VE CIZEZHAZEZ ° ee ne — - prego crono = >» onorare xy ci ib 2 a i MAIL: g | A ù CT f i LIT + ar a C) ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Pi. o % 1 v PA & ò È. : : N ei (00 Al; CA VO, da Li ) , È I hi Ù n 3 nà % » u J 16 4 PIA ‘ va n AA sini la eta kor a », LO : via tab i rec i SMR sa I Se] sli ; AR Gi, TE ui Ml IAAD Ho sn LT MO adito ka ia Il ] : di Ù ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE MO: VIE. NAPOLI TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIRETTA DA MICHELE DE RUBERTIS Via Salvatore all’ Università, 50, nella Regia Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri 1378 Aa WE) PI Wat. LUWi H hè ® AH d AIDA AA LI dl ni x PA nd LA /L l ie. bit FI4AZTA a È RT CIT VERITA “ tape ae Te ci ld ui IRA poni dai 6a mr PERC La) Desio “Agg sli o ili ne: uo x S0CJ DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Go (Ole ca — Gennajo 1878 — Presidente — CESATI VINCENZO Vice-Presidente — DE GASPARIS ANNIBALE Segretario — SCACCHI ARCANGELO Tesoriere — COSTA ACHILLE —_—_— SOCJ ORDINARI — reso SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE Socj residenti . ALBINI Gruserre ; 13 giugno 1868. . Cesari Vincenzo ; 1° agosto 1868. . Costa Acure; 24 settembre 1861. . De Luca SeBastIAno ; 19 novembre 1861. . De Martino Antonio; 24 settembre 1861. . Giorpano GruLiano ; 8 gennajo 1870. . Guiscarpi GuoLieLMO ; 24 settembre 1861. 8. Nicorucci GrustINIANO ; 24 settembre 1861. . Palmieri Luci; 19 novembre 1861. 10. Bale 24. — VI — Pasquare Giuseppe Antonio ; 2 marzo 1867. Scaccni ArcanceLO ; 24 settembre 1861. Socj non residenti . Cannizzaro SranISLAO; 10 febbrajo 1872. . MenegniINI Giuserre; 13 aprile 1869. . SeLLa QuintIno ; 16 dicembre 1862. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE Socj residenti . BartagLINI Giuseppe; 19 novembre 1861. . De Gasparis ANNIBALE ; 24 settembre 1861. . FergoLA EmmanveLE; 19 novembre 1861. . Papua Fortunato ; 24 settembre 1861. . Trupi Nicora ; 19 novembre 1861. Socj non residenti . Brioschi Francesco; 3 maggio 1864. Secchi AnceLo; 3 ottobre 1865. DIRO Odi. dI GIRO “do Co do 10. ad A} a SOCJ STRANIERI . Bunsen RoBeRrTOo ; 9 aprile 1870. . Cavuev Arturo ; 3 maggio 1864. . Cnasres MicneLE; 3 maggio 1864. . Dumas Giovan BartIstA; 3 maggio 1864. . Fries ELIA; 8 dicembre 1877. . HeLmnoLtz Ermanno ; 9 aprile 1870. . Owen Riccarpo; 3 maggio 1864. . Srvester G. G.; 3 maggio 1864. _g29ro__ SOCJ CORRISPONDENTI NAZIONALI me CeG SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE . CantonI Giovanni; 30 dicembre 1865. . CornaLia Emizio ; 8 giugno 1867. . De Visrani RoBERTO; 2 maggio 1865. . ErcoLani Giov. Battista; 11 marzo 1876. . GasraLpi BartoLomE0 ; 10 dicembre 1870. . GemmeLLArRo Gaetano Giorio ; 8 dicembre 1877. . LicopoLi GarTANO ; 12 ottobre 1872. . Pacini Fruippo ; 3 marzo 1863. . PaLmeri Parime; 10 dicembre 1870. Pepicino Nicora ; 10 dicembre 1870. LI, 15. o Secuenza Giuseppe ; 12 ottobre 1872. . Siswonpa Anceto ; 10 luglio 1869. Sroppani Antonio; 3 marzo 1863. = (CS >>o=—_—_ SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE — cor . BeLLaviris Grusro ; 18 gennajo 1863. . Berrami Eucenio ; 1° dicembre 1877. . Berri Enrico ; 13 gennajo 1863. . Cremona Luci; 9 maggio 1865. . GenoccHi AnceLo; 9 maggio 1865. . RuBini RAFFAELE; 9 maggio 1865. . ScHiarareLLI Giovanni; 12 febbrajo 1876. Indice delle Memorie PANCERI P. — La luce e gli organi luminosi di alcuni anellidi ... .......N° 1 Costa A. — Relazione di un viaggio per l'Egitto, la Palestina e le Coste della Tur- chia asiatica per ricerche zoologiche . . . . DR a CESATI V. — Battarraea Guicciardiniana — Nuova specie di an go Halice Ne a LicopoLI G. — Sul frutto dell’uva e sulle principali sostanze in esso contenute . . .N° 4 BarTAGLINI G. — Sulla Geometria projettiva—( Memoria i SEE IM AP sl N PaAsquaLE G. A. -— Su di una nuova specie di Lonicera . . . : Neo 6 FERGOLA E. — Dimensioni della terra, e ricerca della EV 05 suo asse a fi da a rispetto a quello di rotazione. . . . DR | CESATI V. — Felci e specie nei gruppi affini raccolte a Roo al signor didcardo Beccari. da so ars N 18 PANCERI P. — Intorno alla sede del dimento (iiicso Due CARA iN 9 » — Osservazioni intorno a nuove forme di vermi nematodi marini. . . .N.° 10 NicoLucci G. — La Grotta Còla presso Petrella di Cappadocia nella Provincia el Atana: zotieriore: IE: —. led DEAR ANI PaLMIERI L. — Sulle presenti condizioni della Metcorologia elettr TASTI BP è NicoLucci G. —— Rzcerche preistoriche nei dintorni del lago di Lesina in Provincia di Ca- pitanata Th Ari peg gii De GASPARIS A. — Sul termine di sesto Sa; i ira DO E del parametro delle or Lu elliiohe:. Val. SVEZIA » — Sopra una (asforipazione 7 sinali (Parte Prima) . pai Sanno Gasco F. — Intorno alla Balena presa în Taranto nel febbrajo ASTT. . . . . . N° 16 sP pllobat 1 i, NATA ACTUGARE LET giù sigari ag a, mu 0) Arte IMSS ere br lt Tai Naigi VA sbom ATI y Sr iS e Aide AI STTTRTUNI) Mod ni ud vargas sei Vafetd Da Er abi Hrene FRASI ads Med orgareniag > tti don: presa Ab auto otest ds Wi gisouoli sblab o TO EE Valar" Ret crt AB BIiR o — pri { Wissos Birch Er (SoS i 54 de ESCI Do) DRESO Degni E a a SI “aquigatore È Hr Suse » pesa ti Ome hh ata veg pu AO n . PE a . * * È Wai DI AA Tonini pare n Me TOO 90 “pr Mfpntinii v RIPA SC pei Le ERRE Mt tito Anneo ino visencicaag ali Lat ta) Sa tere, 4) fa aa DS x i Ci Di * . ta Pi vi ma Je) RIA (ona i otvatt) bra: mi iii FARE apra Pr ariani sù ita nsntoti RIE FA Peri AREA dar mes Ra I, salt Ir parete tr MM RAC Re eli e Tati pagero 1 SIRIANO IO TEE 0 7 fd ) " i v î _ SOA "RI Vol. VII. N4 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LA LUCE E GLI ORGANI LUMINOSI DI ALCUNI ANELLIDI MEMORIA na del Socio Ordinario PAOLO PANCERI letta nell’ adunanza del dì 9 gennajo 1875 Il golfo di Napoli per cagione della varia profondità e natura dei suoi fondi, in parte sab- biosi, in parte fangosi, ovvero pietrosi e ricchi di vegetazione, si presta ad ospitare numerose specie di anellidi, le quali sotto apparente uniformità, si presentano per struttura ed abitudini differentissime. Per tanto ebbi nelle nostre acque campo opportuno alle osservazioni, e mi ado- perai con ogni diligenza allo intento di scoprire quali di queste specie fossero luminose, in quali parti, in quali condizioni. Espongo in questo lavoro i risultati delle mie osservazioni, e siccome tale fenomeno occorre in anellidi delle più differenti famiglie, così di questi dirò partitamente, avendone indarno tentati moltissimi altri ed anche molti turbellariei, dei quali, ad eccezione del Balanoglossus, manco uno mi apparve luminoso. CHAETOPTERUS VARIOPEDATUS, Renier. Pay: Per quanto è a mia conoscenza, il primo che abbia fatto cenno della luce emanata dai che- totteri fu il ch. Fedederico Will nell’anno 1844). Egli, in un articolo che faceva seguito ad una precedente sua ben nota pubblicazione °), prese ad argomento la luce delle Foladi, della Phallusia intestinalis e del Chaetopterus pergamentaceus. A proposito di questo singolarissimo anellide il Dottor Will, dopo aver detto in genere della splendidezza del fenomeno, indica, senza l’aiuto di figure, in certo modo anche gli organi dai quali scaturisce l'umore lucentissimo. Dice primamente che alla superficie dorsale della por- zione anteriore del corpo, trovasi una glandola spugnosa (schwammige Drise), la quale si distin- gue dalle circostanti parti giallastre per cagione del suo candore, e si estende, secondo egli dice, in avanti, assottigliandosi sino in vicinanza della bocca, ed ai due lati fino alla base dei tubercoli dell'ultimo piede della porzione anteriore del corpo, per formare, quasi da sola, la metà anteriore della guaina dei fasci di setole disposte a modo di ventaglio, che trovansi nei tuber- coli medesimi. Anche il bordo dei segmenti, che egli chiama a forma di lente (linsenformige), della porzione 1) Ueber das Leuchten einiger Seethiere, Arch. fiir Naturgesch. Berlin, 10 Jahrg. 1844. Non so se siasi osservata la fosfore- scenza in altri chetotterini. Il PhyWochaetopterus socialis ed il Telepsavus Costarum, Clprd., comuni nel golfo di Napoli, per quan- to ho verificato, non sono mai luminosi. 2) Horae tergestinae. Leipzig, 1844. Atti— Vol. VII. —N.° 1, 1 Me Te e VA LS pg n pratutto se si prendano nella mano e si soffreghi col dito la superficie del loro corpo e delle ap- pendici, si avrà grado grado la comparsa di viva luce, ed una materia speciale si diffonderà a modo di nubi luminose nell’acqua o resterà adesa alle dita ed agli oggetti che hanno avuto contatto col verme. Il muco che sgorga abbondante e cola, se lo si osservi attentamente col- l’impiego di una lente d’ ingrandimento, lo si vedrà tutto constellato di minime scintille. L'animale intanto risplende di viva luce azzurrina, la quale apparisce verde in un primo tempo a chi viene dalla luce del giorno nella camera nera, siccome avemmo campo di notare negli altri lavori pubblicati intorno a questo argomento. La luce del chetottero è brillantissima e zaffirina e basta a far riconoscere al volto una persona od a far leggere le ore all'orologio; ed è così viva che la si può vedere, come già notò il Will, anche in una camera ove ardano dei lumi od anche di giorno nei luoghi meno illuminati di una camera, nei quali casi appare di color verde. Dopo una stimolazione che ha durato alquanto tempo, la luce quasi si spegne, ovvero resta fissa soltanto in alcuni punti determinati; che se il verme si lasci per alcun tempo in riposo, si rinnoverà la produzione di materia lucente dalla sua superficie. Correnti luminose come quelle osservate in altri animali, non abbiamo mai viste in questo anellide ela luce appare colà ove lo stimolo agisce e non si propaga ad altre parti spontaneamente. Frammenti staccati di chetottero rimangono vivi negli acquarii per molti giorni, e mostransi sempre lucenti se stimolati; però nei chetotteri morti la capacità di dar luce dura per poco an- cora e poi cessa al cominciare della putrefazione, Riscaldando l’acqua marina ad 11° C., in cui era uno degli anellidi in discorso, la luce tosto incominciò a mostrarsi col primo aumentare della temperatura. Durante il riscaldamento ad in- tervalli, mentre l’animale si contraeva, la luce manifestavasi più intensa e di poi verso i 60° C. andò mano mano estinguendosi. Se si esponga uno di questi anellidi alla luce ordinaria del giorno od anche ai raggi s0- lari diretti, e poi lo si porti in una camera oscura in cui l'osservatore già da alcun tempo stava ad attenderlo, non avviene mai che il potere luminoso si trovi esaurito o sospeso, siccome si osserva nei beroidei, intorno alla qual cosa abbiamo già chiamata, in altra occasione, l’attenzione degli sperimentatori. Se si ponga un chetottero fra gli elettrodi di una pila così che la corrente attraversi l’ ani- male per intero, tosto lo si avrà illuminato, e la luce persisterà a lungo, e nello stesso tempo si noterà abbondante secrezione di muco lucentissimo; però all’osservatore che voglia verificare esattamente la sede o le sedi principali del movimento luminoso e le scaturigini dell’ umore lu- cente, gioverà lo impiego dell’acqua dolce, la quale è opportunissima a questo intento, siccome i nostri precedenti studii sulle meduse e sifonofori, sulle pennatule, le foladi, i pirosomi, le fil- liroe ed i beroidei ci hanno comprovato. Se per tanto un chetottero lo si osservi attentamente allorquando è sotto l’azione della pila, come si è detto, ovvero sta immerso nell'acqua dolce, si vedrà che vi hanno luoghi ove la luce principalmente e costantemente compare, ove è più vivace e dura a lungo, più che altrove, pria di spegnersi. In generale parlando, oltre i tentacoli, si possono dire luminosi, siccome sarà specificato, i rami dorsali dei piedi, qualunque sia la loro forma, nella regione media e posteriore del corpo dell'animale. Il capo, tutti gli anelli della regione anteriore del corpo coi loro piedi ad un sol ra- mo, siccome anche la rimanente superficie del corpo e dei piedi, non sono mai lucenti. Siccome dalla figura 3 è messo in evidenza, si mostrano luminosi : I. I tentacoli, e questi non sempre in tutta la loro lunghezza e spesso anche soltanto alla loro base, a modo di due punti lucenti. II. I rami superiori conformati a pinna del primo pajo di piedi della regione media del corpo, alla base dei quali, alla faccia rivolta in alto, trovansi due grandi glandole luminose (fig.A a a); schwammige Driise così chiamate da Will, LO IT. Il tubercolo (0) a modo di borsetta che trovasi a mezzo il corso dell’intestino epatico, il quale risulta costituito dalla fusione dei due rami dorsali del secondo pajo di piedi della regione media del corpo. IV. Il bordo principalmente, ma anche la superficie delle tre lamine o tasche branchiali c, c, e, le quali alla lor volta sono formate dalla fusione dei rami dorsali dei piedi dei tre ultimi anelli della regione media del corpo. V. La porzione posteriore dei rami superiori di tutti i piedi della regione posteriore dell'animale (fig. i e 2 d), ove corrispondono le glandole notate da Will e da Grube, alle quali il Leu- ckart impartì l’ufficio di segregare il materiale da cui risulta costituito il tubo in cui vive il chetottero. Glandole fosforescenti delle pinnule. Questi organi (fig, 4 a, a) vogliono essere considerati da prima, perchè sono per struttura distinti, ed anche perchè sono quelli in cui il movimento luminoso è, a paragone con le altre parti, più intenso e duraturo. Queste glandole fanno parte del tegumento esterno, e si presentano a modo di due masse triangolari, simmetricamente disposte sulle pinnule, di cui occupano gran parte della faccia supe- riore; sono candidissime e la loro superficie è percorsa da solchi e da sporgenze, cosicchè Will diede loro il nome di glandole spugnose, indicandone d’altra parte con poca esattezza i rapporti. Per quanto io ponessi attenzione, sia impiegando i mezzi ordinarii di ricerca anatomica, sia con artificî che usai nella oscurità onde scoprire se abbiano cavità interne e speciali condotti escretori, non giunsi a rinvenirne traccia. La ricerca microscopica mi ha persuaso che tutta la massa di queste glandole risulta costituita da strati di cellule sferiche (fig. 8), come se si trat- tasse di una modificazione speciale avvenuta in quel luogo delle cellule ordinarie dell’ epitelio esterno dell’ anellide in quistione. È per ciò che il tegumento in questa regione delle pinnule si presenta turgido ed esuberante, onde hanno origine le ripiegature ed i solchi sopra menzionati, derivando il candore dell'organo dalla natura del contenuto delle cellule. La nostra figura rappresenta un frammento di una glandola delle pinnule, nel quale, in rap- porto con la cuticola esterna esilissima, si veggono le cellule luminose. Queste sono tutte sferi- che, della grandezza di 0,702 circa, e ricordano nell’aspetto le glandole sebacee dei vertebrati superiori, dal momento che sono ripiene di una materia che ha tutto l'aspetto delle sostanze adi- pose, e per la rifrangenza, e perchè conformata a granulazioni tutte di egual dimensione. Tal- volta queste granulazioni o gocciole che dir vogliamo, non occupano tutto l'interno delle dette cellule e nuotano come in un protoplasma amorfo, in mezzo al quale non potei trovare per anco nucleo alcuno, tanto più che in questi animali, ed in genere negli animali marini, non si possono impiegare i comuni reattivi. Se un frammento di questa glandola si spappoli sul portoggetti del microscopio in concorso con un poco di acqua dolce, si vedrà che i puntini luminosi già notati dal Will nel muco del chetottero, non sono altro che queste cellule in istato di lucentezza, ovvero le granulazioni del loro contenuto convertite in faville libere ed erranti. Elementi luminosi delle altre parti del Chetottero. I tentacoli, il tubercolo 5, la superficie ed il bordo delle lamine branchiali, la stessa super- ficie delle pinnule, là dove non sono le glandole speciali dianzi descritte, s' illuminano e dànno con lo sfregamento una materia speciale, luminosa, la quale deriva da elementi cellulari confor- mati e disposti diversamente da quelli delle glandole delle pinnule. Quelle che Claparède chiamò glandules du mucus phosphorescent, le cellule più grandi frammiste all’epitelio esterno menzionate da Lespés, i follicoli poliedrici a forma di fiaschetto veduti anche da Will, sono per certo glandole unicellulari di varia forma, più generalmente STAGNI piriformi, collocate in rango colle cellule dell'epitelio vibratile che riveste queste regioni, ed I aperte allo esterno con un orificio beante, d'onde sfugge colla pressione parte, ovvero tutto an- che il contenuto delle medesime. Il qual contenuto risulta di un nucleo eccentrico simile a quello | delle cellule adipose e di una materia omogenea giallastra che ha tutto l’ aspetto del grasso. Le nostre figure 4 e 5 mostrano queste cellule a, a,a nella loro forma e in rapporto con l’epitelio vibratile. Con è è indicato il contenuto fuoruscito. Che se il muco segregato dalla su- perficie esterna di un chetottero, stimolato al modo sopra detto, si ponga al microscopio, anche in questo caso si vedrà che i puntini luminosi e le scintille corrispondono alle granulazioni di questa materia segregata dalle glandole unicellulari in parola, la cui luce sarà estinta non sì tosto s'impieghi l'alcool, il quale per tanto agisce, per quanto scioglie questa materia, siccome ab- biamo notato in altri animali ad epitelii fosforescenti. Le glandole dei rami superiori dei piedi della regione posteriore, che nelle femmine si veg- gono molto più distintamente, allorchè le ovaje, piene d’uova dal vitello color ranciato, rendono gonfii i rami dei piedi (/îg. 1, 2, d), sono costituite fondamentalmente dallo stesso epitelio. Però qui, a similitudine di quanto si è osservato per le glandole delle pinnule, il tegumento è esuberante in aree relativamente ristrette, cosicchè l’epitelio ha campo di costituire delle sporgenze e delle rientrature che in una sezione verticale sembrano glandole tubolari (ig. 7), mentre osservan- do la superficie epiteliale in totale, si veggono solchi regolari e paralleli destinati ad aumentare la superficie dell'organo (fig. 6), siccome si nota tanto di frequente nelle mucose, là dove man- cano glandole a forma distinta. Simile disposizione notammo già negli organi luminosi delle foladi, le quali d'altronde mo- strano l’epitelio degli organi in parola mutato soltanto pel contenuto fatto granelloso delle sue cellule, senza che tali cellule cambino forma e perdano le ciglia, aprendosi all’esterno come quelle del chetottero. Tanto dico perchè, tenendo conto dei fatti annunciati, non so bene se le glandole unicellu- lari luminose del chetottero siano a considerarsi come elementi assolutamente fissi, siccome lo sono le glandole unicellulari del tegumento degli anellidi in generale, tanto varie di forma nelle diverse specie, e di prodotti; ovvero se debbano considerarsi come cellule dell'epitelio cigliare in via di degenerazione adiposa, la quale fosse il modo ordinario di disfacimento delle cellule dell'epitelio esterno di questo anellide. Certo è intanto che nel Chaetopterus variopedatus il movimento luminoso ha sede in speciali cellule dell’ epitelio esterno, le quali sono di due modi, o sferiche e adunate in speciali masse, come nelle glandole delle pinnule, ovvero piriformi e sparse fra gli elementi dell'epitelio cigliare di determinate regioni. BALANOGLOSSUS MINUTUS, Kowalewsky. Abbenchè questo animale, di specialissima organizzazione, si avvicini piuttosto ai nemertini che agli anellidi, vuol essere qui menzionato a cagione della somiglianza coi chetotteri nei feno- meni luminosi ed anche negli organi che ne sono sede. La fosforescenza del Balanoglossus passò inosservata al Delle Chiaje, al Keferstein ed al Kowalewski, che sono quelli che ne hanno fatto più accurato studio; nè meno fu notata pel Balanoglossus Kupferi, di recente scoperto da Willemoes-Suhm nei mari del Nord '). Già dal 1871 io la osservai, e mi proposi di farne oggetto di esame allorquando avessi intrapreso lo stu- dio degli anellidi da questo punto di vista. Agitando nell'acqua un balanoglosso si fa lucente di luce pallida azzurrina, e tanto meglio se portato sulla mano e sfregato, non mostrando mai indizio di correnti luminose, il qual feno- meno manco il chetottero ci ha mostrato. Se poi lo si ponga in acqua dolce, la luce si fissa, poi 1) Zeitscrift fiur wissenschaftl. Zool. T. XXI, p. 187. va CCA va grado grado scomparendo, rianimandosi però sempre fino all'ultimo ad ogni scossa che si imprima all'animale. Senza dilungarci nella esposizione di numerose esperienze, le quali ci di- mostrarono l'analogia della materia luminosa del Bal/anoglossus con quella degli altri animali marini già da me studiati, dirò della sede del movimento luminoso. Nella tavola II dopo aver delineato il Balanoglossus minutus (fig. 1) siccome lo si vede nel- l'oscurità (fig. 2), abbiamo anche figurato l’epitelio cigliare che riveste tutta la superficie del corpo del verme (fig. 3). Anche qui, come nel chetottero, fra le cellule ordinarie si veggono altre a modo di glandole unicellulari a forme rigonfie e spesso a guisa di bottiglie, dalle quali sgorga una materia gialla che ha pure l’aspetto di gocce adipose, le quali nuotano nell'acqua senza di- sciogliervisi punto e si disperdono quasi fossero faville. Queste cellule furono notate anche dal Kowalewski nel suodiligente lavoro anatomico sul Balanoglossus') e figurate a tav. II, fig. 7 e 7° a modo di cellule piriformi, intorno al significato delle quali egli non si è pronunziato. Con ogni probabilità la materia luminosa che in un balanoglosso stimolato si illumina in po- sto, cioè nelle cellule che la contengono, ovvero sgorga dalle cellule in parola, è la stessa che tramanda un acutissimo odore di jodo, il quale rimane alle dita per più di un giorno a chi abbia toccato e sopratutto spappolato un balanoglosso, non servendo le ordinarie lavande a dissiparlo, siccome già aveva notato il Delle Chiaje, il quale nel volume III della sua opera maggiore, parlando di questo animale da lui scoperto, a pagina 128 dice: « Esala odore alituoso analogo a quello dell’julo terrestre, nelle branchie più attivo, ove + « trasuda glutinoso umore gialliccio, che tinge ed impregna del medesimo umore le dita, anche « mercè replicate lavande durevole a dissiparsi » ?). Le prove da me fatte coll’amido mi disingannarono circa il sospetto che mi era sorto in mente, si contenesse mai nella secrezione in parola un joduro che fosse facilmente decomponi- bile, siccome a prima giunta ad ognuno potrebbe sembrare. .POLYCIRRUS AURANTIACUS e P. MEDUSA, Grube. La fosforescenza del Polycirrus aurantiacus fu notata la prima volta dal Grube?), il quale così ne parlò: ZMéchst Uberrascht war ich einmal mein Zimmer im Dunkel betrat , von dem iiberaus lebhaften violeten Licht, mit welchem ein grisseres Exemplar von Polycirrus phosphorescirte, und das bei jeder Beriihrung des Thieres, oder auch nur des Wassers în seiner Nihe um so stùrker hervortrat. Lo stesso fenomeno osservò il Ch. Ehlers in Fiume, siccome me ne diede comunicazione epi- stolare; epperò, per quanto io sappia, nessun osservatore si è occupato di questo argomento nei suoi particolari. Se nella notte si maneggino e svolgano le alghe divelte nei bassi fondi del nostro golfo, av- viene non di rado, oltre i lampi verdastri lanciati dalle sillidi e quelli verdastri od azzurrini pro- venienti dalle polinoe o dalle obelie, di scorgerne altri vivissimi di un bel color violetto splen- dido, ì quali si ripetono palpitanti ad ogni movimento che si imprima ad un cespo, in cui sia in- tricato un policirro coll'abbondante chioma dei suoi filamenti (tav. II, fig. 4). Siccome poi que- sti cirri, allungandosi straordinariamente, vengono ad estendersi di molto ed a luccicare indi- pendentemente l’un dall'altro, così a prima giunta si è condotti a credere di aver fra le mani una intiera colonia di vermi fosforescenti. Ogni cirro stimolato col tatto vibra, nel luogo o presso al luogo ove si tocchi, due o tre lampi e non più; e tosto ritorna oscuro per riaccendersi ad una nuova stimolazione. Che se il verme lo si isoli e lo si agili nell'acqua, tutta la chioma 1) Anatomie des Balanoglossus. Mém. de l’Acad. Imp. des Sciences de Saint Petersbourg, 1866. 2) Non giova qui rettificare la nomenclatura degli organi data dal Delle Chiaje, avendolo di già fatto il Kowalewski, di- stinguendo per di più le due specie il B. clavigerus D. Ch. ed il minutus che egli descrive. 3) Ausflug nach Triest und dem Qnarnero. Berlin, 1861, pag. 79. ) sir 406 si farà a lampeggiare in modo mirabile, illuminandosi anche la superficie del corpo, siccome ab- biamo indicato colla fig. 5. Coll’impiego dell’acqua dolce la luce si fissa e poi lentamente va a cessare, cosicchè si estingue dopo un quarto d'ora circa. Se si osservino col microscopio i cirri nell’animale vivo, essendo i muscoli dei medesimi trasparentissimi, non sì vedrà che la cavità centrale rivestita da una membrana pigmentata che si continua con la peritoneale della cavità del corpo, e quindi il tegumento (fig. 6). Questo ri- sulta allo esterno da una cuticola elastica estensibilissima, in rapporto con la quale notansi qua e là sparsi dei follicoli, o dirò meglio glandole unicellulari tondeggianti, le quali sono munite di breve dotto aperto all’esterno con un poro escretore. Queste glandole non sono disposte con molte regolarità, ma piuttosto ad agmini, or qua or là affollate più o meno, mancando spesso per lunghi tratti, mostrandosi però costanti ed ab- bondanti alla parte estrema ingrossata dei cirri (/îg. 7) ove formano regolare strato sotto la cu- ticola. Simili cellule trovansi anche nel tegumento del corpo e principalmente in corrispondenza dei piedi. Tali cellule non lasciano vedere nucleo alcuno, ne è cosa agevole sottoporle all’azione dei liquidi diversi, essendo, prima di ogni altro, ostacolo a questa indagine la diffluenza estrema dei tessuti, una volta che Vanimale sia morto. Contengono una materia molto rinfrangente, gial- liccia, onde si assomigliano alle cellule già descritte nel chetottero e nel balanoglosso, alla quale con tutte le probabilità devesi il fenomeno della luce, con questa differenza che tali cel- lule nel Polycirrus aurantiacus sono molto più facilmente eccitabili, onde si hanno i lampi di luce sopramenzionati. Il Polycirrus medusa non è dotato delle stesse proprietà del P. aurantiacus, ed i cirri non sono mai lucenti e non mostrano manco glandole speciali, mentre si fa fosforescente invece di luce azzurra e pallida la superficie intera del corpo del verme, quando lo si stimoli. ODONTOSYLLIS Prima di pormi a descrivere quanto ho io stesso osservato, giova richiamare qualche dato storico al proposito degli anellidi luminosi della famiglia delle Sillidi e delle Nereidi. Sino al 1666 risale la prima osservazione intorno a vermi marini di queste forme che si mo- strano lucenti, ed è di De la Voie, il quale ne osservò tre specie non ben determinate raccolte sopra le conchiglie delle ostriche comuni. La corrispondenza di De la Voie con Auzout a questo riguardo è inserita nel Journal des Savants del 8i marzo di quell’anno e fu successiva- mente riprodotta in altri periodici. Notissima e celebrata è la memoria di Vianelli ') il quale scoperse la luminosità di ver- metti che dalle sue figure si giudicano per giovani nereidi; e nel 1750 il Griselini conferma- va le osservazioni di Vianelli in giovani sillidi che egli chiamò scolopendre marine °). Le ri- cerche di Vianelli e Griselini fatte in Chioggia ed in Venezia furono pure confermate da osservazioni falte in quelle lagune da Fougeroux, il quale scrisse una nota a tale proposito *). Nello stesso anno in cui il Vianelli discopriva le sue piccole nereidi lucenti, Adler viag- giatore svedese in China parlava di una Nereîs phosphorans e di altri anellidi luminosi siccome si legge in Linneo ‘), e Baster nel 1787 citava quattro specie di anellidi luminosi analoghi 5) come anche altri ne trovò Osbeck nei mari del Sud nell’ occasione del suo viaggio in China °). 1) Nuove scoperte intorno le lucîì dell’acqua marina. Venezia, 1749. x 2) Observations sur la scolopendre luisante. Venise, 1750 3) Mém. de l’Acad. de Paris, 1767. 5) Amoenit. Acad. Vol. III, p. 202. 5) Philos. Trans. 1757, p. 258; e Opuscula subseciva, 1760, Vol. I. 5) Reise nach China, 1757, p. 105. b i DIO) e Anche il Forskal nel 1762 osservò al Kategat tre specie di nereidi luminose, che chiamò coi nomi di coerulea, viridis e pelagica, le quali denominazioni sono ancora al presente sbalzate qua e là fra i sinonimi di altre specie '). La Scolopendra phosphorea che Linneo citò nell'edizione XII? del Systema naturae non è altro che una nereide od una sillide fosforescente raccolta nei mari di Asia dal capitano Eckeberg nel 1770. Anche O. F. Miller, nel 1777, segnalò come lucente la nereide variegata del mare del Nord, ed un'altra trovasi citata da Ottone Fabricio nel 1780 °). Anche lo Spallanzani comunicò per lettere a Bonnet, nel 1785, le sue osservazioni fatte in Porto Venere, confermando i dati di Vianelli e Griselini. Notissima fra tutte è la memoria di Viviani *), il quale fra i quattordici animali da lui citati come fosforescenti, cita una Nereis radiata, una N. mucronata e la N. cirrigera. Le due prime, giudicando dalle figure e dalle dimensioni, sono evidentemente giovani nereidi, e la terza, che è dichiarata di tutte la più lucente (omnium splendidissima Nereis cirrigera), è evidentemente una Sy/lis, siccome si rileva a primo aspetto dalla lunghezza dei cirri dorsali dei piedi. Una Nereis noctiluca è notata nel 1806 da Abilgaard ‘), la quale fu poi anche fra le nerei- di registrata da Audouin ed Edwards?) in fede sua; chi però ne esamini Ja figura, la col- loca indubitatamente fra le Polynoe. Nereidi lucenti sono pure citate da Tilesius nel 1819, nel viaggio di cireumnavigazione di Krusenstern, ed altre fra sillidi e nereidi da Mac Culloch nel 1821 °). Il vermicciuolo, il quale, abbenchè esposto al lume di una candela, luccicò tanto da cagio- nare in Dugés st non un mouvement de frayeur, du moins une vive surprise, fu da lui chiamato, Syllis fulgorans, nome che fu conservato da Audouin ed Edwards?) ed anche da Claparède per lo stesso anellide, che però collocò nel nuovo genere Odontosyllis *), descrivendo nei seguenti termini il fenomeno della luce: Au moment ou je placail animal sur une lame de verre, à l’ heure de midi, par une splendide journée d’ eté, je fus frappé des points étincelants d’un vert émeraude sur le bord de l’ animal. Ces poînts brillèrent quelques instants et disparurent par degrès. Comprenant qu'il s° agissait d’ une phé- nomène de phosphorescence, je placai, pour mieua l’ observer, l' animal sur une surface noire. Toute irritation vive, à l’aide d’une aiguille , faisait paraitre comme deua bandes d’ un vert étincelant sur les còtés de l’ animal. Au bout de quelques instants, ces bandes se resolvaient en deua séries de points éclatants qui paraissaient correspondre à la naissance des pieds. Plus d’une fois déja on a signalé des Annélides phosphorescents, soît marines, soit terrestres, mais jamais, je le croîs, on a parlé d’ une lu- mîère assez vive pour éclater ainsi au milieu du jour sous le ciel du Midi. Tutti i nominati osservatori, non escluso il ch. De Filippi, il quale parlò pure, in un brillante articolo, di giovani nereidi luminose trovate nel mare ligure °), osservarono il fenome- no, ma non lo indagarono per lo meno nella sede; essendo invero non agevole determinare da quali organi tragga origine una luce che suol mostrarsi a lampi, od in forma di fugaci scintille, 1) Descriptiones animalium quae in intinere orientali observavit, p. 100. 2) Fauna Groenlandica, p. 291. 3) Phosphorescentia maris quatuordecim lucescentium animalculorum novis speciebus illustrata. Genuae 1805. ll Lumbri- cus hirticauda di Viviani, che da Ehrenberg fu creduto un planarieo, è chiamato col nome di Proctochaeta hirticauda, non cor- risponde a forme conosciute. Crediamo pure indeterminabile il Lumbricus SUI RETO a cui Ehrenberg dà il nome di Orthosto- ma sîmplicissimum. \l Branchiurus quadripes dello stesso Viviani, Tav. II, fig. 14, è certamente una larva di dittero. Il Gam- marus longicornis, circinnatus, e crassimanus sono indubitatamente delle Amphiloe; il Gammarus truncatus un Talitrus e il G. heteroclitus con ogni probabilità la Tanais Cavolini, e il Cyclops exiliens veramente un clodocero. La Planaria retusa che Vi- viani vide luccicare di luce uniforme: uniformi luce micans Planariae corpus conspexi, fu da Ehrenberg chiamata Tiphoplana retusa, ma non descritta poi da altri. Allo infuori di questo e di un caso descritto da Baird nel 1830 per una planaria trovata pres- so Malacca (Luminousness of the sea, fig. 83, k. London, Magas. of Nat. Hist. Vol. III), non conosciamo casi di fosforescenza di al- tri turbellariei, siccome si è detto in principio di questa memoria. 4) Zoologia danica, tav. 148. 5) Classification des Annelides et description des celles qui habitent le littoral de France. — An. Sc. Nat., T. XXIX, 1833. 6) Quarterly Journal of Sciences, Vol. XI, 1821, ?) Loc. cit. 8) Glanures zootomiques parmi les Annélides de Port-Vendre, Genève, 1864. 9) De Filippi e Lessona — Ore perdute: Gli animaletti luminosi, Genova, 1864. Atti — Vol. VII —N.° 4. F 2 ® Ra [4 god ovvero a modo di correnti luminose già dal Viviani notate, quando scrisse: (ua) vivacissima a capite, posteriora versus progrediendo, serpit in vermibus. Epperò i ch. Ehrenberg e Quatrefages sono quelli che spinsero le loro ricerche più oltre. Nella celebre memoria sullo splendore del mare '), l'illustre micrografo di Berlino descri- ve un sillideo che egli contradistingue col nome di Photocharis cirrigera, narrando il modo di manifestarsi della luce e le regioni in cui appare. Il chiarore incomincia dai cirri dei piedi e principalmente dallo inferiore, che è alquanto più rigonfio del superiore. Primamente compare un tremolìo di singole scintille sulla superficie di questi organi, i quali, prima in parte, poi com- pletamente vengono ad accendersi. La luce si diffonde poi, rapidamente progredendo sul dorso dell'animale, il quale, illuminato nella totalità, somiglia ad un filo di solfo ardente. Scintille so- pra scintille brillano alla superficie dei cirri, cosicchè Ehrenberg le paragona a quelle del pelo del gatto od a quelle altre che scorgonsi in una reticella d’oro elettrizzata; e mentre pone a parallelo le scariche luminose delle Photocharis con quelle elettriche del gimnoto e della tor- pedine, siccome già Humboldt nel 1881 aveva fatto per le lucciole, confessa che dal corpo delle Photocharis scaturisce pure un muco lucente che illumina le dita e gli stromenti, il quale al microscopio mostra una certa scintillazione. Ehrenberg ha tentato di conoscere la struttura dei cirri, ma altro non ha notato che un sistema di grandi cellule (grosszellige Bau), per modo che, non avendo egli figurato l’ anellide in discorso, non si sa se per tali cellule si debbano in- tendere le concamerazioni dei cirri, siccome quelle che in tante sillidi si notano, il che parmi an- che più probabile, ovvero cellule nel senso istologico. Il Quatrefages?) in una nota speciale rese conto delle sue osservazioni fatte principal- mente sopra le sillidi. In un individuo di specie indeterminata, di 12 linee di lunghezza e di ‘/, di linea di diametro la luce era così viva da vedersi ad onta delle lampade. Sottoponendo il ver- metto a piccolo ingrandimento, riconobbe che i punti luminosi erano in due serie ai lati dell’ani- male, e corrispondevano principalmente ai piedi. Un leggero eccitamento rendeva tosto luminosi questi punti per ordinario oscuri. Volendo riconoscere le parti fosforescenti con maggior preci- sione, pose l’anellide allo ingrandimento di 10 a 15 diametri, disponendo le cose in modo che ad una semioscurità si potessero vedere così i contorni del vermicciuolo, come anche i luoghi lucenti del medesimo. Allora fu che vide linee luminose nella stessa direzione dei muscoli di cia- scun piede a modo di stella, i raggi della quale, corrispondendo ai fasci muscolari, si compor- tavano come le sartie di un bastimento, sino a raggiungere differenti punti dell'anello. In quei vermi la luce era tutta in quelle parti e non in altre, ed un maggiore ingrandimento lasciava scorgere luce, non già in tutta l'estensione del fascio muscolare, ma or qua ed or là, la quale era sempre composta di piccole scintille. La prova fatta col compressore mostrò che al momento del- la compressione non vi era luce nelle fibre, ma si aveva per contrario allorchè le fibre stesse tor- navano su di loro, dopo che la vile si allentava. Stancando l’animale con eccitamenti successivi, si aveva affievolimento di luce, ma però, dopo il riposo, si aveva ancora luce viva come in prima. Per tali prove e per altre analoghe fatte in certe piccole ofiure che egli chiamò petites ophiu- res gristitres, il Quatrefages concluse coll’ammettere nei vermi, ed anche in quelle piccole ofiure una luce muscolare, la quale accompagna la contrazione, attribuendo così ai muscoli an- che il potere fotomotore. Intorno alle piccole ofiure dirò in un’ appendice alla fine di questa me- moria. Mentre mi propongo di studiare in un modo speciale questo argomento, evidentemente di molta importanza, e di ricercare anellidi che presentino gli stessi fenomeni descritti dall’illustre accademico francese, dirò di quanto ho osservato nelle sillidi più luminose che io ho potuto ave- re a mia disposizione, le quali sono quelle stesse OdontosylIlis di cui sopra si è detto. Avviene spesso che, svolgendo un manipolo di alghe raccolte nei bassi fondi di Posilipo © 1) Das Leucthen des Meeres, 1834. 2) Sur un mode nouveau de phosphorescence observé chez quelques Annélides et Ophiures.—An Sc. Nat, II° Ser. T. XIX, 1843. i pera sii meglio ancora in quelli della località non lontana denominata Gajola, fra tutte le scintille che si vedono scaturire dovute ad altri animaletti come le Amfiure, le Polinoe, le Obelie , ecc. , se ne scorgano di splendidissime sopra tutte, verdastre, pilpiantii Isolando con cura | mirate to, si vedrà per ordinario di aver raccolto delle sillidi, la cui proboscide è munita di denti, onde il nome opportunissimo di Odontosyllis dato ad un nuovo genere dal Cla parède. Vivissimi lampi trascorrenti scaturiscono dall’animaletto e la luce è fulgentissima, siccome abbiamo riferito più sopra, la qual cosa è di somma utilità per la ricerca, dappoichè i suoi raggi, potendo attraversare le lenti di un certo ingrandimento dei microscopî composti, lasciano scorge- re con esattezza i luoghi d'onde emana. Per tanto, impiegando, come io uso per consueto, l’acqua dolce per promuovere e fissare lo splendore del vermicciuolo od anche di un suo frammento, se lo si ponga al microscopio, si assisterà ad un singolare spettacolo. Si vedrà cioè una vivissima scin- tillazione dovuta al successivo illuminarsi e spegnersi di piccole aree circolari, le quali alla loro volta consistono di minimi punti luminosi. Commiste alle piccole aree circolari fulgide ed esat- tamente circoscritte, si vedranno altre più grandi e più pallide, le quali corrispondono a quei punti luminosi, che, non coincidendo nel piano di distinta visione, sembrano più grandi e a luce più diffusa. Al dissiparsi della folla dei punti scintillanti, allorchè la luce va declinando, sarà più age- vole la osservazione, e si vedrà, in tale caso, quanto è rappresentato nella nostra figura 9 della ta- volaII, cioè il dorso ed i cirri dorsali dell’animaletto constellati di punti fulgidi di luce smeraldina, mentre il vermicciattolo veduto nel totale sembrerà un filo ardente (/ig.8 ). Che se si protragga la stimolazione ed il piccolo verme si maneggi e si stuzzichi, ecco che da tutto il corpo scalurirà un umore che si diffonderà a modo di nubi luminose nell'acqua, siccome Ehrenberg ebbe ad osser- vare nella Photocharis, ovvero renderà luminosi gli oggetti che vengono a contatto con esso. In forza di questo ultimo fatto, devesi, in questa specie di anellide, rinunciare all'idea di luce muscolare, e piuttosto ammettere una secrezione luminosa; in vero gli organi secretori non possono essere se non le glandole unicellulari che trovansi nel tegumento delle Odontosyllis e delle sillidi in genere, analoghe a quelle che abbiamo descritte nei Polycirrus e che sono quelle stesse che appaiono luminose e sfavillanti. Tali glandole (tav. I, fig. 10 e 14) sono molto piccole, pertanto figurate in generale dallo stesso Claparède come granulazioni indeterminate nella Sy/lîs Armandi, hexagonifera, aurita'), come anche nella Pterosyllis dorsigera e nella Trypanosyllis Krohnit?), e già ancor prima nella Syl- lis armoricana e nella Pterosyllis formosa*). Simili elementi furono anche figurati a modo di gra- nuli dal Ch. Achille Costa nella Nicotia lineolata , la quale è pure un anellide affinissimo alle Pterosyllis *). Nell'opera Annélides chétopodes du Golfe de Naples, le stesse glandole da noi figurate nella nostra tavola II, sono rappresentate nella Odontosyllis etenostoma, a piccolo ingrandimento, a modo di granulazioni, di cui non si fa menzione nel testo, mentre nella Sy/ls hamata si dice che; dans le tissu souscuticulaire sont semés une foule de corps arrondis (tav. XV, fig. 2 B) ornés d’une petite tache. La tache est un pore de la cuticule, et le corps arrondi lui méme dott étre consideré comme un follicule cutané. In alcune specie di sillidei è pur d’ uopo ammettere che questi follicoli si calcifichino, siccome si osserva anche nei cirri dorsali degli Sphaerodorum, nel qual caso si presentano a modo di concrezioni sferiche, eguali in grandezza tra di loro e solubili negli acidi. In ogni modo tali follicoli non sono che glandole unicellulari appartenenti all’ipoderma, sic- come quelle che trovansi in forme tanto diverse e con tanto diversi ufficii negli anellidi, produ- cendo negli uni muco che spalma l’animale, in altri liquidi coloranti come nel Lumbriconereis tin- gens, nell Halla parthenopeia e nelle Alciopi, in alcuni poi i così detti bacilZ, ovvero la materia dei tubi mucosi, cornei o calcari, e finalmente negli Oligocheti e nei Discofori le capsule ovifere. 1) Glanures zootomiques parmi les Annelides de Port Vendre; 1864. PI. V, fig. 1 8,20, 5 =. 2) Ibid. PI. VII, fig. 1962 a. 3) Beobachtungen diber Anatomie und Entwick. wierbelloser Thiere an der Kiiste von Normandie angestellt; 1863. Taf. XIII, fig. 23, 25, 31, 33. 45) Annuario del Museo Zoologico del 1864. Napoli, Tav. II, fig. 5. eee pe Nel caso delle sillidi, tali glandole sono a paragonarsi specialmente a quelle dei Polyerrus ed anche a quelle dei chetotteri e del balanoglosso, e debbonsi considerare come produttrici dell'umore luminoso. Abbenchè l'osservazione anatomica non lo abbia per anco dimostrato, con ogni probabilità queste glandole sono, così nelle Odontosyllis come nel Polycirrus aurantiacus, in rapporto coi nervi dell'animale, dal momento che si può avere luce con la stimolazione e inva- sione della medesima per correnti nelle diverse regioni della cute del verme. Non sono in vero rari i casi, in altri animali marini, di glandole cutanee unicellulari, a ciascuna delle quali acceda speciale fibra nervosa; ed un bell'esempio lo presentano, fra i crostacei pelagici, le saffirine e gli HyalophyUum '). Forse nelle forme natanti delle nereidi (Zeteronereis), che guizzando vidi io stesso mandar fulgidi lampi, e che morte emanano luce pallida e tranquilla, debbesi a glandole cutanee il feno- meno della luce. Fra le eteronereidi raccolte in questo anno, non ebbi la ventura di imbattermi in alcuna che fosse luminosa. LUMBRICUS La fosforescenza nel Lumbricus terresiris od in specie affini fu osservata già dal 1670 da Grimm °), poi da Flaugergues ?), indi da Forester‘), da Bruguières 5), da Dugés°), da Audouin e Moquin-Tandon”), da Eversmann°), e da Phipson °). Fu anche citata dal De Filippi nell'articolo sopra menzionato, in seguito a testimonianze avute, e il Prof. Albini qui in Napoli la potè osservare nel suo giardino or sono due anni. Sembra però un fatto accidentale, il quale abbia d’uopo di speciali insolite condizioni, sia di alimento , sia di stazione dell'animale , per prodursi; dappoichè, anche facendo le più accurate indagini in tempo utile che è l'ottobre, siccome io ho fatte nello scorso anno e fatte fare da miei amici e, colleghi in molti punti d’Italia, non mi fu dato di verificarlo, ne è fatto conosciuto dai contadini, dai giardinieri, dai pescatori all’amo che pure raccolgono o maneggiano lombrici in quantità, e neanco visto mai dal ch. Morren autore di una celebre monografia anatomica di questo verme !°). Una sol volta io ebbi lombrici fosforescenti e mi furono gentilmente inviati da Perugia dal Dottor G. Bellucci, Professore di Fisica in quella Università, ma erano neonati della lun- ghezza di un centimetro appena, ed abbenchè morti e stecchiti lucevano ancora se sfregati, ovvero bagnati con acqua. Se egli è vero quello che Moquin-Tandon ed altri asseriscono, cioè che il clitello sia l'organo specialmente luminoso e produttore del muco lucente che è lrasudato dall’animale, con ogni probabilità le glandole che lo producono sono quelle stesse, che in forma di tubi contigui e paralleli, furono descritte in quest organo dal Claparède nel suo mirabile lavoro anatomico istologico sopra il lombrico !!). Non saprei spiegarmi come poi lucessero i neonati di Perugia, se non ammettendo che di materia luminosa segregata dal clitello fossero consparse e involte le capsule ovifere, onde i pic- . coli vermiciattoli ne siano stati nello sbucciare consporcati. 1) H. Haeckel Beitrége zur Kenntniss der Corycaciden.— Jenaische Zeitschr. 1. BA., 1864. 2) Sur des vers luisants très rares.— Ephem. Natur. Curior. Dec. 2°, An. I 3) Lettre sur la phosphorescence des vers de terre.— Journal de Phisique. T. XVI, p. 311, 1780. 1) Lettere sullo stesso soggetto.— Compt. Rend. de 1’ Acad. des Sciences. T. XI, p. 712, 1840. >) Sur la qualité phosphorique du ver de terre en certaines circonstances.— Journal d' Histoire naturelle. Vol. II, p. 267. 6) Traité de Physiologie comparee. 1838, T. II. 7) Remarques sur la phosphorescence de quelques animaux articulés.— Compt. Rend. T. XI. — An. Sc. Nat. II° Sér., T. XV, 1841. 8) Ueber Lumbricus noctilucus.— Zeitschr, d. Akad. zu Kasan; 1838. 9) Phosphorescence or the Emission of Light by Minerals, Plants and Animals. 11° Ed., London, 1870. Cap. II, pag. 126. 19) Descriptio structurae anatomicae et erpositio historiae naturalis Lumbrici vulgaris sive terrestris; 1826. 11) Histologische Untersuchungen iiber den Regenwurm.—Zeitschr. fiur wissensch. Zool. 1869. Bd. XIX, tav. 46, fig. 1. BERT y, peste POLYNOE Tav. III. Nello scorso ottobre io,presentai all’ Accademia una nota ') intorno alla luce delle polinoe, le conclusioni della quale si possono così riassumere: I. La luce nelle polinoe emana dalle elitre esclusivamente. II. Tali appendici risultano costituite, oltre che dalla cuticola esterna, da cellule appartenenti all’ipoderma e da una copia esuberante di nervi, i quali presentano speciali maniere di ter- minazioni. Per tanto considerando 1. Che in questi anellidi non vi hanno epitelii esterni o glandole cutanee che secernano materia luminosa come nei Chaetopterus, Odontosyllis, Polycirrus, ecc. 2. Che le elitre delle polinoe s'illuminano colla stimolazione dell'animale, trasmettendosi l’ec- citamento da elitra ad elitra dal capo alla coda, ovvero in senso inverso, secondo il pun- to di applicazione dello stimolo. 2. Che lo stesso potere luminoso non si conserva e cessa tosto dopo che un’elitra sia staccata. 4. Che i nervi sono affollati nell’elitra, così che la loro copia sarebbe esuberante e sproporzionata ad altri uffici. 5. Che questi nervi hanno termi- nazioni speciali, fra cui quelle a noduli ed a cellule come nei nervi luminosi delle Phyllirhoe; si era condotti ad ammettere: III. Che la luce nelle polinoe emana dalle terminazioni nervose nodulari o cellulari delle elitre. La nostra tavola III si riferisce esclusivamente alle Polynoe e generi più affini, non essendo le Aphrodite, le Hermione, le Pontogenie, per quanto si sappia, ed io stesso abbia sperimentato, luminose mai, siccome non lo è manco il Polyodontes maxillosus. Nella figura 1 è rappresentata la Polynoe lunulata, D. Ch., la quale, stimolata, mostra nella figura 2 la luce nelle serie delle elitre, delle quali una è veduta a maggiore ingrandimento nella figura 3, per dimostrare che la luce manca sempre in corrispondenza della inserzione dell’ eli- troforo. Nella figura 4 è delineata un’elitra dell’ Acholoe astericola, CIprd. = Polynoe astericola, D. Ch.= P. malleata, Gr., la quale è una delle specie più lucenti ed opportunissima, attesa la lunghezza del corpo, alla dimostrazione delle correnti luminose che percorrono le elitre nell’a- nimale stimolato. In corrispondenza dell’attacco dell’elitroforo, si nota un ganglio da cui partono numerosi filamenti nervosi che si ramificano così da costituire un reticolo intricatissimo di fibre. Nella figura 5 si vede allo ingrandimento di 700 d. il detto reticolo , il quale circonda con le sue maglie le cellule dell’ipoderma dell’elitra, presentando, al bordo della lamina, terminazioni a modo di bastoncini regolarmente disposti ed allineati, abbondanti principalmente in corrispon- denza del margine esterno dell’ elitra. Nella figura 6 è disegnato un frammento della porzione anteriore trasparente di un’ elitra della Polynoe areolata, Gr., ingrandito a 180 d. In —a si vede lo strato delle grandi cellule pig- mentali; in — un secondo strato di cellule che d’ ordinario sono invisibili per cagione di loro trasparenza, ma che il liquido di Miller mette facilmente in evidenza. In —e sono i nervi del reticolo elitrale, i quali presentano speciali noduli terminali simili a quelli delle terminazioni lu- minose dei nervi della Phy/irhoe bucephala. Si è detto sopra per quali ragioni io fossi condotto ad ammettere che i nervi delle elitre delle polinoe siano gli elementi che nelle loro terminazioni cellulari o nodulari s' illuminano. 1) Intorno alla luce che emana dai nervi delle elitre delle Polinoe.— Rendiconto. Ottobre 1874, fi a Ora la scoperta di altri fatti mi consiglia a ritornare sull'argomento e ad esporre io stesso, al- cuni dubbii. Le polinoe in generale presentano le elitre, ad eccezione del luogo ove s° inserisce l’elitro- foro, nel momento della luce, illuminate in totale; ripetendo però le indagini e facendo frugare le profondità del nostro golfo onde avere un maggior numero di specie a studiare, mi venne fatto di scoprire un nuovo caso in una Polynoe che vive nella zona delle coralline. Appartiene questa ad una specie non per anco descritta, che io chiamerò col nome di P. turcica, contraddistinta da una mezzaluna candida che porta nel bel mezzo di ciascun’ elitra, siccome fosse uno scudo nusulmano. Riserbandomi a dare in un capitolo speciale la descrizione di questa specie, dirò delle elitre e del luogo ove si illuminano. Nella Polynoe turcica tali appendici (/îg. 7' e 8) sono elittiche con una lieve intaccatura presso l'elitroforo, a margine integro, jaline, ad eccezione della semiluna bianca —-b, la quale colla sua concavità circonda l'inserzione dell’elitroforo indicata con — a. Un settore —d dell’elitra presenta speciali pori della cuticola, i quali somigliano a granulazioni od a nuclei. I filamenti nervosi che si dipartono dal ganglio elitrale —c, si diramano mirabilmente e regolarmente nella lamina, come si vede nella figura, e tanto copiosi che, colorati col cloruro d’oro (1 ‘/), rendono tutta la lamina di color violetto. Tali nervi sono facili a studiarsi nelle loro terminazioni, a cagione di ciò che le cellule dell’ ipoderma dell’elitra sono jaline, siccome tutta la lamina elitrale, se però si faccia ecce- zione della semiluna. La figura 9 rappresenta queste terminazioni e sono in forma di noduli, simili agli organi così detti terminali di Kiùhne (endorgane) ovvero di cellule terminali, quali si notano specialmente in corrispondenza del bordo dell’elitra. Essendo codeste elitre labilissime e non potendosi pescare la Polynoe tureica che con reti a strascico, nel sacco estremo delle quali è d’ uopo rintracciarla fra mezzo alle alghe ed a mille altre cose, avviene che spesso si maltratti e non si raccolga che in frammenti, onde lo studio si fa difficile od anche talora impossibile. Fortunatamente però ebbi di recente individui intatti e muniti dei loro scudi e mentre sperava qui, come già ho veduto nella PhylZirhoe, scorgere lu- minosi i nervi estremi, essendo certo che, come nelle altre polinoe, le elitre si illuminassero in totalità, le cose andarono diversamente. Irritato l animale, ovvero osservate le elitre nel mo- mento che si staccano in forza dei convellimenti, m’ accorsi che la luce in questa specie è par- ziale, e precisamente, come vedesi nelle figure 10 e 11, limitata alla mezzaluna che abbiamo in- dicata presso al centro dell’elitra, la quale area nell'oscurità risplende di luce viva ed azzurrina. Per tanto è a stabilirsi nelle polinoe una divisione per riguardo al modo di illuminarsi delle elitre. Ve ne hanno cioè a luce totale delle elitre, ed altre a luce parziale come la Polynoe turcica ed anche la Polynoe torquata, Clprd., che alla sua volta mi presentò nelle elitre soltanto un’area luminosa centrale a forma di triangolo. Che se nella Polynoe turcica si sottoponga ad esame microscopico l’area semlunare candida dell’elitra, la si trova costituita da cellule appianate poligone , disposte in un solo piano a pa- vimento ed a modo delle cellule ordinarie dell’ipoderma, però molto grandi e notevolmente di- scoste le une dalle altre, siccome si veggono dalla fig. 12 rappresentate, in vicinanza di uno dei nervi elitrali, allo ingrandimento di 350 diametri. Tali cellule contengono una materia gialliccia rifrangente costituita da granulazioni tutte di eguale dimensione, le quali con molta probabilità nascondono il nucleo. In alcune cellule le granulazioni sono più scarse e sono lontane le une dalle altre. In — a è rappresentata una cel- lula in scissione. Sul contenuto di queste cellule non ho potuto far speciali prove per la scarsez- za degli esemplari avuti, si colorano però in totale col cloruro d’oro e col carminio e il loro contenuto non si scioglie nell’aleool. Nè manco posso dire nulla di certo circa il rapporto delle medesime coi nervi terminali, rapporto che è necessario ammettere, dacchè la luce si mostra tras- corrente da un’ elitra all’ altra in seguito alla stimolazione. È per tanto a stabilirsi che nella Polynoe turcica e torguata risplendono speciali gruppi di cellule, che, pel luogo ove si trovano, appartengono all’ipoderma, le quali cellule, se per il loro 7 — 15 — posto e per l'origine, sono a considerarsi in parentela con Je glandole unicellulari fosforescenti dei chetotteri, delle sillidi, dei balanoglossi, e dei policirri, sono per altro verso a paragonarsi agli organi luminosi a cellule fisse e profonde, siccome quelli degli insetti luminosi, dei piroso- mi ed anche delle pennatule e dei beroidei. È a discutersi ancora se nelle polinoe a luce totale siano le terminazioni nervose, ovvero le stesse cellule dell’ipoderma che si illuminano in totale nell’elitra, il che non è facile a deci- frarsi per ciò che, dovendosi impiegare ingrandimenti notevoli, la luce non può attraversare le lenti, e per tanto giova attendere nuovi fatti e fortunate evenienze prima di pronunciare in proposito l’ultima parola. Aggiungerò in fine che l'indagine dovrebbe dirigersi anche sulle Pholoe, dappoichè le eli- ire in questo genere non sono dissimili da quelle delle Po/ynoe propriamente dette. In una nuova specie di Pholoe che io descrivo qui in appendice, e che chiamai Ph. brevicormis, è mirabile il modo di comportarsi dei nervi nelle elitre, analogo del resto a quello osservato da Ehlers ') nella Po- lynoe spinifera e da Kòlliker nella Polynoe impar *). Siccome si vede nella figura 13, i filamenti nervosi vanno a terminare in papille che stanno al bordo dell’elitra ed anche sulla faccia supe- riore della medesima. Ad ingrandimento maggiore si scorgono i noduli estremi sul decorso delle fibre terminali, ma poi alcune di queste fibre si addentrano nelle papille, costituite siccome sono da sporgenze della cuticola e vi terminano con uno o più noduletti (fig. 14 e 15). Un solo indivi- duo di questa specie potei avere sino ad ora, e siccome mi giunse semivivo, non so se la luce mancasse nelle elitre del medesimo per esaurimento, siccome pure si osserva di frequente negli animali luminosi, ovvero perchè effettivamente non apparisca mai in alcun caso. Descrizione delle nuove-specie POLYNOE TURCIGA Tav. III, FIG. 7,7 e8—Tav. IV, FiG.1a d. Corpus longitudine 40"", latitudine 7"", lividum, segmentis setigeris 40. Elytra, paria 14, suborbicularia, valde imbricata, hyalina, margine integro, macula media, semilunari, candida et area granulosa triangulari prope elytrophorum. Capo piccolo, occhi 4, simili in grandezza. Palpi esili, brevi. Antenna frontale posta sopra una base rigonfia, lunga per una metà delle laterali. Antenne laterali molto sviluppate. Probo- scide robusta, lunga per *, della lunghezza totale del corpo, avente una corona di 18 papille. Denti quattro, come d’ordinario, robusti. Cirri tentacolari dorsale e ventrale molto sviluppati, più esili ma quasi lunghi quanto le antenne laterali. Sono irti di bastoncini nervosi sporgenti, simili a quelli dei cirri dorsali dei piedi. Corpo allungato con segmenti da 80 a 40, l’ultimo dei quali provvisto di due cirri caudali. Elitre 14 paia, quelle del primo paio circolari, le altre elittiche o suborbicolari, jaline 0 leggermente sfumate. Sono a margine integro con una rientratura o intaccatura in prossimità della inserzione dell’elitroforo, ove si nota in ciascuna di esse una macchia bianca semilunare con la convessità rivolta verso l'esterno. Sono labilissime. Piedi costituiti da un ramo dorsale breve, provvisto di un ciuffo di setole grosse, coni- che, striate finamente di traverso e rivolte in alto. L’aciculo che corrisponde a questo ramo 1) Die Borstenwirmer. Erst. Abth., fig. 1 e 2. 2) Kurzer Bericht ib. einige in Herbst 1864 an der Westkiiste von Schottland angestellte vergl. anat. Untersuchungen Tav. VI. fig. 4. i SEM fa sporgenza tra questo e il ramo inferiore. Ramo inferiore allungato, terminato da una appen- dice a lancetta sostenuta dall’aciculo che sporge al di sotto della medesima. Le setole di questo ramo sono a ventaglio, allungate, sottili, seghettate all'estremo, e, come quelle dell’altro ramo e come gli aciculi, gialle, splendenti. Cirro dorsale allungato, irto di bastoncini nervosi cilindrici, sporgenti, in rapporto col nervo mediano del cirro. Cirro ventrale breve, non superante in lunghezza il ramo inferiore del pie- de. Il cirro ventrale del 1° segmento è il più lungo ed è diretto in avanti. Un bottone o cusci- netto vibratile sta al disopra del cirro dorsale in ciascun piede. Il colorito varia di molto al dorso, mentre i piedi e la superficie ventrale sono costante- mente di color giallo incarnato. Il capo è fosco nella metà anteriore, e bianco nella posteriore. I segmenti sono colorati di bruno-livido spesso con una certa regolarità, cosicchè quelli che por- tano le elitre sono colorati in totale o poco meno; e quelli alterni, provvisti di cirri, sono co- lorati soltanto nei due terzi esterni. Però il colore nella intensità e nella disposizione, pre- senta molta differenza da individuo ad individuo, avendone avuti anche alcuni quasi scoloriti. Ne’ quali casi, i caratteri notati nelle elitre basteranno di un tratto a far riconoscere la specie. Vive nel golfo di Napoli a notevole profondità nella zona delle coralline, e non si può avere che cercandola nei fondi delle reti a strascico o impiegando le draghe. Nel Dicembre e Gennaio le femmine depongono le uova. PHOLOE BREVICORNIS Tav. IV, ric. 6, 7, 8; E Tav. JI, Fic. 13, 14, 15. Corpus longitudine 10”, latitudine 4"". Oculi paria duo geminata. Elytra reniformia, hyalina, papillis ad marginem et in superficie minimis. Antennae, palpi et cirri tentaculares obtusi et brevissimi. Capo a lobi ben distinti, occhi 4, geminati. Palpi brevissimi. Antenna frontale e antenne la- terali così brevi da non superare in lunghezza i lobi cefalici. Proboscide robusta con una corona di papille. Denti 4 robusti. Cirri tentacolari brevissimi. Corpo allungato con segmenti? Portano elitre il II ed il V segmento e successivamente con regolare alternanza come nelle polinoe. Elitre paja?, molto labili, jaline, reniformi, con inserzione dell’elitrofroro circolare e con pa- pille al bordo ed alla superficie, alle quali accedono singole fibre nervose. Piedi costituiti da un ramo dorsale breve, provvisto di setole grosse, curve, con 6-7 denti sulla convessità, e di un aciculo. Il ramo ventrale è allungato e terminato da un’ appendice a lancetta sostenuta dall’altro aciculo. Le setole del ramo inferiore sono semplici, sottili, seghet- tate minutamente all'estremità, essendo il primo dente della sega il più grande e sporgente. I cirri dorsali non sono rappresentati manco da tubercoli, il cirro ventrale non sorpassa il ramo ventrale in lunghezza. Colorito giallo incarnato, il dorso è punteggiato di nero ai lati, setole ed aciculi giallo-dorati. La Pholoe brevicornis è la seconda di questo genere che siasi trovata nel Mediterraneo, avendo il Claparède scoperto pel primo nelle nostre acque questo genere dei mari del Nord con una nuova specie Ph. synophthalmica da lui descritta !). La specie di Claparède ha gli occhi riu- niti, cosicchè nello stesso bulbo a destra ed a sinistra si scorgono due cristallini distinti, mentre nella nostra gli occhi sono soltanto contigui, con che si spiega come Jonsthon nella caratteri- stica del genere mettesse occhi due o quattro. CI !) Annél. Chetop. du golfe de Naples. APPENDICE RELATIVA AD UNA OFIURA LUMINOSA Tav. IV, ric. I, II, III. L’ Asterias noctiluca del Viviani, che nelle braccia mostra vivacissima smeraldina luce, la quale secondo le osservazioni del Professore di Genova: e centro per radios vibratur , et radiatae instar stellae scintillas in marinis aquis excitat, quas electrico fluido adscriberunt, è una specie co- munissima nel golfo di Napoli fra le alghe dei bassi fondi, e si riferisce certamente all’ Amphiura squamata, Sars= Ophiolepis squamata, Mùll., Trosch. Non saprei dire, se questa specie abbia affinità con quella che il Prof. Quatrefages chia- mò col nome di Ophiure grisdtre senza precisarne i caratteri, nella memoria importante citata già sopra nell'articolo relativo alle Odontosyllis , attribuendo la luce ai muscoli che congiungono e muovono gli articoli delle braccia. L'illustre accademico francese, dall'aver osservato nella piccola ofiura grigia dell’ Oceano: 1° che lo splendore era maggiore in corrispondenza delle articolazioni delle braccia; 2° che in corrispondenza delle dette articolazioni il microscopio faceva distinguere delle strie luminose di- rette nello stesso senso dei fasci muscolari; 3° che la luce dopo una stimolazione prolungata si estingueva per esaurimento, venne condotto ad ammettere che la luce accompagni la contrazio- ne, avendo sede nelle fibre muscolari. Nell’ Amphiura squamata da me studiata le cose vanno differentemente , cioè : 1° la luce si manifesta esclusivamente in coppie di aree limitate, disposte ai lati di ciascun articolo delle brac- cia (tav. 1V, fig.I°b, c.), alla superficie dorsale dei medesimi, presso al punto d'onde sortono i pe- dicelli. 2° Verificandosi pure l'esaurimento del potere luminoso dopo ripetuti lampeggiamenti, provocati ad arte con la stimolazione, le piccole amfiure camminano e si convellono tosto dopo, senza che si abbia luce ulteriore durante la contrazione muscolare. Evidentemente si tratta nei due casì di fenomeni distinti, avendo i risultati delle mie osser- vazioni affinità piuttosto con quelli ottenuti da Péron, il quale in una ofiura delle isole Bernier che egli chiamò Ophiura phosphorea vide luccicare, non già le braccia, ma le cinque glandole collo- cate sul disco, siccome egli le chiama, le quali con tutta probabilità sono i così detti scud? dorsali del disco, ed in ogni caso parti che non sono muscolari. Per le quali cose io mi accinsi a cercare se mai nell’ Amphiura squamata vi fossero organi luminosi speciali in corrispondenza dei luoghi da me indicati, ma la opacità dei tessuti impre- gnati di calce me lo impedì, abbenchè usassi anche di soluzioni debolissime di acidi lasciati agire lentamente onde non alterare, o per il meno possibile, la trama organica. Avendo per tanto a che fare in un caso con tessuti opachi, e nell’altro con tessuti alterati, pensai di diriger l’osser- vazione nei giovani individui e, siccome questa specie di ofiura è vivipara, così attesi il momen- to opportuno, che è il mese di maggio, e mi posi a studiare i neonati, ovvero i piccoli tolti dal grembo materno, aventi due o tre articoli soltanto per ciascun braccio. Abbenchè i tessuti e le parti fossero più trasparenti ed opportune, non lo erano abbastanza per farmi scoprire alcun fatto che mi potesse servire di guida alla determinazione precisa degli organi che sono sede del movimento luminoso in questi echinodermi. Forse, e lo spero, in altri mari si troveranno ofiure che potranno fornire gli elementi a nuove e più fortunate ricerche; nel Mediterraneo sino ad ora non potei trovare altro echinoder- ma di questa sezione, o di altra che fosse lucente in vita, e manco nel Mar Rosso per ricerche fatte, or son due anni, in Suez e presso Thor nei banchi coralliferi che circondano la penisola del Sinai. Atti — Vol. VII. — N.° 1. ri SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TavoLa I. Fig. 1. Chaetopterus variopedatus, Renier S, veduto dal dorso e disegnato a grandezza natu- rale — aa. Glandole luminose delle pinnule, chiamando con questo nome i rami superiori del I pajo di piedi della regione media, fatti a modo di grandi lamine triangolari, —d tu- bercolo cavo costituito dalla fusione dei due rami dorsali del II pajo di piedi della regione media, il quale è pure luminoso, —ccce lamine branchiali, —d glandole luminose del ramo superiore dei piedi della regione posteriore del corpo, —t testicoli. Fig. 2. Una femmina curvata sul ventre e veduta in profilo, osservata nel tempo in cui le ova- je —o sono mature (ottobre a gennajo), per la qual cosa le glandole —d dei piedi posteriori vengono in maggior evidenza. Fig. 3. L'individuo della figura 1 immerso nell’acqua dolce e osservato nell’oscurità, onde si pa- lesino le parti luminose. Impiegando una corrente elettrica si ha lo stesso fenomeno. Fig. 4. Epitelio vibratile delle regioni fosforescenti veduto di profilo a +700; — aaa glandole uni- cellulari a contenuto grasso, —è il loro contenuto fuoruscito che in un frammento conserva la forma della cellula da cui fu spremuto. Fig. 5. Lo stesso epitelio che, osservato allo stesso ingrandimento ed alla superficie libera, mostra gli sbocchi delle glandole e la forma compressa dalle cellule ordinarie. Fig. 6. Solchi ed approfondamenti da cui risultano formate le glandole o placche glandolari della regione posteriore, veduti alla superficie libera delle medesime glandole a-+-180. Fig.7. Uno di questi approfondamenti veduto nella sezione dell’ organo, +180. Fig. 8. Elementi da cui risultano composte le glandole luminose delle pinnule, +-350. Tavocra IF. Fig. 4. Balanoglossus minutus, Kowalewski; femmina cogli ovarii maturi (novembre) a gran- dezza naturale. Fig. 2. La stessa veduta nell’oscurità coll’ impiego dell’acqua dolce, ovvero di una corrente e- lettrica. i Fig. 3. Epitelio vibratile esterno a cui sono frammiste glandole unicellulari —a segreganti una materia speciale luminosa, simile ad una materia grassa. Fig. 4. Polycirrus aurantiacus, Grube; porzione superiore a grandezza naturale. Fig. 5. Lo stesso, veduto durante la fosforescenza promossa dall'acqua dolce. Fig. 6. Frammento di cirro in cui si notano, allo ingrandimento di 180, le glandole unicellulari secretrici della materia luminosa. i Fig. 7. Frammento estremo del rigonfiamento terminale di un cirro, in cui le glandole sopradette sono più abbondanti e disposte in regolare strato, +180. Fig. 8. Odontosyllis ctenostoma, Claparède, nel momento della fosforescenza. Fig. 9. Tre segmenti della medesima osservati al microscopio coll’impiego dell’acqua dolce. Fig. 10. Glandole unicellulari che si illuminano in posto ed a cui è dovuta la secrezione dell’u- mor lucente + 700, in — a sono vedute di profilo, in —ò congiunte e sospese ad un fram- mento della cuticola con cui sono in rapporto. Fig. 14. Le stesse glandole in posto, vedute nella porzione estrema di un cirro, +-350. Fig SS Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. - I) | SS Tavoca III. . 4. Polynoe lunulata, Delle Chiaje, di grandezza naturale. 2. La stessa veduta nella oscurità nel momento dello splendore, mostra illuminate le due serie di elitre. 3. Un’elitra ingrandita. L'area che non si illumina corrisponde alla inserzione dell’elitroforo. 4. Un'elitra di destra dell Acholoe astericola, Delle Chiaje, ingrandita 17 volte, — a area d’inserzione dell’e&troforo, — b ganglio elitrale. 5. Frammento di elitra dell’Acho/oe astericola presso il margine esterno posteriore , veduta a +700. Il reticolo nervoso circonda le cellule dell’ipoderma elitrale e le fibre terminano a modo di bastoncini presso il bordo della lamina. 6. Frammento della porzione anteriore trasparente di un'elitra della Polynoe areolata, Gr u- be; a +-180, —a grandi cellule pigmentate costituenti lo strato superiore dell’ipoderma eli- trale, — è piccole cellule trasparenti dello strato profondo dell’ipoderma elitrale rese visi- bili coll’ impiego del liquido di Miller, —c reticolo nervoso elitrale e terminazioni no- dulari delle fibre. 7. Polynoe turcica, n. sp., a grandezza naturale. 7'. Elitre della medesima a grandezza naturale. 8. Elitra ingrandita 9 volte, — a area d’inserzione dell’elitroforo, — è porzione semilunare dell’elitra, —c ganglio elitrale, —c settore dell’ elitra con pori nella cuticola. 9. Reticolo elitrale della Polynoe turcica e terminazioni nervose cellulari e nodulari, +700. 10, La stessa polinoe quale si vede nella oscurità nel momento dello splendore. 44. Elitra osservata a piccolo ingrandimento nel momento dello splendore. Questa, e la fi- gura precedente dimostrano che la parte che s'illumina nell’elitra è esclusivamente la por- zione semilunare. 42. Cellule fosforescenti di cui risulta formata l’area semilunare, —» uno dei nervi elitrali, in —a è rappresentata una cellula in scissione, +-350. 13. Elitra sinistra della Pholoe brevicornis, n. sp., ingrandita 20 volte onde scorgere le di- ramazioni dei nervi ed il loro accedere alle papille del bordo e della superficie della lamina elitrale. 44. Papille cilindriche del bordo esterno e posteriore dell’elitra della stessa Pholoe contenenti i noduli estremi, + 700. 15. Papille più grandi rigonfie e cuspidate, quali si osservano affollate al bordo anteriore dell’ elitra con le stesse terminazioni, + 700. Tavoca IV. 4. Polynoe turcica, n. sp., porzione anteriore veduta dal dorso nel momento della protrazione della tromba. 2. Apertura della proboscide. 3. Porzione anteriore veduta dal ventre. 4. Uno dei piedi; al disopra del cirro dorsale notasi un cuscinetto vibratile. 5. Setole; —a setole grosse striate del ramo dorsale del piede, — setole fine seghettate del ramo ventrale, +180. 6. Pholoe brevicornis, n. sp., porzione anteriore veduta dal dorso. 7. Uno dei piedi; si nota la mancanza del cirro dorsale caratteristica del genere. 8. Setole; — a una delle setole grosse, curve e dentate del ramo ventrale, —d setola del ramo ventrale. SEO LE TR RA no ib ea Se STAR "5 PENALI AL TR = a ARE ARI ; ti 5 Pa i. 7 SRI VMPRRSID 300 perno “Questo figure si riferiscano all'Appendice nin o esa I. —a, Amphiura squamata, Sars, veduta nell’ oscurità nel momento dello splendore; —6 una: delle braccia a piccolo ingrandimento; —e estremità del medezino; le aree luminose cor- rispondono al luogo ove i pedicelli si ritraggono. II. Due articoli di un braccio mentre i pedicelli sono fuorusciti. II. Ultimi articoli di un braccio coi pedicelli semiretratti. Ue - NI ' TI i . © . LI x il ‘ - La « sa : È . î) . p meal - ” ae Da, vega , 1 Fide Poi * VSg 4 pià A È TROTA sel, x Daft” ba A w 3 | ” ad Pi +e È È x O ta » ‘Cia } \ ba d } pes È —__ / — _— iu > ET _ (4,8 2044 Bing; 1W/, ) \ Pigi Te >, E VA LA a 7 x s È / I) - £ 9274 PAZ? t 4), A_A AL ‘ SRI ‘ 4g, I LARI d Myt LAM AI ua f n ;J 22 qu eda SS < 93d7 ds ISS SASA 2: po, cs ” % ari DEIE| È ra PE d a ISIS so Z. - f = V| dtd, p È Dpr” Sv GI TO) - al dg z ) SDAI — ten 2 PI 4 ) PA }; F;) 4 >, ) = (CÀ / }: 7, SA __t y, / Da >}, È x / È 27 I > È È Vee cò Sele: SEE [. = ) J7 y /aD 1 24 & a È É pe E; - va “a wi f gs CA È ne | è wi n 5° Da id d a al sd n° @u pas prata a ta FRA IA S n LS PIE | | cal Ù i 3 bag tu ="? r b è | - + 10% ù ‘ eu DI {ue ‘ i - ALTT(AYATOS, SERLOTTE Tr rss bai gen , P 3/7 i / 7, / « IM, À f 9/4 /l $ e” ° Vol. VII. N.° 2 ——_—4_—=——_—6_________ _m—_€» 2 delle specie raccolte e menzionate in questa relazione ” MAMMIFERI Rhinolophus tridens, Gray. Erpestes Pharaonis, Desm. RETTILI Crocodilus vulgaris, Cuv. Acanthodactylus boskianus, Fitz. — scutellatus, D. B. Plestiodon Aldrovandi, D. B. Eremias pardalis, D. B. — guttulata, D. B. — guttata, D. B. Chamaeldo vulgaris, Cuv. Ophiops elegans, Men. Agama mutabilis, Merr. Hemidactylus verruculatus, Cuv. Euprepes Olivieri, D. B. — Savignyi, D. B. Gongylus ocellatus, Wagl. Coelopeltis insignita, Wagl. Zamenis florulentus, D. B. PESCI Lates niloticus, Linn. INSETTI Coleotteri Cicindela milotica, De). Nebria Hemprichi, Klug. Procrustes impressus, Klug. Zuphium ? Pheropsophus Cenni Di, Brachinus sichemita, R. S. 6.642: sie 12 INN a 4624] . IVI 16 . 1vi RESA Mastax Parreyssi, Chaud. Platytarus tessellatus ? De). Singilis plagiata, R. S. Tetragonoderus sericatus, De}. Stagona europaea, De). . . Graphipterus variegatus, Fab. Scarites punctato-striatus, Redt. Dyschirius (? ewaratus, Putz.). Chlaenius sulcipennis, De]. — circumscriptus, Duft. Licinus aegypliacus, De). Broscus punctatus, De]. — laevigatus, De). . Harpalus caiphus, R. S. Calathus syriacus, Gault. Pogonus filiformis, Dej.. . . — fulvus, Baud. — (?n. sp.) Bembidium (? n. sp.) . -. Hydroporus musicus, Klug. — confusus, Klug. — porcatus, Klug. Hydroacanthus notula, Erich. Eunectes sticticus, Lin. MARCONI AI > LI, e Agabus . Gyrinus È Dineutes RA feno Berosus bispina, R. S. . . . Helophorus (? aegyptiacus, Mots Di Ochthebius. Platyprosopus coi Erich: Paederus memnonius, Erich. — aestuans, Erich. Pinophilus aegyptius, Erich. Bledius giraffa, n. sp. — unicornis, Germ. Platystethus cornutus, Grav. 15 e 22 .15.6:22 1) II catalogo completo di tutte le specie raccolte durante il viaggio potrò darlo, quando sarà completato lo studio e la deter- minazione di tutti gli oggetti. MEER VARIA PMR RE RI MI RAI MARY de ARI Wadi MAR Abad iL< Fia ? / eo MLT renna Owytelus (? nitidulus, Grav. e eta e | rodius. Dejeani, Sol” cf ie Std Bryawis ? Cic) a hO BALSCOStA(49, SOLIERA IT er ny 19 Hister graecus, Brull. . . . . . + 27 Adesmia cothurnata, Forsk. {. . .. 5 Saprinus punctatissimus, KI. . . . . 5 =demenculata, ‘Soli Role rit Sranguratus, Mars. (o) lar 27 Tentyria orbiculata, Fab. . . . . . 19 — conjungens, Payk. . . |... ivi areale RBIO nt iti — chalcites, Ill. MEMIIZIAIE QAR POPRRERMARIE RO rsusagienio Ro Soiano Ei dvi ne Rignehis MArsp e ri i IMesastena:oblonga, Sol, Vi ina iene Mara: dui co a vi Mesostenopa picea, Krtz... . . ... . 6 Zi pigrogsipes, Marsi iau AVI Oxycara lacvigatum, R.S. . . . . 27 capricarivs, Erich. 0.0 500.0, ivi Sceleodis castaneus, Esch. . . . 10e1f Micetofagideo P DC PÒ Phaeotribon pulchellus, Krtz. . . 6e10 Attagenus bifasciatus, Ross... . . 18 Himatismus villosus, Dej. . . . LEI — uniformis, Fairm. . . . . - 283 Pogonobasis ornata, Sol. . . . .. 4 Heterocerus p GARMIN I to Adelostoma cordatum, Sol. . . . . . 29 Ateuchus puncticollis, Latr. . . . . - 20 Mlis'refleaa Babi air ose sei 20 Gymnopleurus mopsus, Pall. . . . . 27 CEI Larneuloo Sol Pe? sai Cal Magellatas, Bab 0gt pai 0 cor HAI Scaurus ? ina SEI Heliocopris gigas, Lin. . . . . . - 19 Dailognata crenata, R.S. . . . . .3 Copris hispanus; Lin. . . . .'. 19 Blapsisilcata Rabs. Ciapt algo ss 20 Hilson Lia 20 — indagator, R. S. i n Mimntbnechias, RS. c. io. a. 27 Prionotheca coronata, Oliv. . . . . . 19 2h anerosue, Palli. dii Ocnera hispida, Forsk. .. . . . . . 6 Onthophagus fissicornis, Kryn. . . . . ivi IS Canc SOL SORRE Se Aphodius R REA pt a) — “gomorrhana, BR. S. vr si 21 Rhyssemus n on eri ni iphalis ama Al. Si pe ho Vi Amphicoma papaveris, St. . . . . . 27 Thviptera crinita, Klug. Araneae, io. an re Li O a Pachyscelis granulosa, Soglia ZIA Pentodon algerinus, Herbs. . . . . . 16 — rotundata, Krtz. SIMPATIA DA Oxythyrea Noemi, R. Sì... . . 29 Pimelia'grandis, Klug. . . . . . ..8 Anisoplia leucaspîs, Cast... . . . 81 — angulata, Fab. SS anna 12 —eracaBurm a 0 ivi — —. var. aculeata, Klug. sagrdilcert9 Wiopinoia vittula, RS) Vi 2alBartkelemye Sort o ae a 21 — isqualida, Lin.;}..;..0..-. +... 19 = liMatiner, Soleinli” ya si Steraspisisquamosa, K\....1..... ..... . 16 = rrorata, Soligo sonia sapa it9 Acmaeodera suturalis, Gor. big ee29 Opatrinus corvinus, Muls. 8 Sphenoptera ? ERRO AO GI Opatroides punctulatus, Brul. 3 Cardiophorus tenellus, R. SL Mr 9 Caedius chrysomelinus, n. sp. 128 = vsacratus, Erich Vs. doll ivi — aegyptiacus, Muls. 3 Lampyris? . . tia OI Seleron orientale, Fab. 4 Telephorus (imam R. S. SU n I — hrsutum, Mill. 23 — margiventriss Bi. Sì... a ivi Pachypterus niloticus, Mill. 4 Anthocomus sanguinolentus, Fab... . ivi Opatrum sulcatum? Kust. 3 Lajus venustus, Erich. . . . . .. 4 | — famelicum? Oliv. 5 Dasytes ? POET e EA — nitidulum, Kust. -«d9 Dolichosoma n RAZIONE TN — granigerum, Bess. REAL Trichodes affinis, Chev. . . . 14e 20 Halonomus ? . 23 —. sexpustulatus, Chev. . . . . 83 Leichenum P a BENI Zophosis abbreviata, SO. . . .. . 3 Anemia? . . NATA TL) iene a it SANO Trachyscelis fphodioides, Latr. AE Ro) maepugnaca,Sol. «. .-<.i.I Phaleria (? cadaverina, Fab.) . . . . 31 uignentalis.Deyr., 0... 21 -. ? MERI VERSA. 2) Neri ir SPIA SI AA SLOT EONI = AAIOTE rta SIPRLIAI x Theridium c conspicuum, Cambr. . cu. ivi | + alexana Brandt. Epeira dromedaria, Walk. Att Enea Sa S. Fis. Pholeus borbonicus, Vins. 20 Estheria Gihoni, Baird. Ocyale consocia, Cambr. RASO Branchipus. Trochosa cinerea, Fab. 20 e 29 Apus — pieta, Hahn. 17 Tarentula radiata, Latr. 14 CONCHIGLIE — @bofasciata, Brul. 38 Terrestri e fluviali Lycosa galerita, Koch. 20 — articulata, n. sp. 29 |- Heliw cincta, Mull. . (oo Gnaphosa lentiginosa, Koch. . 30 — candidissima, Drap. — Cambridqi, Koch. avi — desertorum, Forsk. Eresus pruinosus, Koch. . 38 — guttata, Oliv. Palpimanus gibbulus, L. Duf. Selvi — rotundata, Mull. Attus Bonnetit? Aud. 5) — pisana, Mull. Thanatus Thorellii, Cambr. . ivi — acuta, Mull. Nisticus lineatus, Westr. 30 — Joppensis, Roth. Hersilia sudanensis, Pav. 5 — ? Misumena atrocincta, n. + + . 14 | Melania tuberculata, Bourg. Cerastoma Savignyi? Aud. . ivi Melanopsis praerosa, Lin. . Opilio luridus, Koch. . ivi Paludina bulimoides, Salpuga arabs, Koch. 128 Physa "a Hyalomma dromedari, Koch. 8 Cyrena fluminalis CROSTACEI MARINE Lupea pelagica, Lin. 22 Vulsella sporngiarum, Lamk. . Thelphusa nilotica, Edw. 13 Meleagrina margaritifera, Lamk. — Berardi, Aud. suslvi Cancer roseus, Rupp. 2 ECHINODERMI Orchestia mediterranea, A. Cost. sel Porcellio syriacus, Brandt. 28 Diadema setosum, Lesk. 5 luglio 1875 ae Re ai e Ie a io” v. Va I } È Fi L % Vol. VII. N.° 3 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE BATTARRAEA GUICCIARDINIANA — NUOVA SPECIE DI FUNGO ITALICO MEMORIA del Socio Ordinario VINCENZO CESATI letta nell'adunanza del dì 5 giugno 1875 Nei fatti che riguardano alla Geografia botanica v' hanno bizzarre combinazioni, le quali si fanno giuoco di ogni ipotesi e di tutto il nostro acume, quando ci poniamo all'opera per ren- derne adeguata ragione. Certamente non è fra li fenomeni meno strani quello di vedere alcuna volta svilupparsi in una determinata località, anche a quantità considerevole d’individui, tale specie che per l’ addietro appena faceva di sè comparsa; poscia sparire, starsene occultata per una serie non di rado abbastanza lunga di anni, indi quasi per incanto ricomparire per ecclis- sarsi forse novellamente, forse per sempre. E mi affretto a soggiungere che intendo parlare di quei soli casi, nei quali non ha luogo intervento di circostanze ovvie che giovino a porgere una naturale soddisfacente spiegazione sulla stranezza del fenomeno; diciamo: diboscamenti o dis- sodamenti di suolo, debbio od inondazioni, passaggio di caravane od armate o simili. Se di quei casi gli annali della scienza parecchi ne contano per le piante fanerogame, d’or- dinario appariscenti, di tessitura più resistente e meno facili a sfuggire alla osservazione, non è a dire quanto più frequenti si verifichino nel minuto mondo crittogamico, aggregato di enti a sfuggevoli dimensioni e stazioni più capricciose, spesso di durata affatto efimera: sicchè in questa serie di pusilli vegetabili frequentemente fugaci vuole sempre tenersi conto di tali ra- gioni nel recare giudizio sulla rarità o frequenza di essi, sulla repentina loro apparizione o scom- parsa in una data località. Ma sempre diciamo che non mancano abbondanti esempî di specie assai bene definite, di notevole organismo, a forme robuste e durevoli, che appena un pajo di volte furono ritrovate , fors’ anche in individuo propriamente unico. A risparmio d’inutile pompa d’ erudizione col riferirmene alle testimonianze d’altrui, ad- durrò alcuni fatti di mia propria osservazione. Ebbi già a raccontare altrove ') come nel maggio 1846 sui colli di Brescia, in luogo che ben da tre anni assiduamente perlustravo, mi si affacciasse una vaga e nuova sferiacea ?) che popolava un'intera necropoli di formiconi, dai cadaveri dei quali sorgevano, bizzarro monu- mento funereo, le eleganti clavule di un bel colore citrino, più o meno lungamente peduncolate secondo che li cadaveri stessi stavano a maggiore o minore profondità immersi nelle sottili gra- migne e fra li soffici muschi che tappezzavano il suolo. Oltre trecento esemplari ne riportai, la- sciandone in posto ben molti ancora. Nel susseguente anno pure là e non in altra parte ne rac- 1) Comment. d. Soc. Crittog. Ital. I, p. 62. 2) Cordyceps myrmecophila Ces. in Rabenh. hb. mycol. Ed. 1°. N. 1033; —Ed. 2°. N. 719, — Bot. Zeitg. IV. 1846. p. 877. — Comm, Critt. Ital. I. c. p. 61-64. tav, IV. fig. I.— Torrubdîa m. Tul. Carp. fung. III. p. 19. Arti — Vol. VII. —N.° 3. I _2—- colsi. Inutile dire che furono gli ultimi campioni, standomi nel 1848 lontano da quegli ameni colli dove un anno dopo fervevano micidiali zuffe fra gli animosi Bresciani e le reduci schiere austriache, sicchè ogni cosa vi fosse calpestata e guasta. Quando nel 1860, risalutando l'antico e caro soggiorno, mi recava di bel nuovo in posto, inutilmente l’avido mio sguardo perscru- tava ogni zolla: la Cordyceps myrmecoplila più non vi esisteva, malgrado che non vi facessero difetto formiche d'ogni generazione. Ma più tardi quel grazioso funghillo fu ritrovato una sola volta nella lontana Albione sovra una specie d’/ehneumon (Berkeley, Outl. p. 382. — Berk. et Broom. in Ann. of Nat. Hist. N. 591. — Cooke, Handb. of Brit. fung. II. p. 771); ed in questi ultimi tempi l’ebbe il celebre Berkeley dagli antipodi, dall'isola di Ceylan! (Berk. et Broom. Enum. of the Fung. of Ceyl. part IT. p. IN. N. 979) — Il bel campione della mia Racemella (ora Torrubia in Tulas. Carp. IM. p. 14) memorabilis dai Monti d’Oropa, da me descritta e figurata nel Commentario della Società Crittogamologica Italiana (Vol. I. p. 65. N. 7 *. tab. IV. fig. I) dopo tanti anni decorsi rimane tuttora l’unico esemplare conosciuto, malgrado le ripetute pazientis- sime ricerche su per quei pietrosi fianchi e nella vicina convalle di S. Giovanni d’Andorno (in Campiglia) di ogni modo di crittogame feracissima, e ad onta che il colore ranciato delle sue clavule da lungi già la faccia spiccare sul verde tappeto dei muschi dal quale sporge innestata ad una larva di Stafilino. — Così dicasi della Poronia Oedipus (Montgn.) primamente scoverta nell'isola di Cuba ed a Cayenne, molti anni più tardi da me ritrovata, ma una sola volta, nei pascoli torbosi di Bosisio in provincia di Como, indi dal Beccari alle Cascine di Pisa! — e della Xylaria Guepini, due sole volte, a mia cognizione, rinvenuta: prima in Angers dal Guépin in una ajuola di Sparagi, assai dopo da me stesso nella succennata torbiera di Bosisio '). Il nu- mero delle citazioni s’ accrescerebbe d’ assai se volessi tessere una notizia storica alquanto compiuta. Consimile caso di singolarità nei rapporti fitogeografici venne testè ad offrirlo il genere Bat- tarraea ?), vistoso fra li Gasteromiceti, il quale, fondato da Persoon *) sovra descrizione e figura datene nella seconda metà dello scorso secolo da Woodward"), richiamava su di sè l’attenzione dei Micologi, sia per la struttura sua tutta peculiare, sia per la scarsezza degli individui ch'erasi riusciti ad osservarne. Giacchè, confinato in addietro alla sola Inghilterra, là pure appena mo- stravasi ad epoche lontane ed in iscarsissimi esemplari. Le collezioni publiche non meglio delle private ugualmente ne avevano difetto, esistendone qualche campione, fino agli ultimi tempi, soltanto nel Museo a Kew, oltre quello che servì per originale al disegno datone dal Sowerby 1) Comm. Critt. Ital. 1. c. p. 70 e 71. tav. IV. f. IV. e tav. V. 2) Il nome di questo genere trovasi scritto in tre modi diversi: Batarrea, Battarea e Battarrea. Il nome dell’insigne Bota- nico, al quale era stato dedicato, suonando Baftarra, restano esclusi per ragione etimologica i primi due modi di ortografia; la ragione glossica esige sia modificato il terzo modo. 3) Persoon, synops. fungor. p. 129. tab. HI. fg. 1. 4) Ecco la letteratura in quadro, lusingomi, compiuto. Dapprima, sotto il nome di Lycoperdon phalloides: Woodward, in Phil. Trans. LXXIV. p. 423. tab. 26. — Dickson, Crypt. britt. fasc. I. p. 24. — Smith Ed., Spicil. bot. I. p. 41. tab. XII. — Sowerby, Colour. fig. of brit. Fungi. III. tab. 390. — Sotto il più recente nome di Batffarraea phalloides: Persoon, c. s. — Nees ab Esen- beck, das Syst. d. Pilze u. Schw. p. 249. N. 186. tab. XXXV. fig. 257.— Nees, Henry De Bail, Syst. d. Pize p. 73. tab. XI, f.1.— Nees, in Bolt. Gesch. d. merkw. Pilze. IV. Anhg. p. GI. — Fries, Syst. orb. veg. I. p. 128. — e Syst. Mycol. III. p. 6. — Ann. of Nat. Hist. N. 303. — Engl. FI. V. p. 298. — Hooker, Journ. of Bot. 1843. tab. XXII. fg. 1. — Bischoff, bot. Terminol. u. Syst. tab. LXX. fg. 3463. — Corda, Anleit. z. Stud. d. Mykol. p. LXXXV, et 118. Tab. E. 50 fig. 1-3. — Berkeley, Introd. to crypt. Bot. p. 343 (Forse è precisamente dato in quest'opera il primo cenno sulle spirille, ma in modo un poco equivoco: « the foce? exhibit distant spiral threads or perfect rings in their cavity». Stando a queste parole sembrerebbe che le spirille fossero conte- nute nell'interno dei filamenti del capillizio fondamentale ). — Berkeley, Outl. of brit. Fungol. p. 299. — Cooke, Handb. of brit. fungi I. 367. fig. III. — Smith Worthingt. G., in Gardener”’s Chron. 1873, 16 aug. p. III with. fig. — Bullet. Soc. bot. d. Fran- ce. XXX. (1873) I. p. 19. — Just, bot. Jahresb. I. 1.° Halbbd. p. 116.—Cesati, in Rendic. d. R. Accad. d. Sc. Fis. e Mat. fase. 9.° 1872, e fase. 3.° 1873°)— Sotto il nome di Dendromyces (D. Steveni): LiboschItz, Beschrbg. eines neu-entdeckt. Pilzes. 1814. con tav. col. —Per la Battarraca Gaudichaudii: Montagne, Nouv. esp. de Cryptog. in Ann. d. Se, Natur. 2." Série. Botanique, T. Il. p. 76 *. pl. IV. fg. 1. — Idem, Sylloge gen. specierumque Plantar. Cryptog. p. 275. *) Grevillea, vol. I (1873), p. 120. —Idem, vol. II, p. 35. (Notizie di funghi americani: per Berkeley. — Berkeley, Introd. to Cryptog. botany. p. 8 con fig.— Loudon, Encycl. of plants, fig. 16238. SET MIR OO E PIARGIT DE RT RI uu G+d e conservato nel Museo Brittanico. Un individuo, di specie diversa, era stato scoperto nelle lon- tane steppe del Wolga durante il terzo lustro di questo secolo. Finalmente due decennii più tardi dal Peru pervenivano a Montagne, raccolti da Gaudichaud, esemplari costituenti un terzo tipo specifico, che venne publicato dall’insigne Crittogamista Francese negli Annales des Scien- ces Naturelles. Partie Botanique. IT.° Série. T. II. (1834). pag. 76*. pl. IV. fig. 4. Da lungo tempo il tipo inglese non era più stato riveduto, se non se una volta nelle vici- nanze di S. Francisco, donde il Prof. Torrey lo mandava a Berkeley (V. Grevill. 1. c. nella nota qui addietro); ed altri due esemplari, per testimonianza del prof. Caruel (in lett. dei 19 febbr. pp.), furono raccolti tra il 50 ed il 60 da un giardiniere di Boboli sotto una pianta di alloro, e dal prof. Parlatore fatti depositare nell’incipiente Museo: non potrei accertare peraltro, che rap- presentassero la precisa specie primitiva '). A questo punto stava la storia di questo Gastero- micete, allorquando un individuo — proprio uno di numero, ma cospicuo per dimensioni — fa- ceva subitanea comparsa su di un terrazzo in questa Napoli, spuntandovi dalla commessura del lastricato. Ebbi l’onore di darne contezza a questa R. Accademia nella tornata dei 14 agosto 1872. Pochi mesi più tardi il nostro egregio collega prof. Panceri tre robusti individui ci re- cava dalle dighe del Nilo: e di questi vi tenni parola nella tornata 1° marzo 1873. Ora apprendo che appunto nel 1873 quattro esemplari di nuovo se ne raccoglievano in Inghilterra, come ri- sulta da diverse comunicazioni inserte nel Gardener’s Chronicle da parte del signor Worthington G. Smith, delle quali l’ultima e più circostanziata leggesi nel numero del 16 agosto 1873 a pag. 1111, illustrata da alcuni silotipi °). Ma, mentre ad un tratto, con insolita frequenza ed in regioni tanto discoste e disparate, la Battarraea in discorso quasi contemporaneamente moltiplicavasi, ecco spuntarne nello scorso luglio una nuova forma, in bella copia d’individui — da 20 circa — , entro l’ appartato letto caldo del giardino appartenente alla signora Contessa Guicciardini — Serristori, di fianco a Pitti, come già ebbi a riferirvene nella tornata delli 6 febbraio ultimo : forma che aggiunge una certa leggiadria alla singolarità del tipo per sveltezza nell’assieme e sfumatura di tinte. Dissi allora come andassi debitore alla gentilezza del signor dottore Bargellini, in Firenze, dilettante micologo, di avere avuto a mia disposizione due dei migliori individui di quel novis- simo fungo, non solo perfettamente conservati ma di appena raggiunta maturanza: sicchè un esame assai proficuo ne potessi fare, che mi condusse alla scoperta di un elemento istologico as- sai strano entro la gleba del suo peridio — cioè cellule allungate, a filo interno elicoide, ossiano cellule spirillate — che giammai mì sarei sognato di rinvenire in un fungo di quel gruppo. Se questa scoperta, unitamente ai complessivi caratteri di questa Battarraea che veniva a qualificarsi tipo nuovo, meritava di essere segnalata con maggiori particolari, per cui facevo espressa riserva di riparlarne, ancor più adesso mi ci trovo impegnato, dappoichè, avendo il signor Smith fatta l’ uguale scoperta sugli ultimi esemplari inglesi della 8. phalloides, non ci tro- viamo d'accordo sulla vera figura di quelle singolari cellule, la cui presenza constatai anche negli esemplari di 8. phalloides di Napoli e dell Egitto, e meno ancora circa la loro attinenza cogli altri tessuti del peridio, come verrò dimostrando mediante comparazione delle figure da lui datene con quelle da me tracciate, che ad esuberanza volli far controllare alla stregua di altro istrumento dal coadiutore signor professore Licopoli, acciò nissun dubbio di ottica allucinazione m’ingombrasse il giudizio. Mi spiego. Stando alle parole dello Smith (Worthington G.) 3) l organo eccezionale di cui è parola, — 1) Da lettera del Dottor Bargellini appare che attualmente questi esemplari al Museo di Firenze più non esistono; od almeno non se ne ha traccia, Bensì vi si trova un modello in cera di Battarraea phalloides. 2) Colgo l'occasione di porgere pubbliche grazie al chiarissimo professore Alfonso De Candolle il quale, colla proverbiale corte- sfa di quell’esimia famiglia che colse imperituri allori sul campo dell’amabile scienza, mi fu grazioso coll’invio del succitato perio- dico che presso di noi inutilmente si desidera. 3) «.... The stem is constructed of three diverse strata, of which the outer one (A) forms a hard and brittle bark, the inter- « mediate stratum (B) being exceedingly hard and woody, whilst the inner lining (C) consists of fine silky threads; the stem is, mo- « reover, furnished with a centra] pith or filamentons cord (D), dilated below, which has a similar structure with C. These exces- x * le cellule spirillate — , si presenterebbe tanto nel corpo sporifero del peridio, quanto nel tes- suto del gambo, non escluse le falde corticali; anzi, se non prendo abbaglio di lingua, si espri- me in modo da far supporre che precisamente il gambo colle sue faldoline esterne sia costi- tuito — «is made up» — da cotali vasi allungati: nel testo che riporto qui sotto in nota carat- teri diversi segnalano questa frase all'attenzione del lettore, acciò giudichi della mia interpre- tazione. Dalla figura poi ch'egli dà di questi suoi « vasi spirali » si è condotti a credere che pel loro capo inferiore stiano in diretta comunicazione col tessuto fibrilloso, quasi direi una ema- nazione del medesimo, ch'egli ci rappresenta sotto l’ aspetto di filamenti a semplicissima dico- tomia assurgente (a quanto suppongo) dalla base del peridio. Ma a tulto questo modo di raffigurarsi la orditura della Battarraea assolutamente contrad- dicono le mie proprie osservazioni per le quali mi sento autorizzato a dubitare se le figure e deduzioni dello Smith non siano il risultato di induzione subbiettiva anzi che il fedele reso- conto della osservazione diretta. Nel fusto, comprese le squame corticali, non ho trovato traccia di cellule spirillate, che in niuna maniera al postutto meriterebbero il nome di vasi spirali. Quelle poi che in grande copia trovansi disseminate entro la gleba sporacea giammai mi hanno offerto apparenza — non che traccia — di congiunzione organica colla trama filamentosa. Tampoco propendo a chiamarle ri- gide, però che il più sovente mi si offersero flessuose e pieghevoli. Intorno alla genesi di questi misteriosi corpicciuoli non mi fu possibile giungere ad una conclusione, poichè, malgrado gli esemplari della Battarraea fiorentina siano nello stadio di ap- pena raggiunta maturanza, coi peridii perfettamente intatti e tuttora aderente la cuffia volva- cea, il corpo della gleba offre i singoli tessuti in piena soluzione di continuità. Epperò tanto meno posso concedere che una siffatta continuità di aderenze organiche sia riuscito lo Smith a sorprendere nell’individuo da lui disegnato, che presentasi di epoca molto inoltrata di matura- zione a giudicarne per le sue figure dalla parte basale a volva evidentemente disfatta e dalla denudata superficie del peridio. Anzi le stesse parole dell'Autore vengono a confermare questa mia presunzione '). Aggiungerò che a priori diggià quel modo di filiazione esibitosi dallo Smith mi fu sospetto assai; sia perchè tale genesi non venne riscontrata per gli elaterî delle Yrichie — finora unico esempio legittimo di cellule spirillate presso i funghi °)-— sia perchè la naturale evoluzione di siffatte cellule finora, a mio sapere, non venne osservata verificarsi per altra via da quella in fuori della endogenia libera, o della segmentazione da cellule madri indipendenti in altre tali. Il prof. Licopoli volendo appurare, almeno per la via d’induzione da caso ana- logo, il fatto asserito dallo Smith, si provò ad esplorare la formazione degli elaterî nella gleba sporacea della Pellza epiphylla: ma quantunque sperimentasse sovra sporocarpî appena spuntati, non gli giovò per riconoscere una adesione qualsiasi organica da parte degli elaterì. sively fine silky threads are found to consist, when highly magnified; of very long cells placed end to end, and these thread-like « cells are exactly the same diameter (viz., .0005 iuch) as the threads found mixed with the spores on the pileus, The brittle outer bark and woody stratum 7s made up of elongated vessels or (as estimated by me) vascular tissue, of an average diameter of .0004 « inch: these vessels find their analogues in the so called celaters» also found mixed vith the spores on the receptacle or pileus. « The spiral bodies, threads and spores, I have engraved at the bottom of the cut (enlarged 700 diameters). I am inclined to look upon these spiral bodies as imperfect spiral vessels; it is generally considered that their function is (by their elasticity) to di- sperse the spores, but from my examination of these in Batarrea they appear to me to be quite rigid and in no way elastic. The « spiral thread wlthin the vessel is clearly formed from a differentiation of the contents, as I have seen them in every stage, the « earliest being shown at F, and the most perfect at 1; sometimes, as in true vascular tissue, the ordinary spirals give place to a « series of rings, as at G and H the vessels are in close proximity with, and often spring from the threads, as we find the cells and « vessels in similar proximity in the stem». Gardn. Chronil. 1. c. 1) «All the four plants found by M." Percival were fully grown, and the outer gelatinous volva had vanished in each; so I had « no opportunity of examining that part of the plant». Gardn. Chron. I. c. 2) L’allusione fatta dal signor de Seynes sui reservoîrs-cellules de quelques Agarics, p. es. Agaricus conîicus, quando la sco- perta dello Smith venne annunziata in seno alla Società Botanica di Francia, sembrami oziosa; imperciocchè fra queste cellule-ser- batoi degli Agaricini e le cellule spiriltate dei Gasteromiceti manchi ogni correlatività di caratteri (V. Bull. d. 2. Soc. bot. de France XX. (1873) p. 19). La stessa forma di dette cellule, perfettamente uguale nei due capi, induce a dubitare che non siavi aderenza alcuna sull’uno di questi che dovrebbe a preferenza mostrarsi assottigliato: E su questo punto non meno che sulla complessiva figura delle cellule in parola (contorno, nu- mero ed andamento delle spire ecc.) le mie osservazioni discordano dalle figure prodotte nel periodico inglese. Rimane a dire del capillizio che alberga le spore e di queste stesse. Debbo dichiarare nel modo più positivo di averlo veduto costituito ben altrimenti che non lo insegni lo Smith. Seb- bene a maturanza compiuta il primo di questi organi appaja variamente sfilacciato d’alto in basso, è pur facile accorgersi che le fibrille stanno saldate più o meno fra loro in laminette ana- stomosanti in maniera da presentare una maglia alveolare, quasi ad imitazione del corpo cellu- loso della Spumaria. Giammai mi vennero veduti filamenti cilindracei semplici o tutt'al più di- cotomi all'apice perfettamente liberi gli uni dagli altri. Finalmente le spore nemmeno a fronte del massimo ingrandimento sistema Hartnack (ma senza immersione) avevano apparenze nodu- lose, bensì superficie levigata ed alcuna fiata perimetro oscuramente angolare. A togliere di mezzo ogni eccezione sulla comparabilità delle osservazioni riferite mi affretto a dichiarare, che le mie non si limitarono alla novella specie, ma abbracciano campioni di tutte e tre le forme e stazioni da me considerate. Passo a dire del valore tassonomico delle diverse forme di Battarraea. Se egregiamente scolpito sta questo genere ne’ suoi caratteri differenziali quale tipo di ge- nere autonomo, non potrebbesi ugualmente affermare che ben assodate risultino le differenze diagnostiche per le quali voglionsi precisare le singole specie onde lo si crede composto.