\ ÙÌ eÒ MW Màs G, 4, Gg, G Yi, ÒÒ CY N xLÙÙ Ò \ Ò tì NANA Librarp of the Museum OF COMPARATIVE ZOOÒLOGY, AT HARVARD COLLEGE, CAMBRIDGE, MASS, TFounded by private subscription, in 1S61, DSIIT—y_6_----° No. SA 'MGcn.1879 È BliMoag ot. (98) ANNUARIO SOCIETÀ BEI NATURALISTI MODENA TIPOGRAFIA DELL’EREDE SOLIANI L’ annuario si vende presso Luigi Bnssaderi Librajo sotto il Portico del Collegio in Modena. Per la Germania, la Francia, e Vl Inghilterra, dirigersi in Torino alla Libreria Loescher, Via Carlo Alberto N. 3. Presidenza della Società _— _TTAXNrYy®& «Tr \ Presidente onorario Pror. GIOVANNI CANESTRINI Presidente Dort. CARLO BONI Vice-sPresidente Pror. Cav. DOMENICO RAGONA segretario Dort. PAOLO BONIZZI V. Segretario Cassiere Pror. GIOVANNI GENERALI ELENCO DEI SOCH — Se Soci onorari Ciofalo Prof. Saverio Termini-Imerese De Notaris Prof. Giuseppe Genova Denza Prof. Franeesco Moncalieri De Siebold Prof. Carlo Monaco Diamilla-Muller ing. D. Firenze Hauer (von) Francesco Vienna Hyrtl prof. Giuseppe Vienna Molescott Comm. Prof. Iacopo Torino Nardo Dott. Gio. Domenico Venezia Panceri Prof. Paolo Napoli Parmisetti Prof. Pietro Alessandria Savi Sen. Prof. Paolo Pisa Schiff Prof. Maurizio Firenze Sella Comm. Quintino Firenze Serpieri Prof. Angelo Urbino Vogt Prof. Carlo Gineora soci ordinari Baretti Prof. Martino Bari Baschieri Prof. Antonio Bezzi Prof. Cav. Giovanni Boni Dott. Carlo Bonizzi Dott. Paolo Businelli Prof. Francesco Canestrini Prof. Giovanni Padova Casali Dott. Tomaso Casarini Prof. Giuseppe Cassanello Prof. Dott. Nicolò Cassoli Conie Carlo Celi Prof. Cav. Ettore Col Bene Prof. Potito Coppi. Dott. Francesco Costa-Giani Giuseppe Veterinario Doderlein Prof. Pietro Palermo Gaddi Dott. Ing. Alfonso Gaddi Prof. Cav. Paolo Gambari Prof. Luigi Venezia Generali Prof. Giovanni Generali Dott. Francesco Ghiselli Prof. Antonio Gibellini Egidio Veterinario Grimelli Prof. Cav. Geminiano Magiera Ruggero. Malagoli Dott. ‘Teobaldo Marastoni Vincenzo farmacista Mazzetti Don Giuseppe Menafoglio marchese Paolo ‘Nasi Dott. Luigi Ognibene Dott. Pellegrino Orsoni Dott. Francesco Pieroni Dott. Pietro Plessi Dott. Alessandro Vignola Puglia Prof. Cav. Alessandro Puglia Prof. Giuseppe Ragona Prof. Cav. Domenico Riccò Dott. Ing. Annibale Righi Pio Rossi Foglia Dott. Remigio Correggio Salimbeni Conte Cav. Leonardo Severi Dott. Domenico Bologna Stohr Dott. Ing. Emilio Girgenti Strobel Prof. Pellegrino Parma Vacca Prof. Cav. Luigi Zoboli Dott. Ing. Paolo Soci corrispondenti Calegari Dott. Massimiliano Padova De Betta Cav. Edoardo Verona Falconio Prof. Stefano Napoli Lombardini Prof. Luigi Pisa Oreste Prof. Pietro Pisa Ninni Dott. Alessandro Venezia Tombari Prof. Telesforo Milano Vietti Dott. Enrico Milano STATUTO DELLA SIOCRE AGIRE NATURALISTI IN MODENA Approvato nell’ Adunanza del 26 marzo f865 ArmicOLO Î. La Società dei Naturalisti in Modena ha lo scopo di pro- muovere lo studio delle Scienze naturali nel senso più lato, e nei loro rapporti pratici ed iniziare pari Società nelle altre città dell’ Emilia per fonderle poi tutte in una più vasta Associazione che potrà aver per titolo: Società dei Naturalisti dell’ Emilia. ArticoLo lÎ. I mezzi per raggiungere lo scopo suddetto sono: 4. Adunanze a periodi regolari. Esse sono pubbliche. I soli Socì potranno fare per se o per altri comunicazioni e prender parte alle discussioni. 2. Istituzione di una bibilioteca di Scienze naturali a se- conda dei mezzi sociali. 3. Raccolta di oggetti naturali e industriali della provincia. 4. Studi pratici dei prodotti e fenomeni naturali della provincia per mezzo di commissioni. 5. Lezion popolari di Scienze naturali. 6. Pubblicazione di un Annuario. VII ArticoLo III. Tutti i lavori letti e tutte le comunicazioni fatte nelle Adu- nanze saranno pubblicati per sunio o per intero, purchè l’ autore vacconsenta e dietro il voto di una Commissione speciale no- - minata dal Presidente nella stessa Adunanza. ArticoLo IV. La Società consta di Socì ordinarì, di Socì corrispondenti ed onorarî, Socì ordinarì sono quelli che nella prima adunanza dichiararono di volerlo essere od aderirono allo Statuto appro- vato nella adunanza del 26 marzo 1865 entro il termine di un mese, ed anche quelli che furono in seguito e saranno in avve- nire presentati da tre Socì. Per proposta di un Socio ed approvazione a maggioranza di voti della Società si nomineranno dei Socì corrispondenti ed onorarì fra gli Scienziati che dimorano fuorì dell’ Emilia. Il numero dei Socì "ordinarì e corrispondenti è illimitato. ArticoLo V. La Società è retta da un Presidente, da un Vicepresidente, da un Segretario