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NISTRI 1906 Pn a #0 soniar irg!/, “N APR25 1907 ATTI DELLA SOCIETÀ TOSCANA DI SCIENZE NATURALI RIESI NEI, VONTI ZISZA IVIESSESFIVE ORGE Well SOXYNE PISA STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCCESSORI FF. NISTRI 1906 ANTONIO PACINOTTI —_ oro RESOCONTO DI ESPERIMENTI circa alle influenze della temperatura, delle vibrazioni, della umi- dità, dell’elettrolisi e della untuosità sulla adesione.e sull’ attrito nello sfregamento fra alcuni corpi, e sul lavoro di alcuni aratri. e, Le misure della adesione e dello attrito fra le terre e la superficie dell’aratro nelle condizioni ordinarie, ed in condizioni appositamente modificate, sono utili per riconoscere i modi di avvicinarsi a conseguire con il minimo di lavoro motore il massimo effetto utile nella lavora- zione del terreno. Sebbene non abbiano la estensione desiderabile, cerco di raccogliere e registrare alcune mie prove e misure che fanno avvertire specialmente come con l’applicazione alla superficie dell’aratro di poca untuosità, e del riscaldamento se la terra è umida, si possa influire utilmente nel lavoro del terreno; e tento con la discussione di appurare diversi altri risul- tati conseguenti dalle prove eseguite. 1. — Partendo dalla nozione volgare che un ferro da stirare scorre sulla tela umida molto più facilmente quando è ben caldo che quando è quasi freddo, nel 23 maggio 1891 scrivevo nel mio giornale di esperienze: “La aratura della terra con coltri di ferro sarebbe facilitata se si potesse con economia diminuire l'aderenza della terra un poco umida sulla superficie dell’aratro di ferro. Penso che in ciò sia possibile riescire facendo un fornello acceso nell'interno dell’aratro in modo che il ferro del ceppo e del versoio e del coltello e del vomere si presenti sempre molto caldo allo sfregamento della terra. Per lo svilupparsi di una guaina di vapor d’acqua lungo la superficie della terra umidiccia sfregata dal ferro caldo dell’aratro, si può sperare anche una diminuzione dell’attrito; e se non altro sarà diminuita la adesione della terra al ferro, divenendo pressochè secca ogni particella terrosa in contatto con il ferro rovente, 4 A. PACINOTTI “ Sistemai una lastretta d’ acciaio facendola portare da un sostegno di ferro girevole intorno ad un asse orizzontale in modo da potere in- clinare gradatamente la lastretta fino ad ottenere lo scorrimento di terra sciolta sopra essa posata; ed appoggiando una livelletta munita di eccli- metro alla lastretta condotta all'angolo di incipiente scorrimento, cercai di misurare tale angolo fra la lastretta e l'orizzonte. Ho fatto poi limare la crosta della lastretta d’acciaio, e ricollocatala nel sostegno girevole ho veduto che alla temperatura ambiente sulla superficie addirizzata e lucida dell’acciaio un poco di terra sciolta ed umidiccia presa dall’orto richiedeva per angolo limite fra la discesa e la non discesa 36 gradi. “ Invece, acceso sotto la lastretta d’ acciaio un bruciatore di Gaz del sistema Bunsen, ho visto che appoggiando con la lama di una spatola sulla lastretta d’acciaio assai calda un poco della stessa terra legger- mente umida, questa appena abbandonata in quiete scorreva discendendo con tutti gli angoli di inclinazione superiori a 26° 30°. Sicchè l'alta tem- peratura del piano inclinato diminuisce notevolmente la resistenza allo scorrimento di terra umidiccia. “Ho poi nettata bene dalla terra la lastretta la cui superficie è divenuta violetta, ed ho appoggiato ad essa un pezzetto di ferro limato ed un pezzetto di ottone un poco ossidato, cercando di conseguire e di misurare l’ angolo limite di attrito per tali metalli. Alla temperatura ambiente ho trovato: per l’ottone non lucente sull’acciaio violetto . 19° 30° e pel ferro limato sull’acciaio violetto . . . 13° 30' A caldo invece l’attrito fra i metalli diviene più grande giacchè ho ot- tenuto per l’ottone l'angolo limite 23°, e pel ferro anche qualcosellina più di 23 gradi ,. Delle lezioni che pubblicai litografate nell’ anno 1904 la XXXVIII relativa all’uso del piano inclinato per la determinazione del coefficiente d’attrito, da ultimo ricorda le prove qui sopra riferite, e termina con i resultati e le considerazioni seguenti. “ Ho ripetuto recentemente la prova con lastra di acciaio a super- fice scura ed un poco rugginosa, e con terra dell’orto un pocolino più umida, ma non appiccicante, trovando alla temperatura ambiente l’an- golo limite 41°, ed alla temperatura elevata prodotta dal becco BUNSEN l’angolo limite mi è comparso di soli 28,5 gradi. Però, dopo di aver APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 5) bene scacciata la umidità dalla terra, con l’ agitare questa del tempo sulla lastra calda, ho avuto come angolo limite della terra secca sulla lastra d’acciaio un poco ossidato gradi 31; e sulla lastra stessa alla temperatura ambiente soltanto 29 gradi. “Sembra che trattandosi dell’attrito sopra il ferro ossidabile l’ i- nalzamento di temperatura faccia crescere il coefficiente di attrito: ma con la terra umida si ottiene dalla alta temperatura della lastra dimi- nuzione della resistenza resultante dalla adesione e dallo attrito, per azione del vapor d’acqua che si sviluppa lungo la superficie sfregante. “ Giacchè, quando si lavorano i campi con i coltri o con gli aratri la terra è un poco umida, e giacchè sarebbe desiderabile il diminuire l’attrito del cuneo d’acciaio contro la terra, potrebbe pensarsi di siste- mare a tale scopo un fornello nell’interno del corpo di qualche aratro; ma non ho ancora realizzato un tale tentativo, e tuttora resto nel dubbio se tale aggiunta del foco interno agli aratri fosse per riuscire più in- comoda che vantaggiosa ,. 2.— Quest'anno ho voluto realizzare il tentativo della aggiunta di un fornello interno a qualche aratro del tutto in ferro, e cercar di ri- conoscere se per tale aggiunta si consegue sensibile diminuzione nella trazione occorrente alla produzione del solco. Un piccolo corpo d’aratro in ferro, conosciuto nei cataloghi con la denominazione © SAck, con la montatura SAck da vigne, mi si è pre- sentato suscettibile di venir facilmente provvisto di fornello con l’ado- prare per la combustione il posto fra le due guancie simmetriche che rigettano la terra dall’ uno e dall’ altro lato lasciando il solco aperto dietro di loro. Alcuni buloni a vite già esistenti servono per fissare una lamiera di ferro a tergo del corpo ©; e con tal iamiera ritagliata e pie- gata ad appoggiare presso i lembi delle guancie senza sopravanzarli ho formato la cavità del fornello; giacchè la lamiera in basso ha varie serie di fori per l’accesso dell’aria; ed in alto ha due tubi, dei quali il più corto munito di otturatore serve alla immissione dei carboni, ed il più lungo che è smontabile produce il tiraggio dei prodotti della combustione. Nell’orticello del Gabinetto di Fisica tecnologica, per ottenere da questo piccolo aratro qualche breve solcatura, mi son servito della tra- zione trasmessa dalla fune di un argano mosso da due uomini. Il solco si faceva in un viottolo; ma il terreno era stato alcuni giorni innanzi nettato dai grossi sassi vangandolo, ed era poi stato spianato e costipato 6 A. PACINOTTI uniformemente con un rullo di ghisa pesante. Fra la fune ed il gancio d’attacco che si trova davanti alla rotella con la quale il timone del- l’aratro appoggia sul solo, ho interposto un dinamometro di cui il mec- canico Pellegrini mi ha dettato le indicazioni; inoltre ho guardato il numero dei secondi trascorsi fra il principio e la fine di ciascuna delle brevi lunghezze dei solchi che abbiamo fatto e misurato nella mattinata del 18 aprile 1905. La sezione scavata nel sodo, cioè sotto la primitiva superficie del terreno, è stata in ogni caso sensibilmente la frazione 0,025 di metro quadrato. Per poter supporre ugual grado di costipamento della terra scavata con l’aratro alla temperatura ambiente, ed in quella scavata con l’aratro scaldato, ho voluto cominciare dal fare del medesimo breve solco una porzione nel primo modo ed il rimanente nel secondo modo. Con l’aratro alla temperatura ambiente abbiamo ottenuto in 32 se- condi il solco sulla lunghezza di 4 metri con le indicazioni dinamometriche A Ve) t- IS 0 100 100 100 alla media delle quali 80,4, per le prove di taratura del dinamometro corrisponde la trazione di chilogrammi 96,5; e questo numero esprime anche in chilogrammetri il lavoro richiesto dall’aratro per ciascun metro di lunghezza del solco. Posti nel fornello dell’ aratro i carboni accesi, e dopo qualche mi- nuto in modo che già si era riscaldato, abbiamo proseguito il solco sulla lunghezza di metri 4,70 in 30 secondi, ottenendo le indicazioni dinamometriche $ è Ss S 8 8 che danno per indicazione media 67,5 a cui corrisponde pel dinamometro la trazione media di 79 chilogrammi. Da ciò apparisce che atteso il riscaldamento si è conseguito ad ogni metro di lunghezza di solco il risparmio di chilogrammetri 96,5—79=17,5; e giacchè 17,5 :96,5=0,18, apparisce che il riscaldamento dell’ aratro a parità di solco fatto produceva il risparmio del 18 per cento nel la- voro occorrente. Per un dato numero L di chilogrammetri di lavoro meccanico, il nu- mero di metri di solco sarebbe nel caso dell’aratro freddo M = L:96,5, e nel caso dell’aratro caldo invece sarebbe M'=L:79; sicchè per lo stesso lavoro motore si avrebbe M':M=96,5:79 da cui M-—M:M= =17,5:79=0,22; cioè per lo stesso lavoro motore l’usare l’aratro APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 7 caldo darebbe un aumento nella produzione del solco oltrepassante il quinto della produzione ordinaria con l’aratro freddo. In quanto allo aumento che potesse sperarsi nella produzione del solco in un dato tempo pel fatto del medesimo motore animale, è facile prevedere che maggiore vantaggio è da aspettarsi dalla diminuzione di trazione determinata dalla alta temperatura dello aratro se questo chiede forti trazioni per le quali il motore animale proceda con velocità minore di quella corrispondente alla di lui massima possanza; perchè allora un aumento di velocità potrebbe essere accompagnato da aumento del lavoro meccanico prodotto dal motore nella unità di tempo: mentre nel caso contrario invece con la diminuita resistenza anche diminuirebbe la possanza svolta dal motore animale. Nel caso della prima prova rife- rita: essendosi ottenuto solco sulla lunghezza di metri 4 in 32 secondi l’aratro freddo procedeva con la velocità 0%,125 al secondo; e nella seconda prova con 4®,7 di solco in 30 secondi l’aratro caldo procedeva con la velocità di 0®, 1566; sicchè l'aumento conseguito nella lunghezza del solco 0,1566—0,125=0,0316 dividendolo per 0,125 dava 0,25 cioè un quarto della lunghezza ottenuta con l’aratro freddo; mentre a pa- rità di lavoro trasmesso allo aratro sarebbe stato soltanto 0,22. Si può quindi arguire che con la trazione dell’aratro freddo già fosse la velo- cità divenuta minore di quella corrispondente alla massima efficacia dei due uomini motori. Nella trazione dell’aratro freddo, questo percorreva al secondo 0®, 125 e subiva la trazione media 96%,5 ricevendo quindi dagli uomini con l’intermezzo dell’ argano ad ogni secondo chilogram- metri 0,125XX96,5=12,0625; e tale possanza utile (siccome 0%,0975 era il raggio del cilindro secondo il quale si avvolgeva il filetto medio della fune sull’argano, ed era 0”, 450 il raggio della circonferenza percorsa dalle impugnature) corrispondeva alla velocità delle mani degli operai 02,125XX0,450 : 0,0975=0%,577. Nella trazione dell’aratro caldo la pos- sanza trasmessa raggiunse 0%,1566)X79*—=12,3714 chilogrammetri, men- tre la velocità delle mani operatrici era 0",723. Riferisco anche le altre due prove analoghe fatte nel giorno stesso, trascrivendone gli appunti. Con la pala rigettiamo la terra nel solco, e con il rullo la schiacciamo, e si torna a fare il solco con l’aratro scal- dato. Si effettua il solco durante 50 secondi sulla lunghezza di 8 metri con la solita profondità ottenendo le indicazioni dinamometriche e82ELY888E e] Ue) Ko) el 8 A. PACINOTTI che danno la indicazione media 60,8 a cui per la taratura del dinamo- metro corrisponde la trazione media di 76 chilogrammi. Si riempie il solco e si rulla col solito rullo, e levato via il carbone dall’interno dell’aratro, questo si fa raffreddare con acqua, e si torna a tirare col solito argano mosso da Maffei e da Bartorelli, ottenendo le indicazione dinamometriche Ve) ip Na De tei Vea n. de ) na da da he 20 bo Cd CI) > cd © cd 3 I i e > 9 100 100 100 100 alla cui media 83,3 corrisponde la trazione media di chilogrammi 98, 3. Questo solco sulla lunghezza 7,8 con la solita profondità è stato ef- fettuato in 63 secondi. Non insisto circa all'aumento che potrebbe apparire nel vantaggio dell’aratro caldo rispetto al precedentemente conseguito, perchè du- bito che il rullo nel preparare il terreno per l’ultimo solco abbia fatto qualche gita di più. Nel 20 maggio ho ripetuto la prova adoperando un dinamometro registratore recentemente acquistato dal Gabinetto presso la Federa- zione dei Consorzi agrari. L’aratro è stato obbligato ad affondare un poco di più premendolo sulle stegole, in modo che tanto nel solco fatto a freddo, che nei due solchi fatti con l’aratro caldo la sezione tagliata in ogni solcatura è stata prossimamente 0403125 nel terreno rimesso al posto con la vanga, ma stato poi assodato passandovi sopra il rullo. In precedenza della solcatura fatta con l’aratro alla temperatura ambiente, il numero dei passaggi del rullo ritengo che fosse 23; e la trazione media occorsa durante il solco desunta dal diagramma trac- ciato dal dinamometrografo fu 123,2 chilogrammi. Durante il primo solco fatto con l’ aratro caldo nella terra stessa dell'orto addensata con 30 passaggi del rullo occorse la trazione media di 114,89 chilogrammi. Durante il secondo solco, mentre la terra ri- messa al posto era stata costipata da soli 16 passaggi del rullo, l’aratro caldo richiese la trazione media di soli 76,97 chilogrammi. Prendendo la media si può ritenere che con la terra addensata da 23 passaggi di rullo, la trazione medig che l’ aratro caldo avrebbe richiesto sarebbe stata 95,93 chilogrammi. A parità di solcatura il riscaldamento dell’ aratro dava luogo alla diminuzione del 22 per cento nel lavoro occorrente. APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 9 È però da ricordare, che se la terra non fosse umida il di lei at- trito sul ferro caldo sarebbe qualche poco maggiore che sul ferro a bassa temperatura; e quindi che arando terra secca non è da adoprarsi il ri- scaldamento dell’aratro con lo scopo di diminuirne la trazione. 3. — La terra dell’orto essendo assai sabbiosa e sciolta, onde poter pre- vedere se analogo vantaggio di diminuzione di trazione fosse da sperarsi dal riscaldamento dello aratro anche per terreni argillosi ed umidi, ho cercato di far qualche misura circa la adesione e l’attrito della argilla umida e della secca sopra ferro alla temperatura ambiente, o più o meno riscaldato. Ho adoprato argilla proveniente da mattoni non cotti, tritata, inu- midita, e modellata in forma di piccoli parallelepipedi rettangolari. E dagli appunti del 19 aprile 1905, desumo: Piccolo parallelepipedo di argilla poco umida pesante 0%, 008, sua faccia adoprata nello sfregamento O®, 0135 X 0%, 026 = 0,21 000351; cerco di vederne l’angolo limite sopra la lastretta di acciaio alla temperatura ambiente, senza altra pressione nemmeno transitoriamente aggiunta oltre la piccola componente del di lui peso. Onde non abbia adesione precedentemente acquistata, smosso un poco il prismetto, esso comincia a discendere quando la lastretta di acciaio fa con l’orizzonte l’angolo di 60°. Altro prismetto rettangolare pesante 0%, 026, con faccia di appoggio Om, 019 X 0%,052= 0, 000988 in argilla un pocolino più umida comincia a discendere sulla lastretta d’acciaio quando questa fa con l’ orizzonte l'angolo 71°. Dicendo 2 la minima inclinazione producente la discesa, P il peso del prismetto, ed S la superficie di appoggio che con qualche incertezza si suppose fosse la intera faccia di appoggio, dicendo f il coefficiente d’attrito, dicendo X l’adesione per unità di superficie aderente ammet- tevo fra tali quantità la relazione FIPico a SO Picena I due prismetti gli avevo fatti modellare con il medesimo impasto, nella speranza che dessero resultati comparabili; ma per la successiva evaporazione relativamente più rapida, il prismetto più piccolo è andato più presto disseccandosi. E per differenza nell’ umidità, e più ancora per ineguaglianze che è da supporre impedissero il contatto su tutta la esten- sione delle facce di appoggio, la comparabilità dei resultati delle due 10 A. PACINOTTI prove non si è verificata mediante la relazione data, la quale con essi somministrerebbe valori non accettabili per X ed f. Ma comunque, la resi- stenza complessiva allo scorrimento del prismetto sul piano inclinato è P sen a, e pel momento mi limito a confrontare tali resistenze complessive. Appena acceso il bruciatore Bunsen sotto la lastretta d’acciaio, l’an- golo per la discesa del piccolo parallelepipedo di argilla umida divenne piccolo; e raggiunta temperatura elevata fu per qualche tempo 17° 30; allora il rapporto della resistenza complessiva a caldo con quella avuta a freddo era sen 17° 30’: sen 60° = 0, 347. Ma più tardi quando era asciugata l’argilla in contatto con il ferro caldo l’angolo occorrente per la discesa risaliva a 19°, 5 e poco dopo di avere spento il becco BunsEN raggiungeva 26 gradi. Del pari l’altro parallelepipedo di argilla umida un poco più grosso, sulla lastretta di acciaio scaldata anche non molto sopra 100°, ed incli- nata all’orizzonte, scorreva discendendo anche per piccole inclinazioni; e quando il riscaldamento fu forte in modo da incominciare la brunitura dell’acciaio, il movimento di discesa del parallelepipedo fumante avvenne alla inclinazione a = 12°. La resistenza complessiva incontrata dal pri- smetto di argilla umida sul piano inclinato per l’ attrito e per l’adesione, giacchè sen 12° : sen 70° = 0, 22, pel riscaldamento si era ridotta a meno n: di 4 ò Sulla lastretta calda avendo lasciato asciugare diseretamente il paral- lelepipedo maggiore: l’angolo limite ad alta temperatura è salito a 30°, 30’; e si può considerare approssimativamente come coefficiente di attrito del- l’argilla asciutta sullo acciaio brunito ad alta temperatura tang 30° 30' = 0, 589. Dopo di aver lasciato discendere alla temperatura ambiente tanto la lastretta che i prismetti, tanto per l’uno che per l’altro di questi sul- l’acciaio brunito ho riscontrato il medesimo valore per l’angolo limite a= 21°, e quindi il coefficiente d’attrito alla temperatura di circa 18 centigradi era tang 21° = 0, 3838. Sicchè l'attrito della argilla secca sullo acciaio brunito cresce col crescere della temperatura. APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 11 Ripulita dalla brunitura la lastretta mediante carta finmamente smeri- gliata minimamente untuosa l'angolo limite d’attrito di essa per 1’ ar- gilla secca si è ridotto ad 2 = 15°, ed il coefficiente d’attrito a tane 15° —= 0,268. Ripesati i due piccoli parallelepipedi di argilla ho trovato pel minore grammi 7 e pel maggiore 23; sicchè il minore ha perduto per l’evapo- razione della acqua 3 = 0,125 del suo peso primitivo; ed il maggiore ha perduto Di = 0,115 e può ritenersi non perfettamente secco nel suo interno, il che non toglie che fosse secco alla superficie sfregante. Recentemente ho ottenuto alla temperatura ambiente 11° pel ferro sopra l’acciaio a superfici grattate con carta smerigliata a= 19° 20; ed acceso il bruciatore BunseN, finchè non è apparsa ossidazione sulla la- stretta, la discesa del pezzetto di ferro sembrava un poco facilitata; ma incominciando la ossidazione è cresciuto l’attrito, in modo che a circa 390°, essendo divenuta violetta la superficie dell’ acciaio, è occorso 6=926° 30. Dopo il ritorno alla temperatura ambiente, sebbene le su- perfici sfreganti fossero quasi violette, il pezzetto di ferro è tornato a discendere con a= 19° 15°. 4. — Per ottenere più prontamente misure fra loro comparabili della adesione e dell’ attrito, ho preso a misurare mediante un delicato dinamo- metro la trazione parallela al piano di scorrimento occorrente a vincere tali resistenze, mentre il piano di scorrimento essendo tenuto orizzontale riceveva come pressione della faccia d’appoggio il peso del prismetto, e della carica da esso portata, se pure si aggiungeva sopra di lui una carica di peso noto ed opportuno. Nel 20 aprile incominciai ad adoperare per tali misure delle trazioni in dinamometrino a molla circolare, del quale l’indice gira sopra una scala con divisioni corrispondenti ciascuna a circa 100 grammi di tra- zione, e discoste fra loro 7 o 8 millimetri; ma atteso lo spostamento iniziale dell'indice innanzi allo zero, e qualche ineguaglianza nelle divi- sioni, volli direttamente osservare i valori delle trazioni corrispondenti a ciascuna divisione, con l’attaccare al dinamometro un piattello di peso noto e caricarlo gradatamente di grammi. Nel 10 maggio ripetei con più attenzione la taratura del dinamometrino, ed ho adottato la seguente tabella di corrispondenza, 12 A. PACINOTTI Posizioni dell’ indice Trazioni oo sulla mostra in chilogrammi DErcun grado della indicazione al lembo d’ingresso 0,049 0005 allo 0 0, 099 dò al 100 0,199 ea » 200 0,319 n 0008 » 300 0,399 i Toto » 400 0, 499 0° OOO » 500 0, 599 1 uo » 600 0,709 Rsa: 00) 0, 809 ) 0, 0011 » 800 0,919 00011 » 900 1,029 DI 0007 » 1000 © 1,099 È 0, 0010 al lembo estremo 1Pal99 Trascrivo tali quali gli appunti delle osservazioni fatte il 20 aprile circa alle resistenze nello sfregamento sopra lastra di acciaio alla tem- peratura ambiente di prismetti di argilla umida presso a poco quanto nei campi occorrerebbe che fosse per lavorarla con il coltro. “ Parallelepipedo grossetto di argilla umidiccia, cinto da spago tirato orizzontalmente con il suddetto dinamometrino sopra una lastra di acciaio un poco pulita, ed orizzontale; peso del parallelepipedo 0%, 098; “ Senza altra pressione che il suo peso, si move lentamente con la indicazione 80 al dinamometrino; “ Caricato sopra il parallelepipedo 200 grammi, si move lentamente con la trazione indicata da 230; “ Sulla parte un poco più pulita della lastra di acciaio con la-stessa carica addizionale 200, la trazione occorsa orizzontalmente è stata indi- cata da 300; _ “ Ho tolto la carica 200, ma il prismetto conserva aderenza con l’acciaio, ed al distacco è occorsa la trazione indicata da 200; e poi in seguito allo smovimento la resistenza sulla parte pulita della lastra è indicata da 100; “ Caricato con 500 grammi: scorrimento lento sulla parte pulita della lastra con indicazione 650 in media, ed oscillazioni da 500 ad 800; APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 13 “ Tolta la carica: al distacco indicazione 250. Nella faccia rettan- golare che ha servito allo sfregamento si ha lunghezza 73 millimetri, e larghezza 25 millimetri. “ Parallelepipedo piccolo che fu fatto col medesimo impasto di argilla che il precedente, e pesa 0%, 0375; con la carica aggiunta di 200 grammi, trazione indicata da 150; tolta la carica addizionale, trazione 5 (50 4- 49) grammi. “Con 500 grammi di carica aggiunta il lento scorrimento sulla parte pulita della lastra si ottiene con la indicazione media 500 ed oscillazione da 400 a 650; “ Tolto la carica 500 grammi: per ottenere il distacco, indicazione di trazione 350. “ Superficie della faccia d’appoggio usata 25mm >< 29mm, Tanto nell’una, che nell’altra di queste due serie, le-osservazioni fatte con debole pressione hanno talora preceduto quelle fatte con più forti ca- riche; e ciò impedisce il separare precisamente la resistenza prodotta dallo attrito da quella prodotta dalla adesione; perchè con il crescere della pressione la faccia d’appoggio della argilla alquanto molle sarà venuta in contatto con la lastra più estesamente dando un accrescimento della adesione, che non abbiamo dati sperimentali adatti a separarlo dal vero attrito proporzionale alla pressione totale ed indipendente dalla esten- sione della superficie premente e sfregante. Tuttavia, giacchè talora anche nelle applicazioni si può presentare questo caso che lo sfrega- mento da valutare proceda con pressioni successivamente crescenti, dirò ° un coefficiente di apparente attrito, e dirò e) un coefficiente di appa- rente adesione, ed essendo P la pressione totale, S l’area della faccia d'appoggio, T la trazione occorrente ossia la resistenza complessiva spe- rimentata, porrò la relazione PIC ASTOI LIE Secondo tal relazione le successive prove fatte con il prismetto mag- giore somministrano per la determinazione-di 2 e di e) le condizioni i 0, 098 p 4- 0, 001825 è = 0, 179 DES 0,298 0 + 0, 001825 ex = 0, 343 14 A. PACINOTTI 3a 0, 298 © + 0, 001825 e) = 0, 399 4,3 0, 098 © + 0, 001825 e = 0, 319 5.3 0, 098 0 + 0, 001825 «) = 0, 199 6.3 0,598 0 + 0, 001825 e. = 0, 759 7. 0, 098 £ + 0, 001825 e) = 0, 359 all'insieme delle quali si deve cercare di sodisfare. La 1.°, la 4.8, la 5.* e la 7.2 nelle quali la pressione era il solo peso del prismetto, le sostituisco con la loro somma divisa per quattro; ed anche la 2.8, la 3.* e la 6.2 le costituisco con la loro somma divisa per tre; e così mi limito a considerare il sistema 0, 098 © + 0, 001825 «X = 0, 2617 0, 398 © + 0, 001825 ei = 0, 5003 che somministra p = 0, 7953 5 cÀ = 100, 6. Dalle prove fatte con il piccolo prismetto si ottiene: 1a 0, 2375 c1 + 0, 000725 1A = 0, 459 DIL 0, 0375 e1 + 0, 000725 A = 0, 066 ga 0, 5375 c1 + 0, 000725 a = 0, 599 4,3 0, 0375 21 + 0, 000725 17 = 0, 449 e per soddisfarle in quanto non hanno di contradittorio e nel loro in- sieme, sostituisco alia 2.* ed alla 4. la loro somma divisa per due, ed alla 1.* ed alla 3.* la loro somma divisa per due, limitandomi a consi- derare il sistema 0, 0375 01 + 0, 000725 1) = 0, 2575 0, 3875 1 4- 0, 000725 e. = 0,5290 che somministra: i gi=0, 7854; 1) = 207, 8. I due prismetti rimasero per undici giorni ad asciugare lentamente, ed al primo maggio pesava il maggiore 85, 3 grammi, ed il minore 31; 1; APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 15 sicchè il maggiore aveva perduto il 13 per cento del suo peso primi- tivo, ed il minore il 16 per cento. Le dimensioni della faccia che aveva servito allo sfregamento si ritrovarono dopo la essiccazione ridotte nel maggiore a 242m >< 6822, e nel minore a 249 XK 27mm, 5. Giacchè molto prossimamente nelle precedenti prove tanto l’ uno che l’altro prismetto conteneva del pari il 16 per cento di acqua sponta- neamente evaporabile, si sarebbe a prima giunta supposto di ottenere eguali coefficienti di resistenza allo sfregamento; ma invece, se gli attriti apparenti non differiscono che poco, la adesione apparente è riuscita un poco più che doppia pel piccolo prismetto che presentava faccia d’ ap- poggio un poco minore della metà. Se fosse ammissibile il generalizzare subito, si direbbe che l’adesione apparente riescisse proporzionale alla pressione media sulla unità di superficie della faccia d’appoggio; ma il fenomeno è così complesso che non permette supporne molto semplice l'andamento. Lo scorrimento della argilla umida non segue veramente sull’acciaio, perchè durante la prima escursione rimane aderente all’ac- ciaio un velo argilloso, e l’attrito e l’adesione si esercitano contro tale straterello argilloso che sebbene poco appariscente cresce di densità nei successivi passaggi e probabilmente anche con la pressione. Quando l’argilla è secca, la comparabilità delle osservazioni della. resistenza allo sfregamento è assai più facile, e perchè il velo argilloso non si forma aderente, e perchè la solidità del prismetto è allora suf- ficiente a conservare sotto cariche alquanto diverse la stessa estensione nelle parti sfreganti; tuttavia anche in questo caso per l’ apprezzamento completo della adesione si richiederebbe la misura delle parti della su- | perficie d’appoggio veramente sfreganti, cosa non tanto facile a conse- guire, ed in queste prime prove trascurata. Nel primo maggio osservai che sulla lastra lunga orizzontale di ac- ciaio a superficie liscia bruna, sottoposto alla carica aggiunta 500 grammi il già descritto parallelepipedo maggiore di argilla quasi secca otteneva moto lento con la trazione corrispondente alla indicazione 185 del dinamo- metrino; e con un chilogrammo di carica aggiunta con la trazione indi- cata al 400; e perciò pongo 0, 5853 74 0, 001632 e) = 0, 301 1, 08537+ 0, 001632 :X = 0, 499 Dalla seconda di tali relazioni sottraendo la prima si ha 16 A. PACINOTTI 0,5/7= 0, 198 e quindi Î= 0,396 Me = 42, 4. Qui è probabile che sia ben poco l’accrescimento portato al coefficiente d’attrito dallo accrescimento nella adesione, perchè essa è piuttosto pic- cola, e perchè il prismetto è poco deformabile dallo accrescimento della carica; per questo adopro una lettera f, e soltanto la munirei di fiocco superiore che la facesse a un poco somigliare alla 9 per indicare che un pocolino eccessivo è da credersi tal coefficiente di attrito. Il parallelepipedo piccolo sulla lastra orizzontale di acciaio portando la carica addizionale 500 grammi, scorreva per la trazione orizzontale indicata da 150; e con la carica un chilogrammo, con quella indicata da 360; per ciò pongo 0, 5315/7+ 0, 00066 e \ = 0, 259 1,0315/7+ 0, 00066 e \ = 0, 459 che son soddisfatte da 70,4 MIMO Sebbene si tratti di argilla secca la adesione apparente è cresciuta col diminuire della faccia di appoggio. 5.— Nei giorni 5, 6, 7 maggio mi sono alquanto occupato circa al modo di riconoscere approssimativamente mediante un termometro a mercurio le temperature di una lastra di ferro. Mantenevo una lamiera di ferro quasi piana ed orizzontale a temperatura molto prossima a 100°. Per ottenere ciò, al di sotto della lamiera era attaccata una larga sca- tola di ferro contenente acqua che veniva fatta bollire da un fornello a gaz; il vapore sfuggiva nell’atmosfera per un foro della lamiera mu- nito di tubulatura. Il termometro, la cui scala centigrada è segnata fino a 360°, è circondato presso il bulbo da una campanella di ottone quasi conica la cui apertura inferiore di 4 centimetri di diametro si posa sulla lastra calda orizzontale. Un tappo di sughero forato serra la canna del termometro e la tubulatura superiore della campanella, e permette di aggiustare la posizione del bulbo nell’interno della campanella in modo che giunga a circa mezzo millimetro di distanza dalla lastra calda sot- APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 17 tostante. La superficie esterna della campanella di ottone è rivestita di diversi strati di carta, e l’interna è tinta di nero. Posata la campanella, dalla quale sorge il cannello del termometro, sulla lamiera che stava a 100°; il mercurio saliva lungo la divisione sul primo prontamente ma poi sempre più lentamente, e raggiungeva in circa mezza ora gli 80 gradi, temperatura a cui in seguito restava per- manentemente. Dicendo 9 la temperatura dell’ambiente, T la temperatura della lastra sottostante, e # la temperatura del termometro si aveva prossimamente == wa, quando era T= 100 e 0 = 18. ou(t+0 2 SUL et Benchè si possa fare molto meglio per la misura della temperatura di una lastra, ho supposto che tal relazione approssimativamente se- guiti a sussistere anche per valori di T alquanto maggiori di 100°; e di essa mi son valso nel 10 maggio per farmi idea grossolana delle tempera- ture da attribuire alle varie parti di una grossa lastra, di ferro, oriz- zontale continuamente scaldata in un lembo da un bruciatore BUuNSEN ad essa sottoposto. La lastra di ferro grossa quattro millimetri, è stata discretamente ma non perfettamente pulita dalla ossidazione, mediante carta smeri- gliata, sulla faccia superiore che è rettangolare 0%, 32 X 0°, 355; e lungo uno dei lati minori ha una piegatura o nervatura di un centimetro e mezzo che si tiene volta in ‘basso. La lastra è sostenuta orizzontal- mente nelle parti centrali da una cassetta di legno alta in modo da permettere che la fiamma del bruciatore BunsEeN trattenuta dalla ner- vatura scaldi il lato della lastra nel mezzo o ai due terzi. Mentre il bruciatore sta ai due terzi ed il termometro con la sua campanella appoggia vicino al mezzo del lato scaldato, il termometro viene a #= 150; sicchè in vicinanza del lembo scaldato suppongo in media prossimamente T = 194°. Portata la fiamma al mezzo del lembo, e la campanella termome- trica portata ad appoggiare sul: centro della lastra, il termometro in venti minuti prende la temperatura #= 60°; sicchè presso il centro suppongo nella superficie della lastra T = 74°. Al lembo lontano dalla fiamma suppongo: che la temperatura per- manente della lastra sia circa 40 gradi. 18 A. PACINOTTI Un prismetto rettangolare di argilla umida pesante 0%, 030 lo ap- poggio sulla lastra di ferro con la faccia 19 XX 33 millimetri quadrati, lo carico con 500 grammi, e tirandolo orizzontalmente mediante il di- namometrino per lo spago che lo cinge, lo faccio scorrere sulla paral- lela al lembo più caldo ad '/, della lunghezza della lastra, dove sup- pongo grossolanamente la temperatura essere 130°, avvertendo la tra- zione 0%, 259. Sulla parallela a metà della lastra con la temperatura 74° ottengo la trazione 0%, 319. Sulla parallela o */4 della lunghezza con la temperatura 57° avverto l'indicazione dinamometrica corrispondente alla trazione 0%, 359. Ma il prismetto andava asciugandosi per l’evaporazione un po’ rapida specialmente sulla faccia d’appoggio, e quando questa era imbiancata per l’asciugamento non si avvertiva differenza di trazione sulle parti più o meno calde della lastra, il dinamometro sembrava in- dicare dovunque 0€, 319. Sul ferro caldo moderatamente l’argilla assai umida lascia durante lo sfregamento alcune particelle che disseccando aderiscono e formano un rivestimento argilloso secco sul quale interessa il guardare le resi- stenze di sfregamento, perchè tale rivestimento si forma sull’orecchione di un coltro riscaldato, quando invece di terra sciolta sabbiosa esso incontra terra molto argillosa ed umida. Perciò ho preparato sulle pa- rallele al lembo più caldo ad !/, ed ai 3/, della lastra due strisce verni- ciate di terra argillosa aderente larghe poco più dei prismetti che vi potranno venir trascinati sopra. Con un parallelepipedo di terra argillosa umidiccia piuttosto poco, pesante 29 grammi, e caricato da 200 grammi, ho ottenuto presso il lembo più fresco sul ferro scoperto a circa 40° la trazione 0%, 159 e sullo strato argilloso ad !, che suppongo a 130° la trazione 0%, 179. E poi, più ancora divenendo asciutta la faccia d’ appoggio, il pri- smetto è stato provvisto della carica addizionale 500 grammi ed ha ri- chiesto presso il lembo fresco a 40° la trazione 0%, 295; e sullo strato argilloso a 130° la trazione 0%, 399; e di fianco presso il lembo caldo sul ferro nudo a circa 170° la trazione 0%, 295. Per un paio di ore ho lasciato spento il bruciatore BunsEN in modo che la lastra tutta ha ripreso la temperatura dell’ambiente, cioè pros- simamente 18°. Sulle parti pulite interposte fra le verniciature di terra argilla: cioè sul ferro alla temperatura ambiente, un parallelepipedo venuto dalla stessa forma che i precedenti ma tuttora discretamente umido, soprac- APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 19 caricato con 50V grammi, ha richiesto la trazione 0%, 599; e sulle ver- niciature di terra argilla secca, soltanto 0%, 390 di trazione. Con il so- praccarico di un chilogrammo il prismetto strascicato sulle parti del ferro scoperto un poco rugginoso ha raggiunto la trazione 1%, 099; e sulla verniciatura di argilla, soltanto 0%, 919. Ripreso il prismetto che per ultimo nella mattina è stato adoprato a caldo, ed appoggiando sulla lastra la superficie adoprata e divenuta secca, e caricandolo di 500 grammi, sulle parti pulite della lastra ri- chiede la trazione 0%, 271; e sulla verniciatura di argilla, 04, 319. Ca- ricato il prismetto invece con un chilogrammo, richiede sulle parti pu- lite della lastra la trazione 0%, 499; e sulle verniciature di argilla secca, richiede 0%, 599. Per riguardare più attentamente a caldo, ho riacceso il bruciatore Bunsen sotto la lastra presso il mezzo della nervatura. Il prismetto già usato nella mattina lo torno ad adoperare appog- giato con la faccia secca, e caricato con 500 grammi, ed ottengo le trazioni dell’argilla secca: Sul ferro pulito a circa 40°, trazione . . . . 