—Tre sono finora quelle che credettero ravvisarvi distinte i micologi più accreditati: l'antica Battar- raea phalloides del Persoon; la B. Steven, originariamente descritta e figurata dal Liboschitz sotto il nome di Dendromyces e la B. Gaudichaudii (Montgn). Vogliamo esaminarle davvicino. La grossezza dello stipite uguale per tutta la lunghezza nella B. phalloides, ingrossato a mezzo nella B. Steven, assottigliato correndo in basso nella B. Gaudichaudit; — dilatamento 0 strozzamento del medesimo là dove si spande a formare la lamina basale del peridio; — dimen- sioni relative di quest'ultimo ed alcun poco la sua figura; — cordone centrale filamentoso che percorre il gambo (B. Gaudichaudii) ovvero vi manca ((B. phalloides e Steveni); — finalmente la moltiplicità o non degli inviluppi volvacei: ecco quali sarebbero i segni diagnostici ai quali rico- noscere con sicurezza le differenti specie di Battarraea finora ammesse. Se non che, quando per bene vagliamo siffatti criterî , stabiliti sull'esame di pochi esem- plari d’ordinario manchi in qualche parte, e nel maggior numero dei casi, per non dire in tutti, senza una compiuta storia delle fasi evolutive di questi bizzarri funghi '), viene scossa la fede nelle diagnosi enunziate , e ci convinciamo che non sia detta peranco l’ultima parola sulla consistenza tassonomica, sulla genuinità dei proposti tipi specifici. In fatto, la strozzatura dello stipite al punto del suo spandimento per formare la base del peridio, nel fungo recentemente scoverto in Firenze, mantiensi ambigua fra quella assai spic- cata nella Battarraca Gaudichaudii, e la confluente propria della B. phalloides. Il cordone filamen- toso percorrente in tutta sua lunghezza il gambo della specie peruviana a differenza di quanto vedesi nell’altra, presso il fungo di Firenze nell’esemplare da me spaccato trovasi, diremo, allo stato nascente, in divenire, e genera fondatissimo sospetto che la presenza o mancanza di detto cordone, anzicchè svelare differenza di specie, accenni alla età del fungo. Si veggono i singoli tenuissimi fili che infarciscono la cavità del gambo tuttora allo stato di impalpabile ragnatela, 1) « As far as I know Battarrea has never been examined in the egg on Puff-ball state before the elongation of the stem, and c if the stem really does grow with the wonderful force and quickness » « as quoted by Berkley in the English Flora, it is (consi- « dering the hard and woody nature of the stem) a fact very difficult of explanation ». W. Smith 1. e. SICGISE non ancora saldati fra loro: ed è ovvia la persuasione che ciò avverrà senza fallo a maturanza più progredita. Questo mio modo di vedere riceve una conferma dal fatto che, mentre di cor- done non eravi traccia negli esemplari di Battarraea phalloides primamente descritti, e certa- mente di recentissima evoluzione se le volve stavano tuttora spalmate di mucilagine !), ed allo stato mucilaginoso conservavasi l'interno del gambo, in quelli ultimamente raccolti quello ef- fettivamente esisteva ?). Peraltro mancano pel momento elementi che bastino a formulare un giudizio definitivo; e mentre richiamiamo su questi dubbî l’attenzione dei Micologi ai quali una più propizia ven- tura fornisse la opportunità di seguire davvicino il progressivo svolgimento di queste produ- zioni, crediamo non mettere il piede in fallo, allo stato delle nostre cognizioni intorno alle me- desime, segnando di nome proprio la novella forma, che chiameremo Battarraea Guicciardi- niana, intitolandola giusta il lodevole desiderio dell’egregio dottore Bargellini alla nobilissima Gentildonna nel cui giardino il fungo venne scoperto e che graziosamente permetteva di esami- narvelo, di coglierlo, e di continuarvi le opportune ricerche anche nel corrente anno. BATTARRAEA GUICCIARDINIANA E volva duplici persistente, in vivo sordide albescenti rigida, assurgit stipes strictus, teres, e spi- thama ad spithtamam et semis (24-38 centim.) longus, duas ad tres lineas (6-9 maillim.) crassus, versus basim sensim attenuatus; strato corticali peronatus ex albido in stramineum vel ochraceum co- lorato, et in fascias transversas obliquas marginibus laceras diffracto; eatus intusque ea ochraceo fu- scellus; compage fibrillosa, ea cellulis elongatis exilissimis tenaci contextus, soliditate sublignea gau- dens; ex toto cavus, cavitate fibrillarum sericarum concolorium agmine percursa, velum fingentium arachnoideum, serius, putandum, în laqueolum centralem coalescentium; ad apicem via constrietus, în discum uterinum chartaceum orbicularem pollicis et dimidii in diametro se pandens, inferne concavum albidum omnino levem, superne in glebam sporaceam abeuntem, hemisphaericam, dimidium pollicem crassam, cinnamomeam , constantem e capillitio imperfecte alveolari cellulis verticalibus filiformibus in membranulas passim anastomosantes, apice fimbriatas, conferruminatis; alveolis sporarum farra- gine repletis, intermixtis copiosis cellulis spirillam plus minus perfectam foventibus liberis, 2.5-40/500 mill. longis, 4/500 mill. crassis, 15-25 gyris, cylindraceis, utroque polo paullisper attenuatis et fere truncatulis, flezuosis; tota gleba intense cinnamomini coloris pulveracea, duplici tegmine recepta, ute- rum mentiente , pallido, ex albido ochraceo (in sicco), levi, facie integumenti cretacei in ovo gallina- ceo, ex volvarum parte suprema eatructo.— Sporae, myriadum myriade pro more gentis, discordeae, ambitu subrepando, ochraceo-cinnamomeae, leves, semi-diaphanae, nucleo seu guttula centrali simpli- cissima orbiculari concolori, 3/500 mill. metientes. 1) a.... Middle volva much thinner, and almost membranaceous, connected with the outer by mucilage.... Stem.... « filled with mucilage.... » Smith (Ed.) Spicil. (ex Cooke Handb.). 2) V. quanto ne dice Worthington G. Smith nel brano del suo articolo citato in nota a p. 3. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE I. Fungo perfetto; esemplare di minore grandezza; al naturale. II. Altro, in esemplare di media grandezza; al naturale. III. Lo stesso, spaccato pel lungo; il coperchio s'è IV. Sezione di parte del peridio, a dimostrare la tessitura alveolare staccato. state allontanate le spore. Con ingrandimento. V. Cellule spirillate, a fortissimo ingrandimento ‘). VI. Spore, al medesimo ingrandimento. 1. « Spiral vessels » 2. Spore } copiati dai disegni di W. G, Smith. TAVOLA SINOTTICA | del capillizio. Sono Characteres quatuor specierum in praesenti cognitarum ex differentiis comparantur BATTARRAEA PHALLOIDES \ BATTARRASA GUICCIARDINIANA INIOTINAM O... .. triplex | duplex SIIPRSZIOO ene aequalis; apice sensim | sensim in basim attenua- in peridium dilatato ; tus; apice obiter con- | stricto in peridium ab- eunti; cavus, in adultis funicu- | cavus, tela arachnoidea lo centrali praeditus; s. bysso farctus; PERIDIUM (PSEUDO-). | hemisphaericum, tegmi- | hemisphaericum, tegmi- . ne volvaceo, subcam- |» ne volvaceo, campa. : panulato, arcte ada-| nulato, arete adaptato ptato : SBORIDIA RR: . . .. fusca cinnamomina Ù 3 luglio 1875 BATTARRAEA GAUDICHAUDII (Haplocnemis Corda An], p.XXXV) duplex sensim inbasimattenua- tus; apice ad */3 par- tem diametri constri- cto; cavus, funiculum centra- lem sericeum fovens; planiuscule convexum , tegmine volvaceo laxe | adaptato purpureo-fusca BATTARRABA STEVEN (Dendromyces Libosch.) triplex ad medium ventricosus apice minime constri- cto in peridium ab- eunti; obiter convexum |, . . - luteo-brunnea. ‘ Ù uti a D lu i ita 0 CERCARONO I pentita UAAR notai Li pito tu il "ER BET PE, 29 agua Rsa Mnaldort dote eri ARR: DER io Riel ‘ADI dusriagti LSP AVE di (eh toni pnt ini in0) pi OI TRIVICURE VR LU ot agili by sent, siate ibi a Etf sati tt PA PIE (A Sua Loi a A : î Vi Ge ye, Vene i RIA IT Hartoa 3 ° ai Ni PERA) AMO n è i n; RS buena A DAI se E MAI Pa BND Ne: MA fta.. Ri MS: E? Ran nia, Viaane dé ui Vudttoca: i Fr mani EIRTILE Add i TA gut PS A Pare | i tel crete? «SR A] VCR nl Re SIA | vii, Pre sfida, arpa zi part ba : i | x reed spe Mb HSE Sa Togli Daft: PRA pcs : } di PR LI al + ret dl i Ù | Re 4 VITE dic) Lett Nic 54.4 Ni ad (gate Tirok dla SO E Lor pr pale (I OLI, SITA O MIE ATER als Ù c) TOTTI: tia DI ‘Pen pira] Ae. ILVA NA. N) E ASA TTT gw LE ULI N rà ia: cune tac $ Ai D = 0 Nol. VII. Nico ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ' SULLA GEOMETRIA PROIETTIVA MEMORIA TERZA del Socio Ordinario GIUSEPPE BATTAGLINI letta nell’adunanza del dì 18 settembre 1875 In questa Memoria, che fa seguito alle altre sullo stesso argomento *), tratterò della forma quaternaria bilineare, tra coordinate di punti e di piani. 1. CONNESSO DI PRIMO GRADO , DI PUNTI E PIANI. — Indichiamo in generale con (a,b,c,d) ed (A,B,C,D) delle ombre, che hanno significato di quantità per le combinazioni pP—-Pp di cia- scuna, p o P, delle prime o delle seconde con ciascuna, P o p, delle seconde o delle prime, e poniamo simbolicamente (Pp)=Aa-+B5-+Cc+Dd, (pP)—a44bB+cC+dD potremo allora esprimere una relazione lineare tra le coordinate (a', d', c‘, d') ed (A, B", C°,,D') di un punto p', e di un piano P', rispetto ad un tetraedro fondamentale di vertici (a,b,c,d) e di facce (A, B, GC, D) con l'equazione (1) | (P'p)(pP)=(A04+Bd+Cc4D'd')(a'A4"-+b"B"+c" C'+d"D")=0 : Questa relazione pone una dipendenza tra i punti p' dello spazio s' ed i piani P' dello spa- zio S', in modo che ad ogni punto p' di s' corrispondono tutti piani P" di S' che appartengono ad uno stesso punto p', e ad ogni piano P” di S” corrispondono tutt'i punti p di s che apparten- gono ad uno stesso piano P'; tale dipendenza si dice un connesso di primo grado di punti e di piani **). È chiaro per la (1) che si possono far corrispondere i punti ed i piani (p', P') dello spazio (s',$) ai punti ed ai piani (p',P") dello spazio (s”, $") in modo che ad ogni punto o piano in uno degli spazi corrisponda un punto o piano nell'altro spazio; e se in uno degli spazi più punti, o più piani, appartengono ad un piano, o ad un punto, nell’altro spazio i punti, 0 i piani, corrispon- denti apparterranno al piano, o al punto , corrispondente; segue da ciò che se più punti, o più piani, (p,P') di (s,S) appartengono ad una retta (r,R),i punti, o i piani, corrispondenti (p’, P) di (s',S°) apparterranno ad una retta (r°, R°), e viceversa; si possono quindi far cor- rispondere ancora le rette (r', R') dello spazio (s', S') alle rette (r”, R") dello spazio (s',$°), in modo che ad ogni retta in uno degli spazi corrisponda una retta nell’altro spazio, e se in uno de- *) Mem. 1° e 2? sulla Geometria proiettiva. Atti dell’ Accad. Vol. VI, sett. 1873, e sett. 1874. ‘’) Clebsch — Veber ein neues Grundgebilde der Geometrie. Math. Annal. Vol. VI. ATTI — Vol. VII —N.° 5. 1 IONE gli spazi più rette appartengono ad un punto, o ad un piano, nell'altro spazio le rette corrispon- denti apparterranno al punto o al piano corrispondente; adunque il connesso di 1° grado (1) dà luogo alla trasformazione lineare dello spazio, o sia alla dipendenza omografica delle figure. I punti (pp), i piani (P, P°), e le rette (r’,r") o (R, R') si diranno punti, piani, e rette corrispondenti del connesso. La dipendenza tra i punti (p, p'), e tra i piani (P, P) sarà espressa dalle equazioni a=(Psp' |a, è = (Pip )b' ee (Epica (Po) de A'=(p'P')A} 2=(piP)BO CE(pP)e Di =D o dalle altre equivalenti i =(Pp)a, B=(PP)N, (PP), d=(PP)d (2) A"=(pP)A., 5’ (prada) DEDE sicchè all’equazione del connesso può darsi anche la forma 1) (PP)(P'p)=(d 4+bB+cC+d'D)(A°a+B"8"+C""4D'd")=0. indichiamo rispettivamente con 3) di )= te B,C,D ) 4° ce Ch Se w )= wet 0", Fa (e ) able se Ò Pogue PAL A Ba i Pili do APR NA BED i determinati, di 4° ordine, formati con i coefficienti delle equazioni (2); per ciascuna coppia abi | ì i ( P ) ; (È) gli elementi di una linea o colonna in uno dei determinanti sono eguali (\p \p PIE | ai determinanti minori di 8° ordine, corrispondenti agli elementi della colonna o linea omologa dell'altro determinante, divisi rispettivamente per questo stesso determinante; per ciascuna cop- pia poi i( i ; ( È } ; ( 3 ( L)! si ha solamente lo scambio delle linee o colonne di uno dei de- PIEot PE terminanti nelle colonne o linee omologhe dell'altro determinante; si avrà quindi ” ZA , VE REA DE E. Dinotando al solito con (f,...2,...),0(F,...L,...) le coordinate di una retta r o R rispetto al tetraedro fondamentale , di spigoli (f,...1,...)0(F,...L,...), ed indicando an- cora con gli stessi simboli (f,...1,...), ed (F,...L,...) delle ombre, che hanno significato di quantità per le combinazioni rR—Rr di ciascuna, r o R, delle prime o delle seconde , con ciascuna, R o r, delle seconde o delle prime, se poniamo simbolicamente (Rr)=Ff+...+L24..., (rR)=fF|...+1IL+..., la dipendenza tra le rette (r°, R°) ed (r°, R°) negli spazi (s, 5°) ed (s°,S°) sarà espressa da equazioni della forma fra=(Rr)f, ... PeR), (4) E=CR)P,, A LAO LIE o dalle altre equivalenti f=(R7)05... = 70000 (4) È dfn: F=(1 R)E, ee) Indichiamo rispettivamente con 5) (A) (rate ve (dec spera fano ici pi (ssa n) 9] ” = " ’ —- , ’ , "n ’ "”" — 173 ” ’ ( r ia! / VR Risa rav i e pe 6 AR aa i determinanti, di 6° ordine, formati con i coefficienti delle equazioni (4); gli elementi di questi determinanti sono eguali ai determinanti minori di 2° ordine corrispondenti rispettivamente agli elementi dai determinanti (3) convenientemente accoppiati tra loro; per ciascuna coppia (/R R r Di i ina £ ; è , il Mies SE, fa »\g}{ gli elementi di una linea o colonna in uno dei determinanti sono e- \r v' / guali ai determinanti minori di 5° ordine, corrispondenti agli elementi della colonna o linea omo- loga dell’altro determinante, divisi rispettivamente per questo stesso determinante; per ciascuna ) Sii E RIT È . è ; coppia poi I Pr (D Ì (i : lia si ha solamente lo scambio delle linee o colonne di uno dei T / determinanti nelle colonne o linee omologhe dell’ altro determinante; si avrà quindi VO EA VO. La dipendenza espressa dalle relazioni (4) non è che un caso particolare della dipendenza fra complessi lineari, o dinami di spazio, cui dà luogo la considerazione del connesso di 1° grado rappresentato dall’ equazione (Rara Eee LITTLE...) 0 o pure (2) (Reef LL LbE (ELA) = 0 e che sarà discussa in altra occasione. Cerchiamo ora i punti p, ed i piani P’, nello spazio (s',$°), che coincidono con i punti p‘, ed i piani P', corrispondenti nello spazio (s’,$"): ponendo, per ciascuna coordinata, p o P, di un tale punto p, o di un tale piano P, p':p—=r, pp, P': PM, P': P'—IN, le equazioni per determinare le coordinate dei punti e dei piani richiesti saranno IA NEDO eno A MPA, (6) o pure i ae Ya 979; IO ARP) AGITTO ; da queste, eliminando le coordinate, si deducono le equazioni che dànno le quantità 7’, I, 7°, I°, e che indicheremo con (7) (peo s (a DI sa (peso } & nio i l'indice x o I apposto ai simboli dei determinanti (3) dinotando che gli elementi principali di quei determinanti vanno diminuiti di 7 0 Il. Analogamente, se cerchiamo le rette (r', R') nello spazio (s', S°) che coincidono con le rette (Ri) corrispondenti nello spazio (s°,S°), ponendo per ciascuna coordinata r o R di una tale retta (r,R), r:r—p,r:r—=p°, R:R—P, R:R°—P", le equazioni per determinare le coor- dinate delle rette richieste saranno NR: ENTRE, (8) o pure PPM EA PI — 10), Lea e superficie £ di 2° ordine, alla quale appartengono evidentemente i punti doppi delle figure; due superficie £ corrispondenti a due spigoli non opposti dei tetraedri (Q'’, 9") hanno di comune una retta (la retta comune alle facce corrispondenti dei tetraedri, alle quali appartengono i due spigoli che si considerano), ed una linea gobba di 3° ordine X, che ha due punti comuni con quella retta; tre superficie X corrispondenti a tre spigoli dei tetraedri (Q’, 0°) che appartengono ad una delle loro facce, hanno di comune una retta (la retta comune alle facce corrispondenti dei te- traedri, alle quali appartengono i tre spigoli che si considerano), e quattro punti , che sono i punti doppi richiesti. Similmente i punti corrispondenti (p’, p') appartenenti a spigoli corrispon- denti (£,£"),...(1,1°),... dei tetraedri (q,q') formano due serie semplici omografiche di punti, e con le loro rette comuni costituiscono in generale una superficie o di 2° classe , alla quale appartengono evidentemeute i piani doppi delle figure; due superficie o corrispondenti a due spigoli non opposti dei tetraedri (q,q'), hanno di comune una retta (la retta comune ai ver- tici corrispondenti dei tetraedri, ai quali appartengono i due spigoli che si considerano), ed una sviluppabile di 3* classe y, che ha due piani comuni con quella retta; tre superficie o corrispon- denti a tre spigoli dei tetraedri (q,q') che appartengono ad uno de’ loro vertici, hanno di co- mune una retta (la retta comune ai vertici corrispondenti dei tetraedri , ai quali appartengono i tre spigoli che si considerano), e quattro piani, che sono i piani doppi richiesti. Sia (q,@) il tetraedro che ha per vertici, e per facce opposte i punti doppi (a,b, c,d) ed i piani doppi (A,B,C,D) delle figure. Allorchè si conosce uno dei punti doppi, supponiamo d, si può costruire linearmente il piano doppio D; infatti i punti corrispondenti (p’, p') di due rette corrispondenti (1°, r°) appartenenti a d, costituiscono due serie semplici omografiche di punti, nelle quali le rette pp hanno di comune uno stesso punto p appartenente a D; con tre coppie adunque di queste rette corrispondenti (1°, r°) si determineranno tre dei punti p, e quindi i piano D. Similmente allorchè si conosce uno dei piani doppi, supponiamo D, si può costruire linearmente il punto doppio d; infatti i piani corrispondenti (P', P") di due rette corrispondenti (R,R°) appartenenti a D, costituiscono due serie semplici omografiche di piani , nelle quali le rette PP" hanno di comune uno stesso piano P appartenente a d; con tre coppie adunque di queste rette corrispondenti (R', B') si determineranno tre dei piani P, e quindi il punto d. Se- zue evidentemente da ciò come, conoscendo due punti, o due piani, doppi delle figure, si co- struisce linearmente la retta alla quale appartengono gli altri due punti, o due piani, doppi. Supposto conosciuto il piano doppio D, per costruire i punti doppi (a,b, c) appartenenti a D, si osservi che in D le rette corrispondenti (R', R') appartenenti a due punti corrispondenti . (pp) formano due serie semplici omografiche di rette, e con i loro punti comuni R'R' costi- tuiscono una linea di 2° ordine £, alla quale appartengono evidentemente i punti doppi (a,b, c); due di queste linee (£,, 2,) corrispondenti alle coppie di punti (p;,p,), (p;, p; ) hanno di co- mune il punto comune alle rette (p; p, , p, p; ), ed i punti doppi richiesti. Volendo le rette dop- pie (DL. M.,N) appartenenti a D, si osservi che in D i punti corrispondenti (p'’, p) appartenenti a due rette corrispondenti (R’, R°) formano due serie semplici omografiche di punti, e con le loro rette comuni P'P' costituiscono una linea di 2* classe 7, alla quale appartengono evidentemente le rette doppie (L, M, N); due di queste linee (0,, c;) corrispondenti. alle coppie di rette (R.,B,), (R;,R;) hanno di comune la retta comune ai punti (R/R;, R/R;) e le tre rette doppie richieste. Conosciuta una delle rette doppie, supponiamo L, se le coppie di punti (p;, p, ), (p,,p,;) appartengono ad L, ciascuna delle linee (£,,;) si ridurrà ad L e ad un’altra retta (R.,R,), ed il punto RR; sarà il punto doppio a; costruita quindi una delle linee di 2* classe c, le rette di 7 appartenenti ad a saranno le altre due rette doppie M ed N. Similmente conosciuto uno dei punti doppi, supponiamo a, se le coppie di rette (R/,R/),(R;,R;) appartengono ad a, cia- scuna delle linee (2,,0;) si ridurrà ad a, e ad un altro punto (p;, p;), e la retta p, p; sarà la retta doppia L; costruita quindi una delle linee di 2° ordine 2, i punti di £ appartenenti ad L saranno gli altri due punti doppi b e c. ì Analogamente, supposto conosciuto il punto doppio d, per costruire i piani doppi (A,B,() » — (| — | appartenenti a d, si osservi che in d le rette corrispondenti (1°, r°) appartenenti a due piani cor- rispondenti (P', P‘) formano due serie semplici omografiche di rette, e con i loro piani comuni rr costituiscono un cono di 2* classe 9, al quale appartengono evidentemente i piani doppi (A,B, ©); due di questi coni (7,, 7;) corrispondenti alle coppie di piani (P;, P;), (P;, P;') hanno di comune il piano comune alle rette (P:P;,P,P;), edi piani doppi richiesti. Volendo le rette doppie (1, m, n) appartenenti a d, si osservi che in d i piani corrispondenti (P’, P") appartenenti a due rette corrispondenti (r°,r°) formano due serie semplici omografiche di piani, e con le loro rette comuni P'P’ costituiscono un cono di 2° ordine £, al quale appartengono evidentemente le rette doppie (1, m,n); due di questi coni (£,, 2,) corrispondenti alle coppie di rette (r/,r/), (PE) hanno di comune la retta comune ai piani (r;r;,r,r,),ele tre rette doppie richieste. Cono- sciuta una delle rette doppie, supponiamo 1, se le coppie di piani (P,, P,°), (P;, P;°) appartengono ad ], ciascuno dei coni (5;,0;) si ridurrà ad 1, e ad un’altra retta (r,, r;), ed il piano r,r; sarà il piano doppio A; costruito quindi uno dei coni di 2° ordine 2, le rette di X appartenenti ad A saranno le altre due rette doppie m ed n. Similmente conosciuto uno dei piani doppi, supponia- mo A, se le coppie di rette (r;,r;), (r;,r;) appartengono ad A, ciascuno dei coni (2, ,) si ri- durrà ad A, e ad un altro piano (P., P;), e la retta P;P, sarà la retta doppia 1; costruito quindi uno dei coni di 2° classe c, i piani di o appartenenti ad 1 saranno gli altri due piani doppi B e C. 2. COMPLESSO DI RETTE APPARTENENTE AL CONNESSO. — Riferiamo il connesso al tetraedro (q,2) degli elementi doppi. Indicando con («, 8, y, 3) delle costanti (assoggettate, come è lecito suppor- re, alla condizione «89 =1) all’equazione del connesso potrà darsi l'una o l’altra delle forme aa A" +-BbVB'+yeC 4 ddD'=0, a) a' A' A db B c' (È di Di RE RI Ì e la dipendenza omografica tra i punti (p’, p"), i piani (P, P°), e le rette (r,r°),0(R,R°), cor- rispondenti del connesso sarà espressa dalle equazioni ada db =B, =, dii —0 Ardi—a0, pb =, CIO =%; DDD, fs feb. RAZZI BARE Pose ta Da = Ai diversi casi di eguaglianza tra le costanti (, 8, x, 3) corrispondono i casi speciali dell’omo- grafia. Consideriamo le rette r ed R comuni alle coppie (p, p"), e (P, P') di punti, e di piani, cor- rispondenti; ogni retta r è anche una retta R, e viceversa; infatti se (p_,, P_))è (p,; P,°) sono i punti ed i piani corrispondenti rispettivamente a (p'’, P)) e (p°, P') passando dalla seconda figura alla prima, e dalla prima alla seconda, la retta p p°, o P'P', comune ai punti (p, p), 0 ai piani (P,P°), corrispondenti, sarà anche la retta comune ai piani (p_,pp,ppp,), 0 ai punti (P_,P'P",P'P"P,) corrispondenti. Le rette (r, R) sono le rette che in ciascuna delle due figure si appoggiano alle rette corrispondenti nell'altra figura. Per costruire le rette (r, R) appartenenti insieme ad un punto e ad un piano, consideriamo due punti corrispondenti (p', p') appartenenti al piani corrispondenti (P', P"); le rette corrispondenti (r°, R'), ed (r°,R') appartenenti insieme ai punti e piani (p, P') e (p’, P) determinano con la retta P'P", o con la retta pp’, serie sem- plici omografiche di punti, o di piani; ai due punti, 0 ai due piani, doppi di queste serie appar- tengono le rette richieste (r, R) appartenenti a (p',P) ed a (p’, P°). Segue da ciò che le rette (r, R) costituiscono un complesso (@, 6) di 2° ordine e di 2° classe *). ‘)Reye — Geometrie der Lage. LE IRUEI Le coordinate (f,...2,...),0(F,...Z,...)di una retta r o R saranno espresse dalle formole » | AL. STA dg ” di Il , UA ià 1 1 rase (1-B)=Vc e e =dd Gant (3), (8) F=FC(f-1)=B C(-—3) L=4"D(a—0)=4D(}—- vj " E selielet» E AR MONCIA] e quando esse sì riferiscono ad una stessa retta (r, R), posto per compendio arr = NATIA] sl troverà ep — = nni , Li AMT) pr I 1 Tate Fara bd c d' nofy1,8|=a dò C d RESO ovvero ii riesi " 1) 7 ” n , il 1 1 Lai 186 (GIO, a,B,Y;0 T— A'B CD ZO 3° sl 3 3 Il complesso di 2° grado (0, 6) costituito dalle rette (r, R) è rappresentato da una qualunque delle equazioni io e iii ii it RE prio a A (B—n)(e—-d) (17—-2)(6—-0d) (ad)? (6-M(e—-d) (1—-2)(E6—d) (e—-8)(—-0)” avuto riguardo alle identità fl+gm+hn=0, FL+GM+HN=0, (P_y)(e—0) +=) e _O Osservando che quando un punto p(a,0,c,d) appartiene alla retta R, o pure un piano P(A, B, C, D) appartiene alla retta r, si ha *) Hb—Gc+Ld4 =0, opure AB—g9C |-D =0, Fe -Ha4M4A=0, fC —hA +-mD=0, Ga—-Fb+Nd=0, gA—fB +nD =0, La +-Mb4- Ne =0, TA +-mB+-nC =0, si vedrà che i rapporti anarmonici fondamentali nel gruppo dei quattro punti, o dei quattro piani, che la retta R o r ha di comune con le facce (A,B,C,D), o con i vertici (a,b, c,d), del te- traedro fondamentale (Q, q), cioè i rapporti anarmonici dei quattro punti, o dei quattro piani R(B,CG;A,D), R(C,A4;B,D), R(A,B;C,D); r(b,c;a;d) r(cva; bd) e(a4b;e, 0), sono espressi da —hn:gm, —flihn, —gm:fl; T— HN:GM, —FL:HN, —GM:FL, quindi se le rette (r, R) appartengono al complesso (4) quei rapporti anarmonici saranno co- stanti, ed eguali rispettivamente a *) Memoria 2° sulla Geometria proiettiva. lar Ma Adunque il complesso (4) può considerarsi come costituito dalle rette (r,R) che determinano con i vertici, o le facce, di un tetraedro (q, Q) (in un certo ordine) un dato rapporto anarmonico (rapporto anarmonico del complesso). Sono rette del complesso (4) evidentemente tutte le rette che appartengono ad uno qua- lunque dei vertici, o ad una qualunque delle facce del tetraedro (q, Q). Le rette r del com- plesso appartenenti ad un punto p costituiscono un cono di 2° ordine 2, al quale appartengono le rette p(a,b,c,d), ele rette p(p_,, p,); se il punto p appartiene ad una delle facce del te- traedro Q, supponiamo D, il cono 2 si ridurrà a D, e ad un altro piano P appartenente alla retta pd, e la retta PD si costruirà facilmente osservando che i tre punti PD(A,B, C) ed il punto p sono nel rapporto anarmonico del complesso; la dipendenza tra il punto p e la retta PD è tale che se il punto p appartiene ad una retta R di D, la retta PD apparterrà ad una linea di 2° classe, alla quale appartengono R e le rette D(A,B,C). Similmente le rette R del complesso appartenenti ad un piano P costituiscono una linea di 2° classe c, alla quale appartengono le rette P(A, B,G,D), e le rette P(P_,,P,): se il piano P appartiene ad uno dei vertici del tetraedro q supponiamo d, la linea o si ridurrà a d, e ad un altro punto p appartenente alla retta PD, e la retta pd si costruirà facilmente osservando che i tre piani pd (a, b, c) ed il piano P sono nel rap- porto anarmonico del complesso ; la dipendenza tra il piano P e la retta pd è tale che se il piano P appartiene ad una retta r di d, la retta pd apparterrà ad un cono di 2° ordine, al quale ap- partengono r e le rette d(a,b,c). Segue dalle cose dette che la superficie delle singolarità del complesso è costituita (come locale dei suoi punti, o dei suoi piani) dai quattro piani (ABCD), e dai quattro punti (abcd). Il cono X del complesso, corrispondente al punto p,, sarà rappresentato da una qualunque delle equazioni (3,c—c,b)(a,d—d,a) _(cca—a,c)(6,d—d,b) (ab—b,a)(cd—d,c) 0) Cola PIENA | o pure da © (B—-7)(a—d)(4,d,5c4-b;c,ad)4-(71—-2)(B—d)(8,d,ca+ c,a,6d) +(«—£)(7_0)(c,d,ab+-a,b;cd)=0, e la linea c; del complesso, corrispondente al piano P,, sarà rappresentata da una qualunque delle equazioni 6) (B,C—C,B)(A;D—D,A) na (CA—A;C)(B,D—D,B) su (A,B—B,A)(CD—D,C) (E=a)(e-0) (y__@)(B_d) (@=P)%) o pure da o (B—y)(a—0d)(4,D,BC{-B,CAD){(y—@)(8£—0)(8,;D,CA-+ C,A,BD) +(«—8)(7-8)(C.D,AB+4,8,D)=0. Se appartiene il punto p, ad una delle facce (A,B,C,D), o il piano P; ad uno dei vertici (a,b,c,d), del tetraedro (Q, q), 2,0 0, si ridurrà a quella faccia, o a quel vertice, insieme al piano, o al punto, rappresentato da una delle equazioni (1-9 T+ NALE NAT, EG T+ N T+ 90, (8) i (e E+ NT N70, (E-NETMT+ MG): ATTI — Vol. VIL-N.° 5. ro sil A-IEATT+-NADE +e MAN T+ENETITT O AATIZ0 (8) i (ENT +@- (TT NAZ (E-NC-MT+ 1A Ciascuna di queste equazioni rappresenta, in uno dei piani (A, B, G, D), 0 dei punti (a, b, c, d), una retta singolare del complesso (®, 0). Siano (2, 2°) i coni del complesso @ relativi ai punti corrispondenti (p', p'); essi hanno di comune la retta p p', ed una linea gobba X di 8° ordine, luogo quindi dei punti comuni alle rette corrispondenti (r',r°) che appartengono a (pp); a X appartengono i vertici (a,b, c,d) del tetraedro q, ed i punti (p, p'). I punti che x ha di comune con un piano P sono i tre punti doppi delle figure omografiche costituite in P dai punti P(r',r°). Segue da ciò che i punti corrispon- denti (p’, p) del connesso, per i quali le rette p p' appartengono ad un punto p, costituiscono due linee gobbe di 3° ordine (X, X°), che sono le linee gobbe comuni a (2 _,,X) ed a (2,2), es- sendo X il cono del complesso @, relativo al punto p, e (2 _,,£,) i coni corrispondenti rispettiva- mente a X, nel passare dalla seconda figura alla prima, e dalla prima alla seconda. Similmente, siano (7,0) le linee del complesso 6, relative ai piani corrispondenti (P‘, P"); esse hanno di co- mune la retta P'P", ed una sviluppabile y di 3° classe, inviluppo quindi dei piani comuni alle rette corrispondenti (R,R°) che appartengono a (P,P"); a y appartengono le facce (A,B,C,D) del tetraedro Q, ed i piani (P, P°). I piani che y ha di comune con un punto p sono i tre piani doppi delle figure omografiche costituite in p dai piani p(R, R'°). Segue da ciò che i piani corrispondenti (P', P") del connesso, per i quali le rette P'P" appartengono ad un piano P, costi- tuiscono due sviluppabili di 3° classe (y, 7°), che sono le sviluppabili comuni a (9_,, 0) ed a (7, 0,), essendo o la linea del complesso 6, relativa al piano P, e (c_,,0,) le linee corrispondenti rispetti. vamente a o, nel passare dalla seconda figura alla prima, e dalla prima alla seconda. Per le relazioni (3) e (5) le linee gobbe (X,X") o le sviluppabili (x,x°), saranno rappresen- tate da due qualunque delle equazioni a_n, (1) ea 3) 5+(1-3)5>®. (9) (1-94 =0, (3-7)5-(4-7) Sal a Cc 7y (9) si MEIN, tu AED (e io i @Ni+ ate ni=0 (7) + gni ;=0, (Ge e+G 3) = MTA | aa lara LD i D 0) 917 —(5- 7 2)E+( > ue? i) 0, (a pà (7 YE+G <“) Ti , D) (0) (9) EG entro Coal wT MGEZZAA au) G=0 (i -NGt0- at (e OG= 0. zanici RR Essendo (1°, R) ed (r°, R') due rette corrispondenti, alle quali appartengono le coppie (PP) e (PP) di punti, e di piani corrispondenti, per ottenere le rette pp‘, o P'P”, che si appog- giano ad una retta data (r, R), si osserverà che i piani R(p,p'); o i punti r(P', P'), costitui- scono due serie semplici omografiche; ai due piani doppi, o ai due punti doppi, di queste serie, apparterranno evidentemente le rette richieste. Segue da ciò che i punti, 0 i piani, corrispon- denti (p, p), 0 (P,P'), del connesso, per i quali la retta pp‘, o P'P‘, si appoggia ad una retta (r, R) costituiscono due superficie corrispondenti (9, "), 0 (9,9), di 2° ordine, 0 di 2* classe. Appartengono alle superficie ® i punti (a, b, c, d), ed alle superficie 9 i piani (A, B, C, D). Indi- cando al solito con (/,.../,...), e con (F,...L,...)le coordinate della retta (r,R), per le formole (3), e per la condizione affinchè due rette si appoggino tra loro , si troverà che le sud- dette superficie di 2° ordine, o di 2° classe, sono rappresentate dalle equazioni ll Nea (B_y)lb'c't...4-(a—0d)fa' d'4...=0, È sn. 0 ce" AG CO, (2-3) Lhose: VR 5) FAD'H:..=0,% \(6—y)LB"C"4.. (a d)FAD'K...= Le rette pp‘, o P'P" che si appoggiano alla retta (r, R) appartengono ad una superficie (0, w), considerata come costituita dalle sue rette tangenti; questa superficie è nello stesso tem- po *) l’inviluppo dei coni X del complesso @, relativi ai punti p appartenenti ad r, ed il luogo delle linee o del complesso 0, relative ai piani P appartenenti ad R. Essendo (p,, p,) due punti arbitrarii di r, e (P,, P,) due piani arbitrarii di R, se si pone n= (6_y)(e—-0)(a,d dtd, 04) +..., 3 =(8—7)(«—d)(a,d,6c-b,,0d)+-... 22o=(B_7)(«—0d)[(4,4,4-d,4,)6c4-(0,6,4-c, 89) ad]+-... 0] cn=(f—y)(a—d)(A,D,.BC{+-B,CAD)t..., co =(8—7y)(x—0)(A,D,BC+B,C,AD)+... 2og=(f—7)(x—0d)[(A:D,4+D,4,) BCH(8, C,4- CB.) AD]+-... si troverà per equazione di £, 0 di w, Rigi | cata Zoo 3 =0, 0 TI, — og =0. La superficie (9,6) è di 4° ordine e di 4* classe, che ha per retta doppia (r, R); ad Q ap- partengono i quattro punti (a,b,c,d), e quattro altri punti (a,, b,, 6,,d,); i quali formano in- sieme i punti comuni a tutte le (2,,,2,,, 2,,) relative a punti (p,, p,) di r; e ad w appartengono i quattro piani (A,B,C,D), e quattro altri piani (A,,B,,G,,D,), i quali formano insieme i piani comuni a tutte le (9,13 7337) relative a piani (P,, P,) di R. I suddetti punti (p, p,), € piani (P.P,), sono ì vertici e le facce di due tetraedri (q, 0), (q,,0,), nello stesso tempo inscritti e circoscritti l’uno all’altro, vale a dire ai piani, o ai punti, (A,A,), (B,B.), (G,G,), (D,D.); (2,2), (b,b,), (c,c,), (d,d,). appartengono rispettivamente i gruppi di quattro punti (a, bcd,ab,c,d,); (b,cad,bc,a,d,); (ccabd,ca,b,d,); (d,abc,da,b,c,), o i gruppi di quattro piani (A,BCD,AB,C,D,); (B,CAD,BC,A,D,); (CABD,CA,B,D,): (D,ABG,DA,B,C,). ‘) Mem. intorno ai sistemi di rette di 2° grado. Atti dell’ Accad. Vol. III, 1866. MES IS Le coppie dei punti(p,p,), 0 dei piani (P, P,), sono quelle cui si riducono le linee di 22 classe o relative ai piani R(a,b,c,d), oi coni di 2° ordine X relativi ai punti r(A,B,C,D). Le equazioni che determinano i quattro punti p,, 0 i quattro piani P,, sono, per le relazioni (5) ed (8), rispettivamente (AAT =, EG) E TN AIT=, (12) (ENT (ME (MEO, (E— (9) T + A(_E=0, IATA TEA, (ITEM ATE AA, (12) 4 ) a (NNT (TEAM 0, (Ne ME+ 9) +99) 0. 3. FIGURE OMOGRAFICHE CONSECUTIVE. INVOLUZIONI DEI DIVERSI ORDINI. — Siano nelle due figure omografiche , cui dà luogo il connesso, i punti (p,, p,, --- p;), i piani (P,, P,,...P.), e le rette (r,;F,, ...-F,)),0 (R,,R,,...R.), corrispondenti rispettivamentè ai punti (p,; P,;--- P._); ai piani (P.,P,)---P._), ed alle rette (r,,r,,...r,_))0R;R-.. Ri), passando dalla prima figura alla se- conda, e similmente siano i punti (p_,, p_,;---P_;), 1 piani (P_,, P_,,...P_),, elerette (r_,,r_,,...r_;),0 (R_,,R_,,...R_,), corrispondenti rispettivamente ai punti (p,; P_,;---P_,.,); ai piani (P,, P_,,..-P_..)} ed alle rette (r,,r_,,...r_,,))0(R,R_1,-..R_.,); passando dalla seconda figura alla pri- ma; due qualunque di questi punti (p one di questi piani (P,,P,), e di queste rette (239), o (R,,R,), si potranno considerare come punti, piani, e rette corrispondenti in due figure omografiche (in un connesso di 1° grado); le coppie (p,, p;), (PP); (r,,F,)0(R,, R)), 0 pure (p,; P_;), (P.; P_); (1, 1_) 0 (R,, R_,) si diranno appartenenti a due figure omografiche conse- cutive d'ordine è, o pure ;—; le coppie (p,;p,), (P.;P.), (Fu,F)0 (RR) apparterranno quindi a due figure omografiche consecutive d'ordine v — p.. Essendo la dipendenza fra i punti, i piani, e le rette corrispondenti nelle due figure omo- grafiche proposte espressa dalle equazioni Cf 6 DE PSICO = e dal dp (1) AsAj=a,0 Bi Be=p, CE 0DID==B0 ferie = Piset=shigell ooo Led {avendo preso per tetraedro fondamentale quello (q,Q) degli elementi doppi delle figure], si avrà, qualunque sia il segno di 2, 3 re È AE VOI An I MM RASO AT NO A RUE Me % "0 _ AN } dà N Ì IN 4 = ABCO DE SG e ATI] . Ta pio + oe fi == IE, Fje F;=Piy4, 40004 ea. e I n Wi re Sia 2» e SS Dn Si suppongano i rapporti «:8:y:d diversi dall'unità; non potranno coincidere p, con p,, P, con P,, r,0 R, con r, 0 R,, se non quando coincidono p,, P,, r, 0 R, rispettivamente con uno dei vertici, con una delle facce, e con uno degli spigoli del tetraedro fondamentale; adunque due figure omografiche consecutive d'ordine qualunque hanno sempre in generale gli stessi ele- menti doppi. Considerando i piani p, (F, ...L,...), 0 punti P,(f,...1,...), si vedrà facilmente per lalifonniole (2) che in planiip.(B prio p090) pay) punti Pi(£,4. 1,1 ..), P_(f,...1,...), peré=co coincideranno con le facce, o con i vertici del tetraedro fondamen- tale, e quindi i punti (p,, p_;), 0 i piani (P,,P_,), si avvicineranno al crescere di è a due vertici, o a due facce di quel tetraedro; adunque nelle figure omografiche consecutive due elementi doppi reali (due punti, due piani, due rette) sono limiti ai quali si avvicinano rispettivamente i punti, i piani, le rette che corrispondono consecutivamente ad un punto, ad un piano, ad una retta qualunque, crescendo positivamente e negativamente l'indice che dinota l'ordine di quegli ele- menti corrispondenti. Chiamiamo elementi coniugati rispetto ad un tetraedro due punti (p, , p,) , due piani (P,., P,) e due rette (r,,r,) o (R.,R,), quando tra le loro coordinate, rispetto a quel tetraedro, preso per tetraedro fondamentale, si hanno le relazioni a,a=b,by=ec,0,=d,dy, AyAy=B,By=C,C=D,D,y, fi fi=...=lLb=.. Se FF=...=LiLy=. TUA allora, per le formole (2), se i punti (p,, p_;); i piani (P,, P_;), e lerette (r,,r_.) 0 (R,, R_,) sono elementi coniugati rispetto al tetraedro degli elementi doppi del connesso, anche i loro elementi corrispondenti consecutivi, di ordini eguali e di segni contrari (p,, p_;), (P,,P_.), (r,,r_,)0 (R., R_,) saranno elementi coniugati rispetto allo stesso tetraedro. Per due elementi consecutivi (p,, p_;), (P,,P_)), (r,,r_)0(R,,R_) di uno stesso elemento Po: Pa 108; Si hanno le relazioni a 2 CELNTORZ = == 2 CEE MN MEO 0 A al (3) AA, A° 3 BB = Bi GC CDD, =D, EI E AR DIRI RI De VI AIA dalle quali si deduce facilmente che i piani armonici di p,(F,...L,...) rispetto alle coppie di piani F (p;, p_)) ;-.- L(p., p_;),... sono anche i piani armonici di p, (F,... L,...) rispetto alle cop- pie di piani (B,C),...(A,D),...,e chei punti armonici di P,(f,...1,...) rispetto alle coppie di punti f(P,, P_.),...1(P,,P_),...sono anche i punti armonici di P,(f,...1,...) ris- petto alle coppie di punti (b,c),...(a,d)...: per la proprietà analoga relativa alle rette (r,,r,,r_) 0 (RR, R_) si considereranno i punti (p,, p;; p_;) , 0 i piani (P, , P,, P_,), che esse hanno di comune con ciascuna faccia , o con ciascun vertice del tetraedro (q,0Q). Supponiamo che per un valore % di è si abbia una delle relazioni *) (4) Pr, pd, dp, Sd, pa, =, ( sicchè le figure omografiche consecutive d’ ordine £ siano in prospettiva di 1° specie ), onde 2x k B:y=e tig. de SUOR LIO ‘) Mem. sulle involuzioni dei diversi ordini. Atti dell’ Accad. Vol. I, 1863; e Vol. II, 1865. ita (e base neperiana , 7 rapporto della circonferenza al diametro , x numero intero qualunque) ; al- lora uno dei piani p,(F,...L,...) coinciderà con uno dei piani p,(F,...L,...), ed uno dei punti P,(f,...1,...) coinciderà con uno dei punti P,(f,...1,...); si diranno in tal caso le figure omografiche in involuzione parziale d’ ordine &, relativa ai piani che appartengono ad uno spigolo del tetraedro Q , ed ai punti che appartengono ad uno spigolo del tetraedro q [ spi- golo opposto al primo in (0, q)], e quindi relativa alle rette che appartengono insieme ad un ver- tice e ad una faccia di quel tetraedro (in ciascuna supposizione per due di quei vertici e di quelle facce). Se poi si verifica una delle coppie di relazioni 5) s—_y , =; pa, BP; AZIO pd R (sicchè le figure omografiche consecutive d’ ordine % siano in prospettiva di 2* specie) , l’involu- zione parziale d’ ordine & sarà relativa ai piani ed ai punti che appartengono a due spigoli oppo- sti del tetraedro (Q,q), e quindi relativa alle rette appartenenti insieme ad un vertice e ad una faccia di quel tetraedro (in ciascuna supposizione per tutti e quattro quei vertici, e per tutte e quattro quelle facce). Supponiamo in secondo luogo che per l’ indicato valore & di è si abbia una delle relazioni (6) Bi year, a=—p*, a_i, p—d, ed onde (2x-1-1)7 Van (2x+1)r V=i k k briNZ==€ E RARO 3 PAS allora una delle coppie di piani F(p,,p,);---L(p,;P.);-.. sarà armonica rispetto ad una delle coppie di piani (B,C),...(A,D),...,ed una delle coppie di punti f(P,,P,),... 1(P,,P.),... sarà armonica rispetto ad una delle coppie di punti (b,c),...(a,d)...;si diranno in tal caso le figure omografiche in involuzione parziale d’ ordine 2%, involuzione di piani rispetto ad uno spigolo del tetraedro Q , ed involuzione di punti rispetto ad uno spigolo del tetraedro q [spigolo opposto al primo in (0, q)]; come conseguenza si avrà l’ involuzione delle rette che appartengono insieme ad un vertice e ad una faccia di (q,Q), (in ciascuna supposi- zione per due di quei vertici, e per due di quelle facce). Se poi si verifica una delle coppie di relazioni (7) = — ia — SANT A Lio l involuzione parziale d'ordine 2% sarà involuzione di piani e di punti rispetto a due spigoli op- posti del tetraedro (0, q); come conseguenza si avrà l involuzione delle rette che appartengono imsieme ad un vertice e ad una faccia di (q,Q), (in ciascuna supposizione per tutti e quattro quei vertici, e per tutte e quattro quelle facce). Sia ora soddisfatto uno dei sistemi di equazioni ) k k (8) B=7 IRON sir d* . cid 3 a Bi —9” a (sicchè le figure omografiche consecutive d’ordine & siano in prospettiva di 3° specie); coinciderà il punto p, col punto p,, ed il piano P, col piano P,, quando appartiene quel punto ad una delle facce, e quel piano ad uno dei vertici del tetraedro (Q,q), ed una delle rette p,(a,b,c,d), e P.(A,B,C,D) coinciderà con una delle rette p,(a,b,c,d), e P,(A,B,G,D); si diranno in tal caso le figure omografiche in involuzione parziale d’ ordine k, relativa ai punti, e quindi alle rette, che appartengono ad una faccia del tetraedro Q, e relativa ai piani, e quindi alle ret- te, che appartengono ad un vertice del tetraedro q [ vertice opposto a quella faccia in (q,Q)]. Si vedrà facilmente la natura dell’ involuzione allorchè si verificano insieme due delle rela- zioni (6), o pure una delle relazioni (4) compatibilmente con una delle relazioni (6). TI = ia Supponiamo ancora che sia soddisfatto uno dei sistemi di equazioni (9) Pup sont, stag —® sicchè si abbia un’ involuzione parziale d'ordine %, di punti e di piani, rispetto a due spigoli opposti del tetraedro (q,Q), ed inoltre si abbiano altre involuzioni parziali d'ordine 2k, di punti e di piani, rispetto agli altri spigoli opposti dello stesso tetraedro ; in tal caso i punti (P,; P,) saranno armonici rispetto ai due punti che la retta p,p, ha di comune con quei primi due spigoli del tetraedro q, ed i piani (P,, P,) saranno armonici rispetto ai due piani che la retta P,P, ha di comune con quei primi due spigoli del tetraedro Q.-Se poi sia soddisfatto uno dei sistemi di equazioni (10) sicchè si abbia un’ involuzione parziale d’ ordine &, di punti rispetto ad una faccia del tetraedro Q, e di piani rispetto al vertice opposto del tetraedro q, ed inoltre si abbiano involuzioni par- ziali d’ ordine 2%, di piani rispetto agli spigoli di Q appartenenti a quella faccia , e di punti ris- petto agli spigoli di q appartenenti a quel vertice , in tal caso i punti (p, , p,) saranno armonici rispetto alla coppia costituita da quel vertice di q insieme al punto che la retta p,p, ha di comune con la faccia opposta di Q, ed i piani (P,, P,) saranno armonici rispetto alla coppia costituita da quella faccia di Q insieme al piano che la retta P,P, ha di comune col vertice opposto di q. Finalmente se si suppone (11) GONG, (sicchè le figure omografiche consecutive d'ordine % siano tra loro coincidenti ) si avrà per le fi- gure omografiche proposte l involuzione totale d’ ordine K. Risulta dalle formole precedenti che , se le figure omografiche proposte sono reali, per le involuzioni di ordine superiore al secondo , nelle supposizioni (4) e (6) due punti doppi, e due piani doppi delle figure sono immaginari, e nelle supposizioni (8) due punti doppi, e due piani doppi sono immaginari, e gli altri due punti doppi, e due piani doppi sono reali: nelle suppo- sizioni poi (9), (7), (9), (10), (11) iquattro punti doppi ed i quattro piani doppi sono immaginari. I punti doppi, ed i piani doppi immaginari, per ciascuna involuzione (d’ordine X>2) possono essere diversi (appartenendo sempre alle due rette doppie reali delle figure) per l’indeterminazione del numero x. È chiaro inoltre che se k=k,k,-..k,, le involuzioni relative al numero % com- prenderanno quelle relative ai numeri %,,,,...&,. Nelle involuzioni parziali, di ordine 4>2, di punti, o di piani, appartenenti ad una retta doppia, o pure di rette appartenenti insieme ad un punto doppio, e ad un piano doppio , tre punti, o tre piani, consecutivi (p,_,,P;, P,.1); 0 (P._., P;, P..) ©) determineranno con ciascuno dei due punti doppi, o dei due piani doppi, appar- tenenti a quella retta doppia, o pure tre rette consecutive (r,_,,r,,r,,), 0 (R,_; Ri, R.,, deter- mineranno con ciascuna delle due rette doppie appartenenti insieme a quel punto doppio , ed a quel piano doppio, un rapporto anarmonico eguale ad una radice immaginaria &”° dell’unità po- sitiva, o negativa, secondo che l’ ordine % dell’ involuzione è pari, o dispari. Cerchiamo ora la linea X, la sviluppabile y, e la superficie (Y, 4), alle quali appartengono rispettivamente i punti p,, i piani P,, e le rette (r;,R,) che corrispondono consecutivamente ad un punto p,, ad un piano P,, e ad una retta (r,, R,) nel caso più generale dell’ omografia. Es- sendo per le formole (2) i+) ia, --=f, —=7, a 4 db, (+) d, Ao ; B (63 ; D , so — gi og sai gi e = A x ) B 8 ) (Gi vi . D , *) Mem. cit. sulle involuzioni dei diversi ordini. ses ge se sì elimina ? dal primo o dal secondo sistema di queste equazioni , si troverà dii (e Jc ini (È A log von log B, D Atari. fort c a d C, A, DI DEE log « lo ma RA log È 2) . > TRO d, ia, V5î D, (1 ra CE fra ACE e \erai, A, B, Go e due qualunque delle equazioni, nel primo, o nel secondo di questi sistemi, determineranno la linea X, o la sviluppabile x. Alla linea X, o alla sviluppabile y, appartengono quei punti, o quei piani doppi, che sono i limiti ai quali si avvicinano i punti p,, 0 i piani P;, al crescere positiva- mente e negativamente , dell’ indice ‘. In ciascuna delle equazioni (12) la somma degli esponenti è nulla, e quando suoi espo- nenti sono numeri razionali, X, e y saranno algebriche. Se alcuna delle quantità (a, 8, 1,3) è negativa, prendendo sempre i logaritmi dei valori assoluti dei rapporti fra quelle quantità, i punti p,, 0 ì piani P,, per è pari apparterranno ancora a X, 0 a y, e per è dispari apparterranno invece alla linea, o alla sviluppabile, di cui le equazioni si deducono da (12) cambiando il segno (7) | R ne: sl EA LE) ad una delle coppie di quantità fo , pa 3: (a 5) 5 Risulta dalla forma delle equazioni (12), che se si prende un punto, o un piano, qualunque appartenente alla linea X, o alla sviluppabile x, che corrisponde al punto p,, o al piano P,, ì suoi punti, o i suoi piani, consecutivi apparterranno anche a X, o a y. Segue da ciò che se P, è il piano di osculazione di X in p,, 0 p è il punto di osculazione di y in P,, la linea X, e la sviluppabile x costituiranno uno stesso sistema (X,) di punti e di piani. È notevole il caso in cui sia soddisfatta una delle relazioni Bi=@&\Br=%0a= ade a — a 0 allora si ha rispettivamente per una delle equazioni di X, o di y, be tt af LO ia BO BC DE b5€0 ni a} 4 bat” ari ji BI CH AG i Bj Cio Do i (18 ca db? ca d? CA B? CA D° dd) » = => — *® —— ————= = ———== CIA DE ‘dea DI CA Bi nOi DES \abi sie abwi ig U ABC: ABD: abi FUMoH @ Lab ae AB dimo | A anodzi sicchè apparterrà in tal caso la linea X ad un cono di 2° ordine, e la sviluppabile y ad una linea di 2* classe; da ciò si deducono subito le condizioni affinchè appartenga X a due coni di 2° ordi- ne, e x a due linee di 2° classe. Supponendo soddisfatto uno dei sistemi di equazioni &=a, fy=®; 104=@) qa=d; ag=f, =, onde a =+d, f=+d,y==8. la linea X si ridurrà a due linee di 2° ordine (con i loro piani appartenenti dl una delle rette AD, BD, CD, ed armonici rispetto ad una delle coppie di piani — 17 —- (A, D), (B, D), (GC, D)], ad una delle quali linee apparterranno i punti p, per ? pari, ed all’altra i punti p, per ? dispari; se si prenderanno nelle condizioni precedenti i segni inferiori; e simil- mente la sviluppabile y si ridurrà ad uno fra due coni di 2° classe [con i loro vertici appartenenti ad una delle rette ad,bd,cd ed armonici rispetto ad una delle coppie di punti (a, d), (b, d), (c, d)], ad uno dei quali coni apparterranno i piani P, per ? pari, ed all’altro i piani P, per è di- spari, se si prenderanno nelle condizioni precedenti i segni inferiori. In generale, è chiaro che se le figure omografiche sono in prospettiva di 1% specie, apparterrà la linea X ad un piano, e la sviluppabile y ad un punto, e se la prospettiva è di 2* o di 3* specie i punti pi, e i piani P,, ap- parterranno tutti ad una retta. In quanto alla superficie (Y, 4) alla quale appartengono le rette (r;, R,), essendo per le formole (2) ATTRA n; lio TAZRO i ni Hi C) TANO, o î ni Yi 0 gg e ee ne 004 È, I, I L se si elimina ? dal primo, 0 dal secondo sistema di queste equazioni, si avrà 1 1 1 1 (14) (& )Ve”= più ( 2 Jet (£ Va (L di F RAS SR 4..$ F RI TRUST e tre qualunque delle equazioni, nel primo o nel secondo di questi sistemi, determineranno la superficie (Y, 4). Se gli esponenti in (14) sono numeri razionali, la superficie (Y, y) sarà algebrica. Valgono analoghe osservazioni, come sopra, se alcuna delle quantità (a, 8, 7, ©) è negativa. Risulta dalla forma delle equazioni (14) che se si prende una retta qualunque la quale sod- disfi a quelle equazioni, e quindi appartenga alla superficie (Y,%) che corrisponde alla retta (r,,,), le sue rette consecutive apparterranno anche a (Y, y). Le rette che costituiscono que- sta superficie appartengono al complesso (® , 0) rappresentato da una qualunque delle equazioni Ri gt e Re EMO 5 e Aa Taste va (15) cioè al complesso costituito dalle rette che determinano con le facce, e con i vertici del tetrae- dro (Q, q) i rapporti anarmonici fondamentali di un gruppo di quattro punti, e di quattro piani, espressi da RIG I- aRea — FIDI BIN, #G5M UT FL HIN,, = GM F)L): La linea X, la sviluppabile y, e la superficie (Y, 4), allorchè le quantità (a, 8,,3) sono positive, sì trasformano evidentemente in loro stesse, per la trasformazione lineare che corris- ponde alle figure omografiche proposte *). 4. PROPRIETÀ DELLE FIGURE OMOGRAFICHE IN RELAZIONE ALL’AssoLuro. — Sia (®, 9) la superficie di 2° grado (sistema di punti p e di rette r, o di piani P e di rette R) che si considera come As- soluto o Limite dello spazio **); come si vedrà in altro lavoro sulla Metrica proiettiva, 1’ egua- glianza degl’intervalli (distanze) nelle coppie di punti (pi, p;), (Pi, p; ) appartenenti alle rette (r,r°), o degl'intervalli (angoli diedri) nelle coppie di piani (P/, P;), (P;‘,P;") appartenenti alle rette (R', R') consiste nell’eguaglianza dei rapporti anarmonici che quelle coppie di punti, 0 di piani, determinano rispettivamente con le coppie dei punti, o dei piani, comuni a ®, 0 a g, ed alle rette (r,r°), o (R, R°); el’eguaglianza degl’ intervalli (angoli piani) nelle coppie di rette ‘) F. Klein und S. Lie, Ueber die Curven, welche durch linearen Transformationen in sich iibergehen. Math. Ann. Vol. IV. ‘") Mem. 22 sulla Geometria protettiva. ATTI — Vol. VIL — N. 5. 3 si (r;,F;), (r;,r;),0(R;,R;), (R;,R;), appartenenti insieme ai punti e piani (p, P'), (pi, P'), consiste nell’eguaglianza dei rapporti anarmonici che quelle coppie di rette determinano rispetti- vamente con le coppie delle rette comuni a ®, 0a 9, ed ai punti e piani (p, P'), (p’, P"); quando rispetto a ®, 0 a 9, due punti, o due piani, sono coniugati, 0 pure due rette che si appoggiano tra loro sono coniugate, l'intervallo in quella coppia di punti, di piani, o di rette, si dirà un qua- drante, e la coppia stessa si dirà principale. Ciò posto, siano (®,,,),(P_,,9_,) le superficie corrispondenti a (®, g) passando rispettivamente dalla prima figura alla seconda, e dalla seconda figura alla prima; le linee di 4° ordine (X, X°) comuni a (®_,,®) eda (®,®,), e le sviluppa- bili di 4% classe (Y,y) comuni a (9_,, 9) ed a (9, 9,) saranno tra loro corrispondenti; i punti corrispondenti (p,p') appartenenti a due rette corrispondenti (r',r°) che hanno due punti co- muni con (X,X'°) costituiranno serie omografiche egual? di punti, ed i piani corrispondenti (P, P') appartenenti a due rette corrispondenti (R', R') che hanno due piani comuni con (Y, 4) costituiranno serie omografiche eguali di piani; si diranno quelle rette (r', r°) rette cicliche , e quelle rette (R', R°) rette focali delle figure omografiche: se (P', P") sono due piani corrispon- denti qualunque, considerando le quaterne corrispondenti dei punti comuni, o delle rette comu- ni, alle linee di 2° ordine e di 2* classe (#_,,9), e (9°, 0, ) determinate da P' e P” nelle superfi- cie (®_,,P), e (®, ®,), saranno le rette opposte in quelle quaterne di punti, o i punti opposti in quelle quaterne di rette, le coppie delle rette cieliche e dei punti foca? *) nelle figure omografiche appartenenti ai piani (P', P"); le rette corrispondenti (R',R°) appartenenti in (P‘, P") a due punti focali corrispondenti costituiranno serie omografiche eguali di rette: similmente se (p’, p') sono ‘due punti corrispondenti qualunque, considerando le quaterne corrispondenti dei piani co- muni, o delle rette comuni, ai coni di 2* classe e di 2° ordine (2 _,,Z), e (2°, £,°) determinati da p e p' nelle superficie (9, @), e (9,6,), saranno le rette opposte in quelle quaterne di piani, o i piani opposti in quelle quaterne di rette, le coppie delle rette focali, e dei piani ciclici *) nelle figure omografiche appartenenti ai punti (p, p); le rette corrispondenti (r°,r°) appartenenti in (P, p) a due piani ciclici corrispondenti costituiranno serie omografiche eguali di rette. È chiaro che le generatrici rettilinee delle superficie (®_, , ®) 0 (9_,, 9), sOnO rette cicliche e focali insie- me, nella prima figura, e le generatrici rettilinee corrispondenti delle superficie (P,®,), 0 (9,9), sono rette cicliche e focali insieme, nella seconda figura. I tetraedri (q, Q') e (q’, Q”) coniugati comuni alle superficie (®_,,9_,), (P, 9) e (d,9), (0,,9,) sono evidentemente tra loro corrispondenti; ogni coppia di punti, di piani, o di rette che sì ap- poggiano tra loro, in ciascuno di quei tetraedri è una coppia principale; si diranno perciò quei tetraedri i tetraedri principali corrispondenti delle figure omografiche; i vertici dei tetraedri principali sono i vertici dei quattro coni di 2° ordine che appartengono rispettivamente alle curve (X,X°), ovvero che sono costituiti da rette cicliche (coni ciclici delle figure omografiche); e le facce dei tetraedri principali sono i piani delle quattro linee di 2° classe, che appartengono ris- pettivamente alle sviluppabili (x,x), ovvero che sono costituite da rette focali (linee focali delle figure omografiche). Nei piani corrispondenti (P', P") le terne di punti, e di rette, coniu- gate comuni rispetto alle suddette linee di 2° ordine e di 2* classe (9_,, 9°), (0°, 7, ) sono le terne principali **) delle figure omografiche appartenenti a (P', P°); a ciascuno dei puntî, o a ciascuna delle rette, di quelle terne appartengono due rette cicliche, o due punti focali di quelle figure: si- milmente nei punti corrispondenti (p’, p'), le terne di piani, e di rette, coniugate comuni rispetto ai suddetti coni di 2° classe e di 2° ordine (2 _,2°), (2°,,) sono le terne principali **) delle figure omografiche appartenenti a (p', p); a ciascuno dei piani, o a ciascuna delle rette, di quelle terne appartengono due rette focali, o due piani ciclici di quelle figure. Se i piani (P’, P") ap- partengono a due coni ciclici delle figure omografiche (piani ciclici) vi saranno infinite terne principali corrispondenti a quei piani, le quali hanno tutte una retta comune (r',r°), ed un punto comune (pp) [le rette (r°’,r") appartenendo rispettivamente a quei coni ciclici in (P',P"), ed " ‘) Mem. sulle forme geometriche di seconda specie. Atti dell’ Accad. Vol II, 1865. ‘’) Mem. cit. sulle forme di 2* specie. so i punti (p, p) essendo i punti determinati rispettivamente da (P‘, P') e dalle rette (R,R') ar- moniche di (r°,r°) rispetto a (9, ®)]: similmente se i punti (p’, p°) appartengono a due linee fo- sali delle figure omografiche (punti focali) vi saranno infinite terne principali corrispondenti a quei punti, le quali hanno tutte una retta comune (R',R°), ed un piano comune (P‘, P") [le rette (R', R') appartenendo rispettivamente a quelle linee focali in (p’, p), ed i piani (P, P*) es- sendo i piani determinati rispettivamente da (p', p') e dalle rette (r‘,r°) armoniche di (RR) ris- petto a (®, 9)]. Finalmente nelle rette corrispondenti (r',r°), o (R,R'), le coppie di punti, 0 di piani armoniche comuni rispetto alle due coppie di punti , 0 di piani, determinate da (rr), o da (R,R'), in(®_,,9), (9,9), 0 in(9_,,9), (9,9), sono le coppie principali nelle serie omografiche di punti, o di piani, appartenenti ad (r°,r°), o ad (R, R'); e nei punti e piani cor- rispondenti (p’, P'), (p‘, P'), le coppie di rette armoniche comuni rispetto alle due coppie di rette determinate da (p’, P') eda (p',P")in(®_,,P), (P,®,), 0in(g_,,9), (9,9,), sono le cop- pie principali nelle serie omografiche di rette appartenenti insieme a (p, P') ed a (p, P'). Nelle rette corrispondenti (r', R'), (r°,R'°), a partire da due punti corrispondenti (p;, p; ), e da due piani corrispondenti (P,, P, ), appartenenti ad esse, si possono determinare *) due punti corrispondenti (p;,p; ), e due piani corrispondenti (P;,P,), in modo che gl’ intervalli nelle coppie di punti (p;, p;); (P:) P;), € nelle coppie di piani (P;, P;), (P;°, P,) siano o eguali e rivolti nello stesso verso, o pure eguali e rivolti in verso contrario; nei piani e punti corrispondenti poi (P;, P;), (P;,P;) e (pi, p;), (P; P;), a partire dalle rette (R’,r°), (R°,r") si possono de- terminare altre rette che siano con le prime ad intervalli, o eguali e rivolti nello stesso verso, o eguali e rivolti in verso contrario ; si vede da ciò come nelle figure omografiche possano de- terminarsi tetraedri corrispondenti , che abbiano gl intervalli tra i loro elementi, 0 eguali e ri- volti per lo stesso verso (tetraedri eguali per sovrapposizione), o eguali e rivolti in verso con- trario (tetraedri eguali per simmetria ). Riferiamo separatamente le figure omografiche ai loro tetraedri corrispondenti principali (a, 2), (q°, 9"); la dipendenza tra i punti e tra i piani, corrispondenti, sarà espressa da equa- zioni della forma BING = ARMATA BASIC AA (1) AS 439, è Bibi le yi De D=d o viceversa ab: da bero agita 1) | I RISO I ra non, essendo gia pie do —Lobiafggo =h, pdl. Siano poi le equazioni dell’ Assoluto (® , 9) dei punti e dei piani dello spazio, rispetto ai due tetraedri fondamentali, rispettivamente oa? +68? +e? +d? 0, dea”? +0? +e La? —0, g—= A+ B*4+C?°-+D?—=0, p=A4°°+B?|LC?°4+D?—=0; si avrà quindi per le formole (1), = a? +6? 6? yy? c* + d? d'* == n è = + 6"28"? + ye"? + d"?d"? —0 n pa =e0A° |P BI |® CO IIDIZO, e A+ 6 BL CS DZO. ‘) Mem. cit. Luo Aol Le equazioni dei coni ciclici saranno (BABA (LIE, (A_P)C+ (2 P)a®+(8—-#)e=0, (+ (P_PEA(R) EI, +(_-0d)e®—=0, ponendo alle («, 8,y,3) ed alle (a, 6, c,d) un apice, o due apici, secondo che si parla della pri- ma, o della seconda figura ; e le equazioni delle linee focali saranno (E—a)B°4( 2) C-4(d°—2°)D°=0, (PP) 4 (#—P)4°4+(#—®)D"=0, ponendo due apici, o un apice alle (, 8, 7,3) ed un apice, o due apici, alle (A, B, C, D), secondo che si parla della prima, o della seconda figura. Supponiamo che sia soddisfatta una tra le relazioni Beh ps; ae, dt I DIZIORA gite, (4) e quindi anche la corrispondente tra le relazioni bey 4 ez a? = 8? ; a'>— dj"? A pe gd"? ; fe: d'2 ; le superficie (®_,,9), (®,®), e(6_,,9), (9,9,) avranno allora doppio contatto tra loro , sic- chè le linee (X, Xx), e le sviluppabili (4,4), comuni rispettivamente a quelle coppie di superfi- cie, ridurranno a coppie di linee di 2° ordine appartenenti a coppie di piani (P,, P;), (P;,P,), ed a coppie di coni di 2° classe appartenenti a coppie di punti (p;, p;), (P,; P;) , piani e punti che appartengono a spigoli corrispondenti (opposti) dei tetraedri (Q0’,qg) e (Q”,q'); in tal caso le figure omografiche hanno infiniti tetraedri corrispondenti principali , che hanno tutti due spi- goli opposti comuni [le rette indefinite (PP, p; p,), (PP, p: p,)] due vertici comuni (apparte- nenti alle rette p; p;, p; p; ) e due facce comuni (appartenenti alle rette P, P,, P, P,); le figure omo- grafiche nei piani corrispondenti (P,, P;), (P;,P;), e nei punti corrispondenti (p;, p,), (P;; P;) hanno le terne principali di punti e di rette, o di piani e di rette , indeterminate , cioè quelle fi- gure sono eguali (per sovrapposizione o per simmetria); si diranno quei piani (P,,P,), e quei punti ( p,, p;); piani ciclici, e punti focali, singolari. | Supponiamo in secondo luogo che sia soddisfatto uno dei sistemi di relazioni Gi=y?, d°—=02; fee, Bd, ad*=f2, yr=d, (5) e quindi anche il corrispondente sistema tra le relazioni Ù ] 2, dg —-S ) = RA GI III pesi vio le superficie (®_,, ®), (P,P) e (0_,, 9); (9,6) avranno allora due doppi contatti tra loro, nelle cop- pie di punti (pi, p;), P,; Pa); (Pi, 5); (P,; Px); e nelle coppie di piani (P;,P;), (Px, P,), (P;,P:), (P.,P.'), sicchè le linee (X, x"), e le sviluppabili (4, ) si ridurranno a quattro generatrici rettilinee di quelle superficie [ due coppie di lati opposti nel tetraedro che ha, in ciascuna figura, —_ 2 — per vertici (p,, P;, P,; P,); € per facce i piani (P,, P,,P,,P,), € che si appoggiano agli altri due spigoli (p;p;, P, p,), 0 (P,P,, P,P,), i quali coincidono in direzione con due spigoli opposti del tetraedro (q, Q)]; in tal caso le figure omografiche hanno infiniti tetraedri corrispondenti princi- pali, che hanno tutti due spigoli opposti comuni [ in ciascuna figura le rette indefinite (p,p,, p,p,). o (P,P,,P.P,)]; i quattro piani (P,,P,,P,,P.), ed i quattro punti (p,, p,, Pa; P,) (in ciascuna figura), sono piani ciclici, e punti focali, singolar:. Supponiamo ancora che sia soddisfatto uno dei sistemi corrispondenti di relazioni PIE SAREI Selo —. E ISS RZZ E IE DSS by =@?; yo a =d; a =p° =? ; ee (6) È (2) PAT.) IELISRESRI LORO 2 na "CURA n Ta SE I I ANT SARTI (5) 2 + Bree Ziolona pa ist dg Ce AYHERE (ciascuno tra i primi sistemi avendo per conseguenza il sistema corrispondente tra i secondi); le superficie (®_,,P), (P,®,), e(9_,, 9), (9,6,) avranno allora una linea di contatto , ed un cono di contatto tra loro; a quelle linee di contatto (9, c") [ciascuna presa due volte, ed appartenente ad una delle facce di (Q’,0")], ed a quei coni di contatto (2°, 2°) [ciascuno preso due volte, ed appartenente ad uno dei vertici di (q', q”)] si ridurranno rispettivamente le linee (X, X”), e le sviluppabili (y,x'); in tal caso le figure omografiche hanno infiniti tetraedri corrispondenti principali, che hanno tutti un vertice ed una faccia di comune (in ciascuna figura il vertice del cono È, ed il piano della linea ©); in ciascuna figura, quella faccia comune è un piano ciclico singolare, e quel vertice comune è un punto focale singolare. Finalmente supponiamo che si abbia (7) Cid] II nni e quindi anche (RSI e le superficie (®_,,®), (P,®,), €(9_,,9), (9,9,) saranno allora coincidenti tra loro, e quindi le linee (X, XxX"), e le sviluppabili (x, %') saranno indeterminate; in tal caso nelle figure omogra- fiche i tetraedri corrispondenti principali sono del tutto indeterminati, e le figure stesse sono tra loro eguali ( per sovrapposizione , 0 per simmetria ). Essendo date due figure omografiche, se si spostano in modo che coincidano con una stessa retta r,, o R,, due rette corrispondenti , cicliche o focali (coincidendo, come è possibile , i loro punti, o i loro piani corrispondenti ) , le figure omografiche nella nuova posizione saranno in prospettiva di 1% specie, essendo r,, o R,, l’asse di prospettiva di piani, o di punti; coincide- ranno allora con un'altra retta R;, o r,, due altre rette corrispondenti, focali o cicliche (coin- cidendo i loro piani, o i loro punti corrispondenti), e sarà R;, o r;, l’asse di prospettiva di punti, o di piani. Se poi coincidono con una retta (r;,R,) due rette corrispondenti , cicliche e focali insieme (coincidendo, come è possibile , i loro punti , ed i loro piani, corrispondenti), le figure omografiche nella nuova posizione saranno in prospettiva di 2* specie , essendo (r;,R,) uno dei due assi di prospettiva di piani, e di punti; coincideranno allora con un'altra retta (r;, R;) due altre rette corrispondenti, cicliche e focali insieme (coincidendo i loro punti, ed i loro piani, corrispondenti ) , e sarà (r;, R.) l’altro asse di prospettiva di piani, e di punti. Nel P ) Ù II d) P Ì Ì caso più generale delle figure omografiche , esse non possono spostarsi in modo che diventino in prospettiva di 3° specie, però se le figure ammettono piani ciclici singolari, e quindi anche punti focali singolari, 0 viceversa, facendo coincidere con uno stesso piano P due piani corris- pondenti ciclici singolari ( coincidendo , come è possibile, i loro punti corrispondenti ) , coinci- deranno ancora con uno stesso punto p due punti corrispondenti focali singolari ( coincidendo i loro piani corrispondenti ) o viceversa, e le figure omografiche nella nuova posizione saranno in prospettiva di 3° specie, essendo P e p il quadro ed il centro di prospettiva. Adnovembre 1875 He nile sha i Me ERO Nvigi onb fici ' nà val | Muli 1: È 1) oltrblolui ariioli Lula nigi Dr Ar ruimet n pal soa tm srvbfrsazpit è. Den 4 10 G aci | dg Ne 0) vile A ital Miwigvonon; piepio 3a rai iti lmafa a mu I ago | | cori «NP3 + i I n 00 a ra x NO. gg teste: “DI Tar hd d) ° 5 5) (A A “ SON: (NILE ugzionini rindlett TNT rsvfoegireto) IR] | oto it sig E u0 tropici Hi out srarenirottt RITCITtI “ts Mr sit toe li lhi ti mono scisti 1/47 LP 2) ofttrnoa, i) i sl ll ‘ pi compr CEI cit fr” Hiro iva i ha ; lio ST an 704 sonori age ongsietiolità #44] pb ile isti sot cat - Iropsrtbi binati, Staten | saftvrzafno vert of Gens Ink ni “ if rami) DIAL, Matita if mrodid ang: i: «i istnidnr cbr pb veder v i Li 14 cariavone nani adfingi, Fili: nanisento re ‘70 uoal alla pesi. he A È DT rnasroits, STAT ci » # Mp9, vi do oririacgia dro “i siebel n fe È i n anita ortosto eg din cai È dc sob di did x ta: x up 3, vol jest; ituabbionmioa sud frorestnsi. | 8. È POTE, SCR KR, b RA i io crinali Attarr anno fili catari instbinti pf 3 MUAOT siti pugili ix otra slo ipsrsmotlvari otipi' ini Oro, depone i lata P ‘godi Le 0. 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ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SU DI UNA NUOVA SPECIE DI LONICERA MEMORIA del Socio Ordinario GIUS. ANT. PASQUALE letta nell’adunanza del dì 18 settembre 1875 Dalle mie ricerche per le campagne di questa provincia di Napoli e per gli erbarî del Teno- re e del Gussone, già illustri miei maestri, avevo potuto rilevare fino a poco tempo fa, che del genere Lonicera in questa provincia di Napoli non esista altra specie che la L. «mplexa, e la sua varietà balearica '). i Ora, in una escursione eseguita nel principiar di luglio p. p., su per le montagne di Castellam- mare, assieme con due miei allievi*), m’imbattei in una ben'’altra specie di questo genere, che di frequente incontravo ne luoghi rupestri della parte più elevata della montagna detta S. Angelo, e specialmente su per le nude rupi calcari che sovrastano al noto sito detto Acqua santa. Questo frutice richiamava la mia attenzione per le sue coppie di foglie superiori, le quali nella linea di congiun- zione basilare, essendo esse connate, si prolungano traversalmente in una doppia produzione, una per ciascuna banda; in modo da far risaltare a prima vista una qualche cosa d’insolito delle spe- cie di Lonicera che sono a mia conoscenza; per averle altrove raccolte o riscontrate negli erbarî e nei libri della scienza: le diresti foglie auricolate. Oltre a ciò, fermatomi, come è solito di chi capita per quella montagna, al suddetto luogo l'Acqua santa, lo splendore de’ fiori, che a quel tempo, 4 luglio, erano nel migliore loro sviluppo, non poteano non farmi sollecito e lieto di raccoglierne esemplari e studiarli. Ed ecco nell’erbario Gussoniano, incontrarmi in bei saggi secchi appartenenti alla pianta in quistione, raccolti dallo stesso Gussone, nel medesimo luogo, ed in tempi estivi, come a me av- veniva. L’illustre uomo, alle schede di accompagnamento de’ saggi, apponeva, secondo il solito lo- devol suo costume, la notizia della località e dell’epoca della raccolta; e quel che più monta, una pic- cola nota scritta di sua mano, indicante i caratteri della nuova specie alla quale appartenevano quei saggi. Da lui fu creduta nuova, e denominata col nome di Lonicera stabiana. Nome e nota che io trascrivo quì, in omaggio alla verità ed alla benemerenza di quello illustre botanico. Ed 1) Nella sy/loge del Tenore a pag. 104 sta detto trovarsi la Lonicera Caprifolium nelle montagne di Castellammare; ma ciò era un errore, come si rileva dal suo erbario. 2) I signori N. Parisio e F. Pasquale. ATTI — Vol. VII.—N.° 6. 1 COTE è appunto nel fascicolo 72 di esso erbario, oggi incorporato nello erbario generale del nostro Orto Botanico, che nella scheda della Lonicera stabiana sta scritto : « Differt a L. etrusca foliis glaberrimis, subtus glaucis (non vero pubescentibus), summis « basi utrinque lateraliter productis , capitulis terminalibus , floribus glaberrimis albido-luteolis, « quamvis') fragrantibus, bracteis eglandulosis. Stamina aequalia. Pistillum glabrum » —25 luglio 1835 « all'Acqua santa sopra Monte S. Michele ». Ed in altra scheda dice « 5 luglio, Monti di Ca- stellammare ». E però, che confortato dall’ avviso d’un tanto uomo come il Gussone, e per perennare an- cora la tradizione della sua soprascritta nota inedita, io pubblico questa specie; conservando il nome di Lonicera stabiana da lui datole la prima volta; e corredandola di tutte quelle dilucidazioni ed illustrazioni che da me si è potuto in questa mia scritta, che sottometto alla vostra sanzione. LONICERA STABIANA, Guss., ined. in herb. fasc. 72, et Pasq. Rendic. Acc. sc. fis. mat. fasc. 9, pag. 142, anno 1875. Frutex sarmentosus glaberrimus; foltis glaucis, deciduis, obovato-oblongis, supremis tribus vel quatuor paribus oblongis connatis, basi utrinque lateraliter productis; capitulis terminalibus plerum- que sessilibus bracteatis; bracteis minimis ovatis ovario brevioribus, eglandulosis; corollis ringenti- bus, longe tubulosis, glaberrimis, albo-luteolis, fragrantibus ; fructibus globosis, calyce minuto con- stricto coronatis , luteis, trilocularibus. Nascitur in rupibus calcareis Montis S. Angelo a Castellammare ; praesertim abundat loco dicto \cqua santa. — Floret ab extremo junio ad augusti principium. Fructus maturescit octobris. A Lonicera etrusca, Savi, cui maxime accedit, differt glabritie et productione foliorum, bracteis eglandulosis, alvisque notis. A Lonicera Caprifolio, cui etiam accedit, differt florum capitulis unicis terminalibus ; stylo sta- minibus multo longiore; bacca globosa lutea; praesertim productione transversali foliorum. LovnicerAa erRUScA, Ten., non Savi (ratione loci), Fl. nap. vol. I., pag. 82; L. Caprifolium, Ten., non Lin., Syll., pag. 104. DESCRIZIONE DELLA LONICERA STABIANA Frutice sarmentoso; con rami sterili lungamente distesi, in talune località ricche. Pende dalle rupi calcari, formando un arco nello spiccarsi dalla rupe. Radice legnosa, poco ramificata fra i cre- pacci del sasso. Rami sottili cilindrici, levigati, di color bianchiccio-cenerino, fragili: i fertili lunghi circa 30 centimetri e son dell’anno stesso; gli sterili più corti; i sarmenti più robusti e molto più lunghi, a meritalli più lunghi. Ma questa sorta di rami non si vede che raramente , ne luoghi più pingui. Le foglie sono decidue, membranose, tendenti alquanto alla consistenza coriacea, verde- glauche di sopra, glauche di sotto, glaberrime da ambe le facce , obovato-bislunghe, intatte nel contorno, piane, ottuse, con cortissimo picciuolo 0 quasi sessili; le tre o quattro coppie di foglie supreme connate; alla base, nella linea media, protratte trasversalmente in acumine lungo da 3 millimetri fino ad un centim. e più da ciascuna banda (fig. A, e D). La coppia suprema forma quasi un involucro rotondo (/ig. A, e B). La seguente, in sotto, è talvolta più larga alla base, che lunga secondo la linea delle due costole (fig. D); talchè sembra talvolta formare un verticillo di quattro foglie; son terminate all’ apice da un sottile mucrone lungo circa un millimetro. Le suddette due coppie superiori, nella linea basilare di loro congiunzione, raggiungono la lar- ghezza di 4-5 centimetri e più, e nella penultima coppia fino a circa 5 centimetri e mezzo: mentre la lunghezza di ciascuna foglia della coppia, nella linea della costola, raggiunge i sei cen- timetri. Talora, come nella figura A, la penultima coppia è assai più stretta nella base che nella 1) La particella quamvis che si trova nella scheda pnò sembrare senza nesso con l’ antecedente proposizione; ma si riferisce al carattere di fiori fragranti che dagli autori (Bertoloni) si attribuisce alla L. etrusca, dalla quale il Gussone ragionevolmente fa rilevare la differenza. sù Pc linea mediana; misurando quella circa 3 centim. e mezzo al massimo, mentre la lunghezza di cia- scuna foglia giunge fino a circa 5 centimetri e mezzo al massimo, o quella della coppia giunge a 11 centimetri. L'ultima, od estrema coppia inferiore, non presenta più di uno o due centimetri di larghezza alla base comprese le due orecchiette suddescritte. Le coppie di foglie infime, nello stesso ramo fertile, sono distinte alla base, sessili o cortamente picciuolate. — Le foglie dei ra- moscelli sterili, come le infime .dei detti rami fertili, sono minori, obovate, quasi rotonde, ot- tuse, di circa 3-4 centimetri lunghe, poco meno larghe, su nodi molto ravvicinati, e digradanti in ampiezza secondo che si vanno accostando alla base del rametto, là dove questo si trova vestito dalle foglie rudimentali 0 squame della gemma aperta. I fiori sono sessili riuniti, in numero di circa 8-14, in capolino terminale (unico in tutti i molti esemplari da me veduti) anch'esso sessile. Raramente questo diviene peduncolato pel meritallo, che si allunga di qualche centimetro. — Ciascun fiore è accompagnato alla base da una bratteola ovata acuta, lunga men di due millimetri, e perciò più breve dell’ovario. Il calice, col suo tubo, è aderente all’ovario globoso, glabro, del diametro di circa due millimetri, ristretto presso alla gola. Il lembo è cinquedentato, coi denti triangolari alquanto acuti. La corolla è tubolosa, ringente, col labbro inferiore ') bislungo ottusetto, arricciato in fuori; il superiore trifido, col lobo medio più corto e bilobo (fig. A); talchè si può considerare come qua- drifido, coi due lobi laterali più lunghi: questi sono lanciolati. Il tubo corollino è cilindrico un po’ più largo all’apice, lungo 4 centimetri: il lembo è rovesciato in fuori, di 10 a 12 millimetri di lun- ghezza. La consistenza della corolla è delicata quasi diafana, di color bianco - gialleggiante uni- forme, glabra. Gli stami son © uguali, sporgenti fuori la fauce della corolla, con le antere versatili; dopo la loro apertura divengono arcuate (fig. A) —L’ovarto è globoso, di 2 millimetri di diametro, liscio. Lo stilo è lungo 4 centimetri, sporgente oltre agli stami per circa 1 centimetro, glabro. Lo stimma è capitato ,, oscuramente diviso in tre lobi, i quali appena si distinguono nel secco. — La bacca (fig. B, C) è rotonda, sugoso-carnosa, gialla, della grandezza presso a poco di un pisello, del diametro di circa 8 millimetri, coronata dal calice persistente ristretto in cortissimo tubo di °/, millimetro, col lembo cinquedentato come notavamo sopra; è triloculare (fig. C, t), con due coppie di semi in ciascuna loggia, ridotti spesso a pochi per aborto. 1 sem? (fig. C, s, e) normal- mente son dodici; ma ordinariamente si riducono a minor numero, per aborto; sono soprapposti, a due coppie in ciascuna loggia; hanno la buccia spessa cornea gialla, e son di figura bislunga an- golosa, ordinariamente triquetra. L’ embrione è piccolo (fig. C, e), in mezzo all’albume, e diritto, con la radicetta rivolta all’ ombelico. Abitazione, fioritura, ed usi. —Trovasi questa specie nei luoghi rupestri calcari della suddetta montagna di Castellammare *), nella sua regione media e superiore, dove giunge sino ai più alti gioghi, all'altezza di circa metri 1400 sul livello del mare. L'ho trovata, più a buon dato, al luogo detto Acqua santa. Fiorisce tra il finir di giugno ed il principiar di agosto. Matura i frutti in ottobre. Finora non mi è riuscito rinvenirla nelle regioni inferiori e marittime, dove nasce in- vece la Lonicera implexa e la varietà della stessa Lonicera detta balearica. Il nostro frutice, per la bellezza dei suoi fiori e del suo fogliame, può servire per ornamento de’ giardini. 1) Vien ritenuto per inferiore dagli autori. 2) La montagna che sovrasta alla città di CASTELLAMMARE DI STABIA vien conosciuta daì naturali del luogo col nome di Monte S. Angelo a tre pizzi; pei tre picchi in cui termina la sua vetta, il più alto de’ quali si denomina S. Michele, che è a 1444 metri sul livello del mare. Ca ‘ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. A. — Ramo in fiore, portante un rametto sterile, a destra, con uno spuntoncino secco rima- sto dal precedente anno; — è, produzioni basilari delle foglie connate , a modo di orecchiette. Fig. B. — Capolino di bacche coronate dal calice persistente, cinto da una coppia di foglie connate. i Fig. C. — La bacca coronata dal calice e; ed accompagnata alla base dalla brattea 6; cresciuta dopo la fioritura e smarginata all’apice, quasi obcordata; — #, taglio trasversale della bacca, mostrante tre logge con i semi dentro; — s, semenza triquetra, ingran- dita due volte; — e, semenza ingrandita, tagliata longitudinalmente , e che mostra l’episperma grosso con l'ombelico in alto; } embrione diritto nell’asse dell’ albume è rivolto con la radicetta verso l'ombelico. Fig. D. — Penultima coppia di foglie connate di molto dilargate alla base, in altro specimen; aa apice delle foglie, 66 base delle stesse. Eccetto la semenza ed il taglio della stessa, tutto il resto della tavola è tratto in gran- dezza naturale. 28 ottobre 1875 u Y tav t Ari tere cn af we Ù “ prende? 9 ei ba note 11 ne tile: Le Vol. VII. IN ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIMENSIONI DELLA TERRA, E RICERCA DELLA POSIZIONE DEL SUO ASSE DI FIGURA RISPETTO A QUELLO DI ROTAZIONE MEMORIA del Socio Ordinario EMMANUELE FERGOLA letta nell'adunanza del dì 11 dicembre 1875 I. 1. Nella memoria « Sulla posizione dell’ asse di rotazione della terra rispetto all'asse di figu- ra», letta in questa Accademia nell’adunanza del dì 9 maggio 1874, io mi proposi di dedurre dalle sole misure geodetiche la posizione scambievole degli assi di rotazione e di figura dello sfe- roide terrestre, o dimostrare la loro coincidenza, che è generalmente ammessa partendo dalla supposizione che lo sferoide sia formato di strati omogenei, o (che è lo stesso) da potersi riguar- dare come tali senza errori apprezzabili nei risultamenti. In quel lavoro trattai diffusamente, e considerando di preferenza il lato teorico della quistione, i principali problemi che naturalmente si presentano quando si riguarda la terra come un’ ellissoide schiacciata , che faccia la sua rivo- luzione diurna intorno ad un diametro non coincidente con l’ asse di figura, ma comprendente con esso un angolo piccolissimo ; e dopo varii teoremi e formole generali, trovai l’ espressione analitica della lunghezza di un arco di meridiano geografico in funzione delle latitudini dei suoi estremi, del semiasse maggiore e dell’eccentricità dello sferoide , e di due angoli v e @ che de- terminano completamente la posizione dell’asse di figura rispetto a quello di rotazione, dinotando v la longitudine dell’ estremo dell’ asse di figura, e @ l'angolo che quest’ asse forma con quello di rotazione. Terminai quel lavoro applicando a nove archi meridiani l’espressione analitica anzi- detta per dedurne i valori degli angoli v e @, ritenendo come sufficientemente precise le dimen- sioni dello sferoide trovate da Bessel, vale a dire la lunghezza del semiasse maggiore, e l’eccen- tricità della sua ellisse generatrice. Nella presente memoria riprendo la ricerca numerica con tutta la estensione che il problema comporta , e cioè introducendo a calcolo il maggior numero possibile di archi meridiani i cui estremi sieno stati determinati astronomicamente ; e cercando non solo la posizione dell’ asse di figura della terra rispetto a quello di rotazione, ma benanche gli elementi che determinano le di- mensioni stesse dello sferoide terrestre; affin di ottenere una più esatta determinazione del se- miasse maggiore e della eccentricità dell’ellisse generatrice di questo sferoide, e riconoscere nello stesso tempo l'influenza che gli errori su i valori di tali elementi, assunti nei calcoli riportati in fine della precedente memoria, possono aver esercitata nei risultamenti ivi ottenuti, che sono i due angoli da cui dipende la posizione dell'asse di figura rispetto a quello di rotazione. 2. Gli archi di cui ho fatto uso in questo lavoro , in numero di 41 e della complessiva lun- ghezza di tese 24 861 661, sono tutti quelli adoperati già dal Sig. Cap. A. R. Clarke nella sua memoria sulla figura della terra , inserita nel volume delle pubblicazioni dell’ Ordnance Survey Department, che ha per titolo: Comparisons of Standards of Length, ed inoltre gli archi Annove- rese, Danese, Prussiano, Svedese, e 1° Indiano (del Col. Lambton) usati da Bessel nelle sue ATTI-- Vol. VIL—N.° 7. 1 SORIA memorie, del 1837 e 1841, inserite nei numeri 333 e 438 delle Astronomische Nachrichten. Tutti i dati relativi ai predetti cerchi, riuniti nelle seguenti tabelle, sono ricavati dalle citate memorie di Bessel e del Cap. Clarke, e per alcune longitudini, da un recente lavoro del Sig. Listing intitolato: Veber unsere jetzige kenntniss der Gestalt und Gròsse der Erde, ed inserito nelle Nack- richten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften und der Georg- Augusts- Universitàt zu Gòt- tingen — 1873. Arco Anglo-francese: longitudine da Greenwich =0°80' E. Distanze dei paralleli da Stazioni. Colatitudini astronomiche. P Saxavord, in Tese. | TA REEARO gta: SAXAVOrde eee 29 DOISDOT9 I CR LUI SU e aa 32 32 10:88 1920279109 Kellie -Law"” 10. SLM 83 45 6:40 26011N23:39 Gliftom) 000040 TRE 36 32 30-50 421 10301 ATbury Si A I E SIONI 491 510-983 Greenwich" ele a 98.81 21-70 Las re Dunlcerquerte a e 38 57 51:59 559 38871 Prasithieon? (pui It A 413 1954202 684 333-51 | Clressonne: teo 46447005110 1 005 473:31 inBareelona» > li ult 16 48 37 12-10 1 110 029-18 Morttjouy: 13 1ttia: Bigi 48 38 15:04 L' 110b0972-31 +Formenterà 0003 nia 0) 51 20 6-83 1 264 645-:92 Arco Annoverese: longitudine —=9°50' E. Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanza dei paralleli. ! Altona: tia 901 vali IRR E SRO Gottinigare tw log feta 38 28 12:15 l:15;:163:725 Arco Danese: longitudine —10°33' E. Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanza dei paralleli. | 0 ‘ “ + ysablieh n en. 995 49648 Io | ianenbues ano ap 36 37 42.954 87 436.538 Arco del Capo di Buona Speranza: longitudine—=18°30' E. | | | Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanze dei paralleli da N. End. | | e 11944 17660 6 AE us | Heerenlogement Berg . . IZICO Sano 126 906:47 Royal Observatory . . . 123 56 3-20 238 701:82 Iwact Mep ie 1.00; 124 13 32:13 255 309-21 Cape Poni ari lee 124 21 6:26 262 47039 Sag TRA Arco Prussiano: longitudine==20°80' E. Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanze dei paralleli da Memel. Wenielii sz his: a ia 34 16° 19554 TRONO HogmnigaHereg'i. *.. he 39.17. 9:500 07 965-346 Berazieitant,. rr gal 30 46 481534 86 176:975 Arco Svedese: longitudine = 26°40' E . Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanza dei paralleli. Pabtawara. . . 0... 22 51 10‘170 ii dale U DE Malòrn. 24 28 29-735 92 777-981 Arco Russo: longitudine = 26°40 E. Stazioni. Colatitudini astronomiche. |Distanzadeiparalleli da Fuglenoes. Fuglenoes . 19 Again ba prg sil Gt) ih nd Stuor-olvi . ZLOiI=60 113 753-906 Tornea. 24-10 15:43 276 975-810 Kilpi-maki. DAI (ERI MESI) 459 770-114 Hogland. . Ae 29.54 50-16 605 483-681 BOE e 31 37 12:44 103 022-299 dacobstfadizi ii. hi 33. 29 55:03 810 302-862 NEFAesaliatta Siri. O 35 20 55:84 916 033-741 Eli ae CIMA i 31 O7.17:84 1 064 843-262 Meremmeneta i. i n 39 54 10-05 1 176 062-273 Ssuprunkowzi. . . . . 41 14 56:96 1 252 813-659 Modolo n 42 58 80:02 I 351 304-647 Staro Nekrassowka . . . — 44 39 57:06 1 447 786-783 Arco Indiano 2°: longitudine — 77°40' E. Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanze dei paralleli da Kaliana. (CITI CNRIZOI GIOCEOREIRA CONOSCA Ei cea de | Manini ico, 65 52 48:738 306 690-12 Milakalichera. ul. 0. 68 54 8468 478 300:16 lWDammersida, 10 71 56 44708 651 188-63 NanmtitBabad i) 0... 74 54 64438 819 052-65 Dodagoontah.. . . . . (er 10:90 938 1837-90 Putelapolliam. 0... 19 0 177724 1 051 939:29 Puma ee. 81 50 28:868 1 212 88534 * Lr Arco Indiano 1°: longitudine = 79°20' E. Stazioni, Colatitudini astronomiche. Distanza dei paralleli. Piuidivbgi gr A 76 A04N0:980) SL log Trivandeporum':. 78 15 7410 89 815:0 Arco Peruviano: longitudine = 7990" W. Stazioni. Colatitudini astronomiche. Distanza dei paralleli. i Cotchesqui. . } . . + 89 57 28°613 von Tarouwya. mp cale 93 4 32-:068 176 Sip.o 3. Riteniamo per a ed e i valori trovati da Bessel, cioè a—=3272 07714, e—0:081696825, e con le equazioni (40) della precedente memoria *), vale a dire con le 1 ll 7 Oo == 45 (1 +e) 3 I9=—G cioù (= es 3 1 173 15 19 5 ma, Fedora), ea, pla 7 4 15 3 35 a RSA dat Lario JR era ra sazio Re 8%, demo; (1+7%), dig DL (e=gpR 006 sì troverà primieramente log f=7°226 3178-+ , logm=7-700 2044+ , logg=5‘291 45— , logg=5:289 80 — , logn=5'31976 + , losr=4'71552—, log #=5:018 73 + , logp=0:000 0057+ , logt=1-830 91+ . Calcolando poi per ciascun arco i valori di ®,, ®,, ®,, Y,; Y,, A, B, G, D mediante le equa- zioni (38) e (41), cioè d,=sen (9,— e) cos (9,4 0,) , P,=sen2(9,— 9) cos 2(9,+-9) , ®,= sen 3(9,— 9) cos 3(9,+-9), Y,msen(9,— 9) sen(o,+-9) , Y,=Sen2(p,— o) sen2(9,+9), A (o 9+99,+%9, Tienbi-mb-n DI GMES, Si 8 ’ D=p(o,—-9+99,+r9,t19,— gna sl avranno i numeri raccolti nei seguenti quadri, dove tutti i valori di A, B, GC, D sono stati mol- tiplicati per 1000. ‘) Atti della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche, Vol. VI, n.° 40. et || &P69K-07] il a. i i SEsto-t e8FeL-} ILE] 98883-H 106166-0+ |GLOIL:0+ 199600 EEELE:0— 6rE66.0— Le618-0— ELIOE-0_ S189600—- OSSLE-0— GESSE-O— 66FSE-0— 8SFE8.0— 909LT-0— cITITO— | SELSO-0— 19 &F230.0— | 87910-0— 9F610-0— GLLOG- T9IF66: 197830 6681 €9L00-0 78010-0— 08F18-0+ | ILFGI- FRLLI: 61201- | S0FF0-0— Fase L6820-0— |€0290-0— \&1480.0— IE ILO0— | 966%0.0— a IEFIO:0_ CELLO-0+ 80601] 9870-1 FeLS6-0 EIFLS'0+ 0318L-:0+ 0679S-0 9ILLE-0 ESTE6-I LOLSL-} LEILI.HH- T00GS-1 LIESE.E IeEI-I 9LE86-0t €1668-0, LETOL: E661S-0 CHNE6S:0 966T}-0 S6TOT-0 66Y6I- 88880-0+- SFI98-0—_ ceSE0_ CILEE:0T 6LILI-0—- 8SLEI-0 690LY- 66L98-] 06569. 88769] TOFLY-I LLE86: I866L-0 1Q9CL-0+ 07E69.0 61888. LLLSE-0 9009%-0 d -+9916 680.8 | —L801 687-L 900L3-0— | &8£60:0 L9FEK-O— | 9EL70-04- | —668% L79-8 SOTFP.H- | &0S89-.0+ | —LFFO L18:6 88803-1_ | F667S-0+ | —TELF FLL:6 OLGFO:I- | 96687-04- | —81E8 TEL-6 6Y888-0— | SILEY.0+ | —FFOT £89-6 L86L9-0— | €0688-0+ | —FOLO 889.6 L8997-0— | 95872.0+ | —8G£ E7-6 £9083-0— | £0621-0-+ | —GEGI #82-6 08086-0+ | 86S8L-0 810 S8L-6 F6SE6-0-t | 96989-0 1988 18L:6 L6TT6-0+ | 88989. CE8 GLL-6 8LF68-0]7 | SSL6S: LEVE C9L-6 Te0980 | 681790 LOYL 0YL-6 1896L-0- | E8297-0 EL8£ 669-6 888EL-0-4 | 6161F-0 ETS6 659-6 T90L9-0 GIRA 8719 609-6 71009-0-- | S180g: 9LE8 #ES-6 8808-01 | IVFEE-0 667 VFF-6 OVLOS-0+ | LIWF}-0 LEST STE-6 cIEEK-0+ | 66LE0-0 C6OL SE8:8 11960.0+ | SEL70-0 GLIE 1CL:8 8IFFO:0-+- | ELE70-0 ETTS 865.8 EFO80: 0F620-0 8861 F9L:8 0E8LI-O— | FESEI-0 1e6S 001-6 0GFLI_-0— | SSIEI-0 080 060-6 9F91-0— | 808310 EESS F90-6 I7E60-0— | 8FS90:0 8667 €188 &I}F0-04 | 07FF0-0 9769 708.8 1970-07 | F78S0- 9786 L7S:8 c186%-0-t | S6£79:0 8E8S ICE-6 78078: LLF9S-0 IST6 EI7-6 COTE: 07790 CILV FIF-6 87LS6-0+4 | L801S-0 118 EE7:6 C8848-04- | 9FLFE. CITL 017-6 81018: 00787: LS98 798.6 0FFO8-0+ | 0GILE: +-0997 #8£-6 VY683: 9670-0 8L89 8786 86092-0-{ | 8LE12-0 GEY 084-6 #6081-0t | 68681: €06 011-6 LOSEI-O+ | F9IL6O: 1961 066-8 (4 A V A 30] 8666 890.8 Vel} LYE-6 LIIS 76-64 ILIS 686-6 1809 Gre.6 6166 997-6 ELOS €50-6 8070 6L8-8 €800 S86-6 6107 0SS-6 6880 ©IS-6 8ST6 6L7-6 L6LG 667-6 187 688-6 OTET 063-6 1886 8166 8YGY ETI-6 10Y L00-6 LE60 F9L-8 CYI8 €568 +88 818.8 LELE 8688 L06S 6-8 —L0OEY 68.8 —6676 978.8 _T69L 918.8 —LL00 S6S-8 097 FOF-8 990. 169-8 6619 OLS- È) 168 G1S-6 LL6Y GKS-6 8LY9 L97-6 SSSO 166-6 €881 861-6 9EL6 9LT-6 EESL 861-6 6L68 L90-6 LYSL VS8-8 ELST EFL-8 ‘A 50] —97<0%-6 _WFG8-8 6097S-6 SL769-6 1999-6 +L69L9-6 LEES9-6 CEELS-6 +L0067-6 _LELL6-6 _LEEZL6-6 —89656-6 —VIYY6-6 —_8Y616-6 —66798-6 _V686L-6 —@FLEL-6 _16879-6 _—6LS67-6 —69I16-6 —GFOYL-8 _—608€8-8 —6I668-8 —_98999-8 S896-6 ©LLSE-6 01068-6 66590.6 _—95918-8 —_807L8-8 —LL079-6 _LESOL-6 _LSS0L-6 —_6086L-6 _FLIOL-6 _98679-6 _80969-6 — LS609-6 _0L8SS-6 _660L6-6 —_67Y176-6 ‘® 0] TEY 880.6 6969 875.8 LESS VEG-6 0058 EL6-8 SST8 7L98 OGLE ST8:L — 1686 C7S-8 —_L606 0SL-8 _ 1901 7YL-8 9861 LL9-6 SLSS 069-6 8086 76.6 _T66E 967-6 1988 007-6 9L0V SYE-6 6695 L0V-6 _B8ELE 86.8 _66L 96L:8 950 7IC-8 666 TY6.L 6SEL 060.8 6611 699-L 6660 909-8 _&Y76 L6r-8 _&WI 966.8 _S6SL 186.8 1860 L76-8 8618 169.8 _—69LL 669-8 6668 €818 —_L9I0 068.6 1979 LSL-6 6161 LSL-6 _T66S 90L-6 _L000 L67-6 9561 788-6 0666 856.6 _09L6 1I8-6 8991 960-6 _61S7 696.8 _F669 608.8 ‘® 50] 1818 FEL-8 _016L 868-8 GEL 687-6 6688 688-6 9666 168-6 8519 870-6 _GTSE Lel-6 _6568 L96.8 — Y961 97.8 8596 EL0-6 6677 OLG-6 TECE E96-6 €089 757.6 ISO LEC:6 ISL8 G06-:6 cY6 691-6 6967 LEI-6 6L78 8L0-6 7789 186.8 0968 98L-8 670 067.8 cI00 €86. 1608 686 1A 8 L L 6618 S7S-8 8 8 :8 1168 SES: 8816 LIS _SEIO 99% TY96 666-L TOY 196-L 1678 661.8 8916 L78.-8 LYSS LY8.:8 OSLL 698.8 OGLE FP8.8 €65 108.8 L86 68L-8 6089 L9L-8 Vela GGL:8 868 096.8 S86L FYY-8 ‘® 50] "> ** 20uung weodeyomng ‘ qTe]juooSepoq " PEQEYZuen ‘epiSioumeq * CIOUNTENEL "ENMOSSEIMON 0IEIS ‘<> * INTOPoA ‘TZAoyunIidnsg © © Z}QUQWOIY ‘e og © ** UOSQUIAN "* Ipesqooer COME ORO ediog OSO ‘pueSo H °° Dew-1d xy "* ** 69QUIO] © © TAIO-10N}S — S90U9]$n,J ‘ ZUNI], ‘ Sloqssmuooyg — [Rw © © "© quroq ade” "© doy ZIeAnZ * * 10} BAJOSTO TEA EAe) * * Bd9}UQULIO J “© Anofquoy "© *BUO[oodeg " QUUOSSEDIB) "> * uoogued * * anb.oyung > UPIMU99I9) UT OMO KInqiy "0 *UoIT MET 29M « « « « « « U « « « « « « s * > UIQ[EK — BICACWYEA q quer So]uasdoH — PUA N | © "* > Sunquone] — [eqqest] < ONCSIORORO ‘eSumo — BUON] © * *— ‘mbieg — mbsaygpog | © "UMIOCAPUBALIT, — dJpued ‘© © * © * ‘op OWerpu] 091Y “INdueggeg — BuEmed | © * © * © © 07 OUEIPU] 00IY ‘© BUI]INS — PiOABXES © © * 0SOIULIJ-0]OUY 09IY ‘OUCIANIOJ 091Y “0 ‘OSSNY 0017 ‘> *@SOpaAg 0917 * ‘OUPISSNIA 0917 ‘* ‘ode [ep 001Y * * * ‘@SQUE( 0017 ‘9S9I9A0UUY 0017 SARO 4. Mettendo, come a pag. 25 della memoria precedentemente citata, le equazioni che determinano v e @ in modo da rendere minimo il valore della somma dinotata ivi da F sono *) r=41 Y 0,8 [mc0s(v+-2,)+d,]cos(r+4)=0, SIE [wcos(v +7) +d]sen (0+4)=0. chez Ma poichè le longitudini dei varii archi introdotti a calcolo non sono tutte differenti, se poniamo _ 0, u= aio —410R0 = E = =—18980= LIV = lg sg 407, PRESSI TOI O SR0r0 1 L= — 020 pe n= 790 106 le precedenti equazioni si potranno facilmente ridurre alla seguente forma r=9 r=9 oYE, cos? (C+L)+YP, cos(v+L,)=0, TZ1 T=1 9 r=9 - o VE, cos(v+L,)sen(v+L,)+YP,sen(v+L,)=0, Ls i dove si è messo per brevità O? È one oi Gad Food =P8s COEN, Cos =Ps (BI DO Goo =Pa Ca 4324 GE= EE Cora ARP Ca + C,g=E; , Cet dis FO doo, Co POR Cotto dC 0,, = Cd fai, Cordis tot 0 A Cogo Corr Cop =B CH Cada BI Eliminando @ da quelle due equazioni sì ottiene = r=9 9 r=9 XE, cos:(0+L,) x YP,sen(v+L,)—Y,E,cos(v+L,) sen (0+L,)XYPrcos(0+L,)=0, T-] ce) ca È 1 ‘) Se si prendessero per incognite r—v cos wr e y=sen ©, la F assumerebbe la forma di una somma di quadrati di funzioni lineari in x ed Y, € sì potrebbe determinarne il minimo col processo ordinario del metodo dei minimi quadrati; ma allora si perderebbe nel calcolo numerico il vantaggio della semplificazione che si introduce per la eguaglianza fra i valori di 2 nei varii gruppi di termini che compongono la F. dove è chiaro che ciascuno dei due prodotti contiene lo stesso numero di termini, i quali sono della forma nel primo, e della forma Dip 0 E, P,,cost(v-+L,)sen(v+L,,) E,P,,sen(v-+L,) cos(v-+L,)cos(v+L,) nel secondo ; se dunque nella differenza ossia in diamo adr ed r' tutti i valori da 1 a 9, avremo tutti i termini dell'equazione che determina ». E, P,,cos(v+-L,){sen(v-+L,,)cos(v-+-L,) —sen(v-+L,)cos (v+L,,) { E,P,,cos(v-+L,)sen(L,—L,) Dividendola per cosv, e scrivendo sl avrà 5. Con le formole precedenti, e gli A, B, GC, D, L già innanzi riportati, si hanno i se- DIET u=9 s,= YE,cosL, sen (La) ’ P=z1 u9 c,=YE,senL,sen(L,—L,), P=z1l r=9 r=9 NP,s,— tg NP: 0 ta==t | r=9 db P,cos(v+L,) T=1I rr d3 E,cos?(v+L,) = guenti valori di E, P, s, 0, cioè: E\=+-14:199 86 E,=+ 0029 14 E,=-+ 0:016 28 E,=+ 0‘390 65 E,=-+ 0‘022 42 E,=-+ 17568 19 E,=+ 4959 49 E,=+ 0003 39 E,=+ 0:000 20 ’ ’ ’ È) P,=-|-0:200 00 P,=-+-0:002 07 P,=— 0.000 28 P,=—0:003 91 P,=-+0:001 75 P,=-+-0:318 50 P,=-+0:067 04 P,=-+0:000 08 P,=— 0:000 04 ?) o) È) E) È) 9 ’ ? ’ TZ1 r=9 NE, sen(v-+L,) r=9 NE, sen(v+L,)cos(v+L,) log s. =0*907 73+ logs, =0:509 62 + log s, =0:464 104 log s,=0'097 99 — log ss =0*361 76 — logs, = 0740 79— logs, = 1'421 97 — leg ss = l'428 53 — logs, =1‘476 114 e quindi i valori di v e @ che rendono minima la F risultano vE= 21802 È ah logo, =0*916 29 — logo, =0'829 74 — logo, — 0822 99 — logo, =0°719 68 — logo, =0'687 79 — logo, =0'567 36 — logo, =0:804 04-+ logag =0*823 08 + log 7, =0*990 00 — = RAS Il calcolo analogo, riportato in fine della prima memoria coi dati relativi ai soli nove archi Saxavord — Formentera, Fuglenoes — Staro Nekrassowka, Altona — Gottinga, Kaliana — Punnoe, Lysabbel — Lauenburg, Paudree — Trivandeporum, N. End — Cape Point, Cotchesqui — Tarqui, Memel — Trunz, mi aveva dato (pag. 31) i valori v=239 18, a=1°8; e la concordanza fra i due risultati (specialmente nel valore di &) sarebbe un indizio non ispre- gevole della loro esattezza, se si potesse fidare nella esattezza dei valori che in entrambi i casi sono stati adottati per a ed e. 6. Vogliamo ora vedere in che modo l'introduzione dei precedenti valori di v e @ contri buisce a rappresentare meglio le misure geodetiche degli archi considerati, e perciò cerchiamo le differenze arco misurato — arco calcolato nelle due ipotesi seguenti: (4) Quando attribuendo alla terra la forma e le dimensioni che risultano dai valori di Bes- sel(a—=3272077"14, e—=0-081 6968 25) si suppone che la rotazione diurna si faccia intorno ad un asse coincidente con quello di figura; (B) Quando , ritenendo le medesime forme e dimensioni della terra, si ammette che la po- sizione dell’ asse di figura sia determinata dai valori v == 218° 27, @—= 1° 2, che indicano rispet- tivamente la longitudine del suo estremo Nord (da Greenwich verso occidente) e l'angolo che esso forma con l’ asse di rotazione. Nell'ipotesi (A) la differenza Mis. - Calc. si ottiene mettendo @—0 nell'equazione (43) che diventa e moltiplicandone il primo membro per a. Infatti quell’equazione esprime la lunghezza s, — s del- l’arco mediante le colatidudini dei suoi estremi, e le quantità a ed e; e poichè A e B sono indi- 1 10 SS pendenti da s, —s, e D contiene questa quantità solamente nel termine — >, è chiaro che mol- tiplicando il precedente trinomio per a, il prodotto (A — B — D) a rappresenterà appunto la dif- ferenza Mis.-Calc. nell’ ipotesi (4) *). Similmente nell'ipotesi (8) il valore Mis. - Calc. si troverà moltiplicando per Si il primo membro dell’ equazione (A-+-B) sen? (0 +) —2B {cos 2w+-2C cos (v 4-1) sen 2w —(A-| B)sen?(v + y)-+-2(A—D) 20 ; perchè in questa equazione la lunghezza s, — s figura solamente nel termine — 2D col coefficiente DI 7: In tal modo calcolate le differenze Mis. - Calc. nelle due ipotesi anzidette, si sono ottenuti i nu- meri raccolti nel seguente quadro, che servono a mostrare di quanto i valori trovati per v e & ravvicinerebbero le misure ai calcoli, cioè 1 fatti alla teoria, se i valori di a ad = non dovessero subire alcuna correzione. ) Il prodotto (A—B—D) a, a motivo dei valori di A, B, D trovasi eguale a E te a AO e E at, 2 g44-20 eo} (nen, SH pei, san — 9565 (ini TRO +e gg i 1985 ta? da — 15365 da dove tutti i termini moltiplicati per a sono quelli provenienti dalla formola 01 | 28 a(1 — e) ‘ (1--22cos?9) ? dg, v sviluppata fino alle seste potenze di e. Distanze Mis. — Calc. Mis.— Cale. fra i paralleli (A) (B) Arco Anglo-francese. Saxavord — Stirling. . ....... 192 27319 | + 62:6 | + 38:7 » Kellie Law. ...... 261 72339 + 784 + 4505 o ii a, 421 103:01 | -+121:8 | -+67:7 » RM en. x TO RCE,1 0, (5200 Na lA CIBI OBIE liitE » Greenwich. ..i.vi..... 094 14723 + 84:38 + 148 » Dunlcerque's ino 509 38871 + 119-6 | +46:6 » Pantheon: 4 g0 14, 684 3331 + 155:8 | +65:4 » Carcassonne . . . ... 005 473-381 + 167:5 | +31:4 » Barcelona! 10.0. 110 029-18 + 148:3 — 2-6 | » Montjouy:.' A... 110 972.31 + 954 — 55:6 | » Formentera... .... 264 645:92 | + 99-22 | —73-5 | Arco Annoverese . .. Altona — Gottinga . ....... os 250 791 + 61:5 Arco Danese .... Lysabbel — Lauenburg. ...... 87 436:538| — 14:3 —27:5 Arco del Capo. . . ... N. End — Heerenlogement Berg. 126 906:47 + 16-0 + 34:7 » Royal Observatory. . .| 238 701:82 | + 98 | +45:5 » AWartbhop:: 0. 255 309-21 + 364 | + 748 » Cape Polat..." ..... 262 470-39 + 18:8 | +58:3 Arco Prussiano. . . .. Memel — Koenigsberg . . . ... 57 965:346| + 60:3 + 51-1 | » URI PAINT 86 176-975) + 518 | +38-0 Arco Svedese . .. Pahtawara — Malòorn ......... 92 777:981| — 178 | —29-6 Arco Russo. .... Fuglenoes — Stuor-oivi. . . .»....| 113 753:906| + 42:9 | +30-1 » RORAPO Na aa 2760975810] = d4;1 — 472 » alpi maldi sd 459 770:114| +4 975 | 4-39:5 » Hogland: cv... 605 483-681} -+106-6 | +27:3 O » e e E 703 022-299] +137-6 | -4+-43:2 » Jacobsta db nto 810 302-862| + 93-8 —17:6 » Nemestchit a on d. 916 033-741] + 147:3 | +18:6 » Bela cat: 1 064 843-262] + 161:4 | + 7-7 » Kremenetz ... ....... 1.176.062:273|. +. 212-0. |. 4+39-2 » Ssuprunkowzi . . . . . 1 252 818-659 | + 1446 | —41:6 » MVC n i, 1951 STA:64T NLUST78:4)|- 251 » Staro Nekrassowka . .|1 447 786:783| +253:6 | -+33:2 Arco Indiano 2° . ... Kaliana — Kalianpur. . ...... 306 690-12 + 98:2 -563:3 » Fakallchera 5/00. 478 300-16 + 154 — 36:8 » Daumergida ...... 651 18863 | + 654 — 23 » Namibabadi: ti vene 8190526501 Le 1041 | 23-2 » Dodagoontah. . . . .. 958 18790 | 4 19-:7 | —69-4 » Putchapolliam . .... 05193929 LIT RIO + 15:5 » Punnoerieti ira 1-212 880:34 .|1 4-109:3. | .4- (5-8 Arco Indiano 1°. . . . Paudree — Trivandeporum . . . . 99/813:00 | 8:50 | + 3-1 Arco Peruviano . . Cotchesqui — Tarqui. ......... 176 8755 + 192 | 41800 470516-18=|70 487:70= —(685:9? =@65-5)? ATTI—VoL VIL-N.° 7. 2 Somma dei quadrati — 10 — 7.I numeri dell’ ultima colonna della precedente pagina confrontati con quelli della penul- tima mostrano che i valori trovati per v e @’ ravvicinano assai sensibilmente gli archi calcolati ai misurati; sicchè se il semiasse equatoriale e l’eccentricità adottati si potessero ritenere liberi da ogni errore, o almeno tali da non richiedere che correzioni piccolissime *), dovrebbero risultare anche piccolissime le correzioni ai valori trovati v=218°27, @=1°2. Considerando però che sono quasi tutti positivi i numeri della colonna (A), cioè quelli che esprimono le differenze Mis.- Calc. ottenute con gli ammessi valori di a ed e nell’ipotesi che la rotazione diurna si faccia intorno all’ asse di figura, e che queste differenze potrebbero farsi risultare tutte negative aumentando solo il valore di a, si viene subito nel sospetto che almeno per tale valore debba esservi bisogno di una sensibile correzione necessariamente positiva; e se il semiasse equatoriale provvisoria- mente ritenuto non è sufficientemente approssimato, il valore di @ dedotto coi precedenti calcoli sarà pure erroneo, non ostante l’ accordo di gran lunga migliore che con esso s’introduce fra le misure ed il calcolo, e non ostante che si pervenga quasi al medesimo valore, o prendendo a base della ricerca i soli nove archi considerati nella memoria precedente, o i 41 del lavoro attuale. È necessario quindi far variare simultaneamente nelle equazioni di condizione le quattro incognite del problema, cioè i valori di a, e, v, @, e cercare le correzioni di cui abbisognano perchè sod- disfino alle predette equazioni nel miglior modo possibile. 8. Chiamiamo Av, Av, Ae, Aa le correzioni dei valori T v=218°27 , w=1°2 , e=0081696825. , a=3272 07714, e poniamo r—=[(A+B)sen?(v-+2—2B]cos2w+2Ccos(v-+/)sen2o—(A+B)sen?(0+4+2))+2(A—D); allora, supponendo che sieno disprezzabili i prodotti e le potenze superiori di tali correzioni, si avrà la relazione ÒT dT dT Òr Aa < si Cata e = +r=0, dove le espressioni dei coefficienti sono Òr = =—2(A-+B)sen2(v+-})sena—2Csen(v-+))sen2o, 9 3a = AA+8) sen?(0---) —2B]sen2o+4Ccos(v4-d)cos29 , DE == (A+-B)sen?( (0-+)— 2B']cos2 20 + 20'cos (0-2) sen2o — (A'+- B') sen? (042) +2(A"— A) Se 11 ; ala fss(1478 È g=z—48, 2 indi 173, 19 19, 15; Mz il e? = 3 i a a 5*( +5: Tosi ig Diga) > I 6 È 15 9 . 39, d=-12(1438 ; = e(1-3e) , Dir 56 3 ‘) Come sembra sia stata gia l'opinione di Encke, e sia tuttora quella di molti astronomi contemporanei. A'=f'(—-9+9 dt ds ’ Cam Lr+dY, ] 11 B=m + ®,, D'=p(-94+9D47 dtd, che si trovano derivando rispetto ad e i valori di A, B, C, D. 9. Riducendo in numeri le precedenti formole si troverà da prima e quindi per tutti gli archi considerati si avranno i valori di A‘, B', C, D' . . .* . LA ’ LA ’ Òr P, che trovansi riuniti nel seguente quadro, dove gli A", B, C, D, @ S a 1000, come si è già fatto per i valori di A, B, C, D dati a pag. 5, ed introdotti ora nel calcolo log /'=8:619 0742-+ , log —=6:708 58684 , logm'=9:089 7694-+ , loga'=7:009 616834 , logp =6'810 96304 , or ÒT delle },, Ta DÌ A B C D Saxavord — Stirling. . . .|4- 2:38237|+- 3:35303 6:40222 | 4-0:02758 —Kellie Law ....... 324199 437256 8-80620 |---0-04036 CP AORNONE na 5:21356 6:31398 | +A4:47248 | +-0:07512 ECAPDUENN NO ata 6:08522 | + 6:99224|-+17:08373|-+-0:09278 — Greenwich... .....: 6:61259 | + 7:34817|-+-18:59679 |--0:10410 — Dunkerque ....... 6:92450| + 7:53923|--19:52540|4-0:11103 — Pantheon. ....... 8:47081|+ 8:27185|--24:16555|--0:14765 — Carcassonne . . .... 12:45651 | -- 8:50679 | +-36-23132 | +-0"25728 =SRarcelona, . pote 13:75958 | + 8:07160 | 4+-40:14550 |--0:29686 —Montjouy... ..... 13:77202|-+- 8:06626 | +-40:18244 |--0:29725 — Formentera... .... 15:69322 | + 6:97363 586600 | 4-0:35799 Altona— Gottinga. . . . . 1:42382|-L 4:06289 419468 | +-0:02937 Lysabbel —Lauenburg . . 1:08195|+ 0:98658 3:13681 |--0:02012 N.End—HeerenlogementB. 1:61544|— 2:31253|— 418160|--0:05384 — Royal Observatory. . . 3:03210| — 4:08065|— 8:00436 |-+0:10110 —Zwart Kop . ...... + 3:24168|— 4:32079|— 8:58119|-1-0:10807 — Cape Point . . ..... 389239 | — 4:42297|— 8:83168|--011109 Memel— Koenigsberg. . . 0:71652 0:73255 2:05057 |--0:01229 inzio a 1:06567 1:06274 3:05913 |--0:01862 Pahtawara—Malòrn .-. .|+ 1:15703|+ 2:35453|-|- 258799 |-+-0:00105 Fuglenoes—Stuor-oivi . .|- 1:42280|-- 3:24535|4- 2:81207 |—0:00550 MOFNCA®. sini 346059 153953 7:22856 | —0:00638 — Kilpi-maki. . ...... 5:73376 |-+-11:77163 |--12:64877 |4-0:00273 — Hogland. . ....... 754237 | 414-68958 | +-17:29037 Pel DOSPatato ann + 875097 |---16:40138 | +20:53433 | --0:03160 — Jacobstadt . ...... 008001 | +18:05397 | +24-21647 | +-0:05028 — Nemesch . ....... 1:38780 | -19:43777 |-{-27:94123 |-+-0:07205 AME RAI 13:22866 190. 96650 | +-33-32209 |--010813 — Kremenetz . ...... 1460436 | +-21-78229 | +-37 42429 |4+-0:13895 — Ssuprunkowzi . . . .. --15:55552 | +22:18092 | 440:28 135 | -|-0:16203 = iWodolbi .......--.: -+A16:77647 | +-22:49346 | +-43:97796 | +-0:19359 — Staro Nekrassowka. . .|-{-17:97188 | +22:58253 | 4-47:60254|--0:22641 Kalianma—Kalianpur. . .. 3:94070|— 6:91020/4- 9:21564|--0:12862 — Takalkhera. ...... 6116987 | —11:47759 | 4-13:76319|-+-0:19867 — Daumergida . ...., 8:42974| —16:51817|-417:83196 | ---0:26712 — Namthabad. ...... 10:63825 | —21:78472 | 4-21:25148 | +-0:33146 — Dodagoontah. . . ... 12:21488 | —25-71860 | -+23:34276 |4-0:37586 — Putchapolliam . .... 