Coe Foca EDITA “ta SI RR me IT IE IA ire RA nt lt e Rep c RITA sa pe Sr OA z PI: a ne pia ; se #3 pa nu > x Tool Le 2 a cosina "i pi 7 pera er. PMLI PE = PAR 9 Gol, i Mae coi e AAT EITIOA n n «E Le ai a Dre TER i o n CI CEI I IEZZITA DIS I RI GE a esta IT Va o 14 DO AM È pia Giai i Neri RT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXIII. 1916 SErgoER @U:EIN 'T A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XXV. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1916 ces VA RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AAA Seduta del 2 gennaio 1916. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica vegetale. — Sulla formazione dei glucosidi per mezzo delle piante. Nota II del Socio G. CrAMICIAN e di C. RAVENNA. Colle esperienze descritte nelle nostre precedenti Memorie (?) abbiamo sempre studiato il contegno dei composti organici nelle piante adulte alle quali le sostanze venivano o inoculate allo stato solido nel fusto o fatte assorbire per la via delle radici. Con entrambi i sistemi abbiamo avuto, in alcuni casi, degli indizî; in altri si potè dare la prova che, facendo assorbire alle piante certe sostanze aromatiche, si formano, nell'interno delle piante stesse, i relativi glucosidi. Ci è sembrato ora interessante di studiare se un simile risultato si fosse ottenuto anche sui semi germinanti. A tal fine abbiamo prescelto i semi di mais, frumento, fagiuoli, lupino, veccia; le sostanze sperimentate furono : la saligenina, l'alcool benzilico, l’idrochinone, la pirocatechina, l’acido gallico ed il tannino. Queste ultime tre sostanze si dimostrarono tossiche, e non ci diedero perciò risultati degni di menzione. SALIGENINA. — Questa sostanza, che ci aveva dato colle piante adulte i migliori risultati, venne presa, per le esperienze sulle piantine germinanti, in speciale considerazione. Le prove vennero eseguite col lupino, la veccia, il (1) Memorie della R. Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, serie 68, tomo V, pag. 29 (1907-08); serie 62, tomo VI, pag. 109 (1908-09); serie 62, tomo VII, pag. 143 (1909-10); serie 62, tomo VIII, pag. 47 (1910-11); serie 62, tomo IX, pag. 71 (1911-12); serie 6%, tomo X, pag. 148 (1912-13); serie 72, tomo I. pag. 339 (1913-14). — Vedansi anche questi Rendiconti: XVIII, /, 419 (1909); XVIII, 2, 594 (1909); XX, 2, 392 (1911); XX, /, 614 (1911). ee mais ed i fagiuoli. La saligenina si dimostrò peraltro velenosa per il lupino e la veccia; soltanto le esperienze sulle altre due piante poterono avere buon esito. Esperienze sul mais. — Si pose a germinare alla luce, sopra carta da filtro bagnata con acqua, 1 kg. di semi di mais. L'esperienza venne iniziata il 26 aprile. Quando le piantine avevano raggiunto un certo sviluppo, cioè il 7 maggio. sì cominciò a bagnare sistematicamente la carta con soluzione di saligenina all’1 per mille sino al 80 maggio, giorno in cui, a germina- zione quasi ultimata, le piantine vennero prelevate. La quantità di soluzione fornita complessivamente fu di 5 litri, vale a dire 5 gr. di saligenina. Il peso complessivo delle piantine era di gr. 2800. Per vedere se dalla saligenina avesse preso origine la salicina, analo- gamente a quanto avevamo dimostrato per il mais adulto, abbiamo preparato, innanzi tutto, colle piantine, un estratto acquoso. A tale fine le piantine, lavate con acqua, vennero immerse, senza triturarle, poche alla volta per qualche minuto nell'acqua in ebollizione, allo scopo di distruggere gli enzimi che potevano eventualmente determinare la scissione del glucoside. Le piante furono quindi ridotte a poltiglia ed estratte con acqua, poi spremute al torchio ; il liquido acquoso ottenuto fu riunito all'acqua in cui era avvenuta la scottatura, e il tutto venne concentrato a piccolo volume. Il liquido risultante venne estratto ripetutamente con etere, allo scopo di spogliarlo della sali- genina libera eventualmente esistente. L'estratto etereo si rese alcalino con carbonato sodico, e fu estratto di nuovo con etere. Per evaporazione del solvente, si ottenne un residuo cristallino misto ad una sostanza oleosa, del peso di 1 decisrammo. Dava la reazione della saligenina col cloruro ferrico: ma, in causa della piccola quantità e delle impurezze che l'accompagnavano, non si potè ricristallizzare per fissarne il punto di fusione. Il liquido alcalino residuo dell'estrazione eterea venne acidificato con acido solforico ed estratto di nuovo con etere per vedere se una parte della saligenina fosse stata ossidata ad acido salicilico. L'estratto, in piccolissima quantità, diede però, col cloruro ferrico, una colorazione incerta. i Allo scopo di vedere se nel liquido primitivo, dal quale venne estratta la saligenina libera, si trovasse un glucoside simile alla salicina, fu riscal- dato all’ebollizione fino ad eliminare l'etere e vi si aggiunse, dopo raffred- damento, un poco di emulsina. Dopo 24 ore di riposo il liquido venne estratto con etere; l'estratto etereo, sciolto in acqua, fu reso alcalino con carbonato sodico, e nuovamente estratto con etere. Per evaporazione del sol- vente si ottenne un residuo cristallino che, seccato nel vuoto, pesava gr. 0,2. Dava la reazione della saligenina. e, ricristallizzato dal benzolo, fondeva a 86°, che è il punto di fusione dato dagli autori per la saligenina. Dalle esperienze. col mais risulta dunque che, facendo assorbire la sali- genina, per la via delle radici, alle piante germinanti, si forma la salicina, casi il analogamente a quanto abbiamo osservato inoculando la stessa sostanza nel fusto delle piante adulte. Esperienze sui fagiuoli. — Si pose a germinare alla luce, il 18 giugno, su carta da filtro bagnata, mezzo kg. di fagioli. Il 22 giugno, a germina- zione iniziata, si cominciò a bagnare sistematicamente con soluzione di saligenina all’l per mille. Le piantine vennero prelevate il 5 luglio, dopo aver loro somministrato, complessivamente, 10 litri di soluzione. Il peso totale delle piantine era di gr. 1450. Con esse venne preparato un estratto acquoso, ponendole prima, senza triturarle, nell'acqua in ebollizione. Proce- dendo quindi col metodo precedentemente descritto, sì ottenne una piccolis- sima quantità di saligenina libera, riconosciuta dalla reazione col cloruro ferrico, ma che non potè venire ricristallizzata. Per trattamento con emulsina si ottennero gr. 0,2 di residuo cristallino che, purificato dal benzolo, fondeva a 86° ed era quindi costituito da saligenina proveniente da un glucoside. Tanto dall’estratto diretto, come da quello ottenuto dopo il trattamento coll'emulsina, si ebbe la reazione dell'acido salicilico. Era interessante di vedere se la formazione del glucoside avvenisse anche sui semi germinanti al buio. A tal fine venne posto a germinare, il 4 luglio, mezzo kg. di fagioli. La quantità totale di saligenina somministrata dal 9 luglio (giorno in cui si cominciò l'inaffiamento) al 25 luglio (giorno della raccolta) fu di gr. 8. Le piantine pesavano gr. 2325. Il risultato ottenuto fu analogo al precedente; si ottenne cioè una piccolissima quantità di sali- genina libera ed una quantità, più rilevante (gr. 0,2), di saligenina combinata allo stato di glucoside. Anche in questo caso si ebbe la reazione dell'acido salicilico, tanto nell’estratto diretto, quanto dopo l'aggiunta di emulsina. Queste prove dimostrano che la saligenina si trovava nelle piantine germinanti, per la maggior parte allo stato di glucoside. Non si può anzi escludere che tutta la saligenina fosse contenuta in tale stato, poichè è verosimile che la piccola quantità trovata libera fosse dovuta a traccie della sostanza rimaste aderenti alle radici. ALCOOL BENZILICO. — Con questa sostanza si sperimentarono i fagiuoli ; mezzo kg. di semi si posero a germinare il 25 maggio su carta da filtro bagnata. Dopo una settimana, si cominciò ad innaffiare con alcool benzilico all'1 per mille. Il trattamento durò dal 2 al 22 giugno, fornendo comples- sivamente gr. 12 di sostanza. Il peso delle piantine, al momento della rac- colta, era di gr. 1900. Le piantine, dopo lavate e immerse per qualche minuto nell'acqua bollente, vennero estratte con acqua; l'estratto acquoso si concentrò nel vuoto a piccolo volume, e si estrasse ripetutamente con etere. Per evaporazione del solvente, si ottenne un residuo oleoso che venne trattato con acqua alcalina per carbonato sodico e nuovamente estratto con etere. Per identificare nell’estratto l'alcool benzilico, abbiamo tentato di trasfor- marlo in acido benzoico ossidando colla miscela di Bekmann, seguendo il IS The procedimento altrove descritto (*). Si ottenne una piccolissima quantità di prodotto, dal quale non si potè avere alcun indizio della presenza di acido benzoico. Ciò del resto era prevedibile, poichè l'alcool benzilico eventual- mente rimasto libero sarà stato trascinato col vapore nella distillazione. Per vedere se nelle piante si fosse formato dall'alcool benzilico un corpo di natura glucosidica, si fece bollire a ricadere per mezz'ora, con acido cloridrico diluito, il liquido residuo dell'estrazione eterea primitiva. Dopo raffredda- mento, si estrasse con etere; e l'estratto venne trattato con acqua, reso alcalino con carbonato sodico ed esaurito di nuovo con etere. L'estratto etereo oleoso venne bollito per mezz'ora colla miscela di Bekmann, ed il prodotto si estrasse con etere. Per evaporazione del solvente, si ebbe un pic- colissimo residuo oleoso che, seccato nel vuoto, solidificò in cristalli bianchi. Abbiamo tentato di ricristallizzarli dall'acqua; ma si ottenne una così pic- cola quantità di prodotto da non poterne determinare il punto di fusione. Abbiamo perciò cercato di identificarlo mediante il trattamento con carbonato sodico diluitissimo e cloruro ferrico. Si ottenne un precipitato carnicino che ci indicò la presenza di acido benzoico. Da questa esperienza è perciò risultato che nei semi germinanti, trattati coll'aleool benzilico, sì è formata una traccia di un composto che dà alcool benzilico per ebollizione con acido cloridrico. Ciò analogamente a quanto fu da noi altra volta riscontrato per inoculazione dell'alcool benzilico nel mais, e innaffiamento dei fagiuoli adulti colla stessa sostanza. IprocHINoNE. — L’idrochinone si dimostrò tossico per ì semi di mais; ci diede invece buoni risultati coi fagiuoli, sui quali venne eseguita l'espe- rienza. A tal fine, nel 25 maggio si pose a germinare alla luce, mezzo kg. di semi, e, dopo una settimana, si cominciò a innaffiare sistematicamente colla soluzione di idrochinone all'1 per mille. Le piantine vennero raccolte il 18 giu- gno e pesavano gr. 2200. La quantità totale di idrochinone somministrata fu di gr. 12. Le piantine, dopo lavate ed immerse per qualche minuto nell'acqua bol- lente, vennero estratte con acqua. ed il liquido acquoso venne concentrato nel vuoto a piccolo volume. Il residuo sì estrasse con etere; l'estratto etereo sci- ropposo fu reso alcalino con carbonato sodico, ed il liquido venne estratto nuo- vamente con etere. Per evaporazione del solvente si ottenne un residuo del peso di un decigrammo, costituito da un miscuglio di cristalli bianchi e neri, probabilmente idrochinone e chinidrone. Per cristallizzazione da molto ben- .zolo si ottennero i soli cristalli bianchi fondenti a 169° (idrochinone). Per vedere se. come nei casì precedenti, si fosse anche qui formato un composto di natura glucosidica, al liquido residuo dell'estrazione primitiva sì (*) Questi Rendiconti, XX, /, 392 (1911). — Memorie della R. Accademia delle‘scienze di Bologna, serie 6%, tomo V, pag. 29 (1907-08). SECO va aggiunse un poco di acido solforico diluito. Dopo mezz'ora di ebollizione abbiamo nuovamente esaurito con etere il prodotto. Per evaporazione del solvente, rimase una piccola quantità di cristalli che, ricristallizzati dal benzolo, fondevano a 169°. Erano quindi costituiti da idrochinone. Questa esperienza ha dimostrato che dall'idrochinone si è formato nelle | piante un composto di natura glucosidica, probabilmente l’arbutina. Ad un simile risultato non potemmo mai giungere nelle nostre precedenti esperienze di inoculazione nel mais, poichè l’idrochinone si era dimostrato velenoso per questa pianta. Anche con piante germinanti, che devono vivere a spese delle riserve, avviene dunque la formazione dei glucosidi, così come introdudendo le sostanze nelle piante adulte, sia per mezzo dell'inoculazione, sia per l'assorbimento delle radici. Mentre che per sperimentare su forti quantità di sostanze è opportuno di seguire il metodo dell'inoculazione, per esperienze in cui non siano richieste grandi quantità si raccomanda il sistema dei semi germinanti perchè il materiale da esaminare è meno ingombrante, mancando le parti legnose. Operando colle piante germinanti, si rende più facile lo studio dei feno- meni in assenza della luce: ed è così che si è potuta osservare la formazione della salicina al buio, dimostrando che nella genesi dei glucosidi la luce non è necessaria. Il fatto, poi, che la salicina si sia prodotta nelle piante che non potevano assimilare, non è conforme alla supposizione di alcuni autori, secondo i quali i glucosidi sarebbero materiali di riserva perchè sì formano in piante che, crescendo al buio, non possono contenere quantità eccedenti di glucosio. Ma con questo non è detto che le sostanze aromatiche, che si ricontrano libere o come glucosidi nelle piante, siano da considerarsi soltanto come materie di rifiuto, come vorrebbe segnatamente A. Pictet. Secondo noi, appare più probabile che le sostanze che sembrano accessorie abbiano la loro funzione, sebbene questa rimanga, nella maggior parte dei casi, sconosciuta. Anzi, su questo importante argomento intendiamo di ritor- nare quando ci sarà possibile di eseguire appropriate esperienze. . Zoologia. — Intorno a protozoi parassiti dei termiti. Nota del Socio B. Grassi. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Approssimazioni numeriche. Nota del Corri- spondente G. PEANO. Le quantità, o numeri reali, su cui sì opera in pratica, sono in generale date solo per approssimazione. Quindi è necessario, conoscendo il grado di approssimazione nei dati, di saper determinare l’approssimazione che risulta in un calcolo su quei dati. Tl calcolo differenziale fornisce una regola semplice per risolvere il problema, colle formule del differenziale totale, del tipo d/(x,y)=D1/(@,y) dr + Da/(2,9)dy, ove /(x,y) è una funzione delle due variabili x e y, D,/ e D./ sono le sue derivate parziali, de e dy sono le differenze fra i valori veri ed i valori approssimati di x e y, e d/(x,y) è la differenza corrispondente fra i valori della funzione. Questa regola del differenziale totale fu usata in tutti i tempi, e lo è sempre nelle matematiche applicate, per risolvere il problema delle ap- prossimazioni. Però, se per 7 e y in D f(x, y) e Ds f(x, x) si intendono i valori veri, o i valori dati per approssimazione, di quelle due quantità, la formula non è esatta, ma deve essere completata con infinitesimi d'ordine superiore. Essa si usa però nelle applicazioni pratiche, poichè, come dice il Serret, « l’inexactitude ne peut avoir aucune influence dans les applica- tions que l'on en fait ». Guyou, nei « Nouvelles Annales de mathématiques » 1889, attribuì nella formula considerata, ad x e y, dei valori medii fra i veri e gli approssimati, e la formula diventa esatta. La formula, così intesa, non è altro che il teorema del valore medio, fondamento del calcolo differenziale, stato enun- ciato da Cavalieri nel 1635, per le funzioni d'una variabile. Questa applicazione trovasi pure nelle mie Zezioni di analisi infini- tesimale, Torino 1893, tomo 2°, pp. 146-149. Non veggo però negli altri trattati di Analisi alcun cenno di questa semplice ed elegante applicazione delle regole di derivazione alla teoria delle approssimazioni, di tanta impor- tanza pratica. Nella presente Nota espongo le regole per le approssimazioni nume- riche, sotto forma elementare, senza presupporre il calcolo differenziale; dò a queste regole la forma di regole di derivazione, il che facilita la memoria. age NOTAZIONI. Dare un numero per approssimazione significa dare un intervallo cui quel numero appartiene. Se 4 e d sono i valori approssimati, per difetto e per eccesso, di una quantità, questa apparterrà all'intervallo da 4 a 0. Questo intervallo si suol indicare con a 70, a!'-!d, a!'7d, a7!d, secondochè sono esclusi gli estremi, o sono compresi, o uno è compreso e l’altro è escluso. Preferisco la notazione inglese 1:23 e ‘45 alla 1,23 e 0,45 delle fra- zioni decimali; poichè la virgola ha troppi significati. Colla notazione 1:234..., e simili, si suole intendere ogni numero le cui prime cifre sono quelle scritte, cioè IR2B4CE=—A:294\24|5235:: .« la scrittura 1234... rappresenta l'intervallo compreso fra 1°234 e 1:235 (il primo incluso, ed il secondo escluso) ». Si avrà: 1:234 « 1:284..., cioè « 1234 è un numero della classe 1'234 ... ». 25492 « il primo intervallo è contenuto nel secondo ». In questo mio scritto, io distinguerò il segno e di proposizione singo- lare, e il segno O di propesizione universale, dal segno =. Molti autori li confondono col segno =. Non intendo qui di esaminare se ciò sia comodo o no; non introducendo i segni e e O, bisognerà sempre far notare che dalle scritture 1:234= 1:234... , 12345 = 1'284..., ove il segno = ha il valore di e, e dalle scritture l294,:-.0365295 02950123; ove = significa O, non si può dedurre l'eguaglianza dei primi membri. REGOLE. Siano x,y, ... delle coppie di quantità. Dicendo che x è una coppia di quantità, intendiamo che x, e x» sono delle quantità. Porremo: dx =XKo° 7 X; dx si può leggere « incremento di # », o « differenza di « », o anche RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 2 N Lal E — Rue Ci {| ese « differenziale di x ». Essendo /(z,y) una espressione analitica delle coppie x e y, porremo d/(e,4)= (22,4) — (21,1). Il simbolo d ebbe questo valore, e 1’ ha ancora in libri di matematica applicata. Nei trattati di analisi fu sostituito, in questo senso, con A Si ha: da (1) d(x +4 y)=dx + dy. Infatti d(z+4+9)=(x:+gy)—(1+%)=(cx.— x) + (yu —-n)= dz + dy. Se x,, 4» @ Y13Y: sono i valori, per difetto e per eccesso, delle quan- tità approssimate z e y, saranno #1, + y; e x2.-+ ys i valori approssimati, per difetto e per eccesso, della somma; e da, dy,d(x + y) sono gli errori negli addendi e nella somma. Quindi la formula (I) sì può leggere « l'errore della somma è eguale alla somma degli errori degli addendi ». Esempio: d(1:23...+-4:56,.)=d1:28..+d456...=‘01+‘01=-02; cioè, se gli addendi sono noti a meno di 1 centesimo, la somma sarà nota a meno di 2 centesimi. Se un addendo è esatto, il suo errore sarà nullo. Per esempio, d(rr + 6:85...) =d6:85..=01, supposto 77 un numero esatto. Se 77 = 3:14, cioè è un numero esatto di centesimi, sarà 77 + 685... = 9:99... e la somma sarà nota con 2 cifre decimali esatte. Ma se 7 ha 4 cifre decimali, per esempio 77= 3:1415, la somma sarà per difetto 9*9915, e per eccesso 10:0015. Quindi, quan- tunque l'errore della somma sia di un centesimo, noi possiamo assicurare nessuna cifra di questa somma. Pertanto non esiste soluzione del problema « determinare il numero delle cifre decimali esatte con cuì si debbono dare i termini d'una somma, affinchè questa risulti nota con x cifre decimali esatte ». La pratica si contenta di regole come le seguenti: « Date due quantità note con » cifre decimali, si sommino i valori per difetto; tutte le cifre sono cifre esatte della somma, salvo l'ultima cifra che forse si deve aumentare di una unità ». i Questa regola non varia, anche se un addendo è esatto, purchè abbia più di n cifre decimali. Se l’ultima cifra è 9, aumentandola di un'unità varia la precedente. « Date più quantità, in numero non superiore a 11, note con » cifre decimali, si sommino i valori per difetto, e si sopprima l’ultima cifra. Tutte = le n — 1 cifre rimaste sono le cifre esatte della somma, salvo l’ultima, che forse si deve aumentare di una unità ». Essendo 4 una quantità qualunque, ed # un numero intero (positivo di regola), pongasi: Vadi=(Bl02a)/10r, cioè Va, che si legge « valore con # decimali di a », indica ciò che sì ottiene moltiplicando a per 10”, prendendo la parte intera del prodotto, e dividendola per 10”. Allora, se m è un intero non superiore ad 11, e se «, 42... Gm SONO quantità qualunque, la regola precedente si può scrivere: otat:: + ame Voa(Vat + Vado ++ Va am) + (0'72)/10”. Questa regola è data, nei trattati, per 9 o 10 termini. Il prof. M. Bot- tasso, in una conferenza tenuta lo scorso anno 1915 alla R. Università di Torino, osservò che sussiste pure per 11 termini. (II) d(xa —g)= dx — dy. Dimostrazione analoga alla (I). Se x,42%1%: sono i valori per difetto e per eccesso di x e y, i valori per difetto e eccesso della somma sono Li — Ye 0 C°a— Y1, Cioè cia — Ya Ye = (1 — Ya) (x° — Ya). (III) d(a x y)=xxdy+yx dz, ove x e y rappresentano valori medii fra x; e 2x2, %1 € Ye. Infatti: d(e x y)= €2Y: — Xx Yy1= XY: — Lan + L2Y1 — Ly = = Ley — Yi) + yi(c°— x) = 2%2dy + y1 dx, che è appunto la formula richiesta, ove la parola medio non escluda l'estremo, cioè si parli degli intervalli x1'x2, yy». estremi inclusi. Oppure, continuando la serie delle nostre eguaglianze, detta 2 una quantità compresa fra 0 e 1, estremi esclusi, si avrà ide) = — dx) dy + (y1 + dg) dg; e dette x e y le quantità #. — «de e y,+4 1/10, ed è < 1. Negli appositi trattati trovansi regole per stimare l'ordine decimale del prodotto di due numeri approssimati, e il modo di eseguire rapidamente la moltiplicazione, tralasciando i prodotti parziali inutili. Il prof. A. Tan- turri espose con spirito critico questi studii negli Atti della R. Accademia di Torino, 1915, 25 aprile, Prodotto di due numeri approssimati. La regola (III) permette di riconoscere subito la bontà d'ogni regola pratica. (IV) d(1/2)= —(da)/e?, ove x è un valore medio fra i valori positivi x, e xs. Infatti, d(1/2)=1/x,—1/xr=—(rx.—-x:)/(2,0.)= — dz/(2; 0.) = — dx/2*, chiamando x il valore Y/(212) che è medio fra x, 0 xs. (V) d(a')—=matlidz, ove m è un numero intero e positivo, ed 4 un valore medio fra i consi- derati. Infatti, essendo la regola vera per m = 1, suppostala vera per un valore- di 2, si avrà: d(e’**1) —id(a" ><) cia x de d'x ximata! de =) 1), adat cioè la formula resulta vera per m4- 1. In questo calcolo, «= x,-x: rappresenta ogni valore fra x, e #,; e si sommano degli intervalli. Si so- stituisce poi ad e il segno =, supponendo che x sia un conveniente valore dell'intervallo x;-%x>. (VI) dy/x= dx/(2Vx), cioè « l'errore della radice quadrata d'una quantità positiva è eguale all’er- rore del radicando diviso per 2 volte la radice di un valore medio fra vero ed approssimato. Infatti, (Vx?)= x, e differenziando, (2V/x)dyx =dx; onde la for- mula VI. Esempio: Se 7= 3:1415..., sarà dyn= da/(24/7) ; e siccome dr = ‘0001, e 24/77 >1, sarà dy/r< dr: cioè, se 77 è noto con 4 cifre decimali, anche {/77 sarà noto con altrettante cifre. (VII) dLoga= Loge X dx/x, essendo x un valore medio fra le quantità positive x, e 2, ed indicando Log i logaritmi in base, qualunque, p. es. 10. Per dimostrare elementarmente questa formula, si deve premettere la definizione del numero « e », e questa si deve dare senza il concetto di limite di funzione (con cui si definisce la derivata), ma col solo concetto di limite superiore o inferiore d'una classe (che figura nella definizione del numero reale). Perciò richiamo l’ineguaglianza (1) amy <|[(me + ny)/(m + m)]"*t", ove 7 e y sono quantità positive, non eguali; e m ed » sono numeri positivi, interi, o fratti, o reali. Essa significa che la media geometrica fra due quantità è minore della loro media aritmetica; e se ne conoscono numerose dimostrazioni elementari. Ò +1 Pongo, nella (1), 141 al posto di x, e (1-4) al posto di y"; avrò © Gaslina = ua essendo # ed 7 due quantità positive qualunque. Moltiplico pel reciproco del secondo fattore, ed ho a 3 1 i m 1 1 n+l (3) | ( +) “i +1) m Perciò esisteranno il limite superiore finito dei valori di (i +) sedall nl limite inferiore dei valori di (i +3) ; e siccome, per m=2, il rap- porto delle due quantità (3) è 14 1/#, il cui limite inferiore è 0, segue che il limite superiore dei valori del primo membro della (3) è eguale al limite inferiore dei valori del secondo membro della (3); detto « e » questo limite comune, si avrà, per ogni valore positivo di 7, (1+ 1/m® — Log e; Zi Xi Lo e, chiamando x un valore medio fra 4, e 43, Xo XI g NIUE Log e . Ma il primo membro vale Log x, — Log a, = d Log a; e q«:.—-a,=dx: onde la formula VII. Le formule (V)-(VII) sono susseguite dalla frase « ove x è un valore medio ». Si può far dire ciò dalla formula stessa, modificando le notazioni. Sia x un intervallo (estremi inclusi, per esempio). Pongo per defini- zione: der=l'aT—la, cioè chiamo dx l'ampiezza dell'intervallo, differenza fra i suoi limiti supe- riore ed inferiore. Allora, se f è una funzione definita nell’intervallo x, fx è l'insieme dei suoi valori; se / è reale e continua, fx è un intervallo, e d/x ne è l'ampiezza. Si avrà allora: (V’) d(c’)emarto dg (VI’) dy/x e dx/(2V/2) i (VII) dLog x e Log e x dx/r . I d sono tutti, con questa convenzione, quantità positive, perciò d(1/2) = (de)/a® perdendo il segno. RA Chimica. — Ze due asparagine nei germogli. Nota del Cor- rispondente A. PIUTTI. Chimica fisiologica. — £Arcerche sul tessuto nervoso. Nota I: Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo nervoso, del Cor- rispondente F. BorTAZZI e di A. CRAIFALEANU. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sull’equazione integrale di 1° specie, con nucleo non-simmetrico. Nota del prof. P. J. DANIELL, presentata dal Socio Y. VOLTERRA. Il metodo impiegato in questa Nota è analogo a quello del dott. A. Vergerio, esposto nella sua Nota: Sull'equazione integrale di 1° specie (?). Consideriamo l'equazione i b i d= | EG) 10%. Invece della successione definita dal dott. Vergerio, definiamo b o = f U,99160 4 b 16 =f 6,900) gl) = | K(6,0 gn (0) di Yan+1(8) = fx 8Y don(t) di (') Questi Rendiconti, vol. XXIII, 2° sem. (1914), pag. 385 | | | SSR a Se la n — 7 è pari, avremo b QI] b Î di 5(8) Gr+r(5) ds =[ ds drer(8) f K(5:3:4) Ynre1(0)d b h ={ dt incl K(s, t) gn+(8) ds ® ; =f Oneri) diari) dt ; se ìmpari, avremo b b b S90-) guer(0) ds f 45 guon(s) fK(035) goose) di b b =( di 0r-r-s(0) f K(t , s) Qn4r(8) ds b =( Ynor1(1) Gn+r+:(1) di, e quindi, qualunque siano 7 e 7, si deduce che aa) b )) In=r(8) In+r (8) ds ={ Inr=1(8) Gn+r41(8) d8 Trasformando questa identità, abbiamo - b >» Var =_= Ii 3 In(5) | 3 ds = f Anr(8) In+r(5) ds ìi e da quest'ultima equazione si procede precisamente come nell'articolo del Vergerio. Se si ha (2) 92(8) = cost. g(s) = eg(s), sì avrà Rò, b Vial f 92(8) G2n(8) ds = ef 9(8) 921 (8) ds, I ossia Vasi ic Vi , Vasi Cn = vasi e. Reciprocamente, se tutte le costanti e, sono uguali fra loro, cn = €; ne segue che ga(s)="c g(8). eg a In questo caso si ha ovviamente che ni mo=tg=1 (K(6,0 969) 4 ‘è soluzione della (1) (!). Matematica. — Su alcune particolari quartiche piane di ge- nere 3. Nota di A. TERRACINI, presentata dal Socio CU. SEGRE. Vorrei mostrare in questa Nota l’esistenza di particolari quartiche piane, senza punti multipli, i cui 24 flessi godono della notevole proprietà di po- ‘tersi distribuire a 4 a 4 in 6 cafene, in modo che i 4 fessi di ciascuna catena appaiono come vertici di un quadrangolo semplice, ogni flesso es- sendo la residua intersezione della quartica colla tangente nel flesso che cade nel vertice precedente (?). Si tratta, come si vede, di una proprietà analoga a quella di cui gode la nota quartica di Klein (*), in cui i flessi sì distribuiscono invece in otto catene di tre flessi ciascuna. Il quadrangolo semplice, i cui lati, in un sistema di coordinate pro- iettive omogenee, hanno ordinatamente per equazione x,=0 , xag=0, a=0,z,+x.4+3=0, ha i suoi vertici nei 4 flessi di una catena, nel senso sopra indicato, per le C*4 rappresentate dall’equazione Ci tod L—_ ka a3—k(x, + %3) xo + hai x3=0, L=/x, 42x24 03%3, polti po Ehi dove (*) Il prof. Evans nota che la funzione Gn(s) del Vergerio, per questo caso del nucleo non simmetrico, è identica alla funzione gan+:(s) del Daniell. Però, la condi- zione Ga(s)=T G(s) del Vergerio non è sufficiente perchè la funzione h(t) = G,(t) / To sia soluzione della (1), come si vede dal caso particolare seguente: | : | gs =| K(s,t) hdi | ST | K(s.t) —isim(s—£) | g(s) =sins+ sin 2s n G(s) = Ga(s) = 2° cos s, (*) La questione dell’esistenza di queste e di altre quartiche congeneri si trova | ‘posta in Ciani, Le curve piane di quart'ordine, Giornale di Matematiche di Battaglini, i vol. XLVITI, pp. 259-304 (ved. la pag. 302). | (3) Cfr. Klein, Vorlesungen ber die Theorie der elliptischen Modulfunctionen, I Band, Leipzig 1890, Dritter Abschnitt, Kap. VI. ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. (56) x — 18—- : Imponiamo ora l'ulteriore condizione che la C' sia trasformata in sè dalle omografie cicliche del quarto ordine che trasformano in sè il quadran- golo semplice considerato, condizione che si traduce nelle ( 25+ lle - lla —-2lal3=0; a cui sì soddisfa assumendo /, , /» , /3 proporzionali a 2,3, 1, oppure a /, 1, 1. essendo / una quantità qualunque ('). Posto ora Yi ‘Yotyg = +aer:co +e + a, l'equazione della C' diviene rispettivamente, nei due casi, yi 2yiy—Qyny—-y—-gyygt yy =0, (521-2)(fi+ yi) + 6(1— 2) yy —8(/- 1)y ye (yi — G®) — — 60(yé4+-%)y + (+ 2)g=0. La prima di queste due equazioni rappresenta una quartica avente un punto doppio, quartica che escluderemo dal seguito delle nostre considerazioni; ed escluderemo pure la quartica rappresentata dalla seconda equazione dove sì faccia {=1, quartica costituita dai quattro lati del quadrangolo semplice considerato; invece la stessa equazione per / = 1 rappresenta quartiche tutte irriducibili. Poniamo ora Yi: yniUs=ayi$ byr:cyi + dys:ys, con ad — be+0, e cerchiamo anzitutto di far scomparire dall'equazione trasformata le po- tenze dispari delle coordinate. Dovranno allora soddisfarsi le condizioni : ab + cd =0 È | (5/—2)(ab+4 ed) —2(01— 1)(a8d — be + 3a? be — Fac d) + +3(/— 2) (a° ed + abe?)= 0 | (5/1 —2)(a0 + edì) — 2(21— 1)(08c — ad? + 3 ab* d — 3 bed*°) + \ +3(/— 2) (0°cd + abd?)= 0 Posto 4= 1, risulta d= — cd; e quindi, poichè d è + 0, le ultime due eondizioni si riducono all’ unica (51— 2)(8— ce) —20—1)(1—6e+ ce) +3(/—-2)(c—e)=0, (1) Si può supporre che / sia finita, perchè la C4, per cui 2, :/2:l3=1:0: 0, non ha importanza per le nostre ulteriori considerazioni. SI CES cioè (1) ((- 1)et—-(/+2)e— 6(/—1)e°+(/+2)c+/—1=0. E poichè dev'essere ad — bc = d(1+ ce°) +0, e quindi c* +-+ — 1, do- vremo supporre / tale che quest'uguaglianza possa soddisfarsi altrimenti che per c= =i(0=]—1): ossia sarà pull , cioè 172—28/+20=0. Volendo inoltre che l'equazione trasformata sia simmetrica in %1,y3, do- vremo poi porre d= = 1; otteniamo, così, [(5[—2)e'-+8U—1) 0° +6((—2)e* —8(/—1)c+5/—2](y+g:)+ + 6[(l —2)e'—8(/—1)c°+2(3/+2)e°+8(/—1)e+/—2]y®y?— — 61(1+09) (i+ ye) +C+2) gt —0. Poniamo infine , . , 0° , n, ° . Y1:Y2- Y3 = UE,:U89:83, per ottenere un’equazione simmetrica nelle tre nuove coordinate: basterà determinare u in modo che sia u'M=/+ 2, «@P=— /(1+ce®), dove M e P indicano i coefficienti di y1' + y5*, e di 671° y3° nell'ultima equa- zione scritta. E, affinchè ciò sia possibile, è necessario e sufficiente (') che sia M 142 (2) n 0 P? 1? (1 + CO) Ora, tenuto conto della (1), quest'equazione si può, con successive ridu- zioni, trasformare nella (3) (2+-2)(90 — 45/2 + 60/— 36)(1—2ce°+e') + + (7704 — 440% — 11612 + 224/— 96)(c— e°) + +(—1)(3/—2)(- 12/4+16/—16)c°=0. . Per cercare le condizioni di compatibilità di questa equazione colla (1), poniamo € — o=s, cosicchè la (1) e la (3) divengono rispettivamente (1') C—1)00—(+2)0—40—1)=0 e (3') (242) (9/8 — 45/2 + 60 / — 36) 0° — (7714 — 440° — 116/°-+-224/—96)6—4(/—1)(3/—2)(3/—4/+4)=0. (') La condizione è anche sufficiente, poichè non possono M e P essere contempo- raneamente nulli (la quartica conterrebbe allora doppiamente la retta y3= 0, il che è - assurdo). SENO) Eliminando 6 ed escludendo sempre per / il valore 1, si trova per / la condizione [=D — 44/8 116084 2947-96) | + ((+- 2)? (928 — 452 + 60/— 36)]X X [(2+-2)(3/—2)(842—4/+4)—(77/ —448—116/24+224/—96)]= = 64(/— 1) (172 — 28/+20)?. Dividendo i due membri per 16(17/ — 28/+ 20)?, il che è lecito poichè, come abbiamo avvertito sopra, dobbiamo supporre non nulla l’espres- sione che sta in parentesi, troviamo infine (NEO ossia: (4) age VED AE) equazione che si verifica facilmente essere irriducibile. Il valore di 0, che è radice comune delle (1°) e (3'), risulta poi (5) Ge) L'equazione della C' assume pertanto la forma (6) a+ 3+ 234 00(234+ 3274 zi 8) =0 con _0+e),_2U+e) (2a CT (2)? dove i valori di / e di @ (e quindi anche di c) si desumono dalle (4), (5). Con successive riduzioni si trova (7) So 204-5084402 —1 ST 244-841 I5 Il risultato dell’eliminazione di / fra le (5) e (7) è — e—-T —80+8 lbo —4 —150--1 20 — 2 Zi Bod-81 60-10 30+9 —130—3 30+5 160 — 4 3049 —290—-11 3350 +7 40—-4|=0, —150—1 —130—-3 330+4+7. —260—6 —12e . do—-2 3045 4o—-4. —12o 150+1 ossia (8) 180 0° — 3680‘ + 1090° + 210° — 560 —1=0. Anche quest'equazione è irriducibile: le sue cinque radici sostituite nella (6) — =—_———————__—_———t,.———6——__——.Siui LIE [i conducono ad altrettante C‘, senza punti multipli (*), i cui flessi si distri- buiscono precisamente in sei catene de) tipo richiesto. Infatti ciascuna di quelle C‘ è invariante pel gruppo ottaedrico delle proiettività rappresen- tate da mauri 27) passio grumi/33 8i 4a 83 dove 2] indica una permutazione degli indici 1, 2, 3; e su di essa vi sono già quattro flessi appartenenti a una catena, siano A, A» A3 A4. Ogni ulteriore flesso F_si può ottenere da uno qualsiasi di questi quattro, per es. da A, mediante una proiettività 77 del gruppo, perchè nell'ipotesi contraria dovrebbe A, essere unito in una proiettività non identica del gruppo, che muterebbe in sè anche la tangente in A, e quindi A», Az e A,, il che è assurdo: quella proiettività 77 muterà dunque la catena A, As Az A, in una analoga a cui appartiene il flesso F. Le cinque C* trovate sono a due a due proiettivamente distinte: in- fatti gli invarianti A e B, rispettivamente del terzo e del sesto ordine nei coefficienti, per una quartica rappresentata dalla (6) valgono (?) l'A-9ofk- bio e: of(1 —30* +20). Se due fra quelle cinque C* si potessero trasformare l'una nell'altra me- diante una proiettività, dovrebbe l' invariante assoluto Ai 90004): Biboti(l==/9 0542208) acquistare lo stesso valore per due diverse radici della (8), e quindi, data l'irriducibilità di questa equazione, per tutte le sue radici. E si verifica che così non è, osservando che i resti delle divisioni di A e di B pel primo membro della (8) non dànno un rapporto costante. Concludiamo dunque: esistono cinque C' senza punti multipli, pro- iettivamente distinte, i cui flessi si distribuiscono in sei quaterne (catene) in modo che i quattro flessi di ciascuna quaterna sono vertici di un qua- drangolo, ogni flesso essendo la residua intersezione della C4 colla tan- gente nel flesso che cade nel vertice precedente. Esse sono invarianti per un gruppo ottaedrico di proiettività: le loro equazioni si ottengono dalla (6), ponendo per 0 una delle radici della (8). (*) Infatti quelle cinque C4 sono irriducibili; e la sola C* irriducibile rappresentata dalla (6) e dotata di punti doppî si ottiene per 0 = c0. (®) Cfr. Salmon, 7raité de géométrie analytique: courbes planes (trad. par O. Chemin, . Paris 1903); ved. il num. 299. CSO Matematica. — Successioni di curve e derivazione per serie. Nota I di LeonIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Mi propongo di dimostrare il seguente teorema: Se Ci, Ca, .., On... è una successione di curve continue, rettifi- cabili, tendenti ad un’altra curva, continua e rettificabile, C, în modo che la lunghezza della C, tenda a quella, supposta finita, della C, le tangenti della C, tendono in misura alle tangenti della C. Questa proposizione permette di dimostrare che: a) Sotto le stesse ipotesi, è [i Ed, Ye (Pes VIRNA dove la F soddisfa a certe condizioni, che saranno precisate più innanzi (n. 6), le quali sono più generali di quelle sotto cui tale proposizione fu già da me stabilita altrove. per via del tutto diversa (?). b) Supposto: 1°) che la successione di funzioni, date su (a, db), uc), u2(d),... Un(x),... converga quasi dappertutto verso una funzione u(x); 2°) che la lunghezza della curva y=un(x) tenda a quella, sup- posta finita, di y="u(x); 3°) che la successione delle derivate (consi- derate là dove esistono) w(x),u(x),....uh(x),... sia quasi dappertutto convergente; è quasi dappertutto lim w;(z) = (x). Come caso particolare n> 0 si ritrova il teorema dato recentemente da G. Fubini (2): se u(a) = ) un(2) — 1 è una serie convergente di funzioni monotòne, definite in (a,b), ivi è quasi dappertutto lecita la derivazione per serie. E vogliamo notare che di questa proposizione si ha così una dimostrazione diretta, indipendente cioè dall’integrazione per serie e dal concetto d' integrale. Per giungere al primo teorema sopra enunciato, rviprenderemo la pro- posizione, dovuta a H. Lebesgue, secondo la quale una curva continua, ret- titicabile, ha tangente quasi dappertutto; dandone una dimostrazione indipen- dente dal concetto di misura e da quello di integrale. Già in questo senso la dimostrazione della proposizione detta fu ripresa, nel 1909. da G. Faber (3), il quale raggiunse lo scopo dimostrando .dapprima che una funzione a rap- porto incrementale limitato ha derivata quasi dappertutto, e poi che il li- (*) Questi Rendiconti, maggio 1912. (*) Questi Rendiconti, febbraio 1915. (3) Math. Ann., 1910 (B. 69). SIERO mite dei rapporto fra la corda e l'arco di una curva rettificabile tende quasi dappertutto all'unità, e deducendo infine la voluta proposizione dall’equa- zione I + (@y = 1. La nostra dimostrazione è più diretta di quella del Faber, in quanto non ha bisogno di passare per le proposizioni inter- medie sopra ricordate; e serba, inoltre, un carattere puramente geometrico. 1. Sia F(d) una funzione definita per ogni intervallo mon nullo d di (4,8), e sempre continua: in altre parole, la F(d) è una funzione degli estremi x, e %s di d, definita e continna in tutto il campo determinato dalle disuguaglianze x, An (per il modo nel quale si è costruito 4, e per essere un estremo di d esterno a An); € questa disuguaglianza mostra che, se d non contiene dei 4 di indice 40 = 35 49); 12°) se Mm TI P e P' corrispondono agli estremi di uno stesso 44, è a(P-” P®, PP')= e; 3°) se (s,s") è un intervallo di (ss) avente un estremo esterno a tutti i 40, è a(PT-D PW, PP),... 47, anche minori o uguali ai lati atessi moltiplicati per cose. Si ha così p m= > PID PM 4; è maggiore o uguale al termine corrispondente di 714 #3, 1 È e la differenza Z4,— (+ 73) non può superare L— 7’ e quindi nep- RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 4 x d 1 de pure L — 7. Si ha dunque \AKL-r+(m1 + 13) <4 ragu Que- 1 z é sta disuguaglianza vale qualunque sia il gruppo 41, 43, ... 4, scelto fra La 2 ni p N tutti gli 4#°; vale quindi anche l’altra Y Y 4° < 4 r=1 m . ed è per- NR IR o La . ne $i CIÒ SI N45 =12 —_—. Se ne conclude, se i vertici di 7 sono scelti in E 83 v ZIE; ui che è > > An P,P!/>P eccettuati al più i punti P appartenenti agli intervalli 4, ed eccettuati anche i p-+1 vertici di 7. Si stabilisca che il poligono 7 sia quello che, fra i poligoni corrispon- denti a divisioni di C in archi di ugual lunghezza e soddisfacenti alla 3 Li ri AGI pi ... e riunendo tutti gli intervalli 4% corrispondenti ai di- versi valori di p, si ha una successione di intervalli di lunghezza comples- siva < 28; ed esclusì i punti di questi intervalli ed i punti dell’ insieme numerabile formato dai vertici di tutti i poligoni 77 costruiti, esiste per tutti gli altri la tangente alla C. Siccome # è arbitrario, il teorema del Lebesgue è dimostrato. 4. Consideriamo ora la successione C,,C3,...,Cm,.. di curve con- tinue, rettiticabili, tendenti alla C, pure continua e rettificabile; e suppo- niamo che la lunghezza L, della C, tenda a quella L della C. Indicata con s la lunghezza dell'arco della C compreso fra il primo estremo A ed un punto qualunque P della curva stessa, sia 2 = x(s8),y= y(5) 14 = &(8), (0 7, sia: 0) (PID PO PELO) ZI, = È 3 oo D); 2°) Ln main < -; (ricordiamo che è L—r s 1) ; L : AGO ftt. DAR Gall 3°) [Ln — L\<3 : Fissato un n >%, si considerino gli intervalli 4#° , della proposizione del n. 2, relativi alla C, ed anche quelli relativi alla C,; ‘a questi ultimi corrispondono su (0,L) degli intervalli di lunghezza com- plessiva < È e<2e,i quali sì possono riunire con quelli relativi a C in una unica successione Sa (di misura < 3e). Detto s un punto esterno a tutti gli in- tervalli di S, e all'insieme E, le tangenti £ e /,, nei punti P e P,, delle C ‘e C,, ad esso corrispondenti, formeranno fra loro (per la proposizione del nii2ietiperi la ce(PT-0 PM Pr. pelzee:) un cangolo <3de. Siccome sè arbitrario, e m(E)=0,m(S,)< 88, e poichè ciò vale per ogni n >, è dimostrato che /e tangenti tn tendono in misura alle tangenti t. 5. Viceversa, si ha facilmente che, supposta sempre la C, tendente ‘alla C, se le lunghezze della C, e della C sono finite e se la tangente tn alla Cn converge in misura a quella 1 della C — essendo t, e t corri= spondenti secondo la rappresentazione (1) — allora la lunghezza della Cn tende a quella della C. Lo 6. Sia F(2.y,<,2',y',<') una funzione finita e continua per tutti i valori di x,y,z. di un certo campo I°, nel quale siano contenute tutte le C,, e per tutte le terne x',y'.2' soddisfacenti alla e? + y'? +? = 1. La F sia, inoltre, positivamente omogenea di grado 1 rispetto alle x',y'", 4": soddisfi cioè, per ogni X > 0, all'uguaglianza Fe iy;#, tag) = LE av) Si ha immediatamente [Ae 1408,0 4 8) dan = S*P(((6) 90(8) Tula). (0) 4108) Ma (9)) de Dal n. 4 risulta che /,(5),gn(8) , #(s) tendono in misura a /t(s), Yo(8) , ho(s), e poichè F(/(8). 9,(5) , ...) resta, qualunque sia’, inferiore in modulo ad un numero fisso, sì ha, per un teorema sull’integrazione per serie, dovuto al Lebesgue, lim f Fds=/ Fds. n-> 2 /Cn ZAGAE 7. Si consideri la successione di funzioni %,(x), (2) }..-, Un(2),.. dell'enunciato 4) dell’introduzione. Le %,(x) risultano (almeno da un certo punto in poi; e senza restrizione possiamo suppore che ciò sia per ogni 7) a variazione limitata e quindi prive di punti di discontinuità di 2* specie. Indichiamo con C, la curva ottenuta aggiungendo ai punti di y=w,(x) i segmenti, paralleli all'asse delle y, aventi per estremi i punti (x, u.(2--0)), (2, n(c)) e (2, un(x)) (2, un(2+0)). Questa C, risulta continua e retti- ficabile e di lunghezza, Ln, uguale a quella della y= «,(). Lo stesso dicasi per la curva C=C corrispondente a y= x(x) = (x). Per le ipotesi fatte, nell'enunciato ricordato, e per un noto teorema di Hilbert sull'esistenza di una curva limite per le successioni di curve inferiori in lunghezza ad un numero fisso, le C, convergono alle C, e le tangenti 4, di C, convergono perciò in misura a quelle # di C. Riprendiamo la rappresentazione (1) delle curve C, (2=0,1,2....) e indichiamo con E. un insieme di punti di (0, L), di misura >L—se, sul quale la tangente alla C esiste e varia con conti- nuità. Sia 7, il primo intero positivo > #p_1 (*) per il quale è L,, < 2L e m(Enp) > MEe) 2° dove E,, indica il componente di E. nei cui punti la tangenfe £,, alla C,, esiste e forma, con la corrispondente tan- gente # alla C, un angolo (0 —a)—e (perchè il complementare dell'insieme detto sulla curva ha misura <& e si proietta in un insieme di misura < e). Pari- menti al punti di E,, corrispondono sulla C,, dei punti che, pvoiettati or- togonalmente su (4,2), dànno un insieme I,, di misura > {db —a)—4e (perchè il complementare dell'insieme detto sulla curva ha misura << n (e + 5) <48 e sì proietta su (4,d) in un insieme di misura < 4e). Sia I; l'insieme limite-completo della successione di insiemi 1n,,Iny;-+Iup;«» la cui misura, secondo un teorema dovuto al Borel, è >(0—a)— 48, e Il la parte comune a questo N:, a I., all’insieme dei punti nei quali esistono finite tutte le w,(x) (#2 =0,1,2,...) e a quello ove la successione delle w(x) converge. È wm(1) > (0 — a) — 58. Consideriamo un punto « di I. Questo x appartiene ad un'infinità di insiemi I,,: In; Ing 1 VIOLI Pp Indichiamo con po) il punto (2% ,(x)). della .C-,, con P. quello (7) UU, (7) (CA (25) (2, u(x)) della C; con P ” quello della C che corrisponde a Ls Siccome su E: la tangente alla C varia con continuità, possiamo dire che, per tutti i punti della C abbastanza vicini a P, e corrispendenti a punti di E., la w' esiste finita, e differisce da (x) per quanto poco si vuole; preso dunque 7 >0, è possibile di determinare un o in modo che sia ‘2'(e) —u(@)| la distanza fra pe? Cai = I : 1a) ) certo 7 >, la distanza fra P e pl’? è < 0. Pertanto, detta x, l'ascissa p di pio). è lea | <0 e perciò (a) — (7 )| di un ni, n} () 1) certo N, |u(x) —u,(e)|<2n. Poichè in # la «,(%) converge per D) n>o, è lim u,(x) =%(x). Avendo l’ insieme I: una misura >(6—@) — 56, n> 0 : dove s è arbitrario, l'uguaglianza precedente resta dimostrata quasi dap- pertutto. ages Osservazione. — Nell’enunciato 2) si può supporre che la 7%,(«), No(L) 3 Mn(X),... COonverga solo în misura verso la n(x). i 8. Supponiamo le w,(z) monotòne e, per es., non decrescenti. Allora, ec- cettuato un insieme E, di ‘misura nulla, le %,(c),w'(x) esistono finite e sono = 0; e siccome, supponendo u(x) = Zun(x), è ul + h) — ul) = D funle + 8) — un(e){> I }un(e + h) — un(e){ bh nel complementare di E è # > Y u,(x), onde Y #/(x) converge quasi 2a LS dappertutto. È poi ++) > |/r+| Za + Sun(c)| i Ì si e quindi, ad ogni poligonale inscritta in y = DECOR ne corrisponde una 1 È di maggior lunghezza inscritta in y = «(«). La lunghezza di y= Y_ u(®) È 1 tende dunque a quella di y= (x). Dal teorema del numero precedente scende perciò, come corollario, il teorema di Fubini ricordato nell’ intro- duzione. Storia della meccanica. — Sulle origini della scienza del- l'elasticità. Nota del prof. G. Vacca, presentata dal Sociòd V. VoL- TERRA. 1. Una delle idee più comuni e fondamentali nella meccanica moderna (?) è quella di elasticità. Questa idea astratta ha parole che la rappresentano in tutte le lingue viventi moderne (*); fa anzi parte della lingua comune, tanto che anche i bambini l’adoperano con perfetta familiarità. (1) L’insufficienza della storia della meccanica, specialmente per quanto riguarda l'origine e l'evoluzione dei diversi concetti di questa scienza, è stata opportunamente rilevata in: Vito Volterra, Lectures delivered at the Clark University (Trois lecons sur quelques progrès récents de la physique mathématique), Worcester, Mass., 1909, pag. 28. (£) In italiano francese ed inglese si adoperano la parola elasticità ed i suoi deri- vati, seguendo l’uso del primo inventore. I Tedeschi hanno introdotto le parole Federkraft, Spannkraft, Schnellkraft, e simili. La parola elasticità, bandita dal grande dizionario dei Grimm, ricompare però nelle necessarie spiegazioni di queste parole: secondo lo stesso dizionario, queste son tutte parole recenti, adoperate soltanto da Kant e da Goethe. Nelle lingue orientali (giapponese, cinese, arabo) mancavano nella lingua classica parole corrispondenti alla nuova idea; nei dizionarî moderni del secolo XIX, in queste lingue, sono state a questo scopo introdotte nuove parole o circumlocuzioni imitate dalle lingue europee. LE] pe Pure, quest'idea mancò agli antichi, sebbene essi adoperassero archi e balliste; come pure mancò ai numerosi popoli nei primordî dell'incivilimento, anche 2 quelli che conobbero molte proprietà di corpi elastici sfuggite agli europei ('). Gli antichi, infatti, avevano bensì distinto i corpi in molli e duri; ave- vano anche osservato che alcuni corpi, dopo esser stati deformati o comunque compressi, ritornano allo stalo primitivo; ma non avevano saputo. o non inte- ressava loro astrarre da questi fenomeni quella idea astratta che noi adope- riamo per descriverli, parlando cioè della loro forza elastica. Nell'antichità classica, del resto, i corpi elastici non sì presentavano spesso all'osservazione degli studiosi. L'arco e la lira (*), per la molteplicità stessa delle loro parti, e delle operazioni necessarie ad adoperarli, distraevano dall’attenzione degli studiosi la considerazione di quella proprietà che appare a noi fondamentale nella loro costruzione. Nelle opere meccaniche di Archimede i corpi sono considerati come per- fettamente rigidi. 2. Verso la fine del secolo XIV si cominciarono a costruire in Europa e probabilmente a Firenze i primi orologi a molla (*). Gli artefici di Norimberga svilupparono, perfezionarono forse, la costruzione di molle per orologi da tasca. e per i fucili a ruota. Queste molle (*) colpi- rono assai l'attenzione degli scrittori del Rinascimento. Annibal Caro (3), in . (*) Specialmente interessanti sono i popoli dell'Indocina i quali adoperano da molti secoli la cerbdottana (franc. sarbacane, ingl. sumpitan), parola che noi abbiamo appreso dagli Arabi, e questi dai Persiani; ed inoltre l’acciarino pneumatico, col quale ancor oggi alcuni popoli semi-inciviliti dell'Asia orientale si procurano il fuoco. (*) In un oscuro passo di Eraclito, indicatomi dal prof. Festa, si parla della 71@A(vr007105 dopovin... t6É0v xe) Mons. (*) Ciò risulta ad esempio da un grazioso sonetto di Gaspare Visconti, da lui pub- blicato nel 1493 in Milano in un volume di Rithmi (riprodotto in Phil. Argelati, Bibli0- theca Scriptorum Mediol.,... praemittitur J. A. Saxii... Historia literario-typogr. mediolan.... Mediolan., 1745, tom. I, col. 360): « Si fanno certi orologi piccioli e portativi (scrive il Visconti), che con poco di ar- « tificio sempre lavorano, mostrando le ore, e molti corsi de’ Pianeti, e le feste, sonando «quando il tempo lo recerca,...». La descrizione di un orologio, piuttosto confusa, dovuto ad un artefice fiorentino Lorenzo Vulparia, si trova nella lettera dell’agosto 1484 di Angelo Poliziano a Fr. Casa (Politiani, Opera, tom. I, Lugduni, 1578, pag. 117). (4) Girolamo Cardano, nelle sue opere De rerum varietate e De Subtilitate (ristam- pate in: Hieron. Cardani, Opera, Lugduni, 1663, tom. III, pag. 187, 363...) parla a lungo delle molle degli orologi (che chiama: horologii mola) e delle loro proprietà. È curiosa la ragione che egli dà dello stancarsi delle molle: « Mola semper fit debilior quia est « res inanimata, quae summum laborem patitur; animata enim cibo reficitur ». (5) Ann. Caro, Lettere, ediz. dei classici ital., vol. 3°, Milano 1807, pag. 192. Nella ‘sua Apologia, pubblicata a Parma nel 1558, il Caro pose nel frontespizio una molla d’ar- chibugio a ruota col motto vim vi. x EST: o N una sua lettera alla duchessa d'Urbino del 14 ottobre 1563, dà una descri- zione complessa, ma precisa, che credo opportuno di riprodurre allo scopo di mostrare come. senza l’idea di elasticità. si possa, con lungo giro di frase, descrivere il modo d'agire delle molle: « La molla è un instrumento dell’arti meccaniche di molto potere e di meravigtioso effetto, essendo immobile per sè, ed avendo forza da muo- vere l'altre cose, e di regolare anche il moto conforme al celeste [negli orologi]; ed è tale, che quanto più s: strigne, e si travaglia, tanto è di più forza, e di più virtà, e lasciandosi stare non opera ». Le molle di varie forme diventarono d'uso comune nel secolo XVI, e forse è in questo secolo soltanto che le molle, le spirali specialmente, comin- ‘clarono ad essere usate nei più svariati congegni, sebbene da un oscuro passo di Vitruvio si possa indurre che già i Greci le avessero conosciute ('). Più recente ancora è l'introduzione, dall'America in Europa, della gomma elastica 0 caucciù. 3. Il primo corpo, nel quale fu riconosciuta la virtù elastica. fu l’aria. Converrà quindi ricordare rapidamente gli sforzi complessi e successivi di molti nomini, allo scopo di renderci conto delle sue proprietà e di descriverle. Erone Alessandrino, accettando le idee dei più antichi filosofi greci i ‘quali dimostravano che l’aria è un corpo (poichè, ad esempio, un otre chiuso, pieno d'aria, resiste, come se dentro vi fosse qualche cosa), paragona (?) l'aria all'arena delle spiaggie. L'aria, egli dice, consta di innumeri corpi (c@uare) che si toccano in qualche punto, come i grani d'arena, ma lasciano inter- posti dei vani vuoti (xsvà& diaoiQ)uata), simili a quelli (pieni. d'aria) che stanno interposti tra i grani dell'arena. Nelle opere di Filone da Bisanzio (*) si trovano alcuni interessanti espe- vimenti sull'aria, che conviene descrivere: A) un vaso vuoto a bocca stretta (come un'anfora egizia), immerso nell'acqua, colla bocca rivolta in basso, non sì riempie d'acqua, finchè non sì fora il fondo con un piccolo buco, e finchè da questo buco non è uscita l'aria contenuta nel vaso; i B) se un vaso di vetro. corneo, o di altra materia trasparente, della stessa forma del precedente, si immerge nell'acqua in modo che sì riempia, e poi lo si solleva, colla bocca in basso, in modo che questa rimanga sempre immersa, il vaso rimane pieno d'acqua. Ma se si fa un foro piccolo quanto (*) Vitruvii, de architectura libri X, ed. Rose, Lipsia, Teubner, 1889, pag. 241. Vitruvio parla delle versationes anisocyclorum degli scorpioni, una specie di strumento bellico per lanciar freccie. L’acuto veneziano Daniele Barbaro, nel suo commento a Vi- truvio, suppose che arisocielo volesse indicare una molla a spirale. (*) Heronis Alexandrini opera, vol. I, ed. Schmidt, Leipzig, Teubner,:1899; Pneu- matica, pag. 6. (3) ibid., pp. 460, 462, 476, 480. o si voglia, in alto, in modo che possa entrarvi l’aria, l’acqua nel vaso scende al livello di quella esterna; C) se una candela, il cui piede è immerso nell’acqua, si ricopre con un vaso come il precedente, in modo che la bocca del vaso sia chiusa dal- l'acqua, dopo pochi momenti la candela consuma in parte l’aria del vaso, la candela si spegne, e l’acqua sale entro il vaso; D) se un recipiente fatto ad imbuto rovesciato, avente la bocca chiusa da un fondo bucherellato, si immerge nell'acqua, lasciando aperto il piccolo orificio del collo, esso si riempie d'acqua. Ma, se dopo aver chiuso questo orificio con un dito, si estrae l’imbuto dall'acqua, il recipiente rimane pieno d'acqua; e l’acqua non esce dai fori del fondo, se non si dà adito superior- mente all'aria sollevando il dito. 4. Questi esperimenti passarono inosservati per molti secoli finchè un vero precursore di Galileo, Giov. Battista della Porta (*'), nel 1601, dopo aver dili- gentemente studiato le opinioni degli antichi, ebbe ripresa le ipotesi di Erone sulla costituzione intima dell'aria, paragonandola, oltrechè all’arena, alle spu- gne asciutte, o ai ritagli di corna, i quali, se non compressi, riprendono la loro forma e grandezza. Per dimostrare questa proprietà dell’aria egli pro- cede ai seguenti esperimenti: A) se in una palla di ferro vuota, nella quale è praticato un foro in cui è infilata una cannuccia di stagno, sì soffia colla bocca, è possibile di comprimervi dentro altra aria; B) è possibile, pure aspirando colla bocca, di estrarre da quella palla una certa quantità dell'aria in essa contenuta, senza che nessun'altra sostanza possa penetrarvi: quindi l’aria può esser compressa o dilatata per mezzo di una forza; C) se in una canna da fucile si immette una bacchetta il cui estremo sia ben oliato in modo che l’aria non possa sfuggire: se si chiude col dito il piccolo buco inferiore (per cui si dà fuoco), in modo che l’aria non possa sfuggire, sì proverà gran fatica a far penetrare la bacchetta nella canna, poichè l’aria vi si comprime; e se, quando non si può comprimere più oltre, si abbandona la bacchetta, questa, con grande forza e rumore, è gettata fuori; D) se invece, aperto lo spiraglio inferiore, si spinge la bacchetta nel fondo del fucile, si chiude poi lo spiraglio, e si cerca di estrarre poi la bac- chetta, in parte vi si riesce; ma quando, dopo grande sforzo, è estratta fuori per un certo tratto, se la si abbandona, torna dentro con impeto, e con stre- pito picchia nel fondo, perchè allora l’aria era estremamente rarefatta, e non permetteva una rarefazione maggiore. L'operetta del Porta, tradotta nel 1606 in italiano e in spagnuolo, ebbe grande diffusione in Europa. (*) Io. Bapt. Portae neapolitani Preumaticorum libri tres, Neapoli, apud Carli- ‘mum, 1601. RenpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 5 x EIMON PI È Pochi anni dopo, Galileo faceva nuove ed importanti esperienze ed osser vazioni. Nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, pubblicati nel 1638, osserva che la vescichetta che i pesci hanno in corpo, piena d’aria, permette ai pesci di equilibrarsi in acqua di diversa salsedine, e di diversa densità. Nella stessa opera osserva, poi, che l’aria patisce di essere assaissimo condensata, e si riesce, dopo averla forzatamente messa in un fiasco, ad avere un'idea del rapporto tra il suo peso e quello dell’acqua. Pure a Galileo si dovono i primi tentativi di costruire delle palline con cera e frammenti di piombo, di tale densità da poter rimanere ad una data profondità nell'acqua, senza però riuscirvi, ma dando però evidentemente orì- gine a quel termometro a palline costruito nei primi mesi del 1648, inviato allora a Roma, e descritto poi per disteso nei Saggi di naturali esperienze dell'Accademia del Cimento ('). È infine dovuta a Galileo la segnalazione della famosa osservazione che l'acqua non può essere estratta colle pompe aspiranti se non ad una li- mitata altezza. È da questa osservazione di Galileo che il Torricelli fu tratto, nel 1643, alle sue celebri esperienze con una canna di vetro ripiena di mercurio, la quale lo convinse che era la pressione esterna dell'aria la sola causa della ascensione del mercurio nel barometro. : 5. Nei primi mesi del 1648, ripetendosi .a Parigi le esperienze del Torricelli, che in tutta Europa avevano destato grande ammirazione ed avevano dato luogo a discussioni in gran parte oziose, venne in mente al Roberval l’idea di porre una piccola vescica di pesce chiusa, nella som- mità, alquanto allargata, di una canna di vetro. Riempita di mercurio la canna, e rovesciatala in un bagno di mercurio, questa vescica, rimasta nel vuoto barometrico, sì gonfiava (come rettamente interpretarono il gio- vane Huygens. gli accademici fiorentini, e tutti gli spiriti lucidi che ave- vano ben capito i ragionamenti del Torricelli) per l'espansione di quella poca aria rimasta entro la vescica. In quello stesso anno 1648, giunti a Roma i termometri a palline degli accademici del Cimento, due italiani poco noti oggi, ma entrambi in- gegni acuti, costruirono, sembra indipendentemente l'un dall'altro, quello strumento che oggi a torto si chiama diavolo di Cartesio, ma che è assai atto a dimostrare, ad un tempo, la compressibilità dell'aria e la resistenza certissima dell’acqua alla compressione. È questo il titolo di un opu- scolo pubblicato il 26 luglio 1648 da Raffaello Magiotti da Montevarchi, (1) Saggi di naturali esperienze, pag. 15 dell’ediz. di Firenze del 1841: quinto ter- momekro. SOI allievo, assieme col Torricelli, di Benedetto Castelli. In questo breve scritto. il Magiotti parla della /orza dell'aria compressa, e rileva come gli archibusi a vento (costruiti verso la metà del secolo XVI) la pongano in evidenza. Il dotto medico Tommaso Cornelio da Cosenza, venuto a Roma, ed ivi allievo di Michelangelo Ricci, in una sua lettera, pure stampata a Roma nel 1648, intitolata pistola qua motuum illorum qui vulgo ob fugam vacui fieri dicuntur, vera causa per circumpulsionem ad mentem Platonis explicatur », tenta di dar spiegazione della pressione atmosferica. La spiegazione, del Cornelio, della pressione atmosferica (alla quale sola egli rettamenle attribuisce, seguendo il Torricelli, l'ascesa del mercurio nel barometro, ed 1 moti delle palline di varia densità che salgono o scendono nell'acqua allorchè questa si comprime più o meno dall'esterno) consiste nella costituzione stessa dell'aria la quale è da lui paragonata non solo alle spugne, ma anche, e piuttosto alla lana, 6. Tre anni dopo, nel 1651, il medico Giovanni Pecquet, da Dieppe, pubblicava una sua Dissertatio anatomica de circulatione sangquinis. Questo scritto ha per scopo di rendersi conto, più esattamente di quanto prima Cesalpino e poi Harvey avessero detto, per qual ragione il sangue penetri nel cuore allorchè questo si dilata. La sola gravità dell'aria pareva insufficiente al Pecquet. Egli pertanto rassomigliava nuovamente l’aria ad un cumulo di spugne o, meglio, di lana, riempiente tutta la terra, più com- pressa in basso, e meno in alto, il quale cumulo, per la sua spontanea dilata- zione che egli chiama e/atere (*), comprime tutti i corpi in essa immersi. Egli . è quindi il primo a parlare, più volte, di quella che egli chiama virtù ela- ‘stica, forza della virtù elastica (elasticae virtutis robur), e, più sempli- cemente forza elastica (vis elastica) dell’aria. La felice introduzione di questa nuova idea diede origine in tutta Eu- ropa, a nuove esperienze. Gli accademici del Cimento, i quali malvolentieri accettavano l’intro- duzione di nuove parole, ma erano avidi di nuove idee, chiamarono (nei loro Saggi di naturali esperienze) forza di molla dell'aria questa nuova specie di forza immaginata dal Pecquet. 7. Ma è soprattutto a Roberto Boyle che si devono le più importanti ricerche sulla proprietà elastica dell’aria. Nei suoi New experiments phy- sico-mechanical touching the SPRING OF THE AIR andtts effects, opera pubbli- cata ad Oxford nel 1660, ed ivi pure nello stesso anno tradotta in latino col titolo « Nova experimenta... de vi atris elastica; de elatere et gravi- (£) Dal greco (é4ez7o impulsore, agitatore). Il nome é4ergsov è quello di un pur- gante estratto da una zucca selvatica. Pure direttamente dalla parola #A@077s proviene il nostro elastico. tate aéris», si parla subito non solo dell’elasticità dell’aria, ma anche di corpi elastici. Le particelle singole dell’aria sono dal Boyle concepite come altrettante particelle elastiche, simili alle molle spirali od ai peli della lana. Spinto quindi dal desiderio di conoscer meglio questa forza elastica inerente all'aria, è tratto a sperimentare e ad osservare quella che oggi noi chiamiamo, a buon dritto, legge di Boyle. 8. Comincia così lo studio delle proprietà elastiche dei gas che, pochi anni dopo (nel 1730), Daniele Bernoulli spiegherà con più feconda ipotesi. Comincia pure così con Boyle l'osservazione della elasticità dei corpi solidi, lo studio dei quali sorge con le prime considerazioni di calcolo infinitesimale, e, pur avendo i suoi primi inizî nello studio della resistenza delle travi iniziato da Galileo, trova il suo primo sviluppo nello studio della curva elastica iniziato da Giacomo Bernoulli e poi completato da Eulero. 9. Prima però di porre termine a queste considerazioni, converrà dire qualche cosa intorno ad Ottone Guericke, poichè a torto, mi sembra, il Mach vorrebbe attribuirgli il merito di aver osservato l’elasticità del- l’aria (1). Non ostante la strana ipotesi del Gerland (*), è pressochè certo che ie esperienze del Guericke non risalgono, come egli stesso dice, e come dice il suo amico G. Scott (*), se non a qualche anno prima del 1654, anno nel quale egli faceva in Ratisbona i suoi vistosi esperimenti magdeburgici. Le idee del Guericke sono poco chiare. Egli pretende che l’aria, compressa in un vaso resistente di ferro, possa diventare un liquido simile all'acqua (4) pre- (1) E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwickelung, 4% ediz., Lipsia, Brockhaus 1911, pag. 123: « Die von Guzricke beobachtete Spannkraft der Lufit wurde von Boyle und spiter von Mariotte genauer untersuchi ». (*?) E. Gerland, Geschichter der Physik, ...durchgesehen von Dr. H. v. Steinwehr, Munchen und Berlin, 1913, pagg. 486-487. Il Gerland vorrebbe far risalire al periodo dal 1632 al 1638 le prime esperienze del Guericke! Prima di Torricelli e di tutti gli altri studiosi europei! Lo stesso Guericke che il Boyle chiama generoso, si sarebbe opposto ad un così evidente anacronismo. Il Gerland, riferendosi ad un articolo di G. Berthold (Wiedemanns Ann., Bd. XX, Leipzig 1883, pag. 349), parla di una lettera del 1799 (20 floréal, an. VII), del mate- matico Cristiano Kramp, là quale dice che « In CòUn selbst ist bereits... cine queri- chische Luft Pump, von ihm selbst gemacht und in Jahre 1641 dem Magistrate von Colln zum Prisent geschick... ». Questa macchina però, ora nè ‘a Colonia, nè in nessun altro luogo si trova, e non si conosce nessun documento che ne parli. Ed è inoltre assai, inverosimile che il Guericke facesse con gran pompa, come cosanuova, l'esposizione della sua invenzione a Ratisbona nel 1654, se già tredici anni prima aveva regalato alla città di Colonia la sua macchina. Siccome però non c’è ragione di dubitare della buona fede del Kramp, l'ipotesi più verosimile è che qnesti abbia letto male e che, invece di 1641, fosse scritto, ad esempio, 1671. - (?) P. Gasparis Schotti S. T. Mechanica hydraulico-pneumatica, Francoforte 1657. (*) Ottonis de Guericke Zrperimenta... magdeburgica, Amesterdam 1672; cfr. pagg. 72, 116, 118. gg tende che il vuoto, che faceva colla sua pompa, fosse più perfetto del vuoto torricelliano, ecc. Il merito del Guericke rimane soltanto quello, piuttosto meccanico, di aver costruito una prima macchina pneumatica. Questa macchina però, subito perfezionata dal Boyle, fu da questi adoperata con assai maggior sagacia ed intento scientifico. Nei suoi tentativi di spiegazione dei fenomeni, anche il Guericke parla dell’elatere dell'aria, la parola introdotta dal Pecquet e largamente usata dal Boyle: il che dimostra, come del resto egli afferma, che l’opera sua fu pensata e scritta nel 1668, sebbene sia stata pubblicata soltanto nel 1672. Matematica. — Sulla definizione di coppie, terne, ecc. Nota di C. BuraLi-FoRTI, presentata dal Corrisp. R. MARCOLONGO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Nuove ricerche intorno all’azione degli ossidanti sui sali cerosi ('). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In alcune Note (*) precedenti ho studiato l’azione dell’acido nitrico sui sali cerosi. Le ricerche descritte in questa Nota riguardano l'ossidazione dei sali cerosi mediante il permanganato potassico e i persolfati. Lo studio delle condizioni nelle quali il cerio passa da trivalente a tetravalente, sotto l’azione degli ossidanti. ha interesse, tanto per la pre- parazione dei sali cerici, quanto dal punto di vista analitico, perchè tutti i metodi di dosamento, di separazione e di purificazione del cerio si fondano sulla proprietà, che ha questo elemento, di dare composti del tipo RX,, proprietà che lo distingue da tutti gli altri elementi del suo gruppo. Le ricerche con l’acido nitrico ebbero, come corollario, la preparazione dei nuovi sali cerici: lo jodato, il selenito, l'arseniato monoacido e il bia- cido. Le ricerche col permanganato e coi persolfati, riferite in questa Nota, mi condussero a trovare nuovi metodi di dosamento e di separazione del cerio. (') Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale dell’Università di Ferrara. (*) G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei 1907, I, s95-401—e44, Berichte chem. Gesell. 43ag14 (1910). TREO QUI AZIONE DEL PERMANGANATO SUI SALI CEROSI IN SOLUZIONE ACIDA. È noto che il permanganato, in presenza di sostanze a reazione alcalina, [HS0 (*), ZnO (?), MgO (8), NasC0; (4) ecc.], ossida i sali cerosi con separazione di idrato cerico e biossido idrato di manganese. Muthmann e Weiss (?) esprimono la reazione tra permanganato potassico e nitrato ceroso, in presenza di carbonato sodico. con la seguente equazione: 3 Ce(NO3)3 + K Mn0, + 4Na;C0; + 8H,0= = 3 Ce(0H), + Mn(0H), + 8 Na NO; + K NO: + 400». Non si conoscono ricerche intorno all’azione del permanganato sui sali cerosi in soluzione acida. Ossidazione del solfato ceroso. Io ho osservato che se ad una soluzione di solfato ceroso, contenente non più dell’1 °/, di Ces (SO,); e non meno del 25 °/, di Hs SO,, si ag- giunge a poco a poco una soluzione di permanganato, il colore di questo ultimo scompare, e la soluzione cerosa assume il colore giallo delle solu- zioni di solfato cerico. La reazione è un po’ lenta a freddo, molto più ra- pida a caldo. Se la soluzione cerosa contiene più del 30 °/, di acido solfo- rico, la reazione avviene rapidamente anche a freddo. Tutto l'ossigeno attivo del permanganato passa nel sale cerico. Infatti, se si determina la quantità di acqua ossigenata necessaria per ridurre il sale cerico formatosi, si trova che essa è identica a quella che sarebbe stata necessaria per ridurre il permanganato adoperato nell’ossidazione. Siccome non si ha separazione di biossido di manganese, bisogna am- mettere che il permanganato si riduca a sale manganoso, ossia che per ogni molecola di permanganato vengano ossidati cinque atomi di cerio. Aggiungendo, infatti, ad una soluzione di solfato ceroso, col 40 °/, di acido solforico, il permanganato, in ragione di una molecola di permanganato per cinque atomi di cerio, la soluzione diventa gialla; ma se si continua ad aggiungere permanganato, essa diventa rosso-bruna e infine Violetta, ciò (*) Winkler, Journal prakt. Chem. 95410.(1865) (*) Stolba, Jahresbericht. 1878059; Sliz1s (1898). () R. I. Meyer e Schweitzer, Z. anorg. Chem. 54104 (1907). (4) Drossbech, Berichte deutsch. chem. Ges. 29249 (1896). (5) Lieb. Ann. 381, (1904). Ges. 5 Muthmann e. Rolig, Berichte deutsch. chem. SEXO) ee ‘che prova come il permanganato, aggiunto in più, rimanga inalterato. La rea- zione tra K Mn0O, e Ce:(SO,)z in presenza di molto acido solforico avviene dunque secondo l'equazione 5 Ces(SO,)3 +2K Mn0, + 8H,S0,= = 10Ce(S0,)» + K.S0,+2MnS0,+8H;0. Da quanto precede risulta la possibilità di titolare direttamente con permanganato i sali cerosi anche in presenza di altri elementi delle terre rare, i quali, avendo una sola forma di combinazione, non vengono influenzati dagli ossidanti. La determinazione dei sali cerosi mediante il permanganato ricorda quella dei sali ferrosi. L'unica differenza consiste in questo: che, mentre il solfato ferrico, in presenza di molto acido solforico. dà soluzioni quasi ineolori, il solfato cerico invece è giallo e maschera un poco di colore del per- manganato, di modo che la fine della reazione si manifesta con un passaggio dal giallo all’aranciato-bruno che non è facile a cogliere. Si vedrà, più avanti, come questa difficoltà sia stata superata, sostituendo all’acido solforico l’a- ‘cido fosforico. Ossidazione dello jodato ceroso. Le jodato ceroso Ce(J03):, che si può ottenere, come è noto, aggiun- gendo acido jodico alla soluzione di un sale ceroso, è un precipitato bianco solubile in acido nitrico diluito; mentre lo jodato cerico Ce(JO3),. che io ottenni, per la prima volta, trattando lo jodato ceroso con acido nitrico ‘all’ebullizione, è giallo cristallino, ed insolubile anche in acido nitrico ab- bastanza concentrato se è presente acido jodico libero. Ora io ho osservato che, in una soluzione cerosa che sia stata addi- zionata con acido jodico in eccesso, e poi coll’acido nitrico necessario per disciogliere il precipitato di jodato ceroso, sì può, mediante il permanganato, ‘ossidare rapidamente tutto il cerio contenuto, e precipitarlo quantitativa- mente sotto forma di jodato cerico. Ralciù risulta, ad esempio, dalla seguente esperienza: Ad una soluzione ‘cerosa (50 cc.), contenente gr. 0,2997 di Ce(NO:)3, vennero aggiunti 20 cc. di una soluzione di acido jodico al 10 °/,, e 15 ce. di acido nitrico con- centrato; poi, dopo avere scaldato a bagno maria, 10 ce. di soluzione io di permanganato. Il colore di quest'ultimo scomparve rapidamente, e si formò un precipitato cristallino giallo che si depositò in fondo al recipiente, la- sciando del tutto incolore il liquido soprastante. Questo liquido. separato per filtrazione, all’analisi mostrò di non contenere cerio. Nel. precipitato, lavato con una soluzione contenente acido nitrico (10 °/,) e acido jodico (5 °/0) ‘e poi con acqua, si dosò cerio e acido jodico. Esso conteneva gr. 0,1578 di ISFARO. pg Ce0, (calcolato gr. 0,1583) e gr. 0,4660 di jodio come acido jodico. Da questi risultati si calcola, per il rapporto ce, il valore Ti Dutigne il pre cipitato è effettivamente jodato cerlco e contiene tutto il cerio adoperato. La reazione tra Ce (JO:); e K MnO, viene espressa dalla seguente equazione: 5 Ce(J0O3)3 |+ KMn0, + 5HJO, | SHNO, = = 5 Ce(J0,), + K NO; + Mo(NO:) + 4H0. Questa reazione non può servire per la titolazione volumetrica del cerio, perchè, dopo che tutto il cerio è stato ossidato, il permanganato viene an- cora ridotto, benchè più lentamente, dal sale manganoso che si è formato in soluzione e che, in presenza dell’eccesso di acido jodico, dal permanga- nato viene ossidato a jodato manganico. L'ossidazione dello jodato ceroso permette, invece, di separare quanti- tativamente il cerio dagli altri elementi del suo gruppo che dànno jodati solubili in acido nitrico diluito e hanno una sola forma di combinazione. Ad esempio, si separò il cerio dal lantanio in una soluzione contenente gr. 0,2997 di Ce(NO:); e gr. 0,3521 di La(NO;);, trattandola con acido jodico e con permanganato come fu detto sopra. Si ottennero gr. 0,1570 di Ce0, (calcolato gr. 0,1583) e gr. 0,1752 di Las 03 {calcolato gr. 0,1766). Non si conosceva finora nessuna reazione che permettesse la separa- zione quantitativa del cerio dagli elementi trivalenti delle terre rare, me- diante un solo trattamento. y Ossidazione del fosfato ceroso. È noto che l’acido fosforico produce, nelle soluzioni dei sali cerosi. un precipitato bianco di fosfato ceroso solubile negli acidi diluiti e anche in un eccesso di acido fosforico, mentre nelle soluzioni dei sali cerici produce un precipitato pure bianco che, negli acidi diluiti, è quasi insolubile e che, fino ad ora, non è stato studiato. - Facendo agire il permanganato sul fosfato ceroso, sciolto in un eccesso di acido fosforico, ho constatato che il permanganato viene ridotto anche a freddo, mentre la soluzione intorbida per la formazione di un precipitato bianco, voluminoso e gelatinoso. Questo precipitato dà le reazioni dei sali cerici. In acido cloridrico concentrato si scioglie con colorazione rossa che poi scompare mentre si libera cloro, e in una soluzione concentrata di acido ossalico si scioglie con colorazione rossa che poi scompare mentre precipita ossa- ee per stabilire. se il cerio che esso contiene è tutto cerico. Una porzione della sostanza venne introdotta in una soluzione di joduro potassico e acido cloridrico: lato ceroso. Ho determinato in detto precipitato il rapporto SRI i sì ebbe tosto liberazione di jodio che venne titolato con iposolfito : poi nel liquido stesso si precipitò il cerio come ossalato. Per gr. 0,4179 di jodio sì trovarono gr. 0,5584 di Ce0O.. In base a questi risultati si calcola che per ogni atomo di cerio si è liberato un atomo di jodio. Dunque nel composto, che si ottiene ossidando con permanganato, il fosfato ceroso, è contenuto un atomo di ossigeno attivo per ogni due atomi di cerio: ossia tutto il cerio è nella forma tetravalente. so e P30; atomi di cerio si trovarono circa tre molecole di anidride fosforica. Si tratta dunque di un sale basico. I tentativi fatti per ottenere il fosfato cerico neutro e allo stato cristallino non diedero alcun risultato. Se l’ossidazione del fosfato ceroso, mediante il permanganato. non ha interesse per la preparazione dei sali cerici, ne ha invece uno notevole, dal punto di vista analitico, perchè tale ossidazione è, in condizioni oppor- tune, quantitativa; e siccome il precipitato che si forma è bianco, ed il liquido sovrastante resta incoloro, la fine della reazione viene indicata con grande esattezza dall'apparire della colorazione violetta del permanganato. In presenza di acido fosforico, si può, dunque, titolare direttamente un sale ceroso col permanganato, senza l'inconveniente che abbiamo notato in. soluzione solforica. Questo nuovo metodo di determinazione volumetrica del cerio dà risul- tati esatti se si opera nelle condizioni seguenti. La soluzione cerosa deve essere diluita in modo che non contenga, in 100 cc., più di 0,1 di cerio. A 100 cc. della soluzione si aggiungono 20 ce. di una soluzione di acido fo- In detto composto venne anche determinato il rapporto . Per quattro 3 : ia È 1 È 2 Mic: sforico di densità 1,35; poi a goccia, a goccia, la soluzione 10 di perman- ganato, finchè il precipitato che si forma non appare un poco roseo. Allora si scalda a bagno maria; a caldo, il lieve colore roseo scompare. e sì con- tinua l'aggiunta del permanganato finchè il liquido soprastante al precipi- tato assume una tinta rosea persistente a caldo. Il dosamento dà risultati buoni anche se il cerio è accompagnato da altri elementi delle terre rare. La quantità dell’acido fosforico aggiunto deve essere tale da mantenere in soluzione detti elementi, anche a caldo. Se è presente torio, l'acido fosforico produce un precipitato di fosfato ba- sico .di torio, che, come il fosfato cerico, è assai poco solubile negli acidi. La presenza di tale precipitato non disturba l’ossidazione del fosfato ceroso. Infine, anche la presenza di piccole quantità di sali manganosi non ha influenza sulla titolazione, mentre tutti i metodi volumetrici finora noti non sono applicabili se il cerio è accompagnato dal manganese. Mi riserbo di dimostrare altrove, con dati analitici, come la titolazione del cerio, in soluzione fosforica col permanganato, sia, di tutti i metodi di. RanpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 6 info a dosamento del cerio finora proposti, uno dei più esatti. il più rapido e quello che può essere di impiego più generale. 3 AZIONE DEl PERSOLFATI SUI SALI CEROSI IN PRESENZA DI UN SALE DI ARGENTO. Dalle ricerche di von Knorre ('), di 0. Witt (?) e di R. J. Meyer (*) risulta che i persolfati ossidano, a caldo, i sali cerosi. A freddo, persol- fato e sale ceroso possono coesistere in soluzione per molto tempo senza reagire. Io ho osservato che, se ad una soluzione contenente un persolfato alca- lino e nitrato o solfato ceroso, si aggiunge un po' di nitrato di argento, subito comincia l'ossidazione del sale ceroso per opera del persolfato, e prosegue più o meno rapidamente a seconda della concentrazione di detti composti e, dopo un tempo più o meno lungo, se il persolfato era in quan- tità sufficiente, tutto il cerio contenuto è passato nella forma cerica. Se la soluzione cerosa è discretamente acida, il sale cerico che si forma vi rimane sciolto e la colora in giallo; se la soluzione è neutra, intorbida rapida- mente perchè il cerio tetravalente precipita allo stato di sale basico. Si può a questa reazione dare una forma più ‘appariscente, operando nel modo che segue. A una soluzione di nitrato ceroso, per esempio al 5 °/o, sì aggiunge tanto acido fosforico da sciogliere il precipitato prima forma- tosi; poi una soluzione dì persolfato di ammonio, abbastanza concentrata. Si divide in due porzioni il liquido, e in una si fanno cadere alcune goccie di una soluzione di nitrato di argento al 10 °/,. Dopo alcuni minuti il liquido, nel quale.si è aggiunto il nitrato di argento, si è trasformato in una massa bianca gelatinosa e coerente, costituita da quel fosfato cerico di cui si è parlato più sopra. La porzione del liquido senza il nitrato d'argento rimane limpida, Il meccanismo chimico di questa reazione catalitica è molto chiaro, perchè si sa che il persolfato ossida, a freddo, l'argento monovalente, ad ar- gento bivalente; e questo ossida, pure a freddo, il cerio trivalente, a cerio tetravalente. Ho eseguito alcune ricerche alla scopo di applicare questa catalisi alla purificazione dei sali di cerio. Se ad una soluzione diluita e neutra di nitrato ceroso, per esempio al 2%/,, sì aggiunge una soluzione di persolfato potassico contenente circa il «doppio della quantità di Ks Ss» 0g uecessaria per. ossidare il cerio impiegato, (1) Z. angew. Chem. 189712. (®) Berichte deutsch. chem. Ges. 331315 (1900). (8) ibid., 339008 (1900). ù | Sio ro e infine nitrato d'argento in ragione di gr. 0,5 per litro, si osserva che, dopo 24 ore, circa il 95 °/, del cerio messo a reagire è precipitato come solfato basico. Questo si presenta sotto forma di una polvere gialla cristal- lina che si può facilmente separare e lavare per filtrazione alla pompa. Se altri elementi delle terre rare accompagnano il cerio, essi riman- gono in soluzione insieme con la piccola quantità di sale cerico che è man- tenuta sciolta dall’acido solforico liberatosi dal persolfato. L'ossidazione del nitrato ceroso con persolfato in presenza di nitrato . d'argento permette dunque di ottenere in modo molto semplice, a freddo e con buon rendimento, da un prodotto di cerio greggio, un sale di cerio puro. Chimica. — Prove di scissione di alcooli racemici mediante anidride canforica (*). Nota di L. MASCARELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La scissione, per via puramente chimica, delle sostanze racemiche nei loro antipodi ottici, riesce abbastanza facilmente in tutti i casi in cui le sostanze hanno una funzione chimica ben spiccata, come quella acida o quella basica; meno agevole riesce per le sostanze a funzione aldeidica e chetonica; meno ancora per quelle a funzione alcoolica; difficile assai, o quasi impos- sibile, per gli idrocarburi e pei loro derivati alogenati. Per gli alcooli sono stati già proposti varî metodi, aleuni dei quali di applicazione generale. Tra questi il più semplice, almeno per quanto riguarda il principio su cui si fonda, è quello di Pickard ed allievi (*). L'esecuzione di analogo principio venne già tentata da Kriiger (*) e da Meth (*); però l'applicazione pratica e semplice venne data ed estesa dal Pickard. Il metodo consiste nel preparare anzitutto il monoetere di un acido polibasico, ciò che si ottiene scaldando l'alcool con l'anidride dell'acido; poi nel salificare questo etere acido con una base attiva. e così è resa possibile la separazione col metodo di Pasteur; finalmente nell'idrolizzare con potassa alcoolica l'etere acido attivo, ottenuto per tal modo allo stato puro. Gli autori adoperano con successo l'anidride succinica, ma più special- mente la ftalica: nella applicazione ripetuta del metodo a varî alcooli race- mici, si poterono meglio stabilire le condizioni più favorevoli in cui si deve (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica della R.{Università di Cagliari. (*) Journ. chem. Soc. London, 9/, 1974 (1907) e numerose Note posteriori. (*) Ber. d. chem. Ges. 26, 1203 (1893). (4) Ber. d. chem. Ges. 40, 695 (1907). tag gi operare ('). Ciò nullameno, il metodo, che ha già dato buoni risultati, offre difficoltà dipendenti specialmente dal fatto che i sali alcaloidici del mono- etere ftalico (ed ancor più quelli del succinico) (?) cristallizzano stentata- mente, più spesso si depositano oleosi e ritardano a lungo a solidificare. Noi abbiamo provato ad applicare tale metodo per la scissione del decaidro-8-naftolo, che, come abbiamo dimostrato (5), deve esistere in forme otticamente attive; ma, purtroppo, finora non siamo riusciti a farne cristal- lizzare il sale di brucina, il quale dall’acetone si deposita come una pelli- cola oleosa, da l'etere di petrolio come gocciole oleose gialle che col tempo solidificano, ma che non dànno affidamento di sufficiente purezza. Abbiamo perciò voluto provare a sostituire alla anidride ftalica un'altra anidride, la quale, da quanto poteva prevedersi teoricamente, avrebbe anche semplificato il processo od almeno poteva renderlo più breve, permettendo cioè di tralasciare la salificazione con basi attive. L'anidride canforica infatti, contenendo nella sua molecola due atomi di carbonio asimmetrici, fra loro diversi e di configurazione opposta, doveva già rendere possibile la separazione, secondo il processo Pasteur. del suo mono- etere. Aschan (‘) ha dimostrato che, conformemente alla teoria, possono esi- stere sei acidi canforici C,0H,60, appartenenti a due serie: la serie dell'acido canforico è del tipo malenoide, e di questo esistono l'acido canforico destro, quello sinistro, ed il racemico; la serie dell'acido isocanforico è del tipo fumaroide, e di questa si conoscono pure l'acido isocanforico destro, il sinistro, ed il racemico. Siccome l’anidride canforica ordinaria genera, per idratazione, acido canforico del tipo malenoide, così la sua costituzione deve essere la seguente : OCH:T—CH-—C0, 6 | DS CH:—C—CH; >0 liga Rigi gi eo) CH; nella quale facilmente si nota che, se l'atomo di carbonio 4 ha contigura- zione destra, quello 1 deve averla sinistra; e viceversa. E evidente che, se (1) Vedi anche Paolini, Rend. R. Acc. Lincei, I, 769 (1911); II, 173 (1914). (*) Journ. chem. Soc. London, 99, I, 59 (1911). (8) L. Mascarelli, Rend. R. Ace. Lincei, 20, II, 223 (1911); Gazz. ch. it. 42, IL 12 (1912). i fia (4) Ber. d. d. chem. Ges. 27, 2001 (1894); Liebigs Ann. 376, 196 (1901). SN LI pa si compie l'eterificazione parziale di questa anidride con un alcool racemico, si formeranno contemporaneamente i due monoeteri CH,—CH—C00R CH.— CH—C00R | | SE n CH, ( ‘C00H CH, _C00H CH, CH; che corrispondono agli a-eteri di Anschiitz (*) od agli orto-eteri di Brihl (?). Da questi schemi risulta subito che i due eteri più non sono enantiomorfi, e perciò ne è possibile lo sdoppiamento per cristallizzazione. ‘ È interessante di far notare, al riguardo, come il contegno della anidride canforica nell'eterificazione — che ha dato luogo a numerosi studî di Friedel, Brihl, Anschitz, Wegscheider, V. Meyer ed altri, ed anche a polemiche sulla costituzione dell'acido canforico — parrebbe a prior: favorire questo pro- cesso di eterificazione: poichè oramai si sa che gli eteri @ (cioè del carbos- sile legato al carbonio 4) sono quelli che hanno la massima tendenza a for- marsi, mentre gli eteri 8 (del carbossile legato al carbonio 1) non si formano affatto per riscaldamento dell'alcool con l'anidride canforica (*). E così pure esso parrebbe favorevole alla ulteriore esecuzione del processo, perchè dei due monoeteri, quello che con tutta facilità si saponifica per azione degli alcali è precisamente l'@, mentre il 8 richiede una ebollizione assai pro- lungata, ciò che favorisce in tali casi la racemizzazione del prodotto che si vuole isolare (‘). Tale contegno degli eteri dell'acido canforico nella sapo- nificazione era già stato notato per primo da Friedel (*), poi da Brihl (5) e Wegscheider (?), e conferma la regola di V. Meyer circa la saponificazione di eteri di acidi polibasici (5): che, cioè, gli eteri che facilmente si for- mano, facilmente si saponificano; e viceversa. — L'impiego dell’anidride canforica poteva ancora offrire il vantaggio che la velocità di reazione nell’eterificazione di un acido attivo con un alcool racemico doveva essere, per i due componenti di tale racemo, alquanto diversa, N) Ber.d. ‘dd. ch. Ges. 20,2602‘(1897). (2) Ber. d. d. chem. Ges. 25, 1796 (1899). (8) Brihl, Ber. d. d. Chem. Ges. 26, 284, 337, 1097 (1893); Anschiitz, Ber. d. d. ch. Ges. 30, 2652 (1897); ed altri. (4) Journ. Ch. Soc. London, 407, 702, 888 (1915). (5) Compt. rend. 1/3, 825 (1891). (5) Ber. d. d. ch. Ges. 25, 1796 (1892); 26, 284 (1893). (?) Ber. d. d. Ch. Ges. 28, 1469 (1895). (8) Ber. d. d. ch. Ges. 28, 1263 (1895). conformemente alla dimostrazione fatta da Markwald e Me. Kenzie (*). che di questa diversa velocità di eterificazione sì servirono per scindere alcuni composti racemici. Sfortunatamente, parecchie difficoltà sperimentali e alcune reazioni secon- darie perturbatricì sì accumulano per togliere ogni valore pratico al metodo. Questo è il risultato di numerose prove tentate, le quali, se tolgono valore all'applicazione sperimentale, confermano il principio teorico, perchè ci hanno dato non dubbî segni dell'avvenuta scissione parziale. Saggi preliminari, compiuti con poco deca-idro-$-naftolo sintetico e anidride canforica, ci fecero sorgere il sospetto che la eterificazione avvenisse in modo anormale, con produzione di prodotti secondarî, che ci riserviamo di studiare più tardi. Questo ci indusse ad applicare il metodo ad alcooli racemici più facili ad aversi in buona quantità e che già fossero stati scissi nelle loro forme antipode. per modo che più facile ci riuscisse il controllo del metodo stesso. Noi abbiamo scelto l’etil-fenil-carbinolo ed il metil-fenil-carbinolo. Le esperienze vennero compiute in collaborazione con la laureanda sign.!?* Daria Deliperi; di queste esponiamo, qui, solo i risultati. Esse ci hanno dimo- strato che: ; | : Il solito processo di eterificazione con acido cloridrico gassoso, applicato allo scopo di conoscere le proprietà degli eteri, si mostrò inadatto, perchè prati- camente tutto il carbinolo si trasforma in cloro-derivato C;H; . CHCI.CH,CH; per la sostituzione del cloro all'ossidrile (?). Il metodo di eterificazione con acido solforico dà rendimento scarsissimo, perchè questo acido agisce anzitutto da disidratante sul carbinolo, producendo propenil-benzolo C$H;CH :CH-CH3; e poi da polimerizzante, trasformando questo in polimeri bollenti alto. Anche l'eterificazione tra canforato d'argento e eloro-propil-benzolo ci diede scarso rendimento. ; Con tali prove però potemmo conoscere le proprietà di questi canforati acidi, che sono olii densi, non capaci di distillare senza decomporsi, e, perciò, di purificazione assai difficile. La fusione ed il riscaldamento diretto dell'anidride canforica con l'etil- fenil-carbinolo ci diedero anche prodotti secondarî assieme con poco monoetere; però l'esame ottico dell’etil-fenil-carbinolo, che non ha reagito, ci mostrò che questo è lievemente destrogiro, ciò che attesta che, sebbene in piccolis- sima misura, la scissione si compie perla diversa velocità di eterificazione dell'acido canforico con le due forme antipode dell'alcool. (3) Ber. d. d. ch. Ges. 32, 2130 (1899). (2) Errera, Gazz. ch. it. 16, 322 (1886). Ss re Vogliamo notare che le ricerche nostre erano già a tal punto quando ci accadde di trovare una Nota preliminare di R. Pickard, Lewcock e Yates (*), di cui non è fatto cenno nel Centralblatt, e nella quale gli autori, dopo essersi occupati della scissione di alcooli racemici della serie idroaromatica e ter- penica, aggiungono: « The application of these methods [cioè preparazione di ftalati e suc- cinati acidi dell'alcool] to the isolation in a pure state of the tertiary alcohols has been hindered by the difficulty of preparing their acid esters. The in- teraction at (say) 110° or above of equivalent amounts of such alcohols and acid anhydrides (phthalic, suecinie or camphoric) leads to the dehydration of the alcohols. It has, however, now been found that the long-continued action at temperatures below 100° of the anhydrides on an excess of the alcohols gives good yields of the desired acid esters. In this manner opti- cally inactive terpineol bas been converted into its esters...». Non ci fu possibile di rintracciare altra pubblicazione degli stessi autori, in cui fossero descritti i particolari. Per questo fatto, e perchè non ci pare che il processo con la anidride canforica possa semplificare sperimentalmente il metodo con l'anidride ftalica, proposto da Pickard, ci siamo limitati ad accennare ai risultati delle espe- rienze intraprese. Pubblicheremo in altro luogo i particolari. ‘Con ogni verosimiglianza il processo alla anidride canforica potrà dare risultati soddisfacenti quando trattisi di alcoli racemici primarî. capaci di formare canforati cristallizzabili. Ringrazio sentitamente la signorina Daria Deliperi per l’opera sua pre- stata in queste ricerche. (') Proceedings of the chemical Society, London, 1913, pag. 127. MR Biologia. — /n/luenza della temperatura sull’azione della ‘tirorde sui girini ('). Nota di GruLIO COTRONEI, presentata dal Socio B. GRASSI. In precedenti esperimenti sull'azione della tiroide di mammiferi sui girini di Rana esculenta e di Bufo vulgaris, ebbi modo di osservare che sul Bufo vulgaris essa era assai meno intensa. Continuando però a lavorare su larve di Bufo sviluppatesi da uova deposte più tardi, osservai che l’azione della tiroide si manifestava più rapidamente e più intensamente: così che nel 1° lavoro pubblicato nel 1913, io dissi che la tiroide dei mammiferi agiva stimolando la fase di metamorfosi tanto nelle Rane come nei Bufi; non vera quindi un'azione differente per le differenti specie. Più tardi, nel 1914, leggendo il 2° lavoro di Gudernatsch, notai che l’autore ricordava l’azione meno rapida della tiroide sui Bufi. Era però evidente per me che avevo seguìto gli esperimenti sia durante mesi in cui la temperatura era bassa sia su larve tardive, quando la temperatura andava elevandosi, che la differenza dei risultati era dovuta alle condizioni sperimentali: e dalle osser- vazioni comparative io fui indotto naturalmente a pensare al fattore tempe- ratura e a valermi dell'esperimento diretto per accertare la verità della mia induzione. Ho voluto pertanto valermi per i miei esperimenti di larve di Rana esculenia approfittando della circostanza di avere ottenuto, ir quest'anno, larve ibernanti in gran numero. In tal maniera mi si dava contemporaneamente il modo di studiare sperimentalmente un problema biologico molto interes- sante: quello dell'‘dbernazione; e inoltre, allo scopo di risparmiare esperi- menti, mi si dava il modo di trattare anche un altro. problema (?): veri- ficare, cioè, se la tiroide dei varî vertebrati sì comportasse ugualmente; perciò io ho esperimentato con tiroide di uccelli (di preferenza polli). 10 novembre 1915. — I varî lotti di larve, sulle quali ho esperimen- tato differenti nutrizioni (crostacei, molluschi, carne di bue, tuorlo d'uovo, albumina di uovo ecc.), si possono considerare come in via d’ibernazione; giacchè non s' iniziano più fasi di metamorfosi. (') Lavoro eseguito nell'Istituto di anatomia comparata della R. Università di Roma. (?) Ricordo a tal proposito che il prof. Giacomini ha già pubblicato che la tiroide della Rana esculenta produce la metamorfosi se data come nutrimento alle larve della stessa specie: Giacominì E. Società Medica Chirurgica di Bologna. Adunanza del 3 di- cembre 1914. ren i. . DA E Mi valgo di una larva di Rana esculenta giunta al termine della fase «di accrescimento larvale, con gli arti posteriori completamente sviluppati e differenziati, proveniente da un lotto nutrito con Squilla mantis (nutrizione ‘che mi si è dimostrata favorevole all’accrescimento larvale); e di un'altra larva della stessa età, nutrita con gasteropodi (felix) (nutrizione questa che mì si è dimostrata invece assai poco favorevole all’accrescimento e a produrre la fase di metamorfosi: la larva si presenta infatti assai indietro nello sviluppo; piccola, e con gli arti posteriori appena accennati). Alle due larve, tenute alla temperatura della stanza, somministro tiroide di pollo dal giorno 10 novembre: ‘osservo che la tiroide viene mangiata, e me ne accerto constatando la pre- senza delle fecce. 12 novembre. — Inizio l'esperimento di controllo. Per poter verificare l'andamento sperimentale, mi servo di una larva di Runa esceulenta la quale, sebbene sia stata nutrita con Squilla, tuttavia presenta l’abbozzo degli arti posteriori di qualche millimetro soltanto (variazioni individuali); la larva vien messa in una vaschetta, tenuta in stufa alla temperatura di 25°-27°, e le viene somministrata tiroide di pollo (*). Questa larva, nutrita a caldo, si mostra dopo pochi giorni già avanti nello sviluppo: il 22 novembre, giorno in cui questa larva muore (essendo stata colpita per errore con un taglio di forbici nel tagliuzzare la tiroide), essa presenta l'apparato digerente in gran parte trasformato e gli arti posteriori notevolmente differenziati, per quanto non corrispondenti allo stato dell’ap- parato digerente (Cotronei, Disarmonia prodotta dalla nutrizione con tiroide). 22 novembre. — I controlli, tenuti a temperatura più bassa (quella della stanza), non mostrano modificazioni apprezzabili, per quanto abbiano continuato a mangiare tiroide: nemmeno la larva che era molto avanti nello sviluppo riesce ad emettere gli arti anteriori. 24 novembre. — Siccome l'esperimento a caldo, per quanto mostri già l’infiuenza della temperatura, non è completo, lo ripeto con un’altra larva dello stesso lotto della precedente (nutrita da prima con Squilla). È presso a poco nelle stesse condizioni di sviluppo; soltanto ha gli arti po- steriori un po' più avanti. Le somministro da questo giorno tiroide di pollo. 5 dicembre. — La larva che è stata tenuta in stufa alla temperatura di 25°-27°, viene trovata morta: ma ha emesso l'arto anteriore sinistro; l appa- rato digerente si mostra molto progredito nelle sue trasformazioni; anche gli arti posteriori si presentano notevolmente differenziati, ma non comple- tamente; la coda mostra una condizione di atrofia, ma non di assorbimento. (+) Il riscaldamento dell’animale sia graduale. Avverto pure che 27° è un massimo ‘non la media dei miei esperimenti. ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 7 Senta I controlli, tenuti a temperatura più bassa, non mostrano di essersi modificati. tranne l’abbozzo più evidente degli arti posteriori nella larva più piccola. 25 dicembre. — La larva più piccola, tenuta a freddo, muore; pre- senta ora gli arti posteriori con l’abbozzo del piede; non ha emesso arti anteriori; le condizioni dell'apparato digerente sono evidentemente più arre- trate che non nelle larve tenute a caldo. Osservo tuttavia che i controlli nelle stesse condizioni di temperatura (a freddo), ai quali ho continuato a som- ministrare /elix, sono ancora più arretrati. L'altra larva tenuta a freddo, ma che all’inizio dell'esperimento già era molto sviluppata, tanto che pareva pronta alla metamorfosi, non ha emesso gli arti anteriori nemmeno al momento in cui scrivo (81 dicembre). Da parecchi giorni noto che non ha più mangiato, per evidente influenza del freddo. Da questi esperimenti risulta in modo evidente: 1°) la tiroide degli uccelli agisce come la tiroide dei mammiferi nell’accelerare lo sviluppo larvale, producendo la metamorfosi ; 2°) questa stessa azione sì manifesta quindi anche nel produrre una azione disarmonica (1). 3°) la temperatura elevata, compatibile con la vita delle larve, favo- risce, accelerandola, l’azione della tiroide, mentre le basse temperature hanno un'azione contraria: ciò spiega perchè in pieno estate gli esperimenti con larve di Rana esculenta sono più evidenti e più rapidi di quelli fatti con larve di Bu/o vulgaris, le cui uova vengono di solito deposte qui a Roma in inverno; 4°) tutto m'induce a pensare che le larve ibernanti (quelle sulle quali non ho esperimentato con tiroide) non entrano in fase di metamor- fosì perchè il secreto tiroideo, trattandosi di animali a sangue freddo, si trova in condizione da non poter più attivare il metabolismo organico per condi- zioni di temperatura; per lo meno l'influenza della tiroide dell'animale ha in questi casi un'importanza preponderante. Gli esperimenti con larve iber- nanti tuttavia continuano. Questi esperimenti sopra riassunti erano già stati compiuti (come dimostra il diario) e i risultati già ottenuti, quando mi giunge proprio in questi giorni, mentre scrivo la presente Nota, il fascicolo n. 6 del « Journal of expe- rimental medicine » edito a New-Jork con data 1° dicembre 1915. Tale fascicolo contiene un lavoro del Lenhart;.ed in un breve paragrafo si descrive (*) Fa d’uopo tener presente che negli esperimenti da me eseguiti si è sommini- strata tiroide in eccesso: la disarmonia da me descritta va riferita sempre in relazione di questa circostanza:. ulteriori esperimenti diranno i risultati di modificate condizioni sperimentali: risultati che solo per eccesso di prudenza non formulo. dEi er l’influenza inibitrice del freddo sull'azione della tiroide. Questo risul- tato concorda con quelli da me indipendentemente raggiunti e sopra riferiti: l'autore, invece di valersi di larve ibernanti, ha operato nella sta- gione calda e ha esperimentato su larve tenute sperimentalmente a più bassa temperatura, in un refrigerante. Citando il lavoro del Lenhart, io noto con sorpresa che l’autore non conosce i miei precedenti lavori sull'argomento (!), recensionati in molti perio- dici, anche stranieri, e già entrati nella letteratura scientifica sull'argomento; e la mia sorpresa è tanto più legittima, in quanto l’autore avrebbe trovato nei miei lavori (1913 e 1914) idee che collimano appunto con le sue. Il Lenhart asserisce che i risultati ehe la tiroide manifesta sulle larve di Anuri non devono essere considerati come una « neuw action of thyroid but in its application to a living organism at a specific time in its ‘deve- lopment »; riferisce poi i risultati a un effetto sul metabolismo generale. Che cosa mi sono proposto io? Nel 1913 ho appunto tracciato le varie ipotesì di lavoro, asserendo che bisognava considerare l'effetto della tiroide sul girini tenendo presente i noti risultati che lo studio della tiroide aveva già dati. Sopratutto nel 1914 ho chiaramente riferito i risultati, ottenuti su gli anfibî, a fenomeni dello stesso ordine ottenuti sperimentalmente, e anche in condizioni patologiche, sui mammiferi. Non ho parlato in modo vago; ma mi son richiamato a risultati concreti. Ho tenuto presente che nel pro- gredire dell'età delle larve, ossia invecchiando, la percentuale in acqua dimi- nuisce; e ho ricordato comparativamente già noti effetti della tiroide (per- dita d’acqua, influenza sui fenomeni d'ossidazione ecc.). Ho infine fatto notare implicitamente che se si avevano effetti che parevano differenti, ciò era perchè noi sperimentavamo con organismi che avevano un proprio ciclo di sviluppo; sperimentalmente mettevamo le larve nelle condizioni biologiche della metamorfosi (perdita d’acqua, ad es.): le avevamo cioè invecchiate, e quindi subentrava la fase propria del ciclo di quei dati organismi, sui quali ave- vamo sperimentato. Fin dal 1913 ho poi riferito un reperto molto importante: il poco sviluppo dei corpi grassi delle larve di Rane, nutrite con eccesso di tiroide. Questo reperto, in confronto con i controlli, sta ad indicarci il maggior consumo che induce la tiroide: in conseguenza risulteranno più attivi feno- meni di ossidazione: come prodotto di combustione finale si dovrà ottenere acqua e anidride carbonica: è probabile che sia questo il meccanismo della perdita d'acqua nei tessuti. Io ho pensato dunque che la tiroide produca sul ricambio generale effetti tali che in condizioni normali coincidono con la fase di metamorfosi: (1) Cotronei G., Bi0s vol. 2°, fasc. 1°, Estratto pubblicato nel 1913 e Rendiconti R. Acc. Lincei, vol. 28, 1914. SONA e per esempio concreto ho pensato alla perdita d'acqua, che si riscontra nell’invecchiamento delle larve. Evidentemente a qualche cosa di simile pensa ora, dopo circa due anni, il Lenhart, per quanto non abbia riferito nessuna considerazione veramente nuova; è inutile quindi che io insista in una vana questione di priorità che sarebbe superflua. Il Lenhart mostra di combattere il concetto del Gudernatsch che la tiroide agisca attivando i fenomeni di differenziazione. A tal proposito io ricordo che E. A. Schéfer (1912), alimentando ratti, in via di sviluppo, con pane e latte insieme con poca quantità di organi a secrezione interna, trovò un'azione lievemente acceleratrice per quelli nutriti con un po’ di tiroide. I risultati sono dunque della stessa natura di quelli ottenuti negli anfibî; e io sono propenso a pensare che se si fosse sperimentato con una quantità di tiroide maggiore i risultati sarebbero stati ancora più evidenti. Questa considerazione comparativa non è superflua; essa serve a conva- lidare il concetto che si tratti di fenomeni di natura identica tanto sui mam- miferi quanto sugli anfibî, perchè si tratta di fenomeni riguardanti il meta- bolismo organico. Io penso che la tiroide acceleri la vita larvale, perchè accelera il me- tabolismo organico; ma questi fenomeni a loro volta accelerano le difteren- ziazioni. In linea generale, la differenziazione non si verifica forse col progre- dire dell'età di un determinato tessuto, di un organo, di un embrione? Ora, se la tiroide, stimolando il metabolismo organico, induce un dato tessuto a un consumo più vivo e con fenomeni di ossìidazione più intensi, non è certamente errato il ritenere che essa faccia vivere, per così dire, più rapida- mente queste determinate cellule e le faccia quindi invecchiare più rapi- damente; e se nel divenire di un determinato gruppo cellulare è implicita la condizione di una ulteriore differenziazione, è intuitivo che l'azione della tiroide debba accelerare tale processo. Questi concetti conducono (in relazione a quanto ho espresso nel 1914) a considerare la fase di metamorfosi come una fase di senescenza di un determinato periodo di un cielo biologico. Questa conclusione mi risulta avvalorata da tutti i moderni studî speri- mentali. In effetto noi sappiamo che, col progredire dell'età, la percentuale di acqua di un organismo diminuisce: i tessuti giovani, al momento di mas- sima intensità vitale, sono più ricchi in acqua; anche nel feto umano sì attraversa un periodo nel quale si ha una quantità di acqua enormemente superiore a quella presente in qualunque altro momento della vita. Nei vecchi la percentuale in acqua è molto minore: accelerando la vita, vivendo cioè più intensamente, è chiaro che l'organismo si troverà nelle condizioni dell’impoverimento in acqua (è appunto il caso della metamorfosi degli Soi Anuri). La larva a un dato momento è vecchia per le proprie condizioni biologiche (relazione tra l’ambiente interno e l'ambiente esterno): ed allora con la metamorfosi inizia una nuova vita, con rinnovate condizioni morfo- logiche e biologiche. 3 x x A questo concetto della senescenza larvale si collegano intimamente le osservazioni fatte sull'azione della temperatura. Van't Hoff ha con l'esperimento dimostrato che a parità delle altre condizioni la velocità delle reazioni chimiche aumenta in modo determinato (del doppio o del triplo) per ogni dieci gradi di temperatura. La formula di Van't Hoff è la seguente: 10 (log. K, — log. Ks) Zi cai t,—t 7} in cui Quo indica il coefficiente della temperatura, e K, e K, ‘indicano le velocità della reazione chimica alle due temperature /, e /». Si noti però che tale legge si verifica soltanto per un. certo intervallo di temperatura, che per alcune reazioni chimiche si estende sino a 300°. La legge di Van't Hoff è stata trasportata nel campo biologico; e in relazione alle mie ricerche mi interessa di ricordare che ilGaleotti e la sua scuola hanno dimostrato, studiando l'influenza della temperatura sul ricambio, che per ogni aumento di temperatura di dieci gradi la energia di consumo si raddoppia: è una brillante verifica sperimentale nel campo biologico della legge di Van't Hoff. Il Boeri (') ha inoltre riferito a questa legge il comportamento delle funzioni organiche nell’ ipertermia, considerata negli animali artificialmente | riscaldati; ed aggiunge: « Forse la precocità dei paesi caldi, il raccorciamento della stessa vita, obbediscono all’aumento della velocità delle reazioni chi- miche disciplinato dall'equazione di Van’'t Hofî ». Quanto precede entra nello stesso ordine di considerazioni dianzi esposte. Voglio ora deliberatamente prescindere dal discutere se la legge di Van't Hoff si verifichi matematicamente e sempre nei fenomeni organici: è proba- bile che in moltissimi casi la verifica, per condizioni sperimentali troppo complicate, debba sfuggire al controllo. Mi basta una considerazione che qui non cade dubbia; l'aumento di temperatura fino a determinati limiti si ma- nifesta (qualunque sia la sua legge matematica) con un aumento di consumo. Tenendo anche presenti i concetti del Rubner sulla quantità di energia che si consuma per dati periodi organici, noi vediamo chiaramente (quasi direi con intuitiva evidenza) come l’azione della tiroide e quella di un aumento (*) Boeri G., Relazione su « La febbre dal punto di vista clinico » al 22° Congresso di Medicina interna (1912), Roma 1913. SI di temperatura siano concomitanti: la tiroide, producendo un maggiore con- sumo di energia, produce un rapido invecchiamento della larva, ossia acce- lera i fenomeni di differenziazione e conduce dunque più presto alla fine del periodo larvale, facendo vivere la larva con maggiore intensità: la me- tamorfosi si può considerare un termine fisso da raggiungere dopo un determinato consumo delle energie cellulari. Le temperature più alte (compatibili con la vita delle larve) manife- stano a loro volta un'azione acceleratrice della fase di metamorfosi e dello sviluppo in generale. come ogni cultore di biologia sa: ma è noto che l’au- mento di temperatura produce un aumento di consumo (Galeotti), onde io ne arguisco che è per l'’aumentato consumo che si determina l'accelerazione della fase di metamorfosi. Nella vita di un organismo il tempo non rappresenta la vecchiaia: la vecchiaia è in relazione con il consumo. Una maechina qualunque, che abbia lavorato meno intensamente. presumibilmente durerà più a lungo: quasi diremmo. ha una vita più lunga. La tiroide agisce nella vita larvale degli Anuri in maniera che per l'aumentato metabolismo ricorda l’azione di un aumento di temperatura: è naturale che, sommando l’azione della tiroide e quella di un aumento di temperatura. gli effetti biologici vengano cumulati, ed è anche uaturale che le temperature più basse, diminuendo il consumo e l'attività organica, ostaco- lino l'azione della tiroide. Anche i fenomeni della disarmonia, da me descritti in precedenti ricerche, rientrano nello stesso ordine di idee. È lecito supporre che la condizione armonica dello sviluppo è una condizione di equilibrio ormonico; e che questo concetto non sia azzardato, io sono autorizzato a ritenerlo dai risultati dei miei esperimenti. In effetto, nutrendo con tiroide le larve di rana, io ho som- ministrato un eccesso di ormone (o ormoni) tiroideo: ho quindi evidente- mente squilibrato l'armonia umorale. E questo squilibrio è tanto maggiore, quanto maggiore è la quantità di tiroide ingerita; e per gli effetti morfologici ancora tanto maggiore quanto più giovane è la larva in esperimento. Tale disarmonia si può spiegare col maggior consumo prodotto dalla tiroide: la tiroide somministrata alla larva, entrata in circolo in quantità non cor- rispondente alla condizione del suo sviluppo, agisce su tutti gli apparati organici e quindi stimola le energie di consumo di tutte le cellule; tutte entrano in attività maggiore. anche quelle che per l'armonia umorale e mor- fologica dovrebbero aspettare un maggiore sviluppo di altri organi. Ecco le ragioni per cui la fase di metamorfosi si manifesta disarmonica: ragioni di tempo e di eccesso di una secrezione interna. Abi MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI CantELLI F. Sulla legge dei grandi numeri. Pres. dal Corrisp. CASTEL- NUOVO. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dai Corrispondenti BERLESE, GUARESCHI e SiL- VESTRI, e dal Socio straniero PicKERING; e fa particolare menzione del vol. I dell’opera del Corrisp. EnRIQUES e del prof. CHISINI, intitolata: Teoria geometrica delle equazioni. CORRISPONDENZA Il PRESIDENTE presenta un piego suggellato inviato dall'ing. V. MARA- GHINI perchè sia conservato negli Archivi dell’Accademia. Arg OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA — presentate nella seduta del 2 gennaio 1916. AGAMENNONE G. — Sul recente libro del cap. G. Costanzi « Bradisismi e ter- remoti ». (Estr. dal « Boll. della Società sismologica italiana », vol. XXVIII). Modena, 1914. 8°. Beguinor A. — Eterocarpia e polimor- fismo nella « Calendula arvensis L. » (Estr. dagli « Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti », t. 74). Venezia, 1915. 8°. BeGuInoT A. — Fotomorfosi nelle plantule di « Opuntia vulgaris» Mill. (Estr. dal « Nuovo Giornale botanico italiano », vol. XXII). Firenze, 1915. 8°. BecuIinor A. — La flora alveale del Reno Bolognese. (Estr. dal «Nuovo Giornale botanico italiano », vol. XXII). Fi- renze, 1915. 8°. BeguinoTt A. — Le teorie dell'evoluzione e la genetica delle specie : uno sguardo storico-critico. (Estr. dall’ « Ateneo Veneto », ann. XXXVIII, vol. II). Ve- nezia, 1915. 8°. BéGurnor A. — Ricerche culturali sulle variazioni delle piante. IV. Di un nuovo ibrido nelle Zychkmis del gruppo Melandrium, e considerazioni sulla genetica delle stesse. (Estr. dagli « Atti dell’Acc. veneto-trentino-istriana », vol. VIII). Padova, 1915. 8°. BeRLESE A. — Sul polimorfismo degli in- setti. (Estr. dal « Redia », vol. XI). Firenze, 1915, 8°. i CaBREIRA A. — Calendrier perpétuel dans les systèmes Julien (Ere chretienne) et Grègorien. (Extr. des « Trabalhos da Acad. de sc. de Portugal », 12 ser., tomo II). Coîmbre, 1915, 8°. CABREIRA A. — Sobre 0 quadrado e 0 cubo dos polinémios. (Separata dos « Tra- balhos da Acad. de sciencias de Por- tugal », 1° ser., tomo II) Coimbra, 1915. 8°. CLavPoLe I. — Human streptotrichosis and its differentiation from tubercolosis. (Reprinted from the « Archives of inter- nal Medicine », 1914). Chicago, 1914. 8°. De’ Luna (marchese) G. — Nevrosi da trauma. (Estr. dalla « Rivista medica », an. XXIII) Milano, 1915. 8°. EnRIQUES F. — Lezioni sulla teoria geo- metrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, vol. I. Bologna, 1915. 8°. Gay F.— An experimental study of methods of prophylactic immunization against typhoid fever: studies in typhoid im- munization V.(Reprint. from the « Ar- chives of internal Medicine », vol. XIV). Chicago, 1914. 8°. Gay F. — New uses of specific skin tests in certain of the infectious diseases. (Extr. from the « Amer. Journal of the melical sciences », 1915). Berckeley, 1915280. Gay F. - Specific hyperleukocytosis stu- dies in typhoid immunization. IV, (Re- printed from the « Archives of in- ternal medicine », 1914). Chicago, 1914. 8°. Gay F.— VI: Typhusimmunisierung. (Son- derdruck aus « Ergebnisse der Immu- nitatsforschung experimentellen The- rapie, Bakteriologie und Hygiene; Bd I). Berlin, 1914. 8°, GuareschI F. — Storia della chimica. XI. Jons Jacob Berzelius e la sua opera scientifica. Brevi cenni sulla chimica nella prima metà del secolo XIX. (Estr. dal « Supplemento annuale al- l’Enciclopedia di chimica », vol. 31°). Torino, 1915. 8°. MaRcARELLI B. — Studio geo-agronomico della tenuta del R. Istituto superiore agrario sperimentale in Perugia. (Estr. da « Le stazioni agrarie italiane », vol. XLXIII). Modena, 1915. 8°. Pare Mascart J. — La détermination des lon- gitudes par la telegraphie sans fil, et la précision dans la détermination de l’heure. Lyon, 1913. 8°. Mirinny L. — Pantosynthèse: pavdynamique. Étude primordiale abré- gée. Paris, 1915. 8°. PaoLI G. — Contributo alla conoscenza delle cocciniglie della Sardegna. (Estr. dal « Redia», vol. XI). Firenze, 1915. 89. PicgERING E. C. -— The astronomical Observatory. (Reprint. from the « Har- vard Alumni Bulletin, 1915). s. 1, NS ERO: Savastano L. — L’arboricoltore meridio- nale nell'annata del 1916. (R. Staz. fonction sperim. di agrumicoltura, Acireale. Bollett. n. 20). Acireale, 1915. f. v. Savasrano L. — Le invasioni di bruchi nei nocciuoleti del Messinese. (R. Sta- gione sperimentale di agrumicoltura, Acireale. Bollett. n. 19). s. 1, 1915. 8°. SiLvestRI F. — A proposito di predatori e di Prospaltella nella lotta contro la Diaspis. (Estr. dal « Boll. di infor- mazioni seriche », an. II). Portici, 1915. f. v. StvestRI F. — Struttura dell’ovo e prime fasi di sviluppo di alcuni Imenotteri parassiti. (Estr. dal « Boll. del labora- torio di zoologia generale e agraria», vol. X). Portici, 1915. 8°. RenpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. rue È FE ILAMES Ei ana Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Serie 1* —- Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII] È _ Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22° — Vol. I. (1373-74). Vol. II. (1874-75). Vol. MI. (1875-76) Parte 1* TRANSUNTI. 23 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Volvo VISVII VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876- 84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. i Serie 4 — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MxkMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. i RES fi Serio 5a — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e raonati . Vol. I-XXV. (1892-1916). Fase. 1°. Sem. 1°. — RenpICONTI della Classe di scienze morali, storiche e e Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 7-8. MrmoRIE della Classe di science 0 matematiche e naturali. Vol. I-XI. Fase. 3. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e IT Vol. i Vol. XV. Fasc. 1-2. 4a CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE Sari A RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI È Dedico R. ACCADEMIA DEI LINCEI |’ Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e (orali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due. | volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- cs denti ognuno ad un semestre. bi: prezzo di associazione per ogni volume e per tutta cr Italia è edi L. 1%; per gli altri paesi le spese di posta in più. ._» Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ia. | ‘ ErmaNNO Loescher & c. o. ii Torino e Firenze. Urrico Horrit._ _—- Milano, Pisa e Napoli. wi; ; lA RENDICONTI — Gennaio 1916. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 gennaio 1916. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Ciamician e Ravenna. Sulla formazione dei glucosidi per mezzo delle pinto IRA Grassi. Intorno a protozoi parassiti dei temi E OI ES (Peano Approssimazioni MUMENCNe Css e RO O eo ‘Piutti De d'ue.asparagine!mei sermopli:() CL RI Bottazzi e Craifaleanu. Ricerche sul tessuto! nervoso. I. Proprietà chimiche e chimico- fisiche del SUCCOSMEBVOSO (ME ER ati) Damiell. Sull'equazione integrale di 18 specie, con nucleo pico (pres da Socio Voltenn) ele È ; 3 Rn TPerracini. Su alcune te cola ce piane di genere 3 qa dal “Bodio Segre) » Tonelli. Successioni di curve e derivazione per serie (pres. dal Socio Pincherle). . . . > Vacca. Sulle origini della scienza dell’elasticità (pres. dal Socio Volterra) . . . » 0» Burali-Forti. Sulla definizione di coppie, terne, ecc. (pres. dal Corrisp. Marcolongo) ©). » Barbieri. Nuove ricerche intorno all’azione CE ossidanti sui sali cerosi (pres. dal Socio CDTI SRI SL SZ RE E) Mascarelli. Prove di scissione di leso racemici caio l'anidride ia (pres. /d.) » Cotronei. Influenza della temperatura sull'azione, della tiroide sui girini (pres. dal Socio GRAB I E ep AIN E ASA e ì MEMORIKR DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Cantelli. Sulla legge dei grandi numeri (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . .... ... » PRESENTAZIONE DI LIBRI . Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei Soci Berlese, Guareschi, Silvestri, Pickering, Enriques e del prof. Chisini . . .. . . > CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato inviato dall'ing. V. SE erchè sia conservato negli archivi dell’Accademia <. 0.0... STE) BOLLETTINO \BIBLIOGRAFICO"-, 01 1z00v ReRGEENT VE I RO ” E. Mancini Segretario d'ufficio responsabile. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 48 d5 56. CO tri IO Pubblicazione bimensile. PITTI DELLA ANNO CCCXIII. 1916 SURE QUEN'TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 gennaio A916. Volume XX V°. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANÌ 1916 I REALE ACCADEMIA DEI LINCEI PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE /// Col 1892 si è iniziata la Serie quinta deus pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme e ) . I Rendiconti della Classe di scienze fi- 0) matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. " Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon: -! denti non ‘possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. —. i 3 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spes di posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; parte, sono tenuti a stante, una Nota per iscritto. desiderano ne sia fatta menzione, essi consegnare al Segretario, seduta tuttavia se i Soci, che vi hanno preso. ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO 000 | tortora RE ERE ‘mia o in sunto o in esteso, . senza. pregiudizio. s I. Le Note che i i tima indi | cati al paragrafo © ‘precedente, e le. Memorie: pro: i priamente dette, sono senz’ altro inserite nei s io =; Volumi accademici se provengono. da. Soci o. da Corrispondenti. Per le Memorie presentate — ; da estranei, da Presidenza nomina. “una Com: PRESE missione la quale esamina il lavoro e ne ife. oa risce in una prossima tornata. della Classe. %y CR: La relazione conclude con una. ‘delle se | guenti risoluzioni. 0) Con una proposta FS È Sa stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- dell'art. 26 dello Statuto. - 5) “Col desiderio. Si di far conoscere. taluni fatti 0. ‘ragionamenti contenuti nella Memoria. --0) Con un ringra-- sE tea ziamento all'autore. - d) Colla. semplice pro posta, del L'invio della. Memoria agli Archivi £ NI dell'Accademia, E at SE Bi Nei p primi tre casì, provisti. dall’ ‘art. pren cedente, la relazione è letta i ia seduta, pubbliea,. nell’ultimo în seduta. segreta. 230 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella “quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti sel autori, fuorchè nel caso i di art. 26 dello Statuto. È sd i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti pla al n tori di Memorie, se Socio Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più ti che fosse richiesto, è. messo a carico . degli x autori. — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DANN Seduta del 16 gennaio 1916. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sugli spazî normali a tre dimensioni colle ‘curvature principali costanti. Nota del Socio Luror BIANCHI. 1. Uno spazio curvo S3 a tre dimensioni, definito dalla espressione del suo ds? 13. dst= Gy dun du; , r,$ si dirà rormale quando colle linee delle sue tre congruenze principali si può costituire un sistema triplo di superficie ortogonali (*). Questi spazî mormali si presentano in connessione coi generali sistemi tripli coniugati di Darboux (ved. Mem. cit.). Vogliamo risolvere nella presente Nota il problema di rovare tutti gli spazi normali S; le cui tre curvature principali sono costanti. Si vedrà che, oltre gli spazî di curvatura costante, esistono tre soli tipi di spazî di questa specie; e questi appartengono alla classe generale, studiata in una mia Memoria del 1897, degli spazî che ammettono un gruppo continuo di movimenti (?). Per .gli spazî del primo tipo il gruppo è un G3 transitivo; per quelli degli altri due tipi, un G, transitivo e sistatico. (1) Cfr. il $ 2 della mia Memoria Sui sistemi tripli coniugati ecc. [Annali di matematica, tomo 23° (1914)]; e i $$ 162-163 delle mie Lezioni di geometria differen «ziale (vol. I). (*) Sugli spazî a tre dimensioni che ammettono un gruppo continuo di movimenti, Memorie della Società italiana delle Scienze (detta dei XL), serie 3%, tomo XI, RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 9 o TIE) 2. Riferiamo lo spazio S3, supposto normale, al sistema triplo ortogo- nale (v,,%», 3) le cui linee coordinate (w,) , (2), (43) formano le congruenze. principali, onde il ds? avrà intanto la forma normale ds = Hîduî + Bd + Hi dit. Essendo le direzioni principali quelle delle linee coordinate (v,),(w2),(%s), saranno nulli i tre simboli riemanniani a quattro indici (21,13) , (82,21), (13,32) costruiti per la forma differenziale (1): ossia le funzioni H,,H,,H3 di U, , Us, 3 dovranno soddisfare le tre equazioni 2%H, i <.H29Hi REI QUs dUz © Ha dUs dU: di H; du, dUs ) ] uo cla ?2H3 dH» ala 2H, dH. dU3 du; Hg dUI dU3 Hi dU3z dUI è°Hz 1 dH,3H; , 1 3H; dH; dui ua id Hou Ora, se indichiamo con %,,%2, 3 le tre curvature principali nelle ri- spettive giaciture delle superficie coordinate «= cost , u»= cost , us = cost, queste si esprimono, per gli altri tre simboli di Riemann, colle formole a (28, 23) % SS) A Beet) | TRHHi dr REM HE che, sviluppate, si serivono d sia) Ud da) 1 3H» èHs di) sal dg dU (n dU3 na ARLUNO oa) Dai ML (1-3 1 ?3H; dHi È par cs Tm ar: ° H = (3) dU3 (7 dU3 du (3 dUI) ESE DU, DUI aa > Lil d 1 >H» d 1 DL) 1 SH. dH5s du \Hx Sx ks H:H,=0. BA) dUi (E, dUI )+ dU? (i dU? ti duz dUs + 43 HH» 0 Supposto adunque che %,,%»,%3 siano tre costanti date, il nostro pro- blema consiste nell'esaminare se il sistema differenziale, formato dalle sei equazioni (2), (3) per le tre funzioni incognite H,,Hs, Hz di ,, 2,43, ammette soluzioni, e nel trovarne le soluzioni più generali. E qui escluderemo il caso ben noto in cui le tre costanti 4; siano eguali, perchè allora lo spazio è a curvatura di Riemann costante. Allora le equazioni (2), (3) formano un sistema completamente integrabile, come confermeremo fra breve, e servono a determinare ui i sistemi tripli orto- ERE: (54) e gonali dello spazio, il triedro delle direzioni principali essendo, in questo caso, affatto indeterminato. 8. Per compiere più simmetricamente i calcoli, introduciamo le sei rotazioni (Darboux) 18 (a) : Brs = ì H.5y (7-5), dopo di che le (2) assumono la forma (5) 5a = Pri Pes (f=Es3=)5 dove con 7,8, si indica una qualunque permutazione degli indici 1,2,3, e le (2) diventano dPre 4 DB 4, Si: (c) } dU; nin ds H- Bir Pas + ky, Hs 0° Debbiamo allora esaminare il sistema differenziale costituito dalle 15 equa- zioni (a), (0), (c) per le 9 funzioni incognite H,,,y, e per questo comin- ciamo a dedurne delle ulteriori conseguenze differenziali. Si derivi la (c) rispetto ad w, e vi si sottragga la (0) derivata rispetto ad w,; riducendo, coll’aver riguardo alle (4), (0), (c) stesse, troviamo 3 | (i — ha) fa (ko — ko) (4) (AS) pod (£3— i Pia 2 Hz Si osservi che - nel caso degli spazî a curvatura riemanniana costante (£1="%.= %3), ed in questo soltanto, le (4) sono identicamente soddisfatte; ed il sistema è chiuso e completamente integrabile, come già sopra si è detto. 4. Cominciamo dal considerare il caso precisamente opposto a quello degli spazî a curvatura costante, quello cioè in cui sì suppongano #u/te e tre le differenze kl, — ko, k° — la , ka — kx diverse da cero. Bel () Par A causa delle (4), possiamo in tal caso esprimere le sei rotazioni fs, per tre sole incognite ausiliarie D,, D. , D;, colle posizioni: Bir= (kK3— ki) Da Ho , Bi3=(k— ko) PD H3 (5) ) Bis = (ln ho) ®:Hs , Bn=(k— bk) D:H | B31= (ka — k3) D3H, , Bro =(k3 —k)D3H. Introducendo questi valori delle # nelle (a) e nelle (8), troviamo, per le sei funzioni incognite H,,®,, le equazioni seguenti: p D- —(k— 4)@:H By, Din (le — ka) 0, HH; (A) o =(k3—k)®H;H , * da = (%s — ki) ®3H> Hs ! 22: (li — fa) HH 20: (ki, — 4) DE: E x + i IO: _(k,4+%-24)B.0,9, SOI (2% — la — ka) H: 9,9; | (B) 2°: _(2%,4,—K)H0,9, i x , 302 __(k,-+%\— 2%) H:0,9, | 1 dU3 | | D =(k+%k-— 243) H®;®; , S — (24 — ly — ks) H20,@: , - Delle altre tre equazioni, che risultano similmente dalle (c), basterà tener conto più oltre. 5. Se dalle (B) della prima linea formiamo la condizione d'integra- bilità, (sbk — 2%) i 3 (0,9,)+ È (10,0) i den e sviluppiamo colle (A), (B) stesse, sopprimendo il fattore non nullo 4(%s = ko) H. H, , troviamo (Lo + lag — 2h) DDD = 0; e in simil modo, dalle (B) delle altre due linee, (ks + Ki Tn 2ko) P, PD =0 (Zi + (85 cera 2ks) P,D, Pz = 0 . Se ne deduce che, non potendo annullarsi insieme i tre fattori ko 4 ks SE 2k, , kg 4 k, — 2kee , ki kde — 2ks st de a i cd E | i i Cae/g9 = (altrimenti le tre % sarebbero eguali contro l'ipotesi) dovrà necessariamente annullarsi una delle tre ®. Possiamo supporre che sia D.,=0, e allora dalle (A), (B) segue che H,,Hs,®;,®; hanno nulle le derivate rapporto ad uz, cioè sono funzioni di w,.%v, soltanto, assoggettate a sod- disfare alle equazioni 3H 3H: 3a = (k. — k3) P.H;H; sr (4%) D,H;H} (6) ® ® DEE 24) HD; i — (24--%,k) H9/@j dUgI QUI Note che siano H, , H., ®, , ®,, la H; è determinata, a meno di un fat- tore funzione (arbitraria) di 3, dalle equazioni (A) dH3z ?dH3 iva = (£, — ke) D>:H;H3 , A (6*) = (Ki Tr ke) P,H,H3 . Ma ora introduciamo in calcolo anche le condizioni (c), che scriviamo per disteso dn LIL ang + HH =0 @ dn ql L paga + ia 0 d d DHls LOL pda + Ha —0. Introducendovi i valori (5) delle £, ove è da farsi ®,=0, si hanno le tre equazioni Il d (Zi = ka) Se (Ds H3) + (Za LA ks) (3 seo Ki) @Pîì H, Hg sa kiHs.H3 =0 (Za — hi) ny (Vi Ho) + (ln — 4a) (#x — #5) OH H3 +4 H,=0 (Ka — kh) T n: Ha) + (ke — 4) 7 (O: H)tsHH;=0. Eseguendo le derivazioni, colle (6). (6*), queste diventano 130 E, E + (4 — 4a) (3-4) D+ + (kr — ka)? D+ k,= 0 (Za st) + hg D+ (Ki — ko) (7*) + (li — Ko) (Ra — ks) D+ k,= 0 1 dP, 1 3D k sea Essi (ra = (ha — ha) pda + ehe) + Lt (k — ky)? Di + (fee — ka) D+ ks =0. Le prime due, risolute, dànno Parti 5 16) ) \ IU ei Hi Pa (©) OR È | Î DLE cb AE SSA Us H. Us k 1) ®î + (Zi a les) D 2 3+ TA FE lo e, sostituendo nella terza, ne risulta l'equazione in termini finiti tra ®,, D, (9) (3 — ln)? Di H- (leo — ks)? DÎH- ka = 0. 6. Derivando quest’ultima rapporto ad %,,%,, e facendo uso delle (6), (8) e (9), otteniamo le altre due | Di } (kx — ho) (+4 — 2ks) DI i 5, i o | (10) ki Tora ii ks RES Li 10 — ko) (Kr + Kr — 2ks) Dit ‘ Da queste deduciamo facilmente che deve ancora annullarsi 0 D,, 0 D. Altrimenti dalle (10), dovendo annullarsi i secondi fattori, dedurremmo - che ®,,®, avrebbero valori costanti (non nulli), ovvero sarebbe ke + ko = 2ks È Ma, nel primo caso, dalle due seconde (6) avremmo ko + kg = 2ki i ki + ka = 2ks , indi anche ki + ko > 2k3 ’ e le tre X sarebbero eguali. CANE Se poi supponiamo %, + %,£= 2%: e ®,®, +0, dalle (10) abbiamo l= ko ka, kb lnkss e due X sarebbero eguali, contro l'ipotesi. Concludiamo quindi che, oltre ®:, sarà nulla anche ®, 0 ®,. Suppo- miamo p. es. D:=0: nel qual caso sarà certamente ®,+ 0, altrimenti, per le (7*), avremmo 41 = %2=%3 = 0, e lo spazio sarebbe euclideo. Ora dalle (101), essendo D,=—0, D, +0, segue (11) dee lesess: ‘cioè /a curvatura principale k, è media proporzionale fra le altre due. Osserviamo ora che, per la (9), £3 è certamente negativa; indi anche ks per la (11). Indicando adunque con 4, 4 due costanti diseguali non nulle (positive o negative), possiamo porre k.=— ab 5 koe=— dè , ksg=— a. ?dH (GA 5 DITLOE -— =0, cioè H, dipende solo da «,: sicchè, Ue Per la prima delle (6) ‘cangiando questo parametro, possiamo fare H,j=1. Dovendo poi annullarsi, per la (9), a°(b — a)? Di — a”, avremo D, = + 2) e cangiando eventualmente i segni di a,d, pos- ‘siamo prendere Resta solo da soddisfare con H,,H; alle equazioni H 5 H ea, po pi dUI dUI ‘che integrate, e disponendo dei parametri %s,%z, dànno in fine H, =" H, ORA H, = gb 5 ‘e viceversa, con questi valori di H,,H,,H;, tutte le nostre condizioni sono soddisfatte. Concludiamo adunque: Se le tre curvature principali dello spazio curvo normale sono ‘costanti e diseguali, una di esse k, è media proporzionale fra le altre «due, e al ds? si può dare la forma ds? = duî + e? dui + e?" dui, = 66 — con a,b costanti disequali e con k,= — ab 9 ko = — bd? , ke = — 0°. Si osserverà che, se si facesse a =, lo spazio diventerebbe pseudosferico. 7. Esaurito il caso in cui le tre curvature principali sono diseguali, trattiamo ora quello in cui due siano supposte eguali: p. es. sia ke= ks, indi X1 >, %3. Riprendendo i primi risultati (nn. 1, 2), e ponendo, nelle (4), X°.=%3,. risulta Pa = Par = 0 Bio _ fia H, Ho Introduciamo quindi una nuova funzione incognita 4, per la quale esprimiamo 12,13 colle formole (12) Pa=-Hs4 9 Bis = — H34 9 Ber =0 9 Ba == 0 Segue, dalle (4), cioè H, è indipendente da %,,%3, e possiamo fare nuovamente H, = 1. Così le (a) si riducono alle seguenti : 23H, ni 2dH. \ n Bi id (18) \2H, dla Î di = — H34 D da = Ps H, e le (0) alle altre 2(Hs4 23(H34 \ 2iEad) O _M1A.6 È) Si) MLA fi (13*) Î dP33 ZI) dPse =) \ dU} ; di, } Infine le (7) ci dànno le equazioni d d \ e SEL (kh, — 2) H.H,=0 (14) d(Hs 4) À) d(Hs4) |- so +hH:=0 , 3 + %,H,=0. PIANA) BE Le ultime due, combinate colle (13), diventano I DÀ = 4° Yeo \ dUI Jr E dA SCIA DE | Mm (4° 4- Ko) e dimostrano che si ha ppr—i—eyo= cost: Supposto, dapprima, che le due curvature eguali %.= 3 non siano nulle, e per ciò anche 4 sia una costante non nulla, paragonando le (18) con le (13*), viene P23 a P32 == 0 2dH, ER 2dH3 Mr ds Teliug sai e inoltre dH, Cp dHs O pi dUI dUI Integrando e disponendo dei parametri w,,%:,%z, abbiamo H, = 1 O H, = eva g Hi == e x ciò che è soltanto un caso particolare della forma (I) del ds?, corrispon-. dente al supporre a=—b=A. 8. Resta solo da considerare il caso in cui %.,%s e 4 siano nulli: nel qual caso, per le (13), (13*), H., Hz e f23, #3» sono indipendenti da %, , e si hanno inoltre, come condizioni necessarie e sufficienti, le tre ?dH dH \ === - = PH = f3.H dU3 Pse 3 9 dUs d | CERI dU3 dU3 In altri termini, H,, Hz sono assoggettate, come funzioni di %»,%3, unicamente alla condizione il leo E H,y H, ( dU9 H. dU2 dU3 H; dU3 ) Jia la quale esprime che la forma differenziale Hi duì + Hîdu3 deve avere la curvatura costante = %,. E poichè in questo caso, avendosi £.» = 43, ogni ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 10 = goto direzione sulle superficie vu, = cost è principale, potremo cangiare il sistema coordinato ortogonale (vs, 3) così da ridurre la forma , H3 duì + Hi dui alla forma tipica del quadrato dell'elemento lineare della sfera o della pseudo- sfera, secondo che X, > 0 0 41<0. Ponendo nel primo caso £, = a?, nel secondo %#, = — 4°, ed essendo H, = 1, il ds? dello spazio potrà ridursi all'una o all'altra delle due forme ds? = dui + duì + sen?(au») dui ds? = duî + dui + e* dui . Come risultato finale dei nostri calcoli abbiamo dunque la proposizione seguente: Esistono, oltre gli spazì a curvatura costante, tre soli tipi di spazî normali a tre dimensioni colle curvature principali costanti, e questi sono definiti dalle tre rispettive espressioni pel ds? (1) ds° = duì + e8a0: dui + e?" dui “(6 ds® = duî + duî + sen*(aus) dui (III) ds° = duî + dus + e? dui, con a,b costanti diseguali, non nulle. Le curvature principali k, ks, ks hanno ordinatamente i valori k=—ab,k,=—b?,k,=—a? nel caso (I) = a? ‘ ks =ky=:0 » (II) ki=— 4° 5 k°, = kg =0 È) CETD)S Queste forme del ds? sono ben note, dalle mie ricerche citate al n. 1, come appartenenti a spazî con un gruppo continuo e transitivo di movi- menti. Questo è un G; nel caso (I). ed è invece un G, sistatico nei casì (II) e (III). ig Vulcanologia. — L'osservatorio vesuviano. Nota del Socio C. VIOLA. IL faudrait qu'il se format dans Naples une société vesuvienne, un ‘observatoire du Vésuve, un journal du Veésuve, comme il y a déjà des bibliothèques et des collections vesuviennes: così scriveva Menard de la Groye nel 1815 ('), e così si potrebbe ripetere anche oggi, come pure si scriveva cinque, dieci e più anni fa. La nostra Accademia sì è occupata di ‘questo argomento (°) — e non è da meravigliarsene — pronta sempre in qual- siasi questione che interessi la scienza e la reputazione del nostro paese. Ma per quanto concerne il risultato ottenuto, ci troviamo ancora sempre al principio. Il programma dei lavori che si dovrebbero compiere in un istituto vesuviano, è stato formulato e ripetuto più volte, ed ha mutato suc- cessivamente col progresso della scienza (*). Dapprima Monticelli e Covelli (4) precisarono il compito di un tale istituto; poi Leopoldo Pilla (*) col chimico ‘Cassola intraprese osservazioni e sperimenti sul Vesuvio, studiandone il dinamismo e la natura dei prodotti; anche Alessandro de Humboldt e Arago .serissero sullo stesso tema. Le mosse di così eminenti cultori, l'iniziativa dell’Accademia delle scienze di Napoli, la presenza in Napoli dell’ illustre fisico Macedonio Melloni parmense, ove fu accolto con grandi onori, desta- rono l'interesse generale per gli studî metereologici. Così sorse e si conéretò l’idea di un osservatorio del Vesuvio, e il governo di allora incaricò il Mel- loni stesso di preparare un progetto e il fabbisogno per un tale osservatorio ‘metereologico. Scelta la località a 613 m. sul mare (Monte Canteroni o Collina del Salvatore), protetta dal vallone della Vetrana, dal fosso Sciariglio e fosso ‘Grande, la costruzione fu incominciata nel 1841 e ultimata nel 1847; ma l'osservatorio fu inaugurato già nel 1845, epoca del VII Congresso dei na- turalisti italiani. - (1) Menard de la Groye, Observations avec reflexzions sur l'état et les phénomènes du Vesuve pendant une partie des années 1813 et 1814. Paris 1815. (?) Carlo De Stefani, Sull’opportunità di un completo istituto vesuviano. R. Ac- ‘cademia dei Lincei, Rendiconti, vol. II, pag. 90 (1910). (8) G. Spezia, L'osservatorio vesuviano. Torino. (4) Monticelli e Covelli, Storia dei fenomeni del Vesuvio avvenuti negli anni 1821 e 1822 e parte del 1823, con osservazioni e sperimenti. Napoli 1823. (5) Leopoldo Pilla, Bollettino geologico del Vesuvio e dei campi Flegrei, Napoli 1833-34-39. — 70 — La spesa dell’osservatorio fu di L. 500,000, ed altrettanto si spese per la bella strada rotabile; somma vistosa anche per i tempi nostri. La vita dell’osservatorio vesuviano, benchè fornito di istrumenti che il Melloni commise e acquistò a Parigi nel 1847 (?), non fu sempre prospera, perchè difficoltà di vario genere ne incepparono lo sviluppo. In seguito ai moti politici del 1848, l'osservatorio fu chiuso; e il Melloni, destituito, sì ritirò a Portici ove morì nel 1854. Calmatisi gli animi e mutati i tempi, seguì nel 1856 Luigi Palmieri, uomo d’ingegno e di dottrina, nonchè di entusiasmo per la scienza, e fu ve- ramente il primo direttore dell’osservatorio vesuviano; a lui si devono osser- vazioni sperimentali importantissime per quei tempi, quando di scienza vul- canologica non si parlava nemmeno. Egli ricercò con amore la storia del Vesuvio e ne pubblicò gli annali, dapprima a sue spese. descrivendone la cronaca anno per anno. Il primo volume uscì nel 1859; l’ultimo, nel 1874. Vi si leggono osservazioni sull'elettricità atmosferica prima e dopo le eru- zioni; determinazioni sul magnetismo, sull’ozono atmosferico, sulla tempera- tura delle lave, ecc. ecc. Il Palmieri fu fisico, sismologo, chimico discreto, e sapeva sciegliersi collaboratori quali Raffaele Cappa, Giuseppe Giordano, Guglielmo Guiscardi e altri. Nel 1860 l'osservatorio perdette la sua autonomia, essendo stato aggre- gato alla cattedra di fisica terrestre dell'Università di Napoli, con Palmieri titolare; ma non cessò, per esso e per questo fatto, il periodo glorioso della sua storia, perchè il Palmieri lavorò sempre, non dico fino alla sua morte av- venuta nel 1896, ma fino a quando le forze non gli vennero meno. Col confronto tra lo stato attuale dell'osservatorio vesuviano, passato ai vulcanologi e petrografi, e lo stato in cui prosperava l'osservatorio nel tempo del Palmieri, professore di fisica terrestre, alcuni potrebbero forse trarre di leggèri la conclusione che solo un fisico sarebbe ora additato per rialzarne le sorti. Ma i fatti da cui si trae questo ragionamento, non sono esatti. La vulcanologia e la petrografia non esistevano quasi, ma si andavano costituendo sulla base di scienze ausiliari, e da scienze d’osservazione divennero scienze sperimentali; i pochi mezzi allora bastavano, e le esigenze non erano grandi. Infine a tutti è noto che l'osservatorio prosperò non per merito esclusivo del Palmieri, ma ancora per cooperazione intensa di quell'illustre mineralogista che si chiamava Arcangelo Scacchi, al quale si deve quasi tutta la cono- scenza dei minerali vesuviani, come lo dimostra la ricca collezione del Museo napoletano. : La nostra Accademia ricorda, anzi, molto bene Arcangelo Scacchi e il ricco contributo che questo accademico illustre, ha portato non solo alla mi- (*) Ved. Atti Accademia reale di Napoli, 1854. Et neralogia del Vesuvio, ma eziandio alla mineralogia in generale e alla cristal- lografia in ispece; e perciò inefficace si apporrebbe la mia povera parola, ove volessi di più dire in favore del mineralogista napoletano per dimostrare come egli con Palmieri potesse aver recato quel grandioso vantaggio al Ve- suvio e al sno osservatorio, che la storia ci ha conservato. La decadenza dell’osservatorio incomincia con l’anno 1896: e se sotto gli auspicii di questa nostra Accademia l'osservatorio vesuviano riprendesse vita, gli anni di deperimento trascorsi sarebbero nulla, e la scienza potrebbe con gratitudine salutare una nuova éra. L'osservatorio vesuviano andò declinando, dopo la morte del Palmieri, per varie ragioni, dovute un po’ alle cose e un po' alle persone, non meno che ai tempi e al progresso stesso delle scienze in rapporto con i mezzi disponibili. Il convincimento di molti cultori fu ed è che l'osservatorio vesuviano (creato nuovamente autonomo con decreto Nasi del 1902) non può recare alcun vantaggio alla scienza, senza un riordinamento radicale e mezzi cospicui; sì osservò, con ragione, che gli studî sul Vesuvio devono abbracciare un va- stissimo campo (fisico, chimico, chimico-fisico, geologico, petrografico, minera- logico e vulcanologico propriamente detto), e che, a tal fine, più cultori dovrebbero collaborarvi (1). Quando, pochi anni fa, i varî cultori di scienze sperimentali e di osser- vazione propugnarono la trasformazione dell’osservatorio vesuviano secondo questo convincimento, i tempi, sembra, non erano abbastanza maturi per un progetto definitivo; e se le discussioni non rimasero invero lettera morta, non trovarono tuttavia subito il terreno propizio. Il personale dell'osserva- torio rimase quello fissato con decreto 1902, che assegnava un direttore, un aiuto e la misera dotazione di L. 5000, appena sufficiente per i servigî più urgenti; due concorsi per direttore dell’osservatorio andarono deserti, forse per mancanza di cattedre universitarie di vulcanologia, e tutto rimase provvisorio. Che cosa dovevasi attendere da questo stato di cose? Continuare sulle orme del Palmieri? La vulcanologia era intanto divenuta scienza a sè; la petrografia suo ausilio più essenziale; i tempi erano mutati e con essi le esigenze. Italiani e stranieri accorsero in gran numero alla grandiosa eruzione vesuviana del 1906; nè io vi mancai. Fisici e mineralogisti, petrograti e vulcanologi, tutti - osservarono e descrissero, raccolsero dati e fatti di quel memorabile fenomeno; solo il personale dell’osservatorio non pubblicò quasi nulla, come se non vi avesse preso parte, o raccolto così abbondanti fatti di (*) G. Spezia, C. De Stefani, G. Di Stefano. Ved. Sabatini, Per le' regioni eruttive italiane ecc., in Rivista d’Italia 1902; id., Sull’osservatorio vesuviano (Congresso geolo- gico di Lecco, 1811); G. Mercalli, L'osservatorio vesuviano, in Rivista mensile di scienze naturali « Natura », vol. III, an. 1912. SSR, PR osservazione e di esperienza, che la pubblicazione ne è rimasta ritardata. Gli stranieri, meglio dotati di mezzi e di istrumenti di misura, poterono appropriarsi più elementi ed eseguire più estese esperienze di quello che i nostri vulcanologi. Fu questo per noi vero insegnamento. Le discussioni iniziate e proseguite in Italia trovarono un terreno più preparato nel congresso geologico internazionale tenutosi in Stoccolma nel 1910, ove il signor dottore Friedlinder espose un progetto completo per fondare un Istituto vulcanologico internazionale in Napoli alle falde del nostro ameno Vesuvio. E se il signor dottore Friedlinder non raccolse a Stoccolma i mezzi vistosi che domandava, ebbe però un voto di fiducia dai più eminenti geo- logi ivi convenuti; e con questo appoggio morale proseguì una campagna così insistente presso di noi, che gli italiani ne furono stanchi, e fu un bene. La risoluzione del problema è invero rimandata a epoca più lontana; ma gli italiani geologi, petrografi, mineralogisti, vulcanologi, tutti si sono stretti dippoi in un unico intento che ogni aiuto, ogni sacrificio privato 0 pubblico sia devoluto a un Istituto vulcanologico italiano completo, che deve sorgere al più presto e fare concorrenza a qualsiasi istituzione vulcanologica straniera, sia per istudiare il Vesuvio, sia per istudiare i fenomeni vulca- nici in genere. L'edificio attuale dell’osservatorio è insufficiente per comprendere labo- ratorî, biblioteca e musei; esso è anche in deperimento, e i pochi istrumenti vi trovano imperfetta custodia; il personale subalterno è inadeguato per tutti i servigî; il sussidio straordinario di L. 50,000 devesi intendere come prima quota di spese maggiori. Appena resosi vacante il posto di direttore dell’osservatorio per la morte del compianto G. Mercalli, S. E. il Ministro della pubblica istruzione ne bandì il concorso, poichè era ben compreso che — a parte l'ampliamento, il riordinamento o la trasformazione da darsi all’osservatorio vesuviano — è ne- cessario di provvedere immediatamente al posto di direttore, senza del quale i mali sopra accennati non possono che aggravarsi, e ogni indugio in questa nomina altro non rappresenta che una perdita. Il concorso si chiuse il 31 di- cembre 1914; ma la Commissione giudicatrice non venne ancora convocata, in spiacevole contrasto con le sollecitazioni del Ministro e con gli interessi della scienza e del paese. : La Commissione che sarà incaricata di giudicare del concorso discuterà se convenga dare la direzione a un petrografo, un fisico, chimico, minera- logista, geologo o propriamente vulcanologo. E fin da ora si può esser sicuri che la Commissione, con la fiducia delle Facoltà universitarie e del Ministro, farà il suo dovere, e certamente giudicherà conforme agli interessi della scienza e del paese. Le ragioni che possono essere portate a favore di questa o di quella scelta, sono ovvie. SRO O Vi sono scienziati eminenti che opinano dovere il direttore dell’osser- vatorio vesuviano essere di preferenza un fisico, perchè il fisico, più che non il petrografo, ha pratica delle scienze sperimentali, nelle quali passa, per così dire, la vita. Codeste obbiezioni sono fondamentali e da prendersi in seria conside- razione; ma non reggono al confronto di quanto la mineralogia, petrografia e vulcanologia hanno progredito in quest'ultimo tempo, valendosi appunto del microscopio e della chimica fisica. Non occorre risalire ai lavori di Fouqué, Michel-Lévy, Doelter, Vogt ecc., ma limitarsi e soffermarsi alle recenti esperienze di A. Brun ('), il petrografo ginevrino, sulle eruzioni ‘ vesuviane del 1904 e 1906 e di altri vulcani. Proseguire le esperienze del Brun mi pare uno dei còmpiti dell'Istituto vesuviano, la chiave di questo grandioso laboratorio della natura. E, oltre questo, ricorderò l’ultimo impor- tantissimo e completo lavoro del Lacroix (*), l'illustre petrografo e minera- logista francese, lavoro magistrale di vulcanologia eseguito sulle osservazioni ed esperienze durante l’eruzione della Martinica, che guidò il Brun nei recenti studi. Per quanto concerne la questione finanziaria, non metto dubbio che essa possa ostacolare in alcun modo la soluzione del problema, poichè si tratta del decoro non solo di Napoli, ma dell’Italia. Governo, enti locali, privati cittadini, tutti concorrino al conseguimento dell’opera; le nostre maggiori Accademie scientifiche intervengano col loro appoggio morale; l' Istituto ve- suviano deve essere completo, sede di lavoro per noi e per gli scienziati di ogni nazione che visitassero il Vesuvio a scopo di studio. Ma intanto, in attesa che la nazione sia sciolta da preoccupazioni di gran lunga maggiori, essendo la nostra esistenza tutt'uno con le nostre aspirazioni, si accordi al- l'osservatorio vesuviano un modus vivendi che possa farlo funzionare deco- rosamente. Chimica fisiologica. — £cerche sul tessuto nervoso. Nota I: Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo nervoso, del Cor- rispondente F. BortAZzi e di A. URAIFALEANU. Dagli organi nervosi non era stato finora, che noi si sappia, ottenuto un succo che potesse considerarsi come analogo per es. al succo muscolare spre- muto al torchio idraulico. Brunacci e Tumiati (*), però, hanno applicato con. successo agli organi nervosi centrali il metodo della cottura in tubi chiusi, ottenendo un liquido sul quale hanno fatto determinazioni crioscopiche e di (') Albert Brun, Quelques. recherches sur le volcanisme (Vésuve), 1904-1906 ; id., Recherches sur Vexchalaison volcanique, Genève-Paris 1911. (2) A. Lacroix, La montagne Pelée et ses éruptions. Paris 1904. i (£) B. Brunacci e C. Tumiati, Su la concentrazione molecolare di alcune parti del nevrasse (cervello, cervelletto, midollo spinaie) Arch. di fisiol., XI, pag. 67 (1912). In una nota alla fine del lavoro (pag. 80), gli autori esprimono il proponimento di servirsi del torchio idraulico; ma fino ad ora non pare che l’abbiano mandato ad effetto. = Desio RAS conduttività elettrica. Prima di loro, Sabbatani (*) e Roncoroni (*) avevano osservato, il primo che il cervello di cane presenta un valore di 4 = 0°,65C, il secondo che la pressione osmotica delle varie parti del sistema nervoso corrisponde a quella di soluzioni di 0,160-0,170 gr.-eq. di NaCl per litro. Le nostre ricerche sono state fatte sopra cervelli di bue, presi dal ma- cello subito dopo la morte degli animali, e trasportati in laboratorio entro recipienti asciutti circondati di ghiaccio in pezzi. Essi venivano quindi net- tati, con ogni cura, delle meningi e asciugati all'esterno con pannolini, per eliminare ogni traccia visibile di sangue. In alcuni casi fu separata la sostanza bianca dalla grigia. Si comprende come non sia molto difficile di raccogliere una notevole massa di sostanza bianca (dai due centri semiovali) affatto priva: di sostanza grigia (se si ha cura di eliminare anche i nuclei grigi della base), mentre è impossibile di raccogliere sostanza grigia, in quantità degna di nota, che sia priva di sostanza bianca. EspERILENZA I. — Due cervelli di bue insieme coi cervelletti : peso totale della sostanza nervosa pura, gr. 812. La sostanza nervosa è tritata in un grande mortaio di porcellana con gr. 812 di sabbia di quarzo, finchè si ottiene una massa omogenea semi-fluida. A questa si aggiunge sabbia silicea (Kieselguhr), continuando a tritare finchè la massa diviene consistente. La pasta così otte- nuta è spremuta al torchio idraulico di Buchner, raggiungendo la pressione massima di 300 atmosfere. Si raccolgono, in tutto, gr. 320 di un liquido tor- bido, che viene subito centrifugato per un'ora e mezzo in una grande centrifuga ‘capace di fare 4000 giri al minuto. Alla fine della centrifugazione, si trova il liquido separato in due strati: uno superiore rossastro, piuttosto chiaro; l’altro inferiore di color grigio, denso, assai viscoso, che all'esame microsco- pico si presenta costituito di una finissima emulsione, probabilmente risul- tante, almeno in massima parte, di mielina minutissimamente frammentata in granuli sospesi in un piccolo volume di succo nervoso. Questa massa di mielina emulsionata è messa da parte, per ricerche di cui ci occuperemo in un'altra Nota. Sul liquido, che vogliamo chiamare succo nervoso, e che al microscopio si presenta affatto omogeneo, cioè privo di particelle granulari sospese di qualsiasi specie, facciamo le seguenti determinazioni: Peso specifico = 1,025. Abbassamento del punto di congelamento (4) = 09,682 C. Conduttività elettrica a 37°C (4) = 196 X 1074. Indice di refrazione a 17°,5C (2) = 1,34444. (3) L. Sabbatani, Determination du point de congélation des organes animaux. Journ. d. physiol. et de path. génér. (1901), pag. 939. (*) L. Roncoroni, Pressione osmotica del cervello, midollo spinale, nervi e muscoli di coniglio. Arch. di fisiol. 5, pag. 308 (1908). CS A Tempo di deflusso per il viscosimetro di Ostwald a 15° (4) = 5'9” (per l'acqua, t = 3°). Tensione superficiale (stalagmometro di Traube) a 15° C (0) = 0,746. Contenuto in N = gr. 0,766 °/, (= sostanze proteiche 4,78 °/,). Residuo secco: gr. 6,57 °/.. EspeRIENZA II. — Sostanza bianca raccolta da tre cervelli di bue «gr. 287, tritata con gr. 500 di sabbia di quarzo e gr. 60 di sabbia silicea; la pasta, spremuta a 300 atmosfere, come nell'esperienza precedente. Sul succo (di sostanza bianca), centrifugato, si fanno le seguenti deter- «minazioni : Peso specifico = 1,032. Indice di refrazione a 17°,5C (2) = 1,34268. | Abbassamento del punto di congelamento (4) = 0°,7610. Conduttività elettrica a 37°C (k)= 187 X 1074. Tempo di deflusso per lo stesso viscosimetro (#) = 356". Tensione superficiale (0) = 0,740. Residuo secco = gr. 6,60 °/,. Azoto = gr. 0,925 °/, = gr.3,28 °/, sostanze proteiche. Temperature di coagulazione : a) a 44-47°C intorbidamento e poi coagulazione; 6) » 58° » nuova coagulazione; c) È) 73° n E) È) (Il liquido era lasciato raffreddare e poi filtrato dopo ciascuna coagu- lazione). EspeRIENZA III — Quattro cervelli di bue. Si separa la sostanza ‘bianca dalla grigia; l'una e l’altra sono trattate come negli esperimenti | precedenti. — A) Sostanza bianca gr. 355 B) Sostanza grigia gr. 525 + sabbia di quarzo » 355 + sabbia di quarzo » 625 + sabbia silicea » 91 + sabbia silicea » 160 I due succhi, ottenuti a 300 atmosfere, sono centrifugati. Determinazioni fatte Succo di Succo di sost. bianca sost. grigia Peso specifico a 1590. SO RR 1,025 1,023 Indice di refrazione a 17°,5C (2). . . . . 1,94343 1,34335 Abbassamento del punto di congelamento (4) . —0,698°C 0,640° C Conduttività elettrica a 937°0 (4)... . . 194x107 172x107 ‘Tempo di deflusso a 15°C (per l’acqua, t= 3’) 953” 4' 16” Ji RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. x L'A Determinazioni fatte Succo di Succo di sost. blanca sost. grigia. Tensione superficiale a 15° C (per l’acqua, o= 1) 0,739 0,766 Concentrazione: ‘deglitH ; 4. eg anioranta DMONI0 000 Residuo secco (disseccamento a 110°C) in gr. °/ 5,95 6,03 Contenuto in N°/, in gr. . . Wagner 0,623 0,651 Contenuto in sost. proteiche in gr. °/, o 3,89 4,02 EspERIENZA IV. — Quattro cervelli di bue, dei quali viene separata la sostanza bianca dalla grigia, e queste trattate come nell’esperienza pre- cedente. A) Sostanza bianca gr. 391 B) Sostanza grigia gr. 500. + sabbia di quarzo » 391 - + sabbia di quarzo » 500 + sabbia silicea » 105 + sabbia silicea » 130. I due succhi, di sostanza bianca e di sostanza grigia, ottenuti alla pressione di 300 atmosfere, sono centrifugati. Separata l'emulsione di mie- lina, sui liquidi chiari soprastanti si fanno le seguenti determinazioni : Determinazioni fatte Succo di Succo di sost. bianca sost. grigia Peso specifico. a. 10:03 auto SER 1,024 1,024 Indice di rifrazione a 17°,5C (n)... . 1,34226 1,34350 Abbassamento del punto di congelamento (4). 0,764°C 0,660° C Gonduttività elettrica a 37°C (4)... . .0 192X1074 176 X 107% Tempo di deflusso a 15°C (per l’acqua, {= 3') 4' 48” 47190 Tensione superficiale a 15°C (per l’acqua, o = 1) 0,762 0,745 Concentrazione degli Hi (Cx-); 4 ea BP HL0TE800NST0E Residuo secco (disseccamento a 110° C) in gr. °/o 5,92 6,19 Contenuto in N°/, in gr. . . RIENRCOTIP 0,658 0.686 Contenuto in sost. proteiche in gr. %, (calcolata) 4,11 4,28 ContenntosinsP ingr. enna 0,080 _0,084 Temperature di coagulazione del succo di sostanza bianca : a) 43-47°C intorbidamento e coagulazione b) 56,5-62°C ” ’ c) 72°,5C coagulazione (Il liquido era lasciato raffreddare, e quindi filtrato dopo ciascuna coagu- lazione). l Nella seguente tabella I abbiamo raccolto insieme i dati numerici ottenuti nei quattro esperimenti, e nella tabella II le medie dei medesimi. CISLLO 1-01 X 698 ni 800 | F3OI | 884 989%0 61°9 ZA) ut 7 |099°0 |>-0I XOLT| 0SEFST RZUEBISOR cuel (0 3 ‘ -iné ‘ ‘ é al ‘ ‘ 7 VIUBIQ 2-01 X GI | 069-996 (2|0os050 | #30 | IT 8590 6S GIL'O u8V ,V PoL'o |:-0L X G61| 968rS'I vZUEISO8 Dobt-85 (0 ci ‘ ‘ 7 RISTIS 1-01 X 899 = — |8G0T | 07 199°0 80°9 992°0 u9T | 0490 [:-0I XGLI| SEGFS'I EZUBISOS i III 3 ; QUEI 1-01 X 8L°G Sa 7 |SG01.|.686 669°0 Ge 6620 168,6 86940 |:-0T X FOI| SFEFS'I | IFALCICCIS DB oGL (2 i a BIULIQ II Es e ‘ ‘e ‘ ‘ ‘ ‘ ‘ | 085 (9 GEO | 866 GSO 099 Orzo 19S 16 TOL'O |:-01 X L8T| E9GFSTI aLUVISOS Dolk= FF (2 - ; 0193UI = mi | SG0T1|8LF 99L0 L6°9 OFLO 16,9 6890 |s-0T X 961| FFFES'I DI o][e 419 | Huew (0) i (Det 0) (90817) (0026 x) e) Di So OLIEeniznoo 0/9 ‘48 | 9919 °/o DE altro ossugop | Do | romero DALLE Ip eo e Tp “ads | opprozoad 09998 i, IRROE i DUOTATOLI I190p { -yodn VUA 099n SE ounyeioduo ], s osog | OZug}zsog Dl ONPISOY 305 sa v E uù $ [oupio,p -tI}uoouog QUOISUA], | dwg, “unpuog Q9Ipur OIQUINN I VIIAEV] Mi uVlt ©1318 1-01 XK 69° 7 18040 | 8041 | SIF 6990 t1°9 veL'o 690 | -0TXILI | GFEYE1 VZUEZSOR 084" SEL (0 1 CIURIQ 1-01 XK PI°6| 0989-99 (2 | 08040 | 28041 | 9268 c09‘0 91°9 LYL'0 u6 8 |VLO | 3-01 XIGI | LLGFST EZUBZSOR oLk- 8 (0 019} UI = = — | S607T | 844 99L°0 L8'9 9YL'0 u6 6 |89°0 | 1-01 X9G61 | FWFFET O[]9A19) (72) o! DoSI 0). DoSI 0) Quorze|mStoo | 0). g| omo °/o ‘48 ta 0/0.°18 (orto) (084) (90183) gf 20/a Lo eH 99p lo a lo "13 aquio ossugop | Do Ep Ip -ads |oyorogord 00998 Ù CILIHO]o IUONZEISOI QUOIZ -juodus I 0909 ; aumgRieduro ], 5 osog | azuegsog S onpIsoY di da V VHAINpuog sb dae -BIJuO9 UO) Quorsua], | odwoag, i Q0Ipul ‘Il VTISSY], Dai valori registrati nelle due tabelle risulta: 1°) che il succo di sostanza grigia ha un indice di refrazione, un tempo di deflusso per il capillare di un viscosimetro, una tensione superfì- ciale, un contenuto in azoto e in fosforo, maggiori di quelli del succo di sostanza bianca ; 2°) che il succo di sostanza grigia ha una conduttività elettrica, un- abbassamento del punto di congelamento, un residuo secco, un peso specifico, una concentrazione degl’ idrogenioni, minori di quelli del succo di sostanza bianca; 3°) che il succo di sostanza grigia, per quanto riguarda la condutti- vità elettrica (non ostante il suo maggior contenuto in sostanze proteiche), l'abbassamento del punto di congelamento e la concentrazione degl’ idroge- nioni, somiglia al siero del sangue più del succo di sostanza bianca (pro- babilmente, almeno in parte, perchè la sostanza grigia contiene più sangue che non la bianca); 4°) che per quanto riguarda il residuo secco, il contenuto in fosforo e la tensione superficiale, non esistono differenze degne di nota fra i due succhi; 5°) che l’indice di refrazione e il tempo di deflusso del succo di sostanza grigia sono maggiori di quelli del succo di sostanza bianca, proba- bilmente a causa del maggior contenuto in sostanze proteiche. Chimica. — L'acido grafitico. Memoria del Corrisp. L. BAL- BIANO. Storia della Chimica. — Za teoria atomica e Sebastiano Basso. Memoria del Corrisp. I. GUARESCHI. Questo due lavori saranno pubblicati nei volumi delle Memorie. Matematica. — Sull’integrazione delle trasformazioni. Nota del dott. GruLio ANDREOLI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. In questa breve Nota mi permetto di svolgere alcune considerazioni sull’estensione del concetto di integrazione delle sostituzioni, dato dal pro- fessor Volterra ('), e sulle sue applicazioni. 1. Cominciamo dal passare dall’integrazione delle sostituzioni a quella delle trasformazioni. Siano 1 \ LP) (1) | PEZZO SIUSI) (1) Zegons sur les fonctions de lignes, pag. 36 e seg.; Sulla teoria delle equa- zioni differenziali lineari (Rend. Circe. Mat. Pal., tomo II, 1888); Sui fondamenti della teoria delle equazioni differenziali lineari (Mem. Soc. It. Sc., serie 38, tomi VI e XII). nce le formole che definiscono un certo gruppo del Lie; supporremo che l' in- versa d'ogni trasformazione del gruppo appartenga ancora al gruppo, e, al- meno per ora, che il gruppo stesso sia finito. Se nel campo (a) di esistenza del gruppo le risultassero polidrome, supporremo fatti gli opportuni tagli per ripristinare la monodromia. Le 4 sieno scelte in modo che, per a, = 4,=--=4y=0, le funzioni g si annullino identicamente, si abbia cioè la trasformazione degenere x, = 0; ed infine @,,... ey siano i parametri della sostituzione identica. Indicheremo la prima col simbolo O, la seconda col simbolo I. Rappresenteremo inoltre la trasformazione (1) col simbolo T o con il gruppo di lettere (4, ... ay): chiameremo queste la « matrice » della trasfor- mazione. Potrà talvolta accadere che le 4, sì spezzino in 7 sistemi: le prime sole compaiano nella ,; le a del secondo sistema compaiano sole nella 3, e così via. Tale è il caso delle sostituzioni lineari. Per prodotto di due matrici (a, ... &y) , (21... dy) , intenderemo la ma- trice G=(c;... 6), corrispondente al prodotto delle due trasformazioni; come somma di due matrici A,B, intenderemo la matrice G= (a +01, 05+ 83, + 5) =A+B. Supponiamo ora che le a sieno tutte funzioni d'una variabile 2; la ma- trice A sarà funzione di <: AZA(4)- Conveniamo ancora di indicare con mA la matrice Ce=(ma,, mag, ... May). 2. Consideriamo ora le due matrici h=0 lim} 2 (46+b-AG"—1)| ; lim {7 (A AG+M—1){. = È Esse esistono effettivamente, poichè sono rispettivamente eguali a [im | = (AG+ n) —A() ;| A(2); AG) [im i - (AG+ pie 4) | ; ed essendo 2 lim 7 (A+ 4) — A(4)), per le definizioni date, null’altro che ALn== (4) nasa) a'(3)), raggi ‘esisteranno i limiti suddetti: li chiameremo, rispettivamente, derivata a si- nistra. e derivata a destra della matrice A, segnando d d da 08) MA (la In modo perfettamente analogo si può definire l'integrale d’una trasfor- mazione. Procedendo nel solito modo, si divida l'intervallo (a, 0) in parti his ha, hg, hn; sieno 61, $2,63, n, punti interni ad esse; formiamo i due prodotti (I+ RM A(C))(I-+-h AC) )(I+%s A(6) )...... (IH rn A(60)) (D+ Mn AGi1)) (14 lince A(Cnoo)) Se, scegliendo in un modo qualunque gli intervalli 7, purchè tendenti ‘a zero al crescere di 7, i due limiti di quei prodotti esistono, noi diremo d'aver formato gli integrali a destra, ed a sinistra. Come nell’integrazione delle sostituzioni, anche qui si può esten- dere la maggior parte dei teoremi dell'ordinario calcolo integrale. Così, ad ‘esempio, diciamo che una trasformazione (o una matrice) A differisce da una trasformazione (o matrice) B per meno di s, se lar — di] <8e,. [a |<. Avremo che, nel campo in cui le formole di trasformazioni (1) sono definite da funzioni g sviluppabili in serie di Taylor, scelto un valore « piccolo ad ‘arbitrio, ed un numero 0, anche esso piccolo ad arbitrio, si potrà trovare un numero 0, tendente a zero con e e @, tale che, per |a dil 00, dell’integrale di una funzione dipendente dai valori della x, della w,(x) e della %,(x). Daremo, infine, una nuova dimostrazione del teorema di G. Fubini, già dimostrato nell’ultimo numero della Nota precedente. 1. Stabiliamo la seguente proposizione: « Se la successione di funzioni uc), uc)... 3Un(X),.., date in (a, 0), converge quasi dappertutto verso una funzione ua); se, inoltre, la lunghezza, supposta finita, della curva y= un(x) tende a quella, pure finita, di y= u(x), allora la successione delle devivate UA UE, considerate solamente là dove esistono, converge in misura verso la de- rivata v(x)». Ripetendo qui le considerazioni fatte al principio del n. 7 della Nota I, ‘abbiamo che le curve C, (n= 0,1,2...), ottenute aggiungendo ai punti di y= (x) (ua) =%(x)) i segmenti paralleli all'asse delle y che hanno per estremi (z,%(c —0)) e (2,Un(2)).(7z,u.(2)) e (c,u(x+0)). convergono uniformemente verso la Co, per 7 —> 00, e le tangenti /, della C, convergono in misura verso quelle 4, della C,, e ciò secondo la corrispondenza fissata dalla rappresentazione analitica simultanea delle C,: (1) c= fa(8) x Y= In(8) sex) (O =3s2=#4L) (020) La Lo -al punto corrispondente ad s, essendosi indicata con L, la lunghezza di tutta la curva C,. Scelti ad arbitrio due numeri positivi o ed e, indichiamo con E: un ‘insieme chiuso di punti di (0,L,), di misura > Lo — #, sul quale la tan- dove s dà la lunghezza dell’arco della C, che va dal suo primo estremo (1) Questi Rendiconti, gennaio 1916. OG gente alla C, esista e varii con continuità, facendo con la direzione positiva. 1 : SEE dell'asse delle x un angolo sempre minore, in modulo, di 9° Ai punti di E: corrispondono, sulla C,, dei punti che formano un in- sieme di misura (contata sulla curva stessa) uguale a m(E.) e che si proiettano ortogonalmente sull'asse delle x in un insieme I: di misura >(0— a)—s. L'insieme I: è chiuso e su esso la «(x) varia con conti- tinuità ed è perciò uniformemente continua; possiamo dunque fissare un d >0. tale che sia | u'(x) — u(x1)|<0 per ogni coppia di valori x, x1, appar- tenenti a I: e soddisfacenti alla disuguaglianza | 2 — z,|): 1°) La <2Lo; 2°) la distanza fra due qualunque punti corrispondenti di Co e Ca mE) — «, dove E: indica il componente di E: nei punti del quale la tangente 4, alla C, esiste e fa, con la corrispondente tangente #, di Co, un angolo <0,. Ai punti di E:,, (n >) corrispondono, sulla C,, dei punti che, proiettati ortogonalmente sul segmento (4,2), dànno un in- sieme I. di misura >(0 — 4) — 46; e su tale insieme la derivata u}(x) esiste finita. Indicato con (I:,I:,) l'insieme dei punti comuni a I: e Ie, insieme di misura > (0 — a) — 5e, sia # un suo punto qualunque. Al punto P® di C,, di coordinate # e w,(#), corrisponde, secondo ia rappre- sentazione (1), il punto PM =(x©,u(x)) di C. E poichè la distanza fra PÒ e P® è <0d, siha |e:— a9|<0 e quindi |u(7)— 9) < e. Essendo poi |u,(7) — v(x)|<0, risulta |u(7) — u.(#)|<20, e questa disuguaglianza è verificata su tutto (I: .I:,), di misura (0 — a) — de, 0 per ogni n > %,. Essendo « arbitrario, indicato con I, l'insieme di tutti i punti di (a ,) ove essa è verificata per un determinato 7, si ha m(I,) > (db — a) per 2 —> o. Ciò prova che 4,(x) converge in misura verso v'(x), su tutto (a, d). i 2. Alle ipotesi del teorema del numero precedente aggiungiamo l'as- soluta continuità della «(x) e dimostriamo che, se E è un insieme misura- bile di (2,5), l'integrale il \un(x)| dx tendefa zero con la misura di E, e ciò indipendentemente dall’indice x. In modo più preciso, dimostriamo che, preso un numero positivo e qualsiasi, è poi sempre possibile di de- terminarne un altro d, tale che sia fida 0 in modo che, per ogni insieme misurabile E tale che sia m(E) di un ‘certo X, m(In) , e per qualsiasi insieme misurabile E, (3) SIIT > (VI de — 7: Fissiamo il numero % in modo che sia anche, per ogni n >, Lh%. Tenendo conto di (2), si ha dunque, se è m(E)%, Sf Fuide o, i fred > fede . Sud] az S| lu'| da di E E E E ed anche [come lo dimostra la disuguaglianza (4)] Vai ‘ fipaide > (VIP da. 4. Sia /(2,y,y') una funzione delle tre variabrli x,y,y'", definita e continua in ogni punto del campo [a so = 0, si abbia, in tutti i punti del nuovo campo [a 0, i fre , Un(2)cscusle)) dx DES IC sua) ulc))dx, ponendosi f(c,un,u,)=0 là dove la un non esiste finita, e parimenti per la f(x,u,u); e la convergenza è uniforme in tutto (a,b) ». Indichiamo con E l’insieme dei punti di (4,2) nei quali la (x) esiste ed è, in modulo, non superiore al numero intero positivo 7. Pren- diamo 7 >/. In E© la /(2,u(x),w(x)) risulta limitata ed esiste l’ in- tegrale fi ,u(c),u(x))dx; nel complementare C(E®), per le ipo- tesi fatte, è [f(e,u(2),w(2))| o, è m(EY) > d—a, possiamo scegliere un 7, in modo che sia m(E?) >(0— a) — a. essendo il d quello stesso della proposizione del n. 2. Poi, per la eonvergenza in misura della w, alla #', fissato ad arbitrio un 7 > 0, possiamo determinare un intero x, tale che, per ogni 2 >. l'insieme EY? dei punti di E” nei quali la v/(x) esiste finita e soddisfa alla |u,(x)—«(x)| = », abbia una misura > m(E0P — 5, Con ciò il complementare C(EY?) di E” ha una misura #1, tale che, per ogni n > 9, sia, su ES”, |f(e,un(2),u(0)) — f(e;ux), W(2))| #2, Ob fem | f(e,u,u)de| (x) una serie, convergente su tutto (4, d), di 1 funzioni non decrescenti. Indicato con E l'insieme di misura nulla nei cui punti manca o non è finita almeno una delle derivate wu, (4=1,2,...), rinchiudiamolo [nel senso stretto: eccezion fatta, al più, per a e è (*)] in (1) Questi Rendiconti, 1912, 1° sem. (3) B. Levi, Sopra l'integrazione delle serie (Rendiconti del R. Istituto lombardo, vol. XXXIX, 1906). (*) Intendiamo, con ciò, che ogni punto di E, distinto da 4 e è, 0 è interro ad un segmento di 4, oppure è l'estremo comune di due segmenti contigui di 4. =_= E 1(0] RAI un sistema d'intervalli 4, non sovrapponentisi, e tale che sia ZA <£, e definiamo, per ogni n da 0 all'oo (essendo x =%), la funzione /, nel seguente modo: fuori degli intervalli 4 e nelle loro estremità poniamo fn="un; nell'interno di un 4=(@,#) facciamo variare la /, linearmente, poniamo cioè /,(2) = f(e) qll dre (e — a). La /(«) risulta con- tinua e non decrescente, ed ha in ogni punto la derivata destra, D*/,, finita, coincidente, fuori dei 4, con u/. È evidente l’esistenza della D'/, finita in ogni punto interno ad un 4 o coincidente col primo estremo di uno di «questi intervalli. Se x non è un tal punto ma, per 4 >0 e conveniente, non esiste nessun 4 nell'intervallo (2, x + 4), l’esistenza della D*/, e l'uguaglianza D*/,=%, sono pure evidenti. Supponiamo, infine, che x non sia interno a nessun 4 nè coincidente col primo estremo di qualche 4, e che esistano alla sua destra infiniti di questi intervalli, prossimi ad esso Lala TA) fn @). per h>0, quanto si vuole. Il rapporto incrementale Ta — Mei ala), e x + non è interno a nessun 4; e nel caso t(@) — un(@) , %n(8) — un(2) ax p—_ in cui cade x + #. Si ha dunque lim PE 4 dba) u'(x). Da A>+0 h quanto si è già detto risulta poi sempre D*/, = 0. La serie Z/,(x), nei punti non interni ai 4 coincide con Zu,(x) e quindi converge verso /(4). Ed essendo, in 4=(@,f), opposto è compreso fra , essendo (a ,f) il 4 DA Lal È, D palo) =D fac) +25 (9) — X fl), diga 1 ) la Z/n(x) converge i verso la f(x). Per essere la D*/, sempre finita e la /, a variazione limitata, è poi Ji, D*/ndx= fax) fa), ‘onde > ('D'ade=/@)-f= fede. Per il teorema sull’integrazione per serie del Levi, la x D*/, è allora | convergente quasi dappertutto ed è xD, da —f (2D*/,) de, ) (>D*/) dx ={ Dida: ‘e derivando, 2D*/,= D*/ quasi dappertutto, ossia quasi dappertutto fuori dei 4, Zu,=w. E il teorema è dimostrato, perchè è Z4 Î 260 * 238 « 253 + 8% I 255 234 247 8 ‘254 228 243 5 250 226 240 6 232 23 -20 | 80 |39.3960.610 249 p 3 256 + 284% 248 + 6X 255 238 248 7 255 237 247 6 ‘25 | 75 |46.43|53.57| 257% 238 4 247 + 6% 246 232 ‘238 6 250 230 240 5 80 | 70 |52.70/47.304 9250 235 240 5 I 255 * 237 > 246 * 5 | 255 237 245 4 \ 9 EIA «ll eri 255 292 233 1 \ 253% 225 4 235 4 2 :40 | 60 |63.41[36.59, 253 224 234 1 | 257 281 240 1 | 253 e ii 0a 45 | 55 |68.02/31.98( -256 x = si 5: 253 2° 20 Ge I :50 | 50 |72.2327.77) 210* 5; su _ 210 n e Ni : 208 = n A 158.8| 46.2|75.17 24.88) 206 = sa 14 i 210% = DE: RSS 58.6] 41.4|78.32|21.87| 1924 ca e et ‘60.5| 39.5179.92|20.08| 181 + A DA NE RenpIcONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. DE) arresto Durata in minuti 3° arresto 15 — 108 — Come si vede dalla tab. 12, per le concentrazioni inferiori al 45 * Ed Br le curve di raffreddamento manifestano fra 261° e 250° un primo pic- colo arresto, come si trattasse di un principio di cristallizzazione. Il raffred- damento continua poi regolare fino a 245° e anche 223°, quando ad un tratto- si nota un brusco sviluppo di calore che fa risalire la temperatura di 10 e- anche 15 gradi. Questa si mantiene allora quasi costante per un tempo più. 360° | Lisi SATO Due IL liguiclo , d40* i —- I L*L 390° 1 2 d00° 0; 280° pilé 260° + -_- S AUMENTA Quo TS ===p===#==4 Vaia GB 200° + >y TRAE ona È Lab tlico Bi È 200° Cr PI ESS È = dì = SS 180° è utettic 760 Pia PREMI TEM 140 TETI SÌ S Ss 180 $ Si IS S 27,9 43, 53, TA / 2 2 E 3 4 AR 4|5 si 5 o CI grammi IZ Graeme 34 | o meno lungo a seconda della quantità di bismuto presente, per poi ridiscen-- dere regolarmente fino a circa 200°, ove si verifica un nuovo arresto. Dopo. questo arresto, per concentrazioni inferiori al 45 °/, di Br non si notano altri cambiamenti nella direzione delle curve di raffreddamento. Per le concen- trazioni dal 45 al 53.8°/, di Br, le curve indicano un primo principio di solidificazione verso i 205°, che tende a salire verso i 210%a mano a mano che la composizione del miscuglio si avvicina alla formazione del Bi Br: (53.8 °/ Br); e per le concentrazioni più alte del 53.8 °/, di Br, il principio di solidifi- cazione si va invece sempre più abbassando. Oltre a ciò, per le concentra- zioni superiori al 45 °/, di bromo le curve mostrano un altro arresto assai netto e costante verso i 150°. Il diagramma (fig. 1) costruito con i dati for- nitici dalle curve di raffreddamento, e sull'interpretazione del quale torneremo dopo aver reso note altre esperienze, rimane alquanto incompleto perchè non. — 109 — è possibile calcolare con esattezza la durata degli eutettici a causa di quella specie di sopraraffreddamento che la sostanza presenta fra 245° e 223°. Noi abbiamo cercato con varî artificî di eliminare questa specie di soprafusione, sia con la continua ed energica agitazione di tutto il dispositivo, sia con l'aggiunta di cristallini appartenenti ai varî strati ('); ma il risultato fu sempre negativo. La qual cosa ci fece supporre che ben altra dovesse essere la causa; ed infatti potemmo assicurarci che la massima parte della sostanza è già solida per quella temperatura, cosicchè è logico pensare che si tratti di una vera e propria trasformazione in solido. La temperatura per la quale si verifica l’effetto termico può variare anche per uno stesso miscuglio, come risulta dai varî dati della tab. 18, da noi a questo scopo riportati; con ogni probabilità questo dipende dalle difficoltà che si incontrano nel realizzare sempre le identiche condizioni interne ed esterne di tutta la massa che si raffredda. Era dunque necessario di seguire più da vicino le variazioni di concentra- zione dei singoli strati e stabilire soprattutto la composizione della sostanza solida che fonde, come già accennammo, sopra 270°. La massa solidificata da ogni singolo miscuglio, a prima giunta ha tutto l'aspetto di una sostanza omogenea grigio-scura. Ma per percussione si divide nettamente in 2 parti: una superiore nera, molto igroscopica, che si frantuma con grande facilità, disseminata di tanti piccoli cristallini aghiformi neri; ed una inferiore, compatta, bianca, lucente, metallica, rivestita esternamente da un leggero straterello nero. Le quantità assolute di queste due parti variano nel variare delle concentrazioni dei componenti i diversi miscugli. La massa metallica è sensibile all’azione della luce; perde lentamente la sua lucentezza per divenire sempre più scura, talora con riflessi grigio- azzurri come d'acciaio, certamente per la presenza del BiBrz che tiene disciolto. Allo scopo di separare meglio che fosse possibile le varie frazioni cor- rispondenti ai punti singolari della curva e sottoporle all'analisi, trovammo più conveniente procedere nel seguente modo, perchè dovendo lavorare nel vuoto l'apparecchio di van Eyk (*) non si presta in queste condizioni. In un tubo di vetro si fusero 150 gr. di miscuglio Bi Br + Bi al 24°/, di bromo, dopo averci fatto precedentemente il vuoto e dopo averli seccati fra 110° e 120°. Riscaldati per circa 5 ore intorno a 380°, si lasciarono raffreddare molto len- tamente. La mescolanza solidificata, introdotta in un altro tubo strozzato verso la metà in modo da avere un corto setto quasi capillare, fu riscaldata, dopo avervi fatto il vuoto, per circa 4 ore a 220°. Attraverso la strozzatura passa il fuso che per raffreddamento dà origine ad una sostanza nera, amorfa, igroscopicissima; e nella parte superiore del tubo rimane la sostanza non fusa (*) Come si eseguiva questa operazione, è detto a proposito del sistema Bi=Bi Cl, . (2) Zeitschr. f. physik. Chemie 30, 482 (1899). — 110 —- a 220°, ancora divisa in due strati, dei quali uno è formato da un reticolato di bellissimi cristalli aghiformi, e l’altro è costituito da un globulo metal- lico. Ciascuno di questi due ultimi strati veniva rapidamente introdotto in tubi identici al primo;.e dopo fatto il vuoto e chiusi alla lampada erano entrambi legati ad un termometro con le strozzature in corrispondenza del bulbo, e riscaldati a 270°. La massa metallica fuse quasi completamente e sul setto capillare non restarono che ‘pochissimi cristalli meccanicamente inclusi, mentre la massa cristallina rimase inalterata e attraverso la stroz- zatura passava solo qualche goccia di liquido. Volendo fondere completamente questi cristalli, occorre innalzare la temperatura a circa 305°. Analoghe separazioni furono eseguite sui miscugli al 13.4°/ di Br e al 43.5°/, e sempre fu possibile separare la sostanza cristallina fondente sopra 270°. In peso la sua quantità varia col variare del contenuto in bromo, come si può vedere dai valori della tabella 2*. Trattandosi di una separa- zione meccanica fra le singole frazioni, i numeri riportati non hanno un signi- ficato assoluto, ma possono benissimo dare un'idea delle quantità relative delle diverse parti separate e del variare della massa cristallina col crescere della percentuale in bromo. Il massimo di sostanza non fusa a 270° si ha intorno al 19°/ di Br. TaBELLA IL QUANTITÀ DI SOSTANZA Gr. °/o di Br nel fusa - non fusa RIE a 220° fra 220-2700 a 270° 13.4 MP e18%/0 gr 50°/o gr. 32 °/o 24.0 » 48 » n 18 » » 84 » 43.5 » 64 » ‘n 25 » » 11» Il contenuto in bromo in ciascuno di questi strati determinammo nel seguente modo: Circa gr. 0,5 di sostanza, tenuti fuori del contatto dell’aria e dell'umidità, pesati in pesafiltri ben chiusi, s'introducevano in palloncini graduati da 100 ce. insieme con 15 ce. d'acqua e 25-50 ce. Ag NO; “/0 e poi HNO,; (dil. 1:1), quasi fino a volume. Lasciando per qualche tempo il tutto su bagno-maria, il bismuto passa in soluzione e dopo raffreddamento si porta a volume per titolare poi su parte aliquota l'eccesso di Ag NO3 con solfocianuro ammonico col metodo ordinario. Nella tabella 3* sono riportati i corrispondenti dati analitici. °/o DI BROMO SOSTANZA — lil — TaBELLA III. °/o IN BROMO NELLO STRATO fra 220-2700 LU non fuso a 270° Agg NON/10 nel analizzata A fuso miseuglio in gr. SE RR 05 | 1.3780 4.9 de 1.5247 5.5 SS 5 0.6171. 37.8 37.68 \ 0.9085 41.4 i 18.75 0.8682 3.0 se | 1.2760 3.15 sE 0.5768 26.8 Sa 0.7532 36.5 -39.15 0.5322 26.2 39.21 1.2325 | 4.8 2 240. (. 