e da un Vicesegretario. Il Presidente convoca e presiede le Adunanze, dirige le discussioni e nomina le Commissioni. Egli rappresenta la Società. Il Vicepresidente sostituisce il Presidente quando questi sia impedito nelle sue funzioni. Il Segretario tiene i processi verbali delfo Adunanze man- tiene le corrispondenze d’ accordo col Presidente e coordina i lavori per la stampa dell’ Annuario. Il Vicesegretario sostituisce il Segretario quando questi fosse inipedito, ed ha la gestione economica della Società. La Presidenza stabilirà il Regolamento interno. ArticoLo VI. Queste cariche sono formate dalla Società a maggioranza di voti e durano un anno. Esse possono essere riconfermate. VII ArticoLo VII. L’anno Sociale incomincia col 4 aprile. Articoto VIII. Il fondo Sociale è stabilito: 4. Dalla tassa annua di Lire dodici pagate dei Socì or- dinarì. 2. Dalla tassa annua di Lire cinque pagate dai Socì cor- rispondenti. 3. Dalla vendita dell’ Annuario. ArticoLo IX. Ogni Socio ha diritto ad una copia dell’ Annuario. ArticoLo X. Ogni Socio può ritirarsi dalla Società in fine dell’anno previa dichiarazione di tre mesi. ArticoLo XI. Dato il caso dello scioglimento della Società dei Naturalisi di Modena, quanto essa possiede diverrà proprietà del Municipio. Si riguarderà sciolta quando ridotta a dieci Socì, questi dichiarino espressamente lo scioglimento. 6 ArticoLo XII. Nella previsione della formazione della Società dei Natura- listi dell’ Emilia, i membri componenti la Presidenza della Società di Modena stabiliranno d’ accordo colle Commissioni delle altre città lo Statuto generale. DESCRIZIONE DELL'IGROTRRMOGRAFO DEL R. OSSERVATORIO DI MODENA DEL PROF: DOMENICO RAGONA i O lr P. completare la descrizione del Meteorografo del R. Osserva- torio di Modena (4), mi resta a parlare di quella parte di esso che è destinata alla temperatura dell’aria e alla umidità relativa, e che come l’altra in cui si registrano la pressione atmosferica, la pioggia caduta, e la forza e direzione del vento, è stata ma- gistralmente costruita dal celebre macchinista francese signor Salleron. La fig. 4. rappresenta tutto l’ apparecchio nel modo in che trovasi definitivamente collocato in apposita stanza di questo R. Osservatorio Astronomico. La stessa figura rappresenta ancora la finestra meteorologica (convenientemente esposta, ben costruita e di ampie dimensioni (2)) con cui l’apparecchio è in relazione. Quest ultimo è impiantato sopra un tavolo molto robusto di rovere, i cui quattro piedi son murati in un largo piedistallo di mattoni a due gradini. La disposizione del luogo, e deilo stru- mento coi suoi accessorii, accoppia alla convenienza e idoneità LI la simmetria ed eleganza. Per non ingarbugliare la fig. A. è (1) Vedi le Memorie intitolate, (a) Descrizione del Barometro Registratore del R. Osservatorio di Modena. (0) Esposizione e discussione dei risultati del Barometro Registratore del R. Osservatorio di Modena per l’ anno 1867. (c) Sulle leggi che seguono in Modena le correnti atmosferiche infe- riori, dedotte da un biennio di osservazioni eseguite con 1’ anemometrografo elettrico. (d) Descrizione dell’ Adometrografo e del Sismografo del R. Osserva” torio di Modena. ( Quest’ ultima non è ancor pubblicata). (2) La finestra meteorologica è larga 1 metro 60, alta 1 metro 43, pro- fonda 1 metro 50. 1 2 omessa la chiudenda interna della finestra meteorologica, che è | delineata separatamente nella fig. 6. Il corpo termometrico è una spirale bimetallica 7° fig. 4. cioè una striscia risultante da due lamine una di ottone e l’ altra di acciaro, che formano unico sistema, piegata a spira con l’ ottone al di dentro e l’acciaro al di fuori. Questa spirale è rappresen- tata più in grande nella fig. 2. L’estremità della striscia bime- tallica al centro della spira è stabilmente fissata ad un perno e’, mentre l’ altra estremità e è libera, e per mezzo di una sottile articolazione metallica m, mobile su due esili punte di acciaro, è congiunta a un cilindretto di abete orizzontale cc (fig. 4. 2. 