13:72329 | —29:59669 | 4-25:06357 | 4+-0:41724 SIRADDONI 15:86686 | —35:26526 | -27:02867 |--0:47443 Paudree—Trivandeporum.|- 1:19077|— 3:03916 1:41749 | +-0:03289 Cotchesqui — Tarqui. . . .1-- 2:37051!— 6:56760 | — 0:3483!--0:05985 ÒT dv -+0:011326 0:015588 0:025653 0030210 0032993 0034648 35 0042925 0064515 0:071537 0:071605 0:081821 0:005791 0:004237 —0:004178 —0:008002 —-0:008579 —0:008829 0-001820 0:002717 0:001500 +0:001620 0:004178 0:007330 0:010041 0:011940 0:014101 _0:016290 0:019461 0:021883 -0:023576 -}0:025761 -10:027915 — 0-017206 _ 0025728 —0:033375 —0:039825 — 01043784 —0:047052 —0:050810 —0:002784 —0:001003 logg=6:982 1311—, logr—=6:404 2835 — , log #—=3:696 85 +, ÒT OMO LI Or Pg dog sono stati moltiplicati per PI a dT dr =, =— 144 =, de de da —0:80634|— 2:35572|—117:524 —1:11038|— 2-83623|—159:974 —1:82953 | — 916444 |—257:392 —2:15570|— 2:95735|—300-428 —2:35505 |— 2-72528 | —326:488 —2:47359 |— 2:54985|—341:917 —3:06728 |— 1:25781|—418:287 — 462060 5:34119 | —614:57 — 512741 8:51638 | —678:486 —5:13234 |-+- 8:54905|—679:063 —5:87091 |4-14:13211|—772:993 —0:59482|-- 0:39971|— 70-392 —0:44615|— 0:04739|— 53444 ‘630084 8:02731|— 77:569 1:20777 |---14:55788 | —145:902 1:29509 | +-15:48197 | —156:053 1:33294 |4-15:87847 | —160:430 —0:31312|— 0:19573|— 35:430 —0:46730|— 0:23891|— 52:674 —0:39733|— 2:57590|— 56:709 —0:42757|— 3:82753|— 69530 —1:10394|— 8:63535|—169-297 —1:94041 | —42:95478 | —281-026 —9:66124|—15:52585|—370:091 — 3:16701|—16:78562|—429-710 —3:74916/ —17:72661|—495:283 —4:32783| —18:18202|—559:910 —5:17566 | —18:00593 | —650-867 —5:82429| —17:29470| —718-848 —6:27808|—16:37629|—765:760 — 6:86512| —14-88163] —826-002 — TAA2T7|—A12:98904 | —884:934 —1:20641 |-|-20:92423 | —187:459 —1:80808 |---34:11923 | —292:353 — 235155 |-148-35132 | —398-028 — 281374 |-1-62:97670 | —500:632 —3:10016 |-1-73:78824 | —573-451 —3:93912 | 8437846 | —642:980 —3:61840|-L99:77274|—741:355 — 0:19156|-- 8:31380|— 54897 — 0:05516!-417-73869! —108-112 r +-0:02367 002784 0-04141 000547 -0-00902 0:02847 0-03995 0:01922 —0:00161 —0:03400 — 0:04490 +-0-03762 —0:01679 0-02122 002784 0:04572 0:03565 0:03121 0:02322 —0:01811 0:01840 Tp .02882 0:02416 0:01667 0:02642 —0:01077 -40:01138 0-00469 0:02397 —0:02512 — 0:01536 002032 -0-03868 —0:02249 —0:00140 0:01416 10.01288 0:00950 ‘00352 0:00192 0:01099 ‘) Moltiplicando per --——- i ì soprascritti valori di T, si hanno i numeri della colonna (B) a pag. 9. 10. Se ora poniamo Av da a== L y= hw A ae 3 10074, 10 i avremo un sistema di equazioni lineari, fra le @, Y, 2, t, nelle quali i coefficienti delle incognite ed i termini noti sono ordinatamente 1 valori di ÒT ÒT dr a dT do de 100 da che si trovano immediatamente nella pag. precedente. Applicando a tale sistema il metodo dei minimi quadrati si ottengono le seguenti equazioni normali + 414897e— 22:22347y— 18747451z— 23:98209#4-0:00567—=0, — 2222347x+-455:46915y— 5774376124 598:41344#—0°03521—=0, — 187:47451 x —577:43761y4-34709-75272=— 1684:95203#— 1‘23577=0, — 23:98209 2 -4-598:41344y— 16849520354 840:48133#—0:44218—=0, da cui sì ricavano looa=T7:921 2480 + î log z = 6:699 5707+ È log. y = 8:270 5261 — ; log #=8'177 3000+, e quindi Av=-+4°47 —, = As=-+0:000 500692 T As=—1° 4, A4a=+ 492118. 11. I valori troppo grandi di queste correzioni tolgono ogni dubbio sulla inesattezza dei va- lori di a ed e finora adottati, e di quelli di v e &@ che ne abbiamo ricavati , e che pure, come ab- biamo visto , producono un accordo assai soddisfacente fra gli archi misurati e quelli calcolati. Inoltre nello sviluppo di F, per la grandezza delle Av, A@, Ae, Aa, non risultano trascurabili i termini contenenti i prodotti e le potenze superiori di tali correzioni, come si potrà verificare ri- ducendo in numeri le due espressioni [(A-+-B)sen®(v-+)—2B]cos2o+2Ccos(v-+/)sen2o — (A-+-B)sen?(v4-2))+2(A—D), ÒT Aa di am 0437 7 dh 4-S dep aol cul ? ove nella prima si sostituiscano per a, e, v, @ ì valori di a-+- 4a 5 e+ Ae , v-+- Av 7 ol Ao, e nell’altra quelli di Av, A@, Ae, Aa che abbiamo or ora rinvenuti. Per conseguenza possiamo dire che il valore di circa 1° trovato per #, tanto coi soli nove archi considerati nella memoria precedente, quanto con tutti i quarantuno del lavoro attuale, non è che un risultato dovuto princi- as al troppo piccolo valore del semiasse equatoriale ritenuto , secondo Bessel, eguale a 272 077714, ed anche all'errore del valore 0-081 6968 25 ammesso per l’ eccentricità. È tolo ole oo che aggiungendo ai precedenti valori di Bessel le correzioni Aa = + 4927*18, Ae—--4+0:000 5006 92 si trovano i numeri TV SI —_T—_————mn o NT ER , mt 7 3 272 56932 a 0:082 1975 17 3 che sono abbastanza prossimi ai valori iS so, A i 3 272 4923 À 0:082 2714 997 ottenuti dal signor Clarke nel 1866. Quanto poi al valore di @, dai precedenti calcoli risulta che esso dev essere di molto inferiore ad 1° se non è rigorosamente zero ; e per conseguenza nel porre in numeri l’ equazione riportata a pag. 8 potremo, senza alterare menomamente le cifre utili nel calcolo, sostituire 1 a cos@, e 2@ a sen2 @, come si verificherà agevolmente anche con un va- lore di @ eguale ad un quarto di grado , facendo uso dei valori di A, B, C, D, precedentemente determinati. II. 12. Ad ottenere da tutte le equazioni relative agli archi considerati la determinazione simul- tanea delle quattro incognite a, e, v, @ senza presupporre alcuna precisa conoscenza dei valori di a ed e, mettiamo, come poc’ anzi INTIOO detto, cos? @=1 e sen2@=2 @ nell'equazione [(A+-B) sen? (0-4) —2B]cos2w+-2Ccos(v-+2)sen2o —(A+-B)sen?(v+)+2(A—D)=0; e, moltiplicando il risultamento per 5 , avremo O 2Cav cos(v4+-))+[AT—B—D]a=0 Ora, tenendo presente l’espressione di D riportata a pag. 4, se poniamo D=p(9—-9)+409,+79 +49, sarà ESC, D=D, — ù a e quindi la precedente equazione diverrà ®=2Cav cos (v+)+[A—B—D,]a+s,—s=0 dove il primo membro dinota evidentemente la differenza Mis.-Calc., ed i valori delle incognite da tutte le equazioni simili dovranno determinarsi in modo da rendere minima la somma F= (@° ). Se ora mettiamo nell’ espressione di @ (1) au cosv=500x , avsenv—=500yY , a=3 272 4923-+2=2+2 1), ed inoltre 1000 Ccos /—=a P A—-B—D,=c, —1000Csen?=b ; ca-|-si—-s=n, avremo l’ equazione (2) o—ar-+by+cc4+n=0, nella quale le incognite x, y, 3 sono legate con le a, v, @ mediante le equazioni (1), mentre la e (1a *) I valore a=3 272 492:3 è quello del semiasse equatoriale trovato dal Cap. Clarke. L’introduzione dell’incognita 3 invece della 4 ha per fine di evitare che fra le incognite ve ne sia una molto più grande delle rimanenti. da — 14 è implicitamente contenuta nei coefficienti, che sono determinati dai seguenti sistemi di equazio- ni, fra cui quelle relative a c si ottengono sostituendo ad A, B, D, i propri valori: 3 1 173 1 3 5 15 3 3) m= (14 ‘ing pesate ‘ O I) (3) mn Te (1+78+74) reg ) pe (14+4). 15 3 pENBUL p SA = se Ae 4 SE pi 5 i Era ( win pet PT 15865? (4) . C=mY;+w,., a=1000Ccost. , b=—1000Csenì, c=d(,—9) +91 4-p®; ’ n=cc|s—s. 15. Le equazioni del problema sono ora tutte riunite nelle precedenti formole (1), (2), (3), (4), e per usarle procederemo nel seguente modo: Immaginiamo attribuiti ad e una serie di valori e, €,, & + + + + @quidistanti, e tali che il medio di essi sia poco differente dal vero valore di e, ciò che è possibile nello stato attuale della quistione. Allora per ogni valore di e calcoleremo con le equazioni (3) e (4) i coefficienti dell’equa- zione (2), e risolveremo col metodo dei minimi quadrati ciascuno dei sistemi di equazioni in tal modo ottenuti; così per ognuno dei valori e,, €,, &, 3 + - +, conosceremo i valori di x, y, 3 che rendono minima la somma F=2 (8°), e quindi potremo trovare il valore stesso di questo minimo. Supponiamo dunque che ai valori E corrispondano i minimi di F, rispetto ad a, y, 3, trovati nel modo anzidetto e dinotati da F ? F 9, F, 3 eta lato) 1 allora con l’interpolazione avremo l’espressione generale di F, cioè : 5 F,=F,+(4F leg +e _l ebete (= A° F 1 6F Di ME° + ete. )n? (5) no. o 9 Co) D O) 4 o . n+ Di o79 Tg +e . 172 + Il 1 1 sa IG F-MF,+ cie.) n+ G MF, + cte.) nitbete., ed il minimo di F, rispetto alle quattro incognite x, y, 2, e, dovrà corrispondere ad un valore di n che verifica l'equazione (6) (Coe = AF,+ 38 pio 3 MPS etc.) LA (ar, AF,+ si are cie.) n+ 1 3 1 | (- AF, — 7 AGE pete.) n°+ (3 MF, + etc.) n°+ete.=0 . Troveremo adunque n da questa equazione, e quindi avremo l’eccentricità dalla (7) E,= 5-0) ’ ed il minimo di F dalla (5) sostituendovi il valore già trovato di n. Per avere finalmente le rima- nenti incognite , calcoleremo di nuovo i coefficienti dell’ equazione (2) mediante le equazioni (3) e (4) in cui sì porrà e—=-e,, e risolveremo ancora col metodo dei minimi quadrati il sistema di E equazioni lineari che ne risultano. Le @,Y,z, in tal modo ottenute daranno le a, v, @ mediante le equazioni Yy 5002 500y —a--- 2 eu — =—__— =- ‘ (8) cinta: È È x E " Tacosv asenv’ e per ripruova si potrà calcolare di nuovo il minimo di F rispetto ad @, y, 3, e, sostituendo gli ultimi valori di @,y,z nel sistema di equazioni lineari corrispondenti al valore e, di e, e for- mando la somma dei quadrati dei risultamenti. 14. Per procedere ora al calcolo numerico prendiamo per e i valori equidifferenti *) e,= 0081 6714 997, e,=0:081 9714 997, e,=0:082 2714 997, e,=0-082 5714 997, e,=0:082 8714 997, e dalle equazioni (3) avremo i corrispondenti valori di m,#,,p,v, che si trovano nei seguenti quadri : \ logm log è e,j 7699 93474 5°013 19 + e] 7703 1248+ 5°024 56 + | e,| 7706 3033+ 5:030 91 + eg] 7709 4703+ 5°037 23+ el 1712 6259 + 5:043 53 + eh 9999 2742 741 — 7:699 9283 — 4719 33 — 1:830 — e, | 9999 2689 217 — 71-703 1182 — 4725 712 — 1:840 — | e,| 97999 2635 492 — 77106 2967 — 4732 08— 1:849— | e,| 9999 2581 571 — 7-709 4636 — 4738 42 — 1:859 — e,j 9999 2527 451 — 7-712 6191 4144 14 — 1:868 — Quindi coi valori di ®,, ®,, P,, Y,, Y, che si trovano a pag. 5, e quelli di g,— 9, s,—s ed / che si hanno immediatamente nei quadri da pag. 2 a 4, formeremo mediante le equazioni (4) , per ogni arco e ciascuno dei cinque valori attribuiti superiormente ad e, i coefficienti dell’ equa- zione (2), che sono riuniti qui in seguito insieme col valore di log G. Il maggior numero di cifre nel valore di c serve solamente pel calcolo di n—=cx-|s,—s, mentre nell’ equazione ax + by + cz-+n—0 possono ritenersi le sole cinque prime cifre di c, come in a e Db. *) Il medio e9 corrisponde all’ellissoide trovata dal Cap. Clarke nel 1866. Saxavord — Stirling . . — Kellie Law... . CMV, e ARDUINI — Greenwich... — Dunkerque. . ... — Pantheon: {ge}. — Carcassone . . ... | | — Barcelona | Ì Se (10528 log C a b c 6:414 7996---[4-0:25989 +-0-00227|—0-05874 6:418 0028 0.26181| 0:00228) 0-05874 16421 1925 0:26374| 0-:00230| 0-05874 61424 3719 0:26568| 0-:00232| 0-05874 61427 5413+4+|+0-26762/4+0:00234|—0-05874 6:553 3258 +|+0:35753|+0-00312|—0-07996 6:556 5281 0:36017| 0-00314| 0-07996 e, 161909 7188 0:36283|] 0-00317| 0:07996 :|6:562 8981 | 0:36550| 0-00319| 0-07996 e, (6066 0661+4-|4-0-36817|---0-00321) —0-07996 6:769 24444-|--0-58780|4+-0-00513|—0-12865 6772 4449 0:59215| 0:00517| 0-12865 6775 6845 0-59651| 0-:00521| 0-12865 6778 8123 0:60089| 0-00524| 0-12865 6:781 9785+|+-0-60529|-+-0-00528|—0:12866 840 0854+4-|-1-0-69194|-+-0-00604|—0-15019 6:843 2920 0:69707| 0-00608| 0-15019 6:846 4744 0:70220] 0-00613| 0-15019 6849 6516 0:70735|. 0-00617| 0-15019 6:852 8177+|4-0-71253|-+0-00622|—0-15019 6:878 2592-4+-0-75551|4-0-00659|—0-16321 6:881 4588 0:76110! 0:00664/ 0-16321 6°884 6475 0:76671| 0-:00669) 0:16321 61887 3243 0:77234| 0-:00674| 016321 6.390 9902 -4-|--0:77799|+0-00679|—0:16321 o 16899 44794-|+-0-79329|4-0-00692/—0-17092 1 [61902 6473 079915 000697017092 » 161905 8358 0:80504| 0-00703| 0:17092 , [61909 0123 0-81095| 0-00708| 0-17092 61912 17794-|4+-0-81689|-+-0-00713/—0-17092 6:992 1791+|-+-0-98212/4-0.00857|—0-20909 6:995 3781 0:98938| 0-00863| 0-20909 » 161998 5654 0:99666| 0:00870| 0-20909 , |1°001 7411 1:00398| 0-00876| 0-20909 7:004 9053++|4+-1-01132|---0-00883|]—0-20909 7168 41774-|4-1:47367|---0:01286|[—0-30723 101 6439 1:48456| 0-01296| 0-30723 e, |7*174 7989 1:49549| 0:01305| 0-30723 LTT 1:50645) 0-:01315| 0:30723 7181 1339+|4-1:51746|4-0-01324|—0-30723 7213 08254 |-+-1-63330|+-0:01425|—0-33919 7°216 2778 1:64536| 0-:01436| 0:33919 71°219 4619 1:65747| 0-:01446| 0-33919 7:222 65340 1:66962| 0-01457| 0-33919 7.225 7950--|-+-1-68182|-+0-01468}—0-33919 2660 2960 3261 3563 3866 2954 3306 3659 4014 4369 8676 9030 9384 9739 0096|- 1528 1828 2131 2/32 2736 8312-16-56 8565| 15-73 8818| 14:91 9072| 14:07 9323|-+13:25 1742| 4-48 62 1960| 47:91 2179| 47:20 2398| 46:48 2618|--45-76 5828|-+-69-02 5813) 69:07 5797! 69:13 5781} 69-18 5765|-+-69-23 7963|4+-39-44 6854| 43:07 5740| 46-72 4621| 50:38 3499|4+-54-05 71713|+ 7-08 6153| 12-38 4527| 17:70 2894| 23:05 1255|+-28-41 Ln —__—— CC TT CETa Saxavord—Montjouy . . — Formentera | Altona — Gottinga . . Lysabbel — Lauenburg . | | | N. Di Henenogeoi B. li Royal Observatory. . — Zwart Kop ...... | Fa GapelPoint Ato. Î | | Memel—Koenigsberg. . 7:213 4853+|+1:63482 7:216 6807 1:64689 e |7:219 8645 1:65901 3 17223 0367 IGT —] 7:226 1976-+|+1:68338 271 10644+-|-+1:86677 74 3003 | 1-88055 774832 | 1-89438 280 6542 | 190826 ‘283 81424-|+1-92220 53. e e e e] 16) 2 dI L9 V9 6:231 9281+|--0-16802 e, [6:235 1268 0:16927 2 [6:238 3122 0:17051 3 |6:241 4867 0:17176 6:244 6482-4|-+0-17302 6-105 52724+-|+-0-12535 6-108 7273 | 012628 -|6-111 9141 | 0-12721 ,|6:115 0877 | 012814 - (6-118 2515-4-}-+0-12908 ‘(6-233 2271—|—0-16225 6:236 4037 | 0-16345 6-239 5697 | 0-16464 6-242 7252 | 0-16584 6-245 8678—|—0-16704 6-515 0959—|—0-31049 6-518 2744 | 031277 6-521 4414 ‘| 0-31506) 6-524 5960 | 0-31736 6-527 7395—|—0-31967 ‘545 2997—|—0-33286 ;-548 4779 | 0-33530 ‘551 6451 | 0-33775. ‘554 8004 | 0-34022 ‘557 9449—|—0-34269 6:557 7886=|—0-34257 6:560 9665 | 0-34508 . |6-564 1344 | 0-34761 16:567 2987 | 0-35014 e, |6-570 4332—|—0-35269 5:920 7910-+-|--0:07805|-+- 5:923 9845 | 0-07863 5-927 1752 | 0-07921 5-930 3478 | 0-07979 5:933 5126-1.|-1-0-08037 ATTI—Vol. VII—N.?° 7. +0:01427 0:01437 0:01448 0:01458 +0-01469 + 001629 0:01641 0:01633 0:01665 4+0-01677 +0-02943 0-02964 0-02986. 0-03008) -+0-03030 —+0-02335| »0-02352 0-02369 0-02386 +0-02404 —0:0 0:05469 0-05508 0:0 —0:05589 — 010389 0-10465 0-10542 0-10619 —0-10696 — 011137 0-:11219 0-11301 0-11384 —0-11466 —0:11462 0-11546 0-11631 0:11716 ‘—0-11801 -0-02918 002940 0-02961 0-02933 +0:03005 Cc n —0:33950 2209|—46-05 | 0-33950 0583| 40-73 0-33949 8952| 35:39 0-33949 7314| 30-04| —0:33949 5670|—24 166 | | —0:38646 6374|—62-31| 0-38646 3861| 54:09| 0-38646 1339) 45-84| 0-38645 8807| 37:55) — 038645 6266/—29-24| —0:03517 1749/4-64:45| 0:03517 1649) 64:77 0:03517 1549) 65-10! 0-:03517 1449) 65:43| —0-03517 1348|4+-65-76 -—0-02672 6403|—25-41 0-02672 6380) 25-33 0-02672 6357| 25-26 0-02672 6334| 25-19| —0-02672 6311|—25-11 ‘—0-03877 9875|— 0:37 0-:03877 8711|4+ 3-44 0-03877 7543) 7:26 0-:03877 6370) 11:10 — 0-03877 5193|+14:95 —0-07294 8377|—21-18 0-07294 6271) 14:29 0-07294 4156) 7:37 0-07294 2034|— 0-42 —0-07293 9904 + 6.55 | —0-07801 57244 3-35 0-07801 3485| 10-68 0-07801 1237| 18-04 0-07800 8980 25:42 | —0:07800 6715 i —0-08020 9686 —15-19 0:08020 7389). 7:67 0-08020 5084 — 0-13 | 0-08020 2770 + 7-44| — 0-08020 0448-15-04 | —0:01769 6720|4+-52-97 0-01769 6728 52:94 0-01769 6737| 52-91| 0-01769 6745) 52-88| —0:01769 6754+52-85 L | 3 log C a b c n &, (6094 5375+|+-0-11645|+-0-04354|—0-02632 1272/4+-40-82 e, |6:097 7362 0-11731| 0-04386| 0-:02632 1276) 40-80 Memel — Trunz. . (€, 16100 9251 O=LLSt O: e 0:02632 1281| 40-79 e, (6-104 1011 0:11904| 0-04451| 0-02632 1286| 40-77 €, (6‘107 26424+|—0-11991/4-0.04483|—0.02632 1290|+-40-75 €, [6:020 7051+-|4-0:09373|/4-0:04707|—0-02835 9862|—29-45 | È 6:023 9147 0:09442| 0-04742|. 0:02836 0222) 30-62 | Pahtawara — Malòrn . . (€ {6:027 1131 | 0-09512) 0-04777) 0-02836 0583| 31:81 È 6-030 2961 0:09582| 0-04812| 0-02836 0946) 33-00 €, (6033 4720+|+-0-09652|4+-0-04848|/—0-02836 1310|—34:19 & [6056 4818+|+-0:10177|4-0:05111|—0:03475 1874|428-67 | €, [6059 6921 0:10258| 0:05149| 0:03475 2420) 26-88 | Fuglenoes — Stuor-oivi . ( ©, [6062 8902 0-10329|. 0:05187| 0:03475 2968). 25-09 | €, 16-066 0761 0:10405| 0-05226| 0:03475 3518| 23-29 €, [6069 25364-|4+-0-10481|+0-05264|—0-03475 4070/4+ 21-48 | €, [6:466 6334+|4+-0-26169/+0-13143|—0-:08465 2542|—48-98 e, |6°469 8426 0-26363| | 0:13240| 0:08465 3764| 52-98 = fomeasth SoS. e, |6:473 0400 0:26558| 0-13338| 0-08465 4991| 57-00 €, |(6:476 2272 0-26754| 0-13436| 0-08465 6223] 61-03 e, [6479 4011+-|4-0-26950|+0-13535|—-0-08465 7459|—65-07 €, 16709 7837+|4+-0-45808/4-0-23006|—0-14048 3278]-+39-67 | COR I2:9921 0:46148| 0:23176| 0-14048 5099] 33:71 — Kilpi-maki. . . ... e, 16716 1887 046489] 0-23348| 0-14048 6921| 27:75 | € |6°719 3744 0-:468311 0-23519| 0-14048 8749] 21-76 €, |6:722 5484+|-+0-47175|4+-0-23692/—0-14049 0584|+15*76 €, |6:845 67284-|+-0-62637|4+-0-31458|—0-18501 2914|+-30-34 | | 6:848 8804 0:63101| 0-:31691| 0-18501 5067| 23-30 [=SHoglandi i UST e, |6-852 0760 0:63567| 0-:31925| 0-18501 7228] 16-23 i 6:855 2598 0:64035| 0-32160) 0:18501 9396] 9-18 €, |6:858 4325+-|4-0-64505|+0-32395|—0-18502 1573|+ 2-01 €, (61920 44214-|+0-74405/+-0-37368|—0:21481 2751|4-49-22 e, (6923 6486 0:74956| 0-37644| 0-21481 5059] 41‘67 ‘cora Vs ESA: €, 16926 8439 0:75510| 0.37922|] 0-21481 7376) 34:09 | €, 16930 0270 0:76065) 0-38201| 0-21481 9701] 26-48 | €, (6933 1987+|+-0.76623/4-0-38481|—0-21482 2035|418:84 e) 161992 17824|+0-87768]|4+-0-44079/—0-:24761 2861|— 8:32 \c 161995 3838 088418) 0:44405/ 0:24761 5272] 16:21 — Jacobstadt. . . . .. (€, (6998 5775 0:89071/ 0.44733| 0-24761 7692] 24-13 (al? 7:001 7601 0:89726| 0-45062| 0-24762 0120] 32-08 €, |7:004 93154 |+0-90384|+0-45392|—0-24762 2558|—40-05 €, (7054 42004-|+-1:01293|+0-50871|—0-27990 9594|+31:75 €, /7:057 6251 102043) 0-51248| 0-27991 2034| 23:76 — Nemesch . . ..... e, 71060 8183 1:02796| 0-51626| 0-27991 4483] 15:75 e, |7:063 9999 1:03552| 0-52006| 0-27991 6941|4 7:71 :,|7:067 1706+-|+1-04311|+-0.52387|—0:27991 9408|[— 0:37 log C a b c n ‘131 0618-+-|+1:20843/+0-60690|—0-32538 3932|4- 2685 ‘134 2655 1:21738| 0-61139| 0-32538 6289 19:14 ‘137 4576 1:22636| 0-61590| 0:32538 8655 11:39 140 6381 1:23587| 0-62043| 0-32539 1030|+ 3-62 ‘143 8074+4|+1:24442]4-0:62497|[—0:32339 3413|— 418 m (>) ZZZ, Fuglenoes — Belin . . . RIZZI ‘181 5784+|+1:35749|+-0-68176|—0:35935 88244 63-29 184 7811 1:36754| 0-68680) 0-35936 1022 56:09 187 9725 1:37763| 0:69187) 0:35936 3229 48:87 191 1522 1:38775| 0-69695|) 0:35936 5448 41:63 194 3206+4|+1:39791/4-0-70206|—0:35936 7665|+ 34-36 — Kremenetz . . 1I D1,1 213 66734+|+1:46159|+0-73404|—0:38283 5948|— 14-03 ‘216 8694 1:47241| 0-73947| 038283 7987 20-71 ‘220 0600 1:48327| 0-74492| 0-38284 0034 27-41 ‘223 2391 1:49416/ 0-75040| 0:38284 2088 94:18 ‘226 4068+|-1:50510|+0:75589/—0-38284 4150|— 40-87 — Ssuprunkowzi. . . . dA L24 ‘251 8727-+|+1:59600|+0-80154|/—0:41294 6508|4 7:38 ‘255 0743 1:60780| 0:80747| 0-41294 8283/+ 1*57 ‘258 2641 1:61966| 0-81342) 0-41295 0066|— 4:26 ‘261 4425 1:63155| 0-81940| -0-41295 1854 10-12 ‘264 60934|+1:64349|+0-82539[—0:41295 3649/— 15:99 — Wodolui . ..... m ee Rea) % |7*286 3731-+|+1:72795|+0-86781|—0:44238 9607/4 70-16 €, [71289 5738 1:74074| 0:87423| 0-44239 1060] 65-40 €, 17:292 7627 1:75356| 0-88067| 0-:44239 2519) 60-61 €, |7:295 9404 1:76644| 0-88714| 0:44239 3982| 55-81 e, |7 4 ‘299 10664+|+1:77937|-+0-89363|—0-44239 545114 50-99 6:576 83644+-|+-0-08062|/4-0-36872/—0-09369 9803|4+ 58:24 6.580 0110 0-08121| 0:37142| 0:09369 6581 68-78 083 1738 0-08180| 0:37414| 0-09369 3348 79:36 586 3251 0:08240|) 0-37686| 0-:09369 0102 89:98 589 46374-|+-0-08300|-+0-37960|—0-09368 6845] 4100-64 Kaliana-Kalianpur . 751 1667-+|-+0-12044|--0-55084|—0:14617 2049|— 46-75 1 |6:754 5407 0:12132| 0-55488| 0-14616 6807 29:59 2 |6-757 5015 0-12221| 0-55893] 0-:14616 1545|— 12:37 3 [6760 6524 0:12310|) 0-:56300| 0:14615 6263|+ 4:91 4 16763 7903+|+-0-12399|+-0-56709|/—0-14615 09614 22-26 — Takalkhera . . %, |16:863 7700--|-+-0-15609/4+-0-71389|/—0-19899 4512|— 19:38 € 16866 9421 0-15723| 0-71912| 0-:19898 7096|/+ 4:89 — Daumergida. . . . .(8|6:870 1024 0-15838| 0-72437| 0-19897 9653 29:25 € |6:873 2520 0:15953| 0-:72965| 0-19897 2183 93:69 E 4 |6:876 3899+-|4-0-16069/+0-73494|—0-19896 4685|+ 78-23 & 1 e 0 [6940 0630-+|-+-0-18606|4-0-85099|/—0-25028 4798|— 2-42 e, |6°943 2352 0:18743] 0:85723) 0-25027 5156|/4 29-13 — Namthabad . . . .. ©» 61946 3953 0-18880| 0-86349| 0-25026 5478 60-80 € 161949 5437 0:19017| 0-:86977| 0-25025 5765 92:59 ©, [6:952 6801--|-+-0-19155|4+0-87607|—0-25024 6016|-+124:49 i o Ca) bai log C ‘+ Vea b c n %, |6 980 8892-41 |--0-20440|--0:93487|—0-28672 0476|—102-65 e, |6:984 0608 0:20590 Ù 94172 0-28670 9192 65:72 4 €, (6:987 2201 0:20740) 0-94859| 0-28669 7866|— ©, (61990 3686 0:20891| 0:95549| 0.28668 6498|/+ 8-54 + Kaliana— Dodagoontah. ©, (6993 50464+|-+0-21043|4-0-96242|—0-28667 5089 1588 € |7:011 8326+|4-0-21950|-+1:00390|—0.32145 6896|— 25-93 €, |7:015 0033 0-22111| 1:01126|] 0-32144 4006|4 16:25 — Putchapolliam . & |7:018 1623 022272] 1:01864| 0-32143 1068| 58-60 €3/7:021 3101 0-22434| 1:02605) 0-32141 8082) 101-09 €, [7:024 44584+-|4-0-22597|4+-1:03349|—0-32140 5049|-+148-74 0- 300: -+1:08276|/—0:37064 5426|— 48:96 €7|7:047 8439 0-:23847/ 1‘09070| 0-37063 02064 0-85 ‘051 0031 | 0 21022 109866) 0-37061 4929 50:84 ‘054 1501 0:24196) 1:10665| 0:37059 9596| 101.02 1:057 28564-|4+-0-24372/4+1-11467|—0:37058 4207|+151:37 ‘764 99014-|4-0-01077|4-0:05720|—0:02744 5808|— 3-19 ‘768 1495 0-01085|. 0-:05762| 0:02744 4547|+ 0-94 T71 3081 0-01093) 0-05804| 0:02744 3282 508 Paudre-Trivandeporum | | | 174 4513 0-01101| 0-05846| 0:02744 2011 9-24 177 57914+|+0-01109|+-0-05889/—0-02744 0736|4+ 13-41 5 4271-|—0:00273|4-0-:01404|/—0:05405 0411|— 4:05 o Ol Li Î ‘158 6037 0:00275] 0:01414| 0-05404 7744/4468 | Cotchesqui-Tarqui . ‘161 7572 0:00277| 0-01425| 0-05404 5066 13:44 | al 1 64 8880 0:00279] 0:01435| 0-05404 2379 22:23 67 9963—|—0:00281|4-0- Dio —0:05403 9682/4 31-06 6, |T-044 67384-|4- 7 7 7 7 i I | 15. Se ora raccogliamo tutte le equazioni o-ar+by+c<+n=0, It arlve a ciascuno dei precedenti valori di e dinotati da e, , €, } €, ; €, &,, € formiamo le corrispon- denti equazioni normali [aa]e--[ab]y+[ac]:4-[an]=0, [ba]:+-[bb]y+-[bc]=+-[bn]=0 [ca]o+-[cb]y+-[ec]:+[en]=0, per risolverle rispetto alle incognite @, y, 3; indi sostituiamo ciascuno dei sistemi di valori di queste incognite nell’ espressione di @, e facciamo la somma dei quadrati dei risultamenti , tro- Veremo : Per ET, 3 +-28:83389 2 + 8:32775y— 6:955432-+371:85=0, + 8:327750-+8:30959y—3:341172— 2744=0, — 6:955430—3:34117y-+2:10065.2— 40:29=0, ’ TE val IT a,=—4684 , y=—1222 , a,=— 55:96, F,=Z(0°)=62 02738. RARI (CO Derie=ze;, + 29:261820+-8:45127y— 7:006872-+367:50—=0, | 8:451270-+8:43233y—3:365745+121:94=0, — 7:00687w—3:36574y-|-2:10063=— 8820=0, a, T coj====1607. , yi 970. car =—21032 | Hi=04 82716. Perta=ze 4-29-694502-+8:57622y — 7-05846.5-+362:98—=0 , + 8:57622x+-8:55639y—3:390372-+274:03—0, — 705846 —3:39037y-+2:10058z—136:30—=0, T T di a,=-+13:42 , y=—527 , 4,=+10146 , F,=52982:69. Pere E, ) +30:13195e+8°70254y —7:1102824-358:32—=0, + 8:702542+-8:68194y—3:415152+-428:91=0, — 711028a—3:41515y+-2:10055<—184:57—=0, DI i T ee=-+-43:07 , y=— 184, &=+290°69 , F,=56 b51:98. Li , Pene +-30-57441 0-+8:83031y—7:16229=+353:59=0, + 8:830312+8:80883y—3:440012+586-61—=0 , — 7162290—3:44001y-+2:10054z—233:02=0 , D TT STA a=+7239 , yy=+153 , 2,=+36027 , F,=6559904. 16. Riunendo i valori di F corrispondenti a quelli equidifferenti di e, e prendendone le con- secutive differenze, troviamo e 62 027:38 VE RO tai 89716 7200722, | 015955175 (2 | 5a ggoeg | TISHEATI saga | 19799 L690 ° | 56 551-993 | +3569:24 | 54gzigg | 19410 2 | 65 599-04 | + 904711 x e quindi avremo i valori AF,=— 720022, 4°F,=+5355/75 , 45F,=+57:96 , A‘F,=-+620, che sostituiti nell’ equazione (6) daranno 1:03 234-24'33 n° -+-5303'477—9860:33=0 . IMRE Risolvendo questa equazione si troverà n=-+1:842 4352, e la (7) darà pel valore dell’ eccentricità e,=0'082 2242 303, mentre pel minimo di F, ricavato con l interpolazione e corrispondente al predetto valore di n, risulta F,=52 915/57. 17. Similmente, se coi cinque valori di ciascuna delle quantità dinotate da x, y, 3, che sono qui riuniti m 8 < 5, — 46-84 19-29 — 15536 3; — 16:57 8:16 Re Te +13-42 SR x101:46 | (Toga 443.07 se +230-68 e, +72-39 DEE +360-27 eseguiamo l’interpolazione, per avere quelli che corrispondono ad e=0*082 2242 303 , troveremo cani ig lbasli Le g4i sicchè sarà av cos v=500x=+-43557, au sen v=500y=— 29107, a=a+2=3 272 57314. Con questo valore di a, sostituendolo nelle due equazioni precedenti, si ottiene o—B5' 7 v—=3260. vo | fd 18. Possiamo pure determinare x, y, z, e quindi a, v, #, risolvendo il sistema di equazioni ax+by+cz+n=0 corrispondenti al valore e—0-082 2242 303, senza ricorrere alle equa- zioni (3), (4) pel calcolo dei coefficienti a, b, c, n; mentre per ogni arco e ciascuno dei valori 2,3 &,3 82) €) &, Conosciamo già tali coefficienti, che trovansi da pag. 16 a 20. Interpolazioni semplicissime faranno adunque conoscere i valori che essi hanno quando e=0:082 2242 303, ed in tal modo formiamo le seguenti equazioni fra ©, Y, 2: Saxavord — Stirling... . . ... . +0-263442x +0-00230y — 0-05874 z +36-48=0 — Kellie Law: SMR a +0-36241x +0*00317y — 0:07996z+43-11=0 CIS LIO +0:59582x +0-00520y — 0-12866z +66-35=0 ATA ARRONE +0:70139x+0:00612y — 0:15019z+ 8:50=0 — Greenwich .-. ... ...... +0:76583x +0:00668y — 0-16322z+15:04=0 = Dunkerque Lurate +0-80411x+0-00702y —0:17092z +47:31=0 — Pantheon... nre +0-99551x2 +0:00869y — 0-20910z+69-:12=0 — Carcassonne: 0, tre +1:49377x+0-01304y — 0:30724z+46:14=0 — Barcelona een) +1:655562+0-01444y — 0:33919z+16:86=0 — Montjougs.}; i... Lidia +1:65710e+0-01446y — 0-33950z—36:23=0 Saxavord — Formentera . . . . . Altona — Gottinga . . ...... Lyssabel— Lauenburg . . . . . . — +1:89220.0+0*016517y — 0-38646z—4714=0 +0-170312+0-029837 — 0-03517z +65:05=0 +0-127062+0-023667 — 0-02673=— 25-27=0 — 0-164450—0-05503y — 0-03878z+ 6-66=0 N. End — Heerenlogement Berg. . — Royal Observatory. . . . . . . —0:31470e—-0-10530y — 0-:07294z— 8:46=0 —0:33736x —0:11288y — 0-07801z+16:88=0 —0:34721x—0-11618y —0-08021z— 1:32=0 +0*07912x +0-02958y — 0:01770z+52-:91=0 +0:11803x+0-04413y — 0-02632z + 40-79=0 +0:09501 x +0-04771y —0-02836z —31:62=0 — Zwart Kop — Cape Point Memel— Koenigsberg . . . . .. n. nn Pahtawara — Malòrn. . . .... EC CUI A MR E O ER Fuglenoes — Stuor-oivi. . . . . . +0°10317x+0:05181y —0-034752 +25:37=0 anna... Sr +0:26527x +0-13323y — 0-08465z — 56-37 =0 ealnienaki, 0 Ra +0:4643520 + 0-23321y — 0-14049z +28-69=0 saiogland 07 ee +0:63494x +0-31888y — 0-18502z+17:34=0 RSI SAS ON e +0:75423x +0-37878y — 0:21482z +35:28=0 =ailacobstadtage ion. ja +0-88968x + 0-44681y — 0-24762z —22:88=0 eNemeschiee st i +1:02677x+0-51566y — 0:27991z+17:01=0 Rel e en +1:22494x +0-61519y — 0-32539z+12-61=0 =SKrementiz. i. i +. a +1:37604x + 069107 y — 0-35936z +50-01=0 —Ssuprunkowzi. . . ...... +1:48156x +0-74406y — 0-38284z—26-35=0 LAI +1:61779x+0*81248y — 0-:41295z— 3:34=0 ‘ — Staro Nekrassowka . . . ... +1:75154x +0*87966y — 0:44239z +61-36=0 Kaliana — Kalianpur . . . .... +0-08171x+0*37371y — 0-09369z+77-69=0 ibabalkhesa liti. ini Pag +0:12207x+0-55829y — 0:14616z—15:08=0 alaunergione SUN. . 3... +0-15820x+0-72354y — 0-19898z+25-41=0 nia ann +0:18858.2 +0:86250 y — 0-25027 2=+55-80=0 CaiModazoontahi . . ..°. . +0-207162+0-94751 y — 0-28670z— 34:51=0 —Putchapolliam. . ....... +0:22247x +1:01748y — 0:32143z+51-92=0 = IRR di +0-23994x +1:09741g — 0:37061z+42-95=0 +0-01092x +0-05797y — 0-02744z+ 4:43=0 Paudre — Trivandeporum. . . . . —0:00277x+ 0:01423y — 0:05405z+12:06=0. Cotchesqui — Tarqui .. ..... Da queste equazioni si ricavano, col metodo dei minimi quadrati, le seguenti equazioni normali : + 2962609 2 + 8:55646 y — 7:05033 = + 363-67—=0 , + 8:55646r2+ 8:53684y—3:38650+249-89—=0, — 7050338. — 3:38650y+2:100582—128-72=0, che dànno T T a=+8074., y=—5"79 , s=+8126; quindi sarà aw cos v=500xe—=43707, av sen v—=500y = — 28957, a=za+2z=38 272 5737.6, e di seguito IZ 1 "| a==5) = n 19. Gli a, v, @ ora rinvenuti, che (salvo una insignificante differenza nel valore di a) sono - — 24 — gli stessi trovati nel N.° 16, insieme con e determinato precedentemente , forniscono adunque il seguente sistema di valori delle incognite cercate : a=32725736 , loga—=65148894226, = 0:082 2242 303, log: —8:914 9998 167, »— 3262, Je da cui sì ricava il semiasse polare 5—=3 264 4922, log5=6513 4163443, Tal le o» nie = Pes 1 e lo schiacciamento agg al" ; sicchè O ga 294321 i a 295324 Il valore di a trovato dal Cap. Clarke è inferiore al precedente per 817.3; quello di B e s- sel ne è minore per 49675. In quanto alla eccentricità, quella avuta da Clarke è maggiore della precedente per 000005 circa, mentre quella trovata da Besselne è minore di quasi 0:0005; e così anche il rapporto dei semiassi è assai più vicino al valore =: ottenuto dal Cap. 298:1528 x 299:1528 © Clarke, che a quello di Bessel In metri si trova M À a=6 378 3648 ° , loga—6:804 7093 544, M b —=6 356 7668 ; log 6—= 6803 2362 795 . 20. Per vedere in che modo il sistema di incognite che abbiamo ottenuto rappresenta i risul- tamenti delle operazioni geodetiche, calcoliamo le differenze Mis.-Calc. nelle due ipotesi (C) e (D), cioè : (C) Prendendo per a ed e i valori dati dal Cap. Clarke, che sono IR U=50221192:5 e= 0082 2714 997, ed ammettendo che la rotazione della terra si faccia intorno ad un asse coincidente con quello di figura. + (D) Prendendo per a ed e i valori che ora abbiamo determinati, ed ammettendo che l’asse di figura abbia la posizione determinata dagli angoli v=320 3 = I numeri della colonna (C) si hanno immediatamente nei valori di n corrispondenti ad £=e, che trovansi da pag. 16 a 20; quelli della colonna (D) si avranno invece sostituendo gli ultimi va- lori di 2, Y, = nelle equazioni del n.° 17. Mis. — Calc. | Mis. — Calc. (0) (D) Arco Anglo-Francese . . Saxavord — Stirling . . ...... I 43632 1433-99 » Kellie Law. . ..... | 4+42:93.| 439.76 » Qpr: emo. Lieoiabiae | +66017| -+6107 » ARR Nr got lb +,8:94.|, + 2.39 » Greenwich... ...... . +. 14:91 | 48-43 » PunEergnent i e + 47:20 40:40 » IR ee al UTO: | 469-183 L 60-77 » Carcassonne! +0... + 46:72 + 3415 » Barcelona}gosisho) o. + 17-70 + 3.68 ’ Monkjouy:: lisa dr — 35139 | —49:43 » Bormentera < . .... —45:84 | — 62-11 Arco Annoverese. . . . . . Altona— Gottinga. . ...... | TSE65:100) 1 63:51 Arco Danese. . ..... Lyssabel — Lauenburg. . . .... — 25:26 PESA Areo:del'Capo.. . :..... N. End — Heerenlogement Berg. . | + 7:26 | + 2-39 » Royal'Observatory - ...0.} — 7:37) —16:53 » ZAwart Kop.-. .... .. 18:04 | + 8:25 » CapertBomif CI 1020 Arco Prussiano . . .... Memel — Koenigsberg . . . . . . L95290 5199 » LTS SO IA TROLO + 40-79 + 39-43 Arco Svedese . . ... Pahtawara — Malòorn. . ....... CS 33-37 MArCOrRsso Fuglenoes — Stuor-oivi . . . . . .. 295.000 SSOo » Wornearse,t. ‘oo. SIOE E70 » Wolpiemalbi. 2. +27:75 | + 19:98 » Hogland na; + 16-23 + 6:00 » Dompatison. ao + 34:09 +-22-22 » Jaeobstadbl.' i — 24:13 | —37:82 » Nemesehti i. ie. + 15:75 + 0:25 » CE NIE Sistil99 16769 » Kremenetz:. .... .. + 48:37 + 28:83 » Ssuprunkowzi . . . . . — 27:41 — 48:83 » Wodolus. rn... — 426 | —27:47 » Staro Nekrassowka . . . + 60-61 + 36:62 Arco Indiano 2°... ... Kaliana — Kalianpur . ...... + 79:36 | 4 68-63 » Takalleherat 00000). — 12:37 — 29:15 » Daumergida . . . ... + 29:25 | 4 6:43 » Namthabadi. 0... + 60-80 + 32-11 » Dodagoontah. . . ... — 28-66 — 61:48 » Putchapolliam. | ....| 58:60 | -+21:85 » Punnoe:: 0 8... } + 50-84 ZL 18:57 Arco Indiano 1° . ..... Paudre — Trivandeporum. . + 5:08] + 1:96 Arco Peruviano . . . . Cotchesqui — Tarqui. . ....... + 13:44 | + 7:56 Somma dei quadrati . . . . .. . . . © .|63387:99=(52913-39- i=(251-7) |—(230-0) ATTI—Vol. VILTN.? 7. da a La somma dei quadrati degli errori Mis.-Calc., che nel primo caso è di 63387 tese quadrate, riducesi nel secondo a 529183, sicchè gli archi misurati sono in generale meglio rappresentati nella seconda che nella prima ipotesi. Or quantunque il sistema dei valori di a, e, v, @ prece- dentemente ottenuti sia quello che convenga meglio alle equazioni di condizione relative agli ar- chi considerati, pure, a motivo della estrema piccolezza del valore di @, e degli errori inerenti ai dati del problema , dovrà considerarsi come risultamento del presente lavoro, da una parte una determinazione novella del semiasse equatoriale e della eccentricità dello sferoide terrestre, e dall’altra una dimostrazione di questa proposizione che cioè : l’asse di rotazione della terra può riguardarsi come sensibilmente coincidente con quello di figura. Che se poi con nuovi, numerosi e più esatti dati, che si raccoglieranno dalle misure che man mano andranno eseguendosi in altre regioni della terra, si perverrà ad un angolo poco differente dal valore di @ ora trovato , allora si potrà forse dire con qualche fondamento , che tale valore accenna ad un fatto reale , e non è solo risultamento degli errori inevitabili nei procedimenti delle operazioni geodetiche , o anche della diversità fra un’ ellissoide di rotazione , e la reale figura della superficie terrestre. 5 maggio 1876 Magi: sio 5 i ROTTE fut ii PARRA Ì Sis hi PIL dgr #) e u Et, tn vb È Vol. VIL N.°8 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE FELCI E SPECIE NEI GRUPPI AFFINI RACCOLTE A BORNEO DAL SIGNOR ODOARDO BECCARI LI MEMORIA del Socio Ordinario VINCENZO CESATI letta nell'adunanza del dì 1° luglio 1876 Prima di mettersi a mare per una seconda esplorazione scientifica, e fu quella nell’ Abissi- nia, l’ardimentoso nostro Beccari, che appunto di questi giorni ci rallegriamo vedere ritornato incolume dal suo terzo e più periglioso viaggio per le isole del Pacifico, mi affidava per la elabo- razione le Fe/ci da esso lui raccolte a Borneo e precisamente in territorio di Sarawak, esprimen- domi il desiderio fosse il lavoro pubblicato in qualche raccolta italiana. Avrei voluto corrispon- dere all’ onorevole incarico con altrettanta diligenza e sollecitudine. Circostanze che torna inutile schierare davanti al pubblico m’incepparono nel cammino sì che adesso soltanto valga a presen- tare il frutto de’ miei studî intorno a quelle interessanti piante. Una sola causa del maggiore ri- tardo mi permetto d’ indicare: il desiderio cioè di dare maggiore consistenza a questo lavoruccio offrendo un quadro di tutte quante le specie filicine finora conosciute da quell’isola. Ed è questo precisamente l’ argomento maggiore nel ritardo , avendo voluto attendere la compiuta pubblica- zione di qualche lavoro importante fatto all’estero su questa famiglia : tutti poi sanno quanta sia in giornata la difficoltà di procurarsi sì estesa mole di volumi e singole memorie. Valgami ciò per titolo a compatimento. Il censo che presento in queste pagine abbraccia ben 192 specie e 15 varietà, in complesso 207 forme, delle quali 119 ritrovansi rappresentate nella collezione Beccariana: un 18 circa ponno aversi in conto di novità, alcune di bellissima distinzione di caratteri. Si ripartono come segue nei diversi gruppi e generi: Ordine delle Felci propriamente dette; Sottordine: Gleiche- niacee, Gleichema, specie 3 con 1 varietà. — Sottordine: Polipodiacee. — Tribù Ciateée: Ciatea, sp. 5; Alsofila, sp. 4; Matonia, sp. 1.—Tribù Imenofillee: Imenofillo, sp. 8 ed 1 var.; Tricomane sp. 22 con 2 var. — Tribù: Davalliee: Davallia, sp. 10 con 2 var. — Tribù Lindsee: Lindsea, sp. 9.—Tribù Pteridee: Pteride, sp. 5; Ceratopteride, sp. 1.— Tribù Blecnee: Blecno, sp. 3 ed 1 var.— Tribù Aspleniee, sp. 26 ed 1 var.—Tribù Aspidiee: Aspidio, sp. 2 ed 1 var.; Nefrodio, sp. 9; Oleandra, sp. 2.— Tribù Polipodiee: Polipodio , sp. 23 con 1 var. — Tribù Grammitidee: Monogramma , sp. 1; Ginnogramma, sp. 10 con 1 var.; Meniscio, sp. 1; Antro- fio, sp. 5; Vittaria, sp. 5; Tenitide, sp. 2; Drimoglosso , sp. 2.— Tribù Acrostichee: Acrostico, sp. 2; Platicerio, sp. 1.—Sottordine Schizeacee: Schizea, sp. 3 con 2 var.; Ligodio, sp. 2 con 2 var.—Sottordine Marattiacee: Angiopteride, sp. 1.— Sottordine Ofioglossacee: Ofioglos- $0, Sp. DA Ordine delle Licopodinee: Sottordine Licopodiee: Licopodio, sp. 7 con 2 var.; Sela- ginella, sp. 8. — Sottordine Psilotee: Psiloto, sp. 1. Atti—Vol. VI.—N.° 8. 1 INA Ordine delle Equisetinee: Equiseto, sp. 1. Ho accettato lo schema di classazione esposto dal Baker nelle due edizioni della sua Synop- sìs Filicum siccome il più semplice e meglio adatto, trattandosi di limitato numero di forme. Con- frontando col medesimo la serie dei gruppi che figurano nel nostro elenco, ci accorgiamo tosto che, fino dove giunsero le esplorazioni, mancherebbe l'Isola di Borneo di certi gruppi e generi che siamo avvezzi a vedere fortemente rappresentati fra le felci della Malesia e Polinesia. Mancano totalmente le Dicsonzee, le Scolopendriee e le Osmundacee; non vi troviamo alcuna specie del ge- nere Adianto , sì dovizioso di belle forme , nè di /Ipolepide, Cheilanto , Pellea; due sole specie di Aspidio, e va dicendo. Spicca pure il difetto di Rizocarpee, fra le quali particolarmente il genere Marsilea ha offerto bellissime contribuzioni nelle regioni Australasiche ed Indiche. Conviene per altro riflettere che il terreno fino ad oggi esplorato nell'isola di Borneo è circoscritto al distretto di Sarawak co’ suoi monti. Le ultime scoperte di Lobb, Low, Wallace, Motley s' aggirano tutte in quel circondario o poco oltre i suoi confini. Orpo — FILICES Subordo I. - GLEICHENIACEAE Gleichenia (Mertensia) dichotoma, Hook. sp. Fil. I, 12.—Bedd. Ferns. of South Ind. tab. LKXIV!—Bak., Syn. ed I. et IT. 15, N.° 23.— non Mett. Fil. Lechl. 26.— Mertensia dichotoma, Willd. Act. holm. ad ann. 1804, p. 107.—et Sp. pl. V, 71., et pll. auctt.— Mesosorus dichotomus, Hassk., Fil. javan. p. 9. Exs.—Thwaites, pl. Ceyl. N. 3106! Labill.! Cumg. pl. Phil. N. 270? pr. p. — 8. major, Moor. Ind. fil. 376. Credo di dover riferire a questa varietà, dall’ autore stesso indicata da Borneo, una forma assai più sviluppata e che difficilmente potrebbe essere riportata ad altra specie di questo diffici- lissimo genere. Tanto la specie quante la varietà furono raccolte nell’ aprile 1867 a Batang Lupar a Marap. —_ — pteridifolia, Prsl. epim. 23, tab. 14! Z7)usd. Gefàssb. d. Farrn. 338, tab. VI, fig. 7! (sub Mertensia) Gl. dichotoma 0. divaricata, Moor., l. c., 377, ex cit. specim. Cumingiani. Exs.— Cumg. pl. Phil. N. 270! pr. p.— et aliud specim.! sine N.° Ho stimato più prudente consiglio di conservare separata questa forma, anziechè assumerla sotto la citata varietà stabilita dal Moore per la considerazione che questi, nel mentre vi adduce la pianta del Cuming identica, in quanto all’ esemplare nel mio erbario, colla pianta da Borneo, egli poi non si fa carico alcuno della pianta del Presl, che anzi passa totalmente sotto silenzio, e vi ammette invece l’altra specie del Presl detta M. crassifolia. — Non so spiegarmi come quel- l’acuto osservatore delle Felci che fu il Kunze potesse riferire la pianta del Cuming alla tipica M. dichotoma, W. (Bot. Zeit. 1848, VI, 492), e do ragione al Presl che ne lo contraddice: forse potrebbe supporsi che il Cuming, trascuratissimo nella distribuzione delle preziose sue collezioni, abbia confuso sotto il medesimo numero due forme distinte; anzi ad una simile confusione debba probabilmente ascriversi se Moore citò il N. 270 di quel collezionista sì sotto la specie tipica (ed 0 vi apposi il segno?) che sotto la forma È. -— bullata, Moor., Ind. Fil. 374. Sulle scogliere di Kina Baloo, scoverta da Ugo Low secondo ne scrive l Autore dandone la descrizione. a Subordo II, - POLYPODIACEAE A). — INVOLUCRATAE ‘) Tribus I. —Cyatheae Cyathea Brunonis; W all. Cat. 179. — Prsl. tent. Pterid. 55, tab. 1, fig. 91—Zjusd. Die Gefissb. d. Farrn, 346, tab. 7, fig. 8t Hook. Sp. Fil. I, 15.—Bak. Syn. I, et II, 16, N. 2.—Ettingsh. Farrnkr. d. Jetztw. 224, tab. 161, fig. 11! — Bedd. Ferns of brit. Ind. tab. 87!— Moor. Ind. Fil. 266.—Schizocaena Brunonis, J. Sm., in Hook. Gen. Fil. tab. 2;—Fée Gen. Filicum 854, tab. XXVII ter, B! Exs.— Cumg. pl. Philipp. N. 378!; Lobb (fide Moore, 1. c.) N. 167. In specimine nostro sporothecia (sori) raro globosa sunt, sed pallisper producta sensu nervillorum, quibus insident; sed nondum dehiscentia. Sarawak, sul M. Mattang, nel luglio 1866. Sarawakensis, Hook. ap. Bak. syn. I et II, 23, N. 39. — Deest apud Moore. Exs.— Lobb, N. 166, fid. Bak.,1. c. Sarawak. assimilis, Hook. ap. Bak. Syn. I et II, 24, N. 40. Quoque deficiens in Moore Ind. Fil. Exs.— Lobb, N. 168, fide Bak., l. c. Colles circa Sarawak. Lobbiana, Hook. ap. Bak., l. c. 24, N.41.—Et haec desideratur in opere laudato Moorii. Ex8.—Lobb, sine indicatione numeri, fide Bak., l. c. Sarawak. Beccariana, Nob. Frons ampla, bipinnata, supra laete viridis, subtus pallidior; stipite brunneo, minute muriculato , dorso ro- iundato subglabrato, facie interna flexuose canaliculata, pariter ac rhachidum pars extrema rufo-pubescente e pube minuta, intermixtis pilis, nec non paleis scariosis flexuosis. elongatis linearibus ad marginem subulato-den- ticulatis e cellulis productis pluriserialibus. Pinnae numerosae, oblongo-lanceolatae, acuminatae , alternae, sti- pitatae , apice simpliciter pinnatifido, usque ad pedem et semis parisiensem (0”.50) longae, pinnulis alternis 17-18 jugis, quoque stipitatis, basi extrema iterum pinnulata, caeterum profunde pinnatifidis, 1 1/,-3 poll. par. (0”,04-0”,08) longis; lobis oblongo-linearibus, subfalcatis, vertice obtusiusculo crenulato ; venulis nervillisque vulgo ad costam 1-furcatis vel ramulo superiore iterum diviso, alternis, numerosis, fiexuosis, fuscescentibus. Sori pro more ad bifurcationem nervillorum dispositi, 4-5 e quovis latere venae loborum, rhachidi pinnulae ap- proximati, semiglobosi, polycarpi, post indusii dehiscentiam aurei coloris. Indusium integrum ab initio, teneris- sime membranaceum; mox lacerum in lobos quatuor vel quinque rotundatos concavos dehiscens, persistentes excipientesque receptaculum (columellam) minutissimum punctiforme. Sporangia obovata, annulo vix obliquo; sporae trigonae, obverse pyramidales, leves, alis obtusis. Fasciculi fibro-vasculares in stipite, pro generis more, ordine ternario dispositi sunt; quoad singulorum for- mam, medius (dorsalis) semi-ellipticus, laterales minores semi-circulares medio adproximati, inter se (antice) valde dissiti. Sarawak, 7 luglio 1865. Dalla descrizione di questa felce risulta che la medesima sia una vera Cyathea e non già una Hemitelia, come le frondi a maturanza inoltrata di leggieri potrebbero far credere , imperocchè nei pochi acervuli di sporangi che conservansi intatti l’indusio mostrasi propriamente intero, seb- bene la tenuità sua e la forza di espansione dei sottostanti sporangi assai presto promuovano la dissoluzione all’apice di quell’organo il quale, scindendosi in più lobi, ricade sulla foglia dando li- berissimo sfogo agli sporangi stessi: diversamente da quanto vedesi nella C. Brunonis, li cui in- dusii sono meno membranosi, anzi opachi, ed assai più resistenti. — La posizione poi dei sori alla biforcazione delle venuzze rimanda questa specie, secondo la divisione proposta dal Presl nella citata sua dissertazione intorno alla disposizione dei fasci fibro-vascolari nello stipite presso le Felci, alla Sezione II, Eucyathea, Hook. ‘) Il genere Alsophila fa eccezione su questo punto, ma pel complesso delle sue affinità non può essere staccato dal gruppo. x SU Non meraviglierei se ulteriori confronti con materiali più compiuti conducessero a conside- rare la nostra pianta piuttosto qual forma di altra specie già descritta (forse imperfettamente ), anziechè quale tipo autonomo. Ma trattandosi di un genere difficilissimo fra i difficili di suo pa- rentado , preferisco presentarla quale specie a sè, acciò non vada a torto confusa con forme estranee. Alsophila contaminans, Wall? — Hook. sp. Fil. I, 52, N. 48 tab. XVIII, B.— Bak. Syn. ed. I et II, p. 41, N. 51. Sarawak, Piningiao; novembre 1865. La confusione che regna intorno alle seguenti specie: Alsophila lunulata , BR. Br., contami- nans, Wall., caudata, J. Sm. ed intermedia, Mett., mi rende impossibile di fissare con cer- tezza la giusta sede alla pianta del Beccari. Nel complesso dei caratteri e nell’ aspetto rappre- senterebbe assai bene A. caudata, J. Sm. (Bak. Syn., p. 42, N. 54 — Cumg. pl. exs. Phi- lipp., N. 267! su cui lo Smith appunto fondava la sua specie —Bedd. Ferns brit. Ind. tab., 851); ma alla nostra pianta mancano le « squamulae bullosae » della fronde, ed il suo stipite presentasi cosperso di corti aculeoli: il qual ultimo carattere la ravvicina appunto alla A. contaminans. D'al- tra parte, mentre lo stesso J. Smith pensa che la specie sua sia affine alla A. lunulata , colla quale il Baker (1. c., p. 41, N. 47) vorrebbe combinare la A. intermedia, Mett. (anche questa abbastanza vicina alla nostra, standone all’esemplare in Viezllard, pl. Nov. Caled. exs. N. 16321), lo stesso Baker invece propende a riunirla colla A. contaminans. Valgano a giustificare l’esitanza mia le dubbiezze esternate dallo Hasskar], e dalle quali non seppe sciogliersi, malgrado che di eccellenti materiali di confronto potesse disporre nel determinare la sua A/. caudata, Sm.? dal- l'isola di Giava (Hassk. Fil. Tav., p. 39). Dal mio canto inclino a credere che in tutta questa divergenza non siavi che pluralità di nomi e variazioni riferibili ad un tipico unico , che per ra- gione di anzianità dovrebbe portare il nome di Alsophila contaminans. — ramispina, Hook. in Bak. Syn. I, p. 42, N.° 55. Exs.— Lobb, fide auctoris, l. e. Sarawak, ad attitudinem, 2,700 (ped. angl.? ) _ vexans, Nob. (An: A. crenata, Pohl ex Ettingsh. Farrnkr. d. Jetztw. p. 221, tab. 158, fig. 6, 7: tab. 159, fig. 7?) Soris Al. glabram, sed pinnis pinnularumque lobis omnino citatam iconem Al. crenatae exhibens, ita ut, nisi patriae discrimen haud levis momenti in hoc genere intercederet, sine haesitatione planta Borneensis pro Pohliana habenda esset. — Frons ampla, stipite levissimo fusco-purpureo e dorso compresse semicylindra- ceo, latissime et plane facie antica canaliculato, fasciculis tribus semicircularibus fere coalescentibus, medio ( dorsali) majore, lateralibus minoribus, ad apicem flexuoso. Pinnae numerosae, alternae, petiolatae, sub an- gulo 45° decedentes, ultra 20-pollicares (0”,50—60); rhachide colore stipitis, primitus facie antica late et con- vexe-canaliculata pilis paleisque subtilibus antrorsum versis lanceolato linearibus longe acuminatis fuscis eri- spatis vestita; pinnulis alternis, numerosis, ab invicem dissitis, angulo penitus recto, imo in pinnis inferioribus obtuso, decedentibus, 4-pollicaribus, e basi cordata lineari-lanceolatis apice producto attenuato, obtuse et late ‘renatis crenis obsolete denticulatis. Venae primariae prominentes , paullisper flexuosae, usque ad apicem in- livisae excurrentes. Venae secundariae angulo fere recto exortae breves, nervillis octo jugatim dispositis ca- todromis arcuatis. Sori nervillis impositi, utrinque duo vel tres formam fere A inversi exhibentes. Sporae trie- irae, tricostulatae, sparsim granulatae, hyalinae. Dapprima avevo sospettato mi stesse davanti una leggiera variazione della Al. glabra, dook., sp. 1, 51; ma la figura datane dal Beddome (South. Ind., tab. LX!), che il Baker Syn., p. 43) dichiara « very good » non consentiva a tale ravvicinamento ; e a dissuadermene poi affatto saggiungeva la differenza abbastanza notevole fra la nostra pianta e la felce ceilanese distribuita da Thwaites sotto il N.° 1403 exs. H. Perad! e determinata da Hooker per Al. gigantea ; specie che il Baker (1. c.) identifica colla legittima A/. glabra. Piuttosto coincide la nostra pianta colla descrizione che sotto il nome di A7. glabra ci dà lo Hasskarl di un ia RR frammento di A/sophila esistente nel Museo dell’ Orto Bogoriense (Hassk. Fil. javan., p. 31); dubito assai peraltro che questo sia della specie legittima, poichè gli attribuisce « lacinzae . . . . . in margine vix revoluto sbsolete crenulatae ». Rimaneva la pianta del Pohl della quale poche pin- nule prese dalla estremità d’una fronde furono riprodotte autotipicamente dall'Ettingshausen,; se non che la pochezza di queste prove, e la differenza notevole di patria, sempre significante nel genere A/sophila, mi indussero a considerare siccome tipo nuovo la pianta del Beccari. — Non conosco l’'Al. crenata, Kze. citata dal Baker nella seconda edizione della sua Synopsis come mera forma della A/s. glabra. Sarawak, Novembre 1865. Alsophila Wallacei, Metten. ex Kuhn in Linnae, XXXVI, p. 152. — Bak. Syn. Fil. ed. II, p. 459, N.° 59 Borneo; leg. Wallace. Matonia pectinata, R. Br., in Wall. pl. as. rar. I, 16, tab. 16. —Hook., sp. fil. V, 285. — Z)usd. gen. fil. tab. XLIII! — Ettingsh. Farr. d. Jetztw. p. 226, tab. 155, fig. 11! et tab. 157, f. 10! (apices tantum pinnae sterilis) — Bak. Syn. 45, tab. I, fig. 83! — Moor. Ind. Fil. CVI et CVII. — Beddo m. Fern. brit. Ind. tab. 186! — Prsl. tent. Pteridogr. p. 63. — 47usd. Gef. d. Farrn. p. 340, tab. VI, fig. 10! (Icones Wallichianam et Hookerianam pro parte reprehendit). — Prionopteris Farquhariana, Wall., olim, teste Moore, l. c. Fxs.— Cuming., pl. exs. N.° 383, fide Hook. sp. fil. V, 286, sed sinè indicatione loci. Sarawak, Santubong-pic: agosto 1866. 7 Ettingshausen scrive erroneamente Mattonia , e cita Prionopteris pectinata , anzicché Farquhariana come sinonimo. Tribus II. — Dieksonicae. Nissuna Dicksonia nè genere affine trovasi fra le Felci del Beccari; e tampoco ne veggo segnalate dagli Autori esplicitamente per Borneo , mentre per le Isole Molucche in genere e per Giava in particolare stanno notate alcune specie di questo gruppo (D. sorbifolia, Sm.; molucca- na, B1.; chrysotricha, Moor.), ed altre dalle Isole Filippine ( D. Smithii, Hook.; cuneata , Hook.). Tribus II. — Aymenophytleae. Hymenophyllum bornense, Hook. mss. ex Baker, Syn. p. 62, N.° 81. Pulvinibus densis compactis corticem arborum, quibus innascitur, obtegens. Rhizomata gracillima, intricata, valde ramosa, reptantia. Stipites capillares, a pollice dimidio usque ad integrum longi. Frondes flabellatae, se- mipollicem longae itemque plus minus latae, fuscescentes punctato-pellucidae , usque ad basim fere digitatim in lacinias lineares primi et secundi ordinis divisae. Lacinulae planae, 1-2 mill. latae, pilosulae, pilis rufis, subu- latis, rigidulis (setulosis), simplicibus, plerumque binis vel ternis e cellula podiali, ciliatae, nec non ad costulam praeditae. Cellulae hexaédrae, elongatae, pachydermaticae, seriebus sat curvilineis a costula ad marginem pro- deuntes , minores ad basim et versus apicem, caeterum sat aequales, parietibus omnibus pariter incrassatis 1). Sori in nervo simplici terminalium lacinularum apicales, indusio e rhombeo orbiculari, marginem lacinulae vix superante, ad dimidium bilobo, valvis planiusculis ciliatis integris. La spessezza delle pareti cellulari nel parenchima delle lamine frondali fa spiccare in modo singolare la parte centrale semidiafana delle singole cellule, sì che ad occhio nudo le lamine stesse sembrino perforate. Sebbene le cellule nella massima parte presentino projezione esaedra, non mancano eccezioni, particolarmente nelle parti estreme della fronde dove le cellule rimpic- cioliscono e s'arrotondano. Raramente le zone d’ispessimento delle pareti più interne presentano qualche flessuosità nei contorni; quasi sempre si mostrano rettilinee. La nostra felce entrerebbe pertanto nella serie di quelle che Mettenius considera siccome eccezionali, per avere le cellule poliedriche senza ripiegature nelle pareti : condizione che al dire di quell’ acuto investigatore in Pteridografia verificasi per la massima parte delle 7ymenophyUaceae soltanto nel loro stadio gio- vanile. 1) Normaliter apud HymenophylIaceas cellulae sensim parietes crassiores exhibent procedentes e centro ad marginem (Metten, Ueb. d Hymenoph. 456). di Hymenophyllum javanicum, Sprgl. Syst. veg. IV, 132.—Kze. bot. Zeitg. 1847, V, 243. — Prsl. Hymen. p. 32 (in Prag. Abhdl. V.). — Van den Boseh in pl. Jungh. I, 566.— E)wsd. Hymen. javan. p. 50, tab. XL! (in Act. Acad. Amstel. IX, 1861). —- Hook. sp. Fil. p. 106. — Bak. Syn. p. 60, N.° 21. — Mett. Hymenoph. tab. III, fg. 34-37! (cellul. parench.), tab. I, fg. 5, 8, 9! (cellul. tectrices) 1). Fas. — Zolling. Call. I, N.° 3406; — Thwait. pl. Zeyl. N.° 1395. Sarawak, M.ti Gunong Poe; agosto 1866. Limitatomi alla parte più concludente e meglio accertata della sinonimia risguardante que- sta specie abbastanza polimorfa, non posso tralasciare di far menzione di quelle forme che da ri- spettabili autori vennero innalzate al grado di specie autonome, mentre altri non meno valenti le considerano come varietà, anzi come semplici variazioni di un solo tipo specifico. Premetto che la pianta del Beccari, corrisponde appuntino alla descrizione che della forma tipica ci dà Hoo- ker, nello Species Filicum, I, p. 106; s'attaglia pure alla figura sovracitata del Van den Bosch in quanto ai particolari della pianta, mentre nell’ assieme la nostra appare assai più ro- busta di quella rappresentatavi sotto la fig. 1, accordandosi in questa parte piuttosto coll’ H. cri- spum , N. et BI. pug. pl. Jav. in Nov. Act. Acad. Leop. XI, p. 128, tab. XIV, fg. 1!: specie che Hooker accetta precisamente quale sinonimo sotto il suo ZH. javanicum. il Baker, dichiarato concentratore delle tante specie novellamente create , raccoglie sotto H. javanicum le seguenti: 4. fimbriatum, 3. Sm., in Hook. journ. HI, 418, e pl. Cuming. N.° 218; Hook. sp. fil., i, 102, tab. XXXVI, G! — 4. flexuosum, GCunngh. All.; Hook. icon. pl. tab. 962. — H. crispatum, Wall., Hook. et Grev. Icon. Fil. tab. 77! — 7. daeda- leum, BI., enum. Il, 220:—27. micranthum, V. d. Bosch. in pl. Jungh. I, 566; Hym. jav. 56, tab. XLI! — Aggiunge poi come distinta varietà: B. atrovîrens, Colens., accomunandovi come sinonimo H. tasmanicum , V. d. B. Secondo il Van den Bosch il solo H. crispum, N. et BI., sarebbe da considerarsi quale per- fetto sinonimo, mentre cita con esitanza il daedaleum, BI., dichiarando tuttavia che, sull’ esem- plare autentico nell’ Herb. Reg. L. B. (col quale, a suo dire, coincidono quelli distribuiti dallo Zollinger nella Coll. I, al N.° 1845), non seppe scorgere caratteri sufficientemente validi per istaccarlo dal legittimo H. javanicum. E notiamo che il Van den Bosch è assai sottile nel di- stinguere ; infatti considera sempre quale tipi diversi lo 4. micranthum (1. c.) ed il fimbriatum, J. Sm., che ci riconduce avanti a p. 50 delle sue Zymenophyllaceae javanicae, rafforzandolo della tav. XLIV!, assegnandogli inoltre quale sinonimo 7. daedaleum, Prsl., Hymen., p. 124 (non BI.) sulla fede di esemplare autentico serbato nell’ Erbario R. pericra: Vediamo ora che cosa ne pensi lo Hooker. Nel citato vol. I del suo Species Filicum, p. TO2: sotto il N.° 51 messo in linea lo Z. fimbriatum, J. Sm., colla citazione « Cuming exs. pl. Phil. È N.° 210 » e rinfiancatolo colla propria tav. XXXV, C, soggiunge in nota: « A good deal re- sembling H. javamecum, but the fructifications are very different » ed attribuisce indusio campanu- lato alla specie dello Smith, all'altra indusio orbiculato. — A pag. 105, N.° 57 ammette A. cri- spatum, Wall., rappresentato a tav. 77! del suo /cones Filicum, colla Soa Cumg. exs. pl. Phil., N.° 220; il quale Reti gori per avere l’ indusio ovale. — A pag. 105, N.° 58, segue H. flexuosum, All. Cunngh., il quale sarebbe dotato di indusio apicale dalla forma peraltro di quelli propri al javanicum. — Finalmente, p. 106, N.° 59, sta 7. javanicum, Sprgl. « In- volucre orbicular , on ati short segments » , colla ne H. Pi: N. et BI. , Nov. Act. Nat. Curios. XI, tab. 14, fg. 1! A chiudere la io faccio osservare che il Presl (1. c.), enumerando le specie di Hymenophyllum cadenti sotto la sua Sezione: Euhymenophyllum Series C. Integra, dubitativa- mente vi fa rientrare lo 7. javanicum, sembrandogli che le figure addotte per illustrarne le parti della fruttificazione non siano soddisfacenti. La diffusa descrizione datane da Van den Bosch, 1) Ho creduto di poter appropriare idoneamente questo nome a quelle speciali cellule chiamate dal Mettenius Deckzellen che si producono varticolarmente in questo gruppo delle Filicinee a spese delle cellule selerenchimatiche. Led —— {| — e meglio quella dell Hooker, ci autorizzano, se male non mi appongo, a collocarlo nella Se- zione III, Cyeloglossum. Hymenophyllum Blumeanum, Sprgl. Syst. veg. IV, 131. — Blum. Enum fil. jav. II, 220. — Van d. Bosch, pl. Iungh. I, 562. — Z7usd. Hymen. Iavan. 46, tab. XXXVI! quoad analyses singularum partium. — Y. aero sorum, Ejusd. in pl. Iungh. I, 564 (ex ipso auctore).—. pectnatum, N. et BI. (non Cav.) in Nov. Act. Acad. Leop. XI. 124, tab. XII, fig. 5! (forma macrior primitus nota, et ipsissima planta Beccariana). — 4. sanguinolentum, Moritz. (non Sw.), Verzeichn. p. 107. —. emarginatum, Kze. (non Sw.) Bot. Zeitg. 1846, IV, 478.—Zolling., Sycet. Verz. 46. — Meringium? Blumeanum, Prsl. Hymen. p. 116.—Hook. sp. Fil. I, 147. Pas. —Zolling. Coll. I, N. 1073. — Thwait. pl. Ceylan., N. 1391. Sarawak; luglio 1865, Questa felce ebbe la sorte di andare confusa sotto il nome di H. polyanthos con altre forme; e davvero non è a meravigliarne, quando si consideri la grande differenza di aspetto proveniente dal diverso grado di suddivisione della fronde che osservasi fra la pianta dello Sprengel, alla quale perfettamente si attaglia quella riportata dal Beccari, e l’altra più sviluppata raffigurata dal Van den Bosch, il quale confessa di essere stato sedotto a fondare il suo H. acrosorum appunto da questa seconda forma. —In quanto al vero 7. polyanthos, che sarebbe pianta delle In- die Occidentali, al dire di Beddome (Fern. brict. Ind. 280) è specie affatto diversa dal 8/u- meanum. — La pianta distribuita da Cuming sotto il N. 214 da Hooker viene considerata siecome corrispondente al H. sanguinolentum, Sw., che associa al polyanthos come semplice va- rietà unitamente al 77. clavatum, Sw. (Hook., sp. Fil. I, 107). — Smithii, Hook., sp. Fil. I, 97, tab. 35, B!— Bak. Syn. 69, N. 63. — Bedd, Ferns br. Ind. tab. 277! Sarawak, Santubong-pic; agosto 1866. Molte sono le forme per le quali Van den Bosch spezzava questa specie assumendole sotto il genere Leptocionium di Presl; e sono: L. affine, serrulatum, Preslit, ed holochilon. La nostra pianta rappresenta la prima delle nominate specie tanto in esemplari a lacinie intere all’ apice, quanto a lacinie smarginate. — Brachyglossum, Al. Braun inlitt. et 46, fide Kze in Bot. Zeit. 1847, V, 227. — Didymoglossum Brau- nii, V.d. Bosch in pl. Jungh. I, 560. — Leptocionium Braunii V. d. Bosch, Syn. Hymen. p. 43. — Ejusd. Hymen Javan. p. 43, tab. XXXII! — Trichomanes denticulatum, Bl. enum. II, 226 pr. p. fide V. d. Bosch,l.c. Sarawak, Santubong-pic; agosto 1866. Baker nella sua Synops?s Filicum, p. 71, fa semplicemente menzione di questa specie in una noterella al #7. Neesi : « Leptocionium acanthoides and Braumi of Van den Bosch very « closely approach this species ». = Neesii, Hook., sp. Fil. I, 99 (excl. syn. J. Sm.).—Kze. in Bot. Zeitg. 1846, IV, 478; 1847, V, 226; 1848, VI, 305. — Zollng., Syst. Verz. p. 46. — Bak. Syn. fil. p. 71. — Beddom. Ferns brit. Ind. tab. 379! — Mett. Hymenoph. tab. III, fig. 16-20!1—H. dichotomum, N. et B1. (non Cav. nec Kze) in Nov. Act. Acad. Caes. Leop. XI, p. I, 126, tab. XIII, fig. 4! (sterile). — Moritzi, Verz. p. 107. — H. multifidum, Bory. (non Sw.) in Bélang. voy. bot. 82, file V. d: Bosch. — Trichomanes Neesii, BI. enum. II, 226. — Leptocionium Neesii, V. d. Bosch, Syn. Hymen. 43: — Ejusd. Hymenoph. javan. 40, tab. XXX! Exs.—Zolling. Coll. I, NN.ì 362 et 890 pr. p. N. 385; — Coll. II, sin. N° —Thwait. pl. Ceil. exs. N. 2984. Sarawak, M.ti Gunong Poe; agosto 1866. RS Hymenophyllum Neesii var. aculeatum minus, N ob.—H. humile Nees et B1., in Nov. Act. Acad. C. Leop. XI, p. I, 126, tab. XIII, fig. 4? Sarawak, M.te Mattang; 1866 Povero esemplare sterile ; la sfrangiatura delle foglie ed il tessuto cellulare delle stesse si confanno abbastanza bene al Leptocionium aculeatum, V. d. B., che considero quale semplice varietà dell’ 77. Neestw. subflabellatum, Nob. Pulvinatim contextum, rhizomatibus ramosis puberulis repentibus. Frondes 5-10 mill. longae, late ovatae, pellucidae, stipitibus gracilibus aequilongis non alatis; fere flabellatim trisectae, segmentis plus minus pinna- tifidis, laciniis linearibus planis obtusis remote spinuloso-denticulatis; parenchymate e cellulis hexaédris elon- gatis ad rhachidem, magis rotundatis versus marginem, parietibus leviter undulatis tenuioribus. Sori termi- nales in laciniis lateralibus segmentorum superiorum, involucro ovali ad dimidium valvato, marginibus labio- rum spinuloso-ciliatis, receptaculo exserto, sporangiis majoribus Sarawak, Batang Lupar, Undup; settembre 1865. Le frondi assolutamente sono piane e non increspate ; lo stipite non ha traccia di margine aliforme ; il lembo della fronde nella primaria sua divisione si presenta flabellato ; il segmento mediano poi si avvicina nelle scarse sue suddivisioni alle apparenze di fronde pennatifida. = pachydermicum, Nob. Dense caespitosum, rhizomate tenuissimo intricato, rufo-setuloso praesertim ad bifurcationes noduloso, sti- pites pariter tenues, apteros, plus minus setulosos, 1-3 centimetra longos emittente, abeuntes in frondem oblongam vel lanceolatam (si sterilis sit, subflabellatam brevem et aequilatam ), duo decimetra longam, unum vel unum et semis latam, subtus rufo-hirtellam, copiosius ad nervos, pilis articulatis, bipinnatifidam. Laciniae planae, obovatae, lineares, obtusae vel truncatulae, lobulis 3-5, in frondibus sterilibus ad apicem densius bar- batis. Cellulae parvae, obtusangulae, obscure hexaédrae vel subrotundatae, parietibus sinuosis incrassatis ad typum cellularum ambliomorpharum Mettenii (in icone 35, tab. III, ejus dissertationis « Ueder die Hymeno- phyUaceae », p. 445, expressum), limbo interaneo lato turbido, centro hyalino: marginales magis quadratae, hine inde singulis omnino opacis intermixtis. Sori alares immersi elliptici, indusii tubo complanato, labiis ova- tis acutis dimidium tubum metientibus, receptaculo filiformi duplo longiori. Sarawak, in M. Gunong Poe. — Mese d’ agosto 1866. Trichomanes Motleyi, Bak., Syn., p. 73, N. 10.— Microgonium Motleyi, V. d. Bosch, Hymen. Jav. p. 5, tab. I! Sarawak, sul M.te Mattang; 1866. - Beccarianum, Nob. Stirps praecedenti simillima crescendi modo et frondium dispositione, differt vero pluribus notis. Color (in sicco) magis glaucescens; frondes minores ovatae, vel oblongae, vel lineari-oblongae, nec cordato-orbiculatae, minus pellucidae, venis crebrioribus strictis i. e. rectilinee divergentibus, nec extrorsum curvulis ut in Tr. Mot leyiz sori singuli apicales (vix uno vel altero in speciminibus praesentibus) breviores, sed quoque ore dilatato patulo integro. Ad arborum corticem arcte applicatum. Sarawak; 1866. — sublimbatum, C. M ill., bot. Zeitg. 1854, XII, p. 737.—Tr. muscoides, Hook, sp. Fil. I, 117 pr. p—Zyusd. Icon. Fil. tab. 179! — Kze., bot. Zeitg. 1846, IV, p. 476. — Tr. Hookeri, Kze., bot. Zeitg. 1847, V, p. 300 pr. p. et 1848, VI, p. 285. — Zolling., Syst. Verz. p. 46. — Microgonium sublimbatum, V. d. Bosch, Hy- men. Jav. p. 6, tab. II! et in pl. Jungh. I, 545. Exs.— Zolling. Coll. I, N. 865, 1899 et 3500. Sarawak, M.te Mattang; sulle rocce umide; giugno 1866. — minutum, Bl. enum. II, p. 223 ad specim. auth. in Herb. Reinw. teste V. d. Bosch in Hym. Jav. p. 7. — Hook. sp. Fil. I, p. 118.—V. d. Bosch in pl. Jungh. I, p. 548.— Tr. parvulum, B1. (non Poir.) enum. II, p. 223, et Tr. bifolium, Z)usd. 1. c. 234 ex specim. auth. in Hb. Reg. Berol. teste V. d. Bosch, l c.— Tr. muscoides, V. d. Bosch (non Presl), Syn. Hymen. p. 13 (quoad pl. Javan, ex ipso Auetore).—Gonocormus minutus, V.d. Bosch, Hymen. Jav. p. 7. tab. III! Exs.—Tolling, Coll. I, N. 1582, 1722, 2111. Sarawak, senza indicazione di località speciale, nè di stagione. SUE Trichomanes digitatum, Sw., Syn. Fil. p. 370 et 422.—Hook. sp. Fil. I, p. 119. — Bedd. Ferns. brit. Ind. tab. 8011 — Bak. Syn. Fil. p. 76, N. 27.— Blum. enum. II, p. 224 fide V, d. Bosch.— Tr. flabellatum, V. d. B. (non Bory) Syn. Hymen., p. 13; et Hymen, Javan, p. 19, tab. XII! — Tr. nitidulum, V. d. B. in pl. Jungh. I, p. 547; in Syn. Hymen. p. 13, et Hymenoph. Javan. p. 21, tab. XVI (forma decalvata).— Tr. lanceum, Bory® in Willd. sp. pl. V. ps. I, p. 500.— Poir. encycl. suppl. V, p. 343.—Sieb. Syn., N.81.—Hook et Grev. Icon. Fil. tab. XXXIII! : Exs.—Zolling. Coll. II, N. 1722 partim, teste Van d. Bosch. Sarawak, M.te Gunong Poe: agosto 1866. Van den Bosch scrive della sua pianta intitolata 7r. labellatum che non corrisponde al- l’omonima di Bory: « receptaculo demum brevi ? » — al suo Tr. nitidulum invece attribuisce « re- « ceptaculum setaceum apice parumper incrassatum indusio tamen duplo longius » (Hymen. Javan., p. 20 et 21). Ora la pianta da Borneo, mentre indubbiamente debbe stare colla prima specie in causa delle lacinie frondali setoloso-denticolate, porta precisamente sori con ricettacolo doppio quasi il duplo dell indusio, quale vedesi da lui disegnato pel 7r. nitidulum sulla tavola XV. — Dissi le lacinie della fronde setoloso-denticolate; Van den Bosch all’ opposto le descrive: « mar- « gine aculeolis simplicibus brevibus opacis armatae ». La mancanza dei cigli e la brevità del ricet- tacolo che si verificano pure su diverse frondi dei nostri esemplari mi fanno sospettare che que- ste lievi divergenze provengano dalla condizione ed età diversa delle dilicate pianticelle osserva- te, giacchè in niun modo riesco a cogliervi altri punti di differenza. — (Craspedoneuron) ignobile, Nob. Sterile ; rhizomate fasciculato, fibris brevibus setulam emulantibus, strigis brunneis curtis; stipitibus caespi- tosis nune brevissimis, nune ultra duo decimetra longis, primo squamulosis dein glabratis, complanatis, in fron- dem abeuntibus glabram obscure virentem, in sieco glaucedine quadam obductam, 3 decimetra longitudine, et fere aequilatam, circumscriptione ovatam, profunde bipinnati-partitam, laciniis subflabellatis, lobis fastigiatis li- nearibus obtusis. Cellulae stratis duobus dispositae, elongatae, parietibus crassiusculis, eminenter undulatis; mar- ginales quadratae; vasa rhachidis trachealia polyspira. Tota frons in sicco crispata. Sarawak, mese di luglio 1865. — serratulum, Bak. Syn. Fil. 80, N. 47. Borneo, Lobong Pic. _ denticulatum, Bak. Syn. Fil. ed. I, p. 82, N. 52. Borneo, leg. Motley, fide Baker, l. c. — pyxidiferum, L. sp. pl. p. 1561. — Bak. Syn. Fil. p. 81, N. 49. Borneo; sulla fede di Baker, giacchè questa felce fu sempre creduta propria delle regioni Americane meridionali. — Filicula, Bory in Duperr. Voy. bot. I, 283. — Hook. sp. Pil.,I, 124 pr. p—Kze., in Bot. Zeit. 1847. V,329.—Bak. Syn., p. 81.—Didymoglossum Filicula, V. d. Bosch., Hymen. Jav., p. 35.—Taschneria Fi- licula, Prsl., epim. 258. Exs.—Zolling. Coll. I, N. 1239, pr. p., et Coll. II, N. 188 (teste V. d. Bosch., 1. c.) — Cuming, pl. Phil. exs. N. 2! — Javanicum, BI]. enum. II, p. 224; — Moritz. Verz., p. 107.— Hook. sp. Fil. I, p. 130. — Hook. et Grev. Icon. Fil., tab. 240! —Kze. bot. zeitg. 1847, V, p. 8370; 1848., VI, p. 304. — Zolling. Syst. Verz., p. 47.—V. d. Bosch. in pl. Jungh. I, p. 551.— Hook. Gard. Ferns. tab. 37!—Bak. Syn. Fil. 83, N. 59. — Beddom. Ferns. brit. Ind. tab. 1801— Tr. asplenioides, Prsl. Hymenopb. p. 37 (ex ejus cit. stirp. Cuming., N. 184). —Kze. in Schk. Fil. Suppl. I, 218, tab. LKXXIX.— Tr. Boryanum, Kze. in Schk. Fil. suppl. I, p. 237, tab. XCVII.—Cephalomanes oblongifolium, Prsl. Epiml. p. 19, tab. 10! (ex correct. ips. Auctoris ad p. 258). — E)usd. Gefaessb. I, p. 26, in nota. Exs.— Zolling. Coll. I, N. 1464! — Id., N. 557 et Coll. II, N. 1664; — Cuming,, pl. ins. Philipp., N. 184! Sarawak, luglio 1865. L, ATTI— Vol. VIL—N.° 8. 2 ENT Trichomanes javanicum, #. Zollingeri, Nob. — Cephalomanes Zollingeri, V. d. Bosch. Syn. Hymen. p. 11;— et Hymen. Javan. p.31, tab. XXIII! Exs.—Zolling. Coll. I, N. 1464 (specim. minus) et N. 3448. Sarawak, Banting; novembre 1865. _ — y.rhomboideum (J.Sm.), Nob.— Cephalomanes atrovirens, Prsl. Hymen. p. 110, tab. V!— Tri- chomanes atrovirens, Kze. in bot. Zeitg. 1847, V, p.371.— Tr. rhomboideum, J. Sm. in Hook. Journ. III p. 417.—Cephalomanes rhomboideum, V. d. Bosch. Syn. Hymen. p. 10, et Hymen. Javan. p. 33, tab. XXIV. Exs:— Zolling. Coll. I, N. 1464 (pr. p. fide V. d. Bosch.) — Cuming. pl. Philipp. N. 169! Sarawak, Batang Lupar, Banting ; settembre 1865. Ho stimato miglior partito ridurre , quali varietà , sotto un tipo fondamentale le forme de- scritte da alcuni autori sotto i nomi di Tr. (Cephal.) Zollingeri e rhomboideum (atrovirens) anzic- chè confonderle nel solo nome di 7r. javanicum, poco d'altra parte persuadendomi l’ arguta spe- cificazione fattane da Presl e più ancora da Van den Bosch.—La varietà y nella pianta del Beccari ha i lobi alquanto più finamente incisi che non lo siano nella pianta dalle Filippine di- stribuite sotto il N. 169 dal Cuming, almeno nell’ esemplare della mia collezione. — meifolium, Bory in Willd. sp. pl. V, p. 509, N. 24, ad normam cl. V. d. Bosch (Hymen. Jav. p. 30), fronde lineari-lanceolata. Sarawak, Monte Mattang, ad altitudinem 3000 p. par. circiter; giugno 1866. _ millefolium, Prsl. Hymen. p. 16 et 43.— V. d. Bosch in pl. Jungh. I, p. 555;—Syn. Hym. p. 36, et Hy- men. Javan. p. 27, tab. XX. Sarawak, M.ti Mattang; nel 1866. Non sono ancora tolto ad ogni dubbio se gli esemplari del Beccari non possano apparte- nere al 7r. foeniculaceum legittimo del Bory. —_ maximum, BI]. enum. II, p. 228—Bak. Syn. fil. p. 86, N. 72. Borneo, fide Baker, l. c. —_ hispidulum, Mett. ex Kuhn reliq. Metten. in Linnaea, XXXV (ann. 1868), p. 389.— Bak. Syn. fil. ed. II, p. 466. Borneo: leg. Lobb ex Kuhn, lc. = gemmatum, J. Sm. in pl. Cuming, N. 400!—Bak. Syn. Fil. p. 87, N. 76 (excl. Syn. omn. ?). Sarawak, Monte Gunong Poe: agosto 1866. Gli esemplari da Borneo sono giovani e sterili, ma s' accordano perfettamente con quelli dalle Filippine che stanno nel mio erbario. —In quanto alla sinonimia confesso che non so trovare dif- ferenza tra le nostre piante e quella figurata dallo Hooker (Second Cent. of Ferns, tab. LXIII!) sotto il nome di Tr. cellulosum, Klotzsch, ossia 7r. filiforme, Sturm? pianta dell'America tro- picale. Soltanto la differenza di patria e l’opposizione di V. d. Bosch (Hymen. Javan, p. 30), il quale sostiene l’ autonomia della specie asiatica, m’ indussero ad ammettere come tipo speciale quest’ ultima. —_ longisetum, Bory. in Willd. sp. pl. V, p. 510, N. 25. — Hook. sp. Fil. I, p. 157.— Kze. bot. Zeitg. 1847, V, p. 418. — Zolling. Syst. Verz. p. 47. — V. d. Bosch in pl. Jungh. I, p. 556; — Syn. Hymn. p.33;— et Hymen. Javan. p. 28, tab. XXI! — Bak. Syn. Fil. ed. I, p. 87, N. 77. — Tr. Pluma, Hook. Icon. Plant. tab. 997? — Tr. ericoides, Hedw. ex Bak. Syn. Fil. ed. II, p. 87, N. 77. Exs. —Zolling. Coll. I, N.i 289 et 1903. Borneo, fide auctor., ll. cc. Pg | È Nella seconda edizione della sua Synopsis (p. 466, N. 77*) Baker restituisce a dignità di specie tipica il 7r. Pluma di Hooker. Trichomanes foeniculaceum, Bory in Willd. sp. pl. V, p. 511, N. 26.—V. d. Bosch. Hymen. Javan. p. 30.- Bak., Syn. Fil. 88, N. 78. Borneo, fide Baker, ]. c. — trichophyllum, Moore, in Gard. Chron. 1862, p. 45.— Bak. Syn. Fil. ed. II, p. 466 N. 77.'—Tr. Morie- rii, Vieill. pl. exs. Nov. Caled., N. 2139! Borneo, fide Baker, 1. c. Il nostro Tr. meifolium lo avvicina assai. —_ brevipes, Bak. Syn. p. 84. N. 62 — Tr. melanorrhizon, Hook. Syn. Fil. I, 140. — Eusd. Ic. pl. tab. 705. Didymoglossum brevipes, Presl., Hymen. p. 115 et 139. Exs.— Cuming, pl. exs. Phil. N. 316! fragmenta plantulae jam vetustae. Borneo a Sarawak sul M. Gunong-Gading. — In Agosto 1866. Le labbra anguste dei sori non permettono di classare questi esemplari sotto Tr. Filicula, al quale si avvicina per le vene spurie intramarginali non interrotte. — Saxifragoides, Pres]. Hymen. p. 108 et 131.—Bak. Syn. 75, N. 22. Exs.— Cuming, pl. exs. Philip. N. 256! Sarawak a Santubong-pic.—Nell’ agosto 1866. Unico esemplare, in condizione alquanto triste; nè migliori sono gli esemplari di questa spe- cie distribuiti dal Cuming, la quale entra nel genere Gonocormus, V. d. Bosch., ed affine a quella da lui appellata G. minutus (Vedi V. d. B., Hymen. jav., p. 9). —. pallidum, B1. enum. II, 225.—Hook. sp. Fil. I, 139.—Bak. Syn. 80, N. 46, pr. p. — Craspedoneuron pallidum, V. d. Bosch, Hymen. jav., p. 14, tab. VIII! Forma simplicior: fronde minus divisa cirecumscriptione angusta. — Nisi pro forma pilosa (pilis articulatis) habeo Craspedon. Braunti, V.d. Bosch, I. c., p. 15, tab. IX! quod ex habitu magis respondet. Sarawak a Batang Lupar e Undup. — Mese di settembre 1865. Certamente la pianta del Beccari è diversissima da quella che nelle raccolte del Cuming dalle Isole Filippine va sotto il nome di 7r. glauco-fuscum, Hook., che il Baker trae quale sino- nimo al Tr. pallidum '). Tribus IV. — Davallieae. Davallia (Humata) heterophylla, Sm. Act. Taur. V, 414.—Sw. Syn. 130 et 337. —- Hook. sp. Fil. I, 152. — Ejusd. Fil. Exot. tab. 27!—Hook. et Grev. Icon. Fil., tab. 2301 — Bak. Syn. 88, N.° 1— Beddom. Fil. Brit. Ind. tab. 90! — Humata Ophioglossa, Cav. prael. 1801, N.° 678. Ettingsh. Farrn. d. Jetzw. p. 206, tab. 138, fe. 2 et 6; tab. 139, fg. 4. Exs. — Zolling., Coll. Jav. N.° 920! — Cuming, pl. exs. Philipp., N.° 335! Sarawak, mese di novembre 1875. n —_ pedata, Sm. Act. Taur. V, 414.—Sw. Syn. 131 et 841. —Hook. sp. Fil. I, 54, tab. XLV, A! — 1) Non ho stimato cosa conveniente seguire per le Imenofillacee il sistema consacrato da Presl ed altri Pteridografi, massime avuto riguar- do allo scarso materiale di questa enumerazione, non sapendomi accordare colla loro valutazione dei criterii, in base dei quali hanno fondato non meno di venticinque generi, mandando a schegge gli antichi generi Hymenophyllum e Trichomanes. Vedi in proposito la classazione dis- solvente presentata da Van den Bosch in Versleg. en Mededael. der Koninkl. Akad. d. Vetensk. Afdeel. Naturk. — Elfde Deel. 1861, p. 300- 391. Eerst. Bidr. tot de Kennis der Hymenophyllaceae door B. B. V. d. Bosch.) * onlipf se Ejusd. Gard. Ferns, tab. VII! — Bak. Syn. Fil. 89, N.° 6. Ad. pedatum. L.. sp. pl. p. 1094. — Humata trifo- liata, Cav. praelecet. 4801, N.° 680. — Adiantum repens, L. fil. suppl. 446. Exs.-Thwait. pl. exs. Ceyl. (Cat. H. Perad.), N. 1383! (lobi augustiores et magis denticulati quam in planta Beccariana).— Cuming, pl. exs. Philipp,, N.° 138 (sub nomine Davalliae Cumingii, Hook. s. Pachypleuriae lepidae, Presl., epim. p. 99!) forma angustiloba ? Sarawak, Batang Lupar, Undup. — Mese di settembre 1865. Non so.persuadermi che la pianta del Guming, la quale corrisponde alla fig. B della tav. XLV nello Species Filicum dell’ Hooker abbia a rappresentare una specie a sè. L’ istesso \utore così si esprime: « The barren fronds of this have a good deal the appearence of Davallia pedata », l. c., p. 150; e nella frase diagnostica delle due specie data dal Baker, pur tanto dif- ficile nel concedere l’ autonomia, nemmeno una nota di distinzione specifica saprei ritrovare. Ad ogni modo le variazioni nella pianta dalle isole Filippine s' accordano con quelle dell’ esemplare da Geylan. Le figure date dall Ettingshausen (Farr. d. Jetzw., tab. 140, fg. 1, 4, 6, 7) mo- strano lobi più prolungati ed acuti di quelli nella pianta del Beccari; ma osservo pure appar- tenere esse ad esemplari sterili. Davallia (Leucostegia) parvula, Wall. Catal. N.° 247. — Hook. sp. Fil. I, 160. — Hook. et Gr. Icon. Fil. tab. CXXXVIII! — Bak. Syn. 92, N.° 21. Acrophorus parvulus, Moor. Proceed. Linn. Soc. II, 286. — Ejusd. Ind. Fil., 3. — Bedd. Ferns Br. Ind. tab. 97! (forma major sterilis ).— Leucostegia parvula, J.Sm. Lond. Journ. Bot. I, 426. — Humata parvula, Mett. Fil. Lips. 102, tab. 27, fg. 7 et 8 (fide Moore). Sarawak, luglio 1865. —_ (Eudavallia) solida, Sw. Syn. Fil. p. 132 et 845.—Schk. Crypt. p. 118, tab. 126.—Hook. sp. Fil. I, p. 163, tab. 42! — Ejusd. Exot. Ferns, tab. LVII! — Ettingsh. Farr. d. Jetzw. p. 205, tab. 137, fig. 9; et tab. 139, fe.2,9! — Bak. Syn. p. 95, N.° 39.— Moor. Ind. Fil. p. 300. — D. magellanica, Desv. et Alior. fide Moore.— D. elegans, Hed w. Fil. in textu ad tab. 21, quae inscripta est: D. procera, fide Swartz aliis- que. — Humata solida, Desv., prodr. 324. — Stenolobus solidus, Pre sl. tentam. Pterid. p. 130. Sarawak, luglio 1865. Avendo pur citato le figure dell Hooker e dell’Ettingshausen, non posso lasciare inos- servata la qualche discrepanza che corre fra di esse, e non meno la differenza fra le dette figure e gli esemplari Beccariani (due individui, entrambi in frutto), massime in quanto alla smargina- tura dei lobi; e la tavola nell’Exotic Ferns si avantaggia anche nelle dimensioni e per la svel- tezza di tutte le parti della pianta. Mi confortano peraltro le parole dell’illustre Inglese: « It îs nothing new to say of a Fern, that it is very variable; but such is eminently the case with this fine species ».— Forse la nostra forma corrisponde od almeno si avvicina alla D. ornata, Wall. « with broad slightly cut seg- ments » (Bak., 1. c., in nota) a me totalmente ignota, dal Moore conservata come specie di- stinta, mentre Hooker ne fa la sua D. solida B. latifolia (Sp. Fil. I, p. 163, tab. 42, B). Exs.— Cuming, pl. exs. Ins. Philipp. N. 78, fide Moore (deest in coll. mea). — -. var. 6. caudata (Cav.), Moor. Ind. Fil. p. 300. — Parestia caudata, Prsl. epim. p. 100, N. 2. Borneo, ex Moor.,l. €. A questa forma Moore riferisce il Yrichomanes solidum, Forst. prodr. 475, che Swartz, autore della specie, fa addirittura sinonimo della medesima. — —_ Alpina, BI. —Bak. Syn. p. 89, N. 7.—Hook. Sp. Fil. I, p. 155.— Humata alpina, Moor. Ind. Fil. p. 289.—H. Serrata, Brock. ex Moor. — Davallia Belangeri, Bory, fide Bak. et Moor. Il. ce. Borneo. —_ = elegans, Sw. in Schrad. Journ. ad ann. 1800, IL, p. 87 — Hjusd. Syn. Fil. 132, N. 12.— Moor. p. 293. — Bak. Syn. 65, N. 40.— Parestia elegans, Prsl., e pin. p. 99, N. 1. Borneo. PESA |}: pe Davallia (Eudavallia) elegans £. coniifolia, Hook. Sp. Fil. I, p. 165.— Moor. Ind. Fil. p. 194, ex citat. Zoll. et Cumng. excl. citat. Peraden. et D. elegans y. subunidentata, Hook, Sp. Fil. I, 165, tab. 43, B. Ews.— Zoll. pl. Jav. exs., N. 147!— Cumng,., pl. exs. Ins. Philipp., N. 77! Volendo risalire colla sinonimia sino a Sprengel, siccome quegli che primo, nel giornale di Schrader pel 1799, vol. II, p. 271, volendo diradare le nebbie che giacevano sulle felci ri- portate ai generi Yrichomanes ed Adiantum, dichiarava spettarne diverse specie al genere Daval- lia, citando in proposito Trichomanes multifidum, epiphyllum ed elatum, si capita in tale caos che ormai è quasi impossibile districare. Quali precise forme debbano stare sotto D. elegans, quali sotto D. elata, nessuno potrà bene stabilire se da un lato vede Bernhardi, nel medesimo gior- nale succitato pel 1800, vol. II, p. 122 creare il genere Wibelza colle specie D. multifida e ela- ta, Sprgl. rappresentate nella tav. I dalle poco significanti figure 2, c per la prima di esse e 2, a, b per l’altra; e dall’ altra lo Swartz nel vol. I, pel 1801, ammettere a p. 181, sotto il N. 10 D. elata appoggiata a quelle tre figure in complesso, cacciare la D. epiphylla, sino al N. 23, p. 134, e dimenticare totalmente il 7r. multifidum, Forster. Sovraggiunge poi il Moore che ri- porta la D. epiphylla, da lui considerata sinonimo della Wibelia multifida, Bernh. ( escluden- done peraltro il sinonimo di Forster), quale varietà sotto la D. elata. E nella sua D. elegans, f. contifolia mette in un fascio gli esemplari editi dallo Zollinger (N. 147) e dal Cumin g (N. 77) colla felce di Ceylon distribuita dal Thwaites (Coll. It. Perad., N. 3078!), e che assai ne diffe- risce e forse rappresenta la primitiva Davallia epiphylla, Sprgl., ossia Wibelia multifida, Benhd., aci, tab Peo 20 €) La pianta del Beccari si avvicina essenzialmente più a quella del Cuming (che porta per sinonimo il nome di Parestia elegans, Prsl., epim. 991), che all'altra dello Zollinger, diffe- rendo da ambedue per un fare più largo. Sarawak: Batang-Lupar, Undup — Novembre 1865. — (Microlepia) Luzonica, Hook. Sp. Fil. I, p. 174, tab. 60, 5, fig. 2, 3,5!—D. pinnata, f. gracilis, BI. ex Bak. Syn. 98, N. 52.—Microlepia pinnata, J. Sm., forma pinnis inferioribus pinnatifidis, Prsl., epim. 96.— M. pinnata, 8. Moor., Ind. Fil., p. 206.—Ettingsh. Farrn. d. Jetztw., tab. 141, fig. 11! Exs.— Cuming, pl. exs. Ins. Phil. (sine numero in specimine meo). Sarawak, Mattang — gennajo 1866. Fronde più ampia, colla massima parte delle pinne più o meno profondamente fendute , che non sia negli esemplari Cumingiani che ho sott'occhio. — (Microlepia) deparioides, Nob. Rbhizoma pollicem et ultra crassum, contortum, repens, tenuissime pubescens, demum ex epidermide in squa- mulas furfuraceas fatiscente pulverulentum vel omnino glabratum, tuberculosum, e flavido fuscum, subtus fibrillis brevibus radiculosum. Frondes erectae, glaberrimae, sex decimetra et dimidium metientes, stipitis straminei semicylindracei supra canaliculati parte inferiore longe nuda, perimetro late lineari elongato, pinnis 40 jugis oppositis, pectinatim divaricatis, inferioribus liberis, superioribus basi utrinque in alam angustissimam dilatatis, lineari-spathulatis, obtusis crenato-dentatis planis tenuibus, infimis quatuor centimetra et dimidium, subsequantibus quinque et ultra longis, millimetra 6-8 latis, sursum sensim decrescentibus; pinnula terminali excurrente. Venulae primariae e nervo mediano angulo acuto exortae subflexuosae, soros petientes, e parte superiori venulis secundariis arcuatis anastomosantes, nervillis hine inde vage flexis liberis ad apicem ineras- satis. Sori marginales obliqui, facile decidui; indusio in dentium acumine primitus explanato, scutellari vel po- tius auriculaeformi, serius exerto fere ut in Deparza, obsolete vel vix bilabiato obtuso integerrimo. Specie assai distinta pel suo aspetto che rammenta i Polipodii della sezione dell’ Otites. A fruttificazione inoltrata la forma dell'indusio ci lascia dubbiosi circa il genere al quale giusta- mente assegnarla e la ravvicina alle Dennstaedtie ; ma osservato in quei sori che non sono suffi- cientemente sviluppati, o che rimasero sterili, è facile riconoscere la vera sua origine ed inser- zione. Sarawak, Monte Mattang , 1866. Davallia (?) Lobbiana, Moor. Ind. Fil. p. 296, in nota. Exs.—Lobb, N. 194, 1. c. Sarawak (Borneo ). L'autore ci lascia incerti sul vero posto che questa specie debba occupare nella serie delle Davallie, compartecipando ai caratteri dei sottogeneri Yumata e Loxroscaphe pur conservandose- ne distinta. # (Loxoscaphe) Beccariana, Nob. Stips tota, etiam sub lente vitrea, glaberrima, Rhizoma repens, calami Cyenei erassitie, undique fibrillas ra- dicales sat breves valde pilosas brunneas emittens , et paleis e lanceolato linearibus fuscescentibus integris in longam cuspidem productis adpressis dense obsitum. Stipes subeylindraceus, levissimus, supra anguste canali- culatus. — Frons erecta plana quadripinnatifida, usque septuaginta quinque centimetra longa, triginta circiter lata, subcoriacea, in sicco facie infera pallidiori nitente, supera obscuriori opaca. Pinnae primi ordinis e basi lata elongato lanceolatae et caudatae, patentes. Pinnae alterius ordinis lanceolatae; tertiariae oblongo lineares; ultimi ordinis, aut si mavis segmenta, dimidiata oblonga, lobis sub-cuneatis apice rotundato crenato, passim denticulo e latere interno. Nervus in venas pinnatas venulasque parcas angulis valde acutis et dichotome abiens, ut segmenta flabellinervia lubenter adpellares. Distintissima pianta e rimarchevole sia perchè allo stato secco facilmente , ove mancassero i sori, si scambierebbe all'apparenza la relativa indole delle due pagine della fronde, sia poi per la grande turgescenza dei sori stessi dal lato della faccia superiore mentre dall’ opposto si pre- sentano affatto piani. Sarawak, Monte Mattang — luglio 1866. Tribus V.— Lindsayeae Lindsaya (Eulindsaya) ovata, J. Sm. in Hook. sp. Fil. I, p. 305, tab. 64, A! — Bak. Syn. p. 105, N. 4. — Iso- loma ovatum, Prsl. epim. p. 101. Forma glabrescente. Exs.—Cuming, pl. exs. Ins. Philipp., N. 175 ex citat. Hookeri et Preslii. Sarawak, Monte Mattang, a 3500, p. di altitudine — giugno 1866. _ — concinna, J. Sm. in Hook. sp. Fil. I, p. 205, tab. 61, B. — Bak. Syn. p. 105, N. 5. Borneo, ex Auctoribus citatis. _ — cultrata, Sw. forma: Lobbiana, Hook, sp. Fil. I, p. 205, tab. 62, C! — Bedd. Ferns. Brit. Ind. tab. 28! «L. Lobbiana is considered only a form. of L. cultrata». — Bak. Syn. p. 105, N. 7, ubi, tamquam synonymon adducitur L. gracélis, Blume, Forma grandior, frondibus haud infrequenter ad summitatem bi- furcatis. Sarawak, Monte Mattang, 1866. — — trapeziformis, Dry. Act. Soc. Linn. Lond. III, tab.9.— Roe m. Arch. II, 286. tab. IV, fig. 4 : for. cau- data —L. caudata, Hook. Icon. Plant., tab. 958; et sp. Fil. I, p. 215.—Bedd. South. Ind. ferns. tab. CCXVII! Labnan ex hb. Low in hb. Beccari, 1867. — = Borneensis, Hook. mss. ap. Bak. Syn. p. 107, N. 18. Sarawak, Monte Mattang. — Aprile 1866. Baker ravvicina questa specie alla L. guianensis, Dry. (Hook. sp. Fil. I, p. 216, tab. 62, A), enona torto se si pongano a confronto due pinne isolatamente prese di queste due specie ; la fig. 14 su tab. 145 dell’opera spesso citata dell’ Ettingsh ausen (nonÈvosì l’altra fig. 3 della tavola precedente) della L. guianensis in nulla differisce da una pinna della nostra pianta. Se non che la pianta americana avrebbe, secondo Hooker, stipite terete, frondi piuttosto flosce fre- quentemente inchinate o falcate, ecc. Ma quando vuole attribuirle per ulteriore distintivo « pinnu- lae gradually smaller towards the apex » confesso che più volontieri sottoscrivo al parere del Baker che sì l'una che l’altra definitivamente costituiscano un graduato passaggio in alcune forme di L. trapeziformis alla genuina L. stricta Dryander. Lindsaya (Synaphlebium) lobata, Poir. Eneyel. Suppl. III, p. 448. — Bak. Syn. ed. II, p. 111, N. 87. — L. nt pînqua, Hook. sp. I, p. 223 e 224, tab. 66, 2! Forma omnino simplex: Synaphlebium pulchrum, Brack. Sarawak, luglio 1865. I sinonimi che vennero conglobati sotto questa specie dissuonano alquanto fra loro; eppero non volli citarli tutti quali ce li dà il Baker, il quale correggendo nella seconda edizione la no- menclatura col concedere priorità a quella del Poiret, non corregge poi il doppio impiego ch'egli fa della figura tab. 68, A dell’opera dell’ Hooker applicandola prima a Lindsaya mitens, poscia alla susseguente ZL. davallioides. In quanto agli esemplari del Cuming, nella mia collezione por- tano numero 392 e 393 (anzicchè 394); questo dovrebbe corrispondere alla L. obtusa, Hook., secondo la sua citazione, mentre traduce il 392 alla sua L. intermedia (tab. 67, B) quale var. B. minor e riferendovi il Synaphlebium recurvatum, J. Sm. (excll. Synn.). Ma contraddicono a sif- fatta conclusione i miei esemplari della collezione Cumingiana, forse scambiati nella distribuzione dal Collettore stesso. n — davallioides, Blum — Bak. Syn. p. 111, N. 38 — Hook. sp. Fil. I; p. 234, tab. 68, A! Sarawak, dicembre 1866. Certamente a questa specie, e non alla precedente, può assegnarsi la figura 68, A del- Hooker: ela felce del Beccari adeguatamente vi risponde. Non credo di errare di soverchio pensandomi che lo Synaphlebium pulchrum, Brack., e la L. davallicides, BI. , rappresentino gli estremi membri di un solo ciclo specifico. _ (Isoloma) divergens, W all. in Hook. et Grev. Icon. pl. tab. 226!—Hook. sp. Fil. I, p. 210.— Bak. Syn., p. 109, N. 29. Borneo, fide Auctor. citatorum. — (Schizoloma) Fraseri, Hook. sp. Fil. p. 221, tab. 70, B. — Bak. Syn. p. 112, N. 43. Sarawak : Banting. — Novembre 1865. Sebbene l esemplare Beccariano sia totalmente sterile , coincide siffattamente colla figura e colla descrizione dateci dall’ Hooker, da non potersi disconoscere la specie. Tribus VI. — Pterideae. Pteris longifolia, L. sp. pl. 1531. — Jacq. Hort. Schoenbr. III, p. 78, tab. 399, 400. — Swrtz. Syn. fil. p. 95. Schk. erypt. 84, tab. 88. — Milde, Fil. Eur. et Atlant. p. 43.— Willd. sp. pl. V, pars. I, p. 369. — Fée, Polyp. 124, tab. IX, A, fig. 5! (stipitis sectio).—P rsl. tent. Pterid. tab. XII, s. IV. fig. 1-9 (sporae)! [Hook. sp. Fil. II, p. 157. — Bak. Syn. p. 153, N. 1. — Beddom. South. Ind. Ferns, p. 11, tab. XXXII!— Et- tingsh. Farrnk. J. Jetzw, p. 92, tav. 52, fig. 15; tab. 54, fig. 1; tab. 56, fig. 3-5; tab. 57, fig. 1-3! — Pteris ensifolia, Sw. Syn.95.—T od. Syn. pl. Acotyl. vase. Sicil. p.6.— Pteris lanceolata, De s f. FI. Atl. II, p. 401.— Pteris vulcania, Bertol. Miscell. XVIII et FI. Critt. Ital, 86. — Pteris costata, Bory in Sprg. syst. veg. IV, 71. — Lonchitis lineata, pinnis longissimis, Petiv. pterigr. Amer. p. 129, tab. 6, fig. 12!— Lonchitis non ramosa longis angustis et ad basin auriculatis foliis, Plum. Fil. p. 52, tab. 69! — Filix non ramosa lon- gissimis angustis et ad basin auriculatis foliis. Plum. pl. Amer. p. 12, tab. 18! — Phyllitis ramosa, Alpin. exot. p. 67, c. icone, p. 66! Exs —(Specim. Ital.) Erb. Critt. Ital. ed. I, N. 151! sub nom. Pt. Vu/caniae; et ed. II, N.202!— Orsini, pl. exs!—Tod. FI. Sie — 16 — exs.!—(Specim. exot.) Gaillard. pl. exs. ex Syria! — Lefè vr. FI. Alg. exs. N. 498! sub nom. Pt. lanceol., Desf. — Hahn. pl. d. 1. Martin, ter voy. N. 28! — Bory (sub hom. PL. costatae), pl. exs. ex ile de Fr.!—Thwait. pl. Zeyl ed. Ho- hen. N, 3144! Cuming, pl exs. ex Ins. Philipp. N.66!—Bourg, pl. exs. Mexic. N. 2348 (Specim. rhachide usque ad ver- ticem dense paleata, pinnis eximie tenuibus!) — (Specim. culta ). Ex ipsa stirpe Jacquiniana in H. Schoenbrunn. adlata!, anno 1818 decerptum, ete. Sarawack, a Salac, gennajo 1866. Gli esemplari americani di questa pianta che tengo nel mio erbario, mi assolvono da qua- lunque dubbiezza di sinonimia. Non ho voluto citare le figure del Bar da ri (Polypodium ma- jus acutioribus foltis cordubense. Tcon 1111 1), né quella del Bocconi (Mus. d. piant. rar. Dec. V, p. 59, tav. 46!) calcata sulla precedente, avendo il Bocconi conosciuta la pianta presso il suo correligionario , e che dallo Sw artz vengono classate sotto la sua Pf. ensifolia , perchè davve- ro, quando non fosse per la patria, si potrebbero piuttosto addurre ad esempio della Pt. opaca (J. Sm.) ossia Pycnodoria opaca (Prsl. epim. p. 181 ) costrutta sovra pianta del Cuming (ex ins. Phil., N. 342!) in causa delle pinne acuminate alla base anzicchè cordate ed auriculate, e con- trastanti però in modo strano coll’ esatta figura dell’ Alpino, citata dallo stesso Swartz sotto la medesima specie. — Invece mi persuado volontieri debba qua essere riferita la fig. 1. di tav. 402 delPlukenet, da nissuno ch io mi sog interpretata, colla leggenda: « Fila pediculo pinnas gladiiformes transaddigente, ex Insula S.° Helenae ». Evidentemente il margine delle pinne supe- riori accenna a Pteris ; il difetto di pinna terminale non mi sorprende, avendosi frequentemente esempî di biforcazione nelle Felci. — Gli Autori recano quale sinonimo a questa specie anche la Pteris vittata del Willdenow: ma esemplari autentici nell’ erbario Bellardi e nel mio mi rendono titubante, malgrado che Milde (I. ec.) noveri una forma hastata » nella nostra pianta, assai simile al N. 178 dello Zolling. easzcc. Jav. , le appendici basali delle pinne sono troppo spiccate. Al postutto , alla pianta del Willdenow calza appuntino la figura: tav. 53, fig. 3 (Pi. crenata) nell’ opera dell’ Ettingshausen spesso da me citata. Pteris (Eupteris) semipinnata, Hook. sp. Fil. II, 169. — Ejusd. Gard. Ferns. tab. 59!—Beddom. South Ind. Ferns, p. 11, tab. XXXIV! — Bak. Syn. 157, N. 16.—Ettingsh. Farrn. d. Jetztw. p. 92, tab. 62, fig. 2-8! Borneo, ex auctoribus. _ _ longipinnula, Wall. Cat. N. 108. — Hook. sp. Fil. II, p. 179, tab. XXXIV, A! — Bak. Syn. p. 158, N. 23. — Beddom. South Ind. Ferns, p. 14, tab. XLII! Sarawak, Bauting, settembre 1865. Quando prendo a considerare la variabilità di forme che presenta la Pt. quadriaurita, Retz., trovo giustificata la sentenza del Baker, il quale in calce alla diagnosi della longipinnula scrive: « Very doubtfully distinet from the preceeding (Pt. quadriaurita) ». Per la pianta del Beccari adottai quel nome, che negli Autori trovai già additato siccome di pianta nativa di Borneo, evi- tando così la probabilità di duplice impiego. — (Paesia) arachnoidea, K aulf. enum. Fil. p. 190. Sarawak, Batang Lupar a Marop, aprile 1867. Coincide perfettamente colla pianta Brasiliana, che ho sott'occhio, raccolta dal Casaretto. Volendo conciliare tutte le forme derivate dal tipo Pt. aquilina sotto i nomi di Pt. lanuginosa, pu- bescens, caudata, esculenta, coll’aggiunta della Pt. Otaria creata ultimamente dal Beddome (South. Ind. Ferns., tab. XLI! ), sia paragonando fra loro diagnosi e figure, sia appoggiandosi ai dati geografici, c'è da uscirne pazzi. Quando, a cagion d'esempio, si cerchi l'argomento fitognostico per distinguere nelle figure date dall’ Ettingshausen le più che cavillose differenze degli angoli di divergenza per le venuzze di secondo ordine nei lobi, assolutamente bisogna rinunziare ad af- ferrarle ; e dopo avere sciupato gli occhi aiutando la vista con mezzi svariati di misurazione, si pete Ma arriva a conchiudere che le differenze esistano soltanto nella fantasia degli Specializzatori a tutto costo. Conclusione che del resto già da un pezzo avevo formulata e che ora solennemente pronun- zio, deplorando che la smania di dire novità abbia oscurato il sereno campo della nostra Scienza. Quando il Regno Vegetale ci offre il problema di classare un buon centinajo e mezzo di migliajo di tipi, perdersi a stabilirne le differenze dietro caratteri appena riconoscibili (sò quidem), e che variano magari da specie a specie assai meno di quanto differiscano in individui diversi della specie medesima, ai miei occhi è atto di scientifica aberrazione. Pteris (Campteria) patens, Hook. sp. Fil. II, p. 120, A.— Bak. p. 165, N. 47; — non Ettingsh. Farrn. d. Jetztw., p. 102, tab. 69, fig. 3! hine non Litobrochia patens, Prsl.— Pteris decussata, J.Sm. Bes.—Thwait., pl. Zeyl., N. 1047! ab ipso Hook er determinatum. Borneo, ex auctoribus. La pianta dell’Ettingshausen ha nulla di comune con quella dell’ Hooker; nemmeno la patria, essendo indigena del Chilì e dell’isola Juan Fernandez. Ceratopteris thalictroides, Brogn., Bull. Soc. Philom. 1821, p. 184, tab. 1. — 4. in Dict. Class. III, p. 351. — Pres]. tent. Pterid., tab. VII, s. VII, fig. 1-3! —Sm. et Moor. Acc. of cultiv. Ferns, p. 41 Icon! — Sm. et Moor. Account of exot. cultiv. Ferns, p. 41, fig. 21! —Hook. gen. Fil., tab. XII! — Bak. Syn. 174, tab. III, fi. 32!—Beddom. South Ind. Ferns, tab. LXXV!—Lowe, Ferns, II, tab. 66.—Metten. Fil. Lips. 89, tab. 10, fig. 9, 10, (C. Parkeri).— Pteris.cornuta, Pal. Beauv. Fl. d Oware, tab. 38. — Acrosti- chum thalictroides, L. Fl. zeyl. N. 374 tab. 4! — E&)usd. sp. pl., pag. 1527. — Acrostichum siliquosum, L. Amoen. Acad. I, 270, tab. 12, fig. 3.—Ellobocarpus oleraceus, Kaulf. Entw. d. Farrenkr., fig. 7, 8,9.—Par- keria pteridioides, Hook. Exot. Fil. IL, tab. 247; III, tab. 231; —Z7usd. Gen.Fil.tab.50!—Parkeria Lockhar- ti, Hook. et Gr. Jcon. Fil. tab. 97! — Millefolium aquaticum, Rumph Amb. Rar. VI, p. 176, tab. 74, fig. l!— Planta siliquosa bivalvis unicapsularis, siliquis in plurimos ramulos falcatos diffusis, Crithmi marini seg- menta quodammodo mentientibus. Pluk. Phytogr. tab. 215, fig. 3! — Forte Xiyopatli, 4usd. Almag., p. 298. —Seriem locupletiorum synonymorum conferas apud Ind. filicum, p. 231. — Nuperrime de germinatione et evolutione embryonali hujus filicis disseruit cl. Kny. ( Sttzungsb. d. Gesell. Naturf. Freund. z. Berlin, 21 aprile 1874). Exs.—Cuming. pl. exs. Ins. Philipp., N. 344; —Hostm. pl. Surin., N. 59; —Kegel, ex eod. loc., N. 622. — Gard. pl. Bras., N. 5667, 6111, 1229, 4397; —Leprieur pl. Senegal! (ejus (. cornuta in Ann. d. Sc. Nat. I, ser. XIX, p. 99, tab. 4) — Per- rottet, pl. Senegal. ed. Hohen., N. 985! —Berter. ex ins. S. Doming. anno 1820 (sterilis) ! Sarawak, a Bintulu; gli esemplari sterili raccolti in settembre ed i fertili in dicemhre del 1867. Gli esemplari della pianta Borneese appartengono alla forma che ha gli sporotecì sforniti o quasi di annello, il quale invece appare molto sviluppato negli esemplari dal Senegal. Trattandosi di pianta aquatica la differenza notata, e sulla quale poco felicemente si venne ad una distinzione non solo specitica ma persino generica (!), a mio credere dipenderà dalle circostanze accidentali di maggiore o minor immersione della pianta o simile ; e mi penso che l’annerello delli sporotecî venga a mancare (ciò che nel nostro caso significa evoluzione imperfetta) allorquando la felce tro- vasi coperta dall’ acqua. Infatti il Beccari segna in margine alla scheda: « Sommersa ». Tribus VII. — Bleckneae Blechnum (Eublechnum) serrulatum, Richd. L. Act. Soc. Hist. Nat. I, p. 114. — Swartz, Syn. Fil., p. 113.— Schk. Crypt. Gew., p. 100, tab. 108. — Fée, Gen. Fil., p. 74. — Lowe, Ferns. IV, tab. 43. — Hook. sp. Fil. III, p. 54. — Bak. Syn. 186, N. 14. Blechnum striatum, R Bir. Prodr. Fl. N. Holl., p. 152.—Hook. sp. Fil. III, p. 55, tab. 159! — Blechnum stramineum, Labill., Sert. Austr. Caled., p. 2, tab. 3! — Blechnum -stagninum, Radd. Syn. Fil. 123; et Fil. Brasil., p. 54, tab. 62!—Langsd. et Fisch Icon. Fil., p. 20, tab. 23. Exs.— Cuming, pl. Ins. Phil., N. 385! — Kappl. pl. Surin. N. 1770!, ete. Borneo, ex auctoribus. == — orientale, L., sp. pl. N. 1535. — Swartz, Syn. Fil., p. 114. —Schk. Crypt. Gew. 101, tab. 109.— ATTI—Vol. VIL—N.° 8. 3 Tee Lowe, Ferns, IV, tab. 40.—Hook. sp. Fil. III, p. 52; et Fil. Exot. tab. 77!— Bak. Syn. p. 186, N. 15.— Beddom. South Ind. Ferns, p. 10, tab. XXIX! — Moor. Ind. Fil., p. 201. Sarawak, Batang Lupar a Marop. — marzo 1867. Blechnum (Eublechnum) var. y. undulatum, Hook. sp. Fil. III, p. 52. — Moor. Ind. Fil., p. 202. Borneo, ex auctoribus._ Sebbene Hooker e Moore accennino esclusivamente alla var. y. undulatum per Borneo, non ho esitato a classare sotto la forma tipica la pianta del Beccari, la quale del resto ha la ra- chide fibrillosa anche nella parte occupata dalle pinne. — _ Finlaysonianum, Wall. Catal., N. 2172. — Hook. et Gr. Icon. Fil., tab. 225!— Hook. Journ. of bot. III, p. 406; — et Sp. Fil., III, p. 53. — Bak. Syn. 187, N. 17. — Blechnopsis Finlaysoniana, Prsl., epim. bot. 116. Exs.—Cuming, pl. ex Ins. Philipp., N. 370! Borneo, ex auctoribus. Tribus VIII. — Asplenieae Asplenium (Thamnopteris) Nidus, L., sp. pl., N. 7880.—Hook., sp. Fil. III, p. 77; — et Botan. Mag., tab. 3101. — Bak. Syn. 190, N. 1. — Beddom. Ferns Brit. Ind., tab. 197! — Prsl. tentam. Pteridogr., p. 106, tab. III, fig. 23!—Lowe, Fil. V, tab. 15, fig. A.—Metten. Aspl., p. 85, N. 1.—Thamnopteris Nidus, Prsl. epim., p. 68. — Neottopteris vulgaris, J. Sm. in Hook. journ. bot. III, p. 409; et IV, 176. — Scolopendria Indiae Orientalis, Musae facie: Breyn. pl. exot. centur., p. 192, tab. 99!— Phyllitis indica maxima latissima foliis planis, Musae facie, Moris. III p. 558, sect. 14, tab. I, fig. 15! —(V. Luerssen sulle formazioni inter- cellulari nel parenchina fondam. delle Felci: Sitzgsber. d. Naturf. Gesell. zu Leipzig. 1875, N. 7, p. 82. Exs.—Sieb. Sy. Fil, N. 37! (ex ins. Mauritii: Thamn. Mauritiana, Prsl., epim., p. 68); —Labill. exins. Amboina! —F. v. Mill. ex Lord Howes Ins.! ete. ; Sarawak : novembre 1865. - — _ 8. musaefolium, (Metten., l. c., p. 86). — Hook. sp. Fil. III, p. 78. — Bak. Syn., p. 190. Sarawak, luglio 1865. Per ciò che riguarda la varietà non si sa veramente che pensarne , poichè Mettenius, il quale imitò J. Smith, accettando sott’ altro genere questo nome con dignità di specie, si appog- giava sugli esemplari del Cuming, pi. ex. ins. Philipp., segnandoli N. 15 e 59. Ora il Presl, il quale pur ammette la specie Smithiana ( « Species exquisita » egli scrive nelle sue Epimeliae botanicae, p. 68) cita invece l'esemplare N. 59 del Cuming sotto il tipico Aspl. Nidus. Hooker poi mette a soqquadro compiutamente la sinonimia finora riferita scrivendo quanto segue in una nota a piè di pagina 79 del vol. III, del suo Speczes filieum, dopo avere esposto il sospetto che Aspl. musaefolium non altro sia se non una lussureggiante forma dello Asplen. Nidus : « Mettenius « quotes Cumings N. 15 and 39 for A. musaefolium. The letter number is probably an error for 89, « and the former (15) îs that which is properly referred by M." J. Smith to A. nidus ». Non mi resta che esclamare : lovely species exquisita, farewell! — (Euasplenium) squamulatum, Bl. enum., p. 174.—Metten. Asplen., p. 90, N. 17.— Presl. tentam. Pterid., p. 105.—Kze. bot. Zeit. VI (1848), p. 145. — Hook. sp. Fil. III, p. 82.—Bak. Syn. p. 192, N. 10. — Moor. Ind. Fil., p. 169, correct. synonim. ubi scribit sguamuloso pro squamulato. — Thamnopte- ris squamulata, Prsl. epim. bot. p. 260 7 add. et corr. — Nettopteris squamulata, Fée, Gen. Fil., p. 203. Exs.—Zolling. pl. Jav. exs., N. 960, 2. Borneo, ex auctoribus. —_ = scolopendrioides, J.Sm.in Hook. Journ. bot. III, p. 408.— Metten. Asplen., p. 89, N. 11.— Hook. sp. Fil. III, 84.—Hook. Icon. pl. tab. 980! — Bak. Syn. 192, N. 11.—-Moor. Ind. Fil. p. 165. Pxs.— Cuming, pl. exs. Ins. Philipp., N. 318. Borneo, ex auctoribus. RESO, |: LO Asplenium (Euasplenium) longissimum, B1. enum. 178. —Kze. bot. Zeitg. IV (1846), p. 442. —J. Sm. in Hook. Journ. bot. III, 408. — Hook. sp. Fil. III, p. 149, tab. 1900!—Metten. Asplen., p. 148, N. 134. — Asplenium sordidum Kze. bot. Zeitg. VI (1848), p. 174 (file Metten.). Eas.—Zolling. pl. Jav. N. 148; — Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 373. Sarawak, Batang Lupar, Banting. — settembre 1865. ca — elongatum, Swartz Syn., p. 79. — Poir. Encycl. suppl. II, p. 507.—Kze, bot. Zeitg. VI (1848), p. 174. —J.Sm.in Hook. Journ. bot. III, 408.—Metten. Aspl. p. 112, N. 63.— Moore Ind. Fil. 126.