1.5820 6.1 DE 0.5612 16.9 Da 0.7203 21.7 = 0.6623 18.8 la I 0.7567 41.2 45.96 43.5 0.5068 26.1 43.45 Î 1.810 7.1 = 2.85 2.87 In una prossima Nota diremo quale significato bisogna dare a questi valori; e, dopo aver riportato altre esperienze su questo sistema, trarremo le relative conclusioni. — 112 — Botanica. — Struttura e funzione del mesofillo di alcune graminacee. Nota del dott. GrusePPE UATALANO, presentata dal Socio A. Borzì. - Nella struttura del parenchima verde fogliare delle graminacee sono stati distinti da Duval-Jouve (*) due tipi: nell’uno tutte le cellule, egual- mente ripiene di clorofilla in granuli, sono aggruppate in mezzo ai fasci in strati più o meno paralleli alle superfici epidermiche. Nell'altro le cellule sono di due sorta: le une provviste di un contenuto verde carico, non in granuli, ma piuttosto in una gelatina verde che sì contrae in grossi fiocchi, spesso accompagnata da grandi cristalli isolati ed a facce ben sviluppate (Panicum capillare, P. Crus-Galli); le altre contengono pochi granuli di clorofilla, piccoli e di un verde pallido, raramente anche qualche cristallo. Queste due sorta di cellule sono costantemente disposte in strati cilindrici attorno ai fasci, le prime contigue allo strato limite e le altre attorno alle prime; il loro asse maggiore è sempre disposto in direzione raggiante. Su quest'ultima forma di parenchina il Duval-Jouve ha voluto richia- mare l’attenzione dei botanici, sia per lo stato in cui vi ha ravvisato la clorofilla, sia per la presenza dei cristalli che d’ordinario non si trovano nelle cellule assimilanti. i Avendo avuto occasione di studiare la struttura delle foglié di Chlorzs Gayana Kunth., di cui si sperimenta in esteso la coltura nel R. Giar- dino coloniale di Palermo, ho voluto dedicare qualche particolare ricerca alla detta forma di parenchima verde, allo scopo di estenderne maggior- mente la conoscenza dal punto di vista anatomico e fisiologico. Nelle foglie della detta specie di Ch/orzs, che non è compresa fra quelle studiate dai Duval-Jouve, la struttura del parenchima verde si può riferire al secondo dei due tipi dianzi descritti. Vi sono cioè due sorta di cellule verdi: le une grandi, rotonde. con membrana cellulosica discretamente svi- luppate. piene di clorofilla di un color verde carico; le altre più piccole, rotonde o allungate, a membrane sottilissime, con pochi plastidii impregnati di un pigmento verde chiaro. Le prime stanno disposte attorno ai fasci, proprio in contatto con lo strato limite: nei fasci più piccoli sono in nu- mero di 5-7 e racchiudono internamente il fascio stesso, disponendosi a e erchio di un solo strato : in quelli più-grossi sono in numero di 10-15, disposte, sempre in unico strato, a ferro di cavallo con l'apertura rivolta (') Histotazie des’ feuilles de Graminée, Annales des sciénces naturelles, 6ème série, (botanique), tom. I, Paris 1875, pag. 348. — 113 — ‘verso la pagina superiore della foglia, oppure in due bande laterali separate inferiormente da tessuto meccanico. Le altre cellule, più piccole, a contenuto ‘verde pallido, sono disposte esternamente alle prime in uno o più strati e vengono in contatto, fondendosi quasi in un unico tessuto nello spazio com- preso tra un fascio e l’altro. Le differenti forma, grandezza e posizione delle due sorta di cellule; la differenza di sviluppo delle rispettive membrane; l'aspetto diverso della clorofilla, ecc., sono caratteri sufficienti a stabilire già fra i due tessuti una ben netta distinzione dal punto di vista istologico. Ma siffatta differenza si estende anche ai caratteri microchimici e fisiologici delle due qualità di ‘cellule, talchè i due tessuti risultano affatto distinti anche dal punto di vista della funzione. È infatti facile persuadersi che vi è una notevole differenza nelle qua- lità microchimiche dei contenuti delle due sorta di cellule, considerandone il comportamento diverso di fronte ad alcuni reattivi coloranti. La fuxina acida, per esempio, applicata a materiale previamente fissato e scolorato, viene assorbita e mantenuta fortemente dai plastidii delle cellule più grandi; mentre quelli delle cellule piccole se ne sbarazzano completamente, lavando con alcool le sezioni. Lo stesso comportamento si osserva anche usando una soluzione di cristal-violetto. Il bleu d’acqua invece viene immediatamente fissato dal contenuto delle cellule piccole, mentre colora difficilmente quello delle cellule grandi. Ma la più importante differenza fra le due sorta di cellule è quella che si rileva mediante l’uso dei reattivi jodici. Esaminando infatti una sezione della foglia di Ch/orzs Gayona, raccolta dopo una gior- nata di sole, si può constatare (con l’aiuto della tintura acquosa di jodio e previo allontanamento della clorofilla mediante prolungato lavaggio in alcool) che si trova dell'amido soltanto nelle cellule grandi, situate, come si è detto, a contatto dello strato-limite dei fasci. E siccome la formazione del- l’amido negli organi verdi è, insieme col fenomeno di emissione di ossigeno, dl carattere più evidente e sicuro, mediante il quale, come è noto, si può «controllare ed anche misurare l’attività fotosintetica, così la detta reazione per- mette di stabilire senz’altro che il vero tessuto assimilatore in queste foglie ‘è soltanto quello costituito dalle cellule raccolte attorno alle vie di, tras- porto del nutrimento liquido. In tutte le altre cellule più piccole e dal contenuto verde pallido non si ritrova mai dell’amido coi mezzi ordinarî, ed i plastidil reagiscono sempre come le materie albuminoidi. Per quest’ultima circostanza essi non vanno confusi coi granuli di clorofilla di alcuni tessuti, -come, ad esempio, le guaine amilifere dei fusti, i quali, secondo Dehnecke (1) ed altri autori, diventano inetti all’assimilazione dopo avere generato, nel loro interno, uno o pochi granuli d'amido. (1) Veber nicht assimilerende ClorophyUkorper: inaugural Dissertation. Bonn, 21880. — 114 — Pertanto la mancanza del prodotto diretto dell’assimilazione in queste. cellule porta a concludere che la sostanza impregnante i loro plastidii non. sia della vera clorofilla, o per lo meno che ve ne sia in tanto piccola quan- tità da non potersene rivelare l’attività coi mezzi ordinarî; ho voluto perciò. precisare meglio la natura di siffatto pigmento, esaminandone il comporta- mento di fronte ai varî solventi organici. Trattando le sezioni delle foglie di Chloris Gayana con etere di pe- trolio, si riesce ad asportare totalmente e rapidamente il pigmento delle cel- lule piccole, lasciando in ‘ultimo i plastidii quasi perfettamente scolorati; lo stesso solvente altera notevolmente il colorito dei plastidi assimilanti delle cellule grandi, ma non li decolora mai completamente, neppure dopo un bagno- prolungato. L’alcool invece ne estrae totalmente la sostanza verde, come con tal solvente accade di tutti i pigmenti clorofilliani. La solubilità del pigmento delle cellule non assimilanti nell'etere di pe- trolio giova a precisarne più esattamente la natura, secondo quanto sì conosce: attualmente delle proprietà chimiche di questi corpi. Estraendo, infatti. le foglie secche e sminuzzate di Ch/orzs Gayara con l'etere di petrolio. si ottiene una soluzione giallo-verdastra, la quale può purificarsi mediante ripetute agi- tazioni con potassa metilalcoolica. In tal modo la soluzione diventa limpida. e di un bel giallo dorato chiaro. Con questo metodo, che è dovuto a Will- stàtter (*), viene estratta dalle foglie verdi delle piante la carotina, la quale, come la xantofilla, è un pigmento giallo che si accompagna quasi costante- mente con la clorofilla. Essa infatti gode della proprietà di essere solubile- nell’etere di petrolio, laddove la xantofilla vi è insolubile. Seguendo il ma- todo di Willstàtter, ho in seguito concentrato nel vuoto la soluzione puri- ficata ottenuta nel modo anzidetto; e dal residuo, che è di color giallo carico, quasi aranciato, ne ho precitato la materia colorante, dai riflessi di color rosso-rame, mescolata però con una massa amorfa di sostanza cerosa incolora. Riprendendo la materia colorante greggia. così ottenuta, con solfuro. di carbonio ne ho avuto una bella soluzione rossa. Lo. stesso precipitato, trattato con acido solforico concentrato, mi ha fornito una intensa colorazione- azzurra; lo stesso ho anche ottenuto trattando con acido cloridrico. Queste reazioni sono comuni tanto alla carotina quanto alla xantofilla; però non v'ha dubbio che nella Chloris Gayana si trovi la prima di queste sostanze, come dimostra la solubilità del pigmento nell’etere di petrolio (*). (1) Willstitter u. Miege, Veder d. gelben Begleiter des Clorophylles. Liebig®s An- na) der Chemie, CCCLV, 1907; pp. 1-36. (*?) Willstatter, purificando, mercè successive estrazioni con varii solventi, le solu-- zioni di carotina dulle fitosterine e dalle altre sostanze incolori clie vengono estratte dall’etere di petrolio insieme col pigmento, ha ottenuto la detta sostanza allo stato puro,. cristallizzata in tavolotte romboedriche, quasi quadrate, di color rosso-rame, col rendi- mento di qualche grammo di sostanza pura sopra 100 kg. di foglie secche di Urtica trattate. — 115 — La importanza, che la rilevata differenziazione del tessuto verde delle foglie di Ch/oris Gayana riveste dal punto di vista fisiologico, mi ha in- dotto ad eseguire analoghe ricerche su altre specie di graminacee. scelte a caso fra quelle aventi la struttura del parenchima verde riferibile al secondo tipo di Duval-Jouve, e di cui questo autore ha dato un elenco (*). Così ho, esaminato le specie CAloris Gayana, Andropogon hyrium, A. Gryllus, A. aromaticum, Panicum plicatum. Tripsacum dactyloides, Setaria glauca, Eryanthus Ravennae, Pennisetum latifolius, P. longistylum, Eleusine oli- gostachya, ecc., nelle cui foglie. raccolte dopo una giornata di sole, ho ese- guito la ricerca dell’amido mediante la tintura di jodio e previo allontana- mento della clorofilla. In tutte ho trovato sempre la medesima caratteristica differenziazione tra il tessuto formato dall’unico strato di cellule verdi aderenti ai fasci (il cui contenuto col detto reattivo si colora intensamente in violetto cupo, quasi nero) e il tessuto formato dalle cellule piccole, che stanno attorno alle prime, i cui plastidi rimangono colorati in giallo bruno. Anche trattando con fuxina acida. si nota in tutte le dette specie, da parte del contenuto delle cellule assimilanti, una maggiore elettività, che è spic- catissima e completa come nella Ch/oris Gayana, in Tripsacum dactyloides, Setaria glauca, ecc. Si ha pertanto in tutte queste piante una differenziazione del tessuto verde fogliare in due complessi istologici ben distinti, nei quali la funzione di assimilazione è nettamente delimitata. Tale differenziamento tisiologico, probabilmente, è proprio di tutte le specie aventi una disposizione del tes- suto verde concentrica attorno ai fasci; come è propria ed esclusiva di tale struttura, secondo Duval-Jouve, la differenza dello stato della clorofilla. Per quel che risguarda la funzione del ‘tessuto speciale entro le cui cellule non si forma dell’amido, occorre tener conto naturalmente della spe- ciale natura del pigmento che esse contengono. È assai probabile che, come abbiamo visto nella Chloris Gayana, anche in tutte le specie del tipo de- scritto la clorofilla nel tessuto in parola sia interamente mascherata o ad- dirittura sostituita da pigmento giallo, sulla cui funzione niente ancora si conosce di preciso nella fisiologia vegetale. La carotina, a cui in altri casi è stato attribuito un ufficio biologico (*), avrebbe, secondo l’Etard (8), dentro il plastidio assimilante la funzione di servire da schermo alla clorofilla, difendendola dall’eccesso di radiazioni che potrebbe alterarla. Lo spettro di assorbimento delle sue soluzioni presenta infatti una estesa zona di assor- (*) Op. cit., pagg. 349-350. (3) Kohl F. G., Untersuchungen ueber das Carotin und seine physiologische Be- deutung in der Pfanze, Leipzig, Gebr. Borntrager, 1902. _®) Za biochimie et les chlorophylles, Paris, 1906. RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 16 x — 116 — bimento che permette il passaggio solo alle radiazioni che sono più impor- tanti per la fotosintesi ('). Fondandosi sulla proprietà, che ha la carotina, di essere autossidante, tanto che all’aria il suo peso può elevarsi del 35-41 °/, l'Arnaud (?) ha emesso l'ipotesi, accettata in seguito da Willstàtter, che detta sostanza nella pianta viva possa avere la funzione di assorbire l'ossigeno dalla clorofilla, con la quale è associata, durante le trasformazioni che il pigmento verde subisce nel lavorìo dell'assimilazione. La carotina in tal modo si trasforme- rebbe in xantofilla, per ossidazione: infatti la costituzione chimica di questa ultima sostanza differisce da quella della carotina per la presenza, nella sua molecola, di ossigeno; la xantofilla a sua volta ritornerebbe carotina per riduzione, emettendo allo stato libero l'ossigeno. Checchè ne sia, ad ogni modo, della parte precisa che ha la carotina nell'attività fisiologica del tessuto assimilatore, è certo che nelie foglie della graminacee studiate una porzione notevole del mesofillo ha assunto, in grazia appunto della presenza di tale pigmento, una funzione speciale, che è certamente in intimo rapporto con la funzione di nutrizione generale. Sia, infatti, che in detto tessuto non si formi addirittura dell’amido, o che se ne produca in quantità minima, o che si trasformi immediatamente in modo da non essere direttamente rivelabile, o infine che in dette cellule abbia luogo, come è stato creduto dall'Etard e da altri, la formazione delle sostanze quaternarie col concorso del pigmento giallo, si può sempre con- cludere che in dette foglie sì ha, per siffatta. differenziazione del tessuto nutritore, una maggiore divisione del lavoro fisiologico relativo. Una tale orcanizzazione non è certamente priva d'importanza nei ri- guardi biologici; se se ne considerano attentamente le varie caratteristiche che la contraddistinguono nella sua costituzione generale, non è difficile riconoscere che le modalità speciali con le quali si svolgono i varî fenomeni della nutrizione non possono non avere una rispondenza in determinati ca- ratteri e attitudini di vita dell'intero organismo. Così, ad esempio, esse potrebbero servire a spiegare la tendenza alla vita xerofila, che in molte delle ricordate specie di graminacee è spiccatissima e caratteristica. Anzi- tutto il fatto che le cellule assimilatrici propriamente dette trovansi stretta- mente accentrate attorno ai fasci, fa sì che esse possano ricevere immedia- tamente la linfa da elaborare, durante la sua stessa ascesa, non già come in tutte le altre foglie a struttura ordinaria, nelle quali essa arriva ai centri di elaborazione per lunghi passaggi osmotici attraverso interposte vie parenchimatiche. La detta disposizione -dunque abbrevia nelle graminacee (1) Vedi G. Gola, Clorofilla, nel supplemento annuale dell’Enciclopedia di chimica, vol. XXIX, 1918, Unione tip. editr. torinese, dove trovasi la bibliografia completa del- l'argomento. È (*) Compt. rend., an. 109, 911, 1889. — 117 — in parola il cammino della linfa, e giova ad evitare perdite di acqua per evaporazione. In secondo luogo, poi, lo sviluppo relativamente limitato del parenchima assimilatore propriamente detto indicherebbe che le esigenze generali della nutrizione dell'intera pianta sono corrispondentemente ridotte. Infine, la differenziazione del rimanente parenchima verde in un com- plesso istologico ben distinto, dove non sì forma amido ma si rinviene invece abbondante pigmento giallo. importa, come si è detto, una divisione di lavoro fisiologico, cioè una specializzazione dei varî tessuti fogliari nel compimento dei singoli fenomeni che si integrano nella nutrizione generale; per questa ragione la detta organizzazione appare più che mai adatta allo svolgimento di una vita con il minimo dispendio possibile di energie e con il massimo utile impiego dei fattori esterni da cui essa dipende. Si tratterebbe, in conclusione, di un adattamento generale di natura essenzialmente fisiologica, la cui importanza, nei riguardi delle accennate tendenze xerofile, riesce particolarmente confermata dalla insufficienza di ogni altro carattere morfologico ed anatomico che valga a renderne ragione nelle piante in parola. Fisica. — Sulle leggi di Poisson e dello stato aeriforme in relazione al primo principio di termodinamica. Nota di G. Gu- GLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Molti fisici hanno probabilmente notato con meraviglia che la formula o legge di Poisson sulle variazioni adiabatiche del volume e della pressione dei gaz fu trovata molto prima del principio d'equivalenza fra calore e la- voro, principio da cui necessariamente deriva. Van der Waals e Kohnstamm (?), trattando del ragionamento di Poisson, serivono: « notevole in ciò si è che la legge della conservazione dell'energia « non ancora era nota. Eppure noi l'abbiamo usata nella deduzione della « suddetta formula, e dovemmo far ciò necessariamente, perchè questa non « sarebbe valida se la legge suddetta non lo fosse. Nel ragionamento, col « quale Poisson ha ottenuto la formula, dev’esser contenuta in qualche modo « la legge della conservazione dell'energia ». Essi però non spiegano in qual modo. Il prof. Guido Grassi (*), nella critica di una mia Nota sull'esperienza di Clément e Desormes (*), non tiene conto della suddetta autorevole opi- nione, da me già citata nella Nota criticata, e nega recisamente il fatto della (1) Zehrbuch der Thermodynamik, vol. I, pag. 13. (2) Questi Rendiconti, 11 aprile 1915. :(8) Ibid, 1° semestre 1914. — 118 — deduzione della formula dalla legge suddetta. Egli difatti scrive: « se tal- « volta nei trattati si fa precedere l'esposizione del primo principio di ter- « modinamica e poi nello scrivere le equazioni relative alla trasformazione « dei gaz, s'introducono espressioni che si riferiscono al primo principio, « ciò non infirma la sostanza della dimostrazione, la quale, ripeto, è indi- « pendente dal principio dell’equivalenza ». Ora io trovo che Clausius, fondatore della termodinamica, nel suo trat- tato, deduce la formula della legge; così fanno Max Plank e Van der Waals e Kohnstamm sopra citati, nel loro recente trattato; così fanno i molti trat- tati da me consultati, ed anche, senza saperlo, l’egregio critico; nè si vede come potrebbe essere altrimenti. Riassumerò brevissimamente cose ben conosciute, anche perchè le for- mule relative occorreranno nel seguito della presente Nota. Supposto il calore misurato coll’ unità assoluta di lavoro, il primo prin- cipio di termodinamica à espresso nel modo più generale dall’equazione (1) dqa=du—dL, oppure dg=du+ pdv, essendo 49 la quantità infinitesima di calore ricevuta da 1 grammo d'un corpo qualsiasi, du la variazione dell’energia che in questo ne risulta, e 4L. il lavoro prodotto (o perduto) dal corpo. Sostituendo, ai differenziali totali du e dv, i loro valori in funzione delle relative derivate parziali; eliminando l'una o l’altra delle tre varia- bili po T, mediante l'equazione di stato; tenendo conto che (49/dT), = 6, e (dg/dT),=c,, e coll’aiuto del 2° principio, la (1) può scriversi nei tre modi seguenti: \ dq= è, dT + T(dp/93T) dv (2) I dg = cp dT — T(30/93T) dp dq= Cp(3T/20) do + cs (0T/dp) dp. Queste equazioni, nel caso dei gaz, divengono: (oe fa) dg =:;(pdT— vdp = codl — rv 2 p dq = (cp pdv + cs vdp)/R le quali, poichè (34/3v)r = v. si possono ottenere senza la conoscenza. del 2° principio. — 119 — Se la variazione di stato (supposta reversibile) è adiabatica, ed è quindi dg =0, queste equazioni. divise per T ed integrate e ponendo Cp/c,=, dànno (4) Iotri—icosto dipl = cost, po — cost; formule che possono tutte dirsi di Poisson, sebbenes olo la 3* abbia questo nome, poichè da essa facilmente sì possono ottenere le altre due eliminando p oppure v mediante l'equazione caratteristica po = RT=(c° — &)T. Reciprocamente, se differenziamo le (4), possiamo con facili trasforma- zioni ottenere le (3) (cioè le tre forme del principio d’equivalenza) nel caso particolare che sia dg = 0. Se nelle (8) sostituiamo il segno di disuguaglianza a quello d'ugua- glianza, ciò che equivale a negare il principio dell’equivalenza, più non si otterrebbero le (4); e se in queste si sostituisce il segno di disuguaglianza. cioè se supponiamo non valide le formule di Poisson (nei casi in cui sono applicabili), più non si otterrebbero le (3). Una più stretta mutua dipendenza fra le formule di Poisson ed il prin- cipio dell'equivalenza è difficile ad immaginare; anzi, poichè il sottoporre una relazione ad operazioni algebriche può accrescerne o diminuirne la genera- lità, ma non la modifica essenzialmente, può dirsi che esse formule non sono altro che tre forme dello stesso principio, nel caso considerato che sia dg = 0. [Conviene notare che le formule di Poisson evidentemente non sono va- lide e non sono legittimamente dedotte se, pur essendo 4g = 0, 4L non è uguale a pdv, ciò che p. es. avviene nella dilatazione senza produzione di lavoro]. D'altronde la dipendenza della formola di Poisson dal principio della equivalenza è evidente a preorî; essa dà lo stato finale d'un gaz conte- nuto in un recipiente impermeabile al calore, dopochè si son fatti variare la sua pressione o il suo volume e questo stato finale dipenderà dalla quantità di calore che viene prodotta dal lavoro impiegato o assorbita nella produzione di lavoro. ora questa quantità è appunto regolata dal principio d'equivalenza fra calore e lavoro. « Messo così ben in chiaro » che la formula del Poisson dipende imme- diatamente dal suddetto principio, ed anzi può considerarsi come una forma dello stesso, nel caso specialissimo a cui essa si riferisce, rimane ancora il quesito come abbia potuto ricavarlo Poisson che non considera la trasfor- mazione del calore in lavoro e suppone che tutto il calore comunicato al gaz sia impiegato a riscaldarlo. Il ragionamento del Poisson, quale viene riferito dal Gehler (*) e dal Mach (*), lascia luogo a parecchie obbiezioni che ce lo rendono poco chiaro (1) Physikalischer Worterbuch, vol. IV, 1066. (8) Die Prinzipien der Wirmelehne, 1% ediz., pag. 208. — 120 — e dubbio; credo utile riprodurlo adattandolo alle idee attnali e colle nota- zioni ora in uso. Sia dg la quantità di calore (misurata in ergs) che 1 gr. di gaz riceve o cede; sarà , > e 3 (5) di n “SOR dv pdl da ST an dp LDL ossia, ricavando 20/9T e dp/3T dall'equazione pv= RT, e sostituendo, (6) a= (3) 4 P\dd}/p V \dPJv Dividendo queste due equazioni una per l’altra e ponendo 4 = c,/6,, si ha © dc equazione differenziale che, come è facile di verificare, ha per soluzione q=f(pv*) qualunque sia la forma della funzione /; e quindi per 9 costan:e, ossia per d9g=0, sì ottiene la formula di Poisson pv = costante. Poisson indicava con 9 la quantità di calore posseduta da 1gr. del gaz, e quindi giustamente la supponeva funzione dello stato del gaz, cioè di p,v,T; ma nelle definizioni di c, e c,, che servono di base al ragiona - mento, 49 è la quantità di calore che si comunica al gaz per riscaldarlo o che se ne ottiene se esso si raffredda; e questa, come Clausius ha dimostrato, non è funzione dello stato del gaz, se non quando si aggiunga un'equazione di condizione (p. es. p= cost, oppure v= cost, oppure g=cost, ecc.), la quale determini la via seguìta nel riscaldamento o raffreddamento. Ora questo è appunto il caso delle equazioni (6) che sono identiche a quelle che si ricaverebbero dalle (3) esprimenti il primo principio di ter- modinamica. È ancora da notare che la (7) contiene due incognite, (9)p co e (4)rcosss che in generale sono due diverse funzioni; e perciò essa in gene- rale è indeterminata, e la supposta soluzione g=/(pv*) non rappresenta affatto nè il calore posseduto, nè quello ricevuto da 1 gr. del gaz. Le due q diventano identiche, e la soluzione suddetta è valida, quando si pone la con- dizione g = cost; l'essere 4g = 0 non impedisce che sia valida la relazione I dq= (24/?dP) dp4 (d9/ dv) dv, e che quindi le due derivate parziali È conservino il loro significato. — 21 Appar dunque chiaro che Poisson ha introdotto nel suo ragionamento. il primo principio di termodinamica col definire in modo sostanzialmente. esatto i due calori specifici; difatti dalle (5) si ottiene dI 5T dI DD is Cor 22) ai dv p QdU dp v dP quindi necessariamente dev'essere SS Ò dp dv che è la 3 delle equazioni (2) esprimenti il primo principio di termodi- namica per un corpo qualunque. Ricavando i valori di 3T/dp e 3IT/dv dalla pv= RT e sostituendo, oppure partendo dalle equazione (6) anzichè dalle (5), si ha lo stesso principio pel caso d'un gaz perfetto. Anche Bertrand e Poincaré. nei loro trattati di termodinamica, otten- gono in modo molto semplice una delle equazioni esprimenti il primo prin- cipio, senza supporre l’equivalenza fra calore e lavoro, basandosi sulla esatta definizione dei calori specifici c, e c,, sull'equazione caratteristica dei gaz, e sulle relazioni fra differenziali totali e parziali. Ecco il loro ragionamento. Siccome T, per l'equazione di stato, è funzione di p e v, sarà aT ST GI— 1 5 dT > CDiatizo dv e quindi QI QI = = D o) i 5 (AT), >p dp (AT), = dv Ora si ha ST dT (d9)p = cs (dT)p = cp Sy dv (d9);= c:(dT)) = & wp dp ; quindi, se la quantità di calore dg fa variare simultaneameute p e v, sarà or dd— Gp > dv + E dp , dp ossia la 3* delle equazioni (2). Ed anche il prof. Guido Grassi giunge, non volendolo, e senza accor- gersene, a tutte e tre le espressioni del suddetto principio, e dall’ ultima ricava nel modo solito la formula di Poisson che crede dimostrata indipen- dentemente da esso principio. Ecco il suo ragionamento: Chiamando dg la variazione di calore del gaz, sarà (8). da= 0, dT + dv, — 122 — da cui, eliminando dv mediante la pv= RT, ossia pdv + vdp= RAT, si ottiene | R v u=(0+17) aT—13 4%; dalla quale si deduce che co =, + /R/p, e che quindi /=(c, —- c») p/R, ed inoltre (9) dqg= codT —| o) dp . e, sostituendo ad / il valore suddetto ed eliminando 4dT, si ha (10) dg=(c.vdp + cp pdv)/R, dalla quale, ponendo 49 = 0 ed integrando, si ricava la formula di Poisson. A questo ragionamento si possono fare varie obbiezioni. Anzitutto, a scanso di equivoci, è da notare che dg non indica la va- riazione del calore del gaz, ma bensì la quantità di calore che un grammo (se R ha il solito significato) di gaz riceve o cede e che solo in parte fa crescere o diminuire il calore del gaz, mentre in parte esso dg produce la- voro o è prodotto dal lavoro esercitato sul gaz. i Inoltre, a proposito della (8), è da notare che il valore di dg in fun- zione di 4T e dv è dato esattamente dal principio dell'equivalenza fra ca- lore e lavoro; cioè, peri gaz, dalla prima delle (3). Quindi, o la (8) è iden- tica con questa (e a tal uopo basta che sia /= p), e l’egregio critico di- mostra ciò che vuol negare; oppure le due equazioni sono essenzialmente diverse (cioè è / = p), ed allora la (8) è falsa ed egli si propone di dedurre una legge vera da una premessa falsa. Così, se supponiamo /= ap= @RT/v, la (8) ci dà, per dg =0 e dividendo per T, dT dv “TT gita ed integrando, e ponendo cy — ey invece di R, si ha vTERTD — costante” che diventa vT'"7 = costante, una delle formule di Poisson, solo se a = D cioè se Z=p e quindi se la (8) è l'espressione del principio d'equivalenza. Un simile calcolo si potrebbe fare sulla (9), con lo stesso risultato; e finalmente la (10), ove non compare l’indeterminato /, e dalla quale l'egregio ‘critico deduce la formula di Poisson, non è altro che la terza delle equa- zioni (3) esprimenti il suddetto principio. » — 123 — D'altronde, ogni dubbio sul valore di / cessa quando si pone cp == + + R//p e se ne deduce /=p(c, — c,)/R, perchè, essendo numericamente (e quindi indipendentemente da ogni teoria) R=c, —c, ne segue neces- sariamente /= p, e quindi la (8) e la (9) sono identiche colle prime due delle equazioni (3). Da tutto ciò che precede appare in che modo Poisson, Bertrand, Poin- caré ed il prof. Grassi hanno ottenuto una o l’altra delle equazioni che stabiliscono l’equivalenza fra calore e lavoro senza ammetterla espressamente e senza far uso esplicito della stessa; in tutti i casi è bastata l'esatta de- finizione matematica dei calori specifici c, e c,, la quale è basata sui fatti, scoperti fin dal principio del secolo scorso, che un gaz si riscalda quando viene compresso, e si raffredda dilatandosi, e che inoltre la sola dilatazione del gaz (come risulta dall'esperienza di Gay-Lussac) non produce, in com- plesso, raffreddamento. Può dirsi che con la scoperta di questi fatti era stato scoperto, sebbene restasse non percepito, il principio dell’equivalenza. Difatti da essi risulta necessariamente, sebbene implicitamente, che il raffreddamento che si produce in un gaz che si dilata è necessariamente accompagnato da una produzione di lavoro, e si può agevolmente presumere che il riscaldamento del gaz che viene compresso è in relazione col lavoro occorrente per produrre la compressione; misure esatte del calore e del la- voro avrebbero dato, indipendentemente da ogni teoria, l'equivalente mecca- nico del calore. Ne segue adunque che, per riscaldare un gaz che si dilata, bisogna for- nire ad esso, oltre al calore apparente, anche il calore latente che accompagna la dilatazione; e basta supporre che almeno per variazioni infinitesime vi sia proporzionalità fra il calore latente ed il lavoro, affinchè il calore ado- perato venga espresso dalla 1% delle equazioni (3), nella quale è più evi- dente l'equivalenza, ed affinchè con facili trasformazioni analitiche si possano ottenere le altre due. La circostanza che essi fatti siano difficilmente spiegabili coll’ ipotesi della materialità e indistruttibilità del calore, rende poco verisimile questa ipotesi, ma non può distruggerli nè rendere false le conseguenze che da essi derivano necessariamente. Per contro, l'ipotesi che il calore consista nel- l'energia meccanica molecolare che è prodotta da, o produce altra energia meccanica, .serve a chiarire questi fatti, non già a dimostrare il principio dell’equivalenza che in essi è contenuto. Non deve quindi recar meraviglia che il matematico Poisson, basan- dosi su di essi, abbia ottenuto due relazioni che insieme equivalgono al suddetto principio, e senza conoscerlo, abbia dedotto da esse le conseguenze che gli interessavano. ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 17 nn DI — 124 — Conviene anche notare che una qualsiasi relazione, la quale contenga il rapporto % dei calori specifici in funzione dei soliti dati, può considerarsi come una forma od una conseguenza del suddetto principio, poichè da en- trambe le relazioni deve risultare lo stesso valore di 7, ciò che non sarebbe possibile se esse fossero essenzialmente diverse. Così, p. es. la relazione k= h/(h-— kh) con la quale sì ottiene il valore di 4 dall'esperienza di C1é- ment e Desormes, può scriversi (osservando che 4 = dp, hl — h' = — pdv/v) k=— vdp/pdv, ossia Xpdv+ vdp=0, come si ottiene, per dg = 0. dalla 3? delle equazioni (3). Similmente, ogni relazione che contenga BR, quando si tenga conto che R=c,—,, può considerarsi, per ]a stessa ragione, come una forma o una conseguenza del suddetto principio. Così, l'usitatissima legge dello stato aeriforme per i gaz ideali, po= RT, può essere scritta q=coTt= GT+ pv, la quale esprime (supponendo il gaz sempre ideale, ossia supponendo sempre nulle la coesione e la somma dei volumi delle molecole) che la quantità di calore necessaria per riscaldare 1 gr. del gaz, a pressione costante, dallo zero assoluto a T, è uguale alla quantità di calore occorrente per riscal- darlo a volume costante, aumentata del calore occorrente per produrre il lavoro della dilatazione a pressione costante dai volume zero a v. Oppure, differenziando, si può ricavare pdv + vdp= (co — 6) AT, mentre le equazioni dell’equivalenza dànno dg=c,dT + pdv= codT — vdp, ossia pdvo + vdp = (c, — 6,) dl come s'era ottenuto dalla legge dello stato aeriformo. Inoltre da questa equazione si ha snutor poichè DO AO Q PE plico quindi dag= cp dT =c,dT+pdv, la prima delle equazioni (3). sal 206 Così pure nel sopracitato ragionamento del prof. Grassi, col far uso «della legge dello stato aeriforme, le equazioni (8) e (9) sono divenute iden- tiche a quelle dell’equivalenza. Può dirsi che questo principio è contenuto nella legge dello stato ae- riforme, perchè questa si deduce dalla teoria cinetica dei gaz, nella quale esso comparisce sotto la forma del principio delle forze vive; se questo non fosse valido, anche la pressione e la condizione d’equilibrio statistico delle molecole risulterebbero diverse, e diversa sarebbe l'equazione di stato. E. M. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Serie 1* —- Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. O Sirio 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. II. (1875-76) Parte 1% TRANSUNTI. 23 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 33 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol: EV-V.VIESVIE:VIII: Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1376-34). ‘MemorIE della Ciasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4*® — ReNDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). i MremoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RenDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXV. (1892-1916). Fasc. 0. Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 7-8. MremorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. Fasc. 3. i MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XV. Fase. 1-2. a CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE (AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE R NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- « denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta ‘l'Italia è di L. #®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ERMANNO LoescHea & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horpr. — Milano, Pisa e Napo. ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2, Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus= sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca-= demia; tuttavia sei Soci, che yi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio i dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio. di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- | ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte. È. che i manoscritti non vengono restituiti agli\ osa autori, fuorchè nel caso contemplato dall’ art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti dali au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se : estranei. La spesa di un numero di copie in'più che fosse richiesto, è messo a .carico degli autori. 1 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 febbraio 1916. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle rappresentazioni normali uniformi degli spazî a curvatura costante. Nota del Socio Luici BIANCHI. 1 Abbiansi due spazî curvi S,, S, a x dimensioni, dapprima qualunque, le cui metriche siano definite dalle rispettive espressioni dei loro ds*, e pensiamo eseguita una rappresentazione qualunque dell’uno sull’altro, sicchè avremo 1... (1) AS Sadr, deri DES, i,k 1...n (rei day desdxx... Pe S,. i, Le ax, 4; Si suppongono qui funzioni finite e continue delle variabili x,, La; ... n, colle loro derivate fino a quell'ordine che occorre considerare; e si suppone, inoltre, che le forme differenziali quadratiche (1), (1’) siano defi- mite, positive. Il rapporto 1... dt 0 deri dar FIORA ZA (2) KRT ds — Ket ’ DE dik da; da, RD dà il quadrato del modulo u di dilatazione lineare nella direzione corri- RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 18 Di = 128 — spondente agli incrementi dz;. I massimi e minimi di questo modulo corrispondono a quelle direzioni che soddisfanno al sistema lineare k=n (3) i \ (an 04;) dex = 0 (© =462688 n) k=1 essendo o una radice della equazione secolare (4) an — Q0i|= 0. Questa ha le sue n radici 0,,02,.. 0, sempre reali e positive, e, in gene- rale, distinte. Vi corrispondono quindi » direzioni, che diciamo le direzioni principali della rappresentazione, e i corrispondenti valori di w u=| 01: Me = Vo» se Ma Von che chiamiamo i moduli principali. Due direzioni principali corrispondenti a radici diverse sono ortogonali tanto rispetto alla metrica di S,, quanto rispetto a quella di Sf ('). Così adunque in ogni punto di S, (o di Sp) abbiamo una mn?! ortogonale di direzioni principali, in generale perfetta- mente determinata. Indeterminazione si presenta quando l'equazione seco- lare (4) ha radici multiple; precisamente ad una radice 72% eorrispondono r direzioni principali linearmente indipendenti, 0, se si vuole, uno spazio lineare S, di tali direzioni. . Se in un punto di S, le direzioni delle linee coordinate (41) ;(£2),... (Xn) sono quelle delle direzioni principali (ciò che è sempre lecito supporre), la (2) diventa semplicemente u= pis + wgs + + ui, dove È, ,&2,...Én sono i coseni degli angoli che la direzione generica con- siderata fa colle direzioni principali, ed è & + &5 + & = 1. La legge di variazione del modulo «, al variare della direzione, corrisponde a quella dei semidiametri della quadrica indicatrice delle dilatazioni : (5) ui Xi + uiXi + -- + i Xi = cost 2. Chiamiamo congruenze principali della rappresentazione le x con- gruenze di linee dell’ S, che seguono, in ogni loro punto, una delle dire- zioni principali. Appena il numero r delle dimensioni supera il 2, queste. congruenze principali non sono in generale zormali (non ammettono iper- (') Se si indicano con dx; dx; gli incrementi corrispondenti a quelle due direzioni, sussistono invero le due relazioni -Sandoid0gr=0., > d'irda:dexr= 0. ik ik 2 {9g — superficie ortogonali), ed è quindi impossibile costruire in S, un sistema xPo di ipersuperticie (ortogonali) che si seghino lungo le congruenze prin- - cipali. Ma se questo è possibile per la rappresentazione di S7, sopra Sn, la proprietà ha pur luogo manifestamente nella rappresentazione (inversa) di S, sopra S,; allora diciamo, per abbreviare, che la rappresentazione è normale. Diremo poi wn2forme la rappresentazione quando i moduli di dilata- zione principali w,,{s,... Un siano costanti in tutto lo spazio (o regione di spazio). In questo caso. l'equazione secolare (4) avrà le radici costanti, e quindi, in particolare, sarà costante il rapporto dei due discriminanti delle forme differenziali (1), (1’); onde segue: ogni rappresentazione uni- forme conserva în particolare la proporzionalità tra i volumi (ipervolumi) corrispondenti. 3. Premesse queste generalità, veniamo all'oggetto della presente Nota, e, supposto che S,,S, siano due spazii a curvature riemanniane costanti K,K, domandiamo di risolvere il problema: Trovare tutte le rappresen- tazioni normali ed uniformi dell'uno spazio sull'altro. Tali rappresenta- zioni esistono effettivamente in grande arbitrarietà; la loro ricerca dipende dall’integrazione di un sistema simultaneo di equazioni a derivate parziali, il sistema (B) del seguente n. 4. Riferiamo lo spazio Sn al sistema w° ortogonale (v,,%2,...%,) costi- tuito, per ipotesi, dalle congruenze principali della rappresentazione; esia (O ds* — Hi duî + H3dus + « - : + H3 duî, la corrispondente forma del ds?. Scriviamo in primo luogo le condizioni affinchè questo ds* appartenga allo spazio di curvatura riemanniana costante K. Se introduciamo le rotazioni 8; (Darboux), date da 1H dir Hi du; queste condizioni si esprimono col sistema differenziale seguente per le H; e le 8;x (ved. le mie Zezzoni, vol. I, pag. 75 e pag. 344): H; Li = fx Hx (+ 4) (A) dda = BaPu Ei) Z Pix Pon RR RL 0. una 2 Bia E ui Qui 7, 7,,... denotano indici diversi presi nella serie 1,2,..7; ed il — 130 — (le) . . . simbolo > significa che l'indice variabile Z di sommazione prende tutti i x valori 1,2,..7, eccettuati i due î,k. Viceversa, se le funzioni H;, fix delle x verificano le (A), la (6) definisce, a meno di movimenti, un sistema neo ortogonale nello spazio S, di curvatura riemanniana K costante, 4. Nella nostra ipotesi di una rappresentazione uniforme, pel corrispon- dente ds'? di S7,, avremo ds'* = uî Hi duî + pa Hi du + - |: + n? H% duî,, dove i moduli principali w,,;.. 4, saranno 7 costanti, che supporremo inoltre tutte diseguali. Indicando con accenti le quantità relative a S}, abbiamo Hi=w H;'., RESI Mi Scrivendo che le Hi, fx debbono soddisfare al sistema (A), ove K sia cangiata in K', vengono ad aggiungersi alle (A) le equazioni seguenti: de lap 1 Sia LS EL RA —0. Mi dUi Ui dU€ ui Combinando queste colle (A) della terza linea, possiamo risolvere rispetto È dino dPri ‘ e, ponendo DATI Ù (7) i no troviamo così dPir Der cr Chi-7.CX Kexr — K' Sdi e = DU; — c—- C Bri Pxk + A iH1k } >On Re Cprzià Kale QUA sui Ca li = Plate ao ma la seconda di queste non è che la prima, scambiati gli indici 2, #. Il problema proposto è così ricondotto a riconoscere se ammette solu- zioni il sistema differenziale ! dHj LIO i] n Pri Hx Bin __ (B) > = fu Bn - dbix DL Ch — CI K' Ce Mel Ha, sonni) ui Baba x e quale arbitrarietà resta nell’integrale generale. — 131 — In questa ricerca possiamo prescindere dal fatto che, per avere soluzioni reali del problema delle rappresentazioni uniformi, occorre, per le (7), attri- - buire valori posetzvi (diseguali) alle costanti c;; basterrà qui supporre sol- tanto che le c siano costanti diseguali. 5. Se supponiamo in particolare K=K'= 0: se cioè cerchiamo le rappresentazioni normali uniformi dello spazio S, euclideo, il sistema (B) viene a coincidere con quello già considerato in una mia Nota precedente (1). Constatiamo che, anche nel caso di K,K' costanti qualunque, le condizioni d’integrabilità del sistema (B) rientrano nel sistema (B) stesso. Siccome questo è immediato per quelle che nascono dal confronto di due equazioni nella prima e nella seconda linea di (B}, basterà considerare la seguente espressione © che risulta dal paragonare quelle della seconda con quelle della terza linea, e cioè (i se) € (8) @= (Pau) + d STE K'— Key 3 (bl (BH), Ci — Ch QUI Ci — Ck dUI ln Ck IO e sarà da provare che, in virtù delle (B) stesse, @ si annulla. Decompo- niamo ®© in due parti, O=®+9, delle quali la prima ® sia composta di tutti i termini non contenenti K,K', che risultano nel secondo membro della (8) sviluppato colle (B), e l’altra £ raccolga ì termini rimanenti. Il calcolo, già eseguito nella Nota ora citata, dimostra che si ha D=0. D'altra parte l’espressione effettiva di £ è K' Q= Bn 5; Hdi Cr cx (, Kei — K' : Kc — K' ) il e SHAH de iz ea pNECSR rt è ESILI. INTE K K i += BH + Bux a ; Ciauz ‘ora i due termini col fattore #, HxH, si elidono, e gli altri tre termini. col fattore #8: H; U,, si distruggono pure, a causa della identità (Ke, i K') (c; > CH) + (Ke; == K') (Ck = CI) + (Kcex "a K') (7, E 6;) —208 Si ha dunque in effetto 2 = 0, e, per ciò, anche @=0, c.d. d. 6. Le condizioni di integrabilità pel sistema (B) sono dunque iden- ticamente soddisfatte. Esso ha d'altronde la forma lineare canonica del (1) Questi Rendiconti, vol. XXIV (settembre 1915). — 132 — Bourlet ('); anzi è nel caso, più semplice, del Darboux (*), non figurando derivate nei secondi membri. Ciascuna delle x(n —1)+ n= ww? funzioni incognite $;x, Hi ha una sola variabile parametrica, le rimanenti n — 1 principali: precisamente, per le 8;x la variabile parametrica è la ux; per la H; è la w;. Dai teoremi generali d'esistenza (cfr. Darboux, ioc. cit., pag. 335) risulta che, fissato un sistema iniziale di valori per le w, sia per es. (0,0,...0), esiste uno ed un solo sistema integrale tale che cia- scuna funzione incognita fix, Hi si riduca ad una funzione arbitraria della sua variabile parametrica quando le altre # — 1 (principali) si annullano; e queste funzioni arbitrarie sono soggette alla sola condizione di essere finite e continue ed ammettere rapporti incrementali finiti (condizioni di Lipschitz). Il numero delle funzioni arbitrarie nell'integrale generale del sistema (B) sembra così dato da an_-1)+a=?n}; però n di queste sono solo apparenti, dipendendo dall’arbitrarietà lasciata aì parametri w. Se fissiamo p. es. questi parametri come gli archi delle curve coordi- nate (1), (42), ... (v) uscenti dal punto (0,0,... 0), tutte le H; si ridur- ranno inizialmente all'unità. Concludiamo quindi : Dati due spazî S,,S, a n dimensioni, e di rispettive curvature riemanniane costanti K,K', esistono infinite rappresentazioni normali ed uniformi dell’uno sull’altro. La loro ricerca dipende dall’integrazione del sistema (B), îl cui integrale generale contiene n(n —1) funzioni arbi- trarie essenziali. 7. Un primo contributo all'integrazione del sistema (B) è portato dal- l’osservare la esistenza di n integrali quadratici pel sistema stesso. Si considerino infatti le n espressioni £,, 2, ... @, definite da (18) Q,= Si (cx — ca) Pat (K' — Kc). Hr (£ =i 2) — È Se ; è un qualunque indice diverso da 4, derivando , rapporto ad %, ed osservando le (B), risulta il ‘9 (tl) 9 - = I (o ca) Pr Pri Pa + (UZZI X% x RA Ke — K' + (0/00) Pal SEO gh + EH; Ba 4- ( as Cia Ch Ci 7 Ck + (K'— Key) faHiHx, (1) Sur les équations aux dérivées partielles simultanées (Annales de l'Ecole nor- male sup., tome VIII, 3ème sér.. Supplément. (3) Lecons sur les systèmes orthogonaua, gème édition 1910, livre III, chap. I. — 133 — dk ‘cioè identicamente = 0. Dunque £, è funzione della sola «x; e poichè QUi "un cangiamento del parametro vu, ha per effetto di moltiplicare 2, per una funzione arbitraria di ux, possiamo disporre di wx, sì da rendere £, costante Ne concludiamo: Il sistema differenziale (B) possiede (scelti convenientemente i pa- rametri w;) gli n integrali quadratici (9) > (ex — ca) 8x+(K'— Ke) Hr = cost (£=1,2,..n). 3 8. Come prima applicazione di questi risultati generali si consideri il caso n= 2, dove la condizione di normalità delle congruenze principali (n. 2) è sempre soddisfatta, ed il problema è quello di 4rovare le più ge- nerali rappresentazioni uniformi di due superficie colle curvature costanti K,K' luna sull'altra. Riprendendo qui le notazioni usuali, poniamo U,=U 5 Una =>V H=yE . Hi=VG, indi Di atx IG = duli dIR OA OT] Il sistema differenziale (B) si riduce, in tal caso, alle due equazioni COTRolORRg —- — |. —T + uîy du (3 w ) ni — uî TU (10) T(1UL AE py7, I (A ur) K— Ku? VG dv uì — ui ‘e possiede i due integrali quadratici /G\2 | (ui — ui) (= e) + (K’'uì — K) uî G= cost 1 3VE\ i (dî — 43) (a sa + (K'uî — K)u5E= cost. Prendiamo dapprima il caso più semplice K = K’=0, dove si tratta delle rappresentazioni uniformi del piano sopra sè stesso. Le condizioni da soddisfarsi riducono, secondo le (11), alle due — 134 — con a, costanti. Lasciamo da parte il caso in cui una almeno di queste due costanti è nulla: il che conduce ad una soluzione geometrica ovvia, in cui le linee di uno dei due sistemi sono rette. Nel caso generale, can- giando i parametri, possiamo fare a == 1; l’elemento lineare del piano prende la forma caratteristica dI \° re h2 “i PENSI 2 (12) ds = 6° du +(*) do, soddisfacendo 0 all’equazione d°0 (18) du dv In effetto, anche l’elemento lineare ’ 2 2 90 ? i ds = uî 6° du? + ni iS dv? . con w,,&, moduli costanti arbitrarii, appartiene al piano. Dunque: Za ri- cerca delle rappresentazioni uniformi di un'area piana sopra un’altra area dipende dall’equazione del secondo ordine s=. Questa si sa inte- grare completamente per funzioni di Bessel (Du Bois-Reymond). Geometricamente i sistemi ortogonali (uv) che donno al ds? del piano la forma (12) sono caratterizzati dalla seguente proprietà: Ad ogni sistema (x ,v) corrispondente alla (12), ne è associato un secondo pel quale si ha 2 (12,) ast=() du? + 0*dv* ; c le linee u==cost di (12) sono le evolute delle u= cost in (12,), e le v=cost di (12,) le evolute delle v= cost în (12) (). 9. Sempre supponendo 2 = 2, facciamo in secondo luogo K=K"=1, sicchè si tratterà ora delle rappresentazioni uniformi della sfera sopra sè stessa. agi L'esame dei casi possibili nella integrazione del sistema (10) trovasi completamente eseguito in una mia recente Memoria (*). Qui ricordo che i corrispondenti sistemi sferici ortogonali (vv) si ottengono dalle congruenze pseudosferiche reali (a fuochi reali od immaginarii) nel modo seguente: Della congruenza pseudosferica si prende l'immagine sferica. e le linee della sfera che corrispondono alle asintotiche delle due falde focali danno i richiesti sistemi ortogonali (u,v). (') Cfr. una mia Nota del 1891 nel vol VII, pag. 4, di questi Rendiconti. (*) Sopra una classe di superficie collegate alle congruenze pseudosferiche [ Ren- diconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XL (1915)]. — 135 — Aggiungiamo che, se i due moduli principali &,, gs sono ambedue diversi dall'unità, la congruenza ha fuochi distinti (reali od immaginarii); questi vengono a coincidere se u,=1 (0 us = 1). In questo caso la con- gruenza consta delle tangenti alle asintotiche di un sistema in una (qua- lunque) superficie pseudosferica; e il ds? della sfera prende la forma carat- teristica (14) ds = (5 2 du? sen?w dv? si DÈ ; con « soluzione della nota equazione del secondo ordine d° 0 du dV = Seno. (15) Ancora da questa equazione, e dalle relative trasformazioni di Bicklund, dipende la ricerca nel caso delle generali congruenze pseudosferiche; onde abbiamo: Ze rappresentazioni uniformi della sfera sopra sè stessa dipen- dono dalla equazione s= senz. Un risultato del tutto analogo si trove- rebbe per la pseudosfera, col fare K= K'=— 1. 10. Prendiamo il caso successivo n=3; e supponiamo dapprima K=K'=0, ciò che corrisponde alla ricerca delle rappresentazioni nor- mali ed uniformi dello spazio Ss euclideo sopra sè stesso. Queste dipen- dono da sei funzioni arbitrarie essenziali (n. 6); i sislemi tripli ortogonali determinati dalle congruenze principali della rappresentazione sono quelli già introdotti in una mia Nota dell'anno scorso (*), e studiati poi ampia- mente in un lavoro ora in corso di stampa nel vol. XXV degli Annali di matematica. I metodi di trasformazione ivi sviluppati permettono di costruire, senza calcoli d'integrazione, serie illimitate di tali sistemi. Se prendiamo ora x qualunque, ma ancora K= XK" = 0, si hanno i sistemi n2% ortogonali dell’ $, euclideo di cui tratta la Nota già citata al n. 5. Se infine supponiamo K,K' costanti qualunque, si ottengono più in generale sistemi 2% ortogonali dell’S, a curvatura costante, e, per ciò, anche dell’S, euclideo, il cui studio merita di essere approfondito. 11. Qui, ritornando alle rappresentazioni normali uniformi dell’ Sz euclideo, ne rileveremo due classi particolarmente semplici. La prima classe corrisponde al caso che nel relativo sistema triplo ortogonale una serie consti di superficie S parallele, e quindi le altre due constino delle svilup- pabili luogo delle normali lungo le linee di curvatura. Queste superficie S hanno per immagine sferica delle loro linee di curvatura uno qualunque dei sistemi sferici ortogonali (u,) considerati al n. 9; e, viceversa, ogni (*) Vol. XXIV dei Rendiconti (maggio 1915). RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 19 — 156 — tale superficie S, colle superficie paraliele, dà luogo ad uno dei sistemi tripli ortogonali cercati. SURI) Una seconda classe corrisponde a quei sistemi cielzeé — considerati al $ 278, vol. II delle Zezioni —- nei quali gli assi dei circoli formano una una congruenza di Ribaucour a superficie generatrice pseudosferica. Le formule relative a questi sistemi ciclici si ottengono come segue: Sia © una soluzione qualunque della (15), e sia 0 = g(v, v) una soluzione della equazione per le deformazioni infinitesime delle superficie pseudosfe- riche: de (16) estesi AICE Le formule della trasformazione di Béacklund 10 + ) W — w \ gr = tg0 sel (0 costante) Î È DIO) a) = coto sen DESIO ao Misa Hi Dì 2 dànno, integrate, una nuova soluzione ©" di (15), contenente una costante arbitraria 0, che riguardiamo come terza variabile. Allora il ds? riferito al sistema ciclico (u,v,w) ha la forma ds = H? du? + H3do® + Hidw®, con , , Hi — coso -'! 4g seno cos SL! : Hs— seno 28 + 0 coso cos L®, Re ROL, 2 dw E se poniamo ds'° = ui Hî du® + u$ Hî do° + uè Hi-dw? , legando i moduli costanti u,,s, uz con la relazione sen? o così 1 2 arnie Mi Us 3 il nuovo elemento lineare ds’? appartiene ancora allo spazio euclideo, ed abbiamo così una delle rappresentazioni normali uniformi che si domandavano. 11. Nelle ricerche generali precedenti è essenziale l'ipotesi (n. 4) che i moduli principali siano costanti distinte. Esistono per altro rappresenta- zioni normali ed uniformi nelle quali questi moduli sono in parte eguali; ma la loro ricerca richiede una trattazione diversa. Se si cercano p. es. le — 137 — rappresentazioni normali ed uniformi dello spazio ordinario euclideo sopra sè stesso con due moduli di dilatazione principali eguali, si trova che ne esistono due sole classi. Una è fornita dai sistemi tripli ortogonali di cui una serie è costituita da piani; l’altra classe è data da superficie parallele in una serie ed aventi per immagine delle linee di curvatura un sistema sferico (14). Le superficie della serie parallela sono quindi superficie di ‘Guichard, aventi per una delle falde dell’evoluta una superficie di Voss. Ma se domandiamo invece le rappresentazioni normali ed uniformi dell’ Ss euclideo sopra un Sg a curvatura costante, vediamo che ogni sistema triplo ortogonale di Weingarten (Lezioni, vol. II, cap. XXVII) dà luogo ‘ad una tale rappresentazione. Prendasi invero dapprima un sistema pseudo- sferico di Weingarten corrispondente alla nota forma del ds? 2 (18) ds = cos°w duî 4- sen*w du + dei dui, dU3 dove w = @(%:,%s, 3) soddisfa alle equazioni scritte a pag. 549 del vol. II delle Zezzoni. Se a,d sono due costanti arbitrarie, l'elemento lineare 2 (18°) ds? = a*(cos*0 duî + sen*@ du) + 8? (2) dui 3 3 io Si di dar ; 1 1 ‘appartiene ad uno spazio S3 di curvatura costante K =: Queste formole (18). (18') dànno quindi una delle rappresentazioni richieste, con due moduli di dilatazione = 4, il terzo =. Similmente, nel caso dei sistemi di Weingarten a curvatura positiva, il cui ds* è dato da (loc. cit., pag. 551) SONE ds® = senh?0 duî + cosh?0 duì + (3) dui, 43 sì vede che l’altro 90 \} ds'* = a*(senh?0 duî + cosh?0 du$) + 8° 3 3 appartiene allo spazio S3 di curvatura costante Sotto l’attuale punto di vista, i sistemi di Weingarten rientrano dunque nella classe generale di quei sistemi (tripli) ortogonali che si collegano al problema delle rappresentazioni normali ed uniformi. si lanta — 133 — Matematica. — La risoluzione meccanica esatta delle equa- zioni differenziali lineari generali di 2° ordine. Nota del Corri- spondente E. PASCAL. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Le equazioni differenziali e l integrazione delle trasformazioni. Nota di GruLio ANDREOLI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. In una precedente Nota (*), abbiamo definito l'integrazione delle tras- formazioni e mostrato la connessione di tale operazione con la teoria delle equazioni differenziali. In questa mostreremo l'applicazione di tali concetti, ricavando degli speciali tipi di equazioni, e dedurremo alcune conseguenze d'indole generale. 1. Consideriamo il gruppo di trasformazioni lineari fratte rai (1) darte (a, db, c qualunque). Conformemente a ciò che avevamo supposto nella precedente Nota, la sostituzione degenere 4, =0 sì ottiene con la matrice di trasformazione 0=(0,0,0); la sostituzione identica invece ha la matrice (abc) =(100). Supponiamo perciò che le 4,d,€,4,4, dipendano da una variabile «x ed integriamo tale trasformazione fra i limiti x, ed @. Per quanto è stato detto nella prima Nota, dovremo formare il pro- dotto delle sostituzioni aventi le matrici m='0, aan [Li +ha(c°g + MA) , h bce + mh), he(x, + mh)\ vp catia I (Tone passando poi al limite per n= wo. Ciò che equivale a porre (1 + % a(2)) sa) + h0b(2) c Di O A E A EARE A IE @) s(@e+1) CRI f(M, 0,3) e passare al limite per 4=0. (1) Questi Rendiconti, vol. XXV, 1° sem. 1916. — 1399 — Ora, se noi sviluppiamo la frazione in serie di Taylor rispetto ad %, troveremo che e@+h)=f(0)+%/"(0)+e, ove e denota un infinitesimo d’ordine maggiore o eguale a due, ed /(0) e f'(0) sono la / e la sua derivata rispetto ad %, per 4=0. Eseguendo i calcoli, si trova 3 +h)=s(2) + hfa(2) (2) + 0a) — cla) {+ 8; da cui, portando (2) a sinistra, dividendo per %, e passando al limite per A=0, avremo n = — ele) e + alx) #4 b(), poichè lim » =0 E questa è appunto l'equazione di Riccati: fulte le sue note proprietà dipendono semplicemente dal fatto che essa equivale all’integrazione di una trasformazione lineare fratta. Infatti, le trasformazioni (1) ammettono, come invariante assoluto, il birapporto tI I OA 2! SEE gv gl SU A Pa Quindi, dalle (2) si ricava che il birapporto delle s nel punto x, è eguale a quello nel punto x° + %, xo + 2%,.,,.xo + nAh= 21; cioè ritro- viamo la proprietà fondamentale e caratteristica dell'equazione di Riccati. Notiamo poi anche che, introducendo variabili omogenee ii, le (1) ci dànno ie) (o = funz. arbit. di x). (m=o(6+ n Come è noto, l'integrazione di queste trasformazioni lineari intere, ci ‘ conduce alle equazioni differenziali lineari; quindi, ponendo z= Li nelle " equazioni di Riccati dovremo trovare delle equazioni lineari. Infatti, avremo i i vhi ape ul ’ da cui, per 7-40, si trae (—-bn+(k£—at)n—-(g—cî+ky)é=0 (% funz. arbit.) Y — 140 — che è soddisfatta da =(a-kEéK n m= o co — kn. Riciprocamente, si vede la ragione per cui il rapporto d'una coppia-so- luzione del sistema ora scritto (il più generale del secondo ordine, come si vede) soddisfi all’equazione di Riccati. 2. In un modo perfettamente simile si possono ottenere nuovi tipi di equazioni, più generali, e godenti di proprietà simili. Consideriamo il gruppo delle trasformazioni lineari fratte a due varia- bili (ciò che diremo si estende subito al caso di x), definito dalle ayt ba +e CORE orde Cal i (3) NT my tnt p i. My + ng +p Me il quale, con l'introduzione delle variabili omogenee y = Eiù pi È 9 può ridursi al gruppo lineare omogeneo n= (an +05$+cÈ)o (4) { G,=(dyt+eî+fE)0 (o funz. arbit.) f= ona: dress Se ora liednsideriamo il caso che tutte le variabili sieno fanzioni di di e fissiamo le formole di trasformazione j AA ainsi. i a) _hdy+(1+he)a+hf Amyt has +1 \ete) hmy+hnz +1 avremo che il prodotto (destro o sinistro) delle n trasformazioni ottenute ZI — Ho * ponendo = x, + mM} , iene m=0 lia TL persa tene dente all'infinito, è l'integrale della trasformazione lineare fratta (3); ed il valore, che in +, assumono la y e la z, è precisamente il valore d'una coppia integrale d’una certa equazione differenziale. Per trovare questa equazione, sviluppiamo i secondi membri delle (5) in serie di Taylor rispetto ad %; avremo yo+M)=y() +A}ay+60:+c—y(my +9) +e s(c4-A)= (x) +h}dd +-e24 f — s(my + na)f + ove # ,#” sono infinitesimi d'ordine superiore rispetto ad %. RT TV E PORT TA — l4l — Da queste formole, trasportando y(x).<(.) a sinistra, dividendo per / e passando al liuite, troviamo (6) (y'(a)= ay + 0624 e— y(my + na) ( ()=dy+e+f—s(my + na). D'altra parte, notiamo che l'integrazione delle (4) ci porta ad un si- stema d'equazioni differenziali lineari con le 7,6,$, il più generale possi- bile. Quindi possiamo dire che Date tre funsioni soddisfacenti ad un sistema lineare del 3° or dine, il rapporto di due di esse alla terza soddisfa la (6), deducibile direttamente dal sistema lineare dato. È agevole la verifica diretta di questa proprietà, simile a quella del- l'equazione di Riccati. 3. Osserviamo che le (4) ammettono l' invariante Mn Na. Y3 È, a È3 cap A(1283) È, È» È, ; ove le 71,61,61; M)»,62,$2 ; 73.63,€3 sono variabili cogredienti. RIST, : RO CA È i Quindi si vede che il rapporto ra è un invariante assoluto. Ora si vede subito che Yi Ya Y3 l D(123) ARE‘ na pe Ea Quindi si trae subito che il prodotto dei due invarianti assoluti A(123) A(45 6) AGLA)! AGI) gi riduce identicamente a D(123): D(456) D(124) - D(356) che sarà, a sua volta, un’invariante assoluto rispetto alle (3); in partico- lare potrà essere y1 == Ye , 41 = 46. Questa è un’estensione della proprietà dell'equazione di Riccati; ei dice che — 142 — L'espressione Z1 42 $3 Ba 65. 46 l ] 1 ] 1 1 ù Yi Y2 Yi Y3 Ys Ye 81 ko 83 | 83 35 86 Il Ì JE i ] Ì 1 ' ‘ove le y,3 sieno coppie e soluzioni delle (6), è costante; in particolare può essere YU, &,= 86. Conosciute quindi cinque coppie-soluzioni delle (6), è determinata, senza quadratura, ogni altra soluzione (?). Basta infatti risolvere il sistema D(128)- D(451) , —D(028)- D461) D (1:24) D(&5/1) 2° ‘LS D(A249:D(8 63 per ottenere la soluzione y,,41, Se sì conoscono le coppie (2), ... (6). Per verificare direttamente tale proprietà, consideriamo le coppie (1). (2), (3). Sostituiamo nella (6), al posto di y,%1,4,. e moltiplichiamo la prima per (cs — #3), la seconda per (y; — Y3); permutiamo circolarmente. gli indici, e consideriamo l’espressione fyi(ce — 33) — Yale — a) + ys(a — 82) — , U , d — }a1(Yo — Ya) — ey — Ya) + ya(41 — 22)! << D(123). (*) Per n—1 variabili, si hanno le equazioni We=ko+Zag5.Yo — Yo (ZbaYo), | (0=1,..,n—1) con gli invarianti D(123..2)- D(a+1...2r) D(123.2+1)- D(n.,... 2)” ove, al più, n —2 n-ple possono coincidere. La soluzione generale è conosciuta allorchè si conoscono 2a -+1 soluzioni: basta scrivere il sistema di n — 1 equazioni : C(12..n—1,m)D+1,n+2,3,..1)_,, D(12..r_-1,n+1)D(2,242,8..d) 0° D(1,2,n—-1,2)-D(n+1,n+3,3,.. Ig C'ONETIETTI D(1,2,2—-1,n+1):D(n,n+3,8,..1) 0 ove la (1) sia incognita, e le (2)....,(2),(2-+1),.. (22) sono note. — 143 — È facile vedere che otterremo, per le (6), È D(123)=alyila— a) — gela — =) +y(6 — a (die MII); (6) Lee Bisogna calcolare la condizione di integrabilità delle (5) e (6) eonsi- derate come equazioni in 4. Si trova 53 ba (6) dove i > M M {11 H (22) (8) ‘ant a iu) Proveremo tosto che 2£=0; allora la (7) coincide con l’equazione con cui al n. 2 abbiamo definito le nostre superficie. (') Ricci, Teoria delle superficie. Padova, ed. Drucker, 1898, pag. 109. — 148 — Viceversa, se questa equazione è soddisfatta, le (5) e (6) permettono di determinare Z con una sola quadratura. E le (1), (2), (3) diventano un sistema illimitatamente integrabile. 6. Dimostriamo dunque che — L= 0. Adotteremo senz'altro le nota- zioni di (P), indicando con o l'angolo dei piani focali, con ( la distanza dei fochi, e ponendo do=eg—f* ; K={/e c0os(0 +) ;: N=|/gc08(0— @). Per il calcolo di — £ è importante ricordare le (II*) e le (9) del $ 1 di (P); le quali permettono di calcolare le derivate di cot o, di H, K, M, N. Sarà bene ricordare anche l’identità //î = HN — MK. Scrivendo — 2 nella forma IE e dvl_ du °° M My (op; \ M sì trova facilmente, calcolando l'espressione tra [....], che -Q= l Ss Sa 108 (el 9) + 7° log d log le __ VO si ) H ST dv nr (coto + * ©) +a(I 1 |M} Applicando di nuovo le citate equazioni di (P), si trova infine che — 2 è uguale a H pui (22) > log (el/0) o Ve >logle > cr M du L3) dU DO dI dv daN ge AL (229) 3 log lo alte] ar Vi+|}}1 da — log (el/d) — DI a È Serivendo le (4) del $ 3 di (P), scrivendo cioè le equazioni che dicono essere uguale a -+ 1 la curvatura di edu° + 2/ dudv + 9 dv, si trova che — £ (moltiplicato per il fattore M + 0) si riduce a gH—NW/d—-Mf= = gY Ve [sen (0 + 0) — cos (0 — w) sen 20 — sen (0 — è) cos 20] che è identicamente nulla [perchè 04 @ = (6 — 0) 4- 20], come volevasi dimostrare. — 149 — Matematica. — Sopra un'applicazione della convergenza in media. Nota I di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA. Il prof. Pincherle ha fatto un'applicazione del concetto di convergenza in media (') alla rappresentazione di una funzione analitica (?). Richiamo brevemente il risultato al quale egli è arrivato. Premetto la seguente definizione: un sistema di funzioni di una varia- bile reale #, sommabili insieme coi loro quadrati in un intervallo (4, d) e dipendenti da un parametro reale 7, /(4,7), si dice convergente in media ad una funzione /(t), sommabile, insieme col suo quadrato, in (4, 2), quando 7 tende ad 7,, se, fissato comunque un numero positivo =, si può determinare un altro numero positivo d, tale che, per |r —r,|<4, risulti STO u 0. Ciò avviene in particolare se è Z, = (a=1,2,8,...), nel quale caso la serie di Dirichlet si può trasformare in una serie di potenze. Per una serie di Dirichlet della classe considerata, vale il seguente teorema: Se la serie (2) converge in un punto sh=00-| ito, essa converge - assolutamente nel semipiano 0 > 0. (') P. Nalli, Sopra una nuova specie di convergenza in media. Rend. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVIII, 2° semestre 1914, pp. 305-319; Aggiunta alla Memoria: « Sopra una nuova specie di convergenza ‘in media » Rend. del Circ. matema- tico di Palermo, tomo XXXVIII, 2° semestre 1914, pp. 320-323. — 151 — Infatti, se s è un punto di tale semipiano, essendo 4,3 —dn80 — dn(s5—-S An € n° — qné Tio, A d, si avrà —An(o—00) b) 4,3 lane n dove c è una costante che non dipende da x; e siccome la serie che ha per termine generale e aria convergente, la (2) converge assoluta- mente nel punto s. Per una serie della classe considerata, la ascissa di convergenza coin- cide con la ascissa di convergenza assoluta, come nelle serie di potenze il raggio di convergenza è anche raggio di convergenza assoluta. Per una serie di Dirichlet della classe considerata si può facilmente stabilire una formola analoga alla formola (1) di Cauchy. Essa può dedursi dal seguente teorema, valido indipendentemente dalla convergenza della (3): Stano h(s) = > bn e %n8 ; n= k(s)= ì Cn e dns si due serie di Dirichlet; la prima sia assolutamente convergente per 0= R, e la seconda lo sia per o=y. Si ha allora (4) Tin e Li ky — il) di = > ene tB+7) (1). w=I0 20 Per la serie (2) avremo, posto nel semipiano o <0 G(s)= Y gh 5 sn l 3 TS n) eb it = |/@06-s)d= |/E+MYe "it dl, p_wi Call, E dove l'integrazione del primo membro è estesa al segmento che va dal punto 8 — wi al punto 8 + wi. Nell'ipotesi che la (2) converga assoluta- mente per o = e che sia o, >f, si avrà, per la (4), 1 B+wi (5) lim co, | /(9)GE— se) ds=/(80). 090 f_- wi (') E. Landau, /andbuch der Lehre von der Verteilung der Primzahlen. Leipzig, l'eubner, 1909, Bd. II, pp. 776-778. RexpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 21 =: 52 = È questa la formola analoga alla formola (1) di Cauchy che volevo stabi- lire: da essa, por 4, = 2, si può dedurre la (1); 0, viceversa, dalla (1) può dedursi la (5). 3. Ciò posto, sia /(#,7) un sistema di funzioni, reali o complesse, della variabile reale # e dipendenti da un parametro rele 7. /(£,7), quando sì fissa 7, sia sommabile, insieme col quadrato del suo modulo, in ogni in- tervallo finito, e sia inoltre 1 (02) lim sup =— ti. n)idi Lr, meupzz | I/»I essendo L, una quantità finita. Diremo che l'insieme delle funzioni /(t,r), quando ” tende ad 7,, converge in media, nell'intervallo (— 0, +0), ad una funzione /(‘), sommabile, insieme col quadrato del suo modulo, in ogni intervallo finito, quando, comunque si fissi il numero positivo «, si può determinare un numero positivo d, tale che, per |r — re] $, e, posto s=o0 ttt f(s)= (0,3), ed esista una funzione p(t) alla quale a(0,t) converga in media, secondo (*) Cfr. la nota a pag. 150. — 153 — la nuova definizione, quando o tende a 8 per valori maggiori di 8. Se Si= 0, | iî% è un punto qualunque del semipiano 0 > f, si avrà B+@i (6) EAT 3, u(s) G(s — s0) ds, dove con u(s) si denota la funzione p(t) considerata come funzione dei punti s della retta P+ it. Si ha infatti, per qualunque o soddisfacente alla condizione PZLIZI%, “eg y nei Mezza) God — se) dl. EZIO. i Si ha poi, identicamente, (7) Lo (s0 G(P+:it— so) dt = n (ene mdt + 2 (Coma e tiu dt + +3 |PO[GE+s—s)— G0+i— Md. Applicando l'ineguaglianza di Schwarz, si ottiene Si sa (Coe) — a(0,t)}G(0+it— sa) dt (40) SÈ Peet (Geil (e ©) |G(o 4 ie— so) = Y ede(0—00), n=1 e perciò, fissata una costante positiva 4 <0, — f, si potrà determinare una costante e in modo che sia |G(o + it — s)|< e? per tutti i valori di o che non superano f + %. Staizign Se Fissato e > 0, determiniamo d positivo e minore di k in modo che, per i valori di o soddisfacenti alla condizione PZI0, |G(A+it— ss) — G(o+it— so) | =(0— A) YA, elena); n=1 ed si potrà dunque determinare una costante e' in modo che, per tutti i valori di o che non superano £ + £ e qualunque sia #, si abbia \G(B+it— se) G(o0+it— s0)| = ce(0— f). Lo stesso si potrà dire se le Z, non sono tutte positive. Dall'ineguaglianza di Schwarz si ottiene quindi È (so [G(B+ it —s)— G(0-+i4— s)]dt| = V quae: goa Soa si (Lora ; da 20 [G(8 + èé — so) — G(0 + it — so)] di e perciò Dai on < L? c'(0_-f). Dalla (7) si conclude dunque ss, cee+L? e'(0 — p) 3 lim su (ie: : do [20041 (50) — 155 — ed essendo o — ? ed « arbitrarî, avremo (12) 25 (20 G(P+ = (1—A/'A,)0. Si deduce facilmente. da queste, (4) 4A°9= 4°9=0. Siano inoltre £,$ le componenti principali di pressione, in ogni punto del corpo: valgono allora le formole i DO d°0 7 il ra enr dt d°t2= (5) li va? ' lia de WY ’ dove (6) ©=2(A, — A.) 0; e sarà, per la seconda delle (4), (7) 41°0=0. 2. Sia ora un solido elastico indefinito limitato da un piano che pren- deremo come piano xy: l’asse delle z (normale al piano limite) sia interno al corpo. Sono date per ipotesi le componenti Xs,Yo,Zs della pressione che si esercita in superficie: si vuole determinare la deformazione del corpo, le forze di massa essendo nulle. Consideriamo le tre componenti principali di pressione #13, £23 , £33: esse prendono valori noti in superficie riducendovisi alle Xg, Yo, Zc; di più, soddisfano alle equazioni [vedi (5)] d°0 d°0 4 d°0 (5) Luzi Sa. l8s="Z%% de Se consideriamo le tre funzioni a a ’ Yi= LIT (E DIOR 1 Z do , Zi — — PAROLE A dove le integrazioni sono estese al piano xy ed r rappresenta la distanza del generico punto 4 ,y,z dal punto d'integrazione del piano xy, esse, come è noto, sono armoniche e soddisfano alle condizioni (a = Ne 00 d a=0 (1) Vedi Volterra, Monctions des lignes, cap. VIII e IX; oppure Acta mathematica, vol. 35°, cap. II. — 157 — È facile allora verificare [servendoci d’un noto teorema di univocità dell'Almansi (*)] che l'a 00 di i ia 3 | to=g i eriDii sai, dEi 2 Î pt 30 \ Sest2 dE Dee Abbiamo così le 13,23, 733 espresse mediante @: ne ricaveremo la ®. Una delle condizioni di equilibrio (essendo nulle le facce di massa) è dle dI Lr das DR dl33 250 dY de Servendoci delle (8) e ricordando la (7), deduciamo IO d (dI | dI , dA ea lacco ai 10 d8 ESE o Le due funzioni © ed F= —2 ( DS + DI 2 entrambe armo- dI dY da niche, e con derivate rispetto a z, eguali, non possono differire che per una funzione 4(x,y) armonica in tutto il piano xy (2 qualunque) e, perciò, costante. Ma F si annulla all'infinito; lo stesso può evidentemente (?) dirsi della 0 e, quindi, di ©: dovrà la costante, in conseguenza, essere eguale a zero, e si avrà di OR DIA Ra eroina I o=-2( dI dY de e dalla (6), che definisce © mediante la dilatazione cubica 0, si ottiene iv: (Dar dira) ‘( da ay tig Nota la dilatazione cubica 0° dico essere nota la Tai essendo x la nor- n male al contorno: infatti, dette w,, 5 le doppie componenti della rotazione di ogni particella, sappiamo che, in generale (*), CIAO sj i 2 Ax i Z oi Ar'Zs + è, cos ny — è, cos ne + (2 — AT'A2).0.cosnz |; (1) Vedi Almansi, Sull'integrazione dell'equazione 4° = 0. Annali di matematica, ser. 82, tomo II. (2) L’annullarsi della 0 all'infinito è evidente per le condizioni sottintese all’infi- nito per le funzioni X5 Yo Zo, date nel piano xy. (3) Vedi Volterra, Acta mathematica, cap. II, art. 9°. — 158 — 7 Za ZN ENT e questa relazione, essendo nel nostro caso cos na = cos ny = 0, cosng=1, diventa diva d=- S (10) Ta a AI a As) 6). dw 3 s Ora, essendo note 4°w per le (2), e Di la (10), la w è determi- nata, e si sa costruire. Ricordo inoltre che (') t tr3 = Ky13 +f Wi, t) ya de=A1}13, t ta3 = Kya3 + fue s,t):Yas de. = A1Y23- vo Ma, da quanto precede, #13, 23, sono note; e otterremo, invertendo, DU PT Vacant 3, dv dw Lor a Aa * tici 0r dY 1 lag 2 U dd TRN È Saranno perciò note È ; a che per z= 0 si riducono alle derivate é normali. Ora, per le (2), conosciamo 4°v, 4°v, essendo d nota; e inoltre, per le precedenti considerazioni, le derivate normali di w ev. Quindi queste sono determinate e sì sanno costruire, e il problema è risolto. Matematica. — Sulle varietà trasversali delle rigate alge- briche di uno spazio pari. Nota di ALESSANDRO TERRACINI, pre- sentata dal Socio C. SEGRE. 1. Quando si abbia una rigata immersa in uno spazio di dimensione pari Ss, tale che 7 sue generatrici consecutive siano in generale linearmente indipendenti, presenta un certo interesse la considerazione della 00! degli S,-1 appoggiati ar +1 generatrici consecutive (varzetà trasversale), e della curva trasversale, luogo dei punti di contatto (»r-+-1— punto) di quegli S,_, colla rigata (?). Vogliamo anzitutto determinare l'ordine di questa curva e (1) Vedi Volterra, Acta mathematica, art. 6° (9a). (?) Cfr. M. Morale, Za rigata razionale d'ordine n dello spazio a quattro dimen- sioni e sua rigata trasversale, con particolare considerazione al caso di n=5 (Pa- lermo, Tipografia matematica, 1899); H. Mohrmann, ZVeder die windschiefen Linien- fiichen im Raume von vier Dimensionen und ihre Haupttangentenfiichen als reziprocke — 159 — di quella varietà, per una rigata @ generica tra quelle di ordine » e di genere p ('). Sia C” la sezione della ® con uno Sor_, generico: e consideriamo la corrispondenza (@,/) che nasce sulla C”, chiamando omologhi due suoi punti A e B tali che lo S»,_,, determinato dalla generatrice dè della ® passante per B e da altre 7 — 1 ad essa consecutive [Ss,_; (r — 1)-tangente lungo la 5], contenga ulteriormente A. La corrispondenza è a valenza 7, ed è a=n-—r. Per quello che riguarda #, osserviamo che, proiettando la ® da A sopra uno S»,_1, si ottiene una ®' d'ordine n — 1 (e genere p) che sarà dotata precisamente di 8 sistemi di 7 generatrici consecutive situate in un iperpiano, 0, come possiamo dire più brevemente, di #=f (n—1, p, 2 — 1) generatrici singolari. Sarà, chiamando y= y(n,p,2r) Vor- dine della curva trasversale, (1) y(n,p,arhb=n—-r+B(n_-1,p,2r—1)+2rp. Ora, per determinare il numero $ delle generatrici singolari di una ri- gata generica F” di S»,_1, di genere p, ricordiamo anzitutto che gli Ss,» (7 —1)-tangenti nei punti di una generatrice generica formano generalmente un fascio, intorno allo S»,_3, determinato da quella generatrice e da 7 — 2 ad. essa infinitamente vicine, fascio che risulta riferito proiettivamente alla punteggiata dei punti di contatto (estensione immediata del classico teorema di Chasles); a questo si ha eccezione (cioè la detta proiettività degenera) quando quella generatrice è singolare (nel senso sopra detto). Ora, poichè gli Sore(r — 1)-tangenti alla F” costituiscono un sistema 00°, formato dagli co! fasci di Ssy_s aventi per base gli co! Ss,_3 (r — 2)-tangenti alla F lungo le sue generatrici, se consideriamo i due sistemi co! di Ss,_s (r — 1)- tangenti alla F nei punti di due sue sezioni iperpiane, a” e 5", possiamo trovare il numero 0 degli Ss,» che sono (7 — 1)-tangenti in punti delle due curve, mediante la formula duale di quella ben nota che assegna il numero dei punti di intersezione di due curve tracciate su una rigata al- gebrica: precisamente, se a una retta generica dello Ss,_, si appoggiano $ Song (” — 2)-tangenti alla F lungo altrettante generatrici, e se il sistema costituito dagli Ss,_s (7 — 1)-tangenti in punti di una sezione iperpiana Linienftàchen (Archiv der Mathematik und Physik, Dritte Reihe, Band XVIII, 1911, pp. 66-68); E. Bompiani, Alcune proprietà proiettivo-differenziali. dei sistemi di rette negli iperspazi (Rendic. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVII, 1914, pp. 305-331); A. Terracini, Su alcune superficie rigate razionali (Rendic. del Reale Istituto lombardo di Scienze e Lettere, vol. XLVIII, pp. 62-76; ved. il n. 4). (1) Per r=2, p=0, cfr. Morale, loc. cit. ('); per vr =2 e p qualunque, il risul- tato è enunciato dal prof. Segre nel suo articolo, in corso di stampa, Mehkrdimenssonale Riume, della Enzyklopidie der Mathematischen Wissenschaften. To RenpIconTI 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 292 — 160 — della F è di classe m, sarà e=2# —/. E poichè, per quanto è detto sopra, i 0 Sera (P — 1)-tangenti in punti di a" e di 6" sono dati dagli Sere (2 — 1)-tangenti negli x punti comuni ad a” e a 2", e dai f Sx» (r — 1)-tangenti singolari, mentre / esprime il numero delle generatrici singolari per una superficie di ordine n e di genere p dello Ss,_3 (proie- zione della F” da una retta generica dello Ss,_1) cioè / = f? (n,p,2r—3), e m non è che l’ordine della curva trasversale di una superficie dello Sz,_s, pure d'ordine x e genere p (proiezione della F” data nello S.,-;, fatta da un punto generico), ossia 7 = y(7,0,27 — 2), si conclude: (2) 6(n,p,2r—-1)=2y(n,p,2r—2)T—f(n,p,2r—3) — Questa formola, insieme con la (1), ci permette di ricavare r(n,p,2rh=(+1)n+27°(p— 1) (3) B(n.p,2r-1)=rn+42r(r-1)(p— 1). Infatti, per "= 2, la seconda delle (3) è notoriamente valida, ed è quindi, come mostra la (1), valida anche la prima; e dalle (1) e (2) segue poi subito che, se le (3) sussistono fino a un certo valore di 7, sussistono anche pel valore successivo. Così concludiamo : In generale una superficie rigata di Sr, , di ordine n e genere p, ha una curva trasversale d'ordine (+ 1)n-+27}(p_ 1). E anche: In generale, una superficie rigata di Ssy-,, d'ordine n e di ge- nere p, ha rn + 2r(r —1)(p— 1) generatrici singolari (cioè situate în un iperpiano con le r — 1 consecutive). Per calcolare l'ordine è (n, p,27) della co! di S,_, trasversale della ®, possiamo ancora applicare un procedimento ricorrente, non dissimile, in so- stanza, da quello adoperato dal Morale nel caso particolare da lui conside- rato. Se ©' è la proiezione generica della ® sopra uno Sey-,, e se I è la proiezione della curva trasversale, gli S,-,, appoggiati a 7 + 1 generatrici consecutive della ®, si proiettano negli S,_, passanti pei singoli punti di I" e appoggiati a 7 generatrici consecutive a quelle cui appartengono quei punti. Determiniamo anzitutto l'ordine della varietà di questi, CIC ossia il numero di quelli tra essi che si appoggiano a uno S,_, generico, 77,_, . A tal uopo consideriamo, sopra I, la corrispondenza in cui sono omologhi due punti A, , A», tali che A» sia ulteriore intersezione della I con uno S._, appoggiato a 7r,_,, alla generatrice per A, e ad altre 7 —1 ad essa consecutive. Queste 7 generatrici, quando sia fissato A,, determinano con 7t,_1, Quale varietà degli S,_, appoggiati ad esse e a 77,_,, una Vir_., — 161 — per cui ciascuna delle 7 generatrici ha molteplicità 7 — 1; cosicchè la cor- rispondenza è a valenza 7(r — 1), e ad A, corrispondono r[(r + 1)n + +2r*(p—1))}—7(2— 1) punti A»: il numero dei punti A, corrispon- denti ad A, è poi dato dal numero degli S,_s trasversali della rigata d’or- dine 2 — 1 e genere p di uno Ss,» (in cui la ®' si proietti dal punto A.) che si appoggiano ad une S,_: generico; ossia ad A» corrispondono @(n— 1, p,2r — 2) punti A,. I punti uniti della corrispondenza sono pertanto r[(+1)a+22*(p— 1)]}—-rr—1)+o0(a—1,p,2"—2)+2r(r—-1)p. Tra essi sono da contarsi, ciascuno 7 — 1 volte, i punti di intersezione della T’ colle generatrici singolari della ®’, per ciascuno dei quali pas- sano r—1 S,_; appoggiati a 7r,_, @ a 7 +1 generatrici consecutive della ®', S,_, che tuttavia non sono, in generale, proiezioni di S,_; ap- poggiati a 7» +1 generatrici consecutive della ®. Ricordando che quelle generatrici singolari sono rx + 27(7r — 1)(p— 1), resta dunque (4) o(n.p,2r)h=o(nT-1,p,2r-2)+ + 2rn+ (57° — 3r)(p_—1b)+r(—1)p, da cui segue. (5) o(n,p,2r)=r(r+1)n+4+r(r+1)(2r-1)(p_ 1), | poichè tal formola, valida per y= 1 [allora essa porge @= 2 (n+p— 1) e coincide con quella che assegna l'ordine di una curva piana di classe % e genere p], si dimostra per induzione ricorrendo alla (4). In generale, una superficie rigata di Sr, di ordine n e genere p, ha una co! di S,_, trasversale d'ordine rr+De+re+1)@r—1)(p—1). 2. Si scorge facilmente, ed è noto (*), che in generale lo Sa,_1 (#—1)- tangente a una rigata di S,, lungo la sua generatrice generica 4, contiene lo spazio 7-tangente alla curva trasversale I° nel punto A situato su quella generatrice, mentre questo spazio non sta, generalmente, con lo Ss_s (r —2)- tangente lungo 4 in uno spazio di dimensione < 27 — 1. Supposto ora r>1, in quanti punti della curva trasversale si presenta la partieolarità che lo spazio 7-tangente e lo S,_3 considerati stiano in uno S»,_s (parti- colarità che può eventualmente essere dovuta all'altra, che lo spazio r-tan- gente alla I in A abbia dimensione < 7)? Allora, e solo allora, si presenta anche l’altra circostanza che non solo lo spazio r-tangente, ma anche lo S,+1 ("+ 1)-tangente a I in A è contenuto nello Sor, (r — 1)-tangente lungo a, oppure è sostituito da uno spazio (7 -+-1)-tangente di minor dimen- sione, almeno quando si supponga che mai 7 generatrici consecutive siano © a — 1602 — linearmente dipendenti, e che mai "+1 generatrici consecutive stiano in un iperpiano. Se infatti A(£) è il punto che descrive la curva trasversale, mentre B(/) è un punto che descrive una curva direttrice generica, £ essendo un parametro che, variando in un certo intervallo, individua le generatrici di un pezzo della rigata, si ha identicamente AA A o AT A Br BE Bloo BI dA (0) dt tuiscano successivamente le coordinate proiettive omogenee dei punti consi- derati. Derivando rispetto a #, si ha ancora identicamente dove A'= , ecc., e dove nelle varie linee del determinante si sosti- |a AAT ADI Are RO Bei en PA ATA”IO VATDIRO vi BU, BP BOO. Quando si presenta la prima delle due particolarità indicate, il secondo di questi determinanti è nullo, e tale è pertanto anche il primo. Dal che segue, nelle ipotesi fatte, che A e A+! stanno nello Ss,-; (r — 1)-tan- gente lungo 4a; e viceversa, se ciò avviene, segue, ancora in virtù della identità scritta, che fra i determinanti estratti dalla matrice LAGA LA" e ATTDIAO. PBI Bi BELBO] sono nulli quelli ottenuti sopprimendo ciascuna delle due ultime colonne; cosicchè, non potendo annullarsi, nelle ipotesi fatte, la matrice, dovrà essere WAAFAT I, e ATI AOTRE BI o BE Per una rigata generica d'ordine n e genere p dello Sy, i punti della curva trasversale, dove si presentano le due particolarità accennate, sono (2r+1)n+2(2=® +1)(p—1), come risulta - considerando sulla curva trasversale la corrispondenza che nel n. 1 avevamo istituito sopra una sezione iperpiana della ®, per deducne l'ordine di I°, corrispondenza che attualmente ha indici (7 --1)n+27*(p—1)—(r+1), e rn+ +27(r —1)(p_—1)-(r+1), e valenza 7 +1. In particolare, limitandoci a considerare una rigata generica ® di S,, osserviamo che, in corrispondenza di ciascuno dei 5» -4+-18(p —1) punti della curva trasversale I° sopra considerati, si hanno altrettante generatrici della rigata trasversale ®, che soddisfanno a particolari condizioni di inci- denza colle generatrici infinitamente vicine; la presenza di ciascuna di queste singolarità abbassa l'ordine della curva e della rigata trasversale della ®,, che coincidono rispettivamente con IT e ®, di ire e di sette unità. — 163 — Osserviamo infine che. se si considera una generica ®' rigata razionale di S,, la sua curva trasversale è, come ho rilevato in altra occasione loc. cit. (*)], una I°‘ razionale sezione spaziale della superficie; per quanto precede, giacchè è assurda l'ipotesi che il piano osculatore alla 14 in un suo punto (e quindi anche lo Ss della 1°‘) contenga la generatrice passante per A, possiamo aggiungere che /a T* di S3, curva trasversale di una generica superficie rigata razionale D' della S,, è dotata di due tangenti di flesso. Questo risultato si può confermare direttamente, considerando la ®‘ come proiezione di una rigata razionale normale F* di uno S;. Se questa è rappresentata parametricamente ponendo le coordinate proiettive omogenee di un suo punto proporzionali a 1,4,4?,u,uZ,pu4*, e se il centro di proiezione è un punto generico O (x0, 1,42, €3,%4, 45), la curva trasver- sale della ®* è (cfr. la mia Nota citata) la proiezione della C' sezione della F* mediante l'iperpiano (passante per O) di coordinate #5, — 2.,, a, — Xx, 2x,, — xo: i punti di questa curva si ottengono dunque as- 34° — Qax 4h + &; ah —2x,4+ x tori alla C4, nei punti corrispondenti ai due valori di Z che son radici della . E allora sì verifica che i piani oscula- sumendo u = 4a, — X2 LIO) eZ DI 0 | Aro — x Ag Ci passano per O; le traccie di questi piani sullo S, della ®' sono dunque tangenti di flesso per T'*. Matematica. — Sulla ricerca delle funzioni primitive. Nota di LronipA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. I metodi fino ad ora proposti per dimostrare che una funzione assolu- tamente continua può ottenersi integrando la sua derivata — considerata là dove esiste — sono tre. Il primo, in ordine di tempo, è del Lebesgue, ed è fondato sulla considerazicne delle catene d’ intervalli (*), che potreb- bero anche dirsi successioni transfinite d’intervalli contigui, e, secondo al- cuni, presenta l'inconveniente di ricorrere al 4rarsfizito. Il secondo, dovuto (1) Cfr. Bompiani, loc. cit. pag. 159 in nota. (*) Una catena d’intervalli (ved. H. Lebesgue, Legons sur l’intégration ete., p. 63) è un aggregato ordinato d’intervalli non sovrapponentisi di una retta (e quindi necessa- riamente numerabile), nel quale l’ordine è quello stesso con cui gli intervalli sono di- sposti sulla retta. In esso, inoltre, ogni intervallo è contiguo all’immediatamente prece- dente, se questo immediatamente precedente esiste; e, nel caso contrario, ha come primo estremo il limite superiore dei secondi estremi degli intervalli che lo precedono. - 164 — al Vitali, si basa sul concetto di nucleo di un insieme d'intervalli (*), e su un teorema geometrico ad esso relativo, per il quale, se m è la misura del nucleo, si può, dall'insieme considerato, estrarre un numero finito o una infinità numerabile di intervalli, due a due distinti, di lunghezza comples- siva non minore di m. Il terzo, infine, quello del De 'a Vallée Poussin (*), deriva dalla considerazione delle /wnzioni maggiorante e minorante, rela- tive ad una funzione /(x) integrabile, le quali rappresentano, in tutto l’in- tervallo dato (ad), l'integrale il f(x) dx con una approssimazione prefis- sata ad arbitrio, la prima per eccesso, la seconda per difetto, ed hanno i loro numeri derivati tutti superiori, la prima, tutti inferiori, la seconda, a f(x). I due ultimi metodi non si servono per nulla del transfinito, ma risultano, a confronto col primo, assai più laboriosi. In ciò che segue mi prepongo di esporre un nuovo metodo, che mi sembra più elementare ed anche più intuitivo di quelli sopra menzionati. Io prendo le mosse dalla seguente osservazione: È noto che una funzione ‘ continua /(x), data in un intervallo (ad), può rappresentarsi con quella approssimazione che si vuole, mediante l’ordinata @(x) di una poligonale inscritta nella curva rappresentatrice della funzione medesima. Orbene, se la funzione considerata è anche a variazione limitata, la (x) non solo rap- presenta, come abbiamo detto, la f(x), ma serve pure a darci, con la sua derivata, una rappresentazione quasi completa della derivata /'(x). Con maggior precisione possiamo dire che, preso arbitrariamente un 8 positivo, è possibile di determinare un è >0 tale che, se le ascisse dei vertici consecutivi della poligonale y= p(x), inscritta in y= f(x), differiscono fra loro per meno di d, è |f(x) — p(x)|O0, esiste sempre qualche inter- vallo del sistema, di lunghezza P©, PP') l'angolo, compreso fra 0 e 7, che il segmento orien- tato PT!” P” fa col segmento orientato PP' o con P'P, a seconda che èxax". Se allora d=(x,') è un qualsiasi intervallo non nullo appartenente a (x, x), ed e è un arbitrario numero posi- tivo <1, si pessono costruire, per la funzione F(d) = a(P9-V P®, PP')— e relativamente all'intervallo (x, x), i due sistemi d'intervalli 4 e 4, definiti nel n. 1 della mia Nota Successioni di curve e derivazione per serie (), e che contrassegneremo con l'indice r, scrivendo 4 e 4%, Dal modo di costruzione di questi intervalli risulta: 1°) Y 49° =8) 40°; n» n 2°) se P e P' corrispondono agli estremi di uno stesso 4, è a(Pv po, PP) > e; 3°) se (2,2') è un intervallo di (x 7”, x) avente un estremo esterno a tutti gli intervalli 49 (n=1,2,...), è a(P9D pw, PP') ,..., 4p, intendendo che i vertici di 7' si seguano nello stesso ordine nel quale sì presentano le loro ascisse. Indicando con 7' anche la lunghezza di 7’, abbiamo a - 1 0 e <1, è posstbile di determinare. «un è >.0- tale che, «se-è, per ogni r..da--Isagmi IM av =d (*), fatta eccezione, al più, per i punti di (a,b) appar- tenenti ad un'infinità numerabile di segmenti 4 (2), di lunghezza com- plessiva e ded Allora, per ogni # positivo e ; si ha cos(o — #) < ; . Fissato uno degli e detti, i lati della poligonale 77, i quali formano con l’asse delle x un angolo = © — «, dànno alla lunghezza di 7 un contributo che indicheremo con /,, ed hanno, sull’asse detto, delle proie- L zioni la cui lunghezza complessiva è = /, cos (@ — e) << Quasi dap- pertutto sulle proiezioni dei lati rimanenti, e fuori dei 4”, la /'(x) esiste ed è, in modulo, < tg w. Indichiamo con E: l'insieme dei punti delle proiezioni ora dette, esterni ai 49, con (2) l’ordinata della 77, con wi(x) e ws(x) gli angoli che le tangenti alle curve y ie) y= (x) formano con l’asse delle «. È, su Ha, Wi, — da la 9 =iga — igo= 72 dove © è un valore convenientemente scelto fra ©, e ws; e perciò (n. 1) If'(@)- P(2)]< cos? 0° RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem 23 x — 168 — Siccome # lo possiamo prendere piccolo ad arbitrio, la proposizione enunciata nell’introduzione, è provata. 3, — INTEGRABILITÀ DI /"(2). Sull'insieme E, la /"(x), essendo limitata (|/'(x)|(0—-a)— 7 —e=(b— a) — (+1) e mE.) >bT—- a per p— co. E poichè. per ogni p, possiamo sempre determinare s in modo n ce(de=d ( ARIA È che sia SOA LI. ne viene che /a |/'| è integrabile su tutto (a,b), COS° p e si ha :} f idea 0 4. — INTEGRALE DELLA DERIVATA DI UNA FUNZIONE ASSOLUTAMENTE CONTINUA. Se la /(x) è assolutamente continua, essa è anche continua e a varia- zione limitata; e dalla disuguaglianza del n. 2 si ricava, su tutto E., l'(@) = (2) + 0(2), un con |0(x)|<1. Dunque i 0, embe) e f'0=hp vt ro Godo Sg dat quali con |9.|<1; ed anche em(Ex) g 608? w of dr=f" gar (, gp' de + 9 — 169 — dove C. indica il complementare di E,. E poichè la curva y= /(x) è una poligonale coi vertici sulla y= (x), si ha fs: -s0d=/0-/@ LD) A) Foe =f, 944 em(Ee)g così Troviamo un limite superiore per il modulo di ss g'dx. Osserviamo € che il gruppo C. è costituito di due parti: una è formata dalle proiezioni di tutti quei lati di 77 che con l’asse delle « fanno un angolo =w— e, proiezioni che indicheremo con (@,,d,), (4,02), ..., (0r,0,), © per le quali è ((1—a)+-+(0— 0 ad arbitrio, determiniamo p in modo che si abbia: ; a=l da IPCC [ciò per l'assoluta continuità della /(x)]; 3°) DE, qualsiasi insieme misu- rabile E di (2,0), tale che m(E)=> O-@=70 + L), (4) | Fre Sra|=a —- 170._— : 3 2 “oa C0S° w Fatto ciò, prendiamo « uguale al minore dei due numeri — 6 Eni Ne viene, allora, per (1), (2), (3), (4), 5, t9 @. COS? w RMZZZITIORETTO] Sr+ po ++} Siccome 7 è arbitrario, resta dimostrato che, se o la f(x) è assoluta- mente continua, è fr -f0. Se, invece di partire dalla uguaglianza /'(2) = g' (2) +— 81), 3; valida su E:, si parte dall’altra |/"(2)|=|g()|+ 3 scie sì ottiene ur ‘5 (fd =V A dove V indica la variazione totale della / in (a, d). Fisica. — Intorno ad alcuni modi di calcolare l’esperienza di Clermont Desormes. Nota di G. GueLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Aicerche sulle combinazioni sub-alogenate di al- cuni elementi. IV: Sul cosiddetto sottobromuro di bismuto. Nota di L. MARINO e R. BECARELLI, presentata dal Socio R. NASINI. In una precedente Nota (1) abbiamo riportato una serie di valori sul contenuto in bromo dei singoli strati che si originano per la fusione di miscugli di bismuto e bromo. Riferiamo ancora. su altri dati riguardanti lo stesso argomento. Secondo il nostro modo di vedere, le differenze che si osservano nella tabella 3® della nostra terza Nota, anche se dovute in parte alla natura stessa dei cristalli ottenuti, sarebbero certamente minori ove fosse possibile realizzare una ben netta separazione meccanica, resa molto difficile dalle condizioni in cui si è costretti ad operare. Se si effettua in- fatti una nuova separazione meccanica sul prodotto già meccanicamente separato col solito dispositivo, i singoli valori sono più vicini fra loro e anche più costanti. Rimescolando su una fitta rete di nickel i fragili cri- stalli aghiformi ottenuti nel solito modo da miscugli al 13,4 °/, al 24,12 %/, al 29,48 °/, di bromo, allo scopo di poter separare le particelle incluse nel reticolato cristallino e facendo l’analisi sulla polvere dei cristalli passata attraverso alla rete stessa, si ottennero i risultati della seguente tabella, i quali comprovano quanto noi diciamo. TABELLA 12. Percento Sostanza cc. Ag NO; N/10 ian di bromo - analizzata A nello strato nel miscuglio in gr. CONSUTAGLO non fuso a 270° 13,40 0,2981 9,2 24,69 9/o È 0,4496 13,5 24,06 » 24,12 0,6662 21,2 25,46 » ; 05864 188 25,65 » N) -20;3918 18,0 26,62 » a AR :a 198 59,2 26,02 » 29,48 0,8867 11,1 23,00 » P 0,6054 17,8 23,57 » (!) Rend. R. Acc. Lincei [5], 25, pag. 105. Per quanto risguarda il contributo spe- rimentale portato da ciascuno di noi nell’esecuzione del presente lavoro, vedere la nostra Nota II, pag. 625. — 172 — La massa cristallina aghiforme non può essere ritenuta come vero 6 proprio composto, ma come formata da una serie di cristalli misti, perchè, oltre alla variabile composizione su citata e al punto di fusione che, (come vedremo, è compreso in un intervallo di temperatura abbastanza esteso) si riscontra che, se detta massa si fonde nelle identiche condizioni, dà origine di nuovo agli stessi strati che si formano direttamente dai miscugli primi- tivi di bismuto e bromo, o di bismuto e tribromuro. Difatti fondendo 150-200 gr. di un miscuglio al 18,75 °/, di bromo, se- parando la massa cristallina e costruendone, dopo la purificazione su rete Fia. 1. — Curva di raffreddamento dello strato cristallino separato dal miscuglio al 18,75 °/, di Br. di nickel, la curva di raffreddamento, essa — quando si operi, come al "solito, con 50 gr. di questo nuovo prodotto — risulta quasi identica a quella risul- tante dal miscuglio al 35 ®/ di bromo; si ha cioè un piccolo arresto verso 255°, seguìto dal solito effetto termico fra 224° e 230° nonchè da quello più basso, a 200°. Dopo la rottura del tubo, il solido, per leggera percussione, si divide nettamente in due parti, analogamente a quanto era stato osservato per tutti gli altri miscugli (curva fig. 1). n Era perciò necessario di assicurarci se, col variare delle concentrazioni, si poteva o no stabilire il principio e la fine della fusione per ogni singola miscela cristallina separata. Avremmo così subito rilevato se, oltre all'esi- stenza di cristalli misti, poteva anche realizzarsi per essi un massimo di temperatura nel quale la concentrazione atomica fosse esprimibile da un semplice rapporto di proporzionalità. — 173. — Data la mancanza o l'incertezza dell'inizio di cristallizzazione sulle curve di raffreddamento (ved. fig. 2), a causa del piccolo calore di forma- zione dei cristalli misti, esse non sono sufficienti per mettere in evidenza se esiste o no un tal punto distettico, rispetto alle due soluzioni solide che sì dovrebbero in tal caso riscontrare ai due lati di esso; e quindi abbiamo cercato di seguire le variazioni dei singoli strati con adatto dispositivo, durante tutto l'intervallo misurabile di temperatura. Allo scopo di sot- trarre il più rapidamente possibile all'azione dell'umidità (che influenza note- volmente i risultati) la sostanza che doveva servire in queste determinazioni, fondevamo i miscugli in tubi aventi un diametro interno di poco inferiore a quello nei quali si eseguiva l’esperienza finale. Da ciascuna massa solida staccavamo facilmente, per semplice percussione, lo strato superiore, e si introduceva subito nel tubo @ (ved. fig. 3), il quale, dopo fatto il vuoto, si chiudeva alla lampada. Il riscaldamento si otteneva in un fornino elettrico a resistenza costruito con filo di niekel avvolto su un cilindro di porcellana porosa, nel quale ad una conveniente altezza trovansi due corrispondenti aperture rettangolari per osservare il tubo posto all'in- terno. Un secondo recipiente esterno, mnnito anch'esso delle corrispondenti aperture, contiene il primo, e l’interspazio, di circa 3 cm., è riempito con farina fossile. Mediante due sottili lamine di mica impedivamo la corrente di aria, cosicchè la temperatura voluta mantenevasi con sufficiente costanza. L'insieme del dispositivo risulta chiaro dalla figura 3. La forma di tubo « riportata è quella che ha meglio servito al nostro scopo, tanto più che per le solite ragioni fummo costretti ad operare sempre nel vuoto. I tubi con la strozzatura quasi capillare verso la metà si mostrarono inadatti perchè al di sopra di 290° la tensione del tribromuro ritarda il passaggio del fuso attraverso il setto, cosicchè per un certo tempo il liquido può rimanere a contatto col solido. Nella nuova forma, invece, potendo mantenere in legge- rissima aspirazione la pompa, il tribromuro distilla nel tratto esterno della branca laterale; e allora, mano a mano che la sostanza fondecoll’innalzarsi della temperatura, si vede sgocciolare il liquido attraverso il foro. La luce di questo deve essere fra 0,5 ed 1 mm. per esser sicuri che la sostanza non fusa non venga meccanicamente trascinata dal liquido assai denso. Sia chiu- dendo il tubo con un tappo di gomma attraversato dal termometro che si affonda nella sostanza, sia chiudendolo alla lampada e prendendo la tempe- ratura corretta data dal termometro esterno, si giunge sempre agli stessi risultati finali. Abbiamo così potuto confermare con ripetute esperienze che: 1°) da tutti gli strati superiori formatisi nei vari miscugli per la temperatura di 200°, si vede gocciolare in maggiore o minore quantità, a seconda della composizione della mescolanza da cui ‘proviene, un liquido. DEZEZAE È E 3 - Ni S 24791408 CALI AR UAZZA 17) 200]1, /60 360]3 110 | 23 300 Fic. 2. — Curve di raffreddamento. Sistema Bi-C1. — 175 — che, per raffreddamento, forma la sostanza nera, igroscopicissima, di cui ab- biamo già parlato; 2°) rimane da ciascuno di questi strati un reticolato cristallino che fonde in un intervallo di temperatura che va da circa 270° a 300-305° e che deve essere considerato come una serie di cristalli misti. Confermato questo interessante risultato, cercammo allora di definire la composizione di essi rispetto a quella del liquido per le corrispondenti tem- perature; ma non ci riuscì ancora, per le condizioni speciali in cui si è co- stretti ad operare, di fissare con sicurezza le loro concentrazioni-limite. + VVWWVVV\ [raganesratn) Spe] 5 fa alla pomfa VAVAVAVAVAVAVAVAVAsszzzzzzzne 5 D) Fic. 3. Si potrebbe domandare come mai il llmite superiore di temperatura oscilla costantemente, qualunque sia il miscuglio da cui i cristalli proven- gono, fra 300° e 305°. Questo si deve al fatto che, operando nelle su indicate condizioni, i cri- stalli che fondono per ultimi raggiunta quella temperatura, subiscono una decomposizione per la quale sublima il tribromuro mentre si libera bismuto che cola attraverso il setto. I due dispositivi dimostrano dunque chiara- mente che esiste un intervallo di temperatura e che è superiore alla tem- peratura di fusione dei due componenti. Stiamo tentando altri metodi con i quali speriamo di poter seguire l'eventuale tratto di curva posta al disopra di questa temperatura di decom- posizione dei cristalli misti, sulla quale potrebbe trovarsi un ipotetico punto distettico. ReNpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 24 SÙ — 176 — Prima di concludere, sembra a noi indispensabile di rispondere ad una possibile obiezione. Si potrebbe cioè chiedere come possiamo noi dimostrare che realmente i cristalli subiscouo una trasformazione in accordo con l'os- servato sviluppo di calore capace di far risalire in modo così notevole la temperatura. La seguente esperienza mostra chiaramente quanto erano giuste le nostre supposizioni: In un tubo di vetro, nel quale vien praticato il vuoto, si fonde un miscuglio al 20 °/, di bromo. Il prodotto della fusione sì passa rapidamente entro un tubo con strozzatura nel mezzo; e, fatto il vuoto, si sì chiude alla lampada, si introduce con la sostanza in basso nel fornino già descritto, e si rifonde nuovamente fra 370° e 380° mantenendo costante la temperatura per alcune ore. Questa si fa poi discendere lentamente sino a 276°, e vi sì mantiene per circa mezz'ora. Dopo, mediante un adatto di- spositivo, si capovolge tutto il sistema e si tiene in questa posizione per circa 20 minuti perchè tutto il liquido possa passare attraverso la strozza- tura. Fatto ciò, si inclina il forno in modo da disporlo quasi orizzontalmente ; e si lascia raffreddare. Le temperature erano lette su due termometri legati esternamente al tubo : uno col bulbo in corrispondenza delia strozzatura, l'altro col bulbo in corrispondenza dell'ultimo spazio occupato dalla sostanza. Si ri- scontra, in questo modo, che la sostanza rimasta al disopra del setto è formata da un reticolato cristallino e da un nucleo di bismuto metallico, mentre la parte colata è costituita dalla sostanza nera igroscopicissima. Risultando, dalle nostre esperienze, che il bismuto in presenza di tribromuro fonde al di- sotto di 260°, ed avendo noi capovolto il forno a 276°, il nucleo di bismuto che non è passato attraverso il setto non può provenire se non dalla trasformazione dei cristalli © prima formatisi. Anche l’analisi eseguita sulle due masse totali separate mostra come sia diversa la composizione dei cristalli @ da quelli che noi abbiamo chiamato y e che sono quelli separabili alla temperatura-ambiente. Difatti, gr. 38,03 di miscuglio al 20 °/, di Br dettero, di sostanza non colata a 276°, gr. 12,98. Questi consumarono di AgNO; (1cce.= gr. 0,232 Ag= gr. 0,1719 di Br) cc. 25,3, a cui corrispondono gr. 33,8 °/, di Br. L'interpretazione del diagramma (ved. fig. 1, Nota III) non n dunque essere che la seguente: Per quantità di bromo inferiori al 5 9/, cirea, quel poco di Bi Br che si forma abbassa di alcuni gradi il punto di fusione del bismuto. Lungo la retta AB si separa del bismuto puro. 3 Per quantità di bromo comprese fra il 5 e il 35 °/ e per una tempe- ratura sufficientemente elevata, superiore a 305° circa, si hanno due fasi liquide: L, e Ls. Col raffreddamento, verso i 305°, dalla fase liquida L, si originano i cristalli a. Questi, a 255° circa, si trasformano in cristalli f. La linea x y del diagramma indica questa trasformazione. Nell'intervallo di temperatura compreso fra 255° e 238° circa, esistono quindi i cristalli f — 177 — in presenza della fase liquida L». A 238° circa i cristalli 8 si scompon- gono (linea tratteggiata RS) e dànno luogo a cristalli y e al miscuglio eu- tettico Bi + Bi Br, facendo risalire la temperatura fino al punto di fusione di questo, cioè verso i 250° (linea BC del diagramma). Continuando il raffreddamento, intorno ai 200° solidifica la fase liquida L, costituente l’eutettico Bi Brz + Bi (linea DE). Per quantità di bromo maggiori al 45 °/, ma inferiori al 53,8 °/,, per temperatura superiore ai 210°, si ha una sola fase liquida. Coll’abbassarsi della temperatura, lungo la linea LE cristallizza del BiBrz puro, e intorno ai 200° solidifica l’eutettico Bi Br} + Bi. Per concentrazioni superiori al 53,8 °/, di bromo, lungo LM cristallizza del BiBrz puro. La retta VZ, a circa 158°, indica una trasformazione in solido del Bi Brz puro. Da tutto quanto abbiamo esposto sul sistema bismuto-bromo risulta quindi evidente come sia da interpretarsi diversamente il lavoro dell’Eggink, sul quale ritorneremo dopo aver reso note le nostre osservazioni sul sistema bismuto-cloro, e come si giunge alle seguenti conclusioni : 1°) nella fusione dei miscugli di tribromuro di bismuto e bismuto non sì ottiene nessun composto definito, ma, per un intervallo di concen- trazione, una serie di cristalli misti (@); 2°) questi subiscono due trasformazioni: si trasformano cioè in una forma (8) la quale poi passa in una forma (y), con notevole sviluppo di calore ; 3°) il punto di fusione di questi cristalli (y) è sempre superiore ai punti di fusione dei due componenti Bi e BiBrz; 4°) da questi cristalli y, dopo la fusione completa, si riottengono nel raffreddamento cristalli @ di altra composizione, in presenza di due strati liquidi che riproducono i medesimi fenomeni ; 5°) a 153° il Bi Brz mostra una trasformazione in solido. — 178 — 2 Botanica. — Sulla persistenza dello stilo sul frutto degli agrumi. Nota di C. CAMPBELL, presentata dal Socio LR. PIROTTA. Le ricerche sugli agrumi del circondario di Gaeta, mi hanno portato a considerare la diversa forma che assume il limone, con la diversa fioritura da cui proviene, e la persistenza dello stilo sui frutti che provengono dalla fioritura invernale, e nel luogo designati col nome di « marzatici ». Oltre che nei limoni, ho trovato frutti, in qualche annata anche numerosi, con stilo persistente sino a maturità, in tutte le forme colà coltivate del genere Citrus; e nell'arancio è dai coltivatori designata, per es., « arancia col pizzo » quella che in qualche annata sì presenta con lo stilo persistente sino a matu- a” Fia. 1. rità (fig. 1). Nel limone gaetano, la persistenza dello. stilo è però normale (fim. 1a e a°); ed i limoni così costituiti, a causa della fragilità dello stilo, sono commercialmente deprezzati, in quanto, dalla ferita, tendono a marcire. A Fondi, per tale ragione, i coltivatori hanno la buona pratica di sopprimere lo stilo sul frutto, poco prima della completa maturità, in maniera che av- venga la cicatrizzazione della ferita prima della maturazione e, quindi, della raccolta, e il frutto non sia in seguito soggetto a deteriorarsi nelle cassette di imballaggio o nei magazzini. i Credo utile di ricordare come il limone gaetano, non debba confondersi col limon caietanus descritto e figurato dal Ferrari (*), che illustra la forma nella contrada conosciuta sotto il nome di « limone di pane »; ed hanno quindi - (1) J. B. Ferrari, Mesperides sive de malorum aureorum cultura et usu: libri quatuor. Romae, MDCXLVI. — 179 — ragione Risso e Poiteau (!) quando ritengono insufficienti le descrizioni date per la varietà, per farla distinguere dalle altre. Dalle mie ricerche risulta poi che il frutto ha diversa conformazione morfologica secondo l'epoca della sua formazione e a seconda delle condizioni biologiche della pianta; fatti, il primo non studiato e curato dai citriografi, al secondo non data tutta quella importanza che può avere nella descrizione della varietà. Il limone, quale pianta rifiorente, ha produzioni morfologicamente di- stinte secondo l’epoca della tioritura da cui provengono, e sulla stessa pianta si possono nello stesso momento trovare fiori e frutti in diverso grado di sviluppo. Ai citriografi è sfuggito il fatto, importantissimo, della diversa confor- mazione che assume il frutto secondo la fioritura da cui proviene, mentre la cosa ha notevole importanza biologica e pratica, in quanto dimostra quale e quanta influenza abbiano le condizioni esterne sulla conformazione del frutto, e quanto canti bisogna andare nel definire la varietà, quando la forma del frutto, sulla stessa pianta, può tanto variare. Iì limone gaetano ha, così. tre distinte produzioni che corrispondono a tre distinte fioriture: il « settembrino (a) », il « maggiorino (c) » ed il « marzatico (0) » ; il maggiorino commercialmente più apprezzato e ricercato (vedi fig. 2). Il limone « marzatico », o della fioritura invernale, porta, come ho già detto, quasi costantemente e nella quasi totalità lo stilo persistente, mentre il fenomeno non si trova mai nelle due altre forme « settembrina » e « mag- giorina ». Il limone « marzatico » è ancora caratteristico per una più profonda insenatura (fig. 2 2 a), designata dai coltivatori col nome di « carnaca ». (*) A. Risso e A. Poiteau, /istoire naturelle des orongers. Paris, 1818-1822. — 180 — Sulla persistenza dello stilo sul frutto degli agrumi, si hanno lo se- guenti notizie date da botanici e citriografi, che la persistenza dello stilo ingrossato sui frutti a completa maturazione, considerarono concordemente come caratteristica di date varietà. Così il Ferrari (loc. cit.) descrive ed illustra le varietà Zimon pusillus calabriae e Limon sbardonius con stilo persistente; Risso e Poiteau, le specie e varietà (loc. cit.); Bergamottier, ordinaire; id., « à fruit toruleux »; Limettier, «à petit fruit »; Limonier, « perette de S'°. Dominique »; id., « de sbardone »; id., « rosolin »; id., « perette de Florence »; id., « impé- riale »; ed il Bonavia (*) dà, per es., come forma eccezionale nel limone di Malta (Malta lemon), lo stilo persistente, tav. CLXXIX; e, alla tav. CCI, figura ancora due limoni XKagehî lemboo, a stilo persistente. Anche il Savastano (*) dà come carattere di varietà lo stilo persistente sino a maturità, e cita come esempio il Citrus limonum Laurae del Ferrari, che però a tav. 219 (loc. cit.) dà la figura del frutto senza stilo persistente. Dello stesso avviso si mostra il Penzig (*) che così ne scrive: « lo stilo è per lo più diviso dall’ovario da un solco anulare, che anche qui segna un piano di articolazione, secondo il quale più tardi lo stilo, cadendo, si distacca; solamente in alcune varietà lo stilo è persistente, e, ingrossando, si corona l'apice del frutto maturo. « Poco tempo dopo l'impollinazione, gli stami ed i petali sì staccano dal talamo e cadono: lo stilo resiste ancora un poco di più, poi cade anche esso. Soltanto in poche varietà, come già accennai, esso persiste anche fino al tempo della maturità del frutto ». Il concetto generale si mostra quindi quello che la persistenza dello stilo, sul frutto degli agrumi, anche maturi, sia caratteristico di alcune varietà, per quanto non tutti i frutti della stessa pianta portino, e sempre, il carattere distintivo. È naturale che un tale pensiero non facesse considerare il caso come un fenomeno teratologico, ritenendolo come caratteristico di determinate forme e, quindi, normale. Il Savastano (4) parlando delle forme teratologiche dello stilo, così ne scrive: i « Per un certo tempo lo stilo si mostra grosso quanto l'ovario; le gemme fiorali con tali stili appariscono alquanto più ingrossate. In questi ovarî lo stilo perdura per un tempo maggiore, e, in talune varietà, sino a quasi (1) E. Bonavia, Ure cultivated oranges and lemons etc. of India and Ceylon. London, 1888. (*) S. Savastano, Le varietà degli agrumi nel napoletano. Portici, 1883.. (3) O. Penzig, Studii botanici sugli agrumi e sulle piante affini. Roma, 1887. (4) S Savastano, Ze forme teratologiche del fiore e frutto degli agrumi. Napoli, 1884. — 181 — ‘maturità del frutto (fig. IT); ma, non appena arriva questa, esso, già secco, cade. Il « pomo d’Adamo » (C. vulg. pomum Adami), il « limone di Laura » (C. Lim. Laurae), il «limone a peretta » (C. Zim. Peyretta) ed il « ber- gamotto » (C. Bergamia) presentano spessissimo tale caso ». Il Penzig (loc. cit.) dà, come forma teratologica del gineceo, la persi- stenza dello stimma in fiori a stimma sessile, nel frutto: «...in alcuni fiori, ed anche costantemente in alcune varietà di agrumi, abortisce lo stilo, di modo che lo stimma viene ad essere sessile nell’apice dell’ovario. Con l'accrescimento del frutto, poi. lo stimma ingrandisce corri- spondentemente, e corona il frutto maturo, come una cicatrice più o meno grande, di forma varia, sovente lobata ». Anche in pubblicazioni d’indole pratica (E. Arnau, Za coltivazione degli agrumi; R. De Noter. Zes orangers ecc.), la persistenza dello stilo è data come carattere distintivo di varietà. * SERA Le mie ricerche sulla persistenza dello stilo sul frutto maturo degli agrumi, e quelle sulla morfologia del limone gaetano, che ho potuto seguire per lunghi anni, mi portano ad escludere le opinioni manifestate, sia che la persistenza debba ritenersi caratteristica di determinate varietà, sia che la si debba considerare di origine puramente teratologica, per costituzione diversa dalla normale dello stilo, in determinati fiori e determinate varietà. Il fenomeno deve invece, a mio avviso, considerarsi dal lato biologico, per l'influenza che su di esso esercitano le condizioni esterne, verificandosi indistintamente in tutte le forme di agrumi coltivati, e normalmente nella fioritura invernale del limone gaetano, quando più specialmente certe con- dizioni al momento opportuno, vengano a verificarsi. Può darsi che lo stilo persistente, per avverse condizioni (meccaniche, biologiche o patologiche), cada dopo l’ ingrossamento, distaccandosi prima della maturazione completa del frutto; normalmente però esso continua ad ingrossarsi, resistendo sul frutto sino a completa maturità. Quando nell'inverno, pel clima mite, si abbia una fioritura anticipata, a cui succeda un persistente abbassamento di temperatura che non permetta il normale svolgimento dei processi biologici seguenti l’'impollinazione, si arresta la formazione dei tessuti di distacco tra lo stilo e l’ovario, tessuti che, una volta arrestati nel proprio sviluppo, sembra non possano più rifor- marsi, in maniera che lo stilo permane sul frutto come parte di esso, e, per quanto in minori proporzioni, partecipa al suo ingrossamento. L’impollinazione negli agrumi, avvenga essa in forma autogama o in forma eterosama (questa ultima sembra la dominante), i granuli pollinici, trattenuti dalla materia mucillaginosa stimmatica sullo stimma, emettono quasi subito il tubo pollinico che dai canali conduttori dello stilo va all'ovario. Il tempo, — 182 — però, che il tubo pollinico impiega ad arrivare dallo stimma alla cavità ovariale, ha varianti grandissime, in dipendenza delle esterne condizioni bio- logiche, temperatura principalmente, per cui, da pochi giorni, può arrivare a più settimane.. Che vi sia un momento opportuno in cui, verificandosi l'abbassamento di temperatura, si abbia la persistenza dello stilo, non mi è stato possibile di assodare, e non lo credo; mentre ho ragione per ritenere che esso sia in diretta conseguenza del rallentato o arrestato sviluppo del tubo pollinico. A tale considerazione sono giunto da osservazioni microscopiche fatte sullo stilo dopo l’impollinazione, e dall'andamento della temperatura, in rispondenza allo sviluppo del tubo pollinico ed all’accrescimento dei tessuti dello stilo. In fatti, l'esame microscopico fatto sulla sezione dello stilo persistente in frutti più o meno maturi, mostra il parziale arresto nello sviluppo dei tubi pollinici, in maniera che sezioni trasversali fatte sulla base dello stilo, mostrano parte dei canali stilari vuoti, ciò che non si riscontra nelle se- zioni più vicine allo stimma. I frutti, tanto del limone quanto dell’arancio, di fioritura invernale, o sono sprovvisti o portano pochissimi semi, ciò che viene a confermare l’in- dagine microscopica. Sembra che la cosa proceda nel modo seguente: se all'epoca della im- pollinazione si trovano condizioni biologiche che favoriscano il rapido acere- scimento del tubo pollinico, in maniera da avere un breve decorso dalla im- pollinazione alla fecondazione, si ha la formazione dei tessuti di distacco, e lo stilo cade normalmente; se invece le condizioni biologiche non favoriscono tale relativo rapido accrescimento, non si ha la formazione dei tessuti di distacco, e lo stilo permane ingrossandosi sul frutto, con varianti talora notevoli. In tale processo deve, forse, vedersi una azione vegetativa e morfogenica del polline, il cui modo di esplicarsi mi riprometto chiarire con ulteriori indagini. x Naturalmente, la persistenza dello stilo ha la sua intensità maggiore o minore secondo le annate, in quanto si verifichino le condizioni opportune alla impollinazione, prima, e lento o arrestato accrescimento del tubo pollinico, in seguito: il che si verifica sempre, o, più intensamente, quando ad una mite temperatura, che faccia anticipare la fioritura, succeda un lungo periodo di bassa temperatura. Questo, quanto meno, nel gaetano. i La morfologia del limone di Gaeta mi sembra venga a confermare la mia opinione sulla persistenza dello stilo sul frutto degli agrumi, in quanto è nella fioritura invernale che vengono a verificarsi le condizioni di lento accrescimento del tubo pollinico, mentre nella fioritura di maggio ed in quella di settembre, per le condizioni biologiche generali, e di temperatura prin- cipalmente, l'accrescimento del tubo pollinico è molto più rapido. er e dii i | — 183 — D'altra parte, se la persistenza dello stilo sul limone di Gaeta, fosse proprio un carattere distintivo di varietà, bisognerebbe spiegare per quale ignota causa le produzioni di maggio e settembre non portino stilo persi- stente, ed abbiamo aucora forma diversa, mentre le ricerche fatte parmi chiariscano il fatto, e il processo relativo alla persistenza dello stilo sul frutto degli agrumi. Tutto ciò dimostra ancora quale via nuova sia da seguire nella deter- minazione delle varietà di limoni e agrumi coltivati, tenendo presente, oltre che le diverse condizioni biologiche, che tanto sensibilmente influiscono sulla costituzione del frutto, anche le diverse forme che assume secondo la tiori- tura da cui proviene. Sarà ancora interessante di estendere le ricerche ai generi affini al genere Citrus, se anche in essi possono trovarsi frutti con stilo persistente; così come il Penzig (loc. cit.) descrive il frutto dell’Aegle sepiaria D. C. a stilo persistente, che presumibilmente trova anch’ esso la sua causa nelle condi- zioni biologiche al momento della impollinazione. Fisiologia. — icerche sulla scissione enzimatica dei poli- peptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali ('). Nota I del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Azione in vitro del fegato di uccelli, di vertebrati a sangue freddo e di invertebrati, sul dipeptide d-l-leucilglicina. Lo studio dell’azione dei fermenti dei tessuti animali sui polipeptidi presenta un grandissimo interesse per il problema del ricambio delle sostanze proteiche nell'organismo animale. A E. Fischer (*) e E. Abderhalden e scolari dobbiamo la scoperta dell'esistenza di fermenti ad azione fondamentalmente analoga all’erepsina intestinale, che idrolizzano la molecola dei polipeptidi e la scindono negli aminoacidi da cui risulta costituita (*). Grazie alle ri- (4) Lavoro: eseguito nell’Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma. (*) Fischer E. und Bergell, Spaltung einiger dipeptide durch pankreas ferment. Berichte der deutschen Chem. Gesellschaft. Jg 37, s. 2103, 1904. (*) Abderhalden und Teruuchi, Das Verhalten einiger Polypeptide gegen Organex- trakte. Zeitschrift f. physiol. Chemie, Bd, 47, pag. 466, an. 1908. — Abderhalden und Hunter Weiterer Beitrag zur Kenntniss der proteolitischen Ferment der tierischen Organe. Zeitschrift f. phys. Chemie, Bd. 48, pag. 537, an. 1906. — Abderhalden und Ter-3 uuchi, Studien ber die proteolytiche Wirkung der Pressàfte einiger tierischer Organe RenpICONTI. 1916, Vol, XXV, 1° Sem. 25 e — 184 — cerche di questi autori, le notizie che possediamo sui fermenti peptidolitici dell’organismo dei mammiferi sono sufficientemente estese ; lo stesso non può dirsi per quanto riguarda i fermenti peptidolitici dei rimanenti vertebrati e invertebrati. Sull'erepsina sono state eseguite ricerche comparate da Ver- non (!), Falloise (?), Jacoby (*). Sui fermenti peptidolitici dei vertebrati inferiori non furono eseguite ricerche di sorta; sui fermenti peptidolitici degli invertebrati poi esistono solo due brevi lavori di Abderhalden (4) e di Abderhalden e Heise (*); questi due autori ricercarono la presenza dei fer- menti peptolitici e peptidolitici negli invertebrati servendosi, nel maggiore numero di esperienze, di un metodo semplice, ma imperfetto: cioè sottopo- nendo 2 vitro all'azione dei tessuti il peptone di seta, e considerando la de- posizione di cristalli di tirosina come un segno positivo della attività eser- citata dai fermenti sul peptone: solo in tre esperienze essi adoperarono, invece del peptone, il dipeptide gliciltirosina. Essi constatarono in tutti i casi la deposizione di cristalli di tirosina, e ne conclusero favorevolmente alla pre- senza di fermenti peptolitici negli invertebrati. Il metodo, come lo stesso Abderhalden (loc. cit.) nota, è molto imperfetto e solo qualitativo. Dello stesso metodo si servì Abderhalden per la ricerca dei fermenti peptidolitici nell’ Ascaris. Non solo dunque nulla ci è noto intorno alle modalità di azione dei fermeuti peptidolitici dei vertebrati a sangue freddo e degli invertebrati, ma, anche sulla loro stessa esistenza, o le notizie che possediamo sono fram- mentarie e incomplete, o ci manca ogni notizia. A colmare tale lacuna mi- rano le ricerche qui iniziate, nelle quali mi proposi di studiare l’azione 27 vitro del fegato di vertebrati inferiori e di invertebrati sul dipeptide d-/-leu- cilglicina. La d-l-leucilglicina fu sottoposta, in termostato a 37° in presenza di toluolo, all’azione dell'estratto acquoso del fegato di Gallus domesticus, di sowie des Darmsaftes. Zeitschrift f. physiol. Chemie, Bd. 49, pag. 1, an. 1906. — Abderhalden und Rona, Das Verhalten von Leucil-phenylalanin, Leucyl-glycil-glycin und von Alanyl-glycil-glycin gegen Pressaft der Leber vom Rinde. Zeitschrift f. physio]. Chemie. Bd. 49, pag. 31, an. 1906. — Abderhalden und Oppler, Veber das Verhalten einiger Polypeptide gegen Blutplasma und Blutserum von Pferde. Zeitschr. f. physiol. Chemie. Bd. 53, pag. 294, an. 1907. (1) Vernon, Erepsin in tissues. Journal of physiology, 32, 1905. (3) Falloise, Contribu à la physiologie comparée de la digestion. Archiv. intern. de” physiologie, III, 282, an. 1906. (*) Jacoby, Veber das Verhalten der Sperma und Eienzyme bei der Befriichtung und ersten Entwicklung. Biochemische Zeitschrift, 26, an. 1910. (4) Abderhalden, ZWeder den Gehalt von cingeweidewirmern an peptolitische Fermente. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 74, 409, an. 1911. (5) Abderhalden und Heise, Veder das Vorkommen peptolitischen Fermento bei der Wierbellosen. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 62, 136, an. 1909. — 185 — Lacerta ocellata, di Rana esculenta, di Gadus morrua e di Helia pomatia. Per riconoscere l’azione idrolitica degli estratti sul dipeptide, fu adope- rato il metodo da me precedentemente descritto ('), consistente nella determi- nazione quantitativa dei gruppì aminici liberi, del dipeptide stesso prima e dopo l'azione dell'estratto; con questo metodo è possibile calcolare esatta- mente la quantità di dipeptide idrolizzata e la quantità di dipeptide rimasta. integra. Nel caso presente della d-/-leucilglicina, la idrolizzazione avviene secondo la seguente equazione: NH» | i CR />CH—CH,-CH—C0—NH—CH,—C0 .0H+HO.H= (leucilglicina) NH, NH, 05, | | ="CH >CH—CH,—CH—C0—0H + CH.,—C0.0H. 3 (leucina) (glicocolla) I risultati ottenuti sono riportati nelle seguenti tabelle: Azione dell'estratto acquoso di fegato di Gallus domesticus sulla d-l-/ewcilglicina. QUANTITÀ ADOPERATA 4 GIORNI A 40° IN TERMOSTATO DI NaOH 1/5 n IN CMC. dal-leucilelicina 1/40/n:. 03,0 er cme. 10 1,25 d-l-leucilelicina:1/40r uu. 10 1,85 Estratto acquoso di fegato... .....° » 2 Acquagdisullatane edo eci LO 0,10 Estratto acquoso di fegato. . ......° » 2 calcolato . . 2,70 Come leucina + glicocolla . ; trovato .. |. 1,55 in mmgr. in °/o (aggiunta So 47 100 dal-leucielicina:: es i e lidrolizzata . 18 39 (*) Clementi A., Contributo allo studio dei fermenti peptolitici sui polipeptidi. ‘Rend. Acc. Lincei, XXIV, ser. 5%, 1° sem. fasc. 9, an. 1915. — Id., Microtitolazione alla formaldeide e sue applicazioni in fisiologia. - Nota II. Applicazione della microtitola- zione della formaldeide allo studio dei fermenti peptidolitici. Rendiconti Accad. Lincei, XXIV, ser. 52, 2° sem., fasc. 1°, an. 1915. x — 186 — Azione dell'estratto acquoso di fegato di Rana esculenta sulla d-1-leucilglicina. QUANTITÀ ADOPERATA 12 orRE A 40° IN TERMOSTATO DI Na0H 1/5 IN CMC. d-I-leucilglicina 1/40% ..° 0.0.0. seme. 10 1,25 d-Fleucilglicina: 1/40 7 iL RT0 1,75 Estratto acquoso di fegato . . ./...° » 2 Acqua (distillata: cs o e 0 i 0,10 Estratto acquoso di fegato . . . ...° » 2 calcolato è 2,50 Come leucina + glicocolla . ; È trovato . . è 1,65 in mmgr. in ®/o aggiunta . . 47 100 dI-leucilglicina . . idrolizzata . 15 81 Azione dell'estratto acquoso di fegato di Lacerta ocellata sulla d-l-leucilglicina. | QUANTITÀ ADOPERATA 7 ORE A 37° IN TERMOSTATO pi NaOH 1/5 n IN CMC. d-l-leucilglicina 1/40n . . . ..... cme. 5 0,625 d-l-leucilglicina 1/40w ... . i. ve.» h) 1,200 Estratto acquoso di fegato . . . ... 2 1 Acqua-distillata i. srl eo id i A 0,275 (N) Estratto acquoso di fegato . . .....° 2 [calcolato , 1,250 | Come leucina 4- glicocolla . . : Î trovato . . 0,925 i in mmgr. in °fo (agelnnta Se, 23,50 100 d-lleucilglicina . i l'idrolizzata : 11,75 5,0 N. B. In questa e nelle due esperienze precedenti; i campioni di estratti a cui fu aggiunto il dipeptide, dopo la permanenza in termostato, erano limpidi trasparenti presentavano numerosi coaguli e fiocchi, i campioni di controllo erano uniformemente torbidi, e non contenevano nè coaguli nè fiocchi. — 187 — Azione dell’estratto acquoso di fegato di Gadus morrua sulla d-l-leucilglicina. QUANTITÀ ADOPERATA 4 GIORNI IN TERMOSTATO A_37° pi Na0H 1/5 n IN CMC. d-l-leucilglicina 1/40... ...... eme. 5 0,625 d-(-leueil'oticinars1/4A0# 0. i. 0 5 | 1,025 I Estratto acquoso di fegato. . . ....° » | ACQuagdisil lata e 5 0,100 Estratto acquoso di fegato . . . ... » genicolato ESA 2,250 Come leucina -+ glicocolla . . . . .. l trovato HABA 0,925 in mmgr. in °/o aggiunta . . 23,5 100 d-l-leucilglicina. . | idrolizzata . LISZO 50 Azione dell'estratto acquoso di fegato di Helix pomatia sulla d-1-leucilglicina. DI NaOH 1/5 QUANTITÀ ADOPERATA 48 ORE IN TERMOSTATO A 35° | IN CMC. d-l-leucilglicina 1/40n... ...... cme. 10 1,25 d-l-leucilglicina 1/40n . . ERI REIT RA NO) 2,00 Estratto acquoso di fegato . . . ...° » 1 ACquagdisuliotea ea a MA IO i 0,20 Estratto acquoso di fegato. . ......° » 1 | calcolato Si 2,50 Come leucina + glicocolla . . . . . l trovato LIE LAS 1,80 in mmgr. in ‘/o | aggiunta dla 47 100 dE-leucilelicimasgar Rene o lidrolizzata 20 42 — 188 — I fatti nuovi dimostrati dai risultati delle presenti esperienze, sono i seguenti : 1°) nel fegato di uccelli, di rettili, di anfibi, di pesci e di inver- tebrati (molluschi), sono presenti fermenti capaci di idrolizzare il dipeptide d-l-leucilglicina ; 2°) l’idrolizzazione del dipeptide d-l-leucilglicina per opera di tali fermenti avviene secondo il principio dell’azione asimmetrica dei fermenti peptidolitici sui polipeptidi racemici, principio scoperto da E. Fischer, e da me dimostrato quantitalivamente pel caso dei fermenti peplidolitici dei mammiferi (loc. cit.). Biologia. — Osservazioni biologiche sulla Recurvaria na- nella Hb, microlepidottero dannoso agli alberi fruttiferi (1). Nota preliminare di ArmanDo MiGnoNE, presentata dal Socio Ba'r- TISTA GRASSI. Nella prima quindicina del marzo 1915, negli orti e giardini di Roma, vennero notate delle piccole larve di colore bruno-rossiccio, le quali dan- neggiavano i fiori del pesco | Prunus persica (L.) Stok.]. Si riconobbero subito come larve di un mierolepidottero il quale venne più tardi identificato (*) per la specie Recurvaria nanella Hb. 1876. [ Gen. Recurvaria (Hw.) HS.; Sottofam. Gelechiinae; Fam. Gelechtidae (8) ). Di essa troviamo notizie, successivamente dal 1826 in poi, nelle pub- blicazioni di parecchi autori stranieri, e la semplice indicazione in qualcuna di autore nostro; ma le descrizioni sono tutte generiche e molto incom- plete (4). Specialmente per quanto concerne la larva e la crisalide, le notizie sì riducono a semplici cenni sommarii dei caratteri macroscopici; e, quanto ai danni di cui questo microlepidottero è capace, ai suoi.costumi, al suo ciclo di vita, le incertezze sono ancora molte, per le discordanze nelle relazioni dei varii autori e pel fatto che quelli i quali se ne occuparono in data più recente, non tennero alcun conto dei lavori precedenti. i A prescindere da questo, ci è sembrato di somma importanza pratica lo stabilire, oltre che i caratteri morfologici, anche i costumi e il ciclo biolo- (*) Il lavoro fu eseguito nell'Istituto di anatomia comparata della R. Università di Roma; mi ha indirizzato nelle ricerche la dottoressa Anna Foà, alla quale porgo vivi ringraziamenti. (2) Gli esemplari vennero determinati da E. Turati (9 agosto 1915) e, successiva- mente, da J. De Joannis (21 agosto 1915); ad entrambi esprimo sentiti ringraziamenti. (9) Spuler A., Die Schmetterlinge Europas, 1910, II. Band, pag. 356. (4) La bibliografia verrà riportata interamente nel lavoro in esteso. — 189 — gico dell'insetto nelle condizioni di ambiente che sì riscontrano da noi (di- versissime da quelle dell'Europa centrale e settentrionale, dove hanno fatto le loro osservazioni tutti gli autori che se ne sono occupati anteriormente), tanto più che trattasi di specie meritevole di grande attenzione, se può, secondo Houghton (*). nelle annate di forte invasione, distruggere completa- mente il raccolto dei frutteti. Con una serie di ricerche metodiche, iniziate sin dal marzo 1915 ed eseguite contemporaneamente in laboratorio ed in piena aria, siamo riusciti a stabilire e a descrivere i caratteri morfologici di questa specie di Hibner allo stato larvale, ninfale e adulto, nonchè a precisare il cielo biologico di essa e i suoi costumi. Con altre ricerche già preordinate ci proponiamo di precisare : 1°) in che consistano esattamente i danni che la ARecurvaria na- nella Hb. produce, e quali siano le piante coltivate o spontanee che essa attacca, oltre quelle già prese in considerazione; 2°) la distribuzione geografica di tale specie in Italia ; 3°) le cause biologiche che ostacolano lo sviluppo dell'insetto e i mezzi più efficaci per combatterlo. Riserbandoci di pubblicare #n extezso la descrizione, che non può riu- scire chiara senza il sussidio delle figure, vogliamo indicare, in questa prima Nota, qual'è il ciclo biologico della Recurvaria nanella Hb. e quali i suoi costumi. i Biografia dell'adulto. — Le farfalle, molto piccole, cominciano a com- parire nella seconda metà di giugno, e si trovano in maggior numero nella prima quindicina di luglio. Verso la fine di questo mese e ai primi di ago- sto, è molto difficile di rintracciarne. Durante il giorno, stanno riparate, ad ali chiuse, quasi immobili, nelle anfrattuosità della corteccia, sui tronchi e sui rami più grossi; noi le ab- biamo trovate specialmente sulle piante di pesco [ Prurus persica (L.) Stok.] e di albicocco (Pr. armeniaca L.). Qualche esemplare si è pure trovato sul susino (Pr. domestica L.), sul melo (Pyrus malus L.), e uno solo sul mandorlo (Pr. amygdalus Stok.). Le farfalle si muovono soltanto quando sono toccate; ma, invece di vo- lare, corrono rapidamente lungo le fessure e le screpolature della corteccia. Tutto al più, fanno voli brevi per sottrarsi alla cattura, disponendosi subito dopo nella posizione di riposo. Data la piccolezza e il mimetismo di queste farfalle con la corteccia dei peschi e degli albicocchi, non è facile di rinvenirle, e spesso accade di perderne le traccie dopo essere riusciti a discernerle. (') Houghton J. T., Z'he Entomologist's Monthly Magazine, Second Series, vol. XIV (rol. XXXIX) 1903, pp. 219 e 220. — 190 — Sulle foglie e sui rami giovani non abbiamo mai trovato adulti. La copula e la deposizione delle uova, fino ad ora, non sono state da noi osservate nè in campagna nè nelle gabbiette. In un ovario, osservato il 22 luglio, abbiamo però constatato la pre- senza di molte uova, parecchie delle quali ci sembravano mature; così che è da ritenere che ogni farfalla deponga un numero considerevole di uova estre- mamente piccole. Le nostre osservazioni, fatte nelle gabbiette, ci portano ad escludere che gli adulti si nutrano: perciò è da presumere che essi muoiano dopo l'accoppiamento. Biografia della larva. — Abbiamo visto comparire le giovani larve sul finire dell'agosto (giorno 27). Erano piccolissime (mm. 1-1,5 di lun- ghezza; mm. 0,3-0,4 di larghezza) e di colorito brunastro tendente al ros- siccio. Riteniamo che sia possibile di rinvenirle già verso la metà di agosto. Quali nutrici della specie possiamo indicare quasi tutte le piante frut- tifere coltivate della famiglia delle Rosacee, appartenenti alle sotto-famiglie delle Prunce e delle Pomee. Negli orti e giardini di Roma la larva vive a spese delle foglie, prin- cipalmente del pesco [ Prunus persica (L.) Stok.] e dell’albicocco (Pr. ar- meniaca L.). In grado minore, e in ordine di decrescente intensità, abbiamo visto che attacca il ciliegio (Pr. avium L.), l’amarena o marasca (Pr. ce- rasus L.), il molo (Pyrus malus L.), il cotogno (Cydonia vulgaris Ins.), e solo una volta constatammo le caratteristiche lesioni su una foglia di pero (Pyrus communis L.). Trovammo sempre immuni le foglie del mandorlo (Pr. amygdalus Stok.) e del biancospino (Crataegus oxyacantha). Le giovani larve penetrano nella foglia (entro lo spessore della lamina), vraticando un minutissimo foro circolare nella sua pagina inferiore, prefe- ribilmente in prossimità di qualche nervatura o negli angoli da esse for- mati. Penetrate nelle foglie, le larve si scavano delle brevi e sottili gallerie, a fondo cieco, le quali, generalmente, cominciano con un corto tratto retti- lineo e poi diventano tortuose e si ramificano. Anche le ramificazioni ter- minano tutte a fondo cieco. Le gallerie sono visibili tanto dalla pagina su- periore quanto dalla pagina inferiore, e spiccano evidentissime, come linee bianche, sul fondo verde della foglia. Appaiono anche meglio a chi guardi le foglie contro luce. La direzione delle gallerie non è costante, così come non è costante la loro forma. Si può dire che esse attraversano la foglia in tutti i sensi; nella maggior parte dei casi seguono però l'andamento delle nervature più grosse; le sottili possono essere intersecate. I brucolini si nutrono del parenchima verde delle foglie, lasciando in- tatte le epidermidi; determinano invece l’appassimento delle nervature nei tratti attraversati dalle gallerie. i { A BUI LISA CI Da | ETTARI SEI IR a S00 ATI PRATI RR AV — 191 — Difficilmente si trovano deiezioni dentro le gallerie; le larvettine prov- vedono a tenerle sempre pulite, accumulando tali rifiuti intorno al forellino d'entrata. Le dimensioni delle gallerie non superano determinati limiti; più fre- ‘quentemente la lunghezza del ramo principale varia da 10 a 16 mm. e può ‘arrivare sino a 20 mm. Per le misure consideriamo come ramo principale quello che risulta più lungo, partendo dal foro di penetrazione e arrivando a uno dei fondi ciechi. Continuando la larva a nutrirsi, si nota la formazione di diverticoli, i ‘quali, come la branca principale, terminano a fondo cieco, talvolta legger- mente espanso. La larghezza delle gallerie varia da mm. 0,2 a mm. 0,6-0,7; essa è pressochè uguale per tutta la loro lunghezza e sì conserva la stessa tanto nella branca principale quanto in quelle secondarie. Riesce quindi difficile «distinguere quale sia la prima e quali le seconde. In ogni galleria non vi è che una larva; nella stessa foglia le gallerie possono essere parecchie. Dentro di esse, le giovani larve si muovono molto ‘rapidamente e sono vivacissime. Molestandole, escono dall’orifizio di penetra- zione e non ritornano più nella galleria abbandonata. Se cadono, emettono «un filo per attaccarsi. Il fatto che le dimensioni delle gallerie non aumentano oltre determi- nati limiti mantenendosi sempre più strette delle larve completamente svi- luppate, dimostra che esse albergano soltanto larve giovani; invero abbiamo potuto constatare che le larve, a cominciare dagli ultimi giorni di agosto ‘o primi di settembre, e successivamente sino a quasi tutto ottobre, le ab- bandonano. Col progredire della stagione, secondo l'influenza che l'andamento di ‘essa esercita sull'attività vegetativa della pianta, diminuisce gradatamente la percentuale delle gallerie con larve, in confronto di quelle abbandonate. In complesso, le dimensioni delle larve minatrici vanno aumentando sen- sibilmente dall'agosto all'ottobre; però nell’agosto è possibile di trovare larve «già molto sviluppate, mentre a fine ottobre ve ne sono di quelle ancora di ‘dimensioni minime. Le larve che abbandonano le gallerie discendono dalle foglie ai rami e ai tronchi cercando rifugio fra le screpolature più profonde e meglio ri- parate della corteccia e di sotto gli strati lichenosi di essa. Una volta tro- vatolo, si tessono un bozzolo minutissimo di seta bianca, discretamente re- sistente, di forma oblunga, le cui dimensioni variano, per la lunghezza, da mm. 1,5 a 2, e, per la larghezza, da mm. 0,5 a 1. In questi bozzoletti le larve passano l'autunno e l'inverno (ibernamento). Oltre che per la loro piccolezza e per la loro posizione, i bozzoletti ‘sono resi pressochè invisibili da un rivestimento costituito di detriti minu- RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 26 = LTT E rd Met rant SRI — 192 — tissimi della scorza stessa e da granellini di terra o di arena, tenuti. in- sieme, probabilmente, da bava sericea; così che, per identificarli, occorrono. buona pratica e il sussidio di una lente. Per quanto gli autori dicano che le larve vanno a svernare alcune nei crepacci dei muri, altre nelle strisce di stoffa che si usano per fissare le piante ai sostegni, altre ancora nell'ascella delle gemme ('), a noi, nonostante- le più accurate e persistenti ricerche, non fu dato di trovare i bozzoletti invernali in altri ripari all'infuori della corteccia. Anche le indagini, fatte nel terreno intorno al piede degli alberi infestati e sotto la loro chioma,. diedero risultato negativo. Le giovani larve escono dai ricoveri, che si sono fabbricati per l'inverno, nel tempo in cui s'inizia la fioritura delle piante ospiti. Abbiamo visto le prime larve ibernanti libere, soltanto nella prima quindicina di marzo; ma. riteniamo che esse compaiano con notevole anticipazione, perchè le larve. catturate in marzo presentavano già dimensioni più grandi di quelle mas- sime constatate per le larve imbozzolate. Per cercare nutrimento, le larve salgono sino alle gemme fiorali, nelle quali praticano un foro tondeggiante o leggermente ovale, un po’ al di sopra del punto d’attacco con il peduncolo. Questo, in alcune Pruree (pesco, albicocco), come si sa, e cortissimo, cosicchè il foro viene a trovarsi poco più in su della inserzione delle gemme fiorali al ramoscello. Nel pesco e- nell’albicocco, che portano fiori solitarî. od a coppie per tutta la lunghezza dei rami fruttiferi. il foro viene praticato dalla parte dell’ascella. Nel ciliegio, che porta i fiori ad ombrello o a grappoli lungamente peduncolati, nel melo, in cui i fiori sono pure disposti ad ombrello ed hanno peduncoli abbastanza sviluppati, e nel pero, in cui i fiori formano corimbi semplici e sono pure ben peduncolati, il foro viene praticato dalla parte in cui i fiori vengono & contatto fra loro, non mai dalla parte libera. Il foro, passando attraverso le appendici di protezione della gemma, ar- riva sino al mezzo di essa, cioè sino al gineceo, precisamente dove il pistillo si attacca all'asse ricettacolare. Praticato 11 foro, la larva emette dei fili di seta tra fiore e ramoscello (nel pesco e nell’albicocco), tra fiore e fiore (nel ciliegio, nel melo e nel pero), legando, nel primo caso, il fiore al ramoscello, e, nel secondo, fiore con fiore. In questo modo la larva ostruisce l’orifizio e rimane chiusa nella gemma. Esaminando dei rami a frutto di pesco o di albicocco, si vede subito. quali sono le gemme fiorali attaccate dalla larva, perchè, mentre quelle im- muni conservano la loro posizione normale divergente, formando cioè con il ramoscello un’ascella ad angolo più o meno acuto, quelle intatte sono strettamente aderenti al ramoscello stesso. Fra la gemma infetta e il ramo- (*) Houghton J. T., op. citata. gola fr Li fe Sg scello sono visibili i fili setacei e i detriti minutissimi (che hanno l’appa- renza di segatura di legno finissima) risultanti dall'erosione fatta dalla larva. Quanto ai fiori infetti di ciliegio, melo e pero, si distinguono subito perchè, invece di essere sciolti, sono uniti, come cuciti, e abbastanza saldamente, in- sieme coi fiori sani circostanti. I fiori infetti albergano una sola larva; anche i fiori caduti al suolo sono spesso abitati dal bruco, ma la maggior parte ne è priva. Quali e di che entità siano i danni che, dopo l’ibernamento, le larve recano alle gemme fiorali, diremo in una prossima Nota, trattandosi di que- stione fondamentale che richiede esame particolareggiato. Oltre i fiori, le larve attaccano anche le gemme foglifere e i teneri ger- mogli non ancora interamente aperti. In questi la larva penetra praticando un foro tondeggiante che si prolunga in direzione quasi orizzontale sino nel mezzo dei germogli. Non possiamo però escludere che le larve vi penetrino dalla sommità. Entrate nei germogli, esse, mediante bave seriche, avvolgono le giovani foglie facendole aderire fortemente le une alle altre, e così ne impediscono il regolare accrescimento e lo sviluppo. Spesso anche le foglie esterne già divaricate, vengono legate con quelle costituenti il boccio. Così i germogli si deformano, e la deformazione diventa più marcata in contrasto con la progres- siva tendenza delle foglie a svolgersi. Esse infatti sì piegano nei modi più sva- riati, s'incurvano, si contorcono, e i germogli perdono il loro aspetto affusolato per prendere quello di grovigli o di involti informi. Per la loro grossezza, che talvolta raggiunge quella di una noce, questi grovigli sono molto bene visibili anche a distanza. Talora ad essi vengono aggiunte foglie di getti vicini, le quali appaiono come cucite al viluppo principale. Spesso i grovigli, invece che con le foglie apicali dei getti, vengono formati con foglie situate più in basso. Alcune volte le larve formano il loro nicchio con due sole foglie riunite comun- que assieme, e, abbastanza frequentemente, le larve si accontentano di arroto- lare l'orlo di una sola foglia dalla parte della pagina superiore. Oltre alle deformazioni delle quali abbiamo parlato, le foglie vengono brucate dalla larva più o meno estesamente; così che, svolgendole, esse appaiono traforate od erose irregolarmente nei più svariati punti della lamina. Non sono rispettate nemmeno le nervature. I bruchi rimangono sulle parti verdi delle piante sino verso la fine di aprile; dopo, migrano sulle parti legnose cercando di nascondersi nella cor- teccia, dove essa presenta maggiori fenditure e screpolature, come, per es., sui fusti e nelle biforcazioni delle grosse branche o dei grossi rami. Trovato un posto adatto, cominciano ad emettere una serie di fili sericei che attaccano alle asperità della corteccia; e poi costruiscono un vero e proprio bozzoletto candido nel quale si chiudono e passano allo stadio di crisalide. Quando sono pronte per la metamorfosi le larve hanno raggiunto le dimen- sioni massime, e cioè mm. 8-10 di lunghezza e mm. 1-1,2 di larghezza. = en — 194 — Non parliamo in questa prima Nota, delle frequenti variazioni di colore cui vanno soggette le larve, perchè è argomento che richiede speciale trat- tazione. Luoghi preferiti dalle larve per passare allo stadio di crisalide, sono quei piccoli riccioli avvoltolati a spirale, che si formano in talune piante a decorti- di cazione anulare, come, per es., nel ciliegio, dove avviene tipicamente sempre, (in nel pesco, nel pero e nel melo quando sono di giovane età. Distendendo i ric- cioli, tali bozzoletti appaiono, benchè piccoli, evidentissimi per la loro candi- dezza, e perfettamente conformati. Biografia della crisalide. — La crisalide è abbastanza saldamente at- taccata all'involucro sericeo per mezzo di setole, portate ‘dall’ultimo segmento addominale, piegate a uncino all'estremo. Il suo colorito è giallo d'ocra, qual- che volta paglierino; quando si avvicina il tempo della schiusura, esso diventa pi molto scuro. (A Le piante recettrici delle crisalidi sono le stesse nelle quali trovammo le larve dopo l'ibernamento: e cioè il pesco, l'albicocco, il ciliegio, il melo, il pero. Non ne trovammo alcuna sul mandorlo. ; Contrariamente alle osservazioni di Houghton ('), non constatammo mai i la presenza di crisalidi nelle parti verdi delle piante danneggiate dalla larva; nemmeno nei pezzi di stoffa e negli stracci posti fra le grosse branche dei tronchi o legate ai tronchi stessi. n Circa la durata dell'evoluzione dell'insetto, possiamo dire che essa va ac- I celerandosi dalla primavera all'estate man mano che la stagione progredisce e si fa calda: difatti, mentre per le larve catturate in marzo e in aprile al sono occorsi, per la loro metamorfosi, da. 468a 52 giorni, per quelle cattu- rate in maggio sono bastati da 27 a 44 giorni; per quelle catturate in giugno, da 15 a 25 giorni; e per due, catturate il 1° luglio, soli 21 giorni. L'unica larva potuta catturare il 3 luglio morì senza fare il bozzolo. Coneludiamo affermando che la specie Recurvaria nanella Hb. pre- senta una sola generazione all'anno e che, a Roma, il suo ciclo si svolge interamente sulle piante ospiti indicate. Aggiunta. — Dopo che avevo fatto la prima correzione uelle bozze di stampa di questa mia Nota, sono pervenuti al prof. B. Grassi i Bollet- tini del U. S. Department of Agriculture, Bureau of Entomology, usciti dal- l'agosto 1914 ad oggi. Tra questi trovo il n. 113, portante la data del 22 agosto 1914. nel. quale si legge una breve Memoria dei signori E. W. Scott e J. H. Paine, sullo stesso argomento da me trattato. ‘Evidentemente si deve alle condi- zioni eccezionali ereate dalla guerra, l'enorme ritardo dell'arrivo, al nostro laboratorio, di queste pubblicazioni. che pervenivano regolarmente. È quindi (1) Houghton J. T., op. citata. shit superfluo dire che le mie ricerche sono state del tutto indipendenti da quelle degli autori su citati. Sono tuttavia lieto che le conclusioni alle quali siamo pervenuti con- cordino nei punti essenziali; così, con questa reciproca conferma, il ciclo biologico della Recurvaria nanella Hb. resta definitivamente stabilito. È notevole il fatto che il detto ciclo sia, nelle linee generali, uguale in America e in Europa, cosa che non si sarebbe potuta’ stabilire senza fare ricerche anche da noi; infatti il comportamento avrebbe potuto es- sere diverso nei due continenti, come per es., accade per la fillossera della vite. Nel mio lavoro in esteso, già pronto per le stampe, si troverà anche la parte zoologica che è molto deficiente nel lavoro degli autori americani, e si metteranno in luce le differenze nella parte biologica. Patologia. — UVtertori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nell'uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei virus. Nota I del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI ('), pre- sentata dal Socio B. GRASSI. In una precedente pubblicazione (?). dopo di avere riportato succinta- mente quanto era stato fatto per la identificazione del virus agente del- l'infezione da me accidentalmente contratta in laboratorio, rendevo noti i risultati ottenuti ricercando il comportamento dei diversi v7rus tripanosomiaci di fronte al mio siero, in rapporto ai poceri agglutinante, tripanolitico, pro- tettore. Saggiai inoltre il potere di reazione fra le precipitine e le sensi- bilizzatrici del mio siero di fronte ai gruppi funzionali corrispondenti pre- cipitogeni e sensibilisogeni di siero di animali infetti da tali virus. In base ai risultati delle ricerche allora compiute, concludevo: il virus Lanfranchii sarebbe da riportare (per non usare il termine identificare): per il potere tripanolitico, più al gambiense che non all'Evarsi; per il potere protettore, e più ancora per l'agglutinabilità, precipi- tazione e fissazione del complemento, al virus della surra. Le ricerche, di cui sopra. ebbero luogo nei primi mesi del 1914, quando mì trovavo sottoposto alla cura atoxylica, eseguita ininterrottamente fin dalla seconda metà del maggie del 1912; ed avvertivo: « non so fino a qual punto la cura atoxylica potrà avere influito nei diversi ordini di ricerche... ». (*) Lavoro eseguito nell’ [Istituto di patologia e clinica medica veterinaria nella R. Università di Bologna. (3) AI. Lanfranchi, Su la possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nel- l’uomo. « Bull. delle scienze mediche », Bologna, an. LXXXVI, serie- IX, vol. 3°, 1915. — 196 — Con il 10 luglio 1914 cessavo le iniezioni di atoxyl; sul finire dello stesso anno, sì manifestava una ricaduta con la ricomparsa dei tripanosomi in circolo. * Pensai allora che sarebbe stato di grande interesse compiere ulteriori ricerche col mio siero, prima di sottomettermi di nuovo ad un trattamento, e poter così rilevare quali modificazioni avrebbe presentate, anche in seguito al fatto che nessuna cura era stata eseguita da diversi mesi. * SMS In un primo tempo ho ricercato il potere agglutinante del mio siero. Ho creduto però bene, dati i risultati ottenuti nelle comunicate ri- cerche, di non prendere più in esame, in questa come nelle ricerche suc- cessive, i v/rus nagana e rodesiense, limitandomi quindi ad esperimentare con i virus Lanfranchii, gambiense ed Evansi, rappresentati dagli stessi ceppi anteriormente adoperati, e mantenuti in laboratorio mediante passaggi su cavie. Tutte le cautele furono prese per allontanare qualsiasi causa di er- rore (?). POTERE AGGLUTINANTE. Prima serie. Il siero fresco veniva messo a contatto con sangue di ratti in piena infezione, contenente quindi numerosi tripanosomi. Nell’apprezzamento dei risultati ho tenuto solo conto di quelle propor- zioni nelle quali il siero dava rapida agglutinazione e questa persisteva sino alla immobilità e conseguente tripanolisi. Il fenomeno di agglutinazione in rapporto ai tre virus adoperati, è stato da me osservato nettamente nelle seguenti proporzioni : 1:120,000 per il virus Lanfranchii 1:120,000., 4» » gambiense 1:100,000 » ” Evansi. Seconda serie. 1) siero inattivato veniva messo a contatto sempre col sangue di ratti in piena infezione. i I risultati di questa serie si differenziano notevolmente da quelli otte- (1) Per la ricerca del potere agglutinante, ho tralasciato il controllo, poichè fino dalle prime ricerche in merito, di Laveran e Mesnil, a quelle ultime di Heckenroth e M. Blanchard e mie, sì è costantemente notato come il siero di sangue umano sia privo di coaguline atte a dar luogo all’agglutinazione dei tripanosomi. — 197 — ‘muti con l’uso del siero fresco, sopra riportati. Infatti l'agglutinazione fu mettamente osservata nelle proporzioni di 1:50,000 per il virus Zanfranchii 1: 5,000 ” » gambiense 150,000 L) » Evansi. K Xx Un primo dato si rileva da queste nuove ricerche, il potere aggluti- mante del siero, sia fresco, sia inattivato, è aumentato. Ciò sta forse in rap- porto alla mancanza di cure per un non breve periodo di tempo? Può darsi ‘che si ripeta anche per l'agglutinazione quanto F. Heckenroth e M. Blan- chard hanno visto per il potere protettore, che per il fatto della cura sem- ‘bra subire una diminuzione ? Può darsi, evidentemente, che l'infezione, prendendo un decorso cronico, finisca per indurre l'organismo a vieppiù difendersi contro l’infezione stessa, ‘con la produzione di nuovi anticorpi; ma, secondo me, è più supponibile la ipotesi che, sottraendo i parassiti all'azione di una sostanza parassitotropica, tripanocida (nel caso speciale l’atoxyl), questi abbiano naturalmente riatti- vato la loro facoltà antigena, inducendo conseguentemente speciali reazioni di difesa dai gruppi cellulari incaricati della produzione di anticorpi anta- gonisti alla causa antigena che funzionava quale stimolo speciale. Detto aumento del potere agglutinante non si è verificato però propor- zionalmente ‘in rapporto ai tre virus presi in esame. Ricordo come nelle ricerche precedenti i risultati furono, col siero fresco per il virus Zanfranchiî, 1:100,000; gambiense, 1:80,000; Evansi, 1:.80,000. Con l'inattivato, invece, Zanfranchii ed Evansi. 1:40,000; gambiense, 1: 100. Risulta quindi, per il siero fresco, che detto potere — qualora si prenda come media dell’aumento quella dell’Zvazsi — è proporzionalmente diminuito in rapporto al virus Lanfranchii, ed aumentato per il gam- ‘biense. Con il siero inattivato, si è avuto un aumento notevole pel potere agglu- tinante rispetto al virus gambiense, in confronto a quello constatato nelle prime ricerche. Come possono interpretarsi i resultati ottenuti? Vengono forse in ap- poggio, come a tutta prima può sembrare, alla ipotesi che il virus, col quale mi sono infettato, sia da identificarsi con il gambzense? Non «credo si debba ciò ammettere. Il proporzionalmente diminuito potere agglutinante del siero fresco, di fronte al virus Lanfranchi, può stare anzi ad indicare che detto v27vs, con — 198 — il passaggio avvenuto per oltre un anno negli animali, va riacquistando i caratteri che possedeva prima di infettare il corpo umano. D'altro lato, il fatto del potere agglutinante del siero fresco ed inatti- vato per il trip. gambiense sarebbe la riprova di quanto ho detto sopra. Il virus, del quale ancora sono infetto, è andato vieppiù prendendo i caratteri di un v27us umano: in altre parole, è andato maggiormente uma- nizzandosi. E si comprende anche come i nuovi anticorpi (nel caso presente, le agglutinine), a cui ha dato origine, abbiano subìto delle corrispondenti modificazioni. I risultati, ottenuti da Levaditi e Muttermilch (') con le loro geniali ricerche, sono la più bella dimostrazione in appoggio. Ciò detto, però, resta il fatto incontrovertibile che la specificità della causa nella infezione meglio non potrebbe essere rappresentata se non dal- l’alto ed uguale potere agglutinante di fronte ai virus Zanfranchii ed Evans. i Già accennai, nelle prime ricerche, come i risultati ottenuti con il siero inattivato indicassero come le agglutinine contenute nel mio siero fossero delle vere e proprie agglutinine specifiche, in tutto rispondenti a quelle dei sieri antibatterici e dei sieri preparati con cellule libere, e come quindi dette reazioni di agglutinazione derivino indiscutibilmente da una capacità agglu- tinativa, da una vera e propria funzione agglutinogena, indissociabile nei parassiti esaminati e facilmente dimostrabile dalle corrispondenti agglutinine contenute nel mio siero. i * % X I risultati di queste ricerche vengono, a mio modo di vedere, a con- fermare la già enunciata conclusione. Dirò di più: costituiscono anzi una prova delle più dimostrative, ap- punto per quei risultati che a prima giunta, come ho fatto notare, sembrano. controversi. 3 Nessun'altra spiegazione io credo ad essi possa darsi, all'infuori di quella da me proposta. Devo quindi ammettere che, per il potere agglutinante, il virus ZLan- franchii è da riportarsi a quello della surra. i (') Levaditi e Muttermilch, Anticorps et espèces animales. Ann. Inst. Pasteur, 1913, pag. 926. i —- 199 — MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI G. PaoLI. — Risultati botanici della Missione scientifica Stefanini- Paoli nella Somalia italiana meridionale. Pres. dal Corrisp. BACCARINI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Corrisp. CastELNUOvO, relatore, a nome anche del Corrisp. REINA, legge una Relazione colla quale si propone la inserzione nei volumi delle Memorie, del lavoro del dott. F. CanTELLI intitolata: Sulla legge dei grandi numeri. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLASsERNA dà il triste annuncio della morte del Socio straniero Sir HENRY koscor, avvenuta il 18 dicembre 1915; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Chimica, sino dal 26 agosto 1907. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Corrispondenti PascaL: / miei integrafi per equa- zioni differenziali, e PrANO: L'esecuzione tipografica delle formule ma- tematiche; e un volume pubblicato sotto la direzione del Contr Ammi- raglio M. Gravorto, dal titolo: Tavole nautiche raccolte e pubblicate per cura dell'Istituto Idrografico della Regia Marina. Il Socio PATERNÒ presenta il primo volume di una grande pubblica- zione intrapresa dal dott. ALpo MrIeLI, destinata a contenere una storia generale del pensiero scientifico dalle origini a tutto il secolo XVIII. Il primo volume ha per titolo: Ze scuole Jonica, Pythagorica ed Eleatica RenpICcONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 27 ca; — 200 — (I Prearistotelici I.); e del contenuto del volume e degl’'intendimenti del- l’autore il senatore Paternò informa la Classe colle seguenti parole: « Ho l’onore di presentare all'Accademia il primo volume di un’opera del dott. Aldo Mieli, libero docente nella Università di Roma. Il dott. Aldo Mieli ha concepito il piano ardito, e forse più che ardito audace. della com- pilaziono della sturia generale del pensiero scivatitico dalle vrigini a tutio il secolo XVIII, e presenta un primo saggio della sua vasta opera in una monografia: « Sui prearistotelici =, nella quale tratta delle scuole ionica, pitagorica ed eleata. « Il dott. Mieli non è nuovo alle ricerche sulla storia delle scienze, e possiede vasta cultura e studî severi, onde molto si può sperare dalla sua attività. Certamente il programma che egli si propone di svolgere e che è frutto di lunga meditazione, è arduo ed ha bisogno molto tempo; ma se egli riuscirà, come è da augurarsi, nell'intento renderà alla scienza, e particolar- mente all'Italia, un servigio grandissimo, e tanto maggiore in quantochè il vertiginoso progresso scientifico degli ultimi tempi, fa spesso dimenticare le relazioni nello sviluppo delle diverse scienze e tende a trasformare gli uomini di studio in tecnici di una troppo ristretta parte dello scibile, a scapito dell'alto pensiero ispiratore e dominatore di ogni forma di sapere». Il Socio VoLTERRA offre una copia dei Rendiconti delle sedute del- l’anno accademico 1914-1915. del Seminario matematico della Facoltà di science della R. Università di Roma; e parla di questa pubblicazione, citando e riassumendo alcuni tra i lavori che nel volume sono contenuti. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH comunica alla Classe i seguenti elenchi dei «concorrenti ai vari premi scaduti col 51 dicembre 1915: Elenco dei concorrenti al premio Reale per le Sezenze Diologiche. . (Scadenza 31 dicembre 1915. — Premio di L. 10,000). 1. AnILE AnToNINO. « I problemi della biologia contemporanea » (ms.). 2. BagLIonI SiLvestRo. « Contributi sperimentali di fisiologia compa- rata » (st.). 3. GaLeoTTI Gino. « Ricerche di biologia » (st.). 4. Gora Giuseppe. 1) « Ricerche sui rapporti tra i tegumenti semi- nali e le soluzioni saline » (st.). — 2) « Ricerche sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a tegumento impermeabile » (st.). — 8) « Sull’attività respiratoria di alcuni semi durante il periodo della quiescenza » (st.). — e n —_ pu aa i n — 201 — 4) « Sulla respirazione intramolecolare nelle piante palustri » (st.). — 5) « Studî sulla funzione respiratoria nelle piante acquatiche » (st). — 6) « Sulla presenza, nelle piante, di composti ematoidi di ferro » [Note 2 ] (st.). — 7) « Studî sui rapporti tra la distribuzione delle piante e la costituzione fisico-chimica del suolo » (st... — 8) « Saggio di una teoria osmotica del- l'edafismu » (st.). — 9) « Osservazioni sopra i tiquidi circolanti nel terreno agrario » (st... — 10) « Il terreno forestale » (st.). — 11) « La vegetazione dell'Appennino piemontese » (st.). — 12) « Di alcune pubblicazioni pedolo- giche sui terreni libici » (st.). 5. GoRrINI CosTanTINO. « Ricerche di microbiologia » (17 lavori st.). 6. Lomonaco Domenico. 1) « Su una reazione generale degli amino- acidi nell'organismo animale: contributo alla scomposizione delle sostanze proteiche e alla formazione dell'urea » (st.). — 2) « Sulla proprietà, che hanno i corpi solidi, di assorbire i gas [pneumofilia] » (ms.). — 3) « L'azione degli zuccheri sulla secrezione biliare » (ms.) [in collaborazione con lo stu- dente laureando G. Silenzi |. ‘. Longo Biagio. 1) « Acrogamia aporogama nel fico domestico [ Nicws carica L.]» (st... — 2) « Ricerche sul fico e sul caprifico » (st.). — 3) « Osservazioni e ricerche sul Ficus carica L.» (st.). — 4) « Su la pre- tesa esistenza del micropilo nel /icus carica I. » (st.). — 5) « Sul Yteus carica » (st). — 6) « Ancora sul Ficus carica » (st.). — 7) Di nuovo sul Ficus carica L.» (st.). — 8) « Recensione di un lavoro del Tischler » (st.). — 9) « Osservazioni e ricerche sulla nutrizione dell'embrione vegetale » (st.). — 10) « Nuove ricerche sulla nutrizione dell'embrione vegetale » (st.). — 11) « Ricerche sulle /mpatzens » (st.).. — 12) « La partenocarpia nel Diospyros virginiana L.» (st.). — 13) « La partenocarpia nello Schinus molle L. » (st.). — 14) « Su Ja nespola senza noccioli » (st.). — 15) « Sulla pretesa esistenza delle loggie ovariche nella nespola senza noccioli » (st). — 16) « Ricerche sopra una varietà di Cra/aegus Azarolus L. ad ovuli in gran parte sterili » (st... — 17) « Note di partenocarpia » (st.). — 18) « Ri- ‘cerche su la corzaria myrtifolia L. » (st.). — 19) « La poliembrionia nello Xanthoxylum Bungei Planch. senza fecondazione » (st.). — 20) « Sul Se- chium edule Sw.» (st.). — 21) « Altre osservazioni sul Sechium edule Sw. » (st.).. — 22) « Variazione di gemma in una quercia » (st.). — 23) « Va- riazione nel Cosmos bipinnatus Cav.» (st.). — 24) « Su le Chimere vege- tali » (st... — 25) « Note di morfologia fiorale » (st.). 8. MorgERA ARTURO. 1) « Sulla glandola digitale degli Scy//zum del golfo di Napoli » (st.). — 2) « A proposito d'una Nota del dott. Robinson Sur la physiologie de l’appendice coecal: l’hormone du vermium » (st.). — 3) « A proposito della funzione della glandola digitale degli Scyllium ‘e di quella dell’appendice vermiforme dei mammiferi » (st.). — 4) « Ri- «cerche sulla morfologia e fisiologia della glandola cecale [appendice digiti- — 202 — forme] degli Seyllium, e sulla funzione del processo vermiforme dell’uomo e dei mammiferi » (st.). — 5) « La funzione dei ciechi del pollo » (st.). 9. RurriNi ANGELO. 1) « Di una nuova guaina [guaina sussidiaria] nel tratto terminale delle fibre nervose di senso nell'uomo » (st.). — 2) « Le espansioni nervose periferiche alla luce dell’analisi moderna » (st.). — 3) « Contributo alla conoscenza della autogenesi degli anfibî anuri ed uro- deli » (st.), — 4) « Un metodo di reazione al cloruro d'oro per le fibre @ le espansioni nervoso-periferiche » (st.). — 5) « Appunti di citologia intorno agli elementi ectodermici della gastrula negli anfibii urodeli » (st.). — 6) « Contributo alla conoscenza della ontogenesi degli anfibii urodeli ed anuri [Nota seconda] » (st.).. — 7) «Riflessioni sulla Nota del dott. F. Tello: La régenération dans les fuseaux de Kihne » (st.). — 8) « La evoluzione. termica e l’eliotropismo positivo durante lo sviluppo delle uova di Bu/o vulgaris» (st.). — 9) « L'ameboidismo e la secrezione in rapporto con la formazione degli organi e con lo sviluppo delle forme esterne del corpo » (st.) — 10) « Di alcune rare anomalie nella pars mastoidea del temporale umano » (st.). — 11) « Sul muscolo interdigastrico di Bianchi e sull’aponeu- rosi soprajoidea od intermediojoidea; rarissimo caso di mancanza bilate- rale del ventre anteriore del muscolo digastrico della mandibola » (st.). — 12) « Di una singolare anoîalia della staffa in un cranio di feto umano » (st... — 183) « Ricerche anatomiche ed anatomo-comparate sullo sviluppo della pars periotico-mastoidea del temporale, e sul significato dell’apofisi mastoide » (st.). — 14) « L'origine, la sede e le differenziazioni dell’abbozzo del sangue e dei vasi sanguigni nel blastoderma di pollo » (st.). 10. Russo AcHiLLe. 1) « Il ciclo di sviluppo del Cryptochilum Eehini Maupas » (ms.). — 2) Album di tavole illustrative (ms). — 3) « Materiali per lo studio delle reti a strascico nel golfo di Catania » (ms.). 11. Silvestri FrLippo. 1) « Embriologia degli insetti » [cinque opuscoli]; (st). — 2) « Nuovi ordini di insetti » [tre opuscoli ] (st.). — 3) « Tisanuri » [25 opuscoli] (st.). — 4) « Termiti e termitofili » [14 opuscoli] (st). — 5) « Embioptera: Embiidae » [2 opuscoli] (st.). — 6) « Emitteri: Cdecidi » [2 opuscoli] (st). — 7) « Coleotteri: morfologia e biologia » [2 opuscoli] (st.). — 8) « Imenotteri » [2 opuscoli] (st.). — 9) « Mirmecofili » [3 opu- seoli ] (st... — 10) « Entomologia agraria » [19 opuscoli] (st.). — 11) « Arac- nidi » [2 opuscoli] (st.). — 12) « Miriapodi » [17 opuscoli] (st.). 12. Sterzi GiusepPE. 1) « Morfologia e sviluppo della regione infun- dibolare e dell’ipofisi nei petromizonti » (st.). — 2) « Intorno alla struttura dell'ipofisi nei vertebrati » (st.). — 3) « Sulla regio parzetalis dei ciclostomi, dei selacii e degli olocefali » (st.) — 4) « Il sacco endolinfatico : ricerche- anatomiche ed embriologiche » (st.). — 5) « I progressi della nevrologia » (st... — 6) « Intorno allo sviluppo del tessuto nervoso nei selacî » (st.). — 7) « Lo sviluppo della scissura interemisferica ed il significato del terzo ven- — 203 — tricolo » (st.). — 8) « Intorno alle meningi midollari ed al legamento den- ticolato degli ofidi » (st.). — 9) « Sullo sviluppo delle arterie centrali della midolla spinale del bulbo e del ponte» (st.). — 10) « Il significato anato- mico dell'encefalo e del cervello dell'uomo » (st.). — 11) « Anatomia del sistema nervoso centrale dell'uomo » (st.). — 12) «I vasi sanguiferi della midolla spinale » (ms.). — 183) « Giulio Casseri anatomo e chirurgo [1552-1616]: ricerche storiche » (st.). — 14) « Le 7abulae anatomicae ed i codici marciani, con note autografe di Zieronymus Fabricius ab Aqua- pendente » (st.). — 15) « Josephus Struthius, lettore nello Studio di Padova » (st.) — « 16) Il merito di L. Botallo nella scoperta del forame ovale » (st.). — 17) « Il tessuto sottocutaneo (tela sudeutanea) » (st.). Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premî del Ministero della Pubblica Istruzione, per le Scienze matematiche. (Scadenza 31 dicembre 1915 — Due premî, di L. 2000 ciascuno). 1. Borrasso MartEO. 1) « Sulla determinazione del tasso di una ren- dita temporanea variabile e continua » (st.). — 2) « Sopra alcune estensioni di teoremi di Guldino » (st). — 3) « Sopra alcune formule di quadratura usata in attuaria » (st.). — 4) « Sull'operatore differenziale binario S » (st.). — 5) « Alcuni complementi ad una recente Memoria di É. Picard» (st.). — 6) « Sopra l'equilibrio astatico e sull’equivalenza di due sistemi astatici » (st.). — 7) «Sistemi astatici equivalenti a due forze astaticamente irridu- ‘cibili » (st). — 8) «Sugli assi d’equilibrio e sulla stabilità ed instabilità dell'equilibrio nei sistemi astatici » (st.). — 9) « Astatique » (st.). — 10) «So- pra un nuovo problema dei valori al contorno per un cerchio » (st.).— 11) « Sul- l'equilibrio delle piastre elastiche piane appoggiate lungo il contorno » (st.). — 12) « Sur une enveloppe de droites » (st.). — 13) » Sulla flessione delle su- perficie inestendibili » (st.). — 14) « Burali-Forti C. et Marcolongo R., Ana- lyse vectorielle générale (recensione) » (st.). 2. CHERUBINO SALVATORE. 1) « Sopra un teorema della teoria dei mo- duli di forme algebriche » (st.). — 2) « Sopra una questione didattica » (st.). — 3) « Sulle curve iperellittiche con trasformazioni birazionali singolari in sè e sui loro moduli algebrici » (st.). — 4) «Sulle curve iperellittiche con trasformazioni birazionali di 2 specie in sè » (st.). — 5) « Sulle curve e sulle superficie algebriche con uno speciale tipo di trasformazioni birazionali in sè » (st.). — 6) «Sulle curve e sulle superficie algebriche ammettenti un gruppo finito e ridotto di semiproiettività di 1% e 22 specie in sè » (st.). — 7) «Sopra un metodo di postulazione » (st.). — 8) Identità ed autoidentità semiproiettiva ridotta di due forme algebriche ad x 4-1 variabili (Note I e II)» (ms.). —Q04 — 5. MarLETTA GiusEePPE. 1) « Sui complessi di rette dell'S,, d'ordine 2 e di 4 specie, e in particolare su quella di classe 4» (st.). =.‘ Q) Sul complesso di rette dell'S,, di 4 specie, d'ordine 2 e di classe 4» (st.). — 3) « Sulle superficie algebriche con infinite coniche, e, in particolare, su quelle d'ordine 5» (st... — 4) «Sulle superficie algebriche d'ordine 6 con infinite coniche » (st.). — 5) « Delle superficie algebriche con infinite coniche » (st). — 6) « Le superficie algebriche d’ordine 6 con infinite coniche » (st.). 4. NaLLI Pia. 1) « Sopra una nuova specie di convergenza in media » (st.). — 2) « Aggiunta alla Memoria Sopra una nuova specie di conver- genza in media» (st.). — 3) « Esposizione e confronto critico delle diverse definizioni proposte per l'integrale definito di una funzione limitata o no » (st... — 4) «Sulle derivate seconde generalizzate e sugli sviluppi in serie trigonometriche delle funzioni integrabili secondo Denjoy » (st.). — 5) « Sulla serie di Dirichlet » (st.). — 6) «Sulle serie di Fourier delle funzioni non assolutamente integrabili » (st.). 5. Pucciano GiusePPE. 1) «I principî dell'ordinamento naturale e della continuità » (st.). — 2) «Introduzione alla teoria generale delle grandezze lineari, finite, non finite e continue » (st.). 6. Rosati CARLO. 1) « Sulle assintotiche della superficie di Kummer » (st.). — «Sulle corrispondenze algebriche fra i punti di una curva alge- brica » (st.). — 3) « Sugli integrali abeliani riducibili » (st.). — 4) « Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica, e, in particolare, fra i punti di una curva di genere due» (st.). Concorso al premio di Fondazione Santoro. (scaduto col 31 dicembre 1915). Elenco dei lavori sui quali venne richiamata l’attenzione dell'Accademia dai seguenti concorrenti: I. Gorini CosrantiNo. « Ricerche batteriologiche sui foraggi conser- vati nei s7/0s » (sette Relazioni) (st.). 2. Marchese DE' Luna G. 1) « Liquidazione d'indennità per gli in- fortunî sul lavoro » (st.). — 2) « Le concause in tema d'infortunio » (st.). — 3) « Influenza delle malattie, preesistenti. agli infortunî, sulla misura della indennità » (st.). — « Misura della guaribilità ed indennità relativa dei morbi dipendenti da infortunio sul lavoro » (st.). — 5) « Per la calcolazione della capacità lavorativa in tema d'infortunio sul lavoro » (st.). — 6) «La simu- lazione in tema d'infortunî sul lavoro » (st.). — 7) « Per la liquidazione — 205 — della parziale temporanea da infortunio sul lavoro » (st.). — 8) «Nevrosi da trauma » (st.). 3. MartINoTTI Luis. « Il ritorno alla vita» (ms.). 4. Mazza Epoarpo. « Sulla forza centrifuga » (ms.). 5. PorcaRI GABRIELE. «Sulla sicurezza ed il perfezionamento delle navi e degli aerostati » (ms.). i 6. VeEcELLIO ALEssANDRO. « L'equilibrio nel mondo fisico » (ms). E. M. — 206 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA ‘presentate nella seduta del 6 febbraio 1916. AmrgHino C. — Sur un fémur de « T'oxodon chapalmalensis » du Tertiaire de Mira- mar, portant une pointe de quartzite introduite par l'homme (présentée par le Président, accompagnée d’un mou- lage). s. 1. nec d. f. vol. Corparo G, L’inesistenza dell’etere negli spazi dell'universo, e nuova teoria sulla luce, Caltanissetta, 1913. 8°. Fossa - Mancini E. — La presenza del pliocene nella collina di Rosora, in provincia di Ancona. (Estr. dagli « Atti della Società toscana di scienze na- turali », vol. XXIV). Pisa, 1909. fol. Fossa - Mancini E. — Lias e Giura nella montagna della Rossa. (Estr. dagli « Atti della Società toscana di scienze naturali », vol. XXX). Pisa, 1915. 8°. Fossa - Mancini E. — Note di ammonito- logia. I. Le ammoniti dell’alta Brianza descritte e fisurate da H. Rassmuss. Parmas 1915-8000 ‘Fossa - MancinI E. — Osservazioni critiche sugli « Hammatoceras ». (Estr. dai « Processi verbali della Società toscana di scienze naturali », vol. XXIII). Pisa, 1915. 8°, Fossa - Mancini E. — Qualche nuova os- servazione sulla grotta di Vernino. (Estr. dal « Mondo sotterraneo. Rivista di speleologia e idrologia », an. X). Udine, 1915. 8°. LeeranD L. — La sélection du plasma spécifique. Esquisse d’une théorìe cyto- mécanique et cytochimique de la vié. Paris, 1916. 8°. MeRLAC A. H. — De la création des pla- nètes. Toulouse, 1915. 8. MirLI A. — Le scuole ionica, pythagorica ed aleata. (I prearistotelici, I). Firenze, 1916. 8°. PascaL E.— I miei integrafi per equazioni differenziali. Napoli, 1914. 8°. Prano G. — L'esecuzione tipografica delle formule matematiche. (Estr. dagli « Atti della R. Accad. delle scienze di Torino », vol. 51). Torino, 1915. 8°. Rendiconti delle Sedute dell’anno accade- mico 1914-1915. (Seminario matemat. della Facoltà di scienze della R. Uni- — versità di Roma). Roma, 1915. 8°. Tank F. — Ueber den Zusammenhang der dielektrischen Effektverluste von Kon- densatoren mit den Anomalien der Ladung und der Leitung. Leipzig, 1915. 8°. Tavole Nautiche raccolte e pubblicate per cura dell’ Istituto idrografico della Regia Marina. Genova. 1915. 8°. . il cdi iii do i PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Da annuncio della morte del Socio straniero Sir Henry Roscoe. Pas. PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei Corrisp. Pascal, Peano e del Contr'Ammiraglio M. Giavotto <<... 0. » Paternò. Presenta una pubblicazione del dott. Aldo Mieli e ne parla . . . . » Volterra. Offre la pubblicazione: Rendiconti delle sedute dell'anno accademico 1914-15 è ecc., e ne discorre . SOIOE E SE SN ” CONCORSI A PREMI Iliilosewich (Segretario). Comunica gli elenchi dei concorrenti al premio Reale per le Scienze biologiche, ai premi del Ministero della P.I. per le Scienze matematiche e al premio di ROIPALCSTAOEI IT A BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO . » 199 200 206 RENDICONTI — Febbraio 1916. INDICE n «Sa Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 febbraio 1916. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulle rappresentazioni normali uniformi degli spazî a curvatura costante. . Pag. 197 o Pascal. La risoluzione meccanica esatta delle equazioni differenziali lineari generali e: 3: Qo0rdIner (0) Ro ; È II RE 138 Sa Andreoli. Le equazioni differenziali e > l'integrazione delle Ca (res dal Socio 33 VAART ARE - È; nica Fubini. Su una classe di congruenze w di e Sn, pes dal ST Bia Nalli. Sopra un’applicazione della convergenza in media (pres. dal Corrisp. Bagnera) 294 1 9g Serini. Sulla deformazione di un suolo elastico nel caso dell’eredità lineare, per date tensioni IEEE superficiali (pres. dal Socio Levi-Civita) . . . ; a , ali Terracini. Sulle varietà trasversali delle rigate algebriche di uno spazio pari ps dal Socio SE ne) eran SID) Tonelli. Sulla ricerca Sa RASO riutve ire dal Socio Pci VA RE Guglielmo. Intorno ad alcuni modi di calcolare l’esperienza di Dresano (pres. dal Socio RAlasera) (CE ne ni: È no 17 Marino e Becarelli. Ricerche sulle n ES ao di Tipico us Iv: Sul bio I cosiddetto sottobromuro di bismuto (pres. dal Socio Nastizi) 0/0 /// SLI si Campbell. Sulla persistenza dello stilo sul frutto degli agrumi (pres. dal Socio Pirotta). n° 3 Clementi. Ricerche sulla scissione enzimatica dei Polipeptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali (pres. dal Socio Luciani) . . ga Mignone. Osservazioni biologiche sulla Recurvaria a Hb, microlepidottero oi dr Mi agli alberi fruttiferi (pres. dal Socio Grassi)... . FRAMETTTE O 18 Lanfranchi. Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle iii alati A l’uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identifica- | zione del vi'r.u:s.(pres. dal Socio; Grass) Re VERO nn MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Paoli. « Risultati botanici della Missione scientifica Stefanini ‘Paoli nella Somalia Li meri- Ne: dionale »-(pres...dal Corrisp.182cceNM) II - RELAZIONI DI COMMISSIONI Podi ATO (relatore) e Reina. Relazione sulla Memoria del dott. r. Cantelli, intitolata. se «Sulla, legge' dei: grandi numeri»: es E ? è ch erat que te Segue in terza pagina. ni fr4 d x Pa (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. fitinlicazione bimensile. VETI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCXIII. 1916 TR I SHRIH QUINTA SW RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 febbraio A916. Volume XX YV° — Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1916 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali val gono le norme ‘seguenti ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del. l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici ‘fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus» sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. ‘ da estranei, la Presidenza nomina una Com- ‘contenuti nella Memoria. -.c) Con un ring | posta dell'invio della Memoria agli Arch cedente, la relazione è letta in seduta pubbli che i manoscritti non vengono restituiti a gica DE I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro; priamente dette, sono senz'altro inserite nel Volumi accademici se provengono da Soci de da Corrispondenti. Per le Memorie presentat ‘sf missione la quale esamina il lavoro e ne rife risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude. con una delle guenti risoluzioni. - @) Con una proposta. stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - è) Col deside di far conoscere taluni fatti o ragioname ziamento all'autore. - d) Colla semplice pr dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. P nell'ultimo in sedutà segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esaì data ricevuta con lettera, nella quale si avverti autori, fuorchè nel caso glo dall'art. dello Statuto. \ 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli tori di Memorie, se Soci O) Cono che fosse richiesto, è messo a carico autori. © vi RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classefdi scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 febbraio 1916. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sul differenziale dell'arco di curva. Nota di LronipA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Data una curva continua e rettificabile C: 3 dee ue z(t) (a3t=D), se le funzioni x(t) ,y(),(%) sono assolutamente continue, la lunghezza s(t) del suo arco, corrispondente all'intervallo (@«,#), è data dall'integrale classico 3 (1) 1 SIEG+7R +70. (Le Da ciò si deduce, differenziando, che è quasi dappertutto (2) ia Di Nelle pagine che seguono dimostreremo {senza far uso della (1)] che questa formola è del tutto generale, vale a dire che essa sta tutte le volte che la curva C è rettificabile, siano o no le x(t) ,y(4) , «(t) assolutamente continue. Daremo poi una formula per l’espressione di s(:), dalla quale scenderà, nell'ipotesi sopra ricordata, la (1). (1) L. Tonelli, Sulla rettificazione delle curve (Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. XLIII, 1908). ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 28 SS — 208 — 1. Inscriviamo nella C una poligonale 7, di vertici consecutivi P®, POI). PS corrispondenti ai ..valori:-£0- ==>. < ateo —birdel e nl parametro #. Detta s” la lunghezza dell'arco P P© della C, ad ogni valore di s compreso fra s'e s corrisponde un punto P dell'arco par Pb PM, e ad ogni intervallo d=(s,5°) di (s-V,s©) corrisponde un CES . . | arco PP" di PV P#, di lunghezza d. Scelto ad arbitrio un numero po- sitivo «, consideriamo la funzione dell'intervallo d PP" S(PP5) F(9)=1— eaetà dove PP' indica la lunghezza della corda PP' e s(PP') quella dell'arco PP della C. Costruiamo per questa funzione F(d), e relativamente all'inter- vallo (sf, s©), i sistemi d'intervalli 4 e 4 definiti nel n. 1 della mia Nota Successione di curve e derivazione per serie (*), e contrassegniamo tali intervalli con l'indice 7, scrivendo 4 e 4, Avremo, per ogni arco pp, corrispondente a un 4”, 1-7 __ E, per ogni altro appar- agg tenente a PV P® e tale che P sia esterno a tutti gli archi che corri- spondono ai 4, 1 N° Inseriviamo in C una nuova poligonale n servendoci dei vertici di 7 e dei punti corrispondenti agli estremi di un gruppo d'intervalli, comunque scelti in numero finito fra i 47) (r= 1,2...; a=1,2,..) Indicando con L la lunghezza della C, e con gli stessi sim- boli 77 e 77 le lunghezze delle poligonali 77 e 7’, abbiamo L—7 0 per LESS Qual p —> o. Alla successione degli archi di C e a quella dei vertici dei poli- goni 77, ambedue relative a p, corrisponderà una successione d{?, MP, ..., IP... di segmenti non sovrapponentisi di (4,0) (alcuni dei quali — quelli che corrispondono ai vertici dei 77 — possono ridursi a punti) ricoprenti £, e formanti complessivamente un insieme misnrabile di punti, che indicheremo con E®. Sia E, l'insieme dei punti comuni a tutti questi E®. E, è mi- surabile e contiene £,; ed è o, = Deal r Liv s'(1) dt = di s'(t) dt. Essendo o, > 0, è f, s'(4) dt=0. Dunque su Ex, e quindi anche su L;, è quasi SA dappertutto s'(t)="0. 