3.), sostenuto da mobilissime rotelle (come nella fig. 4. è indicato), che trasmette i movimenti della spira all’ apparecchio registra- tore. La comunicazione dei movimenti è molto semplice, ed è rappresentata più in grande nella fig, 3. L’asticina orizzontale di abete cc è congiunta per mezzo di un’ articolazione metallica m' a una leva orizzontale /, che fa unico sistema con un perno verticale v mobilissimo alle due estremità. L'altra. punta della leva /, è riunita ad una asticina metallica orizzontale t, che è attaccata per mezzo di due articolazioni metalliche m? e m alla leva { e ad una seconda leva 2 ad un solo braccio. Quest’ ultima fa unico sistema con un perno verticale v’, simile al perno v della prima leva. Quando la spira si distende, spinge in avanti I asticina cc, che scorrendo orizzontalmente sulle rotelle su cui è adagiata, spinge in avanti l’ estremità m' della leva /. L'altra estremità m? di quest’ ultima, naturalmente è spinta indietro della medesima quantità, e per mezzo del filo metallico # tira la leva . l, Il perno verticale v' forma unico sistema con un’indice è, di cui la fig. 3, rappresenta la sola estremità posteriore, la fig. 4. la sola estremità anteriore, e che vedesi per intero nella fig. 5. L'indice risulta da una laminetta sottile di ottone, lunga in tota- lità 27 centimetri, e tagliata quasi a forma di freccia. La distanza tra la punta 4 dell'indice, e il suo centro di rotazione, cioè tra essa punta e l’ asse del perno verticale v’, è di 22 centimetri. Alla estremità della leva 7, e in continuazione rettilinea con l’asticina metallica orizzontale #, è attaccato un filo di seta /, che accavalcandosi sopra una carrucola, reca un piccolo peso r che contrabilancia e facilita i movimenti di tutto il sistema. La punta anteriore dell’ indice è rappresentata separatamente nella fig. 7. La posizione dell'indice ? si può rettificare in due. modi. Le piccole rettificazioni si fanno movendo una vite che allunga o 6) accorcia il cilindretto di abete cc. Quella parte di quest’ ultimo ove trovasi la vite » destinata alle piccole rettificazioni, è rap- presentata nella fig. 8. Le grandi rettificazioni (quelle cioè de- stipate a cambiare di molti gradi la posizione iniziale dell’ indice) si effettuano nel modo seguente. Un cilindretto metallico nn' (fig. 4) termina ad una estremità con un piccolo bottone che vedesi nella figura. L'altra estremità di questo cilindretto metallico è delineata in o nella fig. 2. Essa fa muovere, per mezzo di un’ar- ticolazione metallica, una vite perpetua che ingrana in una ruota dentata orizzontale, sottoposta alla molla, e fissata al perno centrale e'. Evidentemente la rotazione del bottone di questo. cilindretto metallico nn’, si traduce in un movimento rotatorio della spira nel proprio piano, e perciò in un movimento rettilineo dell’ asti- cina di abete cc e del filo metallico #, favorito dal contrapeso r, e di conseguenza in un corrispondente movimento circolare dell’ indice è. i Il corpo igrometrico risulta da un fascio di 40 capelli, pre- parati con massima cura dal Salleron.. Questo fascio è teso nel mezzo di un telaretto di ottone S fig. 4. parallel'amente ai lati verticali del medesimo. Una estremità del fascio è stabilmente fissata al lato orizzontale superiore dei telaretto, mentre 1’ altra estremità è stretta, come si vede nella fig. 9., dentro un mor- setto di ottone x. Un crine che si avvolge sulla gola di una carrucola sottoposta a, è fissato in una estremità a un punto della gola della carrucola, e nell’ altra estremità al morsetto di ottone x. Attaccata a questa carrucola, e sul medesimo centro, vi è una seconda carrucola 6 di raggio maggiore. Un'altro crine si avvolge, in direzione contraria a quella del primo, sulla gola della carrucola maggiore, ed è fissato in una estremità a un punto della gola della medesima, e nell’ altra estremità, che si distende orizzontalmente e tangenzialmente, a un’uncino d at- taccato a un’asticina di abete c'e’ uguale all’asticina ce fig. 4. Il cilindretto di abete c'e’, per mezzo di un’ articolazione metal- lica m4 fig. 3. è congiunto ad una terza leva /, piegata due volte ad angolo retto (per non impacciare i movimenti delle leve del termometro), che fà unico sistema con un perno verti- cale. v?, che reca un’ indice è' perfettamente uguale all'indice i. Un filo di seta f' attaccato ad 7%, accavalcandosi sopra una piccola rotella porta un contrapeso r’, che tiene stirato tutto il sistema, e teso verticalmente il fascio di 40 capelli. In modo che se quest’ ultimo per esempio si accorcia, tutto il sistema, com- LI preso i’ indice è’, si muove in un senso, e in un senso contrario se esso si allunga, mentre TO FOO salisce o discende il contrapeso r'. Il cilindretto di abete c'e’ ha lo stesso mececa- nismo del cilindretto cc (fig. 8.) per le piccole rettificazioni. Il registratore si compone di un pendolo e di un cilindro. Quest’ ultimo può rendersi indipendente dal pendolo, e può con- giungersi ad esso, per mezzo del semplice meccanismo U (fig. 4° e fig. 40.), che è quello stesso descritto nella memoria sul Ba- rometro Registratore. L’ asse della prima ruota del pendolo, quella cioè