— Asplenium caudatum, Cav. praelect., p. 256. — Asplenium productum, Prsl.in Reliq. Haenk, I, tab. 8, fig. 1! — Asplenium tenerum, Bak. Syn. p. 201, N. 61 (pr. p.). Fas. — Cuming. pl. Ins. Philipp. N. 163; —Zolling. pl. Jav. N. 2220, 2935. Borneo, ex auctoribus. _ — fuliginosum, Hook. sp. Fil. III, p. 120 — et Second Cent. of Ferns. tab. 3! (sub nomine A. lugu- bris; quo nomine aliena venit stirps Liebmanniana ex Mexico). — Bak., Syn., p. 203, N. 67. Borneo, lecta a dom. H. Lo w jun. Questa pianta trovossi totalmente dimenticata dal Moore, il quale non la rammenta nè col nome adottato dal Baker, nè coll’ altro ritenuto a designare una pianta affatto diversa. Non ne riscontro menzione tampoco nella monografia del Mettenius. _ — Borneense, Hook Sp. Fil. III, p. 135, tab. 186! — Bak. Syn., p. 203, N. 68. Borneo, legit H. Low jun. Anche questa specie è totalmente ignorata dal Moore e dal Mettenius. —_ — macrophyllum, Swartz, gen. et sp. Fil. in Schrad. Journ. 1800, II, p. 52. — et Syn. Fil., p. 77 et 261. — Lowe, Ferns. V, tab. 52. — Hook. sp. Fil. III, p. 158, tab. 196, 197! — Exs.—Zolling. pl. Ins. Jav., N. 151, 1367!—Lobb. e Singapore, N. 17;— Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 42!— ete. Borneo, ex auctoribus. Gli esemplari secchi citati qui sopra, seguendo il Moore, dal Mettenius vengono diver- samente interpretati e riportati in parte allo Aspl. 0xyphyllum, Wall.,') che suddivide in due forme: la legittima (@), sotto la quale riporta A. intermedium, Kaulf.,e Cum., pl. exs. ex ins. Philipp., N. 42 pr. p. — e la varietà (0) costituita dall’ A. canaliculatum, B1., colli Easice. Zol- ling, N. 1867, e Cum. N. 42, pr. p.; ed i miei esemplari rappresenterebbero appunto questa seconda forma. — Diverso sì dall’ una che dall'altra sembrami l'esemplare da Ceylon: Thwait., pl. exs. Ceylon., N. 1340! _- _ affine, Swartz. gen. et sp. Fil. in Schrad. Journ. 1800. II, p. 56. — E7usd. Syn. Fil. p. 84 et 279.— Hook. Sp. Fil. III, p. 170, tab. 202! — Bak. Syn. 215, N. 126. _ _ cuneatum, Lam. Enc. méth. II, 309. —Schk. Crypt. Gew. 73, tab. 78.— Hook, Sp. Fil. HI, p. 168. — Bak. Syn. 214, N. 124. Non potendo citare per Borneo queste due specie se non sulla fede degli autori, mi astengo dall entrare a parte del dissenso che regna fra li Pteridografisti sul valore specifico di questi due tipi, che dai più vengono considerati come una specie sola. Mi limiterò a citare gli easiccata che da Moore vengono assegnati a cadauno di essi. Sotto A. affine, novera: Thwait, pl. Zeyl., N. 1800; — Gard. Fil. Ceyl., N. 1084; — Sieb. Syn. Fil, N. 71; — Bory, ex ins. Bourb., N. 863. Sotto A cuneatum: Schomb. ex Guiana, N. 340; — Brackenr. ex Brasil; — Cuming, 1) Faccio osservare che Moore, 1. c., p. 154, finge l’ A. oxyphyllum, W all., essere sinonimo del pellucidum, Lam., e diverso dall’ 0xy- phyllum,Mett.,senza tener conto a suo luogo, di quest’ ultimo. Probabilmente lo crede identico alla specie omonima dello Smith. * LD ex ms. Philip. N. 54; — Zolling. ex ins. Java, N. 347 Z; — Lobb, ex ead. loc., N. 451.,— ed aggiunge fra gli antichi scrittori: Sloane, Jamaic. tab. 46, fig. 2. per sinonimo. Asplenium (Euasplenium) spathulinum, J. Sm. in Hook. Journ. Bot. III, 408, et sp. Fil. III, p.170.—Kze.in Bot. Zeitg. VI (1848), p. 224 in nota ad N. 29. Fas. —Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 210 et 376? Borneo, ex auctoribus. Ho conservato il nome dato da J. Smith al N. 210 del Cuming; l’altro numero (376) vi venne aggiudicato dal Kunze e conservato dal Mettenius, genero e continuatore del Botanico di Lipsia in Pteridografia; quest ultimo peraltro traducendo lA. spathulinum come sinonimo al- VA. nitidum, Sw., mentre Baker ne fa un sinonimo dell’affine, Sw. — Moore finalmente scinde le due piante del Cuming ritenendo il solo N. 210 siccome l'archetipo dell’ A. spathulinum cui considera per ispecie autonoma, assegnando il N. 376 al nitidum, Sw. — Sgraziatamente man- cano ambedue i numeri nella mia collezione : gli esemplari rappresentanti l'A. nitidum ivi pro- vengono da altre località. — Io veggo poi tali passaggi di forme dall’ A. cuneatum pel praemor- sum colle forme furcatum , affine, spathulinum sino al nitidum (quasi direi sino al laserpitiifo- lium), da poterli considerare quali rampolli d’ un solo ceppo. _ _ polystichoides, B1l. in 46. Mus. Lugdun. Batav. — Asplenium nitidum. Metten., Aspl., p. 160, tab. V, fig. 31! (excl.. Syn. Smith.), vie altorum. Sarawak, Banting; novembre 1865. Non vha dubbio alcuno che la pianta del Beccari non sia precisamente quella raffigurata dal Mettenius sotto il nome di A. nitidum, e che non s' accorda colle descrizioni date di quest’ul- tima specie. Hooker (Sp. Fil. NI, p. 172.), il quale pur tragge la figura del Mettenius al- lA. nitidum Swartz, siccome forma speciale dalle pinnule acuminate , assegna alla specie tipi- ca Cuming exs. ea ins. Philipp. , N. 376, ma non si fa carico della pianta dello Zollinger, exs. pl. Jav., N. 352 3, nè delle citazioni del Prsl. (epim. bot., p. 260), bensì soggiunge : « dif- ferent as are the figures of Schkuhr (Crypt. Gew., tab. 81) and Mettenius (I. c.) both are cor- rect », facendo egli dipendere siffatte differenze dalla grande variabilità di questa specie. Chiude finalmente la nota colla domanda: « What is Aspl. polystichoides BI. in herb. Mus. Lugd. Batav. from Borneo! of which I find no description ». Penso che la risposta stia precisamente nella pianta del Beccari. — — pellucidum, Lam. Encycl. Meth. II, p. 305 (excl. syn. Plumier.), — Swartz, Syn. Fil., p. 79.— Presl. reliq. Haenk. I, p.43.— Mette n. Aspl., p. 148, N. 185.—Asplenium hirtum, Kaulf. enum. p. 169.— Hook. sp. Fil. III, p. 149, tab. 191! — Bak. Syn. p. 205, N. 78.— Beddom. Ferns Brit. Ind., tab. 194! (icon Hookeri repetita). Exs.—Cuming, pl. ex Ins. Philipp. N. 147 (sub nom. Aspl. approximati, BI. ); — Sieb. Fil. mixt., N. 316. 3orneo, testibus Moore et Beddome. —_ (Darea) dichotomum, Hook. Second Cent., tab. 39! et sp. Fil. III, p. 210. —Bak. Syn. 221, N. 160. Borneo, teste auctore. — - subaguatile, Nob. Rhizoma abbreviatum, radiculis flexuosis ramosis, tomento stuppeo vestitis; stipites numerosi erecti bi-tri- pollicares, filiformes, virentes vel fuscelli, e latere interno obiter canaliculati, glaberrimi, in rhachidem palma- rem et duplum abeuntes, frondem angustam constituentes simpliciter pinnatam, pinnis stipitellatis alternis vel sub-oppositis, erectis, omnino laevigatis, angustissime linearibus (1-2 poll. longis, 1-1 '/, lin. latis), alterne et remote dentatis; nervo mediano flexuoso unicam venulam pro quovis dente assurgentem emittente ; soro unico pro quovis segmento, e lineari oblongo, ad partem venulae superiorem (internam) locato; involucro angusto in- tegerrimo. Sarawak, rapide del Rejang. — ottobre 1867. BR, Dì tutta affinità, per la forma dei segmenti, coll’ A. inaequale, Kunze (bot. Zeitg. VI, 1848. p. 176) corrispondente a Darea inaequalis, Willd. (sp. pl. V, 298), se debbo giudicarne dalla fig. 1, tab. XXVII, C, nel gen. Filie. del Fée. Ma non so accordarvi A. bifidum, Prsl. (tent. Pterid. tab. II, fig. 19) citato dal Moore (Ind. Fil., p. 137.), essendocchè per direzione, forma e proporzioni dei segmenti sembri pianta molto differente dalla prima, e che per altra parte dovrebbe meglio corrispondere alla specie del Kunze, poichè quest’ autore ravvicina la sua felce al suo Aspl. Belangeri, alle cui pinne si assomigliano assai quelle dell’ A. bifidum, quando non si voglia riferirle all’A. stans. — Le figure date per l'A. maeqguale dall'Ettingshausen (Farra. d. Jetztw., tab. 58, fig. 1-3) dànno ancora l’idea di una terza forma di felce. Asplenium (Darea) Belangeri, Kunze, bot. Zeitg. VI, 1848, p. 176. — Hook. Fil. exot. tab. XLII — Metten. Fil. Hor. Bot. Lips. 71, tab. 13, fig. 1-2. — Lowe, Ferns. V, tab. 5 A. — Metten. Aspl., p. 111, N. 62.— Beddom. Ferns. Br. Ind., tab. 287! (mediocris). —Ettingsh. Farr. d. Jetzw. 131, tab. 79, fig. 14; tab. 80, fio.! — Bak. Syn., p. 223, N. 168. — Asplenium Veitchianum, Moore, Ind. Fil. 116 et 176. Exs.—Zollinger, pl. Jav., N. 1627. Sarawak, sul Monte Mattang : 1866. Negli orti botanici questa specie, a modo di altre nella Sezione Darea ( Caenopteris), diven- ta facilmente vivipara. = (Diplazium) zeylanicum, Hook. Second Cent. tab. XVI! var. segmentis apice serrulatis. Sarawak, dicembre 1866. La forma tipica avrebbe secondo Hooker, tanto per la tavola citata quanto espressamente dalle parole del testo che la accompagna, i lobi 7nterissimi; nel nostro unico esemplare non sono tali. Del resto lo stesso autore si esprime in nota come segue: « / possess only two specimens of this distinet looking diplazious Asplenium, and venture to constitute a species of it, though it may possibly be a young form (‘et in veri good fructification) of some compound species ». A me sembra un tipo ben preciso, e propriamente di quelli che, pei loro indusii appena nei sori basali foggiati a due battenti, costituiscono il passaggio dai gruppi prettamente Asplenzum all’altro Diplazium. — — Bantamense, Bak. Syn., p. 231, N. 210. — Diplazium Bantamense, B1. enum., p. 191. — Asple- nium fraxinifolium, Wall. catal., N. 194. — Hook. Second Ceut. of Ferns, tab. XIX, et Spec. Fil. III, p. 240. — Diplazium fraxinifolium, Wall. hb., N. 1823. — Moor. Ind. Fil., p. 329. Exs.—Lobb, N. 33; — Cuming, pl. ins. Philipp. 376! (saltem specimem meum). Sarawak, Banting : settembre 1865. _ — sylvaticum, Pres]. Reliq. Haenk. I, p. 42. — Metten. Fil. H. Lips., p. 74; — et Asplen., p. 179, N. 202. — Hook. sp. Fil. III, p. 448. (pr. p.)—Beddom. Ferns. Br. Ind., tab. 161! — Diplazium sylvaticum, Moor. et Houlst. in Gardn. Mag. Bot. III, 231. — Lowe, Ferns, V, tab. 49. — Diplazium acuminatum, Presl, tent. Pterid., p. 113. — Schk. Cryptog. Gew. 80, tab. 85. — Anisogonium sylvaticum, Prsl. tentam. Pterid. p. 118. — Hook. Gen. Fil., tab. 56, £. \ Exs.— Sieb. Syn., N. 29;— Gardn. Fil. ex N. 1349;—Thwait. pl. Ceyl., N. 1349! —Zolling. pl. Jav. N. 1350! Borneo, ex auctoribus. Confesso di non saper distinguere, a rigore di critica, l’ esemplare N. 349, Cum. pi. èns. Philipp. dalli autori classato per Diplazium petiolare, Prsl. Trovo pure fra le mie piante Zol- lingeriane un N. 587 che veggo citato in nissun luogo e mi ha tutto l’ aspetto del D. syl/vaticum. — —_ Blumei, Bergsm. Cat. H. Ultra-Traj, 1857. — Metten. Aspl. p. 189, N. 224. — Asplenium dipla- zìoides, Bory, Bel. 51. Exs.—Zolling, pl. Ins. Jav., N. 2845, — Gardn. Fil. Zeyl. N. 37. Borneo (leg. Meissn. fide Mett.,l.c.). ga Asplenium (Diplazium) porrectum, Wall. Catal., N. 204, 224. — Hook. sp. Fil. III, p. 250. — Metten. Aspl. p. 176 N. 196, tab. V, fig. 1-2! — Bak. Syn., p. 230, N. 206. — Diplazium porrectum, Prsl. tent Pterid., p. 113.— Moor. Ind. Fil., p. 335. Exs.— Cuming, pl. Ins. Phil., N. 387; —Zolling., pl. Ins. Jav. N. 1387, 1491. Borneo, ex Moore, l. c. _ ( Anisogonium ) elegans, Mett. Fil. H. Bot. Lips., p. 74, tab. 11, fig. 5. — Z/usd. Aspl., p. 172, N. 188.— Callipteris elegans, J. Sm. in Hook. Journ. Bot. III 409. — Diplazium elegans, Hook. Icon. PI., tab. 939, 940—D. fraxinifolium, Presl, Rel. Haenk. I, p. 49. — Anisogonium fraxinifolium, Presl, tent. Pterid., tab. IV, fig. 18! — Callipteris fraxinifolia, J. Sm. hb., fide Moor. Ind. Fil., p. 217. Exs. — Cuming, pl. Ins. Philipp. N. 276, 305, 1). Borneo, ex auctoribus. = — proliferum, Lam. Encycl. Méth. II, p. 307. — Metten. Fil. H. B. Lips., p. 74, tab. XI, fig. 7. — Asplenium decussatum, Sw. in Schrad. Journ. 1800, II, p. 51, et Syn. Fil., p.76 et 260, —Metten. Asplen. 173, N. 190. —Hook. sp. Fil. II, 270, —Bak. Syn. Fil., p. 243, N. 270.— Anisogonium decussatum, Prsl. tent. Pterid., p. 116, tab. IV, fig. 13! —Hook. Gen. Fil., tab. 56, A, fig. 1-41— Diplazium proliferum Aub. d. Pet. Thou. Fl. Trist. d’° Acun., p. 35. — Diplazium undulosum, Sieb. Fl. Mauritz., N. 6. — Asplenium Swartzii, Mett. Fil. H. B. Lips. 74, tab. 11, fig.6.—Callipteris prolifera, Bory, voy. aux isl. d’Afr. I, 283.— Fée, Gen. Fil., p. 219, tab. XVII, s. D, fig. 2.— Beddom. Ferns, Br. Ind., tab. 701 Exs.— Sieb. Syn., N. 30; fl. mixt. N. 298; et FI. Maurit. ed. I. Suppl. N. 6!—Zolling. pl. Ins. Jav. 644, 4. Borneo, ex auctoribus. _ (Diplazium) vestitum, Prsl. epim. bot., p. 87. — Hook. sp. Fil. III, 260, et Second. Cent., tab. 46! — Moor. Aspl. 187, N. 216, d. — Bak. Syn. 239, N. 248. Exs.— Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 333 et 396 fide Prsl., N. 336 ex Hook. et Bak., N. 366 (error. typogr. ?) ex Moore. Borneo, fide Moore. — (Diplazium) Sorzogonense, Prsl. reliq. Haenk. I, p. 45. — Hook. sp. Fil. III, p. 252. — Metten. Aspl. p. 185, N. 212. — Bak. Syn. Fil., p. 233, N. 286. — Beddom. Ferns, Brit. Ind., tab. 246! — Diplazium Smi- thianum, K ze. bot. Zeitg. VI, 1848, p. 195. Exs.—Zollinsg. pl. Jav. II, 1483. — Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 301. Borneo, ex Beddom, l. c. - _ cordifolium, Metten. Fil. H. B. Lips., p. 74. tab. 12, fig. 6. — Hook. sp. Fil. III, p. 267, et Icon. pl. tab. 184 (sud Diplazio ).—Bak. Syn. Fil. 243, N. 266.— Oxygonium cordifolium, Hook. Gen. Fil., tab. 116! —O. integrifolium, Moor., Ind. Fil. Exs.—Zolling. pl. Jav., N. 384, 3 et 1462; — Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 307. Sarawak, dicembre 1866. È veramente strana la ostinazione di alcuni Botanici di voler conservare il nome di A. înte- grifolium ad una specie che ammette fronde indivisa e fronde pinnata , come accade di leggere anche nel Baker: « A. cordifolium B. integrifolium, BI., frond. .. subdeltoid, with a large ter- « minal and one or two pairs of smaller but similar spreading lateral pinnae » (1. c.). Tribus X. — Aspidiege Aspidium (Polystichum) semicordatum, Swtz. Syn. Fil., p. 45. — Willd. sp. pl. V, ps. 1, p. 222. — Hook. sp. Fil. IV, p. 16. — Bak. Syn. Fil. 349, N. 4. — Metten. Aspid., p. 36, N. 80. —Ettingsh. Farrn. d. Jetztw. 178, tab. 111, fig. 9; tab, 112, fig. 1-6; tab. 113, N. 2!—Cyclopeltis semicordata, J. Sm., in bot. Ma- gaz.72.— Lowe, Ferns, VI, tab. 3. — Polypodium semicordatum, Swtz., FI. Ind. Occid. III, p. 1651. — Lingua Cervina, foliis ensiformibus serratis, Plum. Fil. Amer., tab. 113! et PI. d’ Amer., tab. 15! (repetitio prioris). Exs.—Sieb. FI. mixt., N. 335; — Lind. 260 et 1756. — Berter. ex Porto Rico! — Fras. pl. Reip. Ecuador! Borneo, ex auctoribus. 1) Vedi sotto Aspl. bantamense in quanto all’ esemplare della mia collezione. " e, Aspidium (Polystichum) f£. truncatum, Beddom. Ferns. Brit. Ind. (varietas vix distinguenda ?). — —_ aristatum y. Hamiltonii, (Sprg.), Baker, Syn. Fil., p. 256, N. 38.—Aspidium Hamiltoni, Sprg1. Syst. veg. IV, p. 108. Sarawak, Santubong-pic. — agosto 1866. Nephrodium (Lastrea) Beccarianum, Nob. Ex affinitate N. attenuati, patentis proximorumque. Imprimis pinnis inferioribus longiuscule petiolatis, di- varicatis, soris minus numerosis , fronde glaberrima distinctum. Stipes lucidus ad basim paleis e lineari subu- latis, brunneis, quoque lucidis, integerrimis. Indusia rufa perfecte reniformia, sub lente ad umbilicum umbo- nata, coriacea. Frons tota in sicco brunnea (unicam habemus), ultra metrum longa, aeque divisa pro stipite et lamina, rigida ; — pinnae apice elongato acuminato. Sarawak, Monte Mattang; — luglio 1866. _ _ Viscosum, Baker, Syn. Fil., p. 264, N. 30. — Lastrea viscosa, J.Sm. ex Beddom. Ferns Br. Ind. tab. 334! Exs.— Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 401. Borneo; leg. Lobb teste Baker. — _ Motleyanum, Hook. mss. ex Bak. Syn. Fil., p. 266, sub N. 40 (N. crassifolio) in nota. Borneo, ex hb. Hook. — — echinatum, Bak. Syn. Fil., p. 266, N. 41. — Aspidium echinatum, Mett. Fil. Ind., p. 230. Borneo, leg. Korthals, fide auctore. — —. borneense,Hook., Second Cent., tab. 93, et Sp. Fil. IV, p. 111. — Baker, Syn. Fil., p. 273, N. 81. Borneo, ex auctoribus. Ho tolto di pianta tutta questa citazione dal Baker, il quale la ripete nella seconda edizio- ne, e che non corrisponde all’ opera iconografica dell’Hooker, poichè questi nella allegata ta- vola rappresenta unà vera Davallia dall’ isola Fernando Po, col nome di D. (Dareoidea) nigre- scens. Il Baker poi nella seconda edizione aggiunge come sinonimo : « Davallia, Kihn, Ann. « Mus. Lugd. Batav. IV, 286 » che non ho sotto mano. _ (Sagenia) ternatum, Bak. Syn. Fil., p. 296, N. 202. Borneo, legerunt Lobb, Wallace, Motley. _ — vastum, Bak. Syn. Fil., p. 296, N. 203. — Beddo m. Ferns Br. Ind., tab. 169! — Aspidium va- stum, B1. enum. 142.—K unze, bot. Zeitg. IV (1846), p. 462.—Metten. Fil. H. B. Lips. 96, tab. 22, fig. 7.— Aspidium alatum, W all. catal., N. 378. — Hook. et Gr. Icon. 184.—Metten. Aspid., p. 123, N.290. Exs.—Zolling. pl. ins. Jav., N. 1669. Borneo, ex auctoribus. — 3 Lobbii, Bak. Syn. Fil., p. 297, N. 207. — Aspidium Lobbii, Hook. sp. Fil. IV, p. 59, tab. 232! Borneo, fide Baker. _ — semibipinnatum, Bak. Syn. Fil. 297, N. 208, — Hook. sp. Fil., p. 59, tab. 231! T— Beddom. Ferns Brit. Ind., tab. 137! (repet. icon. Hook). Borneo, fide Baker. Oleandra neriiformis Cav. f. brachypus, Hook. sp. Fil. IV, p. 156. Sarawak, Santubong-pic; — agosto 1866. Esitai sembrandomi dapprima che la nostra pianta corrispondesse nettamente ad A. phyl- larthron, Kze.; ma vista la variabilità dello stipite in quanto a lunghezza, penso col Baker non si tratti che di variazione. QUI Oleandra Bantamensis, Kze. Farrnkr. in Abb. II, 72? — Aspidium bantamense, B1. enum. Sarawack, Bauting. — Settembre 1865. Le frondi sono semipellucide , sebbene consistenti, tranne qualche pagliuzza lungo la costola poco rialzata e pallida assolutamente glabre , di un verde tenero uguale; acuminate alla base vanno moderatamente allargandosi per tutta la lunghezza di tre decimetri, divenendo al massimo larghe quattro centimetri e mezzo per restringersi tosto terminando in punta assai acuminata. Ordinariamente si curvano alquanto a falce sul margine che guarda in alto. Lo stipite è di 1 */, a 2 centim. in lunghezza , sottile, cosperso qua e là di pagliuzze subulate caduche. I fillopodii bre- vissimi sono occultati dalle squame brune e pelosette. Il fusto ed i ramellini , densamente coperti da queste squame, che vi stanno strettamente addossate, sono tetragono-compressi. — I sori con- stano del solo indusio, forse perchè troppo giovani, e sono minutissimi, disposti sovra una linea regolare d’ ambo i lati della costola ed assai vicini alla medesima, ma abbastanza discosti fra loro. Per tutti questi caratieri mi sembra che la presente felce compartecipi di più specie. B). — EXINVOLUCRATAE Tribus XI. — Polypodieae Polypodium { Goniopteris ) Borneense, Hook. sp. fil. V, p. 11. —Bak. Syn. fil., p. 314, N. 59. Borneo, leg. T. Lobb. i — urophyllum, W all. catal., N. 299.—Hook. sp. Fil. V, p.9. — Bak. Syn. fil., p. 315, N. 65.— Goniopteris urophylla, Prsl. tent. Pterid., p. 183. — Beddom. South. Ind. Ferns, p. 79, tab. 239. — Phegopteris urophylla, Metten. Pheg., p. 26, N. 53. — — _ 6. asperum, Prsl., Mett. 1. c.; — Polypodium asperum, Prsl. rel. Haenk. I, p. 24, tab. II, fig. 4! Borneo, speciem una cum varietate leg. Meissner. _ —_ rubidum. Hook. sp. Fil. V, p. 12, var.? Borneo: Ad hane speciem cuncetanter Baker (Syn., p. 314, sub N. 641) trahit stirpem illine missam a De Vriese. _ (Dictyopteris) irregulare, Presl. reliq. Haenk. I, p. 25, tab. IV, fig. 3!— Aspidium difforme, Blum. enum. 160, — Polypodium difforme, Blum, FI. Jav., p. 131; nomen in eodem volumine rejectum ab ipso Auctore, ingenue admissa prioritate speciei Preslianae; hinc: Polypodium irregulare, B1. l. c. p. 144, et tab. 74! — Polypodium difforme, Hook. sp. Fil. V, p. 106. — Bak. Syn. 348, N. 88. — Dictyopteris irregu- laris, Prsl. tent. Pterid., p. 194, tab. 8, fig. 7! — Dictyopteris macrodonta, F ée, gen. Fil., p. 267, tab. XXXI, A, fig. 2! — Phegopteris difformis, Mett. Fil. H. B. Lipsiens., p. 84. tab. 25, fig. 28, et Pheg., p. 31, N. 67. Exs.—Zolling, N. 514, A;— De Vriese, N. 67; — Cuming, pl. Ins. Philipp., N. 114 ex Hook.; in collectione mea sine nu- mero! — Th. Lobb, N. 184, et Motley ex ins. Borneo. Sarawak, Batang — Lupar, Banting. — Settembre 1865. Polypodium (Eupolypodium, sect. Grammitis ) bisulcatum, Hook. sp. Fil. IV, p. 164, ef Icon. Plant., tab. 998 seu Cent. of Ferns, tab. 98. — Bak. Syn. Fil., 320, N. 104. Borneo, presso Sarawak ( donde avealo prima riportato Th. Lobb.), m. di dicembre 1866. L'osservazione fatta dall’ Hooker: « The fronds resemble the culms of some very rigid Juncus » va a capello per questa felce, come pure alla seguente : _ _ gramineum, Swtz. FI. Ind. Occid. III, p. 1629, non Sprg1. Neu. Entd. III, p. 6. —Hook. sp. Fil. IV, 165.—Bak. Syn. Fil. 321, N. 105. — Grammitis linearis, Sw tz. Syn. Fil., p. 21. — Asplenium an- gustifolium, Jacq. Coll. I, p. 121 — ef Ic. pl. rar. tab. 199. Sarawak, Gunong (monte) Tiang laggiu. — Aprile 1867. — — flabellivenium, Bak. Syn. Fil. 322, N. 112. Sarawak, Banting.—Novembre 1865. — «Borneo, gathered by Signor Beccari, communicated by Mrs.Lyell.» (Bak.,l.c., in nota). Me Una indiscrezione femminina mise in mano all’ Autore Inglese il materiale ch'era riserbato dallo scopritore ad una pubblicazione italiana , ancor prima che questi fosse ritornato in patria. Felce di piccole dimensioni, di aspetto singolare e che nel suo complesso richiama alla mente qualche Drymoglossum. Polypodium (Eupolypodium) alternidens, Nob. Species pusilla, quadantenus P. subpinnatifido, cucullato, magisque serrulato adfinis; sed lobis, valde re- ductis, alternis jam primo adspectu distinguenda. — Rhizoma minutum, fibrillis parcis munitum, caespitulos vix pollicaris altitudinis promit, frondibus perpaucis (3-8) erectis vix ultra pollicem longis rigidis constitutos. Stipites nulli vel fere. Laminae planae, angustissime lineares, nec millimetra duo latitudine attingentes, inter- dum falcatulae ; lobi 20-24 dissiti, alterni, dentiformes, obtusi, monosori, soris oblongis costae parallelis. Tota stirps glabra. — An: P. serrulati, Metten., var. ? Sarawak: Gunung (monte) Gading. — Agosto 1866. Non sono affatto alieno dal sospetto che sotto le forme singolari della felce Beccariana si asconda una particolare variazione del P. serrulatum, Metten. Fil. h. b. t. Lips., p. 30, et Po- lypod., p. 32, N. 4; avendo pur questa specie talvolta la parte inferiore della fronde a lobi den- tiformi alterni. Tale, per cagione d’ esempio, ce la presentano le frondi fertili figurate dal Fée (Gen. fil., tab. X, sect. B, Gen. XLII) sotto il nome di Xiphopteris serrulata., Ka ulf.; tale la veggo in una od altra frondicina del mio erbario eccezionalmente. Ma deggio in opposizione far osser- vare che la pianta del Fée offre solo la parte terminale della fronde in fruttificazione, e per so- vrappiù a forma di spatola colli sori densamente stipati , avendo poi la fronde sterile a lobi allun- gati e che ponno dirsi opposti; — che la fig. 2 a tav. 22 nelli Filices brasilienses del Raddi, del pari citata dal Mettenius, presenta pure la sola estremità della fronde in frutto e lanciuolata, mentre la parte inferiore è pectinatim lobata a lobi opposti anzicchè no. Nè diverso è lo stato delle cose nelle figure dateci dall’Ettingshausen (Farr. d. Jetztw., tab. 20, fgg. 4-8, 11-16, e 18). Ammetto senza ridire che fondamentalmente i lobi vi siano in ogni caso alterni; ma sono talmente ravvicinati, e la differenza d’intervallo fra i corrispondenti intacchi della lamina è tanto minima, che ponno considerarsi come lobi opposti. D'altronde la nostra felce che abbiamo in buon nu- mero di pianticelle non mostra divario alcuno fra fronde e fronde, e tampoco fra le singole parti della medesima lamina, standovi sempre i sori isolati, uno per cadaun dente. — _ subserratum, Hook., sp. Fil. IV, p. 202. — Bak. Syn. Fil. 325, N. 129. Borneo: leg. Wallace. —. _ decipiens, Metten. 46. ex Kuhn in Linnaea, XXXVI (1868), p. 129. — Bak. Syn. Fil., ed II p. 508, N. 130*. — 202 Polypodium decipiens, Hook. sp. Fil. IV, p. 231, tab. 279, nec Bak. Syn. Fil. ed I p. 329, quod spectat ad Polyp. capillare, Desv., journ. bot. IV, p. 362, priori jure gaudens. ) E) Borneo: Korthals. °° _ Celebicum, Blum. FI. Jav., p. 179, tab. 84, B!—Metten. Polyp. 50, N. 52, 6.—Bak. Syn. Fil, 330, N. 160. —Hook. sp. Fil. IV, p. 191. Borneo : ex auctoribus. — — Lobbianum, Hook. sp. Fil. IV, 226, tab. 278, B! — Bak. Syn. Fil. ed. 1, p. 331, N. 160, z0x p. 362, N. 353; ed. II, p. 331, N. 170 unice. Borneo : leg. Th. Lobb. — = papillosum, Blum. FI. Jav., p. 191, tab. 89! —Horsf. pl. Jav. rar., p.6, tab. 2.—Hook. Ir. pl. tab. 946 seu Cent. of Ferns. tab. 46. — Ejusd. sp. Fil. IV, p. 198. — Bak. Syn. Fil. 332. N. 174 (con fals. cit. 2nd Cent. 46). — Metten. Polyp. 56, N. 69. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 2112, @.— Cuming. pl. ins. Phil. N. 185. Sarawak, Monte Mattang : 1866. ATTI—Vol. VIN. 8. 4 SEI Le qualche differenze che scorgonsi paragonando la pianta del Beccari alle descrizioni de- gli Autori credo doverle attribuire allo stato assai adulto dei nostri pochissimi individui. Le pinne decrescenti sulla base della fronde , tanto caratteristiche per tutti gli altri Polipodii malesi di que- sto gruppo, nella pianta da Borneo mancano, come non si trovano sul legittimo P. papi2losum; e d’altra parte non appajonvi caratteri che valgano a costituirlo in tipo specifico a sè. Polypodium (Eupolypodium) clavifer, Hook. sp. Fil. IV, p. 176. — Bak. Syn. Fil. 334, N. 187. — Grammitis (Calymmodon) clavifer, Hook. Second Cent. tab. V! Borneo : leg. H. Low. — (Niphobolus) acrostichoides, Forst. prodr., p. 434 non Sieb.—Swartz. Syn. Fil. p. 29 et 225. — Metten. Polypod., p. 127, N. 258. — Bak. Syn. Fil. 350, N. 279. —- Beddo m. Ferns. Br. Ind. tab. 81!1— Niphobolus glaber, Rie hd. Sert. Astrol. II, 40, ea specimine Auctoris in hb. meo! — Niphobolus puberulus, Blum. FI. Jav. 57,.tab. 231 Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 2387, pr. p.— Cuming, pl. Ins. Phil. 67! Borneo: Sarawak, agosto 1865. Nell’ erbario Bee cari sta un secondo foglio con esemplari raccolti a Labuan da H. Low nel 1867, a fronde più angusta, epperò più corrispondente alla figura data dal Blume. Non ho tenuto conto del sinonimo: Tirì-panna, Rheed. Mort. Malab. XII, tav. 74, citato dallo Swartz, sembrandomi riferirsi a ben altra specie. E tampoco ho fatto assegnamento sulle citazioni dell’ Hooker, giacchè m'associo al Baker nel sospetto che il P. acrostichoides di quel- l'Autore sia tipo misto. Per lo meno / exsiccatum N. 323 del Cuming, base del P. samarense, Metten., rappresenta una forma a sori monostichi , oblunghi, mentre sono pluriseriati ed orbi- colari nel legittimo P. acrostichoides. — (Phymatodes) subecostatum, Hook. sp. Fil. V, p. 59, tab. 273, A!1— Bak. Syn. Fil. 353, N. 297. Borneo; leg. Lobb. = = soridens, Hook. sp. Fil. V, 61, tab. 283, B! — Bak. Syn. Fil. 355, N. 307. Sarawak, Monte Mattang; luglio 1866. = 7 sinuosum, Wall. Catal. N. 2231. — Hook. sp. Fil. V, p. 61, tab. 284! — Bak. Syn. Fil. 355, N. 308. — Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 8! (7psa icon Hookeri). Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 806. Sarawak; novembre 1865. il singolarissimo rizoma di questa specie, tutto loricato di dense squamme peltate, di colore bruno con margine gialliecio e membranoso, emette in serie alterna delle prominenze coniche, pur esse loricate, che servono di piedestallo (phyMopodium) cadauno ad una fronde. Simili pro- tuberanze, ma più pronunziate d’assai, per forma e colore assomiglianti li pseudo-tuberi delle Orchidee, osservansi nella Lecanopteris carnosa, Blum. FI. Jav. tab. 94, A. — Beccari racconta che i rizomi del P. sinuosum vengono frequentemente occupati da una specie di Formiche che vi mettono nido. — — longifolium, Metten. Polyp. p. 87, N. 153, tab. I, fig. 461 — Hook. sp. Fil. V, p. 60. — Ejusd. [c. PI. tab. 987 seu Cent. Ferns. tab. 87, — et Fil. Exot. tab. XX! — Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 7! » Exs—Zollinger, pl. Jav. N. 1504; — Cuming. pl. ins. Philipp. N. 247! Sarawak; novembre 1865. — myriocarpon, Metten. Polypod. p. 105, N. 198, tab. I, fig. 38! —-Hook. sp. Fil. V, p. 68. — Bak. Syn. Fil. p.358, N. 328. — Ettingsh. Farn. d. Jetztw. 49, tab. 30, fig.31— Phymatodes myriocarpum, Prsl. tent. Pterid. p. 198, tab. VIII, fig. 12!1— Microsorium longissimum, Fée, Gen. Fil. tab. XX, s. 2, fig. 21 Exs.—Cuming, pl. Ins. Philipp. N. 66. Borneo, ex auctoribus. Moma Polypodium (Phymatodes) heterocarpon, Blum. FI. Jav. p. 167, tab. 75! — non Metten. ') — Hook. sp. Fil. V, p-72.—Bak. Syn. Fil. p. 360, N. 340. —Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 319! — Polypodinm Zol- lingerianum, Kunze, bot. Zeitg. IV (1846), p. 422. — Metten. Polypod. p. 118, N. 233. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 1499. Borneo : ex auctoribus. L) _ Labrusca, Hook. sp. Fil. V, p. 73, tab. 285, B! — Bak. Syn. Fil. p. 361, N. 346. Borneo; leg. Lobb. - _ dilatatum, Wall. var. grandidentatum, Nob. laciniis a medio ad apicem dentibus grandiusculis insignitis, longe acuminatis. Sarawak: Mattang; — giugno 1866. —_ - lomarioides, Kunze, 46, teste Metten. Polyp. p. 102, N. 192, tab. II, fig. 18, 19.— Hook. sp. Fil. V, p. 79. — Bak. sp. Fil. 365, N. 370. Exs.— Cuming, pl ins. Philipp. N. 242! Borneo, ex auctoribus. -— (Dipteris) bifurcatum, Bak. Syn. Fil. ed. II, p. 362, N. 358. — Polypodium Lobbianum, Hook. sp. Fil. V, p. 108 non IV, p. 226.— Ejusd. Kew. Gard. Misc. V, p. 300, tab. XI. —Bak. Syn. Fil, ed. I, p. 362, N. 353, non N.° 170 ejusd. edit. I—Dipteris Lobbiana, Beddom. Ferns Brit. Ind. tab. 233!— Moor. Ind. Fil. 341. Sarawak: Monte Mattang; — luglio 1866. Nella citata opera del Beddome le lacinie della fronde sono dette « linear-sublanceolate fi- nely acuminated » — e vi corrisponde la pianta del Beccari; ma poi nella tavola annessa l’estre- mità della lacinia è raccorciata ed ottusa. — (Drynaria) Dipteris, Blum. FI. Jav. 174, tab. 71! — Polypodium conjugatum, Kaulf. Wes. d. Farrnkr. 104, 106. — K ze. Anal. pterid. p. 16, tab. X! et Bot. Zeitg. VI (1848), p. 118. — Metten. Polyp. p. 119, N. 237. — Bak. Syn. Fil. 366, N. 375. eacll. synn. — Dipteris conjugata, Reinw. Syll. pl. nov. Soc. bot. Ratisb. II, p.8.— Moor. Ind. Fil. 341. — Polypodium Horsfieldii, R. Br. in Horsf. pl. jav. rar. p. 1, tab. 1. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 1263;— Cuming, pl. Ins. Philipp. N. 153. — Vieill. hb., Nov. Caled. N. 1579!— Cairus, pl. ex Fedjee Isl. com. a cl. Ferd. v. Mueller! Borneo, ex auctoribus. L’avere disconosciuto il diritto di priorità fu causa di grave confusione nella nomenclatura, essendosi affermato da valentissimi autori per la felce di cui discorriamo l’ appellativo di P. conju- gatum che fino dal 1804 era stato attribuito a tutt altra pianta. A scanso di ulteriori equivoci cre- diamo fare cosa opportuna, poichè la esatta sinonimia dell’ una specie l'abbiamo fornita qui so- pra ommettendone solo una parte che varia unicamente nel nome generico e sarebbe di puro lusso potendo leggerla in Moore e Mettenius, presentare quella del primitivo legittimo P. con- Jugatum. — Polypodium conjugatum, Poir.in Lam. Eneycl. V, 516. — Swartz, Syn. Fil. p. 62. — Bak. Syn. Fil. p. 366, N. 375 (excel. Syn. Wall. ex mente Moorei). — Drynaria conju- gata, Moor. Ind. Fil. p. 345. — Filia africana maxima, polypodii facie, P. B.-P. Pluken. Phytogr. tab. 179, fig. 1. — Eyusd. Almag., p. 153, dove aggiunge : Forte etiam Filix africana lobis profunde incisis et mucronatis ejusdem PBP. inter addenda. — Molti altri sinonimi presi da autori antichi vi riferisce l’istesso Plukenet nelle sue note manoscritte che fregiano il mio esem- plare delle opere di lui, e prodotte poi nella Mantissa, p. 80, ma che tralascio di addurre perchè sommamente incerti.—È appunto questa pianta figurata dal Plukenet che servì al Poiret a fon- dare la specie P. conjugatum; vi appose una varietà in base della Hemionitis indica orientalis, fagi seu aesculi folio aliquatenus accedens, Pluk. phytogr., tab. 36, fig. 5; m'associo peraltro a coloro che la rigettano, trattandosi di figura malamente classificabile: Moore (Ind. Fil., 347) la cita sotto la seguente specie. 1) La pianta di Mettenius diventa: P. Meltenianum, Nob. NOR Polypodium (Drynaria) quercifolium, L. sp. pl. N. 1547.—Swrtz. Syn. Fil. p. 32, et Adnot. bot. p.65.—Schk. Crypt. Gew. p. 13, tab. 13, et p. 22, tab. 8, è (sub nom. P. sylvaticî). — Mette n. Fil. R. B. Lips. p. 38, ==, tab. 20, fig. 8. — Lowe, Ferns. II, tab. 10. — Polypodium Linnaei e? Schkuhrii, Bory, Ann. Se. Nat. V, 465, 457, tab. 12! — Phymatodes quercifolia, Prsl. tent. Pterid. p. 198, tab. VIII, fig. 10, 11! et P. sylvati- ca, Ibid. — Polypodium quercifolium e? Linnaci, Bak. Syn. Fil. p. 369, 368, N. 881 et 382. — Drynaria quer- cifolia, J. Sm. in Hook. jourfi. bot. III, 398. — Moor. Ind. Fil. p. 847. — Polypodium indicum seu villo- sum, Rumph. herb. Amboin. p. 81, tab. 36! Exs.— Schmid, pl. Neilgh. N. 161 et 168; —Gardn. pl. Zeyl. N. 1142;—Zolling. pl. Jav. N.994;—Cuming, pl. ins. Phi- lipp. N. 25, 273, 414. Sarawak; giugno 1865. Questa specie fu variamente interpretata, e tanto Baker quanto Moore, ammettono quale specie distinta il Polypodium quercifolium del Willdenow, sotto il nome di P. WiWdenowii, Bory (1. c., p. 468). — (Phymatodes) albido-squamatum, var. varians (Blum. FI. Jav. tab. VIII ?). Sarawak; luglio 1865. Un misero esemplaruccio sterile a fronde semplice; ammettendo che il P. varians, BI., non sia se non se una varietà dell’ albido-squamatum dello stesso autore, stando alle fig. 20-24 della tav. I, nel Mettenius (Polypod. p. 108, N. 206), il nostro si confà alla varietà anziechè al tipo. Tribus XII. — Grammitideae Monogramme (Eumonogramme) dareocarpa, Hook. sp. Fil. V, p. 121, tab. 287, A.— Bak. Syn. Fil. p. 375, N, 1. Borneo, ex auctoribus. Gymnogramme (Stegnogramme) edulis, Nob. Opaca, fronde 14-20 decimetra longa, bipinnata, glabra, herbacea. Stipes erectus, rigidus, triqueter, superne canaliculatus, flexuosus, ad basim paleis fuscis linearibus crispatulis vestitus, caetero glaber, duo vel tria deci- metra longus. Pinnae numerosae (juga usque 20 et ultra), pro maxima parte alternae, inferiores diminutae, mediae et superiores iterum pinnatae, superiores pinnatifidae , supremae integrae: omnes lanceolato-acumi- natae e basi truncata, sessiles, horizontales. Venatio Goniopteridea, venulis pinnatis, contiguis conjunctis nu- merosis, soris a costula marginem attingentibus, linearibus, margine crenato. Sarawak, a Bellida, 1867. Nome Malese: Paccia. Si mangia tanto in insalata, quanto cucinata. _ (Syngramme) borneensis, Hook. sp. Fil. V, p. 154, tab. 301! — Bak. Syn. Fil. p. 386, N. 58. Borneo; leg. T. Lobb. — = cartilagidens, Bak. Syn. Fil. 386, N. 59. «Borneo, Signor Beccari; communicated by Mrs. Lyell,» (Bak. I.e.). Veggasi in proposito di tale comunicazione extra limites Ja nostra annotazione a p. 25. Felce piccola, ma distinta moltissimo. Le frondi non sono uniformi , in generale affettano forma tra lineare e lanciuolata molto assottigliata alle due estremità, massime all’apicale che ri- sulta spesso affilata. Le venuzze sono numerosissime, perfettamente parallele fra loro e dicotome ossia a due rami ciascuna con base curvata verso la rachide , nei vertici assolutamente libere. Margine cartilaginoso fesso in tanti denticini lineari ottusi biancastri quanti sono i rami delle venuzze. = — Lobbiana, Hook. sp. Fil. V, p. 153, tab. 300! — Bak. Syn. Fil. p. 386, N. 61. Borneo; leg. T.Lobb. IFFTVRA Gymnogramme (Syngramme) Wallichii, Hook. sp. Fil. V, p. 155, tah. 302!— Bak. Syn. Fil. p. 386, N. 63. Beddom. Ferns. Br. Ind. tab. 153! (repetitio praecedentis). LA nt Borneo, ex auctoribus. — (Selliguea) regularis, Bak. Syn. Fil. p. 388, N. 73.— Polypodium regulare, Metten. Fil. Ind. II, p. 225. 3orneo, leg. Korthals. — — alismaefolia, Hook. sp. Fil. V, 154. — Bak. Syn. Fil. p. 386, N. 64. — Diplazium alismaefolium, Prsl. reliqg. Haenk. I, p. 49, tab. VIII, fig. 3!1— Oxygonium alismaefolium, Prsl. tent. Pterid. p. 118, tab. IV, fig. 11! (non vi sono espressi li sori).—-Callogramme Caeciliae, Fée, VII. Mem. p. 41, tab. 8, fig. 1. — Syn- gramme, J. Sm. in Hook. journ. Bot. 1845, p. 168, tab. 7, 8, 2. Sarawak; luglio 1865. Qualche leggera variazione ravvicina questi esemplari al G. Wallichii, se non che quest'ulti- mo ha le frondi gradatamente molto ristrette; carattere che sembra decisivo per la specie a giudicar- ne dalle parole dell’Hooker stesso: « AU my specimens are very uniform to this respect ». — Del resto io non potei rinvenire nei nostri esemplari, uno dei quali ricco di frondi in ottimo stadio di fruttificazione, veruna traccia d’ indusio. Presl, autore primo della specie, scrive: « indusium brevissimum margine eaterno liberum ». Veramente le ultime parole lasciano già in dubbio se si tratti di un legittimo Diplazium, poichè questo genere (intendo nella forma tipica) suppone due în- dust, essendo appajati li sori, che si aprono in senso contrario. La figura ch'egli ne dà sotto que- sto rapporto non sembra accurata. = = quinata, Hook. sp. Fil. V. p. 152, tab. 297! — Baker, Syn. Fil. p. 387, N. 65. Borneo: fide auctorem. = — Feei.—Hook. sp. Fil. V, p. 158. —Bak. Syn. Fil. 389, N. 76.— Selliguea Feei, Bory, dict. cl. Hist. nat. VI, p. 344, cum icone.—Beddom. Ferns. Br. Ind. tab. 151!— Selliguea Feei, var. B, Blum. FI. Jav. p. 124, tab. 51! Sarawak; dicembre 1866. —_ _ — var. vulcanica, Nob. — Polypodium vulcanicum, Blum. FI. Jav. I, p. 144, tab. 56, fig. 2! Sarawak; luglio 1865. — _ axillaris, Cav. praelect. 1801, N. 582. — Hook. sp. Fil. V, 276.— Beddom. Ferns. Brit. Ind. II, Meta DZ] Borneo, fide Beddome,|1.c. Secondo Beddome la potrebb’essere una semplice varietà di G. Fee; Hooker sostiene contraria opinione. Nella venatura delle due specie v’ ha una differenza sufficientemente notevole. In quanto alla forma delle frondi è d’uopo confessare che la somma variabilità loro , essendovene perfino di lobate ed a sori interrotti (polipodioidi) , non permette di collocarla in posto con va- levole criterio. Meniscium cuspidatum, Blum. Fil. Jav. 114, N. 2, et Fl/Jav. p. 102, tab. 45! — Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 309! Exs.— Cuming. pl. ins. Philipp. N. 361! Sarawak, Batang Lupar, Banting: — settembre 1865. Non voglio entrare nelle discussioni intorno alli rapporti di sinonimia che possano in fatto sussistere tra questa specie ed il Polypodium urophyllum colla sottospecie P. asperum, Prsl. Giusta peraltro è la censura che muove Hooker, sp. fi. V, p.9 e 10, alla inesatta rappresentazione dei sori nella figura data dal Blume, eccellente poi sotto ogni altro riguardo. CANZEE Antrophyum subfalcatum, Brack. Unit. St. Expl. Exped. XVI, 65. — Hook. sp. Fil. V, p. 175. — Bak. Syn. Fil. p. 392, N. 2. — Antrophyum Brookei, Hook. Sec. Cent. of. Ferns. tab. 791 Borneo, leg. Th, Lobb, —(Isol. Figi e Samoa). Attribuisco questa specie alla flora Borneese sulla fede di Baker in quanto egli dichiara si- nonime la pianta di Brackenridge e quella colta a Sarawak (Borneo) dal Lobb. — Moore all'opposto dubita che I Antrophyum Brooke: spetti alla sinonimia dell’Antr. Cumingii. (V. Ind. fil., p. 80). pumilum, Kaulf. enum. Fil. p. 197.— Sprgl. Syst. veg. IV, p. 67.— Hook. et Gr. Icon. Fil. tab. 461 Hook. sp. Fil. V, p. 170.— Moor. Ind. Fil. p. 82.— Antrophyum immersum, Mett. mss. ex Baker. Syn. Fil. p. 393, N. 3. Borneo, ex auctoribus. — reticulatum, Kaulf. enum. Fil. p. 198. — Sprg. Syst. veg. IV, 77. —Hooker, sp. Fil. V, p. 163. — Bak. Syn. Fil. p. 393, N. 7.— Hemionitis reticulata, Forst. prodr. 79.—Swtz. Syn. 20 et 208 (eacl. sy. Cavan.). — Schk. Crypt. Gew. tab. 6. — Sprgl. Anl. z. K. d. Gew. ed. germ. III, p. 83 (ed. ang]. III, p. 94), tab. III, fig. 19, a et d! Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 152 4, c, et 2952. — Gardn. pl. Ceylan. N. 1228, 1229. — Thwait. pl. Ceylan. N. 1305! Borneo, ex auctoribus. semicostatum, Blum. enum. Fil.-110; et FI. Jav. p. 77, tab. 33!—Hook. sp. Fil. V, p. 163. —Bak. Syn. Fil. p. 893, N. 8. Bas. —Zolling. pl. Jav. N. 152!— Cuming, pl. ins. Philipp. N. 19! — Gardn. pl. Ceylan. N. 1307. Borneo, ex auctoribus. - latifolium, Blum. FI. Jav. p. 75 in nota. —- Hook. sp. Fil. V, p. 172.—Bak. Syn. Fil. p. 394, N. 13.— Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 176! — Antrophyum Boryanum, Blum. ]. c. in textu et icone, tab. XXXI! non Kaulf. enum. nec alzorum. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 317 4, et 2587. Sarawak: Gunong Wah: — novembre 1866. b La sentenza recata dal Baker circa la presumibile identità di tipo fra le specie: A. subfal- catum, pumilum (immersum), coriaceum, plantagineum, Cumingii, reticulatum e semicostatum (1. c., p. 393 in nota al N. 8), Beddome propende ad estenderla a tutte le altre specie del ge- nere (I. c. nella nota apposta alla nomenclatura). Vittaria (Euvittaria) elongata, Swtz. Syn. Fil. p. 109 et 302. — Hook. et Gr. Icon. Fil. tab. 187!—Bak. Syn. Fil. p. 395, N. 1. — Beddom. South Ind. Ferns. p. 7, tab. XXI! Sarawak; luglio 1865. —_ -- zosterifolia, W. sp. pl. V, 406.— Fée, Vittar. p. 20, tab. 2, fig. 21T— Hook. sp. Fil. V, p. 133. — Vittaria angustifrons, Bory, iter I. p. 238 et IL p. 324 non Michx. ex Willd.— Vittaria isoétifolia, Ett- ingsh. Farn. d. Jetztw. tab. 17, fig. 7 et 20! Sarawak; luglio 1865. Baker (b. c., p. 395 in nota al N. 1.) dichiara di non saper distinguere nettamente V. elon- gata dalle tante altre forme del medesimo gruppo (zosterifolia, bisulcata, isottifolia etc.). La fi- gura data dall Ettingshausen sembrami appartenere alla V. zosterifolia, in quanto sia messo in sodo che a questa e non già alla V. isoétifolia competa una costa mediana molto pronunziata. = (Taeniopsis) minor, Fée, ex Hook. sp. Fil. V, 183. — Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 56! Sarawak; luglio 1865. Molti, Hooker fra questi, propendono a considerare la V. minor siccome una semplice — 31 — forma della V. /alcata. Ho preferito trattarla quale specie autonoma pel riflesso che precisamente negli esemplari da Borneo sembra affermarsi più accentuatamente. Infatti, lo stesso Hooker mette in rilievo gli esemplari di quella provenienza : « My specimen of Borneo is 4*/,-8 inch long ete. » e Beddomea sua volta soggiunge: « another variety of the same species is found in ‘ Borneo ». Vittaria (Taeniopsis) pumila, Metten. hb. ex Kuhn, in Linnae. XXXVI (1869), p. 66. — Bak. Syn. Fil. ed KypuDlT,N: 3°. Borneo; leg. Wallace. _ e debilis, Kuhn, in Linnae. I. e. p.67.—Bak. Syn. Fil. ed II, p. 518, N. 3'.— Vittaria minor, Hook. sp. Fil. V, p. 18 (parti, ex Kuhn). Borneo ; leg. Th. Lobb. Taenitis obtusa, Hook. sp. Fil. V, 186, et Ic. Plant. tab. 994 seu Cent. of Ferns. tab. 94. Borneo; leg. Th. Lobb. blechnoides, Swtz. Syn. Fil. 20 et 220; — Hook. sp. Fil. V, 187.— Blum. FI. Jav. p. 70, tab. 28, fig. 2 et tab. 201 — Hook. et. Gr. Ic. Fil. tab. 62! — Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 54! — Bak. Syn. Fil. 397, N. 5. — Pteris blechnoides, W. phyt. I, p. 13, tab. IX, fig. 2.— Taenitis pteroides, Schk. Crypt. Gew. tab. 6, b.— Sprgl. Anleit. z. Kenntn. d. Gew. III, p. 374, tab. X, fig. 1061 Borneo, ex auctoribus. Drymoglossum piloselloides, Prsl. tent. Pterid. p. 227, tab. X, fig. 5, 6.— Hook. sp. Fil. V, p. 19; E)wsd. Gard. Ferns. tab. 46! — Bak. Syn. Fil. 398, N. 2. — Beddom. South Ind. Ferns. (în nota ad tab. 820), tab. 186! (sub falso nom. Niphoboli nummularifolii ). — Taenitis piloselloides, R. Br. in Metten. Fil. H. B. Lips. tab. 13, fig. 6-8. — Pteris piloselloides, L. sp. pl. N. 1530. — Banks. Icon. Kaempf. tab. 31. — Swtz. Syn. Fil. p. 94 et 286, tab. II, fig. 3!—Schk. Crypt. Gew. tab. 87. — Acrostichum heterophyllum, L., sp. pl. N. 1523, et Amoen. Acad. I, p. 268, tab. 2. — Filix malabarica, Petiv. Gazophy]. III, tab. 53, fig. 12. — Maretta- Mara-Marawara, Rheed. Hort. Malab. XII, p. 57, tab. 291 Sarawak; luglio 1865. rigidum, Hook. sp. Fil. V, p. 190.—Hook. et Gr. Ic. plant. tab. 996, seu Cent. of Ferns. tab. 96. Borneo; leg. Th. Lobb. Tribus XIII. — Acrosticheae Acrostichum (Elaphoglossum) Norrisii, Hook. sp. Fil. V, p. 215? — Bak. Syn. Fil. 401, N. 11. Sarawak; novembre 1865. Propendevo a riconoscervi l’ Acrostichum melanostichum, Blum., fl. Jav., p. 26, tab. 7; ma non vedo nell’esemplare Beccariano la punteggiatura nera rilevata, prodotta da corpuscoli resi- nosi, onde la felce del Blume ebbe nome. (Gymnopteris) Linnaeanum, Hook. Sp. Fil. V, p. 278; et Secd. Cent. of, Ferns. tab. XXVI! — Bak. Syn. Fil. p. 417, N. 93. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 1441.—Motley, pl. Born. N. 427. Borneo; leg. Motley. Platycerium biforme, Blum. Fil. Jav. p. 44. tab. XVIII! — Hook. sp. Fil. V, p. 285.— Bak. Syn. Fil. 425, N.5.—Prsl. epim. p. 154.— Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 109! — Acrostichum biforme, Swtz., Syn. p. 12. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 947!1— Cuming, pl. ins. Philipp. N. 1561 Sarawak; novembre 1865. L'esemplare del Cuming nella mia collezione corrisponde perfettamente. Invece Hooker Aisoeto (1. ce.) assegna un N. 56 che non conosco al Pt. grande, J. Sm., ed il N. 156 al Pt. biforme ; ma poi nell’ Exote ferns, nel testo a tav. 86 (Pt. grande) adduce il N. 156 a quest’ultima specie colle seguenti parole: « Luzon, Guming, N. 156, fide J. Sm. (my own specimen of this number is so young and imperfect that I am unable to determine what it îs)». — In una seconda figura, tav. 224, il Beddome dà questa medesima specie (Pt. biforme) in proporzioni assai ridotte e dal- l'aspetto contratto. Il segmento fertile poi vi è descritto e figurato siccome tronco all’apice e con- cavo; e suppone che la forma renale ordinariamente attribuita al lembo fruttificante della fronde fertile sia effetto della compressione sofferta nel disseccamento artificiale. — L’ esemplare del Beccari evidentemente porta la fronde fertile in istato assai giovanile’, per modo che i lobi di- cotomi sono assai abbreviati simulanti l'aspetto di quelli di certi Fucus (p. es. del F. vesiculosus). Tanto questi poi quanto e più specialmente il lobo reniforme, che avrebbe dovuto coprirsi delli sporangi, sono rivestiti di un denso feltro di colore cinnamomeo, costituito dai peli stellati già menzionati e figurati dagli Autori, per modo da simulare a primo colpo lo stesso strato sporoideo. Subordo IV. SCHIZAEACEAE Schizaea (Lophidium) dichotoma, Swrtz. Syn. Fil. p. 150.— Willd. in Act. Acad. Erford. 1802, p. 30, tab. 3, fio. 2. — Sp. pl. V, pars 1, p. 87.—et Bemerk. ib. Farrn. p. 30, tab. III, fie.21— Hook. et Gr. Ic. Fil. tab. 17! Beddom. South Ind. Ferns, tab. 65! — Bak. Sin. Fil. p. 480, N. 13. — Guillem. Icon. pl. Austr. p. 13, tab. 20!— Acrostichum dichotomum, L., Sp. plant. p. 1525.— Ripidium dichotomum, Berhd. in Schrad. Journ. 1800, II, p. 127, tab. 2, fig. 3! — Cochine branched Fern. Petiv. gazophyl. tab. 70, fig. 12. a, forma communis bd, >» minor e, >» maxima: Schizaea cristata, Willd. Sp. plant. V, pars. I, p. 88. — Es. Deplche, pl. Nov. Caled. N. 1666! Sarawak: forma 4, in Monte Mattang, aprile 1866. » Db, Singapore a Woodlandt, marzo 1866. » €, Sarawak, luglio 1865; da Labuan, raccolta da H. Low. —_ (Euschizaea ) malaccana, Bak. Syn. Fil. p. 428, N.3.—Beddom. Ferns. Brit. Ind. tab. 255! — Schi- zaea proprinqua; Presl. Suppl. Tent. Pterid. p. 74 (pro parte). Exs.— Cuming, pl. ins. Philipp. N. 379. Borneo, file Beddome, I. c. -- (Actinostachys) digitata, Swrtz. Syn. Fil. p. 150 et 380, tab. IV, fig. 1! —Willd. Sp. plant. V, pars I, p.86.—Hook. Gen. Fil. tab. 54! — Bak. Syn. Fil. p. 430, N. 16. — Acrostichum digitatum, L. Sp. pl. p. 1524.— et Amoen. Acad. I, p. 157, fig. 11 — Planta pluribus foliis triquetris instar graminis Cyperini sum- mitate foliorum in plurima folia biuncialia divisis. Herm. Mus. Ceylan. p. 27. Exs.— Cuming. pl. ins. Philipp. N. 371! — Thwait. pl. Ceyl. N. 3105! Singapore a Woodlandt; marzo 1866. Lygodium (Eulygodium) circinnatum, Swrtz. Syn. Fil. p. 153. K ze. in bot. Zeitg. IV (1846), p. 419. — Prsl. tent. Pier. Suppl. p. 860. — Ophioglossum flexuosum, L. suppl. p. 443. — 20 FI. Ceyl. N. 375. —Hydroglos- sum circinnatum, Willd. sp. pl. V, ps. I, p.83.—Z7usd. Bemerk. ùb. Farr. p. 24.— Dict. sc. nat. tab. 94. — Lygodium flexuosum, Beddom. South. Ind. Ferns. tab. LXII!, 202 Swartz.— Adiantum volubile majus, Rumph. Herb. Amb. VI, p. 75, tab. 82. — Petiv. Gazophyl. tab. 64, fig. 10. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 169! — Labill. pl. Amboin! (laciniis frucliferis parum latioribus, in apicem spathulatum sterilem desinentibus) — Thwait. pl. Ceyl N. 1406! — Cuming. pl. ins. Philipp. N. 70 (pr. p. teste Presl). Sarawak; luglio 1865. ] 3aker cita la tavola del Beddome sotto Lygodium pinnatifidum. _ — scandens, Swrtz. Syn. Fil. p. 152. — Beddo m. South Ind. Ferns. tab. LXI!— Bak. Syn. Fil. p. 437, N. 7. — Pres], tent. Pterid. suppl. p. 362. — Ophioglossum scandens, L., Sp. pl. p. 1518 (excll. synn. 3reyn. Moris. Rheed.).—Hydroglossum scandens, Willd. Sp. pl. V, ps. I, p. 77.— Eusd. Bemerk. ii IT i ib. Farren. p. 20 (exell. Synn. plurr.).—Odontopteris scandens, Bernhd. in Schrad. Journ. 1801, I, p. 127, tab. 2, fig. 4, a, .—Ugena semihastata, Cavan. Icon. VI, tab. 594, fig. 1!— Adiantum volubile, Rumph. Herbar. Amboin. VI, tab. 82, fig. 2.— Petiv. Gazophyl. tab. 64, fig. 11. var. intermedium, N ob. (lobis magis abbreviatis). var. microphyllum (Cavan. l. c. tav. 595, fig. 2! sub Ugena), BI. Exs.— Cuming, pl. ins. Philipp. N. 364! (forma typica); — Ejusd. N. 44! (forma microphyllina: facies sat aliena); — Ejusd. N. 300 (teste Presl). Sarawak; luglio 1865. Subordo V.- MARATTIACEAE Angiopteris muricata, Prsl. ms. ex Moore Ind. Fil. p. 76. Borneo : ex Auctore. Subordo VI. - OPHIOGLOSSACEAE Ophioglossum (Euophioglossum) Cumingianum, Prsl. tent. Pterid. suppl. p. 312. Exs. — Cuming., pl. ins. Philipp. N. 284! Sarawak; ottobre 1866. A Gli esemplari del Cuming sui quali Presl costrusse il suo O. Cumaingianum (1. c.) s' ac- cordano con quelli da Borneo per tutto l’ aspetto, per la fronde più piccola e le vene meno pro- nunziate, assai meglio che non gli altri che posseggo dalle Antille e dall’ isola Bourbon, e spet- tanti alla genuina forma tipica dell’Oph. reticulatum. Epperò preferisco considerare per ora sic- come più acconcia agli esemplari del Beccari la denominazione del Presl. Ophioglossum (Ophioderma) intermedium, Hook. Icon. pl. tab. 995. — Bak. Syn. Fil. p. 446, N. 7. Borneo; leg. Th. Lobb. Orpo — LYCOPODIACEAE Lycopodium (Lepidotis) Plegmaria, L. !) sp. pl. p. 1564.—Swtz. Syn. Fil. 176.— Lam. Encycl. III, p. 618.— Willd. Sp. pl. V, ps. I, p. 10.—Sprgl. Syst. veget. IV, p. 12.— Spring. Monogr. 463; II, 28.— Lycopo- dium erectum dichotomum, foliis eruciatis, spicis gracilioribus. Dill. muse. p. 450, tab. 61, fig. 5, A, C— Tana-povel-paatsja maravara, Rheed. hort. malab. XII, p. 27, tab. 14! — Equisetum amboinicum sive arbo- reum squamatum sive foliatum, Rumph. herb. Amboin. VI, p. 91, tab. 41, fig. 1! Exs.— Sieb. Syn. Fil. N. 147!— Zolling! pl. Jav. N. 1514! Sarawak; 1867. Considerando siccome varietà abbastanza rimarchevole il Lycopodium mirabile del Willde- now (1. c., p. 11), fondato sulla pianta ottimamente figurata dal Breyn (Ewot. Cent., tab. 92!) sotto il nome di Selago indica orientalis sive Plegmaria admirabilis (p. 180), ho omesso questo sinonimo citato dal Linneo, al pari delle figure D-F della tavola del Dillenio. A questa varietà corrisponde appuntino nel mio erbario un esemplare dato dall’ Hooker e proveniente dalle In- die. — In quanto al L. australe pure del Willdenow (I. c.), e ritenuto anche dallo Sprengel in base del L. Phlegmaria, Forster, che vuolsi sia diverso specificamente dalla specie genuina del Linneo, non so che pensarmi, giacchè le squame delle spighette più corte delli sporangi si trovano tali in tutti gli esemplari di L. Plegmaria che ho sott'occhio. — _- — var. tenuispica, Nobis; spicis tenuibus, divaricatis, ramulis abbreviatis, tenuissimis, bracteis minutis dissitis sporangia passim superantibus. Sarawak; ottobre 1866. Sospettai potesse rappresentare il L. phlegmarioides, Gaudichaud; ma non mi sta presente 1) Phlegmaria scrisse Linneo impropriamente, mentre il nome gli Antichi derivarono da 7) eyua, intreccio (V. Breyn. Exot. Cent. p. 181). ATTI — Vol. VIL—N° 8. 5 Boe la figura datane nell'opera: Botanique du voyage autour du monde sur les corvettes l’Uranie et la Physicienne a tav. 22. Lycopodium (Lepidotis) longifolium, Swtz. Syn. Fil. p. 177?—W illd. sp. pl. V, ps. I, p.12.—-Sprgl. Syst. veg. IV, p. 12.— Lepidotis longifolia, P. Beauv. prodr. pl. aetheog. p. 109. Sarawak; Batang Lupar, Undup; settembre 1865: forma minor. Altra da Sarawak, luglio 1865: forma mor. Fin dove è dato giudicarne dalla frase datane dal Willdenow, ch’ebbe visti esemplari sec- chi della pianta, la nostra dovrebbe pur cadere sotto la citata specie ; confortandomi in tale indu- zione anche l'emergenza, forse affatto fortuita, di esservi negli esemplari Beccariani della forma più piccola un ramo in cui l'una spiga all’apice si svolge in ramello foglifero. Ed appunto il Will- denow scrive: « Spicae terminales dichotomae divaricatae demum radicantes ». — Nell’aspetto complessivo la felce da Sarawak effigia assai bene il ZL. varium, R. Br., prodr. fl. Nov. Holl., p. 165; Hook. et Gr. Icon. Fil., tab. 112!; quest'ultimo ha peraltro le foglie acute bensì ma a punta abbreviata, ed alquanto più corte sono pure le brattee. —_ —_ nummulariaefolium, Blum. enum. p.263.— Grev. et Hook. Botan. Miscell. II,374.—Hook. et Gr. Icon. Fil. II, tab. 2121 Sarawak; luglio 1865. Specie prossima al Lye. obtusifolium, Sw. Syn. fil., p. 177; e Willd. sp. pl. (1. c.), p. 12, a quanto mi è dato giudicare dalle scarse notizie che si hanno su quest'ultima pianta dell’ Isola di Bourbon; e noto che, mentre lo Swartz, il quale si fece testo della Lepidotis obtusifolia del Palisot de Beauvois senza avere conosciuta ex visu la felce stessa, le attribuisce folta sparsa, il Willdenow per autossia asserisce essere le sue foglie opposta quadrifariam imbricata. = = cernuum, L. sp. pl. N. 1566.—Swrtz. Syn. Fil. p.178.—Willd. sp. pl. V, ps. I, p.30.—-Sprgl. Syst. veg. IV, p. 15.— Spring, Monogr. I, p. 79; II, p. 37.— Lycopodium frutescens capillaceum crispum, spicis brevibus nutantibus. Dill. muse. p. 456, tab. 63, fig. 10.—L. zeylanicum erectum ramosissimum. Burm. fl. Zeyl. p. 144, tab. 66! (icon mediocris).—Muscus zeylanicus erectus perpetuo virens in arboris proceritatem excrescens. Pluk. almag. p. 247 (257); Phytogr. tab. 47, fig. 9! (Zcon insufficiens) —Muscus zeylanicus ter- restris clavatus erectus, Moris. hist. III, p. 624, s. 15, tab. 5, fig. 6.— Bellan - Patsja, Rheed. hort. Malab. XII, p. 78, tab. 39!— Cingulum terrae, Rumph. herb. Amboin. VI, pag. 87, tab. 40, fig. 1. 1). Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 149! (gracile sed elatum);—Schmid. pl. Nilagirens. ed. Hohenack. N. 1254!—Reinwdt. pl. Jav. (forma pygmacea contracta)! a cl. Zeyhero missa;— Specim. Zeylan. ex hb. Burmanni!— Clauss. pl. Brasil. N. 2115!— Hahn., pl. Martin., iter prim. N. a. 49! (forma tenuior), et iter alt. N. a. 8! (forma valde robusta); Ex herb: Merat. specim. Martinicense!;— Fraser, e territor. Reipubl. Ecuador! — Weber, specim. mexican. a beato Mettenio determina- tum!—ete. Sarawak; luglio 1865; — Labuan 1867, raccolto da T. Low. — — _ cernuum f. molluscum, Nob. totum habitu graciliori, caule superne puberulo, foliis tenuibus mazis ab invicem distantibus, spicis (junioribus) abbreviatis erectis. Sarawak: Bauting; novembre 1865. 1) Sulla tav. 40 del vol. 69 del Rumph (Herb. Amboin.) vhanno tre figure: fig. 1, riferibile al suo Cingulum terrae; e corrisponde appun- tino al nostro Lycop. cernuum;—fig. 2, rappresenta una Usneacea;—fig. 3, un’Alga. Giò poi che il Rumph appella Barba Saturni (pianta che non saprei precisare) non è menomamente raffigurata, e l’autore ciò avverte espressamente scrivendo: « Huie capiti nulla adjecta fuit icon ».— Non si spiega pertanto la citazione del Barba Saturni fatta da taluno, sotto L. cernuum se non per l’ abuso invalso presso molti autori di intro- diurre sulla fede altrui citazioni di opere e parti di opere da essi non mai vedute, senza prendersi la briga di verificarle. Nel caso attuale la fal- sa citazione della fig. 2 sotto Barba sulurni che vien riferita al Lycopodium cernuum risale al candidato Olaus Stickmann,il quale sotto gli auspici di Linneo publicò la dissertazione inaugurale (1754) De herbario amboinensi, riportata poi nelle Amoenitates academicae, Vol. IV. E l'errore fu tosto riprodotto nell’Index Universalis aggiunto in calce all’Aucluarium ad Herb. Amb. edito nel 1755 dal celebre G. Burmann con apposizione dei Sinonimi Liîmeani.—Che il Cingulum terrae sia rettamente da me interpretato per Lycopodium cernuum mi pare poterlo, anzi doverlo, desumere non solo dall’annessavi fig. 1 (e non fig. 2 come erroneamente si stampò e ristampò altrove), ma benanche dal seguente bra- no di descrizione; « qui petioli innumeris minimis foliolis instar ciliorum hirti sunt, atque hine rugosi sunt instar pedes luporum, coloris ex viridiflavescentes, ipsorumque extremitates incurvatae sunt instar Ornithogali ». Tutte cose che si adattano al Lycopodium cernuum, ma non gia al L. conaliculatum (L.), come pretesero gli autori, appartenente alle Selaginellae > RE] po Lycopodium (Selago) laxum, Pres], ex Spring Monogr. I, p. 60; II, 37, N. 45.—Kunze, in bot. Zeitg. VI, p. 99.— Lycopodium acrostachyon, Wall. Catal. N. 117 ex descriptione apud Hook. et Grev. Icon. Fil. vol. II, p. 181 ad amussim quadrare mihi fingo. Exs.— Zolling. pl. Jav. N. 1382! — Cuming. pl. ins. Philipp. N. 2008, e 2009 et 2360 teste Spring. — Huperzia laxa, Trevis in Atti Soc. Ital. Sc. Nat. XVII (1875), p. 247. Sarawak: 1865. Nell’aspetto assomiglia molto il L. gnidioides figurato dallo Schlechtendal a tab. II delle Adumbrat. plantarum. —_ — glaucum, Nob. » (Ad specimen unicum). Dendrophytum? Caulibus simplicibus (binis, brevi nondum rite evoluto uno, altero bi-palmari) calamum corvinum crassis, erectis, foliis densis, multifariis vestitis. Folia glauca, adpressa, glaber- rima, coriacea, glauca (in sicco), sessilia, e basi ovata lanceolato-subulata vel lanceolato-linearia acuminata sub- falcata, marginibus (in sicco) involutis, sensim decrescentia; inferiora usque pollicem parisiensem (0”,025) lon- ga; superiora (bractealia) octo millimetra longa, ex ovato lanceolata, acuminata; sporangia albicantia subcor- data, obtusa, 3 mill. lata, 2 alta, subcarinata, compressa. Num Lycopodio nitenti, Cham. et Schldl1. affine? Spectat ad genus Bernhardianum et Trevisanianum Huperzia. Sarawak; 1867. _ — Hippuris, Desv. Encycl. suppl. III, p. 559.—Spring. Monogr. I, p. 44, II, p.20.—Kze. in bot. Zeitg. VI, p.98.—Zolling. Verzeichn. p. 80.—Lycopodium dichotomum, Blum. enum. p. 271 non Swrtz, neque Jacq., nec Moritz Verzeich.—L. Blumeanum, de Vries. pl. jav. Syll. p.3.— Huperzia Hippuris, Trevis. Atti Soc. Ital. Se. Nat. XVII, p. 248. ì Ù Ers.— Zolling, pl;Jav' N. 1681! Sarawak; luglio 1865. 9 ‘ 44 ‘ Mi sembra che la figura del Lyc. Hookerî, Wall. (Catal. N. 116) portata dalla tav. N. 185, “nel volume II di Hook. et Grev. Icon. fil. si, affaccia pienamente a questa felce. In ogni modo sta in mezzo tra il primitivo L. Hippuris di Desvaux e Spring (Mon. I, p. 41) stabilito sovra esemplari a fusto semplicissimo raccolti da Commerson, e quelli a biforcazioni ripetute ripor- tati dal de Vriese. Selaginella rugulosa, Nob. (E sect. Hetferophyllae, complanatae, proceres). i Stipes tria decimetra longus, prostratus, radicans, stramineus; inferne subtetragonus, superne e dorso con- vexus, e facie antica planus. Frons flabellata, ramis vage distichis subcuneatis brevibus. Folia lateralia syne- dra, e basi obiter excisa ovata, in apicem obtusiusculum sensim angustata, margine basali utrinque spinulo- so-serrulata, superius e latere interno denticulata : subtus pallidiora rugulosa. Folia intermedia triplo mino- ra, imbricatim conniventia, ovata, utrinque longeciliata, nervo in cuspidem lamina aequilongam excurrente. Spicae minimae bracteis ex ovato lanceolatis carinatis acuminatis ciliolatis. Sporangia (inania reperi) orbicu- laria compressa pallida e cellulis plus minus homomorphis flexuose oblongis constituta. Sarawak; Banting. — Novembre 1865. Non molto dissimile dalla S. cupressina, Sprg. standoci all’ ewsicc. Cuming pl. ins. Phi- lipp. N. 2016! — Blumii, Spring, Monogr. II, 127, N. 72? Sarawak : luglio 1865. —_ intermedia, Spring, Monogr. II, 126, N. 71? Sarawak; Banting. — Novembre 1865. Queste ultime due specie si segnalano per l’assai regolarità delle frondi e le dimensioni mag- giori delle foglioline, richiamando nel loro aspetto complessivo quella bella specie che fu edita dall'Hohenacker nelle piante surinamensi del Kappler sotto il N. 3! col nome di S. Poeppi- i e È Ca ORI giana dietro determinazione del Kunze, ma forse appartiene a S. Breyniz. — Mi mancano op- portuni materiali di confronto per accertarmi della identità delle specie del Beccari che ho sovraccennate. Selaginella bellula, Nob. (E sect. MeterophyNae, complanatae, proceres). Species adlmodum elegans, altitudine 2-3 ped. parisiensium. Stipites e rhizomate fili emporetici crassitie sar- mentoso assurgentes, tenues, subteretes, albicantes, fasciculo vasculari centrali. Frons concinna, perimetro py- ramidali, ramorum vero tam primarii quam secundi ordinis lineari. Folia caulina inferiora squamiformia qua- dantenus ad effigiem foliorum intermediorum in ramis, diminuta, oblique subcordata acuta, cauli adpressa; su- periora quoque squamiformia sed apice revoluto. Folia lateralia synedra, ovato-oblonga falcatula, lobo basali inferiori semicordato acuto. Folia 7nfermedza lanceolata, basi decurrentia, imbricata, acuta, cuspidata. Spicae (vix una alterave in praesenti) breves, parum evolutae, bracteis ovatis carinatis cuspidatis, superantibus spo- rangium orbiculare compressum albidum (eheu inane!) e cellulis periphericis angustis transversim elongatis, centralibus oblongis, sinuosis elegantissimum opus clathratum fingentibus constitutum. Sarawak; Piningiao. — Novembre 186 5. — inaequalifolia, Spring. Monogr. II, p. 148, N. 90.—A1. Braun Ind. sem. h. Berol. 1857, in Append p. 17.— et Ind. sem. ejusd. 1859, p. 22.— Bak. in Garden. Chron for 1867, p. 950. Exs.—Zolling. pl. ins. Javan. N. 342!— Al. Braun. pl. cult. ex H. Berol! Sarawak; Banting. — Novembre 1865. i caudata, Spring Monogr, II, 139, N. 83.— Lycopodium caudatum, Desv. Encycl. bot. suppl. III, 558.— L. canaliculatum, L. sp. pl. p. 1568.— L. Durvillaei, Bory in Duperr. voy. I, p. 247, tab. 25 (fide Spring). L. planum, Desv.1.c.; Sprgl.l.c. aliorumque, fide Spring.—Muscus fruticescens masRumph. herb. Amb. VI, p. 86, tab. 39, fig. 2! (pr. p.) !) —Muscus denticulatus major, Pluken. Amalth. bot. in Append. tab. 453, fig. 8! (potius ex patria « Ceram, insulae Amboinae adjacente » quam ex ipsa figura ab auctoribus huic spe- ciei adjudicata icon) ?). Exs.— Labillard. ex ins. Amboina! (in herb. meo; sine nomine recept.). Sarawak; luglio 1865. -- ciliaris, Spring, Monog. II, p. 233, N. 169. — Lycopodium ciliare, Retz. obs. bot. V,p.832.—Swrtz. Syn. Fil. p. 185.—Sprengl. Syst. veg. IV, p. 20.—W illd. Sp. pl. ps. I, p. 46 (saltem quoad fusiorem cita- tionem ex Retz).— Blum. enum. pl. Jav. II, p.270.—Lycopodium proniflorum; Lam. Eneycl. bot. III, p. 652. Sarawak; Banting. — Novembre 1865. _ brevipes, Al. Braun, in App. ad Ind. sem. h. Berol. 1867, p. 1.—Selaginella Griffithii, Hort. non Sprg. ex Auctor. Borneo; ab hortulanis Veitch introducta. = Sp. (@ndeterminata). Sarawak: Banting. — Novembre 1865. Due piccoli individui sterili che scoprii confusi fra gli esemplari della S. rugulosa. Psilotum (Bernhardia) Zollingeri, Nob.— Bernhardia Zollingeri, C. Miill. in bot. Zeitg. XIV (1856), p. 223 et 241. tab. VII, fig. 1-5!—Psilotum complanatum, Blum. enum. pl. Jav. p. 272, non Swartz. Exs.—Zolling. pl. Jav. N. 1091! (sub nom. Ps. complanati). Sarawak, 1867. Orpo— EQUISETACEAE Equisetum debile, Roxb. in Vaucher. Monogr. des Prèles. p. 387.— Milde, Nov. Act. Acad. Caes. Leop. Carol. Decas III, tom. V, pars posterior (tom. XXIV), p. 476, tab. XXVI!— Equisetum pallens, W all. Catalog. 1) A me sembra che sotto la citata figura stiano due specie o forme. Nella allegata dissertazione dello Stickmann viene attribuita per in- tero a Lycop. plumosum? 2) Anche questa citazione, falsata nella monografia dello Spring, mi ha fatto perdere assai tempo; non essendovi inserta che la seguente citazione monca e sbagliata: « Pluken. Alm. (agestum), tab. 953, fig. 8». MEI | LS p.29.—Eq. laxum; Blum. onum. pl. Jav. p. 274.—Eq. elongatum, Metten. in Vieillard, Fil. Nov. Caled. N. 1524. (Ann. Se. Natur. IV Ser. Tom. IV, 1861, p. 87). —Eq. hiemale, Metten. in PI. Ind. Orient. ed. Hohenack. N. 1240. Exs,— Schmid. pl. Nilag. ed. Hohenack. N. 1240 (sub nom. £g. hiemalisy — Wall. pl. Ind. N. 397 et N. 1037; — Thwait. pl. Ceyl N. 2571; —Zolling. pl. Javan. N. 922 et 2556.— Vieill. pl. Nouv. Caled. N. 1519 etc. Borneo; leg. Low. AVVERTENZA. — Il segno ! apposto alla massima parte delle citazioni di figure ed exsiccata vuol esse- re inteso nel sacramentale significato di ipse vidi assegnatogli da De Candolle seniore, di sem- pre venerata memoria. i, : ì 4 vd cl ki Gi FRE TURLE®, 1° ParegA\ va TIA TESI br i » bai n | l CAI # up» et È h i a PUBL de Le SR D ul (oi “i un Mrcarate- vr Me | \ Ù ro ; pn sg Moi ‘ K LI ì 9 » Ù LI LI , È ? sa” n Bug Vivi di, ti . Li] LOI GRI lost ì LA 4 st ù Pera DETTO Tai Dr at è ag A pri ' i O i È SL) Ù v PA | ni l È è 0 4 oo } Mi ù 3 n dl UVA | b; dii Li i n ì ST Y Ti 7 Pub | ti | E) y Di) D) i | Ù I - î pi ni ui i ia Do; | PA ML } i CI pn TOO vii | 0 I | Tn l ' PAPER : } di dota 90% ) i k i f si de), Pa | rie Afo d' Sea, fi PITT I por, 1 | LI SURI ® Ml 8) Ù LAI ì PI / Ì ; > i ui : = îi Ja i i a di 3 045 GR % Wi YI su Ni it di Dai 4 gue ì Mò sact È Du i VUOTO en api pa AGNA) e 1 LR di mai ei INDICE SISTEMATICO ‘’) Orpo — FILICES Subordo I.— GLEICHENIACEAE Gleichenia (Mertensia) dichotoma, \W. — B. major, Moor. pteridifolia, Prsl. bullata, Moor. Subordo II. - POLYPODIACEAE A).—INVOLUCRATAE (excl. AZsophila) Tribus I. — Cyatheae Cyathea Brunonis, Wall. Sarawakensis, Hk. assimilis, Hk. Lobbiana, Hk. Beccariana, Nob. Alsophila contaminans, Wall? ramispina, Hk. Wallacei, Mett. vexans, Nob. Matonia pectinata, R. Br. Tribus III. — Hymenophylleae Hymenophyllum Blumeanum, Sprgl. Javanicum, Sprgl. Borneense, Hk. Smithii, Hk. Neesii, Hk. — È. aculeatum minus, Nob. brachyglossum, Al. Br. subflabellatum, Nob. pachydermicum, Nob. Trichomanes (Eutrichomanes) motleyi, Bak. Beccarianum, Nob. sublimbatum, C. Mull. saxifragoides, Prsl. minutum, B]. digitatum, SW. pallidum, Bl. serratulum, Bak. Filicula, By. pyxidiferum, L. Trichomanes (Eutrichomanes) denticulatum, Bak. Javanicum, Bl. = PB. Zollingeri, Nob. = Y.rhomboidenm, Nob brevipes, Bak. meifolium, V. d. B. Millefolinm, Prsl. maximum, BI. hispidutum, Mett. gemmatum, J. Sm. trichophyllum, Moor. foeniculaceum, By. longisetum, By. ignobile, Nob. Tribus IV. — Davallieae Davallia (Humata) neterophylla, Ed. Sm. pedata, Ed. Sm. alpina, BI. (Eudavallia) parvula, Wall. Lobbiana, Moos. solida, SW. — È. caudata, Cav. elegans, Sw. — £. coniifolia, Hk. (Microlepia) ruzonica, Hk. deparioides, Nob. (Loxoscaphe, Beccariana, Nob. x Tribus V. — Lindsayeae Lindsaya (Eulindsaya) ovata, J. Sm. concinna, J. Sm. cultrata v. Lobbiana, Hk. trapeziformis v. caudata, Hk Borneensis, Hk. (Isoloma) divergens, Wall. (Synaphlebium) lobata, Poir. davallioides, B]. (Schizoloma) rraseri, Hk. ; Tribus VI. — Pterideae Pteris (Eupteris) longifolia, L. semipinnata, L. longipinnula, Wall. (Paesia) arachnoidea, Kaulf. (Campteria) patens, Hk. Ceratopteris shalictroides, Brongn. i) Le specie notate in caratteri grassetti sono quelle dell’ Erbario Beccariano. — i) — Tribus VII. — Blechneae Blechnum serrulatum, Richd. orientale, SW. = y. undulatum, Hk. Finlaysonianum, Wall. Tribus VIII. — Asplenieae Asplenium (Thamnopteris) nidus, L. — £. musaefolium, Metten. (Euasplenium) squamulatum, B1. scolopendrioides, J. Sm. longissimum, BI. elongatum, SW. fuliginosum, Hk. Borneense, Hk. pellucidum, Lam. macrophyllum, Sw. cuneatum, Lam. affine, Sw. polystichoides, BI. spathulinum, J. Sm. (Darea) dichotomum, Hk. subaquatile, Nob. Belangeri, Kze (Diplazium) proliferum, Lam. Ceylanicum, Hk. porrectum, Wall. Bantamense, Hk. sylvaticum, Prsl. vestitum, Prsl. Blumei, Bergsm. elegans, Mett. cordifolium, Mett. Sorzogonense, Be dd. Tribus X. — Aspidieae Aspidium (Polystichum) semicordatum, Sw. _ B. truncatum, Bedd. aristatum Y- Hamiltoni, Sp gl. Nephrodium (Lastrea) Beccarianum, Nob. viscosum, Bak. Motleyanum, Hk. echinatum, Bak. Borneense, Hk. (Sagenia) ternatum, Bak. vastum, Bak. semi-bipinnatum, Bak. Lobbii, Bak. Oleandra neriiformis, 0 aV. f. brachypus, Hk. Bantamensis, ze. B). — EXINVOLUCRATAE Tribus XI. — Polypodieae Polypodium (Goniopteris) Borneense, Hook. rubidum, Hk. var? urophyllum, Wall. —_ È. asperum, Prsl. (Dictyopteris) irreguiare, Prsl. (Eupolypodium) bisulcatum, Hk. gramineum, SW. fiabelliveninm, Bak. alternidens, Nob. subserratum, Hk. decipiens, Mett. celebicum, BI. Lobbianum, Hk. papillosum, BI. clavifer, Hk. (Niphobolus) acrostichoides, Forst. —_ 6. puberulum, (B1.) 4 (Phymatodes) subecostatum, Hk. soridens, Hk. sinuosum, Wall. longifolium, Mett. albido-squamatum, var. varians, Bl. myriocarpon, Mett. heterocarpon, BI. Labrusca, Hk. bifurcatum, Bak. (ed. II.) dilatatum, Lam. var. grandidenta- tum, Nob. lomarioides, Kze. conjugatum, Kaulf. quereifolium, L. (Drynaria) Tribus XII. — Grammitideae Monogramme dareocarpa, Hk. Gymnogramme (Stegnogramme) edulis, Nob. (Syngramme) borneensis, Hk. cartilagidens, Bak. Lobbiana, Kk. ” Wallichii, Hk. alismaefolia, Hk. quinata, Hk. (Selliguea) regularis, Bak. axillaris, Cav. Feei, Hk. — f£.wulcanica, BI. Meniscium cuspidatum, Bl. Antrophyum subfalcatum, Brack. pumilum, Ka ulf. reticulatum, Ka ulf. semicostatum, B1. latifolium, B]. Vittaria (Euvittaria) elongata, SW. zosterifolia, BOry. (Taeniopsis) minor, Fé e. pumila, Mett. debilis, Mett. Taenitis obtusa, Hk. blechnoides, Hk. Drymoglossum piloselloides, P rs]. rigidum, Hk. Tribus XIII. — Acrosticheae Acrostichum (Elaphoglossum) morrisii, HK. (Gymnopteris) Linnaeanum, Hk. Platycerium biforme, Bl. Subordo IV.T-SCHIZAEACEAE Schizaea (Euschizaea) malaccana, Bak. (Lophidium) daichotoma, Sw. _ B. minor, Nob. = Y. cristata, W. (Actinostachys) digitata, SW. Lygodium circinnatum, $W. scandens, Sw. = var. intermedium, Nob. —_ var. microphyllum, Bedd. Subordo V.— MARATTIACEAE Angiopteris muricata, Prs]. ei e Subordo VI. OPHIOGLOSSACEAE Lycopodium (Selago) xrippuris, Des v Ophioglossum laxum, Prsl. intermedium, H k. Cumingianum, Prsl. glancum, No Db Selaginella Orpo — LYCOPODINEAE (Diplostachyum) rugutosa, Nob Blumii, Sprng” Subordo I. - PSILOTEAE brevipes, Al. Br Psilotum inaequalifolia, Sprng Zollingeri, Nob. ciliaris, Sprng. intermedia, Sprng. Subordo IX. - LYCOPODIEAE bellula, Nob. Lycopodium caudata, Sprng. (Lepidotis) Plegmaria, L. sp. (indeterminata) = var. tenuispica, No Db. longifolium, SW. Orpo — EQUISETACEAE nunmulariaefolinm, BI]. Equisetum cernuum, L. debile, Roxbg. i È. molluscum, Nob. ERRATA-CORRIGE Pag. 1, lin. ultima: Selaginella sp. 8, leggasi: sp. 9. » 1, lin. 11, da sotto: Trichomanes sp. 22, leggasi: sp. 21. » 5, lin. 12, da sotto: dopo la frase diagnostica, s aggiunga: Sarawak: Santubong-pic: Agosto 1866. » 289, lin. 1, dopo: (Polystichum),s' aggiunga: semicordatum. ATTI— Vol. VII —N.° 8. 6 AEM LUSE de Agri Him Noe: sa Ai da cad ver pn si} mn rm w avida muti LA. BAG pia, stia agi II CA A pi PETTEUÙ, 60% 4° 1% P i ha "pad Bi UE VERO pa LA, Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fi LS SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TavoLa I. . 4. — Polypodium bifurcatum, Bak.— (gr. nat.). a, Parte della lamina frondiva (ingrandita) ; luna metà presenta la pagina superio- re, l’altra metà la faccia di sotto. 2. — Trichomanes Beccarianum, Ces. — (gr. nat.). a, Parte della pianticella (ingrandita). b, Parte di lamina frondiva (maggiormente ingr.). TavoLa IL. 8. — Gymnogramme cartilagidens, Bak. — (gr. nat.). a, Porzioncina della lamina, dalla faccia dissotto (ingrandita). 4.— Polypodium alternidens, Ces. — (gr. nat.). a, Parte di lamina (ingrandita). TavoLa III. 5. — Asplenium (Darea) subaquatile, Ces. — Parte di fronda in grandezza naturale. a, Porzioncina di fronde, pagina sottana (ingrandita). b, » » » (maggiorm. ingrand.). 6.— Davallia Beccariana, Ces. — Parte di fronde, grandezza naturale. a, Porzione, vista dalla faccia superiore, un po’ ingrandita. b, Due lobi, visti dalla faccia superiore, molto ingranditi. c, Due lobi, visti dalla faccia sottana, molto ingranditi. 7.— Polypodium flabellivenium, Bak. — (gr. nat.). a, Lamina di fronda, vista per dissotto (ingrand.). b, Stoma, ad ingrandimento maggiore. TavoLa IV. . 8. — Cyathea deparioides, Ces. (gr. nat.). a, Parte di lamina, vista dissotto (ingrandita). b, Singolo dente (lobetto), visto dissopra (ingrandito). 3 novembre 1876 ah Mino PA Di it pttodle quoiboggia@ utiine0 shot og E 3 Da 4 \ a gb, z » BPEL De pi (i Ù è, PRP* » ? pia RA hf ” © 7, 2? di > > si Lal a Ps, ld x = @Z E tor, SZ == Chromolith. VSteeger: > TFYVETMORI: ve DR Tata Lidi i di È ia] i U y A ire Ii a Vol. VII. N. 9 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE INTORNO ALLA SEDE DEL MOVIMENTO LUMINOSO NELLE CAMPANULARIE MEMORIA del Socio Ordinario PAOLO PANCERI letta nell’adunanza del dì 2 dicembre 1876 (con una tavola) Per quanto io sappia, Stewart fu il primo a far conoscere, nell’anno 1802 !), come la Sertularia pumila, principalmente se venga scossa di un tratto, emani fosforica luce, avendo an- che espressa la opinione che molte altre potessero probabilmente presentare lo stesso fenomeno, ch'egli d'altronde credeva legato a particolari condizioni atmosferiche. Péron *) del pari accenna di aver raccolte Sertularie lucenti presso il Capo Leuwin nella Nuova Olanda, e questi fatti, senza commenti nè aggiunzioni, furono ripetuti in molte opere di Zoologia e di Fisiologia che comparvero di poi. Fu nel 1840 che Hassal °) ritornò su di questo argomento , avendo scoperta la viva luce che emana dalla Laomedea (Campanularia) gelatinosa; fenomeno che poi verificò nella Sertularia abietina ed in altre specie. Egli ebbe l’ opportunità di osservare il fenomeno nella notte, a bordo delle barche pescherecce delle coste del Devonshire, e precisamente sulle alghe che venivano strappate dalle reti, le quali alghe, prese fuori dall'acqua ed agitate, mostravano « come miriadi di splendidi diamanti ». Landsborough *) confermò le osservazioni di Stewart e le continuò. Scarsa luce ottenne dalla Sertularia polyzonias, dalla Plumularia cristata e dalla Cellularia reptans, ma invece vivaci scintille dalla Flustra membranacea e dalla F. pilosa, come anche da quella varietà di que- st ultima, che avendo una forma incrostante, fu chiamata da Thomson Membranipora stellata. Anche la Valkeria cuscuta egli vide luminosa, ma sopratutto splendentissima la Laomedea (Cam- panularia) geniculata. « Ciascun calice, egli dice, per intervalli compariva a modo di stella, e « come ciascun polipo ha una volontà sua propria, così accende e spegne la sua piccola lanterna « non simultaneamente agli altri, ma con rapida irregolarità, per modo che questo fuoco trascor- « rente ha un’ apparenza molto vivace ». L'aspetto delle Flustre nel momento del fulgore è molto diverso , per ciò che essendo le cellule regolarmente disposte, e vicine le une alle altre, la 1) Elem. Nat. Hist. II, p. 441. 2) An. Mus. IV, 1804. - 3) Supplem. of Irish Zoophytes. An. and Mag. Nat. Hist. 1S41, p. 281. 4) On the Phosphorescence of Zoophytes. An. and Mag. Nat. Hist. 1842, VIII, p. 257. ATTI— Vol. VII —N.° 9. 1 TESO luce sì presenta continua e simultanea come quella di un lampo. Il Rev. Landsborou gh indar- no cercò di ottenere la luce in altra occasione da alcune delle nominate specie , e precisamente dalla Sertularia polyzonias, Cellularia reptans, Flustra membranacea e Membranipora stellata; sem- bra però, come egli stesso suppone, che ciò dipendesse dalle condizioni poco propizie, a cui era- no stati soggetti gli esemplari da lui esaminati. Così pure è certo da attribuire ad un’ illusione del suo olfatto, l' odor di fosforo che gli parve scaturisse dalla Laomedea geniculata, nel momento dalla comparsa della luce. La priorità della scoperta della fosforescenza dei Zoofiti idroidi, come fatto generale, fu re- clamata in seguito da Hassal') dopo la pubblicazione della nota di Landsborough; donde nacque poi discussione fra lo stesso Hassal ed il Professor Forbes *), rimanendo in ogni caso aggiudicato ad Hassal il merito della scoperta della luce delle Campanularie ?). Il potere che ha l’acqua dolce di promovere e fissare la luce anche in alcune specie di Ser- tularie, come si dimostrò in progresso per tutti gli animali luminosi del mare, era noto al Forbes, siccome si rileva da una lettera da lui diretta al ch. Johnston e da questi citata nella sua clas- sica opera ‘). Nell’ altra splendidissima opera recente del Professor Allman °) un capitolo speciale è con- sacrato alla fosforescenza. Egli osservò il fenomeno specialmente nell’ Obelia (Campanularia) di- chotoma ; che se una colonia della medesima venga eccitata nell’ oscurità da rozzo scuotimento, una luce pallida compare in un istante lungo tutte le ramificazioni. È singolare che lo stesso fe- nomeno egli cercasse invano constatare nel planoblasto libero, nel quale a priori lo si avrebbe supposto. « In qualcuno dei più brillanti trofosomi di idroidi, egli dice, la luce presenta una sin- golare intermittenza. La luce apparirà quando l’ idroide sarà toccato, palpiterà in modo mira- « bile sopra tutta la superficie, ma la sua durata sarà transitoria ed in pochi secondi completa- mente scomparirà, e farà d’uopo ripetere la stimolazione, perchè il fenomeno si abbia a ripe- tere. Dopo alquante stimolazioni, il potere luminoso si esaurisce, ed è necesssario il riposo di ‘ qualche tempo, prima che il fenomeno possa riprodursi ». Come atto a fissar la luce degli idroidi, Allman cita il vapore di alcool, al quale esponendo un trofosoma, si ha mano mano la comparsa della luce che rimane fissa fino alla morte della co- lonia, siccome accade generalmente negli altri animali luminosi immersi nell’ alcool a freddo. Anche l’aria atmosferica agisce, in un primo tempo, come stimolo atto a produrre la luce, co- sicchè se si sollevi dall'acqua un’ alga coperta di idroidi, la luce appare di un tratto e poi scom- pare, per poi ricomparire con lo scuotimento o col vapore di alcooi, come si è detto. EE Per tutto quanto abbiamo esposto, gli idroidi luminosi allo stato di polipo, attualmente ricono- sciuti, sarebbero soltanto alcuni fra i Caliptoblasti, non conoscendosene per anco alcuno fra i Gimnoblasti, nè essendolo punto l’H#ydra, nè gli idroidi delle acque dolci. E precisamente sareb- bero luminose, prescindendo dalla distinzione in Obelie e Laomedee °), la Campanularia genicu- lata, gelatinosa e dichotoma e quindi la Sertularia abietina, pumila e polyzonias, la Cellularia re- ptans, la Flustra membranacea e pilosa, questa con la sua varietà incrostante (Membranipora stellata i) An. and Mag. Nat. Hist. 1842, VIII, p. 341. ?) Retrospective Comments. An. and Mag. 1849, XII, p. 40. — Hassal—On Two of Prof. E. Forbes « Retrospective Comments », ibid., p. 117. — Forbes — Note în reply to Mr. Hassal; ibid., p. 188. 3) Ehrenberg nella sua celebre memoria Das Leuchten des Meeres, 1835, nel catalogo finale, aveva già citato come luminosa una Sertu- laria volubilis, nome che è certo quello usato anticamente per la Campanularia volubilis, però nel testo della memoria non si dice chi abbia fatta quella osservazione. 1) A History of the british Zoophytes. 18417, I, p. 150. 5) A Monograph of the Gymnoblastie or Tubularian Hydroids. 1871. 6) Tale distinzione, fondata sulla maniera di disporsi dell’idrario, è antecedente alle osservazioni fatte circa il modo di riprodursi delle Campanularie, onde non regge, tanto più che la stessa specie, in condizioni diverse, può presentare diversa disposizione nei suoi steli e nei suoi stoloni, siccome osservò negli acquarii il ch. Van Beneden. x Ro pe Thomson), la Valkeria cuscuta, e finalmente la Plumularia cristata, che a Landsborough ap- parve splendente di luce rossastra. So di certo, ed ho verificato io stesso, che molte delle nostre Campanularie del mediterraneo non sono luminose; ma escludendo ogni dubbio sulla luminosità di quelle che qui sopra furono citate, la esperienza da me acquistata in fatto di animali luminosi, fa nascere in me il desiderio che il catalogo sopra esposto non venga considerato come definitivo e fondamentale, essendochè sa- rebbe pure necessario che le dette specie fossero rivedute sia per la determinazione esatta, sia per il fenomeno della luce. — Senza contare gli animaletti microscopici luminosi che possono ren- dere fosforescente ogni cosa a cui si attacchino, uno o più minuti anellidi come le sillidi, un solo cirro di Po/yeirrus che il dito distenda e spappoli, possono trarre in inganno e far luccicare di luce creduta propria altri viventi, che in realtà non lo sono. Tali dubbi sono giustificati in me dal non aver per anco potuto trovare nelle nostre acque una Sertularia lucente, la qual cosa spie- ga il silenzio di Spallanzani, di Cavolini e di Delle Chiaje a questo riguardo. Prescindendo dall’odor di fosforo che Landsborough credette di sentire, le opinioni in- torno alla cagione della fosforescenza degli idroidi mentovati si possono ridurre a due. Johnston ed anche W. Thomson, il quale ha avuto vasto campo di osservare bene spesso il dolce, bellis- simo fulgore con cui gli idroidi rivelano la loro presenza sulle alghe, pensarono che la fosfore- scenza di questi zoofiti fosse cagionata da parziale decomposizione, e Johnston ammise anche, fra le possibilità, la presenza di una secrezione luminosa. Hassal primamente e il ch. Allman in appresso, meglio interpretando il fenomeno, e tenendo conto che la luce è provocata tosto nel- l’animale vivo e fresco dagli stimoli, e si mostra trascorrente e palpitante e quindi esaurita e poi rediviva dopo il riposo, la considerano giustamente come diretta concomitanza di una azione vi- tale, siccome quella che Ehrenberg distinse col nome di LucE ATTIVA. Intanto però, per quanto mi è noto, nessuno si è occupato per anco di determinare: in quale parte degli idroidi luminosi si accenda la luce, se in organi speciali, se in organi 0 parti che questi abbiano comuni con le specie non lucenti. Questo è il problema, della cui soluzione io mi sono oc- cupato. III. Essendomi recato nello scorso mese di agosto in Amalfi, allo scopo così di far ricerche in- torno alle differenze che mai potesse presentare la fauna di quella costa e di quei fondi, parago- nata a quella del golfo nostro, come anche di continuare i miei studii intorno alla luce animale; mi avvenne di trovare copiose le Campanularie sulle alghe che coprono gli scogli in prossimità della così detta grotta d’Amalfi, ed al di là della medesima, aderenti al Gelidium corneum e prin- cipalmente alla Cystoseira ericoides. Non vi ha naturalista io credo che, occupandosi di cose marine, non abbia osservata la scintilla- zione in un manipolo di alghe di fresco tolte dal mare, le quali nella oscurità siano svolte od agitate. Crabbe conosceva di certo questo fenomeno quando scriveva : « While thus with pleasing wonder you inspect, . Treasures the vulgar in their scorn reject, See as they float along th’ entangled weeds, Slowly approach, upborne on bladdery beads; Wait till they land, and you shall then behold The fiery sparks those tangled fronds infold, Myriads of living points; th’ unaided eye Can but the fire, and not the form, descry ». The Borough, lettera IX. Che se si voglia giungere all’ esatta conoscenza degli animaletti, a cui tale fenomeno si possa attribuire, non sarà così facile il riuscirvi, essendo costoro spesso piccolissimi e la loro luce * Lie intermittente e fugace. Per contrario se ricordando il potere che ha l’acqua dolce di fissare la luce degli animali marini per qualche tempo, si immergeranno i cespi delle dette alghe nella medesima, non sarà certo difficile raccogliere i piccoli viventi che sono la cagione della osser- vata scintillazione. D'ordinario sono piccoli anellidi, siano pure giovani individui di specie diverse del genere Syllis, ovvero piccole specie dello stesso genere o di genere affini, e preferibilmente del genere Odontosyllis; nè al proposito altro avrei da aggiungere a quello che già dichiarai in altra me- moria, intorno alla luce degli Anellidi, che ebbi l’ onore di presentare nello scorso anno all’Acca- demia. E se, facendo così, avviene che presto si possa distinguere il modo di luccicare di un anellide, tanto più desterà sorpresa un altro modo di scintillazione che questo o quel cespo può presentare. Si tratta che scuotendo, toccando, strappando , e sopratutto sollevando dall’ acqua nell'aria un ramo della Cystoseira ericordes, per cagion d'esempio ; esso tutto quanto si illumina, e la luce bianchissima si mostra disposta secondo le ramificazioni dell’ alga, e di più con correnti ben distinte, le quali si manifestano in diverso senso, secondo che si tocchi in un modo, si prema, o si scuota il detto ramo. Qualora si continui a maneggiare il cespo od il ramo, la luce cesserà dopo poco tempo esaurita, per riprendere dopo alcun tempo di riposo e di stazione nell’ acqua marina. Che se si impieghi l’acqua dolce , ecco che la luce sarà fissata e tutto il cespo sarà illu- minato come se fosse ardente (fig. 1). | In tal modo operando, se si ricorra in seguito al microscopio, od anche alle lenti semplici, non sarà certo difficile assicurarsi che la luce emana dalle Campanularie che, aderendo coi loro stoloni al fuco, elevano i loro steli ricchi di polipetti, i quali si vanno accendendo l'un dopo |’ al- tro, dietro la stimolazione, come fossero i polipetti delle Pennatule (fig. 3). La Campanularia che più abbonda sulla costa d’Amalfi, e che impiegai per queste ricerche, è la Campanularia flexuosa degli autori (fig-2 e 4). Chi dunque con Vl aiuto delle lenti osservi bene una colonia di Campanularia flexwosa, men- tre la luce rimane fissata per l’azione dell’ acqua dolce (fig. 3), due fatti verrà a constatare. Il primo si è che la luce tanto si manifesta nel polipetto , 0 :dranto che dir si voglia, quanto negli steli o idrocauli e negli stoloni 0 idrorize , siccome piacque ad Allman di chiamarli; per modo che tutto l’ idrofito, viene ad essere illuminato , e percorso poi da correnti luminose , nel caso venga stimolato. Il secondo fatto si è che ogni parte che sia lucente così dei polipetti, come degli steli e degli stoloni, lo è per punti minutissimi, i quali mostrano vivacissima scintil- lazione. Favorì di molto le mie indagini la circostanza della grande e ben nota semplicità di struttura di codesti animali, i quali consistono di uno strato cellulare esterno, ! ectoderma, che nelle Cam- panularie presenta elementi ben distinti, e di'un altro strato cellulare interno, o intestinale, che è l’endoderma, essendo a questi due strati fondamentali interposto lo strato di fibre contrattili, le quali si potrebbero chiamare muscolari, se pure codeste fibre non sono prolungamenti delle cel- lule dell’ ectoderma, siccome il ch. Kleinenberg dimostrò nell’'idra d’acqua dolce, onde code- sti elementi egli chiamò cellule nerveo-muscolari ), Favorì pure le mie ricerche il fatto deli’ azione dell’ acqua dolce in quanto eccita e fissa la luce, cosicchè mi fu possibile , collocato avendo sotto il microscopio composto, a debole ingrandimento, uno stelo di Campanularia non appena reciso, di promuovere la luce negli elementi anatomici del medesimo, soltanto bagnandolo con una goccia di acqua comune. Fu così che, disponendo le cose in modo da avere in tempi diversi nel campo»di distinta vi- sione del microscopio le diverse parti di cui i polipetti si compongono, mi accorsi che i puntini luminosi scintillanti sopra menzionati, non sono altra cosa che le cellule dell’ectoderma le quali alternamente e successivamente si vanno accendendo e spegnendo. 1) {{ydra.— Eine Anatomisch-Enbtwickelungsgesch. Untersuchung. Leipzie 1872. b. bi & v A, Agendo in una camera oscura, e quindi impiegando per la illuminazione del microscopio un lumicino, io aveva cura, non sì tosto lo stelo di Campanularia fosse collocato così da lasciar ve- dere nel piano di visione distinta le cellule dell’ectoderma di un polipetto (fig. 5), di aggiungere una goccia d’acqua dolce al preparato , e nello stesso tempo di coprire con un imbuto opaco il lumicino. Ponendo l’occhio al microscopio, era facile scorgere lo sfavillare delle cellule sopra no- minate. Con pazienti e ripetute prove, arrivai sempre meglio a persuadermi che 7! movimento luminoso in questi polipetti, ha la sua sede nelle cellule dell’ ectoderma e non altrove, essendoché se quelle non erano nel fuoco dell’ obbiettivo, la luce non compariva punto, ovvero era nebbiosa ed indistinta , mentre lo stelo osservato ad occhio nudo era in piena luce. Così essendo le cose, è facile ora lo spiegare come non solo i polipetti siano luminosi, ma anche lo siano gli steli e gli stoloni, onde avviene che i fuchi rimangono così copiosamente illu- minati allorchè la Campanularia flexuosa li abbraccia e li riveste. Certo è che come la campa- nella chitinosa, o idroteca che dir si voglia , la quale accoglie il polipetto e lo protegge, non po- trebbe mai per sua natura essere eccitabile e luminosa; così non lo potrebbe essere manco il pe- risareo che costituisce lo strato cuticolare degli steli e degli stoloni. Rimane per tanto il cenosarco o cordone molle che , percorrendo l’asse degli steli, mette in comunicazione i differenti polipetti della colonia. Egli è ben noto come cotale cordone si componga di uno strato esterno che si con- tinua coll ectoderma del polipetto , e poi di un altro strato interno continuo coll’ endoderma del polipo costituito da cellule provviste di ciglia vibratili, le quali, sporgendo nello interno del tubo gastro-vascolare mediano del cordone, determinano nei contenuto del medesimo quelle correnti e quei movimenti già sì bene descritti da Spallanzani e da Cavolini nelle Sertula- rie, e quindi da tutti coloro che studiarono la vita di questi animali. Se si ripeta per tanto anche per gli steli la osservazione microscopica, con quello stesso me- todo che fu impiegato pei polipetti , facilmente, anzi con maggior facilità, verrà in chiaro che la minuta scintillazione osservata alla lente, ha la sua sede nelle cellule dello strato esterno del ce- nosarco, continue per tanto e simili a quelle dell’ectoderma dei polipetti. Tali cellule (fig. 6) sono a contenuto finamente granuloso, senza nucleo apparente, ed allorquando si disgregano con la pressione, non mostrano , a circostanze ordinarie, prolungamento alcuno. In altra mia nota ') io dimostrai come nelle meduse ed anche nei sifonofori il movimento lu- minoso abbia la sua sede nello epitelio esterno, essendo nella Pelagia noctiluca evidenti anche le correnti luminose. Dopo quanto si è dichiarato in questa scrittura relativamente alle Campanu- larie, non vi ha chi non vegga quanto i due fatti si colleghino e tanto, per quanto è grande la parentela di questi idroidi con le relative forme sessuate libere e medusiformi, siccome sono gli antichi generi Oceania, Obelia, Clythia ed Eucope. Sarà ora a determinarsi se le meduse delle Campanularie lucenti sono pure luminose o no, o lo siano quelle delle Campanularie non fosfore- scenti. In ogni caso le mie osservazioni, in diverse occasioni comunicate all Accademia dal 1871 in poi, mi portano alla conclusione che : come nelle Foladi, nei Pirosomi , nelle Filliroe, negli Anellidi, del pari che negli Insetti luminosi, gli organi fosforescenti sono masse cellulari provenienti dallo strato esterno del blastoderma, cioè 0 epitelii semplici 0 nevro-epitelii, 0 epitelii trasformati în parte in glandole unicellulari a prodotto luminoso, ovvero anche masse epiteliali sottocutanee 0 sot- tocuticolari, così nelle Meduse e nei Sifonofori, come anche nelle Campanularie, l’ organo luminoso non è soltanto una parte dello strato esterno, ma tutto quanto questo strato, le cui cellule reagiscono alla diretta eccitazione collo illumnarsi, qualunque sia l’ aspetto , 0 sta per essere chiarita la na- tura del movimento chimico del loro contenuto. Nelle Pennatule e nei Beroidei le masse cellulari lu- mainose sono in relazione con le vie digerenti, e quindi più profonde. Rimane ancora a sapersi quali organi siano quelli che in talune specie di meduse, in cui la superficie dell’ombrello non è punto lucente, appaiono a modo di una corona di lumicini intorno al bordo del medesimo , in prossimità del canale circolare. Mentre mi propongo di occuparmi 1) Intorno alla sede del movimento luminoso nelle meduse. Rendie. Agosto 1871. RESI pit prossimamente anche di questo argomento , mi permetto di far notare che la credenza di alcuni naturalisti che la luce degli idroidi serva a diradare le tenebre delle grotte marine ove sogliono scegliere la loro dimora, è certamente poetica, al par di quella del vecchio marinaro della canzone di Coleridge che vedeva le anime dei naufraghi nelle scintille notturne del mare spumante. Professando il più grande rispetto al ch. Wyville Thomson, tanto benemerito della scienza per le sue importanti scoperte relative alla vita marina, non posso assolutamente divi-. dere con lui la credenza che gli abissi del mare siano illuminati dalle foreste di Pavonarie e dalle Pennatule '), dal momento che gli acquarii ci hanno dimostrato , prescindendo anche dai risultamenti dei miei studî e di quelli di altri che diressero la indagine a svelare le regioni ed i modi di questo fenomeno, che gli animali marini durante la vita, non lucono mai spontaneamen- te, ma esclusivamente in forza della stimolazione, e quindi in nessun caso in modo continuo. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 4. — Ramo di Cystosetra ericoides rivestito dalla Campanularia flexuosa-ed immerso nel- l’acqua dolce, gr. nat. Pio) » 2. — Campanularia flexuosa allo ingrandimento di 39. » » -3. — La stessa nel momento dello splendore. » 4. — La stessa allo ingrandimento di 88. » 5. — Porzione del cenosarco percorso dal canale gastro- vascolare e porzione della base di un polipetto della stessa Campanularia. Gli elementi in questa figura sono dise- gnati come se simultaneamente si trovassero nel piano di distinta visione %K 700, » 6. — Cellule fosforescenti dell’ ectoderma del polipetto e del cenosarco XK 700. 4 gennaio 487T Les abîmes de la mer, irad. par Lortet. Paris 1875 L) | ME i. bi\ so N E dA da i ato? K nai î ka fl Ò h, È Dl. 4 vela Ma f PI ti > (ET È to l cu to pm 9) VEL e AAP LA IRA : LADA Ada SE | Dt, del la Ag AM. 4, AIA Lis e 4g, la A, VIA VI NI a iiggazzzizisaz asia genna vai È PARLI LL n ) \ \ ria dda n N N \\° o Oo 60 N iisiassestsiszis cnr oanoiait Sa sioreni x Vol. VII. N10 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE OSSERVAZIONI INTORNO A NUOVE FORME DI VERMI NEMATODI MARINI MEMORIA del Socio Ordinario PAOLO PANCERI letta nell’adunanza del dì 2 dicembre 1876 (con una tavola) INTRODUZIONE Ho impreso lo studio di questi animali, poco noti in verità, allo scopo di far conoscere le forme da me trovate fino ad oggi nel nostro mare, ed anche allo intento di fornire dati pel loro definitivo collocamento. Io sono d’ avviso che i Desmoscolea, gli Echinoderes, il Trichoderma ed i Chetosomi, coi generi Chaetosoma e Rabdogaster, ed il genere nuovo da me proposto col nome di Tristicochaeta, sono veramente dei nematodi, appoggiandomi principalmente alle forme del sistema nervoso, dell’ apparecchio digerente e del riproduttore. Se la cute in questi animali presenta cercini ingrossati, o setole diversamente disposte e di diversa forma, ovvero si mostra divisa in annelli con l'aggiunta di lunghe setole come negli Echinoderes, non credo si possa perciò modificare il concetto che di questi animali ci ha fornito lo studio degli organi interni. Per quanto simili ai crostacei per lo aspetto , gli Echinoderes sono pertanto nematodi, nè credo debbano andar vagando ancora in sedi incerte od essere ommessi dai classificatori, perchè non si sappia fare, ad ogni caso, una nuova sezione ben distinta che potrebbe pure chiamarsi dei Nematodi loricati. Come vi sono dei nematodi parassiti e liberi ed anche di quelli che or sono parassiti ed or liberi anche con doppia forma sessuale, e fra i liberi quelli che Metschnikoff chiamò striscianti e guizzanti , così vi potrebbero essere, fra i liberi, anche i /oricati. Questi, per la brevità e forma del corpo, non potendo guizzare, debbono, come appunto fanno gli Echnoderes, progredire con l’aiuto del movimento del capo e della probosci- de, che sono alternamente retratti e protrusi, onde gli uncini, di cui il primo è fornito, servano ad aggrapparsi. Non mancheranno certo zoologi che vedranno negli Echinoderi crostacei dege- nerati ovvero nematodi perfezionati; io, a rigore di logica, non so veder altro che nematodi, i quali hanno il corpo catafratto e diviso allo esterno in annelli, come già lo hanno altri nema- todi e gli annulosi in generale e gli armadilli fra i mammiferi, le loricarie fra i pesci, i chitoni fra i molluschi, senza sentire esigenza di farmi garante di discendenze e di parentele, che non si saprebbero dimostrare. Sarà sempre importante il notare che le fibre muscolari non sono mai striate , e come le osservazioni di Metschnikoff infirmarono quelle di Greef, circa le forme embrionali di questi animali; così dobbiamo augurarci che vengano presto a conoscersi anche le fasi del loro sviluppo. Attt— Vol. VII — Num, 10. 1 ona Forse gli Echmoderes e gli altri nematodi, di cui è trattato in questa memoria, scarsi di for- me nell'epoca attuale, ebbero maggiore importanza in altre epoche, e credo potranno anche trovarsi orme analoghe fossili, ovvero, in mari poco esplorati fino ad ora, altre forme viventi di questi ne- matodi, non per anco sospettate. Il metodo più facile per ritrovare questi vermi è quello di la- vare e spremere le alghe in iscarsa quantità d’ acqua, e di osservarne al microscopio il sedimen- to, come si suol fare per lo studio dei minimi crostacei o delle diatomee e degli infusorii. I — Desmoscolex. “gli è noto come il chiarissimo Claparède ') abbia stabilito questo genere per un vermic- ciuolo microscopico raro a trovarsi alle coste di Normandia, il quale per la stranezza di sua, for- ma ed aspetto non gli permise di determinare esattamente a quale classe potesse appartenere, mentre d’altra parte lasciava sospettare una certa parentela con gli anellidi. Ignota la sua biologia, opaco il tegumento, ingrossato con anelli sporgenti a modo di cin- goli, cosicchè ogni organo interno rimane celato , dissimile del resto da ogni conosciuta forma di anellide e di larva di anellide, come anche dalle forme note di nematodi, il piccolo verme re- stò in attesa di nuovi osservatori col nome di Desmoscolex minutus. Successivamente Metschnikoff, avendo rinvenuto ad Helgoland il Desmoscolex, fu di ben altro avviso °). Egli attribuì alle setole, non già il significato di setole composte di anellide , sic- come fece il Claparède, ma riguardando la loro provenienza diretta dalla cuticola esterna e la loro struttura, le volle meglio considerare siccome peli tattili, e tenendo conto dell’aspetto e dello scarso numero degli annelli, fu di avviso fosse il Desmoscolex non già un anellide, e manco un ver- me, ma piuttosto una larva di un animale articolato noto, ovvero da scoprirsi. Le osservarzioni più fortunate ed accurate del Greef®) vennero in seguito a dimostrare co- me il Desmoscolew sia, per la interna struttura, non dissimile dai nematodi; e come d'altronde per lo aspetto e la presenza di setole di speciale struttura e non inserite in bulbi speciali, possa con- siderarsi siccome una forma di passaggio fra i nematodi liberi e gli anellidi. Egli trovò gli or- gani genitali e diede i caratteri dei due sessi nel Desmoscolex minutus ; con che furono dissipati i sospetti intorno allo stato larvale, e di più descrisse tre altre specie, trovate pur anco ne’ mari del Nord sotto i nomi di Desmoscolex nematoides, D. chaetogaster e D. adelphus. Per le mie osservazioni fatte nello scorso mese di ottobre in Casamicciola d’Ischia, posso pri- mamente assicurare che il Desmoscolex minutus, abbenchè difficile a rinvenirsi, vive in quei bassi fondi. Un solo individuo di questa specie mi venne fatto di osservare durante un mese di ricerche ed era una femmina, contraddistinta dalle due setole ventrali lunghe e ricurve al 1x segmento. La coincidenza completa, sia pel numero dei segmenti, come per quello delle appen- dici, coi disegni di Claparède e di Greef, mi assicurano trattarsi della stessa specie. Abbia- mo figurato (fig. 1.), perchè serva di confronto con le altre specie che descriveremo, anche la femmina del D. minutus trovata ad Ischia. Credo che a questa specie si riferisse un’altra femmina trovata dal Metschnikoff presso Napoli nel 1866, della quale fa menzione in una sua nota sugli Echinoderi*). È singolare l’ aspetto che presenta questa specie allorchè si muove vivace e si raccor- cia contraendosi. I cercini rilevati degli annelli vengono a toccarsi ed a coprirsi in parte come se l’animale fosse composto di una pila di dischi, che si rovesciano alternamento a destra ed a sinistra gli uni sugli altri. Mi dispenso dal mentovare alcune discrepanze di poco momento che notansi tra le osservazioni di Claparède e quelle di Metschnikoff, avendone abbastanza parlato il Greef nella importante memoria che abbiamo citata. 1) Beobachtungen ib. Anatom. u. Entwick. wierbelloser Thiere an d. Kiiste von Normandie angestellt. Leipzig 1863, p. 89, tav. XVII, fi- gura 4, 5, 6, 7. 2) Ueb. cinige wenig bekannte niedere Thierformen. Zeitschr. f. Wiss. Zool. Vol. XV, 1865. 3) Untersuchungen ib. einige merkwirdige Thiergruppen des Arthropoden und Wurm-Typus— Arch. fur. Naturgesch. 