0%, 283 Suliiierro pulito a circa 70°, trazione | ‘. ... 05,259 Sultferro pulito a circa 190°, trazione .. .. .... 05,319 Sulla verniciatura d’argilla a circa 130°, trazione 0%, 335 Un nuovo parallelepipedo di argilla umida da adoperarsi pesa 05, 0292, ha sulla faccia d’appoggio le dimensioni 0", 02 X 0”, 04; esso caricato di 500 grammi, sulla parte del ferro pulita e fresca a circa 40° Webedefonde scorrere la trazione. . . +00... 505549; Sulla parte del ferro pulita e calda a circa 190°, la trazione 0%, 159; Sulla parte verniciata d’argilla a circa 130°, la trazione 0%, 271. Altro prismetto rettangolare di argilla umida delle stesse dimen- sioni del precedente, caricato di un chilogrammo, e tirato col dinamo- metrino, sulla parte del ferro pulita e tiepida a circa 40° richiede la DIZIONE RIE I IE i O, 0 08919; Sulla parte calda a 190° e pulita del ferro, soltanto . . . 0€,399; Sulla verniciatura d’argilla a circa 130°, la trazione ., . . 0%, 499. So. Nat. Vol. XXII 2 20 A. PACINOTTI Da queste prove, confrontando quelle fatte sotto la stessa pressione a temperature diverse del ferro pressochè pulito, o coperto di abbon- dante strato argilloso secco, si rileva che l’attrito e l’adesione in com- plesso crescono un poco con la temperatura del ferro se l’argilla sfre- gante è secca; ma diminuiscono invece parecchio se è umida, e che una minore sì ma pur notevole, diminuzione di resistenza si ottiene anche con moderato riscaldamento e con il ferro rivestito di strato argilloso secco. Le ultime sei determinazioni somministrano. Per l’argilla umida sfre- gante sul ferro a 40° 0, 5292 cu + 0, 0008 e) — 0, 549 Il, 0292 7 (40) + 0, 0008 e = 0, 919 e quindi (40) 0, 74 i = 196, 7 Per l’argilla umida sfregante sullo strato argilloso a 130° 0, 5292 g' + 0, 0008: = 0, 271 1, 0292 0’ 4-0, 0008 XA = 0, 499 e quindi o = 0, 456 cì = 49, 6 Per l’argilla umida sfregante sul ferro a 190° 0, 5292 199 + 0, 0008 A = 0, 159 1, 0292 €199 + 0, 0008 e = 0, 399 e quindi Faso == 0, 48 = — 118,7 ed in questo ultimo caso la adesione apparente negativa è ammissibile artificiosamente in luogo dello effetto della forza elastica del vapor di acqua che si sviluppa fra la lastra e l’argilla. 6. — Ad un aratro coltro MéLorre N.°2 ho aggiunto un fornello di lamiera di ferro sistemato in modo da scaldarne il ferro dell’orecchione ed un poco anche quello del vomere. Perciò una lamiera piana è ap- poggiata alla suola ed è fissata all’esterno dei pilastri, ed una seconda lamiera ritagliata e curvata è stretta dalle viti del disotto del vomere, APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. 21 e chiude lo spazio fra la lamiera messa a far da parete ed il tergo dell’orecchione, fin sopra al ferro di ritegno che lascia fuori ma utiliz- zandolo per venirvi fissata. Questa lamiera curva ha nella parte infe- riore parecchi fori per l’accesso dell’aria, e sostiene i carboni accesi. Un coperchio triangolare pure in lamiera, munito di tubo d’aspirazione, si fissa al disopra del fornello quando è già acceso; ed in seguito la alimentazione di pezzetti di carbone si fa cadere nel fornello pel tubo stesso del coperchio. Questa disposizione alquanto provvisoria non dà modo di scaldare il piccolo vomere stoppiatore, e neppure il coltello; perciò lo stoppia- tore è stato asportato, ed il coltello durante le prove talora è stato spostato, talora esso pure è stato soppresso. Le prove di confronto fra le trazioni richieste dal coltro mentre procedeva a fornello spento e le trazioni richieste mentre procedeva con il fornello acceso le ho eseguite facendo lavorare nel mio podere un campo, vicino alla Fornace dalla parte di Barbaricina, del quale la terra è molto argillosa e tenace. Tagliata l’erba, la superficie era ondulata per 17 porche, larghe ciascuna un metro ed un terzo, con dislivelli di 14 o 15 centimetri, dirette da NE a SO quasi parallelamente alle prode, e lunghe da 70 ad 80 metri. Il paio di bovi adoprato, pesava chilo- grammi 1638, essendo grande poteva per breve tempo sviluppare tra- zioni che in un lavoro continuato sarebbero eccessive. Le indicazioni del dinamometro mi sono state dettate dal meccanico Pellegrini che lo seguiva attentamente. Nel 7 maggio la terra era assai umida per le pioggie dei giorni precedenti; nel primo solco venne fatto il taglio con il coltello del coltro piuttosto in alto della falda di porca che scendeva verso il mezzo del campo, voltando le zolle nel basso ed un poco sul fianco che saliva nella porca del mezzo. Il solco di ritorno venne fatto nelle due falde della porca del mezzo asportandone la sommità; e dopo di aver fatto un altro solco di andata, ed un altro di ritorno, si misurò la distanza fra i cigli esterni lasciati dal coltro e si trovò in media 1”, 85. Supponendo 0", 61 come larghezza del sodo coperto dalle zolle, ritengo 1",24 per larghezza occupata dai quattro solchi ed in media ciascun solco lo considero largo 0%, 31=l. Il primo solco incominciato alle 10° 47% 255 venne compito sulla lun- ghezza 65% alle 10° 49" 355, e procedette quindi con la velocità media v= 0”, 5000 mentre si ottennero al dinamometro le indicazioni 22 A. PACINOTTI oo 1 eo nce aa aa a ana gm 0 DT DT RS _ SS _S _S _ SOI 00 © te 9 0 IVA 0 GI ia aa GI 0 d- Sid Wa iQ QAS QOIAAI CAI CI CO COC II I E He CI I I TI TI I III I TI I CI I I I II He 9 delle quali la media 362,7 per la taratura del dinamometro corrisponde alla trazione di chilogrammi T = 403%; che sono anche i chilogrammetri di lavoro al coltro per metro di solco. Presso il taglio verticale lasciato dal coltello sulla lunghezza del solco furono misurate le profondità 0”, 22; 0,22; 0,215; 0,19 delle quali la media è 0", 211; ma siccome di circa 7 centimetri scendeva la superficie della porca che è stata ro- vesciata dall’orecchione considero che l’altezza della fetta sulla punta posteriore del vomere fosse 0", 14, e ritengo come profondità media nella fetta rovesciata p= 0%, 175. Con ciò, il volume di terra lavorata per metro di lunghezza del solco di valuta pl = 0"°, 05425; ed il numero dei chilogrammetri per metro cubo Te in questo primo solco fatto con il coltro munito di coltello in posizione inclinata, e sprovvi- sto dello stoppiatore, mentre procedeva con la spontanea temperatura di circa 20°. Il lavoro somministrato dai bovi al coltro durante un secondo fu in media Tv = 403 X 0,5 = 201, 5. Il secondo solco fu fatto in ritorno dalla parte di ponente sulla lun- ghezza 60%, incominciò alle 10% 50" 05 e terminò alle 10% 52% 308, pro- cedendo con la velocità media v= 0", 4000, e somministrando le indi- cazioni dinamometriche : o dia O SS a O au CSLENYISZILIESLLESEZZNIALL GI CO I 9 AH = 590,8. Con la corrente 0, 1 diretta dalla argilla umida alla lastra d’ac- ciaio si aveva, con e = 0,8 30 A. PACINOTTI 0; 00074 005317 — 0; 099 ON000740N 610923: 10049 e quindi fi=0,1666 X= 17,5. E siccome per la presenza sulla lastra di umidità alcalina la adesione in questa prova riusciva piccola, è da supporsi assai piccola anche la inesattezza in diminuzione del coefficiente di attrito. 10.— Nell’orticello del Gabinetto di Fisica tecnologica in Pisa a dì 13 giugno 1905 abbiamo ripetutamente fatto il solco con il piccolo aratro c SAck da vigne, tirandolo il Bartorelli ed il Maffei mediante l’argano nel modo stesso che usammo nel 18 aprile e nel 20 maggio. In queste prove il dinamometro attaccato al gancio dell’aratrino e tirato dalla fune del- l’argano era il dinamometrografo adoprato nel 20 maggio. Siccome nel giorno precedente piovve, la terra dell’ orto era piuttosto umida. La prima solcatura fatta smovendo la terra che da 24 giorni era stata rimessa nel solco ma poco compressa non serviva che per smuovere la terra ed avvivare la superficie dell’aratro; le trazioni che in essa sì son conseguite non mette conto considerarle. Il taglio fatto dalla prima solcatura è stato un poco allargato ed approfondato con la vanga; poi la terra smossa è stata ricollocata nel solco, spianata ed assodata con 20 passaggi del rullo cavo di ghisa, il quale ha il diametro 0%, 47 la lunghezza 0%, 39 e pesa 104,3 chilogrammi. Nel terreno così preparato è stata fatta la seconda solcatura con l’aratrino la cui superficie si trovava nelle condizioni ordinarie, mentre le stegole erano guidate dal signor Ghezzani che un pocolino le premeva, ma assai meno di quanto fece nel 20 maggio, in modo che si è conse- guita nella sezione tagliata nel sodo la profondità media 0”,095 con la larghezza media 0”, 2133 e quindi V area s = 0"9,02026. Il solco in- cominciato alle 11° 18" 05 è terminato alle 11° 19" 05 sulla lunghezza 9%, 0, ed ha proceduto con la velocità media v = 0%, 1500. La media di 36 ordinate, lette sul diagramma dato dal dinamometrografo e fra loro equidistanti, è riuscita 6,608 millimetri; e, giacchè per i riscontri fatti dal costruttore del dinamometrografo ogni millimetro dell’ordinata è da ritenersi che corrisponda a chilogrammi 11,489 di trazione, si ebbe in questo solco ordinario la trazione media T = 75€, 9193. Al mi- nuto secondo lo spazio percorso essendo v si ebbe Tv = 11, 38 di pos- APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA TEMPERATURA, ECC. al sanza trasmessa all’ aratro. E per metro di solco i chilogrammetri essendo T, e la frazione di metro cubo del terreno lavorato essendo s, si ebbe il numero di chilogrammetri occorrenti all’aratro per lavorare un metro Bubogle:is — 37461. Dalle prove del 4 giugno già riferite ero alquanto incoraggiato a va- gheggiare l’idea di mettere l’acqua delle fosse perimetrali di un campo in comunicazione con il reoforo positivo di una corrente elettrica continua, ed insieme far comunicare con il reoforo negativo di essa l’aratro di ferro che nel campo lavorasse. Oltre alla diminuzione della adesione e dell’at- trito per fatto dell’acqua alcalina portata dalla corrente sulla superficie sfregante dell’aratro, sembra sperabile in tal disposizione anche l’accresci- mento della alcalinità del terreno nel campo, e la eliminazione della acidità con l’acqua delle fosse. Volli quindi tentare sebbene in piccole proporzioni tal prova nell’orticello del Gabinetto, dove mi riusciva di facile attuazione. Feci comunicare il filo neutro della corrente da illuminazione, attra- verso 5 lampade di incandescenza poste fra loro in derivazione, con aste di ferro situate in un fossettino acquitrinoso parallelo al solco da farsi e da esso discosto metri 3,5; mentre attraverso ad altre 5 lampade in derivazione, ed al piccolo amperometro, il filo stradale negativo comu- nicava con il cordellino metallico motore della carta del dinamometro- grafo, e quindi attraverso al gancio di attacco con l’aratrino anche du- rante il lavoro. Ma la intensità di corrente che passò riuscì di soli tre decimi di Ampère, e quindi sulla superficie sfregante la corrente si di- stribuiva con densità troppo piccola, per poterne sperare una diminu- zione di trazione molto ragguardevole. Tuttavia con tali comunicazioni venne effettuato il terzo solco nella terra al solito rimessa in posto ed assodata con 20 passaggi del rullo. Sulla lunghezza 8®, 7 il solco inco- minciò alle 11% 42% 105 e terminò alle 11% 43® 155 con la velocità media v= 0%, 1338; con la profondità 0%, 10 nel sodo, e la larghezza media nel sodo 0%, 225 ossia con la sezione s = 04, 0225; mentre il dinamo- metrografo registrava il diagramma delle trazioni. Da 34 ordinate lette sul diagramma la trazione media vien riconosciuta T = 70%, 0829 e quindi Silebbe bilia, 97370: s= 314,7. Il quarto solco è stato fatto come il terzo con il passaggio della piccola corrente 0*%,3 diretta dalla terra verso l’ aratro. Dalle misure prese durante il quarto solco si ottiene Tv= 10,25; T:s= 3313, 3. 39 A. PACINOTTI Dalle misure ottenute durante il quinto solco fatto pure con il pas- saggio della correate come il terzo ed il quarto ho ottenuto o 1 E8= 9721 9 Ho poi durante il sesto solco soppresso il passaggio della corrente, in modo che l’aratrino lavorasse nelle condizioni ordinarie come nel se- condo, ed ho ottenuto dalle misure conseguite to= 119, Gil: Nos SÉ Sicchè in media nei due solchi ordinari conseguivo T :s = 3736, 8; e nei tre solchi con il passaggio della corrente dalla terra all’ aratro T:s= 3383, 1; ed avendosi 353, 7 : 3736, 8 = 0, 0946 si conseguiva pel passaggio dalla terra all’ aratro della debole corrente 0*,3 il risparmio di quasi un decimo del lavoro. Nelle ore pomeridiane abbiam rimessa nel solco la terra e l’abbiamo assodata con 20 passaggi del rullo, facendovi poi un solco durante il quale il carbone acceso posto nel fornellino addetto all’aratro serviva a tenerlo caldo. Dalle misure prese sopra tal solco, e dal diagramma re- gistrato dal dinamometro ho ottenuto Ie= 987497, Il risparmio di lavoro pel solo ricaldamento dello aratro sarebbe quindi riuscito del 23 per cento. Con la speranza di addizionare al risparmio dovuto al riscaldamento quello che producesse il passaggio della corrente elettrica dalla terra all’aratro, ho ristabilito le comunicazioni con la corrente stradale, ed in modo da far passare un poco più di corrente, col porre il filo neutro direttamente in comunicazione con i ferri del fossetto acquitrinoso senza interposizione di lampade, ed anche col mettere 10 invece di 5 lampade in derivazione a far comunicare il filo negativo con l’Amperometro la cordicella metallica ed il piccolo aratro. Così l’Amperometro ha segnato 0%, 45, ed inoltre l’ aratro veniva scaldato dal suo fornellino; mentre . il solco si è rifatto nella solita terra rimessa al posto ed assodata con 20 passaggi del rullo. In questo caso i chilogrammetri corrispondenti alla lavorazione di un metro cubo son riusciti T : s = 3196, 4. Il risparmio di 540, 4 chilogrammetri sopra i 3736,8 che l’aratrino nelle condizioni ordinarie avrebbe richiesto, è soltanto di 0,144; e così invece di au- mento mi apparve diminuzione nel risparmio. Bisogna però avvertire APPUNTI SPERIMENTALI CIRCA ALLE INFLUENZE DELLA ''EMPERATURA, ECC. 33 che quando alla fine del solco abbiamo rovesciato l’aratrino, e fatto sor- tire il carbone dal suo interno ve ne abbiamo trovato piuttosto poco; cosicchè è probabile che l’aratrino in questo ultimo solco fosse riscal- dato meno di quanto lo era stato nel solco precedente. 11. — A dì 12 giugno 1905, cercai di guardare quale diminuzione di adesione e di attrito si consegua per la diminuzione della umidità della argilla; e se la argilla poco umida possa divenire vie più scorre- vole sulla lastra d’acciaio quando questa venga umettata con acqua, o con soluzione di potassa. Vennero formati alcuni prismetti delle solite dimensioni con ar- gilla non molto umida; dei quali ne presi ad adoprare uno che pesava 29 grammi con lo spaghetto di trazione che lo cingeva; e ritengo che contenesse il 17 per cento di acqua spontaneamente evaporabile, giacchè altro prismetto ad esso eguale rimasto per 14 giorni ad asciugare all’ aperto si ridusse a pesare 24 grammi. Sulla lastra orizzontale d’acciaio nova- mente grattata con carta finamente smerigliata e nettata con tela, il prismetto di argilla umida portante sopra la sua faccia superiore il peso addizionale 500 grammi richiese la trazione 05,569 nel primo scorri- mento; poi con 200 grammi di carica addizionale richiedeva la tra- zione 05,559; e novamente con 500 grammi di carica addizionale si moveva con la trazione 0%,709. La superficie della faccia d’ appoggio era S= 0%,037X0%,019=0%4,000703; ma la superficie veramente sfre- gante non sarà stata che una frazione s della totale superficie S della faccia. Ritengo che non si debba tener conto della debole resistenza ottenuta nella prima prova fatta con la carica 500 grammi, perchè durante essa si andava formando, ma non era già formato lo stratarello argilloso aderente sul quale poi avvennero gli sfregamenti; e tenendo conto sol- tanto delle due prove ottenute a faccia d’appoggio già compressa ed a stratarello aderente già formato, esse danno le relazioni 0,0007038 <) + 0,229 f= 0,559 0,0007083 0, 1469 0, 23 0, 0039 29, 00 0, 2412 25, 46 0, 7941 100, 00 87 Detratto 3 Cu?S.Sb?S3, i rimanenti rapporti atomici stanno in queste proporzioni l SbEREIS0 RAI 12808 onde approssimativamente: La formula corrisponde quindi a 3 Cu?S. Sb?5S3+ 1/, (6RS. Sb?S?). SPEROSERDO,tO Dall'analisi II si ha similmente: 37, 28 0, 5862 5,97 0, 1068 1,96 0, 0300 è 0, 1392 0, 14 0, 0024 29, 34 0, 2441 25,31 0, 7895 100, 00 Tolto 3 Cu?S.Sb?S* rimane: Il SPEIRIASI1015 EA 2509 onde approssimativamente: SPERE Soa }l La formula qui pure è: 3Cu?S. Sb2S® + 1/, (6RS.Sb?5?). 88 E. MANASSE E dalla III infine si deduce: Cu 9083% 0, 4770 6 Ri; o 0 0, 0013 | Re Or03 0, 1776 | 0, 2476 3,12 Zali 0160 0, 0092 | Nil 43,49 0, 0595 | SAD 0, 2423 ) AA) 010209 | ACRONRDO oo STE 0, 7714 6 + 3,70 100, 00 II Detratto ancor qui 3 Cu?S. R*S3 rimane ULI Il RERES_R0E RESO cioè approssimativamente: Ul Il RESISTE, i quali valori si discostano in questo caso dal vero rapporto 2 : 6 : 9 a causa Il di un eccesso di R. Comunque la formula che meglio di ogni altra corri- sponde alla composizione trovata è: 3Cu?S. R?S°+- 1, (6R S. R?89). Le percentuali teoriche, calcolate sulle formule adottate e più sotto trascritte, sono l’una vicinissima, l’altra assai vicina, a quelle che ho ottenuto nelle analisi. La A, che si riferisce alle analisi I e II, è calco- lata su: 3 Cu?S.Sb2S8 + 1/, [GRS.Sb?S3], in cui R rappresenta Fe e Zn nelle proporzioni dì 5: 1, non avendo considerato il nichel come presente, attesa la sua scarsità. La B, che si riferisce all’analisi III, è calcolata su 3 Cu?S. R°S*4-1/, (6 RS. R?S9), in cul R rappresenta Sb e As, avendo considerato ambedue complessivamente a Sb e R rap- presenta Fe e Ni nel rapporto di 4: 2, non avendo tenuto conto in questo caso del piombo e dello zinco, i quali in piccolissima parte possono so- stituire gli altri due elementi bivalenti. TETRAEDRITE DEL FRIGIDO E MINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO 89 A B CURSE 36095 30, 54 ROERO TT 8, 95 ZANNI DE — NI e et _ 4,70 Sb e2/0009 28, 86 Ser RAcAe DEI 26, 95 100, 00 100, 00 Concludendo dai caratteri cristallografici e chimici resta confermato quanto A. D’AcHIARDI aveva supposto per il minerale del Frigido in questione; esso quindi altro non è che panabase, di cui può conside- rarsi come varietà nichilifera, sebbene il nichelio vari molto nelle pro- porzioni da campione a campione. Nei tre casi studiati si sono avute rispettivamente le percentuali di 0, 14, 0,23, 3,49; e questa grande va- riabilità spiega anche da un lato il tenore assai elevato di 7,55/, ot- tenuto per il nichel dal FunaRO, e dall’altro la mancanza dell'elemento secondo l’analisi del BECRI. Rarissime sono le tetraedriti nichilifere, e nelle poche conosciute fino ad ora siamo ben lontani dalle quantità che talvolta presentano quelle del Frigido. Assai più comuni invece sono le varietà cobaltifere, e, per limitarmi agli esempi più noti, dirò come la tetraedrite di Schwarzwald contenga 4.21°/0 di cobalto, quella di Kaulsdorf 2, 95 °/o, quella bismu- tifera di Cremenz 1,20%. Siderose. — Parlando di questa specie non intendo fermarmi sulle grandi masse spatiche che fanno insieme al quarzo da matrice ai filoni metalliferi del Frigido, ma soltanto sopra alcuni bei cristalletti, ora di colore giallo-chiaro, ora rosso-bruno, che sovente accompagnano il pana- base e gli altri minerali metallici. Questi cristalletti, alla cui esistenza già accennò A. D’ACHIARDI nella Mineralogia della Toscana *), hanno lucentezza vitreo-madreperlacea sulle facce di sfaldatura, durezza uguale circa a 4, peso specifico di 3,52 nella varietà chiara, di 3,71 nella scura. Normalmente sono formati soltanto da {1011}, ma alcuni di essi mostrano anche la base {0001} non molto 1) Vol. I, pag. 185. 90 E. MANASSE sviluppata (fig. 2), e altri presentano associato a }1011} il prisma {1120} (fig. 3) con facce striate parellelamemente all’asse principale. Non sono scarsi poi gli individui a spigoli e facce curvate con aspetto lenticolare. Fis. 2. FIG. 3. L'analisi della varietà giallo-chiara fa ascrivere il minerale non a puro siderose, ma ad una miscela di carbonato di ferro e di magnesio nelle’ proporzioni di FeC03: MgC0? = 2:1. Le percentuali trovate sono infatti vicine a quelle teoriche di una simile miscela isomorfa: trovato calcolato He Oeeeee46830 45, 48 NEO o OSAlS TOT COS 455 41,75 100, 03 100, 00 L’analisi della varietà rosso-bruna la fa avvicinare assai più al siderose. Dai valori centesimali ottenuti per l’ossido ferroso, per la magnesia, per l’anidride carbonica, conviene ammettere che in essa i due carbonati di ferro e di magnesio sieno nel rapporto di: Fe CO?:Mg C03= 5:1. E ciò risulta dalla seguente analisi, che è messa a confronto con quella teorica, propria della miscela isomorfa 5 Fe CO3+4 MgC0?: trovato calcolato Ret0 sto A09 54, 16 Cao ennattacce = Me 00 ai 01 6, 08 CORIO 39, 76 100, 73 100, 00 TETRAEDRITE DEL FRIGIDO E MINERALI:CHE L'ACCOMPAGNANO 91 Nell’un caso e nell'altro dunque non si tratta mai di puro siderose, ma, fatto del resto comunissimo, di associazioni di carbonato di ferro e magnesio, le cui proporzioni non si mantengono costanti. Pirrotina. — Si presenta sempre compatta in masserelle lamellari e lucenti, di colore del bronzo, sensibilmente magnetiche, associate d’ ordi- nario alla calcopirite. Durezza da 4 a 5. Peso specifico 4,5. Al cannello ferruminatorio fonde in una massa grigio-nera. Col bo- race dà perla gialla a freddo e rossa a caldo. É attaccata dall’ acido cloridrico. L'analisi di questa pirrotina, fatta da A. FunaRO *), diede: SION 5,90 Cares tracce ROC EM AsoO NI e NA06 SEAT 379 100, 71 Ridotta a 100 con esclusione della silice, che è dovuta alla ganga quarzosa, e del rame, le cui tracce sono da imputarsi ad impurità di calcopirite, l’analisi si avvicina a quella teorica per la pirrotina, data dalla formula più comune Fe!!S!2, quando si tenga conto che le piccole differenze tra i valori trovati e calcolati sono dovute in principal modo alla presenza del nichel nel minerale. Infatti : ridotta a 100 calcolata RA re TE 61,51 Nitto ae SASA —_ Si 905 38, 49 100, 00 100, 00 Quarzo. — Oltre il quarzo grasso compatto della matrice, non man- cano nel filone del Frigido alcuni cristalli ben definiti, nei quali però 1) Mem. cit. Sc. Nat. Vol. XXII (cr) 99 ‘ E. MANASSE non potei osservare che le comunissime forme {1010}, {1011} e {0111}. Notevole in alcuni esemplari è la grande distorsione delle facce rom- boedriche, e in altri la compressione degli individui che si riducono di forma laminare, a similitudine di quanto avviene nei cristalli del Bottino. Talvolta il quarzo include degli aghetti con aspetto grigio-metallico che sembrano di meneghinite. Calcopirite. — È il minerale metallico più abbondante del filone e fu già rammentato da A. D’AcHIARDI !). Si presenta d’ordinario compatta. Rarissimi in alcune piccole geodi i cristalli ad abito tetraedrico con striature disposte in modo da formare tante figure triangolari isoscele. Le facce del tetraedro sono smussate talvolta da altre faccette, le quali sono indeterminabili, perchè i cristalli si presentano mal conformati e ricoperti quasi sempre dalla solita patina iridescente di alterazione. Calceantite. — Ho rinvenuto abbondante questo minerale nelle vec- chie gallerie della miniera, ma sempre sotto forma di incrostazioni su- perficiali, originatesi dall’ alterazione della calcopirite per via idrica. Un campione esistente nella collezione toscana del Museo di Pisa, ed indicato incertamente col nome di pisamite, vetriolo di ferro e rame, da me analizzato, risultò composto di solfato di rame idrato, e solo di piccolissime quantità di solfato di ferro. Devesi quindi ancor esso rife- rire alla calcantite. Pirite. — Di questa specie ho veduto alcuni piccoli cristalli, di circa un millimetro, perfetti, inalterati, costitaiti semplicemente da :100} e {111} e raggruppati in modo vario. Generalmente però la pirite è in masse compatte, che, analizzate qualitativamente, diedero reazione solo di ferro e zolfo. Marcasite. — Minerale non ancora citato per il Frigido. E raro, e sempre in forme globulari. Galena. — Ne ho osservato un solo campione nella collezione to- scana del Museo di Pisa, in cui si presenta nelle comunissime forme - lamellari di sfaldatura. Blenda. — La specie fu solo citata da A. D’AcHiarpi ?). Sono rife- ribili alla blenda (varietà marmatite) alcuni piccolissimi, molti rari e imperfetti cristalletti bruni, quasi neri, che sciolti nell’acido cloridrico diedero reazione di zinco e di ferro. Meneghinite. A. D’AcHIARDI 3) accennò alla presenza nella mi- 1.2.3) Mem. cit. TETRAEDRITE DEL FRIGIDO E MINERALI CHE L’ACCOMPAGNANO 93 niera del Frigido di un minerale grigio capillare, di cui però non potè determinare la natura per mancanza di materiale. A me fu dato rac- cogliere due campioni di tale sostanza, che era però in quantità tal- mente piccola da non permettermi di farne l’analisi quantitativa. Ma i saggi qualitativi avendo dato reazione di piombo e di antimonio, non credo di errare nel riferire il minerale alla meneghinite. Si presenta in cristalli aciculari ad estremità rotte, isolati o raggrup- pati in fasci curvi. I cristalli sono rigati longitudinalmente ed identici a quelli bellissimi del Bottino. Laboratorio di Mineralogia della R. Università. Pisa, 9 gennaio 1906. GIOVANNI D'ACHIARDI PRroFrESSORE DI MINERALOGIA NELLA UNIVERSITÀ DI PISA o -___ I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA + pia III. — Epidoto - Miche - Anfiboli - Albite - Scapolite. Già nella seconda parte di questo mio lavoro descrittivo dei Mine- rali dei marmi di Carrara!) accennavo alla scarsità con la quale in essi sì presentano i silicati, eccettuata 1’ albite. Questa è invece assai frequente nelle geodi a costituire individui ben distinti dalla roccia calcarea, mentre gli altri sono in questa, salvo poche eccezioni, disseminati sporadicamente, o riuniti a formare vela- ture, esili stratarelli e vene, o sì mostrano a far parte dei cementi nelle varietà dei marmi brecciati. È sovrattutto nel cemento dei mischi che questi silicati si ritrovano e furono sommariamente determinati (in quelli di Seravezza) per talco, pi- rosseno, anfibolo ecc. Furono inoltre riscontrati nei paonazzi, paonazzetti, venati, gialli ecc., e il GrampaoLI *) ricorda biotite, scapolite, clorite, cloritoide, plagioclasi. Abbondanti sono in quei materiali scistosi, di color grigio, gialliccio, rossastro e verdastro che formano le madrimacchie. Se queste dai ca- vatori vengono considerate come il prodotto della purificazione operatasi nei calcari nel divenire marmorei e se tale interpetrazione fu accolta da scienziati come il RePETTI, GuIponI, SAVI, MENEGHINI, CoccHI ecc., io sono invece d'accordo con il DE STEFANI *) nel ritenere le madrimacchie niente altro che stratarelli di roccia scistosa non diversi, se non per la quan- tità degli elementi, dagli strati scistosi che sopra e sotto includono le 1) Atti Soc. Tosc. Sc. Nat.; Mem. XXI, Pisa 1905. 2) I marmi di Carrara. Pisa 1897. 3) Considerazioni stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano. Boll. R.° Com. Geol. n. 7-8, pag. 175. Roma 1874. I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 95 masse marmoree, e quindi dei minerali che le costituiscono non è il caso qui di parlare, occupandomi io solamente di quelli dei marmi. Però in vicinanza della madremacchia il marmo stesso si arricchisce di minerali che pure in questa si ritrovano e di essi dirò brevemente descrivendo solo quelli che mi fu dato osservare nei campioni del Museo pisano. Per i minerali sporadicamente disseminati nei marmi accennerò a quello che fu da altri osservato, aspettando che il FRANCHI ne dia un’illustrazione completa nello studio litologico da lui compiuto sulle Alpi Apuane, che dovrà essere pubblicato a complemento della memoria descrittiva della carta geologica eseguita dallo ZACCAGNA. Epidoto. In un campione di marmo bianco proveniente dalla cava di Lorano basso (collez. ZAccAGNA) trovasi insieme a quarzo, calcite e dolomite un esilissimo cristallino bacillare, di color verdolino tenuissimo, indicato dubbiosamente come tormalina 1). Nella speranza di arrivare alla sua esatta determinazione lo distaccai momentaneamente dalla roccia, ma lo stato delle sue faccette non per- mise esatte misure. È lungo poco più di 1 mm. ed ha figura appros- simativamente cilindrica con diametro di circa mm. 0,12; l’abito suo è evidentemente clinoedrico e rassomiglia alcuni cristalli di epidoto, nei quali assumono preponderante sviluppo le faccette della zona [100: 001], sono impiantati secondo l’asse di questa zona e si mostrano terminati all’estremità libera da {111} ?). In questo di Carrara si avrebbe, nella zona [100:001] grande pre- ponderanza di una faccettina (101) e all’estremità libera (111) assai svi- luppata e (1 1) ridottissima, accompagnate da faccettine esilissime, tutte piene di strie e dislivelli, che non danno al goniometro a riflessione al- cuna immagine. A conferma di tale determinazione starebbero i seguenti valori, gli unici che fu possibile di ottenere: 1) Alla dubbiosa presenza della tormalina nei marmi di Carrara accennai pur io in una nota preventiva (Proc. Verb. Soc. Tosc., 2 luglio 1899); ma fino ad oggi tale minerale non fu nè da me, nè da altri sicuramente constatato. 2) Dana. A System of Mineralogy, pag. 517, fig. 3. New-York 1892. 96 G. D'ACHIARDI Mis. Cale. 1) TO ig 500. DI 54°, 41' Mugi e gs 09, 18 109, 31 Miche. Il GIAMPAOLI ?) descrisse laminette, con tracce di contorno esagono, di biotite per il paonazzo ed il paonazzetto associate a clorite, non scarsa, e riscontrava un minerale della famiglia dei cloritoidi nei venati. Nei diversi campioni da me esaminati e specialmente in alcuni bianchi della cave di Canal Bianco (collez. ZAccAGNA) e in alcuni statuari della cava del Polvaccio si vedono dei minerali costituenti esilissime vena- ture, stratarelli e macchie, con aspetto più o meno micaceo-cloritico. Alcuni hanno colorazione decisamente verdolina con lucentezza talora sericea, altri bianco-argentina o gialliccia a vivace lucentezza, altri infine grigio-verdastra opaca e ricordano per l’aspetto il talco. Sono indicati nei varii campioni come clorite, sericite e talco. Per la loro determinazione io ricorsi all’analisi e se peri primi e i terzi mi fu possibile distaccare materiale sufficiente dal marmo, per quello indi- cato come sericite (statuario del Polvaccio) dovetti ricorrere all’ attacco della roccia con acido cloridrico diluito e alla successiva analisi del re- siduo; però per il poco materiale ottenuto non poterono essere dosati gli alcali, che sono quindi dati per differenza. Le analisi dimostrano che in niun caso si tratta di una varietà ti- pica di mica, nè si ha a che fare con clorite e tanto meno con talco. I risultati ottenuti furono i seguenti: I. — Minerale micaceo, indicato come sericite, bianco-argentino gial- liccio della cava del Polvaccio. II. — Minerale verdolino, indicato come clorite, della cava di Canal Bianco. III. — Minerale verde-grigiastro, indicato come talco, della cava del Polvaccio. 1) Dana. A System of Mineralogy, pag. 517, New-York 1892. °) I marmi di Carrara. Pisa 1897. I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 97 I Il III 10° 0, 18 rale 2, 15 4,71 MESI Perdita per arrovent.® Ì 9, 49 Si Oy 55, 53 45, 78 43, 40 AI, 0, 23, 66 29, 30 23, 21 Fe, O, 3, 09 traccie, 5, 35 Ca 0 0, 09 5, 01 1,24 Mg 0 3, 67 4, 41 03 EA 9, 05 (roi 6; (11, 81) i i Na, 0 1, 66 1, 04 100, 00 99, 98 99, 55 La composizione del primo minerale assai si avvicina a quello delle sericiti, specialmente per la dose della silice, mentre la minore quantità di ossido alluminico e maggiore di ossido di magnesio mostrano l’alte- razione cloritica, non molto avanzata però, essendo piccola la dose del- l’acqua e non diminuita quella degli alcali propria della mica alcalino- magnesiaca originaria. Così per il 2° non può ammettersi che si abbia a che fare con clo- rite, e neppure con mica nera cloritizzata essendo, fra le altre, troppo bassa la dose dell’acqua e del magnesio e troppo elevata quella della silice; sono risultati concordanti invece con quelli delle più comuni va- rietà di muscovite da cui si discostano per le dosi del calcio e del magnesio. Nel 3° minerale la maggior perdita in peso per arroventamento e la maggior quantità di calce, è imputabile in parte a presenza di minu- tissime particelle di carbonato di calcio; infatti il minerale trattato con acidi dà debolissima effervescenza. Altre conseguenze non possono trarsi da questi risultati analitici, che mi sembra, come dicevo, portino alla conclusione trattarsi di miche (a tipo muscovitico) più o meno alterate. Anfiboli? A minerali del gruppo degli anfiboli accenna in fondo alla sua ul- tima nota il GIAMPAOLI *!) e come tremolite sono dubbiosamente indicati 1) I minerali accessori dei marmi di Carrara. Carrara 1905. 98 G. D'ACHIARDI alcuni aggregati fibrosi esilissimi bianco-lucenti provenienti dalla cava della Fossa degli Angeli (collez. ZACCAGNA). Questi però non sono certamente di tremolite e le prove fatte mi inducono ad ammettere sieno invece di baritina. Di essi è detto in una breve nota pubblicata a parte !). Albite. I cristalli di albite nelle geodi del marmo di Carrara erano ritenuti molto rari. Secondo il voi: RaTH *) furono per la prima volta citati dal- l’HesseNBERG; mio padre *) accennava alla presenza delle forme comuni per questa specie e alla geminazione abituale con legge dell’albite in un campione del Museo geologico pisano, scolorito, quasi trasparente con durezza c.* 6 e p. sp.== 2,61. Ricordava poi come essa si ritrovi disseminata porfiricamente in altri calcari apuani non marmorei, nel grezzone della Vargine sul Monte Corchia e in un calcefiro di Capezzano. Il Grampaoti la riscontrava impiantata nelle vene e nelle madri- macchie, come cristalli torbidi, bianco-sudici ‘) e aggiungeva poi °) che in questi ultimi tempi ne furono ritrovati belli e numerosi esemplari in cristalli, in qualche caso incolori e quasi trasparenti, ma più spesso bianco-lattei con dimensioni che raggiungevano talora i 2 cm. Ammet- teva l’esistenza assai rara di individui semplici e la solita abituale ge- minazione. Sarebbe comune a ritrovarsi nei marmi bianco-chiari della Piastra, Lorano, Fossa degli Angeli e nei bardigli di Nartana. All’albite accennai io pure nella nota preventiva %) e di essa assai diffusamente parla il VioLa °) che studiò un cristallino trasparente, che figurò, datogli dall'ingegner ZACCAGNA e composto di tre individui, due associati secondo la legge dell’ albite e riuniti al 3° secondo quella di Karlsbad. Le determinazioni cristallografiche lo portarono a ricono- 1) I minerali dei marmi di Carrara. Aggiunte alle parti 12 e 22. Proc. Verb. Soc. Tose. Se. Nat.; Pisa 11 marzo 1906. 