ehe porta il peso, e l’asse del. cilindro, sono nella mede- sima orizzontale, e le due estremità che si guardano sono stac- cate di due centimetri circa. All’estremo dell’ asse della ruota è stabilmente fissato un piccolo disco « di ottone, che in un punto della superficie interna, e verso la periferie, ha una caviglia ossia un cilindretto di ottone 6. Un disco f uguale ad @ trovasi all’ estremità dell'asse del cilindro, e in questo secondo disco è praticata una fessura in cui entra esattamente il cilindretto 5. Il disco f è girevole intorno all’asse del cilindro, e fa unico sistema col medesimo quando si stringe la vite di pressione d. Insomma stringendo la vite d il cilindro è mosso dal pendolo, che gli fa eseguire una intera rivoluzione in 24 ore, e allen- tando la vite d il cilindro resta libero e indipendente dal pen- dolo. Per diminuire 1’ attrito, l asse del cilindro posa in ambe- due le estremità sulle circonferenze di due rotelle di acciaro, i eui centri distano meno della somma dei raggi. Tra il mecca- nismo di congiunzione U e il cilindro trovasi, stabilmente fissata all'asse del cilindro e centrata con esso, una ruota dentata rap- presentata nella fig. 4, Questa ruota dentata, per mezzo di un rocchetto, fa girare una ruota a bordo sinuoso, il cui asse tro- vasi sopra una montatura di ottone fissata al sostegno dell’ asse del cilindro più vicino al pendolo. La fig. 5. rappresenta in è una parte di questa ruota sinuosa, della quale ben presto si spie- gherà la destinazione. Ho descritto Pi inn da quella parte dell'apparecchio (deli- neata nella fig. 3.), in cui trovansi le leve congiunte con le asticine di abete, e i pedi degli indici. Essa è impiantata all’ estremità di una grossa striscia di larice M (fig. 4.), lunga 4 metro 80 e largo 46 centimetri, che si estende orizzontalmente sino alla finestra me- teorologica. Sù questa striscia M sono collocate, in tutta la loro lunghezza, le asticine cc, c'e’ e il filo di ottone nn', e sono fissati la spira 7 e il telaretto S. La striscia di larice è mantenuta solida- h) mente nella sua posizione orizzontale, sul tavolo del rigistratore da due robuste colonne di guisa G, e nella finestra meteoro- logica della parte centrale della imposta, Nella estremità interna, sulla striscia di larice M, si inalzano due colonnette di ottone DD' fig. 3. che sostengono una grossa lastra di ottone ZZZ". Insom- ma la riquadratura del meccanismo delle leve e degli indici è formata lateralmente, cioè nel senso verticale, dalle due colon- nette DD', e nel senso orizzontale, inferiormente dalla striscia M di larice, e superiormente dalla lastra di ottone 4. Il cilindro come si vede nella fig. 1. è parallello ai due lati orizzontali di questa riquadratura. Per fissar meglio le idee, e convenzional- mente, chiamerò parte posteriore dello strumento, quella ove - trovasi l’ apparecchio della fig. 3. cioè quella rappresentata dalla fig. 4., e perciò parte anteriore quella che si guarderebbe dal- l’altro lato, e che è rappresentata parzialmente dalla fig. 4. Al di sopra del cilindro trovansi due robusti telai di acciaro 22' (fig. 4. 4. 5.). Essi ruotano intorno ad-un' asse parallelo al lato maggiore della lastra di ottone 42". Nella fig. 5., in cui vedesi solamente l’alzato dei due telai 8,2' (che giacciono nel mede- simo piano) / rappresenta un’ estremità di quest’ asse. Una linea dunque che passa per F, lungo lo spigolo della lastra metallica HH', è la cerniera intorno a cui ruota il sistema dei due. telai B e B'. Questi telai sono, come vedesi nella fig. 1. rettilinei in tre lati, cioè in quello dove è la cerniera, e nei due [perpendi- colari a quest’ultimo. Il quarto lato, delineato nelia fig. 4., è circolare, e il raggio della curvatura è precisamente uguale alla lunghezza dell’ indice rispettivo, cioè alla distanza tra gli assi dei perni verticali v' e v? (fig. 3.) e le punte % e 4' (fig. 4.), in modo che quest’ ultime in un luogo qualunque della loro escur- sione trovansi sempre sotto l’ arco corrispondente. Siccome i due indici é ed è sono di ugual lunghezza, sono anche uguali le cur- vature dei due telai. \ Il telajo 8 che è quello che corrisponde alla temperatura (fig. 5), reca nel lato più vicino al pendolo una piccola appen- dice di acciaro S un po’ ricurva, e terminata inferiormente da una rotella « che poggia sulla periferie ondulata della ruota è. È chiaro che in conseguenza delle sinuosità della ruota è il sistema dei due tela) si innalza o si abbassa dolcemente e grada- tamente intorno alla cerniera /, Quando la rotellina v trovasi, come è rappresentato dalla fig. 5. al di