ATTI DELLA SOCIETÀ TOSCANA DI SCIENZE NATURALI RESTDENENEZIONTERISÀ MEMORIE Vol. XXVI. -asoniar insttg x S ‘9, AUG 301913 | MX 1854-71 “iviial Muse rt * PISA STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC. FF. NISTRI 1910 ATTI SOCIETÀ TOSCANA SCIENZE NATURALI RESTDENSSERIENA RIS INEEDIFIVEONRELEREE PISA STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC. FF. NISTRI 1910 P. ALOISI —_——_— ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE DELL’ISOLA D'ELBA !) Nella parte orientale dell’isola d’ Elba ha sviluppo assai esteso, una formazione rocciosa, ritenuta presiluriana e costituita da “ scisti feld- spatici e cloritosi a struttura gneissica talora macchiettati ,, che il LortI *) ammette corrispondenti alle rocce dette dai tedeschi Phyllit, Cornubianit e Fleckenschiefer. Nella parte inferiore di detta formazione si trovano, specialmente lungo la riva del mare, dei filoni granitici numerosissimi : di tali rocce filoniane e degli scisti che esse traversano mi occupo nel presente studio. Il materiale fu da me raccolto nel tratto compreso fra la valle del .Fosso di Mar di Carvisi e Longone, tratto relativamente breve, giacchè i filoni continuano a trovarsi lungo tutta la costa orientale del promon- torio di Capoliveri, ed anche, sebbene in minor quantità, lungo quella meridionale ed occidentale, fino alla cala dell’Imnamorata. È però da no- tarsi come nella località da me presa in esame, i filoni si presentino con una abbondanza straordinaria, e come vi si trovino anche delle vere e proprie masse di granito di dimensioni notevoli, tali da farle ritenere talvolta dei grossi dicchi 3). In tali masse la roccia ha l’ aspetto di un granito identico a quello del M. Capanne e contenente esso pure dei grossi cristalli porfirici di ortose: nei filoni più piccoli invece, la roccia è spesso di tipo decisamente aplitico. In pratica una distinzione netta in filoni granitici ed aplitici non è, mi sembra, assolutamente possibile, giacchè numerosissimi sono i termini i) Il presente lavoro nella forma attuale, salvo poche modificazioni, fu pre- sentato al sesto concorso rinnovato per il premio MoLon, tema di Petrografia. 2) Descrizione geologica dell’isola d’ Elba. Mem. deser. della carta geolog. d’It. Vol. II, pag. 7. Roma, 1886. 3) LorTI. Loc. cit. pag. 151. 4 P. ALOISI intermedi che difficilmente potrebbero riferirsi all’ un tipo piuttosto che al- l’altro, e perchè talora in uno stesso filone, la parte centrale è granitica e passa insensibilmente ad aplite ai lati. Inoltre la struttura microscopica che, nei casi dubbi, potrebbe aiutare a risolvere la questione, è spesso totalmente .svisata dallo stritolamento dei singoli minerali, in seguito ad azioni dinamiche, che sembrano aver dovuto essere in sommo grado energiche. Anche il metamorfismo subìto dagli scisti incassanti mi è parso iden- tico, sia che il filone abbia il carattere granitico più spiccato, sia nel caso opposto. Rocce scistose. Lontano dal contatto con le rocce granitiche. — Per trovare degli scisti che possano ritenersi immuni dall'azione diretta metamorfosante delle rocce plutoniche, bisogna ricercarli a distanza molto notevole dai filoni, perchè anche ad una certa lontananza da essi, gli effetti del metamor- fismo, specialmente nella composizione mineralogica, sono sempre evi- denti: così, le rocce che passo a descrivere, sono state raccolte nella Valdana, sotto C. Puccini e C. Signorini. Il monte che divide nelle loro parti inferiori le due valli Valdana e Fosso Mar di Carvisi è quasi com- pletamente costituito da esse, ed un lembo di terreno quaternario lo se- para dal M. dello Stipite, dove incominciano a ritrovarsi i primi filoni. Sono rocce a scistosità assai evidente, biancastre, talora cosparse di macchiette ellittiche più scure, spesso con una colorazione giallo-rosea. Si mostrano di frequente intersecate da filoncelli quarzosi di pochi cen- timetri di grossezza ma assai lunghi, che però mi sembra non abbiano nulla a che fare con i filoni granitici, e che del resto si trovano pure, e con gli stessi caratteri, in vicinanza di essi. Qualche volta il quarzo si raccoglie in amigdale assai grosse che sono escavate a scopo indu- striale. In alcuni punti, lungo delle superfici di separazione, si ha una spal- matura di minutissimi cristallini di pirite, più o meno limonitizzati. Al microscopio si riconosce come i costituenti principali sieno il quarzo ed una mica bianca sericitica. Il primo è in individui di dimensioni varie, spesso estremamente mi- nute: quelli più grandi sono talora raccolti in plaghe ed in vene, e mo- strano estinzioni fortemente ondulate. >) ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. D) La mica è sparsa nella massa quarzosa, a formare un aggregato molto minuto, ed in quantità maggiore raccolta in masse irregolari, nelle quali le singole squamette e lamine danno origine ad un feltro finissimo; molto di rado infine si hanno delle lamine tabulari un poco più estese. Talvolta la mica presenta una leggera colorazione bruna. I due costituenti ora descritti sono costanti e presso a poco nelle stesse proporzioni in tutti gli esemplari raccolti; ad essi, quasi sempre, si unisce il feldispato che è però in quantità variabile e talora sembra mancar del tutto. Si tratta sempre di ortose in individui per lo più ir- regolari o solo grossolanamente tabulari, assai grandi in generale, leg- germente caolinizzati e contenenti anche delle laminette di mica se- condaria. i Nelle sezioni normali alla scistosità si nota un’ alternanza, non molto regolare, di straterelli micacei con altri quarzosi: i primi si anastomiz- zano fra di loro, cosicchè il quarzo forma spesso come delle amigdale, con l’ allungamento parallelo alla scistosità, interamente circondate da mica. Anche dei grossi individui feldispatici si trovano spesso racchiusi nella massa micacea. Come minerali accessori sono da citarsi la clorite, non molto abbon- dante, e qualche poco di limonite. Si rinvengono pure dei cristalletti di tormalina con: w = bruno-nero, e = azzurro-spigo chiarissimo, talora riuniti in aggruppamenti irregolari, ed altri di epidoto, zoisite, zircone ed apatite, tutti assai scarsi. È infine presente un altro minerale che si mostra in granuli od in cristalletti apparentemente prismatici, con tracce di sfaldatura, per lo più assal irregolari ed estinzione retta. In alcuni individui a contorno otta- gono, con quattro lati molto meno sviluppati degli altri, si ha una sfal- datura più netta, consistente in due sistemi di tracce, parallelli, ognuno, ad un coppia di tali lati più piccoli. La rifrazione è molto forte e quindi il rilievo notevole, bassissima invece è la birifrazione, cosicchè i colori di interferenza sono sempre grigio-scuri. Non si nota nessuna colorazione ma solo, talora, un intorbidamento del granulo. L’allungamento è nega- tivo, la figura di interferenza, in generale molto mal-visibile, biassica. Ho cercato di determinare il carattere della birifrazione ed esso sembra 6 P. ALOISI negativo: tale determinazione, fatta in sezione approssimativamente nor- male ad un asse ottico, è però un poco dubbia, sia per la poca chiarezza della figura di interferenza, sia perchè non essendo la normalità all’asse esatta, riusciva difficile lo stabilire la posizione del piano degli assi ottici. Data la scarsità di caratteri sicuri, non mi è riuscito di riferire tali granuli ad una determinata specie mineralogica, nonostante abbia fatto numerose osservazioni di confronto con preparati di minerali, che per l’insieme dei caratteri, o per qualcuno di essi, si avvicinano più a questo come la vesuviana, la zoisite ed altri. Per ciò che riguarda la struttura di questi scisti è a dirsi come essa possa riportarsi, in generale, a quelle che il GRUBENMANN !) chiama Relikt < o Palimpseststruckturen, ed in particolar modo alla blastopsammitica, per la quale i granuli più grossi di quarzo e feldispato, immersi nella massa minuta micaceo-quarzosa e forse in parte anche feldispatica, starebbero a rappresentarci i residui di una roccia in origine arenacea. La tessitura è assai variabile e talvolta sembra di quelle dette re- siduali, tal’altra lineare, o, infine, lenticolare. Ho eseguito l’analisi chimica su due campioni degli scisti ora descritti, uno dei quali (I) era completamente privo di ortose, mentre l’altro (II) ne conteneva in discreta quantità. Le differenze tra queste analisi, data la grande analogia di costituzione mineralogica delle due rocce, sono minime. I II Perdita per arrov.!° JRGII TRNTALI SO Or RA Ra 665 74, 57 NOS SE Me 14, 73 a Lt CROPSE Ie 0,27 Me are 01159 0, 43 Nas Oi Caen) Leali DE 1,01 Ret RA 5 5,13 100, 90 90820 Rispi 2, 68 DN6D ) Die Kristallinen Schiefer. Vol. I, pag. 82. Berlin, 1904. 2) Dosato tutto come ferrico. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 7 Vicino al contatto con le rocce granitiche. — Per tutti i filoni ritrovati ho raccolto degli esemplari dello scisto incassante, tranne in qualche caso in cui, dalle azioni alteranti atmosferiche, era ridotto ad una massa in- consistente, verdastra. Allo stato di freschezza si mostrano come rocce a scistosità talora più evidente in massa che non nei campioni, ma, nonostante ciò, decisamente scistose, di color grigio-ferro-verdastro, con venature più chiare e, non di rado, grossi nuclei tormalinici. Hanno composizione mineralogica ‘molto costante, solo variando da esemplare ad esemplare, le proporzioni dei singoli componenti. Questi sono, principalmente, mica, quarzo, andalusite, e poco feldi- spato. L’impasto è in generale molto minuto, con prevalenza ora della mica con l’andalusite, ora del quarzo: dove però il quarzo è solo, si presenta in individui rotondeggianti assai grossi, che si associano fra di loro a formare delle plaghe assai estese con struttura a mosaico. Delle miche sono presenti tanto la biotite quanto la muscovite: la prima in piccole e numerose tavolette, più spesso in lamine a contorno irregolare (le cosidette forme scheletriche, caratteristiche delle rocce di contatto), ora fresca, ora più o meno alterata, con produzione di clorite e limonite insieme ad aghetti di rutilo; l’altra, che forma come la base ‘ della roccia, se si mostra spesso con carattere sericitico, sì trova anche in laminette assai estese di vera e propria muscovite. Molto probabilmente è presente anche una terza varietà di mica, rap- presentata da lamine talora assai abbondanti, poco colorate, con pleo- ‘ eroismo dall’ incoloro al giallo-chiaro ed incipiente alterazione cloritica : quasi di certo si tratta di un termine a composizione intermedia fra la muscovite e la biotite, come quello dei micascisti della Gorgona analizzato da ManaAssE !), che è composto dal 30° di biotite, dal 65 % di mu- scovite, oltre ad un 5 % di impurità. Il color grigio che i nostri scisti mostrano, dove sono inalterati, dipende probabilmente dalla presenza di tale mica. L’andalusite si trova in grandi lamine, con sfaldatura parallela al- l'allungamento assai netta, non che in piccoli granuletti rotondeggianti. Ha rifrazione e quindi rilievo notevoli; birifrazione variabile a seconda del piano di sezione, cosicchè i colori di interferenza sono talvolta grigi 1) Le rocce della Gorgona. Mem. Soc. Tosc. di Se. Nat. Vol. XX. Pisa, 1903. 8 P. ALOISI ((100) e (001)), tal’altra gialli o giallo-biancastri ((010)); il carattere della birifrazione ed il segno dell’ allungamento sono negativi. Il pleo- croismo, spesso chiaramente visibile, è: Aa = roseo più o meno intenso, b—=ie=— incolore: inoltre si ha che il color roseo è distribuito irregolarmente, a chiazze, nella parte centrale delle lamine. Contiene spesso incluse delle lamine biotitiche, senza però che si possa osservare una relazione di orienta- mento fra i due minerali, e forse anche talora delle piccole particelle carboniose. Di frequente i cristalli, ed anche più i granuletti, di anda- lusite sono immersi in una massa sericitica probabilmente originatasi a spese dell’ andalusite stessa. Il quarzo è in generale poco abbondante; ad onta di ciò si hanno dei preparati quasi esclusivamente da esso costituiti. Questo dipende dalla sua disposizione in amigdale, spesso evidentissima nelle sezioni nor- mali alla scistosità, che spiega anche come alcuni preparati ne sieno quasi del tutto privi. Il feldispato sembra essere sempre piuttosto scarso: è in alcuni casi ortose, in altri plagioclasio, non geminato, con 2' e 7 superiori ad x del balsamo; ho trovato anche qualche raro individuo geminato con la legge dell’albite e con le due albite-Carlsbad. Le estinzioni misurate sono le seguenti: Nella zona simmetrica 2°-4°; in un geminato doppio: El b e d e f i ia) ana DERISO Lino La rifrazione, confrontata con quella del balsamo, è: o = %g 05 essendo n < = ed © del quarzo. Le estinzioni misurate ed i confronti sono troppo pochi per poter determinare con sicurezza questo plagioclasio, tanto più che mentre i valori della zona simmetrica porterebbero ad un oligoclasio, quelli del geminato doppio si accorderebbero più con l’albite per la quale appunto a è = — 12° corrisponde e= +- 9° circa. Sia che ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 9 si tratti di due plagioclasi diversi, sia nel caso contrario, si ha però sempre a che fare con termini molto acidi. La tormalina, con gli stessi caratteri trovati per gli scisti non me- tamorfosati, è costante; talora si trova in quantità assai grande. Magnetite, accompagnata da ferro titanato e prodotti secondari fer- ruginosi, è frequente e, in alcuni casi, si dispone parallelamente alla sci- stosità. Da citarsi infine è qualche raro cristallino di zircone. ; Come ho detto prima, la costituzione mineralogica di questi scisti è assai costante; in un solo caso, e cioè per uno scisto raccolto alle prime case di Longone, poco a monte della via maestra, a contatto con un filoncello granitico, ho trovato delle differenze notevoli. Mancano quasi del tutto la biotite e l’andalusite, mentre resta presente la muscovite ; si ha inoltre grande abbondanza di una clorite verdolina le cui lamelle si associano tavolta a formare delle sferulette a struttura raggiata, che accompagna delle cordierite alterata, con bassi colori di interferenza e segno negativo della birifrazione. La tormalina, in grandi cristalli ed in ammassi, è molto abbondante. La struttura di queste rocce scistose modificate dalle granitiche, si mostra assai diversa da quella degli scisti non metamorfosati. In gene- rale può dirsi che è scomparsa del tutto la struttura residuale. A se- conda del predominare di uno o più minerali, si hanno, anche in uno Stesso preparato, apparenze diverse, che potrebbero riportarsi a varie strutture del GRUBENMANN, come la granoblastica dove è presente in modo quasi esclusivo il quarzo, la porfiroblastica quando 1’ andalusite è in individui di dimensioni molto più grandi di quelle degli altri mi- nerali, ecc. La tessitura, nel complesso, è per lo più simile a quella degli scisti non metamorfosati. L'analisi, riportata più oltre, 1’ ho eseguita su uno dei campioni più freschi; forse in essa la percentuale della silice è un po’ bassa rispetto alla media, giacchè l’esemplare era fra i meno ricchi in quarzo. Ho cre- duto però di sceglierlo, oltre che per la sua poca alterazione, perchè era uno di quelli nei quali le proporzioni fra mica bianca, mica bruna ed andalusite, potevano stare meglio a rappresentarci una media. 10 P. ALOISI Perdita per arrov.t° 4, 04 Shion. Loi ene ISS Br Oa, ue. tr. E Osa PDS Keo o. ))19, 61 He) Cale Ao 0, 44 Me: 003 aa SOIT NAGOlE REC 1,41 KO ND e 4,56 99,04 P. sp. 2,85 Nel lavoro intitolato “ Sopra un dicco di diorite quarzoso-micacea presso Rino in Val Camonica , il compianto C. Riva ?) descrive il me- tamorfismo subìto da delle filladi e gneiss filladici, assai simili agli scisti inalterati avanti descritti, sul contatto con un dicco di diorite, metamor- fismo che ha dato origine a delle “ hornfelse scistose , che hanno una analogia straordinaria con i nostri scisti metamorfosati. Sono dolente che nel lavoro del Riva non sia fatta l analisi di tali hornfelse, perchè il confronto con quella sopra riportata, avrebbe certamente confermata la rassomiglianza che esiste fra le due rocce. Calcolando le due analisi degli scisti gneissiformi non metamorfo- sati per contatto, con il metodo dell’Osann, modificato dal GRUBENMANN ?), si ottiene: 1) Dosato tutto come ferrico, ma da ritenersi in grande parte ferroso a co- stituire la biotite. 2) Atti ‘Soc. It. Se. Nat., Vol. XXXVI. Milano, 1896. 3) Loc. cit. II, pag. 12. Berlin, 1907. Le modificazioni che il GRUBENMANN ha introdotte nel metodo dell’OsAanN, appariscono chiare dalla seguente tabella : Osann Grubenmann SESSO” SESISTON A = (Na, K), 0 legato ad Al, O, nel A = (Na, K), 0 legato ad Al, O, nel rapporto di 1:;1. rapporto di 1:1. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. Ill Analisi ridotte a 100. SEO AI, 0, Fe 0 . Ca O MgO . Na, 0. K, 0 C= Ca 0 legato al residuo di Al, O, nel rapporto di 1 : 1. Nel caso che sia A1,0,>(Na, K)30+ Ca0, l’eccesso di allumina si satura con una quan- tità corrispondente di (Fe,Mg) O che si toglie dal seguente gruppo F. F=(Fe, Mg)O+il residuo di Ca O, nel caso che sia Al, 0, < (Na, K), 04 Ca 0. n= Quantità di Na,0 rispetto a K,0 considerando la loro somma come . uguale a 10. m = Quantità di (Mg, Fe) O rispetto a Ca O, considerando la loro somma uguale a 10. Ss T 644204 MA 204 DAREI 200 AFCKEF FS ZIE GALE CISE k e : II 77,34 76, 53 14,37 15,12 1, 68 1,33 0, 41 0, 28 0, 52 0, 44 1,29 1,04 4, 39 5,26 100, 00 100, 00 C=CaO0 legato al residuo di A1,0, nel rapporto di 1: 1. F = (Fe, Mg) O + il residuo di Ca0, nel caso che sia Al, 0, < (Na, K), 04 Cao. M= Eventuale residuo di Ca O, ag- giunto al gruppo F. T = Residuo di A], O,, nel caso che sia A1, 0, > (Na, E 0+Ca0. S ‘TANDO SOB 204 TACE BOO WGAZECFE LR ZO ASSO 119 P. ALOISI quindi: ai I 5 3 II Rapp. mol. Id. a 100 Rapp. mol. Id. a 100 STO 28505 83, 58 126,71 83, 26 ATTO: e 14, 06 9, 18 TA, 19 9010 Peo ese 2, 34 IND 1, 85 17241 OO ME 0A. 0,47 0, 50 0, 33 More 129, 0, 84 1,09 ORAL NASO, a 2, 08 1,36 1, 67 1,10 K, 0 4, 66 3, 04 5, 58 3, 67 TOSNZA 100, 00 NOZIO 100, 00 e da questo si ricava: S A C F M T K a e f 80. 0,00 4,81 28 (TRON ES Zio our fa 1,92 0,00 4,62 9,7 13/50, DR ERO ez 0,38 I valori a, c, f, riportati sul triangolo di proiezione (fig. 1, n°1e2) INNI NINA ANISASASAN cava HOSba Wi SCA A Se N sr RR ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 13 adottato dal GRUBENMANN, che è quello proposto dall’OsanvN !) nell’ultima parte del suo lavoro, fanno cadere i punti relativi alle due analisi nel secondo sestante, nel quale si trovano pure i punti di quasi tutte le analisi del I gruppo del GruBENMANN (Alkalifeldspatgneisse), con alcune delle quali infatti si ha grande analogia per ciò che riguarda a, c, f, mentre se ne ha un po’ meno, quando si consideri l'insieme dei valori. Ciò che colpisce subito è il numero assai elevato che rappresenta T. La spiegazione di questa forte soprasaturazione in allumina, è presto trovata fra quelle che dà 1’ Osann ?), ed è la ricchezza della mica di fronte alla scarsità di Ca O. È noto *) che calcolando il gruppo A come se gli alcali fossero legati all’allumina nel rapporto di 1:1 e trascurando l’ acqua, se nella roccia sia presente della mica si commette un errore, giacchè nella costituzione di A, si adopra una quantità di allumina minore di quella che in realtà è legata agli alcali od all’ idrogeno. Questo errore per le miche brune delle rocce eruttive è piccolo, tra- scurabile, anche ammettendo presente nella roccia il 25 % di mica, e OsanN 4) lo dimostra chiaramente calcolando le analisi di 6 miche brune, per le quali, in media, ottiene che Al, O; : (Na, K, Li), =0, 1430: 0, 1121. Perle miche bianche naturalmente l’errore diviene più grave e così, ad esempio, se ripetiamo il calcolo fatto dall’Osann, per tre analisi di mu- scoviti di rocce gneissiche °), otteniamo in media che A1,0;:(Na,K),0= —=0,2826:0,1088. L'analisi dello scisto metamorfosato per contatto, calcolata con il metodo OSsANN-GBUBENMANN dà: An. rid. 100 Rapp. mol. Id. a 100 SROFIEeE AL 52, 06 86,19 59, 43 NIRO ti 25, 54 24, 99 17,23 Bepi. attese 12,09 16, 82 11, 60 CAO cea 0, 47 0, 84 0, 58 MICIORO i A8 8, 62 5,94 NANO: 1,50 2,42 1, 67 Regno Dr ARG 5,15 3, 55 100, 00 145, 03 100, 00 1) Versuch einer chemischen Klassification der Eruptivgesteine. IV. TscH. Min. u. pet. Mitth. XXII, pag. 355. Wien, 1903, ?) Loc. cit. I, TscH. Min. u. pet. Mitth. XIX, pag. 366. Wien, 1900. 3) Osann. Ivi pag. 359. 4) Ivi pag. 358. °) RoseNBUScH. Elemente der Gesteinslehre, p. 464, n.10,12,14. Stuttgart, 1898. 14 P. ALOISI da cui si ricava, S A Cc F M Cn) K a e f 59, 43 5,22 0, 58 17,54 0,00 11,43 1215) 4,5 0,5 15,0 bl Il valore di T è molto alto, ed in questo caso, più che alla mica, il fatto è dovuto all’abbondanza dell’andalusite. Nel triangolo di proiezione il punto relativo a questa analisi (fig. 1, n. 3) si trova nel terzo sestante, assai in alto, in vicinanza del cosidetto “ Grup- penmittel , del II gruppo del GruBEMNANN, degli gneiss a silicati allu- minici. I valori a, c, f sono quasi gli stessi dei corrispondenti per l’analisi del Cordieritgneiss di Lunzenau (Sassonia), con la quale però si hanno alcune differenze, in special modo per ciò che riguarda S, F e K. Il LortI !) trattando delle formazioni analoghe a quella degli scisti gneissiformi, che si trovano in località vicine all’ Elba, cita lo gneiss della Gorgona, col quale infatti le nostre rocce (beninteso quelle non metamorfosate per contatto) hanno, a primo aspetto, una rassomiglianza notevole: questa però si limita all’apparenza esterna, giacchè, sia nella composizione mineralogica, sia in quella chimica, sia nella struttura, si hanno delle differenze non piccole. L'analisi dà infatti, per lo gneiss della Gorgona *), minor quantità di silice e di allumina, percentuale più elevata di ferro e di magnesia ed inversione nel rapporto fra sodio e potassio. Se avesse potuto stabilirsi l’ identità petrografica e geologica delle due rocce, si sarebbe portato un valido argomento a favore della tesi, sostenuta dal LortI, della giovane età delle rocce granitiche elbane, giacchè essendo ora riferito il complesso delle rocce della Gorgona, in- sieme ad altre analoghe, al mesozoico dei filoni iniettati in tali rocce dovrebbero esser ritenuti certamente come mesozoici o post-mesozoici. Gli scisti invece da me studiati, devono probabilmente riferirsi al paleozoico, tanto più che in rocce ad essi superiori, sono stati ritrovati anche di recente dei fossili che, come verbalmente mi ha comunicato il prof. CANAVARI,-sono simili a quelli studiati dal MENEGHINI e da rite- nersi, se non siluriani, certo non più recenti del permiano 8). 1) Loc. cit., pag. 13. 2) ManassE. Loc. cit., pag. 10. 3) I fossili in parola sono stati raccolti sulla sinistra del fosso di Vigneria, in vicinanza della miniera Giove, e sono racchiusi negli scisti grigi, che il LorTI riferisce al permiano, ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 15 Finalmente è da osservarsi come il metamorfismo subìto dagli scisti gneissiformi al contatto con i filoni granitici, mostri un’ analogia molto forte con quello che il granito di M. Capanne, per mezzo delle sue apo- fisi, ha indotto, secondo Lotti e Viona !), nelle rocce eoceniche presso Fetovaja. Rocce filoniane. Di natura decisamente granitica. — Fra le rocce plutoniche, quella che più ha il carattere di granito è stata raccolta nella grande massa, segnata nella carta del LortI, posta nel luogo detto la Serra, sul fianco sinistro della valle del Fosso Mar di Carvisi. È da notare come da essa si insinuino negli scisti delle numerose apofisi, di dimensioni notevoli, sia in grossezza, sia in lunghezza, che mantengono assai il carattere granitico. Si tratta di una roccia assai fresca, a grana media piuttosto grossa, nella quale si distinguono gli elementi quarzosi e feldispatici, numerose ‘ lamine lucenti di biotite, e che contiene dei grandi interclusi di ortose. La struttura è ipidiomorfa assai bene sviluppata: l idiomorfismo del plagioclasio rispetto all’ortose ed al quarzo è spesso distinto e talora si nota anche quello dell’ortose sul quarzo. L'effetto di azioni dinamiche si vede subito, sia nel leggero mantello cataclastico che avvolge spesso i più grossi cristalli, sia nel piegamento e rottura delle lamine feldispati- che, nonchè nelle estinzioni ondulate del quarzo. L’ortose è fresco ed in lamine piuttosto grandi, semplici o geminate con la legge di Carlsbad,'di frequente concresciuto con il plagioclasio. Quest’ ultimo, pure inalterato o quasi, ha spesso struttura zonale, con bordo acidissimo. Quasi costantemente è geminato secondo le due leggi albite e periclino insieme associate e non rari sono anche i geminati albite-Carlsbad. La parte esterna dei plagioclasi zonati, nonchè alcuni interi cristalli, sono di oligoclasio acido o di oligoclasio-albite: difatti le sezioni normali a (010) hanno estinzioni quasi parallele alle tracce di geminazione, o a 1°-2°, al massimo 5° da tali tracce. Confronti con il quarzo danno in generale: 9 > cd e = | È > | c > dv 1) LorTI. Sulle apofisi della massa granitica del M. Capanne nelle rocce se- dimentarie eoceniche presso Fetovaja nell'isola d’ Elba. Con allegato, per l’esame petrografico, di VioLa. Boll. R. Com. Geol., Vol. XXV, n.° 1. Roma, 1894. 16 P. ALOISI Di solito il numero delle zone è assai ristretto (sono per lo più 2) ed il passaggio da zona a zona piuttosto brusco. Nella parte interna le estinzioni simmetriche variano da 8° a 9° fino a 18°, aggirandosi però quasi sempre intorno a 12°. Geminati doppi albite-Carlsbad danno: a b e d e f dati Seo e ca) SN i] DO RR n — + rei pi ae nti See) Confronti fra la parte interna dei plagioclasi ed il quarzo, non ho potuto farne; si ha però che 4 e y sono notevolmente superiori di 7 del balsamo, che a sua volta è di poco minore di © del quarzo. Si tratta quindi di un oligoclasio molto basico che passa all’andesina. Talvolta i plagioclasi zonati non presentano geminazioni e, in qualche raro caso, si ha anche alternanza di zone più e meno acide. Finalmente è da osservarsi come talora l’oligoclasio acido, invece di formare un mantello attorno al plagioclasio più basico, ne contenga de- gli individui come inclusione, senza concordanza di orientamento fra l’uno e l’altro. Siccome le lamine di plagioclasio concresciuto con l’ortose sono di una minutezza estrema, non può stabilirsi se appartengano al termine più basico 0, come mi sembra più probabile, al più acido: peraltro anche il primo caso non è da escludersi, giacchè talvolta la parte interna dei plagioclasi zonati, contiene delle esili lamine ortosiche, con e e molto minore dei corrispondenti indici dell’ospite. Il quarzo è assai abbondante e, oltre alle solite inclusioni fluide, ne contiene delle solide di zircone ed apatite. Sono presenti tanto la biotite quanto la muscovite, ma la prima è molto più abbondante dell’altra: si mostra spesso un poco cloritizzata, in lamine assai grandi, talora contorte e sfibrate. La muscovite invece, è per lo più in straccetti sparsi, od in am- massi di piccole lamelle, con aspetto sericitico. La clorite, non molto pleocroica, è accompagnata da magnetite, limo- nite, rutilo, in quantità però relativamente piccole. L'analisi chimica ha dato i risultati che riporto nella colonna I, messi ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 17 a confronto con quelli ottenuti da ManaSssE !) per il granito di M. Ca- panne (II). I II Rexdita\perzarrov SM OT 0, 59 SUO lee 71,98 69, 92 MO RM 0 83 Do: AR anna, _ tr. BROLIN — 0, 24 ANEORT ee vo 19.01 15, 68 o I È MORE Re era, — 158 CE e A SR A 0 A 1,85 MORE MER 14 0, 92 Ni o e 333 4,35 O 3, 18 99793 101, 30 RS aa DI 69 Il granito normale di M. Capanne, è stato studiato e descritto da molti autori e, di recente, da VrioLa *), MANASSE 4) e G. D’ACHIARDI °). Si tratta di una granitite che contiene: ortose, microclino, oligoclasio, albite, quarzo e biotite; la struttura è la ipidiomorfa ed i plagioclasi hanno spesso struttura zonata. Si ha quindi, fuorchè per la natura del plagioclasio, che nel granito di M. Capanne sarebbe un poco più acido, una corrispondenza straordinaria con la granitite della Serra. Tale ras- somiglianza, se non addirittura identità, è anche bene dimostrata dal confronto fra le composizioni chimiche delle due rocce. Calcolando le analisi con il metodo di OsannN, si ha: 1) Stlbite e furesite nel granito elbano. Mem. Soc. Tosc. di Sc. Nat., vol. XVII. Pisa, 1900. 2) Dosato tutto come ferrico. 3) LoTTI e VIOLA, loc. cit. 4) Stilbite, ecc. 5) Metamorfismo sul contatto fra calcare e granito al Posto dei Cavoli, presso S. Piero in Campo (Elba). Mem. Soc. Tose. di Sc. Nat., vol XIX. Pisa, 1902. Sc, Nat., Vol. XXVI o 18 P. ALOISI Analisi ridotte a 100.. I II SOR 10, Me 69, 91 MRO: SII eee 15, 68 Bet ee ae 2, 88 4,11 CHOIR 1,85 NOR ONG 0, 92 NASO”: iL Aa 3, 40 4,35 i o Ma] 3, 18 100, 00 100, 00 da cui si ottiene: I II Rapp. mol. — Id. a 100 Rapp. mol. Id. a 100 Si 0, ie 0 78, 93 UD, 76 TILT AlRO een e 299 8,40 15, 34 10, 04 Bei. 4, 01 DIDO) DEMIR. SIRIO (CAO ERA 3, 30 2,14 3, 30 2,16 Modica IAT 1,86 2,28 1,49 ERO RE TONO 3, 54 7,00 4, 58 RO ne 3, 93 2, D4 3g DU 2 Dil 154, 63 100, 00 152, 76 100, 00 e quindi: 8 A (0) F n a e F I 78, 93 6, 08 do dI ASD IT] 5, 82 ON 3, D To, II ((OPMIRI 6,79 do DE dl 115) 6,75 985 4,5 6,0 Il divario è molto lieve, i valori «, c, f, vicinissimi tra di loro. Le differenze sarebbero state anche più piccole, se nell’analisi mia non si fosse tenuto conto del titanio, che nel granito di M. Capanne non è stato determinato; in tal caso «, c, f, sarebbero stati addirittura iden- tici. I punti delle due analisi (fig. 1, n.' 4 e 5) cadono nel II sestante, nel quale si trovano pure quelli della maggior parte dei graniti ripor- ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 19 tati da OsANN: nell’ insieme i valori delle due analisi si avvicinano a quelli dei tipi Katzenfels e Melibocus di detto autore. Di natura decisamente aplitica. — Il campione a tipo aplitico più marcato, l’ ho raccolto da un filone che. si trova a monte della strada maestra che porta a Longone, a pochi metri sul livello del mare. È una roccia a grana molto minuta, bianca, con piccole e rade pun- teggiature nere, compatta e molto dura. La struttura, forse, in origine era la panidiomorfa, caratteristica delle apliti, ma ora essa non è più quasi mai visibile: in seguito ad azioni dinamiche il quarzo ed il feldispato sono per lo più ridotti in frammenti assai minuti, in mezzo ai quali si ritrovano degli individui più grandi degli stessi minerali. In altre parole si ha la struttura a smalto (Mor- telstrucktur dei tedeschi) così frequente nelle rocce granitiche che si tro- vano in regioni a forti piegamenti. I minerali principali sono il quarzo, l’ortose ed il plagioclasio; la mica è poco abbondante e fra gli accessori si ha quasi esclusivamente la tormalina. I concrescimenti fra quarzo ed ortose, quarzo e plagioclasio, ortose e plagioclasio, non sono frequenti, specialmente i primi due. I feldispati sono abbondanti ed assai freschi. Il plagioclasio ha, nelle sezioni della zona simmetrica, estinzioni di 4°-5° con massimo di circa 8°; nei geminati doppi albite-Carlsbad, non rari, mentre invece lo è l’associazione delle due leggi albite e periclino, si ha: La rifrazione, confrontata con quella del quarzo, è: d>ad e = 0=>T e > Questi resultati, data la piccola differenza tra b ed e, portano ad ammettere trattarsi di oligoclasio-albite Abg; An,,, o di un termine ad esso molto vicino. 20 P. ALOISI In un caso ho avuto: a=c=—10° d=e=-+-9°, che si accorda meglio con l’albite. La mica, come ho detto non molto frequente, è sempre muscovite; la tormalina, essa pure assai scarsa, ha: = giallo-bruno intenso, e= giallo-chiaro quasi incoloro, e si mostra in prismetti allungati od in granuli. L'analisi chimica mi ha dato i valori che sono riportati nella prima colonna; quelli delle altre tre sono, di un granito alcalino (II) *), di una vena aplitica nel granito stesso (III) !) e di un filoncello in rocce anfi- boliche (IV) ?), analisi eseguite da G. D’AcHIARDI su materiale proveniente dai dintorni di M. Capanne. I II III IV Perdita per arrov.!® . . 0, 92 0, 42 0, 43 0, 32 SCORRE 0 Tg AI MONDO 76, 28 BAOCI SR ee I9R, = — — PRORLi na. = 0, 07 0, 09 tr. AO E 7 13,31 a 15520 14,22 Pon0 ‘4 3)0, 54 0, 81 tr tr Fe O È È i ; } (CO AE e E 0, 61 192 IZZO 1158 MEO ERRO eo 0, 20 021 ue, I NAFO FRE E 4, 24 4,39 4,49 05 n SR ORI (06 3,21 4,14 3, 90 100, 86 100, 85 99, 45 100, 86 Pepe 9 50 2, 66 2, 60 = 1) Metamorfismo sul contatto, ecc. 2) Cenni su di una anfibolite orneblendica nel granito di S. Piero in Campo (Elba). Proc. verb. Soc. Tosc. di Sc. nat. 3 luglio 1904, pag. ©. Pisa, 1904. 3) Dosato tutto come ferrico, Da tali dati, con il solito metodo, si ottiene: SO, . AI, 0, Fe O Calo Mg0. Na, 0 K, 0. Si 0, . AI 0; FeO0 . Ca 0 . MgO0. Na, 0 LOR STO AI, 0, Fe 0 . Cao Mg0. Na, 0 O Analisi ridotte a 100. I II ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 21 76, 60 76, 89 74,70 75, 87 14,19 13,27 15, 36 14,14 0, 49 0, 73 = Se 0, 61 1,32 TENZA 1,18 0, 20 0, 21 — pre, 4,25 4, 38 4, D4 4,93 3, 66 3, 20 4,19 3, 88 100, 00 100, 00 100, 00 100, 00 Rapporti molecolari. I II III IV 126, 82 127,30 123, 68 12 NL 13, 88 12, 98 15, 03 13, 84 0, 68 1,02 = a TR0.9) 2099 2,16 2,10 0, 50 0, 52 Da = 6, 84 7,05 TSI 7,94 3, 88 IMI 4, 44 4,11 IOIR69 154, 61 152, 62 153, 60 Rapporti molecolari ridotti a 100. I II INI IV 82, 52 82, 34 81, 04 81, 78 9503 8, 39 9, 85 9,01 0, 44 0, 66 -_- = Op IR 1, 41 Tr 0, 33 0, 34 = = 4,45 4, 56 4,19 5,17 2,92 Do ILS) 2,91 2, 67 100, 00 100, 00 100, 00 100, 00 bo (so) P. ALOISI Se da questi dati vogliamo ricavare i valori dell’ OsANN, vediamo come per le analisi I e III, Al, O, sia maggiore di (Na, K),0+Ca0, non solo, ma (I) se ne abbia un eccesso anche riportando al gruppo C tutto il ferro e la magnesia. Per l’analisi II invece tal fatto non si verifica; per la IV infine si ha che AI, 0, <(Na, K))0+Ca0. Le ragioni che fanno essere soprasature, rispetto all’ allumina, le ana- lisi I e III, sono da ricercarsi, per la prima nella presenza delle mu- scovite e forse in un poco di alterazione caolinica dei feldispati, per l’altra in questa seconda ragione soltanto, dato che la roccia non con- tiene mica bianca: per ambedue poi, la piccola differenza può dipendere ‘anche, in parte, da leggeri errori analitici. In ogni modo le due analisi suddette non sarebbero calcolabili con il metodo dell’ OsanN, ma dato che l’ eccesso di allumina è assai piccolo (0,58 e 0,74 respettivamente) ho creduto bene, trascurando tale eccedenza, di calcolare lo stesso i valori; solo non si avrà: s+24+2C4#= 1001), ma invece: I s+24+20+7F=100—0,58=99,42 HI s+24+20+7=100—0,74= 99,26 I valori ottenuti sono i seguenti: s A Cc FP n a e ni Teo o sio Ae 0006385 o II 82,34. 6,75 TR6ANM0:S San. 14,5. 9;D MO II SOLETO 41 10500) 6:22) 1706500 IV 817/80 7A SAITTA R0}2086,995 RITO SO, La corrispondenza è grandissima, sia fra i singoli valori, sia, e più, considerando l’insieme di essi. I punti (Fig. 1, n.i 6, 7, 8, 9) cadono tutti nel I sestante, sulla base del triangolo per le analisi I e III, a poca distanza da essa per la IV; quello della II si discosta un poco dagli altri spostandosi verso il centro. Nelle tavole che accompagnano il lavoro di OsAnN i punti delle poche analisi riferentisi alle apliti (Graritaplite) cadono invece per lo più nel ') Osann. Loc. cit. I, pag. 361. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 23 II sestante; ad ogni modo le nostre rocce, oltre che per la po sizione del punto, per l’insieme dei valori, non si discostano molto dal tipo Milton, che ha per formula: Sse Uy4.5 C3,5 fa- Di tipo intermedio. — Gli esemplari raccolti nei numerosi altri filoni compresi nella zona studiata, hanno in generale aspetto intermedio fra le due varietà principali ora descritte. Macroscopicamente si hanno apparenze diverse, sia per la presenza in quantità variabile, o per la mancanza, della mica bruna, sia per la mutabilità della grana, da minuta nei tipi che più si avvicinano alle ‘apliti fino a grossa in alcuni altri. In certi casi le lamine di mica si dispongono a preferenza in una determinata direzione, dando alla roccia un aspetto di scistosità: la ragione di tale fatto è da ricercarsi nell’effetto delle azioni meccaniche, che, come abbiamo veduto, hanno lasciato segni evidenti e profondi in queste rocce. I principali costituenti sono anche qui, il quarzo, i feldispati e le miche. La struttura è quella a smalto; però la quantità della parte frantumata rispetto a quella dei residui è assai variabile, e cioè si limita, in alcuni casi, ad un’esile rilegatura fra le lamine più estese, mentre, in altri, ha grande preponderanza nella costituzione della roccia. Talora, anche in uno stesso preparato si ha in una parte la struttura aplitica, in un’ altra la cataclastica più caratteristica e si può seguire, punto per punto, il graduale passaggio dall’ una all’altra. Il quarzo e l’ortose hanno i soliti caratteri e quest’ultimo, insieme al plagioclasio, è talvolta assai alterato, specialmente in caolino e sericite. Il plagioclasio non è quasi mai zonato: solo nelle sezioni di un esem- plare raccolto dalla grande massa, più che filone, sotto la C. Venturi presso Mola, si ha traccia di zonatura, senza peraltro che, nella parte in- terna, si arrivi alla basicità che abbiamo trovato per la granitite della Serra. Quasi costantemente, se non sempre addirittura, il plagioclasio è oligoclasio-albite, con estinzioni, nella zona simmetrica, di 5°-7° e nei geminati doppi albite-Carlsbad: E b e d e f —i SM = dg (dg. dd —% =G — dg. eil La DA P. ALOISI Da numerosi confronti con il quarzo si ha, in media: MA — ee (O) La legge di geminazione abituale è quella dell’ albite, alla quale si associano quelle di Carlsbad e del periclino, quest’ ultima poco frequente. È quasi costante il concrescimento fra ortose e plagioclasio, e fre- quenti sono le vermiculazioni quarzose nei feldispati, specialmente in quello monoclino. Delle due miche, ora prevale la biotite, ora la muscovite, senza però che l’una o l’altra manchi del tutto: della bianca, oltre che di origi- naria, ne è sempre presente, in quantità maggiore o minore, in rela- zione con lo stato di freschezza della roccia, della secondaria. La biotite, con angolo degli assi ottici molto piccolo, in lamine ge- neralmente grandi, è più o meno alterata, con produzione di clorite,. minerali di ferro ed aghettini di rutilo. Contiene spesso inclusi dei cri- stalletti di zircone, attorno ai quali si osservano i caratteristici anelli policroici. La muscovite spesso associata alla mica bruna, si trova talvolta, essa. pure, in lamine piuttosto estese. Fra i minerali accessori, oltre allo zircone ora ricordato ed all’apatite,. scarsa, è da citarsi la tormalina sempre presente, in proporzioni varia- bili, ma spesso assai forti. Data la piccola differenza che si ha nella composizione chimica, fra. la granitite e 1’ aplite prima descritti, non ho creduto di far l’analisi di uno 0 più campioni di tipo intermedio. Alla descrizione delle rocce filoniane ho da aggiungere alcune osser- vazioni fatte sul posto. ; Nei filoni da me trovati non ho notato il fatto, esposto dal LoTTI !),, che vi sia cioè una specie di incompatibilità fra mica bruna e tormalina, giacchè, se in alcuni casi effettivamente alla presenza dell’una corrisponde: la mancanza dell’altra, più spesso invece, ambedue i minerali sono pre- senti, senza che possa osservarsi una speciale disposizione della torma- lina in vene o piccoli aggruppamenti. 1) Loc. cit. pag. 149. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 25 Così pure, non ho notato mai una fusione od un passaggio fra la roccia incassante e quella dei filoni; anzi ho osservato invece che il contatto è nettissimo, tanto che in una sezione sottile che appunto com- prende scisto e granito, si vede evidentissimo il distacco fra le due rocce. Nelle vicinanze di C. Venturi, dove filoni e masse di granito sono molto abbondanti, ho raccolto un frammento di scisto, completamente inglo- bato dalla roccia granitica: il metamorfismo subìto dallo scisto, è identico a quello che abbiamo veduto avanti, e il distacco fra le due rocce netto. Con questo non posso escludere che i fatti notati dal LoTTI possano avverarsi in altre località, dove gli stessi scisti sono attraversati dai filoni, località che io non ho visitate. Lo spessore dei filoni è in generale limitato, essendo d’ordinario di un metro o poco più; se ne hanno poi anche di quelli che misurano pochi decimetri, pure mantenendo inalterati i loro caratteri litologici. Sovente delle piccole diramazioni corrono in vario senso, ed in al- cuni casì si intravede come mettano in comunicazione due filoni maggiori. In certi punti essi sono tanto numerosi, da aver l’aspetto di una massa granitica includente dei frammenti di scisto. Talora, come ha osservato anche il LortI !), nella roccia granitica serpeggiano delle vene di piccolo spessore (5-10 cm.), molto lunghe, che lasciano scorgere in una massa compatta, bianchissima, talora esterna- mente arrossata da dell’ossido di ferro, delle linee bruno-nerastre, esili e lunghe, correnti nella direzione d’allungamento della vena. Per la re- sistenza molto maggiore che questi filoncelli oppongono all’azione degli agenti atmosferici, rispetto alla roccia granitica, essi sono sporgenti e spesso, con tutta facilità, si lasciano distaccare. Osservate al microscopio sezioni di tali vene, si mostrano costituite da un impasto minutissimo di quarzo (il saggio chimico, fatto sulla sola parte bianca, ha dato una percentuale in Si 0, del 95, 56) nel quale si tro- vano immerse delle vene, parallele fra di loro, di cristalletti di tormalina Sono prismi, rotti spesso alle estremità, disposti, d’ordinario, con l’asse grossolanamente parallelo all’allungamento della vena: il pleocroismo è: w= bruno intenso e = giallo chiaro; tavolta, ma di rado, un estremo è colorato in giallo, l’altro in azzurro. 1) Loc, cit., pag. 149. 26 P. ALOISI Da quanto sono venuto fino ad ora esponendo, si possono trarre, mi sembra, le conclusioni seguenti : 1.° Il granito delle masse maggiori (specialmente della Serra) è, se non identico, molto simile a quello normale di M. Capanne, sia per la struttura che per la composizione chimico-mineralogica. 2.° La medesima analogia esiste fra alcune forme filoniane o di con- tatto di detto granito del M. Capanne ed i filoni degli scisti antichi. È quindi, forse, da accettarsi l'ipotesi del LoTrI, cioè che le rocce granitiche della parte orientale e quelle della occidentale, abbiano la stessa ori- gine e la medesima età. 3.° La natura delle rocce filoniane studiate varia, a grado, a grado, dal tipo prettamente granitico all’aplitico, e se può intravedersi in al- cuni casi la cagione di tale fatto nelle variabili dimensioni dei filoni, in altri invece la causa determinante il passaggio dall’uno all’altro tipo non è quella ora accennata 1). 4.° Esiste uno stacco netto fra filone e roccia incassante, cosicchè l’individualità delle due rocce è sempre perfettamente mantenuta. 5.° Con tutta verosimiglianza può asserirsi essere questi filoni dei veri e propri filoni di iniezione, e non di secrezione come li ritenne il LoTTI, sia perchè hanno determinato un metamorfismo intenso nelle rocce incassanti, con produzione di minerali nuovi caratteristici per le forma- zioni di contatto, sia perchè la differenza di composizione chimica e mi- neralogica fra le due rocce è notevole, e così cade uno degli argomenti più validi che il Lotti poneva a sostegno della sua tesi 2). Il divario nella composizione chimica, se è già sensibile fra gli scisti gneissiformi e l’aplite e più ancora fra essi e la granitite, diventa poi marcatissimo fra gli scisti metamorfosati per contatto da un lato, e le due rocce gra- nitiche dall’altro. 1) Questo mi sembra assai diverso da quanto dice la « Relazione della Com- missione aggiudicatrice del premio Molon ». (Boll. Soc. Geol. It. vol. XXVII, fasc. 4.9, pag. XC. Roma, 1909), e cioè: « L'A. crede che le due specie litolo- giche (la granitite, consimile a quella di M. Capanne, e l’aplite), di cui sono costituiti i filoni, non debbano considerarsi come dovute alle dimensioni dei fi- loni o da iniezioni differenti, perchè vi è graduale passaggio dall’una all’ altra, anche nello stesso filone ». 2) Loc. cit. pag. 184. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTA DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 27 È quindi anche probabile che non esista stretta relazione fra noduli, lenti e vene di quarzo, che si trovano sparsi nella formazione scistosa, e filoni; ed è degno di nota, a tal proposito, il fatto, che dove non si hanno questi ultimi ed abbondano le vene ecc., che dovrebbero stare a rap- presentarci un termine di passaggio fra scisti e granito, non si trova na- turalmente traccia di metamorfismo nelle rocce incassanti, ciò che è mal spiegabile quando si voglia ammettere la ipotesi del LotTI !). 6.° La tormalina, specialmente quando forma delle concentrazioni negli scisti e delle vene nei graniti, è stata con probabilità originata per azioni i) La relazione sopra ricordata dice: « L’A. non ammette l’ ipotesi del LOTTI, che cioè i filoni granitici succitati siano prodotti di secrezione degli scisti incas- santi, e sarà, ma l'A. avrebbe potuto fermare un po’ più il suo studio alla zona di contatto per darne le prove irrefutabili ». Premesso che ritengo molto difficile, il dare le prove irrefutabili di fatti come quello in discussione, farò notare che il LorTI stesso (Loc. cit. pag. 184) ammette la secrezione solo in parte o, per meglio dire, per alcuni filoni si e per altri no. Fra i primi considererebbe specialmente quelli in apparenza terminati da ogni lato. Il LorTI dice: « Essi (i filoni), per essere intimamente collegati alla forma- zione scistosa avente la stessa loro composizione chimica e mineralogica, pre- sentano i caratteri più spiccati dei filoni detti di secrezione e sarebbero perfet- tamente spiegabili con le teorie di STtERRY HUNT e CREDNER ». Mi sembra che dal mio studio risulti, in modo assai chiaro, che l’ analogia di composizione chimico-mineralogica è, se mai, appena apparente e che, vice- versa, gli scisti portano profonde le tracce caratteristiche del metamorfismo di contatto, indotto dalle rocce granitiche sulle incassanti. Ora a me sembra che prova migliore non possa darsi, per determinare la erut- tività di una roccia, del mostrare che essa ha indotto il metamorfismo di con- tatto sulle rocce incassanti. Del resto, ritornando alle teorie di StTERRY HUNT e CREDNER, osserverò an- che come le particolarità che mostrano i filoni di secrezione non si osservino, se non eccezionalmente, in quelli in parola, tanto che il CREDNER, che conosceva la mirabile descrizione dell'Elba fatta v. RaTH (Die Insel Elba, Zeitsch. d. d. geol. Ges. 1870), mentre riporta alla secrezione l’origine dei filoni tormaliniferi di S. Piero, non parla affatto di quelli della parte orientale dell’isola (Zlemente der Geologie. Pag. 203. Leipzig, 1876). Il De STEFANI pure (Granulite, granitite in massa ed in filoni e trachite quarzifera eocenica dell’ Isola d’ Elba. Boll. Soc. geol. It., vol. XII, fasc. 3.9, pag. 587. Roma, 1893), se ritiene verosimile la origine «per secrezione e per via idrotermale, come prodotto secondario derivante dalle masse di granitite adia- centi » per i filoni di S. Piero, resta in dubbio se lo stesso possa dirsi per quelli della parte orientale, notando come il loro carattere filoniano sia dei più evidenti. Assai di recente poi, il LoTTI sembra riconfermare implicitamente, che una parte, se non tutti, dei filoni orientali dell’ Elba, sieno di iniezione. Infatti a pag. 73-74 del suo pregevole lavoro « I depositi dei minerali metalliferi» (To- rino, 1903), trattando dei giacimenti ferriferi dell’ Elba, dopo aver notato come negli scisti si ritrovino « quei prodotti speciali e caratteristici delle zone metamor- 25 P. ALOISI pneumatolitiche, posteriori alla fase di iniezione granitica, come, in casì analoghi, è stato ammesso dal MarTEUCCI 1). 7.° In generale le rocce granitiche della parte orientale dell’ Elba, mostrano di aver subìto delle azioni meccaniche molto energiche. Natu- ralmente, data la grande resistenza opposta a tali azioni dai graniti, gli effetti ne sono molto più evidenti nei filoni di limitato spessore che non nelle grandi masse, ma ad ogni modo resultano sempre chiaramente vi- sibili. Tal fatto si concilia male con la tesi sostenuta dal Lotti, della loro posteriorità cioè, ai movimeuti che indussero l’attuale configurazione oro- fiche di contatto col granito », osserva che i « numerosi e stupendi filoni che attraversano il terreno in tutta la zona metamorfica tra Calamita e Rio Marina, dimostrano manifestamente che il granito non trovasi a grande profondità sotto questa zona ». Dopo queste considerazioni spero di aver mostrato che la ipotesi dell’inie- zione è, per lo meno, buona quanto l’altra, giacchè i fatti fino ad ora osservati non solo non la contradicono, ma sembrano confermarla. La relazione, poi, dopo aver osservato come io non ammetta che le vene e lenti di quarzo negli scisti, sieno dei termini di passaggio fra scisti e filoni, dice: « Infatti, egli giustamente rileva che queste vene o lenti di quarzo, sono più fre- quenti negli scisti lontani dalla zona di contatto coi filoni ». Non ho potuto os- servare sul posto un divario notevole nella frequenza delle vene e lenti quarzose, e l’aver detto « dove mancano questi ultimi (è filoni) ed abbondano le vene » non mi sembra escluda che le vene possano abbondare anche dove sono i filoni, tanto più che a pag. 4 ho detto esplicitamente che esse si trovano con caratteri iden- tici, anche in vicinanza dei filoni. 1) La relazione dice: « L’A. nota che la Tormalina, tanto negli scisti che nel granito, debba considerarsi come dovuta ad azione pneumatolitica posteriore all’iniezione dei filoni, ma valea la pena di dimostrarlo ». Prima di tutto osserverò che io metto la cosa come probabile, e specialmente probabile per i casi speciali delle concentrazioni negli scisti e delle vene nei graniti. Riguardo a queste ultime, farò notare come già nel 1890 lo STRUEVER (Con- tribuzioni allo studio dei graniti della Bassa Valsesia. Mem. Ace. Lincei, Vol. VI. Roma, 1890) ammettesse che l'ipotesi dell’origine per azioni di fumarole borifere, poteva anche esser sostenuta per la parte media, costituita da tormalina e quarzo, di alcune vene nella granitite di Roccapietra. E da quarzo e tormalina sono costituite le vene nelle rocce granitiche della parte orientale dell’ Elba. In generale poi, l’origine pneumatolitica della tormalina, in casi analoghi ai miei, è stata ammessa da molti e molti autori. Così il DOELTER (Petrogenesis. Pag. 163. Braunschweig, 1906) afferma appunto che la tormalina dei 7urmalinhornfelse e turmalinhaltigen Schiefer, è dovuta ad azioni pneumatolitiche. Il RosenBuscH (Mikroskopische Physiographie der Mineralien und Gesteine. I, 2, pag. 117. Stuttgart, 1905) afferma che il modo di presentarsi della torma- lina nelle rocce eruttive e nelle zone di contatto, è un indice della origine pneu- matolica della tormalina stessa. ROCCE GRANITICHE NEGLI SCISTI DELLA PARTE ORIENTALE ECC. 29 grafica: è probabile invece che l'iniezione dei filoni sia da ritenersi piut- tosto, anteriore al sollevamento appenninico e quindi preterziaria. In tal modo si spiega anche chiaramente, come il loro apparire sia limitato alla parte inferiore delle formazioni sedimentarie elbane !). Laboratorio di Mineralogia della R. Università di Pisa. 1) A proposito dell’età dei filoni, la relazione dice: « ma l’A. non dà prove convincenti della sua asserzione, che non è di poco peso per l’importanza geo- logica del tema trattato ». Nella mia conclusione io metto in rilievo un fatto nuovo, che male si spie- gherebbe ammettendo che i filoni sieno posteriori ai movimenti che hanno dato luogo all’ attuale configurazione orografica, ed in conseguenza di ciò, dico di ritener probabile che i filoni stessi sieno anteriori a detti movimenti. E questo fatto nuovo può essere aggiunto a tutti gli altri, non riportati, è vero, nel mio lavoro, ma già notati dal LorTI, fatti che in lui stesso, strenuo sostenitore della età recente dei graniti elbani, avevano dapprima fatto nascere la convinzione che i filoni fossero antichi. In questi giorni poi, lo stesso fenomeno delle potentissime azioni meccaniche esercitatesi sul complesso dei terreni che comprende anche i filoni da me stu- diati, è stato notato, ciò che conferma ed avvalora le mie osservazioni, dal TERMIER (Sur les granites, les gneiss et les porphyres écrasés de V'île d’Elbe. C. R. des Séances de l’ Ac. d. Sc., vol CXLVIII, n. 22, pag. 1441. Paris, Juin. 1909). il quale dice (Sur le nappes de lîle d’ Elbe. C. R. des Séances de l’Ac. d. Sc., Vol. CXLVIII, n. 25, pag. 1648. Paris, Juin 1909) come la formazione indicata con pr! dal LoTTI sia «un étage granitique et gneissique où les phénomènes d’écrasement et de laminage sont habituels et intenses ». Ed il TERMIER dà tanta importanza a questo fatto, da considerarlo come uno dei migliori argomenti a prova del suo asserto, e cioè che « l’île d’Elbe est un pays de nappes, tout comme la Corse Orientale ». Del resto, a proposito dell’età dei filoni, non ho fatto una vera asserzione: ho espresso il mio pensiero in forma dubitativa, appunto perchè mi mancavano gli elementi per fare una recisa affermazione di tanta importanza. E tali elementi spero mi saranno forniti dallo studio che mi propongo di fare, di tutti gli altri filoni della parte orientale dell’ Elba e di tutte le rocce scistose con essi direttamente od indirettamente connesse, onde portare un nuovo contributo alla conoscenza di tale interessante regione. Se. Nat. Vol. XXVI 3 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fia. 1. — Scisto al contatto con i filoni granitici. Parte principalmente quarzosa . Nicols inerociati. Ingrandimento 11 diam. 2. — Contatto fra il granito (a sinistra) e la roccia scistosa (a destra). Luce ordinaria. Ingrandimento 11 diam. 8. — Granitite della Serra. Cristallo di plagioclasio distorto e rotto nella parte inferiore, con sottile bordo di differente acidità. Nicols in- crociati. Ingrandimento 15 diam. 4. — Filone aplitico. Principio di struttura cataclastica. Nicols incrociati. Ingrandimento 14 diam. 5. — Filone aplitico. Struttura cataclastica. Cristalli di ortose geminato se- condo la legge di Carlsbad, immersi nella massa quarzoso-feldi- spatica. Nicols incrociati. Ingrandimento 15 diam. 6. — Vena nel granito. Filoneelli di tormalina nella massa quarzosa mi- nutissima. Luce ordinaria. Ingrandimento 18 diam. R. UGOLINI — a I TRRRENT DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO STUDI E RICERCHE DI GEOLOGIA AGRARIA =_= Rem JUL VI. — Idrografia sotterranea. Per la natura prevalentemente impermeabile delle rocce che ne fanno parte, la regione rosignanese è poverissima di sorgenti. Considerata sotto questo aspetto la idrografia sotterranea di detta regione mostra ben poco interesse; ne ha invece assai di più dal punto di vista delle acque di fondo che nella zona pianeggiante, compresa fra le colline, la Fine ed il mare, for- mano una falda freatica meritevole di qualche considerazione e della quale parlerò fra breve. Ad ogni modo prima di queste acque, che formano l’argo- mento principale del presente capitolo, parmi utile di dire due parole sul- l'attitudine che le rocce dei dintorni di Rosignano hanno o meno ad imbe- versi ed impregnarsi di acqua, o, come altri la chiamano, sul coefficiente d’imbibizione delle rocce medesime, non soltanto perchè con esso coeffi- ciente è intimamente connesso il carattere della permeabilità, ma anche perchè da esso possono pure dipendere, e la tendènza maggiore o minore a disgregarsi per dare poi origine al terreno agrario ?), e, come giustamente osserva il SALMOIRAGHI 3) non pochi importantissimi requisiti costruttivi. 