetta in alcool, da cui si deposita in ciuffetti di aghi sericei di color verdastro fondenti a 180°. È insolubile in etere, poco solubile in solfuro di carbonio, discretamente in benzolo, solubilissimo in cloroformio. Gr. 0,0782 di sostanza diedero ce. 7,6 di azoto (Ho = 731,7; ti=19°3). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per C3;HojN30, Sepa e Sn Azoto ph ARA: 10,64 1208 L. CASALE E MARIA CASALE-SACCHI 4-o0-nitrofenilazo-1-naftilamina. NH, DAN SA 268 Cibi E rt | I Pil * s NO, E e Leva UR N=N/ x | | | | o FA 7A Trattando l’a-naftilamina sciolta in alcool col cloridrato di o-nitrofenildiazonio si ottiene una densa poltiglia cristallina di color rosso bruno con riflessi violacei, costituita dal cloridrato dell’aminoazocomposto, dal quale, cogli alcali, si mette in libertà la base, che si purifica per cristallizzazione dall'alcool diluito (Rendimento circa il 75 °/,). La 4-o-nitrofenilazo-1-naftilamina è molto solubile in alcool, benzolo, cloroformio, etere con colo- razione rossa intensa, e, cristallizzata, si presenta in belle pa- gliette lucenti di color verde smeraldo, fondenti a 174°-175°. I. Gr. 0,2194 di sostanza fornirono gr. 0,527 di anidride carbonica e gr. 0,0873 di acqua. II. Gr. 0,0843 di sostanza fornirono cc. 14,4 di azoto (Ho = 731,2; t= 199). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per CigHygNiOs I II Carbonio 65,52 _ 65,78 Idrogeno 4,45 — 4,14 Azoto -— 18,95 19,18 io, al «x /(1)NH(CHyC0) 2 rg IRE para come i precedenti. E solubile in alcool ed in cloroformio, poco solubile negli altri comuni solventi organici. Cristallizzato SU ALCUNI AMINOAZOCOMPOSTI 1209 dall’alcool, si presenta in ciuffetti di brevi aghi lucenti, di color verde chiaro, che si fondono a 200°. Gr. 0,0999 di sostanza fornirono ce. 14,9 di azoto (Hj= 727,7; ie=190. Cioè su cento parti in. peso trovato calcolato per C,gHyj,N,03 Azoto 16,46 16,77 A1)NH(C;H,C0) Benzoilderivato Cioe { AN=N()C,H,(1)N0,° — Cristal- lizzato dall’alcool si presenta in aghetti lucenti e neri con ri- flessi rossi che si fondono a 185°. È solubile in cloroformio, in alcool, in benzolo, poco solubile in etere. Gr. 0,1074 di sostanza fornirono cc. 13,5 di azoto (Ho = 727,7; t= 199). Cioè su cento parti in peso trovato calcolato per Ca3H,6N,03z _— —_s—. _ —F_r.. Azoto 13,98 14,24 Torino, Istituto Chimico della R. Università. Giugno, 1914. L’Accademico Segretario CorRrADO SEGRE. _——-_-_—yeceece>>rr__—t_a—_— CLASSI UNITE Adunanza del 21 Giugno 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: D'Ovipro, SAaLvapori, Naccari, JADANZA, GuaREScHI, Gui, FiLetIi, PARONA, MatTIROLO, GRASSI, FusaRI e SEGRE, Segretario; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: CarLE, CrpoLLa, Renier, De Sanctis, RUFFINI, BRONDI, SFORZA, EinaupI, BAauDI DI VESME e SCHIAPARELLI. Scusano l’assenza il Presidente BoseLLi ed i Soci D'ERrcoLE, Foà e SOMIGLIANA. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente a Classi Unite, 18 gennaio 1914. Il Presidente ricorda le onoranze tributate ad AscanIO SoBrERO il 31 maggio scorso per iniziativa dell’ Associazione Chimica Industriale: in particolare la commemorazione di quel nostro Scienziato fatta la mattina, nell’ Aula dell’ Accademia, alla presenza di Sua Altezza Reale il Conte di Torino, del Mi- nistro dell'Istruzione Pubblica S. E. Daneo, delle Autorità cit- tadine e di numerosissimi scienziati. Fra i discorsi tenuti in quell'occasione va segnalato principalmente quello del Socio GuarescHI, che analizzò ed illustrò nel modo più ampio l'opera insigne del SoBrERO. 1211 Si procede alla votazione per la nomina del rappresentante dell’Accademia nel Consiglio di Amministrazione del Consorzio Universitario, essendo scaduto da detta carica triennale il Socio D’Ovipro. Riesce eletto per un nuovo triennio il Socio D’OvipIo. Il Socio Tesoriere EinauDpI, invitato dal Presidente, dà lettura del conto consuntivo dell'esercizio 1913, del bilancio preventivo pel 1914 e dei conti relativi ai fondi dei premi. Questi bilanci e conti vengono approvati ad unanimità. ‘ Gli Accademici Segretari CorRADO SEGRE RopoLro RENIER. 1212 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 21 Giugno 1914. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE PROF. LORENZO CAMERANO VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Carre, CrroLLa, De SancTIS, RUFFINI, BronpI, Sforza, ErnauDI, BAUDI DI VESME, SCHIAPARELLI, RENIER Segretario. — È scusata l'assenza del Presidente BoserLi e dei Soci Manno e D’ErcoLe. È letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza antece- dente, 17 maggio 1914. Il Presidente, dopo aver salutato il Socio CipoLLa, che è lieto di rivedere, fa dare lettura delle lettere con le quali rin- graziano per la loro nomina a Soci corrispondenti dell’ Acca- demia i signori Bereson, DAvIDSOHN, GENTILE, JANNACCONE, MryER, MONTALCINI. Presentazione di libri: 1° il Socio Rurrini offre il suo volumetto Camillo di Cavour e Mélanie Waldor, Torino, Bocca, 1914, rilevando gli accertamenti di fatto che se ne guadagnano, mentre il Socio Renier fa notare lo speciale valore che questa indagine for- tunata ha per la migliore conoscenza della vita sentimentale e del carattere intimo del Conte di Cavour; 2° il Segretario Renier presenta il volume giubilare A Paolo Boselli, Savona, tipogr. editrice Bertolotto, 1913, com- 1213 pilato per omaggio dal Comitato Savonese costituito per onorare S. E. BosenLi. Egli propone che la Classe colga quest'occasione per inviare al Presidente dell’Accademia i suoi rallegramenti e gli auguri per una serie ancor lunga di anni operosi, tutti de- dicati al pubblico bene. Il Presidente e la Classe accolgono la proposta, incaricando il Segretario di scrivere la lettera di ral- legramento e d’augurio. Il Socio RENIER annuncia di aver regalato alla biblioteca dell’Accademia i primi quindici volumi (Pistoia, 1899-1913) del Bullettino storico pistoiese ed i primi venti volumi (Torino, 1894- 1914) del Bollettino di filologia classica, impegnandosi di regalare il seguito delle suddette pubblicazioni, ad annata chiusa di ognuna di esse. — Il Presidente CAMERANO porge per questi doni i ringraziamenti della Classe e dell’Accademia intera, le cui collezioni scientifiche ne vengono arricchite. Per la inserzione negli Atti vengono presentati i seguenti manoscritti: 1° dal Socio CrpoLrra una sua nota su La data della morte di Dante secondo Ferreto dei Ferreti; 2° dal Socio De Sanctis alcuni suoi nuovi Contributi alla storia dell'impero seleucidico ; 3° dal medesimo Socio De Saneris un breve lavoro del Dott. OLivertI, I figli dell'imperatrice Fausta. Su questi scritti i Soci CrporLa e De Sanctis danno ampie spiegazioni, e quindi il Socio Scorza espone il contenuto di una. sua monografia, Un poeta estemporaneo del secolo XVILI (Gio- vacchino Salvioni), che destina alle Memorie accademiche. La memoria del Socio SrorzA è accolta con pienezza dì voti segreti, astenendosi dalla votazione il Presidente CAMERANO ed il Socio proponente. L’adunanza è tolta, non senza che il Presidente abbia au- gurato felici vacanze ai Soci presenti. CARLO CIPOLLA LETTURE La data della morte di Dante secondo Ferreto dei Ferreti. Nota del Socio CARLO CIPOLLA. Di solito, rispetto alla data della morte di Dante Alighieri noi pendiamo incerti fra la data proposta da Giovanni Villani, e quella sostenuta da Giovanni Boccaccio e da Benvenuto Ram- baldi da Imola. Ma siccome poi non abbiamo una sicura edizione della Cro- naca del Villani, così non possiamo citarla con piena fiducia. L'Istituto storico italiano ne aveva intrapresa l'edizione affidan- dola ad un valentissimo giovane, Vittorio Lami, che presto morì, avendo appena iniziato la raccolta del materiale. Per la rubrica dantesca del Villani abbiamo per buona sorte la mono- grafia ben nota di Vittorio Imbriani (1). L'Imbriani si giova sopratutto della edizione fatta di quella Cronaca nei Rerum Italicarum Scriptores XIII nel 1728, la quale è condotta sopra un manoscritto di G. B. Recanati patrizio veneziano, e sopra un codice della biblioteca ambro- siana. L'Imbriani raccolse poi le lezioni di molti manoscritti. La maggior parte dei codici pone che Dante morì “ nel detto anno MCCCXXI del mese di luglio ,, ma alcuni lo fanno morire “ lo dì di Santo Michele a dì xxvniJ,. E finalmente il codice Recanati, che l’Imbriani segnala come esistente oggi a Venezia, ha una specie di preambolo là dove vien detto che Dante morì nel 1321 “ del mese di settembre il dì di Santa Croce ,, il che vuol dire il giorno 14. Nella numerazione dei capitoli adottata dal Muratori, la rubrica dantesca è il cap. 139 del libro IX. (1) Tale monografia fu ristampata da F. Tocco, Studi danteschi di Vir- rorro Impriani, Firenze, 1891, p. 25 sgg. LA DATA DELLA MORTE DI DANTE, ECC. 12165 Le testimonianze in favore della seconda data furono rac- colte da Fr X. Kraus, Dante, sein Leben und sein Werk, Berlin 1897, p. 116. Secondo il Boccaccio l’Alighieri morì adunque “ del mese di settembre, nel giorno di Santa Croce ,. E se- condo Benvenuto “ mortuus est in MCCCXXI de mense septem- bris, in festo Sancte Crucis ,. E il Kraus avverte che bisogna distinguere la Invenzione della S. Croce, dalla Esaltazione della S. Croce: quella festa scade il 3 maggio, e questa invece il 14 settembre. Nicola Zingarelli (1) raccoglie anch’egli ia testimonianza del Boccaccio, che nella Vita di Dante scrisse: “ del mese di settembre negli anni di Cristo MCCCXXI, nel dì che la Esal- tazione della Santa Croce si celebra dalla Chiesa ,. E la circonda con quanto si legge nei due epitaffi, l’uno di Giovanni del Virgilio e l’altro del Mezzani, che pongono la morte sotto il 13 settembre “ septembris idibus , (2). Ne deduce lo Zin- garelli che l’Alighieri morisse tra il 13 e il 14. (1) Dante, Milano, Vallardi, pp. 844-5. (2) La questione che si riferisce all’epigramma di Giovanni del Vir- gilio e a quella di Menghino. Mezzani, specie per rispetto al testo, è un tantino involuta, secondo le notizie raccolte da Carro peL Barzo, Poesie di mille autori intorno a Dante, Roma 1889, II, 264-5, 269. Il Mezzani visse in stretta relazione col circolo del Boccaccio e anche l’epigramma di Gio- vanni del Virgilio ci venne per mezzo del Boccaccio. Il famoso epigramma Theologus Dantes nullius dogmatis expers sì com- pone di sette distici, l’ultimo dei quali, la cui intonazione forse si stacca un poco da quella dei distici precedenti, contiene la data, agli idi di set- tembre. La nostra fonte per questo epigramma consiste nella Vita di Dante scritta da Giovanni Boccaccio, il quale accennando alle molte poesie fatte in occasione della morte di Dante, dice di accontentarsi di riferire i soli versi di Giovanni del Virgilio li qual sono quelli apresso scritti. Da nessuna altra parte tali versi ci pervennero. Dall’edizione critica che del- l’operetta del Boccaccio fece F. Macrì-Leone (Torino, 1888, pp. 33-4) ap- parisce che non tutti i codici hanno tale epigramma; un tempo si riteneva che questo fosse stato inciso sulla tomba di Dante, ma C. Ricci (L’ultimo rifugio di Dante, Milano, 1891, p. 252 sgg.) lo nega, mentre avverte che la Vita del Boccaccio non fu compilata anteriormente al 1363. Anche Pu. H. Wicxsreep e F. G. Garpner, Dante and Giovanni Del Virgilio, Westminster, 1902, non fanno altro che riprodurre il testo fis- sato dal Macrì-Leone, dal quale dipende anche il Ricci (p. 250). Per la condizione critica dell’epigramma di G. del Virgilio noi siamo 1216 CARLO CIPOLLA Corrado Ricci (1) che intorno all’ultimo rifugio di Dante più volte scrisse, ammette anche ora che egli morì “ nella notte del 13 settembre, venendo il 14 ,. Wicksteed e Gardner, l’ultimo verso del carme attribuito a Giovanni del Virgilio, dove si parla delle idi di settembre, interpretano per il 14 settembre. Nel 1913 G. Lodònnici stette per il 14-15 settembre, ma senza spiegare i motivi di tale in- terpretazione (2). T. Casini (3), basandosi su di un documento del Maggior Consiglio di Venezia del giorno 11 agosto 1321 deduce che prima d'allora c'era stato un tentativo d’accordo fra Venezia e Ravenna; attribuisce ciò al viaggio di Dante, che ascrive non all'agosto, ma alla fine di luglio. E pone la morte di Dante nella notte fra il 13 e il 14 settembre. Ma non credo che alcuno raccolga, sebbene pubblicata da due secoli e mezzo, l’attestazione di Ferreto dei Ferreti, che ebbe con Dante e colle sue opere una attinenza che non possiamo completamente e precisamente valutare, ma che fu certo assai forte. E non solo con Dante ma con tutta la corrente fiorentina ha il Ferreti legatissima relazione. Al poeta vicentino dobbiamo non solo parecchi carmi fu- nebri in onore di Benvenuto Campesani, ma pure l’inizio di uno in onore di Dante. Di G. B. Pagliarini, cronista vicentino, abbiamo a stampa (4) la versione italiana di una assai interessante compilazione sto- rica, che fu scritta da lui intorno al 1460. Questa data mi fu risospinti alla seconda metà avanzata del see. XIV e all'atmosfera respi- rata dal Boccaccio e dal Rambaldi. Il Macrì-Leone non parla dell’epigramma Theologus Dantes nel suo volume La bucolica latina nella letteratura italiana ‘del sec. XIV, Torino, 1887, pur dove parla delle congeneri produzioni poetiche di Del Virgilio. (1) / rifugi dell’esule, Firenze, 1914, p. 21. (2) La corrispondenza poetica di Gioranni del Virgilio, in * Giorn. Dantesco ,, XXI, 232. ( (3) L'ultimo rifugio di Dante, in * Scritti danteschi ,, Città di Castello, 1913, p. 139 sgg., 158, 161. (4) Cronache di Vicenza di Barrisra PaGLiAaRINI ... divise in libri sei, date in luce da Giorgio (iracomo Arcvini, Vicenza, 1663, LA DATA DELLA MORTE DI DANTE, ECC. ILIT comunicata da Mons. B. Bortolan, bibliotecario della Comunale di Vicenza e nella storia della sua città versatissimo. Nella biblioteca Vicentina si conservano parecchi mano- scritti del testo latino delle Cronache del Pagliarini, oltre a qualche manoscritto della versione. Il Pagliarini dedica una rubrica sul Ferreti, inserendovi gli inizi di vari suoi carmi. Quasi tutti i carmi indicati dal Pagliarini, sono oggi perduti (1). Per l'opposto conservaronsi i carmi funebri in onore del Cam- pesani, che leggiamo nel testo (2). Fra i carmi allegati dal Pagliarini, come scritti dal Fer- reti, uno ce n’era sulla morte di Dante. “ Scripsit de morte Dantis poete florentini, sunt autem versus centum et decem, sic incipiunt: Idibus atra dies Augusti Cesaris ibat Tertia nec pleno fulgebat Delia cornu Pressaque Nemei totis (3) Sol terga Leonis Liquerat et medio fagrabat Virginis alvo et cetera ,. Negli ultimi tempi di sua vita, Dante fu adoperato dai signori da Polenta in una ambascieria a Venezia. Delle que- stioni dei Ravennati con Venezia abbiamo qualche notizia anche altrove; ma non si tratta di indicazioni così precise che pos- sano aiutarci per quanto riguarda la morte di Dante (4). Che Dante morisse ritornando da Venezia, lo dice il Villani. L'atra dies non può essere che quella emortuale di Dante. Se può essere utile, cito l’analogia offertaci dal carme per la morte di Benvenuto Campesani, la cui data è parimenti esposta con lusso di dati astronomici. Dante dunque morì addì 11 agosto 1321, essendo la luna quasi piena, e il sole trovan- dosi nel passaggio dal segno di Leone a quello di Vergine ; se vogliamo prestar fede al Ferreto. (1) Fa eccezione il carme Tristis ab etherea, che abbiamo presso il Mu- RATORI, Irerum Ital. Script., IX, 1187-8. (2) Murar., IX, 1183-6. (3) Forse totus. (4) ZIiNnGARELLI, Op. cit., p. 344-5. 