sopra della parte più culminante della sinuosità, cioè sulla parte convessa {della medesima, il si- 6 stema dei due tela) è orizzontale, e la punta A è interamente libera. AI contrario quando la rotellina w è nella parte più bassa della sinuosità, cioè sulla parte concava della medesima, il sistema dei due telaj è inclinato dalla parte anteriore, i lati circolari dei due archi posano sulle punte A e /', anzi gravitano con sufficiente forza su di esse. La durata e la forza di questa pressione, deb- bonsi graduare e rettificare con molta cura. A tale oggetto le punte A e 4' come scorgesi nella fig. 7., hanno due viti v e v'. Per mezzo della prima v si trova la giusta distanza tra la parte in- feriore della punta e la superficie s del cilindro, fe per mezzo della seconda v' si stabilisce la giusta distanza tra la parte su- periore della punta e larco a del telajo corrispondente, e si rettifica la lunghezza totale del martelletto 4, per ottenere una conveniente pressione così riguardo alla quantità come relativa- mente alla durata. La quantità della pressione può anche regolarsi per mezzo dei contrapesi, rappresentati nella fig. 4. che in cia- scun telajo sono infilzati in un cilindretto di ottone perpendi- colare al lato posteriore del telajo, a quello cioè ove trovasi la - cerniera. I contrapesi, che sormontano la lastra metallica #4", possono prendere varie posizioni nel cilindretto in cui sono infilzati, e ove sì fissano con viti di pressione, ad oggetto di graduare convenientemente, avvicinandoli o allontanandoli alla cer- niera, il peso degli archi sulle punte. Quando il telajo si va gradatamente abbassando verso il davanti, prima il lato circolare di esso tocca la parte superiore della punta % fig. 7., restando la parte inferiore della medesima staccata dalla superficie s del cilindro. Continuando ;l’ abbassa- mento del telajo, l'indice ? per la sua elasticità si curva, e va. diminuendo la distanza tra la superficie s e la punta. Finalmente la punta tocca s. Dopo che è avvenuto il massimo della pres- sione, il telajo è in fase ascendente, la punta comincia a stac- carsi da s, restando la parte superiore di essa aderente all’ arco a, giacchè l’indice per la sua elasticità ripiglia la posizione oriz- zontale. In appresso quando il telajo si dispone orizzontalmente, anche la parte superiore della punta è libera. Tutte queste evo- luzioni si ripetono con le medesime gradazioni, cioè dolcemente e senza scosse, ad ogni cinque minuti. I due telai B e 2' pos- sono staccarsi l’ uno dall’ altro, e formano unico sistema, per mezzo di due appendici di acciaro. x (fig. 4.) attaccate ai lati dei tela] che si guardano interiormente. L’appendice congiunta al telajo 2', che è quello dello igrometro, posa al di sopra del- - l'altra, e perciò i movimenti di B sono immediatamente comu- nicati a 5". Intorno al cilindro avvolgesi ad ogni 24 ore una striscia di carta, la cui superficie è uguale a quella del cilindro. Sulla carta, parallellamente all'asse del cilindro, son tracciate 96 divisioni uguali che indicano quarti di ora. Ad ogni quattro divisioni vi è una linea più grossa che rappresenta le ore, le quali sono scritte pro- gressivamente nei due margini della carta. Perpendicolarmente poi all'asse del cilindro, la carta ha una serie di divisioni uguali, che sono gradi arbitrarì di calore e di umidità. Anche queste divisioni sono numerate negli altri due margini della carta. Tre cordoncini di gutta percha tengono la carta aderente al cilindro. Per regolare esattamente il punto in cui deve fermarsi il cilin- dro dopo che si è collocata la carta, ho aggiunto un indice fisso k (fig. 4.), normale all'asse del cilindro, e attaccato perpendi- colarmente alla lastra metallica 474" (fig. 3.) La lunghezza di questo indice fisso, è esattamente uguale a quella dei due indici i ed è, in modo che quando quest ultimi sono perpendicolari all’asse del cilindro, le tre punte (4 ed h' mobili e % fissa) son situate sulla medesima linea oraria. Rinnovata la carta, il cilin- dro si fissa stringendo la vite di pressione d (fig. 10.), quando innanzi all’ indice £ si trova quell’ ora che è contemporaneamente segnata dal quadrante del pendolo. Per facilitare poi il rinnova- mento della carta (che si fa ogni sera a mezzanotte), ho ag- giunto un pezzo eccentrico V fig. 5., che trovasi all’ estremità di una colonnetta verticale di ottone, che vedesi per intero nella fig. 1. Movendo il bottone congiunto a questo pezzo eccentrico V, si innalza e si mette fuori di azione il sistema dei due tela] B e B', e così i movimenti del cilindro si fanno indipendente- mente