1. Acqua d’imbibizione. Le rocce che io assoggettai alla ricerca del coefficiente d’ imbibizione sono le seguenti: serpentina a bastite di Castiglioncello; eufotide a ura- lite di Rosignano; diabase a uralite di Rosignano; macigno di Castiglion- cello; calcare grossolano conchigliare di Rosignano; arenaria ofiolitica di Rosignano; panchina di Castiglioncello. Di due delle rocce ora enume- rate, e cioè del calcare grossolano e della panchina, il coefficiente d’ im- 1) Per la parte I.a vedi il vol. XXV. ©) MERRILL. A treatise on rocks, rocks-weathering and soils, pag. 177-80. New-York, 1906. — HaLL. I suolo, pag.15 d. trad. ital. Torino, 1905. 3) SALMOIRAGHI. Materiali naturali da costruzione, pag.124. Milano, 1892. 32 R. UGOLINI bibizione era già noto già da qualche anno, avendone io parlato in una nota speciale concernente appunto alcune ricerche del genere eseguite sopra alcuni materiali edilizi dei dintorni di Pisa e di Livorno !). In detto lavoro fu anche sommariamente descritto il metodo da me seguito in quelle come in queste ricerche, e perciò mi esimo dal parlarne nuo- vamente. Darò solo nella seguente tabella i resultati conseguiti in quest’ul- time, indicando per ognuna delle rocce esaminate il numero dei giorni occorsi per la imbibizione completa dei campioni, i pesi specifici ap- pareute ed assoluto, i valori di è e di è' rispettivamente ed in ultimo il grado di compattezza secondo la scala del SALMOIRAGHI ?). Peso Coeffi- Coeffi- specifico DESIGNAZIONE DELLE ROCCE ciente è ciente è” appa- | asso- | ferito riferito Durata della immersione in giorni Grado di compattezza rente | luto al peso |al volume 1. Serpentina bastitica di Ca- stiglioncello . È 7 7 |2,564|2,583|0,009022 | 0, 023809 2 2. Eufotide uralitizzata di Ro- signano È i ; 7 |2,968/2,991|0,006249 | 0, 018548 DI 3. Diabasè uralitizzata di Ro- signano , a î 7 |2,868|2,895|0,006056 | 0, 017372 2 4. Macigno di Castiglioncello 6 |2,690|2,740|0,021195|0,057328| 3 5. Calcare conchigliare di Ro- signano Ì ; i 6 |2,474|2,576|0,044328|0,108394| 3 6. Arenaria ofiolitica di Rosi- gnano . 5 i ) 7 |2,452|2,627|0,030795 | 0, 075518 7. Panchina di Castiglioncello 6 |2,866]2,429]|0,028782]|0,063247| 3 2. Acqua freatica. La parte della regione rosignanese che è circoscritta dai monti e colli prospicienti il mare, dalla spiaggia e dalla riva destra del fiume Fine, è costituita, come ho già detto altrove, quasi interamente dalla panchina. Questa roccia è dotata di una penetrabilità non molto elevata, ma suf- ficiente a che le acque di pioggia che cadono sopra di essa vengano in parte assorbite e trasmesse, attraverso il fittissimo reticolato di fessure che contiene, sino allo strato argilloso pliocenico impermeabilissimo sot- 1) UGoLINI. Ricerche sopra il coefficiente d’imbibizione di alcuni materiali edi- lizì dei dintorni di Pisa e di Livorno. Atti R. Accad. Fisiocr. di Siena, 1906. 2) SALMOIRAGHI. Op. cit., pag. 124. Milano, 1892. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 33 tostante, sul quale le stesse si raccolgono in guisa da formare una falda freatica. Ho detto falda freatica invece che mappa freatica, come altri usa indicare depositi consimili di acqua sotterranea, perchè questo se- condo nome darebbe al deposito acquifero in parola un significato di continuità che si verifica soltanto, come ben dice il MARTEL *), nelle acque contenute in rocce incoerenti e che non si riscontra invece nelle rocce calcaree fessurate dove l’acqua circola solamente nelle fessure. Non tutta l’acqua di questa falda, giova dirlo, è, a mio credere, dovuta all’assorbimento dalle acque fluviali per opera della panchina; ma una parte per quanto piccola di essa proviene quasi sicuramente dalle rocce circostanti cui gli strati della panchina si appoggiano. È dalle acque di questa falda freatica che traggono alimento i numerosi pozzi che trovansi disseminati in tutta la zona costituita da questa formazione. Per arrivare a determinare l’estensione della falda stessa e l’anda mento delle sue acque era d’uopo raggiungere la superficie nel mag- gior numero possibile di punti, cosa che io feci giovandomi dl alcuni dei pozzi più sopra ricordati. I pozzi presi in esame furono in numero di 27. Per ognuno di essi furono determinate la quota altimetrica ap- prossimativa del luogo nel quale fu praticato, quella del pelo acquifero, la temperatura dell’acqua in confronto di quella dell’aria nell’ istante delia osservazione e tutte quelle altre particolarità che mi sembrarono di qualche interesse. 1. — Risultati delle osservazioni fatte sopra i pozzi e le sorgenti freatiche. Ognuno dei 27 pozzi presi in esame è contrassegnato da un nome spe- ciale che ordinariamente è il medesimo di quello della casa poderale cui il pozzo appartiene. Ad essi vanno poi aggiunte due sorgenti che per essere alimentate dalle acque delta falda freatica in parola, ho prefe- rito di ricordare in questo capitolo anzichè in quello delle sorgenti comuni. 13. Pozzo del Giardino. — È alla quota di m. 52 circa. Il pelo del- l’acqua, secondo le osservazioni fatte la mattina del 25 luglio 1908, era alla profondità di 10 m. dalla superficie del terreno, corrispondenti a m. 42 sul livello del mare. La temperatura riscontrata negli strati su- periori dell’acqua stessa fu di 16° essendo di 26° quella dell’ambiente. Il livello dell’acqua del pozzo in parola, stando alle informazioni rice- vute dagli utenti, va soggetto nella stagione estiva a qualche variante che, però, è ‘generalmente assai ben poco accentuata. !) MARTEL, L’eau, étude hydrologique, in Le sol et l’eau, pag. 100. Paris, 1906. 34 R. UGOLINI 15. Pozzo della Fiammetta. — Questo è alla quota di 45 m. Il il- vello dell’acqua, osservato il 25 luglio 1908, distava di m. 6, 5 dalla superficie del terreno e quindi m. 38, 5 dal livello del mare. La tempe- ratura osservata fu di 16°, quella dell’aria essendo di 26°. Le variazioni di livello cui l’acqua di questo pozzo va soggetto in alcuni periodi del- l’anno coincidono esattamente con quelli del pozzo del Giardino. 22. Pozzo delle Morelle. — La quota di questo è di m. 33 sul mare, la profondità dell’acqua dalla superficie del terreno, di m 3, il livello altimetrico del pelo acquifero conseguentemente di 30 m. L’osservazione della temperatura, fatta il 25 luglio 1908 contemporaneamente alla de- terminazione del livello, risultò di 15° essendo di 26°, 5 quella dell’aria. Esso, a quanto se ne dice dagli utenti, non subisce variazioni di livello sensibili in tutto l’anno. 23. Sorgenti di Fonte Acquaiola. — Sono due piccoli affioramenti naturali dell’acqua freatica determinati dalla vicinanza del pancone im- permeabile argilloso alla superficie del terreno. Essa, per queste sue speciali condizioni, viene molto vantaggiosamente impiegata dai dirigenti della casa poderale omonima per irrigare la parte del podere situata a valle delle due sorgenti, permettendovi la cultura orticola che è invece assolutamente impossibile altrove. La temperatura delle due sorgenti in parola fu misurata due volte. La prima, nella mattina del 25 lugllo 1908, risultò di 15°, 5 essendo di 26° quella dell’aria; la seconda, nel pomerig- gio del giorno 9 novembre 1909, risultò di 15°,3 essendo quella del- l’aria di soli 10°. La portata fu misurata soltanto nel giorno 25 luglio predetto e risultò di litri 0, 70 al 1” circa per ambedue le sorgenti complessivamente, pari a m3 60 o poco più al giorno. Però questa può considerarsi come la portata minima, perchè, pure essendone poco varia- bile il regime, l'erogazione di esse nella stagione invernale è sicuramente un poco superiore alla cifra testè indicata. 26. Pozzo della Casa Berti. — È alla quota di circa 17 m. La profondità dell’acqua, osservata il giorno 25 luglio 1908, risultò di m. 1, 5 dal livello del terreno e conseguentemente il livello di essa sul mare di m. 15, 5. Le tem- perature riscontrate per l’acqua e per l’ambiente furono di 19° e 27° re- spettivamente. Le variazioni di livello di questo pozzo sono poco sensibili. 94. Pozzo di Ca di Salcì. — Questo pozzo trovasi a m. 23 sul li- vello del mare. Il pelo acquifero fu incontrato alla profondità di m. 1, 2 dalla superficie del terreno; esso è dunque situato alla quota di m. 21, 8 sul mare. La temperatura dell’acqua, nel giorno 25 anzidetto era di 16° e quella dell’aria di 27°. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 35 28. Pozzo del Mondiglio. — Il pozzo, come la casa poderale alla quale esso appartiene, sono situati sopra un poggetto formato dalla panchina, alla quota di circa 10 m. La profondità del pelo acquifero risultò di m. 2,2 dal suolo; esso trovavasi dunque nel giorno in cui furono eseguite le osservazioni (25 luglio 1908) alla quota di m. 7,8. Le temperature dell’acqua e dell’aria risultarono respettivamente di 18° e 27°, 5. Non va soggetto a sensibili variazioni di livello. 25. Pozzo della Quercioletta. — La sua quota è di m. 18; la profondità del pelo acquifero, sempre nel giorno già più volte ricordato, era di m. 2. Esso trovavasi dunque ad un livello altimetrico di m. 16. La temperatura dell’acqua risultò esattamente uguale a quella trovata per l’acqua del pozzo precedente. Nella estate il livello è quasi costante. Quando il pozzo è vuotato per la ripulitura si vede chiaramente che l’acqua vi affluisce con molta rapidità per due grosse fessure che attraversano la panchina, nella quale il pozzo è scavato. 27. Pozzo della Casa Santa Rosa. — È alla quota di m. 12 circa, e da questa il pelo dell’acqua distà di m. 3. Il livello di quest’ultimo sul mare è dunque di 9 m. appena. Le temperature osservate il 25 luglio 1908 risultarono di 17° e 28° rispettivamente. Non si hanno notevoli variazioni di livello da una stagione all’altra. 9. Pozzo del Ginestraio. — L’altimetria di questo pozzo è di m. 57 circa. La profondità dell’acqua non oltrepassa i 13 m. Il livello super- ficiale della falda acquea è dunque situato a circa m. 44 sul mare. La temperatura dell’acqua osservata sempre nel giorno solito risultò di 15° essendo quella dell’ ambiente esterno di 8°, 5. L’acqua scarseggia nel- l’estate. 10. Pozzo della Casa Gallina. — È situato a sud-ovest del prece- dente, alla quota di m. 55 circa. La profondità del pelo dell’acqua è di m. 11, vale a dire che esso trovasi pressochè alla quota di m. 44 sul livello del mare. La temperatura dell’acqua nel giorno 25 luglio 1908 risultò di 15°, essendo quella dell’aria di 28°, 5. Il fondo del pozzo che, secondo le informazioni assunte sul posto, è di natura puramente ar- gillosa, pare che coincida direttamente con la superficie dello strato ar- gilloso impermeabile. Il livello dell’acqua essendo in questo tal quale fu riscontrato al pozzo del Ginestraio, se ne conclude facilmente che nello spazio interposto fra i due pozzi la pendenza dello strato acquifero è nulla o quasi nulla, nonostante che il pozzo in esame sia situato un 150 m. circa più a valle del precedente. Nel pozzo in parola, a quanto si dice, 30 R. UGOLINI l’acqua è soggetta a variazioni notevoli e talora diviene piuttosto scarsa nella stagione estiva, proprio come si verifica al pozzo del Ginestraio. La ragione di ciò è molto probabilmente da imputarsi al fatto che tanto l’uno quanto l’altro pozzo appartenendo alla parte altimetricamente più elevata della falda acquifera, sono quelli che risentono prima e più degli altri gli effetti della siccità. L’acqua di questo pozzo è poi ritenuta meno buona ad uso di potabilità dell’acqua degli altri pozzi. 3. Pozzo delle Cerbonchie. — Questo pozzo trovasi alla quota di m. 71. Il livello dell’acqua dista da cotesta quota m. 17 e si trova perciò a m. 54 sul mare. Anche qui la temperatura osservata il 25 luglio 1908 risultò di 15°, essendo di circa 29° quella dell’ambiente. Nell’estate il livello si mantiene quasi costante. 14. Pozzo della Fame. — Trovasi alla quota di m. 51; il livello del- l’acqua è alla profondità di m. 12, vale a dire a m. 39 sul mare. Le temperature osservate nel giorno 25 luglio 1908 risultarono di 16° e 29°,5 rispettivamente per l’acqua e per l’aria. Il fondo del pozzo, se- condo quanto ne dicono gli utenti, sarebbe di natura piuttosto arenacea. 19. Pozzo delle Selvaccie. — Il pozzo annesso alla casa poderale di questo nome è alla quota di circa 39,5. L’acqua vi si trova ad una pro- fondità di m. 3 per modo che il pelo di essa è situato ad un livello di m. 36,5 sul mare. La temperatura dell’acqua nel giorno solito, risultò di 17° e quella dell’aria all’esterno di 29°,5. Sempre secondo le infor- mazioni avute sul posto, l’acqua di questo pozzo perderebbe gran parte dei suoi requisiti di potabilità, quando se ne accresce il livello. 12. Pozzo del Cotone 1. — Il pozzo in esame appartiene alla casa po- derale denominata Cotone. Siccome però esiste nelle adiacenze un’altra casa poderale di più recente costruzione conosciuta con lo stesso nome, ho creduto designare col numero 7 la prima che è questa e col numero 2 la seconda di cui sarà fatto cenno fra breve. Questo pozzo trovasi alla quota di m. 44 ed il pelo dell’acqua è molto vicino alla superficie del terreno distandone appena di un mezzo metro. Ne consegue che il li- vello dell’acqua del pozzo in parola trovasi a m. 43,5 circa su quello del mare. La temperatura da essa posseduta all’epoca già indicata più volte era di 179,5 essendo di circa 30° quella dell’aria. Della notevole vicinanza della falda freatica alla superficie del ter- reno veggonsi facilmente i segni nella condizione di umidità in cui esso si trova e conseguentemente nella natura della coltivazione che è ivi possibile a differenza di quanto avviene nella maggior parte del terreno circostante. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 37 21. Pozzo della Casa Costagli.— È alla quota di m. 34 ed il pelo dell’acqua a quella di m. 31, distando di circa 3 m. dalla superficie e- sterna del terreno. Le temperature dell’acqua stessa e dell’aria, osservate nel giorno 25 luglio 1908, risultarono rispettivamente di 16,5° e di 30°. 16. Pozzo della Casa Gambini. — Questo pozzo trovasi alla quota di: circa m. 41. L’acqua vi si trova alla profondità m. 2,5 dal suolo, ne consegue perciò che il livello sul mare del pelo acquifero è di m. 38,5. La temperatura dell’acqua, sempre nel giorno 25 luglio 1908, risultò di 17°, essendo quella dell’ambiente esterno di 30°,5. Abbastanza sensibile è la variazione cui va soggetto il livello del pelo acquifero passando dalla stagione estiva a quella invernale; infatti è accaduto talvolta che l’ acqua si è accresciuta tanto da raggiungere quasi la superficie del suolo. Il fondo del pozzo è sabbioso-ocraceo. 18. Pozzo della Villana. — La quota di questo è dig.:circa m. 40; quella del pelo acqueo di circa 36°,5 essendo la sua profondità di m. 3,5 dal livello del terreno. La temperatura misurata sempre nello stesso giorno risultò identica a quella del pozzo precedente al quale si somiglia non solo per la natura arenacea del fondo ma anche per l’altezza del li- vello acqueo che d’inverno raggiunge spesso, e talora oltrepassa, il livello del suolo. 20. Pozzo delle Quercete. — Questo pozzo è situato alla quota di 37 m. La profondità del pelo acqueo è di m. 3, e per conseguenza la sua quota altimetrica di m. 34. Le temperature osservate furono di 16° e 30°,5. Anche per questo pozzo si verifica durante l’inverno un notevole innalzamento del pelo acquifero sino a raggiungere, ed oltrepassare ta- lora, la superficie del terreno. È sicuramente a questa speciale condi- zione che deve attribuirsi, secondo me, lo stato acquitrinoso nel quale in inverno trovasi quasi normalmente quel tratto di terreno che inter- cede fra questo ed il pozzo precedente. 7. Pozzo della Casa Nibola. — La quota altimetrica di questo pozzo è di m. 60, e quella del pelo acqueo di soli 48,5, essendo di m. 11,5 la distanza di esso dalla superficie del suolo. La temperatura dell’acqua osservata la mattina del giorno 28 luglio 1908 risultò di 150,5, quella dell'ambiente di 25°. Il livello dell’acqua varia sensibilmente da una stagione all’altra, 4. Pozzo della Casa Guanti 1.— Col nome di Guanti sono indicate tre case poderali, situate a poca distanza l’una dall’altra ed a ciascuna delle quali è annesso un pozzo. Per poterle bene distinguere, ho creduto ne- 38 R. UGOLINI cessario di designarle respettivamente coi numeri 7,2, 3. Il pozzo di cui si parla è quello della casa Guanti 1. La sua quota altimetrica è di m. 64; la distanza del pelo acquifero dalla superficie del suolo è di m. 14,5; ne consegue che il livello dell’acqua è di m. 49,5 sul livello del mare. Le temperature osservate nella mattina del 28 luglio 1908, risultarono di 17,5° per l’acqua e di 26° per l’aria. 6. Pozzo della Casa Guanti 2. — È situato a circa 300 m. di distanza a sud-ovest del precedente, e alla quota di m. 60. La profondità del- l’acqua è di circa m. 11,5 e conseguentemente la quota del pelo acqui- fero di m. 48,5. La temperatura osservata parimenti nel giorno 28 lu- glio risultò identica a quella dell’acqua del pozzo precedente essendo di 27° quella dell’aria. 5. Pozzo della Casa Guanti 3. — Questo pozzo è situato un poco più a sud del precedente, a una cinquantina di metri circa di distanza, ed alla stessa quota altimetrica. Però il pelo dell’acqua vi è di un mezzo metro circa più alto, ragione per cui la quota di esso risultò di m. 49 e la temperatura, osservata nello stesso giorno 28 luglio 1908, maggiore di un grado (18,5°) a quella riscontrata nel pozzo precedente, essendo ancora di circa 27° la temperatura dell’aria. Il pozzo è interamente sca- vato nella panchina ed il livello è quasi costante nella stagione estiva. 11. Pozzo della Casa Cotone 2. — Questo pozzo è alla quota di m. 54. La profondità dell’acqua dalla superficie del suolo è di, 10 m. Ne con- segue che il suo livello sul mare è di m. 44 circa. La temperatura che l’acqua possedeva all’epoca (28 luglio 1908) in cui io feci le osservazioni risultò di 16°, essendo quella dell'ambiente esterno di 28°,5. Il pozzo è scavato interamente nella massa della panchina. La quantità di acqua da esso contenuta si conserva quasi costante durante l'estate. 2. Pozzo antico. È uno dei primi che sieno stati scavati in questa regione, donde il nome con cui viene designato dalla gente del luogo non appartenendo esso a nessuna casa poderale. Trovasi fra La Casiîna la Casa Cotone 2, e dista da ambedue per circa 200 m. La sua quota è a m. 65,5 sul mare e la profondità dell’acqua dal suolo di m. 10. Ne consegue che il livello di queste è di m. 55,5 sul mare. La temperatura dell’acqua risultò di 16° essendo quella dell’aria di 29° circa. 1. Pozzo della Casina. — È il pozzo nel quale la falda freatica rag- giunge una quota altimetrica maggiore che in tutti gli altri. Infatti mentre il livello del suolo è di m. 70, la profondità dell’acqua da questo è di 2 m. appena. Ne consegue che il livello del pelo acquifero su quello del + I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 39 mare è di m. 68. La temperatura dell’acqua, quale io la riscontrai nel giorno 28 luglio 1908, risultò di 18° nel mentre che il termometro allo esterno ne segnava 29°. Il fondo del pozzo è di natura argillosa e l’acqua contenutavi di non buona qualità. 8. Pozzo del Giardinaccio. — Questo è un poco distante dalla casa poderale a cui appartiene; infatti trovasi a un centinaio di metri da essa in direzione di sud-est. La quota altimetrica del pozzo è di m. 56. Quella dell’acqua di soli m. 44,5. Le temperature osservate il 28 luglio 1908, risultarono di 16° e di 29° per l’ acqua e per l’aria respettivamente. Dalle informazioni assunte presso gli utenti del pozzo in parola, risulta che esso è scavato interamente nella panchina e che il fondo di esso poggia sullo strato argilloso che serve di base alla falda freatica. Al- l’epoca in cui io feci le osservazioni anzidette il fondo del pozzo era stato ripulito da poco, e dai materiali portati a giorno con la pulitura, e da me esaminati sul posto, si capisce facilmente trattarsi della solita argilla tur- china pliocenica, come è confermato dalle numerose conchiglie rinvenu- tevi e già state enumerate nella descrizione geologica. Nessun dubbio quindi, circa la pliocenicità dello strato argilloso sopra cui si adagia la panchina e si allivellano le acque della falda che alimenta i pozzi ora de- scritti. 17. Pozzo delle Pianacce. — Questo pozzo trovasi alla quota di 45 m. e l’acqua contenutavi alla profondità di m. 8 dalla superficie del terreno. Ne consegue che la quota del pelo acqueo è di m. 37 sul livello del mare. La temperatura dell’acqua determinata alle ore 12,30 del giorno 28 luglio 1908 risultò di 16°; quella dell'ambiente esterno di circa 30°. 29. Sorgente delle Pianacce. — H% indicato con questo nome un pic- colo affioramento naturale della falda freatica esistente lungo la riva sinistra del Botro Crocetta, a due o trecento metri di distanza dalla casa poderale delle Pianacce, alla quota di circa m. 30 sul mare. Questa sorgente dà un erogazione piccola ma continua, e nel giorno 28 luglio 1908 in cui ne feci l’esame, la portata risultò equivalente a circa litri 0,10 al 1”. La temperatura raggiunse i 18° essendo quella dell’ am- biente esterno di circa 30°. Essa sgorga direttamente da una fessura della panchina attraverso cui l’acqua del deposito freatico viene a giorno. Nella tabella seguente sono riassunti i dati idrologici dei pozzi e delle sorgenti ora descritti per renderne più facile l’esame comparativo. 40 R. UGOLINI 5 \uota DOOR Quota | 7 ua a î Ò Rei: emperatur Vatur D E | DENOMINAZIONE TAO deo altinie: È sn sad Nea OTO 5 dei | pelo | Ud î del delle 3 DEI POZZI po ni TT n Da SDA Sio acqueo | acqua | aria fondo osservazioni Casi a (007 RIZZO] ES HONiSo 8290 —_ 28 luglio 1908 2.| Pozzo antico ». . . | 65,0] 10,0) 155,5. || 16 29 = id. 3 | Cerbonchie . . . | 71,0 | 17,0 | 54,0 | 15 29 — 25 luglio 1908 4| Guanti1.. . . .|64,0|14,5|49,5|17,5| 26 — |28 luglio 1908 DI Guanti3M ee RENT d| (60,0) 401;(01|74901 MS: RA id. CIG ante N 60100 5) PASSI MITA N27 a id. TONDE O 1a E 6000) LS R4 SE lot 05 "SA id. 8 | Giardinaccio . . . | 56,0 | 11,5 | 44,516 | 29 | freloso id. 9 Ginestraio. .. | 5.70) | 13:07] 4430115 28,5 = 25 luglio 1908 107 NGallimat ee eee 55707 |RS0) RA4V0 5, 28,5 | argilloso id. 11 | Cotone 2 . . . . | 54,0] L0,0| 44,0 | 16 28,5 — 28 luglio 1908 19.) Caine seo {EOLO 85 | 17,5] 80 —_ 25 luglio 1908 13 Giardino et 19208 LOXON RA2Z0N BIG 26 —_ id. 14| Fame .. . . .|51,0|12,0|39,0|16 |29,5| sabbioso ia. O ai EMO 80 16 26 — id. 16;| Gambini -../.0 0. | 41,0: 2,5885705 nea id. Ire Pi anacce MA 4008 MIS ON STRONG 30 — 28 luglio 1908 18| Villana . . . .|40,0| 8,5|36,5| 17 | 30,5 | Sabbiose | 25 1uglio 1908 198 /fSelvaece Rene 039700 3102 EROI 2909 — "ETA, 20M@Quercete ee 370) 303 TNON BL 30, > —_ id. DI Gosta oil Se (901 N3TON RIT0R RICH N30 na id. 2231 MOT elle si Sn Si AR 833701308 E30N0R Fb 12675 RE id. \ 15,5 | 26,5 —_ id. ore 8 23 | *Fonte Acquaiola. . | 25,0) — mali {| 15,3 | 10 —_ 9 nov. 1909 | ore 15 24 [ Cerchiiisalet oo EOLO MI 27 = 25 luglio 1908 25 | Quercioletta . . . | 18,0] 2,0 | 16,0 | 18 27,5 _ id. DO Led 6 0 1,5 | 15,5 | 19 27 —_ id. 20 Santa Rosa ee 200 AS TORIONOR BI 28 —_ id. 28 | Mondiglio. . . .|10,0| 2,2| 7,8|18 |27,5 = id. 29 | *Sorg.° delle Pianacce | 30,0 | — — | 18 30 = 28 luglio 1908 N,B,— Le sorgenti freatiche naturali sono indicate con l'asterisco, I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 4l 2. — Andamento della falda freatica, Dall'esame dei dati precedenti ne consegue che la falda freatica in parola riposa direttamente sulla formazione argillosa impermeabile del Pliocene, e che a causa della inclinazione, generalmente leggera, degli strati costituenti la formazione medesima, il livello della falda anzidetta viene a trovarsi a quote altimetriche tanto più basse quanto più essa si avvicina alla spiaggia. Tale andamento della falda freatica in questione è reso ancor meglio evidente dalle ipoidroisoipse che io, seguendo il si- stema già indicato dal KEILHACK !), potei tracciare con l’aiuto dei dati riportati più sopra. Coteste ipoidroisoipse, mentre da un lato servono molto bene a dare un’ idea sia pur sommaria dell'andamento generale della falda acquifera nel sottosuolo, hanno anche la particolare importanza di farci in certo modo conoscere la disposizione dello strato argilloso che fa da sostegno al deposito freatico, indicandoci a un dipresso i luoghi di maggiore inclinazione della falda e conseguentemente anche i punti di maggiore affluenza di essa. A questo proposito parmi di potere affer- mare che nel caso speciale nostro la pendenza dello strato acquifero, mentre risulta assai sensibile e diretta a sud-ovest nei punti di mag- giore elevazione, si fa sempre meno accentuata, fino a diventare leg- gerissima in prossimità del mare. Per rendere poi più complete queste mie osservazioni, avrei avuto desiderio di fare anche delle ricerche sul movimento dell’acqua della falda freatica, e sopratutto sulla sua velocità, mediante il noto metodo della colorazione; ma la ristrettezza del tempo ed altre ragioni indipendenti dalla mia volontà non mi permisero di farlo fino adesso; mi riprometto ad ogni modo di fare questa importante ri- cerca in seguito, non appena ne avrò l’occasione. 3. — Quantità di acqua disponibile nella falda freatica. Una ricerca della quale invece io ho avuto quasi necessità di occu- parmi per l’indole stessa del presente lavoro, riguarda il quantitativo di acqua presumibilmente disponibile nella falda freatica in questione. Av- verto subito a questo proposito che nel caso speciale tornava impossi- bile, per varie ragioni che ora spiegherò, di determinare cotesto quan- titativo direttamente, mediante la misurazione dell’acqua che torna a giorno per diverse vie. Infatti, questa ci rappresenta sicuramente una i) KEILHACK. Lehrbuch der Praktischen Geologie, pag. 283. Stuttgart, 1896. 49 R. UGOLINI frazione soltanto dell’intiera massa acquea della falda freatica, mentre la parte maggiore di essa scénde lentamente verso il mare, sfuggendo ine- vitabilmente ai nostri mezzi di osservazione e di ricerca; non è esclusa poi la possibilità che ad alimentare la falda in parola concorrano indi- rettamente anche le acque delle piene del Botro Secco, se, come pare quasi certamente, una parte di queste si disperde nel terreno prima di scaricarsi nel Botro Cotone; nè d’altronde è possibile negare che la falda stessa alimenti a sua volta l’alveo del Botro Cotone nei suoi periodi di magra, se, come è facile persuadersi facendo una sezione del terreno e della falda freatica fra i due botri, il livello freatico risulta normalmente più elevato del fondo del Botro Cotone e più basso di quello del Botro Secco. Finalmente non è punto improbabile cha una parte delle acque che cadono sulle pendici circostanti alla formazione nella quale la falda frea- tica è contenuta, possa essa pure concorrere ad alimentarla, sia superfi- cialmente lungo il contatto fra la panchina e le rocce più antiche di cui coteste pendici sono costituite; sia sotterraneamente per le fessure ed i meati dei pochi lembi di rocce alquanto permeabili sulle quali la pan- china viene in qualche luogo a trovarsi appoggiata. Non mi rimaneva dun- que che il metodo della determinazione indiretta mediante il coefficiente di assorbimento della panchina, desunto per analogie con altre rocce affini di noto coefficiente e mediante i dati udometrici del luogo; ed a questo metodo mi sono attenuto, pur sapendo che i resultati ai quali io sarei pervenuto non avrebbero potuto raggiungere quel grado di approssima- zione che è richiesto per ricerche di tanta importanza; causa principale di ciò, la mancanza per la regione rosignanese di dati udometrici, nep- pure per un breve periodo, e conseguentemente la necessità imprescin- dibile di ricorrere, come ho fatto, a quelli della regione più vicina. 1. Dati udometrici. — Gli osservatorî udometrici più prossimi alla re- gione in istudio sono: quello di Livorno, che trovasi alla distanza di soli 19 km. in linea retta da Rosignano, e, quel che più interessa, in condizioni climatologiche non troppo diverse da quelle di questo paese; quello di Lari, che dista da Rosignano 20 km. soltanto. Esso, però, va soggetto a condizioni climatologiche assai diverse da quelle di questo paese, non tanto per il fatto di essere situato un po’ troppo lungi dal litorale, quanto perchè i venti di mezzogiorno, che sono poi i più piovosi, debbono prima di arrivarvi, passare sopra un buon tratto di terra ferma, con monti di una certa altezza come quelli della Castellina (M. Vaso: m. 634 e M. Vitalba: m. 674), e conseguentemente andar soggetti a fenomeni I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 43 che possono influire sensibilmente sul regime pluviometrico della regione larigiana. Dalla parte di mezzogiorno e di sud-est di Rosignano, le prime stazioni pluviometriche che s’ incontrano, sono quelle di Campiglia Marittima, di Massa Marittima e di Volterra. È inutile però che io dica come per la notevole distanza e le condizioni orografiche e meteorolo- giche di queste tre stazioni, i dati udometrici ivi raccolti, e che io ho potuto avere in esame dalla cortesia dei loro respettivi direttori, non avrebbero alcun carattere di attendibilità agli effetti delle ricerche che mi sono prefisso di fare. Invece, in mancanza di dati udometrici propri alla regione rosignanese, ho creduto che potesse essere assunta a tale scopo la media pluviometrica, opportunamente ridotta, della città di Li- vorno, come quella che, per le condizioni fisiche del luogo cui essa si riferisce, deve presumibilmente essere non troppo lontana da quella che compete realmente alla regione in istudio. Ho detto opportunamente ridotta, perchè è ormai cosa bene assodata e nota a tutti gli abitanti della regione rosignanese che a Rosignano piove sicuramente un po’ più di rado ed in copia minore che a Livorno; accade anzi di sovente, e qualche volta ho avuto io stesso la possibilità di constatarlo in qualcuna delle mie gite tra Rosignano e Livorno, che mentre nei dintorni di Rosignano non erano cadute che poche gocce o non aveva piovuto affatto, a Livorno, invece, e talora anche sopra una buona parte della regione litorale interposta fra questa città e Casti- glioncello, aveva piovuto copiosamente. La ragione di ciò potrebbe forse, come io crédo, venire attribuita ai venti che spirano frequentemente dalla vallata della Fine in verso il mare, e che, opponendosi a quelli piovosi che provengono da sud, ne spostano il decorso verso ovest al- lontanando a questo modo anche la pioggia. Ciò premesso, e conside- rando che la media pluviometrica di Livorno, quale resulta dai dati udometrici di quest’ultimo cinquantennio e riportati nell’annesso quadro, è di circa 897 mm,, non credo di allontanarmi di soverchio dal vero, as- sumendo per la regione rosignanese la cifra di 800 mm. 44 & Dati udometrici dell’Osservatorio TOTALE TOTALE Gennaio Febbraio Marzo Aprile Anno| della dei [Anno] della dei Ri: Sal POR 3 È pioggia giorni pioggia giorni El 9 5 E E E OM È GE nmm. piovosi in mm. plovosi SR, 50 (I o (A 19) A 1857 987 = 1883 675 _ 1858 893 — 1884 596 _ 1859 1082 = 1885 | 1058 — 1860 943 = 1886 907 —_ 1861 612 = 1887 977 — 1862 1119 - 1888 ? = 1863 956 = 1889 | 1077 = 1864 816 = 1890 597 = 1865 832 ai 391 596 _ 1866 482 = 1892 815 - 1867 ? —_ 1893 841 = 1868 1030 = 1894 434 = 1869 ? S 1895 | 1077 = 1870 196 3 1896 | 1245 = 1871 633 “e 1897 766 = 1872 1389 = 1898 | 1383 n 1873 1040 = 1899 854,6 86 | 50,4| 12 44,2 6 38 6 |107,5 13. 1874 638 = 1900 | 1348,3 | 116 |136,3| 11 |104,1| 19 |15l 13 |138 5 1875 854 — 1901 885,7 | 116 0,8 RIDATO 141,3| 18 30,8| 12 1876 140 —_ 1902 976,2 | 105 | 64,3] 10 |180,7| 16 84,8 9 | 102 13 1877 690 = 1903 | 1037,5 | 113 | 41,1| 10 9,9 2 07,2) 10 53,8) 19 1878 872 = 1904 598, 1 95 | 56,7) 10 47,3| 13 |105,8| 12 44,4 9 1879 745 = 1905 | 1088,4 | 124 | 42,6 9 98,9| 10 67,8] 14 45,2 6 1880 112 = 1906 710,9 98 | 31,6 7 83 12 70,4| 12 31,2 7 1881 1270 _ 1907 | 1098,9 | 118 | 62,9) 10 46,4 8 20,5 3 |138,5| 14 1882 872 —_ 1908 881,8 O | IT 6 52, 6 TOA LOANO] MISI 59,2| 14 Media ( massima Estremi l minima Rapporto fra massima e minima 1) Quelli del decennio 1899-908 furonmi direttamente comunicati dal direttore dell'’Osservatorio Prof. G. Petrosemol eteorologico di Livorno !). 45 ca li altri furono tolti dalla memoria: Arno, Val di Chiana e Serchio (pag. 62) della Carta idrografica d’ Italia. Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre | Dicembre | amd ini i a ar ari end enel i ‘E n hi E n È si n d 3 D 5 5 n 3 Z 2) 4 E b7i 10 5 n D (A (os) ZA co A EN A (oJ) A (ole) 2, (1) A CSI (17, Ti 4 | 59,5 8 29 4 19 2 61,3| 10 |193,7 9 |117,9 3 [123,4 9 126,6] 12 | 36,4] 6 29,5 3 8,1 9 NIBLO 8 | 62,1) 12 |368,2| 18 | 64,1 6 il \50,4| 10 | 65,5 5 17,4 3 2,5 1 |140,9| 16 |156,1| 19 | 21,3 5 |128,5| 15 \(72,6| 10 | 59,6 8 12,6 2 24,6 5 32 3 |200,4| 16 |118,2 9 | 24,4 4 18,6 EI 54,7 4 — — | 51,2 9 |201 13 |101,9| 13 |273,6| 19 | 2,9 3 | 10,3 5 1,1 2 | sla GC Wal db al (63 8 | 61,4 8 i98,1| 15.| 78,6 % 59,9 2 91,2 T 99,9 O. 10 Rats] 2 5 6 i87, SIMENON 42,3) 4 51,6| 4 — — | 24,4 5 [119,8 7 |172,6| 13 | 46,4] 15 48,9 8 | 38,2 5 38,3] 4 2,4 1 94,1 9 |348,6| 21 |107,1] 13 |152,2| 20 113,8 4 | 79,2 7 63,7 7 32,9 4 37,9 5 | 30,5| - 7 | 90,8] 10 | 90 9 897, 55 A 1389 434 è à : 0, 31 44 i - Dati udometrici dell'’Osservatorio meteorologico di Livorno I) 45 n TOTALE Gennaio Febbraio Giueno 7 TOTALE i) Luglio Agosto Settembre Ottobre. | Nov 7 della | dei | Anno] della | dei El z Rae = = = ovembre | Dicembre inmm. |piovosi in mm. |piovosl A fu UA ù SE s STA El SI Z is E 35 6 È F a 38 I] A CIA 1857 987 — 1883 670 SS 1858] 893 | — |1884| 596 - 1859 1082 —_ 1885 | 1058 = i860| 943 | — | 1886] 907 _ (gi | 612 | — |1887| 977 - 1862 | 1119 | — |1888| ? “i 1863] 956 | — |1889 | 1077 _ 1864) 816 | — | 1890] 597 _ 1865) 832 | — | 1ag1| 596 - 1866) 482 | — |1892| 815 - 1867 ? — |1893| 841 — 1868] 1080 | — | 1894| 434 _ 1869 ? — | 1895 | 1077 - 1870] 796 | — | 1896| 1245 _ 1871) 633 | — |1897| 766 _ 1872 | 1389 | — | 1898 | 1383 _ 1873| 1040 | — |1sgg| 854,6] 86 | 50,4| 12 | 442) 6 | 38 6 |107,5| 13° 17,7 4 |59,5| 8 |22 4 | 19 2 | 61,3 si 193,7] 9 1874 638 | — | 1900] 1348,3 | 116 |136,3| 11 |104,1| 19 |151 13. | 138 50 126,6] 12 | 36,4 6 |295| 3! 8,1 3 RO s a n: pe 3 (123,4 9 1875) st | — | igor| 885,7] 116) 5,8) 1 |124,7| 11 |141,3| 18 | 30,8) 12 50,4| 10 | 65,51 5 |17,4| 3 | 95| 1 140,9 16 156,1 19 SE ee I876| 740 | — | 1902 976,2 105 | 64,3] 10 |180,7| 16 | 84,8/ 9 (102 | 13 72,6| 10 | 59,6) 8 12,6] 2 \o46| 5 39 3 00.4 16 21,3] 5 [1298,5| 15 1ezz| (690 — | 1903| 1037,5 118 | 4,1 do 9,8 200 772) 053,8) 8 i eee illa Ho 13 SI ; Da 1 1878) 872 | — | igo4| 598,1) 95 | 56,7) 10 | 47,3) 13 |105,8| 12 | 444) 9 210) SA RI O i e PS GR ot] ‘31 a DO 1879) 745 | — | 1905| 1088,4| 124 | 42,6| 9 | 98,9) 10 | 67,8| 14 | 45,2) 6 i 0 RIC:(0) Mic 100.9) 2 012) I o 227,3 5 ao 1880) 772 | — | iso6| 710,5) 98 | 31,6| 7 | 83 12 || 70,4| 12 | 31,20% S6g) CECA E ACI e RES 119,8 7 179,6 > x; È 1881| 1270 | — | 1907 | 1098,9| 118 | 62,9) 10 | 46,4] 8 | 20,5| 3 |138,5| 1 18,9 8 (138,2) (Bi iggia) & (aa 1 lol 0 bugig o) 107,1 13 s 3 1882) 872 | — [iso] 881,8] 97] 37,2) 6 | 59,6] 7 [194,6] 17 | 59,2] 14 |) [119,8| 4/|792| 7.|63,7) 7 |89,9) 4 |373/ 5 30,5 7 90,8 10 vo È ni ) Media n n CORO I ( massima . 3 + PNE È Î . . = 01389 Estremi minima 434 . Rapporto fra massima e minima 5 s 2 0, 31 gli altri furono tolti dalla memoria: Arno, V 3 elli del d î -908 i dir deo fi AA ora ) Quelli del decennio 1899-0908 furonmi direttamente comunicati dal direttore dell’Osservatorio Prof. G. Petrosemolo, al di Chiana e Serchio (pag. 62) della Carta idrografica d'Italia. 46 R. UGOLINI 2. Coefficiente di assorbimento della panchina.-- Per quel che riguarda poi il coefficiente di assorbimento % della roccia che contiene e in certo qual modo anche alimenta la falda freatica in questione, trasmetten- dovi parte delle acque di pioggia che si raccolgono sopra di essa, avverto subito che la panchina è un calcare arenaceo fessurato e come tale do- tato di un certo grado di quella permeabilità che il DAauBRÈE !) chiamò in grande, grossolana il TARAMELLI *) e indiretta il MARTEL 8). Non si co- nosce però fino a che grado di permeabilità arrivi questa roccia, ossia quale valore si possa attribuire al coefficiente di assorbimento & di essa, cosa che è appunto indispensabile di conoscere per il calcolo che si vuol fare. È vero che non manca chi ammette che si possa assegnare alle rocce in genere, qualunque ne sia la natura ed anche se assai diverse tra loro, un coefficiente medio per tutte, come Herm ‘), per esempio, che attribuisce alle rocce dell'Europa centrale un coefficiente medio di assor- bimento uguale ad un terzo dell’acqua piovuta; LAauTERBURG °) che lo fa uguale a poco meno di un quinto, e PARAMELLE °) che lo fa discendere persino ad un dodicesimo; ma può dirsi ormai dimostrato che un coef- ficiente medio unico per più tipi di rocce poco o nulla soddisfa nelle ricerche speciali, potendo il coefficiente di assorbimento dipendere da circostanze che variano spesso e notevolmente da un luogo all’altro e ne rendono il valore assai variabile anche per rocce d’identica costituzione e natura. A prova di ciò basti ricordare che il coefficiente di assorbi- mento dei calcari neocomiani costituenti il bacino alimentatore della ce- lebre sorgente di Valchiusa, già dal DeBAUVE °) ritenuto uguale a 0,50, fu invece dal DAUBREE *) elevato a 0,60. Un coefficiente simile fu pure assegnato dal Bruno °) ai calcari che costituiscono il bacino tributario delle sorgenti del Serino. Invece ai calcari metalliferi di Domusnovas, 1) DAUBRÉE. Les eaux souterraines à l’époque actuelle, vol. I, p. 17. Paris, 1887. 2) TARAMELLI. Sorgenti e corsi di acqua nelle Prealpi. Ist. Lomb. ser. II, f. 8, vol. XVI. Milano, 1883. 3) MARTEL. Op. cît., pag. 92. Paris, 1906. 4) HeIMm. Die Quellen, pag. 7. Basel, 1885. 5) LauTERBURG. Versuch zur Aufstellung einer allgemeinen Uebersicht ete. Bern, 1886. 6) PARAMELLE. L’art de découvrir les sources. Paris, 1896. ?) DeBauve. Manuel de l’ingenieur des ponts et des chaussées; Traité des eaux, fasc. 17, pag. 120. Paris. 3) DauBRbBE. Op. cit., vol. I, pag. 330. Paris, 1887. °) Bruno. Sulle fasi delle sorgenti della valle del Serino. Boll. d. coll. d. ing. e arch. di Napoli, vol. IX, pag. 12. 1892. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 47 Guttura, Pala e Su Mannau in Sardegna furono dallo ZopPr !) attribuiti valori come questi: 0,42; 0,43; 0,54. È dunque fuori dubbio che è im- possibile lo studio idrologico accurato di una regione senza la conoscenza del coefficiente di assorbimento delle rocce che ne fanno parte, coeffi- ciente che torna utile di determinare singolarmente caso per caso, a meno che non si possa addivenire alla conoscenza di esso per analogie con altre rocce di tipo affine e di cui sia già noto il coefficiente per studi e ricerche idrologiche preesistenti, come io ho appunto dovuto fare. Di ciò fu ben compreso il CANAVARI, che in tutti i suoi importantissimi lavori di idrologia, fatti in regioni varie d’Italia geologicamente le più differenti, non trascurò mai di determinare il coefficiente di assorbimento di quelle rocce con le quali erano connesse le acque da studiarsi, ciò che gli permise di trovare per esso valori i più diversi, talora anche per rocce della stessa specie litologica. E ricercando nelle relazioni di cotesti suoi studi, che duolmi di non vedere ancora pubblicati, che io potei raccogliere i dati relativi al va- lore di % di alcune rocce come si trovano riprodotti qui appresso: ?) 1. Sabbie gialle plioceniche di Fontebranda (Siena) 3) . . 0,0500 2. Sabbie gialle plioceniche del Poggio delle Mandrie presso Lari (Pisa) 4) ARE an 0A Sabbie gialle plioceniche di Montopoli (Firenze) 3) . . . 0,0247 3) 4. Sabbie gialle plioceniche di Sant'Arcangelo di Romagna 5) 0,0600 5. Sabbie con ciottoli dei dintorni di Riccione 5) . . . . 0,0800 6. Arenaria (macigno) del versante nord del Monte Pisano °) 0,1000 7. Arenaria (macigno) di Rivalto (Pisa) 9). . . . . . . 0,1075 1) Zoppi. Descrizione geologico-mineraria dell’ Iglesiente, pag. 116. Roma, 1888. 2) Al prof. CANAVARI che mi concesse di render note queste cifre porgo i più sentiti ringraziamenti. 3) CUPPARI, PALADINI e TURAZZA. Relaz. d. Comm. tecnica 8. prog. di con- dott. di acqua potab. p. Com. di Siena, pag. 95. Siena, 1897. 4) CANAVARI. Rapporto sull’acqua della Mandria, intorno alla sua possibile utilizzazione per alimentare il paese di Lari. 1897 (inedito). 5) Ipem. Sul problema dell’acqua potabile per Sant’ Arcangelo di Romagna. 1908 (ined.). . 6) Ipem. Considerazioni idrologiche sui dintorni di Riccione. 1908 (ined.). 7) Inem. Studio sulle sorgenti per l’acquedotto di Lucca. 1902 (ined.). 8) Ipem. Brevi considerazioni sui bacini imbriferi geologici che alimentano le sorgenti della Fonte di San Frediano e del Norci nel comune di Lari, e quella del Doccio di Rivalto nel comune di Chianni. 1905 (ined.). 48 R. UGOLINI 8. Arenaria (macigno) di Casola (Lunigiana) !) . . . . . 0,1000 9. Calcare cavernoso di Uliveto e di Caprona (M. Pisano) ?) 0,3500 10. Calcare cavernoso di Manciano (Grosseto) 5) LR OI 11. Calcare cavernoso di Molina di Quosa (M. Pisano) 4) . . 0,3400 12. Calcare fessurato liassico della Chiesaccia (Alpi Apuane) °) 0,5200 13. Calcare fessurato neocomiano della Chiesaccia (Alpi Apua- DE) O TEOR ES ONTANI N RN 14. Calcare fessurato grigio-chiaro neocomiano del versante , nord de lWMeRP san 019) eee LORI a 073900 15. Calcare nummulitico di Monte aida presso Mani (GIOSSEtO) O) I A vel A I 16. Calcare nummulitico del Poggio Sampugnano presso Man- CIAMON((GHOSSELON AI E Se +0 ROSNUOSIDZE 17. Calcare nummulitico dei Gorgoni (Grosseto) 5 «ore Ono 18. Calcare (alberese) fessurato eocenico del Gamberame (Prato) e E RR CI 19. Calcare (travertino) del Poggio Sampugnano presso Manciano (Grosseto) ER ee CEI . 0,0900 20. Calcare (lenticolare) ad dn di San Frediano (Pisa) 0,3800 2. (Calcare ‘a lyihotamni di San Marino 3) Re 01530 22. Scisti argillosi (galestri) con straterelli di calcare (alberese) di San Marino 9) e REIT 23. Scisti filladici con lenti numerose di anagenite fessurata del Verrucano del versante nord del M. Pisano 9) . . . 0,2000 4) CANAVARI. Osservazioni geologiche relative al progettato serbatoio artifi- ciale di acqua presso Cusola in Lunigiana. 1906 (ined.). ?) Ipem. Ulteriori osservazioni idrogeologiche sulle sorgenti di Uliveto în rela- zione all’emungimento di acqua dal pozzo naturale di Caprona. 1907 (ined.). 3) Inem. Sui modi migliori per dare un servizio regolare di acqua potabile a tutte le frazioni del comune di Manciano. 1905 (ined.). 4) IDEM. Relazione degli studi per un nuovo acquedotto pel comune di Bagni San Giuliano. 1904 (ined.). 5) BARBERIS. Utilizzazione di alcuni corsi di acqua sotterranea attualmente perduti negli strati sottomarini delle Alpi Apuane. (ined.). 5) CANAVARI. Studio sulle sorgenti per l'acquedotto di Lucca. 1902 (ined.). 7) InEM. Nuovo acquedotto per Prato. Studio sulle sorgenti del Gamberame. 1904 (ined.). 5) IpeM. Brevi considerazioni sui bacini imbriferi geologici che alimentano le sorgenti della Fonte di San Frediano e del Norci nel comune di Lari, e quella del Doccio di Rivalto nel comune di Chianni. 1905 (ined.). °) IpeM. Brew? motizie geologiche sulle regioni acquifere esaminate per l’ac- quedotto di Rimini. 1909 (ined.). I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 49 24. Scisti filladici con lenti più rare di anagenite fessurata del Verrucano del Monte Bellini presso Manciano (Gros- Set) e i e e DOL00 25. Granito del Monte cani (Elba) ie Pan 26071000 Ciò premesso, io credo di non allontanarmi troppo dal vero attri- buendo alla panchina di Rosignano e Castiglioncello un coefficente di assorbimento medio, unico per tutte le varietà alle quali essa fa gra- duale passaggio da un punto all’altro della formazione, uguale a 0, 25 dell’acqua piovuta; coefficiente, per altro, che nel caso attuale parmi potersi far discendere anche a 0,20, nella giusta supposizione che il mantello di terreno arabile che ne protegge la superficie tenda ad atte- nuare sensibilmente il grado di assorbimento che questa roccia avrebbe in realtà se le acque di pioggia venissero invece a trovarsi a contatto im- mediato con essa. Avverto subito che questa cifra di 0, 20 che io aveva assunta molto tempo prima che venisse pubblicata la importantissima memoria dell'ing. PERRONE scpra i corsi di acqua della Sicilia *) trova in questa una valida conferma. Come è noto, una estensione notevole del litorale siculo è costituita di una formazione particolare di natura prevalentemente calcarea, la quale, così pel modo di origine e pei ca- ratteri litologici suoi, come anche per le condizioni tettoniche e di gia- citura, ricorda, talora spiccatamente, la panchina del nostro litorale. Di queste tipo litologico, che in Sicilia è conosciuto generalmente con il nome di tufo, gli strati più elevati in altezza ed addossantisi sui fian- chi delle colline litorali, vengono ascritte al Pliocene 4); quelli che si estendono lungo le pianure litorali sono invece riferiti al Quaternario. Gli uni e gli altri sono, secondo il PERRONE, assai permeabili. Però sol- tanto quelli pliocenici, perchè più elevati, dànno origine a sorgenti an- che cospicue, le quali, per avere i loro bacini di raccoglimento facilmente suscettibili di delimitazione, permisero al PERRONE 5) di calcolare, mercè 1) CANAVARI. Sui modi migliori per dare un servizio regolare di acqua pota- bile a tutte le frazioni del comune di Manciano. 1905 (ined.). ?) Ipem. Studio geologico delle sorgenti per il nuovo acquedotto di Porto- ferraio. Riv. di Geol. Prat., vol. II, pag. 194. Perugia, 1904. - 3) PERRONE Corsi Fe ia della Sicilia, vol. XXXIV della Carta idrogra- fica d’Italia. Roma, 1909. 4) BALDACCI. Desa; izione geologica della Sicilia, vol. I delle Mem. della Carta geologica d’ Italia, pag. 113. Roma, 1886. 5) PERRONE. Op. cît., pag. 396. Roma, 1909. 50 R. UGOLINI la conoscenza del rendimento ettaro-anno di questa roccia, della esten- sione del bacino e della media pluviometrica della regione, il coeffi- ciente di assorbimento della roccia stessa nella cifra di 0, 24 dell’acqua piovuta. Assumendo adunque come coefficiente di assorbimento della panchina la cifra di 0,20, e ricordando che l’affioramento occupa una superficie di circa 900 ettari e che la media annua pluviometrica assunta è di 800 mm., ne consegue che il volume medio annuo della pioggia cadente sulla roccia predetta equivarrebbe a m? 9.000.000 X m. 0.800 = m? 7.200.000 e quello dell’acqua presumibilmente disponibile nel deposito freatico sa- rebbe uguale a mî 7.200.000 X 0, 20 = m? 1.440.000 corrispondenti ad una erogazione di circa litri 45 al I". Già si è detto della impossibilità di determinare per via diretta il rendimento della roccia in questione e conseguentemente di controllare sino a che punto la cifra presa come coefficiente di assorbimento di essa sia da ritenersi verosimile. Ad ogni modo si potrà sempre approssima- tivamente calcolare la capacità idrica minima del bacino sotterraneo, addizionando alla quantità di acqua che viene a giorno per le vie naturali desunta dalla portata media delle sorgenti che la falda alimenta, quella che ne viene detratta per emungimento artificiale mercè i numerosi pozzi esistenti in corrispondenza della falda medesima. Ora la portata media delle sorgenti di Fonte Acquaiola risultò, come già fu detto, di litri 0, 70 al 1”; quella della sorgente delle Pianacce di litri 0,10 al 1"; quella del Botro Cotone, in periodo di massima magra, e nella considerazione che tutta l’acqua da esso convogliata in tali condizioni possa ritenersi pro- venuta dal deposito freatico, di litri 1 al 1”; che fanno in tutto litri 1, 80 al 1”. Se a questa massa di acqua che torna a giorno naturalmente, aggiun- giamo un altro litro al 1” corrispondente alla quantità di acqua che è da ritenersi consumata nell’economia domestica degli abitanti del luogo 1), quasi tutti coloni, otteniamo la cifra di litri 2, 80 al 1”, la quale ci rap- 1) Per il computo di questa cifra mi hanno giovato i dati assunti presso le case coloniche della regione (in numero di almeno un centinaio) sopra l’emun- gimento medio giornaliero per mezzo dei pozzi annessi alle case medesime. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 5I presenta il quantitativo minimo di acqua di cui la falda freatica quasi sicuramente può disporre. Se ne può dunque concludere che, se la cifra di litri 45 al 1" calcolata sulla base del coefficiente 0,20 e della media udometrica di 800 mm. è, come io credo realmente, molto prossima alla vera, più di 42 litri al 1" scendono in mare sotterraneamente sot- traendosi in tal modo a qualunque possibilità di determinazione e di controllo. 