1218 CARLO CIPOLLA Per intendere il pensiero del Ferreto, feci ricorso alla dot- trina e alla cortesia di un illustre astronomo, cioè del profes- sore E. Millosevich, e dalla sua risposta appare che le indica- zioni del Ferreti sono sostanzialmente esatte. Egli mi avverte che 1'8 agosto 1321 fu plenilunio. Perciò il giorno 11 appena da 3 dì era passato il plenilunio, donde giusta la frase che la luna non era piena. Sostanzialmente vero è quanto Ferreto dice nei versi 3-4, giacchè il sole entrò nel segno di Vergine il 15 agosto verso 2" 1/2 pom. La data meglio quotata dai critici, quella del 13 o del 14 set- tembre, corrisponderebbe approssimativamente coll’ingresso del sole nella costellazione di Vergine, per la differenza di un mese in causa della precessione degli equinozi. Ma allora la luna non era piena da un pezzo. Il Ferreto è una grande autorità, perchè contemporaneo, e perchè astronomo. Lascio ai dantisti lo stabilire se la sua testimonianza sia tale da decidere la questione, poichè si trat- tava, anche prima d’ora, di una data controversa, dacchè la rubrica dantesca del Villani parla di luglio, scostandosi dalla data del settembre. Nel poema sugli Scaligeri (1. II, v. 206-7) il Ferreto ac- cenna alla metà circa di luglio 1290, come data del concepi- mento di Cangrande, e parla del trapasso del sole da Canero a Vergine: Phebe, Cleonenm, Cancro fugiente, Leonem Tune ingressus eras. Se Cangrande nacque il 9 marzo 1291, come dice la tra- dizione cronografica, il Ferreti nei versi citati accenna piuttosto al segno che alla costellazione di Leone, considerando il tempo del suo concepimento. Il Sole infatti entrò nel luglio nel segno di Leone, e nell'agosto fu nella costellazione di Leone, quando trovavasi nel segno di Vergine. Dato il tempo della nascita infatti ci accosteremo più al segno di Leone, nel luglio, che non alla costellazione di Leone in agosto. Non si dimentichino le controversie sulla data della nascita di Cangrande, che rendono necessariamente incerti tali calcoli. CARLO CIPOLLA — LA DATA DELLA MORTE DI DANTE, Ecc. 1219 Dante (1) fin dal principio del suo viaggio simbolico discorre delle stelle che montano col Sole all’inizio della primavera e indica il Montone (2) come proprio dell’anno che si apre. E i commentatori (3) spiegano del segno dell’Ariete nel quale il Sole trovavasi. Parlano di segno, non di costellazione. Ciò sembra significativo per noi. Nella serie delle testimonianze sulla morte di Dante me- riterebbe il primo posto il bolognese Giovanni Bentivoglio, che fu amicissimo a Dante; nel 1321 fu professore a Bologna, pure sempre in vicinanza relativa a Ravenna; ma il tramite per il quale la sua testimonianza passò, ci dà da pensare. Minor valore, ma non disprezzabile, ha la testimonianza di Menghino Mezzani o da Mezzano. Noi siamo sempre in colleganza o in contemporaneità col Boccaccio, la cui Vita di Dante è posteriore d’oltre quarant'anni alla morte del Poeta. I testi legati al Boccaccio parlano del 15-14 settembre. Più antica è la testimonianza del Villani che morì nel 1348 ; ed egli propone il luglio. Del Ferreti sappiamo che morì avanti il 13 aprile 1337 (4). Senza levare la' riserva già fatta, si potrebbe accettare la te- stimonianza di lui quale la più antica, così come indubitata- mente è la più precisa, giacchè presso di lui la data del giorno 11 agosto (1321) è corroborata da osservazioni astronomiche. LUI API €27 RIO SI NI STARE (I (2) Purg., VIII, 134. (3) Rimando al Commento Ai Tommaso Casini, Firenze, 1903, pp. 3-6. (4) Viona, Zibaldone (nella Biblioteca Comunale di Vicenza), V1], 230. 1220 GAETANO DE SANCTIS Contributi alla storia dell'impero seleucidico ©’ Nota del Socio GAETANO DE SANCTIS IV. Per la storia di Mileto. da Quando, nel 315 av. Cr., Tolemeo, Seleuco, Lisimaco e Cas- sandro mossero concordemente la guerra ad Antigono, il Lagide, che giusto allora, sull'esempio de’ suoi avversarìî Antigono e Polisperconte, aveva proclamato la liberazione delle città greche, trovò in Asandro, il satrape di Caria, un alleato “ potente (dice Diodoro XIX 62, 2) e avente dominio in non poche città ,: e, perchè riuscisse meglio a difendersi contro gli attacchi di Po- lemeo, nepote e generale d’Antigono, gli fece pervenire in soc- corso un corpo di mercenarî. Altri soccorsi spedì più tardi in quella regione Cassandro “ avendo saputo che erano guerreg- giate le città di Caria quante avevano alleanza con Tolemeo e Seleuco , (Diod. XIX 68, 2). Con tutto ciò, sullo scorcio del 314, Polemeo in un luogo di Caria detto Caprima, sorprese e costrinse alla resa l’esercito avversario (c. 68, 7). Allora, per compiere la sottomissione dell'Asia Minore, Antigono, che s'era impadro- nito di Tiro, passò egli stesso il Tauro ad autunno avanzato del 314 e prese i quartieri d'inverno a Celene. Asandro, ridotto così senza difesa dinanzi alle forze preponderanti del nemico, dovette chieder pace — fu, pare, nella primavera del 313 — adattandosi alle gravi condizioni imposte dal vincitore: cedergli l'esercito, lasciar libere le città greche (c. 75, 1), serbando, ma come luogotenente d’Antigono, il governo della Caria. Senonchè (1) Cfr. gli “ Atti, di questa R. Acc., XLVII (1911-2) p. 793 segg. 957 segg. CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1221 il satrape sconfitto voleva, sembra, guadagnar solo un po’ di tempo, fiducioso d'aver dagli alleati nuovo soccorso alla buona stagione; e quando vide che Antigono non si appagava di pa- role, rifiutò d’eseguire i patti e invocò i vecchi alleati alla riscossa. Ma Antigono non diede ad essi il tempo d’intervenire. I suoi generali “ giunti presso la città dei Milesì chiamarono i cittadini a libertà e, avendo preso d'assalto il castello, custo- dito da un presidio, le restituirono autonomia d'ordinamenti , (c. 75, 4). Poco dopo anche Tralle, Cauno ed Iaso caddero in mano d'Antigono; e con esse, senza dubbio, tutta la Caria; poichè d'Asandro, neciso od espulso, dopo d'allora non è più parola nella storia. Spargono qualche luce intorno a questi fatti alcune delle im- portantissime iscrizioni milesie che ha di recente pubblicate con ampio e dotto commentario A. Rehm (Milet, £rgebnisse der Ausgrabungen und Untersuchungen seit dem Jahre 1899 herausg. von Th. Wiegand. Heft III: Das Delphinion von G. Kawerau u. A. Rehm. Berlin 1914). E prima di tutto la seconda delle grandi liste degli eponimi milesi, gli stefanefori (nr. 123 p. 259), che comincia così: ode uoksrov Movuvnoar: ‘Innéuagos Onowvos: Eri tovtov Î m6Ais élevdéoa zxai aùrbvouos éyévero dIrò ‘Avty6vov zai î inuozgatia dared6dy. Codesto Ippomaco fu dunque l’eponimo dell’anno milesio 314/3 o del 313/2. Di questi due anni, stando al racconto di Diodoro, gli si attribuirebbe volentieri il 314/3 se fosse certo, come il Rehm suppone, che l’anno milesio cominciava allora in autunno. La presa di Mileto e tutta la conquista della Caria che le tenne dietro paiono infatti in Diodoro conseguenze quasi immediate della rotta autunnale sofferta da Asandro. E però il Beloch non a torto riferiva questi fatti alla prima metà del 313 (Gr. G. III 1 p. 128): anche per lasciar posto nel corso di quell’anno agli avvenimenti che seguirono. Dopo la conquista delle città di Caria Antigono si recò, narra Diodoro, nell’Ellesponto, per avervi un colloquio con Cassandro intorno alla pace. Questo colloquio non avendo approdato a nulla, Cassandro con trenta navi pose l’assedio ad Oreo. Ma al soccorso della città mosse Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. isp 1222 GAETANO DE SANCTIS dal Peloponneso Telesforo, dall'Asia Medio, l'ammiraglio che aveva comandato l’armata nella spedizione di Caria. E tra co- storo e Cassandro sì combattè ad Oreo ripetutamente, con varia. fortuna, ancora senza dubbio in quell’anno. E tuttavia è preferibile riferire col Rehm lo stefaneforo Ippo- maco al 312/2. Non per la ragione (p. 242) che “ precede (alla presa di Mileto) la diversione contro Lisimaco (Diod. XIX 73, 6), operata dall’esercito di Antigono ,; perchè Diodoro premette gli avvenimenti del principio di quella campagna in Europa (v. 73-74) agli avvenimenti d’Asia (75, 1-6) senza voler certo indicare che i primi precedessero i secondi: la successione nel suo racconto è topografica (x@t& dè ti)v ‘Aciav), non eronolo- gica ; e le fila si riuniscono, cronologicamente, solo col colloquio tra Antigono e Cassandro; nè, certo, le truppe inviate contro Lisimaco a Callati erano, come s'è detto, quelle di cui poi sì servì Antigono in Caria: egli non era davvero tanto destituito. di forze da lasciare ad Asandro agio di riaversi dalla rotta toc- cata con spedir via i soldati che poteva usare contro di lui. Ma, la lista degli eponimi milesì precedente all'altra di cui ho trascritto il principio ha indotto giustamente l'editore a presce- glier la data del 313/2. Infatti in quella prima lista dopo Alessandro Magno, ‘AZégardoos Dikirtzov, sono registrati venti eponimi. Ora Alessandro occupò Mileto nella state avanzata del 334; e fu quindi stefaneforo al più presto nel 334/93. Al più presto e anche al più tardi; perchè solo se il grande Macedone fu eponimo nel 334/3 e Ippomaco nel 313/2 e le due liste si continuano immediatamente l’una con l’altra, riusciamo a trovar posto ai venti eponimi annui che chiudono la prima di esse. — Si potrebbe, è vero, congetturare che l’ultimo eponimo della. prima lista e il primo della seconda spettassero allo stesso anno. milesio e, solo, quello fosse l’eponimo dell’antico ordinamento, questo l’eponimo sostituitogli pei cinque o sei mesi restanti quando s’instaurò la libertà. Ma sarebbe ipotesi priva di veri- simiglianza, -da ricorrervi solo in caso di necessità assoluta, che non è il caso nostro. Per la seconda parte quindi della prima lista d’eponimi e per tutta la seconda son da accettarsi senza esitare le date proposte dal Rehm, e conviene adattarvi la nostra tradizione storica. Il che nel caso nostro può farsi senza alcuno sforzo, solo che si supponga — e nulla c’impedisce di CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1223 supporlo — che, come i suoi successori del III secolo e a dif- ferenza de’ suoi predecessori dell’età di Alessandro, Ippomaco sia entrato in carica a primavera anzichè ad autunno. E appunto la liberazione di Mileto per parte d’Antigono e il nuovo assetto, che ne procedette, degli ordini civili, possono essere stati la causa dello spostamento che il Rehm crede d’aver rilevato (p. 234 segg.), nel principio dell’anno milesio, dall'autunno alla primavera : e può assai bene con quello spostamento coincidere l’inizio della nuova lista d’eponimi. L’anno innanzi ad Ippomaco, cioè secondo questa cronologia il 314/83, fu in carica l’ultimo stefaneforo registrato nella prima lista “Acavdoos ‘Ayd3|0|vos, il satrape della Caria. Il quale, sebbene i fasti milesî datino dall'intervento d’Antigono la libertà, aveva, è da credere, in qualche parte ottemperato al rescritto per la liberazione delle città greche emesso dal suo potente protettore, Tolemeo di Lago ; e, pur tenendo occupata la rocca di Mileto, aveva serbato alla vecchia e illustre città una parvenza d’autonomia. Non è, questa, una congettura campata in aria. Ho già addotto il passo di Diodoro ricordante rds év Kaoia nblers doar cvveudyovv toîs steoì Iltoheuatov xai Zélevzxov. Ad esso un commento mi par che fornisca un’altra delle iscrizioni edite dal Rehm non in tutto, forse, per questa parte intesa dall’editore (nr. 139). È un documento dei tempi di re Tolemeo Filadelfo, che contiene una lettera del re ai Milesî con la risposta indirizzatagli dal popolo. Il re afferma d’aver sempre avuto pei Milesî grande benevolenza, ©S 100077%0V Î)V dà tÒò xaì tòU matéga tòv Muétegov boav oizgiws te I10Òs t)]v mbhiv dia- 5. xeiuevov xaì m0à}Àòv dyadòv magaitiov duiîv yevéuevov xai PbOOwV TE ozxinoov salì yalenòv dnolbocavta ai naoayoyiov mao ouiv & TIVEG tOU faordémv xatéotnoar. 