da quelli dei tela). Ciò può ottenersi in un’istante qua- lunque a volontà, anche quando non si tratta di rinnovare la carta, e a tale oggetto senza togliere la cassa a cristalli che ri- copre lo strumento, vi è una corda chiusa di minuggia, che ac- cavalcandosi su due rotelle, una vicina al Ibottone V e l'altra (nel medesimo piano verticale ) sotto il tavolo dello strumento, con apposito manubrio innalza ed abbassa il sistema dei due tela]. Per tracciare sulla carta avvolta intorno al cilindro le curve punteggiate, termometrica e psicometrica, uso il seguente arti- fizio. AI dinanzi del cilindro, nella parte anteriore dello stru- mento (fig. 4.), trovasi una verga orizzontale di ottone NN', 8 fissata con caviglie all’ estremità di due archi robusti di ottone attaccati ai due sostegni del cilindro. L'asta NN' porta due lun- ghe morse M e .M', che possono allargarsi o restringersi per mezzo di apposite viti laterali, come si vede nella fig. 4. In cia- scuna di queste morse introducesi una striscia di carta nera a decalcare, che si accavalca sul cilindro, e nella parte posteriore del medesimo è tenuta tesa per mezzo di pinzette munite di palline di piombo. Quando si deve rinnovare la carta, si staccano le pinzette, si tirano le carte nere lasciandole pendenti dalle ri- spettive morse, e togliendo una delle due caviglie, 1’ asta NN' con le carte nere si inclina a dritta o a sinistra, servendosi del- l’altra caviglia come cerniera. Queste strisce nere hanno una lunghissima durata, giacchè per rinnovare i punti utili delle me- desime, basta tirarle avanti per pochi millimetri ad ogni tre o quattro giorni. Siccome il cilindro muovesi nella, direzione della freccia y ( fig. 4.), nella superficie libera del medesimo, e dalla parte anteriore dello strumento. scorgonsi nettamente tracciate le curve. Tutto l'apparecchio è ricoperto da una grande cassa a cri- stalli € (fig. 4.), che può togliersi a volontà, facendola strisciare sopra due guide a scanalatura praticate in un solido telajo di rovere, che è nel prolungamento della superficie superiore del tavolo. La fig. 1. rappresenta lo strumento scoperchiato. Una parete O della custodia resta sempre al suo posto, ove è solida- mente fissata verticalmente. Essa è di rovere, e ha una apertura quadrata dalla quale esce la striscia orizzontale di larice M, che sostiene la spira 7, l’igrometro $, e tutte le comunicazioni dei movimenti. In f vi è un finestrino a cristalli. Quando lo stru- mento è chiuso, la cassa € con piccoli uncini si unisce al lato O. Vi sono due altre casse, che per non ingarbugliare la fig. 4. non vi sono delineate. Una di esse anche a cristalli, ricopre la parte della striscia di larice M che trovasi dentro la stanza, tra lo strumento e l'imposta della finestra meteorologica. La fig. 6. rappresenta in G una parte di questa cassetta, lunga 79 cent. e larga 48 cent. che ricopre le aste di comunicazione e le ro- telline. Il fondo della medesima è solidamente fissato (în un’ estre- mità nella parete immobile O (fig. 4) della custodia dello strumento, e nell’ altra estremità nella chiudenda della finestra meteorologica, - e su questo fondo è adagiata la striscia di. larice M. In conse- guenza la cassetta G è aperta ad ambidue gli estremi, in quello cioè che corrisponde all’ apparecchio registratore, e nell’ altro che 9 comunica con l’aria esteriore. Il tetto della cassetta G può aprirsi per mezzo di piccole cerniere. L'imposta della finestra risulta da cinque parti distinte. Due grandi telaj a cristalli P e P', che si aprono nel momento delle osservazioni per la lettura dei ter- mometri, un telajo a cristalli R fisso, un piccolo telajo a cristalli S che può aprirsi a volontà, e finalmente una striscia fissa di le:no duro, tra f& ed $S, con una piccola apertura quadrata, in continuazione dell’area della cassetta G, apertura che dà passag- gio alla striscia di larice M. La terza cassetta (non rappresentata nelle figure ), è fissata anche all’ imposta, ma al di là della me- desima, cioè dentro la finestra meteorologica, in continuazione ret- tilinea con la cassetta G. Essa rinchiude l’ estremità della striscia di larice M, e lascia solamente allo scoperto la spira 7 e il te- laretto S. Nel bel mezzo della finestra meteorologica stanno dunque, liberamente esposti, il corpo termometrico e l’igrometrico. Alla stessa altezza, e a poca distanza, ritrovansi nella finestra mede- sima il termometro a massimi w, il termometro a minimi g', e lo psicrometro # risultante da un termometro asciutto, un ter- mometro bagnato e un ventilatore a ruota. Ciascuna delle ordi- narie