3. Ciò premesso, sia { un punto di (4,0) non appartenente all'in- sieme £,--I, dove I è l'insieme di misura nulla sul quale una almeno delle derivate x'(4) , (4), '(4) . s'(4) non esiste finita. Sia poi #, un altro punto qualsiasi di (4,0). Detti P e P, i punti SOrASPOnAolA dii fel) OE +0) — UO +}s(1) — (0° = PP, . Dividendo (se non è PP,=0) tutto per (4, — 4)® e moltiplicando e dividendo il secondo membro per {s(4) — s(4)}?, si ha al DO 59 tr —>t, tenendo conto di (3), 1294 +/y (AP +10)? =|s(1)}?, uguaglianza valida per ogni £ esterno a 2,41. Se poi £ i a £,, pur essendo sempre esterno a I, si ha je} +37 (0 +4) ={s(){?, e qui vale an- cora quasi dappertutto il segno di uguaglianza, perchè, quasi dappertutto, su 2, è s'(4)=0. Concludendo: Se la curva continua C è rettificabile, vale a dire se le x(t), y(t), (t) sono funzioni continue, a variazione li- 2 9) Lg —2 mitata, vale quasi dappertutto la da 4 dy 4 de = ds. 4. L’uguaglianza precedente, tenendo conto della disuguaglianza t% So — Sh= | s(t) dl, valida anch'essa in ogni caso, dà s()= OL 2) +70 +70 di E poichè nella disuguaglianza ricordata vale il segno di uguaglianza se, e solamente se, la s() è assolutamente continua, altrettanto sì dirà per la validità di (1). Rieordato, allora, che la condizione necessaria e suffi- ciente affinchè la s(/) sia assolutamente continua è che sian tali le x(t), y(t) ;e(t), sì ritrova, per la validità della (1), esser necessario e sufficiente che le x(t), y(t) , #(4) siano assolutamente continue. — 211 — 5. Ritornando al caso generale, del quale si sa solo che le x(%), y(4) 2(4) ‘sono continue e a variazione limitata, indichiamo con E l'insieme (neces- sariamente di misura nulla) nel quale una almeno delle derivate &', 7%", non esiste finita. Rinchiudiamo, nel senso stretto (fatta, al più, eccezione per a e d),i punti di E in una successione di intervalli, non sovrapponen- tisi, 0,,0:,...,0,,... (*), e definiamo in (a, 8) la funzione X{?) nel se- guente modo: fuori degli intervalli d, e nelle loro estremità, poniamo X(#)=x(%) e in ciascun d facciamo variare la X (7) linearmente. La X(/) risulta così continua e a variazione limitata [con una variazione totale non superiore a quella di 4(/) ] ed ha in ogni punto la derivata destra finita, la quale, fuori dei d,, coincide con x'(/) (*). In modo analogo si definiscano le funzioni Y(t),Z(). Queste X,Y,Z, avendo le derivate destre sempre finite ed essendo a variazione limitata, sono anche assolutamente continue, ‘e per la curva C, che esse definiscono, vale dunque la (1). Si ha pertanto, indicando con I° il complementare dell'insieme formato dai punti di tutti 1 d,, e con S(d) la lunghezza della O, so=f {ixor+imortizor + +S (IIXOP+IOR+IZ0r Maine = = yi Zi=viosu d = (5, ) le XK Y,Z variano Jinearmente; si ha, perciò, s0)=[VO+/0+ 70 d+ + X [Re 10) NL. Al tendere di Xd, a zero è a De RE [vaga +e? di > [ Val 4y' 4g? di ed è anche S(0) —> s(2), perchè, da una parte, è sempre S(2)< s(d), e, dall'altra, essendo C la curva limite della C, il minimo limite di S (2) non può essere inferiore a s(0). Esiste dunque il limite anche per D_Y/... .ì, (*) Dunque ogni punto di E, fatta eccezione al più per a e 0, è interno al un in- tervallo d', oppure è l’estremo comune di due d contigui. (?) Cfr. il n. 5 della mia Nota Successioni di curve e derivazione per serre, Nota II (questi Rendiconti, gennaio 1916). ee DI I e questo limite, che indicheremo con /(0), è indipendente dal modo nel quale sono stati scelti i d, (purchè rinchiudano sempre, nel senso stretto, l'insieme E) ed anche da quello nel quale si fa tendere a zero 2d,; e si ha, poichè a 4 si può sostituire un qualunque di (4,0), s()= e VETO+7O +70) d+10) dove l(t) (che può chiamarsi la lunghezza della parte di C relativa al- l'insieme E) è il limite della somma delle corde di C corrispondenti ad una successione qualsiasi d’ intervalli di (a,b) che ricoprono, nel senso stretto, l'insieme E, dei punti di (a, t) ove una almeno delle a',y', 2" non esiste finita ; ed il limite è ottenuto facendo tendere a zero, in modo del tutto arbitrario, la somma degli intervalli considerati. 6. Se la curva continua e rettificabile C è definita dall'equazione y=" f(x), considerata per tutti gli x di (a,), la formula precedente diventa deri [+ 7®+, e /(x) risulta anche uguale alla variazione totale della f(x) nell'insieme E, dei punti di (4,2) nei quali la /'(#) non esiste finita: vale a dire, al li- mite di X|/(8,)—/(@,)|, per 2(8,—a,) —>0, dove gli (@,,8,) co- stituiscono una successione d' intervalli non sovrapponentisi, ricoprenti, nel senso stretto, l'insieme E, (). Consideriamo, come esempio, la curva continua definita dalla seguente funzione: detto E il noto insieme di Cantor, formato coi punti dell’ inter- vallo. :(0.,-1): di «ascissa. a == ata 3? a: «-, dove i numeratori a non possono prendere che i valori ù e 2, poniamo if Zu pie a AS te da +) poniamo, poi, che la /(4) resti costante negli intervalli contigui a E. L'in- sieme E è perfetto e di misura nulla, e la funzione /(x) (che è quella di cui si è servito il Cantor per dimostrare che E ha la potenza del con- tinuo, e della quale è facile dare una espressione analitica completa) è con- tinua, non decrescente, ed assume negli estremi di (0,1) i valori 0 e 1; inoltre, essendo costante in ogni intervallo contiguo ad È, essa ha quasi (*) Basta, infatti, osservare che è 1/(B) — f(@n)] — Colpa nr. rr een a renna Essere = ‘Rt0, — Questi m'insegna anche come deve essere eseguito con esattezza il cal-. colo degli effetti dei due riscaldamenti; ma non credo che m'insegni bene. Egli non tiene nessun conto dell'esperienza a cui il calcolo si riferisce, e,. per di più, fa sparire l’incognita % che sì vuole determinare e che compa- rirebbe nell'espressione del lavoro adiabatico, perchè a questo sostituisce. l'equivalente termico. Così egli ottiene la differenza e, — e» dei calori specifici, mentre se ne- cerca il rapporto; e l'ottiene espressa in funzione di quantità che l'espe- rienza di Clément e Desormes non dà, con una formula nella quale l’espau- sione adiabatica non entra affatto. Tutto ciò non turba affatto l’egregio critico, perchè autore di questo. ragionamento dovrei esser io, se non equivocassi; ed egli crede d’aver di- mostrato « ad esuberanza » che il ragionamento criticato, equivocando è ine- satto, non equivocando è inutile. Ora, sebbene, tenendo conto delle condizioni delle esperienze, io abbia. creduto e creda opportuno di ottenere il valore di % considerando gli effetti. di due piccoli riscaldamenti del gaz a volume costante e a pressione co- stante, i quali per la loro piccolezza rendono lecite notevoli semplificazioni, ciò non esclude che si possa ottenere il suddetto valore, anche considerando gli effetti di due riscaldamenti non piccoli, e rinunziando alle semplificazioni. Riscaldaudo 1 gr. del gaz di { gradi a volume costante e lasciandolo- dilatare adiabaticamente (e, supponiamo, reversibilmente), ciò che produrrà. un raffreddameato d£; oppure riscaldando il gaz di {—d/ gradi a pres- sione costante, il gaz in entrambi i casi sarà giunto allo stesso stato finale, ed il calore da esso acquistato sarà lo stesso. uguale al calore impiegato, diminuito del lavoro ottenuto. Si avrà dunque cot—-Lyg=cp(t—d)— Ly, indicando con L, ed L, i lavori adiabatico ed a pressione costante. Siccome- l'aumento di volume del gaz è v(t — d4)/T, sarà Loy=pv(t—di)/T=R(1-d)=(0— o)(f— 00), e quindi sì ha Cot—-Lg=c0p(f — di) —(co— 00) (6 — dd), ossia : codt= Ly. Questa equazione esprime che il calore perduto dal gaz per effetto della espansione adiabatica, espresso in ergs, è uguale al lavoro prodotto da essa;. e tralasciando il calcolo precedente si può prenderla come punto di partenza di un modo molto diretto per calcolare £#, esattamente o con varî gradi di. approssimazione. — 217 — Riferendosi all'esperienza di Clément e Desormes, siano p, v Ti, Pe ve Ta, p3 v3 T3 le condizioni del gaz del gran pallone nelle tre fasi del- l'esperienza, cioè inizialmente, appena aperto e subito richiuso il grosso rubinetto, e quando il raffreddamento prodotto dalla espansione sì è dissi- pato. Sarà dunque ps la pressione esterna, pi = po + AR, pa =p. + N, es- sendo 4 ed 7’ le pressioni indicate dal manometro ad aria libera; ed inoltre sarà TT=T,=T la temperatura ambiente, e T,.=T — dT, essendo JT il raffreddamento suddetto. Conviene notare che, essendo il volume del gaz, nella 2% e 3 fase, lo stesso, sarà 02/p3 = T2/T3. Il lavoro prodotto dalla dilatazione adiabatica sarà ROM (NR I pal da (Pe pavo A eee). 1] e tenendo conto che RT,=p;v, e che R=cp— cc, si avrà. per effetto della suddetta eguaglianza, 1-1/K coca ES 1] 2 Ora, come si è visto, T = 7'T:/(p+W#)=(gs — pe) T3/p3; si avrà dunque sa Ps — Pe T3 Pz — Pa P3 Frog =1 —_=1 ENTE ri sarei (6, ne Pa Ta na Pe Pa ossia DI pa" log pi — log ps 3 a = fl — ; K Cia nana (5) (7) log p, — log ps lo stesso valore che si ottiene col calcolo di Poisson e che, siccome le pres- sioni sono poco differenti, può ridursi a 4K=//(h—#). Siccome la piccolezza della variazione adiabatica di pressione consente questa semplificazione della formula, può toruare comodo di tener conto di questa piccolezza, fin da principio, nel calcolo, che può essere ir tal modo molto semplificato, del lavoro adiabatico. Così, nel caso in cui la variazione di pressione sia tanto piccola da potersi trascurare, la suddetta uguaglianza ci dà 0T=p(v—v'); e siccome dalla 18 e 32 fase. a temperature uguali, dell'esperienza, si ha (p+4)v=(p+N)v, ossia v-v=v(h—-NMN)/(p+h), edT=%T/(p+ #), si ha li IO ELIA di TOLETTA TUTTO Tie Se E e — 218 — e, poichè po= RT, R=(c, —c,), si ottiene ’ (4) E li £ bSh capii Questo modo di ottenere il valore di £# è ancor più semplice di quello esposto nella Nota precedente ed in principio della presente, ma suppone che sia già nota l'equivalenza fra calore e lavoro. Siccome l'ipotesi su cui si basano è approssimativa, le formule (2) e (4) sono approssimativamente, non rigorosamente, uguali. Un modo di calcolare il lavoro adiabatico, che, sebbene elementare, è più esatto del precedente, si ha supponendo che in fpdv la pressione sia bensì costante. ma uguale alla media del valore iniziale e di quello finale, e similmente che in fvdp/X sia costante ed uguale al valor medio il vo- lume, ciò che equivale a sostituire la corda all'arco nell’area che rappre- senta il lavoro e che è limitata dall'arco di curva adiabatica (pv* = cost) e dalle due ordinate estreme. Così, essendo p + % e p i valori estremi della pressione, e v,v' quelli corrispondenti del volume, esso lavoro (tenendo conto del suddetto valore di v — v') potrà essere espresso da h i 5% ; DE (p+? n oppure da (v+ e Uguagliando queste due espressioni, si ottiene ph 140M+#W1)/2p CAR 1+4h/2p © ossia, con molta approssimazione, h h' hh' h= N (1 DO ppi tie ) dove appare il piccolo errore che si commette usando la solita formula. Se invece si uguaglia a e.d/ ossia a cs h'T/(p+#), la prima delle suddette espressioni del lavoro adiabatico, si ottiene (5) = LOCAL D(h=-4) kh - SID Vs cal Da I CS SR a I 25 L LN (Pt+$7) RS] , h— N Cr Ti (P+ih), ossia R h h' h' 1 6 Rei corri NH == (6) c, (I ta Cope cre pap — 219 — Uguagliando invece c,0T al secondo dei suddetti valori, si ha STE A DAVIS na Ddr O eee va 7 relazione la quale, sebbene d'apparenza più complicata, non differisce es- senzialmente dalle precedenti. È difficile stabilire quale fra i precedenti valori corrisponda meglio alle condizioni dell’esperienza. Ai calcoli precedenti, come pure a quello di Poisson, si possono fare varie obbiezioni che rendono assai dubbio il grado d’esattezza teorica di cui essi sono suscettibili. In primo luogo, essi si riferiscono ad una massa determinata di gaz, quale potrebbe aversi producendo la variazione adiabatica di volume me- diante uno stantuffo; ma con questa disposizione lo stantuffo sottrarrebbe una parte non trascurabile del calore prodotto dalla compressione, oppure riscalderebbe il gaz che, dilatandosi, si raffredda; e perciò (suppongo) Kohl- rausch (Pogg. Ann., 136), che appunto esercitava nel gaz la rarefazione me- diante un colpo di stantuffo, ottenne per % valori assai minori del vero. Se invece, come di solito, si lascia che il gaz, un po’ compresso, si espanda nell'atmosfera, o che. un po’ rarefatto, riceva aria dall’ esterno, la massa del gaz, e quindi la variazione della quantità di calore che essa pos- siede, non sono ben determinate, poichè una parte del gaz dell'esperienza sfugge, oppure ad esso si aggiunge aria esterna. Inoltre l’irreversibilità della variazione rapida di pressione lascia dubbio quale sia il valore reale del lavoro corrispondente, e solo può dirsi che quello che corrisponde alla variazione reversibile, e che conduce alla formula lo- garitmica (3), è certamente troppo grande, e che quello a pressione costante uguale a quella esterna. e che conduce alla formula (4), è minore del vero; forse la media dei due valori è preferibile ad entrambi, che del resto sono poco differenti, perchè 4/p è, di solito, molto piccolo. Una obbiezione, che pone in dubbio la base stessa dei calcoli suddetti, sta in ciò, che non è punto evidente che nel passaggo di un gaz da un ambiente in un altro (o nell’atmosfera), ove la pressione sia minore, si abbia produzione di lavoro, ed anche, ammesso ciò, che esso sia espresso da fpdv e non da fhdv. Basti il notare che l’interposizione di un tampone poroso (esperienza di Joule e Thomson) rende nullo l’effetto termico, ciò che prova che non vi è il lavoro equivalente. Il primo principio di termodinamica, che è certamente e sempre sod- disfatto, stabilisce che il lavoro prodotto o assorbito ed il calore scomparso o apparso sono eguali, ma non quale sia esso lavoro; ed anche il secondo principio, stabilendo che la formula di Poisson vale quando l’entropia è co- — 220 — i stante, ossia quando e, AdT + 4/=0, non dà aicun indizio sul valore dei singoli termini. ] Il valore dell'effetto termico potrà essere ottenuto solo mediante la teoria cinetica dei gaz, considerando che, per effetto della differenza di pres- sione, e quindi di densità del gaz nei due ambienti, si produce un moto sta- tistieo (non gia prodotto dall'azione di forze) del gaz da un ambiente verso l’altro, e che, per effetto degli urti nel recipiente ove la pressione è maggiore, le molecole della corrente subiscono un aumento di velocità nella direzione del moto; si avrà così un trasporto di calore nel senso del moto. Ne seguirebbe, dunque, che finora il calcolo dell'esperienza di Clément e Desormes è affatto empirico, ammissibile solo perchè dà valori concordi con quelli ottenuti dagli altri metodi. Alla fine della Nota citata ho indicato molto brevemente ed affretta- tamente come nell'esperienza di Clément e Desormes si abbia un mezzo elementare molto semplice per dimostrare la trasformazione del calore in lavoro e viceversa, e per dedurne l'equivalente meccanico della caloria. (Con vantaggio della chiarezza e con una piccola diminuzione nell'esattezza, la compressione o rarefazione potrebbe esser prodotta mediante uno stantuffo). Così, per es., in una esperienza nella quale fu k= 14 cm. d’acqua, h'=4 cm. alla temperatura di 27°, ossia 300 assoluti. ed alla pressione esterna di 1000 cm., il lavoro della dilatazione misurato in Kgr. cm. (ossia prendendo come unità di forza il Kgr., come unità di lunghezza il cm., come unità di pressione il Kgr. per em?) era v(h—#')=v(0,014—0,004) = = v/100 Kgr. cm., ossia v. 10-4 chilogrammetri, mentre il calore perduto dal gaz nel produrre la dilatazione era vD.e,.0!", ossia vD e, NT/p, cioè v.0,00120.0,17.300.0,004 gr. calorie approssimativamente, cioè 0,25. 1079 Kgr. calorie e l'equivalente meccanico risulta 10-4/0,25.107° ossia 400 Kgrm. L'egregio critico fa ancora notare il supposto equivoco del quale ha già riconosciuto la piccolissima importanza; poi, continuando, scrive: « Vo- lendo semplificare il calcolo della pressione adiabatica, L'A. arriva a porre pdv= — vdp; ora questa condizione equivale a supporre che la trasforma- zione sia isotermica e non adiabatica. Se, ciononostante, l'A. giunge infine a scrivere esattamente l’ultima formula che dà l'equivalente meccanico, ciò dipende dall'aver egli supposto che nell'esperienza di Clément e Desormes il valore di X sia dato esattamente dal rapporto fra le differenze di pres- sione osservate, mentre quello non è che una espressione approssimata; l'espressione esatta è quella in funzione. dei logaritmi delle pressioni, che l'A. stesso ha ricordato (ricavato) in principio della sua Nota ». Risulta, da ciò, che l'egregio critico ritiene che si possa dedurre una relazione esatta da un'equazione erronea nella quale uno dei membri è 1,4 volte (1,67 volte se il gaz è monoatomico) maggiore dell'altro. — 221 — Astenendomi dal giudicare questa sua opinione, mi preme notare che ‘essa non trova nessun appoggio nel ragionamento criticato. Dalla suddetta equazione non venne dedotta nessuna relazione esatta (e neppure nessuna erronea), ed essa non venne dedotta con nessun ragionamento. Essa, che è contenuta in un brevissimo inciso « (cioè pdv= — ndp) » è dovuta uni- ‘camente al seguente errore di trascrizione, sfuggito appunto perchè non se ne fece uso. Ponendo, nella relazione p(v — v)=v(h—H#!), dv invece di o — 2’, sbadatamente, parve naturale di porre h — 4 = dh ossia = dp. Invece, siccome quando la pressione passa da p + % a p, il volume varia da v a 0, seo—ov = dv sarà h= dp. (Inoltre X ed #' sono due diversi dp: totale il primo, causato dalla variazione del volume e della temperatura; parziale l’altro, causato dalla variazione della sola temperatura; e la loro differenza non potrebbe esser rappresentata da un solo simbolo). Quindi, siccome dalla relazione 4 = %/(f — #'), esatta nel caso sud- «detto di variazioni infinitesime, si ricava 4-- 4'= %h= Kkdp, la relazione p(o—v)=v(h— HW) avrebbe dovuto esser trascritta pdo = — vdp/K. Il valore esatto dell’equivalente meccanico è stato dedotto invece dalla ‘espressione approssimata del lavoro v(% — #'), che rimane quindi (nelle con- dlzioni dell'esperienza) dimostrata. Chimica. — £vcerche sulle combinazioni subalogenate di al- «cuni elementi. Vi: Sul cosiddetto sottocloruro di bismuto. Nota di L. MaRrINO e R. BECARELLI, presentata dal Socio R. NASINI. Riferiamo in questa Nota i risultati delle ricerche da noi proseguite sul sistema bismuto-cloro, in analogia con quanto abbiamo già fatto a pro- posito dei miscugli di bismuto-iodio e di bismuto-bromo (?). Presentandosi anche qui le stesse cause di errore per quelli già ricor- «dati, fu necessario servirsi dei soliti tubi e operare sempre su 50 gr. di miscuglio, che riscaldavamo nel solito dispositivo. Data l'avidità con la quale il tricloruro attira l’acqua, non trovammo conveniente di preparare sintetica- «mente, meno che per le concentrazioni a basso tenore in cloro, i nostri mi- -scugli negli stessi tubi nei quali doveva più tardi essere eseguita la fusione. Si finisce sempre coll’ introdurre qualche traccia di umidità che non è più ‘cosa facile eliminare. È. vero che le ulteriori esperienze ci hanno dimostrato ‘non essere i risultati termici infinenzati da piccole quantità di ossicloruro; ma queste nel caso nostro, dovevano essere assolutamente evitate, sia perchè ‘occorreva stabilire la natura della sostanza solida che si genera intorno a (1) Ved. Rend. R. Ace. Lincei, XXI [5], pag. 695 ; ibid. XXIV [5], pag. 625; ibid. XXV ‘[5] pag. 105 e 171. Per quanto riguarda il contributo sperimentale portato da ciascuno -di noi nell'esecuzione del presente lavoro, vedere la Nota II in questi Rendiconti, XXIV {5], pag. 625. — 222 — : E 300°, sia perchè le tracce d'acqua, pur reagendo per dare ossicloruro, fini- scono sempre col provocare la rottura dei tubi. Preferimmo perciò preparare tutti i nostri miscugli per aggiunta di bismuto al tricloruro anidro. Questo proveniva dalla ditta Kahlbaum o dalla ditta Erba, ed era sempre risubli- mato nel vuoto entro tubi di vetro a pareti spesse e del diametro di circa 3 cm., strozzati a metà in modo da lasciare un foro di circa 1 cm. Finita la sublimazione, si chiudevano alla lampada le estremità del tratto di tubo. in cui trovavasi il prodotto anidro il quale rimaneva così conservato fino al momento di adoprarlo. La miscela fusa era mantenuta varie ore a 370° e 380° prima di prendere la curva di raffreddamento, la quale veniva sempre controllata per quattro o cinque volte, rifondendo la massa e rilasciandola per altre due ore o tre all’anzidetta temperatura. Tanto le curve di raf- freddamento quanto quelle di riscaldamento furono ripetute varie volte su nuovi miscugli operando nello stesso modo; e i risultati ottenuti furono sem- pre gli stessi. La velocità di raffreddamento era di circa 19,5 per minuto primo. La coppia veniva sovente controllata prendendo come punti fissi delle scale, oltre lo zero e il cento, i punti di fusione dello stagno (232°) e zinco (419°). Il bismuto adoperato fonde allora a 272°. Le letture del galvano- metro si facevano ogni minuto. Riportiamo nella seguente tabella i risultati ottenuti per una delle nu- merose serie di miscugli impiegati. Ci dispensiamo dal riportare altre serie: di dati perchè essi differiscono assai poco da questi e quindi nulla aggiun- gerebbero alle conclusioni che da essi potremmo ritrarre. TABELLA l. SR ! RO Temperatura Temperatura MEI SIERAgiNi in atomi “alla quale alla quale di Î di la coppia è risalita 2° arrestu == comincia la coppia: Bi | BiCI, Bi | CI a risalire 1° arresto 100 (0) 100 0 2720 — 95 5 90.8 9.2 2440,5 2604 2 90 10 82.9 18.1 244 264 — 80 20 70.1 29.9 240 261 190 70 30 60.6 39.4 247 260 178 60 10 51.9 48.1 238 256 182 50 50 45 d 54.6 240 256 190 40 60 400 60.0 237 255 190 30 70 35.3 64.7 239 249 190 26 80 31.5 63.5 233 237 197 È 10 90 28.0 72.0 - 212 _ — 223 — A giudicare dai dati qui riportati e da quelli numerosissimi ottenuti in analoghe esperienze, si dovrebbe concludere che 0,07 S = 0,74 99,95 Va notato che dal materiale originale, per mezzo di ammoniaca, si estrae la quantità suindicata di As, 03, così che noi possiamo eliminare i 5,23 %/ che forse non sono altro che piccole quantità di arsenolite inchiuse tra le fibre del minerale, o anche un prodotto d'ossidazione del medesimo. Così pure trascurabili sono gli 0,07 °/, di ferro. : Riducendo allora i dati dell'analisi a 100. e calcolando il rapporto ato- mico degli elementi accessorî dell'arsenico, abbiamo : Rapporto atomico As = 96,04 Sb == 1,09 9 Pb = L08issleotrertd Ag = 018Shtas atea 138 Cu =. Otariast ia 2 S = Ox7Biasioetne 24. 100,00 Stabilendo il rapporto atomico, da principio intendevo indagare sulla eventuale presenza d’un solfosale incluso nella massa preponderante dell’As metallico del nostro materiale d'analisi; ma ben presto mi convinsi che. per tutti i solfosali considerabili si ha sempre un forte eccesso di zolfo libero. i D'altra parte è noto come insieme con l'arsenico nativo di altre località si trovi sempre dell'antimonio metallico, il quale talora suole anche rico- prire gli arnioni di arsenico con una sottile patina, caratteristica pel suo color bianco che non annerisce all'aria: ciò che venne osservato anche su materiale del nostro giacimento. — 229 — E poi le analisi dell'arsenico nativo di varie località ci indicano pure, oltre alla presenza di antimonio metallico, quella di zolfo libero. Solamente pel caso del piombo è molto probabile che esso sia unito a. zolfo in forma di galena. Come vedremo in seguito, appunto nel nostro gia- cimento si osserva che, insieme con l’arsenico nativo e sparpagliate in esso, si trovino quantità rilevanti di galena. Con ciò si può con una certa probabilità ritenere che l'Sb, l'Ag. il Cu e la maggior parte del S si trovino insieme coll’As allo stato metallico. Rimaneva da determinare se il minerale analizzato sia una massa omo- genea o no. Ne scaldai a tal uopo ed arroventai lentamente alcuni pezzetti su lastra di porcellana e, fatti così evaporare l’arsenico e l’antimonio me- tallico, osservai che rimaneva un piccolo residuo. Questo lasciava scorgere ancora la forma originale del pezzetto di minerale sottoposto all'arroventa- mento, e al mieroscopio si mostrava quale un reticolato con barrette di so- stegno più grosse, disposte nel senso della lunghezza delle fibre del mine- rale e con intreccio trasversale velloso, assai più fine. Disponendo di maggior quantità di materiale, sarebbe stato interessante l’analizzare il residuo che. si otterrebbe dal nostro minerale dopo l’arroventamento all'aria o in am- biente neutro, naturalmente non trascurando l'azione che eserciterebbe l’ar- senico a temperatura elevata sulla sostanza del reticolato. Ad ogni modo, noi possiamo definire il vostro minerale quale un arse- nico nativo antimonifero, in cui si trovano ramificate notevoli quantità di Ag e poco Cu, forse metallici, e sparse nella massa impurità quali Ass 0,, PbS, S e tracce di ferro. Interessante dal lato genetico è il fatto che sullo strato inferiore degli arnioni dell’arsenico nativo, che suole incassare il nostro minerale, ad un dato punto, per mutate condizioni d'ambiente, si sia formato ed innalzato il reticolato surriferito, il quale poi, riattivatasi al par di prima la forma- zione dell’arsenico metallico, venne da questo rinserrato nella sua massa e ricoperto dallo strato superiore dell’arnione. Le barrette del reticolato, che sono disposte normalmente alle pareti del- l’arsenico incassante, fecero così assumere al nostro minerale la forma fibrosa indicata. Mi sia ancora permesso di accennare ai minerali concomitanti dell’ar- senico nativo, quali si presentano nel materiale d’esame. Anzitutto si trova frequente la galena con ganga di dolomite ferrifera e di quarzo. In geodine si notano la galena cristallizzata in piccoli ottaedri, insieme con prismetti di quarzo e con cerussite in tipiche laminette incolori. Poi si osserva che, mentre la galena si trova disseminata in strati in- feriori d’arsenico nativo, sopra di essi si è formato l’arsenico fibroso da noi studiato, e quest'ultimo venne a sua volta ricoperto da uno strato di arse- nico nativo e da uno strato superiore di dolomite ferrifera. x — 250 — i Notai pure masserelle di tetraedrite a contatto coll’arsenico nativo e coll'arsenico fibroso, insieme con dolomite ferrifera e baritina laminare ton- deggiante. In una geodina, insieme con cristalli di quarzo ricoperti da limonite, trovai su galena un cristalletto di zolfo nativo. Su altro campione, in geodine, entro l’arsenico nativo spiccano esili cri- stalletti di autimonite a gruppi radiali. Finalmente si notano qua e là, sull'arsenico nativo, scagliette d’orpi- mento ed arsenolite polverulenta. Patologia. — Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nell’uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei virus ('). Nota II del prof. dott. ALESsANDRO LANFRANCHI, pre- sentata dal Socio B. GRASSI. In una prima Nota (*) ho reso noto i risultati ottenuti ricercando il potere agglutinante del mio siero, rispetto ai tre virus Zanfranchii, Gam- biense, Evansi; nella presente riporto quelli ottenuti ricercando il potere tripanolitico di detto siero. Come controllo, nella ricerca di detto potere, feci uso di sei sieri umani normali, gentilmente favoritimi dalla Clinica medica della R. Uni- versità di Bologna. Tutte le cautele, anche in tale ordine di ricerche, furono prese, per allontanare qualsiasi causa di errore. Il potere tripanolitico del mio siero è stato saggiato di fronte ai tre virus già detti, per rilevare, così, come gli anticorpi lisinanti, in esso con- tenuti, si sarebbero comportati di fronte ad ogni singolo v27us; non solo, ma anche le differenze che i resultati avessero presentate, se messi in comparazione con quelli ottenuti, e resi noti, nelle mie antecedenti ri- cerche. Anche in questo caso ho cercato stabilire la ricchezza in anticorpi lisinanti che il siero poteva contenere. A tale scopo, delle due vie che potevo seguire — saggiare tale potere . prendendo in esame le reazioni ottenute mescolando in proporzioni identiche siero e sangue contenente i tripanosomi e lasciandoli per un differente pe- (') Lavoro eseguito nell’Istituto di patologia e clinica medica veterinaria nella R. Università di Bologna. (3) Al. Lanfranchi, Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanoso- miasi animali nell'uomo. Rend. della R. Accad. dei Lincei, 1916. BERIO SIONE (III E Le (PSE SM — 281 — riodo di tempo in termostato; ovvero porre a contatto diversa quantità di siero (fattore variabile) con una stessa quantità di sangue ricco in tripanosomi (fattore costante) — ho prescelto la seconda, anche perchè le condizioni fos- sero eguali a quelle delle antecedenti ricerche. Le differenti diluizioni venivano esaminate dopo un'ora di permanenza al termostato, poichè è ormai stabilito che tale tempo deve considerarsi come limite, di là dal quale i tripanosomi si alterano anche nel siero normale. La tecnica seguìta fu quella indicata da Laveran e Mesnil nel loro trattato. I controlli furono due: l’uno adoperando i sieri normali, l’altro con la soluzione fisiologica. Dati i resultati ottenuti con le ricerche preliminari, quattro furono le prove fatte con ciascun v/7us e con le seguenti soluzioni: una goccia di sangue di ratto con numerosi tripanosomi in circolo e cinque goccie del mio siero o siero normale o di soluzione fisiologica; una goccia di sangue di ratto ecc., e tre goccie di mio siero ecc.; e gradualmente una goccia di sangue ed una del mio siero, o di siero normale, o di soluzione fisiologica; una goccia di sangue e mezza goccia del mio siero ecc. Anche in queste ricerche, i v27us furono diluiti nella medesima pro- porzione di soluzione citrosodica, e furono sempre adoperate pipette dello stesso ‘calibro. Nell'apprezzare i resultati si tenne presente lo stato di perfetta mobilità dei parassiti. Riporto nella tabella sottostante i resultati ottenuti: Virus —> | Lanfranchii | Gambiense Evansi Seri i \/ 7 nix È S JR 2 l 4 sa “ o S.N. - + + io 8 L'ASONI _ AI Î + d sile SN. sa NE ro ale n S.F 2° È So _ — + 58. a e, Sie + SaSiNi zi ER + 2US.E ai Ei 2 SES, E Se L o SN Ta H- rà == SE. In genere, in tutte le prove furono considerati come risultati positivi solo quelli nei quali si aveva tripanolisi completa (—), negativi gli altri (+); RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 81 x — 232 — però, per quanto sì riferisce alla quarta ed ultima prova (nella soluzione co- stituita da una goccia di sangue contenente il Trip. Lanfranchii, e da !/> goccia del mio siero, devo rilevare come, esaminando diversi preparati, vi fossero ancora dei parassiti in via di disgregazione, e rarissimi immobili ma. ancora integri. Tuttavia era bene apprezzabile la differenza fra questo ed il resultato di tutte le altre prove nelle quali ho segnato assenza di tripanolisi (+). Se infatti i parassiti si fossero solo presentati immobili, potevo chie- dermi fino a qual punto ciò poteva stare in rapporto con la presenza di immobilisine, che possiamo supporre debbano verificarsi anche nelle infe- zioni a tripanosomi, dal momento che per parassiti ad essi molto affini quali gli spirilli, Nieteh. Sawtchenko, Marchoux e Levaditi, hanno dimo- strato la loro presenza nel sangue dei mammiferi. Ma, come ho detto, i tripa- nosomi, salvo rarissimi, o avevano subìto una lisi completa, od erano in via di. disgregazione. Ciò indubbiamente sta a parlare per l'azione degli anticorpi. lisinanti; ed il resultato non completo può interpretarsi con l’avere raggiunto, con l'impiego del siero, e leggermente oltrepassata la quantità minima in. rapporto a quella fissa del v27us; in una sola parola, con l'avere forzata al massimo la reazione. Fatta tale constatazione, si deve riconoscere come egualmente, a quelli agglutinanti, siano aumentati gli anticorpi lisinanti, e quindi il potere tri- panolitico. 3 F. Heckenroth e M. Blanchard (!) hanno notato come sia soprattutto nei malati non trattati che si trovano le più elevate proporzioni di reazioni positive, e come ciò sia naturalmente in quelli nel cui sangue i tripano- somi vengono sovente messi in evidenza, tanto che si chiedono: «L'infezione sanguignea sarebbe adunque una condizione che favorisce tale reazione? ». A conferma di quanto dicono tali autori, ricordo solo che nel caso mio la cura era stata sospesa da sei mesi. Circa poi la supposizione di un rapporto tra OO sanguigna e reazione tripanolitica, il mio caso verrebbe pure in appoggio. Già Martin e Darré (*) hanno fatto rilevare «l'abbondanza relativa- «mente grande dei parassiti nel sangue periferico, raramente osservata in. «tale grado nelle infezioni a gambiense ». Una ricaduta sanguigna si era in me verificata poco tempo prima del prelevamento del siero. (*) F. Heckenroth e M. Blanchard, Recherches sur l’éristence des PICO tripa-- nolitiques, ecc. Ann. de l’Instit. Pasteur, 1918, pag. 750. -(*) Martin et Darré, Un cas de trypanomiase humaine contractée en latotato no Bull. Soc. path. éxotique, 1912, pag. 883. — 233 — Ciò corrisponde perfettamente a quanto Heckenroth e Blanchard ripor- stano: « De méme, chez quatre malades n’ayant pas eu du traitement depuis « plusieurs années, et faisant une rechute sanguigne, nous avons constaté «quatre trypanolyses positives ». Ho detto sopra come il mio siero fosse più ricco di anticorpi lisinanti. -che non alle prime ricerche. Ed infatti, mentre in quelle abbisognò la pro- ‘porzione di una goccia del mio siero ed una del virus corrispondente per aver la lisi, in queste è stata bastante una dose di siero assai minore ‘sino quasi a raggiungere quella di !/, goccia per avere lo stesso effetto, ferma restando la quantità del virus. Questa maggiore ricchezza in anticorpi lisinanti esiste anche per gli ‘altri due v27us, di modo che non sono stati turbati i rapporti di equilibrio verificatisi antecedentemente. Per tale ordine di ricerche si deve quindi confermare quanto già rilevai: e cioè che il virus Zanfranchii sarebbe assai più vicino al gambiense «che non all’ £vansz. Il confermato differente comportamento del siero considerato sotto, il punto di vista del potere agglutinante (vedi Nota I) e lisinante, verrebbe in appoggio alle vedute di coloro che tendono ad attribuire ai diversi anti- «corpi, dovuti ad uno stesso antigeno, dei caratteri di specificità ; così le agglu- tinine sarebbero diverse dalle precipitine, e tutte e due di natura diversa dagli anticorpi protettori e dalle sensibilizzatrici. (Laveran e Mesnil, parlando delle proprietà protettrici rispetto ai tripanosomi, affermano che esse sono certamente indipendenti dalle altre proprietà del siero: tripanolitiche, agglu- tinanti, ecc.). Ammesso ciò, sì può ritenere che per un dato antigeno i diversi anti- corpi siano dotati di una specificità di azione o di comportamento più o meno marcata: in altre parole, che sieno atti a risentire gli uni più degli altri l'influenza delle cambiate condizioni ambientali nelle quali vengono a for- marsi, specie « étant donnée la constitution complèxe des matières protéiques -qui servent de support à ces anticorps» (Levaditi e Muttermilch). Gli stessi AA. (!), con le loro ricerche, hanno visto come «un seul et «unique entigène peut donc provoquer la production d’anticorps mierobicides « profondément dissemblables, suivant l’espèce animale qui le regoit; en + d’autre termes, le mème anticorps lytique, ou agglutinant, ou precipitant, « peut offrir des différences de constituction, suivant l’espèce animale qui le -« fabrique, différences qui seront d’autant plus marquées que les espèces -« productrices seront plus eloignées dans l’échelle des étres vivants ». Nel caso presente può supporsi che l'antigeno rip. Evans: penetrato ‘nel mio organismo, per le nuove condizioni di vita ad esso, offerte abbia dato (*) Levatidi e Muttermilch, lavoro cit., pag. 951. — 2384 — luogo ad anticorpi come quelli agglutinanti, che, avendo assunto più spiccate: proprietà agglutinogene, hanno quindi mantenuto il loro potere marcato di azione più di fronte al virus surra che non verso il gambiense ; mentre quelli lisinanti, possedendo una elettività minore di azione, hanno subito in maggior grado l'influenza delle mutate condizioni. in rapporto alla umaniz- zazione del virus surra accidentalmente penetrato nell'organismo, assumendo quindi maggiore specificità di azione di fronte al tripanosoma o che non all Evansi. Come corollario di tale deduzione, un’altra ne consegue. Dai resultati delle” mie prime ricerche è emerso evidente il fatto che, se il virus, che mi ha infettato, nessun rapporto o legame biologico ha con il virus rodesiense (che è pure un virus umano), esso presenta invece infiniti punti di contatto col virus gambiense, tanto da far ritenere esistere per lo meno una stretta pa- rentela fra i due virus Evansi e gambiense. Se gli scienziati inglesi, con alla testa Davide Bruce, ritengono che i trip. Brucei e rodesiense sono identici, e che i casi umani sono rari, in rapporto alla poca sensibilità dell'uomo per il Brxcey, perchè non ammet- tere che tripanos. Evansi e gambiense sieno pure identici, e che i casì del- l’uomo riconoscano la medesima ragione in rapporto alla loro rarità? Certo che i resultati delle ricerche tutte, fino ad oggi da me eseguite, sarebbero in appoggio di una tale ipotesi. Fisiologia. — Aicerche sulla scissione enzimatica dei poli peptidi per azione di estratti di tessuti e di organi animali ('). Nota II del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI. IN Su una proprietà fisico-chimica nuova della leucilglicina e della glicocolla. Le ricerche eseguite sull'azione dell'estratto di fegato di svariati ani- mali sul dipeptide 4-l-leucilglicina, su cui ho riferito nella Nota prece- dente (*), mi hanno offerto l'opportunità di rilevare, a carico del dipeptide d-l-leucilglicina. l’esistenza di una proprietà di indole fisico-chimica, finora non descritta peri polipeptidi e per gli aminoacidi, su cui intendo richiamare brevemente l'attenzione: questa proprietà consiste nell'attitudine della leucil- glicina e della glicocolla a favorire o determinare (in speciali condizioni di (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma. (®) A. Clementi, Ricerche sulla scissione enzimatica dei polipeptidi per azione di. estratti di tessuti e di organi animali. Nota I. — 295 — temperatura e di diluizione) la fiocchificazione, e in parte, la precipitazione lenta dei proteici degli estratti acquosi di organi. Il fatto sperimentale osservato nelle ricerche suaccennate è il seguente: Nelle esperienze 1%, 2* e 3 il campione di estratto epatico, a cui era stato aggiunto il dipeptide d-l-leucilglicina, dopo la permanenza in termostato a 37° era limpido e trasparente, e presentava, sospesi nella parte bassa del recipiente, numerosi fiocchi e coaguli di aspetto grigiastro, laddove il cam- pione del medesimo estratto, che serviva da controllo, ron era limpido, ma solo lievemente e uniformemente torbido e non conteneva coaguli o fiocchi. Questo aspetto fisico-chimico nettamente diverso nei due campioni dimostra che la presenza della d-l-leucilglicina e dei due componenti leu- cina e glicocolla può determinare o favorire, negli estratti acquosi di fegato di alcuni vertebrati, il fenomeno fisico-chimico della fiocchificazione e della precipitazione. Che anche aminoacidi semplici (ad es. la glicocolla) possono esercitare un’azione fisico-chimica analoga tale da favorire (o determinare) alla tempe- ratura di 37° il fenomeno della fiocchificazione e, in parte, della precipita- zione dei proteici in estratti acquosi di organi, viene confermato dalla se- guente esperienza: Di uno stesso estratto acquoso (molto diluito) di fegato di embione umano furono prelevati due campioni: ad uno solo si aggiunse della glicocolla; ambedue si posero in termostato a 37°; dopo 12 ore, si potè constatare che nel campione a cui era stata aggiunta la glicocolla erano apparsi numerosi piccoli coaguli e fiocchi, i quali mancavano completa- mente nell'altro campione. Uno dei quesiti più importanti, che mi propongo di risolvere con ulteriori ricerche, riguarda il carattere di quest'azione fisico-chimica esercitata dalla glicocolla e dalla d-l-leucilglicina: se cioè essa è una proprietà generale degli aminoacidi in genere, o solo una proprietà speciale di alcuni aminoacidi. Inoltre va chiarita la natura dei corpi che dànno luogo al fenomeno della. fioc- chificazione e della coagulazione osservata (se cioè si tratta di proteine semplici, di peptoni, di proteosi o di plasteine); va studiata infine questa azione in rapporto al suo intimo determinismo fisico-chimico. Mi propongo anche di studiare la importanza biologica dei fenomeno in questione, specie in rap- porto ad una eventuale analogia tra quest'ultimo e il fenomeno prodotto dall'azione delle precipitine contenute nes sieri immuni sul siero di sangue, sugli estratti di corpi batterici, ecc., poichè teoricamente si potrebbe pen- sare — ammettendo l'ipotesi che le precipîtine siano fermenti peptidolitici difensivi (4) — che, a produrre la loro caratteristica azione fisico-chimica, par- (*) Alderhalden und Pincussohn, Veder den Gehalt des Kaninchens- und Hunde- plasmas an peptolytischen Fermenten unter Verschiedenen Bedingungen (I. Mitt. Zeit- schrift f. physiol. Chemie, 6/, pag. 200, an. 1909); Alderhalden und Weichardt, Zeder den Gehalt des Kaninchenserums an peptolytischen Fermenten unter Verschiedenen Be- dingungen (II. Mitt. Zeitschrift f. physiol. Chemie, 62, pag. 120, an. 1909). — 236 — tecipino gli aminoacidi resi liberi dalla loro stessa azione peptidolitica. Finora credo di potere affermare pertanto, che il dipeptide leucilglicina e gli aminoacidi leucina e glicocolla hanno il potere di agevolare 0 determinare alla temperatura di 37°, anche se presenti in piccola quantità, fenomeni di MA focchificazione e di coaugulazione negli estratti acquosi epatici assai diluiti. nei quali, alle stesse condizioni di temperatura e di diluizione, spontanea- mente tali fenomeni non hanno luogo. - ELEZIONI DL SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alle elezioni di Soci e di Corrispondenti dell’ Accademia. Le elezioni dettero — i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: Furono eletti Soci nazionali: Nella Categoria I, per la Matematica: Ricci GREGORIO; per l’ Astro- nomia: ABeTTI ANTONIO; per la Geogr. mat. e fisica: Reina VINCENZO Nella Categoria II, per la Cristallografia e Mineralogia: ARTINI ETTORE. Furono eletti Corrispondenti : Nella Categoria I, per la Meccanica: Guipi CAMILLO. Nella Categoria IV, per la Fistologra: Lo Monaco Domenico. L'esito delle votazioni venne proclamato dal Presidente con Circolare del 17 febbraio 1916; le nomine dei Soci nazionali furono sottoposte al- l'approvazione Sovrana. Nell’adunanza generale del 5 gennaio 1916, si procedette alla elezione dell’Amministratore e dell’Amministratore aggiunto. Risultarono eletti come Amministratore il Socio Prrorra RomuaLpo con 35 voti su 37 votanti, e come Amministratore aggiunto il Socio BaLzani UGo ‘con votazione “eguale alla precedente. E. M. Pubblicazioni della R Accademia dei Lincei. Serie 1% —- Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Hot XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. L (1373-74). ‘Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76) Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Var IV. V. VI. VII. VIII: Serie 33 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. cet) E) TAXI. MrmorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4% — RENDICONTI. Vol. I-VII, (1884-91). ‘ MrmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. int, . MEMORIE della Classe di scienze tonali. sigele e filologiche. Vol. I-X. Serie Pi - RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXV. (1892-1916). Fasc. 4°. Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIV. (1892-1915). Fasc. 7-8. MremoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. Fasc. 3. — MrmorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XV. Fasc. 1-2. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- | denti ognuno ad un semestre. (n JI prezzo di associazione per ogni volume e per tutta DL Ttalia è è di L. #6; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti - editori-librai: » Ermanno LoEscHER esi Roma, Torino e Firenze, Utrico Horprr. ei Pisa e Napoh. RENDICONTI — Febbraio 1916. INDICE di Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 febbraio 1916. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI. Tonelli. Sul differenziale dell’arco di curva (pres. dal Socio Pincherle). ren) Scorza. Sulle varietà algebriche con sistemi regolari di integrali. riducibili (pres. dal Cn CASteINUOVOM ANI " ; ARE ; Guglielmo. Intorno ad alcuni modi di calcolare l'esperienza di Qlermont-Descrmes fore. a Socio Blaserna) . ... . Te SURE IT i Neo pr Marino e Becarelli. Ricerche E minano sub- Logense di i elementi. Vi Sul ‘cosiddetto sottocloruro di bismuto (pres. dal Socio Masi) << /./ 0/0. Lincio. Note preliminari su alcuni minerali del giacimento metallifero di Borgofranco d'’ Tvrea. (pres. dal Socio Viola). . . . ipa PS UNICA Ia TI EE i a Lanfranchi. Ulteriori ricerche sulla Sen trasmissione delle a ‘animali nel l'uomo: le reazioni biologiche nelle tripasonomiasi umane ed animali nella, piene } zione dei virus (pres. da Socio BINCIO SS RO dA VEE CARTA Clementi. Ricerche sulla scissione enzimatica dei Polipeptidi per azione di estratti. di. i 5 e di organi animali (pres. dal Socio; LUCANI) e RE e et RO ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. Nona asi o. signori: Ricci Gregorio, Abetti Antonio, Reina Vincenzo, Artini Ettore a Soci nazionali; | Guidi Camillo, Lo Monaco Domenico a Corrispondenti. dell’Accademia. — . Rlezione del- l'Amministratore e dell'Amministratore aggiunto STI IONE AEM VITA ESA VIAN fio TANI (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. LI) i da EA 1918 | Pubblicazione bimensile. I N. 5. ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI QONINO=eCEXII. «L916 SHIRIH QUJINTA .) RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 marzo A916. Volume XX V.° — Fascicolo 5° 1 i J° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1916 ASTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze 7 siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Momotio presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. — Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. i -2. Le Note presentate da Soci o Corrispon denti non possono oltrepassare le 12 pagine. di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni s 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50. agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le Hidue j sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta . stante, una Nota per iscritto. | di far conoscere taluni fatti 0) Re ! dell’Accademia. — Tr) dell’art. 26. dello Statuto. È Da Col desid posta dei palle Memoria ‘agli 3. Nei DI tre casi, previsti dall’a gle) i manoscritti non vengono. restitui autori, fuorchè nel caso Caos dallazri autori. E 7 i a eLgr Ent) RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 marzo 1916. P. BLASERNA, Presiderte. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su: sistemi ortogonali di Guichard- Darbowa negli spazi di curvatura costante. Nota I del Socio L. BIANCHI. 1. Nell'ultimo capitolo delle Zegons sur les systèmes orthogonaua et les coordonnées curvilignes (2° édition, Paris, Gauthier-Villars, 1910), il Darboux, generalizzando ricerche anteriori di Guichard, ha studiato una classe di sistemi tripli ortogonali (w,,w» 3) dell'ordinario spazio, caratte- rizzata dalla proprietà che nella corrispondente forma del ds?, ds° = Hi dui + Hiduî + Hi du}, sussiste fra i coefficienti la relazione quadratica Hî + H3 4 H3 = cost. Nella Nota presente, ed in una seconda successiva, questa teoria viene estesa in due sensi, e cioè supponendo: 1°) che lo spazio abbia un numero qua- lunque 2 di dimensioni;. 2°) che la curvatura dello spazio, invece di esser nulla (spazio euclideo), sia una costante qualunque. Esistono in effetto, come si vedrà, nello spazio S, a » dimensioni e di curvatura riemanniana co- stante K, infiniti tali sistemi n?" ortogonali, che diremo sistemi di Gue- chard-Darboua ; la loro ricerca dipende dall'integrazione di un sistema di equazioni simultanee a derivate parziali che ha la forma lineare canonica del Bourlet, il sistema (B) del seguente numero, RenpiconTi. 1916, Vol, XXV, 1° Sem, 32 x — 238 — Se si considera che, nel primo e più semplice caso #= 2, il problema consiste nel ridurre il ds? di una superficie a curvatura costante alla nota forma ds? = cos°0 du? + sen?0 dv*, ossia nel problema di rivestire una tale superficie con reti di Tchebychet (ved. le mie Zezzoni, vol. II, $ 379), possiamo riguardare le attuali ricerche come l'estensione agli spazî a un numero qualunque di dimensioni dell'anzi- detta teoria, che include la teoria delle ordinarie superficie pseudosferiche e delle loro trasformazioni. Dopo ciò, è ben naturale domandarsi se esistono trasformazioni analoghe pel caso generale dei sistemi di Guichard-Darbonx negli spazî di curvatura costante. Risponderemo affermativamente alla. domanda costruendo per lo spazio pseudosferico (a curvatura costante negativa) una prima trasforma- zione dei sistemi ortogonali di Guichard-Darboux, che è l'analoga della trasformazione complementare, alla quale in effetto si riduce nel caso 2==2. 2. Lo spazio S, di curvatura riemanniana costante K sia riferito ad un sistema n? ortogonale (u, , %» , ... un), ed abbiasi, pel corrispondente ds?, dst=% Hidu= Hidu + Hîd+--- +4 Hd. x Il sistema differenziale caratteristico a cui debbono soddisfare le funzioni H,, H,,...H, di %,%2,...Un, e le relative rotazioni fx, si serive (ved. la mia Nota precedente, in questi Rendiconti. seduta 6 febbraio 1916): i 5dHi | QU = Bri Hx (A) I di = Pa Pu eh) È (il) Da pl LS pria + KH;Hx=0 (1). x dUi dUX Vogliamo esaminare se esistono di tali sistemi x?" ortogonali per i quali sia soddisfatta la relazione quadratica (1) SH} = H+ H3+----+ H? = cost, , (') Si rammenta che le segnature come GG SI TELITIGEO 2 2 stanno ad indicare che nella corrispondente somma l'indice variabile 4 deve: percorrere tutti.i valori 1,2,8,..,%, eccettuato il valore i nel primo caso, o i valori #, X nel secondo, ecc. — 239 — Derivando questa rapporto ad %;, abbiamo >H; 0) >H, () ; ZANE PESIERA SRI i du > —_ H, dÙ; vai H; — Ba Hi Ù e quindi dHi Lu 2 air) i H ° (2) sa Di Ba Hr Paragonando questa con la (A,) dH; dUE ae Bri Hr 3 e costruendo la relativa condizione d'integrabilità (ik) ax x) +È na Ha Hx) )+ > GF da sì ottiene, per le (A) e per la (2), | dPri | Ban di Hr, dU; di A dUK aid Pn Pn, di (2) + Pri Pik Hj Sr Pink S 2_ Pm H) | >: 2_ Pi Bra H\= = 0. Gli ultimi tre termini si elidono e resta dPri La QUI * === D+ S 6a =0:; i e, aggregando questa e la (2) alle (A), si forma il seguente sistema: 2èH; Do dH; (d uu el : = na Di Dl _ By Pt (i>%+1) B di Di db LS ori + KH: —0 | ata pae (Paizo Viceversa, se le H;, 8; soddisfano a questo sistema, e, per ciò, anche alle (A), ne risulta definito un sistema 72° ortogonale di Guiehard-Darboux, perchè la funzione >» H?, avendo nulle per le (B) della prima linea tutte x le derivate, è una costante, ed è quindi soddisfatta la (1). — 240 — 3. Il nostro problema consiste ora nell’esaminare se le (B) ammettono soluzioni, ed in quale arbitrarietà. Per questo immaginiamo di risolvere le (B) delle due ultime linee rispetto a quelle: delle due derivate il cui indice della variabile di deriva- zione è minore; così il sistema avrà la forma lineare canonica considerata dal Bonrlet nella sua Memoria fondamentale (*). Per ciascuna delle funzioni incognite H;, essendo date in (B) ovvero #<#, e le altre n-—-1 variabili sono principali. Proveremo che il sistema (B) è completamente ae dimostrando che dall'eguagliare le due espressioni di ogni derivata seconda (mista) prin- cipale si ottengono relazioni identiche in virtù delle (B) stesse (Bourlet, loc. cit.). I La verifica è immediata per due equazioni scelte nella prima o seconda linea del quadro (B), e basterà quindi confrontare le equazioni della se- conda linea con quelle della terza e della quarta. Resta dunque da provare che, se si derivano rapporto ad w, (£-+%,%) le equazioni nelle due ultime linee. si ottengono relazioni identiche per le (B) stesse, ossia che si annul- lano le due espressioni seguenti: (if) \e= È (8 Im) + » (Pu i) + I Sp Pe Bra) FE 37 (Ha) (12059) OI (Gud + E ut + SÌ (Ba fa). CAD) Ora se nei secondi membri nella somma Y mettiamo da sè il termine cor- DO rispondente a 4=/, e, ponendo mente alle (B), raccogliamo i termini, si trova \ da dPri da i Le a; "i -” +2 ff +.KH H{ + Ph | dPr | LETTA +ò Sa du + KH, (ga $ Aq At Cp pnt 4 pu Be Ba 4 8 pupa] L= Bn, Sis + 2fa Bot Pa, E Ta 4 D de Pn. Ma, in virtù delle (B), le espressioni che-moltiplicano nella prima fn . Bis e nella seconda f,:, fi, sono nulle, e per ciò O='"=0, CE AM: - (*). Ved. Bourlet, Sur les systèmes d'équations aux dérivées partielles (Annales de l'École Normale Supérieure, tome VIII, 8ème série, Suppl.). — 241 — Le (B) formano dunque un sistema completamente integrabile, e la sua soluzione generale (H;,f;x) dipende da x(2 — 1) funzioni arbitrarie, potendosi prescrivere ad arbitrio, per ciascuna delle 8;x, la funzione della variabile parametrica a cui si riduce la #8, quando le x —1 variabili principali prendono valori iniziali prefissati. Concludiamo adunque: Nello spazio S, a curvatura riemanniana costante K esistono infi- niti sistemi ortogonali di Guichard-Darboux, e dipendono da n(n— 1) funzioni arbitrarie (di una variabile ciascuna). 4. I teoremi generali sopra invocati ci assicurano dell’esistenza dei sistemi di Guichard-Darboux, ma nulla ci apprendono sull’integrazione etfet- tiva del sistema (B) da cui la ricerca dipende. Ora vogliamo dimostrare che anche in questa teoria, come accade in tante altre di geometria infini- tesimale, si possono costruire dei metodi d'integrazione successiva che per- mettono, nota una soluzione iniziale delle (B), di dedurne infinite nuove integrando equazioni differenziali ordinarie, od anche, in certe circostanze, con sole quadrature. Noi supporremo ora lo spazio S, pseudosferico, cioè a curvatura costante negativa, e costruiremo, pei sistemi di Guichard-Darboux, in questo spazio, una classe di trasformazioni che sì diranno complementari, perchè corri- spondono esattamente alla trasformazione complementare delle ordinarie su- perficie pseudosferiche (cfr. n. 1). Partiamo da una soluziene nota (H;,f;x) delle (B), per la quale sì abbia (3) Hi 4 Hi4+--+Hi=@° (a costante). e dimostriamo che ne esistono intinite altre (precisamente 00!) (Hi, 2%) legate alla primitiva dalle relazioni (4) Bin = Pri + cHiHj, (8) (+H/+..-+H=@, dove c è una costante, legata alla 4 ed alla curvatura K dalla relazione (5) K=—c?°a?. Se scriviamo intanto che le Hi, debbono soddisfare alle (B) della prima linea, e teniamo. conto delle (4) e (3’), troviamo per le H; il sistema ai differenziali totali dH; ad: \ _=(8x+cHxH)H UK (0) I ?2H! ci) i | ‘—— > #H+cHH — ca H;, \-_Jd% op ET a cui dobbiamo aggregare, come equazione in termini finiti, l’altra (C’) Di Hi = a?. x Le equazioni (C), (C') formano, per le funzioni incognite Hi, un sistema misto ai differenziali totali, di cui cominciamo a riscontrare la illimitata integrabilità. i 5. La (C’), derivata rapporto ad una qualunque w,, dà un'equazione identica per le (C), e dobbiamo solo esaminare le condizioni d’integrabilità delle (C), cioè le due equazioni ESTA ce dUI dUK dUr \ dUR d r d È d , rv) ©= —— (8xH')— — (8; 25 di (Ba Hi.) > (Ba Hi) + e sw (H, H{H})— ce Ora si ha d dUE (H, H/ Hj) ge ed eseguendo, colle (C) e colle (B), si riscontra che, in effetto, © =0. In secondo luogo troviamo r Ò , d d © ==( — (#8: H, — (H, H; H; IU; (Bin Hx) + DUI (Bri Hx) + a DU (H, H H,) + (2103) LI (dala Hi) cat SEw dUY: H; dUL ; ed eseguendo, colle (C) e (B), risulta, dopo alcune riduzioni, O =—H;H_ H(K+ ea); questa espressione è nulla per la supposta relazione (5). Concludiamo: 72 sistema misto ai differenziali totali (C), (C') per le funzioni incognite H; è completamente integrabile, e la sua soluzione generale dipende quindi da n — 1 costanti arbitrarie ('). Scegliamo allora una qualunque di queste soluzioni (H;) e calcoliamo le #;. dalle formule (4). Se dimostriamo che queste funzioni (H;,}) sod- disfano nuovamente alle (B), ne risulterà definito un nuovo sistema dì Guichard-Darboux, che diremo complementare del primitivo. La forma sim- metrica della (4) proverà, poi, che la relazione fra due sistemi complemen- tari è reciproca. (1) Per queste si possono prendere i valori iniziali delle H/ legati dalla (C'). — 243 — 6. Per dimostrare le asserzioni superiori, cominciamo dall’osservare che le H; soddisfano certamente alle equazioni della prima linea in (B) ?2H; , , ?2H' YI =RaHx 4 ==: D: Hi, du, Pr k dui 2 Pa , ‘come segue dal modo stesso tenuto per formare le (0). Proveremo ora successivamente che sussistono anche le equazioni delle ‘altre tre linee in (B): a) SPE _ 61 Bi 8) Vite 4 Ill LS At KHH—0 ») > Sf pl LS pro. a). Queste equazioni si scrivono d ri d Ù , , SÉ Lo I (H;B4) = (Pa + cHi Hl) (Bu + cHx HI), Ut è dUI e, eseguendo le derivazioni colle (B) e colle (C), si convertono subito in identità. 8) Le equazioni di questo gruppo diventano, per le (4), n +e d o (EB) +e Et (dk) + > (fa + cH Hi) (8, + cH,H) + KH;H,=0. x dPhri di Esesuendo le derivazioni e riducendo, resta HiH,(K+ ce > H)= DI che in effetto sussiste a causa della (3) e della (5). y) Da ultimo, per le equazioni di questo gruppo abbiamo Pri dUr dIPik D (4 % sm " un (E Bo) o (+ + d, (A; + cH; H}) (Bu +eHxH)=0; — 244 — queste, col sussidio delle (B),(C) e riducendo, diventano H;H;(c° Y H# —K— 2e°2?)=0, . e per la (5) e per la (C') sono pure identicamente soddisfatte. Concludiamo adunque: Ogni sistema ortogonale di Guichard-Darbous. nello spazio pseudosferico Sn a n dimensioni, ammette co"! sistemi com- plementari, la cui ricerca dipende dall’integrazione del sistema misto. (C) ,(0") ai differenziali totali. 7. Esaminando più da vicino il problema di integrazione di questo sistema (C),(C"), da cui dipende, come si è visto, la ricerca dei sistemi complementari, possiamo dimostrare che esso equivale alla ricerca delle linee geodetiche dello spazio: risultato, questo, che, nel caso più semplice n= 2, era ben noto. Per dimostrare l’asserto, supponiamo dapprima di conoscere un sistema Hi di soluzioni delle (C) e delle (C’), e partiamo dall’osservazione, d' imme- diata verifica, che l’espressione >) H, Hi du x è in tal caso un differenziale esatto. Con una quadratura possiamo dunque determinare una funzione ® delle w; che soddisfi alle equazioni ID S (6) Sag 7 i ((=1,2,..%). e, per ciò, anche all'altra, che risulta dalle (3'), (5), 1/93D\? (7) 19=Yp:(S°) — Ko, essendo 4,@ il parametro differenziale primo. Ma di più dimostriamo che questa funzione @ soddisfa anche alle equazioni del secondo ordine di Wein- garten (ved. Zezzoni, vol. I, $ 22 da Ae =0, per tutte le coppie (7,4). Nel caso nostro, avendosi di Hipim==0i kei 64 le equazioni di ne sì scrivono i | (ik) 3R RE, \ dui x = #3 Z| du nd (8) Sidi e si verifica facilmente che sono conseguenze delle (6), tenendo conto che- (se #,%,/ denotano indici divers) i simboli di Christotfel hanno qui i valori (CK) € i) \tK Hx îi it) > e et La funzione ®, calcolata con una quadratura dalle (6), soddisfa dunque alle equazioni (8) di Weingarten e inoltre alla (7). Per quanto è dimostrato nelle Zezzoni (loc. cit.), risulta: Le ipersuperficie ® = cost nello spazio pseudosferico sono orisfere concentriche, ossia le loro traîettorie ortogo- nali sono geodetiche concorrenti in un punto all'infinito (parallele nel senso non-euclideo). Ora inversamente, se nello spazio pseudosferico S, è noto un sistema: ortogonale di Guichard-Darboux, definito da ds? = Hiduî + Hi du + --- + Hî dui, , con Hi+Hi+---+Hi=c8, ed è nota una soluzione @ delle equazioni (8) di Weingarten e della (7). le formole i 1 dlog® da; i Lv; dànno un sistema di soluzioni delle (C),(0') e definiscono per ciò (intrin- secamente) un sistema di Guichard-Darboux complementare del primitivo. Quando le geodetiche dello spazio S, sono note, si hanno subito in termini finiti tutte le co”! soluzioni ® delle (7), (8), e, per ciò, anche tutti i sistemi complementari del sistema dato risultano intrinsecamente definiti. Se prendiamo il caso dello spazio pseudosferico a 3 dimensioni, è facile vedere ulteriormente che (supposte note le linee geodetiche) i sistemi com- plementari di un dato sistema ortogonale di Guichard-Darboux si trovano in termini tiniti con quadrature, e lo stesso vale naturalmente se si applica di nuovo la trasformazione complementare ai sistemi derivati, e così via. 8. Se consideriamo in particolare i sistemi di Guichard-Darboux nello. spazio Sn euclideo, dovremo fare K=0; e le equazioni (B), per le #;,. di- ventano | Bin R6; i) (9) ( Sfin LS Grifa=0 dui | da ba LS pafo=0. RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 38. o — 246 — “Questo sistema, completamente integrabile, ammette soluzioni £#;x dipendenti da 2(2 — 1) funzioni arbitrarie (n. 5), ed ogni soluzione (#;x) dà le rota- ‘zioni comuni ad infiniti sistemi n?" ortogonali paralleli. Fra questi sistemi, oltre la classe già caratterizzata dalla relazione Hi + Hî+:---+ Hi =cost, ve ne ha una più ampia in cui questa relazione è sostituita dall'altra D Hi +H:+---+Hr= 045, dove 4, d sono costanti arbitrarie, e 0° è il quadrato della distanza di un punto generico (%,. a, ... %,) da un punto fisso nello spazio (origine). Per trovare i sistemi corrispondenti alla (I), si ricordi che, indicando con W,,W.,... W, le distanze (algebriche) dell'origine dalle facce dell',°9%0 principale, sussistono le relazioni de W; ir eri (+6. Derivando la (I), si ottengono quindi le nuove equazioni dH & = aW; = > PaHi, dui we sicchè pei sistemi n?" ortogorali corrispondenti alla (I) dovranno sussistere le equazioni (10) W, Queste formano, per la (9), un sistema complemente integrabile, ed ogni sua soluzione (H;, W;) fornisce un sistema 2° ortogonale dell’ S,. ewelideo pel quale sussiste la (I). 9. Osserviamo, ora, che i sistemi ortogonali di Guichard-Darboux nello spazio a curvatura costante possono trasportarsi, colle note rappresentazioni conformi, nell’S, euclideo, e si ottengono allora sistemi ortogonali in questo spazio, che vengono a soddisfare relazioni analoghe alla (I). Prendiamo dapprima il caso dello spazio pseudosferico e, posto per semplicità K=— 1, ORI la nota. rappresentazione nel TO euclideo (Lezioni, vol. I, $ 187), dove il ds? avrà la forma 2 La — 247 — le 21,42, ...r, essendo nello spazio euclideo coordinate cartesiane ortogo- nali. Un sistema n?°° ortogonale di Guichard-Darboux nello spazio curvo con Hi+H+---+H=d, darà nello spazio euclideo un corrispondente sistema con dat + dx} |---- + dai = «i (Hiduî + Hi du + -.--+ Hi du); e se poniamo hi = Xn H, , hs = Xn H; ILLE] hn == tnHn ’ avremo quindi (11) R4R+ +=, relazione che è analoga alla (I). Viceversa, ogni sistema n? ortogonale nello spazio euclideo, che soddisfi alla (Il), sarà l’immagine di un sistema di Guichard-Darboux dello spazio curvo. Le trasformazioni complementari -di questi sistemi, che sopra abbiamo ottenuto, acquistano così un signifi- cato anche nello spazio euclideo, come trasformazioni dei sistemi ortogonali soddisfacenti alla (II). Similmente, se per K qualunque prendiamo il ds? sotto la forma di Riemann ds: = dat + daî + --- + dai - ciare na dai sistemi di Guichard-Darboux dedurremo, per rappresentazione conforme, sistemi n" ortogonali dello spazio euclideo ove la (II) sarà sostituita dal- l’altra (I) RPR+ ++ TGI+ ++ 10. Un altro modo di arrivare ai sistemi ortogonali dello spazio S, ‘euclideo che soddisfano alla equazione (II), anzi ad una più generale, si ottiene partendo dalle osservazioni seguenti, che vengono suggerite dalla ‘forma del sistema (B): Se poniamo È Bin 7a Pri ’ vediamo dalle (B) che le Bn soddisfano alle equazioni caratteristiche per le rotazioni di un sistema w°° ortogonale nell’S,, euclideo dB; Nor \ de = Pi Pu (11) ODIEE, ni dPik dPri dai OA | di; + DU + — Bri ra = 0 — 248 — Le equazioni della prima linea in (B), che scriviamo >; dI, LOS i Z Cha ri” ads dUL =fa 3 di 2? Sr: sono quelle che caratterizzano i coseni (Z, , Za, ... Z») degli angoli che una direzione fissa nello spazio forma cogli spigoli dell’ 7° principali. mentre le equazioni della penultima linea in (B) si scrivono Bia | dÉni Pa 4 ada +3 da da +. 2=0. Ora, se prendiamo uno qualunque degli infiniti sistemi n2% ortogonali paralleli, colle rotazioni #;x che soddisfano alle (11), ed è ds:— Y- Hi dik n la corrispondente forma del ds*, le H; debbono essere assoggettate dann alle sole condizioni da, 7 Pr Ba _ (#6. e in ogni caso l'espressione it DE Hi Zi du, DS è il differenziale esatto di una funzione s che rappresenta la distanza di 3 un punto generico (%, ,%:,...%,) da un iperpiano /isso normale alla dire zione (Z,, Ze, ... Zn) Dimostriamo che: se possono TOR fissare — le Hi în guisa da soddisfare alla relazione (III) | H+ Hf4--.-+-H +Ke*=cost. E infatti, derivando questa rapporto ad v;, otteniamo ?H; O di S fn — KeZi, sicchè, riunendo le equazioni ottenute in tutte le incognite 7 Ios: H; fx, — 249 — veniamo a formare il sistema seguente: | de =. H;Zi dU; OL — PIA OE MOI AN Wi Pix k du; - Bri Zy 2H; Ta 2 H; — oriali 2a i ar (12) DE di 5 = Pa Bir Ra dBri KE) niila RSI) ELI du dU 1 2A Pra VE dBri (CO È QUE Sor = Bio Po +KZZ = 0 Questo è, come facilmente si verifica, un sistema completamente integra- bile. Dunque: esistono nello spazio S, euclideo sistemi n" ortogonali che soddisfano alla condizione (III): essi dipendono da n(n— 1) funzioni arbitrarie. Se si suppone in particolare K negativa e si assume nulla la costante del secondo membro nella (III), sì ritorna ai sistemi ortogonali caratteriz- zati dalla (II). Da ultimo osserveremo che si ottengono ulteriori classi di sistemi n?” ortogonali degli spazî a curvatura costante col procedimento seguente. Insieme con le (A), che valgono per un sistema ortogonale nello spazio S, a curvatura costante K, immaginiamo di scrivere le analoghe, che distingueremo con accenti, per un altro spazio S, a curvatura costante K', e riuniamo i due sistemi di formole ponendo inoltre Bin = Bri - Veniamo così a formare il sistema dH; è H! ; VA Pri Hn Sodi Pin Hy di Di = Pu Pu (13) 1 dar dPri Ra È à: dM; 3m di ala dI brr + K Hi H,=0 dar Li dPri (ik) apra zi Di Ba Pa + K'H:{H,=0. — 250 — Questo, comunque si prendono le costanti K,K', è sempre, nelle funzioni incognite (H;, H;, 8;x), un sistema completamente integrabile, come risulta dai calcoli stessi eseguiti al n. 3 per il sistema (B). Ad ogni soluzione (H;, H;, #;x) delle (13) corrisponde una coppia di sistemi ortogonali, l'uno nello spazio S,, l’altro nello spazio S,, definito rispettivamente da DI cl ; , r dst= SH dé, ds: H{.duk; x , e le rotazioni sono comuni ai due sistemi, però con inversione degli indici. Se in queste formole generali poniamo KR eeHi=Ha onde segue Bin = Phi» le (13) si riducono al sistema completamente integrabile 5H; = 8 H di Pri Hx dPih (14) BuPm (Pia Pm) dura dPin 2 DIA SSKHHp= 0% I sistemi n? ortogonali corrispondenti dello spazio S, @ curvatura co- stante K sono gli analoghi di quei sistemi (E) dell'ordinario spazio Ss. euclideo, a cui Darboux ha dedicato i cap. VIII et IX (livre III) delle: sue Lecons. Siccome #8, = PB. indi . TE dU, QUi sì può porre 30 Hi=i = 2 n), i du; (è È) ) essendo © una funzione di %,,%,... n. Così il ds* dello spazio prende la forma caratteristica per questi sistemi (E) p 390 PIC) 2 — lu enti Da ey pralio ds >, dui + dui du + PIO) dUn 2 dui, Ancor più in particolare, se si fa K= 0, si hanno i sistemi (E) nell' Sn euclideo, ai quali si estendono subito i metodi di trasformazione del caso ordinario a=3 (Darboux, loc. cit.). j — 261 — Fisica terrestre. — Parossismo dello Stromboli nel 1915. I Nota del Socio A. Riccò. Dal novembre 1889 in poi l'Osservatorio geodinamico di Catania riceveva - notizie dell'attività dello Stromboli dalla famiglia Renda intelligenti e cortesi proprietarî nell'isola. Nell'agosto del 1891 lo scrivente, essendosi recato a Stromboli insieme al compianto prof. Mercalli per studiarvi un parossismo di quel vulcano, ebbe occasione di accertare ed utilizzare la felice situazione del semaforo per la sorveglianza del vulcano; infatti quel semaforo è eretto in luogo elevato sulla Punta Labronzo ed in forma di torrione, alto sul mare 80 m.; pertanto propose al Direttore dell'Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica di affidare la detta sorveglianza, con l'obbligo di un rapporto mensile. al personale del semaforo medesimo; personale il quale, essendo organizzato militarmente e compiendo già il servizio sismico, era da aspettarsi che avrebbe prestato regolarmente anche quello vulcanologico; l’idea piacque, ma potè effettuarsi completamente soltanto nell'agosto 1898. Se non che il terremoto di Calabria dell'8 settembre 1905, fra gli altri grayi danni arrecati a Stromboli, seconquassò per modo l'edificio del semaforo da i renderlo pericolante, e per parecchi anni fu abbandonato dal personale; il LÌ | quale per il servizio semaforico si valeva di una capanna provvisoria, non molto felicemente collocata per la sorveglianza continua e particolareggiata | del vulcano; così che, nei casì di osservazioni importanti, il personale mede- | simo doveva recarsi, con non brevi escursioni, in altri punti dell’isola per veder meglio l'apparato eruttivo dello Stromboli. Questo durò sino al 1915, anno in cui, compiuti il restauro e V inrobusti- ‘ mento del posto semaforico, il personale ha cominciato a prendere di nuovo sede nel semaforo vecchio e ad eseguire di là le osservazioni del vulcano. E così dall'attuale capo semaforista sig. E. D'Aloisio, l'Osservatorio di ‘Catania fu esattamente informato del parossismo dello Stromboli, cominciato il giorno 11 giugno 1915, e caratterizzato da abbondante eruzione di lava in colata; fenomeno non così straordinario come sì riteneva in passato, ma ‘tuttavia poco frequente: infatti la precedente emissione di lava in colata si ‘è verificata nel 1891, cioè con un intervallo di 24 anni. Intanto, non ostante tutto l'interesse che vi era a studiare il recente pa- rossismo, nelle condizioni in cui si trova l'Osservatorio di Catania non era pos- sibile allo scrivente di allontanarsi per un tempo abbastanza lungo, quanto ‘sarebbe stato necessario per il viaggio complicato e la visita e lo studio del ‘vulcano; poichè la gran parte del personale del nostro Istituto è stata richia- — 252 — mata sotto le armi, ed inoltre l'Assistente per la geodinamica è stato collo- cato a riposo, in seguito a sua domanda, per motivi di salute, e da alcuni anni il suo posto è lasciato vacante. Avendo parlato di questo stato di cose con amici e colleghi, si venne all'idea di formare una commissione per la quale offrivano volenterosamente la loro opera il prof. G. Mengarini della R. Scuola d'applicazione per gli ingegneri in Roma, il prof. Gaetano Platania, insegnante geografia fisica nella Università di Catania, e (in seguito ad intelligenza col direttore dell’ Ist;- tuto di mineralogia, prof. L. Bucca) il prof. Gaetano Ponte, libero docente di mineralogia, addetto all'Istituto suddetto Questo progetto fu approvato dal Ministero d'agricoltnra. Ma per circostanze speciali la missione non potè cominciare presto le sne operazioni: il prof. Mengarini dovette rinunziare a parteciparvi per il momento, in causa di un importante servizio pubblico da sorvegliare, e gli altri due membri, delia missione mon pcterono partire in- sieme; ma questo portò il vantaggio di potere studiare il parossismo dello Stromboli in due fasì diverse. Inoltre il prof. Platania, che al 10 novembre partì per il primo, for- tunatamente trovò sul luogo il vulcanologo italo-americano ing. F. A. Perret, il quaie gli fu compagno nelle escursioni al vulcano: e, avendo saputo del nostro desiderio di avere notizie della eruzione in corso, inviò cortesemente allo scrivente lettere e fotografie (eseguite con la sna consueta e grande abi- lità) relative al fenomeno, e promise anche una breve relazione sull'eruzione; ma, disgraziatamente, alla fine di gennaio 1915 egli ricevette la. dolorosa no- tizia della morte del padre, e dovè partire improvvisamente per New York, autorizzandomi però a valerini delle sue lettere. Il prof. Ponte poi partì per Stromboli il 24 dicembre, quando l'emis- siyne di lava era cessata e l'attività generale del vulcanv era diminuita; ma ciò appunto gli permise di visitare e studiare più da vicino l'apparato eruttivo ed i suoi prodotti, come non sarebbe stato possibile durante il pa- rossismo eruttivo. i i; Il Capo semaforista sig. D'Aloisio poi fu largo d'informazioni e d'ogni sorta di aiuti e cortesie a Perret, Platania e Ponte, e fu ad essì guida intel- ligente ed esperta dei luoghi. A lui in special modo, ed anche agli altri del personale del semaforo che lo secondarono premurosamente, noi tutti siamo vivamente riconoscenti. i Dai sumentovati rapporti del sig. D'Aloisio risulta che nel 1915, fino a giugno, lo Stromboli è stato in attività relativamente mediocre, erut- tando fumo azzurro, o bianco, o grigio, o nero per essere trascinata cenere ed anche lapillo; queste eruzioni erano frequentemente accompagnate da deto- nazioni forti, talora fortissime, e sovente anche da emissioni di: anidride solforosa. Nei primi di giugno il fumo, la cenere ed i lapilli divennero più abbondanti. mibio = — 253 — Il giorno 11, a 23.40”, cominciò l'eruzione continua di lava; il 18 la lava si fece più abbondante, per modo da formare un letto di fuoco lungo la Sciara; a 17°48"30% si avvertì al semaforo una scossa ondulatoria di terremoto con intensità mediocre (del IV grado della scala Mercalli), della durata di circa tre secondi; al 6 luglio l'eruzione di lava era aumen- tata e formava un solo letto di fuoco sino al mare, e così continuò fino al 12; poi diminuì, ed al 25 ne uscì pochissima, e così tino alla fine del mese di luglio; però seguitarono sempre abbondanti eruzioni di fumo, cenere e lapilli, con detonazioni ed emissioni di anidride solforosa. Nel mese di agosto continuarono le dette eruzioni, ma quella della lava fu sempre poca. Nel mese di settembre vi fu eruzione di fumo azzurro, bianco od oscuro, cenere e lapillo abbondante, e di molta lava fino al 15; da quel giorno al 23 poca lava; dal 24 al 30 lava in considerevole quantità. Nel mese di ottobre vi furono sempre abbondanti eruzioni di fumo, cenere e lapillo e molta lava. In novembre l'eruzione continuò allo stesso modo sino al 9; il 10 e 11 poca lava; il 12, alle ore 20, cessò l’eruzione di lava, e continuò quella di cenere e lapillo. Il 13 ebbe luogo il risveglio di attività dello Stromboli, cui assistettero anche Platania e Perret. Mancando, per quel che si è detto, la relazione di Perret, lo scrivente cerca di supplire con un riassunto del contenuto delle interessanti lettere e telegrammi ricevuti da lui: riassunto bensì fedele, ma che non può avere il valore che avrebbe avuto la promessa relazione elaborata dal Perret me- desimo. Si è creduto utile di far questo anche per il periodo di tempo in cui erano insieme Perret e Platania, perchè essi hanno spesso rivolto la loro attenzione a fenomeni diversi, e quindi i referti dei due osservatori fre- quentemente si completano. A questi miei cenni seguiranno le Note prelimi- nari dei professori Platania e Ponte che trattano delle osservazioni da essi fatte; e così chi legge potrà avere un'idea abbastanza completa dei feno- meni manifestatisi in qnesto parossismo dello Stromboli. In seguito compa- riranno Memorie più estese dei medesimi autori e, speriamo, anche dell’ in- gegnere Perret, nelle quali il materiale di osservazione raccolto sarà da essi completamente elaborato, discusso ed illustrato da numerose fotografie, delle quali si presentano saggi all'Accademia. Il Perret, arrivato a Stromboli il mauwtino del 9 novembre, si recò in barca per vedere dal mare l'insieme del teatro eruttivo del vulcano. Notò che sotto al cratere attivo, fra cento e duecento metri, si era formata una docca di fuoco colla forma di bocca di forno dalla quale usciva la colata di lava, che, spostandosi ora verso un lato ora verso l’altro, aveva coperto con un mantello di lava « a ventaglio » parte notevole del pendìo detto Sciara del fuoco, arrivando talvolta fino al mare; ma l’ultima colata si era fermata a circa RenpiconTI. 1916, Vol. XXX 1° Sem. S4 a DREI IRR LA e REIT: À i) RSS — 254 — 3 metri dall'acqua. Nella sua discesa lungo il pendìo, quantunque ripidissimo (37° in media), la colata si era mantenuta tutta continua e non se ne stac- cava; come al contrario fece la lava dell'Etna nell’eruzione del 1908. Vi era una bocca dell'apparato eruttivo superiore, la più vicina alla Sciara del fuoco, che egli ritiene sia la più direttamente connessa col con- dotto centrale del vulcano e la più costantemente attiva. Il 10 novembre il Perret, recatosi alla cima, potè vedere che la grande voragine del 1911 si era trasformata in tre crateri completi ed attigui ed un altro assai piccolo. Questi crateri sono: A, il più avanzato verso la Sciara; B,il piccolo cratere a nord-est di 4; C, un grande cratere a sud di 4; D, un altro cratere a levante di 4. Questo cratere A faceva forti esplosioni ogni 5-15 minuti; 8 gettava sbuffi di fumo bianco; 2 non funzionava ed era coperto da incrostazioni gialle. Questi crateri, nella seguente Nota di Ponte, sono così denominati: A cratere della Sciara del fuoco; B e D crateri del Filo del solfo; € cratere del Torrione. Dopo certe eruzioni della bocca 4 succedevano dei franamenti; dal chia- rore dei brandelli. di lava lanciati in alto il Perret ha giudicato che la loro temperatura fosse intorno 1100°; gli è stato poi riferito che nei giorni pre- cedenti, quando l'eruzione era in piena attività, nella notte veniva illumi- nato tutto il paese. Il vento di seirocco violentissimo ed il lancio di pietre dalla bocca A gli impedirono di arrivare dalla Timpa di baraonda alla lava per misurarne la temperatura con un pirometro termoelettrico. Il 12 novembre il Perret si recò al semaforo a Labronzo e di là vide che la bocca A, con forti esplosioni, lanciava del materiale che però arrivava soltanto all'orlo del cratere, il che indicava che la lava nell'interno di esso si era molto abbassata. Nel pomeriggio Perret e Platania, arrivato allora a Stromboli, si recarono insieme, con ‘la barca, in faccia alla Sciara del fuoco e videro che la lava aveva cessato di fluire. La bocca di fuoco, da cui prima usciva, brillava con una certa incandescenza; la bocca A lanciava in alto bellissime gerdes (getti divergenti) di materiali incandescenti, indi- canti il rialzo della colonna lavica interna; secondo fu riferito a loro dal personale del semaforo, queste esplosioni cessarono a 4.30" del giorno se- guente (13 novembre). A 9° 15" di questo giorno, mentre Perret e Platania. stavano por uscire dal paese San Vincenzo, ebbe luogo improvvisamente una formidabile esplosione secca, come colpo di cannone; dall’apparato eruttivo si elevarono prima una, poi tre colonne di materisli di color grigio oscuro, e dopo 5 0 6 minuti cominciò in paese una grandinata di scorie vetrose vesci- colari, leggere, la quale durò parecchi minuti; dopo 15 minuti, vi fu una re- plica, ma relativamente debole. topo Allora essi sono saliti per la via del semaforo a Punta Labronzo (cioè verso nord-ovest) per essere in vista dell'apparato eruttivo. — 259 — A 500 m. di altitudine già si vedevano delle masse di lava cadute ro- venti, che avevano bruciato erba e viti. Più in su incontrarono una grande quantità di lava cristallina, molto bollosa, caduta di recente, avente general- mente gli angoli smussati dall’attrito. E in tutta la parte alta del vulcano vi era un gran numero di blocchi angolosi di lava antica, strappati dall’ in- terno del vulcano, che erano ancora caldi il 14: tanto da non potere essere toccati con le mani. Alcuni erano in parte coperti di lava nuova vetrosa, stirata in filamenti bellissimi. Lo scoppio aveva spento tutti e tre i crateri e demo- lita in parte la parete tra A e 2. Le bocche facevano alternativamente eru- zione ui materiale frammentario, che il Perret ha fotografato e cinematogra- fato. Nessuno efflusso lavico. A 132830" si è prodotta nella Sciura del fuoco una grande frana che aveva le proporzioni di una valanga; trasportava in mare molta lava calda che faceva svolgere copiosi vapori dall'acqua. Nel pomeriggio del 14 novembre Perret e Platania sono andati a Punta Labronzo ed hanno visto di nuovo una magnifica colata che scendeva diritto per la Sciara del fuoco: un torrente di blocchi incandescenti, provenienti da essa, arrivava fino al mare, ma la vera colata non ancora. Nel pomeriggio del 15 i medesimi osservatori sono tornati a Punta La- bronzo; la colata fluiva sempre, ma lentamente e non arrivava fino al mare. Tra la bocca della lava e l’orlo inferiore del cratere vi era un rialzo di lava nuova nera che sembrava risultare da un originale trabocco di lava dal cratere stesso; questo rialzo pareva formasse un fumnel/ dal quale usciva il vapore azzurrognolo, esalato dalla lava che scorreva sotto. Il giorno 18 novembre Perret.e Platania sono andati in barca davanti alla Sciara del fuoco. La colata lavica, iniziatasi dopo la grande esplosione del 13, era molto attiva e scendeva per la Sciara in massa unica, continua dalla bocca fin giù. non ostante il pendìo ripido ed in certi punti ripidissimo (fin del 60 °/); il primo tratto sembrava diviso in due strisce luminose da una striscia oscura nel mezzo, a guisa della morena mediana dei ghiacciai. La colata aveva dappertutto una forte convessità, e verso il basso sì faceva sempre più larga. La larghezza era aumentata dalle scorie che scendevano ai fianchi, cosicchè nell'insieme si ha wn cuneo o triangolo di materiale erut- tato con la base due a tre volte la detta larghezza della vera colata a mare. Mentre la colata del 9 novembre scendeva verso ponente e formava la più occidentale delle colate, questa del 18 volgeva a levante e formava la colata più orientale. Così aumentava la larghezza di questo ventaglio di lava che ricopre parte della Sciara del fuoco. Il Perret credeva che il parossismo precedente con eruzione di lava nel 1891 non abbia dato luogo ad uno sgorgo di tale quantità di lava come stavolta: e riteneva che ciò poi sarebbe stato certo se questa fase effusiva fosse durata ancora, come infatti avvenne. TT — 256 — La lava è uscita sempre senza esplosione e senza notevoli emissioni di gas, ed è da osservare che, quantunque la colata costituisca un efflusso late- rale rispetto all'edificio vulcanico, realmente è un semplice trabocco di lava; questa sale nel condotto vulcanico sino al livello della frattura dando i suoi gas ai crateri superiori, effluisce tranquillamente per il {urne e sgorga al- l'esterno sulla Sciara del fuoco. Come il Perret ha notato anche altrove, l'interno della colata alla estre- mità inferiore conserva quasi la temperatura che aveva alla sua emissione, specialmente quando, come in questo caso, la massa è grande e la lava fluisce rapidamente. Il colore e la vivacità della incandescenza alla estremità superiore della colata dello Stromboli ed alla estremità inferiore, quando questa era sco- perta, non presentavano all'occhio differenza sensibile. All'eruzione dell'Etna del 1910, nella estremità inferiore della colata, a circa 9 km. dalla bocca d'emissione, il Perret ha misurato 1000°. Egli sperava di riuscire a misurare anche la temperatura della lava dello Stromboli; ma poi il tempo gli fu ostinatamente avverso, talchè dal 19 al 22 novembre non gli è stato possi- bile fare altra osservazione, se non quella del magnifico bagliore di luce riflessa dai vapori e dalle nubi, che dimostrava essere la lava attivissima negli ultimi due giorni. All'entrata della lava in mare gli effetti erano interessantissimi, e cor- rispondevano a quelli dal Perret stesso osservati a Sakurashima (Giappone) nell’eruzione del 1914; egli ne ha fatto numerose fotografie e la cinema- tografia. d Il giorno 25 novembre il Perret ha fatto in barca il giro dell’isola. La colata era molto meno attiva; aveva formato un promontorio sporgente nel mare forse 10 m., e si moveva con estrema lentezza. I crateri davano sbuffi di vapori biancastri, senza esplosioni; di tempo in tempo, qualche frana nel loro interno produceva una nube nera. Il 26 novembre, al mattino, vi sono state tre esplosioni, di cui una for- tissima. A 7° 12% vi è stato un aeremoto, da prima senza suono o rumore percettibile, almeno in casa, a San Vincenzo, distante km. 2'/, dall'apparato eruttivo; poi, dopo quasi un minuto, è seguìta l’esplosione fortissima, un poco meno intensa di quella del 13, ma più profonda; un'altra ebbe luogo a 8% 5%, riferita dal personale del semaforo, ed a 8%" 30" circa si è fermata total-. mente la colata di lava. Nella notte precedente vi era stata poca lava, ma da 5° era abbondante e le esplosioni avvennero durante questa forte emis- sione di lava. Il barometro era basso (753 mm.: ridotto a 0° C. ed al livello del mare). sa Il 27 novembre niente lava; le bocche A e C davan sbuffi di fumo bianco; la bocca 2 era chiusa, ‘e forse anche la 5. mac Il 28 tempesta e neve; niente lava. — 257 — Il 29 Perret potè salire al vulcano per la Arena grande, cioè da le- vante, onde evitare la neve profonda, ed è arrivato giusto in tempo per assi- stere ad una bella 77/usa alla bocca della lava: questa usciva colla velo- cità di circa un metro al secondo (stimata col binocolo), ma la colata si fermò dopo circa 100 m. di cammino, ed al Perret sembrò di poca importanza. In questa escursione il Perret potè constatare che l'esplosione del 28 aveva gettato massi di più che una tonnellata, formati di un conglomerato di blocchi cementati da lava nuova, e forse anche di cristalli liberi di piros- seno; come pure era stata lanciata della lava nuova vescicolare, ma più densa della scoria leggera del 13 novembre, e di un bel colore grigio. Il Perret ha giudicato che vi fossero gl'indizî di eruzione finita; vi era allora una estesa area fumarolica; le bocche non davano che deboli vampe, e non vi era luminosità nel cratere. Peraltro il Perret ha ritenuto che lo Stromboli, dopo questo parossismo, non fosse in uno stato di esaurimento come dopo le fasi esplosive del 1907 e 1912. Infatti, come sì dirà dopo, le eruzioni intermittenti di lava in colata e la singolare attività durarono ancora per qualche tempo. Il Perret dice che anche nel parossismo dello Stromboli di cui qui si tratta è stata confermata la sua opinione, che ha manifestato parecchie volte, della realtà della influenza lunisolare sull'attività dello Stromboli e degli altri vulcani. E veramente il parossismo e l’etflusso della lava cominciarono 1'11 giugno a 232 40%, e la luna era nuova il 12 e passava insieme al sole al meridiano inferiore di Stromboli quasi all'ora del risveglio del vulcano: dunque veramente la luna ed il sole esercitavano un massimo della loro azione attraente sullo Stromboli quando si riattivò. Lo scrivente, occupandosi nel 1892 del parossismo dello Stromboli avve- nuto nel 1891 (*), valendosi di un elenco dei nove parossismi precedenti del detto vulcano, elenco compilato dal Mercalli, e confrontandolo con le posizioni della luna e del sole alle relative date, venne alla conclusione che in quattro casi la luna ed il sole erano in congiunzione od in opposizione alla data di un parossismo, e che in sei casi vi era poca differenza fra la data del pa- rossismo e quella della luna perigea. Inoltre lo scrivente, avendo nel 1907 (?) compilato un quadro sinottico dell'attività dello Stromboli nel periodo 1891-1907, in cui sotto la sua dire- zione si eran fatte osservazioni regolari del vulcano, constatò che vi erano stati ventidue parossismi: che in 12 di essi la posizione della luna e del sole era favorevole alla ipotesi di una azione lunisolare, analoga a quella che agisce nelle maree; in tre era indifferente, in sette era contraria. (1) Atti dell’Accademia Gioenia, ser. 4%, vol. V, 1892, Memoria XI?. (*) Boll. dell’Accademia Gioenia, fasc. 94°, giugno 1907. = — 258 — Questi risultati tendono a confermare l'opinione del Perret. Dirà lo scrivente ancora che egli ha provato a fare una analoga inda- gine per le eruzioni dell'Etna delle quali è dato il giorno del principio, cioè dal 1169 in poi, confrontandolo col giorno delle quattro fasi principali della luna; venendo fino ai tempi recenti non ha ottenuto risultati decisivi, ma dal 1883 in poi si ha quanto segue: PRINCIPIO DELL’ERUZIONE FASE DELLA LUNA 1883 22 marzo Pi. 25'marzo D 1886 19 maggio L. P. 18 maggio 1892 9 luglio L. P. 10 luglio 1899 25 luglio L. P. 25 luglio, perigea al 23 1908. 29 aprile L. N. 30 aprile 1910 23-24 marzo L. P. 25 marzo 1911 11 settembre L. P. 8 settembre Si può dire dunque, per queste eruzioni, che la luna era sempre vicina alle sizigie nel momento in cui esse scoppiarono: per il quale si è preso il giorno in cui comparve la lava in colata, eccetto per l'eruzione del 1899 in cui vi furono soltanto grandi esplosioni di fumo e materiale incoerente, ma non lava in colata. La differenza di risultato per le antiche e per le recenti eruzioni, in gran parte almeno, deve spiegarsi per la poca esattezza delle antiche osservazioni dell'Etna, rese difficili dagli ostacoli all'accesso al grande vulcano, coperto allora da foreste pressochè impenetrabili, e per mancanza d’organizzazione speciale per queste indagini; e in vero sarebbe molto improbabile la suppo- sizione che l'Etna abbia cambiato modo d’agire negli ultimi tempi. Quindi pare si possa concludere che anche sulle eruzioni etnee si fa sentire la influenza lunisolare. Lo scrivente aggiunge, poi, che il principio dell'eruzione sottomarina presso Pantelleria nel 1891, da lui visitata e studiata, avvenne il 17 ottobre, quando la luna era prossimamente in sizigie sul meridiano della detta isola e prossima al perigeo ('). Il Palmieri ed altri ammettevano questa influenza sulle eruzioni. del Vesuvio; cosicchè sembra si tratti di un fatto generale per tutti i vulcani italiani attualmente attivi e forse per tutti i vulcani della terra. Lo scrivente finirà questi cenni dicendo come cessò definitivamente l'eruzione di lava in colata e l'attuale parossismo, secondo i rapporti del per- sonale semaforico di Stromboli. o Nel mese di dicembre, fino al giorno 7, vi fu eruzione di fumo e di lava in gran quantità; poca l'8 e 9; il 10, a 4250”, esplosione fortissima con (') Atti dell'Accademia Gioenia : loco citato. — 259 — lancio di lava in grandi massi e brandelli incandescenti a grandissima altezza; altre forti esplosioni a 4° 53”, 4.545, 8° 48%; dall'11 al 20 fumo, lapillo e lava abbondante in colata con detonazioni frequenti; dal 21 al 81, soltanto fumo bianco o nero, lapillo, cenere con detonazioni e deboli boati. In gennaio 1916, il giorno 6, a 7° 37%, una fortissima esplosione ed eru- zione a grande altezza di blocchi di lava, lapillo, cenere e fumo nero, ed altre esplosioni nella giornata. Dal 24 al 31 durante la notte si sono osservate eru- zioni di piccoli massi incandescenti, lapillo e poca cenere. In febbraio vi fu eruzione soltanto di fumo biancastro, talvolta nero, di piccoli e scarsi massi di lava incandescenti; e così fino alla fine del mese. Dunque, l’efflusso della lava in colata più o meno abbondante durò effettivamente fino al 20 dicembre 1915; dopo, la lava fu eruttata soltanto di quando in quando ed in brandelli incandescenti e massi isolati, ed il vulcano riprese il suo modo ordinario di funzionare. Termodinamica. — Sulla legge di Poisson în relazione al primo principio di termodinamica, in risposta al prof. Guglielmo. Nota del Corrispondente prof. Guino GRASSI. Non posso lasciare senza risposta la Nota pubblicata in questi Rendi- conti (2° fascicolo, 1° semestre 1916) dal prof. Guglielmo, poichè in essa l’autore combatte recisamente quanto io avevo affermato in una mia pre- cedente Nota (7° fascicolo, 1° semestre 1915 di questi Rendiconti) relativa- mente alla cosidetta formola di Poisson, o di Laplace, che esprime la legge delle trasformazioni adiabatiche dei gas; e cioè che la dimostrazione di quella formola va considerata come indipendente dal principio dell’equivalenza. Dice il prof. Guglielmo che io non ho tenuto conto dell’autorevole pa- rere di Van der Waals e Kohnstamm, i quali dichiarano che nel ragiona- mento col quale Poisson ha ottenuto la formola, deve esser contenuta in qualche modo la legge della conservazione dell'energia. - Poi ricorda che Clausius e tutti i migliori autori di trattati di termodinamica deducono la formola dal primo principio. Afferma infine che anch'io, senza accorgermene, ho fatto lo stesso, e conclude: nè poteva essere altrimenti. Io osservo, anzitutto, che avendo, secondo il mio modo di vedere, una prova diretta che la formola di Poisson si dimostra senza ricorrere affatto al primo principio, non avevo bisogno di preoccuparmi più dei dubbî che qualche autore aveva potuto sollevare. Non credevo poi di mancare di ri- spetto nè a Clausius, nè agli altri autori citati dal prof. Guglielmo, perchè quegli autori non affermano ciò che sostiene il Guglielmo, non dicono che la via da loro seguìta sia l’unica possibile, e che ‘sia indispensabile pre- supporre la legge della equivalenza per giungere alla formola di Poisson. ES È Ì | — 260 — Unica eccezione sarebbe il Van der Waals, ma anche questa soltanto in forma dubitativa. Ora l'opinione di questo autore, non solo non appare appoggiata a va- lidi argomenti, «ama fa nascere spontanea la domanda: Perchè non ha sotto- posto la dimostrazione di Poisson ad un esame accurato e non ha ricercato la spiegazione di quanto afferma, la soluzione del suo dubbio? Io d'altronde sapevo benissimo che nello scritto del Poisson non si trova alcun accenno al primo principio che abbia potuto influire sul procedimento dimostrativo della formola; non avevo, ripeto, alcun motivo di dubitare del mio giudizio, perchè trovavo la cosa naturalissima. ; D'altronde, lo dice lo stesso prof. Guglielmo, il Van der Waals non dà alcuna spiegazione; e, per conto mio, credo che sia rimasto ingannato dal procedimento seguìto da molti autori per dimostrare la formola di Poisson, procedimento che ha l'apparenza di far discendere la detta formola da quelle che esprimono la 18 legge di termodinamica. Ma anche su di ciò io avevo già richiamato l’attenzione del prof. Guglielmo nella mia Nota precedente, avvertendo che quella dipendenza era soltanto apparente. i Riprenderò in esame ordinatamente i varî punti della questione solle- vata dal Guglielmo. La dimostrazione data dal Poisson è inesatta; ciò fu già dimostrato. Veramente ho trovato un autore, il Von Lang, che nella sua opera, d'altronde pregevolissima, Ztnleitung in die theoretische Physik, S 301, riproduce la dimostrazione di Poisson senza avvertirne la inesattezza. Ma lo Jamin, per esempio, l'aveva dichiarato nettamente nel suo Cours de Physique, senza però spiegare dove sia l'errore, poichè un trattato come il suo non era la sede opportuna per una discussione di questo genere. È presumibile che tutti coloro cho si sono occupati di termodinamica, e hanno letto il Poisson, ab- biano rilevato l'errore. Questo errore consiste essenzialmente nell'aver considerato le espres- sine dgsse dg ) di. 3 da sioni dii e do one derivate parziali, mentre noi oggi sappiamo che non lo sono, e sappiamo ciò appunto perchè siamo venuti a conoscere il principio della equivalenza; e nei trattati di termodinamica si procura sempre di mettere in evidenza che, in forza di questo principio, quella quantità che si chiama la va- riazione di calore, il dg, non è un differenziale esatto. Il Poisson non conosceva il principio dell'equivalenza; non poteva quindi introdurlo nelle sue equazioni e non ve l'ha introdotto, neppure senza saperlo, come vorrebbe il prof. Guglielmo; perchè il Poisson ha continuato, sino alla fine della sua dimostrazione, a considerare come derivate parziali di una me- desima funzione 9 le due espressioni suddette. Dunque è avvenuto proprio il contrario di quanto ha supposto il Van der Waals e sostiene ora il Guglielmo. — 261 — Ma il Guglielmo, per giungere alla sua conclusione, ricorre ad un'altra considerazione; egli vuole che il Poisson abbia introdotto nel suo ragiona- mento i due calori specifici, auello a volume costante e, e quello a pres- sione costante c,, in modo da ottenere l'equazione QT ST (1) dq = Cv Da dp+ 6, > dv che è (secondo il Guglielmo). una equazione esprimente il primo principio di termodinamica. Qui sta l'equivoco principale nella critica del prof. Guglielmo, equivoco che lo ha indotto naturalmente ad altre conclusioni inesatte. Per spiegarmi, devo ricordare che egli, al principio della sua Nota, dopo aver scritto la prima legge sotto la forma dqg=du+- pdv, soggiunge che, per mezzo di trasformazioni diverse e con l’aiuto del 2° prin- cipio, questa equazione si può scrivere nei tre modi seguenti : dp = gip dg= ,dT+T ST dv dv (2) i dq=cg0T I dy= ep 3 +e L'ultima di queste coincide con la (1) sopra ricordata. Non so come il prof. Guglielmo non si sia accorto che, mentre le prime due equazioni sono veramente espressioni del 1° principio (e anche del 2°), la terza non ha nulla a che fare nè col 1° nè col 2°; ma si deduce dalle solite relazioni fra i coefficienti nelle espressioni di dg, con un artifizio sem- plice di calcolo, che non vi introduce alcun nuovo concetto fisico. Basta seri- vere le solite relazioni dg=,dT+/dv. , dg=cpdT+hdp; sviluppando dT , si ha RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 35 x — 262 — dovendo essere eguali i coefficienti di dv nelle due equazioni, la 1* si può scrivere % IT. IT dqg=€; Ù; dp + Cna dv identica alla (1) ed alla 3 delle (2); e la dimostrazione è sostanzialmente la stessa che il Guglielmo riproduce, attribuendola a Bertrand e Poincaré. Questa dimostrazione diretta pare che dovrebbe bastare a persuadere che la formola così ottenuta non si potrà mai considerare come una espres- sione del primo principio. Ma per convincersi di ciò basta osservare la forma della equazione. In essa tanto 47 quanto i calori specifici possono esprimersi con unità termiche qualsiansi, perchè non vi appare, nè esplicito nè sottin- teso, l'equivalente meccanico del calore; l'equazione non esprime altro se non che una quantità di calore è eguale alla somma di due altre quantità di calore. Perchè una equazione rappresenti il primo principio, bisogna che essa esprima l'equivalenza fra una quantità di calore e una quantità di lavoro per mezzo dell'equivalente meccanico, che può anche essere 1, con opportuna scelta delle unità di misura; ma l'equivalente ci deve essere, o esplicito 0 implicito, come si vede nelle prime due delle equazioni (2), dove, per ren- dere omogenei i termini, va sottinteso che i termini 49, c,4T, cp dT sono moltiplicati per l'equivalente meccanico, il cui valore numerico, nel caso spe- ciale, è supposto 1. i Invece nella 3? delle (2) l'omogeneità esiste indipendentemente dall’es- sere l'equivalente meccanico costante o variabile. Cadono perciò e la conclusione del prof. Guglielmo relativa alla dimostra- zione del Poisson, al quale egli vorrebbe attribuire la scoperta inconsapevole del primo principio, e la obiezione alla mia dimostrazione, cioè alla dimo- strazione da me ricordata della formola di Poisson, senza ricorrere alla legge dell'equivalenza. Infatti auche la relazione i 1 dq= B (co pdv + ce, vdp), che deriva dalla (1) nel caso dei gas, soltanto introducendovi la condizione pv= RT, è evidente che non può perciò diventare la espressione di una legge che nella (1) non è contenuta. Il prof. Guglielmo fa poi diverse altre critiche al mio scritto. Mi in- segna che dg non indica la variazione del calore del gas, perchè il calore comunicato in parte produce lavoro esterno. Ma se io mi accingevo a dimo- strare che si giunge alla formola di Poisson senza presupporre alcuna nozione relativa al primo principio, come voleva che io cominciassi col tener conto di calore trasformato in lavoro esterno? Allora si sarebbe avuto ragione di — 263 — dire che il mio ragionamento era un circolo vizioso, una petizione di prin- cipio. Io dovevo mettermi nei panni, non di Poisson, che sarebbe troppa immodestia da parte mia, ma di un contemporaneo di Poisson e considerare la variazione di calore come la si considerava allora. Forse ho fatto male a non avvertirne subito il lettore, per non lasciargli credere che io nelle mie nozioni sulla termodinamica fossi rimasto all’epoca del Poisson, quando la termodinamica non esisteva. Non giungo poi a comprendere ciò che il prof. Guglielmo scrive a pag. 122, dove vorrebbe dimostrare che io o dimostro ciò che voglio negare, o deduco una legge vera da una premessa falsa. Non vedo come quella equazione (8) dg=c.Ut 4 1dv possa dar luogo alla interpretazione che egli ne dà. Qui potrei ricorrere all'autorità di tutti i trattati di termodinamica per appoggiare quanto affermo, che cioè quella equazione non si è mai scritta con l'intenzione di esprimere il principio dell'equivalenza. Che poi, appli- cando questo principio, si venga a scoprire che la quantità / si può espri- mere in funzione di altri coefficienti fisici, è questo precisamente un van- taggio che ci procura la conoscenza di quella legge. Nel caso particolare dei gas si trova J{==p; J è l'equivalente meccanico. Per un corpo qua- lunque si trovano altre relazioni utili che permettono di determinare /. Se si ricorre al 2° principio, si ottiene Ji= TE. Seguendo il modo di ragionare del prof. Guglielmo, si dovrebbe dire: nella equazione (8), o si ammette Jirrh, e la (8) diventa identica alla equazione che esprime il 2° principio; o / è diverso, e allora la (8) è falsa. Si giungerebbe quindi alla conseguenza assurda che la (8) esprime non solo il 1° ma anche il 2° principio. Il prof. Guglielmo sembra voler riassumere il suo concetto laddove dice che basta che una relazione contenga il rapporto dei calori specifici, n fun- zione dei soliti dati, per diventare una forma o una conseguenza del 1° principio; e così dice che ciò accade anche per la relazione pv = RT quando si tenga conto che R=c, — c,. Egli non si accorge, almeno così mì sembra, che il 1° principio è compreso unicamente in quest’ ultima formola, la quale contiene, come fattore sottinteso, l'equivalente meccanico; e nessuno gli può negare che, se si prende una equazione e vi sì introduce una condizione vo- luta da un determinato principio, essa finirà col contenere ciò che vi si è introdotto; ma così non si dimostra che quel principio vi era contenuto anche prima. Il concetto dell'autore poi non è neppure chiaro, perchè, laddove egli dice che quell'equazione diventa una /orma del 1° principio (cosa diversa — 264 — dall'essere una conseguenza), bisogna riflettere che veramente si dovrebbe chiamare così una equazione che rappresenta il detto principio nel suo si- gnificato generale, altrimenti non è più quel principio, e non mi pare che lo si possa dire espresso da una formola dove entrano soltanto elementi re- lativi a un corpo, o ad una classe limitata di corpi. In ogni modo tutte queste considerazioni del prof. Guglielmo non pro- vano nulla di ciò che egli si era proposto di spiegare relativamente alla dimostrazione della formola di Poisson. In conclusione, se il prof. Guglielmo ha voluto dire che la formola di Poisson, per esser vera, non deve essere in disaccordo col 1° principio di ter- modinamica, tutti gli daranno ragione. Potrei anzi soggiungere che una af- fermazione simile sarebbe affatto superflua, perchè si sa che tutte le formole esprimenti leggi fisiche, in qualunque ordine di fenomeni, devono andar di accordo col principio della conservazione dell'energia, almeno finchè non venga dimostrato che anche questo principio sia soltanto una legge-limite 0, co- munque, inesatto; spesse volte si ricorre al principio della conservazione allo scopo di controllare, per così dire, una legge fisica che si sia trovata o per via d'ipotesi o per via sperimentale. Quando invece il prof. Guglielmo vuol sostenere che la formola di Poisson non si può dimostrare .senza premettere il principio d'equivalenza, e che questo principio è rappresentato dalla equazione (1) (ciò che è una cosa ben diversa dal dire che la formola di Poisson deve andare d’aecordo con quel principio), allora confesso che non posso essere del suo parere. . Storia della geometria. — Mote sulla storia della matema- tica in Italia del Corrispondente Gino LoRIa. I. — Pier della Francesca e Luca Pacioli. Fra le opere a stampa di Luca Pacioli, (1445-1514 circa), una va n'ha su cui gli storici della matematica non si sono fino ad ora molto approfonditi e contro la cui legittimità furono da tempo sollevati molti GIaSUUCALI dubbî: è quella dal titolo Divina Proportione. Si tratta di una raccolta di problemi aventi per iscopo la ricerca del contenuto di poligoni piani e di poliedri, di aree contornate da linee rette e circolari e di volumi limitati da superficie piane e sferiche. Essa sembra modellata, piuttosto sopra gli scritti geometrici di Erone Alessandrino. che non sopra le opere apparse durante il periodo aureo della geometria greca ; ivi però ha trovato posto la figura nascente dalla scambievole intersezione di due cilindri rotondi ad assi fra loro perpendicolari, la quale, certamente, è la — 265 — più complicata e notevole di quelle che s'incontrano nello scritto di Archimede, di recente scoperto in una biblioteca di Costantinopoli. Che per comporre la Divina Proportione Luca Pacioli abbia attinto a larga mano nei lavori del celebre pittore Pier della Francesca, era stato af- fermato da G. Vasari ed E. Danti; nè valsero, a togliere la macchia che in conseguenza deturpava la sua memoria, le contrarie affermazioni indimostrate di due biografi più recenti del celebre frate, P. Cossali (') e H. Staigmiiller (?). L'accusa di plagio venne più di recente e con maggiore franchezza ripetuta da G. Pittarelli (*), il quale ha segnalato ed analizzato un Codice vaticano- urbinate, dal titolo De corporibus regularibus, il quale presenta somiglianze così profonde con la Divina Proportione che questa può ben dirsi una versione di quello dal latino in italiano (se italiano può dirsi il gergo usato dal Pa- cioli e che è una miscela di tutti i dialetti parlati ai suoi tempi in Italia). Ora un benemerito erudito, Crterolamo Mancini, ben noto come esimio cultore della storia delle arti mute, in una Memoria stampata, sotto gli auspicii di questa illustre Accademia (4), ha testè dato in luce e commentato quel lavoro inedito di Pier della Francesca e così ha offerto a tutti i mezzi per riconoscere che il plagio a danno di questo sommo artista fu effettivamente commesso. Come conseguenza di ciò, a lui, che già aveva ottenuto un posto non ispregievole nella storia della prospettiva (*), ne deve essere concesso uno non meno onorevole nella storia delle matematiche durante l'oscuro pe- riodo in cui i germi della matematica greca, da secoli sopolti, si ridestarono a nuova vita per dare mirabili frutti. Non sarò per fermo io che tenterò di far cassare o mitigare il severo giudizio pronunciato dal Mancini contro il famoso matematico di Borgo S. Se- polero, giudizio il quale ha tutto l’aspetto di una sentenza in ultima istanza. Soltanto reputo doveroso notare come il misfatto da lui commesso appaia in certa misura attenuato quando sì tenga conto dei sentimenti e delle abitu- dini diffusi fra coloro che vissero nei secoli XVI e XVII. Infatti, il rispetto per la proprietà delle opere dell'ingegno sembra essere stato allora del tutto ignoto, onde ritenevasi lecito di impadronirsi dei (1) Elogio di fra Luca Pacioli (in Scritti inediti del P. D. Cossali, pubblicati da B. Boncompagni, Roma 1857). (°) Lucas Paciuolo, eine biographische Skisze (Zeitschr. f. Math. u. Phys.,, Bd. XXXIV, 1889). (3) Intorno al libro «de Perspectiva pingendi » di Pier dei Franceschi (Atti del Congresso intern. di scienze storiche, tom. XII, Roma 1904) e Zuca Pacioli usurpò per sè qualche libro di Pietro de' Franceschi? (Atti del IV Congresso dei matematici, tom, III, Roma 1909). (4) L'opera « De corporibus regularibus » di Pietro Franceschi, detto Della Fran- cesca, usurpata da fra Luca Pacioli (Classe di scienze morali, ser. III, vol. XIV). (5) C. Winterberg, Petrus Pictor Burgensis, de perspectiva pingendi (Strassburg, | 1899). — 266 — lavori inediti dei predecessori defunti, senza mai sentirsi assaliti dal dubbio o tormentati dal rimorso di commettere azione meno che onesta. Così nel 1548 Nicolò Tartaglia pubblicava come propria fatica la tra- duzione latina dell'opuscolo archimedeo De insidientibus aquae eseguita nel 1269 da Gugliemo di Moerbeke; ed i posteri si mostrarono generalmente pro- pensi ad assolverlo dalla colpa nella quale egli era così incorso, considerando che grande era la benemerenza da lui acquistata col porre in circolazione idee e metodi importanti e pure dimenticati. Così, circa nella stessa epoca, G. B. Villapand, gesuita spagnuolo, e Bernardino Baldi, abate di Guastalla, non sdegnavano ‘abbassarsi sino al li- vello di un uomo senza scrupoli qual era Gerolamo Cardano, emulandolo nel saccheggiare i manoscritti di Leonardo da Vinci ('), quasi fiduciosi nel per- dono che avrebbero loro concesso gli studiosi, nella letizia di essere venuti a conoscere verità fondamentali sepolte in documenti generalmente inaccessibili. E siffatto mal vezzo continuò anche durante il secolo seguente ; giacchè — lo afferma un giudice non sospetto (*) — « Roberval citava soltanto gli autori ai quali nulla doveva (*); e se Descartes nel suo carteggio fece men- zione di qualche geometra, era spessissimo per intavolare con lui una di- scussione che ben presto assumeva il tono di un litigio o per pronunciare contro di lui un giudizio secco ed altezzoso » (4). A tali deplorevoli fatti, altri congeneri potranno aggiungersi, eventual- mente ricorrendo alla storia di altre discipline (naturalmente dopo di essersi accertati con ogni cautela che non si tratta di coincidenze fortuite o di in- volontarie dimenticanze). Di essi deve tenere il massimo conto tanto chi sì compiace di seguire attraverso i secoli le fasi dolla morale, quanto chi vuole pronunciare un sereno giudizio intorno alla gravità delle colpe degli scien- ziati che vengono citati dinanzi al tribunale della storia, sotto l'imputazione di appropriazione indebita. II — T. Ceva e G. Grandi nella preistoria. della Geometria descrittiva. M. Chasles affermò, nel suo celebre Apereu historique, che l'applica- zione dell'algebra alla teoria delle curve è una dottrina « dont aucune germe (1) Cfr. P. Duhem, Ztudes sur Léonard de Vinci, I sér. (Paris 1906), pp. 83 e 101. (*) P. Duhem, loc. cit., pag. 142. (*) Ad es., nel suo Zraité des indivisibles, sì cerca ‘indamno il nome di B. Cavalieri, di cui egli certamente conosceva la Geometria indivisibilibus. (4) A tale sistema il grande filosofo si attenne anche nelle sue opere a stampa. Così, quando nel 1637, nel III libro della sua Geéometrie, parlò della moltiplicità delle radici delle equazioni algebriche, non fece che ripetere o svolgere un concetto esposto chiaramente otto anni -prima da A. Girard in un’opera pubblicata ad Amsterdam e che non può essere sfuggito a lui che allora viveva in Olanda. — 267 — ne s'est trouvé dans les écrits des géomètres anciens, et le seule peut-étre dont on puisse dire, comme Montesquieu de son Esprit des l0î8, PROLEM SINE MATRE CREATAM » (1). Ora, quantunque la storia della geometria analitica presenti tuttora molte e profonde lacune che sarebbe importante ed urgente colmare (°), pure si è in grado, sino da oggi, di affermare che quelle parole del grande storico della geometria dovrebbero venire senz'altro cancellate in una nuova edizione riveduta e corretta dell’Apereu historique; chè la geometria alle coordinate, quale si trova nelle opere di Descartes (0, meglio ancora, negli scritti coevi di Fermat), non è un trovatello d’ignota provenienza, ma un individuo appartenente ad una gloriosa famiglia, non ancòra spenta. le cui origini risalgono almeno ad Apollonio Pergeo. È questo uno dei più cospicui risultati che diedero i rigorosi procedimenti, caratteristici del metodo storico, quando vennero applicati ad investigare l'evoluzione del pensiero matematico. i Ora lo stesso metodo ha permesso, non soltanto di sfatare la leggenda che la Geometria descrittiva sia opera totalmente originale di Monge; non sol- tanto di farne risalire le scaturigini all’antichità più remota (*), ma anche di seguirla nelle principali (se non ancora in tutte) sue fasi di sviluppo. Tali fasi vennero generalmente determinate (o tutlalmeno influenzate) dai bisogni delle arti del disegno o dalla scienza delle costruzioni, general- mente ma non sempre, chè, specialmente in Italia, alcuni procedimenti, che oggi si riguardano per caratteristici del metodo della doppia proie- zione ortogonale, furono ideati svolti ed applicati in quanto potevano riu- scire in qualche modo giovevoli al progresso della pura geometria. Ed infatti, un secolo prima che Monge iniziasse la sua memorabile opera di riforma, il modenese Camillo Guarino Guarini (1624-1683), in un mo- numentale trattato (4) — la cui natura prevalentemente teorica risulta dal- l'essere presentato quasi come una metamorfosi degli Elementi di Euclide — introdusse due sostanziosi capitoli (0 /rattati, per servirsi della nomenclatura da lui adottata), dedicati uno (il XXVI) alle proiezioni ortogonali e stereo- grafiche, l’altro (il XXXII: De superficies corporibus in plani redigendi) allo sviluppo di certe superficie su di un piano (?). (1) Apergu historique sur l'origine et le développement des méthodes en géométrie, II éd. conforme è la I (Paris 1875), pag. 94. (3) Cfr. la mia comunicazione Pour une histoire de la géometrie analytique (Ver- handl. des dritten internationalen Mathemathiker-Kongresses in Heidelberg, Leipzig 1905, pp. 562-74), riassunta da H. Bosmans, con intendimento di approvazione, nel fascicolo di dicembre 1915 della nota rivista belga JI/athésis. (5) Cfr. la comunicazione da me fatta a questa illustre Accademia il 15 giugno 1915 : Presentando due volumi di « Vorlesungen ber darstellenden Geometrie ». (*) Euclides adauctus et methodicus matematicaque universalis (Aug.Taurin, 1671). (5) Quantunque sia estraneo allo scopo nostro l’addentrarci in un'analisi di questo trattato, pure non possiamo esimerci dal notare che sembra essere sfuggita al Guarini x — 268 — Ora appunto da siffatte considerazioni venne probabilmente ispirato l'egregio geometra Tommaso Ceva (1648-1737) nell’applicare lo sviluppo delle superficie ‘coniche e cilindriche (supposte sempre circolari rette) alla definizione, alla costruzione ed allo studio di nuove curve sghembe, tutte situate sopra coni rotondi ed ulteriormente determinate o dalle loro proie- zioni ortogonali sul piano della base (iconografie), oppure dalle linee in cui si trasformano per effetto dello sviluppo della superficie alla quale appartengono. i | La prima di tali curve ha per proiezione una spirale d'Archimede col polo nel centro della base; è dunque quella che oggi viene spesso, benchè poco propriamente, chiamata elzea conica (*). Il Ceva non fu il primo a con- - siderarla, chè nella prop. 29 del IV libro della Collezione matematica di Pappo Alessandrino (*) se ne incontra una definizione (come intersezione di superficie) che soltanto nella forma differisce da quella prescelta dal geometra italiano. Inoltre, di essa fece uso (sia pure senza esprimersi con la desiderabile precisione) il commentatore Proclo nelle sue chiose alla IV definizione del I libro degli Z/ementi di Euclide, il che fa ritenere che la linea in questione avesse raggiunto presso i Greci una considerevole celebrità. La stessa curva si trova investigata, dal punto di vista della geometria di misura, nella la proprietà che caratterizza le superficie sviluppabili: quella, cioè, di non dar luogo a rotture od a sovrapposizioni quando esse vengano svolte su di un piano; in conseguenza, dopo le superficie coniche e cilindriche, egli ritenne lecito sviluppare le sfere, le conoidi e le sferoidi (intesi questi vocaboli nel senso archimedeo). (!) Dico « poco propriamente »' perchè essa non gode della proprietà caratteristica delle eliche (costanza del rapporto della curvatura alla torsione). Se il cono considerato ha la base nel piano 2y, per altezza / e apertura 2a, esso potrà rappresentarsi con la equazione (1) (2°-+y3) cotta — (s—)?=0, ossia mediante le tre seguenti: (2) a=0c080 , y=osenw , sz=l—ocote; se, quindi, si considesa su di esso la curva la cui proiezione sul piano #y ha per equa- zione o=acos %, la curva obbiettiva (elica conica) avrà la seguente rappresentazione parametrica: (3) L= 00080 , y=a0senw , z=l1—acotàw, Dopo lo sviluppo essa si presenta come una nuova spirale d’Archimede; ciò è conse- guenza del fatto che fra le coordinate polari 0, w di un punto dell’iconografia e quelle o," del punto corrispondente dello sviluppo passano le relazioni (4). o=owsena , => (*) Pappo, ed. Hultsch (Berlin 1876, pag. 262). — 269 — memoria di B. Pascal intitolata Dimension d'un solide formé par le moyen -d’une spirale autour d’un cone, pubblicata nel 1658 in una £Lettre de A. Dettonville (*) à Monsieur de Sluze (?). Siccome l’autore delle Persées non fa cenno dei suoi predecessori e sic- come, d'altronde egli non disponeva di vasta cultura nella letteratura ma- tematica dei Greci, così è presumibile che egli sia giunto da solo a conce- pire quella curva. Se altrettanto possa dirsi di Tommaso Ceva, ci sembra per lo meno assai dubbio, giacchè nella lettera che egli scrisse il 17 luglio 1701 a Guido Grandi (1671-1742) per informarlo degli studi di cui attualmente «c'interessiamo (*), si trova citata una proposizione di Pappo (la 21 del IV libro della Co/lezzone) che di poco precede quella che insegna la definizione -della spirale conica. Di tale curva il Ceva enunciò una proprietà concernente il rapporto che passa fra l'area descritta durante un certo intervallo dal raggio vettore della spirale d’Archimede iconografia della spirale conica e l’area corrispon- «dente del cono. Egli fa poi cenno della possibilità di individuare una curva «del dato cono mediante la curva in cui essa si muta per effetto dell'operazione di sviluppo del cono stesso; come esempio segnala il caso in cui l’intero «cono diviene, dopo lo sviluppo, un quadrante circolare e la curva la semicir- «conferenza descritta su uno dei raggi estremi; il che porge a lui l'occasione di enuuciare il problema che consiste nella ricerca di ciò che diviene una curva del cono quando si svolga su di un piano, non quel cono, ma il ci- lindro che la proietta sulla base. La novità ed importanza di siffatte considerazioni spinsero il Grandi (per sua natura sempre pronto e disposto a munire di solide dimostrazioni le verità da altri scoperte) a colmare le lacune lasciate dal suo illustre «corrispondente. A tale scopo (‘) egli si è proposto il seguente PROBLEMA GENERALE. Costruire per punti la curva in cui si tras- forma una linea tracciata sopra un cono circolare retto, quando questo venga svolto su di un piano, nell'ipotesi che di quella curva si conosca l'iconografia. (') Pseudonimo di Pascal. (*) Questa lettera conseguì allora scarsa diffusione fuori della Francia; si può anzi ritenere che il mondo matematico ne abbia avuto notizia soltanto nel 1779, quando, per «cura di C. Bossut, venne inserita nel tom. V delle Oeuvres de B. Pascal pubblicate a La Haye. (3) Questa lettera fu per la prima volta pubblicata, insieme con la relativa risposta, in appendice alla Geometrica demonstratio theorematum Hugenianorum circa logisticam, “seu logarithmicam lineam del Grandi (Florentiae, MDCCI); venne poi riprodotta nel ctom, I di Ch. Hugenii Opera reliqua (Amstelodami, MDCCXXVIII) e così ottenne este- -sissima notorietà. (4) Cfr. le pubblicazioni citate nella nota precedente. RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 36 — 270 — { E lo ha risoluto con un procedimento assai semplice, di cuî è agevole ravvisare l'identità sostanziale con quello oggi in uso ('). Nè al Grandi è sfuggito che la costruzione esposta, eseguita in ordine inverso, abilita a costruire per punti l’ iconografia di una curva appartenente al dato cono quando se ne conosca lo sviluppo; onde a lui si debbono le prime solu- zioni dei due problemi fondamentali che presenta lo sviluppo di un piano di un cono circolare retto. i Il Grandi, che maneggiava con non comune maestria i procedimenti di geometria infinitesimale sintetica in uso nel periodo che immediatamente precede l'invenzione del calcolo differenziale, ha ricamato altri eleganti svi- luppi sopra il canevaccio fornito dal Ceva ; su di essi non è il caso di insistere- nella presente occasione. Tuttavia crediamo opportuno rilevare che nella. chiusa del suo scritto il Grandi tenne parola della curva che sta sopra un cono circolare retto ed ha per iconografia una spirale logaritmica [linea questa che egli, al pari di E. Torricelli (*), chiama spirale geometrica (8) ]; ora tale linea ha assunto ai tempi nostri una notevole importanza e s'incontra in molti lavori moderni sotto il nome, scelto da P. Serret, di elica ezlindro- conica (*); onde l’averla per primo considerata accresce di una le molte be-- nemerenze che di fronte alla geometria possiede Guido Grandi (*). () Si paragoni, infatti, la figura che si trova a pag. 190 del succitato volume del Grandi. con la fig. 54 del mio manuale Poliedri curve e si Super fiote secondo. i metodi della geometria descrittiva (Milano, 1912). (3) Cfr. la comunicazione da me fatta a questa Accademia il 5 dicembre 1897 sopra. Evangelista Torricelli e la prima rettificazione di una curva. (3) Di tale curva il Grandi parla nella succitata Geometrica demonstratio ecc. (pp. 10-11 e 53) come linea analoga, in coordinate polari, alla logistica, di cui Huygens. aveva rivelato l’importanza ; egli ricorda come proprio unico predecessore Descartes, il quale- ne fece menzione in una lettera diretta al Mersenne il 12 settembre 1638 (e pubblicata. per le stampe nel 1667); che altrettanto abbia fatto il Torricelli in parecchie lettere, la più antica delle quali sembra essere quella diretta a Michelangelo Ricci il 17 marzo 1646, sembra sia sfuggito al Grandi. (4) Mantenendo il sistema di rappres:ntazione analitica adottato in una nota pre- cedente, come equazioni di tale curva si possono assumere le seguenti: a=a40% coso , y=aedosenm , 2=1—acotae®; essa, a sviluppo compiuto del cono, si presenta sotto l’aspetto di una nuova spirale logaritmica. (5) Tali benemerenze vennero un po’ esagerate da Frieda Nugel nella sua Inaugural=- Dissertation dal titolo Die Schraubenlinien: eine monographische Darstellung (Halle: a. S., 1912), chè il Grandi si è limitato a definire l’elica cilindro-conica ; in particolare non fece nemmeno un cenno della sua proprietà di tagliare sotto angolo costante le genera- trici tanto del cono quanto del cilindro a cui appartiene. Altrettanto infondata è la cri tica che l'autrice rivolge a M. Chasles di avere scambiato l'elica cilindro-conica con la. elica conica, chè gli è proprio di questa che il Grandi, seguendo le orme di Tommaso Ceva, si è di proposito occupato, dell’altra non avendo che esposta la definizione. — 271 — Geologia e paleontologia. — Cenni sulle faune sopracreta- ciche a rudiste del Monte Gargano. Nota del Socio C. F. PARONA. In lavori precedenti ebbi occasione di segnalare la presenza, nel Creta- cico garganico, di qualche interessante rudista, e di darne descrizioni e figure (*). L'esame di una serie di fossili, gentilmente comunicatami dal col - lesa prof. G. Checchia-Rispoli, mi offrì poi l'opportunità di riprendere in studio altri fossili cretacici provenienti pure dal Gargano e che, come quelli suaccennati, fanno parte della « collezione Costa » del R. Museo geologico di Napoli, da tempo affidatami dall'amico prof. Francesco Bassani. I risul- tati ottenuti con queste ultime ricerche portano nuovi dati sui caratteri pa- leontologici del Cretacico dell'Italia meridionale, che ritengo utile di riassu- mere in questa breve Nota, come contributo alla « geologia del Gargano », che sarà prossimamente illustrata dal prof. Checchia-Rispoli. I più notevoli fra i fossili qui citati, saranno in altra occasione descritti e figurati. La serie cenomaniana-turoniana, per quanto mi risulta dai fossili in esame, è rappresentata da due /aezes litologicamente distinte. Pochi campioni, della collezione Costa, sono di calcare bianco semicri- stallino, quasi breccia di rottami di fossili, che corrisponde perfettamente al noto calcare dei Monti d'Ocre. Vi riscontrai : Toucasia Steinmanni Schnarr. Monopleura forojuliensis Pir. Caprotina sp. Nerita aprutina Par. Schiosia schiosensis Boehm Trochus sabinus Par. Sono forme della fauna cenomaniana dei banchi a 7oucasia Steinmanni dei Monti d'Ocre; ela presenza della Monopleura forojuliensis e della Schiosia schiosensis lascia ritenere ch'esse provengono da un livello prossimo o di pas- saggio al Turoniano. La Schiosia schiosensis è altra rudista che viene ad aggiungersi a quelle già note, comuni al Sopracretacico dell'Appennino e delle Prealpi venete orientali: Monopleura forojuliensis, Schiosia forojuliensis Boehm, Caprina schiosensis Boehm; queste due ultime recentemente da me riconosciute fra i fossili raccolti ai Monti di Ocre in occasione della gita fattavi dalla Società geologica italiana durante la riunione in Aquila (°). (1) C. F. Parona, Nuovi studii sulle rudiste dell’ Appennino (radiolitidi) in Mem. R. Accad. Torino, LXII, 1911; Fossili neocretacei della Conca Anticolana, Boll. R. Com. geol., XLII, 1912. (£) C. Crema, Escursione al Monte d’Ocre, Boll. soc. geol. it., XXXII,1914, pag. ccxmi. x — 272 — L'altra /acies si presenta con calcare bianeo-selcioso, spugnosò per de- calcificazione, inquinato da « terra rossa », ricco di orbitoline e con mollu- schi e corallari silicizzati. Eccone l'elenco: * Nerinea Stoppanii Gemm. Terebratula sp. [gr. della 7. bipli- Nerinea cfr. erycina Gemm. cata (Br.) |. Eulima requieniana d'Orb. Rhynchonella Grasiana d'Orb.? Pleurotomaria sp. Leptophyllia conica d'Orb. Plagioptychus Aguilloni (d'Orb.). Aspidiscus Franchii Par. * Caprotina Roemeri Gemm. * Orbitolina anomala Prev. ; * Sphaerucaprina Woodwardi Gemm. * Orbitolina cfr. discoidea Gras * Monopleura forojuliensis Piìr. *Orbitolina bulgarica Desh. Himeraelites Douvillei Di Stef. * Orbitolina Paronai Prev. Iehthyosarcolites caput-aequi Gemm.? * Orbitolina Boehmi Prev. Ichthyosarcolites bicarinatus Gemm. * Orbitolina ovulum Prev. * Praeradiolites Pironai Par. Orbitolina mamillata d'Arch. * Radiolites radiosus d'Orb. Orbitolina plana d' Arch. Joufia reticulata Boehm. * Orbitolina cfr. concava Lmk. Spondylus n. f. * Orbitolina conoidea Gras. Alectryonia carinata Lamarck. Devesi tosto notare in questo elenco l'associazione di forme cenoma- niane, turoniane e senoniane. Non potendosi ritenere originaria questa pro- miscuità di forme, bisogna ammettere che Cenomaniano, Turoniano e Seno- niano si succedano conservando immutati i caratteri litologici. Con ulteriori ed accurate ricerche sui posti si potrà precisare il livello di passaggio fra queste zone, la loro relativa potenza ed i rapporti stratigrafici di suc- cessione. Rappresentano il Cenomaniano: Cuprotina Roemeri, Monopleura foro- Juliensis, Himeraelites Douvillei, Ichthyos. bicarinatus, Praeradiolites Pi- ronai, Alectryonia carinata. Aspidiscus Franchii. Sono attribuite al Turo- niano: /lagioptychus Aguilloni, Sphaerucaprina Woodwardi, Radiolites radiosus, Eulima requieniana, Leptophyllia conica, che sì aggiungono alle altre forme turoniane giù note per il M. Gargano; Zoradiolites cfr. liratus (Conr.), Zorad. colubrinus Par., Sauvagesia garganica Par., Durania cor- nu-pastoris (Des M.). i La Monopleura forojuliensis, per quanto ci risulta, è un fossile che passa dal Cenomaniano al Turoniano, e probabilmente non è il solo fra quelli (*) Sono segnate con asterisco le forme della collezione Checchia-Rispoli. La Sph. Woodwardi è ben rappresentata anche nella collezione Costa. Rispetto al giacimento di questi fossili vedasi la Nota del dott. Checchia-Rispoli, Osservazioni geologiche nei dintorni di Vico, in questo stesso fasc. dei Rendiconti dell’Accademia. — 273 — suindicati. È notevole la presenza di Sphaerucapr. Woodwardi. Ichthyo- sare. caput-aequi, Tehthyos. bicarinatus, Nerinea erycina, ora per la prima volta riscontrate nell'Appennino: esse, mentre confermano le corrispondenze paleontologiche del Sopracretaceo appennino con quello siciliano, dimostrano che queste corrispondenze si ripetono per le successive zone oltre il Ceno- maniano E qui noto, giacchè mi si presenta l opportunità, che la Sphaeruc. Woodwardi fu raccolta dall'ing. C. Crema anche a Castel S. Angelo presso Antrodoco (Abruzzo). {i Così merita d'essere rilevata la presenza, nel Gargano, della Joufia re- ticulata, radiolitide del Sopracretacico friulano, pure da me riconosciuta fra i fossili trovati dallo stesso ing. Crema presso Fiamignano (Abruzzo). Il li- vello stratigrafico cui appartiene la /oufia non è finora fissato in modo pre- ciso: Boehm e Snethlage l'attribuiscono a strati del Cenomaniano superiore o del Turoniano inferiore, e più recentemente Klinghardt (*) affermò che i calcari con Jovfia sono senoniani: ma questa affermazione è da accogliersi con riserva, in quanto che, se la lista di rudiste e di altri fossili data dal Klinghardt risulta in prevalenza di forme senoniane, e fra queste anche quelle del gen. Sabinia da me descritte per la « pietra di Subiaco » (altra cor- rispondenza paleontologica fra il Cretacico prealpino e appenninico degna di menzione), contiene d'altra parte forme cenomaniane e turoniane. e persino la Caprotina trilobuta d'Orb. dell Urgoniano. È pure interessante di notare il rinvenimento del genere Aspidisers rappresentato dall'Asp. Yranchii: questo fossile, insieme coll’ /chtyos. bica- rinatus ed altre forme, attesta i rapporti già da me rilevati fra il Cretacico dell'Italia meridionale e quello del Gebel tripolitano (Homs) (?). Il complesso delle orbitoline corrisponde strettamente alla fauna orbi- tolinica dei Monti di Ocre. Sono d'accordo col prof. P. L. Prever, al quale devo le determinazioni specifiche, nel rilevare che prevalgono assolutamente per numero di individui le orbitoline anomala, Paronai, Bohemi, ovulum. Sono forme in pieno sviluppo, e qualcuna di esse passa nel Turoniano; le altre, rare e piccole. si direbbero rappresentanti regressivi di forme più an- tiche, prossime alla scomparsa definitiva. A proposito di orbitoline, ricordo che H. Douvillé, nel suo studio sul gen. Sphaerucaprina (*) ed in particolare sulla Sphaer. Woodwardi di Si- cilia, ebbe a notare nella roccia, che comprende gli esemplari siciliani di questa forma, numerosi individui di una orbitolina conica che gli sembrò impossibile di distinguere dalla Ord. conzea d'Arch. del Cenomaniano inferiore (4) F. Klinghardt, Vorliufige Mitteilung ‘ber eine Kreidefauna aus Friaul, in Centralblatt f. Min. ecc. 1912 (10). (3) C. F. Parona, Per la geologla della Tripolitania (Atti R. Acc. Torino, tom. L, 1914). (3) H. Douvillé, Etudes sur les rudistes: rudistes de Sicile, d’Algérie, d'Egypte, du Liban et de la Perse (Mém. de la Soc. séol. de France: Paléont.. XVIII, 1910, pag. 38). x — 274 — di Fouras. Trovò quindi impossibile di far rimontare gli strati a Sphaeru- caprina nel Turoniano; egli li farebbe discendere piuttosto nel Cenomaniano inferiore, insieme cogli strati a Caprotina; mentre gli strati a Polyconites, più bassi, si disporrebbero affatto naturalmente nell’Albiano. Non conosco le orbitoline che a ‘Termini Imerese accompagnano la Sphaer. Woodwardi; e non posso contestare la corrispondenza loro con la Orb. conica rilevata con tanta autorità dal Douvillé. Ma è ormai fuor di dubbio che la fauna orbitolinica sia sopravvissuta al Cenomaniano e faccia parte della fauna turoniana, com'ebbi occasione di sostenere in altri lavori e com'è confermato ora dal fatto che al Gargano le orbitoline stanno e nel calcare con fossili cenomaniani e in quello con fossili turoniani. D'altra parte è da osservare che nella lista suesposta dei fossili silicizzati ho citato pure la Nerinea Stoppanii e la Caprina communis (ricordata, questa, anche dal Douvillé) ritenute spettanti agli strati con Sphaerucaprina prima che il Di Stefano (') verificasse che esse accompagnano nel Cretacico siciliano Hip- purites Oppelit Douv., Schiosia sp., Pecten quadricostatus d'Orb., Acta- eonella crassa d'Orb., Act. laevis d'Orb. negli strati con orbitoidi e side- roliti di età senoniana. i Il Senoniano nel promontorio del Gargano è già paleontologicamente noto, come ricorda il Checchia-Rispoli (?), ed è anche caratterizzato da rudiste, Hippurites cornu-copiae Defr., Durania austinensis (Roem.), Dur. apula Par.. oltre che dal Mortoniceras Micheli (Savi) Fucini. Ma ora posso dare notizia di altri fossili dello stesso piano. La « collezione Costa » comprende un certo numero di buoni esemplari della Actaconella crassa d'Orb. e di Actaeonina n. f. compresi in un calcare bianco travertinoide. Ho poi os- servato che qualcuna delle rudiste silicizzate, suaccennate, erano parzialmente incrostate o riempite da sabbia quarzosa gialla, diversa quindi dalla roccia propria dei fossili. Questo materiale, evidentemente rimestato, contiene fo- raminiferi abbastanza numerosi, riferibili ai generi 0r0/t02des, Stderolites, Alveolina; ed il dott. Prever ha riconosciuto Ord. apiculota Schlumb., Orb. minor Schlumb., Orb. gensacica Leym., Siderolites Van den Broeki Osimo, Std. Vidali Douv. Bastano questi cenni a dimostrare che la serie sopracretacica del Monte Gargano non è meno interessante, sotto il punto di vista paleontologico, degli altri piani geologici che concorrono a costituire questo promontorio ; e si può ritenere che il M. Gargano acquisterà importanza sempre più no- ‘ tevole per la conoscenza e storia del Sopracretacico quando si avranno in- formazioni più particolareggiate sullo sviluppo ch'esso vi assume e più pre- cise sui caratteri dei successivi suoi orizzonti, sui rapporti stratigrafici e di fauna dei medesimi, nonchè sulla ubicazione dei giacimenti fossiliferi. (1) G. Di Stefano, / cale. cretac. con orbitoidi dei dintorni di Termini Imerese e di Bagheria (Palermo), Giorn. Sc. nat. ed econ., XXVII, 1907. 4 (*) G. Checchia-Rispoli, Bibliogr. geol. e paleont. della Cupitanata, Palermo 1914, — 275 — Fisiologia. — Nuove ricerche sui muscoli striati e lisci di animali omeotermi (*). Nota VIII: Azione dei gas della respirazione «sul preparato frenico-diaframmatico (parte 1°), del Corrispondente FILIPPO BOTTAZZI. Introduzione e notizie storiche sull’argomento. L'importanza delle ricerche risguardanti l'influenza che sulla funzione muscolare esercitano, da una parte la sottrazione dell'ossigeno, e dall'altra la presenza in eccesso dell'acido carbonico, consiste in ciò: che esse possono gettar nuova luce sulla capacità dei muscoli di contrarsi in un ambiente povero o privo di ossigeno, e sull'azione di uno dei prodotti del metabolismo muscolare qual'è appunto l'acido carbonico. Queste ricerche vanno riprese con tanto maggior lena, ora che si vengono formulando nuove ipotesi (*) cirea il meccanismo della contrazione muscolare e le relazioni che con-le varie fasi di questa presentano i gas della respirazione. Le presenti ricerche sono state fatte sul preparato frenico-diaframmatico (*) immerso continuamente in liquido di Ringer a temperatura costante, ovvero immerso per certi periodi della sopravvivenza e per altri sospeso nell'aria umida della camera-termostato (‘), o finalmente immerso solo per una parte variabile della sua lunghezza. Per la camera facevo poi passare a volontà i varî gas: ossigeno, azoto e acido carbonico, dopo che avevano attraversato bocce di lavatura tenute in bagno-maria a temperatura costante eguale a quella della camera-termostato. Spesso, l'esperimento era fatto simultaneamente su due preparati dello stesso animale, tenuti nella medesima camera-termostato, e i loro movimenti ‘erano registrati sopra un unico cilindro affumato rotante a piccola velocità, (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia sperimentale della R. Università di «Napoli. (*) Vedi il mio articolo: L'attività muscolare, in « Scientia», pag. 101 (1916). (®) Ved. Fil. Bottazzi, Memorie della R. Accad. dei Lincei (5), vol. X, fasc. 13, pag. 26 (1914). (4) Ibidem, pag. 35 e fico. 2-4. x — 276 — mediante due leve sovrapposte, o sopra due cilindri distinti. Mediante un interruttore automatico rotativo, di cui potevo variare a volontà la velocità. di rotazione, stimolavo ritmicamente, con scosse d’apertura di corrente iu-. dotta di frequenza variabile, l’unico preparato, o i due preparati simulta- neamente o alternativamente. Più volte. esposti due preparati dello stesso- animale alle identiche condizioni, stimolai uno solo di essi, mentre l’altro. rimaneva a riposo per tutta la durata dell'esperimento, saggiandone solamente: l’eccitabilità in principio, e poi a intervalli variabili, mediante uno o due- stimoli. Si può ritenere che il preparato si trova in un ambiente povero di ossigeno quando per il liquido di Ringer, in cui esso è sospeso, non si fa. gorgogliare nessun gas, perchè in tali condizioni una piccola quantità di ossigeno può essere assorbita dall'atmosfera. Naturalmente, il liquido non essendo attraversato da alcun gas, l'acido carbonico, che il preparato produce durante la sua attività, in parte vi si accumula. Per contro, quando sì fa gorgogliare ossigeno in grande quantità, il preparato si trova in un ambiente ricchissimo di questo gas, ma poverissimo. di acido carbonico, che ne è scacciato dalla corrente dell'altro gas. Facendo gorgogliare azoto, tanto l'ossigeno quanto l'acido carbonico sono. eliminati dal liquido di Ringer; e siccome tutta l'aria della camera viene a essere sostituita dall’azoto, il preparato non può giovarsi nemmeno della, piccola quantità di ossigeno che altrimenti avrebbe potuto assorbire dalla atmosfera. S L'acido carbonico, finalmente, a volte l'ho fatto gorgogliare solo e per un tempo considerevole, in guisa da eliminare tutto l'ossigeno; a volte l'ho- aggiunto, in quantità variabile. all'ossigeno o all'azoto continuamente gor- goglianti per il liquido di Ringer. In realtà, la sola condizione sperimentale meno dissimile dalla normale sarebbe quella in cui nell'ambiente che cireonda il preparato fossero costan- temente mantenute una tensione parziale dell'ossigeno e una dell'acido car- bonico identiche a quelle che i detti gas hanno nel sangue circolante per i muscoli. Tale condizione è difficile a realizzare in pratica, onde si considera come normale quella in cui per il liquido di Ringer vien fatto gorgogliare moderatamente il solo ossigeno. Tuttavia, non sarà superfluo rammentare che in tal caso la tensione parziale dell'acido carbonico nel liquido, e quindi 3 nel tessuto, ordinariamente è minore di quella che il gas presenta nel sangue- circolante. 1 * x x I primi a dimostrare che varî animali pecilotermi e tessuti; partico- larmente i muscoli, possono vivere lungamente in un’atmosfera priva di — 277 — ossigeno, furono L. Spallanzani (*), L. Hermann (*), C. Ludwig (5) e Pfiùger (*).. In seguito, Loeb (*) osservò che il cuore dell'embrione di Fundulus continua a contrarsi per non meno di 12 ore in assenza di ossigeno; e Broca e Richet (°) potettero constatare che nell’asfissia le contrazioni dei museoli di cani cessano con le ultime respirazioni dopo essere aumentate d' intensità, e che, se l’asfissia è interrotta al momento giusto, facendo la respirazione artificiale, esse tornano a manifestarsi più gagliarde di prima. Anche Waller e Sawton (*) osservarono nei muscoli di rana curarizzati e non curarizzati un aumento delle contrazioni massimali sotto l'influenza di CO., che essi paragonarono al fenomeno della scala. Ma le ricerche più complete sull'argomento sono senza dubbio quelle: di von Lotha. In un primo lavoro, fatto sui muscoli di rana separati dal corpo (5), questi osservò: che l'acido carbonico provoca una cospicua con- trattura del muscolo, e un aumento della durata della contrazione a spese principalmente della fase di decontrazione; un aumento delle altezze delle contrazioni, che si verifica però e dura maggiormente quando gl’ intervalli fra gli stimoli sono notevolmente lunghi, mentre, se sono brevi, le contrazioni diminuiscono subito di altezza; che l'azione nociva dell’acido carbonico si manifesta tanto più presto, quanto più intensa è l’attività (maggiore la fre- quenza degli stimoli) a cui il muscolo viene sottoposto; che il muscolo può restaurarsi benissimo, anche se l’acido carbonico produsse totale ineccitabilità ; e che, finalmente, l'acido carbonico esercita un'azione conservatrice o di risparmio sul muscolo, inibendone l'attività, onde la produzione di CO, durante l’attività muscolare deve essere considerata non solo come l’espressione di (1) L. Spallanzani, Opuscoli di fisica animale e vegetabile, vol. I, parte I, cap. VII, pag. 117; vol. IT, opusc. III: Osservazioni e sperienze intorno agli animali e ai ve- getali chiusi nell'aria, pp. 127 e segg, Modena 1776. — Idem., Memorie sulla respi- razione (Opere, vol. V. Milano, Soc. tipugr. de’ classici italiani, 1826). (3) L. Hermann, Untersuchungen ber den Stoffwechsel der Muskeln, ausgehend vom Gaswechsel derselben, pp. 28 e 43. Bezxlin, 1867. (3) Cit. da C. Lhotàk von Lhota (ved. appresso). (4) E. W. Pfliùger, Veber die physrologische Verbrennung in den lebenden Orga- nismen. Pfliger’s Arch. X, pag. 251 (1875). (5) J. Loeb, Untersuchungen diber die physiologischen Wirkungen des Sauerstojf- mangels. Pfiiger's Arch. LXII, pag. 249 (1895) (ved. pp. 277-287). (5) A. Broca e Ch. Richet, De la contraction musculaire anaérobie. Arch. de phy- siol. norm. et path. XXVIII, pag. 829 (1896). (7) A. D. Waller and S. C. M. Sawton, Action of carbon dioride on volunetary and cardiac muscle. Journ. of physiol. XX, pag. xvi (1896). (8) C. Lhotak von Lhota. Untersuchungen uber die Verhànderungen der. Muskel- function in einer Kohlendioxydatmosphare. Arch. f. (Anat. u.) Physiol., pag. 45 (1902). Idem, Rechercnhes expérimentales sur la conservation du potentiel musculaire dans Patmosphère de l'anhydride carbonique. Journ. de Physiol. et de Path. génér., pag. 976 (1902). Rexpiconti. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 37 — 278 — processi catabolici, ma anche come una disposizione regolatrice tendente a impedire il completo esaurimento del muscolo. Debbo a questo punto notare che già Lopriore (*) aveva accennato a ana simile influenza regolatrice dell'acido carbonico sui protoplasmi vegetali, «il cui accrescimento ne sarebbe agevolato. Nei muscoli degli animali omeotermi, lo stesso von Lhota (*) osservò -che, durante l’asfissia, le contrazioni dei muscoli, lasciati 77 st, prima au- ‘.mentano di altezza (in certi casì, perfino del doppio), ma per brevissimo tempo (5-20 contrazioni); quindi diminuiscono, fino a scomparire del tutto. Ma questa ineccitabilità, costituente il secondo stadio dell’azione del- l'acido carbonico, sarebbe solo apparente. perchè con stimoli più forti si possono ancòra provocare mediocri contrazioni. Segue poi il terzo stadio, che è il premortale, durante il quale riapparisce una mediocre eccitabilità per gli stimoli forti. L'A. non spiega l'aumento della eccitabilità del primo stadio, «che ricorda il fenomeno della scala; e spiega l'apparente ineccitabilità del secondo stadio come un fenomeno d'inibizione causato dai prodotti tossici «del metabolismo rimasti non ossidati. Tuttavia, egli ha coservato che l’inec- «citabilità si presenta anche se il muscolo, durante l’asfissia, non è affatto stimolato. La capacità funzionale del muscolo asfittico si restaura da sè, anche negli animali omeotermi, specie se lo si ivrora di nuovo con sangue ricco di ossigeno. Osservazioni analoghe a quelle sopra ricordate trovansi nelle pubblica- ‘zioni di Joteyko (*), di Polimanti (‘) ecc. i La critica di esse conviene che sia fatta dopo l'esposizione dei risultati sperimentali. nix Le mie ricerche sul preparato diaframmatico isolato dal corpo riguardano le variazioni del tono, della durata di sopravvivenza, della fatica e del tempo in cui sì manifesta l’accorciamento terminale da rigidità, dell'altezza delle contrazioni ece., in condizioni diverse, e cioè: nell’assenza assoluta di ossi- geno, in presenza di poco o di molto ossigeno, ìn presenza di quantità variabili di acido carbonico solo, o di acido carbonico misto con ossigeno ecc. Riassumo brevemente, in questa prima Nota, i risultati ottenuti riguar- danti: l’azione dell'acido carbonico sul tono dei preparati diaframmatici. sospesi, durante l'esperimento, in ambiente saturo di umidità, ma non im- (3) G. Lopriore, Veder die Einwirkung der Kohlensàure auf das. Protoplasma der lebenden Pflanzenzelle. Jahrb. f. wiss. Botan. XXVIII, pag. 531 (1895). 1 i (3) C. Lhotak von Lhota, Functionsanderungen des Warmblitermuskels beim Sauer- «stoffmangel. Pfliger's Arch. XCIV, pag. 622 (1908). (3) J. Joteyko, Za fatigue et la respiration éléementaire du muscle. Paris 1896. — Idem, La vie anaérobie du muscle. Journal médic. de Bruxelles, n. 31, 8 agosto 1898. 4) O. Polimanti, Ricerche sulla fisiologia generale dei muscoli. Roma 1906. — 279 — mersi nel liquido di Ringer; sulla eccitabilità delle giunzioni neuro-musco- lari, cioè sulla conduttività neuro-muscolare; sull’altezza delle eontrazioni provocate da stimoli di minima frequenza. 106; Influenza dell’acido carbonico sulla conduttività neuro-muscolare, sul tono del preparato diaframmatico, e sull’altezza delle con- trazioni provocate a lunghi intervalli. In quegli esperimenti della durata di più ore, durante i quali si stimola ritmicamente il preparato diaframmatico (con stimoli di varia intensità e di frequenza non inferiore a 30-20 al 1’), in guisa da far ad esso registrare una «curva di fatica», bisogna distinguere due specie di accorciamenti durevoli: quelli fonzeî o contratture, che si presentano al principio dell'esperimento, quando cioè il muscolo è ancòra fresco e dotato di notevole capacità fun- zionale; e quelli /erminali, che sono indizio di rigidità. Se il muscolo è tenuto a temperatura nè troppo bassa nè troppo alta, è stimolato non troppo frequentemente, ed è abbondantemente fornito di ossigeno, raramente il tracciato presenta al principio contratture degne di nota. Tuttavia queste si osservano (ved. per es. le figg. 11, 12 e 183 della mia « prima Memoria »); e più spesso sogliono presentarsi, quando il mu- scolo è eccitato da stimoii forti e frequenti, specie se l'ossigeno è sommiì- nistrato in scarsa quantità; o in certi preparati i quali, per cause ignote, appariscono originariamente dotati di una particolare disposizione alle con- tratture. In tali casi, io credo che la contrattura sia provocata principalmente dalla formazione in breve tempo di una quantità eccessiva di acido lattico, che le condizioni sperimentali non permettono che sia nè eliminato nè in «qualche modo metabolizzato. Volendo quindi indagare se l'acido carbonico provoca per sè stesso la -‘contrattura iniziale, e quale influenza questa esercita sulle contrazioni rapide, ‘è necessario stimolare ìl muscolo a grandi intervalli, in guisa da ridurre al minimo la formazione dell’acido lattico. Nell’esperimento, cui si riferisce la fig. 1, in 1. si cominciò a sostituire l'ossigeno con acido carbonico, la cui quantità fu poi aumentata in 2. Come dimostra il tracciato, in primo luogo sotto l’azione di CO. le con- trazioni provocate mediante stimolazioni del nervo (N) mano mano dimi- nuirono di altezza fino a scomparire del tutto; in secondo luogo, specialmente dopo 2., le contrazioni provocate da stimoli diretti, non che diminuire di sallezza, aumentarono un poco e progressivamente; e in fine 77 muscolo — 280 — presentò un cospicuo accorciamento tonico, che non poteva dipendere dalle cause sopra dette, data la piccolissima frequenza degli stimoli. ma doveva essere causato dall'acido carbonico. Cessato il passaggio di questo gas, e somministrato di nuovo ossigeno al muscolo (in 8.), le contrazioni aumenta- rono grandemente di altezza, fino a raggiungere quella delle contrazioni del muscolo freschissimo (non riprodotte nella figura), e il tono incominciò ad abbassarsi. Fia. 1. Analogo risultato ebbi nell’esperimento, cui si riferisce la fig. 2. In questo caso la contrattura prodotta da CO, fu assai debole. Ma per compenso il tracciato dimostra evidentemente la restaurazione della eccitabilità, non solo del muscolo, ma anche deile giunzioni neuro-muscolari; dopo che al- l'acido carbonico fu sostituito l'ossigeno. Le contrazioni N sono quelle pro- vocate mediante stimolazioni del nervo; le M., quelle provocate mediante stimolazione diretta del muscolo. Come si vede, le contrazioni N diminui- rono mano mano d'altezza, e finalmente scomparvero; ma poi tornarono ad: apparire, prima piccole e poi sempre più alte. Le contrazioni M. prima di- minuirono di altezza: poi, come l'accorciamento tonico si venne accentuando, crebbero, e quindi di nuovo diminuirono, causa l'azione prolungata di CO». Ma, somministrato di nuovo l'ossigeno, le contrazioni M tornarono ad aumen- tare progressivamente di altezza, finchè raggiunsero quasi quelle delle con- trazioni precedenti l'azione di CO,. La fig. 3 riproduce il tracciato ottenuto in un altro esperimento, che dette risultati simili. La restaurazione delle giunzioni neuromuscolari e del muscolo, dopo l’azione dell'acido carbonico, non fu in questo caso tanto co- — 281 — sspicua quanto nel precedente, ma si verificò in grado notevole. Si osservi il Fe. 2. progressivo aumento e poi la dimi- nuzione dell’altezza delle contra- zioni dei gruppi centrali della figura. Se il muscolo, però, non è stimolato affatto, la contrattura iniziale non si verifica (ved. fig. 4), o solo in minimo grado. Essa si verifica, invece, ed è molto più cospicua, quando il mu- scolo è stimolato più frequentemente che non negli esperimenti ai quali si riferiscono i tracciati delle figg. 1, 2 e 8. Nella fig. 5, per es., i trac- ciati A e B furono registrati da due preparati diaframmatici dello stesso cane, simultaneamente. Il preparato A, tenuto sempre in atmosfera di ossigeno, non presentò contrattura degna di nota, mentre il preparato B, tenuto in atmosfera di acido carbo- nico, ne presentò una evidentissima. Affatto distinto dalla contrat- tura iniziale è l’uccorciamento ter- minale da rigidità. Questo si pre- senta sempre, sotto l'influenza del- l’acido carbonico, e assai più presto che in condizioni normali, tanto nei muscoli stimolati (ved. fig 6), quanto în quelli non stimolati (fig. 4) e che perciò non presentarono una contrattura iniziale. Anche nel tracciato della fig. 6 la contrattura iniziale è nettamente distinta dall’accorciamento terminale. La contrattura iniziale diffe- risce dall’accorciamento terminale perchè: 1) la prima è tanto più co- spicua quanto maggiore è la capacità funzionale e tonica del muscolo; 2) essa, contrariamente alla rigidità, si risolve presto; — 282 — 3) durante e dopo la contrattura, il muscolo rimane eccitabile, mentre durante la completa rigidità il muscolo si dimostra ineccitabile. In generale, una seconda contrattura dopo la prima non sì presenta mai, quando il muscolo è stimolato ritmicamente; ma dopo un lungo riposo in presenza di molto ossigeno, l'acido carbonico può provocare una nuova con- trattura. Fis. 3. FI. 4 La contrattura iniziale da acido carbonico differisce da quella che pro- ducono gli altri acidi (per es., l'acido lattico) e altre sostanze (per es., la veratrina, la nicotina, gli alcali, il cloroformio, il cloruro di tetrametilam- monio ecc.), perchè essa non si è mai verificata, negli esperimenti finora da me fatti, se non quando il muscolo era stato stimolato con stimoli di piccola o di mediocre frequenza. Ciò dimostra che a produrla contribuisce l'addizione degli accorciamenti residuali delle singole contrazioni provocate. Ma Questo non è l’unico fattore, e nemmeno il principale. L'acido carbonico, incapace per sè stesso di provocare una contrattura, esalta nel muscolo la tendenza all'aceorciamento tonico. —‘Dggi — Che la capacità tonica propria del muscolo infiuisca molto sul fenomeno» della contrattura provocata da CO,, è dimostrato dal fatto che, negli espe- rimenti di von Lhota, i muscoli di tartaruga presentarono una contrattura assai maggiore che non quelli di rana; e anche dal nostro esperimento, al quale si riferisce il tracciato della tig. 6. In questo caso, in cui il preparato. eseguiva contrazioni ritmiche automatiche (a sinistra di 1), le quali sono, Fic. 5. indizio di una grande eccitabilità delle giunzioni neuro-muscolari, e presentava, evidente tendenza all’accorciamento tonico automatico, la contrattura prodotta dall’acido carbonico fu non solo assai accentuata, ma si svolse anche rapi- damente. In questi esperimenti non abbiamo osservato un aumento assoluto del- l'altezza delle contrazioni rapide causato dall’acido carbonico. Quell’aumento, che si scorge nei gruppi della parte media del tracciato nelle figg. 1 e 3,. dipende dalla contrattura ed è analogo a quello che presentano le contra-- — 284 — zioni « sostenute »; tuttavia le contrazioni dei detti gruppi sono sempre meno alte, sia di quelle che il muscolo eseguiva prima di subire l’azione dell'acido carbonico, sia anche di quelle che eseguì durante la successiva restaura- zione in ossigeno. Fio. 6. Ma sul fenomeno descritto da Broca e Richet, da Waller e da von Lbhota, tornerò nelle Note successive. ? Matematica. — Sopra un'applicazione della convergenza in media. Nota II di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA. 1. Dimostrerò la seguente proposizione : Sta co (1) Pere eds una serie di Dirichlet, appartenente alla classe considerata nella Nota 1 e convergente nel semipiano 0 > ff. Posto sir (0510): condizione necessaria e sufficiente perchè a(0 ,.t), al tendere di 0 a $ per valori maggiori di B, converga in media, in (— 2, + co), verso una funzione p(t). è che la serie sia convergente. rag us ts — 285 — Posto Gn= nd î8n: se la (1) converge i semipiano o > f, in tale semipiano convergeranno pure le Dio serie /1(8)= Da, e Pas 9 n=1 I(9= VA gli n=l1 Per o >#f si avrà, per la (4) della Nota I, tm 3 [letra Tao n=1 e A O 9a a | fe(0 + dc) di=dD Bre o, (1-9 ©) Sr) n=1 e perciò 1 (00) co lim — | |/()Pdi= Y|an et, w=%0 20}, nl cioè A) il (0) lim ci la(o)'di => tante ino, A, = (000 co, n=1 Se l'insieme delle funzioni @(0,:), al tendere di o a 8 per valori maggiori di #, converge in media, in (— 00, + co), ad una funzione p(t), si avrà (0) (2) di Lia Ip()|} di= lim >. |an|ke72%e. RA) o=+-0 nel Infatti, rappresentando con @ il coniugato di un numero complesso a, abbiamo IP)P=]a(0,9} +00) —(,9]+ +00 — (0,0) Ip) — ele). RenpICONTI. 1916, Vol. XXX, 1° Sem. 88 Ì e A Dn MAR Ue te ere ù VR OPLEA ) FADO AEREI O SR SA SUASE \ Mir 2. 7 | Ve PRIA — 286 — e perciò, applicando l'ineguaglianza di Schwarz, e È 24,9 ledz Si nicol I TZ CU) REA 2 ZA nia Zina : 2 32247 Me 5 Je] di 2 An |} e “|a EDI di 24 e o l \ 1 (0) ; 3 0) 2 3 (3) tear LC, di La ù dt Vl Lei | +a |leO—«(,0)pa. Fissato #> 0, determinato d in modo che, per tutti i valori di 0° sod- 9 disfacenti alla condizione f<0<+d, sia (Cè) lim sup T \p(t) — a(0,t)}dt; s, sia un punto di tale semi- piano; o (7) ed (7) siano due funzioni continue di una variabile reale , definite per tutti i valori di 7 tra — c0 e + c0, dotate di derivate continue, sia una serie di Dirichlet della classe considerata nella (') Pia Nalli, Sopra una nuova specie di convergenza in media (Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVIII, 2° semestre 1914, pp. 305-819); Aggiunta alla Memoria: « Sopra una nuova specie di convergenza in media » (Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVIII, 2° semestre 1914, pp. 320-323). oggi non entrambe nulle, salvo eventualmente in una infinità numerabile di punti non avente punti-limiti a distanza finita. Si abbia ancora o(-t)=0(t); w(t) =0 secondochè è 7=, e lim . |o(7)|=00. [eli=c0 Finalmente, denotando con 7 un conveniente numero positivo, si abbia (5) cop >e (Er, qualunque sia il valore di 7. Definita G(s) come nella Nota I, si avrà 1 c(2)+w(c) 6) s)= lim —_______——__—_-. s) G(s— so) ds, (6 fmi, (@)— (—2)]i e dove l'integrazione è estesa all’arco della curva formata dai punti o(1) + io0(t) che va dal punto o(—x)4+io(T— x) al punto c(a)+i (x). Infatti, essendo il prodotto /(s) G(s—s,) funzione regolare della va- riabile complessa s nella striscia limitata dalle rette o=f$ +, o=00—7, si avrà e 1 o(1)k+-iw(2) W.L) È — | /(5) G(s— sc) ds = (Le) + it) G(oa)— sn + i) dt. t o(-2)tiw(—-%) o) î A Ma, data l'assoluta convergenza delle due serie Ce) co) 7 da dn e n(0(2) +21) i SS edn(0(2) — sot 10) n=l n=l che rappresentano rispettivamente f(0(e) + dt) e G(0(e) — so +94); si può scrivere È 1 {(0(2) + it) G(0(2)—s5+0)= Yz n e IT Alea) Sr A 1 Il modulo del termine generale della serie doppia, che comparisce in questa relazione, non supera |4,]| e n0(2) $Am(0\2)— 00): quindi la serie con- - verge uniformemente, rispetto a #, nell'intervallo (0(—x),@(x)). Si avrà > dunque i 33 A Hi WL) 5 co ‘Rae f(0(2) + #2) G(c(2) — so + î0) dit =[0(2) — 0(— 2)] D dn e 3nîo + i 3 w(— 2) n= E (x) + Di dn eAn9(1) Am(0(1) — 80) I oImn) it dt i min È w(—2) — 289 — cioè ; 1 w(x) Ti ———m_— È ) 1) G e i) de = ( ) [o(a)— 0(—2)] dr vara w(d) ; (oa di n Si —Mno(£) Amo 0) — so) ATI ia e OI) Si ha intanto (2) O ut 3 /ul—£) ___ COS (Am Sr Àn) w (2) — Cos (4m To An) w(— 2) (4) — 0(— 2) [o(a)— 0(— 2)] Am —4)i SEN (Am 4a) (7) —- Sen (An An) (2) le + di di nr ee! Tae 27) = —tsené + cosé, essendo È, e £, due convenienti valori compresi tra (4m — 4,)0(— 2) @ (Am — 4n) 0(7). Tenendo conto di questa relazione e della (5), si con- clude che il termine generale della serie che comparisce nel secondo membro della (7), se per qualunque x è 4%, = 0, non supera 2 |an| e 2»(847) e dm”, che è il termine generale di una serie doppia convergente; quindi la serie che comparisce nel secondo membro della (7), i cui termini sono funzioni di x, converge uniformemente rispetto ad ; e, siccome ognuno dei termini tende a zero quando x tende ad co, anche la serie avrà per limite zero ‘ quando # tende ad co. Resta così dimostrata la (6), che comprende, come caso particolare, la (5) della Nota I. La dimostrazione viene leggermente modificata se qualcuna delle 2, è negativa. Matematica. — Sulle varietà algebriche con sistemi regolari di integrali riducibili. Nota di GAETANO Scorza, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. In un lavoro d'insieme, che sarà pubblicato altrove, verranno raccolte, rimaneggiate e approfondite le ricerche che, da un pezzo in qua, son venuto facendo sulla teoria degli integrali abeliani riducibili ('); e verrà anche lumeggiato il: fondo aritmetico comune a questa teoria e alle teorie affini (trasformazione delle funzioni abeliane, funzioni abeliane a moltiplicazione (!) Scorza: a) Sugli integrali abeliani riducibili, Note I, II e III ‘qnesti Rendi- conti, 7 marzo, 21 marzo e 7 novembre 1915); d) Ze varieta algebriche con indice di singolarità massimo, Note I e II (ibid., settembre e ottobre 1915); c) Sulle varietà algebriche con sistemi regolari isolati di integrali riducibili (ibid., 21 novembre 1915); d) Sulle varietà algebriche con infiniti sistemi regolari di integrali riducibili (ibid., 19 dicembre 1915). — 290 — complessa, corrispondenze algebriche fra curve algebriche, ecc.), facendo vedere come esse si innestino tutte su quella che si proporrà di chiamare zeorza delle matrici. di Riemann. i Poichè fino ad ora i risultati dei miei studî sono comparsi nei Ren- diconti di questa illustre Accademia, non mi pare inopportuno ‘raccogliere qui gli enunciati delle nuove proposizioni a cui son pervenuto, riferendole, come sempre, e per brevità, soltanto alle varietà algebriche di irregolarità superficiale non nulla. In attesa delle dimostrazioni (molto semplici, del resto), non è male aver subito sott'occhio le linee essenziali di tutta la teoria. 1. Una varietà algebrica,- di irregolarità superficiale p > 0, 0, come anche diremo, una V,, sì dirà pura od impura, secondo che è puro od impuro il sistema totale dei suoi integrali semplici di 18 specie (!); ossia, secondo che non contiene o contiene sistemi regolari di integrali riducibili. 2. Chiameremo carattere simultaneo di Riemann, o, semplicemente, carattere simultaneo di una V, e di una Vyr, sulle cui riemanniane siano stati fissati due sistemi di cicli lineari indipendenti riser r 01,92, ...,%3p ® 91,92, 02p", . il massimo numero 4 di forme bilineari, linearmente indipendenti, a coeffi- cienti (razionali, o addirittura) interi, in due serie di variabili Xi ,T2,.03Z2p 3 Yi. Ya, 03 Yap! \ che prendono il valor zero, quando per la «; si pone il periodo al ciclo Gg; di un qualsiasi integrale di V,, e per la y, si pone il periodo al ciclo 07 di un qualsiasi integrale di Vyr. L'intero 2, indipendente dalla scelta dei cicli o e 0° sulle riemanniane di V, e Vyr, è assoggettato alle diseguaglianze (1) O0=4=2pp'; e il valore 2pp' può essere effettivamente raggiunto, qualunque siano p e p' (efe.-il n. 14). 3 3. Una V, e una Vyr sì diranno vincolate 0 non vincolate, secondo | che il loro carattere simultaneo di Riemann è positivo o nullo. Pi 4. Nella definizione del n. 2 non è escluso che le due varietà conside- rate coincidano (cosicchè p' = p); anzi, se ciò accade, risulta sempre 4=1. In tal caso, però, ove non sia necessario di considerare le due varietà | come distinte, piuttosto che del carattere simultaneo 4 di una varietà e sè (*) Cfr. loc. cit. , d). Avvertiamo poi che, secondo il solito, quando nel testo par- liamo di integrali, senz'altro, intendiamo sempre che si tratti di integrali semplici di 1° specie. — 291 — stessa, parleremo del suo 7ndice di moltiplicabilità h, the definiremo me- diante l'eguaglianza i h=4i—-1. Per l'indice di moltiplicabilità 4 di una V,, avente l'indice di sin- golarità %, si hanno le limitazioni (2) O0=k 1, quelle il cui indice di singolarità è massimo, cioè è dato da X=p° — 1. Una V,, per cui risulti A = 2p, contiene necessariamente infiniti sistemi regolari di integrali riducibili; e quindi, se una V, è pura, il suo indice di moltiplicabilità è certo inferiore a 2p. i 5. Alla nozione di indice di moltiplicabilità di una V, si può perve- nire anche in altro modo. Si rappresentino, nella maniera che abbiamo più ‘volte indicato, gli integrali della V, mediante i punti di un Sp-1, ©, di un Sx)_,, 2, nel quale sia stato prefissato un sistema di coordinate proiettive omogenee. Aljora, dire che % è l'indice di moltiplicabilità della nostra V,, equi- vale a dire che h-4-1 è 7! massimo numero di omografie razionali di linearmente indipendenti che mutano € in sè stesso. Il gruppo costituito dalle omografie razionali di X che mutano 7 in sè stesso, e che è un gruppo identico o un gruppo infinito discontinuo se- conde che % è nullo o positivo, si dirà il gruppo di moltiplicabilità della Vy presa in esame, poichè, data la V,, esso è individuato in 2, a meno di una trasformazione omografica. razionale. Esso contiene omografie singolari quando e solo quando la V, è impura; e in tal caso la configurazione degli assi delle sue omografie singolari (che son tutte di specie pari) coincide con quella degli assi dei sistemi regolari di integrali riducibili della varietà. Inoltre esso induce su 7 un gruppo di omogratie a cui è oloedricamente isomorfo, tranne soltanto il caso in cui la V, sia ad indice di moltiplicabilità massimo. Notisi, infine, che il gruppo di moltiplicabilità di una V, impura opera sugli assi dei suoi sistemi regolari puri in modo assolutamente transitivo, quando e solo quando la V, non contiene sistemi regolari isolati. 6. Il gruppo di moltiplicabilità della V, considerata nel n. precedente consta di omografie (razionali) appartenenti tutte a un sistema lineare co”. Ebbene, questo sistema costituisce a sua volta, come è ben naturale, un gruppo, continuo, finito, ad % parametri, di cui il primo è un sottogruppo. 7. Le definizioni e considerazioni dei nn. 2,...,6 si estendono imme- diatamente ai sistemi regolari di integrali riducibili appartenenti a una x Ì i i î — 292 — stessa varietà o a. varietà differenti, ai corpi di funzioni abeliane e alle curve algebriche. In particolare si ha che: Una funzione abeliana è, 0 non è, 4 moltiplicazione complessa, secondo che il suo indice di moltiplicabilità è positivo o nullo (donde la denominazione introdotta); e che: Il numero base delle corrispondenze fra due curve (distinte 0 non) è il loro carattere simultaneo di Riemann. Inoltre il lettore riconoscerà subito che, per il caso delle curve, alcune delle proprietà incontrate si trovano già in una recente e importante Nota del sig. Rosati ('). Nel qual caso, ciò che noi chiamiamo indici di singola- rità e moltiplicavilità di una curva sono dati, colle notazioni del sig. Rosati, da wu —1 e w4+ 2 — 1, 4, e 4» essendo quelli che egli chiama numeri- base delle corrispondenze simmetriche ed emisimmetriche appartenenti alla curva. 8. Assegnando un significato più stretto a una denominazione già intro- dotta precedentemente (*), due V,, che abbiano gli stessi indici di singo- larità e moltiplicabilità, si diranno 7somor/e quando sono entrambe pure, o quando seno entrambe impure e può stabilirsi tra i sistemi lineari dei loro integrali una tale omografia (non singolare) che i sistemi regolari dell’una si riflettano in quelli dell'altra, due sistemi omologhi riuscendo sempre (della stessa dimensione, e) con gli stessi indici di singolarità e moltiplicabilità. Anche questa definizione intendiamo estesa ai sistemi regolari di inte- grali riducibili, ai corpi di funzioni abeliane e alle curve. Notisi subito che, non ostante il significato più stretto attribuito qui alla relazione di isomorfismo, restano veri i teoremi che si trovano nel lavoro già citato, ove la nozione in discorso era adoperata in senso più lato. Basta guardare le dimostrazioni che restano inalterate, per persuadersene. Cosicchè possiamo sempre asserire che: Due sistemi regolari di una V,, aventi su di essa uno stesso com- plementare sono necessariamente isomorfi; e che: Pr Se una Vp impura non ammette sistemi regolari isolati, i suoi sistemi puri sono tutti isomorfi; ecc. i Anzi, a quest'ultimo teorema può darsi, per quel che segue, una portata più larga; può dirsi, cioè, che, se una V, impura è priva di sistemi rego- | (" Rosati, Sulle corrispondenze fra © punti di una curva algebrica e in partico lare fra i punti di una curva di genere due (questi Rendiconti, agosto 1915). XI (4) Loc. cit. ”, d). — 293 — lari isolati, due suoi sistemi regolari sono senz'altro isomorfi appena abbiano la stessa dimensione. 9. Se una V, e una Vy sono vincolate ed è p+ p', quella di irre- golarità superficiale maggiore è certamente impura. Una V, e una Vyy pure non possono essere vincolate se non a patto che siano isomorfe (per modo che, intanto, p'= p); e, in caso affermativo, il loro carattere simultaneo di Riemann, diminuito di 1, dà il loro comune indice di moltiplicabilità. . Due V, pure vincolate a una terza, egualmente pura, sono vincolate fra di loro. Ogni forma bilineare a coefficienti interi, atta ad esprimere che due V,, pure sono vincolate, ha necessariamente diverso da zero il determinante formato coi suoi coefficienti. In quest'ultima proposizione, grazie a quanto viene osservato alla fine del n. seguente, è contenuta la completa generalizzazione di un bel teorema dovuto al sig. De Franchis (1). 10. Siano A1, A». ..., An n (> 2) sistemi regolari indipendenti di una V, impura, il cui sistema congiungente coincida col sistema totale degli integrali di V,; e diciamo % ed %, &; e A; gli indici di singolarità e mol- tiplicabilità della V, e di A;, rispettivamente; poi chiamiamo 4%; il carat- tere simultaneo di A; e A,. Allora valgono le formule (3) el to tb -4+4nba_-14 2% (4) h=h 4h +: +hnba_-14 23%, dove i sommatori dei secondi membri si intendono estesi a tutte le combi- nazioni binarie degli indici 1,2,...,%. La seconda discende subito dal fatto che, se si indica con 4 il carat- tere simultaneo di Riemann della V, considerata e di una qualsiasi V,r, e si chiama 4; quello di questa V,. e del sistema A;, si ha (6 AZ. L4,. Supponendo = 2, cioè A, e A; complementari su V,, la (3) dimostra che il carattere simultaneo di Riemann di A, e A» coincide con quello che altrove (?) abbiamo chiamato coefficiente di immersione di A, o As su V,. Seguono, allora, parecchie interessanti interpretazioni del significato di co- desto coefficiente di immersiune. (*) De Franchis, Le varietà algebriche con infiniti integrali ellittici (Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXXVIII, 2° sem, 1914, pag. 192). (2) Loc. cit. ", a), 1II. RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 59 — 294 — 11. Come caso particolare delle (3) e (4) si ha immediatamente che: Se una Vp impura è priva di sistemi regolari isolati, detti k,, h eq—1 l'indice di singolarità, l'indice di moltiplicabilità e la dimen- stone di un suo qualsiasi sistema regolare puro, post ci (dove n risulta necessariamente intero), gli indici di singolarità e moltiplicabilità k e hdi Vp sono dati dalle equaglianze n(n (6) k= nl, + neri SE Gola ta) (7) h=n(h+1)— 1. Notisi che, per le ipotesi fatte, si ha inoltre X1< 29 — 1 e Rn < 29. Crediamo inutile trascrivere le formule che si hanno per una V, impura qualsiasi, partendo da un suo gruppo fondamentale di sistemi puri. E tra- lasciamo pure alcune formule che riguardano il carattere simultaneo di una V, e una Vy impure. i 12. Risulta già, dalle Note precedenti, che il problema della classifi- cazione in tipi delle V, impure, per ogni valore assegnato di p, ove sì intenda di considerare come appartenenti a uno stesso tipo due V, impure isomorfe, si riconduce a quello della classificazione delle V, impure prive di sistemi regolari isolati. Ebbene, per queste ultime in base a una conveniente inversione del- l'ultimo teorema enunciato che risolve subito le quistioni di esistenza, il problema si riconduce a quello della determinazione dei varii tipi di Vy pure non isomorfe, essendo 9 un divisore di p, inferiore a p. Quest'ultimo problema, per q = 1, è di risoluzione immediata; e per. q==2 è stato implicitamente risoluto dal sig. Rosati. Dunque si ottengono subito i tipi di V, impure, prive di sistemi regolari. isolati, i cui sistemi | puri o sono integrali ellittici, o sono sistemi o! di integrali.a 4 periodi. Nel primo caso essi sono due, con gli indici X e A dati rispettiva= mente da . (1) prot i lpa (II) k=p—1,h=2p— 1; e si trovano descritti nella chiusa di una Nota precedente (!); nel secondo | caso (dove p è necessariamente pari) i tipi sono quattro, e per ciascun tipo gli indici X e A sono dati da i i (*) Loc. cit. ®, d). 1) O ni, (11) % ei n= 1; (II) p=L0? h=p_r; mm A e 13. Anche le V3 impure si possono classificare tutte, tenendo conto delle cose precedenti; si trovano 18 tipi, e per ogni tipo si caratterizzano nettamente, come nei casi precedenti, i sistemi regolari di integrali ridu- cibili esistenti. 14. Relativamente ai caratteri X,% e 4, quivi introdotti, vi è da osser- vare che, tranne per i valori più bassi di p e p', nessuno di essi può assu- mere tutti i valori di cui a priori sarebbe capace, cioè tutti i valori interi soddisfacenti alle diseguaglianze che vincolano 4, e 4. Così 4 per p= 2 può assumere i valori 0,1,2,3, ma già per p=3 non può assumere che i valori 0,1,2,3,4,5,8; A per p=1 può essere 0 o 1, ma già per p=2 non può assumere che i valori 0,1,2,8,7 (Rosati) e per p=3 non può assumere che i valori 0,1,2,8,4,5,8,9,17; e 4, che per p=p =1 può essere 0,1 o 2, già per p=1 e p=2 non può assumere che i valori 0,1,2,4. E gli esempî potrebbero esser moltiplicati. Determinare per tutti i valori di p o di p e p' tutte le lacune di k,h e 4 non è forse agevole. Ma sul proposito possiamo già dare delle indicazioni generali, a cui potremmo dare anche maggior precisione se non fosse che dovremmo entrare in considerazioni troppo minute. Così, se p>3, son certo delle lacune per % tutti i numeri della serie (beprl-(p_bi-r2...., pia; se p>I, son certo delle lacune per 4 tutti i numeri della serie (2(p— 1°+2,2(p— 1°+8,.,29°-2; e se p => p, son certo delle lacune per 4 tutti i numeri della serie 2p(p—1)+1,2p(p—1)+2,...,2pp—1. Queste affermazioni si deducono abbastanza agevolmente da proposizioni di cui citiamo soltanto le più interessanti. Esse sono le seguenti : x agg Se una V, impura, con i soliti indici k e h, possiede sistemi re- golari isolati (nel qual caso ne contiene 2" — 2, con 20, è p=p), 0 sono la prima pura e la seconda impura, si ha XA. = 2p, oppure è = 2p'. Se sono entrambe impure, si ha A.= 2pp' quando, e solo quando, V, e Vy sono a indice di moltiplicabilità massimo; se sono entrambe impure, e almeno una non contiene integrali ellittici, si ha A pp'; se sono entrambe impure, ed almeno una, supponiamo la Vy, non è ad indice di moltiplicabilità massimo, si ha 4 = 2p(p'— 1). Fisica. — Intorno ad alcune particolarità del raggio verde. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Il così detto raggio verde (ossia i primi raggi del sole che incomincia a spuntare sull'orizzonte, e gli ultimi del sole che tramontando scompare, i quali di solito sono verdi o azzurri. spesso molto brillanti) è stato attri- buito a tre cause diverse: la rifrazione e dispersione atmosferica, l’assor- bimento atmosferico, una illusione ottica per effetto di contrasto. La prima di queste cause, la cui azione non può esser messa in dubbio, è certamente la più importante, le altre due possono essere concomitanti e modificare la colorazione e forse la durata del raggio. Il sole presso all'orizzonte, osservato con un cannocchiale di mediocre ingrandimento, e con una sufficiente diminuzione dello splendore, presenta sempre ben visibili un orlo rosso nella metà inferiore, e un orlo verde o azzurro nella metà superiore, orli che senza dubbio sono prodotti dalla rifrazione atmo- sferica che devìa più i raggi verdi o azzurri che non i rossi. I raggi indaco violetto, e quelli ultravioletti più deviati dell'azzurro, sono completamente assorbiti quando il sole è presso l'orizzonte. L'orlo verde o azzurro, natural- mente, spunta prima, e tramonta dopo della parte bianca abbagliante del disco solare, producendo così il raggio verde. o F. Exner (Pernter. Meteorologische Optik, pag. 799), per spiegare la durata reale del raggio verde che di solito è maggiore di quella teorica, sup- pone che questo possa esser dovuto all’assorbimento dei raggi rossi prodotto dal vapor acqueo degli strati inferiori dell'atmosfera, dimodochè esso incomin- cierebbe a prodursi quando la parte bianca del disco solare non è ancora interamente tramontata. La colorazione così prodotta non sarebbe visibile. quando lo è una gran parte del disco solare, sia perchè questa è troppo — 297 — abbagliante, sia perchè i raggi emessi dalla sua parte superiore attraversano meno obliquamente gli strati assorbenti. Più probabile mi pare che questo assorbimento, quando si produce, sia dovuto a particelle minutissime di‘acqua o ghiaccio o pulviscolo, selezionate per eftetto della gravità e della resistenza dell’aria in modo che in ogni strato abbiano uguali dimensioni. Ho osservato varie volte (in condizioni simili) un effetto che pare dovuto a questa causa, (nell'ottobre del 1915), dal Bric della Croce, presso Torino, alto 700 metri circa sul livello del mare, mentre il sole tramontava dietro le Alpi alte circa 3000 metri; trenta secondi circa prima della totale scomparsa del sole, il segmento ancora visibile prese una tinta rosso-violacea uniforme e visibile anche nell’ illuminazione circostante, ed essa andò diven- tando sempre più carica mentre il sole s'abbassava, finchè qestso comparve producendo un raggio verde che invece era di colore decisamente azzurro, della durata di un secondo o meno. Da queste osservazioni (non ne conosco altre) ed anche dalla causa pre- sunta risulta che questo effetto è essenzialmente diverso dal raggio verde dovuto alla rifrazione atmosferica. Recentemente A. W. Porter (Vature, vol. 94°, pag. 672; vol. 95°, pag. 194) attribuì il raggio verde ad un effetto fisiologico di contrasto ed ha eseguito esperienze con un sole artificiale rosso che confermerebbero questa spiega- zione. Si è obbiettato (Mature, vol. 95, pag. 8) che, appunto quando il sole è rosso, il raggio verde è debolissimo o manca del tutto, e che questo si osserva anche al sorger del sole quando non vi può essere effetto di contrasto; inoltre effetti di questo genere dovrebbero essere confermati da molti osser- vatori, per evitare le illusioni personali. Da molti anni ho avuto frequenti occasioni di osservare il raggio verde, più spesso al tramonto, dalle finestre del Gabinetto fisico dell’Università di Cagliari; spesso anche al sorger del sole, dalle finestre dell'abitazione notturna, in condizioni piuttosto favorevoli perchè i punti d'osservazione erano alti circa 70 e 40 metri rispettivamente sulla pianura interposta, ed i) sole sor- geva o tramontava dietro due linee di monti, lontane parecchie decine di chilo- metri, alte angolarmente da mezzo grado a due gradi e mezzo, dimodochè (sebbene fosse diminuita la rifrazione) erano molto diminuite l'opacità e la poca omogeneità che la vicinanza del suolo e della città produce negli strati inferiori dell’aria. L'omogeneità dell'atmosfera era dimostrata dalla grande e costante regolarità del contorno solare ('). (') Una sola volta, il 22 settembre 1912, osservai un effetto di miraggio. Dopo una giornata calma e calda, si era levato nel pomeriggio un fresco vento di maestrale che, suppongo, lasciava immobili ad ovest gli strati d’aria vicini al suolo e compresi fra due catene di montagne formanti come una conca. Quando l’orlo inferiore del disco solare si — 298 — In dicembre e in gennaio ho anche osservato il raggio verde quando il sole sorgeva sul mare. Il disco solare, in queste condizioni, appariva molto schiacciato: il diametro verticale era circa ‘/5 di quello orizzontale, ed il con- torno della metà inferiore era assai meno curvo di quello della metà superiore; il tutto parvemi in misura maggiore di quanto corrisponderebbe alla dimi- nuzione regolare della rifrazione al crescere dell'altezza. Ho fatto le osservazioni del raggio verde, talora con un binocolo a prismi d'ingrandimento 9 (col quale in buone condizioni, molto rare, erano appena visibili l'orlo rosso e l'orlo verde), talora con un piccolo cannocchiale d'ingrandimento 25, spesso anche con un cannocchiale di Steinheil con obbiettivo di 108 mm. di diametro e 163 cm. di distanza focale con ingran- dimenti da 80 a 400, che rendevano visibili le particolarità dei suddetti orli colorati. Siccome i soliti oculari di Huygens-Mittenzwey di questo cannocchiale erano imperfettamente acromatici presso gli orli del campo (dimodochè lo spessore degli orli colorati del disco solare appariva aumentato o diminuito a seconda della loro posizione nel campo stesso), quando volevo misurare questo spessore usai due oculari acromatici, simmetrici, con foco esterno, che pro- ducevano gl’ingrandimenti di 80 e 180 rispettivamente ed erano entrambi provvisti di micrometro oculare. Nelle osservazioni dell'orlo verde o azzurro è necessario d'indebolire e regolare lo splendore abbagliante del disco solare, non soltanto per non atfa- ticare l'occhio, ma anche perchè variano così il colore ed altre apparenze dell'orlo stesso; e son ricorso perciò ai soliti mezzi. Talora essendo il sole piuttosto alto sull’orizzonte, ho proiettato la sua immagine ingrandita, prodotta dal cannocchiale, su di uno schermo bianco; più spesso, osservando direttamente l’immagine, ho limitato la parte libera dell’obbiettivo con dischi di cartone con fori di vario diametro, da 4 ad 1 centimetro, ed anche meno se l'ingrandimento era piccolo e l’immagine più brillante. Coi fori di minor diametro era difticile di trovare la più con- veniente posizione dell'oculare, che poteva esser spostato senza che la nascondeva già dietro i monti alti circa mezzo grado, osservai, al disopra e molto vicino all’orlo superiore, un segmento circolare, brillante come il sole stesso, alto circa 1/,o del diametro di questo, limitato superiormente dalla corda orizzontale, ed inferiormente dal- l’arco, che aveva un orlo verde, affatto uguale a quello dell’adiacente contorno solare. A misura che il sole s’abbassava, questo segmento diminuiva d’ampiezza, perchè, mentre la corda rimaneva alla stessa altezza, l’arco s'innalzava sino a che sparì produ- cendo un raggio verde della solita durata. Questo segmento era senza dubbio l’imma- gine della parte superiore del disco solare, prodotta per riflessione (intensa, perchè totale o molto ubliqua) o per rifrazione sulla superficie di separazione fra l’aria calda della valle e l’aria fresca degli strati superiori, superficie che era più alta del luogo dell’os- servazione. — 299 — nitidezza delle immagini variasse in modo notevole (!); e perciò questa posizione era determinata coll’obbiettivo interamente scoperto, osservando oggetti lontani. Mi sono anche servito di un oculare polarizzatore semplificato, cioè munito di due soli specchi di vetro nero, uno anteriore che riceveva i raggi solari sotto l’angolo di polarizzazione totale, l'altro che riceveva i raggi riflessi pure sotto lo stesso angolo e poteva rotare attorno al raggio centrale; l'oculare, completo e più comodo, di Merz, con la quadruplice riflessione a 45°, indeboliva troppo l'immagine del sole presso all'erizzonte. Se il sole è ancora un po’ alto sull'orizzonte (più di 5°) e molto bril- lante, e se l’immagine viene proiettata sullo schermo, l'orlo superiore appare verde con un po’ d’azzurro all’esterno; se, invece, nelle stesse condizioni si osserva direttamente il sole senza diminuirne troppo lo splendore, l'orlo appare azzurro, ed il verde è invisibile. È chiaro che nel primo caso l'orlo azzurro è poco visibile perchè troppo debole; nel secondo caso è invisibile l'orlo verde perchè troppo debole rispetto all'adiacente ed abbagliante parte bianca del disco solare. A misura che il sole s'abbassa sull'orizzonte, la parte azzurra dell’orlo diviene meno visibile anche coll'osservazione diretta; ed in estate finisce con lo scomparire del tutto, mentre diviene sempre più visibile quella verde. La parte azzurra dell'orlo è sfumata verso l'esterno, senza contorni decisi. La parte verde ha contorni decisi: si presenta come uno strato di liquido verde galleggiante sulla parte bianca sottostante, ed in continuo movi- mento. Si formano unde che si muovono nel senso del vento ed hanno l’'ap- parenza di quelle che sì osservano in una spiaggia marina ; sì osservano anche nuclei rotondi a modo di goccie ed inoltre si producono intagli che pene- trano un poco nella parte bianca e che si muovono propagandosi sempre verso l'alto e diventando più profondi, finchè, giunti alla sommità, un segmento dell’orlo verde si stacca e s'innalza dileguandosi. Questi movimenti, che aumentano a misura che il sole s'avvicina all’oriz- zonte, fanno sì che lo spessore dell’orlo verde sia continuamente variabile, anche perchè la colorazione ora si diluisce estendendosi, ora si concentra restrin- gendosi. Nelle condizioni in cui osservavo, questo spessore, nell'immagine prodotta dall'obbiettivo di 163 cm. di distanza focale, era di circa 0,1 mm. ossia 12”; qualche volta, anche due o tre volte di più, quando l'orlo sud- ‘ detto .era vicinissimo alla linea dei monti e la sua agitazione era maggiore. (!) Questa profondità di foco dei cannocchiali con obbiettivo di piccolo diametro e con lunga distanza focale (principale o solo coniugata), notevole specialmente con deboli oculari, può riuscire utile in molti apparecchi di fisica, quando occorra osservare simul- | taneamente oggetti situati a distanze diverse (p. es. due termometri in ambienti diversi, oppure un indice sopra una scala un po’ distante da esso, ecc.). — 300 — Circostanze finora non bene spiegate del raggio verde sono: la colora- zione varia dal verde all’azzurro; la varia intensità, talora notevole, talora pressochè nulla; e la durata, di solito maggiore di quella teorica dedotta dagl’indici di rifrazione dei varî colori e di quella che corrisponde allo spessore osservato dell'orlo verde. Il fatto che l'orlo azzurro è ben visibile quando il sole è ancora un pò alto sull'orizzonte, e va indebolendosi e spesso scompare quando il sole è molto basso, prova che tale indebolimento e tale scomparsa (e quindi la co- lorazione verde dell'orlo e del raggio estremo) sono dovuti all'assorbimento atmosferico, prodotto sui raggi solari dagli strati inferiori dell'atmosfera, dei quali lo spessore attraversato dai raggi cresce quando il sole s'abbassa verso l'orizzonte. Solitamente (ma non sempre) d'estate, allorchè la quantità di vapore contenuta nell'aria era maggiore, l'orlo superiore del sole presso all’orizzonte ed il raggio ultimo erano decisamente verdi, mentre nelle altre stagioni erano più o meno azzurri, tuttavia non credo che l'assorbimento sia prodotto dal vapor acqueo perchè la quantità di questo si può dedurre con molta approssimazione dalla temperatura e dal grado di umidità, e non era in relazione costante colle colorazioni suddette. Siccome i raggi del sole presso l'orizzonte subiscono sempre la rifrazione atmosferica, le cui variazioni in uno stesso luogo sono relativamente molto piccole, sarebbe da credere che il raggio verde dovrebbe prodursi sempre con la stessa intensità relativamente allo splendore del sole, mentre avviene talora che in condizioni favorevoli, cioè con aria limpida e sole bianco e brillante, il raggio verde sia sbiadito, appena visibile, mentre avviene anche che, in condizioni che si direbbero sfavorevoli, così l'orlo verde come il raggio verde, specialmente se osservati con un cannocchiale, abbiano una bellissima colorazione. È chiaro che varie cause possono influire sull’ intensità del raggio verde: il soverchio splendore del sole, affaticando l’occhio, può far apparire meno intenso il raggio verde; lo splendore dell'atmosfera nel punto ove esso si produce può diluirlo e renderlo meno evidente; le particelle di pulviscolo possono avere tali dimensioni da assorbire appunto quei raggi di cui si com- pone; finalmente, a causa del movimento dell’orlo verde, può avvenire che esso, nell'istante in cui si produce il raggio verde, abbia uno spessore minimo o colorazione diluita che ne diminuiscano l'intensità. Non pare che la lati- tudine abbia influenza sul raggio verde, poichè esso è stato osservato così nel mare del Nord come nel mediterraneo meridionale. Invece, siccome è stato osservato sul mare o dal mare o in sua vicinanza, si potrebbe credere che questo vi influisca, forse come suppone F. Exner (loc. cit.), per l’ab- bondanza di vapor acqueo. — 301 — Sebbene le mie osservazioni siano state fatte quasi tutte in vicinanza del mare, pure ho avuto occasione di osservare il raggio verde (di colore decisamente azzurro, della durata di 2 secondi, da Firenze mentre il sole tramontava dietro una collina lontana circa 100 km. dal mare; e, come ho già detto, l'ho osservato a Torino, mentre il sole tramontava dietro monti lontani dal mare migliaia di chilometri nella direzione del raggio e dove l'atmosfera doveva contenere assai poco vapore. W. A. Julius (Archives des sciences néerlandaises, série II, tome IV) suppone che la lunga durata del raggio verde, spesso molto maggiore di quella teorica, sia dovuta ad una rifrazione anomala dei raggi verdì negli strati inferiori dell'atmosfera: raggi che, in proporzione col grado di ioniz- zazione atmosferica, subirebbero una deviazione molto maggiore di quella normale. Sebbene io abbia cercato in molti modi di constatare l'influenza di questa causa sul raggio e sull’orlo verde, non vi sono riuscito, forse per mancanza di opportuni apparecchi, ma anche — credo — perchè tale influenza, se esiste, non è essenziale. Con un prisma obbiettivo con angolo dispersivo di 10°, collocato dinanzi all'obbiettivo del cannocchiale, la dispersione ottenuta era troppo grande, rispetto a quella atmosferica; e così pure avveniva con uno oculare spe- troscopico. Con un disco di cartoncino perforato Bristol, collocato dinanzi all’obbiet- tivo come consiglia lo Henry (Comptes rendus, vol. 112°. pag. 377), si otteneva per diffrazione un effetto troppo complesso; e così pure, sebbene in grado molto minore, con un reticolo di diffrazione formato con fili di acciaio di 1 mm. di diametro, fra i quali, alle estremità, erano interposti corti tratti dello stesso tilo producenti intervalli di 1 mm. Ho costruito in seguito un prisma ad acqua con angolo dispersivo pic- colissimo, tale che la distanza angolare delle righe C ed F fosse uguale a quella prodotta dalla dispersione atmosferica. Due lamine di vetro di 4 cm. di lato, a faccie otticamente piane e parallele, erano sovrapposte in modo che fossero a contatto secondo uno dei lati e fossero separate lungo il lato opposto da due tratti di filo di rame, spesso 0,4 oppure 0,5 mm.; esse erano masti- ciate agli orli, lasciando un foro per il quale veniva introdotta fra mezzo l'acqua distillata. Adattato questo prisma entro un foro quadrato in un disco di cartone spesso e collocato dinanzi all'obbiettivo, se lo spigolo era verticale, la disper- . sione orizzontale del prisma e quella verticale dell'atmosfera si componevano, producendo gli orli opposti rosso e verde nel contorno del sole a 45°, mentre una dispersione anomala notevole dei raggi verdi avrebbe dovuto spostare sensibilmente l’orlo verde verso l'alto. Disposto orizzontalmente ed in basso lo spigolo del prisma. in modo che le dispersioni del prisma e dell'atmosfera fossero opposte, essendo il sole alto RenpIconTI. 1916, Vol. XXV;1° Sem. 40 — 302 — circa 5° sull’orizzonte, l’orlo superiore del sole appariva rosso, quello infe- riore verde o azzurro, entrambi sottili; a misura che il sole s'abbassava, com- parivano corti tratti verdi nell’orlo superiore, rossi in quello inferiore, variabili, e i due orli avevano all'incirca la stessa apparenza quando il sole era presso l'orizzonte, ciò che prova l'uguaglianza delle due dispersioni. Notevole era anche, che mentre osservando col cannocchiale, senza il prisma, il contorno della parte bianca del sole in alto e in basso appariva tutto corroso, dentellato, sforacchiato, col prisma appariva continuo e rego- lare, dimodochè il prisma stesso giovava non poco a migliorare l'immagine degli astri presso all'orizzonte. Credo che varie cause possano produrre la durata eccezionale del raggio verde. Il movimento ondoso dell’orlo verde ne fa variare continuamente lo spes- sore, e può quindi produrre un aumento o una diminuzione del raggio verde, e di solito sorprende di più l'aumento. Similmente, se il sole tramonta (o sorge) nel mare, il moto della superficie di questo, sollevantesi e abbassan- tesi per effetto di onde che possono essere invisibili ad occhio nudo e senza un punto fisso di riferimento, può causare un aumento o una diminuzione della suddetta durata. È anche possibile che, per effetto di più masse d'aria aventi alternati- vamente densità maggiori e minori di quella media, il raggio che le attra- versi subisca una rifrazione e quindi una dispersione maggiore di quella teorica, che corrisponde ad una variazione regolare della densità coll’altezza. Così si spiegherebbero certe deformazioni del contorno solare, la sua ellit- ticità talora maggiore, la curvatura inferiore minore di quelle teoriche. Finalmente, se il sole tramonta dietro una linea di monti, è chiaro che la durata del raggio verde sarà minima se essa linea, nel punto ove esso si pro- duce, è perpendicolare al moto del sole: e sarà grandemente anmentata se gli è parallella. In queste ultime condizioni ho osservato durate di circa 10 secondi. x Il raggio verde (o rosso) si può produrre artificialmente e ripetutamente a varie altezze coprendo metà del foro del diaframma di campo (sul quale si colloca il mierometro oculare) con uno schermo opaco ad orlo diametrale, e dirigendo il cannocchiale in modo che il sole vada a scomparire 0 com- parire dietro questo orlo. Le durate del raggio verde così prodotte sono all'incirca uguali a quelle che si osservano nel raggio verde all’orizzonte. Pot 900 Meteorologia. — Sulla meteorologia di Napoli (*). Nota di MaryA KaAHANOWICZ, presentata dal Corrispondente M. CANTONE. Dalle osservazioni meteorologiche (?), eseguite nell'Istituto di fisica ter- restre della R. Università di Napoli nel quinquennio 1910-1915, si deduce, a base delle medie mensili riportate nelle tabelle I e II, il seguente anda- mento annuo per ì singoli elementi meteorologici : La pressione atmosferica presenta, durante l’anno, tre massimi e tre minimi: un massimo in febbraio col minimo in aprile, un massimo in ot- tobre col minimo in dicembre ed un massimo secondario in giugno col mi- nimo secondario in luglio. 1 due massimi principali sono di uguale altezza; invece il primo minimo principale è il più profondo. Le ampiezze delle due oscillazioni principali sono, in media, di 3,0 e di 1,0 mm. rispettiva- mente; l'ampiezza dell’oscillazione secondaria è di 0,6 mm. Le spezzate dei singoli anni ci conducono alla conclusione, che gennaio presenta i più alti massimi barometrici e i più bassì minimi barometrici; luglio e agosto pre- sentano i più bassi massimi barometrici e i più alti minimi barometrici. In generale massimi barometrici sì riscontrano nei mesi di gennaio, feb- braio, novembre e dicembre; minimi barometriei si riscontrano in tutto l’anno, ad eccezione dei mesi di luglio, agosto e settembre, nei quali la pressione sì mantiene nello stato di pressione livellata. La temperatura media diurna presenta durante l’anno un sol massimo in agosto ed un sol minimo in gennaio. La tendenza verso il massimo pro- cede più lentamente della tendenza verso il minimo; la primavera è più fredda dell'autunno. Si notano i seguenti scostamenti dall'andamento medio: negli anni 1911 e 1913, nei quali la media annua superò la media annua quinquen- nale, febbraio è stato più freddo di gennaio, e ciò perchè il minimo annuo assoluto fu raggiunto in febbraio; negli anni 1910 e 1914, nei quali la media annua si è mantenuta inferiore alla media annua quinquennale, il massimo annuo assoluto fu raggiunto in luglio. Se ne conclude che negli anni con temperature alte il minimo annuo viene raggiunto in febbraio, il massimo in agosto; negli anni con temperature basse il minimo annuo è raggiunto in gennaio, il massimo in luglio. (') Lavoro eseguito nell’Istituto di fisica terrestre della R. Università di Napoli. (2) I risultati di queste osservazioni vengono pubblicate anno per anno, con le ri- spettive medie decadiche e mensili. (l'ipografia De Rubertis, Napoli, Rampe di S. Mar- cellino). z 0‘S68 GI) 9601 0°GGI TEST 626 VEC 00€ V'87 979 0°I2 gegio 0'69 °/o OL] 8'16 *tZ20)[e IP OIqGuII[[rur [e e}uapuodsizo) rmuim ur eqeIn(I (g) F:9E ‘EF 6:99 818 F8EOI T'80I 8'68 8'L4 L'69 9'6S 8'L8 616 2'@9|6°69 4 “ “ :868 | 9F0€ | FI 8I [SF | FI È LIC.IPETAR8 ui SST Sere 6 #I [FS | : GLENCOIZ SET Î gI |901|9 + 96 | 988% | SI 9 98 [9908 | 1I | eg |orze| tut #8 |6F88| II 9E |9SS| 71 e |\ESs|d eqgupeo enboy ezuonbar,] PAIQR]OI ezuUePpuoqqy “uu UI QI10 5g UI trquend VUSOININ © wr Ul II ‘ze 10deAH “WI _36 VULIUI egn[ossr CIFQUILT E UUUÌ atodtA [9p eIpIiuw n QUOISUA ], “eugoag Ip oder e[09 0ge]oogro a orpew eolie, (+) (13 9'61 016 S'L6 8'66 966 6'GE T'06 8'L6 ALA 816 F'8I GS CIN[OSS® CUISSETT eprisizueo tingeiedwuo] ‘I VTISAVI “« 0'6 8°01 SFI SLI 108 L'61 SLI EFI 6°01 6 cl 99 CULLUIN eIpeur 2 Sb De da] erpeu CUUISSCN (1) oIpaut QIOITAT eIpeu QUOIZZIAO(I dIqQUIdOI(] SIQUISAON 94QUL9]}9g . Asa OTRIQG9L sea \ Waniani im — 305 — La tensione del vapore, l'umidità relativa, l’evaporazione e la nebu- losità presentano, come la temperatura, una semplice oscillazione annua. Pare che si accennino dei minimi e massimi secondarii nell'andamento del- l'umidità relativa e della nebulosità. La media mensile dell'altezza della pioggia sul suolo caduta nelle 24 ore, la sua media durata mensile e la sua intensità (numero di mm. al minuto) presentano una doppia oscillazione annua. Novembre risulta il mese più piovoso; in ottobre cadono le pioggie più intense. La somina annua si è mantenuta superiore alla somma annua quinquennale negli anni 1910 e 1914, nei quali si notò un alto grado di nebulosità, ed inferiore a detta somma negli anni 1911 e 1913, nei quali si notò un basso grado di nebulosità. Le direzioni predominanti del vento inferiore sono quelle di SW e di NE, e le frequenze di questi due vènti sono distribuite nei diversi mesi in modo che in marzo e in settembre le loro frequenze sono presso a poco uguali, da aprile ad agosto la frequenza del vento SW supera quella del vento NE e da ottobre a febbraio la frequenza del vento NE supera quella del vento SW. Nel periodo aprile-agosto diventano frequenti anche gli altri vènti del 3° quadrante, precisamente i venti SSW e S; nel periodo ottobre- febbraio è anche frequente il vento N. In media la somma delle frequenze dei vènti del 3° quadrante nei mesi del periodo marzo-agosto, contati da marzo, è uguale alla somma delle frequenze dei vènti del 1° quadrante nei mesi del periodo settembre-febbraio, contati da settembre. I mesi degli equinozii costituiscono i periodi dell’inversione dei vènti, determinando il predominio dei vènti del 3° quadrante per la primavera e l'estate e dei vènti del 1° quadrante per l'autunno e l'inverno. Vènti, la cui velocità supera i 5 metri al secondo (20 km. all'ora) sono poco frequenti; solo in marzo il vento raggiunge talvolta la intensità di 13 metri al secondo. Xx * x La tripla oscillazione annua riscontrata nella pressione va d'accordo con la legge Schiaparelli-Celoria (!) e Ragona (?). secondo la quale tre mas- simi e tre minimi di pressione durante l’anno costituiscono una legge natu- rale per l’Italia, da essi constatata per Trieste, Milano, Bologna e Palermo, e per Napoli confermata dall’Alberti (*). Questo fatto, è la considerazione che è regolare l'andamento che si riscontra anche negli altri elementi, ci portano a concludere che, per Napoli, con soli cinque anni di osservazioni meteorologiche si arriva a determinare l'andamento annuo degli elementi. (1) Sulle variazioni periodiche del Barometro nel clima di Milano (in Supplemento alla « Meteorologia italiana » del 1867, pag. 121). AT) Andamento annuale della pressione atmosferica (in Supplemento alla « Meteo- rologia italiana », fascicolo II 1877). (3) Sul clima di Napoli (in « Atti del R. Istituto d’incoraggiamento di Napoli », serie V, vol. III, n. 4). Sl AETT:8 =|4|r|1]i ba pa = fa atea aleaetii Eroe o i TT: S| TT edera alari Ci gI|WwoT| UE | ug | wu | wg mi_ 0 n VII Mi. n 0 _ IU I n _ NI eueo MNN ‘10uQ99g Ip e]03ex e][oo oqupoo]ro 2 oipem s10110,T (1) ‘OIEUL [US 1190UL CE QUIPNVUUY (0) OT|I|I|-|ST|8 |9|1/G|-|{TI]|T]|SG|F|06|66F|2'69| 0T| S6 |7/09 966709 II{g|G|T]91]8 |S|-|T||T|1]|6| 8 |SI|F27|869] 90 | 9T |#09|969| 509 8°.1:7| 8 | TL |:86: 6-7] SEME 766] 65] SETS L'L9| 60 | 2°0 |E7919'09|S°T9 ot{t| tangg@= 7. 1 1 Per la (16)' è yy y>- + Ka°=— yiy:— Ky}}; e, sostituendo a y, y. K le loro SIR in L, sì ha XE 9 I) 2 +1) i 23 ui B sen(o — y). Sa ezio A+ 2u L'equazione (18) ci dice che, dovendo essere y, reale, L è negativa e, in valore assoluto, maggiore di 3. Per L= —1 è s=0 u=0 w=0, cioè la vibrazione nel piano verticale è nulla; la deformazione, se le condi- zioni profonde permettono in tal caso una » diversa da 0, è solo /rasversale e fissa. Oltre il valore —1, la « diventerebbe imaginaria. | La costante L è quindi compresa fra i valori — 3 e — 1, inclusivi. i Entro questo intervallo può avere infiniti valori: cioè infinite onde superfi- | ciali, dotate di velocità di propagazione diversa, sono possibili; le condizioni iniziali e profonde determineranno caso per caso il gruppo di onde che real- mente si verificano. 6. Nel caso in cui 74= « (coetticiente di Poisson ?/,), che si verifica assai approssimativamente per i materiali della crosta terrestre, la rela- ‘zione (20) fra K e L diventa dida 3 L° | K°— Se supponiamo K= L, i valori possibili di L sono dati dall’equazione 3412 le cui radici sono L==+-1 L= TE Escludendo i due valori positivi, I pei quali y» sarebbe imaginaria, rimangono i due valori L=—1,L=— # | 1 — 316 — Al primo valore corrisponde «= 0, ossia, come si disse, una deformazione | stabile del terreno rappresentata da uno spostamento orizzontale del suolo in senso normale all'asse delle x (u=w=0). AI secondo valore risponde la velocità di propagazione VE AZ) E @ | Q V3 V 0 che è il valore trovato da Rayleigh. Vediamo dunque che l'onda di Rayleigh non si veritica soltanto nel caso, da lui considerato, di un solido indefinito, ma anche nel caso di una lastra quando K = L; cioè, per le (16) (17), quando sia: quando cioè sia costante, nella componente della vibrazione (e) entro il piano verticale, il rapporto fra l'ampiezza delle onde trasversali e quella delle onde longitudinali, e quando perciò le onde stesse siano in fase. Fisica terrestre. — / fenomeni eruttivi dello Stromboli nel novembre 1915. Nota preliminare del prof. GAETANO PLATANIA, presentata dal Socio A. Riccò. Incaricato dal prof. A. Riccò, direttore del R. Osservatorio geodinamico di Catania, di recarmi allo Stromboli, per studiare la recente fase eruttiva i parossismica di quell’interessante vulcano, riassumo le principali osservazioni che potei farvi nella mia visita. i La sera del 12 novembre 1915, l'ing. F. A. Perret ed io dali mare, presso la così detta « Sciara del fuoco », costatammo che dei diversi crateri era veramente attivo soltanto quello più vicino al Faraglione di ponente 0 Torrione, e dava, ad intervalli di circa 15 minuti, magnifiche esplosioni, lanciando in alto con violenza un gran numero di brandelli di fluida lava di colore rosso candente, i quali, ricadendo sui fianchi del monte, non rotolavano giù, ma per la loro grande pastosità vi rimanevano in gran. maggioranza appiccicati. e si oscuravano a poco a poco, in modo che per un breve tratto di tempo tutta la collina craterica rimaneva costellata di. ì- numerosi punti luminosi. . I fenomeni effusivi invece erano quasi del tutto cessati: a circa 150 Di metri sotto il cratere attivo, si vedeva rosseggiare vivamente un punto lumi- noso, cioè la bocca dalla quale fino al giorno avanti aveva continuato a fluire la lava in corrente. i nare — noir AE I in — 817 — Alle ore 9.15" del giorno 13 ebbe luogo un'esplosione molto violenta, accompagnata da un boato secco, come un forte colpo di cannone, e seguìta da un profondo ruggito. Sulla cima del monte si vide sollevarsi un pino imponente, seguìto subito da un secondo getto più a sud, acuminato, nereggiante, e poscia da un terzo getto più a valle verso la Sciara. Dopo circa 5 minuti cominciò a cadere sull’abitato una fitta gragnola di lapilli e scorietti. Alle ore 9.30" avvenne una seconda esplosione, un po’ meno violenta, anch'essa seguita da abbondante pioggia di materiale frammentario. Avviatici ad esaminare da vicino i crateri ben presto cominciammo a trovare focacce di scorie nerastre o giallastre che avevano incenerito i cespugli su cui eran cadute, e proiettili di vecchio materiale più o meno pesante che avevano scavato ampie buche nel suolo ed erano ancora scottanti, e bombe leggerissime rigonfie di materiale vetroso, e brandelli di scorie che, ricadendo ancora pastose, si eran modellate sulle accidentalità del terreno. Durante la nostra ascensione potemmo costatare che tutti i crateri erano in attività, davano abbondanti vapori bianchicci e talora qualche debole esplosione accompagnata da getti di fumo giallastro o nerastro carico di cenere e di lapillo. — L'apparato eruttivo era formato da quattro crateri, di cui tre grandi che, seguendo la nomenclatura dell'ing. Perret, indicherò con le lettere A, C e D; ed uno più piccolo, B; non mancavano entro e fra di essi altre bocche mi- nori, secondarie. Recatici al solito posto di osservazione, oltre il Faraglione di ponente, constatiamo che la grande esplosione ha lanciato anche in quella direzione un gran numero di blocchi conselidati e non pochi brandelli di lava. Alcuni dei primi erano rivestiti in parte da un invoglio scoriaceo, or chiaro e fila- mentoso, ora di colore scuro; altri eran formati da frammenti scoriacei più o meno arrossati, cementati fra loro da vene di nuova lava scoriacea oscura; altri si erano spogliati quasi completamente del loro inviluppo di lava che giaceva intorno alla loro base. Tutti avevano scavato delle buche più o meno profonde, e tutti erano ancora scottanti. Il giorno successivo, 14, il vento impetuoso ed il mare agitato ci im- pedirono di tentare escursioni, e d'altro canto l'attività nei crateri continuava a mantenersi debole. Tuttavia ci recammo al vecchio semaforo per esaminare poi col favor della notte il teatro eruttivo, e, arrivativi, con nostra sorpresa costatammo che da una bocca, situata alquanto al di sopra di quella che si era estinta, veniva giù diritta, fluida, vivissima una muova corrente di lava incandescente, che era già arrivata, alle ore 18, giù quasi ai due terzi della ‘Sciara. Per circa metà della sua lunghezza si manteneva di colore rosso chiaro; più in basso si andava oscurando poco a poco, mentre dalla sua fronte già annerita si staccavano massi incandescenti che rotolavano al mare. RenpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 42 = 3 Al di sopra della bocca effusiva si notavano, allineati verso l'alto, pa- recchi punti debolmente rosseggianti, così da far credere all'esistenza di una specie di /7re/, la cni volta, costituita di scorie consolidate, si mante- nesse ancora calda e rosseggiante. Nel pomeriggio del 15, ritornati a Labronzo osserviamo che la lava continua a fluire vivissima dalla nuova bocca, ma vien giù più lentamente, con la velocità di circa un decimetro al secondo o poco più, e si mantiene pastosa, e forma una corrente continua, non a superficie scoriacea nella sua parte alta. Dai suoi fianchi ed anche dalla parte mediana si staccano con- tinuamente delle masse incandescenti, che, rotolando al mare, vi hanno for- mato già un /ha/us grandioso, una specie di cono di deiezione di materiale consolidato, che ricopre la lava pastosa, già arrivata al mare in cuì si avanza lentamente sollevando grandi colonne di vapore che il vento impetuoso rapi- damente disperde. Anche gli altri speroni di lava, che si sono avanzati in mare nei mesi precedenti ed hanno reso convesso il profilo trasversale della Sciara, si vedono qua e là ancor fumiganti, mentre verso la parte occidentale della Sciara si sollevano colonne di polvere dovute al rotolare giù di qualche masso che si va distaccando dalla fronte dell'altra corrente di lava che aveva cessato di fluire la sera del 12. Il giorno 18, calmato alquanto l' infuriare del vento e_cambiatane anche la direzione in modo da farci sperare una relativa bonaccia nel fianco del- l'isola ove è situata la Sciara del fuoco, ci affrettammo a recarci a veder da vicino la nuova lava. i Esaminando dei blocchi di lava incandescente raggiunti dalle onde, notiamo che sono serepolati, per il rapido raffreddamento, e l’acqua del mare, penetrando nelle screpolature si converte rapidamente in vapore la- sciandovi un deposito bianco di sali. E quando i blocchi, rotolando, arrivano al mare, oltre il rumore del tonfo, oltre il sibilo del vapore che sfugge, si ode un crepitìo caratteristico che si deve al formarsi e all'acerescersi di queste numerose screpolature. Ma lo spettacolo veramente maraviglioso, indescrivibile, è dato appunto dal lento avanzarsi della lava nel mare. Questa, quaggiù, "è coperta da numerosi blocchi che fermano su di essa come un mantello di scorie. E l'avanzamento avviene saltuariamente ed in due modi, ora per franamento di grandi quantità di tali blocchi i quali non possone star fermi su una massa pastosa ehe per l'afflusso sì rigonfia e si muove, ora per rapido Fmovimento in avanti della massa pastosa sotto- stante. Ad ogni franamento del mantello scoriaceo nel mare, il crepitare su descritto, i sibili del vapore si rinnovano con maggiore intensità, e ad ogni onda che arriva aumentano ancora e si sollevano con violenza nuvole di — 819 — vapori carichi di lapilli, di sabbie e di cenere, che ricadono rapidamente rendendo torbida e fangosa l'acqua del mare. Adogni avanzata della lava pastosa sottostante, si aggiungono scoppiettìi più forti, ed il vapore vien fuori con maggiore violenza e a temperatura più alta, mantenendosi invisibile o quasi per un breve tratto e poi conden- sandosi in nuvole bianchissime, di cui alcune, per la violenza con cui il vapore è lanciato, sì sollevano in globi roteanti ed assumono talora la carat- teristica forma di fungo o di ombrelli che è presentata talvolta dalle nubi delle esplosioni dei crateri. E non mancano 1 violenti getti di vapori caldissimi, in direzione obliqua ed anche orizzontale, così da render pericoloso il rimaner molto vicini alla lava. La parte viva della corrente fa si avanza nel mare ha una fronte di una ventina di metri, ed altrettanto circa ne hanno i due coni di deiezione ai lati di essa, cosicchè in complesso il ventaglio di lava, alla base, supera i 60 metri di larghezza. Avvicinatici quanto più ci fu possibile, ci fermammo a lungo a con- tinuare le osservazioni, senza preoccuparci che il calore dell’acqua del mare potesse arrivare a rammollire la pece che si adopera nelle commessure delle barche. Del resto qui non si osservavano pesci morti come a Savaii e alle isole Sandwich. e l'acqua, sensibilmente calda in vicinanza della corrente di lava, non fumigava, nè era scottante. L'essere il mare libero ed aperto, l’esistenza di una debole corrente marina, ma specialmente le piccole dimensioni della calata di lava che fluiva nel mare, dànno ragione di ciò, come ancora del fatto che, sebbene la lava sì mantenesse rossa. incandescente, al di sopra del limite di contatto con l’acqua, non vi avvenivano le grandiose manifestazioni esplosive descritte dal Tempest Anderson nell’eruzione di Matavannu (Savaii) e dal Green in quella del Mauna-Loa (eruzione del 1859). Qui le esplosioni lanciavano lapilli della grossezza di una nocciola. 0 poco più; e le sabbie e ceneri, che rendevano grigio il vapore, si sollevavano appena a qualche metro, e ricadevano ben presto in mare intorbidandone le acque. A Matavanu, quando la lava finiva in quantità minore, si conformava in curiosi lobi e peduncoli, in masse ovoidi che si vedevano screpolare, rigon- fiarsi, assumendo la forma di guanciali o di sacchi accatastantisi l'uno presso l'altro. Qui, allo Stromboli, la lava si avanzava a sbalzi, sotto il suo mantello di blocchi, senza mandare prominenze, senza formare lobi, senza accennare a prendere la struttura globulare, della quale non esistono traccie nemmeno nelle altre colate già arrestatesi e oramai demolite in parte dall'azione delle onde, in modo che ci rivelano chiaramente la loro costituzione in- terna. — 320 — Colà la lava si vedeva rossa candente, anche in pieno giorno, e quando le onde si spandevano su di essa, l'acqua non bolliva, ricadeva quasi inal- terata, forse perchè vi assumeva lo stato sferoidale. Anche nella corrente del Mauna-Loa il primo contatto dell'acqua con gli sferoidi incandescenti di lava non produceva visibilmente alcun vapore, giusta le osservazioni del Green. Qui, invece, ogni nuova ondata del mare era accompagnata da un fra- stuono di scoppiettìi e dal sollevarsi di grandi masse di vapore acqueo. Eppure, tanto a Matavanu quanto al Mauna-Loa, la distanza percorsa dalla lava, a partire dalle sorgenti per arrivare a mare, era di molti chilo- metri; qui invece era di poche centinaia di metri; ma colà erano enorme- mente maggiori la quantità di lava, la sua temperatura e la sua fiuidità, e questo spiega il modo diverso di comportarsi delle colate nell’arrivare e nel- l’avanzarsi in mare. i Dopo le osservazioni del Tempest Anderson a Matavanu, si è general- mente diffusa l'opinione che la struttura delle lave a sacchi o guanciali (pillow-lava) si debba attribuire all'efflusso di esse nel mare. Però occorre distinguere fra tale struttura a lobi e ad ovoidi più o meno superficiali, e quella a sferoidi, con prismi raggianti dal loro centro, strut- tura che si osserva nella rupe di Aci Castello in Sicilia, come anche nelle grandiose sezioni e rupi delle colline basaltiche dei dintorni. La prima struttura può formarsi anche lungi dal contatto delle acque del mare, allorchè la lava è a temperatura molto elevata, è di una grande fluidità, è relativamente povera di gas esplosivi e si avanza in un pendìo non molto ripido. Anche al semplice contatto dell'atmosfera si possono for- mare protuberanze ovoidi, e queste possono crescere e accatastarsi l'una sul- l'altra, assumendo l'aspetto di sacchi e di guanciali, come si può osservare. nella celebre colata Etnea presso Bronte ed iu qualche tratto di quella della. Serra Pizzuta Calvarina, entrambe storiche. Ma d'altro canto, nè a Stromboli, nè lungo la spiaggia orientale del- l'Etna, le lave storiche arrivate al mare, ed avanzatesi in esso per lunghi tratti, hanno assunto la struttura a guanciali o a sacchi, salvo in qualche piccolissimo tratto, come per es. al di sopra degli speroidi basaltici, a S__ della rupe di Aci Castello (lava del 1169). Oltre ai numerosi blocchi grandi e piccoli di materiale antico, spesso rivestiti di sostanza scoriacea; oltre a piccoli blocchi tondeggianti con nume-: rose bolle subsferiche, i prodotti delle due grandiose esplosioni del 13 no- vembre, come si è accennato, sono costituiti da scoriette leggerissime di colore chiaro all'esterno e spesso nero all’interno; di scorie e bombe sub- pomicee, molto rassomiglianti a quelle da me descritte nello studio del pe- riodo eruttivo di Stromboli del 1907; di scorie nere, come quelle che vi osservai nella eruzione del 1912, e che sono prodotte ordinariamente dalle esplosioni tipiche stromboliane; e finalmente di scorie miste di materiale chiaro e scuro. (P2103 — 321 — Notevolissima una grossa scoria filamentosa, costituita da un ammasso di fragili fili intrecciati, la quale, cadendo al suolo fluidissima, si appiattì, modellandosi sulle accidentalità di esso, distendendosi per oltre una qua- rantina di decimetri quadrati e riducendosi allo spessore medio di 2-3 cen- timetri appena. Esaminate al microscopio, le scoriette leggere e quelle filamentose mo- strano abbondante sostanza vetrosa bollosa, isotropa, di colore chiaro; ma, a differenza di quelle simili del 1907, queste sono molto più ricche di piccoli cristalli di feldspato plagioclasico, di augite e di olivina, e specialmente i felaspati non sono, come allora, microliti e microcristalli, ma invece si pre- sentano di dimensioni maggiori e come elementi del primo tempo. È evi- dente che qui ci troviamo di fronte ad un magma, il quale, ribollendo entro la gola del vulcano, ha avuto il tempo di devetriticare. Aauche le scorie nere delle esplosioni del 13 novembre sono più ceristal- line di quelle raccolte alla fine del periodo eruttivo del 1907. La massa fondamentale isotropa, vetrosa, è di colore molto scuro, con opacite, con gra- nuli di magnetite, e con microliti di feldspato, e contiene numerose augiti e molti cristalli tabulari di plagioclasio a geminazione polisintetica, spesso zonati e con estinzione ondulosa; l'olivina vi è frequente in cristalli idio- morfi ed in granuli, non alterata; non vi ho osservato iddingsite ma sol- tanto qualche accenno di alterazione, un po' di arrossamento in alcune delle rare fratture. La lava della corrente fluita il 9 novembre, e quella che il giorno 18 vedevamo avanzarsi nel mare, sono costituite di una massa fondamentale bruna, oscura, con opacite, con microliti allungate e con numerosi cristalli del primo tempo di feldspato plagioclasico, ricchi di inclusioni e con estin- zione ondulosa: belle e grandi augiti di colore verde-bottiglia, spesso con zone di accrescimento molto nette, cristalli e granuli di olivina simili a quelli descritti nelle scorie nere. In complesso, i prodotti magmatici di questo periodo eruttivo differi- scono fra di loro principalmente per i caratteri della fase vetrosa, la quale ora costituisce una sostanza fondamentale amorfa di colore chiaro, ora una microlitica di colore oscuro e con molti globuli di opacite e granuli di ma- gnetite; talora entrambe si trovano insieme, l'una accanto all'altra, nella medesima focaccia scoriacea. Questo fatto è importantissimo perchè indica un differenziamento mag- matico nella parte alta del medesimo condotto vulcanico, probabilmente per una specie di espulsione del magma fluido residuo dalla parte più cristal- lina, per l'ascesa verso l’alto della parte più leggera e per lo spumeggiare di essa a causa dello sviluppo dei gas; ma ancora perchè potrebbe costi- tuire un esempio della tanto discussa liquazione o parziale immiscibilità delle soluzioni magmatiche; argomenti, questi, che verranno meglio esaminati al- lorchè saranno compiute le analisi chimiche della lava e dei due tipi di scorie. — 322 — Chimica. — Za quercetina dalla scorza del Pinus pina- ster Sol. Nota di RoBeRTo LepeETIT e CARLO CARTA SATTA, presentata dal Socio G. KOERNER. In una relazione al Congresso di chimica a Roma nel 1905, sull’ in- l'industria degli estratti per concia, uno di noi (*) segnalò, a proposito degli estratti tannici bisolfitati, la formazione di una materia colorante gialla trat- tando con bisolfito sotto pressione l'estratto ottenuto da scorze di pino della Toscana; ed espresse con riserva l’idea che il colorante potesse essere iden- tico alla fisetina. Un tale giudizio era suggerito dall’analogia di alcune reazioni cromatiche con quelle della fisetina e dal fatto che la fisetina (°) del Rhus cotinus vi si trova combinata con uno zucchero e con una sostanza tannica, consi- derando che la scorza di pino contiene precisamente glicosidi e tannini; e d'altra parte dal fatto che, per quanto ci consta, la quercetina, che poteva esser tenuta in linea di conto, non fu mai isolata da vegetali europei. Uno studio ulteriore, compiuto sin dal 1906, ci ha condotto a modificare la primitiva ipotesi ed a caratterizzare in modo sicuro il colorante giallo per quercetina. Se non pubblicammo il risultato, fu perchè si sperava di trovare il tempo per definire altri componenti (fra cui principalmente lo zucchero e le sostanze tanniche formatesi, oltre alla quercetina, per l'azione del bisol- fito di sodio sull'estratto) e poterne ricavare conclusioni sulla natura del composto complesso, colorante-zucchero-tannino, preesistente nell'estratto medesimo. La circostanza che la presente grande penuria di coloranti, in seguito alla guerra, ha conferito una certa importanza al giallo ricavato dalla scorza di pino, tanto da provocarne la preparazione e le applicazioni industriali (ed è forse l'unico nuovo estratto colorante fatto in Europa su vasta scala), ci induce a pubblicare il lavoro eseguito 10 anni fa, dato l'interesse d’at- tualità per le materie coloranti naturali. L'esame qualitativo dell'estratto acquoso di scorze di Pinus pinaster 3 permette di concludere che esso contiene sostanze tanniche appartenenti al gruppo del pirogallolo ed altre appartenenti al gruppo della pirocatechina, 0 catecolo, e uno o più zuccheri di cui non fu determinata la natura. L'estratto, (ì) R. Lepetit, Atti del VI, Congresso di chimica applicata a Roma, vol. III, pag. 156. (2) Jacob Schmid, Ber. d. deutsch. chem. Gesellschaft /9 (pag. 1735): — 323 — per sè, non rivela in alcun modo la presenza di una materia colorante gialla; il trattamento con bisolfito sodico gli fa perdere completamente o quasi le proprietà tanniche, e mette (cosa strana) in rilievo proprietà coloranti. TRATTAMENTO CON BISOLFITO. 500 gr. d'estratto di pino (p. spec. 1,22), preparato estraendo 5 volte con acqua bollente 3 kg. di scorza e concentrando nel vuoto i 40 litri di liquido così ottenuto, vennero mescolati con 135 gr. di bisolfito di sodio (p. spec. 1,42), ed il recipiente in vetro fu chiuso in autoclave e riscaldato pet 7 ore a 125-130° C. Si constatò che il liquido contenuto, raffreddato, più non presentava un aspetto resinoso, ma bensì molto più fluido, e alla luce del sole i riflessi lucenti d'una sospensione di cristalli microscopici. Col tempo depositava un sedimento giallo chiaro. Tale deposito, insolubile nell'acqua fredda, venne filtrato e ripetutamente lavato con acqua, sinchè questa passò quasi incolora. Essiccato, pesava 22 gr. Variazioni, sia della quantità di bisolfito, sia della temperatura, sia della durata del trattamento, diedero una resa poco dissimile. Operando con scorze di varia provenienza, si ebbero variazioni da 3 a 40 gr. di colorante secco purificato, ottenuto sciogliendo in alcool bollente, filtrando traccie d'impurità, precipitando con acqua e rifiltrando. Il prodotto, ricristallizzato 3 volte dall'alcool in cui è poco solubile, cristallizza in piccolissimi aghi giallo-chiari, fondenti a 265°, decomponendosi. [La quer- cetina fonde, secondo Zwenger e Dronke, a 250° (’): p. fus. rettificato da Kostanecki, nel 1904, in 313-314° (*), pochi mesi dopo il nostro lavoro]. Non abbiamo ancora potuto stabilire in modo certo le ragioni delle variazioni di resa da 1 per mille a 1,3 per cento da scorze, apparentemente uguali, di una regione molto limitata (San Rossore, Tombolo, Torre del Lago, ecc.), e dobbiamo ammettere si tratti di piante di età molto diversa o di scorze alterate e deteriorate nel caso delle rese minime. La materia colorante forniva tinte d'un bellissimo giallo su mordenti d'allumina, d'un giallo molto aranciato su mordenti di stagno, d'un giallo meno vivo su cromo, d'un giallo sporco senza valore su rame, bruno olivastro su ferro. Erano quindi da escludere morino, maclurina, luteolina, ramnetina; erano invece probabili fisetina e quercetina fra i coloranti naturali conosciuti. Si intraprese perciò la preparazione di alcuni derivati della sostanza colo- rante, per definirla esattamente. . (*) Annalen, 1861. pag. 262. (*) Ber. d. deutsch. chem. Ges. 37, pag. 1405. =- 924 -— DERIVATI DEL COLORANTE GIALLO. Derivato acetilico. 20 gr. di colorante giallo vennero riscaldati su bagno d'olio a 120- 212000 con 18 » di anidride acetica, 10 » di acetato sodico fuso‘ per 3 ore in pallone con refrigerante a ricadere. Il prodotto, versato in acqua calda, abbandona un olio il quale fu lavato ripetutamente con acqua bollente. Nel raffreddarsi, esso si concreta in una massa bruno-grigiastra che venne triturata, estratta più volte con alcool bcl- lente che asporta molta materia colorante e scioglie pochissimo l'acetilderivato; quindi venne asciugato e cristallizzato da alcool bollente con aggiunta di nero animale. Ripetuto 3 volte questo trattamento, si ottengono aghi bianchi setacei, i quali fondono a 192-193° C. Un grammo di prodotto, umettato con alcool, venne riscaldato circa 3 ore con un miscuglio di 75 gr. di acido solforico e 35 d'acqua; il prodotto giallo ricuperato pesava gr. 0,568, ossia il 58,6 °/,. Altre due pi: diedero 58,3 e 58,6. Calcolato per quercetina, da pentaacetilquercetina, 57,8 °/0. L'acetil- 1.3.3! .4'-tetraacetossiflavonolo [pentaacetilquercetina o di Kosta- necki (')] fonde a 193-194" C. Derivato benaoilico. Venne preparato analogamente, trattando 10 gr. di colorante con 70 gr. di anidride benzoica su bagno d'olio a 170°C, per 5-6 ore. Aghi bianchi setacei, fondenti a 155° C. ” La letteratura dà come nota una tetrabenzoilquercetina fondente a 239° (2). | Derivato metilico. 10 grammi di colorante giallo sospeso in 200 d'alcool, con aggiunta di 4 gr. di soda caustica sciolta in alcool, vennero trattati a caldo, in pallone con refrigerante a riflusso, con 10 gr. di dimetilsolfato. Distillando l'alcool e ricristallizzando il prodotto, dall'alcool, con aggiunta di nero animale, sì . ottiene il metilderivato in aghi gialli finissimi lucenti, fondenti‘a 154-155° C. Herzig (*) dà, per la tetrametilquercetina, 156-157° C. ° (1) Ber. d. deutsch. chem. Ges., 37, pag. 1405. (*) Kirsten, Archiv. f. Ch., 229, pag. 246. (3) Monatshefte f. Chem., 9, pag. 541. — 325 — Si può dai dati sovraesposti di ricupero di colorante giallo, corrispon- denti ad una pentaacetilquercetina, dai punti di fusione dell’acetil- e metil- derivato, dal comportamento tintorio, arguire che la sostanza colorante gialla ricavata dalla scorza di pino è quercetina (1.3.3. 4!-tetraossiflavonolo) - (0) OH VONTI S Îi | C SI i fi do OH Il compianto prof. Kostanecki ebbe la cortesia, nel novembre 1906, di paragonare il nostro acetilderivato con quello da lui preparato sinteticamente; e controllò il punto di fusione dei due prodotti anche in miscela trovando | 192-193 e confermando con lettera ad uno di noi, l’ identità dei due derivati. Per maggior sicurezza fu eseguita una analisi del pentaacetilderivato, la quale diede i risultati seguenti: I) Sostanza essicata nel vuoto su H,S0,, gr. 0,2625; CO., gr. 0,5667; acqua, gr. 0,0952. \ II) Sostanza essiccata nel vuoto su H,S0,, gr. 0,1455; CO,', gr. 0,3100; | acqua gr. 0,0520. | ETNO Calcolato per C25=H 20=0 12 È I II C 58,87 58,10 58,89 | H 4,05 3,99 3,90 | Dall’acetilderivato ottenemmo in seguito, per riscaldamento prolungato con acidi, la materia colorante gialla allo stato di purezza, dalla quale si | può ottenere con qualche ricristallizzazione un prodotto fondente a 310-312°, | punto di fusione quasi identico a quello indicato da Kostanecki per la quer- | cetina. i Il comportamento tintorio è identico a quello della quercetina da noi ricavata da scorze di quercitrone degli Stati Uniti. Non vi può quindi essere dubbio alcuno sul fatto che la scorza di pino contenga quercetina allo stato complesso di combinazione con un tanno- glucoside. È notevole che ciò sia sfuggito ai numerosi scienziati che si occu- parono dello studio delle materie coloranti naturali e dei tannini per un | prodotto come le scorze di pino, da tanto tempo adoperato per la tintura | delle reti, delle vele e per la concia delle pelli. | RenpiconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 48 x Chimica. — Ricerche sulle combinazioni sub-alogenate di al- cuni elementi. VI: Sul cosiddetto sottocloruro di bismuto (!). Nota di L. MarIno e R. BECARELLI, presentata dal Socio R. NasInI. Prima di esporre le considerazioni in base alle quali è possibile spie- gare la natura dei cristalli che si originano nelle fusioni dei miscugli di bismuto con tricloruro di bismuto (*), discutiamo altri fatti sperimentali. Fie:-di Per quanto riguarda il contributo sperimentale portato da ciascuno di noi nell'esecuzione del presente lavoro. vedere la nostra Nota II in questi Rendiconti, vol. 24, pag. 265 e soprattutto vediamo che cosa si osserva. quando si fondono i cristalli purificati. Analogamente a quanto abbiamo visto per il bismuto-bromo, anche qui la massa cristallina fonde ad una tem- peratura superiore a quella dei componenti, dividendosi in due strati, nella. solidificazione dei quali si osservano tutti quanti i fenomeni ricordati. Questo si può vedere dalla curva (fig. 1) eseguita su 100 gr. di sostanza. cristallina (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Pisa. — (*) Rend. della R. Acc. dei Lincei, 25, pag. 270 (1916). i pa —» Soi separata da un miscuglio fuso al 46 °/ di BiCI]; e purificata su rete di nichel nel modo già descritto. Si osserva in essa, appena accennato, il prin- cipio di cristallizzazione a 810°; è ben visibile però l’effetto termico della trasformazione fra 240°-260° ed il secondo arresto eutettico a 185°. I nuovi cristalli che si originano da questa fusione hanno un contenuto in cloro che, a differenza di quello da cui siamo partiti, ammonta a 18,35 °/o. Come si vede, usando 100 gr. di sostanza cristallina è possibile met- tere in questo caso abbastanza bene in evidenza il principio di cristallizza- RIG: zione, per cui appare probabile che, ove si impieghi una maggiore quantità di miscuglio, si possa riuscire a precisarlo anche sulle primitive curve. Di- fatti, impiegando 100 gr. di miscuglio per una concentrazione al 50 °/ di Bi Cl, si ottiene la curva e della (fig. 2), nella quale il principio di cristal- lizzazione è assai netto. Questo però non si verifica per tutte le concentra- zioni; e neppure per una stessa concentrazione riesce poi sempre manifesto, ogni qual volta si ripeta l’esperienza. Questo fa vedere che la quantità di | calore che entra in giuoco deve essere assai piccola: e bastano quindi } casuali disturbi, derivanti dalla proprietà conduttrice della massa fusa o del | dispositivo, per impedire di verificare con sufficiente costanza il cambio di direzione della curva. Agli stessi risultati si giunge per mezzo delle curve x — 328 —. di riscaldamento: « e è rappresentano due curve di riscaldamento eseguite con 50 gr. di miscuglio delle rispettive concentrazioni del 30 °/, e del 60 °/, di BiCl3; mentre in « l’inizio di cristallizzazione è visibilissimo, in d esso è ancora accennato mentre in altre curve della stessa concentrazione di esso non si vede. L'esistenza dell'inizio di cristallizzazione risulta dunque assai incerto, comunque sì operi sui singoli miscugli. quando si osservano le varie curve di raffreddamento. Queste mostrano però in modo certo la trasformazione, che, giusta quanto abbiamo esposto, corrisponde all'effetto termico osservato. Che però, per quanto incerto, l'inizio di cristallizzazione esista, entro deter- minati limiti di concentrazione, e che corrisponde alla formazione della massa cristallina che poi subisce ad una temperatura inferiore la trasformazione, viene meglio confermato mediante esperienze analoghe a quelle da noi ese- guite pei miscugli di bismuto e bromo entro tubi strozzati al centro, con i quali è possibile separare la sostanza solida, che esiste al disopra della — temperatura di fusione dei singoli componenti. Quanto alla trasformazione, essa può essere dimostrata anche qui per via analitica quando si utilizzi il fornino rotante, da noi descritto pel sistema bismuto-bromo ('). Rifondendo perciò nelle volute condizioni un miscuglio già fuso di bismuto con 40 °/, di Bi Cl;, e operando la separazione per 294° con le precauzioni indicate, si ritrova sul setto, dopo il raffreddamento, un reti- colato cristallino ed un nucleo di bismuto, mentre la parte colata è costi- tuita dalla sostanza nera, igroscopicissima. Risultando, dalle nostre esperienze, che il bismuto, in presenza di tricloruro, fonde al disotto di 265°, ed avendo noi capovolto il forno a 294°, il nucleo di bismuto che non è passato attra- verso il setto non può provenire se non dalla trasformazione dei cristalli che in una prima fase si erano formati. L'analisi eseguita sulla massa totale non colata attraverso il setto per 294° mostra come sia diversa la composizione dei cristalli a da quelli da noi chiamati 8 e che sono quelli che, dopo la trasformazione, permangono alla temperatura ordinaria. Difatti gr. 48,86 di miscuglio al 40 °/, di Bi Ck dettero, di sostanza non colata a 294°, gr. 26.23. Questi consumarono di AgNO; (l'cc. = gr. 0,232 di Ag = gr. 0,0763 di C1), cc. 11,1 a cui corri- spondono gr. 3,23 °/, di CI. L'interpretazione del diagramma (fig. 3) non può dunque essere che la seguente: Piccole quantità di BiClz abbassano di alcuni gradi il punto di fusione del bismuto. Lungo la retta AB si separa del bismuto puro. Per quantità di Bi Cl; comprese fra il 5 e ]'85 °/, circa e per una temperatura sufficien- temente elevata, superiore a 315°, circa, si hanno due fasi liquide L, ed Ls. Col raffreddamento verso i 315° dalla fase liquida L, si originano id (1) Rend. R. Acc. Lincei, vol. 25, pag. 175 (1916). — 329 — - cristalli a. Questi, intorno a 240°, si scompongono (linea tratteggiata RS) e dànno luogo ai cristalli 8 e al miscuglio eutettico Bi-BiCl; facendo risa- | lire la temperatura fino al punto di fusione di questo, cioè verso i 260° - (linea BC del diagramma). Continuando il raffreddamento, verso i 190° so- lidifica la fase liquida L, costituendo l'eutettico BiCl-Bi (linea DE). Per quantità di Bi Cl, maggiori all'85 °/,, e per temperature superiori a 2259, si ha una sola fase liquida. Coll’abbassarsi della temperatura, lungo la linea D/ZZ6 fase Ugierde AZ, 390 7 2 HO) | Gistalli | + ligida 4 È N I S +3 E. TRIS de 7 Fo sz; D7 È sd si Va È IZ 9 0À, Gràm VAPZZIOAZA | FE cristallizza del Bi Cl; puro, e a 190° circa solidifica l’eutettico Bi C1-Bi. | Come si vede da questo diagramma l'andamento generale è identico a quello | del sistema bismuto-bromo; manca, però in queste caso la trasformazione \ intermedia della massa cristallina e l’altra al disotto del 2° eutettico. Prima di esporre le conclusioni a cui sì giunge in base a questi dati \da noi raccolti e discussi, dobbiamo ancora riferire su alcune esperienze | eseguite sulla soluzione solida di BiC]; in Bi. Ci è sembrato interessante |fare in proposito qualche esperienza, sia per la rapidità con la quale detta \soluzione solida perde la lucentezza metallica sotto l’azione della luce, sia | per le variazioni riscontrate da varii esperimentatori nelle proprietà del bi- smuto quando esso contiene piccole impurezze, sia anche perchè recente- x — 330 — mente C. Cohen e A. S. Th. Moesveld (!) misero in evidenza una nuova modificazione allotropica del bismuto metallico. Le determinazioni del peso specifico condurrebbero ad un valore che è sempre più alto di quello cal- colato con la regola dei miscugli per il rapporto BiCl considerato. Per queste determinazioni ci serviva un picnometro da 100 ce., e come liquido adopravamo l'olio di paraffina puro scaldato nel vuoto a circa 150° con bi- smuto finemente polverizzato. Si impiegavano ciascuna volta, circa 40 gr. di sostanza mantenuta ben secca per la temperatura della stanza in un essic- catore col vuoto e fuori dell’azione diretta della luce. Il bismuto si polve- rizzava poco. prima della pesata prendendo solo la parte metallica più lu- cente che si trova all'interno del blocco. Pesato il picnometro con la sostanza, aggiungevamo tanto olio di paraffina da coprirla completamente, e poi con una pompa a mercurio estraevamo tutta l’aria a circa 80°. Si riempiva quindi il pienometro sino al capillare con l'olio di paraftina, e si lasciava per 3 0 4 ore in termostato a 42°. Quando dal capillare non usciva più olio, si pu- liva il picnometro, e si pesava, dopo raffreddamento, a temperatura ordinaria. Col solito calcolo si riducevano le pesate al vuoto e si riferivano all'acqua a 4°. La soluzione solida proveniva da un miscuglio al 10 °/5 di Bi Cl,. Questo riscaldavamo a circa 380° per varie ore in uno dei soliti tubi da noi adoperati per l’analisi termica, e poi lo si lasciava a 295°-300° per altre 5 ore. Scaldando la punta del tubo laterale, si toglie la pressione interna e si immerge allora il tubo rapidamente nell'anidride carbonica solida. Con questo metodo, non solo saremmo giunti a stabilire la nuova forma di #-bismuto conformemente ì a quanto osservano Cohen e Moesveld, ma avremmo concentrato anche la quantità del cloro disciolto. Mentre infatti la parte metallica del bismuto, deposto lentamente dalle varie concentrazioni, contiene da 0.33 a 0,35 °%/ di cloro, quello ottenuto con brusco raffreddamento ne contiene da 0,54 a 0,57% determinato nel solito modo. Si ebbe così: di” dell'olio di paraffina = 08618 » del bismuto (polverizzato). =59; 747% » della soluz. solida di Bi Cl; in Bi = 9,6210 Il volume specifico è dunque maggiore di quello del bismuto, ma è mi-. nore di quello che si calcola per la quantità disciolta di tricloruro con la regola dei miscugli; la qual cosa mostra che il tricloruro non è meccani- camente mescolato. Se però permanga la modificazione del 8-bismuto trovata — da Cohen e Moesveld (*) nonostante che la cristallizzazione si presenti assai — diversa nell'aspetto da quella del bismuto ordinario, non possiamo ancora | (') Zeitschr. f. phys. Chem., 85 (19183) pag. 419. (?) loc. cit. — 331 — affermarlo perchè, in analogia con quanto avviene per il #-bismuto lasciato in presenza di una soluzione di cloruro di potassio, anehe qui la presenza del tricloruro di bismuto potrebbe accelerare la trasformazione 8-Bi > e-Bi. Abbiamo anche tentato di assicurarci se la nostra soluzione solida man- tiene, per la temperatura di fusione del bismuto, le differenze già rilevate, tanto più che per il bismuto liquido, com'è noto, la densità risulta mag- giore di quella misurata allo stato solido. Tanto usando il metodo del dott. Day (') adoperato per la determinazione del peso specifico dei minerali ad alta temperatura, quanto servendoci del noto metodo di Westphal, non abbiamo potuto rendere così rapida la misura da eliminare tutte le cause di errore che contemporaneamente si presentano e per la grande densità del bismuto e per la piccola quantità di tricloruro che tende a sublimare. Il blocco di platino galleggiante, per quanto fosse da noi rivestito con una pel- licola estremamente sottile di p/aziz-g/as, riusciva sempre ancora poco pesante per equilibrare la bilancia tanto rapidamente da evitare perdite in tricloruro di bismuto. I valori tornerebbero infatti assai vicini a quelli tro- vati per il bismuto liquido. Noi troviamo 10,09, mentre Roberts e Wrigtson (*) trovarono 10,039 e Vicentini e Omodei (*) 10,004. Da quello che finora fu da noi esposto è lecito dunque concludere quanto appresso; 1°) nella fusione dei miscugli di bismuto e tricloruro di bismuto - non si forma alcun composto definito sotto-clorurato (contrariamente a quanto avevano affermato antichi esperimentatori e più recentemente Eggink, il quale ammise la formazione del BiC1), ma si forma invece, per un inter- vallo di concentrazione, una serie di cristalli misti (a); 2°) questi subiscono una trasformazione in una forma da noi detta È, trasformazione che è accompagnata da un notevole sviluppo di calore; 3°) il punto di fusione di questi cristalli #8 è sempre superiore ai punti di fusione dei due componenti bismuto e tricloruro di bismuto; 4°) dai cristalli 8, dopo la completa fusione, si riottengono nel raf- freddamento cristalli a di altra composizione, in presenza di due strati li- quidi che riproducono i medesimi fenomeni. (*) Day e Soman, Journ. of. ind. and chem., 4 IV 7 (1912). Vedi anche D. F. M. Jaeger, Anleitung zur Ausfiihrung exwakter phys-chem. Messungen bei hòheren Tempera- | turen CWolters-Groningen (1913) pag. 125]. | (*) Phil. Mag. [5] /3, 360; Pogg. Beibl. 5 (1881), 817. = 982 — Geologia. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Vico. (Gargano) (*). Nota del dott. G. CHECCHIA-RISsPOLI, presentata dal Socio C. F. PARONA. Dallo studio del Viola e del Cassetti, che è il più recente lavoro d'in- sieme sulla geologia del promontorio garganico, si apprende che a Vico e negli immediati dintorni, oltre del Neocomiano, viene indicata con il nome troppo vago di Ippuritico un'altra formazione, di cui nessun fossile era finora conosciuto. Dagli stessi autori tale formazione è paragonata a quella molto più estesa e potente, che da Montesantangelo scende sino a Manfre- donia, riferita tutta al Turoniano « per la presenza di alcuni modelli distinti — di Mippurites cornuvaccinum ». Ecco intanto quello che io ho potuto constatare in alcune escursioni — da me compiute, or è qualche anno, nei dintorni di Vico Garganico. Sugli scisti marnosi con Peregrinella peregrina d'Orb. del Neocomiano poggia in immediato contatto un complesso calcareo, potente 100 m. circa, e nettamente stratificato. Tra la formazione marnosa e quella calcarea vi è di sconcordanza, perchè, mentre gli strati neocomiani pendono a nord-est di circa 35°, i soprastanti calcari pendono solo di 15° verso est. Questo complesso consta di un calcare arenaceo grossolano, di aspetto e consistenza tufacei (localmente detto tufo), talora farinoso, di color bianco- gialliccio, che contiene strati di selce giallastra. Lo spessore del teo è di appena una ventina di metri. Esso, specialmente nella sua parte superiore, passa gradatamente e con- cordantemente ad un altro calcare di aspetto molto differente, il quale è duris- simo, semicristallino, bucherellato, di color bianco. Questo è pure stratificato e contiene, anzichè strati, dei noduli di selce giallastra. Tanto il calcare tenero quanto quello cristallino sono fossiliferi. Infatti, in una delle cave che esistono nello spessore del tufo (essendo esso adope- rato come materiale da costruzione), presso l'abitato di Vico, ho raccolto, oltre a vari frammenti di radioli di Cidaris e a qualche Terebratulina, | numerosissimi foraminiferi, appartenenti al gen. Orbditolina. Tale e tanta è l'abbondanza di queste, che la roccia in alcuni punti ne è interamente | costituita, risultando dall'accumulo di questi foraminiferi tenuti insieme da — un po’ di cemento calcareo. Essendo la roccia tenera, io ho potuto facilmente isolare moltissimi esemplari. (1) Lavoro eseguito nel R. Ufficio Geologico. — 333 — Nei calcari duri, bucherellati, invece le Orbitoline sono scarse ed abbon- | «dano i Molluschi. Questi, per la durezza della roccia, sono difficili ad estrarsi; fortunatamente però spesso si trovano silicizzati ed allora, trattando il «calcare con una soluzione acida, si possono bene iselare. Così ottenni varî molluschi, oltre a qualche brachiopodo ( Zerebratula) ed alcune orbitoline. Il prof. C. F. Parona, che ha voluto gentilmente prendere in esame i fossili di Vico, mi ha comunicato anche i risultati del suv studio, che io .qui brevemente riassumo. Le orbitoline, da me raccolte nel calcare tufaceo, secondo la determi- - nazione del dott. Prever, appartengono alle seguenti specie: Orbitolina anomala Prev. Orbitolina Paronai Prev. ” cfr. discoidea Gras ” ovulum Prev. ” bulgarica Desh. ” cfr. concava Lmk. nilo “‘Boehmi Prev. ” conoidea Gras. I fossili del calcare duro, semicristallino, sono i seguenti: Nerinea Stoppanii Gemm. Monopleura forojuliensis Pir. Caprotina Roemeri Gemm. Praeradiolites Pironai Par. Sphaerucaprina Woodwardi Gemm. Radiolites radiosus d'Orb. Il complesso delle Orbdztolina corrisponde strettamente alla fauna orbi- ‘tolinica dei Monti d’Ocre nell’Abruzzo Aquilano. Come è noto, la ricca fauna -di Orbitoline, Coralli e Molluschi dei Monti d'Ocre è cenomaniana. La fauna del calcare duro contiene un complesso di forme, parte del ‘Cenomaniano e parte del Turoniano. Il prof. Parona nota pure che la Mo- nopleura forojuliensis è un fossile che passa dal Cenomaniano al Turo- niano. Dallo studio dei fossili il sullodato professore conclude per l'età ceno- maniano-turoniana del complesso da me descritto. E veramente, dato lo spessore (circa 100 m.) della serie, è lecito di supporre che gli strati più bassi, soprastanti al Neocomiano, quelli oltremodo ricchi di Orbditolîna, apparten- | gono al Cenomaniano, mentre quelli meno ricchi di Orbitolina e con i mol- luschi su citati appartengono al Turoniano. Resta però il fatto della asso- ‘ciazione di alcune forme ceromaniane con altre più giovani negli stessi strati del Turoniano. Tale questione merita di essere studiata per stabilire se si tratta di fossili rimestati, come crede il prof. Parona, o se i varî fossili sili- «cizzati che io stesso raccolsi provengono proprio da strati di passaggio del Cenomaniano al Turoniano. x * x Sulla serie cenomaniano-turoniana e negli stessi dintorni di Vico, cioè | nella regione di Coppa del Carmine, io ho potuto inoltre distinguere un altro ifascio di strati molto potenti di calcari, i quali però sono litologicamente RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 44 — 334 — î dissimili da quelli precedentemente descritti: essi sono teneri, sporcanti,. bianchissimi e ricordano la craze di Francia. Tali calcari, per an buon tratto, si sviluppano lungo la mnlattiera Vico-San Menaio. In una delle numerose cave nelle vicinanze dell'abitato (questo cal- care, per la sua qualità, è preferito a quello tufaceo) ho raccolto, oltre a. qualche frammento di grandi ippuriti e radiolitidi, un buon esemplare della Durania austinensis Roem. e di Dur. apula Par., che indicano l’età seno- niana di questo calcare più elevato di tutta la serie ippuritica vichese. Or non essendo a me note, in tutto il resto del Gargano, altre località. in cui il Senoniano si presenta con una /aczes simile a quella ora descritta,. si deve dedurre che, molto presumibilmente, gran parte del materiale della. collezione Costa, illustrato dal prof. Parona e che io anche ho potuto vedere, debba provenire dai dintorni di Vico. Così anche dai dintorni di Vico deve provenire la Mippurites cornu- copiae Defr. del Gargano indicata dal Douvillé e che è una specie maé- strichtiana. Intanto ricordiamo che della formazione senoniana garganica, pur essendo noti i fossili, si ignorava finora il luogo preciso di affioramento. Questo è quanto posso per ora dire sulla formazione a rudiste di Vico.. Gli studî successivi, che mi propongo di eseguire su quella massa calcarea, del resto poco estesa, serviranno a precisare meglio i limiti e lo spessore. delle varie formazioni sopracretacee. Lo studio del calcare a rudiste di Vico è tanto più interessante in quanto che esso potrà fornire gli elementi necessarî per la determinazione- cronologica dell'altra grande massa dello stesso terreno che da Ischitella e- da Rodi si estende sino al Crocifisso di Varano e dell'altra, ancor più grande,. la quale da Montesantangelo scende sino a Manfredonia. aa — 335 — Geologia. — // Lithothamnium tophiforme di Unger nel calcare ad Amphistegina di Nettuno, di Pianosa e dei Bagni di Casciana. Nota della dottoressa CATERINA SAMSONOFF-ARUFFO, presentata dal Socio De STEFANI. Continuando lo studio delle alghe calcaree fossili raccolte nel Museo geologico di Firenze ('), ho trovato nel calcare ad Amphistegina e Litho- ihamnium proveniente da diverse località (Nettuno, Isola di Pianosa, Bagni di Casciana) la stessa specie di alga calcarea, che ho poi riconosciuto per il Lithothamnium tophiforme di Unger. Lo studio microscopico fu eseguito sopra sezioni di esemplari provenienti da tutte e tre le località indicate. Il preparato ottenuto dall’esemplare di Nettuno rappresenta la sezione di diversi rami di alga, riuniti fra loro da briozoi. Alcuni rami sono sezio- — nati trasversalmente, altri per il lungo. Si nota subito, anche ad occhio nudo, la struttura eccentrica dei rami. La porzione midollare varia nelle sue dimen- sioni, ma spesso è piccola e situata eccentricamente, cioè le zone di accresci- mento successivo che formano la corteccia sono spesso localizzate da un lato soltanto. Qualche volta si possono osservare due midolli che confluiscono fra loro e sono circondati da una corteccia comune, che forma spesso delle pro- tuberanze o ramificazioni in direzioni opposte. Tanto nel midollo, quanto nella corteccia, la disposizione in zone è ben distinta, ma è soprattutto evidentis- sima nella corteccia. Le zone scure e chiare si alternano e sono separate da linee scure. Grossolanamente si può paragonare la struttura di questi rami sezionati con la struttura dei granuli d’amido di patate, semplici e semi- composti. L'ilo eccentrico corrisponderebbe al midollo, le zone alternativa- mente scure e chiare, alla corteccia. Questa struttura è più di tutto mani- festa nell'esemplare di Pianosa. Le zone di accrescimento successivo sono rare volte regolari; per lo più esse variano di spessore e di estensione; alle volte sono ondulate e spesso accavallate l'una sopra l’altra. La struttura più regolare si ha nell’esem- plare di Pianosa, che è anche il meglio conservato. L’apice dei rami non finisce mai a punta, ma è arrotondato e, qualche volta, leggermente dilatato. Queste zone di accrescimento sono generalmente (') Dottoressa Caterina Samsonoff, Sopra due alghe calcaree fossili della famiglia delle Corallinacee (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIII, serie 52, il 2%sem., fasc. 6°, 1914). — 336 — ben evidenti nella loro porzione mediana, e vanno assottigliandosi e confon- dendosi lateralmente. La frequenza di due nuclei midollari circondati da una comune corteccia fa supporre che la ramificazione dicotomica non sia rara nella nostra specie. Non ho potuto osservare che una sola specie di tessuto, e cioè il perz- tallo. La porzione midollare dei rami si mostra formata — in sezione trasver- sale — di cellule arrotondate 0 lesgermente poligonali, di dimensioni presso a poco uguali. Mancano assolutamente le cellule doppie del Pilger (*), come anche gli eterocisti. Il tessuto è dunque omogeneo e regolare, ma non compatto, perchè presenta delle lacune. La parte midollare, che può essere, come abbiamo già detto, più o meno importante. sì unisce alla corteccia con una zona di tessuto in cui le cellule sono tagliate obliquamente. Anche nel midollo sì possono osservare delle zone alternativamente scure e chiare, soprattutto quando la sezione non è troppo sottile. Riassumendo, vediamo che il tessuto dell’alga non è molto compatto, ma molto regolare e omogeneo, e che la corteccia è formata di zone concentriche più o meno regolari, ma ben evidenti. Le cellule sono rettangolari, disposte in serie verticali diritte, alle volte però anche i setti tangenziali delle cellule si trovano allo stesso livello, ciò che rende meno evidente la disposizione radiale. Qualche volta le serie cel- lulari si ripiegano lateralmente a ventaglio. Manca l’aspetto a grata o reti- colo. Mi è sembrato che le cellule delle zone scure sono più corte e qua- drate; però il tessuto non è ben conservato, e la sua osservazione non è facile per i dettagli. Le cellule sono circa due volte più lunghe che larghe, come risulta tolto misure col miecrometro oculare. Verso la superficie i rami sono limitati da una specie di scorza, formata di elementi quadrati un po' più piccoli. Gli organi di riproduzione mancano del tutto; si tratta probabilmente di esemplari sterili. Nel tallo sono frequenti le cavità e le rotture. Le zonature s sono visibili anche a occhio nudo sul preparato. Ho due pezzi di calcare ad Amphistegina provenienti dal Pliocene di Nettuno, raccolti dal prof. De Stefani; uno ha la forma di un nodulo da 3,89 cm. a 2,8 cm. di diametro, con la superficie mamillare formata dalle estremità dei rami dell'alga appressati gli uni agli altri. Le dimensioni dei rami variano da 2 a 5 millimetri; la loro estremità è arrotondata; però la superficie del nodulo è piuttosto consumata ed in parte — incrostata di sabbia e di briozoi. In due punti si vedono, sulla superficie dei () R. Pilger, Zin Beitrag sur Kenntniss der Corallinaceae (Engler's botanische Jahrbicher. Band 41, Heft IV, 1908, pp. 241-269). f = 1887 —- rami, delle piccole cavità rotonde con una prominenza nel mezzo: è proba. bile che si tratti di concettacoli. L'altro pezzo ha servito per fare la sezione; sulla superficie levigata si vedono benissimo i singoli rami generalmente iso- lati o uniti alla base, sezionati in tutte le direzioni e tenuti insieme da un impasto di briozoi. minutissimi frammenti di conchiglia e sabbia cementata. La lunghezza dei rami è di 0,85 cm., 0,67 cm., 0,5 em, 0,46 cm., 0,75 cm.; il diametro è di 0,2 cm., 0,27 cm.. 0.3 cm. Là. dove i rami sono stati fran- tumati, i piani di sgusciamento del tessuto sono evidentissimi ; anche le zone concentriche di accrescimento sono molto visibili nei rami sezionati; qualche volta queste zone si alternano con delle discontinuità concentriche nel tallo. Dell’isola di Pianosa, oltre all'esemplare dal quale è stata ricavata la sezione, appartenente all'antica collezione Foresi, non ho che dei frammenti di rami anastomizzati fra di loro o ramificati; alcuni di questi sono isolati e arrotondati e rappresentano le estremità delle ramificazioni. I rami hanno uno spessore di 0,45 cm., 0,3 cm., 0,3 cm. 0.3 cm., 0,25 em. 0.5 cm., 0,53 cm. Vediamo dunque che i rami dell'esemplare di Pianosa hanno un diametro leggermente superiore a quello dell'esemplare di Nettuno. Però spesso in questa nostra specie l'estremità dei rami è leggermente rigonfiata. I concet- tacoli mancano: la superficie dei rami è bianca, liscia; in alcuni punti si vedono i piani di sgusciamento. L'altro pezzo ha servito per preparare la sezione: è un piccolo conglomerato di rami sezionati obliquamente; si vedono bene le zone cencentriche di accrescimento, alternantisi con strie o solchi. Il diametro dei rami è di 0,5 cm., 0,3 cm., 0,3 cm., 0,25 cm. Dai Bagni di Casciana ho due campioni di calcare con Zithothamnium ed Amphistegina. Essi furono raccolti dal prof. C. De Stefani in piccoli scogli sopra l'argilla pliocenica e sotto il Travertino all'Orto Merello ai Bagni di Casciana. Nel calcare grigio-giallognolo, insieme con foraminifere e frammenti di conchiglie, si trovano impastati dei rami di Zihothamnium. Essi sono bianchi, poco consistenti, disseminati ovunque e presentano ben evidenti le zonature concentriche dovute agli strati di accrescimento successivo. In molti punti si vede, sotto agli strati superficiali sgusciati, l'apice del midollo arrotondato, compatto, di un bianco sporco lucente. I rami hanno una lunghezza di;:0;8461::+0;8cm.,..0,65.cm., 0:57 cm., 0,97 cm., ed un diametro di 0,2 cm., 0,2 cm, 0,2 cm., 0,2 cm., 0,3 cm,, 0,l5 cm., 0,2 cm. 0,3 cm., 0,18 cm. ecc. : come si vede, il diametro è assai regolare. Se anche nella nostra pianta mancano gli organi di riproduzione, che hanno un'importanza decisiva nella diagnosi, pure la sua struttura anato- mica ci permette di riferirla al gen. Zithothamnium ed anzi alla sezione quinta (signora Lemoine), considerando la mancanza di una porzione crosti- x — 338 — forme del tallo, la sua forma ramosa e la struttura del tessuto a zone colorate. La nostra specie corrisponde tanto alla descrizione, quanto alle figure del Zithothamnium soriferum Kjellmann (*). Infatti in ambo le specie la parte centrale compatta è molto ridotta, la ramificazione del tallo avviene precocemente, i rami sono spesso anastomizzati durante lo sviluppo, il loro apice è spesso rigonfiato alquanto ed arrotondato. Le dimensioni dei rami sono presso a poco le stesse. Tanto nella pianta descritta dal Kjellmann, come nella nostra, sì può distinguere nel ramo una parte centrale midollare, formata di cellule poligonali ed una parte periferica, maggiormente svilup- pata. formata di zone concentriche ben distinte. alternativamente scure e chiare. Le cellule sono disposte in serie radiali e tangenziali. In tutte e due le specie le zone chiare sono formate di cellule rettangolari, mentre le zone scure sono formate di cellule più corte, quasi quadrate, a pareti più spesse. Ritengo perciò che la pianta, trovata nei terreni pliocenici di Nettuno, Pia- nosa e Bagni di Casciana, sia identica al Lithothamnium soriferum descritto dal Kjellmann nell’opera citata. Foslie, nel suo lavoro « The Norwegian Forms of Lithothamnion » (*) considera il Zi/hothamnium soriferum Kjell. come sinonimo del Zzthothamnium tophiforme Unger. Egli ne distingue diverse forme: f. globosa, f. tipica, f. squarrosa, f. alcicornis, ed accetta . il nome specifico dato da Unger, come il più antico. La signora Lemoine parla diffusamente, nel suo lavoro (*), del Zithothamnium tophiforme Unger (Z. soriferum Kjell.) riportando sotto questa denominazione specifica diverse forme, descritte dagli autori come specie distinte. Essa considera le quattro specie seguenti: Lithothamnium tophiforme Unger Lithothamnium soriferum Kjellmann Lithothamnium nodulosum Foslie Lithothamnium fornicatum Foslie come appartenenti ad un'urica specie, per la quale serba il nome, più antico, di tophiforme Unger. L'autrice dà una sinonimia bibliografica dettagliata | per ognuna di queste quattro forme e discute lungamente sul valore dei carat- teri differenziali che hanno servito agli autori per distinguere queste specie. (*) Kjellmann, The algae of the Arctic Sea (Kongel Svenska Vet. Akademie Handl,, Band. XX, no. 5, 344 pages, 31 planches, an. 1883). i (2) M. Foslie, Zhe Norwegian forms of Lithothamnion (Det Kongelige norske Videnskabers Selskabs Skrifter, 1894-1895). i (*) Madame Paul Lemoine, Structure anatomique des Mélobésiées (Annales de l’Institut Océanographique, tome II, fase. 2, Monaco 1911). — 339 — Ia signora Lemoine ammette però la possibilità di distinguere due forme mella specie unica: L. tophiforme L. nodulosum L. soriferum L. fornicatum. Il Lithothamnium tophiforme di Unger è stato dunque trovato nel «calcare di Leitha da Unger eppoi, vivente, da Foslie e Kjellmann nella parte ‘superiore dell'Atlantico lungo le coste della Norvegia, nel Mar Bianco (Gobì), :sulle coste islandiche (Stroemfelt), in Groenlandia (Rosenvinge). Ritrovando ora ila specie dî Unger nei terreni pliocenici del Mediter- Taneo, troviamo dunque un anello d’unione fra la sua presenza nel Miocene medio e nell'epoca attuale. Considerando 'la specie da me descritta come identica al L. soriferum Kjell, accetto, insieme cogli autori recenti (Foslie, Lemoine), il nome, più ‘antico, di Zi/holhamnium tophiforme Unger. Botanica. — Nuovi micromiceti liguri. Nota del dott. Lurai Marrel, presentata dal Socio Giovanni BRIOSI. Sto studiando la microflora della Liguria, circa la quale ho di già pubbli- «cato tre contributi ('). Un quarto, in corso, vedrà la luee come i precedenti, megli Atti dell'Istituto Botanico di Pavia ove le ricerche relative si compiono. Fra il materiale micologico da me raccolto lo scorso anno, ho trovato alcune specie di funghi nuovi ed interessanti che attaccano piante colturali «di non piccola importanza; funghi che verranno figurati in una tavola lito- grafata nel lavoro definitivo. Pleospora. Pleospora Briosiana n. sp. Maculis amphigenis, umbrinis vel avellaneo brunneis, castaneo cinctis, irregularibus, marginalibus vel latis, pe- rithectis punctiformibus, gregariis, innato erumpentibus, prominulis, poro pertusis 180-250 = 80-90 n ; ascis clavatis 98-106 = 23-24 n ocltosporis ; sporis distichi, 5-?7-septato-muriformibus, tertio et quarto loculo plerumque inflatis 28-30 —= 11-12 u ellipsoideîs, apice leviter acuminatis, melleis, paraphysibus filiformibus septutis. HaB. in foliis vivis Bignoniae buccinatoriae. Chiavari (Liguria). Attacca le foglie di Bignonia duccinatoria e produce delle macchie di varia forma. In molte foglie l'alterazione incomincia all'apice e procede verso (') Contribuzione allo studio della Micologia Ligustica. I. Contributo in Atti Ist. Bot. di Pavia; serie II, vol. 12, pag. 1; II Contr. vol. 18, pag. 273; III. Contr. vol. 14, pag. 137. — 340 — la base invadendo gran parte del lembo fogliare; in altre l'alterazione si limita ai margini, pur prendendo una discreta estensione. Le macchie hanno» color nocciòla, sono marginate di scuro e sfumate. Phomopsis. Phomopsis Cocculi n. sp. Macwlis magnis plerumque in foliorum apice, albo-griseis, irregularibus, nigro late marginatis; picnidiis amphi- genis, globoso-depressis, subcutaneis 160-180 u diam.; sporulis ovato- ellipticis 6-11 = 2-3 4 biqguttulatis, granulosis, hyalinis, sporophoris filiformibus. HaB. in foliis vivis Cocculi laurifolii. Chiavari (Liguria). Le foglie di Cocculus laurifolius attaccate da questo fungillo presen- tano delle macchie color cenerino chiaro, irregolarmente marginate di nero, sfumanti al nocciola. Per lo più le macchie sono apicali e occupano circa un terzo del. lembo: fogliare. Nelle macchie si osservano i corpi fruttiferi del fungo che sì svi- luppano su ambo le pagine della foglia. Macrophoma. Macrophoma Yuocas n. sp. Maculis indistinetis vel margine obscuro cir- cumscriptis; picnidiis majusculis, innato erumpentibus, gregariis,. sporulis subfusiformibus, pallide chlorinis, granulosis, enucleatis 20-23 = 5-7 4, basidiis filiformibus suffultis. HaB. in foliis Yuccae gloriosae. Nervi (Liguria). Ho trovato questo micromicete sulle foglie di Yucca gloriosa a Nervi. I corpi fruttiferi si sviluppauo in macchie mal delimitate o circoscritte da un margine oscuro. Il Macrophoma Cavarae, descritto da Pollacci sopra Yucca Draco e Dasylirion longifolium, presenta le spore di dimensioni maggiori (36-39 = 13,50 4) e di forma tozza elittica con grosso nucleo nel mezzo. Tali caratteri lo distinguono dalla mia specie. Le differenze le ho. direttamente controllate confrontando la specie mia con quella degli essic- 3 cati del Pollacci. Macrophoma Cinnamomi-glanduliferi n. sp. Muculis amphigenis, avellaneîs | obscure limitatis, magnam partem foliorum ambientibus; picnidiis. majusculis, gregartis, innato erumpentibus, plerumque epiphyllis 190- 200—=150:160 n; sporulis oblongis vel fusiformibus, apicibus ob- tusis, hyalinis, granulosis, guttulatis 20-25 = 4-7 W; sporophoris ae= quilongis, dense stipatis, subclavatis, hyalinis. Ha. in foliis vivis Cinnamomi glanduliferi. Chiavari, Sarzana (Liguria). — 341 — Questa specie attacca le foglie di Cinnamomum glanduliferum e la. raccolsi nel giardino della villa Pallavicini-Rocca a Chiavari e in quello - della villa Olandini a Sarzana. Forma grandi macchie di color nocciola più o meno accentuate. limi- tate da un margine più scuro. Gran parte delle piante attaccate era ridotta in cattivo stato per la. invasione del parassita. Patologia vegetale. — Svernamento di Vidium sp. paras- sita della Photinia serrulata. Nota del prof. VittoRIO PE- GLION, presentata dal Socio G. CUBONI. Ho osservato la prima volta questa micosi della Photinia serrulata sei anni or sono, quando mi occupavo del problema dello svernamento delle. Erysiphaceae ailo stato conidioforo nelle gemme degli ospiti. In una siepe di Photin:a, tiancheggiante un'aiuola dei pubblici giardini di Ferrara, la comparsa di oidio sui getti appena sbocciati richiamò allora. la mia attenzione; ma non mi fu possibile di ripetere le indagini a tempo. debito in seguito all'abbattimento della siepe stessa. Avendo riscontrato in questi ultimi anni l'infezione assai diffusa sulle Phozzzza, coltivate nei giar-. ‘ dini di Bologna, ne ho ripreso lo studio rivolto sopratutto a chiarire se anche- questo parassita rientri nel novero delle forme che svernano nelle gemme. Premetto che, per quante indagini abbia compiuto non sono mai riuscito a rinvenire la forma periteciale del parassita; allo stato conidiotforo esso presenta una grande analogia con Otdium farinosum che vive parassita del melo e che vien riferito a Podosphaera leucotricha, assai diffuso, com'è ‘moto, nella regione emiliana, e svernante allo stato conidioforo nelle gemme. dell'ospite. I getti di Protinza colpiti sono ricoperti da un titto strato fari- noso che avvolge entrambe le pagine foliari, il picciuolo e la parte erbacea del getto: essi rimangono rachitici e spesso disseccano prematuramente, sog- giacendo anche a deformazioni più o menò accentuate. I conidiofori formano catenelle di 7-10 articoli, lunghe da 100 a 120 w; i conidii maturi sono ovali e misurano 30-35 X 15-18 wu. : il meccanismo di formazione sembra riferibile al primo tipo stabilito dal Foex (*) in rapporto. a Sphaerotheca pannosa e altre specie. | Venendo ora all'ibernazione di questo parassita, nella primavera 1915 ebbi agio di constatare la schiusura di numerose gemme dalle quali presero |\origine getti uniformemente ricoperti da un fitto strato miceliale e che spic- | cavano in mezzo ai germogli immuni. Soltanto qualche tempo dopo comparvero ‘\macchie di oidio sporadicamente disseminate sulle foglie di questi ultimi e (1) Foex Et. Zes conidiophores des Erysiphacées. Aun. de l'Ecole de Montpellier, XI. RENpICONTI. 1916, Vol. XXV, J° Sem. 45 — 342 — derivanti probabilmente dai conidii disseminati dai getti infetti. Insomma lo *stesso andamento che si constata seguendo l'andamento delle infezioni dei ‘rispettivi oidii su quercia, melo, rosa di cui mi sono occupato in passato. Quest'anno, in seguito alla mite stagione, le gemme di Photinza serru- [ata accennavano a muovere sino dalla seconda decade di febbraio : osservan- ‘done alcuni esemplari situati nel giardino Cavour e a S. Michele in Bosco, fui colpito dal diverso grado di sviluppo presentato dalle gemme di uno stesso individuo: quelle più avanzate, allo studio microscopico, resultarono sane, normali. Le più arretrate — tuttora chiuse ed appena rigonfie — sezionate, sì rivelarono invece costantemente infette da oidio: il micelio, con abbon- dante produzione di conidiofori, riveste la faccia interna delle squame pro. tettive; ma esso è più rigogliosamente sviluppato sul cono vegetativo e sui rudimenti foliari. Assoggettando queste gemme alla forzatura in termostato, ‘sì provoca rapidamente la schiusura dei germogli caratteristicamente invasi ‘dal parassita. Questo nuovo esempio di svernamento allo stato vegetativo, da aggiun- ‘gersi al numerosi casi rivelati dallo studio delle Erisifacee, conferma la frequenza in natura del fenomeno di stretto adattamento del ciclo biologico del parassita alle vicende vegetative dell'ospite. Fenomeno constatato ormai in parecchie specie fungine appartenenti ad altri gruppi naturali: ricordo Jo svernamento allo stato miceliale di alcune Ustilaginacee. — carboni volanti illustrati da Hecke, Brefeld ed altri — di Uredinacee — illustrate da Fischer e Tréboux — di Peronosporacee di cui numerosi esempi si cono- scono per opera del De Bary, Magnus e più di recente del Melhus (*). La frequenza del fenomeno è tale da menomare il significato delle fruttificazioni evolute (periteci, oospore clamidospore) in confronto all'apparato vegetativo ‘ed alle fruttificazioni agamiche per quanto concerne la conservazione della specie durante la stagione avversa od il riposo dell'ospite. Inoltre tali par- ‘ticolarità biologiche, possono fornire utili indicazioni per impostare su basi positive i metodi di difesa, richiesti dalla pratica. (1) Melhus I. E., Perennial myceliums in species of Peronosporaceae related to iPh. infestans, Journ. of. Agr. Res. V. 2. | = 949 -_: Zoologia. — Osservazioni morfologiche sulla Recurvaria nanella Hb.('). Nota di ArManDO MIGNONE, presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. Sui caratteri morfologici della Recurvaria nanella Hb., gli autori (*) dànno soltanto cenni molto sommarii e, anche questi, poco esatti, così che riesce impossibile la identificazione della specie nei suoi differenti stadii di sviluppo. Con la descrizione che segue colmiamo questa lacuna. Fig. 1. — Adulto x” di Recurvaria nanella Hb. (Ingrandimento: 10 diametri). ADULTO (fig. 1). Capo che appare grigio per la mescolanza di bianco a riflessi argentei e di nero intenso. Sul capo, posteriormente agli occhi e lateralmente, due ciuffetti di squame grigie, piegati verso la linea mediana sino ad incontrarsi, che nascondono com- pletamente la linea di attacco del capo con il torace. (1) Mi ha indirizzato nello studio la dottoressa Anna Foà, alla quale porgo vivi ringraziamenti. (*) Houghton J. T., Contridution to the life-history of Gelechia (Recurvaria) nanella Hb., from an economic point'of view, Ent. Mo. Mag., Ser. 2%, vol. XIV *(vol. XXXIX), 1903, pp. 219 e 220; Mees A., in Spuler A., Die Schmetterlinge Europas, 1910, Il Band, pag. 356. Anche nella recente pubblicazione di Scott E. W. e Paine J. H., — 344 — Occhi composti, molto sviluppati, con aspetto reniforme per due- escavazionìi (in corrispondenza dell'inserzione delle antenne) nelle quali si estendono i processi laterali della fronte. Antenne setiformi, lunghe all'incirca i due terzi dell'insetto ad ali chiuse; si articolano sulla fronte in fossette quasi circolari, situate fra i due occhi composti e molto prossime ad essi. Multi-articolate, con numero. di articoli variabile tanto nel maschio quanto nella femmina. Negli esem- plari da noi osservati abbiamo contato, nei maschi, un minimo di 36 arti- coli e un massimo di 39; nelle femmine, da 82 a 37. Gli articoli, eccettuati i due primi e il terminale, hanno forma cilin- drica. Essi sono coperti di squame fitte, quali bianche quali nere, disposte. regolarmente in modo da formare tanti anelli bianchi e neri alternantisi. Questi anelli sono ben distinti ed evidentissimi, contrariamente a quanto. nota il Busck nella sua breve descrizione. L'articolo terminale, poco più lungo che gli altri dell'estremità del- l'antenna, ha forma ovale o sensibilmente conica e porta all'apice un sensillo- di forma cilindrica terminante a punta smussata, lungo all'incirca !/; del- l'articolo, armato di minutissime spine e circondato, alla base, da 4 peli divergenti, quasi della stessa lunghezza. Altri peli (da 8 a 12, e forse più) sono sparsi su tutta la superficie dell'articolo. In minor numero si trovano anche negli altri articoli dell'estremità dell'antenna, sempre più radi man mano che ci si allontana da quello terminale. - Lo scapo è lungo più del doppio degli articoli del funicolo aventi dimensioni medie, e molto più grosso di essi; il 2° articolo è breve, tozzo. di forma obconica. . Palpi mascellari corti e delicati, con 4 articoli; di forma cilindrica. molto sottili, immessi l’uno nell'altro; il quarto, più grosso e più lungo, rigon- fiato notevolmente alla base, va affusolandosi all'estremità terminando a punta. e curvandosi verso la linea mediana del capo. Palpi labiali ben sviluppati, di 3 articoli, incurvati in alto, così che. osservando la farfalla dal dorso, appaiono sopravanzare davanti al capo come: due cornetti. L'articolo basale è molto corto. L'articolo medio è il più lungo, ed è. quello principalmente che determina la curvatura del palpo; verso la sua estremità distale appare alquanto rigonfiato. L'articolo terminale è più breve The lesser bud-moth, U. S. D. A. Bur. Ent. Bull. n. 118, per la parte morfologica è. solo riportata una descrizione molto sommaria del Busck (Busck A., A revision 0/ the American moths of the family Gelechiidae. Proc. U. S. Nat. Mus., vol. XXV, pag. SI1, 1903), riferentesi alla A. crataegella, che lo stesso Busck e i detti autori riconoscono. identica alla R. nanella Hb. | | i — db - più sotvile di quello medio, meno arcuato (quasi dritto in alcuni esem- plari) e finisce a punta. Come le antenne, così i palpi labiali sono coperti da squame bianche ‘e nere, pure disposte regolarmente in modo da formare degli anelli bianchi e neri (questi ultimi in numero di 4:due sull'articolo medio, e due sull'ar- ticolo terminale) alternantisi, discernibili agevolmente anche con una semplice lente d'ingrandimento. Secondo la descrizione del Busck (*), gli anelli neri dovrebbero essere 2 ‘su ogni articolo e, quindi, complessivamente 6. Però all'osservatore se ne pre- sentano solamente 4, e cioè 2 sul 2° e 2 sul 8° articolo. Noi non abbiamo potuto discernerli nel 1° articolo il quale, essendo il più breve, rimane quasi ‘totalmente nascosto sotto gli altri pezzi boccali. Ma probabilmente lo stesso Busck intende riferirsi ai soli articoli visibili, e cioè al 2° e al 83°. Contrariamente al Mees (?), non abbiamo rilevato una notevole differenza fra la quantità di squame nell'articolo medio e in quello terminale ; anzi, negli ‘esemplari da noi osservati, le squame ci sono sembrate più fitte e più lunghe nel secondo che non nel terzo articolo. Labbro superiore formato. come in tutti i Lepidotteri, di un pezzo trasversale molto corto con la parte mediana prominente. Questa parte, nella ‘specie studiata. forma tre sporgenze, di cui quella di mezzo, più appuntita, ‘è coperta di peli cortissimi, mentre le due laterali (piliferi), più arroton- ‘date, portano dei peli molto lunghi ed abbondanti. convergenti verso la linea ‘mediana. Le mandibole mancano del tutto. Sotto il labbro superiore, in corrispondenza delle due sporgenze laterali, ‘yi sono due pezzi chitinosi, assai robusti, che interpretammo come i cardini. La proboscide, distesa, è lunga circa la metà in più della parte del «capo compresa fra il vertice e l'estremo della sporgenza mediana del labbro ‘superiore. È formata tipicamente, come in tutti i Lepidotteri, dei lobi interni «delle mascelle, così che le due metà che la costituiscono si possono facilmente ‘separare. Ciascuna di esse è conformata a doccia e presenta la superficie esterna interamente coperta di minutissime spine regolarmente disposte in ‘tante file trasversali parallele, che dànno alla spirotromba l'aspetto di una lima. Dei peli abbastanza lunghi, forse sensilli tricoidei tattili, si vedono, ‘pure disposti con regolarità, fra quelli corti e sui margini esterni. Lungo l'orlo della - doccia si notano abbondanti sensilli stiloconici, tanto ‘più frequenti quanto più ci si accosta alla estremità dell'organo. Il torace, come il capo, appare grigio per mescolanza di bianco e «di nero. Protorace corto. Mesotorace più grande del metatorace. (5) U. S. D. A. Bur. Ent. Bull. n. 113, pag. 4. (2) Vedi Spuler A., Die Schmetterlinge Europas, II Band, Text, 1910, pag. 356. — 3460 — Ali anteriori (fig. 2) membranose, più grandi di quelle posteriori, ad apice arrotondato, sereziate di grigio e di nero, a disegno confuso e con aspetto polveroso, coperte di squame sub-rettangolari, le quali hanno raggi molto fitti e il margine distale frastagliato. Sul tratto prossimale delle ner- vature sub-costale e radiale vi sono delle squame strette e lunghe allar- gantisi poco poco dalla base sin quasi all'apice dove cominciano a restrin- gersi nuovamente. Campo alla radice dell’ala grigio-scuro (per mescolanza di bianco e di nero), esternamente nero, limitato da una fascia chiara la quale Apice orlo Parte posteriore della cellula discoidale Angolo posteriore della cellula discoidale D 2 SÌ) ° ne ta E) 3 “a di ° (4 mi © 2 è ® = = Parte anteriore della cellula discoidale FIG. 2. — Ala anteriore privata delle squame e della frangia. (Ingrandimento: 15 diametri) corre obliquamente sino al margine interno e, lungo questo, fino all’angolo interno; nel mezzo della cellula discoidale vi è una macchia longitudinale nera (la più grande) spezzata in due alla metà da una areola bianca, allun- gata in senso trasversale e a contorni indecisi. Alle estremità della macchia longitudinale, verso il margine anteriore, si vedono due macchioline più piccole, che con la prima formano quasi un semicerchio, aperto verso il margine anteriore, riempito di chiaro. i Dietro alle linee parallele della frangia, dalla parte posteriore, sulla trangia stessa, ma quasi sull'orlo, vi sono tre macchioline longitudinali nere separate da linee chiare e, lungo l'orlo, una linea più chiara. La frangia è formata da tante ciglia esilissime, dello stesso colorito della lamina alare, cioè bianche con punti neri sparsi confusamente. Sono ada — questi punti neri, riuniti in gruppetti, che formano le-tre macchioline carat-- ‘teristiche dianzi accennate. Essa —la frangia — comincia molto corta dopo il terzo anteriore del; margine posteriore e continua allungandosi gradatamente sino a raggiungere - la massima misura (quanto la maggior larghezza dell'ala) quasi all'inizio. dell'orlo. Di qui, sino all'apice dell'ala, la frangia va man mano accorcian- dosi, per estinguersi dove priucipia il margine anteriore. Esistono le tegule alla base della lamina alare. Le ali anteriori presentano la particolarità di avere la cellula discoi- dale non totalmente delimitata, cioè aperta. Questo è buon carattere per distinguere subito la Recurvaria nanella Hb. da altre specie con le quali.. per la grande somiglianza, sarebbe facile di confonderla. La cellula anale è oblunga. La 12 nervatura (1°, cubitale) sbocca sul margine posteriore in cor- rispondenza dell'angolo posteriore della cellula discoidale. La 22, 34, 4% e 5* costituiscono un unico sistema che si stende nella metà posteriore dell'ala, e i cui rami terminali, molto avvicinati, si inne- stano tutti ad un ramo più grosso delimitante la cellula discoidale dalla parte posteriore. Questo ramo muore nel campo della radice dell'ala, molto - distante dall’inserzione di essa con il mesotorace. Mentre la 2% e 3 si dividono anteriormente all'angolo posteriore della cellula discoidale (angolo che nella Recurvaria nanella Hb. è quasi piatto). e sboccano sul margine posteriore un poco più sotto del punto in cui finisce l'orlo, la 4% e 5* si dividono posteriormente al detto angolo e sboccano sul- l'orlo stesso. La 2* si perde prima di raggiungere il margine. La 78,82, 9* 108 e 11® formano un sistema a sè che si estende nella por- . zione anteriore dell'ala, e sboccano, abbastanza ravvicinate, nella metà distale- del margine anteriore come derivazione di un ramo più grosso, delimitante quasi completamente la cellula discoidale dalla parte anteriore e che rag- giunge l'inserzione dell’ala. La 6* entra a far parte di questo sistema, essendo fusa con porzione- della 72 e dell’82. Mentre però la 7* sbocca all'apice dell'ala, la 6* sbocca sull’orlo e con-- corre a formare la cellula discoidale. La 5% e la 6 vengono così a trovarsi relativamente molto allontanate e lo spazio che le separa appartiene alla cellula discoidale. La 12* sbocca sul margine anteriore, quasi allo stesso livello del punto in cui nasce la 11°. Alla base della lamina alare, fra la nervatura sub-costale e la radiale,. vi è una zona allungata con numerosi sensilli placoidei. — 348 — Ali posteriori (fig. 3) più piccole di quelle anteriori e, come queste, «di colore grigio-argenteo, un po’ più scuro, tendente al brunò ed uniforme; _. squame molto piccole (alcune bianche, alcune nere), mescolate insieme confu- samente, di forma identica a quelle delle ali anteriori, ma meno folte. Di forma trapezoidale, strette. molto sottili, lunghe da 4 a 5 volte la larghezza, con un rientramento dell'orlo sotto l’apice, il quale, per tal modo, ‘appare sporgente e alquanto incurvato all'indietro. Munite di frenulo, costi- ‘tuito da un fascetto di 4 lunghe setole. Parte posteriore della cellula discoidale Orlo Angolo anteriore della =» Angolo posteriore della cellula discoidale È cellula discoidale “Cellula Nscorbale. ‘> Ri Margine anteriore Margine posteriore Frenulo Parte anteriore della cellula discoidale Fig. 3. — Ala posteriore privata delle squame e della francia. (Ingrandimento: 15 diametri) Sul margine anteriore dell'ala, al lato interno del frenulo, esiste un gruppo «di sensilli tricoidei cortissimi, e, dietro la base del frenulo, vi è un'area allun- gata con molti sensilli placoidei ed alcuni tricoidei. Altri sensilli tricoidei si trovano alla base delle nervature dalla sub-mediana all'anale. Frangia su tutto il contorno dell’ala, più sviluppata sul margine poste- riore e sull'orlo, in taluni punti lunga più del doppio della larghezza del- l'ala. Ha di questa lo stesso colorito, un tantino più chiaro. Sistema delle nervature completo, cioè costituito di 8 rami. Cellula anale mancante, essendo indipendenti le nervature 14 e 1°. La 14 molto corta, interamente compresa nel campo della radice dell'ala. La 1°, più lunga, e molto distante dalla 14, sbocca verso la metà del margine poste- riore, vicinissimo alla 2*. La 24, 3*, 4% e 5* si riuniscono in un unico ramo e formano tutto un sistema che si estende esclusivamente nel campo anale. Il ramo comune giunge sino all’inserzione della lamina alare con il metatorace. La 2 e 3* nascono molto lontane fra loro, prima dell'angolo posteriore «della cellula discoidale, ma la 34 vicinissima ad esso; decorrono quasi paral- — 349 — lelamente e perciò sboccano sul margine posteriore, a notevole distanza l’una dall'altra. La 4* e 5* nascono dopo l'angolo posteriore della cellula discoidale, molto vicino ad esso, e quindi vicinissime al punto in cui si stacca la 84. Entrambe sboccano sull'orlo, e la distanza marginale che intercede fra loro è più grande di quella che intercede fra l'estremità terminale della 3 e quella della 48. La cellula discoidale è aperta e delimitata posteriormente dalla 5 e dal peduncolo di questa, della 42, della 34 e della 2*, decorrente sino all’ in- serzione dell’ala. La 6 nasce alla radice dell'ala, scorre sensibilmente parallela al mar- gine anteriore di essa, senza dividersi e forma un angolo molto ottuso (angolo anteriore della cellula discoidale) circa allo stesso livello dell'angolo poste- riore della cellula discoidale e sbocca sull'orlo sotto l'apice. Delimita in tutta la sua lunghezza, anteriormente, la cellula discoidale. La 7 nasce anch'essa alla radice della lamina alare e, come la 68, non si ramifica; decorre parallelamente al margine anteriore e termina su questo alla punta dell'ala. La 8, chitinizzata, finisce verso la metà del margine anteriore seguen- dolo vicinissima e divergendo verso l'inserzione dell'ala. Secondo Busck (*), il maschio differisce dalla femmina perchè manca, alla base delle ali posteriori, di una appendice che egli chiama « pennello costale » (costal hair pencil). Noi non abbiamo visto finora questo pennello nè sul maschio nè sulla femmina. Dei caratteri delle altre parti dell’adulto tratteremo in una prossima Nota. i Parassitologia. — Sus trattamenti insetticidi contro le tignuole della vite. Il: Trattamenti con l'estratto di tabacco. Nota del dott. MarIO Topi, presentata dal Socio B. Grassi. Premetto alcuni dati cortesemente offertimi dall'amico dott. F. Monti- celli, che confermano le osservazioni precedenti fatte nella stessa località (Alice Bel Colle). Da 268 crisalidi raccolte col metodo Catoni (fascie di stracci avvolte ‘ al ceppo della vite ed alle canne dell’impalatura), contenute in tre cassette, schiusero in primavera 142 Eudemis (Po/yehrosis botrana), 14 Conchylis (G. ambiguella) e soli 8 imenotteri parassiti. È rimasta perciò quasi costante, dal 1913, la percentuale rispettiva delle Conchylis e delle Eudemis sul numero totale delle farfalle schiuse (le ()LUESTDEA Bur Ent Bull: n 113; pag: 15. RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 46 x + — 850 — Conchylis costituiscono sempre meno del 10 °/,); è però confermato, come già accennammo in una Nota precedente ('), dai dati che esporremo più avanti, che la Conchylis è più abbondante nelle posizioni basse ed umide, come il fondo delle valli, specialmente se rivolte a nord o ad est. Mentre è aumentata, dagli anni precedenti, la percentuale delle crisa- lidi parassitizzate da funghi o bacteri (38,8 °/, invece di 21 e 25 /), è invece ancora considerevolmente diminuita la percentuale degli imenotteri parassiti (22 °/, nel 1918, 14°/, nel 1914 ed appena il 3°/, nel 1915). È confermato il fatto, già rilevato in precedenti ricerche (?), della com- parsa tardiva, cioè posteriore a quella delle farfalle, degli imenotteri paras- siti. Mentre le farfalle sono schiuse in grande abbondanza (133 su 156) nel periodo dal 3 al 17 maggio, nessun imenottero è schiuso antecedentemente, 2 soltanto durante lo stesso periodo, e gli altri 6 sono schiusi dal 18 al 30 maggio, quando la schiusura delle farfalle era terminata o pressochè termi- nata (solo 5 farfalle sono schiuse dal 20 al 27 maggio). Questi risultati sono in perfetta contraddizione con quelli pubblicati da G. Catoni (*), che assegna una precedenza di parecchi giorni alla schiu- sura dei parassiti. Questo fatto, che ha notevole importanza biologica, per il destino dei parassiti, essendo probabile la presenza di ospiti intermedî se i parassiti schiudessero assai prima delle farfalle; e pratica, per le conseguenze che se ne possono trarre per la diffusione dei parassiti stessi, converrà che sia ulteriormente osservato e controllato. | Nella schiusura si osserva anche una maggiore precocità della Conchylis in confronto dell'Eudemis. Contro la prima generazione non fu potuto, l'anno scorso, usare nessun trattameuto insetticida. Negli esperimenti fatti contro la seconda generazione si adoperarono l’estratto di tabacco al 2°/, e l'acqua calda, preconizzata da L. Semichon, in una Nota presentata all'Accademia delle scienze. I trattamenti con l'estratto di tabacco si effettuarono in.una vigna posta in collina ed esposta a nord-est. I filari trattati furono sei contigui (‘), situati (1) Osservazioni e ricerche sulle tignuole della vite in Rend. della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIII, serie 5%, 1° sem., fasc. 12. (?) Ricerche sulle tignuole della vite in Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XXIV, serie 54, 1° sem. fasc.-dD. ; i 5 (*) G. Catoni, Die Zraubenwikler und ihre natihrlichen Feinde in Sidtyrol. Zeit- schrift fiir angewandte Entomologie, Berlin, 1914, pag. 248. (4) Il prof. Ravaz, cortesemente riferendo in Ze progrès agricole et viticole (16 maggio 1915), sulle nostre precedenti ricerche, osservava che il metodo di trattare alter- nativamente un filare su due era difettoso per la possibilità del passaggio da un filare all'altro di farfalle ed anche di larve. Quanto al passaggio di farfalle osserviamo che il trattamento con l'estratto di tabacco fu ed è stato . posteriore all’epoca della maggiore — 351 — nella parte più bassa della vigna, dove l'uva si era conservata più abbon- dante dopo i tremendi attacchi peronosporici dell'annata. Ogni filare trattato ‘contiene circa 70 viti a grande sviluppo, poste nei filari a distanze da cm. 50 ad 1 m.; la distanza fra i filari è, in media, 3 m.; i vitigni coltivati sono, mischiati: barbera, dolcetto, lambrusca, malaga e qualche altro. I trattamenti con l'estratto di tabacco furono due e si effettuarono, il primo, il 21 luglio, il secondo, il 28 luglio. Dal 16 al 21 luglio si erano catturate in tre vasetti, contenenti un liquido fermentante, posti per sor- prendere l'epoca della maggiore schiusura delle farfalle, 39 Eudemis e 2 Con- chylis; dal 21 al 28 luglio fu catturata, negli stessi tre vasetti, 1 sola Eu- demis; ma forse questa scarsità si dovè anche alla improprietà del liquido adoperato. All'epoca del primo trattamento, sugli acini dei filari che vennero trat- tati, le uova delle tignuole erano abbondantissime; almeno in certi grappoli, ogni acino aveva uova da schiudere o schiuse; su un solo acino se ne vede- vano talvolta 3-4; si trovavano perfino sugli acini peronosporati già disseccati. Vi erano uova in ogni stadio: da quelle recentemente deposte a quelle in cuì si distingueva la testa della larva o che schiudevano sotto gli occhi; si vedevano anche, specialmente nei filari più bassi, uova schiuse e larve già penetrate entro l'acino. In questo caso sì poteva osservare che la larva non era penetrata nell’acino forandolo al di sotto dell'uovo, ma aveva peregrinato lungo l’acino, forandolo in altro punto. All'epoca del secondo trattamento, le uova non schiuse erano ancora molto numerose. Tl 25 agosto raccogliemmo gli acini guasti ed erosi dalle tignuole, che si trovavano nei grappoli di quattro piante, due trattate e due non trattate, rispettivamente l'una di dolcetto e l'altra di barbera (*). Scegliemmo le viti in modo che la quantità di uva che portavano fosse approssimativamente eguale nelle viti trattate ed in quelle di controllo; la schiusura delle farfalle, ed aveva di mira l'avvelenamento delle giovani larve e quindi anche di quelle schiuse da uova eventualmente deposte dopo il trattamento. Sull’impor- tanza del passaggio attivo di larve da un filare all'altro rimaniamo, fino a prova in con- trario, fortemente dubbiosi. In ogni modo nell’esperienze dello scorso anno abbiamo voluto evitare queste critiche trattando sei filari contigui. (1) Il prof. Dalmasso, in « La Rivista » (1 maggio 1915) resta dubbioso dell’esat- tezza dei risultati quando si limiti l'osservazione agli acini di una o due viti. Avremmo preferito anche noi estendere l’esame agli acini di un numero maggiore di viti; ma dato il minuto esame di essi, che ci eravamo proposti, avremmo urtato contro le nostre limi- tute possibilità. Mentre ci prefiggiamo per il corrente anno di estendere le nostre espe- rienze crediamo che la diligenza delle nostre osservazioni, l'aspetto complessivo della vendemmia proveniente dalle viti trattate e quella proveniente dalle viti non trattate, ed il fatto che i risultati concordano con quelli da noi precedentemente ottenuti, testimo- nino abbastanza della loro esattezza. / : — 352 — vite di barbera trattata, portava 23 grappoli, di cui 5 assai piccoli; quella di controllo ne aveva 14, di cui 2 piccoli; la vite di dolcetto trattata, aveva 15 grappoli, di cui 4 piccoli; quella di controllo 11, di cui 1 solo piccolo. Acini "RE 1 | A ari Sos N. delle larve rinvenute VITIGNO Vite Vite - nelle viti trattate nelle viti non trattate trattata |nontrattata|Eudomis Conchylis | ToraLE |Eudemis] Conchylis | TOTALE Barbera, ve 260 560 16 14 30 130 34 164 Dolcetto: izat: 403 526 58 64 SZ 109 50 159 TOTALE: Cs 663 1086 69 78 147 239 84 323 A maggiore illustrazione dei dati qui raccolti aggiungiamo: Esaminando gli acini di dolcetto, osserviamo che abbondano le larve, tanto di Eudemis che di Conchylis, che hanno raggiunto il loro massimo sviluppo; bnon numero di queste larve erano probabilmente già penetrate nell’acino all’epoca del primo trattamento, Da notare, inoltre, la percentuale maggiore di larve di Conchylis che si trova sulla vite di do/cetto in con- fronto di quella di dardéra, che pure appartengono agli stessi filari; non abbiamo finora elementi per stabilire se ciò provenga da una preferenza della Conchylis per detto vitigno, o se debba attribuirsi alla precocità del dolcetto in confronto del dbarléra, ed alla precocità dello sviluppo della Conchylis in confronto della Eudemis, già più volte rilevata. Ne consegue che l’eftetto dei trattamenti è risultato assai diverso a seconda che si tratti del primo o del secondo vitigno: i trattamenti sono cioè stati tempestivi per il dar- bera, ma avrebbero dovuti essere anticipati per il dolcetto. Questa diver- sità di comportamento è un ulteriore motivo di attenersi, nelle nuove pian- tagioni cui costringe l'invasione fillosserica, ad. un'unica varietà di vitigno per ogni appezzamento; con ciò si renderanno anche più facili e più utili questi trattamenti contro le tignuole. I trattamenti stessi converrà egual- mente che siano anticipati di qualche giorno se nella località, o meglio nella. vigna o porzione di vigna, prevale la Conchylis sull'Eudemis. Esaminando gli acini della dardera trattata con l'estratto di tabacco) si osserva che le erosioni di molti acini sono leggiere e superficiali; al con- trario, la percentuale degli acini interamente guasti o gravemente alterati è molto più alta nell'uva di dardera non trattata. E mentre nella prima, trattata, si trova 1 larva per ogni 8-9 acini erosi, nella seconda, non trat- tata, se ne trova 1 per ogni 3-4 acini guasti. l Come abbiamo già accennato, è da notare la localizzazione della Con- chylis nella parte più bassa della vigna: mentre infatti nei filari più bassi K ai si % o ii (0 dl i] 4 I | RT — 353 — la Conchylis costituisce circa il 50 °/, del numero totale delle larve, a metà della vigna è il 20-30 0/0; e nella parte più alta della vigna stessa, dove esperimentammo i trattamenti con l'acqua calda, si riduceva appena al 14 °/5. Dobbiamo anche rilevare che, nell'esame degli acini, trovammo pure larve piccolissime (2 mm.) di Eudemis, schiuse quindi dall'uovo pochi giorni prima della raccolta degli acini (25 agosto). Non essendo stata osservato finora, nella località. il verificarsi di una terza generazione, dobbiamo rite- nere si tratti di uova deposte dalle più tardive farfalle della seconda gene- razione. Abbiamo esaminato alla vendemmia l'uva prodotta nella vigna. rac- colta nelle ceste e tenuta separata quella proveniente da viti trattate da quella prodotta dalle viti non trattate. Dato il meschino raccolto dell’an- nata e la mancanza di regolarità nell'impianto della vigna non potemmo fare comparazioni di peso che fossero di qualche attendibilità; possiamo dire però che l'aspetto dell'uva proveniente da viti trattate era manifestamente e grandemente migliore dell'altra, e tale che sarebbe stato indubbiamente apprezzato nell'eventuale vendita dell'uva. Concludendo ci sembra che i risultati ottenuti con la riduzione di circa il 50°/ del numero degli acini guasti ed erosi (e dovrebbesi egualmente tener conto del minor danneggiamento degli acini stessi) e con la riduzione dello stesso 50 °/, conseguita nel numero delle larve, e considerando che ciò sì è ottenuto con soli due trattamenti estivi con l'estratto di tabacco, debbano essere di buon auspicio per una lotta più completa contro le ti- guuole della vite, con lavori invernali e trattamenti primaverili ed estivi; e questo sarà appunto il piano che ci proponiamo per le nostre future ri- cerche ed esperienze. La ricerca delle larve in un numero considerevole di acini richiede un tempo abbastanza lungo, che non ci sarebbe stato possibile dedicare conti- nuatamente a queste ricerche. Abbiamo perciò conservato gli acini in bot- tiglie ben chiuse; con tale semplice mezzo, il 7 di novembre avevamo an- cora acini, raccolti il 25 agosto, in condizioni proprie per l'osservazione. La ricerca delle larve, negli acini così conservati, è facilitata se l’esame viene fatto sezionando l’acino in una bacinella con poca acqua. — 354 — Chimica-fisica. — Aicerehe chimico-fisiche sui liquidi animali. Nota X: Variazioni dell’ indice di refrazione del siero di sangue durante la dialisi, di G. QuagLIARIELLO e G. BeccHINI (stud. med.), presentata dal Corrispondente FiLippo BOTTAZZI. Alcuni anni fa in questo stesso laboratorio furono studiate le variazioni di alcuni caratteri del siero di sangue durante la dialisi (*), e cioè le varia- zioni della conduttività elettrica, della viscosità e della tensione superficiale. Nelle prime 3 o 5 ore di dialisi fu osservata una diminuzione notevole, tanto della conduttività elettrica. quanto della tensione superficiale; anche la visco- sità, dopo un piccolo aumento iniziale, subiva una diminuzione, ma solo nel caso che il liquido venisse filtrato prima della misura; nel caso opposto, e cioè quando il liquido era torbido per la fiocchificazione della globulina, le variazioni della viscosità erano assai irregolari, tendendo la presenza del pre- cipitato a far aumentare il tempo di deflusso. Tutti questi fenomeni venivano spiegati con l’impoverirsi del siero in elettroliti ed in colloidi. Pigliando le mosse da questo lavoro. abbiamo voluto studiare la varia- zione dell'indice refrattometrico del siero, e le variazioni di peso del liquido dializzante, proseguendo la ricerca per varie settimane, invece che per poche ore come nelle esperienze precedenti, poichè interessava soprattutto di trarre delle conclusioni circa le variazioni di stato delle proteine, Je quali diven- gono cospicue solo dopo una dialisi protratta. Dalle ricerche di Reiss (*) e da quelle di Brailsford Robertson (*) appare infatti che l'esame refrattometrico vale meglio di ogni altro a dosare e perfino ad identificare le diverse proteine del siero. D'altro lato, la pesata del liquido dializzante, eseguita immediatamente prima della misura refrattometrica, ser- viva a dedurre quanto della variazione spettasse al cambiamento di stato delle proteine e quanto alla diluizione del siero. Abbiamo usato il siero di sangue di bue, ottenuto dopo la coagulazione spontanea, e per la dialisi ci siamo serviti di tubi dializzatori di pergamena artificiale della casa Schlezcher und Schàll (detti Diffusions-Hiilsen), a forma di dito di guanto, del diametro di 4 cm. e dell'altezza di 10 cm. Il tubo era fissato ad un anello di vetro mediante cucitura con filo di seta, e l'anello (!) Bottazzi F., Buglia G. e Jappelli A., Rendic. della R. Acc. dei Lincei (5), XVII, 2° sem., pag. 49 (1908). (*) Reiss, Hofm. Beitr. z. Physiol. u. Pathol., IV, 150 (1903). . (*) Brailsford Robertson, Journ. of biolog. Chem., VIII, pag. 441 (1910-11), e XL pag. 179 (1912). d Nati a Tata arpa dA tt ti t st — 355 — stesso era fissato ad una solida bacchetta di vetro, spostabile in senso verti- cale mediante una vite di pressione fissata al coperchio del dializzatore; col quale dispositivo era possibile spostare verticalmente il tubo dializzatore, e portare allo stesso livello il liquido interno ed il liquido esterno. Le ricerche sono state eseguite parallelamente con due dializzatori. Abbiamo lasciato dapprima i tubi di pergamena, pieni di acqua distillata, immersi per 24 ore in acqua distillata, e, dopo averli asciugati con un panno all'esterno ed aver fatto bene sgocciolare l’acqua rimasta aderente alle pareti interne, ne abbiamo determinato il peso; dopo ciò. abbiamo versato in ogni tubo 50 cm.8 di siero, e nel vaso esterno 500 cm. di acqua e 1 em.? di cloroformio per evitare la putrefazione; abbiamo portato infine allo stesso livello il liquido esterno ed il liquido interno. Ogni giorno, dopo aver estratto i tubi ed averli pesati, si prelevavano 6 cm.3 del loro contenuto per l'esame refrattometrico; si ritornava, dopo la misura, a versarli nei tubi, procurando di perderne il minimo possibile; si cambiavano allora i 500 cm.8 di acqua esterna, e si rimetteva a posto il tubo dializzante, avendo sempre cura di portare al livello il liquido interno col liquido esterno. L'esame refrattometrico è stato eseguito con un refrattometro ad immer- | sione di Pulfrich, fabbricato dalla casa Zeiss; la temperatura del bagno è stata di 17°,5 C. Siccome non ci siamo curati di correggere la scala, il valore dell'indice di refrazione dell’acqua a questa temperatura risulta un poco diffe- rente dal valore reale (ro = 1,33330 invece di 1,83320); ma ciò non può avere alcuna influenza sulle misure relative. Nella tabella seguente (tabella I) sono segnati i dati sperimentali; e- cioè: nella prima colonna il giorno dell'osservazione, nella seconda il peso del liquido contenuto nel tubo dializzatore, nella terza l'aumento giornaliero. del peso del liquido, nella quarta la temperatura alla quale era fatta l’osser- vazione refrattometrica, nella quinta la lettura eseguita alla scala del refrat- tometro, nella sesta l'indice di refrazione del liquido, tratto dalle tabelle di Zeiss, e nella settima infine la differenza fra l'indice di refrazione del liquido (2) e quella dell’acqua (20 = 1,33380). — 850 — TABELLA PRIMA. Variazioni dell'indice di refrazione del siero di sangue sottoposto alla dialisi, e della quantità di liquido contenuto nel tubo dializzatore (Indice di refrazione dell’acqua: #0 = 1,83330). Primo dializzatore ‘Giorno Peso del liquido Aumento Temperatura Lettura Indice Differ. tra l’indics contenuto nel del peso del bagno alla scala di refraz. del della Sace 5 del liquido durante la del di refrazione liquido e quello a tubo dializzatore | nelle 24 ore osservazione refrattome- gt dell’acqua CERERE in gr. =” in gr. refrattometrica triea del liquido = n di=m=xn% 1 2 3 4 5 6 U 8 febb. 50,90 —_ 17,60°C 50,65 1,34675 0,01345 » 84,70 3,80 17,55 44,70 1,94452 0,01122 10» 57,74 3,04 17,50 41,66 1,34337 0,01007 11» 60,40 2,66 17,50 40,32 1,34287 0,00957 T2:ra n 62,50 2,10 17,50 39,20 1,394245 0,00915 13» 64,16 1,66 17,50 37,78 1,34191 0,00861 14» 65,69 1559 17,50 — — = 15» 67,30 1,61 17,50 35,54 1,34107 0,00777 16» 68,15 0,85 17,52 35,28 1,34097 0,00767 Visa 69,01 0,86 17,50 34,60 1,34071 0,00741 18» 69,58 0,57 17,50 34,08 | 1,54051 0,00721 19» 70,34 0,76 17,50. 39,91 1,34045 0,00715 20» 70,85 0,51 17,50 33,60 134033 0,00705 21» 71,20 0,35 17,50 33,20 1,94018 0,00688 23» 72,05 2X 0,43 17,50 32,95 1,34008 0,00678 25.» 73,05 2X 0,50 17,50 32,01 1,93972 0,00642 27» 73,95 2X 0,45 17,50 32,02 1,33973 0.00643 1 marzo 74,76 2X 0,41 17,50 31,54 1,93955 0,00625 ” 75,65 2X 0,44 17,50 31,25 1,33944 0,00614 5» 76,80 2X 0,58 17,50 30,20 1,33904 0,00574 8_n 78,15 3 X 0,44 17,50 29,39 1,33873 0,00543 10» 79,05 2X 0,45 17,50 29,60 1,33881 0,00551 13» 80,45 3 X 0,46 17,50 28,90 1,33854 0,00524 16.» 82,15 3 X 0,56 17,58 28,29 1,33831 0,00501 Secondo dializzatore. 8 febb. 50,90 —_ 17,60°C 50,65 1,84675 0,01345 9» 54,90 4,00 17,52 45.08 1,34466 0,01136 1084» 58,22 3,92 17,50 41,80 1,34343 0,01013 11» 60,95 2,78 17,50 | 40,51 1,34294 0,00964 12» 63,05 2,10 © 17,50 39,90 1,94248 0,00918 13 » 64,81 1,76 17,48 37,82 1,34192 0,00862 14 » 66,35 1,54 —_ = = —_ 15» 67,96 1,61 17.50 35,59 1,34108 0,00778 16» 68,80 0,84 17,50 34,95 1,84084 | 0,00754 17 » 70,06 1,26 17,50 34,45 1,34065 0,00735 — 357 — La figura prima mostra le variazioni giornaliere dell'aumento del peso del liquido sottoposto alla dialisi; da essa si rileva chiaramente come l'au- mento del peso è assai notevole nei primi giorni di dialisi, e come esso vada man mano attenuandosi sino a raggiungere una stabilità quasi perfetta al 16° giorno di dialisi. L'aumento del peso deve ritenersi proporzionale alla pressione osmotica esercitata dalle sostanze colloidali contenute nel liquido; solo nei pri- missimi giorni della dialisi hanno anche influenza gli elettroliti del liquido dializzante, poichè il liquido interno, per lo meno nelle prime 3 ore di dia- 4,0 [0°] (©) DS (e) 59 (©) (|) del liguido in dialisi. 8 10. 12 14046 18 20 22 24 26 28 2 4 De uteSa o RSS 6 8.410 412 Ad4 16 418 fellraio c i Marzo Giornale dell'osservazione Fic. l. Aumento giornaliero del peso in gr lisi (cfr. i risultati ottenuti da Bottazzi, Buglia e Jappelli circa la diminu- zione della conduttività elettrica), è notevolmente più concentrato in elettro- liti che non il liquido esterno, e deve quindi manifestarsi una pressione | osmotica maggiore di quella che spetta alle sole sostanze colloidali. Ma già al termine del primo giorno gli elettroliti si trovano ridotti ad una concentra- zione 559 = 0:99 di quella iniziale, e, al termine del secondo, ad una 22° = 0,000164 di quella iniziale; onde l'influenza degli elettroliti già al secondo giorno è trascurabile, essendo circa 6000 volte minore di quella iniziale. Possiamo dunque ritenere che l'aumento di peso ottenuto al 2° giorno (1° tubo gr. 3,04; 2° tubo gr. 3,32; media gr. 3,18) dipenda principalmente dalla pressione osmotica delle sole sostanze colloidali; e d’altra parte pos- siamo ritenere che, a partire dal 16° giorno di dialisi, l'aumento giornaliero del peso diventi costante, ed eguale a gr. 0,5 (cfr. la fig. 1). [In realtà non ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 47 x Liferenza fra linceice clel liguido e — 358 — può assolutamente escludersi che l'aumento giornaliero non vada debolissi- mamente diminuendo anche a partire dal 16° giorno di dialisi, e ciò spe- cialmente per il fatto che, per quanto il tubo dializzatore fosse stato lasciato tutto immerso nell'acqua per 24 ore prima di iniziare le ricerche, pure, sic- come nuovi segmenti di tubo sono stati man mano immersi nel liquido per portare ogni giorno a livello i liquidi interno ed esterno, una parte dell’au- mento del peso deve attribuirsi all'imbiìbizione di nuove porzioni di mem- brana]. Al 16° giorno, dunque, la pressione osmotica delle sostanze colloi- 3,18 dali del siero diviene circa 6 volte ( = 6,36) minore che non all’ini- 0,5 N N ISS Ò è da ® S ) IS D 0004 > a PE Dl N 8 10 12 14 16 18 20 22 25 26 28 2 4. 6 8 10 12 4 16 (LS Feblraso Marzo - x, 5 Giornate dell osservazione Fis. 2. zio della dialisi, e tale diminuzione diviene quasi stabile dal 16° giorno in poi. Tale forte diminuzione non può essere dovuta se non in piccola parte - alla precipitazione della globulina insolubile, la quale, nel siero di bue, come risulta dalle ricerche di Brailsford Robertson, non può essere maggiore del 9 °/ delle proteine totali del siero; e deve quindi attribuirsi ad una notevolis- sima diminuzione dello stato di dissociazione delle proteine. Ma tale dimi- nuzione, per quanto importante, non riesce a spiegare la notevole riduzione al sesto della pressione osmotica: deve quindi ammettersi anche che si formi nel liquido una nuova fase costituita da più o meno grandi aggregati di molecoie colloidali, cioé di complessi che più non contribuiscono a deter- minare la pressione osmotica della soluzione. Come vedremo, alla stessa conclusione si giunge considerando le variazioni dell’ indice refrattometrico. La fig. 2 mostra le variazioni dell'indice di refrazione del liquido sot- toposto alla dialisi. Si scorge subito, a prima vista, che la curva non presenta î — 359 — alcuna discontinuità, mentre avremmo potuto aspettarci una brusca discesa dell'indice di refrazione al 5° giorno di dialisi, quando cioè diviene manifesto l'’intorbidamento del liquido, dovuto alla precipitazione della globulina. Ciò prova che il fenomeno macroscopico della fiocchificazione e precipitazione della globulina non è d'importanza fondamentale, e che le modificazioni delle proteine del siero sì compiono în una maniera continua fin dall’ inizio della dialisi, continua essendo la sottrazione degli elettroliti che tali modi- ficazioni produce. Per valutare meglio le variazioni dell'indice di refrazione, è necessario esaminare partitamente l'influenza che su esso esercitano la diluizione, il contenuto in elettroliti, e la refrazione specifica di quelle proteine che pre- cipitano durante il processo di dialisi. Patologia. — Sul fenomeno di « sensibilizzazione » del sistema | vago-cuore, osservato mediante la stimolazione della parete atriale del cuore di rana (*). Nota di GENNARO Di Macco, presentata dal Corrispondente G. GALEOTTI. È noto che, in determinate condizioni, è possibile di rendere pervii alcuni | sistemi, specie il nervoso e il muscolare, a stimoli meno intensi dello sti- molo -soglia. Questo fenomeno è del tutto differente da quello determinato dalla sommazione degli stimoli e viene interpetrato come dovuto ad una « sensibilizzazione », determinata da stimoli per se stessi inattivi, ma capaci di rendere permeabili i suddetti sistemi a nuovi stimoli meno intensi dello stimolo-soglia. Un fatto che rientra in questa serie di fenomeni è stato osserrato da Scaffidi (*) nel sistema vago-cuore di £mys europaea. Scafidi potè consta- tare che, stimolando il vago, nel suddetto sistema, con stimoli elettrici ineffi- caci, ma progressivamente più intensi, sino a stabilire la soglia di eccitabilità, e poi progressivamente più deboli, era possibile di ottenere il caratteristico arresto della attività ritmica del cuore, anche per stimoli più deboli dello stimolo-soglia, ai quali il cuore non aveva risposto prima che attraverso Il sistema vago-cuore fosse passato lo stimolo-soglia. Scaffidi indusse, da Questo fatto, che la azione del vago sulla attività cardiaca si debba esplicare con l'intervento di elementi nervosi, interposti tra le terminazioni del vago | (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di patologia generale della R. Università di Palermo, diretto dal prof. Vittorio Scaffidi. (3) V. Scaffidi, Su di un fenomeno di « sensibilizzazione » 0 « di viabilità » osser- vato nella stimolazione della porzione cardiaca del vago. Zeitschr. f. allg. Physiologie, vol. 12; an. 1911. — 360 — e le miocellule del cuore, non potendosi ammettere, stando a quanto è a noi noto, che la « sensibilizzazione », la « viabilità » a stimoli meno intensi dello stimolo-soglia fosse determinata dalla attività delle fibre nervose del vago, senza l'intervento di strutture cellulari, che debbono necessariamente elabo- rare e modificare lo stimolo. Tenendo conto del fatto che nel cuore di rana la stimolazione diretta della parete atriale, specie nella porzione più prossima al seno venoso, pro- duce, sulla attività ritmica, gli stessi effetti della stimolazione del vago, ho creduto opportuno di ricercare se fosse possibile di riprodurre il fenomeno della « sensibilizzazione » del sistema vago-cuore, stimolando direttamente la parete atriale. Gli esperimenti furono impostati con la solita tecnica: e cioè, dopo smi- dollata e scerebrata la rana, si metteva allo scoperto il cuore e se ne sospen- deva la punta ad una leva isotonica; si applicavano due elettrodi sulla parete atriale e si stimolava con una corrente, fornita da una pila Grenet, regolata da una slitta di Du Bois Reymond. Eperimento 1°. — Si inizia la stimolazione della parete atriale ad una distanza, tra i rocchetti della slitta, di mm. 120, che poi viene ridotta a 110, a 100, a 90 mm,, senza che il cuore risponda allo stimolo. La stimolazione tetanizzante a 85 mm. è efficace e determina l’arresto caratteristico della attività ritmica del cuore, come per la stimolazione del vago. Si riprende quindi la stimolazione della parete atriale, con i seguenti risultati : distanza tra i rocchetti mm. 120; lo stimolo resta inefficace , ” ” av. Ll05 ” ” ” , 7 ’ ’ » 100; » ’ " " È 7 ; ir i 00, sca sia ’ ’ ” ’ » 85; arresto della attività ritmica: soglia È) ” È) ” 80; Di Dj ” ” 2} ia 7 » 90; > - , ’ n È) È) b) 95; E) ” L) ” ” ” ” » 100; lo stimolo resta inefficace E) E) E) » 100; » ” È) co) b) ” ” ” 110;. ” 00, b) Db) Esperimento 2°. — Si determina la soglia, cominciando a stimolare la parete atriale ad una distanza, tra i rocchetti della slitta, di. mm. 120. Lo stimolo-soglia si ha a 80 mm. — 361 — Si riprende quindi la stimolazione: distanza tra i rocchetti mm. 100; lo stimolo resta inefficace ”» n PZA.) L) 90; D) D) L) be] ” ” ” » 80; arresto della attività ritmica: soglia ” DI ” ” 80; ” È) È) D) ” b) DI ” 90; DI ” ” ” ” ” ” » 100; lo stimolo resta inefficace ” ” ” n 95; arresto della attività ritmica ” ” PI) ” 95; » ” ” ” E, ’ ” » 100; lo stimolo resta inefficace Esperimento 3°. — Si stabilisce la soglia a 80 mm.; quindi si riprende la stimolazione ad una distanza, tra i rocchetti della slitta, di 110 mm., con i seguenti risultati : distanza tra i rocchetti mm. 110; lo stimolo resta inefficace L) b) »” È) 100; ” Li ” ” ’ ’ ” » 85; arresto della attività ritmica E) DI Dj ” 80; È DI Dj ” n Ò ” ” 80; ” ” ” ” 7) SRO, ” ” 85; ” ” ” bj ” ” ” ” 90; Di) ” È) ” » n ” ” 95 ; ” » DI ” ” ” » ” 100; L) LI LD) È) ” » ” » 105; lo stimolo resta inefficace L) ” E) » 105; ” ” ” L) D) ” È) D) 110; È) ” ” D) Esperimento 4°. — Stimolo-soglia a 80 mm.; la stimolazione, progres- sivamente più intensa, dà i seguenti risultati : distanza tra i rocchetti mm. 112; lo stimolo resta inefficace ”» DIS n t,) 110; ” L.) L) È) ” L) ” ” 100; L) ” ” ” ”» ”. Uldicr L) 90 n ” L) L) b) DO n 7 » 80; arresto della attività ritmica: soglia n ” ” ” 70; ” ” ” ” ” ” ” ” 80; ” ” ” ” ” Dj ” DI 85; ” ICT ” ” ” DI ” ” 90; ” ” ” ” ” ” 7 » 95; lo stimolo resta inefficace — 362 — distanza tra i rocchetti mm. 100; lo stimolo resta inefficace ” ” ” ” 95; ” ” ” ” ” DI) ” DI 100; bj ” ” D) Esperimento 5°. — Stimolo-soglia a 85 mm. La stimolazione successiva, partendo da stimoli più deboli, dà i seguenti risultati: distanza tra i rocchetti mm. 120; lo stimolo resta inefficace ” E) » Li 100; ” ” ” ” ” ” Pj Pi 90; ” ” » ” ” ” a) » 85; arresto della attività ritmica ” Pi ” bj 80; s Dj ” » 5 : 3 » 85; 0» 3 a - ” ” ” » 100; lo stimolo resta inefficace ” ” L) ” 95; ” ” L) ” ” ” ’ ” 90; arresto della attività ritmica DI DI PI D) 85; DI ” » n) ’ 5 a a 1908 s , ’ 5 x o PRA) 3 a 3 ” ” ” » 100; lo stimolo resta inefficace RR : n:./100;.5-» a 3 3 ” ” ” ” IM KU » ” » ” Da questi esperimenti risulta quindi confermato un fatto già noto, che cioè la stimolazione tetanizzante della parete atriale determina, sulla atti- vità ritmica del miocardio, gli stessi effetti della stimolazione del vago. Risulta, inoltre, che con la stimolazione della parete atriale, con stimoli più deboli dello stimolo-soglia, è possibile di determinare l'arresto della atti- vità ritmica del miocardio, dopo che sulla parete atriale stessa è stato por- tato uno stimolo minimo efficace, cioè lo stimolo-soglia. Si ha cioè la ripro- duzione del fenomeno osservato dallo Scaffidi per la stimolazione del vago; e tale fenomeno a me sembra si possa prestare ad una interpetrazione, sempre più concreta, sul meccanismo con cui gli stimoli vagali vengono trasmessi al miocardio e resi efficaci. La stimolazione diretta della parete atriale determina difatti sul cuore gli stessi effetti della stimolazione del vago (arresto della attività ritmica), anzichè quelli che seguono alla stimolazione delle fibrocellule della por- zione ventricolare del miocardio (extrasistole). Se si esclude quindi la possi- bilità che la « sensibilizzazione » possa essere esclusivamente legata alle fibrille del vago, incapaci di elaborare e trasformare gli stimoli al difuori della attività di strutture cellulari, bisogna ammettere che -il fenomeno della sensibilizzazione, da me studiato, e quindi l'azione normale del vago —- 963 — sul cuore, si esplichi mediante l’attività di cellule ganglionari, contenute nella parete atriale, con le quali le fibre del vago si debbono mettere in ‘rapporto. CONCLUSIONI: 1°) la stimolazione tetanizzante della parete atriale del cuore di rana determina l'arresto della funzione ritmica; 2°) è possibile, con la stimolazione diretta della parete atriale, di riprodurre il fenomeno di « viabilità », di « sensibilizzazione » della parete stessa, come per la stimolazione del sistema vago-cuore: ciò si osserva dopo che attraverso la parete atriale è passato lo stimolo minimo efficace; 3°) questo fenomeno costituisce un fatto ancora più concreto a favore della ipotesi che la azione del vago si esplichi sulla funzione ritmica del cuore, mediante l’interposizione di strutture nervose in rapporto con le fibre terminali del vago stesso. Patologia. — Ricerche sperimentali sulle cause che determi- nano la refrattarietà nei trapianti. II: Azione proteolitica del stero di sangue di ratto su un carcinoma spontaneo del topo (*). Nota di VirttoRIO ScAFFIDI, presentata dal Corrisp. G. GALEOTTI. In una Nota precedente (*) ho esposto alcune mie ricerche sull’esito dei trapianti, nel ratto, di un carcinoma e di un sarcoma del topo; ricerche dalle quali è risultato che solo in via eccezionale è possibile di trapiantare un tumore spontaneo del topo, per due volte consecutive, nel ratto, poichè, in linea generale, dopo il primo innesto nel ratto, le cellule del tumore perdono la loro capacità proliferativa, sia se il tumore viene trapiantato da solo, sia se venga trapiantato con l’aggiunta di tessuto splenico o di poltiglia dei tessuti di embrione di topo, con l'aggiunta cioè di quella « sostanza X » ammessa da Ehrlich (5) a sostegno della sua ipotesi della atrepsia. In seguito a tali risultati, ho iniziato alcuni esperimenti per ricercare quali fattori possano contribuire alla determinazione della refrattarietà natu- rale di una specie animale, per un tumore spontaneo di un’altra specie. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di patologia generale della R. Università di Palermo, diretto dal prof. V. Scaffidi. (*) V. Scaffidi, Trapianti di tumori e ipotesi atreptica. Rend. R. Accad. dei Lincei, , 1915. (*) P. Ehrlich, Experimentelle Carcinomstudien an Mdiusen. Arbeit. a. d. kònigl. Institut f. exp. Therapie, Frankfnrt am.-Mein ; 1906. — 364 — Le ricerche, che sono argomento di questa Nota, riguardano la azione proteolitica del siero di sangue di ratto per un carcinoma spontaneo del topo, e furono eseguite con l'applicazione del noto metodo di Abderhalden per la dimostrazione dei prodotti della disintegrazione delle proteine. In tutti gli esperimenti fu adoperata la identica quantità di siero di sangue, sia per la prova di proteolisi, sia per il controllo; il sangue fu cavato dai ratti circa sei ore dopo il pasto, per ottenere un siero con la minore. quantità possibile di sostanze estrattive; fu saggiata la impermeabilità alla albumina e la permeabilità ai derivati più semplici, delle membrane dia- lizzatrici; per la dialisi si adoperava sempre la stessa quantità di acqua distillata; la reazione della ninidrina si praticava sempre con Je stesse norme: bollitnra, per 60 secondi, di una determinata quantità di acqua di diffusione, con l'aggiunta di c.c. 0,2 di una soluzione al 10 ‘/, di ninidrina. I matracci contenenti le membrane dializzatrici, con il siero e i frammenti di tumore, erano tenuti per 16 ore a 37°C.; sul siero contenuto nella membrana e sul- l'acqua di diffusione si poneva uno spesso strato di toluolo. Le proteine del tumore venivano preparate, lavando a lungo, in acqua corrente, frammenti di tumori asportati dai topi nel periodo di sviluppo più rigoglioso e facendoli poi bollire fino a scomparsa, nell'acqua di ebollizione, di qualsiasi traccia di sostanze reagenti con la ninidrina. In ciascun esperimento furono compiute prove di controllo, ponendo a dializzare solo siero di sangue, o soli frammenti di tumore in acqua. Il siero di sangue di ratto si faceva separare rapidamente con la cen- trifugazione; il tumore di topo è quello stesso da me adoperato nelle ricerche precedenti ('). Nella esposizione degli esperimenti che seguono, i segni + e — indi- rano rispettivamente se la reazione della ninidrina con l'acqua di diffusione era positiva o negativa; la ripetizione del segno +4 è in rapporto alla in- tensità della reazione. Esperimento 1. 1 cc. siero di sangue di ratto 4- tumore di topo = + + lec. » 7 7 (controllo) =— 1 ce. di acqua + tumore di topo ’ =— Esperimento 2. 1 cc. siero di sangue di ratto + tumore di topo = + (debole) lec. » s » - (controllo) =— 1 cc. di acqua + tumore di topo > = (') V. Scaffidi, loc. cit. — 365 — Esperimento 3. 1 cc. siero di sangue di ratto + tumore di topo = + + lec. » ” ’ (controllo) =— l ec. di acqua + tumore di topo ” = — Esperimento 4. 1 cc. siero di sangue di ratto + tumore di topo = + (debole) eci a ’ ” (controllo) = — 1cc. di acqua + tumore di topo ’ = — Esperienza 5. 1 ce. siero di sangue di ratto 4 tumore di topo = + lec. » Ù 7 (controllo) — — i ce. di acqua + tumore di topo ’ = — Esperienza 6. l ec. siero di sangue di ratto + tumore di topo = + lec. » ” ” (controllo) = — lcc. di acqua + tumore di topo ’ SC RED Dagli esperimenti di sopra riportati, risulta quindi che il siero di sangue di ratto è capace di scindere, in misura più o meno grande, le proteine del carcinoma di topo, da me adoperato. i Questo fatto non può naturalmente venire trascurato nello studio dei fattori, che determinano la refrattarietà di una data specie animale, per un tumore spontaneo di una specie animale differente. Un particolare interesse acquistano poi questi risultati, se si tiene pre- sente che il siero di sangue di ratto è privo di qualsiasi azione disintegra- trice, per le proteine della pelle e del tessuto muscolare del topo, come è risultato da ricerche, compiute di recente dal dott. A. Albanese, in queste stesso Laboratorio. Parrebbe quindi che possano esistere, nel siero di sangue di alcune specie animali, sostanze capaci di provocare un’azione disintegratrice su alcune proteine di specie animali diverse; ciò può fornire un sicuro orientamento nello studio -delle cause che determinano la refrattarietà naturale di razza e di specie, nei tumori, specie se si tiene conto che questa refrattarietà non è certamente legata alla assenza, nelle specie refrattarie, di alcuna deter- minata sostanza, come voleva la ipotesi della atrepsia. RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 48 x — 366 — Fisiologia. — Ricerche sull’arginasi ('). Nota del dott. An- TONINO CLEMENTI, presentata dal Socio L. LUCIANI. IV. Presenza del fermento ureogenetico nel fegato di embrione umano, e suo significato fisiologico. È stato dimostrato dalle ricerche sistematiche da me eseguite intorno alla distribuzione dell'arginasi nel regno dei vertebrati (*), che l’arginasi è assente nel fegato dei vertebrati con ricambio azotato urzcotelico (uccelli e rettili) ed è presente nel fegato dei vertebrati con ricambio azotato ureo- telico (mammiferi, anfibii e pesci) (°). L'esistenza di un tale parallelismo nello sviluppo filogenetico dei ver- - tebrati tra presenza o assenza dell'arginasi nel tessuto epatico e tra presenza o assenza della attività ureopoietica del fegato rende assai importante lo studio dell’ontogenesi dell'arginasi. Con le seguenti esperienze mi sono proposto di stabilire se nel periodo della vita intrauterina l’arginasi è già presente nel fegato, riservandomi di ricercare in seguito se l'arginasi si trova già nell'uovo e nello spermatozoo, o se la sua formazione ha luogo solo dopo la fecondazione. La tecnica adoperata per la ricerca dell'avginasi è quella descritta nei miei precedenti lavori. Ho applicato il metodo volumetrico consistente nella determinazione quantitativa (col metodo della titolazione al formolo) del- l'azoto aminico libero dell'arginina sottoposta all'azione del fermento e del- l'azoto aminico libero dell'ornitina formatasi in seguito alla scissione idrolitica | dell'arginina per azione dell'arginasi. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di chimica fisiologica della R. Università di Roma. (3) A. Clementi, Sulla diffusione nell'organismo e nel regno dei vertebrati e sulla importanza fisiologica dell’arginasi, Archivio di Fisiologia, vol. XIII, fase. 3°, marzo.1015. Veber die Verbreitung der Arginase im Tierwelt, IX Cengrès International des Phisio- lugistes, Groningue, settembre 1913. i (3) Credo necessario di introdurre nel linguaggio fisiologico le due nuove parole «ureotelico » e «uricotelico », che mancano finora per indicare sinteticamente che negli uccelli e nei rettili i processi del ricambio azotato tendono a produrre, come prodotto azotato catabolico finale, prevalentemente acido urico (ricambio uricotelico); mentre nei mammiferi, anfibî e pesci i processi del ricambio tendono a produrre prevalentemente | urca (ricambio ureotelico). ———T _——r Mir n nen — 967 — Il primo embrione su cui ho esperimentato era un embrione umano di _ 6 mesi: il fegato, macroscopicamente normale, preso e conservato asettica. mente, fu sottoposto dopo alcune ore dacchè l'embrione fu espulso alle mani- polazioni per la ricerca dell’arginasi, che diede il risultato seguente: Ricerca dell'arginasi nel fegato di un embrione umano di 6 mesi di età. t: TRA sa EMBRIONE QUANTITÀ ADOPERATA Azoto : DI Na OH 2/5 = i DI 6 MESI, RIZZI EN FAMINICO N totale a 37°, 12 GIORNI TOLUOLO in cem. | i" o del |(Sorensen)|(Sérensen) |( (Kyeldahl) sudo calcolato in mgr. in mgr. | | inmgr. — Solfato di arginina. . cem. 10 1,30 95,42 3,64 i 14,56 | 180 15,56 Solfato di Arginina. . cem. 10 Estratto acquoso di È 2,80 ui Mie pato... cem. 2 | Acqua distillata Heap cme. 10 Estratto acquoso di 0,30 Ta — Mie rato. . .—. cem. 2 inmgr.| ino/, Ad {calcolato .. . . | 2,60 \aggiunta 45,2 100 Come ornitina e arginina Deli: trovato sua i 2,40 lidrolizzata 41,7, 92 Dopo dodici giorni di permanenza in termostato dei mgr. 45,2 di argi- na aggiunta, già 41,7 mgr. erano idrolizzati, cioè il 92 °/,: dunque, red 5 gato umano, già al 6° mese della vita intrauterina l’arginasi è presente. plc secondo embrione da me sottoposto all'analisi era un embrione umano 4 mesi di età. Il fegato, preso e conservato asetticamente, di aspetto normale, fu sottoposto alle manipolazioni per la ricerca dell'arginasi, che de il risultato seguente: — 368 — Ricerca dell’arginasi nel fegato di un embrione umano di 4 mesi di età FEGATO DI EMBRIONE DI 4 MES: ; | QUANTITÀ ADOPERATA AZOTO 19 ORN pi Na OH n/5 4 e eZZS (N'amMmInico N totale IN TERMOSTATO a 37°; TOLUOLO | jin cem. in °/ del (Sorensen) ((Sérensen)|(Kyeldahl) calcolato in mgr. in mgr. in mgr. Solfato di arginina. . cem. 5 I; 96,82 3,08 | 12,9 . 12,6 Solfato di arginina. . cem. 10 Estratto acquoso di 2,0 sa fegaton(®) cha fat ecm. 2 Acqua distillata. . . cem. 2 Estratto acquoso di 0,2 " TO ER eat 2a fegato. (3); se ‘Come -.2 inmprlint) I calcolato . . . 2,2 (aggiunta -98,2 100 Come ornitina ) vat arginina 3 Utrovato”t st. 1,8 (iarolizzata 23,3] 92 Dopo dodici ore di permanenza in termostato dell'arginina aggiunta, che era mgr. 38,2 già 23,3, erano idrolizzati, cioè il 61°/: da questo risultato si può dedurre che, nel fegato umano, già al 4° mese della vita intraute- rina l’arginasi è presente. La presenza dell'arginasi nel fegato di embrioni umani di 4 e 6 mesi di età, dimostrata dalle analisi surriferite, conduce alle seguenti conclusioni circa la funzione ureopoietica del fegato: 1°) Nel fegato di mammiferi ha luogo formazione di urea per via idrolitica dall’arginina fin dai primi mesi della vita intrauterina. 2°) Il parallelismo da me osservato nella filogenesi tra attività ureo- poetica epatica e presenza di arginasi nel fegato (poichè è noto che la attività funzionale epatica si inizia nell'embrione precocemente) sembra sus- sistere anche nell’ontogenesi. (1) In questo campione il liquido presentava numerosi piccoli coaguli sospesi. (2) In questo campione il liquido era uniformemente torbido. (Questi due fatti dimostrano che la proprietà fisico-chimica rilevata da me prece- dentemente per la. glicocolla di determinare fenomeni di precipitazione negli estratti di fegato è posseduta anche dall'arginina). — 369 — Patologia. — Su/ possibile passaggio dei tripanosomi nel latte (*). Nota del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI, presentata dal Socio B. GRASSI. Le ricerche di Bruce, Moeller, G. Martin e Ringenbach, Leboeuf, Hindle, B. T. Terry, Neiva, ecc. hanno dimostrato come un gran numero di tripanosomi siano capaci di attraversare le diverse mucose integre. Tale fatto, ed è ovvio spiegarne le ragioni, rende importante il ricono- scere se è possibile il passaggio dei tripanosomi nel latte. Nattan Larrier (*) per il primo ha preso a considerare tale problema, rivolgendo le sue ricerche al tripan. equiperdum ed al tripan. Cruzy, ed ha constatato come « schizotripanum Cruzy passe cònstamment dans le lait « des femmelles infectées, tandis que le trypanosome de la dourine ne se « montre que par exception dans la secrétion lactée ». Nelle mie ricerche, che datano dal gennaio 1914, ho preso in esame altre specie di tripanosomi (*): e cioè Brucey, Evansi, rodesiense, gambiense. Nella presente comunicazione mi limito a riferire i risultati ottenuti esperimentando sui cani. i 3 Su cagne che avevano appena partorito procedevo alla inoculazione del virus (4) per via intravenosa. Le ricerche erano di poi condotte al triplice scopo: A) di rilevare se i piccoli, lasciati alla mammella, si infettavano; B) se era possibile la dimostrazione dei tripanosomi con l'esame diretto del latte; C) se il latte era infettante, mediante l’'inoculazione di esso nel peri- toneo dei ratti o dei topolini. Ricerche col virus Nagana. — Cagna di razza pomera, di circa trenta mesi. La notte dell’11 di gennaio 1914 partorisce quattro piccoli. L'inocu- 4 (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di patologia e clinica medica veterinaria nella __R. Università di Bologna. (*) L. Nattan Larrier, Revue de pathologie comparée, dicembre 1913, pag. 282. ° (*) Tali virus mi furono favoriti dal prof. Mesnil dell’Istituto Pasteur, che nuova- mente ringrazio, e sono gli stessi di cui è fatto cenno nel lavoro Su la possibile tras- missione delle tripanosomiasi animali nell'uomo (Boll. delle scienze mediche, 1915). (4) La dose inoculata fu sempre di 2 ce. di una soluzione citro-sodica di sangue di | cavia, e detta soluzione conteneva 10-12 tripanosomi per campo microscopico di 350 diametri. -—— 370 — lazione del v/rus viene fatta il 12 alle ore 15. Il 18 tripanosomi rari; il 19 numerosi, e tali si mantengono fino al 22, assenti dal 22 al 25, il 26 rari, 27 e 28 numerosi, 29 numerosissimi; in questa notte l’animale viene a morte. I risultati ottenuti per i tre ordini di ricerche furono i seguenti: A) Il giorno 24 vengono a murte 2 cani. Ai diversi esami non avevano presentato tripanosomi in circolo. Col sangue del cuore e con l'estratto dei diversi organi si inoculano due ratti. Uno di essi, nel giorno 27, presenta rari tripanosomi che vanno gradualmente aumentando; il 30 muore. L'altro, il 1° febbraio presenta tripanosomi rari; il 3 e il 4 numerosi; il giorno 5 numerosissimi ; il 6 si trova morto. Gli altri due canini vengono a morte il 31 gennaio, non avendo pre- sentati parassiti in circolo. Dei ratti inoculati, uno presenta tripanosomi rarissimi il 9 febbraio, e viene a morte il 16; l'altro presenta i tripanosomi rari il 12, e viene a morte il 18. B) Con l'esame microscopico del latte, eseguito ripetutamente quando i parassiti erano numerosissimi in circolo, e nel periodo della crisi, non fu possibite di mettere in evidenza i tripanosomi. 1 C) Del latte inoculato in discreta quantità nei differenti giorni, anche nel periodo della crisi, solo si dimostrò infettante quello del giorno 19. Il ratto che ne aveva ricevuto l'iniezione presentò, il 22 rarissimi tripanosomi; il 23 erano numerosi, ed andarono aumentando fino al 26, nel qual giorno venne a morte. Ricerche col virus rodesiense. — Canina bastarda di 36 mesi. L'11 aprile 1914 partorisce quattro piccoli; il 12, alle 15, viene fatta l'inocula- zione del virus. Il 17 si notano rari tripanosomi, e tali sì mantengono fino al 25; dal 26 al 30 numerosi, e vanno di poi gradualmente aumentando fino al 6 maggio, giorno della morte. Risultati ottenuti : A) Nessuno dei quattro canini venne a morte. Nel sangue, microsco- picamente, non furono dimostrabili i tripanosomi, nè esso fu 'infettante per i topolini ai quali venne inoculato. B) Costantemente negativo l'esame microscopico del latte. C) Dei diversi topolini inoculati col latte, solo quello, che ricevè l'iniezione il 3 maggio, dopo ventiquattro ore presentò i tripanosomi in cir- colo, e la durata della infezione fu .di sette giorni. pi Ricerche col virus della surra. — Canina di razza terrier di circa 24 mesi. Il 24 maggio partorisce due piccoli. L’inoculazione viene fatta il giorno dopo, alle 15; 29, 30 e 31 tripanosomi rari. Dal 1° al 3 giugno nu- merosi ; assenti dal 4 al 7; 1’8 rari; andarono gradualmente aumentando, e l'animale venne a morte il 27 giugno. ha — 371 — 1 risultati ottenuti con le varie ricerche furono completamente ne- gativi: A) I due piccoli sopravvissero; il loro sangue non infettò i topolini ai quali fu inoculato. B) Negativi pure furono gli esami microscopici, anche di quel po’ di latte ottenuto il giorno antecedente alla morte del soggetto, quando i tripanosomi in circolo erano più numerosi delle emazie. C) Nessuno dei topolini, inoculati col latte, si infettò. Ricerche col virus gambiense. — Canina terrier di circa tre anni. _Il 23 giugno partorisce sette piccoli, e tutti di proposito le vengono la- sciati. Il 24, alle 15, ha luogo l'inoculazione. La canina, il 30, presenta ra- rissimi parassiti, e tali si mantengono fino al 3 luglio; il 4 tripanosomi numerosi; dal 5 all'8 si ha una crisi tripanolitica; 9 e 10 numerosi, di poi assenti fino al 13; il 14 ricompaiono aumentando fino al 16, giorno della morte. I risultati delle singole ricerche furono i seguenti: 4) Uno dei canini venne a morte il 7 luglio. L'inoculazione del sangue del cuore e dell'estratto degli organi, fatta nei topolini, riuscì posi- tiva. Altri quattro morirono fra il 13 e il 16 luglio; ma i topolini inocu- lati non si infettarono. Degli ultimi due, uno morì il 4 agosto, l’altro il 6, e l'inoculazione nei topolini ebbe pure esito negatlvo. ; B) Negativo costantemente l'esame microscopico del latte. €) Con l’inoculazione iutraperitoneale nei topolini, solo il latte del giorno 4 luglio si mostrò infettante. I tripanosomi comparvero dopo 9 giorni, e l’animale venne a morte il 21 luglio. * NOx Per quanto limitato il numero dei cani che hanno servito a tali ricerche, pur tuttavia i risultati ottenuti presentano un non dubbio valore. Per tre dei virus adoperati (nagana, rodiense, gambiense) si è dimo- . strata la possibilità del loro passaggio nel latte. x Già tale possibilità è stabilita per i virus nagana e gambiense, me- diante i risultati del primo ordine di ricerche. Infatti, tutti e quattro i piccoli della cagna naganata si sono in- fettati. Per il gambiensezy il risultato positivo ottenuto in un solo canino ha un valore assoluto. - Infatti, il Terry (') facendo delle inoculazioni nello stomaco dei ratti pre- viamente messo a nudo (mediante laparatomia), dei virus nagana, surra, (*) B. T. Terry, /ntra-stomachal and intra-intestinal inoculation of tripanosome - virus with tests for immunity. Journ. of exper. 1911, pp. 526-534. — 372 — durina, caderas, e prendendo tutte le precauzioni del caso affinchè per nessun'altra via i tripanosomi penetrassero nell'organismo se non attra- verso la mucosa dello stomaco, notò che la metà all'incirca dei ratti ino- culati con i diversi virus non si era infettata. Il Nattan Larrier, nel lavoro già citato, riporta come dei suoi topolini, ai quali aveva introdotto nella gola sangue citratato contenente il tripanosoma Cruzy, quattro soli ne erano rimasti infetti. Certo che per tali ricerche può nascere il dubbio che i canini si siano in- fettati non direttamente con il latte, ma per piccole lesioni di continuità della pelle dei capezzoli e, conseguentemente, per la fuoruscita di rugiada sanguigna in seguito all'atto del poppare. A parte però l'esame accurato dei capezzoli per escludere una tale causa di errore, sta il fatto dei risultati positivi ottenuti con il terzo ordine di ricerche. i Infatti, se l'esame microscopico del latte fu negativo, pur tuttavia in certi periodi esso conteneva dei tripanosomi, in quanto, inoculato nei ratti e nei topi questi si infettarono. La constatazione che, per tutti e tre i virus, il latte si mostrò infet- tante una sola volta durante il decorso della infezione, può stare a dimo- strare, almeno per i detti virus, che essi passano solo eccezionalmente in tale liquido secretizio. Esaminando i tre soggetti allo scopo di vedere se vi è un rapporto fra decorso dell'infezione e passaggio dei tripanosomi nel latte, ecco quanto è dato rilevare : In nessun caso-il detto passaggio si è verificato corrispondentemente alle crisi tripanolitiche. Per i virus nagana e gambiense il latte è stato infettante all’inizio della infezione, nel primo giorno in cui i tripanosomi furono numerosi in circolo. Per il rodestense, invece, ciò è avvenuto in un periodo molto inoltrato della malattia, quando i parassiti erano numerosissimi in circolo, tre giorni prima della morte dell'animale. i Come risulta dai dati riportati, per il quarto virus esperimentato, quello della surra, non si è avuto passaggio nel latte. Ciò non esclude, però, che in altre condizioni si possa verificare. Ed a tale proposito è da domandarsi quale importanza possa avere il diverso grado di sfruttamento della funzione mammaria, specie in rapporto all'essere l'animale in preda ad uno stato morboso. Ricordo come, delle quattro canine, solo quella inoculata con l'Evarst avesse due soli piccoli, e come quindi l'organo mammario non debba essere stato provato egualmente nella sua funzionalità. — 373 — CONCLUDENDO: Dai risultati delle presenti ricerche resta dimostrato: a) come sia possibile il passaggio, nel latte, dei tripanosomi drucey, rodiense, gambiense; b) come sia possibile, per i vrus drucey e gambiense, trasmettere l'infezione ai neonati, mediante l'allattamento. Vulcanologia. — Lo Stromboli dopo it parossismo del 1915. Nota preliminare del prof. G. PoNTE, presentata dal Socio A. Riccò. Lo Stromboli dopo il recente intenso parossismo eruttivo, durante il quale il vulcano ha dato trabocchi di lava sulla Sciara del Fuoco ed esplosioni av- vertite con panico dalla popolazione dell’isola, è rientrato nella sua normale attività stromboliana caratterizzata da sole esplosioni con proiezioni di ma- teriale clasmatico. Incaricato dal direttore dell’Istituto di mineralogia e vulcanologia del- l'Università di Catania, di compiere uno studio sullo Stromboli, di concerto con il direttore del servizio sismico della Sicilia ed isole adiacenti, ho cre- duto opportuno. per lo scopo delle mie indagini, scegliere questo periodo di diminuita attività (dal 24 al 31 dicembre 1915) per potere osservare e fotografare con maggiore chiarezza l’apparato eruttivo del vulcano quale è rimasto dopo il recente parossismo, per fare tutte quelle ricerche possibili sul terreno, come pure per raccogliere materiale per lo studio chimico e petrografico; il che tutto è meno facile e talora impossibile durante l'at- tività del vulcano. Al chiarissimo prof. Riccò porgo i miei più vivi ringraziamenti per lo aluto datomi, raccomandandomi al personale del semaforo di Stromboli al quale, a sua volta, sono molto riconoscente per le gentilezze usatemi. Così con le facilitazioni avute e con la scorta di Bartolo Tizio, ottima guida dello Stromboli, in una settimana di dimora sul vulcano, ho potuto compiere felicemente molte osservazioni in condizioni atmosferiche piuttosto favorevoli, soprattutto perchè l'apparato eruttivo mai si era presentato così chiaramente visibile, specialmente nell'interno dei suoi crateri. Le numerose fotografie fatte da varî punti e le misure prese mi hanno ù permesso di riprodurre un plastico all’1:1000, la fotografia del quale dà un'idea abbastanza chiara dell’intero teatro ernttivo dello Stromboli, tanto più che lo schizzo topografico fatto dal Bergeat nel 1894, al quale molti studiosi si sono riferiti ('), manca di quella chiarezza indispensabile per | potere stabilire degli esatti confronti. (1) A. Bergeat, Die aeolischen Inseln. Minchen, 1899, tav. X. . RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 49 x — 974 — L'apparato eruttivo sorge nella antica /'ossa, tra il Torrione ed il Filo del Zolfo ed ha tre grandi crateri geminati. Per la posizione che essi hanno nella fossa sono stati da ‘me indicati, quello verso Sud-Ovest col nome di cratere del Torrione, quello verso Nord-Est cratere del Filo di Zolfo e quello verso Nord-Ovest cratere della Sciara del Fuoco. Questi crateri trigemini hanno esternamente unico orlo ed unico cono, ed il lato Nord-Ovest si pro- tende fino al mare formando il ripido pendio della Sciara del Fuoco, mentre dagli altri lati il cono craterico si eleva pochi metri sul piano della Fossa. Il cratere della Sciara del Fuoco fu quello che durante la mia dimora allo Stromboli si presentò il più attivo; esso dava frequenti esplosioni con lancio di materiale clasmatico, del quale una parte si riversava sulla Sciara e un’altra nell'interno, tendendo ad innalzare la diga che ora separa questo dagli altri crateri. Il cratere del Filo del Zolfo, che probabilmente corrisponde a quello che il Bergeat chiamò l’anzico (1) aveva forma ad imbuto e presentava tutt'in- torno delle numerose fumarole che ne mascheravano la parte più profonda; ciò non pertanto fu possibile scorgere nel suo interno una diga dietro la quale, vicino alla Sciara del Fuoco, si apriva un’altra voragine. Il cratere del Torrione era il più largo e quello al quale si poteva av- vicinare con minore pericolo; aveva un fondo a cucchiaio sul quale sorge- vano una dozzina di conetti lavici mammellonari. Il suo orlo era molto esile e franoso, le pareti interne scendevano quasi a picco ed avevano molte fu- marole. Dai conetti, di varie forme, per lo più bassi e con larghi crateri, esalavano più o meno abbondantemente fumi bianchi; uno dei più alti che trovavasi quasi nel centro del grande cratere, oltre alla bocca centrale, ne aveva una laterale più piccola e rotonda, la quale il giorno 28 dicembre ap- parì rosseggiante in pieno meriggio; nel suo interno si scorgeva un bagliore rosso vivo di lava rovente. Il giorno 29 il bagliore era rosso scuro, appena per- cepibile. Fra i tanti craterini che soffiavano gas e vapori vulcanici, producendo un rumore simile al fremito di una pentola d'acqua vicina -all'ebollizione, se ne scorgeva uno sul fondo Nord-Ovest del cratere, il quale aveva un orlo largo una diecina di metri ed il fondo piatto tappato da lava consolidata rivestita da abbondanti sublimazioni giallo-verdastre e rossastre, come quelle che tappezzavano tutte le pareti interne del cratere. Il giorno 24 e 25 dicembre il cratere della Sciara del Fuoco mandava di tanto in tanto, delle dense volute oscure cariche di cenere, che si innal- zavano in forma di cavolo fiore fino a 200 metri circa dall'orlo. Il giorno 25, durante 4 ore di osservazione fatte dal casotto semaforico di Labronzo, il quale dista due chilometri in linea retta dall'apparato eruttivo, furono (1) A. Bergeat. loc. cit., pag. 32. — 375 — viste due di queste grandi fumate dense ed oscure, una alle ore 10 e 30 mi- nuti, l'altra alle ore 11 e 2 minuti, ma non furono accompagnate da. al- cun rumore avvertibile. Erano invece più frequenti le, esplosioni rumorose, che dal casotto si avvertirono come spari di cannone da 75; si vedeva con- temporaneamente un ventaglio di scorie alzarsi circa 50 metri sull'orlo del cratere e poco dopo una nube bianchissima e densa si formava nell'aria. | «Più interessanti furono le osservazioni fatte presso i crateri. Durante le esplosioni del cratere della Sciara, contemporaneamente al lancio delle scorie, si alzava una colonna di gas. tenui e trasparenti, la quale squarciando i fumi addensati nel cratere, si trasformava in dense volute bianche e grigie come le nubi di vapor d'acqua. Durante le varie visite da me fatte ai crateri furono registrate ed os- serrate tutte le esplosioni ed esse non presentarono mai alcun ritmo; erano irregolarmente precedute o seguite, coll’intervallo di pochi secondi, da altre esplosioni più deboli o più forti. Più frequentemente, anzichè esplosioni, si udivano delle forti soffiato, simili a quelle che dànno le ciminiere delle lo- comotive quando ne viene attivato il tiraggio con dei getti di vapore. Dopo uno di tali soffi fu visto alzarsi un anello regolarissimo di fumo, che dap- prima tenue e quasi trasparente, divenne poi, malgrado il continuo suo in- grandirsi, sempre più denso. Le fumate dei craterini del cratere del Torrione, qualche volta sembravano un po indipendenti l'uno dall'altro, ma aumentavano o diminuivano insieme ed in rapporto alle variazioni dell'attività del cratere della Sciara. Si potè no- taro abbastanza evidentemente, come i fumi dei craterini erano molto più densi e bianchi di quelli del cratere in esplosione. Forse le esalazioni dei craterini del cratere del Torrione appartenevano, in parte, ad una fase secon- daria del magma in via di consolidazione, il quale aveva formato una gran ‘volta lavica, su cui sì aprivano i varî craterini che, probabilmonte, avevano comunicazioni interne fra di loro. Le esalazioni del cratere della Sciara del Fuoco invece sembravano sol- _ tanto primarie, cioè della fase parossismica del magma, perchè accompa- — gnate frequentemente dal lancio di scorie incandescenti. Tì giorno 28 dicembre tentai avvicinarmi al cratere più attivo, attra- versando la Sciara del Fuoco da sotto il Torrione. Gli esploratori dello Strom- î boli hanno creduto sempre difficile e pericoloso attraversare la Sciara del | Fuoco perchè.il materiale incoerente e malfermo di quell’erto pendio è fa- | cilmente franabile, e può esservi il pericolo di vedersi da un momento al- l'altro travolti fra i massi rovinanti. Ciò non pertanto assicuratomi dal fatto che le scorie dell'erto pendio della Sciara del Fuoco, già bagnate dalle re- centi pioggie, erano diventate più ferme, volli affrontare l’arduo tragitto. Volevo avvicinarmi alla bocca emissiva della recente colata di lava per stu- diare il meccanismo dell’ultima eruzione, e vi riuscii essendo arrivato quasi — 376 — a metà della Sciara del Fuoco e a circa venti metri dalla detta bocca. Com- piuta questa prima importante osservazione, cercai avvicinarmi all'orlo del cratere dirigendomi vorso la base del Torrione. Portavo con me un appa- recchio per la raccolta dei gas e delle canne di ferro smontate che mi ser- vivano da bastone. Questa seconda impresa, molto più pericolosa della prima, non riuscì, perchè, in seguito ad una esplosione, incominciò a rovinare molto materiale lungo il pendìo della Sciara. e fui costretto ad allontanarmi. Però, passando sotto il Torrione, ho potuto osservare e raccogliere per il primo l’interessantissimo minerale che riveste la sua parte rivolta verso il cratere, la quale, indubbiamente, rappresenta una parete della gola dell'antico cra- tere demolito dello Stromboli. Lo studio dell'abbondante materiale raccolto durante la mia dimora allo Stromboli, che ora trovasi nel Museo dell'Istituto di mineralogia e vul- canologia dell’Università di Catania, è stato già intrapreso, ed i risultati sa- ranno pubblicati appena sarà completo. Ora mi limito ad accennare che la lava da recente emessa è una dolerite, simile a quella delle altre recenti eruzioni. I materiali clasmatici sono per lo più molto vetrosi e leggieri; hanno forme svariate, rotonde od allungate e nell'interno presentano delle cavità bollose. Rare sono le bombe pesanti, e queste sono piuttosto compatte e si presentano o in forma di focacce o allungate e contorte, mai eleganti e regolari come sovente quelle dell'Etna. Fra i materiali dejettati durante le violente esplosioni del 13 novembre e del 10 dicembre ve ne sono intorno ai crateri, specialmente sul lato Sud-Ovest, alcuni costituiti da vecchie rocce del vulcano rivestite di scorie filamentose color grigio-gìallastro, che ho vo- luto indicare con il nome di bombe ehiomate perchè le scorie che le coprono, del tutto o in parte, hanno l’aspetto di chiome ravviate. A ponente del Torrione a più di 300 metri dai crateri si trova un masso lanciato durante il recente parossismo, che ha il volume-dì circa un metro cubo e sta a dimostrare la straordinaria violenza delle esplosioni. Se non fu possibile raccogliere i gas esalanti dai crateri, per la dif-- ficoltà di potervisi avvicinare, si arrivò a constatare che vi predominava l'anidride solforosa. Il giorno 27 dicembre l'aria era molto umida, e sulla cima del vulcano si vedeva un grande pennacchio di vapori, che trasportati dal vento di po- nente si dissolvevano completamente a circa 2 o 3 km. I fumi che venivano fuori dai crateri erano quelli che indubbiamente determinavano la condensa- zione del vapore d'acqua nell'atmosfera facendo da eccitatori, come, secondo il De Lorenzo, fanno da eccitatori. alla condensazione del vapore della Sol- fatara di Pozzuoli le particelle di carbonio delle fiaccole; difatti dal lato di ponente, da dove spira il vento umido, in punti molto più elevati dai crateri, non si vedevano nebbie; esse si formavano soltanto sui crateri. In- vece il giorno 29, che l’aria era molto asciutta, i fumi vulcanici erano poco — 377 — densi e quasi trasparenti. Volli allora provare se essi contenevano vapor di acqua più di quanto nell'aria circostante. Mi servii sia delle cartine al clo- ruro di cobalto, quanto di tubi essiccatori al cloruro di calcio ed all’acido solforico tarati. Le cartine al cloruro di cobalto mi dimostrarono, dal tempo che richiesero per trasformarsi da azzurre in rosa, che le esalazioni vulca- niche avevano all'incirca la istessa umidità dell'aria pura e i tubi all’acido solforico ripesati in laboratorio lo confermarono, avendo dato un eguale. aumento in peso. È certo che le esalazioni vulcaniche dello Stromboli il giorno 29 dicembre non contenevano vapor d'acqua più di quanto ce n'era nell'aria pura circostante, e difatti non si dissolvevano fino a oltre 100 km. di distanza, giacchè formavano una lunga banderola che si perdeva di vista verso la Calabria citeriore. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLaseRNA comunica le lettere colle quali ringraziano l'Accademia per la loro recente nomina, i Soci: ABETTI, ARTINI, REINA e Ricci; ed i Corrispondenti: Guipi C. e Lo Monaco. Tl Presidente BraseRNA ricorda la grave sventura che ha colpito il Socio VoLTERRA, con la morte della madre; e propone, e la Classe approva unanime, che al Socio predetto siano inviate le affettuose condoglianze dei Colleghi. Così pure lo stesso PRESIDENTE ricorda la perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio e Amministratore aggiunto conte BALzanI, e la parte presa dall'Accademia stessa alle onoranze tributate all’estinto, il quale verrà degnamente commemorato nell'altra Classe. Alle parole di rammarico del PRESIDENTE si associa il Socio CIAMICIAN che mette in evidenza, con commosse parole, la bella figura di gentiluomo, la dottrina e la bontà del compianto Accademico, di cui oggi si lamenta la repentina scomparsa. Il PRESIDENTE. propone, e la Classe approva, che sia inviato alla figlia del compianto estinto un telegramma di condoglianza in nome dell’ intera Accademia. Il PRESIDENTE dà il triste annunzio della morte del Socio straniero prof. Riccarpo DEDEKIND, mancato ai vivi il 12 febbraio 1916; appar- teneva il defunto Socio all'Accademia, per la Matematica, sino dal 24 agosto 1911. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, richiamando l'attenzione della Classe sulle seguenti: Stud/ sui rapporti fra — 378 — tubercolosi umana e bovina del prof. B. Gosro; Seritti vari în onore di Alfonso Poggi, nel 27° anno del suo insegnamento (1888-1915); Catalogo fotografico del cielo, dell'Osservatorio di Tolosa, tomo IV, 2° fascicolo. Fi- nalmente lo stesso Segretario fa menzione del volume pubblicato in me- moria del barone NaPIER, nella ricorrenza del 3° centenario della scoperta dei logaritmi, e ne discorre. CORRISPONDENZA Per invito del PRESIDENTE, il prof. GAETANO PLATANIA, dell’Univer- sità di Catania, mostra ai Soci alcune belle fotografie relative al parossismo dello Stromboli del novembre 1915. Il PRESIDENTE presenta un piego suggellato inviato dal prof. ERNESTO MORELLI, perchè sia deposto negli Archivi dell'Accademia. Il Presidente BLAsERNA informa la Classe di una Circolare del prof. F. S. MonticELLI, Presidente della Commissione straordinaria per la Sta- zione zoologica di Napoli, riguardante il modo di assicurare, nel momento presente, la integrità del patrimonio e la continuità della funzione scien- tifica della Stazione suddetta. I Socî Grassi e Toparo, a proposito della” comunicazione prece- dente, richiamano l'attenzione della Classe sulla opportunità che il Governo dia anche alla Stazione zoologica di Messina, ormai ultimata, i mezzi atti a farla funzionare, provvedendola dell'indispensabile materiale scientifico. I due Socî sopra ricordati mettono in rilievo la importanza che ha la Stazione di Messina per la ricchezza e per la varietà della fauna dello stretto, per il carattere nazionale della medesima e per la relativa facilità con la quale si possono ricuperare preziosi prodotti faunici. Dopo alcune considerazioni del Socio GoLar sulla convenienza da parte dell'Accademia d'interessarsi ad entrambe le questioni. concernenti le due Stazioni zoologiche di Napoli e di Messina, la Classe delibera di rinviare alla prossima seduta ogni deliberazione sulla proposta riguardante la Sta- zione di Messina, anche perchè possa esser presente il Socio VOLTERRA, che è Vicepresidente della R. Commissione talassografica. In quanto poi alla | domanda contenuta nella Circolare Monticelli, la Classe delega il Consiglio di Amministrazione ad occuparsene, IIIVÌ, «<à vit OPERE — 379 — PERVENUTE IN DONO All ACCADEMIA presentate nella seduta del & marzo 1916. ALLEN J. A. — The influence of physical conditions in the genesis of species (From « The Radical Review », 1877). SERlANISIii50: ARRIGONI DEGLI Oppi E. — Sulla-distribu- zione dell’Uria in Italia: nota ornitolo- gica. (Estr. dagli «Atti del Real Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti », tomo LXXV). Venezia, 1915. 8. Catalogue photographique du Ciel. Coor- données rectilignes. T., IV. Zone + $° A + 8°. Deuxième fasc. de 6h 32% A 24h. (Observatoire de Toulouse). Paris, 1913. 4°. DaAvENPORT HookER.— Amoeboid movement in the corial Melanophores of rana. (Reprinted from « The American Jour- nal of Anatomy », vol. 16). s. 1. 1914, 8°. GreenHILL G. — Skating on Thin Ice. (From.« The Philosophical Magazine », vol. XXXI). s. ]. 1916. 8. Informaciones i datos sobre la Agricultura en Chile, 1913. Santiago, 1913. 8°. Janer Cu. — L'alternance sporophyto-ga- métophytique de générations chez les algues. Limoges, 1914. 8°. JanET Ca. — Note préliminaire sur l'oeuf du Volvox Globator. Limoges, 1914. 8°. Jensen Ap. S. — The Selachians of Green- land, Kobenhavn, 1914. 8°. — Knort C. G. — Napier tercentenary me- morial. London, 1915. 8°. Lovisato B. — Dodicesimo contributo echinodermico con 12 specie nuove di Clypeaster del miocene medio ed in- feriore di Sardegna. (Estr. dal « Bollett. della Società geologica: italiana », vo- lume XXXIV). Roma, 1915. 8°. LunpBEcR W. — Some remareks on the Eggs and Egg-Deposition of Halo- bates. Kobenhawn, 1914. 8°. v - 28 MeLI R. — Breve notizia intorno ad alcune ossa elefantine rinvenute presso la sta- zione ferroviaria di Sezze nella palude pontina. (Estr. dal « Bollett. della So- cietà geologica italiana », vol. XXXIV). Roma, 1915. 8°. MeLIi R. — Escursioni teenico-geologiche eseguite nel 1912 con gli allievi inge- gneri della R. Scuola d’applicazione di Roma. Roma, 1918. 8°. MeLI R. — Relazione delle escursioni tecnico-geologiche eseguite nel 1915 con gli allievi ingegneri della Scuola d'applicazione di Roma. (Alla Salina di Corneto Tarquinia; a Civitacastel- lana e dintorni). Roma, 1916. 8°. OpponeE E. — Gli clementi fisici del grande terremoto Marsicano-Fucense del 18 gennaio 1915. Le osservazioni macro- sismiche. (Estr. dal « Bollettino della Società sismologica italiana», vol. XIX). Modena, 1915. 89. Paori G. — Ixodidi raccolti nella Somalia italiana meridionale. (Estr. dal «Redia», vol. XI). Firenze, 1916. 8°. Scritti medici in onore di Alfonso Poggi nel XXVII anno d’insegnamento ; 1888- 1915. Bologna, 1915. 8°, Studî sui rapporti fra tubercolosi umana e bovina(Laboratorio batteriologico della sanità pubblica). Vol. I-III e Nota riassuntiva del prof. B. Gosio. Roma, 1912-915. 8°. I vini italiani: fase. XVI. Sicilia. (Mini- stero di Agricoltura, Industria e Com- mercio). Roma, 1916. 8°. Woopcoor E. F. — Observations on the development and germination of the Seed in certain polygonaceae. (Repr. from « American Journal of Botany », 1914). s. 1. 1914, 89, MAY. 1918 E \ = Di Sede n fenomeno di « sensibilizzazione » del sistema vago-cuore, olo mediante i 100009 363 366 369 373 OTT n ee) LA 378 RENDICONTI — Marzo 1916. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 marzo 1916. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRE A SE: Bianchi. Sui sistemi ortogonali di Guichard-Darboux negli spazî di curvatura costante Pag. 23 Ricco. Parossismo dello Stromboli nel 1915. susa 5 SREGIHENO A Grassi G. Sulla legge di Poisson in relazione al primo principio. di termodinamica, in risposta | al prof. Guglielmo . . . ta 5 Mn Ta Loria. Note sulla storia della SOR in Tei SENTO IRR Re di Parona. Cenni sulle faune sopracretaciche a rudiste del Monte Gas aa Bottazzi. Nuove ricerche sui muscoli striati e lisci di animali omeotermi. VIN: SEO dei 2a gas della respirazione sul preparato frenico-diaframmatico . DE a Nalli. Sopra un'applicazione della convergenza in media (pres. dal Cormepi Raga): Scorza. Sulle varietà algebriche con sistemi regolari di integrali riducibili (pres. dal Cori. COCO AN ESATA È : Pai to; Guglielmo. Intorno ad alcune particolarità del raggio CH i i Socio Da Kahanowicé. Sulla meteorologia di Napoli (pres. dal Corrisp. Cantone). . . . si n De Marchi. Teoria generale delle onde propagate sulla superficie Dia na di un solido elastico (pres. dal Socio Zevi-Civita) |... . Lis Teschio Platania. I fenomeni eruttivi dello Stromboli ta Ierentae 1915 di du Socio I DICE Lepetit e Carta Satta. La quercetina dalla scorza del Pin LS Ba aster Sol. pres: dal. È Socio Aòrner). Y Gite Doni ARR a LIE OE Marino e Becarelli. Ricerche sulle azioni sub nalnao di n. elementi. SVI cosiddetto sottocloruro di bismuto (pres. dal Socio MNasîzi) la SR Checchia- Rispoli. Osservazioni geologiche nei dintorni di Vico (Gargano) fre. - So È i i ul Soci ; Cloni) : . Ste spo 9. Mignone. Osservazioni morfologiche vulla R ecurtvaria name î Li 5) Hb. prati 550 So Br GIOSTRA i Ì NECA Topi. Sui trattamenti insetticidi anta È Hiitiale della vità I: ‘Trattamenti con l oO tto (INtADAGCO N (PIESAZ/IO SERA I e sie IRR Da i? de e Becchini. Rie, chimico-fisiche sui liquidi inno X: Variazio E. Mancini Segretario d'ufficio L Ù SAR i Pubblicazione bimensile. | | N. 6. B ACCADEMIA DEI LINCEI NNO CGOXIIL,. 2-7 IO: DELLA ia “a dA x lî scienze fisiche, matematiche e naturali. eduta del A9 marzo 4916. o ume NAV La Fascicolo 6° ° SEMESTRE. | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI ESTRATTO DAL | RIGOLAMENTO INTERNO | ; PER LE | PUBBLICAZIONI AOCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie gui delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue | Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Elan le notme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe n scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- | x $ si n , golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Lie Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la IPS RO sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50° agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù Sella spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acce- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso . parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. i I PI ARRAINI glS a cale Momoria negli oi ] ; mia 0 in sunto o in e senza. r Pa ‘che i manoseritti non vengono rest autori, ‘fuorchè nel caso coniemapii a dello PERO i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINOEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Mata va ae Seduta del 19 marzo 1916. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI. Matematica. — Sistemi ortogonali di Guichard-Darboux e loro POETI di Ribaucour. Nota II (') del Socio Lurci B LANOHI. 1. Proseguendo le ricerche dell'altra mia Nota, nella presente tratto e trasformazioni di Ribaucour per inviluppi di ipersfere dei sistemi ortogonali nello spazio S, euclideo, con particolare applicazione ai si- emi (E) ed ai sistemi di Guichard-Darboux. Pongo dapprima le formole rali per queste trasformazioni sotto una nuova forma, che corrisponde tamente (pel caso n= 2) a quella data da Eisenhart (*) per le trasfor- ioni di Ribaucour delle ordinarie superficie, e si presta opportunamente ttuale ricerca come ad altre analoghe di cui tratterò in seguito. —_—Sia dato, nello spazio euclideo S, a 7 dimensioni, un sistema #2! orto- gonale (CASE ..« Un) definito dalla relativa forma del ds? ds = Bid k a SUE: Sh TSE fficienti Hj,H.,...H, e le dissi rotazioni io sa- (1 î O Ved. la Nota I nel fascicolo del 5 marzo 1916. (®) Cfr. Eisenhart, Sulle superficie di rotolamento e le trasformazioni di Ribaucour (in questi Rendiconti, ser. 52, vol. 24°, fascicolo ottobre 1915). RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. WaC50 x — 382 — ranno legati dal sistema differenziale caratteristico 2Hi di ® Bri Hx (A) Hi Ela GE LE) (ik) ba Ie LS p0 (0). Scriviamo inoltre le equazioni fondamentali a cui soddisfano le 7 coor- dinate cartesiane ortogonali «, del punto variabile, e corrispondentemente i coseni di direzione NOTA dell'asse delle x, rispetto agli x spigoli dell’°4° principale: | ddr =H x (1) ) i 3 YXM IX (è) t — Bi X(7) -_=_- XS | di Bik k ’ du; - Bri \ Nel sèguito, per semplicità di scrittura, sarà omesso nelle x, l'indice 7 inferiore, e nelle X! il superiore r. 2. Le trasformazioni di Ribaucour per inviluppi di ipersfere del sistema ortogonale (2) in nuovi sistemi (2') si ottengono dapprima nel modo se- guente (?): i Prendasi un sistema di 7 Miizioni Yi: 72, Yn delle v, soddisfacenti al sistema differenziale DI (2) > cha 7h» che ammette soluzioni dipendenti da x funzioni arbitrarie. Per ogni tale solu- zione (Y1, 72: Yn), risulta un differenziale esatto l'espressione > Hi y, du, | «ca e noi calcoliamo, con una quadratura, una corrispondente funzione dalle equazioni (3) Raso i Vi (1) È da ricordarsi che, in queste formole, î,X, sono tre indici diversi, presi co- (20/9) munque nella serie 1,2,...2; e la segnatura ©. sta a denotare che l’indice variabile È 7N percorre la serie 1,2,3,..n. esclusi gli indici-i,k. Analogo significato per le notà- (è) (2,°,0) zioni Di si secc: ) Cfr. Ra ‘mia Nota Sulle trasformazioni di Ribaucour ecc. (questi Rendiconti, agosto 1915). J — 583 — Dopo ciò, ne resta individuato un nuovo sistema ortogonale (3), trasformato di Ribaucour del primitivo, che si ottiene in termini finiti dalle formole (4) d=r- 5 In, VIE 7 dove le x, sono le coordinate del punto che descrive il sistema (3'). E indi- cando cogli accenti le quantità relative a (2"), pei nuovi coseni di direzione X: possiamo prendere i valori , 2yi (5) watch YnKh-X. x Ora vogliamo porre queste formole generali sotto la nuova forma in vista, introducendo in calcolo i nuovi valori H} dei coefficienti pel sistema trasformato (2'). 