2) Ueb. d. Meneghinit. Pogg. Ann. 132; pag. 374. 1867. 3) Mineralogia della Toscana. II, 49. Pisa 1873. 4) I marmi di Carrara. Pisa 1897. 5) I minerali accessorii dei marmi di Carrara. Carrara 1905. 6) Proc. Verb. Soc. Tosc. Se. Nat., Pisa 2 luglio 1899. ?) Albite del marmo di Carrara. Rend. R. Acc. Line., (5), 1° sem., fase. 11, Roma 1899. I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 99 scere, con misure approssimative, data la striatura e curvatura delle faccé, la presenza, nella zona [001], che è la più sviluppata, delle facce (010), (010), (130), (110), (110), (110), (110), (130), (130) e in quella [100] delle facce (001), (001), (201) e (201). Determinava su di una faccia (010) l’angolo che la direzione di mas- sima estinzione fa con l’asse della zona [100] = +-21°!/, e con il riflet- tometro totale ABBE-PuLFRICH determinava: an = 1, 52823 B, = 1, 53232 n = 1, 53887 da cui calcolava l’angolo degli assi ottici (attorno alla bisettrice po- sitiva): IV= + 769,55. Riguardo alla composizione chimica di quest’albite, siccome ricerche qualitative sommarie non svelarono la presenza di potassa e mostra- rono solo tracce di ossido di calcio, ne concludeva che potesse ritenersi essere la seguente: Se 68070 ; MEDE VIOLA No at 1088 CIO SA ee tro 100, 00 I cristalli da me esaminati sono numerosissimi, oltre duegento, per la massima parte ;impiantati sopra due grossi campioni di bardiglio (collez. ZAccAGNA) provenienti dalle cave di Para. I due esemplari mo- strano le superfici di loro massima estensione completamente tappezzate di cristallini bianco-lattei di albite, assai piccoli ed associati a numerosi scalenoedri di calcite, essi pure piccoli, ed assai rari cristallini di quarzo. Abitualmente però i cristalli da me osservati si ritrovano nelle geodi dei marmi bianchi e statuari di svariate cave, ma sempre in piccolo numero, 4 o 5 al massimo, il più spesso 1 o 2. Ed è a notarsi che il numero è quasi sempre in ragione inversa della grossezza, che non è OO G. D’ACHIARDI mai molta, avendo riscontrato nel più grande di tutti le dimensioni di MNPXELO42A Dai campioni di bardiglio distaccai parecchi cristallini, i quali mi ser- virono per un’analisi completa che dette i risultati seguenti: TRORMOo ee OI Perdita per arroven.'® . 0,20 SLO MEM E OO Al Op rodor ire 996 Ca 0 eee 06 MOL erar RO ARIO O Na sOnO 100, 23 Se si riduca l’analisi a 100, non tenendo conto nè dell’ acqua, nè della perdita per arroventamento, avremo: RIOLO ALOE N08 Cia e 06 VORRAI Naz: 0 cet 100, 00 Calcolando le proporzioni dei componenti le diverse molecole a tipo or- tosico, albitico e anortitico, partendo rispettivamente dalle quantità di K,0, Na, 0, CaO si ottiene la composizione molecolare: K,0 Nays0 Cao A1,0z Si O, Somma Molecola ortosica . 0,40 —_ - 0, 43 1,54 2,97 » albitica . — 11,31 — 18, 61 66,00 95,92 » anortitica. — — 0, 56 1,02 1,21 2,79 0,40 11,81 0,56 20,06 68,75 101,08 Si avrebbe per la silice un valore leggermente superiore (1°/;) a quello trovato, e la presenza in proporzioni presso a poco eguali, e molto piccole, di molecole a tipo ortosico ed anortitico. I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 101 Numerosi furono i cristalli da me distaccati dalla roccia, ma non potei ottenere da essi che misure parziali e molto incerte, le quali però por- tano alla constatazione della presenza abituale di {010}, {130}, {110}, {110}, {130}, {001} e {101}. Solo eccezionalmente avrei riscontrato {201}, in luogo di {101}, che fu già determinato dal VioLa, nel cristallino da lui studiato, per l’angolo 201: 001 = 82°, 15°. In un cristallo poi associate a {101} sarebbero esilissime faccettine di {111} e {111}, in un altro forse è presente {150}. I cristalli sono generalmente impiantati sulla roccia in posizione eretta, cioè con le facce della zona [010 :110] quasi verticali. Però ciò non si ha sempre e si vedono cristalli attaccati al marmo per faccette qualsiasi, e anche più di una, di questa zona, fra le quali, il più di rado, è una delle j010} che è faccia digimpianto e i cristalli si {mostrano come sdraiati sulla roccia. Riguardo allo sviluppo che hanno le facce cristalline possono i cri- stalli riunirsi in due tipi principali: in tutti e due hanno preponderante sviluppo le {010}, ma mentre nei primi le {001} e {101} sono assai ri- 102 G. D'ACHIARDI dotte ed estese in altezza le |130}, {110}, 5110} e {130} (fig. 1), negli altri sono invece queste ridottissime a vantaggio delle {001} e {101} (fig. 2). Ad un terzo tipo, molto più raro, possono ascriversi alcuni cristalli a forma di zeppa per disuguale sviluppo di parte anteriore rispetto alla posteriore (fig. 3). Fic. 3. 130. io Le misure prese furono le seguenti, non tenendo conto che dei mi- gliori valori ottenuti: II Ia ra Angoli Nato! Ca agio calcolano) 010 : 150 Il _ 20° c.a 190,23! 4/2 010 : 130 7 280,55/— 310,12! 99, 46! 30,24 010 : 130 3 29, 30— 31, 00 30, 5 30,22 010 : 110 12 59, 87 — 61, 12 60, 7 60,26 010 : 170 7 59, 55— 61, 3 60,43 60,20 110:170 10 58, 42 — 59, 50 59,34 59, 14 010 : 001 3 85, 50 — 86, 30 86,10 86, 24 001 : 101 4 51, 50 — 52, 40 52,10 52,16 001 : 201 1 = 82,40 82,7 001 : 111 1 Si 5, Al 55,53 001 : 11 1 A 58,12 57,49 1) DANA, A System of Mineralogy, pag. 328. New-York, 1892. I MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 103 La misura degli angoli (001): (101) meglio che con il goniometro a riflessione, si ottiene al microscopio misurando l’angolo piano, che fu costantemente trovato corrispondere a quello dato, per sezioni parallele a (010), da: 010:101 = 128° 1) Le facce della zona [110:010] sono costantemente striate per il lungo onde molteplicità di immagini; le {001} e {101} sempre ondulate e marezzate, tutte, come ho già detto, nel massimo numero dei casi, po- chissimo adatte a dare esatte misure per molteplici immagini, fra le quali ho cercato sempre di scegliere quelle che davano valori più vicini a quelli calcolati. Evidentissima in tutti i cristalli è la sfaldatura (001) che si mani- festa con numerosi piani producenti linee fra loro parallele sulle facce {010}. Cristalli semplici io non ne ho osservati. Abituale è la geminazione con legge dell’albite per il solito fra due individui (fig. 1, 2, 3), in alcuni Fic. 4. casi, come più facilmente può vedersi in sezioni secondo (001), fra più, generalmente fra quattro. 1) M. Levy. Etude sur la détermination des feldspaths ecc., pag. 48. Paris 1894. ; 104 G. D'ACHIARDI La geminazione di Karlsbad fu osservata di sovente, mai fra cristalli semplici, ma fra individui già geminati con la legge dell’albite (fig. 4). Tale geminazione può facilmente determinarsi, anche se non si ricorra a misure angolari, per l'andamento inverso, sulle facce esterne (010) e (010), delle linee di sfaldatura, o:per l'osservazione jal microscopio di sezioni approssimativamente normali a (010) nelle quali, se si ha doppia ge- minazione albite-Karlsbad, quando si metta la lamina con linee di ge- minazione a 45° dai piani di polarizzazione dei nicols, si vedono come due lamelle uniche, fra loro però poco distinte, date dai due geminati riuniti con -legge di Karlsbad. Nel caso invece, e ciò accade sovente, che si abbia doppia gemina- zione albitica, a 45° si osserva come un’ unica lamina ad eguale inten- sità luminosa 1). Oltre a queste geminazioni si hanno molteplici unioni parallele di cristalli per faccette {mr 0}, e spesso sopra individui maggiori si vedono sub- individui in tal modo riuniti, o isolati, distesi sopra una faccia {010}. Ed altre unioni parallele si hanno per sovrapposizione di due o più individui i) M. Levy. Mem. cit., pag. 23. Î MINERALI DEI MARMI DI CARRARA 105 a formare come una pila di cristalli in posizione verticale (fig. 5). Tali cristalli danno luogo ad aggruppamenti che si mostrano da un lato come dentati, a mo’ di una sega, mentre dall’altro è avvenuta per il solito la fusione completa delle parti. L'angolo reale formato dai denti di tali cristalli fu trovato costantemente (misurato al microscopio) di c.852°, concordante cioè con quello dato da (101) con (001). Questi cristalli apuani dentati ricordano quelli alpini effigiati e de- scritti da LACcROIX !). Scapolite? Il Grampaoti *) per il paonazzetto di Boccanaglia, osservato al mi- croscopio, descrisse alcune tavolette incolore interposte fra una lamina e l’altra di calcite, allungate a guisa di nastricelli con estremità quasi fibrose, a contegno ottico negativo, non pleocroiche, a colori di inter- ferenza vivacissimi, estinzione a 0° con allungamento, che egli ritenne appartenessero a un minerale del gruppo della scapolite e probabilmente alla couzeranite. Terminato così lo studio dei silicati, non mi resta che procedere alla descrizione del quarzo, il quale è certo fra tutte le specie apuane la più abbondante e la più conosciuta. Allo studio suo mi sono già accinto, ma per il numero grande dei cristalli da esaminare (circa un migliaio) e per la ricca bibliografia da consultare, sarà. necessario ancora del tempo prima che possano esserne pubblicati i risultati. Istituto di Mineralogia della R. Università. Pisa, 18 aprile 1906. 1) Minéralogie de la France ecc. T. II, pag. 167; fig. 33. Paris 1896-97. 2) I marmi di Carrara. Pisa 1897. ISTITUTO DI FISIOLOGIA DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL Pror. ViTtTORIO ADUCCO ve AMILCARE PANELLA (AIUTO ) AZIONE ANTICURARICA DEL PRINCIPIO ATTIVO DELLA CAPSULA SURRENALE me. NOTA PREVENTIVA. Nel succedersi di numerose esperienze, consigliatemi dal mio Maestro ‘e che stanno per essere pubblicate, ho osservato una certa azione ini- bitrice che il principio attivo surrenale esercita su quella caratteristica e ben nota del curaro. L'osservazione era troppo interessante perchè io non ne facessi oggetto di una serie speciale di ricerche, delle quali posso ora comunicare i primi risultati. Il principio attivo sarrenale, costantemente usato nelie presenti espe- rienze, fu quello preparato dall'Istituto Sieroterapico di Milano !), e _ve- niva sempre sciolto in soluzione 0,9°/o di cloruro di sodio, mentre il curaro ebbe sempre per solvente l’acqua stillata. Per ora sperimentai soltanto sulla rana esculenta. Per i miogrammi adoperai il miografo isotonico del Gap ?), collocando costantemente sul piattino dello stru- mento un peso equivalente a quello della rana in esame. Lo stimolo venne sempre inviato con l’elettro-magnete di Magnus BLIx *). La leva del miografo ha sempre dato un ingrandimento di 3,6. Le ricerche, che sino ad oggi ho compiute, possono dividersi in tre serie: nella prima, ho studiata l’ azione generale dell’ emostasina som- 1) Al prof. S. BnLFANTI rendo le più sentite grazie per avermi favorito la sostanza, che Egli indica col nome di emostasina. Di questa ne vengono attual- mente preparate due specie: l’una pura [A], l’altra greggia [B]. 2, H. BraunIS e V. Apucco. — Elementi di Fisiologia (Unione tip. edit. To- rino. Vol. II, disp. 28°, pag. 175). 3) M. BLix. — Studien ‘iiber Muskelwirme (Skandinavisches. Arch. f. Phy- siol. Bd, XII, 1902, pag. 52-128). AZIONE ANTICURARICA DEL PRINCIPIO ATTIVO ECC. 107 ministrata alla rana, sia mescolata in antecedenza al curaro, sia da questo separata ed iniettando le due sostanze in sedi differenti dell’ or- ganismo: nella seconda, ho ricercato per quanto tempo rimaneva ancora eccitabile il nervo sciatico, e dopo l'iniezione di curaro, e dopo quella dello stesso veleno precedentemente messo in contatto col principio sur- renale: nella terza infine, e nelle stesse condizioni sperimentali della prima, ho voluto osservare gli effetti che si producevano nell’ergogramma. Mi limiterò a riferire solo qualche esperienza fra quelle, già nume- rose, eseguite in ogni serie di ricerche. Azione generale. A. — Miscela di soluzione di curaro con soluzione di emostasina. Esper. XIX. 9, IV, 1906. — Temp. amb. + 25° C. a) Rana gr. 25. Iniezione nel sacco dorsale di una goccia curaro 1 : 100. Avvelenamento iniziale dopo 3', completo dopo 6°. e) Rana gr. 25. Iniezione nell’ addome di cem. 1 emostasina 1 :500 = gr. 0,002 di sostanza = gr. 0,00008 per gr. di rana, preparata da ore 1 e mescolata da 51' con una goccia curaro 1 :100. Avvelenamento curarico iniziale dopo 14’, completo dopo 18°. Esper. XX. 9, IV, 1906. — Temp. amb. + 25° C. a) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 :500 = gr. 0,0001 per gr. di rana, preparata e mescolata al momento dell’ uso con una goccia curaro 1:100. Avvelenamento curarico iniziale dopo 14, completo dopo 24’. b) Rana gr. 20. Nell’addome eguale iniezione che alla rana a. Avve- lenamento curarico iniziale dopo 14’, completo dopo 19°. Da queste esperienze risulta, che una goccia di curaro in soluzione 1:100, agisce sulla rana — del peso da gr. 20 a gr. 25. — fra 3’, e 6, mentrè la stessa dose di curaro, messa in contatto per tempi diversi con gr. 0,002 di emostasina, impiega 15° per dar luogo all’inizio del- l’avvelenamento e 23’ per renderlo completo. Il prolungarsi, entro certi limiti, del contatto fra curaro ed emostasina non rende nè maggiore nè minore l’azione dell’emostasina sul curaro. Esper. VII. 24, III, 1906. — Temp. amb. + 15° C. a) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di una goccia di curaro 1:1000. Avvelenamento iniziale dopo 6’, completo dopo 10°. Sc. Nat. Vol. XXII 7 108 A. PANELLA 5) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di una goccia di curaro 1:1000 allungata con cem. 1 NaCl 0,9°/,. Avvelenamento iniziale dopo 8', completo dopo 14. e) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 :400 = gr. 0,0025 di sostanza = gr. 0,00012 per gr. di rana, preparata da 20° e mescolata da 7’, 15" con una goccia di curaro 1:1000. Avvelenamento curarico iniziale dopo 16°, completo dope 23°. d) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di ccm. 1 emostasina 1 : 400 preparata da 44' e mescolata da 17° con una goccia curaro 1:1000. Av- velenamento curarico iniziale dopo 25', completo dopo 35°. e) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1:400 preparata da ore 1,20' e mescolata da 10' con una goccia curaro 1: 1000. Avvelenamento curarico iniziale dopo 27, completo dopo 36°. f) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 : 400 preparata da ore 1,22' e mescolata da 12° con una goccia curaro 1 : 1000. Avvelenamento curarico iniziale dopo 25’, completo dopo 29°. Da queste esperienze risulta, che una goccia di curaro.in soluzione 1:1000, iniettata sola o commista a NaCl 0,9°/, agisce sulla rana — del peso di gr. 20 — fra 5’ e 11’, mentre la stessa dose di curaro, messa in contatto per tempi diversi con gr. 0,0025 di emostasina, impiega 23° per dar luogo all’inizio dell’avvelenamento e 30’ per renderlo completo. Il ritardo nell’azione del curaro commisto ad emostasina, non si può attribuire ad una maggiore diluizione, poichè l’esper. VII-b, mostra che, diluendolo egualmente con soluzione di cloruro sodico, si ha bensì un ritardo, ma è minimo. Esper. VILI. 25, III, 1906. — Temp. amb. + 23° 0. a) Rana gr. 30. Iniezione nel sacco dorsale di 4|,, di cem. di curaro 1:1000 = gr. 0,0001 di sostanza = gr. 0,000003 per gr. di rana. Avve- lenamento curarico iniziale dopo 11’, completo dopo 14°. 1) b) Rana gr. 30. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 : 500 = gr. 0,002 di sostanza = gr. 0,00006 per gr. di rana, preparata da 16° mescolata da 9' con ‘/,, di cem. di curaro 1:1000. Avvelenamento cura- rico iniziale dopo 16’, completo dopo 24°. c) Rana gr. 30. Iniezione nel sacco dorsale di ccm. 1 emostasina 1 : 500 preparata da ore 2,14’, e mescolata da ore 2,12' con '/,, di ccm. di cu- raro 1 : 1000. Avvelenamento curarico iniziale dopo 17°, completo dopo 21°. d) Rana gr. 30. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 : 500 preparata da ore 3,27 e mescolata da ore 3,25' con 4/,, di cem. di curaro 1:1000. Avvelenamento curarico iniziale dopo 21’, completo dopo 24. AZIONE ANTICURARICA DEL PRINCIPIO ATTIVO ECC. 109 Da queste esperienze risulta, che gr. 0,0001 di curaro agiscono sulla rana — del peso di gr. 30 — fra 11’ e 14, mentro la stessa dose di curaro, messa in contatto per tempi diversi con gr. 0,002 di emostasina, impiega 18’ per produrre l’inizio dell’avvelenamento e 23’ per renderlo completo. Esper. XXVIII.13, IV, 1906. — Temp. amb. +4 20° C.. a) Rana gr. 25. Iniezione nel sacco dorsale di */,, di cem. di curaro 1:2000 = gr. 0,00015 di sostanza = gr. 0,000006 per gr. di rana. Av- velenamento iniziale dopo 18’, completo dopo 45°. b) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di 3j,, di cem. di curaro 1:2000. = gr. 0,0000075 per gr. di rana. Avvelenamento iniziale dopo 18', completo dopo 48°. c) Rana gr. 20. Uguale iniezione che alla rana 6. Avvelenamento ini- ziale dopo 18’, completo dopo 45°. d) Rana gr. 20. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 : 500 = gr. 0,002 di sostanza = gr. 0,0001 per gr. di rana, preparata da ore 3,30 e mescolata da ore 3,30' con *|,, di cem. di curaro 1:2000. Avve- lenamento curarico iniziale dopo 33', completo dopo 60”. e) Rana gr. 20. Uguale iniezione che alla rana d. Avvelenamento cu- rarico iniziale dopo 33’, completo dopo 60°. f) Rana gr. 20. Uguale iniezione che alle rane d ed e. Avvelenamento curarico iniziale dopo 33', non ancora completo dopo 60”. Esper. XXX.18,IV,1906. — Temp. amb. + 29° C. a) Rana gr. 25. Iniezione nel sacco dorsale di 3/lo di cem. di curaro 1:2000= gr. 0,00015 di sostanza = 0,000006 per gr. di rana. Avvelena- mento iniziale dopo 13’, completo dopo 33°. b) Rana gr. 25. Uguale iniezione che alla rana a. Avvelenamento ini- ziale dopo 13’, completo dopo 39°. d) Rana gr. 25. Iniezione nel sacco dorsale di cem. 1 emostasina 1 : 500 = gr. 0,002 di sostanza = gr. 0,00008 per gr. di rana, preparata da ore 1, 45' e«mescolata da ore 1,15’ con 3|,, di cem. di curaro 1: 2000 = gr. 0,00015 di sostanza = 0,000006 per gr. di rana. Avvelenamento cura- rico iniziale dopo 25’, completo dopo 75°. Da queste esperienze risulta, che gr. 0,00015 di curaro agiscono sulla rana — del peso da gr. 20 a gr. 25 — fra 16° e 42’, mentre la stessa dose di curaro, messa in contatto per tempi diversi con gr. 0,002 di emostasina, impiega 31’ per determinare l’inizio dell’avvelenamento e 63° per renderlo completo, non solo, ma non riesce talvolta ad otte- nere la completa immobilità. : La seguente tabella I riassume i risultati delle ricerche sin qui esposte. |\|\|DBRe0E E o oeEE EEE EOII]YO::::N-(£.èRR©}:€@RER0}kRE)}EERRO 93: PR 18". 890 » » » DANGLOT2ITA Rana f. — Sciatico e gastrocnemio sinistro. Ore 14,36',10". Iniezione sacco dorsale di */,o di cem. di curaro 1 : 2000, com- i misti da ore 5,15 con cem. 1 NaCl 0,9%. >» 15,4910”. 1° stimolo. Sciatico ineccitabile. 116 A. PANELLA Queste esperienze ci dicono dunque, che il curaro, somministrato da solo alla rana, determina la ineccitabilità delle terminazioni dello scia- tico ben più sollecitamente di quello che riesca a fare quando, prima di iniettarlo, sia rimasto commisto all’emostasina. Nella esper. XXII par- rebbe quasi che quest’ultima abbia resa nulla l’azione del curaro, se si tien conto che il muscolo rispondeva ancora lievemente dopo ore 2,42’ dall’iniezione di curaro + emostasina. Ergogramma di rane iniettate con curaro ed emostasina. Esper. XIX. IV, 5, 1906. Temp. amb. + 25° C. Due rane esculente, ciascuna del peso di gr. 35, alle quali viene ta- gliato e distrutto il midollo spinale. Peso sul miografo gr. 35= peso reale gr. 7,7. Nucleo dell’elettromagnete a mm. 17. Stimolo allo sciatico ogni 2°. Rana «. — Sciatico e gastrocnemio destro. Ore 15,37. Iniezione sacco dorsale due gocce di curaro 1:1000. Principio dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 3,3. » 15,b1°. Il muscolo non si contrae più. Rana f. — Sciatico e gastrocnemio destro. Ore 16, 6°. Iniezione sacco dorsale cem. 1 emostasina 1:1000 = gr. 0,001 di sostanza = 0,000028 per gr. di rana, commista da 6° con due goccie curaro ! : 1000, Principio dell’ergogramma. Accor- ciamento gastrocnemio mm. 4,1. 2 » 16,36. Fine dell’ergogramma. Accorciamento del gastrocnemio mm. 0,13. Esper. III. 12, III, 1906. — Temp. amb. + 25° C. Rana esculenta, gr. 55, alla quale .viene tagliato e distrutto il midollo spinale. Peso sul miografo gr. 55 = peso reale gr. 12,1. Nucleo dell’elet- tromagnete a mm. 20. Stimolo allo sciatico ogni 2”. Sciatico e gastro- cnemio destro. Oreinal0e Principio dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 3,05. DR1230, > » DIRI Iniezione sacco dorsale ccm. 1 emostasina 1:400= gr. 0,0025 di sostanza = gr. 0,000045 per gr. di rana, commista da 11° — con quattro gocce di curaro 1:1000. » 17,32,40". Il muscolo non si contrae. DI Accorciamento gastrocnemio progressivamente sempre mag- giore. AZIONE ANTICURARICA DEL PRINCIPIO ATTIVO ECC. 1g Ore 17,41'. Accorciamento gastrocnemio mm. 2,2. MML500- > » dI L202 Ergogramma interrotto. Esper. IX. 23, III. 1906. — Temp. amb. + 22° C. Rana esculenta, gr. 25, alla quale viene tagliato e distrutto il midollo spinale. Peso sul miografo gr. 25 = peso reale gr. 5,5. Nucleo dell’ elet- tromagnete a mm. 25. Stimolo allo sciatico ogni 2°. Sciatico e gastro- cnemio destro. Ore 14,26°. Principio dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 4,1. » 14,35. » » DIL; Iniezione sacco dorsale cem. 1 emostasina 1:400 = gr, 0025 di sostanza = gr. 0,0001 per gr. di rana, mescolata per 9' con una goccia curaro 1:1000. » 14,36. Accorciamento gastrocnemio mm. 1,3. » 14,40. » » DIE » 15,— » » DIL Ergogramma interrotto. Esper. X. 25, III, 1906. — Temp. amb. +4 25° C. — [Vedi Tav. I, fig. III, grandezza naturale]. Rana esculenta, gr. 25, alla quale viene tagliato e distrutto il midollo spinale. Peso sul miografo gr. 25 = peso reale gr. 5,5. Nucleo dell’ elet- tromagnete a mm. 15. Stimolo allo sciatico ogni 2". Sciatico e gastro- cnemio destro. Ore 18, 6’. Principio dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 4,4. DMI: » » DE 95 Iniezione sacco dorsale ccm, 1 emostasina 1:500 = 0,002 di so- stanza = gr. 0,00008 per. gr. di rana, mescolata da ore 3,46' con ‘/j,y di cem. di curaro 1:1000= gr. 0,0001 di sostanza = gr. 0,000004 per gr. di rana. » 18,15. Accorciamento gastrocnemio mm. 1,2. Di 8:2.15 » » 2:59. DIS; AI » » YaedHo? Interruzione dell’ ergogramma. » 18,45°. Ripresa dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 2,2. > 18,46,30". » » x 16, Interruzione dell’ ergogramma. » 18,50'. Ripresa dell’ ergogramma. Accorciamento gastrocnemio mm. 2,2. 118 A. PANELLA Ore 18,57. Fine dell’ ergogramma. Il gastrocnemio si accorcia ancora lievemente. Risulta da queste esperienze, che il curaro non impedisce quell’azione che, secondo alcuni !), è propria del principio attivo delle capsule sur- renali. Da questi primi risultati è lecito dedurre in breve e complessiva- mente le conclusioni seguenti: 1.° Il principio attivo surrenale ritarda notevolmente nella rana escu- lenta l’azione del curaro, sia che le due sostanze vengano iniettate com- miste, sia che la iniezione avvenga in sede diversa per ciascuna di esse. Questa azione anticurarica non è nè aumentata nè scemata da un pro- lungarsi, entro certi limiti, del contatto fra le due sostanze. Non pare che l’ azione anticurarica si prolunghi, iniettando l’ emostasina in pa- recchie riprese. 2.° L'azione anticurarica dell’emostasina può impedire l’ avvelena- mento completo — immobilità assoluta — che si avrebbe con dosi mi- nime di curaro. 3.° Si comprende quindi che la reazione del muscolo agli stimoli ap- plicati sul nervo si protrarrà molto più a lungo nelle rane che, insieme al curaro, hanno ricevuto emostasina. 4.° Il grande ritardo nel manifestarsi della curarizzazione sotto l’azione dell’emostasina, fa sì che questa può esplicare, anche nelle rane curarizzate a tempo opportuno, la sua proprietà ristoratrice sul muscolo. Sto ora ricercando se esista un vero antagonismo tra emostasina e curaro, se cioè, variando opportunamente le quantità dell'una e dell’altra sostanza ed, eventualmente, le altre condizioni di esperienza, sia possibile, col principio attivo di capsula surrenale, impedire completamente l’azione del curaro. Pisa, maggio 1906. 1) S. Dessy y V. GRANDIS. — Contribucion al estudio de la fatiga. Accion de la adrenalina sobre la funcibn del, musculo. Revista Sud-Americana de Cien- cias Medicas. Afio I, n. 2, abril 1903 e Arch. Ital. de Biologie. T. XLI, fasc. II, 1904. pag. 225-233. Furono le ricerche su questo argomento, che mi condussero alle osservazioni che formano oggetto della presente nota. Come ho già detto, i risultati delle mie ricerche, i quali, lo dico sin d’ora, confermano ed ampliano quelli di Dessy e GRANDIS, saranno pubblicati fra poco. ALBERTO FUCINI sgneni Sopra gli scisti lionati del Lias inf. dei dintorni di Spezia === Il CapELLINI, nel 1853, scopriva nel Monticello di Coregna presso Spezia, negli scisti lionati immediatamente sovrapposti ai calcari grigio- scuri con fossili piritizzati o limonitizzati del Lias inferiore e sottoposti ai calcari rossi con Arieti, delle impronte di Ammoniti, talora di grandi dimensioni, che egli reputò giustamente interessantissime. Una bella col- lezione di tali impronte appartiene ora al Museo di Pisa, al quale fu donata dal CAPELLINI stesso, un’altra si trova nel Museo di Bologna. Per il riordi- namento che si sta facendo delle collezioni paleontologiche del Museo pi- sano, mi sono dovuto occupare anche di quelle impronte ed avendo in esse a prima vista, riconosciuto specie del Lias inferiore del Monte Cetona, da me studiate recentemente, ho creduto utile prenderle in considerazione speciale e farne oggetto della presente nota, anche perchè esse proven- gono da un deposito ben precisato e bene confinato, nonchè da un oriz- zonte assai facilmente determinabile. La loro importanza non è però solamente locale ed io credo che da tale precisa indicazione cronologica se ne avvantaggieranno molto anche le conoscenze sopra altri depositi di Lias inferiore, come per esempio quelli del Monte Cetona, ove fino ad ora non sono state possibili distinzioni e suddivisioni cronologiche minute a ca- gione della uniformità litologica e della promiscuità delle raccolte fos- silifere. Prima però di intraprendere il mio studio e per renderlo meno incompleto mi sono rivolto al prof. CAPELLINI e gli ho chiesto in comu- nicazione la raccolta del Museo bolognese ed egli molto cortesemente e generosamente ha aderito alla mia domanda. Sento quindi il dovere, prima di finire questi brevi cenni d’introduzione, di ringraziare infini- tamente il prof. CAPELLINI della gentilezza usatami, tanto più che la col- lezione affidatami gli è, e deve giustamente essergli, particolarmente cara, 120 A. FUCINI poichè è il risultato di una delle sue prime scoperte paleontologiche nei dintorni della Spezia a lui tanto prediletti. La serie cronologica triassica e liassica del promontorio occidentale della Spezia, ove appunto trovasi il Monticello di Coregna, è composta dal basso all’ alto, come resulta da ripetuti studi del CAPELLINI, da cal- cari grigi, dolomitici, con Avicula contorta e da calcari neri e scisti fossi- liferi; da calcari dolomitici con Portoro; da calcari grigi con Ammoniti ed altri fossili piritizzati e limonitizzati; da scisti marnosi lionati con impronte di Ammoniti e di altri fossili; da calcari marmorei rossi con Ammoniti; da calcari grigi chiari con selce con Ammoniti ed altri fossili piritizzati e limonitizzati e quindi da scisti varicolori con Postdonomya Bronni con i quali termina la serie Liassica. Prima di prendere in speciale considerazione gli scisti marnosi lio- nati, io credo utile per le deduzioni che intendo trarne, esaminare par- titamente anche gli altri membri della serie ora enumerata. Non tutti sono di accordo nel ritenere appartenenti al Trias supe- riore i calcari grigi dolomitici con Av. contorta ed i calcari neri e gli scisti fossiliferi, la cui fauna, egregiamente illustrata e giustamente in- terpetrata per il primo dal CAPELLINI, portò tanta luce per la conoscenza esatta dei terreni del mesozoico antico di tutta la Toscana; alcuni vor- rebbero riconoscere in essi la base della serie liassica per le analogie faunistiche con l’arenaria di Hettange. Se, tuttavia, al proposito, non può dirsi che sia stata detta l’ultima parola, a me sembra che, tenuti in debito conto gli argomenti portati per sostenere ambedue le idee, sì debba, fino a prove convincenti contrarie, continuare a ritenere che quei calcari debbano ascriversi al Trias come membri più elevati del Keuper. Il MARIANI !) ha recentemente, con accurate osservazioni, fatti rilevare i caratteri triassici della fauna retica Lombarda ed io rimando volentieri a tale studio per gli argomenti da addursi in favore di tale opinione, ricordando però che stanno per questa i caratteri paleontolo- gici del Retico e specialmente quelli riguardanti le poche Ammoniti rin- venutevi. Io ritengo che, se, come è da augurarsi per la geologia ge- nerale e sopra tutto per quella speciale italiana, il CAPELLINI procederà ad un nuovo studio paleontologico sopra il materiale retico della Spezia 1) MARIANI. — Caratteri triassici della fauna retica lombarda. Rend. d. Ist. lomb., di sc., Ser. II, vol. XXXVIII. ; \ SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LIAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 121 da lui continuamente raccolto con tante cure e con tante premure, appa- riranno sempre più evidenti i rapporti triassici di questo, tanto più ora che i mezzi di riferimento sono facilitati dai più estesi e numerosi studi relativi. I soprastanti calcari dolomitici, racchiudenti il Portor9, secondo me, costituiscono la base del Lias e rappresentano l’ Hettangiano o meglio la zona a Ps. planorbis il che è stato riconosciuto probabile anche dal CaPEL- LINI !) e dal CANAVARI ?). Il fatto di essere sovrapposti agli altri calcari grigi fossiliferi dei quali si discute, come ho detto sopra, l’età liassica, è già un argomento persuasivo in proposito. Per ritenerli triassici bisogne- rebbe ammettere, nella serie cronologica liassica della Spezia un hiatus evidente, in corrispondenza della stessa zona a Ps. planorbis, inquan- tochè i seguenti calcari grigi con fossili piritizzati e limonitizzati sono riferibili e universalmente riferiti a zone superiori a quella ora ricordata. Nella Pania di Corfino in Garfagnana i calcari retici terminano net- tamente con una lumachella scistosa e bituminosa con Av. contorta Port. e Anomia Hoffmanni De Ster. ed hanno al disopra dei calcari biancastri marmorei, poco o punto stratificati, dolomitici e spesso ceroidi che io ritengo cronologicamente corrispondenti a quelli in discorso della Spezia ed in gran parte a quelli ceroidi del Monte Pisano, del Campigliese, del Monte Cetona, della Montagnola senese e di altre località toscane. Ho detto in gran parte poichè non tutti i calcari ceroidi della Toscana, sebbene quasi ovunque sormontati dai calcari rossi inferiori ammoniti- feri, presentano confini cronologici in corrispondenza di limiti litologici. Infatti essi nella loro parte più alta contengono, a Gerfalco, una luma- chella che cronologicamente è superiore alla zona dei calcari grigi con Ammoniti limonitizzate della Spezia, nel Monte pisano invece hanno una fauna che li sincronizza con tali calcari di Spezia. Questi infine sono rappresentati nella Pania di Corfino dai primi banchi dei calcari rossi. I calcari ceroidi della Toscana si trovano nelle stesse condizioni stratigrafiche dei calcari dolomitici della Spezia; anche essi, in generale, però nella sola parte inferiore, debbono considerarsi equivalenti alla zona a Ps. planorbis, se non si deve ammettere che si abbia il solito hiatus fra essi e i sottostanti calcari grigi infraliassici o che questi sieno invece i veri rappresentanti di quella zona. In ogni modo è molto difficile am- 1) CAPELLINI. — Note esplic. della carta geologica dei dint. di Spezia, pag. 17. 2) CANAVARI. — Fauna del Lias inf. di Spezia, pag. 207. 122 A. FUCINI mettere tali hiatus, poichè la serie stratigrafica non solo mostrasi per ogni dove indisturbata, ma presenta anche i più spiccati caratteri di continuità. I calcari grigi, intercalati a scisti, con fossili piritizzati in origine e ridotti quindi in limonite per pseudomorfosi della pirite, sebbene in passato sieno stati riguardati con concetti e criteri cronologici assai dispa- rati, sono ora indubbiamente ritenuti fra i più tipici rappresentanti italiani di Lias inferiore assai profondo e questo specialmente in seguito allo studio accurato che il CANAVARI !) fece della loro fauna. Io ritengo che essi deb- bano essere considerati come il prototipo o come il punto di partenza o di riferimento non solo per tutti gli altri terreni di Lias inferiore della catena metallifera, ma anche di tutta l’Italia. Il CANAVARI avendo ri- ferito tali calcari alle zone a Schl. angulata e Ar. Bucklandi ha preci- sato perfettamente la loro età, della quale convengo pienamente; solo io credo che le due zone, con studi minuti e con accurate ricerche di fossili sul posto, potranno in seguito essere distinte, mentre egli am- mette che la fauna da lui studiata rappresenti nel tempo un unico svi- luppo e non dia luogo ad alcuna ripartizione in zone separate. La mia opinione è tanto più da ritenersi probabile data la grande potenza che viene assegnata a tale formazione e che si fa raggiungere i 200 metri. Non è azzardata l'ipotesi che la zona più profonda sia quella che ha dato i varii Psiloceras studiati dal CANAVARI e che l’altra possa corri- spondere nella fauna ai calcari selciosi fossiliferi di Carenno in Val d’Erve nel bergamasco, analogia osservata anche dal CANAVARI. Ai giusti paragoni ed alle precise corrispondenze cronologiche isti- tuite dal CanavaRI tra la fauna da lui studiata e quelle di altre regioni italiane, col progredire delle osservazioni, se ne possono aggiungere altre. Si può infatti ritenere che corrispondano a tale Lias inferiore di Spezia le lumachelle che si trovano nell’Alpe di Corfino una delle quali pro- veniente dalla Cima alla Foce, la cui fauna fu studiata dal Levi ?), ed una osservata da me nella Punta del Crocione. Da questa ultima io ritrassi una piccola fauna che ho descritto insieme col prof. CANAVARI in uno studio paleontologico sui fossili delle Alpi Apuane, il quale dovrà essere aggiunto a quello geologico che l’ing. ZAccaGNA sta facendo di tale importante 1) CANAVARI. — Beîtr. zur Fauna des unt. Lias v. Spezia (Palaeont. Bd. XXIX, 1832). — Hauna del Lias inf. di Spezia. Mem. del R. Comit. geol., vol. III, 1888. ?) Luvi. — Sui fossili del Lias inf. di Cima alla Foce. Boll. d. Soc. geol. ital., vol. XVII. — Fauna del Lias inf. della Cima alla Foce. Boll. d. Soc. geol. ital., vol. XXI. SOPRA GLI SCISTI LIONA'TI DEL LIAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 1253 regione. La lumachella della Cima alla Foce, secondo il Levi, prover- rebbe dai calcari bianchi ceroidi, ma in verità essa è alquanto rossastra, quella osservata da me alla Punta al Crocione, si trova decisamente nei calcari rossi. Si potrebbe credere per ciò che le due lumachelle, es- sendo di località molto vicine fra loro, appartengano ad orizzonti leg- germente diversi, apparendo forse più antica quella studiata dal LEVI, però non resulta nessuna differenza dal confronto delle loro forme. Poichè nessuna di tali lumachelle ha dato quei si/oceras, che ho detto sopra appartenere presumibilmente alla parte inferiore della forma- zione speziana, è lecito ammettere che esse corrispondano alla parte superiore di questa o se si vuole alla zona ad Ar. Bucklandi, fornendo ancora un argomento per ammettere la divisione in zone distinte della stessa formazione, cosa che sopra ho pure detto possibile. Della stessa epoca sono i calcari grigio-cupi di Restì nell'Appennino di Lunigiana e di Ugliancaldo nelle Alpi Apuane 4). Pure notevole è la corrispondenza cronologica tra i calcari grigi- scuri di Spezia e la porzione più elevata dei calcari ceroidi del Monte Pisano e di altre regioni della Toscana. Nel Monte Pisano io ?) ho tro- vato una lumachella con Brachiopodi e con Ammoniti simili a quelli della Spezia e vi si trova anche una lumachella, apparentemente infe- riore, con Gasteropodi corrispondenti a quelli del Lias inferiore delle montagne del Casale e di Bellampo in Sicilia, studiati dal GEMMELLARO 8). Anche colà dunque si potrebbero forse distinguere più zone; ma non ho alcun elemento per proporle con sicurezza, in quanto che la mancanza di evidenti stratificazioni nella serie non rende abbastanza chiara la sovrapposizione dell’una all’altra lumachella. Nell’ Italia centrale una formazione di Lias inferiore corrispondente a quella di Spezia è molto estesa dall’Abruzzo all’ Umbria, costituita da un calcare biancastro massicci), ed ha avuto dotti illustratori in ZITTEL 4), nel CanaAVaARI 5), nel PARONA 5) e in altri. Recentemente il PARONA *) ha 1) Fucini. — Alcuni fossili del Lias inferiore delle Alpi Apuane e dell’ Ap- pennino di Lunigiana, Pisa, 1392. 