osservazioni meterologiche, offre naturalmente un termine di confronto, cioè fa conoscere la significazione termometrica o psicometrica di quei punti delle graduazioni arbitrarie ove in quell’ istante si ritrovano le punte dei martelletti £ ed /' (fig. 4.) Delle due curve diurne che dà lo strumento, ambidue mi- rabili per la regolarità delle indicazioni, è principalmente degna di special menzione la curva psicrometrica. Il fascio di 40 capelli sceltissimi, e preparati dal Salleron con massima cura e con un suo metodo particolare, manifesta con la più scrupolosa preci- sione le variazioni anche più piccole della umidità relativa. Sem- brerà strano a prima giunta, che da un semplice igrometro a capello (perchè nello strumento in discorso, si fa uso di un fascio di capelli e non di un solo capello, unicamente per accrescere la forza di trazione), sì possano ricavare esatti gradi psicrome- trici. Però cesserà la meraviglia riflettendo, che stabilita una volta la legge generale dei rapporti tra le indicazioni dello igro- metro e quelli dello psicrometro, cioè ritrovata la chiave della traduzione dei gradi arbitrarì in gradi psicrometrici, i due stru- menti sono esattamente comparabili. È stato constatato in più modi, che le indicazioni di un igrometro a capello, bene: in- terpretate, cioè moltiplicate per coefficienti opportunamente de- 10 terminati, e dipendenti da una legge speciale, riproducono con molta precisione i gradi psicrometrici. Naturalmente la legge dei rapporti è diversa in diversi igrometri, però si è trovato che non vi è poi da un’igrometro all’ altro quella discrepanza che a prima vista si opinerebbe. In prova di ciò basta riferire il se- guente confronto tra i risultati di Melloni e di August, e quelli R. da me ottenuti nel 1864. (4) Grado Grado psicrometrico dell’ igrom. corrispondente, in millesimi a capello di saturazione Melloni August R. 95 908 90 909 90 851 360 850 85 765 790 790 80 639 710 7534 75 620 640 674 70 556 560 612 65 496 480 555 60 440) 410 493 55 391 360‘ 45h 50 346 3140 375 45 298 270 345 40) 270 250 256 539) 258, 190 4197 Si vede dunque che, almeno nei punti più utili della scala, vi è molta concordanza tra i risultati ottenuti con diversi metodi, in vari tempi e luoghi, da diversi sperimentatori, e con diffe- renti igrometri, forse non tutti (parlo per le mie sperienze ) pre- parati con la conveniente esattezza. Si potrebbero citare in con- ferma di ciò molte altre deduzioni sperimentali e teoriche (2). In un clima, come quello di Modena, soggetto a continue e forti variazioni di umidità, lo studio della curva psicrometrica è di (1) V. Bulletin international de |’ Observatoire Imperial de Paris. (2) V. Annuario del R. Osservatorio di Bruxelles per l’ anno 1858 pag. 195. V. Rivista Meteorologica del R. Osservatorio di Palermo per l’ an- no 41858 pag. 35. 11 molta importanza. Frequentemente grandi e inaspettate mutazioni avvengono, non nell’ intervallo di più ore ma di pochi minuti, e talvolta al contrario, precisamento nei casi di forte umidità, essa sì mantiene quasi per tutto il giorno costante. Lo studio importantissimo delle curve psierometriche diurne, sarà dunque uno dei principali obbietti, e dei più singolari vantaggi, di questo nuovo strumento. Riferisco i risultati ottenuti nel primo mese di osservazione, cioè in Maggio ultimamente scorso. (4) Le comparazioni prese antecedentemente mi aveano som- ministrato le seguenti equazioni (ciascuna è il medio di 10 con- fronti), in cui G indica il grado della scala arbitraria, e £ la temperatura centigrada. G t 26 26 15 22 29 45 16 94 30 80 17 415 32 46 17072 32 99 19 00 355 05 18 81 35 68 19992 356 84 20 44 37 67 21 29 I8 45 21 34 59 56 20 60 40 40 25 07 40 50 21 22 4A 35 25 33 42 31 25 80 435 92 25 97 45 27 24 47 LT 28 25 45 51 26 27 07 Da queste equazioni ricavasi la formula Temperatura = 0,6314136 G — 0,0020334 G? (1) Nelle tre tavole poste in calce della Memoria per amor di brevità si sono soppressi i punti. Per esempio nella temperatura 175 indica 17 gradi centigradi e 5 decimi ecc. ecc. 12 con cui sono dedotte le temperature per mezzo di apposita tabella ausiliaria. Il medio orario di Maggio 41869 è il seguente. Ore aggio 1869. 