3. Cominciamo dall’ introdurre una nuova funzione ausiliaria w con la posizione (6) Dr= 29%, x sicchè le formole (4), (5) si scriveranno ora ; 1 (4*) IO Wet Ù Vi E 5* kids X-X. (5*) 9V 2 nXi Derivando rispetto ad w; la (6), e la somma > y, Xi, col tenere presente x le (1), (2), (3), abbiamo (7) pix fin—hyj= gi (8) È >ax= (Si + i Bai n)x Ed ora la derivazione delle (4*) porge da p dd ) = capo vela XX}, i Vip dU pr” ; cioè, per le (5*), — 384 — Risulta di qui confermato che il punto (x/.) descrive un nuovo sistema melo ortogonale, e pei valori dei nuovi coefficienti H" si la Hue 9 dlogy i Vi dUi onde le (7) si scrivono sotto la forma equivalente È Si (7°) Le Py yx= (Hi +'H)) Confrontando questa con la (2) e costruendo la relativa condizione di inte- grabilità 3 >) Di (ik) D ZA (Ar L— SY Biy= —4(H;+ H' i (Bin Ya) + RE (Bri Yu) + dn F Bri Ya 2% I(H+H)w{, coll'aver riguardo alle altre equazioni già scritte, troviamo dii dUE (9) Bri — (Hi +5$ ‘Hr. Riepilogando, le trasformazioni di Ribaucour vengono così a dipendere dalla ricerca della 2x + 2 funzioni ausiliarie Vga, P,L, assoggettate a soddisfare al sistema differenziale \ IU Bin Yk > di (Hi + b) (7 De Bri vi (I) SI == H; Vi ’ È ul = ni H; i i P TLT n Va dux mi Lira (era His e inoltre alla equazione in termini finiti (1*) Ia= 29. DI Questa è la forma cercata delle equazioni di trasformazione, che, nel caso | n=2, dànno quella già considerata da Eisenhart. 4. È da osservare che, costruendo le condizioni d’ integrabilità per il sistema (I), mediante le (A), si ottengono equazioni che rientrano nella (I). Il sistema (I) è adunque completamente integrabile; e poichè, come subito. 4 si verifica, esso ammette l'integrale quadratico i > r,— 29yw= cost, 7 — 385 — basta scegliere i valori iniziali delle y;,g,w, in guisa da annullare la costante del secondo membro, ed anche la (I*) resterà soddisfatta. Si osservi ancora che, nel sistema (I), per le y;,g, y, tutte le variabili sono princi- pali, mentre per la H} la variabile «, è parametrica e tutte le altre principali. Così, scelto un sistema di valori iniziali per le «;, diciamo (0,0,... 0), per definire una soluzione (y;, g, w, Hi) si potranno dare ad arbitrio, com- patibilmente colla (1*), i valori iniziali delle y;,g,% quando tutte le variabili si annullano, e per la H;j si prescriverà ad arbitrio la funzione della %; a cui essa si riduce quando si annullino le rimanenti variabili. Ogni tale soluzione (y;, g,w,H}) individua un nuovo sistema (2), le cui rotazioni 8; sono date, per le (9), dalle formole (10) = (BH) x > È manifesto geometricamente che la relazione fra (3), (2°) è invertibile, e può quindi domandarsi quali valori competono nel passaggio inverso, da (2') a (2), alle nuove funzioni trasformatrici y;, g,yw, che indicheremo con , r , Vir Pa, e saranno, come è chiaro, determinate solo a meno di un fattore costante. Ora basta scrivere le equazioni stesse (I) per questo passaggio per trovare — le formole richieste, che sì scrivono Di yi=Uf: , gi=— UP, YW=—UW, il moltiplicatore u essendo determinato (a meno di un fattore costante) con una quadratura dalle formole X alora lia Hi Hi (11%) cc... 5. Cominciamo dall’applicare queste formole generali a quei sistemi ortogonali che, seguendo la denominazione del Darboux, abbiamo nella Nota | precedente indicati come sistemi (E). Essi sono caratterizzati dalla pro- | prietà che (scegliendo convenientemente i parametri v;) ha luogo l'egua- glianza i (12) Bin = Bri » _od anche dalla equivalente che ds® riveste la forma DATE O DIE. dO 2 HI PIO 2 ds° = > dui + Se du | --- + ni dus, Ora noi domandiamo: Vr sistema (E) possiede, fra i suoi trasformati di Ribaucour, dei sistemi (B') della medesima specie? — 386 — Bisogna eseminare se, sussistendo le (12), è possibile integrare le (I) e (I*) in guisa che sussistano le analoghe pel sistema trasformato Bin = Bri » Perle (10), questo porta alle relazioni (H+Hy)y:=(H+H)m, che debbono sussistere per tutte le coppie (7,%), onde sarà da porsi (13) y=M(H;+H), essendo M un conveniente moltiplicatore. Derivando questa rapporto ad x, coll'osservare le (A), le (I), le (12), e le (13) stesse, troviamo dlog M__ YxH}, __dlogy QUE P QUE da cui risulta che M non differisce da w se non per un fattore costante. Scri- viamo dunque w=cM (ec costante), dopo di che le equazioni (I) della prima linea diventano dYi e dYi Si du a Vhic Sg I Burr , (14) e queste costituiscono, per le y;, un sistema lineare omogeneo ai differen- ziali totali. i 6. Si verifica facilmente che questo sistema, a causa delle (I) e delle (12), è completamente integrabile, per qualunque valore della costante c. Verifichiamo che a qualunque sua soluzione corrisponde una trasformazione di Ribaucour del sistema (E) in un nuovo sistema (0); Per questo si derivi la somma IZ; om = 29%, il che dà, per le (14), d CHIP di E yî£ si ossia, per le (I), cri; = W(H; + Hi) Di qui risulta ORO a alta pe 4 ln e MB) i TANTI e de Ti A VIALE a ù 2 i—— LIO la 116@-&—7—1-—12_121|111% — 387 — indi, per le (10), ; 2eY:Yk Bin Pik Sri. ’ x espressione simmetrica in 2, %. Dunque #,= f&, ed il sistema trasformato è un sistema (E'), come si voleva. c. d. d. Concludiamo che ogni sistema (E) dello spazio S, euclideo ammette co” sistemi (E') della stessa specie trasformati di Ribaucour; questi sì ottengono integrando il sistema lineare (14). Si può dare una semplice interpretazione geometrica a questo risultato ricorrendo alla composizione delle trasformazioni di Ribaucour mediante quelle di Combescure (trasformazioni parallele) e le inversioni per raggi vettori reciproci (cfr. Nota citata al n. 2). Soddisfacendo le y; alle (14), le formole E=yiX+y:Xo +: + rnXa definiscono un sistema (E) parallelo al sistema (E), pel quale le y; coinci- dono colle distanze W; dell'origine dalle facce dell’ n° principale. E poichè, derivando le precedenti, dalle (8) e dalle (14) si ha dE —=c ;Xi, di; Vi Y si vede che, per questi particolari sistemi (E), si ha ad un tempo Wi — ya H; = CYi e le ipersuperficie in ciascuna delle n famiglie sono omotetiche rispetto all'origine (*). Dalle inversioni per raggi vettori reciproci rispetto all'origine questi particolari sistemi (E) sono cangiati in sistemi della stessa specie, e le trasformazioni di Ribaucour dei sistemi (E) generali si ottengono da queste particolari con una trasformazione parallela. Dimostrerò, in una prossima Nota che esistono trasformazioni per fet- tamente analoghe pei sistemi (E) negli spazii generali a curvatura costante, dove per altro la decomposizione così semplice, sopra effettuata pel caso euclideo, più non ha luogo. La seconda classe di sistemi ortogonali a cui vogliamo applicare le trasformazioni di Ribaucour sarà quella dei sistemi Guichard-Darboux. Ma qui amplieremo alquanto (dal punto di vista reale) la definizione di questi sistemi data nella Nota I, indicando con questo nome tutti i sistemi ortogo- (1) Cfr. Darboux, Zegons sur les systèmes orthogonaux (2ème édition), n. 244. * — 388 — nali pei quali, fra i coefficienti Hf del ds?, sussiste una relazione della forma c.Hî + cs H3 + ---4- caHi= così, essendo le ci n costanti tutte diverse da zero ('). Siccome, alterando ciascun parametro u; di un fattore costante, si può rendere ce = #1, potremo prendere, senza alterare la generalità, la detta relazione sotto la forma (15) e,Hî + s:H3 4 --- + enHi = e (costante) (== i Con questa definizione ampliata si modificano le equazioni calcolate nella Nota I, come segue: La (15), derivando rapporto ad w;, dà dH; (Ò). preda i di - Er Bin x 9 e, paragonando questa coll’altra, 23Hi; Uk Bri ky si trova, per la relativa condizione d' integrabilità, dPri din ci HJETr + a SUR +2 afafa=0. Si vede, quindi, che mei sistemi di Guichard-Darboux, corrispondenti alla (5), le rotazioni Bin debbono soddisfare al sistema differenziale 2a _ buBa Pins PPS pag i Bi va aa 0 dbri Ei +a 2 45 fi bafa= ui k 2% i a x iN Phi % (‘) Esistono, del resto, anche sistemi ortogonali, corrispondenti alla relazione scritta, nella quale una o più delle costanti c; si annullino. Ma questi sistemi formano, rispetto I ai sistemi di Guichard-Darboux, delle classi singolari, che richiedono. uno studio separato. | Per es., nel caso n =3, se si annulla una delle costanti ci, i sistemi tripli ortogonali corrispondenti sono quelli che contengono una serie di superficie a curvatura costante. | — 389 — e i coefficienti H; all'altro dH; gin ©) 2 Rieti as in H % Bu Hx Se eBinHx, (B*) Tl sistema (B) è completamente integrabile, e la sua soluzione generale di- pende da x(n — 1) funzioni arbitrarie (cfr. Nota I). Successivamente le (B*) formano per le H; un sistema completamente integrabile di equazioni ai differenziali totali, che possiede inoltre l'integrale quadratico (15). 8. Partendo ora da un tale sistema (2) di Guichard-Darboux, supposto noto, cerchiamo se fra i suoi sistemi trasformati di Ribaucour ne esistono di quelli (2') della stessa specie ed in guisa che i nuovi coefficienti Hi soddisfino alla equazione stessa (15) «Hr + e:H" +---+a,H,x = (1). Da questa relazione segue, come sopra, I ani 9% Soka 2 E Bo H,, . Ovvero i eli (URI ni. , (16) i LET g \ H,, equazioni che dobbiamo aggiungere alle (I), (I*) per esaminarne la compa- tibilità, insieme con la equazione in termini finiti (169) YeHf=c. , Tenendo conto delle verifiche già effettuate, resta solo da paragonare le (16’) colle equazioni dell'ultima linea in (I), cioè le equazioni ssguenti : 2H 2H! (Ò) È = H} 5 Eh tl — E) Pi dUY Pri Ha "i I P dove per le Bix s'intendono i valori (10). Dobbiamo dunque esamivare le corrispondenti condizioni d'integrabilità I VEDI d° Q_e; Da (Pri Hy) + &x on (Pin H4) + > TTT o (PB; )=0. 9. Decomponiamo il primo membro £ di questa espressione in due parti, secondo la formola Q=2 +H 02", (*) Che la costante c debba rimanere la stessa, risulta dai calcoli seguenti nel testo. RenDpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 51 x — 390 — avendo posto sa of \ e PRI: Mi Laghi È Ya A Bri E (dk) lo Gen ap die ag. (04221 e dimostriamo separatamente che si ha dj RE 10. S b) Q'=0. a) In forza delle equazioni stesse del sistema e dell'altra ZE _ g1, 8% ((>X=+2), si ha (ik) L' = & fx; fi Hi — fa Do PB +3 a ff 9 ed il secondo membro è identicamente nullo. 5) Sostituendo per le 8%, i valori (10), si ha ; dBri Pix TOI hl QU & | ——@ na pess dle ‘3 ii Hi) gif odi I_(E,+ By) de w_( n) A su +Yaé— .gyÉ 0) an +) Se si eseguiscono le derivazioni, utilizzando le formole precedenti, si trova, dopo semplici riduzioni, o=!h(Vom_YaB). y E DE onde, per l'annullarsi di £", si richiede e basta che la somma Y_ e, Hî abbia lo stesso valore costante e come la Y «,H?. Concludiamo che il < nostro sistema (misto) ai differenziali totali è completamente integrabile, ed il suo integrale generale contiene 2n — 1 costanti, onde il risultato: Ogni sistema di Guichard Darboux nell'S, euclideo ammette 0°"! sistemi della medesima specie derivati per trasformazione di Ribaucour. Nel caso attuale il sistema ai differenziali totali da cui dipende la ricerca dei sistemi trasformati non ha più la forma così semplice (lineare) come nel caso dei sistemi (E). Per altro il processo d'integrazione succes- siva potrebbe semplificarsi facendo uso di un /eorema di Pala che non è difficile a stabilire. t} Osserverò. da ultimo, che anche pei sistemi di Gricherae Darbonx negli | spazii a curvatura costante esistono le trasformazioni di Ribacour. "I — 391 — Meccanica. — Sull’influenza della rotazione terrestre nella caduta dei gravi. Nota del Corrisp. E. ALMANSI. 1. La determinazione sperimentale della deviazione rispetto alla verti- cale, a cui dà luogo, nella caduta dei gravi, la rotazione della Terra, non può essere eseguita con sufficiente precisione finchè sì considera un grave che cade liberamente. Risultati di gran lunga più esatti si ottengono ricorrendo ad un apparecchio atto ad aumentare la durata della caduta, e che è in sostanza una macchina di Atwood. Si presenta pertanto il problema di determinare, in questo caso, la de- viazione teorica, per poterla confrontare con quella che risulterà dalle esperienze. Sia O il punto dal quale incomincia la caduta del grave. Riferiamoci ad-un sistema di assi con l’origine in O. L'asse Oz sia verticale e rivolto verso il basso, l’asse Oy rivolto verso Est, l’asse Ox verso Sud. ‘ Il filo, a cui è collegato il punto pesante P del quale si esamina la caduta, passa costantemente per O. Noi vogliamo considerare il movimento — del punto P sino al suo incontro con un piano orizzontale che dista di 7 dal piano xy. Il punto P si muove rispetto al sistema 0(7,y,) come se questo fosse immobile, e il punto fosse libero, e sollecitato da una forza risultante : 1°) del suo peso, di proiezioni Mix > MYy > MI, m essendo la massa del punto, 9x,9y,9: le proiezioni della gravità (che alla sua volta risulta dell'attrazione terrestre e della forza centrifuga); 2°) della tensione 7 esercitata dal filo, le cui proiezioni denote- remo con Ta e T, o) Ti ; 8°) della forza centrifuga composta, che sugli assi 0 (x,y), detta w | la velocità angolare di rotazione della Terra, g la latitudine geografica del | luogo, ha le proiezioni m.20 sen È “ 3 da de —m.2w Sen Pigi 00S:P io dy mM. 200 C08 Prrs a — 392 — ove x ,7,4 denotano le coordinate del punto P. Le equazioni del movimento di P saranno per conseguenza dx Ta dy TE =Yx t % +20 Seng; ; d’y _ Ty da da de nidi, — 20 (seng 4 — cosg) 4 d*z T dy «SAMI, IA Hahra sir Lo Noi semplifichiamo queste equazioni considerando, in primo luogo, come costante la gravità in tutti i punti della traiettoria di P. Se dunque 9 è la sua grandezza nel punto O, riterremo, per ogni valore di £, Ga = 0 ’ 9y=0 » Ga==9- In secondo luogo, trascuriamo quei termini i quali, considerando w come un infinitesimo, sono infinitesimi d'ordine superiore; quindi, a causa dei fat- tori di 3 d, che si annullano con ©, i termini che contengono il fattore di dt E finalmente supponiamo che il tratto OP di filo sia costantemente rettilineo. Se / è la sua lunghezza al tempo #, sarà allora RT Ca CARZAME (== 7 E Cy ; TS lA } T Otterremo così le equazioni E. dt? lm CA SA & di dit 73 Vi PO SEP gg d*& de vis 5ta 0). (!) Rispetto al conservarsi rettilineo del tratto di filo OP, si potrebbe dimostrare, tenendo conto della sua flessibilità, che questo avviene soltanto quando il peso cade con accelerazione costante. Devesi per altro notare che nella pratica si è sempre ben lontani da quella perfetta flessibilità che presuppone la dinamica dei fili. Calcoli da me eseguiti porterebbero a concludere che l’ipotesi di una perfetta flessibilità (probabilmente anche a causa di uno speciale trattamento al quale il filo era stato assoggettato nelle esperienze a cui mi sono riferito) conduce a risultati meno esatti di quelli a cui si arriva supDag nendo il filo rettilineo. — 393 — Dovranno poi essere verificate le condizioni relative all’istante ini- ziale {= 0: (2) dd 08 La prima delle equazioni (1), eliminando Di per mezzo della terza, potrà seriversi: i dx d?z e la seconda . d*y d°z da n= v(0- Fi) +0 cos gati. Conviene porre | (4) y= c05p.U, ove u sarà, come y, una funzione del tempo. Sostituendo nella equazione precedente, e togliendo il fattore comune w cos p, avremo ossia (5) Tinti i gua o, Nell'istahte iniziale dovrà inoltre aversi (6) - UV di = Osserviamo che, se si aggiunge a z un termine infinitesimo, possiamo ritenere che anche « varierà di una quantità infinitesima, quindi y di una quantità trascurabile. Segue da ciò che nella equazione (5) si potrà consi- derare z come il valore che avrebbe, al tempo #, la coordinata 4 di P, se la Terra non rotasse. La natura di questa funzione :2 (4) dipenderà dal modo come l'apparecchio è costituito in tutti i suoi particolari. Noi la supponiamo nota. L'equazione (5), insieme colle condizioni iniziali (6), determina allora la funzione (che è dunque indipendente dalla velocità di rotazione ® e dalla latitudine @). La formula (4) ci darà poi la deviazione orientale y . — 394 — Quanto alla deviazione meridionale, osserviamo che tutte le condizioni : da ala dt i sono verificate se si suppone che sia costantemente z = 0. Nel nostro grado d’approssimazione, la deviaziono meridionale è dunque da ritenersi nulla. 2. Se il grave cade con accelerazione costante 4, ed è perciò relative ad x, ossia l'equazione (3) e le condizioni iniziali 2z=0, az=iat?, si ha (7) == Ab, ove A è una costante. Le condizioni (6), per t=0, sono.infatti verificate; ed è pure verificata l'equazione (5) se si pone a : 94-24 Sarà dunque in tal caso STE i 3 v=7 | AL ; e per 4= T, indicando con T la durata della caduta, 2 ind eno 3» Ho gra SSR ì formula dovuta a J. Hagen ('). Un'osservazione si può fare su questa formula. Essendo T= spa 5 ) avremo pure di i Si (21)? cos I ga ni Se si esamina come varia la deviazione y quando l'accelerazione @ varia da 0 a 9g, rimanendo % costante, si riconosce che y non è massima per a=g (ossia quando il grave è libero), ma per a=149. 3. La formula di Hagen si riferisce ad una legge di caduta molto par- ticolare. Ora, in generale, l'apparecchio usato nelle esperienze non sarà co- stituito in maniera che il grave cada con accelerazione costante. Per una prima approssimazione si potrà sempre far uso della formula di Hagen, con- siderando 4 come un'accelerazione media definita dalla relazione 4= + aT°. (') Za rotation de la Terre, ses preuves mécaniques anciennes et nouvelles. Appen- dice 28, pag. 43 (Tip. Vaticana, 1912). | ‘| | | — 395 — Ma volendo calcolare con maggiore esattezza la deviazione, converrà seguire questo procedimento: Ammetteremo che almeno in quei casi in cui l'accelerazione del grave va regolarmente crescendo o decrescendo, senza subire, durante la caduta, una variazione troppo grande, la funzione v possa rappresentarsi con suffi- ciente approssimazione aggiungendo alla formula (7) un termine di corre- zione; precisamente ponendo (8) u= At + B#, ove A e B siano due costanti. La costante A possiamo determinarla nel modo seguente: Dividiamo per # l'equazione (5). Avremo sana 0: Facciamo tendere { a zero, e diciamo a l'accelerazione iniziale del grave: det.ida 22 u 1 d°u PR TITO tendono ad 4, mentre polpa DO la formula (8), tendono rispottivamente ad A e 6A. Onde otterremo la relazione B4AT-aA-+9AT—a®=0, dalla quale si deduce, come nel caso che l'accelerazione conservi sempre il valore 4, a? 4 Sia Chiamando poi U il valore ‘che assume % al tempo T, ossia alla fine della caduta. potremo, nella formula (8), far comparire la costante, per ora incognita, U, invece della B. Sarà, per la stessa formula (8), U=AT+ BT, da cui RIICONI e perciò . 1) uTAC+(m_A)t Ora riprendiamo l'equazione (5), che scriveremo d( du de de? (en ut)+ o ii — 396 — Integrando fra 0 e , abbiamo du de gusti | ri eg Lire =0, ove : t U =f udt ; : 0 e dividendo per s?: co A) u x 29% di 1=0; quindi, integrando fra 0 e T (con l’osservare che Uu MERO 2A0, + Fo ossia Giga» supposto | a diverso da zero, si annulla per £= 0) (11) T ky vB o Ma dalla formula (10) si ha t t4 U 16 = f uli= AT + (mA) e perciò i TY) il Tia p+(p—d)o gi I t4 ndo OT {6 pi fa a) Onde, sostituendo nella (11), otterremo l'equazione tear (p_s)c]-r-o0, che, risoluta rispetto ad U, ci dà dove (12) si T—-g9gA(p—_9) 1 [i EEN] GE È Tide DITTE — 397 — La deviazione del grave al tempo T sarà (14) y=Uwcos gp. 4. L'espressione di U contiene le due quantità p,g9, date dalle for- mule (12). I loro valori dipendono da T, e dalla natura della funzione £(t), ossia dalla legge secondo la quale avviene la caduta del grave. Nella. pra- tica sarà in generale ben difficile determinare esattamente questa legge. Allo scopo di rendere agevole il calcolo di p e 7, osservando che nel caso di un'accelerazione ‘costante 4 sì ha 1 sf=a gati, io ammetterò che la legge di caduta del grave possa esprimersi, con suffi- ciente approssimazione, mediante la formula (15) #= | ove 4 e è sono due costanti; la prima delle quali si riconosce facilmente 2 de PO t=0; ossia l'accelerazione iniziale. Determineremo l’altra costante facendo, nella equazione (15), t=T,<=. Avremo così, risolvendo l'equazione rispetto a 0 T?, che rappresenta il valore di dI ala e da 4h° Introduciamo la quantità — (16) HT — La formula precedente darà E H\: 2 —f{_- n (17) | 2r=(7) 1. Dalla equazione (15) si ha oa dr, ge) e) . Onde lo formale (12) diverranno 1 i 2 PMLI 2 | 2 4 Di I =) A+, s=pipj C+); RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 52 x SL 898: . ed eseguendo le integrazioni, _T 1} 2}; quindi, sostituendo a 5 T? la sua espressione data dalla (17), rn ZIHI(ONR HAI Sarà poi Introdurremo le nuove costanti } 26 Je (Ha (18) e=5t5(1) eta) ed avremo: Ci T Pr ella La formula (13), sostituendo a p —q e q questi loro valori, diverrà i T-piAî a U= ’ di e 9 ht get: ovvero A 1-85 (19) E RITA Hal h 3 T° Ora dalla formula (9) si ha ia AN a g+2a 1+a° ove 0) ae Pi anti gog e dalla (16) Onde la formula (19) assumerà la forma 1-- I p ui= SRT: LEA h n a — Ponendo Se e Rai H+ h Jr 2 avremo Ui—=GHED E la formula (14) darà (22) y=CHT ® cos gp. Una determinazione approssimata della deviazione y può dunque farsi nel modo seguente: Noi supponiamo di conoscere l'altezza h e la durata T della caduta, e inoltre il valore iniziale a della accelerazione del grave, Con questi dati, valendoci delle formule (16), (20) e (18), dobbiamo calcolare l’al- lezza H, e le costanti a,8,y. La formula (21) ci darà allora il coeffi- ciente c, e la (22) la deviazione orientale alla fine della caduta. a Si può verificare che, nel caso di un'accelerazione costante (H = è), si | ritrova la formula di Hagen. 5. Il prof. G. Gianfranceschi ha eseguite nel 19183, presso l'Istituto ‘Massimo di Roma, esperienze di grande precisione, per determinare la de- viazione nella caduta di un grave facente parte di una macchina di Atwood ('). _\ In queste esperienze si aveva = M=S0:99 e —8-(8,90, Volendo calcolare, col metodo qui esposto, il valore teorico della de- — Viazione orientale, mi occorreva conoscere ancora l’accelerazione iniziale a. Ho perciò tenuto conto del modo come era costituito l'apparecchio adoperato (1) G. Gianfranceschi, Za deviazione dei gravi in caduta, N. Cimento, ottobre 1913. — 400 — nelle esperienze. Il rapporto =" risulta, in questo caso, espresso dalla È formula 9 Prosa Ps Dt p+po+ a. ove p, rappresenta il peso del grave di cui si esamina la caduta, p. quello del contrappeso, p3 il peso di un filo di lunghezza ” avente, per unità di lunghezza, un peso uguale a quello del filo che collega i due corpi suddetti; ps è il peso di una puleggia ideale in cui la massa sia tutta distribuita sulla circonferenza su cui si avvolge il filo, e che abbia, rispetto all'asse | intorno a cui ruota, lo stesso momento d'inerzia della puleggia reale (nel J quale momento d'inerzia ho incluso anche quello del tratto di filo che si avvolge sulla puleggia). Il peso p,y è risultato uguale a 4/5 del peso reale — della puleggia. Ho così trovato a=0,2186 , a=1,071. Qui occorre notare che la determinazione teorica di 4 dovrebbe possi- | bilmente evitarsi. Per determinare le due costanti a, è della formula (15), d sarebbe preferibile misurare, oltre al tempo T che il grave impiega a com- piere l'intera caduta /, il tempo T, che esso impiega a percorrerne una parte %X,. Si avrebbero così due equazioni che darebbero, con maggiore esat- 3 tezza, i valori delle due costanti. Dalla formula (16) si ha H=3494: È perciò LEA == -1;229; dì onde le formule (18) daranno pi=:0,87987 eg 0,2902;: e la (21) ; co 01087 Si ha poi = 0,0000729. , p=41°.54 , coop=.0,7443. Quindi dalla formula (22) avremo y= mm. 1,839. — 401 — Te esperienze avevano dato y= mm. 1,865, con un errore probabile di 0,014. Ad un errore dello stesso ordine di gran- dezza può dar luogo il procedimento seguìto per la determinazione teorica di y. Nei limiti di approssimazione, in cui ci siamo trovati. sembra dunque che l'accordo fra il Touio ‘como e il risultato sperimentale possa rite- nersì conseguito. Meccanica. — La risoluzione meccanica esatta delle equa- zioni differenziali lineari generali di 2° ordine. Nota del Corri- ne ERNESTO PASCAL. In un tolmno (1) da me recentemente pubblicato, facendo vedere in quanti svariati modi si possano mutare i dispositivi degli apparecchi inte- gratori in maniera da ottenere la risoluzione delle più diverse equazioni differenziali, ho dato un contributo allo studio di quel campo che ho chia- mato della rappresentazione cinematica dei problemi analitici, campo che è ben degno di essere coltivato e mietuto, potendo esso in molti casì irrag- | giare sui problemi dell'analisi una luce nuova, nello stesso modo col quale agiscono sulle ricerche analitiche le concezioni e le rappresentazioni della geometria. I Continnando in quest'ordine di idee, mi propongo oggi di far vedere con quale procedimento cinematico può rappresentarsi l'operazione che cor- risponde all'integrazione di un’equazione differenziale lineare generale di _ 2° ordine a coefficienti varzabili, mentre che nel volume suddetto io mi era limitato alle equazioni differenziali lineari di 1° ordine a coefficienti generali e a quelle di ordine superiore, ma a coefficienti costanti. Si vede subito che la quistione si riduce a risolvere un sistema di due equazioni simultanee, di cui una finita, e l’altra differenziale di 1° ordine; e quindi si ha da immaginare degli apparecchi del genere degli integrafi cartesiani, ma in cui vi sieno più carrelli differenziali ed integrali, a movi- — menti indipendenti, come già si aveva in qualcuno degli apparecchi da me precedentemente ‘fatti conoscere. Non è inutile di ricordare infine la importanza che può trovare, special- © mente per le applicazioni in elettrotecnica, la risolazione dell'equazione diffe- \ renziale lineare generale di 2° ordine. (1) I miei integrafi per equazioni differenziali, Napoli, Pellerano, 1914. Questo volume riproduce nna Memoria inserita negli Atti della R. Accademia delle scienze fisiche e e matematiche di Napoli (ser. 22), vol. 15°, 1913. — 402 — 1. Sia data l'equazione generale differenziale lineare di 2° ordine (1) | =D ++ (2), dove Dx), g'(2), (x) sieno delle assegnate funzioni di x, rappresentabili mediante curve. Poniamo 2) \ y=F@)y+ y(2) I |s=/()5+y,, e proponiamoci di ricercare le due funzioni incognite Fe / in modo che, | eliminando y fra le (2), si abbia la (1). Dalle (2) si ha subito | (3) "=(f+Ds+(/"—fBe+ (2), e bisogna quindi soddisfare le due equazioni simultanee (4) So i f=Ff4g le quali devono determinare le f e F. PE 2. Nel $ 17 del succitato mio volume ho descritto un integrafo per la risoluzione dell’equazione ada lineare (5) fi=F(2):- A+ gi(2), quando naturalmente sieno assegnate le curve F, e i; e lo schema di tale = apparecchio è quello rappresentato dalla fig. 1. Facendo scorrere i due car- relli, indicati nella figura colle lettere F_e , sulle curve di ordinate —F, (curva simmetrica, rispetto all'asse 7, della curva di ordinate F,) e , (inte- grale di i), il carrello H descriverà la curva di ordinate 1 — 1, mentre la punta / deseriverà esattamente la curva di ordinate /,, soluzione di (5) La direzione della tangente a questa curva (direzione della rotella integra- trice) è quella indicata dalla freccia passante per H, che è parallela alla retta E/. La matita scrivente, invece di essere collegata col carrello inte- grale, è collegata col punto /. : Si tratta ora di applicare questo stesso apparecchio, con qualche aggiunta. î in maniera da risolvere le due equazioni simultanee (4), cioè di risolvere un'equazione come la (5) (la seconda delle (4)), ma in cui il coefficiente FP. 3 non sia dato, e sia invece legato ad / dalla relazione finita f/4+-F="®. A ciò fare, si può procedere in un modo molto’ semplice, come È segue: Ì — 403 — Osservando che, per la disposizione della figura (avendo cioè messo il carrello F al disotto piuttosto che al disopra dell’asse delle x, in maniera che la curva descritta da F non è quella assegnata, ma la sua simmetrica) la quantità /-+ F è rappresentata dalla distanza fra i due punti / e F, basterà far sì che questa distanza si conservi costantemente eguale all’or- dinata di una curva ® assegnata. Inseriamo perciò una mediana MN fra le due righe parallele AB,CD, in modo cioè che MN sia parallela ed equidistante dalle due righe estreme | (fis. 2): e indi sulla riga AB poniamo un carrello ® che descriva la curva assegnata ©, mentre due aste rettilinee scanalate, ®F e K/ si incontrino sul perno O di un carrello obbligato a scorrere sulla riga MN. I Sarà in tal modo, costantemente, K® = fF; e, facendo scorrere il car- rello @ sulla curva ® e il carrello g (fig. 1) sulla curva g (ottenuta — dalla g' con una preventiva integrazione), tutto l’apparecchio si muoverà in modo che le punte connesse ai carrelli Fe / descriveranno precisamente ‘queste curve incognite in maniera da soddisfare le (4); si potrà natural- mente collegare ai carrelli F_ e / due matite scriventi. — 404 — La simmetrica, rispetto all’asse delle x, della curva descritta dal carrello F, è precisamente la curva F, cioè quella le cui ordinate sono i valori della funzione F(x). Ottenuta F, e applicando lo stesso strumento della fig. 1, come nel S 17 del precitato mio libro, si può integrare la prima delle (2) e otte- nere y, e indi, riapplicando ancora lo stesso strumento, si può integrare la seconda delle (2) (di cui ora sono noti i coefficienti / e y); e si otterrà infine £, integrale della (1). 3. Prima di terminare aggiungiamo due osservazioni. La prima è che, eliminando F tra le (4), si ha l'equazione 6) l+/*=9/+g, equazione di Riccati che resta integrata dall'apparecchio che ho descritto. Nei $$ 4 e 12 del mio libro già citato ho descritto degli apparecchi per l'integrazione di due speciali tipi canonici dell'equazione di Riccati, — cioè i tipi i () r=@- ft € (8) | a'+L=a, — 405 — Un'equazione generale di Riccati, (9) f'=P/2+Q/+R, è sempre riducibile a ciascuno dei tipi (6), (7), (S); ma è naturale che al tipo (6) è riducibile assai più facilmente; basta infatti operare la trasfor- mazione della variabile indipendente x in x, = ii da . 4. La seconda osservazione è che, anche a prescindere dalla costruzione dell'apparecchio rappresentato dalle figure 1 e 2,i legami imposti alle varie righe che formano l'apparecchio possono dare la norma per una costruzione grafica approssimata dell’integrale dell'equazione di 2° ordine. Basterà dividere l’ascissa x, delle varie curve assegnate, in tanti piccoli intervalli eguali e seguire un procedimento discontinuo analogo a quello tenuto, per uno scopo simile, alla fine del $ 19 del mio libro più volte citato. Matematica. — SuZla definizione di coppie, terne, ecc. Nota di C. BuraLI-FORTI, presentata dal Corrisp. R. MaRcOLONGO. Ho già indicato (*) come ci si possa servire degli operatori per defi- | nire nominalmente degli enti dei quali finora si conosceva soltanto la defini- zione 0 per astrazione, o per classi. Applico ora tale procedimento alla definizione nominale delle coppie, terne, ... che, di uso continuo nella lo- «gica e nella matematica, si assumono attualmente (*) come enti primitivi, cioè come enti non definiti dei quali si assegnano convenienti proprietà atte a caratterizzarli (postulati o proposizioni primitive). Il concetto di opera- tore, fondamentale per il procedimento che intendo seguire, è già stato am- | piamente analizzato dal prof. S. Catania (?) ed ottenuto sotto due forme (1) G. Burali-Forti, Nuove applicazioni degli operatori. Atti Acc. Torino, vol. L, — adunanza del 7 marzo 1915. Anche le classi area, volume possono essere definite senza ricorrere alla classe di Russel (cfr. Osservazioni) come elemento ausiliario (e non come elemento essenziale!) il che, allora, non mi pareva facile. Essendo @ un poligono piano e @ un prisma, area a e vol a si possono definire quali operatori tra coppie (4, y), terne (2,y,2) di punti distinti e classi di punti tali che: (area a) (2,y)= «classe dei punti m tali che il triangolo di vertici 2,y,m, è equi- DN valente ad a»; . (vola) (2,y,2z)= «classe dei punti m tali che il prisma, di cui una base è il triangolo È XY e il piano dell’altra base passa per m, è equivalente ad @ ». (3) Cfr. Formulario matematico di G. Peano. (3) S. Catania, Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che da essa deri- vano (Questi Rendiconti, vol. :XXII, ser. 5*, 2° sem., pp. 546-551, 639-642, an. 1913); | Grandezze e numeri, Catania, cav. Niccolò Giannotta editore, 1915. Rexpiconti. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 53 x —- 406.— diverse. Una di queste implica il concetto di coppia, l’altra ne è indipen- dente. Affinchè non possa nascere il dubbio che il procedimento che ora seguo per definire le coppie, terne, ..., contenga un circolo vizioso, ri- porto, alquanto modificata, la definizione di operatore del tutto indipendente dal concetto di coppia. 1. Per l'eguaglianza, o identità, indicata dal simbolo =, intendiamo valga la definizione di Leibniz: « = y, solamente quando, qualsiasi proprietà di x è altresì proprietà di y; ovvero con i simboli idrografici di G. Peano, [1] eyes 84480. Ricordiamo, sebbene possa parere superfluo, che dalla [1] derivano le proprietà r//lessiva, simmetrica e transitiva, (a) dda CESYRO: ea ey NE ia del simbolo di relazione =, ma che da queste non deriva la [1] (come lo provano, ad es., le relazioni è parallela a, è simile a) e quindi che le (a) non possono esser chiamate proprietà caratteristiche della egua- glianza o identità. i Ricordiamo ancora che, una volta ammessa la [1] per stabilire il si- gnificato della relazione # =, non è più lecito (‘), per gli elementi di una classe speciale v, assumere ad arbitrio il significato di x = 7; si deve invece definire la classe v in modo che dalla [1] risulti lo speciale signi- ficato di <= y per x e y elementi di w (°). 2. In ciò che segue dobbiamo spesso considerare delle classi w, cia- scuna delle quali contiene effettivamente più di un elemento, cioè ne con- (4) C. Burali-Forti, Sur l'égalité et sur l'introduction des éléments dérivés dans la science. Enseignement mathematique, 1899, (5) La comune definizione per astrazione (cfr. l'ormulario matematico), dovuta in sostanza ad Euclide, presenta tre notevoli difetti logici: a) per la classe « che si intende introdurre, secorre definire il ‘significato della relazione 2 = y, per 2,y elementi di ; 6) la predetta condizione 2 =y, fissata ad libitum, von individua una sola classe u;:ne esistono infinite, per le quali 2 = y ha il significato stabilito ; c) anche ammessa la possibilità di poter scegliere, tra le infinite classi « [e;-si intende, senza l'intervento di nuovi elementi che definiscano nominalmente «; cfr. (*)], una speciale, gli elementi di questa restano individuati iu infiniti modi. 3 Nella mia Nota: Gli enti astratti definiti come enti relativi ad un campo di no- zioni (questi Rendiconti, vol. XXI, ser. 5*, 2° sem. 1912, pp. 677-682), ho tolti i difetti a), d), ma ho pure dimostrato che, anche con la nuova via, è impossibile di togliere il di- fetto c). È quindi conveniente di abbandonare del tutto le definizioni per astrazione, sotto qualsiasi forma, visto che è possibile — e senza ricorrere alle difettose definizioni per classi — di far uso delle definizioni mediante operatori. (Cfr. T. Boggio, Bollettino di bi bliografia e sturia delle scienze matematiche, fasc. IV, 1915). — 407 — tiene almeno due. Indicheremo con Cls' l'insieme di tali classi, cioè porremo [2] Cls' = Cls-cA 0 usjzeu In 'Hu=te}; cioè: « è una Cls' solo quando « « è una classe non nulla, ed essendo « un individuo di v, si ha, qualunque sia x, che esiste almeno un « diverso da x». Ci sarà pure utile di considerare l'insieme di tutti gli enti «, ciascuno dei quali gode della proprietà che « esiste almeno una classe non nulla « della quale 4 è un individuo (un elemento) ». Tale insieme lo indicheremo «con la notazione Elem, abbreviazione di elemento, [3] Elem=x=[HCls=/10us(xeu)]. Si intende che al simbolo Elem intendiamo dare so/tarto il significato espresso dal secondo membro della [3] e nessuno dei varî significati spe- ciali che la parola elemento può avere nel linguaggio comune o in altre trattazioni di logica ideografica (°). Ad es., il fatto che x è un Elem, non esclude che x sia una classe, o classe di classi; basta che una classe «, contenente #, sia classe di classe, o classe di classe di classi, perchè x sia classe, o classe di classi. 3. Quando, per x scelto ad arbitrio in un conveniente campo di nu- meri, si definiscono le notazioni, ad es. CI seniza si ammette implicitamente che il simbolo (semplice) ! scritto a destra di x, o-il simbolo (composto) sen scritto a sinistra di 2, senza che tra « e ! o sen si interponga alcun altro simbolo, produca un certo ente. Nulla impedisce che tale azione grafica si generalizzi. Noi conside- . riamo la classe, che indicheremo brevemente con S, formata da tutti i « simboli, semplici o composti, /, tali che la notazione UE MOVVOLO XL); ottenuta scrivendo / a destra o a sinistra di un converiente elemento x, (9) C. Burali-Forti, Les propriétés formales des operations algélriques (Revue de mathématiques publiée par G. Peano, tomo VI, pp. 141-177, 1896-1899). In questa Memoria il simbolo Elem è indicato da v‘Cls; per tale simbolo, e per conservare l'analogia con Wu, ove v è classe di classi (cfr. Formulario), occorse ammettere che Cls è una classe di classi, il che può essere o no ammissibile a seconda del valore logico del sim- bolo Cls. Evito ogni discussione introducendo il simbolo Elem il cui significato preciso è dato dal secondo membro della [3]. — 408 — e senza che tra x e / si interponga altro simbolo feccettuati parentesi o punti (”) come separatori], abbia un significato ». La classe S è vastissima. Comprende gli ordinarî simboli !, sen, cos, tg, ctg, log, ...; per a numero reale o. complesso contiene i simboli com- posti a +, a—, 4X, 4/ come pure i simboli + a, — « (ordinarî nu- meri relativi), X a, /@ (per a non nullo); per u vettore contiene i sim- boli composti 4-u, —u (traslazioni), u A (omografia assiale), uX; ecc. Gli elementi di S compariscono come enti collegati a forme di sertt- tura, cioè dipendenti da una azione grafica. Tale azione grafica, e con essa la classe S, può esser considerata come primitiva (8) rispetto alla logica | ideografica, ma ciò non toglie che la frase sopra.seritta entro virgolette fissi. i caratteri che deve avere un simbolo / per appartenere alla classe S e quindi individui la classe stessa S. Del resto. anche le forme di logica ideografica non sono indipendenti da forme di scrittura, o azioni grafiche, e sarà difficile, per non dire impossibile, di definire mediante simboli ideo- grafici la classe S; nè tale impossibilità può distruggere l’esistenza effet- tiva e pratica della classe S. i 4. Sia w una Cls' e © una Cls non nulla. Noi diremo che f è un — « operatore a sinistra tra gli u e iv», à Op (7,0), quando / è un elemento della classe S, tale che, se x è un v, si ha, qua- lunque sia x, che /x è un vj; CA] us0ls -veCis=ig-9-0Op(2,0)=Sofs]zew-0xfcev}. Diremo che / è un « operatore a sinistra per gli w », Opu, quando è operatore tra gli x ed una qualche classe ©; [5] ue Cls'-0- Opu= Op(u,v)| v‘Clsmca. Infine diremo che / è un « operatore a sinistra », Op*, quando è operatore per qualche classe (Cls'); [6] Op*=0pu]u*Cls”). (*) Si scriverà «(/),(2)f,(2)(f), @.7, e analogamente per fz, quando # 0 f siano simboli composti e tali che la notazione x possa produrre equivoci per i diversi modi — di scomposizione. In ogni caso le parentesi e il punto hanno soltanto l'ufficio di sepa ratori, e non altro. (8) E così ha fatto il Catania: cfr. (8). — 409 — Per gli operatori a destra varranno le notazioni (20) Opi z0p: 110 ma in generale parleremo di operatori a sinistra, intendendo che per quelli a destra siano ripetute le medesime cose. La classe Op* è una parte propria della classe S; sia perchè le classi v,v considerate non sono del tutto arbitrarie (*), sia perchè nella [4] è stabilito (il che nou è stato fatto per S) che, se / è un Op(w,0v) e a è un %, allora fx è uno, ed un solo, elemento della classe v che, natural- mente, dipende da 4 e da una legge che può ritenersi espressa, almeno formalmente, dal simbolo / che non varia col variare di x in w. In altri termini, la [4] stabilisce, sotto certe condizioni per u,v, che Op(w,v) è ciò che comunemente chlamasi corrispondenza univoca tra gli u e i v, il che non è detto per la classe generale S$. 5. Per chiarire meglio il significato di Op(4,v), e anche per avere una base per future discussioni, gioverà indicare le proprietà fondamentali degli operatori. [7] usCls' - feOpu-x,yeu-a=y-d-fa= fy: «un operatore per gli u, applicato ad elementi eguali di x, dà elementi pure eguali », il che conferma l’'univocità della corrispondenza tra gli w CALZA Infatti: essendo /x=/x (proprietà riflessiva dell’=), è certo che x è uno degli elementi 3 di « tali che f/x=/z; ma sex=y, allora per la [1] anche y è uno dei tali elementi 5 e quindi /< = fy (cfr. Formulario). | J6 u,veCls -09u-9- OpuDOpo: «un operatore per la classe u è anche operatore per una classe v conte- nuta in v, si intende purchè «,v siano delle Cls' », il che è evidente per Mia 4]. [9] MASO toi — e em fr 90 « due operatori (a sinistra) sono identici solamente quando, applicati ad uno | stesso elemento, qualunque esso sia, dànno lo stesso resultato » (!*), cioè: se /x appartiene ad una classe v, anche 94 vi appartiene, ed è lo stesso v (9) Ad es., Op(w,v) non corrisponde esattamente al vfu del Mormulario di Peano, - perchè in ofu le classi «,v sono qualunque. Però quando w è una Cls' e v una classe «non nulla, ogni Op(u,v) è pure un vfu. (0) Cfr i(e) pag. 144, II° 3. — 410 — indicato da /x; e se /x è privo di significato (ha la proprietà di non aver significato), anche 9 è privo di significato (1). Interessa dimostrare in modo completo la [9]. L'ipotesi /, g sono Op* è sempre sottintesa, ma si considera sempre presente. i ©) lan i —109k Essendo fx = fx, è certo che / è uno degli operatori # tali che fea= hg; ma essendo /=g, anche g (cfr. [1]) è uno degli operatori % ora considerati, cioò fa =g9x. Dunque: f=g-V:xs Elem-d,-fa=9%x. 5) Supponiamo; x Elem -d,-fax=9x. Ogni possibile proprietà di Y è della forma (cfr. le [4], [6]) fe Op(u,v), ove « è una Cls' e vw è una classe non nulla; ma, per l'ipotesi 2), la stessa proprietà (cfr. la [4]) appartiene anche a 9: vale a dire, per la definizione di=; si ha che f=g. Dunque: xe Elem -9,-fa=9%: D: VEZU Da a) e d) si deduce la [9] (!°). Crediamo inutile riportare altre proprietà degli operatori (**). Vogliamo solo ripetere per qual ragione nella [4] si è supposto che « sia una Cls' in luogo di una Cls qualunque. Se 7 è un Op(u,v) e x è un «, allora, nella notazione fx, che indica un v, x è certamente un S che, scritto a destra di /, produce il v considerato. Se, allora, nella [4], % fosse una classe qualunque, risulterebbe che x è un « operatore a destra tra gli eguali ad f e ai v», proprietà che, in generale, l'ente x di v nor ha; si cadrebbe cioè in un assurdo. Invece, con la limitazione posta per v nella [4], x non (11) Supposto che l’essere fx privo di significato possa urtare una qualche su- scettibilità logica, allora basta dare alla [9] la forma seguente: [97] f;g80p*.0-.f=9g.=:reElem.fe,gee Elem-9x .fao=9%. Il prof. S. Catania mi comunica che in un suo lavoro di prossima pubblicazione dà alla condizione di eguaglianza la forma seguente: fg. Opipean f=ga= ge lst. Du nf 00 punire putti us Cls'.f,9EO0pu.cEu.Qurae-fL=9%- Questa più ampia forma delle [9], [9] è più chiara, o almeno più comprensibile, perchè indica esplicitamente dei particolari che nelle [9]. [9] sono conseguenze della ipotesi generale « 7, g sono operatori a sinistra ». (12) La stessa dimostrazione si applica alla [9°] e alla forma del N Catania in- dicata nella nota precedente. (1°) Per l'uso pratico degli operatori cfr. C. Burali-Forti e R. arno Ana- lyse véctorielle générale, vol. I e II, Mattei, Pavia. — 4ll — può essere « operatore a destra tra gli eguali ad f e ai v», perchè gli «eguali ad /» formano una classe contenente un solo elemento, lf, e in tal caso l Op non è stato definito. Questa opportuna limitazione della classe « in Opx è dovuta al prof. S. Catania (cfr. (*), Grardesze e nu- meri). 6. Visto come gli operatori si possano definire indipendentemente dalle coppie, occupiamoci della definizione di queste, il che forma l'oggetto prin- cipale di questa Nota. Se a,b sono elementi qualunque per la « coppia della quale & è il primo e d il secondo elemento », adotteremo la notazione, senza parentesi, del Formulario, A05 ma nulla impedisce che si adotti la notazione usuale (a, d). [10] a,beElem-0-a;b= =1[0p*nfsfjfa=uta-fb=wWb:xeEleme(ea vid) Ia fe =iavidi]: « essendo a, elementi qualunque, definiamo la coppia a; come quell’ope- ratore a sinistra che, applicato ad a, dà la classe degli eguali ad a, appli- cato a d dà la classe degli eguali a 2, ed applicato ad un elemento di- verso da a e da d dà la classe che ha per elementi a e d soltanto ». Dati gli elementi a, 6, la coppia a;d è un operatore univocamente de- terminato per la classe Elem [11] a,bs Elem:d-a;b e Op Elem, poichè la [10] individua la classe (a;2)x per x scelto ad arbitrio nella classe. Elem. L’ordinaria condizione di eguaglianza di due coppie, [12] alba Elemed.ai=ai aa bd, risulta dalle [1] [10] come ora dimostriamo. In virtù delle [9] [10], la condizione a;b6 = a';d' equivale alla condizione (1) — (a;0)e=(a';0')x, qualunque sia l'elemento x. a) Supponiamo a=da' e b=b8'. La (1) è verificata per x=a=a', per x=d=%' e per x diverso da a e da d, e quindi anche da a’ e da 2'; cioè è verificata per 7 elemento arbitrario. Dunque: a—a-9=b ab dt. 5) Supponiamo a;b= d';d'. — 412 — Per x diverso da 4,2,0',d' la (1) e la [10] dànno ra vib=ta' vid che è verificata solamente quando a=a eb=b' ovvero a=l'eb=a'; vale a dire (2) da \a;b—=d';b' seguevai=a' e.b:= bi oppure (3) da. tab =al vb seoue, ae ba". Ma la (1) deve esser verificata anche per x identico ad uno qualunque È degli elementi @,0,@°,d". Se vale la (2), allora vale pure la (1). Se vale la (3), allora da a) risulta a;9 = d;a che, per ax=a=bd' ovvero per ax=d=a', dà a=d. Dunque, se a==d, la (3) non è possibile; — e se a=b, la (8) coincide con la (2). È Dunque: ab. = 9; d= dg ad Da a) e 4) si deduce la [12]. 7. Per le terne, e per le successioni di quattro, cinque, ... elementi, si ripetono le cose precedenti. Ad es., per le terne si ba: : [18] @,5,0 Elem :D: a;b:c=1(0p*0fsjfa=1a:fb=1b-fe= = ic:xsElem= (1a vibute)-dz fa=iavibvicl] “9 [14] 4,0, Elem -9- a;b;c e Op Elem [15] a,0,e,a',b',c' e Elem-9.. asbjc=da' ;b;c:=: è ama -b=b-c = Nel Di la terna a;b;c è definita identificandola alla coppia della quale @;d è il primo e ce il secondo elemento, A (1) VATI RIA Ma non vi è ragione speciale per fare la posizione (1) piuttosto che la (2) a;bje=a;(b;0); e poichè le due posizioni (1), (2) sono contradittorie, — giacchè non può | Î essere a;b =a e c=bd;c, — pare preferibile di dare della terna la defi- nizione diretta [18]. È indiscutibile che le (1), (2) zon sono conseguenze. delle [18]. [10]. 3 Una volta definite le coppie, terne, .:., si possono definire nel modo usuale (cfr. Zormulario) le classi di coppie e terne formate con gli ele- menti di date classi: ad es., [16] usde Clsmty1-d:utp=(r;y)s}zeu-yevt, eco.; calfigi si possono considerare gli operatori binarî, ternarî, ... già contenuti nella [4] per « classe di coppie, di terne, ...; si ottengono i simboli di operazione dagli operatori binari [efr. (8), ('*)]; ecc. Giova notare esplicitamente che, una volta ottenuta la condizione di eguaglianza per le coppie, terne, ..., la definizione di queste come operatori più non ha, in generale, bisogno di essere adoperata [cfr. (')] esplicitamente nelle varie questioni nelle quali compariscono coppie, terne, ... E ciò [cfr. (1) ultimo capoverso della prefazione] non costituisce un difetto della defini- zione ora data. Matematica. — Risoluzione dei problemi di Dirichlet e di Neumann in campi prossimi a quelli classici. Nota I di U. CISOTTI, presentata dal Socio T. LeEvI-CIVITA. Sia o una superticie chiusa, che individua una regione S dello spazio; Q un suo punto generico; (1) CAL la sua equazione; n il vettore unitario normale a o in Q e diretto verso $. Sia o' un’altra superficie, che poco differisce da o, luogo del punti .(2) Q=Q+en, dove e=e(0) è una funzione regolare, comunque assegnata, dei punti Q di o. La relazione (2) stabilisce una corrispondenza fra i punti di o e quelli di o'. L'ipotesi che la superficie o” poco differisce dalla originaria super- ficie 0, viene analiticamente tradotta dalla circostanza che il limite supe- riore di || sia così piccolo di fronte alle dimensioni lineari di o, da po- tersi trattare, rispetto a queste, come quantità di primo ordine. Ciò posto, sì sappiano risolvere, nel campo S, i problemi di Dirichlet e di Neumann: si sappia, cioè, determinare una funzione U(P) armonica e regolare nei punti P di S (e, se S è lo spazio esterno a o, soddisfacente alle solite condizioni all'infinito) e tale che sul contorno o assumano valori prefissati o la funzione stessa (problema di Dirichlet) oppure la sua derivata normale (problema di Neumann). Le corrispondenti formole risolutive sono (ciò è ben noto) le seguenti: 1 dG (P,Q) eta. a) . () i i ua, aj 1 ( @U(Q) | (4) i U(P) Ian U, "n 47r. ca dns (E 39) doa ’ RenpICONTI, 1916, Vol. > GAS Sem. 54 x — dl4i — dove G e I° designano la funzione di Green e la funzione di Neumann (2); ÙU, è una costante, a priori arbitraria, che ha il significato di valor medio dei valori che la funzione U assume sulla superficie @ , 1 U=1 ( U(Qd; infine 2, designa manifestamente la direzione di n in Q. Scopo della presente Nota è di mostrare come gli stessi problemi sì possono risolvere nello spazio S', determinato dalla superficie 0’, mediante le formole (3) e (4) che si riferiscono allo spazio S (2). 1. Equazione DI 0°. — La eliminazione di Q, fra la (1) e la (2), dà luogo alla equazione della superficie o". Questa operazione si rende agevole | se si nota che, a meno di quantità di ordine superiore al primo, è «(Q)=s(0Q); si ha infatti allora CO — «(Q)n]=0. Ma, con la cennata approssimazione, si ha (*) rta ea LR a (') Se P e P, è una coppia di punti generici di S, e G*(P,P.) , 1*(P,P:) sono due funzioni simmetriche rispetto a P_e Pi, armoniche e regolari in S rispetto a ciascuno dei punti P e P, e soddisfacenti su o rispettivamente alle condizioni seguenti: 1 dI*(QUb)e dna 1 * TAR RIS ara Dr ANI E SASSO IRE PAIA A LEO G (E) ide) i dna — 0° dnq mod (Q — P;) (nonchè alle solite condizioni allo, se S è lo spazio esterno a 0), le funzioni G e T° sono rispettivamente definite dalle seguenti relazioni: GP) nt G*(BIMPo) 3, ne) = canale (PUBÒ) (3) Cfr. gli interessanti studî di Hadamard e del suo allievo Paul Lévy sulle varia- zioni delle funzioni (1% e 2°) di Green per una deformaziono infinitesima del campo. [Mi limito a citare il più recente: Lévy, Sur la fonction de Green ordinaire et la fonction de Green d'ordre deux relatives au cilindre de révolution. Rend. del Circe. mat. di Palermo, tomo XXXIV (1912), pp. 187-219], — Il Viterbi ha stabilite per il problema di Dirichlet una funzione maggiorante che permette di valutare il grado di approssima» zione che si ha assumendo per lo spazio S' la: soluzione del problema relativo allo spazio $ [Su la risoluzione approssimata del problema di Dirichlet. Rend. del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, vol. XLVII (1914), pp. 763-796]. i (*) Cfr. C. Burali-Forti e R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale. - LI. Appli- cations à la mécanique et à la physique. Pavie, Mattei, 1913, pag. 17. — 415 — ovvero, essendo CENE cod 1° e(Q)n=enX grad rs: si ha rr —en]=/— ed. Pertanto l'equazione di o” può scriversi (5) ped _ 2. RELAZIONE TRA I VETTORI UNITARII NORMALI A 0 E A 0°. — Sarà opportuno caratterizzare anche il vettore unitario n’ normale in Q' a o' e diretto verso S'. Si noti, a tal uopo, che mentre n, vettore unitario normale a 0, è de- finito, a meno di una conveniente scelta del segno, dalla relazione vettoriale sn gradi È so irad] sarà in modo analogo, per la (5), grad (/ — 8 DL) grad ((2)] Ma, con la voluta approssimazione, è grad (/-+%)|— Posto : grad (e d) (8) SERA (7) I n= (grad f) X grad (e iL) ) (grad f)? vo grad /|}1- sì ha, sostituendo nella (7), qualora si tenga presente la (6), (9) n=n—-v+(nXv)n. Questa formola definisce il vettore unitario n’ normale a o’ nel punto Q' corrispondente al punto Q di o ove l'analogo vettore è n. 3. IL PROBLEMA DI DIiRICHLET NEL campo S'. — Si tratta di deter- minare una funzione NESNA025) — 416 — dei punti P' di S' regolare ed armonica e che sulla superficie o' assume valori prefissati V(Q). Cominciamo col determinare in $S una funzione armonica e regolare V(P) che, in un generico punto Q del contorno o di S, assume il valore che la V deve avere nel corrispondente punto Q'’ di 0”; sia cioè (10) v.(0) =V(0). Poichè si ammette di saper risolvere il problema di Dirichlet nel campo S, si avrà, applicando alla V, la formola (3), (11) ne Ti AO ELL Sona Determinata in tal modo la funzione V,, sì costruisca una seconda funzione regolare e armonica in S, V(P), e che sopra o assuma i valori dVa dna (12) V.(Q)= (0) Applicando, ancora una volta, la formola (3) alla funzione V,, si avrà i ] dVy P, (19) v@=t fe dee Ba. dno Consideriamo ora la funzione (14) v(P)=V.(P)—V.(P). Per quanto si è visto, essa è armonica e regolare in S, e, nei punti Q del contorno 0, assume i valori RCA (15) V(Q) =Va—- dns Ammettiamo che la funzione V(P), definita in S. sia estendibile anche nei punti P' di S'; ciò ad es. accade di certo se S' appartiene tutto ad S. Si tratta di vedere, in tale IpoLesh, quali valori va ad assumere la funzione x - nei punti Q' della superficie o' che limita S'. Per la (2), con la consueta approssimazione, sì ha (16) VQ)=VQ+em=V(Q)+% i Sostituiamo in questa, al posto di vo), la sua espressione (15), e no- tiamo come dalla (14), tenute presenti la (12) e la (13), risulta che V è differenza di una parte finita —V,— e di una parte di primo ordine — 417 — —V,—; ne segue che, a meno di quantità di ordine superiore al primo, NSBIRAE S Ten Ta Dopo ciò, la precedente diviene dVo dVo dn, té dns Vo, V(Q)= Ve che è la (10). Dunque la funzione V, definita dalla (14) e considerata in S', risolve il problema di Dirichlet in questo campo. Fisica. — Sulla durata teorica del raggio verde. Nota di G. GuoLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. In una Nota antecedente (Rendic. dell'Accad. dei Lincei, 1° sem. 1916) ho indicato come possano influire sulla durata del raggio verde, e possano spiegare le irregolarità della medesima, le seguenti cause accidentali: 1°) i movimenti e le variazioni di spessore dell’orlo verde-azzurro, prodotto dalla dispersione atmosferica nella parte superiore dell'immagine solare; 2°) se il sole sorge o tramonta dietro la linea dell'orizzonte marino, le pos- sibili piccole variazioni di livello di questa linea, per effetto di onde più o meno estese, spostantisi più o meno rapidamente; 3°) se il sole tramonta dietro una linea di monti, l'inclinazione di questa linea nel punto ove si produce il raggio verde, 4°) le irregolarità della rifrazione atmosferica. Nella presenta Nota considero l'influenza regolare che la latitudine del luogo d'osservazione e la declinazione solare hanno su tale durata. Siccome questa è uguale al tempo che il sole impiega ad innalzarsi o abbassarsi (a se- conda che esso sorge o tramonta) dello spessore dell’orlo verde oltre la linea dell'orizzonte, è chiaro che le due suddette circostanze inflniranno su di esso, come influiscono sulla durata dei crepuscoli, e potranno, in taluni casì, farlo crescere in modo notevole. Siano g la latitudine; #',d",0' l'altezza sull'orizzonte. la declinazione e l’angolo orario, contato dal piano meridiano, del punto più in alto dell’orlo verde dell'immagine del sole, quando esso punto è a contatto colla linea, supposta orizzontale, che limita o copre l’orizzonte (quando dunque, se il sole sorge, incomincia il raggio verde, o quando finisce se il sole tramonta); e siano 4", d', 0" gli stessi dati per lo stesso punto allorchè la sommità della parte bianca abbagliante del disco solare è a contatto colla linea suddetta, e quindi, se il sole sorge, si può considerare come finito il raggio — 418 — verde, mentre questo incomincerebbe se il sole tramontasse. Lo spessore dell’orlo verde (trascurando il piccolissimo spostamento del punto considerato sul contorno del sole) sarà %" — #'; e siccome si ha sen /' — sen g sen d' sen 4" -— sen g sen d” 1); {cos o: Ge (D) cos g cos d' ne cos g cos d” ; la durata del raggio verde sarà 0"— g' ‘= ; 15 essendo /" e ' i valori, espressi in tempo, degli angoli orarî 0",0'. Questa durata, espressa dunque nel caso generale dalla differenza di due archi coseni, si può mettere, nel caso attuale, sotto una forma più somplice, poichè alle quantità piccolissime 0"— 6' e #"— #' si possono sostituire i differenziali di 09 e di 7, e si può considerare d come costante nel bre- vissimo intervallo da #" a 4”. Si ha quindi, differenziando una delle (1) e sopprimendo gli apici, È: coshdh _ _ “— cosgceosò send — (2) Sa così dh LE V1 — sen*g — sen?d — sen*% + 2 sen g send sen? i e la durata del raggio verde (salvo casi speciali) potrà esser espressa da dt = d6/15. L'altezza 4 della linea di monti che suppongo copra l’orrizzonte è sempre molto piccola, spesso anzi nulla, quindi si potrà sempre trascurare sen? 4 che trovasi aggiunto a sen” nel denominatore, inoltre se & è nullo o così piccolo che possa essere trascurato rispetto a 1— sen°g — sen?d, si avrà, per la durata del raggio verde, (3) di e ? 15 V/1 — sen? g — sen*d Ammettendo che lo spessore dell'orlo verde sia di 15”, come risulta da misure dirette, si ha dunque che all'equatore (cioè per g = 0) e negli equi- nozî (cioè per dò =0) la durata del raggio verde sara di=15"/15=1 secondo, mentre nei solstizî (cioè per d = 23° 27’) sarà di = 1,1 secondo. Invece per una latitudine di 60° (p. es. a Pietroburgo) sarà, nei solstizî, dt = 15/15 Y/0,09 = 3,3 secondi. La durata del raggio verde risulta grandissima o infinita quando il denominatore dell'espressione (2) sia piccolissimo o nullo; ma in questi casi non sarebbe valida la formula differenziale. Integrando la (2) fra i limiti — 419 — 0' e 0", h'ed h", si otterrebbe nuovamente la differenza dei due archi coseni da cui essa venne dedotta differenziando; ma se si trascura sen? /, integrando, si ha un’espressione che in taluni casi diviene semplicissima, cioè 2 i (4) 0"_— 0'= Sg eni guai [y 1— sen® g — sen? d' + 2 sen go sen d sen 4” — ) 5 — V1— sen? g — sen? d + 2 sen gp send sen/' ] i Qualora fosse 1— sen® @ — sen? d = 0, ossia d = 77/2 — g (ciò che è possibile entro i circoli polari), la (4) si ridurrebbe a __2(ya"—yh) D sen 2g 2V/h" V/sen 2g o" pae 0' e, per N'=0, 0"—0= t) essendo, neli'ultima formula, 4” lo spessore dell’orlo verde. Lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto dalle (1) osservando che, per R=0, la (2) dà d0/dh=00: ossia il sole si muove orizzontalmente, e quindi trovasi sul meridiano; e @ sarà per tutta la durata del raggio verde nullo o piccolissimo. Sarà dunque con molta approssimazione 7 " MENTA SE “I g=2]/ L gi ]/ 2 MEV) ; sen 2 sen 2g I/sen 2g [Invece la formula differenziale (2), prendendo per % il valore medio fra 0 e dh darebbe d0 = V/2 dh/V sen 2g, essendo dh lo spessore dell’orlo verde]. Così per pg = 70° (p. es. presso Hammerfest), qualora durante un raggio verde fosse d = 20°, sarebbe _ 21/15/200000 “sen 40° gii gi = 4300" e la durata del raggio verde sarebbe di circa 286 secondi; ed allo Spitzberg, per gp= 79° e d= 11, essa durata sarebbe di circa 400 secondi. Queste durate si raddoppierebbero qualora (caso eccezionale) non comparisse sopra l'orizzonte che l'orlo verde, dimodochè i due raggi verdi prodotti dal sorgere e dal tramontare del sole si susseguissero senza interruzione. Esse però ver- rebbero un po’ modificate per effetto della variazione della declinazione. Finalmente, ai poli il sole sorge o tramonta non per effetto della rota- zione terrestre ma per il crescere o decrescere della declinazione, e la durata del raggio verde sarà il tempo necessario perchè la declinazione del punto considerato varii di 15”, e sarà circa di un quarto d’ora. — 420 — Una ancor maggiore durata del raggio verde potrà (teoricamente) aversi a circa 11 Km. (6') dai poli, di sera verso l'equinozio di primavera, al mattino verso l'equinozio di autunno, quando cioè il piccolo abbassamento o innalzamento del sole, dovuti alla rotazione terrestre, siano compensati rispettivamente dall’innalzamento o abbassamento dovuti al crescere o de- crescere della declinazione solare. Per effetto della rotazione terrestre e della variazione della declinazione del centro del sole, questo descrive nel cielo, da solstizio a solstizio, un’elica ‘o spirale sferica, avente per asse l’asse terrestre, con spire molto vicine, le quali agli equinozî, quando son più distanti, lo sono di circa 24, cioè meno del diametro apparente del sole. Ai poli, verso gli equinozî, il sole si innalzerà, con moto uniforme, di circa 1’ per ora; ma a 6' dal polo, essendo l’asse terrestre e dell'elica suddetta inclinato di 6’ sulla verticale, una delle due mezze spire successive descritte dal sole fra ì passaggi opposti al me- ridiano, sarà in media (perchè la curva non è piana) orizzontale, e l'altra sarà doppiamente inclinata. Essendo la distanza polare di 6', e la declinazione del più alto punto del sole apparente — 6' (e quindi quella del centro del sole vero circa —1°), le altezze di tal punto, dal passaggio superiore meridiano a quello infe- riore, sono oh 3h 4h ELIM DI SLC AT gh gh 10h Jas SS12h qh | 9h 0 | 48” | 72” | 747,5] 60” | 33” | 0 {— 33"|— 60”|— 747,5] — 72”| — 48”| 0 Per una altezza di = 66" della linea che copre l'orizzonte vero, si potrebbe osservare un raggio verde della durata di oltre un’ora, da prima delle 2 a dopo le 3, oppure da prima delle 9 a dopo le 10. La durata del raggio verde, come quella dei crepuscoli, passa per un minimo quando la declinazione del sole varia, da un solstizio all’altro. Seb- bene questo minimo non offra interesse pratico, nè per la variazione di durata che esso produce e che è minima, nè per l'epoca nel quale avviene (la quale, come si ricava dalla formnla pei crepuscoli, non differisce apprez- zabilmente da quella degli equinozî), credo tuttavia utile riferire il calcolo tenendo conto dell'altezza superiore del sole che, nel caso dei crepuscoli, di solito si suppone nulla. La durata del raggio verde (o del crepuscolo), essendò i pes L= ((CHAS 6')/15, quale risulta dalle formule (1), essa sarà minima (o massima) quando sia d(0" — 4')/dd = 0, ossia d6/dd = db'/dd. Ora dalle (1), differenziando ri- — 421 — spetto a d, che si suppone costante nel brevissimo intervallo di tempo da lat’, si ha: DATE sen g — sen 7” send dè —cosdf/1—sen*p— send — sen? 2° 2 sen g send sent” do' seng — sen #2’ send dò —cosò y/1— senz g— sen? d — sen? h'+ 2sen g send sen #° i Uguagliando queste due espressioni, ed innalzando al quadrato, si avrà la condizione di minimo, dalla quale si potrà ricavare il corrispondente valore di d. Il calcolo diviene più breve e più chiaro se tale condizione si pone sotto forma di determinante, cioè sen*p — 2 sen g send senh'+ sen?’ sen? d, cos? d — sen®* g — sen?#'+- 2sen g send sen N' sen?p — 2 sen g send sen kh + sen® 4" sen? d', cos? d — sen? g — sen? #7" + 2 sen g send sen 7” che si può risolvere in una somma di determinanti più semplici: cioè (met- tendo in evidenza i fattori comuni) sen h' 1 sen? , cos°d — sen È sen hl | prerne sen? »' 1 sen°@ , cos? d — sen°@ IO, 3 2 sen? sen dì an] sh e se do 2 3|Senh' senh' | 2 sen 9 sen d(cos° d — sen*g) RI 4 sen? sen° dì senti cani ii ; "|sen W' A ; di alsenhe] 2 sen gpsend sen l' sen “Qugii + sen? d(cos° d — sen? p) sen? 4°] ,|senh' 1 sen? »' sen? h' -+ 2 sen g sen? d sen sen) (— sent — send” 1 sen* 4" sen? 4” dei quali il primo il quinto ed ultimo sono identicamente nulli, ed il se- condo ed in parte il quarto si annullano perchè uguali e di segno contrario. - | Rimane così, dopo aver diviso per sez h' sen h” cos? d [(sen ' 4- sen #°) (sen? d + sen?g) — 2 sen gp sen d(sen?'sen + 1)]}=0, che si scompone in cos°d = 0; ed inoltre, ordinando, in (sen #'+ sen #) sen? d — 2 sen g(sen ?' sen kh” +1) sen d + + (senl'+4 sen?) sen?pgp=0, RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 55 x — 422 — da cui si ricava, come condizione del minimo cercato, ; 1-++ sen #' sen #4" © /(1+- sen #' sen 4)? — (sen #'-|- sen 4")? sen #' 4- sen lr" 14 sen &' sen h" + cos h' cos kh" sen +4 sen hi” send = sen Yy e si hanno le due soluzioni 14 cos(h — 4) cos: (47 — h)/2 d "ie == (5) \ ae sen + sen a” 009 sen. sen (44 k1)/2 pa 1— cos(h"+4 7) sen (4"-+ 2)/2 ese S 3 | ARTI sen #' + sen N” Sert. 7. cosi cos: (4° — h')/2 ED Il primo di questi valori, almeno nel caso che sì considera, non è possibile, poichè, essendo 4' ed %" piccoli, potrebbe aversi send > 1. Il secondo è quello valido che, per 4"= 0, ed #'= — % diviene (6) send, = — seng tang 4/2, la solita formula da cui si ottiene il valore di d che corrisponde alla minima durata del crepuscolo, astronomico se h.= 18°, civile se h= 69,5. Siccome le formule (1) sono simmetriche rispetto a d e 4 che possono essere scambiate (per quanto ciò è possibile, visto che d non può superare 23° 27'), il calcolo precedente rimane valido se si scambia g con d, e la formula (6) diviene seng = — send tang 4/2 che darebbe la latitudine alla quale, per una data declinazione del centro del sole, la durata del crepuscolo è minima: ciò che risulta anche perchè, calcolando la durata d'un crepuscolo colle formule (1), il chiamare d ciò che era g e viceversa non cambia in niente il valore finale, purchè nè % nè d oltrepassino 28° 27”. Il calcolo precedente non può valere per luoghi molto vicini al polo dove, come ho accennato. la variazione di % prodotta dalla rotazione ter- ‘ restre è così piccola che, in proporzione, diviene sensibile o anche prepon- derante la variazione dello stesso % causata da quella della declinazione solare. In questi casi, nei valori di d0'/d0 e d0"/dd (che devono essere uguali nel caso di un massimo o un minimo di 6" — 0°), bisognerebbe porre rispettivamente i valori d' e d' della declinazione, corrispondenti in tempi 2’ e #", tenendo conto della relazione fra # e d. Lo sviluppo del de- terminante suddetto non è suscettibile di semplificazioni. e non ho potuto ricavarne alcuna relazione semplice che determini le condizioni nelle quali la durata è massima. SUINI SL — 423 — Alle cause suddette, che fanno variare regolarmente la durata del raggio verde, sarebbero da aggiungere l'altezza del luogo di osservazione e quella della linea di monti che copra l'orizzonte. Questa, specialmente, agisce non solo perchè rende maggiore l'altezza alla quale si osserva il raggio verde e quindi rende minori gli effetti della rifrazione e della dispersione, ma agisce anche quando l'altezza angolare di essa linea sia resa minima dalla sua grande distanza. Difatti. per effetto della rifrazione residua, questa linea presenterà un sottilissimo orlo rosso che sovrapponendosi a quello verde del- l'immagine solare ne diminuirà lo spessore. Per tale causa, suppongo, la durata del raggio verde (nelle poche mie osservazioni) quando il sole tra- montava dietro le Alpi fu brevissima. Zoologia. — Osservazioni morfologiche sulla Recurvaria nanella Hb.('). Nota II di Armanpo MiononE, presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. Completiamo la descrizione, data in una precedente Nota (!), della Recurvaria nanella Hb., nello stadio di adulto. Zampe. Le zampe del 1° paio sono le più corte: un verzo meno lunghe di quelle del 2° paio, e la metà di quelle del 3° paio; le zampe del 2° paio circa un quarto meno lunghe di quelle del 3° paio, che sono le più sviluppate e le più robuste. Sono interamente rivestite di squame, alcune bianche e alcune nere, di- sposte nel modo già descritto per le antenne e per i palpi labiali. Così che anche le zampe appaiono formate di tanti anelli bianchi e neri, alternati e immessi l'uno nell’altro. Le squame sono molto più sviluppate nelle zampe del 3° paio e, in queste, specialmente nella tibia. L'anca, in tutte e tre le paia di zampe, è notevolmente più corta del femore, di forma globosa, più sviluppata, sembra, nel 2° paio. Trocantere molto piccolo. Femore lungo quasi il doppio della tibia nel 1° paio, quanto la tibia nel 2°, metà della tibia nel 3°. Tibia nel 1° paio molto corta, tozza, portante al terzo distale, ventral- mente. uno sperone il quale forma un grazioso apparecchio di pulizia. Quest'ultimo ha la forma di una doccia, la quale si chiude e termina a punta all'estremità, sensibilmente incurvata, con la convessità opposta alla (') Mignone A., Osservazioni morfologiche sulla Recurvaria nanella Hb. Rendic. Accad. Lincei, (5), XXV, 1916, 1° sem., pp. 343-349. - 424 — faccia interna della tibia così che la punta della doccia tocca quasi il primo articolo prossimale del tarso, alquanto dopo la sua articolazione con la tibia stessa. La superficie esterna di questa appendice è coperta di peli molto corti; quella interna porta invece peli più lunghi e più delicati. I margini della doccia sono coperti da altri peli più rigidi, più robusti e ancora più lunghi, disposti su una sola linea e formanti un fitto pettine. Un ricco fascio di peli molto lunghi, con attacco verso la metà della tibia — i quali decor- rono prima diritti e paralleli e poi si curvano e si aprono a ventaglio, oppo- nendo la convessità della loro curva a quella della doccia — va a cadere, coprendola interamente, sulla doccia stessa. Così che l'apparecchio di pulizia assume, nel complesso, la forma ovale e l'aspetto di una brattea. Due robuste setole, inserite al disotto e vicinissime al punto d'attacco della doccia, una da una parte e l'altra dall’altra, ne seguono, divergendo leggermente, la cur- vatura, quasi per tutta la lunghezza e servono di protezione all'apparecchio. Questo esiste tanto nel maschio quanto nella femmina. Nel 2° paio la tibia è molto più lunga che non nel 1°; più stretta all'ar- ticolazione con il femore, si ingrossa verso l'estremità. È fornita di due sproni verso l'orlo distale, uno notevolmente più lungo dell'altro, situati entrambi ventralmente, divergenti, muniti di poche spine (4 o 5). Le tibie nel 3° paio sono molto lunghe, cilindriche. Portano anch'esse due sproni presso l'orlo distale, inseriti ventralmente, uno più lungo dell'altro, e due altri sproni, impiantati alla metà della lunghezza del segmento, uno lungo quasi il doppio dell'altro, entrambi più lunghi dei precedenti, e, come questi, muniti di spine rade (4 o 5). Tarsi uniformi, di 5 articoli ben distinti e ben sviluppati; il 1° articolo è, proporzionalmente, più lungo degli altri in tutte e tre le paia di zampe. Il 1°, 2°, 3° e 4° articolo sono muniti ciascuno di quattro sproni, disposti regolarmente, molto più corti di quelli della tibia: due di essi, i più robusti, situati all'estremità distale di ogni segmento tarsale, uno da ciascun lato dell'articolazione e in posizione ventrale; il terzo, inserito un po’ più sotto e sul margine interno di ciascun articolo, costituisce, con i due precedenti, un triangolo isoscele con uno dei vertici, quello occupato dal terzo sprone, rivolto in giù. Il quarto sprone è pure impiantato sul margine interno di ciascun. articolo. ma a notevole distanza dal terzo — così che appare come isolato — ed è un po meno lungo degli altri. Il 5° segmento tarsale (l'ultimo) non ha sproni, ma soltanto dei peli, alcuni dei quali disposti a corona sul margine estremo dove si attacca con il pretarso. Dei peli si trovano pure sugli ‘altri articoli del tarso. Le unghie (due) hanno forma di falce, sono molto acute, non * retrattili nè estroflessibili. Al disotto di esse si trova un pulvillo membranoso a forma di coppa molto larga e, sotto al pulvillo, più ventralmente, due appendici pelose ter- . — 425 — minanti a punta, piegate ad arco con le convessità opposte. Le due punte di queste appendici pelose arrivano sino all'orlo della coppa dell'organo adesivo. Addome, tanto dal lato dorsale quanto dal lato ventrale, rivestito di squame; di colorito grigio argenteo come il torace, ma scuro più di que- st'ultimo (quasi bruno) perchè le macchie di nericcio sul fondo bianco sono in maggior numero e più diffuse. Secondo il Busck ('), all'estremità dell'addome dovrebbe trovarsi un ciuffo grigio argenteo (anal tuft silvery gray). Noi finora non l'abbiamo osservato, — nè nel maschio nè nella femmina. Nella femmina l'addome ha forma allungata, obconica e termina con due piccoli lobi interamente ricoperti da peli, dei quali i più lunghi sono disposti sui margini esterni. Tra i due lobi sboccano l'apertura vaginale (ostium di deposizione) e l'apertura anale. Gli ultimi due segmenti addominali (probabilmente il 9° e il 10°) sono estroflessibili; nello stato di riposo essi sono introflessi. L'ultimo dei seg- menti dell'addome non estroflessibili (che, quasi certamente, è 1’ 8°), porta sul margine posteriore, tutto in giro e molto vicino l’una all'altra, nume- rose setole abbastanza lunghe e dritte. L’armatura dell'apparato genitale femminile (fig. 4, pag. 426) è costituita da due paia di liste chitinose (apofisi o apodemi) che servono di guida al movimento per la deposizione delle uova. Le apofisi anteriori, più grosse e vicinissime alle pareti interne del- l'addome, si allacciano con l'armatura chitinosa dell'ostium dursae (ostium . di copulazione) il cui contorno, fortemente chitinizzato, appare nettissimo | perchè molto scuro. L'altro paio, più interno, si attacca ai lobi e scorre | entro l'addome in dipendenza dei movimenti di introflessione ed estrofles- | sione degli ultimi due segmenti. I lobi rimangono sporgenti anche quando i due ultimi segmenti addo- minali sono completamente introflessi; in questa posizione ì lobi si sovrap- pongono, egli apodemi del secondo paio giungono, con le loro estremità anteriori, sino quasi all’attacco dell'addome con il torace. Quando gli ultimi due segmenti addominali vengono estroflessi, i lobi «| sì aprono a tenaglia prendendo nell'insieme la figura di una pinna caudale _|\ di pesce. La copulazione avviene nell’ostzum dursae, dove il maschio introduce | il pene per fecondare la femmina. | (1) Busck A., A revision of the American moths of the family Gelechirdae. Proc. "| U. S. Nat. Mus., vol. XXV, pp. 767-988, 1903. Description of Recurvaria crataegella, \\pag. 811, riportata da E. W. Scott e J. H. Paine nel U. S. D. A. Bur. Ent. Bull. n. 113, \ pag. d. — 426 — Nel maschio l'addome ha forma allungata sub-cilindrica e termina bifido. Fave L'apparato genitale maschile (fig. 5, pag. 427) si distribuisce dal 10° al 12° segmento addominale. Il sostegno chitinoso. che si può osservare negli esemplari disseccati, è costituito da un pezzo ventrale, molto robusto, y < é ri o 3° paio di zampe =) Pie IN = Te ZZZ NI Ca [i aa | - Apodema anteriore (del 1° paio) Ostium bursae (ostiuin di copu- "i Apodema posteriore (del 2° paio) lazione) E Regione alla quale corrispondono l'apertura vaginale (ostium di deposizione) e l'apertura anale Lobo sinistro Fre. 4. — Armatura dell'apparato genitale femminile veduto ventralmente. (Ingrandimento: 25 diametri) a forma di V, con l'apertura che guarda in avanti, disposto con il vertice in basso e rivolto verso la parte posteriore dell'addome. Esso occupa quasi tutto il 10° segmento e sì protende in parte del 9°. Agli estremi delle branche del V si attaccano le valve, le quali sono saldate per il loro margine ventrale, costituendo, insieme, una sorta di doccia allungata con il margine posteriore bifido e con quelli esterni laterali prov- visti di peli numerosi e corti. i — 427 — Oltre alle valve, agli estremi delle branche del V si attaccano, una per lato, due liste chitinose (apofisi) dirette all'indietro, incurvate, molto ingrossate alla base e gradatamente più sottili verso l'estremità posteriore, sino a terminare in un apice esile, alquanto incurvato. Queste liste chitinose, lunghe come le valve, per quanto non sieno saldate con esse, servono loro, probabilmente, di rinforzo. L'estremità terminale del pene, chitinizzata, si vede collocata lungo la parte centrale della doccia valvare, e si può seguire sino al vertice del V. ° ° ° E E E E © E £ Ss E to to to (o) © ® (o) © n nm n x ° ° o L. dorsale I = vi 3 I ‘ fe 4 ALA AAA ST Tre si) | : Do | È Apertura anale | —--—-. Uncus il i 4 2 - seg ; d b-= 2A 2, non esistono nell’ Sn+1 ipersuperficie V, a curvatura rie- manniana costante, salvo le ipersfere. Era quindi naturale di avere la generalizzazione delle superficie a curvatura costante in altro senso, e quello indicato nel testo sembra il più opportuno. — 437 — indichiamo quello della superficie stessa. Introdotte le rotazioni Li 1 dd entire eli=iar 4 hi dUi 5 ho ds le equazioni caratteristiche per %,,%:, Pie, Ps1, s0n0 le seguenti: din ol, = Pe hr , = Bah dP2 dear Sile EL pih =0. > + x + A, h= 0 Scriviamo anche le equazioni fondamentali cui soddisfano i coseni di di direzione X,, X», X3 dell'asse Ox rispetto ai tre spigoli del triedro principale: dI dI dui =— Ba Xo_- hi XK , ds = Pie Hs IX dX (4) igrrnia Da , > mi — PirXi — he Ko DODO , DE =hy XK, dUI dU che valgono colle analoghe per gli altri due assi. Queste formole (3), (4) sono comuni a tutte le superficie coll’immagine sferica (1) delle linee di curvatura. Una qualunque di queste resta individuata da una coppia di fun- zioni (H,, Hs) che soddisfino alle equazioni dH, dH» (5) a Pe Ho a = Bia Hi , dopo di che le formole in termini finiti per 2 si hanno con quadrature : (6) XL = {@, NS du, + H,y Xs duo), ecce., e il ds° è dato appunto dalla (2). 3. Veniamo alla classe particolare di superficie che soddisfano alla con- dizione (a), ossia (7) Hî + #«Hî = cost. (===) Dalla derivazione di questa e dalle (5) si ottiene il sistema { dH 23H, = — H 9 = H (©) dui «Pie Ho dUi Ba Ho 5dH 2dH sù =fBaH ’ FP =— &8,H,, — 438 — e, come unica condizione d' integrabilità. A e dui atat dUr Le La ricerca delle superficie della classe (7) dipende quindi, in primo luogo, da quella dei sistemi sferici ortogonali (w1,ws) per i quali si verifi- cano le equazioni dh dhe (9) du = fa, ha , di = Biehi dir dba EIA: da die __ | dui Cao Teague rg Applicando i noti teoremi generali, si vede che questo sistema ammette infinite soluzioni, dipendenti da quattro funzioni arbitrarie (cfr. n. 7). Scelta una qualunque di queste soluzioni (4, , Xe , Bir, #21), il sistema ai differenziali totali (8) per H,, Hs è completamente integrabile. Esso possiede inoltre l'integrale quadratico (7), sicchè possono scegliersi ad arbitrio i valori iniziali di H, , H,, per un sistema iniziale di valori di w,,%s. In particolare, quando sia #£= — 1, si potrà dare ad arbitrio alla co- stante del secondo membro nella (7) un valore positivo, negativo o nullo, nel quale ultimo caso la superficie sarà isoterma. Dunque: le superficie della classe Hî — Hî= cost hanno a comune l'immagine sferica delle linee di curvatura colle superficie isoterme. 4. Precisiamo meglio il risultato ora ottenuto con una costruzione geo- metrica effettiva. Essendo qui £= — 1, indi Pa Mesa dPro du: dn. possiamo porre, indicando con 6 una conveniente funzione di %,,%s, PI: 309 Duna ile Arie Bio = Sostituendo nel sistema lineare omogeneo ai differenziali totali (8), si vede che due soluzioni particolari sono H,=e ’ H.,=e@ H,= e! n g=—_- € — 439 — e, per la (6), le corrispondenti superficie, che diremo S,$, sono date dalle formole Val 85) x = | (e0X, du, + ed Xo du) S) x* = fe X,du — e-dXsdus), ecc., che definiscono manifestamente una coppia di superficie isoterme #rasfor- mate di Christoffel. Ma la soluzione generale delle (8) si compone linear- mente colle due particolari, così: H,=ae+be® , H,= ae — de (a. db costanti), e per le coordinate &,7,6 del punto mobile sulla corrispondente superficie X avremo quindi =ax + ba* , y=ay+ 09 , S=a+bs*, nelle quali formole potremo intendere anche che sia 4-+ = 1, sostituendo ad S,S due superficie omotetiche. Dopo ciò, possiamo formulare la costru- zione cercata: Per avere la più generale superficie ® con Hî — Hî= cost, pren- dasiî una coppia di superficie isoterme S,S trasformate di Christoffel l'una dell'altra, e si dividano tutti i segmenti PP, che riuniscono le coppie di punti corrispondenti P, P, secondo un rapporto costante; il punto M di divisione descrive la superficie domandata. Notevole è il caso particolare che S,S siano due superficie parallele a curvatura media costante; allora la superficie 2 è una qualunque delle parallele, fra le quali la media è a curvatura costante positiva (Bonnet). Un altro caso da osservarsi è quello in cui S è una qualunque super- ficie ad area minima, indi5S la sfera di Gauss della rappresentazione. 5. Facciamo ora nella (7), == +1, indi ds* = a*(cos°0 duî + sen?w dus) (a cost), e ponendo u=a+8 , u=a— Rf, avremo ds* = a*(da? + 2 cos°® da d8 + df°). Le linee (a, 8) tracciano sulla superficie una rete di Tchebychef (ved. Le- zioni, vol. II, pag. 401), di cui le bisettrici sono le linee di curvatura. La proprietà è manifestamente invertibile, e possiamo dire: — 440 — Le superficie con Hi + Hî= cost sono caratterizzate geometrica- mente dall'avere, per linee di curvatura, le bisettrici. di: una: rete di Tehebychef. ; Nel caso attuale, con £«= + 1, possiamo porre 209 290 pi= — , Ba = — PIA dU2 ; e la soluzione generale delle (8) è H,=acos0 +4 bdbsen@9 , H,=—asen0+bdcos@, che si compone linearmente colle due (immaginarie coniugate) \ H,= e , H,= je | H, = e 7 Hi =" — ie 5 A queste ultime corrispondono sempre due superticie isoterme della classe, però questa volta immaginarie, con emmagine sferica reale. La costruzione formulata al n. 4 rimane ancora valida; solo si osserverà, che per avere una superficie. Y reale, occorre prendere quel rapporto costante. complesso, e di modulo = 1. n i Anche qui le superticie pseudosferiche e le loro parallele formano una classe speciale, nella quale le due superficie isoterme coniugate sono paral- lele ed hanno per superficie media quella pseudosferica. In generale, nella classe Hî + Hî= cost le superficie a curvatura co- stante e le loro parallele sono contraddistinte da ciò : che la medesima -rela- zione hi = hè= cost ha luogo per l’immagine sferica. | 6. Generalizziamo ora queste ricerche agli ‘iperspazii, e consideriamo nell’ $,+, euclideo un'ipersuperficie V,;, a linee di curvatura (41325... Un) eoordinate e siano rispettivamente ue i (10) ds° = Hîdut + Hîdu + --- + H? det (10') ds° = hî du + hi dub + --- + hè dut ‘i quadrati degli elementi lineari della V, e della sua immagine ipersferica. Alle formole (3) per la rappresentazione sferica vengono ora a sosti- tuirsi: le seguenti generali : dhi 3a = Pri hx (1) O de = Ba Bu ((=E4=*)) I Pa, db Sg Para np LS it ie=0, — 441 — e pei coseni di direzione degli spigoli dell' (n + 1)?° principale, che indi- chiamo con XPERIA 0 (791030, 28017), dove con £% sono indicati quelli della normale all’ipersfera, abbiamo le formole corrispondenti alle (4): dX; 2 dX O = ba Xx ; =— > PX ht x (1*) UK dUi 7 | PELA, dUi avendo omesso, per brevità, l'indice superiore 7. Ogni ipersuperficie V, colla data immagine ipersferica è individuata dai yalori di H,, H.,...H, nella (10), valori che debbono soddisfare alle equazioni dHi DU (11) = Bri Ha (È 4). La corrispondente ipersuperficie V,, si ha successivamente con quadrature dalle formole (12) Lr - fa X{ du, + H, XN du + -- +-H, X{ dun) (= 001742 pian) 7. Applichiamo queste formole generali della rappresentazione ipersfe- rica alla ricerca di quelle ipersuperficie V,, per le quali fra i coefficienti H° nella (10) sussiste la ‘relazione (13) « Hi + e.H3+---+e,Hi=e (costante) (G=22=90 ‘’ Procedendo come nella Nota (B), da questa avremo, per derivazione, ?>H; (è) de a; x poi, dalle corrispondenti condizioni d'integrabilità, le altre 5) dPri VU dpi (E) +e Sha apo aPfifai=0. = 449: In riguardo dunque alla rappresentazione ipersferica delle ipersuperficie cercata, dovrà sussistere il sistema î dh; Li 3a = Pri hx +» = Pu Pi n) ( Ra pile LS pit hie= dBri di 8; de + & xa, Pif = 0. Coi soliti procedimenti [efr. Nota (B)], si riconosce che questo è un sistema completamente integrabile, e la sua soluzione generale (%;,f;x) di- pende da 2(2—1)+n=w? funzioni arbitrarie. Scelta una soluzione qualunque (4; . 8) delle (II), il corrispondente sistema di equazioni ai differenziali totali nelle H;, 2dH; 3H; (20) 3 = fiHx , & Se PEN (I1*) è a sua volta completamente integrabile, e possiede l'integrale quadratico (13). Esistono dunque le ipersuperficie cercate e dipendono da 7? funzioni arbitrarie. Vediamo, poi, che esiste ulteriormente la classe speciale in cui la stessa relazione (13) è soddisfatta nella rappresentazione ipersferica sohi kb eeeh 4-4 en hi, = cost. Poichè, invero, se associamo al sistema (II) le equazioni che ne seguono derivando, dhi (è) i =—-\)afah di DE il nuovo sistema è ancora completamente integrabile. Le ipersuperficie V,, della classe speciale dipendono, così, salino da n(n — 1) funzioni arbitrarie, e sono geometricamente caratterizzate da questo che: l'immagine delle loro linee di curvatura costituisce nell’ipersfera un sistema n?'° ortogonale di Guichard-Darboux. 8. Passiamo alle trasformazioni di Ribaucour per le ipersuperficie V,, a linee di curvatura coordinate, dapprima in generale. Basterà scrivere le. for- mole relative che si ottengono da quelle della Nota (B), applicando queste ultime al sistema (2 + 1)?" ortogonale individuato nell'Sn+, dalla Vn € dalle sue parallele. — 443 — Prendasi un sistema di 2x +8 funzioni Vi Va, Ya Hi Has. Ha; Wp, che soddisfino al seguente sistema differenziale: | Ii npan , (+8) p—d fin— hu (111) | Hina Zhu, Ii Ri lin (i+) E] Hi, e, insieme, all’equazione in termini finiti (III*) Sor EIZO Il sistema (III) è, in effetto, completamente integrabile, e possiede l' inte- grale quadratico Dit —-2gyp=cost, x sicchè basta prendere i valori iniziali delle (y;, 0, pg, w) in guisa che si annulli la (costante del secondo membro. Dopo ciò, dalla soluzione scelta (ri, Hi, w., p, w) resta individuata l'ipersuperficie V,, trasformata di Ri- baucour della V,,, e corrispondente ai nuovi valori H;j delle H;, mediante le formole (14) mx p( nto). Si ha inoltre \Kez (Xn%+w8)x (15) v SRI le =—pg(2nD+os)-s, e pei nuovi valori dei coefficienti # e delle rotazioni 8, valgono le formole (16) (= (&+H) 2 (16*) 8=Bx— (Hx + H}) A 9. Applicando queste formole generali, passiamo ora a dimostrare in. particolare : RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 58 x SAI Ogni ipersuperficie V, della classe (13), Dosi) possiede co?" ipersuperficie VI, trasformate di Ribaucour e della medesima classe Dex H{:=c. ì Per questo basta procedere come nella Nota {B), ed aggiungere alle equazioni generali (III) di trasformazione le seguenti: YonsLoy elisa gio x DI le quali ultime provengono dalla prima per derivazione. Si forma così un sistema misto ai differenziali totali che è completamente integrabile, onde la sua soluzione generale contiene 2 + 1 costanti arbitrarie. Ma una di queste, come costante moltiplicativa in y;.w0,g,w, non ha [secondo la (14)] influenza sull’ ipersuperficie Vi, trasformata, e restano pertanto le ‘2 costanti dell’enunciato del teorema. pi da Il risultato ottenuto vale anche, naturalmente, per le ipersiperficia Vo della classe speciale «hi +eehî +-+ enhi=a@ costante). Ma in questo caso possiamo vedere ulteriormente che: fra le 00?” ipersu- perficie trasformate Vi ne esistono 0 appartenenti alla ROL classe speciale ci +e ht i +e hg=a Dia ht = SY ex, DI ; 1 1 (18) Sorge rio — 453 — 5. — FORMA RISOLUTA DELLA TRASFORMAZIONE CANONICA FRA LE DUE SESTUPLE %;, Pi; fi, di. Dalle (11), (12) segue l'identità 3 3 Da pid — DE bd = dW ; 1 1 perciò le formule stesse definiscono una trasformazione canonica fra le pri- mitive variabili x;, 2; e gli argomenti &, @;, purchè soltanto si possano ef- fettivamente risolvere rispetto alle une e agli altri. Le (11), isolando x;, e scrivendo Y in luogo di —+ W, porgono Ma già abbiamo ricavato nel numero precedente [sostanzialmente come com- binazione delle stesse (11), (12)] le espressioni di 7 e di W in termini delle E; e @;: esse sono offerte dalle (15), (16), la prima delle quali diviene up —\F- Abbandonando la notazione vettoriale, m2 conservando le abbreviazioni (a) r=Veitat+a;, E=VE+E+E& 0=V600+0+@, 3 Y= di ©; E; (coi valori aritmetici dei radicali), si ha il primo gruppo delle cercate for- mule risolute (I) x;= 0 E — 2Y0; (@=1a29)5 cui giova associare l’espressione (16) di 7, che ne è del resto una neces- saria conseguenza e che riscrivo per raccogliere le varie formule da tener presenti in vista dell’applicazione, annunciata nell’introduzione (alla regola- rizzazione del problema dei tre corpi), (0) i rent. Le formule esprimenti le p; risultano dal confronto delle (11) con le (12), confronto che già si è tradotto nella (18). Da questa, sostituendo per 7 il suo valore (0), si trae (II) Di = _ — 454 — Senza eseguire la detta sostituzione, si +. (c) rp,=E@; da cui [o dalle (II)], tenuto conto di (2), scende (4) "(pi +p+p)=È, che giova fissare per la ragione testè indicata a proposito della (0). 6. — INVERSIONE. COMPORTAMENTO ANALITICO. La trasformazione (I),(II) si inverte senza alcun calcolo. Basta notare che l’espressione (9°) di W dipende in modo simmetrico dalle x; e dalle &;, talchè anche le formule (11), (12) risultano simmetriche rispetto alle due sestuple (z;,2;) , (i, — di). Perciò, ove si scambino materialmente, nelle (I) (II) le x;. pi con le corrispondenti E, —@;, se ne traggono le espressioni delle nuove in ter- mini delle antiche variabili. Giova aggiungere che, data la forma delle stesse (1), (II), st perviene al medesimo risultato scambiando addirittura gle elementi corrispondenti delle due sestuple (xi, pi), (E. Wi). Questa osservazione, congiunta con la circostanza che i secondi membri delle (I) sono polinomî (di terzo grado). e quelli delle (II) funzioni razio- nali col denominatore ©*, consente di affermare che /a nostra trasforma- zione è birazionale e regolare per tutti i valori finiti degli argomenti, che non annullano il trinomio Wi +-03+®3 0, rispettivamente, pi +4-pi + pi. Rispetto alla trasformazione diretta (I), (II), meritano particolare men- zione le sestuple I costituite da valori tutti nulli delle #;, ma non tutti nulli delle &, talchè £ > 0. Si tratta manifestamente di sestuple (non re- golari, per quanto si è testè osservato) le quali si trovano immerse nel campo di olomo:fismo senza interromperne la continuità: esse formano infatti una varietà a sole tre dimensioni, mentre lo spazio ambiente ne ha sei. Supponiamo di far variare la sestupla € ,é@; in detto spazio, avvici- nandoci ad una T lungo una linea (regolare) L, per modo che, tendendo le ©; a zero, i rapporti n ammettano limiti ben determinati Y;, soddisfa- centi necessariamente alla condizione 2 noe pres trat 1=1. Le (I), (2), (c) mostrano che /e coordinate xi, él raggio vettore 7 e î prodotti rpi rimangono, anche nell'intorno di una generica I, fun- — 455 — zioni regolari delle È, @;, che si annullano in T ; non così le p;, le quali in generale tendono a diventare infinite. Quando, lungo L, ci si avvicina indefinitamente a T, si ha dalle (I) e (b) [tenuto conto, si intende, delle posizioni (a)] 3 IAA 1 (19) limz=p 263, pus = e dalle (II) e (2), (20) limyrp=Viv. Se, in particolare, ogni y; coincide con ni. come avviene [in base alla (14), per c=0] quando il moto parabolico degenera in rettilineo, risulta AIA E; r in Seen (19') im >, È OsseRvazionE. — Nei riguardi delle coordinate x; la nostra trasforma- zione canonica (I) ,(II) non è puntuale, poichè nei secondi membri delle (1) appariscono variabili trasformate di entrambe le serie (E e @;). Si tratta quindi di una trasformazione di contatto. Intrinsecamente, per altro, essa rientra nel tipo delle trasformazioni puntuali estese (nel senso di Lie). In- fatti le (II) rappresentano una inversione per raggi vettori reciproci fra le p; e le @;, e le (I) ne rimangono subordinate dalla condizione di canonicità. 7. — MOTO PARABOLICO TANGENTE AD UN MOVIMENTO GENERICO. INTERPRETAZIONE DELLE VARIABILI TRASFORMATE E, di. Dal n. 4 risulta agevolmente quale significato si possa attribuire alle variabili (€, @;), quando le (x;,p;) si considerano come coordinate e com- ponenti di velocità di un punto mobile con legge qualsiasi. Basta considerare un ipotetico moto parabolico (moto tangente) dello stesso punto, dovuto ad attrazione newtoniana verso l’origine delle coordi- nate, per cui: 1°) il coefficiente d’attraziono abbia il valore =3r(pi+pi+23), corrispondente alla sestupla (;,p:) che si prende in considerazione; 2°) la parabola traiettoria passi per il punto (x1,xs, &3), toccan- dovi il vettore (,, Ps, Ps). — 456 — Le nuove variabili &,@; sono espressivamente collegate a tale moto tangente: E, , E. ,É definiscono un vettore di lunghezza 2% che ha la dire- 2 zione dell'asse della parabola (vòlto dal fuoco alla direttrice); 1h & si E |0, ©, Oy ne è il semiparametro; ecc. Quando eventualmente, nel corso del moto, le E, @; convergono verso una delle sestuple T di cui al n. prec. (O; =0,E>0), la parabola oscu- latrice tende a schiacciarsi indefinitamente, convergendo a zero il relativo parametro; l’orientazione dell'asse ha però un limite ben determinato. Il mobile tende ad avvicinarsi all'origine secondo una direzione pur determi- nata [cfr. formula (19)]. Se, in particolare, (&=1;2:,9)L l'avvicinamento suddetto segue nella direzione dell'asse [formula (19’)]. 8. — INTEGRALE COMPLETO A VARIABILI SEPARATE. ELEMENTI PARABOLICI. Accanto alle (I), (II) è degna di interesse un’altra trasformazione ca- nonica la quale collega le x;,p; ad elementi osculatori parabolici, assai affini agli ordinarî elementi ellittici. Vi si perviene nel modo più rapido. partendo da un integrale completo della (7’) del tipo classico (21) i W=R+Gw, con G costante ed R funzione della sola 7. Si può assumere r Via G? R == 5 oca den: (22) Ji dr VE aaa dove (23) 1Z?=%k è la costante del secondo membro di (7'), e 4G? (24) d=%7 designa il valore di 7 (unico nel campo finito) che annulla il radicale. Ri- ferendosi, con ragionamento classico, al modo di variare del raggio vettore lungo l’orbita :(parabolica nel caso presente), si constata che 9 rappresenta la minima distanza del mobile dal fuoco, ossia il semiparametro. — 457 — Come retta fissa, a partire dalla quale è contato l'angolo w, intende- remo assunta, seguendo Poincaré ('), la linea dei nodi (intersezione, debita- mente precisata quanto al verso, del piano della parabola col piano 0 x, @2); con che, detta al solito 8 la longitudine del nodo, si ha (25) Se og: I designando l'inclinazione (del piano della parabola sul piano 0,2). Dopo ciò, W viene a contenere le tre costanti Z, G, 0 caratterizza- bili come segue: Z dipende esclusivamente dal coefficiente di attrazione, a norma della (23); G=+Z Va individua (subordinatamente a Z) il semiparametro g della parabola; 8 rappresenta la longitudine del nodo. Le (3), adattate alla nostra W in cui Z, G,0 fungono da &, ove si scriva —{, —9,9 al posto di @,,0,,6,, danno |a, Mu, Meno (26) DZ Sly 20 d > | > == pit i(e=11253) In base alle (21), (22), (24) e (25), il primo gruppo si scrive dW ==> IW _9?R A gal a=4 9 So anal) 5 ai 8, e consente di rilevare il significato degli altri tre parametri $,9,9. Per nota proprietà della parabola: 6 = 7 — q rappresenta l’ascissa della generica posizione del mobile, contata lungo l’asse a partire dal vertice ; dalla seconda equazione, applicata al vertice, segue che g rappresenta l'angolo che la direzione dell'asse (vòlta dal fuoco verso il vertice) forma con la linea dei nodi; infine la terza equazione mostra che 6=Gcosl individua l'inclinazione, (!) Loc. cit., nn, 48-51, — 458 — Le (26) implicano Zi; pi dei — (Zdk + Gdg +-09d8)= d(W- Zt—-G9), definendo perciò una trasformazione canonica fra la sestupla pi, x; e le due terne coniugate Z G 09 P ( , s ) (P) < ; 0 è] Le espressioni esplicite delle x;,p; in termini della nuova sestupla (P) sì stabiliscono subito, sia per materiale risoluzione delle (26), sia anche più semplicemente (come si suol fare nel caso degli elementi ellittici) ricor- rendo a formule elementari di trasformazione di coordinate e sfruttando il significato dei sei parametri. Tralascio ogni sviluppo, limitandomi ad avvertire che questa trasforma- zione fra le x;, pi e le (P) zon ha le prerogative regolarizzanti della (I), (II) nell'intorno dell'origine (z;= 0, cui fanno riscontro valori nulli di &, G e 0). Terminerò osservando che la sestupla canonica (P) si può risguardare come un caso limite (corrispondente al valore zero dell'energia) di quegli elementi ellittici che ho denominato dsoenergetici (*) e che, sotto alcuni rapporti, sono preferibili agli ordinarî elementi isodizamici, in quanto vi comparisce direttamente (per individuare la fase del moto tangente) la ano- malia eccentrica, anzichè la media. Analoghi servigi possono rendere gli elementi (P) nello studio delle perturbazioni cometarie. (2) Nella già citata Memoria del tomo XX degli Annali di Matematica. Cfr. altresì H. Andoyer, Sur l’anomalie excentrique et l'anomalie vraie comme béléments canoniques d'après MM. T. Levi-Civita et G.-W. Hill, in Bulletin Astronomique, tome XXX, 1913, pp. 425-429; Sur les problèmes fondamentaua de la mécanique céleste, ibidem, tome XXXII, 1915, pp. 5-18. i Ae | — 459 — Matematica. — Muovi contributi alla teoria dei sistemi con- tinui di curve appartenenti ad una superficie algebrica. Nota I del Corrispondente FRANCESCO SEVERI. In questa Nota ed in una successiva mi propongo di rispondere ad alcune questioni fondamentali per la teoria dei sistemi continui di curve sopra una superficie algebrica F. Un teorema classico di Noether, al quale Enriques diede fin dal 1896 la più ampia significazione, afferma che sulla F è unico il sistema completo cui appartiene come curva « totale » una data curva C. Val quanto dire: assegnati su C alcuni punti, che debbano essere base pel costruendo sistema, con molteplicità virtuali non superiori alle effettive, il sistema lineare |C|, con quei punti base virtuali, resta perfettamente individuato. Quanto ai sistemi continui completi, non lineari, sono stati addotti, da Rosenblatt e da Albanese ('), esempî di curve contenute in distinti sistemi (*) Intorno ad alcuni concetti e teoremi fondamentali sui sistemi aigebrici di curve d'una superficie algebrica (Annali di Matematica, 1915). In questa Memoria, che è uno studio critico accurato intorno alle mie ricerche sulla « base », il dott. Albanese osserva giustamente che la relazione di equivalenza algebrica, da me considerata, fra curve di una superficie, si riferisce a curve appartenenti ad un sistema, il quale sia irriducibile come totalità de’ suoi sistemi lineari. Con quest’avvertenza (che è bene sia stata posta in luce esplicitamente, dal momento che — secondo aveva già notato il Rosenblatt (Bul- letin de l’Acad. des Science. de Cracovie, juillet 1912, pag. 780) — esistono sistemi i quali sono irriducibili come totalità di sistemi lineari, ma riducibili come totalità di curve), i miei risultati e le relative dimostrazioni permangono immutati. Io stesso, del resto, avevo segnalato, in un caso eccezionale, la necessità di allargare un po’ il concetto di equivalenza algebrica, per mantener uniforme il linguaggio (ved. la mia prima Me- moria sulla base, nei Math. Annalen, Bd. 62, 1906, pag. 206). E avevo chiamato « alge- bricamente equivalenti » due curve che o giacessero in un medesimo sistema irriducibile o fossero resti di un tal sistema rispetto ad una medesima curva. Il dott. Albanese, in sostanza, ha mostrato come questa definizione più ampia basti anche negli altri casi di eccezione, che io non avevo considerati. Avvertirò inoltre che, per stabilire la proposizione « se due curve A,B di F soddisfanno alle relazioni [AB]=[AA]=[BB], esiste su F un integrale semplice di 8* specie, colle sole curve logaritmiche A,B », non occorre, come crede l’Albanese, invocare il suo teorema XII, ma basta che le ZA ,4B stieno cia- scuna in un sistema irriducibile co! con una medesima curva C di F. Si costruisce allora subito l'integrale cercato, sommando due integrali che abbiano rispettivamente le sole curve logaritmiche ZA,C e 4B,C, coi relativi periodi polari A, —1 e —2,+1 (ved. un'osservazione analoga a pag. 208 della mia ricordata Memoria). Nel suo lavoro l’Alba- nese giunge pure ad un risultato anche nella sostanza nuovo, che mi piace di segnalare: che cioè il teorema concernente l’esistenza della base, vale anche quando si definiscano algebricamente equivalenti due curve che giacciano in uno stesso sistema irriducibile di curve. E rispetto a questa equivalenza più-ristretta non si altera neppure il numero-base ©. ReENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 60 x — 460 — continui completi (ciascuno irriducibile come totalità di curve), e la cosa è stata interpretata nel senso che non fosse possibile estendere il teorema di Noether ai sistemi irriducibili completi non lineari ('). i Ma una tale conclusione dipende dall'aver dato a quel teorema una significazione troppo ristretta, insufficiente per la stessa validità di molte proposizioni classiche. Alla medesima stregua il teorema si troverebbe in difetto pur per i sistemi lineari e pei casi più semplici. Conviene tuttavia riconoscere che tra i sistemi lineari ed i sistemi con- tinui vi è una differenza, che può trarre facilmente in inganno, di fronte alla possibilità di estendere il teorema di Noether. Questa diversità è legata alla circostanza che, contrariamente a quel che accade pei sistemi lineari, la curva generica d'un sistema continuo può avere punti multipli variabili. Ma in fondo la divergenza cui s'allude è soltanto apparente, perchè in ogni caso, sia che si tratti di sistemi lineari, sia che si tratti di sistemi completi non lineari, allora soltanto si può parlare di curva « totale » del sistema, quaudo della curva stessa sia ben definita la connessione riemanniana. Qualche esempio gioverà subito a chiarire il modo come deve essere posta la questione. È noto che la totalità delle quartiche piane con 3 punti doppî si spezza in due sistemi irriducibili 00!!, ben distinti: l'uno, 2,, costituito dalle quartiche razionali, e l’altro, 2», costituito dalle quartiche spezzate ciascuna in una cubica e in una retta. Il sistema 2, è perfettamente definito da una sua quartica <7riducibile coi 3 nodi variabili, e 2, da una curva spezzata in una cubica ed in una retta, coi 3 nodi pure variabili. Se ora si considera una curva Co, la quale sia composta da una cubica piana col punto doppio O e da una retta generica, segante la cubica nei punti A,,A,, Az, una tal curva GC, appartiene sia a X,, sia a 3; ma come curva totale di X,, essa è definita dall'assegnare per nodi variabili O, A;, Ax — 04 0,A,,A3 0 anche O, A,, A3 — e dal considerare come virtualmente inesistente l’altro dei 4 nodi; mentre come curva totale di £; essa è definita dall’assegnare per nodi variabili A,, As, Az @ dal conside- rare come virtualmente inesistente O. E non è questa una convenzione arbi- traria per aggiustar le cose a volontà; ma è invece un modo di dire assai opportuno per significare il fatto sostanziale che una curva di X;, la quale si approssimi indefinitamente a C,, ha uno dei suoi punti doppî che tende in ogni caso ad O, e gli altri due che tendono a due dei tre punti A,, As j Àgj mentre una curva di X,, che si approssimi a Co, ha i suoi tre nodi che tendono sempre rispettivamente ad A,, As, A3. Nel primo caso, due punti di diramazione della superficie di Riemann, imagine della curva variabile, tendono ad uno, p. es. A,, dei punti A, , As, 43; (') Ved. la prefazione del citato lavoro di Albanese. | [i L — 461 — cosicchè due fogli della riemanniana imagine di C,, in quanto la si consi- deri come limite della precedente, devono supporsi combacianti nel punto A,, per guisa che attraverso A, sia possibile passare dall'uno all’altro foglio: e ciò corrisponde a considerare A, come virtualmente inesistente. Nel secondo caso invece la cosa analoga deve ripetersi rispetto al punto O. Per eliminare ogni incertezza intorno a questo esempio, aggiungerè che la ciscostanza che non sia ben determinata, nella terna A,, A», A3, la coppia limite di due dei tre nodi della curva variabile in X,, dipende da ciò: che effettivamente, a seconda del modo come si passa al limite, sì può ottenere una qualunque delle tre coppie A,, A2; As, A3; A3; A, giacchè nello spazio S,4 i cui « punti » sono le quartiche piane, il sistema 2, è una varietà che ha nel « punto » C, un punto triplo ordinario, origine di 3 falde distinte. Adduciamo ancora un esempio. Sia F la « superficie » delle coppie di punti di due curve A, A', di generi 77,7; e C,C' sieno le curve imagini rispettive delle coppie che hanno un punto fisso su A o su A. Sulla F la curva Ty, composta da 7 curve C e da 7 curve C', corrispondenti rispetti- vamente a due gruppi speciali di punti di A, A', appartiene a due distinti sistemi X,,X>, irriducibili come totalità di curve e di dimensioni rr + 7, m-+ a —1. La curva generica di X, è formata da 7 curve C e da 7° curve C' provenienti da due gruppi non speciali di A, A"; è spezzata ed ha ze’ punti doppî variabili. Invece la curva generica di X, è irriducibile e sta in un medesimo sistema lineare completo 00°, con oo? curve del tipo TL. Orbene, quando T, si considera come curva totale di X,, cioè come curva spezzata in 77 -|-' parti, bisogna assegnare come punti doppî varia- bili i suoi 7777’ nodi; mentre, allorchè essa si considera come curva totale di 2>, i suoi zen” nodi vanno considerati come virtualmente inesistenti. Una volta ben precisata la posizione del problema, io mi son proposto d'indagare se il teorema di Noether, inteso nel suo legittimo significato, valesse anche pei sistemi continui non lineari. La ricerca mi si è presentata singolarmente delicata; tuttavia, dopo assidua elaborazione, ho potuto giun- gere al risultato finale, mediante un procedimento che mi sembra semplice ed elegante. La conclusione è che: Sopra una superficie F, ogni curva, irriducibile 0 no, sulla quale sta definito il gruppo base ed il gruppo dei punti multipli variabili, INDIVIDUA 2 sistema algebrico completo irriducibile di curve, a cui essa appartiene come curva totale. Od anche: Se una curva di dato ordine appartiene a due diversi sistemi com- pleti irriducibili di curve dello stesso ordine, le molteplicità ch'essa pre- senta come limite della curva generica dell'uno, non possono essere le medesime (în valore e în posizione) di quelle ch’essa presenta come limite della curva generica dell'altro. — 462 — Per esempio, due sistemi irriducibili di curve irriducibili dello stesso ordine, non possono avere alcuna curva comune, che non abbia qualche nuovo punto multiplo (0, in particolare, sia spezzata). Fra le molteplici applicazioni del teorema fondamentale di questo lavoro, mi limito ad indicarne alcune fra le più significative. Nel n. 4 intanto estendo il teorema fondamentale alle varietà superiori; nel n. 6 applico quest'estensione a dimostrare che ogni curva algebrica sghemba (irriduci- bile e priva di punti multipli) individua una famiglia (completa) di curve sghembe; e nel. n. 5 applico il teorema fondamentale a stabilir la condi- sione affinchè una curva spezzata possa considerarsi come limite di una curva irriducibile dello stesso ordine. Da questa condizione deduco alla sua volta un teorema, che getta nuova luce sulle questioni di realità con- cernenti i rami delle curve algebriche. Oltre ai sistemi irriducibili di curve, si possono considerare su F sistemi irriducibili aventi per elementi sistemi lineari; ed anche per essi può porsi senz'altro la nozione di completezza. Si presenta allora il fatto, a prima giunta paradossale, che un sistema irriducibile completo di curve può non esser completo come totalità dei suoi sistemi lineari. Così p. es., nel caso prima considerato della superficie F_ delle coppie di punti di due curve A, A’, il sistema 2, Y.,, insieme ‘di X, e di 3, è connesso, riducibile, non ulteriormente ampliabile e completamente definito da una qualunque curva di X, o di 3,. Ma nonostante la riducibilità di >, + X3, i sistemi lineari individuati dalle curve di 2, e di X, costituiscono un'unica totalità irriducibile, che è birazionalmente identica all’insieme delle coppie di punti delle varietà dì Jacobi, inerenti ad A, A”. La spiegazione del paradosso è semplice, giacchè, essendo le curve di X,, per definizione, spezzate in 7 -+ 7' parti, nel sistema lineare, indi- viduato da una qualunque di esse, in quanto curva totale di X,, i zen’ nodi si debbono assegnare come punti, necessariamente fissi, di moltiplicità 2; mentre, quando si presentano nodi nelle curve di X», essi debbono considerarsi come inesistenti. Riguardando virtualmente inesistenti anche i nodi di una generica curva I° di X,, essa non definisce più il sistema 2,, ma bensì un sistema continuo completo 00°. Cosicchè la totalità irriducibile dei sistemi lineari ||, ove Z° sia una curva qualunque di X, o di X», la quale voglia in ogni caso considerarsi virtualmente priva di punti multipli, è costituita da o07+"' sistemi continui completi distinti di curve. Tuttavia, anche per i sistemi completi irriducibili di sistemi lineari, ciascuno dei quali sì consideri virtualmente privo di punti base, vale, sotto certe ipotesi, un teorema analogo a quello di Noether, nel senso ‘che è pos- sibile individuare un tal sistema a partire da uno qualunque de’ suoi sistemi lineari. Io ho già provato questo fatto fin dal 1906, sotto l'ipotesi che Ja e na curva C del sistema lineare |C| da cui si parte, sia « aritmeticamente effet- tiva » (*): anzi in tal cal caso resta precisato che |C| appartiene ad una serie irriducibile completa di 00? sistemi lineari, ove 9 è l'irregolarità di F. Nel n. 8 della presente Nota dimostrerò come l'unicità del sistema completo irriducibile, determinato da un dato |C|, possa senz'altro affermarsi ogni qual volta |C| appartenga ad una serie irriducibile di co? sistemi lineari. Lo studio delle varietà irriducibili di sistemi linear tracciati su F, mi conduce alla conclusione che, quando una tal varietà è completa e di dimensione g' (0 tendano insieme a Ci, occorre che il ramo 7° contenga una coppia formata da due punti coincidenti con C,. Siccome ad ogni elemento di Z° corrisponde uz punto di R, ed un punto di Rs, i parametri £, 7 di due punti variabili con quella legge ìn R,, Re», saranno funzioni olomorfe del parametro « che individua l'elemento variabile in T°, e le due funzioni dovranno annullarsi entrambe per quel valore di « che dà la coppia dei punti coincidenti con C,. Se questo valore di s è £=0, scriveremo dunque (4) t=e0(e) , c= n(e) 3 ove le 6,» sono funzioni olomorfe di e, non -annullantisi per s=0. Poichè i sistemi (1), (2) debbono assumersi completamente ad arbitrio — e non soltanto generici — fra quelli che, entro T,, contengono C,, occorrerà supporre che C, sia un elemento s-plo (s = 1) per (1)(?) e c-plo (') Questa varietà 00? è una « falda » della varietà algebrica costituita dalle coppie di punti di due curve algebriche tracciate su T, e contenenti rispettivamente i rami Ri, Ra, (*) Cioè che fra le curve del sistema (1) passanti per un generico punto P del piano «, s vengano a coincidere con C,, quando P vada in un punto generico di Ci, e precisamente in un punto esterno al gruppo caratteristico di C, (ved. più sotto). Sì badi che s non eguaglia di necessità l'ordine v del ramo R; nello spazio Sw. Profittando d»f df dhe i dell'identità di 26% du: ove le c sono i coefficienti delle 2 ,y in f(2,y;t), sì — 467 — (o =1) per (2), per guisa che lungo C, siano soddisfatte le relazioni (even- tualmente identiche): DARE mi) 20) - i e (a, ma non le Dar a il Scali s (FE) =0 Sviluppando le /(x,y;%), g(2,y;), colla formola di Taylor-Cauchy, negli intorni rispettivi di {=0,7=0, avremo pertanto: (5) fap d=ae tt (6) gary) = ape) + (e) + i ; o!\ de}, i ove 4, sono polinomî degli ordini s—1,o0—1 in t,t, i quali assumono il valore 1, rispettivamente per f{=0,=0. L'equazione della curva inviluppo di (1), della quale fanno parte, oltre ad una eventuale curva cui non c'interessa di por mente, il luogo dei d punti doppî variabili di una curva C, (*) e la curva K, si ottiene elimi- nando { fra le: f(a% y3:t)=0 9 ia cioè fra le: flcigr)=0 , (DI) ++. DIST Do vede subito che v eguaglia l'ordine della prima derivata (FÀ non identicamente nulla, 0 sicchè è sempre v= s. L'ordine v eguaglia inoltre il numero di quelle curve comuni ad (1) e ad un sistema lineaie I,coN-!, di curve d’ordine m, le quali vanno a coinci- dere con C,, quando I tende ad un generico sistema co-! contenente C,; mentre s è il numero anuilogo, allorchè I tende al sistema delle coN—! curve d'ordine m passanti per un punto generico di Ci. Nello spazio Sx si ha un inviluppo di 00? iperpiani, rap- presentanti ciascuno le curve d’ordine m passanti per un punto del piano @. Il carat- tere s uguaglia o supera », secondo che il predetto inviluppo non tocca o tocca il ramo Ri nell'origine C,. Tutto ciò, con opportuni adattamenti, vale pure se R, non è un ramo di funzione algebrica e se le curve f(2,y;t)=0 non sono algebriche. Queste proprietà, che paiono assai utili per uno studio approfondito degli inviluppi, sono irrilevanti pel nostro scopo attuale. () Ved. ad es. le mie Lezioni di geometria algebrica (Padova, Draghi, 1908), : pag. 20. RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 61 x — 468 — Ne deriva che quando C, va in C, — cioè quando s'annulla — il gruppo caratteristico di C, — gruppo comune 2 C, e alla curva di (1) che le è infinitamente prossima — va a cadere nell’intersezione di C, colla curva, 3 sf da essa distinta, (7) =0. In altre parole, quest ultima curva, che è (i) d'ordine m, come C,, appartiene al sistema lineare H. Similmente si vede che ad H appartiene pure la curva d'ordine w (32) 0% Consideriamo ora il fascio ® di curve d'ordine 72, individuato dalle C,, 0, variabili entro (1), (2) colla legge (4). Si tratterà di provare che il limite ®, di ®, per £=0, appartiene al sistema H, qualunque sia la prescelta legge di variabilità. All'uopo, fissata una costante generica % (in che cosa debba consistere la genericità di % risulterà dal seguito) si con- sideri la curva D di equazione /(2,y:4) + 4%g(2,y;t)=0, generica entro al fascio ®; ed il fascio W di curve d'ordine #2, individuato dalla curva fissa C, e dalla D, variabile con e. Al fascio 4 appartiene in parti- colare la curva D: f(@,y;9) + Eg(e,y;0) — (a+ ko) ye, y)=0. ante rat fato e posto: ove è, sono costanti, di cui una almeno non nulla, mediante gli sviluppi (5), (6) si ricava subito che il limite D, della D. per #=0. è la curva: Da d°p (7) o(34) PE) a ; i DI DI) Ora, da che la costante 4 è generica e le due curve Sila 03 (e — 0 el /0 l Ù) son distinte da C, ed appartengano ad H, anche Do sarà essa pure distinta da C, ed apparterrà ad H. Il fascio limite ®, di &®, essendo individuato dalle C,, Do, è formato pertanto da curve di H e perciò la curva D, comune ai fasci variabili W,®, ha pur essa per limite una curva del sistema H. Ma D è la curva gene- rica di ®: dunque il fascio D,, limite di ®, sta in H. Resta così dimostrato che, nello spazio Sx, la retta limite di Gi CORO una tangente a T, in C,, e quindi che T, passa per C, con una sola falda, avente in C, un punto semplice. — 469 — Possiamo in definitiva enunciare: Sopra una superficie F, una curva C, trriducibile e priva di punti multipli, sta în un sol sistema algebrico, irriducibile e completo, di curve dello stesso ordine. Naturalmente il sistema continuo individuato da C potrà anche essere 00°; ciò accadrà allora e solo allora che su C non esista la serie caratteristica, definita nel modo indicato al n. 1 della mia Nota del 1904 sui sistemi continui. Dal ragionamento precedente risulta pure che: La serie caratteristica di un sistema irriducibile completo Z, di curve trriducibili, prive di punti multipli, è completa, non soltanto sulla generica curva del sistema, ma anche su ogni sua particolare curva C, la quale non abbia acquistato punti multipli. Di più, la C è origine di una sola « falda » del sistema, e si può sempre assumere come modello protettivo di È una tal varietà, che C abbia su essa per imagine un punto semplice. 3. IL TEOREMA FONDAMENTALE PER UNA CURVA QUALUNQUE. — Il teorema stabilito può agevolmente estendersi al caso in cui la curva C, irriducibile, tracciata su F, abbia punti multipli, che si assegnino tutti, colle loro molteplicità effettive, come punti base per il costruendo sistema continuo. Basta invero, per ridursi al caso precedente, operare una trasformazione birazionale della F, che sciolga i punti base fissati in curve eccezionali, ed astrarre dalle componenti fisse che nascono in tal modo nel sistema trasformato. È quasi superfluo di avvertire che se, ad esempio, su C era assegnato un sol punto base doppio P, cui corrisponda, sulla superficie trasformata F', la curva eccezionale P', può benissimo accadere che il sistema irriducibile completo 2", individuato dalla curva C’, omologa di C, e le cui curve ta- gliano P' in 2 punti, sia contenuto (parzialmente) in un sistema continuo più ampio 2” di curve, di ordine maggiore di C’, rispetto al quale la P' sia fondamentale. Il fatto che — contrariamente a quel che avviene per i sistemi lineari — 2" possa dar come residui, rispetto a P', più sistemi irri- ducibili distinti, non reca alcuna noia, perchè sta sempre che due di questi sistemi non possono avere in comune alcuna curva totale. Suppongasi piuttosto che la curva C, ancora irriducibile, abbia punti multipli — per semplicità diciamo 4 punti doppî — i quali si assegnino tutti come variabili, colle loro molteplicità effettive. Vogliamo allora pro- vare che, se esiste un sistema irriducibile completo, almeno 00, senza punti base, il quale contenga C, e sia costituito da curve dello stesso ordine, con d punti doppî variabili, questo sistema è unico. — 470 — La curva C avrà per imagine, sul solito piano #-plo @, una curva C,, d'ordine nm, la quale possiede d punti doppî, dei quali 4, ben determinati, che diremo purzti doppi effettivi, hanno i due rami sopra una stessa falda del piano multiplo, cioè son tali che uno degli x punti corrispondenti su F ad un punto di «, mobile lungo un ramo uscente da uno dei suddetti 4 nodi, ha un limite indipendente dal ramo sul quale ci si muove. Gli altri d-d punti doppî di C,, che chiameremo punti doppi apparenti, hanno invece i due rami su falde distinte e provengono appunto da punti doppî apparenti di C. Ebbene, anche in tal caso si considererà su @ il sistema completo con- nesso T,, almeno co’, contenente C, e costituito dalle curve d’ordine m, che hanno d punti doppî e 4 contatti con K, e si concluderà, come prima, che questo sistema ha in C, un elemento semplice. Tutte le curve, appartenenti insieme con C, ad un medesimo sistema irriducibile X,, tolto da T,, avranno, al pari di C,, d punti doppî effettivi. Infatti, se la generica curva C del sistema X, corrispondente su F al sistema £, di @, avesse soltanto d'< d punti doppî, il genere effettivo della C si abbasserebbe di d — d' unità nel passaggio da C a C ('), mentre invece le proiezioni di C e di C hanno lo stesso numero d di punti doppî e perciò lo stesso genere. Si conclude pertanto nel modo già enunciato. Supponiamo adesso che C sia riducibile e dotata di d punti doppî, che potranno essere nodi delle singole componenti o punti comuni alle com- ponenti a due a due; e inoltre supponiamo che esista un sistema irriducibile completo 2, il quale contenga C e infinite altre curve dello stesso ordine, dotate di 4 punti doppî variabili. Le componenti irriducibili C',C",..... della curva C, al variare di C in X, descrivono dei sistemi continui, anche 00°, ed eventualmente non tutti distinti. Indichiamo con 2',2",... questi sistemi, completati se occorre. Se la C' ha d' punti doppî variabili, il sistema £”, per quanto precede, è perfettamente individuato, per il fatto di dover contenere C' con i suoi d' nodi variabili; e così dicasi di 2", ecc. Laonde il sistema X, che è com- pleto, si ottiene come l'insieme di /u/ i gruppi di curve tolte rispettiva- mente da 2",2",..., ed è quindi pienamente individuato. Sia finalmente C una curva, irriducibile o no, sulla quale si assegnino: a) alcuni punti base con molteplicità virtuali uguali alle effettive; 5) alcuni altri punti base (ipermultipli) con molteplicità virtuali minori delle effettive (s' intende che in questa categoria sono compresi anche (1) Si vede subito, e del resto è ben noto, che ogni nuovo punto doppio che una curva C, variabile sopra una superficie F, venga ad acquistare (in un punto semplice di F), è un punto doppio proprio (ved., per la distinzione in proprìî ed improprî dei punti di una curva variabile in una famiglia, la mia Nota lincea sulla classificazione delle curve, che avrò occasione di citare più tardi). Di — 471 — i punti base, che si vogliono considerare come virtualmente inesistenti; in essi la molteplicità virtuale assegnata è -0); c) alcuni punti multipli di C, distinti da quelli delle categorie a) d), come punti multipli variabili con molteplicità uguali a quelle che effettiva- mente presenta in essi la C. Operando allora una trasformazione birazionale della F, che sciolga i punti delle categorie 4) d) in curve eccezionali, la curva C', trasformata di C, viene a contenere come parte fissa ogni curva eccezionale proveniente da un punto P della categoria 5), contata tante volte quant’è la differenza fra la molteplicità effettiva e la molteplicità virtuale assegnata in P. E si ha così da fare con una curva riducibile priva di punti base iper- multipli, ma dotata di componenti fisse e di punti multipli variabili. Essa, per quanto precede, individua un ben determinato sistema continuo irridu- cibile a cui appartiene come curva totale. Ne segue subito la cosa analoga per C. E si conclude col teorema generale enunciato nella prefazione, restando inoltre specificato come si debbono assegnare i punti base e î punti mul- tipli variabili sulla curva C, mediante cui si vuol definire il sistema continuo (punti delle categorie 4), d), c) sopra considerate). Risulta pure che él teorema della fine del n. 2 vale anche peîi sistemi continui di curve irriducibili con punti multipli variabili: su ognuna, C, di queste curve, che non presenti punti multipli nuovi rispetto alla gene- rica curva del sistema considerato, la serie caratteristica (fatta astra- zione dai punti fissi che cadono nei punti multipli) è completa; inoltre C è origine di una sola falda del sistema cui appartiene; ecc. ecc. Meccanica. — Sulla integrazione delle equazioni di Maxwell. Nota del Corrispondente 0. TEDONE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 4722 — Petrografia. — Stud? litologici sull’isola del Giglio. 1: Le rocce verdi. Nota del Corrispondente FEDERICO MILLOSEVICH. Le rocce verdi che si trovano nel promontorio del Franco, quella parte di natura geologica diversa che sporge ad occidente dalla maggior massa gra- nitica dell’isola del Giglio, sono state oggetto di studî petrografici da parte del Chelussi (*) e del Franchi (?). Mentre il primo si limitò all’analisi micro- scopica di due soli campioni datigli in esame da De Stefani, l’altro ci diede uno studio succinto, ma molto interessante, di alcune rocce raccolte dal Lotti, le quali presentano analogie con altre della Gorgona, di Capo Argentario e di Pegli in Liguria e insieme con queste rientrano nella grande famiglia petrografica delle prasiniti ed anfiboliti sodiche, da lui meglio definita e descritta (*). Credo tuttavia che, anche dopo ilavori del Franchi, le ricerche che mi accingo ad esporre, frutto di varie escursioni che potei compiere nella zona di affioramento delle rocce verdi nell'isola del Giglio (ricerche intese anche ad indagare la composizione chimica, finora ignota, di alcune di esse), possano portare un ulteriore contributo non solo alla conoscenza petrografica dell’isola, ma anche alla più importante questione del metamorfismo delle zone gabbriche o diabasiche in prasiniti e in anfiboliti sodiche. Come è noto, le rocce verdi appaiono nel versante meridionale del Franco dalla vetta del Poggio Zuffolone, che ne è il punto più elevato (m. 207), fino al mare. La loro posizione stratigrafica è, secondo il Lotti (4), fra i conglome- rati, le arenarie e gli scisti del permiano, che si trovano lungo il mare fia la Punta di Pietralta e la Punta di Mezzo Franco, e il calcare retico che costituisce gran parte del promontorio; e la loro età è triassica. Secondo il De Stefani (*) invece sono le più antiche del Franco e di età predevonica, Fra esse io ho osservato i seguenti tipi: serpentine scistose, gabbri sci- stosi prasinitizzati, prasiniti, gabbri massicci all'incirca normali, e anfiboliti (1) Chelussi I, Di due rocce a glaucofane dell'isola del Giglio. Rend. Ace. Lincei (ser. 5), /4, (1895), 1° sem., pag. 466. (®) Franchi S., Prasiniti ed anfiboliti sodiche provenienti dalla metamorfosi di roccie diabasiche presso Pagli, nelle isole Giglio e Gorgona ed al Capo Argentario. Boll. soc. geol. ital. /5, (1896), 169. i (3)"Franchi, Notizie sopra alcune metamorfosi di eufotidi e diabasi nelle Alpi occi> dentali, in Boll. com. geol., 26 (1895), 181; idem, Contribuzione allo studio delle rocce a glaucofane e del metamorfismo onde ebbero origine nella regione ligure-alpina occi- dentale, in" Boll. com. geol., 23 (1902), 255. (*) Lotti B., Geologia della Toscana (1910), pp. 19 e 26. (5) De Stefani C, Notizie geologiche (in Sommier S., L'isola del Giglio e la sua flora. Torino 1900, pag. LII). NRE — 473 — sodiche che da questi derivano per varî gradi di metamorfismo. Non è facile lo stabilire nettamente il loro rapporto stratigrafico con gli scisti cui sono talora intimamente associate. Nella parte inferiore del giacimento gabbri scistosi e serpentine, pure scistose, si alternano con banchi di calcescisti; al di sopra si trovano rocce con scistosità meno evidente, e superiormente ancora rocce mas- siccie o quasi. Che le rocce verdi costituiscano una serie ascendente, che va dalle serpentine e dai gabbri scistosi alle prasiniti e infine ai gabbri mas- sicci e alle anfiboliti sodiche con essi associate, sembra quindi probabile, anche per ragioni di analogia con le coeve e consimili rocce dell'Argentario e della Gorgona('). GABBRI PRASINITIZZATI. Fra la cala dell’Allume e la Punta di Pietralta, nelle località deno- minate Galera e Salto del Cane, compaiono, presso la riva del mare, dei banchi di gabbro a struttura scistosa. Presso la rupe di Pietralta le rocce gabbriche passano a rocce serpentinose, anch'esse con distinta scistosità in massa. Così le une come le altre hanno stretti rapporti fra di loro e con calcescisti di color bigio lucente costituiti da calcite predominante, da quarzo, da poco feldspato granulare, da sericite e clorite e infine da pochissimo epidoto. Macroscopicamente i gabbri mostrano, in una pasta uniforme finamente granulare di color verde, delle grosse lamine di diallagio e delle vene di cal- cite cristallina. Al microscopio la roccia rivela un aggregato di granuli di feldspato e di cristalletti o granuli di epidoto, in mezzo al quale sono immersi grossi elementi di diallagio in via di trasformazione più o meno avanzata, nonchè numerosi minerali che di questa trasformazione sono il risultato. Il feld- spato, tutto di origine metamortfica, cioè in aggregato mosaiciforme di granuli senza geminazione polisintetica, è da riferirsi, per il suo indice di rifra- zione = 1,53, ad un termine albitico: fra i granuli di feldspato si notano numerosi cristalletti allungati di un epidoto quasi incoloro, poco ferrifero, e scarsi granuletti di zoisite. Calcite cristallina, riunita in noduli o attra- versante in forma di vene entro l’'aggregato feldspatico-epidotico, è elemento relativamente abbondante. La lawsonite, che è minerale caratteristico ed anche assai diffuso in altre rocce dell’isola, non si osserva invece in questi gabbri, il cui feldspato primitivo mostra di aver subìto il tipico e noto metamorfismo saussuritico. Il pirosseno è da riferirsi unicamente al diallagio il quale, quando non sia ancora metamorfosato, si presenta in grossi cristalli laminari, per traspa- (3) vedere, oltre il Lotti (loc. cit.), anche: Lotti, Appunti di osservazioni geologiche nel promontorio Argentario, nell'isola del Giglio e nell'isola di Gorgona. [Boll. com. geol. ital., /4 (1883), pag. 122]; Fucini A., Studi geologici sul promontorio Argentario [Ann. Univ. Toscane, 32, Pisa 1912 ]; Ugolini R., Appunti sulla costituzione geologica dell'isola di Gorgona [Mem. Soc, tosc. se. nat., Pisa, 18 (1902), pag. 36]. — 474 — renza di color verde chiarissimo, ma quasi sempre parecchio torbidi, con i suoi caratteri strutturali tipici e con colori d'interferenza ben vivi. Multiformi ed interessanti sono le trasformazioni e le alterazioni di esso, Non mancano le vere e proprie paramorfosi uralitiche in cui l’ idiomorfismo del primitivo cristallo di diallagio resta ben mantenuto. In altri casi invece (e sono più frequenti), i cristalli di diallagio mostrano deformazioni meccaniche come ripiegamenti, rotture e sfrangiature specie all'estremità, dando luogo a formazione di fibre.o fasci di fibre di anfibolo attinolitico, o tremolitico, il primo con debole pleocroismo sulle tinte verdi chiare, il secondo, che si pre- senta anche in forma di laminette, perfettamente incoloro; l'uno e l’altro con angolo cc intorno ai 15°. Fra gli anfiboli secondarî si trovano cristalletti prismatici a contorno ben definito di orneblenda comune con lo schema di assorbimento e pleocroismo normale, a giallognolo, b giallo -verdognolo, c verde e angolo cc di 12° circa, e laminette di orneblenda bruna nelle quali è dato di osservare a giallo chiaro, c bruno intenso, e l'angolo cc da 6° a 7°. Infine, dei rari elementi fibrosi anfibolici con pleocroismo sui toni verde- chiaro e azzurro-chiaro sembrano indicare un passaggio dai termini attino- litici a quelli glaucofanici, tanto diffusi e caratteristici in altre rocce del Franco. Devonsi infine segualare, fra i minerali di origine secondaria, delle lami- nette di talco che formano delle frangie all’estremo dei residui pirossenici e delle zone di serpentino fibroso o antigoritico che orlano e in parte attra- versano la massa dei pirosseni stessi. Un campione di questi gabbri, raccolto sotto la rupe detta Salto del Cane, ha la seguente composizione chimica: SI ina 0 RICO PARETI VAIO PARRA Pai CARRA) ARO La T as(080) Pes Ove te cia ai pedi Pelo ae e a OS05 Mania ina Uro pini 000 Cas lif ion sriiiniata:98 Me 0... riga aldo NasoOr. iniettata Kei: Era riaiciora a pl COTTI RR e 2,04 Hi giaro lino to 100,59 — 475 — SERPENTINE. Le serpentine compaiono con limitato affioramento presso la Punta di Pietralta. Si tratta di rocce che presentano sempre una tendenza alla scisto- sità e possono passare localmente a veri e proprî serpentino-scisti. Hanno colore grigio-verde piuttosto cupo, e nella massa uniforme spiccano solo qualche residuo di lamina pirossenica e venuzze di quarzo. Nelle varietà più scistose si notano anche noduli e concentrazioni più grandi di quarzo. Le serpentine del Giglio sono di natura antigoritica; e questo carattere le assimila a quelle della Gorgona (*) e dell'Argentario (*), da considerarsi coeve, e le differenzia da quelle eoceniche del continente, che sono di origine lherzolitica. La natura del materiale antigoritico è così minutamente e com- pattamente squamosa che un ordinamento delle lamelle di esso, secondo una delle caratteristiche e diverse strutture delle rocce serpentinose, non appare chiaro, e solo saltuariamente si rende palese un accenno alla impalcatura orto- gonale che si ritiene propria delle serpentine di origine pirossenica. Una siffatta origine è resa probabile anche dalla presenza, nella massa, di frequenti lamine diallagiche, tutte più o meno profondamente metamorfosate, che mostrano tuttavia quasi sempre un residuo del minerale primitivo. Il quale è di color grigio - verde chiaro, quasi sempre molto torbido con distorsioni e ripiegamenti evidentissimi e con caratteri strutturali e ottici simili a quelli del diallagio dei gabbri prasinitizzati dianzi descritti. Anche la metamorfosi di esso si manifesta con l’identico processo e ne derivano anche qui attinoto verde- chiaro con leggero pleocroismo sulle tinte verdi, altro attinoto consimile con leggero pleocroismo dal verde all’azzurro chiaro, tremolite fibrosa o lamel- lare, orneblenda bruna, talco, clorite. Attraversano la massa antigoritica venuzze di quarzo granulare, a cui si associa anche qualche cristallino feldspa- tico non geminato. Come dall’osservazione sul terreno, così anche dall'esame microscopico appaiono relazioni strette, genetiche e strutturali, fra queste serpentine e i gabbri prasinitizzati che insieme formano la zona inferiore delle rocce verdi. Gli uni e le altre presentano, anche più accentuati che non altre rocce del- l'isola i segni di dinamometamorfismo. PRASINITI. A questa famiglia ascrivo un complesso di rocce, pur alquanto differenti fra loro per la quantità relativa degli elementi che le costituiscono, le quali sì rinvengono, salendo dalla Punta di Pietralta verso la vetta dello Zuffolone, (*) Manasse E., Ze rocce della Gorgona. Pisa (Nistri) 1903. (*) Onetti A., Rocce del Capo Argentario. Proc. verb. Soc. tosc. scien. nat. [Pisa, 22 (1913), 15]. ReENDICONTI. 1916, Vol. KXV, 1° Sem. 62 x — 476 — al disopra delle serpentine e dei gabbri scistosi. Sono tutte rocce di aspetto uniforme afanitico, fimamente granulari, sulle varie tinte dal grigio-verde scuro al verde bluastro, con tendenza a scistosità in massa. Al microscopio si mostrano costituite da anfibolo e da feldspato granu- lare come elementi essenziali, ai quali si associano in quantità variabile resti di un pirosseno originario, clorite, lawsonite, epidoto, zoisite, calcite, ilmenite. Il feldspato è in quantità variabile per le diverse varietà: in alcune è l'elemento prevalente, in altre divide il predominio con l'anfibolo. Dove pre- vale mostra evidente la struttura a mosaico che è tipica di queste rocce: in tutti i casi si tratta di un termine albitico (con indice di rifrazione medio = 1,53) in cristalletti granulari senza geminazione polisintetica. Il pirosseno originario, in alcune varietà, è ancora relativamente abbon- dante; in altre si riduce a pochi resti. Dove è ben riconoscibile mostra i caratteri di un diallagio in cristalletti di dimensioni non grandi, con idio- morfismo perfetto. Il colore verdognolo chiaro, la facile divisibilità pinacoi- dale, un accenno a geminazione polisintetica, i caratteri ottici conducono a questa diagnosi. Nelle varietà dove il pirosseno si riduce a pochi resti, questi non sono ben determinabili e quindi riesce ben difficile lo stabilire (ciò che d'altronde non mancherebbe d'importanza) se la roccia originaria abbia contenuto come elemento tipico un'augite o un diallagio. L'anfibolo, derivato dal pirosseno, è di tre sorta: glaucofane abbondan- tissimo in fibre o lamine che si scindono in aggregati fibrosi con carattere positivo dell’allungamento e schema di pleocroismo a quasi incoloro, Db vio- letto chiaro, c azzurro, angolo cc = 6°, colori d'interferenza bassi; orne- blenda bruna in laminette con pleocroismo: a giallo chiaro: b bruno chiaro, c castagno, e angolo cc = 10° circa; anfibolo fibroso attinolitico con pleocroismo debole sulle tinte verdi, molto più raro. Saltuariamente abbondante, a seconda delle diverse varietà, è una clorite verde-pallido con pleocroismo quasi insensibile e birifrazione bassissima. Nella massa feldspatica granulare sono disseminati cristalli di epidoto incoloro o appena giallognolo senza pleocroismo, pochi granuli di zoisite e abbondanti cristalli, perfettamente idiomorfi in forma di prismetti con sezioni per lo più di rettangoli e più raramente di rombi, di quel minerale che carat- terizza parecchie di tali rocce metamorfiche, che Franchi per primo fece cono- scere nelle roccie italiane, cioè di lawsonite. Oltre la forma caratteristica, giovano a farlo riconoscere la rifrazione e la birifrazione elevate, nonchè il segno negativo dell’allungamento nelle sezioni rettangolari, e i caratteri di estinzione proprî delle specie trimetriche. In questa lawsonite del Giglio non mi fu dato di riscontrare con sicurezza quella lamellazione per geminazione polisintetica che si trova in altri giacimenti italiani ('). La distribuzione del (*) Franchi 8, Sulla presenza del nuovo minerale lawsonite come elemento costi» tuente in alcune rocce italiane [ Torino, Atti Acc. sc. XXXII (1896)]; vedi anche Manasse (loc, cit.) e Ugolini R., Rocce di Montecristo [Siena, Atti Acc. fisiocritici (1909)]. TA Cva minerale non è uniforme; ma invece nello stesso campione, e anche nella stessa sezione, esso si addensa in certi tratti, mentre manca completamente in altri. La descrizione che ho data di queste rocce, che ho distinto col nome di prasiniti, può dirsi una descrizione media, poichè molte sono le differenze che corrono da varietà a varietà in quanto riguarda la distribuzione e la quantità relativa dei minerali sopraccennati. Giustifico il nome, tratto dalla nomenclatura razionalissima di Novarese e Franchi (*), per il fatto che il feldspato è sempre di natura acida, sì presenta sempre in aggregato granu- lare ed è, o elemento prevalente, o che divide la prevalenza con l’anfibolo sodico (glaucofane), per quanto in alcune varietà la struttura a mosaico, che sì ritiene specifica di tali rocce, non appaia evidente. Queste varietà fanno passaggio ad anfiboliti sodiche; ma preferisco avvicinarle piuttosto alle prasiniti, perchè le vere anfiboliti sodiche, che si riscontrano anche nell'isola del Giglio, hanno caratteri strutturali, mineralogici e chimici alquanto diversi. Di un campione di color grigio-verdastro cupo, a tessitura finamente granulare con feldspato e glaucofane quasi in uguali proporzioni e con lawso- Rite non abbondante, ho fatto l’analisi chimica che mi ha dato i seguenti risultati: STORIA IRR WA E88 BOSE BR AT AL Ore een AS Bee Rep enennnnecetoota Mie 045 COR e NO ME 0a TDI Roe e 29 Nas ee 00 HE ere 40 99,57 GABBRI MASSICCI NORMALI. Nella più elevata parte del Poggio Zuffolone, alle rocce in vario grado scistose sopradescritte, succedono degli‘ affioramenti di rocce massiccie. Si tratta di gabbri i quali si prestano, in modo eccezionalmente favorevole, allo studio dei fenomeni di metamorfismo, inquantochè in breve tratto permet- (') Novarese S., Momenclatura e sistematica delle rocce verdi nelle Alpi occiden- tali. Boll. com. geol., 26 (1895), 164. — We — tono di osservare delle rocce gabbriche quasi normali e, da esse, varî gradi di passaggio a delle vere anfiboliti sodiche metamorfiche. I gabbri normali hanno tessitura grossolanamente granosa e mostrano numerose lamine diallagiche di color grigio-verde scuro in mezzo ad una massa feldspatica un po' più chiara. Venuzze e noduli di calcite cristallina appaiono anche all'esame macroscopico. Al microscopio si rivelano ancora tutti i caratteri di un gabbro, e componenti essenziali risultano il diallagio e un feldspato calcico-sodico: l’uno e l’altro però con principî di alterazione e di metamorfismo, che si manifestano, nel primo, con una contorsione che dimostrano di aver subìto le lamine del minerale e con la formazione di minerali secondarî, e, nel secondo, con parziale scomparsa della geminazione, con accenno a struttura granulare e riempimento della massa con nuovi mine- rali. La compenetrazione, di calcite cristallina in tutta la massa della roccia, e più nelle zone feldspatiche è resa più evidente all'osservazione micro- scopica. Il feldspato, in grandi individui piuttosto torbidi e ricchi di inelusi con geminazione polisintetica distinta. è, per i suoi caratteri ottici, riferibile ad una andesina; altri individui invece sono ridotti ad un mosaico di granuli senza geminazione distinta, appartenenti ad un termine molto più acido, inzep- pati da epidoto, da clorite, da poca lawsonite e, sopra tutto, da calcite abbon- dante. Il diallagio è in elementi di color verde-giallognolo chiaro per traspa- renza: i cristalli, per lo più idiomorfi, sono diversi fra loro per vario grado di limpidezza, sicchè alcuni sono scevri quasi di inclusioni, mentre altri ne presentano molte nelle caratteristiche serie parallele. L'alterazione comincia in qualche cristallo a manifestarsi con un generale intorbidamento e poi con la formazione, in serie parallele secondo le tracce della sfaldatura, di cristal- letti fibrosi allungati di un anfibolo attinolitico verde a pleocroismo poco intenso e con la penetrazione irregolare di vene di clorite e calcite entro la massa del cristallo stesso. La clorite è elemento abbondante e presenta debole birifrazione e debole pleocroismo del verde al verde giallognolo e sì trova, oltrechè dentro i cristalli di pirosseno, a formare anche speciali aggregati di piccole lamine. Notevole è il fatto che in questa roccia non vi è traccia di anfibolo sodico, il quale si trova invece sempre in altre dove il metamorfismo è più progredito. L'esame chimico di queste rocce in un campione con segni minimi di metamorfismo si presentava particolarmente importante come punto di par- tenza per osservazioni sull'andamento chimico. — 479 — La composizione chimica di una varietà scelta fra quelle che mostrano tracce minori di metamorfismo è risultata la seguente: Sio ara Le ba 43:05 Tosi AI eee at 087 ATO SUS ab45 oO E OS TA ab 29 PejOnga aerea dior 2,04 Mn. aid ee ig 218 Car as a EI it Ma:0138 SPES E 18700 RX le Sai 070 Na 0a 430009; 24 COLLO e a 18548 Bore ea 00 291/928 100,80 ANFIBOLITI SODICHE A CROCIDOLITE. Dai gabbri sopradescritti si passa, per gradi di sempre più progredito metamorfismo, a delle rocce che ben si possono chiamare anfiboliti sodiche, perchè hanno come elemento essenziale e predominante un anfibolo sodico. Mineralogicamente la caratteristica essenziale di esse è la presenza, accanto ad un anfibolo glaucofanico, di un anfibolo riebekitico (crocidolite) che in talune varietà è addirittura prevalente. i Verso la vetta del Zuffolone sì incontrano rocce di color violaceo scuro, quasi nero per l'abbondanza di un anfibolo sodico laminare. L'elemento feldspa- tico è ancora riconoscibile da chiazze bianche o bruno-verdastre e anche da qualche superficie di sfaldatura. Il materiale più abbondante è l'anfibolo derivato dalla trasformazione del diallagio ancora riconoscibile in quei cristalli che hanno subìto solo in parte la trasformazione. In tal caso si può notare in questo una fine e perfetta struttura polisintetica per geminazione secondo [001], un colore per traspa- renza verde-giallastro abbastanza intenso, ma senza pleocroismo sensibile. L'anfibolo più comune è, o glaucofane, o crocidolite. Il glaucofane è per lo più in cristalletti prismatici allungati, riuniti parallelamente a formare delle vere lamine che sostituiscono quelle primitive di diallagio: ma sì osserva : anche in cristalletti isolati, perfettamente idiomorfi e in sezioni a losanga. I cristalli hanno allungamento positivo e pleocroismo con il seguente schema: i a verde giallognolo quasi incoloro; b violaceo; c azzurro. In essi osservasi cc= 6° circa. — 480 — - La crocidolite si presenta pure in lamine, ma queste si risolvono in un intreccio subparallelo di fibre. che appaiono come riunite in fasci: è frequen- tissima anche in fibre e in aciculi isolati senza terminazione netta, e questo minor idiomorfismo serve anzitutto a distinguerla dal glaucofane. Dal quale si differenzia altresì, per colori d'interferenza più bassi (sull'azzurro cupo), per il segno di allungamento delle fibre che è negativo e per pleocroismo un po' differente per intensità di tinte e con lo schema seguente: a azzurro vivo; © violaceo intenso; c verde giallastro. Negli aggregati fibrosi laminari l'estinzione non è esattamente determinabile per la sua ondulosità, ed anche nelle fibre più grosse isolate la determinazione sicura non riesce agevole per la forte dispersione delle bisettrici: la media di molte misure mi ha dato il valore dell'angolo ca = 12° circa. La presenza della crocidolite in prasiniti e anfiboliti sodiche italiane fu osservata per la prima volta dal Lacroix (*) per rocce della Gorgona e del monte Argentario e confermata poi, negli studî ulteriori e già citati, dal Franchi, dal Manasse e dal Onetti. Lo stesso minerale fu poi spesso osservato dal Franchi in rocce delle Alpi occidentali, e ulteriormente anche dal Termier (*) in rocce della stessa regione: di guisa che esso si può considerare ormai come un elemento abbastanza diffuso e molto caratteristico di alcune di queste rocce metamorfiche. L'unione fra glaucofane e crocidolite è così intima, che accade talora di osservare nello stesso cristallo di diallagio la trasformazione in un anfibolo verde a pleocroismo poco intenso (attinoto) e nei due anfiboli azzurri. Uno di questi cristalli, ancora per la maggior parte inalterato, nel suo interno mostra una orlatura periferica, più o meno spessa, di anfibolo azzurro; e questo comincia anche ad apparire in chiazze sparse qua e là nell'interno, dispo- nendosi sempre in fibre o cristalletti allungati secondo l'asse verticale e tutti paralleli fra loro e con l’asse verticale del diallagio. Ad una estremità poi del cristallo, dove la trasformazione in anfibolo azzurro è penetrata più adden- tro nella massa, le fibre di anfibolo azzurro presentano, alcune, allungamento positivo (glaucofane), altre allungamento negativo (crocidolite): senza l'aiuto di una lamina di gesso o di una di mica !/, 4 non riuscirebbe evidente l' in- tima unione dei due diversi anfiboli sodici, perchè i rispettivi assi c ed a del glaucofane e della crocidolite sono a un dipresso paralleli (in verità la loro inclinazione dipende dal diverso valore degli angoli cc e ca nell'uno 8 nell'altro), e questi presentano quasi lo stesso tono di colore azzurro vivo quando vengono a coincidere colla sezione principale del polarizzatore. (®) Lacroix A., Sur les propriétés optiques de la crocidolite et la diffusion de ce minéral. Ball. soc. frane. de minér. XIII (1890), 10. (*) Termier P., Roches è lawsonite et a glaucophane et roches è riebeckite de Saint- Veran (Hautes Alpes). Ibidem, XXVII (1904), 265. ic————#@@€++11€+——____————y— _— — 481 — In un altro caso ho osservato una sezione di diallagio completamente trasformata in un aggregato parallelo di fibre di un anfibolo azzurro glauco- fanico e di uno verde-chiaro attinolitico, pur conservando il contorno cristal- lino primitivo. L'orlo della sezione presenta un mantello, non molto spesso, di erocidolite in fine e corte fibre e plaghe, pure di crocidolite, pervadono la massa stessa attinoto-glaucofanica penetrando per le fenditure irregolari di essa, allo stesso modo che si vede il serpentino penetrare con maglie irre- golari nei cristalli di olivina. Il Franchi (loc. cit.) ebbe già ad osservare la presenza di due anfiboli sodici di natura diversa, non solo nella stessa roccia - ma in un unico cristallo: e le mie ricerche mi fanno ritenere che un tal fatto in queste rocce metamorfiche sia abbastanza frequente. Il feldspato è ancora in parte in distinte e larghe sezioni con gemina- zione polisintetica, come il feldspato cioè dei gabbri normali. In tale caso ho potuto constatare per i caratteri ottici la presenza di termini oligoclasici o, al più, andesinici; miscele ptù basiche non mi fu dato d'osservare. Altra parte del feldspato della roccia è ridotta invece al solito aggregato granulare mosaiciforme con granuli di dimensioni abbastanza grandi, ma senza gemi- nazione, limpidi e con indice di rifrazione = 1,534. Si ha dunque della albite e, insieme con essa, molta bella e tipica lawsonite in cristalletti prisma- tici nettamente idiomorfi, per lo più a contorno rettangolare e, in tal caso, con allungamento negativo, senza distinta geminazione polisintetica, con forte rilievo e vivissimi colori d'interferenza. Il diverso modo di comportarsi del feldspato calcico-sodico verso gli agenti di metamorfismo nella stessa roccia non trova altra spiegazione se non nella diversa composizione chimica di esso: le miscele più acide resistono al processo di prasinitizzazione o saussuritizza- zione che dir si voglia, mentre le più basiche lo subiscono completamente. Infatti tutti i feldspati in grossi elementi e con distinta geminazione, che si rinvengono ancora inalterati o poco alterati in tutte queste rocce verdi del Giglio, sono miscele andesiniche o anche oligoclasiche. Altri minerali che si osservano in queste anfiboliti sodiche sono epidoto in granuli a contorno irregelare, quasi incoloro o di un color giallo verdo- gnolo chiarissimo, zoisite in rari cristalletti a contorno arrotondato, clorite in quantità assai minore che non nei gabbri poco metamorfosati dianzi descritti e con i medesimi caratteri, pochi cristalli di titanite fresca e una quantità relativamente abbondante di leucoxeno, il quale, oltre a formare larghe chiazze intorno a detti cristalli, pervade anche certe sezioni anfiboliche penetrando con maglie a losanga lungo le tracce dei piani di sfaldatura, maglie che nel loro interno racchiudono per lo più clorite, ma, in parte, anche anfibolo azzurro. — 482 — Ecco l’analisi di un campione raccolto presso la vetta dello Zuffolone: SIOE ee ode 44008 TLO AVI de 21:80 ATSO HHE RURESO det #01965 Pos gli PU ALA SUOI Peo ee SRO ILE MO E e] RI 40 CO dla duce i Mot 4 FOR MO KRT R IOA NATO erat i Deo I 296. BERO, E TAL SRI 99,35 Il non esser nell'isola del Giglio il metamorfismo delle rocce verdi così generale e avanzato come in altre regioni, costituisce una condizione assai favorevole per chiarire qualche dato di fatto intorno al processo metamorfico stesso. Riassumendo, si può ritenere con sicurezza che i gabbri massicci della più elevata zona del Franco si sono trasformati in anfiboliti sodiche, perchè sì può seguire esattamente il graduale passaggio da un tipo all'altro di rocce. Con non altrettanta sicurezza, ma con sufficiente approssimazione al vero, si può ritenere che invece la metamorfosi dei gabbri scistosi della zona infe- riore proceda verso le prasiniti, che con essi sono in relazione di giacitura; soltanto, in questo caso non appaiono così evidenti i gradi di passaggio. Per ciò che riguarda i caratteri mineralogici di tale metamorfismo, i fatti più importanti di cui bisogna tener conto sono i seguenti: I gabbri scistosi che hanno il loro feldspato completamente saussuri- tizzato non mostrano nella massa di esso la lawsonite, la quale è abbondante nelle prasiniti che da essi gabbri derivano per più progredito metamorfismo. Il feldspato più acido nei gabbri massicci e anche nelle anfiboliti sodiche ha resistito al processo di metamorfismo; mentre il feldspato più basico, già negli stessi gabbri, e più nelle anfiboliti sodiche, sì è trasformato in un aggre- gato di albite, di lawsonite e di altri minerali. La calcite, che è abbondante nei gabbri scistosi e nei gabbri massicci, cioè nelle rocce senza o con poca lawsonite, manca quasi del tutto nelle prasiniti e nelle anfiboliti sodiche, dove invece la lawsonite si riscontra sempre in quantità notevole. La trasformazione anfibolica del pirosseno dai gabbri massicci alle anfi- boliti sodiche ci presenta schematicamente queste fasi: diallagio, attinoto e — 4853 — glaucofane, e infine erocidolite (minerale con quantità considerevoli di ossidi di ferro). Le fasi invece della medesima trasformazione dai gabbri scistosi alle prasiniti sarebbero: diallagio, attinoto e glaucofane, orneblenda verde e orneblenda bruna. la quale rappresenterebbe in questo caso il termine ultimo, anch'esso notevolmente ferrifero. Il confronto delle analisi da me eseguite ci permette inoltre qualche interessante osservazione sulla costituzione chimica delle rocce del Franco e sopra il processo chimico del metamorfismo. Nella seguente tabella, oltre alle mie, ho riportato anche le analisi del Manasse (loc. cit.) in rocce analoghe «della Gorgona. IR] E TI STI | WERE VISI. VIII | IX | di | sio; 47,07 | 49,05 | 45,88| 43,05 | 46,39 |44,03|49,28|47,03| 44,46 | 46,04 {41,68 INT ;0; 0,13| 0,45| 0,47| 0,37| 0,10| 1,80 0,42| 0,38! 0,39] ‘0,40 [tracce | Al:05.. 17,80 | 18,83 | 14,15| 17,45| 18,81|19,65/16.34/16.47| 17,65 | 18.28 |21,76 | Fer 0; 5.04| 5,25| 691| 529| 5,70] 8,22 4,62) 3.81] 3,86] 400] 2,01 | Ps OS 2,95| 3,08) 5,121 2,04| 2,20] 6,11] 6,48| 9,17) 8,52/ 8,82] 2,04 Mu 0 0,56] 0,59|.0,45| 2,18| 2.29| 149 tracce|tracce| trucce | tracco | — | Ca0. 12,38| 19,20] 9.75| 11,17] 7,27] 6,51| 9,29 7,88! 8,861 7,18|10,39 | Mg 0 7,88| 8,21] 951| 860| 9.17] 5,20 6,37) 6,77) 744] 7,71]12,74 | TOR 0.56| 058| 123| 0,70) 0,75] 0,24] 0,14| 045! 0,39] .0,40| 0,29 | Nas 0. 2,22| 2,81] 305| 3,24| 3.49] 2,66) 3,77] 424 4,05] 419] 1,46 (MEcOMp:Cari |0:2;16|:02;25| 275.) 3:28 13,58] 3,44//2,54) 13,71] 2,981 3,0916,75 | HaQalo| — | — | — | — | — |_ |0,25| 0,34! 086| 0,87] 0,46 i COSA 204 MS E SR e o e i 0005 ee 00090 005 00 ls ssa - i 00061007 | DE) | Torte... [100,59 [100,00| 99,57 [100,80 [100,00 [99,85,99,61(99,84 100,53 [100,53 [99,65 | I Gabbro Sonia Giglio. V I* Idem. detratto Ca CO? e ridotto a 100. ‘II Prasinite a glaucofane del Giglio. I Gabbro massiccio quasi normale del | Giglio. i IIl* Idem. detratto Ca CO* e ridotto a 100. \\ AV Anfibolite sodica a crocidelite del | Giglio. | RanpiconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Se x Diabase prasinitizzato della Gor- gona. VI Prasinite anfibolica della Gorgona. VII Prasinite cloritica della Gorgona. VIII Idem. detratto Ca CO?. IX. Eufotide prasinitica a lawsonite della Gorgona. m. 68 (Manasse) — 454 — È evidente che le rocce verdi del Giglio non differiscono notevolmente fra di loro e neanche da quelle analoghe della Gorgona, e, come queste, rien- trano nella composizione chimica media dei gabbri e dei diabasi. Nella clas- sificazione chimica delle rocce a glaucofaue stabilita dal Washington (*), le prasiniti e le anfiboliti sodiche del Giglio apparterrebbero al gruppo basico. Un più accurato esame dei risultati delle mie analisi dimostra che una qualche differenza nella quantità di taluni elementi passa fra i gabbri meno metamorfosati e le prasiniti ed antiboliti sodiche che ne derivano: cosicchè l'opinione, espressa dal Franchi e confermata dal Manasse, che un tale meta- morfismo chimico avvenga unicamente per seambio di elementi fra gli stessi minerali della roceia senza intervento di elementi dall'esterno, se pur vera nelle linee generali, non deve ritenersi tale in tutti i particolari. Già lo Zam- bonini (*), nello studio del metamorfismo di un gabbro della Val di Susa. aveva osservato che il fenomeno procede con qualche modificazione chimica quantitativa e con qualche scambio di elementi con l'esterno: nelle rocce metamorfosate, in confronto a quelle da cui derivano, egli trovò maggiori quan- tità di ossidi di ferro ed una caratteristica diminuzione di Ca0 con conse- guente aumento di Mg 0. Uno sguardo alla tabella basta a dare la prova che la prima delle osservazioni dello Zambonini trova senz'altro conferma nelle mie analisi: anzi l'aumento di ossidi di ferro nelle rocce del Giglio accade in misura maggiore ehe non nelle rocce della Val di Susa. Un tal fatto era prevedibile, del resto, dallo studio mineralogico, che ha fatto constatare la presenza di orneblenda bruna e di crocidolite, cioè di minerali molto ferri- feri, fra i prodotti di più avanzato metamorfismo. Non così agevole è l'interpretazione della decalcificazione che anch'io ho osservato nelle mie rocce. Se si confrontano l’analisi I con l'analisi Il, e l'analisi III con la IV. si osserva una notevole diminuzione di Ca 0 dalle rocce meno alle rocce più metamorfosate; ma questa diminuzione è giusti- ficata dal fatto che la roccia I e la III sono assai ricche di calcite. mentre ne scarseggiano o ne mancano la II e la IV; e i dati calcolati nelle colonne ]° e III* servono appuuto a dimostrare che, se si fa astrazione dalla calce sotto forma di carbonato, la differenza in Ca0 fra dette rocce più non è considerevole. Bisognerebbe dunque conoscere, per poter ammettere che il metamorfismo proceda senz'altro con diminuzione di Ca 0, se la calcite che si trova nelle rocce I e III sia un prodotto della decomposizione dei silicati calciferi della roccia o non sia invece dovuta a penetrazione dall'ambiente esterno durante le primissime fasi del fenumeno. Giova a questo proposito il ricordare l’intimissima unione dei gabbri, specialmente scistosi, con i calce- (1) Washington H. S., A chemical study of the glaucophane schists. Amer. jour nal of science, XI (1901). (*) Zambonini: F., Veber den metamorphosierten Gabbro der « TI Bianca » in. Susa-Tale. Neues Jahrbuch fir Miner. ecc. (1906), II, 105. Lit EM SET — 489 — scisti, che abbiamo indicata a suo tempo. Nell'un caso il metamorfismo decor- rerebbe effettivamente con diminuzione di Ca 0 ; nell'altro, con aumento ini- ziale di Ca 0, che poi nel processo del fenomeno verrebbe di nuovo eliminata. Nell’un caso e nell'altro è opportuno di far rilevare l’azione che questa fase transitoria di abbondanza di Ca CO} potrebbe esercitare sopra la genesi della. lawsonite che comparisce soltanto a metamortismo molto progredito. Vale a dire, che la derivazione di questo minerale dai feldspati meno acidi potrebbe accadere con un processo un po più complicato che non sia quello supposto nell'ipotesi, tanto seducente per la sua naturalezza e semplicità, di un sem- plice sdoppiamento delle molecole del feldspato calcico sodico, ammessa dal Franchi. Fisiologia. — Nuove ricerche sui muscoli striati e lisci di animali omeotermi. Nota VIII: Azione dei gas della respirazione sul preparato diaframmatico (parte 2°), del Corrisp. FILIPPO BOTTAZZI. III. Ancora delle variazioni del tono, spontanee e provocate dai gas della respirazione. Già nella mia prima Memoria (loc. cit.) io riprodussi nelle figg. 8 e 9 (pag. 53) un lungo tracciato dimostrante la capacità del preparato frenico- diaframmatico di eseguire spontanee oscillazioni del tono, o contratture pe- riodiche, insieme con rapide contrazioni ritmiche, che s'intensificano sul - l'altipiano di ciascuna contrattura. Un fenomeno simile fu in seguito da me osservato anche un'altra volta. In questi casi il preparato non era affatto stimolato. Contratture analoghe, però, ho recentemente osservato in condizioni diverse, e cioè durante la stimolazione ritmica, fatta a intervalli conside - revoli, del preparato diaframmatico Si osservino a questo proposito le ligg. 1 62. Subito dopo il primo gruppo di contrazioni (che nelle figure non è ri- prodotto), i preparati incominciarono a reagire, durante i periodi di stimo- lazione ritmica alternati con periodi di riposo, con notevoli contratture. Le contratture eseguite dai preparati immersi in solo liquido di Ringer furono, in ambedue i casi, più forti di quelle eseguite dai preparati esposti all’azione del lattato sodico. La differenza ‘potrebbe esser dovuta, in parte, alla maggiore concentra- zioni dei sodioni, in parte a un'azione inibitrice sul tono esercitata dai lat- — 486 — tationi. Risulta però dagli esperimenti, in modo evidente, che la contrattura si manifesta solamente durante le stimolazioni, poi che nei periodi di riposo il tono dei muscoli torna press'a poco al valore di prima. Fis. 1. — Due preparati presi dal diaframma destro di una cagna, immersi in li- quido di Ringer, eccetto durante la stimolazione ritmica. Stimolazione: 2 accumulatori Edison; DR=180 mm.; frequenza degli stimoli unici d’apertura di corrente indotta =30 al 1’. Temper.: 32° C. Peso: gr. 4; tempo: 1”. Il preparato che registrò il tracciato inferiore si trovava in 80 cm? di liquido. di Ringer; il superiore, in 80 cm* di liq. di Ringer, al quale furono aggiunti 4 cm? di so- luzione 10 °/, di lattato sodico. Ma nei tracciati della fig. 2, e specialmente nell’inferiore, oltre alla contrattura coincidente coll’intero periodo delle stimolazioni ritmiche, sì osserva una singolare contrazione tonica del preparato, che apparisce quasi nel mezzo di ciascun periodo di attività ritmica. Essa esiste anche nel trac- — 487. ciato superiore, ma è assai meno cospicua. Questa contrazione tonica sembra essere affatto indipendente dalle stimolazioni ritmiche, perchè apparisce circa 3" dopo l’inizio di queste, e si risolve prima che esse cessino. Le contrazioni toniche ricordano quelle dell'atrio cardiaco di Zmys europaea, anche per il fatto, ancora più cospicuo nella fig. 8, che le con- Fre. 2. — Due preparati presi dal diaframma destro di un canino di 6 mesi, im- mersi in liquido: di Ringer, eccetto durante .la stimolazione ritmica. Stimolazione: 2 acc. Edison; DR=160 mm.; frequenza degli stimoli = 80 al 1‘ Temper.: 33° C. Peso: gr. 4; tempo: 1°. :Il preparato che registrò il tracciato inferiore si trovava in 70 cm? di liquido di vinger; il preparato superiore, in 70 cm* di liq. di Ringer, al quale furono aggiunti 3 cm5 di soluzione 10 °/, di-lattato sodico. trazioni rapide, elevantisi sulla :cima della contrazione tonica, sono più alte delle precedenti. Osservando i tracciati, si riceve l'impressione che, mentre procedono le contrazioni rapide ritmicamente provocate dagli stimoli elettrici, a un certo momento si desta l'attività di un'altra struttura ‘contrattile del muscolo, capace di eseguire una contrazione lenta che dura circa 5-6'. (Sui BARR particolari delle curve periodiche di fatica. che presenta il muscolo. esposto all'azione del lattato sodico, tornerò in una Nota successiva). Degno di nota è il fatto che, fra le contrazioni toniche ora descritte e le ritmiche contrazioni rapide provocate dagli stimoli elettrici, pare che esista qualche relazione di reciproca dipendenza. Specialmente nei tracciati inferiori delle tigg. 2 e 3 si vede chiaramente, che le contrazioni rapide | 4 | Fis. 3. — Continuazione del tracciato della fig. 2. Î FI. 4. — Preparato diaframmatico di cane, non immerso in liquido di Ringer. Dopo varî esperimenti, il muscolo fu lasciato per alcune vre in riposo, immerso in liquido di Ringer abbondantemente ossigenato. Dopo questo lungo riposo, esso fu di nuovo stimolato ritmicamente, e registrò la È |, curva di fatica riprodotta in questa figura. I Stimolazioni: 2 acc.; DR =120 mm.; frequenza degli stimoli =380 al 1” Temper.: 32° C. Peso: gr. 10; tempo: 1’. In 6, all’ossigeno fu sostituito l'azoto: la contrattura, che s'era già iniziata, s'in- tensificò. diminuiscono improvvisamente di altezza in coincidenza coll’inizio del tratto discendente della contrazione tonica, o poco dopo: quasi che una sola fosse la sorgente dell'energia alla quale attingono i due processi contrattorii, ed PIET da Cie > essa fosse in parte esaurita dalla contrazione tonica. Nella 1 parte di questa Nota ho riprodotto tracciati dimostranti come, in certe condizioni, l'acido. carbonico sia capace di provocare nel pre- parato diaframmatico la tendenza all'accorciamento tonico. In altre condizioni, un'azione analoga esercita l'espulsione dell'ossigeno, fatta mediante una corrente cli azoto, dal liquido di Ringer in cui il pre- = SR ERRATI 74 — 489 — parato diaframmatico, stimolato da scosse elettriche, si contrae ritmicamente. Ciò dimostrano i tracciati delle figg. 4 e 5. Finalmente, una contrattura iniziale più o meno cospicna durante l'at- tività ritmica del muscolo può verificarsi anche in presenza di ossigeno, sia il preparato immerso in liquido di Ringer. o no. Rerosodi bore: Aerea +03 Fi. 5. — Preparato diaframmatico di cane, non immerso. Dopo varî esperimenti (azione di COs ecc.), il muscolo fu lasciato per circa 4 ore a riposo in liquido di Ringer ossigenato. Durante il riposo, il tono del preparato si elevò alquanto. Quindi. tolto il liquido di Ringer. il muscolo fu di nuovo stimolato ritmicamente. Stimolazioni: 2 acc.; DR=120 mm.; frequenza degli stimoli unici: 30 al 1° Temper.: 32° C. Peso: gr. 10; tempo: 1. Prima che s' iniziasse alcuna contrattura, in 3, fu espulso l'ossigeno mediante una corrente di azoto, il quale gas continuò a passare fino a 4. Sotto l’ influenza ‘dell’asfissia, il muscolo eseguì un'amplissima contrazione tonica, come dimostra il tracciato riprodotto in questa figura. Si noti che le contrazioni rapide sono notevolmente più alte di quelle che si veg- gono nel gruppo a sinistra della figura, e che esse aumentano in altezza sulla cima della contrazione tonica. Tracciati dimostranti questo fatto io ho già riprodotto nella mia prima Memoria (loc. cit.. tig. 11, 12 e 13 a pp. 552, 553 e 554), e nella mia Nota lII(*) (loc. cit., tig. 2 a pag. 548); e potrei riprodurre ancora qui in gran numero, se non lo reputassi superfino. (1) Rend. d. R. Accad. d. Lincei, (5) XXIV, pag. 539 (1915). — 490 — Queste contratture iniziali sono però sempre relativamente poco accen- tuate, quando non rappresentano l'inizio dell'accorciamento da rigidità, come qualche volta avviene: per es., nel caso della tg. 6. Il preparato diaframmatico di gatto entra più facilmente in rigidità. In questo caso poi la temperatura relativamente alta, alla quale fu esposto il muscolo durante la sua attività, probabilmente accelerò la comparsa della Fre. 6. — Preparati diaframmatici di gatto non immersi in liquido di Ringer, ma tenuti sempre in un ambiente umido saturo di ossigeno. Il preparato A non fu stimolato; il preparato B fu stimolato ritmicamente. Stimolazioni: 2 ace.; DR=200 mm.; frequenza degli stimoli: 20 al 1. Temper.: variabile da 34° a 39° C. Peso: gr. 3; tempo: 1”. rigidità. Tuttavia, dopo un lungo periodo di riposo in liquido di Ringer ossi genato, il muscolo riacquistò in piccola parte la sua eccitabilità, ed eseguì di nuovo contrazioni ritmiche (non riprodotte nella figura) in risposta aglì stimoli, senza che però si allungasse. La fig. 6 dimostra che il muscolo A, non stimolato, tracciò una curva tonica approssimativamente parallela a quella del muscolo B. La curva Ag però, presenta un'elevazione meno rapida della curva B. Un fenomeno del tutto opposto alla contrattura iniziale è quello della iniziale diminuzione del tono che il preparato presenta sotto l'influenza della stimolazioni ritmiche. Anche a questo fenomeno io accennai nelle mie due — 491 — precedenti pubblicazioni (ved. prima Memoria, loc. cit., fig. 10 a pag 551, e fig. 13 a pag. 554). Esso è però assai meglio rilevabile dalla fig. 7 della presente Nota. Tn questo esperimento, mentre il tono del preparato B (tracciato inferiore) non si modificò affatto, il primo effetto delle stimolazioni ritmiche nel pre- Fia. 7. — Preparati diaframmatici di cagna non immersi in liquido di Ringer. Il preparato B non fu mai stimolato e servì di controllo, come nel caso precedente. Il pre-- parato A fu stimolato ritmicamente, sempre in ambiente umido saturo di ossigeno. Stimolazioni: 2 acc.; DR=200 mm.; frequenza degli stimoli unici: 20 al 1/. Temper.: 35° C. Peso: gr. 4; tempo: 1”. | parato A (tracciato superiore) fu un cospicuo abbassamento del tono, che durò per circa 2’, al quale seguì un ritorno del tono al valore iniziale. Dopo questa restaurazione del tono, il muscolo incominciò di nuovo ad allun- i; garsi, ma assai lentamente e assai meno che non nell'abbassamento prece- si dente. Nel tutto insieme, la curva basale, o curva tonica, descrive prima. RanpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 64 x — 492 — ‘una rapida discesa, poi una rapida elevazione, alla quale segue una discesa lentissima. I numerosi tracciati, che ho ottenuto, simili a questo, dimostrano che il fenomeno descritto occorre frequentemente. Posso aggiungere che esso occorre, però, solo nei preparati freschissimi e molto eccitabili, precedantemente non stimolati, e che esso non si ripresenta mai più, durante il corso dell’espe- rimento, nemmeno dopo che il muscolo è stato lasciato in perfetto riposo per molto tempo. Ciò fa supporre che il preparato diaframmatico si trova, all’inizio, in uno stato tonico considerevole. forse dipendente dalla superstite integrità funzionale delle giunzioni neuro-muscolari, stato che però si esaurisce per lo più in pochi minuti sotto l'azione delle contrazioni ritmiche provo- cate dagli stimoli unici. Di un tono dei muscoli striati separati dal corpo non trovasi menzione nella vasta letteratura sull'argomento. e in generale l’esistenza di un tono autoctono di essi è negato, mentre ogni fenomeno tonico o d’inibizione del tono è attribuito ai centri nervosi ('). Queste mie ricerche, invece, dimostrano che fenomeno tonici e d'inibizione del tono possono apparire o essere pro- vocati anche in muscoli striati che più non conservano alcuna relazione con i centri nervosi, purchè essi siano freschi, cioè non affaticati, o purchè in in essi sia dimostrabile che la funzione delle giunzioni neuromuscolari è ancora conservata. Particolarmente nei casi in cui la contrazione tonica o la inibizione del tono coincide con un aumento in altezza delle simultanee contrazioni rapide, ritmicamente provocate da stimoli elettrici unici, mi pare che non si possa dubitare che le variazioni del tono siano da mettere in relazione con la esi- stenza, nel muscolo, di un materiale tonicamente contrattile diverso da quello al quale sogliono attribuirsi le contrazioni rapide: vale a dire col sarcoplasma. Circa la genesi delle variazioni del tono provocate dai gas della respi- razione, mi astengo dal formulare qualsiasi giudizio fino a che non abbia, nelle Note successive, esposto gli altri effetti dell’azione di quei gas. (1) Ved. a questo proposito: G. A. Pari, Sull’allungamento riflesso dei muscoli dello scheletro, Zeit. f. allg. Physiol, IV. pag. 127 (1904); R. Nicolaides und S. Dontas, -Hemmende Fasern in den Muskelnerven, Sitrangsber. d. k. pr. Akad. d. Wiss. in Berlin ‘(physik.-math. C1.), XVIII, pag. 364 (1907). — 493 — Matematica. — Analisi metrica delle quasi-asintotiche sulle superficie degli iperspazi. Nota di E. BOMPIANI, presentata dal ‘Corrispondente G. CASTELNUOVO. 1. Sopra una superficie dello spazio ordinario si definisce linea asin- totica quella che ha in ogni suo punto per piano osculatore il piano ivi tangente alla superficie: sicchè per definizione l’asintotica e la sezione pro- dotta dal piano tangente hanno questo per piano osculatore. Tuttavia non si osculano. Il Beltrami ha precisato il comportamento delle due curve nel punto comune dimostrando che il rapporto fra i loro raggi di prima cur- vatura ivi vale (quando sì prendano nell'ordine scritto) 2/3. La seconda curvatura (torsione) dell’asintotica in un punto è uguale, per un teorema d'Enneper, in valore assoluto, alla radice quadrata della curvatura totale della superficie presa con segno contrario. Questi due teoremi forniscono le curvature di un'asintotica. 2. Sopra una superficie (a due dimensioni V») di un iperspazio S, (n>8) non esistono in generale asintotiche. Si possono invece definire curve (quasi- asintotiche) con la proprietà che lo S,-, osculatore ad una di esse sia tan- gente alla superficie nel punto d'osculazione ('). Una quasi-asintotica è indi- viduata quando se ne dia un elemento d'ordine n — 3, En-s (un punto, la tangente, ... , lo S,-s osculatore); mentre, se si fissa uno S,-, tangente în un punto alla superficie, esistono due quasi-asintotiche uscenti dal punto ‘che lo osculano. Ciò risulta del resto immediatamente dalla loro equazione differenziale. 8. Indichiamo con x,y ,1;.--,Zn-s un sistema di coordinate carte- ssiane ortogonali di S,; e poniamo sulla superficie 3,= 8:(x 6 Y) 4 0009 In-2 encs(€ ’ y). Assumiamo, sulla curva che si studia, la x come variabile indipendente; bisogna perciò determinare y come funzione di x. Scriviamo inoltre h+k 4; à d' ‘ L'equazione differenziale delle quasi-asintotiche è () Vedansi le mie Note: Sopra alcune estensioni dei teoremi di Meusnier e di Bulero [Atti R. Accad. Scienze di Torino, vol. XLVIII (1912-13)], nn. 6,7; Alcune proprietà proiettivo-differenziali dei sistemi di rette negli iperspazi [Rend. Circ. matem. ‘‘-«di Palermo, tomo XXXVII (1914)]; Sullo spazio d'immersione di superficie possedenti | | | | | dati sistemi di curve [Rend. R. Istituto Lombardo, ser. II, vol. XLVII (1914)]. — dos LO E 0 1 «0 ia 00, 0 d°y d*a; ostia (hg, DUO gui Baio Pago) 0 dre dita LESS) n dI 2n-3 1 2 Re CS AZONE digiartadz) AGR TS ci lay shrsitendiznesnti= 0 der yoga ig tagio l'operazione 4 essendo eseguita sulla curva, cioè L'equazione è d'ordine x — 2 in y perchè nei termini dell'ultima riga, | i soli contenenti y-, i coefficienti di yy! sono niente altro che i ter- mini corrispondenti della prima riga. ra 4. Fissiamo ora l'origine delle coordinate nel punto della superficie nel quale vogliamo studiare il comportamento delle quasi-asintotiche; come È asse x la tangente ivi alla curva, la prima normale principale come asse y, la seconda come asse 1; .., la (2 —1)-esima come asse #,-s. Ciò porta, | perax=0,y=0, 3 d'*ing = dna =0 i d'-1z,-,=0 n quindi, dalla (1), i eo). nu d*z, d'2, . do, s)=0- singolarità Bi a contatto sei punto) nell'origine; quindi. (3) #0,.=0, - 495 — Inoltre, essendo dai 1 (ol), si 0, si ha pure (4) ao= gl =... = =0, e infine, da 20) ll Ù 02 "2 ol " da Et Bento dana A dhe Y si ricava, per la (3), nell'origine (5) 200, 3 0 . Altre relazioni si potrebbero trarre dalle (2) fra le derivate delle 4;, ma esse non ci occorrono. Solo importa notare che, in conseguenza di quelle, nessuna di dette derivate si annulla, oltre quelle notate, nell'intorno del- l'origine: quindi l’annullarsi di qualche altra derivata va interpretato come proveniente da singolarità della curva o della superficie; ciò che escludiamo. 5. Le equazioni (2) servono a definire pure la sezione iperpiana pro- dotta da z,_»=0, e tangente alla quasi-asintotica: quindi su questa e sulla sezione sono uguali i valori di y”,y",...,y%7®; le due curve hanno in comune ‘uit gli spazî osculatori nel punto. Se inoltre si tien presente che la curvatura v-esima è data da (*) o). IMM, Diso Ned de dy. dario i. Gino divido dn che sdantidiz,ia val) | © . BAL . . . . Bonarda | (de) * drldy ida... Dina ‘ si vede che le due curve hanno in comune nell'origine le prime n — 3 curvature. 6. Cerchiamo ora la (x — 2)-esima curvatura di ciascuna: bisogna perciò trovare il valore di y-" sulla quasi-asintotica e quello sulla sezione iper- : piana che indicheremo con 77". Per la quasi-asintotica si dovrà trarre y7!° per derivazione dalla (1); | per la sezione dalla d"z,_= 0 (la lineetta sopra il d sta ad indicare che l'operazione è eseguita sulla sezione). Derivando la (1), si ha (*) Jordan, Comptes Rendus, tomo 79. 1 af” RE RA () 200" (optano. 30D. d*y dz, d Ing d°y d*z, > FRRGOS d en-2 dd Y d* 2 n tica dn7? d'3*5 A Pr o Ma) NO dirdzzt, (MRO a 7 date ol 1 1 do ge, d°y d°s, d°gn_s ian sugo se sio dep di agi DI RO FO ALL pren d"y dz, 6 6 » AEREO quindi, nell’origine, 1 LELE n_- 9 (3 sO, deren danaro dated’ aa dl ovvero (8) pie a la n—2 da” n-3 da” È questa l'equazione che fornisce y7” sulla quasi-asintotica [y" non figura, come apparirebbe, a secondo membro, perchè si è dimostrato (3) datz 3 Ò o Ò essere 20 = 0]. In e comparisce y7" nel termine 209, y =; in n 2 — nel termine 7.400, yg@»D, da” Y Invece 747" sulla sezione iperpiana si ha dall'equazione dea 9 (9) Te 97! vi figura nel termine ne0D,g@D. d'’8;i_e e d'g4, da” da" la loro formazione la stessa ed avendo y",...,y7” gli stessi valori sulle due curve. Quindi, sottraendo la (9) dalla (8), si ha, sopprimendo il fattore comune 20, non nullo (n. 4, in fine), Anzi non differiscono che per i termini detti, essendo. (EA e. (01) (n=1) gin—1) = nah-s(y Te girl), da n dna E n-3 “ie sulla sezione. Questa espressione Formiamoci analogamente -- 497 — non differisce dalla precedente che per avere 302.77" in luogo di 3, y@7D; quindi i nei, nT1, d Insinna d €n-3 (01) y@ST® SE (01) 37(n—1) da e da"! Sn-3Y “n-3 Y =(nT—-1) 300 (ge e (ui.0) Il rapporto dei raggi di (2 — 2)-esima curvatura delle due curve vale, secondo le (6) e (7), Una quasi-asintotica e la sezione iperpiana prodotta dal suo Sn osculatore (nel punto e secondo il ramo tangente alla quasi-asintotica) hanno in comune tutti gli spazî osculatori e le prime n —3 curvature. Le (n — 2)-esime curvature stanno fra loro nel rapporto (n— 1)jn. È questa l'estensione cercata del teorema di Beltrami alle quasi-asin- totiche. La dimostrazione qui data presuppone 7 >3 perchè sn-3 @ Zn-s debbono esistere; quindi non potrebbe applicarsi allo spazio ordinario. Meccanica. — Sull’equilibrio elastico di un solido omogeneo isotropo limitato da una superficie piana. Nota della dott.#* ANGELA MARIA MOLINARI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Indichiamo con (x,y ,%) , v(x,Y,4) , w(4,Y,2) tre funzioni, e vediamo di determinarle in modo che verifichino in ogni punto del semi- spazio, limitato dal piano di equazione s= 0 che contiene la direzione po- sitiva dell'asse 2, le tre equazioni simultanee dell’equilibrio elastico, quando non agiscono forze di massa (caso al quale ci si può sempre ridurre), (L+ K) Di de LA?u=0 i | 1 230 o; dU dU dWw ((L4+K) —+L4w=0 0=C4+LT4É2 (1) | (L K) > LA?v (0) 33 dy gp C+ K) î + L4*%w=0 e in ogni punto del piano limite le altre i uc,y,0)= U(x,7) (1) ve,y,0)= V(&,9) Lino. — 498 — dove U(2,4) , V(z.y) , W(2,7) rappresentino funzioni date ad arbitrio in modo da assicurare la convergenza degli integrali di Fourier che ci con- verrà adoperare. Poniamo u(x,Y,3) = {{ O da dB(A + ic Ha) A at+BY+Y8) (2) V(L.Y, 2) De | {da d8(B t- i8H2) gi(@@+ By tra) wa,y,3)= | [Uda dB(C + iyHe) gi(@2+By +15) È brodo e) e stabiliamo che sia y= EV +5 e che le funzioni A(@, 8), B(a, 8) , C(a,B), (a, #), da determinarsi, siano legate dalla relazione RATE, | Allora possiamo assicurarci che le grandezze (2) verificano le equa- zioni (1), supponendo, naturalmente, che le funzioni A(a,f) , B(a,£), C(e,8) , H(a,8) vengano determinate in modo da permettere le relative derivazioni. È facile vedere così, che 4°, A°v,A4*w, ricavate dalle equa- zioni (2), valgono, prescindendo dall'operazione fl da df, A? u(x 1%» 4) = — 2ayH(a ; 8) edera) d* v(x DR 2) = — 28yHla 1 8) ATRIA) d'uw(x,y,2) = — 2y°H(a, p) ee ++. Ma 6 vale evidentemente 0= i(aA + AB+ 70 +) det Tr PR e i(ar+89+Y2) o=il K+L +8 |e ua sel i(2+BY+Y2). 0 = — 2 LEE He 5 «dunque le (1) risultano subito verificate. — 499 — Bisogna ora determinare A(a,) , B(a,8) , C(e,f) in modo che gli integrali e le derivate abbiano realmente significato e che siano soddisfatte le condizioni (1'). Se assumiamo 1 si —1i(a Mes9= Sf U(E, m) e 0E+ 99 de gn 1 Ra —i(at + 8) Be, = pa Sf Vee ara 1 i ino. —i(at+ ce, Sf WEme dd, pur valendo, per U,V,W, le ipotesi poco restrittive che assicurano la va- lidità della formula di Fourier, noi vediamo subito che anche le condizioni (1’) risultano verificate. Matematica. — Aesoluzione dei problemi di Dirichlet e di Neumann in campi prossimi a quelli classici. Nota II (') di Um- BERTO CIsoTTI, presentata dal Socio T. Levi CIviTA. 4. UNA FORMOLA PRELIMINARE. — Richiamiamo la formola (9) n=nT-v+(nXv)n Sia g(P) una funzione generica; moltiplicando scalarmente la precedente per grad g e notando che [grad gx =, [grad g(]xn=£®, sì ottiene (17) “e = “9 —vX grad p(0) + (nXv) 7 1949), D'altra parte, applicando alla funzione sa la formola (16), si ha dgp(9) _dp(Q) d dyg(Q). ne da sia dn' per cui, sostituendo al primo termine del secondo membro di questa la sua espressione (17), si ha in delbitiva, con la solita approssimazione, (18) LP(0) IA y gna gl + mx mV CRV dn dn dai formola che sfrutteremo tra poco. (*) Vedi la Nota I, questi Rendiconti, vol. XXV, pag. 413. RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 65 x — 500 — 5. IL PRoBLEMA DI NEUMANN NEL campo S. — Si tratta di deter- minare una funzione W.