2) Fucini. — Pauna dei cale. ceroidi del Monte Pisano. Pisa, 1894. 3) GAMMELLARO. — Fossili del cale. cristall. del Casale e di Bellampo. Pa- lermo, 1885. 4) ZirreL. — Geol. Beobacht. aus dem ©entr. Apenn. 1869. 5) CANAVARI. — Noss. del Lias inf. dell’ App. centr. Pisa, 1879. — Nuove cor- rispondenze tra il Lias inf. di Sicilia e quello dell'’App.°centr. Pisa, 1891. 6) PARONA. — Contrib. allo studio della fauna lias. dell’App. centr. Roma, 1883. 7) PARONA. — Sulla fauna e sull'età dei cale. a Megalodonti delle cave di Trevi. Torino, 1906. 124 A. FUCINI fatto conoscere un’ interessantissima fauna dei calcari bianchi ceroidi delle cave di Trevi, dimostrandone la corrispondenza con quella dei calcari ceroidi del Monte Pisano e con quelia del Casale e di Bellampo in Sicilia. In Sicilia, oltre a quelli del Casale e di Bellampo, corrispondono cro- nologicamente a quelli di Spezia anche i calcari grigi o lionati compatti dei dintorni di Taormina studiati dal Di SteFANO *), da non confondersi però con altri calcari neri di Taormina pure di Lias inferiore e ugual- mente studiati dal Di STEFANO, un poco più recenti e che sono identici a quelli della Calabria. Gli scisti marnosi lionati con impronte di Ammoniti e di altri fos- sili, che si trovano sopra la formazione calcarea testè esaminata, dalla quale si sviluppano e si trasformano mercè graduali passaggi ed alter- nanze, non hanno avuto, fino ad ora illustrazioni speciali. Il CAPELLINI ed il CanavaRI li hanno giustamente riferiti al Lias inferiore. Il Bona- RELLI *) li ricorda attribuendoli genericamente al sinemuriano medio. Il CANAVARI 3), nello studio della fauna dei calcari precedenti, ne descrive e figura anche due Schlotheimiae, probabilmente riferibili alla Schl. Boucawl- tiana D’ORB., riferendone una e confrontando l’altra alla sua Scrl. spe- ziana. Io ritengo che si possano considerare quali rappresentanti della zona con Pentacrinus tuberculatus e con Ar. Turneri della classificazione liassica inglese. A questo concetto sono condotto principalmente per la posizione che tali scisti hanno nella serie stratigrafica della Spezia, per la fauna che essi presentano e per le relazioni di corrispondenza con altre formazioni. La loro posizione stratigrafica e cronologica è infatti molto bene definita, restando compresi tra la zona a Ar. Bucklandi e i cal- cari rossi inferiori ammonitiferi, che corrispondendo a quelli di tutta la catena metallifera, si debbono considerare quali rappresentanti delle zone dell’Ar. obtusus, Or. oxynotus 0 Ar. raricostatus, nonchè della parte infe- riore del Lias medio come ho esposto altre volte e come dirò più sotto. I fossili che io vi ho trovato sono i seguenti: PhyMoceras tenvistriatum MGA., Ph. Partschi StuR, Rhacophylites Quadri Mer., Rh. Quadrii Mar. var. so- lidula Fuc., Eh. lunensis De StEP., Lytoceras etruscum Fuc., Ectocentrites altiformis Bon., Schlotheimia Boucaultiana D’ ORB., Schl. sp. ind. cfr. Schl. 1) Dr STEFANO. — L'età delle rocce credute triassiche del territorio di Taor- mina. Palermo, 1887. > 2) BONARELLI. — Ceful. sinem. dell’ App. centrale, pag. 27. Pisa, 1899. 3) CANAVARI. — Fauna del Lias inf. di Spezia, pag. 138, tav. VIII, fig. 5, 6. - SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LIAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 125 Geyerì Hyatt, Arnioceros mendax Fuc., Arn. Arnouldi Dum., Arn. elegans Fuo., Arn. spirale Fuc., Asteroceras Montiù Man., Ast. eriguum Fuc., Ast.(?) sp. ind. Fuc., Lima densicosta Quenst., Pecten Guidonii Mer., P. sp. ind. cfr. acutiradiatus Mùnst., Pygope Aspasia MeH., i quali si trovano tutti, eccettuati i lamellibranchi, nella formazione calcarea rossa e grigia, di Lias inferiore, soprastante al calcare ceroide, del Monte Cetona, la quale !) fu da me riferita alla serie cronologica superiore alla zona ad Ar. Bu- cklandi, fino a comprendere la parte inferiore del Lias medio. Nessun dubbio quindi che la formazione di Spezia ora in esame si trovi rap- presentata nella parte inferiore dei calcari grigi e rossi divisibili a lastre del Monte Cetona, dando luogo al fatto che mentre essa a Spezia è intimamente collegata litologicamente con quella inferiore dei calcari grigi, la corrispondente del Monte Cetona, invece, forma un insieme li- tologico indivisibile con quella cronologicamente più recente. La distin- zione maggiore che a Spezia intercede tra i calcari grigi e quelli sci- stosi lionati è sopratutto faunistica ed infatti mentre nei primi mancano gli Armioceras e gli Asteroceras, nei secondi sono questi i generi più lar- gamente rappresentati per specie e per numero grande di individui. Nessuna delle specie fossili citate ha però grande valore cronologico ed infatti, tolte quelle anche di minore importanza perchè comuni solo col Monte Cetona, il Ph. fenuistriatum Mer. ed il Ph. Partschi StUR. sono specie che salgono fino al Lias medio; il Khac. lunensis DE STEF. il Lyt. etruscum Fuc. e l° Ast. Montiù Mar. derivano da zone incerte dei calcari rossi ammonitiferi inferiori toscani; 1’ Ect. altiformis Bon. pro- viene dalla cava di Ponte Alto presso Cantiano, che il BoNARELLI rife- risce genericamente al Sinemuriano superiore; la Schl. Bovcaultiana D'ORB. e l’Arn. Arnouldì Dum. si trovano in Francia immediatamente sopra alla zona a Ar. Bucklandi e quindi verosimilmente ad un livello corrispondente ai nostri scisti lionati. Io credo che si possano sincronizzare con gli scisti lionati di Spezia i calcari neri di Moltrasio, di Carenno e Civate, studiati diligentemente dal PARONA !), che contengono una fauna interessantissima, e quelli del colle di Puriac nell'alta valle della Stura di Cuneo ?), con fauna limitata ma caratteristica, fatti giustamente corrispondere dal PARONA a quelli di Moltrasio. 1) Parona. — Amm. lias. di Lombardia. P. III. Genève, 1898. 2) Sacco. — Studio geo-paleont. del Lias nell’Alta valle della Stura di Cuneo. Roma, 1886. 126 A. FUCINI w Nel Veneto sembra mancare la serie del Lias inferiore sino a questa zona, 0 per lo meno non è ben definita. Nelle Alpi Apuane si hanno terreni corrispondenti a quelli in esame nei calcari ammonitiferi rossi inferiori dei dintorni di Sassorosso, ove ho recen- temente trovato, in strati non dei più profondi, una piccola fauna assai caratteristica, che ho in studio, e forse alcuni dei calcari nerastri della valle del Serchio. Ciò per avere osservato nel Museo di Pisa un esem- plare di Arm. ceratitoides Quenst., raccolto erratico nel Serchio stesso e fossilizzato in un calcare grigio, simile a quello delle zone preceden- temente esaminate, alle quali però non si può verosimilmente fare scen- dere tale specie. Nel Monte Pisano al contatto dei calcari ammonitiferi rossi inferiori coni sottostanti calcari ceroidi si hanno dei banchi rosati, con una luma- chella di piccole ammoniti, che io ritengo di questa zona per la loro netta posizione stratigrafica. Sono indotto a questo concetto anche per la grande analogia che presenta quella lumachella con altra consimile che si trova a Gerfalco nelle stesse condizioni stratigrafiche, sebbene in calcare più bianco, tanto che sì potrebbe ritenere, come già alcuni hanno fatto, che essa provenisse dai calcari ceroidi. Ho già pronto per la stampa lo studio dei fossili molto interessanti che si trovano in quest’ ultima lumachella, fra i quali la specie guida Pent. tuberculatus, che a mio avviso renderanno assai chiare le corrispondenze citate. Il marmo giallo di Siena, per l’ addietro ritenuto triassico, si trova, secondo me, al disopra del calcare ceroide nella stessa condizione della lumachella di Gerfalco e quindi lo ritengo della stessa zona. Io !) vi ho infatti osservato specie che confermerebbero tale opinione. Appartengono ugualmente alla stessa zona anche la parte inferiore dei calcari grigi e rossi inferiori ammonitiferi del Monte Cetona, dai quali verosimilmente provengono le specie corrispondenti a quelle osser- vate negli scisti lionati di Spezia e a quelle, non poche, dei calcari di Moltrasio, della lumachella di Gerfalco e di altre formazioni da me attribuite a questa zona, ed anche vi appartengono i calcari grigio chiari compatti di Ponte Alto presso Cantiano, dei quali il BoNnARELLI ?) ha assai chiaramente dimostrata la corrispondenza con le formazioni sopra 1) Fucini. — Sopra l'età del marmo giallo di Siena. Pisa, 1903. — Ancora sopra l’ età del marmo giallo di Siena. Pisa, 1906. ?) BONARELLI. — Cefulopodi sinemuriani dell’ Appennino centrale. Pisa, 1899 _ SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LI4S INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 127 enumerate. Per questi ultimi sarebbe molto difficile in ogni modo, spe- cialmente a cagione ‘della presenza delle diverse specie di Ectocentrites, un riferimento a zone più recenti. Però il BoNARELLI in generale l’ha sincronizzati con quelli delle zone più sotto esaminate. Nel Lias inferiore, tanto esteso nell’Italia centrale, è probabilissimo che si rinvenga anche la zona ora in esame, però non si hanno elementi per determinarla. Ritengo, per ultimo, che appartengano alla presente zona anche i calcari neri o grigi del circondario di Rossano in Calabria, che per il primo io !) riferii al Lias inferiore e più specialmente alle zone ad Arieti, nonchè quelli, che loro corrispondono perfettamente, di Taormina in Sicilia, per l’ avanti studiati dal Di STEFANO ?). Tale sincronismo sarà reso maggiormente palese dalla conoscenza delle ammoniti *) ritrovate dal prof. Greco nella Calabria e sulle quali insieme con altri fossili egli ha intenzione da lungo tempo di pubblicare un lavoro a complemento di quello da lui compiuto nel 1893. I calcari rossi che succedono agli scisti lionati sono identici a tutti quelli della catena metallifera, che dai geologi toscani furono chiamati ammonitiferi inferiori e nei quali alla base si deve presumibilmente di- stinguere la zona precedente anche in quei luoghi ove non è stato pos- sibile farlo per ora per mancanza di dati precisi. Essi appartengono alle zone più alte del Lias inferiore ed è gene- rale il concetto che corrispondano a quelle dell’Ar. obtusus, Ox. oxyno- tum e Ar. raricostatus, che tuttavia rimangono ancora da distinguersi particolarmente; però deve ritenersi, come ho detto più volte, 4) che nella loro porzione più alta si trovi anche la parte più bassa del Lias medio. Mi hanno condotto a questo concetto ragioni stratigrafiche e pa- leontologiche nonchè la considerazione della inammissibilità di un Riatus tra tali calcari e quelli grigi con selce i quali stanno ovunque immedia- tamente al disopra, e sono indubbiamente °) appartenenti alla parte su- periore del Lias medio, intercedendo fra essi anche un graduale passaggio litologico. 1) Fucini. — Molluschi e Brachiopodi del Lias inf. di Longobucco. Modena, 1892. 2) Dr SrEFANO. — Lias inf. di Taormina. Palermo, 1886. 3) GRECO. — Lias inferiore di Rossano. Pisa, 1893. 4) FucINI. — Fauna del Lias medio del M. Calvi. Pisa, 1896. — Nuove Am- moniti dei cale. rossi inferiori della Toscana. Pisa, 1898. — Cefalopodi liassici del Monte Cetona. Pisa, 1901-1905. 5) FucINI. — Fauna del Lias medio di Spezia. Roma, 1896. 128 A. FUCINI Ecco pertanto l’ enumerazione delle specie che ho distinto nel ma- teriale dato dagli scisti lionati. Phylloceras tenuistriatum Mon. 1868. Ammonites tenwistriatus MeneGHINI in RatH. Die Berge v. Campiglia, pag. 321. 1901. Phylloceras tenuistriatum Fuomi. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 31, tav. V, fig. 2-4 (cum syn.) Impronta di un esemplare non molto grande, concamerato fino al primo quarto dell’ ultimo giro. Nella porzione corrispondente alla camera di abitazione si scorgono benissimo le caratteristiche ornamentazioni. L’esemplare era già giustamente determinato con carattere del prof. CAPELLINI, alla cui collezione esso appartiene. Phylloceras Partschi Srur. 1851. Ammonites Partschi Stor. Die Lias Kalksteingebirge, pag. 26. 1901. Phylloceras Partschi Fuomi. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 29, tav. V, fig. 1 (cum syn.). Si tratta di alcuni esemplari perfettamente caratterizzati, parte in modello, parte in impronta, corrispondenti, per le notevoli dimensioni e per ogni altro carattere, a quelli dei calcari rossi ammonitiferi inferiori, conservati nel Museo pisano. Tre esemplari appartengono al prof. CAPELLINI, due al Museo di Pisa. Rhacophyllites Quadrii Max. 1901. Ehacophyllites Quadrii (Mca.) Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 65, tav. IX, fig. 6. Appartengono a questa bella specie quattro esemplari, due in modello di proprietà del prof. CAPELLINI, e due in impronta del Museo di Pisa. In questi ultimi si trovano, pure in impronta, assai numerosi quei resti organici da attribuirsi a porzioni di attacco del tronco di Crinoidi, fre- quentemente adesi sopra esemplari di Ammoniti del Lias inferiore di Cetona e dei quali uno molto bello si vede sulla fig. 12 della tav. XXXIV del mio lavoro sopra tali Ammoniti. Anche altri fossili delle collezioni in esame presentano simili impronte organiche. SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LIAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 129 var. solidula Fuc. 1901. Rhacophyllites Quadrii Max. var. solidula Fucini. Cefal. liass. del M. Cetona, pag. 67, tav. XI, fig. 9, 10. i Si riferisce sicuramente a questa distinta varietà un esemplare in modello, appartenente al Museo pisano, il quale corrisponde molto bene a quello di Cetona da me rappresentato con la fig. 9. Rhacophyllites lunensis ? Dr Srrr. 1886. Ph. (Rhacophyllites) lunense De SteFANI. Lias inf. ad Arieti, pag. 57, avo III IZ] 1901. Rhacophyllites lunensis Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 61, CAVIA eo 12. Per la non buona conservazione dell'individuo, il quale è in im- pronta, non è da garantirsi la sua determinazione, per quanto ogni ca- rattere visibile la facesse ritenere ben fatta. L’esemplare appartiene alla collezione del prof. CAPELLINI. Lytoceras etruscum Fuc. 1901. Lytoceras etruscum Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 76, tav. XII, fig. 11, 12 (cum syn.). Si riferisce indubbiamente a questa specie, oltremodo distinta e ca- rat‘eristica, un esemplare piuttosto grande, conservato in modello, ap- partenente al Museo di Pisa, il quale ha la camera di abitazione total- mente conservata, presentando assai lunga la porzione finale della spira che è ornata dalle caratteristiche pieghe. EKctocentrites altiformis Bon. 1899. Ectocentrites altiformis BownareLLI. Cefal. sinem. dell’App., pag. 73, tav. 9, fig. 4-6. i 1901. Hetocentrites altiformis Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 86, tav. XIV, fig. 1-9. Ritengo riferibile a questa specie un esemplare non molto grande, in impronta, appartenente al Museo di Pisa, il quale mostra assai evi- denti sia i caratteri spirali, di accrescimento ecc., sia quelli ornamentali. 130 A. FUCINÌ Schlotheimia Boucaultiana n° OrB. 1842. Ammonites Boucaultianus Dv’ OrBIGNY. Paleont. frang. terr. jurass. T. I, pag. 294, tav. 90, fig. 3-5. 1888. Schlotheimia sp. ind. cfr. Schl. speriana CanavariI. Lias inf. di Speria, pag. 138. tav. VIII fig. 6. 1903. Schlotheimia Boucaultiana Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 204, tav. XXXV, fig. 1-7 (cum syn.). Si riferisce a questa specie l'esemplare figurato dal CANAVARI e ci- tato in sinonimia, di proprietà del Museo di Pisa. : Esso, forse più propriamente, sembra riferirsi alla var. etrusca da me distinta tra i Cefalopodi del M. Cetona, però non può a tal propo- sito. asserirsi nulla, mancandoci il controllo della linea lobale. Schlotheimia sp. ind. efr. Geyeri Hvam. 1888. Seklotheimia speriana Canavari. Lias inf. di Speria, pag. 138, tav. VIII, fig. 5, (pars) non tav. IV, fig. 12. 1889. Sehlotheimia Geyeri Hvamr. Genesis of the Arietidae, pag. 135. Frequenti impronte di Sehlotheimiae, visibili sia di fianco che dal lato dorsale, sembrano corrispondere alla specie del M. di Cetona che io !) riferii alla Sch. Geyeri Hyatt; però la loro deficiente conserva- zione e la mancanza della linea lobale non permettono una più decisa determinazione. Parte degli esemplari appartengono al Museo di Pisa e parte al prof. CAPELLINI. Arnioceras mendax Fuc. 1902. Arnioceras mendar Fucemi. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 732, tav. XX, fig. 1, 3, 6,8, 11, tav. XXII, fig. 16 (cum syn.). La massima parte delle Ammoniti della fauna in esame appartiene a questo genere che presenta difficoltà eccezionali per la interpretazione delle diverse specie, data la conservazione degli esemplari. L’ Arm. mendax si riconosce, tuttavia facilmente, rappresentato da numerosi individui, 1) Fucini. — Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 214, tav. XXXV, fig. 10. SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LIAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 131 per la massima parte corrispondenti al tipo; solo alcuni esemplari, fra i peggiori di conservazione, sembrano riferirsi alla var. rariplicata. La specie è rappresentata abbondantemente tanto nella collezione del Museo di Pisa, quanto in quella del prof. CAPELLINI. Arnioceras Arnouldi Duwx. 1867. Ammonites Arnouldi DumortiER. Dép. jurass. T. II, pag. 27, tav. 5, fi. 1, 2, tav..6, fig. 1-6. 1902. Arnioceras Arnouldîi Fucini. Cefal. del M. Cetona, pag. 153, tav. XXVIII, fig. 1-3. Per il caratteristico andamento delle coste sembra riferirsi a questa specie un esemplare frammentario, in impronta, appartenente al Museo di Pisa. Arnioceras elegans Fuc. 1902. Arnioceras elegans. Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 174, tav. XXIX, fig. 4-8 (cum syn.). Si riferisce a questa specie un esemplare di mediocri dimensioni, appartenente al Museo pisano, che, per essere conservato in modello, lascia scorgere assai bene i principali caratteri specifici e che corri- sponde al più grande tra quelli del M. di Cetona da me figurati. Arnioceras spirale Fvuc. 1902. Arnioceras spirale Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 140, tav. XXII, fig. 6-13. Due esemplari, uno del Museo di Pisa e uno di proprietà del prof. CAPELLINI, si riconoscono facilmente appartenere a questa specie, per il loro accrescimento molto lento e per ogni carattere degli ornamenti. Asteroceras Montii Mex. 1877. Ammonites Monti Mer. in De Srerani. M. Pisano, pag. 82. 1903. Asteroceras Montii Fuorni. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 198, tav. XXI, fig. 9; tav. XXXIII, fig. 12-14. Appartiene a questa specie un esemplare moito grande, conservato in modello, appartenente al Museo di Pisa. Per quanto sia molto defor- Sc. Nat. Vol. XXIIl 9 132 A. FUCINÎ mato per compressione, è facilmente riconoscibile, avendo conservati tutti i principali caratteri specifici. Asteroceras exiguum Fvuc. 1903. Asteroceras exiguum Fucini. Cefal. liassici del M. Cetona, pag. 200, tav. XXXIV, fig. 4-11. Dopo lArn. mendax Fuc. è questa la specie fossile più frequente negli scisti lionati di Spezia. Essa è facilmente riconoscibile e si pre- senta con forme variate, ora molto distintamente costate ed ora quasi liscie. Alcuni esemplari appartengono al prof. CAPELLINI, altri al Museo di Pisa. Lima densicosta Quensr. 1858. Plagiostoma acuticosta var. densicosta QuensteDT. Der Jura, pag. 148, tav. 18, fig. 25. 1894. Lima (Radula) densicosta Greco. Il Lias inf. di Rossano, pag. 76, tav. V, fig. 11, 12 (cum syn.). Riferisco a questa specie, e più propriameute alla forma calabrese, due esemplari conservati in modello, appartenenti al Museo di Pisa. Essi sono mancanti dello strato esterno della conchiglia, per modo che non presentano la seconda e piccola costicina interposta alle coste ra- diali più grandi, la quale fa appartenere la specie al gruppo delle du- plicate del QuenstEDT. Avendo paragonati i miei con gli esemplari del Lias inferiore calabrese studiati dal GREco, ne ho riconosciuta la cor- rispondenza ed ho veduto che tutti, ove manca la pale più superficiale del guscio, presentano gli identici caratteri. Pecten Guidonii Mex. m. s. Così il MENEGHINI intitolò una specie rappresentata da due esem- plari, di proprietà del Museo di Pisa, i quali presentano una conchiglia obliqua, probabilmente per subito stiramento, sfornita di ornamenti, e con orecchiette liscie e subeguali. Pecten sp. ind. cfr. acutiradiatus Miinsr. in Duw. 1867. Pecten acutiradiatus (Miinst.) DumortIER. Dép. jurass. T. up pag. 217, tav. XLIIII, fig. 5, 6. SOPRA GLI SCISTI LIONATI DEL LÎAS INF. DEI DINTORNI DI SPEZIA 133 Si tratta di due esemplari di Pecten, mancanti di orecchiette, con- servati in impronta ed appartenenti al Museo di Pisa. Per il numero delle coste, per l’ acutezza di queste e per gli orna- menti sottili, dati dalle strie di accrescimento, sembra che la specie, se non del tutto corrispondente, non debba essere molto dissimile da quella del bacino del Rodano, che il DumoRTIER ha riferito al P. acutiradiatus MuNSTER. Pygope Aspasia Mx. 1863. Terebratula Aspasia MeNnEGHINI. Nuovi fossili toscani, pag. 13. 1888. Terebratula (Pygope) Aspasia CANAvARI. Lias. inf. di Spexia, pag. 60, Miavifleno. 192; Questa specie tanto facilmente riconoscibile, nella sua forma tipica specialmente, come nel caso attuale, è rappresentata da un esemplare in modello, alquanto deformato, di notevoli dimensioni, apparten? ite al Museo di Pisa. Pisa, Museo geologico, 12 giugno 1906. ISTITUTO ZOOLOGICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA DIRETTO DAL PROF. E. FICALBI Dott. EMPEDOCLE GOGGIO (AIUTO) Intorno al genere Lernanthropus, De Blamv. (Epachthes, v. Nordm.) con descrizione di tre specie non descritte !) e (Tav. II [I]). 1. — Caratteri del genere. Il genere Lernanthropus, come si sa, fu fondato nel 1822 dal DE BLAINVILLE 2). Eccone i caratteri, come press’a poco li dà CARL HEIDER, nella sua monografia 8). Primo anello toracico fuso col capo, in un cefalotorace. I rimanenti segmenti del torace fusi insieme a formare il “ pezzo toracico libero , il quale d’ordinario nella femmina si estende all’indietro in uno scudo dorsale largo e piano. Addome piccolissimo e atrofizzato, portante una piccola furca. Antenne del 1.° paio munite di setole, 6-8 articolate o non chiara- mente segmentate, con anelli fusi. Antenne del 2.° paio biarticolate, ri- sultanti di un pezzo basale rigonfio e di una potente unghia terminale fatta a guisa di uncino. Labbro superiore e inferiore modificati in un rostro atto a succhiare. Mandibole a forma di stiletto. Mascelle palpi- formi. Due paia di piedi mascellari risultanti di un pezzo basale ri- gonfio e di un’unghia biarticolata, rappresentanti organi di presa e di fissazione. Due paia di piedi remiformi rudimentali, formati da un pezzo !) Ringrazio il' prof. FrcaLBI, che mi ha dato facoltà di pubblicare questa nota tratta dallo studio della collezione di Crostacei parassiti del eompianto prof. RICHIARDI, passata ora, per dono della Famiglia, in sua proprietà. *) 1822. De BLAINnvILLE M. H. D. — Journ. de physique, T. XCV, p. 444: Di- ctionnaire des Sciences naturelles, T. XXVI, p. 128. 3) 1879. HrIDER C. — Die Gattung Lernanthropus. Arb. Inst. Wien, Bd. II, H. 3. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. 135 basale e da due piccoli rami, uno esterno largo, provvisto di parecchi monconi unghiformi, ed uno interno sottile appuntito. Seguono ancora 2-3 paia di piedi remiformi espansi in lobi. 2. — Elenco delle specie descritte !). 1. — Lernanthropus musca, De BLaINv., sulla pelle di un Diodon.....?; Manilla (9). 1822. De BrarnviLLe M. H. D. — Journ. de physique, T. XCV, pag. 444, fig. 14, ecc. (v. pag. 22). 1833. BurmeIsteR H. -— Beschreibung einiger neuen oder weni- ger bekannten Schmarotzerkrebse, nebst allgemeinen Betrachtungen tiber die Gruppe, welcher sie angehòren: bei der Akademie (zu Berlin) eingegangen den 29. Juli 1833, V. XVII, P. I., pag. 308. 1840. Mine Epwarps M. — Histoire naturelle des Crustacés. Paris, T. III, pag. 499. 1879. Hriper C. —!. còf., pag. 76. 2.— L. paradoxus, Burm. (Epachthes paradoxus NorDwm.), sopra Mu- gil......?. Capo di Buona Speranza (9). 1832. von NoRDMANN A. — Mikrographische Beitrige zur Na- turgeschichte der wirbellosen Thiere. Berlin, II Heft, pag. 45-48. 1833. BuRrMEISTER H. — l. cit., pag. 307-309, taf. XXIV, fig. 12. 1840. Mine Epwarps M. —!. cit., pag. 499. 1879. HeipeR C. —!. cit., pag. 72. 3.— L. pupa, Burm., sulle branchie di una specie di Platax e sul- l’Ephippus gigas. Brasile (9). 1833. BuRmEISTER H. — /. cit., pag. 303-308, taf. XXIV, fig. 7-11. 1840. MiLne EpwarDS M. — !. cit., pag. 498, pl. 41, fig. 2. 1879. HripER C. — l. cit., pag. 78, fig. 56-58. 4. — L. Kròyeri, van Ben., sulle branchie di Labrax lupus; mare del Nord (van BenEDEN); Nizza (CLaus); Trieste (HempER); Genova (Brian); Italia (RicHIARDI); mare Adriatico (VALLE); varietà HEIDER sulle branchie del Sargus Salviani. Trieste (9 dI). 1) Nella bibliografia delle specie descritte sono citati semplicemente alcuni lavori in cui può trovarsi almeno un cenno descrittivo o una figura della specie relativa. Quanto alle abbreviazioni bibliografiche, mi sono, in generale, uniformato a quelle del « Zoological Record ». 136 E. GOGGIO 1851. van BENEDEN G. J.—- Recherches sur quelques Crustacés inférieurs. Ann. Sc. nat., INI S., T. XVI, pag. 71, pl-3, fig. 7-9 (9). 1858. CLaus C. — Ueber den Bau und die Entwickelung para- sitischer Crustaceen. Cassel (FiscHER), pag. 18, fig. 15-19 (prima descrizione del maschio). 1865. von NorRDMANN A. — Neue Bettrige zur Kenntniss para- sitischer Copepoden. Erster Beitrag. Estratto da: Bull. Soc. Moscou, T. XXXVII, seconde partie, pag. 48, tab. VII, fig. 5-8. 1877-78. Hesse E.— Description des males, non encore connus (2), des Lernanthropes de Gisler et de Kròyer, ainsi que de la femelle d'une espèce nouvelle, dessinés et peints d’après des individus vivants. Rev. Montp., T. VII, n.° 1 (15 Juin 1878), pag. 1-8, pl. II. 1879. HreipER C.—!. cit., pag. 90, fig. 72, 73. 1885. Carus J. V. — Prodromus Faunae mediterraneae: Stutt- gart, vol. I, pag. 365. 5.— L. Gisleri, van Ben., sulle branchie della Sciaena aquila, nel porto di Ostenda (van BeNEDEN); sulla Sciaena: aquila (Hesse); sulle branchie di Umbrina cirrhosa L. e Corvina nigra Cuv., Trieste (Her), mare Adriatico (VALLE), Genova (BRIAN); sulle branchie della Sciacna umbra, Palermo (RIcHIARDI) (dI). 1852. van BENEDEN P. J. — Notes sur quelques parasites d’ un poisson rare sur nos cotes. Estratto da: Bull. Acad. Belgique, TEX paoletta 1861. van BENEDEN P.J. — Recherches sur les Crustacés du littoral de Belgique. Mem. Ac. Belgique, T. XXXIII (174 pag.), pag. 151, pl. XXVIII. 1877-78. Hesse E. — l. cit., tav. VI, n.° 3, (15 déc. 1877), pag. 253-260, pl. IV. 1879. HemER C. — L. còt., pag. 83, fig. 65, 66. 1885. Carus J. V. — I. còt., pag: 364. 1898. BRIAN A. — Catalogo di Copepodi parassiti dei pesci della ‘ Liguria. Bull. Mus. Genova, n.° 61, pag. 11, tav. III, fig. 18 (an- che in Atti Soc. Ligustica, vol. IX, n.° 2). 6. — L. Petersii, van BEN., sul Serranus goliath, Monzambico (dI). 1857. van BENEDEN P. J. — Note sur un Lernanthrope nouveau du Serranus Goliath. Bull. Acad. Belgique, XXVI A.,2 S., T.I. 1865. von NoRDMANN A. — /. cit., pag. 50, taf. VIII, fig. 1-7. 1879. HeIpER C. — I. cit. pag. 76. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. Tor T.— L. Konigii, SteeNsT. e LùtK., sulle branchie di Stromateus paru BL. e di Galeichthys major. Indie orientali (QI). 1861. SreenstRUP J. JAP. Sx. oc CAR. FRED. LUTKEN. — Bidrag til Kundskab om det aabne Havs Snyltekrebs og Lernacer samt om nogle andre nye eller hidtil kun ufuldstaendigt kjendte parasitiske Copepoder. Saerskilt'aftrykt af det Kongelige Danske Videnska- bernes Selskabs Skrifter, 5'° Raekke, naturhistorisk og mathema- tisk Afdeling, 5*° Bind; Kjobenhavn; S. 55 (395), tab. XII, fig. 23. 1879. HemER C.—!. cit., pag. 9. 8. — L. pagodus, KLLR., dalle branchie di ques guttulatus. Bahia (9). . 1863-64. Kròver H. — Bidrag til:-kundskab om Snyltekrebsene: Naturhistorisk Tidsskrift, 3 Raekke, 2 Bind, Kjobenhavn, pag. 282, tab. VIII, fig. 2 a-f. 1879. HripeR C. —/. cit., pag. 81, fig. 62-64. 9. — L. belones, KLLR., sopra Belones almeida. Brasile (9). 1863-64. KroveR H. — /. cit., pag. 279, tab. IX, fig. 4 a-e. 1879. HeipER C. —/. cit., pag. 88, fig. 69-71. 10. — L. giganteus, KLLR., sul Caranx carangus. Brasile (6). 1863-64. KròreR H. — !. cif., pag. 280, tab. VIII, fig. 1 a-e (9). . 1879. Hemer C. —!. cit., pag. 77, fig. 53-55 (9). 11. — L. pagelli, Krév., da un Pagellus ( P. Penna?) (2Q gd). 1863-64. KròyER H. — l. cit., pag. 274, tab. IX, fig. 2 a-g9. 1879. HemeR C. — l. cit., p. 88. 12. — L. scribae, Kréy.!), sulle branchie del Serranus scriba Cuv.; mare Mediterraneo (KRòYvER, RICHIARDI, VALLE) (9). 1863-64. KròreR H. —!. cit., pag. 277, tab. IX, fig. 3 a-g. 1879. HripER C. —!. cit., pag. 86. 1885. Carus J. V. — I. cit., pag. 364. 13. — L. angulatus, Kròv. 2), da un Serranus delle Indie occidentali (KROYER) (QI). 1863-64. KròvER H. —/. cit., pag. 270, tab. IX, fig. 1 a-q. 1879. HemER C.—L. cit., pag. 87. 14. — L. Temminckii, v. Norpw., sulle branchie di Saurus lacerta. Indie orientali (9). 1) Probabilmente questa specie è identica al L. trigonocephalus, HELL. 2) Forse questa specie è identica a Aethon quadratus (v.: HeLLER C. — Cru- staceen der Novara Expedition, p. 213, nota 1). 138 E. GOGGIO 1865. von NoRDMANN A. —!. cit., pag. 41, tab. VI, fig. 11-13. 1879. HeIpER C. — l. cit., pag. 76. 15. — L Holmbergii, v. Norpw., sulle branchie di un pesce indetermi- nato di Honolulu (£'). 1865. von NoRDMANN A. — !. cit., pag. 45, taf. VII, fig. 1-4. 1879. HepER C.—L. cit., pag. 93. 16. — L. trigonocephalus, HeLL., sulle branchie di Serranus scriba; mare Mediterraneo (HeLLER), Trieste (CLAUS, HEIDER) (QI). 1865. HELLER C. —— Reise der dsterreichischen Fregatte Novara um die Erde in den Jahren 1857, 1858, 1859. Zoologischer Theil, II Bd., III Abth., Crustaceen, Wien, pag. 226, taf. XXII, fig. 3 (9). 1879. HeIpER CO. —!. cit,, pag. 85, fig. 67, 68 (9g). 1885. Carus J. V.—!. cit., pag. 365. 17.— L. larvatus, HeLt., sulle branchie di Priacanthus ocellatus. Oceano Indiano (9 gd). 1865. HELLER C. —!. cit., pag. 227, taf. XXII, fig. 4, 5. 1879. HemER C. —l. còt., pag. 72, fig. 48, 49. 18. — L. lativentris, HeuL., sulle branchie di Mesoprion phaiotaeniatus. Giava (QI). 1865. HeLLER C. — !. cit., pag. 223, taf. XXI, fig, 4, taf. XXII, fig. 1. 1879. HeipeR C. — l. cit., pag. 74, fig. 50-52. 19. — L. nobilis, HeLL., sulle branchie di Zemnodon saltatorius. Brasile (9). 1865. HELLER C. — l. cit., pag. 225, taf. XXII, fig. 2. 1879. HeipER C. — l. cit., pag 92, fig. 74-76. 20. — L. atrox, HeLL., sulle branchie di Pagrus guttulatus. Nuova Olanda (4 individui 9); attaccato alle narici di Chrysophorys sarba. Golfo persiano (6 9). 1865. HeLLER C. — !. cit., pag. 221, taf. XXI, fig. 3 (9). 1879. Hemer C.—!. cit., pag. 80, fig. 59-61 (Q). 1898. Basser-SmitH P. W. — Further new Parasitie. Copepods found on Fish in the Indo-tropical Region. Ann. Nat. Hist., S. 7, VOlR29ni 28 pae ep AVIS A (0/3: 21. — L. carangis, Hesse, sulle branchie di Caranx brachurus (9). 1877-78. Hesse E. —/. cit., T. VII, n.° 1 (1878), pag. 8, pl. I. 22. — L. polynemi, RicH., sul Polynemus tetradactilus, SHAW. (probabil- mente aderente alle laminette branchiali). Batavia (9). 1881. RIcHIARDI S. — Sopra due specie nuove di Crostacei pa- INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. 139 rassiti. Proc. verb. Soc. Toscana, vol. II, pag. 274 (anche in Zool. Anzi WLVa 881" pag: 505); 23. — L. micropterygis, RicH., sulle branchie del Micropterya dumerili, Risso e della Seriola dumerili, Risso; mare Mediterraneo (9 dg). 1884. RIcHIARDI S. — Descrizione di due specie nuove del genere Lernanthropus. Proc. verb. Soc. Toscana, vol. IV (1883-1885), pag. 82. Questa specie parmi identica al: L. Thompsoni, sulle branchie della Lichia amia, Lin., mare Me- diterraneo (9) v.: 1898. BRIAN A. — Catalogo di Copepodìi paras- siti deì Pescì della Liguria. Boll. Mus. Genova, n.° 61, pag. 13, tav. III, fig. 16 a-d. Anche in: Atti Soc. Ligustica, vol. IX, n.° 2. 24. — L. tylosuri, RicH., sulle branchie del 7'ylosurus imperialis RAF.; mare Mediterraneo (9). 1884. RicHIARDI S. — Z. cit., pag. 83. 25. — L. brevoortiae, RAatE., sulle branchie di Brevoortia tyrannus, La- TROBE. Massachusetts (9). 1887. RataBUN R. — Description of new Species of Parasitic Copepods belonging to the Genera, Trebius, Perissopus and Ler- nanthropus: P. U. S. Mus., vol. X, pag. 563, pl. XXX, figs. 7, 8; pl. XXXI, XXXII. 26. — L. pomatomi, RatH., sulle branchie di Pomatomus saltator. Mas- sachusetts (9 d'). 1887. RatHBUN R. — !. cìt., pag. 567, pl. XXXIII, XXXV. 27.— L. percis, THomson, sulle narici del Percìis colias. Nuova Ze- landa (9). 1889. THomson G. M. — Parasitic Copepoda of New Zealand, with Descriptions of New Species. Tr. N. Zealand Inst., vol. XXII, pag. 366, pl. XXVII, fig. 2 a-). 28. — L. trifoliatus, Bassett-Swita, sulle narici del Polynemus tetra- dactylus. Bombay ($). 1898. Bassett-SMitA P. W. — Some new Parasitic Copepods found on Fish at Bombay. Ann. Nat. Hist., S. 7, vol. 1, n.° 1, pag. 12, pl. VII, fig. 3. | 29. — L. nudus, Basset SmrH, sulle narici di Mugi! sp.. Aden (Qd). 1898. Bassett-SMITH P. W. — Some new or rare Parasitic Co- pepods found on Fish in the Indo-Tropic Region. Ann. Nat. Hist., S. 7, vol. 2, n.° 11, pag. 368, pl. XII, fig. 2-4. 140 E. GOGGIO 30. — L. mugilis, Brian, sulle branchie del Mugil auratus Riss. Mare Ligure (9). 1898. BRIAN A.— 1. 4. cit., pag. 14, tav. III, fig. 171). 