4. — Irrigazione. Ora è veramente doloroso che tanta massa di acqua vada inutilmente dispersa mentrechè invece potrebbe concorrere ad accrescere l’umidità e la freschezza, se non di tutti perchè a ciò insufficiente, certo di una discreta parte dei terreni sovrastanti alla falda in parola che soffrono immensamente per la siccità. A questo gravissimo difetto si sottrae in parte il podere di Fonte Acquaiola, dove l’acqua freatica che torna a giorno sotto forma di due sorgive della portata media complessiva di circa litri 0,70 a 1”, viene raccolta in uno speciale serbatoio della ca- pacità di circa 30 m? e da questo, per una serie di canali, opportuna- mente distribuita in quella parte del podere (2 ettari circa) che trovasi situata a valle delle sorgenti. Ed è con questo mezzo che nel periodo dall’aprile al settembre sono dati al terreno circa 8000 m? di acqua, la quale vi rende così non solo possibile ma anche vantaggiosa assai la coltura del granturco, del pomodoro, del prato a erba medica, e dell’er- baio a rape. Non così si può dire pur troppo di tutti gli altri numerosi poderi che fanno parte di questa zona, ai quali la disposizione pianeg- giante e la eccellente esposizione avrebbero potuto conferire un valore notevole. Anche in questi si cerca di alleviare il danno grave della siccità, distribuendo al terreno l’acqua attinta dai pozzi coi soliti mezzi manuali. Ma quando si considera che uno dei requisiti più importanti ed indi- spensabili per una irrigazione veramente efficace risiede nella disponibi- lità di una quantità esuberante di acqua, si comprende facilmente quanto poco sensibili e meschini possano riuscire i benefizi ottenibili dall’ uso di un processo irrigativo puramente e semplicemente manuale.. Sarebbe dunque gran fortuna per lo sviluppo agricolo di questa zona se il sot- tosuolo potesse fornirle l’acqua della quale attualmente difetta. A tale quesito è facile però rispondere negativamente, almeno per quel che riguarda la quantità di acqua disponibile nella falda freatica. In- fatti, calcolando come equivalente a 700 ettari circa l’estensione di 52 R. UGOLINI quella parte della zona in parola che per le sue speciali condizioni mor- fologiche potrebbe essere suscettibile di irrigazione, e considerando che la cifra che in Italia viene generalmente adottata, anche nelle grandi derivazioni agricole di acqua, è di un litro al 1"in dispensa continua per ogni ettaro di terreno, la quantità occorrente per irrigare la superficie più sopra accennata verrebbe ad essere di circa 700 litri al 1”. Ora anche ammettendo che tutta l’acqua immagazzinata nel deposito freatico potesse, ciò che non è, venire sbarrata e catturata per intero, e trascu- rando pure quella certa quantità che si può presumere venga consumata nell'economia domestica e rurale degli abitanti, la cifra testè trovata di circa litri 45 al 1", sia pure fatta salire anche a 50, computandovi il possibile contributo superficiale e sotterraneo delle rocce che ne delimi- tano il bacino, è troppo diversa e distante dai 700 litri al 1” che occorre- rebbero per la irrigazione della superficie testè indicata, e sarebbe appena sufficiente all’irrigazione di 50 ettari di terreno. Stante dunque l’impossibilità di rimediare con tal mezzo al difetto di acqua che è notevolissimo in questi terreni, e nella considerazione che la causa prima di tale difetto risieda nel carattere di eccessiva permea- bilità di cui sono dotati, dipendente dalla natura molto arenacea della roccia dalla quale provengono, io penso se non sarebbe cosa conveniente, sia perchè di più facile e meno dispendiosa attuazione, sia perchè van- taggiosa anche per altre ragioni, tentare di accrescere la freschezza del terreno correggendone la fisica costituzione in guisa da mitigarne l’ecces- siva porosità e così diminuire anche il troppo rapido smaltimento del- l’acqua, ciò che si potrebbe conseguire facilmente mediante una frequente e razionale marnatura. Con questo procedimento, semplice e poco costoso perchè, come già si è visto nella descrizione geologica e come vedremo anche meglio trattando dei materiali utili, le marne non mancano nella regione rosignanese, si raggiungerebbe un altro importantissimo scopo, cioè quello di accrescere nel terreno il tenore in calce, la quale, come sarà detto più innanzi nella parte agrologica del presente lavoro, vi è in copia oltremodo deficente. Se, come spero di avere dimostrato, le acque della falda freatica sono da ritenersi insufficienti a restituire i terreni della zona anzidetta a quello stato di relativa freschezza che sarebbe richiesto dalla loro spe- ciale costituzione, non si deve, però, escludere che a profondità maggiori del sottosuolo possano trovarsi strati acquiferi di altra natura, come sa- rebbero gli artesiani, capaci di fornire ai terreni suindicati la quantità I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 53 di acqua che loro difetta. Anzi siccome è dimostrato dalle perforazioni che gli strati della panchina riposano direttamente sopra le argille plio- ceniche e siccome è altresì probabile che subito sotto agli strati argillosi si trovino alcuni strati di quelle sabbie e ciottoli che in altri luoghi stanno alla base del Pliocene, considerando infine che la disposizione tettonica di questi strati, quale si può presumere dal loro modo di presentarsi alla superficie, è da ritenersi favorevole alla formazione di strati acquiferi artesiani, non credo molto difficile che a qualche profondità, forse nem- meno troppo grande, si potesse trovare acqua saliente ed adatta per usi di genere agricolo o industriale. Mi confermerebbe in questa sup- posizione il fatto che a Vada, a poca distanza cioè dalla zona in parola, ed in terreni litologicamente e stratigraficamente simili, una trivella- zione fatta alcuni anni sono per la ricerca di acqua potabile rivelò al la profondità di una cinquantina di metri dalla superficie dal suolo, al di sotto di un potentissimo banco di argilla turchina pliocenica, la presenza di uno strato di sabbia grossolana con acqua saliente, ma non potabile. Da informazioni assunte non mi risulta che nella zona interposta fra la Fine ed i poggi di Castiglioncello e di Rosignano sieno state eseguite perforazioni per la ricerca di acque artesiane. Una sola di tali perfora- zioni fu impresa di recente alla punta di Castiglioncello presso la Torre; però, come era prevedibile data la speciale costituzione del terreno in quel punto, l’esito ne fu negativo. z 5. — Sorgenti. Come già ebbi a dire altra volta, mancano nella regione studiata sorgenti di qualche importanza. Ciò è in relazione con la natura stessa delle rocce che ne fanno parte, delle quali, eccetto la panchina ed il calcare conchigliare del Miocene superiore che posseggono un discreto grado di permeabilità, tutte le altre o sono poco permeabili o non lo sono affatto. Appartengono a questa seconda categoria i depositi argillosi fluviali, le argille del Pliocene, le marne gessose del Miocene superiore e finalmente le serpentine e l’eufotide. A proposito di quest’ultima debbo però av- vertire che, sebbene venga ascritta generalmente fra le rocce impermea- bili e tale la ritenga anche il PERRONE !), vi è qualcuno invece che le attri- buisce un certo grado di permeabilità, segnatamente se, come nel maggior 1) PERRONE. Op. cit., pag. 39. Roma, 1905. 54 i R. UGOLINI numero dei casi avviene, si presenta attraversata da fessure ed altre soluzioni di continuità capaci di favorire il passaggio alle acque meteo- riche. È il caso dell’eufotide del Poggio di S. Antonio (Impruneta), della quale, come è noto, hanno parlato il TraBucco .!) ed il DE STEFANI ?). Ho ascritto invece alle rocce poco permeabili le sabbie ocracee sopra- stanti alla panchina, le sabbie con ciottoli del Pliocene, le arenarie ed i conglomerati ofiolitici miocenici, i galestri con strati di calcare albe- rese dell’Eocene, le sabbie sciolte di spiaggia, e finalmente le diabasi ed il macigno, alle quali tutte, fidando anche sopra osservazioni pro- prie, ma soprattutto sui resultati delle osservazioni di altri geologi e più specialmente del CANAVARI (vedi a pag. 47-49), ho creduto di potere attribuire un cofficiente di assorbimento che da 0 può salire sino al 10 % dell’acqua piovuta. Per quello che riguarda particolarmenente le diabasi stimo poi oppor- tuno di osservare che, sebbene sieno dai più ritenute impermeabili alla stessa guisa delle serpentine e dell’eufotidi, non possono a rigore riguar- darsi come tali. Infatti, come faceva osservare molto giustamente il CANA- VARI ?) a proposito della loro permeabilità, le rocce di questo tipo “ per “la loro fessurazione in pseudo-poliedri e forse anco per la loro poro- sità sono invece generalmente permeabili, ed è noto che in Toscana si presentano sorgenti nel contatto di esse con le sottostanti serpen- tine ed eufotidi che possono riguardarsi invece come impermeabili ,. Per quanto le condizioni del terreno costituente la regione studiata sieno pochissimo favorevoli alla formazione di sorgenti importanti, non posso tuttavia fare a meno di dare un rapidissimo cenno di alcuni affio- ramenti di acqua sotterranea esistente in alcune località della regione in parola e che ho creduto di potere considerare come vere e proprie sorgenti, nonostante che l’esiguità della portata non meritasse loro pro- priamente cotesto nome. Le sorgenti in parola sono cinque, ed eccetto una che scaturisce direttamente dalla roccia diabasica, tutte le altre vengono fuori dal calcare conchigliare miocenico nel contatto con altre rocce impermeabili. 1) TraBUCcO. Studi geo-idrologici per provvedere di acqua potabile le frazioni Impruneta e Desco (Com. di Galluzzo) presso Firenze. Atti Soc. tose. Sc. nat., Proc. verb., vol. XVIII, pag. 48. Pisa, 1902. ?) Dn STEFANI. Galleria filtrante nel Gabbro dell’ Impruneta presso Firenze. Ibidem, Mem., vol. XX, pag. 174. Pisa, 1904. 3) CANAVARI. Op. cit., pag. 202, Riv, di geol. pratica, vol. II, Perugia, 1904, I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO DD Sorgente n.° 1 — Trovasi lungo la strada che dalla stazione ferro- viaria conduce al paese di Rosignano. Affiora alla quota circa di 50 m. nel contatto fra il calcare predetto e la sottostante serpentina. All’epoca in cui ne feci l’osservazione (11 febbraio 1909) la portata risultò di circa litri 0,25 al 1" complessivamente, essendo la sorgente in parola sud- divisa in due o tre stillicidi minori. La temperatura in quel giorno ed alle ere 15,30 fu di 10° essendo di 6° quella dell'ambiente esterno. Sorgente n.° 3. — Scaturisce dalla roccia diabasica, alla quota di 90 m. circa, presso il ponte sul torrente Goraccio, verso il fondo del botro. La sua portata è minore di quella della sorgente testè descritta ed all’ epoca in cui la determinai (11 novembre 1909) essa risultò di circa litri 0,10 al 1” e la temperatura di 11° circa, essendò di 14° quella dell'ambiente. Sorgente n.° 2. — Sorge alla base di quel lembo stretto ed allun- gato di calcare conchigliare su cui si adagia il paese di Rosignano. Il punto di affioramento della sorgente è ad oriente del paese, alla quota di m. 150 circa, lungo il contatto fra il calcare predetto e le sottostanti rocce ofiolitiche. La sua portata, secondo quanto mi venne riferito, è di litri 0,8 al 1”. Il bacino imbrifero geologico della sorgente si estende sopra una superficie di circa 12 ettari. Sorgente n.° 4. — Sembra scaturire da uno dei vari lembi di cal- care che costituiscono il poggio di Rosignano; di essa però poco o nulla posso dire, essendo stata allacciata già da molto tempo e le sue acque trasportate per una conduttura sotterranea sino alia Fonte delle Fab- briche che da coteste acque trae alimento. La sua portata è però in- feriore a quella della sorgente n.° 2. Sorgente n.° 5. — Altra piccolissima polla è quella che affiora al Poggio del Malandrone, lungo il versante nord di questo, quasi al con- tatto fra il calcare conchigliare e le argille plioceniche, alla quota di circa 80 m. La portata approssimativa di questa polla, all’epoca in cui ne feci l'osservazione (16 ottobre 1909) risultò di circa litri 0, 10 al 1" e la temperatura di 15°, essendo di circa 20° quello dell’ambiente. Faccio osservare che le acque erogate dalle sorgenti ora menzionate sono tutte sufficientemente potabili; però, quelle delle sorgenti 1, 2, 4, 5, posseggono un discreto grado di durezza, che loro proviene dalla natura puramente calcarea della roccia che esse hanno dovuto attraversare per venire a giorno. Avverto inoltre che non ho creduto conveniente di ten- tare la determinazione del coefficiente di assorbimento del calcare con- 56 R. UGOLINI chigliare di Rosignano, desumendolo, come si usa di fare, dal rendimento delle sorgenti in relazione con l’estenzione dei loro bacini imbriferi e con la media pluviometrica della regione, perchè, trattandosi di sorgenti dotate di portata minima, troppo grandi sarebbero state le cause di er- rore e troppo incerti i resultati. VII. — Agrologia. I. Metodo di studio. Per lo studio dei suoli del territorio rosignanese, i resultati del quale andrò esponendo in questo capitolo, ho creduto utile di seguire il metodo stesso che è stato adottato dallo StELLA !) per lo studio del Montello, sempre però compatibilmente con la natura dei suoli medesimi che da quelli del Montello differiscono non poco per età, origine e costituzione mineralogica. Trattandosi, come giustamente fa osservare lo STELLA in un capitolo del suo pregevole lavoro, “ di un ordine di ricerche intorno “ alla cui portata metodo e nomenclatura pare non siasi ancora raggiunta “ quella unità di concetti che è desiderabile in argomento ritenuto di “ tanta importanza ,, io pure come lui fui dapprima un poco incerto sulla via da seguire; ma i resultati, ottimi sotto ogni rapporto, ai quali lo STELLA è pervenuto col suo metodo mi hanno indotto a decidermi per quest’ultimo segnatamente perchè il concetto direttivo cui esso s’ informa ha sul maggior numero dei metodi adottati da altri autori il notevole vantaggio di tenere lo studio sul terreno intimamente collegate con le ricerche di laboratorio. Per la raccolta dei campioni da analizzare mi sono attenuto al si- stema pressochè in uso da tutti, giovandomi anche della trivella di BoR- CHARDT per la presa dei campioni a qualche profondità dalla superficie del suolo. Essi furono prelevati tutti, uno di seguito all’altro e in un pe- riodo brevissimo (9-12 novembre u. s.), affinchè i terreni cui apparten- gono rispettivamente si trovassero in condizioni il più possibile simili specialmente riguardo all’ umidità. Perchè poi non accadesse che i saggi avessero a subire possibili alterazioni, essi furono chiusi ermeticamente dopo l’estrazione in appositi recipienti di vetro e conservati con cura fino al momento del loro esame. In ogni luogo di presa contrassegnato da un numero di ordine e dal nome della località più vicina furono quasi 1) STELLA. Descrizione geognostico-agraria del Colle Montelle (prov. di Treviso). Mem. deser. d. carta geol. d’Italia, vol. XI. Roma, 1902. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 57 sempre tolti due campioni: uno per il suolo superficiale o soprasuolo, l’altro per il terreno ad esso immediatamente sottoposto. Il primo sol di rado oltrepassa i 45 cm. di profondità dalla superficie del terreno; il secondo non è mai profondo meno di 35 cm. Solo eccezionalmente per quei luoghi nei quali lo spessore del terreno era molto scarso e il sub- strato geologico conseguentemente molto vicino alla superficie venne de- tratto un solo campione. Le ricerche eseguite furono di due ordini: complete e parziali. Alle prime furono assoggettati soltanto i campioni di quei terreni che, per la loro diffusione e predominanza sugli altri, presentavano un interesse maggiore. Alle ricerche parziali tutti gli altri. Fanno parte del primo ordine le ricerche seguenti: l’analisi fisico-chimica, l’analisi calci- metrica, l’analisi meccanica frazionata, l’ analisi chimica della terra fine, e l’analisi litologica e mineralogica dello scheletro. Le ricerche parziali comprendono soltanto le analisi prima, seconda ed ultima. I. Analisi fisico-chimica. — Comprende le determinazioni seguenti: 1) l’umidità contenuta nel terreno al momento della presa del campione; "questa fu dedotta dalla perdita di peso subita dal campione a essicca- zione completa, ciò che si ottenne esponendolo prima per un certo tempo al calore solare e poi a quello di una stufa WIesnEGG alla temperatura di 110° e fino a peso costante; 2) l’ humus, che fu determinato per sepa- razione meccanica con l’acqua; 3) le sostanze solubili nell’acqua alla tem- peratura ordinaria; 4) la costituzione fisica del terreno, dedotta dell’ana- lisi meccanica sommaria eseguita col processo della vagliatura per setacci a fori di varia ampiezza. II. Analisi calcimetrica. — Consiste nella determinazione della quan- tità di carbonato calcare contenuta nel terreno, computata sulla percen- tuale di anidride carbonica che da esso si sviluppa all’azione degli acidi. L'apparecchio usato fu quello di WANSCHAFFE. III. Analisi meccanica frazionata. — Riguarda il riconoscimento della costituzione fisica della parte fine argilloide del terreno, dedotta dalle proporzioni con cui vi si trovano gli elementi di varia grossezza, ciò che si ottenne sottoponendo il terreno al processo della levigazione. Questa analisi, che unitamente all’analisi meccanica sommaria, co- stituisce una delle ricerche agrologiche più importanti per la ragione che da essa può desumersi la struttura fisica del terreno, attualmente considerata come uno dei principali fattori della sua fertilità !), rimane 1) Secondo il LaGaTU (Compt. rend. hebdomad. d. Séanc. de l’ Acad. d. Sciences, 58 R. UGOLINI anche oggi uno dei punti su cui non si è raggiunto ancora un criterio direttivo ben determinato e quale dovrebbe essere perchè essa potesse riuscire veramente vantaggiosa. Infatti il terreno, o viene distinto, come sì è fatto per molto tempo e da molti, troppo semplicemente nei tre tipi mal definiti: ghiaia, sabbia grossa e sabbia fine, senza indicazigne delle di- mensioni che a questi nomi fanno riscontro; oppure, se le dimensioni delle diverse parti componenti del terreno sono date, esse presentano i va- lori più vari e disparati. Così, per citare qualcuno dei nostri migliori studiosi del génere, troviamo che lo STELLA si attiene . alle dimensioni di mm. 2, mm. 1 e mm. 0,1 per le analisi meccaniche sommarie; e, per quelle frazionate ottenute con la levigazione, alle dimensioni di mm. 0,05; il NALLINO 1) edi FeRUGLIO ?), invece, preferiscono queste: mm. 10, mm. 5, mm. 1 e mm. 0, 3. Le dimensioni adottate dall’Orzi *) per le sue analisi sommarie sono ancora diverse e cioè: mm. 10, mm. 5, mm. 1 e mm. 0, 5. Questi poi sottopone alla levigazione la terra fine (sotto mm. 0,5) di tutti i campioni esaminati. Secondo il SesrINI 4) la nomenclatura delle diverse parti del terreno deve essere basata sulle dimensioni seguenti: mm. 50, mm. 20, mm. 10, mm. 5, mm. 1, mm. 0,5 e mm. 0,2; e solo la parte resultante da quest’ultima separazione viene BACDORIa per le ulteriori suddivisioni col metodo della levigazione. Molto si e scritto su questo importantissimo capitolo dell’Agrologia, specialmente all’estero 9); ma un accordo vero e proprio neppure fra n.° 16, avril 1905) sarebbe da ritenersi come buono quel terreno la cui costitu- zione fisica risultasse prossima alla seguente: Sabbia grossa . i i mm. 600—700 9; > | fine s 5 ; » 200—300 %; Argilla. 0 o ; » 60—100 % i) NALLINO, TELLINI e Bonomi. Carta geologica-agraria del podere d’ istru- zione del R. Ist. tecnico di Udine. Udine, 1900. ?) FeruGLIO. Contributo allo studio delle carte agronomiche in Friuli. Boll. Assoc. agr. friulana, anno 1907-1908. Udine, 1908. 3) Orzi. I terreni agrari del territorio di Grotte di Castro. Giorn. di Geol. prat., anni IV e V. Perugia, 1906-1907. 4) SestINI. Il terreno agrario. Torino, 1899. 5) FREIBERG. Vergleichendes Studium der gebriuchlichsten Methoden der me- chanischen Bodenanalyse. La Pedologie. Pietroburgo. 1900. — SNYDER. Mecha- nical composition of soils. Minnesota Agrie. Expos. State Rep. 1900. — Kina. Nouvelle méthode de la détermination du volume des parcelles du sol. La Pedo- logie. Pietroburgo, 1900. — KossowirscH. Ueber die mechanische Zusammenset- zug der Lòssbiden ete. J. f. experimentelle Landwirthsch. 1900. — LaGatu et SicarD. L’analyse des terres. Paris, 1901. — BriGas. Objects and methods of in- I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 59 gli stranieri, per quanto più di noi studiosi dell’ argomento è stato, si può dire, ancora raggiunto. Ed infatti mentre che il LoREZ v. LIBURNAU 1) suddivide le parti componenti di un terreno secondo le dimensioni di mm. 2, mm. 1, mm. 0,5, mm. 0, 25, mm. 0,05 e mm. 0,01; il GRu- NER ?), invece, preferisce le seguenti: mm. 0, 5, mm. 0, 25, mm. 0, 05, as- soggettando poi al processo della levigazione solamente la parte risultante dall'ultima vagliatura. Le dimensioni del LIBURNAU sono adottate anche dal KEILHACK *); questi però vi aggiunge un termine di più, quello di mm. 0,1. Altre cifre sono quelle che troviamo presso gli agrologi inglesi. Così le dimensioni assunte da Hart 4) come limiti per l’analisi sommaria e frazionata di alcuni suoli e sottosuoli del Surrey, del West-, e dell’East- Kent, e dell’isola di Thanet sono rappresentate dalle cifre seguenti: mm. 3, mm. 1, mm. 0, 2, mm. 0, 05, mm. 0, 01 e mm. 0, 005. Ed ancora differenti da quelle più sopra ricordate sono le dimensioni cui s’informano le analisi meccaniche degli agrologi americani. Sembra però che un certo accordo su questo punto sia avvenuto fra di essi; così almeno vien fatto di pensare osservando le cifre seguenti, che quasi senza eccezione essi hanno assunto come limiti delle particelle dei terreni analizzati meccani- camente e cioè mm. 2, mm. 1, mm. 0, 5, mm. 0, 25 mm. 0, 1, mm. 0, 05, mm. 0,01, mm. 0,005 e mm. 0, 0001. E difatti sono queste le dimen- sioni che il WIrHNEyY, direttore capo del “ Bureau of Soils ,, del Dipar- timento di Agricultura degli Stati Uniti ha assunte per le analisi mecca- niche di alcuni suoli di Hagerstown (Maryland) °), di Georgetown (South Carolina) °) e che sono state pure adottate da HriLeMan e MESMER ‘) da BoxsreEL *) da BUuRKE °) per non citare che questi. Fra tanta dispa- vestigating certain physical properties of soils. Yearbook U. S. Depart. of Agric. 1900. — ApAmorr. Sur les analyses mécaniques des sols et sur la methode d’Os- borne. La Pedologie. Pietroburgo, 1900. 1) LorENZ v. LIBURNAU. Die Casarsa verhdltnisse von Grund und o den etc., pag. 181. Wien, 1883. 2) GruNER. Op. cit., pag. 41. Berlin, 1879. 3) KEILHACK. nn der praktischen Geologie, pag. 388. Stuttgart, 1896. 4) Han. I suolo, pag. 66. Torino, 1905. 5) WITHNEY. Bull. 21 Maryland Agr Esper. Station, 1893." 6) Ipem. Rice, Its Cultivation, Production and Destribution. Rep. n.° 6, Misc. Ser., U. S. Dept. of Agriculture, 1893. ") HerLeman and Mesmer. Soil Survey of the Lake Charles Area Louisiana. Field Operations of the Bur. of soils of the U.S. Dept. of Agr., pag. 621. Bal- timora, 1901. 8) BonstEEL. The soil of St. Mary's County, in Maryland Geological Sur- vey: St. Mary's County, pag. 125. Baltimora, 1907. °) Burke and BoxsTEEL. he soils of Calvert County in Maryland Geolo- gical Survey: Calvert County, pag. 135. Baltimora. 1902. 60 R. UGOLINI rità di opinioni e di cifre una classificazione degli elementi del terreno veramente buona e che si avvantaggia sulle altre per la maggiore sua razionalità parmi sia quella che fu proposta di recente dall’ATTERBERG 1). Come è noto i limiti proposti dall’ArrERBERG, e dei quali egli ha dato assai plausibili e convincenti ragioni, sono i seguenti: dm. 20, dm. 6, cm. 20, per i blocchi grossi, medi e piccoli; cm. 6, mm. 20 per i ciottoli grossi e piccoli; mm. 6 e mm. 2 per la ghiaia grossa e piccola; mm. 0, 6, mm. 0,2, mm. 0, 06, mm. 0, 02 per le sabbie, mm. 0, 006 e mm. 0, 002 per il limo. È per uniformarmi al criterio di questo valente agrologo che io, nelle analisi meccaniche sommarie eseguite, mi sono attenuto alle di- mensioni da esso proposte; per quelle frazionate, invece, ho preferito il processo della levigazione a velocità di caduta, servendomi del levigatore Vinassa. Non starò qui ad enumerare i vantaggi che un tale apparecchio, semplice modificazione del noto levigatore APPIANI ?), presenta sopra quest’ ultimo, come ne attestano vari studiosi di agrologia *) e come re- centemente ebbe a confermare anche lORrzI 4). Solo dirò che con cotesto apparecchio si può operare, stante la mobilità del sifone, anche con piccoli carichi ciò che comporta un notevole risparmio di tempo. IV. Analisi chimica. — Riguarda la parte fine argilloide di quei cam- pioni soltanto che appartenevano ai terreni più diffusamente rappresen- tati nella regione studiata e per ciò ritenuti di maggiore importanza. Le ricerche furono fatte nel laboratorio di Mineralogia °) di questa Uni- versità, attaccando la terra predetta, ottenuta per separazione meccanica e non, bene inteso, per triturazione artificiale, con acido cloridrico bol- lente al 25 % , e riguardano, oltre a quelle dell’acqua igroscopica, della perdita al fuoco, e della silice e silicati insolubili, le determinazioni seguenti: ferro e allumina, calce, magnesia, acido fosforico, ed alcali. Non mi sono occupato affatto della ricerca dell'azoto perchè esso, come dice giusta- . mente il FOURNIER °), “ne constitue par un élément représentable sur une 1) ATTERBERG. Studier î Jordanalysen. Landtbruks-Ak. Hand]. och Tidskr. 1903. — IpeM. Die rationelle Klassiykation der Sand und Kiese. Sep.-Abdr. a. Chem.-Ztg. XXIX, n.° 15, pag. 12. Cothen, 1905. 2) ApPIANI. Sopra un apparecchio di levigazione per l’analisi dei terreni e delle argille. Milano, 1903. 3) BorTOLOTTI. Intorno al nuovo levigatore Vinassa per l’analisi delle terre. Le staz. sper. agr. ital., XXXVII. Modena, 1906. — Orzi. Osservazioni compa- rative sui levigatori a velocità di caduta. Ibidem, 1906. FERUGLIO. Contr. a. studio d. carte agron. in Friuli. Op. cit. Udine, 1908. 4) ORZI. Op. cit., pag. 56. Perugia, 1906-1907. 5) E di ciò esprimo qui le più sentite grazie al direttore prof. G. D’ACHIARDI. 6) FOURNIER. L’ interprétation des cartes géologiques au point de vue de l’agri- I TERRENI DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO 61 carte agronomique ,. Difatti, così egli prosegue, “ la teneur en azote d’une méme terrain, varie avec la culture, avec la saison, je dirai avec le jour du prélèvement et l’abondance des précipitations atmosphériques, le phénomène de nitrification étant subordonné à une foule des facteurs variables. Nous avons.donc été amené a laisser de còté tous les dosages d’azote, et nous irons mème jusq’à dire que le dosage de cet élément constitue purement et simplement une perte inutile de temps dans la confection d’une carte agronomique ,. Ad ogni analisi chimica ho fatto poi seguire il rapporto al quale, come è noto, fu attribuita prima dal a Mg0 Loew, ed oggi specialmente dai chimici agrari giapponesi, una certa influenza sul normale sviluppo delle piante; influenza, che altri invece, se non con- testa, crede doversi ritenere almeno come non per anco bene dimostrata. V. Analisi litologica e mineralogica. — Fu eseguita sopra la parte scheletrica di ogni campione secondo i sistemi consigliati dall’ARtINI 1) e dal SALMOrRAGHRI ?) per lo studio delle sabbie. 2. Classificazione dei terreni e loro rappresentazione cartografica *). x Perciò che riguarda il modo di classificazione dei terreni studiati, av- verto subito che una classificazione razionale dei terreni, in generale, ri- spondente ad ambedue i requisiti principali che per essa sono richiesti, quali la semplicità e l’esattezza, è molto difficile a combinarsi, e che fra le numerose classificazioni offerteci dagli studiosi di agrologia, e segnata- mente dal Gras, dal GirarD, dal CAantoNI, dal VEENEN, dal GRUNER, dal Now4AcKI, dal MASURE, dal MAYER, quella del primo 4) resta sempre, almeno per me, come una delle migliori. Attenendomi in parte a questo sistema ho suddiviso i terreni nella maniera indicata nel seguente quadro, e cioè: prima secondo l’origine in autoctoni ed alloctoni, poi secondo la caratteristica che a loro proviene dalla predominanza di certi elementi piuttosto di certi altri. Ad ognuno dei più importanti di essi sono poi annesse due formule le quali hanno lo scopo di indicare schematica- mente la composizione fisica e chimica del soprasuolo e del sottosuolo. culture. Bull. d. serv. de la Carte géolog. de la France et des topogr. souterr., vol XV, pag. 308. Paris, 1905. 1) ARTINI. Int. a. compos. miner. d. sabbie di alc. fiumi del Veneto. Padova, 1898. ?) SaLmorragHI. Sullo studio mineralogico delle sabbie e sopra un modo di rappresentarne i resultati. Atti Soc. ital. Se. Nat., vol. XLIII. Milano, 1904. 3) La carta agrologica, unitamente a quella geologica ed idrologica, della regione rosignanese sono state pubblicate a parte. 4) Gras. Traité élementaire de Agronomique, pag. 252. Paris, 1870. 6I PI R. UGOLINI np] GI 8I SI V]OULIOJ V] ISOOSIIOFLI mo ouordumo I0p "tannN 62 f 2 Di 09%71S000- 08 Hog VW (10) È __ 1089 c+1190+9809 18 e-rHosarW | 8+0849:3S098-0S +-0H rw poB9 289 119#18 09 1-0S s«0H e+1V 9+0.3918 19 cr-oS a-0FL50V Tio) ED x-0:312809 cs0S peo uerV 116951008079 09 scoHerW e udr:0Meat) c+8198:1809 g-3S -eH eV sodo Messi). codeMut) 0+163 0+8809 38 +HueW 1932909 118 +H o #00) so 0r30-13809 o-0S eH ea V s0do28079 e-0S c-0H a+1V #08) 8089 12%o7S09g0-0S c-a HW 103ceSo19 9-08 e-0 FI c-otW CRAuO) ostosSor9 «28 e-0H setrW HeCd 1530-33Se+erer-0S e-+Ho-arW odi-oMoB9 1930839 c-1 otH s-e1W CRALO) eroga) 5 ei r.c-+g1809 19 0-0H uV c+:.30-1188-091-0S e-oHerW AIB) ICO) L310 1808 848 + Hoy o[onsoqzos [ep 2290-880573 S + HesorW ojonseados [op eIpow QuorzIsOoduIO]) ITEIANY OTMSIV QUIIRUI OIQGES TIBI[SIYOUOI TIBI[RI * OSSO UO QUIBH QUILUVO]A o]]ISIy * T91U9909 1IISO[LO) opijoyno Uod ISBRI(J QUIISERIP YLIYIOA 9 ISEqRI( . 0 . . euguodiog IOIIITOHO 1° WO]SUOI 9 IIICUOIYW CUTYIUET * oneuiogenb 009V190 9I1qqUg (ouSIotwI) eIIeUOIY o1dseI(q OTIIUIO]A 0Iqqes 0]0ns0FJOS [Ip o 0ggIISQUE [Op VOLTO[OVI] BIDYEN — ==: n ; I9IBO[BOqus-0UruN][e-09I]IS . . . . TOLIIOJ-09ITIS : : . : * TRIRO]eO 19.1B9[B9-0UTUIM[[B-09I]IS ISOUTUMITE-02ITIS IO VISOUSBUI-0119J-0UTUIM][B-09ITIS IOLIT9J-0IS9USYVUI-0DITIS TOLIIOJ-09INIS . . . . . ‘6 L pl “7 ‘6 199INIS "I IUOII9Z TOP BOIISLIONRIVO *TU911993 IP IdIZ ITEdIOULIA I9p ocATFUUSSEULI CIPENOÒ M10100INY 1U0}90}NY ÎÌ TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 3 6 Ambedue le formule contengono al numeratore i resultati dell’analisi fisico-chimica, ed al denominatore l’ indicazione, o dei componenti chimici più importanti quali la calce, la potassa e l’ anidride fosforica ottenuti mediante l’analisi chimica, o della calce solamente dedotta dal saggio cal- cimetrico. Le lettere A, H, S, 9, 5, #, del numeratore servono ad indicare respettivamente la quantità di acqua, di sostanze umiche, di sostanze solubili, di ghiaia e di ghiaino (sopra mm. 6), di sabbia grossa e fine (mm. 6— mm. 0,6), e di terra fine (sotto mm. 0,6); e gli esponenti la percentuale arrotondata dei vari componenti. Le lettere Ca, X e P coi loro esponenti del denominatore: le percentuali di calce, potassa e ani- dride fosforica. L’esponente #r significa: tracce. Non starò ora a parlare del modo che io ritengo più adatto a rap- presentare i resultati di uno studio agrologico come questo, affine di renderlo più facilmente accessibile a coloro pei quali le carte agrologiche sono più specialmente eseguite; tanto più che su tale importantissimo argomento molto si è parlato già anche da noi in Italia per parte di alcuni studiosi *). Dirò soltanto che sopra le due questioni principalmente dibattute e discusse, come quelle relative alla scala ed al sistema carto- grafico da adottarsi, parmi si debba, per quel che riguarda la prima, fare uso di una scala proporzionata alla varietà dei terreni da rappresentarsi, e quanto alla seconda, mirare a che il sistema cartografico risulti semplice e chiaro il più possibile affinchè l’ interpretazione possa esserne facile e rapida. Per questo secondo fine ebbi cura di consultare le carte agrologi- che considerate come le migliori e segnatamente quelle della Prussia, del Belgio, della “ Soil Survey , dell’ Inghilterra, del “ Bureau of Soils , degli Stati Uniti di America e dell’ Ufficio Geologico Ungherese, prendendo visione dei consigli e dei suggerimenti che in genere di cartografia agrolo- gica ci sono offerti da molti cultori di agrologia quali il LoRENZ v. LIBURNAU?), il GRUNER *), il FOURNIER 4), lo STELLA °) ed altri 9); potei così persuadermi 1) Vedansi a questo proposito le citazioni che sono state riportate poco più in- nanzi. ?) LorENZ v. LIBURNAU. Die geolog. verhéltn. v. Grund u. Boden etc., pag. 325. Wien, 1883. Ipem. Grundsùtze filr die Aufnahme und Darstellung von Landwirthschaf- tlichen Bodenkarten. Wien, 1868. 3) GRUNER. Landwirthschaft «. Geologie. Berlin, 1879. 4) FouRNIER. L’interpretation d. cart. géolog. etc., pag. 99. Paris, 1905. 3) SrELLA. Lo studio geognostico- agrario del suolo italiano. Boll. Soc. geol. ital., vol. XX, Roma, 1901. 6) HazaRD. Die geologisch-agronomische Kartirung als Grundlage einer allg- 64 R. UGOLINI che il sistema comunemente preferito è quello che riporta i dati geologici e quelli agrologici insieme nella medesima carta. Ma questo, secondo me, poco si presta ad una esposizione chiara ed esatta ad un tempo di tutte le caratteristiche di un terreno, sicchè le carte così fatte o diventano di difficile interpretazione per sovrabbondanza di segni o risultano incom- plete ed insufficienti per la mira di riuscire troppo semplici e chiare. Onde ho preferito di attenermi a quanto molto giustamente ci viene consi- gliato dal THILENTUS !), doversi, cioè, tenere ben distinti i dati geologici da quelli agrologici e conseguentemente eseguire due carte del tutto separate l’una dall’ altra. Facendo così spero di essere riuscito a rendere conto sufficiente delle particolarità più importanti del terreno senza punto pre- giudizio della chiarezza. 3. Descrizione dei suoli autoctoni. 1. — Silicei. Terreni provenienti dal disfacimento dell’ arenaria (macigno), dei diaspri e delle sabbie plioceniche inferiori. Per la composizione essenzialmente silicea delle roccie da cui deb- bonsi ritenere derivati, questi terreni sono costituiti in predominanza di silice libera, donde la ragione per cui furono insieme raggruppati sotto l'indicazione di silicei. Trattandosi però di terreni che nella re- gione in istudio occupano una estensione limitatissima, appena una qua- rantina di ettari fra tutti, ed hanno perciò una importanza molto se- condaria, certo inferiore a quella dei terreni studiati, non credetti op- ‘ meinen Bonitirung des Bodens. M.d. K. Landwirthsch. Versuchstation zu Mo- ckern. Landw. Jarb. XXIX, IV, 107. 1900. — Iprm. Cartes géol.-agron. propr. à l’évaluation d. sol. 1901. — BERNARD. Géol. agricole et cartes agronomiques. Relat. entre les format. géolog. et la compos. du sol. Macon, 1896. — RISLER. Géol. agricole, v. I. Paris, 1889. — STrAINIER. Carte agronomique. Prélèevement d.echant. d. terres cultivables destinées à l’analyse chimique. Bull. d. Agrie. 1890. — OrtH. Beitr. 2. Bodenuntersuchung. Berlin, 1868. — Vinassa. Carte geologiche e carte agronomiche. Ann. d. Soc. Agr. d. Bologna, 1900. — TARAMELLI. D. stud. geogn. d. suolo agrario în rapp. col pross. censimento dei terreni produttivi del Regno d’Italia. Boll. Soc. geol. ital., v. II. Roma, 1883. — PARONA. Il terreno, pag. 107. Torino, 1898. — TrEITZ. Bodenkarte d. Ungebung. Mitth. Iahrb. k. ungar. geol. Austr. Buda-Pesth, 1898. — NowacKi. Praktische Bodenkunde. Berlin, 1899. — VioLa. S. carte agronomiche. L'eco d. campi e d. boschi, v. IV. Roma, 1897. — ArcHINo. A proposito d. carta agronomica in Italia. Ibidem, v. IV. Roma, 1897. i) GRUNER. Landwirthschaft und Geologie, pag. 55. Berlin, 1879. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 65 portuno di prelevare dei campioni per farvi quelle ricerche che sono state fatte invece per tutti gli altri. 2. — Silico-ferrici. I. Terreni provenienti dal disfacimento delle sabbie ocracee quaternarie. Questi terreni hanno una estensione molto limitata nella regione in istudio, ciò che è in perfetta armonia collo sviluppo poco notevole della formazione da cui sono derivati. Se ne hanno due lembi piccolissimi fra il Botro Crocetta ed il Botro Secco, ed un terzo assai più esteso al di là della Fine, fra il Malandrone ed il Botro dell’Acquerta. Quest'ultimo rientra, però, soltanto per un breve tratto nella nostra regione. Riferiscesi a questo tipo di terreno il campione n. 7. Campione 7. Ubicazione. — Fu raccolto a sud del Poggio del Malandrone presso l’osteria omonima, alla quota di m. 52 circa, in terreno quasi pianeg- giante, esposto a sud, oggi arativo, sebbene lo sia soltanto da poco tempo, già boschivo. Soprasuolo. — Consiste di una terra rosso-bruna, molto sabbiosa, un poco argillosa, sufficientemente sciolta ed umida, poco umifera, quasi esente da calce. La presenza dell’argilla in un terreno che non dovrebbe contenerla, data la natura puramente sabbiosa della formazione da cui intendesi derivato, si spiega facilmente dal fatto della vicinanza note- vole delle argille plioceniche, le quali trovandosi anche ad una quota alti- metrica più elevata possono facilmente essere trasportate dalle acque su- perficiali e commiste al terreno in questione. Ciò sarebbe confermato anche dal fatto che l'argilla pare vada diminuendo di copia con la profondità. Analisi fisico-chimica : Acqua ai 0 Lee 00 929) Sostanze umiche di lla Id. solub. in acqua SOPra nn OR — Scheletro: $ mm. 6— mm. 2... ..,0 184 mm 2j—=mMmi06ne 93 1, 76 Remalfine:t sotto mal0 6A 72193 66 R. UGOLINI Determinazione calcimetrica : CO?=0, 84 0/0 CaOMN07R0 Sottosuolo. — Proviene dallo stesso luogo donde fu tolto il campione del soprasuolo, ma da oltre 40 cm. di profondità. È una terra rossastra, con plaghe turchinicce, sabbioso-argillosa, minuta, un poco meno sciolta e meno umida di quella del soprasuolo, punto umifera, quasi esente da calce. Analisi fisico-chimica : Aequagafdiil00.. ul o ee Sostanze umiche Id. solub. in acqua) n° ona SOPra gin 0 AA — Scheletro:**mm. 6 = mm. 9 RR 0A mm. 2—mm. 0,6. so 4,58 Terna sine:sso tto IAS) 6 NE A (302 Determinazione calcimetrica : CO?=0, 96 0/o Ca0= 1, 22 0fo Natura litologica del terreno. — Quella del soprasuolo consiste di poca argilla, e di molta sabbia minutissima; questa essenzialmente co- stituita di quarzo, in predominanza ialino, ma in parte anche bianco opaco e roseo, cui si associano molta limonite, poche particelle brune di aspetto carbonioso e pochi grumi calcarei. Il sottosuolo è quasi identico al soprasuolo per la copia del quarzo e della limonite; le particelle carboniose, l’argilla ed i grumi calcarei sonvi però molto più scarsi. II. Terreni provenienti dal disfacimento della panchina. Questi terreni sono molto diffusamente rappresentati nel territorio di Rosignano, del quale occupano quasi tutta la parte pianeggiante esten- dentesi a sud del paese omonimo, sopra una superficie di circa 1300 et- I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 67 tari. Per la natura speciale della roccia dal cui disfacimento provengono è in essi abbondantissima la parte sabbiosa; ed è appunto questa la causa principale della scarsa loro fertilità; difatti, impartendo al terreno una porosità veramente eccessiva, facilita il rapido disperdimento delle acque di pioggia e con queste l’eliminazione di una gran parte del cal- care originario da esse acque disciolto; sicchè il terreno che ne resulta è arido sempre, e poverissimo di calce, come ne attestano chiaramente i dati riportati più innanzi. Non è mio compito di ricercare quali rimedi potrebbero invocarsi per ovviare, almeno in parte, ai danni che l'agricoltura di questa non piccola zona risente da un simile stato di cose. Ad ogni modo, date la estensione relativamente considerevole che questi terreni posseggono e le circostanze favorevoli in cui essi si trovano così dal lato della morfologia come da quello della esposizione, si potrebbe, io credo, diminuirne non poco la sterilità, sottoponendoli a marnature frequenti e ben condotte, tanto più che non mancano nei dintorni materiali di questa natura; a meno che non si volesse, forse con più profitto, ma con dispendio maggiore, utilizzare a questo scopo le torbide eminentemente argillose della Fine, mediante uno dei tanti sistemi in uso per la elevazione e la distribuzione delle acque. i Ai terreni formatisi dal disfacimento della panchina si riferiscono i campioni n. 13, 12, 11, 9, 8, 6,3 e 2; ed i sondaggi n. 13, 11, 10, 9, opogniino ed. Campione n. 13. Ubicazione. — È quello, dei vari campioni testè enumerati, che meglio si avvicina alla media composizione del terreno. Fu raccolto lungo la sponda destra del Botro Secco, ad una distanza di m. 200 circa dalla casa poderale Gambini, alla quota di m. 35, in terreno pianeggiante, arativo. Soprasuolo. — È intensamente colorato in rosso-bruno e consiste di una terra molto sciolta, quasi priva di ciottoli, prevalentemente sabbiosa, arida, poverissima di sostanze umiche, di argilla e di calce. Fu tolto tra i 10 ed i 40 cm. di profondità. solubile in H CI R. UGOLINI Analisi fisico-chimica : ACQUA Ta BIO nt LA PARA DNS SOSTANZE RI TERE i A ea ARA 0, 34 Id. solub. in acqua . OO SODI IMM (0 MAE OA EO SN Scheletro: $ mm. 6 — mm. 2 DA 2110 mm. 2—mm. 0,6. ta 8, D4 Terra *fimertisotto mmi 0; RTAS Costituzione della terra fine: Resto 0, 0 VICIOCItA2 ide ia a 23, 29 a TOSRRRER O SER o, E LIRE RED IRE ER MG 110. ” 0,2 . . ” DI 89 SON. RR a VARE logo > 0,05 e oltre. . . . . . n 2,58 Determinazione calcimetrica : CO?=0, 89 %/o CaO=1,13 %o Analisi chimica della terra fine: HO a gilO0a, ic i i RO Perdita per arroventamento ... ., . »s 4,87 SIO? e silicati insolubili . oh Se Fe? 0°4+F 5 E 9, 88 SARO? ) ) N CaOniuohi gia det nee eAI 9 | Mg0. MORI I CT DO el Oa o oi ia 0, 15 9 Naldi ei ee) AMO Ph?0% s tracce TOIR50 CORSA) I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLEONCELLO 69 Sottosuolo. — L’esemplare fu, come al solito, estratto dal luogo stesso del precedente, fra i 40 e 60 cm. di profondità. Presenta una colora- zione rosso-bruna, ma meno intensa di quella del campione del sopra- suolo. Da questo differisce poi per la maggior quantità di sostanze umiche, di sostanze solubili in acqua e di calce. Analisi fisico-chimica : ACQUI IR L0OS RR E 06 10 SOstanzegumiche ae 0062 Tad:dsolub-in acqua te eee 04 | SODCASIDINMO RIN — Scheletro: $ mm. 6—mm. 2... 0,7 5,10 mn n 065 I MerraSfime: sotto NIRO Ce RIST 188 Costituzione fisica della terra fine: RESI duoRiee n a E E TEO 0 /0r1 38142 Velocita 825.00 e ee 2156 si Terni dl STR Aptol8190 È Di REMO POINZ to Dx 18 ni 028 DIR Rae ctie16137 MIRINO tatto eh: Dr o 0.054 euoltrestigGihohe aio a rkl::398% Determinazione calcimetrica : CO?=2, 61% Ca0=3,32% Natura litologica del terreno. — Nello scheletro: frammenti di pan- china, di rocce ofiolitiche, e di silicee; nella terra fine quarzo, prevalente- mente ialino (dom.), limonite (abb.), ematite e argilla (fr.), magnetite, feldispato e calcite (r.). Campione n. 8. Ubicazione. — È stato prelevato presso la Fonte Acquaiola, a circa 100 metri più a valle della casa poderale omonima, alla quota di 23 metri, in terreno arativo. Soprasuolo. — È una terra rosso-bruna, sciolta, poco umifera, assai meno asciutta di quella del soprasuolo del campione n. 13 ed alquanto più calcarea. Fu prelevato fra 10 e 50 cm. di profondità. 70 R. UGOLINI Analisi fisico-chimica: Acqua 1109] al SIT Sostanze Sumichers dra 10-14-90 Id.-solub@imgacgqua ce Mo eee 00/23 (SOIA RIN: (6 O = Scheletro:ymm. 6 — mn. Q2 0A CER al | mn; I — mmie RENO LO Werraffine=stsotto imm. 06 NIRO 050 Determinazione calcimetrica : CO?=5,07 0 —CaO=6,45 % Sottosuolo. — Alla profondità di 50 cm. dalla superficie del terreno s'incontra subito la roccia che ne costituisce il substrato; quindi il sot- tosuolo manca. Natura litologica del terreno. — Lo compongono nella terra fine: quarzo ialino e colorato in grande predominanza sugli altri componenti; indi argilla, limonite, ematite, feldispato (ab.), calcite, serpentino, magne- tite (fr.), talco, diallagio (r.); e nello scheletro; frammenti rocciosi di diabase verde-bruna ancora facilmente riconoscibile. Campione n. 12. Ubicazione. — Fu raccolto alla base del poggetto su cui è costruita la casa poderale delle Cerbonchie, a poca distanza da questa, alla quota di circa m. 60, in terreno arativo, esposto a sud-est. Soprasuolo. — Consiste di una terra fortemente colorata in rosso- bruno, sabbiosa, sciolta, senza traccia di ciottoli, poco umida, pochissimo umifera, niente calcarea. Fu tolta fra 10 e 50 cm. di profondità. Salvo la maggior copia di limonite, provenutagli quasi certo dalle sabbie ocracee quaternarie che costituiscono l’apice del poggetto ora menzionato, tutti gli altri caratteri fisico-chimici e litologici del campione in esame con- cordano quasi esattamente con quelli del soprasuolo del campione n. 13; è perciò che ho tralasciato di riportare qui i resultati delle analisi fisico- chimica e litologica del presente campione. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 71 Sottosuolo. -- Proviene dalla profondità di cm. 60 dalla superficie del suolo e differisce dal soprasuolo ora descritto per essere un po’ più compatto e più umido, ma quasi del tutto esente da humus e da calcare. Campioni n. 11, 9, 6, 3. 2. Trattandosi di diversi saggi dello stesso tipo di terreno, nei quali non si sono potute riscontrare differenze molto notevoli dal campione n. 13, ho creduto opportuno di omettere i resultati dell'esame fisico- chimico e litologico di ogni singolo campione, per non essere costretto a ripetizioni superflue. Sondaggio n. 1. Fu eseguito a circa 200 m. di distanza dalla casa poderale Le Cep- pite, alla quota di m. 50 ed alla profondità di cm. 80 dalla superficie del terreno. Il campione così asportato è una terra rosso-bruna, assai sciolta e porosa, sufficientemente asciutta, punto umifera, che all’esame microscopico si rivela costituita di quarzo ialino e colorato, di limonite, ambedue sovrabbondanti; indi subordinatamente di serpentino, di alcune laminette di talco, di qualche particella di sostanza carboniosa e di pochi frammenti di roccia diabasica. Di calcare sono presenti solo alcuni rari granuletti. Sondaggio n. 11. Fu eseguito in prossimità ed in a monte della casa poderale di Fonte Acquaiola, alla quota di circa 25 m. ed alla profondità di 50 cm., alla quale fu incontrato il substrato roccioso. Il saggio asportato è una terra rosso-giallastra con macchie biancastre, asciutta, essenzialmente costituita di quarzo, di limonite ed in minor copia anche di calcare. Quest'ultimo in forma di ciottoletti e grumi riconoscibilissimi dall’effervescenza che fanno al trattamento cogli acidi. Sondaggio n. 8. In questa trivellazione, eseguita alla quota di 30 m. circa fra il Botro Cotone ed il Botro Secco, si raggiunse lo strato roccioso alla pro- fondità di circa un metro dalla superficie. Il saggio portato a giorno dalla trivella consiste di un insieme di frammenti piccoli di panchina misti a terra rosso-bruna sabbioso-ocracea. 72 R. UGOLINI Sondaggi n. 3, 4 e 10. Furono eseguiti rispettivamente presso la Casa Giardinaccio, al Poggio della Ragnaia e presso la Casa Mondiglio alle quote di m. 63, 87 e 11; ed in tutte e tre fu incontrato lo strato roccioso (panchina) a poca di- stanza dalla superficie del suolo. Sondaggi n. 5,9 e 13. Furono fatti il primo verso le Case Nuove, alla quota di metri 18 circa, il secondo a poca distanza ed in a valle della Casa Gambini, alla quota di 40 metri, ed il terzo, al di la della Fine, presso la Casa po- derale Sassicaia, alla quota di m. 51. Le profondità raggiunte furono ri- spettivamente di 50, 45 e 60 cm. ed i saggi consistenti della solita terra rosso-bruna, sciolta, poco umida, pochissimo umifera, priva o solo scarsa- mente provvista di calce. III. Terreni provenienti dal disfacimento delle arenarie e dei conglomerati ofiolitici. Sono abbastanza diffusi nella regione in istudio dove formano nume- rosi lembi, ma quasi sempre di estensione poco notevole e talora anzi piccolissima. La superficie da essi complessivamente occupata si può rite- nere equivalente ad una settantina di ettari circa. Il lembo più importante di questo tipo di terreno è quello che si estende nella metà meridionale del Poggio del Pipistrello. Quasi tutti gli altri lembi appartengono ai Poggetti di Rosignano. Sono terreni dotati di poco spessore, con substrato costituito di are- narie ofiolitiche a cemento calcareo, associate a strati di conglomerato di natura consimile. Vanno ascritti a questo terreno il campione n. 18 ed il sondaggio n. 14. Campione n. 18. Ubicazione. — Questo campione è stato prelevato sul Poggio del Pipistrello, presso la casa poderale omonima, alla quota di 60 m. circa, in terreno esposto a sud, arativo. Soprasuolo. — È una terra di colore rosso-bruno, molto sciolta e porosa, come attesta anche la costituzione fisica risultante dall’analisi meccanica. Contiene acqua e sostanze umiche in discreta quantità, ma Î TERRENI DI ROSIGNANO È CASTIGLIONCELLO 73 una troppo debole copia di calce. Fu prelevata fra i 10 e i 40 cm. di profondità, oltre la quale fu incontrata la roccia madre. Analisi fisico-chimica : ACQUE STOSCO PICAM MN AO E 0) NI Sostanze umiche RARN9N50 TS so ubi anda eee 40) SOprasBaIn OMM o, 8, 10 Seheletto i iN I 9706 TION OO e ATA NS Terra fine: sotto mm. 0, 6 . LO Costituzione fisica della terra fine: RESIOUOBRR E O e 37, 59 Welocitag25a8v 3 “e n 8:99 3 TRAI a 1758 » ZO A e Mo di 4 ORINLE tI a 0 È 0, 1 7 0,05 e oltre Determinazione calcimetrica : CO CAO Analisi chimica della terra fine: BE IC SR oe eo Perdita per arroventamento . . . . . 5,67 VO aderirono o Sedi Fe? 08 + Fe 0 ) Al? 03 fe COR aa RD IT) MORTI e e NETTO) RO e ee n 099 Nazi. RM RR 09 BIOS crac i e tie n solubile in H CI bollente a 25 % 74 R. UGOLINI Sottosuolo. — Manca per la vicinanza troppo notevole del substrato roccioso alla superficie del suolo. Natura litologica del terreno. — Nello scheletro: frammenti di varia grossezza di rocce ofiolitiche e di calcare: quest’ ultimo anzi in copia non indifferente; nella terra fine: quarzo (dom.), ematite, limonite, feldispato, argilla, serpentino (ab.), magnetite, diallagio (fr.), calcite (r.). Sondaggio n. 14. In questo sondaggio, eseguito alla base meridionale del Pipistrello, presso la strada vicinale, la trivella non potè discendere, per quante prove io abbia fatte in più punti, oltre una cinquantina di cm. di profon- dità; è da credersi perciò che a questa arrivi la superficie del substrato roccioso. 3. — Silico-magnesio-ferrici. Terreni provenienti dal disfacimento della serpentina. Di terreni di questo tipo*si hanno esempi in tutti quei luoghi della regione rosignanese dove si trovano affioramenti di masse serpentinose. I lembi di questa roccia, come fu già detto, sono abbastanza frequenti anche nella zona che forma oggetto di questo studio; ma uno solo può dirsi veramente importante dal punto di vista agrologico, ed è quello che si estende lungo mare da Castiglioncello al Fortullino e si avanza dentro terra per insino al paese di Castelnuovo della Misericordia. Questo lembo rientra nella zona anzidetta soltanto per una estensione di circa 70 ettari ed ai terreni che ne sono derivati riferiscesi appunto il campione n. 23. Campione n. 23. Ubicazione. — Fu prelevato poco sopra la villa Martelli, alla quota di circa 58 m., in terreno arativo, esposto ad ovest. Soprasuolo. — È una terra rosso-bruna, sufficientemente sciolta, assai umida, poco umifera, poverissima di calce. Fu tolta fra 10 e 40 cm. di profondità. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO DIE Analisi fisico-chimica. Acquaga ilo” Nere, 12,78 SOSEANZESUmMICNe Se e e 443 TAR solu: na] ua Re ORE SOPIAIO RO 9909 Scheletro : | IMINSIO- mie een e e erolt3108 INNS MM ION e LATO INECrraganert SOLO MINO RR 401006 Determinazione calcimetrica : CIO0N9R0/ Ca O= 11409 Sottosuolo. — Non fu prelevato perchè alla profondità di soli 50 cm. fu incontrato il substrato serpentinoso appena disgregato, Natura litologica del terreno — Nello scheletro: frammenti di roccia serpentinosa; nella terra fine: serpentino (dom.), bastite, ematite, limo- nite (ab.), crisotile, titanite, magnetite (fr.), calcite (rs.). 4. — Silico-allumino-ferro-magnesiaci. I terreni descritti in questo capitolo sono tutti provenienti da località dove il substrato geologico è evidentemente costituito o da diabase sol- tanto, la quale in generale è già in gran parte convertita in gabbro rosso, o da diabase commista a lenti di eufotide, donde il nome generico di gabbro con cui la gente del contado abitualmente li designa. I terreni di questo tipo trovansi in predominanza nella zona nord-orientale della regione che forma oggetto di questo studio e più specialmente tutto al- l’intorno del paese di Rosignano; ed è, si può dire, quasi esclusivamente in questa zona che essi sono soggetti a coltivazione. La superficie che i terreni in parola occupano nella regione studiata è di oltre 300 ettari. Ad essi debbonsi riferire soltanto i campioni n. 15, n. 20 e n. 1 ed il sondaggio n. 15, dei quali sarà detto qui appresso. 76 R. UGOLINI I. Provenienti dal disfacimento della diabase. Campione 15. Ubicazione. — L’esemplare fu raccolto in cima al poggio di Rosi- gnano, a nord-ovest del paese, presso la strada, alla quota di circa m. 160, in terreno di circa un metro di spessore, come ne attesta il sondaggio n. 15 eseguito a poca distanza, esposto a sud, arativo. Soprasuolo. — È di aspetto rosso-bruno, alquanto argilloso e tenace, sufficientemente fresco ed umido, molto ciottoloso, povero di humus e di calce. Fu preso nello spessore di 30 cm. al di sotto dei primi 10 cm. che formano il cappello vegetale. Analisi fisico-chimica : Aequalrag110®;: 7.03 A e O a Sostanzesumiche;. 4 Va 0 Td .solubivin-acquattiati.. era eZ BSO PIA SDOIISAO PAIR: 18, 92 Scheletro: ) mm.6—mm.2. . . . » 16,59 mm mado Terra fine:MS0ttO MISTO! 6 e 36 Costituzione fisica della terra fine: IReSIMMO LR. sere ade e 0 SONE Velocità; 25/0 Tico tinta si arl 068 Laine Dhyie fui diete oAniodoo È Dirotta NE l'at SGOt a Fee E COS FR DIDO i ai AA ETA 5 VE A RIO O, 5, 69 ” oposuetvoltre al tre naro. ul osa I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 7" Determinazione calcimetrica : CO?=1,80 % CAO 23505 Analisi chimica della terra fine: BIO. E E E ch Perdita per arroventamento . —.. . . 