="W(P!) dei punti P' di S', regolare ed armonica e tale che sulla superficie o’ la dV(Q) sua derivata normale assuma valori prefissati 3" Ipsso n Cominciamo dal costruire una funzione W,(P) armonica e regolare | in S, e tale che, in un generico punto @ di o, la sua derivata normale I assuma il valore che MR) deve avere nel corrispondente punto Q' di 0‘; sia cioè dW(Q) _dW(Q) 19 Sai — (I dn dn' Siccome si immagina di saper risolvere il problema di Neumann nel campo S, si avrà, applicando alla W, la formola (4) (a meno di una ines- senziale costante additiva), i 1 (CdW(Q) Î IE (20) Wi(P)= mne dn TP) dog Determinata, a meno di una inessenziale costante additiva, la funzione W,, i in tal guisa, si costruisca una seconda funzione W,(P) regolare e armonica Î in S e tale che sopra 0 la sua derivata normale assuma i valori seguenti: | ; dW(Q) I x AWal®) ) EWe(Q) | (21) NET ist X grad W.(Q) 4 (n X v) za +e da | Applicando, ancora, la formola (4) alla funzione W,, si avrà 2 dW,(0) TRO ri SU (22) Wi(P)= dove, si intende portata al posto di Dl), la sua precedente espres- sione (21). Consideriamo ora la funzione (23) W(P)= W.(P)— W.(P). Per quanto si è precedentemente detto, essa è armonica e regolare in $; e nei punti Q di o la sua derivata normale assume i valori dW(@) _EWo(Q) è | dW(Q) — gli % flo a ) 4 vX grad Wi(Q)— (MX v) Ta “cara (CO) dn — 501 — Ammettiamo che la funzione W(P), definita in $S, sia prolungabile anche in S' (ciò avviene sicuramente se S' appartiene ad $). Vediamo, in tale ipotesi, quali valori va ad assumere la derivata nor- male della funzione W nei punti Q' di o”. Applicando alla funzione W la formula (18) avremo / 2 (25) SI) AMT ye grad W@+ mx) TM TO Si noti che, come risulta dalla (23), tenuto conto delle (20), (21), (22) e della (8), la funzione W è differenza di una parte finita — W, — © di una parte di primo ordine — W, —; perciò dalle (25) e (24), a meno di quantità di ordine superiore, si ha aW(Q) _ dW(0) dn' dn. che è la (19). Dunque la funzione W, definita dalla (23) e considerata nello spazio S', risolve ii problema di Neumann in questo campo. 6. IL PROBLEMA DI DIRICHLET E IL PROBLEMA DI NEUMANN IN UNO SFEROIDE. — Sia la superficie o una sfera di raggio R e di centro O. In tal caso l’equazione (1) di o diviene” (26) f(Q)=(Q— 0)? — R°= 0; e sopra o stessa è grad f=2(Q— 0) , |grad/|=2R. Se si considera p. es. il problema interno, il vettore x dev'essere rivolto sempre verso l'interno di 0, per cui, applicando la (6), si ba —gudf_0—Q DO) Wanda. Essendo poi (28) d = grad/xn=—£(Q—0}=—2R, l'equazione (5) di o’ (sferoide) diviene (29) (9 — 0)? + 2Re—R°=0. La (8) diviene, nel caso attuale, v=— grades — 502 — e quindi la (9) definisce n° de (30) n=n+grade=n7 > in ogni punto dello sferoide. La (21), in conseguenza, si modifica nel modo seguente: de dWo d'W, —— = (grad s) X (grad Wie Fr e n d dW,(Q) n Per la sfera sono note tanto la funzione di Green quanto la funzione di Neumann. Il che significa che si sanno risolvere i problemi di Dirichlet e di Neumann per lo spazio sferico (sia interno, come abbiamo supposto qui, sia esterno). Le nostre conclusioni consentono di dire che si sanno risolvere questi problemi anche per gli sferoidi. Prima di fare delle applicazioni dei risultati acquisiti, mostrerò come il procedimento indicato possa presentarsi vantaggioso trattando i problemi armonici in campi che provengono dai classici per deformazione continua. Ma di ciò in una prossima comunicazione. Geofisica. — Applicazione della teoria delle onde superficiali all’analisi dei sismogrammi. Nota II di L. De MARCHI, presentata dal Socio T. LeEvI-CIVITA. 1. Nella precedente comunicazione (*) ho dimostrato la possibilità della formazione sulla superficie piana di un solido elastico, non della sola onda di Rayleigh propagantesi con una velocità che è «irca */10 della velocità di propagazione delle onde trasversali, ma di infinite onde propagantisi con velocità diversa, definite dalla formola A) v=]/g +9 ‘per tutti i valori di £ compresi fra —!/, e —1. Questo risultato può avere particolare significato per la spiegazione dei fenomeni sismici e dei tracciati sismografici. Volendone fare tale applica- zione, noi ammettiamo però implicitamente che i risultati ottenuti per il piano siano senz'altro applicabili alla superficie sferica, e che le rocce degli strati superficiali abbiano ovunque le stesse proprietà elastiche definite da un valore costante del modulo e del rapporto del Poisson. (*) Questi Rend. pag. 309. =_=": Pari, neeà ci i re de Sic tetta AAA -—e”_—ec D | Ce itsra 4 — 503 — Quanto alia prima ammissione, essa appare abbastanza legittima, con- siderandosi il fenomeno come limitato a una crosta superficiale di una sfera di raggio grandissimo. Quanto alla seconda, osserviamo che l’eterogeneità elastica degli strati superficiali della Terra (e, aggiungiamo, l’irregolare conformazione della superficie), e in particolare la presenza di grandi cavità piene d'acqua e di grandi rilievi montuosi, complicano certamente il feno- meno in modo inaccessibile a qualsiasi teoria; ma non possono modificarne quei caratteri che io ho specialmente di mira nelle seguenti applicazioni. 2. Anzitutto, la formazione di onde propagantisi con velocità diversa dà la spiegazione più naturale del fatto che, mentre generalmente nella regione epicentrale e pleistosistica l'oscillazione del terreno, per ogni scossa, è della durata di pochi minuti, e un terremoto è formato dalla successione discontinua di scosse distinte, i tracciati sismografici raccolti a grande distanza ci rappresentano invece una successione continua di oscillazione che si man- tiene talvolta per più di un'ora. A spiegare questo fatto si ricorre a varie ipotesi, non comprovate, come riflessioni e rifrazioni dei raggi sismici sulla superficie esterna del globo e sulle superficie interne di discontinuità. Si suppone anche l'esistenza di una dispersione ammettendo come probabile una dipendenza della velocità di propagazione dalla lunghezza del periodo dell'onda, a spiegare la quale si afferma che si dovrebbe tener conto di termini non lineari nelle equazioni generali della elasticità (!). Ammessa l'esistenza di onde propagantisi con velocità variabili fra O0(£=—1)e quella, (13 delle onde trasversali (€ = — 1) si comprende / € 3 P come queste onde si separino durante la propagazione, determinando sismo- grammi tanto più prolungati quanto maggiore è la distanza, e sovrapponendosi le onde generate da scosse successive in modo da produrre un sismogramma ‘ continuo. Ma la formula (4) ci dice che effettivamente questa separazione delle onde durante il tragitto si compie per un fenomeno di dispersione, in quanto la velocità di propagazione dipende dalla lunghezza e dal periodo dell'onda. 3. Ricordiamo, infatti, che £ è definita dalla formola (17) della prece- dente Nota Y1 è il coefficiente di 2 nei fattori eV: , e 77:14 che entrano nelle espressioni degli spostamenti longitudinali, e può chiamarsi coefficiente di smorsamento verticale delle onde longitudinali, in quanto esprime la legge con cui (!) Galitzin (First B.), Vorlesung wder Seismometrie (Dentsche Bearbeitung von Hecker), Leipzig, Teubner, 1914, pp. 150-151, x — 504 — sì attenuano entro la crosta terrestre le onde longitudinali ascendenti dalla profondità e discendenti dalla superficie. Esso dipende esclusivamente dalla costituzione degli strati superficiali, e può considerarsi, caso per caso, come una costante. a è il coefficiente di x nell'argomento 0 = (az — st) del moto armo- nico, ed è ant. come ent, dove L è la lunghezza d'onda e T il periodo. Sostituendo questa espressione di « nella (2), e l’espressione di £, così ottenuta, nella (1), si ha, ponendo 4A=w, (8) va j/f8(1 #1) (1-4) Quindi le onde lungh: si propagano più lentamente delle onde brevi. D'altra parte, essendo L= VT, quest'equazione si può anche scrivere Sa CORO 4 Va 3 ( ) 0 5 TS? NET, piTt* 27? Q Ant Quindi le onde si propagano tanto più rapidamente quanto più breve è il periodo. Le onde più rapide, per £=—, si verificano quando 2rr 2 2rr 2 0 EINE Yi 3 Vi 3 Le onde ferme, per £= — I, cioè le deformazioni fisse che abbiamo visto essere spostamenti orizzontali normali alla propagazione delle onde, sarebbero ; Z7En4: ; AE di lunghezza L= — , di periodo naturalmente infinito. vi ; Data y,, si possono quindi formare soltanto onde di lunghezza compresa , . 27 2rr a : È fra i valori — e 0.8165 —; ma poichè durante un lungo tragitto l’onda Yi 2A. può attraversare regioni alle quali possono rispondere valori diversissimi di y,, si comprende come i limiti entro i quali può variare la lunghezza d'onda possano essere molto più estesi. Le lunghezze d’onda quali si dedu- cono dai sismogrammi, determinando il; periodo o il tempo del percorso dall'epicentro, rispondono a velocità- medie, che possono essere diversissime a seconda della distanza e della direzione di provenienza, in quanto dipen- dono dalla conformazione e costituzione delle regioni attraversate. Tuttavia queste lunghezze d'onda potranno servire a determinare in ‘via approssima- tiva il valore di y,. Ponendo p. ess L= 150 km, valore dedotto da Omori da 11 grandi sismi per la fase iniziale delle onde principali, e pone#g [! — 505 — BI ei. 7.9 4 ‘059 DE di qui si ricaverebbe y, = 150 = 0,05 circa, essendo assunto il chilometro come unità di lunghezza. Il fattore di smorzamento verticale sarebbe quindi e-°°57 = 1079-0217. pel quale le ampiezze delle oscillazioni sarebbero ridotte a !/,0 dei valori superficiali, e quindi l'intensità assoluta a !/100, a meno di 50 chilometri di profondità. Per terreni molto disgregati, alluvionali, acquitrinosi, il valore di y, sarà molto maggiore e si può spie- gare quindi la formazione di onde molto più brevi e a periodo molto lungo e quindi a lenta propagazione. Così si possono spiegare le onde wistbilà, delle quali il Montessus de Ballore dà numerosi esempî nella sua Sezence seismologique (cap. XIII). A grande distanza non saranno però percepite se non le onde di grande lunghezza e velocità, che si propagano negli strati più profondi e compatti, e che per la minor durata del tragitto sono meno smorzate. Esse rispondono a valori di £ compresi in un intervallo molto più ristretto; ma verranno tuttavia separate per dispersione. Questa ha i caratteri della dispersione anomala, perchè le onde più brevi si propagano più rapidamente delle più lunghe; alla possibilità di una tale dispersione anomala accennò già, in base allo studio dei sismogrammi, il sismologo giapponese Nagaoka. 4. Vediamo come i principî svolti si possano applicare nell'analisi di un sismogramma. Secondo Omori, in un sismogramma di grande distanza sono nettamente distinte delle fasi successive: Primi Tremiti (P), Secondi Tremiti (S), Onde principali che si distinguono in varie fasi, delle quali la prima (/) di poche onde a lungo periodo, la seconda di periodo alquanto più breve e più ampio, la terza (L) di periodo ancor più breve e di am- piezza ancor maggiore, fase alla quale seguono per lungo tempo oscillazioni di ampiezza sempre decrescente e di periodo variabile. Nella seguente tabella sono dati i tempi di arrivo delle onde P,$,/,L a varie stazioni in corrispondenza al grande terremoto indiano del 4 aprile 1905, secondo i dati di Omori riportati da Knott ('). Scelgo solo le stazioni per le quali vi sono i dati completi, esprimen- done la distanza in chilometri invece che in arco. Secondo l'osservazione fatta da Knott (*), aumento di un minuto i tempi di arrivo dati da Omori, tempi espressi da Omori in primi e decimi di primo dopo l'istante della scossa nell'epicentro e qui trasformati in secondi: (1) Knott (Cargill Gilston), Re Physics of the Earthquake Phenomena, Oxford Clarendon Press, 1908, pag. 215. (*) Loc. cit., pp. 213-214. Omettiamo i dati per Samoa, perchè il tempo d'arrivo di P e di S è evidentemente erroneo, — 506 — Stazione Distanza Tempi di arrivo Km. P S U L Taihoku (Formosa) . . . 4379 450" 816". 1140”. 1410” Lipsia oe 580 084 954 1428 1818 TOKy onto ce e 00 558 996 1458 1956 Gottinga... >. Ca, °° DI44 546 984 1434 1830 Quarto Castello... ©...’ 5764 540 972 1428 1866 Birmingham. a. i, 60427 648 1146 1608 2136 Victoria (Columbia ingl.) . 10845 1020-1452 2892 3624 Toronto: acini 206. 1008 1464 2892 3624 Washington > >. i. 11686 1116 2022 2748 3690 Cheltenham. . ... . . 11696 1134 2016 2748 3678 Tacubaya (Messico) . . . 14280 1290» > :2298 3240 4320 In base a questi dati le velocità medie di propagazione risultano Velocità km/sec = Ve Vs Vi Vi 9.78 5.97 3.84 8.12 10.45 0.89 3.91 3.07 10.23 5.78 3.92. . 2.91 10.52 0.84 4.00 3.14 10.67 5.93 4.04 3.09 9.92 9.61 4.00 3.01 10.63 T.AT 3.75 2.98 11.18 7.69 3.89 Sol 10.48 5.78 4.25 DI 10.31 5.80 4.26 8.19 11.02 6.21 4.41 3.91 L'accordo dei dati per ciascuna velocità è, compatibilmente con questo genere di determinazioni, molto soddisfacente. I valori medî sono Vp Vs Vi Vi 10.47 6.12 4.02 8.10 Il rapporto Vp:Vs= 1.71 è assai prossimo al valore teorico V/3 tra la velocità delle onde longitudinali e quella delle onde trasversali, quando sì assuma pel coefficiente di Poisson il valore '/,. Possiamo quindi assumere il valore di Vs come esprimente la velocità VE delle onde trasversali e ar quindi, per ogni altra V, è V:Vs==|/2(1+ £), donde si ricava Per i due gruppi d'onda / e L si ottiene così: — &= 0.788, — £h= 0.872. Quindi, anche immediatamente dopo i secondi tremiti, si hanno onde di lunghezza maggiore e di velocità minore di quelle che competerebbero alle onde di Rayleigh. Le onde / si possono considerare come appartenenti allo stesso treno d'onde al quale appartengono i secondi tremiti, che pro- babilmente riassumono un complesso d'onde di lunghezza poco diversa e crescente col tempo. Naturalmente, a non grande distanza dall'origine queste onde sono mescolate, come lo dimostra il diagramma del terremoto delle Calabrie 1905, che Montessus de Ballore (*) ricava dalla Memoria di Angen- heister. Esso dimostra la sovrapposizione di onde lunghe, del periodo di circa 40" (onde /) ai secondi tremiti, in un sismogramma raccolto a 1000-1500 km. dall'origine. A più di 5000 le onde lunghe rimangono indietro e nettamente separate dai secondi tremiti. Invece il passaggio dalle onde / alle onde L, più brevi e a periodo più rapido, segnerebbe, secondo la teoria, il passaggio da un treno d’onda, formatosi probabilmente in un unica scossa, a un treno di formazione succes- siva, perchè altrimenti non si potrebbe spiegare la presenza di onde più rapide succedenti a onde più lente. Questo supposto è confermato anche dalla dire- zione delle oscillazioni osservate da Omori in occasione del citato terremoto indiano del 1905. Ammettendo che le onde si propaghino da un punto all'altro lungo il cerchio massimo, tanto per le stazioni giapponesi quanto per le stazioni europee le vibrazioni longitudinali dovevano essere presso a poco in direzione E-W, e le trasversali in direzione N-S, mentre nella sta- zioni messicane e americane le due direzioni erano invertite. Ora dalla ta- bella riportata da Knott (?) risulta che nei primi due gruppi di stazioni le direzioni di vibrazione rispondenti ai varî gruppi erano onde = P S È L direzioni di vibraz. = E N N E e, negli altri due gruppi, N E E N Quindi i primi tremiti erano longitudinali; i secondi tremiti e le onde / (*) Op. cit., pag. 368, fig. 120. (*) Op. cit., pag. 239. ENDICONTI. 1916,. Vol. XXV, 1° Sem, 66 — 508 — trasversali; le onde L ancora longitudinali (*). Queste ultime, più ampie di tutte, corrispondono alla scossa epicentrale principale. Come già si disse, fra le onde 2 e le L sono intercalate delle onde di periodo e di ampiezza intermedie, e che dovrebbero quindi essere più rapide delle / e più lente delle L. Infatti, secondo le conclusioni di Angen- heister, a distanze grandissime, verso l’antipodo dell’epicentro, le onde L passerebbero avanti ad esse (*). Esse sono probabilmente onde premonitorie delle onde L, che partono dall'epicentro prima di queste, ma sono da esse raggiunte dopo un lungo percorso. Parmi che la teoria venga così a dar ragione, in molo abbastanza spon- taneo, dei caratteri fondamentali dei sismogrammi. Fisica. — Sulla forma della corrente secondaria ottenuta dai rocchetti di induzione. Nota di 0. M. Corsino e G. C. Tra- BACCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA. In un precedente lavoro sul funzionamento del rocchetto di Ruhmkorfî con gli interruttori elettrolitici esaminammo, fra i diversi elementi elettrici, la forma della corrente secondaria, servendoci dell'azione esercitata sul tubo di Braun da una piccola bobina bene isolata e percorsa dalla corrente in esame. La forma della corrente ottenuta con tal metodo rivelò la presenza di oscillazioni bilaterali susseguenti allo impulso principale di forma trian- golare. Questo risultato è in contraddizione con quanto uno di noi aveva osser- vato studiando la forma della corrente con un metodo diverso, applicabile ai piccoli rocchetti di induzione. Invero era stato allora stabilito che la cor- rente secondaria di apertura non si inverte mai, nè con l'interruttore elet- trolitico, nè con gli interruttori meccanici, quando essa deve traversare una scintilla o un tubo a scariche. ° Avendo perciò dei sospetti sulla esistenza reale delle oscillazioni bila- terali constatate, abbiamo eseguito nuove e più ampie ricerche con diversi metodi di studio di questo tipo di correnti, caratterizzate dalla variazione rapidissima e dalla relativamente piccola intensità. E abbiamo così potuto stabilire che lo impiego di una piccola bobina isolata e agente sul tubo di Braun è da scartare, come conducente a risultati assolutamente inesatti, per una ragione che, a prima vista, non sembrava dovesse avere così grande influenza. (1) Solo nei. sismogrammi di Quarto Castello e di Lipsia anche le vibrazioni L erano da N, cioè longitudinali. (*) Montessus de Ballore, op. cit., pag. 364. Quarto principio di Angenheister. a i E RS RSA O I I E A I — 509 — Avviene, invero, che l’autoinduzione efla'capacità distribuite lungo l'av- volgimento della bobinetta dànno origine”infquesta, a causa delle rapide variazioni della corrente che la traversa, a oscillazioni proprie interne, risul- tandone una azione magnetica complessiva, sul tubo di Braun, che non è più corrispondente alla legge di variazione della corrente, secondaria esaminata. Il fenomeno si accentua se della bobinetta si utilizza solo una parte del- l'avvolgimento, mentre la rimanente, connessa con la parte utilizzata, ne aumenta la capacità. Per lo studio di correnti così rapidamente variabili non esiste, a nostro parere, mezzo più sicuro che l’esame-della legge di variazione della diffe- renza di potenziale esistente agli estremi” di una resistenza non induttiva. Questo esame può farsi per mezzo dello stesso tubo Braun, munito delle laminette per la deviazione elettrostatica dei raggi catodici, secondo i sug- gerimenti di Wehnelt. Procedendo in questo modo, e servendoci, come resi- stenza, di un tubetto con soluzione di ioduro di cadmio, noi abbiamo potuto ottenere la vera forma della corrente secondaria, e confermare, in massima, anche coi grandi rocchetti i risultati ottenuti da uno di noi ('), e cioè la unilateralità delle correnti, e la loro forma rettilinea, in funzione del tempo, quando la corrente traversa una scintilla o un tubo a scarica; lungo la retta si svolgono le oscillazioni unilaterali del sistema primario-secondario, quando sì ricorre agli interruttori meccanici. I risultati da noi ottenuti, insieme con uno studio complesso degli ele- menti elettrici da cui dipende la produzione dei raggi X, verranno comuni- cati in una Memoria di prossima pubblicazione. Chimica. — Awnidridi della tirosina (*). Nota di F. GRAZIANI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. Lo studio del comportamento di alcuni acidi a-amidati riscaldati con glicerina o con altri agenti moderatori del calore (*), mi portò a constatare, per il caso della tirosina riscaldata con glicerina a 175°-185°, la formazione di due composti principali, uno solubile in alcool assoluto bollente, e l’altro insolubile: il primo corrispondeva, all'analisi, ad un'anidride della tirosina; del secondo non mi occupai per allora, pure osservando che probabilmente esso era un'altra anidride, forse identica alla sostanza che il Lòw ottenne da un latte conservato per 8 anni, e che si presentava in globetti duri, (') O. M. Corbino, Ricerche teoriche e sperimentali sul rocchetto di Ruhmkorf. N. Cimento, tom. 15, pp. 202-203 (1908). (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica organica del R. Politecnico di Torino, (*) Questi Rendiconti, 1915, I, 822 e 936. x — 510 — insolubili in acqua bollente ed in alcool, e che bollita con potassa caustica dava tirosina: il Lòw la ritenne un’anidride della tirosina (). Soltanto ora ho potuto condurre a termine questo studio, e ne rendo noti qui. i risultati. Per la preparazione delle sostanze che mi interessavano ho lavorato in tutto gr. 11 di tirosina. Il procedimento era quello già descritto nelle due Note citate: in tubi di vetro aperti, lunghi circa 80 cm. e del dia- metro di 20-22 mm., si riscaldava la tirosina, 1 gr. per volta con 15 cc. di glicerina d= 1,26. In circa 1 ora si raggiungeva la temperatura di 180°, e si manteneva fra i 180° e i 190° (solo eccezionalmente, per le variazioni della pressione del gas, si è giunti di 200°) fino a completa soluzione della tirosina: per ciò occorrevano circa 2 ore. Si otteneva così un liquido limpido, di colore giallo alle volte legger- mente bruniccio, sempre con fluorescenza rossastra, che dopo raffreddamento si diluiva con 3-4 volumi di acqua, lasciandolo poi per 24 ore alla tempe- ratura esterna invernale (circa 0°): si formava un precipitato bruno, fioccoso, assai leggero, che rimaneva sospeso nel liquido: raccolto su filtro, veniva lavato con acqua fredda fino a completa eliminazione della glicerina, poi si seccava in istufa a 100° sino a peso costante. Ottenni così un totale di gr. 4,18 di sostanza solida secca, costituita da una polvere grigio-bruna, che esaurii, in apparecchio Soxhlet, con alcool assoluto bollente. L’'estrazione fu ripetuta tre volte, ogni volta bollendo per alcune ore 100 ce. di alcool: alla terza estrazione, dopo 2 ore di ebolli- zione, 10 ce. del liquido evaporati a secco lasciarono appena tracce di re- siduo. Si sospese allora l'operazione, e il residuo indisciolto rimasto nel car- toccio venne raccolto e seccato a 100°. Ammontava a gr. 1,24, corrispon- denti a circa il 30°/, del prodotto totale solido di anidrificazione: rendi- mento concordante con quello già riportato nelle Note accennate. La maggior parte (gr. 2,94) della sostanza precipitata dall'acqua nella soluzione glice- rinica è quindi stata disciolta dall'alcool assoluto bollente, con colorazione bruna dovuta alle impurezze. Anidride cristallizzata. I liquidi delle due prime estrazioni vennero riuniti: dal primo, già a caldo, si era separata abbondantemente l'anidride cristallizzata: il terzo liquido d’estrazione non fu unito agli altri perchè conteneva appena tracce di sostanza disciolta, forse di anidride cornea (praticamente insolubile). Con tre cristallizzazioni dall'alcool si ottennero gr. 2.35 del prodotto puro, in aghetti bianchi finissimi, soffici, di splendore sericeo. Riscaldato in tubicino aperto aumentando rapidamente la temperatura, a 260° incomincia ad im- (!) Ber. d. d. chem. Gesell., 15, 1488. — 511 — brunire leggermente, e a 278°-279° (non corr.) fonde nettamente, senza svi- luppo gassoso, in un liquido bruniccio. Riscaldato su lamina di platino, dapprima fonde in un liquido appena colorato, che poi va imbrunendo fino a completo annerimento e carbonizzazione, mentre si svolgono vapori che odorano leggermente di peli e di corna bruciati. Si scioglie nell'alcool assoluto bollente, circa gr. 1,5 in 100 gr. di sol- vente: a freddo è quasi insolubile. Presso a poco nelle stesse proporzioni si discioglie nell'acqua bollente: per raffreddamento cristallizza benissimo anche da questo solvente. La sua soluzione acquosa, bollita con ossido di ‘rame precipitato, non accenna affatto a colorirsi in azzurro: ciò che dimostra non esservi catene carbossiliche, e che quindi deve trattarsi di anidride ciclica. Inoltre la sua soluzione acquosa si colora in rosso col reattivo del Millon, dimostrando la permanenza del gruppo ossifenilico libero. All’analisi: gr. 0,1554 di sostanza diedero gr. 0,3756 di CO, e gr. 0,0788 di H,0. In una determinazione di N col metodo di Kjeldahl, gr. 0,1394 di sostanza richiesero cc. 8,4 di HCl Di Trovato tO Calcolato per (Cs Hs 02 N)g C 65,91 E 666/22 H‘/ 5.63 5,56 N°/ 8,44 8,59 I dati analitici corrispondono perfettamente ad un’anidride ciclica della tirosina. Non fu possibile determinarne la grandezza della molecola, poichè la sua poca solubilità in alcool, in acqua, e meno ancora negli altri sol- venti neutri, non permetterebbe che troppo piccole variazioni del punto di congelamento o del punto di ebollizione, insufficienti a determinazioni esatte. Una conferma che si tratta veramente di un’anidride della tirosina l'ho avuta facendone l’idrolisi. Gr. 0,3 di sostanza vennero bolliti a ricadere per 1 ora e mezza con ce. 20 di HCld=1,10. La soluzione, limpida, si concentrò a piccolo volume, si addizionò poi di ammoniaca diluita fino a neutralizzazione, e si portò a secco. Il residuo, raccolto e lavato con acqua fredda, si cristallizzò dal minimo di acqua bollente, aggiungendo, dopo la soluzione, un poco di alcool. Si ottennero degli aghetti bianchi, raggruppati nel modo caratterico della tirosina. I. gr. 0,1399 di questa sostanza seccata diedero gr. 0,3084 di CO, e gr. 0,0776 di H,0. II. gr. 0,1814 diedero gr. 0,3952 di CO, e gr. 0,1014 di H;0. Trovato Calcolato à II per Co H.:03 N C°%/o 60.12 59,41 59,63 H°/o 6,16 6,21 6,12 — 512 — Anidride cornea. È costituita dalla parte rimasta indisciolta nell’estrazione con alcool assoluto bollente. Per la sua insolubilità, oltrechè nell’alcool, anche in tutti gli altri solventi neutri (ne furono provati numerosissimi), non fu possibile un'ulteriore purificazione del composto, nè si potè determinarne il peso mo- lecolare. Si presenta sotto forma di una polvere di colore bianco sporco, amorfa: esaminata al microscopio, anche ai più forti ingrandimenti, non si riscontrò affatto struttura cristallina. Riscaldata rapidamente in tubicino aperto, incomincia ad imbrunire soltanto a 270°, e a 279° fonde con leg- gera decomposizione in un liquido bruno: presenta quindi lo stesso P. F. dell'altra anidride, e, data la decomposizione che accompagna la fusione stessa, non è da escludersi che intorno a quella temperatura vi sia un punto di trasformazione di un'anidride nell'altra. Riscaldata su lamina di platino, fonde in un liquido bruniccio, che poi va carbonizzandosi con svolgimento di vapori che hanno l'odore caratteristico di sostanze cornee bruciate, assai più pronunciato di quello dell’altra ani- dride. Sospesa nell'acqua (in cui forse è, sia pure in tracce, un poco solubile), reagisce col liquido del Millon, dando la caratteristica colorazione rossa, che dimostra la permanenza dell’aggruppamento ossifenilico anche in quest’ani- dride cornea. All’analisi: gr. 0,1274 di. sostanza diedero gr. 0,3082 di CO. e gr. 0,0634 di H,0; » 0,151 di sostanza, sottoposta al metodo di Kjeldahl, richiesero ce. 9,2 ; N di HCl 10° Trovato Calcolato per (Cs Hs Og N)g 0% 65,97 -. 66,22 H °/o 0,98 5,56 N° 8,53 8,59 L'analisi ci dice dunque che anche questo composto è un’anidride della tirosina: anche in questo caso si è avuto una conferma dalla sua idrolisi, il cui prodotto è la tirosina. Gr. 0,3 di anidride vennero bolliti a ricadere con ce. 20 di HCO1 d=1,108 in 2 ore si ottenne la soluzione completa. Il liquido, concentrato a picco- lissimo volume, si neutralizzò con ammoniaca diluita, poi si portò a secco. Il residuo, ripreso con acqua fredda e lavato fino ad eliminazione del clo- ruro d'ammonio, si cristallizzò dall'acqua bollente, aggiungendo un poco d'alcool: si ottennero degli aghetti bianchi, dell'aspetto della tirosina. 4 — 513 — Gr. 0,1203 del prodotto dell’idrolisi diedero gr. 0,2641 di CO; e gr. 0,0658 di H;0. Trovato Calcolato per Cs Hi1103 N C°/ 59,87 59,63 H°/ 6,07 6,12 Trasformazione reciproca delle due anidridi. La supposizione fatta nel determinare il punto di fusione dell’anidride cornea, cioè di una probabile trasformazione di quest’anidride nell’altra cri- stallizzata, mi venne confermata dalla seguente esperienza. Gr. 0,1 di anidride amorfa vennero bolliti a ricadere per 6 ore con 8 cc. di difenilmetano: la temperatura era di 257°-258°, cioè una ventina di cen- tigradi inferiore al punto di fusione. Il liquido andò a mano a mano inscu- rendo, fino a diventare giallo-bruno, e l’anidride si disciolse per la mag- .gior parte: per raffreddamento si ebbe di nuovo separazione di sostanza solida, che riempiva quasi completamente il liquido. Tutto si versò sopra un filtro, lavando con benzolo bollente fino a completa eliminazione del difenil- metano: rimase aderente al fondo del palloncino una piccolissima quantità di sostanza nera, peciosa. La soluzione benzolica del difenilmetano aveva colore giallo-bruno con fluorescenza rossastra. La sostanza raccolta sul filtro era una polvere gialliccia, che seccata a 100° superava i gr. 0,09: bollita con alcool assoluto si disciolse quasi completamente con colore giallognolo, lasciando un piccolissimo residuo costituito di una polverina grigia amorfa, che all'aspetto appariva anidride cornea inalterata. La soluzione alcoolica, por- tata a secco, lasciava un residuo cristallino di gr. 0,09: ripreso con alcool bollente, decolorato con carbone animale, filtrato e concentrato, cristallizzò in aghetti prismatici bianchi, fondenti a 277°-278°: osservati al microscopio apparivano identici a quelli dell'anidride cristallizzata. Dunque conducendo l'esperienza nel modo descritto, il 90°/, dell'anidride cornea insolubile si è trasformata in quella cristallizzata solubile. D'altra parte l’anidride cristallizzabile può trasformarsi parzialmente in quella cornea. Quando infatti si fa la cristallizzazione dall’alcool, si osserva. sempre nella concentrazione della soluzione, alle volte già durante il riscal- damento ed in ogni caso prima che incominci la cristallizzazione, la sepa- razione di una piccola quantità di polvere bianca. Ne ho raccolto diverse porzioni sopra un filtro: esaminata al microscopio appare amorfa come l’ani- dride cornea: come questa non è più solubile in alcool: fonde però, sempre con decomposizione, un poco più alto, a 284°-2859, forse perchè con questo procedimento è venuta a subire una purificazione, cui non si era potuto sot- toporre quella che si ottiene direttamente dall’anidrificazione con glicerina. Le piccole quantità di sostanza che avevo a disposizione non mi hanno permesso di seguire coll’analisi queste trasformazioni di un’anidride nell'altra. x — 5l4 — I fatti sperimentali sopra riportati stanno dunque a dimostrare che nel riscaldamento della tirosina con glicerina a 180°-190° si formano due ani- dridi, una cristallizzata ed una amorfa, analogamente a quanto già era stato osservato per la glicocolla; e mostrano inoltre la possibile trasformazione dell'una anidride nell'altra. La loro formazione si è avuta non già facendo il riscaldamento in tubi chiusi, cioè nelle condizioni in cui Balbiano e Trasciatti, operando con la glicocolla, avevano ottenuto priucipalmente anidride cornea: ma bensì in tubi aperti, cioè in quelle condizioni che il Maillard ritiene le più favore- voli alla disidratazione degli acidi @-amidrati (!) e che nel caso della glico- colla portavano alla formazione fino dell'86°/, del teorico di anidride cristal- lizzata bimolecolare e di tracce appena dell'anidride cornea più complessa (?): fatto, questo, che sembrò al Maillard potesse autorizzarlo a diminuire di molto l’importanza dei fatti precedentemente resi noti dal Balbiano. A pag. 20 del suo volume ricorda come la glicerina produca delle condensazioni r'ego- lari nella serie degli aminoacidi: e il fatto che per la glicocolla, per la sarcosina, per la leucina, per l'alanina ‘ottiene come prodotti principali le corrispondenti anidridi cicliche bimolecolari, ha condotto il Maillard alla conclusione che, quando si compia la reazione in modo da permettere al- l'acqua formatasi di andarsene liberamente nel corso del riscaldamento, si debba formare quasi esclusivamente l'anidride bimolecolare, mentre quella cornea sarebbe un prodotto tutt’affatto secondario e di pochissima impor- tanza. Tuttavia quest'anidride più complessa potrebbe formarsi in quantità maggiore diminuendo di molto la proporzione della glicerina (loc. cit., pp. 186-192): e così spiegherebbe come Balbiano e Trasciatti ottenevano quasi esclusivamente anidride cornea: questi Autori infatti riscaldavano in tubi chiusi 20 gr. di glicocolla con 10 gr: di glicerina. Pure ammettendo che l’interpretazione che il Maillard dà dell'influenza della quantità della glicerina in queste disidratazioni sia, per il caso della glicocolla, corrispon- dente al vero, essa non è tuttavia generalizzabile, poichè per il caso della tirosina vediamo che con una diluizione grandissima (gr. 1 di tirosima in circa 20 di glicerina) e pure operando in tubi aperti, sì ottiene con rendi- mento notevole l'anidride cornea accanto a quella cristallizzata. Si avrebbe dunque, per la tirosina, un comportamento in qualche modo diverso da quello della glicocolla: fatto che per lo meno contrasta col senso di regola gene- rale che dovrebbe sovrastare alle disidratazioni di tutti questi acidi @-ami- dati, come traspare da tutta l’opera del chimico francese. (1) L. C. Maillard, Genèse des matières protéiques et des matières humiques: action de la glycérina et des sucres sur les acides a-aminés. Paris, Masson et C; éditeurs (1913), pag. 59. (3) loc. cit., pag. 64. — 515 — La trasformazione reciproca delle due anidridi della tirosina potrebbe far pensare a delle condizioni di stabilità dipendenti dalla temperatura: ri- scaldando con difenilmetano a 257°-258°, l'anidride cornea si trasforma si può dire totalmente nell’anidride cristallizzata: questa, riscaldata con alcool, sì trasforma, sia pure in piccola parte, in quella amorfa. Ciò potrebbe forse spiegare come alla temperatura relativamente elevata a cui si opera (170°-190°) sì ottenga quasi esclusivamente il composto cristallizzato: chissà se potendo operare a temperature più basse, non si otterrebbero maggiori quantità del- l'anidride cornea? I tessuti naturali che all’idrolisi dànno di questi acidi e-amidati, non possono forse considerarsi dei prodotti di anidrificazione che si formerebbero alla temperatura ordinaria? e non sono essi amorfi come le anidridi cornee, e non cristallizzati come le anidridi bimolecolari? ('). Questa correlazione tra l'anidride cornea e i tessuti naturali fu messa in piena evidenza dal Balbiano nel suo lavoro, quantunque il Maillard cerchi di diminuirne l’importanza (*). Anche il Fischer (*) non ritenne, dal punto di vista chimico, degna di particolare attenzione l’anidride cornea della gli- cocolla, perchè essa, a differenza dei polipeptidi cristallizzati, è un composto amorfo, e quindi non ben purificabile. Ora l’avere ottenuto anche dalla tiro- sina (acido amidato che si trova presente in notevole quantità nei prodotti d’idrolisi di molti tessuti organizzati, quali la seta, lo scudo della tarta- ruga, i peli, le penne, ecc.) un composto bene caratterizzato quale una sua anidride amorfa, che per le sue proprietà si accosta ai tessuti naturali, fa acquistare un alto valore biologico a queste anidridi cornee, che per la stessa coincidenza delle loro proprietà fisiche, possono in certo modo essere consi- derate come la base sulla quale questi tessuti stessi si formerebbero : perchè gli acidi amidati glicocolla e tirosina, prodotti principali dell’idrolisi di alcuni tessuti organizzati, potrebbero provenire da queste anidridi cornee che si troverebbero allo stato libero mescolate con altri polipeptidi nei tessuti stessi. (') Ricordo ancora, chè non mi sembra a questo proposito privo d'interesse, come il Lòw avrebbe ottenuto l’anidride amorfa conservando del latte per 8 anni a tempera- tura ordinaria. (2) V. opera citata, particolarmente a pp. 194-195. (*) Ber. 39 (1906), 552, e Mon. scient., 1906, 484. RenpIconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 69 x — 516 — Chimica-fisiologica. — icerche sulla composizione chimica della mucosa intestinale ('). Nota I, di G. QuaGLIARIELLO e A. CRAI- FALEANÙ, presentata dal Corrispondente FiLiPPO BOTTAZZI. Sulla composizione chimica della mucosa intestinale l’unico studio finora eseguito è quello del Bottazzi (*), i cui risultati trovansi citati dal Ham- marsten (*). Il Bottazzi, però, non fece che iniziare la ricerca analitica delle sostanze estratte dalla mucosa e dall'epitelio intestinale, di cui egli additò un metodo ottimo per ottenere grande quantità. Ora noi abbiamo creduto opportuno di riprendere tali ricerche al punto in cui furono dal Bottazzi lasciate, al fine di estenderle e possibilmente di approfondire. Per ottenere una quantità considerevole di epitelio intestinale, il Bot- tazzi riempiva l'intestino, precedentemente lavato, di soluzione 1-5 °/ di NaP. Noi ci siamo serviti, oltre che di questo sale, anche di acqua distillata e di soluzione di carbonato sodico, usando le quali, però, è necessario di saturarle di toluolo per ostacolare lo sviluppo dei microrganismi della putre- fazione. Abbiamo fatto le nostre ricerche sull’ intestino di maiale. Preso al macello da animali appena uccisi, era subito portato al laboratorio, dove era lavato internamente con acqua di fonte tiepida, e poi diviso in pezzi eguali della lunghezza di circa 1 metro ciascuno. I varii pezzi, riempiti del liquido estrattore e legati alle due estremità, venivano poi sospesi verticalmente sopra altrettante capsule di porcellana, nelle quali si raccoglieva il liquido che da essi filtrava durante le 12 o 24 ore che erano lasciati nella detta posizione. I° Esperimento (26 marzo 1915). — Intestino di maiale, dal piloro al cieco, della lunghezza di circa 14 metri. Lo si lava per tre volte con acqua di fonte tiepida, lo si divide pvi in pezzi, e si riempiono questi con acqua distillata (circa 9 litri) satura di toluolo. Dalle anse filtrano e suno raccolti circa 2000 cm. di un liquido opalescente roseo. Trascorse 24 ore, i pezzi d’intestino sono vuotati del loro contenuto. Si lascia il liquido (') Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Napoli. (*) Fil. Bottazzi, Proprietà chimiche e fisiologiche delle cellule epiteliali del tubo gastroenterico. Arch. di fisiol. I, pag. 413 (1904). (3) O. Hammarsten, Lehrb. d. physiol. Chemie, VII° Aufl., pag. 464 Wiesbaden 1910. Nell'ultima edizione di quest'opera, del 1914, curata dal Hedin, }a citazione delle ricerche del Bottazzi è stata omessa, non si sa perchè, nè è stata sostituita da altre notizie sul l'argomento. — 517 — a riposo per 24 ore, sotto uno strato di toluolo, e poi lo si decanta. Nel sedimento, esami- nato al microscopio, si riconoscono molti aggruppamenti di cellule epiteliali, che qua e là pare riproducano la forma dei villi, e molte cellule isolate rigonfiate, non che un mate- riale granuloso amorfo, che sembra detrito cellulare. Si decanta il liquido soprastante, e lo si filtra. Il filtrato è leggermente opalescente e roseo. Presenta le seguenti reazioni: 1°) Non coaugula al calore, se non dopo aggiunta di sali neutri; 2°) l’acido acetico vi produce, a freddo, un precipitato, che in un eccesso di acido si ridiscioglie, ma solo in assenza di NaCl; il precipitato, ridisciolto da un eccesse di acido in assenza di NaCl, si riforma in seguito ad aggiunta di questo sale, che peraltro, da solo, non provoca precipitazione; 3°) il Ca Cla diluito produce precipitazione, come pure il Mg SO, e il (NHy)a SO, in soluzione satura; 4°) PV HCI, ’HNO, e ’H,S0, provocano precipitazione, ma solo il precipitato prodotto dall’ HC1 è solubile in un eccesso dello stesso acido. Una parte dol liquido è trattata con acido acetico, in modo da produrre la preci- pitazione completa delle sostanze precipitabili con questo acido. Il filtrato (neutralizzato) dà le seguenti reazioni: 1°) Coagula al calore. Il filtrato limpido, che nen coagula più al calore, dà la reazione del biurete e un precipitato per aggiunta di tannino; 2°) vi si forma un precipitato per semisaturazione con (NH)a SO. Il filtrato coa- gula ancora al calore. Il liquido contiene: Residuo secco a 110°C gr. 5,820 °/v; Azoto totale gr. 0,840.°/o (determinato col metodo di Kjeldah]); Azoto delliquido liberato dalle proteine precipitabili con acido acetico gr. 0,364 °/00; Azoto di sostanze non precipitabili mediante trattamento del liquido secondo il metodo di Schenk gr. 0,235 °/oo. II° Esperimento (17 aprile 1915). — Intestino di maiale, della lunghezza di circa 16 metri. Lo si lava per due volte con acqua di fonte tiepida, e lo si riempie con acqua distillata satura di toluolo (10 litri). Lo si lascia sospeso per 20 ore, durante il qual tempo filtra un liquido limpidissimo roseo (circa 8000 cm.8). Si estrae il liquido dall’intestino, e lo si lascia in riposo per 24 ore; quindi si decanta, si filtra e si unisce questo filtrato al liquido trasudato dalle anse intestinali. Il materiale depositatosi al fondo del recipiente somiglia a quello dell’esperimento pre- cedente. Esame del liquido: Residuo secco gr. 6,03 %/o0; Azoto totale gr. 0,875 °/00; Azoto residuale gr. 0,166 °/00; Azoto contenuto nel liquido liberato dalle proteine precipitabili con acido acetico, gr. 0,420 0/00. : Le reazioni qualitative sono in tutto simili a quelle del 1° esperimento. III° Esperimento (28 aprile 1915). — Intestino di maiale lungo circa 18 metri. Lo si lava due volte con acqua del Serino tiepida, e lo si divide in segmenti che vengono riempiti di soluzione all’ 1°/, di fluoruro sodico saturata con toluolo. Si adoperano in tutto 16 litri di soluzione. Si lasciano le anse sospese per 20 ore. Filtrano circa 4 litri di liquido roseo e limpido. Si vuotano le anse intestinali. Il contenuto è lasciato a riposo per 24 ore. Si decanta e si filtra, e il filtrato è unito al liquido trasudato dall’intestino. Il materiale depositato, esaminato al microscopio, è costituito di cellule epiteliali, in gene- rale ben conservate. x — 518 — Esame del liquido: Il liquido è leggermente giallastro, opalescente, e presenta reazione è. debolutents alca- lina. Dà le seguenti reazioni: 1°) coagula al calore; 2°) l’acido acetico diluito vi produce abbondante precipitato, che non si ridiscioglie in un eccesso di acido; 3°) l’ammoniaca chiarifica completamente il liquido, per sè stesso un po’ opale- scente; 4°) il cloruro di calcio vi produce un precipitato fioccoso; 5°) il liquido, trattato con un eccesso di acido acetico e filtrato, dà ancora pre- cipitato quando è semi-saturato con solfato di ammonio o è saturato con solfato di magnesio; 6°) il filtrato, ottenuto dopo questa ultima precipitazione, coagula al calore; 7°) il liquido, completamente dealbuminizzato mediante il CEL, dà ancora la rea» zione del biurete e quella del Millon. Determinazioni quantitative: Residuo secco 13,45 °/0, da cui, detratti i 10 gr. di fluoruro sodico, restano gr. 3,45 °/oo di sostanze estratte; Azoto totale gr. 0.378 °/00; Azoto contenuto nel liquido liberato delle proteine precitabili con acido acetico gr. 0,262 °/00; Azoto residuale gr. 0,129 °/c0. IV° Esperimento (5 maggio 1915). — Intestino tenue di maiale, della lunghezza di circa 12 metri. Lo si lava per due volte con acqua di fonte tiepida, e poi lo si divide in pezzi che vengono riempiti di soluzione 0,5 °/, di carbonato sodico (circa 12 litri). Si lasciano le anse sospese per 16 ore. Durante questo tempo, filtrano attraverso la parete intestinale circa tre litri di liquido roseo e limpido. Vuotato l'intestino; si lascia in riposo il liquido per 24 ore; poi si deeanta e si filtra. Il filtrato si unisce al liquido trasudato. Il materiale depositato, esaminato al microscopio, si mostra costituito di poche cellule epiteliali integre, sebbene rigonfiate, e, pel resto, di una materia gra- nulosa amorfa, che ricorda quella già osservata nel primo esperimento. Esame dei liquido: 1°) non coagula al calore; coaugula però se è neutralizzato; 2°) l’acido acetico diluito vi produce un notevole precipitato, solubile in un eccesso di acido; 8°) il liquido, trattato con una quantità sufficiente di acido acetico, dà abbondante precipitato; il filtrato dà un altro precipitato, quando è semisaturato con solfato di ammonio; 4°) dopo precipitazione con solfato di ammonio, il filtrato contiene ancora sostanze coagulabili al calore; 5°) il liquido dalbuminizzato dà ancora le reazioni dei peptoni. Determinazioni quantitative: Residuo secco gr. 13,25 °/oo, da cui, detratti 5 gr. spettanti al carbonato sodico, restano gr. 8,25 °/o0. Azoto totale gr. 1,19 0/00; Azoto del liquido liberato dalle proteine precipitabili dall’acido acetico gr. 0,434%0; Azoto residuale gr. 0,366 °/o0 - Dagli esperimenti descritti risulta che il liquido di estrazione dell’inte- stino, comunque l'estrazione sia stata fatta, cioè con acqua distillata ovvero — 519 — con soluzione di fluoruro o di carbonato sodico, contiene sempre, oltre ai sali, varie sostanze proteiche. Di queste possiamo distinguere almeno tre o quattro specie: 1°) una o più sostanze proteiche precipitabili dagli acidi diluiti; 2°) nel liquido liberato da queste, è sempre possibile di produrre un precipitato, benchè scarso, di altre proteine, mediante semi-saturazione con solfato di ammonio. Queste proteine dovrebbero quindi essere considerate come appartenenti al tipo delle globuline; 3°) nel liquido liberato anche da questa seconda specie di sostanze troransi ancora una o più proteine coagulabili dal calore, che corrispondono perciò a sostanze del tipo dell’albumina. Tralasciando la distinzione fra le sostanze del secondo e del terzo tipo, distinzione che non ha fondamentale importanza, il rapporto fra le proteine precipitabili con acidi e le altre risulta quello che è indicato nella tabella riassuntiva (colonna 10°). TABELLA. Composizione chimica dell’estratto acquoso d’intestino di maiale. $ Azoto Azoto RIO È aa , Azoto | Azoto oteic delle d ii 2R Di È Liquido Residuo | (Generi ProLelco ts O SEE Tar A dirt totale [residuale] comples- too SURI, È Precito id, i "a Data di ecco precipitabili 0 deLto Z (Ni) (Na) sivo con acido Acotleo(e:LN ® - gr. °/oo Ò delle altre a estrazione gr. °/o0 prio grso (N3) acetico (N4) proteine E SE gr 0/00 | 8° “lo ( + ) Ns—-N4 1 2 3 4 5 6 7 | 8 9 10 1 | 1915 26.3 | acqua distillata | 5,82 | 0,61 | 0,840| 0,235| 0,605 0,476 3,7 2 17.4 D) D) 6,03 —_ 0,875| 0,166 0,709 0,455 1,9 3 28.4 Na F1 19/0 3,45 — 0,378 | 0,129) 0,249 0,116 0,87 4 5.5] NasC030,5°/o 8,25 — 1,190| 0,366| 0,824 0,756 11,1 I dati raccolti nella. detta colonna dimostrano che il rapporto non è costante, ma che in ogni caso la proteina precipitabile con acidi è note- volmente maggiore di tutte le altre proteine contenute nel liquido di estra- zione. È inoltre importante di notare come tale rapporto presenti il suo valore più elevato nel caso in cui l'estrazione fu fatta con soluzione di car- bonato sodico. Ma già, in generale, la quantità totale di sostanze proteiche estratte dall'intestino varia col variare del liquido di estrazione (vedi colonna 8). x — 520 — La detta quantità è massima nella esperienza fatta con soluzione di carbo- nato sodico, minima in quella fatta con soluzione di fiuoruro sodico, media nelle due esperienze con acqua distillata. Orà questo risultato si spiega benissimo, quando si pensi che, poichè la maggior parte delle proteine dell'intestino sono solubili in alcali diluiti, il liquido estrattore più efficace debba essere una soluzione debolmente alca- lina, quale è appunto quella di carbonato sodico. D'altra parte, fra l’acqua distillata e la soluzione di fluoruro sodico, che, quando è molto diluita, può essere considerata come praticamente neutra o appena un poco alcalina, si comprende come debba essere più efficace l’acqua distillata, che rigonfia e disintegra Je cellule epiteliali, che non la soluzione diluita di fluoruro sodico, la quale distacca bensì le cellule epiteliali ma non le disfà, come dimostra l'esame microscopico del sedimento, Bisogna inoltre notare che nei liquidi di estrazione, oltre alle sostanze proteiche, sono contenute molte altre sostanze organiche, come prova la cifra relativamente alta dell'azoto residuale (vedi colonna 7® della tabella), deri- vante verosimilmente da prodotti di scissione di proteine alimentari (proteosi, peptone, amino-acidi). Questi prodotti, in parte si trovano già preformati nell'intestino al momento in cui l'animale è ucciso; in parte, data la pre- senza di fermenti, si formano dopo. Infatti, due determinazioni eseguite nel liquido di estrazione, la prima subito dopo il vuotamento dell'intestino, la seconda dopo alcune ore, mostra- rono che l’azoto residuale va man mano aumentando, mentre diminuisce l'azoto proteico. Siccome da quanto innanzi si è detto risulta che la sostanza proteica in maggior quantità contenuta nell'estratto acquoso dell'intestino è quella pre- cipitabile con acido acetico, interessa conoscere la natura della medesima. Per i suoi caratteri di solubilità, corrisponderebbe a una mucina, o a una nucleo-proteina, 0 a un miscuglio di ambedue le sostanze. È noto come sia difficile il distinguere una mucina o un mucoide da una nucleo-proteina; tut- tavia, avendo applicato tutti i procedimenti consigliati dagli autori a questo riguardo, ci siamo persuasi in modo assoluto che si tratta di una sostanza unica. Il fatto poi di aver potuto ottenere per tale sostanza (dopo averla purificata mediante successive precipitazioni con acido e dissoluzione in alcali e mediante lavatura con alcool ed etere) la prova della presenza, in essa, di fosforo e di basi puriniche, dimostra, in modo non dubbio, che si tratta di una nucleo-proteina. i L'assenza di mucina dall’estratto acquoso dell’intestino ci ha moito sor- presi; ma i fatti osservati sono quelli sopra detti; e, del resto, anche i carat- teri fisici dello estratto acquoso, per nulla filante, confermano le osservazioni chimiche, i | | j | — 521 — Può darsi che la prima lavatura dell'intestino porti via la mucina dalla superficie della mueosa, dato che vi sia; o che quella sostanza, che ordina- riamente dicesi mucina (prodotto delle cellule mucose caliciformi), non sia vera mucina, ma piuttosto una nucleo-proteina avente caratteri di somiglianza con la mucina vera, pur differendone chimicamente. In una Nota successiva pubblicheremo i risultati dell'analisi chimica della nncleo-proteina estratta dall’intestino, alla quale crediamo che debba essere conservato il nome, che le dette il Bottazzi, di enteronucleoproteina (enteroproteide). Patologia vegetale. — Sua morfologia e sulle condizioni di sviluppo della Sclerotinia trifoliorum. Nota del pro- fessore VitroRIo PEGLION, presentata dal Socio G. CuBONI. Esistono numerose osservazioni intorno a questo fungo che cagiona danni abbastanza gravi nei trifogliai, sopratutto nell’ Europa settentrionale; esse sono state criticamente esposte dal Coleman (') le cui ricerche integrano sperimentalmente i precedenti studî di De Bary, Rehm, Eriksson, Rostrup e Brefeld. Restavano tuttavia insolute alcune questioni rifiettenti lo stato conidiale o microconidiale del fungo e le condizioni che determinano la com- parsa epidemica dell'infezione nei campi di trifoglio, onde essendomisi offerta l'occasione, ho creduto opportuno riprendere lo studio della Sclerotinia tri- foliorum per delucidare codeste incognite. « Il parassita ha distrutto nella scorsa stagione un piccolo appezzamento di trifoglio ladino coltivato nell’orto della Scuola agraria: dai numerosi scle- rozi rimasti a fior di terra in seguito al disfacimento del colletto e delle catene di ladino, cominciarono a spuntare verso la fine dell'ottobre innume- revoli apoteci, la cui comparsa continuò durante la prima quindicina di no- vembre ancorchè vi tosse un notevole abbassamento di temperatura. Ponendo alcuni apoteci maturi in scatola di Petri, si osserva dopo poche ore la caratteristica disseminazione delle spore, le quali vengono proiettate a mucchietti contro le pareti della scatola, ogni mucchietto risultando for- mato dalle 8 spore contenute in ogni asco. Le dimensioni di questi oscillano intorno a 175 w e le ascospore mature misurano 16-18 » 8 w. Appena disseminate le ascospore sono atte a germinare, tanto nell'acqua distillata che nei comuni substrati nutritivi. Ho ottenuto colture pure col solito metodo di selezione in gelatina nutritizia: il fungo sì sviluppa abba- stanza bene in mosto gelatinizzato, meglio in gelatina di brodo di fagiuolo (1) Coleman, Veder Scler. Trifoliorum, Arbeiten d, K. K. Biol. Anstalt, Berlin 1907, V, pag. 469. — 522 — Mazè. L'andamento delle colture tenute a temperatura relativamente bassa 8°-10° od in termostato a 20°-25° rivela che si tratta di organismo psi- crofilo, essendo più rigoglioso e sollecito lo sviluppo a temperatura rela- tivamente bassa. In queste condizioni il micelio invade rapidamente l’intera massa del substrato, dando origine in breve tempo a numerosi e voluminosi sclerozi. I frammenti di micelio servono egregiamente pel trapianto del fungo allo stato di purezza: ne ho riprodotto numerose colture in fialette Erlen- meyer contenenti semi di frumento, riso, frammenti di trifoglio, sommersi in acqua, sterilizzando il tutto all’autoclave: mantenuti alla temperatura dell'ambiente (10°-15°) in pochi giorni la superficie libera del substrato si ricopre di una spessa cotica fungina formata da elementi anisodiametrici: filamenti minuti che tendono a raggomitolarsi e formare scelerozi, filamenti di diametro 2-3 volte maggiore che dànno origine all'apparato conidiale. Intorno a questo si avevano poche e frammentarie osservazioni: pre- scindiamo da quelle fatte seguendo il limitato sviluppo che assume il fungo coltivato in goccia pendente. Il De Bary accenna alla formazione di « pic- coli rami aggruppati dai quali prendono origine gli stessi spermazi rotondi non germinabili che si ottengono dalla germinazione (delle ascospore?) in acqua e che si riscontrano nel micelio di parecchie specie affini di Sele- rotinia >. Il Coleman, che ha coltivato il fungo in grande, si limita ad accennare alla struttura molto complicata che presentano i conidiofori, i quali formano talora una spessa cotica di aspetto farinoso; per quanto concerne il signifi- cato biologico, pur non escludendo che essi possano essere agenti di infe- zione, conviene di non averne mai osservata la germinazione. L'apparato conidioforo che ho ottenuto coltivando la Scler. trifoliorum sui diversi substrati dianzi cennati, presenta costantemente la caratteristica struttura assegnata dal Vuillemin (') alle Vertici/liacee e più precisamente alle Spicaria: dai filamenti miceliali si distaccano lateralmente brevi arti- coli che si ramificano dando origine ad un ciuffo di fia/idi dal cui apice si differenziano catenelle lunghissime di conidi. Lasciando invecchiare le col- ture, esse perdono l’aspetto farinoso, in seguito a gelificazione dell'apparato conidioforo onde i conidi liberi o catenulati formano una glia alla superficie libera del substrato. Sotto questo punto di vista non potrebbesi seguire. il Lind (?) nell'attribuire a tutte le specie incluse nel sotto genere Zusclero- tinia apparati conidiali del tipo Sphacelia, in opposizione al tipo Monilia, caratteristico del sottogenere Stromatinia. Nei substrati ricchi di alimento azotato, come la gelatina di brodo di fagiuolo, partendo da ascospore o da frammenti di micelio, il rigoglioso svi- (1) Vuillemin, Bull. Soc. Naney, 1910. (*?) Lind I,, Ref. in Centr. f. Bakt., Band 40, pag. 197. — 523 — luppo miceliale porta alla rapida differenziazione di numerosi e voluminosi sclerozi; manca qualsiasi traccia di formazioni conidiali. Queste invece si ottengono abbondantemente nelle colture in semi di cereali immersi in acqua distillata e sterilizzati all'autoclave. Il micelio si organizza rapidamente in voluminosi sclerozi, ma se ne può provocare la ripresa vegetativa ricopren- dolo con un velo d’acqua sterilizzata: si ha allora scarsa formazione di nuovi selerozi ed abbondante produzione di conidi. Ma le più abbondanti fruttificazioni conidiali si ottengono durante la vita parassitaria del fungo soprattutto quando esso si sviluppa sotto una forma che presenta grande analogia colla cosidetta maladie de la toile osser- vata dagli studiosi della affine Botrytis cinerea. Spargendo frammenti di micelio, provenienti da colture pure in gela- tina, alla superficie del terreno in vaso ove siano seminate comuni legumi- nose foraggere (trifoglio, medica, fieno greco), man mano che le piantine spun- tano esse vengono rapidamente distrutte. La Sclerolinia trifoliorum forma una rete od una ragnatela pochissimo appariscente che si diffonde alla su- perficie del terreno, avvolge la base del fusticino e ne provoca la disorga- nizzazione: le piantine si allettano e su di esse si differenziano dopo alcuni giorni i caratteristici conidiofori riferibili al genere Spicaria. Le piantine sono esposte all’ infezione durante l'intera fase germinale; formate le prime foglie sembra che cessi la recettività. Oltrechè le leguminose foraggere questo tungo può colpire anche la fava: ho constatato a più riprese l’avvizzimento e la rapida disorganizza- zione della regione basilare dello stelo di piantine di fava crescenti su ter- reno inquinato col micelio di Scler. trifoliorum. I caratteri che esse pre- sentano coincidono con quelli di una ben nota avversità della leguminosa in questione che di tanto in tanto danneggia le coltivazioni nell'Italia centrale e meridionale: il cosidetto mal dello sclerozio, attribuito a Selero- tinia libertiana; dai risultati delle infezioni sperimentali, mi sembra di poter concludere che probabilmente anche a Scler. trifoliorum debba attri- buirsi il danno che si lamenta nelle coltivazioni da seme in talune annate. Sono indotto a tale supposizione dalla correlazione tra lo sviluppo epi- demico della Scler. trifoliorum negli erbai di trifoglio e l'andamento della stagione: la comparsa saltuaria irregolarmente periodica dell'infezione, le variazioni d'intensità e di diffusione da un anno all’altro sono subordinate alle vicende della stagione autunnale. Richiamo queste osservazioni, frutto di un periodo quindicennale di indagini compiute nella regione Emiliana e Toscana, perchè esse sono state confermate nel 1913 dall'Hiltner (*) e special- mente dallo Stòrmer (*), per quanto riguarda la comparsa della malattia nei trifogliai in Germania: nelle annate in cui l'autunno è mite e piovoso, la (1) Hiltner, Prakt. BI. f. Pflschutz, 1913, 54. (?) Stérmer H., Das Auftreteu des Kleeskrebs. D. Land. Presse 1913, n. 40. RenpiconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. i 68 — 1524 — vegetazione del trifoglio procede rigogliosa anche col sopravvenire dell'in- verno; i primi geli sorprendono le piante in piena vegetazione e ne mor- tificano o ne ledono i tessuti. La Selerotinia trifoliorum, che differenzia apoteci ed ascospore anche nel tardo autunno, ed è dotata di spiccata atti- tudine psicrofila, trova condizioni favorevoli di penetrazione e di sviluppo nei tessuti più o meno compromessi dalle brinate; onde i danni che si constatano nella primavera successiva sono tanto più gravi per quanto più promettenti si presentavano nell'autunno avanzato gli erbai, per freschezza e fertilità di terreno o per fortunata ubicazione. Nelle annate a decorso regolare nelle quali gli erbai passano allo stato di riposo prima che sopravvengano i geli, il cancro del trifoglio non si ma- nifesta. Tanto più opportuno mi sembra di insistere su questo speciale lato dello studio della malattia in quanto esso può integrare le nozioni che si hanno intorno al diverso comportamento delle foraggere perennanti in genere e dell'erba medica in ispecie di fronte ai rigori vernini. Si ritiene in generale che le invernate rigide riescano assai pregiudi- zievoli alla medica come attestano i frequenti casi di medicai diradati o distrutti dal gelo. Ma anche a tale riguardo si hanno singolari differenze da un anno all'altro, contraddittorie se l'unica determinante del fenomeno fosse l'abbassamento di temperatura. In realtà sono funeste pei medicai gio- vani o vecchi le invernate rigide che seguono a vegetazione prolungata du- rante l'autunno per freschezza del suolo onde le piante tardano a ridursi allo stato di perfetto riposo. La facilità di moltiplicazione della Seler. trifoliorum per mezzo di frammenti di micelio contrasta col comportamento degli sporidi che ne pren- dono origine. Ho tentato in tutti i modi di provocarne la germinazione, ma non sono stato più fortunato dei precedenti studiosi di tale questione, per cui concludo col Coleman che il significato biologico di questi organi rimane tuttora misterioso. Zoologia. — Swi trattamenti insetticidi contro le tignuole della vite. II: Trattamenti con l’acqua calda. Nota del dott. MaRIO TOPI, presentata dal Socio B. Grassi. Il Semichon, che ha proposto questi trattamenti, ne ha proclamato l'efficacia contro le uova (') e le larve delle tignuole della .vite ( Conehyl28, (1) Il Semichon scrive nella sua Memoria: « L'eau chaude a 65 degrès détruit tous les oeufs de Cochylis et d'Eudemis qu'elle touche » ; ed in una Memoria successiva ripete: « Les aspersions d’ean chaude entre 55 et 65 degrès m'’ont permis de détruire les oeufs de l’altise, de la chelonia caja, de la pyrale, de la cochylis, de l’eudemis». Dice anche, nella stessa Memoria: « Les aspersions d'eau chaude peuvent s’appliquer parfaitement è la destruction des Cochylis et des Eudemis de deuxième ou troisième génération, contre lesquelles nous sommes, jousqu'ici, très faiblement armés », — 929 — Eudemis e Pirale), contro gli afidi, contro le crittogame a micelio esterno (oidio) e contro le fruttificazioni esterne delle crittogame. Le nostre espe- rienze si limitano alle due tignuole più frequenti e dannose (Conchylis ed Eudemis) e ne riguardano soltanto, per le ragioni dette nella prima Nota, la generazione estiva. Inoltre le abbiamo limitate principalmente alle uova per questa considerazione: che, anche ammettendo che l'acqua, alla tempe- ratura indicata dal Semichon, fosse capace di uccidere le larve, riteniamo che non potrebbe raggiungerle quando siano internate fra i bocci fiorali o quando siano penetrate entro l'acino ('): ciò che avviene a brevissima distanza di tempo dalla schiusura dell'uovo. Il mezzo preconizzato ci sembrava invece di grande utilità se avesse potuto sterilizzare le uova senza danneggiare la pianta; ed inoltre l'efficacia del trattamento si prolungherebbe, con grande vantaggio, per tutta la durata di incubazione delle uova. Abbiamo fatto esperienze in campagna ed in laboratorio. In campagna, nella stessa vigna in cui facemmo le prove con l’estratto di tabacco, trat- tammo il 21 luglio una prima volta due filari di viti, l'uno di dardera e l’altro di /ambrusca. Seguendo gli insegnamenti forniti dallo stesso Semichon, facemmo bollire 8 litri d’acqua e vi aggiungemmo 4 litri d'acqua a circa 16-18°, empiendo una delle ordinarie pompe da solfato di rame. Facemmo un secondo trattamento il 28 luglio. La temperatura del- l'acqua entro la pompa era di 65 -68°. Applicando un termometro, col bulbo involto in uno straccio, contro un grappolo, ed irrorandolo abbondantemente, al principio dell'operazione il termometro indicava una temperatura di 56°; vuotandosi la pompa, la temperatura del getto scendeva a 53 - 52°. Trattan- dosi il secondo filare, con la pompa già riscaldata dai precedenti tratta- menti, la temperatura del getto non variava sensibilmente, mantenendosi intorno a 56°. In questi trattamenti si bagnarono accuratamente e copiosamente tutti i grappoli. Contemporaneamente raccogliemmo degli acini che presentassero uova di tignuole: su ognuno di questi vi era in generale una, talvolta due o tre uova. Dieci di questi acini li tenemmo in capsula di Petri come controllo; 5 li immergemmo, estraendoli immediatamente, in un recipiente contenente acqua a 70°, portata a questa temperatura scaldandola a bagno-maria; 5 li immergemmo allo stesso modo nell'acqua a 60°, e 5 nell'acqua a 55°. 4 li tenemmo immersi nell'acqua a 65° per 10”, e 3 nell'acqua a 55° pure per 10". Ripetemmo successivamente queste prove con altri 17 acini (9 nell'acqua a 65° e 8 nell'acqua a 55°, immersione istantanea), usando acqua meno calcarea di quella usata la prima volta. (') « Là (entro l’acino) sont presque invulnérables », dice lo stesso Semichon, x — 526 — Per riprodurre in laboratorio ciò che dovrebbe avvenire nel trattamento effettuato in aperta campagna, proiettammo anche con un contagoccie un getto di acqua a 55° direttamente sulle uova che si trovavano su 5 altri acini. Ecco i risultati dell'esame che compiemmo circa quindici giorni dopo: Acini di controllo: I) L'acino è divenuto nero; presenta due erosioni e racchiude due larve, lunghe meno di 2 mm. II) Annerito, con muffa; erosione con sterco e filamenti sericei, legato col precedente; nessuna larva. III) Annerito in parte; grosso mucchio esterno di sterco; all’interno una larva di Conchylis lunga 4-5 mm. (questa evidentemente era già pene- trata entro l’acino all’epoca della raccolta) ed un’altra larva lunga 2 mm. IV) Annerito, con muffa; sterco alla superficie e fili sericei; all’interno 2 larve, l'una lunga 3 mm. l'altra 1 '/, mm. V) Annerito, piccolo; nessuna erosione; nessuna larva. VI) Annerito parzialmente; due erosioni con sterco: da una fuoriesce per metà una larva lunga*2 mm. i VII) Verde: due erosioni esterne con sterco; 2 larve (lunghe, rispet- tivamente, mm. 2 e 11/3). VIII) Verde, in piccola parte annerito; un'erosione con sterco; all'esterno 1 larva di 2 mm.; all’interno più vasta erosione con altra larva di 2 mm. IX) Verde; nessuna erosione esterna; nessuna larva. X) Verde; lieve erosione con filamenti, senza sterco; all’interno 1 larva di mm.'2'1/.. In totale, nei 10 acini di controllo sì rinvennero: 11 larve di mm. 1 '/3-8 di lunghezza ed una di mm. 4. Acini immersi nell'acqua a 55°: I) Ammuffito; nessuna larva. II) Nero; erosione e sterco esternamente; nessuna larva. III) Nero; nessuna erosione; una larva di 2 mm. IV) Verde; erosioni esterne con sterco; una larva di 3 mm. V) All'esterno: una erosione senza sterco ed una con sterco abbondante; 1 larva di mm. 1 '/». All'interno vaste erosioni e 3 larve: una lunga 1?/, mm.; un'altra circa 2 mm.; la terza quasi 4 mm. (quest’ultima evi- dentemente schiusa prima del trattamento). Complessivamente, nei 5 acini furono dunque trovate: 5 larve lunghe 14-83 mm. ed 1 di mm. 4. Acini immersi nell'acqua a 60°: I) Nero; erosioni esterne non appariscenti; all'interno 2 larve di 1 ‘/, mm. II) Nero; grossa erosione e sterco esterno; nessuna larva. III) Verde; nessuna erosione; nessuna larva. — 527 — IV) Verde; piccola erosione con sterco; una larva di 2 mm. V) Verde; piccola erosione con sterco; una larva di 2 mm. Nella capsula fu rinvenuta un'altra larva di 2 mm. In totale, in questi 5 acini si rinvennero: 5 larve di 1 !/,-2 mm. Acini immersi nell'acqua a 70°: I) Annerito parzialmente: esternamente sterco e filamenti sericei; all’ in- terno una larva di Zudemis, lunga circa 4 mm. (preesistente all’epoca del- l'immersione). II) Verde; nessuna erosione, nessuna larva. III) Verde; erosione e sterco; all’interno una larva di Zudemis di quasi 3 mm. IV) Verde; erosione e fili sericei; una larva misurante meno di 2 mm. V) Verde; attaccato con pochi fili sericei al precedente; nessuna larva. Nei 5 acini, in totale, si rinvennero: 1 larva di circa 2 mm.; 1 di 3 ed 1 di 4 mm. di lunghezza, Acini immersi nell’acqua a 55° per 10". I) Molto muffito; erosioni esterne; nessuna larva. II) Verde; erosione esterna; una larva di circa 3 mm. Ill) Verde; abbondante sterco esterno; una larva di Conchylis di poco meno di 4 mm. (preesistente al trattamento). Nei 3 acini: solo 1 larva di 8, ed 1 di 4 mm. di lunghezza. Acini immersi nell'acqua a 65° per 10": In nessuno dei 4 acini trattati si rinvennero erosioni o larve. Nelle prove successive, fatte con acqua meno calcarea, immergendo gli acini nell'acqua a 55° e 65° e togliendoli istantaneamente, ottenemmo gli stessi risultati avuti nelle esperienze precedenti alle medesime temperature, e cioè, riassumendoli: Dei 9 acini immersi nell'acqua a 55°, all’epoca dell’esame 2 sono am- muffiti, 2 anneriti e gli altri sono rimasti verdi. Vi sì trovano 5 larve lunghe 1 1/3-2 mm., e 2 larve lunghe circa 3 mm. Degli 8 acini immersi nell'acqua a 65°, 2 sono ammuffiti ed 1 nero; gli altri verdi. Vi si trovano 6 larve lunghe mm. 1 "/2-2°/,, ed 1 larva lunga circa 3 mm. Gli acini che sottoponemmo ad un getto diretto di acqua a 55° dettero i seguenti risultati: I) Ammuffito; una larva di 2 mm. II) Parzialmente disseccato; vasta erosione; nessuna larva. III) Parzialmente nero; erosione esterna; una larva di 2 mm. IV) Verde; erosione esterna; una larva di 2 mm. V) Verde; erosione esterna ed interna; una larva di Zudemis di quasi 3 mm. In totale, nei 5 acini, 4 larve di 2-3 mm. — 528 — Il 25 agosto raccogliemmo e contammo gli acini guasti ed erosi di una delle viti del filare di dardera trattato con l’acqua calda il 21 e il 28 luglio. La vite aveva 21 grappoli, di cui 2 assai piccoli: vi riscontrammo 682 acini guasti od erosi, in cui rinvenimmo 235 larve (202 Zudemis e 33 Con- chylis) (1). Dati questi risultati e quelli delle prove precedenti, non facemmo ricerche nel filare di /ambrusca egualmente trattato con l’acqua calda e che si mostrava molto attaccato dalle tignuole. Esponendo direttamente una larva di Eudemis di 7-8 mm. di lunghezza al getto della pompa (temperatura 56-55°), mentre si facevano i trattamenti in campagna, il giorno successivo non mostrava aver sofferto alcun danno. Concludendo, dalle prove fatte ci sembra poter dedurre che le irrora- zioni con sola acqua calda proposte, ad una temperatura tale che non riesca dannosa per la pianta (*), non hanno alcuna o quasi nulla efficacia contro le uova delle tignuole della vite (Eudemis e Conehylis); risulta molto dubbia l'efficacia contro le larve, le quali, in ogni modo, salvo nei primi momenti dalla schiusura dell'uovo, non potrebbero esser colpite, riparate come sono nei grovigli dei bocci fiorali od entro gli acini; sclo un'immersione per 10” nell'acqua a 65° (e probabilmente anche solo a 55°) si è mostrata sufficiente a sterilizzare le uova, ma non vediamo come questo risultato possa aver pra- tica applicazione. Patologia vegetale. — Sopra una nuova malattia dei bambù(*). Nota di MaLUSIO TuRrcoNI, presentata dal Socio GrovANNI BRIOSI. Una estesa piantagione di bambù dell'Orto botanico di Pavia, ricca di numerose e grosse canne della bella specie Bambdusa mitis Poir. fu presa, durante l'estate, del 1914, da una grave malattia. I rami colpiti presentavansi totalmente od in parte secchi, biancastri, cosparsi di numerosissime pustoline nere, rotondeggianti, ovali od allungate nel senso dell'asse del ramo. I primi sintomi del male si manifestavano su rami d’ogni ordine e gros- sezza, di preferenza nella parte apicale, specie sui rametti fogliferi. Appaiono dapprima delle macchioline o strie bruniccie che poi ingran- discono e confluiscono insieme formano aree che si estendono anche a più (*) Per il confronto con le viti testimoni vedasi la nostra precedente Nota sui trat- tamenti con l’estratto di tabacco. (*) Da nostre prove risulta che, bagnando bene le foglie con acqua alla temperatura di 65°, si producono scottature sulle foglie giovani e sulle adulte. (*) Il lavoro in esteso, illustrato con tavola litografata, verrà pubblicato negli Atti dell'Istituto botanico di Pavia ove fu eseguito. — 529 — internodii. Le parti malate, da prima brune, gradualmente diventano biancastre e seccano ricoprendosi delle pustoline nere caratteristiche. Esaminando al microscopio settili sezioni fatte in corrispondenza di aree infette, si trovano, entro i tessuti, delle ife miceliche ialine, settate, penetranti nelle cavità cellulari che attraversano in tutti i sensi passando per le pun- teggiature delle membrane. A mettere meglio in evidenza i filamenti mice- lici, non sempre facilmente discernibili specie nelle aree tuttora brune, pos- sono servire speciali reattivi atti a colorare il micelio ed a chiarificare nel tempo stesso i preparati, quali ad es. quello del Guéguen (*) (bleu cotton C 4B di Poirrier sciolto in acido lattico) e quello, più recente, usato dal Klebahn (forte soluzione di bleu cotton CBBBB in lattofenelo) (*). Con tali reattivi il micelio sì colora in blen intenso e si può allora facilmente seguirne il percorso nelle cellule e nei vasi, ed il passaggio attra- verso le punteggiature. Tl male procede di solito dall’apice verso la base dei rami; talora l'infe- zione resta limitata negli internodii della regione mediana o basale, ed in questi casi la parte del ramo soprastante alla porzione infetta muore e secca - senza che in essa compaiano le caratteristiche fruttificazioni del parassita le quali si formano solo nelle parti infette, dopo la loro morte. Quando il fungo si appresta alla riproduzione, le ife miceliche si ammas- sano in dati punti sotto l'epidermide ove si intrecciano fittamente a formare degli stromi pseudoparenchimatici che dànno luogo a due forme distinte di fruttificazione: una conidica, per trasformazione di interi stromi o di loro porzioni in acervuli melanconiacei; l’altra ascofora per differenziazione di loculi o peritecî ascogeni entro la massa stromatica. Un ascervulo conidico evoluto, maturo, presenta uno strato stromatico inferiore, a superficie più o meno concava verso l'esterno e tappezzata da un imenio di conidiofori (basidii) il quale porta numerosissime conidiospore brune che, premendo contro l'epidermide, la sollevano e ne determinano la rottura rimanendo così allo scoperto. Queste spore sono brune, generalmente globose o globoso-angolose o piri- formi, con un diametro di 14-18 w; talvolta anche oblunghe elissoidali. lunghe 21-24 w, larghe 12-14 «; presentano un plasma granuloso e quasi sempre una grossa goccia oleosa, e qualche volta due o tre goccie piccole. Le spore si originano per formazione acrogena all'apice di sporofori ialini o leggermente bruni, settati. lunghi press'a poco quanto il diametro delle conidiospore od anche più (sino al doppio), talora persistenti, attaccati alle (1) Guézuen F. M., Sur l'emploi des bleus pour coten e pour laine dans la techni- Que mycologique [Bull]. Soc. myc. de France, XXI (1905) pp. 42-46]. (3) Klebahn H., Beitrage zur Kenntnis der « Fungi imperfecti », I [Mycologisch. Centralbl., III (1914), pag. 50]. — 530 — spore stesse a guisa di pedicello. Le conidiospore germinano emettendo dei budelli micelici, dapprima continui e semplici, di poi settati e ramificantisi. Questa forma conidica appartiene, pei suoi caratteri morfologici, ai Deu- teromycetes e va riferita al genere Melanconium; essa è la forma di ripro- duzione più frequente, la sola che trovai durante l’estate e l'autunno. Frammisti ai numerosissimi acervuli conidici vedevansi anche parecchi stromi con porzioni di già trasformate in acervuli conidiferi e con accenni di formazione di loculi nell'interno, ed alcuni altresì, sempre provenienti dallo stesso micelio, con sola differenziazione di loculi nell'interno della massa stromatica. Ad inverno avanzato, in materiale esposto all'aperto potei constatare la trasformazione dei loculi in peritecî con aschi ed ascospore che giunsero a perfetta maturanza alla fine dell'inverno o durante la primavera sue- cessiva. Uno stroma ascoforo maturo ha allora un colore nerastro e presenta numerosi loculi o peritecî globosi, globoso-depressi od ovati, del diametro di 180-200 w, con ostiolo poco distinto 0 leggermente protuberante a guisa di papilla, disposti in due o tre serie entro lo stroma. Le pareti dei peri- tecî sono di struttura simile a quella della massa stromatica o distinte solo per una colorazione più scura. Ogni peritecio contiene numerosi aschi, sorgenti da un imenio basale, cilindraceo-clavati, lunghi 80-100 w, larghi 22-24 « ,-ottusi ed arrotondati all’apice, attenuati verso la base ove terminano in un breve e grosso pedi- cello; sono frammisti a parafisi filiformi, guttulate, e contengono otto spore ciascuno. Le ascopore sono clavate, attenuate nella parte posteriore, più o meno curvate e con un setto vicino alla base, quindi costituite da due cel. lule disuguali: una piccola inferiore, basale; l'altra soprastante, molto più grande. Sono ialine, a plasma finamente granuloso, con 1 0 2 gocciole nella cel- lula maggiore e talora una gocciolina anche nella minore; misurano 22-26 & di lunghezza per 10-12 u di larghezza. Per la configurazione degli stromi e pel modo di formazione e dispo- sizione dei loculi o peritecî entro lo stroma, questa forma ascofora va rife- rita al genere Scirrhia nelle Dothideaceae. Come dimostrerò nel lavoro definitivo, la forma ascofora ora descritta non può essere identificata con alcuna delle poche specie del genere Scirrhia (2) (!) Le specie di Scirrhia fin'ora note non arrivano alla ventina, per la maggior parte riscontrate sopra graminacee e tre sopra bambù: Scirrhia bambusina Penz. et Sacc. (Malpighia XI, 1897, pag. 506) trovata sopra culmi morti di Bambdusa sp. nel l'Orto botanico di Buitenzorg; Sc. luzonenzis P. Henn. (Hedwigia 47, 1909, pag. 256) rinvenuta sopra foglie di Bamdusa sp. nell'isola di Luzon (isole Filippine); Sc. seriata Syd. et But]. (Ann. mycol. IX, 1911, pag. 402) sopra foglie di Bamdusa a Moulmein, Burna (Indie orientali). Li — 581 — finora note, dalle quali differisce pei caratteri morfologici degli stromi, degli aschi e delle ascospore, od anche per lo stadio conidico e per la matrice. Da altre forme affini di ascomiceti pure trovate sopra bambusacee, quali le due specie Apiospora Montagnei Sace. e Ap. Striola (Pass.) Sace. (pre- sentanti un aspetto di Dothideacea del genere Scirrhia) e la Scirrhiella cur- vispora Speg. (*), si distingue per la disposizione polistica dei peritecî e per differente forma e dimensione tanto degli stromi e dei loculi quanto degli aschi e dello ascospore. Trattasi quindi di una specie nuova, della quale dò alla forma ascofora il nome di Scirrhia Bambusae ed a quella conidica (distinta dalle forme già note) il nome di Melanconium Bambusae. Eccone le diagnosi: ScIRRHIA BAMBUSAE n. sp. Stromatibus ellipsoideo-elongatis, sublinearibus, 1-2 mm. longis, 0,5-1 mm. latis, gregartis quandoque longitrorsum seriatis, tectis, dein rimose erumpentibus, atris; loculis (peritheciis) in quoque stromate nume- rosis, plerumque bi-triseriatis, subglobosis vel ovatis, 180-200 u diam., cum stromatis substantia continuis vel vix discretis, ostiolis parum perspicuis vel brevissime prominulo-papillatis praeditis; ascis cilindraceo-clavatis 80-100x% 20,24 wu, superne obtuse’ rotundatis infere subattenuatis ae breve crasseque stipitatis, paraphysibus filiformibus, guttulatis obvallatis, octosporis; sporidiis distichis vel oblique monostichis, clavatis, deorsum attenuatis ac plus minusve curvatis, prope basim distinete unisepiatis, ad septum non vel leviter constrictis, granulosis, guitulatis, hjalinis, 20-26 X 8-12;p. Stat. conid. MELANCONIUM BAMBUSAE n. sp. Acervulis subrotundatis 0,5-1 mm. diam. vel elongatis, 1-2 mm. longis, 0,5-1 mm. latis, sparsis vel dense gregariis ac saepe longitrorsum seria- lis, diu tectîs, denique erumpentibus, epidermide fissa cinctis; conidits glo- bosis, globoso-angulosis aut piriformibus, 14-18 p diam., interdum oblongo- ellipsoiders 21-24 X 12-14 u, brunneo-fuligineis, granulosis ac plerumque percrasse uniguttatis, rarius 2-3 guttulatîis; conidiophoris dense stipatis, diam. conîdiorum subaequantibus vel etiam duplo longioribus, quandoque persistentibus, hyalino-fuscidulis. (!) Unica specie del genere Scirrhiella Speg., trovata nel 1883 sopra rami di Bam- busa presso Carapeguà nel Paraguay. Vedi Spegazzini G., Funghi guaranitici, Buenos Aires 1886. RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. Gra x — 582 — HaBs.-In ramulis Bambusae mitis atque in culmis ramulisque Bam- busae gracilis quos valde vexrat; in Horto botanico ticinensi. Che il seccume dei rami della Bambusa mitis sia causato dal nuovo micromicete, risulterebbe evidente dalla costante. presenza di questo nelle parti malate. Non pertanto ho potuto confermare anche sperimentalmente il parassitismo del nuovo fungo mediante infezioni artificiali sulla Bambusa mitis Poir. e sulla Bambusa gracilis Hort., colle quali si riprodusse la malattia. Le infezioni furono fatte tanto con micelio ottenuto da spore di colture quanto con conidiospore prese allo stato naturale. Fisiologia. — I processi termici dei centri nervosi. I: Metodo di ricerca mediante pile termoelettriche. Nota dì S. BAGLIONI, presentata dal Socio IL. LucIani ('). Il fatto che la durata della sopravvivenza del preparato centrale di rana o di rospo dipende, più che quella di ogni altro noto preparato (mu- scolare, neuromuscolare o glandolare), dalla pressione di ossigeno dell’ am- biente, può far sorgere l'ipotesi che nell'attività centrale abbiano luogo processi ossidativi molto intensi. Questa ipotesi può essere sperimentalmente vagliata in due medi: o stabilendo, coll'analisi chimica, la quantità di O, consumato e di CO, prodotto (come hanno fatto H. Winterstein, V. Scaffidi, R. Usui, R. Unger), o stabilendo l'entità dei processi termici che si svol- gono nell’attività centrale. A quest'ultimo problema ho rivolto, da qualche anno, l’attenzione, dedi- cando alla sua soluzione, sui centri isolati di rospo, lunghe e laboriose indagini, prima di poter giungere a risultati soddisfacenti. Per essere il preparato centrale di £/o un oggetto di piccola mole ed estremamente sensibile a minime compressioni, esso escludeva la possibilità di usare il metodo termometrico diretto; inoltre, -per essere squisitamente sensibile alle correnti elettriche, escludeva anche l'applicabilità del metodo bolometrico. Non rimaneva, quindi, che ricorrere al metodo delle pile ter- mometriche, la cui tecnica, d'altra parte, è insidiosa ed irta di grandi difficoltà. Tralasciando di accennare ai diversi tentativi preliminari e rinviando, per le notizie bibliografiche, alle recenti riviste di O. Frank (*) e di K. Biirker (*), descriverò il metodo che mi ha fornito i migliori risultati. (') Ricerche eseguite nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Sassari. (?) O. Frank, Z'hermodynamik des Muskels, Ergebn. d. Physio]. III, 2, (1904), 348-514. (°) K. Biirker, Methoden zur T'hermodynamik des Muskels, Tigerstedts Handb. d. physiol. Meth. Tivs: (1908), 1-86. Altre recenti Memorie sulla termodinamica muscolare sono quelle di A. V. Hill, Journ. of Physiol. XL, (1910), 389-403; XLII, (1911), 1-43. — 593 — Una cassettina di ebanite (A), lunga 56 mm., larga 25 e profonda 28, da coprire con un coperchio, mobile della stessa materia, recante nel mezzo dei due lati maggiori i due serrafili esterni (S e S'), come si vede nelle annesse figure 1 e 2, serve da camera umida pel preparato centrale e da ricettacolo per la batteria termoelettrica (B). Questa è costituita da tre, o cinque o otto coppie di elementi, formati da saldature di filo di ferro e costantano di 0.2 mm. di spessore, eseguite secondo le indicazioni del Bilrker, Free. 1 e 2. — Rappresentano schematicamente in prospettiva e in pianta, a grandezza naturale, l'apparecchio termoelettrico. poste alla distanza di 3-4 mm. in due serie alterne, l'una sul fondo della doccia destinata a contenere il preparato centrale, e l’altra alla base del | blocchetto di ebanite che serve da supporto alla batteria. Questo supporto sì compone di due metà simmetriche, tenute insieme da due viti, e attra- versate dai due fili metallici della batteria, che vengono a saldarsi colle due lastrine laterali di ottone a molla (/), le quali, comprimendo gli estremi interni dei due serrafili della cassettina, si pongono con essi in contatto dl: chiudendo il circuito. I supporti delle tre batterie di diversa forza elettromo- trice sono, quindi, spostabili nell'interno della cassettina per potersi adattare alla varia lunghezza del preparato, e sostituibili facilmente l’uno all'altro. La x — 534 — lunghezza di ciascun supporto è di 36 mm., la larghezza di 15, e l’altezza, dagli orli, di 16,5; dal fondo della doccia, di 12. Per impedire l’ossidazione del filo di*ferro, ricoprivo le saldature, e le superfici esposte, dapprima di vaselina purissima, più tardi di vernice di lacca sciolta in alcool. Come strumento di misura servì un galvanometro di Deprez-D'Arsonval della casa Hartmann e Braun (n. 135% I del suo catalogo), con una resi- stenza di 50 ohms del rocchetto mobile principale, e una sensibilità elettrica di circa 0.000000004 amp. per 1 mm. della scala alla distanza di 1 metro. Esso era munito di un braccio, allungabile a 0,5 m., con cannocchiale e scala di 200 mm. Cercai di sotrarre il circuito esterno alle variazioni termiche della camera (che, del resto, oscillavano al massimo di 1-2° C. nel decorso di 4-5 ore, tra 14 e 16°C., che furono sempre stabilite con un termometro al decimo, posto in immediata vicinanza dell'apparecchio), usando fili con doppio rivestimento isolante, che ricoprii, inoltre, per tutta la loro lunghezza, di uno spesso tubo di caucciù. La sensibilità termica della batteria termoelettrica di cinque coppie di elementi fu determinata direttamente sei volte, portando successivamente a loro diretto contatto il fondo di due bevute di vetro sottile di Jena, con- tenenti circa 500 cc. di acqua distillata di temperatura diversa (nell'àmbito di circa 0.5 C.), stabilita mediante un termometro Beckmann al centesimo, il cui bulbo pescava in permanenza presso il fondo. Le sei determinazioni, fatte in due giorni diversi, colle saldature rico- perte di vaselina o di lacca, diedero per risultato: | a)per un aumento di 0°.35, uno spostamento di 41 mm. della scala, ossia 1° = 120 mm. I (è) » ” 0.51, ” 85.» ” pical —1il838» | c) D) » 0.27, ” 33.» ”» n le PR d) » ” 0.78, ” 86m ” nio la 110/55 II,‘ 0) ” » 0.68, ” TIRA, ” nie 110=89 1) » ” 0.60, b) 64» ” Mea e (0 © In media, quindi, ogni millimetro della scala indicava !/110 di grado; ma poichè l'intervallo del millimetro, ingrandito dal cannocchiale, permet- teva facilmente l'apprezzamento del decimo, la sensibilità termica saliva a ?/r100 di grado (0°,0009 C.). La batteria di otto coppie aveva, corrispon- dentemente, una sensibilità termica di '/sooo di grado (0°,0005 C.). Come indica la fig. 3, il preparato centrale di Bufo è adagiato nella doccia della batteria, in modo che la faccia ventrale (in qualche esperienza la dorsale) è a contatto con la serie superiore degli elementi termoelettrici. La coda equina e il moncone caudale della colonna vertebrale e del sacro = = TRES VARIA: = aa ai a — 535 — (spogliato accuratamente da sostanza muscolare) giacciono nell'interno della cassettina, riposando sull'orlo del supporto della batteria, senza aver con- tatto diretto con niun elemento termoelettrico. I due nervi sciatici fuoriescono dalla cassettina attraverso una delle due sottili e profonde scanalature delle due pareti minori, avvolti da batuffolini di ovatta imbevuta di soluzione Fra. 3. — Fotografia dall’alto, quasi a grandezza naturale, del preparato centrale posto nell’apparecchio termoelettrico. fisiologica, che chiudono il vuoto della scanalatura. La scanalatura dell’altra parete è occlusa da membrana di caucciù, per evitare ogni possibile evapo- razione. Le zampe e i piedi del preparato sono adagiati su una lastra di vetro, fuori della cassettina; per cui è facile provocare ed osservare movi- menti riflessi. La cassettina chiudevo poi col coperchio (C) di ebanite, nella cui faccia interna è fissato un doppio strato di carta da filtro imbevuta di H.0, per saturare di vapore acqueo la camera umida. Gli orli della cassettina e del coperchio sono, inoltre, spalmati di vaselina. — 5936 — Sopra tutto il dispositivo ponevo, infine, una spessa campana di vetro. Sperimentalmente potei convincermi che, con le dette precauzioni, la batteria termoelettrica non era influenzata dal calore «dell'osservatore, mentre indicava le variazioni termiche del preparato centrale. In prossime Note riferirò i risultati ottenuti; qui aggiungerò che il metodo, oltre che prestarsi per la ricerca delle variazioni termiche del pre- parato centrale, mi pare possa rendere buoni servigi anche per indagare le variazioni termiche prodotte da rapidi processi chimici o biochimici, come ad esempio in quelli enzimatici, di coagulazione o precipitazione. Chimica-fisica. — icerche chimico-fisiche sui liquidi ani- mali. Nota XI: Nuove ricerche sulla reazione chimica della bile (*), di G. QUAGLIARIELLO, presentata dal Corrisp. FiL. BoTTAZZI. Alcuni anni or sono, occupandomi della reazione chimica dei liquidi dell'organismo, ebbi a studiare anche la reazione della bile [ G. Quagliariello, Sulla reazione chimica della bile. Rend. d. R. Ace. dei Lincei. (5) XX, 2° sem., pag. 202 (1911)]. Dai dati allora ottenuti risultò che la bile ha, . nel maggior numero dei casi, una reazione neutra, ma che, allontanandosi sempre pochissimo dalla neutralità, può anche presentare una reazione acida o alcalina. - i Le ricerche sopra citate furono eseguite su bile raccolta dalla cistifellea di animali recentemente uccisi, onde esse non si riferiscono alla bile quale viene secreta dal fegato. Ora noi non sappiamo quali modificazioni essa subisce in quel serbatoio, specialmente se vi rimane per parecchio tempo; sappiamo solo che diventa notevolmente più densa. Ma oltre questa perdita di acqua, e anche a causa di essa, possono avvenire altre modificazioni chimiche e fisiche di natura diversa. era È perciò che, avendo avuto occasione di tenere in laboratorio alcuni cani portanti una fistola biliare permanente, ho voluto ripetere su bile fresca le misure della reazione attuale. La tecnica seguìta in queste misure è stata la stessa di quella adope- rata nelle precedenti ricerche. Nella seguente tabella sono riferiti i dati analitici sperimentali : (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della I. Università di Napoli. ‘TuotuaSOIPI I]ÎOp auorzET]UAOtOO E[[op oAIQeSOu owuaeSo] 1 QIIp © a]jea ‘oquouodse cuesoIpi 0H}ap ts09 Il a è°d fegnposse eimrieduo) UT IL 9 SES r0p 99uegsOO E] goIpur Y ‘UI]OA 681041 © 2]enSo 2 pa eimperoduta) el[ep opuopuadipur q esso :99ue9s09 0}ueura]a [PP 9011} 0W101]Z9]9 EZIO] è] ROIPUI Va *00t/y, OOLIPIIO[9 Oproe.I{Ep 9 altq eIep eqmmzgsoo ‘ses e elrd erop 991IF0UL0.13}9]9 EZIO} V[ V3[OA UL BOIPUI 2 ‘0qRIQUeoO 2)uau1 -t}}opiod 2 Uou ‘UogsgeayM Ip equod [I s0sInFT]s09 uo ‘ompaui ] oSun[ ‘Wed Ip OTy JI 0YO 09YgF ]e egnaop a tropea Qnp I0p QuoIZeIICI E] ‘QUOIZelzua0u00 ® ed e] 013u09 0}vsuaduroo ejueweRoziod @ oIojemumooe,] etenb è[qe oquod [op @ucIstAIp tI gorpur d ‘U03SO M AIBULTOU 07uOwIAP un 01}u00 ogesuoduroo 29uawERpA]I9d © o1oqemmumooE,] oqenb ele aquod [ep euoIsiAtp e] orpur d — “EN ‘210 5g Up ouniSIp € apewtuy | 0g1°0 GIT8 | 88° | 888° |STIFESI | I2FS0 | 8221 OTLT 8 GIS 6TIS AT-0T ol S ‘oper a aued :ojsed [I vdop o}tqus | GGI‘0 681°8 | T8°5 | TII8 |[orsggI| ozes0o | e91 | 9991 | 606 | e“g00 “ 09 20 ‘010 Fg ep ounISIP © epeutuy | pero 1888 | IL | et2°g |SOTTSTI | #RESO | et91 | 19091 | 66809 | eg06 | AI-L 0E | ‘010 }g ep OUnISIP V e]ewtuy | TIZ°0 Pa 8 | 89% | 929 |egsIist| 8680 | 6891 | og9t | #906 | 0908 | 11-18 of ‘910 QI Vp OunISIP è opewtuy | 99T°0 0668 | st | ogs'e |otogsI | gsesto | 6991 | ost | #906 | 0908 | ITI-62 08 ( ‘opo1q o ewed :03sed {1 odop ogtque | e20‘0 1986 |#T8 | 6819 |SgSST | 99680 | 6921 | oezr | 606 | ‘Foe ( 06 ‘010 Fg tp OUnISIP è olewtuy | 08T°0 SSG8 | FL'L | Bottazzi. Nuove ricerche sui muscoli striati e lisci di animali omeotermi. VIII: Azione dei gas della respirazione sul preparato diaframmatico (parte 28) . . . . c SID Bompiani. Analisi metrica delle a sulle superficie degli iperspazî SS dal Corrisp. Castelnuovo) . . ... . Ò SR o Molinari. Sull’equilibrio elastico di un DE omogeneo cia Tinto ;a una superficie piana (pres. dal Socio Volterra). . .. .. . BE A I) Cisotti. Risoluzione dei problemi di Dirichlet e di Nani in campi prossimi a quelli classici (pres. dal Socio Levi-Civita). < . 0.0.0. + 5 1 ST] De Marchi. Applicazione della teoria delle onde Sapericiali all'analisi ‘dei sismogrammi (PLS A È ò È Bea » Corbino e Trabacchi. Sulla fatta do corone I e dai so di 0 zione (pres. dal Socio Blaserza) . . . è ERICE ARS Ra Graziani. Anidridi della tirosina (pres. dal Gotioni Baliano)® RR AA SITR RENE ARA Quagliariello e Craifaleanu. Ricerche sulla composizione chimica della. mucosa intestinale (pres. dal Corrisp. Bottazzi). . . . . . i RIE Ra Peglion. Sulla morfologia e sulle condizioni di bono della Di lerotinia trifolio- rum (pres. dal Socio Cudori). . . . > si Meina Topi. Sui trattamenti insetticidi contro le Éentole della dle I: Trattamenti con asa calda (pres. dal Socio B. Grassi)... .. RIESAME li Turconi. Sopra una nuova malattia dei bambù (pres. dal ona 0) ae 3 goto Baglioni. I processi termici dei centri nervosi. I: Metodo di ricerca mediante pile e termo-. elettriche (pres. dal Socio Zuciani). . . - ° ” Quagliariello. Ricerche chimico-fisiche sui liquidi ali XI: ES ricerche sulla reazione chimica della bile (pres. dal Corrisp. Bottazzi). . . . i ». Mignone. Osservazioni ETA sulla Recurvaria. nane 1 x a Hb. o) Sal o BEGMASSO) NE x LE IMI E n) Freda. Sulle distorsioni di un balifano vago an Lo connesso Tei dal agua Volter ra)(*)» Marino e Becarelli. Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni elementi. Sui com- posti subalogenati del bismuto del tipo BiX (pres. dal Socio Nasini) (*). i...» 3 i Segue tn terza pag ‘*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 445 | 435 459 471 472 ‘485: 493 547 Val io) A Li Atti Sag lhi erica An Pubblicazione bimensile. EI DELLA !l REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO .CCCXIII. 1916 SHRIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 aprile 1916. Volume XX V.° — Fascicolo ®° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI CA PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1 1916 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1392 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti ion possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le. Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la Losporsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un 8 ; numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. . guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di ‘cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, ‘tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - e) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi | dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è \ data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contoBi io dall'art. 26-23 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo & carico degli autori. - ; Val _ RENDICONTI È DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 aprile 1916. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI È Matematica — Nuovi contributi alla teoria dei sistemi con- | dinui di curve appartenenti ad una superficie algebrica. Nota II . del Corrispondente FRANCESCO SEVERI ('). 4. ESTENSIONE DEL TEOREMA FONDAMENTALE ALLE VARIETÀ. — Il teorema ottenuto pei sistemi continui di curve d’una superficie, si può esten- — dere ai sistemi continui di superficie d'una varietà a 3 dimensioni, o, più Bin generale, ai sistemi continui di varietà a X — 1 dimensioni, entro una | varietà a £ dimensioni. ; _Riferiamoci per brevità ad una varietà V a 3 dimensioni. Qualora, per dla dimostrazione del teorema suddetto, si volesse usufruire della proiezione «di V sopra uno spazio multiplo, occorrerebbe un esame un po' più minuto di quello già esposto nei numeri precedenti, a causa dei punti tripli che presenta la superficie F proiezione d'una superficie di V, e sopratutto dei punti cuspidali di F, i quali cadon tutti sulla superficie di diramazione . dello spazio multiplo. In verità la presenza di codesti punti singolari non altererebbs le linee essenziali del procedimento; ma costringerebbe a qualche . lungaggine nel discorso. Preferisco perciò di esporre, per le varietà a 3 dimensioni, una dimo- — strazione che muove dagli stessi concetti espressi nella mia Nota già citata dei Rendiconti di Palermo, 1905. Si vedrà come questa dimostrazione j ® Ved. la Nota I a pag. 459 di questi Rendiconti (1916, fasc. 7°). RenpIconNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 72 — 552 — valga, con soli adattamenti del linguaggio, per le superficie-e per le varietà superiori. Consideriamo sulla Y, priva di punti multipli in uno spazio S,, una superficie irriducibile e priva di punti multipli F, la quale sia atta a defi- nire un sistema continuo almeno cel. Il sistema |E| staccato su V dalle forme di S,, d'ordine / non minore dell'ordine m di F, contiene parzialmente ogni superficie d'ordine m trac- ciata su V; e, crescendo, se occorre, /, si può esiger pure che |E| segni su F un sistema lineare completo (*). Aggiungeremo, per quanto non sia strettamente necessario pel seguito, che il sistema | D|, residuo di F rispetto ad |E|, ed il sistema |C|. segato da |D| su F, possono inoltre supporsi irriducibili e privi di punti base; cosicchè la generica superficie D e la ge- nerica curva C sono irriducibili e prive di punti multipli. Le superficie E, passanti per C, costituiscono un sistema lineare H, 00%, e tagliano altrove su F il sistema caratteristico completo. Quelle, E, tra esse, che sono infinitamente vicine alla superficie composta F + D, hanno una linea doppia infinitamente vicina a C, e sono quindi spezzate in una parte infinitamente vicina ad F ed in una infinitamente vicina a D (tutto ciò si deduce dalle proprietà analoghe delle curve di una superficie, segardo con un iperpiano). Consideriamo ora il più ampio sistema algebrico connesso M, conte- nente F; e indichiamo con T il sistema connesso costituito dalle superficie E spezzate ciascuna in una superficie di M. ed in una superficie dell'ordine di D. A quest'ultimo sistema appartengono intanto le superficie E; e vi- ceversa ogni E di T, infinitamente vicina ad FD, avendo una linea doppia infinitamente vicina a C, passa per C ed è quindi una Ep. Nello «spazio » lineare i cui « punti » son le superficie E, la varietà « tangente » a T, nel punto F+D, è dunque costituita dai punti E passanti per C. Si conclude intanto che nell'intorno di F +D la varietà T ha la dimen- sione a e che in F-+-D essa possiede, per varietà tangente, lo « spazio » lineare H. Sieno (8) /(2:,,0;)=0, (9) 9(21,02,..,0-;1)=0 (713 72,7, coordinate di punto in S-; #,7 parametri) le equazioni di due superficie rispettivamente variabili in due « rami » appartenenti a T, e uscenti da F+ D. | È lecito di rappresentare in tal modo i due rami, perchè ogni super- ficie di T, essendo intersezione completa di V con una forma, può appunto (') È questo un noto teorema di Castelnuovo. Il teorema analogo, occorrente per le varietà superiori, trovasi nel n. 2 della mia Memoria: Fondamenti per la geometria sulle varietà algebriche (Rendiconti di Palermo, 1909). — 553 — rappresentarsi con una sola equazione (da aggiungersi beninteso alle equa- — zioni di V). Si concluderà allora, esattamente come alla fine del n. 2, che, fissata una legge di variazione idonee): di due superficie E,, E. rispettivamente mobili sui due rami e tendenti in- sieme ad F + D, il fascio di superficie individuato da esse entro |E| ha per limite il fascio (0 8(T) pae (TE) baflei ian 2730) =0, ove /(€1,42,..-3%r;0)=0 è l'equazione di F+ D. A questo punto si osservi che la curva C è limite di una curva C dello stesso ordine comune alle due componenti di una E, (o di una E), che tenda ad F-+D, e che la forma variabile (8) [o (9)], che stacca su V la E, (0 la E.), 0 tocca V lungo C od ha in C una linea doppia variabile. In ogni caso il luogo di C fa parte dell’inviluppo del sistema (8) [o (9)], e quindi nei punti di C si annullano le (#4) 3 i . Da ciò segue che dI° Jo d° Jo il fascio (10) è costituito da elementi dello « spazio » lineare H. Ne deriva, come al n. 2, che T passa per F-+ D con una sola falda semplice, e quindi che M passa anch'esso per F con una sola falda semplice. Resta così pro- vato che F appartiene ad un sol sistema irriducibile completo X di super- ficie dello stesso ordine, e che X taglia su F il sistema caratteristico completo. L'estensione degli sviluppi del n. 3 non offre altre difficoltà sostanziali: basta soltanto, se F possiede punti multipli, sostituire al sistema |E], di cui sopra, quello segato su V dalle forme d'ordine abbastanza alto aggiunte ad F. Si perviene in tal modo alla conclusione generale: Entro una varietà algebrica irriducibile Vi, ogni varietà a k — 1 dimensioni, irriducibile 0 no, sulla quale sieno assegnate le varietà base e le varietà multiple variabili, individua un sistema irriducibile com- pleto, che la contiene totalmente. 5. LE CURVE ALGEBRICHE SPEZZATE, MA CONNESSE, COME FORME LI- MITI DELLE CURVE IRRIDUCIBILI. QUESTIONI DI REALITÀ. — Il teorema fondamentale dei nn. 2 e 3 spiana la via per lo studio di molte notevoli questioni, ad alcune delle quali mi propongo di accennare in questo e nel numero successivo. In una mia Nota riassuntiva Sulla classificazione delle curve alge- briche e sul teorema d'esistenza di Riemann (*), ho enunciato la propo- (®) Questi Rendiconti, maggio 1915, pag. 886. x — 554 — sizione seguente, della quale, in quel lavoro preliminare, mi son limitato a indicare a grandi tratti la dimostrazione, fermandomi sopratutto su alcuni casì particolari, che mi interessavano fra l’altro per la dimostrazione geo- metrica del teorema d'esistenza: La condizione necessaria e sufficiente affinchè una curva piana spea- sata C, d'ordine m, possa considerarsi come limite d’una curva irridu- cibile d'ordine m e genere rr, è che sia possibile scegliere alcuni nodi di C, în tal numero ed în tal posizione che, considerandoli come inesistenti, si ottenga da C una curva connessa di genere virtuale 7. Qui mostrerò come questa proposizione segua, in modo molto semplice, dal teorema fondamentale del presente lavoro. Sieno C,,C,,..., C, le componenti irriducibili di C; e supponiamo, per semplicità, che la curva complessiva sia dotata di soli nodi, in numero di d, provenienti in parte dai nodi delle componenti ed in parte dalle intersezioni di queste a due a due. Diciamo #7, l'ordine ed il genere effettivo di Cp; d, il numero de’ suoi nodi che si assegnan come nodi di C; #, invece il numero dei nodi di C, che si considerano per C come inesistenti; e infine } il numero delle intersezioni delle componenti, che si consideran pure come nodi inesistenti (punti di connessione) di C. Denoteremo con J il gruppo complessivo di queste / intersezioni. Si hanno intanto le relazioni m=Zmn ,a=Ztrn+Zin +j_-(+1, 0=Zo,+Zmm+ Zi, ove 7 è il genere virtuale di C coi d — j — X, nodi assegnati. Un facile calcolo mostra che la dimensione o del sistema lineare delle curve di ordine 7 passanti pei nodi assegnati di C [cioè (nn. 2 e 3) la dimensione del sistema irriducibile completo 2 individuato da C con quei tali gruppi di nodi variabili e di nodì inesistenti] soddisfa alla disuguaglianza (11) e>3m-|+a—-1, dove vale il segno = 0 >, secondo che le condizioni imposte alle suddette curve d'ordine #1 sono o no indipendenti. Dico che la curva generica di X è irriducibile. Siccome la cosa è vera per /=1, basterà, ammessala vera pel sistema continuo individuato da una curva connessa, composta da /—1 parti, dimostrarla pel sistema X. Si os- servi perciò, in primo luogo, che è sempre possibile trovare / —1, e sieno C1, C.,..., Ci-1, componenti di C, tali che, considerando come inesistenti quei nodi di T=C, + Cs +-+, che son compresi fra i Zia + j nodi di C, già fissati come inesistenti, si ottenga una curva connessa. Si parta infatti da C,: esisterà allora qualche componente di C, e sia Cs, con- nessa con C, attraverso ad una almeno delle intersezioni J. Similmente dovrà — 559 — esistere qualcuna delle ulteriori componenti C, e sia C3, connessa con C, + C> attraverso ad una almeno delle restanti intersezioni J; e così proseguendo. (Si noti che con ciò resta pur provato che j>/— 1). Ciò posto, il sistema 2°, individuato da 7, ha la curva generica irri- ducibile, ed al sistema appartiene il sistema S delle curve ottenute ag- giungendo ad una generica curva di 2’ una generica curva del sistema 2”, individuato da C, coi suoi 7, nodi inesistenti. Sicchè, se la curva generica di X è riducibile, essa non può che spezzarsi in una curva dell'ordine di T° ed in una dell'ordine di C,: e mentre la curva generica descrive X, che è completo, le sue componenti descrivono rispettivamente i sistemi completi 2',Z". Laonde il sistema X coincide addirittura con S e, dette o', o" le dimensioni di X', 2", si ha pertanto (12) e=e +e”. en Ora la curva F coi suoi > ;4-+-j — y' nodi inesistenti, ove j" (j > h=1 >gj'=1) è il numero delle intersezioni J comuni a Ce a T°, ha il genere 124 IRA n= mt otj_j_1+2=5_m_i-j +1, e quindi il genere effettivo della generica 7° di 2’ non supera 7 (lo eguaglia solo se, come risulterà « posteriori, ogni nodo virtualmente inesistente di I° è effettivamente inesistente per 7°). Si ha perciò (') e=3I3Mm_-mp+aT_-n—-i—-j"; e similmente, poichè la curva generica di >” ha il genere virtuale 7774 è, viene o=<3Imt + iai— 1 e quindi Oo mid -J la quale, confrontata con la (11), ricordando che j' =.1, porge o>o +0”, contrariamente alla (12). (1) Qui si applica la proposizione che una curva piana irriducibile d’ordine n e genere effettivo p, appartiene ad un sistema irriducibile di curve analoghe, di dimen- sione 30 -+-p—1 (cfr. ad es. col n. 2 della mia Nota del maggio 1915). La cosa segue subito, del resto, dalla completezza della serie caratteristica del sistema. x — 556 — È dunque assurdo ammettere che la curva generica di X sia spezzata. Risulta inoltre che la curva generica di X ha proprio il genere effettivo 77 e non 77z<7r, che cioè essa possiede esattamente tanti nodi (e non di più) quanti son quelli che si assegnarono come variabili su C per definire il si- stema X, perchè in caso contrario la dimensione di 2 risulterebbe eguale a8m+7— I, contrariamente alla (11). La sufficienza della condizione enunciata resta così stabilita. Quanto alla necessità, è una conseguenza ovvia dell'osservazione che una curva con- nessa non può aver come limite una curva sconnessa. Si noterà di più che nella (11) deve valere il segno =, e quindi che i punti doppii assegnati di C impongono condizioni indipendenti alle ag- giunte d'ordine 22, d'accordo con un noto teorema di Noether ('). OsseRvaZIONE. — Se la curva C è reale, cioè se ha un'equazione a coeffi- cienti reali, i suoi nodi imaginarî sono a due a due complessi coniugati; e, qualora i nodi che si assegnano su essa sì scelgano appunto reali o a due a due complessi-coniugati, le curve d'ordine m aggiunte a C risultan tutte reali. Sicchè il sistema X oo?, definito in corrispondenza a quella scelta dei nodi variabili, avendo nel « punto » C uno « spazio tangente » Sp reale, passerà per C almeno con una « falda » reale oof. Si badi però che la C potrà anche essere un « punto multiplo » per 2, in quanto può darsi che da C sia possibile ottenere qualche altra curva di X, cambiando il gruppo dei nodi di C assegnati come variabili. Comunque sia, si può dire che: Se una curva reale C di ordine m, spezzata in più parti, si può render connessa e di genere virtuale tt, fissando la connessione attraverso a certi suoi nodi reali o a due a due complessi coniugati, esistono coîm+mt-? curve reali irriducibili d'ordine m e genere nr, ad essa infini- tamente vicine, ciascuna delle quali ha un punto doppio infinitamente pros- simo ad ognuno di quei nodi di C che non si scelsero come punti di connessione. Questo teorema offre un larghissimo campo di’ applicazione nelle que- stioni di realità delle curve algebriche piane, e dà una base generale al metodo così detto della « piccola variazione ». Così possono da esso otte- nersi come facili corollari il teorema di Harnack e molti dei bei risultati di Hilbert sui rami reali delle curve algebriche. Spero di poter in seguito occuparmi di questo genere di applicazioni. 6. APPLICAZIONE DEL TEOREMA FONDAMENTALE ALLA TEORIA DELLE CURVE ALGEBRICHE SGHEMBE. CENNI DI ULTERIORI SVILUPPI. — Sia V una famiglia di curve algebriche sghembe C, di ordine n, genere p, prive di punti multipli (?). (1) Weber die reductiblen algebraischen Curven (Acta math. 8, 1886), pag. 172. (3) Ved. ad es. il n. 1 della mia Nota citata, Sulla classificazione delle curve al- gebriche, ecc. — 557 — La formola di postulazione, che esprime il numero delle condizioni li- neari indipendenti offerte alle superficie d'ordine / abbastanza grande, im- ponendo loro di passar doppiamente per una data C, è del tipo XK./+%1, ove Xo,f, sono numeri caratteristici di C. Se la C considerata, pur essendo particolare entro V, non ha punti multipli, #è, X dipendono soltanto da e da p (*), e quindi la dimensione 7 del sistema lineare S delle superficie F d'ordine /, che passano doppiamente per una curva C variabile in V, non s'altera finchè C non acquista qualche nuovo punto multiplo. Inoltre, sempre nell'ipotesi che / sia abbastanza grande, una F gene- rica, passante doppiamente per C, è irriducibile, e fuori di C non ha punti multipli. Ciò risulta subito dall’osservare che le superficie d'ordine /", ab- bastanza alto, passanti semplicemente per C, formano un sistema lineare di dimensione > 1, che non ha punti base fuori di C: sicchè il sistema lineare doppio di questo risulta formato da superficie irriducibili d'ordine =2/, passanti doppiamente per C e non aventi punti base fuori di C, Premesso questo, consideriamo il sistema irriducibile completo 2, îndi- viduoto (n. 4) da una F, generica passante doppiamente per una data Co di V, priva di punti multipli, e definito dalla condizione che la superficie F, mobile in >, abbia una linea doppia variabile d’ordine x, la quale sì ri- duca a C, quando F va in Fy. Al variare di F in %, la sua linea doppia descrive una varietà irriducibile, che abbraccia tutta la famiglia V; e, poichè V è completa, si può affermare che le linee doppie delle superficie di X,. son tutte e sole le curve di V, e quindi che 2, può descriversi tutto facendo variare una C di V e insieme il sistema lineare completo S, indi- viduato da quella C. Non si esclude con ciò che, per qualche particolare posizione di C entro V, il sistema delle superficie d'ordine /, aventi la linea doppia C, si amplii; ma ciò accadrà soltanto allorquando la C acquisti punti multipli o, in particolare, si spezzi (*). Se pertanto la C,, da cui partimmo, appartenesse ad un’altra famiglia V' di curve C', prive di punti multipli, di ordine ” e genere p, il sistema lineare S', ancora di dimensione r, costituito dalle superficie d'ordine / pas- santi doppiamente per la C' variabile in V', descriverebbe un sistema al- gebrico irriducibile 2", non contenuto in X, e contenente invece twu/zo il sistema lineare S, di dimensione 7, definito da C,. Sicche la F, apparter- (1) Si trova infatti agevolmente che la formola di postulazione di C per le super- ficie d'ordine alto /, che la debbono contenere come doppia, è 3n/—4n — 5p +5. Del resto questa formola può ricavarsi anche dalla Memoria di Noether, Sulle curve multiple di superficie algebriche [Annali di matematica, (2), tomo V, 1871]. (3) Avvertiamo, poichè ne capita l'occasione, che l'ampliamento del sistema $ in corrispondenza ad una particolare C,, dotata di punti multipli, può avvenire senza che il sistema stesso esorbiti da Zy:. allora però la posizione limite del sistema S inerente ad una generica C, tendente a C;, non è indipendente dal modo come si passa al limite. x — 558 — rebbe a due diversi sistemi irriducibili completi, contrariamente al teorema del n. 4. Si può dunque enunciare: Una curva algebrica sghemba irriducibile, priva di punti multipli, INDIVIDUA una famiglia (completa) di curve dello stesso ordine e genere. In altre parole: Due famiglie distinte di curve sghembe irriducibili e senza punti multipli, dello stesso ordine e genere, non possono avere in comune che curve dotate di punti multipli (e in particolare spezsate). Se le due famiglie son costituite da curve dello stesso ordine, ma di generi diversi p,p' (p>p'), è senz'altro evidente che ogni curva ad esse comune deve avere qualche punto multiplo, giacchè una tal curva, conside- rata come limite di una curva di genere p, dovrà possedere qualche punto multiplo proprio (*), che ne abbassi il genere per lo meno al valore p'. La conclusione, alla quale siamo giunti per le curve algebriche sghembe irriducibili e prive di punti multipli, si potrebbe estendere ad ogni curva, irriducibile o no, sulla quale fosse assegnato il gruppo dei punti multipli proprî ed il gruppo dei punti multipli improprî variabili; e il risultato si potrebbe infine trasportare, in modo del tutto analogo, alle curve apparte- nenti ad una varietà a tre dimensioni e più in generale alle varietà ad % dimensioni (1 <= h 0. Ne deriva che una Wy è lasciata ferma da oo? trasformazioni di Gy, formanti entro G, un sottogruppo algebrico Gy. Ed è noto che ciò equivale ad affermare che V, ed F ammettono un sistema di g' integrali semplici di 1* specie con 29' periodi ridotti ('), i quali corrispondono agli integrali relativi alla picardiana (A). Si arriva così al teorema: Una superficie d’ irregolarità q>0, la quale contenga un sistema irriducibile completo, formato da cn (00, Ove pa è il genere aritmetico di F, individua un sistema irriducibile com- pleto (B), formato da 009 sistemi lineari ('). Essendo (A) un qualunque sistema irriducibile, tracciato su F, e costi- tuito da 009 sistemi lineari, uno dei quali sia | A|, pel numero precedente, il sistema |A'|=|A+B— B'| sarà effettivo, comunque si scelgano |B|, |B'| in (B); e al variare di |B'| in (B), gli 00? |A'| formeranno ur sistema irriducibile >, contenente |A]. Viceversa, considerato nel dato (A) un variabile sistema |A,|, sempre pel numero precedente, anche il sistema variabile |B,]=|B+A— A] sarà effettivo e descriverà (B), che è individuato da |B|. Vi è pertanto in (A) un sistema |A,| tale che |B,|=|B']| e quindi BERE SE |BRAZAT, cioè |A,|=|A'|. Dunque (A) coincide con ® e si conclude che: Un sistema irriducibile completo, costituito da o? sistemi lineari, è individuato da uno qualunque di essi. Da quanto precede si trae che l'operazione di sottrazione applicata a due sistemi completi (A),(B), formati ciascuno da 00° sistemi lineari, non può condurre a più d’un sistema ad essi analogo; ed in questo senso può dirsi che 2 teorema del resto, nel campo dei sistemi completi formati da o sistemi lineari, è applicabile proprio come nel campo dei sistemi lineari. 1 > OssERvazIOoNE 18. — In virtù dell’unicità del sistema completo irri- ducibile individuato da una curva (n. 3), il concetto di somma di due si- stemi lineari si trasporta senz'altro anche ai sistemi completi non lineari di curve. Lo stesso non può dirsi del concetto di differenza, perchè, impo- nendo alle curve di un sistema il passaggio per un dato gruppo di punti (®) Ved. la mia Nota citata, Osservazioni varie, ecc. x — 562 — o la condizione di contenere come parte una curva fissata, non sempre si ottiene un sol sistema irriducibile di curve soddisfacenti alla condizione posta. OssERVAZIONE 28. — Cade qui in acconcio di osservare pure che « è possibile di costruire su F sistemi completi di 00? sistemi lineari tutt? re- golari » (*). Si può infatti costruire anzitutto su F, priva di punti multipli in S,, un sistema completo (D) formato da 009 sistemi lineari, tutti irriducibili e almeno 00°, e tali inoltre che ogni |D| contenga parzialmente un prefissato sistema |H]. Basta all'uopo sceglier su F un sistema (K) di 00? sistemi lineari, e prender come sistemi |D| i resti dei sistemi | K| rispetto al sistema lineare staccato su F dalle forme d'ordine / abbastanza alto. Se, dopo ciò, |H'| denota il sistema aggiunto ad |H|, esiste per ogni |D| il sistema lineare |D'|=|D-+H"—H]| aggiunto a |D|. Ogni si- stema |D'|, essendo allora aggiunto ad un sistema lineare irriducibile, ‘al- meno co?, è regolare (*), e (D') è perciò formato da 00° sistemi tutti re- golari. In tal caso ogni curva del sistema irriducibile completo jD'"{ individua un sistema lineare completo, che non può esorbitare da }D'}, sicchè le curve di (D') son tutte e sole quelle di }D'{. Una conseguenza immediata di questa osservazione è che: « Se su F si hanno due sistemi lineari |A|,|B| appartenenti ad un « medesimo sistema irriducibile completo di sistemi lineari, se cioè, con la « notazione introdotta ne' miei lavori sulla base, A = B, le curve A,B « possono considerarsi come resti di una medesima curva © rispetto ad un « sistema irriducibile di curve » (5). È chiaro infatti che ognuno dei sistemi |D'| sopra costruiti, quando / è abbastanza grande, contiene parzialmente A. Presa allora come curva C un resto di A rispetto ad un prefissato | D'|, il sistema |C + B| appartiene al sistema (C+ A)=(D'), e perciò la curva C+ B appartiene a }D|. * OssERVAZIONE 38. — Le considerazioni esposte nei nn. 7 e 8 si tras- portano senz'altro ai sistemi continui aventi per elementi sistemi lineari di varietà a 4 — 1 dimensioni, entro una varietà a % dimensioni. (*) Ved. a tal uopo il n. 14 della citata Memoria di Albanese, ove l'osservazione è maggiormente determinata. Qui mi basta quel che espongo allo scopo di giustificare una affermazione contenuta nella nota (1) a piè della pag. 459 del presente lavoro. (&) Ved. la mia Nota citata, Sulla regolarità del sistema aggiunto, ecc. (2) Cfr. con la nota (1) a pag. 459. — 563 — Fisica Matematica. — Sulla integrazione delle equazioni di Maxwell. Nota I del Corrispondente 0. TEDONE. I. 1. Se indichiamo con & ed S la forza elettrica e la forza magnetica, con e la velocità della luce nel vuoto, con e e u la costante dielettrica e la permeabilità magnetica, con 4 la conducibilità, le equazioui delle vibra- zioni elettromagnetiche di Maxwell in un mezzo omogeneo ed isotropo e nella ipotesi che nel campo possano aver luogo, oltre a correnti di spostamento e a correnti voltaiche, anche correnti di convezione la cui densità, dato che esse si debbano prendere in considerazione, in misura elettrostatica, indi- cheremo con f, sì scrivono I | crot@=e È | 4rd6 4 det, [MG | (1) i div Di: Di queste equazioni, però, l'ultima è soddisfatta ad ogni istante, in conseguenza della seconda, se è soddisfatta all'istante iniziale, e si può quindi trascurare. In questa Nota ci proponiamo di determinare l'integrale indefinito delle (1) col metodo delle caratteristiche, nella ipotesi che sia conosciuta, ad ogni istante, la distribuzione, nel campo, del vettore £; e di ricavarne alcune immediate conseguenze. A vero dire, per 4=0, ossia nel caso in cui le equazioni (1) tradu- cono le leggi elementari secondo cui varia un campo elettromagnetico nel- l'interno di un dielettrico o nel vuoto, e nella ipotesi che, come abbiamo detto, sia nota la distribuzione del vettore f anche al variare del tempo, le equazioni stesse si possono considerare come un caso particolare delle equa- zioni delle vibrazioni di un solido elastico, omogoneo ed isotropo, come il caso particolare delle dette equazioni, cioè, in cui la velocità di propaga- zione delle onde longitudinali, nel corpo elastico, possa considerarsi come infinitamente piccola rispetto alla velocità di propagazione delle onde tras- versali. La quistione della integrazione delle equazioni (1), in questo caso, almeno, potrebbe intanto ritenersi risolta ('). Ma anche pel caso, più ge- (1) Tedone, Sulle vibrazioni dei corpi solidi ecc. Mem. dell’Acc. di Torino, ser. II, temo XLVII. Fra i molti lavori che più o meno direttamente si ricollegano alla nostra x _ i Lr ———mm—€@0, ov- vero C(€ —t) —r >Q0, a seconda che siamo sulla falda di 7 su cui { >, ovvero su quella su cui {< 7, è COS TO cos A eu dr RENATE Vero (12) ri pe E A , COS Ir 5 V1+0? dm V1+C* 3% ‘e va scelto, nella prima di queste formole, precisamente, il segno superiore, o l’inferiore, a seconda che siamo nel primo, o nel secondo caso. Notiamo pure che, se indichiamo con / una generatrice qualunque di # il cui senso positivo, su ciascuna delle precedenti falde, sia quello che si allontana dal vertice (x,Y,4,%), è, corrispondentemente alle (12), (12) aTaa(0 =i). Sulla varietà y, invece, facendo coincidere il senso positivo della nor- male ad essa col senso in cui cresce 7, si avrà, più semplicemente, dr (13) cosnt=0 , ni 7 cos nn = 37 ud cogmi == dE dÙ RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 74 x — 568 — Tenuto conto di questi risultati, si trova subito che, su 7°, è I Od, I Dice cfr lio t aa 0037 dà I nonno 5 (14 ge 2% 10 | euniport (2-4 IT CC aprano e d (1932 d ) dr dr din e uÙ dl \r dr dr SL dE dm c | d 20) IS ) dr dr Pr, =—-}tr(- — k = nie le ia dr SE e, quindi, che le funzioni ®,,; , Di, ..., 1,3 si annullano sulla varietà I° ; IL se su questa varietà si annulla PRA, 7 Su y si trova, invece 0° d/ 92) dr C* dn 2) dr | ion] So ia Di = i PidI 9f.(-- dC Pi DIANNE coi renns[a) + CINI di cIrir(i. IL nie vevi Coent i Es ’ ma TI(t_r) i \ modi dn\dr % uodÈ dI dr Ne viene che, supposto assegnati a D,,,, Dia, ...,P,,3 i valori (15), l'espres- sione (16) X P,,i + YD,: + Z P,,3 = (U Più + VD, s + W®,,3) ’ considerata come funzione di E Mot soltanto, avrà un polo di terz'ordine nel punto (x, y,) se la funzione £ ne ha uno di primo, in questo punto ; e, se a lim 7r@=A(£— x) v=0, — 569 — A essendo simbolo di funzione, il residuo della (16), nel punto (x,y. 4%), ossia l’espressione de n ur {x Pr, + YD, + ZP,3 Spas (U Pi + VD,,g + W®,3)] do ’ dove è è la superficie sferica di raggio uno col centro nel punto (x, y,%), è eguale a CRETODAL Da 256 (2 ) MENO BT I) CS AT AU +e A causa, poi, delle (1’), il risultato precedente si può porre anche sotto la forma (17) ci A-)(+6) xs) + Li t1) 2) 47 c X(X,Y,4,t) (F-s)ao- Fiuggi ala Xr,ys8,9)(T_4)AM- 1) De 47 Cc i pe Cole eni 5. Si abbia ora una varietà fregolare, a tre dimensioni, dello spazio (£,7,6,) incontrata in un punto solo da ogni parallela all'asse 7 che l’in- contra, potendo, però, la retta stessa, come caso limite, in tutto, o in parte, appartenere alla varietà stessa. Supponiamo che il vertice (x, y,z,4) della varietà I° sia in tale posizione, rispetto alla varietà precedente, che nella regione S, limitata da I° e dalla porzione 03 della varietà stessa, sia { >T e #—x>r. Le nostre considerazioni, del resto, soffrono soltanto lievi modificazioni, che facilmente si scorgono, se nella regione S, di cui parliamo, fosse tr. Ciò posto, se (X, Y,..., W) è una soluzione qua- lunque delle (1’), regolare in S,, applicheremo la (4) alla soluzione prece- dente delle (1’) ed alla soluzione (1,1; 91,2), W,3) delle (1°) stesse quando in esse si faccia c=0, costruite con la funzione £ soggetta alle sole condizioni precedenti, e nella regione S| limitata da Z°,y e da una cor- rispondente porzione 0; di 03. Col solito procedimento, andando al limite x — 570 — per d=0, si trova allora et I 18 E X 4 9 n Ta ) sn == (18) ah (2,y,2 )(& E\A(t—v) dr le 4 t "an ACT co) A(t— «) dr eercaali SR ( 471 Jos (XP, +YD,° +Z0a- 1 — (UD,,, +VD,: + W®, 3)] do, — 2 {, (uW,, + VW, + wW,3) dS, Sa to essendo il valore di 7 nel punto d'incontro della retta r = 0 con la va- rietà 03, ed X, il valore di X in questo punto. 6. La formola precedente suppone che la funzione £, con cuisi inten- dono costruite le funzioni 1,1, 91,23 + YW1,3, soddisfi all'equazione (7), di- ; 2. . : penda solo da f — e da 7, sia tale che = si annulli su e che, inol- tre, limr = A(£t—t). Essa contiene degli integrali improprii; però, senza r=0 bisogno di precisare ulteriormente la funzione £, possiamo sempre trasfor- mare il secondo membro della (18) in modo da eliminare questi integrali improprii col metodo adoperato nella Memoria citata, alquanto modificato. Si noti, per ciò, che Pi + YP,s +Z%,3 va (U®,, + V®,? + W®,,3) == | =_ Zg,,; |o cos dia (Y cos né — Z cos im) |+ LZY,1 |x cos nt + z. (V cos ana W cos n) | dove il simbolo X è il simbolo di una sommatoria di tre termini di cui è scritto il primo soltanto, e gli altri due si deducono dal primo con permu- tazioni circolari. I coefficienti di 1,1, 1,2: + Wi, nelle due precedenti sommatorie non sono altro che le funzioni associate di Xi. «+, W. Dalla trasformazione precedente risulta che gli integrali improprii che compaiono nella (18) sono gli integrali estesi a 03 o a S,, sotto il segno dei quali comparisce una funzione avente per fattore una delle tre funzioni vi, 1,1Y1,21Y1,3 le di cui espressioni si trovano fra le (6). Indichiamo, ora, con S la regione dell’iperpiano 7 = del nostro spazio a quattro dimensioni su cui si proietta 03, e con S' quella in cui si pro- — 571 — ietta 0;. Se « è una funzione qualunque di £,n,%, potremo scrivere 9 (E Se gig” SE cos ne Safe s'dE dE \ cos nt le cos nt dÈ dE o essendo la superficie sferica di raggio d intersezione dell’iperpiano t=% È LE 3 e della varietà y, e tenuto conto che Doe si annulla sulla superficie con- dE torno di S. Di qui si ricava subito 29 lim a do, d 9IQI a ) 47T x E a PRE a ni dI 3 (3 2 Alkt—h) e, se supponiamo che su F si annulli pure £, varranno le formole seguenti î ?°Q DE I 45 & ) l Wal d0,,= => 2 do A(6— Er 03 SIE du, da Jo, $ STR 3 la nt, (eda ; d°9 limba = ido= aL do3, d=0/03 dE dN dA dWY/6, insieme con tutte quelle altre che si ottengono dalle precedenti permutando circolarmente x,y, 4. In modo analogo, dalla relazione dt dali È IL È f 29 dr Sed (te as, [La PE cosne do, ea -/So 3 dove con y, nella formola precedente, intendiamo la porzione della varietà y che appartiene al contorno di S;, si ottiene ) 2 lim |a ——= dSf= a=0 Sq n dÉ? ; ZA da IL If IN dn ( I Sf DE! DE cuba CN DE cos né d03 +- 3 RA t)de= 25) «A(t— If Reed f, e 008 né do, | pe 2 (* A(t— dr = Îo 2 dI t -Z[ aQd,+7 , aAll—r) de. c 4 — 572 — Valgono, quindi, anche le formole d32 DI An (t in ali ds= [, a2 dS, +5 | aA(t—t)dr, 9, DE? (20) 332 d? f, li —_—— dS,= —— £ dS,, 9) ASTRI dI, yJs, d, e le altre che da queste si ottengono mutando circolarmente x,y ,2, nelle stesse ipotesi in cui valgono le (19). In conseguenza di ciò, possiamo porre la (18) sotto la forma cè d “ (xy (_4)AM- de V. = =-[fx+i0 cos né i A) 0) > COS NT +42 (ug A dem (18) a " (+4) a-<[L (F.- 1 (20d8.)— -3(F. —i fa248.) |}+ Ha fon e[2 (nt (uan) —è(r- 2 (10481) |}. dove (21) F, =; {{ [E cos nt + — _W cos né— W cos nn) | 2 do, (14 (21') => f AR cos met (Y cos né —Z cos im ]eda. mentre F.,Fs e G., G3 si deducono, rispettivamente, da F, e G, con per- mutazioni circolari. | | | — 573 — In modo perfettamente analogo si trova et d 21 U(abusa (I +4) di = -—-|fv-jo ina KG) COS NT +3 (ca) (0) CERA E, con rotazioni circolari, dalle (18') e (18”) si deducono altre quattro for- mole contenenti ai primi membri, rispettivamente, Y,Z, e V,W, sotto l'integrale. 7. Se poniamo r* K ——____m_—_—__—m—mmÉtm (22) ‘ee 5 or 0a, sì soddisfa a tutte le condizioni che si sono imposte ad £, e sotto le quali valgono le formole precedenti, prendendo, per £, — x)" 1 E (23) oo eer(fLi È 5 Se 1-0) =» con 2 numero intero arbitrario maggiore di uno e dove, al solito, F è sim- bolo di funzione ipergeometrica ed I,(0) è la funzione di Bessel d’ordine % Sarà, per conseguenza, (24) A©(#—7)=lim ram— p(eti ; 5 ;n+1, 1) LAS r=0 = ——— >_< =; 2 [Ala], aa) — 574 — dove con A’ intendiamo, quindi. la funzione A corrispondente ad 2. La funzione £° si può porre sotto la forma più semplice, si ea Oleg elo)a (23) LO — al : 1] C? 0° Per determinare, ora, le funzioni X, Y,..., W, nel modo più comodo, sono sufficienti le formole trovate e costruite con la funzione L= £°, nel caso di X=0; nel caso generale è sufficiente la considerazione dei due sistemi di formole corrispondenti alle scelte Q = 29 e Q—- L9. Se, per semplicità, indichiamo con 0,0 i secondi membri della (18') costruiti, rispettivamente, con le funzioni £°° e L, divisi per 2* il primo, per 2* il secondo, potremo serivere le due formole caS, X(...) (3 di r) Iki= n] —-4(T+4) f(x ale ]de=0p, I sei, pr E — 4) ]d= CAI EI : né _ 00 = (+2) (x) LCA lu 20; le quali sono equivalenti alle altre SUB Pu SE =_ et (fa (2) \ PET, 16:15 L[Ak(6—- )])de=— e ie OP di. (25) è c t i . nn X (...) Is[k(/1— 2)]de = — e, el 09 de. Da queste ultime equazioni si ottiene, successivamente. c t a ELI de= he fate OP +09) de 20P, CERTO SONE 2) R(5) s [jade = = — ke | ‘oh (300 + 2709) de — 4 (G; & x) OP + 24° 09, cin i n iii — 575 — e, da queste, infine, i ! > (26) nani e (0 + KO0P) di — (è. DOP) 2008) 2009) —a(3-)(629 mon) e0p. Se, allo stesso modo che abbiamo indicato con 0 il secondo membro della (18') costruito con la funzione £, indichiamo con 0! il secondo. membro della (18”) costruito con la stessa funzione £, e, quindi, rispet- tivamente, con 09,0 e con 0,0 le espressioni che si ottengono da Of e O con le solite permutazioni circolari, il valore di U, nel punto (€,4,4,t), sarà dato dalla formola stessa (26) quando, in essa. al posto di u, X e delle O{”, si sostituiscano =, U e le O!” con gli stessi apici; mentre dalla (26) e da quest’ultima formola si dedurranno, poi, i valori di Y,Z;V,W con le permutazioni circolari solite e mutando gli indici ! e 4 di o. rispettivamente, in 2,3, o in 5,6. i 8. Le nostre formole si semplificano nel modo più notevole quando si. supponga X=0. In questo caso abbiamo, infatti, semplicemente Pes 2.t)= à (x,y,2,8) e u 3 o t COS NT | u(x,y.2,t)dr + IPXCE Se i(E-, i0a )- tari dI TR ESTA Valar sa (pot e } ua e I r 18.) |{- DAR Op (20) EONZIEN - (P E JT ds) e) (no d è (F.—- ai dS:) |} : Y cosnò — Z cos nn nel È a E a e I 109 UE; Vi U "i pra i 1 (0 g\| (20. 26 E MRS SA) lu Sl pe) ++ sl (F-- ds.) +0 (SS | RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 75 ‘con fr 1 o). Gerin la,= 13 S| Uoosee— 2 (roosnt— cs) |P. 47r Gg a di Dalla prima di queste due formole si deducono Y e Z con votazioni circolari, ed allo stesso modo si deducono V e W dalla seconda. Può essere utile tener presente che, in questo caso, X,Y,Z e U.,V,W sonole com- ponenti dei vettori stessi & ed , e che %,v,w sono le componenti di £. (261) Matematica. — Analisi metrica delle quasi-asintotiche sulle superficie degli iperspazi. Nota II di E. BOMPIANI, presentata dal Corrispondente G. CAsTELNUOVO. 7. Il teorema precedente dà modo di calcolare tutte le curvature della ‘quasi-asintotica, meno la (x — 1)-esima. Dalle (6) e (7) si ricava che nel punto considerato essa vale Lis Sez On-1 dig, 3 dx quindi, per la (8). ll 1 1/on-1 = © sh/ef2a. Per trovarne il significato geometrico. scriviamo le equazioni della su- perficie nell'intorno del punto (origine). Per le (3), (4), (5) esse si scrivono n = ay +3 eat + 2elday +e + bi = ey 4 Lao + aday date Ina = RGELZY se 2 SIE sas Si consideri la proiezione della superticie sull’ S3 del piano osculatore ‘e della (2 — 1)-esima normale principale, rappresentata dall'ultima equa- zione: se £ rappresenta la curvatura gaussiana di questa superficie nel punto. si ha notoriamente 30 =y— £ Consideriamo ancora la proiezione crugonale della saperficio sullo Ss dello Ss osculatore e della (2 — 2)-esima normale principale: e diciamo 4 air e ET — 577 — l'angolo del piano tangente alla superficie proiezione col piano osculatore. Si ha #53=tg4, quindi l/on1=V— kjtg 2 È questa una prima interpretazione geometrica, che estende in un certo :senso il teorema di Enneper: tuttavia, questo teorema non rientra nel nostro, per la dimostrazione del quale è necessariamente x > 3. Del resto, se si volesse interpretare formalmente la relazione precedente anche nello spazio ordinario si otterrebbe al secondo membro un'espressione d’apparenza inde- terminata. 8. Si può dare un'altra interpretazione della (2 — 1)-esima duvaniia della quasi-asintotica, introducendo la considerazione della curvatura totale :(gaussiana) della superficie data (') ale D rt IDE Tioro Ioror — leon ‘Ove x0® yi 209 SRO 209) pra (01) (01) 01) (01) (Ire10Ioro1 Gap Io110 11001) D=/x Y si «e. 3n-2 vp (20) (20) (20) (20) £ VI) 8ì PANZER. ) 1 (10) (10) 01 (Iio10 Toror — Torio I1001) D'= | x Yao AA di Di 2 02 FACE2, y® 2° ita 3003) 1 LAO ya 3019 RA rh) IA (Iroro Ioroi Sn Torio 1,001) D'=| 0 y AO. OR RATIO ala: ll TASSO, y 9 30) SIRENE 30) n—_2 kK) a, (Im) RE) (Im) Inrim = Limana = DIP 000 Ly MO yi L da ao gi), 1 Se si calcola K nell’origine. tenendo conto delle sempliticazioni appor- | itate dalla scelta degli assi, si trova: 1 + S(40)? Sg (0) 1 + SGEIE Sg) 201 ) 11))g u SD 220 Sg(0 g(09) S200 0) S(4f »}? (200)? Dl + SGF REESE il segno S indicando la somma estesa da /=1 ad i=n—3. Ka (ME. E. Levi, Saggio sulla teoria delle superficie a due dimensioni immerse în un iperspazio [Aunali R. Scuola Norm. Sup. di Pisa, vol. X (1908)], pag. 16. N — 578 — Si consideri ora la proiezione ortogonale delia superficie sullo S,_; osculatore, e si calcoli la curvatura gaussiana di essa nell'origine, K'. Si trova subito ch’essa differisce da K solo per il sottraendo: e precisamente (2) TERE IHS Si ha quindi prog VI + 860). LA 11) /,(01) __ 1/on-1 PRESA == 3 alga — n == 1/ (0) n_3 È facile interpretare il 2° fattore a secondo membro. Le equazioni del piano tangente alla superficie nell'origine sono PRO 0 (den 3) quindi l'inverso di quel fattore è uguale al coseno dell'angolo © del piano tangente con la (zx — 2)-esima normale. Quindi: COS On-1 — +V/K'—K. La (n— 1)-esima curvatura di una quasi-asintotica in un punto, moltiplicata per il coseno dell'angolo che la (n — 2)-esima normale prin- cipale forma col piano ivi tangente alla superficie, è uguale alla radice quadrata della differenza fra la curvatura gaussiana della proiezione normale della superficie sullo Sn-: osculatore alla curva e la curvatura gaussiana della superficie stessa nel punto considerato. 9. Il teorema così enunciato contiene quello di Enneper; infatti si ha, in esso, m=0 (angolo della normale principale col piano tangente) e K'= 0 (considerando il piano tangente come proiezione normale della superficie su di esso); quindi 1/o0=/— K. Però questa deduzione non è valida per dimostrazione, esigendo questa che sia n > 3. Ognuna delle espressioni date di 1/0,-, (nn. 7 e 8) ha i proprî van- taggi: la prima non richiede se non la considerazione della curvatura gaus- stiana di una superficie in Ss; la seconda richiede invece nozioni un poco più elevate, ma in compenso è più semplice ad enunciarsi e mostra inoltre che |cos w/on-,| ha lo stesso valore per le due quasi-asintotiche che hanno in un punto comune lo stesso iperpiano osculatore (*). (1) Il teorema di Enneper vale per le superficie a punti planari parabolici, che posseggono cioè un sistema semplice di asintotiche (v. Levi, loc. cit.; n. 50): il che è. quasi evidente, e non c'informa affatto sulla natura di una superficie generale (proietti- vamente) nel suo spazio, essendo quelle superficie del tutto eccezionali. Le quasi-asintotiche costituiscono invece, anche dal punto di vista metrico, la na- turale estensione delle asintotiche. DIES ALI POSLRII Ma RA | dr i A — 579 — Matematica. — Basi analitiche per una teoria delle defor- mazioni delle superficie di specie superiore. Nota di E. BOMPIANI, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Aisoluzione dei problemi di Dirichlet e di Neumann in campi prossimi a quelli classici. Nota III di U. Cr- sOTTI. presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Nelle prime due Note, pubblicate in questi Rendiconti (*), ho mostrato come, sapendo risolvere i problemi di Dirichlet e di Neumann in un campo S (?), essi possano risolversi in un campo S', deformato infinitesimo di S. Detti o e o' i contorni di S e S', la corrispondenza tra le coppie di punti Q e Q' di detti contorni viene stabilita per mezzo della relazione vettoriale (1) Q=Q+en, dove s è funzione assegnata dei punti Q di o ed n è il vettore unitario, normale a o in Q e diretto verso S. Trattandosi di deformazione di primo ordine, la funzione « va trattata come tale rispetto alle dimensioni lineari di o (2). (1) Risoluzione dei problemi di Dirichlet. e de Neumann in campi prossimi a quelli classici. Note I e II, vol. 413, pp. 499. (*) Trattasi della determinazione di una funzione armonica e regolare in S, dati i valori al contorno della funzione stessa (problema di Dirichlet) oppure della sua derivata normale (problema di Neumann), e — se il campo si estende all'infinito — soddisfacente alle consuete condizioni all’ infinito. (8) Veramente per caratterizzare in modo completo la deformazione di S, cioè il passaggio da S ad S', bisognerebbe assegnare lo spostamento s di ogni punto P di S; talchè la corrispondenza tra le coppie di punti P e P' di S ed S' risulterebbe definita dalla seguente relazione vettoriale: (ID) P'=P+s. La relazione (I), che stabilisce la corrispondenza solamente fra i punti Q e Q’ dei con- torni o e o’ di S e S', si deduce facilmente dalle precedenti riportandosi al contorno e ponendo e=sXn. Si sarà già notato [cfr. la Nota I] che, per la risoluzione in S’ del problema di Dirichlet, basta soltanto la conoscenza di e nei punti di o. Per la risoluzione del problema di Neumann [efr. la Nota II] interviene il vettore v che implica la conoscenza su o, oltre . che di e, anche di grade; per il che interessa assegnare la (II), almeno nello spazio compreso tra le superficie a e d°. x — 580 — 1. Si potranno, in particolare, determinare le funzioni di Green e di Neumann in S'. In modo preciso, fissato un punto P, di S'", si sanno determinare due funzioni G'* e I"* dei punti P' di S', regolari e armoniche, e soddisfacenti, sul contorno o’ (oltre che alle eventuali, ben note, condizioni allo — se S e quindi S' si estendono all'infinito —) alle seguenti condizioni : I dEF'* . Ar d 1 PA pe put ———rrr___ Lo FI modi(0/== Pi) So dea dn' mod(Q' — P.) dove »' designa ovviamente la direzione della normale nel punto Q' a o, vòlta verso S'. Una volta costruite, col procedimento indicato nelle Note citate, le funzioni G'* e F'"*, si otterranno la funzione G' di Green e la funzione F' di Neumann relativa al campo S', ponendo 1 -— G'*(P', Pi), DIRO a (20 r f I ri dirai I SX ’ FP) pop (P_i Si possono allora scrivere senz'altro le formole risolutive dei problemi armonici in S'. Esse sono, com'è noto, le seguenti: ver=Z (09) (CE:Va Di Vibio gir o' ala F'(P',Q)do', dove U, è una costante, a priori arbitraria, che rappresenta la media dei valori assunti dalla funzione U sulla superficie o”. 2. Supponiamo ora S' non più infinitamente prossimo ad S, ma qualsiasi, purchè si possa considerare proveniente da S per deformazione continua. Si immagini di passare dalla configurazione S alla configurazione S' mediante un numero m, sufficientemente grande, di tappe successive. Indi- chiamo con Diana le corrispondenti configurazioni assunte dal campo iniziale S. Ciascuna di queste configurazioni si intende prossima tanto a quella che precede quanto _ a quella che segue, nel senso accennato nelle Note citate e dianzi richiamato. — 581 — Si supponga di saper risolvere i problemi armonici in S. Ciò significa, in sostanza, di conoscere le funzioni di Green (pel problema di Dirichlet) e di Neumann (pel secondo problema) relative ad $. Allora il procedimento, che ha formato oggetto delle Note citate, mostra come si possano risolvere i problemi stessi nel campo S,, immediatamente prossimo ad S. In particolare, come si è visto, si possono determinare in S, le corrispondenti funzioni di Green e di Neumann. La conoscenza di tali funzioni relative ad S, consente — mediante l'applicazione del medesimo procedimento — la risoluzione dei problemi armonici nel campo S:, immediatamente successivo ad S,; in particolare (come già precedentemente) la costruzione delle funzioni di Green e di Neumann relative ad S.. Queste consentiranno di effettuare la risoluzione dei problemi armonici in Ss e così via. È manifesto che, così procedendo, si arriverà alla costruzione delle fun- zioni di Green e di Neumann in Sm, ciò che è sufficiente a risolvere i pro- blemi armonici in S'. 3. Si immagini, in particolare, che lo spazio S' si possa ottenere per deformazione continua da una sfera S, e sia S' interno ad S, se si tratta di risolvere problemi armonici interni, oppure sia S' esterno ad S, nei pro- blemi armonici esterni. Siccome per la sfera S si sanno risolvere i problemi armonici, così per quanto siamo venuti dicendo si sapranno risolvere anche per il campo S'. È quasi superfluo il far rilevare che la risolubilità dei problemi ar- monici essendo intimamente legata alla natura geometrica del campo e non alla misura delle sue dimensioni, una volta assodato che il campo S' è di tale natura da potersi ricavare per deformazione continua da uno spazio sfe-- rico S, si potrà sempre scegliere questo di raggio così grande, quando trat- tasi di problemi armonici interni, oppure di raggio sufficientemente piccolo, nei problemi armonici esterni, per cui S' venga in ogni caso ad apparte- nere ad S. — 582 — Meccanica. — Sulle distorsioni di un cilindro elastico due volte connesso. Nota della sig."* ELEONORA FREDA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Mi propongo di applicare alla determinazione degli spostamenti in un cilindro elastico due volte connesso, sottoposto ad una distorsione, il risul- tato seguente ottenuto dal prof. Almansi ('). In un solido elastico isotropo cilindrico, più volte connesso (l'asse s è parallelo alle generatrici del cilindro) si considerino gli spostamenti, | toi 1 3D( (cy) L LT 2K dy(29) | A RUE SR sg 4K(L+K) de (1) NA a dD(x4)) __LT2K dg(ay) | 2K = dy 4K(L+K) 3dy w=0, dove ®(xy) è tale che: 4°4°®=0, a ; Si regolari in tutto il solido assumono valori costanti sulle superficie laterali, g è una funzione armo- , >)? 2 nica @ ‘I 19. dI Le (I), se le corrispondenti tensioni interne fondamentali non sono tutte nulle, rappresentano spostamenti polidromi soddisfacenti alle seguenti pro- prietà : 1°) corrispondono a forze di massa nulle; 2°) gli elementi della superficie esterna paralleli all'asse non sono sollecitati. Suppongo ora di operare in un cilindro elastico isotropo limitato fra due cilindri circolari (non aventi lo stesso asse) un taglio lungo una gene- ratrice, e risaldare, dopo aver fatto subire all'una faccia del taglio uno spostamento / parallelamente ad x. Mi propongo la determinazione degli spostamenti nell'ipotesi che sul corpo non agiscano forze di massa nè ten- sioni superficiali sulle superficie cilindriche laterali, potendo o no le basi essere sollecitate. Premetterò le seguenti osservazioni. Posso, mediante una inversione per raggi vettori reciproci rispetto ad un cerchio, mutare in una corona circolare lo spazio compreso fra due circonferenze interne l’una al- l'altra: (II) (+e) +y=vri (a et+y=ri. (1) Sopra una classe particolare di deformazioni a spostamenti polidromi dei so- didi cilindrici. ————_——— _—rr———____ÉÉ_____ x > ———____—_——__ — 583 — Perchè le inverse siano concentriche basta che il centro di inversione sia in uno dei punti H e K della congiungente i centri: ri cr + VI ri + 8028 —ri—ri] e n VAI LE I Ya=0, iforlicate 8e°[2e° — 77 — 8] e: che separano armonicamente le coppie di punti [A,,B,],[A:,B.] inter- sezioni della congiungente con ciascuna delle circonferenze. Tali punti H e K sono certo reali perchè per ipotesi [A,,B:],[A»,B.] non si separano, K è interno ad entrambe le circonferenze, H è esterno ad entrambe. Le equazioni delle circonferenze inverse delle date rispetto al cerchio di raggio unitario e centro K, che assumo come origine, sono (ea +9°= Ri (x — a) +-y°= Ri se = C_- Xx au) — eebatf —2cxx — 73 1 1 Ri=a — ————————___;5 =a°— ———__———___-,;,. cc|+ ax + 2cax — ri eok+ar—2cxx— ri E quindi si vede che l'espressione: IN a 1 20% È {ea 1) t4 SOS CENE TETRA [dove a, R,, Rs hanno i valori (III)] è costante sui due cerchi primitivi, e precisamente è eguale a Ri sul primo, ad k; sul secondo. Se i cerchi dati fossero concentrici J= 1 1 1 ppi ir ea Tornando ora al problema che voglio risolvere [prendo come asse 2 l'asse parallelo alle generatrici del cilindro luogo dei punti K delle sezioni ec=x=a4=0 s Xn="00 , J= «183 . i - ® IP normali] basta che determini una funzione biarmonica ® tale che S SS regolari in tutto il corpo siano costanti per J= Rî , J= Rì ed una fun- zione armonica tale che x sia regolare, mentre: dP_ £ tl 4K(L+ K) Y >= funzione monodroma + dr AK +2K arfg— ; RenpiconTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 76 — 584 — da cui: 4 , l 4K(L+K) Yad n È = Tor foante D+ flog[e+y]+y dove w è armonica tale che ca 37 sono regolari in tutto il solido Serale WI _ ro da 2 L+2K a+ y \ quindi CORE) lire i), e E +#)+3 PARIDE dir id x essendo biarmonica tale che odia d® __l 4K(L+K) IRA de — 27 L+2K -— 2(e* +72) ica) 2 93x 20 _ 1 4K(L+K y IRON cca elet d9y 2rx L+2K 2(a° + y°) debbano ridursi costanti per J= Ri, J= Rì per questo basta che x sia tale che: = + (104) (I — RÎ) (I — R9 +20) a dor, 2 (CY 1 2 d Tp "+y = — + fs(ey) (TRN (I-R)+4(d), perchè ura tale funzione x esista occorre che coincidano le due espressioni: li CO°X buono ue BH ba 22yfhe + de dy Ty? [e by + 0-MA-8M+/d I oy_ Ri— Ea) se) 2° x 2xy? dI dY da + yy EER Dite dI , 3dI +e 9-0 —RM+ 3 eI-RI-R). Se È dI =) ye dI T\ — 2 2 dg e(J) = a(J) (J— Ri) (J— R3) le (IV) coincidono. Ora debbo determinare a(J) in modo che > - non — 585 — SRI l 7 n) 1 : 7 Uki contengano più rispettivamente ì termini ig Qui005 log (a* + y aa Epi altrimenti troverei g = 2 log (a* + y*°)4+--- e si perderebbe in g il ter- mine polidromo che 53, compaia. Posso ottenere ciò prendendo: 1 1 Mr Tata: Sostituendo nelle espressioni delle derivate di y ed integrando: ih. RR =gytoga| (ei) +9 ]- rn ; la quale è biarmonica ed ha derivate rispetto ad x e ad y regolari nell’in- terno del corpo perchè l’asse x =1y=0 luogo di punti H è esterno al solido. Trovata x ho facilmente w tenendo conto che: quindi : L 4K(L+ K) i RR: CAL [peter -E i) SAVI) e, 1 2a L+2K janet (e-2) RE II +, ee) 1) a Determinate ® e « dalle (I) ho gli spostamenti cercati. Suppongo ora invece che eseguito un taglio nel piano #2 si sposti una faccia di esso parallelamente all'asse y di m. Per determinare gli sposta- menti debbo, analogamente al caso precedente, determinare due funzioni ® e che soddisfino alle condizioni imposte dal prof. Almansi, e di più dp sia regolare, mentre: 3g = funzione monodroma — D SSNISE SIRIO) m Da dY Da pura = B80:= da cui: - _ mAK(LKTK)j_ CATS 2-1 ge Pr" Dot 2 yartg ta elog(e +M+v) dg _m 4K(L + K) x Silago da: 2n L+2K in 19 = np a ee +0) +32) Allo scopo di rendere De ; CCA de dY di determinare y in modo che: = gle +) + A-MA-8M+2 0); DU aa DR\(T SR ) eo dIX dix ed una tale funzione x esiste se coincidono le due espressioni 3 È de dY' YI L'esame della forma di tali derivate seconde e l'opportunità di far sparire dalle derivate prime di x certi termini, suggerisce la scelta: ener. semi (9) = RP RI)I de PO =RERI ° Dci Dogi: RIR:) I “D=z& tm. ona 1— Sostituiti i quali valori, si ha con una integrazione: mo am gre[ (e) +e rt Ma tale funzione y non è biarmonica per la comparsa del termine: 00255 RERS 00 x 2a'(Ri + 8j) (+e Cercherò di renderla tale mediante l'aggiunta di alcuni termini la cui somma soddisfi ancora alla proprietà di avere derivate rispetto ad x ed y costanti per J=Rf , J= Ri. Aggiungo intanto a x la funzione Ri R: 8 2. 2 Pi Ne — papi! M+ mer costanti per J= Rî , J= Ri cerco — 587 — che gode di questa proprietà. Allora: (1—s) 2 (j__RiR) na 2 ea angel (eo) +++ aa) palesi, ta (Id ta. la quale non è biarmonica per la comparsa dei termini: e ta 2a(Rî + Ri) 2°+y" RAD Posso eliminare tale inconveniente aggiungendo la funzione: I) s=+0 [+] +[(e-dY +e ]|b+ eta Ora debbo determinare s,d,,c, in modo che *, S siano costanti per J=R:, J=R;. Mineralogia. — Notizie cristallografiche sulla piemontite di St. Marcel (Valle d’Aosta) ('). Nota di F. BaLzac, presentata dal Socio E. ARTINI. La piemontite rappresenta, com’ è noto, un minerale assai interessante, perchè è uno dei pochissimi silicati nei quali esiste il manganese trivalente come sostituente del ferro e dell'alluminio, pure trivalenti. Data la scarsezza dei dati cristallografici esistenti intorno ai composti del manganese triva- lente, può dirsi che nulla si conosce di preciso intorno all'effetto morfotro- pico determinato dalla sostituzione, in un composto, del manganese al ferro ferrico ed all’alluminio. Sotto questo punto di vista, la piemontite merita una particolare attenzione, perchè, data la quantità considerevole di Mns0; in essa contenuta, sembrerebbe dovesse essere possibile, confrontando le co- stanti cristallografiche di questo minerale con quelle dell'epidoto, di deter- minare quali variazioni, nel rapporto assiale dell’epidoto, vengono causate dall'entrata di Mn,0; al posto di una parte di A1,0z e di Fe.03. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. Ferruccio Zambonini. x — 588 — Disgraziatamente, i cristalli di piemontite di St. Marcel in Val d'Aosta, che costituiscono uno dei pochissimi giacimenti nei quali questo minerale è stato, finora, rinvenuto in cristallini macroscopiei, non permettono, di solito, misure esatte in numero sufficiente, causa la striatura delle faccie della zona [010], che, come generalmente accade nell’epidoto, è quella secondo la quale i cristallini sono allungati, e la mancanza pressochè costante di facce terminali piane e regolari. Dato questo stato di cose, non può meravigliare se le poche ricerche cristallografiche finora eseguite sulla piemontite di St. Marcel hanno con- dotto a risultati solamente approssimativi — e, per giunta, incerti — intorno alle costanti cristallografiche del minerale. Anche le forme semplici finora osservate sono assai poche: il che è tanto più notevole, se si pensa alla grande ricchezza di forme presentate dall'epidoto. Il primo che abbia eseguito delle ricerche di un certo interesse sulla piemontite di St. Marcel è stato il Des Cloizeaux (*), il quale osservò nei suoi cristalli le seguenti forme: M}001} 7}100} #}102} 111}. e constatò che gli angoli da lui misurati (solo approssimativamente, del resto) erano assai prossimi ai valori trovati nell'epidoto. Molti anni dopo, il Laspeyres (*) aggiunse, alle forme trovate dal Des Cloizeaux, le due seguenti : P}010} ed e}101}. In base alle sue misure, egli calcolò le costanti a:b:c=1.6100:1:1.8326 BA le quali differiscono notevolmente da quelle dedotte dal Kokscharow per l’epidoto. Questo è in contraddizione coll'opinione esposta dal Laspeyres, che l’entrata del manganese nell'epidoto debba portare minime variazioni di valori angolari, e, conseguentemente, di costanti; d’altra parte, i valori calcolati dal Laspeyres non hanno un forte grado di attendibilità, perchè determinati in base a tre misure, delle quali una fu eseguita al microscopio, e due al goniometro su immagini molto pallide e diffuse. 1l Laspeyres, però, calcolò pure altre costanti in base a quattro valloni angolari che il Des Cloizeaux diede come medie di sue misure, e, precisa- mente: a:b:c=1.5484: l: 1.7708 B'= 115920) dd = ei904 : Ri==:115920/ a:b:c=1.5384;1:1.7584 B=115°89 (1) Des Cloizeaux, Manuél de Minéralogie, 1862, 1, 254. (*) Laspeyres, Die kristallographischen und optischen Eigenschaffen des Manga- nepidot, Zeit. fir Krist. 1880, 4, 435, a Da queste costanti si dedurebbero, come media, le seguenti: a:b:e=1.5539:1:1.7732 f= 115024 Il Laspeyres ritiene, però, di dover preferire le prime, poichè esse vennero calcolate mediante valori angolari più prossimi ai corrispondenti dati per l’epidoto. Il prof. Zambonini, in cristalli di haditus simili a quelli studiati dal Des Cloizeaux, e provenienti dallo stesso giacimento, osservò le nuove forme 3102} , {107} e }201}, tutte già note nell’epidoto ('). Complessivamente, dunque, le-forme finora osservate nella piemontite sono le seguenti: M001{ T}100{ p{010} e}101} #}102} ijî02} {Î07} {201} n}Î11}. Lo Zambonini notò che i valori angolari più esatti da lui misurati erano più prossimi ai corrispondenti per l’epidoto che non a quelli calcolati mediante le costanti di Laspeyres; e ritenne, perciò, che tali costanti, che alquanto differiscono da quelle del Kokscharow, non debbano essere troppo attendibili. Siecome alcuni anni fa, grazie alla cortesia del maggiore prof. A. Pel- loux, il prof. Zambonini venne in possesso di cristallini di piemontite di St. Marcel ben conformati, alcuni dei quali presentanti nitide faccettine ter- minali, egli mi consigliò di sottometterli ad un accurato esame goniometrico, allo scopo sia di rinvenire eventualmente delle altre forme, oltre quelle già note, sia, soprattutto, di riunire un numero sufficiente di misure atten- dibili, per calcolare le costanti della clinozoisite e dell’epidoto, al fine di rico- noscere l’azione morfotropica esercitata dalla sostituzione del manganese al ferro ed alluminio. I cristalli, che io dunque studiai, si presentano colorati in rosso-bruno, con faccie per lo più esili, striate e poco splendenti. Sono fragilissimi, e raramente hanno faccie terminali. Essi corrispondono al tipo di quelli stu- diati dal Laspeyres: sono, cioè, costantemente tabulari secondo {100} ed allungati nella direzione dell'asse y, nella quale raggiungono fino 3 mm. Des Cloizeaux e Zambonini hanno, invece, osservato cristalli nei quali do- minano, nella zona [010],}001} e }102{. Le forme che complessivamente ho notate sono le seguenti: Mj{001} T}100} {201} {5.0.11} }6.0.11} {102} }8.0.25/ 1207-1209} T0gf di.0.12% 3107f. 731115 delle quali {107} }5.0.11} {6.0.11{ {8.0.25} 1207} {209} {108 {1.0.12} sono nuove per la piemontite. (1) Zambonini, Aristallographisches uber den Epidot, Zeit. fir Kryst. 1902, pag. 37. x — 590 — Predominano le faccie di {100{; esili sono quelle di {001}, e pure del tutto subordinati sono gli altri pinacoidi della zona [010]. Tutti presentano striature parallele alla direzione d'allungamento; mentre assai splendente è la {100}. molto meno lo sono le altre, per cui belle sono le immagini date dalla prima, pallide e diffuse quelle fornite dalle seconde. Mentre la }100| e la j001j sono presenti in tutti i cristalli, più rara è la forma }102} e più ancora }201}. Ho potuto notare la }I11{ in due soli individui terminati ad un solo estremo dell'asse 2: in ambedue la (111) è assai estesa e ha dato buona immagine; mentre l’altra faccia (1I1) è ridotta ad un punto, nè è misurabile con esattezza. L'habditus di questi cri- stalli è rappresentato dalla figura 1. Relativamente alle forme nuove, noterò che, per quanto pallide siano le immagini date dalle rispettive faccie, le loro misure sono assai attendibili, perchè concor- danti in diversi individui. È anche da notare che tutte le nuove forme, ad eccezione di }209} e di 207}, sono già conosciute nell’epidoto. i Nella seguente tabella sono riuniti gli angoli misurati, mediante i quali si è calcolato il simbolo delle nuove forme, comparati a quelli calcolati in base alle mie costanti della piemontite ed ai valori che si deducono dalle costanti proposte dal Kokscharow per l’epidoto: Calcolati AnZON Mamet Piemonte Epidoto (in base alle mie costanti) (in base alle cost. di Kokscharow) 001 -I.0 12 4°53/ 5 5° 6’ 16” SOT: 001 n Î.0.8 8 18 748 1 7.59 001 8.0.25 21 19 21 20 20 21 19 001 5.0.1] 30 57 31 215 ZIE7 001 6.0.11 37 15 37 26 42 87 32 001 1.0.7 27 749 47 7 51 001 = 209 14 24 14 22 32 = 001 n 207 18 53 18 52 55 = Delle due nuove forme non ancora osservate nell’epidoto, la {209} è compresa tra la }3.0.16{ di Bicking e la {6.0.25f di Flink, mentre {207} si trova tra la {104} di Haiy e la {8.0.25f di Flink. — 591 — In qualche cristallo ho trovato la {102}, che forma colla {001{ un angolo di 34°16', sostituita da una vicinale esilissima, inclinata sulla base di 32°28' (media di 3 misure ben concordanti). Il simbolo corrispondente a questa forma sarebbe }19.0.40}, evidentemente complicatissimo, per il quale si calcola 32° 29’ 50”, Io ho potuto misurare abbastanza esattamente alcuni angoli; e, in base ai tre valori che seguono, i quali rappresentano le medie di più mi- sure concordanti, 001-100 64° 39' (64° 36’ nell’epidoto) 100-111 68° 53’ (69° 4° ” 0015111 74° 59 (709,12! 7 )E ho calcolato per la piemontite le costanti abc =1:55929: 1 1.77758 PSE Queste costanti sono, certamente, più esatte di quelle del Laspeyres, fondate su misure riconosciute poco esatte dallo stesso autore; e meritano, perciò, di essere preferite, almeno fino a quando non si troveranno numerosi e meglio conformati cristalli, come costanti cristallografiche della piemontite. Nello specchietto che segue, ho posto a confronto tali costanti con quelle dell'epidoto e della clinozoisite: Piemontite (Laspeyres) . . 1.6100:1:1.8326 pi: 1159214 Clinozoisite. ........ 1.5853 :1:1.8117 fis= 1101592041507 Bpidotoitrosg aio e. 1.5807 : 1: 1.8057 B= 115° 24 Piemontite (Balzac)... . 1,5593:1:1.7775 B=115°21' Mentre con le costanti di Laspeyres sembrava che la sostituzione del manganese al ferro ed all’alluminio si esplicasse in un ingrandimento dei due rapporti a:d e d:c, le mie misure, più precise, mostrano che si ve- rifica effettivamente proprio il contrario, e che l'influenza della sostituzione anzidetta sulle costanti cristallografiche si manifesta con una diminuzione dei due rapporti a:d. e d:c, oltre ad una lieve diminuzione dell’an- golo £. È notevole il fatto che, passando dalla clinozoisite all’epidoto ed alla piemontite, si ha una regolare diminuzione, sia dei due rapporti a:d e d:c, sia dell'angolo £. RenpIcONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 77 x — 592 — Nella seguente tabella sono riportati i valori che si calcolano, in base alle mie costanti, per alcuni degli angoli più importanti della piemontite: (001) : (102) = 22° 29 31” (001) :(107) = 8 59 22 (001): (201) = 89 20 9 (001): (102) = 34 16 7 (001) :(111) =:74 59 (100) :(111) = 68 53 (010) : (111) — 85 36 30° (CL) (111) 1113 (111):(102) = 59 29.17 (1). Al prof. F. Zambonini rinnovo i miei sentiti ringraziamenti per i con- sigli e gli insegnamenti che costantemente mi prodigò nel corso del pre- sente studio. Fisiologia. — I processi termici dei centri nervosi. II. Pro- duzione di calore del preparato centrale di « Bufo » in condizioni normali (*). Nota di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI. 1. Raffreddamento iniziale. Il primo fatto costante che osservavo seguire immediatamente all'adagiamento dei centri, con la faccia ventrale o dorsale, sulla batteria termoelettrica, era una rapidissima e forte deviazione galva- nometrica negativa, al di sotto dello zero, che, data la costante disposizione del circùito, indicava rapido e forte raffreddamento della serie degli ele- menti a contatto con la sostanza nervosa. Messo il coperchio, provvisto di carta da filtro imbevuta di acqua, il galvanometro risaliva, quindi, con mediocre velocità, per giungere, dopo alcuni minuti, al valore primitivo e superarlo, come vedremo. È Della causa e del signiticato del raffreddamento iniziale dirò che esso era un fenomeno puramente fisico, dovuto al raffreddamento del preparato per evaporazione acquea, come mi pare dimostrato dai seguenti fatti: a) i rospi, da cui traevo il preparato, vivevano nella camera delle esperienze almeno da ventiquattro ore prima dell’ isolamento dei centri. Ave- vano, così, il tempo necessario per assumere la temperatura dell'ambiente, come potei verificare leggendo, prima dell'operazione, la temperatura del- l'interno del loro corpo, su un termometro graduato al decimo di grado, il cui bulbo introducevo, per l'esofago, nello stomaco; 5) ogni volta in cui, durante l'esperimento, scoprivo il preparato, . togliendo il coperchio dell'apparecchio, seguiva sempre graduale e rela- (1) Come media di tre diverse misure, io per questo angolo ho trovato 59° 27”. (?) Ricerche eseguite nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Sassari. mint £ Pu i ite i io 10 o i — 593 — tivamente rapida deviazione galvanometrica negativa, la cui entità era diret- tamente proporzionale alla durata dello scoprimento. Appena richiuso, o poco dopo, la deviazione negativa si arrestava e, poi, si invertiva; i e) la stessa deviazione negativa, ma più immediata e più rapida, seguiva tutte le volte che, nell'interno della camera umida, provocavo una corrente gazosa, insufflando aria, ossigeno o anidride carbonica, attraverso una sottile cannula di vetro fissata, mediante cotone bagnato, nella scanalatura della cassettina esterna (A), al di sopra dei nervi sciatici. Appena inter- rotta la corrente o poco dopo, la deviazione negativa parimenti cessava per convertirsi in senso opposto; d) identici fatti ho osservato sul preparato centrale divenuto inecci- tabile, su muscoli isolati e su strisce di sostanza muscolare di rospo e, final- mente, su batuffolini di cotone imbevuti di soluzione al 0.7 ° di NaCl, delle dimensioni e della forma del preparato centrale, posti sulla batteria termoelettrica. 2. Influenza delle variazioni della temperatura esterna. Siccome le osser- vazioni dell'ulteriore decorso si estendevano, quasi sempre, dalle ore otto alle sedici o diciotto, per intendere il significato dei dati è necessario premet- tere il risultato di esperienze di controllo fatte dopo aver posto nell'appa- recchio un batuffolino di cotone idrofilo, imbevuto di soluzione al 0.7 °/, di NaCl, simile al preparato centrale, seguendo al galvanometro il valore ter- mico nelle diverse ore del giorno, in cui variava la temperatura ambiente, che leggevo direttamente su un termometro graduato al decimo, appeso nell’aria in vicinanza della campana di vetro racchiudente l'apparecchio. Esperienza IX, 5 marzo 1916. Ore 8. — Adagio un batuffolino di ovatta, imbevuto di soluzione fisiologica, sulla batteria di otto coppie di elementi; il galvanometro scende rapidamente da 840 a 300. Chiudo col coperchio, avente carta imbevuta di H30: anche la scanalatura posteriore chiudo con ovatta asciutta. Il galvanometro va lentamente risalendo. Nella seguente tabella sono i dati successivi: TABELLA I. h. min.” Galvanom. | Temper. ambiente | 8.9 | 720 = 8.17 750 13°.0 8.34 760 = 8.50 778 = 9.1 775 13.1 10.10 820 = 11.13 910 13.9 12.15 922 14.5 DOC 950 14.4 13.44 990 15.0 1laX2597/ 1010 15.4 14.48 1010 _ 15.90 940 1552 16.19 890 15.2 16.55 890 15.1 — 594 — Esperienza XXVI (ultima parte), 21 marzo 1916. — Batteria di 5 coppie. Ore 12.3". Dopo un’esperienza con preparato centrale, lo sostituisco con batuffolo d’ovatta umida. Il galvanometro, il cui O corrispondeva a 600 della scala, scende rapidamente sotto O della scala: chiuso il coperchio, risale Jentamente. La tab. II indica i dati successivi: TABELLA II. h. miny min” Galvanom. REM, ambiente 12.12 400 160.4 » 13 500 pis: » 14.30 570 =» » 15 600 — » 17 650 —_ » 23.30 685 — » 26 695 — » 38 700 160.5 13.9 710 16°.55 Fo passare, per 1 min.’, corrente di O, Il galvanom. scende fortem. sotto 0. 13.12 160 — » 14 340 —_ » 85 700 — » 46 690 1607: 14.41 680 16°.6 15.22 750 17°.0 Le due tabelle mostrano che le due batterie risentivano l’ influenza delle variazioni di temperatura dell'ambiente (di 2.° 4 e di 0.° 6), nello stesso senso di esse. La serie degli elementi superiori (su cui era adagiato il cotone) si riscaldava o si raffreddava, secondo la-:temperatura esterna, alquanto prima della serie inferiore. Queste deviazioni, dovute all'influenza della tempera- tura esteriore, sono caratterizzate dal fatto di essere lentissime e congruenti coi valori della temper. esterna. Non sono, però, esattamente corrispondenti a questi ultimi, pel principio delle pile termoelettriche di indicare solo la differenza relativa di temperatura delle coppie opposte e non la quantità assoluta del calore. 3. Tonalità termica del preparato centrale in condizioni normali. Riferisco i dati di due esperienze : Esperienza VI, 2 marzo 1916, Ore 10.30”. — Preparato normale; O del galvano- metro, 760. Alle ore 11, adagio la faccia dorsale dei centri sulla serie superiore della batteria di 8 coppie. Nella tab. III ho raccolto i dati successivi delle prime tre ore. — 595 — TABELLA III. h. min’. min./”"| Galvanom. | Attività centrale 11.4 550 » 6 595 » 12 645 » 15 670 » 17 680 » 21 695 » 23 700 » 84 745 12.3 945 Energici moti riflessi a stimoli meccanici della cute. » 4 950 » 5 960 » 5.0 950 » 7 » 17 865 Forti riflessi a stimolo meccanico cutaneo. » 18 860 » 20 840 » 22 820 » 26 785 » 34 860 13.1 1040 » 3 1040 Torpidi riflessi. » 3.30 1045 » 5 1050 » 6 880 » 17 935 » 24 922 » 87 985 Idem. n 40 920 » 42 915 » 44 970 Idem. n 44.80 965 » 45 960 » 46 950 » 48. 930 Idem. » 54 850 Temper. esterna 15°.1 150.4 16°.1 16°.5 Osservazioni Interrompendo il cir- cuito esterno, scende a 850: ristabilito, sale a 940. Interrompendo il cir- cuito, sale a 840. Idem. Aprendo il circuito esterno, scende a 840. Esperienza VII, 3 marzo 1916. — Preparato normale di Bufo #&. O della batteria di 8 coppie, vuota, 1000. Alle ore 10.18’ adagio il preparato sulla faccia ventrale; il gal- vanometro scende al di sotto di 700. La tab. IV indica i dati suecessivi: — 596 — TABELLA IV. Temper. h. min. | Galvanom. | Attività centrale I e bora Osservazioni ì 10.20 925 140.7 ”» 24 975 » 27 1005 » 35 1025 n» 46 1050 » 55 1105 Energici moti riflessi. » 56 1130 » 57 1140 n 59 1130 11.14 1160 n 37 1160 n 47 1100 » 57 1070 Non reagisce più. n 59 1065 12.20 1150 » 29 1180 150.2 I dati delle tabelle III e IV, come quelli di altre esperienze che, per brevità, ometto di specificare, concordemente dimostrano che alla deviazione negativa iniziale (dovuta, come ho detto in prineipio, a raffreddamento per evaporazione) segue una lenta e graduale marcia positiva, la quale porta il galvanometro a un valore massimo superiore allo zero, ossia di 110 divisioni della scala (assumendo lo zero del galvanometro = 850) nell’esp. VI, dopo 65 min'.; di 160 divisioni nell'esp. VII, dopo 56". Questa deviazione posi- tiva, che indica riscaldamento della serie superiore (di 0°. 055, nell'esp. VI; e di 0.°080, nella VII), è, in gran parte, certamente dovuta a produzione di calore del preparato centrale. È indipendente dall'aumento della tempe- ratura esterna, perchè, nel frattempo, lievissimo fu tale aumento; ma, soprattutto, perchè alla fase di aumento seguì una seconda fase di evidente ritorno verso lo zero. ; Considerando attentamente i dati, che dimostrano l'aumento di tempe- ratura dovuto ai processi proprî del preparato, si scorge che tale sviluppo di temperatura deve essere l'effetto di due distinti fattori biologici: @) del cosiddetto metabolismo di riposo, che ha luogo nei centri sopravviventi, senza manifestazione esterna di attività riflessa : è) del metabolismo di atti- vità, che sì svolge durante l'attività riflessa. A causa del primo fattore, il galvanometro sale lentamente; mentre, quando insorgono movimenti riflessi energici, la deviazione galvanometrica è, relativamente, più rapida. Nell'espe- rienza VI, dopo 2' dalla provocazione di riflessi energici il galvanometro era salito di 15 divisioni (= +- 0.° 0075); nell’esp. VII, parimenti dopo 2’ dalla manifestazione dei riflessi, era salito di 35 divisioni (= + 0.°0175). Per quanto rapida tale deviazione positiva, dovuta all'attività riflessa, essa non — 597 — coincide tuttavia con la manifestazione dei movimenti, ma li segue con un notevole ritardo (di 1'-2’); ciò, molto probabilmente, è dovuto al fatto che il processo esotermico, avente luogo nella sostanza grigia del midollo spinale, impiega un certo tempo per diffondersi alla batteria, attraverso la sostanza bianca. Altro fatto notevole è che alla fase di deviazione positiva segue costantemente uua rapida fase negativa, per cui, dopo 3' dai riflessi, il galvanometro è di nuovo disceso. Questo fatto, se non è dovuto, per intero, alla rapida equilibrazione termica della batteria esploratrice, potrebbe forse indicare che, mentre i processi catabolici dell'attività sono accompagnati da sviluppo di calore, quelli anabolici della restaurazione successiva abbiano per effetto assorbimento di calore. Ma su questa ipotesi e su altre concernenti i processi intimi del preparato centrale, che condizionano la sua tonalità ter- mica, tornerò in seguito, dopo aver riferito i dati di altre esperienze. Rimanendo al commento dei successivi dati delle tabelle III e IV, rilevo che, dopo due ore circa dalla preparazione, quando l’attività riflessa era dimi- nuita o scomparsa (poichè i centri erano in un ambiente povero di 0;), ha luogo un ulteriore elevamento termico che però mi sembra prevalentemente dovuto all'aumento della temperatura esterna. Nell’esp. VI, in cui si mani- festava ancora attività riflessa (sebbene torpida), è tuttavia evidente l’au- mento termico dovuto agli atti riflessi, che, come prima, dopo 2’, è di 10 divisioni (= + 0.005). Se per fonalità 0 tono termico intendiamo il valore termico comples- sivo risultante dall'insieme dei processi (eso- ed entotermici) prodotti dai processi metabolici del preparato centrale sopravvivente, mi pare di poter concludere, dai suesposti risultati sperimentali, che il foro termico dovuto al metabolismo di riposo, ossia del preparato centrale senza manifestazione esterna di attività, ma con la capacità di farlo, cioè ancora dotato di eccita- bilità normale, è lievemente e costantemente positivo. Se si provocano atti riffessi, avviene in una prima fase un rapido aumento della produzione termica, che però si manifesta con un certo ritardo (di 1-2"), dovuto pro- babilmente al tempo necessario perchè il calore, prodotto in seno della sostanza grigia, si diffonda attraverso alla sostanza bianca. Segue, quindi, come seconda fase immediata, un ritorno al valore termico precedente. Tanto il metabolismo di riposo, quanto, în misura maggiore, il meta- bolismo di attività del preparato centrale di rospo, sono pertanto accom- pagnati da variazione termica positiva. —- 598 — Chimica fisiologica. — Zicerche sulla composizione chimica della mucosa intestinale ('). Nota II di G. QUAGLIARIELLO e A. CRAIFALEANU, presentata dal Corrisp. FiL. BOTTAZZI. Nella Nota precedente (*) si è visto come, delle sostanze proteiche con- tenute nell'estratto acquoso della mucosa intestinale, la più abbondante fosse una sostanza che per i suoi caratteri fisici e ehimici generali sembrava essere una nucleoproteina. Nella presente Nota riportiamo i risultati dell'analisi chimica di questa nucleoproteina. Innanzi tutto ci siamo preoccupati di ottenerla allo stato di massima purezza possibile. A questo scopo, il precipitato ottenuto dal liquido di estrazione, aciditicato con acido acetico diluito, veniva raccolto sopra un filtro, poi pestato in un mortaio dove era disciolto nella minima quantità possibile. di soluzione di carbonato sodico, e quindi diluito con acqua distillata. La soluzione così ottenuta veniva filtrata, e nel filtrato la nucleopro- teina era di nuovo precipitata con acido acetico diluito. Quest'operazione veniva ripetuta cinque volte. L'ultima volta il precipitato era abbondante- mente lavato sul filtro, prima con acqua acidulata, poi con acqua distillata, Il precipitato veniva infine lavato con alcool ed etere, e poi, asciugato entro un essiccatore su acido solforico, veniva ridotto allo stato di polvere finissima. Sul materiale, ricavato dai quattro intestini di maiale nel modo descritto nella Nota precedente, abbiamo fatto le nostre ricerche. Caratteri fisici. — La polvere ottenuta nel modo innanzi descritto ha un colorito grigiastro tendente al verde. Essa è assolutamente insolubile in acqua distillata, in alcool ed etere; è solubile in alcali diluiti, dai quali viene precipitata mediante acidi. COMPOSIZIONE CHIMICA. a) Azoto. — Per la determinazione dell'azoto un campione di polvere fu essiccato a 110° C fino a peso costante, e poi ossidato con acido solfo- rico secondo Kjeldahl. L'ammoniaca veniva distillata e raccolta in una soluzione di acido clo- ridrico 7/0 - (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Napoli. (?) Rend. d. r. Accad. d. Lincei (5), 7°, pag. 516 (1916). — 599 — 1° Esperimento (ved. Nota precedente). — Si ossidano gr. 0,1720 di sostanza. 16,85 cm? acido cloridrico #/,, sono stati fissati dall'’ammoniaca. Contenuto in N */,=gr. 13,71. 2° Esperimento (ved. Nota precedente). — Si ossidano gr. 0,2042 di sostanza. 20,76 cm* acido cloridrico 7/,, sono stati fissati dall’ammoniaca. Contenuto in N °/,=gr. 14,23. 3° Esperimento (ved. Nota precedente). — Si ossidano gr. 0.2056 di sostanza. 21,58 cm? acido cloridrico x/,, sono stati fissati dall’ammoniaca. Contenuto in N°/,=gr. 14 69. 4° Esperimento (ved. Nota precedente). — Si ossidano gr. 0,2082 di sostanza. 20,57 em? acido cloridrico x/1, sono stati fissati dall’ammoniaca. Contenuto in N°/,=gr. 13.83. Questi risultati possono essere così riassunti: Azoto contenuto in 100 gr. di nucleoproteina secca: 1° esperimento: gr. 13,71 2° ’ n 14,23 3° ” » 14.69 4° ’ » 13,83 media: N°/j,=gr. 14,1 6) Fosforo. — Il fosforo fu determinato col metodo di Neumann (1). I dati analitici ottenuti sono i seguenti: 1° Esperimento. — Si bruciano gr. 0,3174 di sostanza. 6.9 cm? #/s NaOH sono occorsi per sciogliere il fosfomolibdato d'am- monio precipitato. Contenuto in P°/,=gr. 0,48. 2° Esperimento. — Si bruciano gr. 0,5172 di sostanza. 11,35 cm*° n/s Na OH sono occorsi per sciogliere il fosfomolibdato di ammonio precipitato. - Contenuto in P°*/,=gr. 0,48. 3° Esperimento. — Si bruciano gr. 0,6654 di sostanza. 9,5 cm? n/5 NaOH sono occorsi per sciogliere il fosfomolibdato di am- monio precipitato. Contenuto in P*/,=gr. 0,31. (*) A. Neumann, Zeitschr. f. physiol. chem., pag. 129 (1902). RenDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 78 — 600 — 4° Esperimento. — Si bruciano gr. 0,8524 di sostanza. 14 cm 2/5 Na OH sono occorsi per sciogliere il precipitato di fosfo- molibdato di ammonio. Contenuto in P°/,=gr. 0,36. I risultati si possono così riassumere: Fosforo contenuto in 100 gr. di nucleoproteina secca: 1° esperimento: gr. 048 Do ‘” » 0,48 do ” » 0,31 4° ” » 0,36 media: P°/,=0r.,:0,40,, c) Zolfo. — Per la determinazione dello zolfo la sostanza fu bruciata col miscuglio di carbonato sodico e nitrato potassico. Lo zolfo fu determinato solo nella nucleoproteina raccolta nel 3° espe- rimento (ved. Nota precedente). Si ossidano gr. 1,6283 di sostanza. Sono stati ottenuti gr. 0,0896 di solfato di bario, che corrispondono. a gr. 0,0123 di zolfo. Contenuto in S°/,=gr. 0,75. d) Ferro. — La polvere di nucleoproteina ha sempre dato nettissime le reazioni del ferro. Una determinazione quantitativa non è stata fatta ancora. e) Basi puriniche. — Mediante la precipitazione con nitrato di argento ammoniacale, ci è riuscito di dimostrare con assoluta certezza la presenza di basi puriniche nella nucleoproteina intestinale. f) Idrato di carbonio. — La nucleoproteina dà nettissima la reazione dei pentosii con acido cloridrico e floroglucina. Si può quindi affermare che in essa è contenvito un idrato di carbonio, e precisamente un pentosio. CONCLUSIONE. Dalle ricerche innanzi riferite risulta, che nella mucosa intestinale esiste una nucleoproteina contenente anche ferro nella sua molecola. L'analisi elementare dirà le quantità di carbonio ed idrogeno in essa contenute. Per ora ci è soltanto possibile il dire che la nucleoproteina con- tiene in media: 15 °/, di azoto; 0,40 °/ di fosforo; 0,75 °/, di zolfo. — 601 — Patologia. — Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nell'uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei « virus > ('). Nota III del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI, presentata dal Socio sen. B. GRASSI. Ho già resi noti, in precedenti pubblicazioni (*), i poteri agglutinante e tripanolitico del mio siero. Seguendo sempre il medesimo indirizzo di tecnica anche per le ricerche in merito al potere protettore, ho avuto cura che il mio siero e quelli che mi hanno servito per le esperienze di controllo rimanessero per 10-12 giorni alla ghiacciaia. allo scopo di eliminare con l'invecchiamento l’azione delle immunisine naturali capaci di un certo potere protettore di fronte al virus gambiense G. Y., azione alla quale ho già accennato (*). A differenza però di quanto feci nella prima serie di ricerche, non ho adoperato il siero alla dose di 1 cc. mescolato a */10 di ce. di una dilui- zione di sangue di ratto contenente 10-12 tripanosomi per campo microsco- pico ad un ingrandimento di 350 diametri; ma ho voluto, per quanto mi fosse possibile, ricercare la dose protettrice limite del mio siero di fronte al tre virus ( Lanfranchii, bvansi, gambiense). A tale scopo fermo restando il quantitativo di virus (*/,0 di ce.), ho variato la quantità del siero. Questo è stato adoperato alle dosi di 1, !/,, 1/, di ce. I controlli furono di due specie: gli uni ricevettero la stessa dose di virus in 1 cm di soluzione fisiologica; gli altri, invece, la stessa dose associata ad 1 cc. di siero proveniente da individui non affètti da tripanosomiasi e negativo alla Wassermann. La durata del contatto dei tre v/7ws, col mio siero, con quello normale, e col fisiologico. tu costantemente di tre minuti; dopo di che le diverse mi- scele venivano inoculate nel peritoneo di topini bianchi. Riporto nel quadro sottostante i risultati ottenuti in tale ordine di ri- cerche. citando solo i soggetti che hanno presentato i periodi estremi per i} decorso della infezione. (*) Lavoro eseguito nell’Istituto di patologia e clinica medica veterinaria nella R. Università di Bologna. (*) A. Lanfranchi, Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanoso- miasi animali nell'uomo. Nota I e II, Rendiconti della r. Accademia dei Lincei, classe idi scienze fisiche matematiche e naturali, 1916, sedute del 6 e 19 febbraio. (3) A. Lanfranchi, Sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nel- l’uomo. Bull. delle scienze. mediche, Bologna, anno LXXXVI, serie IX. vol. 3°. anno 1915. — 602 — Sb | Kb |KL|L D| D D v uu|u |u|kwu|kuw A|du|UuKu|dud|lD +|juu|uu|uu| +|uu|uu|uu|w +|uu|u|u|u|v{|n|w + |uu +]juv|u|u|uu|v Sg + |uu|uu D |Uu|uu oss (45 [esca] sa|pe Ia | 06 s|a|a a|ajn|a v |o|]e|s|:]s Si 3 S ‘0 ‘9 asse888858 s esse8888358 sass888888 | | | Î RR RR HAS « Ioueauer] 01m “ * Q[eurIOU DoS u OTTO [o1sy suotanos « « “ «3/, « u « “ « “ "n 4 “ U « « "9 ‘9 xi PIOREURI 94018 | y “ Ri o[ew10U 01018 (14 * ROLSO]OIS] oworzi1og (a « « «3/1 “ « «“ (14 « (74 « 5/; “ « “o « « « 1909 I IUOUEIFUE] 019IS « « ad Le; eeurIou OI9IS pi “ (14 * BOLSO[OIS] QUOIZU]Og VILLVIYVMN VTIU(O INYOITO 8UDAF SNULA | asunrquaop) SNAIA IYIUDIJUDT SHIA — 603 — Il primo fatto che si rileva è l'aumentato potere protettore del mio “siero, ora esperimentato, in confronto a quello di cui era dotato un anno fa (vedi lavoro già citato). Quindi, anche il comportamento di tali specie di immuncorpi ha risposto in modo perfetto a quanto si è verificato per quelli agglutinanti e lisinanti. Le mie constatazioni trovano piena conferma dai risultati ottenuti da Heckenroth e M. Blanchard ('), intesi a dimostrare come già per il potere tripanolitico la cura medicamentosa continuata apporti una diminuzione del potere protettore del siero dei malati. Quindi nel mio caso era facile il sup- porre che, essendo stata completamente sospesa da sei mesi la cura medi- camentosa, detto potere dovesse essere aumentato, tanto più che gli stessi autori tale fatto verificarono in un individuo, che, considerato guarito, da un anno e mezzo più non aveva fatto nessuna cura. Anche in tale caso si può supporre che l'infezione, prendendo un de- corso cronico, finisca per indurre l'organismo a vieppiù difendersi contro l’in- fezione stessa colla produzioni di nuovi anticorpi; ma è sempre più accet- tabile l'ipotesi che, sottraendo i parassiti all’azione di una sostanza paras- sitotropica, tripanocida (nel caso speciale atoxyl), questi abbiano natural- mente riattivato la loro facoltà antigena inducendo conseguentemente spe- ciali reazioni di difesa dai gruppi cellulari incaricati della produzione di anticorpi antagonisti alla causa antigena che funzionava quale stimolo spe- ciale. | Ricordo che nelle mie prime ricerche (caso fra gli altri dimostrativo) il potere protettore del mio siero si manifestò, di fronte al virus Lanfranchi, con un prolungamento massimo di vita, in un ratto, di 1488 ore, assumendo l'infezione un andamento oltremodo benigno, mentre i controlli inoculati con virus a soluzione fisiologica venivano a morte in 84-90 ore; e nelle con- siderazioni scrivevo (*): « per il potere protettore, a parte alcuni risultati di- « vergenti e non facilmente spiegabili (come quello notato nelle ricerche « in extenso, nelle quali l'animale, trattato con virus Lanfranchii, siero « normale, ha avuto l'infezione prolungata per 483 giorni, uno più che non «nel caso virus Evansi - siero Lanfranchi), risulta nuovamente il « distacco del virus Brucey e rodesiense dagli altri tre per il compor- « tamento di fronte al mio siero; mentre per il Gambiense e l'Evansi, su « tre prove, il potere protettore ‘è stato due volte maggiore per quest'ul- « timo; ed in quel caso in cui è stato maggiore il potere protettore per il « gambiense, l’animale è sopravvissuto solo di due giorni a quello trattato « con l'Avansi. (1) F. Heckenroth e M. Blanchard, Recherches sur l’eristence des propriétés try- panolytiques ecc. (Ann. de l’Inst. Pasteur, 1913), pag. 763. (3) Al. Lanfranchi, Sulla possibile trasmissione ecc. (Bull. delle scienze mediche, Bologna, anno LXXXVI, serie IX, vol. 3°, 1918). x — 604 — « Quindi, anche per tale ordine di ricerche il virus Zanfranchii sem- « brerebbe riportarsi più all’Evarsi che non al gambiense >. Dalle attuali ricerche risulta che il siero ha esplicato completa azione protettiva su gli animali inoculati col virus Lanfranchii; e non solo quando è stato adoperato alla dose già esperimentata di 1 ce., ma anche quando si è usato a quella di !