1224 GAETANO DE SANCTIS E il popolo rispondendo ricorda che toù dijuov xaì ngbtegov E4[0]- uévov ti)u qpidiav zaì tiv ovuuagiav tiu n9ds tòv deòv zai coT]g a] 25. IvoZeuoîov ovvén tv te nò|Aiv| eis ebdaruoviav xaì énupaverav éXdeîv xai t|dv) djuov mno0hkiòv xaì ueydhov dyadov dÉwdtifra, dl èg aitias étiunoev aùròv ò dijuos taîs ueyiotais xaì xalkiotars tmaîs. A quale momento si riferisce codesta alleanza di Mileto con Tolemeo Sotere e codesta abolizione dei tributi e dei dazi ‘ (ragay&yia) imposti da “ alcuni dei re, ? Mileto dal 318 rimase in potere d'Antigono e poi di Demetrio Poliorcete anche dopo la battaglia d’Ipso, fino almeno al 295/4, anno in cui vi compare nei fasti come eponimo A4rw?tg10g ‘Aviy6vov. In tutto questo tempo, nonostante la breve pace o piuttosto tregua del 311 e il momentaneo ravvicinamento tra Tolemeo e il Poliorcete del 299 circa, l'influsso di Tolemeo nelle città che, sia pure nominalmente libere, erano nell’alleanza d’Antigono e del figlio non può però essere stato tale che esse — senza aperta ribel- lione — si permettessero di stringere una alleanza con lui, e poniamo anche un'alleanza con la clausola che non valesse contro Antigono ; e ad ogni modo da simili trattative coi loro rivali che dovevano parer rasentare il tradimento, non potevano certo essere indotti Antigono o Demetrio a larghezza di con- cessioni; senza dire che i tributi e i dazî assai probabilmente, se non prima, erano stati appunto aboliti dal 313 da Antigono nell'atto di proclamare Mileto città libera. Tosto dopo il 295/4 Mileto cadde in mano di Lisimaco. Di ciò, veramente, aveva dubitato il Beloch (Gr. G. Il 2, 272); ma ne fa prova il decreto del xo.vév delle tredici città ioniche per lo stratego di quel re, Ippostrato milesio (Dittenberger Sy/oge® 189, integrato dall'altro esemplare edito in “ Athen. Mitt., 1900 p. 100 segg. ein Milet, H. II nr. 10; intorno al significato del documento v. P. Ghione Note sul regno di Lisimaco negli “ Atti, di questa R. Accademia XXXIX 1903/4 p. 619 segg.): decreto che spetta all'anno del- l'eponimo Telesia, ossia, secondo i fasti milesi, al 289/8. Nel 287 CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1225 infine, Demetrio sbarcato in Asia ricuperò la città, che perdette di nuovo poco dopo quando la sua impresa volse a rovina. E allora alla città poco fedele Lisimaco impose una contribuzione per cui i Milesì nel 282, dovendo provvedere al secondo versa- mento (devtéo@ xataBoA), ebbero a cercar denari in prestito dai loro amici di Cnido, come mostra un’altra epigrafe edita dal Rehm (nr. 138). Non spetta dunque l’alleanza con Tolemeo So- tere e la remissione dei tributi a questo ultimo periodo in cui Lisimaco gravò la mano sui ribelli; ed è assai difficile che ri- salga ai primi anni del suo dominio quando da un lato egli affermava saldamente l’autorità sua nella Ionia governandola per mezzo d’uno stratego, otoatnyòs éri tOv n6Re0v TOV "I&òov, dall'altro l'autorità dei Tolemei nell’Egeo era ridotta al nulla; e, troppo abusata, aveva perduto alquanto della sua virtù la magica parola di libertà con cui i Diadochi prima della bat- taglia d'Ipso avevano cercato di contendersi l’un l’altro l’amicizia delle città greche. Resta, mi pare, che l'alleanza tra Mileto e Tolemeo di Lago fu conclusa nel 315 o 314, quando appunto Diodoro ci parla di città di Caria che erano confederate (cvuveudyovr) con lui e con Seleuco ; quando alleato di Tolemeo era Asandro, che teneva presidio nella rocca di Mileto; il quale dalla sua stessa debolezza e dal bisogno di soccorsi era obbligato ad ottemperare ai desi- derì ed ai consigli del suo valido alleato e ad aver molto ri- guardo alle aspirazioni autonomistiche delle città greche suddite, rinfocolate dal proclama liberale d’Antigono non meno che da quello contrappostovi di Tolemeo. Nè vale a ribattere questa congettura l'opinione comune che Asandro aveva privato proprio lui i Milesì della libertà e della immunità concesse loro da Ales- sandro. Perchè è opinione infondata. Dopo la resistenza accanita di Mileto nel 334 è dubbio se Alessandro facesse liberi i Milesi nel senso di esentarli da presidî e da tributo. Ciò non asserisce punto Arriano (Anab. I 19, 6), il solo che dia in tal proposito qualche particolare. Il quale, detto che Alessandro obbligò i mercenarî presidianti Mileto a prender servizio fra le sue truppe, aggiunge: aùroùs dè MtAnotovs, door ui) év tij rataAnwer tijs n6hews Enmecov, dpijxev xai glevdeoovs elvar Edmxev; dove, se pure si tratta, come pensa p. e. l’Haussoullier (Etudes sur l’hist. de Milet et du Didymeion p. 7), di libertà politica, è incerto che 1226 GAETANO DE SANCTIS vi si comprendano quelle esenzioni; e il precedente ap7zer fa dubitare che, invece di libertà politica, si tratti di libertà per- sonale; presa infatti Mileto d'assalto, i superstiti, secondo l’usuale diritto di guerra, ripetevano la libertà solo dalla clemenza del vincitore. Quanto poi ai tributi, sebbene i propositi d’Alessandro in generale, per rispetto alle città greche dell’Asia Minore, fos- sero assa) liberali (Arriano Anab. I 18, 2: rds uèv dAyaggias navtagoò xaradven..... Onuorgatias dè Eyzadiotdvar zai TOùg vouovs toùs opov Exdotors darmododvar xai toùs pioovs dvelvat 6oovs toîs PaoBPdoos arépegor), a questi propositi egli fece tuttavia qualche eccezione; e in particolare per Mileto l’Haus- soullier (op. cit. p. 7) osservava : “ j'ai peine è croire qu'il ait exempté Milet de tout tribut , — già prima che la nostra epi- grafe ci informasse dei gooor oxZngoi zai yadesroi e dei raga- yoyia a cui Mileto era tenuta sino ai tempi di Tolemeo Sotere, impostile da rvès 107 BacrZé©r, alcuni, deve intendersi dei re di Persia o anche dei dinasti di Caria; e conservati, giova ere- dere, da Alessandro e, sul principio, dai successori. Le forme usuali dell'autonomia riebbe a ogni modo Mileto da Alessandro. Ciò provano a sufficienza varî documenti del IV secolo e più precisamente dell’età all’incirea d’'Alessandro stesso (.Milet p. 298), anche se, come io penso, non debba esclu- dersi che alcuni di quelli riferiti dal Rehm ai tempi d’ Alessandro spettino al periodo del governo d’Asandro o persino aì primi anni dopo la libertà restituita per opera d’Antigono. Ma alle forme dell'autonomia non è detto che attentasse punto Asandro; se pure, che del resto non è dimostrato, egli per primo presidiò la rocca di Mileto. Vero è che secondo A. Rehm (p. 260) il per- messo dato ad Asandro in un decreto ateniese in suo onore dei primi mesi del 313 (ZA. ed. minor I 1 nr. 450) di innalzare la sua statua equestre nell’agora, ma non presso le statue d’Ar- modio e d'Aristogitone (év @yogdi Br0v @v PBovAniar ndr nag ‘Agubdiov zaì ‘Agioroysitova) ci ammonisce all'evidenza “ dass wir in Asander ein Gewaltherrscher und Feind des Demos vor uns haben ,. Ma se Asandro tra le linee del decreto ateniese avesse letto quel che vi legge il Rehm, che cioè gli si dava una patente di tiranno, avrebbe probabilmente mandato al dia- volo il decreto e chi lo aveva votato. In realtà quella interpre- tazione è arbitraria. Anche nel decreto ateniese dell’anno di CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1227 Nicostrato, il 295/4, in onore di Erodoro (su cui vedi i miei Contributi alla storia ateniese p. 27 n.4 e p. 45), si offre ad Erodoro d’innalzare la sua statua dove voglia 747v mao ‘Aouédiov xaì ‘Agiotoysitova. Eppure Erodoro non vien davvero rappresentato nè come un tiranno nè come un nemico della democrazia ; anzi si vanta l’opera da lui prestata d67r0s &v ò d7juo|s daraZiayeis to|]ò moléuov tiv tagiot[mv rai xomodue|]vos tò dov dnuo- uoatliav diateliji Ey|ov. E nello stesso decreto in onore del- l'oratore Licurgo, Vitae X orat. p. 852 d, era una clausola del medesimo significato, sebbene neanche all'avversario più accanito di Licurgo potesse cadere in mente di vituperarlo come nemico della democrazia : otijoar aùtoò tòv djuov yadziv eixdva èv dyogd hiv ei mov ò vduos drrayogever ui) iotavar. Gli è sem- plicemente che nelle onorificenze ateniesi si distinguevano varî gradi e che l’erezione d’una statua presso quelle dei tirannicidi ‘era una onorificenza massima che non poteva sancirsi con un ynpioua, ma con un'apposita legge e che si conferiva solo in casi eccezionalissimi, cioè, per quanto sappiamo, ad Antigono e Demetrio prima (Diod. XX 46), a Bruto e Cassio poi (Cass. Dio XLII 21; cfr. Wachsmuth Stadt Athen Il 398). In sostanza non si ha nessuna ragione per ritenere Asandro un ‘tiranno’ o un ‘avventuriere’; o, per dir meglio, per ritenerlo più tiranno o più avventuriere degli altri satrapi suoi colleghi; e l’amicizia sua «con Cassandro può tanto poco allegarsi per ciò quanto per farne un eroe di libertà la sua amicizia col ‘salvatore’ Tolemeo. 2. Come Efeso, così Mileto per effetto della guerra con Lisimaco venne in mano di Seleuco e dopo di lui del suo successore An- tioco Sotere. Nella primavera del 282, vedemmo or ora, la città doveva versare la seconda quota d’una contribuzione imposta da Lisimaco. Non sappiamo se la versasse in effetto. Certo mutò padrone quell’anno stesso, prima o dopo la battaglia di Corupedio (per la cui data, l'agosto o settembre del 282, v. la mia Storia dei Romani II p. 390 n. 2), passando a Seleuco. E ri- mase fedele al figlio di lui fra i torbidi che tennero dietro all’as- sassinio del padre. Infatti non appena fu possibile (chè per l’anno 281/0 l’eponimo doveva essere nominato da tempo nel 1228 GAETANO DE SANCTIS marzo-aprile del 281, quando Seleuco morì), cioè per l’anno 280/79, si fece omaggio della dignità di stefaneforo in Mileto al nuovo sovrano. Qualcosa di più per la storia di Mileto in questi anni si trae dal già citato documento milesio concernente Tolemeo Filadelfo (nr. 159). Ivi nella sua lettera il re, subito dopo i saluti d’uso, ricorda (v. 2-3): nai rodtegov tiv na0oav Erorovunv ormovò)v èdrèo vis adhews duov ai gmoav didodg xai év toîs Aouroîg ériuelbuevos ©g 10007%0v Tv. E fatto qui l’accenno già sopra illustrato intorno ai meriti del padre, continua : vuvi te èuov ti)u méhiv ai tiu 190g î- uas pi|kiav xaì ovuuagiav oizeivs diatetnonzitor — véygapev y|dg uo. 6 te viòs zaì KalAizoatns zai oi diXor gior oi mag” ouiîv Ovtes iv &- 10. adéder$iv memoinode tijs mods Muas eòvoias — ai aùroì naouzo4hovdodv- tes éravoduev ©g Evi uddiota ai nergaodueda du |bve- odar (1) tòv d7- uov evegyetodvies, mnaoazaloduev dè zaì eis tòv Aovròv zoovov tiv aù- tv Eyeuv algeoiv mods Muas, iva xai mueîs torovt@v duov Ovtwv énì nAÀéov t)v Emuilerav tijs nbhews momueda. Degli stessi avvenimenti si discorre poi nella risposta del popolo, vantate le benemerenze del padre, Tolemeo Sotere: (1) È forse superfluo notare che qui dusrecda:, come duvvetodae al v. 38 vuol dire semplicemente ‘ ricambiare *, @ue/feodae roîs duoiors; e non deve quindi ricavarsene che Mileto fosse esposta in questo momento ad un attacco nemico, CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1229 diadefduevds te tiju BaorAstav ò viòs aùdroòd Irokeuaîos zaì dvavewoduevos ti)v te pudiav xai ovuuagiav tiu 00s tu m6div aGOav mnesointat e x = 30. osovdnv drrèéo tOv cvupeoorimv ndo MiAnoiors yOoav te éndidodg al t)v eignvnv magaczevdlov TtOL duomi zai tOv dilwv dyadòv ma- o|jaittos yevduevos ti mnéder, xaì vùòu mnoléumv rarala- poviov r0kR6|v x , - x x - x LA , % ai ueydhmv Muas nai zatà yîjv za nata ddiaccav rai tOVv |é|vavriov é| nt mievodviwv énì tiv n6liv nvdbduevos è Bacrdeùs tòv djuov eùye- 35. vòs éuuenevnzota tijL 905 aùròv qpiiiat xaì cvuuagiat dIrootEl4das , l x 156 e A Li - ‘ - 1 yoduuara xai mgeopevtiv “Hyijotoatoy énarvei tòv dijuov énì tij aigéoet ‘ 9 , x n 6) , = pa zaì énayyéhhetar t)IU nG0Gv ÉmiuEseiav svoreîtodar tic ndhews zai dwv |- veiodar taîs eveoyeoiars Eni mAeiov ti. Or qui, com'è chiaro, circa le relazioni di Mileto col Lagide si distinguono due momenti: l’uno di alleanza effettiva 0, se vuolsi, di effettiva dipendenza di Mileto dal potente alleato, che s'inizia poco prima del tempo in cui la lettera fu scritta. dunque, e si vedrà meglio poi, nel 262 circa; l’altro, anteriore, di rela- zioni amichevoli, più antiche perfino della donazione territoriale onde qui è parola, donazione che spetta — sarà chiarito anche questo tra breve — al 279/8. Tali relazioni amichevoli, che na- turalmente l’autore del decreto, partigiano di Tolemeo, ha cer- cato di esagerare, possono assai bene risalire all’atto dell’assun- zione del Filadelfo al regno, come l’epigrafe stessa par suggerire con quel dradefduevos tv BaciAgiav con cui ne introduce il ricordo — dove, se la buona amicizia non si fosse iniziata, tosto che Tolemeo salì sul trono, si aspetterebbe qualche frase più generica come dz04ovdmg ti) toò matods mooaLgéozi 0 simili. 1230 GAETANO DE SANCTIS E storicamente le relazioni cordiali di Tolemeo detto poi Filadelfo circa il 285 con Mileto dominata da Lisimaco si spiegano assai bene. Tolemeo Filadelfo, figlio di Tolemeo Sotere e di Berenice, destinato dal padre al trono a pregiudizio del figlio primoge- nito avuto da Euridice, Tolemeo Cerauno, trovava un amico naturale nel cognato Lisimaco, marito d’Arsinoe, figlia di Be- renice; e quest'amicizia rinsaldò, sul principio appunto del suo regno, mercè il matrimonio con una figlia di Lisimaco, di nome anch'essa Arsinoe (1). Che se nell'occasione di queste nozze il Filadelfo riprese le vecchie relazioni strette nel 315 dal padre suo con Mileto, egli conciliava assai bene l’interesse che aveva atteggiandosi ad amico delle città greche col riguardo verso il signore di Mileto e della Ionia, il suo suocero e cognato Lisimaco, di cui era ormai, ben dice il Droysen (Hist. de 2’ Hellénisme, trad. frang. II p. 609, cfr. W. Hiinerwadel Forschungen zur Geschichte des Kònigs Lysimachos, Ziùrich 1900, Diss. p. 97), quasi alleato. Si pronunziò in occasione di questa rinnovata amicizia tra l'Egitto e i Milesi la parola symmachia; o solo proletticamente ve la riferirono i cittadini nel loro decreto del 262 circa, met- tendo quei fatti del passato nella luce che meglio giovava agl’in- teressi del presente? L’una ipotesi è plausibile non meno dell'altra. Era infatti, se mai, un rinnovamento di quell’alleanza conclusa quando il popolo milesio aveva un padrone di cui essa doveva in qualche modo guarentire i diritti, e poteva benissimo quindi conciliarsi anche col dominio effettivo di Lisimaco. Ma può darsi altresì che le antiche relazioni amichevoli si riallacciassero (1) Qui io avrei anche qualcosa a dire circa Filotera. Ma di questa ‘regina’ tratterò in altro contesto: e cercherò allora di additare la ra- gione (non recondita per vero) che ha indotto Callimaco a trasportarla in Enna e in Samotrace. Qui mi basterà avvertire che la dedica del popolo dei Milesî in onore della fartA:oca DiAoréga PacrAéws IroAeuaiov po- trebbe assai bene riferirsi al 285 circa e documentare l'amicizia fra Lisi- maco e Tolemeo II e le relazioni cordiali allora rinnovate tra l'Egitto e Mileto. Altre ipotesi son certo possibili. Ma non è più possibile tenere quella iscrizione come documento del dominio tolemaico nella Ionia circa gli ultimi anni del regno di Antioco I (BrLocn III 2 p. 271-278), perchè Filotera, come sappiamo ora da Callimaco, premorì ad Arsinoe Filadelfo (m. 270). —uimedil tattica nti e È rent CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1231 senza troppo precisare, perchè si sottintendeva che non impor- tavano alcun onere effettivo nè per l’uno nè per l’altro con- traente. Non si badava in queste cose tanto pel sottile tra Greci usi a,pascersi assai volentieri di parole, per la bellezza delle frasi dimenticando la realtà delle cose. Un esempio alquanto comico di tale trascuratezza, che contrasta con la rigida pre- cisione romana, l'abbiamo in Polibio (XXII 9) nel suo racconto d’una synodos acaica del 186. Allora, per rinnovare la vecchia alleanza coi Tolemei, si presentò agli Achei radunati, con una ambasceria acaica reduce dall’Egito, un legato di Tolemeo V Epifane. Ma, nel momento in cui stavano tutti concordemente per giurare, li fece rimanere di sasso la domanda semplicissima dello stratego acheo Aristone, quale era l'alleanza che si rin- novava, perchè di trattati coi Tolemei se n’eran conclusi pa- recchi e assai diversi; e non riuscirono tra tutti insieme, com- preso il padre dello storico Polibio, Licorta, che era stato membro dell’ambasceria achea, a trovare una parola di risposta. Comunque, dell’amicizia riallacciata sui primordi del regno di Tolemeo II, se anche non s’'accompagnava col rinnovamento effettivo e consapevole d’un trattato, potè parere prova più va- lida delle parole d’un documento la donazione di territorio da lui fatta ai Milesì. La quale spetta, ho già detto, al 279/8. In- fatti sotto ‘Avmi)voo Zevdgovs, stefaneforo nel 279,8, successore in quell’ufficio di Antioco Sotere, i fasti civici recano questa nota — la sola che nella parte a noi conservata vi compaia, oltre la notizia sulla libertà restituita nel 313/2 —: émì rovrov éd6dn Î yoga tOL duo bord toù PaorAdé0s Iroheuaiov. Da ciò con- clude il Rehm che tosto dopo il 280/79 le relazioni di Mileto con Antioco Sotere ‘reissen jihlings ab’ (p. 263). E vede in queste espressioni la prima conferma documentale che Tolemeo II su- bito alla morte di Lisimaco (o fors’anche di Seleuco) aveva steso la mano alla terraferma dell'Asia Minore. In realtà che (pre- scindendo dalla Caria) qualche tratto sia pure piccolo della ter- raferma ionica Tolemeo possedesse poteva dirsi già accertato. Samo era già circa il 280 in possesso di lui (IG. XJI 506 = Dittenberger SyZoge? 