1869. Jahrg. XXXV. 4) Bemerkungen ib. Echinoderes, Bull. d. ' Ac. Imp. de S. Petersbourg, 1870. n 1. — Desmoscolex elongatus, n. sp. (fig. 2,3). Mi reputo fortunato di aver scoperta questa specie, non tanto perchè con ciò sl aggiunge un altro nome alla serie dei vermi, come perchè la trasparenza del tegumento mi permise di preci- sare gli organi interni. La figura che abbiamo tracciata lascia scorgere l'intestino che corre a modo di tubo retto senza mostrare differenza di regioni o di parti, per aprirsi circa al xxx an- nello, in prossimità della vulva. L’ovario, 0v, si mostra a modo di tubo, o di sacco che dir si vo- glia, il cui fondo cieco corrisponde circa al xvi annello e l'apertura esterna al xxxm senza alcun dubbio. Non avendo trovati per anco individui maschi, non posso dire degli organi dell'altro ses- so, mentre è molto probabile siano a notarsi nel maschio quegli spiculi che nelle altre specie fu- rono rinvenuti. Chiamo specialmente l’attenzione sopra le due masse gangliari, ovoidali, g, che trovansi ai lati dell'esofago e che in questa specie sono distinte pel colorito giallo. Tali le reputo e per il po- sto e per lo aspetto, e tali convengono e coincidono con la struttura di un nematoideo, onde non si ha più dubbio circa il posto che a questo genere si compete. Nessuna traccia ho potuto scor- gere di macchie oculari sia alla superficie ventrale che alla dorsale dei gangli. Premessi questi dati anatomici importanti per fissare il posto del Desmoscolex fra i vermi nematoidei, dirò ora delle parti esterne. La nostra figura rappresenta il D. elongatus dal ventre, ingrandito di 260 volte. Il corpo è fusiforme, i segmenti sono 38, indicati dai cercini in cui la cuticola si mostra ingrossata ed opaca, mentre negli intervalli il tegumento è trasparentissimo. Il segmento cefalico è relativamente piccolo e distinto anche per le quattro setole caratteristiche del genere, epperò presenta per di più un lembo membranoso a contorno semicircolare che poi non appare allorchè il capo sia osservato di profilo, anche a notevole ingrandimento, siccome si è quello della fig. 3. Le setole ventrali sono disposte a coppie e trovansi nella femmina costan- temente al n, v, VIII, x, XII, XV, XVII, XXI, XXIII, XXIX, XXX, xxxI, xxxv annello, in forma di sem- plici prolungamenti conici della cuticola in corrispondenza dei cercini rilevati. Rade setole irre- golarmente disposte si notano al dorso. In ogni caso le setole sono simili tra di loro e non pre- sentano mai la lancetta terminale che si osserva in quelle del D. minutus. Il corpo termina con un’ appendice conica, breve, che è parte dell’ultimo segmento. Le maggiori affinità del nostro D. elongatus sono con il D. nematoides trovato dal Gree f nel mare del Nord e per lo aspetto e pel numero dei segmenti che è pure di 38, ed anche per la forma delle setole. Queste appendici però, dopo le prime quattro coppie che trovansi come nell’elonga- tus in corrispondenza degli annelli 1, v, vi, x, nel D. nematoîdes variano alquanto nella dispo- sizione. Vero è che il Greef non indicò il sesso dell’individuo da lui descritto, ma però è pur vero in ogni caso che per la specie insiste ripetutamente sul carattere della mancanza delle quat- tro setole cefaliche che nel D. elongatus, come si vede, sono palesissime. 2. — Desmoscolex lanuginosus, n. sp. (fig. 4, 5). Rara a trovarsi, ma pure dotata di caratteri che facilmente la fanno riconoscere, è un’ altra specie distinta primamente da ciò che tutto il corpo è coperto di uno strato di finissima lanuggine, commista costantemente a molecole di corpi stranieri, onde l’animale sembra come chiuso in un astuccio da cui sporgono ia estremità cefalica e la caudale. Tale lanuggine è il prodotto della sfi- brillatura della cuticola. Il segmento cefalico è provvisto delle quattro setole caratteristiche, coll’aggiunta di una mem- brana a contorno semicircolare simile a quella che notammo nell’ elongatus. I segmenti sono 36, * LO pei l'ultimo dei quali è allungato a modo di cono provvisto di due setole quasi terminali. Le setole addominali, escluse le terminali, sono disposte in otto coppie poste ad egual distanza le une dalle altre. Non potei precisare con certezza quali annelli siano quelli provvisti di setole a cagione della lanuggine che ne suole nascondere l’ origine. Tali setole sono semplici, coniche, epperò a base alquanto rigonfia. Setole dorsali mancano. Pel numero delle coppie delle setole addominali il D. lanuginosus sta vicino al D. chaetoga- ster di Greef, pure trovato nel mare del Nord, ma quella specie, oltrecchè non presenta | indu- mento lanoso, non possiede manco i cercini sporgenti nei singoli segmenti, onde la superficie del corpo non differisce punto da quella degli ordinarii nematoidei. I tegumenti del D. lanuginosus , colla loro opacità, impediscono in questa specie, più che nelle altre, di distinguere gli organi interni. A differenza del D. minutus ed elongatus, che sono del pari agili e vivaci, il D. lanuginosus è torpido ne’ suoi movimenti ed impacciato. IL—Echinoderes. Sono in grado di constatare che questo problematico ed interessante genere di animaletti che Dujardin scopriva nel 1851 a Saint-Malo '), e che a lui parve in parentela coi rotiferi per un verso, e per l’altro cogli entomotracei, che Leuckart °) sospettò per larva di dittero, che a Max-Schultze parve in parentela con le Ictidine, e ad Ehlers coi nematodi, trovasi, con al- cune forme di cui dirò, anche nel nostro mare. Le osservazioni di Greef *) furono quelle che permisero di considerare gli Echnoderes co- me forma generica di animali adulti, avendo rinvenuti gli organi genitali. Con ciò il sospetto di Metschnikoff ‘) che gli Echinoderes fossero forme larvali di animali non per anco determinati venne a dissiparsi; che anzi nella nota sopra menzionata che in seguito comparve °), parla di echi- noderi trovati a Salerno piccoli, trasparenti, giovani insomma, e per tanto non diversi nella forma dagli adulti. Egli annovera lEch. Dujardinii e Ech. monocereus trovati a Salerno , ‘ed an- che una specie nuova che chiama brevispinosus per la brevità delle setole dorsali; mancano però le diagnosi e le descrizioni ed anche le figure, onde non si saprebbe giudicare di dette forme. Dirò ora delle specie da me rinvenute presso Casamicciola, e precisamente fra le alghe dei bassi fondi tra Casamicciola e Lacco ameno. a,— Specie a coda forcuta. A. — Echinoderes Dujardinii. GREEF. (fig. 6 e 7). È questa la specie più abbondante nella località indicata, e principalmente presso il luogo detto Fortino. Il nome dato alla medesima da Claparède fu conservato da Greef per devozione all’illustre professore di Ginevra; però la figura data dal Claparède °) manca, forse per ommis- sione da chi ha riprodotto il disegno originale, delle appendici boccali, delle setole dorsali e delle setole laterali, onde non sarebbe punto determinabile, attesa la grande uniformità che le diverse specie di questo genere presentano nelle parti principali, di cui il corpo è composto. Mi sovviene che questa memorabile opera di Claparède, per quanto egli stesso mi diceva, comparve dopo 1) Observations Zoologiques— Sur un petit animal marin V EcuimopERE formant un type intermediaire entre les crustacés et les vers. —An. Sc. Nat. II Sér. 1851, T. XV, p. 158. 2) Jahresbericht fur 1848-1853. 3) Untersuchungen. Loc. cit. 4) Veb. einige wenig bekannt niedere Thierformen.1865.—Zeitsch. f. Wiss. Zool. Vol. XV 5) Loc. cit. 1870. 6) Beobachtungen tav. XVI, fig. 7. "d lunga e grave malattia da lui sofferta e che le figure, forse non tutte complete in ogni dettaglio, furono eseguite in Lipsia, cioè lungi dagli occhi dell'autore e non sotto la sua direzione. Certo è che la specie, di cui ora è parola, osservata in Casamicciola, coincide in massima con quella descritta dal Greef, sia pel numero dei segmenti, come per la forma e numero delle se- tole laterali, dorsali ed addominali, come anche per la forma del segmento caudale e per la di- visione dei pezzi sternali del tegumento. Debbo però notare che nell E. Dujardini? di Casamicciola, il secondo segmento non si di- stingue tanto facilmente dal segmento cefalico per uno strozzamento profondo, siccome si rileva in quello del mare del Nord dalla figura di Greef, nella quale figura parmi siano pure troppo marcati, al di là del vero, i disegni che notansi nel tegumento di questo secondo segmento che egli chiama collo. Per tanto la divisione in 12 segmenti appare meglio a capo retratto che a capo sporgente. Poniamo , a titolo di confronto , la figura della parte anteriore del corpo dell’ Echino- deres Dujardinii osservato da Greef (fig. 7), accanto a quella da noi tracciata (fig. 6). Noto pure come la divisione dei segmenti in pezzi dorsali e sternali avviene nel nostro Echi noderes al Iv piuttosto che al v segmento. Noto del pari, siccome lo fece Metschnikoff, per quanto si giudica dalla sua figura *), che lo scudo anale o caudale che dir si voglia, nella super- ficie inferiore o sternale , mostra traccia di divisione in due segmenti mediante un lieve solco trasversale provvisto di una fascia di minime setole. Pare che il nostro Echinoderes Dujardinti non abbia fragili di molto le setole terminali, siccome quello del mare del Nord, il quale suol pre- sentarle quasi sempre monche ed infrante. Notai di più una varietà a sei setole dorsali mediane, essendone provvisto in tal caso anche il segmento penultimo, cioè a dire quello che precede il segmento forcuto o anale che dir si voglia. Il miglior metodo per lo studio del tegumento degli Echinoderes e delle appendici, è quello di aggiungere all'acqua marina in cui si osserva l’animale dell’acqua dolce, con che il corpo si gonfia e scoppia, lasciando uscire i visceri; dopo ciò il dermascheletro rimane vuoto e traspa- rente a modo di spoglia. Per quanto si riferisce agli organi interni, non posso aggiungere gran fatto a quanto si co- nosce, essendo bene assicurato che le due masse laterali al bulbo esofageo sono quelle che rap- presentano il sistema nervoso centrale, essendo anche le macchie oculari aderenti alle medesime. I noduli rossi sferici o piriformi, gl, che pel loro regolare allineamento simulano talora una catena gangliare, coincidendo ciascuno col centro dei pezzi sternali, non sono altro che coppie di follicoli glandolari, le cui cellule sono generalmente pigmentate, e la cui apertura trovasi allo esterno. La pressione fra i vetri evacua codesti follicoli, e nel pezzo sternale, in tal caso, si vede scolpito il poro escretore; mentre che, a modo di sacchetto piriforme e trasparente, la membrana propria del follicolo pende dall’ altro lato. Nel mese di ottobre questa specie non mostra evidenti gli organi genitali, od al più alcuni individui lasciano scorgere a lato dell’ intestino due masse glandolari bianche indeterminabili, forse residuo delle maschili. 2.— Echinoderes meridionalis, n. sp. È (fig. 8). Abbiamo così denominata questa specie per contrapporla all’ Echinoderes borealis osservato da Greef nel mare del Nord, alla quale specie a prima giunta si assomiglia. Differisce però pri- mamente per non aver che undici segmenti invece di dodici, come possiede quello. In secondo luogo differisce per avere le setole laterali al numero di cinque, corrispondenti al vi vi vin ix e x annello e non quattro come il borealis corrispondenti all’ vm, rx, x e xr. In terzo luogo si distin- gue per la forma e grandezza dello scudo anale che nel borealis non presenta che due setole ter- 1) Zeitschrift. fur Wiss. Zool. 1865. Vol. XV, tav. XXV, fig. 10. 2 MARTI minali e una grandezza non maggiore a quella di uno degli altri segmenti. Nella nostra specie lo scudo anale ha la grandezza di due degli altri segmenti ed ai bordi laterali presenta, oltre le due setole lunghe terminali, altre due setole robuste per ogni lato. Aggiungiamo che l E. dorealis è bruno, mentre la nostra specie è a tegumento trasparentissimo , cosicchè appaiono distinta- mente gli organi contenuti. In questa specie mancano o non sono visibili, a circostanze ordina- rie, i follicoli glandolari cutanei. Osservai anche, abbenchè di rado, una varietà mancante dell’ un setola dorsale, per cui provvista solo di cinque. Fosse questa una differenza sessuale? Tali differenze saranno chiarite da ulteriori studii da farsi nel tempo della riproduzione, che presso di noi non è di certo |’ otto- bre come nel mare del Nord. Il Metschnikoff ci assicura non avervi carattere esterno di di- stinzione fra il maschio e la femmina. Noto del pari come in individui diversi appartenenti ad una identica forma come questa da noi chiamata £. meridionalis, la pigmentazione dello intestino sia di molto variabile e possa anche mancare completamente. In molti casi in questa , e in altre specie è distintissimo nei suoi ele- menti un epitelio epatico. È &.— Specie ad una lunga setola terminale. Le specie ad una lunga setola terminale, da me trovate presso Casamicciola, sono tre, e sic- come le osservazioni sopracitate di Metschnikoff hanno dissipato il sospetto che le forme mo- nocerche non fossero specie autonome, ma forme sessuali, forse maschili, di questo genere, è d’uopo descriverle e denominarle. Nessuna delle nostre tre forme coincide coll’ Echinoderes monocercus di Claparède, anche tenuto conto delle rettificazioni nella caratteristica di questa specie fatte dal Metschnikoff '), nè manco coincidono coll’E. monocercus descritto dal Greef. In nessuna di queste specie ho po- tuto studiare la divisione degli annelli in pezzi tergali e sternali, essendochè, per cagione di loro forma e della presenza di setole dorsali rigide, codesti animaletti non si possono mai sorprendere coricati sul dorso , nè coricati, vivi o morti, è possibile mantenerli in tale posizione. Per quanto si può giudicare, da quello che appare seguendone i vivaci movimenti, tale divisione non esiste. 3. — Echinoderes minutus, n. sp. (fig. 9, 10) È questa la più piccola specie che io conosca in questo genere e la più scarsa di segmenti, contandone soli dieci. Sono due le setole dorsali, l'una al bordo posteriore dell’ vi segmento, l’al- tra a quello del rx. Il segmento x, o caudale, oltre la lunga e ricurva setola terminale , presenta anche due robuste setole ai lati, presso il bordo anteriore. 4, — Echinoderes eruca, n. sp. (fig. 11). Presentiamo la figura di questa specie nel momento in cui il capo retratto rientrò, siccome suol fare, nel segmento successivo. Nel totale gli annelli sono dodici e tre le setole e la prima al bordo posteriore dell’ vin segmento, la seconda pure al bordo posteriore del x, e la terza all’x1. Il segmento caudale è quadrangolare, ed ai due angoli posteriori presenta due setole che fiancheggiano la grande setola impari mediana terminale. Due piccole setole addominali sì no- tano all'ottavo segmento. 1) Zeitschr. fir Wissensch. Zool. 1865. Vol. XV. —} 5. —Echinoderes spinosus, n. sp. (fig. 12 e 13). Una specie affine alla precedente presenta undici segmenti e va tosto distinta per la lunghezza delle setole dorsali ed anche per la pigmentazione bruna dello intestino più o meno intensa, do- vuta ad epitelio epatico. Le setole dorsali sono sei inserite al bordo posteriore del v al x annello. Sono lunghe, ri- curve e crescenti gradatamente, cosicchè l’ultima sorpassa per una metà di sua lunghezza il bordo estremo del segmento caudale. Al vir annello corrispondono due setole addominali, e gli an- nelli vir, vin, ix e x sono pure provvisti di setole laterali. Il segmento caudale è pure quadrangolare, ed oltre la setola grande impari, è provvisto di due setole robuste agli angoli posteriori del medesimo, e poi di altre due coppie di setole ai bordi laterali. IH. Trichoderma. Trichoderma oxycaudatum, GREEF. (fig. 14). Rarissimo a rintracciarsi nei sedimenti dell’acqua, in cui si siano spremute delle alghe , è questo singolare , torpido verme che il Greef scoprì nel mare del Nord ‘), avendo egli fatto co- noscere soltanto il maschio. Alcuni individui giovani, immaturi furono rinvenuti da Metschni- koff presso Salerno. L’unico individuo da me ritrovato presso Casamicciola è la femmina, di cui presento la fi- gura. Coincide col maschio in quanto ai caratteri generali, così del tegumento come dell’ appa- recchio digerente. Il tubercolo conico tegumentale che nel maschio trovasi non molto lungi dal- l'apertura genitale manca. L’ovario ha gli stessi rapporti del testicolo, cioè decorre parallelo al- l’intestino per aprirsi presso l’ano. Il suo fondo cieco però è bilobo, e questi due lobi trovansi pri- ma che il sottile esofago si dilarghi nell'ampio sacco gastrico. Noto come ai lati dell’ esofago si trovino due masse ovoidali gangliari, g, che Greef non disegnò nel maschio, forse velate essendo dal tegumento più grosso o più contratto nell’esemplare da lui osservato, ovvero dalle setole più folte. IV\— Tristicochaeta. Tristicochaeta inarimense, n. gen. n. sp. (fig. 15-21). Quel singolarissimo verme che Claparède scoprì sulle coste di Normandia, ed a cui diede il nome di Chaetosoma ophicephalum *), contraddistinto da due serie di setole, o bastoncini chitinosi, disposte lungo l’ addome verso l’ estremità caudale, e collocate al di dietro dell’ apertura femmi- nile ed al davanti della anale, è certamente un nematoideo, e tale fu considerato dal ch. Leu- ckart °) e successivamente dal Metschnikoff*), il quale chiamò la sezione a cui appartiene col nome di nematoidei striseianti, a distinguerla dagli altri nematodi liberi, guizzanti. 1) Loc. cit., tav. VI, fig. 9, 10. 2) Beobachtungen. Pag. 88, tav. XVIII, fig. 2. 3) Bericht. ib. die Wissensch. Leist, in d. Naturg. d. nied. Thiere fiir d. Jahr. 1863, Arch. £. Naturg. 1864. 4) Beitriige zur Naiurgesch. der Wiirmer — Ueber Chaetosoma und Rhabdogaster. Zeitschr. fiir Wissensch. Zool. Vol. XVII, 1867. LARp gere Mentre il Claparède non potè rinvenire del Ch. ophicephalum che la sola femmina, suc- cessivamente il Metschnikoff in una specie trovata nel 1866 presso Salerno, e che chiamò Chaetosoma Claparedii, trovò anche il maschio e le forme giovani. Di più col nome generico di Rabdogaster, a cui aggiunse quello specifico di cyenoides, con- traddistinse un nuovo genere afline al Chaetosoma , epperò avente i bastoncini addominali ter- minati ad uncino e l'apertura femminile collocata frammezzo le due serie degli uncini. L'epiteto di striscianti ad ogni modo è certamente opportuno per questi vermicciuoli, dappoichè stanno sempre aderenti ai corpi sottomarini ed alle alghe, a cui si aggrappano coi bastoncini e alternativamente con la bocca, onde così portare in avanti il corpo a modo degli irudinei e delle larve di geometra. Per le osservazioni mie fatte nei bassi fondi di Casamicciola, posso assicurare primamente che il Chaetosoma ophicephalum di Claparède, nelle identiche forme e proporzioni, è pure ani- male delle nostre acque, avendone in fin di settembre trovata una femmina ad ovarii maturi. La pressione fra i vetri del microscopio le fece deporre un uuvo relativamente molto grande e rive- stito di un indumento trasparente che raddoppiava il diametro del tuorlo. Trovai e riconobbi del pari anche il Rabdogaster cyenordes, ma poi, oltre queste, anche una forma che non dubito punto di ascrivere ad un nuovo genere. Il carattere su cui questo nostro genere vien costituito è quello di avere non già due, ma tre serie di setole, o bastoncini addomi- nali, luna mediana e due laterali, onde il nome di 7risticochaeta. Per quanto si riguarda l’ aspetto ed il modo di vivere , il nostro animaletto si rassomiglia ai Chetosomi e con essi potrebbe andar confuso per chi l’osserva a prima giunta, se non avesse cura di sbarazzare i bastoncini addominali dai corpi stranieri che sogliono aderire a questi e nascon- derli. Il capo è rigonfio, ovoidale, la bocca è terminale e munita di un semplice cercine sporgente che fa da ventosa nella progressione , fissando l’ estremità anteriore del corpo. Sul capo, a metà dello spazio fra la bocca e il luogo ove la cuticola incomincia a presentarsi solcata a modo di annelli, si notano quattro stiletti chitinosi rigidi, a base rigonfia, che stanno d’ordinario ripiegati in avanti verso la bocca (fig. 16) ma che possono pure rialzarsi con le contrazioni dei muscoli del tegumento (fig. 15). Il corpo è sparso di rade setole come quello dei Chaetosoma e del Rabdogaster e terminato con estremità acuminata conica, presso la quale la cuticola perde le sue piegature trasversali. L'individuo il cui addome abbiamo figurato (fig. 18), aveva cinque bastoncini in ciascuna delle due serie laterali, equidistanti e corrispondenti tra di loro a modo di coppie. La serie me- diana incomincia più in avanti e consiste di otto bastoncini, sei dei quali, contigui fra di loro presso le loro radici, formano un gruppo, mentre gli altri due sono più lontani e disgiunti al modo di quelli delle serie laterali. È certo che nei Chetosomi queste appendici vanno crescendo di numero dal giovane, che ne è sprovvisto affatto, insino all’ adulto; onde non vorremmo pronunciarci intorno al numero che queste appendici possono raggiungere, restando sempre fisso e fondamentale il carattere delle tre serie. Per quando si riguarda la forma dei bastoncini, o setole addominali che dir si vogliano, no- tiamo primamente che, a differenza di quelle dei Chaetosoma e del Rabdogaster che sono rette; sono invece leggermente curvate, o a modo di un s come quelle delle serie laterali, ovvero pre- sentano una sola curva a convessità anteriore, e sono quelli della serie mediana. Alla estremità sono terminate da una breve laminetta lanceolata (fig. 19) non molto dissimile da quella con cui sono terminate le setole laterali del Desmoscolex minutus e quelle del Chaetosoma Claparedti, men- tre quelle del Chaetosoma ophicephalum sono a modo di tubetti cilindrici tronchi. Probabilmente anche quelle del nostro Tristicochaeta sono cave, e ne sarebbe indizio la linea scura che vedesi nell’ asse delle medesime ; non saprei però spiegarmi il meccanismo pel quale aderiscono così tenacemente ai corpi esterni. Ho osservato a modo di eccezione una doppia lancetta all'estremità di un bastoncino (fig. 19). Leila L'apparecchio digerente non presenta di notevole che il bulbo esofageo , il quale si com- pone di due lobi successivi pressochè simili in grandezza, carattere che fa distinguere i giovani del 7risticochaeta, non per anco provvisti di appendici addominali, da quelli del Chaetosoma ophi- cephalum che ho pur trovati e riconosciuti. Il Chaetosoma Claparedii per contrario ha come il 7ri- sticochaeta un esofago a doppio bulbo e per singolar coincidenza stiletti cefalici simili, però que- sti nel Tristicochaeta sono soltanto quattro, e quelli del Chaetosoma Claparedii molteplici e collo- cati in doppia serie ed impiantati là dove la cuticola comincia a mostrarsi solcata di traverso. I giovani del 7ristzcochaeta da noi qui figurati (fig. 20 e 21) si distinguevano pertanto da quelli del Chaetosoma Claparedii figurati dal Metschnikoff ') a cui molto si assomigliano, e pel nu- mero e il luogo d’ inserzione degli stiletti cefalici e per le curve dei bastoncini addominali che erano soli quattro, non essendo per anco comparsi quelli della serie mediana. Nulla potrei dir di certo relativamente agli organi genitali, non essendo, negli individui da me osservati, in istato di maturità (ottobre). I corpicciuoli sferici che talvolta si trovano con una certa costanza e regolarità disposti intorno all’esofago (fig. 16 e 17), non sono gangli nervosi di certo, ma piuttosto gocce adipose avendone tutto l’aspetto. Il Tristicochaeta è come i Chetosomi animaletto vivacissimo, e come essi si contorce in ogni senso, ovvero tenendo fissa l’ estremità posteriore (fig. 15), ritira e lancia il collo rapidamente a modo di serpente. Si agita impaziente quando s'imbarazza fra i frustoli delle diatomee ed i fram- menti diversi che i bastoncini sogliono aggrappare. Spero di poter ritornare sull'argomento a stagione più opportuna per lo studio degli organi genitali e della riproduzione. 1) Loc. cit. fig. 3. ATTI— Vol. VII. — Num. 10. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. ; Fig. 1 Fig. Fig. i. 9 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA — Desmoscolea minutus, Glap., femmina adulta, ingrandita di 180 volte. . — Desmoscolex elongatus, n. sp., femmina veduta dalla superficie ventrale a X 260, — g, gangli, — 00, ovario. . — Capo della medesima a X 700. . — Desmoscolex lanuginosus, n. sp., X 360. — Capo dello stesso a X 700. — Echinoderes Dujardinii, Greef, estremità anteriore a XK 340, g/, follicoli glandolari cutanei. — Echinoderes Dujardinii, porzione della figura data dal Greef. — EcMnoderes meridionalis, n. sp., 9g, gangli, X 340. . — Ecmnoderes minutus, n. sp., X 340. 10. — Ultimi segmenti dello stesso, veduti dal dorso. A % n PISTDA 3) . — EcMmnoderes eruca, n. sp., X 340. . — EcMmnoderes spinosus, n. sp. XK 340, veduto dal dorso. . — Lo stesso veduto di fianco. . — Trichoderma oxycaudatum, Greef, femmina X 350, 9, gangli, — 00, ovario. . — Tristicochaeta inarimense, n. gen. n. sp., disegnato in una delle sue più ordinarie po- siture nel mentre poggia sul triplice ordine dei bastoncini addominali, e come se fosse illuminato da luce incidente, X 100. 16. — Capo del medesimo veduto dal dorso X 340 17. — Capo veduto dal ventre 18. — Porzione posteriore dello stesso provvista delle setole a bastoncino in triplice serie, X 340. 19. — Bastoncini addominali a X 700, l'uno eccezionalmente a doppia lancetta terminale. 20. — Giovane del Tristicochaeta, YK 340. 21. — Lo stesso in atto di aggrapparsi con la bocca onde camminare. 23 di icemb re 1 87 76 decidi ZA AIA CES | : ù > cara CZ Arca = => Li] 'lttggg ( Up si ore ALII DA RAI a SAM 1%; N° da WI Vol. VII. NA ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LA GROTTA.CÒLA PRESSO PETRELLA DI CAPPADOCIA NELLA PROVINCIA DELL’ ABRUZZO ULTERIORE II. MEMORIA del Socio Ordinario GIUSTINIANO NICOLUCCI letta nell’ adunanza del dì 10 febbrajo 1877 Giace la grotta Còla nel versante meridionale del monte Arunzo presso Petrella di Cappa- docia nella Provincia dell’ Abruzzo Ulteriore II.° i Il monte Arunzo, la cui più alta cima presso Petrella raggiunge l’altezza di 1456 metri, co- steggia a settentrione, da Capistrello a Cappadocia, la valle Nerfa, la quale è chiusa ad ostro dal monte Camiciola che s'innalza col suo vertice sul livello del mare fino a metri 1700. Il fondo della valle e le basse pendici de’ monti che la fiancheggiano sono ricolme di un’are- naria giallo-scura più o meno compatta, alternata a strati, spesso interrotti, di una marna ar- gillosa di colore azzurrognolo. I due monti sono propagini appennine formate da potenti strati calcari che si vedono soprap- posti gli uni agli altri con parallele e distinte stratificazioni; ma sì nell uno che nell’ altro monte le testate di quegli strati si presentano lacerate, e mostrano la loro comune direzione verso un angolo ideale che occupi il mezzo della valle. La quale disposizione fa giudicare quella valle non essere altro che una frattura prodottasi nell’atto del sollevamento di quella notevole fimbria appen- ninica. Petrella e Cappadocia sono al fine della valle Nerfa, la prima addossata alle falde del monte Arunzo, la seconda posta in una piccola elevazione dappresso al monte Camiciola. Fra Cappadocia e il monte ultimo nominato , dove la valle termina in una specie di cortina calcare, si trovano le sorgenti del Liri che scorre veloce e modesto nel fondo dell’angusta vallèa. Bellissima a vedersi è la origine di questo fiume dalle chiare, fresche e dolci acque. Da molte fessure di quella cortina calcare sgorgano abbondanti polle, delle quali alcune riunite in una con- ca naturale che giace in alto, con romoreggiante cascata precipitano in un sottoposto laghetto, mentre altre, libere nel loro corso, e serpeggiando per vie tortuose in mezzo a folti cespugli rag- giungono mormorando il piccol lago. Fra questo e la conca superiore dietro la piccola cascata è scavata nel masso una grotta, a sinistra della quale chi vi penetra ode un cupo e misterioso rumore, ma non tarda ad avvedersi, ATTI — Vol. VII. —N.° 11. 1 CONO angusti confini, ma accogliendo in suo cammino nuovi tributi , cresce ognor più di volume, e prende, dopo non lungo tragitto, l'aspetto che si addice ad un fiume. In quel punto ove giace la grotta Còla il monte Arunzo ha sofferto un notevole dislogamen- to. I suoi strati, deprimendosi a un tratto, s’ inchinano rapidamente in basso l uno verso l’altro, e producono un’ampia frattura traversale all'asse del monte, la quale appunto costituisce la grotta Cola. Ivi le testate degli strati fratturati sporgono in fuori dal dorso della montagna, e dànno ori- gine ad una specie di tettoia che offre un comodo riparo innanzi all ingresso della spelonca. Alla quale si ascende per sentiero malagevole, rimanendo essa molti metri superiore all’ ultimo terrazzo della valle che sta al piano del borgo di Petrella, che trovasi all’ altezza di 241 metri al di sopra del letto del fiume Liri. Due aperture dànno accesso alla grotta, inarcate entrambe, l'una a sinistra di chi vi giunge larga 4 ed alta metri 2,50, l'altra a destra della larghezza di metri 4,50 e dell’ altezza di me- tro 1,80, separata dalla prima per un pilastro di metri 4,50. Le due aperture immettono in una vasta galleria , il piano della quale si eleva gradatamen- te, ed ha la lunghezza di circa 60, e la larghezza quasi uniforme di 20 e«più metri. Presso il termine della galleria s' apre a destra un corridoio largo dapprima cinque metri, ma ristretto a misura che s'inoltra nel monte fino a divenire un piccolo pertugio oltre il quale non è più concesso ad uomo di spingersi innanzi. Questo corridoio, che è lungo circa 50 metri, si eleva anch'esso gradatamente fino al suo termine, presentando di tratto in tratto alcuni ripiani che hanno l’ apparenza di tanti antri presso a poco circolari. La sua volta quando più, quando meno abbassandosi, rende difficile il potervi' camminare in piedi, ed in molti punti è mestieri in- curvarsi e camminare quasi carponi. Un'altra apertura circolare, di circa 5 metri di diametro, s'incontra a sinistra della galleria a poco più di 20 metri dall’ ingresso, e si presenta come un baratro che si sprofondi negli abissi, non essendosi potuto determinarne la profondità. Raccontano in Petrella, che da quel baratro riu- qcisse vivo un cane che fu gittato in una vicina voragine dello stesso monte Arunzo che chiamano Corcamino. È una tradizione che è passata di età in età in quel paese, ma se abbia oppur no fon- damento di vero io non saprei giudicarlo. Tutto il suolo della galleria è sparso di grossi macigni divelti dall'alto, e fra l’un macigno e l’altro il suolo che rimane libero è ricoperto da un denso strato di stalagmiti che qua e là s' in- nalzano sotto forme le più strane e bizzarre. Dalla vòlta pendono egualmente innumerevoli sta- lattiti che con le loro punte acute o mamellonate tappezzano vagamente tutta quella vasta super- ficie. Di stalagmiti anche più potenti è ricoperto il suolo del corridoio che prolungasi a destra della galleria, ed ivi le stalattiti della vòlta si confondono con le stalagmiti che si elevano dal suolo, e formano in quel luogo di tenebre una serie di meandri divisi Y uno dall’ altro, come da colonne irregolarmente disposte. Le stalagmiti mancano per circa 15 metri dall’ingresso della galleria, ma forse furono tolte fin da quando quella grotta, ne’ primi anni del secolo che volge, fu convertita in nitriera. I vec- chi di Petrella ricordano quando la grotta era destinata a quell’ uso, e forse fu anche allora che le aperture furono chiuse con un muro in fabbrica di cui si osservano tuttora le vestigia. Là dove lo strato stalagmitico più non esiste trovasi accumulata una quantità considerevole di fina sabbia calcare di colore giallastro che viene adoperata a farne malta per fabbrica. Fu in mezzo a quella sabbia che nel 1866 alcuni contadini, cavando arena pe’ loro bisogni, alla pro- fondità di circa un metro e mezzo, e a quattro di distanza dalle aperture della grotta, rinvennero due teschi di orso speleo con altri ossami ridotti in frantumi. Que’ cranî che furono da me acqui- stati m' indussero più specialmente ad esplorare quella grotta, invitatovi premurosamente dal- l’amico mio signor Fabiano Blasetti, il quale mi assicurava che altri ossami si trovavano pure in diversi altri punti di quella spelonca. lo mi recai quindi in Petrella il 19 luglio dell’ anno caduto , e soccorso con ogni specie di Ele aiuti dal signor Blasetti, mi feci a ricercare gli avanzi animali che si contenevano ancora nella caverna. La gran galleria non mi presentò nulla all’ infuori di qualche frammento osseo nel punto stesso in cui erano stati rinvenuti i due teschi nel 1866, ma essendomi inoltrato col lume delle fiaccole nel corridoio a destra della stessa, facendo scavi in tutti quei ripiani che s'incontrano lungo il suo tragitto, n’ ebbi messe abbondante di reliquie di orsi spelei. Per rinvenirle fu me- stieri di rompere col piccone la dura stalagmite che ricopriva il suolo del corridoio, e sotto la me- desima, in mezzo a uno strato di sabbia calcarea giallognola, umidiccia, della spessezza di oltre un metro, si raccolsero tre teschi, undici mascelle, ed una quantità straordinaria di denti e di altre ossa appartenenti all’orso speleo. di Due de’ cranì, estratti in più pezzi, appartengono a vecchi individui , il terzo ad individuo giovanissimo. Le mascelle poi appartengono ad individui di età diverse, trovandosi fra esse di quelle completamente sviluppate, altre co’ denti di latte non ancora mutati, ed altri con denti non usciti ancora dagli alveoli. Insomma sono avanzi di individui di varia età da’ primi mesi della vita fino alla vecchiaia. Le stesse differenze di età presentano le altre ossa dello scheletro confuse insieme fra loro in tutti i punti ne’ quali fu praticato lo scavo. L’essersi molti individui trovati sepolti in angusto spazio, come in un cimitero, richiama naturalmente la nostra attenzione sul genere di morte che gli animali incontrarono nel loro ri- coVero. Si sa che gli orsi sono animali ibernanti, e che per buona parte dell’inverno vivono rinta- nati ne loro covili senza prender cibo , ed immersi in profondo letargo. Loro abitudine è quella di ricoverarsi molti insieme nelle loro tane, e quivi riuniti passare la maggior parte dell'inverno senza mai uscirne. Tale dovea anche essere la maniera di vivere degli orsi spelei. I quali, se nella grotta Còla si trovarono seppelliti insieme, contemporanea egualmente dovette essere la loro morte per qualche catastrofe che li distrusse tutti ad un tempo. La quale catastrofe io credo possano essere state correnti di acqua che, penetrate pel corridoio nella grotta, mentre gli orsi giacevano immersi nel loro sonno invernale, li involsero ne’ loro depositi, da’ quali non potendo più sprigionarsi, rimasero immersi in quella mota, e vi finirono miseramente i loro giorni. Le acque cariche di carbonato calcare che indi filtrarono per lungo volgere di secoli dalla volta della spelonca, e che vi filtrano tuttavia, formarono da ultimo quel denso strato di stalagmite che ricoperse uniforme- mente le sabbie accumulatevi dalle correnti, e nascosero agli sguardi di tutti gli avanzi di quegli antichi carnivori. Senza entrare ne’ minuti particolari delle singole ossa rinvenute, io darò qui sotto le misure soltanto del cranio, de’ denti e delle ossa lunghe di un orso adulto , perchè se ne possa dedurre la grandezza della statura che raggiunsero questi animali nelle nostre contrade. Vi aggiungerò le misure comparative delle undici mascelle raccolte, perchè dalla loro gran- dezza si argomenti l’età relativa degli individui a’ quali appartenevano. Nè credo potersi ammettere il dubbio che la diversa grandezza delle mascelle accenni a di- versità specifica de’ carnivori abitatori della grotta Còla, perciocchè tanto la estensione del dia- stema fra i canini e il carnassiere superiori ed inferiori, quanto la forma de’ denti medesimi non permettono di riferire queste mascelle che ad una specie di orso, all’ Ursus spelaeus. Écranio Larghezza del cranio fra le due arcate zigomatiche Altezza della stessa fra il 2° e 3° dente molare . Lunghezza dell’ apofisi coronoide . Larghezza della stessa DH"Denti Canino superiore . . . . lunghezza ‘) — inferiore Ferino superiore — inferiore 1° molare superiore — inferiore 2° MOLA SUPETIONEMM DERISO — inferiore 3° molare superiore x — inferiore mm. Ossa del membro pettorale 380 330 040 080 135 nino Oimnero 4 * 0) 104 Mt RE RR OPA SECO PER VOTI Cubito. Carpo . Metacarpo Dita Ossa del membro addominale EemMore: Le I Tibia Tarso . Metatarso . Dita 1) La lunghezza de’ canini è misurata in linea retta dalla punta della radice all’ apice. Negli altri le misure sono superficiali. 430 280 085 090 128 Lunghezza del cranio dall’ orlo mascellare anteriore alla cresta occipitale. Lunghezza della mascella dall’ orlo alveolare anteriore all’ apofisi angolare Misure di 11 mascelle di orsi spelei dii diversa età D dale cl i ie 1 mm. 270 mm. 66 2 240 D4 3 239 4 4 180 36 a) 178 599) 6 175 34 7, 165 31 8 160 34 150 34 10 111 28 iii 80 18 Quando si scoprirono presso Odessa gli avanzi dell'Orso delle caverne destò sorpresa ne’na- turalisti stranieri che quella specie si fosse estesa fin presso al 45° parallelo meridionale. Ma fu una sorpresa non giustificabile, perchè già il Nesti (1823) e il Savi (1825) aveano anch’ essi rac- colti il primo nell’ Isola d’ Elba, e il secondo presso la Spezia i resti dell’ orso speleo. Nondimeno fino a pochi anni addietro si tennero que’ luoghi come i confini più meridionali cui si fosse inol- trata quella specie di carnivori (Lioy, Escursione sotterra, Milano, 1868, p. 306 ); ma le ricerche del paleontologo che fu decoro di questa nostra Accademia, 0. G. Costa, rivelarono la esistenza di questo plantigrado in contrade ancora più meridionali, avendone egli rinvenute reliquie in una grotta di Cassino (1864), ed in un’altra di Campagna (1866). Per verità la mascella figurata nella Tav. 1% che accompagna lo memoria del nostro Socio sulla grotta di Campagna (Atti della Reale Accademia delle Scienze fisico-matematiche , vol. III) sembrami appartenere, come parve ancora al Forsyth Mayor (Att: della Società Italiana di Scienze naturali, vol. XIV, p. 374), al- lUrsus arctos, ma i denti raccolti nella grotta di Cassino non lasciano alcun dubbio sulla de- terminazione della specie, la quale è certamente quella dell’ Ursus spel@us. La scoperta del Costa allarga ancor più i limiti meridionali di questa specie, e li fissa fin’ora a 41,45 di latitudine. La latitudine in cui noi abbiamo trovato l’ orso speleo nella grotta Còla è quella di 42,20, e questa circostanza ci fa giudicare che l'orso delle caverne non fu per eccezione che si è trovato nelle regioni meridionali, ma che visse e prosperò presso di noi come nelle contrade settentrio- nali. Il quale fatto ci riduce ad ammettere l’ altra opinione, che nell’ epoca postpliocenica anche appo noi il raffreddamento del clima fu così notevole da poter fornire confacente soggiorno ad animali appartenenti ad una fauna settentrionale. Dopo la scomparsa degli orsi delle caverne la grotta Còla rimase deserta, e niun vestigio di altro animale vi si è incontrato che facesse supporre che la fosse divenuta ricovero di altri esseri viventi. Molti e molti secoli passarono prima che essa rivedesse novelli abitatori, e che l’uomo ancora selvaggio vi ponesse sua dimora, lasciandovi tali vestigia da non poterne fare rivocare in dubbia la sua presenza. a. L'uomo abitò dappresso all’ apertura della spelonca , e più sovente soggiornava sul vesti- bolo della stessa dove si raccolse il maggior numero degli oggetti ad esso appartenenti, benchè se ne trovassero ancora, quantunque in minor numero, nell’ interno della grotta. Lungo la gran galleria si raccolsero frammenti di stoviglie più o meno spesse che accennano a grossi vasi. Quasi tutti i frammenti hanno la spessezza di 16-20 mm., e talvolta mostrano es- sere parte di vasi che non avevano meno di 50 centimetri di diametro Tio espansione maggiore del loro corpo. La loro pasta è formata di argilla mista a granelli di quarzo ed a fogliette sn mica. Si conosce che sono fatti a mano; sono ove più ove meno grossi, e la loro cottura è assai imper- fetta, più nella superficie interna che nella esterna. In maggior copia i frammenti di stoviglie erano riuniti a circa 20 metri di distanza dalle aperture della grotta, in una specie di cella ‘tutta ricinta di stalagmiti che, sollevandosi in alto, raggiungono le stalattiti pendenti dalla volta, e vi formano intorno come una muraglia naturale. Forse era quello un luogo in cui si ponevano in serbo le provvigioni. I vasi che si spezzavano erano lasciati ivi in abbandono, e così potè accu- mularvisi quella quantità straordinaria di frammenti che noi vi abbiamo rinvenuti. Altri frammenti di stoviglie si raccolsero sul limitare della spelonca e forse altri moltissimi andarono dispersi allorchè fu costruito quel muro che chiudeva l’ entrata della grotta quando questa fu addetta alla produzione del nitro. I cocci che si trovarono in questo luogo non presentano la spessezza di quelli dell’ interno della grotta, ma sono formati dello stesso impasto, sono fatti a mano come quelli, e anch’ essi notabilmente imperfetti nella cottura. Taluni sono di color nero, uliginoso, affumicato, altri di co- lore rossastro, e sono i più sottili, i quali hanno subito una cottura maggiore. Gli orli che vi si osservano o non offrono spessezza, nè risalto maggiore del corpo del vase, o sono lievemente volti all’ esterno, o presentano alcuni tubercoli appianati posti a qualche ‘di- stanza gli uni dagli altri. Diversi pure i manichi de’ vasi. Alcuni son Sane da cordoni che, volti in semicerchio, sono appiccati verticalmente presso all'orlo del vase, altri sono 4 spesse 50 millimetri, piane all’ esterno, convesse all interno, disposte orizzontalmente in semicerchio presso l’ orlo del vase; altri formano papille più o meno grandi e sporgenti poco più di un centimetro dalla superficie del vase. Scavando in quello stesso luogo, alla profondità di circa un metro, si rinvennero frammenti di carboni, un pezzo di arenaria arrossita dal fuoco con cenere, cocci combusti e terra bruciata; elementi i quali riuniti permettono di giudicare, che quello fosse stato il focolaio di cui si servi- vano gli antichissimi abitatori della grotta Còla. Mentre eseguivasi questo scavo insieme con altri frammenti di stoviglie vennero anche fuora diverse selci lavorate. Altre ne erano state raccolte precedentemente dal sig. Fabiano Blasetti, che vi trovò pure alcune ossa lavorate. Consistono queste ultime in un frammento di ago di osso, non più lungo di 24 millimetri, ed in un lisciatoio calcinato , spezzato in mezzo , e formato con parte di un osso lungo di bue o di cavallo. Esso è lungo 51 millimetri, largo 18; ha la spessezza di 6 millimetri, ed è assotti- gliato e arrotondato in ambe le estremità. Le pietre lavorate sono un frammento di un delicato coltellino di selce del colore del latte, ed altri coltelli, neppure interi, di selce brunastra; un sottile raschiatoio, quasi circolare, deli- catamente ritoccato in tutta la superficie, altri raschiatoi non interi; un nucleo dal quale si ve- dono staccate parecchie schegge, ed un frammento di scure levigata di serpentino. Il frammento è la parte inferiore o tagliente dell’ accetta, logorata e smussata per lungo uso. Il taglio n’ è ad arco di cerchio, ed ha la larghezza di millimetri 54. Oltre a quelle pietre lavorate si raccolsero pure molte schegge silicee informi ed alcuni ro- gnoni della stessa pietra. In altra grotta presso a quella di cui abbiamo discorso fino ad ora, e la cui apertura è ri- parata anch'essa dallo stesso strato sporgente del calcare appennino che protegge il vestibolo della dA il grotta Còla, pratticandosi scavi così all’interno, come nel suo limitare, se nulla si rinvenne al- l'interno della grotta, innanzi l’entrata della medesima, alla profondità di circa un metro e mez- zo, si raccolsero schegge di selce, carboni, stoviglie frammentate, pezzi di arenaria arrossita dal fuoco e terra bruciata e ceneri all’ intorno : indizì tutti di un focolaio che era stato anche ivi ac- ceso durante l'epoca della pietra. La stessa terra bruciata , ed arenaria arrossita e cocci, ed un orcioletto intero con un foro nel suo manico per essere sospeso si raccolsero dal signor Blasetti in altra grotta che chiamasi del Peschio Orlando a circa mezzo chilometro a monte della grotta Cola. Quasi nel mezzo della gran galleria di quest ultima si rinvenne ancora un osso occipitale umano appartenente ad individuo adulto, levigato nella superficie esterna fino a scomparirne quasi affatto la tuberosità e le linee trasversali e la spina occipitale. Un’ altra levigatura osser- vasi pure nell’ orlo lambdoideo sinistro ove, prima con tagli, indi con fregamento sono fatte scomparire le dentellature marginali. L’osso è di ben alta antichità. Ha un colore nerastro nella superficie, aderisce fortemente alla lingua, ed ha un aspetto di quasi fossilizzazione. Non è intero, perchè manca dell'angolo de- stro e della parte che forma l'orlo posteriore del forame occipitale. All’infuori di quest osso non fu rinvenuta traccia di altra parte di scheletro umano. A quale epoca rimonti non è facile poterlo determinare, ma probabilmente dev’ essere con- temporaneo de’ trogloditi della suprema vallata del Liri. Gli abitanti della grotta Còla dovettero servirsene come utensile, e a questo scopo lo lavora- rono. Probabilmente se ne servirono come lisciatoio, 0 per lisciar vasi, o per ispianare le cuci- ture delle pelli. Non è questa certamente una pruova del rispetto che eglino avessero pe’ loro defunti, ma possiamo noi da questo solo indizio argomentare che eglino fossero stati antropofagi? La con- gettura mi parrebbe troppo ardita, ed io non oso nè di proporla, nè di sostenerla. Ben posso però avere per certo, che la grotta Gòla, e le altre che le sono dappresso furono abitate dagli uomini nell’età neolitica; che eglino le occuparono quando già gli orsi spelei che vi avevano trovato ricovero erano scomparsi, ed uno strato stalagmitico nascondeva i loro a- vanzi agli sguardi de’ nuovi occupatori. I quali in quelle caverne da essi scelte a dimora trova- rono le condizioni più favorevoli per abitarvi, cioè esposizione meridiana , acqua limpida e pe- renne nelle vicine sorgenti del Liri, e folti boschi di querce, di faggi, di castagni che lor for- nivano spontaneamente frutti per alimentarli, ed opportunità di esercitare la caccia dalla quale i nostri antichissimi progenitori traevano gran parte de’ loro alimenti. Dopo quell’epoca la grotta Còla fu abbandonata, e non v'è indizio che fosse stata mai più abitata dall’ uomo ne’ secoli po- steriori. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE A E Metà sinistra della mascella di un orso speleo. Tavo DD Fig. 4. 2. — Coltellini di selce. Fig. 3-6. — Raschiatoi di selce. Fig. 7. — Frammento di accetta levigata di serpentino. Fig. 8. — Frammento di ago di osso. Fig. 9. — Lisciatoio di osso. Tav. III. Fig. 4. — Osso occipitale umano ridotto a lisciatoio. 7] Fig. 2. — Frammento di vase che mostra la forma del suo orlo. Fig. 3. — Altro frammento di vase con manico mamellonato. Fig. 4. — Manico di altro vase. Fig. 5. — Piccolo orciuolo rinvenuto nella Grotta del Peschio Orlando. Tutti gli oggetti sono stati riprodotti nella loro grandezza naturale. 10 marzo 1877 Fis. eMat Vol VI NU, Zav./. o Scienze FP LIGY 44 > và, sa 07287277 PAC, iù Atti dell'Accad delle Scienze fis. e Mat. Vol VINI Tav. LI PL Abbate dis. Michter e C° a ACADIYE ( — Ds d Ò LIBRARY,Î È [I K c£Ù, & weivol. VII. N. 12 ) ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SULLE PRESENTI CONDIZIONI DELLA METEOROLOGIA ELETTRICA MEMORIA del Socio Ordinario LUIGI PALMIERI letta nell'adunanza del dì 14 aprile 1877 ANO fn Le indicazioni avute fin’ora dall’ elettricità atmosferica, sopra tutti gli apparecchi usati per esplorarla e misurarla, non sempre sono state bene interpretate, e quindi è nata una certa con- fusione, la quale non ha fatto progredire la meteorologia elettrica quanto avrebbe dovuto, spe- cialmente dopo la invenzione dell’ elettrometro bifiliare usato col conduttore mobile. Mi propongo dunque di mostrare il vero significato delle indicazioni e delle misure che si hanno dagli stru- menti adoperati fin’ ora per vedere quale di essi meglio corrisponda al suo scopo. Ma prima di entrare in questo argomento è mestieri che io dica qualche cosa sulle leggi delle induzioni elettrostatiche, giacchè, come appresso si dirà, l' elettricità atmosferica opera per induzione, o vogliam dire per influsso sopra i conduttori esposti all’ aria libera, e non per contatto. Tutti sanno che un conduttore isolato messo in prossimità di un corpo elettrizzato, essendo l’aria secca, assume due stati elettrici opposti, nella parte anteriore cioè , o più vicina al corpo elettrizzato (attuante ), si ha elettricità contraria a quella dell’attuante o inducente, e nella parte posteriore elettricità omologa o omonima a quella del medesimo, con una linea neutra tra mezzo. I fisici vedendo divergere i pendolini sospesi tanto verso l’uno quando verso l’altro estremo del conduttore, che diremo attuato o indotto, reputarono libere o di tensione entrambi queste elettri- cità; ma il M elloni poco prima di morire venne nella nostra Accademia a dichiarare che di quelle due elettricità una sola, la omologa, è libera, cioè dotata di tensione, e l’altra è dissimulata. Io vidi le sperienze con le quali l'illustre fisico provava il suo assunto , e gli feci alcune obbiezioni ch'egli trovò ragionevoli, e se il fiero morbo asiatico non lo avesse spento, chi sa quali altre in- dagini avrebbe istituite. L'Accademia intanto avea nominata una Commissione, la quale dovesse fare un rapporto sulla memoria del Melloni, ed essendo a me toccato l’onore di redigere questo rapporto, quando il mio illustre amico era già estinto, mi espressi in modo da mostrare che la vecchia dottrina se non poteasi ancora dichiarare del tutto erronea, era per lo meno infirmata in guisa da meritare di essere meglio presa in disamina. I fisici non potevano rimanere indifferenti a questo colpo che il Melloni avea dato ad un teo- rema fondamentale di elettrostatica, e però tosto si divisero in propugnatori ed in avversarii della nuova dottrina. Fra i primi ricorderò il nostro Socio Antonio Nobile che presentò all’ Acca- ATTI — Vol. VIL—N.° 12. 1 NI demia una memoria in difesa della dottrina del Melloni, ed il Prof. Paolo Volpicelli che tanto ha lavorato e scritto per sostenerla. Incaricato a riferire sulla memoria del Nobile, feci dal canto mio alcune sperienze, dalle quali tirai conclusioni che le numerose indagini del Volpicelli e le poche altre da me posteriormente eseguite non hanno sostanzialmente modificate. Ma prima di esporre queste mie conclusioni è mestieri che io dica che cosa intendo per tensione e che per elet- tricità dissimulata, seguendo ed interpretando i fisici che usarono siffatte espressioni. È un fatto che un corpo per qualsiasi modo elettrizzato torna più o meno prontamente allo stato naturale: l'isolamento può, quando sia Il migliore possibile, dare un maggiore ritardo, ma non impedire che il fatto si avveri. È del pari sicuro che un corpo elettrizzato, sia per contatto sia per altri modi, scintilla ecc., può a scapito della propria elettricità elettrizzare de’ conduttori isolati. Quindi si è detto che l'elettricità si comunica al suolo o a’ corpi circostanti. Se con questa espres- sione volete significare il fatto al quale abbiamo accennato, dovete guardarvi dal dare ad essa una significazione letterale, imperciocchè creerete degli equivoci. Supponete che la medesima venga usata dai seguaci di Franklin e di Volta. Per costoro un corpo positivamente elettrizzato non può tornare allo stato naturale senza comunicare a’ corpi circostanti quell’eccesso di elettri- cità di cui gode; ma se questo corpo sia negativamente elettrizzato, dovrà prendere elettricità dai corpi circostanti, cioè questi dovranno comunicare ad esso quella elettricità di cui è privo. Pren- diamo ora la ipotesi simmeriana. Un corpo vitreamente elettrizzato può ritornare allo stato natu- rale sia sperdendo sopra i corpi circostanti quell’ eccesso di fluido vitreo che possiede, sia rice- vendo da essi altrettanto di elettricità resinosa. In simil guisa ragionerete per un corpo resinosa- mente elettrizzato. Che cosa dunque avviene veramente non si può dire. În questa scuola dualistica che i nostri sommi elettricisti fino al Belli non seguirono, e che ha dovuto anche essere da’ suoi fautori modificata per renderla meno assurda, si è costretti a soste- nere certe conseguenze che alla retta ragione interamente ripugnano. Prendiamo ad esempio la dottrina delle punte; queste secondo i simmeriani sono come i fori fatti nelle pareti di un vase in cui sì ponesse un liquido; per cui un conduttore armato di punte non può mantenere il fluido elettrico che sul medesimo fosse accumulato : per esse dunque l’elettrico sgorga, e quando siffatto sgorgo è di fluido vitreo, nel bujo si osserva il fiocco, e la stelletta se sia di fluido resinoso. Così sulle punte de’ pettini del conduttore della macchina elettrica attivata nelle tenebre, le stellette dinotano la elettricità resinosa che uscendo da queste va a neu- tralizzare la vitrea del disco ricomponendo in esso il fluido neutro, e se una punta sia collocata sull’estremo opposto, questa col fiocco vi dirà che di là esce l'elettricità vitrea ; cosicchè quel po- vero conduttore pe’ suoi due estremi perde ad un tempo entrambi i famosi fluidi da rimanerne depauperato. Accetti chi vuole questa conseguenza così strana. Ma ciò non è tutto : se avrete un conduttore con punta e lo elettrizzate di elettricità resinosa, su quella punta vedrete la stelletta la quale dinota il fluido resinoso che esce, ma se il conduttore sia privo di punte e gli accostiate una punta metallica in comunicazione col suolo, questa col fiocco vi dirà che la elettricità vitrea ve- nendo dal suolo va ad unirsi alla resinosa del vostro conduttore. Questo dunque poco prima ten- deva a sperdere la propria elettricità predominante, ed ora tende a ricevere l’opposta. Che se poi il conduttore anzidetto conserva ancora la sua punta, la stelletta di questa ed il fiocco dell’ altra dicono che il conduttore e dà e riceve nello stesso tempo. Dopo ciò veggano i simmeriani se si possa dare un significato preciso alle espressioni elettricità che passa e si comunica '). !) Tutti sanno che le punte presentano nel buio il fiocco o la stelletta: nella dottrina unitaria il fiocco esprime emissione e la stelletta assorbi- mento di elettricità: nella dottrina simmeriana poi il primo dinota emissione di fluido vitreo, la seconda emissione di fluido resinoso. In questa dottrina dunque le punte sempre emettono e non assorbono mai. quindi non so intendere come il Volpicelli dualista possa dire, che 7 potere delle punte consiste in ASSORBIRE lu elettricità che si trova sugli altri corpi e DISPERDERE quella pure libera che si trova sopra i corpi cui le punte sono applicate. Figuriamoci un conduttore isolato ed elettrizzato di elettricità resinosa; se sopra di questo si trovi una punta vedremo nel buio una stelletta la quale dinoterebbe emissione, ma se questo conduttore sia a stato naturale e prossimo ad un corpo vitreamente elettrizzato quella punta vi mostrera anche la stelletta e frattanto ci ha assorbimento, così Jo stesso fenomeno dovrà significare due cose opposte. I simme- rianì invece vi dicono che quella stelletta indica sempre emissione di fluido resinoso, che nel primo caso si sperde nell’ambiente e nel secondo va a neutralizzare il vitreo del corpo vicino per ricomporre il fluido neutro. Poichè ciascuno de’due fluidi elettrici repelle se stesso, e quindi ha ten- sione, nel senso del Volpicelli e di altri, e poichè le punte si possono considerare come poli di ellissoidi allungati di eccentricità infinita, così la a L’antica scuola italiana con la dottrina di un solo fluido evitava per lo meno cotesti paradossi ed era esente da equivoci, imperciocchè il corpo positivamente elettrizzato non ha che un modo solo di tornare allo stato naturale , il quale consiste nel comunicare veramente il suo eccesso al suolo o a’corpi circostanti, e le punte co’ fiocchi dicono l'elettricità che esce. Così del pari se un corpo sia negativamente elettrizzato non può tornare allo stato naturale senza ricevere dal suolo e da’ corpi circostanti quella elettricità di cui è privo, e la stelletta sopra una punta metal- lica appartenente ad esso indica appunto la elettricità che entra. Il corpo adunque in istato nega- tivo non comunica la sua elettricità ma ne riceve, e se la parola si usa si deve prendere in un senso improprio, come quando diciamo che un corpo a bassa temperatura comunica il freddo a quelli che tocca qualora la temperatura de’ medesimi fosse più elevata. Allorchè due corpi si strofinano si elettrizzano di elettricità contrarie: ora i simmeriani di- cono che il fluido neutro si scompone e l’elettricità vitrea si raccoglie sopra di uno e la resinosa so- pra dell’altro ; ma se questi restando tra loro in contatto tornano allo stato naturale, per ricom- porsi, il fluido neutro ci dovrà essere comunicazione scambievole. Gli unitarii per contro vi di- cono che quando due corpi si strofinano uno dà elettricità all’altro, onde quello resterà negativa- mente elettrizzato e questo lo sarà positivamente, e però pel ritorno allo stato naturale dovrà avverarsi il passaggio inverso. Nella sola dottrina unitaria dunque si può, almeno senza offendere la logica e senza creare equivoci, dire come è quando la elettricità passa o si comunica, ecco perchè il suo linguaggio ha dovuto da tutti essere accettato in elettrodinamica ove la corrente sì considera diretta dal polo positivo al polo negativo della pila nel circuito esteriore. Che se lasceremo in disparte questi fluidi ipotetici, considerando i due stati elettrici come modi di essere della materia, allora resteranno i fatti sopra indicati senza dare alle frasi usate per esprimerli un significato letterale. Ciò posto, se un corpo elettrizzato non mantiene la sua energia elettrica al medesimo grado, ma più o meno rapidamente la scema o la neutralizza a seconda delle condizioni nelle quali si trova, non può negarsi lo sforzo, il conato o la tendenza a neutralizzare siffatta energia, e cotesto conato appunto costituisce la tensione che in fondo non differisce dal potenziale '). Essa si rivela principalmente con le leggi dell’influsso per le quali il corpo elettrizzato eccita nelle parti più pros- sime de corpi circostanti uno stato elettrico contrario, dal quale nasce l’attrazione scambievole o tendenza ad accostarsi, la quale è fenomeno esprimente la tensione che può essere misurata dalla intensità di della forza attrattiva. L’aver voluto ritenere la sola ripulsione come indizio di tensione elettrica è derivato dall’ aver voluto considerare l’ elettrico come un fluido elastico raccolto sulla superficie de’ corpi con tendenza ad espandersi a guisa di un aeriforme compresso in un recipiente. Ma se prescindiamo da tutte le ipotesi e riduciamo il concetto di tensione alla tendenza alla sca- tensione sulle punte divenendo anch'essa infinita fa sì che il fluido in esse accumulato sgorghi, ond’è che i simmeriani non danno alle punte al- cun potere assorbente, giacchè la tensione è considerata come energia repulsiva. I due fenomeni del fiocco e della stelletta debbono indicare due cose diverse, e le due scuole hanno per lo meno il merito di avere soddisfatto a questo bisogno della logica, imperciocchè la scuola unitaria vi dice che il fiocco esprime elettricità che esce e la stelletta elettricità che entra, onde il primo deve apparire sulle punte in qualsivoglia modo po- sitivamente elettrizzate e la seconda sulle punte elettrizzate negativamente. La scuola dualistica si appoggia al doppio fenomeno per sostenere la differenza de’due fluidi uno dei quali, il vitreo, esce in forma di fiocco o pennacchio e l’altro, il resinoso, in forma di stelletta. Le parole del Volpicelli più sopra notate potrebbero avere un significato preciso solo nella scuola unitaria, ch’ egli non segue, ma nella dualistica non si possono accettare senza falsare la scuola e renderla anche più assurda di quello che è. Ma sia come si voglia, se tra l’attuante e l’attuato non vi sia quella grande distanza che il Volpicelli domanda e l’influsso sia energieo ab- bastanza, una punta nella parte anteriore dell’attuato mostrerà la stelletta o il fiocco secondo che l’attuante sia positivo o negativo, e questa punta sarà equivalente ad una comunicazione più o meno imperfetta tra l’attuante e attuato : una punta nella parte posteriore del conduttore attuato nel primo caso, cioè dell’attuante positivo, vi presenterà il fiocco e nel secondo la stelletta, e sempre questa punta equivale ad una più o meno imperfetta comunicazione col suolo. Che il Volpicelli domandi l’ambiente secco lo intendo, ma che voglia una rispettosa distanza tra l’attuante e l’attuato, io non lo so intendere; giacchè il fatto riuscir deve più cospicuo quando la distanza è minore e quindi l’influso più poderoso. Se le punte secondo il Volpicelli assorbono la elettricità libera che si trova sugli altri corpi,le punte dell’indotto prossimo all’inducente dovranno per lo meno assorbire la elettricità di questo, e quindi la indotta contraria non potrà rimanere inalterata. Sparita dunque almeno in parte la indotta di prima Specie sarà libero a’simmeriani ed a’ francliniani di dare a lor modo la interpretazione del fatto, e resterà il conflitto scambievole o la tensione tra l’attuante e l’attuato. 1) On appelle potentiel d'uncorps électrisé l’indication d’une balance de torsion, ou d’un électrométre, mis en communication avec le corps par un fil long e fin.— Abria, Théorie elementaire du potentiel electrique. Bordeaux 1876. SI LR rica per la quale si avvera ciocchè si è voluto dire comunicazione elettrica, allora l’ attrazione tra il corpo inducente e l’indotto sarà la più legittima manifestazione della tensigne. L'essenza della tensione elettrica dunque è riposta nella virtù d’ indurre, per modo che se il corpo elettrizzato non inducesse elettricità contraria ne’ corpi circostanti, mancherebbe il primo fenomeno della elettricità statica ch'è quello dell’ attrazione de’ corpi leggieri '). Per la qual cosa senza energia induttiva non ci ha tensione. Quando il corpo non ha virtù di esercitare influsso sopra qualsiasi altro corpo esso sarà a stato naturale, ma se la sua virtù induttiva perchè diretta esclusivamente verso di uno non può esercitarsi verso degli altri, si dirà che la sua elettricità è dissimulata per rispetto a questi. Lo stato naturale dunque importa la incapacità assoluta d’ in- durre, e la dissimulazione la incapacità relativa. Così del pari diremo elettricità libera o di ten- sione assoluta quella che può esercitare influsso per ogni verso, e dissimulata quella che ha solo una tensione relativa. La elettricità dunque tende verso que’ corpi che subiscono il suo influsso, e questa tensione è reciproca come l'attrazione che ne deriva, ed è ad essa proporzionale. Se per misurare la%ten- sione si ricorse più spesso alla ripulsione che all’attrazione, ciò fu per ragioni di comodità, ma è noto che le attrazioni e le ripulsioni elettriche son governate dalle stesse leggi. La tensione dun- que è energia induttiva, e posta l’ induzione viene l'attrazione ed è possibile la scarica, per cui molti considerarono la tensione come il conato, la tendenza o /o sforzo col quale un corpo od una sua parte, tende a neutralizzare co’ corpi circostanti la propria carica elettrica (Cantoni). Il primo segno della tensione dunque è l’ attrazione e poi la ripulsione. Che anzi ci ha chi crede che la ripulsione dipenda dall’attrazione de’ pendolini verso l’ambiente laterale ove la loro virtù induttiva eccita elettricità opposta. Comunque sia elettricità statica o di tensione diremo quella che si manifesta co’ segni dell’attrazione o della ripulsione. Se la tensione è preludio e conato alla scarica, quando questa si avvera, dalla elettricità statica si passa alla dinamica, e se la sca- rica possa riuscire continua per la natura della sorgente, si avrà ciò che più propriamente si dice corrente elettrica. Ogni elettricità dinamica suppone una tensione polare precedente, senza la quale la corrente non potrebbe aversi, e quando questa tensione è più grande la corrente che ne deriva sì dice anch'essa dotata di maggiore tensione, così questa voce usata in elettrostatica venne an- che adoperata in elettrodinamica. Ciò posto veniamo alla quistione del Melloni. Questo illustre fisico mi dicea che da giova- netto, quando studiava elettrostatica, non sapea persuadersi come il conduttore attuato messo in comunicazione col suolo per lo estremo più prossimo all’ attuante non dovesse perdere la elettri- cità contraria quivi richiamata. Io facea notare che i fautori della dottrina antica poteano rispon- dere che quando l’ attuato è messo in comunicazione col suolo si viene a formare un altro con- duttore di enorme grandezza, di cui tutto il conduttore primitivo rappresenta la parte prossima all'attuante. Ma senza ripeter qui tutto quello che si potrebbe dire pro o contra, il certo è che quella elettricità contraria non tende verso il suolo o i corpi circostanti, e se la tensione si riduce alla energia induttiva, senza la quale la scarica è impossibile, è giusto il conchiudere che la in- dotta contraria o di prima specie sotto questo aspetto o è dissimulata 0 si comporta come lo fosse n quello che la indotta omologa o di seconda specie, essendo chiaramente dotata di virtù indut- tiva, deve reputarsi libera o di tensione. Ma cotesta dissimulazione della elettricità indotta di orima specie è assoluta o relativa? La dissimulazione assoluta o la mancanza totale di energia induttiva costituisce lo stato naturale de’ corpi, siccome di sopra è detto. La indotta dunque di prima specie induce a sua posta per riazione o reciprocità di conflitto sull’attuante, e quindi tende verso di esso. Siffatta tensione è conato, condizione e preludio alla scarica ?). Ma avvenendo la scarica per iscemata distanza, o anche per contatto, quale delle due elettricità passa ? Questo poi L'attrazione elettrica ha luogo sempre tra corpi elettrizzati di elettricità contrarie, sebbene una di esse possa essere provocata per influsso. interviene lo stesso per l’attrazione magnetica, nella quale un polo può sul ferro dolee eccitare o indurre la polarità opposta, senza la quale non i sarebbe attrazione. 2) o non intendo di dire l’ultima parola sulla quistione, ma di fermare alcuni fatti de’ quali ho bisogno per interpretare quelli della elet- icita atmosferica. — I) — nessuno può dirlo se non ricorre al linguaggio delle ipotesi. Gli unitarì rispondono che il pas saggio avviene dal positivo al negativo; onde se la indotta di prima specie sia positiva per- chè quella dell’ attuante è negativa, l'elettricità passerà dall’attuato all’ attuante; interverra | op- posto se l’attuante sia positivo. Pe’ dualisti poi non ci ha risposta sicura, giacche il fluido neutro si può ricomporre in più modi. Poniamo che l’attuante abbia eccesso di fluido vitreo, questo ec- cesso ha potuto avvenire o perchè abbia ricevuto siffatto fluido da un altro corpo, o perche gli e stato tolto del fluido resinoso. Così avviene che quando un conduttore attuato si pone anche per un istante in comunicazione col suolo, al fire dell’ influsso mostrasi elettrizzato di elettricità pro- pria contraria a quella dell’ inducente, e ciò perchè ha perduto il fluido omologo a quello del me- desimo inducente. Se dunque l’attuante diè fluido vitreo all’attuato, questo neutralizzando il resi- noso indotto resterà col vitreo indotto di seconda specie, cioè vitreamente elettrizzato. E se l’at- tuato desse fluido resinoso all’attuante, gli effetti sarebbero gli stessi, l’attuato cioè avrebbe ec- cesso di elettricità vitrea, e l’attuante nel primo come nel secondo caso avrà perduta una parte della sua carica. Potrebbe finalmente darsi l’una e l’altra cosa insieme. Una punta sull’attuante di rincontro all’attuato, col fiocco nel bujo, direbbe che il fluido vitreo passa dall’attuante all’ attuato, ed una punta nella parte anteriore di questo mostrando la stelletta dinoterebbe il fluido resinoso che passa dall’attuato all’attuante. Ed entrambi le punte insieme farebbero concludere al doppio passaggio. Quello dunque che solo mi pare sicuro è che la inducente e la indotta contraria hanno una tensione reciproca, e che la indotta contraria non abbia virtù induttiva sensibile per gli al- tri corpi circostanti '), come non l’avrà neppure dopo sparita l’omologa, perchè allora la sua mag- giore energia induttiva rivolta sempre verso l’attuante farà che anche questo perda quella che prima avea, dissimulando più o meno completamente la carica o la tensione primitiva. Quello ch'è più malagevole a diffinire è se la indotta contraria di prima specie tenda in sè stessa, ovvero se si manifesti con virtù ripulsiva ne’ pendolini posti nella parte anteriore dell’ at- tuato. Nel modo antico di fare l’esperienza cioè col cilindro indotto orizzontale, si vede che i pen- dolini mentre corrono verso l’attuante divergono tra loro: il primo fatto accennerebbe alla loro elettricità contraria ed il secondo alla loro virtù ripulsiva che, come si è detto in nota, il Melloni attribuisce alla elettricità omologa. In occasione della disamina della memoria del Nobile posi l’indotto verticale, come più tardi fece anche il Riess. Posto dunque un cilindro di ottone isolato verticalmente sopra un corpo elettrizzato, vidi i pendolini posti nell’estremo inferiore divergere tra loro: messo l’attuato in comunicazione col suolo, la divergenza de’ pendolini divenne maggiore. Tra que’ pendolini introdotto orizzontalmente un filo metallico tenuto con la mano e quindi attuato a sola elettricità contraria a quella dell’inducente e però omologa a quella de’ pendolini, la diver- genza di questi notevolmente cresceva. So che il Volpicelli più tardi per dar ragione di questi fenomeni ha fatto ricorso alla induzione curvilinea, cioè alla elettricità dell’ aria circostante , ma badi che per tal modo , come sopra io dissi, si potrebbe giungere ad impugnare ogni ripulsione. fo non so veramente intendere come con la induzione curvilinea sì possa dar ragione della mag- giore divergenza de’pendolini, ponendo l’attuato in comunicazione col suolo ed introducendo tra essi un conduttore non isolato. Tutto invece s' intende con la tensione reciproca o relativa. Per me basta affermare quello che si osserva, giacchè io non sono entrato in questa quistione per esaurirla, ma per fermare alcuni fatti, senza de’ quali le indicazioni della elettricità atmosferica non sì possono intendere. A” fatti or ora esposti ne voglio aggiungere un altro. Nel fare l’esperien- za della danza elettrica spesso interviene che il fantoccio di midollo di sambuco rimanga ritto sulla lamina metallica inferiore senza essere elevato , per poca efficacia della carica della lamina su- periore : se stando così le cose voi gli accostiate un dito, vedrete che il fantoccio sarà respinto, perchè esso ed il dito sono entrambi dotati di elettricità contraria a quella della lamina inducen- 1) La virtù induttiva della elettricità indotta di prima specie, posto che vi sia, non potrebbe palesarsi sopra i conduttori vicini, perchè so- pra di questi prevale 1’ azione del corpo inducente. Il Melloni sosteneva che i pendolini posti nella parte anteriore dell’ attuato divergono non per la elettricità contraria a quella dell’ attuante, ma per elettricità omologa, e questo lo dimostrava riparando que’ pendolini con una lamina conduttrice comunicante col suolo; ma i pendolini riparati dall’ influsso immediato dell’ attuante rappresentano non la parte più prossima al- l'attuato ma la più remota. SI 20 te. Questo fatto mi condusse a sperimentare quello che avvenisse a due conduttori sottoposti al- l’influsso di un corpo elettrizzato, messi per un istante in comunicazione col suolo, e trovai che se si avvicinano tra loro, conservandosi sempre egualmente lontani dall’inducente, dànno segno di tensione contraria a quella dell’inducente, e se in questo momento si facciano di nuovo comuni- care col suolo e poscia si allontanino, si ha manifesto indizio di elettricità omologa. Pare dunque che l’indotta di prima specie se non può in modo sensibile indurre sopra i corpi circostanti vicini, ciò principalmente derivi dal che essi subiscono |’ influsso dell’attuante, il che non vieta che le parti leggiere dell’ indotto prossime all’ inducente tra loro si respingano. 9 IL Dopo di tutto ciò veniamo a dimostrare che la elettricità atmosferica opera per influsso sopra ì conduttori esposti all'aria libera, e non pel modo che dicesi di comunicazione o per contatto, tranne il caso delle folgori che sono vere scariche tra l’inducente e l’indotto. . Questa dimostrazione la credeva inutile dopo i lavori di Peltier, ma veggo che i pregiu- dizii non ancora sono del tutto spariti, ed aggiungerò le sperienze da me tante volte fatte e ripe- tute. Se voi esponete un conduttore isolato all’influsso di un corpo elettrizzato avrete sul condut- tore anzidetto i segni dell’ elettricità omologa, i quali potete osservarli sia con due pendolini so- spesi alla parte posteriore del conduttore medesimo sia mercè un elettroscopio; ma messo quel conduttore in comunicazione col suolo, quelli segni di tensione spariranno fino a che la forza in- duttiva rimane costante. Se invece questa forza prontamente cresca, sia per nuova carica dell’at- tuante , sia per iscemata distanza tra esso e l’attuato , avrete nuovi segni di elettricità omologa, ed avrete elettricità contraria libera, o che l’attuante perda di tensione o che aumenti la distanza tra l’attuante e l’attuato. Ora esponete verticalmente all'aria libera un conduttore alquanto lungo e senza punte, isolato e comunicante con sensibile elettroscopio, mettete questo conduttore per un istante in comunicazione col suolo e vedrete l’ elettroscopio rimanere a zero per molto tempo se la giornata sia calma e serena; ma se prontamente lo elevate avrete tosto una tensione positiva, la quale fatta sparire per nuova momentanea comunicazione del conduttore col suolo, e poscia ab- bassandolo, avrete indizio di elettricità negativa. Se circonderete il conduttore anzidetto di un invoglio coibente, i fenomeni accadranno egual- mente con piccole differenze corrispondenti al potere induttivo specifico de’ coibenti che avete usati. Oltre a ciò se voi esponete un conduttore isolato sotto una tenda orizzontale in modo che intorno ad esso liberamente l’aria si rinnovi, questo conduttore con punte o senza non vi darà mai segno alcuno di elettricità. Prendete un conduttore cilindrico lungo qualche metro e fatelo rotare intorno di un suo estremo nel quale sia isolato : se questo conduttore giri orizzontalmente e se Il’ orizzonte intorno sia perfettamente libero, voi non avrete alcun indizio di tensione elettrica, ma se la rotazione si compia in un piano verticale, vedrete il conduttore elettrizarsi di due elettricità opposte, una nel passare dalla verticale inferiore alla superiore, ed un’altra nel discendere da questa giacitura alla prima. Quando la prima è positiva, come per lo più interviene, la seconda è negativa, e qualora la prima riuscisse negativa, la seconda sarà positiva. Da queste e da cento altre sperienze credo potersi concludere che l’ aria per semplice con- tatto non mai elettrizza i conduttori in essa immersi. Nè credo vi sarà mai chi possa sperimen- talmente provare il contrario. Dal vedere come un conduttore isolato e bene esposto si elettrizzi se venga prontamente ele- vato od abbassato, e come sempre nel salire prenda elettricità opposta ed eguale a quella della di- scesa quando la corsa sia la stessa, e dal vedere che siffatte tensioni possono enormemente va- riare da un’ora ad un’altra e che punto non si hanno se operate nell'interno di un fabbricato, mì pare che ognuno debba convincersi che si tratta di elettricità indotta. | solu Ma si può domandare se questa elettricità è indotta dal suolo o dall'atmosfera o dall’ uno e dall’altra. Il Peltier suppose la terra elettrizzata di elettricità propria ne gativa circondata da un invoglio coibente ch'è l'atmosfera, e lo spazio dotato di elettricità positiva ; e con un elettroscopio collocato tra due conduttori uno superiore positivamente elettrizzato ed uno inferiore dotato di op- posta elettricità riproduceva i fenomeni che si hanno all'aria libera, giacchè elevando l’elettroscopio > OP 2g . . È + avea elettricità positiva, e dopo di averlo scaricato ossia ridotto a zero, abbassandolo avea elet- tricità negativa; ma non mancò chi fece notare che gli stessi fenomeni si hanno con un solo di tali conduttori elettrizzato, e poi non si potrebbe senza nuove ipotesi intendere come avvenga che talvolta le cose procedano in ordine inverso. Io credo che per risolvere la quistione proposta sia utile ricorrere a conduttori fissi bene esposti ed armati di punte. Se la elettricità inducente è in alto, un conduttore verticale fisso con punte alla parte superiore deve elettrizzarsi di elettricità omologa alla inducente. Lo stesso deve intervenire con punte poste alla parte inferiore se la inducente trovasi di sotto. Ora dalle sperienze da me tante volte ripetute si ha che con le punte poste nella parte superiore del conduttore anzi- detto si ha, ne’tempi ordinarî elettricità positiva, e con quelle poste nella parte inferiore o non si ha nulla o positiva più debole. Ci ha delle congiunture in cui la legge s’inverte, vale a dire che si ha nel conduttore suddetto elettricità negativa, ma sempre maggiore con le punte in alto. Ciò credo potrebbe bastare per conchiudere che l’induzione deriva principalmente dall’ atmosfera. Ecco perchè facendo prontamente scendere un conduttore si elettrizza ordinariamente di elettricità ne- gativa, la quale svanisce se venga in contatto con esso; or se il suolo rappresentasse il corpo in- ducente , al contatto il conduttore non dovrebbe perdere la tensione che avea ma invece acqui- starne di più '). La elettricità del suolo dunque è indotta da quella dell’ atmosfera, e però se essa eserciti in- flusso sopra un conduttore che discende, non reca per questo alcuna perturbazione alle misure che si prendono col metodo da me adoperato, imperciocchè l'elettricità del suolo essendo in- dotta da quella dell’aria sarà a questa proporzionale. Dimostrerò tra poco che l atmosfera ed il suolo scoperto hanno sempre elettricità opposte, e che quella de’ corpi terrestri bene esposti si mostra proporzionale a quella dell'atmosfera. Ora in alcune congiunture abbiamo elettricità negativa nell’ aria e positiva nel suolo, ma soltanto in una determinata regione, e poco più in là si ha il contrario: così p. e. si ha forte elettricità po- sitiva alla Specola universitaria e negativa all’ Osservatorio vesuviano; ora io domando, come sia possibile avere due regioni contigue della terra in istati elettrici opposti? ciò è solo possibile qua- lora si consideri il suolo sottoposto all’ influsso della elettricità dell’ atmosfera; imperciocchè ove questa è positiva, quella del suolo è negativa, e per contro questa deve essere positiva quando quella è negativa. Per la qual cosa allorchè ci ha de’ temporali cangiando la elettricità atmosfe- rica da un momento all’altro d’ intensità o anche di segno, quella del suolo varia nello stesso modo, mostrandosi sempre contraria a quella dell’ atmosfera. Ma posta l'elettricità atmosferica , il suo influsso sul suolo sottoposto si dovrebbe accettare anche quando non fosse possibile dimostrarlo in modo sperimentale. Or vediamo come sia agevole dimostrare la esistenza della elettricità indotta sopra i condut- tori bene esposti. 1° Ponete due conduttori cilindrici, o anche sferici, bene isolati sopra una terrazza ed al medesimo livello, e fate che uno di essi comunichi con un elettroscopio di Bonhenberger, dopo di averli toccati avvicinateli tra loro muovendoli per modo che serbino esattamente il loro livello, vedrete ne tempi ordinarii, l’elettroscopio accennare ad elettricità negativa ; allora toccateli di nuovo e poi allontanateli ed avrete elettricità positiva. Se poi queste sperienze le fate in tempo in cui co’ consueti apparecchi si conosce che la elettricità atmosferica è negativa, allora avrete l’op- posto, cioè elettricità positiva all’avvicinamento de’ conduttori e negativa quando questi si allon- 1) Se elettricità del suolo è indotta di prima specie, e per coloro che seguono strettamente la dottrina del Melloni, non potrà in alcun modo indurre. , = tanano. Le tensioni che per tal modo si osservano variano in corrispondenza di quelle dell’atmo- sfera, per cui possono quando questa è scarsa non riuscire affatto sensibili, come per contro riescono fortissime in quelle congionture nelie quali noi segniamo la tensione dell'elettricità atmo- sferica col simbolo © co . 2° Se vi ponete sopra una terrazza bene esposta con un elettroscopio al quale prontamente vi avviciniate, se ci ha molta elettricità nell’aria, voi indurrete sensibile tensione sullo strumento. la quale sparirà toccandolo per apparire di segno contrario quando vi allontanate. 5° Se sopra questa terrazza sorga un muro da un solo lato e la terrazza sia piuttosto am- pia con orizzonte perfettamente libero intorno, potrete vedere come un conduttore che sì avvicini al muro anzidetto dia sopra un elettroscopio indizii di tensione, ordinariamente negativa, ed al- lontanatolo dopo di averlo prima toccato, mostri elettricità positiva. Se poi fate uso di un con- duttore alquanto lungo, e lo fate girare intorno di un suo estremo sempre in un piano orizzontale, avrete del pari i fenomeni di avvicinamento e di allontanamento. Per vedere con chiarezza co- testi fenomeni, è bene profittare de’ tempi ne’ quali la elettricità atmosferica non sia troppo scarsa. Ciò premesso, possiamo ora intendere quello che interviene a'conduttori isolati esposti al- l’aria. Supponiamo da prima un conduttore verticale fisso e senza punte, è chiaro che sottoposto così all’ influsso della elettricità soprastante mostrerà nella parte posteriore una tensione omologa alla inducente, la quale sparirà prontamente se sì faccia anche per un istante comunicare col suolo; il conduttore quindi resterà con la elettricità contraria dissimulata fino a che l'energia induttiva rimanga la stessa, ma se questa cresca sia per aumento di carica sia per iscemata distanza tra le falde inducenti ed il conduttore, allora questo darà nuovi segni di elettricità omologa: giova per \ltro notare che se cotesti aumenti non siano rapidi, possono sparire specialmente se l’ambiente sia alquanto umido. Se per contro la energia dell’ infiusso rapidamente scemi, sia per forza dimi- nuita, sia per distanza accresciuta, il conduttore darà segni di elettricità contraria che all’atmo- sfera non appartiene, e crea un’ illusione per ogni credente alla infallibilità de’ conduttori fissi. Per la qual cosa cotesti conduttori restano con un potenziale nullo : 1° quando l’ influsso di qualunque forza si mantenga costante; 2° quando le variazioni d’ intensità avvengano con una certa lentezza; 3° quando l’ambiente sia umido o l’ isolamento imperfetto. i cangiamenti di segno finalmente non hanno un significato certo. Armiamo ora questo conduttore fisso verticale con una o più punte nella parte superiore, e le cose procederanno allo stesso modo, se non che, per quello che si è detto nel 7 I, questa punta eguivalendo ad una più o meno imperfetta comunicazione con l’attuante, ne avverrà che scaricato il conduttore, lentamente si ricaricherà, ma se l’ambiente sia.umido si sperderà tutto e non si avrà nulla, siccome in alcuni giorni interviene al conduttore della macchina elettrica; ed in certe congiunture di pronta e forte diminuzione d'’ influsso, si potranno avere le fallaci ed illusorie in- dicazioni, delle quali di sopra è detto. Quando dunque un conduttore fisso senza punta sia stato scaricato una volta della elettricità omologa indotta, non darà più indizio di tensione, fino a che la energia induttiva rimane la stessa o anche varii con molta lentezza. Se poi le variazioni siano rapide, per incremento si avrà nel conduttore elettricità omologa alla inducente, e per contro si avrà elettricità contraria quante volte la forza induttiva diminuisca. Laonde questo conduttore è inetto a dirvi se l'elettricità do- minante nell'atmosfera sia positiva o negativa. Un conduttore fisso con punta, tranne la tendenza che ha a ricaricarsi, ma molto lentamente juando sia stato messo in comunicazione col suolo, può anch'esso dare false indicazioni, imper- ciocchè anch'esso può per pronta diminuzione di efficacia induttiva darvi indizî di elettricità op- posta a quella dominante nell'aria. Il mio conduttore mobile, tenuto più 0 meno elevato, fa da con- duttore fisso. Ora ho più volte veduto che mentre la foglia d’oro dell’elettroscopio accennava ad elettricità negativa, elevando prontamente il conduttore, si avea elettricità positiva. Con le forti ten- sioni elettriche che si manifestavano nel fumo del Vesuvio nel memorabile incendio del 1872, spe- cialmente quando il pino si abbattea sull’ Osservatorio, si aveano a conduttore fisso spessi e ra- _— Y pidì indizîì di elettricità negativa, ma elevando il conduttore si avea tosto elettricità positiva. In qual conto dunque deve aversi un metodo non pure incapace di darvi misure, ma per fino impo tente in molte congiunture a farvi sapere la natura dell'elettricità dominante ? Un conduttore fisso con punta mette un tempo alquanto lungo per giungere al suo massimo di carica: il Volta trovava questo tempo di cinque minuti, ma non mancano delle occasioni nelle quali è anche più lungo. Or chi mai potrà misurare le dispersioni che in così lungo tempo si hanno? Le tensioni che il conduttore acquista non hanno alcuna corrispondenza di proporzione con la intensità della loro sorgente; misurando quelle tensioni si misurano certi residui variabili di una tensione ignota, non potendo conoscere le dispersioni. Ecco perchè quando per umidità nell’ ambiente le dispersioni sono grandi i conduttori fissi restano muti non solo pel alcune ore, ma eziandio per giorni, ed anche per settimane intere. III. Tutte queste difficoltà svaniscono col conduttore mobile sia ascendente sia discendente, quan- do la corsa sia rapida e della stessa lunghezza. Le tensioni sono allora perfettamente proporzio- nali all'energia induttiva dalla quale sono generate, e per qualità sono di un significato sicuro. La rapidità della corsa non può dar luogo a grandi dispersioni, e nelle poche volte che queste si av- verano, ci ha il modo di valutarle, siccome ho in altre memorie dimostrato Ma sul conduttore mobile potrebbe operare non solo l’ influsso della elettricità dell’aria, ma anche quello del suolo. Ora avendo dimostrato che la elettricità del suolo è indotta da quella del- l’aria, ne segue che se quella del suolo è capace a sua posta d’indurre, non deve per questo tur- bare la proporzionalità de’ risultamenti, imperciocchè essa è proporzionale alla efficacia induttiva dell’aria, per modo che se si trovasse un metodo facile e sicuro per misurare la intensità elettrica del suolo, si verrebbe a misurare la intensità dell’ influsso atmosferico. Questo metodo si avrebbe in due conduttori che orizzontalmente si avvicinano o si allontanano, ma io non ho creduto di ri- tenerlo, non solo per alcune difficoltà pratiche, delle quali non accade ora di dovere discorrere, ma perchè le tensioni sono minori di quelle che si hanno dal conduttore mobile verticale; aven- dolo però per molto tempo adoperato, posso dire che i suoi risultamenti non solo concordano a ca- pello con quelli del conduttore mobile verticale, ma benanche con quelli del conduttore francli- niano, sempre che per questo non si abbiano o per soverchia umidità o per perturbazioni atmo- sferiche, ragioni a supporre quelle indicazioni fallaci o dubbie delle quali di sopra è detto. I fenomeni di avvicinamento e di allontanamento de’ conduttori bene esposti all’ aria libera sono i soli che dimostrano la esistenza di una elettricità terrestre, e poichè essi rivelano che que- sta è sempre di segno contrario di quella dominante nell’aria e fedelmente ne segue le fasi, non solo mantenendosi sempre ad essa proporzionale ed opposta, ma invertendosi in un attimo cioè con la stessa prontezza con la quale talvolta si muta l’ elettricità atmosferica, mi pare giusto il conchiudere che questa elettricità del suolo sia indotta da quella dell’aria, nè potrebbe dirsi al- trimenti senza impugnare le leggi dell’ influsso. Per tal modo s'intende come alla distanza non dico di 12 chilometri che separa in linea retta la Specola universitaria dall’Osservatorio vesuvia- no, ma di meno di due chilometri che separa la detta Specola da quella di Capodimonte, possa il suolo non pure avere tensioni diversissime, ma esservi fortissima elettricità positiva in un luogo e negativa nell’altro, siccome dimostrano le osservazioni sincrone che da più anni facciamo a se- gno di telegrafo tra la Specola universitaria e l'Osservatorio vesuviano, e quelle che da circa un anno l’abile e diligente astronomo Faustino Brioschi fa all'Osservatorio di Capodimonte. Solo con le leggi dell’'influsso si possono intendere questi stati elettrici opposti in due regioni della terra così vicine. L'avvicinamento e l’allontanamento orizzontale de’ conduttori bene esposti dà sempre meno di quello che si ha da un conduttore mobile in direzione verticale, perchè in quelli la tensione si provoca solo col fatto del pronto avvicinamento od allontanamento tra loro, rimanendo alla stessa ATTI— Vol. VII.—N.° 12. 2 it distanza dalla elettricità inducente, ma in questo si fa propriamente variare con prontezza la intensità dell'influsso ; e questa fu, siccome poco fa io diceva, un’altra delle ragioni che mi di- stolse dal metodo dell’avvicinamento ed allontanamento orizzontale , col quale pur si avrebbero effetti proporzionali alla intensità dell’ influsso atmosferico. Un conduttore che prontamente si eleva o si abbassa non va a raccogliere la elettricità dalla falda d’aria nella quale perviene, ma si elettrizza per influsso e può solo far conoscere la intensità di questo; imperciocchè se l’ aria per contatto lo elettrizzasse nè sarebbe necessario di muoverlo con prontezza, nè la carica acquistata dovrebbe sparire così presto mantenendo il conduttore ele- vato 0 abbassato, nè sparita la carica, si potrebbe far rinascere quante volte si vuole ripetendo la elevazione o l'abbassamento del conduttore , e finalmente non si potrebbe dire perchè se ele- vando il conduttore si ha elettricità positiva, abbassandolo si debba avere elettricità negativa, ossia perchè quella di elevazione debba sempre essere opposta a quella di abbassamento, il che basta anche a dileguare il dubbio che altri manifestò che il conduttore mobile potesse per avven- tura elettrizzarsi per l’attrito con l’aria, senza badare che facendo l’esperienza nell’ interno di un edifizio o anche in un recinto non molto ampio circondato di mura elevate non si ha il minimo segno di tensione. Il cervo volante di Franclin non andò a prendere la elettricità dell’aria o delle nubi all’al- tezza alla quale pervenne, e rimase in silenzio fino a che non comparve la pioggia, per la quale crescendo prontamente l'influsso si ebbero le manifestazioni elettriche tanto ansiosamente aspet- tate: tutti hanno creduto che quella pioggia avesse giovato solo col rendere più conduttore il laccio del cervo volante, ma la vera ragione credo di averla trovata quando ho dimostrato che col condensamento de’ vapori ci ha sempre svolgimento di elettricità, la quale cresce per sem- plice aumento di umidità relativa, meglio ancora per formazioni di caligini e di nubi, e tocca il massimo con la pioggia, grandine o neve da potersi manifestare in forma di scintille sopra i con- duttori bene esposti. Onde le grandi tensioni e le scariche non si hanno senza rapide precipita- zioni di vapori in pioggia, grandine o neve, o sul luogo delle osservazioni o ad una certa distanza. La nube nel formarsi svolge una certa elettricità che presto si sperde o si equilibra con l’ambiente, ecco perchè il suo accostarsi allo zenit dell’ osservatore non genera aumento di tensione sopra i conduttori bene esposti, e se l'osservatore è in sito elevato potrà essere investito dalle nubi e ri- manervi dentro per molte ore senza avere da esse alcuno indizio di elettricità. Le nubi che spesso coprono il Vesuvio mi hanno offerto mille occasioni di osservare quello che affermo, e posso an- che assicurare che nè dentro le nubi nè sotto di esse si ha mai elettricità negativa, salvo quando ad una certa distanza cada la pioggia, la grandine o la neve, ed allora la elettricità negativa si manifesterà sul luogo delle osservazioni quantunque quivi il cielo fosse perfettamente sereno. Volendo vedere come la elettricità atmosferica varii con le altezze è un errore quello di ele- vare diversamente lo stesso conduttore: si sa che con una corsa più lunga si deve avere una ten- sione più grande. Collochiamoci a diverse altezze con conduttori mobili eguali e simili, e diamo a tutti la stessa corsa nello stesso tempo, ed avremo il paragone che si desidera. Fin dal 1850 in una memoria da me letta alla nostra Accademia delle Scienze e messa a stampa a mie spese per non aspettare la pubblicazione degli At, che in quel tempo andavano con molto ritardo, io esposi i molti ed importanti fenomeni della vena liquida ascendente ottenuta con ia fontana di compressione, e quelli delta vena liquida discendente facendo scorrer l’acqua da un vase metallico bene esposto per uno o più beccucci collocati nel fondo di esso. In questi fenomeni si ravvisano gli effetti dell’ influsso. Se il vase metallico sia isolato e la vena fluida cada sul suolo, si ha dal vase elettricità omologa a quella dominante nell'aria cioè ordinariamente positiva, e se il vase non sia isolato, ma sia isolata la coppa metallica che raccoglie l’acqua cadente, questa si caricherà di elettricità contraria. Non mancai fin d’allora di notare i vantaggi e gl’ inconvenienti che si aveano adottando per la meteorologia elettrica il metodo della vena liquida discendente alla quale molto più tardi ricorse il Thomson, senza che nè lui nè altri si fosse ricordato di me. Nella fig. 1 (Tav. III) è espresso il vase isolato, e nella 3° è dinotato ch’ esso comunica col suolo REA (1 | PS ed è isolata la coppa metallica che riceve l’acqua. Poichè della memoria del 1850 non è più age vole trovare esemplari, si potrà far ricorso alle mie Lezioni di fisica e di meteorologia nelle quali si trovano riassunte le principali esperienze da me fatte. Le due figure estratte dalla mia memoria parlano da sè. Io non mi contentai di sperimentare con l’acqua ed altri liquidi, ma con pallini di piombo , con polveri metalliche, con ceneri del Vesuvio , sempre col medesimo risultamento. Ponete un conduttore bene isolato ad una certa altezza e fate che stia in contatto con un altro conduttore, se questo prontamente si abbassi o anche per altra direzione si allontani, quello in tempi ordinarii darà segni di elettricità positiva, avverrà l'opposto in tempo di elettricità negativa. La vena liquida discendente dunque è un vero conduttore mobile discendente e ad azione conti- nua, che darà tensioni dipendenti dalla sua lunghezza, dalla sua velocità ecc., e co’ forti venti si sparpaglia e vi crea delle perturbazioni. Supponete che il mio conduttore mobile stia elevato e sia prossimo o in contatto con un altro conduttore soprapposto isolato e comunicante con un elettrometro , abbassando il conduttore mobile avreste nel fisso soprapposto elettricità positiva se questa sia la dominante nell’ atmosfera. Io dunque credo che non vi sia differenza essenziale tra le misure prese col conduttore mo- bile e con la vena liquida discendente, e però che con l'uno come con l’altro metodo si valuta la energia dell’ influsso della elettricità atmosferica sugli apparati del luogo delle osservazioni: 0 che si parta dal livello della vena liquida o da quello del conduttore quando si eleva siamo sem- pre nelle stesse condizioni. È dunque un errore il credere che elevando il conduttore mobile per un metro o al più per 1”, 50 si venga a conoscere la differenza dello stato elettrico o del poten- ziale delle due falde atmosferiche, di quella cioè donde si parte e di quella ove si arriva. Elevare il conduttore per una data corsa vale misurare la energia induttiva di un'elettricità, che non sap- piamo a quale distanza si trovi e quale sia la sua intensità. Volendo dunque veramente conoscere se collocandovi a diverse altezze siffatta energia induttiva cresca o scemi, bisogna non già spin- gere un conduttore che sia lungo o che si allunghi, ma trasportare il conduttore mobile e vedere, facendogli fare sempre la stessa corsa, che per me è di 1”,50, quali tensioni si hanno. Siffatte 0s- servazioni debbono esser sinerone. Ecco perchè fatto eseguire un apparecchio portabile mi andai a collocare in varî punti della nostra Città facendo osservazioni contemporanee con quelle che si facevano alla Specola universitaria, e fin d'allora mi assicurai, non sempre esser vero che la elet- tricità cresce con le altezze, imperocchè sul Molo nuovo presso la superficie del mare ebbi ten- sioni maggiori di quelle che si aveano all’ Università che sul mare si eleva per 57”. Ma quando coteste osservazioni sincrone hanno potuto moltiplicarsi, allora si è veduto che solo in certe pe- culari congiunture si hanno tensioni maggiori nelle stazioni più elevate, ma generalmente esse tendono a scemare crescendo le altezze. Se la elettricità atmosferica avesse una forte intensità, quale si suole avere conle piogge, ba- sterebbe, siccome ho tante volte provato, elevare il conduttore meno di un centimetro per ve- der l’indice dell’elettrometro sbalzato a 30 o 40°. Dopo di aver dimostrato che il metodo della vena liquida discendente non è sostanzial- mente diverso da quello del conduttore mobile, mi resterebbe a dire perchè avendolo io pel pri- mo immaginato e sperimentato fin dal 1850, non lo abbia poi preferito, ma toccherò questo ar- gomento dopo che avrò ripetuta la descrizione del mio apparecchio secondo le ultime modifi- cazioni, perchè mi è necessità di prendere in disamina l'apparecchio del Thomson. Avendo dovuto ritornare sul tema della vena liquida discendente, stimo anche utile ricordare qualcheduna delle mie antiche sperienze sulla vena liquida ascendente. Questa io la ottenni age- volmente da una fontana a compressione. Aveano alcuni fisici osservato che le goccioline di acqua provenienti dalle cascate raccolte sopra una lamina metallica isolata che comunicasse con un elettroscopio, dànno segni di elettri- cità negativa. Il Belli sospettando che questo dipendesse dall’influsso dell'elettricità atmosferica isolò all’ aria libera una fontana di compressione ed in tempo di elettricità positiva trovò lo zampillo. dotato di elettricità negativa. Peltier facendo zampillare l’acqua mercè una piccola * pi tromba trovò che le gocciole raccolte al medesimo livello della tromba davano elettricità positiva. Siffatte sperienze poco concordi meritavano di essere ripetute e variate. Isolando dunque la fontana di compressione e facendo uscire lo zampillo alquanto deviato dalla verticale, affinchè l’acqua cadente non s'incontrasse con esso e non venisse a bagnare la fontana, esplorava lo stato elettrico della vena liquida con una lamina metallica che potea immergere in essa a diverse al- tezze sempre comunicante con un elettroscopio di Bohnenberge r. Quando l'atmosfera era for- temente positiva tale era lo zampillo a qualunque altezza, ed anche la fontana dava la stessa elet- tricità. Quando poi la elettricità atmosferica era molto scarsa la fontana dava segni di elettricità positiva e lo zampillo di elettricità negativa. Fatta comunicare la fontana col suolo lo zampillo mostrava sempre elettricità negativa in tempo di elettricità positiva, e positiva in tempo di elet- tricità negativa. Partite dalla legge sperimentale , che due conduttori che pronta mente si avvicinino all’ aria libera ed in tempo di elettricità positiva, manifestano elettricità negativa e che allontanati con pron- tezza dopo di essere stati ridotti a zero dànno elettricità positiva, e che siffatte manifestazioni sono proporzionali alla energia induttiva della elettricità atmosferica e che s'invertono con essa, ed intenderete agevolmente gli effetti della vena liquida discendente ed ascendente. Ma sì può domandare a quale altezza si trovi la ‘elettricità inducente. Le osservazioni simul- tanee e comparabili fatte a diverse altezze sul livello del mare ci aprono la via per rispondere a siffatta domanda. Fu generalmente creduto che a maggiori altezze si abbiano tensioni più grandi, il che generalmente si avvera per differenze di pochi metri, ma per altezze maggiori interviene quasi sempre l’ opposto, con alcune particolarità di cui ebbi altre volte occasione di parlare. Le osservazioni tra la Specola universitaria e l'Osservatorio vesuviano che dalla state del 1872 si stanno facendo non meno di quattro volte al giorno, del pari che quelle che da circa un anno si fanno con tanta accuratezza alla Specola di Capodimonte, dimostrano che le tensioni tendono a scemare col crescere delle altezze, ecco perchè sul Piccolo S. Bernardo, che si eleva per più di 2000 metri sul livello del mare, si hanno tensioni piccolissime in confronto di quelle che si hanno a Moncalieri. Pare dunque che ci sia una falda atmosferica nella quale principalmente l'elettricità si svolge, e che per diverse cagioni può variare in altezza ; e quando poi ci siano piogge que- sta falda è quasi interamente costituita dalle nubi che si risolvono in acqua. Per la qual cosa un conduttore immerso in questa falda patirà un duplice influsso dalle due porzioni della falda an- zidetta, una superiore ed una inferiore. Supponiamo per maggiore semplicità che la intera falda atmosferica fosse egualmente elettrizzata ed avesse l’ altezza di 2000 metri, è chiaro che un con- duttore posto all’altezza di 100 metri in essa dovrebbe patire un influsso da’ 1900 metri sopra- stanti ed uno opposto di sotto per metri cento, prescindendo dall’effetto del suolo, e però si a- vrebbe una grande prevalenza del primo sul secondo; ma siffatta differenza andrebbe scemando con le altezze da ridursi nulla all'altezza di 1000 metri, e più in alto divenendo prevalente l’ in- flusso di sotto dovrebbe aversi da un conduttore mobile elettricità opposta a quella che si è avuta fino a mille metri, la quale crescerebbe con le altezze. Nella grossa falda atmosferica che io consi- dero l'elettricità continuamente si svolge e si sperde con fasi diverse, la regione di massimo cangia di altezza, come forse cangia eziandio di grossezza la intera falda elettrica. In quelle zone dove l’ umidità relativa cresce o i vapori si riducono in caligine, nube, pioggia ecc., quivi l’elet- tricità si svolge e tende a disperdersi. Ecco perchè se una caligine appare sul luogo delle osser- vazioni gli apparecchi segneranno sempre una tensione considerevole. Se con cielo sereno vedete tensioni straordinarie, potete con sicurezza predire la prossima apparizione delle nubi , e final- mente intendete che i più grandi svolgimenti di elettricità si hanno con la formazione della piog- gia, grandine o neve, ed allora solamente le nubi si caricano di elettricità fortissima che può esercitare il suo influsso a molti chilometri di distanza e può dare vivaci scintille sopra i condut- tori isolati e bene esposti. I vapori che si elevano dal suolo giungono ad una regione più fredda, nella quale perciò l'umidità relativa cresce e quindi si ha svolgimento di elettricità. L’Astronomo dell’Osservatorio ———————_———————— mm mOÒOeeoumeuez i dì Parigi signor Flammarion che ha fatto parecchie ascensioni aerostatiche, ha dimostrato tro varsi nell'aria una zona di massima umidità relativa, e questa zona non essere sempre alla me desima altezza, potendo essere ora molto bassa ed ora molto elevata; ed io mi penso che il periodo diurno dell’elettricità atmosferica in gran parte derivi dall’altezza di questa falda che nelle gior nate regolari deve, nelle ore più calde, giungere ad un massimo di altezza ed approssimarsi al suolo nelle ore della sera. Il confronto del periodo diurno alla Specola universitaria ed all’ Osservatorio vesuviano, verrebbe in sostegno di quello che dico, ma spero potere in altra occasione prendere in più ma- tura disamina questo tema che stimo importante. Per ora mi basta il conchiudere che con tutti gli apparecchi fin'ora usati si conosce sempre la elettricità indotta, e la misura dell’ influsso si può avere soltanto allorchè si potranno avere veri elettrometri, i quali diano misure assolute e corrette dagli errori delle dispersioni, il che fi- n’ora si può solo conseguire col metodo del conduttore mobile usando l’elettrometro bifiliare. Da tutto ciò che abbiamo detto pare potersi inferire che non potendo noi misurare la elet- tricità esistente nell’aria, ma la sola energia dell’influsso, la quale può variare non solo se varia la elettricità esistente, ma eziandfo se varia la distanza della elettricità inducente, le nostre mi- sure ancorchè precise e corrette non debbano reputarsi di alcuna utilità. Al che io rispondo, che misurando la intensità dell’influsso noi veniamo a conoscere il valore di quella forza che opera sull’aria che respiriamo e sopra i corpi che ci circondano, e quindi sulle piante e sugli animali, sia direttamente sia indirettamente col modificare gli elementi dell’aria dando luogo per esempio alla formazione dell'ozono. Ignoriamo la intensità assoluta della elettricità esistente nell'aria, ma misureremo la intensità della sua azione sopra i corpi esposti al suo influsso. In 27 anni di osservazioni e d’ indagini fatte con diversi metodi credo di avere ad esube- ranza dimostrato : 1° Che la elettricità si manifesta più forte sopra i nostri apparecchi quando l’umidità rela- | tiva delle falde soprastanti aumenta, onde i massimi di sera sono molto cospicui quando ci ha copiosa formazione di rugiada. 