/, e di ’/, di cc. Ha esplicato pure azione protettiva completa sugli animali inoculati con l'Evansi, quando è stato adoperato alla dose di 1 e !/, cc. Eguale azione completa protettiva ha esplicato sugli animali inoculati col virus gambiense quando è stato usato alla dose di 1 ec., e, in un solo animale, anche a quella di !/, ce. Invece, nella dose di '/, di cc. ha prolungato il decorso alla malattia esperimentale, negli animali inoculati con l’Evansi, nei limiti estremi di 24 e 36 giorni, mentre i controlli sono venuti a morte in 4-6 giorni. Tale prolungamento del decorso della malattia esperimentale è anche maggiore di quello verificatosi in rapporto agli animali inoculati col gam- biense. non solo quando tale virus fu inoculato con !/, di cc. di siero. ma anche per quelli che ne riceverono '/s ce. i quali vennero a morte, come si. rileva dal prospetto, entro 18-21 giorni. Occorre notare come risulti essersi verificato il fatto inverso, rispetto ai controlli. Così, mentre l’animale inoculato con virus Zvansi soluzione fisiologica è venuto a morte nella quarta giornata, il corrispondente trattato, con il gambiense, è vissuto due giorni di più; e di fronte ai due inoculati con virus Evansi miscela siero normale, morti in quinta e sesta giornata, si ha che quelli che avevano ricevuto il gambiense sono vissuti 12 e 16 giorni. Da tale constatazione intanto risulta che, pure ammettendo in linea ge- nerale, come il Laveran (') ed altri hanno dimostrato, che il siero umano possa possedere un’attività notevole di fronte al trip. della surra, tanto da poter essere attivissimo in miscuglio, possedendo inoltre anche delle proprietà pre- ventive e curative, si deve ritenere che tale proprietà può in dati sieri fare difetto, come nel caso presente, od essere appena apprezzabile come risulta per le mie prime ricerche. Il contrario, invece, sì è verificato per il virus gambiense. Si conosce come sì ritenga detto v/7us non risentire l'azione protettrice naturale del siero umano normale, Per le mie ricerche invece risulta che il siero umano ha dimostrato una certa azione protettrice, poichè, di fronte ai controlli ino- culati con v7rus-soluz. fisiologia e venuti a morte in 6 giorni, gli animali che avevano ricevuto v/rus-miscela normale sono morti nei limiti estremi di 12-16 giorni, e la differenza è rappresentata dal periodo di inoculazione più lungo, in quanto, una volta comparsi in circolo i parassiti, il decorso della infezione è stato uguale in tutti i soggetti. (1) A. Laveran, Acad. des sciences, 1 aprile 1902, 6 luglio 1903 e 22 febbraio 1904, — 005 Come del resto il virus gambdiense possa alcune volte essere sensibile al siero umano normale è stato riconosciuto da Mesnil e Ringenbach ('). Successivamente il Mesnil (") ha anche notato delle variazioni spontanee nel grado di sensibilità di un tale virus. Su di un altro dato risultante dalle mie ricerche credo di dover richia- mare l’attenzione poichè non è conforme a quanto avrebbe veduto il Mesnil, il quale nel lavoro sopra citato scrive: « Au point de vue de l’adaptation « récente à l'homme, un virus intéressant è considérer est le virus Zan- « franchii, trypanosome humaine d'un cas d'infection de laboratoire, que « nous etudions depuis 1912. Or, depuis cette époque, ce virus s'est montré « constamment insensible au sérum humaine. Nous nous contentons ici de « signaler le fait » (3). Orbene: già dalle mie prime ricerche, come dalle presenti, risulta che il detto virus Lanfranchii ha presentato un certo grado di sensibilità al ‘siero umano normale. Infatti in quelle riportai come un ratto fosse sopravvissuto, in confronto dello inoculato col solo v77us, ben 39 giorni, e cinque giorni più di quello che aveva ricevuto la miscela virus Zvansi-siero Lanfranchi, presentando inoltre una infezione ad andamento benigno con due crisi tripanolitiche. In queste la sopravvivenza non è stata così marcata ma pur sempre notevole: in un caso di nove, nell'altro di undici giorni. Quali fattori possono avere influito negli esperimenti del Mesnil e miei, per dare risultati così differenti? Certo nessuna o ben poca importanza possono rappresentare le varia- zioni individuali negli animali che sono stati inoculati. Un valore ben maggiore può essere riconosciuto ai differenti sieri adope- rati. Deve, a mio modo di vedere, esser preso in considerazione anche il fatto del come il virus sia stato mantenuto: se mediante passaggi su di una stessa specie di animale, o alternativamente su specie diversa. Mi riserbo di tornare in proposito su di un tale argomento. A parte tali constatazioni, ciò che emerge in modo esaurientemente di- mostrativo da queste ricerche, in merito al potere protettore del mio siero, è il fatto che 1. 3. Ora la definizione dei punti successivi d'un ramo pone in evidenza la distinzione fondamentale fra punt? liberi, che corrispondono ad una coor- dinata suscettibile di variare (col ramo) in modo continuo, e punti satelliti, susseguenti a qualche punto libero e corrispondenti, non già ad un para- metro-coordinata, ma ad un elemento aritmetico dello sviluppo in frazione r rI y Vv continua di Le datore v v Punti satelliti s'incontrano soltanto su rami superlineari; ed il passaggio d'una curva per tali punti costituisce anzi la circostanza caratteristica onde hanno origine i rami superlineari di essa. Per uno ‘studio approfondito dei rami, in rapporto a codesti punti, si può far uso opportunamente d'uno schema grafico, che qui non ci fermeremo a descrivere, ma su cui vorremmo tuttavia attirare l'attenzione del lettore, rimandando, per ogni chiarimento, alle citate Zezioni di prossima pubblicazione. Dopo avere definito i punti successivi d'un ramo, e riconosciuto il sie gnificato della loro molteplicità in rapporto alle intersezioni di due rami, ; si ottiene la definizione dei punti multipli d'una curva, sommando per ciascun punto le molteplicità dei rami di essa che vi passano. Allora la — 611 — struttura della singolarità verrà pienamente rappresentata, con una opportuna sovrapposizione degli schemi grafici dei singoli rami, da un diagramma, che può essere denominato a/bero della singolarità; il quale pone in evidenza le molteplicità e le posizioni dei punti infinitamente vicini che costituiscono la singolarità, in ispecie la distinzione fra ì punti liberi e i punti satelliti e i diversi aggruppamenti di questi. La conoscenza di tali molteplicità e posizioni vale a determinare la se- parazione dei rami, giacchè il passaggio di / per punti satelliti traduce in altra forma la circostanza che ai punti multipli condensati nella singolarità si aggiungono anche dei punti di diramazione. Perciò è lecito dire che una qualsiasi singolarità è definita completamente dalle molteplicità della curva în un gruppo di punti infinitamente vicini, tenuto conto delle po- sizioni di questi. i 4. La teoria, così disegnata dal punto di vista aritmetico, deve essere completata con lo studio delle condizioni differenziali che caratterizzano il passaggio d’una curva per punti infinitamente vicini, e le relative mol- teplicità ('). Qui in particolare si fornirà la prova diretta che ì punti im- r(r+1) 2 proprii di molteplicità 7 impongono, come i punti proprii, condi- zioni lineari ai coefficienti d'una curva / che debba contenerli. Per scrivere le accennate condizioni differenziali, caratterizzanti i punti — semplici o multipli — infinitamente vicini all'origine, occorre anzitutto possedere l’espressione generale delle derivate successive d'una funzione composta f(e,y), ove = (t) e y=v(t). Le formule di cui si discorre costituiscono una generalizzazione di quelle adoperate dallo Stolz (*) nel pro- blema della separazione dei rami, limitatamente al caso dei rami lineari. Ma, anzichè proseguire il procedimento dello Stolz, noi siamo pervenuti allo scopo trattando questa questione di calcolo differenziale in rapporto alla teoria generale dolle operazioni: questa via ha il vantaggio di mostrare in qualche modo a priorî la natura delle formule ricercate; lo sviluppo dei calcoli riesce necessario soltanto per la determinazione dei coefficienti nume- rici che vi figurano. Or dunque osserviamo che la derivata n-ma della funzione composta f(x ,y(x)) nasce SPO Enio ad / la potenza n-ma dell'operazione indicata dal simbolo . 41=(5; O degl ge part ici (1) Il concetto di tali condizioni fu da noi accennato, e svolto in rapporto a casi particolari, fino dalle nostre lezioni dell’anno 1897-98 (cfr. il Programma pubblicato nel fascicolo di aprile 1889 del Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche). (*) Math. Annalen, Bd. VIII, pag. 415 (1875). x — 612 — le operazioni che figurano come addendi entro il simbolo 4, non sono per- mutabili, ma dànno luogo ad una quasi-permutabilità: cioè sono permuta- bili a meno d'un fattore numerico che dipende dall'espressione a cui si sup- pongono applicate. Da queste proprietà segue che lo sviluppo di 427 — o, ugualmente, di 477 (con m >) — si può ottenere mediante le formule che valgono ad esprimere la potenza d'un polinomio, salvo a modificare op- portunamente i coefficienti numerici che in questo sviluppo figurano. Ana- loghe formule si otterranno per le derivate successive di 7, ove x e y sieno funzioni di un parametro /. Ciò posto, si possono scrivere facilmente le condizioni differenziali che caratterizzano i punti multipli infinitamente vicini d'una curva /. Se il punto proprio O = (ab) deve avere per / la molteplicità 7, si hanno, come osservò già il De Gua, le CELL condizioni DA zara 00 ei s. Così, per esempio, se la y' è radice multipla d'ordine 2s per 47f=0, d'ordine 2s—2 per 41*#!f=0,... ‘e d'ordine 2 per 47*=0, la Y (avente già in O la molteplicità 7) passerà per O, con la molteplicità s, e ancora con la molteplicità s per il primo punto satellite di O, che viene definito sui rami di second’ordine per 00; . In generale, per determinare le molteplicità della curva / nei punti sa- telliti di O, , sì figureranno coi punti di coordinate intere (2), sopra suc- cm CI ZRCLRD cessive linee orizzontali, le condizioni soa 4;**f= 0, che designano la Y molteplicità della radice y' per l'equazione 4f**/= 0, e quindi sì separe- ranno in tanti gruppi triangolari le condizioni che rispondono ai diversi punti satelliti di O,. Questa separazione si compie facilmente mediante un oppor- tuno diagramma; e, operando con questo, si vede nascere l’a/bero della sin- golarità, a cui si è poc'anzi accennato. Aggiungeremo che l’indicato diagramma sta in una semplice relazione col noto diagramma di Newton che serve alla separazione dei rami mercè il calcolo degli ordini d’infinitesimo: e così questo classico metodo appare in una nuova luce, venendo collegato ad un procedimento più espressivo che porge l’analisi completa della singolarità negli elementi che la costi- twiscono. 5. Il carattere riassuntivo di questa Nota non ci consente di trattenerci sulle applicazioni della teoria qui rapidamente abbozzata. Tuttavia vogliamo accennare: ad un problema che non sembra essere stato trattato per lo in- nanzi in una forma generale. S' imponga ad una curva /, d'ordine abbastanza elevato, di passare — con certe molteplicità virtuali assegnate — per dati punti infinitamente succedentisi sopra un ramo superlineare; allora accade che le molteplicità effettive della / risultino diverse dalle virtuali, almeno quando non sieno soddisfatte certe condizioni di diseguaglianza. Il nostro problema ha per oggetto di determinare le molteplicità effettive di f in funzione delle suddette molteplicità virtuali. Della risoluzione di codesto problema si può indicare un'applicazione . interessante, cioè il calcolo delle molteplicità effettive delle curve polari nei punti infinitamente vicini che costituiscono una singolarità di f. — Gia Fisica Matematica. — Sulla integrazione delle equazioni di Maxwell. Nota II del Corrispondente 0. TEDONE. II. 9. CAMPO ELETTROMAGNETICO INDEFINITO. — ll problema della deter- minazione di un campo elettromagnetico indefinito. quando sieno date le con- dizioni iniziali e la distribuzione del vettore f, viene risoluto subito dalle formole precedenti facendo coincidere la varietà 03 con l’iperpiano t= fp. Supponiamo, dapprima, di essere nel caso generale. ma che non esistano nel campo correnti di convezione. Chiamando con S la porzione dell’iperpiano c=t, compresa nella varietà conica caratteristica col vertice nel punto (c,y,8,t), con E, Io i valori di E ed $, dati sull'iperpiuno stesso, i e ponendo roma— G(7.9,5) Ah) 1 (00) ) È È | e of * ) + dela Sao : Qu Lp Si QQ reati Cina VI dS Fa g So Aa (27) < rom = pa(2:433) AM) + cli . \ d 3 XK sa Gi . if 2) Ì | + t)(2_4) [Go dS + r0t | D129 481, possiamo scrivere / x t I 2 ge G(2,y,a 0) = f (OP sO) d— U 0 I D (ca ehe r) (2 PIO pt op\— k? OP dé Jeanne 3 (27°) C a — ge (ye, 0) = k3 e f 5 L MA) { (2) = 32 Gi Di k) (2 ser — pop) rp. ‘(09 +49) di — ” 3 I CA IARRESIARE SI — 615 — 10. Risolviamo, ora, lo stesso problema precedente nel caso in cui -sia £=0, ma si debba tener conto anche di correnti di convezione. In. questa ipotesi abbiamo era ATA D(0,9,4,0)=Do(0.y,3) — —tmfi3(e8ymfo8-42 (18) Se indica una sfera di raggio uno col centro nel punto (2, y,%) dello spazio ordinario, può tenersi presente che C(t— to) C(t — to) fe is= {e [- O ala (e is,= [de (do (. Sign) Tutte le nostre formole sono conseguenze delle sole prime due equa- zioni (6) e valgono, quindi, qualunque sieno E, ed Do. Se si vuole che sia soddisfatta anche la terza delle (1), basta supporre che sia div 5,0="0. Le formole trovate sono molto semplici. Forse ad esse si può rimpro- (28) | verare di essere estranee a qualunque intuizione fisica; questo rimprovero, però, non ci pare sostanziale. Di qualche interesse può essere, invece, la constatazione che esse formole possono costituire la base più ampia e sicura per la risoluzione degli svariati problemi a cui dànno luogo l'elettromagne- tismo, la meccanica dell’elettrone e la teoria elettromagnetica della luce. II. 11. Princirro Di HuyéEens. — Di un principio di Huygens, nella teoria della propagazione delle onde elettromagnetiche, si può parlare sol- tanto se il mezzo in cui queste onde si propagano non è assorbente, ossia se la sua conducibilità è nulla. In ogni altro caso si può concedere che un tale principio valga solo in via approssimata. Supporremo dunque A=%=0. Ciò posto, chiamiamo S una regione finita dello spazio ordinario limi- tata dalla superficie o che, all'istante #, possiamo immaginare come una regione dell’iperpiano 7 = £ del nostro spazio a quattro dimensioni; e sup- poniamo che a nessun istante di ogni intervallo di tempo, che ci occorrerà di considerare, S sia attraversata, o soltanto toccata, da alcuna massa elet- ReENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 80 — 1016) — trica in movimento. Introduciamo la varietà cilindrica a tre dimensioni dello spazio (£,n.$,) che ha per direttrice la superficie o e per generatrici le parallele all'asse 7 condotte per i punti di o stessa; e supponiamo che la. varietà 03 che compare nelle (26'), sia formata dalla regione S dell’iper- piano tr=%4, essendo £ l'istante iniziale, e dalla porzione della varietà cilindrica precedente, sulla quale 7 > o. Applicheremo quindi le (26') nella ipotesi che la coordinata { del vertice della varietà conica caratteristica sia così grande che questa varietà caratteristica incontri l’iperpiano 7 = in punti che sieno tutti esterni ad S. Avremo allora subito, intanto, 4n&E(x,Y,8, = 4nG (2,45) — 100? f do gg G do RARO (I 1) = rot f IG (i a 2) A n | SEIT rot? | Zi (5 /\ n) dr in cui con E ed 5, intendiamo di rappresentare anche adesso i valori di - E ed S all’istante t=£, ed n è un vettore unitario normale a o diretto verso l'interno di S. Inoltre, per brevità, delle variabili da cui dipendono le quantità sotto i segni integrali, scriviamo solo il valore di 7, quando questo non è generico. Tenendo conto, ora, che, essendo & un vettore qualunque funzione di & Ma at rot* A = grad div A — 14° A dove con 4*A rappresentiamo il vettore le cui componenti si ottengono F ‘eseguendo l'operazione 4* sulle componenti del vettore ©, si trova DI in, (2,4,4) — vi |, vii div |. ASI t-3 ii Saggi (a 2f Amani 2. DATE a t-7 — 2 grad div {È Ai (OA n)d d Ra I Toast [Gi ie SSISTNLAIO ff =2(19 (( z)nn]s 7 grad div sE DE DIE ZA L'ultimo termine, a causa delle equazioni di Maxwell, si riduce, inoltre, a \ i — grad div {È "| 6( (3) —G, | e gli accenti, sui simboli E ed 5, indicano derivate dei corrispondenti vet- tori rispetto a 7. Tenendo conto dei risultati analoghi relativi all'equazione che dà il vettore I, potremo scrivere 4n&(x,y,43,1)=-—rot Î | 6 ((-3) nn ]E + 0) |5°((-%) A n 7 sind civ ( . (St TI do 4nD(2,9,8,)=—r06 ( |5((-E)An]5 C £ K do di r Tp Sf — ——=:97 Ì si i. 0 oi [6 (i c ) Na | x grad div |, : o( c) Le equazioni (29) sussistono indipendentemente da ogni ipotesi sulle | divergenze di E e di 5. Se si tien conto, però, che div =0 e si tras- cura il potenziale elettrostatico, dato che nel campo sussista una distribu- zione statica di elettricità, possiamo dare alle (29) la forma seguente (29). < I i; dnCle gia sar [| (0-7) [È ba: So C RO rie pose do +5 sl c)An | grad ( Gil ut ° ta qa ind, ya darf) TE de (1-2) don sa si(fifpen on do PL 80 C An ; grad { (L Xn a . Queste equazioni rappresentano il principio di Huygens per le onde elet- tromagnetiche. In esse il punto (2 ,y,z) è supposto interno alla superficie 0; | però questa superficie potrebbe, evidentemente, essere composta di più pezzi: p. es., di due pezzi o e o’, uno interno all’altro. Ammesso, allora, 0’ esterno a 0 e che, se il campo si estende all'infinito, il campo sia evanescente al- l'infinito al modo solito, facendo tendere i punti di o’ all'infinito, si trova (30) x — 618 — subito, che le (30) valgono anche se il punto (x, y,) è esterno alla super- ficie o. Si richiede soltanto che questo punto sia separato per mezzo di o da tutti i sistemi di elettroni che con le loro vibrazioni generano il campo. I punti intorno ai quali vibrano gli elettroni di ciascun sistema, pos- sono indicarsi col nome di centri di scuotimento elettromagnetico primi- tivi, ed allora si potran chiamare centri di scuotimento elettromagnetico secondarii i centri di scuotimento reali, o fittizii, che bisogna immaginare distribuiti nell’etere e sulla superficie o e che sostituiscono l'effetto dei centri di scuotimento primitivi. Si può quindi dire che lo stato elettromagnetico in un punto (2, y,z) si può sempre immaginare determinato da un, sistema di centri elettromagnetici secondarii distribuiti con continuità su una super- ficie o tissa, arbitraria, separante il puoto (x,y ,4) dai centri di scuoti- mento primitivi; ed, all'istante £, lo stato elettromagnetico, nel punto (x,y ,), è dovuto soltanto alle condizioni elettromagnetiche in cui sì tro- vavano gli elementi do di o, distanti di r dal punto (x,%,2), agli istanti 7: Le onde elettromagnetiche si propagano con la velocità C. 12. Il principio di Huygens immaginato, dapprima, per spiegare la pro- pagazione delle onde luminose, è stato, ad ogni modo, il prodotto di una felice intuizione avente di mira onde longitudinali che sono, forse, le sole accessibili, in qualche maniera, ad una intuizione non armata di mezzi analitici efficaci. E, come accade quasi sempre per i prodotti della intuizione pura, ha portato lungamente con sè traccie di oscurità e di paradossi che han dato luogo a polemiche e a discussioni ben note, fino a quando la. quistione non è andata completamente a posto con la scoperta della celebre formola di Kirchhoff. Questa è, parmi, l'opinione corrente. Si può, però, osservare che, se anche l’ordinaria trattazione del principio di Huygens con l’aiuto della formola di Kirchhoff, sì può ritenere sufficiente per onde longitudinali, non si possa dire, assolutamente, la stessa cosa quando si tratta di onde trasversali. Qualunque sia, infatti, la teoria dei fenomeni luminosi che si invoca, il principio in discorso si applica, sempre nella stessa forma, alle componenti del veltore luce ragionando su centri di scuotimento le cui vibrazioni sono caratterizzate da funzioni della forma LP ((-3) le quali, se caratterizzano assai bene centri di scuotimento producenti onde longi- tudinali, non possono rappresentare nessuna propagazione di onde trasversali, p. es., di onde elettromagnetiche. La trattazione ordinaria del principio di Huygens, anche nel campo dei fenomeni luminosi, con l'aiuto della formola di Kirchhoff, se non è errata dal punto di vista analitico, appare formale e priva di forza di persuasione. Queste considerazioni mi permettono di spe- rare che la fatica fatta per trovare le formole (30) non andrà completamente perduta. — 619 — Fisica. — Osservazioni alla Nota del prof. Guglielmo in- torno ad alcun modi di calcolare l’esperienza di Clement e De- _sormes. Nota del Corrispondente Guino GRASSI. Sebbene non appaia dal titolo, la Nota del prof. Guglielmo (*) è in gran parte una risposta alla mia critica di una sua Nota precedente (vedansi le mie Osservazioni a proposito della Nota del prof. Guglielmo sull’espe- rienza di C. e D. ecc..... presentata nella seduta 11 aprile 1915 di questa Accademia). Ora il prof. Guglielmo, illudendosi di aver completamente de- molito la mia critica, si permette anche il lusso di lanciare al mio indirizzo dei frizzi, per mettere la mia critica in ridicolo, facendone sgorgare delle conseguenze assurde, che per fortuna sono soltanto nella sua immaginazione. Non intendo seguire il prof. Guglielmo su questo terreno; dirò soltanto che i suoi motti, se hanno l'apparenza dell’arguzia, difettano però di sostanza. Ma ciò che più mi ha sorpreso è che, sostanzialmente, con questa nuova Nota egli mi dà ragione, pur continuando a dire che io ho torto. Infatti io gli facevo osservare che, nel suo ragionamento fondamentale, aveva dimenticato di considerare i lavori esterni; egli ora risponde che vuol riprodurre il suo ragionamento, completandolo con l'aggiunta di qualche schiarimento. E questa aggiunta è precisamente la considerazione dei lavori esterni; cioè fa la correzione ‘che gli ho suggerito io. Ma non basta: egli ora aggiunge, a ciò che aveva scritto nella 18 Nota, alcune considerazioni per concludere che i lavori esterni, con una certa approssimazione, si com- pensano, cosicchè si giustifica la sua formula. E questo è appunto ciò che io gli avevo fatto osservare nella mia critica: che cioè finchè si limitava a considerare, nell’esperimento supposto, il riscaldamento di 1 grado, la sua formola era praticamente abbastanza approssimata. E il prof. Guglielmo, dopo aver così completato il suo ragionamento esattamente secondo il mio suggerimento, persiste a darmi torto. Se non che egli dimentica il punto essenziale della questione, cioè il motivo della osservazione che io gli avevo fatto. Egli aveva dichiarato net- ‘tamente. lo scopo della sua 1° Nota, di mostrare cioè che è possibile de- durre, dall’esperienza di C. e D., il rapporto % tra i calori specifici, senza far uso del 1° principio di termodinamica. Perciò, se egli nel suo ragiona- mento aveva omesso di considerare i lavori esterni, non era per una questione di approssimazione maggiore o minore, ma proprio perchè egli intendeva che il 1° principio si potesse escludere. E a questa, che è la mia obiezione es- (!) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, 20 febbraio 1916. x — 620 — senziale, egli non ha risposto; perchè non si può rispondere se non seguendo una via diversa da quella da lui seguìta. Il prof. Guglielmo dirà che ora, con la sua nuova Nota, ha dimo- strato che, sebbene egli abbia preferito considerare piccole variazioni di tem- peratura e di pressione, perchè così si rendono lecite notevoli semplifica- zioni, ciò non eselude che si possa oitenere il valore di k anche consi- derando gli effetti di due riscaldamenti non piccoli e rinunziando alle semplificazioni. A prima giunta non sì vede perchè l’autore trovi il bisogno di ricordare in questa occasione una cosa notissima. Ma la spiegazione si trova alla fine, dove, appena scritta la formola che esprime il valore di X, l'autore fa no- tare che quello è /o stesso valore che si ottiene col calcolo di Poisson. Pare dunque che egli creda di aver trovato la formola senza servirsi della legge di Poisson; dico pare, perchè, se non fosse così, non si com- prenderebbe la ragione di esporre in questo punto una dimostrazione prolissa e inutile, mentre egli stesso aveva riprodotto nella sua 1 Nota la sem- plicissima dimostrazione basata sulla formola di Poisson. Dunque, ripeto, si deve ritenere che qui l’autore ha creduto di non es- sersi servito della formola di Poisson. Ora ciò è davvero sorprendente, perchè egli calcola il lavoro esterno nella trasformazione adiabatica servendosi pre- cisamente della legge di Poisson; chè altro non è il sostituire al volume specifico © la espressione py'! 0» p%, come egli fa a pag. 217. Dopo ciò, ha poca importanza il segnalare in questa dimostrazione la inutilità assoluta delle formole scritte a pag. 216, come se fossero neces- sarie per dimostrare che nella trasformazione adiabatica dei gas il lavoro esterno è eguale a e, dt. Stranissima è poi la osservazione, al solito condita di frizzi ironici, su un punto della mia critica, dove io gli avrei insegnato male a fare il cal- colo, perchè con le mie formole non giungo a trovare il rapporto % fra i calori specitici, ma trovo invece la differenza fra cy e c; e dice che io avrei, secondo il suo mode di vedere, il torto di non turbarmi davanti a questo risultato. Visto .come il prof. Guglielmo persiste nei suoi falsi apprezzamenti della questione, non mi sorprende che anche in questo punto egli giudichi le cose al rovescio. Non sono io che ha immaginato di trovare la espres- sione di % uguagliando le quantità di calore che sono in gioco in quelle due trasformazioni del gas che l'autore ha supposte; è lui che ha creduto di poter risolvere così semplicemente il problema. Se il suo ragionamento, corretto, non porta direttamente alla formola ch'egli desidera, perchè vuol darne la colpa a me? Ma evidentemente non sarebbe stata questa la sua accusa, se egli non avesse creduto di essersi già preparata l’arma per darmi il colpo decisivo; OZ cioè per dimostrare come avrei dovuto procedere io, dopo introdotta la con- siderazione dei lavori esterni, per risolvere il problema. Ed è qui che egli espone la dimostrazione di cui ho detto sopra, dove l’autore, che ci teneva tanto a escludere la 1 legge e la formola di Poisson, ce le ha fatte en- trare tutte e due: l'una di proposito, e l’altra, pare, per equivoco. Il prof. Guglielmo, dopo una breve digressione, finisce la sua Nota con un'ultima frecciata al mio indirizzo, per lasciare nel lettore l'impressione che io sono davvero uno swolaretto presuntuoso, il quale non ne azzecca una giusta neanche per caso, e che egli mi sa mettere a posto con poche parole. To avevo detto che, pur supponendo una trasformazione isotermica invece di adiabatica, l’autore era giunto ad una soluzione giusta, perchè aveva poi assunto, per esprimere X una formola approssimata; e le due approssimazioni sì erano, per così dire. compensate. D'altronde è facilissimo riconoscere il procedimento di approssimazione seguìto dall'autore, il quale sapeva già che cosa doveva trovare. Ora il prof. Guglielmo mi lancia questa accusa: che io ritengo che si possa dedurre una relazione esatta da un'equazione erronea nella quale uno dei membri è 1,4 volte (1.67 volte se il gas è monoatomico) maggiore dell’altro. Rispondo che quella sua dimostrazione della formola che dà l'equiva- lente meccanico (in fine della sua 18 Nota) è una dimostrazione che non persuade, perchè se non sì sapesse per altra via qual'è la formola giusta, il suo ragionamento lascerebbe troppi dubbî; che quando egli dice che le espressioni da lui adoperate sono approssimate e che egli se ne accontenta, ha perfettamente ragione, ma io non l'ho mai contraddetto su questo punto. Egli però sbaglia di grosso se crede che, quando si scrive pdv = — vdp per una trasformazione isotermica, e pdo = — vdp/k per una trasforma- zione adiabatica, ciò voglia significare in generale che il lavoro esterno pd», in un caso, sia % volte maggiore dell'altro. Dunque io non ho detto quel grosso sproposito che egli mi attribuisce; e rimane tal quale l'osservazione che io gli ho fatto, anche dopo le spiegazioni dell'autore il quale vorrebbe che io non mi fossì avveduto di una sua svista nell'applicazione dei sim- boli. Non si vede perchè la differenza % — #' non possa essere rappresentata dal simbolo dp, dal momento che è la differenza fra la pressione iniziale del gas e quella finale. Ma io non ho fatto assegnamento soltanto sui simboli adoperati: ho guardato alla sostanza. Egli ha considerato il calore e, dt, che dovrebbe essere equivalente al lavoro esterno adiabatico, quando il volume varia da v a v, come equivalente invece al lavoro esterno isotermico, nel caso, s'intende. di una trasformazione piecolissima, e con la stessa variazione di volume. Ho già ripetuto tante volte che quando si tratta di piccolissime tras- formazioni, i lavori esterni sono poco diversi, e queste sostituzioni possono. x i 622 — in taluni casi ammettersi; ma il risultato non sarà mai esatto. Perciò, di- cevo, se l’autore ha trovato una formola esatta, è perchè si è servito di una formola approssimata per esprimere il lavoro, di un’altra formola ‘approssi- mata per esprimere il rapporto X. Sapendo già qual'era il risultato che si ‘doveva ottenere, era facile vedere quali semplificazioni ulteriori occorrevano per far sì che una delle approssimazioni compensasse l'altra. E questo è ciò che io volevo dlre, e non trovo motivo di mutar di parere. Astro-fisica. — elazione fra la corona e le protuberanze solari. Nota del Socio A. Riccò. Questa Nota sarà pubblicata. nel prossimo fascicolo. Meccanica celeste. — Sopra un'ipotesi del Pickering rela- tiva alla frequenza degli afeli delle orbite cometarie nelle vici- nanze dell’antiapice. Nota di G. ARMELLINI, presentata dal Socio T. LeEviI-CIVITA. 1. In un recente lavoro (*) il prof. A. S. Eddington, studiando la po- 2 | sizione degli afeli delle orbite. cometarie a lungo periodo, ottiene il dia- gramma ‘che qui riportiamo, e nel quale abbiamo indicato con EE' l’eclittica. (1) The Observatory, vol. XXXVI, 1913. — 623 — quale ricorre alla seguente ipotesi del Pickering: « Pickering has suggested that the action of an inlerstellar resisting medium has had an èffect on the distribution of afelia, tending to make the aphelia fall behind the Sun in its motion through the space. Supposing that a bright comet with a large gaseous envelope would be more affected by the resistance than a faint one, he accounts in this way for the group of aphelia of bright comets, which is fairly near the antapex of the Sun's motion (?). Prescindendo da gravi difficoltà fisiche (esperienze di Michelson e Morley) e concettuali (esistenza del moto assoluto), contro cui sembra urtare l'ipotesi del Pickering, noi ci proponiamo di esaminarla col calcolo. Vedremo che il risultato sarà contrario al mantenimento dell'ipotesi stessa. 2. Supponiamo la resistenza del mezzo proporzionale alla prima potenza della velocità. Allora chiamando, in simboli vettoriali, con V la velocità di > traslazione del sistema. solare nello spazio e con è la velocità della cometa (*) Ivi, pag. 146. rispetto al Sole, e indicando con o un coefficiente opportunamenta scelto, la cometa risulterà perturbata da due forze DE eV, e v= _ où. Essendo la resistenza del mezzo estremamente debole, noi potremo, secondo i metodi approssimati della meccanica celeste, studiare separatamente gli effetti par- ziali delle due forze ® e v, e comporre poi i risultati. Ora l’effetto di y è ben noto, consistendo in una diminuzione dell’eccentricità e in un aumento del moto medio, senza perturbazioni secolari della linea degli apsidi |) e senza alcuna variazione dell’inclinazione. i ò Se noi cr limitiamo quindi alle perturbazioni secolari (le uniche im- i portanti per la nostra ricerca), potremo considerare solamente la forza ®, come se la v non esistesse. 3. Osserviamo, anzitutto, che il problema del moto di un punto attratto con la legge di Newton da un centro fisso, e sollecitato inoltre da una forza ® costante in grandezza e direzione (perchè ù è costante), si ricon- duce alle quadrature (?). Però, poichè a noi importa solo di esaminare se un'ipotesi soddisfa o no alle osservazioni, è assai più breve usare ì metodi classici della meccanica celeste. La diminuzione di esattezza, che a prima vista potrebbe temersi, è in realtà solo apparente; infatti noi già ci siamo (*) Tisserand. 7raité de Meéc. Cél., tomo IV, pp. 217 e segg. (3) Cfr. Ch. Céllerier, Note sur une question de Meécaniqué, in Bull. des Sciences Math., 1891; M. A. de Saint-Germain, Movement d'un point pesant attiré par un point fire suivant la loi de Newton, in Nouvelles Ann. de Math., 1892, ecc. Il problema, del resto, è un- caso particolare di quello del moto di un punto attratto da due centri fissi, problema classico già risoluto da Eulero e Lagrange. ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 81 x — 624 — posti nel campo delle approssimazioni, avendo stabilito di studiare separata- mente gli effetti delle due forze È è Ù. 4. Per provare che l'ipotesi del Pickering soddisfa alle osservazioni, occorrerebbe dimostrare che la forza D: a) tende a spostare il piano dell'orbita cometaria in modo da farlo passare per l’antiapice A; b) tende a far muovere l'afelio in modo da portarlo sulla semiretta s congiungente il Sole S con l'antiapice A. Esaminiamo separatamente le due questioni. 5. Prendiamo come piano fondamentale, P, un piano passante pel Sole e normale alla retta congiungente il Sole stesso con l'antiapice; e chiamiamo con f.d,i,4,06,n,0,w,u,8 il coefficiente attrattivo, il nodo ascendente e l'inclinazione (rispetto a P), il semiasse maggiore, l’eccentricità (e < 1, trattandosi di comete periodiche), il moto medio. il perielio, l'anomalia vera ed eccentrica, e l'epoca. La componente di ® secondo la normale al piano dell'orbita (dalla parte di A) sarà allora F3 =@V cosà. Servendoci delle ‘ equazioni delle perturbazioni nel metodo di Gauss e facendo attenzione al. fatto che il Tisserand (') rappresenta la forza analoga con fm'W, avremo, posta uguale allo zero la massa m della cometa, i di Va (1) aa agog (09) 1 cos è i Ma si ha, come è notissimo, (2) r=a(1—ecosu) (BI ni=u—esenu—et+ IO TEESTÀ, = (4) li o re) 1_—-ecosu: Volendo limitarci alle perturbazioni di primo ordine, sostituiamo questi valori nel secondo membro della (1) supponendo, al solito, che n,a,e,w,d siano costanti durante una rivoluzione. Otterremo, con brevi calcoli, i di o Va? (5) es 9 pe par X3 (cosu— e) cos (0 — 4) — dr sen z sen (0 — 3) (*) Tisserand, op. cit., tomo 1, pag. 433. — 625 — Per ottenere la variazione di 7 durante una rivoluzione, integriamo da u=2Ka ad u=2(K-+1)z dove K è un numero qualsiasi (non necessa- riamente intero). Indicando con 7) ed %, i valori iniziali e finali di 2, avremo: » È (6) io a 5) R +4) OE ! s(% 2 Dalla (6), applicando il procedimento iterativo vediamo che é non tende sempre alt: 5: come suppone il Pickering. Infatti nel caso generale, il cos (0 — 3) può cambiar di segno ecc. ecc. Pure, volendo concedere il possibile all'ipo- tesi dell’illustre astronomo inglese, prescindiamo per ora da queste difficoltà e supponiamo che il piano dell'orbita si disponga normalmente a P. Esa- miniamo allora se, sotto l’azione della forza d , l’afelio verrebbe a portarsi sulla semiretta s, come egli mostra di credere. 6. Supposto dunque che il piano dell'orbita sia divenuto normale a P, o, ciò che è lo stesso, passi per la semiretta s congiungente il Sole con : l'antiapice, contiamo gli angoli vw, w,u da s procedendo nel senso del moto della cometa. Le componenti F, ed F, di ®, lungo il raggio vettore r e la sua normale diretta nel senso del moto e giacente sul piano dell’or- bita, saranno allora: mo Fi=oVcos(w+) ; F.=—oVsen(w+ w). Servendoci delle equazioni di Gauss e facendo attenzione al fatto che il Tisserand chiama F, ed Fs con fm S ed fm'T, avremo, posta uguale allo zero la massa m della cometa, (8) i va xi cos w co (0 + 0) + | 1 du i [set sen 0 + }E Ora abbiamo identicamente: (8%) coswcos(e+@ + ba Ea == | sen w sen n (0 +o)= nil Z... =l+% 0a 22) SÙ: + AO ese ini cosw senw. x — 626 — Servendoci delle (2) (3) (4) e considerando 4 e n w e come costanti durante una rivoluzione, poichè noi ci limitiamo alle perturbazioni di primo ordine, avremo: (9) do=- Lai x )(1 — e cosu+4- sen* u) 005 0 +2 sen (cos u— e) (du. —_ e Integrando al solito tra u= 2(K + 1), troveremo, per il valore della variazione di w durante una rivoluzione, 3 (10) Pi Ale o rano cos @; fe da cui deduciamo, con procedimento iterativo, che © tende verso — gi Ricordando che contiamo gli angoli da s, possiamo affermare quanto segue: Tenendo conto delle sole perturbazioni di primo ordine, gli afeli delle orbite cometarie periodiche tenderebbero ad addensarsi non già verso l’antiapice (come suppone il Pickering) ma piuttosto lungo un cerchio mas- simo avente per poli l’apice e l'antiapice. 7. Inutile aggiungere che i nostri risultati sono semplicemente appros- simati, poichè ci siamo limitati alle sole perturbazioni di primo ordine. Ciò non ostante, essi sono sufficienti per in lungo spazio di tempò, data l'estrema debolezza della ipotetica resistenza del mezzo. D'altra parte, sapendosi, da note teorie, che la vita di una cometa è limitata, sarebbe stato inutile ricor- rere, per l'esame del problema fisico, a calcoli più complicati. Alle pertur- bazioni ora trovate non occorre poi aggiungere quelle prodotte dalla forza Ù, di giacchè essa non altera le inclinazioni e non produce perturbazioni secolari su w, come è stato osservato. i Se invece avessimo ricondotto il problema alle quadrature, secondo quanto si era detto al $ 3, il risultato sarebbe stato il seguente. La cometa nel suo moto relativo rispetto al Sole, ripassa infinite volte vicina quanto si vuole ad ogni posizione da essa precedentemente assunta. Il risultato non è in contradizione con quello da noi ora ottenuto giacchè, come è noto. le perturbazioni secolari sono in realtà perturbazioni periodiche estremamente È DS lente. Esso mostra invece che la forza ® non basta a spiegare l’addensa- mento degli afeli verso l’antiapice. (*) Si vedrebbe anche facilmente che u=- corrisponde ad una posizione di equi: librio instabile, ed = — + ad una posizione di equilibrio stadile: ben inteso limitan- — doci a considerare le perturbazioni di primo ordine. 62% 8. Concludendo, l'ipotesi del « vento d’etere » del Pickering non solo vi sembra urtare contro gravi difficoltà fisiche e concettuali, ma ci risulta anche insufficiente a spiegare i fenomeni. Crediamo quindi che essa vada abbandonata. 9. Qualora dunque la statistica cometaria mettesse in luce, in maniera non dubbia, un notevole addensamento degli afelii nelle vicinanze dell’anti- apice, per spiegare il fatto occorrerebbe ricorrere ad altre ipotesi. Tra queste la più semplice consisterebbe forse nel supporre che molte di quelle comete provengano da stelle della costellazione dell’ Ercole o della Lira. Infatti il chmo prof Burgatti, fondandosi sulla teoria delle superfici-limiti di Hill, ha recentemente dimostrato che, se una cometa proviene da qualche stella, la sua orbita sembra avere l’afelio in quelle vicinanze e può avere carattere ellittico anche a grande distanza dal Sole ('). Matematica. — Lasi analitiche per una teoria delle defor- mazioni, delle superficie, di specie superiore. Nota di E. BOMPIANI, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. 1. Se si esamina qualitativamente il tin qui fatto nella geometria dif- ferenziale (proiettiva o metrica) degli iperspazî, si constata che, salvo in alcuni recenti lavori, gli enti studiati sono generalmenle le curve e le iper- superficie; ben di rado accade di trovare proprietà dei numerosi enti di di- mensioni intermedie. Si può dire, grosso modo, che le proprietà note in S, si trovano facendo variare l'indice 7 delle coordinate x; da 1 ad 7, invece che da 1 a 3; come più facilmente prevedibili, interessano anche meno. Vero è che per codeste varietà intermedie vengono a mancare gli ele- menti ai quali si riferiscono le proprietà delle superticie dello spazio ordi- nario; e in questo senso la ricerca è chiusa negativamente. Per renderla possibile bisognerà cominciare dalla ricerca degli elementi che hanno sulla (1) Ved. Osservazioni sull'origine delle comete. Nota letta alla R. Accademia delle Scienze di Bologna, il 23 maggio 1915, dal prof. P. Burgatti. Tra i risultati importanti di questa bella Memoria del prof. Burgatti, vi è anche l’esser riuscito a mettere d’accordo le considerazioni: sintetiche dello Schiaparelli coi calcoli del Laplace, a prima vista di- scordanti tra loro. Nella mia precedente Nota: Esame analitico sulla teoria del Fabry e Crommelin sull'origine delle comete (Rendie. Lincei, 1914, 1° sem., 5° fasc.) 0 sostenni l’idea della provenienza stellare di alcune comete, mostrando che anche in questo caso «la probabilità di scoprirne una con orbita fortemente iperbolica sarebbe pressochè nulla » (pag. 310). Quanto abbiamo detto nella presente Nota, è una nuova conferma di questa test. Infatti, avendo ora esclusa la spiegazione del Pickering, se si ammette la maggior fre- quenza degli afeli nella regione dell’antiapice, conviene ricorrere per darne ragione al- l'ipotesi della provenienza stellare. x — 628 — 1 varietà un ufficio analogo a quelli noti per le superficie di di e poi esten- dere ad essi le proprietà note ('). Questo piano di ricerca porta generalmente a passare ad intorni di un punto di ordine più elevato che quelli occorrenti in S3; in senso metrico, ad occuparsi di curvature d'ordine abbastanza alto. Ma, siccome parlare di proprietà di un ente non ha senso se non quando sì sia fissato il gruppo rispetto al quale si considera, è naturale che si sia portati ad esaminare gruppi diversi da quelli classici per lo studio delle superficie in S3 (gruppo delle rappresentazioni conformi, dell'applicabilità o delle deformazioni per flessione, dei movimenti): gruppi che, al pari degli elementi su cui operano, possono non esistere in S3. > 2. Le superficie (Vs) di S, (2 >8) sono state studiate, rispetto al gruppo dei movimenti. dal prof. E. E. Levi (*): un sistema di forme a più variabili prende il posto delle due classiche forme quadratiche fondamentali; gli invarianti assoluti della superficie sono gli invarianti simultanei di questo sistema di forme. Io mi occupo qui delle superficie rispetto a quel gruppo di trasforma- zioni (che dirò deformazioni di specie v) che lasciano invariati l'elemento lineare e le prime v—1 curvature di tutte le curve della superficie (*): si intende che la dimensione dell'ambiente deve essere abbastanza alta perchè questo nuovo gruppo non coincida con quello dei movimenti. 8. Siccome due superficie equivalenti rispetto al-gruppo sono per lo meno applicabili (v = 1), sarà fissata (nel caso generico) la corrispondenza fra i loro punti dall’uguaglianza della curvatura e di un suo parametro differenziale; quindi potremo sempre supporre che a punti corrispondenti sì siano già date le stesse coordinate curvilinee ,%. 4. Per prepararci all'esame del caso generale, vediamo se esistano curve di una superficie che in una determinata flessione conservino la loro prima curvatura. (!) Vedasi per es. una mia Nota recente: Analisi metrica delle quasi-asintotiche | sulle superficie degli iperspazi (questi Rendiconti, 1° semestre 1916), ove trovansi altre citazioni. si (*) Saggio sulla teoria delle superficie a due dimensioni immerse in un iperspazio È (Annali della R. Scuola Norm. Sup. di Pisa, vol. IX), che citerò con «Tesi ». È questo l’unico lavoro organico sulle superficie degli iperspazi. Oltre alla ricerca degli invarianti atti a determinare ln superficie nel gruppo dei movimenti, esso contiene l’estensione & curvature d'ordine qualsiasi di una curva di una V,m del teorema di Meusnier e l’inter= pretazione geometrica degli invarianti assoluti; poi alcune cose, meno interessanti, sulle superficie minime. (*) Ho già esposto alcuni resultati. in questo indirizzo, nella Nei Problemi nuovi di geometria metrico-differenziule (questi Rendiconti, vol. XXIV, serie 5%, 1° sem. 1919; vini fasc. 19); — 629 — Siano le x;(v,v) le coordinate cartesiane ortogonali di un punto della superficie di partenza; #;(v,v) quelle del punto corrispondente sulla defor- mata. S' individua una curva su di esse ponendo u=w(t) , v=v(t); prima curvatura in un suo punto si ha da ds \3 io M:/(07)- ove E 00 u + Ea) v' 2 ; Hr x; Mi = | Pu? + 2000 + ep + sig rosi dU" dv + au + 0 9" (te) e ds è l'elemento d'arco; siccome le due superficie si suppongono applica- bili, basta confrontare M; su di esse. Questo determinante è del tipo AC — B?, ove A è la solita forma quadratica fondamentale Eu? + 2Fwv' + Go, già supposta invariante, con ù n À n 2 : - dI: dI - {dXi F= Loox =Ion0 = Dio RESET G= In = HA (rici LC Ria 5 1 Poniamo in generale bian Tra la Vatzi 1 sì vede subito che in B entrano come coefficienti di %',v' i simboli [1020] , [0120] , [1002] , [0102] , [1011] , [0111] 1 quali, si verifica subito, sono dspimibili mediante le derivate prime di E,F,G, quindi invarianti nella flessione. I coefficienti di ”,v"” in B sono E, F,G stesse. Hadiinianio C. I coefficienti dei unini quadrati in u",v" sono E, F,G: i coefficienti dei termini lineari in w”, v” si esprimono coi simboli precedenti; infine 1 termini in w,v' soltanto figurano nella forma [2020] v4 + 4[2011] «20 + 2}2[1111) +[2002]{ 20° + :4[0211]u' 0"? 4 [0202] 04 (1) La notazione con gli I è del Levi (loc. cit.): mi servo dell'altra perchè è tipo- graficamente più economica, e uso la parentesi quadra per non far nascere confusione coi simboli di Riemann. — 0908 È chiaro che l’ uguaglianza della curvatura in punti corrispondenti delle due curve si traduce nell’uguaglianza di questa forma con l’analoga costruita per la superficie trasformata; alla forma precedente si può sostituire l’altra [2020] v* + 4[2011] 30 + 62002] 4? 0? + 4[1102] vv +[0202] v'* perchè > (1101) = 2 [2001] = È [11107 = 0210] = [i11]=Sp2002] wu w ASSI wu a . Quindi esistono. per ogni punto, quattro curve che conservano la prima curvatura in una flessione assegnata della superficie; a meno che non con- servino la prima curvatura tutte le curve della superficie, nel qual caso sono invarianti tutti i simboli [2020] , [2011], [2002] , [1102], [0202]. In S; l'invarianza di questi simboli porta, com'era prevedibile, ai movimenti della superficie; ma negli spazî superiori esistono effettivamente queste de- _ formazioni non ridotte a movimenti. 5. Cerchiamo le condizioni per una deformazioue di specie v. Richia- miamo alcune definizioni e proprietà dei simboli [fm] (*). Si dice ordine del simbolo il maggiore dei due numeri #4- £, + wm (è l'ordine massimo delle derivate che vi figurano). Si dice che un simbolo è principale se per esso si ha 41+-%4=/+ m; gli altri simboli si dicono dedotti, perchè con derivazioni dai simboli principali di ordine = s si possono ricavare i sim- boli dedotti di ordine 1,. cioè per ogni deformazione che non sia una semplice flessione, risulta (Aa) Ri e an Polini dfn) 2 2 RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 82 ; — 632 — Vogliamo appunto dimostrare che solo: 2v +1 sono i simboli princi- pali d'ordine v indipendenti, e che gli altri si possono ottenere da questi e da quelli d'ordine inferiore (quindi anche da quelli dedotti d'ordine v). Per fissare intanto 2v + 1 di questi simboli principali, prendiamo quelli del tipo. [v0w0]: + Ev:, 0,%—1,,,1]; 5,3015100], [(v—1,1,0,v],..-;[1,r—-1.0»] , {0v09] che diremo fondamentali. Il coefficiente di wu?‘ v'° si compone linearmente, senza considerare i fattori numerici di combinazione, di tutti quegli [/X/m] tali che h+k=l+m=»v , h+=2v—-s. Partiamo pertanto da un simbolo [ .0 ,v—-s., 8] e formiamoci i due simboli [r-1,0,v—-8,S], [—-1,0,v—-s+1,st—- 1]. Si trova subito d P) x Lyla a ai E I 1,s--1]= ri) 1,v—- 8,8] 3; [r-1,0,1 s+ 3. ] = Ty 0 Li ita cioè il simbolo principale [v — 1,1,v—s+1,s —1] d'ordine v è uguale È al simbolo fondamentale corrispondente, più un'espressione, per ipotesi, inva- riante. Su questo nuovo simbolo operiamo allo stesso modo che sul prece- dente formando gli altri due n | [2 Lavate Dogo 2, law 2872) e poi d D me Sal 7. 2iLins Els IU =2,1,0 eta È [edo —9ad-ls—1i=y 22,0 — 34258245 e con ciò otteniamo il nuovo simbolo [r—-2,2,v—-s+2,s— 2], che pure entra nel coefficiente di u'*‘- v'", espresso per il precedente o per sim- boli dedotti d’ordine v; quindi anche uguale al simbolo fondamentale di | ‘partenza, più un'espressione invariante. E applicando questo procedimento ri- corrente, si trova che ogni simbolo contenuto nel coefficiente di w'*-s3 p" dla — 633 — uguale al simbolo fondamentale corrispondente, aumentato di un'espressione ‘invariante per le deformazioni di specie v. Lo stesso procedimento si ap- plica ai simboli che terminano con 0». Quindi, trascurando in ogni coeffi- ciente i termini già invarianti, si può sostituire alla forma considerata, in- variante nelle deformazioni di specie v. quella che si ottiene ponendo in ‘ogni coefficiente, in luogo di un simbolo principale, il simbolo fondamentale corrispondente: questa diremo /orma fondamentale di specie v. È facile -scriverla. La forma primitiva contenuta nel termine Xx; x; è n ASS 7 Dei Na \ N )an yy — ai i ) 1 \ \ i ] n DI v es Sa \vI ( ( ) IST 30 yf8rRA y'h+k — Ti TM k Poniamo h+%=s; il coefficiente di wp" è D v v — h,h,vr-s+h,s—h]; Palckabo) a r,h,r-s+h,s—h] per quanto s'è ottenuto or ora, possiamo sostituire ai diversi simboli —_h,v-s+h,s—- kh] lo stesso simbolo fondamentale corrispondente; quindi la forma fondamentale sì serive y_l SE \ ’ y 2 ve: [w,0,v— 8,5] a {, i p) e 0 + 100») DE (1) uv + ID 0 ui 0° > ded 0 > 1) L T3o r2y=s ri Q0 lr ,2 Dal, (i, UV : Le prime forme fondamentali sono [1010] #2 + 201001] + [0101] +? [2020] 44 + 42011] 8 + 6[2002] 20! + 4[1102] 0! + [0202] 0 [3030]. + 63021] 50 + 153012] 40? + | + 20[3008] 8 + 152103] 4244 61208] 0! + [0303] 0!8. x — 634 — La prima è la solita forma di Gauss; la seconda è quella trovata già al n. 4. Possiamo riassumere nel modo seguente i resultati ottenuti: Per riconoscere se due superficie ammettono una applicabilità di specie v, occorre e basta vedere se è possibile trasformare le v forme; differenziali binarie /ondamentali dell’ una pel G l He 2 Soto, 0,u ssa (1) (5) dute do + cuoowg (7) dute D 0 Siro 9 bl Ss Id U Lol, 0—s,0;4] (A ) e ate (1585), “ SN s_-h nelle corrispondenti dell'altra. Se ciò è possibile, punti corrispondenti delle due superficie devono essere quelli nei quali sono. uguali i valori della curvatuva guussiana e di un suo parametro differenziale. In conse- guenza di queste due equazioni, è necessario che siano identici in punti corrispondenti i valori dei simboli fondamentali fino a quelli d’ordine v (inclusi): l’ixvarianza di questi simboli caratterizza le deformazioni di - specie v. In una deformazione di specie v [che conserva cioè la (v —1)-esima curvatura di ogni curva e le precedenti] esistono co curve che conser- vano anche la v-esima curvatura, e per un punto della superficie ne pas- sano 2v +- 2 (contate con le dovute molteplicità); se ve ne passa un’altra, l'applicabilità è di specie v +1. 6. Si sa che la trasformazione di una superficie per applicabilità è con- forme; la proprietà analoga per le deformazioni di specie v è la seguente: nella deformazione rimane inalterato l'angolo degli Sx osculatori a due. curve aventi in comune un elemento d'ordine k —1, con k=v. La dimostrazione, essendo due tali Sy in un Sx+;, si fa subito. Del resto ce ne possiamo convincere anche intuitivamente. Sia, per brevità di di- scorso, v = 2; AB l'elemento comune alle due curve, C e C' gli estremi del secondo elemento su ciascuna. Per l'applicabilità sono invarianti AB, BC, BC", CC'; per esser la deformazione di seconda specie, rimangono inal- terati, oltre ai precedenti, anche i segmenti AC, AC; quindi il tetraedro ABCC' rimane rigido nella deformazione, e perciò non cambia l'angolo dei. due piani osculatori ABC, ABC”. ; 7. Nè meno facile è trovar la partico'arità geometrica di quelle curve (se ne esistono) che annullano le prime v forme fondamentali. Si vede su- bito che glé Sy_, all'infinito degli Sy osculatori a una tal curva appar- tengono all’assoluto. astro Queste curve però non esistono generalmente sopra una superficie, e anche la dimensione dello spazio può portare una limitazione alla loro esi- — 635 — stenza. Per es., in S,4 una tal curva, per v= 2, deve essere piana; la più «generale superficie che ne contenga un sistema co! sì ottiene considerando un sistema co! di piani per le generatrici dell’assoluto e, su ciascuno di essi, una curva; non esistono superficie di S, che contengano un sistema doppio, plicemente infinito, di queste curve. Meccanica. — Sui moti rigidi di una massa fluida limitata. _ Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio P. PIZZETTI. Nel bel trattato Principio della teoria meccanica della figura dei pia- neti, il Pizzetti studia (S$ 54 e 55) (!) i possibili moti rigidi di una massa fluida, che occupa uno spazio limitato, soggetta alle sole forze di mutua gra- vitazione e a una pressione uniforme in superficie. Com'è noto, questo genere di studî si collega alle ricerche fisico mate- matiche sulla figura dei pianeti, nella ipotesi della fluidità primitiva. Chiedo il permesso di riprendere tale soggetto, per apportare alcuni complementi ai risultati noti e fare nel tempo stesso un rapido ed esauriente esame dell'importante argomento. 1. Si consideri una massa di fluido qualsiasi, che occupa uno spazio limitato. Sieno: p la intensità della pressione in un punto generico P; p la densità; X e wu le costanti elastiche di Lamé. Posto dove P designa la derivata di P rispetto al tempo (cioè P altro non è che il vettore velocità della particella fluida P), e detta U la funzione poten- ziale delle forze di mutua gravitazione, le equazioni indefinite del fluido si possono scrivere nel modo seguente (°): (2) P= grad(U—8)— vrotrotP, (3) oo di Nella prima di queste v = A cioè è il rapporto tra il coefficiente di viscosità e la densità; la seconda altro non è che la equazione di continuità. (*) Pisa, Spoerri, 1918, pp. 125-131. (*) Cfr. ad es. Burali-Forti e Marcolongo, Analyse vectorielle générale. IL. Applica- tions è la mécanique et à la physique. Pavie, Mattei, 1913, pp. 62-63. x — 636 — 2. Sia O un punto, comunque prefissato, della massa fluida. Il più ge- nerale movimento rigido è notoriamente caratterizzato dalla seguente rela- lazione vettoriale: (4) P=rt@(P_0), se con 7 @ ©, vettori funzioni di #, si designano le caratteristiche del moto. (traslazione e rotazione) relative al tempo #. Facendo, nella precedente, P=0, si ha oa; per cui essa può ancor scriversi (4) POLO Ao) 3. Ci sarà utile di ricavare dalla (4) l’espressione della accelerazione. A tal uopo dalla (4), derivando rispetto a #, si ha P=tto(P_0)+onP—0), ovvero, notando che, per la (4), è o/(P—0)=0/[0\(P—_0)]=—@°(P—0) (1) A —=— > grad(P—Q). avendo chiamato Q il piede della perpendicolare da P all'asse di rotazione, Ù si ottiene per l’accelerazione l’espressione seguente : p (5) P=i4+0(P—0)— “grad(P—Q). Ci saranno ancora utili le formole seguenti, di deduzione immediata: © (6) rt P=rot[wA\(P— 0)]=2, (7) rot [0 \(P— 0)]]=2@, i (8) divP = div[o\(P— 0)]}=0. (1) Cfr. ad es. Levi-Civita, Lezioni di meccanica razionale. Cinematica cap. Il... Ma ki — lar — 4. Ciò premesso, notiamo intanto che, per la (8), la (3) diviene (3') miti cioè 40 fluido dev'essere incompressibile o almeno deve comportarsi, du- rante il moto, come tale, qualora per sua natura esso nol fosse. Sempre per la (8), le (1) divengono (1) i, mentre per la (6), essendo rotrot P— 2rotw=0, la (2) si moditica nella seguente: (2') P = grad (U—). Essendo scomparsa, nel passaggio dalle (1) e (2) alle (1’) e (2'), ogni traccia della natura viscosa del fluido, vuol dire che /a natura viscosa del fluido non ha alcuna influenza nei moti in discorso: il fenomeno cioè si svolge come se la massa în movimento fosse flutda perfetta. Ciò era da attendersi, dato che nei movimenti che si studiano non vi è mutuo scorrimento delle particelle fluide le une sulle altre: non vi è quindi modo di manifestarsi della (eventuale) viscosità della massa fluida. , 5. La eliminazione di P tra la (2') e la (5) dà luogo alla seguente relazione: (9) t-+w(P—0)=grad[U—8++0°(P—Q)"]. Prendendo il rot di entrambi i membri, notando che quello del secondo membro è identicamente nullo, e quello del primo membro è, per la (7), 20 S sì ha (10) hrs; EST Questa mette in rilievo che la rotazione è è indipendente dal tempo #, cioè deve essere uniforme (?). 6. La (9) diviene, per la (10), grad[U—®+t0'(P—Q)]=%,. (1) Cfr. Pizzetti, loc. cit., $ 55. x — 638 — dalla quale integrando, e chiamando %(#) una funzione arbitraria del tempo, sì ottiene (11) SU —-@+10(P—0=TXP 0) Ego. Si noti che U, dipendendo dalla reciproca posizione delle masse (che non muta col tempo), non varia esplicitamente con # e che, quando si tenga conto della (3'), pure & non varia con £. Ne consegue che ìl primo membro della (11), e quindi anche il secondo, non debbono contenere esplicitamente £. Siccome questo deve aver luogo qualunque sia P — 0, è necessario e suffi- «ciente che si abbia t=0 , (0) = costante. La (11) allora diventa i (11’) U—-&£+1+%°(P— Q)°= costante, Scende, da questa, che /e superficie isohariche g = costante coincidono con le superficie di equilibrio (12) U++0°(P— Q)°= costante (’). 7. Concludendo: il più generale moto rigido della massa fluida, com- patibile con le condizioni richieste, è quello definito dalia (4) dove ® e 7 sono vettori costanti. Cioè gli unici moti rigidi possibili per un fluido sog- getto alle sole forze di mutua gravitazione, sono le rotazioni uniformi (*), le traslazioni uniformi e i moti composti di una rotazione e di una tras- 3 lazione, entrambe uniformi. E fino a questo punto non si è avuto bisogno di invocare la isobaricità 4 «della superticie contorno. Essa riguarda le configurazioni della massa fluida. 8. In quanto alle contigurazioni possibili per la massa fluida, dotata di tali movimenti, sono quelle per cui la superficie contorno appartiene alla famiglia delle superficie di equilibrio (12) (£). i La traslazione non reca alcun contributo alla configurazione, per cui log configurazioni già note (ellissoidi di Mac-Laurin ed ellissoidi di Jacobi) pos- sono essere assunte da masse fluide le quali, oltre che essere rotanti unifor- (*) Cfr. Pizzetti, loc. cit., $ 54, pag. 127. (*) Cfr. Pizzetti, ‘loc. cit., $ 55, pag. 131. (*) Cfr. Almansi, Un'osservazione sulle figure d'equilibrio dei Auidi rotanti. Questi ‘Rendiconti, vol. XXIII, 1914, pag. 651. — 639 — memente attorno ad assi convenienti, subiscono una traslazione uniforme di insieme secondo una qualsiasi direzione. Per le semplici traslazioni uniformi (@ = 0), le superficie (12) divengono U = costante: ‘cioè le superficie di equilibrio coincidono con le equipotenziali. Non tutte le configurazioni di una massa fluida sono dunque compati- bili con la traslazione uniforme (*). Un caso notevolmente semplice, in cui vi è compatibilità, è quello delle ‘configurazioni sferiche. È infatti noto che, per una sfera omogenea, le super- ficie equipotenziali sono sfere concentriche. Fisica applicata. — Ze proprietà magnetiche degli acciai e la loro utilizzazione nel collaudo dei protetti. Nota degli ingegneri Gustavo COLONNETTI ed ALBERTO Pozzo, presentata dal Socio Vito VOLTERRA. È noto che la determinazione diretta delle proprietà di resistenza che nell'acciaio si richiedono in relazione al genere di sollecitazione che, in opera, esso è destinato a sopportare, conduce, nella maggior parte dei casi, al deterioramento del pezzo su cui la prova viene eseguita: ne segue che, qua- lunque sia l’esito dell'esperienza, quel pezzo non può più venire utilizzato. Si può bensì adottare come provetta per l’esperienza un campione dello stesso materiale, prelevato dalla stessa colata a cui appartiene il pezzo che si vuol collaudare, lavorato nello stesso modo ed assoggettato, insieme con esso, agli stessi trattamenti sia termici che meccanici. Ma è assai facile che quel campione risenta l’effetto di questi trattamenti in grado diverso dal pezzo che accompagna, sopra tutto se ne differisce molto per forma e dimen- sioni. Quando si tratta pertanto di collaudare dei forti lotti di pezzi tutti del medesimo tipo, si preferisce sacrificarne un piccolo numero prelevando diret- tamente da essi la provette pel collaudo. Resta tuttavia indiscutibile che anche questo metodo non dice niente di assolutamente sicuro se non per quei pochi pezzi su cui si è effettivamente eseguita la prova: e sono proprio quelli ‘che dalla prova stessa vengono messi fuori servizio. Esso non dà che una garanzia molto dubbia sulle caratteristiche di tutti gli altri pezzi destinati ad essere effettivamente utilizzati. () Cfr. Poincaré, Nigures d’équilibre d'une masse fluide. Paris, Naud, 1902, cap. II. RenpIcONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 83 — 640 — Si spiega così la tendenza, prevalente nell'industria, di completare o addi- rittura sostituire nelle operazioni di collaudo le prove di resistenza con prove anche soltanto indirette, ma suscettibili di essere eseguite sui pezzi da collaudare senza che questi ne restino in modo alcuno danneggiati. © In realtà, se con apposite esperienze preliminari noi ci siamo assicurati che le proprietà resistenti che riteniamo di dover esigere in un dato mate- riale si presentano sempre associate a qualche altra proprietà secondaria la cui determinazione soddisti alle condizioni testè imposte, ci si potrà riferire ad essa per l'accettazione o meno dei pezzi finiti. È così che, essendosi consta- tato che la resistenza di certi tipi di acciai sta sempre in un dato rapporto con la durezza superficiale misurata col metodo del Brinell, la macchina da questi proposta per le prove di durezza ha potuto venir utilizzata per la misura indiretta delle resistenze. Ma l'enorme produzione giornaliera di proietti, a cui la nostra industria deve oggi far fronte, ci ha ormai condotti a considerare la stessa prova Brinell come troppo laboriosa per poter essere eseguita supra un sufficiente numero di bossoli. Si è pertanto sentito il bisogno di un metodo di prova semplice e rapido - sì da poter essere praticato, se non su tutti, almeno su di un'alta percen- tuale dei proietti che giornalmente escono dalle nostre officine. i Una prova secondaria suscettibile di rispondere a questi requisiti ci è sembrato di trovarla studiando le proprietà magnetiche degli acciai utiliz- zati in questa industria. Che tra le prove magnetiche e le prove di durezza esistesse una con- nessione assai stretta, era ben noto: la cosa aveva anzì fornito argomento ad una bella relazione letta da Charles W. Burrows al VI Congresso dell’Asso- ciazione internazionale per le prove sui materiali tenutosi in New York nel settembre del 1912 (*). In pochi casi però questa connessione ci sembra suscettibile di essere sfruttata così vantaggiosamente come nel collaudo dei proietti. Le operazioni di trattamento termico in cui il bossolo acquista la neces- saria durezza vengono infatti nelle nostre ofticine eseguite quando questo ha già subìta una prima lavorazione meccanica, detta sgrossatura, nella quale esso è stato portato a dimensioni assai prossime a quelle che dovrà avere a lavorazione ultimata. I limiti di tolleranza imposti nelle operazioni di sgros- satura sono tali che si può praticamente ritenere costante la massa del bos- solo. Soltanto la sua superficie può ancora, dipendentemente dal grado non molto avanzato della lavorazione, presentare irregolarità diverse da bossolo a bossolo. (1) Cfr. Communications de l' Association internationale pour l'essai des matériaur. vol. II, IX 1. — 641 — Ora, se questo venisse posto a contatto o in immediata vicinanza con altri nuclei di materiale magnetico, tali piccole irregolarità superficiali potreb- ‘bero, modificando sensibilmente i traferri. avere influenza non trascurabile sui risultati di una misura magnetica. Ma se si ha l’avvertenza di isolare il bossolo fra materiali diamagnetici, lo stato della sua superficie perde ogni importanza: esso può allora essere considerato come avente forma e dimen- sioni fisse, e si presta direttamente all'esperienza senza bisogno di prepara- zione di sorta. Partendo da questo concetto, noi abbiamo cercato di adattare al caso nostro ì varii procedimenti a cui più comunemente si ricorre nella misura delle grandezze magnetiche ('). Fra tutti, quello che meglio di ogni altro è risultato adatto allo scopo è 1l metodo balistico. Nell’apparecchio da noi costruito il bossolo da sperimentare trova posto in una sede di forma e dimensioni adatte. Un doppio avvolgimento ne viene allora ad abbracciare la parte mediana, cilindrica; la spirale primaria di questo avvolgimento vien percorsa da una corrente continua, regolata ad inten- sità costante, il cui senso può però essere mutato a volontà mediante adatto invertitore. Ogni inversione della corrente determina una inversione del flusso magne- tico nel bossolo, dando così origine ad una forza elettromotrice nella spirale secondaria direttamente collegata ad un galvanometro balistico. L'impulsione che in esso si produce, a parità di numero di spire e di resistenza del circùito indotto, è notoriamente proporzionale alla variazione del flusso. È noto come dalla misura di questa variazione si potrebbe risalire alla misura dell’induzione magnetica (e, quindi, della permeabilità) se le cose fos- sero disposte in modo da rendere il campo. praticamente uniforme almeno nella regione occupata dal materiale magnetico. Ma ciò non occorre al ‘nostro scopo. Le dimensioni degli avvolgimenti sono state perciò da noi scelte piut- tosto eol criterio di ridurre il più possibile lo spazio occupato dall’apparecchio e di rendere comoda, sotto tutti i punti di vista. così l'introduzione come l'estrazione del bossolo. (I primi tentativi in questo senso datano dallo scorso gennaio, e vennero eseguiti, per gentile concessione del prof. G. Grassi, e con la collaborazione dei proff. L. Ferraris e A. Rossi, nel laboratorio di elettrotecnica del R. Politecnico di Torino. Costantemente incoraggiati dal Presidente della locale Commissione di collaudo colonnello R. Ragazzoni, i nostri studii si sono poi svolti sistematicamente nei labora- torii della Società An. Ital, per la Fabbricazione dei Proiettili, il cui Presidente comm. ing. D. Ferraris, ed il cui Direttore ing. G. Cecchi, hanno messo a nostra disposizione tutti i materiali ed i mezzi occorrenti. A tutti ci è grato rivolgere qui pubblicamente i nostri più sentiti ringraziamenti. x — 642 — Le letture al galvanometro balistico non potrebbero, in queste condi- zioni, condurre a misure assolute, ma si prestano egregiamente a qualsiasi ricerca di carattere relativo, cioè intesa a confrontare fra loro bossoli diversi. In questo senso non è difficile ottenere un'altissima sensibilità, special- mente se si ricorre ad artifici analoghi a quelli che si usano nei noti metodi di riduzione allo zero. Si riesce così a mettere in evidenza con tutta sicurezza ogni variazione delle proprietà magnetiche dell'acciaio. In generale si può affermare che, quanto maggiore è la durezza di un dato tipo di acciaio, tanto minore ne è la permeabilità, e quindi, a parità di altre condizioni, l’ induzione. Le operazioni di tempra, di rinvenimento, di ricottura, ed in genere tutti i trattamenti che modificano la durezza dell'acciaio, ne alterano insieme le proprietà magnetiche. E sembra possibile stabilire una correlazione tra le caratteristiche magnetiche e quelle meccaniche di un dato materiale: sembra cioè possibile precisare quale lettura al galvanometro balistico corrisponda ad un grado dato di durezza, e quale variazione di quella lettura si possa ammettere quando si siano fissati i limiti in cui si vuol che la durezza resti - compresa. L'identificazione sperimentale dei termini di questa corrispondenza pre- senta non poche difficoltà; esse derivano principalmente da una differenza fondamentale esistente tra i due tipi di prove: tutti i metodi per la misura delle durezze rivelano infatti delle caratteristiche essenzialmente superficiali, mentre i metodi magnetici misurano un valor medio di una proprietà di tutta la massa. O A questa considerazione d'ordine generale si aggiunga che nella maggior parte dei casi, specialmente se si tratta di acciai temprati, la durezza è sen- sibilmente variabile da punto a punto: è quindi assai dubbio se, anche facendo la media dei risultati rilevati operando in un conveniente numero di punti della superficie del bossolo, si ottenga realmente una misura della durezza media. Si capisce dunque la necessità di raccogliere una grande quantità di dati sperimentali riferendosi, più che alla durezza, alla resistenza a trazione. Tale lavoro, non breve nè scevro di difficoltà, si sta attualmente facendo nei labo- ratorî della Società Anonima Italiana per la Fabbricazione dei Proisettili. Soltanto quando l'esperienza quotidiana avrà messo in luce tutti gli aspetti del problema, si potrà dire con esattezza entro quali limiti si possa contare sull’ accennata correlazione indubbiamente esistente tra proprietà magnetiche e caratteristiche meccaniche. Con tutto ciò ci è sembrato opportuno di rendere noti senza indugio i primi frutti delle nostre ricerche: ci ha mossi la speranza che, una volta impostata la questione, altri ne restasse invogliato a lavorare in questo stesso _ ordine di idee, cooperando alla soluzione di un problema, a cui le eccezio- nali esigenze della tragica ora che volge conferiscono un altissimo interesse. — 643 — Zoologia. — Di una nuova specie di cefalopodo Galitenthis Santit. Nota di Silvia MORTARA, presentata dal Socio BAT- TISTA GRASSI. Mineralogia. — Zu ciclopite di Santa Maria la Scala (presso Acireale). Nota di S. Di FRANCO, pres. dal Corrisp. G. Di STEFANO. Le due Note precedenti saranno pubblicate in un prossimo fascicolo. Chimica. — Azione delle ureidi sull’etere diazoacetico (!). Nota III di G. CaLcaGNI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Le ureidi, amidi degli acidi organici e dell'urea, si comportano come acidi, pur non avendo il gruppo caratteristico degli acidi; anzi alcune di esse sono acidi forti (per es. l'acido dialurico, l’allossana, l'acido parabanico, ecc.). Questo comportamento si è spiegato ammettendo che possano reagire sotto la forma tautomera enolica; in questo caso sarebbero presenti nella mole- cola ossidrili con funzione acida. È inoltre noto che queste ureidi sono ca- paci di formare sali. Naturalmente si deve ammettere che in soluzione acquosa formino ioni H°. Per constatare la presenza di questi ioni in dette soluzioni e per avere un'idea approssimativa della loro concentrazione, si è creduto opportuno di mi- surare la velocità di decomposizione dell'etere diazoacetico adoperando come catalizzatori soluzioni titolate di queste sostanze; di cui sono state anche misurate le conducibilità elettriche per avere una prova della loro purezza. La difficoltà più grave è stata quella di avere queste sostanze, e di averle pure; perciò ho potuto sottoporre all'esame soltanto l'acido parabanico, l’allossana, l'allossantina, l'acido urico, la teobromina e la caffeina. Ho voluto poi esaminare in modo speciale il comportamento dell’acido urico della teobromina e della caffeina per vedere se la loro azione andasse diminuendo col diminuire del numero degli atomi d’idrogeno ionizzabili. Ma, per la molto limitata e diversa solubilità delle tre sostanze suddette, ho potuto trarre dalle esperienze solo un risultato qualitativo. La velocità di decomposizione dell'etere diazo sotto l’azione dell'acido urico era estremamente piccola; ma questa azione così poco intensa era do- vuta alla diluizione troppo spinta della sostanza, di cui una molecola era (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico del R. Istituto tecnico di Asti. x — 644 — disciolta in 500 litri. Ancora più lenta era l'azione della teobromina, della quale si potette preparare una soluzione di una molecola in 200 litri; nes- suna azione aveva la caffeina, di cui si adoperò una soluzione di una mole- cola in 20 litri. Aumentando la concentrazione delle sostanze, sarebbe dovuta aumentare l'azione catalizzatrice; invece questa è andata diminuendo. Le esperienze con queste sostanze, non solo furono fatte aggiungendo, come al solito, a 8 cm? di soluzione acquosa di etere diazoacetico 2 cm? della soluzione del catalizzatore, ma anche aggiungendo, all'opposto, a pa- recchi cm* di questa 2 0 3 em? di una soluzione concentrata di etere diazo; ciò fu fatto per evitare ulteriore diluizione del catalizzatore. Il risultato fu sempre identico: esso venne anche confermato dalle conducibilità elettriche delle stesse soluzioni. Le sostanze poco solubili furono puriticate con ripetuto lavaggio con acqua per conducibilità; quelle solubili, invece, furono ricristallizzate. L'acqua adoperata aveva la conducibilità 1,1 X 1079. La preparazione della soluzione dell’etere diazo e tutte le altre norme sperimentali erano identiche a quelle esposte nei precedenti lavori. 1 volumi di azoto furono ridotti alla temperatura di 25° e alla pressione di 760 mm.; - le costanti furono calcolate nel modo solito; i valori di queste per ciascuna sostanza sono stati trovati coincidenti in più esperienze. In essi non sono state introdotte correzioni, non essendovene alcun bisogno; si è però fatta sempre la prova in bianco. I risultati sono esposti nelle seguenti tabelle: TABELLA I. TABELLA II. ] l i mol di allossana;||Catalizzatore soluz. ——- 1000 di allossan- em? di miscela = 10; a== 20,86 |tina; em? di miscela=10; a = 16,96 mol atalizzatore solus. C ato 30 Tempo a pre 1 lg « Tempo (Rat RE gt l rea in minuti|cm3 di N 0,4343: ?a— x |lin minuti|em3 di N 0.4343t Da 2 {] | a LA 0” 20,86 — 0” 16,96 = 3 19.32 0,02556 F É 5 17.79 003184 35 16,39 0,0009770 T 16,51 0.03344 290 14,63 0,0007038 8 15.90 0.03393 9 15.24 0 03488 580 12 20 0,0006216 11 14,21 0,03490 660 11,34 0,0006099 12 13.65 0,035 4 23 DONE: 13 15,19 03526 1390 al, 0,0006234 14 12 68 0,0.3556 “2090 4.26 0,0006610 19 10,64 0,03543 rato : 2] 9/87 0.03563 2755 2,83 0,0006499 24 890 0.03549 3085 2,03 0,0006881 27 7,98 0,03559 È si A 7 29 TAI 003569 3345 1,70 0,0006877 35 5,93 0,03594 Mepra 0,0006331 Mepra 0,03542 — 645 — TaBELLA III. Catalizzatore io pe di acido parabanico ; cm di miscela=10;a= 41,16. 20 Tempo | a—-< |K_- 1 lg a | Tempo | a TORA AE Sa in minuti |cm? di N 0,4343t ®? a — x || in minuti | em} di N 0,4343t ?at—a 0 41.16 _ | 19” 19,11 0,04038 14 40,13 :0,02535 20 18,35 0,04039 2 38,50 0,0838341 22 16,97 0,04028 3 36,76 0,03768 24 15,64 0,04032 4 35,33 0,03819 26 14,46 0,04028 5) 33,74 0,03976 28 13,39 0.04011 6 32,46 9,03958 30 12,36 0,04010 7 31,18 0,03990 33 10,98 0,04004 8 29,80 0,04037 36 9,75 0,04001 9 28,57 0,04057 | 39 8,63 0,04006 10 27,45 :0,04051 : 43 7,40 0,03990 11 26,38 10,04044 47 6,28 0,04000 12 25,30 0,04065 50 5,51 0,04022 13 24,33 0,04044 55 4,49 0,04028 14 23,36 0,04046 60 3,62 0,04052 15 22,44 | 0,04044 65 2,91 0,04076 17 20,70: |, 0,04043 Mepia 0,04025 Le concentrazioni degli H'—ioni dedotte dalle costanti sono: allossana K=0,03542 Ca.= 0,000920 allossantina K=0,0006331 Ca.=0,00001644 ac. parabanico K=0,04025 Ca.=0,001045 Pur ammettendo che non vi sia proporzionalità tra K e Ca., questi numeri ci danno unidea approssimativa del valore di Cx.. Come è evidente. dalla seguente tabella delle conducibilità specifiche, in cui v è uguale alla diluizione di partenza, la conducibilità della caffeina è molto bassa: essa coincide quasi con quella dell'acqua pura, non ostante che la sua soluzione contenga una grammo-molecola in 20 litri. La condu- cibilità della teobromina, la cui soluzione è dieci volte più diluita, è molto più forte; e quella dell'acido urico è ancora più forte pur avendo la con- ‘centrazione di 1 molecola in 500 litri. Questo comportamento della condu- cibilità è perfettamente corrispondente a ciò che si può prevedere dalle loro x — 646 — Conducibilità elettriche specifiche a 25°. v=i | 2 4 8 16 lix Kepe dr ii SCALE | | ! so po (uo — uy) V | | 1 | di Allossana DI (0,0007763. |0,0004160 [0,0002119|0,0001060| — —- |376|1,27 x 10=5(v=160) Allossantina cena 0,00005328 |0,00002766| — — + — |868|1,13x10-s(v=2000). Ac. parabanico do 0,002067 |0,001120 |0,0005983|0,0003213/0,0001722 Ae. urico pi ‘0,00002325 0,00001223] | — DI -— © [875|1.13x 10=5 w=1000) Toobromiia Re ; (0,000005397| — I Vi -— [Beglao7rx10-s (#=200) n mol Caffeina -—77 0,000002821] — A Tata — |868|17,90x 10-10 (v=20) formole di costituzione: la caffeina non ha nella molecola, tra i carbonili, alcun atomo d'idrogeno libero, il quale possa passare sotto forma di ione; la teobromina invece ha un atomo d'idrogeno ionizzabile tra due CO; e l'acido urico ha nella molecola 3 carbonili e 4 atomi d’idrogeno non sosti- tuito. L'acido urico viene indicato come un acido bibasico debole. Dai valori delle conducibilità non è stato sottratto quello dell’acqua. Le conducibilità molecolari calcolate da quelle specifiche sono quasi coincidenti con quelle ottenute per le stesse sostanze da Tuesbach (!). Anche le costanti di dissociazione dimostrano una sufficiente coincidenza: Wood (°) trovò (per l’allossana) K = 2,3 X 1077; per l'acido parabanico, K= 7,5 X 1077; per la teobromina, K=1,1 X 10-10; e per la caffeina, K<1X107!' a 25° e K=4,0X10-?' a 40°. His e Paul (*), per l'acido urico, trovarono 1,5 X 1075; Paul (‘), per la teobromina, 1,3 x 1078. La velocità della reazione che si svolge tra l'etere diazo e l'allossana è notevole; a 8 cm* di soluzione di etere si aggiunsero 2 cm? di soluzione. del catalizzatore, la cui concentrazione era di 1 molecola in 20 Litri, e perciò mol. venne diluita cinque volte 100: La reazione si compiva in circa 100 minuti, (') Z. f. phys. Ch., £6, 709. (*) Journ. chem. Soc., 83, 568; 89, 1831, 1839. (*) Zi f. phys. Ch., 35,1 (‘) Arch. Pharm., 239, 48. — 647 — perchè la quantità di azoto ottenuta dopo questo tempo non variava fino al giorno successivo. La costante cresce in principio e. dopo 8 minuti circa, assume un valore che conserva quasi fino alla fine: il suo valore è piuttosto alto e corrisponde al comportamento della sostanza. L’allossana nei comuni trattati di chimica, si indica come un acido forte; essa forma sali con gli alcali e le terre alca-. line, che prendono il nome di allossanati; questi allossanati però sono sali. dell'acido mesossalurico allossanico : COC COCCO, Di La reazione tra l’allossantina e l'etere dies sì è svolta in un tempo. notevolmente lungo, in circa quattro giorni. Questa lentezza credo sia dovuta alla forte diluizione della soluzione; infatti si sono adoperati 2 cm? di questa e 8 di etere. La soluzione, che conteneva soltanto 1 mol. di sostanza in 1000 litri di acqua, per la sua limitata solubilità, è così divenuta cinque volte meno concentrata (1 mol. in 5000 litri). Tuttavia la reazione si è svolta. fino in fondo; e la costante di velocità, dopo un certo tempo, ha raggiunto un valore che ha approssimativamente conservato fino alla fine; esso è natural- mente molto basso per la piccolissima concentrazione degli ioni H*. L’allos- santina possiede nella molecola un ossidrile: VAS AN OC (DO) OC (DIO) lai lia HN NH HN NH SL A CO CO e atomi d’idrogeno tra carbonili, perciò deve avere una funzione acida e la. capacità, inerente a questa funzione, di dare H*. Le sue soluzioni infatti arros-- sano la tintura di tornasole. Nella costante, come già si è detto, non sono state introdotte correzioni, pur avendo fatta la prova in bianco; essa parte da un valore più alto, e in. sul principio -va abbassandosi, verso la fine cresce di nuovo. L'acido parabanico decompone l'etere con una velocità maggiore che non la allossana ; in.90 minuti circa decompone una quantità di etere che dà cm* 41,16. di azoto. La costante di velocità cresce in principio e, dopo 4 o 5 minuti, assume il suo valore che conserva quasi fino alla fine. La reazione si svolge. con tale regolarità che, nell'esperienza riportata nella tabella, si sono potute fare ventotto determinazioni con risultati abbastanza coincidenti. Il valore. medio è poco più alto di quello dell’allossana; infatti le due sostanze non. sono molto diverse, poichè l’una è un'’ossalilurea e l’altra una mesossalilurea. Inoltre le concentrazioni delle loro soluzioni sono identiche: 1 molecola. RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. \ 84 — 648 — in 20 litri. Anche per l'acido parabanico si sono presi 2 cm* di catalizzatore e 8 di etere. L'acido parabanico è descritto come un acido che in soluzione acquosa arrossa la carta di tornasole e dà sali con i metalli sostituendo uno o tutti e due gli atomi d'idrogeno; all’ebollizione decompone i carbonati trasfor- mandoli però in ossalurati; col nitrato d'arcento dà il sale C3 Ag. N:0;. Il prodotto adoperato è stato preparato in laboratorio per azione a caldo dell'acido nitrico sull’acido urico. Si svolgevano abbondanti vapori rossi con grande effervescenza: compiutasi questa reazione, si è svaporata la soluzione, che per raffreddamento si è rappresa in una massa cristallina. Questa è stata ‘cristallizzata più volte e frazionatamente dall'acqua per purificarla; la cri- stallizzazione frazionata credo sia necessaria per allontanare l'acido ossalico ‘che contemporaneamente si forma. I risultati ottenuti con l'acido urico, la teobromina e la caffeina sono già stati esposti; non ostante che sia stato impossibile di misurare la velocità della loro azione sull’etere diazoacetico, tuttavia si è potuto concludere che, se le concentrazioni delle due prime sostanze fossero state un poco più note- voli. si sarebbe potuta determinare anche per esse una costante, il valore della - quale sarebbe stato senza dubbio più alto per l'acido urico e più basso per la teobromina. Concludendo, queste ureidi, tranne la caffeina, sono pseudo-acidi che dànno ioni-idrogeno, poichè sono capaci di decomporre l'etere diazoacetico. La loro forza naturalmente dipende dal numero e dalla posizione dei carbonili e «degli atomi d'idrogeno liberi. Non ostante infatti la molto limitata solubi- lità dell'allossantina, questa ha esercitato una azione misurabile catalizzatrice sull'etere, mentre l'acido urico non è stato capace di farlo; le conducibilità ‘elettriche molecolari sono maggiori quelle dell'allossantina che non quelle dell’acido urico per la stessa concentrazione, come si può dedurre dalla tabella delle conducibilità specifiche; questa diversità di comportamento dimostra che l'allossautina è capace di fornire maggior quantità di ioni idrogeno che non l'acido urico. Questo ha soltanto tre carbonili nella molecola; quella invece ne ha sei e un ossidrile: quindi deve avere un maggior grado di dissocia- bilità. L'acido parabanico e l'allossana hanno quasi la stessa forza: il primo, in realtà, decompone l'etere diazo più rapidamente e ha una conducibilità un po’ più alta che non l’allossana, non ostante che questa contenga un carbonile «di più. Ma credo che questa circostanza debba. influire poco, poichè la costi- tuzione e il numero di atomi di idrogeno sono identici in entrambe. Avrei sottoposto all’esame altre sostanze di questo stesso gruppo; ma non ho potuto farlo per i limitati mezzi del laboratorio; in ogni modo il com- portamento di esse deve essere analogo a quello delle qui esaminate. I) — 649 — Chimica vegetale. — Sulla nutrizione delle piante verdi per mezzo di sostanze organiche ('). Nota I di Ciro RavENNA, pre- sentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le piante verdi possono nutrirsi a spese di sostanze organiche già for- ‘mate, anche qualora si sottragga ad esse l'anidride carbonica atmosferica. Ciò risulta da numerose esperienze, dagli autori eseguite colle più svariate sostanze, quali zuccheri, alcooli, aldeidi, acidi, corpi amidati ecc. Rispetto a questo modo di nutrizione, che è quello proprio dei funghi, mi è sembrato che meritassero di essere prese in considerazione due questioni: la prima, che, secondo la maggior parte degli sperimentatori, a differenza dei funghi, ‘è necessario l'intervento della luce; la seconda che, qualunque sia la so- stanza organica somministrata, pare che nella cellula clorofillica si formi sempre l’amido. E poichè non si comprende il motivo per il quale sia indi- spensabile la luce nella nutrizione saprofitica, nè perchè si formi l’amido mella cellula clorofillica, il quale, in via normale, è prodotto transitorio della riduzione dell'anidride carbonica, io, due anni or sono, in una Nota preven- tiva (2) enunciavo l'ipotesi che l'attitudine delle piante superiori a nutrirsi in modo analogo ai funghi fosse soltanto apparente; cioè che le sostanze organiche fatte assorbire dai vegetali verdi venissero, nel loro interno, com- pletamente ossidate e che l'anidride carbonica risultante da tale ossidazione, giunta nelle cellule clorofilliche, vi fosse fissata in virtù della funzione clo- rofilliana normale. In questa Nota descriverò alcune esperienze da me iniziate fino da allora, ‘allo scopo di portare qualche fatto in appoggio all'ipotesi menzionata. La pianta prescelta per questi studî fu il mais; la sostanza sperimentata il glu- ‘cosio. Le colture vennero fatte in soluzione acquosa e, per evitare i processi fermentativi dello zucchero, la soluzione nutritizia era mantenuta sterilizzata per tutto il corso della vegetazione, servendomi, allo scopo, di speciali pal- loni altrove deseritti (*). All’inizio delle prove mi è sembrato necessario di stabilire un punto ‘tuttora controverso e della massima importanza per la mia ipotesi: cioè, se, data la presenza della sostanza organica nel mezzo di coltura, le piante po- ‘tessero vivere al buio e se, in queste condizioni, formassero l’amido nelle (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica agraria della R. Università di Bo- Îlogna. (*) Bios, vol. I. fasc. 4° (dicembre 1913). (*) Questi Rendiconti, XVIII. 2, 284 (1909). x — 650 — foglie. Inoltre, a scopo di orientamento per le esperienze successive, ho col- tivato, tanto alla luce quanto al buio, diverse piante in soluzioni nutritizie a differenti concentrazioni di glucosio. La soluzione nutritizia tipo conteneva, per litro, Nitrato di calcio *. ©; irgeatigiQ i St. opig00 Fosfato monopotassico . . . no #00 Solfato ‘ammmonico=s4% 5 fetsbii NECES 12990125 Solfato dimaonesio 880 ba ER te, he, BRIGDO) Solfato: !fertoso10Ste 31982, 9859119029 Ie, A 200) Cloro: mantanonosS 9019 LIS0 RAR 0, TO) Carbonato:di0cale1o 934 9-05 Ria, A100 Cloruro di zinco) Silicato di potassio |’ a6 traccie + Alla soluzione veniva aggiunto il glucosio nella concentrazione rispet-- tivamente di 1, 2, 4.6 e 10 per cento. Come testimoni servivano piante col- tivate nella soluzione nmutritizia, ma senza glucosio. Queste prove furono ese: guite all'aria libera, quindi in presenza di anidride carbonica. Dalle esperienze alla luce è risultato (fig. 1) che le piante coltivate in soluzione a 1 e 2 per cento di zucchero erano lussureggianti e intensamente verdi; grosso il fusto; le foglie ben sviluppate, con spessa e forte costola mediana; il sistema radicale abbondantissimo. Il rigoglìo era minore nelle piante testimoni e progressivamente ancor minore in quelle con 4, 6 e 10: per cento di glucosio. Le piante coltivate al buio (fig. 2) mostrarono invece tutte un accrescimento stentato; foglie lunghe, sottili, pallide; sistema radi- cale ridottissimo, e finirono per seccarsi dopo aver esaurito le riserve del seme. Non si rivelò maj in esse la reazione dell’amido, nè macroscopicamente nè coll'osservazione microscopica. Che l’amido non potesse formarsi al buio- mi venne del resto confermato dal fatto che le piante in soluzione zucche- rina coltivate alla luce, che davano intensamente durante il giorno la rea- zione dell'amido, dimostravano di averne perduto ogni traccia nel corso di una notte. i Da queste esperienze è dunque risultato che, anche quando le piante. sono in condizioni di poter assorbire il glucosio per le radici, non si ha, al buio, formazione di amido; inoltre che la concentrazione più appropriata del glucosio è quella dell'1 al 2 per cento. Stabilito questo primo punto, era necessario di verificare se le piante trat- tate col glucosio avessero dato origine all'amido nelle foglie, anche in assenza. di anidride carbonica. Una pianta di mais, coltivata nel modo anzidetto in a «soluzione acquosa con 2 per cento di glucosio, veniva a tal fine ‘introdotta. in una cassa di vetro a forma di parallelepipedo a base quadrata, di m. 0,40. È Fia. 1. — Da sinistra a destra: glucosio 1 per cento; glucosio 2 per cento; testimonio; glucosio 4 per cento; glucosio 6 per cento; glucosio 10 per cento. C) Fre. 2. — Da sinistra a destra: glucosio 1 per cento; glucosio 2 per cento; testimonio; glucosio 4 per cento; glucosio 6 per cento. — 652 — di lato e dell'altezza di m. 0 90. Alcune foglie si ricoprivano parzialmente con piccole striscie di carta nera allo scopo di rendere meglio evidente la reazione dell'amido nelle parti scoperte. All'altezza delle foglie era posta una capsula piena di potassa caustica destinata ad assorbire l’anidride car- bonica dell’aria ambiente e ouella emessa per respirazione. Accanto alla pianta in esame ne ponevo un'altra coltivata nello stesso modo, ma senza glucosio: essa aveva l'ufficio di testimone. La cassa si chiudeva ermetica- mente nelle commessure con mastice da vetrai. Le piante venivano intro- dotte nella cassa alla sera; e nel pomeriggio del giorno successivo, dopo espo- sizione in luogo ben soleggiato, venivano prelevate le foglie per eseguirvi la reazione dell'amido. A tal fine esse si ponevano per qualche istante nel- l'acqua bollente e. dopo averle private della clorofilla coll’alcool a caldo, le immergevo in una soluzione di iodio iodurata (gr. 1 di iodio e gr. 4 di ioduro di potassio in 300 gr. di acqua). In tal modo ho potuto osservare che le foglie delle piante coltivate nella soluzione zuccherina manifestavano, soltanto nella parte non coperta dalla carta nera, nettamente la reazione del- l'amido (*), mentre in quelle di controllo la reazione fu negativa. L'esperienza venne ripetuta varie volte, sempre con lo stesso risultato. Queste prove indicano che l’amido aveva preso origine nelle foglie dal glucosio assorbito per le radici, e confermano la necessità dell'intervento della luce per la sua formazione. Per avere qualche indizio se l’amido si formava dal glucosio per sin- tesi diretta o indirettamente per il processo fotosintetico, dall'anidride car- bonica proveniente dalla sua completa ossidazione, ho voluto ricercare quale parte dello spettro solare avesse maggiore influenza nel fenomeno accennato. A questo scopo ho ripetuto l’esperienza precedente sostituendo nella cassa, ai vetri incolori, dei vetri azzurri al cobalto, nella presunzione che, se l'amido prendeva origine per sintesi clorofilliana, intercettando le radiazioni che vi presiedono principalmente, la reazione si sarebbe dovata notevolmente ridurre. L'esperienza mi ha dato dei buoni indizi, sebbene i vetri azzurri, che non potei trovare perfettamente omogenei, lasciassero passare, in qualche punto. anche la parte meno rifrangibile dello spettro. Nella cassa colorata ponevo alla sera, colle modalità precedentemente descritte, una pianta colti- vata nella soluzione zuccherina al 2 per cento; nel pomerigio del giorno. successivo eseguivo la reazione dell’amido. Essa in alcune foglie fu negativa, e in altre si ebbe un lievissimo accenno di colorazione. Ù Come controllo di questa esperienza ponevo in una cassa di vetro colo- rata, simile alla precedente, una pianta coltivata in soluzione priva di glu- cosio, e nell'atmosfera circostante facevo arrivare dell'anidride carbonica (eli- (*) La reazione che si manifesta in queste condizioni è però sempre meno intensa che non nelle piante in vita normale. J È — 653 — minando, ben inteso, la capsula con la potassa dall’interno del recipiente). Eseguendo la reazione dell’amido, ho ottenuto un risultato analogo ‘al pre- cedente; e, cioè, alcune foglie non ne rivelarono la presenza, ed altre mani- festarono una lievissima colorazione. È perciò da ritenersi che per la formazione dell’amido nelle piante vis- sute in soluzione zuccherina siano necessarie le stesse radiazioni che presie- dono alla funzione clorofilliana, poichè la reazione ottenuta nell'esperienza coì vetri azzurri era molto inferiore a quella con la luce bianca ed uguale a quella manifestata dalle piante testimoni tenute nella cassa colorata, in pre- senza di anidride carbonica. Incoraggiato da questo risultato che costituisce un indizio di notevole importanza in appoggio alla mia ipotesi, ho istituito un'altra esperienza che meglio valesse a dimostrarne il fondamento. Se nella pianta coltivata in so- luzione zuccherina ed in atmosfera priva di anidride carbonica la formazione dell’amido avviene in seguito all’ossidazione completa del glucosio, ho pen- sato che sottraendo, dall’atmosfera ambiente, oltre all’anidride carbonica, anche l'ossigeno, non potendosi così ossidare il glucosio, l'amido non si dovrebbe più formare. Per vedere se questa supposizione fosse giusta, ho disposto un'esperienza nel modo indicato dalla fig. 3. Nel vaso a, ripieno di soluzione di potassa caustica, immergevo il pallone è nel quale era coltivata la pianta in solu- zione nutritizia con 2 per cento di glucosio. La parte aerea della pianta ve- x — 654 — 7 niva introdotta nel pallone capovolto ec della capacità di circa 8 litri, il cui collo pescava per un paio di centimetri nel liquido delavaso 4, deter- minando con esso la chiusura idraulica. Nel pallone era posto inoltre un tubo ripieno di potassa in cannelli. Per mezzo del tubo 4, che arrivava al fondo del pallone capovolto, si riempiva questo di azoto previamente purificato dall'ossigeno col rame rovente e dall’anidride carbonica per mezzo di una Drechsel contenente soluzione di potassa caustica e di un tubo ad U ripieno, in una branca, di calce sodata e, nell'altra, di potassa caustica in cannelli. Per eliminare l'ossigeno nello spazio vuoto del pallone di coltura, veniva determinata per il tubo e una leggera aspirazione. La prova veniva iniziata la sera. Dopo aver riempito di azoto il pallone c ed aver aspirato l’aria del pallone 5, sì chiudeva la pinza del tubo e: quindi si continuava a far pas- sare, per tutta la durata dell'esperienza, una lenta corrente del gas allo scopo di impedire che, per variazioni di temperatura, il liquido alcalino del vaso fosse aspirato nel pallone capovolto. Nel pomeriggio del giorno successivo, dopo esposizione in luogo ben soleggiato, eseguivo su alcune foglie la rea- zione dell'amido. Questa fu negativa. L'esperienza venne ripetuta numerose volte con lo stesso risultato, sebbene le piante così trattate rimanessero vitali, poichè esponendole, dopo tolte dall'apparecchio, per breve tempo all’aria libera, oppure tenendole il giorno successivo in atmosfera priva di anidride carbonica ma contenente ossigeno, rivelavano nettamente la presenza del- l'amido. Come controllo di questa esperienza e per meglio assicurarmi che l'as- senza dell’amido non fosse dovuta ad uno stato di sofferenza delle piante per la mancanza di ossigeno, ponevo alla sera, contemporaneamente alla pianta in esame, in un apparecchio uguale (sensa potassa), un'altra pianta che tenevo, fino al pomeriggio del giorno susseguente, in atmosfera priva di ossigeno. ma formata, oltre che dall'azoto, da un poco di anidride carbonica. Nelle foglie delle piante così trattate ho ottenuto sempre, intensamente, la reazione dell'amido. Appare dunque da questa prova che, in assenza di anidride carbonica, sebbene si trovi il glucosio nel mezzo di coltura, l'amido non può formarsi nelle foglie se si sottrae anche l'ossigeno dall'atmosfera circostante. | I risultati delle esperienze descritte in questa Nota si possono così rias- sumere: 1) le piante coltivate in soluzione di glucosio manifestano nelle foglie la presenza dell'amido anche in assenza di anidride carbonica, ma soltanto alla luce; 2) la regione dello spettro solare che ha la massima influenza per la formazione dell’amido nelle anzidette condizioni è quella stessa che hala | maggior azione nella funzione clovofilliana; i pri E ci = Lancet Di L cate, I | — 659 — 3) le piante coltivate in soluzione zuccherina ed in atmosfera priva di anidride carbonica e di ossigeno, anche se alla luce, non formano, nelle foglie, l’amido. La conclusione più logica che da ciò si possa ricavare è, a mio avviso, la conferma della mia ipotesi, secondo la quale lo zucchero assorbito per le radici viene, dall’ossigeno atmosferico, nell'interno della pianta, ossidato fino ad anidride carbonica la quale, nelle foglie, dà origine all’amido in virtù della funzione clorofilliana. Che il glucosio assorbito venga nella pianta facil- mente ossidato, appare anche dalle esperienze del Molliard (*) che osservò, in piante trattate con glucosio, un maggior grado di acidità; indizio di ossida- zione incompleta dello zucchero. Mi riserbo di proseguire lo studio di questo argomento sperimentando sostanze di natura diversa dal glucosio e segnatamente corpi della serie aro- matica che presumo vengano anch'essi dalle piante energicamente ossidati. Patologia vegetale. — / male dello sclerozio della For- sythia viridissima. Nota del prof. Virrorio PEGLION, pre- sentata dal Socio G. CuBONI. Sino dalla primavera 1915 ho osservato, in alcuni esemplari di Yorsythia crescenti nel giardino della Scuola agraria di Bologna, un caratteristico avviz- zimento dei getti, susseguente alla fioritura. Lo studio anatomico delle le- sioni dimostrò la disorganizzazione circoscritta ma assai accentuata della corteccia e la presenza di minuti selerozii neri, isolati. situati per lo più in corrispondenza della inserzione del brevissimo peduncolo fiorale sullo stelo. Prelevando con le dovute cautele frammenti di tessuto corticale e seminan- doli in gelatina nutritiva, sì ottengono, in brevissimo tempo rigoglioso svi- luppo miceliale e differenziazione di numerosi e voluminosi selerozi. Lo stesso micelio e gli stessi selerozî si ottengono altrettanto abbon- dantemente e sollecitameate ponendo in camera umida i getti avvizziti. I caratteri del micelio, specialmente degli appressoriz, consentono di identi- ficare il parassita colla ben nota Selerotinia Libertiana di cui, come dirò in appresso, eseguii successive colture pure, per paragone, partendo da ascospore. L'origine di questa infezione è da ricercarsi durante la fioritura del- l'ospite: i fiori colpiti restano tenacemente aderenti allo stelo; sezionando longitudinalmente tali fiori, essi si rivelano sede di infezione miceliale dif- fusa. Il caratteristico micelio di Selerotinia dallo stigma seguendo lo stilo penetra nella cavità ovarica e da questa, attraverso al peduncolo, va ad irra- dliarsi nella zona corticale dello stelo. (*) Compt. rend. de l’Acad. des sciences, /4/, 389 (1905). Renpiconti. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 85 — 656 — È una mummificazione analoga perfettamente a quella che parecchie specie di Sclerotinia, del sottogenere Stromatinia, inducono negli organi femminili di diverse Rosacee e che consegue, com'è noto, alla germinazione di ascospore o di fruttificazioni conidiali (Morilia) sullo stimma e succes- siva penetrazione del micelio nell’ovario, e da questo, nei rami. L'infezione avviene quando la vitalità del fiore è già sul declinare, così che stigma, stilo ed ovario si trovano in condizioni da non opporre resistenza allo sviluppo del micelio, giacchè il tubo germinale delle asco- spore di Sc. Zibertiana non può svilupparsi nei tessuti vegetali integri ed in piena vitalità. Sopra i fiori pressochè avvizziti convengono invece le con- dizioni di substrato favorevoli al fungo che può progressivamente acqui- sire la virulenza necessaria per attaccare e disorganizzare i tessuti corticali dell'ospite determinando l’avvizzimento della parte del getto soprastante al tratto colpito. Probabilmente l'infezione stessa è dovuta ad ascospore disseminate dal vento: quest'anno le prime tracce del male — cioè l’avvizzimento apicale dei getti — sono state avvertite nella prima settimana di aprile. Proprio in quel periodo, e precisamente dal 30 marzo al 6 aprile, si svilupparono - innumerevoli apotecî di Scl/erotinia Libertiana, ormai endemicamente stabi- litasi in un piccolo appezzamento coltivato a topinambour, situato a breve distanza dai detti cespugli di /orsythia. La disseminazione delle spore di Sc/. Libertiana ha carattere nettamente anemofilo: basta ripetere la ben nota espe- rienza ricordata dal Prillieux, per convincersene. Disponendo un certo numero: di sclerozi forniti di apoteci, pressochè maturi, in un vaso sotto campana in: guisa da creare un ambiente saturo di umidità, quando sì sollevi la campana, dopo un giorno o due di permanenza in termostato le spore vengono proiet- tate sotto forma di nubecola che il minimo soffio d’aria dissemina all’ intorno. Ho ripetuto a due riprese — a 24 ore di distanza — questa dissemi- nazione artificiale di ascospore in vicinanza al cespuglio di Forsyzhia da cui erano stati soppressi tutti i getti avvizziti o sospetti: sebbene la fio- ritura fosse pressochè al termine, purtuttavia non pochi getti soggiacquero successivamenteTalla caratteristica infezione; ma non potrei asserire in modo assoluto se si tratti di infezione sperimentale o naturale, stante l’ impossi- 4 bilità di controllare l'origine. i Certo si è che”le ascospore di Sc/. pa come quelle di Scl. Trifoliorum, sono“ = suscettibili di germinare appena espulse -dall’asco. Le colture fatte partendo da frammenti di apotecio spappolati in acqua steri- lizzata, o da prese d'aria effettuate all'atto della proiezione delle ascopore nell'atmosfera, hanno fornito il materiale per il confronto, dianzi cennato, con il micelio ed altre 'produzioni vegetative ottenute dalle colture Prove 4 nienti da frammenti" di tessuto infetto di Forsythia. — 657 — Così la Selerotinia Libertiana, di cui era nota l’attitudine patogena nelle forme tipiche di infezione che procedono da ferite dell'ospite — come ritengo sia il caso normale del cosiddetto cancro o mal dello selerozio della Canepa che infierisce nei canepai grandinati o ventati — da lesioni conse- cutive al freddo — come accade nel mal dello selerozio delle fave — dimostra di possedere altre vie di penetrazione negli ospiti caratterizzate da un periodo di vita saprofitaria sempre più ridotto: tale è la forma spe- ciale di malattia degli sclerozi nel fagiuolo, descritta dal Petri (*), in cui la fase saprofitaria si svolge a spese dei frammenti di petalo aderenti ca- sualmente ai baccelli in via di sviluppo, ed infine questa manifestazione patologica che s'inizia sui fiori di orsythia e giunge sino a determinare lesioni notevoli nello stelo dell'ospite. Fisiologia. — / processi termici dei centri nervosi. III: Pro- duzione di calore del preparato centrale di Bufo în condizioni d’ipereccitabilità (*). Nota di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Nella precedente Nota {") ho esposto i dati di misure termoelettriche che dimostrano come il metabolismo di riposo e, in grado maggiore, quello di attività riflessa normale dei centri isolati di rospo sono causa di produ- zione termica. Una delle questioni successive, che mì parve opportuno di risol- vere, fu quella concernente la produzione di calore da parte di centri in istato di abnorme ipereccitabilità. Tale stato si ottiene facilmente mediante l’appli- cazione di un minuscolo batuffolino di cotone, o di un quadratino di carta bibula, imbevuti di una soluzione (1°/,) di un sale di stricnina, sulla faccia dorsale dell’intumescentia post. del midollo. Riferisco i dati così ottenuti di tre esperienze. Esperienza XI, 7 marzo 1916. — Preparato completo di È: batuffolino di cotone di 1 mm. di diametro, imbevuto di soluzione di solfato di stricnina, sulla faccia dorsale dell’int. post. O del galvanometro vuoto =670. Alle ore 9 e 40’ adagio il preparato colla faccia ventrale sulla batteria di otto coppie; il galvanometro scende immediatamente al di sotto dello 0. Temperatura esterna 129,5, Nella tab. I ho raccolto i successivi dati. (*) Petri L., Rend. Acc. Lincei, 20 nov. 1904. (?) Ricerche eseguite nell'Istituto di fisiologia della R. Università di Sassari. {*) Questi Rendiconti, pag. 592. — 658 — TA: BRILLA h. min’ min” Gata] Attività centrale 1870 (1140 (1310 1580 1350 | 1440 | | 1450 ‘1350 1345 1340 888 995 1155 1240 1270 1280 1330 1345 1350 1400 1430 1430 1440 1442 1485 1500 1510 1512 1505 1507 1470 1470 1468 1150 1210 1300 1510 1560 1565 1570 1588 | 1340 1400 1410 1435 1440 1470 1500 1500 1335 1350 1862 1440 1444 1400 1460 1360 1350 1290 1212 1142 — 982 Ripetuti tetani riflessi bilaterali, mentre il galvanom. sale a 882. Tetani violentissimi, spontanei e riflessi. Idem. Tetani violentiss. a lieve tocco. Tetani fortissimi riflessi. A lieve scossa del tavolo, tetani fortiss. Tetani riflessi, meno duraturi. Tetani riflessi fortiss. e durevoli. Tetani fortissimi riflessi. Tetani riflessi più deboli. Tetani riflessi energici, ma poco durevoli. Idem. Tetani riflessi a forti stimoli. Forti stimoli inefficaci. FTetani energici a forti stimoli. Ineccitabile. Ineccitabile. | Temp. est. Osservazioni 180.8 13°.5: 130.9 149.5 14°.8 149.4 150.3 150.3 150.4 150.4 | 149.9 | Aperto il circuito, 790. [+] Aperto il circuito, 855. Scopro il preparato per 1’, per È rinnovare l'aria della sua ca- mera umida. x Idem: per 20”, agitando l'aria. sovrastante: È a Ss — 659 — Esperienza XII, 8 marzo 1916. — Preparato di rospo $. Batuffolino di cotone, di 1 mm. di diametro, imbevuto di soluzione 1°/, di solfato di stricnina sulla faccia dorsale ‘dell’int. post. O del galvanometro vuoto, 970. Alle ore 8 e 50” adagio il preparato con la. faccia ventrale sulla batteria di otto coppie; il galvanometro scende immediatamente. sotto 0 della scala; va poi lentamente risalendo. Temp. est. 13°.3. La tabella II contiene i dati successivi. TABELLA II. _h, min’ min'’ |Galvan. Attività centrale Temp: Osservazioni 9. 3 645 | » 37 | 790 ; » 39 i 800] 10.18 | 1020| Zampe in disordine per tetani |13°9 | pregressi: tetani riflessi del solo | arto destro, non molto forti. n» 20 992 | » 28 1000 | Idem. » 51 980 Idem. Scopro l'apparecchio per mettere- cannula di vetro con cui insufflare aria umida. Galvan. sceso a 800, » 58 870 Insufflo aria umida: sceso lenta-- mente a 840. 11.2 910 Aperto il circuito, 790. » 9 1010 140] » 19 1140| Tetani riflessi fortiss. unilaterali. n 19.20 | 1145 » 25 1110 | Insufflo aria umida, 1060 » 35 1075 » 40 1070 | Idem. | : » 40.20 | 1080 | Insufflo aria in maggior quantità. | 960. ”» 44 1000 » 58 1070 » 57 1090 122 1115 n» 9 1192 » 10 1205 | Idem. » 10.20.| 1215 146,8 » 12 1220 » 22 1310 » 26 ‘1320 | Tetani unilater. fortiss., 1325. Insufflo aria, 1250. » 36 1310 | »n_ 57 1275 13.14 1258 | Tetani riflessi ripetuti, forti, ma |. non durevoli: il galvanometro oscilla tra 1260 e 1250. Insufflo aria a lungo, 1048. » 20 1150 159.2 » 42 1060 : min 43; 1050 | Tetani riflessi forti, ma breviss.; il galvanometro sale da 1045 a 1050, poi subito scende a 1040. » 46 1030 n 50 970| Tetani riflessi deboli e brevi. — 660 Esperienza XXIX, 25 marzo 1916. — Preparato di $ . Listerella di carta bibula imbevuta di soluzione di stricnina (1°/,) sulla faccia dorsale di tutto il midollo, dal bulbo all’ int. post. O del galvanometro, 400. Alle ore 8 e 50’ adagio il preparato con la faccia ventrale sulla serie superiore della batteria di cinque coppie. Teinper. est 16°.3. Il galva- nometro scende fortemente sotto 0 della scala; poi lentamente risale. La tab. III reca i dati successivi. TABELLA III. Temp. h. min’ min”| Galvan. Attività centrale oct Osservazioni 8.94 360 | 9.25 412 16°.1| Aperta per breve tempo la fine- » 26.30) 416 | Moti riflessi tetanoidi violenti. stra della camera. » 27 418 » 28.30) 415 | Moti spontanei. » 29 418 » 30 420 | Ripetuti riflessi tetanoidi. > » 32 420 » 33 4922 » 84 428 | Tetani riflessi forti. »35 |; 480 » 35.30| 428 | Moti spontanei. » 36 430 » 37 485 | 4 accessi di tetani riflessi forti. » 37.30| 438 » 88.30| 435 »9 432 | Moto spontaneo, 435. ”» 40 434 | Due forti tetani riflessi, 440. La deviazione positiva segue ad ogni riflesso con evidenza e ra- pidità. » 41 441 | 16°.2) Aperto il circuito, 400. » 48 438 i » 43.80) 441 | Due tetani riflessi violenti. È » 44 445 : » 44.30) 446 ) » 45 448 » 45.20) 450 | Tetano riflesso. ‘n 51.30) 460 ; ‘n 52 465 | Due tetani riflessi violentissimi. » 52.30) 470 » 53 470 » 57.30) 478 » 58 472 » 58.30 480 ”» 59 485 | Tetano riflesso violentssimo, poi » 59.30| 490 ineccitabilità. 10.0 485 » 9 490 | Idem, 492. » 10 500 » 24 505 |169.2 » 24.30| 500 | Idem. » 25 505 » 25.30| 508 | Idem. » 26 505 » 29 495 169.2 » 31.30) 490 » 85 480 » 88 475 » 38.30 | 478-479| Tetano riflesso unico. » 39 475 » 46 475 n 47 478 | Idem. n 47,20) 480 » 47.30| 478 c 0 0065) 500 | Debole tetano riflesso 169,3]. PI — 661 — I dati delle tre esperienze dimostrano concordi che la produzione ter- mica di centri in istato d’ipereccitabilità, per azione della stricnina, è rela- tivamente maggiore di quella di centri in condizioni normali. Nell’esp. XI, infatti, si può calcolare che la tonalità termica è andata mano mano salendo, per raggiungere, dopo 81’ dall'inizio dell’esperimento, un massimo di 657 divisioni della scala (assumendo 855=0 del galvanometro). pari circa a -+0°.3285. Quest'aumento termico è, indubbiamente, in massima parte do- vuto a processi esotermici del metabolismo dei centri, perchè la variazione positiva della temperatura ambiente, nel frattempo, è appena di 0°.6. Un secondo massimo nella tonalità termica del preparato ha luogo dopo altri 455; esso raggiunge un valore superiore al primo, essendo di + 733 divisioni della scala (pari a +-0°.3665). È importante notare che questo secondo massimo sì verificò dopo che fu rinnovata l'aria, in cui si trovava il preparato. Altro fatto notevole è che l’attività centrale si manifestò, per più di 5 ore, in forma di frequenti tetani generali, spontanei e riflessi, per minimi stimoli, tetani dapprima violentissimi e poi a poco a poco più deboli: ogni accesso tetanico era seguìto, alla distanza di l' circa, da evidente elevazione termica (di circa +10 a +15 divisioni della scala, pari a + 0°.005-0°.0075), a cui ordinariamente non seguiva (come nel caso dei centri normali) un’evi- dente discesa galvanometrica. Col diminuire e, da ultimo, con lo scomparire dell’eccitabilità, procedeva una graduale diminuzione della tonalità termica, finchè da ultimo il galvanometro accusava una tonalità termica di + 182 divisioni (assumendo 790=0) pari a +-0°.091, o per effetto della tempe- ratura-ambiente o per effetto di calore residuo della sostanza nervosa. Fatti analoghi risultano dai dati dell'esp. XII, in cui si osservano tre massimi di elevazione termica: il primo, dopo 83’, di + 230 divisioni (assu- mendo 790=0), pari a + 0°.115; il secondo, dopo altri 66' dall'inizio, di + 355 divisioni, pari a + 0°.1775, che si verificò previa rinnovazione del- l’aria del preparato; il terzo, finalmente, dopo altri 67’, di +-530 divisioni, pari a +-0°.265, anch'esso preceduto da abbondante rinnovazione aerea. La produzione termica di questo preparato è meno forte di quella del precedente, da cui esso differisce, però. anche per una minore ipereccitabilità. Anche qui gli accessi tetanici (unilaterali, per probabile lesione traumatica della metà sinistra del midollo) erano seguìti, alla distanza di circa 1’, da evidente ele- vazione termica. Col diminuire dell'attività centrale diminniva finalmente — anche qui la tonalità termica. I dati dell'esp. XXIX dimostrano, ancora più evidentemente, l'aumento di calore dovuto ai centri avvelenati con stricnina e, più specialmente, l’ele- vazione termica che segue abbastanza rapidamente (entro 30-60”) a ogni accesso tetanico. Nel corso dell'esperienza (di più di 2 ore) la variazione termica dell'ambiente fu soltanto di +-0°.2. Lo zero del galvanometro si mantenne costante a 400 divisioni della scala. Si evitò ogni causa esteriore x — 662 — «di raffreddamento. tralasciando di rinnovare l’aria del preparato. Il massimo «della tonalità termica fu raggiunto gradatamente dopo 95’.30” dall'inizio dell'esperimento; esso fu di + 108 divisioni della scala, pari a +-0°.0972. L'elevazionè termica successiva, entro 30-60", ad ogni accesso tetanico, oscil- lava tra circa +2 a 4-6 divisioni della scala (pari a + 0°.0018-0°.0054): ad essa, quasi mai seguiva ridiscesa galvanometrica. In generale, la tonalità termica positiva di quest'ultima esperienza è minore di quella delle altre due: ciò, probabilmente, è dovuto al fatto che in questa non fu rinnovata l'aria (ossigeno) del preparato. A parlare dell'azione del rinnovamento d’ossi- geno tornerò in una successiva Nota. Riassumendo i risultati esposti, vediamo, dunque, che i tre preparati centrali, sotto l'azione della stricnina, produssero una quantità di calore relativa- mente forte: quantità che, nel primo, raggiunse due massimi di + 0°.3285 e + 0°.3665; nel secondo, si elevò a tre massimi di + 0°.115, + 0°.1775 e + 0°.265; nel terzo, finalmente, raggiunse un massimo di -+0°.0972. Se si confrontano questi valori con quelli, ricordati nella precedente Nota II, delle due esperienze su due preparati normali, ossia + 0°.055 e +0°.080, sì ri- - leva facilmente che 7/ metabolismo dei centri in istato di ipereccitamento è accompagnato da tono termico positivo maggiore di quello dei centri în istato normale. Anche sperimentando su preparati ipereccitabili, si osserva che l’atti- vità centrale in atto (accessi tetanici) è seguìta, con un breve ritardo (di circa 1°), da evidente elevazione termica, che, però, è relativamente meno forte di quella che si osserva nel preparato centrale normale, e non è, ordi- nariamente, come in questo, seguìta da deviazione inversa. Tale differente comportamento trova facile spiegazione nel noto fatto che i centri, sotto l’azione della stricnina, si trovano in istato di continuo eccitamento, che turba profondamente il regolare avvicendarsi dei processi metabolici normali di riposo, di attività e di restaurazione. } — 663 — Anatomia. — Sull’origine delle reti nervose nelle colture di tessuti (*). Nota di GrusePPE LEVI, presentata dal Corrispondente GINO GALEOTTI. i Gli studî, non molto numerosi invero, sullo sviluppo delle fibre nervose nelle colture di tessuti, non hanno sufficientemente illustrato il destino di quelle fibre, specialmente dal punto di vista. delle connessioni fra loro esistenti. Harrison (*) accenna alla possibilità che le fibre nervose provenienti dal midollo di embrione di rana formino delle reti; in una delle sue figure (fig. 29) è riprodotto un gruppo di fibre nervose, provviste bensì di estremità libere col caratteristico fiocchetto terminale, ma riunite fra loro da molte anastomosi; però, dopo qualche tempo, le anastomosi scomparivano e le fibre sì rendevano indipendenti. Inoltre Harrison mette in guardia contro la pos- sibilità di errori: un semplice contatto fra fibre tanto delicate può dare la illusione di anastomosi. W. H. e M. R. Lewis (*), in colture di intestino di embrioni di pollo in mezzi liquidi inorganici, osservarono la formazione di vaste reti simpatiche; le fibre crescono dapprima isolate o riunite a gruppi, ma già dopo 10 ore incominciano a stabilirsi delle anastomosi delicatissime fra le singole fibre oppure fra i rami di divisione di una stessa fibra, e queste più tardi diven- tano sempre piò numerose. Si tratta di filamenti esilissimi, che si costitui- scono per movimento ameboide del cilindrasse e, per lo più, di esistenza transitoria; alcuni però si conservano, e si arriva così alla formazione di vaste ed intricate reti. Durante le ricerche da me intraprese da qualche tempo su colture di tessuto nervoso di embrioni di pollo in plasma sanguigno, ho dedicato par- ticolare attenzione al problema delle connessioni fra fibre e cellule nervose, e mi convinsi che esso può per questa via avvicinarsi alla soluzione; è evi- dente che in tali condizioni i rapporti fra gli elementi nervosi vengono ad essere molto semplificati, senza tener conto dell’inestimabile vantaggio di poter seguire di minuto in minuto le trasformazioni alle quali ciascuna fibra (!) Dall’Istituto di Anatomia umana della R. Università di Palermo. (*) Harrison B. G., he outgrowth of the Nerve Floer as a mode of Protoplasmic movement. Journ. of exp. zool., 1909, vol. IX, pag. 788. (*) Lewis W. H. e Lewis M. R., Zhe cultivation of sympathetic nerves from the intestine of chick emhryos in saline solution. Anat. Rec., 1912, vol. XI, pag. 7. ReNDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 86 — (664 — nervosa va incontro, studiando le colture sotto il microscopio mantenuto alla temperatura di 39°. Con grande frequenza. tanto in colture viventi quanto in preparati fissati, ho riscontrato delle reti nervose. ed in casi fortunati ho assistito anche alla loro formazione. E, da quanto ho osservato, mi sembra che le varie modalità di connessioni fra elementi nervosi possono essere riunite nei seguenti gruppi: 1) Anastomosi fra neuroblasti. In tutte le colture si notano molti neuroblasti che dal pezzo esplantato si sono spostati nel plasma coagulato. Harrison ammette la possibilità di una migrazione attiva (almeno nella rana) di neuroblasti nel coagulo. Burrow si limita ad accennare alla presenza di cellule intercalate sul tragitto delle fibre nervose, ma fa qualche riserva sulla loro natura ‘nervosa. i Le cellule si presentano naturalmente con apparenze diverse, a seconda dello stadio di sviluppo del pezzo espiantato; di neuroblasti bipolari in col- ture di midollo e di rombencefalo di embrioni al 3° o 4° giorno; di cellule multipolari in colture di tetto ottico o di telencefalo di embrioni più inol- trati (fra il 4° ed il 10° giorno). Mi sembra probabile che allo spostamento dei neuroblasti contribuiscano i movimenti attivi del loro protoplasma; ma esso avviene principalmente in seguito alla trazione, esercitata su quegli ele- menti, dai filamenti di fibrina; e lo dimostra il fatto che i prolungamenti dei neuroblasti sono dapprima sinuosi, ma, quando le cellule si allontanano dal pezzo, le fibre che congiungono quest'ultime coi neuroblasti diventano rigide efsempre più sottili. Quasi tutte le cellule emigrate sono fra loro congiunte da prolunga- menti anastomotici; si tratta di semplice accollamento, oppure di una vera continuità di ‘sostanza? Accettando la seconda supposizione, le anastomosi dovrebbero preesistere nel pezzo esplantato e si renderebbero manifeste per | effetto della migrazione delle cellule. La persistenza delle connessioni, quando le due cellule si allontanano l'una dall'altra, ci farebbe ritenere che si tratti di una vera fusione anzichè di un semplice contatto, come giu- stamente rileva Harrison, perchè, se la seconda supposizione ‘fosse esatta, le | due cellule si separerebbero ‘per effetto della trazione esercitata sui prolun-. i gamenti. La vitalità di questi elementi è limitata: per qualche tempo l'estremità del loro neurite si accresce in maniera caratteristica per attività del fioc- chetto terminale; ma ben presto nel.citoplasma appaiono granulazioni re- frangenti, la cellula si rigonfia, l'accrescimento del neurite finisce con l'ar- | restarsi ed infine tutti i prolungamenti impallidiscono e scompaiono. Ho notato che, quando le cellule restano congiunte da uno o due prolungamenti al pezzo esplantato, esse sopravvivono più a lungo che non quando sono del tutto 3 libere. — 665 — 2) Anastomosi ad arcata fra le estremità distali di due fibre o dei due rami di divisione di un unico cilindrasse talora transitorie altre volte permanenti. Gli estremi di due fibre, in grazia dei movimenti ameboidi, si dirigono l'uno verso l’altro e si anastomizzano. Che non si tratti di un semplice accollamento è dimostrato dalla circostanza seguente: che, quando le due fibre hanno spessore differente, si stabilisce una specie di equilibrio fra di esse, ingrossando un estremo a spese della sostanza dell'altro. Il pas- saggio di protoplasma da una fibra all'altra appare specialmente evidente quando una o tutte e duele estremità sono rigonfie: allora vediamo scorrere la massa protoplasmatica lungo l'arcata che si è formata fra le due fibre. Ciò fu osservato nelle fibre che qui riproduco, le quali furono seguìte sotto il microscopio durante tre ore consecutive (fig. A 1-6); si tratta di una fibra la quale si stacca da un plesso intricato e che si divide in tre rami a, b, e; di questi, è e c sì ispessiscono alla loro estremità e dal rigonfia- mento partono sottili filamenti, i più lunghi dei quali si uniscono alla fibra « (ore 9,45), che alla sua volta presenta un rigonfiamento terminale. Nel frat- tempo la fibra 4 si allunga; la sottile anastomosi che l'univa alla fibra « viene trascinata in avanti, ed infine l'estremità ispessita della fibra è si unisce alla fibrilla che collegava 4 e c. Alle 10,22 i filamenti anastomotici sono scomparsi; ma le fibre 4 e è si sono riunite con le loro estremità ispessite, costituendo un’arcata, in una massa unica, la quale cambia continuamente di forma: e ciò dimostra in modo esauriente che non si tratta di un accol- lamente, ma di una vera e propria fusione Ad ore 11 la breve sporgenza che si dipartiva dall’arcata si è assottigliata in un lungo filamento, il quale cresce come di solito, emettendo dei filamenti fugaci. Ben presto però le due fibre riacquistano la loro indipendenza e cre- scono nel modo consueto; ed il nuovo prolungamento, che si dipartiva dal punto di unione fra « e d, diviene l'estremità distale della fibra a (fig. A d). — Le tre fibre continuano a crescere per qualche tempo, ma con differente rapidità; dopo un'ora c ha una lunghezza doppia di « e 5. 3) Anastomosi mediante sottili rami collaterali fra neuriti prove- nienti da neuroblasti differenti, o più spesso fra i rami di divisione di uno stesso neurite, od infine fra gli esili filamenti che costituiscono il fiocchetto terminale di una fibra. Quest'ultima possibilità è la più frequente; in quasi tutti i fiocchetti terminali riccamente provvisti di espansioni, queste sono quasi sempre unite da delicati filuzzi, i quali però hanno un'esistenza quanto mai fugace. . Maggiore importanza per il problema delle connessioni hanno la prima e la seconda modalità di anastomosi, le quali furono di già descritte e raffi- gurate da W. e M. Lewis. Nella fig. A, in 2 e 3 sono riprodotti questi filamenti anastomotici. Im- portante è il tragitto retrogrado che acquista la fibrilla la quale unisce x 4 Ote 10:22 Ore 11.10 Aa F16. A. — Da una coltura di 18 ore di un frammento di rombencefalo di un embrione di pollo di 4 giorni e 6 ore. T'emp. 39°. Apocrom, Imm. Zeiss 3 mm. Oc. 8. — 667 — a e b, perchè esso è una riprova che fra le due fibre si è stabilita una vera e propria anastomosi; se si fosse trattato di un semplice accollamento, il filamento si sarebbe distaccato da «, per effetto della trazione su di esso esercitata. Quando essi si staccano dal tratto prossimale di un neurite, an- zichè dirigersi verso una fibra vicina, possono ricongiungersi alla stessa fibra da cui hanno preso origine formando un'ansa (fig. A, 5). Non di rado dalla prima ansa si diparte un nuovo filuzzo, il quale si salda al primo od alla fibra principale; e così di seguito. Il più sovente questi filamenti scompa- lono, ma possono formare anche delle anastomosi permanenti; ed allora si vengono a costituire quelle reti a larghe maglie, quali si incontrano con tanta frequenza nelle colture. Evidentemente i tentativi di anastomosi fra fibre nervose sono comunissimi; ma soltanto quelle che si trovano in condizioni favorevoli diventano permanenti. 4) Delicate reti neurofibrillari si possono formare in modo del tutto diverso da quello fin qui illustrato: per comparsa di piccoli vacuoli roton- deggianti, i quali divaricano i fascetti di fibrille, e ben presto si estendono: le fibrille che li delimitano si assottigliano e si formano delle semplici anse od anche immagini più complesse, vere reti neurofibrillari intercalate sul decorso di una fibra; i vacuoli si costituiscono evidentemente per aumento, in una regione determinata della fibra, della sostanza interfibrillare. Scelgo dai miei protocolli di esperienza il seguente esempio (fig. B). Una cellula gangliare si è quasi del tutto separata dal pezzo espian- tato (un frammento di rombencefalo); da essa si diparte un cilindrasse assai lungo e grosso, che resta indiviso sino al suo estremo distale, ove si divide ad angolo acuto in due brevi rami, i quali terminano, come di consueto, con un fiocchetto di fibrille (ore 10); alle ore 10,40 si sono costituite delle anse per divaricamento delle fibrille (tig. B, 2), e nel ramo di divisione in- feriore sono apparsi due piccoli vacuoli; circa un'ora dopo (fig. B, 3), le due fibre si sono allungate e molto assottigliate; i vacuoli si sono nel frattempo tanto ingranditi, che i fasci di fibrille che li delimitano costituiscono una vera ansa a forma affusata, intersecata da fini filamenti; due ore e mezzo dopo, le fibre si sono ulteriormente accresciute ed assottigliate, e le anse sì sono modificate e spostate (fig. B, 4). Altre volte abbiamo visto costituirsi, per questa via, delle reti più com- plesse. In tal caso non vi è dubbio alcuno che la rete sì sia formata per dissociazione degli elementi costitutivi di un unico neurite, perchè il neuro- blasta, dal quale il neurite si dipartiva, era ben isolato. Ma altre volte (ed è il caso più frequente) le reti si costituiscono sul decorso di un tronco massiccio, che evidentemente risulta di molti neuriti riuniti in un fascio; ed allora l’interpretazione è più difficile. Spesso queste reti si mantengono a lungo; ma non è neppur rara la loro scomparsa, sia. per regressione di filamenti anastomotici, sia per conglutina- zione delle fibrille in una massa unica. È, Fie. B. — Da una coltura di 30 ore di un frammento di rombencefalo di um embrione. pollo di 3 giorni e 16 ore. Temp. 39°. Apocrom. Imm. Zeiss 83 mm. Oc. 8. — (669 — Patologia. — UWteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nell'uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei « virus » (*). Nota IV del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI, presentata dal Socio sen. B. GRASSI. Nella Nota seconda (*), in merito alle ricerche eseguite e che .sto ren- dendo note, scrivevo: « Si può supporre che, per un dato antigene, i diversi anticorpi sieno dotati di una specificità di azione e di comportamento più o meno marcata; in altre parole, sieno atti a risentire, gli uni più degli altri, l'influenza delle cambiate condizioni ambientali nelle quali vengono a for- marsi ». E più sotto: « Nel caso-presente può supporsi che l'antigene trip. Zvansi « penetrato nel mio organismo, per le nuove condizioni di vita a lui offerte, «abbia dato luogo ‘ad anticorpi come quelli agglutinanti, che, avendo assunto « più spiccate proprietà agglutinogene, hanno quindi mantenuto il loro potere « marcato di azione più di fronte al virus surra che non. verso il 9gam- « biense, mentre quelli lisinanti, possedendo una minore elettività di azione, « hanno subìto in maggior grado l'influenza delle mutate condizioni, in rap-. « porto alla umanizzazione del virus surra accidentalmente penetrato nel- « l'organismo, assumendo quindi maggiore specificità di azione di fronte al « trip. gambiense che non all'evansi ». I resultati ottenuti con la determinazione del potere protettore del mio siero (vedi Nota 38) vengono in appoggio ad un tale modo di vedere. Si è visto come detto potere si sia talmente accresciuto -da pro- teggere gli animali all'infinito, pur riducendo la dose del siero ad !/, di c. c. se inoculati col virus Zanfranchii, riducendola a !/, se inoculati col virus Evansi, e mella dose, si può dire, di uno, in quelli inoculati col gam- biense. In una parola, da queste ricerche, più evidente è apparsa la stretta parentela fra virus Zanfranchii- Evansi che non fia ZLanfranchii-gambiense. (') Lavoro eseguito nell’Istituto di patologia e clinica medica veterinaria nella r. Università di Bologna. (*) A. Lanfranchi, Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanoso- miasi animali nell'uomo. Nota 2* [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze ifisiche matematiche e naturali (1916), seduta del 19 febbraio]. x — 670 — Orbene: il potere protettore è quello che noi possiamo considerare il più specitico, data la sua costanza in ogni siero di animale in preda ad una infe- zione da tripanosomi, subacuta 0 cronica. Infatti, per esso, Laveran e Mesnil, a pag. 140 della loro opera, scri- vono: « cette propriété apparaît d'une fagon générale ». Invece per il potere tripanolitico così si pronunziano: « Cette propriété est moins générale que « la précédente; le sérum de certains animaux, comme la chèvre, ne devient « jamais trypanolytique » ; ed aneora: « il devient parfois agglutinant ». Un dato pure da tenersi presente, e che starebbe, secondo me, a par- lare per una maggiore specificità del potere agglutinante comparativamente a quello tripanolitico, viene riferito dagli stessi autori; mentre è dimostrato che il siero delle capre non acquista il potere ultimo detto; al contrario, « parfois, certains de ces sérums de chèvre agglutinent les trypanosomes ». Un altro fatto, che può venire in appoggio di quanto sopra, si è che, oltre alla loro costanza in ogni animale, le proprietà protettrici del siero appaiono già all'inizio del decorso della infezione. Come ci possiamo spiegare la maggiore specificità 0 meno del potere agglutinante, tripanolitico, protettore, ecc. ecc. ? Î Si può ammettere che tutte queste speciali proprietà sieno sòrte solo perchè un dato antigeno, in un dato momento, sì è trovato in un organismo, atto a poter reagire in quel dato modo e quindi a dar “luogo a quel dato anticorpo. Ripetendosi poi quelle speciali condizioni, una data proprietà si sarà pure ripetuta, fino a costituire poi un carattere fisso del parassita. Accettando una tale interpretazione, cì spieghiamo subito come il potere protettore debba avere una maggiore specificità, come lo dimostra la sua costanza, e sia quindi in rapporto ad un carattere fisso. È regola generale che, allorquando in un determinato organismo penetra un agente infettante qualunque, o un antigeno ben costituito, l'organismo stesso grazie ai suoi mezzi di difesa, grazie a l’attività secretoria di alcuni elementi cellulari, produce immuncorpìi (anticorpi lisinanti, conglutinanti, 0 fermenti che dallo stato zimogeno passerebbero allo stato di fermento attivo, ecc. ecc.), ad azione specifica di fronte alla sostanza antigena che provocò la reazione organica. i Tanto più evidenti sono queste reazioni nei soggetti colpiti da tipa somiasi, nei quali i differenti ricercatori sono concordi nell’ammettere, negli umori di detti organismi, la presenza di speciali sostanze difensive ui azione protettrice. Gli anticorpi potranno per un momento ristabilire il turbato equilibrio. organico, neutralizzando la causa morbosa, e noi avremo un prolnngamento nel decorso della infezione; questa azione degli anticorpi potrà ripetersi più — o meno a lungo, e si potranno avere delle forme subacute o croniche, od — 671 — anche la guarigione dei soggetti se gli anticorpi finiscono per agire decisa- mente sull’antigeno. Ed è quanto si veritica, in modo assai dimostrativo, nelle tripanosomiasi. Vediamo come uno stesso tripanosoma determini, nelle diverse specie animali, delle forme morbose varie, in particolar modo sotto il punto di vista della durata e della presenza nel sangue dei parassiti. Fatto, questo, che ci dimostra come l'organismo reagisca più o meno, ed in maniera diversa, contro un dato tripanosoma. S' intende anche, come hanno dimostrato sperimentalmente Levaditi e Muttermilch, che gli anticorpi debbono essere nd attività diffe- rente a seconda della specie animale che li produce, in quanto è sempre diverso il terreno di reazione. Si spiega la grande importanza del fattore organismo, poichè si deve riconoscere che, ‘anche allorquando un tripanosoma è divenuto, per una qual- siasi ragione, fortemente antigeno, per una data specie animale fino a dare luogo a forme relativamente benigne, allorquando lo si inoculi in animali di specie differenti possa in queste dar luogo ad infezioni a decorso acuto. Ora, visto il comportamento antigeno dei diversi tripanosomi messì in contatto col mio siero e inoculati sopra le stesse specie animali; visto pre- cisamente che i resultati delle reazioni biologiche tendono ad avvicinare il virus Surra al Lanfranchii, e che d'altra parte le medesime reazioni appli- cate con i medesimi criterî di tecnica risultanti dall'impiego dei medesimi sistemi funzionanti fanno avvicinare, per quanto in minor grado, il virus Lanfranchii a quello gambiense, ne risulta incontestabilmente che, dal punto di vista delle reazioni più sopra studiate, i tre virus Surra Lan- franchii gambiense dovrebbero essere riportati ad un unico tripanosoma, almeno considerato questo come antigeno, di fronte all’azione su quelle specie animali sulle quali ho esperimentato. Ancora una volta si affaccia il problema della possibile identità dei due virus Surra e gambiense, come per coloro che dividono le vedute del Bruge si avrebbe fra Brucey e rodestiense. Ho già accennato, in una comunicazione fatta al Congresso internazio- nale di patologia comparata (*), come, dal punto di vista della patologia generale, nulla si opponga alla possibile trasmissione di una forma di tripa- nosomiasi animale all'uomo. Mi sono anche chiesto: « Perchè, se i tripanosomi patogeni, quelli di origine umana compresi, sono atti ad infettare le più svariate specie ani- mali, l’uomo non dovrebbe mai per nessuna condizione infettarsi con ì virus animali? » ; Mi piace anche far notare come il Mesnil (*), la di cui grande competenza in merito alle tripanosomiasi è indiscussa, scrive: « Le fait que les trypa- (*) Al. Lanfranchi, 7ripanosomiasi dell'uomo e degli animali, Parigi, 1912. (*) F. Mesnil, lavoro citato. RenpicontTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sen. 87 x — 672 — « nosomes humains peuvent se montrer sensibles au sérum humain indique, « croyons-nous, un retour à un état ancestral, alors que ces trypanosomes « n'étaient pas infectants pour l'homme. Les trypanosomes humains auraient « d'abord été des trypanosomes d'autres mammifères qui se seraient adaptés « secondairement è l'homme et seraient arrivés à constituer des espèces « distinctes ». i Ed è quanto in effetto si deve essere verificato per l’Zvans:, che infet- tando l'uomo, ha acquistato caratteri tali da costituire una specie distinta, quella che noi conosciamo col nome di gambiense. Il mio caso è la migliore dimostrazione. L’Evazsi, penetrato in un orga- nismo umano, e, per speciali condizioni, essendogli stato possibile di svilup- parsi, ha acquistato, per il suo stesso adattamento al nuovo organismo, carat- teri che lo ravvicinano al gambiense; però questi non hanno potuto assur- gere ad un grado tale che non persistessero, ed in modo più marcato, quelli proprî della specie d'origine (£vansi). Certo è da supporsi che se disgrazia- tamente il virus, dal mio organismo, fosse passato in altro orgnnismo umano, sarebbe andato vieppiù acquistando i caratteri sopraddetti, che lo avrebbero maggiormente differenziato dall’ Zvarsi; e si sarebbe certamente da esso allon- tanato in modo completo, con possibili ulteriori passaggi. Fisiologia. — £L'iniezione di bicloruro di mercurio nello speco vertebrale, e la cura della meningite diplococcica (*). Nota del dottor Visco SABATO, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco. La meningite cerebro-spinale epidemica, che nei primi mesi dell’anno scorso (1915) aveva destato non poche preoccupazioni nelle autorità preposte alla tutela igienica della capitale. sembrava domata quando, nel dicembre, si ripresentò di nuovo, e questa volta in una caserma. Non ostante i più energici ed adeguati provvedimenti presi dagli organi-militari competenti in armonia con l'ufficiale d'igiene del Comune, non fu possibile soffocare l'epi- demia sul nascere, e, al primo caso, rapidamente ne seguirono altri. Verso la fine di gennaio del corr. a. 1916 i primitivi focolari epidemici, circoscritti. esclusivamente nell'àmbito delle caserme, s'erano già diffusi nei punti più sovraffollati e miseri della città; ed il numero dei colpiti era andato aumen- . tando fino ad assumere proporzioni veramente impressionanti, data la scarsa contagiosità del male e le misure profilattiche. adottate per arrestarne la diffusione. L'epidertia si presentava con uno speciale carattere di gravità: e, non ostante che la sieroterapia specifica fosse praticata precocemente e in dosì elevate, la cifra della mortalità si manteneva ‘insolitamente alta. (') Lavoro eseguito nell'ospedale di Santa Sabina per contagiosi (Comune di Roma), Ralli — 673 — Contemporaneamente medici insigni, commentando i risultati delle osser- vazioni fatte in parecchi grandi centri del nostro paese, facevano non poche riserve circa la reale efficacia delle iniezioni endorachidee di siero antime- ningococcico; e il prof. Montefusco pubblicava che, in base alla sua espe- rienza personale, si era convinto che la sieroterapia endorachidea, non solo non fosse più utile di quella sottocutanea, ma fosse anche pericolosa e quindi da bandirsi. Le pubblicazioni alle quali abbiamo accennato; gli scarsi risul- tati favorevoli che anche noi traevamo dalla sieroterapia specifica, sia per via endorachidea sia per via sottocutanea; l'impossibilità di attendere il risultato ultimo delle indagini batteriologiche per l'esatta identificazione dell'agente patogeno, senza danneggiare con l'attesa le condizioni dell’infermo, ci fecero riflettere sulla possibilità di influenzare favorevolmente il decorso delle meningiti cerebro-spinali diplococciche in genere, e quella da meningococco di Marchiafava e Celli in specie, con l'introduzione di sostanze chimiche nello 8peco vertebrale. Il concetto non è nuovo: l’Osler, or è qualche anno, partendo da con- ‘siderazioni fino a un certo punto analoghe alle nostre, introdusse nello speco vertebrale soluzioni di cloruro di sodio dopo la sottrazione del liquido cerebro- spinale purulento; e il Franga, più tardi, iniettò soluzioni di lisolo al cente- simo. I risultati avuti da questi autori. a volte incerti, a volte contradittori, mon sono stati certamente conclusivi in favore della terapia chimica delle meningiti diplococciche; ma. ciò non ostante. noi abbiamo voluto seguire la stessa via, perchè ci è sembrato che tale mancanza di risultati positivi fosse da attribuirsi non ad erroneità logica del metodo adottato, ma soltanto alla scelta non adatta della sostanza da iniettare. Dal giorno in cui Guido Baccelli, andacemente, aprì le vene ai rimedî eroici, i casi di gravi affezioni batteriche generali guarite coll'uso del subli- mato sono andati oltremodo aumentando di numero: noi perciò, nel tentare la cura delle meningiti cerebro-spinali diplococciche con la chemioterapia, ‘abbiamo prescelto il bicloruro di mercurio. Gi siamo serviti di una soluzione di sublimato all'uno per duemila in liquido siero-tisiologico (0,90 °/,) che a volta a volta. secondo che sì estraeva ‘una maggiore 0 minore quantità di liquido cerebro-spinale, veniva proporzio- natamente diluita in altra soluzione fisiologica, ed iniettata nello speco ver- ‘tebrale. Le inizioni, endorachidee, in quasi tutti i casì, si sono praticate in giorni alterni; le quantità di sublimato iniettate ogui volta vanno da un maximum di otto milligrammi ad un minimum di due, secondo l'età degli infermi. Giammai dall'introduzione del bicloruro di mercurio nello speco ver- tebrale abbiamo osservato fatti dannosi nel sistema nervoso che fossero da ‘attribuire al rimedio stesso. Nel maggior numero dei casi trattati abbiamo riscontrato. alla: prova di.Keller, tracce di albumipa nelle vrine; non sap- x — 674 — piamo però quanto di tale albuminuria debba attribuirsi al sublimato e quanto: alla stessa malattia che sul 70 per cento circa dei casi è accompagnata dalla eliminazione di albumina. Quello che però possiamo affermare si è che, nei casi nei quali già prima del trattamento vi era albuminuria, il trattamento stesso non ne ha affatto provocato l'aumento. In cinque casi, con un metodo sensibile fino a un quarto di mmgr. abbiamo ricercato che il sublimato introdotto sullo speco vertebrale si eliminasse attra- verso i reni. Ebbene: in tutti e cinque casi la ricerca ha dato risultato posi- tivo, poichè costantemente nelle urine delle prime 24 ore, dopo l'introduzione del rimedio, abbiamo potuto dimostrare la presenza del sublimato. La costanza: del reperto ci ha autorizzato a tralasciare una simile ricerca. Quasi costantemente, alla seconda o terza iniezione di bicloruro di mer- curio non ci è stato possibile riscontrare più diplococchi nè endo nè estra- cellulari nel liquido cerebro-spinale estratto. Riferiamo brevemente su ognuno dei casì trattati: 1) S. C., di anni 5, entra all'ospedale il 26 gennaio, al quarto giorno dalla manife- stazione del male. Condizioni gravissime. Il 27 si estraggono 25 ce, di liquido cerebro- spinale e s’iniettano 20 cc. di siero antimeningococcico. Il 28 le condizioni dell’infermo permangono immutate. Si estraggono 30 ce. di liquido e s'iniettano 20 ce. di siero Il 29 la sintomatologia generale è ancora più imponente; la temperatura è più alta che non nei giorni precedenti e l’occipite tirato all'indietro in grado altissimo, analogamente a quanto ebbe ad osservare l'’Hart in un suo caso, preme fortemente sulla pelle interscapolare. Si estrag- gono circa 10 ce. di liquido torbido, denso, e s’iniettano 2 mmgr. di sublimato in 5 ce. di soluzione fisiologica. Il malato passa la notte tranquillo; la temperatura comincia a decrescere e al mattino raggiunge 36°.5. In giornata la temperatura si eleva fino a 37.°4.. S’iniettano altri due mmgr. di sublimato in 5 ce. di soluzione fisiologica. I 31 la fles- sione del collo all'indietro è diminuita; il sensorio è meno ottuso. Il primo febbraio il miglioramento continua; ciò non ostante, s’iniettano altri 2 mmgr. di sublimato. Il due la temperatura scende fino a 36.°8, e salvo una lieve cefalea, più non si riscontrano sin-- tomi di infiammazione meningea. L'infermo guarisce. * xx incoraggiati dal risultato avuto in questo primo caso (risultato che, se non altro, ci dimostrava che nessun danno immediato derivava all’infermo dall’introduzione del sublimato nello speco vertebrale), con maggior fran- . chezza ci accingemmo ad estendere l'uso del rimedio, e per avere una prova sempre più convincente dell'efficacia o meno di esso, ci attenemmo, special- mente nei primi tempi, alla cura di quei casi nei quali la solennità della sindrome morbosa era più manifesta. Lo stato delle condizioni generali e la presenza o meno di tutta la numerosa sintomatologia delle lesioni meningee furono i soli criterî sui quali noi basammo la scelta dei casi da trattare. E: non senza ragione: poichè, fin dai primi giorni in cui ci venne affidata la — 675 — cura dei malati di meningiti cerebro-spinali diplococciche, potemmo con- vincerci della grande erroneità di tutti i giudizi prognostici fondati esclusi- vamente sui reperti microscopico e culturale del liquido rachideo. In tutti i casi trattati fu sempre, e per più volte, fatto l’esame micro- scopico del liquido cerebro-spinale; e costantemente, almeno una volta per ogni individuo, fu riscontrata la presenza di diplococchi endocellulari, e di polinucleati. Gli esami culturali, per speciali ragioni, non sempre furono fatti : e perciò, per non venir meno in nessun modo alla più scrupolosa esattezza scientifica, parliamo in questa Nota di meningiti diplococciche in genere, pur avendo l'intima convinzione ch'esse fossero tutte causate dal meningococco di Marchiafava e Celli. * x % 2) B. S., anni 25, entra all’ospedale il 5 febbraio, al terzo giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni endorachidee di sublimato nei giorni 6 e 8 febbraio. Il 10 la temperatura torna normale. L’infermo guarisce. 3) D. M. G., di anni 25, entra all'ospedale il 2 febbraio, al quinto .giorno di ma- lattia. Caso molto grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 7, 5 e 9. Il 13 l’infermo è apiretico. Guarisce. ì 4) L. A., di anni 20, entra all’ospedale il 18 marzo, al secondo giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 18, 21, 23 e 25. Il 26 cessa la febbre, e l’infermo guarisce. 5) M. C., di amni 20, entra all'ospedale il 21 marzo, al terzo giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 21 e 23. Il 25 l’infermo è apire- tico. Guarisce. 6) B. V., di anni 21, entra all’ospedale 1’8 febbraio, al quarto giorno di malattia. Caso gravissimo. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 9, 11, 14 e 17. Il 23 l'infermo muore. 7) A. G., di anni 9, entra all’ospedale il 17 febbraio, al quarto giorno di malattia. Caso di media gravità. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 17 e 31. Il 27 cessa la febbre; l’infermo guarisce. 8) R. A., di anni 6, entra all'ospedale il 21 marzo, al terzo giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 21, 28, 26 e 29. Il 81 l'infermo è apiretico: guarisce. 9) M. A, di anni 18, entra all'ospedale il 18 marzo, al secondo giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 18, 20, 24 e 26. Il 28 cessa la febbre: l’infermo guarisce. 10) D. T. A., di anni 20, entra all'ospedale il 28 febbraio, al quarto giorno di malattia. Caso molto grave. Si praticano iniezioni endorachidee di sublimato nei giorni 1, 3, 5, 7, 19 e 15 marzo. Il 17 l’infermo è apiretico: guarisce. 11) P. S., di anni 14, entra all'ospedale il 20 marzo, al quinto giorno di malattia. Caso grave. Si fanno tre iniezioni di sublimato nei giorni 20, 22 e 24. Il 26 l'infermo muore. 12) B. V., di anni 20, entra all'ospedale il 10 marzo, al primo giorno di malattia. Caso iniziale ma con sintomatologia grandiosa. Si fanno due iniezioni di sublimato nei giorni 11 e 12. Il 13 l’ammalato è apiretico. Guarisce. 18) R. L., di anni 10, entra all'ospedale il 3 febbraio, al quarto giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 14, 18, 19 e 26 febbraio, 4 e 17 marzo. L’infermo guarisce. — 676 — 14) G. R:, di anni 19, entra all'ospedale il 17 marzo, al secondo giorno di malattia. Caso di media gravità. Si fanno iniezioni di sublim@ato nei giorni 17, 19 e 22. Il 25 l’in- fermo è apiretico. Guarisce. 15) G. G., di anni 17, entra all'ospedale il 23 marzo, al secondo giorno di malattia. Caso iniziale con sintomatologia notevole. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 23 e 26. Il 29 l’infermo è apiretico: guarisce. 16) S. C., di anni 25, entra all'ospedale il 19 marzo, al quarto giorno di malattia. Caso gravissimo. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 19, 20, 22, 23 e 26. Il 28 l’infermo muore. 17) M. L, di anni 20, entra all’ospedale il 28 febbraio, al terzo giorno di malattia. Condizioni gravi. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 1, 83 e 6 marzo. Il giorno 8 l’infermo è apiretico: guarisce. 18) R. A., di anni 15, entra all'ospedale il 18 marzo, al quinto giorno di malattia. Caso srave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 18, 20, 22 e 25. Il 27 l'infermo muore. 19) IL E., di anni 20, entra all'ospedale il 14 marzo, al terzo giorno di malattia. Caso alquanto grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 15, 17 e 19. Il 20 la temperatura ritorna normale, l'infermo guarisce. 20) D. A. P., di anni 22, entra all'ospedale il 16 febbraio, al secondo giorno di; malattia. Caso di media gravità. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 17, 19 e 21. Il 23 l’infermo è apiretico : guarisce. 21) S. R., di anni 5, ricoverato il 25 febbraio al quarto giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 27 febbraio, 1,5, 10 e 12 marzo. Il 13 l’infermo è apiretico: guarisce. 22) M. B., di anni 16, ricoverato il 16 febbraio, al terzo giorno di malattio. Caso abbastanza grave. Si fannò iniezioni di sublimato nei giorni 17, 19 e 23. Il 24 l’infermo è apiretico: guarisce. È 23) V. A.. di anni 5, ricoverato il 7 marzo, al quarto giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 9, 10, 11, 18. 20, 22 è 29. Il 30 l’in- fermo è apiretico: guarisce. 24) P. C., di anni 5, ricoverato il 6 marzs, al quarto giorno di malattia. Caso grave. Si fanno iniezioni di sublimato noi giorni 7, 11, 13, 16, 18, 20, 25 marzo e 1° aprile. Il 5 l’infermo è apiretico: guarisce. 25) M. M.,, di anni 27, ricoverato il 20 febbraio, al secondo giorno di malattia. Caso non molto grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 20 e 22. Il 25 l'infermo è apiretico: guarisce. 26) C. P., di anni 7, ricoverato il 26 febbraio al terzo giorno di malattia. Caso alquanto grave. Si fanno iniezioni di sublimato nei giorni 26,29 febbraio, e 2 marzo. Il 4 l'infermo è apiretico: guarisce. x I casi di meningite trattati con le iniezioni endorachidee di soluzione diluita di bicloruro di mercurio, fino al momento in cui scriviamo, ammon- tano ad un totale di 26, e, di essi, quattro hanno avuto esito letale; perciò la mortalità è stata soltanto del 15.:8 °/,. Nei casi trattati con le iniezioni, endorachidee di siero antimeningococcico abbiamo avuto invece una mortalità di circa 45 °/o. All'eloquenza delle cifre noi non aggiungiamo altro, poichè esse hanno il valore di un fatto che, secondo noi, merita di essere preso in considera- zione da coloro che si troveranno in seguito a contatto con individui affetti da meningiti cerebro-spinali diplococciche. 0 ili MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Comes S. Ulteriori ricerche sulla struttura della cellula cartilaginea dei mammiferi. Pres. dal Socio Grassi. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio Grassi, relatore. a nome anche del Socio Toparo, legge una relazione sulla Memoria della dott.s5® A. Foà, intitolata: Studio sul poli- formismo unisessuale del Rhizoglyphus echinopus, proponendo che questo lavoro venga inserito negli Atti accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il PRESIDENTE dà il triste annuncio della morte del Socio prof. FRAN- cesco Bassani, mancato ai vivi il 26 aprile 1916. Apparteneva il defunto all'Accademia, per la Geologia e Paleontologia, come Corrispondente dal 18 luglio 1895, e come Socio Nazionale dal 31 luglio 1903. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando un volume contenente le Azcerche teoriche e sperimentali compiute nel quadriennio 1912-15 nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, sotto la direzione del prof. BrunI, che del volume predetto fa omaggio all'Accademia. Lo stesso Segretario presenta le annate 16 e 17* del Bo//ettino di bibliografia e storia delle scienze mate- matiche, inviato in dono dal Corrisp. Gino LoRIa, il quale dirige la pubblica- zione stessa. Finalmente, a nome del Socio VOLTERRA, offre un fascicolo del prof. LeBon: Sur une nouvelle Table de diviseurs des nombres; e fa par- ticolare menzione di un nuovo volume del Ca/alogo astrografico pubblicato dalla Specola Vaticana sotto la direzione del P. HAGEN, volume che con- tiene le Coordinate rettilinee e diametrali di immagini stellari su lastre il cui centro è in declinazione + 63°. COMUNICAZIONI VARIE Il Presidente BLAsERNA annuncia che alla seduta assiste il prof. HApa- MARD dell'Accademia delle scienze di Francia, professore al « Collège de i France » e alla Scuola Politecnica di Parigi; e con cortesi parole di saluto \ lo invita a prender posto tra i Soci presenti. a E. M. — 678 — OPERE PERVENUTE IN presentate nella seduta del 7 maggio 1916. BeRLESE A. — Aspidiotiphagus How. e Prospaltella Ashm.(Estr. dal « Redia», vol. XII, pp. 1-13). Firenze, 1916. 82. Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche, anni XVI-XVII. ‘l'orino, 1914-915. Catalogo astrografico 1900. o, Sezione vati- cana decl. da + 55° a + 65°, vol. II: coordinate rettilinee e diametri di im- magini stellari su lastre il cui centro è in declinazione + 63°. Roma, 1915, 4°. pp. I-XLIV, 1-131. GiurrrIDA-RuegeRI V. — Documenti sul- l’indice schelico. (Estr. dalla « Rivista di antropologia », vol. XX, pp. 1-23). Roma, 1916. 8°. GiurrrIDA - Rueeeri V. — Nuovi studi sull’antropologia dell’Africa orientale: etnologia e antropometria delle popo- lazioni Eritreo-Somale-Abissine e delle regioni vicine (con una carta geogr. e una tavola). (Estr. dall’ « Archivio per l'antropologia e la etnologia », vol. XLV, pp. 1-59). Firenze, 1916. 8°. LeBon E. — Sur une nouvelle table de divi- seurs des nombres. (Extr. des «Comptes rendus » t. 162, pp. 1-3). Paris, 1916. 8°. LeonaRDI CATTOLICA P. — Emanuele Fer- gola: commemorazione. Napoli, 1916. 8°, pp. 1-13. Leone S. — Lotta contro il «tracoma » nella provincia di Siracusa ; 1905-1916. Siracusa, 1916. 8°, pp. 1-18. Lonso B. — Note di partenocarpia (Estr. dagli « Annali di botanica », vol. XIV, pp. 29-32). Roma, 1916. 8°. Mascart J. — La science à l’exposition DONO ALL’ ACCADEMIA (Exposition internationale de Lyon 1914). Lyon, 1916. 8°, pp. 1-81. Parona O. — L’elmintologia italiana dai suci primi tempi all'anno 1910; rias- sunto storico. (Estr. dagli « Atti della società ligustica di scienze naturali e geografiche », an. XXV, pp. 1-19). Genova, 1914, 8°. Parona C. — Per la storia della pesca in Italia: tonnare e miniere in Sar- degna. (Estr. dagli « Atti della Società ligustica di scienze naturali e geogra- . fiche », vol. XXVI, pp. 1-88). Genova, 1915. 8°. Reis VarELA J. — Relatorio astronomico: uma das maiores conquistas de todos os tempos. Lisboa, 1916. 8°, pp. 1-8. Ricerche teoriche e sperimentali compiute nel quadrennio 1912-15 nell'Istituto di chimica generale della r. Univer- sità di Padova. Padova, 1912-916. 8°. (Miscellanea). Rivera V. — Fattori di allettamento del frumento (colture sperimentali in vaso). (Estr. da « Le stazioni speri- mentali agrarie italiane n, vol. 49°, pp. 1-16). Modena, 1916. 8°. Roccati A. — Studio litologico e mine- ralogico del materiale raccolto dal conte dott. Cesare Calciati nella spe- dizione al Karakoram sud-orientale durante l'estate del 1911. (Estr. dal — « Boll. della Società geologica ita liana n, vol. XXXIV, pp. 1-78). Roma, _ 1915. 8°. 1 SruvestrI F. — V. Four. new species of Aulacobolus, Poc. (Diplopoda: Spiro- bolidae) from India. (Repr. for the « Records of the Indian Museum », vol. XII, pp. 41-48). Calcutta, 1916. 8°. — “2 RELAZIONI DI COMMISSIONI Grassi (relatore) a nome anche del Socio 7’odaro. Relazione sulla Memoria della dott.592 A. Foà, intitolata: « Studio sul poliformismo unisessuale del Rhizoglyphus echinopus» Pag. 677 PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà l'annuncio della morte del Socio prof. Mrancesco Bassani. . n » PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle del Cor- rispondente Loria e del prof. Bruni; a nome del Socio Volterra offre una pubblicazione del prof. ZeZon e richiama l’attenzione della Classe su di un volume della Specola Vaticana» » COMUNICAZIONI VARIE Blaserna (Presidente). Annuncia che alla seduta assiste il prof. Hadamard dell’Accademia UOWERSCIENZe ERANO IE OO O OO LOI IL SNA RIINA » n BEPCERIINORIBIELIOGRAFICOR O I I I CA e Meo n 678 RENDICONTI — Maggio 1916. INDIE VUE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 maggio 1916. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCIO Enriques. Sulla teoria delle singolarità delle curve algebriche . Tedone. Sulla integrazione delle equazioni di Maxwell... . 0. DIREI. dEi Grassi G. Osservazioni alla Nota del prof. Guglielmo intorno ad. alcuni modi di calcolare l’espe- si rienza di Clément e Desormes . i 1 Riccò. Relazione fra la corona e le LO Peo solari (* Sn roi ; cs SG IR Armellini. Sopra un'ipotesi del Pickering relativa alla frequenza degli atei delle orbite cometarie nelle vicinanze dell’antiapice (pres. dal Socio Zevi- Civita) . LE ORO Bompiani. Basi analitiche per una teoria delle deformazioni, a Sirene di s specie ups È (pres. dal Socio Castelnuovo) | Zu Cisotti. Sui moti rigidi di una massa fluida. Dado. nea dai socia PisaetiaP i Colonnetti e Pozzo. Le proprietà magnetiche degli acciai e la loro utilizzazione nei collaudo dei proietti (pres. dal Socio Volterra)... 0... ROSETO Mortara. Di una nuova specie di. ante Galibenthis Santo dal Socio BRAGA) RENE 3 : n OI n : Di Franco. La ciclopite di Sn Maria No ca (presso Acirenle) (pres. dal Corrisp. - DISTA ae Calcagni. Azione delle ureidi Casio, do i dal o Palena) i di ey Ravenna. Sulla nutrizione delle piante verdi per mezzo di sostanze organiche. (pres. dal Socio Ciamician) SEE i e Peglion. Il male dello Feo on don SRO) (pres. i Sedi: Cuboni)n Baglioni. I processi termici dei centri nervosi. III: Produzione di calore del preparato. cen trale di Bufo in condizioni d’ipereccitabilità (pres. dal Socio Luciani). Levi. Sull’origine delle reti nervose nelle colture di tessuti (pres. dal Corrisp. Galeotti). J Lanfranchi. Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi ‘animali nel- l’uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identifica- zione del « virus » » (pres. dal Rosie B. (GRASS) RIGA Fiplossfcica (pres. dal Corrisp. Zo Monaco) . MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO. DI COMMISSIONI Comes S. Ulteriori ricerche sulla struttura della cellula cartilaginea dei mammiferi (pres dal'Socio Grassi) i I ZAR N A I ARE (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. rt = crei esa PRIORE ‘ x i 3 x 3 Sì È Ss È E 3 ‘Pubblicazione bimensile. DELLA ANNO CCCXIII. 84 Map O #2 4 1916 0 CER a RE Near Histe- SHR I QUINT A » RENDICONTI Classe «di scienze sche. matematiche e naturali. - Seduta del 21 maggio 1946. metrime XXV.° ra Hasgicolo 10° ] ° SEMESTRE. ‘°° ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI - 1916 = REALE ACCADEMIA DEI LINORI ASTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI AOCADBMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due | Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze ‘fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 101 Rendiconti, della Classe di scienze fi- sicho, matematiche e naturali si pubblicano ra- golarmente due volte al mese; essi contengono. lo Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli. compongono un volume; due volumi formano un'annata. $ 2 Le Note presentate da Soci o Corrispon-. denti non possono oltrepassare le 12 pagine. di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della Spena è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discns- siouì verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso. parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, uma Not» per iscritto. ‘ i i da Corrispondenti.. Per le Memorie. presentate | . guenti risoluzioni, - 2) Con una proposta de ‘ stampa della Memoria negli Atti. ‘dell'Aecade- contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ‘dell'Accademia, 1a; data ricevuta con lettera, nella. quale gi avverte — ‘che i. manoscritti non vengono restituiti agli autori II. I. Le Note che oltrepassino, i miti indi > cati al paragrafo precedente, e le Memorie | pro priamente dette, sono senz "altro. inserite nei : Volumi accademici se provengono da. Soci. di da estranei, la Presidenza. nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, si 2. La relazione conclude con una delle se mia 0 in'sunto o in esteso, senza pregiudizio — dell'art. 26 dello Statuto. - 5 Coi desiderio | di far conoscere taluni fatti 0) ragionamenti | ziamento all'autore. - d) Colla semplice” pro» posta dell'invio della. pa agli Archivi. 3 Nei primi tre casì, IRSA dall'art. pre. cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. pra 4. A chi presenti una, Memoria per esame autori, fuorchè nel caso conte dall art. 26, dello Statuto. |. Hat che Foza Hehiesto! È messo. al carico y sdeg RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 maggio 1916. F. p Ovipio Vicepresidente. | MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sulle distorsioni di un cilindro elastico due volte connesso. Nota II della sig."® ELEONORA FREDA, presentata dal Socio V. VOLTERRA. La funzione mw [formola (VI) della Nota precedente] è della forma: u=@+)9D+| (2-3) ++ |. Allora, poichè DATA e ia ra da 4g 0 dip - fida a ui N 2 ge 2 (i) + (i) + I 2 2; J Dl ul a)= e gn) — 2ag (iv) — 34M MU _2y[9M+v0+ O @-D+ (1-1) ]: RenpicontI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 88 — 680 — e tali due espressioni sono costanti sulle due superficie cilindriche se per di==< Ri; de=Rées1ha: (VII) la quale condizione, applicata alla (VI), dà saRî ski | eb — RIP RI tas) (VIII) E i sa s Ri rash ottani 2 2a(Rî + R3) soddisfatte per gi __a[a*(Rî + R5) — 2Rî Rr] A) +0) +9 0 (@- D+ y0) (I Rî RÎ[Rî + Rî— DE az TI: Rì) — 2Rî Ri] R°(R? — 24°) — R&(RE— 2a?) J? — a) 30. A —-s)@ RR 1, — 2(R#+R3) RÎ (1 —-sYeRî Rsa To SRIAERIO HI (19) e RIRI 1, 2(Rî-+ Ri) RÎ eg n O Rî + R3 n a 2(8î 4 RI) (R° — Bj) bi= — Determinata x, ho m 4K(L + K) 1 dei rig ar log J + RR tari A Ani dia DELLLA a) n A (3 +y (— e RR: 17) tre pedi Ri Rî[Ri+ R'— 2a] + a?[a*(k7+ Rî)— 2RiR?] 1 aRi Ri (RÎ — Ri = 2a) [Rî + Ri]? RIRITRI + Ri — 20°] + a*[af(Ri 4 R) — 208): — 681 — Avuta x, posso determinare w e quindi % come nel problema precedente; ho | m 4K(L+K) Rig, LOR 2.9 L + 2K i- y arte o + y artg “n a 1 pese s'n[( Ii ]+ pnt 1 dere E fe +e ]+ (Sa Trovate @ e le (I) dànno gli spostamenti: Se in particolare i due cilindri limitanti il solido sono concentrici 4 1 ca OR Ri, = dar d__ Lio X TRI aes * Ari + ri) at 4g 2 + pr Ue i IE Origene Quindi, se 7=/x* + y?, sarà Tini LO 4(ri 473) &° 1-y° 1 1 ee a e, Art+ 8) Metro) | ___m 4K(L+ K)j Mugi LÌ OIL o 2K \31ogr!— gartg? Tasso n e quindi, dalle formole (1) dell'Almansi L+K PETE DE lop:7 Lore “Ton L+2K 06" 142) i+rî roi sli. i ‘ace 6 9a mm L+K ap Tita e “on Jartg È ali ri ri) 3° dy L + 8K — (L+2K)(Rî + Rò) 24) w=0. a — 682 — Mi propongo ora di trovare le espressioni degli spostamenti ‘nell'ipotesi che, eseguito il taglio nel modo solito, si sia fatta subire all'una faccia una rotazione intorno all'asse 2. Cercherò perciò di determinare due funzioni ® e $ soddisfacenti alle condizioni imposte dal prof. Almansi e, di più, tali che dg__r 4K(L+ 2 ZA \ i 3a a DDR + 2K y artg x + funzione monodroma Sort. TA A È ww 2 L-+2K x arto s + Rupglode monodroma è ; e questo si verifica se ar sh Lore 1 log +0) +} dove w è una funzione armonica con derivate rispetto ad x e ad y regolari ? K(L+K Sin 5a ese i, ge en) ii d Ora osservo che, se fosse OX) ®=7 Tar a+ + 1-3 log] + +[ (ei) + ]+2 1061). @ soddisferebbe alla condizione di essere biarmonica, ed il suo 4? conter- rebbe il termine — jloga +99). Ma in ® comparirebbe anche +e 2 log(e' +91), r il cui 4? è a Ab, dlog(a* + y°) a dx { rebbe il prodotto di una costante per e quindi, essend |e log [a® + y*] — 2a — 2y artg si ; la cui derivata rispetto ad y non è regolare. Posso eliminare tale inconve- — 683 — niente aggiungendo a ® la funzione biarmonica (vedi problema precedente) r° 4K(L+K)1(25 ori i IO RR NT ABETI s|I- LR, __2ba a- RR} a A R?4+iR? ge Ji Allora r 4K(L+K)1 L5f ù STO e AR) 1) 3 2b, u* Ri Ri ni +[(e-3) Re Ri ER: J? n >» 26» S Rî nl + xlogJ— a(Ri-+ RI)” |3 3 5 Ora debbo determinare 4, , 1,2 in modo che AE siano co- de dI stanti per J= Ri J= R3. Ora la somma dei termini in parentesi sì com- pone di due parti: l’ una, 2b 25, 2 Ri R2 op |I- J | avente già derivate rispetto ad x ed. y costanti per J= Ri J= Rì; l’altra della forma (2-+42) g(9) + + [(e i) +e 0 Si è già vista la condizione (VII) perchè una funzione di questo tipo abbia derivate rispetto ad x e ad y costanti per J=R? e J= Rî. Applicandola al caso in cui g(J) e w(J) siano le speciali funzioni con- tenute nella (X), si ottengono due equazioni in e, , 0, ds soddisfatte per a*(Rî? + R3) R?(Rî log Rî? — a?) — R2(R? log RK? — a?) Rî — Rî a’°[a*(Ri + R3) — 2Rî R3] + R? Rî(Rî + Rì — 2a?) [Rî + R3][Rî + Rì — 2a? 2a' b,= = by i a°( Ri + R3) ari sà 1 Rî log Rî — R3 log Ri @ Ri R? ba = Dalla (X), tenuto conto che la funzione armonica deve soddisfare AE dp alla condizione = 4*@, ho DEA — 684 — r 4K(L+K) » 20, RiBs d. Gm ga EN pi toga Sa + Ple + ma tioll Cao +5 (e) ve (e—-] + ta dle a Yy 1 sy e + 2y artg 2 (al) yang tl tg + + Avute dalla (X) e dalla (XI) ® e 9, non ho che da applicare le (X,) per avere gli spostamenti. Matematica. — Sui teoremi di Rolle e della media per le funzioni additive. Nota di G. VIrALI, presentata dal Socio C. SEGRE. 1. L'estensione dei teoremi di Rolle e della media alle funzioni addi- tive (*) è stato oggetto di studî recenti nelle seguenti Note: i A) G. Fubini, Esiste un corpo pesante a densità sempre nulla? Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. 50°, 1914-15, pp. 293 sgg. B) G. Fubini, /l teorema del valor medio. Rendiconti della R. Acca- — 3 demia dei Lincei, vol. XXIV, ser. 5*, 1° sem. 1915, pp. 691 sgg. C) G. Vitali, / teoremi della media e di Rolle (da una lettera al 3 a prof. G. Fubini). Atti della R. Accademia delle scienze di Torino; vol. 51°, 1915-16, pp. 143 sgg. (*) La nozione di funzione additiva si trova già nelle grandezze coesistenti di Cauchy. Ved. Cauchy, Mémoire sur le rapport différentiel de deux grandeurs qui varient simul- tanément (Bxercices d’analyse et de physique mathém., tome 2, Paris, 1841, pp. 188-229). Il Servois (Annales de mathématiques, tome V, 1815), introdusse l’espressione « funzione distributiva » che in seguito fu usata per indicare quelle che attualmente si chiamano « funzioni additive ». Ved. G. Peano, -Le grandezze coesistenti di Cauchy (Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. 50°, 1914-15, pag. 1146). La deuominizione di funzione additiva è ora usata nei seguenti trattati: Cours. d'analyse infinitesimale par Ch. J. de la Vallée Poussin, deuxième édition, tome II, pag. 110, Louvain, 1912; dott. Guido Fubini, Lezioni di analisi matematica, seconda — edizione, pag. 376, Torino, 1915. — 6859 — Il Fubini, nella Nota A), dimostra: Teorema I). / teoremi della media e di Rolle valgono per una — funzione additiva f(t) definita în un campo piano, limitato e connesso, I, quando sono soddisfatte le seguenti condizioni : È 1°) una retta qualsiasi non incontra il contorno di J in più di Que punti (*); 2°) f(t) è CONTINUA SULLE RETTE (*): cioé, se t è una delle parti in cui J è diviso da una retta r, la f(t) varia con continuità mentre r varia conservando la direzione (3); 3°) f() ha derivata (nel senso di Lebesgue o De la Vallée Poussin) in ogni punto interno a J e SUL CONTORNO. Per derivata di /(7) in un punto Psi può qui intendere pertanto il limite di “i per t=0, 7 essendo un campo connesso cui appartiene P ‘e il cui rapporto al minimo cerchio di centro P che lo contiene è maggiore di un numero fisso X >_0. In altre parole, la derivata è qui intesa nel senso di Lebesque (4) 0, se si vuole, nel senso generale di Ch. de la Vallée Poussin (*), con la con- dizione, in più, che P debba appartenere (cioè essere interno o sul contorno) «a ciascuno dei campi 7 che figurano nel rapporto di cui si deve cercare il limite (9). Teorema ÎP5). Se però il campo J è un rettangolo, basta enunciare la seconda condizione per le rette parallele ai suoi lati e la terza per i punti interni al rettangolo, per poterne concludere (coi ragionamenti molto semplici del Fubini) che esiste un punto P_ proprio interno ad J, in cui pa=12. Si può dire, di più, che in questo caso basta che la derivata sia definita come il limite di sel per 7= 0, dove © è un rettangolo coi lati paralleli (1) Basta anche che questa condizione sia soddisfatta per le rette parallele agli ‘assi coordinati (cioè a due rette fisse qualunque, non parallele). (3) Questa denominazione è usata dal Fubini nella Nota (A). (3) Questa condizione si può enunciare -anche dicendo che, se 7 è quel pezzo di J che è racchiuso tra due rette parallele, allora (7) tende a zero, quando tende a zero la ‘distanza di queste due rette. Basta che tale condizione sia soddisfatta dalle rette paral- lele ad uno degli assi coordinati, cioè a due rette fisse qualsiasi non parallele fefr. la Nota 1). (4) Sur l'intégration des fonctions discontinues, par M. H. Lebesgue. Ann. éc. norm. (3), XXVII, aoùt. 1910, pp. 362 e 890. (5) Loc. cit., pag. 113. (5) A rigor di termini dovrei aggiungere: se il contorno è tale da consentire in +utti i suoi punti una derivata di questo genere. i — 686 — ai lati di J contenente P al suo HE e col rapporto dei lati compreso tra due numeri inversi fissi H ed + 2 (con L=E:H==0)i Teorema I°”). Nella Nota ; il Fubini omette la condizione 2° 10) [della continuità di /(7) sulle rette], dimostrando però soltanto che TT | è compreso fra i limiti superiore ed inferiore della derivata di f. Teorema Ile). Ammettendo, invece, che f(t) sia continua non su rette, ma su altri tipi di linee, si può ancora nel caso generale dimo- strare (col metodo del Fubini) che il citato punto P_ è interno ad I. Limitando in altro modo la natura del campo J. io ho poi dimostrato nella Nota C: Teorema II). / teoremi «della media e di Rolle valgono quando J è un rettangolo, 0 un cerchio, 0 un’ellisse, 0 una corona circolare, ecc. ecc., purchè f(x) ammetta derivata (nel senso di De la Vallée Poussin) finita în tutti i punti interni di J, 0 sul contorno; ed esiste quindi un punto P di Juncui f(P)= fel, Veramente dalla mia E. C) risulta soltanto che il punto P è interno, o sul contorno di J; ma nel presente lavoro completerò questo risultato, dimostrando che si può sempre trovare un tal punto interno a J. Così potremo concludere, in particolare, che i Teorema II°). / teoremi di Rolle e della media valgono per un. campo J rettangolare; ed il punto P, în cui /(3) ec è interno a J se f(t) ammette derivata finita in ogni punto interno a J e se è. continua sulle parallele ai lati di J (condizione di -Fubini), oppure se ammette derivata finita in ogni punto di J interno 0 sul contorno (condizione di Vitali). 2. Per dimostrare i teoremi di Rolle o della media nel caso in cui J_ 5 sia un rettangolo ABCD, io ho, nella mia Nota citata, diviso AB in 2* parti uguali e tirate le parallele a BC per i punti di divisione; poi ho di- — viso BC in 2” parti uguali e ho tirato per i punti di divisione le parallele ad AB, ed ho indicato con S, il sistema di rettangoli uguali in cui J viene diviso da questi 2 sistemi di rette. Al Ebbene: se /(7) è una funzione additiva dei campi e di J, che ammette in ogni punto (interno e sul contorno di J) derivata finita, e se {(3)= 0, 3 per provare, col ragionamento da me usato nella Nota citata, che esiste un È punto P interno a J in cui f'(P)=0, basta provare che, per un qualche %, sd A — 687 — o esiste un rettangolo 7 di S, interno a J (cioè non avente punti sul con- torno di J) in cui f(7)=0, oppure esistono due rettangoli 7,,z di S, interni a J, per cui f(1) >0 e f(ra)<0. Se non si verificassero queste condizioni, vorrebbe dire che, per ogni x e per ogni rettangolo © di S, interno a J, è sempre f(7) > 0 0 sempre /(7) <0. Supponiamo che sia sempre /(t) <0. Indichiamo con S}, il sistema dei rettangoli di S, non interni a J. È allora evidentemente ACERENZA e, poichè f(S.) = (3) =0. 0 0 per cui f(S.)> È, qualunque sia 7 >2. - Esiste allora in S3 un rettangolo 03 per cui k f(0:) > FARE ; 3 e se 0; è quella parte di S/ che è contenuta in 03, sarà f(0:) > f(03) (2). Esiste dunque in 93 un rettangolo 0, (di S;) per cui i si È a (0) > > gr e se o, è quella parte di S; che è contenuta in o,, esiste in 0, un rettan- .golo o; (di S:) per cui E es e e così via. Si vede poi subito che, per ogni 7, è (*) Poichè f(03 — 03) <0, essendosi fatta l'ipotesi che in ogni rettangolo interno la /(t) sia regativa. RenpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 89 I x — 688 — Si conclude che ke sf A\T=3 f(0n) > DI (5) On, ossia che fon) Fe Lo On 7 e; \8 } Ora i rettangoli 03 04 05...) essendo ciascuno contenuto nel precedente, hanno un punto comune P, e per l’ultima disuguaglianza, la derivata di /(7) in P_ non potrebbe essere finita. E ciò contro l'ipotesi. Un ragionamento analogo, fatto nel caso in cui J è un cerchio o una ellisse o una corona circolare ecc., porterebbe alla stessa conclusione. 3. Il prof. G. Peano nella Nota citata e in un’altra sna pubblicazione anteriore ('), si oecupa dei teoremi di Rolle e della media e ne indica la semplice dimostrazione nel caso in cui la derivata in P sia intesa come il f(©) limite del rapporto di az dove 7 un campo qualunque che può anche non contenere il punto P*. ; L'esistenza di simile derivata finita in ogni punto porta difatti la con- tinuità, ed è di qui che si deducono facilmente i teoremi di Rolle e della media. Ma la derivata nel senso generale di De la Vallée Poussin non porta come conseguenza la derivata di Peano: e quindi la portata dei risultati © 4 delle Note di Fubini e mia è naturalmente diversa da quella del risultato di Peano. ‘© 4. Ancora una osservazione. Ho avuto occasione di distinguere al n. 1 derivate di De la Vallée {(1) Poussin considerate come limite di ui in cui il punto limite P appartiene Di 7 } ; i } 2 . L) a t, e derivate di De la Vallée Poussin considerate come limite di . «+. è» 100.34 Il peso specitico è di 2,721, mentre per la ciclopite dell’isola dei Ciclopi è stato trovato di 2.682; la differenza in più è dovuta alle inclusioni, spe- cialmente di magnetite. Il fatto di trovare impiantati cristallini di aragonite sulle facce delle lamelle di cielopite ci conduce a considerare questa come più antica della aragonite. i -— "698/=2 Fisiologia. — / processi termici dei centri nervosi. IV. Azione dell'ossigeno sulla tonalità termica del preparato centrale di Bufo (*). Nota di S. BagLIONI, presentata dal Socio S. LucIanI. Speciale interesse presentava la questione dell’azione dell'ossigeno sulla produzione termica del preparato centrale, e perchè dalle precedenti ricerche era noto che questo preparato può, alla temperatura ordinaria, sopravvivere a lungo soltanto quando è posto in ambiente ricchissimo di ossigeno, e perchè è noto che tutti i processi ossidativi (che sarebbero presumibilmente dovuti avvenire in seno alla sostanza nervosa) hanno per effetto una forte produ- zione di calore. In due modi cercai di far agire l'ossigeno: 4) facendo circolare una corrente di ossigeno puro (preparato chimicamente) nella camera umida del- l'apparecchio; 2) mediante applicazione di una listerella di carta da filtro, imbevuta di una soluzione di H,0,, sulla faccia dorsale del preparato. Ambedue questi mezzi si erano mostrati efficaci per mantenere la soprav- vivenza del preparato centrale (?). Riferisco i dati di tre esperienze. Esperienza XIV. 10 marzo 1916. — Preparato di $, senza emisferi cerebrali. Batuffolino di ovatta, imbevuto di soluzione di stricnina (1/), sulla faccia dorsale del- l’int. post. O del galvanometro vuoto, 840. Temp. amb. 129,7. Alle ore 8.10’ adagio il preparato colla sua faccia ventrale sulla batteria di otto coppie. Sino alle ore 9.45”, tetani spontanei e riflessi violentissimi; il galvanometro, dapprima salito a 830, quindi ridisceso a 490, per aver aperto la cassettina allo scopo di situare la cannula per insuf-. flare O,, era di nuovo risalito a 650. La corrente di 0, attraversava due bottiglie di lavaggio, contenenti Hs0, prima di giungere al preparato. Nella tabella I sono riportati i successivi dati, più salienti, della lunga esperienza. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia della R. Università di Sassari. (?) Questi Rend., vol. XIII, 1° sem., ser. 58, 1904, pp. 739-748; e Zeitschr. f. allg. Physiol., IV, 1905, pp. 384-437. i - 699 — TABELLA,.I. h. min’ min” |Galvan. Attività centrale gene Osservazioni 10.0 V| 750) Fortissimi tetani. n 1.80.| 650 | Insufflo 0, per pochi secondi. DIAD 715) Idem. » 26 875 Idem. » 30 730 Idem. » 38 875 JBL, » 49 980 11.10 990 |, Idem. » lo 790 | Idem » 27 1010) Idem. 149.4 » 30 | 1038 » 52 1000) Idem. » 59 995 Iusufilo O, per 1° » 56 760 | TIZI 986 | Ilem. » 26 1070) Idem. ‘1 14°.8 » 30 1090 | 18. 0. 0 | 1010 | Idem; scende a 760. » 8 910) Idem » 14 1038 » 89 1095 | » 47 1120 | Idem. | » 58 1120 14.41 1100 | Idem. Apro e pongo listerella di carta | da filtro (2 X 20mm) imbevuta di soluzione Hs Oa (Erba, 3,6 °/o: peso H20s 12 vol. 0) sulla faccia dorsale del preparato. Il galva- nometro sale fortemente e rapi- damente. » 45 182:0| Idem. » 45.30 | 1845 » 46 1770 » 48 1520 | Idem. » 49.30 | 1440 » 51.80 | 13815 Apro e tolgo la listerella di carta. » 54 1230 | Idem. 15. 4 1310 150.4 Eee 5815 Insufflo 0,; scende a 1100. » 12 1268 » 20. | 1330 » 24 1348 » 30 18340 | Idem. » 37 1320 e » 46 1280 | Idem. 16.46 1165, Forti tetani riflessi. 17. 8 1090 | Idem. © Insufflo 0a per 1’; scende a 580. » 12 1075 » 14 730 ”» 22 1020| Riflessi tardi e deboli. » 26 1030 149,9 » 29 1040| Idem idem i unilaterali. 18.9 1010) Jdem idem idem. 19. 2 910) Ineccitabile. Insufflo 03 per 1’; scende a 520. » 15 872 14°,0 » 35. 935 Aperto il circuito, scende a 920, » 40 922 — 700 — - Esperienza XV. 11 marzo 1916. — Preparato completo e normale di $&. Alle ore 8,10 lo adagio colla faccia ventrale sulla. batteria di otto coppie. Il galvanometro scende sotto 380; poi risale lentamente. Temp. amb. 13°.4. Nella tab. II i più salienti dati successivi. TABELLA Il. h. min' min” |Galvan. Attività centrale Tenp: b Osservazioni i | 9. 