1903. BRIAN A. — 2. Sui Copepodi parassiti di pesci marini dell’ Isola d’ Elba. 4. nota: Boll. Museo; Genova, n.° 121, pag. 4 (anche in: Atti Soc. Ligustica, vol. XIV). 31. — L. trachurì BRIAN, sulle branchie di Zrachurus trachurus CASTELN. Portoferraio. 1903. BRIAN A. — l. cit. 3. — Descrizione di tre specie non descritte. Le due seguenti specie (Lernanthropus foliaccus, L. vorax), che io descrivo, furono dal prof. RicHIARDI trovate, denominate e accennate nei lavori per ciascuna indicati, ma non descritte. La terza seguente specie figura nella collezione RIcHIARDI come Lernanthropus ma senza nome specifico e senza descrizione. La denomino L. lichiae e la descrivo, Lernanthropus foliaceus, RicHiarDI. — (Fig. 1, Tav. II [I]). 1878. RicHziarpI S. — Del nuovo genere di crostaceo Trypaphylum e delle nuove specie Phyllophora crassa e Lernanthropus foliaceus. Comunicazione alla Soc. Toscana di Sc. nat. il 5 maggio 1878: v, Proc. verb. Soc. Toscana., Vol. I (1878-79), pag. XX. 1880. Ricniarpr S. — Catalogo sistematico dei Crostacei che vivono sul corpo degli ammali acquatici im Italia. Pisa, Vannucchi, p. 5. 1884. Ricuiarpi S. — /. cit., pag. 82. Sulle branchie del 77yrsites pretiosus, Cocco. Mare Mediterraneo. Quattro esemplari 9, tre adulte, una piccola, giovane. Il maggiore di questi ha una lunghezza massima, dall’estremità anteriore del cefaloto- race al margine posteriore dello scudo dorsale, di mm. 15, 5. Se si guarda il corpo dal lato dorsale, lo si vede diviso in tre por- 1) Nello stesso lavoro il BRIAN descrive a pag. 15 e figura nella tav. III, fig. 14, una specie di Lernanthropus di cui 3 esemplari £ furono trovati sulle branchie di CArysophrys aurata, LinN. (Mare Ligure); il BRIAN non dubiterebbe che si trattasse di una nuova specie che però non denomina; il THomson pen- serebbe con qualche dubbio che si trattasse di individui di Brachie/la n. sp. in via di sviluppo. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. 141 zioni: cefalotorace, pezzo toracico libero e scudo dorsale, ricoprente l’ultima parte del torace e l’addome con la sua coda. Il primo è sepa- rato, per mezzo di una strozzatura profonda, dal secondo, mentre questo è separato dalla porzione seguente per mezzo di un leggero solco dor- sale e di due forti insenature laterali. Il cefalotorace ha, se guardato dal lato dorsale, un contorno che ricorda la figura di un trapezio: la superficie dorsale è fortemente con- vessa, quella ventrale, concava; i margini laterali si estendono molto ventralmente e si accartocciano, ma solo pochissimo, sulla faccia ventrale. Anteriormente il cefalotorace si prolunga in un breve e largo pezzo, separato dal resto per mezzo di un leggero solco dorsale ed espanden- tesi lateralmente in due appendici di forma press’a poco piramidale, che con il loro margine posteriore sono addossate al margine anteriore del cefalotorace. Il diametro dorso-ventrale di questo è molto piccolo. Il pezzo toracico libero, più grande del cefalotorace, ha la faccia dorsale fortemente convessa, quella ventrale quasi piana; è più stretto nella porzione anteriore: i margini laterali di esso presentano verso la metà della loro lunghezza una insenatura in corrispondenza degli estremi di un sottilissimo solco che ne attraversa, da un lato all’altro, la su- perficie ventrale. L'ultima porzione del corpo, che, come si è detto, appartiene allo scudo dorsale ricoprente l’ultima parte del torace e l'addome con le sue appendici ha (sempre se guardata dal lato dorsale) contorno piriforme. È, come sappiamo, separata dorsalmente dal pezzo toracico libero per mezzo di un solco trasversale: da questo si partono due solchi longi- tudinali.che, per breve tratto, si dirigono posteriormente, paralleli alla linea longitudinale mediana del corpo. Lo scudo dorsale ha la forma di una grossa lamina accartocciata dal cui margine posteriore, che è quasi rettilineo, si vedono sporgere le estremità del 4.° paio di piedi. A livello dell'inserzione di questi sul corpo, esso si restringe bru- scamente in un piccolo addome che si continua in una sottile coda por- tante due appendici a forma di ovoide allungatissimo, relativamente voluminose. L’addome e la porzione indivisa della coda sono ricoperti da uno scudetto che, alla sua volta, sta al di sotto del grande scudo dorsale. Uno solo degli esemplari di cni disponevo era provvisto di uova: queste erano piccole, discoidi, disposte in una sola serie a formare due cordoni aggrovigliati al di sotto dello scudo dorsale. 142 E. GOGGIO Delle appendici del cefalotorace ho potuto ben distinguere le seguenti: Il 2.° paio di antenne, piuttosto brevi, ma robuste, sotto forma di due uncini portati ciascuno da un grosso pezzo basale inserito imme- diatamente al di dietro del margine posteriore delle due appendici della parte anteriore del cefalotorace: il 2.° paio di piedi mascellari, simili per forma e struttura alle antenne uncinate, ma leggermente meno ro- busti di esse. I piedi natatorî del 1.° paio sono posti immediatamente al di dietro del 2.° paio di piedi mascellari e rappresentati da due monconi ro- tondeggianti, dalla cui base, verso il lato interno, si staccano tre pic- cole appendici digitiformi: il 2.° paio di piedi, che segue immediata- mente al 1°, è costituito anch'esso da due monconi arrotondati, verso il cui apice si trovano due o tre tubercoli. Molto appariscenti sono i piedi del 3.° paio: risultano ciascuno di una grossa lamina accartocciata, a forma di sella, inserita sul margine posteriore ventrale (di cui occupa la metà) del pezzo toracico libero, diretta in senso dorso-ventrale: la loro superficie anteriore è convessa; il margine laterale esterno di ciascuna si spinge alquanto dorsalmente e si sovrappone per breve tratto alla prima parte di quello dello scudo dorsale; i margini interni dei due piedi si toccano, ma non sono fusi. Vistosissimi sono i piedi del 4.° paio: ognuno è formato da una larga lamina triangolare inserita per un vertice sulla faccia ventrale del corpo, a qualche distanza dai piedi del 3.° paio, e che si prolunga alla base in due ampie lamine a contorno ovale, in parte sovrapposte e terminanti con un sottile filamento: queste rimangono in gran parte ricoperte dallo scudo dorsale e solo l’ estremità, col filamento che porta, sporge dal margine posteriore di esso. Lernanthropus vorax, RICHIARDI. — ( Fig. 2,3, Tav. II [I]). 1879. RicHiarpi S. — Sopra cinque nuove specie di Crostacei parassiti. Pr. verb., Soc. Toscana di Sc. nat., vol. I (1878-79), pag. LXXXI. 1880. RicamaRDI S. — /. cet. 1884. RicHiarDI S. — l. cò. 1880. VaLLe A. — Crostacei parassiti dei pesci del mare Adriatico. Boll. Soc. Adriat., vol. VI, pag. 64. Sulle branchie del Charax puntazzo, L. Mare Mediterraneo. Molti esemplari,@ g7. Somiglia molto al L. Ayoyerìi, van BEN. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINVY. ECC. 143 Descrizione della femmina. (Fig. 2) — Lunghezza dall’estremità ante- riore del corpo al margine posteriore dello scudo dorsale: mm. 3,6 circa. Cefalotorace a contorno trapezoidale, un poco più stretto anterior- mente che posteriormente, a faccia dorsale fortemente convessa e a faccia ventrale quasi pianeggiante, separato dal resto del corpo per mezzo di una profonda strozzatura. Il tronco appare diviso, se guardato dal lato dorsale, in due porzioni separate da un leggerissimo solco trasversale e da due insenature dei margini laterali: quella anteriore subquadrata, convessa dorsalmente, quasi pianeggiante nella faccia ventrale e a margini laterali leggermente concavi nel tratto mediano; quella posteriore (scudo dorsale) subcircolare, convessa tanto nella faccia dorsale che in quella ventrale e ricoprente l’ultima porzione del torace, che porta il 4.° paio di piedi remiformi, e il segmento genitale. Questo è piriforme, attaccato al resto del corpo per mezzo di un peduncolo relativamente sottile: posteriormente si prolunga in un pezzo rotondeggiante su cui sono inserite due appendici a forma di ovoide allungato, la cui estremità sporge al di sotto dello scudo dorsale. Ai lati del segmento genitale s'inseriscono i tubi oviferi, cilindrici, lunghi !/, circa più del corpo, formati da uova discoidi, piuttosto piccole. Le antenne uncinate (2.° paio) prendono inserzione all’ estremità an- teriore del cefalotorace e sono robuste. Discretamente robusti e quasi uguali fra di loro (quelli del 1.° paio lesgermente più piccoli di quelli del 2.9) sono i piedi mascellari. Le prime due paia di piedi remiformi, che seguono da vicino i piedi mascellari, si presentano molto ridotte, mentre bene sviluppato è il 3.° paio di piedi, formato da due lamine semplici, a forma di sella, di- sposte come indica la Fig. 2. ’ I piedi dell’ultimo paio s'inseriscono ai lati del peduncolo addomi- nale. Ciascuno è formato da un pezzo cilindrico che ben presto si di- vide in due rami cilindroidi, press’a poco uguali, gradatamente assotti- gliantisi e sporgenti oltre i margini dello scudo dorsale. Descrizione del maschio. (Fig. 3) — Lunghezza, dall’ estremità ante- riore del corpo all’ estremità delle appendici caudali: mm. 3 circa. Il cefalotorace, relativamente molto sviluppato, di grossezza piuttosto rilevante, quasi globoso, è distintamente diviso in due parti, separate l’una dall’altra non per mezzo di un solco della faccia dorsale, ma da due ben marcate incisure dei margini laterali e dal fatto che il diametro 144 E. GOGGIO trasversale di quella anteriore, che è molto più piccola e porta le an- tenne, è minore di quello della posteriore, che è la principale: questa è fortemente convessa dorsalmente, quasi pianeggiante ventralmente. Il cefalotorace è ben distinto, per mezzo di un solco, dal resto del corpo, che è diritto e mancante di scudo dorsale. Se si guarda dal dorso la porzione toraco-addominale, si possono ben distinguere in essa due parti: una anteriore che porta, nel suo ul- timo tratto, 1 piedi remiformi del 3.° paio, e un’ altra, la cui forma ge- nerale è quella di un ovoide allungato, che porta ai lati i piedi del 4.° paio e all’estremità posteriore due appendici caudali, simili a quelle della femmina. Le antenne, i piedi mascellari e quelli remiformi del 1.°, 2.° e 4.° paio non differiscono molto da quelli della femmina. Sono molto differenti, invece, quelli del 3.° paio, simili per forma a quelli del 4.°, ma più pic- coli (circa la metà). Lernanthropus lichiae, sp. n. — (Fig. 4, Tav. II [I]). Questa specie è rappresentata, nella collezione RIcHIARDI, da due individui 9 trovati a Nizza nel 1892 sulle branchie della Lickia vadigo: ri- cordano molto — per la conformazione della scudo dorsale, profondamente diviso da una insenatura del margine posteriore in due metà, l’una a destra e l’altra a sinistra — il L. musca, BLAINVILLE, il L. Temminekti, NoRrDMANN e il L. trachuri, BRIAN. I due esemplari, sebbene di grandezza molto differente, (la lunghezza massima del corpo — compreso in questo lo scudo dorsale —è in uno degli individui mm. 3, 8, nell’altro di mm. 5,5 circa) sono identici per la forma. Il cefalotorace, piuttosto allungato, leggermente più largo nella parte posteriore che in quella anteriore, fa un angolo abbastanza forte con l’asse longitudinale del tronco, poichè è diretto in basso e quindi, visto dal lato dorsale, appare più breve di quello che sia realmente. La sua superficie dorsale fortemente convessa, presenta, nel suo tratto poste- riore, una gobba stretta ma molto prominente: la faccia ventrale è convessa, poichè i margini laterali, specialmente nel loro tratto anteriore si estendono alquanto ventralmente. Il cefalotorace si prolunga anteriormente (di più che in Z. Temmin- ckii) ai due lati della linea mediana per modo che il suo margine an- teriore presenta una forte insenatura, il cui fondo non è però, come in L. Temminckii, convesso, ma quasi retto. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. 145 Il pezzo toracico libero, ristretto anteriormente, dove è ben distinto dal cefalotorace per mezzo di una strozzatura, va allargandosi man mano che si procede verso la parte posteriore e si estende, senza limiti di demar- cazione, nelle due ali dello scudo dorsale: non presenta ai lati le due espansioni di cui è munita la parte anteriore di quello del L. Temminckèi. Lo scudo dorsale, come si è detto, formato da due lamine aliformi arrotondate all’estremità posteriore, convesse tanto nella faccia dorsale. che in quella ventrale, leggermente divergenti. L’addome è molto piccolo e visibile in parte, dal lato dorsale, nello spazio compreso fra le due ali dello scudo (v. Fig. 4). Termina con un segmento caudale globoso, unito all'addome da un peduncolo molto breve e piuttosto sottile, e la cui estremità posteriore, conica, è fiancheggiata da due appendici triangolari, molto acuminate, che la sopravanzano di parecchio. — I tubi oviferi, di cui non ho trovato che un piccolo pezzo, staccato dal corpo, sono cilindrici, non molto sottili, formati da uova di- scoidi, disposte in una sola serie. — Le antenne uncinate (2.° paio) sono molto robuste e inserite alla base dei due prolungamenti anteriori del cefalotorace; la potente unghia che le termina è fortemente rigonfia, dal lato interno, alla base. Bene sviluppato è il 2.° paio di piedi mascellari, mentre il 1.° è molto ridotto. i Molto ridotte sono pure due prime paia di piedi remiformi. Quelli del 3.° paio, bene sviluppati, sono fusi l'uno all’altro per circa metà della loro lunghezza e formano insieme una lamina pianeggiante triangolare, la cui base è inserita al corpo, per tutta la larghezza di questo, mentre l’apice, che è fesso longitudinalmente in due metà cor- rispondenti ai due piedi, è diretto posteriormente. La lamina così for- mata nasconde, a chi guardi l’animale dal lato ventrale, l’addome e la porzione basilare dei piedi del 4.° paio. Questi sono rappresentati ciascuno da due lamine molto strette, al- lungate, quella interna un po’ meno lunga di quella esterna, riunite alla base per breve tratto. 4. — Sulle specie (del genere Lernanthropus) L. Gisleri, van BENEDEN, L. brevis, RIicHIARDI e L. micropterygis, RICHIARDI. Lernanthropus Gisleri, van Ben. — (Fig. 7, Tav. II [I]). In un vasetto con la seguente etichetta: “ Lernanthropus sp. n., dalle branchie della Sciacna aquila , trovo quattro individui appartenenti al 146 F. GOGGIO genere Lernanthropus, cioè due femmine adulte, una giovane ed un ma- schio congiunto ad una delle femmine adulte. Queste sono simili, per quanto risulta da una figura del BRIAN !), a quella del Museo Zoologico della R. Università di Genova, trovata 1’ 11 maggio 1891, a Genova, pure sulle branchie della Sciaena aquila. Il citato Autore non ne determinò la specie: il THompson, a cui Egli la comunicò, la ritenne, con qualche dubbio, Brackiella in via di sviluppo. Nel lavoro citato del BrIAN è espresso anche il dubbio che si tratti di L. Gislerìi, van BENEDEN. Quanto ai miei esemplari, io sono quasi certo che sia proprio così. Le femmine infatti non si allontanano gran che dalla descrizione e dalle figure che il van BENEDEN ha dato del L. Gisleri, nè per la forma generale del corpo, nè per quella delle singole parti, nè per le dimen- sioni relative di queste: solo esistono leggiere differenze — le quali però certo non possono permettere di collocare in una nuova specie ì miei esemplari — nella lunghezza del corpo, nella forma del cefalotorace, nella posizione del 1.° paio di piedi natatorii etc.: le mie due femmine adulte hanno una lunghezza massima, dall’estremità anteriore del cefalotorace a quella posteriore dello scudo dorsale, rispettivamente di mm. 8,5 e di mm. 10 (il van BENEDEN dà mm. 12), il margine posteriore del cefalotorace leggermente concavo [ il che non risulta dalla fig. 1 della tavola annessa al lavoro del van BENEDEN ?)] il 1.° paio di piedi natatorî inseriti alquanto posteriormente etc. La fig. 7 rappresenta una femmina accoppiata al maschio. Lo scudo dorsale vi si vede addossato con i suoi margini laterali al tronco; ma negli altri due esemplari da me esaminati lo scudo dorsale è disposto come lo rappresentano il van BENEDEN e l’ HEIDER. Il maschio si allontana dalla descrizione e dalla fig. 6 della tavola annessa al lavoro citato del van BENEDEN, per non essere il suo corpo ben distintamente segmentato, per avere il cefalotorace più voluminoso di quanto non risulti da quelle etc. Esso si avvicina di più alla descri- zione e alla figura di C. HerpeR (tranne però nella forma delle due prime paia di piedi natatorî che sono simili a quelli rappresentati dal van BENEDEN nella fig. 8 della sua tavola). Anche la lunghezza del mio 1) 1398. BRIAN A. — Z. cit., p. 16, tav. III, fig. 15 (anche in Atti Soc. Ligustica, vol. IX, n. 2, pag. 218, tav. III, fig. 15). 2) Debbo in ogni caso far notare che te figure del vAn BENEDEN corrispon- dono meglio di quelle di C. HrIpeR agli esemplari 9 da me esaminati. INTORNO AL GENERE LERNANTHROPUS, DE BLAINV. ECC. 147 esemplare (circa 3 mm., senza le appendici caudali, che sono lunghe circa !, mm.) corrisponde a quella data da C. HerpeR e non a quella indicata dal van BENEDEN (8 mm. circa). Lernanthropus brevis, RicaIaRDI. — (Fig. 8,9, Tav. II [I]). Questa specie fu trovata sulle branchie del Sargus rondeleti, Cuv. VAL. e sulle branchie del Sargus anularis, Cuv. VAL., denominata e accen- nata !) dal RicHIARDI, ma non descritta. Gli esemplari da me rinvenuti nella collezione del RicHIARDI sotto l'indicazione Lernanthropus brevis, sono tanto simili, sia per la gran- dezza (alcuni sono veramente un poco più piccoli) che per la forma al L. vorax, RicHIARDI, che credo si tratti di uno scambio di etichetta. Presento quindi semplicemente nelle fig. 8, 9 la riproduzione di due figure. riferentesi alla specie in questione, eseguite dal sig. Cristofani, sotto la direzione del prof. S. RicHiaRDI. Non ho potuto rinvenire nella collezione individui che ad esse possano riferirsi. Dalle figure riportate risulta che la femmina del L. dbrevis ha i piedi del 3.° paio molto rigonfiati ?), le appendici caudali non oltrepassanti il margine posteriore dello scudo dorsale, il rivestimento più esterno del corpo e delle appendici trasparente, separato per mezzo di uno spazio relativamente ampio dalla massa centrale. Quest'ultima particolarità si osserva anche nella fig. 9, che si riferisce al maschio, insieme alla presenza di due appendici brevi e arrotondate in cui si prolunga lateralmente l’addome e ad altre che è facile rilevare. In ogni caso non parmi, come trovo notato dal VALLE *) e dal CaRUS 4), che il L. brevis, RicH. sia identico al L. Kròyeri, van BEN., var. HEIDER. 1) Vedi: 1879. RicHIARDI S. — /. cit. 1880. Ip. — 4. cit. 1884. ID. — /. cit. Vedi ancora: 1880. VALLE A. — L. cit. 1885. Carus. J. V. — 2. cit., p. 365. 3) Anche fra gli individui 9 di L. vorax ho trovato però che talora i piedi del 3° paio invece di essere formati da due lamine sottili, sono molto rigonfiati. Dubito quindi che si tratti non di una differenza specifica, ma di una differenza individuale o forse, più probabilmente, di un’alterazione dovuta all'alcool in alcuni individui piuttosto che in altri. 3) 1880. VaLLe A. — l. cit., p. 64. 4) 1885. Carus J. V. — Z. cit., p. 365. Sc. Nat. Vol. XXIIl 10 148 E. GOGGIO Non parmi inutile di aggiungere le figure del L. micropterygis, RICH. e del L. tylosuri, RIcH., specie descritte, ma non. figurate, dal prof. S. RICHIARDI. Di Lernanthropus micropterygis, RicH. (Fig. 5, 6) si trovano nella raccolta del prof. RicHiAaRDI molti esemplari, poichè, dopo i tre raccolti fino al 1882 e quelli avuti dal prof. Pierro DopERLEIN nel 1883, Egli potè averne a Pisa molti altri nel giugno 1892, tolti dalle branchie della Seriola Dumerilii, Risso. Fra essi predominano le femmine, ma si trovano anche parecchi maschi, alcuni dei quali abbracciano strettamente con le antenne uncinate il corpo della femmina, alla base delle appen- dici rappresentanti il 5.° paio di piedi natatorî. Questa specie, come ho già accennato (v. p. 139), parmi identica al L. Thompsoni, BRIAN, come risulta dalla fig. 5. Anche le dimensioni cor- rispondono a quelle date dal BRIAN per il L. thompsoni 9, poichè la me- dia lunghezza (dall’estremità anteriore del cefalotorace al margine po- steriore dello scudo dorsale) misurata sopra molti esemplari, è di circa mm. 8. Alla descrizione della femmina fatta dal prof. RicHiARDI parmi utile aggiungere che il primo paio di piedi remiformi è notevolmente lungo e che pure molto lunghi sono i tubi oviferi (circa il doppio del corpo). Le particolarità riguardanti le appendici cefalotoraciche del maschio risultano chiaramente dalla fig. 6. Di Lernanthropus tylosuri non ho trovato alcun esemplare e quindi mi limito a riprodurre (Fig. 10) una figura del prof. S. RICHIARDI. Pisa, giugno 1906. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE N. B. — Le figure 1, 4, 5, 6, 7 furono disegnate dal vero da me, con l’aiuto della camera lucida, e chiaroscurate, sotto la mia direzione; dal sig. A. Cristofani, disegnatore del- l’Istituto. Le figure 2 e 3 sono riprodotte con alcune modificazioni e le 8-10 fedel- mente da disegni del prof. S. RICHIARDI. IVO ARCI DIÌ Fig. 1. — Lernanthropus foliaceus, RicH., O, dal lato ventrale, un po’ obliqua- 2.— L. S.—L 4. —L 5. —L 6. — L. T.—L 8.— L. 9.—-L 10.— L. mente. Ingrandimento: 3,6 diametri. vorax, RicH., Q, dal lato ventrale. I tubi oviferi sono disegnati per poco più di ‘| della loro lunghezza. Ingr. 13, 6. . vorax, RicH., g' , e. s. Ingr. 17. . lichiae, GogGIO, Q, dal lato dorsale, un po’ obliquamente. Non sono disegnati i tubi oviferi. Ingr. 13, 6. . micropterygis, RicH., Q, dal lato ventrale. È disegnata solo la prima parte del tubo ovifero di destra. Ingr. 8. micropterygis, RicH., g', e. s. Ingr. 11,2 . Gisleri, van Ben. Il maschio e la femmina accoppiati. Ingr. 6, 4. brevis, Rica., Q, dal lato ventrale. Dei tubi oviferi sono disegnati solo i 2/5. Ingr. 11,2. . brevis, RicH., g', ©. s. Ingr. 16. tylosuri, RicH., 2, dal lato ventrale. Mancano i tubi oviferi. In- grandimento 11,2. GIOVANNI D’ACHIARDI PROFESSORE DI MINERALOGIA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA AEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO IN CAMPO (Etsa) Fra i filoni tormaliniferi di S. Piero in Campo è quello detto “ della Speranza, uno dei più noti, forse per essersi in esso ritrovato per la prima volta il polluce. Di tale filone il Cocci !) così discorre: “ Discen- dendo diagonalmente (da S. Piero) al Prato, sotto San Rocco, si incontra una drusa cui il capitano Pisani, che la lavorò, diede il nome di Spe- ranza. Il lavoro di esplorazione si estende su di una lunghezza di 8 metri ed è fatto a spese della varietà porfiroide del granito, la quale ha molta friabilità ed è estremamente micacea. Da questo luogo vengono i due rari minerali petalite e pollucite con tormaline del più bel color roseo: non mancano le policrome. È questa la sola località che ha dato polluce...,,. Mio padre ?), riportato quello che disse il CoccHI, notava che la le- pidolite della Speranza, secondo il PIsaNI *), è cesifera e che il granito ha poca compattezza e si sfacela con grande facilità. È a dirsi inoltre che la cava della Speranza è la stessa cosa della cava Pisani rammen- tata dal GRATTAROLA 4) per l’idrocastorite. Ciò può rilevarsi dalla de- scrizione fatta dal GRATTAROLA, sia del granito che dei minerali in essa ritrovati, e con più sicurezza da quanto me ne scriveva, dietro mia 1) Descrizione geologica dell’isola d’ Elba; pag. 216. Mem. Com. Geol. di Italia; 1871. ?) Mineralogia della Toscana; II, 59; Pisa, 1873. 3) Etude chimique et analyse du pollur de l’île d’ Elbe. C. R. Ac. d. Se.; Paris, 18 avril 1864. 4) Note mineralogiche: II. Minerali nuovi o poco conosciuti dell'Elba. Boll. R.° Com. Geol., N.i 7-8; Roma, 1876. ZEOLITI DEL FILONE DELL SPERANZA PRESSO S. PiERO ECC. 151 domanda l’ing. PuLLè: “ La cava Pisani è la stessa cosa di quella della Speranza e fu così designata dal capitano PISANI, il quale dopo avere lavorato altrove con poca sorte, si riprometteva da questa miglior for- tuna: ciò egli mi ripetè più volte , . Dopo parecchi anni di abbandono, l’ing. PuLLÈ ne ha ripreso ai nostri giorni lo scavo ottenendone magnifici esemplari di castore, polluce, apa- tite, tormalina, lepidolite insieme a minerali zeolitici. È di questi ultimi che intendo occuparmi nella presente nota, comin- ciando dal ringraziare l'ing. PuLLè per l'interessante materiale donatomi. Il granito su cui essi si trovano presenta un bel colore bianco o leggermente roseo ed è quasi del tutto privo di mica nera; mentre assai grossi sono i cristalli di ortose e di quarzo, quelli bianchi e rosei a facce lucide, questi biancastri ed opachi. Già dissi quali sieno i minerali accessori più importanti; per quelli zeolitici può subito notarsi che mentre nelle geodi degli altri filoni tormaliniferi di S. Piero in Campo predominano stilbite e foresite, e la prima si mostra o in croste o in pallottole a struttura radiale così caratteristica, qui invece si ha predominio dell’heulandite e di un’ altra sostanza pulverulenta, bianca come la farina, che tutto incrosta e che nei castori si trova anche nei piani di più facile separazione e nelle carie che si mostrano alla loro superficie. È a notarsi che i feldispati che ne sono ricoperti presentano poi facce lucide quando questa si asporti, mentre ciò non avviene per gli altri minerali. Ad esse si associano due minerali molto rari che le mie ricerche dimostrarono appartenere essi pure al gruppo delle zeoliti, che io non riscontrai in altre località elbane e che ritengo essere due specie per lo meno nuove per l'isola. Aggiungerò subito come la zeolite pulverulenta abbia tutti i carat- teri di quella che il GRraTTAROLA !) indicò con il nome di idrocastorite, mentre questa non sarebbe che una stilbite pulverulenta: delle altre due, una fibroso-aciculare a lucentezza sericea ricorda la pseudo-natrolite, specie elbana pure del GraTrAROLA ?), l’altra è quella di cui già ebbi occasione di occuparmi l’anno decorso e della quale in base ad un’ana- lisi dissi che probabilmente si trattava di una specie nuova *). 1) Mem. cit. 2) Contribuzioni mineralogiche: orizite e pseudonatrolite. Mem, Soc. Tosc. Sc. Nat.; IV, 226; Pisa, 1879. 3) Zeolite probabilmente nuova dell’isola d’ Elba. Proc. Verb. Soc. Tosc. Sc. Nat.; Pisa, 15 gennaio 1905. 152 G. D’ACHIARDI Di queste tre zeoliti dirò fra breve particolarmente, spiacemi solo che la scarsità del materiale non mi abbia permesso di fare di. esse uno studio più completo. Il materiale per l’analisi fu scelto con ogni cura, ricorrendo all’aiuto del microscopio; alle ricerche quantitative, per il dosamento dei componenti principali, volli aggiungere anche quelle spettroscopiche per vedere se queste zeoliti contenessero e cesio e litio, come era presumibile supporre data la loro costante associazione al castore e al polluce e al presentare questi, e in special modo il primo, segni non dubbi di corrosioni e alterazioni sofferte. Tali ricerche come vedremo dettero risultati affermativi. L’associa- zione poi costante di questi minerali mi porge il destro di fare una os- servazione riguardo alla contemporaneità della loro genesi. Dalla massima parte degli autori, io compreso !), che si sono occu- pati dell'origine di questi minerali elbani si ritengono generalmente secondarii e come contemporanei tanto, le zeoliti, quanto il castore ed il polluce. Se per le prime non può esservi dubbio che abbiano un’ ori- gine secondaria, per gli altri può esservi e fortissimo, o per lo meno non può ammettersi la contemporaneità con le zeoliti. Difatti non po- trebbe allora spiegarsi la formazione di prodotti zeolitici dal castore, ed invece sono questi evidenti e da varii autori descritti, nè tanto meno saprebbe spiegarsi il vacuo lasciato nell'interno di un cristallo di berillo da uno icositetraedro {211} di polluce, quale fu descritto dallo STRUVER ?). Per tali fatti e per molti altri che sarebbe troppo lungo l’ enumerare e che mi porterebbero fuori dall’ argomento, io ritengo senza dubbio che non vi sia contemporaneità fra le zeoliti, il castore ed il polluce, e che questi ultimi invece sieno probabilmente contemporanei a tutti gli altri minerali che arricchiscono le geodi dei filoni tormaliniferi e per i quali difficile, se non impossibile, è lo stabilire un ordine particolareg- giato di successione genetica. Stilbite pulverulenta. La polvere bianca che ricuopre, aderendovi, i campioni di granito pegmatitico del filone della Speranza si distacca con assai grande faci- 1) Le tormaline del granito elbano. Parte II; Mem. Soc. Tosc. Se. Nat.; XV; Pisa, 1896. ?) Sopra nn cristallo di berillo dell’ Elba con inclusione interessante. Rend. Acc. Lincei; III, 1.° sem, Roma, 12 giugno 1887. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 153 lità. In essa sono immersi i cristalli di castore, i quali cadono quasi tutti con l’asportare la polvere, come se venisse loro a mancare il punto d’appoggio. Ha l’aspetto del tutto identico all’idrocastorite presentan- dosi al pari di questa bianca come la farina e facilmente sfracellabile con le dita. Osservata al microscopio, se scelta con cura, presenta solo ec- cezionalmente frammenti di sostanze eterogenee che possono con faci- lità togliersi e si risolve in tanti minuti cristallini spesso rotti e senza contorno specifico; talvolta rettangolari ad una estremità e appuntiti, o a forma di bietta, all'altra. A nicols incrociati hanno colori di interfe- renza molto bassi, per il solito quasi grigi, estinzione parallela, o quasi, all’ allungamento, secondo il quale sono otticamente negativi. Non rare lamine geminate con linea di unione parallela all’allungamento ed estin- zione simmetrica dalle due parti ad angolo vicinissimo a 0°. Questi ed altri caratteri che per brevità non riporto, coincidono perfettamente con quelli già dati da Manasse !) per i cristalletti costituenti le croste stil- bitiche, con i quali la somiglianza è perfetta come potei io stesso no- tare con osservazioni di confronto. Se si prenda ora in considerazione la descrizione della idrocastorite data dal GRATTAROLA, si vede che diversi dei suoi caratteri corrispon- dono a quelli della nostra polvere, mentre altri ci-fanno nascere il dubbio che il minerale analizzato non fosse unico, ma costituito, per lo meno, da due sostanze diverse. Infatti “la polvere osservata alla lente si ma- nifesta composta di laminette molto minute, da piccoli prismi, talvolta riuniti in fasci radiati; ad un forte ingrandimento questi ciuffi si risol- vono in piccoli bastoncelli prismatici troncati talvolta obliquamente con angolo di circa 110°, talvolta normalmente, di grossezza e lunghezza molto varia; la prima varia (nel preparato osservato) da mm. 0,002 a mm. 0,0425 (e questa in un cristallo polisintetico), la seconda fra limiti anche più distanti. . . . Questi prismi non polarizzano la luce almeno sensibilmente, debbono quindi esser considerati come appartenenti al sistema monometrico, a meno che l’azione polare luminosa non sia tanto piccola da non essere rilevata dai polariscopi adoprati ,. A me sembra che si abbiano 2 minerali insieme associati, di cui uno composto di la- minette molto minute e da piccoli prismi dei quali non si danno i ca- ratteri, ma che potrebbero essere di stilbite, come di stilbite doveva 1) Stilbite e foresite del granito elbano. Mem. Soc. Tose. Sc. Nat.; XVII; Pisa, 1900. 154 G. D'ACHIARDI essere il cristallino geminato, l’altro dai piccoli ciuffi costituiti da ba- stoncelli che hanno il carattere importantissimo di non polarizzare la luce, carattere che io ho riscontrato per molti aghetti della ptilolite in seguito descritta e che già fu osservato da altri e minutamente studiato dal CoLomBa in una varietà di ptilolite dell’isola Principe Rodolfo 1). La polvere del minerale ora analizzato ha, come la idrocastorite, lucentezza subperlacea, quasi talcosa ed è, come questa, parzialmente attaccata dall’acido cloridrico; ma la sua durezza sarebbe leggermente superiore a quella della calcite, graffiando quasi insensibilmente però, lo spato d'Islanda, mentre per l’idrocastorite non sorpasserebbe quella del gesso. Le ricerche spettroscopiche fatte per la determinazione degli alcali, dopo disgregazione con fluoruro ammonico, mostrarono la presenza, ol- trechè del sodio e del potassio anche del litio, ed io credo la sua pre- senza non dovuta ad impurità di castore, contro le quali cercai ogni volta di premunirmi con l’attento esame microsco pico della polvere, ma alla molecola stilbitica, nella quale, come si ammette che parte del calcio venga sostituita da sodio e da potassio, si può ritenere che possa essere anche sostituita dal litio. E una delle bande rosse caratteristiche del litio fu sempre osservata e vivacissima nelle varie prove anche se la polvere adoperata fu in quantità piccolissima. Anche nell’idrocastorite il GRATTAROLA trovava tracce di litina, ma le ascriveva al castore e alle piccolissime tormaline rosee incluse in essa. Del resto la presenza del litio nelle zeoliti, sebbene rara, non è cosa nuova e fu riscontrata dal JANNASCH ?), ad es., nell’ heulandite e nella epistilbite. Le mie determinazioni quantitative furono le seguenti: IR COVE AMENO O 17,10 STORM 56, 15 ATO Li lo Me 17, 45 Ca ORO META 6, 87 IGO MAI i e 0, 31 Na 06: e 0, 72 LION SR AA (presento) 98, 60 1) Atti R. Ace, delle Sc., XXXVII; Torino, 25 maggio 1902. ?) Hintze. Handbuch der Mineralogie; II, pag. 1761 e 1767; Leipzig, 1897. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 155 e per l’acqua: °lo a 100°—110° 2,63 130°—140° 0, 84 SIAT 160°—170° 3920 67012 200°—210° 3, 30 10, 02 250°—260° 2,69 IZ 0 350°—360° 132 14, 03 Arroventamento SIOLONI 17,10 I valori trovati (1) corrispondono assai bene a quelli medii dati da Manasse per la stilbite in croste (II) della Fonte del Prete e si allon- tanano di parecchio da quelli ottenuti per l’idrocastorite dal GRATTAROLA (III) e dal Sansoni !) (IV) come può vedersi dal quadro seguente: I II III IV LO RN a ISiO 17,75 14, 66 15, 96 SIORAMAESTAE 56, 59 59, 59 58, 13 ATO At JT 21,35 19, 70 CE OA 1157; 7,03 4, 38 ART NEO O oO La 0, 50 Mg0 Wo 01 4 Lal a 98, 60 L00834) 9998 98, 46 Non mi sembra quindi possa esservi dubbio che il minerale da me analizzato non sia una stilbite, nella quale una piccola parte del calcio è sostituita da sodio, potassio e litio. Dubbio se mai può restare per i suoi rapporti con la idrocastorite: già dissi però come verosimilmente per questa non era omogeneo il materiale analizzato. Se si ammetta la così detta idrocastorite costituita da un miscuglio di stilbite e di ptilolite, si verrebbe, riguardo alla stilbite, a spiegare la maggior quantità di silice e la minore di calce e di acqua della idrocastorite; ciò sarebbe però con- trario alla maggior dose dell’allumina che non saprei spiegare in altro modo che con la probabile associazione anche di sostanza caolinica. 1) Sulle zeoliti dell’isola d'Elba. Mem. Soc. Tosc. Sc. Nat.; IV, 311; Pisa, 1879. 