2° Che le suddette manifestazioni crescono anche molto se all'improvviso l’ ambiente si offusca per leggiera caligine. 3° Che le straordinarie tensioni con le quali si ricavano scintille da’ conduttori isolati e bene esposti non si hanno mai senza copiosa risoluzione de’ vapori in pioggia, grandine o neve o sul luogo delle osservazioni o ad una distanza da questo, che può variare secondo la copia dei rovesci e può giungere a 70 chilometri. 4° Che queste fortissime tensioni si hanno in tutte le piogge , ancorchè non vi siano fol- gori; che siffatte tensioni cominciano con la pioggia, con essa durano e con essa finiscono, e pero allora solo può dirsi che ci siano veramente nubi elettrizzate, imperciocchè una nube che si ri- solve in pioggia è una vera sorgente di elettricità, e quindi può dar luogo ad una serie indefinita di scariche. Per tal modo viene a sapersi come e quando si possa dire che ci siano nubi elettriz- zate e come dalla stessa nube possano partire centinaia di folgori senza scaricarla. La nube che sì risolve in acqua svolgendo continuamente elettricità positiva, ne segue che quando siffatta ri- soluzione non sia molto rapida e l’ambiente sia umido, la elettricità che si svolge può dissiparsi senza strepito; ma con precipitazioni più rapide circondate da un ambiente relativamente più secco, si avranno le folgori. E poichè per pari raffreddamento si precipita una maggior copia di vapore da un ambiente saturo a temperatura più elevata di quello che si precipita da un ambiente anche saturo ma a temperatura più bassa, ne segue che i rovesci delle piogge estive sono spesso più violenti di quelli delle piogge invernali, e quindi le folgori più facili e frequenti dalla prima- vera all'autunno, tanto più che le piogge nella stagione calda sono poco estese, e quindi il nembo sì trova circondato da aria relativamente secca. Così svanisce l’ altro paradosso, che mentre la elettricità atmosferica si appalesa più scarsa nella state, pure i temporali ricorrono più spesso in questa stagione. - REESE} WRZE Mentre sotto la pioggia si hanno segni di forte elettricità positiva, in una zona circostante si ha elettricità negativa anch'essa molto vigorosa, seguita da un’ altra zona di forte elettricità posi- tiva. Potrebbero queste zone, che circondano la pioggia e che durano con essa, nascere dall’ in- flusso della elettricità che si svolge con la risoluzione della nube in acqua? Pel momento mi ba- sta di ricordare la legge da me scoperta fin da che vivea il Melloni e poscia mille volte rifer- mata, perchè si sappia come e quando si possa avere elettricità negativa sia a cielo sereno sia a cielo nuvoloso. Questi ed altri fatti mi parvero dimostrare che i vapori col loro approssimarsi alla satura- zione svolgessero elettricità positiva, la quale tocca il suo massimo quando essi si risolvono in acqua; ma non contento delle prove evidenti ricavate da tante osservazioni, volli anche averne una diretta per mezzo dell'esperienza, ma la memoria da me pubblicata in proposito non avrà avuta la fortuna di essere letta, perchè altrimenti la cosa sarebbe stata a quest'ora o rifermata 0 combattuta, onde ho ragione di crederla semplicemente ignorata. Posto ciò s intende come la nube che si risolve in pioggia sia sorgente di elettric ità positiva che si circonda di una zona di elettricità negativa, cui ne succede un’altra di elettricità positiva. E però è chiaro : 1° Che le straordinarie tensioni sopra i conduttori fissi o mobili si hanno solo in tempo di pioggia, grandine o neve. 2° Che in siffatte congiunture è agevole vedere la elettricità in forma di corrente, special- mente usando conduttori fissi con punte. 3° Che le tensioni che si osservano dipendono dalla copia de’ vapori che sì risolvono in acqua e dalla rapidità con la quale si trasformano, giacchè se il fenomeno della. risoluzione ac- cade con lentezza l'elettricità che si svolge in gran parte si sperde. 4° Che l’ ampiezza delle zone delle quali di sopra è detto , varia a seconda della intensità della pioggia e quindi della carica del nembo, dal quale se parte una folgore, muta immantinenti l'ampiezza di quelle zone , per cui l'osservatore che si trovi ad una certa distanza può di botto trovarsi trasportato da una zona in un altra. 5° Che il temporale suppone rapida e copiosa risoluzione di vapori in acqua, e quindi ra- pido svolgimento di elettricità, la quale se non trovi la via di disperdersi in silenzio, acquistar deve tensioni che si traducono in folgori. Ecco perchè le folgori suppongono sempre la pioggia o la grandine, ma non ogni pioggia potrà dare folgori. E poichè la folgore importa manifestazione di luce (baleno) con generazione di rumore (tuono) così non è possibile avere tuoni senza lampi 0 lampi senza tuoni. Si può solo per la viva luce del sole e per l’ingombro delle nubi non vedere la luce del baleno, siccome di notte per soverchia distanza può non ascoltarsi il rumore del tuo- no. Avendo avuto dalla passata amministrazione de’ telegrafi la facoltà d’interrogare le stazioni poste sulle nostre linee per conoscere lo stato dell’ atmosfera, ebbi più volte occasione di veri- ficare che i lampi di sera 0 lampi di colore come li dicono, esprimevano de’ temporali lontani. Ri- cordo che nel mese di giugno del 1859 vedendo un coruscare debole e frequente verso E con cielo perfettamente sereno, seppi dal telegrafo che a Foggia infuriava il temporale. x 6° Che mentre la nube sì risolve rapidamente in pioggia, svolgendo gran copia di elettri- cità potrà dare un indefinito numero di folgori senza mai scaricarsi o meglio ricaricandosi sem- pre, ma tutto sparisce cessando la pioggia. È inutile ripetere che se la elettricità si svolge con una certa lentezza o trovi modo a disperdersi in silenzio le folgori non si avranno, ad onta delle forti tensioni che si osservano sopra i nostri apparecchi. In conchiusione, lo svolgimento di elettricità da vapori che si condensano, non solo è provato dall’osservazione e dall'esperienza, ma dà ragione di tutt i fatti che noi osserviamo, non esclusa la copiosa elettricità che si ottiene dal pino del Vesuvio, e le folgori che talvolta guizzano in esso sono le sole folgori senza pioggia, se non si voglia considerare la pioggia di sabbia o di cenere, senza la quale le dette folgori mancano. Ciò premesso vengo a dare una breve descrizione del mio apparecchio secondo le più re- centi modificazioni che vi ho recate. L'elettrometro bifiliare ed il conduttore mobile, sebbene ormai da pochi ignorati, pure per- chè intorno ad essi ho per molti anni lavorato, hanno successivamente ricevuto importanti per fezionamenti, i quali non a tutti son noti, e quindi non sempre furono tenuti presenti, specialmente da’ meccanici, avendone veduti alcuni, non eseguiti in Napoli, de’ quali non sono rimasto soddi- sfatto. Ce n’ ha in Italia anche un piccol numero di quelli fatti sotto la mia direzione quando non erano ancora così perfetti come ora sono. Pubblico dunque ora una descrizione di tutto | appa- recchio affinchè tanto da’ costruttori quanto dagli osservatori siano tenute presenti le ultime mo- dificazioni, senza le quali non sempre si potranno avere misure comparabili. E poichè da qualche tempo avea anche fatto eseguire un apparecchio portatile che ho recentemente migliorato , così darò ora la descrizione anche di questo. Nel Congresso Meteorologico di Vienna vi fu chi raccomandò |’ elettrometro del Thomson o anche quello del Peltier, ma non mancò la voce autorevole di un italiano in favore del mio apparecchio che que’ signori senza dubbio ignoravano. L’elettrometro del Thomson, per quanto ingegnoso, non è capace di risultamenti precisi, esenti dagli errori di dispersioni e comparabili. Io credo essere stato il primo a studiare i feno- meni elettrici della vena fluida discendente (1850), e di aver proposto di misurare con la caduta dell’acqua da una data altezza, le tensioni elettriche dell'atmosfera; ma poi scelsi definitivamente il metodo del conduttore mobile. L'Accademia delle Scienze di Lisbona premiò da molti anni la memoria nella quale io descriveva cotesto apparecchio quando era nuovo, non ancora perfezio- nato e prima che io immaginassi l’elettrometro bifiliare, il quale come ora è ridotto, è uno stru- mento di grande precisione. All’Osservatorio di Lisbona usano l'apparecchio del Thomson, che si è renduto grafico, ma a confessione dell’egregio direttore sig. Fradesso, quello stru- mento lascia molto a desiderare. La ignoranza del mio apparecchio fece quindi dire al Congresso Meteorologico di Vienna che le osservazioni elettriche doveano serbarsi solo agli osservatorî di primo ordine, e pure esse sono così facili e spedite che non solo si fanno agevolmente da’ miei alunni, ma finanche dai custodi. L’elettrometro di Thompson pregevolissimo come elettroscopio, perchè indica come quello di Bohnenberger la natura dell’ elettricità, è incapace a dare misure corrette dagli errori delle dispersioni, nel che sta il pregio principalissimo del mio elettometro bifiliare, il solo fin'ora atto a dare misure comparabili. E veramente se nello istrumento dell’illustre professore di Glascow si ha bisogno di due tensioni polari opposte, tra le quali deve trovarsi l'indice, chi oserà pretende- re che queste si mantengano costanti per quanta diligenza si possa usare ? Qui non solo converrà tenere presenti le dispersioni proprie dell’apparecchio, ma eziandio quelle delle anzidette due po- larità. Chi vorrà credere al valore de’numeri che si registrano col detto strumento sarà il padro- ne, ma non potrà mai dimostrare che i medesimi esprimano la verità. Lascio poi di considerare le dispersioni del vase e quelle della vena liquida, e mi maraviglio come certe cose sfuggano dalla mente di persone autorevolissime. Ma taluno ha detto che il mio apparecchio, dice il vero quando è interrogato, ma non può dare indicazioni continue da poter essere registrate per mezzo della fotografia. Io non so quale scopo vi possa essere a registrare false indicazioni. Ancorchè non vi fossero i forti e variabilis- simi errori delle dispersioni, i deviamenti variabili ma continui dell’indice non darebbero le mi- sure dell’ elettricità ad essi contemporanee. Supponete infatti che l’ indice sia giunto a 30° e che non vi siano perdite, questo deviamento si manterrà, e per un incremento che avvenga passi a 40°, voi registrerete 40°, mentre 30 di questi rappresentavano una cariea rimasta sull’elettometro e forse non più esistente nell’aria, ma col mio metodo si parte sempre da zero, e quindi si mi- sura la tensione attuale. Che voi sappiate le fasi che subì l'elettricità atmosferica ignorando le condizioni nelle quali MAE avvennero, a quali conclusioni potrete arrivare? Per ora è necessario che ciascuna osservazione di elettricità sia accompagnata da quella delle condizioni dell’atmosfera, aspetto del cielo, piogge in distanza, venti ecc. Per tal modo io ho potuto conoscere come e quando si possa avere elettricità negativa, con quale legge si manifesti la elettricità con le piogge ecc. Se avessi consultate le cur- ve di un apparecchio grafico non avrei saputo che quella elettricità negativa corrispondeva alla ca- luta di una pioggia lontana, che quel forte incremento corrispondea ad una certa caligine, o al fu- mo del Vesuvio menato del vento verso lo zenit dell’Osservatorio ecc. Pensiamo prima ad interpre- tare le osservazioni e poi le aflideremo agli apparecchi automatici. Si è detto che il mio apparecchio fa conoscere la legge secondo la quale l’elettricità varia con le altezze, mentre l'apparecchio di Thompson misura solo la forza con la quale questa elettri- cità opera nel punto dove lo strumento è collocato. Io fo notare che l'uno e l’altro sono appa- recchi a conduttore mobile, e che volendo veramente vedere come la elettricità varii con le al- tezze bisogna collocare apparecchi simili e comparabili a diverse elevazioni che si discostino il meno possibile dalla stessa verticale, e fare ossservazioni sincrone. Se in una stazione più bassa, per esempio, con 1”, 50 di corsa del conduttore avete 60° ed in un’altra più elevata avrete 50 non direte certo che la elettricità cresce con le altezze. Elettrometro bifiliare. 7av. ,.— Entro la campana o cilindro di cristallo AA di 16 in 17 cen- timetri di diametro si trova un piattello di ottone dorato, espresso a parte nella figura 2 e 3, il quale è in mezzo a due bracciuoli orizzontali d e d'. Il piattello ha la profondità di circa 3 milli- metri ed il diametro di 27. Il fondo della campana AA è di vetro verniciato di gommalacca con un foro nel mezzo per lo quale passa una canna di vetro a a, la quale per una metà entra nella campana e per un’altra metà resta sporgente sotto la base di essa. Per fissare questa canna nel foro della base usai di varì mezzi, ma poi ho preferito il silicato di soda. Per entro a questa canna di vetro passa un filo metallico che nella parte superiore sostiene il piattello di sopra descritto e nella parte inferiore piegandosi passa di sotto alla base dello strumento senza toccarla, e finisce fuori di essa in un anello alquanto largo. Questa porzione orizzontale del filo, che ora non tocca la base, la feci prima passare per un tubo di vetro unito alla base anzidetta; ma l’esperienza mi dimostrò che per tal modo ne’ tempi umidi aveansi dispersioni. La canna a a è bene che abbia un diametro più grande del filo di ottone, e lo spazio che rimane libero si riempie di un mastice coibente '). Questa ope- razione è alquanto delicata, perchè da essa principalmente deriva un ottimo isolamento. Se la canna sia umida nell’ interno, se vi rimangano bolle d’aria con vapore, l'operazione non riuscirà perfetta. Un buon elettrometro deve, anche ne’ tempi molto umidi, sostenere la carica in modo che per perdere un grado ci voglia un minuto. Entro del piattello di ottone o di rame dorato di sopra descritto, pende mercè doppio filo di bozzolo, un disco di alluminio m (fig. 3) del diametro di 2 in 3 millimetri minore di quello del piattello: questo disco porta un filo di alluminio lungo 11 centimetri, cioè pari alla distanza tra gli estremi de’ bracciuoli, non comprese le due piegature verticali comuni ad entrambi *). Un filo di bozzolo partendo da un verricello g posto nella parte superiore della canna di vetro C (fig. 1) va a passare per un uncinetto posto nel centro del dischetto di alluminio , e quindi risalendo en- tro la canna € va ad avvolgersi ad un secondo verricello posto accanto al primo. 1 due capi su- periori del filo possono avvicinarsi ed allontanarsi; la distanza inferiore rimane costante ed è quanto la grossezza dell’ uncinetto , cioè meno di un millimetro. La vite p serve ad alzare o ab- bassare il dischetto di alluminio. Quando lo strumento si deve trasportare, il dischetto si fa scen- dere in fondo del piattello, facendo entrare l’ indice in due piccole fenditure fatte sull'orlo di quelle. 1) La gommalacca sola corre rischio di ammollirsi ne’ tempi di forte calore, facendo qualche volta scendere il piattello. L’ebanite, almeno quella da me sperimentata, ne’ tempi umidi non riesce ad isolare bene le cariche. Ho sperimentato diversi mastici e pare che quello formato di pece greca e scagliola non si ammollisca a’ forti calori isolando bene. Si badi a’ tubi di vetro, giacchè ce n’ha di quelli che isolano malissimo; ecco perchè talvolta fo fare il tubo corto e circondo il filo verticale di mastice che sporge per due centimetri fuori del tubo tanto dentro la cam- pana che fuori. 2) Il dischetto di alluminio, compreso l'indice e l’ uncinetto, non deve avere un peso superiore a 300 miligrammi. Aia 01 fe Alla parte inferiore della canna € ci ha una maniera di micrometro di torsione, che serve a condurre l'indice presso i bracciuoli. Un lembo graduato 6 finalmente, ch'è una zona di buona carta incollata intorno ad un disco di cristallo forato nel mezzo , si trova di sotto a’ bracciuoli e quindi all’ indice ch'è allo stesso livello. Il zero della graduazione deve corrispondere non sotto gli estremi de’bracciuoli ma di circa due gradi lontano da essi, sul quale mercè il micrometro an- zidetto, si portano gli estremi dell'indice di alluminio. Si badi a collocare l’ indice allo zero della graduazione, evitando che venga in contatto co’ bracciuoli, altrimenti allo giungere della carica, l’indice invece di deviare, resterà aderente a’ bracciuoli e non se ne staccherà senza scuotere 0 picchiare l'apparecchio '). _ Livellato lo strumento, è chiaro che se per lo filo & giunge una carica , questa passerà al piattello ed a’ bracciuoli, e quindi per influsso il dischetto di alluminio prenderà l'elettricità con- traria e gli estremi dell’ indice la omologa , e quindi si avrà un deviamento. Quando la carica è istantanea, l’indice dopo il primo deviamento, che io chiamo impulsivo, ritorna in dietro e dopo due o tre brevissime oscillazioni, si ferma ad un arco di deviamento, che io chiamo definitivo, e che è circa la metà dell’arco impulsivo. Quanto più lungo tempo si richiede perchè questo arco scemi di un grado, tanto migliore sarà riuscito l isolamento. Se l’ indice ne’ tempi umidi si vede camminare verso lo zero, anche dopo di aver bene asciugato esternamente il fondo della cam- pana, si abbia l’ istrumento come non riuscito dal lato dell’ isolamento *). Il fondo, del cilindro AA è di vetro verniciato di gommalacca e la base B è di legno. In al- cuni strumenti aggiunsi un cannocchialetto con filo micrometrico per avere letture più precise, cioè esenti da errori di parallasse. Il cannocchialetto allora gira sulla base di legno, sulla quale ci ha un secondo lembo graduato. Non istarò qui a ripetere quello che per esperienza e per calcolo ho più volte dimostrato, che nelle cariche istantanee gli archi impulsivi sono proporzionali alle tensioni. S' intende poi che lo strumento sarà tanto più sensibile per quanto minori siano le distanze superiore ed inferiore de? fili, per quanto questi siano più lunghi e per quanto più leggiero sia il dischetto col filo di alluminio. L’elettricità dovendo operare per influsso sull’ indice, non si ha bi- sogno di contatto, e quindi non ci è resistenza di attrito, che potendo esser varia, muta la sensi- bilità dello strumento. Mi asterrò anche qui di ripetere che partendo da un’ unità di tensione convenuta, le osser- vazioni fatte con apparecchi diversi si rendono comparabili. L'unità che io scelsi fin da principio mi sembra tuttavia degna di esser ritenuta per le osservazioni di elettricità atmosferica. Dal modo come sì fanno le osservazioni, si hanno cariche istantanee, e quindi dal vedere l’ arco definitivo che sì ottiene , sì può conoscere se vi furono perdite per dispersione. Passo dunque alla descri- zione dell’apparecchio per le osservazioni di elettricità atmosferica. Cotesto apparecchio può essere stabilmente collocato in un osservatorio, o esser atto ad es- sere temporaneamente trasportato ove si voglia. Il primo è già noto e funziona in molti osserva- torii, ma non tutti sanno alcune recenti modificazioni ad esso arrecate, le quali sono importantis- sime ; il secondo sebbene da me accennato in altra occasione, pure può dirsi rinnovato. Apparecchio stabile. — NN (Tav. 2, fig. f°) è il cielo della cameretta elevata e bene esposta, cioè non dominata da alberi o edifizî circostanti; 00 un foro orlato, per lo quale passa il condut- tore mobile aa consistente in una canna di ottone di 15 a 16 millimetri di diametro isolata con bastoncello di vetro verniciato di gommalacca nella parte inferiore, sotto del quale trovasi la car- rucola e e quindi il bastone triangolare di legno /, che passando per una colonna #, serve di guida al conduttore nella sua corsa di 1”, 50. Il conduttore termina esternamente in un disco di sot- tile lamina di ottone d di 27 centimetri di diametro ; una specie d’imbuto è serve ad impedire che 1) L’illustre Prof. Cantoni invece di questo lembo mette la graduazione sulle pareti della campana o cilindro di cristallo. °) Quando dopo alcune giornate fredde spirino venti umidi di più mite temperatura, il vapore si precipita sulla superficie degl’isolatori e fa sentire il bisogno di pulirli con pezzuole calde e ben secche. Quindi giova stropicciare leggermente il fondo della campana di vetro, fare lo stesso col bastone di vetro del conduttore mobile, ed asciugare bene i lacci di seta, de’ quali si parlerà appresso. ATTI — Vol. VIL —N.° 12. 3 — Mae l'acqua delle piogge penetri nel foro. Ad evitare le oscillazioni del conduttore quando soffia if vento, ho posto sotto il foro anzidetto una seconda guida, sulla quale chiamo l’ attenzione de’ co- struttori. Essa consiste in un anello triangolare di ottone x disegnato a parte in X (fig. 2), il quale ha nella parte interna tre molle, tra le quali passa il conduttore. Questo anello è mantenuto da tre lacci di seta m, m, m, che si avvolgono a tre bischeri di legno, come quelli che si usano nel vio- loncello per avvolgervi le corde. Quando questi lacci siano assolutamente di seta e non siano umidi, isolano perfettamente le cariche che si debbono misurare, sol che abbiano la lunghezza di due o tre decimetri. L’elet- trometro bifiliare ed una buona pila a secco possono servire a provare se i lacci siano di pura seta prima di farne uso. Questi lacci si levano e si mettono prontamente, per cui quando siano umidi, sì tolgono e sì asciugano in una piccola stufa appositamente fatta. A questo anello è con- giunto il filo di rame , il quale con l’estremo inferiore passa entro l’anello dell’elettometro innanzi descritto e vi rimane durante la corsa di elevazione del conduttore, ma alla fine di questa la pic- cola forchetta r, ch'è alla base del conduttore anzidetto, afferrando il filo è, lo solleva alquanto e lo distacca dall’elettrometro. Questa piccola modificazione è importantissima , giacchè per essa l’os- servatore non è obbligato a mantenere elevato il conduttore per poter leggere l'arco definitivo , e quel che più monta , il conduttore prontamente separato dall’ elettometro, non farà risentire a questo le perdite cui può andar soggetto esternamente, sia per la pioggia sia per la forte umidità dell'ambiente esteriore. La mensola MM, sulla quale si pone l’'elettrometro A e l’elettroscopio B, non deve essere molto lontana dal cielo della stanza, affinchè il filo è divenendo troppo lungo non dia luogo a di- spersioni. Per assicurarci se i lacci di seta, m, m, m, siano in buone condizioni di isolamento, basterà appoggiare un polo di una pila a secco sopra di uno di essi e vedere se l’indice dell’elettometro resta immobile: se esso devia, allora conviene asciugare i lacci. Il modo poi di fare le osservazioni è semplicissimo : si tiri la corda di canape con de- strezza, in modo che il conduttore compia la sua corsa di elevazione ch'è di 1”, 50, in due o tre ininuti secondi, e tosto si abbassi, l'indice dell’ elettometro devierà pel suo arco impulsivo che darà la misura della tensione, la quale sarà corretta in caso di dispersioni avvenute leggenda l’arco definitivo, secondo che fu più volte detto in altre scritture antecedenti. Misurata la tensione si vedrà se è positiva o negativa, mettendo per un momento il filo % in comunicazione con l’elet- troscopio di Bohnenberger, B, ed elevando il conduttore. Se l’elettometro è comparato, cioè se si conosce quale è il numero di gradi che corrisponde alla tensione scelta come unità, se la corsa sia sempre la stessa, ed identica la superficie del disco 4, è chiaro che le osservazioni fatte nello stesso luogo col medesimo apparecchio, o in luoghi diversi e con apparecchi diversi, sono per- fettamente comparabili. Stimo inutile ripetere qui molte cose che furono già dette in altre mie memorie sul mede- simo argomento, giacchè lo scopo ehe mi sono preposto ora, è solo quello di rendere note al cune ultime modificazioni arrecate all’elettrometro ed al conduttore mobile. Voglio solo dileguare un dubbio che si affacciò alla mente di alcuno. Si sospettò cioè che il conduttore nella sua corsa dovesse elettrizzarsi per lo attrito con l’ aria o anche delle molle in- terne dell’anello triangolare. Ma conviene prima di tutto sapere che l'apparecchio portatile , che tra poco sarà descritto, dimostra che nell’interno di un edifizio, il conduttore col salire e con lo scendere, non dà il minimo segno di elettricità. E poi si domanderebbe perchè essendo la elet- tricità atmosferica positiva, il conduttore mostra questa nel salire e la negativa nello scendere , in quello che il contrario si avvera quando domina nell’aria elettricità negativa ? Operando nel modo di sopra descritto, si hanno sempre deviazioni nell’ indice dell’ elettro- metro, lo zero si ha solo per brevi istanti ne'tempi di pioggia cadente ad una certa distanza dal inogo delle osservazioni, cioè quando l'osservatore si trova al confine di due zone contigue, una positiva e l’altra negativa, secondo la legge da me scoperta ed ormai passata nei dominî della — 19 — scienza. Non ci ha dunque una ragione al mondo per far ricorso a condensatori quando si tratta di tensioni di per se stesse cospicue. E vero che in alcuni osservatori d’Italia spesso si segna zero, ma io dubito molto della bontà di quelli apparecchi, imperciocchè queste tensioni nulle raramente si hanno dove funzionano gli apparecchi fatti in Napoli secondo le ultime modificazioni ora de- scritte. I conduttori fissi o francliniani spesso segnano zero per giornate intere, e talvolta anche per settimane senza l’uso della fiamma ; ecco perchè il Prof. Paolo Volpicelli, strenuo rappre- sentante del passato, non sapendosi dipartire da’ conduttori fissi, ricorre a'’condensatori per far par- lare questi muti apparecchi, che anche quando parlano senza condensatori, non possono dire quello che l'osservatore vuol sapere. Di qui la illusione del mio egregio amico nel trovare frequenti segni di elettricità negativa. Dopo le cose da me scritte alcuni anni or sono su questo argomento, con- fidando nell’ingegno e nel sapere dell’illustre professore del romano Ateneo, io stimava ch'egli si fosse ricreduto, ma veggo con rammarico che ancora v'insiste. Mettete una considerevole massa metallica più o meno esposta alla umidità dell'ambiente, in comunicazione con un condensatore. ed avrete senza meno i segni di quellaelettricità che il Volta prima di tutti scopriva, e della cui ori- gine i posteri tanto lungamente disputarono. L’ellettrometro bifiliare col conduttore mobile vi può dare misure precise, corrette e comparabili, rivelandovi delle tensioni tenuissime senza il conden- satore, col quale io non saprei avere alcun risultamento sicuro. In un quarto di secolo che ho con perseveranza studiata in tutt'i modi la elettricità atmosferica, ci fu un tempo in cui anch io cre- , detti poter ricorrere al condensatore, ma sono già molti anni da che l'ho abbandonato. Oggi si potrà far quistione tra il metodo del Thompson ed il mio, siccome si fece nel Congresso Meteo- rologico di Vienna, ma pretendere di ritornare a’ conduttori fissi, mi pare un regresso impos- sibile. Un conduttore fisso terminato a punta si carica nell’ aria con molta lentezza per modo che non giunge al massimo che può ritenere, prima di 5 in 6°, e quello che misurate è la differenza tra gli acquisti e le perdite; ora per poco che le dispersioni crescano, questa differenza diminui- sce, ed assai spesso diviene nulla, allora per mezzo del condensatore potete aver segni di elet- tricità negativa che all'atmosfera punto non appartengono. Le misure dunque prese co’ conduttori franclinani, non hanno alcun valore, perchè non hanno alcuna attenenza con la tensione che si vuol misurare ; e poi per mezzo di tali conduttori non sì arriva neppure a sapere la qualità dell’ eletttricità dominante, secondo che di sopra si è detto. Dopo di aver tanto lavorato per giungere al punto di avere osservazioni comparabili di elet- tricità meteorica, e dopo di aver veduto diffondere il nuovo apparecchio in molti osservatorî ita- liani e stranieri, non avrei giammai creduto che dovessi tornare a discorrere de’conduttori fissi. Chi non sa oggi che la elettricità atmosferica opera per influsso sopra i conduttori e non si co- munica ad essì per contatto dell’aria circostante ? Perchè dunque ripudiare il mezzo più acconcio alla manifestazione della elettricità indotta? Se i conduttori fissi pel lungo tempo che si richiede per caricarsi, patiscono dispersioni considerevoli, variabili ed incapaci di esser conosciute, qual valore volete che abbiano le tensioni che si misurano? Esse sono residui incerti di quantità sco- nosciute, e sempre che le perdite pareggiano gli acquisti, questi residui svaniscono e con l’aiuto dei condensatori, si raccolgono tensioni che all'atmosfera non appartengono. Col conduttore mobile le tensioni si appalesano in un attimo, e quindi le dispersioni sono piccolissime c capaci di essere perfettamente valutate. Ripeto finalmente agli appassionati de’ conduttori fissi, che il conduttore mobile può sempre fare da conduttore fisso, qualora si tenga elevato, ponendo in cima ad esso le punte o la fiamma. Si potranno ripetere così le osservazioni che fecero un tempo i nostri maggiori, e si potranno anche fare degli utili confronti tra l’antico ed il nuovo modo di fare osservazioni di meteorologia elettrica. Apparecchio portabile.— Questo apparecchio è figurato nella Tavola IH (fig.2).Il conduttore a a è come quello antecedentemente descritto, ma è lungo un metro. La guida di legno # è lunga per #19) (Cd modo che il conduttore possa elevarsi per un metro e mezzo. La carrucola che nell’ apparecchio antecedente era posta alla parte inferiore del conduttore mobile di sotto al bastone di vetro, qui è posta all'estremo inferiore della guida di legno. Il filo di rame ? e lungo e passa entro l’anello del- l’elettrometro bifiliare, per cui quando il conduttore è alla fine della sua corsa, il filo esce dall’ a- nello e così il conduttore resta separato dall’elettrometro. Il tripode di legno è fatto in modo da pie- garsi, il conduttore si separa dalla guida #, e tutto si colloca in apposita cassa, che può essere fa- cilmente trasportata. Per conoscere la specie di elettricità , si può far di meno dell’ elettroscopio di Bohnenberger, bastando una semplice pila a secco, con la quale prontamente si può esplo- rare la natura della carica dell’ elettrometro bifiliare. 22 giugno 1877 a er hg SITI VICAZI]: Nigr * F VT ® RICE TE® de, N Y CSriy I 4 VAUIIATA - DA PO VAAA kr: PA SC : \ DEKEN } Ta (i gi Vol. VII. N:%43 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE RICERCHE PREISTORICHE NEI DINTORNI DEL LAGO DI LESINA IN PROVINCIA DI CAPITANATA MEMORIA del Socio Ordinario G. NICOLUCCI letta nell’adunanza del dì 11 agosto 1877 Dopo una breve comunicazione da me fatta alla R. Accademia nel febbrajo dell’anno vol- gente su gli oggetti preistorici raccolti dal signor Reffaele Centonza ne’ dintorni del Lago di Lesina '), l'Accademia stessa, desiderosa che quelle scoperte si confermassero e si estendesse- ro, affidava a me l'onorevole incarico di recarmi in que’ luoghi, e pratticarvi tutte quelle indagini che potessero dar luce a que’ trovamenti. Lieto di questa missione, la quale mi poneva in grado di far ricerche paleoetnologiche in una Provincia che anche al maggiore Angelucci era stata larga di interessanti oggetti antesto- rici nelle sue fortunate escursioni nel Gargano , e fiducioso nell’ esito delle mie investigazioni, mossi per Lesina a’ primi del mese di maggio, e per più giorni diedi opera a compiere l’ incarico ricevuto. Con quali felici risultanze il lettore potrà giudicarlo dalla lettura della presente memo- ria, la quale è destinata alla descrizione delle esplorazioni da me fatte, e de’ risultati ottenuti. E qui non debbo omettere di render grazie pubblicamente al signor Centonza, il quale non solo mi fu guida nelle molte escursioni e nelle pazienti ricerche, ma con ogni sorta di libe- ralità usatami volle ancora che in me fossero durature e la memoria delle cortesie ricevute, e la mia viva riconoscenza. TOPOGRAFIA Lesina è una terricciuola *) sulla sponda meridionale del lago di questo nome nella Provincia di Capitanata. E edificata su d’una punta di terra sporgente dalle acque che la circondano quasi da ogni lato. Il lago , il quale si estende per 20 chilometri da oriente ad occidente, e per una 1) Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche. Fascicolo 29, febbraio 1877. 2) Tale non era Lesina in antico, ma città di qualche considerazione. Fu posseduta, con titolo di contado, da Manfredi della Casa Sveva, e da Carlo Il d'Angiò. Ebbe pure altri conti e baroni, alcuno de’quali è nominato nel catalogo di coloro che concorsero alle spedizioni di Terra Santa. Fu sede vescovile per lungo tempo, e l’ultimo suo vescovo, Orazio Greco, intervenne al Concilio di Trento sotto il Ponteficato di Pio IV. Come e quando fosse decaduta del suo antico stato la storia lo tace. Taluni credono essere stata distrutta da una inondazione; altri da un tremuoto, ed altri infine da una incursione di Saraceni, la quale opinione si ritiene poter essere la più probabile. ATTI — Vol. VI. — N.° 13. 1 IO larghezza media di 3 chilometri da mezzogiorno a settentrione, ha una superficie di 7 mila etta- ri, ed è separato, in tutta la sua lunghezza, dall’Adriatico da una stretta duna boscosa che i Le- sinesi chiamano /sola, tutta coperta di alberi ed arbusti resinosi a foglie perenni. Il più basso fondo del lago non raggiunge, ne’ mesi estivi, che poco più di un metro di profondità, ma nell’ inver- no, e per le acque piovane che vi affluiscono , e per quelle che vi recano in tributo i due fiumi Lauro ed Api, il suo livello si innalza notabilmente, e le sue acque si spandono per le basse cam- pagne adiacenti che rimangono inondate per tutta quella stagione. Cinque foci in antico mette- vano questo lago in comunicazione con l'Adriatico, ma essendosi una dopo l’altra interrate, non rimase aperta che la sola foce Schiapparo, la quale fino ad un anno addietro era chiusa in ago- sto e riaperta in marzo da’ proprietari del lago ricco di pesca, soprattutto di anguille tanto rino- mate nelle Province meridionali. All’aprirsi della foce Schiapparo le acque che si erano raccolte nel lago si versavano rapidamente nel mare, e il livello di esso abbassavasi fino a quella profon- dità media che noi vi abbiamo rilevata nel maggio scorso. Ora la foce Schiapparo è aperta stabilmente; la comunicazione con l’Adriatico ristabilita pe- rennemente, e non si avranno più a deplorare , come per lo passato , quelle grandi inondazioni invernali che impaludavano tanta parte di fertile territorio. Alla distanza di circa un chilometro e mezzo ad oriente di Lesina s'inoltra nel lago una lin- gua di terra, la quale larga dapprima presso a cinque chilometri, si ristringe a misura che si ad- dentra nelle acque, formando un angolo ottuso , la punta del quale si spinge fino a due chilo- metri nell’ interno del lago. Questa lingua di terra chiamasi Camerata, ed è quasi tutta sovra- stante al pelo delle acque, ma verso la punta e nella sua metà, il terreno si avvalla , e dà origi- ne a due lagune o paludi. La prima, che dicesi della Punta, o Palude grande, si allarga per poco meno di un chilometro dall’est all’ovest, e per mezzo chilometro dal sud al nord; la seconda è molto più piccola, e non ha comunicazione veruna con la precedente. Presso a poco alla stessa distanza di Camerata si distende, all’occidente di Lesina, da Can- nella al Muro, la contrada Fischino, la quale costeggia quella parte del lago, che ne inonda in inverno le terre più declivi, ma la maggior parte della contrada, avendo un’ altezza superiore a quella delle acque, rimane all’asciutto, ed è tutta coperta da piante di lentischi. Quasi in mezzo tra Fischino e Lesina giace un’altra contrada che dicesi Ponzone, anche essa inondata nella parte che lambe il lago, ma il terreno tosto elevandosi non permette alle acque di spandersi di vantaggio, e limita a piccola estensione la zona che rimane impaludata. Queste tre contrade aveano fornito al signor Centonza una quantità notevole di oggetti dell'età della pietra, e noi continuando in que’ medesimi luoghi più diligenti ricerche potemmo non solo far raccolta di una copiosa messe di armi ed utensili di pietra, ma scoprire ancora fatti importantissimi relativi alla presenza dell’uomo, nelle età preistoriche, in quella regione. Dirò adunque partitamente delle scoperte fatte in ciascuna delle tre contrade sopranominate. CAMERATA Partiti in sandalo da Lesina, e messo il piede in Camerata sul terreno più vicino alla Padule grande, tratto tratto incontrammo selci lavorate lungo il nostro cammino, le quali dapprima era- no piuttosto rare, ma a misura che ci avvicinammo alla Palude, il lor numero facevasi maggio- re, e nelle sponde nord e sud della stessa erano sparse in tanta profusione, che ne riunimmo, in poche ore, molte e molte centinaia. Esplorando attentamente per lungo e per largo il terreno intorno alle Palude fin dove le selci lavorate si vedevano in qualche abbondanza, attrassero la mia attenzione alcune macchie di terra nerastra, intorno e dentro le quali io scorsi parecchi frammenti di stoviglie. Era una ripetizione di ciò che io avea osservato, alcuni anni addietro, nella Valle della Vibrata, e non dubitai perciò che quelle macchie dovessero essere i ruderi di capanne preistoriche ivi esistite. Feci scavare im- mantinenti il suolo in più punti ove mostravasi quella terra nerastra, e tosto apparvero i fondi RSS Rasa circolari di capanne, entro i quali erano frammenti di stoviglie, moltissimi oggetti di selce la- vorata, e poche ossa frante di animali ovini e qualche dente di bue. Le capanne esplorate aveano il diametro una di tre, e due altre di due metri e 60 centimetri, e lo strato preistorico, il quale affiorava sul terreno, si approfondiva nel centro poco meno di 60 centimetri. AI di sotto dello strato preistorico mostravasi il suolo vergine scavato in forma lenticolare , essendo la parte pe- riferica meno profonda di circa 10 centimetri di quella centrale. Essendo le macchie nerastre assai numerose, e non potendo esaminarle tutte una per una, feci scavare larghe trincee in tutto il luogo ov’ esse apparivano, e questo lavoro eseguito tanto presso la sponda meridionale, quanto presso la settentrionale della Palude ci fece aperto che ivi si trovavano due gruppi di fondi di capanne disposte quasi in filo e distanti |’ una dall’altra cin- que in sei metri. Nel gruppo meridionale erano venti le capanne allineate l’una sull’altra, e le file, che distavano fra loro (per quanto ci fu dato osservare) sette in otto metri, erano quattro. Ma oltre a queste ve n'erano ancora altre qua e là disseminate, le quali sia dalle acque piovane, sia dalle stesse acque del Jago che nella loro escrescenza talvolta le avevano ricoperte, erano state spazzale, e se ne vedevano i contenuti sparsi per tutto il terreno adiacente. Men numerosi erano i fondi delle capanne nel gruppo settentrionale, e più erosi dalle acque del lago, ond’io non potei contarne che tre file di dieci capanne ciascuna, senza tener conto di tutte le altre scomparse per l’azione erodente delle acque. In ciascuna capanna si raccolsero quasi i medesimi oggetti, cioè frammenti di stoviglie in gran copia, ossa frante di animali ovini ed oggetti lavorati in selce di più maniere : martelli, pie- tre da fionda, asce, scalpelli, coltelli, raschiatoi di varie sorti, ed ogni altra qualità di arnesi, al- l’infuori di lance e frecce di cui non si rinvenne traccia in alcuna capanna, perciocchè gli esem- plari di queste armi furono tutti trovati sparsi sul terreno, e in distanza più o meno grande da quelle abitazioni. In un fondo di capanna raccolsi pure alcuni piccoli coltelli di ossidiana, ed un lisciatoio di osso di bue, che fu il solo strumento in osso da me incontrato in tutte le esplorazioni fatte in- torno al lago di Lesina. Ne dintorni dell'altra Palude, che porta il nome di Carroppi, gli oggetti litici furono in mi- nor numero, e in niun punto ci fu dato osservare avanzi di capanne, nè per quante ricerche sì fos- sero fatte se ne vide traccia in alcun altro sito di quella contrada. Dalle quali circostanze fum- mo indotti a congetturare, che Camerata era stata abitata ne’ tempi preistorici soltanto verso la sua punta, e soprattutto al nord e al sud della Palude Grande; che ivi gli uomini dell’età della pietra aveano costruite capanne, vi erano riuniti in villaggi, e vi formavano piccole società. Dicevo innanzi che i fondi delle capanne erano state in parte corrosi, in parte distrutti dalle acque del lago, ma non s' abbia a credere per questo, che que’ terreni fossero stati sommersi 0 inondati nelle epoche preistoriche. Que’ terreni, tanto al nord, quanto al sud della Palude, si ele- vano di circa un metro sul suolo circostante, ond’ essi prima che le antiche comunicazioni del lago con l'Adriatico fossero ostruite da nuove dune accumulate innanzi alle loro foci, erano com- pletamente all’asciutto, e non soggetti ad inondazioni come negli ultimi anni, quando chiusa con arte l’unica foce Schiapparo, le acque che affluivano nel lago ne innalzavano il livello talora fino a due o tre metri. Ne conferma ancora in questo giudizio il non aver trovato traccia di palafitte , nè di argini intorno alle capanne, o intorno ai villaggi, ì quali non avevano mestieri di alcuna sorte di riparo, trovandosi in terreno elevato ed asciutto, come lo è oggi per la riapertura pe- renne della foce Schiapparo. Armi ed utensili in selce furono anche rinvenuti a qualche distanza dalle capanne, e in alcuni luoghi sparsi a profusione sulla superficie del suolo. E non solamente erano arnesi finiti e per- fetti, ma anche schegge, nuclei, matrici di selci ed oggetti incompiuti o mal riusciti nella lavora- zione. Questi luoghi non potevano essere che le sedi delle officine ove lavoravasi la selce, le quali notammo tanto al nord, quanto al sud della Grande Palude. Dalla quantità di oggetti raccolti e dalle svariate forme de’ medesimi argomentammo che ivi, da uomini a ciò dedicati , sì lavoras- zii; Bi n sero esclusivamente le armi ed utensili che erano bisognevoli alla popolazione riunita in que’vil- laggi. FISCHINO L'escursione fatta a Fischino fu poco meno fruttuosa di quella di Camerata. Percorrendo la parte bassa della contrada, e quella più particolarmente corrosa dalle acque del lago, allorquando il suo livello si eleva, e le acque baciano quelle sponde, trovammo arnesi litici e fra le ghiaie a- sciutte e fra quelle inondate da’ marosi. Fu in mezzo alle acque ch'io raccolsi una bellissima punta di lancia spezzata, una freccia di perfetta conservazione ed alcuni eleganti raschiatoi, ol- tre a molte schegge ed oggetti frammentati. Ma raccolta più ubertosa fu quella che facemmo nelle terre sovrastanti ed asciutte della stessa contrada in tutto il littorale da Cannella al Muro ove ad ogni piè sospinto raccogliemmo pietre lavorate , e soprattutto nel fondo di alcuni fossi di scolo delle acque piovane, e in alcuni ripiani fra i cespugli de’ lentischi. In quatiro punti poi, lontani poche centinaia di metri l’uno dall’altro, agli arnesi litici si aggiunsero frammenti di stoviglie della stessa qualità di quelle rinvenute a Camerata. Ciascuno di que’ siti occupa un’area di presso a mezzo ettare, e in più parti notammo quelle macchie nerastre del terreno che ci guidarono a sco- prire in Camerata i fondi delle capanne. A Fischino però gli indizîì delle capanne erano più rari, e non potemmo procedere a larghi scavi, perchè il terreno, come dissi, è tutto rivestito di piante di lentischi. Dove il terreno ci permise procedere a regolari scavazioni, trovammo anche quivi i medesimi fondi circolari delle capanne, e dentro lo strato archeologico, cocci in gran copia e selci lavorate e pochi frammenti di ossa ovine, avanzi di pasto. Fra le selci raccolte in questi scavi i coltelli vinceano straordinariamente di numero, benchè non vi mancassero e pietre da fionda e percussori e raschiatoi ed altri arnesi di varia forma e grandezza. Non fu possibile poter determinare in maniera approssimativa il numero delle capanne abi- tate, ne’ tempi preistorici, in Fischino, ma ci parve che potessero essere numerose quanto in Ca- merata. Per quanto potei giudicarne, la capanne erano poste a maggiore distanza fra loro senza alcun ordine e simmetria, ma ci parvero essere della stessa epoca di quelle di Camerata, così fa- cendoci giudicare e la loro costruzione, e la qualità delle stoviglie, e la forma e fattura degli 0g- getti di pietra di cui facemmo raccolta. I quali, essendo riuniti in maggior copia in alcuni luo- ghi, ov erano confusi insieme a matrici di selci, a nuclei, a schegge e ad arnesi non compiuti o imperfetti, ci diedero argomento al credere, che in que’ luoghi fossero anche esistite officine per la lavorazione delle armi ed utensili necessarî a’ bisogni di quella popolazione. Noi notammo due di queste officine, ma non saprei dire se ve ne fossero state anche altre oggi nascoste sotto 1 folti lentischi che rivestono tutta la contrada. PONTONE Quella parte della contrada Pontone che avvicina il lago di Lesina è tutta una palude, anzi due paludi in forma di cul di sacco disgiunte fra loro da un piccolo rialzo di terra. Dove le pa- ludi han termine entro terra il suolo s'innalza con rapida elevazione per oltre due metri sul li- vello del lago. Percorrendo quelle paludi, che han nome di S. Lorenzo, ov'elle si congiungono al lago e dove è più facile transitarle, raccogliemmo varie pietre lavorate, probabilmente tolte al terreno superiore dalle acque piovane. Non fu abbondante in questo sito la nostra raccolta. Ben mag- giore fu il numero degli arnesi litici che riunimmo nel terreno sovrastante, il quale, essendo stato in parte smosso poco innanzi dall’aratro, ci fu largo di molte reliquie preistoriche e di frammenti di stoviglie. Raccogliemmo quivi oltre a cento utensili di pietra fra coltelli, raschiatoi, nuclei ed un grosso percussore di arenaria, senza contare le innumerevoli schegge di cui facemmo col- lezione. Non potemmo osservare in quel terreno lavorato di fresco le solite macchie nerastre che ci r BK De sarebbero stati indizî di capanne preistoriche , ma non è a porre in dubbio che vi fossero state per la presenza de’cocci che vi erano sparsi a profusione. E i nuclei e le schegge infinite ivi spar- se ci diedero eziandio argomento a giudicare, che non vi fossero neanche mancate officine per lavorare le selci accanto alle capanne, come si trovarono a Fischino ed a Camerata. Pontone è una contrada che, al pari delle ultime nominate, è ricca di avanzi preistorici, ma noi non potemmo esplorarla interamente, perchè la maggior parte di quel terreno era seminato a grano, e questo nascondeva con la sua lussureggiante vegetazione tutto il suolo, dal quale forse avremmo tratto un numero di armi ed utensili in pietra non inferiore a quello raccolto in Fischino ed in Camerata. Le contrade per noi descritte sono quelle che ci han fornito tutto quel gran numero di ar- nesi litici che abbiamo raccolto ne’ dintorni del lago di Lesina, ma fra Pontone e Lesina altri 0g- getti si rinvennero ancora a Salsolido e alla Difesa, ed alcuni anche nell'ampia distesa di terreno che intercede fra Pontone e la Badia di Ripalta, che sorge alla distanza di circa otto chilometri al sud di Lesina sopra un'alta ripa del fiume Fortore. Vago di visitare quel monumento del Medio-Evo, la costruzione del quale risale al 1119, in compagnia di cortesi amici mossi da Pontone , e percorrendo quella fertile campagna fino a Ri- palta, nelle vie e ne’ campi da noi traversati di tratto in tratto rinvenimmo varie schegge di sel- ce il cui numero si fece maggiore avvicinandoci a Ripalta, ove in poco spazio ci fu dato riunirne oltre una ventina; ma di arnesi lavorati neppur uno. A Ripalta osservammo il poco che avanza delle antiche costruzioni innalzatevi da’ Cister- ciensi, e ci colpì di maraviglia l’augusto tempio di cui si conserva ancora intatta la facciata colla sua antica porta ed una snella torre che le s'erge d’accanto. Le navate laterali di quel tempio, che ne contava tre, sono oggi convertite in cantina, stalle e rimessa, e sovra queste è fabbricata l'abitazione dell’attuale feudatario signor Nicola Caracciolo, Principe di Torella. La navata del centro è solo in parte conservata al culto, mentre quasi una metà della medesima è ridotta ad una corte scoperta e a magazzino ! A Ripalta uno splendido panorama si offerse a’ nostri sguardi. Una vasta pianura verdeg- giante e leggermente ondulata stendevasi fino al lago di Lesina, le cui acque tremolanti scintil- lavano di vaghi colori; al di là del lago la lunga striscia dell’isola, che come una fascia di verzura stringeva il lago alla terra; e più oltre ancora l'azzurro dell'Adriatico da cui sorgevano le irte punte delle Tremiti. Il sole volgeva al tramonto, e pria di tuffarsi nelle onde spandeva sopra tutto l'occidente una tinta rosso-ranciata che ravvivava quella scena sublime, e destava nell’ani- mo del riguardante il più elevato sentimento dell'armonia della natura. Il. ARMI ED UTENSILI DI SELCE LAVORATA — STOVIGLIE La quantità di oggetti in selce lavorata de’ dintorni del Lago di Lesina m indusse a clas- sificarli in varì gruppi secondo la forma che essi presentano. Non così rispetto alloro lavo- ro, chè ben considerati, non ostante che a parecchi potesse assegnarsi in apparenza una data molto più antica, tuttavia essendo essi parte di una raccolta fatta ne' medesimi luoghi e nelle me- desime condizioni, io credo che debbano essere tutti riferiti ad un’epoca sola, cioè all’epoca neo- litica , allorchè le forme degli oggetti erano più numerose e diverse, e l’arte di lavorarli molto più progredita e perfezionata. Que’ pochi arnesi che sembrano arieggiare a un tempo più remoto non sono infrequenti nelle epoche posteriori, e la forma e la rozza fattura non dànno argomenti sufficienti a considerarli di vetustà maggiore di quella che essi abbiano veramente. == 41. Nuclei. Sparsi qua e là nella superficie del suolo e nel fondo di alcune capanne si rinvennero molti nuclei di selce più o meno grandi, da’ quali si vedono staccate tutto all’intorno lamine di varia grandezza. In generale i nuclei non sono di grandi proporzioni. Il maggiore di essi, raccolto nel fondo di una capanna di Camerata, è di figura ovale, ha la lunghezza di 8 centimetri, e il diame- tro minore di 5 centimetri. La maggior parte non vince nel suo maggior diametro 6 centimetri e nel minore 2-5 centim. La forma delle lamine staccate ora è quella di un coltello, ora di un ra- schiatoio, ed ora sembra esser quella di una scheggia che poi dovea, con ulteriore lavoro, esser ridotta a cuspide di freccia. 2.— Percussori. ] percussori, ad eccezione di un solo, furono trovati esclusivamente nel fondo delle capan- ne. Sono tutti in diaspro bigio, o di un aggregato quarzoso durissimo, di forma quasi sferica con qualche risalto angoloso nel loro contorno. Il maggiore di essi, in quarzo, non ha che il diame- tro di $ centim., ma il diametro ordinario è quello di 5 a 6 centimetri. Le pietre onde sono for- mati doveano trarsi da paesi lontani, perchè gli aggregati quarzosi non si trovano ne’ dintorni di Lesina e neppure ne’ monti vicini del Gargano, ricchissimo di molte varietà di piromache. 3.— Pietre da fionda. Moltissime sono le pietre da fionda che si raccolsero in ogni luogo delle contrade esplorate. Sono di forma ovale, rozzamente scheggiate, e presso a poco della grandezza di una grossa noce. 5.— Accette. Non una sola accetta ho rinvenuto di pietra levigata, ma tutte lavorate a scheggiature più o meno delicate, secondo la finezza del taglio che loro voleva darsi. Hanno quasi tutte una forma ovale schiacciata simili a quelle notissime di Abbeville, ma le loro dimensioni non sono molto grandi. La maggiore non ha che otto centimetri di altezza ; le altre, e sono piuttosto numerose; non misurano che 6 ad 8 centimetri. Le accette sono tutte in selce bionda, che è la varietà più comune fra gli oggetti lesinesi. Talune sono taglienti a’ due estremi, oltre il loro contorno. Ve ne ha parecchie che hanno la for- ma di un parallelogrammo, e di queste non è tagliente che un solo de’ lati minori, e questo il più sovente scheggiato con tale arte da presentare una sola scheggiatura traversale, che rende il taglio dell’accetta altrettanto affilato come se fosse levigato. Simile magistero ho osservato in parecchie accette danesi, colle quali queste nostre di Lesina presentano grandissima rassomi- glianza. Un solo frammento ho rinvenuto di un’ ascia levigata, ed è la parte mediana di un’ accetta di porfido. La raccolsi in Camerata alla superficie del suolo insieme ad altre accette di selce scheggiate. 5.— Scalpelli e Sgorbie. Nel fondo delle capanne si rinvenne il maggior numero di questi utensili, i quali, in più pic- cole proporzioni, si rassomigliano alle accette che ho detto avere la forma di un parallelogrammo con uno de’ lati minori francamente scheggiato di traverso da presentare un tagliente netto ed affilato. La larghezza del taglio degli scalpelli varia da 2 a 3 centimetri. Nel lato opposto al tagliente sono sempre più assottigliati perchè ne fosse più facile e più solida la manicatura. Va- rie qualità di selce erano adoperate per questi strumenti, avendone trovati in selce bionda, bruna e cornea. —- Alcuni scalpelli presentano il tagliente convesso da un lato, concavo dall’ altro, nè più nè meno di quello che si usa darlo alle nostre sgorbie di ferro, ond’io non dubito di credere, che anche questi utensili dovessero essere destinati all'uso stesso delle nostre sgorbie. Solamente farò notare, che la loro grandezza è quasi il doppio di quello degli scalpelli ordinarî. Le sgorbie rinvenute in numero di tre nella contrada Fischino, ed una in quella di Pontone sono tutte in selce cornea, non avendone trovato in selce di altre qualità. 6.— Punteruoli. Molti sono i punteruoli che raccolsi così nel fondo delle capanne, come sparsi a fior di terra tanto a Camerata, quanto a Fischino ed a Pontone. Sono più o meno grandi da poter servire a formar fori grandi e piccoli. Parecchi sono interi, altri spezzati e mancanti della punta. I più eleganti sono lavorati a finissimi ritocchi intorno alla loro estremità acuminata. La maggior parte poteva essere adoperata senza manicatura, altri hanno la base terminata in guisa da dover es- sere adattata ad un manico. La loro punta è quasi sempre triangolare ma con gli angoli così smussati da presentare una forma piuttosto conica che angolare. Ve ne ha taluni, e sono i più piccoli, che invece di avere la punta conica sono formati da una lamina sottilissima ritoccata fina- mente ai lati da imitare la punta di un delicato coltellino. Forse erano quelli destinati a formare la cruna degli aghi, o a forare le pelli più sottili che doveano essere cucite insieme. 7.— Seghe. Non così numerose le seghe co’margini dentati a somiglianza delle odierne. Appena due o tre ne raccolsi a Camerata. Ma io credo che invece delle lamine intaccate ai margini potessero ser- ; vire ad uso di sega quelle larghe e grosse lamine di selce, le quali fissate in un manico di legno o di corno potevano bene, e meglio ancora delle lamine dentate, essere adoperate al segamen- to. Di queste lamine se ne sono trovate in certo numero. Anche nel fondo delle palafitte elveti- che si rinvennero seghe che aveano la stessa forma di quelle lamine che noi abbiamo giudicato per tali. Sono lamine larghe da 10 a 12 millimetri, di lunghezza variabile fino a’ 50 o 60 milli- metri con una sola costola mediana, taglienti da un sol lato, e doppie, nel lato opposto, da 5 a 10 millimetri. 8.—Lance e Giavellotti Varie e diverse per forma e per dimensioni sono le cuspidi di lancia. Alcune sono a forma triangolare con la base alquanto minore de’due rimanenti lati del triangolo , e con gli angoli in- feriori smussati e tondeggianti. Queste punte, che hanno molta somiglianza con quelle che i Fran- cesi chiamano di Moustier, sono piane dalla faccia che corrisponde al bulbo di percussione, e dal- l’altra faccia presentano ordinariamente tre faccette longitudinali che si riuniscono ad una certa altezza in uno spigolo mediano che continua fino all’ apice della cuspide. La punta è quasi sem- pre ritoccata con fine scheggiature , e così pure i margini dell'arma ove il taglio , nello scheg- giarsi della pietra, non fosse riuscito abbastanza sottile. La base, o la sua porzione inferiore, è abbozzata grossolanamente per dare maggior presa all’asta in cima alla quale era infissa. Que- sta forma si è incontrata quasi sempre intera. Non così le altre che sono quasi tutte spezzate , e sono state raccolte in frammenti. Da questi però non è difficile argomentarne la forma completa, la quale era quella o di foglia di lauro, o di salice. Queste cuspidi sono lavorate con maggior cu- ra e magistero delle precedenti, perciocchè e l'una e l’altra faccia, come l’intera orlatura, sono ri- toccate così delicatamente da sembrare essere state sottoposte alla levigatura. Una di queste lance, raccolta in mezzo alle acque del lago in Fischino, doveva avere la lunghezza di 15, la larghezza di 6 centim., e la spessezza di 5 millimetri. Un’altra rinvenuta in Camerata è lunga 183 centim., larga 5, e doppia, nel suo mezzo, 6 millim. Una terza, anche di Camerata, è lunga 9, larga 4 cen- TORA timetri e doppia 6 millim. Dò queste misure come approssimative, perciocchè, ripeto, queste cu- spidi dì lancia non sono intere, ma le forme ricostruite sembra non possano essere dalle vere molto diverse. Niuna lancia si è trovata con le alette laterali e il peduncolo per essere innestata. Invece quelle che abbiamo sott'occhio erano conficcate nell’ asta per quella estremità che è meno acuta dell'altra, e che costituisce la base tondeggiante della foglia. Molte cuspidi tanto della forma triangolare, quanto di quella a foglia, di minori dimensio- ni, sembra che possano essere classificate fra i dardi o giavellotti, i quali erano destinati, come le frecce, ad essere lanciate con l'arco. Di queste se ne è raccolto un numero maggiore delle lance, dalle quali peraltro si differenziano per questa particolarità , che sono meno lunghe e più larghe, nelle loro proporzioni relative , delle vere punte di lancia. Una di esse ha un peduncolo nella base, ed è il solo esemplare di questa forma che abbiamo raccolto presso Fischino. 9.—Frecce. Ben più svariate ancora delle punte di lancia sono le cuspidi di freccia. Più comuni sono le frecce ovali, od a mandorla, alquanto più acuminate nella punta che nella base, talune ritoc- cate con leggieri colpettini tutto all’intorno e nelle loro facce, altre in una faccia sola, e nell’al- tra scheggiate in due falde che si riuniscono in una costola mediana. Varia la loro grandezza da 15 a 70 millim., e la larghezza da 10 a 30 millim. Le une sono più spesse, altre più sottili; alcune rozzamente, altre lavorate con maggiore perfezione. Seguono per numero le frecce a forma di foglia, e queste eziandio scheggiate soltanto in una o in entrambe le facce , o ritoccate in ambedue le superficie, e più accuratamente ne’ loro contorni. La forma della foglia è più o meno stretta e lunga, e la punta più acuta o meno. Altre frecce sono triangolari, munite di gambino ed alette, le quali o sono orizzontali, 0 tondeggianti, o prolungate in basso e terminate a punta , o troncate in faccette, la cui direzione converge verso l'estremità del peduncolo. ‘ Una sola freccia ho raccolto in Camerata ad una sola aletta, e questa tondeggiante, mentre il lato opposto presenta la forma delle cuspidi ovali. Di un'altra forma di saetta non ho trovato che un solo esemplare in Camerata, e que- sta, per quanto mi è noto, unica finora in Italia. Imperocchè è formata da un angolo molto acuto, dalla base del quale, che corrisponde alla metà dell’arma, si partono due alette che slargandosi lateralmente, e volgentisi im basso si ricongiungono formando una semi-ellissi che costituisce la base della freccia. Essa è lunga 38, e larga 22 mm. È lavorata a piccole scheggiature, e ritoc- cata delicatamente dalla base del triangolo fino alla punta che è acutissima. Anche le frecce a forma di rombo sono molto rare ne’dintorni di Lesina. Non ne ho raccol- to che due soli esemplari, entrambi di piccole dimensioni, non superando in lunghezza i 25 mm. Vi sono pure fra le cuspidi di frecce alcune altre forme notevoli per la loro singolarità, ma io credo che più che intenzionali, quelle forme risultassero tali nella loro lavorazione. Tali alcu- ne frecce che, invece di avere la punta retta , la presentano alquanto di lato e un poco obliqua, tali queile altre che, invece di seguire una linea o ondulata o retta dalla base all’apice si ristrin- gono ad un tratto o nell’uno o nell’ altro lato, e finiscono in punta acuta senza presentare quella simmetria che d’ordinario si osserva in queste armi che sogliono essere le più finite e le più ele- ganti. Queste forme non sono comuni, e perciò io credo che debbano riputarsi più oggetti mal riusciti, che esemplari finiti e perfetti. 10.—Coltelli. Il numero maggiore degli oggetti litici lesinesi, tanto nella contrada di Camerata , quanto in quella di Fischino e di Pontone, lo compongono i coltelli, di cui parte sono stati rinvenuti ro ro ———n SEU ai a fior di terra sparsi nella superficie del suolo, parte ne’ fondi delle capanne che ne forni- rono una copia straordinaria. ari per altro gli esemplari interi, ma quasi tutti ridotti in fram- menti più o meno grandi. Il maggior coltello ch'io raccolsi a Fischino ha la lunghezza di 110 e la larghezza di 18 mm., ed ha la punta arrotondata, come altri più piccoli, che si rinven- nero anche a Fischino ed a Camerata. Molti sono a punta acuta, altri a punta ottusa tagliata a sbieco od a rettangolo. La base è sempre semicircolare, ritoccata a colpettini per ridurla a quella forma comune. L'una faccia, quella che corrisponde al bulbo di percussione, è sempre piana ; l’altra è costituita da due o tre faccette che sono divise da costole longitudinali.La terza faccetta converge quasi sempre prestamente con le altre due che continuano fino alla punta , ma altre volte le due faccette si risolvono in tre nell’ avvicinarsi all'apice del coltello. Le lame taglienti sempre a’due lati, di rado ad un lato solo, ed allora 1’ altro è doppio e spesso come il dorso de nostri coltelli. Quasi tutti sono in piromaca bionda © giallo-scura , alcuni in agata e in corniola, parecchi in diaspro di varì colori. A1.— Selci romboidali. Fra la quantità ingente di lame raccolte ne ho riunite alcune di forma romboidale sulle quali l’egregio Prof. Chierici ') richiamava, non è molto, l’attenzione de Paleoetnologi. Simili nel resto a frammenti di coltello, se ne distinguono per esser ritoccate ne’ margini superiore ed inferiore. La loro forma però è definita, essendo quella di un rombo più o meno imperfetto , il perchè il Chierici dava ad esse giustamente il nome di se/ci romboidali. Ne' 16 esemplari ch'io ne raccolsi lo sbiego in 10 è da sinistra a destra, in 6 da destra a sinistra. La base, o taglio inferiore di quelle selci, non è veramente sempre parallela al taglio superiore, ma talvolta è qua- sì retta, tal’ altra anche semicircolare. Due di quelle selci ho trovato di dimensione non comune, quasi il doppio delle ordinarie, che è fra i 10 a 15 millimetri di larghezza, e 15 a 20 mm. di al- tezza laterale. Esse hanno 25 millimetri di larghezza, e l’una 28, l’altra 30 mm. di altezza nei lati, e sono lavorate con ricercatezza non ordinaria. 12.— Raschiatoi. Dopo i coltelli sono i raschiatoi che ci si offersero in maggior numero nelle officine litiche e ne’ fondi delle capanne. Sotto il nome di raschiatoi è compresa una grande varietà di arnesi che non appartengono ad alcuna delle forme dianzi descritte , e che si credono comunemente essere stati adoperati a grattare, raschiare, assottigliare e compiere altre operazioni analoghe.Io però ho per fermo, che molti degli utensili che sono stati distinti col nome di raschiatoi debbano essere stati destinati ad altri usi che noi ignoriamo; ma perchè ce ne è ignota la destinazione , continuiamo a servirci del vocabolo comune adottato, e li riuniamo tutti sotto | appellazione generale di raschiatoi. Sono lamine di selce più o meno grandi, doppie e di fogge svariate e diverse; piane dalla faccia che corrisponde al bulbo di percussione , scheggiate dall’ altra in più faccette , secondo la forma e la grandezza dell istrumento. La forma dominante è la ovale, più spessa nel suo asse maggiore, assottigliata ne’ margini, i quali ora sono ritoccati, ed ora no. Questi raschiatoi ovali sono anche i più grandi, essendovene alcuni che giungono fino a 9 centimetri di lunghezza so- pra 5 di larghezza. Altri sono emisferici, ma più piccoli e più sottili de’ precedenti, quasi sempre ritoccati in tutto l'orlo circolare. Altri sono orbicolari affatto , e tutto all’ intorno lavorati a piccole scheg- giature. Non mancano esemplari di raschiatoi detti a cucchiaio, cioè incavati da una faccia, convessi dall’ altra: concavità ottenuta con grande arte, scheggiandosi a poco a poco la superficie piana 1) Bullettino di Paleoetnologia italiana. Anno 1, p. 2. Atti— Vol. VIL—N. 13. 2 —=ide della selce fino ad ottenere un incavo che imita quello del cucchiaio. L’incavo si trova nella parte più larga del raschiatoio, che ha quasi sempre la figura ellissoide. Ne ho raccolto anche di quelli che hanno la forma di un triangolo isoscele , ne’ quali è ritoccato il solo lato ineguale che ora è piano (forma più rara), ed ora semicircolare. Ne ho rinvenuto parimenti alcuni di forma quadra- ta, e d’ordinario non più grandi di 4 centimetri di lato, ed altri rettangolari, ma di varia gran- dezza, da 4 a 7 centimetri di lunghezza, e da 20 a 35 millimetri di larghezza. Ne’più grandi, i due lati maggiori, perfettamente paralleli fra loro , risultano da due sfaldature longitudinali che vanno a riunirsi in una costa mediana molto rilevata, e de’ due lati minori l uno è retto, l’ altro o a punta, ovvero emisferico. Lascio di menzionare le altre forme di raschiatoi, e mi basti il dire, che non vi ha tipo che non abbia il suo rappresentante nella serie numerosa di questi utensili lesinesi. 13. — Dischi Fra gli oggetti da me riuniti si contano pure alcuni dischi, due de’ quali, più grandi, fu- rono rinvenuti a fior di terra nella contrada Camerata, entrambi del diametro di 5 centimetri. L’una faccia di essi è piana, l’altra tirata a cono dall’orlo, che è sottilissimo e tutto scheggiato minutamente, fino al centro che raggiunge l'altezza di 15 millimetri. Gli altri hanno un diametro che non eccede 4 centimetri, e l'altezza ne è variabile da un centimetro fino ad un centimetro e mezzo. Questi ultimi furono raccolti a Camerata ed a Fischino, parte nella superficie del suolo, parte ne’ fondi delle capanne. 14. — Utensili diversi Farò menzione per ultimo di alcuni arnesi che, non somiglianti a verupo di quelli sopra menzionati, non saprei con qual nome appellarli. Sono fra questi alcuni utensili a punta, quasi sempre triangolari, o quadrangolari, della lunghezza di 3 a 4 centimetri con gli angoli quando solamente scheggiati, quando ritoccati. Sono punteruoli incompleti? Non oso affermarlo , e per- ciò li considero come strumenti d’ incerta destinazione. Moltissime altre pietre lavorate , di piccole dimensioni , si ebbero da Fischino, da Came- rata e da Pontone. Non sono schegge e rifiuti di lavorazione, perchè ritoccate ne’ loro contorni, ma le forme ne sono svariatissime, e sembra che potessero essere adoperate a que’tanti usi della vita, per cui noi ci serviamo di strumenti così diversi fra loro. Ve n’ha di quelle che potrebbero servire ad incidere, altre a levigare e via dicendo. Il loro numero raggiunge il centinaio, e ve ne sono parecchie ricavate da’quarzi più appariscenti, dalla bella piromaca bionda , dall’ agata, dalla corniola, e dal diaspro sanguigno. Riuniti insieme le armi ed utensili in pietra che sono stati raccolti nella mia escursione, raggiungono la cifra di 1528, la quale a sua volta , suddivisa ne’ diversi arnesi che rappresen- tano, ciascuna forma vi comparisce nelle proporzioni indicate nello specchio seguente: ite PAR, 3 A OGGETTI RACCOLTI NE' DINTORNI DEL LAGO DI LESINA, NEL MAGGIO DEL 1877 Camerata | Fischino Pontone |Altri luoghi| Totale Nucleltacstio nta sii 9 16 » » 25 IRENGUSSOrI ne ee eee o Le 3 1 2 1 e Pietre: da fionda (tini. reati 12 8 3 2 25 Mracetieea. ire atei 8 6 pe: » 16 Scalpelli e sgorbie. . . . . . + 13 6 » » 19 12 PIa gta (O vil di Se de 15 6 Il » So Segluern ir la. Guru aiar 5 3 » » 8 Lance e giavellotti. . . . . . + 13 8 3 1 25 IRIMECCOR e TS e it 32 i Ke fal 7; » 58 Coltelli M4-0R0;% 6 PRI RiTReo Ia 224 140 27 3 394 Seleltromboldalises. i af (Ro 8 "i 1 » 16 RECCO en n a ata 201 89 235) 9 322 DISC sPIAgia] Soho int Vraeo 16 19 » » 35 UWiensili diversigi.etate vinti ae 40 71 3 » 114 APNESdAlOSSIIANa. lee e 5) » » » 5; RIAINMENTI DIVELSITI Cette e e 132 213 83 9 437 Totali E 736 612 155 25 1528 Ma queste da noi enumerate non sono le sole pietre lavorate che siano state rinvenute ne’din- torni del lago di Lesina. Il signor Centonza, che con amore pari alla sua operosità si è occupato innanzi a tutti nel riunire gli avanzi di alta antichità onde quella sua patria è così doviziosa, ne aveva anch’egli messo insieme una serie molto considerevole. Parte di quella raccolta fu donata al maggiore Angelucci, felice iniziatore delle scoperte preistoriche nella Capitanata, e furono 1104 pezzi; parte, con generosa largizione, volle che arricchisse la mia privata Collezione, e furono 1046 ‘oggetti, e questi 2150 esemplari aggiunti a’ 1528 raccolti nella mia escursione formano il totale di 3678 oggetti che fin’ora ha fornito il territorio di Lesina. E non pertanto la messe non è tutta esaurita, perciocchè il terreno continuamente rimosso dall’ aratro fornisce ogni di nuovi cimeli , e niuno fin d’ora può dire quante altre ricchezze preistoriche sieno ancora nascoste in quel- l'angolo quasi ignoto della Provincia di Capitanata. Stoviglie Se fummo felici nel raccogliere ed armi ed utensili di pietra, non fummo avventurati egual- mente nel riunire saggi importanti di stoviglie che in frammenti copiosi rinvenimmo così nella superficie del suolo, come ne’ fondi delle capanne da noi esplorate. I cocci son numerosi forse al pari delle pietre lavorate, ma tutti in pezzi così minuti che non ci hanno permesso di rico- struire alcun vase intero. In un solo frammento ho potuto riconoscere il fondo e parte del corpo di una scodella, in un altro un leggiero rialto o spigolo che credo essere il manico di una pen- tola. Gli altri frammenti sono tutti appartenenti a corpi di vasi più o meno grandi. In termini generali posso dire, che que’ cocci risultano composti di un’argilla commista ad arena quarzosa. Sono pesantissimi, ed assorbono molta quantità di acqua. Sono quasi tutti di color nero, ad eccezione di alcuni arrossiti o in una o in un’ altra superficie. In un solo il co- lor rosso vedesi in entrambe le facce, ma non penetra oltre due millimetri nella spessezza del frammento. La loro cottura imperfettissima. Rozze, rozzissime ne sono le apparenze, ed è e- vidente che sono stati lavorati a mano, non ponendo neanco i vasellai di quell'epoca veruna cura per renderne levigata la superficie. * st Nel fondo di una capanna a Fischino trovai un pezzo di arenaria arrossita dal fuoco, ed un altro pezzo in una capanna di Camerata, i soli di qualche grandezza. Ne’ fondi delle altre capanne le arenarie de’ focolai vi erano tutte disgregate e ridotte in poltiglia, sia per la natura umida del suolo, sia per l’azione dell’acqua salsa del lago onde quelle terre sono impregnate. III. DELL'EPOCA ALLA QUALE APPARTENGONO LE OFFICINE LITICHE, E LE CAPANNE PREISTORICHE DE’ DINTORNI DEL LAGO DI LESINA Le selci lavorate de’ dintorni del lago di Lesina portano con sè l’ impronta dell’ epoca alla quale appartengono, perciocchè nelle forme e nella manifattura rivelano a chiunque sia alcun poco versato nella conoscenza degli oggetti preistorici, un'arte non più rudimentale e primitiva, come quella dell’ epoca paleolitica, ma un’arte già inoltrata e progredita quale sappiamo essere stata quella che fu propria dell'età della pietra polita. Tutti i nostri arnesi sono lavorati con una ricercatezza e finitezza non comuni. Le lame, le frecce , i raschiatoi son compiuti con tanto magistero, che non potrebbe domandarsi di più a’ lavoratori odierni di pietre dure. I tagli sono ritoccati così minutamente, che le scheggiature quasi scompaiono all'occhio nudo, e la simmetria delle forme, l'eguaglianza de’ contorni e le pro- porzioni dell’insieme fanno giudicare, che gli artefici di quella età non erano privi del sentimento del bello, e che l'istinto estetico si manifestò nell'uomo fin da quando egli cominciava ad eser- citarsi nelle opere di arte. La selce è la pietra di cui sono formati quasi tutte le armi e gli utensili raccolti intorno al lago di Lesina. Il maggior numero di essi è in piromaca giallo-bruna o del colore della cera; pa- recchi in selce cornea e alcuni in diaspro bigio, rosso o sanguigno. Fra i coltelli e i raschiatoi alcuni sono anche in agata ed in corniola, ma niun oggetto ho rinvenuto in crisoprasio, mentre nella finitima provincia barese molte frecce e raschiatoi ho veduto in questa pietra nella pre- gevole Collezione de Romita in Bari, e alcuni esemplari ne conservo anch'io nella serie litica di provenienza barese. Ho raccolto pure alcuni arnesi di ossidiana nel fondo di due capanne di Camerata , e sono coltellini minutissimi, i quali per l’ acutezza del taglio doveano essere preferiti in operazioni, per le quali non erano adatti gli strumenti di selce. Taluno ha opinato potessero servire di lan- cetta o bisturino. La congettura può esser vera, ed io non sarei lontano dall’accettarla. Ma donde proviene l’ossidiana che abbiamo trovata nelle Capanne di Lesina? Questo minerale di cui si sono rinvenuti i coltellini ed altri arnesi in ogni parte dell’Italia Media ed Inferiore sembra avere una diversa provenienza. L’ossidiana raccolta nelle Puglie, in Basilicata, negli Abruzzi, nelle Calabrie poteva esservi introdotta , per commercio, dalle Isole Eolie; quella di Capri e di Terra di Lavoro dall'Isola di Procida, o di Palmarola nell’Arcipelago Ponziano ; quella dell'Elba, della Toscana e dell’ Umbria o dalle stesse Isole, o dalla più lontana Isola di Sardegna, se pure que- sto minerale non si trovi un giorno anche nel continente italiano di tali qualità da aver potuto essere adoperato per lavorarne armi ed utensili ne’ tempi preistorici '). Lesina in tutto il suo tenimento non presenta traccia di selce nativa, sicchè anche le pietre che han servito alla lavorazione delle armi ed utensili che vi abbiamo raccolto vi erano importa- te da altri luoghi; ma pochi chilometri al di là della sponda orientale del lago è distante il monte 1) Dico se non si trovi nn giorno della qualità richiesta per essere lavorata, imperciocche è pur noto che il Brocchi rinvenne l’ ossidiana al Pian del Gallo sui monti di Tolfa, ma inetta alla lavorazione, perchè non è che una superficiale vetrificazione della trachite. Il Ponzi l’in- contrava ancora sulla strada della Mola Farpesiana, in prossimità dell’Elce-Mercato, anche ne’ monti di Tolfa, ma tutta disseminata di cristalli di riacolite, e somigliante, all'aspetto, a una diorite o ad una variolite. Il Bellucci annunzia averla scoperta nella Valle dell'Umbria, forse in qualche sbocco vulcanico non ancora conosciuto o studiato; ma se questa ossidiana avesse potuto servire per foggiarne armi ed utensili nei tempi antestorici è quello che noi ignoriamo ancora, ed attendiamo perciò che l’egregio professore ci comunichi maggiori particolarità su quella sua scoperta. MINC | PR Gargano, e in questo la selce è tanto abbondante che vi st trova disseminata sul suolo in arnioni di diverse forme e grandezze, fra le quali primeggia la sferoidale '*). Quivi i nostri uomini neoli- tici lesinesi potevano provvedersene in abbondanza , e senza andar molto lungi ne poteano for- nir loro in gran copia Sannicandro e S. Marco in Lamis che più avvicinano il territorio di Lesina, Il maggiore Angelucci, che esplorò quasi tutto il Gargano, facendo ampia messe di arnesi di pietra, non rinvenne in alcun luogo di quel Promontorio abitazioni preistoriche, nè so esserne state additate altre nelle contrade Pugliesi, onde le prime che oggi si rivelano in quelle Provin- cie sono quelle scoperte da noi a Camerata ed a Fischino nella Capitanata. Le nostre capanne sono identiche a quelle indicate dal Dottor Rosa nella Valle della Vi- brata, ove in tanta quantità si trovarono riunite da formarvi diversi villaggi sparsi in un terri- torio che si allarga per circa 40 chilometri quadrati a sinistra della Vibrata. Come quelli della Vibrata i fondi delle capanne lesinesi sono o tondi, o leggermente ovali, e com’ essi scavati nel suolo vergine per 50 a 75 cent., e ricolmi di uno strato archeologico di colore uliginoso, composto di detriti di sostanze organiche putrefatte, entro il quale si raccolsero i frammenti di vasi ed ogni specie di arnesi di pietra. Ne’ fondi delle capanne della Vibrata si rinvennero corna e denti ed ossa di animali più o meno fratturate. Non così in quelle di Lesina ove pochi frammenti di ossa ovine e qualche dente di bue fu dato di raccogliervi, e in tale stato di decomposizione da ridursi in poltiglia appena si prendevano fra le mani. Nella Valle della Vibrata e il Rosa ed io trovammo in que’fondi di ca- panne pezzi dell’intonaco argilloso che avea formato le pareti di quelle abitazioni, ma in Lesina non ne scoprii traccia, e forse la distruzione di quegli avanzi è dovuta all’ acqua del lago, che spazzando co’suoi marosi i fondi delle capanne ne portò via le parti più superficiali. Potrebbe an- cora congetturarsi che, invece dell’intonaco argilloso, gli uomini preistorici lesinesi ricoprisserò i loro tuguri di semplici rami di alberi, e in questo caso sarebbero stati più rozzi di que’ della Vi- brata che conoscevano l’ arte di fabbricare, quando essa era ancora ignota al popolo neolitico della Capitanata. Le altre capanne che pur si rinvennero in altre parti d’Italia non erano punto diverse da quelle della Vibrata e de’ dintorni del lago di Lesina. Così quelle che con la consueta diligenza il ch. Chierici esplorava a Formiggine nel Modenese, e nella Provincia di Reggio dell'Emilia ad Albinea, a Calerno presso S. Ilario d’ Enza, a Castelnuovo di Sotto, a Rivaltella *) , così le altre che il Sac. Ferrari scopriva nel campo Castellaccio di Ragona, sulla destra del Mella, nella Pro- vincia di Brescia °). Quasi identica la forma di tutte, e in tutte comuni la copia delle selci lavo- rate, e de frammenti di stoviglie, benchè non in tutte egualmente abbondanti le ossa di animali, avanzi di pasto. Anche nelle capanne lesinesi, come in quelle della Vibrata, ho rilevato ciò che il Chierici faceva notare nelle capanne reggiane e modenesi, l'assenza cioè delle cuspidi di lancia e di freccia. Come per eccezione io ne raccolsi una sola nel fondo di una capanna della Vibra- ta, ove per converso si rinvennero pietre levigate , che non s'incontrarono nè in quelle di Lesina, nè del bresciano, del reggiano e del modenese. In tutti cotesti luoghi le capanne si tro- vano riunite in gruppi più o meno numerosi, i quali rappresentano i ruderi di antichissimi vil- laggi preistorici che, nell'età della pietra levigata, si estendevano dall’ Alta alla Bassa Italia. E que’ villaggi ci dicono, che il popolo che li abitava avea raggiunto uno stadio di civiltà relativa molto superiore a quella di coloro che altra dimora non aveano che le spelonche. Non era più l’orda barbara, che vagava di luogo in luogo in cerca di siti più favorevoli alla sua dimora tem- poranea, ma erano uomini già uniti in società, era la tribù governata da leggi che ne tutelavano le persone e le proprietà. Fra i ruderi delle abitazioni lacustri della Svizzera si raccolsero serie di cereali e di altre 1) Angelucci, Ricerche preistoriche e storiche nella Capitanata, 1872, p. 21. 2) Annuario scientifico, 1874, p. 209 — Bullettino di Paleoetnologia italiana, I. 101; II, 40,253; HI, 1. 3) Bullettino cit. 1,172. BE, pe piante coltivate, e chi oserebbe negare che anche i nostri uomini dell’ età della pietra, usi a vi- vere in villaggi come i neolitici dell’ Elvezia, non conoscessero al pari di questi l’arte di lavo- rare la terra e chiedere al suolo, bagnato dal loro sudore, i mezzi della loro sussistenza? E quale altro uso potevano avere le pietre di macina rinvenute nelle capanne della Vibrata e a Rivaltella nel Reggiano, se non quello di triturar cereali che gli uomini preistorici doveano raccogliere dai campi da loro seminati ? È vero che fra gli utensili di quell'età che noi conosciamo, non saprem- mo indicarne alcuno che fosse destinato a smuovere il terreno, ma sappiamo noi di quali stru- menti facessero uso ne’ lavori de’ campi? Un uncino di legno duro poteva essere bastevole a grattar la terra e spargervi i semi. E d’ altronde potremmo asserir noi che tutte le azze o scuri servissero solamente ad offesa nelle guerre, a uccidere animali, o a fendere le legna? E non sa- rebbe egli probabile, che certe asce informi, rozzamente scheggiate fossero state meglio a- doperate a rompere il terreno che non ad altri usi che noi sogliamo comunemente attribuirvi ? lo esternai già altrove questa mia opinione '), ed ora mi torna acconcio a ripeterla qui, invi- tando gli studiosi de’'tempi preistorici a non disdegnarla della loro attenzione. Noi non osiamo decidere fin’ora, se fosse stato un sol popolo quello che nell’età della pietra si estendeva dall’Alta Lombardia fino alle costiere inferiori dell’ Adriatico, siccome potrebbe in- durlo ad ammettere la identità delle forme delle capanne e le medesime fogge degli utensili che vi sono stati raccolti; ma se pure questa ipotesi raccogliesse intorno a sè probabilità non lievi, un'altra domanda non meno ardua ci sì presenta spontanea al pensiero, ed è quella di sapere, se i nostri abitatori delle capanne fossero stati i discendenti di que’ più antichi uomini archeolitici che posero stanza i primi nella Penisola non calpesta ancora da piede umano, o se genti d’ altra stirpe che, penetrate più tardi nel Bel Paese , si confusero co’ primi abitatori, invitandoli a più miti costumi, a più quieta vita, a men disagiata esistenza. Cotali quistioni non ci è dato fin qui risolverle con argomenti che valgano a togliere ogni dubbiezza, e dobbiamo perciò confessare, che il buio che si addensa su quelle antiche epoche dell’umanità è così fitto, che sarà ben arduo, anche dopo studì più maturi, di rischiararlo. In un poetico slancio d’ immaginazione un illustre scienziato inglese, poco tempo innanzi la sua ultima ora, in un libro prezioso che ha per titolo: « Consolations in Travel, or the last days ofa philosopher, by H. Davy», discutendo astrusi problemi della vita, tratteggiava con vivi colori le condizioni dell’uomo ne’ più oscuri periodi della sua esistenza, e le idee espresse da lui, egli è già mezzo secolo passato, furono il vaticinio di ciò che poscia rivelarono i moderni studî sui tempi preistorici. Io non posso resistere al piacere di citare que’ passaggi in cui l’ autore inspi- rato espone i suoi concetti maravigliosi. « Io vidi, egli scrive, guidato dal mio Genio, a me dinanzi una vasta campagna tutta coper- ta di foreste e paludi. Vidi animali selvaggi che pascolavano nel seno d’ immense foreste, e bel- ve feroci, come lioni e tigri, che gli inseguivano per divorarli. Vidi selvaggi nudi che si nutrica- vano de’ frutti de boschi, e si cibavano di crostacei, disputandosi a colpi di bastoni il carcame di una balena gittata dal mare in sulla riva. Osservai che abitazione veruna non avevano, e s'in- tanavano nelle caverne, o si riparavano sotto l'ombra de’ palmizi. Solo cibo gradito che la na- tura sembrava aver loro concesso erano i datteri e le noci di cocco, i quali non erano molto copio- si, ed ognuno anelava di averne. Mi avvidi che molti di codesti infelici che abitavano l’ este- sa superficie di terra ch'io misurava appena co’ miei sguardi, aveano armi fornite di selce 0 di lasche di pesci, delle quali si servivano per uccidere uccelli, quadrupedi e pesci, della cui carne cruda si cibavano avidamente. I più ghiotti bocconi erano certi vermi e larve che cercavano con molta pazienza entro i bottoni de’ palmizî ». Poco stante quella malinconica scena cangiava di aspetto. Un vasto paese gli apparve allora allo sguardo, ma era un paese parte inculto e parte coltivato ; i boschi vi erano meno estesi, le paludi più ristrette; gli uomini erano coperti di pelli di animali, e facevano pascolare 1) Ulteriori scoperte relative all’ Età della Pietra nelle Provincie Napoletane — Rendiconto dellu R. Accad. delle Scienze di Napoli 1874, fasc.? 7 fa Dir gli armenti in pascoli chiusi. Qui vedeansi agricoltori intenti alle messi, là mulini che riducevano il grano in farina, più lungi ancora ammassavasi e cuocevasi il pane. Le capanne erano prov- viste di tutti i comodi della vita campestre. Questo popolo era già in quello stadio di progresso pastorale ed agricolo, che i poeti hanno immaginato appartenere all’ età dell’ oro '). La voce del Genio allora gli si fe udire e gli disse: « Guarda quegli uomini che sono usciti dallo stato d'infanzia. Essi debbono il lor proprio miglioramento ad alcuni esseri superiori che vivono in mezzo a loro. Quell'uomo venerabile che laggiù vedi circondato da una moltitudine di persone è colui che loro insegna l’arte di fabbricare le capanne; da quell’ altro hanno appre- so a domesticare alcune razze di animali; da altri hanno imparato come conservare il frumento e seminarlo, come raccogliere e porre in serbo i semi ed i frutti. Quelle arti che non periranno mai più, le generazioni future le perfezioneranno sempreppiù; le case fra un secolo saranno più vaste e più comode, gli armenti più numerosi, i solchi d’oro più estesi, le paludi dissecca- te, e gli alberi fruttiferi moltiplicati ». Ed ecco quali esser doveano le condizioni dell’ uomo in quell’ età che noi diciamo della pie- tra. I nostri Lesinesi abitatori delle capanne non erano que’ barbari che l’ autore descrive nella sua prima visione, ma sì quegli altri che la sua immaginazione gli presenta nel secondo periodo che noi siamo usi chiamare età neolitica o della pietra polita, il quale rappresenta l’ inizio della evoluzione progressiva nell’ ordine morale dell’uomo, la quale non più arrestandosi nella suc- cessione de’ secoli procede di età in età verso un lontano e indefinito perfezionamento. Ho nominato di preferenza i neolitici Lesinesi, perchè alla conoscenza di essi è destinata particolarmente questa scrittura, ma non può mettersi in dubbio, che lo stesso stato sociale nel- l’età della pietra polita fosse comune a tutti coloro che abitavano la nostra Penisola. Noi ne ab- biamo riconosciuta la presenza ne’ tanti manufatti di pietra che sono stati raccolti in quasi tutte le Provincie italiane, e in quelle del mezzogiorno le tracce de’popoli di quell’epoca sono così fre- quenti, che non v’ ha angolo, per così dire, di queste nostre contrade che non ne abbia rivelate abbondantemente. Le ricerche da noi fatte ne’ dintorni del lago di Lesina ci han dimostrato, che ivi ancora viveva una popolazione nell’ epoca neolitica, la quale vi era stanziata stabilmente, avendovi co- struite capanne e villaggi, da’ quali noi argomentiamo , che il popolo vi era ordinato in società, esercitando quelle arti che furono e sono le più benefiche dell'umanità, l'agricoltura e la pasto- rizia, alle quali i popoli più colti dell’antichità attribuirono un'origine divina, personificando gli Egizi in Osiride e i Greci in Cerere gli avventurosi mortali che prima esercitarono ed insegna- rono agli altri quelle nobili arti. La Provincia di Capitanata non avea fornito fin'ora che i pochi arnesi di pietra che io aveva fatto conoscere in alcune mie pubblicazioni, ad eccezione del Gargano, ove l’Angelucci fece copiosa raccolta di selci lavorate. Con le ricerche del Centonza e con le mie un’altra contrada di quella Provincia ci si mostra ricca di avanzi dell’epoca della pietra, e così la vasta regione delle Puglie, da un capo all’altro del suo territorio, si rivela per una delle più popolate nell’epo- che preistoriche, avendo fornito tanta quantità di armi ed utensili di pietra da poter essere no- verata fra le regioni d’Italia che abbiano fatto più progredire le nostre conoscenze preistoriche. 1) E Dante ancora aveva scritto : Lo secol primo quant’oro fu bello; Fe’ savorose con fame le ghiande, E nettare per sete ogni ruscello. Pun. XXI{, 148 e seg. E più tardi il Tasso: Così la gente prima che già visse Nel mondo ancora semplice ed infante Stimò dolce bevanda e dolce cibo L'acqua e le ghiande. ANINTA, Atto I, sc. I. — a = SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Carta topografica del Lago di Lesina e sue adiacenze copiata da quella pubblicata dall'Zsti- tuto topografico militare. Le croci segnate in rosso nella pianta indicano i siti in cui furono rinvenute le capanne prei- storiche. Quelle presso la Mezzanella (Pontone) sono presunte, ma non sono state esplorate. I circoli rossi denotano i luoghi che furono probabilmente le sedi di officine litiche. I punti anche rossi nelle contrade Camerata, la Difesa, La Mezzanella (Pontone) e Fischino (da Cannella al Muro) indicano gli oggetti che erano ampiamente sparsi a fior di terra per quelle contrade. Î TavoLa I. Fig. 4. Martello in selce epatica. » 2-5. Accettine in selce epatica. 7 Disco in selce bruna. » 7-8. Dischi più piccoli in selce bionda. » 9-10. Scalpelli in selce brunastra. » 41. Scalpello in selce lattea. » 42-16. Selci romboidali in selce bionda. » 47. Altra selce romboidale di grandi dimensioni in selce bionda. » 48. Altra in selce color d’ambra. » 49-25. Piccoli raschiatoi, o grattini in selce bionda. TavoLa II. Fig. A Cuspide di lancia in selce bionda. init » » in diaspro bigio. » 3 » » in selce epatica. RE » » in diaspro sanguigno. » 5-6. » » in selce giallo-bruna. » 7-10. Punteruoli in selce bionda. » 41. Punteruolo in corniola. » 43. » in selce epatica. » 48. Ascia in selce bruna marezzata di bianco. » 44. (Giavellotto in selce bionda. » 15-17. Selci a punta, di uso indeterminato. Tavora II. Fig. A. Freccia a foglia in selce epatica. sig » » in selce cornea. sog » in selce bionda. Di deg » in diaspro epatico. » 5. Freccia a mandorla in corniola. » 6-7. » » in selce bionda. Di 9A » in selce epatica. E, » in selce bianco-giallastra. Fig. 10-13. » 414. » 45. » 16. » 47. » 18. » 19-22. nr e98. ni c94: Fig. 1-6 © LA "0: » 9-21. pi D9-25. SIT AS Freccia con gambino ed alette in selce bionda. » » » in selce cornea. » » » in selce epatica. Freccia con una sola aletta (selce bionda). Freccia romboidale (selce cornea). Freccia con base semilunare (selce bionda). Frecce triangolari (selce bionda ed epatica). Altra freccia in corniola. Altra in selce bionda. Tavora IV. Coltelli in selce lattea. Coltello in diaspro epatico. Coltello in corniola. Coltelli in selce bionda. Coltellini di ossidiana. TavoLa V. Fig. 1-6. Raschiatoi in selce epatica. na 38: Didi » 40. » 41-12. » 13. Gli oggetti sono tutti » in selce lattea. » in diaspro epatico. » in diaspro cinereo. » in selce bionda. » in corniola. figurati nella loro grandezza naturale. finita stampare il dì 25 marzo 1878 * (Gradi sian) gitoli Mo (159 TILIVù niataa) ppi | ebrokd bias) vinamtintroa ornd. non; niogsnihi, ui ) ba nbodid ento8)i £1 boa artd9o sett 88 A -. è hi «bbiglarto ini sinoantr& sly. valeroni ad pri Netta l) Ci dov jottul sof9a gi iltazlon. > lo MITRTTÌ o1qeatb ni oltatigir salpamascai oliatio0) cdot solo pi iMaliort, «inttibizzo ib imtilstto9) RI ATA (15 70 VENI ila a5fga di lobidozntt: Ai Ai paltod sulez ini Les IRA A cnlieganagantto tte ogmmolà omai fi | a shito:d vafoniti ib iontioo 1 ALA! ; 101 alam farsa pioto È € us a — ONAU Ul DJEIdO9 AUEIS 213559 EZUAS ‘ANIEA PUITSSRUI E] Md 2019 'ot.LI9) uo ajeAo]u mom end 'euBEdureo Tp AIMUTUI Afp so mpordii b| MO} 9$ 3 UOLESS"YPANDIPP ail EHEH NI Rua Sat gnI RUN allo IIBUAPISUOO aA2p LOU ELIRO EISaN( DPped i 0* [I UO3 odey tp OUEIPiIeUI [Op AUOTZISIA UT ]{P PAD IS 2IEUIPIO09 Ojfop amfLo ) a‘ EIEAponi paisue|y m rijob a auorzafbid ET = 1NAUL'Q|ULO] Tp EZIE]SIpInDO | omiEY TTeuozzito dAIn at '000L 9] IP 9 PIE) E|[op CDI LT ENCIY Fs INIOVE!Y ob703vw09 UILHIVS LIT ) CON. 228 999027 \ RA “II ERESIA e \ AIA, dd09) ai Ta x \ DE 7, OTIS È 33 È © VALI Sora PS VARIO age SSA CUISITES apra sro) ) 39 mos? i 40 ald 2970) D'/ IZIZIC/7 A n, di LA . > 044 T DT 22) DUFAdVIHIS, FIOT __ EEN MAMA AZUCIQSAT Lichter e C Sie ì } { 1A ILE . a © ©: si, — 2 sd E ARA I n >= ce » fa ; frriiezzon a nati VIZZ in = pes al d53 A L5 Wa LL PIP IZZZE SA tr: ans: aa rig Lo een ia Richter e C VATIRIIA ‘n e Mal. 61 VINI. 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Indicando con r, r, r, i raggi vettori corrispondenti ai tempi #,t,t, ed alle anomalie vere +, v, v,; indicando con p il semiparametro, con % la costante di Gauss della quale il logaritmo è 8.2350814 ; posto N; =T,7,Sen (v,—v)), e posto pure k(t,—-t,)=09,,; kK(t,—t)=9,; K(t,—-t)=0x; ho dimostrato che si ha 65 ea tl 93 Ps = 64,3 e de D+ SAI O (1) IN RR ARDITE ot sia 24075, 24075, Nella presente memoria mi propongo di esporre qual deve essere l’ espressione del termine di sesto ordine da aggiungere al secondo membro della (1). Nella mia memoria sulle orbite ZA stampata nel 1863 negli Atti della R. Accademia delle Scienze di Napoli, ho dato il valore di — in funzione di un solo raggio vettore e sue de- VE rivate prima e seconda rispetto al tempo, spingendo l’approssimazione fino a ritenere i termini di 6° ordine. Siccome tali sviluppi possono servire a svariate altre ricerche ed applicazioni, e d'altronde le approssimazioni in lavori di altri astronomi non si sono spinte oltre i termini di 5° ordine, così stimo che può riuscire di qualche cr lo esibire le formole in parola, e di aggiungervi quelle ancora che dànno lo sviluppo di ——, e 2 , avendosi vi Vp Ng =FT SEN (Vv —%); Na, = 73 SEN (v3— VU). Posto dr? d*r Re : di? > di? e) dr? d*r G= e e di? d0' ATTI— Vol. VIL — N° 15. 1 PA intenderemo per F, F, F,, G, G, G, i rispettivi secondi membri delle (2) ai quali siansi apposti gl’indici 1, 2, 3. Le formole su nominate sono le seguenti: 3 4 Ng nua 0 10 Di Vp 1? 6r3, dr4,do 19078, O dri 1 G_ 547 L.. Sa .) Re o Prg ( : a ( ) Vac aa 333, dr sa 12079, tor 24 77,0 tra ® (3) Pra _g, I dg 1a Pra (Ore Ma dr 03,3 30,,—100,,0 Vo Sela 6r 4 73,40 1 x r 6, P34 1223 6,3 (0 9, )dra |; ò ai = “a To Pra 02093 — Pa 12 0,39 ) G | Did 93° bdri Gdr sm 8+7 orEuOTA e AREA a 24 77 a Sì) Vp USE 9 | Pr3(084-00) 4 0, SZ st Leg G 0? 0,0 Vp Aeon 474 dr +150,5, 934 (3039-+-100,39,3)F, | | (0 ata0 )dr, ti 5 r o DU di utt: (0 23 ga N 3 3 È dr 6 3 dr, Ma 138 =2g Ù ti La gut Vp LOT 673, i 12075, Mi) da No Bi God) se Vo Ia 673.7 è o) ap Ta 0-4 (30,3--10 0,3 0,3) Fs | 6 3 (03403) dr 3h 7 DATI dI È | 6G,9-1-0,30 2975? (Pat ul DI 9,3 30,5%) Gg | (5) ea 40M, 3 _0,3d73 P3drs #0 2g DEA 2 a TZORA:91 i Vo > 673, cala TRO lO) dr 24r1 ina Ca) sio nd EIA AIA > 18 ds "Giai 67%, 17 au n (Corio i ao l1—-83) Ciascuna delle nove equazioni dei gruppi (3) (4) (5) potrebbe adunque dare il valore del pa- rametro ritenendo fino ai termini di sesto ordine. Ma nei secondi membri di tali equazioni en- trano le derivate, prima e seconda del raggio vettore, rispetto al tempo , e conviene che tali de- rivate spariscano dalle formole. Per far ciò si tenga in primo luogo presente che se fra le tre prime equazioni del gruppo (3) si ritengano i soli tre primi termini dei secondi membri, fino ai termini cioè che son moltiplicati per le quarte potenze del tempo, eliminando fra dette n. equa- 1008, VIE dry 3 i. zioni le quantità Vp @ > » sì ha la equazione rimarchevole 2 FIAMMA RPC) dm (0) da di vr scomparendo dalle formole i simboli n,,, ?,,, ,, (Vedi mem. cit. ). 1 FIATI Valla mn ARTI Ta Di : 0 I Ciò posto, ove si sviluppino #7 in funzione di 7a del tempo, si avrà 1 3 2 r3 n° 12 d0 r3 ARRE: LA (2) o deg apui PNE le quali moltiplicate rispettivamente per 0,, e per 0,, e sommate insieme, dànno immediatamen- te la (6). Si vede perciò che assumendo i sviluppi come nelle (7), è lo stesso come ritenere fino ai termini di quarto ordine nel gruppo (3). Lo stesso sarebbe avvenuto ove si fossero adoperati i gruppi (4) o (5). Ove dunque si assumano i sviluppi BIRSCO Pa a rd 2 dp, 2 LTL 41) ) 73, 73, FAd0 93, 2 dé f, avverrà come se nei secondi membri dei gruppi (8) (4) (5) si fossero ritenuti (per lo meno) an- che i termini di quinto ordine. In ciò che segue sarà nostro proposito eliminare le derivate pri- ma e seconda del primo e terzo raggio vettore, ed è perciò che faremo uso delle formole se- guenti: dita is dcdibpl'at®; A 3 dr 2 der, 9 DIR da 1 ©) 93, 23, 1 do 2 der, Lied A hg & D Re CA EL AA 10 Toi d 1 n ® 1 (lo) 73, 73 i deo Dea idea dalle equazioni (9) si ricava CO ITA è 9,2913953 di ra 93 78, PI r3, (11) I 0.0.0 d° 1 pisa 033 | de 9,3 , 9 1213723 dr, 1, Ì 73, 73, e dalle (10) si ottiene 0..0 Adi A nn Ciel Ca 121323 99 mi ue 73, 73, 73, 12 1 d° 1 __ 998 019 0,3 5 lieta 23 0 parto Inoltre nei secondi membri delle equazioni dei gruppi (3) e (5) possiamo sostituire a 1 Pegi : nigi eg Così esente l por’ °TROr, Così ancora si ha, tenendo presente la dr, dry 474, d9 © 474 di prima delle (2) rispettivamente — da 1 F, de 1 F, (13) E ARRE Toga DURE È APR e per le seconde equazioni dei gruppi (11) e (12) si trova essere aa fino ai termini di quin- 1 3 = o . La F F, F ” È ni to ordine inclusivamente. È ancora argo Vedi equ. (0) del 2° lav. cit. 1 2 Nella memoria da me presentata all’ Reason de’ Lincei nella tornata del 6 maggio 1877 essendomi proposto di ottenere il valore del parametro col ritenere fino ai termini di quinto or- dine, la riunione delle terze equazioni dei gruppi (4) e (5), dalle quali si erano esclusi i termini aventi per fattori rispettivamente 1 — G, e 1—G,, hanno dato la relazione (1) che era lo scopo finale del lavoro. In questo è necessario far entrare anche i termini ove figurano G, e G,, e quindi è d'uopo esprimere anche tali simboli in funzione di raggi vettori e tempi. In primo luogo, tenuta presente la seconda delle (2) è facile trovare dopo Sg G 3) - SRAGIIATA 9°? do rì, ) (14) de 1 16, ED ) \ Gdo n SERI ; MORTA Di 3 d9;e%, e tenendo poi conto delle equazioni (11) e (12), si ricava Ea CI 160E (208: RE SA gr NE 2 LEI 23 MO , 13 13 12 12 0°, 0,303 Gg =470, 73, TETI 2) 9,3013923 — 9 iù (iso 73, don) | 21) 05) 9 do 16 0% 0% 0? 60%? 