1 760 Riflessi forti e pronti. 149.4 Aprendo il circuito, tende a salire » 33 890 n 14°.8|. a 800 » 37 885 | Ottimi riflessi, 888. » 41 885 Insufflo 0, per 1’; scende a 495, » 48 850 poi risale. » 55 910| Movimenti spontanei. 10.10 960 » 30 1085 | Riflessi. Insuffio aria umida per 1’; scende » 31 1040 a 160, poi risale. » 41 975 » 51 1045 i $ » 56 1085 | Ineccitabile. Pongo listerella di carta imbevuta di H,0a; sale rapidamente al di sopra di 2000, fuori della scala. » 59 2000 11.0 1840 A) 1500 NATA » 8 1225 Tolgo listerella. » 15 1060 Pongo altra listerella imbevuta di — soluzione d'alcool 10°/,: scende a 600, poi risale. ; » 17 750 » 18 875 150.0 i » 84 1150 Tolgo la listerella. » 40 1140 : i » 43 1142 Insufflo 0, per 1’; scende a 650, 19.01 1130 | poi risale lentamente. » 16 1160 Pongo altra listerella imbevuta di 3 soluzione 7/10 di H,S0,; scende » 20 1030 a 700, poi risale. » 32 1140 ; = 99 18. 0 1115 Tolgo listerella; scende a 915, poi risale. Di. » 27 1140 Aprendo il circuito, scende a 780... » 43° |1015 150.6 È 14.84 1050 Pongo l'isterella imbevuta di so- | luzione di acido. fenico 1 °/o; scende a 500, poi risale. » 47 1052 L5:29 1060 | Tolgo la listerella, sostituendola “| crouia con altra imbevuta di Ha 0; E scende a 700, poi risale. Sa » 10.30 | 1110 » 12. 1222 » 14 1210 i S » 22 1170 Tolgo listerella; scende a 1040. 16. 0 1040 » 58 952 i Aprendo il circuito, 780. 17.45 925 î 19.20 860 Pongo altra listerella con H,0,: o scende a 450, poi risale. “2 » 24 900 {fas » 26 990 ; n 81 | 970 Aperto il circuito, 780. risale lentamente. Nella tab. III alcuni dati successivi. — 701 — Esperienza XXVI. 21 marzo 1916. — Preparato completo di $. Quadratino di carta bibula (2 X 2 mm.) imbevuto di soluzione di stricnina (1/0) sulla faccia dorsale dell’int. post. Alle ore 8.37’ adagio il preparato colla faccia ventrale sulla batteria di cinque coppie; ha quasi i tetani. Temp. amb. 16°. Il galvanometro scende sotto 0: poi TABELLA III. violenti ; h. min' min'”| Galv. Attività centrale cene: Osservazioni amb, 840 560 » 43 700 » 44.30 | 690 Aprendo il circuito, 600. » 46 670 | Riflessi forti, quasi tetani, 665. » 48 652 160.0 » 49 645 Fo insufflare Os per 1’; scende sotto 0, poi risale. nò7 490 16°.05| 900. 610 | Tetani riflessi violenti e ripe- tuti, 612. » 12 620 16°.1 » 30 620 | Idem idem idem, TESTA » 45 600 | Idem idem idem. ” » 48 Fo passare per 30” una corrente di C03; movimenti spontanei; scende a 140. »50. | 10) Tetani riflessi fortissimi. 10. 0 570 ” » 5 590 | Idem idem idem, 585. Os per 1’; scende sotto 0, poi risale. » 14 560 16°.0 » 18 610 ” » 22 630 169.05 » 26 | 650| Tetani riflessi fortissimi per mi- |16°.1 nimi stimoli. A » 81 | 660 Aprendo il circuito, scende a 600 Oa per 1’; scende sotto 0, poi risale. n 44 625 » » 50 660 » 58 664 16°.15 11.0 | 670] Idem idem idem, 665. 169.2 » 1 675 Insufflo Os attraverso vapori di cloroformio; tetani scende a 665. » 5 660| Eccitabilità riflessa scomparsa. Idem, per 1’; scende a 200. » 8 450 16°.25 » 11 640 » 12 650 16°.3 - 16 690 12. 3 16°.4 730 Il sèguito dell'esperienza con un batuffolino di cotone, simile al preparato e imbe- ‘vuto di soluzione fisiologica, fu riferito nella tab. II della II Nota precedente (pag. 594). — 702 — I dati delle tre esperienze (e di altre, che ometto per brevità) dimo- strano un'evidente azione positiva tanto della corrente gasosa di 0,, quanto dell'applicazione di Hs0,. Differendo fortemente nei dettagli, è duopo discu- tere separatamente l’azione delle due sostanze. a) Azione dell'ossigeno. — Si ha una prima fase di raffreddamento, che ordinariamente dura finchè dura la corrente gasosa attraverso la camera umida; nella sua entità è direttamente proporzionale a questa durata, ed ‘è, perciò, diretta conseguenza di aumentata evaporazione del preparato (ved. Nota II). Segue una seconda fase di lenta e graduale elevazione termica che, “dopo alcuni minuti, raggiunge e poi sorpassa il valore iniziale. Nell’esper. XIV una prima corrente di O, di pochi secondi produsse, dopo 25”, un aumento, sul valore iniziale, di 125 divisioni (pari a + 0°.0725); una seconda simile corrente di O, determinò, dopo 19", un aumento sul valore iniziale, di 230 divisioni (= +4 09.115); una terza, dopo 15’, un aumento di 288 divisioni (= + 0°.144); una quarta di 1’, dopo 35’, un aumento di 340 divisioni (= + 0°.170); una quinta, dopo 44’, un aumento di 370 (= + 0°.185). Nell’esper. XV la corrente di Os di 1’ produsse, dopo 29’, un aumento, nel valore iniziale (885), di 85 divisioni (= +- 0°.0425), che, dopo altri 20', era divenuto di 160 divisioni (= + 0°.080}. In questa esperienza l'aumento di calore è meno rilevante, certamente perchè il preparato non era stricni- nizzato. Nella prima parte dell’esper. XXVI l'azione dell'O, fu meno evidente, perchè mascherata da abbassamento della temperatura ambiente (da 16° a 15°.7); essa fu invece evidente nella seconda parte, quando la temperatura ambiente risalì a 16°. L'aumento prodotto da corrente di O, per l' fu, dopo 26’, di 70 divisioni sul valore iniziale (590), pari a + 0°.056; e, più tardi, per altra corrente simile, dopo 30’, di 85 divisioni (= + 0°.0765)." Che questa azione, debolmente e lentamente riscaldante, dell'O, sia dovuta ai processi metabolici del preparato sopravvivente, è ben dimostrato dai se- guenti fatti: Tale azione scompare, od è molto minore, quando il preparato è divenuto ineccitabile (esper. XIV, XV, XXVI); essa non si manifesta. se al posto del preparato si pone un batuffolino d'ovatta imbevuto di solu- zione fisiologica {ultima parte dell'esper. XXVI e altre esperienze non rife- rite); e, finalmente, un'azione analoga, però meno intensa, si osserva anche se, invece di O,, si fa passare una corrente di aria umida [esper. XV ed esper. XII della III Nota (pag. 659)]. b) Azione dell’acqua ossigenata. — Quest'azione diffaricco da quella della corrente di O, soprattutto pel fatto che essa provoca, quasi immedia- tamente, una forte elevazione termica. Nell'esper. XIV quest'elevazione rag- giunse (entro 1-2") il valore di 745 divisioni sul valore immediatamente. precedente, pari a un aumento di temperatura di + 0°.3725; nell'esper. XV raggiunse (entro 1-2’) il valore di più di 1000 divisioni, pari a + 09.5. — 703 — A questa fase segue una seconda, in cui il galvanometro, abbastanza rapi- _ damente, ridiscende per raggiungere, dopo circa 60', press'a poco il valore iniziale. Successive applicazioni di H,0» provocano fatti analoghi, che sono però molto meno intensi, specialmente se, nel frattempo, il preparato è divenuto ineccitabile (esper. XV). Per intendere il meccanismo d'azione dell’ I1,0,, aggiungo che nell'esper. XVI (12 marzo 1916), dopo aver pro- vato su un preparato normale non stricninizzato l’azione dell'O, e quella dell’ H,0,, lo sostituii con una striscia muscolare di ‘dimensioni uguali. Applicai quindi sulla sua faccia superiore un’uguale listerella di carta bibula imbevuta della stessa soluzione di H, 0.; vidi un comporta- mento uguale, -ossia una rapidissima elevazione termica di 830 divisioni (= + 00.415). Nell’esper. XX (15 marzo 1916) applicai un'uguale listerella di carta con H.0, sulla faccia superiore di un batuffolino d’ovatta umida, simile al preparato; il galvanometro, stavolta, dapprima diseese lievemente e poi risalì lentamente per mantenersi al valore iniziale. Ciò dimostra che l'azione dell’acqua ossigenata, pur non essendo specifica del preparato cen- trale, si manifesta soltanto a carico di tessuti (nervoso e muscolare). Non so, però, qual’importanza abbia nel processo la scissione catalitica di ossi- geno, che, in forma di bollicine, ho sempre constatato sulla superfice del preparato. La quantità di soluzione di Hy0, (che poteva essere assorbita dalle listerelle di carta da filtro), determinata per pesata, risultò oscillare tra gr. 0.0072 e gr. 0.0097. Da rilevare, finalmente, è l’altro fatto, risultante dall’esper. XV, che altre sostanze, più o meno ossidanti (soluzione alcoolica 10 °/,, n/10 di H,S03, fenica 1°/,), applicate sul preparato con metodo uguale, non pro- vocarono elevazione termica analoga a quella dell'acqua ossigenata. ‘c) Azione dell’asfissta. — Non ho eseguito esperienze dirette a stabi- lire l’azione di gas asfissianti (azoto, idrogeno). Da tutte le esperienze, però, terminate colla morte del preparato centrale per mancata rinnovazione di ossigeno (ad es. l’esp VII della Nota II (pag. 594), l'esp. XI della Nota III (pag. 658), le due prime esperienze della presente Nota) risulta costante- mente che l'ineccitabilità, così prodotta, si associava a un evidente raffred- damento. Mi pare, quindi, di poterne trarre la conclusione che /e modif- cazioni biochimiche, indotte dall’asfissia (mancanza di ossigeno respira- torio) nel metabolismo centrale, producono una variazione negativa del — tono termico (raffreddamento). RenpicontI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 91 — 704 — Patologia. — ZVlteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi animali nell'uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei « virus»(*). Nota V del prof. dott. ALESSANDRO LANFRANCHI presentata dal Socio B. GRASSI. Nelle Note precedenti (*) ho riferiti i risultati ottenuti con le ricerche in merito al potere agglutinante, tripanolitico e protettore del mio siero, confrontando detti risultati con quelli antecedentemente ottenuti. Alla risoluzione dell'importante problema dell'identificazione del virus del quale sono infetto, ho pensato si potesse portare un nuovo e interessante contributo mediante un nuovo indirizzo di ricerche. Avendo rilevato come il mio siero, per quanto in grado diverso, sia protettore per tutti e tre i virus Zanfranchii Evansi gambiense, ho pen- sato di controllare se veramente detto potere fosse legato ad immuncorpi o non a sostanze che naturalmente si potessero trovare nel siero, tanto più che, come altrove ho detto, secondo un gran numero di autori, il siero umano normale può essere attivo contro il tripanosoma Zvansi. Non solo, ma con tali ricerche mi sono proposto di vedere se erano gli stessi anticorpi che, fissandosi e agendo sopra i diversi tripanosomi, impedi- vano a questi di infettare gli animali ai quali si inoculavano, o non si trat- tasse invece di anticorpi dotati di speciali affinità in rapporto a ciascun v2rus. Sappiamo, per le ricerche di Mesnil e Brimont (*), come, egualmente a quanto sì osserva per i batterii, le sostanze protettrici contenute nel siero si fissano sopra i tripanosomi corrispondenti. Tali autori hanno anche notato come la sostanza attiva del siero non si fissi tutta completamente sopra i tripanosomi; una .piccola parte reste- rebbe ancora nel liquido. Non è poi possibile ottenere una fissazione completa, anche in ragione del fatto che, data la fragilità dei tripanosomi è vitro, non si può prolun- gare di troppo il tempo del contatto. Dato ciò, non vi è nessun dubbio che la risposta ai problemi sopra postimi poteva venire data dal seguente esperimento: mettere i singoli virus (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Patologia e Clinica medica veterinaria della R. Università di Bologna. (*) AI. Lanfranchi, Ulteriori ricerche sulla possibile trasmissione delle tripanoso- miasi animali nell'uomo. Note I, Il, JII e IV (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 1916). (*) Mesnil e Brimont, Ann. Inst. Pasteur, 1909, pag. 129. — 705 — a contatto col mio siero, liberare in seguito il siero da tutti i tripanosomi, saggiare quindi di nuovo il suo potere protettore v7s-à-vis rispettivamente, ed in ogni caso con i tre virus. Ad un tale scopo ho fatto le seguenti ricerche. Prima serie. — Il mio siero venne messo a contatto col virus Zan- franchii, nella proporzione-limite minima che per il potere protettore si era stabilita esser atta ad impedire l'infezione; quindi nel rapporto di 1/, di cc. di siero e */,9 di cc. della soluzione-campione di virus. Tenni un tale rapporto per impedire che, usando una dose maggiore di siero, potessero in questo rimanere ancora degli anticorpi — non venendo tutti fissati — ed il siero possedere ancora un certo potere protettore. Le diverse miscele che dovevano essere impiegate vennero messe quindi al termostato a 37 ove furono mantenute per un'ora; poichè sappiamo come dopo tale periodo i tripanosomi si alterino. In seguito furono centrifu- gate a 4000 giri al minuto per !/, d’era, il siero venendo indi aspirato, per capillarità, in lunghe e sottili pipette. Detto siero venne quindi distribuito in tre provette nelle dosi di !/,, !/2 e 1 cc., e, in seguito, in ciascuna di esse vennero aggiunti */, di cc. soluzione-campione, rispettivamente dei tre virus ZLanfranchii Evansi gam- biense. Mi sembrerebbe un di più indicare il perchè ho mantenuto tali pro- porzioni, ed in merito rimando al lavoro del Bordet (') ove si parla della legge delle proporzioni variabili. Dopo tre minuti di contatto, le miscele vennero inoculate in sei topolini. Seconda serie. — Il mio siero venne messo a contatto col virus Evansi nelle proporzioni di '/, cc. siero, 2/10 CC. virus, e ciò perchè la dose di !/, ce. si è visto essere la minima atta ad impedire l’iufezione per un tale virus. Per il restante la tecnica seguìta fu identica a quella della serie prima, come identica fu anche per la serie che segue. Terza serie. — In questa il siero fu posto a contatto per lo stesso periodo di tempo, nelle proporzioni di 1 cc. con */ di ce. soluzione-cam- pione di virus gambiense; proporzione che io ho ritenuta essere indubbia- mente quella atta ad impedire la infezione a gambiense. Come controlli furono inoculati tre animali rispettivamente con uno dei tré virus, trattati nella dose tipo di ?/10 cc. con 1 ce. di siero umano normale. Riassumo nel quadro che segue i risultati ottenuti. (1) Bordet, Sur le mode d’action des antitozines sur les torines. Ann. Inst. Pa- steur, 1903, pag. 161. — 706 — " + [uu | uu uu ui ua eu sli ue cu uu Ev DER DINT, +|uwluulu|u|uiuls4|da|o|o|v|0|d|s|ulo|o|v|V|n|® E [ruolo all iu | Lu e|e a vau v VA D / Lluu|]u |uu| 2 +|vu| 4 |u| 2 +|uu | uu ld | dd | 0 | D +|uu | du |us| | » pu 4 ud lv | 2 +] uu | |ud |00 | +|uu|u|u| v +|uufu|u | d + | 4 | uu | | © ua | 4 | uu 0 |. del vu al 44i | dv. V +|uu| uu | ud | | L+|uu| 4 |ddl » +|uu|u | ud | 2 ; +|uu| 4 |u | v| +|uu|u.|ukt| ov | + uu | 4 dé | n D deli alti die leo. a: i È Ù Jsp] :s uu]: |w : #|3w|e|a|a|u|a|a|w|a a|m[o|e|s|e|s]s|]|s s|i . . driarti i *russisoto uni “dig = 7 fisorowanu ‘dit = % TIRI (ALII 4 SIUUISSIIRI "dix) = 44 ‘IQUOSSE ‘di1) ‘* ISUBAH « “ A “ osuarques o « “ K ISUCAH “« “u “ IIOUVIJU? SNI “ K ostorques « U ISUBATH “ u (13 . IIYQURIJUETT SOLA IA IYOUVIJUET SOITA « osuarquies “« ISUBAT “ U IOUBIJUE] SUI RIGR FRICR n= VILLVIVIN VIIUO INUOIO TA * * asuorques. « Al 19-04918 ssunquob nia CA - 049IS suna sniia - 049ILS YyIUDISUOT ENLIA — 707 — Dall'esame del quadro riassuntivo appare come i risultati non potreb- bero essere più dimostrativi. I tre virus hanno fissato rispettivamente e completamente gli anti- corpi protettori nel mio siero. Pur tuttavia, analizzando partitamente i risultati ottenuti, si ha modo di fare un qualche rilievo. Prima cosa che si rileva: gli animali inoculati con il virus gambdiense hanno avuto eguale decorso della infezione, in tutte e tre le serie esperi- mentali, e sono venuti a morte, si può dire, costantemente un giorno prima di tutti gli altri, tanto inoculati col virus Lanfranchii quanto con l’Evansi. Questo primo fatto potrebbe stare a parlare, per quanto la differenza sia appena apprezzabile, per una maggiore specificità dei pochi anticorpi | (che, come si è detto, rimaugono nel siero) rispetto a tali due virus; e ciò riavvicinerebbe ancora una volta il virus Zanfranchii più all''Evansi che o non al gambiense. Un altro rilievo appare, in riguardo al comportamento dei virus Lan- franchii ed Evansi rispetto al gambiense, allorchè i primi due sono stati fatti agire in miscela con siero prima sottoposto a contatto con quest'ultimo virus. Infatti si nota come uno degli animali inoculati col virus Lanfranchii | sia venuto a morte con circa dodici ore di ritardo; ed un altro, inoculato con l’Evansi, con ventiquattro ore, in relazione a tutti gli altri soggetti che ave- vano ricevuto gli stessi virus. i Sono piccole differenze, alle quali non si può dare un grande valore; rappresentano però dei dati, che, uniti a tutti gli altri, vengono ancor più a dimostrare come il virus Zanfranchii sia più da riportarsi all’ Evansi che non al gambiense. | Con le presenti ricerche viene ad essere allontanato anche il dubbio, | per quelle già eseguite in merito al potere protettore del siero, della possi- | bile influenza dell'attività del siero umano sopra il trip. Evansi: fatto che | può esistere anche per alcune varietà di gambiense, come risulta dalle ultime | ricerche del Mesnil. | Infatti sappiamo che le sostanze attive dotate di proprietà protettrice | del siero normale non si fissano mai sopra i tripanosomi. L'importanza però veramente grande delle presenti ricerche e dei risul- tati ottenuti è costituita dal fatto sul quale ho già richiamato l’attenzione: | che cioè: < tre virus hanno fissato rispettivamente e completamente gli o anticorpi prolettori contenuti nel mio stero. | Orbene: o noi togliamo ogni valore al potere protettore (valore che da tutti viene ammesso, tanto da costituire tale ricerca uno dei migliori mezzi |. siero-diagnostici per l’identificazione di un dato tripanosoma), o diversamente i. dobbiamo ritenere — a parte le piccole differenze notate ed interpretate — | che, dato che gli anticorpi protettori contenuti nel mio siero sono stati fissati 1085 completamente e rispettivamente dai tre antigeni impiegati, essi, trip. Evansi Lanfranchii gambiense, sono scambievolmente da identificarsi, e quindi dobbiamo ammettere che il trip. gambiense sia da riportarsi all'Avansi. Molto probabilmente — in modo corrispondente a quanto gli scienziati inglesi hanno dimostrato per i rapporti intercedenti fra i trip. Brucey e ro- desiense — il primo, trip. gambiense, si è originato dal secondo, trip. Evansi. Dissi già come (!), in ipotesi, si possa ammettere la monogenesi di tutti i v47us tripanosomiaci, e che i tripanosomi patogeni attuali ricono- scano la loro origine in quelli non patogeni, per il fatto di essersi trovati in cambiate condizioni che li hanno resi atti ad acquistare un tale potere. A queste considerazioni sono giunto anche per i risultati ottenuti con altre esperienze, che in seguito renderò note. (*) Al. Lanfranchi, Sulla possibile trasmissione delle tripanosomiasi nell’ uomo. Bull. delle scienze mediche. Bologna, anno LXXXVI, serie 9*, 1915. 128 MAY. 1918 E. M. RATA SS ce MUST aaa SU Pubblicazioni della R. Accademia de! Lincei. SR Serie 1* —- Atti dell’ Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII \|_°°’»»—»—’—’1’Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie ga “Nol, (1373-74). — Vol. II. (1874-75). È Vol. 1II. AO Parte 1% TRANSUNTI. SA ì 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, ; storiche e filologiche. Vol. IV. Ve WI VII VII. i Serie 33 _ TRANSUNTI. Vol. I-VIH. (1876-84). - ta MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. . Ri si Volk (1572): —HE(1,2)-—- LE-XIX. «°_° MEMORIE: della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. SV XITE: si Serie 4% — RenpicontTI. Vol. I-VII. (1884-91). 10h — MemorIE della Classe di scienze Selo matematiche e naturali. Vol. I-VII. — MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. SWX, Serie pi ei della Classe di- setenze fisiche, matematiche e naturali. ei i. Vol. I-XXV. (1892-1916). Fase. 10°. Sem. 1°. sn RenDICONTI ‘della Classe dî scienze E storiche e flologiche. ‘a Vol. I-XXIV. (1892-1915). i CE — Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche € a or : a Nol 3-XI. Fasc. 8. A - MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche € flologiche. L- COVE E Vol. XIV. Vol. XV. Fase. 1-2. — CONDIZIONI DI AIIONE. te Li ‘mese. Essi di due Lu all anno, corrispon- den i ognuno. ad un semestre. o n prezzo di associazione ‘per ogni volume e per tutta È "i Italia è èdiL #10; per gli altri paesi le spese di posta in più. SEE - Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti È "ino Lasscnga & C.° — Roma, Torino e Firenze. i - Urnico Horr. e Milano, Pisa e Napoli. | RENDICONTI — Maggio 1916. INDICE Da Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 maggio 1916. MEMORIE B NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Vitali. Sui teoremi di Rolle e della media per le funzioni additive (pres. dal Socio Segre)» Levi. Dimostrazione della natura condriosomica degli organuli cellulari colorabili col bleu pirrolo in cellule coltivate «in vitro » (pres. dal Corrisp. Galeotti)... /./ 0.0» Cotronei. Correlazione e differenziazioni (pres. dal Socio 8. Grassi) (*). .. 0. Sa Di Franco. La ciclopite di Santa Maria la Scala. (presso Acireale) (pres dal Corrispon- | dente Di Stefano) . PREDA ; i S ROL, Baglioni. I processi termici dei STA nervosi. IV: Azione all'osso sulla tonalità ter- i mica del preparato centrale di Bùfo . .. . RR e) Lanfranchi. Ulteriori ricerche sulla possibile RE delle a animali nel- l’uomo: le reazioni biologiche nelle tripanosomiasi umane ed animali nella identificazione dei « virus » {*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. 3 - a Pubblicazione bimensile. di » N. 11. { || REALE ACCADEMIA DEI LINCEI 1916 ( “ v. ; È vL n » SHRIE QUINTA RENDICONTI s. oa Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ui Seduta del 4 giugno 1916. : Volume XXV.° — Fascicolo 11° pri 1° SEMESTRE. RON TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI N 1916 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO 0 PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono ‘le Note ed i titoli delle Memorie presentate da | Soci e estranei; nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sivui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. » I. Le Note che oltrepassino i limiti ind cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di.‘ stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o insunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti conterati nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall art. 26 w dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. E RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DANN Seduta del 4 giugno 1916. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle derivate delle isomerie vettoriali. Nota di C. BuraLI-Forti, presentata dal Corrisp. R. MaRCcOoLONGO. Le isomerie vettoriali (!) si presentano tutte le volte che vi è da con- siderare un moto di corpo rigido, una flessione di superfici inestendibili (?), una rappresentazione conforme, ece.; e, quirdi, le loro derivate rispetto al tempo o al punto del quale sono funzioni, divengono elementi indispensabili nel calcolo vettoriale assoluto. Credo quindi opportuno di pubblicare le for- mule che dànno queste derivate, e che, eccettuata la [1], sono nuove; tanto più che le isomerie vettoriali permettono di abolire del tutto i due sistemi di assi, fisso l’uno e mobile l’altro, insieme coì moti relativi (*) che ‘nulla hanno a che fare con le questioni che si trattano, dovendosi solo con- siderare 0 composizioni di moti, o moti ausiliari di corpo rigido. Conservo le notazioni della mia Memoria citata in principio. Essendo 4 una qualsiasi isomeria vettoriale, sì ha Z4=cosgp+ (134 — c089) Hu,u)+seng.uA, (1) C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale (che indicheremo brevemente con A. V. G.), vol. I (Mattei, Paviv, 1912); C. Burali-Forti, ZSsomerie vetto- riali e moti geometrici (Memorie R. Acc. di Torino, ser. II, vol. LXV, n. 14, adunanza del 27 dicembre 1914). i ; (3) M. Bottasso, Sulla /lessionz delle superfici inestendibili (Rend. R. Acc. Lincei, vol. XXIV, ser. 52, 2° sem., pp. 174-182, 1915). (*) Cfr. A. V. G., vol. I, II; M. Bottasso, A. V. G., vol. IV. In questi libri i moti relativi sono del tufto eliminati. Cfr. anche le mie Note: /agranaggi piani (Atti R. Acc. Torino, 1902); Sul moto di un corpo rigido (idem, 1993); Sul moto composto (idem, 1912). RenpicontI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 92 — 710 — ove g è numero reale ed u vettore unitario. In particolare A= Rotor(p,u) ovvero Z4=a Rotor(g , u), secondo che I34 = 1 ovvero là = —1. Dai Rotor derivano i moti fisici di corpo rigido; dagli a-Rotor (anti-rotor) derivano dei moti geometrici non. realizzabili fisicamente. Rotor /unsione di un numero. L'isomeria vettoriale, ad invariante terzo positi vo, A= Rotor(g, u), sia funzione del numero reale £, e si indichino con gli apici le derivate rispetto a £. Esistono i vettori 2,£,. funzioni di #, tali che [1] 4 =: KX = RAKZ A), legati, insieme colle loro derivate, dalle relazioni [2] Q,= —-K42 , Q2=—19, [3] Qi= — K40' , L= — 49; ed esprimibili mediante ed u sotto la forma [4] 2= gpu+seng.u+(1— cos g)u/u' [4] Q=—-gPU—- sen p.u + (1— cosg)uu', la seconda delle quali si ottiene dalla prima cambiando 9 in — @, preci- samente come KÀ= 4 si ottiene da 4 cambiando @ in — gp (*). (') Alle quali, per essere A.KA= K4.4=1, si può dare la forma ACCKA — QI OKKA204 — (07/5 ovvero = V(47. Ka); Qi-= V(K2%.2).. (*) Se, essendo 4 un Rotor, e solo in tale ipotesi, sì conviene di indicare con gi il Rotor il cui quadrato è 4, allora xi = Rotor(g/2,u), e si ha Q= put 2 sen si ai u' e formula analoga per 2,. Si hanno pure le formule notevoli 1 1-A3=—2sen au =—-20088 1 23 li La DHalc0a 42(1— cos 7) Hu) i 2 Ppolai CRISTIANA AEREI (1+49)7!=3 al —tgg UA; per 1+ 4 invertibile 1 sen @ 2 c0s 14 cos gp e quest'ultima si ottiene dalta formula generale, per « omografia, (Ca)! =|Ia.«-+ RKa}/{Ia.Ie — Ia}. (CA)! = “u N} pure per CA invertibile, — 711 — Se n è un intero non nullo, positivo o negativo, allora 4”, KA" sono | pure dei Rotor che sì ottengono, rispettivamente, da Rotor(g .u) cambiando g in ng ovvero — ng. In virtù della [1] devono dunque esistere i vettori 2 2, tali che [1°] (An) = 908, (Kin'= QMRK2". La relazione tra i vettori 4, 21 e i vettori 2,9, è data, per positivo, da [5] PP =(1+4+4---+497)2, Q0=(14 KA+---+ K27)9Q,, ovvero, operando nei due membri con 1-4 e 1— KA, [5] (1-4) 2 =(1-4*)2, (1—- K4) 22 =(1—K27)9,. Inoltre, ricordando che KA = 7, per x positivo o negativo si ha su- bito, dalle [1'], (6) Qqeer — 20 ; e) = 2. Diva. [1]. — Esse sono già note (') e dimostrate in modo assai sem- plice. Un'altra dimostrazione, comunicatami dal prof. T. Boggio, è questa: Derivando la condizione X. KA= 1, si ha X'.KA+4.K2=0_, 4.K4+K(4'.K4)=0 la quale prova che 4%". KÀ è omografia assiale, cioè della forma 7 . Lo stesso prof. Boggio mi ha fatto notare che dalla prima delle [1] risulta immediatamente il teorema fondamentale del moto di corpo rigido. Invero, se i punti P,Q sono le posizioni al tempo £, dei punti iniziali Po, Q0, allora P_Q=4P,—- Q); derivando si ha, per la [1], P_Q'=QN4P.— ®) _, P'_Q'=2hA(P_Q). Inoltre giova pure osservare che }a prima delle [1] dà sotto forma assoluta semplicissima, e con formula unica, le nove equazioni del Poisson che esprimono le derivate dei coseni direttori degli assi mobili rispetto agli assi fissi (°). Dim. [2). — Ricordando che Rà=4, dalla prima delle [1] si ha Kl'a=— KA(2/8) = — RK4(/a) = — (K49)/K2a (1) A Signorini, Sulla dinamica dell'elettrone (Nuovo Cimento, ser. VI, vol IV, fasc. ott. e nov. 1912). (*) Anche da ciò può risultare l'assoluta inutilità degli assi fissi e mobili. x — 712 — che, per essere a vettore arbitrario, dà K4 = — (K42)K2; e, per la se- conda delle [1], si ha la [2]. i Dim. [3]. — Derivando la [2] si ha Qi = — K49'— K7/0= — K49 — 2,\K40= — K12'+ 9; 9. Dim. [4]. — Applicando la [1] ad u, e ricordando che Zu=qu, si ha Zu=/u. Operando con u, nei due membri, ed osservando che da Xu = u segue Z'u= u'— Zu'. si ha subito £_-uX2.u=u,Z'u=u,(u—4u0)= =u/j(1— cosg)u—seng.u/u'f, tenuto anche conto che, per essere u unitario, u Xu'= 0; da questa si ha (a) Q2=-uX2.u+seng.u+(1— cos g) uu. | Resta da calcolare uX. È noto (mia Memoria. loc. cit.) che X=qg".u\4-+ 2(1— cos g) DE(u,u) + sen gp.u',, da cui si ha 2V4' = gp'C4u +2 sen u'; ma dalla [1] si ha 2V4' = C49, e quindi (5) C490 = gp'CZu + 2 sen gp. u'. Moltiplicando (X) per u, si ha CU(L— pu) Xu=0 , (Q2— g'u)XCK%Za=0; ma CK2Zu è vettore (non nullo) parallelo ad u e quindi (0- p'u)Xu=0, ciò QXu=g' il che dimostra la [4] (*). (1) Da (5) si ha Q=pu+ 2 sen p.(C4)7 u', da cui, per la formula generale (citata) che dà (C@)7*, si ottiene ancora la [4] per CA i invertibile. Si può anche dimostrare la [4] senza far uso della forma esplicita di 4°. Si ha. VA==seng.t, e quindi uX VA=sen gp. Derivando e ricordando che VA è parallelo ad u (o è nullo) abbiamo bi ? p'.coop=ua X VI +u x Va=uX V49'; ma da 2VA = CA42 si ricava i 2p'.cosp=u X CAR= LX CKdu=2cosp.uX 9, che, per cospg = 0, dà ancora uX L= p'. ‘ Con queste due dimostrazioni occorre ancora verificare la [4] per C4 non inver- tibile o per cosg=0. — 113 — Dim. [5]. — Essendo a vettore arbitrario costante, ammessa la [5] per un valore positivo e non nullo di 7, e ricordando che RA =4, si ha (4241 af) = (4.2 a) = (2% n 2"a) + Q/2.2%"a = RA(Q 7a) +2 Hg = (AN), Antra + Qta =}(1+4+-:--+ 49142") Q}n4"ta. Se, dunque, la [4] è vera per #, essa è pure vera per n +1; ma è vera per 2=1, e quindi è vera in generale. Rotor funzione di un punto. L’isomeria vettoriale 4 = Rotor(g , u) sia funzione del punto P varia- bile in un campo continuo a tre dimensioni. Esistono le omografie vettoriali, funzioni pure di P,u,y,, tali che [7] di=(udP)\4 , dKi=(udP)\KÀ, legate dalle relazioni [8] u=—K4.w , u=—4u; e la cui forma effettiva mediante @ ed u. che sono pure funzioni di P, è du du [9] u= H(gradg,u)+seng april 089) 7P du | du (} pr » LERSTE prese Ple = [9] u,=— H(grad g, u) — sen g dP -+ (1— cos g) u/ ap Per x numero intero relativo non nullo, esistono le omografie vettoriali u® ul tali che [o dan = (pu dP)\4" , dKa"= (p!dP) KW", poichè 4° = Rotor(ng , u), cioè 4” e KA" sono pure dei Rotor. Per x positivo, si ha [10] w©=(1+2+---+22)w, pi =(1-+-K4+---+ K471)w,, [LO] (L1—2) a (14%) w > (1 KA) =(1— K4")w. Si hanno inoltre le formule [11] Kuu= grad g . Kumu=— grad gp [12] Rot 4A=-—(Cu)Z , Rot(K4)=— (Cu) K4 [13] grad 4= 24Vu, , grad KA=2K4Vu, x — 714 — e per x vettore arbitrario, funzione di P o costante, dà dKA [14] gp 3 = (HX)A4 “0 Ap 37 (MX) KA fo i [145] dei (41 X)A ; GP ri: (LX) d(2 ps) SPO, aa, SEDIA (aa pi dP Dim. [7]-[10]. — Come per la [1], si prova che esiste un vettore 2, funzione di P e di dP per il quale di = BIN; come per la [4]. si prova che L= dg .u + sen g.du+ (1— cos pg) udu = H(grad g,u)dP + sen gp: So dP+(1—eos 9) ud dp. e quindi restano dimostrate le [7],[9]. Per le altre si opera come per le corrispondenti con 4 funzione di £. Dim. [11]. — Dalla [9] si ha du du Kuu = grad g +- sen gp. ECG u—(1— cos g) 5 (U/u); ; ma u/\u=0, e, per essere u= 1, K Di mostrata. Dim. [12]. — Se a è vettore costante, si ha d(Aa)=dZ.a=(nudP)\Za=— (4a)\pdP, e quindi d(4a) ì (a) dP. rioni (4a) /\ M 3; operando con 2V, si ha A 3 2V di =—(Cu)Za , rot(Za)= —(Cu)Za (Rot A)a = — (Cu)2a che, per l’arbitrarietà di a, dimostra la [12]. Za 4-0, e quindi la [10] è di- — 715 — Dim. [13]. — La (a) vale cambiando 4% in Kà e w in w;; quindi, ricordando che n d(KZa) grad 4Xa=1 Tp > sì ha grad 4AXa=1,}—(K4a)\w}= 2(K4a)X Vu = (24ZVu)Xa ‘che, per l’arbitrarietà di a, dimostra la [13]. Dim. [14]. — Dalla (a) si ha d(4a di SURI x=—(4a)\WX , l7p x) a= (ux)\4a «che dimostra le [14]. Operando in queste con K, si ottengono le [14"]. Dim. [15]. — Si ha d(Ax)=d4Z.x 4 4dx=(udP)\4x + 4dx dx = ma dP—_ (4x)\udP (). OSSERVAZIONI. a) Gli anti-rotor (cfr. mia Memoria, loc. cit., pag. 15) sono legati ai Rotor dalla relazione a Rotor(g, u)= — Rotor(m + g, u), e quindi le loro derivate ecc. si ottengono dalle formule precedenti. b) Le similitudini vettoriali (A. V. G., vol. I, pag. 40) sono tutte della forma x, ove x è numero reale e À è isomeria vettoriale (cioè Rotor ‘o a-Rotor). Le derivate ecc. di queste si calcolano ancora con le formule precedenti. . (1) Si ha (4x)/\w=(4x)/\(4.K42.w)=R4{|x /\(K2.w)} = — 4x A #1), e quindi la [15] può assumere la forma (DR a(E Law). Per 4 funzione di P variabile in una superficie si confronti M. Bottasso, loc. cit., e si noti che si ha anche di = H(N,vdP)T— H(Kv.ZadP ,7N) con v=004— do. Dello stesso autore si consulti pure Sull’operatore binario S di M. Pieri (Rendiconti R. Accad. Lincei, vol. XXIII, ser. 5%, 1° sem., pp. 659-665, an. 1914) per ottenere in altro modo la [15]. — 716 — c) Tra le similitudini vettoriali, #4, sono da considerarsi quelle che dànno luogo alle rappresentazioni conformi, cioè le #4 per le quali (1) GR SS Esamino la questione. senza risolverla, supposto che 4 sia un Rotor. Affinchè la (1) sia soddisfatta è necessario e sufficiente (A. V. G., vol. I, pag. 118) che Rot (Kx4)= cioè che (cfr. la [12]) 0= Rot(z.K2)= Rot KA + grad 7\ K% =_— (Cu) K4+ grad KA, da cui si ha Cu, = (grad log 4) /\ ui= C7 {(grad loga)\{=— (grad log x). Ne segue che le x4 per le rappresentazioni conformi dirette sono della. forma Messi ove / è numero reale costante, 7, è numero reale funzione di P, e Z è un Rotor tale che u, = (grad m.)/ . Matematica. — Sur les ondes glad. Nota di J. Hapa- MARD, presentata dal Socio S. PINCHERLE. J'ai, dans un précédent travail (*), montré que l'équation des petits mouvements de la surface libre d’un liquide (équation qui définit l’altitude 4 de la surface au dessus de la position d'équilibre, en fonction des coordonnées horizontales « sy) était pas une équation aux dérivées partielles, mais un équation intégro-différentielle. Cette équation peut s'éerire pan atag))frot SE ati >) ET vv ii en désignant par (2',y',') un second point quelconque P de la surface libre ; par 7 la distance des ces deux points; par 7, la distance d'un de ces points à l'image de l’'autre prise re- lativement au plan z=0; (1) Comptes Rendus de l’Ac. des se. de Paris, du 21 mars 1910. Voir Bouligand,. Bull. de la Soc. math. de France, 1912. Les mémes principes sont au fond employés. dans les travaux antérieurs de Poincaré et de M. Volterra sur cette question. — 717 — par (2) G=i- 14 H(2,9,60/,9/.4) la fonetion de Green du problème mixte consistant à déterminer une fonetion harmonique au moyen de seu valeurs sur la surface libre et de celles de sa dérivée normale le long de la paroi mouillée. Or, d'autre part, lorsque la profondeur % est uniforme et très petite, Lagrange a donné, pour le méme problème, l’équation aux dérivées partielles d°2 d°4 die i Do hi si sa) Ce résultat est obtenu par une étude directe du mouvement dans tout l'intérieur du fluide. Mais, de plus, le fait que la profondeur est très petite est utilisé, tant par Lagrange que depuis lui (voir, en particulier, la TAéorze des marées de Poincaré), à l’aide d'une méthode classique en pareille circon- stance, mais qui soulève néammoins de graves objections, puis qu'elle conduit à developper les inconnues suivant les puissances de la profondeur et à né- gliger tous les termes d'ordre supérieur, bien que l'ordre de grandeur des. coéfficients de ces termes soit totalement inconnu. En fait, comme on le vait déjà et comme nous allons le retrouver, le résultat lui-méme n’a lieu que conditionnellement. Je me propose d'établir ce résultat en partant de l'équation (1). Supposons le fluide indéfini dans le sens horizontal. Il n'ya aucune difficulté è former pour le volume d'un tal fluide, c'est à dire pour le domaine limité par deux plans horizontaux parallèles, la fonetion de Green G. Il suffit d'appliquer la méthode des images. On est ainsi conduit à introduire la quantité i PO ; Vr + 4h? Vr* 4 4n3 h° (HC00); ]- ‘(OH V(HCOO), e °(OHs) ] V(HC0O);. Na, Na Formiato di vanadio e ammonio eno 3 (OH); V(HCOO);. (NH): 30 cc. di una soluzione concentrata di Vs'(SO,); (contenente circa 3 gr. di vanadio) vengono addizionati con 10 cc. di acido formico (d. 1,2), poi con ammoniaca fin quasi a neutralizzazione. Si fa bollire per alcuni minuti, poi si lascia ratfreddare lentamente. Sì separa una bella sostanza grigio-verde, cristallizzata in aghi. A differenza del formiato basico su descritto, al quale rassomiglia, è insolubile nell'alcool metilico e contiene ammoniaca. gr. 0,8040 di sostanza diedero gr. 0,3574 di V,0;; gr. 0,8846 di sostanza, trattati con soda caustica, neutralizzarono ce. 20,8 di una soluzione "i di acido solforico; gr. 0,2656 di sostanza diedero gr. 0.1718 di CO, e gr. 0,0705 di H,0. Trovato Calcolato ARA 24,86 24,86 N 3.20 3,42 C 17,64 17,56 H 2,9 2,7 Formiato basico di vanadio (biancastro) [V(HC00),0H]:.2Hs0 10 gr. del prodotto precedente vennero sciolti in 100 ec. di acqua e scaldati a bagno-maria: dopo alcun tempo il liquido intorbida, e si deposita una polvere quasi bianca, insolubile in acqua e in alcool metilico. Essa con- tiene soltanto vanadio trivalente ed acido formico. Nell'acido cloridrico si scioglie a freddo lentamente, con colorazione verde. x — 730 — Variando le condizioni di preparazione, oppure adoperando, ‘invece del formiato doppio, il formiato basico grigio-verde, si ottengono prodotti che presentano gli stessi caratteri e la stessa composizione. gr. 0,6826 di sostanza diedero gr. 0,3611 di V,0g, » (0,2560 ” » » 0,1324 di CO. e gr. 0,0632 di H,0, a 0,2856 ” st) » 0,1480 di CO3 e gr. 0,4704 di H,0, » 0.2250 " sciolti in acido solforico diluito consumarono a freddo ce. 26,1 di soluzione A di permanganato. Trovato Calcolato per [V(HC00)s 0H]s.2H,0 V 29,63 30,00 C 14,11-14,13 14,11 H 2,76- 2,75 2,94 O (consumato) 9,23 i 9,41 Formiato ferrico basico. Nella preparazione di questo composto si seguirono le indicazioni del Belloni (*). L’idrato ferrico. preparato di recente e ben lavato, venne sciolto in acido formico al 50°/,: si concentrò a bagno-maria, poi si lasciò cri- stallizzare. e n Il prodotto si presenta in cristalli aghiformi colore rosso-rame, che ven- nero seccati fra carta da filtro. Le analisi eseguite su prodotti diversi diedero risultati concordanti: gr. 0,6068 di sostanza diedero gr. 0,2426 di Fes0,, » 0,5588 ” ” » 0,2232 » Fes0;, » 0.3918 ’ >» » 0,1570 » Fes0, » 0,5994 ” ” »_ 0,2392 » Fes03, » 0,2580 ” ” » 0.1356 » CO; e gr. 0,0712 di H;0, » 0,2788 —- — » ” » 01466 » CO»: e gr. 0,0762 di H,0. ‘Trovato Calcolato per Calcolato per Fes(HC00),s(0H)s . 14H30 Fes(HC00):(0H)s . 4H30 | 27,96 - 27,94 BI ; € ° (28,03-27,91 A sisi (...-14,83-14,34 14,45 1427 H 3.08- 8,05 3,00 291. (*) Archiv. pharm. 245133 (1909). — 731 — Petrografia. — Osservazioni petrografiche sopra alcuni manu- fatti litici della Sardegna ('). Nota I di Rosa BARIOLA, presen- tata dal Corrispondente FeDERICO MILLOSEVICH. I manufatti descritti in questa Nota furono, con ‘altri che formeranno argomento di altra Nota. inviati all'Istituto di Mineralogia della R. Uni- versità di Pavia dal prof. Antonio Taramelli, sopraintendente agli scavi per la Sardegna, perchè ne venisse fatto lo studio petrografico. Il prof. Brugnatelli. volle affidare a me questo studio: per il che, e per i consigli e gli aiuti prestatimi,. gli rendo vivissime grazie. Purtroppo, dovendo il materiale inviato essere il più possibile risparmiato, ed essendo nel maggior numero dei casi troppo scarso, dovetti limitare le mie ricerche allo studio microscopico delle sezioni sottili. Mi fu, ad ogni modo, di grande aluto il confronto, così in massa come nei preparati microscopici, con gli esempla:i della ricca collezione petrografica sarda, esistente nel nostro Isti- tuto, raccolta dal compianto dott. Carlo Riva e che servì per i suoi ben noti studî di litologia sarda (3). Anche limitate allo studio microscopico, queste ricerche non mi sem- brarono prive di interesse, poichè, mentre per altre stazioni neolitiche ita- liane esistono purticolareggiate descrizioni petrografiche (3), per le stazioni sarde tale studio si può dire che manchi affatto. Le numerose descrizioni di manufatti litici della Sardegna. pubblicate dal prof. Lovisato (4), sono bensì accompagnate, in alcuni casi, da osservazioni microscopiche, ma queste sono troppo incomplete per poter servire alla determinazione petrogratica dei manu- fatti stessi. (!) Lavoro eseguito nell’ Istituto di mineralogia della R. Università di Pavia. (*) Carlo Riva, Ze roccie granitoidi e filoniane della Sardegna. Atti della R. Acca- demia delle scienze di Napoli, vol. XII, serie II, a. 1905. (®) Vedasi per es. G. Piolti, / manufatti litici del riparo sotto roccia di Vayes (val di Susa) [Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, vol. -XXXVI, a. 1901-902, pag. 476]; S. Franchi, / giacimenti alpini ed appenninici di roccie giadeitiche ed 4 manufatti di alcune stazioni neolitiche italiane [Atti del Congresso internazionale di scienze storiche. Roma 1903, vol. V, pag. 357]; E. Artini, / manufatti litici del Museo Ponti all’ isola Virginia (lago di Varese) [Rend. del R. Istituto lomb. di scienze 6 lettere, serie II, vol. XLII, 1909, pag. 720]. (4) D. Lovisato, Una pagina di preistoria sarda, in Mem. della R. Acc. dei Lincei {scienze fisiche-naturali), serie IV, vol. III, 1886, pag. 30; Nota JI ad una pagina di preistoria sarda, in Rend. R. Ace. dei Lincei, 1887, pag. 88; Vota III ad una pagina di preistoria sarda, in Rend. R. Acc. dei Lincei, 1888, pag. 420. x — 732 — Ora a me sembra che un particolareggiato esame microscopico. che riveli con sufficiente esattezza la natura della roccia, le particolarità della sua struttura e della sua composizione mineralogica, sia indispensabile per potere eventualmente determinare il luogo d'origine dei materiali di cui sono costi- tutti i manufatti, e soprattutto per il confronto con altri di altre località. , Gli oggetti da me studiati sono frammenti di ascie. di teste di mazza, di lisciatoi, di pestelli ecc., e provengono dalle seguenti stazioni: Perdinas, S'Apparassi, Settimo S. Pietro e Sestu, nelle vicinanze di Cagliari (?). In questa prima Nota esporrò i risultati delle mie ricerche sopra un gruppo di manufatti costituiti da roccie ad orneblenda, di origine evidente- mente eruttiva, le quali, quantunque abbiano aspetto macroscopico tra loro alquauto diverso, pur tuttavia, per la composizione mineralogica e per la strut- tura, sembrano appartenere ad una stessa famiglia e forse allo stesso giaci- mento, potendo esse rappresentare facies diverse di una stessa massa filoniana. In alcuni casi queste roccie hanno aspetto distintamente granulare, che ricorda quello delle sieniti e dioriti a grana minuta; più frequentemente, invece, sono assai compatte, di colore grigio o grigio-verdastro più o meno oscuro, con o senza minuti interclusi porfirici. Al microscopico rivelano in generale una struttura che sta tra la granulare-panidiomorfa e la diabasica- intersertale, con tendenza, in alcuni casi, alla porfirica. Il carattere minera- logico comune a tutte è la grande abbondanza degli elementi colorati, rap- presentati, in primo luogo, da un'orzedlenda ordinariamente bruna, talvolta di colore verde olivastro intenso, con forte pleocroismo (5 = #m)#p) nei tonì bruni e gialli o verdi e gialli, e con 4:7, in media = 15 -16°. I cristalli in alcuni casi sono tozzi, in altri, sottili e fortemente allungati. Sempre presente è anche un altro anfibolo di colore verde-chiaro. con debole pleo- eroismo. e con #:7, in media = 18°. Questo arzfibolo è frequentemente concresciuto con la orneblenda, e talvolta sembra costituire il passaggio tra questa ed una c/orite, la quale è abbondantemente diffusa in tutti gli esem- plari, sia intimamente associata ai detti anfiboli, come pure in plaghe iso- late. In queste plaghe cloritiche è d’ordinario diffuso l'anfibolo verde-chiaro in sottili prismetti. I fellispati sono quasi sempre in liste generalmente bene delimitate. Sono d'ordinario alteratissimi in muscovite e, talvolta, anche in caolino. Nei campioni con interclusi feldispatici porfirici questi sono meno alterati che non quelli della pasta. È 2 Dove l'alterazione non eccessivamente inoltrata permise di eseguire qualche osservazione intorno alla loro natura, essi si dimostrarono come appartenenti a termini della serie sodico-calcica. Sono specialmente basici gli interclusi, mentre i feldispati della pasta sono, in generale, notevolmente (*) Ant. Taramelli, Guida del museo nazionale di Cagliari, 1915, pp. 4 e d. — 733 — più acidi. Riporterò le poche misure, che poterono essere eseguite, nella breve . descrizione, di ogni manufatto, che farò qui seguire. Il quarzo è presente in quasi tutti i campioni; sempre allotriomorfo- rispetto agli altri componeuti, esso riempie i vani tra i medesimi. Come elementi accessorii citerò la apazz/e, d'ordinario in sottili e lunghi aghi; qualche raro granulo di zircone, la titanite, V ilmenite più o meno trasformata in leucoxeno, l'epidoto e la calcite. Il peso specifico di queste roccie varia da 2,80 a 2,87 (?). ‘Per tutti questi caratteri queste roccie presentano spiccatissima somi- glianza colle roccie lamprofiriche, che il Riva descrisse come spessartiti propriamente dette, a struttura granulare panidiomorfa v porfirica (loc. cit., pag. 59). Di tale somiglianza ho potuto convincermi col confronto diretto cogli esemplari e colle sezioni studiate dal Riva. A questo tipo petrografico appartengono i seguenti manufatti, dei quali riassumerò qui soltanto quei caratteri petrografici, che sono speciali per cia- scuno, bastando per il resto le caratteristiche generali sopraindicate : 1°) Ascia di S'Apparassi. — Roccia a grana media, nella quale già ad occhio nudo sì distinguono nettamente gli individui feldispatici dagli elementi colorati. Struttura microscopica nettamente panidiomorfa. I feldi- spati, benchè fortemente alterati in muscovite, permisero di eseguire le seguenti misure: potere rifrangente superiore a quello del balsamo (x = 1,54 circa); estinzione massima osservata nella zona normale= 33°: sembra quindi trattarsi di un termine /abradoritico. Frequentemente questi feldispati sono concresciuti al bordo con un altro feldispato non alterato e che, per il potere rifrangente leggermente inferiore a quello del balsamo, dimostra essere assai più acido. Una determinazione esatta non fu possibile. L'orneblenda è bruna e generalmente concresciuta coll’anfibolo verde-chiaro. 2°) Testa di mazza di S'Apparassi. — Roccia a struttura gra- nulare assai più minuta della precedente ed assai più ricca in elementi colo- rati, dal che risulta un colore marcatamente oscuro. Al microscopio presenta una distinta struttura diabasica-intersertale. Gli elementi essenziali sono anche qui, oltre ai feldispati, l'orneblenda bruna concresciuta coll’anfibolo verde-chiaro. Il quarzo è presente in notevole quantità. Meritano un cenno speciale i feldispati, i quali, essendo poco alterati, permisero di eseguire. buone misure. L’estinzione non è mai uniforme, ma graduale, con valori massimi al centro ec minimi alla periferia. I principali valori ottenuti nella zona simmetrica sono: centro: + 29°; + 32°; + 23°; 4 32° bordo: =l5®:\20a]9o 0; 0 (1) I pesi specifici furono determinati coll’apparecchio di Tralles alla tempe-- ratura di circa 18°. RENDICONTI. 1918, Vol. XXV, 1° Sem. 95 — 734 — Mentre dunque al centro si giunge fino a miscele labradoritiche, al bordo #sì scende fino all'albite. In un geminato doppio ottenni i seguenti risultati: I) centro:4 8°; bordo: — 1° II) mio 16935 n — 70 misure che corrispondono ad una andesina per il centro e ad un termine albi- tico per il bordo. Questi risultati sono confermati anche dal confronto degli indici di rifrazione col balsamo e col quarzo. Caratteristico per questa roccia è il fatto che il bordo albitico dei fel- dispati è sempre in acerescimento vermicolato col quarzo, e questi accresci- menti terminano ordinariamente con una plaga quarzosa uniforme. 3°) Ascia di Perdinas. — Roccia analoga alla precedente ma a grana più minuta e più oscura per maggiore abbondanza degli elementi colo- rati. Notevole è che i feldispati sembrano essere qui più acidi ed appartenere ad un termine ol/zgoglasico, come è dimostrato dai confronti col quarzo e dalle estinzioni basse (massimo 5 -6°), che poterono osservarsi nei pochi casi dove la profonda alterazione non lo impedì. Mancano i caratteristici accre- scimenti col quarzo della roccia precedente. 4°) Ascia di S'Apparassi. — Roccia assai compatta, simile per struttura e composizione mineralogica alla precedente. I feldispati sono com- pletamente alterati in muscovite e non permisero di eseguire alcuna misura; l’orneblenda ha colore bruno anche qui, ma con tendenza al verde. 5°) Pestello di S'Apparassi. — Roccia perfettamenle identica alla precedente. i 6°) Testa di mazza di Sestu. — Roccia di colore grigio-scuro, compattissima. Struttura microscopica e composizione mineralogica in com- plesso analoghe a quelle delle roccie precedenti; tra i prodotti di alterazione dei feldispati, oltre la muscovite. sembra esservi anche il caolino, come lo dimostra la sua debolissima birifrangenza. In questa roccia si osservano, a differenza ‘che per le precedenti. rari interclusi feldispatici, meno alterati di quelli della pasta. In lamine vicine alla zona simmetrica ho misurato estin- zioni che raggiungono 36°. Si tratta quindi di termini molto basici, ‘forse «della serie labradorito-bitovonitica. = 7°) Ascia di Sestu. — Roccia di aspetto analogo alla precedente. I feldispati sono più alterati, specialmente in caolino, e l' orneblenda, che presenta frequenti passaggi all’anfibolo verde ed ‘alla clorite, non è mai in cristalli allungati come i precedenti, ed ha tinta notevolmente più chiara. Nelle sezioni da me esaminate mancano gl’ interclusi feldispatici: di questi DELÒ se ne CUTE qualcuno esaminando con ]a lente la roccia. i 8°) Ascia di s' Apparassi. — Roccia di colore grigio-verdastro, a grana minutissima. Presenta struttura distintamente porfirica per la presenza — 7359 — di interclusi feldispatici, con sviluppo isometrico, nella pasta a struttura pan- idiomorfa. I feldispati della pasta sono alteratissimi in muscovite; tuttavia le estin- zioni costautemente basse (massimo 5°) e gli indici di rifrazione inferiori, benchè di pochissimo, ad © del quarzo, permettono di riferirli ad un termine oligoclasico. Gli interclusi sono meno alterati, ed in una sezione assai pros- sima alla zona normale misurai l’estinzione simmetrica= 37°. Trattasi dunque, con ogni probabilità, di un termine basico della labradorite, oppure di una bitownite. I cristalli di anfibolo sono numerosissimi, di colore bru- niccio tendente al verde, e di piccole dimensioni. Gli altri elementi non pre- sentano alcuna particolarità degna di speciale menzione. 9°) Pestello di S'Apparassi. — Roccia, sia per i caratteri macro- scopici sia per quelli microscopici, perfettamente simile alla precedente; solo, sovo più.abbondanti gli elementi colorati. 10°) Testa di mazza di Sestu. — Questa roccia ha facies più distintamente porfirica che non le precedenti, ed al microscopio presenta meno evidente la struttura panidiomorfa della pasta. Nessuna utile misura potè essere eseguita peri feldispati. L'orneblenda è bruna. 11°) Lisciatoio di Settimo S. Pietro. — La roccia, che costi- tuisce questo oggetto, si scosta grandemente dal tipo fino ad ora descritto, e, meglio che come una spessartite, deve essere considerata come una porfirite dioritica quarzosa micacea. _ È molto compatta, di colore verdo-grigiastro, e già ad occhio nudo vi sì scorgono numerosi piccoli interclusi bianchi e colorati. Al microscopio la pasta si mostra olocristallina-granulare ad elementi minutissimi. Gli interclusi sono assai alterati; meno di tutti, però, ì feldispati. Misure nella zona simmetrica diedero un massimo di estinzione di 85°. Gemi- nati doppii albite-Karlsbad mi diedero i seguenti valori conjugati: 4 34° e— 29°, +3.,°e— 25°, che bene si accordano per una /abradorite pros- sima ad Ab An,. Gli altri interclusi sono alteratissimi, alcuni in carbonati ed epidoto, altri in elorite ed epidoto. I primi, per la figura delle sezioni e per gli avanzi del minerale originario che si osservano, devono attribuirsi ad orneblenda; gli altri a biotite. Tra gli interclusi è pure presente il quarzo in piccola quantità. i La pasta è costituita quasi completamente di; quarzo e di un feldispato che non potè esser determinato; subordinatamente prendono parte alla sua costituzione anche gli elementi colorati. Apatite ed ilmenite trasformate in gran parte in leucoxeno, e delle quali però rimangono ancora i carat- teristici e ben noti avanzi a tipo scheletrico, sono i principali elementi accessori]. — 736 — Dai confronti colle rocce raccolte e studiate dal Riva risulta che i manu- fatti studiati sono tutti costituiti da rocce esistenti in Sardegna. Sarebbe però impossibile assegnare alle descritte roccie un particolare giacimento. Le maggiori analogie le osservai con alcuni tipi di Caprera. di Sorgono-Tonnara e di Capo Bellavista. Io credo però che il giacimento d’ori- gine delle nostre roccie debba cercarsi nei mouti del Serpeddi e dei Sette Fratelli, prossimi alle stazioni dove i manufatti furono rinvenuti. Purtroppo il Riva non potè estendere le sue ricerche e le sue raccolte anche a queste regioni. Dalla lettura del Lamarmora, del vom Rath e del De Castro (*) si può tuttavia dedurre che roccie analoghe si trovino anche nei sopradetti gruppi di monti. Chimica fisiologica. — Sulle azioni enzimatiche del sanque riguardanti il glicosto. I: Distruzione e condensazione del gli- cosio per opera del sanque normale. Nota del dott. U6o Lom- BROSO, presentata dal Socio L. LUuCIANI. Avendo intrapreso una serie di ricerche per indagare il metabolismo del glicosio nell'organismo. ho dovuto soffermarmi ad eseguire alcune ricer- che collaterali, per poter meglio interpretare i fenomeni osservati nelle espe- rienze iniziali. i \ Di queste ricerche collaterali intendo trattare nella presente Nota; ma però credo opportuno di far breve cenno anzitutto di quei risultati ottenuti nelle primitive indagini, per la cui interpretazione si impose la disposizione sperimvutale adottata nelle ricerche che verremo esponendo. Nulle mie indagini sul metabolismo del glicosio nell'organismo (*) io avevo osservato il comportamento del glicosio quando veniva fatto circolare, sciolto in sangue od in liquido di Tirode, attraverso ì principali tessuti del nostro organismo (muscolo, fegato, rene, milza, intestino, pancreas), ed avevo osservato che molto differente era il grado di distruzione del glicosio, a seconda che esso veniva disciolto in sangue od in liquido del Tirode. E, più (*) Alf. La Marmora, Voyage en Sardaigne, 3.,me partie (Description géologique), vol. 1°, Turin 1857; G. v. Rath, Due viaggi in Sardegna (traduz. U. Botti), Cagliari 1887; C. De Castro, Descrizione geologico-mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Mem. descrittive della carta geologica d’Italia, vol. V, pp. 21-35, Roma 1890). (*) Non furono ancora pubblicate queste ricerche, perchè incomplete. La disposizione sperimentale in esse adottata e lo scopo a cui tendono corrispondono a quelli delle esperienze già precedentemente pubblicate, riguardanti « Il metabolismo degli amino- acidi nell'organismo ». Rendiconti R. Acc. dei Lincei, vol. XIV, pp. 57, 148, 468, 475, ‘9 863, 870, 1166, 1263. — 737 — precisamente, il glicosio veniva ad essere distrutto in assai maggiore quan- tità quando era disciolto in sangue. Questo risultato, che più ampiamente descriverò quando potrò pubblicare nel suo organico sviluppo questa serie di indagini, è degno di essere senz’altro rilevato, perchè nella letteratura che riguarda il consumo del glicosio circolante in organi isolati, e che in modo particolare si svolse adoperando quale reattivo il tessuto muscolare card.aco, si sostiene precisamente il contrario. Nelle mie indagini inoltre si dimostrarono grandissime differenze da parte dei varî tessuti nell'attitudine a consumare glicosio; ed anche in ri- guardo ai tessuti più capaci nel distruggere glicosio, sì verificarono ditfe- renze notevoli da caso a caso, differenze che sono probabilmente in rapporto con lo stato generale el metabolismo dell'animale esperimentato. Ma per meglio approfondire il processo mediante il quale il glicosio veniva distrutto in così differente misura dai varî tessuti, e cioè per stabilire se il suo consumo era determinato dalla presenza di un enzima glicolitico nel sangue (più o meno attivo, a seconiia dei casi) oppure fosse dovuto ad altre cause intrinseche alla funzione del tessuto stesso, ho creduto necessario di istituire una serie complementare di ricerche su questo speciale quesito. Vale a dire ho esaminato eome si comporta l'enzima glicolitico del sangue già circolato nel tessuto. in confronto a quello dello stesso sangue non circolato. HU sangue, come già le classiche esperienze di C. Bernard hanno da molti anni dimostrato, possiede in sè l'attitudine a distruggere parte del glicosio normalmente in esso contenuto od aggiuntovi artificialmente. Ma si tratta di una attività molto limitata, tanto che il Ffliger(!) e molti altri au- tori non vollero ad essa attribuire importanza alcuna nei processi del ricambio degli idrati di carbonio. È strano che un fenomeno così semplice e di facile riscontro, come do- vrebbe essere quello della glicolisi, abbia invece provocato opinioni netta- . mente contradittorie, non soltanto per ciò che riguarda la sua interpretazione e la sua misurazione, ma persino per ciò che si riferisce alla sua reale esistenza. Io non intendo riassumere qui la copiosa letteratura sull'argomento : ri- mando il lettore alle due importanti monografie del Lepine, « La glicolisi » « Il diabete », ove sono ampiamente sviluppati i capitoli riguardanti le so- stanze che favoriscono od inibiscono tale fenomeno, le varie ipotesi chimiche sul destino del glicosio durante la glicolisi, ecc. ecc. Mi limiterò a far cenno delle recentissime pubblicazioni di Spencer Melvin (*) e di Lindsay S. Milne (*), secondo le quali il sangue di bue, cane, gatto, cavallo non distrugge affatto nè il glucosio normalmente contenuto, nè (1) Pfliùger, Glycogène, Dic. Physiol. Richet. Paris, Masson. (*) Biochemical Journal, vol. VI, pag. 422 (1912). (3) Journal of Med, Research, vol. XXI, pag. 415 (1918). x — 738 — quello artificialmente aggiunto. Se in qualche caso si riscontra una dimi- nuzione nel potere riducente, ciò non è dovuto a distruzione dello zucchero ma somplicemente ad una sua condensazione, e con l'ebollizione con acido cloridrico si ottiene di nuovo il primitivo potere riducente. Le conclusioni di questi autori non concordano con le esperienze con- temporanee di Edelmann (') (il quale però non si preoccupa della eventuale condensazione del glicosio), secondo il quale il sangue di cane normale #% vitro si dimostra potentemente glicolitico specialmente nelle prime sei ore, e nelle 24 ore è capace di distruggere tutto il suo glicosio. Nei cani span- creatizzati tale potere si attenua, ed anche scompare dopo un certo tempo dall'operazione. Per ciò che riguarda l'influenza della spancreatizzazione è di parere diverso il Macleod (?), che ritiene essa non modifichi il potere glicolitico del sangue. Inoltre, secondo il Macleod che avrebbe riscontrato sempre il po- tere glicolitico del sangue, vi sono variazioni notevolissime, nei varî animali di una stessa specie, da individuo a individuo. I pochi cenni dati bastano a dimostrare quanto incerta sia ancora la conoscenza sulla attività glicolitica del sangue. Volendo indagare quale parte le si dovesse attribuire nella distruzione del glicosio osservata nelle mie esperienze sulla circolazione dei varî tessuti, e quali modificazioni tale attività glicolitica subiva nelle dette esperienze, era necessario di formarsi un personale concetto sull'arsomento. Occorreva ve- rificare, cioè, se il sangue possedeva l'attitudine di agire sul glicosio aggiunto nelle proporzioni stesse usate nelle mie esperienze, e, nella eventuale dimi- minuzione del potere riducente, quanta parte si dovesse alla distruzione e quanta allo condensazione del glicosio. * x x Le mie esperienze vennero eseguite nel seguente modo: Si estraeva da un'arteria il sangue che si detibrinava rapidamente; si aggiungeva glicosio in quantità tale da ridurre il sangue ad un tasso del 0,5 - 1°/; quindi si aggiungeva toluolo, e il tutto si portava in termostato a 38°, ovvero si teneva a temperatura-ambiente 15-20°. Quindi si prelevavano cam- pioni di 10-15 ce. che si diluivano con sei volumi d'acqua distillata; si portava ad ebollizione e si aggiungevano tre volumi di soluzione di ferro colloidale al 5°/,; si precipitava con carbonato di sodio e si tiltrava. Dal filtrato, perfettamente limpido ed incoloro, si prelevavano 50-100 ce., sui quali si determinava il potere riducente col metodo di Lehmand-Emden (*). (') Biochemiche Zeitscrift, vol. XL. pag. 314 (1912). (2) Journal Biol. Chem., vol. XV, pag. 497 (1913). (8) In molte esperienze il potere riducente del campione appare alquanto inferiore a quanto ci si poteva attendere, sommando il potere riducente del glucosio aggiunto a — 11499 — Per determinare poi quanta parte, nella eventuale diminuzione del po- tere riducente, sì dovesse alla distruzione del glicosio, e quanta ad una sua sintesi, si ripeteva l'operazione con un corrispondente campione di sangue, previamente idrolizzato con HCI all'1/,. I. — Sangue cc. 100 + 1 gr. glicosio: abit 10 ce. potere riducente = 105.2 mgr. glicosio re 10 ce. idrolizzato con HCI = 107.4 ” ” a SUIS 10 cc. potere riducente 066 ” n (0) Pe ° Te) 10 ce. idrolizzato con HCl = 104.7 n» Ta 10 cc. potere riducente = 955 fe i } 110 cc. idrolizzato con HCl = 103.1 L ni qa \ 10 ce. potere riducente 498.6 n ” (0) P dla 110 cc. idrolizzato con HCl = 99.8 ” ” II. — Sangue ce. 100 He 1/a gr. glicosio: TELA \10 cc. potere riducente = 52,2 ” ” PO Te } 10 ce. idrolizzato con HO = 568» » eo 0 cc. potere riducente = 508 ” ” 7 10 cc. idrolizzato con HCO = 561.» » (AOnA 19 oro (10 cc. potere riducente = 49.6 ” ” P 010 ce. idrolizzato con HO = 524» n \ 10 cc. potere riducente MOON ” 4 ; dopo, st ore 1 10 cc. idrolizzato con HCl = 50.8 ” ” III — Sangue cc. 100 + 1 gr. glicosio: gi 10 ce. potere riducente = 100,0 ” ” È 1 10 cc. idrolizzato con HCl = 105,9 ” ” Aa 10 ce. potere riducente = 968 ”» ” P 10 ce. idrolizzato con HCl = 104.2 ” ” 10 cc. potere riducente ——MHO8LO, ” ” dapoHapore ) 10 cc. idrolizzato con HCl = 1006» » IV. — Sangue cc. 100 + !/a gr. glicosio: bit ar cc. potere riducente — 49.8 ” ” E 10 ce. idrolizzato con HCl = 524 ” ” LIO 10 ce. potere riducente = 442 ” ” op 10 ce. idrolizzato con HCl = 52.1 ” ” do Boi \ 10 ce. potere riducente = 464 ” ” Lo } 10 ce. idrolizzato con HO = 508» ’ quello del glucosio preesistente. Ciò è dovuto al fatto che il sangue stesso veniva fatto circolare nell'upparecchio della circolazione artificiale (ove si diluiva leggermente con i residui di soluzione fisiologica rimasti dopo il lavaggio dell'apparecchio), dovendo un’altra parte del sangue stesso servire per la circolazione di organi sopravviventi. x = age FOA ARE TIBIA \ 10 cc. potere riducente = 45.8. mgr. glicosio 3 ; 110 ce. idrolizzato con HCl = 40.2 ” > dopo 24 ore \ 10 ce. potere riducente SSA 7 n 5 1 10 cc. idrolizzato con HCl = 412 ” ” V. — Sangue cc. 100 + 1 gr. glicosio: da ana dr cc. potere riducente — 98 ” ” P 10 cc. idrolizzato con HCl = 105.4 ” ” ia 10 cc. potere riducente RIO COMPE SL) È 10 ce. idrolizzato con HCl = 1042» » CR A 10 ce. potere riducente 2 Y68.- ” b 110 cc. idrolizzato con HCl = 998 n io \ 10 ce. potere riducente ELIO, ” } 10 cc. idrolizzato con HCl = 98.0 È) È) VI. — Sangue 100. ce. + !/a gr. glicosio: n \10 cc. potere riduconte = 49.8.» ” 110 cc. idrolizzato con HOl = 52.1 ” RA 45.9 » » 51.4 ” ”» dopo 2 TORTO RARA 10 ce. potere riducente Ù 10 ce. idrolizzato con HCI deg Rossi 10 ce. potere riducente - = 46.1 » ” P ' 10 ce. idrolizzato con HC] = 49.8 dI Seen AT n cc. potere riducente == 429 ” » DI dro dI Opo-e" oTe:)10 ce. ‘idrolizzato ‘con HOI =" 24,0%" 5 Dalle esperienze riferite risulta che: 1) Aggiungendo glicosio nelle proporzioni di 0,3-1°/, a sangue di cane normale, e saggiandone quindi successivamente il potere riducente, si verifica che esso diminuisce in una misura abbastanza rilevabile. 2) La diminuzione del potere riducente del sangue contenente gli- cosio aggiunto, non sì deve considerare come dovuta semplicemente ad una corrispondente distruzione di glicosio. Al contrario, nelle prime ore di espo- sizione al termostato non avviene od è scarsissima la distruzione del glicosio, e la diminuzione del potere riducente deve addebitarsi ad una modificazione dello stato chimico del glicosio, che permette però, in seguito ad idrolisi con HCI, la sua ripristinazione. v Io ritengo, per ragioni che in seguito esporrò (dopo aver riferito le ul- teriori ricerche nelle quali il fenomeno sì riscontra in una misura incom- mensurabilmente più elevata), che si tratti di una condensazione del gli- cosio. Però i dati riferiti nella presente Nota non permettono, per: ora, di escludere l'ipotesi di una combinazione glicoproteica corrispondente al cosid- detto « sucre virtuel» del Lépine. — T4l — 3. Continuando per 18-24 ore l’esperienza, diminuisce la quantità di ‘tale glicosio condensato, tantochè i dosaggi del sangue, prima e dopo idro- lisi con HCl, non diversiticano così notevolmente fra di loro come nei pre- ‘cedenti periodi. In alcune esperienze poi, dopo così lunga permanenza in termostato, si ha una discreta perdita effettiva di glicosio, mentre invece nelle prime 12 ore la distruzione reale del glicosio fu sempre assai lieve, inferiore al 5°/ del complessivo contenuto. Siccome però è precisamente in questo periodo di lunga permanenza che più si può far sentire l’effetto di un inquinamento bacterico, difficile da sfuggire con la disposizione sperimentale necessariamente assunta nelle nostre esperienze, così ritengo prudente, per ciò che riguarda la ‘glicolisi, di riferirmi ai dati raccolti nei periodi più brevi. Nelle prime 12 ore la diminuzione del potere riducente rimase sempre nei limiti della distru- zione del glicosio proprio del sangue, per cui non possiamo affermare che ‘del glicosio aggiunto sia stata distrutta una parte. 4. Ambedue i fenomeni avvertiti nelle nostre ricerche (condensazione ‘e distruzione del glicosio) si svolsero in misura differente da caso a caso. Se ora prendiamo a considerare il complesso dei nostri risultati, emerge ‘che sono stati riscontrati i fenomeni osservati dai recenti studiosi, e che ‘costituirono argomento per sostenere le più disparate opinioni rispetto al potere glicolitico del sangue. E cioè, è vero che nelle prime ore non avviene «distruzione di glicosio, ma piuttosto condensazione; ma ciò non eselude che il sangue non possegga l'enzima glicolitico. Ed infatti prolungando l’espe- rienza si ottiene pure distruzione di glicosio per opera del sangue normale. -Si tratta quindi di proprietà differenti, ambedue esistenti nel sangue nor- male, le quali manifestano con vece alterna la loro influenza. E questo fenomeno (della coesistenza, in un medesimo liquido o tessuto ‘dell'organismo, delle più opposte attitudini) è un fenomeno del quale ho già ‘avuto più volte occasione di trattare, in ricerche riguardanti altri campi. Esso costituisce, io credo, una delle condizioni fondamentali colle quali l'or- :ganismo domina il suo metabolismo; per cui sarà opera sommamente utile il ricercarne, per quanto è possibile, le varie sue leggi e manifestazioni. RENDICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 96 x — 742 — Fisiologia. — / processi termici dei centri nervosi. Vi Azione dei narcotici e della compressione meccanica sulla tonalità ter- mica del preparato centrale di Bufo ('). Nota di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI. 1. Azione dei narcotici (etere solforico, alcool etilico, cloroformio, anidride carbonica). — Come è noto, dalle classiche esperienze di Cl. Ber- nard in poi, uno dei mezzi migliori per stabilire la natura biologica di processi osservati in organismi o in organi sopravviventi, consiste nel sag- giare quale influenza hanno su loro i narcotici generali. Fu, pertanto, anche questo uno degli argomenti, cui, nelle mie ricerche sulla produzione di calore- del preparato centrale di Bufo, rivolsi l'attenzione. Il metodo d'indagine, che mi parve più adatto a tale scopo, consisteva nell’insutfare nell'interno della camera umida, dopo che il preparato si era messo in equilibrazione termica, una corrente d'aria (o di ossigeno) umida, carica di vapori marcotici per avere attraversato un tubo di vetro racchiu- dente un batufolo di cotone imbevuto di etere o di alcool o di cloroformio. Per far agire CO», immettevo una corrente di questo gas, proveniente da un apparecchio di Kipp, previo il solito lavaggio, nell'interno della camera umida. L'attenuazione o la scomparsa dell'eecitabilità riflessa era indice dell’azione narcotica sui centri. Usando questo metodo, dovevo facilmente attendermi dapprima una rapida e graduale discesa del galvanometro dovuta al raffred- damento del preparato in seguito all'evaporazione promossa dalla corrente gasosa; dopo questa prima fase, cessata la corrente, il galvanometro, risalendo- gradatamente, avrebbe dovuto indicare la tonalità termica del preparato in istato di narcosi. I primi risultati ottenuti, coll'etere e coll'alcool, furono ben diversi da quanto suppouevo. Appena giunti i primi vapori di queste sostanze nella camera umida, il galvauometro saliva rapidamente e fortemente per parecchie centinaia di divisioni, continuando a salire tinchè durava la corrente gasosa, per poi, poco dopo l'interruzione di essa, tornare lentamente a discendere. Il calore che così rapidamente si produceva (spesso persino superiore a 0,5) era dovuto a un fatto puramente fisico, ossia era il cosiddetto calore di so- lusione, che si svolgeva mano mano che i vapori di etere e, in grado mag- giore, di alcool, si dissolvevano nell'acqua del preparato e della camera umida. Infatti lo stesso aumento termico osservai dopo aver sostituito il preparato. con un batuîfolino di cotone imbevuto di soluzione fisiologica ; potei, inoltre, (*) Ricerche eseguite nell’Istituto di fisiologia della R. Università di Sassari. pie pata i — 743 — direttamente stabilire un analogo rapido e forte aumento termico, sciogliendo ‘una minima quantità di alcool in acqua distillata in presenza di un termo- metro Beckmann. Le esperienze fatte coi vapori di etere e di alcool non diedero, pertanto, risultati utilizzabili. I vapori di cloroformio e l'anidride carbonica non producevano, invece, alcun aumento termico di soluzione durante il loro passaggio. Riferirò. quindi, alcuni dei risultati con essi ottenuti. Esperienza XIX. 14 marzo 1916. — Preparato completo; quadratino di carta bibula con stricnina sulia faccia dorsale dell’izt. post. O della batteria vuota, 890. Alle ore 15.25” adagio il preparato colla faccia ventrale sulla batteria di 8 coppie. Il galvanometro scende a 400; poi risale lentamente. Nella tab. I alcuni dati successivi, TABELLA I. h. min” min” | Galvan. Attività centrale seme: Osservasioni 15.29 750 160.2 » 32 1020 n 33 -| 1040 » 37 1020| Ottimi riflessi. » 51 950| Tetani riflessi. » 53 Insufflo aria umida per 1’; scende al di sotto di 0, poi risale. » 56 500 n 57 590| Tetani spontanei. n 58 640 16. 2 785| Tetani riflessi fortissimi. » 3: 800| Convulsioni fibrillari. Insufflo aria umida per 10”, ca- rica di cloroformio ; sceso sotto 400, poi risale. »_ 5 770| Attività riflessa scomparsa. » 6 820 0, per 50”; sceso sotto 0, poi ris. » 13 500 ani 860 | Ineccitabile. Esperienza XXIII. 16 marzo 1916. — Preparato completo normale con ottima attività riflessa. Alle ore 15.20' l’adagio colla faccia ventrale sulla batteria di 8 coppie Il galva- nometro scende sotto 0; poi risale lentamente. Nella tab. II, alcuni dati successivi. TARELLA II. h. min’ min” Attività centrale Osservazioni 15.31 ‘650 150.1 » 36 675 » 40 Ottimi riflessi durante il passag- Corrente di CO3, per 3 min’. Gal- gio di CO; poi l’eccitabilità vanometro sceso a 100. Poi len- dimin. sinv quasi a scomparire tamente risale. » 45 350 » 48 940 » 58 610 n 57 640 16. 4 640 150.1 Un'altra esperienza sull’azione di COs fu la XXVI, riferita nella IV Nota prece- dente (pag. 701). x — 744 — Questi dati dimostrano concordemente che % narcotici (cloroformio e CO.) deprimono la tonalità termica del preparato centrale così come deprimono ogni altra manifestazione biologica. I 2. Azione della compressione meccanica. — Un altro quesito mi parve meritare particolare studio, ossia gli effetti prodotti sul tono termico da urti meccanici. In precedenti Memorie (') ho messo in rilievo, come proprietà ca- ratteristica della sostanza centrale, l'enorme sensibilità a tal genere di sti- moli inadeguati, che, per quanto lievi, provocano nei colpiti neuroni un gene- rale e, perciò, disordinato eccitamento, seguìto per lo più da paralisi defi- nitiva. Discutendo le probabili cause di questo comportamento, giunsi alla conclusione che tale sensibilità agli urti meccanici non dipende tanto da una speciale proprietà di struttura morfologica, quanto da proprietà di strut- tura chimica della sostanza centrale. Colle presenti ricerche mi proposi di vedere se la compressione, fatta con lungo bastoncino di vetro a punta smussa, producesse, insieme coi noti effetti funzionali, notevoli effetti sulla tonalità termica del preparato. Espongo i risultati ottenuti in due esperienze. Esperienza XXII. 16 marzo 1916. — Preparato centrale completo normale di $ (0 del galvanometro vuoto 590). Alle ore 8.4" lo adagio colla faccia ventrale sulla bat- teria di otto coppie. Il galvanometro sceso sotto 800, va poi risalendo. Nella tabella III alcuni dati successivi. TaBELLA III. ue < h. min' min” | Galvan. Attività centrale ep: Osservazioni 8.10 520 | Riflessi ottimi. » 19 675 n 25 665 »27: | Corrente di 0, per 1’; scende a » 31 550 i 700, poi risale. n 40 650 | » 41.80 | 670 | Idem. » 44 680 » 45 Fortissimi tetani durante la com- Apro e comprimo rapidamente pressione. l’int. post. Il galvanom. scende n 46.30 | 680 a 600; poi, dopo richiusa la » 47 690 camera umida, risale subito a n 47.30 | 700 650. » 48 710 |. » 49 725 » 52 750 150.0 n 54 750 9.16 780 » 50 710 15°.0 ; n 52 Nessuna reazione. Comprimo ancora e più di prima. » 53.30 | 650 | Sceso a 620. n» 56 670 10. 2 705 » 14 715 15°.0 » 15 710 ” 46 740 (*) Cfr. specialmente S. Baglioni, L'eccitabilità diretta dei centri nervosi agli sti- moli artificiali. Zeitschr. f. allg. Physiol. V, 1909, pp. 87-136. — 745 — Esperienza XXVIII. 24 marzo 1916. — Preparato centrale complto normale di è (O del galvanometro vuoto 500) Alle ore 8.35‘ lo adagio colla faccia ventrale sulla bat- teria di cinque coppie. Il galvanometro sceso sotto 0, risale poi lentamente, chiusa la camera umida. Nella tab. IV alcuni dati successivi. h. min” mio” 9.15 » 18 n 32 n 35 » 837 » 42 » 48 n 560 » 59 10. 0 Galv. 250 260 300 310 315 |495 498 | | 480 435 1415 422 430 270 465 470 475 480 470 470 450 455 400 480 495 500 505 505 505 502 |502 1502 499 350 | 1360 I 440 | 502. 500 | 480. 1470) TABELLA IV. Tewp. amb. Attività centrale Vivacissimi moti spontanei e ri- flessi, 255. Riflessi vivacissimi, 305. Vivacissimi moti spontanei. 159.7 Idem. Vivaci e continui moti riflessi [155.8 e spontanei. | Tetani violentissimi durante la | compressione. | Riflessi ancora vivaci. Osservazioni Aperto il circuito, il galvanom. sale a 370. Corrente di 0g per 30”: sceso 4 150. Aperto il circuito, scende a 360. Tocco rapidamente con baston- cino di vetro l’int. post. Il gal- vanometro sceso a 410. | Corrente di 0, per 20”; sceso 1150.,8 Ottimi riflessi. | 115°,8 Tetani durante la compressione.! | 160.0 | 169.0 Eccitabilità riflessa scomparsa. ‘16°.0 sotto 0. Aperto il circuito, scende a 370. | Comprimo ripetutamente bulb» e l’intero midollo. Sceso a 460. Da questi dati risulta che la brusca compressione meccanica, quando è tale da provocare immediato eccitamento generale e successiva scomparsa di ogni attività centrale, per grave ed irreparabile lesione degli elementi, produce anche un evidente aumento del tono termico del preparato. Infatti x — 746 — nell'esp. XXII la prima compressione, che provocò fortissimi tetanî e inec- citabilità, produsse (prescindendo dal raffreddamento iniziale dovuto all’eva- porazione promossa dall'apertura della camera umida per introdurre il baston- cino di vetro) una ascesa graduale del galvanometro, che raggiunse, dopo 31’, un massimo di 100 divisioni sul valore di partenza, pari a + 0°,05. La seconda compressione, che, sebbene più forte, non provocò alcuna reazione centrale, non produsse invece veruna modificazione termica manifestamente positiva. Nell'esp. XXVIII, la prima lieve e rapida compressione dell'in. post, che provocò eccitamento generale ma non paralisi dei centri colpiti, non pro- dusse che un lieve aumento della produzione termica dovuto, probabilmente, soltanto ai processi metabolici dell’attività centrale. La seconda compressione, più energica ed estesa all'intero preparato, che provocò tetani immediati e successiva paralisi, fu seguìta, invece (a prescindere dall'abbassamento imme- diato per evaporazione), da una notevole elevazione che raggiunse, dopo 10’, un massimo di 35 divisioni (pari a +-0°,0815), dopo il quale lentamente declinò. Nell'esp. XXII nessuna variazione avvenne nella temp. amb.; nel- l'esp. XXVIII ne avvenne una lieve, di +-0°,3. Di modo che le rilevate va- riazioni termiche delle batterie termoelettriche possono, senza tema d'’errare, riferirsi a processi intrinseci del preparato. L'aumento termico così dimostrato seguire a brusco ed energico urto, potrebbe però essere interpretato, non tanto come effetto primario, quanto come effetto secondario della compressione. Potrebbe, cioè, essere riferito ai processi metabolici di attività abnormemente eccitata (tetani), dal violento stimolo meccanico, come abbiamo visto nelle precedenti Note essere realmente il caso nell’ipereccitamento prodotto da stricnina. Certamente credo che al descritto riscaldamento da compressione con- tribuiscano anche i processi catabolici, ma non mi pare che essi ne siano la esclusiva e più rilevante causa. Difficile è indubbiamente separare questi effetti secondarî da altri pri- marî. Tuttavia, avendo visto, nell'esp. XXVIII, che una lieve compressione, che provoca eccitamento generale senza paralisi, non produce un così note- vole aumento termico come una più forte compressione seguìta da eccita- mento e da paralisi, mi sembra legittimo concludere che la compressione meccanica produce sviluppo di calore determinando, oltre ai processi ca- tabolici, abnormi ed irreversibili alterazioni nella complessa e delicata costituzione chimica degli elementi centrali, alterazioni che sono accompa- gnate da processi esotermici. Questo fatto mi sembra, d'altra parte, una valida ed interessante con- ferma dell'ipotesi che la speciale sensibilità dei centri agli urti meccanici dipenda, più che da proprietà della loro struttura morfologica, da proprietà della loro struttura chimica. I | — 747 — Matematica applicata. — Della volgarizzazione ed appli cazione della fisica-matematica in medicina (*). Nota II del prof. S. SaLAGHI, presentata dal Socio A. RUFFINI. Dopo la Nota pubblicata nel 1912 in questi Ren diconti della r. Acca- demia dei Lincei (?), ho proseguito nell'opera di volgarizzazione della fisica- matematica ad uso dei medici. Allora mi ero occupato delle applicazioni della idrodinamica alla circolazione del sangue (emodinamica). Questa volta ho reso in forma intelligibile ai medici un problema di acustica fisiologica, che io per primo ho trattato: Nelle vibrazioni sonore in rapporto con la conformazione dell'organo dell’udito nell'uomo. Per farmi intendere, però, non ho potuto, come è naturale, conservare il linguaggio proprio dei mate- matici; ma ho usato alcune espressioni che, se non corrispondono interamente alla tecnica matematica, pure servono a rendere chiaro ai profani il significato di certe formule. A rettificazione per i cultori delle matematiche, credo ora opportuno di dare un cenno della base teorica del mio lavoro. È Nello svolgimento del tema ebbi a guida principalmente i due elementi essenziali di ogni movimento: forza viva e resistenza. Sotto tale aspetto non ‘erano ancora stati studiati gli argomenti di acustica fisiologica. Rispetto alla energia cinetica dei corpi vibranti, poco finora si sapeva di positivo. Nell'esporre una sua teoria della audizione. lo Kuile, è vero, ‘aveva mostrato che questa energia, a parità di altre condizioni, doveva rite- nersi eguale indistintamente per i suoni acuti e per i gravi (*). Egli però aveva considerato unicamente l’energia totale possednta dal corpo vibrante. Rimaneva tuttora da conoscersi il lato più importante per Ja fisiologia del- l’udito, cioè quanta parte della energia totale venga emessa individualmente dalle vibrazioni: in altri termini, la modalità nell'estrinsecarsi della energia. È pre- ‘sumibile che essa varii secondo la frequenza delle vibrazioni stesse, tenuto (1) Lavoro fatto nel laboratorio di terapia tisica della r. Università di Bologra. (2) R:ndiconti della r. Accademia di Lincei, classe di scienze fisiche matematiche e naturali, vol. XXI, serie 53, 2° sem., fasc. 1°, luglio 1912. (3) L'energia è il quadrato del prodotto di 2 (numero delle vibrazioni) per A (loro -ampiezza): è n*A?. Sussiste, per es., l'eguaglianza A? 2A? —K64n?° Xx — SE x 64’ ‘benchè il tono, che è raffisnrato nel secondo membro della equazione, sia di tre ottave ‘più alto del tono a cui si riferisce il primo membro. Il variare dei toni non ha dunque ‘influenza. — 748 — presente il modo con cui queste si susseguono. Da principio hanno la mas- sima ampiezza ed energia; poi vanno a mano a mano indebolendosi, finchè cessano. Il loro estinguersi graduale dalla parte degli acuti. nell'unità di tempo, si compie con moltissime oscillazioni di piccola ampiezza iniziale; dalla parte dei bassi con poche oscillazioni, ma dotate di notevole ampiezza e durata. L'ampiezza iniziale è l’inversa della frequenza. Per verificare l'esattezza di questa ipotesi, ricorsi al metodo sperimentale, che nel caso presente era la via migliore da seguire per i medici. Feci a tal fine costruire un nuovo modello di sonometro (*). I tipi ordinarî non potevano. soddisfare alle condizioni richieste dalle esperienze. In quell’'istrumento v'è di speciale che la forza con cui sono percosse le singole corde metalliche, accordate a toni acuti o a gravi, è costante. Inoltre lo smorzamento dei suoni vi è ottenuto e graduato per mezzo di pesi, che scendono sulle corde appena percosse: essì rappresentano la resistenza che conviene opporre per fermarne la vibrazione (*). Dalle esperienze iustituitevi è risultato che, a scendere dai toni acuti verso al gravi, l'energia che viene emessa individualmente dalle vibrazioni di fronte all'ostacolo offerto dai pesi, vale a dire il lavoro che possono compiere, ad ogni nuova ottava si raddoppia (*). Crescerebbe dunque, dagli acuti ai gravi, in progressione geometrica di ragione due; o almeno ne mostra la tendenza. Secondo la stessa progressione geometrica di ragione due cresce, già si sa, di ottava in ottava pure la frequenza delle vibrazioni. La progressione però. vi procede in verso contrario, ossia sale dai gravi agli acuti. Le due fun- zioni (frequenza e valore cinetico individuale) delle vibrazioni sono dunque tra loro inversamente proporzionali. Da queste esperienze resta giustificata la distinzione, già da noi intrav- veduta, tra l'energia /otale delle vibrazioni prese collettivamente e quella parte di energia che individualmente possono sviluppare contro una data resistenza. La prima, secondo la dimostrazione di ter Kuile, è costante per ogni grado ed ottava della scala. La seconda, che rappresenta (per dir così) la modalità nell’estrinsecarsi della energia, varia, secondo le nostre esperienze,. in ragione inversa della altezza dei toni. Da ora in avanti, per brevità, come energia delle vibrazioni intenderemo quella che esse emettono individual. mente. Questo intanto è un primo elemento qui acquisito per lo svolgimento del tema. (') S. Salaghi, Nuovo sonometro per lo studio di fenomeni acustici. Gazzetta degli ospedali e delle cliniche, n. 132, an. 1914. (3) Il meccanismo per la percussione delle corde metalliche vi è fatto sul prin- cipio di quello che è usato nei pianoforti. Viene così esso pure a parteci} are . dell'alto. grado di perfezionamento a cui è giunta la costruzione di simili istrumenti. (?) S. Salaghi, Sullo smorzamento dei suoni di differente altezza (studio sperimen- tale, con 8 figure). Bullettino delle scienze mediche, n. 12, an. 1914. —i——@ETQIeràùo zeta Ai esc Gee — 749 — Il secondo quesito proposto allo studio era di esaminare la perdita di carico a cui vanno soggette le vibrazioni acustiche a cagione della resistenza che incontrano nell’organo dell'udito nell'uomo. Prima però di venire a questa parte. è necessario di dare qualche cenno di anatomia, ciò che farò in calce (1). Di più v'è da determinare la specie della spirale che descrive il tubo ad asse spirale costituente la chiocciola umana. Esaminando i preparati di chiocciola umana, che si trovano nel Museo anatomico dell'Università di Bologna, osservai che, a partire dal vertice della chiocciola (polo della spirale), la distanza tra le spire ad ogni giro si rad- doppia. Con questo dato anatomico esaminai le diverse spirali: spirale di (!) L'apparecchio periferico del senso dell’udito si trova nell’orecchio interno, rao- chiuso entro la chiocciola (fig. 1). Questa è costituita da un tubo osseo ritorto a forma Fia. 1. — la chiocciola umana aperta. — Figura pittorica (Sappay) di spirale. Vi si considera una base nella parte più espansa ed un apice all’altra estre- mità assottigliata. Il tubo, lungo il suo decorso, è diviso in due canali simmetrici da un setto in parte osseo, in parte membranoso (membrana basilare) Sopra la parte membra- nosa del setto è disteso, allineato a mo’ di tastiera seguendo l’andamento delle spire, l'organo senziente periferico (del Corti), a cui fanno capo le fibre terminali del nervo addetto al senso dell’udito (nervo cocleare). Ambedue i canali ossei simmetrici, al loro inizio dalla base della chiocciola, hanno una apertura rivestita di membrana flessibile e sono ripieni di liquido, detto labirintico. Queste due aperture rivestite di membrana, chiamate finestra rotonda e finestra ovale, sono le uniche parti cedevoli del sistema. Le vibrazioni sonore, dopo avere percorso l'orecchio esterno ed il medio, colpiscono una di quelle membrane agitando il liquido interno. Esso è libero di spostarsi in grazia alla controapertura che si trova, di là dal setto, nell’altro canale. Il moto vibratorio deve quindi farsi strada attraverso il setto membranoso ed il soprappostovi organo del Corti, il quale ne resta scosso e stimolato. Onde ha origine l'impressione sensoriale periferica dei suoni. Il setto membranoso, membrana basilare, è di struttura fibrillare. Le fibre che sono disposte nel senso trasverso sono molto robuste, tese come corde. Secondo la teoria originaria dell’Helmholtz, esse funzionerebbero a guisa di tanti risuonatori per l’analisi dei suoni. La membrana sostiene inoltre il carico dell'organo del Corti e, insieme, le sue parti di RenpICONTI. 1916, Vol XXXV, 1° Sem. 97 — 150 — Archimede, parabolica, logaritmica (detta di Cartesio), iperbolica; e potei «dedurre che il tubo osseo cocleare segue l'andamento della spirale logaritmica, o almeno ne mostra la tendenza. Questa spirale in coordinate polari è espressa da (1) o=e%. Data la condizione 0° —01=2,03—0:==4 ecc., siha 4==0,11, e5= 1,116. L'equazione diventa (II) o=}1,116}2. sostegno. Per tutto ciò prevale ora tra gli scrittori l'opinione che essa realmente sia troppo resistente per vibrare sotto l’azione delle onde sonore; vibrerebbero invece altre parti sovrastanti, restando essa immobile. Senza entrare nel dibattito, mi basta di rilevare il fatto cheil mezzo di propagazione delle onde sonore dall'una all’altra apertura o finestra del tubo cocleare, attraverso il setto, è, relativamente, molto resistente. Non è come il caso in cui si trattasse semplicemente di un liquido. Avvertasi che il tubo osseo cocleare, originato alla base dell’organo, a livello delle due finestre, non passa subito a formare i giri cocleari visibili nella fig-1. Per un certo tratto decorre celato sotto altre parti (promontorio). La curva che allora descrive è dolce Fe, ‘da principio, irregolare (fig. 2). Questa porzione iniziale, lunga mm. 9, fu descritta per Fre. 2. — Decorso della porzione sigmoidea del canale osseo cocleare. È Ingrandimento due volte dal vero (Ruffini) La porzione sigmoidea si trova distesa circa nel centro del preparato, ove se ne *distingne bene la forma ad $ italica. Nella prima parte a destra forma un gomito, in cui la curva spirale va in verso contrario al suo andamento regolare. Nel resto del decorso a sinistra la curvatura è molto lieve in confronto di quella dei girî cocleari visibili al disopra della sua estremità a sinistra. . la prima volta, nel 1902, dal prof. A. Ruffini, attuale direttore dell'Istituto di istologia e fisiologia generale nella Università di Bologna, a da lui distinta col nome di porzione «sigmoidea per la sua forma ad S italica [A. Ruffini, Za cassa del timpano, il labirinto osseo ed il fondo del condotto auditivo interno nell'uomo adulto. Zeitschrift fir wissen= schaftliche Zoologie, Bd. LXXI, H. 3 (1902). Il lavoro vi fu pubblicato in italiano]. — 151 — In questo caso, procedendo in direzione del polo, il raggio vettore, la lun- - ghezza delle spire, il raggio di curvatura variano da spira a spira in pro- gressione geometrica di ragione 4; di ragione 2, all'opposto, la curvatura. È da osservare che la chiocciola non rappresenta una figura piana, ma è un corpo a forma di cono. Il tubo osseo cocleare, procedendo dalla base della chiccciola al vertice, descrive una spirale che potrebbe chiamarsi conica-logaritmica. La vera spirale logaritmica ne è la proiezione nel piano. In conseguenza l'equazione (II) si trasforma in (III) osina=}1,116}°, in cui @ è l'angolo di apertura del cono. Assumendo come dati della chioc- É ciola umana, per l'altezza, mm. 4, per il diametro della base mm. 8, e come origine delle coordinate il vertice del cono, l'angolo @ risulta di 45°. Siccome ] Ne sin45°= 0,707 , ma Le l'equazione precedente diviene | | n 45° | (IV) o=1,414}1,116}°, in cui ai valori iniziali della equazione (II) si è aggiunto un fattore co- | ‘stante (!). Chimica fisica. — //cerche sulla velocità di scissione del lattosio per azione del « fermento bulgaro »(*°). Nota I di G. Qua- GLIARIELLO e C. VENTURA, presentata dal Corrispondente FiLiPPO BOTTAZZI. È noto che il « fermento bulgaro » ha la proprietà di invertire lo zuc- chero di latte, e di trasformare poi i due prodotti di scissione (glicosio e galattosio) in acido lattico, con formazione contemporanea di tracce di acidi succinico, acetico e formico. Ora novi abbiamo voluto studiare la velocità con cui la detta trasformazione avviene. Le ricerche sono state fatte sul latte, sul siero di latte e su soluzione pura di lattosio. In quest'ultimo caso lo zucchero era sciolto in liquido di Ringer contenente 1 °/, di peptone, aggiunto per otfrire ai bacilli un opportuno terreno di cultura Per seguire la velocità di trasformazione dello zucchero, ci siamo ser- viti del metodo titrimetrico. Il latte, o il siero di latte, o la soluzione di lattosio, distribuiti in tubi da saggio, venivano opportunamente sterilizzati, (*) S Salaghi, Za teoria della spirale logaritmica applicata all'apparecchio cocleare. Archivio italiano di otologia, rinologia e laringologia, 1916, fase. 1°. (*) Ricerche eseguite nell'Istituto di fisiologia della r. Università di Napoli. x — 752 — quindi infettati con una enltura pura di « fermento bulgaro » (fornitoci dalla ditta Getzel di Napoli), e poi messi in termostato a 38° C. Di tempo in tempo, si prendeva un tubo, nel quale, mediante NaOH n/10, si determinava, in presenza di fenolftaleinà, la quantità di acido formatosi. Siccome il latte, e, in grado minore, anche la soluzione contenente peptone, hanno un potere alcali-fissatore non trascurabile (onde richiedono per se stessi, affinchè si colori la fenolftaleina, una discreta quantità di alcali), ogni volta si ebbe cura di determinare tale quantità, che venne poi detratta dalle titolazioni eseguite durante la fermentazione. In ogni caso, all’inizio della ricerca, fu determinato col metodo di Fehling il lattosio contenuto nel liquido. Esperimento I. — Del latte fresco di mucca viene distribuito in una serie di tubi da saggio (10 ce. per ciascun tubo) e sterilizzato col metodo della pasteurizzazione. In ciascun tubo si introducono 5 ce. di una sospen- sione pura di bacillo bulgaro. Di 2 tubi appena infettati si determina l'aci- . dità potenziale: essa corrisponde, in media, a 8,1 ce. di una soluzione 0,09 x di NaOH (?). Gli altri tubi vengono messi in termostato a 37° C. Uno di essi, bollito subito dopo l'aggiunta dei bacilli, serve di controllo; alla fine della ricerca si trova che in esso l'acidità è rimasta praticamente invariata. La concentrazione del lattosio nel latte, dopo l'aggiunta della cultura nella pro- porzione sopra detta, fù del 3,1°/,, vale a dire di 0,090 grammo-molecole per litro. Nella tabella I sono raccolti i dati analitici trovati. TABELLA I. AciDITÀ espressa in cc. Na OH 0.09 n. per 10 cc. latte Re: CA: corretta Dee litro URNE, del valore iniziale (Cornetta) all’inizio 8,1 — | - dopo 24 ore 19,23 eee 0,1002 48 25,75 17,65 | 0,1588 72 30,30 922,20 | 0.1898 112 34,80 26,70 | ‘0,2408 136 37,10 29,00 0,2610 160 37,40 29,30 0,2637 184 38,60 - 80,50" 0,2745 208 38,70 30,60 - 0,2754 232 38,76 30,66 0,2760 È 280 38,76 30,66 0,2760 (*) Questo valore così alto dipende dal fatto che la cultura è già fortemente acida. — 759 — Esperimento II. — Si preparano tre serie di tubi. In una s'introdu- cono 10 cc. di latte per ciascun tubo; nella seconda 10 ce. di siero di latte; nella terza 10 ce. di soluzione di lattosio (in liquido di Ringer più, 1°/,, di peptone Witte). Dopo opportuna sterilizzazione, mediante un’ansa di platino tutti i tubi vengono infettati con una cultura pura di « bacillo lattico ». L'acidità iniziale fu: a) per 10 cc. di latte, 1,6 cc. Na0H 0,1%; 5) per 10 ce. di siero di latte, 2,06 NaOH 0,52; c) per 10 cc. di soluzione di lattosio, 0,05 NaOH 0,1 x. La concentrazione iniziale del lattosio fu: a) per il latte, 4,42 °/,=0,13 gr.-mol. per litro; 5) per il siero di latte, 4,46°/,= 0,131 gr.-mol. per litro; c) per la soluzione di lattosio, 4,46°/5= 0,131 gr.-mol. per litro. I dati analitici relativi sono esposti nella tabella II. c130°0 sua 08° “i = DI # "i - Wi ‘ 0830°0 08% ce 00ST°0 00°8I SOLI ccLe‘0 | 9313 CG‘68 OZI STZO0 eu 03% SSFTO SSII. 09°9T 0993‘0 09‘93 03°8% 96 i 0910°0 09°I i SIT S631°0 S6‘3I 00‘ST 0L32%0 0L‘3 0848 84 08T0‘0 OS'I SET 7080°0 078 < SF'OI ST9I0 ST'9I SL'LI 146 e | _ - 0 — — 20% = * 091, 0 < [Vel t | QBIZIOI QpRIZIUI Q|RIZIUI (891109) QIOTBA [PP VIVACI] (t}}a1100) QIO[VA |P BIBAOI] (€}}a1109) QIO]RA |9Pp UYRAOI] 0413] 1od V]JI11OO — o1}:] 19d VI}ALLOO oI}] 10d e}? 1109 ‘ba 15 ur d ‘bo «13 ur d ‘bo ‘48 ur x È Quorznjos ‘09 QI 19d % 10 : o19IS Ip ‘29 0[ 19d I°0 4 ope] Ip ‘20 0] ded v 1‘0 DECO HO®N ‘99 ur essoIdsa vaspigsa HO®UN 799 ur essasdso EURO HO®UN ‘99 ur essosdsa Q10 UI OdNI], O SOLLVI IA ANOIZNTOS HLLVI IA OUHIS OUMINI HLLVT cIIpiov ‘Il VITIIVI — 755 — Innanzi tutto, abbiamo creduto utile di porre in grafica i valori trovati, sia per aver un'idea complessiva dell’andamento del fenomeno, sia per 028 0.26 o 1a) PS {o} a tao) o) IO) ° o Ea pa r 10:42 = = 4 — —— com 20. 40. 60, 80. 400. 420, 440. 460, 430. 200, 220. 240. 260, 280. VAZZZZ O liti Ore Grammi eguivalenti di scideo lallico peer Lio È Fia. 1. ! 1 05? i | DN | "sy 0,28 1 E è _ aut i 0.24 ; Ò dA. | È 0.20 È | N x Ì È % 0.46 © ù = $ è ® 008 SS R S 0.04 Sè NES NI 20. 40 60 80 400 420 440 460 ON Zempno in ore Fia. 2. poter eliminare dal calcolo successivo l'errore sperimentale. Come mostrano le grafiche I-IV, costruite segnando sulle ascisse i tempi e sulle ordinate x —'756 — - le quantità di acido formato, i valori sperimentali, specie per il latte e per il siero di latte, stanno benissimo nella curva; il che dimostra che l'errore della determinazione titrimetrica fu relativamente piccolo. Per la soluzione di lattosio l'errore fu un po' maggiore. a causa della piccolissima quantità NO 0.46, N G Ni Oda N ij Ne 0da) (DN | NEI0401 N ANS | c N è Ni 0.08: y | ‘è È q.06 ves oe] de Vr v è 0.04: ENTI XD 0.02 NÈ So 20 40 60 80 oo Fd ALO A 1 ò Tenno 213 ore. Fic. 3. D (©) è —__ Sa 755 0.020 suivalenti Ai VA llico VZZA e) (©) = (©) 20 40 60 80 400 420 440 160 Grants actolo la 7emgz:o cr ore . FIG. 4. «di acido formato. Dalle grafiche abbiamo ricalcolato la quantità di acido formato e la quantità di lattosio scisso nei singoli esperimenti, per inter- valli di 20 ore. Dai valori esposti nella tabella III, dai quali è eliminato, dunque, per quanto è possibile, l'errore sperimentale, cercheremo di ricavare la legge della velocità di scissione del lattosio per opera del « bacillo lat- tico ». — 757 > Ta TE a er: ro 0690°0 9L3‘0 083 = = “i = =“ x L890°0 SLT‘0 008 " # == aa a = 6890‘0 ELE‘0 08T = ni = pa 7" = 0290°0 897°0 09T L900°0 0430°0 = = = = L790%0 683°0 071 79000 A) SLE0°0 ocr°0 0890°0 GLE0 ST90%0 97‘0 06I 9500°0 ZA) GLE0°0 6710 0290°0 8930 GLS0°0 633'0 001 8F00°0 c610°0 0980°0 FIIO 0590‘0 0930 STe0°0 1030 08 8800‘0 Se10°0 c8£0°0 881° c090°0 La ZA60) SF70'0 8LI°0 09 8600°0 OTI0‘0 g830‘0 FIT 3o80°0 6030 GS80°0 I7T°0 07 GIO0°0 09000 c330°0 060‘0 c8g£0‘0 971°0 STC0°0 060°0 03 0 0 0 0 0 0 0 0 0 osstos !!(5*Hs!)] ew] “0*H°0 |osstos *08*H"')| opewo; *0*H°0 |0ssI0s "08*H®*)| ogeurtoy *0*H "0 |0ssTos *055H"!) ogew10} "0°H°9 oxgr] tod ‘Atmbo *welo 01qt] 10d ‘AImbo “meio oIqi] 10d ‘Ambo *ureIb) 033t] 1od “Ammbo "Wei 910 UI OdNA], (VTET:O = 0IS0HE]‘Ze1queouoo) | (‘2 IgI°9= 01soNpe]‘zesjuaouoo) | (‘20810 = 0ISOREI ‘Ze1Zuodu09) | (‘7 060°0= 0ISONEI ‘Zeguaouo?) OISOLLVI IA ANOIZNTOS ALLVI IC OUHIS (9) TLLVIT (0) TLLVT ‘Ill VTISSV], 98 g D Da ] al 3 7 > d Lon] D i È z È a) Z A pa x — 758 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH richiama l’attenzione dei Colleghi su varie pubblicazioni dei Soci TARAMELLI, PARONA, PAScAL, PEANO, SACCO, SILVE- sTRI; fa poscia omaggio del vol. VI, parte 2* ed ultima delle Memorie ed osservazioni del R. Osservatorio ul Collegio Romano, ed offre, discorren- done, a nome dell'autore, due volumi contenenti le pubblicazioni del prof. Pa- LA7ZZzO di magnetismo terrestre e di argomenti varî, apparse nell'intervallo 1884-1914. i Tl Socio REINA, a nome della Presidenza della Società italiana per il progresso delle scienze, presenta un volume contenente una serie di confe- renze riguardanti: Zu chimica e le industrie chimiche in Italia nel momento attuale. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Lomparpi L. Ricerche intorno ai solenoidi composti di materiale ma- gnetico. Pres. dal Corrisp. G. Grassi (!). COMUNICAZIONI VARIE Il Presidente BLASERNA annuncia che alla seduta assiste il prof. Vas- siLier, docente dell'Università di Pietrogrado; e al chiaro scienziato porge il saluto cordiale dell'Accademia. Lo stesso Presidente comunica una lettera del Socio straniero MITTA@- LeFFLER che, unitamente a sua moglie, annuncia di aver destinato, in occasione del suo 70° compleanno, la propria biblioteca, la villa di Djursholm e quanto possiede, ad una istituzione internazionale per le matematiche supe- riori. Il Presidente propone, e la Classe approva, che al prof. MirTAG- LEFFLER siano trasmessi i sensi di compiacimento dell’Accademia per la. generosa e munifica disposizione. E. M. (1) Presentata nella seduta del 21 maggio 1916. — 759 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 giugno 1916. Bereer E. — Zur Geschichte eines opti- schen Instrumentes, mit 2 Abbildun- gen, II Auflage. Bern, 1916. 8°; pp. I-VII, 1-20. Chimica (la) e le industrie chimiche in Italia nel momento attuale (Società italiana per il progresso delle scienze). Roma, 1916. 8°. pp. 1-54. MareNoTTI E. Sopra un caso di endofagia dell’. « Aspidiotiphagus citrinus » (Craw.) How. sul « Chrysomphalus dictyospermi ». (Morg.) Leon. (Estr. dal « Redia », vol. XII, pp. 1-18). Firenze, 1916. 8°. Mintosevica E. — Memorie ed Osser- vazioni, ser. III, vol. VI, parte II Roma, 1916. 4%; pp. evil, 1-223. Ortu CarBonI S. — Trattato di matema- tica finanziaria. Milano, 1916. 8°; pp. I-XVI, 1-347. PaLazzo L.— Pubblicazioni, an. 1884-1914: A) Magnetismo terrestre; 5) Argo- menti diversi. Parona C. F. — Francesco Bassani: cenno necrologico. (Estr. dagli « Atti della r. Accad. delle scienze di Torino », vol. 519, pp. 1-8). Torino, 1916. 8°. Pasca E. — Le linee funzioni di linee. (Estr. dal « Giornale di matematica del Battaglini, vol. 53, pp. 1-31). Na- poli, 1915. 8°. Prano G. — Le definizioni per astrazione. (Estr. dal « Boll. della Mathesis » 1915, pp. 1-15). Pavia, 1915. 8°. Prano G. — Residuo in formula de qua- draturà Cavalieri-Simpson. (Extr. de I° « Enseignement mathématique », 1916, pp. 124-129) Paris, 1916. 8°. -Sacco F. — Apparati dentali di « La- brodon » e di « Chrysophrys » del pliocene italiano. (Estr. dagli «Atti della r. Accad. delle scienze di To- rino », vol. LI, pp. 1-8). Torino, 1916. 8°. Sacco F. — Considérations cosmogoniques sur la nebuleuse M. 51 Canum Vena- ticorum. (Estr. da « Saggi di astro- nomia popolare », anno V, pp. 1-11). 'l'orino, 1915. 8°, Sacco F. — Geologia applicata della città di Torino. (Estr. dalla Rivista «il Valentino », anno V, pp. 1-62). Torino, 1915. 8°. Sacco F.—Il pozzo artesiano di Saluggia. (Estr. dagli « Annali della r. Accad. di agricoltura di Torino », vol. 58, pp. 1-8). Torino, 1916. 8°. Sacco F. — La geologia e la guerra. (Estr. da « Saggi di astronomia popolare », an. VI, pp. 1-27). Torino, 1916. 8°. Sacco F. — Universo. Torino, 1916. 8°, DI Ippro1=306; SiLvestrI F. — Descrizione di alcuni ti- sanuri ivdo-malesi. (Estr. dal « Boll. del laboratorio di zoologia generale », vol. XI, pp. 1-119). Portici, 1916. 8°, SiLvestRI FP. — Thysanura della nuova Caledonia e delle isole Loyalty. (Estr. dalla « Nova Caldonia, Zoologie », vol. II, pp. 75-81). Wiesbaden, 1915. 8°. TarameLLI T. — Di Giovanni Maironi da Ponte e di altri naturalisti berga- maschi del secolo scorso. (Estr. dai « Rendiconti del r. Istit. lombardo di scienze », vol 49, pp. 289-284). Milano, 1916. 8°. TARAMELLI T. — In morte di Ferdinando Sordelli. (Estr. dai « Rendiconti del r. Istituto lombardo di scienze », vol. 49, pp. 1-4). Milano, 1916. 8°. Terrapas E. — Els elements discrets de la materia i la radiacié: conferen- cias recullides per I. Polit. Barcelona, 1916. 8°, pp. 1-68. a È E + È i CS Pubblicazioni della k. Accademia dei Lincei. .Berie 13 — Atti dell’Accademia peilificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. ‘Serie 2° — Vol. I. (1873-74). - Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 23 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, i storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. ‘Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. | MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. «Berio 48° — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). i MEMORIE della Classe di scienze Asiche: matematiche ‘e naturali, Vol. I-VII. ba MEMORIE della. Classe di scienze morali, storiche e flologiche. siVol.1X..- «Berio 5 — RENDICONTI della Classe dv scienze fisiche. matematiche e naturali. Vol. I-XXV. (1892-1916). Fase. 11°. Sem. 1°. . ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XXIV. (1892-1916). Fasc. 1-2. . MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naivrali. ‘Vol. I-XI. Fasc. 10. i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. e, Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. Fasc. 1-3. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE ATE RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE £ NATURALI do DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due | volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per intta - PItaliaè di L 19; per gli altri paesi le spese di posta in più, a Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti | editori-librai: ) | Ermanno Loescner € (.° — Roma, Torino e Firenze. Utr:ico Hoerit. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1916. INDICE _ — Classe di scienze fisiche, matematiche e. naturali. Seduta del 4 giugno 1916. MEMORIE HA NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Burali-Forti. Sulle derivate delle isomerie vettoriali (pres. dal Coins Marcolongo) . Pago Hadamard: Sur les ondes liquides (pres. dal Socio Pincherle) . .... . . CROARr Viaro. Osservazioni di comete fatte negli anni 1914 e 1915 all’equatoriale Deldtiowali di 187 mm. del R. Osservatorio astronomico di Padova (pres. dal Socio Z. Millosevich). » Barbieri. Nuovi composti complessi del vanadio trivalente (pres. dal Socio Ciamician) . » Bariola. Osservazioni petrografiche sopra alcuni pani litici CENT Sardegna (pres. dal Corrisp. Millosevich) . . . . 00, o È VITI AI Ie Sn) Lombroso. Sulle azioni enzimatiche del sangue enti il dii I: Distrudiane e con. densazione del glicosio per opera del sangue normale (pres. dal Socio Luciani) . . n Baglioni. I processi termici dei centri nervosi. V: Azione dei narcotici e della compressione meccanica sulla tonalità termica del preparato centrale di Bufo (pres. /d.) . Be) Salaghi. Della volgarizzazione ed applicazione della fisica-matematica in medicina a (ra, dal Socio Rufm) ee LI n È ee LES Quagliariello e Ventura. Ricerche sulla velocità di scissione del lattosio per azione del « fer- mento bulgaro» (pres. dal Corrisp. Bottazzi) . /./././. 0... I PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Richiama l'attenzione dei Colleghi su varie pubblicazioni dei Soci Taramelli, Parona, Pascal, Peano, Sacco, Silvestri, del prof. Palazzo ecc. . . . » Reina. Presenta una pubblicazione della Società italiana per il progresso delle scienze. » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Lombardi. «Ricerche intorno ai solenoidi composti di materiale magnetico » (pres: dal | Corriep:. Gi Grass) E ao Sa RSI E PAR SON i a COMUNICAZIONI VARIE: Blaserna (Presidente). Annuncia che alla seduta assiste il prof. Vassilief, docente dell’Uni- versità di Pietrogrado. . . . SITI Id. Comunica una lettera del Socio ISS, Mittag-Leffler Lab SI a ft dà no- tizia di una sua istituzione internazionale per le matematiche superiori. Deliberazione della Classe. . BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO . A ALA A tai nel Pubblicazione bimensile. N. 12. AIEII _RBALE ACCADEMIA DEI LINCEI O CCOCXIII. ; 1916 SHPRTH DU EN TA RENDICONTI © ‘Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del A8 giugno 1916. «Volume X X V.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 1° SEMESTRE., ROMA ; if TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI wi TIE ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. ù 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, é 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- siouî verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno ‘preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essì sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota, per iscritto. - ILE _ I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, soro senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o în esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- | posta dell'invio della Memoria agli Archivi. dell’Accademia. 3. Nei primi tre casì, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta | 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall art. 26 | dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo 8. carico degli au tori RENDICONTI DELLE SEDUTE (DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANDA Seduta del 18 giugno 1916. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Sopra il nero di pirrolo('). II Nota prelimi- mare del Socio A. AnceLI e del dott. Lurcr ALESSANDRI. Questa II Nota rappresenta un sèguito del lavoro che lo scorso anno (*) -abbiamo pubblicato, sopra lo stesso argomento, in questi Rendiconti; essa ‘risente naturalmente l'effetto delle circostanze eccezionali in cui vennero ese- “guite le esperienze, le quali rappresentano, più che altro, una serie di saggi finora eseguiti allo scopo di trovare le condizioni nelle quali le sostanze si ‘formano in modo più facile e con maggior rendimento; di stabilire in modo -almeno approssimato la loro composizione, nonchè di esaminare quale influenza -esercita la posizione dei sostituenti sulla natura dei prodotti che per lo stesso ‘trattamento forniscono gli omologhi del pirrolo. Per questa ragione noi pubblichiamo con tutto riserbo ed anche in via ‘provvisoria i risultati finora ottenuti, giacchè, trattandosi di sostanze lo studio «delle quali presenta le maggiori difficoltà, non è escluse che le ulteriori ‘indagini possano anche modificare i dati cui finora siamo pervenuti. Come abbiamo già accennato nella prima comnnicazione, questo studio «ci sembra di un certo interesse, soprattutto in vista della grande rassomi- glianza che alcuni di questi prodotti presentano con le melanzne, cioè con ‘quei pigmenti colorati che sono tanto diffusi in natura (*). Senza dubbio gli ‘stessi ovvero analoghi prodotti potranno formarsi anche per mezzo di altri (‘) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica organica del R. Istituto di studî supe- :riori in Firenze. (?) Questi Rendiconti, vol. XXIV (1915), 2° sem., pag. 3. (3) O. Hammarsten, Lekrbuch der physiologischen Chemie, 5* ediz. (1904), pag. 600. RanpIcoNTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 99 LE CMAGTA processi di ossidazione, ed è noto che prodotti colorati in modo più 0 meno- intenso sono stati osservati da tutti coloro che hanno lavorato col pir- rolo; da tutti però venne trascurato il loro studio, e noi crediamo di essere - stati i primi a richiamare su di essi tutta l’attenzione che meritano ('). Ossidazione del pirrolo. — Come si è già detto. le nostre prime esperienze hanno avuto, più che altro, un carattere orientativo allo scopo di de- terminare le condizioni in cui l'ossidazione procede nel modo migliore. Si è incominciato dal variare il rapporto dei pesi delle sostanze che si ponevano a reagire, la concentrazione rispetto all’acido acetico puro ovvero in pre-- senza di altri solventi. Come si è posto in rilievo nella I Nota, è necessario aggiungere l’acqua ossigenata nella soluzione di pirrolo ratfreddata con ghiaccio; nei giorni successivi basta lasciare la bevuta, in cui si opera, in. una capsula d'acqua a temperatura ordinaria. L'acqua ossigenata venne sempre adoperata sotto forma di « peridrol » della casa Merck. Esperienza 1°. Si posero a reagire gr. 3 di pirrolo (Schuehardt) sciolti in 20 ce. di acido acetico con gr. 3 di peridrol; il mattino seguente, il tutto. sì è rappreso in una massa gelatinosa nera: agitando, si separano fiocchi neri ed il liquido apparisce fortemente colorato in bruno verdastro. Dopo quattro. giorni, nell'aria della bevuta si riscontra dubbia la. reazione dell'acido per- acetico e, sì raccoglie il prodotto su filtro di carta indurita, alla pompa; il liquido, fortemente colorato, viene diluito con acqua, la quale determina la separazione di fiocchi neri; per ebollizione dà vapori che arrossano un fuscello . di abete bagnato con acido cloridrico; non contiene più acido peracetico. Il liquido acetico rimanente venne raffreddato con ghiaccio, aggiunto ancora 1 gr. di peridrol, e lasciato di nuovo a se stesso. Il precipitato nero, prima raccolto su filtro, venne lavato con acido acetico sino a che questo passò. incoloro, e poi con acqua; secco pesava gr. 0.3. L'acido acetico di lavaggio, per aggiunta di acqua, dette ancora gr. 0,15 di prodotto nero bruno. L'acqua-madre acetica, trattata ancora con 1 cc. di peridrol, dopo altri tre giorni, diluita con acqua, dette altri gr. 0,85 di prodotto nero, lavato e secco. Le acque acetiche, evaporate a pressione ridotta, lasciarono indietro. uno sciroppo che non venne ulteriormente studiato. Il liquido distillato dava la reazione dell'acido peracetico e, sebbene debole, anche quella dei pirroli. Esperienza 2°. Si adoperarono 1 gr. di pirrolo e 3 gr. di peridrol. | Dopo 7 giorni il liquido, che dava ancora la rezione dell'acido peracetico e. quella dei pirroli, si diluì con acqua; il prodotto separato, lavato con acqua e secco, pesava gr. 0,97. Le acque madri acetiche vennero evaporate nel vuoto riscaldando su b.m.; e lo sciroppo rimasto, asciugato sopra acido solforico, venne ripreso con alcool. Si separa una sospensione colorata in rosso bruno, (5) Quanto prima deseriveremo altresì le ossidazioni del pirrolo effettuate dalle ossi-- dasi, nonchè i prodotti che si formano per autossidazione del sale sodico .del mitroso- pirrolo. — 763 — la quale si raccoglie in filtro; il liquido limpido filtrato, per aggiunta di etere, separa nuovamente un pulviscolo simile al precedente. Evaporando il liquido sino a piccolo volume, rimane uno sciroppo aranciato che, con una traccia di succinimmide. sì rapprende in cristalli. Il liquido acquoso acetico, distillato dalle acque madri, conteneva ancora acido peracetico, ma non dava più in modo sensibile la reazione dei pirroli. Esperienza 3%. Gr. 1 di pirrolo, diluito con egual volume di acido ace- tico glaciale e con molto. etere, venne trattato con gr. 3 di peridrol, agi- tando e raffreddando con acqua. In modo identico, sr. 1 di pirrolo, sciolto in molto etere, si trattò con gr. 3 di peridrol, ma senza aggiungere acido acetico. In entrambi i casì non si notò riscaldamento nè variazione di colore. Dopo quattro giorni, i due liquidi vennero versati in capsule e lasciati evaporare all'aria: la soluzione acida era lievemente colorata e lasciò una massa gelatinosa nera, che, ripresa con acqua, lavata con acqua bollente, e seccata, pesava gr. 0,32. È solubile lentamente, ma solo parzialmente, in soda diluita. Invece la preparazione senza acido acetico lasciò indietro un olio gial- lognolo che non venne ulteriormente esaminato. Esperienza 4%. A gr. 5 di pirrolo, sciolti in acido acetico glaciale e raffreddati con ghiaccio, vennero aggiunti, a piccole porzioni gr. 10 di peridro]; si lasciò due ore in presenza di ghiaccio e poi in bagno d'acqua a tempe- ratura-ambiente. Il colore del liquido passò per tutte le sfumature, dal verde chiaro al verde scuro; nel domani aveva incominciato a separarsi una pol- vere nera, e dopo due giorni, sì aggiunse acqua in eccesso; il prodotto venne raccolto su filtro e lavato prima con acqua e poi con alcool; secco, all'aria, pesava gr. 2. Le acque madri acetiche vennero evaporate in capsula a b. m. fino a consistenza sciropposa, riprese con poca acqua e filtrate a caldo. La sostanza nera, che in tal modo rimase indisciolta, pesava gr. 0,6; è solubile negli alcali e riprecipita con gli acidi. Il filtrato venne nuovamente evaporato, e poi ripreso con acqua, trat- tato con nero animale a caldo e poi evaporato ancora a b. m. e finalmente in essiccatore. Dopo qualche tempo, incominciò a separarsi una sostanza cristal- lina, poco colorata in giallo sporco, la quale venne raccolta su filtro alla pompa, lavata con poca acqua e ricristallizzata da acqua bolleute. Si ebbe così una polvere cristallina che a 159° fonde con sviluppo gassoso; ricristallizzata ancora, fonde a 164°, sempre con sviluppo gassoso; riscaldando ulteriormente, il liquido si colora in azzurro intenso. Di questa sostanza si dirà più sotto. psperienza 5. Gr, 10 di pirrolo (C. Erba), diluiti con circa 130 ce. di acido acetico glaciale, vennero trattati nel solito modo con gr. 20 di peridro!, lasciati in ghiaccio per circa 9 ore, e poi 6 giorni in bagno d'acqua a tem- peratura-ambiente. Trascorso questo tempo, si diluì con acqua, si raccolse x = 104 — il prodotto su filtro e si lavò con acqua fino a che questa per evaporazione lasciava un residuo trascurabile: allora si lavò ripetutamente con alcool a freddo, e poi si lasciò asciugare all'aria e finalmente in essiccatore: pesava gr. 2,2. Le acque madri acetiche, intensamente colorate in giallo bruno, vennero concentrate a b. m. (nei vapori non si riscontrò acqua ossigenata), poi riprese con acqua, evaporate di nuovo ed infine riprese con altra acqua: sì separò così una massa bruno-nera che, lavata con acqua e seccata all'aria, pesava gr. 3,2. La porzione di 2,2 separata per la prima, posta in una calzetta di carta da filtro, venne esaurita a ricadere con alcool, rinnovando questo di ‘ora in ora ed evaporando ogni volta l'alcool per vedere il residuo che lasciava. Dopo circa otto ore, l'alcool incominciò a ricadere incoloro e, per evapora- zione, lasciò un lieve residuo costituito principalmente da pochissimo com- posto nero passato attraverso la carta da filtro insieme con traccie di olio colo- rate in giallo bruno. Il residuo rimasto nella calzetta si lasciò asciugare prima all’aria e poscia nel vuoto sopra acido solforico. Una parte di esso venne sciolta a freddo in soda caustica diluitissima ; il liquido* intensamente colorato in bruno nero venne filtrato con grande cura e quindi trattato con acido solforico diluito sino a che arrossava la carta di tornasole. Il prodotto nero venne raccolto su filtro di carta indurita, lavato con molta acqua, lasciato asciugare all'aria e finalmente sopra acido solforico. Si ebbero così piccoli blocchi neri a frattura splendente, che a volte pre- sentano come riflessi metallici giallognoli. Venne finamente triturato e poi tenutu nel vuoto sopra acido solforico sino a peso costante. All'analisi fornì i seguenti risultati (1): gr. 0.1758 di sostanza diedero gr. 0.3868 di CO. e gr. 0.0765 di acqua » 0.1711 ’ ” » 0.3749 >» » 0.0744 ” » 0.1535 ” ” c.c. 20.2 di azoto a 7°.9 e 756 mm. » 0.1412 ” ” ” 18.5 ” 12° e 757 » (1) Ancora prima di queste abbiamo eseguito altre analisi, i risultati delle quali ci hanno fatto comprendere che si tratta di sostanze che bruciano con grandissima diffi- coltà. Così da uno stesso campione si ebbero i seguenti numeri: gr. 0,0816 di sostanza diedero gr. 0,1711 di CO: e gr. 0,0336 di acqua; n 0,1410 ” D) » 0,3030 » » 0,0570 ” » 0,1242 ” ” cc. 15,8 di azoto a 24° e 750 mm. In 100 parti: Cc 57,19 58,61. —_ H 4.61 4,58 _ N —_ — 14,43 Nella seconda l'ossigeno si è fatto passare più a lungo che non nella prima; per le successive determinazioni di azoto fu necessario mescolare intimamente a parte la sostanza con ossido di rame prima di introdurla nel tubo a combustione. In 100 parti: C 60.01 09.76 — — H 4.87 4.87 —_ = N —_ _ 15.91 15.68 La sostanza, riscaldata su lamina di platino, non fonde e incarbonisce senza mutare di aspetto. Riscaldata sul fondo di un tubo da saggio. manda vapori, in parte facilmente volatili ed in parte meno, che poi si condensano sulle pareti del tubo; una parte cristallizza, l’altra rimane sotto forma di goccie giallognole: tali vapori arrossano fortemente un fuscello di abete ha- gnato con acido cloridico. Una piccola parte delle prime acque madri acetiche di lavaggio del prodotto nero separatosi per primo e colorate in giallo rossastro fu eva- porata a b. m., e si notò separazione, anche alla superficie, di sostanza bruna- nera amorfa; un'altra porzione venne trattata con solfato sodico, ma non si osservò separazione apprezzabile di prodotto solido. Allora le rimanenti acque madri furono evaporate a bassa pressione e lasciarono indietro uno sciroppo trasparente, colorato in bruno, che si seccò nel vuoto sopra calce ed acido sol- forico. Anche questo sciroppo fornisce in modo marcatissimo la reazione dei pirroli. Furono del pari evaporate nel vuoto anche le acque madri filtrate dal prodotto bruno-nero separato per secondo; e lo sciroppo residuo, trasparente e molto colorato, lasciato a se stesso, si rapprese in una massa cristallina impregnata di un liquido denso, da cui venne separata. I cristalli si raccol- sero su filtro e si lavarono un paio di volte con poca acqua calda. Secchi, nel vuoto, si decompongono con sviluppo gassoso a, 157° e per ulteriore ri- scaldamento, la massa fusa sì colora in azzurro, in modo identico al prodotto cui si è accennato nella esperienza 4%; stemprato con acqua, colora inten- samente in rosso un fuscello di abete bagnato con acido cloridico. Si tratta dunque della stessa sostanza. Il prodotto venne sciolto in alcool bollente, trattato con poco nero animale, ed il liquido limpido venne filtrato ed evaporato a piccolo volume. Per raffreddamento si separò un prodotto cristallino, lieve- mente colorato in giallognolo; decantate le acque madri, i cristalli vennero lavati ripetutamente con alcool caldo, poco per volta, ed infine asciugati nel vuoto sopra acido solforico. Per l’analisi venne finamente triturato e poi asciugato per circa tre quarti d'ora a 80°. All’analisi, fornì i seguenti numeri : gr. 0.1618 di sostanza diedero gr. 0.3423 di CO» e gr. 0.1008 di acqua ; » 0.1559 ’ nie 00297 in » 0.0970 ” ni0-1799 ” » c.c. 25.5 di azoto a 9°.8 e 747 mm. x — 766 — In 100 parti: i Trovato Calcolato per Cg Hix N3 0, C 97.88 57.68 = 97.97 H 7.00 6.97 — Od N —_ —_ 16.82 16.73 La sostanza ingiallisce alla luce, e la sua soluzione acetica non si colora con acqua ossigenata. La soluzione alcoolica è instabile al permanganato. Sciolta in acqua calda e poi aggiungendo alla soluzione raffreddata alcune goccie di percloruro di ferro, si colora in bruno; dopo qualche tempo, sì se- para una polvere bruna insolubile in acqua ma che si scioglie negli alcali colorando il liquido intensamente in bruno; gli acidi la riprecipitano. Fusa e sovrariscaldata con cautela, si colora intensamente in azzurro ; riscaldata in tubo da saggio, come si è già detto, fornisce vapori che arros- sano fortemente un fuscello di abete bagnato con acido cloridico. La soluzione acetica evaporata a b. m. lasciò separare, insieme con so- stanza inalterata, una polvere azzurro-violacea, che molto rassomiglia l'in- daco ovvero alcuni suoi derivati. Esperienza 6*. Gr. 7.5 e gr. 10.8 di pirrolo (Th. Schuchardt), diluiti ri- spettivamente con 50 e 75 c.c. di acido acetico glaciale, vennero trattati, nelle condizioni precedentemente descritte, con gli uguali pesi di peridrol e si lasciarono per otto ore in ghiaccio. Nel domani i liquidi bruni si erano rappresi in una massa nera gelatinosa, e si tennero ancora circa tre giorni in acqua a temperatura-ambiente. Trascorso questo tempo, si raffreddarono nuovamente con ghiaccio e si aggiunsero rispettivamente altri c.c. 15 0 c.c. 25 di acido acetico e gr. 7.5 e 10.8 di peridrol, lasciando ancora otto ore in ghiaccio e successivamente quattro giorni a temperatura-ambiente. La rea- zione deli'acqua ossigenata era sempre manifesta e, trascorso questo, tempo i due liquidi vennero mescolati, diluiti con molta acqua e poi lasciati per qualche tempo a sè in modo che il precipitato si raccogliesse bene e, potesse venire meglio filtrato. Il prodotto, raccolto su filtro, lavato con acqua fredda fino a che passò del tutto incolore, venne seccato prima all'aria e poscia sopra acido solforico: pesava gr. 5.4. Si pose in calzetta di carta da filtro e si bollì a ricadere per 8-10 ore con alcool, vale a dire fino a che questo ricadeva scolorato. 1] peso del prodotto si ridusse a gr. 4.5. Si sospese allora la sostanza in soda caustica diluitissima e si lasciò così per un giorno ed una notte, dopo di che la soluzione venne filtrata e riprecipitata con acido solforico diluito, adoperando il tornasole come indicatore. Il prodotto venne accuratamente la- vato con acqua, asciugato, polverizzato e quindi mantenuto su acido solforico nel vuoto sino a peso costante. Polvere nerissima come le precedenti, che al- l'analisi fornì i seguenti risultati : — 767 — “gr. 0.1950 di sostanza diedero gr. 0.4241 di CO, e gr. 0.0814 di acqua; » 0.1315 ” ». c.c. 17.4 di azoto a 11°.2 ‘e 750 mm. In 100 parti : C 59.31 H 4.68 N 15.68 L'acqua madre acetica, da cui venne separato il nero di pirrolo, sì con- centrò a bassa pressione: e lo sciroppo bruno che rimane fu seccato su acido solforico e calce. Bollendo tale residuo con etere, questo lascia a sua volta, ‘per evaporazione, uno sciroppo, pure rosso bruno, che lentamente cristallizza ed ha tutto l'aspetto della succinimmide. Esperienza 7. Gr. 10 di pirrolo (regalati dal prof. Plancher), diluiti «con 110 c.c. di acido acetico glaciale, furono trattati, seguendo le solite cau- tele, con sr. 80 di peridrol e lasciati in ghiaccio per alcune ore e poi a temperatura-ambiente. Il mattino successivo, dal liquido colorato in bruno scuro si era separata una polvere nera. Dopo circa 3 giorni, era ancora pre- ‘sente acido peracetico, e si divise il liquido in due porzioni: l'una venne diluita con acqua in eccesso mentre l'altra si lasciò a se stessa per altri ‘quattro giorni. In quest'ultima si notò che, mentre il composto nero separa- tosi andava lentamente ridisciogliendosi, il colore bruno scuro del liquido ‘sovrastante volgeva verso il rosso bruno, in piccolo spessore con tendenza al giallo. La porzione del nero separata dalla prima metà del liquido venne rac- ‘colta sopra filtro e lavata con acqua bollente Asciugata prima all'aria e poi nel vuoto, pesava gr. 1.6; le acque madri, evaporate a pressione ridotta, la- ‘sciarono uno sciroppo rosso bruno. Tl prodotto nero venne quindi esaurito a ricadere per otto ore con alcoo] e, dopo asciugato all'aria, venne disciolto in soda diluitissima: i granuli dalla polvere, da prima rigonfiarono e poi len- tamente passarono in soluzione. In questo caso, a differenza dei precedenti, la soluzione alcalina filtrata venne agitata con nero animale e poi filtrata «di nuovo: il liquido limpido così ottenuto si acidificò con acido cloridrico ‘adoperando il metilorange come indicatore. Il nero separatosi venne lavato ‘con molta acqua, asciugato all'aria, polverizzato e quindi tenuto sopra acido solforico sino a poso costante. «gr. 0.2237 di sostanza diedero gr. 0.4769 di CO. e gr. 0.0860 di acqua; » 0.1125 ” pi ec 142 diazoro a 91702 mm ; » 0.1254 ’ ’ ” dos ’ 8°.1 e”765. © Da cui in 100 parti: C 58.14 H 4.31 N 15.27 - 15.90 — (768 — La seconda porzione del liquido, vale a dire quella che rimase più a. lungo a contatto col peridrol, venne del pari lavata con acqua bollente ed; asciugata: pesava gr. 1.55. Venne esaurita con alcool in apparato ad estra- zione, sciolta in soda diluitissima e, come la precedente, trattata con nero. animale a freddo, filtrata, riprecipitata con acido cloridrico e poi lavata con. acqua e seccata sopra acido solforico sino a costanza di peso. gr. 0.1813 di sostanza diedero gr. 0.3852 di CO, e gr. 0.0704 di acqua ;. » 0.1389 ” n° c.c. 18.2 di azoto a 10°.2 e 743 mm. » 0.3258 ’ » gr. 0.05054di azoto (metodo di Kjeldahi). In 100 parti: C 57.95 H 4.35 N 15.44-15.51 Le acque madri acetiche di questa porzione di nero di pirrolo vennero. evaporate a b. m. fino a consistenza di sciroppo; riprendendo con acqua, sì: separò una polvere bruna che fu raccolta su filtro e lavata accuratamente con acqua. La sostanza così ottenuta venne sciolta in soda diluitissima; il liquido, intensamente colorato in bruno rossastro trattato a freddo con nero. animale, filtrato ed acidificato con acido cloridico, adoperando il tornasole- come indicatore. Il precipitato bruno-rossastro si raccolse su filtro e si lavò. con molta acqua. Il prodotto secco aveva il solito aspetto di blocchetti molto lucenti a frattura concoide. La polvere è marrone-scura. Seccato nel vuoto sopra acido. solforico sino a peso costante, fornì all'analisi i seguenti numeri: gr. 0.1681 di sostanza diedero gr. 0.3303 di CO, e gr. 0.0713 di acqua; » 0.1224 ” E) Gierd4s4 di azoto.a: 1002745 mmi In 100 parti: C d59,2d H 4,90 N 14,25 L'immide succinica, che cristallizza abbondantemente, insieme con altri. prodotti, dagli sciroppi che si hanno evaporando i liquidi acetici da cuì si, separò il nero di pirrolo, venne purificata da benzolo bollente, adoperando. nero animale per liberarla da poco olio giallognolo. Si ottiene così sotto. forma di cristalli incolori che, polverizzati, seccati sopra acido solforico e poi. per una mezz'ora in stufa a 80°, fondono a 125°. All'analisi fornì i seguenti numeri: gr. 0.1824 di sostanza diedero c.c. 21.6 di azoto a 10° 5 755 mm. In 100 parti: i Trovato Calcolato per C, H; NO; N 14.17 14.14 — 769 — Esperienza 8°. Come tutto lascia intendere, nella formazione del nero: di pirrolo prendono parte più molecole di quest'ultima sostanza; e siccome il pirrolo in mezzi acidi ha tendenza a dare polimeri, abbiamo giudicato oppor- tuno, tanto per meglio orientarci, di ossidare con acido peracetico anche il tripirrolo del Dennstedt; si trattava insomma di vedere se anche questa. sostanza, sottoposta allo stesso trattamento, fosse in grado di fornire prodotti. analoghi a quelli che si ottengono dal pirrolo direttamente. Il tripirrolo fu preparato secondo le indicazioni del Dennstedt. Una por- zione venne sciolta in etere e trattata con poco peridrol: non si notò nè riscal- damento nè variazione di colore, e solamente nel domani il liquido aveva assunto una colorazione giallognola. Un'altra porzione di tripirrolo venne sciolta in acido acetico glaciale, e del pari trattata con un lieve eccesso di peridrol; non si notò il riscalda- mento che sì verifica nel caso del pirrolo, ed il colore del liquido passò al verdastro che nel domani divenne bruno-chiaro. La base amorfa che come prodotto secondario si separa con ammoniaca nella preparazione del tripirrolo, per azione del peridrol in soluzione acetica si colorò in verde smeraldo e, successivamente in bruno, rossastro. Sempre per avere qualche dato di più, abbiamo preso in esame anche il comportamento -di un altro prodotto. Ancora una ventina di anni or sono, uno di noi ha trovato che il pirrolo, per azione della forma]deide, si trasforma immediatamente in una massa amorfa di color bianco giallastro. Ad 1 c.c. di pirrolo, sciolto in acido acetico glaciale e ben raffreddato, si aggiunge 1 c.c. di formaldeide al 40 °/,; il liquido si riscalda, ingiallisce e, dopo poco tempo, si separa il prodotto. Una parte della sostanza, insieme con l'acido ace- tico madre, lasciata all'aria, poco per volta si colora in roseo e poi in rosso che ha tutto l’aspetto del rosso di pirrolo, e finalmente in bruno intenso. Non venne ulteriormente esaminata. Ad una seconda porzione del prodotto di condensazione, sempre in pre- senza di acido acetico, si aggiunse peridrol. Il colore divenne sempre più scuro; si ebbe cura di constatare di quando in quando la presenza di acido peracetico, e, dopo qualche giorno, si aggiunse un’altra piccola quantità di. peridrol. In seguito il prodotto venne raccolto su filtro; le aeque madri, for- temente colorate, dopo alcuni giorni incominciarono a scolorirsi e vennero. buttate. Il prodotto solido, accuratamente lavato con acqua, è d'un rosso bruno intenso; si scioglie quasi completamente in soda diluita e viene ripre- cipitato dall’acido acetico sotto forma di fiocchi bruno-rossastri. Per riscal- damento questi dànno vapori che arrossano un fuscello di abete bagnato con acido cloridrico. Il loro studio non è ancora finito. Il nero di pirrolo, ottenuto secondo le preparazioni descritte in principio, si presenta sotto forma di una polvere nerissima, insolubile in quasi tutti i: solventi. A_ lungo andare si scioglie un poco in piridina, ma non sì può dire RsnpicontI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 100 — 770 — ‘se si tratti di un processo di salificazione. Si scioglie invece negli alcali e nell'ammoniaca, in modo analogo a quanto fanno le melanine naturali; e si comprende che, al pari di queste, esso non può fornire i soliti amminoacidi che si ottengone nella demolizione della molecola degli albuminoidi; invece, come fanno le melanine, per riscaldamento dà, insieme con prodotti piridici, sostanze che arrossano fortemente una scheggia di abete bagnata con acido cloridrico; senza dubbio, prodotti pirrolici ed indolici. Le melanine forniscono, in determinate condizioni, anche nitrile succinico; il prodotto da noi otte- nuto, per ulteriore azione dell'acido peracetico, passa lentamente in soluzione e dà un miscuglio di prodotti fra cui rinvenimmo l’ immide succinica. Come abbiamo posto in rilievo ancora nella prima Nota, sono interessanti i muta- menti di colore che la soluzione dell'acido peracetico subisce in presenza di nero di pirrolo ; il liquido si fa dapprima rosso-bruno, poi rosso-aranciato e finalmente giallo con lieve fluorescenza verde: in una parola, i cambiamenti di colore che i capelli neri subiscono per trattamento con acqua ossigenata. Anche in questi casi la tinta passa per il rossastro, per tinire al biondo. Anche la loro composizione è in accordo col fatto notato da Hofmeister, ‘che cioè nelle melanine naturali il rapporto atomico non si scosta molto dal valore CoHaN=piop;k, Infatti, prendendo in esame i dati che si riferiscono ai prodotti descritti nelle esperienze 5* e 6, si hanno i valori approssimati i CH Ni=bw:4:87:1 Si accostano pure i dati che sì riferiscono alla esperienza 7*; ma questi non possono venir utilizzati senz'altro, giacchè in questo caso Je soluzioni alcaline dei prodotti vennero trattate con nero animale e perciò non sì può escludere, come non raramente avviene, che queste sostanze non abbiano lie- vemente alterato la loro composizione. Che. poi i trattamenti con i varî reat- tivi possano portare variazioni anche nella composizione delle melanine natu- rali. è stato posto in rilievo da più di uno sperimentatore. anche senza tener conto del fatto che in questo caso è molto difficile di liberare i veri pigmenti, colorati, da piccole quantità di altre sostanze che li accompagnano ovvero che ‘sì formano in seguito ai varî trattamenti. Non solo: ma uno dei migliori ‘conoscitori di questo gruppo di sostanze, Fr. Samuely (*), ritiene che perfino l'azione degli alcali, nella preparazione delle melanine dai tessuti naturali, conduca inevitabilmente a prodotti modificati; l’azione degli alcalìi infatti, a seconda della concentrazione e della durata, si sottrae ad ogni controllo meto- dico. D'altra parte bisogna guardarsi anche dall'uso esclusivo degli acidi, secondo il processo di von Fiìrth e Jerusalem, perchè è noto che dagli albu- (1) E. Abderhalden, //andduch d. biochem. Arbeitsmethoden (1909), vol. II, pag. 767. — 771 — minoidi, in seguito all’azione idrolitica degli acidi, sì formano anche sostanze nere, ! così detti acidi melanoidinici, che a seconda della loro quantità preci- pitano amorfi ovvero rimangono disciolti nel liquido idrolizzante. Questi corpi, ‘che sono di natura acida, passano facilmente in soluzione per azione degli alcali, e sì comportano come gli stessi acidi melaninici che per azione degli alcali si formano dai veri pigmenti colorati. Naturalmente, dai dati analitici avuti noi ci siamo guardati bene dal voler ‘calcolare delie formole; ciò sarebbe perfettamente ozioso perchè mancano ancora molti dati. Però fino da ora sì può porre in rilievo un fatto: siccome sì parte dal pivrolo in cui il rapporto atomico ha il valore:C:H:N=4:5:1esiì arriva a composti per i quali il rapporto si accosta ai numeri C:H:N=5:5:1, ne consegue che nella formazione di questi prodotti colorati, oltre a molecole intere di pirrolo, hanno dovuto anche concorrere atomi di carbonio provenienti dalla demolizione di altri anelli pirrolici (a meno che non si tratti di omo- loghi del pirrolo. come può darsi avvenga nei prodotti naturali). Come avvenga questo fatto, lo dimostreranno le ulteriori esperienze che abbiamo in corso; e, fra altro, è anche per questo che noi abbiamo ossidato con acido peracetico il prodotto di condensazione del pirrolo con la formaldeide. Un altro fatto è meritevole di essere posto in rilievo. Che le melanine sì formino in seguito a processi di ossidazione di composti ciclici provenienti dagli albuminoidi, è stato ammesso, ancora alcuni anni or sono, da Fr. Samuely, ‘e le nostre ricerche rendono probabile che tali composti ciclici sieno pirrolo ‘ovvero suoi omologhi; non solo, ma le ulteriori esperienze hanno pure asso- dato che nell'ossidazione del pirrolo (come già lo scorso anno uno di noi ‘aveva ammesso), oltre che il nero di pirrolo, si formano anche altre sostanze variamente colorate (che noi forse nou riuscimmo finora ad isolare comple- tamente), la cui composizione è molto affine e che con tutta probabilità rap- presentano altrettanti prodotti di ossidazione e forse, in parte, di idrolisi. I seguenti numeri ne dànno qualche esempio: colori neri i bruno rosso marrone bianco giallognolo C 60.01 — 58.14 58.18 55.23 97.68 H 4.87 — 4.51 4.87 4.90 6.97 N l'5:91— 15.27 15.22 14.25 16.82 } inoltre interessante il fatto che l’ultima sostanza, quella bianco-gial- loguola che fonde a 164°, ha una grande tendenza a fornire prodotti colo- rati in azzurro. Come è noto, non sono infrequenti in natura i pigmenti che possiedono questo colore. ed uno di noi ha veduto, poco tempo fa, in una casa in Firenze, un magnifico gatto di Angora che aveva una pupilla bruna e l’altra azzurra. Ancora non abbiamo studiato i caratteri e le proprietà chimiche del nero di pirrolo e, tanto meno, quelli delle sostanze che insieme con esso si x — 772 — formano: per mancanza di tempo, finora abbiamo dovuto limitarci ad eseguire soltanto qualche saggio preliminare. Una piccola quantità di soluzione alcalina di nero di pirrolo venne trat- tata con eccesso di polvere di zinco; il colore del liquido scomparisce quasi del tutto e, dopo filtrazione, all'aria lentamente ricomparisce. La soluzione alcalina di nero di pirrolo, per prolungata ebollizione, svolge ammoniaca. Bol- lita con anidride acetica, non muta d'aspetto; ma, dopo poco tempo, il pro- dotto non si scioglie più negli alcali diluiti e nemmeno in piridina. Trattando la soluzione alcalina con cloruro di benzoile, non sì separa prodotto solido, ed il liquido non muta di colore. Anche agitando la soluzione sodica con solfato di metile nulla si separa. Si è già accennato prima che il nero di pirrolo, per azione dell'acqua ossigenata in soluzione acetica, passa lentamente in soluzione; si ottiene un miscuglio di prodotti, fra cui venne caratterizzata l’immide succinica. La soluzione alcalina viene ossidata a freddo anche dal permanganato di potassio; da un piccolo saggio eseguito si è ottenuto in tal modo un olio giallognolo che non tarda a rapprendersi in cristalli. Anche qui si tratta del miscuglio di almeno due prodotti, di cui uno è molto solu- bile in etere, e l'altro assai poco; quest'ultimo, seccato su piastra porosa, fonde verso 126°. Non vennero ulteriormente esaminati. Allo scopo di estendere la ricerca, abbiamo giudicato opportuno di pren- dere in esame anche altri prodotti di ossidazione colorati che il pirrolo può fornire. Com'è noto, Ciamician e Silber (*), nell' autossidazione del pirrolo alla luce, ottennero immide succinica e derivati cristallini C;° Hiy4 N: 0,5 in- sieme con prodotti catramosi e carboniosi; siccome gli autori non sì sono oc- cupati di questi ultimi prodotti, che sono quelli che a noi interessavano, così abbiamo esposto alla luce circa 20 grammi di pirrolo, in bottiglie a tappo smerigliato piene di ossigeno ed in presenza di poca acqua, dal 7 luglio al 12 ottobre dello scorso anno. La sostanza solida venne raccolta su filtro, ed il liquido di lavaggio, concentrato a b. m., lasciò indietro uno sciroppo che non venne ulteriormente esaminato. Il prodotto rimasto sul filtro venne sospeso in acqua bollente e poi lavato sino a che il liquido passava quasi scolorito; il residuo insolubile fu seccato nel vuoto e quindi esaurito con alcool bollente in apparecchio a ricadere sino a che l’alcool passava incoloro; l'operazione durò circa 4 ore. Il prodotto rimasto indisciolto si presenta sotto forma di una massa amorfa che dà una polvere bruna. Pesava circa 6 grammi. Riscaldata su la- mina di platino, rigonfia ed annerisce mandando fumi che arrossano un fu- scello di abete bagnato con acido cloridrico; riscaldata sul fondo di un tubo da saggio, dà fumi che si condensano in goccie giallo-brune che hanno odore di ammoniaca e di basi piridiche. Insolubile nei varî solventi, sì scioglie (1) Questi Rendiconti (1912), 1° sem., pag. 619. — 10703 — invece con facilità negli alcali e nell'ammoniaca. Una porzione del prodotto venne triturata con poco alcool, posta su filtro e trattata su filtro stesso con soda diluitissima; il liquido che passa, intensamente colorato in bruno, venne filtrato nuovamente e quindi acidificato con acido solforico diluito, adoperando il metilorange come indicatore. Il prodotto bruno che si è separato venne lavato con molta acqua, seccato su acido solforico, triturato e poi tenuto in essiccatore fino a costanza di peso. gr. 0.1627 di sostanza diedero gr. 0.3471 di CO, e gr. 0.0708 di acqua; » 0.1618 ” ” c.c. 21 di azoto a 14°.2 e 750 mm. In 100 parti: C 58.18 H 4.87 N 15.22 Come si vede, la composizione ed i caratteri di questa sostanza si ac- costano molto a quelli precedentemente descritti. Naturalmente noi non vo- gliamo azzardare ipotesi che sarebbero per lo meno premature; ci limiteremo quindi ad accennare che la formazione di questo pigmento colorato per azione dell'ossigeno e della luce sul pirrolo forse non è estranea all’imbrunimento che subisce la pelle sotto l'influenza dei raggi solari. Si intende che noi non ci siamo dati cura di studiare anche i prodotti cristallini che contemporaneamente si formano, giacchè tale ricerca non pre- sentava per noi interesse. Una volta esaminati così sommariamente i derivati che fornisce il pir- rolo, sarebbe stato nostro desiderio di sottoporre allo stesso trattamento anche gli omologhi del pirrolo, allo scopo di determinare l'influenza che la posi- zione ed il numero dei sostituenti esercitano sulla natura dei prodotti che si formano. Ma anche qui le ricerche rimasero incomplete perchè non avevamo a nostra disposizione (e ci mancò anche il tempo per preparare) i derivati mo- nometilati; dovemmo perciò limitarci allo studio dei due dimetilpirroli, lo asimmetrico e quello simmetrico, che ottenemmo dall'etere acetacetico secondo le prescrizioni date dallo Knorr. Grammi 5 di 2-4-dimetilpirrolo, diluiti con 50 c.c. di acido acetico glaciale, vennero trattati nel solito modo con gr. 12.5 di peridrol, raffred- dando con ghiaccio; il colore del liquido passò presto al giallo aranciato, e dopo un paio d’ore, era rosso-bruno intenso. Il mattino seguente non aveva sensibilmente mutato, non precipitava per aggiunta di acqua e nemmeno con solfato sodico. Trascorso qualche giorno, si aggiunse un'altra piccola quantità di peridrol e si evaporò in capsula a b. m. Il colore passò al gialiognolo, e la sostanza non tardò a rapprendersi, per raffreddamento, in una massa cristallina che venne raccolta su filtro e lavata con qualche goccia d'acqua. Ricristallizzata x — 774 — un paio di volte con acqua bollente e finalmente una volta al benzolo, sì presenta sotto forma di cristalli incolori che, asciugati in stufa a 90°, fondono a 158° con sviluppo gassoso, che verso 160° Cene tumultuoso. All’analisi diede i seguenti numeri: gr. 0.1764 di sostanza diedero c.c. 15.4 di azoto a 9°.7 e 749 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cs Hiz NO3 N 10.39 10.68 La soluzione alcalina del composto, trattata con poco solfato di rame, si colora intensamente in azzurro. Evidentemente si tratta dell’amminoacido, ancora sconosciuto, CH, . CH(NH;). CH, . CH(CH;). COOH, formatosi in seguito ad apertura dell'anello pirrolico. Lo sviluppo gassoso, che si osserva quando si fonde, è dovuto senza dubbio a perdita di acqua, con formazione della corrispondente anidride. Il 2-5-dimetilpirrolo venne sottoposto allo stesso trattamento e nelle medesime condizioni; per 5 gr. di pirrolo si adoperarono gr. 10 di peri- drol. Il mattino seguente il liquido ha assunto un colore bruno-rossastro, e dopo due giorni, venne diluito con acqua, ma non si separò nessuna sostanza. Aggiungendo solfato sodico, si ebbe invece una resina rosso-bruna, che non venne studiata. Ne segue che nessuno dei due dimetilpirroli esaminati fornisce composti che presentino analogia col nero di pirrolo. Per trattamento dell’a-mezilindolo con peridrol in soluzione acetica sì ebbe un prodotto che, purificato dall'alcool, si presenta in cristalli gialli che fondono verso 208°. È identico al composto preparato dal Plancher per 0s- sidazione dell’a-metilindolo con soluzione eterea di acqua ossigenata ('). gr. 0.1803 di sostanza diedero cc. 15.8 di azoto a 14° e 746 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per (Cs Ha) 30 N 10.23 10.14 Anche l'indolo, a parità di condizioni, dà un composto che rassomiglia al precedente e che non esaminammo ulteriormente, essendosi il prof. Plan- cher riservato lo studio di tali sostanze. Anche in questo caso a noi bastava di aver stabilito che questi due indoli forniscono prodotti che, almeno nel- l'aspetto, non hanno analogia col nero di pirrolo. (*) Questi Rendiconti, vol. XX (1911), 1° sem, pag. 453. Chimica. — £Azcerche sui composti del motibdeno pentava- lente (*). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Quasi tutti i composti del molibdeno pentavalente sono sali doppî e appartengono o al tipo MovOX;. RX o al tipo MovOX; .2RX. Essi con- tengono il radicale trivalente Mo"O detto mol:b4erzle (*) che corrisponde ai radicali Cr"0"(), V'O, ND'O, Tav. Studiando i composti cui dà origine il pentossido idrato di molibdeno con l'acido formico e con l'acido ossalico, io ho ottenuto alcuni sali doppî che appartengono ai nuovi tipi Mo‘O.X.. RX Mo‘O.X . 2RX 2Mo”O,X . 3RX. Questi sali doppî ditferiscono da quelli di molibdenile perchè contengono il nuovo radicale monovalente MoO,..Esso corrisponde al radicale VO, con- tenuto in varî composti dell'acido vanadico con gli acidi fluoridrico, ossalico e citrico (4), p. es. in VO, F1.2KF}]; ed è isomero col radicale Mo”0, bi- valente che si trova in alcuni derivati dell'anidride molibdica, p. es. nel composto Mo‘0, Fl, .2KFI. Per distinguerlo dal suo isomero, e per facilitare la denominazione dei composti descritti in questa Nota, chiamerò il nuovo radicale Mov0,, molibdile. FORMIATI. Nella letteratura non si trova alcun cenno relativo a formiati di mo- libdeno. Io ho constatato che il pentossido idrato di molibdeno si scioglie facil- mente nell’acido formico, e clie la soluzione rosso-bruna, così ottenuta, non eristallizza per evaporazione, ma che, da essa, per aggiunta di un eccesso di formiato ammonico o di formiato potassico, si possono avere formiati doppî ben cristallizzati. Formiato doppio di molibdile e ammonio 2Mo'0.sHC00 .3HCOONH,. Questo composto si ottiene con buon rendimento operando come segue: 20 gr. di cloruro doppio di molibdenile e ammonio Mo0C]; . 2NH,CI, pre. (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale dell’ Università di Ferrara. (®) Peter Klason, Berichte 34148 (1901). (3) R. F. Weinland, Berichte 383784 (1905); 394042 (1906). (4) G. A. Barbieri, Rendiconti Accad. Lincei, 24, 1°784 (1915). x — 776 — ‘parato secondo le indicazioni di P. Klason ('), vengono sciolti in acqua; sì tiltra, se occorre, per eliminare traccie di bleu di molibdeno; poi si ag- «giunge carbonato ammonico in sostanza tino a precipitazione completa del molibdeno pentavaleute come carbonato basico. È vantaggioso di adoperare il carbonato ammonico invece dell’ammo- .‘niaca, perchè, mentre il carbonato basico è un precipitato polveroso che si può separare e lavare alla pompa, il pentossido idrato di molibdeno, che sì ha con l’ammoniaca, è invece gelatinoso, come l’idrato ferrico, e dà facil- .meute soluzioni colloidali. Il precipitato, ottenuto col carbonato ammonico, viene sciolto a caldo in 30 ce. di acido formico di densità 1,2; si aggiungono, a poco a poco, da 25 a 30 gr. di carbonato ammonico per neutralizzare una gran parte del- l’acido, e si concentra a fiamma diretta fino a cristallizzazione incipiente. Nel liquido concentrato si forma, per lento raffreddamento, un abbondante deposito rosso-aranciato, costituito da bei cristalli tabulari, trasparenti, a «contorno esagonale, che vengono spremuti alla pompa, lavati con alcool me- tilico e seccati all'aria fra carta da filtro. L'analisi di questo composto non presentò alcuna speciale difficoltà. gr. 0,5244 di sostanza, calcinati al rosso-scuro, diedero gr. 0,2828 di ani- dride molibdica; gr. 0,5386 di sostanza, trattati con soda caustica, liberarono ammoniaca corrispondente a cc. 30,5 di soluzione di acido solforico — ; gr. 0,4934 di sostanza diedero gr. 0,2030 di CO, e gr. 0,1502 di acqua. Da questi risultati si calcolano i seguenti rapporti atomici: Mo Lt Mo 1. Ni 15002490 ‘ossia si deduce che, per due atomi di molibdeno, il composto contiene tre molecole di ammoniaca e cinque residui formici. I risultati analitici, riferiti a cento parti, conducono alla formula 2M00:; HCOO . 5HCOO NH, . Trovato Calcolato Mo 35,95 35,89 N 7,91 7,86 C 11,23 11,22 H 3,40 3,21 (') Loc. cit. aaa Il tormiato di molibdile e ammonio si scioglie nell'acqua, con colora- . zione rosso-bruna: nell’alcool è insolubile. Le sue soluzioni acquose intor- bidano, lentamente a freddo, rapidamente a caldo, e depositano una sostanza giallastra, amorfa, che è probabilmente un sale basico. Se si acidifica con ‘acido formico, l’intorbidamento non si produce. In presenza di molto acido formico e formiato ammonico, il formiato doppio può venire ricristallizzato dalle sue soluzioni acquose. Esso dà tutte le reazioni dei composti del mo- libdeno pentavalente. Con ammoniaca diluita dà pentossido-idrato di molibdeno; con soda o potassa caustica, a caldo, dà biossido idrato di molibdeno, mentre una parte «del molibdeno, contenuto nel composto, passa in soluzione come molibdato. Nell'acido cloridrico concentrato si scioglie con colorazione verde, e, -saturando la soluzione con acido cloridrico gazoso, precipita il cloruro doppio di molibdenile e ammonio Mo0C1]}.2NH,CI, in bei cristalli verdi. Nelle soluzioni dei solfocianuri alcalini si scioglie con colorazione rossa, -che, per aggiunta di acido cloridrico diluito, passa al violetto porpora. In una soluzione calda e concentrata di cianuro potassico, si scioglie ‘con colorazione verde: la soluzione, evaporata a bagno-maria, diventa giallo- bruna, e deposita il composto (!) K,Mo"(CN)} .2H,0 sotto forma di squa- smette gialle. In una soiuzione di cianuro potassico e potassa caustica si scioglie a freddo con colorazione turchina, che, per aggiunta di potassa caustica in so- «stanza, diventa violetta, mentre si deposita il composto (*?) 4KCN . Mo'v0, . 6H:0 in bellissimi cristalli rosso-violetti. Formiato di molibdile e potassio 2Mov0, HC00.3 HCOOK. Si prepara come il sale di ammonio. 20 gr. di cloruro doppio di mo- libdenile e potassio vengono trattati con la quantità calcolata di carbonato potassico: il precipitato viene sciolto in 30 ce. di acido formico di d. 1,20; ‘sì aggiungono circa 30 gr. di carbonato potassico e si concentra. Il formiato doppio di molibdile e potassio, che si separa per raffreddamento, è una so- «stanza di colore rosso-roseo, cristallizzata in aghi. «gr. 0,3242 di sostanza diedero, alla calcinazione, gr. 0,2316 di residuo (mo- libdato acido di potassio); gr. 0,8016 di sostanza diedero gr. 0,3800 di anidride molibdica; «gr. 0,3126 di sostanza diedero gr. 0,1146 di CO, e gr. 0,0240 di H.0. (*) A. Chilesotti, Gazz. chim., 34, IT,97 (1904). (£) K. A. Hofmann e v. der Heider, Zeitschr. f. anorg. Chem. 1237: (1896). RenpICONTI. 1916, Vol. XXV, 1° Sem. 101 i x — 778 — Trovato Calcolato per 2M00, HC00.3HC00K K.0+M00: 71,44 71.75 Mo 31,82 32 09 K 19,67 (per differenza) 19.60 C PI 10,02 H 0,86 0,84 Con l'acqua e i reagenti il formiato di molibdile e potassio si comporta come il sale di ammonio. Formiato di molibdile, sodio ed esametilentetrammina 2Mo"0,HC00 .2HC00HC,N,H,,. HCOONa. Quando si tenta di preparare il sale di sodio nelle stesse condizioni nelle quali si ottengono i composti precedenti, si ha un liquido rosso-scuro incristallizzabile. Se ad esso si aggiunge una soluzione concentrata di formiato di esametilentetrammina, sì ottiene tosto un precipitato costituito da aghi finissimi rossastri, nel quale sono contenuti molibdeno, acido formico, sodio ed esametilentetrammina. gr. 0,4606, trattati secondo Kjeldhal, neutralizzarono cc. 45,7 di una solu- zione di acido solforico 10’ gr. 0,5960 di sostanza diedero gr. 0,2159 di anidride molibdica; | » 09728 ’ ” » 0,0856 di Na.S0,; | » 0,2672 , , » 0,2544 di CO, e gr. 0,0974 di H,0. Trovato Calcolato | Mo 24,15 24 43 N 13,90 14,26 Na 2,85 2,92 C 25,97 25,95 H 4,08 3,98 Formiato di molibdile ed esametilentetrammina Mo"O, HC00.HC00 HG; N, H:3.3H30. Ad una soluzione di pentossido-idrato di molibdeno in acido formico concentrato si aggiunge esametilentetrammina in sostanza finchè se ne scioglie: dopo alcun tempo, si separa una sostanza di color giallo-arancio cristallizzata in aghi, che nell'acqua si decompone facilmente. — 779 — gr. 0,4432 di sostanza diedero gr. 0,1562 di anidride molibdica; » 0,3776 di sostanza, trattati secondo Kjeldhal, neutralizzarono cc. 37,2 di una soluzione di acido solforico o > 0,2844 di sostanza diedero gr. 0,2404 di CO, e gr. 0,1316 di H,0. Trovato Calcolato Mo 22,98 23.25 N 13,79 i 13550 C 23,05 23,25 H 5,17 5,12 Il composto, scaldato a 100° nella stufa ad acqua, subisce una perdita del 13,18°/, (calcolato per 3H,0 13,07). OSSALATI. Alcuni ossalati complessi del molibdeno pentavalente sono stati descritti da G. Bailhache ('). Essi corrispondono alla formula R.0 . M0:0; .20,0; .4H,0 R=K,NH,,!/,Ba. È noto che l’acido vanadico forma, con gli ossalati alcalini, sali complessi del tipo 3 R0.V:0;. 40,0; . nH,0 R=XK,NH,,Na, e che gli ossalati complessi cui dà origine l'acido niobico corrispondono alla. formula 3K,0 . Nb:0; . 6C:0; . #H30 R=K,NH,,Na,Rb. Era presumibile che il molibdeno pentavalente potesse dare ossalati più ricchi in acido ossalico che non i composti di Bailhache, e che si avvici- nassero maggiormente agli ossalati di vanadio e di niobio. In realtà io non ho potuto ottenere che composti del tipo 2R:0 . M0:0; .3C,0: .2H,0 R=K,NH,. .Ossalato di molibdile e ammonio 2(NH,), 0 . M0,0; . 30,0; . 2H;0 oVVvero (Mov0:), C,0, 2) (NH,)» 0,0, . 2H,0 È Il pentossido-idrato di molibdeno si scioglie facilmente nelle soluzioni di acido ossalico. Aggiungendo un grande eccesso di ossalato di ammonio, si ha un liquido rosso-bruno, dal quale non cristallizza che ossalato di am- (1) Compt. rend. 135g6a (1962). x — 780 — monio. Tentativi di precipitare con alcool il composto di molibdeno esistente in soluzione non diedero buoni risultati. Si ottiene invece un ossalato doppio allo stato solido, evaporando a secchezza la soluzione a bagno di sabbia, scaldando verso i 110° il residuo ed estraendo poi con acqua, a freddo, l'ossalato di ammonio in eccesso. Resta una polvere microeristallina color cannella, costituita da squamette lucenti, che nell'acqua è lentamente so- lubile. Il prodotto, lavato ripetutamente con acqua, venne sottoposto ad ana- lisi dopo di essere stato seccato a 100° sino a peso costante: gr. 0,6030 di sostanza diedero gr. 0,2766 di anidride molibdica; » 0,7808 di sostanza, trattati con soda caustica, neutralizzarono cc. 49,7 di una soluzione di acido solforico si » 0,4222 di sostanza consumarono ce. 53,1 di una soluzione di perman- ganato il cuì titolo era di gr. 0,815 di ossigeno per litro; » 0,2966 di sostanza diedero gr. 0,1261 di CO, e gr. 0,0880 di H.0. Trovato Calcolato Mo 30,58 30,57 N 8.92 8,92 O (consumato) 10,25 10,20 C 11,60 11,47 H 3,32 i 9,21 Questo composto si scioglie lentamente in acqua con decomposizione e non può venir cristallizzato dalle sue soluzioni acquose. Presenta tutte le reazioni dei composti del molibdero pentavalente. Ossalato di molibdile e potassio 2K,0 . M0:0;.3C:03. 2H:0 ovvero (Mo 0): C?0,.2K,C,0,.2Hs0. Si prepara come il composto precedente, sostituendo all'ossalato di am- monio l'ossalato di potassio: gr. 0,4210 di sostanza calcinati diedero gr. 0,2826 di residuo (K,0 + M00x); » 0,2236 di sostanza consumarono ce. 25,3 di una soluzione di permanga- nato (titolo gr. 0,815 di ossigeno per litro). i Trovato 2 Calcolato K30 + M003 67.12 66,87 O (consumato) 9.19. 8,98 L'ossalato di molibdile e potassio rassomiglia perfettamente, nell'aspetto e nelle proprietà, al sale di ammonio. — 781 —- Secondo la nomenclatura proposta da A. Werner (*), i composti descritti in questa Nota sono di0r0-molibdanati, mentre i comuni sali di molibdenile sono 0r0-molibdanati. Il cloruro doppio di molibdenile e ammonio viene rappresentato da Werner con la formula | og) Jom: a 5 AI formiato doppio di molibdile ed esametilentetrammina potremo attri- buire la formula [Bo c00), | Hi C,N,H; 3H,0% Allo stesso tipo |Mox° | R appartengono i composti di Bailhache 2 0, , [Mlog!0, | R.2H,0. Siccome però le due molecole di acqua non vengono eliminate a 100°, è probabile che si tratti di acqua di costituzione, e la formula diventa v(0H). Bea R. Gli ossalati (Mo0:)»C,0,.2R,C:0,.2H:0 corrispondono evidentemente al tipo [Dog [Re raddoppiato perchè l'acido ossalico è bibasico. . 3 Siccome anche in questi composti l’acqua non viene eliminata a 100°, essa è probabilmente contenuta in forma di ossidrili come esprime la formula 0; Mo.(0H), R, . (C204)z A questi ossalati si avvicina, per la costituzione, il fluoossivanadato di zinco VO», FI. Zn Fl. 7H,0 descritto da Piccini e Giorgis (?), e che A. Werner (*) rappresenta con la formula O) V(OH): |Zn.6H,0. FI, Non è facile interpretare con la teoria del Werner la costituzione dei formiati doppî del tipo 2M00,HC00.3HCOOR. Essi corrispondono ai fluo- ossivanadati 2VO,F1.3KF1 e 2VO, FI.SNH, FI che Werner nou ha preso in esame trattando degli oxo-sali. Ma siccome egli ha attribuito al fluoruro (1) Neuere Anschauungen, Anorg. Chem. (1913 ss. (®) Gazz. chim., 22, Iso (1892). (2) Loc. cit., 207» — 782 — doppio di uranile e potassio 2U0,F1,.3KF1 la formula | Ubi | Ke sarebbe Vi logico attribuire ai fluoossivanadati la formula | Veri Je e ai formiati 5 doppî la formula [ 310:11c00) î Ra 5 D'altra parte R. F. Weinland (*), descrivendo il cloruro doppio di tan- talile e piridina 2Ta0C]:.8Py.HCI, lo considera risultante dall’ unione molecolare dei due tipi noti [106,] H, Py + eni HPy, e di tal genere di sdoppiamento fa largo uso nell'interpretare la costituzione dei composti complessi del cromo e del ferro con acidi organici. Analogamente si potrebbe risolvere la formula 2M00, HC00.3HCOOR nelle due seguenti: 219000), 8: +[!°f1000), ]8- Questa interpretazione avrebbe il vantaggio di spiegare l'esistenza del for- miato triplo di molibdile sodio ed esametilentetrammina 0 0 Reno H(C.N/H)CE | °(#000),_ Na.. «Astronomia. — Osservazioni di pianetini fatte nel 1914 all'equatoriale Dembowski di 187 mm. del R. Osservatorio di Padova. Nota di B. ViaROo, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. In questa Nota sono contenute le osservazioni dei pianetini seguenti: (2) Pallas (140) Siwa, (532) Herculina, (12) Victoria, (287) Nephbthys, (16) Psyche, (192) Nausikaa, (453) Eros; ed i luoghi medî delle relative stelle di confronto. (1) Zeitschr. f. anorg. Ch., 54g39 (1907). eng FI[ 80+96F + 08600 8'0 FI 9% — ST|i005. cam 03600 60 FI.9 FI| #0 S3F 6160 6888 97 ZI] 60 3% 61600 0'68 IS 33 II| 80 737 616°0 9'GFIS SE II| 80 33 LT6°0 662 SF S3 SI| 80 33° LI6°0 FL St SE SL] 60. 7FSF LT6°0 8'8£ 65 SZ IL 604-834 L16:0 68 6£ SE — or + — 00% + 906°0 9'8F 16.868 — 6| FF 00% 9060 #'6F-1% 86 Qu iL'F° 868 106°0 p'FS.0I 89 LIGA CRE L06°0 v'4S OL 86 LIBIEGAFA= 9655 c06°0 9696 9. co+rrg+ 9890 L'IELESIT SaS 9890 TELAI pi Nig:Gint= 19: OF9'0 dAVAFAIA CHAMOIS AGI Opa” TOS ESCI GC 89 8650 T'L8 67.06 Prc 868°0 L'FE 63.0 GAM LICAOE ORE 680 1°66 63 06 T| Sf 98% SE 680 0-83 62 02 cla * |*dde ] pe peg | 7:d SU] dda p 068°8 TE'6F 62 6I OC 6:68 seg 84 6£ OI L “ 068°8 Tr6Y 64 6I OLgl.| E 8II.— | #8 + 8F 6201 L “ “8pe'8 88'F8 08 6I OLFL=| 10:89 gi [HOST L87101 9 “ 8638 ta 19 68 6I 8-00 Sea 03 SS OI 8 “ 838 GUI 8 6I 901 | 8IES.— | L2°8F0 —- 08 SS OI g “ “e9:8 OT'OF Sg GI ol'rr.| 6050 + | 130 :0+ 08 03 0I Pa « “cgL'8 93'0F 85 6I OTFI | 1F6t + | 86060+ 08 03 OI Pa “ “OSL'8 68:88 78 61 OLI. 98 GOLA 0 OL:060A 88 2301 I “ “00,8 6982 FE 6L Ola | 819,9 4 1280 88 28 OT I 03803 y ‘vuno sig (ge) 1316 +662 LE 8I 0g 000 LE88II izà “ 316 G8'68 26 8I 9 ‘0L | #0 + | 16F80+ LS SE II tà “ 806 10:83 0F SI LETALI IAS (O en] DE CIANI rr LE LE LI 08 « 9606 9033 0F SI OLGI.| 6546 + | 899504 LV LETI 03 “ 3ST°6 IE 17 8I Sg 0g 886 DA 08% \8I 6IL 050] ‘RIS (0F1) 7686 99/688 61 SRIOZia SIGN NI TESI OISLIL (era “ 76816 8688 GI 8504 || IGIOGI C+ GLIO OTSTII C3 “ 6906 2608 SI 61 LO IL'Onean SRIO0 FI 9POI FI La 6906 8308 SI GI Gio Ig at IGO FL9FOI VI 03S05yY “Gpe:6 GI'89 LE GI 8H0Na| (9:9gl e | 400 2133 II 88 “ “CH86 9369 LE GI ROLE 60910 — 81.33 II 83 “ “0836 STUIF SF GI SEO SCEMO IASLI 13 “ ‘0836 GVIF81.61I 801 | 9SIZIT 60920 + ZLSFII La uu) SU USA su SERSULEESU: ‘sonod (8) TR È | ; pd 50] ‘ddv » ito) PP DIA VAOpeg “UL ‘TL FIGI -—- 784 — 68 ta (49 16 06 66 86 86 LG 96 ‘GG ua 6 xd 6 GG Te 06 06 GI 8I LI 9I LI AI ce+z0x + | 9690 v63 6681 — | “1998 184988 06 |ot'08 | 6230 + | a8630—- | 91236 9%. 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WaZ 18907 ...39.55 46.9; » WaZ 18943... 48 .49 34 .1. Matematica applicata. — Della volgarizzazione ed applica- zione della fisica matematica in medicina (*) Nota III del profes- sore S. SALAGHI, presentata dal Socio RUFFINI. In questa Nota continuo ad esporre la base teorica del tema di acustica fisiologica, che ho volgarizzato per i medici: delle vibrazioni sonore in rapporto con la conformazione dell'organo dell'udito nell'uomo. Nella Nota precedente riferii sulla parte riguardante l'energia di moto delle vibra- zioni (°). Ora cercherò di valutare la perdita di carico che soffrono le vibra- zioni stesse lungo il percorso del tubo ad asse spirale logaritmica che costi- tuisce la chiocciola umana. Nel moto dei liquidi entro tubi curvilinei avviene una perdita di carico a cagione della resistenza che il liquido scorrente o l'onda propagantesi nel liquido fermo incontra nei cambiamenti di direzione. Per gli usi della pra- tica v'è la seguente formula dedotta dalla esperienza, che fornisce i valori approssimativi per y perdita di carico nei tubi curvilinei (*): Vai LP (1) x=10,181+1,847(-.)° (>, (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Terapia fisica della R. Università di Bologna. (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze fisiche matematiche e naturali, vol. XXV, 1° sem, pag. 747. (3) Ing. dott. E. Zeni, /draulica. Hoepli, 1911, pag. 88. x — 788 — la quale può ridursi in funzione del solo raggio di curvatura 7, considerando 2 costanti il diametro d del tubo e la forza viva > (1) B n P (2) g=A+ . e in funzione della curvatura R, trascurando la costante A per il suo pic- i colo valore di fronte a quello di R° (8) = WR. La formula è applicabile con approssimazione pure al tubo cocleare. Per tubi di diametro differente da quelli sperimentati da chi formulò la legge, v'è solo da introdurre qualche variante nelle costanti. Lo dice anche il Puppini, il quale ha fatto analoghe esperienze (?). Questa formula, fornita dalla idraulica, si applichi ora ad un tubo ad asse spirale logaritmica, come è quello della chiocciola umana. V'è in tal caso da aggiungere un altro fattore c. Questo rappresenta l’effetto che hanno sulla perdita di carico le resistenze dipendenti dalle disposizioni anatomiche delle quali si parlò nella Nota precedente pubblicata in questi Rendiconti, a pag. 747. Dalle già note variazioni, che offre la curvatura R da spira a spira, si calcoleranno i corrispondenti valori di R*, i quali, all'infuori dei fattori % e c dànno la perdita di carico. L'operazione è riportata nella tavola unita, sotto forma di esempio numerico. V'è notato, per riscontro, anche il decorso della frequenza e della energia delle vibrazioni nella estensione del campo uditivo. Alla curvatura R è assegnato come valore iniziale 1. Essa cresce da spira a spira in direzione del polo in progressione geometrica di ra- 7 : “i gione 2; R° in progressione geometrica di ragione 11,3137=2°. v? 29 sembrerebbe che dovesse essere costante, se dalle nostre esperienze è risultato che la (1) Quanto a , che qui si considera costante, occorre qualche spiegazione. Non energia che viene resa individualmente dalle vibrazioni sonore contro una data resistenza cresce di ottava in ottava, dagli acuti ai gravi, in progressione geometrica di ragione due. V'è però da avvertire che in eguale progressione, e parimente dagli acuti ai gravì, aumenta la durata delle vibrazioni medesime: La durata, essendo l'inversa della frequenza, viene ad equilibrare nella unità di tempo, lungo la scala dei suoni, l'effetto della forza viva sulla perdita di carico. Nello stesso senso parla il fatto messo in chiaro da ter Kuile, che l’energia totale dei corpi vibranti, a parità di altre condizioni, si- mantiene costante per ogni grado ed ottava della scala dei suoni. (?) Ing. U. Puppini, Za perdita di carico nei gomiti ad angolo vivo. Il Monitore tecnico, 1915, nn. 20 e 22. — 789 — n 7 I valori di R e di R” si riferiscono all'inizio di ogni spira. Dai valori ottenuti può per altro segnirsi, anche lungo le spire stesse, l'andamento di R°. Se vi si colloca in un'altra colonna a destra, come si è fatto nella tavola, una progressione geometrica di ragione 2, avente gli stessi estremi di quelle relative alla frequenza ed alla energia delle vibrazioni, si osser- verà che ad ogni due spire vi ricorrono numeri che si trovano nelle pro- gressioni delle altre due funzioni. Nel giro delle due spire sono compresi sette termini della progressione. Ad ogni spira ne spettano tre c mezzo. 7 Effettivamente, all’inizio delle spire di numero pari il valore di R° coincide con la media geometrica tra i corrispondenti termini contigui della colonna di destra. Se la progressione geometrica della curvatura R, invece che da uno, N come fa, cominciasse da altro numero, i risultati per R ed R? sarebbero proporzionali a quelli ottenuti. Il rapporto di proporzionalità è dato dal rapporto tra il nuovo primo termine ed uno (!). Nel suo accrescimento lungo le spire che si susseguono în direzione - l del polo, R* si mantiene dunque proporzionale alle altre due funzioni (energia e frequenza) delle vibrazioni: direttamente con la prima, inver- samente con la seconda. In questo esempio numerico si sono considerate cinque spire della curva if logaritmica, per poter meglio verificare l'andamento della funzione R°. Ma nella chiocciola umana ne sono usufruibili due soltanto dai medici designate col nome di giri spirali, basilare l'uno, apicale l'altro. Di più vi può essere una frazione della porzione sigmoidea del Ruffini, con la quale ha inizio il tubo cocleare: quella parte almeno in cui la curva assume un aspetto re- golare. Il campo uditivo, composto di circa dieci ottave che vanno da 16 vibra- zioni comp. fino a 20000 al sec. (ved. tavola), sta tutto entro quei confini. (') Fino ad ora, per semplicità, siamo partiti dalla curvatura R=1. Ma possiamo anche partire da una curvatura R<1, tanto più che, in realtà, all’inizio delle spire ‘cocleari, ossia nella porzione sigmoidea del Ruffini, la curvatura è lievissima. Allora è 7 La R°?» ” = 101.3 ” “termostato | ten, nn circolato te Ea Rae NA A 652 l'0:cc. in» ” dopo idrolisi con HCl» ” — 1.688 ” Dopo 24 ore (e cc. sangue non circolato . . . . . .. potere riducente= 948°. » permanenza) 10cc. 0» » dopo idrolisi con HCl » ” = 624 ” termostato | (non si ricerca il potere riducente dopo idrolisi con HC]) II. — Cane kg. 31. Pancreas, peso gr. 65; dopo circolazione, gr. 70. Sangue cc. 250 + 1.25 gr. glucosio. Durata della circolazione ore 1!/,. Pressione 80-100.mm. Hg: 10 ce. sangue non circolato . potere riducente = 498 mer. glie. Dona 10 COMI ” dopo idrolisi con HCl »- ” = 54.8 ” cessata la È È cirestaziona dec im circolato. ring ” — 928 ” 10:cc...» ” dopo idrolisi con HCl » » HION4O ” Dadi ore\10 ce. sangue non circolato . . . . . , potereriducente= 44.1 . » di Jel0lce.. "n dopo idrolisi con HC1 » ” = 47.6 » TereontoS (LOCO, MI a NCILCOLAtOR ei sai Sos er ” 0238 ” l'Oceano» ” dopo idrolisi con HCl» ” RAD 4° SIRO — 805 — III. — Cane kg. 23. Pancreas, peso gr. 45; dopo circolazione, gr. 52. Sangue usato per la circolazione cc. 800. Pressione 80-100 mm. Hg. Durata della circolazione ore 1. A 100 cc. di sangue circolato ed a 100 ce. di sangue non circolato si aggiunge 1 gr. di glucosio. DENIINA 10 cc. sangue non circolato . . . . . . potere riducente= 93.7 mgr. glic. di TOlceas ” dopo idrolisi con HC1 » ” —.102,0 ” Dscsrssezz EO/ce. n. circolato IRE cia pp R6- 0 Tic » dopo idrolisi con HCI » » — 103.0 ” 10 ec. sangue non circolato . . . . . . potere riducente = 101.0 ” Dopo 6 ore; c T68% di oiec ” dopo idrolisi con HCl.» ” = 102.0 ” Tino 10 ce » circolato AA era ar) ” » — 98.0 b) Ole car ” dopo idrolisi con HCl» ” = 102.0 ” i 0 cc. sangue non circolato Ss potere riducente = 99.0 ” Dopo 18 ore c ASS di |lOcc. » ” dopo idrolisi con HCl» ” =R9,9:0 ” temono) 10cc. » circolato Mile ” =,.96.0 ” TOice-in ” dopo idrolisi con HCl» ” — 90 » IV. — Cane kg. 25. Pancreas, peso gr. 40; dopo circolazione, gr. 45. Sangue cc. 150. Pressione 380-100 mm. Hg. Durata della circolazione ore 1 !/a. A 100 ce. di sangue circolato ed a 100 ce. di sangue non circolato si aggiungono 0.5 gr. di glucosio. DO 10'cc. sangue non circolato È potere riducente = 49.2 mgr. glic. di 10cc. >» ” dopo idrolisi con HCl» ” = 52.7 ” pinna pia cc. n. circolato Spazi Sin ni = 298.0. » ES OCA ” dopo idrolisi con HCl» ” iR00:0 ” Dogste ore\10 cc. sangue non circolato . . . . . . potereriducente= 49.0 ” di TiOfec. ” dopo idrolisi con HC1 » ” od » VERRA licensa» circolato SO nin a = 48.2 ” lto (OE) D) dopo idrolisi con HCl » D) =" 502 ” Dopo'18 "lio ce. sangue non circolato Soi potere riducente = 47.1 ” di lOce. >» ” dopo idrolisicon HCl» » =" 51.2 ” PALI rg 10 cc » circolato SERE ” ” = 86.8 D) 10cc.. » » dopo idrolisi con HCl» ” —ilozo ” - Dalle presenti ricerche risulta che: 1) Quando in un pancreas di cane normale si fa circolare, sangue | contenente giicosio (0,5 -1°/,), parte di questo glicosio viene consumato; e | nel sangue compare un'intensa attività glicolitica, capace di distruggere in poche ore una cospicua porzione del glicosio rimasto. Tanto più interessante riesce questo risultato, quando si considera che l'attività glicolitica nel sangue normale fu sempre riscontrata assai lieve, capace di distruggere una frazione minima del glucosio contenuto in eguale proporzione nel sangue. 2) Non si avverte in queste esperienze una modificazione della atti- tadine a condensare il glicosio, di fronte a quanto si avverte nel sangue normale. Se mai, tale attitudine è ridotta. x — 806 — 3) Quando si fa circolare, in pancreas di cane normale, sangue puro, e vi sì aggiunge, dopo la circolazione, glicosio nella proporzione di 0.5 - 1 °/o, si constata che il potere glicolitico non si modifica come nelle esperienze precedenti. Esso si conserva uguale al normale, e, tutto al più, si ottiene una lieve maggior distruzione del glicosio nei periodi di prolungata permanenza in termostato. 4) Il sangue che ha circolato puro nel pancreas dimostra una singo- lare attitudine a provocare sul glicosio, aggiunto in seguito, dopo la circola- zione, quel fenomeno sintetizzante che in misura assai più limitata possiede anche il sangue normale. Questo risultato, nelle varie esperienze da me eseguite non si presentò sempre con la stessa intensità. In qualche caso fu così cospicuo da aversì una differenza nei dosaggi, prima e dopo idrolisi con HC1, maggiore al 50 */,; in altri, invece, fu appena del 20.°/,. Su questo interessantissimo fenomeno (che. come vedremo, si è presen- tato ancor più manifesto nelle esperienze coll’ intestino), sulle ragioni per cui sì presenta ora più intenso ora meno, ecc., sono in corso ulteriori esperienze sulle quali riferirò. Le due differenti attitudini, che, come avevamo verificato nelle ricerche anteriori, sono presenti in scarsa misura nel sangue normale, possono modi- ficarsi profondamente durante la circolazione nel pancreas. Ma (e ciò è ri- marchevole) non ugualmente nè simultaneamente : in quanto che, se nel sangue circolante si contiene glicosio, si esalta soltanto l’attività glicolitica ; se non sì contiene glicosio, è invece l’altra attitudine, quella sintetizzante, che su- bisce un’esaltazione specifica. Chimica fisiologica. — Striesi del nuovo tripeptide glicocia- milglicilglicina ('*). Nota del dott. A. CLEMENTI, presentata dal Corrisp. D. Lo Monaco. | La classe dei guanidopolipeptidi presenta un grandissimo interesse non solo chimico, ma anche fisiologico, poichè il più elevato rappresentante di essi, l'arginilarginina, come è stato dimostrato dalle ricerche di Kossel (*), di Goto (*) e di Hirayama (4), si trova in natura nella molecola delle prota- mine, e poichè questi corpi si prestano in modo speciale, come io ho rilevato (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica Fisiologica della R. Università di Roma. (*?) Kossel, Veber die Constitution der einfachsten Eeiweisstoffe. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 23, 1898. i (5) Goto, Veber die Protamine. Zeitschr. f. physiol. chemie, 27. {4) Hirayama, Veber die Einwirkungen einiger Siurecloride auf Protamine. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 59, 285, an. 1909. — 807 — recentemente, per lo studio del problema importantissimo, riguardante l’22- fiuenza, che la modificazione apportata alla costituzione chimica della» molecola dei polipeptidi esercita sulla capacità della erepsina intestinale ad operarne la scissione idrolitica. Dalle ricerche di Fischer ('), di Abder- haiden e dei loro scolari (*) sulla azione dei fermenti proteolitici del tubo- gastro-enterico sui polipeptidi, risulterebbe che da questo punto di vista vi è una differenza fondamentale tra la pepsina gastrica, \a tripsina pan- creatica e la erepsina intestinale; secondo questi autori, mentre la pepsina gastrica non è capace di idrolizzare alcuno dei .polipeptidi finora noti (in- cluso il più complesso di essi: l’octadecapeptide (leucil-triglicil-leucil-tri- glicil-leucil-octaglicilglicina), e la (r7psina pancreatica ne idrolizza alcuni mentre è incapace di idrolizzarne altri, la erepsina intestinale invece sarebbe atta a idrolizzare tutti i polipeptidi finora conosciuti. Non era stato ricercato da alcuno, se l'attitudine della erepsina inte-- stinale ad idrolizzare i polipeptidi permanga o meno nel caso in cui la mo- lecola di questi venga artificialmente moditicata nella sua costituzione: chimica, quando io mi proposi, avendo compiuto la sintesi della guanidogli- cilglicina, di studiarne il comportamento verso la erepsina intestinale (*); poichè dalle mie ricerche risulta, che la guanidoglicilglicina non viene idro- lizzata dalla erepsina. mentre dalle ricerche di Abderhalden e Teruuchi (*) risulta, che la glicilglicina ‘viene idrolizzata dall'erepsina intestinale, resta dimostrato, che in seguito alla modificazione della costituzione chimica della: molecola della glicilglicina, la erepsina perde la propria attitudine a operarne la scissione idrolitica. Per la soluzione del problema della spe- cificità di azione della erepsina intestinale, è di grande importanza sta- bilire, se il fatto, surrilevato per la guanidoglicilglicina, valga anche per omologhi superiori di questo dipeptide, o per corpi della stessa classe, alla cui costituzione partecipano aminoacidi diversi dalla glicocolla. Indotto da queste considerazioni mi sono accinto alla sintesi dell'omo- logo immediatamente superiore della guanidoglicilglicina, che è rappresentato- dalla guanido-di-glicil-glicina : NH, C=NH \NH.CH,.CO.NH.CH,.CO.NH.CH,.C0.0H (guanido-glicil-glicil-glicina o glicociamil-glicil-glicina). (*) Fischer und Bergell, Spalturg einiger Dipeptide durch Pankreasferment (Berichte d. deutsch. chem. Gesell. 2.7, 1904); Fischer und Abderhalden, Veder das Verhalten Ver- schiedener Polypeptide gegen Pankreassaft und Magensaft (Zeitschr. f. physiol. Chemie, 46, 1905). (*) Abderhalden, Lehrduch der Physiologischen Chemie. Berlin, 1914. (3) Clementi, I. Sintesi della guanidoglicilglicina; II. Comportamento della qua- nidoglicilglicina verso 1 fermenti digerenti. Gazzetta chimica italiana, anno XV, parte II, fasc. IX. (4) Abderhalden und Teruuchi, Studien uber die proteolitische Wirkung der Pres- séifte sowie des Darmsaftes. Zeitschr. f. physiol. Chemie, 49, 1906. — $038 — Per la sintesi di questo corpo ho applicato, con risultato positivo, un ‘procedimento analogo a quello, che precedentemente adoperai per la sintesi della guanidoglicilglicina. Infatti, facendo reagire la diglicilglicina (in solu- zione basica per ‘aggiunta di ammoniaca) con la cianamide, si separa dopo ‘circa 10 giorni in bellissimi agli un corpo il quale, per la sua pochissima solubilità in acqua, si riconosce esser diverso dalla diglicilglicina, e pel uo comportamento alla titolazione al formolo sì riconosce, come il prodotto della condensazione della cianamide colla diglicilglicina; infatti la glico- ciamil-glicilglicina nella titolazione al formolo teoricamente deve comportarsi come un corpo neutrale, poichè il gruppo aminico libero della diglicil-glicina viene trasformato in gruppo guanidinico secondo la seguente equazione: NH. NH, | Li i cH,.CO.NH.CH,.CO.NH.CH,.C0.0H.-C=N= / NH, (Qiglicilglicina) (cianammide) G=:NH \ NH. CH,.C0.NH.CH,.CO.NH.CH,.C0.0H In effetti, 2,5 cgr. del nuovo corpo da me ottenuto richiedono, nella titola- zione al formolo, 0 cc. di idrato di sodio 1/10, laddove 2,3 egr. di digli- cilglicina richiederebbero, alla titolazione al formolo, un ec. di idrato di sodio 1/10n. î Sull’analisi elementare della guanidodiglicilglicina e sul suo comporta- mento verso i fermenti digerenti, riferirò ulteriormente, quando disporrò di una sufficiente quantità del tripeptide stesso. Chimica. — Coefficienti di temperatura di trasformazioni fototropiche con luci monocromatiche ('). Nota II di M. Papoa e A. ZAZZARONI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Abbiamo messo in rilievo, in passato (*), che gli innalzamenti di tempe- ratura accelerano tanto più il processo di coloramento alla luce di una so- stanza fototropa, il sale sodico dell'acido diacetildiaminostilbendisolfonico, quanto maggiore è la lunghezza d'onda della luce agente. Ci eravamo pro- posti di verificare fatti analoghi in altre sostanze fototrope, ed ora possiamo render conto dei risultati delle relative esperienze. I. Fenilidrazone della benzaldeide. I dati seguenti si riferiscono ai tempi necessarî. alle varie temperature, per portare uno strato della sostanza (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica generale della R. Università di Bo- logna. (2) M. Padoa e A. Zazzaroni, questi Rendiconti, 1915, I, pag. 828. i — 809 — :ad una medesima colorazione-campione: anche nel sèguito i valori riportati :sono le medie di parecchie esperienze. Luce bleu-scura (1) Temperature... . + << 40° 30° 206 Tempio a i 207 [965 1'44" Luce violetta Temperature. . . . 14° 20° 40° 50° Lepri Re 000 12180! La luce verde non ha azione sensibile, e quindi non si potè determi- ‘nare il relativo coefficiente; le luci verde e gialla non ci risulta che agi- “scano come scoloranti sull’idrazone precedentemente impressionato con quelle «di minore lunghezza d'onda (?). Dalle osservazioni surriferite si ricavano i seguenti valori per i coeffi- cienti di temperatura, che raffrontiamo con quello, già noto in precedenza (*), iper la luce bianca: Iucesplenas: nen 21:08 iene ee 30 IPEDIANCA Le, ez 080 Anche qui riscontriamo il maggior coefficiente per la luce di maggior : ptt rn; ni E È , ii a RARE Nera CITA Ting PEN o a x u ©, > SR ne x > ? rene e ba