2) Aut. dà la somma = 100, 08, 156 G. D'ACHIARDI E il dubbio sulla purezza della polvere analizzata resulta non solo da quello che il GrATTAROLA stesso dice descrivendo la forma dei granuli che la costituiscono e che è sopra riportato, ma anche maggiormente quando aggiunge che le particelle le quali sembrano più pure si sentono stridere nel mortaio sotto il pestello, rilevando la presenza di varii e piccolissimi berilli, e tormaline, e frammenti di castore. Ed in ragione della poca omogenità della polvere analizzata stanno anche i resultati assai discordanti delle due analisi GRATTAROLA e SAN- sonI, onde l’allumina, che sarebbe l’unico componente in proporzioni troppo elevate per avere il minerale tipo stilbitico, la vediamo in una eguale a 21,35, nell’altra a 19, 70. Ptilolite. Soltanto in alcuni campioni del filone della Speranza ho osservato un minerale aciculare esilissimo costituente per il solito piccoli aggrup- pamenti fibroso-raggiati, o più raramente un minutissimo feltro, tra i grossi cristalli del granito pegmatitico. Tale minerale ha una lucentezza sericea spiccatissima ed è costantemente associato alla zeolite, proba- bilmente nuova, della quale già mi occupai l’anno decorso. A prima vista vien fatto di ritenere che si tratti di pseudonatrolite, ma le prime e più elementari ricerche dimostrano subito trattarsi di cosa differente. Infatti gli aciculi sono poco o punto attaccabili da acido cloroidrico, nè sono facilmente fusibili, ottenendosi solo fusione con rigonfiamento se si adopri il cannello ferruminatorio, mentre per la pseudonatrolite si avrebbe fusione anche alla fiamma di una candela. Gli aciculi osservati al microscopio sono quasi costantemente rotti alle due estremità, talora con piani approssimativamente perpendicolari all’ allungamento; solo eccezionalmente da una parte li avrei riscontrati terminati da una faccia pure normale all’allungamento, o da due su questo equinclinate di un angolo che non potei determinare, avendo sperduto il cristallino prima di completare l’ osservazione. Le faccette prismatiche sono costantemente striate, ma non saprei dire quante sieno le facce di questi esilissimi prismi, chè appunto le numerose strie rendono la determinazione impossibile. Non rare sono pure le inclusioni indeterminabili. A nicols incrociati la massima parte dei cristallini si presentano costan- temente estinti; solo i più grandi mostrano debolissimi colori grigiastri di ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 157 interferenza estinzione secondo l'allungamento, essendo in tale direzione otticamente negativi, figura di interferenza (non facile ad osservarsi) de- cisamente biassica. Riguardo alla estinzione di questi cristallini ad abito così spiccatamente prismatico è a dirsi come per la ptilolite già CRoss ed EaxkIns 1) e poi CoLomBa notarono che la birifrangenza è solo sensibil- mente riconoscibile nei cristalli più voluminosi, mancando o essendo quasi impercettibile in quelli più esili e sottili. Il CoromBa per la ptilolite dell’isola Principe Rodolfo notò anche che la birifrazione può subire delle notevoli variazioni in seguito a ri- scaldamento, anche entro limiti molto ristretti, rendendosi tutti sensi- bilmente birifrangenti riscaldandoli a 120°-125°; e con il raffreddamento la birifrangenza torna a diminuire e a scomparire nuovamente del tutto. La rifrazione, studiata con essenze ad indice di rifrazione noto e deter- minato volta a volta con rifrattometro ABBE-PuLFRICH, dette i risultati: a <1,480 1,485 > >1,480 Non potei per scarsità di sostanza determinare il peso specifico, nè arrivai a poter apprezzare il grado della durezza. I risultati analitici furono i seguenti: KRONA EMO ea ZI PARA DOCILE 37 >» per arroventamento . 2,74 STO Raro ernia de 065521 ATO SM 1120 CIO e e BT Moie oi) tr. Alceo Age ie 607 100, 47 Gli alcali furono tutti calcolati come Na,0, ed è il sodio certamente in prevalenza, ma sarebbe stato bene determinare pure gli altri: a ciò non mi attentai data la pochissima sostanza che mi era rimasta dispo- 1) On ptilolite, a new mineral. Amer, Journ.; XXXII, 117; New-Hawen, 1886. 158 G. D'ACHIARDI nibile per la disgregazione col fluoruro ammonico, sulla quale volli anche eseguire le ricerche spettroscopiche, che mi portarono ad osservare, ol- trechè le linee del sodio e del potassio, quelle del litio e del cesio. Se si confrontrano i risultati da me ottenuti (I) con quelli noti di altre zeoliti si vede che essi sono assai differenti da quelli dati dal GraTTAROLA per la pseudonatrolite (II) e si avvicinano invece assai a quelli dati. da Pirson (III) per la mordenite, da Cross ed EAxIns (IV) e da CoLomBa (V) per la ptilolite: I II III IV Vi HLA 220 489 SOR 0 0089 ‘67,52 NORRRnoreMlo i iid NOTE FesOgroetett Mie — 0, 57 = — Car0 eee 8, 54 1.94 3, 30 9), @)l Moe0 tte tro tr. O, ly — — O or to 3, 58 0, 64 1, 69 NOn ì ‘ DOZII 2,683 519 100,47. Al01, 76) 99 Ia Mo È noto come la mordenite e la ptilolite sieno due zeoliti molto rare, riscontrate sino ad ora solo in rocce vulcaniche, non molto conosciute cristallograficamente, ma la prima sembrerebbe aver forme identiche all’heulandite, la seconda forme aciculari esilissime. Per la mordenite suole scriversi la formula: (K,, Na,, Ca) Al, Siro 0,, + 7H,0 per la ptilolite invece: 5H,0 (Ca, K,, Nay) AI, Siro 0,, + TH,0 e dal CoLomBa per la varietà da lui studiata: (Ca, K,, Na) Aly/Si,x 0g + 8.H,O; 4) Aut. dà la somma = 99, 90. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 159 Per il CLARKE !) poi tanto la mordenite che la ptilolite sarebbero rap- presentabili con la formula generale: R, AI; (Si,0,), + nH,0 con R=HNa4k6 ed R, = Ca Il minerale nostro per i caratteri morfologici ed ottici è identico alla ptilolite; per la composizione non corrisponde esattamente nè alla ptilolite, nè alla mordenite (se sì ammetta fra loro differenza per le proporzioni della calce agli alcali): ha di ambedue un tenore in silice leggermente inferiore e mentre per le dosi della calce ben corrisponde alla ptilolite, per quelle degli alcali si avvicinerebbe più alla mordenite. Nell’impossibilità però di calcolare una formula non conoscendo le pro- porzioni fra sodio, potassio, litio e cesio, debbo limitarmi a ritenere il mio minerale come una ptilolite ricca in calce e ad accettare la formula generale data dal CLARKE per questo minerale. Per tale formula la ptilolite sarebbe un dimetasilicato con un numero variabile di molecole di acqua di cristallizzazione, e se si pensa nel caso nostro alla costante sua associazione al castore, alla presenza in essa di cesio e litio (e il castore elbano per mie ricerche spettroscopiche contiene pure cesio); può supporsi che essa derivi essenzialmente dal disfacimento di questo mi- nerale, del quale conservatosi il radicale acido [Si»0,;] sarebbe stato il litio per la massima parte sostituito dagli altri alcali e dalla calce. E che un rapporto di composizione possa sussistere fra le zeoliti e i minerali da cui provengono sembra confortato anche dalla costituzione di quelle zeoliti derivanti dal disfacimento dei feldispati e nelle quali si ritrova quasi costantemente il radicale acido '[Si;O; |. Sarebbe questa la prima volta che la ptilolite è menzionata per l’Italia e pure la prima per il ritrovamento in rocce granitiche, essendo stata citata soltanto fino ad ora per rocce eruttive, andesitiche o basal- tiche. Sarebbe inoltre, per quanto io mi sappia, la prima zeolite nella quale fu ritrovato il cesio. 1) Note on the constitution of ptilolite and mordenite. Amer. Journ. of Sc.; XLIV, New-Hawen, August 1892. È 160 G. D'ACHIARDI Resterebbe a vedere se non sia la stessa cosa della pseudonatrolite con la quale ha identico l'aspetto esteriore, come ho potuto convin- cermi anche confrontandola con un campione donato molti anni fa al nostro Museo dal prof. GRATTAROLA, ma i risultati analitici troppo di- versi non mi autorizzano a dirlo: farò solo notare che già il DANA nel 1892 nel suo classico trattato 1) nel collocare a posto il nuovo mine- rale elbano lo poneva in appendice alla ptilolite e alla mordenite. D'altra parte però i risultati dell'analisi della pseudonatrolite (I) si avvicinano (salvo che per il calcio) moltissimo a quelli ottenuti da ManaSssE per al- cune stilbiti in pallottole della Fonte del Prete (II): I II RONN II 14, 88 SiO e 61, 80 AEON o 14, 83 Oi o Sa 6, 46 Na 1078 IO 0, — 101, 76 99, 75 e quindi non resta altro a concludere che per le zeoliti elbane è molto difficile un esatto apprezzamento sulla loro costituzione, spesso variabile, e il riferimento sicuro ad una specie piuttosto che ad un’ altra. Zeolite mimetica. Nell'anno decorso io descriveva un minerale ?) che ritenni appar- tenere al gruppo delle zeoliti con aspetto certamente nuovo e composi- zione chimica assai differente da quella delle zeoliti conosciute. Pubblicai i risultati analitici ottenuti, riservandomi di tornare in seguito sull’ar- gomento, ciò che ora faccio avendo ricevuto dall’ing. PuLLÈ nuovo ma- teriale, non però così abbondante come era mio desiderio fosse stato ritrovato. 1) A System of Mineralogy; pag. 573; New-York, 1892. °) Zeolite probabilmente nuova dell’isola d’ Elba. Proc. Verb. Soc. Tosc. di Se. Nat.; Pisa, 15 gennaio 1905. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 161 In tutti quanti gli esemplari ho potuto nuovamente osservare la forma caratteristica a prisma ottagono terminato da gradini degradanti | verso il centro. Spesso tali individui sono in numero assai grande riuniti sovra un unico campione alla rinfusa, spesso sovrapposti e compenetrati; ora invece, e sono i migliori, si presentano isolati come quello rappre- sentato dalla fig. 1. Fic. 1. Le nuove misure dell’apparente prisma ottagono dettero sempre i valori angolari, come quelli già ritrovati, vicinissimi a 46°, ma che non servono a interpetrare l’abito cristallino. Le sezioni sottili perpendicolari all'asse di tale prisma hanno però evidentemente dimostrato la struttura mimetica. Tali sezioni sono molto difficili a farsi andando, l’edificio cristallino, con grande facilità disgre- gato per separazione di parti a lati paralleli agli spigoli verticali del prisma ed ai gradini delle tremie. Alcune però poterono condursi a ter- mine, e queste hanno di caratteristico e costante la divisione in 8 set- tori due a due opposti e quindi incrociati, estinguentisi alternativamente e quasi contemporaneamente i 4 fra loro in croce, quando i piani di vibrazione dei nicols si trovino ad essere paralleli o quasi (essendo gli angoli supplementari del prisma ottagono di 46° c.) ai rispettivi lati del contorno esterno. Ciò può facilmente vedersi nelle 3 fotografie riportate di alcune fra le migliori sezioni (fig. 2-4), eseguite quando 4 settori sono vicinissimi all'estinzione, ma nessuno estinto completamente, a meglio vederne le particolarità e le differenze di estinzione fra settore e settore e a mo- ‘ strare in tutti quanti le linee fra loro parallele e corrispondenti ai gra- dini delle tremie. 162 G. D'ACHIARDÎ Le sezioni rivelano inoltre come nella costituzione di questi edifici mimetici non si sia quasi mai mantenuto un perfetto parallelismo fra le parti interne ed esterne onde si hanno spostamenti talora piccoli e parzialmente limitati all’ esterno (fig. 4), ora assai grandi e incomincianti fino dall'interno come mostrano le fig. 2 e 3. Fic. 2. Fic. 3. Fic. 4. Le sezioni longitudinali parallele ad una apparente faccia prismatica non presentano caratteri speciali: estinguono secondo i loro lati, cor- rendo l’asse di massima velocità ottica a secondo la direzione verticale; e danno una figura di interferenza molto incerta, ma sicuramente bias- sica. In esse le determinazioni dell’indice di rifrazione, con il metodo già indicato per la ptilolite, dettero: o > 1,495 > 1,495 valori i quali si avvicinano a quelli dell’ heulandite nella quale è noto aversi: a= 1,498 = 1499 q = 1505.) La composizione chimica di questo minerale, per i risultati ottenuti fino dall’ anno decorso, sembra differente da quella di tutte le altre 1) Levy e LAcROIX; in DANA: A System ecc. pag. 574. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 163 zeoliti conosciute. Avrei desiderato fare nuove ricerche complete, ma avendo già sacrificato materiale nel confezionare le sezioni pur poco ne restava a mia disposizione. Dovei quindi limitarmi alla determinazione dei componenti princi- pali, alla ricerca qualitativa dello stronzio, che mi confermò la sua pre- senza, e a quella spettroscopica per gli alcali. I risultati quantitativi sono concordanti con quelli dell’anno decorso, salvo una dose legger- mente superiore di acqua, ma che meglio concorda con quella calcolata nella supposizione che nel minerale ve ne sieno 14 molecole; le ri- cerche spettroscopiche dettero molto appariscenti e costanti, oltre che le linee caratteristiche del sodio e del potassio, quelle del litio e del cesio. Riporto nel seguente quadro i valori ottenuti l’anno decorso (I), quelli parziali di quest'anno (II), e i valori teorici (III) per la formula adottata: LO O 0 H,0 per arroven.'. 10,31 sp ui SOR 62, 01 62, 53 O o 5 10, 90 ro COMES AE. OE) Sonia AE 140) 0,90 Dro Maire te E tr — —_ CO AA Ros e oi 3,25 NEO A e 06 2, 06 DANA ON ALI e a presente = CORI ARIE presente = 98, 10 100, 05 100, 00 Dai rapporti molecolari calcolati sulla prima analisi fu ricavata la composizione teorica (considerando Sr O come se fosse Ca 0): 3Na, 0, 3K,0,9Ca0, 10A1,0,, 90 Si 0,, 70H,0 che portava alla composizione centesimale data nella colonna (III) la quale anche meglio concorda con i valori ottenuti quest’ anno (per gli alcali si sono riportati i valori già trovati). Se, Nat. Vol. XXII 11 164 G. D'ACHIARDI Le ricerche spettroscopiche avendo mostrato la presenza di due nuovi elementi, il cesio ed il litio, non si può essere certi che sussistano tut- tora le proporzioni date: | K,0: Na,0 K,0:Ca0 perchè, se il cesio ed il litio non sono presenti come tracce, ciò che però è verosimile, ma in quantità maggiore, si capisce come il peso del cloroplatinato che fu ritenuto tutto come potassico e in base al quale fu calcolata la quantità di ossido, sia da dividersi anche con il cesio e come il valore dato per il sodio comprenda anche il litio. Sparisce però con gli ultimi risultati analitici il dubbio se la formula sia meglio scritta con 13 anzichè con 14 molecole di acqua e quindi io credo che si possa definitivamente accettare la seguente: (Na,, K,, Li,, Cs, Ca)z AI, Si,g 0,5 . 14 H,0 che può scriversi anche meglio, o più semplicemente, così: (Na,;K,, Li,,Cs,, Ca), AI, (Si, 0;), - 14H,0 a mostrarci come questo minerale abbia tipo di dimetasilicato. La sua costituzione chimica, la sua costante associazione al castore può condurci alle stesse conclusioni già formulate riguardo all’ origine della ptilolite. Dall’abito esterno, dalla struttura, interna, dalla composizione chi- mica, sembrerebbe trattarsi di un minerale nuovo, ed io non esiterei a dargli anche un nome nuovo (quello di dachiardite a ricordo di mio padre) se non si trattasse di un minerale del gruppo delle zeoliti, nel quale troppi ne sorsero che dovettero presto tramontare. Per ora mi limito ad indicarlo con il nome di zeolite mimetica, nella speranza che nuovo materiale mi porti alla conferma della sua compo- sizione come fu ora determinata e alla determinazione del sistema cri- stallino. Dallo studio di queste tre zeoliti del filone della Speranza sembra possano trarsi le seguenti conclusioni: 1.-- Esistenza di una zeolite, molto probabilmente nuova a strut- tura mimetica. ZEOLITI DEL FILONE DELLA SPERANZA PRESSO S. PIERO ECC. 165 2. — Esistenza della ptilolite fra i minerali italiani, e fra quelli dei filoni pegmatitici delle rocce granitiche. 3. — Esistenza di una stilbite pulverulenta in connessione con il castore, che può far nascere il dubbio sulla esistenza della idrocasto- rite come specie nuova a sè. 4. — Presenza del litio in altre tre zeoliti, oltre l’heulandite e la epistilbite (non elbane) in cui fu da JANNASCH determinato. 5. — Presenza del cesio in minerali zeolitici nei quali per l’innanzi non era mai stato trovato, ed anche nel castore dell’isola d’ Elba nel quale per l’innanzi non doveva essere mai stato ricercato. 6. — Concorrenza del castore (ciò che era già stato dimostrato dal GRATTAROLA) e forse anche del polluce, alla formazione di prodotti zeolitici e loro probabile contemporaneità di formazione con gli altri minerali, non zeolitici, dei filoni tormaliniferi. 7.— Probabile concordanza fra il tipo di silicati a cui possono ri- ferirsi molte zeoliti, e il tipo di silicati dalla alterazione dei quali hanno per lo meno in gran parte avuto origine. Istituto di Mineralogia dell’ Università. Pisa, 1 luglio 1906. MICHELE GORTANI ee Studi sulle roece eruttive delle Alpi Carniche —>_m_4o Tav. II-IV [1-11]. Nelle Alpi Carniche le rocce massicce occupano una zona relativa- mente ristretta e non presentano una grande varietà di tipi. Tranne pochi e limitati affioramenti riferibili al Trias superiore, esse appar- tengono tutte all’ èra primaria; e, non ostante il loro mediocre sviluppo, hanno importanza grande perchè completano la bellissima serie paleo- zoica che ha reso celebre la regione. E siccome tale serie costituisce quasi per intero la catena principale delle Carniche, è quivi appunto che affiora il maggior numero delle nostre rocce eruttive; le quali, molto scarse nel versante austriaco, compaiono più numerose ed estese nel versante italiano. Perciò, tenendo conto della loro posizione geo- . grafica e cronologica, le possiamo dividere, per comodità di studio, in quattro gruppi: I. Rocce eruttive paleozoiche della Carnia orientale. II. Rocce eruttive paleozoiche della Carnia occidentale. III. Rocce eruttive paleozoiche delle Alpi Carniche carinziane. IV. Rocce eruttive del periodo triasico. Mentre fino dal 1856 Dionier Stur !) accennava alla presenza di spiliti e di una roccia felspatica verde nelle valli d’ Incaroio e di Gorto, dobbiam venire a tempi molto recenti per trovare iniziato lo studio petrografico e geologico delle nostre rocce massicce. Il TARAMELLI, a cui dobbiamo, fra le tante altre scoperte, quella importantissima del por- 1) D. SruR. Die geologischen Verhàltnisse der Thiler der Draù, Isel, MOU und Gail in der Umgebung von Lienz, ferner der Carnia im venetianischen Gebiete. Jb. k. k. geol. Reichsanst, VII, 3, p. 34 dell’estr. Vienna, 1856. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 167 fido quarzifero sul Monte di Terzo '), si limitò nei suoi molteplici la- vori 2) ad accennaré la posizione stratigrafica delle rocce in parola e a rilevare sommariamente i loro caratteri macroscopici. La prima descri- zione litologica accurata di alcuni tipi comparve nel 1890, ed è dovuta all’ARTINI 8); posteriore di quattro anni è un succinto lavoro del MILCE 4) su campioni raccolti dal FRECH; più recentemente il Rostwat °) e il Vico $) studiarono materiale analogo, riunito dal GeyER e dal TARAMELLI. Convien dire però che tali lavori si riferiscono a una parte soltanto delle rocce eruttive carniche, e che essi ebbero di mira la sola deseri- zione petrografica più o meno sommaria, senza occuparsi delle condizioni di giacitura nè discuter l’età delle masse studiate. Da questo punto di vista esaminarono invece alcune delle nostre rocce il FRECH ed il GEYER; in modo breve e imperfetto il primo °), molto più accuratamente il se- condo 3), che diede pure un riassunto dei caratteri litologici preceden- temente descritti. 1) Così esso è noto nella letteratura geologica, ma non giustamente. Nel gruppo di monti a nord della Valcalda, indicato nel suo complesso Monte di Terzo sulle vecchie carte, la vetta che il popolo (e anche la tavoletta «Paluzza » dell’ Ist. geogr. mil.) chiama Monte di Terzo (m. 2036) sembra invece costituita da sole rocce scistose; massiccia è la cima più alta del gruppo, detta m. Cimon (m. 2103); ma il porfido quarzifero non fu rinvenuto sinora che più a oriente, sul m. Zoufplan (m. 2001). ?) Vedi specialmente: Osservazioni stratigrafiche sulle valli del Degano e della Vinadia in Carnia. Ann. se. R. Ist. Tecn. di Udine, III, p. 63. Udine, 1869; — Osservazioni stratigrafiche sulle valli del But e del Chiarsò. Ibid., IV, p. 36. Udine, 1870; — Stratigrafia della serie paleozoica nelle Alpi Carniche. Mem. R. Ist. Ven. di Se. L. ed A:., XVIII, 1, p. 15-17 d. estr. Venezia, 1874; — Catalogo ragionato delle rocce del Friuli. Mem. R.Ace. Lincei, ser. 3, I, p. 29 d. estr. Roma, 1877; — Spiegazione della carta geologica del Friuli, p. 36 e 54. Pavia, 1881; — Geologia delle Provincie Venete. Mem. R. Acc. Lincei, ser. 3, XIII. Roma, 1882. N 3) E. ArTINI. Studii petrografici su alcune rocce del Veneto. Giorn. di Min. ecc., I, 2, p. 139-158, con 1 tav. Pavia, 1890. 4) L. MiLcH. Petrographischer Anhang.In: FrecH, Die Karnischen Alpen. Estr. d. Abh. Naturf. Ges. zu Halle, XVIII, p. 176-190. Halle, 1894. 5) A. RosiwaL. Petrographische Notizen. I. Enstatitporphyrit und Porphyrit- tuff aus den Karnischen Alpen (Val di S. Pietro). Verh. k. k. geol. Reichsanst., n. 16, p. 436-444. Vienna, 1895. 6) G. Vico. Studio petrografico su alcune rocce della Carnia. Rend. R. Ace. Lincei, Cl. di Sc. fis., mat. e nat., ser. 5, VIII, 1° sem., n. 10, p. 497-503. Roma, 1899. °) F. FREcH. Die Karnischen Alpen. Ein Beitrag zur vergleichenden Gebirgs- tektonik. Con carta geologica al 75.000. Abh. Naturf. Ges. zu Halle, XVIII, p. 31, 60, 194, 212, 309, 483 d. estr. Halle, 1894. 8) G. GeveRr. Zur Stratigraphie der palaeozoischen Schichtserie in den Kar- 168 M. GORTANI Con tutto ciò, le rocce eruttive delle Alpi Carniche, almeno per quanto si riferisce al versante italiano, sono ancora poco note così dal lato pe- trografico come dal lato geologico. Di nessuna è stata fatta l’analisi chimica; alcune non furono in nessun modo esaminate; i loro vari affio- ramenti sono stati tracciati sulle carte nel modo più inesatto !); pa- recchie masse non erano ancora state segnalate da alcuno. Tali deficienze, notevoli in tutto il versante meridionale delle Alpi Carniche, sono par- ticolarmente sensibili nella Carnia orientale, meno facile a percorrersi e a perlustrarsi e meno studiata dai geologi italiani e stranieri. Per tale motivo di qui appunto cominciamo la nostra rassegna. Prima della quale mi è grato però di rivolgere l’espressione della più viva riconoscenza al prof. Lurer BRUGNATELLI, che mi permise di studiare i campioni esi- stenti nel museo di Pavia. I. — Le rocce eruttive paleozoiche della Carnia orientale. In questa prima parte rientrano le rocce eruttive che ho potuto rinvenire in Carnia a oriente della But. Vi includo altresì un piccolo e isolato affioramento che son riuscito a scoprire sul M. Spin, a SSW di Formeaso, e che, non offrendo legame diretto con le masse più note ed estese, può indifferentemente riunirsi con le une o con le altre di esse. Le rocce eruttive di cui ora mi occupo furono sino ad oggi, come ho già avvertito, assai trascurate. Lo Srur ne fa menzione in modo nischen Alpen. Verh. k. k. geol. Reichsanst., n. 3, p. 119. Vienna, 1894; — Ueber neue Funde von Graptolithenschiefern in den Stiidalpen und deren Bedeutung fir den alpinen « Culm ». Ibid., n. 12-13, p. 249. Vienna, 1897; -- Ueber die geolo- gischen Aufnahmen im Westabschnitt der Karnischen Alpen. Ibid., n. 3, p. 100. Vienna, 1899; — Erliuterungen zur geologischen Special Karte der Oesterr.-ungar. Monarchie, SW-Gruppe Nr. 71, Oberdrauburg und Mauthen. Verl. k. k. geol. Reichsanst., p. 23, 28, 78. Vienna, 1801; — Erliuterungen zur geologischen Special- Karte der Oesterr.-ungar. Monarchie, SW-Gruppe Nr. 70, Sillian und St. Stefano. Verl. k. k. geol. Reichsanst., p. 15 e 24. Vienna,1902. 1) Basta confrontare ad es. i contini che a tali masse sono stati segnati sulle carte del TARAMELLI, del FRECH e del GryER (le quali non si corrispon- dono che in minima parte), con l’estensione ben diversa segnata nella cartina geologica unita a questo lavoro. È singolare a tale proposito come il ViGo (1. c., p. 499) dica che nella carta geologica del FRECH «non è segnato nessuno degli affioramenti di rocce eruttive, che pure sonofcosì numerevoli nella regione carnica ». Difetto- principale del FRECH è invece di non segnarne nella Carnia occidentale e di attribuir loro uno sviluppo di gran lunga troppo esteso nella parte orientale della regione. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 169 vago ed incerto; il TARAMELLI non ne parla in alcuno dei suoi numerosi lavori, salvo un accenno a un’ « afanite verde, uniforme, granulare al M. Paularo » nel suo Catalogo ragionato !). Non se ne occupò Il ARTINI e ad esse accennò soltanto di sfuggita il Vico, che nomina senza descri- verla una diabase del M. Pizzàl ?), ed ascrive ai porfidi quarziferi alcuni campioni raccolti nel conoide del torrente Moscardo *). Con maggiore ampiezza si diffusero invece su questo argomento il FRECcH ‘), il MILcH ?) ed il GeyER 5), il quale ultimo fece anche esaminare dal Rosiwat 7) la porfirite del M. Primosio. i Nella Carnia orientale, come già osservammo il prof. VINASSA ed io in una comunicazione preliminare fatta al congresso della Società geo- logica italiana a Tolmezzo *), le rocce massicce sono disposte in una zona anulare, qua e là interrotta, racchiudente arenarie e conglomerati del Carbonifero superiore e (in piccola parte) del Permiano inferiore. Vi possiamo distinguere le seguenti masse principali: a) una prima serie di rocce disposte secondo una linea diretta da occidente a oriente da Timau alle casere Primosio, Fontana Fredda, Cer- cevesa, Pecòl di Chiaula e Lodinùt bassa; 5) il nucleo centrale dei monti Paularo, Dimòn e Neddis; c) una lunga zona arcuata e irregolare da cas. Pian dei Ai a Valpudia, Ligosullo, Cima Val Baròn, Costa Robbia, Madonna della Schialute, cas. Tamai e R. Da Nasa sotto cas. Pizzàl. ; Prima di passare alla trattazione geologica, vediamo ora quali tipi di rocce affiorino nella plaga che abbiamo brevemente segnato. 1. — Porfirite micacea quarzifera. Località. — Cima Fontana Fredda presso cas. Cercevesa alta (1800 m.). 1) TARAMELLI. Catalogo ragionato delle rocce del Friuli. L. cit., p. 28. 2) Vico. Op. cit., p. 497. 3) Vico. Op. cit., p. 502. 4) FREcH. Op. cit., p. 60-65 e 309. 5) MILcH. Op. cît., p. 181-186. 6) Gever. Zur Stratigraphie der palaeozoischen Schichtserie in den Karni- schen Alpen. L. cit., p. 119; — Wrliuterungen zur geologischen Karte SW-Gruppe Nr. 71, Oberdrauburg und Mauthen. L. cit., p.15 e 24. 7) Rostwar. Op. cit., p. 441. 8) P. Vimnassa e M. Gorr ANI. Nuove ricerche geologiche sui fa compresi nella tavoletta « Paluzza ». B. Soc. geol. ital., XXIV, p. 720. Roma, 1905. 170 M. GORTANI Caratteri macroscopici. — La roccia fresca ha un colore verde grigiastro chiazzato di bianco. Le superficie alterate sono bruno wver- dastre. La roccia è compatta, abbastanza uniforme. La struttura appare tipicamente porfirica: in una massa fondamentale verde pallida sono in- clusi cristalli di quarzo, biancastri o quasi incolori, e di feldispato, can- didi o sfumati di grigio, gli uni e gli altri misuranti in media mm. 3 (meno spesso 1,5-2 o 4-5) tanto in lunghezza quanto in larghezza. Ab- bondantissimi sono pure cristalli di biotite, in tavolette esagonali, che hanno per lo più un diametro di mm. 0,5-1 e soltanto per eccezione di 1,5-2,5. L'osservazione fatta anche con la lente non dà maggiori parti- colari, nè fa distinguere alcun minerale accessorio. Caratteri microscopica. — Nelle sezioni sottili esaminate al mi- croscopio, la struttura si rivela manifestamente porfirica olocristallina, di tipo microgranitico. I cristalli porfirici di felspato, quarzo e biotite sono interclusi in una massa fondamentale costituita in massima parte da felspato e quarzo tra loro commisti. Il felspato plagioclasico è, insieme con il quarzo, il principale compo- nente della roccia. Gli interclusi quarzosi sono forse più frequenti di quelli felspatici e raggiungono spesso dimensioni maggiori, ma il plagio- clasio domina nella massa. È sempre spiccatamente idiomorfo. I grossi cristalli sono torbidi per alterazione, così da ostacolare la loro deter- minazione precisa; presentano non di rado struttura zonata; hanno in molti casi la geminazione polisintetica caratteristica, con legge dell’albite, accompagnata talora da quella del periclino. In pochi casi potei misu- rare l’estinzione simmetrica ai due lati della linea di geminazione (010), ottenendo valori che oscillano fra 4° e 6°, e corrispondono quindi a ter- mini più 0 meno basici dell’ oligoclasio. Ciò è confermato anche dall’in- dice di rifrazione, che è quasi uguale a quello del balsamo. I prodotti di alterazione sono talora disposti in zone anulari periferiche; fra essi abbon- dano la clorite e l’epidoto, non senza tracce copiose di calcite e qualche rara plaga di caolino. Gli interclusi di quarzo si presentano tutti fortemente arrotondati e corrosi: nelle profonde insenature penetra la massa fondamentale e talora anche qualche grosso cristallo, specialmente di mica. Il quarzo è lim- pido, sovente spezzato, con numerose inclusioni di apatite e zircone; presenta non di rado cavità riempite di calcedonio; non vi potei osser- vare inclusioni liquide, STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 171 Nei cristalli di mica abbiamo tutti i passaggi da minuti frammenti a tavolette di notevoli dimensioni. Appartengono sempre a bdiotite, con assorbimento assai evidente. Le tinte di polarizzazione sono sempre viva- cissime; l’ estinzione parallela alle strie di sfaldatura, che sono quanto mai evidenti e fitte e talora hanno decorso ondulato per le ineguali pressioni e le distorsioni subite. Dei minerali inclusi sono abbondanti l’apatite e sopra tutto la magnetite, disposta ai margini e lungo le linee di sfaldatura. La massa fondamentale è costituita in prevalenza, come ho già notato, di felspato e di quarzo. Sembra, dalla sua struttura, che la consolida- zione abbia avuto luogo in due momenti distinti. Al primo di essi dovreb- bero la loro origine minuti cristallini rotti e corrosi di quarzo e molte- plici listerelle di plagioclasio semplici (miste a poche geminate doppia- mente), lunghe fino a 90 o 100 p, con estinzioni variabili, ma sempre proprie di un termine oligoclasio basico; non può escludersi però che vi sia commisto pure dell’ortose, come farebbe sospettare anche la forte percentuale di potassa rivelata dall’analisi chimica. L’ultima consolida- zione invece avrebbe prodotto un aggregato di elementi minutissimi nel quale sono sospesi ì microliti precedenti, e che a forte ingrandimento appare costituito da granuli (microcchiti) di quarzo e aghetti esilissimi (microspiculiti) di felspato, misti a scagliette cloritiche. Dei minerali accessori van notati: la magnetite, inclusa nella mica e qua e là presente anche nella massa; 1’ apatite, inclusa nella mica e nel quarzo, coi soliti prismetti allungati e incolori; lo zircone, incluso nella mica, nel quarzo e nel feldispato, incoloro e con vivacissime tinte di polarizzazione, e del quale potei osservare nella massa fondamentale un esile prisma bipiramidato, sottile e lungo fino a 60 »v. Ho già ac- cennato a suo luogo ai prodotti di alterazione. Fra i minerali secondari di ricomposizione, è in qualche punto abbondante la calcite, in plaghette cristalline spesso a struttura polisintetica, trasparente e incolora, che riempie anche in venuzze alcune rare e sottilissime fenditure della roccia invisibili a occhio nudo. Composizione chimica. — Ho creduto opportuno di eseguire l’a- nalisi chimica di questa roccia, che non era stata ancor segnalata in Friuli, e della quale nelle intere Alpi Carniche si conosceva un solo affioramento vicino al lago di Volaia. I risultati dell’analisi sono i se- guenti (I), che si avvicinano sensibilmente a quelli medî (II) ottenuti da 172 M. GORTANI otto porfiriti micacee più o meno quarzose secondo le analisi riportate dal WasHINeTON 1!) e dall’OsaAnn ?): I II SL SE Re ati a e0 8. Tal] 65,95 ATO e 09 16, 42 Hecon 4,528) 4,07 4) FeO ) CO AS 92,54 MEO Ro Lia 201 1,84 KO oa ZOO 2, 13 NafO i ei ti 2 4,95 Puri N eta ce — Perdite per arroventamento. 1,86 1,46 100, 73 99, 36 PesoRspecia coseno 29 Le somiglianze maggiori sono con la porfirite biotitica del North Mos- quito Amphitheater analizzata dall’ HiLLEBRAND e riportata dal Cross ?). Anche essa però è meno acida della porfirite carnica, alla quale soltanto due rocce australiane raccolte presso Noyang (Victoria) e studiate dal- l’Howrrt %), fra quelle dello stesso tipo a me note, sono superiori nella percentuale di anidride silicica! 2. — Porfirite quarzifera micaceo-augitica. Località. — Sopra Timau, cas. Primosio, Cima Fontana Fredda, cas. Pecol di Chiaula bassa, cas. Lodinut bassa. i) H. S. WasHINGTON. Chemical analyses of igneous rocks published from 1884 to 1900, with a critical discussion of the character and use of analysen. P. P. U. S. Geol. Surv., n.14. Washington, 1903. 2) A. OsANN. Beîtriige zur. chemischen Petrographie. II. Analysen der Erup- tivgesteine aus den Jahren 1884-1900. Stuttgart, 1905. 3) Calcolato come F,0,. 4) Ricalcolato come Fe, 0, anche dove fosse stata eseguita la separazione dei due ossidi. °) W. Cross. Geology and mining industry of Leadville, Colorado. Mon. U. S. Geol. Surv., vol. XII, p. 340. Washington, 1886. 5) HowirT in Transact. Roy. Soc. Victoria, 1883; — cfr. OsANN. Op. cit., p. 160, n. 1597-98, STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 173 Caratteri macroscopici. — Il colore della roccia fresca varia dal verde grigiastro al verde cupo, sempre con una tinta più viva che nella roccia precedente, chiazzato di bianco o di grigio. Le superficie esposte allo sfiorimento appaiono in generale brune o bruno-verdastre, talora di un rosso bruno o sfumate di azzurro cupo, secondo il modo di alte- razione dell’augite. La roccia è sempre compatta, dura, spesso con vene calcitiche. La struttura è anche nel caso presente quella di una vera porfirite quarzifera; ma il suo aspetto varia nei campioni delle diverse località. La roccia che affiora presso Timau mostra un fitto aggregato di cristalli felspatici fra cui traspare qua e là una massa fondamentale verde bruna o verde giallastra; laminette di mica e grossi e limpidi cristalli di quarzo. spiccano su questo fondo alterato. Nella porfirite che costituisce la Cima Fontana Fredda (1903 della tavoletta), tra le casere Primosio, Fontana Fredda e Cercevesa, si vedono bellissimi e netti cristalli di plagioclasio e di quarzo, gli uni e gli altri di un bianco avorio e per lo più difficili a distinguersi fra loro anche con la lente, immersi in una pasta verde scura o talora olivastra; le loro dimensioni, in media di 2 o 3 milli- metri, possono giungere,.fino a mm. 6 o 7; non son rare fra essi le tavo- lette di biotite. Caratteri analoghi, con tinta fondamentale di colore più acceso, hanno i campioni raccolti presso le casere Pecol di Chiaula e Lodinut. Invece presso la cas. Cercevesa alta, dove si ha un passaggio dalla porfirite micacea alla micaceo-augitica, quest’ultima presenta a occhio nudo il medesimo aspetto della prima, con i grossi cristalli di quarzo limpidi, la mica abbondantissima, la pasta verde grigia. In essa l’alterazione produce sovente il colore azzurro più o meno cupo. Caratteri microscopici. — In tutti i campioni la struttura è anche qui porfirica olocristallina, microgranitica. Le lamine sottili, tratte da campioni che in massa avevano un aspetto anche notevolmente diverso fra loro, si presentano sia alla lente sia al microscopio con caratteri molto simili. Dei cristalli porfirici, quelli di plagioclasio sono sempre riferibili a termini basici dell’oligoclasio. Hanno frequentemente la struttura lamel- lare polisintetica caratteristica; si mostrano geminati con la legge del- l’albite e, meno sovente, del periclino. Il minerale è spesso torbido, non di rado alterato secondo una regolare zona marginale, dove si trovano i soliti prodotti di scomposizione; in qualche caso la plaga caolinizzata appare invece nel mezzo del cristallo, che si altera in direzione centifruga. I cri- 174 M. GORTANI stalli sono sempre idiomorfi, poco o nulla corrosi, in generale soltanto più o meno arrotondati; hanno talvolta struttura zonata, ma gli elementi che li costituiscono sono sempre molto affini tra loro. Il quarzo di prima consolidazione, sempre in cristalli grossi e lim- pidi, si presenta invece costantemente riassorbito, come nella porfirite quarzifera sopra esaminata (tav. I, fig. 1). I cristalli appariscono in sezione tondeggianti od ellittici, coi margini in parte arrotondati, in parte sinuato- crenati o incisi nei modi più vari. Le incisure sono copiose, non di rado profondissime ed ampie, di forma variabilissima, con tutti i passaggi da quella doleemente arcuata a quella ovale, o a cuneo, o a bottiglia, e spesso così sviluppate da vietare assolutamente la ricostruzione del primitivo contorno cristallino. Individui così fortemente corrosi sem- brano molto simili a quelli descritti dal MrLcH nello svolgere la sua nuova teoria sopra il riassorbimento magmatico e la causa della strut- tura porfirica!). Gli incavi così prodotti sono generalmente riempiti dalla massa fondamentale, ma vi penetrano anche cristalli abbastanza grossi, specialmente di mica. La forma irregolarissima e talora ramificata delle cavità di riassorbimento fa sì che molto spesso (come si vede anche nella fig. 1 della tav. I) alcune apofisi, rimaste solo da un lato riunite al cristallo, se ne mostrino nella sezione affatto staccate, come granuli indipendenti; frequentissimo è il fenomeno inverso, che cioè nel cri- stallo si notino lacune tondeggianti o irregolari occupate dalla pasta fondamentale con. o senza minori interclusi, e che si debbono interpre- tare come sezioni di canalicoli o cavità di riassorbimento. Oltre a questi, i cristalli di quarzo presentano sempre irregolari e molteplici linee di frattura che li attraversano in ogni senso e in cui sì vede spesso pene- trata la massa fondamentale o i suoi prodotti di alterazione. Nel mi- nerale sono inclusi zircone e apatite; mancano le inclusioni liquide; son rare quelle vetrose; più frequenti le cavità riempite da calcedonio, di cui una bellissima ha un diametro di mm. 0,65. 