202: per la retta interpretazione della epigrafe cfr. Pozzi nelle “ Memorie , di questa R. Accad. LXIII 1911/12 p. 323 n. 1): e con Samo è ovvio che fosse sua la perea samia: nulla a!meno nei frammenti della grande iscrizione con- 1232 GAETANO DE SANCTIS tenente la storia della vertenza fra Samo e Priene (Inschriften von Priene 37) induce a credere che l’isola in questo periodo rimanesse priva de’ suoi dominî nel continente. In possesso di Samo e della sua perea e fors’anche fin d’al- lora — che non sappiamo di sicuro — di qualche parte della costa di Caria (Beloch III 2 p. 266 seg.), non è meraviglia che Tolemeo potesse donar territorio ai Milesî con cui aveva sempre nutrito relazioni amichevoli. Era anche il modo di regolare di- gnitosamente con Antioco Sotere, che aveva raffermata allora la sua autorità nell'Asia Minore, le controversie intorno ai con- fini. Quando infatti dopo i subbugli che tennero dietro alla morte di Seleuco, Antioco, assicurato il suo dominio in Siria, passò il Tauro e anche a nord del Tauro, così dicono in un decreto onorario gl’Iliensi, ristabilì la pace e allargò l'impero (ragayevouevos Eri toùs tbimovs toùs Eni tdde toù Tasoov uetà ndons omovdîe zai piriotiuias Tua zai taîs n6lecww tiv sigr)vnv zateozevacev xaiì tà nodyuata zai tu faoreiav eis ueito ai Aaurgoréoav diddeorv dyijjoge, Dittenberger OGI. I 219); in quel tempo, è da credere, dovette concludersi un modus vivendi tra lui e Tolemeo Filadelfo in ordine ai possessi dal Lagide acquistati circa il tempo della battaglia di Corupedio. Furono, appunto, il 279 e il 278 gli anni in cui si combattè in Asia tra Antioco ed Antigono Gonata. Guerra, questa, di cui sappiamo poco (Memn. 16.18 = FHG. III 535. Trog. prol. 24. Justin. XXIV 1,1). Ma ne sappiamo abbastanza per ricavare ex silentio dalle notizie in proposito che Tolemeo non v'ebbe parte. E la pace che la chiuse (278 o 277), a cui a buon diritto il Droysen riferisce la frase sopra citata della iscrizione di Ilio (Hist. de l’Hell. III p. 249 n. 2), segna, a giudicare appunto da quella epigrafe, un breve periodo di tranquillità e di speranza per le città greche dell'Asia Minore. Brevissimo, anzi. Chè pas- sati in Asia nel 278/7 (Paus. X_ 23, 14), non importa qui de- terminare se prima o dopo la pace stessa, i Galli, si affrettarono a mettere a ferro e a fuoco i territorî delle città, comprese quelle della Eolide (Liv. XXXVIII 16): se pure le notizie che abbiamo d'un assalto ad Ilio per costituirsene una base fortifi- cata (deduevor éovuuatos, Strab. XII p. 594), qui riferite dal Droysen (II p. 184 n. 2) seguìto dall’Haussoullier (p. 81 seg.) e dallo Stiihelin (Geschichte der kleinas. Galater® p. 8 n.4), vadano CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1233 invece evidentemente collegate col fatto molto posteriore di cui è parola in Polyb. V 111 4 (Stàhelin p. 36 n.1); col passaggio cioè dei Galli Egosagi in Asia nel 218, attraverso l’Ellesponto, ad invito di Attalo I di Pergamo. Ma, fatta pur la debita parte alla esagerazione adulatoria, la epigrafe d’Ilio rende assai difficile ammettere che proprio in quegli anni Tolemeo Filadelfo estendesse la sua autorità nella Ionia. E però, se Mileto nel 280/79 apparteneva ad Antioco, gli apparteneva egualmente nel 279/8, quando ebbe da Tolemeo il dono territoriale. Si trattava ad ogni modo d’un dono impor- tante, come prova non tanto la iscrizione del 262 quanto la menzione speciale del fatto nella lista degli eponimi. Dove e che cosa era questo territorio che in quella lista è indicato quasi come territorio per eccellenza, è 7©0@? Suppone il Rehm (p. 200 seg.) che si trattasse del territorio di Miunte ; e non è certo impossibile. Ma molto verisimile non sembra. E mentre può ammettersi senza difficoltà che nel III secolo Miunte dipen- desse in qualche modo da Mileto (cfr. Milet III nr. 33 e, v. 12, dove il supplemento Mvo|voiov] se non è sicuro, è almeno ingegnoso), improbabile è però che una delle tredici città ioniche quale appare ancora nel 289 Miunte (cfr. il citato decreto Dittenberger Sylloge? 189: é#00fe ‘Ivov TOI xovòi TOV toelozai|beza 6Ae0r), fosse considerata come territorio di Mi- leto e designata senz'altro con le parole 7) y®goe. Assai migliore è invece la ipotesi del Wilamowitz (“ Gòtt. gel. Anzeiger , 1914 p. 84): il quale osservando che nel decreto milesio del 262 al territorio donato si accenna con la frase y@oar @srodido0vg, “ worin liegt, dass Milet nach seiner Meinung alte Anspriiche auf das Land hatte, das in der Eponymenliste den bestimmten Artikel trigt ,, esclude che si tratti di guadagno fatto a spese di altri, c pensa piuttosto a demanio regio (SeorZ:z)) 7002) che, acquistato dai Persiani nel 494 in quel di Mileto, Tolemeo avrebbe restituito agli antichi possessori. Ipotesi certo assai attraente, se pur da accettarsi solo con una lieve modificazione; perchè la epigrafe del 262, stando al testo pubblicato dal Rehm, ha non y®gav drrodidovs, ma érididovs. L'articolo dunque nella lista degli eponimi sta ad indicare non che era quello % terri- torio carpito ai Milesi da Dario ed ora restituito; ma la y@ge BaorAizij, cioè tutto il demanio regio di Tolemeo Filadelfo sulla 1234 GAETANO DE SANCTIS costa ionica. Qualche distretto, io penso, appartenente alla distrutta Melia tra il promontorio di Micale ed Efeso, dove anche i Milesì avevano ottenuto possessi in occasione della remota guerra meliaca. Ivi essi possedevano un tempo, secondo la te- stimonianza del resto per sè sola non molto fededegna (ma confermata in parte dalle scoperte epigrafiche) del preteso Meandrio di Samo, Tebe e Marathesion (Inschriften von Priene 37,57 seg.; cfr. per Tebe possesso milesio al nr. 363); ed ivi a una data non precisamente determinabile (fine del IV o prin- cipio del III sec., Mi/et, nr. 142), avevano concluso un trattato d'isopolitia con la minuscola Phygela, la quale invece, secondo la testimonianza concorde degli storici (Inschriften von Priene 37, 120 seg.), sarebbe stata attribuita in origine ai Samî. Posto ciò, si capisce benissimo come, in tutto o in parte, il demanio regio esistente in quella regione, donato forse da Lisimaco ad Arsinoe II, sia venuto in mano di Tolemeo insieme con Samo, e come il rassodarsi dell'autorità seleucidica nell'Asia Minore abbia indotto il Lagide ad alienare un territorio che poteva es- sergli contestato conciliando il proprio decoro col riguardo agli interessi di Mileto e alle pretese del signore di Mileto, Antioco. Riguardo che tanto più s’imponeva in quanto, finchè vigeva la potenza marittima di Antigono Gonata e durava la rivalità tra costui e il Seleucide, in Antioco poteva trovare Tolemeo un punto d'appoggio contro il tenace avversario della sua egemonia nelle Cicladi e in generale nell’Egeo. In questo senso Tolemeo è lodato nel decreto quale apportatore di pace a Mileto (vì)v #Î97)v7v na- puozevdlo®v tOL duo), pel periodo anteriore, beninteso, ai tor- bidi che precedono immediatamente il decreto in onor suo ; per l'appunto come, già vedemmo, nella iscrizione di Ilio si vanta quale apportatore di pace Antioco. La conquista della Macedonia per parte d’Antigono, lo spostarsi verso la penisola balcanica del centro di gravità degli interessi di lui, che prima era piuttosto nelle isole e nelle sponde dell'Egeo, mutò la situazione e contribuì probabilmente ad affret- tare la così detta prima guerra di Siria (c* 274-270), inizio di una serie di lotte tra Selencidi e Lagidi, che si protrassero finchè durò la potenza delle case di Seleuco e di Tolemeo. Anche dopo quella prima guerra un documento della lega delle città ioniche (OGI. 222) posteriore al 268, in cui, mentre si decretano ono- CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1235 ranze al re Antioco I, lo si prega a un tempo di assicurare alle città ioniche libertà, autonomia e democrazia (v. 15 segg. : |a@oav érmu]|éXetav smorsiodar tOv a6Ze|ov rOv 'Iddov 6r0S @v tò AZorn]òv Ehevdegar odoar zaù Onuo[xoarovuenai BeBaiws® in modi]rev@viaL xatà toùs matgi[ovs véuovs]), mostra che la federazione ionica sussisteva tuttora sotto il suo dominio come, qualche tempo prima, sotto quello di Lisimaco. Certo in sè non è impossibile che Ja Ionia o le principali almeno delle città ioniche fossero state da Antioco perdute dopo il 280/79 e poi ricuperate di nuovo per riperderle, come vedremo, sullo scorcio del regno. Ma la ipotesi più semplice, e quindi quella a cui dob- biamo provvisoriamente attenerci, posto che essa spiega bene tutti i fatti noti, è che la terraferma della lonia sia in massima rimasta in potere della casa di Seleuco dalla guerra con Lisi- maco allo stremo del regno di Antioco Sotere; ipotesi confermata da quanto sappiamo o possiamo congetturare circa le vicende di Eritre (cfr. le mie osservazioni in questi “ Atti, vol. XLVII 1911/12 p. 793 segg.). Del rimanente della terraferma ionica dobbiamo presumere sino a prova in contrario che seguisse le sorti Mileto; e certo il decreto su citato del xowoòv ionico fa ritenere che il Panionio, e Mileto con esso, fosse tuttora dopo il 268 sotto l’alto dominio dei Seleucidi. Non va però taciuto che di siffatto dominio manca tuttora una prova positiva. Onde la ipotesi che Mileto, occupata nella prima guerra di Siria, ri- manesse per più di un decennio in mano di Tolemeo Filadelfo è, allo stato presente delle nostre informazioni, inverisimile, ma non è assurda. Anzi il solo indizio documentale che pareva si avesse del dominio seleucidico in Mileto tra il 280/79 e il 258, la iscrizione in onore d’una regina Apame che l’Haussoullier riteneva (Milet p. 60) la figlia d’Antioco I andata circa il 274 sposa al re Maga di Cirene, è venuto meno, assodato che quella iscrizione può almeno altrettanto bene riferirsi ad un’altra Apama, la consorte di Seleuco I (Beloch III 2, 272; Rehm p. 262). 1236 GAETANO DE SANCTIS . Venuto al potere nel marzo-aprile del 281, Antioco Sotere morì dopo 19 anni di regno, nel 262. Poco prima, nel 263 o 262, Eumene, successore a Pergamo di Filetero, nel tentativo di francarsi in libertà dal predominio siriaco, aveva vinto quel re in battaglia (Strab. XII 624). Questa lotta scosse nell'Asia Minore l’autorità dei Seleucidi. Forse già prima della battaglia, per l'alleanza che avrebbe concluso con Eumene Tolemeo Fila- delfo (Beloch Gr. G. II 1, 614 n. 1), o forse subito dopo, per l’effetto esiziale di quella sconfitta sul credito dei re siriaci, Mi- leto passò con Efeso ai Tolemei. Sappiamo peraltro che sul principio del suo regno Antioco II rivendicò Mileto a libertà abbattendone il ‘tiranno’ Timarco e n'ebbe in premio il titolo di Theos (App. Syr. 65, cfr. OGI/. 226); e che questo Timarco era stato compagno alla defezione del figlio di Tolemeo dal padre (Trog. prof. 26); il quale figlio di ‘T'olemeo, di nome anch'esso Tolemeo, comandava allora in Efeso il presidio egiziano (Athen. XII p. 593 db: ZroZeuatîos ò vv év ’Epéon diénov poovoàv viòs Ov toò Pidadélpov facrdéws), e fu poi ucciso colà nel sacrario di Artemide in una sollevazione dei merce- narî traci. Qualche informazione nuova, sia pure scarsa, porgono su questi fatti le nuove iscrizioni milesie. E ne dirò brevemente, sebbene tutto quel che è essenziale sia stato già visto qui dal Rehm. — Con la presa di possesso della città per parte di To- lemeo Filadelfo si collega il comparire al 262/1 nella lista degli eponimi d’un personaggio dal nome egiziano, Tdyws 1'oyyv40v, un funzionario verisimilmente del re, la cui assunzione allo stefaneforato è tanto significativa quanto quella di Alessandro Magno nel 334/3 o di Antioco Sotere nel 280/79. Inoltre il suc- cessore di costui nell'eponimja Z/erdévovs 0agoayéga è il propo- nente del decreto in onore di Tolemeo Filadelfo, che pertanto l'editore ha ben ragione di riferire al 262-260 circa. È il ‘figlio’ menzionato nella lettera di Tolemeo, il quale dice d'averne no- tizia della fedeltà dei Milesi, è per l'appunto il Tolemeo di Efeso. E Callicrate ivi pur menzionato è il figlio di Boisco, Samio, che CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1237 fu navarco tolemaico, come si sa da varie iscrizioni. Non è da tacere peraltro che di qui sorge a prima vista contro la data proposta dal Rehm una grave difficoltà che al Rehm è sfuggita, e su cui ha richiamato la mia attenzione il mio scolaro ed amico A. Rostagni. Infatti la dedica dèrrèo BaorAéws Itozeuaiov zai Baordicons ‘Agorvéns di KaZMixodtns Botoxov Nduros vavao- g©òv edita dal Breccia “ Bulletin de la Soc. arch. d’Alexandrie , n° 8 (1905) p. 110 sembra dimostrare definitivamente, come bene ha messo in luce W. Tarn nel suo eccellente saggio Nesiarch and navarch (“ Journ. of hell. Studies , XXXI 1911 p. 254 segg.), che Callicrate fu navarco prima di Patroclo, il quale com'è noto fu alla sua volta navarco negli anni della guerra di Cremonide. Ne seguirebbe che la iscrizione ove Callicrate è menzionato su- bito dopo il figlio di Tolemeo risale non al 262, sì agli anni all'incirca della prima guerra di Siria. Ma la difficoltà parmi lieve, messa a riscontro con gli indizî che ci riportano al 262. E anzitutto, che il navarco fosse allora il capo supremo di tutte le armate egiziane, un solo dunque, e stabile, non eletto per un'impresa singola o per un periodo di tempo determinato, è ipotesi del Tarn acuta sì, ma non tale che gli scarsi documenti conservati di quell’età ci permettano di dimostrarla. Mentre i documenti un po’ posteriori non mi paiono favorirla molto, p. e. una iscrizione (IG. XII 3,1291) ove | EguagprdZo]s Didootgatov “Pavzio|s] è detto @r00|taZeis d|rò toòù PaorZé0s ItoA[eu|ciov [vavag]xos xaì otgatayòs tG|s r6|]A105 (Tera), e men che mai le epigrafi ove il governatore di Cipro XéAevzos Bidvos “Poòros ha titolo di or9atnyòs TOv zatà Kibngov zai vavaggos xai dg- gieoevs (Or. Gr. Inser. 