3,97 Sioziiegsilcati insolubile 64115) 203 Fe? 0° + FeO 17, 81 “iO: “ & \f0 CE eo A OR 113,99 © È s 5 ORE e RA I ORI Fede et 0. e. 1,05 Eaton SA e race 99, 25 Ca 0 20.7 Mg0 Oi de Il confronto qui appresso indicato di questi dati con quelli delle ana- lisi chimiche della diabase e del gabbro rosso, che altro non è che un primo stadio di alterazione della prima, serve a dare un’idea degli stati di passaggio cui la roccia è costretta per arrivare a quello di terreno agrario: 1) 1) Vedasi a questo proposito la memoria del MERRILL. Disintegration and decomposition of diabase at Medford, Massachuttes. Bull. of the geol. Soc. of America, vol. VII, pag. 353. Rochester, 1896. Se. Nat. Vol. XXVI _ 78 R. UGOLINI c Diabase alterata | ‘Terreno agrario Diabase fresca in gabbro rosso (terra fine) 3, 05 4, 65 |+ CO? 9,41 - - silic. 4 75 50, 71 BO O9 RITO tracce MONS tracce tracce = veni 8, 32 10, 79 19, 04 18, 61 tracce tracce coni 6, 66 2, 36 2,52 8, 91 4, 69 3,29 001 1, 86 0,42 4, 03 5, 16 1,05 101, 83 100. 69 99,25 Sottosuolo. — L’esemplare fu raccolto subito sotto a quello prece- dente, fra i 40 ed i 60 cm. di profondità dalla superficie del suolo. È di aspetto poco diverso da quello del soprasuolo; ma ne differisce sen- sibilmente per la diversa proporzione di alcuni suoi componenti e soprat- tutto per essere maggiormente provvisto di acqua e di sostanze organiche. Vi è, inoltre, molto meno copiosa la parte scheletrica e più abbondante assai la terra fine; invece è assai minore il quantitativo delle sostanze solubili in acqua. Analisi fisico-chimica : Alequaza sli00 ia N ZO SOSTANZE SUMICNE IA I I TSO Up Ent qua Re O (RES O PFA O OT == Scheletro: \ MM 6 MM | mms 2: mms 06 SO) 'erragfinestsott0 MM N O 0 64 3) I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 19 Costituzione fisica della terra fine: Residuo SR eee A Velocità 25 E 1604 19 TONO e II) pt NE SA O EI Di EE SI a 19 88 ORE EST (OR PREME TRN 3 0 a O AniaResEi alpi pt 4 95 » 0;05=:eroltie oi an he ea 2, 24 Determinazione calcimetrica : COE2I01R0 Ca0=2,57 Sh Natura litologica del terreno. — Nello scheletro: frammenti di roccia diabasica arrossata, sol di rado verde-bruna; nella terra fine: argilla, ematite (dom.), calcite, sostanza viriditica o cloritica, limonite (ab.), fel- dispato, magnetite, titanite (fr.), muscovite e quarzo (r.). Campione 20. Ubicazione. — Questo campione fu raccolto sui Poggetti, lungo la strada a cipressi che conduce alla casa colonica omonima, alla quota di m. 165 circa, in terreno arativo. Soprasuolo. — È di aspetto rosso-bruno, assai argilloso e tenace, piuttosto umido e scarsamente provvisto di calce e di sostanze organiche. Fu tratto nei primi 30 cm. subito sotto il mantello vegetale. Analisi fisico-chimica : . ACQUI ATO ORA E 0 Sostanze QUMIcA CR RO e O ON TA AssolubSem aci See Re 309 \ SOPRA O0S Scheletro Rm 6 MIRI 12 Î 2 IMIRO: RE 1004 Terra fine: sotto mm. 0,6 3 BOI 80 R. UGOLINI Costituzione fisica della terra fine: Residuo . PR 0) Velocità ND Meet AIA 02 MEMO, E 01 I a 000 ME al i Sr II NO I e OO RNSO. 1), AVASDO s 0,05 e oltre. so Ode + Determinazione calcimetrica : COSIO CalO 292801 Sottosuolo. — Fu raccolto fra i 40 e i 50 cm. di profondità dalla superficie del suolo e si distingue dal soprasuolo in ispecial modo per essere maggiormente provvisto di acqua e di sostanze organiche e per avere una quantità di terra fine molto maggiore, mentre mancano quasi affatto gli elementi più grossi della parte scheletrica. Analisi fisico-chimica : ACQUaratdo 08 IRA O e Sostanze UmMiche a i Re o Td.-solubSn acqua - > ° 4, 006 Acqua combinata e sostanze organiche ; ; ò i 5, 300 100, 000 Natura litologica del terreno. — Lo compongono, oltre all’ argilla: quarzo ialino e colorato (ab.), calcite, ematite, limonite, sostanza carboniosa (fr.), muscovite e sostanza cloritica (r.). A questi minerali si aggiungono poi molte conchigliole di foraminifere dei gen. Rotalia, Discorbina ed altri. Sondaggio n. 2. Fu eseguito ad un chilometro circa di distanza dalla stazione ferro- viaria di Rosignano, alla quota di m. 60, e l'esemplare asportato dalla Î TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 89 profondità di 70 cm. è una terra turchina, compatta, quasi esclusivamente costituita di argilla. II. Terreni provenienti dal disfacimento delle marne gessose. Nella regione studiata i terreni di questo tipo sono ben poco svilup- pati; invece lo sono molto di più tutto all’intorno di essa e particolar- mente nel versante orientale del gruppo dei Monti Livornesi e nella valle del Torrente Marmolaio. Si può dire pertanto che, ove si prescinda da quel lembo piccolissinto che affiora al Poggio Berna da un lato e dall’altro della via ferrata, i terreni marnoso-gessosi si rinvengono soltanto al Poggio del Pipistrello, dove occupano un'estensione di una cinquantina di ettari appena. Sono terreni dotati di spessore generalmente poco notevole, con sub- strato costituito di marna e gesso. A questo tipo di terreno appartiene solamente il campione n. 17. Campione n. 17. Ubicazione. — Il campione fu prelevato in cima al poggetto nord- orientale del Pipistrello, ad una quota di poco superiore ai 70 m., in terreno arativo. | Soprasuolo. — Consiste di una terra di colore grigiastro, piuttosto compatta e tenace, poco o nulla ciottolosa, assai umida, poco umifera, riccamente calcarea. Fu tolta fra i 10 e i 30 cm. di profondità e non oltre perchè a questa fu incontrato subito il substrato gessoso. Analisi fisico-chimica : Acquara (0 0 900 Sostanze mich ee, Re A e 3A TaSstsolubSSinf acqua Ae ee ee 2) SOpra Rin ora ee — Scheletro: o, (0) DON mi Ia 000 Terra fine: sotto mm. 0,6 90 R. UGOLINI Costituzione della terra fine: Residlo n eee RE OZONO Velocità 9250 +: > ORI RIO Ù n RSM O n E a DERE eee 5 0,2 . I MIEONOD ù ONU DIR 7) 3 0:05 eVoltre-. Seni us Determinazione calcimetrica : CO*= 14 0/0 CaO= 17, 84 0/o Analisi chimica della terra fine: HO ga 0... è Te Perdita per arroventamento . e ro) SO? e silicati insolubili . » 48,44 Fe?03+F SO dana aiareiionie o i eroo iS ST Al? 03 RES ACOREe L 18,81 SE MEO cc RN STESO ele ca li o SARO Eee e I Peer PIRATI tit ra cee 98, 25 Sottosuolo. — Questo manca completamente perchè, come già dissi, alla profondità di circa 30 cm. dalla superficie del suolo trovasi la massa del gesso, Natura litologica del terreno. — Nella terra fine, che costituisce la quasi totalità del terreno in parola, furono riconosciuti, oltre argilla (dom.), gesso, quarzo, calcite (ab.), ematite e limonite (fr.), magnetite (r.). ) Con predominanza degli ossidi di ferro. I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 91 7. — Calcarei. Terreni provenienti dal disfacimento dei calcari conchigliari. I terreni di questo tipo sono fra i meno diffusamente rappresentati nella regione in istudio e formano soltanto pochi lembi isolati dissemi- nati più specialmente nella parte orientale di essa. Questi lembi, presi insieme, occupano una superficie che non oltrepassa i 190 ettari. Stante la loro poca estensione ed il fatto che una piccola parte di essi sola- mente è soggetta a coltivazione mentrechè il resto è tuttora mantenuto a bosco, i terreni in parola sono fra quelli che hanno una importanza agrologica alquanto secondaria. Ad essi vanno ascritti il campione n. 16 ed il sondaggio n. 16. Campione n. 16. Ubicazione. — L’esemplare fu prelevato alla base sud-orientale dei Poggetti di Rosignano, e più precisamente sulla sinistra della strada ro- tabile che da questo paese conduce alla stazione ferroviaria, nel punto in cui essa ripiega verso nord, ad una quota di circa 60 m., in terreno arativo, esposto a sud. Soprasuolo. — Consiste di una terra giallo-rossastra, discretamente sciolta e porosa, abbastanza ben provvista di parte scheletrica, pochis- simo umifera, assai ricca di calce. Il prelevamento di questa terra fu eseguito fra i 10 ed i 40 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica: ACQUA ONE Ar CEI L199 Sostanze umiche . ONTO Id. solub. in acqua . sn 047 SOPEI RAR TOS Scheletro: < mm. 6 — mm. 2 RERALRR9 mm. 2—mm. 0,6. RA 1324: Terra fine: sotto mm. 0,6. . , sn 44,45 Determinazione calcimetrica : CO?—= 19,07 olo —CaO=24,27 0lo 92 R. UGOLINI Sottosuolo. — L’esemplare fu prelevato alla profondità di oltre 40 cm. dalla superficie del suolo. Consiste di una terra di colore bianco- grigiastro, asciutta, quasi esente da sostanze umiche e fornita di una quantità di calce notevole e superiore a quella contenuta nel soprasuolo. Analisi fisico-chimica : AGGUATO ORO RO 0 EZIO SOStANZERUmMIChes Ve NES AR SO 36 Ta-#solub.m'acque. Re oi SOpra gio In sio ge e == Scheletro: è mm. 6—mm. 2... , 5,73 MM —MMTO0 RR RES Terra fine: sotto MRO e o Determinazione calcimetrica : CO?=29, 290 Ca0=37.27 0a Natura litologica del terreno. — Nello scheletro: frammenti, talora anche grandi, di calcare conchigliare; nella terra fine: piccoli frammenti calcarei (dom.), quarzo e argilla (abb.), ematite e limonite (fr.), diallagio e feldispato (r). Sondaggio n. 16. Fu iniziato a 300 m. circa di distanza e più in a monte del luogo di presa del campione, alla quota di 85 m. La trivella discese con fatica fino alla profondità di 50 cm. dalla superficie del terreno portando alla superficie dei frammenti di un calcare bianco giallastro misti ad una terra calcarea dello stesso colore e molto simile a quella del campione di sottosuolo descritto precedentemente. 4. Descrizione dei suoli alloctoni. 1. — Silico-ferrici. Provenienti dalle alluvioni marine. Sono di questo tipo i terreni agrari esistenti lungo il lido tra la Caletta e la foce della Fine. Provengono dalla decomposizione dei ma- Î TERRENI DÌ ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 93 teriali prevalentemente sabbiosi che si depositarono e si depositano tuttora sulla spiaggia per l’azione del mare e si estendono sopra una superficie di appena 125 ettari. Vanno loro riferiti i campioni n. 10 e n. 24 ed i sondaggi n. 6 e n. 7. Campione n. 10. N Ubicazione. E stato prelevato sul lato ovest della strada litorale, presso l’incrocio di questa con la via vicinale che dal Mondiglio con- duce al mare, in terreno arativo. Soprasuolo. — È una terra rosso-ocracea, sciolta, eminentemente sab- biosa, poco ciottolosa, poco umida, pochissimo umifera e scarsamente fornita di calce. Fu presa fra 10 e 50 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica : Ncquaga gl 00 e Cee e 0 Je 987 SOSTANZE Zum Chet 0,18 Id. solub. in acqua . dan 6 sopra mm. 6. 5 08 Scheletro: ‘ mm. 6—mm 2 tale CIRO | TATO: 209 Terra fine: sotto mm. 0,6 go 10,72 Determinazione calcimetrica : CO?—=2, 360 CaO0=3, 00% Sottosuolo. — E una terra rosso-bruna, con macchie grigiastre, un poco meno sciolta di quella costituente il soprasuolo, ma più umida, più umifera e ancora più scarsa di calce. Analisi fisico-chimica : ACQUA NI OR 0 TATA SOStanz e gum ele AR ee ROOT Id. solub. in acqua . SEORIGI SOPrA IO _ Scheletro tm mi iii 0, 80 » | mm. 2—mm. 0,6. . . 13,91 Terra fine: sotto mm. 0,6. Sc, Nat. Vol. XXVI 10 94 R. UGOLINI Determinazione calcimetrica : CO?=0, 33 0/o Ca0=0, 42 0%; Natura litologica del terreno. — Lo compongono: quarzo ialino e colorato (dom.), ematite, limonite (abb.), argilla, calcite (fr.) diaspro (r.). Campione n. 24. Fu preso sul lido, in una delle insenature situate a mezzogiorno della punta di Castiglioncello. Consiste di una sabbia piuttosto fine, verde-bruna con parti più chiare, risultante dall’ insieme di vari minerali. Questi appartengono in predominanza ad elementi ferriferi come magne- tite, ematite, titanite e forse anco cromite, ed in copia un poco meno abbondante a diallagio, feldispato e serpentino. Inferiori a tutti i pre- cedenti pel numero sonvi poi epidoto e calcite. Per alcuni di tali ca- ratteri mineralogici, e segnatamente per la copia degli elementi ferriferi, la sabbia in parola ricorda quella esistente lungo la spiaggia settentrio- nale di Castiglioncello già studiata dal ManassE !). Differisce però da que- sta per la copia minore degli elementi anzidetti e per la presenza di altri, quali il diallagio ed il feldispato, in essa non riscontrati. Ragione per cui, mentre giustamente il ManassE ritenne la sabbia da lui studiata come prodottasi per disfacimento delle serpentine che formano gli scogli di quella parte di spiaggia, ritengo invece la mia come molto più probabil- mente dovuta al disfacimento dell’eufotide, che predomina infatti lungo la parte meridionale della spiaggia medesima. Sondaggi n. 6 e 7. In ambedue fu raggiunta la profondità di 70 cm., edi saggi portati a giorno dalla trivella consistettero di una terra sabbiosa, ma più fine, meno sciolta, meno ocracea e più umida di quella costituente il sotto- suolo del campione n. 10 testè descritto. 2. — Silico-allumino-sub calcarei. Provenienti dalle alluvioni della Fine. Provengono dai depositi alluvionali, segnatamente della Fine, i quali, come già si è detto a suo tempo, risultano costituiti da un limo argil- loso molto sottile cui si associano di tanto in tanto esili strati di ghiaia I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 95 di natura assai svariata; l’uno e l’altra dovuti al disfacimento dei mate- riali che ne costituiscono il bacino. Sono dunque terreni puramente al- loctoni. L'estensione che questi terreni occupano nella regione studiata è di circa 600 ettari. Ad essi vanno ascritti i campioni n. 4, n. 22 e n. 5 ed il sondaggio n. 12. ì Campione n. 4. Ubicazione. — Questo campione è stato prelevato lungo la strada vicinale che dalla casa Sala conduce di là dal fiume alla casa dell’Ar- gine, alla quota di circa 20 m., in terreno pianeggiante, arativo. Soprasuolo. — È una terra bruno-nera, fortemente argillosa, con po- chissima parte scheletrica e senza ciottoli. È assai umida, sufficiente- mente calcarea, ma quasi esente da sostanza umica. L’esemplare fu preso nello spessore di 30 cm. sotto un mantello vegetale di circa 10 cm. Analisi fisico-chimica : Acguaga gl 0: See e a e 0 a 65 SOstalze Bb uanich e), ae 10036 TASisolub RinE acqua i RO, 0, 26 MISOPIA ZITO OA i Scheletro : \ HAR — MMS OA | ZE MAO RR OT Mesagne: 0 to mmI0 N RR 0532 Costituzione fisica della terra fine: Residuo eee ae ROM LL6 Welocito oe e 08 LET RI dal) edo] io I ie i EDO SET, OLO COLE Ri e VON i RISE A 0 SR Rn OL 5 È 0:05, oltre ee e ITA Determinazione calcimetrica : COREA OLII 96 R. UGOLINI Sottosuolo. — L’esemplare fu tolto oltre la profondità di 40 cm. dalla superficie del terreno. Potrebbe dirsi quasi del tutto simile al cam- pione del soprasuolo se non avesse una percentuale un po’ maggiore di sostanze umiche e di sostanze solubili in acqua; la quantità di calce vi è solo di poco inferiore. Analisi fisico-chimica : Acquasagi0o } 0 ae 0 MO Sostanze fumicliet, do RN o o Td. solub: Un sacqua, ie SOpra gi 048 a — Scheletro: imm. 6 — mm 2 eee a mm} eZ Mm 06 NSA Tecra *Ane:tS0tL0 MIAO RN a Costituzione fisica della terra fine: RESTAURI. e N a A O 0 LOI Velocità w20! Ca Si 5a Ae RIO Ù 7 so ntor8i 3 2 E II 15 ; ORE at RR SI 10), SÌ RO OS e e I ci 0:05. e coltre ARS AI Determinazione calcimetrica : CO?=7, 01% CaO0=8,92 % Natura litologica del terreno. — Argilla (dom.), calcite (ab.), quarzo, ematite, limonite, anfibolo (uralite?), augite, feldispato, serpentino (fr.), epidoto (?) (rs.). Campione n. 22. Ubicazione. — E stato preso ad un chilometro circa di distanza del precedente, più in vicinanza del litorale, sempre però di qua dal fiume I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 97 e ad un 200 m. dalla sua sponda destra, alla quota di 9 m. circa, in ter- reno pianeggiante, arativo. Soprasuolo. — È una terra fortemente argillosa, minuta, compatta, umida, pochissimo umifera, ma abbastanza provvista di calce. Fu prele- vata fra i 10 ed i 40 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica : ANCQuara: 0 e e AO 49, 7] Sostanze umiche . i; * SR 039 Id. solub, in acqua. SEO: (SOLAIO RA — Scheletro ) MARI ON mm. 2— mm. 0,6. Terra fine: sotto mm. 0,6 Determinazione calcimetrica : CO?=7,25 0 CaO=9,220% Sottosuolo. — Differisce dal precedente pel colore un poco meno bruno con tendenza al turchino, e per la compattezza ancora maggiore. I componenti sonvi, però, in proporzioni pressochè simili a quelle del soprasuolo corrispondente. Analisi fisico-chimica : AGREE, I OOE MESSER I REI CERO ne LOD. Sostanze umichesst Si e ei 0535 TO REsO UP ATA QUA So Re 0029 GSO PIATT ORSINI — Scheletro : mi Eito 0 mm. 2— mm, 0,6. s 4 DT Terra fine: sotto mm, 0,6 ji edi Determinazione calcimetrica : CO?=7,09% Ca0=9,02% Natura litologica del terreno. — È quasi perfettamente simile a quella del campione n. 4, 98 R. UGOLINI Campione n. 5. Ubicazione. — È stato preso al di là della Fine, fra la ferrovia e la strada vicinale che conduce alla casa poderale Vallone, in luogo detto La Paduletta, alla quota di 14 m. circa, in terreno pianeggiante, arativo. Soprasuolo. — Consiste di una terra bruno-nera, puramente argillosa, quasi affatto priva di scheletro. È molto umida, poco umifera, sebbene lo sia un po’ più delle terre dei campioni n. 4 e 22, e provveduta di una discreta quantità di calce. Fu preso fra 20 e 50 cm. di profondità. Analisi fisico-chimica : Alcquara Sl L0P:, 1.00 VEE SS Io Sostanze! umMIche;.., Fit RARI CAN Ido TA Wsolub4ansacquati RS RRONGA SOPTA ZITO O RC = Scheletro : Î TOM: 6 MM —_ TINTA MMI PO 3 Merrasine:SSOtto IMMA0 6 RERI IRE O RAR DASH Determinazione calcimetrica : COSCIONI Ca0= 12, 73 %o Sottosuolo. — Salvo una minor copia di sostanza umica: 1,02 dio tutti gli altri caratteri del sottosuolo, preso tra 50 e 70 cm. di profondità, corrispondono pressochè esattamente a quelli del soprasuolo. Natura litologica del terreno. — È essenzialmente costituito di ar- gilla. Nella scarsissima parte scheletrica furono tuttavia riscontrati in predominanza: quarzo ialino e colorato, e subordinatamente: calcare, diaspro, magnetite, limonite, pirite e forse augite. Notati numerosi fram- menti di conchiglie. Sondaggio n. 12. Fu eseguito presso il Molino della Fine, ma dalla parte opposta della strada, alla quota di circa 9 m. La trivella scese sino alla profon- I TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 99 dità di cm. 0,70 soltanto e non oltre, impedita forse dall’incontro di qualche straterello di ghiaie, le quali, come dissi già, si alternano spesso con gli strati argillosi. Il campione portato alla superficie è un’ argilla turchiniccia minuta, compattissima. VIII. Materiali utili. Tra i materiali che prendono parte alla costituzione geologica del territorio rosignanese se ne trovano alcuni che, per l’impiego che hanno già o che potrebbero avere così nell’edilizia rurale come nella correzione dei terreni, sono meritevoli di un cenno particolare. Nell’edilizia rurale è già da tempo ed abitualmente impiegato il cal- care conchigliare praticamente noto sotto il nome di calcare di Ltosì- gnano. Di questa roccia si fa uso non soltanto a Rosignano, ma anche in altri luoghi della regione, e l’impiego che se ne fa preferibilmente è come pietra da taglio, potendo essa accoppiare a quello della facile lavo- rabilità il pregio della durevolezza. Nel capitolo dell’idrologia sotter- ranea ho già parlato del coefficente d’imbibizione di questa roccia, da me ricercato in altro mio lavoro !), coefficiente che è di somma importanza, come è noto, nella cernita dei materiali da impiegarsi nelle costruzioni. L’escavazione di questo materiale è in uso da molto tempo, ed una delle cave più antiche sarebbe quella situata poco sotto alla villa Mastiani. Questa non è più in esercizio già da parecchi anni, ma è degna di essere ricordata, oltrechè per la sua antichità, anche perchè è da essa che il CAPELLINI ?) trasse, come egli dice, i primi elementi per lo studio geolo- gico della formazione di cui il calcare anzidetto è parte essenziale. Una cava di questo materiale tuttora in esercizio è quella che si vede a metà circa della prima rampa della strada rotabile che dalla stazione ferroviaria conduce al paese di Rosignano. Ed un’altra, pure esercitata, è quella del Malandrone, situata in cima al poggio di questo nome. Qui la roccia, essendo un poco argillosa, viene estratta non solamente per uso di pietra da taglio ma anche per essere impiegata nella fabbricazione della calce. Un'altra roccia, che è pure impiegata con vantaggio nell’ edilizia, non soltanto di qui ma anche di altre regioni circostanti, è la panchina. Anch’essa costituisce un’ottima pietra da taglio, sia per la facilità con 1) UGOLINI. Ricerche s. coeff. ecce., pag. 15. Siena, 1906. 2) CAPELLINI. Il cale. di Leitha ecc., pag. 4. Roma, 1878, 100 i R. UGOLINI cui si lavora, sia per il grado di resistenza che oppone agli agenti atmo- sferici, onde viene estratta attivamente ed impiegata in moltissime opere murarie. I resultati delle ricerche da me fatte sul cofflciente d’imbibi- zione di questa roccia sono riportati essi pure nel capitolo dell’ idrologia sotterranea. Nella regione in istudio esistono cave di detto materiale in vari luoghi; le più importanti sono: quella di Castiglioncello, situata a poca distanza dal paese; quella esistente a metà circa della strada che da Castiglioncello conduce a Rosignano ed, infine, quella che si trova presso la sponda destra della Fine, in vicinanza della presa di acqua del Molino della Fine. Un materiale che a me pare meritevole di considerazione per l’uso che se ne potrebbe fare così nell’edilizia come anche nell’agricoltura è quello che viene depositato dalle acque della Fine nei periodi di piena. Per la natura eminentemente argillosa di una gran parte del bacino di questo fiume, il materiale suddetto è costituito di un limo tenuis- simo che, dopo la sua deposizione, può essere impiegato utilmente nella fabbricazione dei laterizi e dei mattoni. L'impiego delle argille della Fine allo scopo suindicato non sarebbe nuovo, essendo stato già intra- preso per la fabbricazione del materiale necessario alle numerose opere murarie della nuova ferrovia Livorno-Vada; ma io credo che una tale industria potrebbe essere esercitata con profitto anche per l’ avvenire. Le melme della Fine potrebbero poi essere usate anche per correggere i terreni troppo sciolti e poveri che costituiscono una gran parte della regione rosignanese; ciò che si ebbe già occasione di far rilevare al- lorchè si parlò dei terreni provenienti dal disfacimento della panchina. Ma nel territorio rosignanese altri materiali si trovano che potreb- bero essere impiegati con qualche sensibile vantaggio nell’agricoltura, non soltanto come semplici stimolanti o come correttivi del terreno, ma anche come mezzi atti ad accrescerne la fertilità, introducendovi quegli elementi che potessero eventualmente mancarvi od esservi scarsamente rappresentati. Questi materiali sono la marra ed il gesso. La prima trovasi, come è già stato detto a suo tempo, nella parte orientale del Pipistrello, ed in condizioni assai favorevoli di estrazione. È dotata di una discreta quantità di calce e contiene anche, unitamente ad una piccola quantità di potassa, tracce non disprezzabili di anidride fosfo- rica; nessun dubbio quindi che potrebbe essere impiegata, in luogo delle melme anzidette e con minore dispendio, come correttivo di quelle terre sabbiose, aride, quasi completamente decalcificate alle quali si ac- Î TERRENI DI ROSIGNANO E CASTIGLIONCELLO 101 cennava più sopra. Quanto al gesso, esso trovasi abbondantemente rap- presentato, in parte al Poggio Berna, ma in maggior copia al Poggio del Pipistrello, ed in ambedue queste località in condizioni favorevoli così dal punto di vista di una possibile escavazione, come da quello del trasporto, essendo la viabilità della regione in studio assai sviluppata e buona ad un tempo. Istituto Geologico dell’ Università. Pisa, dicembre 1909. Sc. Nat. Vol. XXVÌ G. CANESTRELLI _——eft- DENTI DI PTYCHODUS Acass. NEL TERZIARIO DELL’APPENNINO TOSCO-EMILIANO Nell'estate del 1908 l’amico avv. Lanpo LAnpI donava al Museo Pa- leontologico Fiorentino un esemplare dentario di Ptychodus Acass. tro- vato dai sigg. CasPRINI nel potente banco di galestri multicolori di Poggio al Pino presso Strada in Chianti, nei quali si scavava per l’ot- tenimento del materiale da laterizî. Di questo esemplare intrapresi lo studio e lo riferi al Ptychodus latissimus AcASS.; volli poi estendere il mio esame ad altri denti del genere Ptychodus provenienti da varie località toscane. Esaminai così l'esemplare già ricordato dal CoccHÙI !) come Ptych. polygyrus AgaAss. e da me riportato al Ptych. decurrens AGASS., esemplare che fu ritrovato negli scisti rossi di Restì (Vallone di Mommio, Prov. di Massa) e che è conservato oggi nel Museo Paleontologico di Fi- renze; l’altro descritto dal De STEFANI *) come Ptych. polygyrus AGAss., e da me riferito al Ptych. latissimus AGaAss., trovato erratico nel Santerno presso. Firenzuola e passato in proprietà dal dott. CarLI al dott. MA- GNANI, che volle gentilmente concedermene il confronto. Nè tralasciai di ricercare a questo stesso scopo un terzo reperto toscano, quello cioè fatto dal SimoneLLI *) nel pliocene di S. Quirico d'Orcia; ma esso è andato malauguratamente perduto. In seguito alla cortesia del prof. PANTANELLI, cui esprimo i miei sen- titi ringraziamenti 4), potei inoltre studiare altri denti, di ottima conser- vazione, provenienti da Rocca S. Maria, Montagnana, Montese (Modena) i) CoccuHÙi I. — Sulla geologia dell'Alta Valle di Magra. Milano, 1866, pag. 10. ?) Da STEFANI O. — Studî paleozoologici sulla Creta sup. e media dell’ Ap- pennino Settentrionale. Mem. Accad. Lincei. Serie IV, vol. I, Roma, 1885, pag. 118, tav. II, fig. 13. 3) Proc. verb. d. Soc. Tose. di Sc. nat. adun. 14 marzo 1877. 4) Insieme al prof. PANTANELLI ringrazio i proff. De STEFANI e BONARELLI dei suggerimenti datimi nella compilazione del presente lavoro, DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 103 e Sarzano (Reggio), oggi conservati nel Museo di Modena. Infine per completare le mie indagini estesi il confronto anche ai reperti dei Pog- gioli Rossi presso Vernasca (Piacenza) già descritti e figurati dal Sacco 1). Ad alcune brevi osservazioni sul genere Ptychodus ed allo studio paleontologico dei singoli fossili farò qui precedere qualche cenno sulle condizioni topografiche, litologiche e stratigrafiche del loro ritrovamento in rapporto col riferimento cronologico dei reperti stessi. Comincerò dai fossili dell’ Appennino di Piacenza, come quelli che figurano i più antichi. — Il Sacco ?) cita varie specie di Ptychodus da c. Bignoni nei Poggioli Rossi presso Vernasca sull'Appennino di Piacenza. In questa località affiorano le argille scagliose rosse, dalle quali appunto sono indicati come provenienti i denti: la formazione è ritenuta dal SAcco come appartenente al Cretaceo, figurandovi anche le seguenti specie: Odontaspis Bronni Ae.; Scapanorhynchus subulatus Ae.; Oxyrhina Man- telli AG.; Corax pristodontus As.; Scapanorynehus raphiodon Aa.; Pseudo- corax affinis Ac. Ma le prime quattro di queste specie sono state ritro- vate *) anche in terreni eocenici del Belgio e dell’Alabama e, se si pensa che le argille rosse eoceniche dell'Appennino sono formazioni di mare assai profondo, delle quali fu finora sconosciuta la fauna, non sarebbe improbabile che in esse, come già accadde per altre località, il Ptychodus fosse con gli altri ittiodontoliti uno dei rappresentanti di questa fauna profondissima. Il CortEsI 4), che primo fece conoscere questa località disse che vi sono abbondantissimi denti di pesce: infatti nel Museo di Parma si conservano, a detta del SIMONELLI °), circa cinquanta denti di Ptychodus di là raccolti, che, esaminati dal BAssANI dietro richiesta del Sacco, si presentarono nelle seguenti quattro specie: Pt. polygyrus AdG., Pt. mammillaris Ae., Pt. latissimus Aa. e Pt. decurrens Aa. %). Il TarameLtI *) e il TraBUcco nella sua Cronologia dei terreni di Piacenza attribuiscono i terreni in questione all’ Eocene. Infatti secondo 1) Sacco. — Formations ophitifères du Crétucé. Bull. Soc. Belge de Géol. XIX, 1905, pag. 254, tav. 8, fig. 11-14. 2) Sacco. — Formations ophitif. ecc. pag. 254, 255. 3) LnrIcHE. — Contribution à V étude des Poissons fossiles du Nord de la France. Lille, 1906, pag. 107, 108, 129, 130, 135 e 140. 4) CORTESI. — Saggi geologici degli Stati di Parma e Piacenza — Piacenza, Del Majno, 1819, p. 118. °) SIMONELLI — Appunti sopra V’età e la fauna dei terreni di Vigoleno — Boll. Soc. Geol. It. XV, 1896, p. 326. 6) Sacco — Mormations ophitif. p. 254-255. ?) TARAMELLI — Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche nell’ appennino 104 G. CANESTRELLI x una carta geologica manoscritta e secondo appunti del DE STEFANI, quelle argille scagliose, accompagnate qua e là da piccoli lembi serpentinosi, stanno sopra l’anticlinale del m. Rigollo, formato dai calcari ad Helmin thoidea traversato dai torrenti Arda e Ceno, ed appartengono all’ Eocene superiore. Il Torpo !) però, come pure il Simonetti ?), in base agli Ptycho- dus li ritengono cretacei. Frattanto mantengo solo provvisoriamente al cretaceo tali reperti. L’esemplare di Poggio al Pino fu ritrovato nei galestri varicolori alter- nanti con l’alberese, insieme al quale stabiliscono quell’ ampia formazione calcareo-argillosa, che tanto il TRABUCcO #) che il LortI 4), che hanno studiato la regione, attribuirono all’eocene. Questi scisti argillosi come mi fu dato osservare appaiono talora di colore verde, tal’ altra giallognoli ed anche rossigni e ben concordano con la omologa formazione ap- penninica, che il parere di tutti i geologi, meno il Sacco, riporta al suddetto periodo. Vi sono inclusi dei piccoli lembi di brecciole serpen- tinose, sovrastanno all’ arenaria macigno e, secondo il DE STEFANI, col quale e col prof. MARINELLI visitai la regione, appartengon pur essi, come le argille di Vernasca, all’ Eocene superiore. Al quale quindi po- tremo con sicurezza riferire il dente di Ptychodus latissimus Agas. là ritrovato. Il dente ritrovato negli scisti rossi e variegati di Restì nel vallone di Mommio servì al CoccHni 5) per confermare l'appartenenza di questa formazione scistosa al cretaceo superiore. Molti anni dopo lo ZAccAGNA, occupandosi dei Terreni costituenti la zona centrale dell’ Appennino adia- cente all’ Alpe Apuana È), invocava il detto ritrovamento in appoggio della sua opinione, con la quale conservava, come già il Sacco, gli scisti poli- cromi nel Cretaceo superiore. Lo ZAcCAGNA in un lavoro immediatamente Piacentino. Boll, Com. Geol. It. XIV, 1883, p. 298; Contribuzione alla geologia dell’ Appennino di Piacenza. Estr. dai Rend. d’ Ist. Lomb. Ser. II, Vol. XVII, fasc. XIII, p. 1, 5, 1) ToLpo. — Studî geologici sulla Prov. di Piacenza, Boll. Soc. Geol. It. IX, 1890, p. 676. 2) SIMONELLI — Appunti sopra l'età ete. p. 327. 3) TraBucoo G. — I Terreni della Provincia di Firenze. Firenze. Ricci, 1907, pag. 17. 4) LorTI. — Rilevamento geologico eseguito in Toscana nell’anno 1893. Boll. Com. Geol. It. XXV, 1894, pag. 129; Studi sull’ eocene dell’ Appennino toscano. Boll. Com. Geol. It. XXIX, 1898. Quadro comparativo a pag. 80. 5) CoccHi. — Loc. cit., pag. 10. 5) ZAccAGNA D. — Boll. Com. geol. it. 1898, pag. 113. DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 105 antecedente *) aveva riconosciuto che essi si mostravano costantemente alla base dell’eocene e vi aveva riscontrate, nella parte più alta, in- tercalazioni di straterelli calcareo-nummulitici. Ciò gli faceva parere forse più razionale il collocare gli scisti policromi nella zona del nummulitico, ma, tenuto conto che questi strati pigliano notevole sviluppo soltanto sotto la massa del calcare a nummuliti, si limitò a proporre la collo- cazione nell’eocene solo per la parte di essi che alterna col detto cal- care — parte superiore — mantenendo nel cretaceo la parte più potente della formazione scistosa. Intanto il DE STEFANI, che già aveva ricono- sciuto nell'Appennino la concomitanza del calcare nummulitico con gli scisti argillosi rossi friabili (galestri) °), affermava doversi questi ultimi tener distinti dalla Creta, costituendo essi invece il piano più antico dell’eocene appenninico: ad essi esser contemporaneo o in parte suc- cedere il calcare nummulitico *). Il Fucini nel suo recente studio sulla Pania di Corfino *) attribuisce alla parte inferiore dell’eocene medio la formazione dei galestri rossi, identici a quelli del vallone di Mommio, riserbando all’ eocene inferiore un complesso di roccie arenaceo-calcaree e scistose rosse. Lo ZaccaGnA conserva questo complesso nel senoniano: il DE STEFANI, che, studiandolo nel monte di Sassorosso, lo ritenne cre- taceo °) per la presenza di alcuni resti organici che egli riferì ad Acan- thoceras, ebbe poi ad osservare che detti resti non erano di Ammoniti cretacee ma di Meduse od altri simili organismi che il SIMONELLI °), meno opportunamente, secondo me, attribuisce ad Oloturidi, e che paiono riportabili alle Lorenzinia, fossili, dei quali uno il Fucini ha citato e figurato dalla stessa formazione nella Pania di Corfino °). Sotto questi strati stanno, secondo anche il Fucini 8), delle brecciole grigio-rossastre, nelle quali, insieme con abbondantissime Globigerinae, furon riscontrati dal De STEFANI e da lui esemplari ben sicuri di Orthophragmina. Queste 1) ZaccaGNA D. — Carta e sezioni geologiche delle Alpi Apuane. Boll. Com. geol. it. 1897, pag. 330. 2) DE STEFANI C. — Quadro comprens. dei terreni dell’ Appennino Settentr. Atti Soc. Tosc. Scienze Nat. Pisa, V, 1880. pag. 227. 3) DE STEFANI C. — Le pieghe delle Alpi Apuane. Firenze, 1889, pag. 38. 4) Fucini A. — Boll. Soc. geol. it. 1908, pag. 91. 5) De STEFANI C. — Studî paleozool. sulla Creta superiore e media dell’ Ap- pennino Settentrionale. Lincei, Mem. Ser. IV, vol. I, Roma, 1885, pag. 91. 6) SIMONELLI. — Intorno ad alcune singolari paleoicniti del Flysch appenni- nico. Mem. Accad. d. Scienze, Ist. di Bologna, Serie VI, tomo 1I, 1905, p. 267. 7) Fucini A. — Loc. cit., pag. 112-113, fig. 1. 8) FucINI A. — Loc. cit., pag. 113. 106 G. CANESTRELLI brecciole rappresentano la base della formazione eocenica nella regione, che ci interessa e forse potrebbero riferirsi alla base dell’ eocene medio. Riposano direttamente sopra roccie giuresi e sottostanno alla massa dei galestri rossi e dei calcari nummulitici, che nell’alpe di Sassorosso e in quella di Mommio rappresentano l’eocene medio, al quale deve dunque ascriversi il reperto di Restì. Il dente di Ptychodus latissimus AGas. dei dintorni di Firenzuola fu raccolto erratico nel torrente Diaterna, affiuente del Santerno. Se non potremo perciò dargli un sicuro riferimento cronologico, potremo sempre ricercare quali sono le formazioni litologiche di sua possibile provenienza. Il bacino di Firenzuola è costituito da un’ ampia distesa di argille sca- gliose, che il DE STEFANI ') e il BaLpACCI ?) attribuiscono all’ eocene su- periore; ad est di Firenzuola verso il Santerno queste argille sono sot- toposte alle arenarie che il De STEFANI *) e lo ScARARELLI *) attribuiscono al miocene. Solo il Sacco °), coerentemente agli altri suoi lavori, indicò come parisiane queste arenarie e come cretacee le suddette argille scagliose. Le opinioni di DE STEFANI, BALDACCI e ScARABELLI ci autorizzano ad escludere — come già la escluse il De StEFANI — %) la provenienza del dente di Ptychodus dal cretaeo indicandoci come provenienze pos- sibili o quella eocenica superiore o quella miocenica. Delle due que- st’ ultima presenta la massima probabilità, poichè il fossile è parzial- mente incluso in un pezzo di arenaria, roccia propria della locale for- mazione miocenica: il De STEFANI infatti per l’identico motivo già riferì al miocene ‘) il reperto di Firenzuola, dapprima ritenuto cretaceo 8). Passando ad occuparmi dei reperti verificatisi nell'Appennino emi- liano osserverò che I esemplare di Montese (Modena), da me esaminato, i) Da STHFANI C. — Geotectonique des deux versants de l’Adriatique. Estr. de. la Soc. Géol. de Belgique. XXXIII. Mem. pag. 214. V. Carta geologica; Nuovi fossili cretacei dell’ Appennino Settentr. Rendic. Accad. Lincei. Ser. 58, vol. I, fasc. 8,9, pag. 6, Roma, 1392. 2) BaLpacci. — Boll. d. Com. geol. it., XXX, 1899. Parte ufficiale pag. 26. 3) De STEFANI C. — Geotectonique ecc. pag. 225; Nuovi foss. ecc. pag. 6. 4) SCARABELLI. — Boll. d. Com. geol. it. XXX, 1899. Parte uffic. pag. 26. 5) Sacco. — L’ Appennino dell’ Emilia. Boll. d. Com. geol. it. 1892. pag. 508 e 509. 6) Dn STEFANI C. — Nuovi fossili ecc. pag. 6. 7) Dn SrnranI C. — Nuovi fossili ecc. pag. 6. 8) Dn STEFANI C. — Stud? paleozoologici sulla Creta superiore e media del- UV Appennino Sett. pag. 118. DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 107 come accenna il Mazzerti !), fu da lui ritrovato nelle argille scagliose della costa del Castelletto in S. Martino situata sulla sinistra del Rio Grosso omonimo. Non è questo il solo reperto di Ptychodus, fatto nei pressi di Montese, in quanto il MAZZETTI ?) stesso ne ricorda da S. Mar- tino di Salto e da Montespecchio e il CaPELLINI dalle argille scagliose di Cà di Mattiozzo *). La indicazione esatta relativa al giacimento del fossile del Castelletto ci autorizza a riferirlo al piano eocenico supe- riore, al quale anche il PANTANELLI, tanto nella geologia generale del- l’Appennino Modenese 4), quanto in uno studio stratigrafico della plaga di Montese ?), riporta le argille scagliose: altrettanto credo possa conclu- dersi per il fossile di Cà di Mattiozzo. Egual sicuro riferimento cronologico non possiamo dare ai denti provenienti dalle altre località surricordate, in quanto la sola notizia generica del luogo di ritrovamento non è suf- ficiente a stabilirne la posizione stratigrafica. Infatti Montespecchio con le sue argille scagliose accompagnate dai serpentini potrebbe attribuirsi, come già fece il PAnTANELLI °), all’eocene superiore. S. Martino di Salto fa parte di quella formazione scistosa cronologicamente molto discussa, che il PANTANELLI °) ritenne cretacea, mentre il Sacco la volle attribuita al Parisiano *). Secondo l’opinione del DE STEFANI il cretaceo non si ri- troverebbe a Montese; infatti gli esemplari di Inoceramus Monticuli Fuaa. e Inocer. Cripsiù MAnT. là ritrovati egli ritiene che provengano dall’eocene e nelle Ammoniti della medesima località non sarebbe forse improbabile con un nuovo esame, riconoscere le forme delle Lorenziniae. Evidente- mente a Montese e nei suoi dintorni sarebbe utile procedere a nuove precise ricerche di questi fossili, che paiono là non rarissimi, affine di meglio definire la distribuzione cronologica del genere Ptychodus in quei terreni. 1) MAZZETTI. — Osserv. intorno al carattere cretaceo del terreno delle argille scagliose ecc. Modena, 1890, pag. 13, nota 1. 2) MazzerTI. — Osserv. intorno al carattere cretaceo del terreno delle argille scagliose. pag. 12. 3) CAPELLINI. — I{ Cretaceo sup. e il Gruppo di Priabona nell’ Appennino Sett. ecc. Mem. Accad. di Bologna, 1884, pag. 542. 4) PANTANELLI. — L’Appennino Modenese. Rocca S. Casciano 1895, pag. 18. 5) PANTANELLI. — I{ Cretaceo di Montese. Boll. Soc. geol. it. IV, 1885, pag. 234. 6) PANTANELLI. — Il Cretaceo ecc. pag. 234. 7) PANTANELLI. —- Il Cretaceo ecc. pag. 234, 235. 8) Sacco. — L’Appennino dell'Emilia. pag. 491. 108 G. CANESTRELLI I tre denti indicati come provenienti da Montagnana (Modena) furon raccolti nel torrente Grizzaga lungo la via Giardini, ed un simile ritro- vamento ci toglie gli elementi necessarî alla loro sicura determinazione cronologica. Peraltro, se teniamo conto delle condizioni geologiche della località, quali resultano anche dalle osservazioni e da una carta ine- dita del De STEFANI, vi si riscontrano i galestri e i calcari a Chondrites dell’eocene superiore e le molasse langhiane a Lucina pomum Desm. Queste ultime da Montagnana si continuano in alto lungo la strada fino a Montardone, mentre i primi si insinuano lungo il torrente a nord- ovest di detta strada verso Montagnana fin circa al 25° miglio. Quindi, sebbene non possa dirsi con sicurezza da quale, è da una di queste due formazioni che dobbiamo: ritener provenienti i fossili in istudio. Le località di Sarzano (Reggio), e Rocca S. Maria (Modena) appar- tengono al miocene medio, come ne assicurano i pareri concordi di DopERLEIN 1), PANTANELLI ?), CopPI *) e Sacco 4‘) ed una carta inedita del DE STEFANI. Quindi mi pare che a questo periodo geologico, come già fece il PANTANELLI °), possono riferirsene i reperti. Non molto lungi dall’una e dall’altra località, e sempre inferiormente al miocene, affiorano le argille scagliose, la cui vicinanza invoca il Sacco 5) per attribuire ad esse la provenienza di questi denti, che conferme- rebbero, a detta sua, l'appartenenza delle dette argille al Cretaceo. Sta di fatto che la provenienza del fossile fu segnata esattamente sui reperti dal DOoDERLEIN stesso: — da Rocca S. Maria l’uno, da Sarzano l’altro 7) — località ambedue mioceniche, ben distinte dagli affioramenti delle argille scagliose, stratigraficamente e per altitudine inferiori. AA ogni modo è 1) DopERLEIN P. — Cenni geologici intorno alla giacitura dei terreni mioce- nici superiori dell’ Italia Centrale, pag. 36, nota 1. 2) PANTYANELLI D. — Sezioni geologiche nell’ Appennino modenese e reggiano. Boll. Com. geol. it., vol. XIV, 1383, pag. 197. — Note geologiche intorno agli strati miocenici di Montebaranzone e dintorni. Atti Soc. Natur. di Modena, Serie III, vol. II. Modena, 1884. 3) Coppi F. — IZ miocene medio nei colli modenrsi. Boll. Com. geol. it., XV, 1884, pag. 171. 4) Sacco F. — L’Appennino dell'Emilia, pag. 541. 5) PANTANELLI D. — Denti di Ptychodus nell’ Appennino modenese. Proc. Verb. Soc. Tosc. di Sc. nat., vol. XIV, 1903-1905, pag. 70. 6) Sacco. — Les formations ophitiphères ece. pag. 254. ?) Sul primo si vede la sigla R. S. M. usuale per indicare Rocca S. Maria; sul secondo si legge Sarzano scrittovi di mano di DoDERLEIN. (PANTANELLI. — Denti di Piychodus dell'Appennino Modenese. Proc. Verb. Soc. Tose. di Se. nat., vol. XIV, pag. 70). + DENTI DI PIYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECO. 109 opportuno osservare che queste ultime nei luoghi predetti sono attri- buite pei loro rapporti stratigrafici ben distinti da tutti gli autori, fuorchè dal Sacco, all’ eocene superiore. Avvertirò infine che nelle argille turchine plioceniche di S. Quirico d’ Orcia (Siena) fu dal SrmoxeLLI ritrovato un dente di Ptychodus 1), oggi malauguratamente andato smarrito. Il MENEGHINI, comunicando questo ritrovamento alla Società Toscana di Scienze Naturali ?), ne ri- levava l’importanza sua in quanto esso apparteneva a terreni pliocenici, nei quali fino allora tale genere era sconosciuto. Qualche anno appresso, nel 1879, il LawLEy riferiva alla stessa Società 3) di un dente di Ptychodus, da lui riportato al Ptych. decurrens AGAS. e proveniente dalle argille pure plioceniche di Castellarquato (Piacenza); non è improbabile che il raccoglitore l’avesse trovato nella vicina Vernasca. Il Sacco 4) peraltro ritiene probabile ch’esso provenga dalle argille scagliose. circostanti, delle quali mi sono occupato poco avanti. Da quanto sono venuto esponendo fin qui e da quanto riassumerò nell’annesso quadro resulta evidente che,per alcuni dei fossili studiati l'appartenenza cronologica è sicura, mentre per. altri è indeterminabile o solo induttibile. Si trovano nella prima condizione tanto il reperto di Poggio al Pino e quello di Montese, che sono riferibili all’eocene superiore quanto quelli di Sarzano e Rocca S. Maria, che potei con certezza attribuire al miocene medio. Invece, solo dubbiosamente può ritenersi miocenico l'esemplare di Firenzuola; e l’esser stati ritrovati erratici mi rende im- possibile il riferimento certo di quelli di Montagnana, mentre per la mancanza di notizie sul loro ritrovamento altrettanto debbo ripetere per quelli di S. Quirico d'Orcia e Castellarquato. I denti provenienti dai Poggioli Rossi presso Vernasca volli mantenuti al cretaceo, pur non mancando di accennare alla possibilità di un loro trasferimento al- l’ eocene. i) StmonELLI V. — I dintorni di S. Quirico d'Orcia. Boll. Com. geol. it. 1880, pag. 23. ‘_*) Proc. Verb. d. Soc. Tosc. di Scienze Nat., Pisa, adun. 14 marzo 1877., Volpe LI 3) Proc. Verb. d. Soc. Tosc. di Scienze Nat., Pisa, adun. 8 maggio 1881, Vol. II, pag. 243. ; 4) Sacco. — Format. ophit. pag. 256. 110 G. CANESTRELLI Quadro riassuntivo delle specie secondo la loro posizione cronologica. Ptychodus latissimus Ptychodus polygyrus Ptychodus decurrens AGASS. AGASS. AGASS. Cretaceo (??) ) Poggioli | Cretaceo (??) ) Poggioli | Eocene medio — Restì. o Eocene sup.) Rossi. o Eocene sup.) Rossî. Cretaceo (??) ) Poggioli o Eocene sup.) Rossi. Kocene sup. — Poggio | Eocene sup. (?) — Mon- | Eocene sup. — Montese al Pino. tespecchio. Montagnana (?). Miocene medio (?) — Fi- | Miocene medio — Zocca | Miocene medio — Sar- renzuola. S. Maria. zano, Montagnana (?) Avanti di accingermi alla descrizione dei singoli fossili voglio far precedere alcune brevi notizie sul Gen. Ptychodus. Esso fu stabilito dall’Agassiz !) sui resti dentarî, che figurano come i soli residui organici di questi pesci. Ogni dente, di forma in genere quadrangolare, resulta di radice e corona: la prima è depressa inferior- mente e gradualmente allargata verso la corona, ha struttura grosso- lanamente porosa, un solco largo ma non molto profondo ne segna la linea di separazione dalla corona stessa, che ha forma convessa ante- riormente e lateralmente, concava posteriormente, onde permettere la commettitura del dente successivo. L'ampia superficie superiore, più 0 meno convesssa, è smaltata, ornata di tubercoli ai margini e di pieghe trasversali di varia larghezza nel centro, separate da solchi. La strut- tura di questi denti fu dettagliatamente esaminata da Owen ?) nel suo trattato di Odontografia e ad esso può riferirsi chi voglia notizie in proposito. 1) AGassiIz. — Recherches sur les poissons fossiles. Neuchatel, 1833-43. 2) Owen. — Odontography. London, 1840-45, pag. 57-59, tav. 17,18,19. DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. HILL Già AGassiz !) stesso rilevava le differenze esistenti fra i denti di una stessa mascella, senza peraltro poter stabilire in qual modo essi vi fosser disposti, non avendoli potuti trovare associati. Un tale ritrova- mento capitava più tardi al WoopwARp ?), il quale poteva riconoscere sulla specie Ptychodus latissimus che i denti sono orientati in guisa tale, che il loro diametro maggiore è diretto secondo la larghezza della gola, il lato convesso è l’anteriore, il concavo il posteriore. Nella mandibola i denti più larghi sono allineati nella serie mediana e lateralmente figu- rano delle serie di denti man mano più piccoli, nella mascella i denti larghi (meno larghi peraltro dei mandibolari mediani) sono in due file collaterali ad una serie centrale di piccoli denti: marginalmente, sono impiantati pezzi dentarî man mano più piccoli. Prima di chiudere questi cenni sul genere Ptychodus, dovrò breve- mente occuparmi della sua posizione sistematica. I reperti succitati del WoovbwaARp e le sue osservazioni lo indussero a ravvici nare questo genere alla famiglia delle Myliobatidae *) piuttostochè alle Cestraciontidae come ritenne l’ Owen in base all’interna struttura 4). Più recentemente O. JAEKEL °), non escludendo quest’affinità con le Myliobatidae, ne ravvi- sava anche altre con la famiglia delle 7rigonidae: peraltro, ritenendo di dover abbandonare come non pratica la distinzione fra Myliobatidae e Trigonidae, le quali non rappresentano che un tutto unico caratterizzato da una serie di particolarità °), lo JAEKEL adottava la riunione sotto il nome comprensivo di Certrobatidae. A questa famiglia avrebbe do- vuto riferirsi il genere Peychodus, il quale invece parve allo JAEKEL formarne un ramo laterale aberrante degli antenati ?), pel quale Voo- DWARD °) propose il collocamento in una nuova sotto-famiglia quella delle Ptychodontidae, che LeRICHE 5) ha adottata come famiglia. 1) AGASssIZ. — Loc. cit., pag. 150. 2) Woopwarp. — On the dentition and affinities of the Selachia genus Pty- dus. Quart. Journ. Geol. Soc. 1886, vol. 43, pag. 123-830, tav. X. 3) WooDwarD. — Loc. cît., pag. 129. 4) OwEN — Loc. cit., pag. DT. °) JAEKEL O. — Die eoccinen Selachier vom M. Bolca. Berlin. Springer, 1894, pag. 136. 6) JABKEL O. — Loc. citi, pag. 116. 7) JAEKEL O. — Loc. cit., pag. 136. 8) Woopwarp. — Jaws of Ptychodus from the Chalk. Quart. Journ. Geol. Soc. vol. 60, pag. 135. °) LERICHE. — Poîssons fossiles du Nord de la France. pag. 72. 112 G. CANESTRELLI Ptychodus latissimus AGassIz. 1843. Ptychodus latissimus Agas Acassiz. Rech. sur les poîss. foss. III, pag. 157, tav. 2ba, fig. 1-6; tav. 255, fis. 24-26. 1845. Ptychodus latissimus Agas Owen. Odontography. tav. 17, fig. 1,2. 1850. _ paucisulcatus Dix Drxown. Geology of Sussex, pag. 363, tav. 90, fig. 3. 1877. —_ latissimus Agas Bassani. Ittiodontoliti del Veneto, pag. 30. 1885. — — — Bassani. Pesci di Castellavazzo. B. S. G. I. pag. 145, tav. IX, fig. 11. 1885. — polygyrus Agas De SteFANI. Studì paleozool. sulla Creta sup. e media dell’ Appennino Sett. Atti Accad. Lincei. Mem. Scienz. nat., serie 42, vol. I, 118, tav. 2, fig. 13. 1887. _ paucisulcatus Dix. Woovpwarp. Quart. Journ. of Geolog. Soc. vol.143,* pap 127, tav io: 1889. _ latissimus Agas Woonwarp. Cat. of the Foss. Fish. in Bri- tish-Museum, vol. I, pag. 147. 1900. _ latissimus Agas Secuenza L. Pesci fossili della Prov. di Messina. B. S. G.I. pag. 475, tav. 5, fig. 19. 1902. — latissimus Agas Lericue. Faune ichtyolog. des terr. Cretac. du Nord de la France. Ann. d. Soc. Géol. du Nord. pag. Dica db as diego 1905. —_ latissimus Agas Sacco. Formations Ophitiphères du Cretace. Bull. d. Soc. Belge de Geol. XIX, pag. 254, tav. VIII, fig. 11. 1905. = latissimus Agas WeGNER. Z. d. d. g. G. pag. 224. 1905. — latissimus Agas Lericnr. Contrib. à l étude des Poiss. foss. du Nord. de la France, pag. 73, tav. 5. Riporto anzitutto a questa specie il già citato reperto di Poggio al Pino. (tav. II, fig. 5). Malauguratamente non ne è conservata, e non in- tegralmente che, l’area mediana coronale, la quale, misurando mm. 32,5 di diametro anteriore e mm. 39,5 di diametro trasversale, presenta, in conseguenza di un notevole inarcamento delle coste posteriori e di un raccorcimento nello sviluppo delle anteriori, una forma trapezoidale, che lievemente si differenzia da quella quadrangolare, propria di regola degli esemplari caratteristici della specie. Le pieghe larghe e salienti, come quelle dell'esemplare di Condè descritto dal LERICHE ‘), sono in numero 1) LPRICHR. — Révis. de la Faune ichtyologique des terr. Crèt. du Nord de la France. Ann. d. Soc. Géol. du Nord. XXXI, 1902, tav. 4, fig. 1. î DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 113 di otto, separate da solchi larghi e profondi. Degli altri caratteri il de- terioramento del fossile non permette la descrizione. I recenti studî del LeRICHE sui , Pescì fossili del Nord della Francia , ed il confronto con gli esemplari di Condè ivi figurati !) mi hanno in- dotto ad ascrivere al Ptychodus latissimus Agas anche il fossile, già ricordato, che fu raccolto erratico nel Diaterna, affluente del Santerno presso Firenzuola e che, come ebbi a dire, fu dal DE STEFANI descritto e riferito al Ptychodus polygyrus AGas. Le dimensioni omologhe della corona, il numero e la disposizione delle pieghe mi hanno confermato il nuovo riferimento (tav. II, fig. 3,4). Le osservazioni del LerIcHE hanno molto opportunamente servito a stabilire un più esatto criterio sulla disposizione dei denti nelle mascelle dei Ptychodus, nonchè sulla limitazione delle varie specie del detto ge- nere. Così l'esemplare di Poggio al Pino parrebbe appartenente alla prima serie laterale della mascella: dei due denti, che si trovano riuniti nel reperto del Diaterna, il maggiore corrisponderebbe alla serie me- diana della mandibola, il più piccolo ad una delle serie laterali. Di più, osservando negli esemplari figurati dal LeRICHE ?) i denti delle serie estreme, vi apparisce evidente la riduzione del numero delle pieghe, la quale ove non sia accompagnata dalla diminuzione delle dimensioni ge- nerali, porta ad esemplari quali quelli del Museo de Péronne 3), che, pur presentando i caratteri specifici del Ptychodus latissimus 4), ne furon giustamente ritenuti dal LerIcHE una varietà, la paucisulcatus, sinonima della specie paucisulcatus del DIxon °). Nel 1896 il Priem parlando dei , Pescì della Creta dei dintorni di Péronne , °) esaminava alcuni denti di Ptychodus provenienti da Belli- court (Aisne) e da Vaux-Eclusier e li riferiva al Ptychodus latissimus, insistendo sulla esistenza di forme di passaggio fra il Ptych. latissimus e il polygyrus. Riserbandomi di fermarmi più avanti sull’ argomento, escludo fin d’ora che i ricordati esemplari del PRIEM appartengano alla specie latissimus. 1) LerIcHB. — Révis, tav. 4, fig. 2,3, 4. cfr. Poiss. foss. du Nord ecc. tav. 5 fp 2 2) LERICHE. — Poîssons ecc. tav. fig. 1 e 2. 3) LERICHE. -— P’oissons ece., tav. V, fig. 3-8. 4) LERICHE. — Poissons ecc., pag. 74. 5) DrxoN. — Geol. of Sussex, pag. 363, tav. 30, fig. 6) PrieM F. — Bull. d. Soc. Géol. de France, III: ser., tom. 24, N.° 1, 1896, pagg. 9-14; tav. I, fig. 1-4. ’ 114 G. CANESTRELLI Località: — Poggio al Pino (Chianti). — Diaterna, erratico, (Fi- renzuola); Poggioli Rossi presso Vernasca (Piacentino) SAcco; Breonio (Verona), M. Castello (Vicenza), Castellavazzo (Belluno) Bassant; S. Pietro Mussolon (Vicenza) Lioy; Promontorio di Castelluccio (Messina) SEGUENZA; Condè — Croissy (Oise) — Liévin, Zoteux, Reuty, Orville (Boulogne) — Péronne (Somme), la Bouille (Seine Infer.) LeRICHE. — Lewes (Inghil- terra). — Bockum (Prov. Renane) - Benatek (Boemia). Ptychodus polygyrus Agassiz. 