1) L. MrLcH. Ueder magmatische Resorption und porphyrische Struktur. N. Jb. f. Min. ete., II, 1, p. 1-32. Stuttgart, 1905. Il Micca spiega tali fenomeni, anzichè con l'ipotesi di una prima consolidazione intratellurica, con la mesco- lanza delle porzioni magmatiche superiori, già in via di cristallizzazione, con le più profonde e più calde, in conseguenza della pressione che all’aprirsi di una spaccatura sospinge in alto contemporaneamente e insieme le parti superiori e le inferiori. Egli applica la sua teoria, che a priori non può certo respingersi, ai porfidi granitici; ma Sainiononie la si può estendere, dpando si voglia ammetterla, alle rocce porfiriche in generale. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 175 La mica è sempre presente, ma in quantità molto variabile. Copio- sissima nella porfirite tra la cas. Primosio e Timau, e in quella di Cima Fontana Fredda (massime presso la cas. Cercevesa alta, dove passa alla porfirite micacea), scarseggia invece nei campioni di cas. Pecol di Chiaula e di cas. Lodinut; e mentre nelle prime località se ne contano fino a 12 o 15 laminette (lunghe mm. 0,5-2) per ogni cmq., all’estremità orien- tale della zona eruttiva non si giunge nemmeno a una tavoletta per ogni ugual superficie. Presenta questi caratteri: cristalli non sempre ben delimitati, per lo più ondulati e contorti; nettamente pleocroici, ma spesso con tinte deboli, varianti dal giallo al bruno, con belle sfumature verdastre in alcuni campioni di Cima Fontana Fredda; inclusi abbondanti di ma- gnetite lungo le linee di sfaldatura o ai margini, meno spesso di zir- cone in microliti irregolarmente disposti, o di apatite in minutissimi prismetti. Dell’augite, che nella roccia in pezzo si confonde, anche a notevole ingrandimento, con la pasta fondamentale, si vedono al microscopio nelle lamine sottili bellissimi cristalli porfirici. Sono i soliti prismi tozzi e brevi, con sezioni rombiche, esagone od ottagone, in cui si riconoscono tracce delle forme {110}, {100}, {010}, {111} fra loro combinate; talora son geminati secondo il piano (100); più di rado cffrono gemelli di compenetrazione secondo il piano (122), come nella figura 3 della ta- vola I. Conservatissima, debolmente colorata in giallastro, poco o nulla riassorbita, © a limiti netti nella roccia fresca, l’augite nelle parti alterate prende tinte rosso brune, contorni indecisi, e talora anche struttura a clessidra. Ha inclusi di apatite, magnetite e zircone. Si altera sopra tutto in clorite e calcite; in alcuni punti sopra la cas. Cercevesa dà ori- gine a viridite di un colore verde azzurrognolo, con manifesta polariz- zazione d’aggregato. Nella massa fondamentale (tav. I, fig. 4) anche a debole ingrandi- mento si scorge quasi sempre un gran numero di cristalli felspatici al- lungati, listiformi, semplici o semplicemente geminati, con estinzione. in molti casi parallela o prossima a 0°, in altri molti notevolmente obliqua. Le massime obliquità osservate sulle facce (010) furono di 9°-11°; il felspato si può quindi riferire in parte all’oligoclasio e in parte all’ andesina, senza escludere la presenza di orfose. Questi maggiori microliti di feldispato hanno una lunghezza variabile in generale fra mm. 0,05 e 0,3; sono limpidi, idiomorfi, a limiti ben netti, interi. Li ci:condano numerosissimi granelli di quarzo con un diametro ordina- 176 M. SORTANI riamente non superiore a 50 o 60 »., talvolta con disposizione fluidale o concentrica; vi sono interposti qua e là microliti di augite e di mica biotitica. Infine anche qui un minuto aggregato criptocristallino, ora più ora meno abbondante rispetto al materiale di seconda generazione, entra a far parte della massa fondamentale; sembra costituito da felspato e quarzo misti ai prodotti di alterazione. I minerali accessori, di alterazione e di ricomposizione sono i seguenti: magnetite, in granuli quasi mai sparsi nella massa, ma inclusi nella bio- tite e nell’augite:; apazite, inclusa in piccola quantità nella mica, nel fel- spato e nel quarzo, ma copiosissima nell’augite, dove se ne hanno mi- croliti assai belli e limpidi, con dimensioni oscillanti da 10 p. e anche meno a 200 p.; zìrcone, incluso in tutti i minerali di prima consolida- zione, nei consueti prismettini allungati; clorite, frequente come prodotto di scomposizione della mica e del pirosseno; epidoto, misto alla clorite e proveniente massime da alterazione dei feldispati, in granuli e scaglie con brillanti colori di polarizzazione rossi, gialli e aranciati; calcite, a cui va riferito un carbonato presente soltanto nei campioni alterati e che dà molto facilmente effervescenza a freddo con gli acidi diluiti. Composizione chimica. — L'analisi chimica di questa roccia ha dato i seguenti risultati : STO, UO e LAO 0 ADOL, ETES AO r eo Fe: E ME E AC EBRAICO FE RI IRA NR RE 152 Cai FRA O I 9A: Mo + E e 25 Red e E 0) Na; 0 LE A Perdita per arroventamento . . . . 4,40 98, 05 Peso: Speclico Rae Se ZA Per vedere in qual relazione sia la roccia esaminata con le sue con- generi, altrove studiate, e per intenderne più facilmente la composizione, STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE LITI uniformiamo i risultati allo schema del LoewInson-LEssINe !). Avremo in tal modo la formula magmatica : BIS2IRO; 1,82R,0,; 10,24 SiO, ossia 1,93 RO; R,0;; 5,63 Si0, e i rapporti RIOSRODIESSO GO NEO 14 ty Il coefficiente di acidità 2 e il numero 8 delle molecole basiche della roccia per 100 molecole di silice saranno quindi: a= I 40 Confrontando ora i valori ottenuti con quelli medi risultanti dalle sette analisi di porfiriti quarzifere americane eseguite dal Cross ?) e ricalcolate dal Lorwinson-LessINe *), e da quella montenegrina studiata dal MANASSE 4), otteniamo lo specchietto seguente: RONNAR:O; Si, o. B Porfiriti americane. . 2,20 1,75 11,08 3,00 36 Porfirite montenegrina 1,74 1,48 1225 305 26 Porptercarnica ot 03:52 1,82 10,24 2,49 52 Media generale. . . 2,30 118) leggeri 3,05 37 3. — Porfirite augitica. Località. — Fra le casere Pecol di Chiaula bassa e Lodinut; M. Paularo, Dimon e Neddis; sopra Treppo Carnico; cas. Costa Robbia. Caratteri macroscopici. -— Sono abbastanza uniformi in tutti i diversi campioni. La roccia ha sempre un colore naturalmente intenso, verde, con tendenza al verde grigiastro e più spesso al verde azzur- rognolo. Dei cristalli interclusi, ridotti per lo più a dimensioni mediocri o piccole, si riesce a distinguere soltanto il feldispato, grigio o bian- 1) F. LonwiInson-LessIne. Note sur la classification et la nomenclature des roches eruptives. C. R. de la VII sess. du Congr. géol. intern., 1897, p. 53-72. Pietroburgo, 1899; — Ip. Studien iiber die Eruptivgesteine. Ibid., p. 193-464. 2) W. Cross. The laccolithic mountain groups of Colorado, Utah and Arizona. XIV Ann. Rep. U.S. Geol. Surv. Washington, 1894. 3) F. LonwInson-Lessine. Studien ber die Eruptivgesteine. L. cit., p. 449. 4) E. MANAsSsE. Porfiriti dioritiche e andesiti del Montenegro. Estr. d. Proc. Verb. Soc. Tosc. di Sc. Nat., p. 7. Pisa, 1903. 178 M. GORTANI castro, che non supera in generale i 2 o 3 millimetri di lunghezza e ha sovente una sfumatura verdognola. Talvolta neppure il plagioclasio si distingue a occhio nudo, come in molti campioni del M. Dimon e anche del M. Paularo; analoga se non identica a questa è probabilmente la roccia che dell’ultima località nomina il TARAMELLI nel suo Catalogo ra- gionato. Il peso specifico nei saggi raccolti varia da 2,7 a 2,9. Caratteri microscopici (v. Tav. I, fig. 5). — Benchè io abbia cercato di scegliere i campioni con le stesse cautele usate nel raccogliere i saggi delle porfiriti quarzifere, questa roccia, al pari delle diabasi e por- firiti diabasiche, si mostra sempre più alterata delle prime. E la maggior alterazione, che macroscopicamente si palesa con la tinta non più netta del felspato e la generale colorazione verde pallida anche delle lamine molto sottili, rende assai più difficile, come è naturale, un diligente e accurato esame microscopico. La struttura appare ancora porfirica olocristallina nella maggior parte dei casi, ma si notano non di rado passaggi all’ipocristallina interser- tale. Sopra il lago Dimon è abbastanza frequente una varietà di por- firite verdognola, con minute macchiette scure, la quale ha struttura decisamente ialopilitica, a parte vetrosa molto sviluppata. Gli interclusi sono in generale di felspato plagioclasico, a cui si ag- giunge di rado qualche piccolo cristallo corroso di quarzo; si distinguono anche prismi di augite, che però è quasi sempre profondamente alterata. Il plagioclasio è in cristalli geminati di solito secondo la legge dell’al- bite: ove l'estinzione è simmetrica, il suo angolo è di 2° o 3°, accennando un termine oligoclasico. Abbondanti i suoi prodotti di alterazione: caolino, clorite, epidoto e calcite. L’augite per lo più è difficilmente riconoscibile, quasi sempre uralitizzata o alterata in clorite e epidoto, con numerosi inclusi di miagnetite e apatite. La sostanza cloritica mostra debole biri- frangenza e pleocroismo a mala pena avvertibile. La calcite in alcuni saggi, come ad es. nei campioni raccolti sopra Siaio, è abbondante, e la sua origine secondaria è ben caratterizzata dalla presenza di sostanza viri- ditica che ne circonda i cristalli, integrando il contorno del minerale pree- sistente. La massa fondamentale, come già s'è detto, è varia nella sua strut- tura. Nel maggior numero dei casi è analoga a quella delle porfiriti quar- zifere già vedute; vi si trovano cioè numerosi microliti per la massima parte felspatici in una pasta minutissimamente cristallina. Qua e là però STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 179 i cristalli di seconda consolidazione si fan più rari, mentre si comincia a notare qualche plaghetta vetrosa. La struttura diventa così gradata- mente intersertale, e da questa alla ialopilitica si offrono passaggi con- simili. Il felspato è sempre in prevalenza oligoclasico, e si mostra in esili prismettini lunghi da 20 a 200 y. Raro il quarzo; granuli di augite sono sparsi qua e là in mezzo alle plaghe cloritiche e alle squamette e fibrille di epidoto. Come minerale accessorio, oltre all’apatite, allo zir- cone e alla magnetite, che nella massa è ben scarsamente rappresentata, abbiamo anche, in un campione raccolto sul M. Dimon a 1900 m., un pirosseno trimetrico molto alterato. 4. — Porfirite enstatitica. Fu raccolta dal GeveR sulla Cima Fontana Fredda, a SE della cas. Primosio di sotto, una roccia costituita da frammenti angolosi di por- firite enstatitica, come risultò da un accurato studio del Rosiwat. Il GEYER, generalizzando troppo, ammette che tale porfirite ed il tufo costituito dai suoi elementi formino tutta la zona di natura eruttiva che da Timau per cas. Primosio giunge fino alle cas. Cercevesa e Fontana Fredda, e della quale noi scoprimmo lo scorso anno il prolungamento fino alla cas. Lodinut bassa. Se non che, per quanto abbia esaminato con diligenza il ricco materiale da me raccolto con ogni cura, non potei rinvenire la roccia del GeEYER; la quale perciò, lungi dal costituire l’intero giogo di Cima Fontana Fredda con le sue propaggini laterali, deve ritenersi limi- tata a una zona ristretta. Ed io sono anzi in dubbio se giudicare che effettivamente la roccia clastica rinvenuta sulla destra della But dal geologo viennese stia a indicare la vicinanza immediata della porfirite da cui deriva, o se piuttosto la sua origine non si debba cercare nella por- firite enstatitica che affiora copiosa sul fianco settentrionale del Monte di Terzo nel versante opposto della vallata. La roccia, come la descrive il RostwAL e come potei esaminare io stesso, è verde o grigio verdastra, con interclusi bianchi opachi di fel- spato e verdi cupi di un pirosseno trimetrico, lunghi da 1 a 4 milli- metri. Al microscopio la struttura si rileva porfirica ipocristallina. I grossi cristalli di felspato appartengono a termini acidi dell’oligoclasio e forse in parte anche ad ortose. Il pirosseno, alterato in dastite, deve riferirsi a enstatite 0 bronzite. Di quarzo vi sono tracce scarsissime o nulle. La massa fondamentale, in cui sono sparsi cristallini di magnetite, titanite Sc. Nat. Vol. XXII 12 è 180 M. GORTANI e apatite, è costituita essenzialmente da listerelle felspatiche esilissime, lunghe fino a 50 », talora con disposizione fluidale, appartenenti ad oli- goclasio e ortose, immerse in un aggregato criptocristallino di felspato, quarzo e clorite. Fra gli abbondanti prodotti di alterazione si riconoscono, oltre a clorite e bastite, anche serpentino, caolino, muscovite, epidoto, leucoxeno e calcite. 5. — Diabase. Località. — M. Paularo presso la cas. Maseradis, M. Germula presso la cas. Tamai. Caratterì macroscopici. — Colore verde cupo, con macchiette grigie e verdi nerastre; bruno sulle superficie erose. Nemmeno con la lente si possono distinguer bene i principali costituenti, tranne qualche lista di feldispato. Frattura granulare, struttura compatta, tenacità no- tevole. Caratteri microscopici. — In tutti i campioni l’alterazione è piuttosto avanzata, onde la struttura è spesso mascherata dai minerali secondari. La roccia tuttavia appare generalmente olocristallina, granu- lare ipidiomorfa; non mancano talora passaggi alla struttura porfirica. Costituenti essenziali sono plagioclasio ed augite. Il plagioclasio è in cristalli idiomorfi, allungati fino a mezzo millimetro, che nelle sezioni hanno il caratteristico aspetto listiforme predominante nelle diabasi. L’ allungamento avviene, al solito, secondo lo spigolo (001):(010); i cristalli semplici o semplicemente geminati secondo la legge dell’albite sono di gran lunga più frequenti dei geminati polisintetici. Per le di- rezioni di estinzione dobbiamo ammettere presente l’oligoclasio. Il mine- rale è in parte torbido, caolinizzato; non sono scarsi però individui inal- terati, in cui sono spesso evidenti le linee di sfaldatura secondo (101) e (010). Rarissime le inclusioni, rappresentate soltanto da qualche aghetto di apatite e alcuni prismettini di zircone. Dell’augite, assai più alterata del plagioclasio, non rimangono che pochi residui. In alcuni saggi, massime del Germula, essa era copiosis- sima, e gli scheletri dei suoi cristalli son molto frequenti. I contorni ne sono talora ben conservati per l'avvenuta alterazione pseudomorfica. Nelle plaghe meno alterate il pirosseno mostra un pleocroismo debolis- simo, con sfumature giallo verdognole e brunastre molto pallide, e pre- senta colori di interferenza abbastanza vivaci. Appare tutto reticolato, STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 181 attraversato in ogni senso da fratture e screpolature riempite da pro- dotti di formazione secondaria e da listerelle felspatiche. Per quanto se ne può giudicare, è allotriomorfo rispetto al plagioclasio. I minerali accessori sono ben pochi. Il quarzo, spesso mancante, ap- pare in quantità non trascurabile nella diabase di cas. Maseradis, dove alcune sezioni farebbero pensare a una vera diabase quarzifera. Molto meno copiosa che nelle rocce già vedute, l’ apatite è inclusa nel piros- seno e, meno spesso, nel plagioclasio. Lo 2èrcore, raro in entrambi, nulla offre di particolare. Contrariamente a ciò che fu osservato in tutte le diabasi carniche, la magnetite è scarsissima. Prodotti di scomposizione e ricomposizione occupano larghe plaghe e talvolta sembrano formar la base della roccia. Prevalgono l’epidoto e una sostanza cloritica a birifrazione debolissima. La calcite è pure in quantità notevole; molto scarsi invece i prodotti ferriferi. Caratteri chimiciè. — Non avrei creduto opportuno di studiare la composizione chimica di questa roccia, dato il suo grado di altera- zione, se non mancassero totalmente analisi di diabasi carniche, e se la diabase in parola non differisse in modo notevole dalle porfiriti che già abbiamo studiato. Dall’analisi di un campione raccolto in vicinanza immediata della cas. Maseradis, a 1640 metri, risultò questa compo- sizione: STORIA ce AO Rao a 36 Keo AA 620 Hei ele a L60712 Calia nasa 0 Le rr Me Ole 081 TERE A RE RA SONS MIA] Naso ria ni AAT Perdita per arroventamento . . 4,98 99751 Resorspecilicot atri 8 28 Da queste cifre si calcolano facilmente la formula magmatica, il coef- ficiente di acidità e gli altri rapporti di cui tien conto il sistema già se- guito per la porfirite quarzifera micaceo-augitica. 182 M. GORTANI 4,21 RO; 2,01 R,0;; 9,19 SiO, ovvero 2,09 RO; R,0,; 4,57 Si0, RE0FRROAES:SIMEG0 NASO HI Il Lorwinson-LessInG (!) dà la formula magmatica media ricavata dalle analisi di 7 diabasi. Ricalcolando con lo stesso sistema altre 17 analisi riportate dall’ OsanN nel suo già citato lavoro, ho ottenuto questi valori: RO ROSSO, a B Media di 7 diabasi ) > 4,75 1,87 8,20 00 73 del LoewInson-LEssING | Meg EE ana (oT2 2,05 8,73 TO 9 riportate dall’ OsANN ; dl | i Diabase del M. Paularo 4,21 2,01 9,19 IRTONINONT La roccia carnica presenta quindi un’acidità notevolmente superiore alla media, e in conseguenza un rapporto fra molecole basiche e mole- cole di silice alquanto inferiore al normale. 6. — Porfiriti diabasiche. Località. — Falde dei monti Dimon e Neddis, presso Valdaier e le casere Forànc, Montute e Costa Robbia; monte Germula presso gli stavoli Battaia, la cas. Tamai e la Madonna della Schialute; monte Spin sotto lo stavolo Almiàs. Caratterì macroscopici. —- Si tratta di rocce di tipo diabasico, olo o ipocristalline, per lo più profondamente alterate e metamorfizzate. Hanno un colore verde, uniforme o chiazzato in vario modo, qua e là tendente al grigio o all’olivastro. Superficie alterate brune, fulvastre, o nero-verdognole. Nella pasta più 0 meno omogenea appaiono cristalli poco voluminosi di plagioclasio e non di rado anche venuzze e cristallini di pirite. Così presso la Madonna della Schialute e sotto Valdaier, dove mi fu dato osservare in una roccia laminata per le subite pressioni i migliori 1) F. LorwInson-LEssINnG. Studien ber die Eruptivgesteine. L. cit., p. 454. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 183 di tali cristallini. Sono minuti cubi e pentagonododecaedri, con le facce sempre striate: in questi parallelamente allo spigolo maggiore, in quelli nel solito modo caratteristico compatibile con la simmetria binaria che vi hanno gli assi del cubo. Il peso specifico oscilla nei campioni esaminati fra 2,4 e 2,7. I fenomeni di metamorfismo hanno indotto nelle rocce in parola mo- dificazioni di varia natura, spesso profonde e notevoli. Le principali di esse vedremo nell’ultima parte del lavoro. Caratteri microscopici. — La struttura, per lo più mascherata dai prodotti di alterazione, sembra nettamente porfirica, senza plaghette vetrose ben determinate. Il plagioclasio è in cristallini listiformi lunghi da 60 o talora anche da 20 o 30wa mezzo millimetro, semplici o bigemini, fra i quali ap- paiono ogni tanto alcuni cristalli più grandi e con geminazione polisin- tetica; le direzioni di estinzione dimostrano che in ogni caso trattasi di termini oligoclasici. Il pirosseno è quasi sempre completamente alterato, in parte uralitiz- zato e in parte scomposto in clorite, epidoto e calcite; rimangono pochi granuli di augite a testimoniare la natura del minerale primitivo. Cri- stalli allotriomorfi di quarzo, a contorni irregolarissimi, si trovano in quantità molto variabile, ma sempre scarsa. Numerosi i minerali secondari, in parte accessori, ma in gran mag- gioranza di alterazione e ricomposizione. La pirite, quando è presente, compare sia in granuli, sia in cristalli minuti, sempre fresca o ben poco alterata. Relativamente scarsi, come nelle diabasi già vedute, i granuli di magnetite; si hanno talora piccoli e rari cristallini neri di #menite con il consueto margine biancastro di lexcoreno. Non mancano in certi casi sferoliti di calcedonio; osservai anche laminette di diotite, che pro- penderei a ritenere di origine secondaria. Copiosissimi naturalmente i soliti prodotti di alterazione, fra cui dominano una sostanza cloritica (probabilmente pennina), epidoto e calcite, e si trovano pure caolino e qualche plaghetta di serpentino. In una roccia analoga a questa, raccolta dal FREcH lungo il Chiarsò, senza indicazione più precisa, il MILcH ') trovò una quantità notevole di orneblenda e mica. Tale roccia, non ostante accurate ricerche, non la potei ritrovare. 1) L. MiLcH. Petrographischer Anhang. L. cit., p. 183. 184 M. GORTANI 7. — Spiliti. Località. — Monti Paularo, Dimon e Neddis così alle falde come presso la cima; Madonna della Schialute, stavoli Clapeit e Battaia, cas. Tamai; monte Spin presso Formeaso. Sono frequenti, ma non copiose come dice il MircH, per il quale in Carnia “ die Hauptmasse der culmischen Eruptivgesteine gehòrt zur Gruppe der spilitischen Mandelsteine , !). Accompagnano sovente le rocce eruttive che abbiamo descritte, spesso limitandole lateralmente, talora incluse in esse come frammenti arroton- dati; mancano però nella zona settentrionale porfiritico-quarzifera. Caratteri macroscopici. — Il colore delle nostre spiliti è molto variabile, sia per la tinta diversa che può assumere la massa fonda- mentale, sia per il numero, le dimensioni e la disposizione delle amig- dale. La massa, che è sempre alterata, a seconda della sua composizione e del grado di alterazione varia dal nero al bruno violaceo, al verdastro e al rossiccio; le gradazioni violette o rosso violette sono le più fre- quenti. Le cavità sono riempite sempre di calcite, limpida o bianca opaca, talora avvolta da un verde strato cloritico; variano straordina- riamente di grandezza e di numero, potendo avere un diametro da 0,5 a 10 e persino 15 millimetri, ed essere contigue o distanti fino a qual- che centimetro una dall’altra. In generale sono tanto più vicine fra loro quanto più son minute; hanno in media 2 o 3 millimetri di diametro e se ne contano allora da 5 a 15 per cmq. Le condizioni però cambiano moltissimo appena ci allontaniamo dalle spiliti tipiche; e una serie inin- terrotta di passaggi conduce a oficalci di varia natura, a rocce dove la massa della calcite, distribuita a reticolato, supera quella dei silicati, e infine a tipi litologici che si avvicinan talora, a primo aspetto, ad alcuni conglomerati di Val Gardena. Caratteri microscopici (v. tav. I, fig. 6). — Le amigdale, come ho detto, sono formate da calcite. Si tratta, nella gran maggioranza dei casi, di più individui cristallini nettamente distinti, con i loro sistemi di strie di sfaldatura quanto mai divergenti, spesso distorti per le compressioni subite, separati da linee irregolari. Talvolta si unisce alla calcite anche silice amorfa 0 calcedonio, massime verso la parete della cavità; ma non trovai amigdale interamente silicee, come sembra aver osservato il MILCH. La clorite non è rara come rivestimento esterno delle amigdale stesse. 1) L. MicH. Petrographischer Anhang. L. cit., p. 181. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 185 I veri interclusi dalla roccia, astrazion fatta dalle amigdale, sono piuttosto rari, anche per l'alterazione avanzata dei campioni. Si tratta di cristalli relativamente piccoli (1 a 2 millimetri) e più o meno cor- rosi; più frequente è il plagioclasio, raro il quarzo, rarissima e difficile a riconoscersi l’ augite. Il plagioclasio suol appartenere a qualche ter- mine acido dell’andesina, ed è geminato polisinteticamente secondo la lesse dell’albite. Le plaghe cloritiche fanno giudicare che dovesse, nella roccia primitiva, esser abbondante l’augite; ma ne rimangono solo fram- menti. La massa fondamentale ha sempre una colorazione oscura per i pro- dotti ferriferi che contiene in gran copia; comunissimi fra questi i gra- nuli di magnetite, ematite e limonite; ilmenite si trova di rado. Non man- cano sferoliti calcedoniose e squamette di epidoto; la clorite e anche la caleite son copiose dovunque come alterazioni del felspato e specialmente del pirosseno. Esiste quasi sempre una base vetrosa: la struttura della roccia primitiva era ialopilitica o intersertale. Immersi in questa massa, troviamo innumerevoli aghetti e listerelle (microliti e microspiculiti) di plagio- clasi oligoclasici, più o meno esili, generalmente bacillari o capillari, in- teri o biforcati all'estremità, isolati o fittamente intrecciati fra loro. Sembra da tutto ciò che la roccia a cui le spiliti in questione si debbono avvicinare, sia con ogni probabilità una porfirite diabasica oaugitica; forse la stessa Weiselbergite a cui il RosENBUSCH !) ascrive le spiliti descritte dal MILcH e raccolte nella nostra regione. Tale riferi- mento è anche avvalorato dal fatto che le rocce in parola, mentre non compaiono nella zona porfiritico-quarzifera, sono frequenti più a sud, ove dominano appunto le porfiriti diabasiche e augitiche, in mezzo alle quali si trovano. Cenni geologici. Esaminando sopra la tavoletta al 50,000 le località che ho indicato per ciascuna delle rocce vedute, riesce agevole farsi un’idea precisa della loro distribuzione e della loro importanza rispettiva nel costituire la massa eruttiva della Carnia orientale. Ricordando quanto abbiamo già visto e coordinando i dati raccolti, si può compilare il seguente pro- spetto. 1) H. RosensuscHa. Mikroskopische Physiographie der massigen Gesteine. Vol. II, 3. ed., p. 956 e 1064. Stuttgart, 1896. 186 M. GORTANI 1. Porfirite micacea quarzifera. — È limitata a un versante della Cima Fontana Fredda sopra la cas. Cercevesa alta (Km. 3,5 a NE di Timau), a 1900 m. Non possiamo segnarne i confini, perchè è intimamente con- nessa alla roccia seguente, alla quale è legata da numerosi termini di passaggio e da cui non sempre è agevole distinguerla. 2. Porfirite quarzifera micaceo-augitica. — Costituisce quasi per in- tero la zona eruttiva da Timau alla cas. Lodinut bassa. Un primo affio- ramento notevole è a sud del rio Selleit, in vicinanza immediata dei calcari devoniani, sotto e a occidente della cas. Primosio di sotto. Ma dove essa raggiunge il massimo sviluppo è sulla Cima Fontana Fredda o M. Primosio, aspro giogo che sorge fra le casere Primosio, Fontana Fredda e Cercevesa, e che sulla tavoletta è segnato con la quota 1983. La porfirite forma l’intero giogo a partire da circa 1650 m., e si pro- lunga a oriente in una stretta zona lineare qua e là strozzata, pres- sochè parallela al rio Cercevesa, e che giunge fin oltre la cas. Lodinut bassa (sotto la cas. Lodìn, a 1127 m.). 3. Porfirite augitica. — Le porfiriti quarzifere non si spingono più a sud della Cima Fontana Fredda. Il nucleo eruttivo più vicino a que- st'ultima, che affiora nelle parti più alte dei monti Paularo, Dimon e Neddis, fra 1800 e 2047 m. sul mare, è costituito da una porfirite senza quarzo, riferibile in prevalenza alle porfiriti augitiche; la stessa roccia compare nel versante meridionale dei monti medesimi, acquistando lo sviluppo maggiore sopra Siaio e Treppo e mandando le sue propaggini fin sopra Ligosullo e a Costa Robbia. Dobbiamo però notare come vi siano passaggi molteplici dalle porfiriti quarzifere alle non quarzifere e come la loro delimitazione così stabilita non abbia un valore assoluto. Carattere costante delle nostre porfiriti tipiche è la mancanza di mica; ma vedemmo già quest’ultima scarseggiare presso la cas. Lodinut. Che neppure la divisione topografica sia rigorosa è dimostrato dalla pre- senza di una vera porfirite augitica nella zona settentrionale, presso la cas. Pecol di Chiaula bassa; d’altro canto il MiccH *) parla di una por- firite quarzifera anche sul M. Paularo e a Costa Robbia. 4. Porfirite enstatitica. — La sua presenza nella Carnia orientale va messa in dubbio, come notai a suo luogo. Deve ricercarsi, se mai, sopra la cas. Primosio. 5. Diabase. — Fu riconosciuta in due punti soltanto: il primo sul (4) L. Mirca. Petrographischer Anhang. L. cit., p. 185. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 187 fianco occidentale del M. Paularo presso la cas. Maseradis (1631 m.), sotto la quota 1775 della tavoletta; il secondo all’estremità orientale della zona eruttiva, nel versante sud-occidentale del M. Germula, poco sotto la cas. Tamai. In entrambe le località è bene sviluppata, benchè forse meglio diffusa e più tipica nella prima; non mancano tuttavia pas- saggi alla roccia seguente, che ne è in fondo una semplice varietà. 6. Porfirite diabasica. — Forma la potente massa eruttiva dell’alto Incaroio, ricca di propaggini laterali e di suddivisioni secondarie, estesa dai versanti meridionali e orientali dei monti Dîmon e Neddis all’in- senatura del R. Da Nasa che separa il M. Germula dal M. Pizzàl. Il più settentrionale dei suoi lembi si spinge dalla casera Forane al M. Cra- vostes; quello più a sud affiora tra Clapeit e il torrente Ruàt e fra gli stavoli Battaia e Ravinis. 7. Spiliti. — Si uniscono alle porfiriti diabasiche e augitiche, con potenza molto variabile da luogo a luogo. Rare nella valle della But, compariscono invece con notevole frequenza a mattina della linea M. Dimon-Ligosullo, limitando spesso le rocce indicate dalle formazioni are- nacee o scistose che le racchiudono. Così le troviamo sparse dal M. Dimon al Germula e dal M. Cravostes alle pendici sotto Valdaier; presso la Madonna della Schialute se ne incontrano frammenti arrotondati, glo- bulosi o ellissoidali, inclusi in gran numero nella porfirite diabasica. Co- piose e assai meglio conservate della porfirite le vediamo sul M. Spin in contatto con le arenarie di Val Gardena. Si comprende da tutto ciò come lo sviluppo delle rocce eruttive nel- l’alta Carnia non sia trascurabile !); e un semplice sguardo alla mia carta e a quelle del FrEcH e del GevER fa rilevare come lo studio di tali rocce fosse manchevole. Ma più ancora è singolare che nessuno prima del FrecH abbia pensato a occuparsene, e che non ostante la loro dif- 1) Tale sviluppo fa intendere assai meglio la ricchezza di blocchi porfiritici e spilitici nelle morene mediane dell’anfiteatro del Tagliamento (cfr. TARAMELLI. Dei terreni morenici e alluvionali del Friuli. Ann. R. Ist. Tecn. Udine, 1874, VIII, p. 29), di cui i soli giacimenti del M. di Terzo e del Canale di Gorto non basterebbero a dare ragione. Lo stesso dicasi per gli innumerevoli ciottoli di rocce massicce disseminati nelle alluvioni della But e del Chiarsò e nelle mo- rene stadiarie delle rispettive vallate, frequenti in particolar modo nel Canal d'Incaroio. Fra queste morene vanno sopra tutto ricordate, oltre alle minori sopra Cedarchis, Cadunea, Valle, Rivalpo, Salino, Trelli, Dierico e Misincinis, quella di Dioor e quella tra Misincinis e Varleit che ricopre la dolomia cariata fra i rivi Fosco e Turriee. 188 M.GORTANI fusione se ne sia parlato così vagamente. Tanto più che non solo il po- - polo le distingue con un nome speciale, ma vi è connessa una delle leg- gende più conosciute della Carnia, quella dello spergiuro Ser Silverio. La leggenda !) riguarda l’immane rovina fra i monti Primosio (Cima Fontana Fredda) e Paularo, dove, a spese degli scisti carboniferi e delle sovrastanti masse porfiriche, si apre lo spaventoso bacino di raccolta del torrente Moscardo, che dissemina il copiosissimo materiale asportato sopra il vasto conoide della Muse. Il dannato del Moscardo, che con- tinua ad aprire lo squarcio rovinoso, rompe col suo mazzapicchio la du- rissima rupe del M. Primosio, di cui con uno spergiuro di rese proprietario; e dal suo nome appunto, con singolare trasposizion di termini, la gente di Paularo chiama SwWverio le rocce porfiriche. Vediamo ora brevemente in quali condizioni si trovino e affiorino le diverse masse eruttive. E cominciamo dalla zona settentrionale, co- stituita in grandissima prevalenza da porfiriti quarzifere. Nulla di particolarmente notevole ha il primo affioramento che tro- viamo movendo da Timau verso Primosio: quello fra i rivi Bagnadories e Selleit, limitato da argilloscisti e arenarie poggianti in trasgressione sulla formazione siluriana e sull’ incompleto ellissoide devoniano che ne sorge e che, circondato qui da una zona di calcare a Climenie, costituisce l’erta montagna del Pizzo di Timau (m. 2221). Cinto in gran parte dei medesimi argilloscisti e arenarie, si eleva sopra le casere Primosio l’aspro e acuto giogo del monte omonimo (m. 1983). La sua cresta dirupata, porfiritico - quarzifera, si eleva bruscamente sulle formazioni clastiche che la rinserrano e che cessano a un’altezza varia- bile fra i 1500 e i 1800 metri; a sud guarda l’ immane circo franoso del Moscardo. La porfirite è in generale ben conservata e ha realmente un aspetto bellissimo; qua e là presenta alcuni filoncelli diasprigni. Le sezioni microscopiche eseguite nei punti di passaggio e di contatto mostrano come in prossimità delle vene silicee diventino meno fre- quenti nella porfirite gli interclusi di felspato e di quarzo e scom- 1) Vedi per questa: DaLL’ OncaRO. Ser Silverio; — C. PeRrcoTO. Lis striis di Germanie. In « Racconti », I, Genova, 1863; — A. D’ ArBorr. Memorie della Carnia. Udine, 1871, p. 105; — G. Carpucci. In Carnia. In « Rime Nuove », Bologna, 1887, p. 91; — M. Savr-Loprz. Leggende delle Alpi. Torino, 1889, p. 37 e 203; — V. OsTERMANN. La vita in Friuli. Udine, 1894, p. 135, e « Pagine Friulane », VII, 1894, p. 59; — G. MARINELLI. Gwida della Carnia. Firenze, 1898, p. 369; — G. ELLERO. Una settimana tra le Alpi. Udine, 1904, p. 14. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 189 paiano le laminette micacee, mentre la proporzione della massa fonda- mentale aumenta e in essa, minutamente microcristallina, il quarzo viene a prevalere sul plagioclasio. Compaiono intanto, e si fanno sempre più sviluppate, delle sferoliti calcedoniose; e il colore della roccia da verde «grigiastro passa a un verde bluastro cupo. Si giunge finalmente al fi- loncino siliceo, di color rosso sangue. Nella selce amorfa che lo costi- tuisce in gran parte, si notano numerose venuzze di calcite e di quarzo, cristallini quarzosi, sferoliti di calcedonio e granulazioni ferruginose (specialmente di ematite) molto abbondanti e diffuse, con l'apparenza di un vero pigmento, alle quali è appunto dovuto il colore vivace della roccia. La massa eruttiva della Cima Fontana Fredda sembra più giovane degli scisti e arenarie in messo a cui sorge. Inducono a tale giudizio le inclinazioni delle rocce elastiche contigue, benchè il piegamento oro- genico abbia necessariamente modificato assai le condizioni primitive; e può indurvi altresì il legame che unisce questa alle masse porfiritiche che le succedono a sud e di cui parleremo tra poco. Lo stesso dicasi della lingua eruttiva che'a guisa di lunga propaggine si spinge a oriente fin oltre la cas. Lodinut bassa, sulla riva sinistra del R. Cercevesa. La presenza di porfirite augitica fra le casere Lodinut e Pecol di Chiaula bassa sta a dimostrare ancor meglio la connessione fra la zona esami- nata e il nucleo dei monti Paularo, Dimon e Neddis. A partire da 1700 o 1800 m., la parte terminale di questi monti è formata da porfirite augitica, spiliti, rocce clastiche da esse prove- nienti e arenarie e conglomerati di Val Gardena, con tenui strati arenaceo-quarzosi e argilloscistosi che mal si prestano a essere indicati sopra una carta a scala non eccessivamente grande. I tre monti raggiun- gono rispettivamente l’altezza di m. 2045, 2047 e 1991; le arenarie per- miane vi hanno un’estensione poco maggiore delle rocce eruttive, le quali hanno una decisa importanza nella morfologia delle cime, da esse costituite in gran parte. Fra i punti di maggior interesse noto i dintorni del lago Dimon (o Ruvîs, o Montute) e della cas. Ruvîs. Il piccolo lago, situato a 1857 m., occupa il fondo di un circo scavato fra i monti Dimon e Paularo. Le sue sponde sono formate dalle rosse arenarie di Val Gar- dena, tranne il lato nordorientale, e lembi delle arenarie medesime si scorgono insinuati in varia guisa nella porfirite sovrastante. Il compli- cato arricciamento e ripiegamento che il FRECH ed il GryER ammettono per sostenere molto più giovane della massa eruttiva l’arenaria per- 190 M. GORTANI miana, mi sembra tutt’altro che dimostrato: e i rapporti fra i due tipi di rocce appaiono notevolmente più semplici anche esaminandoli nel loro insieme, come puo farsi discendendo verso il lago dalla vetta del M. Pau- laro. In questa discesa si ha pure un ottimo punto di vista per osservar la colata sopra il laghetto: colata dove è frequente la varietà afanitica di porfirite augitica che fu descritta a suo luogo, ed è attraversata dal sen- tiero che dalla sella fra i monti Paularo e Dimon conduce, girando la vetta di questo, verso la cas. Ruvîs. Proseguendo il cammino si può constatare la presenza di blocchi di rossa arenaria permiana inclusi nella roccia eruttiva e da essa alterati. Tali blocchi non sono rari verso il cocuzzolo terminale del monte; e l’interessante fatto si ripete di nuovo presso la cas. Ruvîs, donde si vedono nettamente anche le pieghe delle arenarie di Val Gardena e degli scisti carboniferi sottostanti, incise dal corso superiore del R. Maiòr. Scendendo lungo questo rapido torrente, lo vediamo ben presto tagliar di nuovo le arenarie rosse sopra il sentiero fra le casere Montute e Culèt; e a contatto con le arenarie ricompare una porfirite che tenendosi sulla sinistra del rivo si congiunge presso la cas. Foranc a un’altra lingua eruttiva affiorante sul M. Cravostes. Non ho potuto vedere un attacco diretto delle colate in parola con la grande massa meridionale. Si inizia questa a occidente del M. Pau- laro con un notevolissimo affioramento fra le casere Pian dei Ai (m. 1156), Paularo (m. 1487) e Maseradis (m. 1631), sotto la cima 1775. Vi pre- domina una roccia diabasica, i cui frammenti si trovano uniti anche presso le case Valpùdia a costituire compatti tufi arenacei; la roccia spunta fra scisti carboniferi da un lato e (a quanto pare) siluriani dal- l’altro; in Valpùdia ricompare l’arenaria del Permiano inferiore. Una roccia clastica, ma formata da elementi porfiritici e in qualche punto di tipo tufaceo compatto, non facilmente distinguibile a prima vista da una vera porfirite, si trova sotto Valpùdia alla chiusa di Enfrastors. Qui vediamo restringersi a un tratto la vallata della But e arrestarsi final- mente l’ampio conoide del Moscardo; e il restringimento si palesa ben tosto come conseguenza della briglia di roccia compatta che succede agli erodibilissimi argilloscisti. Nella briglia stessa però non mancano inter- stratificazioni di rocce scistose; e percorrendo la serie da N a S si può rilevare questa successione: a) roccia compatta ricoperta da materiale scistoso (circa 18 m.); b) scisti bruni intercalati (2 m.); c) roccia compatta, arenaceo-porfiritica, dove in principio si vede STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE IUS)1) un grosso blocco di scisti neri, di tipo siluriano, incluso nella massa; più avanti sono comuni vene e geodi quarzose; poi la roccia è più o meno laminata. Potenza complessiva di circa 90 m; d) scisti alternanti con arenarie quarzose compattissime (10 m.); e) scisti più o meno profondamente alterati (3 m.); f) tufi durissimi, a elementi diabasici e porfiritici, compatti o lami- nati (50 m.); 9g) scisti intercalati (0,05 m.); h) roccia dura, come in f, con ofisilice verso la fine (35 m.). Subito dopo cessa la briglia, e la valle si allarga di nuovo nella verde conca di Paluzza, donde ci convien risalire le rive della Pontaiba. Oltrepassate le ultime case di Naunina o Zenodis, qualunque profilo si voglia condurre attraverso la vallata, incontra in basso i seguenti terreni: a) calcari marnosi, dolomia cariata, marne gessifere e gessi del Permiano superiore, che formano la base dei monti Cùc e Tersadia e in cui è scavato il letto del torrente; 6) arenarie di Val Gardena, a elementi minutissimi, rosso vinate, immerse in prevalenza a So SSW sotto gli strati precedenti; c) porfirite augitica; d) arenarie e scisti neocarboniferi, sui quali poggiano, molto più in alto, le arenarie di Val Gardena e le unite rocce porfiritiche delle vette Dimon, Paularo e Neddis. La porfirite augitica ha il maggiore sviluppo sopra Treppo e Siaio, fra il R. Maiòr di Treppo e il R. Mauràn. Notevolissimo è pure l’affio- ramento in cui si è scavato il letto il R. Pit, e che si eleva rapida- mente verso la Cima Val Baron, seguendo lo sviluppo enorme che pren- dono sopra Ligosullo le arenarie permiane. Sempre lungo il R. Pit, si vedono a contatto della roccia eruttiva alcuni scisti grafitici e carboniosi, già segnalati in parte dal FrEcH'!) e in parte da me ?), e che si tentò anche di utilizzare. Veniamo finalmente alla parte orientale della nostra zona eruttiva, che attraversando la gola del Chiarsò arriva a poca distanza dalla cas. Pizzul bassa, oltre il burrone del R. Da Nasa. È molto istruttiva la serie che si taglia normalmente percorrendo l’incisione del Chiarsò, sia i) F. Freca. Die Karnischen Alpen. L. cit., p. 65. 2) M. GorTANI. Relazione sommaria delle escursioni compiute dalla Società geologica italiana mei giorni 21-26 agosto 1905. B.Soc.geol.it., XXIV, 1905, p. LXVI. 192 i M. GORTANI lungo la mulattiera che porta alla Stua di Ramàz, sia lungo il pittoresco ma difficile e angusto sentiero che per gli stavoli Clapeit conduce al ponte Fusèt. La prima via è consigliabile particolarmente per studiare il grande sviluppo delle porfiriti diabasiche presso la Madonna della Schialute, fra i rivi Pedreit e Tamai; la seconda permette invece di esaminar meglio i loro rapporti con le formazioni contigue. Movendo da Paularo, attraversati 1 terrazzi che nascondono il contatto fra gli strati a Lellerophon e le arenarie di Val Gardena, troviamo ben presto quest'ultime largamente sviluppate, di colore rosso vivo con straterelli giallastri o meno spesso cerulei, bigi, violacei o verdognoli. Hanno sempre direzione E-W, ma pendenza varia, immergendosi ora a N, ora e più sovente a S, talora verticali; gli strati variano molto di spessore, mo- strandosi l’arenaria ora scistosa o laminata, ora in grossi banchi, che sono imponenti nel profondo e ampio burrone del torrente Ruat. Poco dopo, e precisamente in corrispondenza del primo e più basso fienile Clapeit e delle case Sicceit, l’arenaria di Val Gardena, in cui già sulla riva sinistra del Ruat era interstratificato uno scisto diabasico alteratis- simo e laminato, passa a oficalce e ofisilice, e dà luogo a una spilite seguita ben presto da una diabase porfirica. La stretta relazione fra l’arenaria permiana e la roccia eruttiva appare evidente quando si parta dagli stavoli Pisignaris più alti e si attraversi il Ruat lungo il sentiero che mena ai fienili Clapeit superiori. Oltrepassato il torrente, notiamo: a) arenarie di Val Gardena pendenti a S, con intercalazione di uno scisto diabasico laminato ; D) arenarie c.s., pendenti dapprima a N e dopo breve tratto a $; c) oficalce e spilite; d) arenarie c.s., pendenti dapprima a N poi a S; e) porfirite diabasica; f) arenarie c. s., pendenti a N. Tutto ciò in uno spazio di 200 metri. Continua poi fino all’ ultimo fienile Clapeit un’alternanza di arenarie di Val Gardena, scisti diabasici più o meno alterati e laminati, porfiriti diabasiche, arenarie tufacee e spiliti. Gli stessi tipi si ripetono fino al R. Codelmei (che scende da cas. i Costa Robbia); ma le arenarie permiane, che presto cessano del tutto, sono sostituite da scisti. quarzoso-micacei e arenarie ocracee, di tipo nettamente carbonifero e alterati in vicinanza delle porfiriti, che assu- mono una grande potenza. I fenomeni metamorfici sono evidenti e di varia natura: la roccia eruttiva presenta superficie lisciate, zone lami- STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 193 nate, cristalli stirati e piegati; gli straterelli scistosi e talora calcarei intercalati sono compressi, stritolati, spezzati, metamorfizzati e curvati non di rado nelle guise più varie. Le rocce clastiche e sedimentarie mancano finalmente anch’esse, per circa mezzo chilometro, a N del R. Codelmei, dove abbiamo sviluppatissime le spiliti associate a porfiriti diabasiche afanitiche: queste ultime invece di gran lunga più estese delle prime nell’opposto versante della chiusa. Si comprende facilmente come, date le alternanze ripetute degli scisti con le porfiriti e le formazioni annesse in tutta la zona meridionale, gli uni e le altre non possano venir segnate che in modo apnrossimativo e schematico sulla carta al 100.000. D'altra parte un esatto rilievo a scala molto grande, mentre offrirebbe vantaggi assai mediocri, sarebbe straordinariamente difficile per il bosco fittissimo che riveste le pendici e l’orrido spaventoso dei fianchi dirupati e delle profonde gole dei tor- renti, che nessuno finora potè mai risalire. Per terminare la nostra rassegna dirò ancora due parole sull’affio- ramento del M. Spin, nella bassa Carnia. Indicato in parte eotriasico e in parte eopermiano dal TARAMELLI, questo monte è essenzialmente co- stituito da calcari dolomitici riferibili al piano a Bellerophon. Ma nel versante nordorientale subentra ai calcari una zona scistosa con arenarie di Val Gardena, tufi, porfiriti molto alterate e spiliti, che si può ascri- vere nel suo complesso al Permiano inferiore, e in cui è forse rappre- sentato in parte anche il Neocarbonifero. Un rigoglioso bosco di abeti ricopre il fianco del monte e nasconde precisamente i punti che avreb- bero maggior interesse; in ogni modo le arenarie di Val Gardena e le spiliti incise dal piccolo rivo sotto la cascina Almiàs sono certo più anti- che dei calcari dolomitici, e le stesse arenarie si vedon ricomparire per breve tratto alla base dell’ampio squarcio che tronca a sud la montagna, sopra il villaggio di Terzo. Rimane ora da discutere l’età che deve esser attribuita alle colate porfiriche della Carnia orientale. Ma è necessario che io giustifichi prima i cambiamenti più notevoli da me introdotti nella carta geologica del territorio; tanto più che le modificazioni principali riguardano i terreni compresi nell’anello eruttivo o nelle sue vicinanze immediate, e che io stesso collaborai a una delle due carte più recenti della regione stu- diata 1). | 1) Tali carte sono quella del GeveR (foglio Oberdrauburg-Mauthen già citato) e quella unita al lavoro del prof. Vinassa e mio: Osservazioni geologiche sui dintorni di Paularo (L. cit., tav. I). 194 M. GORTANI Il GevyER riferì al Siluriano tutta la massa scistosa fra le arenarie eopermiane della val Pontaiba e i calcari ad Orthoceras e gli scisti a Graptoliti dell’alto Incaroio, salvo due fasce di rocce porfiriche, tufi e argilloscisti verdi e violetti, da lui segnate come di età paleozoica in- determinata. Seguendo il GEYER a nostra insaputa, anche il prof. VINASSA ed io ritenemmo dapprima siluriani quasi tutti gli scisti e arenarie a nord della Pontaiba, comprendendovi altresì le rocce eruttive e lasciando soltanto due macchie carbonifere senza contorno presso le cas. Costa Robbia e il R. Tamai, dove la facies litologica ci era sembrata molto affine ai depositi del M. Pizzul. Ma in successive e ripetute escursioni ci persuademmo che la regione compresa fra l’anello eruttivo e il nucleo permiano spetta invece quasi interamente al Neocarbonifero, e che perciò le due macchie senza contorno della nostra cartina dovevano essere am- pliate di molto !). A darci tale persuasione concorsero fatti, osservazioni e rinvenimenti di vario genere che il prof. VinAssAa espose a lungo e lucidamente in un recentissimo lavoro ?). Nuove ricerche compiute da me quest’anno con la massima diligenza, mi indussero però ad ampliare ancora la zona carbonifera; la quale appare in tal modo notevolmente più estesa verso NE che non sia nella cartina unita dal prof. Vinassa alla sua importante memoria. Riassumo qui i risultati principali delle mie escursioni, che riguardano il versante orientale dei monti Dimon e Neddis e dei loro contrafforti. Abbiamo già veduto come la grande massa porfiritica della valle del Chiarsò si spinga sulla riva sinistra del torrente fino alla Madonna della Schialute, poco prima del R. Tamai, e sulla destra fino a circa mezzo chilo- metro oltre il R. Codelmei, poco prima del ponte Fusèt. I dintorni di quest’ultima località meritano una particolare attenzione, benchè vi sia difficile compiere un rilievo esatto per le condizioni davvero spaventose dell’asprissima gola. Una grande massa di calcare grigio con venature giallo brunastre, a pareti ripidissime, disposta obliquamente all’asse della valle, è incisa profondamente dal Chiarsò, che vi si è scavata una forra angusta, profonda molte decine di metri. Nel calcare si trovan qua e là, in pessimo stato di conservazione, alcuni Ortoceratidi e Ammonitidi 1) Cfr. Vinassa e GoRTANI. Nuove ricerche sui terreni compresi nella tavo- letta « Paluzza ». L. cit., p. 721. ?) P. Vinassa DE ReGNY. Sopra l'estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi Carniche. B. Soc. geol. it., XXV, 1905. STUDI SULLE ROCCE ERUTTIVE DELLE ALPI CARNICHE 195 fra cui il De ANGELIS credette di riconoscere Climenie 1). I fossili sono molto mal conservati, ma in ogni modo il calcare sembra devonico, e come tale fu segnato anche dal GeyER, che però gli dà un’estensione maggiore di quella reale. Gli strati han potenza considerevole e inclinano ripidissimamente a SW, come si vede bene dal ponte péricoloso, che con due tronchi d’albero sospesi sull’abisso attraversa la forra. Di qui la massa calcarea sèguita a fiancheggiare per un tratto abbastanza lungo la sinistra del torrente; sulla riva destra è poco estesa e vien ricoperta subito da scisti carboniferi trasgressivi e discordanti, ove ebbi la fortuna di scoprire avanzi di Calamites cfr. Heeri De Ster. Poche decine di metri a N del ponte Fuset, la gola si apre per breve tratto e confluisce con i profondi burroni dei rivi Tuldòn e Maiòr, che riuniti sfociano nel Chiarsò. Un sentiero a mala pena tracciato guida allo sbocco del torrente Maiòr, dove si scorgono nel fondo scisti grafitici e arenacei neri, laminati e con- torti, che hanno tipo siluriano e inclinano a NE, immergendosi con tutta probabilità sotto la massa devoniana. Se quest’ultima debba interpretarsi come una A%ppe, o stia in relazione con il grande arricciamento che rovesciò la pila silurico-devoniana del M. Culèt, come accennerò più avanti, non è ora luogo di discutere; e bisognerebbe prima che i fossili ne rivelassero il preciso livello stratigrafico. | Dallo sbocco del torrente Maiòr un ripido sentiero, percorso soltanto dai boscaioli, si arrampica verso la cas. Foranc vecchia (m. 1186), lungo la pendice dove le carte più recenti segnano ancora la massa devoniana. I calcari invece ne formano solo una piccola parte, e sono tosto rico- perti, insieme con gli scisti di tipo siluriano, da rocce indubbiamente carbonifere con avanzi indeterminabili di Calamites e forse Asterophyl- lites. Tali rocce, simili a quelle affioranti sulla destra del R. Tamai, sono argilloscisti di colore verdognolo, giallastro, bruno o plumbeo; scisti quar- zoso-arenacei giallo bruni; arenarie quarzose bruno giallastre od ocracee; arenarie e puddinghe a elementi neri, gialli e biancastri; puddinghe quarzose bianche o bianco-giallognole. Rocce simili, identiche a quelle del M. Pizzul e miste ad alcuni affioramenti di spiliti e porfiriti, con- tinuano fin oltre la cas. Foranc, nelle cui vicinanze potei raccogliere Calamites sp. e LepidophyWlum cfr. caricinum HEER. 1) G. De AxceLIS D’Ossat. Seconda contribuzione allo studio della fauna fossile paleozoica delle Alpi Carniche, Estr. d. Mem. R. Acc. Lincei, cl. di sc. fis. mat. e nat., ser. 5, III. Roma, 1899. 196 M. GORTANI Dalla cas. Foranc alla cas. Culet e di qui alla cas. Dimon, l’aspetto litologico della formazione scistosa non cambia, salvo un maggiore e veramente considerevole sviluppo delle brecce quarzose e tufacee sul monte Cravostes. La parte principale di questo contrafforte va perciò riferita al Carbonifero, e vien tolta così l’ampia insenatura di scisti si- luriani che rimaneva ancora fra il rivo del Fontanon e il torrente Maiòr. I dintorni della cas. Culet hanno un vero interesse perchè vi si può constatare con sicurezza il rovesciamento degli strati che costituiscono la cresta omonima. Fino alla casera e al rivo che ne discende, abbiamo infatti scisti e arenarie del Carbonifero, dove già il TARAMELLI raccolse filliti !), e che pendono verso N E. Sopra gli scisti posano alcuni strati calcarei grigi e grigio-nerastri devoniani con qualche Antozoo, molto simili a quelli del vicino monte Germula; poi calcari grigi con Coralli silicizzati; infine i calcari mandorlati rossi e grigi, reticolati di bruno, che spettano indubbiamente al Neosiluriano. Riepilogando, l’aspetto litologico, la posizione trasgressiva, i rapporti con le arenarie eopermiane, e la presenza di qualche fossile più o meno saratteristico inducono a ritenere neocarbonifera la massa scistosa in- elusa nell’anello eruttivo ?). La delimitazione di questa zona carbonifera è segnata a mezzodì dalle arenarie di Val Gardena e dalle porfiriti contigue; a E e NE dagli scisti siluriani che si immergono sotto i cal- cari ad Orthoceras e dalla serie silurico-devoniana rovesciata del monte Culet; a N dagli scisti e calcari eosilurici della Creta Rossa e dei monti Cima Costa Alta e Scarnitz; a W dagli scisti con Graptoliti del Passo di Primosio, dal Pizzo di Timau e dagli scisti a tipo siluriano che giun- gono fino alla cas. Pian dei Ai e ad Enfrastors, con rare apofisi di calcari reticolati ad Orthoceras come sotto Valpudia. Da tutto quanto precede, non riescirà eccessivamente arduo fissare l’età delle rocce eruttive considerate. Il TARAMELLI le riferì dapprima al Permiano 5), come tutte le rocce eruttive dell’alta Carnia; e al Permiano continuò in parte a riferirle anche dopo essersi convinto che la zona 4) T. TARAMELLI. Spiegazione della carta geologica del Friuli, p.41. 2) Fra i caratteri litologici non va dimenticato uno assai importante rile- vato dal FrRECcH (Karn. Alpen, p. 62): la presenza nei conglomerati fra la Cima Fontana Fredda e la casera omonima di ciottoli di calcare neosiluriano ad Or- thoceras, che impediscono di ascrivere al Siluriano, come fa il GevER, gli scisti contigui. 3) T. TARAMELLI. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del But e del Chiarsò. Ann. sc. d. R. Istit. Tecn. Udine, IV. Udine, 1870. STUDI SULLE ROCCE ERUTlIVE DELLE ALPI CARNICHE TS)7/ scistosa includente era siluriana !). Contemporanee agli scisti, e come essi del Carbonifero inferiore, le sostenne recisamente il FRECH, seguito in principio anche dal GEYER °). Ma questi dopo i rinvenimenti di Grap- toliti in qualche punto settentrionale della massa scistosa, cambiò parere: riferì tutti gli scisti al Siluriano e ritenne la formazione eruttiva pro- babilmente ad essi coetanea, ma in ogni caso anteriore al Neocarbo- nifero *). L'età che si attribuisce alla zona scistosa ha certo essenziale importanza nella determinazione cronologica di una buona parte delle nostre rocce eruttive. Ma di una parte soltanto: perchè le serie rilevate nei punti più discosti e meglio caratteristici dimostrano come in certi casi le por- firiti e spiliti siano strettamente connesse con le arenarie di Val Gardena; e i blocchi di quest’arenaria inclusi nella porfirite del monte Dimon e da essa alterati ci costringono ad ammettere che una parte delle no- stre rocce eruttive debbano essere considerate eopermiane. Ma è d’al- tronde innegabile che abbiamo porfiriti e spiliti coetanee agli scisti: basta osservare che ad essi troviamo interstratificati conglomerati, brecce e tufi costituiti a spese di quelle rocce eruttive medesime. È appunto in vista di ciò che ho insistito a lungo sulla descrizione geologica e sull’età della massa scistosa; in base alla quale confido di non errare ascrivendo le formazioni eruttive che le son collegate intimamente, al Carbonifero superiore. Non concorderebbe con tale risultato un’osser- vazione del FrEcH (Karn. Alpen, pag. 59 e profilo della tav. III), che ritiene il Carbonifero superiore del monte Pizzàl discordante sulle spi- liti e diabasi ch’egli riporta al Culm. Ma il FRECH medesimo asserisce di non aver potuto basare la sua induzione sopra uno spaccato natu- rale ben rilevabile, e ammette implicitamente di aver costruito il pro- filo secondo un’idea preconcetta. Il GryER a sua volta dà importanza fondamentale, come sostegno della sua tesi, alla comparsa di elementi porfiritici o di scisti connessi alle porfiriti nei conglomerati sopra la cas. Pizzùl. Ma ciò non infirma punto la mia conclusione, poichè la 1) T. TARAMBLLI. Osserv. stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante ita- liano delle Alpi Carniche. Rend. R. Acc. Lincei, ser. 5, IV, 2° sem., p. 192. Roma, 1895. 2) G. GayeR. Zur Stratigraphie der palaeoz. Schichtserie in den Karn. Alpen. ICE Pete? 3) G. GrvyeR. Ueber neue Funde von Graptolithen- Schiefern ecc. L. cit., p.249; — Erliuterungen zur geol. Karte SW-Gruppe N. 71, Oberdrauburg-Mau- then. L. cit., p. 22. ; 198 M. GORTANI comparsa di quegli elementi non esclude una successione immediata delle due formazioni; e, se anche l’intera massa scistoso-arenacea del monte Pizzùl fosse indipendente dalle rocce eruttive, non bisogna di- menticare che essa rappresenta solo i piani recenti del Carbonifero su- periore, come il prof. Vinassa ed io abbiam potuto assodare *). Una colata eruttiva la cui età non mi sembra invece determinabile con sicurezza è la zona settentrionale porfiritico-quarzifera, che sorge fra scisti di tipo siluriano da un lato e scisti neocarbonici dall’altro. Mancano in questo caso le arenarie di Val Gardena, e non abbiamo elementi decisivi per sostenere la pertinenza della roccia al Paleozoico recente piuttosto che all’antico. La riferisco in via provvisoria e per analogia con le altre più simili al Neocarbonifero, in attesa che lo studio accurato delle masse eruttive a ponente della But e dei loro rapporti con gli scisti a Graptoliti ivi scoperti ci dia argomenti di giudizio più validi. Per concludere adunque, le rocce eruttive della Carnia orientale mi sembrano riferibili in parte al Carbonifero superiore, in parte all’ Eo- permico. Escluse le porfiriti quarzifere, di età ancora incerta, non v'è differenza litologica fra le colate dell'uno e dell’altro periodo. L’alternanza di queste colate con tufi, brecce e arenarie formati a loro spese indica, come per i porfidi tirolesi ?), che la loro costituzione fu almeno in parte sottomarina; l’alternanza e il legame strettissimo che esse hanno con gli scisti uraliani o con le arenarie di Val Gardena precisa la loro età e dimostra come siano inscindibili da tali formazioni e debbano ritenersi alle medesime equivalenti. Perugia, Laboratorio di Geologia del R. Istituto superiore agrario, luglio 1906. 1) Vinassa e GoRTANI. Fossili carboniferi del M. Pizzul e del Piano di Lanza nelle Alpi Carniche. B. Soc. geol. it., XXIV, 1905, p. 461. °) Cfr. F. von WoLrr. Bericht iber die Ergebnisse der petrographisch- geologischen Untersuchung des Quarzporphyrs der Umgegend von Bozen. Sitzb. k, Preuss. Ak. Wiss., phys. math. C1., L, pag. 1053. Berlino, 1905, SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III [I]. Fi. 1. — Porfirite quarzifera micaceo-augitica della Cima Fontana Fredda. Grosso cristallo di quarzo riassorbito. Ingr. 35. » 2. — Porfirite c. s., alterata, con interclusi di felspato e mica. Ingr. 35. » 3. — Porfirite c. s., con un grosso geminato di augite, ricca di apatite inclusa. Ingr. 35. » 4. — Porfirite c. s. Massa fondamentale. Ingr. 35. » 5. — Porfirite augitica del monte Dimon. Ingr. 35. » 6. — Spilite del monte Dimon. Ingr. 35. IN 'IDUFGAI DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME Pacinotti A. — Resoconto di esperimenti circa alle influenze della temperatura, delle vibrazioni, della umidità, dell’elet- trolisi e della untuosità sulla adesione e sull’attrito mello sfregamento fra alcuni corpi, e sul lavoro di alcuni aratri Baratta M. — /l grande terremoto calabro dell’ 8 settembre LAI0D. Manasse E. — Zetraedrite del Frigido (varietà Frigidite) e minerali che l’accompagnano D’ Achiardi G. — / minerali dei marmi di Carrara. Parte INI Panella A. — Azione anticurarica del principio attivo della capsula surrenale (Tav. I [I]) Fucini A. — Sopra gli scisti lionati del Lias inf. dei dintorni di Spezia. Goggio E. — Intorno al genere Lernanthropus, De Blainv. (Epacthes, v. Nordm.) con descrizione di tre specie non descritte (Tav. II [I]) D’ Achiardi G. — Zeoliti del filone della Speranza presso S. Piero in Campo (Elba). Gortani M. — Studi sulle rocce eruttive delle Alpì Carniche (Tav. III-IV [I-II]) . » 119 166 IVINTITPABIMES IVA Z APARIAUT AA ) i‘ .. A IATA LU ttt LI I cani Ji a i gi 25: lin civ siga i n i OOO NIE WA: WAI, ISPRA Mem, Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. XXII, Tav, Il. E. GOGGIO, /rtorno al genere Lernanthropus etc. [Tav. 1]. mt = s = pi z = GOGGIO E CRISTOFANI DIS. ELIOT CALZOLARIB FERRARIO-MILANO Mem. Soc, Tosc. Sc. Nat. Vol. XXII. Tav. III. M. GORTANI; Studi sulle rocce eruttive ecc. [ ra». I.] PREM. FOTOT. P. MARZARI & C. - SCHIO M. GORTANI FOT. V. M.GORTANI, Studi sulle rocce eruttive ecc. [Tav II.) Mem. Soc.Tosc. Sc.Nat.Vol. XXII. Tav. n | il | Ì | | | | | IR | | | Il || | | | Il | |} at PU ovostano gfx2196 Cata geolog ica della Carmia orientate | Scala 1: 100 000 il a ere O] cotoni Brie [DD] Sotto | RES era up. es Devoniano || BLA A AI A LT rn | POIROT IRANIANO ION IAIRALIL MAIO MINOLI Aia nidi AI al LL AO O dp Ji de got gue demo po pie de Penh Wan Porrapp peh CITATI Ra e dotta e 19 pei rode n ne TI e de pe pe peo pi NO pr A PAN OT MRO LIO è bre tebib n Naieb zio ate ITACA Alto pelo i perpegonio bin nn viti | i pi x SMITHSONIAN IN 1% ETA e te pas Mipoti Pipe niDe)) toro pe 0 I A ira dd di , k v Pgalcariate DIO 2 BASTA VM 7 Bio Ride hip pelane ide Pete 1a 08) 10 Mor Ù , 1 rr E Ka; DI Vasa CASO urbe peg) Mom Gi die e) fo » ptt RIP Rea nie A o Aa IA I OT OLA gii int x I) o ALA LA e A nt a ar PRI, n fel pat ci ‘ot NOIOSO La NG live A wep Nip sent e ect BDO RE I Pene drnioneti 0 vr TRENI sh Loi De: 0 LMOPERE IAU Mont DST ALT Hp LT pe Op IRC : fo È » sn Nati UR Rota RIRTA GTA A Sab rt nice mera " wa RN AA MET) ROS AOSTA PDA PANNI ATA ep INOUCIO VEST MN PIPE) ee gr Men donato e hc I A DI ento, UNA CINICA III 4 tO) vat, Da RI chi tate ne; a rat i teo ta o tat i è PACINO I NRE IAA NEI pi md non " IURIS ALII AAALN DO n: » A RITA "ca hear ner Lentate nnt "a PULA Rn de 73 06h n Pira Lett i rgt mo Rd ITA perde ta parso: bdo III RM » Ne pI6 n }. de pia o) im ri 1 ll er bd pena SO "te teli : EVI OOO DA ATE LE CO O ne RI RATA Moon WArRada x RIGORI CRURSCENAGNA - Di px nnp Ù ; (v Ge Tp ho RAI: pid n ICTOCIIONO \enati UCCCO DI n Î ROIO Tess "rita Mita TO (Ap Dtm de 40 0) + Rieti (10 00! cimento ssd Ne ATTO errare IACURULIORI ODONO0O COSTO AIN DARAI Aa terrei dita ai (Mot 13) e pi da Siete) poi put Y Mn 5 cur efoa AA LILICNOASC N RISCHI piega À © ; a ART vi leon eci Si MIND RUTepe einevigsr ate sn i 1 RATA Spi oi MPa Re en Nr pi È, bibi cn IONISSOGO H n i peri Moana Mute ME pra nie pi RR AI st n dba] Pn ENTRE ve Re OE, ber et ir Nepiesgia dente me Miao A PRA AR aironi la i PTT ) Ò K RUN NEDO e Musto pa Adro KATIA » OCSE NERI NOSraTsio Raz Pi pena A ser î) puede x he n'gbn ia Rip Ven moon de DT sapri ten ” È LONLEC Con RR IST À Pet e DENISOOEO NEC Gpenta pepe Sv pipa grin TI NOT CRC RO prgreo pe e pr dn RESO 10 CA feed a pe feno ROOCCMICRI MOTI Melo pe Row ge cla pio sep tto ANTANI TOTI sp tiigi DA INSMDIOO tutn LUANA MUNAPONI ib O dA ab) pooh 00 fa 0 pa dich i Ii db fee dle e Arne RA) Jeep 6 pm dr OR SI MOVIE NN mu nf lega Mme alno Mein pus difende OSO petalo I AR Palo Ea RADO s LA mort Metano a pere: en curdi pers nu $ A) tando dae di 1A 0-91 0° * è Ù Aa uri Mthiperleta sibi SIRO SI TC ENETS CRSCICRAO PATRICE CECO N feb be i Sr A ge LE picord D MOTTA Se ARTI MPA . ll Miro A hp Ly PRA rn nc N) dc Pruv'wss NC Ddl tato 1a 024 rd A SRNIICA r NOCCOCAO Perde didnt ANNI TINTA PRIA DOTIOOA ‘ On DI Nr nm MN prep Motte d'ira did Hop omni RES DIRI ENTRE VIEN Per atto dl A ra Pr DERCILA SI SCALO RI CICOLIA RI È Mea iAcpnn RIA a 6 pibriliden arri di PEA 8 VOIR ISTIOCECOII n Apia rp gi re I VAI ROSALIO IRA SORIA NAME PAZ Spengo QUEI dbm ber Rsa ATRIA drtbrnrnitre, ni DDR ANONIMO) A IDR SOR) SM de LOD a "O IRDPIIL AL CR ATI DTI Dì PP EI I Tnt de Re Piede ei sdetd de , REA eri 1 RE PIEATAZOOE a AA e È : 4 mpusniì diede A PAST N perl ipa PRC Lp a Ù Ù LORCA ; x URINA (RROTIONO ) : ARE CRA ALICI SIOE RADICE upon DA va peeiblo dn A o Ita cale AAC bei Nina ipir'a eri map ine mne Eb cab io fi i germe INSCIVAICARLA peg se A dna Mole aenimpionet Tatti Tr dedigio saatti A n WEIL I e dd iaia papera fer O: Mbit ded dg ie fila a ANIA pes Aree ch 05 DO MI dv x AA, s\ CI x Ù CNN ) n STUDI RIC WE v 3 Rendi de APRIRE Tae do pet esco fe beep. feline AMO SRL RA Rae ATA E bb Son Une CRI Vetri ita ang n Ste NANI . Senio her rp A gene TA ARA 4 PRAIA PIGIOTSINA] Va CAPA Rae D'II ì Varo DIPINTA GO RIA RAMI DI Mart | MB Rio dtt tte eso Dip lcd pe Near pi her RA) Paprdrpin difese 0) Ape INr UL t DIRERIATA Pant smise MAr poni da Sb A IAS Top Nipem peer MONO poppe Pe A AA a AAA VM TY TICO MOCATICII altere celare ldUp Lech gori den ner È N IPCIVA Penelope RUE ASTI AM tft ae DL TETI TRL A dg peo % ; A Liri ran OTIS IDO RCIESISr sO v x î SURI DN pad Para: È . 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AL È 8 ty dep pasiod st mio bi dd Ù POLE PIA Sit tp 1 DE RATE A ORO, I LITRI MOIO RI ROGO SI IR TIME N RNRTNTATI eotdritele PRIORA TOSI IM OR ENI TRO RUE DRM tot #0 ed dda C ue bn Mped''dsgrte WI Lidl gt dt 4 © e peri 7 (A TOLIGIONO pit CLIN ann è j Mie eppoi an pia honor ORGIANI CAI SII II ION, dr, f RITI OA AI CIC MAE A MIRA NL NL ALA “peg: dot Pp"Iih oder di dd CRI OO SOCI AE SOIT IERI 9 ‘ano lho rar peli 0 dpi aa a Wi mr 4 pala A Mah DI OP SCA RE SUN RE AO NOEC CAS TRAI NA MICA CAPENA (Rotte BIO A PARO TRO AI RIOT O PS GIONI IT ergo dd p $i CICORIA I e A O I EROI AAA pe E di Bc mero hd Pep SURI : tappo COLIORO CALICI TREAT PRI ACSISIEDAI RILILIDONA a Ò DOCCE RC RIS pw gi dhe DIRCI RCA CI CULI N CALII PATIRE TA III RIUTEAE A AARIT VER PAESI AO LARDIRAGO RIA E ILALA AE MARICA ILA NIE 6 0° OM DARVI N pendio 0A De pa è nm 'atp ro aper AGFA PATEL TE NEI iù VANI RI: NE ALII ALAN IAC 0 IRA IE dp dd NA Mai acpenripofribna PORIrSO A (9PA AE diario e att DOING Mi do E IRPI ole" dep SN MIOTIII DS ROTAIA Sa ANTA A AR PAPA PA NUOTO EROI IVO EA PINI der del DEIRA VOTI RIE ORI OC ALIA ARIE ION I ALII CAEN ICAO MIA Mep erede ergo dit cd Ù IMI VA e INT RIOE ILARIA mi grrd ‘9 Rn Meg" N ì DACIA OS Ort o pb pa ter i A RT pri - AI fù MINER IVI PIATTI SUN i dA Ade i 4 i SR INGEV PIO TREN IO Sch o BISR TPU CROMO ea 900 TSI ASSI At oA E PE i ce OA AI MR Dedo pente Mini doit idee O III VII URINE ASA \ sa) Mme pe Forti Db rtf td pet id i te VORRAI DT NCAA MORTALI IA ALII ORIO MOST CE I O TRE I EOS AG DN ATI LITI IT Je ed ph ed 7 bed e di dre podep p E VTMA PI OPEC LIO I gd O -IOAZ0 TR e a pf; i ICAO CEN APE e Se Ae RE ETRO SPORCA ATA ded LA e be ARCI EROE ITEORIR I BE IENA Lp Lett TI E (NOCI. SLI TROIANI ALINA MIA ALTRI RAIL ILARILALALI AGIATA MARNI PSA IPTV E A RAV nto RIP ‘ CI ALA IAN PROIROI 4 Ped ELFI I GIN GEM NL O OTTO (A PIA O O pedi e et 00 TR DICI ILA ROLE ANIA PatQee piva PAVIA Ret 1 pre bed ESCONO NEDO SORDO mett ‘TA Tp sin rioni do Re DID 008 Corti [Roc TO PAL DTD Ep PIE TOR I Pe ro pre pd 4 Li PI OT TOI EI Pat On ie io e te COCOS MOOCONO Qommpato00e o et NOIE SII e a der a Rd Reel ay ci A Precotto ie eo de RI ET a DIO O RO OC DICI GO ACUM LIL 4 ROMOLO 4 RIE ALII SRO IO RL RM RIA CRRCA I RI SR AIA di pin porn dee 0 rl 3 VR ADÒ dc ro: fn 0 UE > Lp 10 DI pie Avio] coin pe PPT A x MAIDA dp PURI D dbre detit TO hp RD OA et N PUT 10050 N per DEI rit dep n DE e ener pt Fi : A x CIO IO IE RAI CIO CU COMELICO ILA ACACIA Î x PRI EAST ’ ; DAOORCACOCSI, CRATLO Mrene arnesi prg gI DOCS PIPA II TARZI I UA SITI 0° sese del dini I VITO CAT nenartà si Regent a ere wd meta A ti rigo: MEMA DIR PP e dip NOI ® qenine popo Wi perde è sul dine pen RATA ‘RA IO MITE PIE N UNNI TICO NILO TAR i TI a I UA TR A ORE INI NI I RI A I I II Mes dodge tend snai A tto VIEN RON ù Ù IONE VA e ARPA A walk arretra contr wa pride meri i mappe nodth e te na ved » ROCCIA di ea robe CCA nu mph ehe DCS Mb Pei pih mbe ddr Ve ben COCA ICI we ty CAIO vo CEI rbeti i pe p DLC RLICIOI CRAS Ù UG ROCCA MURO OOO NOOO "dora e Rinspeed gite RCICIOSCIIONTO dre her ‘wa Hic o AP ES ir fd It PARISI A gem pie der IO LIO POST NEI Mel rpoti im Pep nido ne LD fede e wet peter 4 de ROTA ipprterone IU ACOIOLICZOI pera gpl ped alri