151) 0 otoEaTtnYÒS zaì vavaggos zai dog- peoeùs tov zara t)v vijoov (Or. Gr. I. 155), per le quali può vedersi D. Cohen De magistratibus Aegyptiis externas Lagidarum regni provincias administrantibus ('s-Gravenhage, 1912 p. 32 seg.). Che se pur la ipotesi del Tarn sui navarchi è vera in tutto, non v'è nessuna difficoltà a pensare che, lasciata, forse per ragione d'età, la carica di navarco, il fedele Samio con titolo di stratego o altro simile rimanesse uno dei maggiori rappresentanti del- l'autorità di Tolemeo in Samo o nella vicina paralia ionica. Men verisimile d’assai, parmi, benchè neppur questo sia assurdo, che Tolemeo ò vios fosse già in quelle regioni circa, poniamo, il 270 e poi, tornata Efeso ai Seleucidi, se ne allontanasse per Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 82 1238 GAETANO DE SANCTIS ripresentarvisi quando intorno al 262 la città fu ricuperata dat Tolemei; tanto men verisimile in quanto, se supponiamo che a Mileto toccasse la sorte stessa che ad Efeso, anche Z/erdévovg 9aooay69a, il proponente del decreto ed eponimo del 261, avrebbe dovuto avere la stessa vicenda di potere e d’esilio di Tolemeo il figlio del re. Rispetto al quale ultimo del resto assai bene ha visto il Rehm che il modo della menzione nella lettera e il tacersene nel decreto dà una confutazione documentale alla ipotesi del von Prott, del Wilhelm e del Beloch (III 2 p. 130 seg.) sulla. identità di questo Tolemeo col Tolemeo coreggente del Fila- delfo ricordato nei documenti egiziani tra il 267/6 e il 259/8. Sicchè era nel vero combattendo quella ipotesi nelle “ Memorie , di questa Accademia il mio compianto discepolo E. Pozzi (t. LXII p. 342 seg. Cfr. G. A. Levi “ Atti, XXXIX 1903/4 p. 629 segg.). Il Tolemeo di Efeso può essere quindi soltanto un figlio spurio del Filadelfo ; e il Tolemeo coreggente —- non potendosi ripren- dere col Rehm la tesi che sia l’Evergete, privato poi a un certo punto, chi sa perchè, della coreggenza : siffatte coreggenze terminano, di regola, con la vita — deve ritenersi (lasciando altre congetture o troppo inverisimili o troppo ardite) un figlio primogenito di Tolemeo e di Arsinoe I premorto al padre, come io già da tempo ho sostenuto. E quando non si voglia ammettere una dimenticanza o una inesattezza nel testo dello scoliasta di Teocrito (XVII 128) che tace di questo Tolemeo tra i figli di Arsinoe e di Tolemeo Filadelfo, può correggersi senza difficoltà quel testo al modo che ho da lungo tempo suggerito nella nota citata di G. A. Levi. * Cade con ciò il terminus ante quem del 258/7, proposto da coloro che accettano la ipotesi ora sfatata, per la ribellione di Tolemeo, che precedette di poco, è da credere, la catastrofe del dominio tolemaico nella Ionia. Ma di non molto posteriore è quello che (lievemente correggendo il Rehm p. 303 n, 1) può ricavarsi dalla epigrafe sulla vendita di territorio fatta da Antioco II a Laodice (0GI, 225, integrata nella VI relazione su Mileto p. 36 in “ Abhandl. der Berliner Akad. , 1908). Infatti nella lettera al satrape Metrofane Antioco prescrive di registrare la vendita stessa in cinque stele, da deporre nel tempio di Atena in Ilio, in quello di Samotrace, nell'Artemisio di Efeso, nel CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1239 Didimeo di Mileto e nell’Artemisio di Sardi. E poichè quella vendita importa soprattutto per la casa reale di Siria e pei limiti della faordizî) yO0a, è chiaro che i cinque tempì son tutti in territorio ove nell’atto in cui la lettera fu scritta s’estende il predominio seleucidico. E la lettera può approssimativamente datarsi. Dagli stessi ordini regi che vi son contenuti si ricava che è anteriore all’Audnaios, il terzo mese, del 60° anno dell’era seleucidica (253/2). Anteriore di qualche tempo, perchè il satrape Metrofane scrivendo per la esecuzione di quegli ordini data la propria lettera dal Daisios, l'ottavo mese : l’ottavo deve inten- dersi dell’anno 59° (254/3), il maggio all'incirca del 253. Dunque già allora Mileto era ricuperata ai Seleucidi. Ba lungo tempo? Non sappiamo con sicurezza. Pel momento la ipotesi più plau- sibile è quella presentata dubitativamente dal Rehm (p. 304 n. 4), che la seconda lista degli stefanefori a noi conservata sia interrotta appunto, benchè posto non mancasse nella pietra, perchè si volle, come la seconda con la libertà ottenuta da An- tigono, così cominciare la terza lista, smarrita, con l’anno della libertà ricuperata per opera d’Antioco, che sarebbe dunque il 259/8. Pertanto se anche il riacquisto della Ionia per parte di Antioco II si collega con la lotta tra la Macedonia e l'Egitto pel predominio delle Cicladi, non deve però raccostarsi al fatto di guerra che, a quanto pare nel 253, ne fece piegare le sorti a favore della Macedonia (cfr. le mie osservazioni nella “ Riv. internaz. di scienze sociali, IV 1894 p. 52 n. 3 e Pozzi Mem. cit. p. 336 segg.), la battaglia di Cos. Che se la data di quella battaglia non è sicurissima, sarebbe a ogni modo, penso, arbi- trario trascurare gli indizî che la fanno collocare in quell’anno (cfr. anche Swoboda “ Berliner phil. Woch. , 1914 nr. 13 p. 401) e propendere col Rehm a rialzarne la data pel solo motivo che al 259/8 s’attribuisce in via congetturale il ricupero d’Eteso e di Mileto per parte d’Antioco. E a questo proposito è bene notare che la frase della nostra epigrafe con cui s’accenna a guerra navale attorno a Mileto, t©v évavrimv EnmAevodviwv éri tv a6Àiv, quanto e più che a un assalto macedonico, può riferirsi a un assalto dell’armata seleucidica o della rodia. Che i Rodii osassero assalire per mare i tolemaici e sapessero anche vincerli è noto dalla battaglia d’Efeso (Polyaen. V 18): battaglia, sia detto qui tra parentesi, con troppa sicurezza dal Niese (Geschichte der 1240 GAETANO DE SANCTIS griech. u. mak. Staaten II 135), seguìto dal Beloch (Gr. G. IN 1, 618), riportata ai primi anni di Antioco Il; e che avessero una guerra con Tolemeo Filadelfo è sicuro dalla cronica del tempio lindio edita dal Blinkenberg (C 99 seg.). Quanto poi all'essere nell’Egeo una armata siriaca, sebbene dimenticato in generale dai critici, può argomentarsi dalla iscrizione di Fritre, . spettante appunto a questi anni, edita nella “ °49nv@ , XX (1908) p. 195, su cui v. questi “Atti, XLVII (1911/2) p. 799 segg. * ** Riassumo. Mileto ottenne da Alessandro Magno nel 334 una parziale autonomia, che le permise, circa il 314, sotto gli auspici del governatore di Caria e signore della città Asandro, di con- cludere un’alleanza con Tolemeo di Lago. Quest’alleanza le fruttò da Asandro, in omaggio al proclama liberale di Tolemeo, l’abo- lizione dei tributi e dei balzelli cui era sottoposta. Caduta poi in potere di Antigono nella primavera del 313. la città ne riebbe nominalmente autonomia e democrazia; rimanendo, in compenso, fedele a lui e al figlio Demetrio dal 313 al 295/4 almeno. Poco dopo passò a Lisimaco, che la tenne — il preteso dominio di Euridice par favola moderna — fino al 287. Ripresa allora da Demetrio Poliorcete, fu da questo principe riperduta assai presto. Lisimaco, che la riebbe, se fece sentire alla città poco fida con alquanta durezza la rinnovata signoria, permise però che rial- lacciasse le relazioni amichevoli con l'Egitto, circa il tempo in cui saliva sul trono egiziano Tolemeo Filadelfo di cui il signore di Tracia era amicissimo e quasi alleato. La battaglia di Corupedio diede Mileto nel 282 a Seleuco, che, morendo assassinato, trasmise il possesso al figlio Antioco Sotere. Suddita, pare, ad Antioco, nel 279/8, in un momento in cui Tolemeo Filadelfo era legato con Antioco dalla comune av- versione ad Antigono Gonata, la città ricevette. da Tolemeo il dono del demanio regio che il Lagide poco prima aveva acqui- stato, forse presso la perea samia, sulla costa ionica. Poi, nel periodo in cui cominciarono a turbarsi le relazioni tra Tolemeo ed Antioco, ogni certezza durante parecchi anni manca. Certo nel 262 Mileto era in potere del Filadelfo, passata a lui, pare, CONTRIBUTI ALLA STORIA DELL'IMPERO SELEUCIDICO 1241 quell’anno stesso o poco prima. Nè risulta finora che il predo- minio seleucidico sulla terraferma ionica fosse mai scosso prima del 263/2, prima cioè che insorgesse contro Antioco Cumene di Pergamo. Questo in breve ciò che sulla storia di Mileto da Alessandro alla morte di Antioco Sotere può dirsi integrando il già noto coi documenti nuovi. Poco, purtroppo. Ma se ne delinea sempre meglio il quadro delle lotte in cui le città greche, in parte as- sillate dalla brama d’autonomia, in parte trascinate dalle riva- lità tra i diadochi, sciupavano le forze proprie e quelle dei loro signori; e preparavano l’asservimento di tutti al dominio straniero. _—_ _ T _tE__t*——- ALBERTO OLIVETTI I figli della imperatrice Fausta. Nota di ALBERTO OLIVETTI. Una delle questioni più singolari, connesse con la storia dei figli di Costantino, è quella che riguarda la personalità della madre di questi principi. Su tale “ ricerca della maternità , esiste ormai una pic- cola letteratura ed io riassumerò. con una certa larghezza, le trattazioni degli studiosi che mi hanno preceduto, prima di spiegare perchè dissenta dalle teorie innovatrici recentemente svolte e sia condotto a sostenere un'opinione, diciamo così, conservatrice. Fino a una trentina di anni fa tutti gli storici del basso Impero, dal Tillemont al Duruy, dal De Broglie al Burckhardt, accettavano senza discussione la genealogia tradizionale di Co- stantino, quale è data dal seguente prospetto: COSTANTINO a) MINERVINA, concubina, b) Fausra. figlia di Massimiano. a) b) Crispo Costantino II Costanzo II Costante Costantina Elena Nessun dubbio esisteva circa la nascita di Crispo da Mi- nervina ritenuta prima moglie legittima, poi, più ragionevol- mente, concubina di Costantino. E nessun dubbio esiste nem- meno ora. Come osservò giustamente il Ferrero (1), ci dànno (1) Mogli e figli di Costantino, “ Atti dell'Accademia delle Scienze dì Torino ,, XXXIII (1897-8), p. 376 segg. I FIGLI DELLA IMPERATRICE FAUSTA i 1243 sicuro ‘affidamento su questo punto i passi dell’Epitome de Cae- saribus (1) e di Zosimo (2), ed è pure probabile che Crispo na- scesse assai prima del matrimonio di Costantino e di Fausta (307), dal momento che lo troviamo a combattere contro i Franchi nel 320 e lo troviamo già padre nel 322 (3). Quanto alla madre degli altri tre figli di Costantino, passi di storici ed iscrizioni — che vedremo più tardi — affermavano esser stata Fausta. Unica voce discorde era quella di Zosimo. Egli infatti, dopo aver ri- ferita la notizia della morte di Costantino, prosegue: diadefa- uevov dè tv faordeiav TtOV adroò naidov Ùvtov TIUOY (é&r8x3noav dè oùtor oùax drò Davorns vijg toùò “EguovAiov Mafimiavoò dvyargés, ail E Ghilns, î uoryeias énayayov uéuyw drnéztervev) xtÀ. (4). Però la fama di storico oscuro e confusionario attribuita a Zosimo fece sì che questa notizia non fosse presa troppo sul serio. Le cose erano a questo punto, quando nel X° volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (N° 678) comparve una iscri- zione trovata a Sorrento e conservata ancora in quel Museo (5). L'iscrizione era mutila: però si leggevano chiaramente queste parole: PIISSIMAE AC VENERAVI LI DN FAVSTAE AVG VXORI D N MAXIMI VICTORIS AVG CONSTANTINI!/]/{j}{f |] IIPITT}}!} DDD NNN aoiatao CONSTANTINI CONSTANTI BAEA TISSIMORUM ...... PORRE RTRT OR (1) 41, 4: filiumque suum Crispum nomine. ex Minervina concubina su- sceptum... (2) Zosrmo, II 20, 2: K@wvoravrîvos nèv radiotnor Kaicaga Koiozov dn nahhanîs aùro yeyovota MivegRivns dvoua. (3) Cod. Theod., IX, 88, 1. (4) Zosimo, II, 39, 1. (5) Riprodotta in Dessav, Iuser. Lat. sel., I, 710. 1244 ALBERTO OLIVETTI Il Mommsen, che pubblicò tale iscrizione, lesse facilmente al r. 2 la parola Faustae e al r. 3 la parola wrori che erano state erase, forse dopo la tragica morte dell'imperatrice. Al r. 5, dove gli parve che della parola primitiva si vedesse ancora la. lettera o completò novercae e al r. 7 lesse, in principio, la pa- rola Crispi supponendo giustamente che, come il nome di Fausta, così fosse fatto sparire il nome del primogenito di Costantino, dopo la fosca tragedia del 326. Completò poi la lacuna alla fine del r. 9 con la parola Caesarum e lesse al r. 10: res p(ublica) Surrentinor(um). Il Mommsen, colpito naturalmente dal titolo di noverca dato a Fausta, non soltanto rispetto a Crispo, ma anche rispetto a Costantino II e a Costanzo II, i quali fino allora. erano ritenuti concordemente figli legittimi della moglie di Co- stantino, fu condotto a ripensare al passo di Zosimo, fino. al- lora trascurato, e a trovare nella iscrizione una conferma dì questo. E per spiegare la condizione giuridica di Fausta rispetto al figli di Costantino generati da un’altra donna, rievocò il pre- cedente di Valeria, moglie dell’imperatore Galerio, la quale, priva di prole, adottò Candidiano procreato al marito da un’altra donna. Fin qui il Mommsen. Però dei passi degli scrittori, che parlavano della prole di Costantino uno almeno pareva non po- tesse venir trascurato tanto facilmente: il passo di Giuliano, il quale, nel panegirico primo di Costanzo accenna a chiari ter- mini alla madre dell’imperatore (1) e, dopo averla paragonata a Parisatide che fu figlia, sorella, madre, moglie di re, dice che il caso della madre di Costanzo fu anche più singolare, perchè* smentre la condizione di quella fu facilitata dal fatto che i Per- siani potevano sposare le loro sorelle, questa, pur seguendo le pure costumanze romane, potè essere anch'essa figlia, sorella, moglie di imperatori e madre non di uno solo, ma di parecchi. “ Dei quali — aggiunge Giuliano — uno aiutò il padre nella guerra contro i tiranni; l’altro, dopo aver combattuto con le armi contro i Geti, ottenne la pace; il terzo rese inaccessibile il proprio territorio ai nemici, combattendo egli stesso più volte contro di loro finchè questi, poco tempo dopo, si rivoltarono (1) Opera ed. HerrLern, oratio, I, 9 B-C. I FIGLI DELLA IMPERATRICE FAUSTA 1245 contro di lui, facendogli pagare il fio delle sue imprese ,. Quali si siano i figli di Costantino, ai quali si accenna con queste parole, appare evidente e inconfutabile che la “ figlia, moglie, sorella, madre... di imperatori non possa essere che Fausta, figlia di Massimiano, moglie di Costantino, sorella di Massenzio; madre di Costantino II, Costanzo e Costante ,. E si osservi che chi scrive è un membro della famiglia imperiale: pareva molto strano che egli avesse potuto far confusioni in fatti, che dove- vano, al contrario, essergli notissimi. Dopo la pubblicazione dell'iscrizione sorrentina lo Schiller esaminava la questione in una breve nota (1) e, dopo aver ri- cordato tanto il passo di Zosimo che l'iscrizione, concludeva: “ La notizia di Zosimo è però isolata e l'integrazione del Mommsen non è tanto sicura che si possa, in base a quella, risolvere la questione. Singolare è però che Fausta sia rimasta quasi per 8 anni senza figli, se fu il suo primo figlio Costantino II che è nato nel 315/6. Poco dopo la vittoria su Massenzio un panegi- rista (IX, 26) dice: £t# adhue speretur futura numerosior. poste- ritas, Giuliano all'incontro cita Fausta come la vera madre ,. Le riserve dello Schiller sono più che giustificate: priva di fon- damento è invece l'osservazione circa il lungo tempo trascorso tra il matrimonio di Costantino e la nascita del suo primo figlio: non si potrebbero citare a diecine gli esempi di figli nati dopo 8 e magari dopo 10 o 12 anni dalla celebrazione delle nozze? La questione fu esaminata poi ex professo da E. Ferrero nella nota già citata sulle Mogli e figli di Costantino. Il Ferrero cita il passo di Zosimo e quello di Giuliano e si trattiene poi sull’iserizione pubblicata dal Mommsen. Accetta pienamente le conclusioni di quest’ultimo e osserva come veramente la con- dizione giuridica dei figli di Costantino dovesse essere quella di “ spurii , essendo nati da un concubinato, durante il matri- monio del padre. Ma — opina il Ferrero — la condizione di essi — almeno abusivamente — sarà stata quella di “ liberi naturales , nonostante la legge di Costantino del 326, nella quale si proibiva di tenere una concubina durante il matri- monio (2). Il Ferrero spiega poiil passo di Giuliano con questa (1) Geschichte der rim. Kaiserzeit, II, p. 234, n. 5. (2) Cod. Theod., 6, 2. 