1343. Piychodus polygyrus Agas Acassiz. Poiss. foss. III, pag. 156, tav. 25, 1843. 1850. 1877. 1884? 1885. 1887. 1889. 1890. 1902. 1904, 1905. 1906. fig. 5, 9-11 e tav. 250 fig. 21 e 23. latissimus Agas Agassiz. IA. Id., pag. 157, tav. 25a, fig. 7. latissimus Agas Dixon. Geol. of. Sussex, pag. 363, tav. 30, ao Ce ave SI ia 0 polygyrus Agas Bassani. Ittiodon. Ven., pag. 32. latissimus Agas CapeLLINI. IZ Cretaceo Sup. ecc., pag. 542. polygyrus Agas Bassani. Pesci di Castellavaxzo, pag. 146. polygyrus Agas Woopnwarp. Quart. Journ. of Geol., 43, pag. 127, tav. X, fig. 11. polygyrus Agas (?) Woonwarp. Cat. of. Foss. Fish., pag. 143, ao Vi ide To polygyrus Agas Woonwarp. On two Groups of theet of the Cre- taceous Selach. Fish. Ptychodus. Ann. Report. of Yorksk. Philosoph. Soc., pag. 40, tav. I, fig. 15-20. polygyrus Agas Lericne. Faune ichtyol., pag. 97, tav. 2, fig. 21-22. 7 polygyrus decurrens Agas PantaneLLI. Denti di Ptychodus nell’ Appennino Modenese in Proc. Verb. d. Soc. Tose. di SCREnAt MPA INA pa pie polygyrus Agas Sacco. Format. ophitiph. ecc., pag. 255, tav. 8, fig. 12. polygyrus Agas LeRrIcHE. Et. poiss. foss. du Nord ecc., pag. 76. Fra gli esemplari dell'Appennino Modenese, di cui dissi di occuparmi ve n'è uno di Rocca S. Maria, che il PANTANELLI !) ebbe a riferire al Ptychodus decurrens AGAS. e che a me è parso dover attribuire alla specie di cui sto parlando. È un reperto, proveniente dalla vecchia col- 1) PANTANELLI. — Denti di Ptychodus etc. pag. T1. DENTI DI PIYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 115 / lezione DoDERLEIN, del quale è conservata la sola porzione centrale della corona: essa misura un diametro trasversale di mm. 37 — altre misure non potrebber dedursi che approssimativamente — è ornata di 10 pieghe flessuose, molto corrose nella parte mediana, mentre appariscono in assai buono stato le loro estremità, in modo da vedere che esse ten- dono a convergere verso un medesimo punto, collocato, nel lato destro, fra la terza e la quinta piega, che chiudono fra gli opposti piegamenti delle loro estremità, la terminazione della quarta piega. La più ante- riore delle pieghe è ripetutamente spezzata, quasi a preludere alla tu- bercolatura del margine coronale anteriore (tav. II, fig. 2). L’esemplare di Rocca S. Maria appartenente, presumibilmente, alla prima serie laterale della mascella o della mandibola può identificarsi per la forma generale a quello di HeLLemMES riprodotto da LERICHE alla fig. 22, tav. II e per il tipo delle pieghe a quello della stessa loca- lità, figurato dal medesimo autore al N.° 21 della stessa tavola 1). Questi due reperti furono riferiti dal LeRICHE nella sua accurata revisione al Ptych. polygyrus AcAs., specie alla quale può ascriversi l’ esemplare in esame in quanto nella forma, nel tipo e nella disposizione delle pieghe coronali, come anche nella tubercolatura ne presenta le tipiche carat- teristiche. Un ‘altro fossile della stessa specie ravvicinabile a quello di Rocca S. Maria, sebbene abbia coste più numerose e ‘sottili, è quello de’ Poggioli Rossi (Piacentino) figurato dal SAcco ?). Nel 1896 il PrIEM, occupandosi dei “ Pesci della Creta dei dintorni di Peronne , *), esaminava alcuni esemplari di Bellincourt .(Aisne) e di Vaux-Eclusier (Somme) e li attribuiva alla specie P. latissimus, riscon- trando in alcuni di essi una tendenza verso il. P. polygyrus ed aggiun- geva di insistere sul fatto che vi sono spesso forme di passaggio fra le due specie ora ricordate. Frattanto nel successivo 1899 il BoNARELLI nel suo studio sui ,, Fossili senoniani dell’ Appennino Centrale conservati nella collezione BeLLUCCI 4) esaminava un dente di Ptychodus, che per la forma rettangolare, anzichè subquadrata, della regione medio-coro- nale e per il numero e le dimensioni proporzionali assai diverse delle pieghe coronali non gli parve ravvicinabile al P. latissimus e neppure, 1) LERICHE. — Révision ece., pag. 148. 2) Sacco. — Les formations ophit. tav. 8, fig. 12. 3) PRIEM. — Poissons ecc., pag. 10-12, tav. I, fig. 1-4. 4) BonARELLI. — Estr. Atti R. Ace. d. Scienze di Torino, vol. XXXIV, pag. 6,9 tav. 1, fig. 7. 116 G. CANESTRELLI per numerose differenze, al polygyrus, tantochè egli stabilì una nuova specie il Ptychodus Belluccii, nella sinonimia della quale incluse gli esem- plari del Priem. Il LERICHE pertanto nella già citata “ Revisione della fauna ittiologica dei terreni cretacei del Nord della Francia *) ritenne che l’ esemplare studiato dal BowaRELLI fosse da riferirsi al P. poly- gyrus anzichè costituire una specie nuova, e più recentemente nell’ampio studio sui “ Pesci fossili del Nord della Francia , *) lo considerò sino- nimo della var. marginalis del P. polygyrus, varietà, che già accennata come possibile nuova specie dall’AGassiz 3), ricevette dal LERICHE con un’ esatta limitazione la conferma della sua esistenza: alla stessa va- rietà l’autore francese riferì gli esemplari del PrIieM. Se quest’ ultimo riferimento mi pare in ogni modo accettabile, invece la impossibilità nella quale mi trovo di poter confrontare l'esemplare studiato dal Bo- NARELLI con quelli esaminati dal LeRICHE e la esigua e mal conservata messe del mio materiale di studio mi impediscono di pronunziarmi. L'esistenza di forme intermedie fra il P. latissimus e il P. polygyrus tipici, giustamente riconosciuta dal PRIEM, avrebbe avuto nella specie Ptychodus Bellucciù del BonARELLI la sua rappresentante, ma con gli ulteriori studî del LeRICHE su numerosi e ben conservati esemplari le dette forme intermedie paiono doversi raccogliere in una varietà della specie polygyrus, la varietà marginalis. Le apparterrebbe l’ esemplare del BonARELLI, che, a parer mio, potrebbe corrispondere al dente di una prima serie laterale mascellare o mandibolare di un individuo nel quale i denti della serie mediana avesser le dimensioni ed i caratteri di quello proveniente da Fresnoy-le-Grande (Aisne), che il LeRICHE studiò e figurò *). Località: — Breonio ( Verona), Castellavazzo (Belluno) BASSANI); Poggioli Rossi presso Vernasca (Piacenza), Rocca S. Maria, Cà di Mat- tiozzo e Montespecchio (Modena). Blanc-Nez (Pas-de-Calais); Boussières-les-Haumont, Rametz près Ba- vai, Hellemmes (Nord); Troissereux (Oise); Bellincourt, Fresnoy-le-Grand (Aisne); Quille, Vaux-EÉclusier (Somme) LERICHE. Lewes (Inghilterra) Agassiz. — Russia. America. 1) LERICHE. — Reévision ecc., pag. 98. ?) LERICHB. — Poîssons foss. ece., pag. TT. 3) AGassIz. — Loc. cit., pag. 157. 4) LERICHE. — Révision ece., pag. 148, tav. 2, fig. 23. DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. lr Ptychodus decurrens Agas. 1843. Ptychodus decurrens Agas Agassiz. Poiss. foss., III, pag. 154, tav. 25b, fig. 1, 2, 6-8, (mon fig. 3-5). 1845. _ decurrens Agas Owen, Odontography., tav. 18 e 19. 1850. — decurrens Agas Dixon. Geol of Sussex, pag. 362, tav. 30, fieri ita i eta valo 2 000 1850. _ depressus Dixon Dixon. Geol. of Sussex, pag. 362, tav. 31, fig. 9. 1866. — polygyrus Agas Coccni. Geol. alta Valle di Magra, pag. 10. 1870. — polygyrus Agas Coccui. Terr. titon in Val di Magra, pag. 8. 1877. _ decurrens Agas Bassani. Ittiod. Veneti, pag. 30. 1879.?2 — decurrens Agas LawLey, Proc. Verb. Soc. Tosc. di Sc. nat., II, pag. 243. 1887. - decurrens Agas Voonpwarp. Quart. Journ. Geol. Soc., vol. 45, pag. 123, tav. 10, fig. 2-10 e 13. 1889. _ decurrens Agas Woonwarp. Catal. of. Foss. Pish., pag. 138. 1900. — decurrens Agas Secuenza. Pesci foss. Prov. Messina, pag. 476, tav. V, fig. 20. dI decurrens Agas LericHE. HMaune ichtyol., pag. 95, tav. 2, fig. 19. 1904. — polygyrus Agas PANTANELLI. Plychodus Appenmno Modenese, pag. 70, 71. 1904. = decurrens Agas Woonwarp. JAws of Ptych. from. the Coalk., pag. 135, tav. 15. 1905. — decurrens Agas Sacco. Format. ophit., pag. 255. tav. 8, fig. 14. 1906. —_ decurrens Agas LerIcHE. Ét. poiîss. foss. du Nord. L’esemplare ottimamente conservato, del Vallone di Mommio attri- buito dal CoccÒÙi 1) al Ptychodus polygyrus mi è parso per la gibbosità della regione coronale, per il numero e la ramificazione terminale delle pieghe, nonchè per la divergenza delle granulazioni nei margini ante- riore e posteriore riportabile al P. decurrens Agas. (tav. II, fig. 1, 1.0). A questa stessa specie ho ritenuto appartenenti alcuni degli esemplari provenienti dall’Appennino Modenese, gentilmente rimessimi dal prof. PANTANELLI: uno di essi proviene da Sarzano (Reggio) (tav. II, fig. 7, 7°) e la località è scritta sul fossile di mano di DoDERLEIN; il secondo, fu 1) CoccHI. — Loc. cit., pag. 10. o 118 G. CANESTRELLI rinvenuto dal Mazzetti !) nei terreni del Castelletto in S. Martino nel territorio di Montese (Modena); (tav. II, fig. 6, 6.9). gli ultimi tre pro- vengono da Montagnana (Modena) e furono trovati da un contadino in un borro lungo la via Giardini; (tav. II, fig. 8, 8%, 9, 9% a e 10) Tutti questi reperti, classificati come P. polygyrus, sono benissimo conservati. Il primo di essi presenta una notevolissima somiglianza con gli esemplari di P. decurrens di Brighton figurati dal Dixon 2) e mostra molto marcato il carattere della ramificazione terminale delle pieghe, che divergono fino al margine del dente *), carattere che si riscontra anche nel fossile di Montese. Gli esemplari di Montagnana presentano invero caratteri di ravvi- cinamento con la specie P. decurrens e basterà ricordare tra gli altri la loro forma “ bombé ,, e le coste regolarmente allineate e pressochè diritte. I tre reperti debbon ritenersi appartenenti a tre diverse serie dentarie d’ uno stesso individuo ed uno di essi riesce un po’ irregolare nella forma evidentemente pel suo adattamento nella mascella. Località: — Restì Vallone di Mommio (Val di Magra); Montagnana e Montese (Modena); Sarzano (Reggio); Breonio (Verona); Poggioli Rossi (Piacenza). Lewes-Brighton-Kent (Inghilterra); Bennatek (Boemia); Bockum, Quedlimbourg e Ratisbonne (Germania). Rouen, Guesnain, Autreppe, Rametz près Bavai Saint-Waast-lez-Ba- vaj (Nord-France); Elbeuf (Seine Inferieure); Lumbres (Pais de Calais); Breteuil, Croissy (Oise); Chercq (Belgio). Da questo esame paleontologico resulta che tre sono le specie di Ptychodus che a tutt'oggi possono citarsi dall’Appennino tosco-emiliano e cioè il Ptych. latissimus Acas., il Ptych. polyggrus Acas, e il Ptych. decur- rens AGaAs. La prima, secondo lo studio degli esemplari che le appar- tengono e secondo quanto si disse sulla loro posizione cronologica, si ritrova sicuramente nell’eocene (Poggio al Pino) e forse nel miocene (Firenzuola); egualmente si presenta eocenica a Restì e Montese e mio- cenica a Sarzano la specie Ptych. decurrens Acas., e, se il reperto di Castellarquato mostrasse una maggiore attendibilità cronologica, essa 1) MAZZATTI. — Osserv. sul carattere cretaceo del terreno delle argille sca- gliose del Modenese e Reggiano. Estr. Atti Soc. Natur. di Modena, Serie III, vol. IX, 1890, pag. 13. ?) Drxon. — Loc. cit., tav. 32, fig. 5. °) AGassIz. — Loc. cît., pag. 154. DENTI DI PTYCHODUS AGASS NEL TERZIARIO ECC. 119 parrebbe giungere al pliocene. Il Ptych. polygyrus Agas. figura a Rocca S. Maria come specie sicuramente miocenica media. Queste osservazioni paleontologico-stratigrafiche ci portano a rico- noscere, come già ne aveva affacciata l’ ipotesi il PANTANELLI !), al genere Ptychodus AGAS. un’estensione nel tempo assai più ampia di quella che finora gli accordavano i reperti sì italiani che stranieri, pei quali era li- mitata al periodo cretaceo. Nell’eocene, e nel miocene dell’ Appennino tosco-emiliano infatti abbiamo veduto oggi assicurata la presenza di que- sto genere ittiologico, proprio delle grandi profondità. 1) PANTANELLI. — Ancora sui resti di Ptychodus nell’ Appennino Emiliano. Atti d. Soc. Natur. e Matematici di Modena. Serie IV, vol. VII, 1905, p. 37. Dal Museo di Paleontologia dell’ Istituto Superiore di Firenze. Dicembre, 1909. RIG 6a. Ta. 9a. 10. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Ptychodus decurrens AGAss. Es. di Mommio. Superficie masticante. Museo Fiorentino. Ptychodus decurrens Acass. Es. di Mommio. Profilo posteriore. Museo Fiorentino. Ptychodus polygyrus AGass. Es. di Rocca S. Maria. Superficie mas- ticante. Museo di Modena. Ptychodus latissimus AGass. Es. di Firenzuola. Superficie masticante. Prop. Magnani. Ptychodus latissimus AGass. Altro es. di Firenzuola appartenente allo stesso individuo. Superficie masticante. Prop. Magnani. Ptychodus latissimus AcaAss. Es. di Poggio al Pino. Superficie mas- ticante. Museo Fiorentino. Ptychodus decurrens AGASS. Es. di Montese. Profilo anteriore. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGass. Es. di Montese. Superficie masticante. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGASs. Es. di Sarzano. Profilo posteriore. Museo di Modena. Ptychodus decurrens Acass. Es. di Sarzano. Superficie masticante. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGass. Es. di Montagnana. Profilo anteriore. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGAss. Es. di Montagnana. Superficie masti- cante. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGass. Es. di Montagnana. Superficie masti- cante. Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGaAss. Es. di Montagnana. Profilo anteriore Museo di Modena. Ptychodus decurrens AGass. Es. di Montagnana. Superficie masti- cante. Museo di Modena. ERNESTO MANASSE CLORITOIDE (OTTRELLTE) DELLE ALPI APUANE Gli studi di TscHERMAK e Stpéoz !), di LAcRoIx 2), di A. D’ACHIARDI?), e di altri valenti mineralogisti ancora, già da gran tempo misero in luce che nessuna differenza esiste, per ciò che riguarda i caratteri ottici, fra ottrelite e cloritoide. Ciò nonostante si fanno tuttora di tali minerali due specie distinte, in base ai resultati diversi che hanno dato le analisi chimiche loro, assegnando al cloritoide la formula H, R° Ri Si O;, all’ot- trelite l’altra H,R Rs Si, Os. Come è ben noto la diversità chimica consiste, in modo precipuo, nella quantità notevolmente maggiore di silice presentata dalle ottreliti analiz- zate fino ad oggi (Si O, = 40-44 ‘|, circa), rispetto a quella ritrovata nei cloritoidi (Si0, = 23-27 % circa); tanto che, per alcune varietà di ottre- lite più ricche in silice, si ammise anche la formula H, R° Ro Si3 On facendola derivare dalla formula strutturale del cloritoide, di ortosilicato basico ed acido insieme, proposta dal CLARKE ‘) O 1 nlo?R \{Sio,]J=H[A1. OH] sostituendo in questa al gruppo [Si 0,] l’altro [Si, Oy], tetravalente esso pure, in modo da avere il trisilicato basico ed acido corrispondente 1) Die Clintonitgruppe. Groth's Zeitschr. fir Krystall. und Miner. III, 5 e 6, pag. 509. Leipzig 1879. 2) Proprietés optiques du chloritoide: son identité avec la sismondine, masonite, ottrélite, véenasquite et phyllite. Bull. Soc. Franc. de Mineralogie. Tome IX®, pag. 42. Paris 1886. 3) Zocce ottrelitiche delle Alpi Apuane. Atti Soc. Tose. Se. Nat. Memorie, vol. VIII, pag. 432. Pisa 1887. 4) Am. Journ. of Science, Vol. XXXVIII, pag. 392. New-Haven 1889. Sc. Nat.® Vol. XXVI 9 122 È. MANASSE ui X[Si,0:]=H[A1.0H] Ma se si pone mente che le analisi delle ottreliti note a tutt’ oggi furono eseguite sopra materiale impuro, principalmente di quarzo inclu- sovi (particolarità questa già conosciuta da molto tempo dai mineralogisti), sorge naturalissima l’idea che i resultati analitici quantitativi di ottre- liti pure debbano coincidere con quelli offertici dal cloritoide. ) Nella speranza di potere confermare per via sperimentale tale supposizione ho intrapreso l'esame dell’ottrelite apuana, della quale, non trascurando le proprietà ottiche (già fatte note del resto fino dal 1887 da una pregevolissima pubblicazione del mio compianto maestro, il prof. A. D’ACHIARDI, !), mi sono in special modo fermato sopra i caratteri chimici. I risultati ottenuti hanno dimostrato, come vedremo nel corso di questa breve nota, la perfetta identità dell’ ottrelite apuana col tipico clo- ritoide, non solo rispetto ai caratteri ottici (cosa questa, ripeto, già nota per gli studi di A. D’AcHIARDI), ma anche per quel che riguarda la compo- sizione chimica quantitativa. Tale identità viene del resto in conferma di quanto io avevo in prece- denza supposto, studiando sotto l’aspetto morfologico, ottico e chimico, un minerale ritrovato in uno scisto sericitico del Canale di Murlo, presso ‘ Strettoia, nelle Alpi Apuane ?). Il minerale in parola, che per l’innanzi era stato considerato dubbiosamente come staurolite, avendo palesato all’ana- lisi la seguente composizione : IRCEDILA Per tArrOV SM e 6 SUONI ri ie LOTO IO O TE a ua 36795 Res0s 3 c Fe0 e A LANE ORO AR ZIA ME TIR, 0 ORIO IO I E OO SENI i) Mem. cit. 2) Contribuzioni alla Mineralogia della Toscana. Atti Soc. Tose. Sc. Nat. Proe. Verb., vol. XV, n. 2, pag. 26. Pisa 1906. 3) In questa analisi gli ossidi di ferro furono calcolati totalmente a Fe0 che, senza dubbio, prevale, e di molto, sopra Fe? 03. CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 1253 fu da me riferito al cloritoide. Onde, fino da allora, mi ero proposto d’indagare se la composizione chimica di esso minerale corrispondesse a quella della così detta ottrelite, tanto diffusa nelle Alpi Apuane, e le cui condizioni di giacitura sono identiche a quelle del minerale già studiato. Le rocce apuane che contengono l’ottrelite, come sarà detto più ampia- mente in seguito, sono costituite da sericite, quarzo, rutilo, tormalina, clorite, epidoto, ecc., e ci rappresentano antichi sedimenti fortemente meta- morfosati. In alcune di tali rocce ottrelitiche prevale la sericite sul quarzo ; esse hanno allora carattere di filladi, e rassomigliano grandemente agli scisti ottrelitici di Ottréz nelle Ardenne, descritti da A. RENARD e CH. DE LA VALLÈE - Poussin. !) Talvolta però, nei casi ove il metamorfismo si esplicò più intenso, assumono quasi l'apparenza di micascisti. In altre varietà è il quarzo che predomina sulla mica, e queste si ravvicinano a scisti quarzi- tici a sericite. Più raramente l’ottrelite fa parte di una breccia marmorea, una delle varietà del così detto mischio apuano, i cui frammenti di marmo, variamente colorati e con aspetto ceroide e saccaroide, sono cementati dallo scisto fillitico-ottrelitico. Le rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane trovansi superiormente ed infe- riormente alla grande formazione marmorea del trias superiore, la quale, come risulta dagli studi geologici dello ZACcAGNA ?), giace immediatamente al di sopra di quegli speciali calcari dolomitici, duri, di colore biancastro, grigio e nero, che sono detti grezzoni, e che spettano al trias medio. Il trias inferiore nelle Alpi Apuane sembra mancare, od è forse appena rap- presentato da alcuni banchi di quarzite e anagenite grossolana; per modo che i grezzoni soprastanno direttamente, e in concordanza, al terreno più profondo delle formazioni apuane, rappresentato da micascisti a sericite, scisti gneissici, scisti carboniosi, calcescisti, scisti anagenitici, ecc., l’in- sieme delle quali rocce cristalline, ritenuto prima azoico o siluriano, è oggi riportato dallo ZAccaGNA al permiano. Dai laboriosi e pregevolissimi studi geologici di questo autore risulte- rebbe però che gli scisti ottrelitici, diffusi in specie nella parte meridionale ed occidentale della regione apuana, si rinvengono poco sviluppati alla base della zona marmorea, fra i marmi e i grezzoni, e assai più al disopra di essa, dalla quale sono separati per mezzo di una formazione di 1) Note sur l’ottrelite. Ann. Soc. Géol. de Belgique, T. VI, 51, 1879. 2) La carta geologica delle Alpi Apuane ed i terreni che le costituiscono. Boll, Soc. Geol. It. vol. XV, pag. 214. Roma 1896, 124 E, MANASSE calcari grigi a lastre, di calcari con noduli di selce, di cipollini sericitici biancastri, o sericitico-cloritici verdicci. Essi scisti ottrelitici ci rappre- senterebbero quindi, secondo lo ZAccaGNA, la zona più recente del trias superiore, corrispondente alla parte più elevata del Xeuper, sopra cui si adagiano, i diversi calcari del retico e quelli, pure assai vari, del lias. I caratteri morfologici ed ottici dell’ottrelite apuana da me notati sono in massima parte quelli stessi già ampiamente descritti da A. D’ACHIARDI. Le laminette di ottrelite stanno disposte in modo irregolare ed in tutti i versi nelle rocce, ed appariscono dischiformi se parallele alla base, listi- formi se normali od inclinate su di essa. Presentano debolissima traspa- renza, ed hanno un colore verde cupo, con lucentezza micacea un poco grassa. Le dimensioni loro variano da roccia a roccia, poichè le lamine, per un’altezza che oscilla da 0,1-0,2 fino a 0,5 millimetri, raggiungono rispettivamente in larghezza ora appena 0,5 millimetri, ora invece sorpas- sano i. 2 0 4 millimetri. I cristalletti minuti sono intimamente impastati nelle masse rocciose, così che riesce, se non impossibile, difficilissimo almeno il poterli isolare; quelli maggiori sono molto più nitidi, e, usando notevole attenzione, si possono nettamente separare dagli altri componenti le rocce. Le sezioni parallele alla base hanno contorni più o meno irrego- lari, ma talvolta presentano forma esagona, con angoli di 120° circa (Tav. III [I] fig. 1), e spesso con una coppia di lati paralleli più sviluppata delle altre due. In esse si notano linee di frattura e, comunemente, due tracce di sfaldatura prismatica (110) e (110), pure ad angolo di 120°, accompa- gnate, ben di rado però, da un’altra sfaldatura secondo (010) che biseca l’angolo ottuso fatto dalle tracce di (110) e (110). Queste lamine basali sono spesso embriciate o accumulate a pila, e manifestano qualche volta al microscopio struttura zonale (Tav. III [I] fig. 2), poichè al centro, ove l’addossamento delle laminette a pila è maggiore, hanno colorazione assai più intensa che nelle zone periferiche, le quali ultime, in qualche caso, sono soltanto le porzioni trasparenti del minerale. Le sezioni parallele alla base non mostrano nessuna traccia di geminazione, ed estinguono, sembra, seguendo le diagonali del parallelogrammo formato dalle due sfaldature prismatiche (110) e (110); in generale però mostrano delle plaghe irregolari con estinzioni ondulate, CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 125 Nei preparati sottili delle rocce però le lamine di ottrelite risultano in massima parte inclinate sulla base, con apparenza listiforme. Esse, diritte o incurvate che sieno, si mostrano quasi sempre terminate irregolarmente alle due estremità; talvolta però appariscono troncate da un piano normale all’allungamento loro. Rare vi sono le tracce di separazione parallele a questo stesso piano e le rotture irregolari; e quasi costanti invece vi si notano delle tracce di sfaldatura basale, assai fitte, parallele all’allunga- mento delle liste. I cristalli non sono isolati che eccezionalmente; d’ordinario si presen- tano invece raggruppati in tre, quattro e più individui, assumendo strut- tura fasciculata o covoniforme (Tav. III [I] fig. 2 e 5). Talora sono due soltanto le liste compenetrate fra di loro, i cui angoli variano; in dieci casi però ho potuto determinare un valore costante, di c:c = 40°-41° (Tav. III [I] fig. 3), onde sembra si tratti di una vera geminazione. A nicols incrociati le sezioni listiformi si mostrano quasi tutte multi- plamente geminate secondo (001), con apparenza del tutto simile a quella dei plagioclasi a geminazione albitica (Tav. III [I] fig. 4 e 6). Esse constano di cinque o sei, fino di dieci o dodici individui, piuttosto esili; come ecce- zione di due soli individui assai larghi; e danno anche la figura di orologio a polvere, così caratteristica per l’ottrelite. Siffatte geminazioni sono visi- bili ancora con un solo nicol, e si possono anzi confondere facilmente con le strie dovute alla sfaldatura basale. Le direzioni di estinzioni non coin- cidono con l’allungamento delle liste, ed avvengono ad angoli assai varia- bili (3°-29°); il valore di 29° però fu trovato una sola volta. In generale gli angoli sono piccoli e non superano 5°-10°. Il pleocroismo è quello tipico del cloritoide, e in ciò dissentono le mie determinazioni da quelle precedenti di A. D’AcHIARDI. Questi ha dato il seguente schema, che concorda con quello riportato da TscHERMAK e SIPOCZ: A = azzurro 6 = verde-oliva c = verde giallo Dalle mie osservazioni risulta invece: = verde-oliva a bi fazzugro Cc = giallo-verdastro chiaro 126 E. MANASSE Le liste hanno sempre allungamento negativo, e sono pleocroiche dall’azzurro (b) nel senso della lunghezza, al giallo-verdastro (c) nel senso normale; nelle sezioni basali invece il pleocroismo varia dal verde oliva (a) all’azzurro (b). Altri caratteri da me notati nell’ottrelite apuana sono i seguenti: piano degli assi ottici quasi parallelo a (010) con angolo assiale molto grande. Nelle lamine basali o vicine alla base si scorge 1° emergenza della bisettrice positiva, apparentemente normale o quasi. Il carattere della birifrazione, determinato in sezioni normali ad un asse ottico, è positivo. Rifrazione molto elevata con n, di poco minore all’ indice dell’joduro di metilene (n = 1,74) e potenza birefrattiva non tanto debole; ambedue però difficili a determinarsi. Nell’ottrelite apuana non mancano le inclusioni, che sono sempre minutissime e distribuite irregolarmente; esse consistono di aghetti di rutilo, di granulini di magnetite o di ferro-titanato e di quarzo, di pri- smetti di tormalina e di epidoto; qualche rara volta le inclusioni sono fluide, e forse ancora di natura carboniosa. La quantità loro è assai variabile, poichè le lamine di ottrelite, ora ne sono discretamente provviste, ora in- vece quasi del tutto prive. D’ordinario il nostro minerale è freschissimo, ma talvolta ha come un’esile orlatura limonitica di alterazione, ed in casi eccezionali, sempre offertici dalle laminette le più minute, i piccoli cristalli sì mostrano intie- ramente torbidi per un tenue pigmento di alterazione giallo-rossastro, probabilmente di natura ferrifera, che li imbratta in modo tale da renderne assai meno distinto il caratteristico pleocroismo. Durezza uguale circa a 6. Peso specifiro variabile da 3,44 (ottrelite di Stazzema), a 3,51 (ottrelite di Camporaghena), a 3,56 (ottrelite del Corchia). Al cannello ferruminatorio il minerale o non fonde affatto, oppure, dopo prolungato trattamento, subisce appena un inizio di fusione soltanto sui bordi delle laminette. Col borace e col sal di fosforo dà la reazione del ferro. Nel tubo chiuso la polvere dell’ottrelite sviluppa acqua e diventa ' rosso-bruniccia per la sopraossidazione del suo ferro. Trattata con acido cloridrico concentrato a caldo è appena attaccata; risulta decomposta completamente invece dall’acido solforico concentrato, e più velocemente se questo è mescolato con una piccola porzione di acqua. Di tale proprietà dell’ottrelite di lasciarsi completamente attaccare dall’acido solforico mi sono servito agevolmente pel dosamento dell’ossido ferroso e per la sua conseguente separazione dall’ossido ferrico. CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 127 Per le analisi chimiche del nostro minerale apuano scelsi opportuna- mente il materiale, togliendolo da quelle varietà di rocce, più ricche in ottrelite, e nelle quali essa forma le lamine maggiori ed insieme si presenta inalterata e quasi priva di inclusioni. Le rocce contenenti siffatte lamine di ottrelite furono ridotte in una polvere non troppo fine, da cui, con non poca pazienza, vennero tolte, mediante l’aiuto di una buona lente d'ingrandimento, le minute laminette del minerale, dopo ripetuti lavaggi in acqua, oppure in acido cloridrico diluitissimo per quelle varietà di ottre- lite che nella roccia erano unite a calcare. In tal modo ottenni, in discreta quantità, del materiale scevro totalmente di impurità, o, per lo meno, contenente queste in quantità addirittura trascurabile; materiale questo la cui purezza controllai al microscopio. Della bontà di esso, del resto, fanno fede anche i risultati analitici ottenuti e qui sotto riportati. La prima analisi fu fatta sull’ottrelite del mischio di Stazzema, e diede: Rapporti molecolari 16 nt 0, 3974 1 STA) 0487 Ses 0, 4035 1,02 MEO 37.08 0, 3623 de Re. 05,36 0, 0335 Tg RO 09101 0, 3047 nO 0,55 0, 0073 GUT tivo MO. 0.16 0, 0029 NEO 0 4.39 0, 1070 LOS SA tracce 100, 83 Una seconda analisi riguarda l’ottrelite di una roccia dei dintorni di Camporaghena, presso Fivizzano, la quale, secondo la nomenclatura usata da A. D’AcHIARDI, sarebbe un ottrelitefiro, del tutto simile a quello del Monte Corchia, descritto dettagliatamente dal predetto autore. I risultati avuti sono: ° 128 E. MANASSE Rapporti molecolari Hyatt 08 = 0, 3902 1,01 Sio, i a RS 607 = 0, 4316 La AlOs otro 0, 3621 } F6:Osn RI 0, 0248 ) pinne i He i eee 0, 3444 Mp:0it sel Str fabb. RES Cao, ih ave 0, 12 0, 0021 Son 1708 MeOb- Ul den 1,90 0, 0471 TIOS Nani ivracce 100, 86 La terza analisi infine, eseguita sull’ottrelite del così detto ottrelitefiro del Corchia, ha dato le seguenti percentuali: Rapporti molecolari HOMER 0g e 0, 4041 1,02 Sion MN 5 36 2 0, 4199 1, 06 ATEO palio RO) 0, 3815 ) 5 oO RE Ae 21 0, 0159 | GE n RON Oa 06 0, 3207 Mn O MSeer e tr. ‘ab? 0, 4033 1,01 CO 0-24 0, 0043 Me RARE 316 0, 0783 TO era cce 100, 63 Tutte e tre le analisi conducono quindi, in modo evidente, alla formula tipica del cloritoide H, RE Ra SiO;, e sono ben lontane dalle composi- zioni richieste dalle formule adottate per l’ ottrelite H, R° Ra) Si. Os e H, R Rat Si30,. Da notarsi anche per questo minerale apuano che R non è totalmente Al, ma in piccola parte anche Fe, e che R" è principal- mente Fe, in secondo luogo Mg, in via accessoria soltanto Ca e Mn, sebbene questo ultimo elemento si trovi, di sovente, in notevole quantità in certe varietà di ottrelite (salmite). Quanto ai rapporti esistenti nelle molecole delle tre ottreliti analizzate tra Al,03 e Fe,0O; da un lato, tra FeO e Mg0 dall’altro (trascurando del tutto Ca O e MnO, date le loro minime percentuali), si ricava dalle analisi: CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE .129 Aln0; : FesOz FeO :MgO0 I Ottrelite di Stazzema . . IO RSITSONAT DIANO II 5 di Camporaghena IGOR TESI JODI 5 UIECOrCNi a DSS O SII MOI In altri termini, arrotondando i rapporti ottenuti, l’ ottrelite di Staz- zema ha per formula: 3 Le 11 1 : I m0.(° Fe0, 10) (75 No DÌ Si0, quella di Camporaghena: II 10.({ Fe0, gMe0) 3 AI 0; ; 1g 10:01). SiO, quella del Monte Corchia: 4 mei 24 1 Messer 0, (} Feo i 5 Ms0) (33 AL0, x Fe, 0;). SiO,. Alle quali formule corrispondono rispettivamente le percentuali teo- riche (I, II, III) qui sotto trascritte, che sono in assai buona concordanza con i resultati avuti nelle tre analisi: I II III RIO a +722 7,14 7,25 Sirio ee 24,121 23, 95 24, 30 NIRO rs Sla LIT 38, 00. 39, 48 RO as re 3, 96 9,57 HO: 60 24, 95 23, 15 Mor rn A105 2, 00 3,25 100, 00 100, 00 100, 00 Stabilita pertanto l'identità chimica fra l’ottrelite apuana e il cloritoide sarebbe ora, mi sembra, assai interessante intraprendere lo studio analitico di ottreliti di altre località, come anche della masonite, della sismondina, ecc., i quali minerali tutti, pur possedendo gli stessi caratteri 130 E. MANASSE morfologici ed ottici del cloritoide !), si discostano da quest’ultima specie per avere dato, nelle analisi loro fino ad ora conosciute, risultati centesi- mali ben diversi da quelli che si addicono alla formula teorica del cloritoide. Questo studio mi riserbo d’iniziare tra breve. Le rocce ottrelitiche o meglio cloritoidiche delle Alpi Apuane (prov. di Lucca e Massa Carrara) che ho potuto studiare sono assai numerose. Esse in parte appartengono alle due collezioni MENEGHINI e ZACCAGNA di proprietà del Museo Geologico dell’Università di Pisa, ed in parte furono raccolte da me stesso. Do qui appresso, a danno certo della brevità, ma non della chiarezza, le descrizioni di tutte le rocce esaminate. Scisto sericitico del Monte Vestito (tra Arni e la valle del Fri- gido). — Roccia scistosa, lucente, a tessitura minuta, di colore bianco ver- dastro, con macchiette ocracee rosse e giallastre. Consta principalissima- mente di fitte laminuzze di mica sericitica, incolora, disposte parallela- mente alla scistosità. Di quarzo si notano soltanto pochi granuli. Abbondantissimi invece sono i cristallini di rutilo, terminati alle due estremità da faccettine di piramide, oppure irregolarmente; essi sono molto minuti (lunghi 4,0-roo di millimetro e larghi !/o0-troco di mil- limetro), semplici o geminati tanto secondo (101) con c:c = 114° circa, quanto secondo (301) con c:c = 55° circa. Assai più scarsi sono i granuli di magnetite, in parte arrossati per ossidazione. Presenti anche plagherelle di ematite e limonite. Accessoria è la tormalina, i cui prismetti, terminati alle due estremità da faccette romboedriche, oppure da una parte da un romboedro e dall’altra in modo irregolare o dalla base, danno: e = roseo pallidissimo fino incoloro, = azzurro. In questo primo scisto il cloritoide è oltremodo abbondante, tanto che costituisce circa i ?/3 della roccia; le sue lamine hanno però dimen- sioni puttosto piccole. Esso è inalterato, ma contiene minutissime inclu- sioni di rutilo e specialmente di magnetite. Scisto sericitico del Poggio al Ficaro (Massa). — Scisto bianco- verdastro a struttura finissima. Suoi componenti sono: la sericite, oltre- 1) Vedansi Memorie di Tschermak e Lacroix già citate. CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 131 modo abbondante, in forma quasi di un minutissimo detrito, il rutilo molto “diffuso, il quarzo scarsissimo. Accessori: magnetite più o meno ossidata, tormalina azzurrognola, calcite. Il cloritoide, di cui questa roccia non è fra le più ricche, ha un aspetto torbo, e, per alterazione ferrifera, ha assunto una debole tinta rossigno-giallastra. Esso è in minute laminette, riunite a fasci raggiati o covoniformi, che contengono nel loro interno scarse inclusioni di cristallini di rutilo e di granuletti di magnetite. Scisto sericitico del Colle presso Capriglia (sopra Pietrasanta). — Questa roccia bianco-verdastra, eminentemente scistosa e lucente, ha quasi più l'aspetto di un micascisto che di una fillade, poichè lascia scorgere numerose lamine argentee, non piccole, di muscovite. L'elemento micaceo, che è il suo principale costituente (Tav. III [I] fig. 5), ha ora i caratteri della sericite in squamuzze fittamente intrecciate, ora quelli di una tipica muscovite in lamine maggiori, decisamente biassiche e a grande angolo assiale. Il quarzo, in minuti granuli intima- mente mescolati con le miche, è molto meno diffuso di esse; però nella roccia sì notano anche rare concentrazioni a struttura saccaroide di solo quarzo, formate da granuli con estinzioni ondulate e con piccolissime inclusioni fluide. Presente anche, in ben piccola quantità però, un mine- rale cloritico che ha i caratteri del clinocloro. Esso infatti si mostra in laminette listiformi, normali alla base o inclinate su questa, riunite a ventaglio, con evidentissime tracce di sfaldatura (001). Le liste risultano pleocroiche dal verde erba per i raggi vibranti parallelamente alla sfalda- tura, al giallo chiarissimo, quasi incoloro, per quelli vibranti normal- mente ad essa. A nicols incrociati si nota in alcune di tali lamine una plurigeminazione secondo (001), in altre delle estinzioni ondulose, ed in tutte birifrazione assai più elevata di quella delle comuni cloriti, con colori d’interferenza bigio-biancastri, ed allungamento delle liste nega- tivo. Questo minerale cloritico si distingue dal cloritoide pel suo minore rilievo, per la birifrazione un poco più bassa e, più ancora, pel diverso pleocroismo. Oltre al clinocloro è presente nella roccia un’altra clorite, che sembra di tipo penninico, con pleocroismo debole, con birifrangenza bassissima e con carattere positivo dell’allungamento delle liste. Il rutilo è assai diffuso in cristallini semplici o geminati, spesso riuniti in gran numero a formare piccole aree torbe. La tormalina 132 E. MANASSE azzurrognola in prismi diritti o contorti, la magnetite e la titanite in granuli, la limonite, sono tutti minerali accessori. Il cloritoide, piuttosto abbondante, è inalterato, ma include rutilo, magnetite e tormalina. Scisto sericitico delle Cave del Giardino (Seravezza). — Tale scisto, di colore bigio-verdastro, a tessitura molto minuta, ha esso pure per componente principalissimo la sericite. Il quarzo è ridotto a minerale quasi accessorio. Nella roccia si notano anche laminette di clorite, che talvolta hanno caratteri di clinocloro, ma più spesso di pennina. Rutilo assai abbondante. Tormalina azzurrognola, magnetite, leucoxeno, sono minerali accessori. Le lamine del cloritoide, un poco alterate, come se avessero subìto una limonitizzazione, hanno dimensioni molto piccole, ed includono, ben scarsamente però, rutilo e magnetite. Scisto sericitico della Val Fondone (Massa). — Macroscopicamente è identico alla roccia delle Cave del Giardino, ma qui si notano anche qua e là delle plaghe lucentissime quarzoso-muscovitiche. Minerali componenti: mica bianca (sericite e in piccola quantità mu- scovite) abbondantissima, rutilo, quarzo, magnetite e solita tormalina, ambedue accessorie. i Nell’impasto minutissimo della roccia spiccano per le loro maggiori dimensioni le laminette del cloritoide, assai abbondanti, con scarse inclusioni di rutilo e di magnetite (o ferro-titanato ?), e, insieme al cloritoide, pochi prismi e sezioni esagone di un minerale che ha tutti i caratteri di un epidoto, quasi acroico, ma assai birifrangente. Scisto sericitico del Canale di Murlo presso Strettoia (Pietra- santa). — Questa roccia consta di due porzioni distinte, l'una bigio-ne- rastra, l’altra biancastra, ambedue scistosissime, con apparenza rasata, e a tessitura molto minuta. La prima è ricchissima di granuli di magnetite e manca del tutto di cristalli di cloritoide; la seconda contiene la magnetite in minore quantità, ed è ricchissima di liste e di sezioni basali di cloritoide, inalterato, e contenente minutissime, scarse, inclu- sioni di magnetite, rutilo e quarzo. In entrambi le porzioni di roccia il principale componente è la sericite, inalterata o un poco cloritizzata, onde sembra leggermente ferro-magnesiaca; ad essa si uniscono: quarzo CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 135 scarsissimo, rutilo, tormalina e, accessorio, un epidoto quasi acroico a media birifrazione. Seisto sericitico-epidotico-magnetitico del Ponte Petarocchia (presso Ponte Stazzemese). — Roccia eminentemente scistosa, con strut- tura quasi fogliacea, provvista di viva lucentezza e di colorazione grigio- piombo, nella quale, ad occhio nudo, si vedono disseminate piccole la- mine di cloritoide e, in quantità notevolmente maggiore, esili aghetti, grigiastri, lunghi 1 o 2 millimetri, di un minerale che ha quasi l’appa- renza del dipiro, ma che è invece una varietà di epidoto, poco ferrifero. Al microscopio la roccia risulta formata essenzialmente da mica serici- tica, accompagnata da calcite, da clorite (pennina), da moltissimi granu- lini di magnetite, da rutilo in aghetti, da pochissimo quarzo, da rari prismetti di tormalina azzurrognola. Tutti questi minerali, insieme asso- ciati, formano un minutissimo impasto, entro il quale giacciono le lamine basali e listiformi del cloritoide, includenti soltanto granuletti di magnetite o ferro-titanato, e i cristalli prismatici del minerale epidotico sopracitato, che è quasi incoloro, ha birifrazione assai variabile, e si mostra pieno di inclusioni di magnetite e, insieme, presenta aree interne torbe e brunastre. Di questo minerale epidotico sarà detto più diffusamente fra breve, trattando di rocce ottrelitiche, nelle quali, benchè più scarso, pel suo miglior modo di presentarsi se ne possono più agevolmente studiare i caratteri. Scisto sericitico-epidotico-magnetitico delle Cave del Giardino (Seravezza). — Massa scistosa, minutamente cristallina, di colore grigio- nerastro, che contiene disseminati dei prismetti aciculari, lunghi 1 o 2 millimetri circa, di un minerale epidotico, grigiastro, e piccole laminette di cloritoide. Principale componente di tale roccia è la mica sericitica, cui seguono, in ordine di decrescente diffusione, la magnetite in granuli, il rutilo e la tormalina in prismetti, il quarzo quasi accessorio. Nella massa minuta risultante dall’ insieme di questi minerali i cristalli di cloritoide e di epidoto giacciono disposti irregolarmente in tutti i sensi. Il cloritoide è nelle solite piccole laminette, non molto abbondanti, che contengono inclusioni di rutilo e di magnetite, e che hanno spesso una porzione centrale opaca, dovuta ad un pigmento brunastro, d’incerta natura, forse carbonioso, 134 È. MANASSE Quanto al minerale che ho riferito ad una varietà di epidoto, e sulla cui determinazione ho voluto fermarmi a lungo pel fatto che esso non era stato fino ad oggi citato per le rocce ottrelitiche apuane, i caratteri notati sono i seguenti. Esso mostrasi, oltre che in colonnette molto allungate, quasi in aghi, anche in sezioni esagone o rombiche. Gli individui colonnari, paralleli a b, con zona d’allungamento alle volte posi- tiva, ma più spesso negativa, sono irregolarmente terminati alle due estre- mità, mostrano rare tracce di separazione (001) o (100) e, rarissime, (010), rispettivamente parallele e normali all’allungamento, ed estinguono a 0°. Le sezioni esagonali, presso a poco parallele a (010), constano (così almeno sembra dagli angoli che presentano) delle facce delle forme {001}, {100}, {[01}; se manca (cosa assai comune) {100} assumono forma rombica. Esse sono solcate da due sistemi di strie interrotte di sfaldatura (001) e (100), che si tagliano ad angolo di 115° circa, ed hanno estinzioni variabili; il massimo valore trovato è uguale a 28° circa (a : c). La rifrazione di questo epidoto e, conseguentemente, il suo rilievo risultano elevati. Distaccati alcuni cristallini potei constatare che i loro indici sono nettamente maggiori di quello della monobromonaftalina (n = 1.661) e di poco minori a quello dell’joduro di metilene (n= 1.74 circa). Questa varietà di epidoto è inco- lora, o tutto al più debolmente gialliccia nelle porzioni interne dei cristalli con pleocroismo appena visibile (a = incoloro, c = giallo chiarissimo). La birifrazione d’ordinario è assai energica, ma varia molto da cristallo a cristallo, e qualche volta anche in uno stesso individuo, ove si può avere una zona centrale di epidoto a vivissimi colori d’interferenza, che passa agli orli ed una varietà pochissimo birifrangente. I cristalli di epidoto, al pari quelli di cloritoide, sono in qualche caso piegati, contorti e anche rotti parallelamente ai piani di separazione (010), contengono nel loro interno gran copia di granuletti di magnetite ed aciculi di rutilo, ed hanno alle volte un’area centrale, torba, brunastra, dovuta ad un pigmento d’incerta natura. i Scisto cloritico-sericitico del Ponte Petarocchia (Ponte Stazze- mese). — Scisto filladico tabulare, lustrato, di colore verdastro. Suoi com- ponenti sono: la mica bianca in laminuzze piuttosto scarse; la clorite verde pallida e di tipo penninico, molto abbondante, proveniente dalla mica, che sembra quindi un poco ferro-magnesiaca; il rutilo; la tormalina e la ma- gnetite accessorie. Il quarzo manca completamente, almeno nelle sezioni esaminate. CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 135 Nella massa minutissima, formata dai minerali ora descritti sono sparsi sporadicamente : il cloritoide inalterato, quasi sempre in belle sezioni basali, con inclusioni scarsissime di rutilo, tormalina e magnetite; rari cu- betti di pirite limonitizzata, avvolti da un aggregato di squame di clorite; e, accessoriamente, cristalli prismatici, molto allungati, di un epidoto quasi acroico, a birifrazione variabile, che contengono pochissime inclusioni di tormalina e rutilo, ed hanno spesso una notevole area centrale opaca, bruno-nera, forse dovuta ad un accumulamento di pigmenti carboniosi. Scisto sericitico-quarzoso di Camporaghena (presso Fivizzano). — In questo tipo roccioso, che corrisponde al così detto ottrelitefiro di A. D’AcHIARDI, la scistosità è poco evidente. Esso contiene abbondan- tissime le lamine del cloritoide, che formano circa la metà della roccia, e che raggiungono dimensioni notevolmente maggiori di quelle che si trovano negli altri scisti già descritti. In tali lamine le inclusioni di magnetite, rutilo, tormalina, quarzo, sono ben scarse. Questi grossi cristalli di cloritoide, che impartiscono alla roccia una struttura pseudoporfirica, o secondo la nomenclatura del GRUBENMANN 1). porfiroblastica, sono racchiusi entro una massa minutamente granulare di colore bianco, o roseo-biancastro, quasi carnicino, di natura prevalente- mente quarzoso-sericitica. In essa massa il quarzo, in granuli a strut- tura saccaroide, e la sericite, in fitte e minute squamette, entrano circa nelle stesse proporzioni, con lieve prevalenza, caso mai, del quarzo sulla sericite. Di questo minuto aggregato cristallino, da quanto ho potuto osser- vare, non mi sembra faccia parte, quale componente, il feldispato. Altri minerali che compongono subordinatamente la massa microcristallina sono: il rutilo in bei cristallini semplici o geminati secondo (101) e (301); la magnetite in granulini o plagherelle maggiori, ora inalterate, ora arros- sate ai bordi per ossidazione; la tormalina azzurrognola in prismetti talvolta contorti ed anche rotti parallelamente alla base; l’apatite in cristallini prismatico-bipiramidati ; l’ematite in esili laminette; la titanite e il leuco- xeno in granuli. Tormalina, apatite, ematite, titanite e leucoxeno sono però elementi del tutto accessori. Scisti sericitico-quarzosi del Monte Corchia (Stazzema). — La roccia più diffusa al Monte Corchia fu già descritta dettagliatamente da A. D’A- CHIARDI sotto il nome di ottrelitefiro, e non differisce in nulla dalla precedente. 1) Die Kristallinen Schiefer. I Allgem. Teil, pag. 71, Berlin 1904. 136 E. MANASSE Talvolta però la roccia a cloritoide del Corchia presenta struttura molto più minuta, con lamine di cloritoide alquanto più piccole ed offre anche una scistosità assai evidente. Per tali caratteri e per avere la sericite in quan- tità molto maggiore del quarzo, siffatta varietà non diversifica dagli scisti sericitici, con aspetto decisamente filladico, descritti di sopra. Oltre i soliti minerali, come magnetite assai copiosa, rutilo, tormalina, ecc., in questa varietà minuta e prevalentemente sericitica del Corchia ho notato anche notevole presenza di calcite. Il cloritoide, che nella roccia a grana grossa era quasi privo di inclu- sioni, qui sì mostra assai più ricco di esse e segnatamente di magnetite, ed assume come un aspetto zonato poichè le sue lamine, quasi in totalità, hanno le porzioni centrali brunastre, forse dovute ad inquinazione di sostanze carboniose. Altre volte il cloritoide assume al microscopio un aspetto torbido e una colorazione giallastro-rossigna, come se avesse subìto un principio di idrossidazione limonitica. Scisto quarzoso-micaceo-cloritico del Canale di Bedizzano (Car- rara). — La roccia, di cui ha già dato una succinta descrizione A. D’A- CHIARDI, consta di esili stratarelli micaceo-cloritici, provvisti di vivissima lucentezza e finamente pieghettati e contorti, alternati con stratarelli pre- valentemente quarzosi, di maggiore spessore. Al quarzo, di cui questo speciale tipo scistoso è ricchissimo, si deve in principal modo l’evidente struttura pavimentosa, a mosaico piuttosto minuto, che la roccia presenta al microscopio (Tav. III [I] fig. 6). La mica ha aspetto ora di sericite, in minutissime scagliuzze, ma più spesso di muscovite in lamine di discrete dimensioni. La clorite, sia con i caratteri di clinocloro, sia di pennina, accompagna il minerale micaceo, di cui però è un poco meno sviluppata. Gli altri componenti la roccia sono: il rutilo, la magnetite, la tormalina azzurra in non piccoli cristalli con e = marrone e © = azzurro-nero, e accessori: l’apatite, l’ematite, un epidoto quasi incoloro, la titanite, il leucoxeno. Nella massa quarzoso-micaceo-cloritica sono distribuite in tutti i sensi scarse laminette di cloritoide, che contengono poche inclusioni fluide, di magnetite, rutilo, epidoto e, più copiose, di quarzo. Scisto quarzoso micaceo-eloritico del Canale Grande di Carrara. — Tale roccia è del tutto identica a quella ora descritta del Canale di Bedizzano. CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 137 Scisto quarzoso-micaceo del Canale di Piastra (Carrara). — Roccia eminentemente scistosa, nella quale stratarelli di mica bianco-argentea, lu- centissima, pieghettati e contorti, si alternano con stratarelli quarzosi. Quarzo e mica sono circa nelle stesse proporzioni. i Struttura microscopica pavimentosa. La mica bianca, che è insieme sericite e muscovite, forma laminette più o meno minute, che si piegano per abbracciare i granuli di quarzo. Questo ultimo minerale, con appa- renza saccaroide piuttosto minuta, presenta estinzioni ondulate, ed è provvisto di piccolissime inclusioni fluide. Nella roccia è assai abbon- dante il rutilo, accompagnato da leucoxeno; la magnetite al contrario si presenta in granuli scarsi, arrossati per ossidazione. La tormalina, benchè non molto diffusa, offre qui cristalli prismatici con faccette romboedriche e sezioni basali esagone di discrete dimensioni. Gli individui di torma- lina, pure avendo lo stesso colore e lo stesso pleocroismo (e = roseo pallido o incoloro, ® = azzurro intenso o chiaro), offrono sovente strut- tura zonata, avendo colore e pleocroismo assai più intensi al centro che nelle parti periferiche loro. Sono minerali accessori: l’ apatite, lo zircone la limonite, la titanite granulare. I cristalli di cloritoide, non abbondantissimi, appariscono inalterati, 0, solo eccezionalmente, presentano nelle loro porzioni esterne una velatura gialla, dovuta a limonitizzazione. Contengono inclusioni scarsissime di magnetite, di tormalina, di rutilo, in maggiore quantità di quarzo, che è poi in elementi non piccoli, presso a poco come nella ottrelite di Ottréz. Breccia marmorea di Stazzema, ecc. — Gli esemplari esaminati constano di frammenti di varie dimensioni di marmo statuario e bianco- giallognolo, saccaroide e ceroide, che sono tenuti insieme da uno scisto micaceo-quarzoso-cloritoidico a tessitura molto minuta. Questo scisto, oltre che dal cloritoide, il quale si presenta in cristalli assai fitti © grossi, con inclusi pochi granuletti di magnetite ed eccezio- nalmente cristallini di rutilo e tormalina, è costituito da sericite, musco- vite, quarzo, calcite, rutilo, magnetite, tormalina, e da un epidoto, quasi acroico, in aghi o in losanghe allungate, con zone centrali brunastre. I frammenti di marmo, che al microscopio presentano sempre struttura saccaroide più o meno minuta, al contatto con lo scisto, si arricchiscono dei minerali propri di esso, e segnatamente di piccole liste rettangolari di muscovite e di granuli rotondeggianti di quarzo. Viceversa lo scisto, al contatto con i pezzi di marmo, si arricchisce in modo notevole di calcite. Se. Nat, Vol. XXVI 10 138 È. MANASSE Un'altra breccia marmorea con cloritoide fa pure parte della vecchia collezione MENEGHINI, appartenente al Museo Geologico di Pisa. Essa porta scritto soltanto “ Carrara ,, senza nessun altro segno che possa indicare la località precisa d’onde proviene. I frammenti calcarei sono di marmo giallo ceroide a grana variabile, ma sempre minutissima; e questo marmo, il cui colore giallognolo è dovuto ad inquinazione di un tenuissimo pigmento limonitico, racchiude granuli goccioliformi di quarzo e belle liste di muscovite. Lo scisto biancastro a cloritoide, che cementa i pezzi di marmo, ha tessitura minutissima, e consta principalmente di sericite e in secondo luogo di quarzo, rutilo, tormalina, magnetite, ecc. La massa minuta fatta da questi minerali contiene disseminati rari cristalli di cloritoide e di un epidoto poco birifrangente e brunastro per inclusioni (di natura carbo- niosa?), che si accumulano nelle parti centrali degli individui, rendendole opache, mentre ne lasciano liberi i bordi. La breccia o mischio del Corchia infine è stata già descritta con molto dettaglio da A. D’ACHIARDI, ed i suoi caratteri corrispondono bene a quelli delle due rocce brecciformi ora ricordate. Risulta dalle precedenti descrizioni che le così dette rocce ottrelitiche delle Alpi Apuane, nonostante la loro apparenza diversa macroscopica in alcuni casi, possono riferirsi ad un unico tipo, al tipo fillitico (CWloritoid- phillit del RoseNBUSCH !). Esso tipo ha sempre, seguendo la nomenclatura adottata dal GRUBENMANN ?) per gli scisti cristallini, struttura eteroblastica con porfiroblasti (pseudointerclusi) di cloritoide e qualche volta anche di epidoto, non di anteriore formazione, ma geneticamente contemporanei, se non posteriori, ai minerali che costituiscono il tessuto fondamentale delle rocce stesse. Queste filladi ad ottrelite sono collocate dal GRUBEN- MANN *) nella famiglia delle Zorerdereichen sericit-phyllite appartenente al terzo ordine (Oberste Zone) del suo secondo gruppo (Zonerdesilikat- gneisse), il quale comprende soltanto parascisti. I minerali che compongono le rocce a cloritoide della regione apuana sono sempre gli stessi: il cloritoide, la sericite e la muscovite, il quarzo, 1) EHlemente der Gesteinslehre. pag. 454, Stuttgart 1901. “MODICI 3) Die kristallinen Schiefer. II, Spec. Teil, pag. 97, Berlin 1907, CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 139 il rutilo, la tormalina, la magnetite, ai quali si aggiungono, a seconda dei casi, clorite, epidoto, calcite, ematite, limonite, apatite, zircone, titanite. Però le proporzioni dei componenti, lungi dal mantenersi costanti, variano all'opposto notevolmente nelle diverse varietà delle rocce a clori- toide. Fermandomi solo sui cambiamenti più importanti dirò che diversa è in esse la quantità del cloritoide, diversissime sono quelle della seri- cite e del quarzo; talchè, attraverso una serie 'di termini intermedi, si hanno tipi molto ricchi e poveri di minerale micaceo, e, di conseguenza, tipi poverissimi e ricchi di quarzo. Ne consegue che la composizione chimica di siffatti scisti a cloritoide cambia, e notevolmente, dall’una all’altra varietà di rocce, come lo dimo- strano le sei analisi qui sotto riportate che si riferiscono alle seguenti rocce: a) Scisto sericitico del Colle presso Capriglia. b) Scisto sericitico della Val Fondone. c) Scisto sericitico-epidotico-magnetitico delle Cave del Giardino. d) Scisto cloritico-sericitico del Ponte Petarocchia. e) Scisto sericitico-quarzoso (ottrelitefiro) del Monte Corchia. f) Scisto quarzoso-micaceo-cloritico del Canale di Bedizzano. a ) e d e 7 Perdita per arrov.