2 SEZ 23 913 ( 13 13 23 23 0°,39%130°s3 G=475 (a x ri, E) 13983 — 3"=( ® 30 ) 1 3 3 3 9 3 CATA 5, To Si vede intanto che il termine di sesto ordine, il quale si presenta allorchè si fa la riunione delle terze equazioni dei gruppi (4) e (5), è dato dalla espressione MIR n o Li 144 | 73, da 73, 1) ri, poi Gs) {- (16) Avendosi ora 1 valori di G, e G, in funzione di raggi vettori e tempi dalle (15), ed i valori di L 2 e - dalle prime delle (11) e (12) anche in funzione di raggi vettori e tempi, si vede che il termine richiesto di sesto ordine si può avere in funzione di queste stesse quantità. Invece di limitarsi a calcolare il termine di sesto ordine, è preferibile, tenendo presente il gruppo delle equazioni (3), trovare direttamente l'equazione che dà il valore di y/ esatto fino ai termini di sesto ordine compresi. Infatti, ove la prima delle (3) moltiplicata per 6°,, si aggiun- + ga alla seconda moltiplicata per 0° 19 SÌ avrà Pa3 ro 4-99 10 Mag 019003 (000 +-0î20) | Olaa 00 (0° )dry Pr313 data tata (Pt SA così ancora dal gruppo delle (4), sottraendo dalla terza moltiplicata per 6°,,, la prima moltipli- cata per 6°,,, si ottiene collo stesso grado di approssimazione na —0,n Li CES a a) NORICLA (Ci —& 3)dr, 9, 12 ‘13 12 leso 0 95 i RI2051 1312 te 0,3 n paen19: LE, 033 1 3F 18) 13 12 ( 13) 6 1 ++ 4 ri ; da 1 do n ( + i) ( Vp finalmente dalle equazioni seconda e terza del gruppo (5) viene 033 Cngin UTILI = 0,03 (Fa 3) — 03,30% 3 (9?23—99,3) a 0,3 (0,30 9) dr; _ 0,3 33919 n ISF). Va, 13°23 (7 23 13 673, 474, d9 ne 75 tl, I valori dei simboli La ed F che figurano nelle equazioni (17) (18) (19) son forniti delle equazioni (11) (12) e (13) in funzione de tempi e raggi vettori. Nel calcolo delle orbite delle stelle doppie da una estesa serie di osservazioni, adoperando il prezioso metodo di Herschel per la preparazione dei dati, è noto che ai tempi {, t, t,. .. si pos- sono assegnare le distanze p, p, py--. @ gli angoli di posizione 9, 9, 9,... ( Vedi mia memoria nel Vol. V degli Atti, Anno 1872). Ora i tempi si prendono ordinariamente equidistanti, talchè nella equazione terza del gruppo (3) si ha 0,,= 0,3, € 9,,==20,,- Si ha in tal caso 9,3 Fa Pei. RAT x Tia SP ani 20 Vo Satri < + i Pi T 540 gd (2) ora avendosi bi gl p CREME 13 DE an re, gr r3, le), fia © (der ROS TE ? fatte le riduzioni, e sostituendo nella (20) il valore mr , verrà 2 LO aa 6 (+3 +3) equazione esatta fino ai termini di sesto ordine compresi. finita stampare il dì 2 ottobre 1877 cal al ù tà) à SL RITI i ’ è ” Li ’ È » , n fs d « & nr ld Pi . - ( Pi ‘ to o, Ai sì fl Sei Tot ittdisg sISTRA ih abba i di ) apra dh i ELA VI SH MU sf, Rici) vr i % ta DSi. Da vedi | Ò Vi caio? Y Ria UNO Mio af Minantt Y nità” dios pi PNT KOS ITICRA Arg [MS nad en: "ay dr tl ta DOES è Di Y TRÒI. NA ® \ | N L) di DS P fusi n sa 7 e) Li] |A di ) 5), | La È il VD (IL PTA OA DOT OLIO MA Mr A Mol VII. N.° 15 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMA TICHE SOPRA UNA TRASFORMAZIONE DI VARIABILI MEMORIA del Socio Ordinario ANNIBALE DE GASPARIS letta nell'adunanza del dì 10 novembre 1877 PARTE PRIMA In un lavoro pubblicato trenta anni fa nel nostro Rendiconto Accademico, mi sono occu- pato delle espressioni analitiche delle rette staccate sugli assi dalla tangente ad una curva, e di quelle staccate sui tre assi dal piano tangente ad una superficie. Ripigliando quelle ricerche mi sono accorto che i risultati potevano estendersi ad un numero qualunque di variabili, e che si presentavano relazioni rimarchevoli fra due sistemi d’incognite, relazioni che sussistendo ge- neralmente qualunque sia il rapporto, o l'equazione che abbia luogo nel primo sistema , fa spe- rare che possano indagarsi dai matematici teoremi più generali, e di più utile applicazione di quello che a me finora è riuscito di fare. Abbiasi l’ equazione fi(@erazal,. dm) =0 (1) e si ponga i df Ù df df Niiz pE pei y È I Oy 2 ( Li) an XL dxy + Calda 0 ( ) indichiamo con X, ciò che diventa X'” allorchè tutte le altre X della precedente equazione sono zero, avremo df df df df df X = ua pate, da, dg ta O 3 RA L df df df df df E ra = ea 4— — ... = ? dx, “A dx, pri dog uni, dx, sl se de, Mandi af df df df dui VAL, TM E (3) df df df df df X =a do nm DeS "da, i da, in; dx, T% dxz + de, ATTI— Vol. VII — N. 414. 1 Sì ricava da queste relazioni che ca” da _ S ni x (4) dx, da Una qualunque delle (3), per esempio la prima, può ancora scriversi diversamente sosti- tuendo ai rapporti delle s i rapporti delle X ricavati dalla equazione (4), e così avremo x a x,X È Xin +4 ra 6) che equivale alle altre tre XX. k,204X RI 69) ovvero 1 ll 1 1 0 1 SS Li Ugo Up MC PEA ola E Ly%y.K, Ovvero x x x, x ESE ari 5) rota, 2: : ( queste ultime equazioni rimangono inalterate ove ai valori x, @,%,..., si sostituiscano rispet- tivamente i valori inversi di x, XX. Ae viceversa: Inoltre l’equazione (1) differenziata conduce all’ altra df df df df ! i et pal io x, — 6 FIRMI n i e (0) n ritenendo ora la x, esser funzione delle altre, e queste ultime come variabili indipendenti , po- nendo ancora (TAI Tx 506 È 7 / De a), Pi3 = ce) Pin = (S ) 9, ( ) ove l'equazione (1) s' intenda risoluta rispetto ad @,, avremo differenziando da Tac, (- da,= (2) dx, + (DI) dxz...+ LA o) de, da (8) 2 n13: ovvero da, = Pg dt +-Py3d%3 4-P4 dx, :1-Pin de, ; ponendo nelle (6) questo valore di dx, , verrà df d: dI 7, l te! | Pio Co 4-P13 dC 4-P4d2, A Pn 0 CL, f =0 (9) 1 If df df ID. \ df df gp Fe LI II NIEE meri 21 ra ai. da - A) de, te ovvero l l / i) dl d d, I tEA Pi pala + Ai dn, da s+| det ip fd. HH. LA pn den=0 ; Ì dre, Uda da vi oro e poichè quest ultima deve sussistere quale che sia il rapporto arbitrario dei differenziali de, da,... dx,, debbono aver luogo separatamente le equazioni ; PAL df © df dpr stat 3 rr ae Ove l'equazione (1) si fosse risoluta rispetto ad x, assumendo le @, ©, ©, ... 4, come varia- bili indipendenti, ponendo allora de, Ji a 24) P) n=(%e Pag Ca Pan da (10) avremmo avuto df df df df df df SL I 20;- Lie ne Za diva ig ii Poichè adunque Si dr dx dx, Lia df Par df de, dx, si ha Pro Par = 13213 P31="1; P93 Ps" 1 ed in generale pepe (11) È facile ancora dedurre le altre Pio Pas d-Pro=0 Par Pra +-Pa3=0 Par Prot Pso=0 Ciò premesso le equazioni (3) sostituendo ai rapporti delle X,=% — XP — XK,=%, — XP Prg Pao t-Pro=0 Pez Par +Par =0 Pso Por d-Pa=0 - L3P13- È CP CaPor ee — LnPon Ka =%3 —Q Pa — CoPgo ++ ®n Pan X,=%n—-XPn _— LaPng*- sl le P, diventano e-Xn-1Pnin1° (12) (13) BAI Le stesse equazioni (3) possono evidentemente ancora trasformarsi nelle seguenti df df df Ra do) dol L= tag tg ta de, de, dx, df df df df Ro = di +e, dc +%, df df dx, de, de, dx, (14) df df df df n dx, dx, dx, dea, an: df n (€) RI NS Tita dali df dx, de, de, dx, CANI. de | A a e e dr, de, de, de, che equivalgono alle altre X,= &, — Po — ®gP13 ° — CnPain \ Xy= (0, — Wo Pro — ®gP3 ++ —OnPan)Pan Xa=(0,— x, Py — Cs Pig + «+ — Cn Pin) Par (15) XK = (0, — xo Pro — Lg Prg ++» —®nPin) Pa Per l'equazione (4) e per le convenzioni (7) si ha df i LIA ì df UR dala dn, e O ie onde si ricaverà X,-|- X,p,,=0, ed allo stesso modo avremmo potuto ricavare l' altra Kip _0e (16) Le equazioni (15) dànno XXX... XA =(0,— LP — ®3Pyg +: — La Pin)" Par Por Pai © © * Pan ed in questa, ove per p,, p,, - - - P,, SI sostituiscano rapporti delle X tratti dalla (16), si ritrova la prima delle (15). » - — ) — » . . cf è COTTI 5 . na ”y Ove nella equazione (6) ai rapporti delle ”. si sostituiscano 1 rapporti delle X dati dall’ e- AL quazione (4), si otterrà l’altra dx, de, do, de, 0= - : i I Rig ha X, | Xi 1 X, (17) 1 e quest’ ultima sussiste tuttavia ove per le x si mettano rispettivamente i valori delle X e vice- versa, sarà cioè 1 l 299 d% +e Sanna d a ar ted : t (18) Xy SI Differenziando infatti la (5), sì ottiene de, dx, di, sn pre 1 1 Il +, de RU d % — + 03d- ni ...+x,d Fr S-% Ora essendo zero la prima riga orizzontale, è zero ancora la seconda, e la (18) resta così dimo- strata. Avremmo potuto seguire altra via, ed è la seguente: Le equazioni (3), differenziate porgono 1 df dX, pi dI | + d n dx, dx, df df df 1 — — ... -——{d Hate, da, nia: 0 df dx, 1 df df df = - —.. )) a df I € de, du, do, LE, do. dx, folta LL. +e fat df da Pag fà df da, df 1 I Hog 1 de, N 2 de. tara df dx, | SEND i CONE df \° 3 i Moltiplicando ora la prima per @, (3) , la seconda per ®, (1) , e così successivamente, 1 2 sommandole tutte, si trova dopo facili riduzioni 0— x, dE, (i) ta, dX, (FO) st) 0 dX, | dX, i IX, dX, astri i eta x erge x} ovvero alla Ig ] ossia tan dtd - +a,d5 di Lo 3 on ch'è la (18) proposta a dimostrare. Le equazioni (3) dànno mercè la differenziazione, e tenuto presente che si ha dalla (1) df df dU | df Ta PI = — —=0 da, | N da, et da, 19, ignora * le seguenti relazioni df df df da da, de, Xx. =a,d- 208 Coe) >» d iL dx,=a,4 df + x,d df + 2,0 df de, de, dx, df df df raltà gel ii era (19) o ==#d= clip a «bad tg I SUCRE dx, de, da, df df df ; da dx, de, dA, and 2a +a,d di -|%,d — df _ dg do, da, e così appresso. Cominciando infatti dalla prima delle (3) viene Ta ] d Li E aule La Cas oto PIT, SERIETA L, UL, L3 da e ponendo in questa il valore di X, tratto dalla 1° delle (3) è df 1 dk (204 d sE +a, i DERE ra na af ci af 1 df e o 1 (e de, | PRIN 3 dx, use 1) i Ù i da it da, ovvero, moltiplicando tutto per (3) sarà )VVero, mMOILipilce ) Ì \dx, , 5 df\t__ ( afidi cp al Had — |dX,=a,|-—d = a (o) "Fa cda, | de, mo ina: fa . de, (3 (SL ] df df Di PALA La d DEL de, f da, i da, i: 3 lara de, dol Ni da cui evidentemente si ricava df df df dx, dx. da. XxX =%x,d Ci zie o] n dX, Ca l df t 30 df Td, ( df de, da, da, che è la prima delle (19). Allo stesso modo per le altre. Ritenendo le tre variabili @, #, ,, le prime tre equazioni (19), tenendo presente che x Qi df L, de, (08 possono scriversi, dopo aver tutto diviso per x, nel seguente modo, dXi _ Pa gNi tag ta ax 19 O aa 105 X; o, Xgf Dalle equazioni (20) trovando i valori di —* , “* dopo avere eliminata la x, si ha TOI 1 Ì d— == dD(Egel i 4 Cel POL ii RI 6 ] 1 d—- Sa d = x Xi Intanto la prima delle equazioni (5), dopo aver tutto diviso per x, X,, è ia TAR DR CADA Co î È i. ò « q: Lo Aalto o : sostituendo in questa i valori ora trovati di PAL 2 si deduce la rimarchevole relazione 1 all Il 1 aL ip ea, lui RED ID Cee VOTE RE - 3 È d—- 3 d—- DC x e così avremmo trovato ancora J 1 d- d=- I RECATO CAMPARI. Sele PRESE, “Ra d È Na pes Xi i 3 Il 1 d—- l — De e o I Generalizzando la ricerca fatta colle equazioni (20) è agevole trovare che hanno luogo le se- guenti 1 1 I d—- d_ dz TOR PRA RO AI OT PR a d : È qa È, d z Xo Xsy È ] La te Te == ge du |) RES MO di zi X; Pri) © SO SI - ge I AC e | ww Za ina o 1 1 1 1 n ) e pi MR x Di po ro 2 Xy n X, 1 1 1 dei JE "Pro 0, n lv IR REI Lapo PRE Po e 1 : ecs cid A e | DO) xa TRAI ed in generale 1 1 1 1 = = di di IRE SR Aa 1 ai bi V00) dI; Pane i Ig RT frena (9 ; si AZ a Sd] "day 1 OSS, Dt, Mo I 1 1 1 1 d- Vie dal pri Lyon (i Ie Te RAT Pn 24) ST SEA AO E UN ii Q r 1 ga v_l ] r+1 n) n ge de da da o xo, "a Z e così le x,, si trovano alla lor volta espresse per mezzo delle X,,. Infatti alla (23) fa riscontro =—- ( dx ") de, ) si le n) - Te) da i) Aa 2) a A A a A che si ricava dalle (13) ed alla (24) l’altra a ( o (E) \ sl so Ea da. ) sa) (FE da. NL da, (2) A =—- (a. L, e « IL ù 2 bag dx, de, (ANI A dar, ) de, V altra 1 che si deduce tenendo presente l'equazione (16). Altre rimarchevoli relazioni esistono fra i due sistemi di variabili che esporrò in una se- conda parte. Per ora mi limito a far notare che ove la equazione data fiano sia omogenea rispetto alle variabili 2,2,%,...,,1 valori di X,X,X,... X, si annullano. finita stampare il dì 24 novembre 1877 Nol. VI. N.° 16 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE INTORNO ALLA BALENA PRESA IN TARANTO NEL FEBBRAJO 1877 MEMORIA del Dottor FRANCESCO GASCO letta nell’ adunanza del dì 3 novembre 1877 PREFAZIONE Nello scorso inverno, ognuno se lo rammenta, fu catturata nel Golfo di Taranto la prima vera Balena, per quanto si sappia, comparsa nel Mediterraneo. Appena il compianto Prof. Pan- ceri ne ricevette la notizia, con ammirabile sollecitudine prese gli opportuni accordì col signor _ Rettore dell’Università, Prof. Arcangelo Scacchi, e fece partire alla volta di Taranto il Prof. Francesco Lucarelli ed il custode Vincenzo Coppola, entrambi addetti a questo R. Ga- binetto d'’Anatomia comparata. Nell’interesse della scienza S. E. il Ministro per la P. Istruzione a sua volta s’affrettò ad avvertire il Prefetto di Lecce che nessuna cura si risparmiasse per la conservazione dello sche- letro di quel cetaceo ed a rivolgersi, parimente con dispaccio telegrafico, al signor Rettore del- l Università di Napoli affinchè invitasse « il Prof. Panceri ad andare o a mandare subito un «assistente di sua confidenza perchè riferisce sulla convenienza e sulle condizioni dell’ acquisto « osteologico ». Nel suo desiderio S. E. il Ministro era stato prevenuto. Il Cav. Lucarelli e V. Coppola già stavano sezionando in Taranto l’ interessante misti- ceto e ben presto ne spedirono a Napoli il cuore, un pezzo d’esofago, di stomaco e di polmone, gli occhi, parte dell’apparato riproduttivo e varì saggi di cute. Tutte queste parti furono diligen- temente esaminate dal Prof. Panceri che aveva la ferma intenzionedi descriverle ed illustrarle, e tutto egli pose in opera per sottrarle alla corruzione che già erasi manifestata. In seguito a premurose e molteplici pratiche intavolate dal Comm. Panceri e continuate dal signor Rettore Scacchi e dal Cav. Lucarelli, la Commissione, cui in Taranto era stato affi- dato l’ incarico della vendita dello scheletro, secondando saggiamente il desiderio tanto del Mi- nistro per la P. Istruzione, quanto del signor Rettore di codesta Università , deliberò che fra i concorrenti all'acquisto dello scheletro l'Ateneo Napoletano avesse la preferenza. Quando lo scheletro del misticeto giunse in Napoli, la scienza piangeva la grave perdita del Prof. Paolo Panceri. Mancato ai vivi quest’ eminente naturalista il signor Rettore Scacchi volle a me affidare il grato ed onorevole incarico di studiare, descrivere e convenientemente il- lustrare lo scheletro della Balena di Taranto che è senza dubbio uno dei più belli e preziosi or- namenti del R. Gabinetto zootomico a cui ho l’onore di appartenere. Nutro fiducia che i Chiarissimi Socî di questa Reale Accademia vorranno accogliere il mio ATTI— Vol. VII —N.° 16. 1 erp È dini 10, lavoro colla stessa benevolenza che già ebbia sperimentare in altra occasione, e rimetto al giu- dizio dei Cetologi se pari all'importanza, alla nobiltà del còmpito sia stata la mia cura nel trat- tare un argomento che la morte così bruscamente strappava di mano all'ottimo maestro Paolo Panceri. ARRIVO E MORTE DELLA BALENA A TARANTO Nel mattino del 9 Febbrajo prossimo passato fu avvertita la presenza del cetaceo nel Golfo di Taranto a circa tre chilometri di distanza dalla città, e precisamente in vicinanza della Torre d’ Ajala posta sulla spiaggia orientale del Golfo. Molto probabilmente il cetaceo era ivi giunto passando tra l’isola di San Paolo ed il Faro San Vito. Il primo pescatore, che se n’accorse, lo ritenne per una barca capovolta. Ma nell’ avvicinarsi maggiormente scoprì che si trattava di un mostro marino che in quel momento era fermo e quasi quasi confondevasi cogli scogli di cui quella costa è tutta gremita. Dando uno sguardo intorno , il pescatore scoprì a breve distanza un’altra barchetta e chiamò in suo aiuto due altri compagni. Ma la prudenza consigliò loro di non accostarsi troppo a quell’enorme pesce. Movendo poscia verso Taranto la Balena procedeva così lentamente ed a così breve distanza dalla spiaggia che le due barchette la poterono senza difficoltà accompagnare, e chi stava a terra ne riconosceva agevolmente la forma. È noto che il mar piccolo di Taranto è in comunicazione col Golfo per mezzo di due canali. Uno di essi è dai Tarantini chiamato il Fosso; l’altro Canale della Cittadella. Sul primo v' ha il ponte di Lecce, sul secondo il ponte di Napoli. Giunta la Balena all'imboccatura del Fosso vi si arrestò per una quindicina di minuti. Era l'ora — del riflusso. La Balena ripetutamente tentò di penetrare nel canale dirigendosi contro la corrente, ma ne fu sempre impedita dai pali così detti di posta, che stanno sull’entrata del canale e che servono per la pesca delle dorate (CArysophrys aurata, Cuv. e Val.) e del pesce marmoro (Pa- gellus mormyrus, Cuv. e Val.). La sentinella del Castello diede l'avviso dell'arrivo del mostro marino, su cui il capitano ad- detto alla Reclusione militare scaricò le prime due fucilate: a queste tennero ben presto dietro quelle di due altri tiratori tarantini. Frattanto vola per la città la strepitosa notizia : la popolazione si precipita sul Corso Vitto- rio Emanuele e corre alla ringhiera per far conoscenza coll’ospite straordinario. I più intrepidi dan di piglio alle armi d’ogni sorta e corrono in cerca di barcajuoli. La Balena, non potendo penetrare nel Fosso, rasentando gli scogli che difendono il Gastello ed il Corso Vittorio Emanuele , raggiunge e doppia il Torrione. Essa, sempre lentamente avan- zandosi, penetra nel porto e, movendo contro la corrente di riflusso, cerca d’insinuarsi nel Ca- nale della Cittadella. Ma sia per la presenza di numerose barche, sia per le fucilate, che su di essa scaricavansi, arrivata e trattenutasi alcuni minuti presso la Dogana Regia, ove poco mancò che non s’arrenasse, mutando direzione, prese a muoversi verso l’isolotto di San Nicola passando al sud dello scoglio dei tonni, che dista dalla Dogana Regia intorno a 300 metri. La seguivano e la fiancheggiavano nella sua lenta corsa oltre 30 barchette, dalle quali in vicinanza dell’isolotto di San Nicola il malcapitato cetaceo ricevette centinaja di colpi di fucile e di rivoltella. Mentre tutti erano di avviso che, oltrepassato l’ isolotto summenzionato , la Balena avrebbe preso il largo, questa, rifacendo un tratto del cammino, ritorna verso lo scoglio e la punta dei tonni, arrestandosi in vicinanza del Convento dei Cappuccini, dove, cresciuto il numero delle barche, crebbero pure di numero le schioppettate. Ma qui i tiratori si convinsero che le palle dei Di fucili e rivoltelle non avevano su quell’ enorme bersaglio effetto di sorta. La Ba- lena non se ne dava per intesa. Vi fu in quell’ora un po’ di confusione. Più che le sferzate caudali della Balena, molti pa- PRRCIB): ventavano il piombo dei compagni, poichè tra i buoni formicolavano anche tiratori che nel ma- neggio del fucile lasciavano molto a desiderare. Cessato lo sparo il signor Francesco Pavone arditamente le si accosta e le vibra un po- tente colpo di fiocina. La Balena, colla fiocina conficcata dietro il capo, innalza la coda e con essa percuote, spezza, affonda la barca del suo feritore, il quale fu coi due compagni tosto rac- colto da alcuni soldati della R. Marina. Vista l’inutilità delle fiocine, il signor Emanuele Scialpi ricorse alle cartucce di dinami- te. Le prime due furono da lui gettate di fianco al cetaceo, mentre era quasi fermo, ma il loro scoppio non ebbe il risultato che si attendeva. Allora il signor Scialpi, con raro coraggio, fa dirigere la sua barca contro il capo della Balena deciso a lanciare una terza cartuccia entro la bocca che essa ritmicamente apriva e chiudeva. La Balena lentamente nuotava e la cartuccia, caduta davanti al muso, scoppiò mente’ essa vera sopra col capo. Commosso, tramortito dalla violenta detonazione, il misticeto si capovolse e più non si mos- se. È morto! È morto! Si grida da tutte le parti, e lo Scialpi è applaudito. Le barche, che dopo la lezione toccata al Pavone si tenevano ad una prudente distanza, furono sollecite ad avan- zarsi accerchiandolo. Il valoroso Vincenzo Marinò ed altri suoi compagni, valendosi di funi fornite dall’equipaggio di un brigantino genovese, ne cingono con più giri il corpo per poterlo successivamente trarre sulla costa, sulla quale s'erano raccolti intorno a 2000 spettatori. Trascorsi venti minuti , la Balena riacquista i sensi, ripiglia la posizione normale e s’ agita energicamente; in men che lo dico, si libera dalle funi ed inalberando ripetute volte la coda per- cuote con violenza, capovolge, e spezza parecchie barche. Una decina di marinai piglia un ba- gno inaspettato. Liberatasi dallé funi e rotto il cerchio delle barche, che la stringevano davvicino, la Balena con una velocità sorprendente s’allontanò dalla spiaggia dirigendosi verso il faro S. Vito, che di- sta a un dipresso dodici chilometri dal porto. Barcajuoli, marinai e tiratori rimasero dolorosa- mente sorpresi di quella violenta risurrezione, di quella precipitosa fuga. Dopo quattro ore di fatiche e perigli loro sfuggiva inaspettatamente di mano l’adiposa preda. Ma era scritto che quella Balena, smarrita la via, avesse a Taranto la sua tomba. Divero, percorsi quattrocento metri circa, essa con la stessa velocità torna indietro, rientra e traversa il porto, raggiunge la Dogana Regia e s’arrena proprio nello stesso luogo che aveva visitato alcune ore prima. Le piccole barche ritornano, volando, anch’ esse nel porto: eccole tutte nuovamente attorno al naufrago volontario. Accorrono e s’affollano spettatori sulla vasta piazza della Dogana, sulle mura, sui bastimen- ti, sulle barche. Per qualche tempo tutti vociferano, o consigliano o schiamazzano, insomma la fu una vera Babele. Vuolsi qui menzionare uno strano incidente idrostatico. Anche il lungo molo della Dogana, la cui larghezza non giunge ai due metri, erasi in pochi istanti gremito di curiosi. La Balena, sentendosi prigioniera, prese a dibattersi furiosamente. Sferzando l’ acqua colla sua larghissima pinna caudale spaventa ed inaffia abbondantemente le prime file di osservatori, che prudente- mente ed istintivamente indietreggiano. A quanti loro seguono manca il terreno. Essi, gridando, precipitano nell'acqua trascinandovi quelli che li. precedono, cui s’ erano aggrappati per evita- re la caduta. Fu un tonfo ed un lamento generale. Fortunatamente la profondità dell’acqua e l’al- tezza del molo non superano il metro e quel bagno in Febbrajo non ebbe funeste conseguenze. Pescatori e marinai temendo che si rinnovasse il fatto precedente, il che è dire lo svinco- larsi dalle funi, furono solleciti ad assicurare l’ animale con più forti legature. A Vincenzo Marinò ed all’ equipaggio di due brigantini l’ uno di Gaeta , l’altro di Ge- nova riuscì finalmente di legare con una grossa gomena la formidabile coda, che senza inter- ruzione il misticeto inalberava e precipitosamente faceva ricadere. Mentre con grande fatica e con maggior periglio le si lega la coda, due pescatori nell’ in- tento di soffocarla, salgono sul capo della Balena e s’ affrettano a conficcare in uno sfiatatojo un i a palo più lungo d’un metro e del diametro d'un decimetro circa. — Picchiavano su quell’ enorme turacciolo a tutta forza e senza dubbio avrebbero spezzato le ossa nasali od intermascellari se prontamente e con lodevolissimo consiglio non interveniva il Cav. Sebastio Barone Santa- croce che, ponendo mente all’ importanza scientifica dello scheletro , trovò modo d’ impedire che quel palo tropp’ oltre s' insinuasse. Quando la Balena tirata per la coda giunse sulla spiaggia presso l’ Ufficio della Sanità ma- rittima, battevano le 8 p. m. Le profonde ferite che colle scuri erano state fatte su d’ uno sfiata- tojo e che per quasi due centimetri s° approfondarono sul margine superiore dell’ osso interma- scellare sinistro, ed il palo conficcato nell’ altro sfiatatojo non impedivano punto la respirazione. Il rumore, che accompagnava l atto espiratorio, era tale da superare in intensità il muggito d’un toro. S' avvertiva anche alla distanza di 200 metri. Liberata dalle funi, la Balena a quando a quando sollevava il capo e spalancava tanto la bocca che non solo si scorgeva l’ intiero sistema dei fanoni, ma anche i mediani, più lunghi, cclla loro estremità accennavano a voler uscir fuori dell’ altissimo labbro inferiore. Verso la mezzanotte sbattè un’ultima volta la coda e morì. In quella sera v'era riunione del Consiglio Comunale. L’ assessore Villani, dopo aver fatta la relazione di quanto era avvenuto relativamente alla cattura della Balena, propose che si nominasse tosto una Commissione coll’ incarico di trarre da quel cetaceo il maggior introito pos- sibile a beneficio di quanti avevano preso parte attiva alla pesca. Risultarono eletti i Signori Giovanni Villani presidente, Cataldo de Tullio, Edoardo Baroni, Francesco Pavone, e Stefano Berardi. Lasciata l'aula municipale il signor Villani ritorna presso la Balena e dà le opportune dis- posizioni per l’erezione d’un recinto che la nascondesse agli occhi degl’ importuni ed impedisse, segnatamente ai pescatori troppo zelanti, di valersi lì per lì della scure per farla in pezzi e trar- ne il grasso, poco curandosi della conservazione dello scheletro. Nel mattino del giorno seguente (10 febbrajo) lo steccato era compiuto. Sulla porta d’ in- gresso leggevasi: Balena Nordkaper. L’egregio Ferdinando Hueber, consultando nel corso della notte descrizioni e figure di cetacei, era giunto a questa determinazione specifica. E l'Hue- ber aveva veramente colpito nel segno. Alle 10 a. m. il signor Villani fu sollecito ad inviare due telegrammi uno in Napoli al Prof. P. Panceri per avvertirlo che s'era « preso un grandissimo cetaceo che sì riteneva pel Nordkaper degli Svedesi »; l’altro in Lecce al signor Raffaele Santovito, coll’incarico di an- nunziare lo straordinario avvenimento sul giornale « IZ Cittadino Leccese » affinchè da tutta la Provincia accorressero visitatori in Taranto. E questi vennero in grande numero. Il prezzo d’ entrata nello steccato non oltrepassava i venti centesimi, e la somma che si raccolse fu di Lire 747. Da Taranto il Sotto-Prefetto G. Alvisi notificò a sua volta il fatto, telegrafando, al Pre- fetto di Lecce. Questi fece tosto telegrafare la notizia della straordinaria pesca al Ministero degl’ Interni ed a quello della Pubblica Istruzione, i quali s' affrettarono a rispondere che non si risparmiassero cure per la conservazione dello scheletro. Letto il telegramma, il Prof. Panceri non perdè un istante. Presi gli opportuni accordi col Chiarissimo signor Rettore dell’ Università, egli avvertiva con dispaccio telegrafico l’ Asses- sore Villani, che due persone addette a questo R. Gabinetto di Anatomia comparata, il Cav. F. Lucarelli ed il custode Vincenzo Coppola, partivano subito alla volta di Taranto. Per meglio apprezzare con quanta sollecitudine il Prof. Panceri, il Rettore dell’ Univer- sità e S. E. il Ministro per la Pubblica Istruzione abbiano agito per trar partito di quella Balena nell’ interesse della scienza, giova qui segnalare anche il telegramma che il giorno 12 Febbrajo S. E. il Ministro inviava al Rettore della R. Università di Napoli. « Un grande cetaceo ha dato in secco a Taranto. Il Prefetto di Lecce domanda se il Mini- « stero intenda acquistarlo ed il sollecito invio di qualche persona per trattare e fare quanto oc- « corra per la conservazione dell’ animale. Inviti il Professore Panceri ad andare o a mandare gt flo « subito un assistente di sua confidenza perchè riferisca sulla convenienza e sulle condizioni « dell’ acquisto. Ella avvisi il Ministero ed il Prefetto della partenza. Pel Ministro. Ferrati ». Il Rettore dell’ Università rispondeva al Ministro col seguente dispaccio telegrafico : « Il Coadjutore Lucarelli ed il preparatore Coppola sono partiti avantieri per Taranto « con istruzioni di Panceri e raccomandazioni del Rettore al Prefetto. Il Rettorato ha antici- « pato lire 500. Lucarelli telegrafa che lavorasi intorno alla Balena ; che il Municipio desidera « lo scheletro ; che spera di persuaderlo per la cessione, esponendo i dettagli domani. Panceri « ed io preghiamo il Ministro per l’ autorizzazione della spesa straordinaria in lire due mila ». L’11, dopo mezzogiorno, l addome della Balena erasi grandemente tumefatto : molti te- mevano di uno scoppio, ed il Presidente Villani ed altri membri della Commissione fecero pra- ticare tre aperture su ciascun lato, dalle quali sprigionossi con veemenza e puzza insopportabile una grande massa aeriforme che eccitò il vomito e consigliò la fuga a molte persone che in quell’ ora stavano dentro ed attorno allo steccato '). Molti erano pure d’avviso che per la pubblica igiene quel puzzolente cetaceo si fosse senz’al- tro indugio fatto in pezzi per raccoglierne il grasso. Il signor Villani, desiderando grande- mente che il Prof. Lucarelli lo vedesse intatto, trovò modo di calmare le apprensioni, adope- rando, per disinfettare, una grande quantità di solfato di calce e di acido fenico. Alle 7 p. m. del giorno 11, il Dottor Lucarelli giungeva a Taranto, ansiosamente atteso dal signor Villani, e da parecchi altri Consiglieri, coi quali recavasi direttamente presso lUf- ficio della Sanità Marittima per far conoscenza e prendere possesso del misticeto. Riconosciuta la mancanza di pinna dorsale e di pieghe sul ventre, il Dott. Lucarelli si convinse tosto che si trattava di una vera Balena. Egli s°’ affrettò a dimandare se qualche fotografo ne aveva ritratto la forma, e, sentendo che in quei giorni il fotografo di Taranto erasi recato a Lecce, con felicis- simo pensiero fece vive istanze perchè fosse chiamato un valente disegnatore per farne uno schizzo esatto. Il Presidente Villani e gli altri membri della Commissione mandarono subito in cerca del pittore signor Errico Marrullier, il quale ben volentieri accettò il delicato incarico. Il Prof. Marrullier, che già ne aveva fatto per conto suo un primo abbozzo, alla presenza del Prof. Lucarelli, dell'assessore Villani, del signor F. Hueber, del Preside della Scuola nautica signor Baroni, ecc., prese nuovamente le necessarie dimensioni ed eseguì un secondo schizzo dal vero, non tralasciando tutti i necessarì dettagli per un completo disegno. Dall’ acquarello ve- ramente prezioso che il Prof. Marrullier volle con rara generosità mandarmi in dono, fu trat- ta la figura che accompagna questa memoria. La presenza del Prof. Lucarelli e del custode Vincenzo Coppola, valente preparato- re, fu di molto giovamento, poichè essi diligentemente diressero, prendendovi parte attiva, l’ a- natomia del cetaceo, affinchè i visceri, per quanto era possibile, i fanoni e le più piccole e più delicate ossa fossero per bene conservate. Il Dottor Lucarelli durante il suo soggiorno in Ta- ranto non tralasciò di far molteplici pratiche per ottenere dal Municipio che lo scheletro fosse tosto concesso al Gabinetto di Anatomia comparata di questa Università. Egli, d’ accordo col Direttore Panceri, offriva al Municipio in cambio una collezione d’ oggetti di Storia naturale adatta per un Liceo o per l’ Istituto tecnico. Più d’un Consigliere tarantino era disposto ad ade- rire all’ invito, ad accettare la seducente proposta del Comm. Panceri e del Cav. Lucarel- li: ma essendosi il misticeto fin dal primo giorno riconosciuto proprietà dei pescatori, il Muni- cipio non aveva libertà d’azione e, la Commissione, dovendo procedere cautamente, fu costretta a dichiarare che lo scheletro sarebbe stato ceduto al miglior offerente. Dopo avere ripetutamente suggerito alla Commissione i migliori provvedimenti per la ma- cerazione e conservazione dello scheletro, nella sera del 14 Febbrajo il Prof. Lucarelli era di 1) La Balena morta cade presto in putrefazione. Un giorno dopo è già trasformata in una massa orribilmente enfiata e fungosa. Sovente capita che i gas sprigionantisi nel cadavere lo facciano scoppiare con un rumore di tuono, emanandosi così un puzzo intollerabile—A. E. Brehm, La vita degli animali, Vol. II, p. 867. Torino 1871. ML gn ritorno in Napoli portando seco due botti ferrate contenenti il cuore, la laringe, un pezzo di tra- chea, di polmone, di stomaco, gli occhi, parte della vagina colle mammelle e parecchi fram- menti di cute. Per arrestare la putrefazione che non ostanti gli antisettici usati a profusione , già era in- cominciata, segnatamente nel cuore, il Prof. Panceri fece subito trasportare nel suo laborato- rio una grossa botte che fu convenientemente riempita di spirito di vino. In essa, dopo averne segnate le dimensioni e fatto uno schizzo della direzione ed origine dei tronchi vascolari princi- pali, che gli doveva servire per una futura comunicazione, egli fece per lo appunto immergere innanzi tutto l'enorme e poco maneggevole cuore mantenendovelo quasi in sospensione. In Taranto nè Lucarelli nè Coppola dimenticarono di quale importanza erano gli appa- rati uditivi. Staccati che furono dal cranio, essi li misero entrambi in disparte ancora forniti di una porzione dei loro muscoli; ma l'assessore Villani, augurandosi che presto fosse partito alla volta di Napoli tutto lo scheletro, loro non permise di prenderli. Nel giorno 12 e 183 era intensa e veramente intollerabile la puzza che emanava dallo sche- letro, dai visceri, dai muscoli, dall’ alto strato di fango insanguinato, su cui sezionavasi la Ba- lena, non ostante le centinaja di secchi d'acqua che sul cadavere e sul suolo di continuo versa- vansi per ragione igienica. Sulla collina detta il Traccio, alla distanza di due chilometri da quella spiaggia, il presidente della Commissione con provvido consiglio s’affrettò a far scavare parecchie fosse profonde quat- tro metri. Fatto coi visceri e coi muscoli alternati colla calce uno strato alto un metro, esse vennero colmate con altri tre metri di terra. Sul sito poi, che era stato occupato dalla Balena, fu sparso un carro di calce viva e molti chilogrammi di ipoclorito di calcio e di acido solforico. Il candido e compatto strato di adipe sottocutaneo, il cui spessore era in media di due de- cimetri, fu a pezzi a pezzi staccato da 18 persone, le quali lavorarono indefessamente per oltre 24 ore. Trasportato nella fabbrica d'olio del Cav. Giacomo Molco, che gentilmente offrì le sue caldaje per liquefarlo e depurarlo, si ottennero 8521 chilogrammi di olio di pesce. Se ne riempirono 19 botti che furono vendute per la somma di lire 1503 nette di spese. L'incarico della conservazione e della macerazione dello scheletro fu dalla Commissione af- fidato all’egregio signor Ferdinando Hueber che disimpegnò con energia, intelligenza e ge- nerale soddisfazione il non lieve ufficio. I due sistemi di fanoni, che Coppola aveva colla più grande attenzione staccato intieri dalle ossa mascellari, furono immersi in una soluzione d’allume: le due pinne pettorali e gli ap- parecchi uditivi furono posti entro una soluzione di allume calcinato e tutto il resto dello schele- tro, chiuso in grandi casse, fu trasportato e posto a macerare nelle acque del Galeso, piccolo fiu- me che mette foce nel mar piccolo di Taranto ‘). Appena il Dottor Lucarelli presentò il suo rapporto, in cui chiaramente si esponeva che lo scheletro apparteneva realmente ad una vera Balena; che esso era proprietà dei pescatori *) e non del Municipio di Taranto e che sarebbe appartenuto al miglior offerente, il Prof. Panceri animato dal più vivo desiderio di acquistarlo, descriverlo e convenientemente illustrarlo nell’in- teresse della scienza e dell’Italia, fece nuove istanze d'accordo col signor Rettore per ottenere il chiesto fondo straordinario e l'autorizzazione di procedere senza indugio alla compera del me- desimo. Il Ministro accolse favorevolmente la relazione e l’ istanza del Prof. Panceri, e rispose il 3 Marzo al Rettore col seguente telegramma: «Autorizzo la Signoria Vostra per l'acquisto dello 1) Chi abbia vaghezza di leggere un brillante, piacevollissimo articolo intorno all’arrivo, alla caccia, alla morte, alle dimensioni ece. di que- sta Balena, cerchi il Corriere di Taranto del 18 Febbrajo. Questo articolo del signor Avvocato Filippo Ricciardi fu in seguito riprodotto da altri giornali tra cui la Gazzetta del Popolo di Torino (22 Febbrajo) e trovasi pure inserito inunarecente memoria del Chiarissimo Prof. Comm. Giovanni Capellini dal titolo: Notizie della Balena di Taranto confrontata con quelle della Nuova Zelanda e con talune fossili del Belgio e della Toscana. Con tre tavole. Memorie dell’Ace. delle Sc. dell’Ist. di Bologna. Serie III, Tomo VII. Bologna 1877. 2) I pescatori riconosciuti proprietari della Balena erano 270 e non 800 come piacque al Comm. Capellini di asserire nella memoria sum- menzionata. ini * fa -« scheletro del cetaceo non oltrepassando le lire mille. Provvedesi alle altre spese indicatemi ». Ponendo mente alle spese d’ imballaggio e di trasporto (oltre 400 lire) del pesante sistema osseo, il Prof. Panceri offrì alla Commissione di Taranto la somma di lire 750. E questo fu proprio l’ultimo atto, l’ultima disposizione del Prof. Panceri riguardante l’ineremento delle col- lezioni del Gabinetto scientifico da lui fondato e per sedici anni con tanta affezione e sapienza diretto. Quattro giorni dopo l’offerta summenzionata l'illustre naturalista aveva cessato di vivere. La Commissione era lì lì der aderire, ma riflettendo che anche i Direttori dei Gabinetti z00- tomici di Firenze e di Pavia avevano manifestato l'intenzione di acquistar quello scheletro e vo- lendo saggiamente evitare qualsiasi osservazione poco benevola per parte dei 270 pescatori che n'erano i proprietarî, deliberò, prima di accettare l'offerta del Comm. Panceri, di far lo spe- rimento dell’asta pubblica. Questo seguì il giorno 18 Marzo. Lo Scheletro fu posto a pubblico incanto per lire 1000, ma non vi fu alcun offerente. Allora la Commissione stabilì di lasciar trascorrere alcuni giorni e di procedere ad un secondo sperimento, che ebbe luogo il 1° Aprile. Come il precedente, andò anch'esso deserto non essendosi presentato neppure un oblatore. Conosciuto questo secondo risultato negativo dell’asta pubblica, da tutti in Napoli, facendo assegnamento su quanto aveva reiteratamente promesso il Presidente Villani, si attendeva l'avviso che lo scheletro della Balena di Taranto era stato definitivamente aggiudicato all’ Uni- versità di Napoli per 750 lire colle spese d'imballaggio e trasporto a carico della Università stessa. E non fu di conseguenza, nè piccola nè piacevole la sorpresa del personale addetto a questo R. Gabinetto d’ Anatomia comparata nell’ apprendere da una lettera diretta dal Villani al Prof. Lucarelli, che l'Ateneo napoletano, dopo tante premure per giungere al possesso di quello scheletro, correva il più grande rischio di perderlo. Lascio ora la parola al Comm. G. Capellini ‘). « Verso la fine di marzo, pensando di approfittare delle vacanze di Pasqua per studiare lo « scheletro del misticeto, di cui mi premeva di poter precisare la specie (ritenendo pur sempre « che fosse una balenottera), scrissi al signor Sindaco Pupini, per sapere se, arrivando a Ta- « ranto nei primi giorni di Aprile, avrei potuto appagare quel mio desiderio. In seguito a gra- « ziosa risposta affermativa, mi recai colà il 2 Aprile in compagnia del Cav. Botti e, mercè le « premure gentili del sig. Sindaco, del sig. Hueber, delsig. De Cataldo rappresentante la « Commissione incaricata della vendita di quanto si riferiva alla Balena in quistione, potei « senza indugio incominciare le mie osservazioni. Appena mi furono mostrati gli arti e gli ap- « parati dell’ udito mi accertai che, sebbene il misticeto non fosse niente affatto riferibile ad al- « cuna delle specie sopraricordate (Balena bereale « Nordkaper » — Balaena rostrata — Balaena « mysticetus, ovvero Balena Australiana detta ancora Nord-Caper) era però una vera balena, « oggetto quindi della più alta importanza per la geografia zoologica. « Desiderando di non perdere la bella opportunità di annunziare al mondo scientifico con « quali specie viventi e fossili potesse compararsi la prima balena che, in tempi storici è stata « catturata nel Bacino del Mediterraneo; dopo avere studiate le poche ossa che si trovavano in « Taranto, accompagnato dalle gentili persone sopra ricordate, con una barca del signor D e Ca- « taldo mi recai nel vicino fiume per esaminare il rimanente dello scheletro che era ancora in « macerazione. « Sotto la sferza d'un sole ardente e malgrado la puzza nauseante che emanava da quelle « ossa allorchè venivano estratte dall’ acqua, sino a sera mi trattenni in mezzo al fiume, misu- « rando, disegnando, notando quanto doveva servirmi per gli opportuni confronti. « Meravigliandomi che un animale‘di tanta importanza non fosse stato acquistato intero per uno dei nostri Musei e che a tal uopo non fossero stati fatti in tempo serì e premurosi impe- « gni°), dolente di dover constatare anche qualche smarrimento di ossa preziose per la scien- À 1) G. Capellini, Memoria cit., pag. 8-9-10 e 13-14. 2) È strano che il Prof. Capellini non fosse per nulla informato delle premurose pratiche fatte dall’ Università di Napoli. et, fed za’), pensai di offrire una somma perchè la Commissione che era stata incaricata della ven- dita sì risolvesse a liberarsi da ulteriori noje per quello scheletro, pel quale il sig. Hueber « sì era già date tante premure. « Dopo essermi consigliato con il signor Sotto-prefetto Alvisi e con l’amico Botti, pensai « di fare alla Commissione una proposta ed una prima offerta. Proposi di acquistare io stesso, « nell'interesse della scienza e dell’Italia, lo scheletro della Balena, coll’ intendimento di com- « pierne con maggior comodo lo studio e la illustrazione, obbligandomi a rimettere lo scheletro « stesso al Museo di Napoli o a quello di Roma, o di Firenze o di Bologna, secondochè avrebbe « desiderato S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione, quando però fossi stato rimborsato delle « 1200 lire che offrivo in prezzo ». Il Presidente della Commissione G. Villani che, subito dopo il secondo sperimento dell’asta pubblica (seguito nel 1° Aprile), aveva dovuto per urgenti affari allontanarsi da Taranto, non era ancora di ritorno il giorno 5 in cui il Comm. Capellini fece la nuova offerta. Avvertito con di- spaccio telegrafico, immediatamente restituivasi a Taranto. Ma prima di accettare l’ offerta del Comm. Capellini (maggiore di quella di Napoli di 200 lire), Villani osservò «che era conve- niente avvisarne l’ Università di Napoli, non dovendosi punto saltar a piè pari le molteplici trattative aperte precedentemente col Comm. Panceri, col Cav. Lucarelli e col sig. Senatore Arcangelo Scacchi, Rettore dell’ Università. L'Università di Napoli, egli disse, è quella che prima si mosse, è l’unica che fece una ra- gionevolissima offerta fin dai primi di marzo e che noi fummo lì lì per tosto accettare. Io non reputo conveniente, per quanta deferenza si possa avere verso il Chiar."° Prof. Capellini, di tagliar corto colle molteplici pratiche avviate coll’ Università napoletana per la sola differenza di 200 lire, segnatamente quando si consideri che s’ era convenuto di trattare definitivamente con Napoli qualora anche il secondo esperimento dell’ asta pubblica fosse fallito. Sospesa pel momento ogni deliberazione, nella sera del 5 Aprile si riferì al Comm. Capel- lini, che era sulle mosse per lasciar Taranto e recarsi a Lecce, che in Lecce la Commissione gli avrebbe fatto conoscere quale deliberazione pigliava sul proposito. Il giorno 6 si riunì la Commissione. La discussione fu lunga ed animata. Il signor Villani nuovamente perorò in favore di Napoli. Con lettera del 7 Aprile l’egregio assessore Villani con pieno accordo dei componenti la Commissione, così scriveva al Cav. F. Lucarelli, incaricato della Direzione del Gabinetto. « Qual Presidente della Commissione della Balena vi notifico che ieri si riunì la Commis- « sione alla presenza del signor Sindaco e si venne alla seguente deliberazione, cioè darsi la pre- « ferenza all’ Università di Napoli essendo stata la prima a mettersi in trattativa, però contro il « pagamento di lire 1200, messo lo scheletro ed imballato su questa stazione ferroviaria, giusta « l'offerta del Prof. Capellini, il quale insiste ad avere una risposta e sollecitamente ». Il giorno 8, appena il signor Rettore ebbe cognizione della lettera del Presidente Villani, dispose che immediatamente il Prof. Lucarelli inviasse il seguente telegramma : « Il Rettore acquista la Balena per lire 1200. Spedirò il custode per assistere l imballaggio. « Attendo risposta ». E la Commissione, secondando pienamente tanto il desiderio di S. E. il Ministro della Pubblica Istruzione, quanto quello del Chiarissimo signor Rettore, diede saggiamente la prefe- renza all’Università di Napoli con questa risposta telegrafica al Cav. Lucarelli: « Vi resta venduto lo scheletro per lire 1200 franco di porto da questa stazione. La Com- « missione prega concederlo al Prof. Capellini per studiarlo ». E superfluo il ricordare che dal canto suo il Prof. Lucarelli faceva subito sapere alla Com- missione che non si poteva per ora permettere che lo scheletro si fosse per alcuni mesi traspor- tato a Bologna: che in Napoli vera chi ansiosamente l’ aspettava per istudiarlo, e che qualora il A R 1) Giova qui tosto il riferire che Jo smarrimento di ossa preziose per la scienza constatato dall’ esimio paleontologo riguardava soltanto tre ossicini dell’ apparato uditivo, cioè i due martelli ed un’ incudine. Ue ve | pera Chiarissimo Prof. Capellini desiderasse sempre studiarlo a sua volta, poteva fare col Rettore di questa R. Università quelle pratiche che meglio reputava convenienti pel suo scopo. Giunsero successivamente in Taranto altre più vantaggiose proposte del Comm. Capelli- ni: arrivò da Roma l’offerta di 1500 lire del Chiarissimo Prof. Bol]; ma cosa fatta capo ha. Il pomo della discordia era già definitivamente proprietà dell’ Ateneo Napoletano. Giova qui l’aggiungere che parecchi giorni dopo che era stata accettata la seconda offerta dell’Università di Napoli, il signor F. Hueber ricevette in Taranto una lettera del Dottor Julius Kreug Prof. in Ober Dobling presso Vienna, che non faceva alcuna offerta per l’ acquisto dello scheletro, ma si raccomandava solo per avere possibilmente pezzi di cute , di muscoli, di nervi. Torna ad onore tanto del signor Sindaco, Dott. Vincenzo Pupino, quanto dei componenti la Commissione incaricata della vendita del cetaceo il non aver neppur pensato di aprire tratta- tive con Musei stranieri. Certamente a Parigi, a Lovanio, a Londra e via dicendo, lo scheletro d’una vera Balena egregiamente macerato, ed a cui mancano solo alcuni ossicini, sarebbe stato acquistato per molte migliaia di lire '). Sta bene che le ossa di questa Balena morta a Taranto, l’unica vera Balena, per quel che si sappia, catturata nel Mediterraneo, riposino nel R. Gabinetto zootomico partenopeo accanto ai sette scheletri completi di sei altre specie di cetacei dagli eminenti naturalisti Stefano Delle Chiaje e Paolo Panceri con somma cura raccolte. Prima di esporre a questo nobile Consesso il risultato delle mie ricerche, segnatamente osteologiche, intorno alla Balena di Taranto, mi si permetta di ringraziare e di attestare qui la mia viva riconoscenza all'assessore Giovanni Villani, ed al mio collega Cav. F. Lucarelli, che mi fornirono cortesemente le più dettagliate notizie sull’ arrivo, sulla caccia, sulla morte, sulla sezione anatomica ecc., del Misticeto: al Prof. Enrico Marrullier, che volle mandarmi in dono il disegno del cetaceo tratto diligentemente dal vero: al Cav. Eugenio Petersen che gentilmente eseguiva oltre 60 vedute fotografiche delle varie parti dello scheletro : ai Chiarissimi Professori E. Cornalia, M. Lessona, S. Ricchiardi, E. H. Giglioli, A. Dohrn, A. Costa, A. Targioni-Tozzetti, Pietro Pavesi, Guelfo Cavanna e Guglielmo Gui- scardi che con isquisita cortesia posero a mia disposizione importanti pubblicazioni cetologiche e m’inviarono per confronto gli apparati uditivi della Balaena mysticetus, L., della B. biscayen- sis, Eschricht, della B. australis, Desmoulins, e della B. antarctica, Gray: apparati che, come ben mostrarono gli studî dell’eminente cetologo Van Beneden, sono di grande aiu- to nella determinazione generica e specifica dei misticeti. Al Chiarissimo Rettore di questa R. Università, Senatore Arcangelo Scacchi, che volle a me affidato l'onorevole e grato incarico di studiare e d’ illustrare uno dei più belli ornamenti del Gabinetto anatomico a cui ho l’onore di appartenere, la mia gratitudine non verrà mai meno. Nessuno ignora che, mancato ai vivi Paolo Panceri, alla perspicacia, all’autorevole consiglio, all’ azione pronta, energica del Rettore Scacchi l’ Ateneo Napoletano deve il preziosissimo acquisto. 1) Oltre i signori Tarantini già segnalati in questa mia relazione, m’incombe l'obbligo di rammentare i nomi delle seguenti persone che a loro volta gareggiarono di zelo nella straordinaria pesca. Il primo pescatore che s’ accorse della Balena mentre era presso la Torre d’Ayala fu Angelo Bianco. Il capitano Eugenio Gerra ed il tenente Vincenzo Scialpi furono i primi a prendere di mira coi loro fucili il gigante oceanico giunto all'imboccatura del Fosso. Carmine Fiore e Stefano Barbanti sono i due soldati della Marina Reale che, stando sotto gii ordini del Comandante del porto, Cav. Gaetano Magliano, raccolsero Francesco Pavone e due altri suoi compagni la cui barchetta fu la prima ad essere percossa e spezzata dalla formidabile coda del misticeto. Giovanni Antonio Matarazzo, comandante il brigantino «Ferdinandeo» di Gaeta, e Giovanni Battista Maggio, comandante di un brigantino genovese, furono quelli che insieme al marinaio Vi n- cenzo Marinò e ai due equipaggi dei brigantini predetti riuscirono a legare l’irrequieta coda della Balena dopo che aveva dato in secco, e a dichiarare di colpo—ma indarno—che il cetaceo loro s’apparteneva giusta l’adagio marinaresco: chi ne lega la coda è il proprietario del pesce. ATTI— Vol. IV.—N.° 16. 2 Maler: > be LA BALENA DI TARANTO È LA BALENA DEI BASCHI (BALAENA BISCAYENSIS, EscHRICHT) I primi balenieri d’ Europa furono i Baschi. Fin dal principio del secolo decimo essi davano la caccia ad una balena, tutta nera, che nei mesi invernali visitava la baja di Biscaglia e la Ma- nica. Vuolsi che nella caccia della balena i Baschi abbiano fatto uso dell’arpone verso l’ anno 1330 ’). Da una Vita di Sant Arnoldo pare però che l’uso dell’arpone rimonti al secolo XI ?). Dai Baschi successivamente appresero a lanciar l’arpone contro la stessa balena gli Olandesi, che la denominarono Nordkaper, i Danesi, i Norvegiani, gl’Inglesi e via dicendo. Conseguenza d’una caccia accanita, sterminatrice fu la scomparsa della balena lungo le coste occidentali di Europa. Ma gli arditi Baschi, incoraggiati dal successo, traversano bel bello l’ Atlantico e muo- vono guerra al Nordkaper anche lungo le coste orientali d'America, spingendosi sino a Terra Nova, nei cui paraggi questa specie soggiornava durante i mesi estivi. È superfluo il rammentare che di là dell'Atlantico ai balenieri venuti d'Europa s'aggiunsero gli Americani. Ovunque rapidamente decresce il numero delle balene proprie della zona tempe- rata dell'Atlantico settentrionale: la loro caccia perde, non ha più importanza : forzatamente i va- lorosi Baschi nel secolo decimosesto rinunziano al maneggio dell’ arpone. Le baleinier basque a disparu avec la baleine qui porte son nom (Van Beneden). È noto che gli Olandesi, liberatisi dal dominio spagnuolo , e desiderosi di prender parte colle altre nazioni al commercio d'Oriente, prevedendo il sommo vantaggio della scoperta d’ un passaggio all’India ed alla Cina pel nord-est, compirono sul cadere del secolo decimosesto (1594-95-96) parecchi importantissimi viaggi artici. È noto che collo Spitzberg essi scoprirono un’ altra balena più grande di quella cacciata per l’ addietro: scoprirono la balena della Groen- landia (8. mysticetus, L.) specie eminentemente nordica che fu a sua volta animosamente perse- guitata, e nel volgere di due secoli quasi letteralmente distrutta tanto nei paraggi dello Spitzberg, quanto nello stretto di Davis e nella baja o mar di Baffin. Un celebre naturalista, Giorgio Cuvier, fu d’avviso che la balena dei Baschi avesse mu- tato stazione; che, perseguitata nelle regioni temperate dell'Atlantico, si fosse rifugiata tra i ghiacci al di là del cerchio polare artico. Molti zoologi sottoscrissero a questa opinione dell’ il- lustre maestro : essi, ammettendo la Balaena mysticetus , considerarono il Nordkaper come una specie nominale, immaginaria che bisognava radiare dai cataloghi. Fatto singolare , della balena più anticamente nota non figurava nei Musei d’ Europa uno scheletro, un cranio, un osso. Ma alcuni sommi cetologi non divisero l'opinione di Cuvier, non ammisero che la balena della Groenlandia fosse la balena cacciata dai Baschi, il Nordkaper degli Olandesi. Studiando diligentemente la distribuzione geografica della B. mysticetus, due eminenti pro- fessori di Copenaghen, Eschricht e Reinhardt, s'avvidero che questa non si separa mai dai ghiacci polari; e negli stabilimenti di pesca danesi raccolsero irrefragabili prove che, da oltre un secolo, ogni anno nella stessa stagione, negli stessi giorni essa visitava nelle sue migrazioni costantemente gli stessi paraggi lungo la costa occidentale della Groenlandia. Eschricht e Reinhardt vennero alla conclusione che la B. mysticetus non poteva essere la specie cacciata dai Baschi °). 1) Van Beneden et Paul Gervais— Ostéographie des Cetaces vivants et fossiles, pag. 91. 2) Noél dela Morinière — Histoire genérale des peches anciennes et modernes. 3) Intorno all’importanza dello studio dell’esatta ripartizione geografica, delle costanti migrazioni e conseguentemente delle varie specie di vere balene così s'esprime il Prof. P. Fischer in una sua interessante memoria dal titolo: Documents pour servir d l’histoire de la Ba- leine des Basques (Balaena biscayensis). — Ann. des Se. nat. 5° série, T. XV, 1872. « La révision des Baleines franches est toute moderne. Elle est due, en grande partie, aux recherches patientes et sagaces d'’Eschricht, qui inaugura un nouveau système d’études de ces animaux, en démontrant, de la maniere la plus nette, que leurs migrations sont constantes, PR | |; [aree Consultando d’altra parte antichi e preziosissimi manoscritti e le opere di Rondelet (1554), Antony Parkhurst (1578), Alberto il Grande (1495), Vincenzo de Beauvais, Cleirac (1661), Duhamel (1779), Pontoppidan, Chemnitz, Zorgdrager ed altri, si venne a sapere che nell’ Atlantico settentrionale i balenieri ed i negozianti di fanoni distinguevano per bene due specie di balene. L'una più piccola, più svelta, più irrequieta, dai fanoni più corti, dal corpo ricoperto di cirripedi, propria delle regioni temperate; l’altra più voluminosa, con fanoni di molto più lunghi, priva sempre di conchiglie (cirripedi) sul capo e sul dorso, propria delle regioni artiche. La prima senza abbandonare mai l’area di diffusione del Gulf-Stream raggiunge nell’estate il banco di Terra Nova ed il sud dell'Islanda: la seconda solo nell'inverno si lascia vedere al nord di quest'isola e tocca il 65° di latitudine boreale lungo la costa occiden- tale della Groenlandia. È una vera eccezione se talvolta la Balaena mysticetus nelle sue escur- sioni invernali, seguendo la corrente fredda della Groenlandia orientale , ovvero quella del La- brador giunge cogli icebergs a latitudini minori '). Giova qui tosto l’aggiungere che, perseguitato per ben sette secoli dai balenieri d’ Europa e d'America, il Nordkaper si credette, ma non fu per buona ventura totalmente distrutto. Negli ultimi tre secoli, dopochè il baleniere basco era scomparso, nel golfo di Guascogna a quando a quando fecero naufragio o furono realmente catturati nel corso dell’ inverno alcuni Nordkaper. Nel 1680, verso la metà del mese di Febbrajo al nord-ovest dell’isola di Ré uno ne diede in secco lungo metri 15,43.Era femmina ed il Seignette, medico nell'isola Rochelle che diligen- temente l’esaminò e sezionò, ne diede interessanti ragguagli °). Nel mese di Febbrajo del 1764 fece naufragio sulla spiaggia di Saint-Jean de Luz un altro Nordkaper femmina *). Era questa accompagnata dal suo balenotto che fu preso coll’ arpone e che secondo De la Courtaudière che lo misurò, aveva la lunghezza di 25 piedi (m. 8, 125). F. Piet ‘) ed Eschricht °) ci diedero successivamente notizie di due altri casi di Balene naufragate l'una nel Febbrajo 1811, lunga 10 metri circa, sulla costa di Herbaudière ; l’ altra nel 25 Febbrajo 1852 sulla spiaggia di Soulac. Quest'ultima per la sua avanzata putrefazione fu tosto abbruciata. Le balene summenzionate non furono però oggetto d'esame e di studio per nessun zoologo, e nessuna parte del loro scheletro fu conservata. Questo fatto agevolmente ci fa comprendere come mai il celebre Cuvier e molti altri naturalisti non abbiano ammesso che nell'Atlantico set- tentrionale avesse vissuto, o vivesse un’altra specie di Balena diversa da quella della Groenlandia. Fortunatamente non toccò la stessa sorte all’ultimo Nordkaper catturato nello stesso golfo or sono 27 anni. qu@elles n’ont jamais varié depuis les premiers jours où des observations ont été faites. Chaque espèce se meut dans un espace limité, qu’ elle ne franchit qu’accidentellement; par conséquent, une distribution géographique distinete indique une espèce distinete. Cette méthode, appliquée maintenant par la plupart des cétologues, et en particulier par M" Van Beneden, permet d’esperer dans un avenir prochain une connais- sance parfaite des cinq où six Baleines franches qui sillonnent les mers du globe ». 1) Da un manoscritto islandese il Kong-Skug-sio (Specchio reale) del secolo XII si rileva che i balenieri d'Islanda tre secoli prima de- gli Olandesi conobbero la Balaena mysticetus. Infatti, essi distinguevano per bene due specie di balene, l’una che nei mesi invernali compariva al nord dell’isola, fu da loro denominata balena del nord (nordwa/2); l’altra che compariva al sud dell'Islanda solamente nella primavera e nel- l’estate, fu da loro chiamata slitbag. Questa sola aveva la pelle coperta di conchiglie (cirripedi). ll Nordwall era senza alcun dubbio la B. mysticetus, e lo slitbag era la B. biscayensis. È certo che anche i Baschi prima degli Olandesi fecero conoscenza colla balena della Groenlandia. Lorsque les Basques eurent détruit les Baleines qui arrivaient en hiver dans leurs parages, ils cinglèrent vers l’ouest, et atteignirent, en 1372, le bane de Terre-Neuve, où ils apergurent des Baleines en abondance. Comme l’espèce qu’ils y trouvèrent était différente de celle du golfe de Gascogne, ils la nommèrent Sardaco Baleac, qui, en leur langue, signifie Baleine de troupe. Telle est l'origine du nom de Baleine de Sarde, où simplement Sarde. Continuant leurs explorations, ils arrivèrent au golfe de Saint-Laurent; là ils decouvrirent une Baleine différente de la Sarde et bien meil- leure. Ils lui imposèrent le nom de grande Bayaco Baleac, cu Baleine de la grande Baje—(P. Fischer, Documents ecc. Loc. cit.). La Balena della grande baja era la B. mysticetus. 2) Historia Ceti aut Balaenae ad littora Rupellae propulsae.—(Zodiacus medico-gallicus, annus secundus, auctore Nicolao de Blegny: Genevae 1682, T. 1, pag. 63-67. ; 3) Duhamel, Traite general des pesches, 1779. 4) F. Piet, Recherches sur l’île de Noirmoutier, 2° edit. 1863, p. 243. 5) Eschricht, Developpement du questionnaire relatif aua Cétaces (Actes de la Société Linnéenne de Bordeaua, 1855, t. XXII, p. 425). [fim Alcuni marinai di Biarritz nel Gennajo 1854 segnalarono ed invano tentarono di catturare una Balena accompagnata dal suo balenotto che si dirigeva verso la costa spagnuola. Il 17 dello stesso mese le due balene entrarono nella baja di San Sebastiano: là si diede loro attivamente la caccia, il balenotto ricevette tre arponi e fu preso; la madre potè salvarsi. Intorno a questa caccia straordinaria narrano Lamaignère ') e Fischer?) alcuni fatti molto interessanti. « Quand la Baleine mère vit son petit capturé, loin de fuir, elle fit des efforts inouis pour le délivrer, décrivant un cercle autour des chaloupes sans leur faire aucun mal: tantòt elle étrei- gnait le Baleineau sous ses terribles nageoires et s'afforcait de l’entrainer au loin: tantòt elle plon- geait avec lui, disparaissait, et se montrait bientòt à quelque distance. Mais l’entreprise n’était pas facile, les lignes étaient solides et les trois harpons bien assurés. « Enfin, dans un dernier effort, la Baleine brisa d’un coup de queue les lignes de péche, et emporta au loin le Baleineau, qui laissait une longue trainée de sang. Le lendemain, le corps du Baleineau, ayant été rencontré en mer par une barque de Guetaria, fu remorqué à Saint-Sé- bastien. « La Baleine suivit le corps de son petit et entra dans la conche de Saint-Sébastien: elle y séjourna six heures, malgré les coups de fusil qu'on lui tira, et disparut le lendemain ». Di quale importanza fosse per la scienza quel balenotto e quali speranze e quali timori su- scitasse nell’animo del sommo cetologo Eschricht, maestrevolmente ce lo racconta il chiaris- simo Prof. Van Beneden ?). « Le docteur Monedero, qui était sur les lieux, en fit un bon dessin en couleur, et le cada- vre fu dépecé pour en conserver les os. Le dessin fut ensuite lithographié, et, gràce au docteur Bazin de Bordeaux et au professeur Geffroy, qui comprenaient l’un et l’autre l’importance de cette capture pour la cétologie, un exemplaire de la lithographie fut remis entre les mains d’ Eschricht. « Eschricht réconnut à l’instant que le cétacé de Saint-Sébastien était une vraie baleine, et non pas une balénoptère, mais une baleine toute différente de l’espèce du Groénland. Peut-ètre est-ce un descendant des Nordcaper, se dit-il, et le Nordcaper ne serait donc pas éteint. « Eschricht mécrivit le 16 octobre 1857:—Personne n’a donc été frappé encore par l’ac- cident de Saint-Sébastien. Ah! que c'est bien! C'est donc moi, je l’espère, qui en prouverai toute l’importance pour l’histoire de Ia péche de la Baleine. Mais il me faut pour cela aller à Pamplune; Jespère trouver le squelette qui vaut... —. « Mon savant ami fit peu de temps après ses préparatifs de voyage. Il ne pouvait pas aban- donner à un autre le soin d’etudier les caractères de cette curieuse baleine; il quitta Copenhague le 18 juin 1858, s'arréta à Louvain pendant quelques jours, annonca à l’Académie des Sciences à Paris le motif de son passage, arriva à Saint-Sébastien, puis à Pamplune, où son arrivée était officiellement annoncée et où les os du squelette se trouvaient déposés. « Le squelette n’était pas monté. Eschricht reconnu à l’instant que la jeune baleine différait complétement de la baleine du Groénland, et, il n’ y eut plus de doute pour lui, l’animal qui ve- nait si inopinément faire son apparition dans le golfe de Gascogne , appartenait à ce groupe de baleines que les Basques harponnaient dans la Manche, et dont l’espèce n'était heureusement pas détruite, comme il y avaittout lieu de le craindre. Eschricht fit l’acquisition du squelette par voie d’échange pour le Musée de Copenhague , et n’éprouva quelque repos que quand le navire qui le porta fut entré dans le port de Copenhague. « Eschricht comptait publier la description de ce squelette dans le nouvel ouvrage dont il avait commencé l’impression à Paris, lorsque la mort vint le surprendre ». Per quanto vivamente lo si desiderasse, niuno fin'ora ebbe l’opportunità di descrivere e d’illu- 1) E. Lamaignère, Gazette de Biarritz. Aoùt et Septembre 1859. 2)P. Fischer, Documents pour servir d l’histoire sur la Baleine des Basques. Loc. cit. 1872. 3) Van Beneden et P. Gervais, Osteographie des Cetaces ete., p.97. ite cana it Mc strare il balenotto di San Sebastiano che fu sino al 1877 l’unico rappresentante d’una specie re- diviva nel golfo di Biscaglia e nei gabinetti scientifici d'Europa. Ho precedentemente menzionato che una delle stazioni estive della Balaena biscayensis era- no le coste orientali dell'America settentrionale. Ebbene, si raccolsero anche là notizie di alcune balene, ben diverse dalla B. mysticetus, le quali in questi ultimi tre secoli furon viste, o fecero naufragio, o furono veramente catturate lungo le coste orientali degli Stati Uniti, e che senza al- cun dubbio pel gran cetologo Van Beneden spettano alla B. biscayensis. Gli Americani chiamano questa specie Black Whale; ma non si dimentichi che i balenieri chiamano « Balena nera » an- che la Balaena australis, che soggiorna nella zona temperata dell'Atlantico meridionale, anche la Balaena antipodum del Pacifico meridionale, e che sotto questa denominazione conoscono pa- rimente un’altra Balena non ancora studiata dai Naturalisti, la quale frequenta l'Oceano indiano meridionale dalla Nuova Olanda al Capo di Buona Speranza. Si può ammettere che quest’ultima ‘Black Whale sia una specie diversa dalle altre due australi omonime, ma si può anche sospetta- re che essa sia una specie già nota, p.es., la Balaena australis la quale dall’Atlantico meridiona- le, oltrepassando il Capo di Buona Speranza, s’avanzi nell'Oceano indiano. Dalla comunicazione che nel 1865 il Prof. Cope fece all’ Accademia delle Scienze naturali di Filadelfia intorno ad una Balena, che rinviensi lungo le coste orientali degli Stati Uniti, si ri- leva che l’egregio naturalista ebbe notizie di tre Nordkaper, l'uno catturato nel 1862 di fronte a Filadelfia nella baia di Delaware , l’ altro gettato a terra nella baia di Rehoboth (Delaware), il terzo naufragato nella baia di Mobjack (Virginia). Pare che dello scheletro dei due ultimi nessuna parte siasi conservata. Nel grandioso Museo di Zoologia comparata di Cambridge nel Massachusetts, diretto dall’il- lustre Prof. Alessandro Agassiz, v'ha poi lo scheletro quasi completo di un quarto Nordkaper che fu da pochi anni preso presso il Capo Cod. Avvertito, il Prof. Agassiz si recò immediatamen- te sul sito e la preparazione dello scheletro di quel Nordkaper adulto fu con grande cura da lui diretta '). Ma, se non vado errato, nessuna relazione fin’ora vide la luce intorno ai caratteri di questa preziosissima preparazione osteologica del Museo di Cambridge. Il Nordkaper catturato nel 1862 di fronte a Filadelfia fu per qualche tempo esposto al pub- blico : il suo scheletro, quasi completo, fu poscia regalato dal signor Giorgio Davidson al Museo dell’Accademia di Scienze naturali di quella città. Intorno ai suoi caratteri osteologici il Prof. Cope diede nel 1865 un breve ma interessante rapporto. Egli ben s’avvide come quella Balena differiva tanto dalla B. mysticetus, quanto dalla B. australis ed antipodum, e che nessuno n’aveva per l’addietro dato notizie. Il Cope aveva piena- mente ragione: sventuratamente l’ Eschricht moriva mentre stava per mandare alle stampe la monografia del balenotto di San Sebastiano. Il Cope propose che il Black Whale dei balenieri americani si chiamasse Balaena cisarctica e promise d’illustrarne più completamente lo scheletro in una futura pubblicazione, ciò che, distratto da molteplici altri lavori scientifici, egli non ha an- cora potuto fare. Vuolsi qui rammentare che anche al Prof. Cope non isfuggì la possibilità che la Balaena ci- sarctica fosse la Balena dei Baschi. « Questa specie, egli disse, può benissimo trovarsi sulle co- ste di Europa e senza dubbio rassomiglia ovvero è la stessa specie perseguitata dai balenieri baschi ». Per quanto breve il summenzionato rapporto del Prof. Cope sulla Balena catturata dirimpet- to a Filadelfia nel 1862, non lascia alcun dubbio sulla determinazione della Balena di Taranto. Quella e questa sono sorelle: entrambe spettano alla Balaena bdiscayensis, Eschricht. Ormai nessuno ignora qual valore abbia nella determinazione dei generi e delle specie di Misticeti l’ apparato uditivo, come pel primo e ripetute volte mise in evidenza il Prof. Van Be- neden. Or bene, se dopo la lettura della relazione del Prof. Cope potesse ancora sorgere qual- che dubbio intorno alla determinazione specifica della Balena di Taranto, basterebbe dare uno 1) Van Beneden, Osteographie ecc., pag. 234. cn AIM sguardo all'apparato uditivo completo della Balaena cisaretica inviato dal Prof. Cope al Prof. Van Beneden, prezioso apparato che l'illustre cetologo belga a sua volta per bene descrisse, figurò e fece modellare. Uno dei suoi modelli appartiene al Museo Civico di Milano e, grazie alla squisita cortesia del chiarissimo Direttore, E. Cornalia, ebbi l’opportunità di esaminarlo e confrontarlo con quello della Balena di Taranto. I due apparati uditivi sono identici '). Come la maggior parte delle ultime che nei mesi invernali comparvero nel Golfo di Bisca- glia, anche la Balena di Taranto era femmina. Il Chiarissimo Direttore del R. Collegio dei Chirurghi di Londra W. H. Flower in una sua pregevolissima pubblicazione *) chiamò l’attenzione dei naturalisti sulla grande importanza che hanno pei cetacei le modificazioni che seguono nelle ossa nei diversi periodi della loro vita, nel- l'intento di poter stabilire colla maggior possibile esattezza l'età relativa dell'individuo che sì e- samina. Dietro molteplici ricerche il Prof. Flower distinse tre fasi o stati nel loro accrescimen- to: 1.° lo stato molto giovane e giovane; 2.° lo stato adolescente; 3.° lo stato adulto. L'esame dello scheletro della Balena di Taranto mostra che questa era nel suo secondo stato quello della adolescenza , caratterizzato, secondo il Prof. Flower, dall’ unione delle due epifisi dell’omero, dell’epifisi superiore dell’ulna e del radio , dall’ unione di quelle del corpo delle pri- me vertebre cervicali, delle ultime caudali, e dalla separazione delle rimanenti epifisi della co- lonna vertebrale. La Balena di Taranto era tutta ed uniformemente nera: la sua pelle era liscia, se si eccet- tuano i contorni dell'estremo del rostro ed il margine anteriore del labbro inferiore su cui da- vansi a vedere parecchie piccole escrescenze anch’ esse di color nero. Ho fatto molte indagini per sapere se possedeva sul dorso qualche cirripedo: ma le persone cui mi rivolsi, mi risposero concordemente e con insistenza che non ne aveva. Sul capo essa aveva però due crostacei parassiti. L'uno , di cui giunsero a Napoli alcuni e- semplari, appartiene al genere Cyamus, e colla maggior probabilità sarà identico col Cyamus rin- venuto sul balenotto di San Sebastiano e fatto figurare dal Dottor Monedero. Non ebbi ancora l'opportunità di vedere questa figura. Il Prof. Van Beneden ha per quest’ultimo proposto il nome specifico di Cyamus biscayensis, che io conserverò nella descrizione che del medesimo farò quanto prima di pubblica ragione. Quando, nascosti ancora fra le escrescenze cutanee, i Cyamus furono premurosamente rac- colti dal Prof. Panceri erano di color bianco, mail Signor Villani mi assicurò che, vivi, quei rancetielli erano di color rossiccio. Il Signor Villani mi raccontò inoltre che egli aveva notato un altro parassito sul capo del- la Balena che per la forma paragonò alle zecche dei pesci e che in maggior numero era fissato sulla commessura delle labbra ove l’epidermide presentasi meno dura. Il tratto della commessura che n’ era meglio fornito scorgesi distintamente nell’acquarello eseguito dal Prof. Marrullier mentre non fu punto indicato nell’acquarello che il Signor A. Hueber fece e presentò al Comm. Capellini. Sui pezzi di cute che il Prof. Lucarelli fece togliere sull’ estremo anteriore del rostro e spedire in Napoli, notansi distintamente parecchi peli. La Balena di Taranto è di forme svelte: il suo capo è piccolo relativamente al corpo. Per questo carattere della piccolezza del capo, per la forma della natatoia pettorale, il cui margine po- steriore è falcato, come anche pel rapporto che ha coll’occhio la commessura delle labbra , essa 1) Dalle « Notizie della Balena di Taranto confrontata con quelle della Nuova Zelanda e con talune fossili del Belgio e della Toscana » si rileva che al Prof. Capellini non isfuggirono punto i rapporti che essa aveva colla B.cisarctica di Co p e. Infatti, dopo averla menzionata egli aggiunse: la B. cisarclica « dovrà essere altre volte ricordata per confronti che si possano fare fra talune delle sue ossa e le corrispondenti della Baluena tarentina».Ma avendone l'intenzione, l’eminente paleontologo si dimenticò poi completamente d’istituire i confronti, e così nacque il più recente sinonimo della Balaena biscayensis. 2) W. H. Flower, Notes on the Skeletons of Whales in the principal Museums of Holland and Belgium. Proceedings of the Zool. Soc. of London. Nov. 8, 1864. de. RS dimostrasi specificatamente identica col balenotto di San Sebastiano, molto diversa dalla B. mysti- cetus e per contro simile alla B. australis dell'Atlantico meridionale. Ecco ora il risultato delle misure accuratamente e ripetute volte prese sulla Balena nei due giorni in cui fu esposta al pubblico: Lunghezza totale, dall’estremo anteriore del rostro alla biforcazione della coda, Metri 12,00 Lunghezza della testa. . . . «partie Stura lin n.ib ovo dist, 52940 Lunghezza della natatoja sritogalo;, 3}448 în » 1,85 Lunghezza di ciascuna metà della pinna caudale dado dalla vazione » 2,30 Larghezza della natatoja pettorale i. i i e ie 1,00 Larghezza di ciascuna metà della pinna caudale... ././.°...0. » 1,12 Ginconferenza ali.contzo delieorpoisd ifrioaitoa sasso ella ctevott artole0 al cer) 0» 6,30 Circonferenza al terzo posteriore . . . PIEa spente ottano niehtr0 342 203,60 Larghezza tra le due punte della pinna Side STILO eat rv doh 59550 Hanabazza:della hoeuaspato]bhso 6 herria Deli asd, doenidoratio orta 2,00 hasalicaza: dela ingua sic ao paio cis. pros logo I 08 1,20 itpzza della limgua..shbiiibugado peut kid ele09 ib: siag Ta onnitento2 ann (8 050085 In ogni sistema di fanoni si contano 240 lamine. Ma si noti che le tre prime anteriori e le ultime sette posteriori sono piccolissime: la loro larghezza non oltrepassa il centimetro , la loro altezza oscilla fra 4 ed 11 centimetri e sono quindi più piccole delle lamine accessorie che svol- gonsi internamente ed accanto ai veri fanoni precedendone la base. Ponendo mente che la lunghezza totale dei maggiori individui della B. biscayensis si avvici- na ai 16 metri, e che ben raramente quella della B. mysticetus giunge ai 17 metri, e riflettendo che il balenotto della Balaena mysticetus *) nasce lungo 20 piedi circa (m. 6,50), e che quando nella età di due anni lascia la madre misura il doppio cioè 40 piedi (m. 13) si può con grande probabilità asserire che anche la Balena di Taranto, lunga 12 metri, avesse da poco tempo la- sciato la madre, e che la sua età non oltrepassasse i 3-4 anni. Nel Balenotto di S. Sebastiano che misurato dalla punta del rostro alla coda era soltanto lun- go metri 7,06, Eschricht trovò il rapporto di */, tra la lunghezza del capo e la lunghezza totale. La lunghezza totale dello scheletro della Balena di Filadelfia è, secondo il Prof. Cope, di 31 piedi e mezzo (m. 9,607) e, tenendo conto delle cartilagini intervertebrali, giunge a 37 piedi (m. 11,285). La lunghezza del capo è in linea retta di 8 piedi e 5 pollici (m. 2,565). Dividendo metri 11,285 per metri 2,565 si scopre che il rapporto tra la lunghezza del ca- po e la lunghezza totale è rappresentato dalla cifra 4,399. La lunghezza del capo della Balena di Taranto, la cui età è un pò meno avanzata di quella della Balena di Filadelfia, misura in linea retta soltanto metri 2,27. Ora non è senza una piacevole sorpresa la scoperta che il rapporto che in essa si nota tra la lunghezza del capo la lunghezza totale s'approssima grandemente a quello che si nota nella Balena di Filadelfia. Il cetaceo intero in Taranto misurava, già lo sappiamo, metri 12. Il Prof. Lucarelli mi riferì che dall’ ultima vertebra alla biforcazione della pinna caudale verano press’a poco 3 decimetri di distanza, e che lo spessore del labbro sull’estremo del rostro era circa un decimetro. Si può quindi in cifra tonda stabilire che lo scheletro, appena isolato, avea la lunghezza di metri 11,50. Dopo la macerazione e l’essiccamento delle cartilagini intervertebrali la lunghezza totale dello scheletro arriva oggi a stento ai 9 metri. Dunque vi fu una perdita in lunghezza di metri 2,50. Dividendo m. 11,50 per m. 2,27 (lunghezza del capo) avremo tra le due lunghezze il rap- 1) Van Beneden, Osteographie, ete., pag. 7. ci] porto di 4,77 che non supera di molto quello di 4,399. Ma i due rapporti saranno quasi identici quando si consideri che il Prof. Cope ha soltanto calcolato a 5 piedi e mezzo (m. 1,677) il rae- corciamento della colonna vertebrale. Aggiungendo anche allo scheletro di Filadelfia la lunghezza di m. 2,50 per lo meno, avremo m. 12,107 che divisi per la lunghezza del capo (m. 2,565) ci daranno il rapporto di 4,73 il quale è veramente di ben poco inferiore a quello di 4,77. La Balena di Taranto ha davvero un'importanza scientifica straordinaria. Era, di conse- guenza, mio dovere di nulla risparmiare per fornire buoni disegni delle più interessanti parti dello scheletro. Per avere contorni e proporzioni esatte mi son valso con grande vantaggio della fotografia. La conoscenza dei caratteri osteologici di questa specie contribuirà, per fermo, effi- cacemente a sciogliere complicate, delicatissime questioni cetologiche. Il Prof. Gray ') parlando del Balenotto catturato a San Sebastiano nel 1854 poneva in dub- bio se questo fosse la Balena trovata sulle coste orientali dell'America del nord, come avrebbe po- tuto essere secondo la carta pubblicata dal Prof. Van Beneden intorno alla distribuzione geo- grafica delle vere Balene *). La Balaena cisarctica poi, disse il Gray, non è certo la Balaena (Hunterius) biscayensis, poichè quella ha 14 paja di coste e la prima costa fornita di un solo caso articolare, mentre il Balenotto di San Sebastiano ha 15 paja di coste e la prima costa bifida. A me non occorre insistere sullo scarso valore specifico che ha la presenza di due o di un sol capo articolare sulla prima costa. Il Prof. Van Beneden, il Prof. W. Turner *) di Edim- burgo ed altri lo hanno luminosamente dimostrato. Solo dirò che la Balena di Taranto è una splendida conferma di quanto essi hanno asserito. In effetto, l'essere il Balenotto di San Sebastia- no fornito di due capi articolari sulla prima costa bifida è una mera accidentalità individuale, poi- chè la Balena di Taranto al pari di quella di Filadelfia non ha la prima costa bifida. E conse- guentemente viemmeglio si è convinti che il genere Hunterius, proposto dal Gray, e poggiato sulla bifidità della prima costa, non ha fondamento. D'altro canto nella determinazione specifica dei cetacei anche una o due coste di più o di meno del numero normale alla specie non debbe troppo preoccuparci. Van Beneden e P. Ger- vais hanno ben constatato che nella stessa specie v hanno individui che possono presentare una o due coste di più, oppure una o due coste di meno del numero normale, e che talvolta il loro numero varia nello stesso individuo sui due lati ‘). Il Prof. Fischer ha spesso visto variare il numero delle coste nei delfini e marsuini ed anche il numero delle vertebre *). È noto che anche nell'uomo il numero delle coste e delle vertebre toraciche o dorsali oscil- la tra 11 e 13, essendo 12 il loro numero normale. Qualora poi si tenga conto delle variazioni di sviluppo e di forma che anche l’apparato u- ditivo può nei misticeti presentare nei diversi individui e nello stesso individuo secondo le sue diverse età, ciò che più volte mise parimente in evidenza il Prof. Van Beneden, si compren- derà agevolmente come ogni dubbio del Prof. Reinhardt, l’egregio successore dell’ illustre Eschricht, sull'identità specifica del Balenotto di San Sebastiano colla Balaena cisarctica, debba svanire. La Balena di Taranto è una novella e ben salda prova di quanto sempre sostenne Van Beneden, che cioè una sola sia la specie di Balena propria delle regioni temperate di tutto l'Atlantico settentrionale, la Balaena biscayensis, Eschricht. La Balena di Taranto convincerà parimente l’egregio prof. P. Fischer che oggi non regge più alla critica la distinzione specifica che egli recentemente propose della « Balaena bi- scayensis, il Nordkaper dei Norvegiani e degli Islandesi » dalle « Sardes del Banco di Terra Nova, e dalla Balaena cisarctica della costa orientale dell'America del nord. ». Si tratta sempre 1) J. E. Gray, On the geographical distribution of the Balaenidae or Right Whales. Ann. and Mag. Nat. Hist. 1868, pag. 242-247. 2) P.J. Van Beneden, Les baleines et leur distribution geographique. Bull. Ac. Roy. Belg. 1868, XXV, p. 9-21. 3) W. Turner, On the so-called two headed ribs in Whales and in Man. Journal Anat. et Phys. 1871. V; p. 348-361. 4) Van Beneden et P. Gervais, Ost. Cet. ete., pag. 21. 5) P. Fischer, Documents pour servir a l’histvire de la Baleine des Basques (Balaena biscayensis). Ann. Sc. Nat. 5° série, T. XV, 1872. PE, O di una sola specie distinta dalle diverse nazioni, in diversi tempi, con nomi diversi. La vittoria di Van Beneden non potrebbe esser più completa. Stanno qua e là disseminate nei Musei d'Europa vertebre, coste, scapole di una vera Bale- na, che non possono identificarsi colle corrispondenti ossa della Balena della Groenlandia e che molto preoccuparono i più eminenti cetologi moderni. Anche su questi resti, che suscitarono tante discussioni, spargerà una viva luce l’esatta conoscenza dei quattro preziosissimi scheletri della Balaena biscayensis, ornamenti del Museo di Cambridge e Filadelfia, di Napoli e Copenaghen. Mi permetterò fin d’ora di addurne qualche esempio. L’Halibalaena britannica, creata dal ce- lebre J. E. Gray ') sui caratteri del gruppo delle vertebre cervicali pescato a Lyme Regis nel 1860, va inscritta fra i sinonimi della B. biscayensis. Chiaramente ciò dimostra l'ispezione , lo studio della regione cervicale della Balena di Taranto. Resta così oggi pienamente confermato il dubbio emesso pel primo da Van Beneden e diviso dal Prof. Giglioli, Fischer, Capel- lini ed altri sul valore generico e specifico dell’Yalibalaena britannica. Mal volentieri vide il Gray riprodotte dal Prof. Van Beneden le figure della sua Halba- laena britannica nella tav. VII dell’Ostéographie des Cétacés vivants et fossiles, nella quale stanno per l'appunto raccolti i disegni di parecchi pezzi scopertisi qua e là in Europa, e che con un acu- me critico veramente invidiabile l’ eminente cetologo belga volle riferire alla B. biscayensis. Se ancora vivesse, l'illustre Direttore del British Museum, paragonando la regione cervicale di Lyme Regis con quella della Balena di Taranto, riconoscerebbe tosto che la verità militava dav- vero in favore di Van Beneden. La bella descrizione che il Gray fece della regione cervicale suddetta (Catalogue of Seals and Whales in the British Museum, 2° edit. 1866, pag. 83) corri- sponde esattamente a quella che si deve fare della regione cervicale della Balena di Taranto, te- nendo conto di qualche modificazione dovuta all’età molto diversa degl’individui a cui apparten- gono le due regioni cervicali. Quella di Lyme Regis spetta ad un Nordkaper molto più vec- chio: il suo atlante ha la larghezza di 28 pollici (m. 0,712), mentre la larghezza dell’ atlante della Balena di Taranto misura a stento, in linea retta, m. 0,48. Un'altra ancora più celebre regione cervicale di Balena è quella che trovasi nel Museo del Jardin des Plantes. Non se ne conosce la provenienza e non ha l'aspetto di essere stata sotto ter- ra.Il primo che ne parlò, il Lacépède, l’attribuiva alla Balaenoptera musculus che in sul cadere del secolo scorso fece naufragio sull’isola di Santa Margherita presso Cannes. Cuvier, che a suo turno l’illustrò, mise in evidenza che non poteva identificarsi colla regione corrispondente della Balaenoptera musculus, che per contro essa apparteneva ad una vera Balena, la quale non era però la Balena del Capo di Buona Speranza, l’unica colla quale Cuvier potesse istituire un completo confronto. Lo stesso gruppo di vertebre fu poi con somma diligenza esaminato da altri valentissimi cetologi, tra cui il Prof. Van Beneden, il quale dichiarò essere dessa del più alto interesse, quantunque d’ignota provenienza, e che la descrisse per bene dandone tre belle figure nella tavo- la VII dell’ Ostéographie des Cétacés, e riferendola saggiamente alla B. biscayensis. Successivamente il Prof. Capellini a sua volta ne fece lo studio in Parigi e propose di ri- ferirla ad una specie nuova, chiamandola Balaena Van Benediana. Or bene la Balena di Taranto dimostra pure che la B. Van Benediana è un altro sinonimo della B. biscayensis. Divero l’elaborata descrizione che il Van Beneden ha fatto di questa famosa regione cer- vicale corrisponde mirabilmente coi caratteri offerti dal gruppo delle vertebre cervicali della Balena di Taranto, segnatamente quando non si dimentichi che quella spetta ad un vecchio in- dividuo e questa ad un adolescente ?). 1) J. E. Gray. Cat. Seals and Whales. 2 edit. 1866, pag. 83, fig. 3.—Ann. and. Mag. Nat. Hist. 1870, Vol. VI, pag. 198.— Suppl. Cat. Seals and Whales 1871, p. 46.—Proceedings Zool. Soc. of London for the year 1873, pag. 140, fig. 5 a e 5 b. 2) Nel creare la Balaena Van Benediana il Prof. Capellini fa cadere ripetutamente il prof. Van Beneden in una grave inesattezza che non posso far a meno di porre qui in rilievo. Nel 1873 nella Memoria sulla Balaena etrusca (pag. 322), il Prof. Capellini dichiara che: « Nella celebre opera di Van Beneden ATTI— Vol. VIL —N.° 16. 3 ARE Attentamente seguendo le descrizioni date dal Cope, dal Gray, dal Van Beneden della regione cervicale della Balena di Filadelfia, dell’Halibalaena britannica di Lyme Regis e della Ba- laena biscayensis del Jardin des Plantes; attentamente consultando le relative figure date dal Gray e dal Van Beneden e istituendo pazienti confronti colla preziosissima regione cervicale della Balena di Taranto, s'arriva alla conclusione che si tratta sempre di una sola specie, la B. biscayensis, nella quale, mantenendosi costante il complesso dei caratteri della regione cervicale, varia alquanto—coll’individuo—il numero ed il grado di sviluppo delle apofisi trasverse inferio- ri; varia parimente, anche nello stesso individuo, l'unione, il rapporto che hanno fra loro le estre- mità delle apofisi trasverse superiori, e varia poi notevolmente— coll’età — lo sviluppo dell’apofisi trasversa dell’atlante, dell’apofisi trasversa inferiore dell'asse e dell’apofisi trasversa della prima dorsale; ma sopratutto varia—coll’età—il grado di unione, di coalescenza delle prime otto verte- bre (sette cervicali e prima dorsale), sia pel loro corpo, sia per le loro neurapofisi e neurospine. Così, mentre nelle regioni cervicali di Lyme Regis e del Museo di Parigi, appartenenti a due individui adulti, i corpi di tutte le vertebre cervicali e della prima dorsale sono fra loro salda- mente uniti in una sola massa, e le neurapofisi e la neurospina dell’ atlante si sono unite colla solida cresta, proveniente dalla fusione degli archi e delle neurospine delle vertebre successive; nella Balena di Filadelfia, adolescente, la prima dorsale è ancora libera, l’atlante e la settima cervicale sono unite colla solida cresta interposta, ma soltanto per mezzo della parte superiore dei loro archi neurali, e finalmente nella Balena di Taranto, che è più giovane della precedente, la prima dorsale è libera, la settima cervicale parimente è libera, e l’ arco neurale dell’ atlante è così poco unito colla cresta successiva che il Prof. Capellini lo disse « affatto distinto ». Ma l'unione è già incominciata, e la si nota evidentissima osservando internamente il canale verte- brale. Mentre si conserva separata la corta neurospina dell’ atlante , la sommità del suo arco si è già fusa colla grande cresta. Nel punto dell’ unione si osserva anzi una protuberanza sulla su- perficie dello speco vertebrale. Nello scheletro del Balenotto di San Sebastiano, che è di alcuni metri più corto di quello della Balena di Taranto, si osserverà, ne son certo, tra i corpi delle otto prime vertebre, tra i loro archi neurali e neurospine un grado di unione, di coalescenza minore di quello offerto dalla regione cervicale della Balena di Filadelfia e di Taranto, Giova qui il far nuovamente menzione della grande importanza dell’ acquarello che il Pro- fessor Enrico Marrullier trasse dal vero e volle gentilmente offrirmi in dono. « Ostéographie des Cétacés, non è accennata la vertebra dorsale unita alle cervicali, e le figure 8-11 della Tav. VII della stessa opera non tol- « gono affatto i dubbì che possono sorgere in proposito, trattandosi di cosa di tanta importanza ». Nel 1876 a pag. 4 della Nota sulle Balene fossili toscane, avendo nuovamente occasione di menzionare la regione cervicale del Jardin des Plantes, il Prof. Capellini nuovamente dichiara che «Van Beneden la ritenne riferibile alla B. biscayensis, ma non tenne conto della « presenza della 1% dorsale anchilosata con le cervicali ». Or bene, mi permetta l’ egregio Prof. Capellini di asserire che va grandemente errato, poichè a pagina 107 dell’ Osteographie des Ceta- cés, Livraison 4, 1869, l’eminente cetologo belga dopo aver menzionato questa famosa regione cervicale, s’affretta, prima di descriverla, ad ag- giungere: « Ce qui la distingue d’abord de toutes les vraies baleines, c'est que non-seulement les sept cervicales sont réunies, mais que la pre- « miére dorsale est également soudee d la masse, el que son apophyse transverse supérieure est la premiere apophyse qui alteigne un certain « developpement » . Certo il Prof. Van Beneden che con molta probabilità non ignorava i caratteri della regione cervicale del Balenotto di San Sebastiano, e che non ignorava punto i caratteri della regione cervicale della Balena adolescente del Museo di Filadelfia, nel descrivere, nell’illustrare e nel riferire alla B. biscayensis la regione cervicale del Jardin des Plantes, tenne della presenza della prima dorsale anchilosata con le cervicali tutto quel conto che i suoi studi cetologici fatti su vasta scala, ed il suo spirito critico veramente ammirabile gli suggerirono conveniente. E notisi che contemporaneamente il Van Beneden, non ostante la viva opposizione del Prof. J. E. Gray, volle riferire alla Balaena biscayensis anche la regione cervicale di Lyme Regis, anch’essa spettante ad un vecchio individuo, anch'essa colla prima dorsale anchilosata colle cervicali. Oggi la Balena di Taranto ci conferma che il principe dei Cetologi, così agendo, non andava punto errato, e che di conseguenza la B. Van Benediana è pur troppo un altro sinonimo della B. biscayensis. Evidentemente la quarta puntata dell’ Osteographie des Cetaces , in cui il Van Beneden così bene descrive, figura e determina la regio- ne cervicale del Museo di Parigi, non gode la simpatia del Prof. Capellini. In effetto, mentre leggo con piacere a pag. 30 delle recenti Nofi- zie della Balena di Taranto, pubblicate dal Chiarissimo paleontologo di Bologna: « Tutti i cetologi conoscono la famosa regione cervicale che « fu illustrata da Lacépede e da Cuvier, che ora si trova nel Museo di Storia naturale nel Giardino delle piante di Parigi» e che (pag. 30 No- ta 1) «Nella Memoria sulla Bal/aena etrusca proposi di riferirla ad una specie nuova che chiamai B. Van Benediana»; non trovo poi, con una certa sorpresa, il menomo cenno intorno a quanto ne scrisse il Prof. Van Beneden, il quale, volere o non volere, è colui che ne diede la più esatta descrizione, che meglio l’illustrò e, quod gravius est, che pel primo esattamente la determinò, riferendola saggiamente alla B. biscayen- sis, Eschricht. ALL pene Nessuno porrà in dubbio quanto afferma il Prof. Capellini, val quanto dire che l’ acqua- rello a lui inviato dal sig. A. Hueber sia bellissimo, ma ognuno potrà a colpo d’occhio con- vincersi che quel disegno molto s’allontana dal vero. In effetto, senza far rilevare che nel mede- simo sono di molto esagerate nel numero e nello sviluppo le escrescenze cutanee che la Balena aveva sull’estremo anteriore del rostro e della mandibola, come ben puossi ancora desumere da- gli stessi pezzi di cute raccolti e conservati; senza far rilevare che non si tenne conto del rap- porto sommamente interessante che la commessura delle labbra ha coll’occhio, io mi limito a chia- mar l’attenzione soltanto sull’erroneo rapporto che nell’acquarello del signor A. Hueber notasi tra la lunghezza del capo e la lunghezza totale. È ben constatato che fra tutte le vere Balene, quella della Groenlandia possiede il capo più sviluppato. In essa la lunghezza del capo eguaglia '/, della lunghezza totale. Per contro nella B. biscayensis la lunghezza del capo è notevolmente minore: oscilla fra il quarto ed il quinto della lunghezza totale. Dalle misure prese ripetutamente in Taranto sul cetaceo risultò che, la lunghezza del capo era di m. 2,40 e la lunghezza totale dall’estremo del rostro alla biforcazione della coda di m.12,00. Il capo era quindi esattamente il quinto di tutto il corpo. Da questo rapporto ben poco si è allontanato il Prof. Marrullier nel suo disegno : invece il signor Hueber non ne tenne alcun conto, e calcolando la lunghezza del capo del suo acqua- rello si scopre che essa è più del terzo della lunghezza totale. Questa inesattezza in cui cadde il signor Hueber ha molto peso. Il suo acquarello posto accanto al disegno del Balenotto di San Sebastiano, fatto eseguire dal Dottor Monedero, molto da questo differisce pel suo capo enorme, e per la brevità del resto del corpo, due circostanze che grandemente danneggiano la sveltezza delle forme di questa specie. Bisogna fare un vero sforzo per trovare la rassomiglianza fra le teste delle due balene. Se per contro accanto al di- segno del Monedero si colloca quello del Marrullier si resta subito colpiti dalla somi- glianza loro nella piccolezza relativa della testa, nello sviluppo del resto del corpo, e nel rap- porto che la commessura delle labbra ha coll’occhio. Non è a meravigliare se il Prof. Capellini per l’incompleto studio fatto in Taranto del cra- nio e delle vertebre cervicali; pel numero inesatto delle vertebre indicatogli dal signor F. Hue- ber; pel lucido erroneo inviatogli dal medesimo sulla forma dei fanoni e per la sproporzione che nell’acquarello del signor A. Hueber si nota nel rapporto del capo con tutto il corpo, fu d'av- viso che la Balena di Taranto fosse diversa da quelle finora conosciute ed abbia creato la Ba- laena tarentina. Avendo riguardo ai caratteri che essa aveva comuni colle Balene australi, e specialmente con quelle della Nuova Zelanda, al Prof. Capellini parve doversi ammettere « che sia venuta « dall'emisfero australe, e, per più ragioni, si possa sospettare che essa sia la vera Black-Whale « (la quale abita tra il Capo di Buona Speranza e la nuova Olanda), finora conosciuta soltanto « dai balenieri perchè i naturalisti non ebbero mai l'opportunità di studiarne lo scheletro ». Il Prof. Capellini dichiarò che la Balaena tarentina non aveva rapporti colla Balaena bi- scayensis '). Ma tanto Van Beneden ?), quanto P. Gervais °), sebbene abbiano avuto sott’oc- chio pochi disegni, e per lo più assai inesatti, e scarsi dati osteologici, han già dichiarato che la 1) G. Capellini. Mem. cit., pag. 29. 2) Non è ancora giunto in Napoli il Bullettino della R. Accademia del Belgio, in cui trovasi inserita la comunicazione del Prof. Van Bene- den intorno alla Balena di Taranto: ma chiunque abbia vaghezza di conoscere l’avviso dell’illustre Cetologo belga apra il periodico inglese « Nature » del 6 settembre 1877, ed a pag. 399 leggerà quanto segue: «A Whale in the Mediterranean—M. P. J. Van Beneden has made a short communication to the Académie Royale de Belgique, publi- « shed in that societys Bulletin, with reference to a letter by M. Capellini, ona true whale captured in the Mediterranean Sea, near Ta- «ranto. The Italian author suggests the new specific name Balaena tarentina, but M. Van Beneden much more reasonably thinks it most « probable that it is a stray specimen of B. biscayensis ». 3) Il Prof. Paul Gervais a pag. 172 del suo Journal de Zoologie Tome VI, n. 3, dopo aver dato un sunto della memoria del Prof. C a- « pellini intorno alla B. Tarentina, così conchiude : A en juger par les renseignements recueillis par M. Capellini et en tenant plus parti- « culièrement compte des figures qu'il y ajoute, on ne saurait douter que la Balaena Tarentina wait de grands rapports avec la Baleine des « Basques dont Eschrichta en partie refait l’histoire il y a une vingtaine d’années ». * DI Balaena tarentina del Prof. Capellini avea rapporti, che anzi era assai probabile che essa fosse un individuo fuorviato della Balaena biscayensis. Gl’illustri autori della superba pubblicazione Ostéographie des Cétacés vivants et fossiles, sa- ranno parimente grati al Prof. Marrullier che, col suo disegno, tratto con grande cura dal vero, ha reso alla cetologia un segnalato servizio. Passando la nuova specie (B. tarentina) nel dominio della sinonimia, svanisce ad un tempo il lungo eccezionale viaggio che alla medesima si fece compiere per giungere dai paraggi della Nuova Olanda nel Mediterraneo. E resta così ancora ben saldo il principio che l’ illustre coman- dante Maury scoprì pel primo, e che fu formulato nel seguente modo dal principe dei Cetologi *): « Les baleines véritables n’appartiennent qu’ aux régions polaires et tempérées des deux hémi- sphères: elles ne passent jamais la ligne équatoriale ». Scomparsa la nuova specie australe, e meglio confermata l’esistenza del Nordkaper nel- l'Atlantico nord, resta invece alquanto infirmato il principio dell’esimio paleontologo di Bologna « sostenuto in più circostanze, cioè : che i discendenti dei talassoteriani dell’epoca terziaria si trovano oggi nei mari orientali ed australi » *). Riconoscendo gli stretti rapporti che la Balaena biscayensis, catturata in Taranto, ha con talune balene fossili del Belgio e della Toscana, rapporti messi splendidamente in rilievo dal Prof. Capellini, si può senza tema d’andar errato affermare che, quando saranno parimente ben noti i caratteri osteologici degli altri tre scheletri di Copenaghen, di Cambridge e di Fila- delfia dell’ unica Balena propria delle regioni temperate dell'Atlantico settentrionale, una nuova luce si spargerà senza fallo sul valore specifico degl’ interessanti avanzi fossili o subfossili di Ba- lene qua e là scopertisi in Europa. DESCRIZIONE DELLO SCHELETRO DELLA BALENA DI TARANTO Ossa del Capo Mentre pel minor sviluppo delle ossa del capo,e per la minor convessità del rostro la Ba- laena biscayensis si distingue tosto dalla Balaena mysticetus, specie eminentemente nordica, essa d’altra parte molto s'avvicina pel complesso dei caratteri cefalici a tre altre Balene che soggior- nano nella zona temperata dell’ Atlantico e del Pacifico meridionale, e furono dai cetologi deno- minate B. australis, B. antipodum e Macleayius australiensis. La conoscenza di quest’ultima spe- cie è di data recente: fu creata dall’ illustre J. E. Gray ?); abita nel mar della Nuova Zelanda; ma ogni dubbio sulla validità del genere Macleayius non è ancora totalmente scomparso *). Da quanto venni esponendo nel capitolo precedente risulta che, la lunghezza della Balena in- tiera, misurata dall’estremo anteriore del rostro alla biforcazione della pinna caudale, era di me- tri 12, e che la lunghezza del capo era di m. 2,40. Il capo era conseguentemente !/. della lun- ghezza totale. La lunghezza primitiva del solo scheletro era di m. 11,50, ma dopo la macerazione e l’ es- siccamento delle cartilagini intervertebrali che, all’infuori di due, trovansi ancora tutte nel loro posto normale, la lunghezza totale dello scheletro diminuì di m. 2,50 riducendosi a m. 9,00. 1) Van BenedeneP. Gervais, Osteographie de Cetaces, pag. 33. 2) Ponendo mente alla somiglianza, agli stretti rapporti che la Balaena biscayensis ha colle Balene australi, e riflettendo che alle Balene australi molto rassomiglia del pari la Bal/aena japonica propria delle regioni temperate del Pacifico settentrionale, e che vaga attraverso il Gran- de Oceano dall'Asia all'America e viceversa, non parmi punto erroneo l’asserire, anche limitando il fatto alle vere Balene, che i discendenti dei- talassoteriani dell’epoca terziaria non solo rinvengonsi oggi nei mari orientali ed australi, ma anche nei mari occidentali e settentrionali. 3) Gray, Proc. Zool. Soc. 1864. pag. 587.— Cat. Seals and Whales 1866, 2. edit., pag. 105 e 371.—Suppl. to the Catalogue of Seals and Whales 1871, pag. 45 — Proc. Zool. Soc. 1873, pag. 129. 4) Van Bénieden sostiene che Macleayius è sinonimo di Balaena ed il Prof. Gervais a sua volta dichiara (Journal de Zoologie, Tome VI, pag. 286. Paris 1877) che «le genre Macleayius est a supprimer: il n'est justifie par aucun bon caractere ». Wi La lunghezza del cranio in linea retta è di metri 2,27. Se si tien conto della lunghezza pri- mitiva dello scheletro (m. 11,50) si trova che il rapporto della lunghezza del capo alla lunghezza totale è di: 4,77. Qualora poi si tenga conto della lunghezza che tutto lo scheletro presenta nelle sue attuali condizioni (m. 9,00) allora si scopre che il capo è un po’ meno del quarto della lun- ghezza totale, essendo il rapporto tra le due lunghezze rappresentato dalle cifre: 3,965. La lunghezza del cranio, seguendo la curva, dal margine anteriore del foro occipitale al- l'estremo del rostro è di m. 2,67. La sua larghezza in linea retta dall'una all'altra estremità or- bitale dell'osso frontale è di m. 1,64 e, seguendo la curva, di m. 2,07. La circonferenza del ro- stro passando sugli apici delle ossa nasali è di m. 1,32. Dall’estremo anteriore delle ossa nasa- li, seguendo la linea mediana curva, al margine anteriore del foro occipitale v ha la distanza di m. 0,90. Dall’apice poi delle ossa nasali all’estremità anteriore del rostro, seguendo la conves- sità delle ossa intermascellari, vha la distanza di m. 1,77. Ossa mascellari.—Sono anteriormente più corte di circa sette centimetri degli intermascel- lari. Posteriormente, avuto riguardo alla strettezza del frontale, esse trovansi alla distanza di soli 2 centimetri dall’osso occipitale, circostanza che fa subito distinguere la B. biscayensis dalla B. australis. Esse poi, per lo sviluppo delle ossa intermascellari, non giungono esternamente a met- tersi in rapporto colle ossa nasali, come segue nella B. antipodum. Poco curvi, stretti, sottili e molto fragili nel loro-estremo anteriore, i mascellari guada- gnano di spessore e di larghezza procedendo posteriormente, ma conservando sempre una ri- marchevole sottigliezza lungo tutto il margine interno della loro faccia inferiore. Col loro robu- sto processo trasverso, diretto alquanto dall’avanti all'indietro, accompagnano e proteggono tutto il margine anteriore del frontale. Giova fin d’ora il far rilevare che il processo trasverso del ma- scellare è uguale in lunghezza all’ apofisi orbitale anteriore dell’ osso frontale, e che questa è di 4-5 centimetri più corta dell’ apofisi post’ orbitale dello stesso osso. Esternamente, alla base e sul tratto più largo della medesima, saltano all’ occhio parecchi fori che per grandezza, numero e posizione variano non poco sull’uno e sull’altro mascellare. È noto che questi fori corrispondono al foro sottorbitale dei mammiferi componenti gli altri ordini. Sulla superficie inferiore di ciascun mascellare , in prossimità del margine esterno ed alla distanza, in linea retta, di metri 1,33 dal loro apice, piglia origine un profondo solco che man mano s’allarga e rendesi superficiale a misura che s'avvicina all’ apice del rostro. Tra esso ed il margine esterno non scorgonsi prominenze o mammelloni, quali dannosi a vedere nella B. my- sticetus. Questo solco, che negli altri mammiferi dà origine agli alveoli, è posteriormente pre- ceduto da una serie di fori, distanti gli uni dagli altri, che danno uscita a vasi e nervi, e sono ben pronunziati sul mascellare destro ed assai piccoli sul sinistro (Tav. III, Fig. 1). I due mascellari anteriormente si toccano lungo la linea mediana coi loro sottilissimi mar- gini interni, ma nella metà posteriore fra loro alquanto s'insinua la carena del vomere. Col com- pleto disseccamento del rostro i due mascellari, essendosi anteriormente scostati di alcuni cen- timetri l'uno dall’ altro, si può scorgere la faccia interna degl intermascellari, il vomere, e la grossa cartilagine che percorre tutto il rostro ed è considerata come un prolungamento cartila- gineo dell’etmoide, con cui termina anteriormente la colonna vertebrale. La cresta superiore di questo gigantesco processo cartilagineo si vede sporgere distintamente al davanti delle ossa na- sali e fra i margini superiori interni delle ossa incisive, che pel tratto di un metro circa non ven- gono fra loro in contatto. Intermascellari.