1246 ALBERTO OLIVETTI ipotesi, che, ufficialmente, Fausta sia stata considerata madre di tutti i figli di Costantino e che Giuliano, serivendo ‘il pane- girico di Costanzo, abbia dovuto seguire il linguaggio ufficiale e non abbia potuto preoccuparsi della nascita illegittima dei suoi imperiali cugini. Pure emanazione del linguaggio ufficiale sarebbero per il Ferrero le iscrizioni pubblicate nel C. I. L. II 4742, 4844, 6209 III 3705, 13392 II 5207, 5208 e altre, nelle quali Costanzo e i fratelli appaiono designati quali nipoti di Massimiano: il che è quanto dire figli di Fausta. E qui vien fatto al Ferrero di domandarsi come mai nella iscrizione sor- rentina, che pure è di carattere ufficiale, Fausta sia detta no- verca Caesarum anzichè genetrix Caesarum. Il Ferrero suppone che l'iscrizione, la quale, essendo posteriore alla elevazione di Costanzo a Cesare e anteriore alla morte di Crispo, si può ra- gionevolmente datare tra il novembre 323 e la metà del 326, sia stata dedicata all’imperatrice prima che essa avesse uffi- cialmente adottati i figli di Costantino. Questo spiegherebbe come per Crispo non ricorra mai la qualifica di nipote di Mas- simiano. E osservando come questo titolo, per i figli di ('o- stantino ancora Cesari, non ricorra che due sole volte (1) sup- pone che esso sia stato interrotto depo la morte di Fausta e non sia stato ripreso che quando i figli divennero Augusti. Una nuova ipotesi sulla discendenza di Costantino, esposta dal Seeck in uno studio intitolato Zu den Festmiinzen Constan- tins und seiner Familie (2), fu poi da lui ripetuta e riconfer- mata in tutti gli articoli della “ Real Ene. , che riguardano la famiglia di Costantino e, più recentemente, nel quarto vo- lume della sua Geschichte des Untergangs der antiken Welt (3). Il Seeck, osservando che Costanzo, nato il 7 agosto 8317 (4), (1) C. I. L., IV, 5207, 5208. (2) “ Zeitschrift fin Numismatik ,, XXI (1898), p. 17-65. (3) Appendice, pag. 377. (4) Il giorno e il mese di tale data si desumono dai fasti di Filocalo (C. I. L., I, 1°, p. 268 — VII ID. AVG. N. CONSTANTII). L'anno si ricava dai dati di Ammiano Marcellino (XXI 15, 3) e di Eutropio (X 15, 2). — In queste autorevoli fonti si legge infatti che Costanzo morì a 44 anni com- piuti. Siccome la morte di Costanzo avvenne il 83 novembre 861 siamo ri- condotti precisamente al 317. I FIGLI DELLA IMPERATRICE FAUSTA 1247 non poteva esser stato generato dalla stessa donna, che aveva dato alla luce Costantino II, del quale l’epitome de Caesaribus e Zosimo ci dicono che fosse nato “ pochi giorni , prima della sua elevazione a Cesare avvenuta il 1° marzo 317, giunge a questa conclusione: Costantino II è figlio illegittimo di Costan- tino il grande ed è nato probabilmente da una donna che l’im- peratore conobbe ad Arelate nel 316: Costanzo invece è il primo legittimo di Fausta. Quanto all'iscrizione di Sorrento egli così la spiega: Fausta, come matrigna di Crispo e di Costantino II, fu per sette anni designata quale moverca Caesarum: non vi è nulla di strano che ricorra per lei tale appellativo pochi giorni dopo l’assunzione a Cesare del suo primo figlio legittimo “in una remota città della Campania ,. Nel passo di Giuliano il Seeck non trova che la conferma della nascita di Costanzo da Fausta, dimenticando che Giuliano accenna, con ogni proba- bilità, anche a Crispo e lo pone tra i figli di Fausta: quindi la sua testimonianza, nonostante la sua stretta parentela con la famiglia imperiale, non ci può servire a sostenere nè la legit- timità, nè la illegittimità della nascita di Costanzo da Fausta. Il Seeck cita inoltre le fonti nelle quali Costanzo appare come “ nipote di Massimiano , cioè le epigrafi già ricordate e tre passi di Atanasio (1). Alle osservazioni contenute nell’articolo del Seeck rispose nuovamente il Ferrero (2). Egli osserva che non si possono prendere alla lettera i “ pochi giorni, che Zosimo e l’epitome de Caesaribus dicono essere trascorsi tra la nascita di Costan- tino II e la sua elezione a Cesare e che perciò scompare la impossibilità che una stessa donna abbia generato Costantino II e Costanzo. Del resto il Seeck, per non cadere in una difficoltà — diciamo così — fisiologica, incappa in un’altra difficoltà fisio- logica ancora più grave, perchè, supponendo Costantino II nato da una donna di Arelate nel febbraio 317 lo deve supporre concepito, al più tardi, nel giugno o nel luglio 317, mentre noi sappiamo che Costantino non si trovò ad Arelate che nel- (1) De synodis 18. — Historia Arian. ad Monachos 44-64. (2) Ancora dei figli di Costantino, negli “ Atti dell’Accad. Reale delle Scienze di Torino ,, XXXIV (1898-9), p. 131 segg. 1248 ALBERTO OLIVETTI l'agosto 316. Quanto alla famosa iscrizione, il Ferrero trova strano che si chiami “ remota città , un municipio della Cam- pania quale era Sorrento, posto a poca distanza da Roma, che era ancora, almeno ufficialmente, la capitale dell'impero. Con- clude riaffermando la sua opinione: che gli ultimi tre figli di Costantino, e probabilmente anche le figlie, siano nati da una stessa donna, concubina dell’imperatore. Come si vede, dopo questi ultimi studi, la verata quaestio della intiera e piena legittimità di Costantino II, di Costanzo e di Costante è lungi dall’esser risolta. Scartiamo intanto l'ipotesi del Seeck. È una teoria, che vorrebbe essere conciliativa ed è invece priva di ogni fonda- mento. Le fonti, che, secondo il Seeck, provano la nascita di Costanzo da Fausta, attestano non meno chiaramente la com- pleta legittimità di Costantino Il. Abbiamo già osservato come dal passo di Giuliano non si possa ricavare alcuna esatta infor- mazione nè in un senso, nè nell'altro e non sappiamo neppure ora risolvere la questione, già prospettata dal Tillemont, sul- l'incongruenza che Giuliano commette assegnando, come figlio, a Fausta anche Crispo nato notoriamente da una concubina (1). Ma, in ogni modo, il panegirista non fa alcuna differenza tra Costantino II e Costanzo II: quindi, dato e non concesso che le parole di Giuliano abbiano un qualche valore, non si potrà accettare metà della sua testimonianza e respingere l’altra metà. Lo stesso si dica delle iscrizioni: il titolo di mepos Marimiani che il Seeck ammette solo per Costanzo, appare invece anche per Costantino II (2). Anche il mezzo escogitato dall’illustre storico tedesco per spiegare come mai Faùsta venga detta no- verca anche di Costanzo è piuttosto puerile e le osservazioni del Ferrero, a questo riguardo, sono più che ragionevoli. Ed è strano che il Seeck, ritornando sullo stesso argomento a di- (1) A Crispo allude chiaramente Giurrano Or. I 90, con queste parole: Ov (cioè: dei figli di Fausta) dé wé»w ris t® zmargì cvyratergydoaro tòv mods toùs tugdvvovs adbhemor, (2) C. I. L., III, 5207: D. N. FI. CI. Constantino | Nobilissimo Caes | Filio D. N. Constan | tini marimi victori | osissimi semper Aug | Nepoti M. Aureli Ma | rimiani etc. I FIGLI DELLA IMPERATRICE FAUSTA 1249 stanza di 13 anni (1) mostri di non conoscere e, perciò, non si curi di ribattere le obiezioni mossegli dal Ferrero. Resta dunque l’altra ipotesi, più radicale, del Mommsen e del Ferrero. Osserviamo intanto come neppure il Ferrero abbia risolta in modo soddisfacente la difficoltà che ci presenta il passo di Giuliano. Egli opina che anche Crispo sia stato adot- tato da Fausta e possa perciò esser stato designato, nel lin- guaggio ufficiale, come figlio legittimo di questa imperatrice. Ma siccome nella iscrizione sorrentina Fausta appare certa- mente indicata come noverca di Crispo e siccome nelle iscrizioni di questo principe non compare mai il titolo di Nepos Mazi- miani dovremmo ammettere una adozione avvenuta nell'ultimo anno della vita di Crispo, cosa che ci apparisce quanto mai strana e inverosimile. E del resto ci potremmo domandare se, a priori, non ci sembrerebbe strano che l'adozione da parte di Fausta degli altri figli di Costantino, fosse avvenuta solo dopo il 324, come vorrebbe il Ferrero. Dato e non concesso che a tale formalità giuridica si fosse creduto opportuno di ricor- rere, per salvare le apparenze, perchè si sarebbe atteso tanto tempo ? Ma esaminiamo meglio ora i due argomenti veramente positivi posti avanti dal Mommsen e dal Ferrero: il passo di Zosimo e l’iserizione sorrentina. Quanto al passo di Zosimo, il Mendelssohn suppone, nella sua eccellente edizione, pag. 97, che della frase incriminata: “ éréydyoav dè oòror [odx] darò Davotns tijs toò ‘Eou. Ma$iu. dvyaroòs |aRX 8g dilns] î) uorgeias énayayov uéuyw aréxievev, siano state interpolate le parole poste tra parentesi e che quindi anche da Zosimo venga confermata la genealogia tradizionale. Ma anche senza di ciò è chiaro che quel passo, da solo, non ha autorità suffi- ciente per sealzare la opinione tradizionale. Rimane la iscrizione. Mi preme di far notare che il Mommsen lasciò lacunoso il principio del r. 6, subito dopo la parola no- vercae. Ora esaminando attentamente questo punto dell’iscrizione credo di essere nel vero, affermando che questo spazio si può (1) L'articolo citato fu pubblicato nel 1898: il IV volume della “ Ge- schichte , è del 1911. 1250 ALBERTO OLIVETTI completare con le parole et matri. Le traccie dell’E e del T al principio del rigo sono evidenti e, sia pure con qualche diffi- coltà, si riconoscono anche le quattro gambe della M. Il sup- plemento che propongo, risponde pienamente anche alla logica, la quale non ammette che si possano su un documento ufficiale chiamare figliastri di Fausta quegli stessi personaggi che su altre iscrizioni vengono indicati come nipoti di Massimiano cioè come figli di Fausta. Non saprei vedere del resto in qual modo si possa più ragionevolmente completare la lacuna. Finchè, dunque, non mi siano state portate forti ragioni contro questa mia congettura e non mi sia stato dimostrato che l’intiera iscrizione non si possa leggere nel modo seguente: PIISSIMAE AC VENERAVI LI D N FAVSTAE AVG VICTORIS AVG CONSTANTINI nOvercae ET Matri DDD NNN crispi CONSTANTINI CONSTANTI BAEA TISSIMORVM caesarum re SP. Surrentin0R io non mi persuaderò che l'iscrizione sorrentina sia argomento che basti per farci respingere la genealogia tradizionale. Ma non voglio tacere un altro argomento che mi pare assai efficace, contro la teoria del Mommsen e del Ferrero. Come già abbiamo ricordato, Costantino Il fu creato Cesare a pochi giorni di età insieme a Crispo, laddove Licinio, col- lega nell'impero a Costantino, non elesse contemporaneamente che un solo Cesare: il figlio Liciniano. Ora non si potrebbe spiegare questa nomina tanto affrettata di Costantino II col desiderio, molto comprensibile in Costantino, di dar subito una dignità al suo primo figlio legittimo? Si potrebbe obiettare che I FIGLI DELLA IMPERATRICE FAUSTA 1251 Costantino, avendo due figli, stimò opportuno di eleggerli tutti e due Cesari, senza tener conto della loro legittimità. Ma, quando vinse Licinio, egli aveva pure due figli non insigniti di tale titolo: eppure non elesse Cesare che il solo Costanzo. È Costante non sarà eletto Cesare, neppure dopo la morte di Crispo. Ciò significa, a parer mio, che la nomina di Costantino II ebbe un valore eccezionale. Possiamo quindi, dopo quanto siamo venuti fin qui espo- nendo, concludere, contro le teorie innovatrici del Mommsen, del Ferrero e del Seeck, che non esiste alcuna seria ragione per negare che Fausta fu la legittima madre non solo di Co- stanzo II, del quale più particolarmente ci occupiamo, ma anche di Costantino II e di Costante. L’Accademico Segretario. RopoLro RENIER. if agrale sbiogobmetiggoe attansirodiatn , 1 ironsitrante otti ba atricdia ST dr a nlttncicriziagi vengono indicati castancivabirà ie i «omne idige lari ito ossia citmp oqob sibaisp pere usantioli ugireinistizoniti a most ab osiario ryanbio ft atr uirierufittatito sdeiaso sian il nda ob di cd rid olo mart for tanigtiani ebnbtantaraita or addome: ann omnigunne atsstortalozizànatgi io lap por leggere nel-attodo siamienbiastao) 16/5 Il oniti . PUSSIMALR XFLUVENERAVI î i; TW N soivnivpali; osimabidob. ì! » ì scritti ott 1) MAAIM AVSTXE AVI ISTANTINI XE RALA MORTA cnesutrutti plicato si ebo L'racngone-S0r 00 LA. ningero da generiogia. tradi wrò i rRitro sarammento be iù LOonrna sal BI 1 \Inaet DIA rt cardat LOSE SoLno 181 fu cova è insiame. n Arispo, laddove Li ‘trio, Na sikimpero n Costantinea; non nj0498 SOUemn o ché on solo thosige: 1 fielio Liciniano, "Ora (non ta spicgitro Qquasti nomina tazto affrettata (di petaziti molto im pirans bile jb Costantino, di darf AH ) «oo premo figlia, legittimo? Sì pesrppon cli \ tap di 1253 INDICE DEL VOLUME XLIX ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 31 Dicembre 1913 . ° 7 . Pag, mn Pubblicazioni periodiche ricevute dall'Accademia dal 1° Gennaio al 31 Dicembre 1913 x o ; , ; i È : al XXV ADUNANZE. Sunti degli Atti verbali delle Adunanze a Classi Unite . Pag. 315, 370, 1210. Sunti degli Atti verbali delle adunanze della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali . 81, 177, 267, 382, 399, 453. 575, 623, 699, 755, 898, | 957, 1081, "ail 1125. Sunti degli Atti verbali delle adunanze della Classe di scienze morali, storiche e filologiche . . » 55, 172, 263, 304, 375, 452, 508, 599, 640, 727, 803, 879, 1016, 1212. ELEZIONI: Elezione del Socio Tesoriere . 3 f , 315 — del rappresentante l'Accademia nel Consiglio amministrativo del Consorzio Universitario . : 4 ; i s 1212 Elezioni a cariche accademiche di Soci della notò di scienze fisiche, matematiche e naturali: -— del Segretario di Classe . } i : 7 A È ° 3 — del Direttore di Classe nl AR: — di un Socio nella Commissione per la biblioteca . 