° 4,79 DITE 6,02 2,49 1,49 Sie e 3780 38,85 37,65 38, 03 58,81 18,88 IUOG. atto MERA 1,51 1,88 2,19 2,39 2,14 1,20 NSOE N 33702 35, 1 30,21 33,19 21, 07 10,75 RESO ti 2,17 1,63 10,17 2,13 2,97 1,05 Be ORSerRe e LONST 1,718 6,26 7,81 10, 98 2,74 Mpeg tracce tracce tracce tracce tracce = IO i brace 0,37 0,74 0,11 0,09 0,10 IMe:O ME 2,01 2,59 0,71 4,01 0, 83 1,67 Remi... . 6,49 4,55 1,25 3,99 1,02 1,85 NAOMI 0. 2,51 2,39 2,14 3,52 ISO 126 ERRO ee o. _ tracce —_ 0,05 0, 07 tracce BosO ni 0. tracce = tracce tracce tracce tracce 100,67 100,92 100,90 100,85 101,87 100,99 Pipe io o 2:95 3,04 000 2% 3,02 2,73 Calcolando dalle sei analisi le formule chimico-petrografiche secondo il metodo OsANN- GRUBENMANN, sì ottiene: 140 a) Scisto sericitico del Colle presso Capriglia. . . b) Scisto sericitico della Val Fon- COMBI dc c) Scisto sericitico- epidotico-magne- titico delle Cave del Giardino. . d) Scisto cloritico- sericitico del Pon- te Petarocechia . e) Scisto sericitico- quarzoso del M.° Corchia f) Scisto quarzoso micaceo-cloritico del Canale di Be- dizzano. . . . E. MANASSE 84,65 2,5 0,11 5,94 0,00 4,07 16,5 3,93 | 6,0| 0,0|14,0 Dai valori a, c, f, si ricava poi la seguente proiezione triangolare: CLORITOIDE (OTTRELITE) DELLE ALPI APUANE 141 I caratteri chimici di queste rocce non corrispodono a quelli di nessun tipo eruttivo, ed hanno invece notevole analogia con quelli di sedimenti di natura argillosa, poveri e ricchi in quarzo. Dalle formule sopra ripor- tate infatti si deduce la variabilità di $, il quale valore d’ordinario oscilla da 49,66 a 51,20, ma può anche raggiungere 84,65 passando attraverso un valore intermedio di 68,34. Di conseguenza X, che in via normale si aggira fra 0,70 e 0,92, dimostrandoci per tal modo che gli ossidi metallici presenti sono saturati completamente dalla silice e che di essi resta ancora un eccesso libero, giunge anche ad assumere valori di 2,14 e 3,93 in quelle varietà di scisti a cloritoide che hanno un notevole tenore di quarzo. La somma delle basi alcaline (4), fra le quali prevale in genere K,0 su Na,0, varia nei casi più comuni tra 6,66 e 8,55; ma naturalmente nelle rocce ricche in silice libera il suo tenore è più basso (2,56-2,86). La calce è sempre scarsissima e talvolta manca in modo completo (C = 0.00 - 1,02). Il gruppo Y (Fe O 4- Mg0) è di costante molto abbondantemente rappresentato (14,49-17,84); solo negli scisti po- veri in cloritoide il suo valore è più basso (5,94); comunque nella costi- tuzione del gruppo Y entra sempre FeO in eccesso sopra Mg0. M, dato il bassissimo valore del gruppo ©, che anche può essere nullo, è sempre uguale a 0. Viceversa 7 raggiunge un valore assai grande, che nelle rocce ricche di sericite e povere di quarzo varia da 13,11 a 19,66, mentre è assai più basso nelle varietà di. scisti cloritoidici poveri di mica e ricchi di quarzo. Quanto al posto che tali rocce a cloritoide delle Alpi Apuane occupano nel triangolo di proiezione è a dirsi come esse, a similitudine di quanto avviene di tutti gli scisti cristallini derivati da sedimenti argillosi, si trovino sempre nel sestante III, ove i punti di proiezione loro cadono vicinis- simi l’uno all’altro e in un caso anche coincidono, a dimostrarci sempre più che si tratta di rocce di un unico tipo, di una stessa origine, in una parola, di parascisti. Siena, 17 Aprile 1910. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fia. 1. — Sezione basale di ottrelite nello scisto cloritico-sericitico del Ponte Peta- rocchia. Ingr. 26. Luce ordinaria. » 2. — Sezione basale a struttura zonata e liste a struttura raggiata di ottre- lite nello scisto sericitico-quarzoso di Camporaghena. Ingr. 26. Luce ordinaria. » 3. — Geminato di compenetrazione di ottrelite nello scisto quarzoso-micaceo del Canale di Piastra. Ingr. 26. Luce ordinaria. » 4. — Geminati polisintetici secondo (001) di ottrelite nello scisto sericitico- quarzoso del Monte Corchia. Ingr. 16. Nicols incrociati. » 5. — Scisto ottrelitico ricco în sericite e povero di quarzo del Colle presso Ca- priglia. Ottrelite con struttura fasciculata. Ingr. 16. Nicols inero- Guk I » 6. — Scisto ottrelitico a clorite ricco in quarzo e povero di mica del Canale di Bedizzano. Struttura pavimentosa della roccia. Lamine di ottrelite plurigeminate secondo la base. Ingr. 16. Nicols incrociati. sis IGINO CANAVARI ——e —_ ROCCE FORMAZIONE VERRUCANA E PSEUDOVERRUCANA DEI DINTORNI DI GROSSETO È noto come in questi ultimi tempi sia stata oggetto di discussione la età dei calcari cavernosi della Toscana e delle rocce arenacee che spesso a loro si accompagnano, ed è noto pure come da alcuni geologi, dal LoTTI !) specialmente, una parte di tali rocce arenacee (verrucano) sia riportata ad età assai antica, un’altra invece (pseudoverrucano) sia riferita alla creta. Scopo del presente mio lavoro è di stabilire con uno studio petro- grafico le analogie o le differenze esistenti fra le arenarie verrucane e le pseudoverrucane; le prime per alcuni giacimenti sono già state de- scritte “), le altre no. Per il mio studio ho scelto rocce di località vicine tra di loro, e così ho raccolto insieme con il prof. Fucini rocce del verrucano tipico del LortI alla Torre della Bella Marsilia presso Calaforno (Grosseto), rocce dello pseudoverrucano al Collecchio presso la stazione di Alberese, al Poggio della Burraia, nei monti dell’ Uccellina, e a Monte Brandoli sui poggi di Moscona presso a Roselle. 1) Vedi fra le più recenti memorie: LorTI B. Sull’età dei marmi della montagnola senese. Boll. del R. Com. geol., vol. XXXVIII, pag. 318. Roma 1907. — Ip. Sui rapporti d’origine fra i gessi del calcare retico ed i giacimenti metalliferi della Toscana. Rass. Min., vol. XXX, num. 1. Torino, 1909. — In. Sulla posizione stratigrafica dei calcari cavernosi della Toscana. Boll. R. Com. geol., vol. XL, pag. 68. Roma, 1909. — Ip. Geologia della Toscana. Memorie descrittive della Carta geol. d’ Italia, vol. XIII. Roma, 1910. 2, A. D’AcAIARDI. Le rocce del Verrucano nelle valli d’ Asciano e d’ Agnano nei Monti Pisani. Mem. Soc. tosc. di Sc. nat., vol. XII. Pisa, 1892. — P. ALOISI. Su di alcune rocce di Ripafratta. Mem. Soc. tosc. di Sc. nat., vol. XX. Pisa, 1903, 144 I. CANAVARI Nella classificazione delle rocce che io descrivo ho seguito i criteri stabiliti dal D’ AcHiARDI !): solo il carattere del rapporto esistente fra i carbonati e l’ematite ho dovuto trascurarlo sia perchè non ho potuto stabilire con certezza la presenza della siderose, sia perchè i vacui che forse in origine erano da essa occupati non li ho riscontrati più abbon- danti in un tipo piuttostochè in un altro. Rocce di Calaforno. Anageniti. — Il campione che descrivo è una anagenite di colore grigio violaceo; osservata macroscopicamente vi si notano i granuli non tanto piccoli di quarzo, talora rossastro. Sulle fratture fresche si vede anche un minerale micaceo grigio. È da notarsi come la roccia si pre- senti cosparsa di piccole cavità irregolari generalmente tappezzate da ossido ferrico. Come tipo questa roccia sembra ravvicinarsi di più ad alcune anageniti di Rupecava che non a quella tipica della Verruca. Osservata al microscopio la roccia risulta costituita da numerosi fram- menti di quarzo allotigeno immersi in una massa cementante che, come gli autori che si sono occupati delle rocce verrucane hanno sempre ri- tenuto, è molto probabilmente da considerarsi ‘come autigena. Il quarzo è, come abbiamo detto, in granuli a contorni irregolari piuttosto grossi, e si può notare come contenga assai frequenti le solite inclusioni fluide caratteristiche dei quarzi del verrucano. Non di rado poi il quarzo contiene pure numerosissime inclusioni di ematite le quali na- turalmente danno un colore rosso al minerale. Tra i nicols incrociati il quarzo presenta delle estinzioni assai fortemente ondulate. In questa roccia fra gli elementi allotigeni, come del resto anche fra gli autigeni, sembra mancare l’ortoclasio. Scarsa, ma pure presente, è la tormalina in piccoli frammenti che vedremo invece talvolta assai abbondante in altre rocce dello stesso tipo. Il cemento è siliceo-micaceo; talora mica e silice sono insieme me- scolati, talaltra invece costituiscono plaghe distinte. La silice è per lo più sotto forma di quarzo granulare, talora però essa ha una struttura criptocristallina. A questo proposito noto che quando nel seguito di questo lavoro, io parlerò di cemento siliceo, intenderò ap- punto un miscuglio di quarzo e di silice criptocristallina. 1) Loc. cit., pag. D e 7. ROCCE DELLA FORMAZIONE VERRUCANA E PSEUDOVERRUCANA Ecc. 145 La mica è in piccoli straccetti spesso contorti con vivaci colori d’in- terferenza; è acroica ed ha tutti i caratteri della sericite. Spesso le pic- cole laminette sericitiche sembrano come irradiare dai frammenti di quarzo allotigeno, fenomeno già notato per rocce analoghe di altre lo- calità, dal WicHMANnN !) e dal D’AcHIARDI *), e che si ripete per le are- narie da me studiate, sempre che vi sia una certa quantità di sericite nel cemento. I minerali ferruginosi, ematite e limonite, non sono scarsi. I preparati sottili si mostrano sempre cosparsi da vacui irregolari spesso con le loro pareti tappezzate di ossido ferrico; non posso dire con certezza se il minerale che in origine riempiva tali vacui fosse si- derose o altro carbonato affine, piuttostochè un altro qualsiasi minerale di ferro. Il D’ AcHIARDI nelle arenarie quarzitiche delle valli di Agnano e d’Asciano (pag. 11) ha potuto provare che talvolta tali vacui hanno forma rombica con angolo di 107°, e da tale dato ha potuto concludere che in origine doveva trattarsi di siderose. Nel nostro caso i vacui sono sempre irregolari e la presenza della siderose nella roccia inalterata può solo supporsi per ragione d’ analogia. Minerali accessori sono molto scarsi; oltre alla tormalina già citata si trova nei preparati qualche piccolo cristallino di zircone, per lo più incluso nel quarzo. Un altro campione di anagenite potrebbe in certo senso considerarsi come un termine di passaggio fra la roccia sopra descritta e le arenarie quarzitiche delle quali parlerò tra poco. Macroscopicamente osservata, la roccia ha un colore bianco ceciato. Vi si distinguono a occhio nudo i frammenti di quarzo rarissimamente rossi e della mica di colorazione giallognola. La grana è assai più sot- tile che non nell’anagenite precedente. Al microscopio le differenze tra questa roccia e l’altra sono molte piccole, e consistono principalmente nella minor quantità di minerali ferruginosi, nella scarsezza di vacui, e naturalmente nella grana più minuta. | Da osservarsi pure è una leggera colorazione giallina presentata dalla mica del cemento, quando forma delle plaghette a sè; questa colorazione non varia ruotando la piattaforma del microscopio, dal che può dedursi che essa è dovuta ad un pigmento, probabilmente limonitico. 1) Verh. Natur. Ver. Bonn, 1877. 4, 4, 1. 2) Loc. cit., pag. 14. Sc. Nat. Vol. XXVI îl 146 Î. CANAVARI Finalmente è da notarsi la presenza dell’ ortose. Esso è molto raro e quasi mai mostra caratteri che possano farlo determinare con sicu- rezza. Per lo più la sua presenza si stabilisce dall’aspetto che presen- tano alcune plaghette a contorno irregolare o grossolanamente tabulare che a nicols incrociati si mostrano costituiti da “ un fitto e minuto feltro di selce e dello stesso minerale micaceo della massa fondamentale ,. (D’ACHIARDI, pag. 9). Anzi fino da ora debbo avvertire che, quando nella descrizione delle rocce arenacee che fanno oggetto di questo studio, par- lerò di ortose intenderò sempre di riferirmi a dei granuli con l’aspetto ora detto costituiti da sericite e silice criptocristallina. Arenaria quarzitica. — Roccia compatta, di colorazione rossastra e con struttura molto minuta, tantochè ad occhio nudo non si distin- guono gli elementi che la costituiscono. Il quarzo, come si nota al microscopio, all’ infuori delle minori di- mensioni, ha poi gli stessi caratteri di quello delle rocce precedenti. Qui però è anche presente fra i minerali allotigeni la muscovite ed anzi è anche in una certa quantità in lamine piuttosto grandi, per lo più di- ritte, ma talora anche incurvate leggermente con vivaci colori d’inter- ferenza. La tormalina non manca; è in frammenti irregolari con notevole pleocroismo: © = azzurro-spigo intenso e= azzurro-chiaro quasi incoloro. Come minerale accessorio presenta al solito lo zircone, ma non molto abbondante. Il cemento è siliceo micaceo. In questa roccia è molto abbondante un pigmento ferruginoso limonitico il quale spesso rilega i frammenti allotigeni quarzosi. Riunita in speciali ammassi si nota della magnetite in parte limonitizzata. i Un altro campione avendo la stessa compattezza del precedente e grana ugualmente minuta, mostra invece una colorazione bianco-rosea sulla frattura fresca; bianco-ceciata dove è stata più esposta all’azione degli agenti atmosferici. Anche al microscopio si nota la identità di queste due rocce, al- l’infuori del pigmento ferruginoso e della magnetite che qui mancano del tutto o quasi. ROCCE DELLA FORMAZIONE VERRUCANA E PSEUDOVERRUCANA Ecc. 147 Scisto anagenitico. — Roccia scistosa di colore violaceo rossastro a grana assai minuta; vi si notano dei piccoli vacui irregolari. Il minerale principale è il quarzo in frammenti minuti con i soliti caratteri. Presenta forse anche qualche poco di ortose. Il cemento è siliceo micaceo con tendenza degli elementi sericitici a disporsi tutti in una stessa direzione. Una certa abbondanza ha in questa roccia la tormalina, la quale ta- lora ha il pleocroismo che abbiamo veduto in quella di una roccia pre- cedente; tal altra invece mostra: o = bruno scuro e= bruno chiaro. Un pigmento limonitico è sparso un po’ dappertutto, ma a preferenza accompagna gli agglomeramenti di sericite, alla quale impartisce una colorazione giallognola. Come minerale accessorio è da citarsi lo zircone. ‘ Dalla descrizione ora fattane si rileva che le rocce di Calaforno dif- feriscono molto poco tra di loro. I diversi tipi si distinguono più che altro per la grana o per la presenza della scistosità. Nel loro insieme queste rocce corrispondono a quelle verrucane delle valli d’Agnano e d’Asciano nonchè a quelle: di Rupecava. Rocce di Collecchio. Anagenite. — È una anagenite a grana piuttosto grossa; i frammenti di quarzo sono generalmente biancastri, e ad essi si associa in discreta quantità della sostanza ematitica che dà a tutta la roccia una colora- zione rosea. Al microscopio si vede come il quarzo debba avere subìto delle azioni meccaniche molto energiche; esso presenta delle estinzioni fortemente on- dulate. Talvolta un grosso frammento di quarzo allotigeno in apparenza unico col solo polarizzatore, si rivela invece suddiviso in plaghe aventi ognuna estinzione propria e di poco discosta da quella delle plaghette vicine, fra i nicols incrociati. Per lo più tali plaghe sono irregolari, tal- volta però si presentano invece tutte allungate in una stessa direzione, tal altra disposte radialmente intorno a un centro. Il quarzo è ricchis- 148 Î. CANAVARI simo di inclusioni fluide, tantochè a luce ordinaria si mostra con aspetto quasi di vetro spolito. Oltre il quarzo sembra presente anche qualche frammento di ortose alterato come abbiamo veduto nelle rocce di Calaforno. Il cemento è siliceo micaceo con prevalenza però della parte silicea. I minerali accessori sono molto scarsi. Si notano però, in una certa quantità, dell’ematite e della limonite. Altri campioni di anagenite differiscono da quello ora descritto per il colore, che, in mancanza o scarsezza di pigmenti ferruginosi, diviene bianco-grigio, bianco-ceciato. Altre differenze stanno nella grana che talora si avvicina a quella delle arenarie quarzitiche, e nella presenza della tormalina e dello zircone. Rocce dell’ Uccellina. Anagenite. — È una roccia di colore rosso-violaceo costituita da grossi frammenti di quarzo bianco o roseo cementati da una massa arrossata per ossido ferrico. ? Il quarzo è in grossi granuli con estinzioni ondulate, ed anche con fenomeni simili a quelli descritti per il quarzo delle anageniti del Col- lecchio. Come inclusioni ha le solite fluide abbondanti, e talvolta pure molto abbondanti quelle di ematite. È forse presente anche qualche poco di ortose alteratissimo. Il cemento è prevalentemente siliceo. Ossido e idrossido di ferro sono presenti ma non eccessivamente abbondanti in generale. Minerali acces- sori scarsissimi. Arenaria quarzitica.— Roccia molto compatta a struttura minuta di colore grigio con punteggiature giallo-limonitiche. È costituita da quarzo con i soliti caratteri, in frammenti minuti e cemento prevalentemente siliceo. Fra i minerali accessori sono da citarsi lo zircone e la tormalina non molto abbondanti. Sono presenti pure delle masserelle opache bianco giallastre per riflessione che forse erano costituite in origine da ferro titanato alteratosi poi in leucoxeno e limo- nite. Presente pure della magnetite in piccoli granuli generalmente poco limonitizzati. Scisto anagenitico. — Roccia scistosa di colore grigio-rossastro a grana minuta assai compatta. Le differenze tra questa roccia e quella precedentemente deseritta sono minime, e stanno principalmente nella quantità un po’ maggiore ROCCE DELLA FORMAZIONE VERRUCANA E PSEUDOVERRUCANA Ecc. 149 di sericite nel cemento e in una maggior copia di minerali ferruginosi ai quali si associa forse qualche poco di clorite. Forse anche la torma- lina è un poco più abbondante e sembra siano presenti anche dei piccoli aghettini di rutilo. Rocce di Roselle. Anageniti. — Roccia di colore bruno violaceo nella quale si distin- guono immersi nella massa di tal colore dei frammenti di quarzo bianco o roseo che talora raggiungono delle dimensioni di qualche centimetro. Il quarzo allotigeno ha estinzioni ondulate e presenta anche gli altri fenomeni dovuti ad azione di pressioni che ho descritto per le rocce precedenti. Così pure contiene le solite inclusioni fluide nonchè dell’ema- tite. Il pigmento ematitico è talvolta uniformemente diffuso nei frammenti di quarzo, tal altra riunito a formare dei corpiciattoli bacillari arcuati. Come inclusione nel quarzo si ha anche la muscovite in piccole lamine. Forse è presente anche dell’ortose alteratissimo. Il cemento è in grande prevalenza siliceo ed è spesso totalmente inquinato da dell’ossido fer- rico. Minerali accessori sembrano mancare del tutto. Un altro campione diversifica dal precedente soltanto per il fatto che mentre abbondano i frammenti di quarzo a grossissime dimensioni, scar- seggiano invece quelli di grossezza intermedia. In un terzo esemplare manca il pigmento ferruginoso e sono pre- senti dei frammenti angolosi più o meno grossi di una sostanza nera che ha tutta l’apparenza della tormalinolite. Al microscopio però si riconosce come invece essa sia costituita da della silice criptocristallina attraversata de venuzze quarzose e cosparsa di minuti cristallini di magnetite talora in parte alterati. Arenaria quarzitica. — Roccia di colore bianco appena grigia- stro sulla frattura fresca, a grana minuta. È costituita da quarzo allotigeno con i soliti caratteri, in granuli piuttosto piccoli e da cemento in prevalenza siliceo. Minerali accessori sono scarsi; da citarsi qualche granuletto di zir- cone e un minerale opaco in granuli rotondeggianti giallastro per rifles- sione. Si tratta di un minerale di ferro limonitizzato. Scisto anagenitico. — Roccia di colore grigio biancastro a strut- tura molto minuta nella quale si distinguono delle laminette micacee lu- x centi. La struttura scistosa non è molto evidente. 150 I. CANAVARI È costituita di quarzo con i soliti caratteri, e da mica muscovite in lamine talora raggiungenti delle discrete dimensioni e per lo più diritte. Il cemento è siliceo micaceo con prevalenza forse della parte sericitica. Fra i minerali accessori sono da ricordarsi zircone, apatite, rutilo, ossido e idrossido di ferro. Questi due ultimi sono spesso localizzati e ad essi si associa il rutilo a provare forse la loro comune origine da minerali ferro-titaniferi. In alcuni punti di questa roccia, ciò che la ravvicina a quella che descriverò tra breve, i granuli di quarzo combaciano perfettamente, e tra essi non si ha interposizione di sostanza cementante. Quarzite scistosa. — Roccia molto simile nell’aspetto esterno alla precedente dalla quale si distingue per una maggiore quantità di mica e per la scistosità più evidente. È costituita da quarzo in granuli presso a poco equidimensionali, a contorni irregolari talora rotondeggianti, tal altra angolosi ma sempre perfettamente combacianti tra di loro, cosicchè si ha una struttura a mosaico e non è possibile distinguere una parte allotigena ed una au- tigena, una cementata ed una cementante. Un carattere però che ravvicina il quarzo ora detto a quello delle rocce precedentemente descritte, è costituito dalla presenza delle nu- merose inclusioni fluide talora disposte in linee più o meno irregolari. Così pure in questa roccia il quarzo presenta quasi sempre estinzioni ondulate. Al quarzo si associa la mica muscovite in belle lamine diritte che raggiungono e superano talora le dimensioni di mm. 0,5 X 0,03. Queste lamine di mica sono talora disposte tra granulo e granulo di quarzo, tal altra invece sono racchiuse del tutto od in parte dai granuli stessi. Essa in generale è incolora; però talvolta mostra una leggera colorazione giallognola con sensibile pleocroismo, il che probabilmente indica che alla molecola muscovitica è associata in piccola parte anche la biotitica. Come minerali accessori sono da citarsi rutilo non tanto scarso, zir- cone, apatite e magnetite limonitizzata. Dallo studio di tutte queste rocce mi pare che possa dedursi che le differenze esistenti fra quelle supposte antiche e le pseudoverrucane dal lato petrografico sono minime se non mancanti addirittura. Laboratorio di Mineralogia dell’Università. Pisa, luglio 1910. ISTITUTO ANATOMICO DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI MESSINA DOTT. LUIGI DE GAETANI AIUTO E LIBERO DOCENTE DI ANATOMIA UMANA —__ OSSA INTERPARIETALI È PREINTERPARIETALI Fra i numerosi crani raccolti nel museo dell’ Istituto anatomico mes- sinese, alcuni dei quali veramente pregevoli per particolarità degne di nota, due meritano di essere illustrati per avere uno la squama dell’oc- cipitale tripartita e l’altro per averla quadripartita. Trattandosi di due casi che hanno un certo interesse per la morfologia, oltre delle figure schematiche, darò la descrizione dei detti occipitali, dopo aver premesse alcune nozioni ora generalmente accettate sullo sviluppo dell’occipitale e sulle ossa interparietali e preinterparietali, per rendermi esatto conto della genesi dei vari pezzi ossei in cui sono divise le squame dei due occipitali. Alcuni ricercatori, come l’ HARTMANN ed altri, hanno creduto di as- segnare fino otto punti di ossificazione per la squama dell’occipitale. Il BrancHI ha osservato che ciascuna delle due porzioni dell’occipi- tale si sviluppa per due punti di ossificazione molto prossimi alla linea mediana: che quelli della porzione inferiore formano un’ossificazione di aspetto assai compatto e che quelli della parte superiore si originano poco dopo degli inferiori e si saldano col sovraoccipitale e tra loro, ma non com- pletamente, tanto che rimane un solco sagittale, più o meno esteso dal- l’alto al basso, che segna la divisione dei due interparietali ed una pic- cola fessura all’estremità esterna che limita il sovraoccipitale dall’ inter- parietale; l’aspetto poi della porzione superiore è areolare, aghiforme. Per quanto concerne lo sviluppo del sovraoccipitale o porzione in- feriore della squama dell’occipitale, di origine cartilaginea, gli osserva- tori concordano tra loro e in detta porzione le anomalie non hanno dato luogo a tanto numerose osservazioni quante se ne sono fatte per la por- zione superiore o interparietale della squama dell’occipitale. 152 L. DE GAETANI È da poco meno di un secolo che l’attenzione degli osservatori fu richiamata sulla presenza di un osso accessorio esistente in corrispon- denza della fontanella parieto-occipitale. TscHuDY e Rivero hanno soste- nuto che le tre razze primitive che abitavano il Perù prima che si fon- dasse l'impero degli Incas, presentavano nei loro crani indistintamente, pochi mesi dopo la nascita, una particolarità importantissima cioè la pre- senza di un osso di forma triangolare, col vertice in corrispondenza della estremità posteriore della sutura sagittale e con la base, situata poco in sopra della linea semicircolare superiore, indicata o da sutura com- pleta o incompleta, o da sinostosi col sovraoccipitale, rivelata da un solco distintamente tracciato. Gli altri due lati del triangolo sarebbero dati dai due rami della sutura lambdoidea e gli altri due angoli si troverebbero in corrispondenza degli asterion. I due citati osservatori hanno chiamato l’osso triangolare da loro descritto Us Irceae e l’hannof considerato come fenomeno costante in una sezione della razza umana, mancante nelle altre sezioni, ma che è caratteristico dei ruminanti ed in generale di tutti gli erbivori. Sembrò strana la peculiarità di questo carattere antropologico per soli pochi esemplari della razza umana e quindi molti osservatori cer- carono di controllare la veridicità dell’asserzione. Il JACQUART si occupò dell’osso interparietale o epattale (WIrcHOW) o triangolare e designò con tali denominazioni ritenute come sinonime tra di esse e con la denominazione Os Ircae, la porzione superiore della squama dell’occipitale rimasta distinta ed ha voluto provare che l’osso interparietale si trova anche in altre varietà delle razze umane: che, studiando lo sviluppo della squama, si vede che la porzione superiore di essa è ben definita e rimonta assai in alto da principio e che più tardi i nuclei di ossificazione di detta porzione si saldano tra di loro e in seguito col sovraoccipitale; che qualche volta questo saldamento è ritardato, o si effettua parzialmente o non si verifica affatto, persistendo il pezzo isolato anche nella età adulta e che non è esatto attribuire alle razze antiche peruviane un carattere d’inferiorità per il solo fatto che esse presentavano l’osso epattale, proprio, secondo quegli osserva- tori, degli erbivori e specialmente dei ruminanti. Il fatto assodato è questo: che l’osso epattale è stato trovato indif- ferentemente in tutte le razze o costituito di un sol pezzo, completa- mente isolato o parzialmente isolato e per il resto fuso col sovraocci- pitale; o costituito di due pezzi distinti tra di loro e dal sovraoccipi- OSSA INTERPARIETALI E PREINTERPARIETALI 153 tale e simili modalità. L’osso epattale, che si può trovare persistente nella età adulta, non è dunque un carattere di razza ma una semplice particolarità osteogenetica, il cui sviluppo ora pare abbastanza chiarito. L'affermazione del Jacquart che nella serie animale l’osso epattale dell’uomo è rappresentato dall’osso interparietale semplice o doppio ha bisogno di uno schiarimento nel senso che l’omologia esiste, ma solo con alcune modalità di osso epattale; donde la convenienza di dare alla parola epattale valore puramente morfologico, senza riguardo ai vari segmenti che costituiscono l’osso. L’osso epattale è stato trovato in crani di adulti costituito di tre pezzi regolari, uno mediano e due laterali. Il JacquaRT ha descritto bel- lissimi esemplari di questa ultima modalità, rilevando che i pezzi in un solo caso erano completamente distinti tra loro e dal sovraoccipitale e che in parecchi altri vi era fusione parziale di alcuni pezzi tra loro e col sovraoccipitale. Se dovessimo intendere l’osso epattale come sinonimo d’interparietale, non si potrebbe concepire l’epattale tripartito, perchè oltre degli elementi interparietali, entrano, nella costituzione del pezzo mediano, gli elementi preinterparietali. La morfologia dell’osso epattale è quindi intimamente connessa con lo sviluppo delle ossa interparietali e preinterparietali. Impulso notevole a tali ricerche hanno dato specialmente gli anato- misti italiani e vanno ricordati principalmente i lavori di RIccARDI, ROMITI, Lee, Amapei, FicALBi, CHIARUGI, SERGI, MincazzinI, MARIMÒ e BIANCHI. Non credo sia il caso di riferire tutto quanto nei menzionati lavori si riferisce alle ossa interparietali e preinterparietali, mi basta solo accen- nare brevemente alle notizie ormai acquisite sulle dette ossa accessorie. Premesso che lo sviluppo della porzione condroidea dell’osso occipi- tale si fa per cinque punti di ossificazione, due dei quali, uno per ciascun lato, danno origine fondendosi al sovraoccipitale, e che la porzione di origine membranosa, che forma l’angolo superiore della squama, proviene da due punti di ossificazione, situati ai lati della linea mediana, si com- prende agevolmente che è da questi due punti, rimasti autonomi, che provengono le ossa interparietali, che si trovano in corrispondenza della fontanella triangolare e in sopra del sovraoccipitale. — In quasi tutti i mammiferi si è notata la presenza di ossa interpa- rietali: osso doppio in alcuni esemplari, cioè diviso in due metà simme- triche, unico di forma poligonale (quadrilatera, pentagonale, prevalen- temente triangolare) risultante dalla fusione delle due metà simmetriche 154 È L. DE GAETANI saldato qualche volta parzialmente al sovraoccipitale, restando solo tracce di sutura verso le due estremità; o interparietale misto, che sarebbe un osso di transizione, risultante dalla fusione parziale e solo nella metà posteriore, di due interparietali simmetrici. In generale si deve ritenere che i punti di ossificazione degl’interparietali sono due, più o meno vi- cini tra di loro e alla linea mediana e si deve scartare l’idea che il centro di ossificaficazione sia unico e mediano. Le ossa interparietali sono ben visibili durante lo sviluppo. Il MaccI esattamente ha fatto rilevare che se in qualche mammifero fu negata la presenza degl’interparietali fu un errore di osservazione, perchè se gl’interparietali non esistevano isolati per l’avvenuto saldamento sulla superficie esterna dell’occipitale si trovavano suture integre o tracce di sutura in corrispondenza del tavolato interno del detto osso. Nei mam- miferi gl’interparietali possono essere due se i centri primitivi erano due e lontani; può essere uno se i centri di ossificazione erano vicini e ben presto si fusero e ciò prima della nascita; dopo la nascita o permane un interparietale bene individualizzato o ne permangono due sia bene individualizzati entrambi o uno solo di essi e laterale, mentre l’altro si è fuso o tutto o in parte con le ossa vicine. Si possono avere ancora nei mammiferi due centri di ossificazione, situati innanzi dei punti di ossificazione degl’ interparietali e questi centri darebbero origine alle ossa che dal CHIARUGI furono dette preinterpa- rietali; dette ossa, cui fu data dal FrcaLBI l’interpretazione anatomo-com- parativa, fanno parte del tegmen cranti, trovansi in corrispondenza della fontanella parieto-occipitale e in avanti degl’interparietali, non sono pro- prie di tutti i mammiferi, ma si trovano di regola negli equidi, quan- tunque altri mammiferi, e di preferenza l’uomo, possano presentarle. Nel feto per lo più i preinterparietali possono rimanere separati; ra- ramente si fondono in osso unico e raramente si fondono con le ossa vicine. Dopo la nascita possono (uno o due che fossero) o saldarsi con gli elementi interparietali, o, spostando questi, col sovraoccipitale, o, come relativamente spesso avviene, rimanere individualizzati in numero di uno o due (FICALBI). Venendo all uomo si può dire che esso nasce senza interparietali, perchè queste ossa, sebbene si trovino distinte nella vita fetale, preco- cemente si saldano tra loro e con le ossa vicine. Nell’ uomo adulto ancora i preinterparietali sì possono presentare in numero di due, simmetrici, laterali, situati in avanti degl’interparietali; e questa, secondo gli osser- OSSA INTERPARIETALI E PREINTERPARIETALI 155 vatori, è la disposizione più frequente. Si può ancora avere un’altra di- sposizione in cui i due preinterparietali s’ insinuano tra i due interpa- rietali spostandoli dalla linea mediana e si avvicinano al sovraoccipitale da cui però restano completamente o parzialmente divisi. Ci troviamo quindi di fronte a quattro ossa accessorie, che contribuiscono alla for- mazione del fegmer cranii, che si sviluppano da quattro punti di ossi- ficazione, che sono soggette a molte variazioni durante la loro evoluzione e che forse possono essere l’indice di una sproporzione, insieme coi wor- miani, tra l'accrescimento dell’ encefalo e quello delle ossa della volta cranica. Si comprende agevolmente come queste quattro. ossa si possano associare in vario modo nel loro sviluppo, sia fondendosi alcune fra di loro, sia spostandosi dal luogo che dovrebbero occupare se fossero per- fettamente simmetriche e ugualmente distanti dalla linea mediana, dalla sutura lambdoidea e dal sovraoccipitale. Si può avere la prevalenza di un nucleo sull'altro durante lo sviluppo e quindi, a proposito dei prein- terparietali, aversi un osso unico asimmetrico, che può parzialmente sal- darsi ad ossa vicine; si può avere il saldamento di entrambi o di un preinterparietale col sovraoccipitale o con un parietale o con un inter- parietale. Non entro ad esaminare tutte le possibili modalità cui potreb- bero dar luogo le quattro ossa accessorie sopracennate; mi basta aver fatto intravedere come siano conosciuti molti degli elementi necessari per poter dare una interpretazione verosimile degli esemplari di occi- pitali anomali, che vado subito a descrivere. Prima di descrivere i due esemplari, accenno al fatto che nel cranio n. 19 della nostra raccolta, appartenente ad un giovine di 23 anni, da Mes- sina, e del quale il Fusari ha descritto il parietale destro tripartito, in corrispondenza dell’angolo superiore della squama dell’ occipitale, trovasi un osso individualizzato, di forma elissoidale irregolare, col maggiore asse di circa 37 mm. diretto nel senso verticale e col minore di mm. 24 nel senso trasversale. Sono dello stesso parere del Fusari che si tratti di un osso wormiano, ma non sarebbe infondato il dubbio che si potesse trattare di un wormiano falso, (perchè al di sotto e fuori della sutura lambdoidea) probabilmente risultante della fusione dei due preinterpa- rietali. Trattandosi però di un cranio che lungo le varie suture presenta gran numero di wormiani e la particolarità del parietale tripartito, non credo che si possa, sull’ osso descritto, emettere la diagnosi precisa. Il caso di occipitale tripartito riguarda il cranio di un uomo di 60 anni, da Messina. L’occipitale non è perfettamente simmetrico: l’angolo 156 L. DE GAETANI superiore della squama non è acuto, ma alquanto rotondeggiante e viene in contatto con la estremità posteriore della sutura sagittale per un punto che dista a destra 8 mm. dalla linea mediana di esso occipitale. La metà sinistra di detto osso è un poco più sviluppata della metà destra e quindi il ramo sinistro della sutura lambdoidea è spostato in avanti di qual- che cm. nel territorio che dovrebbe essere occupato dal parietale dello stesso lato. Ben conformato l’occipitale nella sua porzione derivante dal condrocranio, presenta il sovraoccipitale ampio e che si estende per 27 mm. dall’inion fino alle suture delle ossa accessorie. Fig.1. | Fig. La porzione di origine membranosa risulta di tre porzioni di cui una mediana e due laterali. La laterale destra articolata a dentelli col pa- rietale dello stesso lato all’infuori e col pezzo mediano allo indentro, inferiormente si continua col sovraoccipitale; la linea lungo la quale è avvenuto il saldamento è rappresentata da una sporgenza lineare che continua medialmente la direzione della sutura a dentelli che unisce il pezzo mediano col sovraoccipitale e lateralmente si dirige verso l’asterion. La porzione laterale sinistra (fig. 1) è di forma triangolare rettan- golare isoscele: i due cateti di 38 mm. di lunghezza comprendono l’an- golo retto e sono uno a direzione verticale, lo altro a direzione trasver- sale; l’ipotenusa, appena curvilinea, corrisponde ad un tratto del ramo sinistro della sutura lambdoidea e misura 46 mm. di lunghezza. Mediante suture a dentelli il cateto verticale si articola col pezzo mediano della squama, l’orizzontale col sovraoccipitale e l’ipotenusa col parietale sinistro. La porzione mediana è di forma pentagonale irregolare. Dei cinque lati due sono superiori, uno inferiore e due laterali: dei due lati su- periori quello destro è lungo mm. 25, il sinistro mm. 35; l’inferiore mi- OSSA INTERPARIETALI E PREINTERPARIETALI 157 sura mm. 21, il laterale destro mm. 44, il laterale sinistro mm. 36. L’apice dell'angolo compreso dai due lati superiori corrisponde all’estremità po- steriore della sutura biparietale, estremità che è deviata alquanto verso destra. I due lati superiori del pentagono mediante suture a dentelli, si articolano con i margini posteriori, porzioni mediali, dei corrispon- denti parietali; il lato inferiore si articola col margine interno del pezzo destro dei tre in cui è divisa la porzione superiore della squama del- l’occipitale e che in basso si è fusa col sovraoccipitale; il lato laterale sinistro del pentagono si articola col cateto verticale del pezzo sinistro di forma triangolare rettangolare. Le suture fra i vari pezzi che costituiscono la squama dell’ occipitale e quelle tra questi pezzi e le ossa vicine, cioè parietali e sovraoccipitale, sono a dentelli, interessano tutta la spessezza della squama e sì vedono distintamente tanto sul tavolato esterno quanto sul tavolato interno del- l’occipitale. Se lungo la linea di saldamento del pezzo laterale destro col sovraoccipitale, invece di un rilievo lineare, fosse rimasta la primitiva sutura, noi avremmo avuto una linea unica di sutura nella parte inferiore risultante dalle suture dei tre pezzi della porzione superiore della squama col sovraoccipitale, linea arcuata, concentrica alla linea curva semicirco- lare superiore, con le due estremità laterali concorrenti alla formazione degli asterion. Dopo la descrizione fatta è facile la diagnosi delle ossa accessorie descritte. Nel caso in esame ci troviamo di fronte ad un osso epattale bipartito stando allo stato attuale delle suture; ma qui senza alcun dubbio l’osso originariamente era tripartito e la porzione laterale destra si è fusa col sovraoccipitale. Le due ossa laterali, di forma triangolare en- trambe, tanto quello fuso quanto quello individualizzato, non sono altro che le due ossa interparietali come dimostrano la loro posizione, l’arti- colazione coì parietali corrispondenti e la loro vicinanza agli asterion. Il pezzo mediano non credo possa far nascere dubbi sulla sua natura preinterparietale. Originariamente dovevano esistere due punti di ossi- ficazione preinterparietali: questi si sono fusi ed hanno dato luogo ad un osso unico, impari, mediano ed alquanto asimmetrico, perchè la linea mediana lo dividerebbe in due parti, delle quali la sinistra sarebbe un poco più grande della destra. Verosimilmente il punto di ossificazione sinistro ha esplicato maggiore attività in confronto del punto destro, donde lo ineguale sviluppo e l’asimmetria. Il pezzo unico che ne è risultato, si insinuò tra i due interparietali e si articolò col suvraoccipitale. Per 158 L. DE GAETANI essere intercalato fra gl’interparietali e lontano dagli asterion, il pezzo mediano deve essere considerato di origine preinterparietale. L’occipitale quadripartito (fig. 2) si trova nel cranio n. 97 della nostra raccolta, appartenente al cadavere di una donna di 26 anni, da Messina. Siamo qui in presenza di un osso epattale tripartito, che somiglia molto a quello descritto dal JAcqUART e trovato in un cranio di razza negra, rinvenuto a Parigi nel 1851 da SERRES. Sorprendente è la sim- metria delle tre porzioni in cui è divisa la parte superiore della squama dell’occipitale: due di esse porzioni sono laterali e una mediana, Le due laterali si somigliano perfettamente e quindi basta descriverne una sola. Ciascuna di esse ha la forma di un triangolo curvilineo isoscele: la base di mm. 31 di lunghezza, costituisce il lato minore del triangolo e si articola col pezzo mediano: l’apice del triangolo corrisponde allo asterion del rispettivo lato. Il lato curvilineo anteriore, di 46 mm. in linea retta, si articola col margine posteriore del parietale corrispondente; il lato posteriore di uguale lunghezza si articola con la corrispondente por- zione laterale del sovraoccipitale. Il pezzo mediano ha la forma di un pentagono regolare di mm. 31 di lato. I cinque lati sono due superiori, uno inferiore, due laterali. I due superiori, inclinati dall’alto in basso e da dentro in fuori, compren- dono un angolo che corrisponde all’estremità posteriore della sutura bi- parietale: essi si articolano con le porzioni mediali dei margini poste- riori dei parietali corrispondenti. Il lato inferiore del pentagono si arti- cola col sovraoccipitale. I due lati laterali si articolano rispettivamente con le basi leggermente curvilinee dei due pezzi laterali. Le articolazioni si fanno per suture a dentelli che, come sul tavolato esterno, sono ugualmente visibili sullo interno. All’esterno si vede a si- nistra la sutura occipito-mastoidea; a destra tale sutura manca essen- dosi fusi completamente l’occipitale e la porzione mastoidea dell’osso temporale. I lati posteriori dei due pezzi laterali e 1’ inferiore del pezzo mediano formano una linea arcuata, che va dallo asterion di un lato a quello dell’altro lato. In questo esemplare si tratta evidentemente dei due interparietali che trovansi situati lateralmente e più vicini agli asterion, rimasti per- fettamente individualizzati nell’ età adulta. Il pezzo pentagonale mediano risulta dalla fusione di due metà simmetriche, che altro non sono che i due preinterparietali, affondati tra gl’interparietali e articolati col so- vraoccipitale. I due punti di ossificazione preinterparietali dovevano essere OSSA INTERPARIETALI E PREINTERPARIETALI 159 ugualmente distanti, ma vicini alla linea mediana e di uguale attività osteogena: si sono fusi i due preinterparietali cui hanno dato origine, formando un osso impari, mediano e simmetrico. Non riporto i numerosi casi di ossa inter- e preinterparietali descritti dai vari osservatori e riguardanti le più svariate forme di suddivisione della squama dell’ occipitale: basterebbe solo accennare alle 2000 squame di occipitali di feti e bambini esaminate dallo SrauRENGHI, il quale ha riferito al Congresso dei Naturalisti italiani del 1906 di aver trovato tutte le possibili variabilità che può dare la squama occipitale e financo un interparietale risultante di 7 pezzi, caso finora unico: credo però che pochissimi sono gli esemplari di adulti conosciuti paragonabili all’ ultimo caso da me descritto per la simmetria dei pezzi ossei individualizzati. Sul significato morfologico delle varietà ossee riscontrate dirò pochis- sime parole. In riguardo degl’interparietali è accertata la presenza di essi in tutti i mammiferi; la mancanza di essi nei suini fu affermata da molti osser- vatori ed anche eminenti tra cui FRANK, GEGENBAUR e STRUSKA; il BIANCHI però e lo StauRENGHI hanno sostenuto il contrario. Recentemente lo STAURENGHI con numerose osservazioni su feti di Sus scrofa, ha riconfer- mata l’esistenza degl’interparietali anche nei suini. Se concordemente si ammette la costanza dell’interparietale in tutti i mammiferi, non si era mai creduto di trovarlo negli uccelli. Lo StAURENGHI anche su questo argomento ha portato un notevele contributo avendo trovato l’interparietale esistente negli uccelli e lo ha dimostrato nel Meleagris gallo pavo, con tutte le varietà che presenta l’uomo, ossia osso unico, bipartito, tripartito o quadripartito. La presenza dell’osso epattale non è dunque un carattere recente che nella filogenia appare solamente nei mammiferi, ma è un carattere antico perchè già trovasi negli uccelli. Il fatto poi che esso trovasi nei feti umani dimostra ancora una volta che l’untogenia è una ricapitolazione della filogenia: la sua persistenza nello adulto deve poi considerarsi come il ritorno atavistico di un ca- rattere proprio di altri mammiferi e degli uccelli e che rappresenta non solo una sosta, ma un passo in dietro in quella tendenza che negli ani- mali più evoluti hanno le ossa del fegmen cranîi a diminuire di numero e a fondersi tra di loro per costituire forse in un avvenire lontanissimo una vòlta cranica tutta di un sol pezzo osseo. GIOTTO DAINELLI INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACHO FRIULANO — et SOMMARIO. 1. Premessa. — 2. Le prime notizie e i primi studî sul Cretaceo del Friuli. — 3. Gli studî paleontologici del Pirona e le prime sintesi del Taramelli. — 4. Nuove determinazioni di fossili e distinzioni di livelli nella Creta friulana. —- 5. Gli studî del Futterer. — 6. Le ricerche del Boehm e del Marinelli, e gli ultimi studî sul Cretaceo friulano. — 7. Esame e critica degli elementi stratigrafici e paleontologici sul Cretaceo friulano. — 8. Il Cretaceo dei din- torni di Santa Croce e del versante occidentale del Cansiglio. — 9. Il Cre- taceo del Monte Cavallo e del versante orientale del Cansiglio. — 10. Il Cretaceo dell’ellissoide tra la regione Caulana e il Monte Jouf. — 11. Il Cretaceo delle ellissoidi tra la Meduna e il Tagliamento. — 12. Il Cretaceo dell’ellissoide del Monte Bernadia. — 13. Il Cretaceo tra la valle del Nati- sone e quella dell’ Isonzo. — 14. Il Cretaceo del Colle di Medea. — 15. I fossili del così detto conglomerato pseudo-cretaceo. — 16. Omologazione delle varie serie locali, e caratteri generali del Cretaceo friulano. 1.— PREMESSA. In un mio studio, di prossima pubblicazione, sulla tectonica delle Prealpi Friulane, io avevo desiderio di premettere alla parte speciale alcuni capitoli introduttivi, ciascuno dei quali rappresentasse un fedele riassunto critico delle conoscenze che oggi giorno si hanno sui terreni delle varie età rappresentate in quella regione. Però, la circostanza, che contemporaneamente attendo ad uno studio di carattere monografico sull’ Focene friulano, e che il dott. G. STEFANINI ne sta preparando uno simile sul Miocene, e quindi l’opportunità che avevo, di riportare per questi due terreni soltanto le ultime conclusioni, mi fecero comprendere che quei capitoli introduttivi del mio studio più generale sarebbero stati sproporzionati nelle varie parti, se avessero rappresentato, per al- cuni argomenti, una trattazione completa, per altri soltanto le conclu- sioni di lavori speciali. Per questo mi è parso opportuno pubblicare a sè il riassunto relativo ai varî terreni del Secondario, riserbandomi di riportare poi, per analogia, le parti conclusive. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 161 Presento adesso, intanto, quello relativo al Cretaceo, certo il più importante di quelli riferentisi ai varî piani del Secondario rappresentati nelle Prealpi friulane: più importante per la quantità dei lavori che dal Cretaceo appunto hanno preso argomento, specialmente in vista della grande abbondanza di faune scoperte. Quanto al metodo da me seguito in questo riassunto critico, è bene avvertire fin d’ora ch’esso comprende da prima un esame obiettivo di tutta, credo, la letteratura geologica, che si sia occupata del Cretaceo friulano, — esposto in ordine rigorosamente cronologico, salvo alcuni casi nei quali mi è parso opportuno e più semplice citare alcuni studî mi- nori trattando di altri maggiori, ben inteso dello stesso autore. In questi primi paragrafi quindi si troveranno riassunte le opinioni ed i riferimenti cronologici e le determinazioni paleontologiche, esposte dai varî studiosi che si occuparono di geologia friulana. Non già però quei riferimenti cronologici che si potrebbero trovare, assai numerosi, in opere generali come trattati di geologia, od in lavori speciali riguar- danti altre regioni, ma nei quali si accenna, per analogie o differenze, ai terreni cretacei del Friuli. ) Dopo questa prima parte, ho preso a considerare separatamente, a partire dal bacino di Santa Croce fino alla valle dell’ Isonzo, le princi- pali successioni locali del Cretaceo affiorante nella prima serie di rilievi delle Prealpi friulane. Riportando, per ciascuna successione locale, la Serie stratigrafica e le determinazioni paleontologiche, ho cercato di considerare criticamente l’una e le altre, per poterne dedurre conclu- sioni d’indole cronologica, indipendentemente dalle idee e dalle opinioni già espresse dai vari autori. Infine ho tentato di omologare tutte le serie locali, e di trarre qualche conclusione sul Cretaceo friulano. Non nasconderò che molte di queste conclusioni non sono dissimili da quelle di altri autori, specialmente del MarINELLI, al quale si deve sicuramente la più recente e la più esauriente, almeno per ora, tratta- zione delle condizioni geologiche delle Prealpi friulane. In ogni modo, anche pubblicato a sè, questo riassunto, nel quale ho però anche avuta la guida di una certa esperienza - personale dei luoghi e dei terreni, spero possa riuscire interessante per chi si occupa del Cretaceo in gene- rale, forse utile per chi vorrà studiare specialmente il Cretaceo friulano. Sc. Nat, Vol. XXVI 12 162 G. DAINELLI 2.— Le prime notizie e i primi studî sul Cretaceo del Friuli. Se si eccettua alcune poche notizie date dal FestARI !) intorno agli affioramenti della così detta scaglia rossa tra Maniago e Travesio, — alcune brevi indicazioni litologiche dell’Hacquet ?) relative ai dintorni di Gorizia, e che si possono riferire probabilmente a calcari cretacei — e gli incerti riferimenti alla Creta che si trovano qua e là in alcuni vecchi lavori del .CAatuLLO *), riguardo ad alcune assise calcari dei pressi di Santa Croce, —i primi cenni sui terreni del Secondario superiore, che presentino carattere di una qualche esattezza, sono quelli che ne dette il Boué 4), riferendo le sue osservazioni geologiche lungo la valle del- l’Isonzo fra Tarvis e Gorizia; egli infatti da più località informa di aver riconosciuto fossili e impronte di Ippuriti e di Caprine, notando anche i rapporti delle rocce calcaree che li contengono con una scaglia variamente colorata ma per lo più rossastra. Intanto il CATULLO continuava le sue ricerche nella parte più occi- dentale della regione qui considerata, e nei terreni cretacei dei dintorni del lago di Santa Croce raccoglieva fossili e veniva pure determinandoli. Essi sono i seguenti: Hippurites turricula Cat., H. dilatatus Cast., H. nanus Cat., H. contortus CAT., H. Fortisiù CAT., H. fitoideus Cat., H. maximus Cat., H. fasciatus Cat., Baculites Alpaghina Cat., Amplexus flecuosus Cat., QOvula neocomiana Cat., Podopsis arcuata Cat., Plagro- stoma gigantea Sow., Inoceramus Cuvierì Sow., *); oltre ai quali si trova citato un Hippurites imbricatus CAT., proveniente dal “ calcare grigio di Monte Medea nel Friuli ,, 5). Poco dopo lo stesso autore, sempre dai dintorni di S. Croce riconosceva come neocomiani questi strati a Ru- diste, attribuendo, a quanto sembra, pure alla Creta, dei calcari ad Or- bitoidi e Spatanghi e la scaglia rossa con Fucoides cylindricus BRONGN., gli uni e l’altra direttamente sovrastanti al livello ippuritico ‘). L'età neocomiana di questo confermava poco di poi °). 1) FestARI G. Viaggio nel Friuli ecc., 1716 [1862], pag. 34. ?) HacqueT B. Physilalisch-politische Reise ecc., 1785, pag. 63-64. 3) CATULLO A. Saggio di Zoologia fossile ecc., 1827; Memoria geognostico- zoologica ecc., 1834. 4) Bou& A. Apergu sur la constitution ecc., 1835; tradotto da TELLINI A. Cenni sulla costituzione ecc., 1893, pag. 93-95. 5) CatuLLo A. Catalogo delle specie ecc., 1842, pag. 5 e 6. 6) Ivi, pag. 5. ?) CatuLLO A. Sopra le Nummuliti ecc., 1850, pag. 4. 8) CatuLLO A. Intorno ad una nuova classificazione ece., 1853, pag. 10. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CREILACEO FRIULANO 163 Invece il DE Zieno riferiva ad un’età più recente questi strati, e cioè alla così detta Creta cloritica 1); essi devono essere riportati a questo piano, cioè al Turoniano, perchè contengono, oltre le molte spe- cie nuove descritte dal CartuLLo, altre già note e di buon valore cro- noloico, come l’Acfeonella laevis D'ORB., A. gigantea D’ORB., Acteon ovum D'ORB., Hippurites cornu-pastoris Des., H. organisans ROoLLAND, e _Radio- lites Ponsiana ?). La scaglia rossa, sovrastante a questo livello, rappre- senterebbe la creta bianca *) o Senoniano 4); mentre al di sotto sareb- bero strati calcarei, tanto nel Bellunese e nel Friuli quanto nel Vicen- tino, corrispodenti al Neocomiano °). D'altronde il Pirona °) attribuiva al Turoniano i blocchi di calcare a Ippuriti che si trovano nella valle del Natisone presso San Pietro, e ch’ egli riteneva in posto. Ma poco dopo lo stesso PrronAa dava più ampie notizie sugli affio- ramenti del Cretaceo in tutto quanto il Friuli, in quelle sue “ Lettere geologiche ,, che han formato veramente il fondamento di ogni suc- cessivo studio sulla regione. La parte più importante di tali notizie è certo quella che riguarda la estensione di questi terreni, dei quali ora ci occupiamo; giacchè infatti egli cita calcari ad Ippuriti da moltissime località, tra Gorizia ad oriente e i dintorni di Barcis ad occidente ?). Nella zona, però, che intercede tra la Meduna e l’Arzino, accanto a questi soliti strati a Rudiste egli osserva “ un altro calcare bianco ,, nel quale “ rinvengonsi frequenti le impronte di un Pecten e qualche Echinide (Cydaris), che al sig. cons. FOETTERLE parve di poter riferire a specie neocomiane *) ,. Non si capisce pertanto quale sia il rapporto stratigrafico fra questo calcare bianco e quello ad Ippuriti. Invece il Prirona indica una successione di strati, secondo lui tutti cretacei, per i pressi di Dardago e di Coltura, vicino a Polcenigo. Ivi, “al di sopra di un calcare bianchissimo contenente molti avanzi organici, s’incon- trano strati di una breccia compatta, con elementi ora minuti, ora molto 1) De Zigno A., in « Atti della 8.2 riunione degli scienziati italiani te- nuta in Genova dal 14 al 29 settembre 1846 », Genova, Ferrando, 1847, pag. 616. 2) De Ziano A. Nouvelles observations ecc., 1850, pag. 1-8; Coup d’oeil sur les terrains ecc., 185], pag. 9-10. 3) DE Zieno A. Wowvelles observations ecc., 1850, pag. 7, 9. 4) De Zieno. Coup d’oeil sur les terrains ecc., 1851, pag. 10-11. 5) Ivi, pag. 7-8. 6) Pirona G. A. Miniera di mercurio ecc., 1855, pag. 330, 7) Pirona G. A. Lettere geologiche ecc., 1859, pag. 4, 5, 6-7, 10, 13 e 25. 8) Ivi, pag. 13-14. 164 6. DAINELLI grossi e svariatissimi di colore, che viene scavata e lavorata come un marmo, ed è ricoperta essa pure da un calcare grigio-biancastro. Fra la breccia e quest’ultimo calcare stanno intercalati alcuni strati schistosi poco potenti di una marna calcare, di colore azzurrognolo, nei quali si trovano briciole d’Ittioliti, ed il Parroco di Dardago, che ci accompa- gnava nella visita di quelle cave, ci assicurò di aver veduti dei pesci interi in quei medesimi strati nella parte superiore del monte, che non fu da noi veduta. Tanto la breccia quanto il calcare che la ricopre sono ricchissimi di fossili specialmente Gasteropodi, appartenenti ai generi Turritella, Nerinea, Actaconella ecc. mescolati con alcuni Polipaj. Que- sti fossili sono spatificati, ed i loro caratteri esteriori difficili a rilevarsi. Nel calcare superiore trovasi comunissima una Turritella che molto si avvicina alla 7. disjuneta ZEKELI, come pure mi parve di riconoscere la Nerinea turbinata Zx., specie che sono comuni nei depositi dei Monti di Gosau, che appartengono alla Creta superiore, od ai piani Turoniano e Senoniano di D’ORBIGNY !) ,. Pur volendo imitare il PIRonA, ii CASTELLI, nelle lettere di argomento geologico che anche egli scrisse sull’esempio di quel primo studioso, dette, per i terreni cretacei come per gli altri, notizie assai vaghe, che per lo più si limitano a qualche descrizione veramente fantastica di fossili *).. Invece l’HAaUER fece accurate osservazioni lungo la valle dell’ Isonzo, raccogliendo elementi anche per la conoscenza del Cretaceo. Questo, tra Caporetto e Ranzina, sarebbe rappresentato da calcari ippuritici varia- mente alternanti con scisti, i quali in un punto presentarono resti di Inocerami 3); mentre più a mezzogiorno, tra Sagora e Salcano, sopra al calcare ippuritico, e sotto ai terreni eocenici, avrebbe anche, in con- cordanza, la tipica scaglia rossa ad Inocerami 4). Meno chiaro e meno deciso, nel riconoscimento dei terreni spettanti alla Creta lungo la valle dell’ Isonzo, appare lo StuR 5), il quale però li estende assai più di quel che non avesse fatto 1’ HauER. Egli vi pone infatti alla base dei calcari selciferi, quelli che chiama “ Wolschacher Kalk,, e che affiorano tra il Monte Kuk (ad oriente del Matajur) fino 1) Ivi, pag. 27. 2) CASTELLI L., Escursioni ecc., 1856, pag. 335. 3) HAUER F., Ein geologischer Durehschnitt ecc., 1857, pag. 333-336. 4) Ivi, pag. 337-339. 5) Stur D., Das Isonzo-Thal ecc., 1858, pag. 346-350 INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 165 a Modrea e Sarta Lucia sull’Isonzo; poi, ancora lungo il fiume fra Sella e Dobbar. Questi calcari selciferi lo STuR ritiene spettanti al Neocomiano inferiore !). Ad essi seguirebbero dei calcari scuri da prima compatti poi brecciformi, affioranti più a sud anche al Monte Santo, abbastanza ricchi di fossili, tra i quali si possono riconoscere con una qualche incertezza la Caprotina ammonia, la Nerinea Renauxiana D’ORB., e la Radiolites Mar- ticensis D’ORB., o per lo meno forme assai simili a queste. Tali calcari brec- ciformi fossiliferi rappresenterebbero 1’ Urgoniano ?). Essi sono sottoposti a degli scisti marnosi rossi e grigi, lucenti, contenenti Inocerami presso Zighino, nei quali si ripetono, intercalati, banchi di calcare brecciforme, che, via via che si sale nella serie, appare sempre meno conglomerato, pur risultando ognora dei medesimi elementi litologici ed includendo gli stessi fossili. Più in alto tali banchi di conglomerato divengono più rari, ed intercalano con marne ed arenarie 3). Da uno di questi banchi, presso Sant'Anna a Sud di Canale, proviene “ una Radiolite, diversa dalla £. neocomiensis, ma molto vicina, se non identica, alla Caprotina trilobata D’OrB. È certo che gli strati di arenaria e di conglomerati, i quali se- guono i calcari a Caprotine, appartengono, insieme con questi, ad una sola formazione; ma quanto lo stesso riferimento cronologico si debba estenilere agli strati di arenaria più alti, non si può decidere per man- canza di fossili. È però sicuro che, senza una differenza, per lo meno riconoscibile, negli scisti e nelle arenarie, a sud di Canale, fra Gore- gnapole e Globna, si osservano calcari notevolmente differenti 4), . I con- glomerati cioè sono costituiti da un calcare giallastro in piccoli blocchi e ciottoli, e nei loro strati più alti si troverebbero specie neocomiane, cioè la Biradiolites fissicosta D’OgRB. e la Radiolites alata D’ORB., oltre a molte altre Rudiste e Nerinee indeterminate 5). Tali sarebbero le osservazioni ed i riferimenti cronologici dello StUR per i terreni della valle dell’ Isonzo. Senza entrare a discutere quanto, secondo noi, essi sembrino giusti o non, giacchè adesso vogliamo solo riferire obiettivamente le idee altrui, — noteremo però soltanto alcune contradizioni di questo autore, il quale riconosce in basso, nei calcari selciferi, il Neocomiano inferiore; poi, nel calcare compatto e brecciforme fossilifero, e nel complesso di marne, arenarie e conglomerati, 1’ Urgo- niano; infine, negli altri conglomerati, di calcare giallastro, che dalle 1) Ivi, pag. 347 e 350. 4) Ivi, pag. 348-349. ‘) Ivi, pag. 347 e 349. 5) Ivi, pag. 349. 3) Ivi, pag. 847-318. 166 G. DAINELLI sue parole sembrano ancora superiori, fossili di nuovo neocomiani; senza contare che egli attribuisce al Senoniano 1) la scaglia, cioè, per quel che pare, quegli “ scisti marnosi, rossi e grigi, lucenti ,, ad Inocerami, che stanno fra il primo e il secondo di questi tre termini. Di queste osservazioni e di questi riferimenti dello Stur non tenne evidentemente conto il Prrona nel suo primo riassunto sulla costitu- zione geologica del Friuli ?); infatti egli si limitò a distinguere, nei terreni della Creta, tre livelli diversi, per il primo dei quali soltanto dette un più preciso riferimento cronologico, e cioè al Neocomiano. A questo “ sarebbe da riferirsi con molta probabilità.... il calcare bianco del Monte Chiarandet sulla sinistra del Meduna presso il ponte Racli, dove.... raccolsi varî esemplari di un Pecten ed un echinide del genere Cidaris. Potrebbero pure considerarsi come spettanti a questo piano alcuni strati calcareo-argillosi di colore azzurrognolo volgente al bruno che s'incontrano sul fianco orientale. del Monte Caulana al sud di Barcis, nel quale raccolsi due esemplari di un Pectern di minime di- mensioni ed alcuni avanzi di vegetabili bituminizzati ,. Tutti gli altri calcari del Friuli riferibili al Cretaceo, e intorno alla cui distribuzione il PIRoNA dà numerose indicazioni, contengono Rudiste. “ Presso Barcis e presso Meduno vi si possono raccogliere Hippwrites organisans Desm., H. cornu-vaccinum BBonn, H. sulcata DEFR., e molte altre forse nuove specie che raggiungono una grossezza considerevole, nonchè varie specie dei generi Radiolites, Caprina e Caprinella ,. Contiene pure “ Rudiste varie (Ltadiolites mammillaris MArE., Lr. Sauvagesii p’ ORB., Hippurittes sulcatus DEFR.) il calcare bianco di Gabria sulla sinistra sponda dello Isonzo al sud di Gorizia ,. La parte più recente del Cretaceo sarebbe rappresentata dalla sca- glia rossa. Così il Pirona; il quale in altro suo riassunto ?), di poco posteriore a questo primo, dette notizie assai più succinte in proposito. 3.— Gli studî paleontologici del Pirona e le prime sintesi del Taramelli. Trascurabili sono i primi cenni che il TARAMELLI dedicò al Cretaceo del Friuli 4), e le poche notizie dello Zrvic sul colle di Medea, dove questo 1) Ivi, pag. 349. 2) Pirona G. A., Cenni geogmostici ecc., 1861, pag. 281-284. 3), PironaA G. A., Cenni ecc., in CiconI G., Udine ecc., 1862, pag. 16. 4) TARAMELLI T., Sulla orografia ecc., 1867, pag. T. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 167 autore, “ oltre a Ippuriti e Sferuliti sparsi dovunque nella roccia, rinvenne un piccolo Polipaio della famiglia delle Astree ,, 1). Invece assai più importanti sono gli studî del PiRoNA comparsi presso a poco negli stessi anni, e nei quali è reso conto di determinazioni accu- rate di fossili cretacei friulani. In un primo ?) è descritta e figurata una specie nuova, appartenente ad un genere pur nuovo, la Synodontites Stoppaniana, raccolta al Colle di Medea; ma della stessa località sono annunciate anche altre determinazioni, e cioè Fradiolites lumbricalis D’ORB., R. Zignoana n. sp., È. Gastaldiana n. sp., È. angulosa D’ ORB.?, R. Tara- melliana n. sp., R. fascicularis n. sp., R.? Catulli Prr. (A. imbricata CAT), Sphaerulites Meneghiniana n. sp., S. Visianica n. sp., S. Guiscardiana n. sp., S. Columnaris n. sp., S. ponsiana D’ARCH., S. Medeae n. sp., e S. ponderosa n. sp., delle quali le tre specie già note farebbero riferire quei terreni all’Angumiano (cioè, almeno pro parte, al Turoniano) del Coquand *). In un secondo studio, dai calcari che costituiscono la così detta breccia pseudo-cretacea dei dintorni di Subit e Platischis sono citati 1° Hippurites cornuvaccinum Bronn e 1° H. bioculatus Lam. 4), ed è descritta e figurata una specie nuova, l’ H. polystylus *). In un terzo studio finalmente il Prrona dà ancora più ampie notizie riguardo ai terreni cretacei del Friuli: “1° Hippurites cornu-vaccinum è comune al piede del monte Caulana e a Barcis, dov'è associato ad alcune Caprinellidi; a Medun gli strati ad H. dilatatus e sulcatus, a Sphaerulites amgeiodes ecc., riposano sopra un calcare a Caprine che si appoggia alla dolomia infraliasica della valle di Chiampon. Insomma — afferma quello studioso — dovunque io abbia percorso in Friuli il terreno cretaceo, l’ho trovato dappertutto incominciare o col calcare contenente Caprine, o più comunemente col calcare contenente l’ Hippurites cornu-vaccinum, od altre specie appartenenti al medesimo piano 5) ,. Oltre Isonzo i terreni cre- tacei presentano “ essi pure alla base un calcare pieno di Rudiste, la maggior parte corrose e indeterminabili, ma dove negli strati inferiori ho raccolto la fad. lumbricalis, e negli strati superiori qualche fram- 1) Zrvic G., Cenni sulla costituzione ecc., 1868, pag. 3. 2) Prrona G. A., Synodontites ecc., 1867, pag. 11 e segg., tavola. 3) Ivi, pag. 5, 4) PironA G. A., Sopra una nuova specie ece., 1868, pag. 2. 5) Ivi, pag. 3, tav. V. 6) PironA G. A., Le ippuritidi del Colle ecc., 1869, pag. 10. 168 G. DAINELLI mento di un Hippurites che mi lascia dubbio se debbasi riferire all’ or- ganisans od al bioculatus 1) ,. Ma più dettagliate notizie riguardano il calcare del Colle di Medea: “alla base racchiude qualche rara Rudista e un grandissimo numero di Foraminifere microscopiche. Vi succedono alcuni strati che sono pieni di gusci di Rudiste, indi altri strati assai meno ricchi di fossili, che sono ricoperti da un calcare di colore grigio nerastro, a strati molto grossi e privi di avanzi organici. Più a nord al Colle di Medea forma appendice la collinetta di S. Fosca di Borgnano, il cui calcare contiene frequenti esemplari di una Foraminifera ciclostega e qualche bivalve del genere Astarte. Verso la metà del Colle di Medea gli strati sono un impasto di miriadi di Rudiste con qualche Chama, una Fequienia affine alla Detaruana del D’ORB. e frequenti piccoli Echinidi ?) ,. Le specie descritte e figurate, raccolte nel calcare del Colle di Medea, sono le seguenti, che in parte, come abbiam visto, il PiRoNnA aveva già annunciate in un precedente studio: Sphaerulites Meneghiniana PIR., S. Visianica Pir., S. Pasiniana n. sp., S. Guiscardiana n. sp., S. Beau- monti BarLE ?, S. ponsiana D’ARCH. ?, S. medeensis n. sp., S. Catulli PiR., S. ponderosa n. sp., Radiolites Zignana n. sp., R. Gastaldiana n. sp., R. lumbricalis D ORB., R. Taramellii n. sp., È. fascicularis n. sp., R. angu- losa D’ ORB.?, R. Massalongiana n. sp., E. monoptera n. sp., È. trialata n. Sp., Synodontites Stoppaniana Pir. e var. vittata, Chama forojuliensis n. sp. *). Le quattro specie già note farebbero riferire gli strati che con- tengono questa fauna, al Turoniano inferiore, o Angumiano di Coquand 4). Contemporaneamente, dagli stessi calcari cretacei del Colle di Medea il TARAMELLI descriveva tre Echinidi: Catopygus Medeae n. sp., C. nucula n. sp. e Botriopygus sp. ®); i quali, non spettando a specie già note, mal si prestavano come elementi di valore cronologico. Il TARAMELLI però osserva che la gran massa di Rudiste di Medea “ furono sepolte in un sedimento calcare, omogeneo e ricco di foraminiferi politalamici assai analoghi a quelli dello Schrattenkalke e delle Alpi Svizzere ,, e che quest’ ultimo terreno “ appartiene agli strati superiori della Creta infe- riore e precisamente all’ Urgonien 5) ,. Ma non pare che il TARAMELLI i) Ivi, pag. 10. : 2) Ivi, pag. ll. 3) Ivi, pag. 14-37, tav. I-X. 4) Ivi, pag. 13. 5) TARAMELLI T., Sopra alcuni echinidi ece., 1869, pag. 29-31, tav. I, fig. 1-8. 6) Ivi, pag. 3 e nota 1. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 169 stesso dasse soverchio valore a questo ravvicinamento ‘cronologico giacchè in successivi lavori ammetteva che i calcari a Radioliti e Sferuliti e quelli a Caprine, del Friuli, appartengano al Turoniano !); come del resto anche quelli simili dell'Alpago ?). Ma per il complesso di strati costituenti il Monte Cavallo, e che il TARAMELLI riteneva nell’insieme spettanti alla Creta, questo autore indi- cava una successione di 6 livelli diversi, ai quali pertanto non dava, per allora, una precisa età. Essi sarebbero i seguenti dal basso all'alto: 1.° un calcare brecciato, grigio o giallognolo, assai compatto, a Nerinee e Caprotine, potente circa 550 m.; 2.° un calcare meno compatto, talora farinoso, a Radioliti, potente almeno 200 m.; 3.° un calcare bituminoso, potente al massimo 20 m., con impronte di felci e di monocotiledoni, che farebbero supporre un’età intermedia fra quella degli strati di Comen e quella degli strati di Gosau; 4.° un calcare cloritico a Caprotine (che si ritrova anche presso Tarcento e Torlano); 5.° un calcare a Nerinee ed Acteonelle, specialmente sviluppato al Col dei Schiosi; 6.° calcare ooli- tico, calcare madreporico, e calcare brecciato, contenente Coralli, Fusus e Pecten 3). Contemporaneamente il TARAMELLI in unione al PIRONA scriveva che t nell’ altipiano del Cansiglio e nel gruppo del M. Cavallo sono dei calcari bianchi compatti ed oolitici, con Rudiste, Nerinee ed Acteonelle, probabil- mente riferibili al Turoniano 4) ,; la quale età sembra dunque attribuita indistintamente a tutti i livelli della Creta sopra indicati. Invece in una pubblicazione successiva lo stesso autore poneva la serie dei calcari del Monte Cavallo, almeno a quanto sembra, in parte nella Creta media ed in parte nel Turoniano; mentre per i terreni cretacei del Friuli orientale distingueva tre livelli: 1.° calcari compatti ed ooliti non fossiliferi; 2.° cal- cari a Caprine; 3.° calcari a ERadioliti; il primo rappresentante parte della Creta inferiore e parte della media, il secondo parte di questa e del Turoniano, il terzo parte del Turoniano e del Senoniano °). Sl Prrona, intanto, continuando i suoi studî paleontologici sulla Creta 1) TARAMELLI T., Sulla formazione eocenica ecc., 1870, pag. 56; Cenni geolo- gici ecc., 1371, pag. 12, nota 3; Escursioni geologiche fatte nel 1871, 1872, pag. 119. Brevi notizie sono in Lezioni libere ece., 1873, pag. 260. 2) TARAMELLI T., Escursioni geologiche fatte nell’anno 1871, 1872, pag. 73. 3) TARAMELLI T., Escursioni geologiche fatte nell’anno 1872, 1873, pag. 7-10. 4) Pirona G. A. e TARAMELLI T., Sul terremoto ecc., 1873, pag. 9. 5) TARAMELLI T., Appunti sulla storia geologica ecc., 1874, tavola di fronte a pag. 21. 170 G. DAINELLI friulana, descriveva una Radiolites forojuliensis n. sp. proveniente da un masso della breccia pseudo-cretacea di Subit !). In base agli elementi stratigrafici e paleontologici raccolti fin qui, il TARAMELLI cercò di stabilire una successione nei terreni cretacei dello intero Friuli. Senza soffermarci sopra un suo lavoro, nel quale tali sue conclusioni sono appena accennate °), e neppure sopra un altro, nel quale* sono date indicazioni più generiche e riassuntive 3), riportiamo le sue idee, quali sono fissate nel suo catalogo ragionato delle rocce del Friuli 4). Dal basso all'alto si avrebbe la seguente successione: 1.° Calcari compatti od oolitici, con scarse Rudiste, prevalentemente Caprinellidi. Filliti e calcari bituminosi (£ Comen-schichten ,, dei geologi austriaci). La massa di questi calcari comprende: a)i calcari compatti, talora cloritici, a Caprotine del Col dei Schiosi, Polcenigo, Fajeras, Tar- cento e Torlano; 5) calcari bituminosi con filliti di presso Polcenigo; c) calcare grossolano bianco, tenero, di Jouf e Polcenigo. 2.° Calcari compatti con abbondanti Rudiste. Calcari a Nerinee dello altipiano del Cavallo. Sono da riferirsi complessivamente al Turoniano, ma forse rappresentano in parte anche il Cenomaniano. Tre sono le loca- lità fossilifere più importanti: il Col dei Schiosi nel gruppo del Monte Cavallo, con Nerinea Requieniana v’ORB., N. Uchauziana D’ ORB., N. Fleu- riana D’ORB.; le cave di Ponte Iracle sopra Meduno, con Hippurites cornu- vaccinum Bronn, H. dilatatus Derr., H. sulcatus DEFR., Caprina Aguil- Toni D’ORB.; il colle di Medea con le specie descritte dal Prrona °). A questa massa di strati appartengono anche dei calcari ad Ostrea del Toppo, ed i calcari oolitici a Nerinee, Acteonelle e Rudiste, del Monte Cavallo. 3.° Calcari brecciati a fadioliti, Sferuliti e Terebratule, con intestrati di marne scagliose rosse, micacee. Sono i “ calcari di Wolzano , dello STUR 6), e sembrano esclusivi alle Alpi Giulie; forse sono rappresentati a Claut e nel Canale di Vito d’Asio. Il TARAMELLI non dice chiaramente quale livello della Creta possa rappresentare questo ultimo termine: sembra però il Turoniano, dal momento che egli afferma che “ gli equivalenti del Senoniano e del 1) Pirona G. A., Sopra una nuova specie ecc., 1875, pag. 507 e segg., tav.III 2?) TARAMELLI T., Di alcune condizioni ecc., 1875, pag. 6. 3) TARAMELLI T., Costituzione geologica ecc., 1876, pag. 114-116. 4) TARAMELLI T., Catalogo ragionato ecc., 1877, pag. 39-40. 5) Pirona G. A., Le Ippuritidi ecc., 1869. 6) StuR D., Das Isonzo-Ihal ece., 1858. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 171 Daniano mancano al Friuli ed anche dalla disposizione stratigrafica è accertata la più generale discordanza tra la serie cretacea e la eocenica ,,, tanto che al finire della Creta la regione avrebbe dovuto attraversare un periodo continentale 1). Ciò però contraddice quello che il TARAMELLI stesso aveva scritto un solo anno innanzi, che cioè “ nel Friuli orientale gli strati più ele- vati 2) della Creta (che si potrebbero anche indifferentemente collocare alla base della serie terziaria) sono brecciati e conglomerati. Passano per insensibili transizioni a rocce decisamente eoceniche È) ,. 4. Nuove determinazioni di fossili e distinzioni di livelli nella Creta friulana. Anche il PironA *) riassume nuovamente le conoscenze geologiche sul Friuli; le indicazioni, pertanto, che egli dà intorno ai terreni cre- tacei sembrano una ripetizione di quanto aveva scritto poco prima, ma quasi contemporaneamente, il TARAMELLI °), tanto più che adesso per la prima volta quell’autore esclude dalla Creta, per includerla nell’ Eo- cene, la tipica marna scagliosa 6). Unica notizia nuova è quella di ca- rattere paleontologico, che tra i fossili del Col dei Schiosi sarebbe an- che una Nerinea affine alla Bauga D’ORB. ?); ed unica differenza il riferimento di tutti gli strati cretacei friulani complessivamente al solo Turoniano, od anche, ma solo con dubbio, a parte del Cenomaniarfo superiore 8). In questo lavoro il Prrona dà pure una descrizione preli- minare della Hippurites Giordanii n. sp., proveniente dal conglomerato pseudocretaceo di Subit °). Cenni sul Cretaceo del Friuli, ma senza elementi nuovi, si trovano in successivi lavori dell’HoeRENS !°), del Prrona 15), del Mosysisovics !?), di i) TARAMELLI T. Catalogo ragionato ece., 1877, pap. 40. 2) Il TARAMELLI dice « più profondi », ma è evidentemente una svista. 3) TARAMELLI T. Costituzione ecc., 1876, pag. 116. 4) PrronA G. A. La provincia di Udine ecc., 1871, pag. 39-43. 5) TARAMELLI T. Catalogo ragionato ecc., 1877. 6) Pirona G. A. La provincia di Udine ece., 1877, pag. 43. 7) Ivi, pag. 40. 8) Ivi, pag. 43. 9) Ivi, pag. 42. Questa specie è poi meglio descritta in: Prrona G. A., Sopra una particolare modificazione ecc., 1880. 10) HoERNES R. Erdbeben-Studien ecc., 1878, pag. 405. 14) Prrona G. A. Sulla fauna fossile ecc., 1878, pag. 3-5; Sopra una parti- colare modificazione ecc., 1880. 12) Mogsisovics E. Die Dolomitriffe ecc., 1879, pag. 446-448, 454-457. 172 G. DAINELLI G. MARINELLI, !) e specialmente del TARAMELLI ?). Questi poi nella sua opera sulla geologia delle Alpi venete, riassunse ancora una volta le conoscenze sopra i terreni della Creta friulana, distinguendo alla base, e rappresentanti l’ Urgoniano, i calcari selciferi di Wolzano: “ essi al- ternano con marne rosse scagliose ad Inocerami, più o meno micacee, alquanto diverse dalla scaglia rossa, che ivi pure.... segna il passaggio tra le formazioni cretacee e le eoceniche *) ,. Al di sopra sono i cal- cari a Rudiste, riferibili al Turoniano, e largamente estesi in tutto il Friuli; più in alto ancora è la marna scagliosa rossa che “ passa dal Senoniano all’Eocene ,,, il passaggio essendo “ graduato e senza di- scordanza 4) ,. Qualche notizia sui terreni cretacei del Monte Cavallo, dell’altipiano del Cansiglio e del bacino di Santa Croce, il TARAMELLI dà anche nella spiegazione °) della sua carta geologica della provincia di Belluno, dove osserva che nel Cansiglio “ superiormente al calcare a rudiste la sca- glia rossa continua potente e sempre alternata con calcari di vario spessore, in generale disseminati di Corocrinus e di Orbitoides e senza traccia di nummuliti *) , ; non si capisce però se riferisca alla Creta od all’ Eocene questo livello, per quanto ne accenni a proposito della Creta. Poche informazioni su alcune località fossilifere già note, il TARAMELLI dà in un successivo suo studio ?). ° Più reciso nella attribuzione alla Creta dei varî livelli osservabili al Cansiglio, è il Rossi *), il quale vi pone dal basso all’alto: calcari a rudiste, acteonelle e pettini; calcari compatti; calcari a conocrini e marne a fucoidi; scaglia rossa. i Invece il PiroNA portò poco di poi un veramente nuovo contributo alla conoscenza della Creta friulana, illustrando la fauna del calcare corallino del Col dei Schiosi °), che in precedenti lavori, tanto lui che 1) MARINELLI G. Al Cansiglio, 1882, 29-30. 2) TARAMELLI T. Appunti geologici ecc., 1878, a pag. 35-36 è attribuita alla Creta la scaglia di Erto e Casso; Spiegazione della carta ece., pag. 93-97; La formazione naturale ecc., 1882, pag. 136. 3) TARAMBLLI T. Geologia delle provincie ecc., 1882, pag. 433-434. 4) Ivi, pag. 456. 5) TARAMELLI T. Note illustrative alla carta ecc., 1883, pag. 117-123. 6) Ivi, pag. 121-122. Questa notizia di strati a Corocrinus nella scaglia del Cansiglio era già accennata in TARAMELLI T., Geologia delle provincie ecc., 1882, pag. 436. 7) TARAMELLI T. Le principali località ecc., 1883, pag. 15-14. 8) Rossi A. Note illustrative ecc., 1884, pag. 140-141. °) Pirona G. A. Nuovi fossili del terreno ecc., 1884. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 173 il TARAMELLI, avevano ritenuta appartenente al Turoniano, come la mag- gior parte dei calcari a Rudiste del Friuli. Alcuni fossili inviati in esame al prof. ZirtEL, erano stati da questo determinati come spettanti alla Requienia Lonsdale D’OrB. ed alla Sphaerulites erratica Piotr. et CAMP., “luna e l’altra caratteristiche del Neocomiano superiore od Urgoniano. Rispetto poi alle altre specie comunicategli l’eminente paleontologo, pur riconoscendo anch’esso nelle medesime un predominante carattere di affinità colle specie giuresi piuttosto che colle cretacee, le giudicava forme nuove !) ,. Tali specie, descritte dal Prirona, sono la Nerinea Schiosensis n. sp., N. forojuliensis n. sp., N. Marinonii n. sp., N. Can- dagliensis n. sp., Nerita Taramellii n. sp., e Jamira Zitteli n. sp. ?). Anche il BorAm ebbe a occuparsi del calcare coralligeno del Col dei Schiosi, tra i cui fossili riconobbe pure una Caprina ed una Caprotina; mentre corresse la determinazione della Requienia Lonsdalei Sow. in quella di un Diceras Pironai n. sp.: riconoscimento importante, perchè per la prima volta una forma di tal genere si sarebbe riconosciuta in strati che la commistione di Sphaerulites fa ritenere sicuramente cretacei' *). Presso al Col dei Schiosi poi, alla Costa Cervera è un altra località fossilifera con Nerinee e Diceratidi, uno dei quali simile al Diceras Miinsterì del Giura superiore 4). D'altra parte, presso il Lago di Santa Croce la Caprina Aguilloni D’ ORB., Hippurites cornuvaccinum BRoNN, Ac- taconella gigantea D’ORB., ed A. laevis D’ORB., fanno riconoscere gli strati di Gosau 5. In conclusione, secondo il Bornm, nelle Prealpi friulane ed anche nella regione più ad oriente, il calcare a Rudiste rappresenta non solo il “ Biancone , della regione alla sinistra del Piave, ma anche orizzonti più alti °), e si può dividere in due livelli: uno inferiore a Radioliti e Sferuliti, uno superiore a Ippuriti prevalenti 7). Del Diceras Pironaì BorHm, e di nn’altra forma nuova del Col dei Schiosi, la Monopleura forojuliensis, dava poco di poi una dettagliata descrizione il Pirona È). Quanto però all’età di questo livello fossilifero della Creta friulana venne presto, tanto al BorHm che al PiroNnA, la persuasione di ritenerla assai più giovane dell’ Urgoniano. Il primo, in base alle analogie del Diceras Pironai con una Apricardia del Provenziano di Chàteauneuf in 1) Ivi, pag. 160. 2) Ivi, pag. 161-166, tav. I-III. 3) Bonnm G. Ueber sidalpine Kreideablagerungen, 1885, pag. 546-547. 4) Ivi, pag. 547. 6) Ivi, pag. 345. 5) Ivi, pag. 348-349. 7) Ivi, pag. 549. 8) Pirona G. A. Due Chamacee nuove ecc., 1886, pag. 689-697, tav. IV-VII, 174 G. DAINELLI Francia, e alla presenza di fossili appartenenti al genere Plagioptychus, credè di riconoscere il Turoniano '). Ed alla stessa conclusione giunse il secondo, riconoscendo, pare commiste al Diceras, una Hippurites hirudo n. sp. ed una Sphaerulites macrodon n. sp. *). Una nuova sintesi delle conoscenze dei terreni cretacei si deve quindi allo SracHE. Questi non si occupò, veramente, che per incidenza e per opportunità di confronti, della Creta friulana; ma la sua distinzione sì riferisce e regioni adiacenti e di così simile costituzione geologica, che non si può non tenerne conto in questo esame che andiamo facendo. Lo SracHE 8) dunque crede rappresentati: 1.° il Neocomiano fino al Ca- rantoniano (Cenomaniano), dai banchi di calcare brecciato a Caprotine, che nella valle dell’Isonzo stan sopra al “ Woltschacher-kalk , (cretaceo secondo lo STUR, giurese secondo lo StAcHE); 2.° il Provenziano (Turo- niano), dai calcari a Rudiste, tra le quali di buon valore cronologico l’Hippurites sulcatus Derr., la Radiolites acuticostata D’ORB., RE. mam- millaris MATE., R. Sauvagesi D’ORB.; 3.° piani anche più recenti, dai calcari che stan sopra a quelli a Hippurites sulcatus. Quanto poi al Colle di Medea, lo StAcHE si domanda se il fatto, che ivi il calcare a Rudiste (Turoniano) è ricoperto da strati a Cha- racee e Gasteropodi i quali corrispondono alla base del calcare ad Al- veoline di Borgnano, possa provare la mancanza del Senoniano e del Daniano o piuttosto che in questi due livelli si sieno spinte forme di Rudiste che si credevano proprie del Turoniano. Ma della presenza del Senoniano nella serie cretacea friulana si ebbe presto conferma dal ri- trovamento di nuovi fossili. Presso Vernasso (Cividale) il Tommasi esplorava infatti una nuova e interessante località fossilifera, nella quale dal basso all’alto si seguono: 1.° un calcare ad Exogyra, della potenza di 4 metri; 2.° un calcare fetido ad Inoceramus, Pholadomya e filliti, potente 3 metri; 3.° un cal- care a Echinidi e Foraminiferi, potente 4 metri. Superiormente segue, con una potenza di varie decine di metri, il conglomerato pseudo-cre- taceo, che il Tommasi ascrive all’ Eocene, e che “si adagia immediata- mente sul calcare ad Echinidi, nel quale dobbiamo quindi vedere il membro cretaceo più giovane ‘) ,. 1) Boram G. Ueber das Alter ecc., 1887. 2) Pirona G. A. Nuova contribuzione ecc., 1887, testo e tavola. 3) SracHe G. Die Liburnische Stufe ecc., 1889, pag. 37. i) Tommasi A. I fossili senoniani ecc., 1891, pag. 1090-1091; le citazioni non sono fatte sul lavoro: Tommasi T., Sul lembo cretaceo ecc., 1889, che aveva INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 175 Le specie studiate dal Tommasi, e quasi tutte provenienti dal livello mediano, sono le seguenti: Dercetis sp., Buchiceras sp. cfr. Ewaldi von Buca, Volutilithes subsemiplicata D’ORB.?, Ceratosiphon Caroli-Fabricti n. sp., Cerithium Margaritae n. sp., Natica cfr. bulbiformis Sow., Tur- ritella sp., Pholadomya granulosa ZirteL, Ph. (Liopistha) acquivalvis GoLpr., Ph. Augusta n. sp., Ph. Comottii n. sp., Ph. Variscoi n. sp., Venus faba Sow., V. Reussiana GEIN., Tapes? vernassina n. sp., Astarte praecipes n. sp. e var. elata, Cardita cfr. tenuicosta Sow., Inoceramus Cripsìi Mant., Avicula pectinoides Reuss, Pecten membranaceus Nirss., P. cfr. Nilssoni GoLpr., P. sp. n., P. sp., Erogyra sp., Cidaris papillata Mant., Hemiaster sp. 1). Tra le specie già note, riconosciute in questa fauna, una sola, la Venus Reussiana, non si era prima trovata in terreni più recenti del Turoniano; tutte le altre spettano al Senoniano, ed alcune sono anzi esclusive di questo ?); sì che il Tommasi credè di dover riconoscere la parte inferiore di tale livello nella fauna di Vernasso ?). Il Senoniano fu riconosciuto anche dallo studio delle filliti nelle quali il Bozzi determinò Sequoia concinna HEER, S. ambigua HEER, Cunningha- mites elegans ENDL., Cyparissidium gracile HEER, Frenelopsis Konigiù Ho- sus, Araucaria macrophylla n. sp., Arundo Groenlandica HeeR, Ehus antiqua n. sp., Myrica Vernassiensis n. sp., Phyllites proteaceus n. sp., Ph. platanoides n. sp. ‘). Successivamente, il TELLINI, rendendo conto di una escursione geo- logica da Tarcento a Resia °), si limita ad ascrivere la marna scagliosa al Senoniano, e ad affermare che i calcari a Rudiste rappresentano la parte inferiore della serie cretacea; altrove poi %) dà poche notizie degli stessi calcari affioranti tra l’ Arzino ed il bacino di Peonis, e aggiunge carattere di nota preliminare, e rispetto al quale l’A. introdusse delle modifi- cazioni in quello successivo. 1) TomMAsI À. I fossili senoniani ecc., 1891, pag. 1092-1116, tav. I. In Tom- MASI A., Sul lembo cretaceo ece., 1889, pag. 24-25, eran stati citati solo 1’ Inoce- ramus Cripsi MANT. e la Pholadomya granulosa ZiTTEL; più altre specie, cioè Inoceramus planus MUNST., I. labiatus ScHLOTH., Schaphites constrictus Sow., Sclonbachia sp. e Toxraster sp., che non furono mantenute nel lavoro definitivo. 2) Tommasi A. I fossili senoniani ecc., 1891, pag. 1117-1118. 3) Ivi, pag. 1119. 4) Bozzi L. La flora cretacea ece., 1891; in una nota preliminare (Bozzi, Sulle filliti cretacee ecc., 1889) erano citate solo: Sequoia ambigua HEER, S. con- cinna HEER, Cyparissidium gracile HER, e Arundo groenlandica HERR, e inoltre la Sequoia rigida HeER che non fu mantenuta nello studio definitivo. 5) TELLINI A., Da Tarcento a Resia, 1891, pag. 8 e 11. 6) TELLINI ÀA., Descrizione geologica ecc., 1892, pag. 22-23. 176 &. DAINELLI di avervi osservata la EMlipsactinia elipsoides Svernm !). Il MARIANI rias- sume soltanto le idee del TARAMELLI; a proposito del Cretaceo della valle del Torre, ritiene, bensì, che sotto al Turoniano sieno rappresentati uno o più piani superiori al Neocomiano, ma non ne dà alcuna prova ?). Nuovi elementi porta invece il BorHm alla conoscenza della fauna del Col dei Schiosi, di cui descrive e figura: Diceras (Apricardia) Pironaiì BoEHM, Caprina schiosensis n. sp., O. sp., Sphaecrucaprina forojuliensis n. sp., S. sp.?, Schiosia schiosensis n. sp., S. carinata n. sp.? #). Della stessa loca- lità dice: essere una Caprinula il fossile che prima egli aveva determi- nato per Plagioptychus 4); il livello a Caprinide corrispondere a quello a Diceras Pironai; V età doversi riferire al Cretaceo superiore, forse alla parte più alta del Cenomaniamo °). Dei dintorni, poi, del lago di Santa Croce, afferma non esser sicura la determinazione della Caprina Aguil- Toni D’ORB., e 1’ Hippurites determinato come cormu-vaccinum BRONN essere probabilmente una specie nuova: l’età degli strati non sarebbe però in ogni modo più antica del Turoniano 5). 5.— Gli studii del Futterer. Ma al FurTERER °) si deve un veramente assai notevole contributo alla conoscenza del Cretaceo delle Alpi Venete, nel quale, per quanto le ricerche di tale autore sieno più che altro rivolte al bacino di Santa Croce, sono molte notizie sugli orizzonti riferibili a tale età nell’alti- piano del Cansiglio e nel Monte Cavallo, non che accenni ai terreni coevi del Friuli tutto. Il FuTTERER distingue la Creta inferiore, media, il calcare a Rudiste, la scaglia inferiore e superiore. Nella regione che ci interessa la Creta inferiore è rappresentata dal così detto diancone soltanto nel pendìo occidentale dell’altipiano del Can- siglio, dove infatti si incontrano dei calcari grigi selciferi, tanto meno selciferi quanto più ci si innalza nella serie, e sottoposti ad un livello di calcari bituminosi (della Creta media) o direttamente ai calcari a Ru- diste 5). L’altipiano del Cansiglio però segna il limite orientale del bian- cone; infatti nel pendìo di esso che guarda verso la pianura friulana, 1) Ivi pag. 81. 2) MARIANI E., Appunti sull’eocene ecc., 1892, pag. 6-9. 3) BorHm G., Ein Beitrag zur Kenntniss ecc , 1892, pag. 139-147, tav. VI-IX. 4) Boram G., Uber das Alter ecc., 1887, pag. 204. 5) BorHm G., Hin Beitrag zur Kenntniss ecc., 1892, pag 136-138 e 147. 6) Ivi, pag. 135 e 147. °) FurTERER C., Die oberen Kreidebildungen ece., 1892. 8) Ivi, pag. 41. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 177 direttamente sopra al Titonico si ha una faciîes di calcari coralligeni i quali, poi, col loro grande spessore, rappresentano fino i più alti livelli del Cretaceo; si ha qui dunque un limite eteropico !). La Creta media nel versante occidentale del Cansiglio sarebbe rap- presentata da dei calcari scuri, bituminosi, afossiliferi 2); ad essi potrebbe corrispondere il livello analogo citato, pel versante orientale dello stesso Cansiglio, dal TARAMELLI *), ma che il FUTTERER non ha saputo riconoscere sul posto ‘). Maggiore importanza presenta il calcare a Rudiste, il quale, se nella parte occidentale del Cansiglio è limitato in basso dal calcare bitumi- minoso (Creta media) o dal biancone (Creta inferiore) ed in alto dalla scaglia bianca (Senoniano inferiore), nella parte, invece, orientale del Can- siglio stesso rappresenta il Cretaceo sin dagli strati immediatamente so- vrapposti al Titonico, ed in alto sostituisce la scaglia bianca, e, ad oriente di Barcis e di Andreis, in parte anche la scaglia rossa (Senoniano superiore e Daniano) *). In ogni modo, nel bacino di Santa Croce lo studio dei fossili permette di riconoscere sicuramente almeno il piano Turoniano, mentre al Monte Cavallo e nelle ellissoidi cretacee friulane la presenza in specie dell’ Hippurites dilatatus fa supporre sia rappresentato anche il livello ippuritico superiore, cioè del Senoniano inferiore *). La scaglia inferiore (Senoniano inferiore), rappresentata da calcari grigi, marnosi, a lastre sottili, e selciferi, si trova solo, nella regione che ci interessa, nel pendìo occidentale del Cansiglio, mentre su questo alti- piano è sostituita da calcari marnosi a Conocrinus; anche qui però si ha un limite eteropico, giacchè più ad Oriente questo livello del Cretaceo è rappresentato ancora dal calcare a Rudiste 7). La sovrastante scaglia rossa rappresenterebbe il Senoniano superiore ed il Daniano 8). Il FurTERER dava anche una tabella °), nella quale è esposto un pa- rallelismo dei varî piani della Creta, quali si presentano nelle Prealpi Ve- nete; credo opportuno riportarla per quelle sue parti almeno, che si riferiscono alla regione qui considerata, alcune delle quali pertanto rispec- chiano solo le idee del TARAMELLI, non potendo l’ autore basarsi sopra osservazioni proprie. 4) Ivi, pag. 42. 2) Ivi, pag. 42-43. 3) TARAMELLI T., Cenni stratigrafici ecc., 1873, pag. 168. 4) FUTTERER C., Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 44. 5) Ivi, pag. 45-46. 6) Ivi, pag. 49-50, e 52. 8) Ivi, pag. 55-58. 7) Ivi, pag. 54. 9) Ivi, di fronte a pag. 58. QISIPUYT C) QISIPuUY ITTEXO) V V Hi Ss - = SOIOR » IDEH A CE SOIORA ounideg o 90ULION 8 LIBIA QISIPANY è SOIOR (ITTANVAVL) CISOUTUIMITA LIBOTEO QuIjorde 9) è TIBOTEO QISIPNY B LIBO]EO Q[Quo9roy pa QQUIION UOI TIBO]EA UNIT d SNSNAIT UO9 IOII]OO TIBITEAÀ QISIPuy è LIBO]BO QISIPNM BE SOIOR,I (ITTUNVAVL) d1S -0UIUIMIIQ TIBOO OISIPNA V TIBOTRI 9JSIPNA LIBO[EO IpiIdA 9 ISIIS TIBOTEO SNULIIOUOI ER TIBOTEO tpod -0[eJo9 è SOPRA (ouooueIg) LIOFIO]OS TIBO]RO ISOUIUIMIIQ ‘TIMOS 18 (12) (70) AISIPNY V LIBRO SNULIIOUOI V TIBOTEO VIULIQ BITOVIC QIOLIOJUI QIOLIOJUI BIPLUI EITOBIG OUgIUOIN I *BSOITSROS BESSOI CUTE VSSOI BI[SVIS Q10119dns EJIII JI ouUEruouos CIIISI po OSEIUBT-SIeT O[EJUOLIO ITMII] BUO7 178 OI[RARO 2JUON 01[SISUEO TOP Q[equoLIO 0TPuod oI[sISUEO TOP @EUOIpII9UI OTpued 01[3IsUEO TOP ougIdII[e pa O[ejuap1o90 otpuoq INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 179 Non meno importanti delle considerezioni stratigrafiche e eronolo- giche sono in questo lavoro del FuttERER le descrizioni paleontologiche; qui, tralasciando le specie provenienti soltanto dal bacino di Santa Croce, citerò quelle raccolte nella classica località del Col dei Schiosi. Esse sono: Thamnastraea sp.!), Astrocoenia Konincki Ebw. et HAIME ?), Ostrea sp. 8), Neithea Zitteli Pirona 4), Apricardia Pironai Bornm e var. gracilis e difformis Pir. °), Monopleura forojuliensis Pir. 5), M. obliqua n. sp. ?), Ortho- ptychus striatus n. sp. *), Plagioptychus Aguilloni D’ ORB. °), Radiolites Da Rio Cat., Trochus (Tectus) quadricostatus n. sp. 1°), Nerita Taramellii Prr.!!), N. (Otostoma) Ombonii n. sp.!%), Nerinea schiosensis PIR.!3), N. can- dagliensis Pir., N. forojuliensis Pir.!4), N. Jackeli n. sp., N. cfr. Marinonti Prr.!5), N. subnodulosa n. sp.!5), Cerithium cfr. carnaticum StoLIoZKA 1°). Ma di lì a poco lo stesso FurTERER sì occupava in modo speciale del Cretaceo friulano, pur limitandosi quasi a considerare la regione tra il Monte Cavallo ed il Tagliamento !8). All’intero Friuli pertanto sembrano doversi riferire le sue conclusioni, che qui succintamente riporto. La Creta dunque sarebbe rappresentata nel suo più alto livello dalla scaglia rossa; al di sotto si ha: 1.° Un orizzonte a Radioliti, caratterizzato da calcari chiari spesso compatti, localmente bianchi e teneri; le numerose Radioliti sembrano potersi riferire alla R. Da Rio CatuLLO; furono anche riconosciute: Apri- cardia Pironaiì Boram, Nerinea Jaekeli FuTTERER, Ostrea div. sp., Coralli indeterminati. Mancano le Ippuriti. Buone località di osservazione sono il passo La Croce sopra Maniago, l'uscita settentrionale della chiusa del Colvera, e i colli di Praforte presso Travesio: Inferiormente si hanno calcari grigi e bruni chiari, e poi .2.° un orizzonte ad Ippuriti, formato da calcari bianchi, dai quali provengono: Hippurites cornu-vaccinum BRONN, H. cfr. gosaviensis Douv., H. Medunae FuTTERER n. sp., Radiolites sp., Apricardia tenuistriata FuT- 1) Ivi, pag. 75. 9) Ivi. pag. 94. ?) Ivi, pag. 76, tav. III, fig. 2. 10) Ivi, pag. 106, tav. X, fig. 12-13. 3) Ivi, pag. 77. 11) Ivi, pag. 107, tav. X, fig. 7. 4) Ivi, pag. 79. 12) Ivi, pag. 108, tav. X, fig. 8-9. 5) Ivi, pag. 81, tav. IV, fig. 1-7. 13) Ivi, pag. 109, tav. XI, fig. 1-4. 6) Ivi, pag. 84, tav. IV, fig. 8-10. 14) Ivi, pag. 112, tav. XI, fig. 5-9. ?) Ivi, pag. 85, tav. IV, fig. 11. 15) Ivi, pag. 114, tav. X, fig. 1-5. 8) Ivi, pag. 91, tav. VII. fig. 1-2. 16) Ivi, pag. 115, tav. X, fig. 6. 17) Ivi, pag. 116, tav. X, fig. 14. 18) FuTTERER C., Die Gliederung ece., 1893; tradotto liberamente in: MARI- NELLI O., La serie cretacea ecc., 1895. 180 G. DAINELLI TERER n. sp. Le migliori località fossillifere sono presso lo sbocco della valle Pentina, nella valle Colvera e presso il Ponte di Racli. 3.° Un orizzonte a Caprinidi (Caprina, Cornucaprina, Schiosia, ecc.), contenente altri fossili (Zroceramus, Ostrea, Coralli, ecc). Località fossi- lifere sono i colli a sud-est di Barcis, la valle di Monte Croce, Casa Fassor presso il Monte Ciaurlecc, Regione Tuniet e monte Spelat. Questi tre orizzonti rappresentano nell’ insieme la Creta superiore, mentre alla Creta media sarebbero da riferirsi forse dei calcari scistosi, scuri, bituminosi, che localmente si trovano al di sotto di tale serie 1). I calcari fossiliferi di Vernasso, ad Inoceramus, Pholadomya, ecc., rappre- senterebbero soltanto una sub-facies locale nello sviluppo della Creta superiore ?). Il FuTTERER ebbe di poi occasione di riassumere brevemente le co- noscenze sulla Creta friulana in un suo studio di carattere più che altro tectonico e morfologico 3); in esso ammetteva, ma non in forma decisa, come spettanti al Cretaceo inferiore soltanto i calcari grigi, contenenti rare Caprotine, della base del Monte Cavallo, e forse anche i calcari scuri, bituminosi della valle dell’ Arzino, dal TELLINI*) ritenuti triassici. Il rima- nente del complesso spetterebbe alla Creta media e superiore, sino alla parte più alta del Senoniano rappresentato dalla scaglia rossa. Ma nuovi contributi lo stesso autore doveva ancora portare alla co- noscenza di questi terreni, descrivendo, cioè, nuovi fossili da quattro loca- lità del Friuli occidentale ?). Sulla destra del Cellina presso Barcis egli raccolse Hippurites crassicostatus n. sp. %), che per i suoi caratteri do- vrebbe rappresentare l’ Angumiano (Turoniano superiore); presso il Ponte Racli, 1° Hippurites Medunae n. sp. "), l H. gosaviensis Duv. e var. sulcata *), l’ H. inferus Douv. °), e 1’ Apricardia tenuistriata n. sp. !°), che rappresen- terebbero pure il Turoniano superiore; alla Casera Fassor sul monte Ciaurlecc, la Caprina schiosensis BorHm !!), una Caprinula sp.12), ela Pinna 1) FUTTERER C., Die Gliederung ecc , 1893, pag. 25-27. 2) Ivi, pag. 81. 3) FuTTERER C., Durchbruchsthéler ecc., 1895, pag. 14-15. 4) TELLINI À., Descrizione geologica ecc., 1892. 5) FUTTERER C., Ueber einige Versteinerungen ecc., 1896. 6) Ivi, pag. 6, tav. I, fig. 1-2, tav. II, fig. 1-2. 7) Ivi, pag. 10, tav. III, fig. 1, tav. IV. fig. 1-3. 8) Ivi, pag. 13, tav. VI, fig. 3. 9) Ivi, pag. 16, tav. VI, fig. 4. 10) Ivi, pag. 17, tav. V, fig. 1-4. 14) Ivi, pag. 19, tav. VII, fig. 1. 12) Ivi, pag. 21, tav. VII, fig. 2. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 181 ostreaeformis n. sp. '), che farebbero pensare al Cenomaniano superiore od al Turoniano inferiore; finalmente nei prèssi di Maniago, la Neriînea Jackeli FurT. e 1’ Apricardia Pironaè BoeBm con la varietà gracilis PIRONA e difformis Fur, *), della Creta Superiore. 6. — Le ricerche del Boehm e del Marinelli e gli ultimi studî sul Cretaceo friulano. Meno importanti certamente di quelle riportate nel paragrafo prece- dente sono le notizie date sulla Creta friulana da due altri autori: il DouviLLé 3), dopo aver descritto e figurato la Pironaea polystylus PIRONA, afferma essere quasi certo che essa rappresenti la parte superiore del Campaniano, ossia il Dordoniano; il BAssAnI 4), determinati per appar- tenenti con probabilità al Dercetis elongatus AGassiz alcuni resti di pesci raccolti dal Tommasi a Vernasso, li riporta al Cretaceo superiore, e più particolarmente al livello della Creta bianca d’ Inghilterra. Ma un notevole contributo portò invece nuovamente il BorHM con uno studio °), nel quale la fauna del Col del Schiosi è esaurientemente descritta; le sue conclusioni principali sono queste °), che nella Creta friulana si ha un orizzonte ad Ippuriti, corrispondente al livello di Gosau, ed un secondo, del Cenomaniano superiore, nel quale si identificano i due orizzonti, a Radioliti ed a Caprinidi, distinti dal FUTTERER. Le specie, poi, da lui riconosciute al Colle dei Schiosi, ed apparte- nenti a questo secondo suo unico livello, sono le seguenti: Orditolina n. sp., _Ostrea aff. Munsoni Hiuu., O. schiosensis n. sp., Terquemia forojuliensis n. sp., Lima aff. consobrina D’ORB., L. (Ctenoides) sp., Neithea Zitteli PiR., Lithodomus avellana v’ ORB., Diceras Pironai Born, Monopleura foroju- liensis Pir., Caprina 2 sp., Sphaerucaprina striata FuTT., S. forojuliensis BoeHw, S. sp., Schiosia schiosensis BoEHM, S. forojuliensis n. sp., Caprotina hirudo Pir., Radiolites macrodon Pir., Volvulina schiosensis n. sp., Conus schiosensis n. sp., Nerinea schiosensis Prr., N. candagliensis Pir., N. foroju- - liensis Pir., N. Juekeli Furr., Tylostoma Pironai n. sp., T. forojuliensis n. sp., 7. schiosensis n. sp., Nerita Taramellii Pir., Lytoceras sp. ”). 1) Ivi, pag. 21, tav. VI, fig. 1-2. 2) Ivi, pag. 23-24. 3) DOUVILLE, Htude sur les Rudistes. Révision des principales ecc., 1894, pag. 105-108, tav. XVII, fig. 1-9. 4) BASSANI F., Appunti di ittiologia ece., 1895, pag. 13. 5) BorHM G., Beitrige zur Kenntniss ecce.Die Schiosi - und Calloneghe - Fauna, 1895. 6) Ivi, pag. 88-39 e 95. ?) Ivi, pag. 96-137, tav. VIII-XIII. 182 G. DAINELLI Trascurabili sono le notizie sul Cretaceo del Monte Cavallo, date dal TARAMELLI in un suo studio*nel quale pertanto si accenna all’età cenoma- niana di un livello di calcari bituminosi a filliti ); mentre un più impor- tante contributo portò contemporaneamente O. MarInELLI, pubblicando sotto forma di nota preliminare i principali resultati delle sue personali ricerche nel Friuli orientale ?). Questo autore considera insieme i terreni giuresi e quelli cretacei, e nel loro complesso crede di dovere distinguere due tipi fondamentalmente diversi: un primo (facies a Cefalopodi), svilup- pato a nord di una linea che decorre da Artegna per Montenars, Lusevera e Montaperta, ed un secondo (facies a Camacee), a sud della stessa linea. Nel primo tipo una potente zona di calcari selciferi rappresenterebbe non solo il Giura, ma forse anche il Cretaceo inferiore, mentre il Cre- taceo superiore è rappresentato dalla scaglia rossa. Nel secondo, sopra a calcari giuresi fossiliferi (Titonico), se ne hanno altri con fossili indeter- minati e quindi di età incerta; segue una zona poco potente di calcari e scisti calcarei bituminosi, della Creta media (Cenomaniano); poi un calcare con piccoli Diceratidi, — uno, con Apricardia, Neithea Zitteli PIR., Caprine, Radioliti, Coralli, ece., — uno privo di fossili, e infine uno con Radioliti abbondanti e un’Hippurites: complesso che il MARINELLI, non accettando la triplice distinzione degli orizzonti del FuTTERER, assegna nell'insieme al Turoniano. In Val Montana affiora invece un calcare bianco, talora suboolitico con Serpula, Cidaris, Lima ecc., probabilmente del Senoniano. Il TELLINI 5), di poi, si limitò a citare l’età dei fossili cretacei dello Istituto Tecnico di Udine, e cioè del Senoniano di Vernasso, e del Tu- roniano di Medea, Col dei Schiosi, Medun, Barcis e della così detta breccia pseudo-cretacea; e, altrove 5), a pochi cenni sui calcari cretacei della zona del Matajur. Il Bornm ?°) quindi, contro le conclusioni del FuTTERER, affermò po- tersi distinguere un orizzonte ad Ippuriti, e, inferiormente, uno a Capri- nide del Cenomaniano, forse da suddividersi in due diversi livelli; dopo osservazioni di alcune serie locali, descrisse quindi alcune forme, e cioè:” Hippurites cfr. giganteus ° HomBRES FIRMAS, dall’orizzonte ippuritico della 1) TARAMELLI T., Alcune osservazioni stratigrafiche“ecc., 1896, pag. 299. 2) MARINELLI O., Risultati sommarî ecc., 1896, pag. 60. 3) TELLINI A., Il Gabinetto ece., 1897, pag. 38. 4) TELLINI A., Intorno alle tracce ecc., 1898, pag. 14. 5) BorHeM G. Beitrag zur Gliederung ecc., 1897, pag. 161-172, e 180-181. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 183 bocca di Crosis; Pleurosmilia schiosensis n. sp., Ostrea aff. Munsoni HILL, Pecten sp., Lima Marinelli n. sp., L. (Ctenoides) carnica n. sp., Caprinula di Stefanoi n. sp., Lucina sp., Nerinea cfr. Airoldina Gemm., N. foroju- Imiesis Pir., dall’ orizzonte a Capriniai della stessa località; Joufia reticu- lata n. sp. dal torrente Colvera presso Maniago !). Cenni sulla Pironaea polystylus PiR. si possono trovare in lavori di HiLBER ?) e poi di DAINELLI 8), e sulle condizioni stratigrafiche del Cre- taceo presso Crosis in due studî dell’OppenHEIM ‘). Su questo ultimo argomento s’intrattenne poi a lungo di nuovo il MARINELLI, non solo ripétendo quanto aveva affermato in una sua nota precedente °) col ripor- tare le sue osservazioni personali, ma riassumendo anche le altrui opi- nioni e tracciando una serie della Creta del monte Rernadia %). In con- clusione egli distingue dall’alto al basso: 1.° orizzonte di Val Montana (Senoniano); 2.° orizzonte ad Hippurites cfr. giganteus ; 3.° orizzonte prin- cipale a Caprinidi; 4.° orizzonte a piccoli Diceratidi (Turoniano); 5.° oriz- zonte di scisti bituminosi (Creta media); 6.° orizzonte inferiore a Capri- nidi (Creta inferiore). Richiamata quindi la sua distinzione sul Cretaceo friulano in due facies diverse, ne stabilisce la seguente relazione, para- ganandola ai terreni del bacino di S. Croce 7): Bacino di S. Croce Facies a Cefalopodi Facies a Camacee Scaglia superiore Scaglia Calcari con faune speciali Scaglia inferiore » 5 Scaglia (Vernasso, Val Montana) Calcari a Camacee Calcari superiori a Camacee Zona bituminosa e RE SE ARI Zona bituminosa Biancone gi 0%, Galcari selciferi Calcari inferiori Calcari selciferi giuresi 2 Camaese 1) Ivi, pag. 172-180, tav IV-VI. ?) HiLBER V. Pironaea ecc., 1901. 3) DAINELLI G. Appunti geologici ecc., 1901; Vaccinites ecc., 1905. i) OPPENHEIM P. Uber Kreide und Boccin ecc., 1899, pag. 47-48; Zur vene- tianischen Kreide, 1902. 5) MARINELLI 0. La serie cretacea nei dintorni ecc., 1897. 5) MARINELLI 0. Descrizione geologica ecc., 1902, pag. 20-30. 7) Ivi, pag. 49. 184 G. DAINELLI Le specie da lui descritte sono: da Val Montana, Cidaris sp., Ser- pula div. sp., Ostrea sp., Lima Vallismontanac n. sp., Pecten? sp., Neri- nea forojuliensis Pir.; da Bocca di Crosis, Ostrea aff. Munsoni Hit, Lima Marinelliù BorHm, L. (Ctenoides) carnica Bornm, Pecten sp., Neithea Zitteli Pir., Monopleura cfr. forojuliensis Prr., Caprinula Di Stefanoì BorHm, Hippurites cfr. giganteus D’ HomBRr.