—Costituiscono anteriormente la parte più robusta del rostro, il cui fragile a- pice è rappresentato soltanto dagli intermascellari che, come già dissi, oltrepassano di 7 centi- metri a un dipresso i mascellari. Posteriormente, insinuandosi ognuno tra il mascellare ed il nasale, giungono all’osso frontale, che non presenta protuberanza di sorta, ed impediscono così ai mascellari di porsi esternamente in rapporto colle ossa nasali. Seguendo la loro curva, essi misurano in lunghezza m. 2,00. Alla base fra i loro angoli superiori interni, la distanza è sol- tanto di 15 centimetri e, sulla metà delle ossa nasali, distano l’uno dall’altro 19 centimetri. 01- PES, PEA {repassando le ossa nasali, gl’intermascellari continuano a divaricare, concorrendo a formare in alto una grande parte della cornice che circoscrive le narici o sfiatatoi. Precisamente alla di- stanza di 12 centimetri dalle ossa nasali, fra i loro margini superiori interni trovo 28 centime- tri, e fra i loro margini inferiori interni 17 centimetri di distanza. Lungo la linea mediana gl’in- termascellari s'incontrano e si toccano coi loro margini superiori interni solamente nel loro terzo anteriore per la lunghezza di 20 centimetri e poi, nell’ ultimo tratto lungo 30 centimetri, di nuovo gradatamente divaricano. Fra i loro due apici vha la distanza di 10 centimetri. Nasali.— Le ossa nasali, larghe e simmetriche, sono esternamente in contatto per tutta la loro lunghezza cogl’intermascellari, e posteriormente si congiungono col frontale mediante una profonda sutura. La loro faccia superiore è piana, e verso il loro mezzo, viste di profilo, esse sporgono di pochi millimetri (5-10) sull’ osso incisivo. Sul loro estremo anteriore presentansi profondamente smarginate. Unendo con una retta i due estremi d’ognuna di esse si avrà un arco, la cui saetta è di 27 millimetri. Sotto questo punto di vista i nasali della 8. biscayensis molto somigliano a quelli della B. austraZis, che sta nel Museo di Leida, figurati dall’illustre Di- rettore del Museo Hunteriano di Londra '), ed a quelli del Mac/eayius australiensis, figurati dal celebre Gray *). Aggiungo però tosto che, il modo con cui in quest’ultima specie le ossa na- sali s'uniscono all’indietro col frontale è assai diverso. Seguendo , per quanto è visibile, il margine esterno, la lunghezza delle ossa nasali è di m. 0,26; seguendo invece il margine interno, m. 0,20. La larghezza d’entrambe, calcolata sul loro mezzo, è di m. 0,185. Anteriormente fra le due punte esterne la distanza — in linea retta, il che è dire passando sotto le punte interne un po’ più rilevate e strettamente fra loro unite—è di m. 0,20. Vomere.—Concorre coi mascellari e cogli incisivi alla formazione del rostro. La sua lunghez- za, calcolata sulla base del cranio ed in linea retta, è di m. 1,45. Posteriormente ed in basso termina con una robusta sporgenza conica posta tra i margini laterali interni dei palatini pochi millimetri al disopra dei medesimi. Dall’estremo anteriore del vomere all’ apice degli interma- scellari, seguendo la linea retta e passando sotto la grande cartilagine, che percorre tutto il ro- stro, vha la distanza di m. 0,77. Il tratto del vomere che meglio distinguesi sul palato è quello che precede le ossa palatine. Nel suo terzo anteriore la carena del vomere è così sottile che son lì per dirla tagliente. Visto dall'alto, per quanto la presenza della gigantesca cartilagine rostrale lo permette, il vomere presentasi in forma d’un gran canale in cui giace precisamente il prolun- gamento cartilagineo dell’ etmoide ovvero dello sfenoide anteriore, avuto riguardo alla precoce fusione dell’ etmoide con quest’ultimo. Palatini.—Sono ben distinti e di forma abbastanza regolare (Tav. III, Fig. 1). Prolungano il palato dietro i mascellari e nascondono quasi per intiero i pterigoidei. La lunghezza di ogni pa- latino, calcolata in linea retta dall’estremo anteriore al punto mediano del margine posteriore, è di m. 0,48. Il loro margine anteriore è obliquamente troncato dall’avanti all'indietro, dall'esterno all’interno. I due palatini, di conseguenza, terminano anteriormente in modo da formare un grande V, in cui s'insinuano i due processi laterali interni dei mascellari. Seguendo la curva, la distanza tra i due estremi anteriori dei palatini è di m. 0,20. In vicinanza del margine laterale esterno, là dove posteriormente termina il mascellare, sopra ciascun palatino s'eleva una spor- genza, dall’ apice della quale all’estremo anteriore, in linea retta, vha la distanza di m. 0,51. La medesima sporgenza dista poi in linea retta dal margine laterale interno m. 0,17. Pterigoidei.—Ispezionando la base del cranio non si scorge che una piccola parte dei pteri- goidei e precisamente il loro margine posteriore che i palatini non giungono a ricoprire. Coi pa- latini e col vomere essi concorrono a formare i margini delle fosse nasali posteriori. In ogni pterigoideo scorgesi posteriormente un grande seno, il cui asse antero-posteriore è di m. 0,092, e l’asse orizzontale perpendicolare al primo è lungo m. 0,075. 1) W.H. Flower, Notes on the Skeletons of Whales in the principal Museums of Holland and Belgium. Fig. 2. Proc. Zool. Soc. of Lon- don. Nov. 8, 186£. 2) J.E. Gray, Notice of the Skeleton of the New-Zealand Right Whale ecc. Proc. Zool. Soc. 1863, pag. 136, fig. 1 bd. ‘ cs DI Frontale. —Quest'osso, grandemente sviluppato di traverso, ha il suo robusto processo orbi- tale diretto dall’alto al basso e lievemente, come ben nota il Prof. Cope '), dall’avanti all’indie- tro. La faccia superiore del processo orbitale è convessa: sulla faccia inferiore notasi il pro- fondo ed ampio solco, in cui scorre il nervo ottico. È già noto che, in linea retta, tra le due e- stremità orbitali, o, per meglio dire, fra le due apofisi postorbitali del frontale, v' ha la distanza di m. 1,64 e, seguendo la curva, di m. 2,07. Da quest'apofisi al punto medio del margine es- terno delle ossa nasali v’ha in linea retta la distanza di m. 1,05. Il tratto del frontale, che sporge innanzi all occipitale e s° unisce per mezzo d’una profonda sutura coi nasali, è lungo m. 0,11: ma la striscia di frontale che separa sull’alto del capo il margine anteriore dell’occipitale dal ma- scellare e dall’ intermascellare, è solamente di 2-3 centimetri. L’ apofisi postorbitale oltrepassa quella del temporale di 3-4 centimetri. Queste due apofisi non si toccano; la minor distanza che tra esse ho rinvenuto è di 4 centimetri. Sull’ estremo del processo orbitale la circonferenza è di m. 0,53, e dove la sua faccia superiore appare più ristretta, val quanto dire alla distanza di m. 0,45 dall’apofisi postorbitale, la sua circonferenza vale m. 0,45. La sutura che unisce il fron- tale col mascellare ha, nella sua metà superiore, un decorso molto più sinuoso di quello che no- tasi nella B. australis, nella B. antipodum®) e nel Macleayius australiensis *). Questo carattere non ha però un gran valore, poichè la sutura può variare nel suo decorso non solo nei diversi indivi- dui della stessa specie ma nello stesso esemplare, come ben rilevo sul cranio della B. biscayensis. Osso lagrimale.—Tra i processi trasversi, tanto del mascellare quanto del frontale, invano si cerca l'osso lagrimale. Con grande probabilità la macerazione, che si protrasse per 70 giorni, circostanza favorevolissima pel quasi perfetto imbiancamento dello scheletro, facilitò il distacco e lo smarrimento di queste due piccole ossa, cui non si era posto mente, e che andarono sven- turatamente perdute anche per varì cranî completi delle specie congeneri conservati nei Musei d’ Europa. All’estremo dei due processi trasversali summenzionati notasi appunto la distanza di 3-4 centimetri che doveva essere occupata dall’osso lagrimale, piccolo cuneo coll’apice rivolto verso la base del mascellare e del frontale. Jugali.—Figurano tra le. più piccole ossa del cranio. Un osso cali visto dalla faccia infe- riore ricorda per la forma generale la prima costa di alcuni delfini, del dugongo e dell’ uomo. L’osso zigomatico allungato, curvo e tanto diverso da quello dei cetodonti, forma tutta la parte inferiore dell’orbita. La superficie articolare con cui s' unisce anteriormente colla porzione tras- versa del mascellare, è molto più sviluppata di quella con cui all’indietro sta in rapporto col pro- cesso zigomatico del temporale. La faccia superiore su cui poggia il bulbo oculare è un poco più estesa della faccia inferiore. La distanza in linea retta tra i punti estremi della faccia superiore concava è di m. 0,19. La larghezza della faccia superiore orbitale non è mai minore di m. 0,05, ed in prossimità degli estremi articolari è di m. 0,06. Occipitale.—È l'osso che nelle Balene forma tutta la vòlta e la parte posteriore del cranio. Nella B. biscayensis sì osserva però che una porzione di temporale abbastanza sviluppata (Tav. II, Fig. 1) piglia parte alla vòlta del cranio, ciò che per le specie congeneri parmi abbia luogo su d’una scala molto minore. La porzione squamosa dell’ osso occipitale è molto sviluppata : diretta dal basso all’ alto, dall’ indietro all’avanti, essa passa sopra i parietali e ricopre quasi tutto il frontale che sporge anteriormente di pochi centimetri. Misurata dal margine superiore del foro occipitale al suo margine anteriore, la lunghezza dalla porzione squamosa è di m. 0,62. La maggior larghezza dell’occipitale, passando sui due condili in corrispondenza del livello del margine inferiore del foro occipitale, è di m. 0,84. La porzione squamosa offre lungo la linea mediana una cresta ben distinta, ma che non giunge all'altezza d’un centimetro. Nata in vicinanza del grande foro, la cresta si perde verso la metà del suo cammino. 1) Cope E. D., Notes on a Species of Whale occuring on the coasts of the United States. Loc. cit., pag. 168. 2)Van Beneden e P. Gervais, Osteographie des Cetaces. Tav. I e II, Fig. 1 e 7. Tav. IH, Fig. 1. 3) Gray, Notice of the Skeleton. etc. Loc. cit, pag. 195, Fig. 12. Lo WE 1 margini laterali dell’occipitale hanno un decorso ondulato, e nel punto in cui il temporale s'unisce coll'angolo posterior superiore del parietale, notasi una rimarchevole sporgenza (fav. IV, Fig. 1). Tra queste due prominenze laterali sta la maggior larghezza della porzione squamo® sa, la quale corrisponde a m. 0,62. E questa retta di m. 0,62 si sottende ad un arco ellittico formato dai margini anteriore e laterali della porzione squamosa avente la saetta di m. 0,41. Tra la sporgenza marginale e l'apice della porzione squamosa, si osserva su ciascuna metà una larga e profonda depressione. Unendo con una retta il punto medio della curva del margine anteriore colla sporgenza del margine laterale si ha la distanza di m. 0,52, e su questa stessa retta, alla distanza di m. 0,16 dalla sporgenza, si trova che la maggior depressione laterale della faccia superiore dell’occipitale è di m. 0,05. Alla distanza di m. 0,10 dal margine anteriore del foro occipitale la larghezza della por- zione squamosa è solo di m. 0,45. Debbesi ciò all’ avanzarsi dell’ osso temporale per prender parte nella formazione della vòlta del cranio, come ben si rileva dalla fig. 1 della tav. II. La maggior larghezza della porzione di temporale che piglia parte alla volta del cranio è di m. 0,08. La sutura occipito-temporale è eminentemente squamosa, sopratutto nella sua metà po- steriore. Sul margine inferiore ed interno della porzione basilare dell’occipitale distinguonsi due in- cisure separate da un processo acuminato. L’incisura esterna è arcuata ed alquanto più ampia e profonda dell’interna. Seguendo la curva del margine interno del condilo leggo m. 0,39. La maggior larghezza del condilo è di m. 0,13, e la minima distanza tra i margini laterali interni dei condili è di 29 millimetri. Il foro occipitale ellittico e posto in un piano obliquo diretto dall’ alto al basso, dall’innanzi all’ indietro, ha l’asse maggiore, disposto orizzontalmente, lungo m. 0,134, e l’asse minore mi- sura m. 0,095 '). Traversando la cavità craniale, relativamente assai piccola, dal margine inferiore esterno del foro occipitale al margine antero-superiore del processo basilare, la distanza in linea retta è di m. 0,255. Ispezionando la cavità craniale si rileva che il processo basilare dell’occipitale ter- mina anteriormente tronco. Seguendo la convessità trovo che il margine antero-superiore, con cui questo processo sta in rapporto collo sfenoide posteriore, è di m. 0,20. Temporale.—Di tutte le ossa del cranio delle Balene è quello che più profondamente si mo- difica. Mentre colla sua porzione squamosa forma tutta la parete laterale del cranio, presenta poi all’ infuori ed inferiormente una vasta superficie glenoidea con cui s' articola colla mandibola. Questa vasta superficie articolare è lievemente concava nel senso antero-posteriore ; la maggior depressione della medesima è di m. 0,03. Ho fatto precedentemente menzione che, colla sua porzione squamosa il temporale concorre in alto a far parte della vòlta, e quindi della faccia superiore del cranio. Il suo processo zigoma- tico limita in basso la fossa temporale, s'unisce inferiormente coll’osso jugale, e superiormente trovasi soltanto a 4 centimetri di distanza dall’apofisi post'orbitale del frontale. Passando sotto le ossa palatine , la distanza in linea retta tra gli apici dei due processi zi- gomatici è di m. 1,53. La distanza che separa le due superficie laterali interne dei robustissimi e voluminosi processi glenoidei, calcolata in linea retta in vicinanza del margine articolare, è di m. 0,70. Seguendo la curva, dalla metà del margine laterale interno del condilo all’apice del processo zigomatico, vha la distanza di m. 0,93. Parietali.—Come nelle specie congeneri, la parte esternamente visibile di queste ossa è poco sviluppata e costituisce il fondo della cavità temporale. Immediatamente posti sotto l’ occipitale, 1) Un solo sguardo al foro occipitale basta per farci riconoscere che il suo maggior asse è il trasverso. Non ho quindi, calcolandolo , po- tuto seguire il Prof. Capellini che gli assegna la lunghezza di m. 0,14, la quale supera quella dell’asse maggiore. Evidentemente pel Profes- sor Capellini cil diametro verticale, ossia l’altezza» non fu la linea più breve (di m. 0,095), ma una linea che scende dall’alto assai obliqua- mente. a = 2 i parietali s' uniscono anteriormente col frontale, posteriormente col temporale. Inferiormente s'uniscono colle grandi ali od apofisi trasverse dello sfenoide posteriore, e contribuiscono poi alla formazione del profondo solco, pel quale passa il nervo ottico. La metà inferiore della sutura anteriore, con cui il parietale s'unisce col frontale, è la meno appariscente e molto scagliosa. La sutura, con cui sta all’ indietro in rapporto colla porzione squamosa del temporale, descrive una curva rivolta all’innanzi. Quanto potrei dire intorno alle oscillazioni della sutura anteriore e poste- riore del parietale, agevolmente si rileva dall’ispezione della fig. 2, Tav. II. La retta che congiunge verticalmente l’inferiore col margine superiore corrispondente del parietale è lunga metri 0,35. Apparato uditivo. —Attesa la grande importanza che la rocca petrosa e la bulla timpanica hanno tanto nella distinzione dei generi quanto nella determinazione delle specie di misticeti, come pel primo e ripetute volte fece rilevare l'illustre prof. Van Beneden, ho riputato con- veniente di dar la figura, tratta dalla fotografia e dal vero, della faccia inferiore , della faccia laterale interna ed esterna dell'apparato uditivo destro. Accanto vi ho poi segnato i contorni del sinistro per mettere meglio in rilievo qualche piccola differenza di forma e di sviluppo (Tav. II, fig. 3-8). E noto che nei misticeti non senza qualche difficoltà si stacca dal cranio la rocca petrosa che fortemente aderisce al temporale ed anche all’occipitale per mezzo delle sue apofisi. E sven- turatamente nell’ isolare l'apparato uditivo d’entrambi i lati, un colpo mal diretto spezzò su en- trambe le facce laterali esterne, come le figure ben lo dimostrano, quella sporgenza mediana della bulla timpanica a cui s’ attacca il processo stiliforme del martello e che limita posterior- mente la metà posteriore dell'apertura timpanica. Tre ossicini (i due martelli ed un’ incudine) andarono perduti: tre altri (le due staffe ed un’incudine) si poterono raccogliere '). La descrizione dell'apparato uditivo della Balaena biscayensis fu con mano maestra scritta dal Van Beneden, che si valse d’ un apparato uditivo completo a lui inviato da Filadelfia dal Prof. Cope. Ognuno potrà poi ammirare le tre bellissime figure che l’ illustre cetologo belga ha dato dell’ apparato uditivo di questa specie nella tavola VII della grande opera già più volte se- gnalata dal titolo: Ostéographie des Cétacés vivants et fossiles. Grazie alla gentilezza del Direttore del Museo civico di Storia naturale di Milano, Com. E. Cornalia, ho sott'occhio un bellissimo modello in gesso dell'apparato uditivo completo inviato a Milano dal Prof. Van Beneden. Le dimensioni di questo apparato uditivo corrispondono quasi esattamente a quelle della Balena naufragata a Taranto. Anche il Prof. Cope in due successive comunicazioni *) diede precise notizie intorno agli apparati uditivi di questa specie, i quali figurano nel Museo zoologico di Filadelfia. L'apparato uditivo della B. discayensis pel complesso dei suoi caratteri, come per bene fe- cero rilevare Cope, Van Benedene Capellini, ricorda assai più quello delle altre specie delle regioni temperate che l’apparato uditivo della B. mysticetus. Esso sta saldamente nicchiato sulla base del cranio per mezzo di due apofisi della rocca petrosa, le quali, poste a confronto con quelle delle specie congeneri, presentansi meno svilup- pate. L’apofisi anteriore rigonfia nel mezzo ed assotigliata ai due estremi tende a mostrarsi fu- siforme. La sua lunghezza è in linea retta di 14-15 centimetri. Essa è diretta colla sua metà an- teriore all’innanzi ed all’interno, e colla metà posteriore è diretta all'indietro ed all’esterno. L’a- pofisi posteriore poi dell’osso petroso per mezzo di una sutura eminentemente scagliosa si salda fortemente col temporale e scorre in una specie di scanalatura limitata internamente dall’ osso occipitale. Per meglio adattarsi a questa scanalatura, essa dirigesi dall’avanti all’indietro, dall’in- 1) Vuolsi qui rammentare che alle premurose ricerche del Prof. Capellini dobbiamo la salvezza di un prezioso ossicino uditivo, | incudi- ne destra. Come nella B. mysticetus e nelle altre specie congeneri «l’etrier est immobile sur la fenétre ovale et ne se detache pas facilement (Van Beneden)». Conseguentemente le due staffe furono entrambe salve. La staffa sinistra è ancora in sito dopo una macerazione di 70 giorni, ed il trasporto dell’apparato uditivo da Taranto a Napoli, non ostante che il Prof. Capellini siasi affrettato a dichiarare ripetutamente che essa pure erasi smarrita. 2) E. D. Cope, Noteon a Species of Whale occurring on the cousts of the United States.— Note on a Species of Hunchback Whale (Proc. of. the Academy of Natural Sciences of Philadelphia, 1865. ATTI— Vol. VII—N.° 16. 4 = Ch terno all'esterno e dal basso in alto. La parte libera, appiattita e diretta posteriormente, oltre- passa l'estremo posteriore della bulla timpanica di m. 0,072 ed ha lalarghezza di 3-4 centimetri. La bulla timpanica, che anteriormente guarda il grande seno dell’ osso pterigoideo , ha un contorno poco angoloso e che molto s'avvicina all’ ovale (Tav. II, fig. 5). È quindi agevole il di- stinguerla non solo dalla bulla timpanica della B. mysticetus, ma nettamente anche da quella della 8. antipodum e della B. australis di cui ho un bellissimo esemplare sott'occhio. La lunghezza o maggior asse antero-posteriore della bulla timpanica destra è di m. 0,180. La larghezza od asse orizzontale perpendicolare al primo è di m. 0,90. La cassa timpanica sinistra è di 2-3 mil- limetri meno lunga e meno larga. Dal modello in gesso dell’apparato uditivo della B. discayensis del Museo civico di Milano rilevo che la larghezza è parimente di m. 0,90, ma la lunghezza è solo di m. 0,117, e quindi vha una differenza in meno di oltre :2 centimetri. La faccia inferiore (Tav. IT, fig. 5) ha la sua metà interna spianata, non tenendo conto di una lievissima depressione. Sulla sua metà esterna si osserva una leggera protuberanza conves- sa, la quale varia però alquanto nel suo sviluppo da un esemplare all’altro. Nel modello in gesso è un poco più accennata. Sul contorno delle due bulle (Tav. II, fig. 5 e 8) dove il margine laterale interno s’unisce col- l'anteriore notasi una sporgenza, la quale è un po’più accentuata sulla bulla sinistra. Ma nell’ isti- tuire confronti non si dimentichi che quella sporgenza non sta sul margine della faccia inferiore della bulla, ma trovasi sulla stretta faccia anteriore, precisamente sull’ angolo superiore interno della medesima. Questa sporgenza dista 18 millimetri dal margine anteriore della bulla. Sulla metà esterna della faccia posteriore notasi una leggera depressione che, salendo ed avvicinandosi al margine posteriore dell’apertura timpanica, man mano si restringe e si fa sem- pre più marcata trasformandosi così in una vera scanalatura. La metà posteriore della faccia laterale esterna è molto compressa, appiattita e quando la bulla, poggiando colla sua faccia inferiore, posa su di un piano, la si vede scendere vertical- mente. La parte posteriore compressa è separata dalla parte anteriore, convessa tanto dall’ alto al basso quanto dall’innanzi all'indietro, mercè un profondo solco che largamente interessa anche il margine esterno della faccia inferiore, e che chiaramente appare nella fig. 5, Tav. II. Dividendo la faccia laterale interna in due metà, anteriore e posteriore, si nota tosto che la prima è pochissimo convessa, e sì direbbbe che sia stata compressa. Mi affretto a dichiarare che sulla bulla sinistra questa compressione è più evidente che sulla destra. Son di credere che dall'uno all’ altro individuo* e segnatamente nelle diverse età possano in proposito presentarsi gradazioni molto più evidenti. La metà posteriore della faccia laterale interna mostrasi per contro molto turgida. Il rigon- fiamento maggiore si osserva al disotto della rocca petrosa e là dove la sua apofisi posteriore aderisce alla bulla. Il rigonfiamento è però minor di quello offerto dalla bulla timpanica della 8. australis e specialmente della B. antipodum. Per distinguere tosto la cassa timpanica della B. biscayensis da quella della B. australis, pro- pria dell'Atlantico meridionale, basta osservarle entrambe nel loro estremo posteriore. Nella pri- ma è più ottuso, più tumido che nella seconda. La differenza per la Balena di Taranto è assai notevole, anche ponendo la sua bulla timpanica a confronto con quella della B. australis di quasi doppio volume. Nel saggio in gesso del Museo civico di Milano l’estremo posteriore è un po’ meno rigonfio. Ben pronunziata è l’apertura della cassa timpanica. Dividesi, com'è noto, in due metà: l’u- na posteriore o timpanica, l’altra anteriore od eustacchiana. Quest'ultima ci presenta un margine interno o columellare, un margine anteriore ed un margine esterno arcuato. Passando con una retta lungo il margine interno si trova che il maggior asse antero-posteriore della cavità timpa- nica è di m. 0,09. Sul labbro o margine columellare dànnosi a vedere, come d’ordinario segue, parecchie pieghe. Esse però variano tanto di numero, di sviluppo e di posizione dall'una bulla RR... Ji all’altra che non possono per verità fornire un carattere specifico di qualche valore. Così, p. es., rammenterò che mentre il tratto anteriore di questo margine columellare , è in entrambe liscio, levigato, la distanza della prima piega dal margine anteriore è di m. 0,044 nella bulla destra e di m. 0,032 nella sinistra (Tav. 1I, fig. 3; Tav. IV, fig. 2). Anche le pieghe del margine anteriore d’entrambe variano di numero e di sviluppo. Sonvene due nella destra e tre nella sinistra. Sul modello in gesso questo margine anteriore dell’apertura eustacchiana è più lungo e sopra di esso sono ben segnate quattro pieghe. Lo stesso scorgesi nella fig. 5 che Van Beneden ha dato nella Tav. VII dell’Ostéographie des Cétacés. Il margine esterno è molto robusto e spesso : mentre rassomiglia a quello della 8. mystice- tus, molto si differenzia da quello della B. australis che è sottile e tagliente. Viste anteriormente le bulle timpaniche della B. australis e della B. biscayensis subito si di- stinguono l’ una dall’ altra per questo che nella prima il margine esterno, come se fosse stato schiacciato, è accompagnato da una faccia che nel grande esemplare, che posseggo, ha nella sua metà superiore la larghezza di oltre 15 millimetri, mentre nella seconda questa faccia anteriore spianata manca del tutto inferiormente ed in alto giunge appena ad avere la larghezza di 5 mil- limetri. Unendo con una retta il punto più alto del labbro esterno, il qual punto sta sotto l’ apofisi anteriore della rocca petrosa, col punto più basso del medesimo, posto sul margine anteriore, trovo per la bulla destra la distanza di m. 0,055. Questa retta è sottesa ad un arco la cui saetta è di m. 0,010. Ossicini uditivi. — Non tenendo qui conto del piccolissimo osso lenticolare, che parmi sal- dato coll’ apofisi articolare dell’ incudine, gli ossicini uditivi raccolti sono tre: le due staffe e l’ in- cudine destra. Per la sua forma l’incudine (Tav. IV, fig. 3) giustifica egregiamente la rassomiglianza che ne fu fatta con un dente molare a due radici. La sua maggior lunghezza, in linea retta, è esatta- mente di 15 mm. e la maggior larghezza del suo corpo è di 8 mm. Il corpo dell’incudine offre sulla faccia inferiore ') una depressione ed un solco trasverso relativamente largo. Il suo margine anteriore è concavo e sul margine posteriore, leggermente convesso , alla distanza di 2 mm. dalla faccetta più piccola con cui l’ incudine s'unisce col mar- tello: ovvero, se vuolsi, all’origine dell’apofisi posteriore con cui l’incudine s’articola colla staffa, notansi due intaccature , due piccoli solchi obliquamente disposti e per bene visibili ad oc- chio nudo. Come dalle figure 5a, 56, della Tavola IV si rileva, delle due faccette, con cui l’incudine s’u- nisce col martello, l’anteriore è più grande e di forma diversa dalla posteriore. Delle due apofisi dell’incudine la posteriore è più robusta, un po’ più lunga dell’ anteriore, ed è fornita di una piccola faccetta articolare ovale ed incavata , con cui congiungesi colla testa della staffa. L’apofisi anteriore è un po’ più corta, compressa e termina con punta ottusa. La distanza che separa gli estremi delle due apofisi è soltanto di 4 mm., e la retta che unisce gli estremi delle due apofisi si sottende ad un arco la cui saetta è di 3 mm. La lunghezza della staffa è di 11 mm.; la sua maggior larghezza rinviensi presso la sua base ed è di 4 mm. La faccia superiore è più incavata dell’ inferiore segnatamente in vicinanza della base. La branca anteriore, quasi diritta dalla testa alla base, è più robusta della branca posterio- re, la quale è leggermente concava specialmente nella sua metà esterna, cioè in vicinanza della testa della staffa. Il foro intercettato dalle due branche della staffa è piccolissimo. È un po’ più lungo che 1) Conosco per bene la posizione normale della staffa avendola ripetute volte osservata ed avendo con punti neri segnata la faccia inferiore ed il margine o branca anteriore della staffa sinistra prima di estrarla, staccandola colle pinzette, dalla finestra ovale: ma non posso garentire l’esatta posizione dell’ incudine. Quindi chiamo faccia inferiore ecc. del corpo dell’ incudine quella che tale mi si presenta, tenendo la staffa nella sua posizione normale e facendo combaciare nel miglior modo le due faccette con cui staffa ed incudine si uniscono. Ta largo ed il suo maggior asse non arriva ai 2? mm. La figura 7 della Tavola IV mostra l' esatta forma della faccetta articolare concava con cui la base della staffa sta in rapporto colla fine- stra ovale. Mandibole.—Ogni mandibola pesante, massiccia nella sua metà posteriore, si assotiglia e si fa leggiera anteriormente. Come nelle altre vere Balene, ogni mandibola descrive una curva, con- torcendosi su se stessa in prossimità del suo estremo anteriore. La conseguenza di questo con- torcimento si è che la sua faccia laterale interna diventa faccia superiore, e la faccia laterale es- terna sì fa faccia inferiore (Tav. II, fig. 1). La faccia esterna della mandibola è convessa e la faccia interna concava nel senso antero- posteriore. Si nota però che la faccia interna è leggermente convessa dall’ alto al basso nei suoi due terzi posteriori. La lunghezza della mandibola, seguendo la curva esterna, è di m. 2,50. Se il punto d’incon- tro del margine laterale interno col margine inferiore del condilo s’unisce coll’apice della mandi- bola, si trova in linea retta la lunghezza di m. 2,20. Questa retta che passa a circa 2 centime- tri sotto il margine inferiore del grande foro dentario, forma colla faccia interna della mandi- bola un arco la cui saetta, alla distanza in linea retta di m. 0,92 dall’estremo anteriore della man- dibola, è di m. 0,32. La maggiore altezza della mandibola è di m. 0,27 alla distanza di m. 0,20 dall’apofisi coro- noide poco sviluppata, ma ben riconoscibile. Alla distanza, in linea retta, di m. 1,22 dall’apice, l’altezza della mandibola è soltanto di m. 0,17. Alla distanza poi di m. 0,50 in linea retta dal- l’apofisi coronoide, la larghezza è di m. 0,13. L’altezza del condilo è di m. 0,24. Il grande foro dentario ha una forma ellittica coll’asse maggiore verticale lungo m. 0,087 e col minor asse orizzontale di m. 0,061. I fori mentonieri, i quali stanno in rapporto col grande sviluppo dal labbro inferiore, sono 6 sulla mandibola destra, e 5 sulla sinistra. In quella i tre ultimi fori, od anteriori, sono più grandi dei tre che li precedono e sono seguiti da un largo solco. Fra i primi quattro fori corre sempre la stessa distanza di m. 0,12: fra il quarto ed il quinto conto 22 centimetri, e 36 cen- timetri tra il quinto ed il sesto. Nella mandibola sinistra i quattro fori anteriori sono pressochè egualmente grandi e ad egual distanza fra loro: il primo, posteriore, invece è assai piccolo e dista dal secondo solo m. 0,08. Tanto sulla mandibola destra quanto sulla sinistra il primo foro mentoniero dista in linea retta, dal margine esterno del condilo, m. 0,065. Sulla faccia interna di ciascuna mandibola ed in vicinanza del margine superiore s’ aprono “in una stretta solcatura 11-12 fori dentarî, residuo del canale dentario che si nota nel feto. In entrambe le mandibole il primo foro dentario trovasi alla distanza in linea retta di m. 0,46 dal- I apofisi coronoide. All’ ultimo foro fa poi seguito la profonda .spaccatura che separa in alto ed all’ infuori sino all'estremo anteriore le due lamine, interna ed esterna, della mandibola. Sulla faccia interna lungo il margine inferiore scorgesi ben distinto il solco mi/o-joideo. Tanto sulla destra, quanto sulla mandibola sinistra, esso misura, in linea retta, m. 1,50. Ante- riormente si rivolge in alto e va bel bello scomparendo. Osso joide.— Col corpo del joide (osso basiale) si sono completamente fuse le grandi corna (tiroiali). L’osso unico che ne risulta è lungo in linea retta m. 0,425. La larghezza calcolata in cor- rispondenza della linea mediana del corpo del joide è di m. 0,10. La parte mediana è appiattita tanto sulla faccia superiore quanto sull’inferiore, ma il suo spessore varia. In vicinanza del mar- gine posteriore è appena metà di quello che si trova in prossimità del margine anteriore ove lo spessore è di 3 centimetri. Anteriormente il corpo del joide presenta due processi, ognuno dei quali era ricoperto da una cartilagine di forma conica. Il processo destro (fig. 5, Tav. V) è ancora sormontato dalla sua cartilagine, che si restrinse e raccorciò grandemente, ma non si staccò aven- N87, [A dovela fissata per mezzo di spilli. A che distanza, in qual rapporto stessero questi due processi colle piccole corna ( stilojali) non posso dire, non essendosi queste raccolte. È noto che le due appendici anteriori, 0 piccole corna, nei cetacei non si saldano mai col corpo del joide e che, men- tre per mezzo d’un legamento stanno unite colla base del cranio al di fuori della bulla timpani- ca; s' uniscono poi mercè un altro legamento fibroso (rappresentante delle ossa cheratojali ) coi processi summenzionati del corpo del joide. Le grandi corna del joide che mostransi depresse nella loro metà interna, terminano poi con forma cilindrica. La loro circonferenza calcolata verso l estremità libera è di m. 0,21. La loro estremità libera, che ora è tronca e direbbesi spezzata, era nel fresco fornita d’ una grossa cartilagine di forma conica. I margini anteriori delle due grandi corna sono leggermente con- vessi procedendo dall’interno verso l'esterno: i margini posteriori sono invece leggermente con- cavi. Entrambe le corna, dirigendosi all’ esterno, si rivolgono alquanto in alto , sicchè nel com- plesso e nel senso trasversale quest osso è concavo sulla faccia superiore e convesso sull’ infe- riore. Unendo con una retta i margini interni degli estremi del joide trovo m. 0,33 e, seguendo la faccia curva inferiore, m. 0,44. Colonna vertebrale La colonna vertebrale si compone di 56 vertebre, di cui sette appartengono alla regione cervicale, 13 alla dorsale e 36 alla regione lombo-caudale. Di queste ultime, 183, qualora nes- suna emato-apofisi siasi smarrita , spettano alla regione lombare e 23 alla caudale , considerando come prima vertebra caudale quella che precede la prima emato-apofisi. Contansi dieci emato-apofisi, la penultima delle quali è tuttora aderente alle due caudali che la portano. L'ultima vertebra caudale ha le dimensioni di una noce ordinaria. Larga 3 centimetri, lun- ga 22 millimetri, alta 26 millimetri, presenta nella sua faccia inferiore una profonda solcatura, che tende a dividerla in due metà, di cui la destra è maggiore della sinistra '). Parlando del rapporto che passa tra la lunghezza del capo e la lunghezza totale, ebbi già l’oc- casione di notare che lo scheletro, appena isolato, misurava m. 11,50 e che dopo la macerazione e l’essiccamento delle cartilagini intervertebrali, di cui solo due andarono perdute, la sua lun- ghezza si ridusse a 9 metri. Il raccorciamento di m. 2,50 è qui tutto a spese della colonna vertebrale, la quale, riunendo tutte le vertebre colle epifisi de’ loro corpi su d’un piano in serie rettilinea, misura a stento me- tri 6,73. È mestieri insistere su questo fatto molto interessante che ci permette di apprezzare convenientemente anche negli altri scheletri di vere Balene, Balenottere ecc. conservati nei Mu- sel, quanto grande sia stato il raccorciamento delle loro cartilagini intervertebrali. Regione cervicale. — Delle 7 vertebre cervicali, le prime 6 formano un sol gruppo; l ul- tima è ancora separata. Questa separazione è unicamente dovuta alla tenera età della Balena di Taranto. Nella regione cervicale trovata a Lyme Regis nel 1860, ed ora nel British Museum, e nella regione cervicale del Museo del Jardin des Plantes, d’ignota provenienza, entrambe appar- tenenti a vecchi individui della B. biscayensis, non solo le 7 cervicali formano una sola massa, ma anche la 1° dorsale ha il suo corpo saldamente unito con quello della vertebra precedente o settima cervicale. Invece nella Balena catturata nel 1862 nella baia di Delaware, di fronte a Fi- ladelfia, individuo adolescente, come ben fece rilevare il Prof. Cope, ma di un’età o di uno svi- luppo alquanto maggiore di quello raggiunto dalla Balena di Taranto—ciò che si nota tosto para- gonando fra loro le lunghezze totali dei due scheletri — la prima vertebra dorsale è ancora libe- ra, ma le 7 cervicali sono già tutte fra loro unite in un sol gruppo. 1) L’ essere quest’ ultima vertebra profondamente biloba spiega colla maggior probabilità l inesattezza in cui cadde il signor Hueber, il quale pregato dal Prof. Capellini a contare nuovamente le vertebre qualora lo scheletro da Taranto fosse stato direttamente inviato a Napoli, ripeteva per lettera all’illustre geologo: «il numero preciso delle vertebre è 56 escluso l’atlante ». der.) PROSA Che nella Balena di Taranto la 7® cervicale si trovasse in una temporanea indipendenza dalle 6 precedenti, parecchi fatti ce lo dimostrano. In primo luogo osserverò che la faccia posteriore del corpo dalla 6% cervicale è profondamente concava, e che tutta questa concavità è per bene occupata dalla faccia anteriore della 7* cervicale. Sulla metà sinistra della faccia libera della 6* cer- vicale, inferiormente ed in vicinanza del margine, sono poi molto evidenti le tracce di unione, di coalescenza che già aveva avuto luogo tra essa ed un tratto corrispondente della 7* cervicale. Se, finalmente, si colloca nel suo posto normale la 7° cervicale, l'estremità della sua apofisi tra- sversa destra tocca l'estremo dell’ apofisi precedente e basta uno sguardo per acquistare la con- vinzione che le parti estreme di quelle due apofisi trasverse erano già insieme saldate '). La larghezza dell’atlante, calcolata tra i due estremi delle sue apofisi trasverse è di m. 0,48. La larghezza dell’asse, in linea retta, dall’uno all’altro estremo tanto delle superiori quanto delle apofisi trasverse inferiori, è di m. 0,44. L'altezza dell’atlante è di m. 0,32. La maggiore altezza del gruppo delle 6 vertebre cervicali è di m. 0,38. La lunghezza delle 8 prime vertebre insieme unite è di m. 0,32. Seguendo la curva, dal margine anteriore della neurospina dell’ atlante al margine posteriore di quella della 1° dorsale, la lunghezza è parimente di m. 0,32. La lunghezza, seguendone la curva, della cresta solida formata dalle 5 vertebre successive all’atlante , è di INTO Il peso delle 6 cervicali tra loro unite è di chilogrammi 9,470: quello della 7° cervicale è di chgr. 1,272, e quello della 1° dorsale chgr. 1,510. Totale chgr. 12,252. Il maggior asse delle facce articolari dell’atlante, in linea retta, è di m. 0,24. La loro mag- gior larghezza, la quale trovasi sulla metà inferiore, è di m. 0,13 °). Il margine interno delle facce articolari dell’ atlante presentasi smarginato (fig. 2, Tav. III). Questa smarginatura va man mano scemando col crescere degli anni: nelle facce articolari del- l’atlante di Lyme Regis e di quelle dell’atlante del Jardin des Plantes, proprie di due vecchi indi- vidui, l intaccatura marginale è relativamente pochissimo accennata come ben lo provano le fi- gure date dal Gray e dal Van Beneden. Il primo paio di nervi spinali passa in un grande foro dell’atlante, il quale ha forma ovale. La sua parete è però anteriormente ancora interrotta. Il tratto di parete che manca al foro sini- stro è più del doppio (15 millimetri) di quello che manca al destro (6 millimetri). È noto che col progresso degli anni i due fori hanno poi tutta la loro parete completa. L’atlante è saldamente unito ed inferiormente fuso coll’asse ; ma il suo arco superiore è an- cora quasi completamente libero. Il Prof. Capellini lo credette affatto distinto, ma così non è. Se ben si osserva si scopre tosto che dal margine posteriore della sommità dell’arco dell’atlante parte un processo che dirigesi all’ indietro e che si salda coll’asse. Sonvi poi già ben manifesti indizî della sutura più completa unione della parte superiore dell’ arco e della neurospina dell’ a- tlante colla solida cresta successiva. La 2°, 3°, 4° e 5* vertebra cervicale non solo sono fortemente unite in una sola massa per mezzo del loro corpo, ma le loro neurospine ed una parte più o meno ampia dei loro archi unen- dosi, dirò meglio, fondendosi assieme, dànno origine alla cresta solida summenzionata. Sui lati ed inferiormente i loro archi conservansi indipendenti l’uno dall'altro. Vista la regione cervicale dall’ alto si rileva tosto che il grado di coalescenza degli archi varia sui due lati nello stesso in- dividuo. Dando uno sguardo alla faccia inferiore del gruppo cervicale si nota come i corpi delle sei 1) L'essere ancora la 7° cervicale o la 1? dorsale o entrambe separate dal gruppo delle vertebre precedenti sarà sempre una particolarità de- gna di nota, che ha rapporto colla giovinezza dell’esemplare che si esamina, ma che, almeno per la B. biscayensis, non sarà mai da un oculato, esperto naturalista posto in linea di conto, elevato al grado di carattere specifico, qualora non sia affetto dalla febbre di confezionare una nuova specie, una specie immaginaria che spesso per molti anni peserà dolorosamente sulla scienza e su quanti — con rettitudine — la coltivano. 2) Mentre, al pari di quelle del fanone e dello sterno, la figura data dal Prof. Capellini (Mem. cit., tav. III) del gruppo delle sei vertebre cervicali, visto di lato, è assai lontana dal vero, anche la figura del medesimo gruppo vertebrale, visto di fronte, è non poco inesatta, segna- tamente per l’enorme sviluppo delle apofisi trasverse inferiori dell’ asse, per la loro falsata origine, per la forma erronea delle facce articolari dell’atlante e per l’erroneo rapporto tra l’arco superiore dell’atlante colla successiva solida cresta prodotta dalla fusione totale delle neurospine e parziale degli archi delle cinque vertebre cervicali seguenti. Lar. gp prime vertebre siano inferiormente fusi assieme per un tratto che va bel bello scemando se si procede dalla prima alla sesta. La medesima faccia offre poi una fenditura che traversa i corpi della 4%, 5° e 6* vertebra, avente la lunghezza di m. 0,055 e che s’innalza per m. 0,060 sulla faccia posteriore libera della sesta vertebra, la quale, come già fu avvertito, è profondamente concava. Gray, Cope e Van Beneden non fanno menzione nelle loro descrizioni di questa spac- catura, la cui lunghezza e profondità probabilmente varia di molto da un individuo all’altro. Se però ben s’ osserva la figura 11 della Tavola VII dell Ostéographie des Cétacés, si scoprirà che il Van Beneden la vide, meno pronunziata, anche sulla regione cervicale del Jardin des Plantes e volle che nella figura succitata fosse indicata. Apofisi trasverse superiori. — Le robuste e larghe apofisi trasverse dell’ atlante hanno i loro margini superiori leggermente concavi, i quali, come ben fece rilevare il Gray, sono allo stesso livello del margine superiore delle facce articolari, Quelle dell'asse sono di gran lunga più grosse, più massicce , e più forti delle apofisi che seguono. Ognuna di esse è di due centimetri più corta della corrispondente apofisi dell’ atlante, e col margine anteriore saldasi poi colla faccia posteriore dell’apofisi dell’atlante. Questa salda- tura sul lato destro è completa, mentre (fig. 3 e 5, Tav. III) sul sinistro notasi solamente sul terzo inferiore. Quasi egualmente lunghe come quelle dell'asse, le apofisi della terza vertebra cervicale sono però molto più sottili, compresse, laminari. Verso il loro estremo si fanno alquanto più larghe. La minor distanza tra le loro estremità e quelle delle apofisi dell’asse è appena di 6 millimetri. Le seguenti apofisi della 4*, 5*, 6% e 7* cervicale sono ancor meno sviluppate di quelle della 3° vertebra, e sono fra loro press’a poco di egual lunghezza e spessore. Se si considera lo sviluppo che coll’ età acquista l’apofisi trasversa superiore dell’ asse e quella della 1% dorsale: se si considera la direzione che quest'ultima ha verso quella dell’asse, si potrà agevolmente comprendere in quanti modi e con quante gradazioni può verificarsi il ravvi- cinamento, l’unione, la fusione delle apofisi trasverse intermedie della 3*, 4%, 5*, 6* e 7* vertebra cervicale, e che ben raramente si potranno rinvenire disposizioni identiche non solo nei diversi individui, ma sui due lati della regione cervicale dello stesso individuo. Nello scheletro della B. biscayensis del Museo dell’Accademia di Filadelfia, appartenente ad un individuo un po’ più vecchio di quello del Gabinetto di Anatomia comparata di Napoli, il Pro- fessor Co pe ha rinvenuto su d’un lato la 4*, 5° e 6* diapofisi distintamente unite e le rimanenti separate : sull’ altro lato trovò unite fra loro le tre diapofisi anteriori, cioè quella dell’altante, del- l’asse e della terza vertebra, e fra loro unite le rimanenti, val quanto dire quelle della 4%, 5*, 6* e 7° cervicale ‘). Nella Balena di Taranto l’apofisi trasversa d’entrambi i lati della 3* vertebra è ancora indi- pendente: quella della 4* e 5* sono su entrambi i lati saldamente unite sui loro estremi per la lunghezza di cinque centimetri (fig. 3, Tav. III). Anche le apofisi della 6* sono libere, ma ho già fatto notare precedentemente che ponendo la 7° vertebra, ancora separata dalle altre, nella sua posizione normale, l'estremità della sua apofisi destra non solo viene in contatto della punta del- l’apofisi precedente, ma presenta evidenti i segni d’esservi stata prima unita. Unendo alle sette cervicali anche la prima vertebra dorsale, ed osservando il gruppo di pro- . filo si scorge tosto che l’apofisi trasversa sinistra della 1* dorsale (fig. 3, Tav.III) nasconde quasi completamente quella più corta della 7° cervicale : ma sul lato destro ciò non si verifica, essendo l’apofisi della 7% cervicale un po’ più sviluppata di quella del lato sinistro ed oltrepassando di quasi tre centimetri l’estremità dell’apofisi della 1% dorsale. Sul lato destro l’apofisi trasversa della 1% dorsale s' eleva più spiccatamente che quella del 1) E. D. Cope, Note on a Species of Whale occurring on the coasts of the United States—« The fourth, fifth and sixth cervical diapophy « ses are distinetly united on one side, while the remainder are separate: on the other side the seventh is united with the three posterior, and « the three anterior are united ». ma; gra lato sinistro sopra il margine superiore delle apofisi trasverse precedenti, e così quest’ apofisi della 1% dorsale, come già fece notare Van Beneden descrivendo la regione cervicale del Jar- din des Plantes, si può ancora vedere quasi tutta quando si osservi di prospetto l’ atlante. Sul lato sinistro l’apofisi della 1* dorsale è meno divaricata e meno elevata e, visto il gruppo di fronte, essa è quasi totalmente velata dall’apofisi trasversa dell’atlante e dell’asse. La distanza tra gli estremi dell’apofisi trasversa dell’asse e della 1* dorsale è appena di 50 millimetri. Apofisi trasverse inferiori.—Sul lato sinistro oltre l’apofisi della 2°, 3° e 4* vertebra (fig. 3, Tav. III) notasi un rudimento, che non oltrepassa la lunghezza d’un centimetro, di apofisi infe- riore anche sulla 5* vertebra. Sul lato destro invece l’apofisi trasversa inferiore della 5° vertebra è meglio rappresenta- ta, ma assai piccola in confronto di quella della precedente vertebra. Sulla 6* e sulla 7% manca ogni indizio di apofisi trasversa inferiore. Già sappiamo che le apofisi trasverse inferiori dell’ asse, al pari delle superiori , oltrepas- sano la larghezza totale dell’atlante di soli 2 centimetri per parte. Visto il gruppo di prospetto, l apofisi trasversa inferiore dell'asse nasconde completamente quelle delle vertebre seguenti. La maggior lunghezza del tratto con cui l’apofisi trasversa inferiore dell’ asse oltrepassa il margine laterale ed inferiore esterno dell’atlante è sul lato destro di m. 0,060 e sul lato sinistro di m. 0,042. Come la fig. 4 della Tav. III evidentemente lo mostra, oltre una metà dell’apofisi trasversa in- feriore della 3* vertebra si è fusa con quella dell’asse. L’apofisi inferiore della 3* vertebra è soltanto di un centimetro circa più corta della prece- dente di cui è però immensamente più piccola. Quella della 4° vertebra è completamente libera sul lato destro, mentre sul lato sinistro è alla base alquanto fusa con quella della 3° vertebra. Il suo margine superiore è concavo: col suo apice si rivolge in alto, al pari della precedente, di cui è però a sua volta molto minore. Dell’ apofisi sinistra della 5* vertebra, la sola che raggiunse un certo sviluppo , nulla posso ora dire essendo essa spezzata. Dall’ispezione del pezzetto che rimase in sito, si può però tosto desumere che sia per la lunghezza, sia per lo spessore era dessa molto minore di quella della 4° vertebra. Regione dorsale. —L’aumento dell'asse antero-posteriore del corpo delle vertebre, che inco- minciò a mostrarsi nella 5° cervicale, va gradatamente manifestandosi dalla prima all’ ultima dorsale '). Il corpo della 7* cervicale è lungo m. 0,024 — alto m. 0,200 largo m. 0,220 Il corpo della 1% dorsale » m.0,028 — » m.0,200 » m. 0,220 Il corpo della 18* dorsale ».,. m. 0,105 —. 5: (mm. .0,165 tia 1072208 Il foro vertebrale della 7% cervicale è alto m. 0,142 — largo m. 0,175 Il foro vertebrale della 1* dorsale »i 1A, 0, 198: tro mie 0079 Il foro vertebrale della 13* dorsale » = m. 0,090 — » m. 0,120 La faccia posteriore della 7% cervicale è molto meno concava della faccia posteriore della vertebra precedente: di conseguenza anche la faccia anteriore della 1% dorsale è assai meno con- vessa di quella della 7° cervicale. 1) Per evitare confusione o dubbî avvertasi che, nel calcolare la lunghezza od asse antero-posteriore del corpo delle vertebre, faccio sem- pre astrazione dalle epifisi siano oppur no unite alla vertebra, e che tanto la lunghezza quanto la larghezza sono calcolate in corrispondenza della metà dell’altezza del corpo della vertebra. Quando la presenza dell’ apofisi trasversa me lo impediva, misurai la lunghezza del corpo della vertebra un po’ al disopra del processo trasverso.—L’altezza e la larghezza sono poi sempre misurate sulla faccia anteriore della vertebra. Re SA Misurata da un estremo all’ altro dell’ apofisi trasversa, la larghezza per la 1* dorsale è di m. 0,39 per la 7%.» » m. 0,35 per la 10* » » m. 0,34 : per la 11° » » m. 0,36. L’undecima supera la settima in larghezza non perchè abbia l’apofisi trasversa più lunga ma per avere il suo corpo lungo m. 0,22, mentre quello della settima misura in larghezza sol- tanto m. 0,19. La neurospina o processo spinoso delle vertrebre dorsali va man mano acquistando in al- tezza dalla prima alla tredicesima. Ma le vertebre dorsali fornite di più massicce, robustissime neurospine non sono le ultime, bensì la sesta, l'ottava e specialmente la settima. Le apotisi trasverse vanno bel bello raccorciandosi, ma inspessendosi ed allargandosi sino alla decima ed undecima , le quali sono quelle fornite di più breve apofisi trasversa. La 5°, 6°, 7%, 8* e 9° sono le apofisi trasverse che hanno la superficie articolare più ampia: non presentano però al disotto nè l’intaccatura, nè il solco che offrono quelle della B. mysticetus. La maggior larghezza e robustezza la si nota nell’ ottava e nona apofisi trasversa. L'ottava e la nona sono le due ultime vertebre dorsali in cui l’apofisi muscolare od accessoria è ancora fusa coll apofisi trasversa (fig. 1-2, Tav. VII). Nella decima (fig. 3-4, Tav. VII) l’apofisi accesso- ria è già ben manifesta, distinta dalla trasversa, ciò che il Prof. Cope ha pel primo parimente notato nell’ esemplare di Filadelfia. La 4°,5° e 6° sono le apofisi trasverse che colla loro estremità si elevano a maggiore altezza. Non è però raro il caso di vedere che nella stessa vertebra l’ apofisi di un lato è più bassa o più alta di quella dell’altro lato. Nelle prime undici le apofisi trasverse sono sempre rivolte all’innanzi, nella dodicesima sono perpendicolari al corpo della vertebra, e nella tredicesima sono già rivolte posteriormente. AI pari delle precedenti, anche dall’arco piglia origine l’apofisi trasversa della dodicesima, mentre quella della tredicesima si stacca dalla metà superiore del corpo della vertebra. Regione lombare. — Come nelle dorsali, così nelle lombari l’ asse antero-posteriore continua a crescere. Sono le ultime lombari e le sei prime caudali quelle che hanno il corpo più lungo. Il corpo della 1% lombare (Fig. 7-8, Tav. VII) è lungo m. 0,115; alto m. 0,175; largo m. 0,230 Il corpo della 4% » drei ao Wier m.'0,t16; » 10..0,190; . » m..0,230 Il corpo della 13* » È ao en 0130 00230; , » im. 0,270 Il foro vertebrale della 1° lombatg è cre ee e e I 00099 cm. 0; lo Il foro vertebrale della 4° » Bi 05000,» DM. 0,100 Il foro vertebrale della 13° » e o 00 | + m. (0,064. Sulla faccia inferiore ed in vicinanza del margine posteriore il corpo dell’ ultima lombare già presenta due piccole eminenze che dànnosi poi a vedere molto sviluppate sulle vertebre cau- dali successive. Poste tutte le vertebre in serie rettilinea su d’un piano orizzontale e togliendo alle caudali le loro emapofisi si osserva che nelle ultime dieci lombari e nelle tre prime caudali la neuro- spina arriva ad un dipresso alla stessa altezza. — M’affretto ad avvertire che la neurospina del- le tre prime caudali è visibilmente più corta di quella delle lombari precedenti, ma che per con- tro il loro corpo acquista una maggiore altezza. Sono bene sviluppate su tutte le lombari le apofisi accessorie, le quali si vanno grado gra- do avvicinando coi loro estremi. Così mentre nella prima lombare la distanza tra gli estremi delle apofisi accessorie è di m. 0,118, nell’ ultima o tredicesima lombare la distanza si riduce am. 0,073. ATTI— Vol. VII.—-N.° 16. 5 {E Le prime otto vertebre lombari sono quelle che offrono una maggior larghezza. Calcolata da un estremo all’ altro delle loro apofisi trasverse, essa differisce solo di qualche centimetro — Per la 2*, trovo m. 0,61— per la 5° e 7% m. 0,63 — per la 6* m. 0,62. La direzione delle apofisi trasverse varia — Nella prima sono fortemente rivolte all’indietro (Fig. 7-8, Tav. VII): nella seconda e nella terza diminuisce la tendenza a rivolgersi posteriormente: nella quarta esse sono perpendicolari al corpo , e nelle rimanenti vertebre lombari, come nelle vertebre caudali che ancora ne sono fornite, le apofisi trasverse sono tutte rivolte all’imnanzi. Mentre tra la tredicesima lombare e la prima caudale v'ha una differenza di poco momento, sicchè a prima giunta difficilmente si potrebbe stabilire dove finisce la regione lombare e dove principia la caudale, qualora mancassero le emapofisi; la diversità che passa tra l ultima o tredicesima vertebra dorsale e la prima lombare è molto grande. Chiaramente lo mostrano le fig. 5-6 e 7-8 della Tavola VII. Evidentemente la loro maggior differenza si nota nella forma, direzione, lunghezza e larghezza delle apofisi trasverse. Nell’ultima dorsale l’ apofisi trasversa è di 5 centimetri più breve che nella prima lombare. L'apofisi della prima ha alla base la larghezza di m. 0,062, la quale va sempre crescendo sino all'estremità, dov'è di m. 0,102. — L’apofisi della lombare per contro, conservando i suoi mar- gini anteriore e posteriore quasi paralleli, ha la larghezza di m. 0,062 tanto alla base quanto all'estremità. Entrambe le apofisi sono rivolte posteriormente, ma questa tendenza è molto più marcata nella lombare, la quale ha quindi un profilo molto diverso da quello della dorsale (fig. 6-8, Tav. VII). 5 Calcolata tra gli estremi delle due apofisi trasverse, la larghezza della 13* dorsale è di m. 0,50, e quella della 1% lombare è di m. 0,61. Regione caudale. — La Balena di Taranto, al pari della B. mysticetus, possiede 23 verte- bre caudali, di cui le prime dieci sono provviste di emapofisi od ossa a V. Unitamente alle ultime due lombari sono le prime sei vertebre caudali quelle il cui corpo raggiunge la maggior lunghezza (18-14 centimetri).—La 5*, 6° e 7° caudale sono, tra tutte, quel- le il cui corpo ha la maggiore altezza ( 25-26 centimetri ). — Le ultime due lombari e le prime sette caudali sono poi quelle che offrono la maggior larghezza ( 26-27 centimetri ). Il corpo della 1° caudale è lungo m. 0,140 — alto m. 0,240 — largo m. 0,260 » » Da » » m. 0,130 — » Mm. 0,255 a DEIR: 0,260 » » 6° » » m. 0,150 == RI N. 0,260 => I. 0,270 » » De » » m. 0,120 == NOCI 0,259 a TU 0,260 » #0 018 » » m. 0,090 — » m. 0,235 — » m. 0,230. Il foro vertebrale della 1° caudale è . . . » m.0,077— » m. 0,060 » » RO » 20000» Rx 0,058- 1» 1.-0,055 » » SID a » m. 0,048 — » m. 0,048 » » "TRENI N; » » m. 0,045 — » m. 0,038 » » » 11° » PRBGELOR e BE PE IL 0,018 Fo ti 0,025. Se si fa eccezione della 22° e 23*, le sei ultime vertebre cioè la 16°, 17°, 18%, 19%, 20° e 21°, viste di fronte, presentano una figura quadrilatera con gli angoli smussati. Tre lati e quindi la faccia superiore e le due laterali sono sufficientemente piane, il quarto cioè la faccia inferiore of- fresi più o meno convessa. La neurospina perde gradatamente in altezza e nell’undecima caudale ossia nella trentaset- tesima dopo le cervicali, come pel primo notò il Prof. Cope, si osserva l’ultima neurospina. Nella dodicesima le due apofisi spinose non si riuniscono sulla linea mediana: la minor distan- za, che intercede, è di m. 0, 007. Nelle prime cinque caudali le apofisi accessorie sono marcatamente più sviluppate, più ro- Vidrri PIE 117 VA buste, più divaricate di quelle delle ultime vertebre lombari — Sulla nona caudale sono ancora bene accennate e l’ultimo loro rudimento dassi a vedere sulla decima. La distanza tra i due estremi delle apofisi accessorie è nella 1* caudale di m. 0,080 a" 2 ed » » 0,088 » 4° » » 0,096 Mad » » 0,109 » 6° » » 0,100 ali de » i ALZA Continua il graduato raccorciamento delle apofisi trasverse già segnalato sulle sei ultime lombari. L'ottava e la nona caudale sono quelle che ne presentano gli ultimi rudimenti. Come nella B.mysticetus, l'arteria spinale che nelle prime quattro vertebre caudali passava al davanti dell’apofisi trasversa prima di penetrare nello speco vertebrale, la si vede passare di- rettamente attraverso la base dell’apofisi trasversa della quinta caudale, disposizione che il Prof. Cope ha parimente indicato nello scheletro del Museo di Filadelfia '). Questo foro va bel bello avvicinandosi sempre più al canale formato dalle apofisi articolari con cui pigliano rapporto le emapofisi. Nell’ 11* vertebra caudale le due apofisi articolari tanto del lato destro quanto del sinistro (Tav. VII, fig. 5-6) sono ancora distanti fra di loro, ma nella 12° quelle del lato sinistro si sono talmente ravvicinate che v'ha fra loro la distanza di 5 millimetri soltanto, e quelle del lato destro si sono unite cosicchè il canale da esse limitato è completamente chiuso. Nelle successive vertebre caudali colla completa scomparsa delle apofisi articolari scompare ogni traccia di canale e di solco, e l'arteria spinale, come segue nelle altre specie congeneri, tra- versa sui due lati quasi verticalmente il corpo della vertebra, penetrando dal disotto ed uscendo sopra il corpo della vertebra. A partire dalla 13° la faccia inferiore e superiore delle vertebre caudali presenta così due fori: quelli della faccia inferiore sono fra loro molto più distanti che i corrispondenti della faccia superiore. Questi fori cessano di essere ben distinti solo sulle ultime due caudali (fig. 7, Tav. VII). Ematoapofisi.—Sono 10 e colla maggior probabilità nessuna di esse andò smarrita. La 2°, 3°, 4° e 5° sono le più lunghe. La maggior lunghezza della loro faccia o metà sinistra è in tutte quattro di m. 0,15. La 3°, 4,5%, 6° e 7° sono le più larghe. Calcolando la loro larghezza verso la metà della loro lunghezza, trovo in tutte m. 0,08. Le due metà della 6* hanno forma notevolmente diversa pel fatto che i margini longitudinali od antero-posteriori di una di esse (la destra) sono molto più incavati di quelli della metà corrispondente. In seguito alla macerazione ed alle scosse del trasporto, la nona ematoapofisi è l unica che non ha lasciato il suo posto: aderisce cioè ancora alla robusta cartilagine che separa la nona dalla decima vertebra caudale. Solo le due metà della prima e dell'ultima ematoapofisi presentansi separate. Quelle della 10° si possono dire di forma ovale: sono un po’ più larghe che lunghe: misurano in larghezza m. 0,07 ed in lunghezza m. 0,06. Le due metà della prima ematoapofisi sono per contro di grandezza diversa. L’una è larga m. 0,115 e lunga m. 0,08, l’altra è larga solo m. 0,095 e lunga m. 0,07 ?). 1) Non torna inutile 1’ avvertire che nello scheletro di Napoli la quinta caudale ha la sua apofisi trasversa sinistra normalmente trapassata alla base dall’arteria spinale, ma che sul lato destro l’ apofisi trasversa è in certo modo incompleta: manca ad essa la piccola porzione che pre - cede il foro. Il foro è, per così esprimermi, al suo posto, ma non è chiuso anteriormente. 2) Può questa diversità di grandezza far nascere il sospetto che una metà delle due prime ematoapofisi sia andata perduta. Se così fosse, le vertebre lombari invece di 13 sarebbero 12 e le caudali invece di 23 sarebbero 24. Le misure poi date per la 13* lombare spetterebbero alla 1% caudale, e quelle della 12, 5*, 6*, 72, 11* caudale apparterrebbero precisamente alla 2*, 6%, 78 8° e 12°. * SIR Coste.—Lo scheletro di Napoli, al pari di quello di Filadelfia ha 14 paja di coste. Lo schele- tro del Balenotto di San Sebastiano, oggi nel Museo di Copenaghen, ne ha invece 15 paja. È molto probabile che anche nella Balaena biscayensis si verifichi pel numero delle coste l’ oscilla- zione notata nella B. mysticetus. Van Beneden ci fa sapere che lo scheletro completo della Balena della Groenlandia esistente in Londra ne ha 12, quello di Lovanio 18, e quello di Bruxel- les 14 a sinistra e 18 a destra. Le coste dell'ultimo pajo, il quattordicesimo, sono coste accessorie. Esse non articolavano direttamente coll’apofisi trasversa della prima vertebra lombare e, paragonate con quelle del pajo precedente, il 13°, offrono una serie di rimarchevoli differenze nello sviluppo e nella forma. Così mentre la 13° costa destra è in linea retta lunga m. 0,90 e, seguendo la curva esterna, m. 1,08, la 14° costa destra misura in linea retta solamente m. 0,38 e, seguendo la curva esterna, m. 0,40. La 13° costa termina tronca e sì contorce su se stessa in modo che la faccia esterna si fa to- talmente interna e viceversa: invece la 14* costa, appiattita e leggermente curva, termina assotti- gliata ed in punta ed ha la superficie interna liscia, levigata e non è contorta (Tav. V, fig. 2-3). La 14° costa del lato sinistro è un po’ più corta, ma un po’ più larga della corrispondente de- stra. La sua lunghezza è di m. 0,34 in linea retta e di m. 0,35 seguendo la curva esterna. La sua larghezza poi, calcolata verso la sua metà, è di m. 0,033 e la circonferenza di m. 0,08. La larghezza della 14* costa destra è invece soltanto di m. 0,028 e la circonferenza di m. 0,07. Che la 14° sia una costa accessoria lo si rileva tosto ispezionando la colonna vertebrale. In effetto, tra l’apofisi trasversa della 13° od ultima vertebra dorsale e quella della prima lombare v'ha tale differenza nella forma, direzione, lunghezza e larghezza che, a colpo d’occhio, senza sa- pere quante siano le coste, si può stabilire dove termina la regione dorsale , e dove principia la lombare. Si sono in Europa scoperte e qua e là si potranno scoprire altre coste di Balene, le quali a prima giunta lasciano sospeso il giudizio a quale specie debbansi riferire. Per rendere più age- vole il confronto con quelle della Balaena biscayensis reputo conveniente il far conoscere tanto la lunghezza in linea retta e seguendo la curva esterna, quanto la misura della circonferenza, cal- colata sull’estremo inferiore e verso la metà della lunghezza, di tutte le coste d’un lato dello sche- letro di Napoli (Si consultino per le coste le figure della Tavola VI). Lunghezza delle coste del lato destro Loro circonferenza in linea retta seguendo la curva esterna verso la metà sull’estremità inferiore 1* Costa metri 0,66 metri 1,00 metri 0,17 metri 0,23 DE » » 0,88 » 1,40 » 0,19 1) » 0,185 SATA ch Aido li allulb 10 pati i0118 o 1 DAB e APT) » 1,00 » 1,86 » 0,17 » 0,20 5° » pUOS11103 RENE, lai) fo pin ara 6° » » 1,04 » 2,01 » 0.179 » 0,175 the dt ta » 1,03 » 2,00 » 0,17 » 0,17 bo at GEO. » 1,00 » 1093 » 0,16 » 0,135 gates » 0,97 » 1,83 » 0,16 » 0,14 10%» » 0,96 » 1,71 » 0,16 » 0,185 11° » ni tr 0496 ni (ot, 60 sali » 0,135 12 » » 0,97 » I » 0, 16 » 0,13 iano o 0,90 » 1,08 ARTO » 0,09 {ZE d » 0,38 » 0,40 » 0,07 » 0,05 Io son disposto a ritenere che nessuna ematoapofisi siasi smarrita, poichè solo sulla precedente vertebra, la 13% lombare, sulla faccia infe- riore ed in vicinanza del margine posteriore del corpo cominciano a mostrarsi separate le due apofisi articolari che raggiungono poi un note- vole sviluppo nelle successive caudali. E d’altro canto merita certo maggior considerazione il fatto della differenza delle apofisi accessorie tra l’ultima lombare e la prima caudale. In questa sono molto più sviluppate, robuste, divaricate che in quella. Colla 13% lombare termina il graduato ravvicinamento ed impiccolimento delle apofisi accessorie che notasi nelle vertebre precedenti: nella 1% caudale ricomincia, con un distacco no- tevole, l'accrescimento ed il divaricarsi delle medesime che raggiunge il suo massimo sulla 5* caudale. 1) Sulla costa sinistra la circonferenza verso la metà è soltanto di m. 0,175. MII: gp dell Molteplici sono le considerazioni che questo specchietto suggerisce. Noterò qui soltanto ric sultare dal medesimo che nella B. biscayensis la sesta è la costa che arriva al maggiore sviluppo in lunghezza, e che in lunghezza e spessore ben poco differiscono dalla sesta tanto la quinta quanto la settima costa. Seguendo la retta, la minor distanza tra gli estremi della 3*, 4% ed 8% costa è la stessa, cioè 1 metro, e la circonferenza calcolata verso la metà della lunghezza della 8%, 9%, 10%, 11° e 12° è sempre rappresentata da m. 0,16. La prima costa non offre indizio alcuno di bifidità sul suo estremo superiore. Le tre prime coste non hanno capo nè collo: la 4*, 5°, 6%, 7° ed 8% sono le coste che hanno il collo bene accennato. La seconda e la terza del lato destro cominciano con una punta 0 processo molto acuto che manca alla seconda ed è assai più corto nella terza del lato sinistro. Le tre pri- me coste si presentano appiattite; la loro larghezza va man mano crescendo dall’estremo supe- riore all’inferiore. Le otto coste seguenti terminano cilindriche o quasi cilindriche. Sul lato de- stro quelle che hanno la loro estremità inferiore, che meglio ricorda la cilindrica, sono la quinta e la sesta. Nella 12* e 18* l'estremo inferiore, presentasi nuovamente appiattito. La larghezza sul- l'estremo inferiore della 1% costa è di m. 0,10, quella della seconda m. 0,08, della terza 0,09, della dodicesima 0,06, della tredicesima 0,05. È bene avvertire che la maggior larghezza delle tre prime coste non si trova sull’estremo inferiore, ma ad una piccola distanza dal medesimo. Così a 10 centimetri di distanza dall’ estre- mo inferiore della prima e terza costa la larghezza è di m. 0,11 in quella e di m. 0,10 in questa. Alla distanza poi di 20 centimetri dall’ estremo inferiore, la larghezza della seconda costa è di m. 0,10. La 13° costa è senza dubbio la più contorta. Si contorce su se stessa in modo che la faccia esterna si fa totalmente faccia interna e viceversa. Stese le coste sul suolo accanto alla colonna vertebrale in modo che colla loro concavità guardino all’ innanzi e che le loro estremità inferiori siano le piu vicine alla colonna vertebrale, si osserva, che tanto nella serie destra, quanto nella sinistra le tre prime toccano il suolo colle loro due estremità (facendo qui astrazione dalla distanza di 1-2 centimetri tra il suolo ed il loro estremo inferiore, ciò che debbesi attribuire al fatto che la loro maggior larghezza si rinviene un po’ prima della loro estremità inferiore), che le nove coste successive, toccando tutte il suolo col loro estremo inferiore, tutte s innalzano a 12-16 centimetri di distanza dal suolo col loro estremo superiore e che nella tredicesima, segue il rovescio, toccando essa il suolo coll’estremità superiore e sollevandosi sul medesimo colla sua estremità inferiore. Sterno.—Lo sterno della B. biscayensis si distingue tosto da quello della B. mysticetus, austra- lis ed antipodum per essere più largo che lungo. La sua forma poi è molto diversa da quella dello sterno del Macleayius australiensis, la cui larghezza supera parimente la lunghezza '). Non tenendo calcolo delle parti cartilaginee che ancora v aderiscono lo sterno dello schele- tro di Napoli ha la lunghezza di m. 0,145: sulla faccia interna la maggior larghezza, calcolata sulla metà della lunghezza e quindi in corrispondenza dei due angoli ottusi costituiti dall’ incon- tro dei due margini laterali anteriore e posteriore, è di m. 0,180. La faccia esterna dello sterno è un po’ più ampia. La sua larghezza è di m. 0,190. La faccia interna è lievemente concava nel senso della larghezza , e la faccia esterna leg- germente convessa. Quanto alla forma, la faccia interna risveglia l’idea d’un pentagono dagli angoli smussati, avente il lato anteriore concavo, i due lati laterali anteriori, coi quali s'uniscono le estremità sternali del primo paio di coste, ad un dipresso retti, il margine laterale posteriore sinistro leggermente incavato ed il margine laterale posteriore destro lievemente convesso. La faccia esterna per contro presentasi cuoriforme , dirò meglio, ha la forma del cuore di una carta da giuoco. Il suo margine anteriore è ancora incavato : il laterale destro è convesso e del margine la- 1) J. E. Gray, Notice on the Skeleton ece. Proceedings Zool. Soc. for 1873, pag. 139, fig. 3. CEE terale sinistro la metà anteriore è convessa e la metà posteriore incavata. L'altezza o spessore dello sterno è di m. 0,035. Scapola. — Nella B. biscayensis la scapola ha una forma veramente caratteristica. Ben a ra- gione Van Beneden e Paul Gervais hanno affermato che nei cetacei l’omoplate nous fournit des indications utiles pour la distinction des genres et des espèces. Nella Balena dei Baschi la scapola è più larga che lunga '). Calcolandola sulla scapola de- stra trovo che la larghezza o maggior asse antero-posteriore è di m. 0,70, e la lunghezza o mag- gior asse verticale è di m. 0,50. V’ ha quindi una differenza di m. 0,15. Questa stessa differenza notasi nello scheletro di Filadelfia. Di vero fin dal 1865 il Prof. Cope ci ha fatto sapere che la larghezza della scapola di quell’esemplare è di pollici 29 (m. 0,737), e che la lunghezza è di pollici 23 (m. 0,585). Differenza m. 0,152. Nella scapola sinistra dello scheletro di Napoli trovo tra la larghezza e la lunghezza la dif- ferenza di m. 0,14. La faccia esterna presenta sulla parte espansa una larga depressione centrale. La faccia in- terna per contro presentasi piana su tutta la parte centrale, mediana, e fornita di due leggiere depressioni, l'una sul terzo posteriore, l’altra sul terzo anteriore. La maggior depressione sulla faccia esterna è di m. 0,02: quella della faccia interna è di m. 0,015 sul terzo posteriore e di m. 0,010 sul terzo anteriore. Il margine superiore ha un decorso assai flessuoso. Il margine posteriore ha un decorso quasi rettilineo nella sua metà superiore ed: è profon- damente incavato nella sua metà inferiore. Se si fa astrazione da qualche lieve sinuosità , anche la metà superiore del margine ante- riore decorre rettilinea e, come nel caso precedente, diviene poi profondamente incavato nella metà inferiore. Nella scapola destra la distanza in linea retta tra gli estremi del margine posteriore è di m. 0,45, e di m. 0,36 pel margine anteriore. Differenza m. 0,09. Nella scapola sinistra la differenza tra i due margini è solo di m. 0,07. Seguendo la curva del margine superiore trovo m. 0,85 nella destra e m. 0,83 nella sca- pola sinistra. L'asse maggiore della cavità articolare è di m. 0,23 e l’asse minore, perpendicolare al pri- mo, è di m. 0,18. La maggior depressione della cavità articolare è di m. 0,025. Nessun rudimento di apofisi coracoide. L'acromio è lungo 11-12 centimetri, è alto 6 cen- timetri ed ha i margini superiore ed inferiore quasi paralleli. L'acromio, dando alla scapola una posizione verticale, scende dolcemente dall’alto al basso e termina tronco. Su entrambe le scapole notasi un primo rudimento di spina, la quale si continua poi col margine superiore dell’ acromio. Lo spessore calcolato sul margine superiore si mostra assai vario. Verso il mezzo non ar- riva a m. 0,04 e verso gli estremi giunge a m. 0,06. Il peso della scapola destra, la cui macerazione è quasi completa, è di chilogrammi 7,320. Essa pesa 380 grammi più della scapola sinistra. Evidentemente, facendo il confronto colle altre balene, è la scapola del Macleayius austra- liensis, anch'essa più larga che lunga, quella che maggiormente somiglia all’omoplata della B. bi- scayensis. È agevole però il distinguerle.Nel Macleayiusl’acromio nasce ad una distanza maggio- re dalla cavità articolare, termina acuminato e scende dall’alto al basso molto più marcatamente che nella Balena dei Baschi. Conseguentemente i due angoli che l acromio fa col margine ante- riore della scapola sono assai diversi nelle due specie. S'aggiunga che nel Macleayius australiensis la distanza in linea retta tra i due estremi del lato anteriore della scapola è maggiore di quella 1) Anche nella Balaena mysticetus la larghezza supera la lunghezza della scapola, ma la differenza è piccolissima. Nello scheletro completo che l’Università di Lovanio possiede di questa specie il Prof. Van Beneden ha trovato una lunghezza, non tenendo conto della cartilagine, di m. 1,10 ed una larghezza massima di m. 1,12 (Osteographie des Cetaces, pag. 88). 227; pa che separa i due estremi del margine posteriore, mentre nella £. biscayensis ha luogo il contra- rio. Finalmente vuolsi ancora ricordare che la differenza tra la larghezza e la lunghezza della scapola nel Macl/eayius è assai minore di quella che ho precedentemente indicata per la Balena dei Baschi. Di vero il Prof. Gray ha notificato che nella scapola del M. australiensis la larghezza è di 27 pollici (m. 0,686) e la lunghezza di 25 pollici (m. 0,635).La differenza si riduce quindi soltan- to a 51 millimetri, mentre che nella B.0iscayensis la larghezza supera la lunghezza di 15 centim. Arto toracico.—Dalle misure prese in Taranto quando la Balena era intiera risultò che la lun- ghezza dell’arto toracico era di m. 1,85 e che la maggior larghezza della pinna pettorale era di m. 1,00. Presentemente dopo la macerazione e l’essiccamento dei legamenti e delle cartilagini, l’arto destro dalla sommità della testa dell’ omero alla punta della fibro-cartilagine, che dà termine al dito medio, misura m. 1,50. È interessante il sapere che quando il Prof. Capellini misurò in Taranto lo scheletro dello stesso arto, mentre le cartilagini del carpo e delle dita erano ancora molli e gonfie, la lun- ghezza dell’ arto era di m. 1,70. Coll’essiccarsi e raccorciarsi delle parti molli l’arto ha quindi perduto in lunghezza m. 0,20 !). Quanto alla maggior larghezza rammenterò che dall’ estremità dell'ultima falange del mi- gnolo all’estremo del metacarpo del pollice v' ha la distanza di m. 0,56. L’omero, come nelle specie congeneri, è corto, grosso, massiccio e profondamente incavato sui due margini anteriore e posteriore. La retta, che unisce la sommità della testa coll’angolo ottuso posto tra le due facce artico- lari inferiori, è lunga m. 0,85. La circonferenza del capo articolare dell’omero unitamente alla tuberosità anteriore del medesimo è di m. 0,75. La circonferenza calcolata sul mezzo, cioè sulla parte più ristretta della diafisi, è di m. 0,45. Misurata sul margine esterno o dorsale ed in linea retta, la larghezza della faccia articolare dell’omero col radio è di m. 0,15 e supera di circa 3 centimetri la larghezza della faccia artico- lare col cubito. Il radio è lungo m. 0,37; oltrepassa quindi soltanto di 2 centimentri la lunghezza del- l’omero. La larghezza del radio varia nei suoi due estremi. In linea retta sull’estremo superiore è di m. 0,18; sull’estremo inferore di m. 0,24. Seguendo poi la curva, dal margine posteriore all’an- teriore trovo per l’ estremo superiore m. 0,24, per l’ estremo inferiore m. 0,30, e verso il mez- zo, nella parte più ristretta, m. 0,20. Il margine anteriore è assai meno incavato del posteriore; questo in linea retta misura m. 0,27, quello m. 0,39. Il margine esterno ® dorsale inferiore del radio presentasi poi molto più convesso di quello corrispondente del cubito. Sulla faccia palmare, il margine inferiore del radio è meno convesso. Il cubito è lungo m. 0,30, e conseguentemente è di 5 centimetri più corto dell’ omero. Quanto alla sua larghezza, seguendo la curva, dal margine anteriore al posteriore, trovo sull’estremo superiore m. 0,17; sul mezzo m. 0,10; sull’estremo inferiore m. 0,21. I suoi margini laterali sono, al pari di quelli del radio, profondamente incavati ; il poste- riore molto più dell’anteriore. Come dalla fig. 1, Tav. IX ben si rileva, l’apofisi o processo olecranico della B. biscayensis è pochissimo sviluppato. La maggior distanza che separa verso il mezzo il radio dal cubito è di m. 0,06 ed è di un centimetro e mezzo minore della larghezza del cubito. Per istudiare e convenientemente descrivere il carpo è mestieri che esso non sia completa- mente essiccato. Nessuno sventuratamente pensò , mentre gli arti erano ancora freschi ed i 1) Lo scheletro dell’arto destro pesa chilogrammi 18,400 e supera di 1690 grammi il peso di quello dell’arto sinistro. fn compartimenti cartilaginei ben distinti, a fare un modello in gesso del carpo, come il Prof. Va n Beneden fece saggiamente praticare per quello della B. mysticetus il cui completo scheletro fi- gura in Lovanio. Nulla posso , di conseguenza , dire intorno al numero, alla forma, allo svilup- po, al rapporto che le ossa del procarpo e del mesocarpo hanno fra loro e coi compartimenti car- tilaginei tra cui sono nascosti. Accennerò qui solamente che sul margine posteriore del carpo dell'arto destro notasi una sporgenza cartilaginea, la quale probabil mente possiede alla sua base un piccolo osso rappre- sentante del pisiforme. Questa sporgenza non si dà a vedere sul carpo dell’ arto sinistro. Il metacarpo è composto da cinque ossa ben distinte e varie per lunghezza e spessore. L’osso più corto è quello che corrisponde al pollice: segue poi quello del mignolo e del medio. Calcolata sulla faccia dorsale e sulla linea mediana, la lunghezza delle altre due ossa del me- tacarpo è pressochè eguale (12 centimetri). Sulla faccia palmare a colpo d’ occhio si rileva che l'osso metacarpeo dell'indice è il più lungo e misura 12 centimetri, mentre quello del dito medio misura soltanto m. 0,10 ed ha lun- ghezza parimente eguale a quella dell'osso metacarpeo del mignolo. Quanto alla grossezza delle ossa del metacarpo debbesi in primo luogo collocare quello del- l’indice, poi quello del dito medio e dell’anulare. Nell’ arto destro tutte le falangi sono al loro posto, e l’ultima dell'indice, medio ed anulare possiede anzi la fibro-cartilagine che le fa seguito (Tav. IX, fig. 1). Il numero delle falangi è il seguente: Il medio ne ha 5, l’indice 4, l’anulare ed il mignolo 3. Il pollice non ne ha e non ne aveva, mi si disse, neanco in Taranto. Nell’arto sinistro il pollice ha conservato all'estremità inferiore del metacarpo la cartilagine, la quale termina spezzata, e ciò mi fa supporre che probabilmente anche il pollice possedeva una piccola e breve falange. Qualora realmente il pollice della B. biscayensis non possedesse falange di sorta, si rinnove- rebbe in essa la disposizione che fu segnalata nel pollice della B. mysticetus. Qualora poi anche il pollice fosse fornito di una falange, la mano della B. biscayensis pel nu- mero delle falangi delle sue dita s' accorderebbe perfettamente con quella della B. antipodum, colla sola eccezione che l’anulare di questa avrebbe 4 invece di 3 falangi. La mano della B. biscayensis subito si può distinguere da quella della B. australis e della B. antipodum per la direzione del dito mignolo. In queste due ultime specie il mignolo, astrazion fatta dal pollice, ha un decorso pressochè parallelo alle altre dita: invece nella B. biscayensis, mentre l'indice, il medio e l’anulare corrono quasi paralleli , il dito mignolo molto s’ allontana , molto diverge dalle tre altre dita. Questa marcata divergenza del mignolo assai probabilmente è causa dell’ intaccatura, della smarginatura che si è notata nel margine posteriore dell’arto quando era tutto intiero (Tav. IX, fig. 2). , Per quanto spetta alla lunghezza delle dita, comprendendovi anche le ossa del metacarpo, presentemente si trova pel medio m. 0,60, per l’indice 0,50, per l’anulare 0,40, pel mignolo 0,33. Bacino. —Delle ossa rappresentanti il bacino se n'è raccolto un solo. La fig. 1, Tav. V ne fa conoscere la sua grandezza naturale e tutte le sue più salienti parti- colarità. È un osso appiattito con una faccia leggermente concava e coll’altra lievemente convessa. La sua forma si può dire triangolare od anche quella di un V dalle gambe corte, diseguali e molto divergenti. I suoi due estremi terminano tronchi ed erano certamente forniti di una car- tilagine. Un'altra cartilagine esso possedeva verso la sua metà, come ben si rileva dalle piccole ca- vità e protuberanze che l’osso presenta e che nella figura furono accuratamente indicate. È lungo m. 0,145; la sua maggior larghezza è di m. 0,054, ed il suo maggior spessore è di m. 0,014. c'e Volendo paragonare quest’osso triangolare a qualcuno di quelle rappresentanti il bacino e l'arto posteriore rudimentale della Ba/aena mysticetus, le quali furono con tanta diligenza e suc- cesso ricercate, figurate e descritte dall’ Eschricht, dal Reinhardt e dal Van Beneden, si può dire che esso rappresenta l’osso ischiatico. Fanoni Staccati intieri dalle ossa mascellari, i due sistemi di fanoni furono in Taranto collocati en- tro una soluzione di allume. In Napoli, per liberarli da migliaja di larve di ditteri e di coleotteri da cui erano stati invasi, furono le loro basi immerse per alcuni giorni nell’alcool entro una lunga cassetta appositamente costruitasi. Esposti successivamente all’ aria ed al sole, i fanoni secca- rono completamente senza che alcuno siasene smarrito o guasto. Appena staccato dalle ossa mascellari, ogni sistema — seguendo la curva d’inserzione sul rostro — misurava m. 2,30. In Napoli, dopo l’ essiccamento , misura soltanto m. 2,13. Per adattarsi alla forma delle ossa mascellari, l estremo posteriore di ciascun sistema (fig. 3a, Tav.IX), mostra alla base una convessità molto più marcata di quella che notasi nel- l’estremo anteriore. In ogni sistema contansi 240 lamine, ma si noti che i fanoni dei due estremi, e preci- samente i tre primi anteriori e gli ultimi sette posteriori, sono piccolissimi: la loro larghezza non oltrepassa il centimetro, la loro altezza o lunghezza oscilla fra 4 ed 11 centimetri e sono quindi più piccoli di molte lamine accessorie, che svolgonsi accanto e precedono — procedendo dall’interno verso l’ esterno — il vero fanone ’). Nel mezzo del sistema trovansi i fanoni più sviluppati (Tav. IX, fig. 4-5), ma la loro lun- ghezza non oltrepassa m. 0,80. La loro base ha la larghezza di m. 0,12 e, alla metà della loro lunghezza, di m. 0,05. La forma dei fanoni varia secondo il posto che essi occupano. Considerando l’intiero siste- ma nella sua posizione normale e cominciando ad enumerare i fanoni dall’estremo posteriore, si scopre che i primi cento hanno il margine integro od esterno convesso (Tav. IX, fig. 4), men- tre il loro margine sfilacciato od interno presentasi concavo. A misura che si passa all’ esame delle lamine mediane, le quali sono le più lunghe , la convessità del loro margine esterno e la concavità del loro margine interno scompare (Tav. IX, fig. 5) e, finalmente , esaminando i fa- noni dell’ estremo anteriore si rileva che il loro margine esterno s'è fatto gradatamente sempre più concavo ed il loro margine interno sempre più convesso (Tav. IX, fig. 6). Senza dubbio ispezionando lamine isolate, appartenenti ai due estremi di uno stesso siste- ma, senza por mente alla diversità di forma che esse posseggono, secondo il posto che nella se- rie occupano , si correrebbe il rischio di ritenerle proprie di specie diverse. Il colore, che i fanoni essiccati offrono , varia: gli uni sono uniformemente neri, gli altri sono di color nero-grigiastro. Le sottili sfilacciature di ogni fanone son brune-rossicce e , ispe- zionandone l’apice, si trova sfilacciato un po’ anche il margine esterno di ciascuna lamina. Nell’isolare, dopo l’essiccamento e collo scopo di farle fotografare, alcune tra le più lunghe lamine, notai —contemporaneamente al mio egregio amico, Dott. Vincenzo Alesi, il quale gen- tilmente mi coadiuvava in questa difficile separazione — che ognuna di esse alla base si sdop- piava e che saldamente s' univa con una metà colla precedente e coll’ altra metà colla base sdop- piata della lamina seguente. Ogni fanone possiede così alla base una cavità nella quale , com’ è noto, s insinuano papille vascolari. 1) Se non si tien conto alcuno delle piccole, numerose e ben distinte lamine accessorie che — internamente — svolgonsi accanto ad ogni fanone, allora si potrà comprendere la strana figura di uno dei fanoni più lunghi fatta di pubblica ragione dal chiarissimo Prof. Capellini; allora si potrà del pari agevolmente comprendere quanto l'illustre paleontologo fosse nel vero dichiarando: non essergli mai occorso di nota- re, per quanto ricordava, nella bella collezione di fanoni del museo imperiale di Vienna e di molti dei principali musei d’ Europa fanoni di vere balene che per la forma e per le dimensioni avessero che fare con quelli della Balena presa a Taranto. ATtTI— Vol. VII —N.° 16. 6 Cuore Nessuno ignora quanto presto le Balene cadano in putrefazione. I visceri della Balena di Taranto, morta nella sera del dì 9 febbrajo, furono estratti soltanto nel giorno 12. Inviate dal Prof. Lucarelli, giunsero la sera del 14 in Napoli due botti contenenti il cuore, la laringe, un pezzo di trachea e di polmone, d’esofago, di stomaco, di vagina gli occhi e varì frammenti di cute. Tutti questi voluminosi preparati erano stati ricoperti con 45 chilogrammi di sal comune. Per arrestare la putrefazione , segnatamente nel cuore , il compianto Prof. Panceri s’af- frettò a far immediatamente trasportare nel Laboratorio una grossa botte ferrata, che fu conve- nientemente riempita di alcool e nella quale fu, pel primo e con grande cura, immerso l’enorme, pesantissimo cuore. Ma neanco 160 litri di spirito di vino bastarono a conservare completamen- te quel gigantesco centro della circolazione. Quando fu estratto dal liquido conservatore, le rammollite pareti dei ventricoli qua e là si spezzavano e cadevano in brani al menomo stiramento. Desideroso di farne conoscere almeno la forma ed i rapporti che tra loro avevano l’aorta, l’arteria polmonare ecc., mi affrettai a farne riempire con segatura di legno ben fina e bene asciutta le orecchiette, i ventricoli e tutto l'apparato vascolare arterioso e venoso, di cui il cuore era fornito. Vincenzo Coppola, che l'aveva estratto dalla cavità toracica e che l aveva poi ammirato galeggiante per qualche tempo nell'acqua a Taranto, compì il riempimento cardiaco con una diligenza speciale e con un risultato che superò l’aspettazione di tutti. Fu tosto chiamato il valente disegnatore Salvatore Calyò il quale, salito sopra un tavolo ai cui piedi giaceva il cuore, eseguì col più grande impegno i due disegni che ognuno potrà ammirare nelle figure 1-2 della Tavola VII. La figura 1 rappresenta il cuore, nella proporzione di ‘/,, visto dalla faccia superiore o dorsale : la figura 2 ne mostra la faccia inferiore 6 sternale. Esposta successivamente quell’enorme massa ad una corrente d’aria ed avendo cura di rin- novare la vecchia, imbibita di grasso, con nuova segatura le sue pareti auricolo-ventricolari e quelle dei tronchi vascolari venosi ed arteriosi s'indurirono, essiccandosi quasi completamente senza perdere la loro forma. Con rara abilità ed intelligenza il Prof. Lucarelli riparò in se- guito i guasti delle pareti cardiache e, da lui montato, il cuore della Balena di Taranto —l’unico della Balena biscayensis che, per quanto mi sappia, conservisi nei musei zootomici d'oltralpe e d’oltremare — figura oggi bellamente tra le più ammirevoli, preziosissime preparazioni a secco di questo R. Gabinetto d’ Anatomia comparata. Come dalle figure 1-2 della Tavola VIII chiaramente appare, il cuore della Balena dei Ba- schi è appiattito, assai corto, e molto largo. La sua larghezza è di m. 0,88. Dal suo margine posteriore alla sommità dell'arco dell’aorta v ha la distanza di m. 0,83. La sua periferia tra- sversa è di m. 1,35. Il ventricolo destro raggiunge a un dipresso le dimensioni del sinistro , ciò che d’ordinario segue nei mammiferi che si sommergono. Sul mezzo del margine posteriore cardiaco osservasi una smarginatura, la quale, più pronunziata in qualche altro vero cetaceo, p.es., nella Phocaena communis, tocca poi il suo massimo nel cuore dei cetacei erbivori o sirenidei. Di vero nel la- mantino la divisione tra i due ventricoli si estende per una metà e nel dugongo quasi per due terzi. In corrispondenza colla smarginatura e col setto interventricolare notasi sulle due facce del cuore un ampio solco, ma poco profondo, che mostrasi meglio accennato nella sua metà po- steriore. Sulla faccia superiore (Tav. VHI, fig. 1), si distingue bene la maggior parte dell’orecchietta o seno destro (a), il quale è piccolo relativamente alla grandezza del ventricolo, e l’origine del- l'arteria polmonare (5), che negli altri mammiferi si vede invece apparire sulla faccia inferiore. Su questa faccia (Tav. VIII, fig. 2), scorgesi tutto il seno sinistro (c). Sulla medesima faccia notasi un grande foro (0), col quale erano in rapporto le vene cave: ma intorno a questo rap- porto nulla posso precisare non essendosi delle cave conservata traccia alcuna. € TEA LEAD: La periferia dell’aorta (4), è di m. 0,65 calcolata all'origine del tronco brachiocefalico (e), è di m. 0,57 calcolata sopra l’ origine dello stesso tronco innominato. Immediatamente prima dell’origine della carotide sinistra (/), la periferia dell’aorta è di m. 0,44: subito dopo la suc- clavia sinistra (9), è ancora di m. 0,34: ma alla distanza di 20 centimetri dall’origine della suc- clavia sinistra, essa non oltrepassa m. 0,21. Calcolata sopra la sua origine, la periferia dell'arteria polmonare (0), è di m. 0,53. Il suo ramo sinistro (4), misura m. 0,33 ed il suo ramo destro (7), m. 0,36. Come nell'uomo, nel scimpanzé, nel castoro, nel wombat, nei monotremi, dall’ arco del- l’aorta della Balena dei Baschi spiccansi tre tronchi, già segnalati, il brachiocefalico (e), la ca- rotide sinistra (/) e la succlavia sinistra (9). Calcolata verso la metà, la periferia del tronco brachiocefalico è di m. 0,26: quella della succlavia destra di m. 0,15: quella della carotide destra di m. 0,18: e finalmente , quella della carotide sinistra di m. 0,22. Il minor calibro della carotide destra si può spiegare ponendo mente alla grandezza maggiore della succlavia destra che dava probabilmente un’intervertebrale di grosso calibro. Trachea La figura 8 della Tavola VIII, mostra nella proporzione di '/, un pezzo di trachea, la bifor- Ò ) 7 o) cazione dei bronchi e l’ origine dei loro rami secondarî. S' avverta che il disegno , copiato dalla fotografia, fu eseguito dopo che il preparato erasi completamente prosciugato. Quando questo Ò 2 Ì 3 [»i [ pezzo giunse in Napoli era ancora fornito di un brano di parenchima polmonare, che per la sua avanzata corruzione si dovette tosto gettare. Uno sguardo alla figura summenzionata lascia subito comprendere quanto il bronco destro Ò Ò fosse più sviluppato del sinistro. Dall ultimo tratto di trachea, che precede la divisione dei bronchi, non si diparte alcun bronco accessorio, quale s'osserva, p. es., nel delfino, nel marsovino, il cui bronco accessorio ) I ’ b o) v) ’ destinato al lobo polmonare superiore destro, s' origina alla distanza di quattro anelli dalla bi- forcazione della trachea. La mia nomina a professore di Zoologia e di Anatomia comparata nella R. Università di Genova mi ha impedito di studiare, per quanto lo consentiva il loro assai mediocre stato di con- servazione, un pezzo d’esofago, di stomaco, la laringe e gli occhi di questa interessantissima Balena rediviva. Nemo ea omni parte beatus. Ma se sono dolente di non poter oggi far conoscere (quand’anche avessi l opportunità di valermi dei pochi organi raccolti in parte incompleti e tutti poi, lo ripeto, sventuratamente mal conservati) « tutto quanto si riferisce alla splancnologia, neurologia, organi dei sensi, ecc. ecc. », della Balena catturata nel porto di Taranto, mi è però di non lieve conforto l assicurar nuova- mente i miei egregi maestri e colleghi che oggidì non ignoriamo più quanto maggiormente ci premeva di conoscere, il che è dire l'esatta determinazione della specie, la descrizione e la con- veniente illustrazione del suo preziosissimo scheletro, e che un giorno potremo conoscere per bene anche la « splanenologia, la neurologia, gli organi dei sensi, ecc. ecc. » della Balena dei Baschi (B. biscayensis, Eschricht) « senza provare il bisogno di viaggiare sino alla Nuova Zelanda *) ». i ESIONLE 1) Si legga la nota — alquanto singolare — che 1’ illustre paleontologo, Comm. Capellini, volle inserire a pag. 13 delle sue Notizie della Balena di Taranto, confrontata con talune balene fossili della Toscana e della Nuova Zelanda. * o n mai ie Do , È. vasiuicnetiogili Bsbroni tb Pt el orcaetri peg nnitedo toby fartrventaati imperi Ge urob attivi 480) rit ; arto Uali : iz 14003 PALI ona de le sali mei PSA sa LI «#$ Es LATO na dieta tg i) ta Val i a ID ta o lic thai: risolva Tato: at, catetere Ja Paparo î Rent Balerna po doi bind ìè ITERITÀ sd F : sost ki ug aa fit de taonatita sasa du feat. an <) misi bit HIP Babiola, slip i 4 Mota MR NR la suon i Lt t hi Uh nt mat it dl db Vada) ste GRA alia) Rue ia îi Co SPE di ( si » sl ATO nà gila VETO JÒ va Vate: I ai 1383 TIRI, pei (al): dit; PALATFARARERT TA PAT NICE Por NPA OLE sug «ela gi 05, -t on ia î ha latch taz o) ui dn ‘ i ì ila sand prov ì. AIA LIA ne ast cd 1% ateo ai dI \ggt i ariani ta Kessil petsbiclog! 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Invitato dalla Commissione, cui era stato affidato l’inca- rico della vendita del cetaceo, l'ingegnere Enrico Marrullier ne eseguì accu- ratamente il disegno e poi l’ acquarello, che volle gentilmente mandarmi in dono. La figura rappresenta la Balena nella proporzione di ‘/,;, essendo di 12 metri la lunghezza totale calcolata dall’apice del rostro alla biforcazione della pinna caudale. Si noti il profilo, la piccolezza del capo e lo sviluppo del resto del corpo: in una parola la sveltezza di forme di questo misticeto. Si noti come si comportano po- steriormente le labbra ed il rapporto sommamente interessante che la loro com- messura ha coll’ occhio, rapporto che il Prof. Marrullier ha per bene indicato anche nella figura 7 della Tavola IX destinata a mostrare l’interno della bocca della Balena—(Un palo, convenientemente situato, manteneva beante l'enorme bocca del cetaceo). Si esservi inoltre come presentasi anteriormente depresso il labbro su- periore, il quale era un po più corto, dell’inferiore « tanto che, mi scrisse l’ egre- gio assessore Villani, quando la Balena siava colla bocca chiusa, il labbro infe- riore era quasi di 10-15 centimetri più sporgente del superiore ». Si noti ancora la forma della natatoja toracica e della pinna caudale, consultando in proposito anche le figure 2, 8 e 9 della Tavola IX, le quali, al pari della 7 già menzionata , furono tutte eseguite in dettaglio e dal vero dall'ingegnere Marrul- lier, e provano con quanto impegno l’ egregio Prof. Marrullier abbia lavorato nell'intento di ottenere un buon disegno dell’intiero cetaceo, e di corrispondere alla fiducia in lui riposta da tutti i componenti la Commissione prelodata. E evo I E Fig. 1.*— Capo visto dall’alto. » » 2.*— Capo visto di lato. 8.*— Apparato uditivo destro visto dalla faccia laterale interna. Me 4.*— Apparato uditivo destro visto dalla faccia laterale esterna—(Non si dimentichi la man- canza di un pezzo di bulla timpanica cui stava attaccato il processo stiliforme del martello). 5.*— Apparato uditivo destro visto dalla faccia inferiore. 6.*— Contorno dell’ apparato uditivo sinistro visto dalla faccia laterale interna. 7.*— Contorno dell’ apparato uditivo sinistro visto dalla faccia laterale esterna. 8.*— Contorno dell’ apparato uditivo sinistro visto dalla faccia inferiore. Taviota «IL {.*— Capo visto dal disotto. 2.*— Gruppo delle prime otto vertebre (sette cervicali e prima dorsale) visto di fronte. 3.*— Gruppo delle prime otto vertebre visto di lato. 4.*— Gruppo delle prime otto vertebre visto dal disotto. 5.*— Gruppo delle sette vertebre cervicali visto dal disopra. TAO . 4. — Cranio visto dal di dietro. .*— Apparato uditivo destro visto dalla faccia anteriore. *— Incudine destra vista dall’ alto ( faccia superiore). *— Incudine destra vista di lato (margine posteriore). — (a) Faccetta articolare anteriore. (0) Faccetta articolare posteriore con cui l’ incudine destra s’ unisce col martello. 6.*— (c) Staffa destra vista dall’alto (faccia superiore). (d) Staffa destra vista di lato (branca 9 3. 4. d. anteriore). 7. — Faccetta articolare con cui la base della staffa sta in rapporto colla finestra ovale. 8.*— (e) Staffa sinistra vista disotto (faccia inferiore). (f) Staffa sinistra vista di lato (branca posteriore). 9.*— Ossa nasali. 10.*— Sterno visto dalla faccia interna (superiore). 14.*— Sterno visto dalla faccia esterna (inferiore). TaAvo,a V. . 4.*— Osso del bacino visto dalla faccia concava. 2. — Quattordicesima costa ( accessoria) sinistra vista dalla faccia interna. 3. — Quattordicesima costa (accessoria) destra vista dalla faccia interna. 4. — Gruppo delle 7 vertebre cervicali visto dal di dietro. 5.*— Osso joide visto dalla faccia superiore. PA UL ME .4, — Prima costa destra. 4 2. — Seconda » » 3. — Terza » » 4.*— Sesta » » 5.*— Settima » » 6.*— Dodicesima » » 7.*— Tredicesima » » 8*— Scapola destra vista dalla faccia esterna. UR Pervona VII Fig. 1.*— Nona vertebra dorsale vista di fronte. » 2.*— Nona vertebra dorsale vista di lato. » 8.*— Decima vertebra dorsale vista di fronte. » 4.*— Decima vertebra dorsale vista di lato. Tredicesima vertebra dorsale vista di fronte. Tredicesima vertebra dorsale vista di lato. — Prima vertebra lombare vista di fronte. » 8.*— Prima vertebra lombare vista di lato. » 9.*— Quarta vertebra lombare vista di fronte. » 40.*— Quarta vertebra lombare vista di lato. » 41. — Quinta vertebra caudale vista di fronte. » 12.*— Quinta vertebra caudale vista di lato. » 18. — Sesta vertebra caudale vista di fronte. » 44.*— Sesta vertebra caudale vista di lato. » * Ò. RG. leriib.s I Tavotra VIII. Fig. 1. — Cuore visto dalla faccia superiore o dorsale. » 2. — Cuore visto dalla faccia inferiore o sternale. » 8. — Settima vertebra caudale vista di fronte. » 4.*— Settima vertebra caudale vista di lato. » 5. — Undecima vertebra caudale vista di fronte. « 6.*— Undecima vertebra caudale vista di lato. » 7.*— Le ultime undici vertebre caudali viste dal disopra (faccia superiore). » 8.*— Frammento di trachea colla biforcazione dei bronchi visto dalla faccia superiore. si Ea SOT ri N Fig. 1*— Scheletro dell'arto toracico destro visto dalla faccia esterna. » 2. — Arto toracico sinistro integro visto dall'alto. » 3.*— Sistema completo dei fanoni del lato destro, visto dalla faccia esterna. In (a) vedesi l estremo posteriore. » 4*— Rappresenta il 97"° fanone destro cominciando dall’ estremo posteriore. » 5*— Mostra il 122"° fanone destro. » 6.*— Mostra il 171"° fanone destro. » 7. — Interno della bocca della Balena. » &. — Pinna caudale vista dall’ alto. » 9. — Pinna caudale vista di lato. ERRATA A pag. 16, linea 16, fornita di un solo caso, leggasi, fornita di un solo capo, finita stampare il dì 4 aprile 1878 sali STATA VESTI No ni pr Lg dA Je LAO podi LUG Kb sl a agito db È da Ù A, + RE ; ad) sedi ht pr î 7 i Pi aio dr Alserio ORO DIOTIOI PISTE AA 3 î Pe Ù) ai Pd su ì a) H MAME LIT È hs I : % di vr è è ls PR) : LE | u tte i 9 di hi A % te Ea ‘0010 DA, i or Va A n À pio Le] “rie il i (qu MI a Iii i x ‘adi ea vai a o) el Ru | tr Di i dea = al VA VERE dt de 34 i ana CI pi or AI E, "4 n | n ia Vo ha ‘Sand mai ui AR: x | | Ì GIN IMA 204 wr? My 211/079 2779) YZ. Atti della B'Accad delle Serene Fis e Mat Vol VILNIO. “R.Gestro lit. Tav U vr Atti della BACccad delle Stcenze Ils eMat Vol VILNIO. UTI Tar: 14 Atti della RAccad delle Steenie Fis c Mat VOL. N II NUO. Vv Til alti della RAGA delle Scuenze Fils e Mat VOL VILN46. Gasco dir. Tit Armanino Genova. ae dd A Atti della RAccad delle Scienze Fis c Mat VOL VINO 10. Calyò dis Atti della RAccad delle Sccenze Fis eMat Vol VILNIO. Tav VII Calyò dis. D.Lrenova . e TO IX Tir Atti della RAccad delle Scene Fis e Mat Vol, VINO. vie PO) libr : ci nd per De w 2°" Mi + 0° Le - \ É Cd ° i La C Li Di Li (14 li i Ù sa Na de , Sa : Y } -p x N AM i WE, nea COIN a fo NOE n LATO i x PA TSAAI INI MI bj + CI) PA DI U, SEPE] [ Lo) ui "SR DT) : “ f 2.0, eee MNH || I | 0 00329 LIBRAR || Ìl | Ill II | Lal Y |