1 s 454 Atti della R. Accademia — Vol. XLIX. 83 1254 INDICE DEL VOLUME XLIX Elezioni a cariche accademiche di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche: — di due Soci a delegati nel Consiglio di Amministrazione del- l'Accademia . ; : ; % i : i i . Pag. 472 ONoRANZE A : Guccia (Gio. Batta) . è : i : : : Ò : s 1081 Sobrero (Ascanio) . : ì È : é x | P s 1210 Premio Bressa : Relazione della 2* Giunta per il XVIII premio (1909-1912). » 817 Conferimento del premio ì È » 970 Nomina della 1% Giunta per il XIX premio NOTA 1914) : » 371 PREMIO DI FONDAZIONE GAUTIERI: Relazione della Commissione dei premi Gautieri, triennio 1910-1912 (Storia) ; . ; - $ . $ 5 » SI Conferimento del premio 6 * n SIE Avviso pel premio del triennio 1911- 1913 (Letteratura) bi o ORI Nomina della Commissione dei premi Gautieri, triennio 1911- 15 RE RE I PreMIO DI FONDAZIONE POLLINI: Rinnovazione del bando. ; i , 4 î : , » 265 Schiarimenti sulle disposizioni del Concorso ‘ è ‘ > 06 Arsenca (Giuseppe) — Su di alcune teorie approssimate della lastra piana . ; ‘ i a * 1 ; y . i »s 150 — La cerchiatura delle condotte forzate . P . , Y so 888 AusertariIo (Emilio). — Nuove osservazioni sulla trasmissibilità del “iudicium operarum , dell'erede estraneo ; ; i » 728 ALuievo (Giuseppe). — V. Boserni (P.). Baupr pr Vesme (Alessandro). — Baldassare Mathieu, pittore di Anversa (Con una tavola) . 4 ‘ > 5 1 b s 1018 Bompiani (E.) — Sistemi di equazioni simultanee alle derivate par- ziali a caratteristica . 9 ; ‘ : 1 : 10isoi (BE BoserLi (P.). — Commemora il defunto Socio Giuseppe Allievo . i Borrasso (Matteo). — Sulla determinazione del tasso di una rendita temporanea, variabile e continua ; : : è Ù » 268 — Sopra alcune estensioni dei teoremi di Guldino . ‘ 4 s 576 INDICE DEL VOLUME XLIX 1255 BuraeeI (Gian Carlo) — I Giureconsulti dell’Università di Torino nel Quattrocento. — I. - Signorino Omodei . s . Pag. 57 — I Giureconsulti dell’Università di Torino nel Quattrocento. — II. — Giacomino da San Giorgio i î : È 7 a «AO Camerano (Lorenzo). — Osservazioni intorno al lacrimale e al na- sale bipartiti nel Camoscio ; | , : : : » 700 — Alberto Giinther — Commemorazione . ) ; ; i; n° 825 — Osservazioni intorno alla mucosa palatina del Camoscio delle Alpi (Con una tavola). ; 3 i i ; - È 2 1118 Casare (Luigi) e Casare-Saccni (Maria). — Su alcuni aminoazocom- posti . ) È : i ; N ; , | È s 1199 Caarrier (Gaetano) e Casate (Luigi). — Sugli ortoossiazocomposti derivanti dall’a-naftol . 2 . e ] 4 , , STI Caerusino (Salvatore). — Sulle curve iperellittiche con trasforma- zioni birazionali singolari in sè e sui loro moduli algebrici n 705 Canaria (Leopoldo). — Contributo allo studio delle anomalie dei Lumbricidi . e ; : s : , : È o 1° 195 Ciporra (C.). — La resistenza dei Bresciani contro Enrico VII giudi- cata a Firenze . ì ; ° i l 4 È : 51 SI — Sulle tradizioni anti-bonifaciane rispetto a Guido da Montefeltro e alla guerra dei Colonna .: . : î } ) Ì n 805 — La data della morte di Dante secondo Ferreto dei Ferreti . » 1214 CoLoma (Luigi). — Speziaite, nuovo anfibolo di Traversella n 625 CoLonneTtI (Gustavo) — L’estensimetro di Cambridge ì } » 185 Correse (Adele). — Le origini di Taranto . 1 ì 3"1037 Cosranzi (Vincenzo). — Zeds “Agos e il nome ato } "= 908 DesenepETTI (Santorre) — Due ballate del £ Sollazzo , di Simone Prudenzani . ì È } } È - È : È MATA 5 DeLerosso (Mario). — Sopra alcuni carbonati di Traversella . s 1106 De Sancris (G.) e Rurrini (F.). — Relazione della Commissione dei Premi Gaurieri, triennio 1910-1912 (Storia) 4 : i ai SR — Note di epigrafia ellenistica . 4 : A : 7 ì s 680 — Contributi alla storia dell'Impero Seleucideo 5 ì 7 » 1220 DezanI (S.). — Ricerche sulla tossicità del succo spremuto da semi germinanti . . 1 È ‘ + CIDI . jb è; * dla D'Ovipio (E.). — Eletto alla carica triennale di Direttore della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali . 7 sn 454 — Nominato rappresentante dell’Accademia nel Consiglio ammini- strativo del Consorzio Universitario . s : > 4 s 1211 1256 INDICE DEL VOLUME XLIX Erwxaupi (Luigi) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. CarLo Contessa, intitolata: Aspirazioni commerciali intrecciate ad al- leanze politiche della Casa di Savoia coll’Inghilterra nei secoli AVITe EVIDN : 3 ; 5 : a . Pag. 399, 173 — Relazione sulla Memoria del Prof. Giuserre Prato, Un capitolo della vita di Giovanni Law . s ì < ‘ 5 » 952 — Eletto alla carica di Tesoriere ‘ ; i : ; ; 315 — Esposizione finanziaria del passato esercizio 1913, bilancio pre- ventivo per l’anno 1914 e gestione dei lasciti Bressa, Gau- tieri e Vallauri . : : i P . : , ; s 1211 Favaro (Giuseppe A.). — Istrumento dei passaggi Heyde del Gabi- netto di Geodesia della R. Università, con prefazione del Socio professore N. Jadanza . È K ; , b ° ‘ » 1162 FerraBINO (Aldo). — Ancora Cirene mitica . : } : F s 1063 Ferreri (Giulio). — Su alcuni eteri di naftilen-n-ossifeniltriazoli —, 497 Frorini (Vittorio). — Gli è conferito il premio Bressa (1909-1912) , 370 — Ringrazia pel premio conferitogli . : 9 : i F s 452 Foà (Carlo). — Nuove ricerche sulla funzione della ghiandola pineale , 859 Foà (Pio). — Relazione sulla Memoria del Prof. Dr. Ferruccio Van- zerti: Meningo-encefalite sifilitica sperimentale k via ATA — Relazione sulla Memoria del Dott. Mario SapeGno, Contributo al- l’istologia normale e patologica del fegato . i; i ; s 1013 Fraccaro (Plinio). — La procedura del voto nei comizi tributi romani . . : 1 A A ‘ 7 È : ; s 600 Fusini (Guido). — Definizione proiettivo-differenziale di una su- perficie " ì ‘ : , \ x i " ; n 786 Fusari (Romeo). — Relazione sulla Memoria del D" ALronso Bovero, Sulla fine struttura e sulle connessioni del ganglio vestibolare del nervo acustico ; È : : J a ì à ; »1261 GasraLpi (Enrico). — Cenni sopra alcuni minerali e roccie della Cina. . ; i y ; : ‘ s , h , »s 415 Gora (Giuseppe). — Epatiche del Kashmir raccolte dalla Spedizione Piacenza (con una tavola) . ‘ F . : . î si 757 GuarescÒi (Icilio) — Ricerca dei bromuri in presenza dei solfocia- nati e dei ferrocianuri; azione dell'acido cromico sul bromuro di cianogeno; Nota VI : ; È . i ‘ É «(14 — Sulla ricerca dei gas e dei vapori bromurati; Nota VIl . s 401 — Ricerche sull'acqua di cristallizzazione. Composti con 2H*0; Nota I . i 1 i i ‘ x x ‘ ‘ i s 455 INDICE DEL VOLUME XLIX 1257 Guarescni (Icilio. — Nuove ricerche sui bromuri metallici — Nota VIII . : ; i A 3 E i i . Pag. 834 — Cenni storici sulla scoperta della sensibilità dei sali d’argento alla luce : : d , : : ; ; ; : s 1083 Japanza (Nicodemo) — Relazione sulla Memoria del Dr. G. A. Favaro : Declinazioni di 121 stelle di riferimento per il Catalogo Astrofo- tografico di Catania (Zona da + 46° a + 48°) osservate al Cerchio meridiano Reichenbach di Torino . è 3 - 2 .L0a + — V. Favaro (G. A.). Laura (Ernesto) — Sopra le deformazioni per distorsione dei solidi elastici, isotropi di rivoluzione 82 Levi (Attilio. — Etimologie piemontesi . : 3 - : s 592 Manacorpa (Giuseppe). — Un testo di grammatica latino-veneta del secolo XIII . a s ; ; - : ; È : s 689 ‘ MarriroLo (Oreste). — Comunica lo scambio attuatosi coll’Università di Sassari dei materiali dell’erbario Re, Flora Segusina e Flora Torinese, coi doppi della Flora Sardoa del Moris . pid e — Relazione sulla Memoria presentata dal Professore AcnirLe Ter- | racciano dal titolo: La * Flora Sardoa , di Michele Antonio Plazza redatta sui suoi manoscritti . P È > . ta Ai — Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. Giuseppe Gora dal titolo: Epatiche della Regione del Kenia (Africa orientale) . ,» 873 — Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. Enrico Mussa dal titolo: La Flora dell’ Agro Torinese dopo i lavori di J. B. Balbis e di G. F. Ree considerazioni sull’indigenato di talune specie , 875 Mero (Clemente). — Note di fonetica italiana meridionale » 881 Naccari (A.), — Relazione della seconda Giunta per il XVIII premio BRESSA . 3 ; È ; È : : 3 ) i CRI ST7 Neeri (Giovanni). — Le unità ecologiche fondamentali in Fitogeo- grafia: Nota I° e II° . : a ; : a : 1089, 1174 Neri (Ferdinando). — La canzone di quattro rime 3 Sea OLrverti (A.). — I figli dell'imperatrice Fausta . a È É a 1242 Parona (C. F.). — Edoardo Suess. — Cenni commemorativi . s 959 PassamontI (Eugenio). — Un memoriale inedito di Prospero Balbo nel dicembre del 1799. i 3 ? : È x i Pei ivi Peano (G.) — Relazione sulla Memoria del Dr. Vincenzo Maco: i Teoria degli ordini 1258 INDICE DEL VOLUME XLIX Pensa (Angelo). — Sulla risoluzione di equazioni vettoriali ed omo- grafiche - ; ni ; - ‘ î : . Pag. 987 — Alcune applicazioni delle formole di Frenet . ; È È » 1135 | Perucca (Eligio). — Il potere rotatorio dei cristalli misti NaC103- AgCio; . ì a i ; 4 A s : È : » 1127 Porri (Cino) — Sulla dimostrazione dell’integrabilità delle funzioni continue : i : : ‘ î PATO è | a 132 — Sugli integrali estesi al contorno di un campo qualunque . » 248 Pozzi (Emilio). — Studi sulla guerra civile Sillana . é È s 641 Recé (Rosina) — Ricerche anatomiche sui tessuti corticali del rizoma di alcune Iris Ò s s ! x ; È { ; n" SI Ricci (Carlo Luigi) — Dell’attrito nei freni e nei perni (con figure nel testo); Nota I* e II° . 5 ‘ 1 è , . 762, 967 | Rosragni (Augusto). — La vita e l’opera di Pitagora secondo Timeo , 376 — Le vicende della scuola pitagorica secondo Timeo : : »s 554 Rvrrini (Francesco) e De Saneris (Gaetano). — Relazione della Com- missione dei premi Gautieri, triennio 1910-1912 (Storia). » 9827 | Sarvapori (T.) — Philip Lutley Sclater (Commemorazione) ; s 164 | — Intorno ad un lavoro del Principe Carlo Luciano Bonaparte » 447 Scater (Filippo). — V. SaLvapori (T.). | Segre (Corrado). — Rieletto per un secondo triennio alla carica di Segretario . ì A ‘ i i 3 ‘ A : by 3 i — Sulle congruenze rettilinee W, di cui una od ambe le falde focali sono rigate 3 : \ i : i b ‘ » 1291 SrLva (Pietro). — Gli è conferita una metà del premio Gautieriì, triennio 1910-1912 (Storia) . i 7 ‘ b : ; 2 SA — Ringrazia pel premio conferitogli . : 4 i . . 5399, 452 Somrgciana (C.) — Enrico Poincaré (Commemorazione) P : sio Bi — Relazione sulla Memoria del Dott. Gusravo Sannia: Caratteristiche multiple delle equazioni lineari alle derivate parziali in due variabili A ‘ . ì ‘ : ‘ ‘ ì ” » 685 — Relazione sulla Memoria del Dott. Ernesro Laura: Sul problema esterno della Dinamica dei mezzi elastici isotropi ì 6 » 879 Svess (Edoardo). — V. Parona (C. F.). | Tamassia (Nino). — Gli è conferita una metà del premio Gautieriì, triennio 1910-1912 (Storia) . : ; ; À # i a GS — Ringrazia pel premio conferitogli . 4 E . j . 399, 452 i Terracini ‘Alessandro). — Alcune questioni sugli spazi tangenti e osculatori ad nna varietà; Nota 1. . 6 5 : » 215 i INDICE DEL VOLUME XLIX 1259 TowneLLi (Leonida) — Sul valore di un certo ragionamento ge SÉ ToreLLi (Ruggiero). — Un criterio d'equivalenza per le curve di una superficie algebrica . s 845 VerceLLi (Francesco). — Sul gradiente termico alla superficie dei pianeti e sulla loro temperatura interna . s 342 Voaciano (Achille). — Una iscrizione greco latina . j \ Si L027 Zusuena (Silvio). — Dosamento rapido dello zinco nei suoi minerali (Applicazione diretta del metodo Frary all’analisi dei minerali) , 177 i i OI VLATTNAI 4 viti \ uk rie carità Ali Rigi pio ut Lori L) i di sigaroigin nft99 am ib oi0lhv, lu — i nà; ; I 1 vVIUA sf 104 Axa ‘avinpo alle a 2° x Keo s »i ( è wi : ftatbrio Ge n o sh sinftisgue alla onlantaò stinsibara J04 —; i È * Nd ? pnvusdiri Vompnito pi i Ù +e Ii LAI i A È ve0] | sugli GoTty pra pati i » Hatagtut loua ian dia olleb — obla cieca DO i i Mo, TAD i ATL Lagoa ink indi perdi (fa vaga che de RI Rist en sat #1 LI tI] è # n ma : . \ | ul fiogenzi sarticalòi dee Py i to ont freak al ì È : I Vieagioza si A 4 i } Lai Melanione delli } tara À DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE PI EOER FINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vot. XLIX, Disp. f*, 1913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Ara Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in où imile — per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. ol Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. Ù a vole in fotocollografia. Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di To: i riprodotto in fac-simile per cura di C. | Cipolla, G. De Sanc e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol, in-4°, di. 11 e _ 96 tav. e NE , so stai Rev y ni vr rire Tie? det E RA AIAR IA de 39% 1 RCA PSAATAATASATAASASTACACAACSSANCA SSA. DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO nell'anno 1913-914 divise per Classi Classe di Scienze Classe di Scienze fisiche, matematiche | morali, storiche e naturali e filologiche 1913 - 16 Novembre | 1913 - 23 Novembre » -.80 » » - 7 Dicembre » — 14 Dicembre » - 21 » » - 28 » 1914 - 4 Gennaio. 1914 - 11 Gennaio | » - 18 » » - 25 è >» - 1 Febbraio » — 8 Febbraio VALAESN Lo » » - 22 » » - 1 Marzo » - .8 Marzo » - 15 » » - 29 » » - 29 » » - 5 Aprile » - 19 Aprile » - 26 » » - 8 Maggio ». - 10 Maggio » - 17 » » - 24 » ». - 81 » » - 14 Giugno » - 21 Giugno Tip. Vincenzo Bona - Torino (69277) vi SOMMARIO ELenco degli Accademici residenti, nazionali non residenti, stranieri Ra” e corrispondenti al 31 Dicembre 1918... . Pag. ur Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 16 Novembre 1913 . Pag. ToxeLLi (Leonida) — Sul valore di un certo ragionamento È > Guarescni (Icilio) — Ricerca dei bromuri in presenza dei solfocia- nati e dei ferrocianuri; azione dell'acido cromico sul bromuro di cianogeno; Nota VI Recé (Rosina) — Ricerche anatomiche sui laiatt CHET del riad di alcune Tris . : A Laura (Ernesto) — Sopra le ddtitaazioni a Elan dai solidi elastici, isotropi di rivoluzione i À ; : ag Somrgniana (C.) —. Enrico Poincaré Cedanirione) e ; vAss Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 23 Novembre 1913 . Pag. Bunagsi (Gian Carlo) — I Giureconsulti dell'Università di Torino nel Quattrocento. — 1. — Signorino Omodei . i 4 o, Desexeperti (Santorre) — Due ballate del “ Sollazzo , di Simone Prudenzani è : : x i E i ; ? | Tin. Vincenzo Bona — Torino sii pa 4 n % > VASI " 4 SLGIZRA > ‘ atri . gle + Lon Ve anta * SR ISU, Lo DI n da a - C vi TH E N EW Y GE La ACADEMY OC scirner ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX, Disp. 2*, f913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 à ce hori * È) è, ne ta Ly “è Tre, LA @# SMI RIA E IIRICAAO N f - pe dia tà asi ” L' un Pi % ni oe “ol. n fi ra VE è; di? Lila ò * bi i ») “4 PROT) f n Tor PUBBLICAZIONI FATTE SOTTO GLI AUSPICI DELL'ACCADEMIA: Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Arag ona. Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-sim le per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. " PA Si up go SUS SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natu Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 14 Dicembre 1918 ZunLenA (Silvio). — Dosamento rapido dello zinco nei suoi minerali LA | Applicazione diretta del metodo Fray all'analisi dei minerali] , Cnrvagcia (Leopoldo). — Contributo allo studio delle anomalie dei c Lumbricidi ; : ? : ” - 6 È 3 pe Terracini (Alessandro). — TS questioni sugli spazi tangenti ass osculatori ad una varietà; Nota I. . : È : s » Poni (Cino). — Sugli integrali estesi al contorno di un campo qua lunque . ; 3 ; } i SR 5 : Rei Fusari (R.). — Relazione sulla ua del D' ALronso Bovero, Sulla fine struttura e sulle connessioni del ganglio vestibolare del —_ — nervo acustico . ‘ - ; ; , : : si Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 21 Dicembre 1913 Premio di fondazione Porui . s È } î 7 È Tio. Vincenzo Bena — Torino x° pi. ag agi reti da . MI bo | A FITICA e Le 0 3 de Ut Dea PES» È . e eno. s si (ff » IP Agent ns e - ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE IL ESTERO RENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX. Disp. 4*, 1913-1914. | TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 a Ì x n T9 PRF " Ò Miro delta Lg ne, vl 2 Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'A Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-sir per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. ——— Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 1948 vole in fotocollografia. siate in fac-simile per cura di C, Cipolla, G. De Sancti sa | e P. Fedele. (E > Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4°, di 70 pi og. e 96 tav. SERE ei TEO I, I 3 6) pù ;° } peo BRE RS dra d; CERO, Lt cet te) LEA RR, az pcet, +e dp 4; a i e 3 Ù SOMMARIO sa Classe di Scienze Fisiche, Mate igliohà e N sturali. 10 Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 28 Dicom bre 1913. Borrasso (Matteo). — Sulla determinazione del tasso di una bs. Ssaeigiizia variabile e continua . 5 È ‘ E falde focali sono rigate —. : ; ; Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 4 Gennaio 1914 . Neni (Ferdinando). — La canzone di quattro rime. } { CrroLca (C.).. — La resistenza dei Bresciani contro Enrico VII gica cata a Firenze . ; È ; È : 1 n ‘ î Tip, Vincenzo Bona — Torine * La PA ’ . n ” “a Pitt (ARIA eta COP AT A reca” Libreria FRATELLI BO Via Carlo Alberto 8° 1914 Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'A ug Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fae-s per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 186% vole in fotocollografia. Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Tori pi E riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanc e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4°%; di 70 1 e_96 tav. è; è LI ‘ ; Rei EA praga CIS ANNI 1) dot : ig a CS: SOMMARIO Classi unite. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza dell’11 Gennaio 1914 —. Naccari (A.) — Relazione della seconda Giunta per il XVIJI premio Bressa = De Saweris (G.) e anti (F). —_ LATONI della ZE dei” Premi Gavrieri, triennio 1910-1912 (Storia) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e -Naturali. i Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza dell’11 Gennaio 1914 . Pagi Aupenga (Giuseppe). — La cerchiatura delle condotte forzate . 5 È VerceLi (Francesco). — Sul gradiente termico alla superficie dei 3 pianeti e sulla loro temperatura interna . : 3 Classi Unite. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 18 Gennaio 1914 Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 18 Gennaio 1914 Rosragxi (Augusto). — La vita e l’opera di Pitagora secondo Timeo , Premi di fondazione Gaumrreri i Tip. Vincenzo Bona — Torlne PAT n | 4 * ue r è be) " 738 & 5 ; s CARS me BANZAI ai MEN 4 VI LS sia iii CD : THE NEW YORK ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX, Disp. 6?, 1913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto îl cardinale d'Aragona. — Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simile per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla, SE Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e 134 di vole in fotocollografia. Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Torino, riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1918, 1 vol. in-4°, di 70 pagg. n e 96 tav. i Pa LA ®. ba le ” Pa na . È y È ha p* $ É » di PRO Mld durpdote TÀ ” Po 4 cl hi CA di PI ai > e Ten e ATA st pacata 4 " % È ha i" « pà % AS i (n SOMMARIO » = »” Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. & Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 25 Gennaio 1914 Gvarescni (Icilio). — Sulla ricerca dei gas e dei vapori bromurati ; | Nota VII ; x È n : : ” : È n Gasrarpi (Enrico). — Cenni sopra alcuni minerali e roccie della” Cina — . È ; % È $ ? i ò k ‘ni Dezani (S.). — Ricerche sulla tossicità del succo spremuto da. semi” germinanti . : Ù ; È à È : EE, SarLvapori (T.). — Intorno ad un lavoro del Principe Carlo Luciano Bonaparte . ; ; ? ‘ É i » ì ’ Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. — “NI DE “TA Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 1° Febbraio 1914. Pag, Tip. Vincenzo Bena — Torino 4 ‘i "a o” A; , o» fi à Vi red - «dI nr a ie e ET # de ACA 4 H ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX, Disp. 7, 1913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 iii eno È 20° RATIO e) 3 [o i; se 1 Br Li - N bag; e 4 a vw - ito ire e > "E PEAS + ha è FR Lal Lera a | A » - e sta È; a, de £ Er, > Bia SE Sire = PIRRO PAR » a "6 SPUR De N gie ea Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Arag Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in Se per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. — Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 82 PP: e 1344 vole in fotocollografia. s te Sa ey 3 n no, Il codice evangelico X della Biblioteca Universitaria nazionale di Tori ” riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanct: e P. Fedele. dt Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-49, e 96 tav. «a bra a x x " e” bile 1 IATA i si ur" A st ed ro té ) È See È CA AT Mii dr } i ita TUR DI, SA CE F dx A ads 14 SOMMARIO to Ar 3 i LI SLA 1 Seal Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. — Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza dell’8 Febbraio 1914 Guarescai (Icilio). — Ricerche sull'acqua di RRIATORESNINO) Com- 3A posti con 2H°0; Nota I bt al Cuarrier (G.) e Casare (L.). — Sugli RR 1 derivanti ge dall’a-naftol . 3 ‘ : i . Ferreri (G.). — Su alcuni eteri di naftilen-n-dasifeniltzianoli Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 15 Febbraio 1914 . Pag. 50 Buragei (Gian Carlo). — I Giureconsulti dell’Università di Torino È. nel Quattrocento. — II. - Giacomino da San Giorgio 4 Levi (Attilio) — Etimologie piemontesi ; 3 È i " Rosragni (Augusto). — Le vicende della scuola. pitagorica secondo Timeo . ; ‘ ; : g i, > . ù È Tip. Vincente Bena — Toriìne ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DICO RIN O PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX., Disp. 8°, 1913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 di de A Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Aragoi Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac-simil per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. — S Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp. e poni vole in fotocollografia. Il codice evangelico % della Biblioteca Universitaria nazionale di Torin N riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De Sanctis e P. Fedele. Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. ind, di 70 ver e_96 tav. hi cdi 5 2a ; 3 sà SOMMARIO ss (4 E pipi h, ve DR Ma SOMMARIO Se ù Ln asl A Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Bf dl 4 SIE na ni Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 5 Aprile 1914 . © Pagi fata Gora (Giuseppe). — Epatiche del Kashmir raccolte dalla Spedizione — 3 Piacenza 460 una tavola) di MA e nel testo . ra TS ‘ x N - P È o Fusini (Guido). — Definizione proiettivo-differenziale di una n Baer perfigie? alt LI ARSA I Ra TOTI a Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 19 Aprile 1914. Ciporra (Carlo). — Sulle tradizioni anti-bonifaciane do a Guido Di da Montefeltro e alla guerra dei Colonna .. . A Tin Vincenne Bona — Torino » . è di Li ) . è 4 « ep FIR, V a A desti ale iI ADEMIA DELLE SCIENZE ODI STORINO: PUBBLICATI * DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI. iS Vox. XLIX, Disp. 12*, 1913-1914. I PORINO. > Libreria FRATELLI BOCCA | (\«./ | Via Carlo Alberto 8. don 1914 Mi TA PA SET se I PUBBLICAZIONI FATTE SOTTO GLI AUSPICI DELLACCA Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'A Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla, — Torino, Fratelli Bocca editori, 1906,1 vol. in-f° di 32 at: vole in fotocollografia. Il codice evangelico X della Biblioteca Universitaria nazionale di lo il riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. a Sane AI e P. Fedele. i Torino, Casa editrice G. Molfese, 1918, 1 Reso in-4°, di To k e 96 tav. si x sta Vs SOMMARIO fai Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nati ara Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 26 Aprile 19140 P o ; Camerano (Lorenzo). — Alberto Ginther — Commemorazione Gvarkseni (I). — Nuove ricerche sui bromuri metallici — Nota VII ToreLLi (Ruggiero). — Un criterio d’equivalenza per le curve di una superficie algebrica . i È a 5 n Foà (Carlo). — Nuove ricerche sulla PIATT della DER pineale Je MartrroLo (0.). — Relazione sulla Memoria presentata dal Dott. Giu- serre Gora dal titolo: Epatiche della Regione del Kenia (Africa Us orientale) > ; 21% 5 P a” 878 MartiroLo (0.). — Relazione soa Mamba presentata ‘dal Dott. Ea 26 rico Mussa dal titolo: La Flora dell'Agro Torinese dopo i ; esi lavori di J. B. Balbis e di G. F. Re e considerazioni ssull’in digenato di talune specie. : : sì SomrgLiana (C.). — Relazione sulla Memoria del Dott. Envesto Lavra: Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologic e. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 3 Maggio 1914. Mero (Clemente). — Note di fonetica italiana meridionale Ra Cosranzi (Vincenzo). — Zeòs “Agios e il nome “Aggodirn. — . Mi Passamonri (Eugenio). — Un memoriale inedito di Prospero Balbo nel dicembre del 1799 . : ; n PE Fixanpi (Luigi). — Relazione sulla Memoria del Prof. Giceaoa Prato, | Un capitolo della vita di Giovanni Law ; È : : Tip. Vincenzo Bons — Torìne pe d , DI E Gp E x LI n x ADEMIA DELLE SCIENZE a Ù », de _ ne À - IRRITORENO i PUBBLICATI - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI. — La n n PERSI S MORINÒ: Libreria FRATELLI BOOCA ; sa ; ” Da (Via Carlo Alberto 8 è Li PIO g° DI k: PER | sea) i ro x AI eo hc So 2 PIE DI fa a VA ‘ ’ : Rot die DT 5" È a, ,i |> ; i f è Egg Re >, 4A ù; Îl Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale dA De Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in. Sgr per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. | È Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 pp.e 1 A ; vole in fotocollografia. È Il codice evangelico X della Biblioteca Universitaria nazionale di pre riprodotto in fac-simile per cura di C. Cipolla, G. De i VE e P. Fedele. Mera SI Torino, Casa editrice G. Molfese, 1918, 1 vol. in-49, di 10 n pagg: va e 96 tav. I n —________T—ymTyTy__m_ tm SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Na arali Sunto dell'Atto Verbale dell’Adunanza del 10 Maggio 1914 Parona (C. F.) — Edoardo Suess. — Cenni commemorativi . Riccr (Carlo Luigi). — Dell’attrito nei freni e nei perni: Nota Il, Pensa (Angelo). — Sulla risoluzione di equazioni vettoriali ed omo- grafiche SIA ste Fusari (R.).. — Relazione sa TAREOR del Dott. Mario. Sarno, È Contributo all’istologia normale e patologica del fegato . hi Sunto dell'Atto Verbale dell'’Adunanza del 17 Maggio 1914 | Baupi pi Veswe (Alessandro). — Baldassare Mathieu, pittore di Anversa (Con usa ‘tavala) +‘; - 0 lat Re Vogsiano (Achille), — Una iscrizione greca arcaica . LL a Cortese (Adele). -- Le origini di Taranto... LL La Ferraino (Aldo). — Ancòra Cirene mitica E e DR Tip Vincenzo Bona - Torino DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI si Vor. XLIX, Disp. 14. 1913-1914. TORINO | Libreria FRATELLI BOCCA. Via Carlo Alberto 3 1914 dl si, 59 Îl Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il cardinale d'Arag e Codice della Biblioteca nazionale di Torino riprodotto in fac re per cura di C. Frati, A. Baudi di Vesme e C. Cipolla. .. fa, : Torino, Fratelli Bocca editori, 1906, 1 vol. in-f° di 32 PP. e vole in fotocollografia. e P. Fedele. 1 Torino, Casa editrice G. Molfese, 1913, 1 vol. in-4°, di 70 p a e 96 tav. ‘ - è INA Lr PIA (0a "RAPE DEI SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Na urs Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 24 Maggio 1914 GuarescH®i (Icilio). — Cenni storici sulla scoperta della sensibili hai sali i aa ago luce . grafia : Nota + me A : x È i Z DeLerosso (Mario). — Sopra Neg GETTA di Traversella THE NEMI vORK AC ADE i VI Y SCIENCE OE AT voi DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XLIX. Disp. 15*, 1913-1914. TORINO Libreria FRATELLI BOCCA Via Carlo Alberto 3 1914 PUBBLICAZIONI FATTE SOTTO GLI AUSPICI DELL Il Messale miniato del card. Nicolò Roselli detto il CORI rago Codice della Biblioteca nazionale di Torino PERO ns fac-si Torino, Fratelli lu editori, 1906, 1 vol. cere di 32 PP. vole in fotocollografia. Il codice evangelico 7 della Biblioteca Universitaria nazionale di riprodotto in fac-simile per cura di C. SRG G. pa: e P. cia e 96 tav. KE sg K 4 2 Ue SA Alith/ pr 4a” Ù Malte dea , î Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 14 Giugno 1914 Pervcca (E.). — Il potere rotatorio dei cristalli misti NaC1O, Ag0IO, — (con una tavola) . Pensa (Angelo). — Alcune Callana delle formole ‘i Fresatsé Favaro (G. A.) — L'Istrumento dei passaggi “ Heyde , del Gabi" =} netto di Geodesia della R. Università di Torino (con una | tavola) i ic Necri (Giovanni). — Le unita ecologiche toianinentali in Fitogeo- Ta grafia. — Nota II. .. : CA cal Casate (L.) e Casare-Saccni (Maria). — Su vai aminoazocompos Classi unite. Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 21 Giugno 1914. SARE i ‘3 bi, dl Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Sunto dell'Atto Verbale dell'Adunanza del 21 Giugno 1914 —. Pag. 12 a > St end CrroLca (Carlo). — La data della morte di Dante secondo Ferreto Mt, dei Ferreti j ; o LA De Saxeris (Gaetano). — Contributi nil dai dell'imperd stan ° si GA cidieo . a di: OLiverti (Alberto). — I figli della Pe AI IO Pag Nes. Die ; Indice del volume XLIX Sa Ti , f È Ri fo Vincenza Bum - Tomo è ; , RPVIORE toa © dd. AA ASSO, r% "ty JI IAN ,! | i ALICI IAU | i! LYe ì po il è Mu ‘dt aL REA (fi ANIA TO I) ti f CRE CERE, x pe SA tig tim sab DuLON