-FIRMAS, Fadiolites cfr. ma- crodon Pir., Lucina sp., Nerinea cfr. airoldina Gemm., N. forojuliensis Pir., Fusus? sp. 1). Il MARINELLI, che in questo suo notevole studio geologico si può dire segni il punto al quale sono le conoscenze attuali anche sui ter- reni cretacei del Friuli, accennò poi altrove alla Creta del Monte Ca- vallo 2), e del Matajur 3), pur dimostrando una qualche incertezza nel porre il limite superiore della Creta stessa verso 1° Eocene 4). In questi ultimi anni infine si sono avuti assai meno importanti contributi alla conoscenza del Cretaceo friulano: BorHm °) ha sostenuto la interpetrazione sua e di MarINELLI della serie presso Crosis; DIe- NER °) ha riassunto brevemente i resultati degli studî altrui; TARA- MELLI °) accennato alla successione dei varî livelli nel Monte Cavallo. Toucas *) cita da Medea: Praeradiolites excavatus D’ORB., P. ponsi D'ARcH., Radiolites Sauvagesi D’ HomBr.-Firmas, F. squamosus D’ORB., R. angeioides Lam., Biradiolites cfr. Sharpei BAYLE, B. lombricalis D’ORB., B. cfr. angulosus D'’ORB., B. cfr. canaliculatus v’ ORB.; e ne deduce un’età, ancora incerta, ma più antica del Maestrichtiano e del Campa- niano. Età, che lo stesso autore sembra riportare al Conaciano *), men- tre descrive e in parte figura, di quella nota località fossilifera, Agria fascicularis Pir.!°), A. excavata D’ORB.!!), Radiolites Sauvagesi D' HomBRES- Firmas 13), R. squamosus D'ORB. 15), e R. Guiscardi Prr. 14); descrive e 1) Ivi, pag. 170-175, tav. III, fig. 4-5. 2) MARINELLI 0. Salita al M. Cavallo, 1902, pag. 67; Parole al 21.° Con- vegno ecc., 1902, pag. 7-9 dell’estr. 3) MARINELLI O. Osservazioni varie ecc., 1905, pag. 5-6. 4) Ivi, pag. 6. 5) BorAM G. Zur venetianischen Kreide, 1902. 6) DieNnER O. Bau und Bild ece., 1903, pag. 510. 7) TARAMELLI T. Sulle condizioni geologiche ecc., 1904, pag. 29-33. 8) Toucas A. Sur l’age ecc., 1905, pag. 525-526. 9) Toucas A. Etudes ecc. des Radiolitidés, 1907, pag. 22. 10) Ivi, 1907, pag. 22, tav.I, fig. 13.14. 11) Ivi, 1907, pag. 27. 12) Ivi, 1908, pag. 66. 13) Ivi, 1908, pag. 72, tav. XIII, fig. 12. 11) Ivi, 1908, pag. 76, tav. XV, fig. 6-8. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 185 figura anche la Pironaea (Vaccinites) polystylus PIR. *), che rappresenta, secondo lui, il Maestrichtiano. . Del primo di questi lavori del Toucas rese conto il GoRTANI ?) ac- cettandone le ‘idee. Ancora più recenti sono ‘gli studî paleontologici del PARONA; in un primo 8) sono descritti fossili del Cansiglio, cioè. Hippu- rites Requieni MATE., H. praecorbaricus Touc., H. praepetrocoriensis Touc., H. giganteus D’ HomBR.-Frrit., H. Chaperì Douv., H. Zurcheri Douv., H. Gaudryi Mun.-CHALM., H. sp., Agria Boehmi n. sp., Radiolites radiosus D’ORB., AR. turricula Cat., R. contortus Cat., R. Catulloi n. sp., Bira- diolites cornu-pastoris Desm., B. Futtererì n. sp., B. fissicostatus D’ORB., Orthoptychus striatus Furr. Questi fossili, raccolti dal CatuLLO, dei quali cioè è sconosciuta la esatta giacitura, indicano in ogni modo che nel Cansiglio è rappresentato il Turoniano superiore ed il Senoniano, questo forse con varî suoi livelli 4). Ciò confermerebbe quanto il DouvILLE 5) aveva già pensato, vale a dire “ che esisterebbe al di sopra degli strati a Caprine cenomaniani un primo livello turoniano a Ippuriti, e più in alto ancora un livello campaniano, e che forse si potrà ancora distin- guere un gran numero di livelli , . In un secondo suo studio °) il PARONA descrive e figura accuratamente alcune forme del livello del Col dei Schiosi, ma di località sconosciuta: Caprina schiosensis BoraM, C. carinata BorAw, Mitrocaprina plavensis n. sp., Schiosia schiosensis BorHM, S. forojuliensis BorHM, e Sphaeruca- prina forojuliensis BorHM. Per considerazioni paleontologiche il PARONA ritiene che il livello del Col dei Schiosi rappresenti il Turoniano inferiore ”). I più recenti studî sono del Kossmar e riguardano, per la regione che ci interessa, la media valle dell’Isonzo8) ; qui tale autore porrebbe nella Creta inferiore il così detto “ Woltschacher Kalk ,; al di sopra seguono delle alternanze di calcari brecciati a Caprinidi e poi ad Ip- puriti e Radioliti con scisti marnosi grigi o rossastri (localmente con 4) Ivi, 1903, pag. 14; 1904, pag. 112, fig. 175. 2) GortAnI M. Alcuni recenti studi ecc., 1906, pag. 3-4. dell’estr. 3) PARONA C. F. Sopra alcune rudiste ecc., 1907, pag. 143-156, tav. 4) Ivi, pag. 141-142. 5) DouviLLÉ H. Les faunes à Rudistes ecc., 1897, pag. 159. 6) PARONA ©. F. Saggio per uno studio ecc., 1908, pag. 9-30. 7) Ivi, pag. 7. P 8) Rossmat F. Geologie des Wocheinertunnels ece., 1907, pag. 57-60; Beobach- tungen iber den Gebirgsbau ece., 1908, passim; Der kistenlindische Hochkarst ecc., 1909, pag. 93-102, 186 G. DAINELLI Inocerami); dopo una zona di scaglia si ripetono gli stessi scisti mar- nosi con conglomerati di calcari ippuritici e localmente orbitoidi, e in- fine si passa a terreni sicuramente eocenici. Il Kossmat però si mostra indeciso dove porre il limite superiore del Cretaceo, e afferma che tale questione rimane ancora insoluta. Ultimamente il De GASPERI !) accettò queste idee dello studioso tede- sco, secondo le quali, in ultima analisi, parte almeno dei così detti con- glomerati pseudo-cretacei sarebbero inclusi addiritura nella Creta. 7.— Esame e critica degli elementi stratigrafici e paleontologici sul Cretaceo friulano. Siamo andati riassumendo, nei paragrafi precedenti lo svolgersi degli studî e delle indagini sul Cretaceo friulano, dai cenni incerti dei primi autori fino alle ricerche degli studiosi più recenti. In questo riassunto si è talvolta sconfinato da quelli che sono ve- ramente i limiti della provincia friulana, specialmente verso occidente, cioè insino al bacino del lago di Santa Croce, per la evidente connes- sione geologica che il versante occidentale dell’altipiano del Cansiglio deve presentare con quello orientale. Poi perchè la incisione di Santa Croce appariva un netto limite geografico, cui fa riscontro, dalla parte opposta della nostra regione, la valle dell’ Isonzo. Ciò non di meno è bene avvertire, che per questa estrema parte occidentale, la quale ap- .punto escirebbe dagli stretti confini della provincia friulana, si potranno riscontrare da altri molte, forse troppe, mancanze o dimenticanze nelle citazioni, che a bella posta ho cercato di limitare a quelle di lavori speciali a quella ristretta zona, evitando i molti i quali si riferiscono alla regione più vasta, in cui la zona stessa si può fare rientrare. Per il vero Friuli invece ho cercato, per quanto mi è stato possibile, di essere completo. Però non mi nascondo la difficoltà, che viene dalla lettura di un lungo riassunto bibliografico, di formarsi una idea un po’ esatta almeno delle principali distinzioni di livelli che si possono riconoscere nella Creta friulana, e del loro riferimento cronologico. Tanto più che, anche limitando la nostra attenzione a quegli autori i quali cercarono di fis- sare e di determinare questi livelli, saremo costretti per lo più a rico- i) De Gasperi G. B. Nelle Prealpi del Torre, pag. 12-13 dell’estr. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 187 noscere o che sono distinzioni di carattere troppo generico, o che sono addirittura infondate. Questo, ben inteso quando si astragga da qualche eccezione, ma, specialmente, in casi di serie locali, e non estese a tutta quanta la regione friulana. — Vedansi, per esempio, le più importanti serie stratigrafiche indicate dagli autori, sempre dal basso all’alto : Lo StuR, nel 1858, dava per la valle dell’ Isonzo !): 1. Calcari selciferi di Volzano . . . -— Neocomiano inferiore. 2. Calcari compatti e brecciati . . . — Urgoniano. 3. Marne rosse e calcari brecciati . . — Senoniano. 4. Marne ed arenarie con calcari brecciati — ? PriRroNA ?), nel 1861 per l’intero Friuli, ma senza attribuzioni crono- logiche, distingueva: 1. Calcari con Pecten e Cydaris. 2. Calcari a Rudiste. 3. Scaglia rossa. TARAMELLI *) nel 1874, specialmente per il Friuli orientale, ma esem- plificando anche da quello occidentale, poneva: 1. Calcari compatti ed ooliti — Creta inferiore. Creta media. 2. Calcari a Caprine Turoniano. 3. Calcari a Radioliti Senoniano. Lo stesso TARAMELLI *) nell’anno seguente, abbandonando i riferi- menti cronologici, indicava: 1. Calcari compatti ed oolitici a Caprinellidi.—Filliti di Polcenigo. 2. Calcari a Radiolites e poi ad Hippurites. 3. Calcari brecciati e marne scagliose dell’Isonzo. 1) Stur D. Das Isonzo-Thal ecc., 1858, pag. 346-350. ?) Pirona G. A. Cenni geognostici ece., 1861, pag. 281-284. 3) TARAMELLI T. Appunti sulla storia ecc., 1874, quadro a pag. 21. 4) TARAMELLI T. Di alcune condizioni ecc., 1875, pag. 6. 188 G. PAINELLI Poco di poi, nel 1877, esemplificava più questa sua serie !): 1. Calcari compatti ed oolitici a Caprinellidi — Filliti e cal- cari bituminosi . . . . . — “ Comenschichten ,. 2. Calcari e Nerinee e Rudiste — Cenomaniano e Turoniano. 3. Calcari brecciati e marne sca- gliose..\v. >. 0. +. = (Calcarò dò VolzanoiduStugi Ancora successivamente, nel 1882 ?): . Calcari cloritici, e “ calcari di Volzano , — Urgoniano. . Livello a. Fellità. . 0. © + = Aplanos . Calcare a Rudiste . ... ... .— Turoniano. . Scaglia rossa . . . . .. . . .—Senoniano ed Eocene. HB 00 ND H Il BorHm 3) nel 1885 indicava: 1. Calcare a Caprotine. en Radioliti e Sferuliti i ite Ippuriti. 3. Scaglia rossa. Lo STACcHE 4), specialmente per la zona orientale: 1. Calcari brecciati a Caprotine — Cenomaniano. 2. Calcare a Rudiste . . . .— Turoniano. 3. Calcari superiori (se presenti) — Piani più recenti del Turoniano. Il MARIANI 5), ancora per la zona orientale, indicava: 1. Calcari cloritici . . . . .-— Neocomiano. 2. Calcari a Ippuriti | 3. Calcari a Erogyra 4. Calcari fossiliferi di Vernasso — Senoniano. Turoniano. 1) TARAMELLI T. Catalogo ragionato ecc., 1871. ?) TARAMELLI T. Geologia delle provincie ece., 1882, pag. 433-436. 3) BorHM G. Ueber sudalpine ecc., 1885, pag. 549. 4) StacHe G. Die Liburnische Stufe ecc., 1889, pag. 37. 9) MARIANI E. ZEocene e Creta ecc., 1892, pag. 8-9, INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 189 Si è già visto come ‘il FurTERER !) tentasse, nel 1892, di omologare varie serie del cretaceo friulano; successivamente ?), cercava di stabilire nei calcari a Rudiste tre livelli: 1. Calcari a Caprine. 2. Calcari a Ippuriti. 3. Calcari a Radioliti, i quali, come calcari a Rudiste, trovano complessivamente posto in una serie indicata, ancor dopo, dallo stesso autore 5): 1. Calcari cloritici. Calcari a Caprotine. è Creta inferiore. Calcari bituminosi. 2. Calcari a Rudiste. — Creta media. Turoniano. Senoniano inferiore. 3. Scaglia rossa . . — Senoniano superiore e Daniano. Ti MARINELLI 4) per la zona orientale, nel 1902, distingueva: Calcare a Cuprinidi . . — Creta inferiore. . Scisti bituminosi . + — Creta media. . Calcari a Diceratidi. (SONS ni Calcari a Caprinidi. . . Turoniano. Calcari a Ippuriti. 4. Calcari con faune speciali — Senoniano. Non ho volutamente qui riportato serie di carattere troppo locale, facendo solo eccezione per quella dello Sur, la quale pertanto importava non solo perchè è cronologicamente la prima di tutte, ma perchè fissa la posizione di alcuni calcari speciali (“ di Volzano ,), i quali poi ri- corrono in altre delle serie successive. i 1) ForTtERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892. Vedi questo scritto a pag. 178. 2) FurTERER K. Die Gliederung ecc., 1893, pag. 25-27. 3) FutTERER K. Durchbruchsthiiler ecc., 1895, pag. 14-23. 4) MARINELLI 0. Descrizione geologica ecc., 1902, pag. 20-30, 190 G. DAINELLI Comunque, anche accettando gli elementi ed i riferimenti che sono comuni a tutte od alle più di queste serie, non pare possibile poterne trarre qualcosa di conclusivo. Unico mezzo è quindi quello di prendere, nella ricca letteratura geologica innanzi esposta, quegli studî e quei contributi, sia di carattere stratigrafico, sia di carattere paleontologico, che non sieno ripetizione di idee già note, ed in base alle serie ed ai fossili che paiono più sicuri ricostruire i caratteri e la successione dei terreni cretacei. È quanto faremo nei successivi paragrafi. 8.— Il Cretaceo dei dintorni di Santa Croce e del versante occidentale del Cansiglio. Il versante occidentale dell’ altipiano del Cansiglio, che guarda alla depressione del bacino di Santa Croce, offre una sezione naturale attra- verso la intera serie cretacea, giacchè il Titonico, sul quale essa poggia, affiora subito ad occidente nelle vicinanze del Col Vicentin. La serie stessa, quale la si può rilevare salendo da Fadalto al M. Prese (o Pinè) è la seguente dal basso all’ alto 1): a) Calcari bianchi con filaretti selciosi 6) calcari chiari, selciferi, in banchi sottili c) calcari scuri, bituminosi d) calcari a Rudiste, localmente oolitici e) calcari verdastri f) calcari a Rudiste g) calcari bianchi e grigiastri marnosi sottilmente stratificati (scaglia bianca). Sull’altipiano del Cansiglio questi calcari del livello 9g) contengono localmente dei blocchi e frammenti di calcari a Rudiste 2), ed in parte appaiono sostituiti da 9°) marna scagliosa alternante con calcari a Conocrinus ?); ultimo termine della serie cretacea è la h) marna rossa scagliosa. Biancone 1) FurterER K. Die oberen Kreidebildungen ece., 1892, pag. 32. 2) Ivi, pag. 34,54. E 3) TARAMELLI T. Note illustrative alla carta ecc., 1883, pag. 121-122; RossI A. Note illustrative ecc., 1884, pag. 139; FurTtERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 54-55. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 191 Ai livelli d) ed f) appartengono i numerosi fossili, specialmente Ru- diste, ben noti come provenienti dai dintorni di Santa Croce. Non con- viene, onde conoscere l’ età degli strati che li contengono, esaminare le vecchie determinazioni, per lo più mal fide, degli autori i quali per i primi ne presero argomento di loro studî, come, specialmente, il Ca- TtULLO !) e De Ziano ?); esse del resto sono state citate, con più o meno grande completezza, nella parte di questo lavoro nella quale si è rias- sunta la letteratura geologica sul Cretaceo friulano. Però, anche tra gli studî più recenti, uno soltanto riguarda una fauna fossile raccolta dallo stesso autore, e della quale è quindi nota la provenienza precisa. Questa fauna non spetta rigorosamente alla regione che adesso ci interessa, ma in ogni modo ad una località, quella di Calloneghe, che è assai vicina, anzi immediatamente sottoposta al pendìo occiden- tale del Cansiglio, ed i cui strati hanno sicuramente la loro corrispon- denza nella serie sopra indicata. Il BorHM dunque, che la raccolse in posto e la pubblicò 8), vi riconobbe le seguenti specie: Arca sp., Plagioptychus Arnaudì Douv., Hippurites Oppeli Douv., Radiolites sp., Actaconella Santae-Crucis Furt., Volvulina laevis Sow., Cerithium aff., alpaghense Furt., C. cfr. Haidingeri Zxx., Pseudomelania (Oonia) Paosì n. sp., Natica fadaltensis n. sp., Nerita (Otostoma) Ombonii Futt., N. (0.) depressa FutT. Se si escludono le 6 specie proprie di questa località (le due de- scritte dal BorHM stesso, e quelle del FurTERER) e se si escludono anche le 2 forme non determinate specificamente, delle quali la adiolites sp. è di incerta provenienza 4), e l’altra per la quale è stato solo istituito un confronto, rimangono, di un qualche valore cronologico: 1.° Plagioptychus Arnaudì Douv., del Provenziano inferiore di Chà- teauneuf °), equivalente all’Angumiano superiore ‘). 2.° Hippurites Oppeliì Douv., Questa specie è caratteristica ?) del livello superiore a Ippuriti di Gosau, che GrossouvrE *) considera alla som- 1) CATULLO T. A. Saggio di Zoologia ece., 1827, pag. 171-173 e 239; Memoria geognostica-zoologica sopra alcune conchiglie ecc., 1838. 2) DE Zieno A. Nouvelles observations ecc., 1849, pag. 27. 3) BorHm G. Bettrige zur Kenntniss ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 90- 95, 137-147. 4) Ivi, pag.91, nota 3, e pag.142. 5) DouviLLè H. Etudes sur les Caprines, 1888, pag. 720-722. 6) Toucas A. Etudes sur la classification ecc. des Hippurites, 1904, pag. 118. ?) DouviLLÈ H. Etudes ecc., Distribution régionale ecc., 1897, pag. 204. 8) GrossouvVRE (DE) A. Sur l’dge ecc., 1894, pag. XXI. 1992 G. DAINELLI mità del Santoniano inferiore, e Toucas !) invece ascrive al Campaniano inferiore. ZirreL ?) lo cita da strati del Campaniano inferiore dei dintorni di Wiener-Neustadt. Si osservi però che, quanto agli esemplari di Cal- loneghe, DouviLLé *) li ritiene per lo meno tanto vicini all’ H. giganteus D’HomBres-FIrm., da far credere che appartengano allo stesso livello di di questo, cioè al Coniaciano 4); e Toucas 5) dubita addirittura che pos- sano non appartenere all’ H. Oppeli e li dice molto vicini all’ H. gigan- teus var. major, del Santoniano inferiore °). 3.0 Volvulina laevis Sow., probabilmente del Turoniano superiore nella serie di Gosau ?), è stata citata dal Senoniano inferiore dei din- torni di Aachen 8). Allo stato attuale delle nostre conoscenze, si può dunque supporre che il livello, al quale spetta la fauna raccolta dal Bornm, rappresenti il Senoniano inferiore. Ma oltre a questa, altre due sono state recentemente illustrate, pro- venienti dallo stesso bacino di Santa Croce, ma non raccolte dagli autori che le hanno studiate, bensì per lo più appartenenti a vecchie collezioni di musei, @ quindi sicuramente spettanti a più livelli di questa serie di calcari a Rudiste. La prima e di assai più abbondante è quella pubblicata dal Fut- TERER °), il quale dà come provenienza dei suoi fossili la stessa località di Calloneghe illustrata poi, come si è visto, dal BorHM, mentre sicu- ramente gran parte dei suoi fossili provengono da punti non identifi- cati del pendìo del Monte Pinè. Questa fauna comprende: forme deter- minate solo genericamente (Cyclolites sp., Astrocoenia sp., Rhynconella sp., Ostrea sp., Ichthyosarcolithes sp., Terebra sp.), forme nuove o non note da altre località (Calamophyllia annulata n. sp., Lima subelypei- formis n. sp., Neithea acuticostata n. sp., Orthoptychus striatus n. sp., Hippurites subinferus n. sp., H. brevis n. sp., Radiolites Da Rio Car., 1) Toucas A. Etudes sur la classification ecc. des Hippurites, 1904, tav. in faccia a pag. 120. 2) ZirtEL E. Die Bivalven ecc., 1866, pag. 142. 3) Bornm G. Beitrige zur Kenntniss ece., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 92. 4) Toucas A. Etudes ecc. des Hippurites, 1904, pag. 94. 5) Ivi, pag. 110. 6) Ivi, pag. 96. ?) ZeKELI F. Die Gasteropoden ece., 1852, pag. 11, 44; LAPPARENT (DD) A. Traité ecc., 1900, pag. 1359. 8) HorzapreL E. Die Mollusken ecc., 1887, pag. 36, 83. °) FurTRRER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETAEOC FRIULANO 193 R.contorta CAT., Lucina alpaghina Car., Nerita depressa n. sp., Cerithium alpaghense n. sp., Cylindrites Damesì n. sp., Actaconella Sanctae-Crucis n. sp.), forme nuove ma proventienti anche dal Col dei Schiosi (ZrocQus quadricostatus n. sp., Nerita Ombonii n. sp., !), ed infine forme già note da altre località (Cyclolites elliptica Lam., Lima semisulcata Nitss., Neithea quadricostata Sow., N. Zitteli Pir., Inoceramus Cripsiù MANT., Cornuca- prina carinata Bornm, Plagioptychus Aguilloni D° ORB., Hippurites gosa- viensis Douv., H. cfr. petrocoriensis Douv., H. bioculatus Lam., H. gigan- teus D’ HomBr.-Frrm., H. cfr. dilatatus DerR., Radiolites angeioides PicoT, R.? Ponsiana D'ArcH., Biradiolites cornupastoris Desm., Actaconella co- nica MUNSTER, A. lacvis Sow). Evidentemente soltanto queste ultime possono essere prese in con- siderazione, se si vuole acquistare una idea intorno all’età degli strati che le contengono: 1.° Cyclolites elliptica Law., citata tanto dal Turoniano superiore ?), quanto dal Senoniano *). 2.° Lima semisulcata Nirss., del Senoniano secondo il FUTTERER 4), del Daniano secondo l’ HoLzAPFEL ?). 3.° Neithea quadricostata Sow., del Senoniano inferiore e supe- riore ‘). 4.° Neithea Zitteli Prr., del Col dei Schiosi, cioè, come vedremo, del Turoniano inferiore. 5.° Inoceramus Cripsiù MANT., del Senoniano di moltissime loca- calità del Veneto ?). 6.° Cornucaprina carinata BorAM; è invece 8) la Caprina schiosensis Bornm del Col dei Schiosi, di un livello che, come vedremo, si può ritenere del Turoniamo inferiore. 7.° Plagioptychus Aguilloni D’ORB.; è invece °) il P. Arnaudì Douv., che, come abbiamo visto, spetta all’Angumiano superiore; specie citata dal BoEHm. 1) Bornm G. Beitrige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 93: non sembra sicura «la provenienza di questa specie dal Col dei Schiosi. ?) H&BERT. Reésumé de la Session, 1882, pag. 649. 3) Toucas A. Synchronisme des étages ecc., 1882, pag. 181. 4) FurTtERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 79. 5) HorzapreL E. Die Mollusken ecc., 1888, pag. 242. 6) Ivi, pag. 237-238. 7?) AtragHnI C. Inocerami del Veneto, 1904, pag. 198. 3) Bornm G. Beitriige ecc., Die Schiosì ecc., 1894-95, pag. 115-125. 9) Ivi, pag.91 e 138. Sc. Nat, Vol. XXVI 14 194 G. DAINELLI 8.° Hippurites gosaviensis Douv., esclusivo dell’Angumiano 1), giac- chè pare dubbia la sua provenienza dal Santoniano della Catalogna ?). SEO Hippurites cfr. petrocoriensis Douv., probabilmente esclusivo dell’Angumiano superiore *). 10.° Hippurites aff. bioculatus Lam., del Campaniano inferiore 4). 11° Hippurites cfr. giganteus D° HomBr.-FIRmM., caratteristico del Coniaciano °). 12.° Hippurites atî. dilatatus Derr. in ZirteL 5): è VH. Oppeli Douv. citato anche dal BoEHMm, e del quale si è detto innanzi. 13.° Radiolites angeioides Picor, del Campaniano e forse della parte più alta del Santoniano °). 14.° Radiolites? Ponsiana D’ARCcH.: corrisponde invece ad una specie nuova, la £. Catulloi, descritta dal PARONA 8). 15.° Biradiolites cornu-pastoris DESw., caratteristico del Turoniano superiore °). 16.° Actaeonella conica MuNstER, del Turoniano superiore della serie di Gosau 1°). 17.° Actaeonella laevis Sow., del Turoniano superiore e del Seno- niano inferiore, per quanto abbiamo innanzi detto; specie citata anche dal BoEHM. Il FurtERER !) poi aggiunse anche un Bikippurites plicatus n. sp., e l’ Hippurites canaliculatus RoLL., che è proprio del Santoniano !?). Ma dopo il FuTTERER, il PARONA !) descriveva altri fossili provenienti, senza indicazione esatta di livello, dal pendìo del Monte Pinè ed in !) DouvirLé H. Etudes ecc., Distribution ecc., 1890, pag. 27, 1897, pag. 195; Toucas A. Etudes ecc. des Lr ites, 1904, pag. 93. 2) DouvILLÉ H. Htudes ecc., Les Hippurites ecc., 1895, pag. 153. 3) DouvILLÈ H. Etudes ece., Distribution ec °c., 1890, pag.16; Toucas A. Htudes ecc. des Hippurites, 1904, pag. 73. 4) Toucas A. Btudes ecc. des Hippurites, 1903, pag. 40. 5) Ivi, 1904, pag. 94. 6) ZimmpL E. Die Bivalven ecc. 1866, pag. 142. 7) Toucas A. Etudes esc. des Radiolitidés, 1908, pag. 77. 8) PARONA C. F. Sopra alcune Rudiste 200, 1908, pag. 153. 9) Crorrat P. Recueil ecc., Espèces ece., 1901-02, pag. 138. 10) ZeKBLI F. Die Gasteropoden ecc., 1852, pag. 40; LAPPARENT (DE) A. Traité ecc., 1900, pag. 1359. 1!) FuTTERER K. Ueber einige Versteinerungen ecc., 1896, pag. 26-28. 12) Toucas A. Etudes ecc. des Hippurites 1893, pag.26. In quanto alla spe- cie nuova del FuTTERER vedasi: Bornm G., Ueder Bihippurites, 1896. 13) PARONA C. F. Sopra alcune Rudiste ecc., 1908, pag. 141. INI'RODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRELVACEO FRIULANO 195 parte già esaminati dal quel primo studioso. Indipendentemente da una forma per la determinazione della quale non si è potuto procedere ol- tre il genere (Hippurites sp.) e di alcune nuove o non note da altre località (Agria Boehmi n. sp., Radiolites turricula CaT., E. contortus CAT., R. Catullo n. sp., Biradiolites Futtererì n. sp., ed Orthoptychus striatus Furt.), si hanno descritte anche forme già note da altre località: (Hip- purites Requieni Mata., H. praecorbaricus Touc., H. praepetrocoriensis Touc., H. giganteus D’ Homres-Firm., H. Chaperi Douv., H. Zurcheri Douv., H. Gaudryi Mux.-CHam., Radiolites radiosus D’ORB., Biradiolites cornupastoris Desm., b. fissicostatus D'ORB.) le quali possono evidente- mente avere un qualche significato cronologico: 1.° Hippurites Requieni Matx., caratteristico del Turoniano '). 2.° Hippurites praecorbaricus Touc., proprio dell’Angumiano supe- riore ?). 3.° Hippurites praepetrocoriensis Touc., proprio dell’Angumiano in- feriore *). 4.° Hippurîtes giganteus D’ HomBr.-FiRM., caratteristico, come ab- biamo visto, del Coniaciano; specie citata anche dal FuTTERER. 5.° Hippurites Chaperi Douv., verosimilmente, fin adesso, proprio del Santoniano *). 6.° Hippurites Zurcheri Douv., proprio del Coniaciano *). 7.° Hippurites Gaudryi Mun.-CHALM., probabilmente del Santo- niano È). 8.° Radiolites radiosus D’ORB., diffuso nell’Angumiano superiore, ma pare presente anche nel Coniaciano 7). 9.° Biradiolites cornu-pastoris Desm., come si è visto, proprio del Turoniano superiore; specie citata anche dal FuTTERER. 10.° Biradiolites fissicostatus D’ORB., proprio del Senoniano supe- riore $). 1) DouvILLÈ H. Etudes ecc.; Distribution ecc., 1893, pag. 60; Toucas A. Htu- des ecc. des Hippurites, 1903, pag. 20. 2) Toucas A. Etudes ecc. des Hippurites, 1904, pag. 85. 3) Ivi, 1904, pag. 71-72. 4) DouviLLé H. Etudes ece., Distribution ecc., 1897, pag. 215; Toucas A. Htu- des ecc. des Hippurites, 1904, pag. 108. 5) Toucas A. Etudes ecc. des Hippurites, 1904, pag. 106. 6) Ivi, 1904, pag. 100. 7) Toucas A. Etudes ecr. des Radiolitides, 1908, pag. 71. 8) DouviLLÉ H. Classification des Radiolites, 1902, pag.4T4-4T7, 196 G. DAINELLI Sono dunque nel complesso 25 le specie citate dai dintorni di Santa Croce, cioè o raccolte nella località di Calloneghe, o provenienti, senza indicazione precisa della località, dal pendìo occidentale del Cansiglio, le quali provengono anche da altre regioni fossilifere. Ad esse si può aggiungere la specie nuova 7rochus quadricostatus, che il FuTTERER !) descrisse tanto dai dintorni di Santa Croce quanto dal Col dei Schiosi; mentre è opportuno non aggiuagere la Nerita Om- bini Furt., che si trova sicuramente a Calloneghe, ma forse non al Col dei Schiosi 2), di dove invece la citò il FUTTERER 8), e neppure la Radio- lites Da Rio Pir. che questo autore 4) dice provenire dalle due località mentre gli esemplari di Schiosi sarebbero da riferirsi piuttosto alla £. macrodon Pir. °). Per maggior chiarezza riuniremo in una tabella queste 26 specie, indicando per ciascheduna la diffusione verticale. 1) FurTtERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 106. ?) Bornm G. Beitrige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 94. 3) FortERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 108. 4) Ivi, pag.101-103. 5) Bornm G. Beitrége ece., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 131, 143. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 197 Turoniano |Emscheriano| Aturiano Daniano . Cyclolites elliptica Lam. . | Angumiano . Lima semisulcata Niuss. Neithea quadricostata Sow. N. Zitteli PIR. . . . . | Ligeriano . Inoceramus Cripsiîù MANT. . 6. Caprina schiosensis BOEHM. | Ligeriano i i “: T. Plagioptychus Arnaudi Douv. . . . . . + |Angumiano = 3 Uni 8. Hippuritesgosaviensis DOUV. | Angumiano _ a Te 9. H. efr. petrocoriensis DOUV. | Angumiano = = sa 10. H. aff. bioculatus Lam. ; — = Campaniano - 11. H.giganteusD’HomBr.-FIRM. — Coniaciano = = 12. H. Oppeli Douv. Pie ae (re — ? Campaniano == 13. H. canaliculatus RouL. . = Santoniano = = 14. H. Requienì MATH. . . . SF - —_ = 15. H. praecorbaricus Touc. . |Angumiano =; car “i 16. H. praepetrocoriensis TOUC. | Angumiano wi cai = MARTA Choper DOVE —_ Santoniano = = 18. H. Zurcherîì Dov. . . . — Coniaciano - —- 19. H. Gaudryi Mun.-CHALM. . - Santoniano? = — 20. Radiolites angeioides PicoT = Santoniano?| Campaniano — 21. È. radiosus D’ ORB. . + | Angumiano | Coniaciano = = 22. Biradiolites cornu-pastoris DFS I PAmngumiano = — _ 23. B. fissicostatus D’ORB. . —_ = + pe 24. Trochus quadricostatus FuTT. . « . . . = Ligeriano —_ — ESS 25. Actaeonella conica MUNSTER | Angumiano sa = dEi 26. A. laevis Sow. o o O 0 Angumiano + = = 198 G. DAINELLI Di queste 26 specie 3 appartengono alla fauna del Col dei Schiosi, e probabilmente a quel suo livello più basso che io attribuisco, come 7e- dremo tra breve, al Turoniano inferiore. Ben 7 sono proprie dell’ Angu- miano; 3 passano dall’ Angumiano al Senoniano inferiore; 5 sono state finora riscontrate soltanto in giacimenti di quest’ultima età; 5 passano dal Senoniano inferiore al superiore, e 3 infine sono fin adesso proprie di quest’ ultimo. Constatato ciò, pur ammettendo che ciascuna di tali specie possa avere una diffusione verticale più estesa di quella fin ora riconosciuta, e che con ciò venga a diminuire il suo valore cronologico, bisogna però dedurre che lungo il versante occidentale dell’ altipiano del Cansiglio la così detta Creta a Rudiste sia nettamente rappresentata dal Turoniano inferiore al Senoniano superiore. 9.-Il Cretaceo del Monte Cavallo e del versante orientale del Cansiglio. Anche il versante orientale dell’altipiano del Cansiglio, che guarda la pianura friulana, ed il vicino Monte Cavallo offrono una serie dei ter- reni cretacei che si può supporre completa giacchè poggia su strati fossi liferi del Giura. Però, per quanto si abbiano, a proposito di questa re- gione, numerosi studî paleontologici, in gran parte recenti, bisogna risalire alle prime osservazioni del TARAMELLI 1) e del PironA ?), se si vuol avere una idea della successione stratigrafica dei varî livelli appartententi al Cretaceo. Secondo tali autori si avrebbe dal basso all’alto la seguente serie: a) calcare grigio subcloritico senza fossili. b) calcare brecciato, grigio o giallognolo, compatto, con fossili indetermi- nati (Diceratidi è Nerince °). c) calcare meno compatto, talora farinoso con fossili indeterminati (Dice- ratidi e Nerinee 4). d) calcare marnoso, bituminoso, ceruleo-nerastro, con resti di Feleè e Mo- nocotiledoni. 1) TARAMELLI T. Escursioni geologiche fatte nell’anno 1872, 1873, pag. 8-10. 2) Pirona G. A. La Provincia di Udine ecc., 1877, pag. 43. 3) MARINELLI O. Descrizione geologica ecc., 1902, pag. 35. 4) Ivi, 1902, pag. 35. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 199 e) calcare cloritico e calcare bianco fossiliferi (orizzonte del Col dei Schiosi ). f) calcare oolitico, calcare madreporico e calcare brecciato a Coralli, Fusus e Pecten. Nella raccolta di numerosi fossili provenienti dall’ orizzonte e), e spe- cialmente noti dal Col dei Schiosi che ad essi deve il nome, non si è potuto distinguere livelli diversi, per quanto le località fossilifere finora visitate sieno parecchie; anzi il Bornm !) ha cercato di dimostrare che la comunanza delle stesse forme in tutte queste diverse località, e la loro apparente successione che da una località all’ altra si mostra talora anche inversa, debbono provare che si ha qui nell'insieme un complesso di strati e di fossili unico, e quindi non distinguibile in livelli di diversa età. Nè, allo stato attuale delle conoscenze della regione, si hanno dati positivi per combattere questa opinione del Borew, se non fosse la no- tizia già riferita dal Prrona ?), il quale, descrivendo le sue Hippurites hirudo sp. n. e Sphaerulites sp. n., disse di averle raccolte “ negli strati calcarei che ricoprono immediatamente gli strati fossiliferi di Schiosi ,. Esamineremo quindi la fauna di questa classica località, non tenendo però conto di alcune vecchie citazioni di specie, fatte dal TARAMELLI *) e dal Prrona 5) Le determinazioni degli abbondanti fossili del Col dei Schiosi si deb- bono al Prirona ?) stesso, poi al BorHm É) ed al FuTTERER °), ed infine al PARONA È). Le specie descritte da questi autori riunisco in una tabella, nella quale resultano le sinonimie ed i cambiamenti delle determinazioni ge- neriche. Non vi sono comprese due forme citate dal FuTTERER, e cioè il Plagioptychus Aguilloni D’ORB.®) indicato per svista dal Col dei Schiosi 1°), 1) BorHm G. Beitrége ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 85-90. 2) Pirona G. A. Nuova contribuzione ece., 1887. 3) TARAMELLI T. Catalogo ragionato ecc., 1877, pag. 39. 4) Pirona G. A. La Provincia di Udine ecc., 18707, pag. 42. 5) Pirona G. À. Nuovi fossili del terreno ecc., 1884; Due Chamacee nuove ecc., 1886; Nuova contribuzione ecc., 1887. 6) BorHm G. Uber sidalpine Kreide-Ablagerungen, 1885; Das Alter ecc., 1887; Beitrag zur Kenntniss ecc., 1892; Beitréige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-05; Beitrag zur Gliederung ecc., 1897. 7) FurTtERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892. 8) Parona C. F. Saggio per uno studio ecc., 1908. °) FurTERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 94. 10) BorHm G. Beztrege ecc. Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 139. 200 G. DAINELLI e la Nerita Omboni Furt. !), la cui provenienza da tale località appare assai dubbia ?). Non vi figura nemmeno la Caprotina sp. citata dal BoEHM 3), ma la cui presenza questo stesso autore negò in seguito 4), per quanto poi ne riconoscesse una specie 5) nella Hippurites hirudo del Prrona %); nè infine la Sphaerulites erratica Piotr. e Camp. citata dal Prrona ) su determinazione dello ZirTtEL, ma che è specie troppo mal conosciuta ed incerta per poter dare un certo fondamento 8). Dirò in seguito di una specie che invece si trova aggiunta a quelle citate dagli autori indicati. 1) FutTERER K. Die oberen Kreidebildungen ecc., 1892, pag. 108. 2) BorHm G. Beitrige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 94. 3) Boenm G. Ueber sildalpine Kreideablagerungen, 1885, pag. 546. 4) BorBm G. Beitrag zur Kenntniss ecc., 1892, pag. 135. 5) BorHm G. Beitrige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 129. 6) Pirona G. A. Nuova contribuzione ecc., 1887. i 7) Prrona G. A. Nuovi fossili del terreno ecc., 1884, pag. 160. 8) Bornm G. Ueber siidalpine Kreide-Ablagerungen, 1885, pag. 546. Fauna del Col dei Sehiosi G. DAINELLI PIRONA 1884 BoraM Prrona 1885 1886 22. 23. . Orbitolina Boehmi PREVER (n. sp.) » Paronai PREVER (n. sp.) . » bulgarica DESH. » anomala PREVER (n. sp.) » polymorpha PREVER (n. sp.) » ovulum PREVER (n. sp.) . Thamnastraea sp. . Astrocoenia Konincki Epw. e HAIME . Pleurosmilia schiosensis BorHM (n. sp.) . Chondrodonta Joannae CHOFF. . Ostrea schiosensis BorHM (n. sp.) . Terquemia forojuliensis BorHM (n. sp.) . Lima Marinellii Bornm (n. sp.) . Lima (Ctenoides) carnica Bornm (n. sp.) . . Neithea Zitteli Pir. (n. sp.) . Pecten sp. . Lithodomus avellana D’ ORB. . Diceras (Apricardia) Pironai BogHM (n. sp.) . Monopleura forojuliensis PiR. (n. sp.) . M. obliqua FuTT. (n. sp.) . Mitrocaprina? plavensis PAR. (n. sp.) Caprina schiosensis BorHM (n. sp.) C. carinata BorHM (n. sp.) Requienia Lonsdalei D’'ORB. INTRODUZIUNE ALLO STUDJO DEL CRETACEO FRIULANO ————_e____————rt[(](]X%]Xq@]@(«('o'o'”]'&(&(a(((|( 203 | BoEAM PIRONA BorHM FUTTERER BoEHM BorHM PARONA | 1887 1887 1892 1892 1894-95 1897 1908 È — po ur si ru = 3 E = > ni — = - + - - - - — - + — - - — = = + - - - - - - + - - - — - + pie = = + Li == 5 DE - — + = — — E == — a = + = iu = "= O. sp. (2) o, Qi ae Menna + HILL. 2 = —_ a + == Re et — Di — a + dea ea Lima i n A Di A i a Tr na "I: “i ga? DEI Lima sp. + i - - - + + - + = - - - - - -- E. a -— == + = 2 + - - + > - - DES e = + PE St SS _ - - - - + = - + - -- -- + Schiosa =“ == carinata n. sp.} = — — + 202 SAINEZTI SE ) INIRODUZIONE ALLO SIUDIO DEL CRELACEO FRIULANO 203 ===> rn Bornw Piroxy Boxnx PIRONA BorHM FurTERER Bornm BorHm Parona 1395 1885 11886 1887 1887 1892 1892 1894-95 1897 1908 1. Orbitolina Bochmi PREVER (n. Sp.) + . 2 — È a E La SI n si ns DI » Paronai PREVER (n. Sp.) . a = = E | IS si pae i: ERI 1% dE 3. » bulgarica DESsH. o o 5 = = Sì È 53 ne ai dA ns + LI » anomala PREVER (n. Sp.) 5 _ 2 @ È s9 Fas Pas DE de: “UM 5. » polymorpha PREVER (n. Sp.) . = = = E » DE 25 e, te: aL 6. » ovulum PREVER (n. Sp.) + o — PS = È TA. ED 2 pa SE l. Thamnastraca sp. . a o È È _ pas È e tea Casa sE “A di Nes 8. ianziata Koninckì Epw. e HAIMB È — 23 3 = ra =: AL o De E 9. Pleurosmilia schiosensis BorHM (n. sp.) . = = TS - pa SE 2a PIA + e 10. Chondrodonta Joannae CGorr. i ; = I DS “i = È DI dn agita Sion 0: af Munsoni Di 11. Ostrea schiosensis BopHM (n.sp.) . À — De ni: e dal — 54 al di 23 sed 18. Lima Marinelliù Bornm (n. sp.) Ò 5 = = I a a — — o) + Ias brina D'ORB, 14. Lima (Ctenoides) carnica Borum (n. sp.) . _ — pe Pa 2 = = Tima sp. + _ 15. Neithea Zitteli Pig. (n. sp.) È fi . Janira Z. + 2 > SS = + Se —_ + 16. Pecten sp. 255 ce i 2% et E = 2 — + 17. Lithodomus avellana D’ ORB. ss nas ES 95 de I = DIE — = 18. Diceras (Apricardia) Pironai BorHm (n. sp.) Lonsdale + dl dl ai + + + a = tB. 19. Monopleura forojuliensis Pir. (n. sp.) —_ = + = = 6 = + ss 2 20. M. obliqua EuTT. (n.sp.) , ? 5 e: css = 2 SS —_ + = = Ga 21. Mitrocaprina? plavensis PAR. (n. sp.) Ò = ce = = | = —_ = OSS ani ar 22. Caprina schiosensis BoRHM (n. sp.) xE Ze E e i Ae == + = sia 23. ©. carinata BorHM (n. sp.) 7 x ; tai Ke SS i da A sc È _ 3 204 G. DAINELLI . Sphaerucaprina striata FuTT. (n. sp.) . Sph. forojuliensis BognM (n. sp.) . Schiosia schiosensis BoEHM (n. sp.) . Sch. forojuliensis BorHM (n. sp.) . Caprotina hirudo Pir. (n. sp.) . . Hippurites sp. . H. gosaviensis Douv. . Radiolites macrodon Pir. (n. sp.) . Trochus quadricostatus FUTT. (n. sp.) . Actaeonella schiosensis BoEHM (n. sp.) . Conus schiosensis BoEBM (n. sp.) . Nerinea schiosensis PiR. (n. sp.) . N. candagliensis PIR. (n. sp.) . N. forojuliensis PIR. (n. sp.) . N. Marinonii Pir. (n. sp.) . N. Jaekeli FUTT. (n. sp.) . . Tylostoma Pironaiì Bornm (n. sp.) . T. forojuliensis Bopam (n. sp.) . T. schiosensis BorHM (n. sp.) . Nerita Taramellii Pir. (n. sp.) . . Cerithium cfr. carnaticum STOLICZKA d. Lytoceras sp. PIRONA 1884 BoEBM 1885 Caprina sp. PIRONA 1886 I eo ne INTRODUZIONE ALLO STUDÌO DEL CRETACEO FRIULANO 205 I e e Tee ee TTT TUTZC]Ì}\e E” BorHM PIRONA BorHM FurtERER BorHM Boram | Parona 1887 1887 1892 1892 1894-95 1897 1908 Orthoptychus a = a carmatus + rai ra | n. Sp. RDCINA x se me SS ti L — si + - + - + - — si - + = + LAI = = + = i" — +0 si - — LE e i + - - n. Sp. = - = + - + = Dea Mii pr A | IL Cad HE = 30 E + ir = + b4 Da cha LL SL deri RI hi, sa AI. str ud N. subnodulosa ur nr n. Sp n" pi te JL SH Lea | E a de Dì N Sa 22 let 223 SE Res ess | Se e e» | ner ben | ESA DIS | pe a | | | f. + È Da Ani È; e” 204 G. DAINELLI | INTRODUZIONE ALLO STUDÎO DEL CRETACEO FRIULANO 205 ‘Bopani Pirona BorHM FumERER Bornim Parona 1887 1887 1892 1892 1894-95 1897 1908 24. Sphaerucaprina striata FunT. (n. Sp.) o = La È; Te VE - | da Orario ni = da 25. Sph. forojuliensis BornM (n. sp.) + . = Caprina sp. * Plagioptyha 33 ue = + 2 db 26. Schiosia schiosensis BonAM (n. Sp.) + à — Sa = 3 DI Je dx SL ES | SI 27. Sch. forojuliensis BopHm (n. sp.) o a — a i za Pra | 2 e) aL ea a 28. Caprotina hirudo Pir. (n.sp.) . 0 c — cdi = a paia Der ta Ea tes E 29. Hippurites sp. 6 : 6 ; 5 = = 9) o + (8 2 = — = AL 30. MH. gosaviensis DOUv. : ù ò È _ = SE 23 E fai Se De = e 31. Radiolites macrodon Pir. (n.sp.) . . —_ = sn &- Storto —_ FORO + — 3 32. Trochus quadricostatus FuTT. (n.sp.) . _ = US f- = es aL = = sE 38. Actaeonella schiosensis BopHm (n. sp.) + — = = SA 35 ne = du = = 34. Conus schiosensis BoEHM (n. Sp.) + 0 —_ 2a Sa CA E = = + = = 39. Nerinea schiosensis PIR. (n. sp.) 5 ò + Jr i de == = + + _ sE 36. N. candagliensis PIR. (n.sp.) . " È SL xs no ma È = + + _ _ 37. N. forojuliensis Pir. (n.sp.) . î : A 23 SS = e) = — cm ten + _ + 38. N. Marinonii Pir. (m.sp.) °°. dr Du < È SR 2 pù | 2a Di Nb 39. N. Jaekeli FurT. (n.sp.) . 5 A È < = 1 3 ES pe SL | Sh LE san 40. Tylostoma Pironai Bornxm (n. sp.) . È es ca t;: = = _ — + = = 41. 7. forojuliensis Bopnm (n. sp.) IÉ Ve: al = = _ _ + = ca 42. 7. schiosensis BopHM (n. sp.) == A tra = = _ - + Ta 33 43. Nerita Taramellii Pir. (n.sp.). î 7 + 2 = = | rav Fa si | 5; É 44. Cerithium cfr. carnaticum STOLICZRA SS = = ca CR "x 2 | Gi 5 45. Lytoceras sp. . RALE i Rosi = | ME - CA ra 2s Si Je | E EL 206 G. DAINELLI Come resulta dalla precedente tabella, la fauna del Col dei Schiosi secondo le attuali conoscenze consta di 45 specie, delle quali soltanto 6 note da altre località, 35 nuove, e 4 riconosciute solo nel genere. In quanto alle specie già note, non trattasi nemmeno sempre di ri- ferimenti sicuri; comunque conviene adesso esaminarle più da vicino, e per ora: 1.° Astrocoenia Konincki Epw. e Harme, del Turoniano !). 2.° Chondrodonta Joannae CÒorr., alla quale è stata riunita 1’ Ostrea Munsoni HriLL. degli autori, del Turoniano medio e superiore ?). 3.° Lithodomus avellana D’ORB., del Valangiano ed Urgoniano secondo Prcret e CAmPiCHE 8); il BorHM ‘*) però non sembra dare gran valore alla propria determinazione, giacchè avverte che i Lithodomus anche di età diversa si somigliano molto. 4.° Cerithium cfr. carnaticum SToLICZKA, descritto dal gruppo di Ari- yalur nell’ India, che viene omologato al Senoniano europeo *); il FuT- TERER ‘) però trova nei suoi esemplari del Col dei Schiosi alcune differenze dalla specie indiana. Come si vede, queste 4 specie, con tutte le loro incertezze, indicano pertanto come età più probabile della fauna alla quale esse apparten- gono, il Turoniano. Ma, trattandosi di una fauna nella quale le specie note sono sì po- che in confronto al numero totale di quelle riconosciute, occorre esa- minare anche le forme nuove, onde vedere di trarre elementi cronolo- gici anche dalla presenza dei diversi generi. 1.° Orbitolina. Contrariamente a quanto si supponeva prima, che cioè questo genere non oltrepassasse, in alto, il Cenomaniano superiore ‘), PARONA 8) riconobbe già la sua persistenza nel Turoriano superiore, il- lustrando una fauna a Rudiste di Tripolitania, sicuramente riferibile a questa età. PREVER, al quale si deve lo studio delle Orbitoline di nu- merosi giacimenti fossiliferi del Cretaceo, riconobbe la Orbditolina ovulum 1) PARONA O. F. La fauna coralligena ecc., 1909, pag. 64. 2) CHoFFAT P. Recueil ece., Espèces nouvelles ecc., 1901-902, pag. 157-158. 3) PicrET et CampicHE. Description des fossiles du terrain ecc., 1864-67, pag. 520. 4) BorHm G. Bettrige ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 98. 5) KossMmaTt F. Die Beteutung der siidindischen ecc., 1894, pag. 463. 6) FutTERER K. Die oberen Kreideablagerungen ece., 1892, pag. 116. ?) DouvILL® H. Distribution des Orbitolides ece., 1902, pag. 312. 8) PARONA C. F. Fossili turoniani ecc., 1906, pag. 160-161. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 207 n. sp., come forma esclusiva della località tripolina e del Col dei Schiosi *). In generale osservò poi che, nel caso di specie provenienti da livelli ce- nomaniani (come ad es. la O. dulgarica DESE.) od anche più antichi, esse si mantengono bensì in livelli più giovani, cioè turoniani, ma acquistando forme un poco diverse e dimensioni sempre più piccole, in relazione con lo sviluppo regressivo del genere stesso dopo il Cenomaniano ?); ora, appunto, tutti i caratteri delle specie presenti al Col dei Schiosi le fanno ritenere tardi elementi evolutivi di specie cenomaniane, sì che il PREYER è indotto ad attribuirle al Turoniano *). 2.° Caprotina. Questo genere pare caratteristico del Cenomaniano superiore 4), e quindi l’accertare la sua presenza nel giacimento del Col dei Schiosi sarebbe di grande importanza per deciderne l’età. Il BorHw °) citò da prima “ una piccola specie, che verosimilmente appartiene al gen. Caprotina ,; però in seguito *) negò la giustezza di tale riferimento generico. Se non che più tardi ”) affermò che la nuova specie, descritta dal Prrona 8) come Hippurites hirudo, fosse veramente una Caprotina. Non sembra veramente pertanto che ciò sia assolutamente sicuro, giacchè il DouvILLÈ, avendo esaminato appunto degli esemplari del Col dei Schiosi, li considerò come Hippurites ?). Quindi dobbiamo concludere che la ricca fauna del Col dei Schiosi non abbia finora dato un solo in- dividuo sicuramente determinabile per Caprotina, e che manca dunque questo buon elemento per poterla attribuire al Cenomaniano. 3.° Hippurites. I più antichi rappresentanti di questo genere hanno fatto la loro comparsa nell’Angumiano inferiore 19). Già PrronA !!) ne ci- tava individui dal giacimento di Col dei Schiosi, descrivendone anzi una specie nuova, la H. hirudo; abbiamo già veduto come il BorHM ne cam- biasse la determinazione generica in quella di Caprotina, e come poi il 1) PREVER, in: PARONA C. F., La fauna coralligena ecc., 1909, pag. 54. 2) Ivi, 1909, pag. 53-54. 3) Ivi, pag. 94; PaRrONA C. F. Saggio per uno studio ecc, 1908, pag. 8. 4) DouviLLÈ H. Rudistes du Crétacé inférieur ece., 1889, pag. 646; Sur les faunes ecc., 1898, pag. 150. °) BoeHm G. Ueber siidalpine Kreide-Ablageruugen ecc., 1885, pag. 546. 6) BorHm G. Beitrag zur Kenntniss ecc., 1892, pag. 135. ?) BorHm G. Beitràge ecc., Die Schiosi ecc., 1894-95, pag. 130. 8) Pirona G. A. Nuova contribuzione ecc., 1887. °) DouviLLé H. in « Revue critique de Paléozoologie », 1898, pag. 20. '°) Toucas A. Etudes ecc. des Hippurites, 1903, pag. 5, 1904, pag. 118. 14) Prrona G. A. Nuova centribuzione ecc., 1887. 208 G. DAINELLI DouviLLé confermasse di nuovo quella data dal Prrona. Hippurites sp. cita acche il ParoNA !). Infine bisogna far notare come il DouviLLé fi- guri un esemplare di H. gosaviensis Dovv. ?) raccolto dal Prrona al Col dei Schiosi, e come tale specie sia propria dell’Angumiano superiore *). Onde si ha qui un sicuro elemento di determinazione cronologica. 4° Caprina, Sphaerucaprina, Schiosia. È stato affermato che le Ca- prinide sono proprie del Cenomaniano 4); ed anche di recente dal Pa- QUIER °) è stato detto che “il tratto caratteristico del Cenomaniano superiore è dato dallo sviluppo delle Caprinide, le quali raggiugono qui il loro massimo di frequenza e di varietà con i generi Caprina, Capri- nula, Schiosia e Sphaerucaprina ,, ed è stato aggiunto °) che esse nel Turoniano sono soltanto rappresentate dai generi Plagioptychus e Mi- trocaprina, giacchè °) non vi son conosciuti con certezza gli altri generi prima indicati. Si può invece ricordare come lo CHorraT *) citi la Chondrodonta Joannae CHoFF., specie sicuramente turoniana, dai banchi a Caprinula di molte località del Portogallo; come il PARONA °) abbia determinato una Caprinula, appartenente ad una fauna turoniana di Tripolitania; il Di STEFANO !°) d’altra parte descritto forme di Sphaerucaprina, Caprina e Schiosia nel Turoniano di Termini Imerese in Sicilia; ed infine il Pa- RONA 1!) citate Caprinulae raccolte nel Montenegro in unione di Hippu- rites. Onde a questi generi di Rudiste non si può più dare quel valore cronologico di prima, quando li si riteneva spenti col Cenomania.. . superiore. In conclusione, poche specie già note, citate dal Col dei Schiosi, farebbero pensare ad un età turoniana di questo classico giacimento, e d’altra parte dei generi, rappresentati dalle numerose specie nuove, non uno si oppone a tale riferimento, — alcuno anzi lo consiglia. Si può 4) PARONA ©. F. Saggio per uno studio ecc., 1908, pag. 4. ?) DouviLLÈ H., Etudes ecc., Distribution ecc., 1897, pag. 197. 3) Toucas A., Etudes ecc. des Hippurites, 1904, pag. 93. 4) Carez L. Position des Caprines ecc., 1894, pag. 63. 5) PaQUIER V. Les Rudistes Urgoniens, 1905, pag. 100. 6) Ivi, 1905, pag. 100. 7) Ivi, 1905, pag. 99. 8) CHoFFraT P. KRecueil ecc., Espèces ece., 1901-902, pag. 157-158. 9) ParoNA C. F. Fossili turoniani ecc., 1906. 10) Dr STEFANO G. Gli strati con Caprotine ecc., 1888; I calcari con Polyconites ecc., 1898. 14) PARONA ©. F. Saggio per uno studio ecc., 1908, pag. 322. INTRODUZIONE ALLO STUDIO DEL CRETACEO FRIULANO 209 aggiungere, come altro indizio favorevole a questo riferimento stesso, un fossile che non ha trovato posto nel quadro precedente: il BoEHm !) ebbe a citare delle Sferuliti, “ alcune delle quali sono per lo meno molto vicine alla Sphaerulites radiosus D’ORB. ,,; in seguito però scrisse ?) che esse non si prestavano ad una determinazione specifica. Ad ogni modo è bene riconoscere che quella specie è caratteristica dell’Angumiano su- periore 3). Si può anche aggiungere il dubbio esposto dal DouviLLé 4), che l’Apricardia Pironai Bornm corrisponda alla turoniana A. Archiaci. Non importi poi, per ora, fare un confronto con altre faune del Cre- taceo, nelle quali si sono in questi ultimi tempi riconosciuti rappresen- tanti di quella del Col dei Schiosi: alcune sono ceromaniane, altre tu- roniane; probabilmente già adesso si potrebbe dedurre che le analogie maggiori sono con quelle turoniane, ma ad ogni modo credo che tali faune stesse, o per commistione di fossili di livelli diversi o per altre ragioni, sieno in generale troppo imperfettamente conosciute, per sta- bilire, in seguito al loro confronto, l’età di quella friulana. Del resto, come è resultato dal rapido esame obiettivo che abbiam fatto di questa, essa ha in sè tali elementi paleontologici da poterci fare sicuri di attribuirla al Turoniano. Per i suoi caratteri faunistici stessi, però, cioè per analogie effettive con le faune cenomaniane, credo la si debba porre, per la sua massima x tte, nel Turoniano inferiore. E non ostante le affermazioni della sua Quicità, credo anche che una minore parte di essa spetti invece al Tu- roniano superiore. Quale, quanta sia questa parte non si può dire: certo vi appartengono l’ Hippurites gosaviensis Douv., ottima specie, le altre Hippurites citate dagli autori, e forse, se poi riconoscibile, lo Sphaerulites radiosus D’ORB. Sì che viene in tal modo ad essere confer- mata la osservazione del PironA *), che le “ Rudiste ,, — e con questo nome egli indicava evidentemente Hippurites e Sphaerulites, — si tro- vano “in strati immediatamente superiori agli strati fossiliferi di CS Schiosi ,. (Il seguito della memoria sarà inserito nel vol. XXVII). 1) BoraHMm G. Das Alter ecc., 1887, pag. 204. °) BorHm G. Beitrag zur Kenntniss ecc., 1892, pag. 138. 3) Toucas A. Etudes ecc. des Radiolitidés, 1908, pag. 71. 1) DouviLLèé H. Annuaire géologique universel, 1892, pag. 828. 5) Prrona G. A. Nuova contribuzione ecc., 1887. paco «MAZZE È x vo i RAMAS RESLI 1 Mt o Via ti Regi ZAR pra Gate ect SI : i ò di i GL Vibo dd eta war motori. ie) RITO, ti ” RITA i co na Vane Miti svelate, PI RISI DARA | DE a Lab ASA LENTI pe Maio fino i an ESE DIRE e D PATATE) ETA si RESO Staglia NES MEC us Ù È Bacaro v4 ERA rasa “i ESRI”) VE La ATI VARIE NRE N MATER RAR e n Pages eo ca + JE E ria Ea VISA tfr Ses “i ao ni RITr: ARE UO SRI SIN ae ME mia: atua a sg IT (6 MI i 3 Dì, 4 P È | Mure TuL ? È o DE TAR Pe dog 3: PaLane, rs b= " MR 9 ETORDACIACNE Mt. ua s E RO GAD UE RENE AR IV A » i 4 cA a stan a; 1a I) MEIER INNEDEIEGRE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Aloisi P. — Rocce granitiche negli scisti della parte orientale dell’isola d’Elba (Tav. I) Ugolini R. — I terreni di Rosignano e Castiglioncello. ( Studi e ricerche di geologia agraria). Parte II. Canestrelli G. — Denti di Ptychodus Agass. nel terziario del- VAppennino Tosco-Emiliano (Tav. II ) Manasse E. Cloritoide (Ottrelite) delle Alpi Apuane (Tav. HI) Canavari I. — £Pocce della. formazione verrucana e pseudover- rucana dei dintorni di Grosseto . De Gaetani L. — Ossa interparietali e preinterparietali Dainelli G. — Introduzione allo studio del cretaceo friulano . PON AS DERE, ddt È SENO pas n ix se° "2 A rai Ù 1 “ N00 È * Dr { ù È . AI i 1 . 6 . y n Ù } y fora tm Vie, n ar» e e Ì re ETICO LI i AT , , R 4 . . Ù » 3 è LÌ LI Mem. Soc. Tosc. Sc, Nat. Vol. XXVI Tav. |. AUCT. PHOT. P. ALOISI, Rocce granitiche ecc. [Tav. 1]. ELIUT CALZOLARI dk FERRARIO MIL ANO G. CANESTRELLI, Denti di Ptychodus, ecc. a nri\i Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXVI, Tav. Il. Mem. ISTITUTO MICROGRAFICO ITALIANO - FIRENZE Aut. fot TAGSTI : E. MANASSE, Cloritoide (ottrelite) delle Alpi Apuane [ Tav. I]. Mem, Soc, Toso. Sc. Nat. Vol. XXVI Tav. III, AUT. FOT» ELIOT. CALZOLARI & PFERRARIO-MILAN® x DI id IND Ae E DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Aloisi P. — Rocce granitiche negli scisti della parte orientale dell’isola d'Elba (Tav. DO, ae ei e RA POE Ugolini R. — I terreni di Rosignano e Castiglioncello. ( Studi e ricerche di geologia agraria). Parte I. . .. . +.» 81 Canestrelli G. — Denti di Ptychodus Acass. nel terziario del- Appennino Tosco-Emiliano (Tav. II) . MI Manasse E. — Cloritoide (Ottrelite) delle Alpi Apuane (TAav.II) >» 121 Canavari I. — Rocce della formazione verrucana e pscudover- rucana “dei. dintorniddvGnosseto . © È De Gaetani L. — Ossa interparietali e preinterparietali . .-» 151 Dainelli G. — Introduzione allo studio del cretaceo friulano. OR RNA COR ee UFFICIO DI PRESIDENZA. Presidente . . — Prof. Giovanni Arcangeli. Orto botanico, R. Università di Pisa, ‘ i a Prof. Mario Canavari. Istituto geologico, idem. VERGARA ( Prof. Guglielmo Romiti. Istituto anatomico, idem. Segretario . . — Prof. Giovanni D’Achiardi. Istituto mineralogico, idem. Vice-segretario /— Dott. Piero Aloisi. Istituto mineralogico, idem. Cassiere . . . — Prof. Eugenio Ficalbi, Istituto zoologico, idem. SEDE DELLA Società — Museo di Storia Naturale in Pisa. _——6<-——<<--;kkkkk;;kk< Gli atti della Società (memorie e processi verbali delle sedute) si pubblicano per lo meno sei volte all’anno a intervalli non maggiori di 3 mesi. ILL 3 9088 01316