0 21 58 1 22 08 2 22 99 6j 22 97 h 22 60 b) 22 60 6 22 5I 7 22 410 8 2A 57 9 20 71 10 19 85 41 419 929 42 {9 02 13 17 98 414 A7 72 45 17 58 46 417 0% AT 46 69 48 416 80 49 17 56 20 18 65 24 49 853 22 20 79 23 24 153 Si vede dunque che la spira metallica rappresenta esatta- mente la progressione diurna della temperatura, dando per Mag- gio 1869 direttamente, e senza alcun calcolo destinato ad armo- nizzare e regolarizzare l'andamento dei valori, il massimo verso 4 sera e il minimo verso 5® matt. Il medio termometrico di Maggio 1869 è dal termometro registratore (medio dei 24 valori anzidetti ) 19 987 mentre il termometro meteorologico ha somministrato la quantità molto vicina 19 894 15 dedotta al solito con la formula Med. = : (IV + XII + XX). Per la umidita relativa le eomparazioni antecedentemente fatte aveano somministrato le seguenti equazioni, (ciascuna come sopra medio di dieci valori). G denota il grado della scala arbitraria dello strumento, UV l umidità relativa (psierometrica). G U 27 2 52 6 54 95 49 38 59 45 6 39 74 45 5 4A 49 49 0 45 42 52 A AL 65 54 3 46 58 55 A 49 44 60 0 BI 55 65 2 B4 46 64 0 57 00 67 8 64 43 74 6 63 29 TG 66 40 82 0 69 56 90 4 Da queste equazioni si è ricavata la formula Um. rel. = 1,1031 G + 0,0020464 G? - con cui sono dedotte le umidità relative per mezzo di apposita tavola ausiliaria. Ecco il medio orario. della tavola 2. Ore Maggio 1869 p OLI T UIN > (dg Lod Ne (0.0) 14 Ore Maggio 41869 h 10 68 12 14 69 56 12 70 55 15 73 76 14, 76 417 15 77 40 16 77 66 47 78 63 18 76 68 19 71 99 20 68 78 21 64 48 22 59 89 25 56 96 L'andamento di questi valori medì è mirabile, e d’ altronde ogni valore isolato della tavola 2. è sempre di accordo con quelli ricavati direttamente dallo psicrometro, come si è dedotto delle osservazioni meteorologiche ordinarie. Si vede che la tempera- tura e la umidità sono rappresentate nel loro medio periodo diurno, da curve a un solo massimo e un solo minimo, però con inversione delle ore critiche. Si vede ancora che è molto considerevole la escursione diurna della umidità, che nei semplici valori medi è nel nostro caso di 26 gradi psicrometrici: Il medio generale dei valori della tavola 2. è. 64 8 quantità vicinissima al risultato delle ordinarie osservazioni me- teorologiche di Maggio 1869 che è 64 2 Moltiplicando l’ umidità U per la tensione e corrispondente alla temperatura dell’aria, si ha la tensione e” del vapore acqueo contenuto nell’atmorsfera. Ho tratto i valori di e dalla tavola calcolata da Regnault in base delle sue esperienze, e riprodotta dal Prof. Giovanni Cantoni a pag. 51 delle pregevoli ‘Tavole ad uso della meteorologia pubblicate dalla Direzione Generale di Statistica del Regno d’ lialia ( Ministero di Agricoltura Industria e Commercio). La tavola 3., dedotta dalle tavole 1. e 2. e da 15 quella or citata di Regnault, contiene la tensione del vapore acqueo in Maggio 1869. Le quantità medie orarie sono le se- guenti. Ore Maggio 1869 ni mm 0 40 268 1 40 585 2 10 545 5 40 259 4 10 754 5 40 957 6 41 247 7 11 757 8 12 076 9 44 923 10 11 692 14 41 5753 12 AA 552 43 11 509 44 41 548 45 A4 466 16 41 284 17 441 260 18 10 974 19 40 79% 20 40 965 2A ‘10 994 922 10 804 23 10 529 Questi valori non presentano quella esatta regolarità di an- damento che manifestano le corrispoidenti quantità £ ed UV date direttamente dallo strumento, regolarità che d’ altronde è molto difficile ottenersi per la tensione del vapore acqueo in un solo mese di osservazioni. Difatti quest’ ultima segue nel suo anda- mento diurno una curva più complessa di quella della tempe- ratura e della umidità, e precisamente una curva come la ;baro- metrica a due massimi e due minimi. Ciò non ostante, se. si riflette che i valori della tavola 3. non sono dedotti direttamente ma da operazioni intermedie, e che realmente vi è in essi una tendenza all’ andamento normale, si avrà ragione di restar con- tenti di questo primo risultato. Per le stesse considerazioni, non 16 vi può essere molta vicinanza tra il medio generale della ta- vola 3. cioè 41,409 e il medio (desunto sempre dalla formula sopra riferita), delle ordinarie osservazioni meteorologiche, ‘che è 10,856 e in cui la tensione è ricavata con tutt’ altro metodo, cioè dallo psicroretro di August, e per mezzo delle Tavole di Haeghens, ampliate dal sig. Morosini, e contenute nella Raccolta sopra citata dalla Direzione Generale di Statistica. Naturalmente questo non è, ne può essere, come dicono i francesi, le dernier mot su questo importante apparecchio, re- centemente impiantato nel R. Osservatorio di Modena. Vi sono tanti studi a fare, tante ricerche da intraprendere, tante peculiarità da mettere in chiaro, che per riuscirvi si richiedono lunghe serie di attente disamine, di osservazioni e di calcoli. Sono, per esempio, imminenti taluni studì comparativi su spire di vari me- talli e di diverse dimensioni, per: arrivare al massimo grado di parallellismo tra l andamento del termometro a mercurio, e quello delle spire a due o tre metalli, così prima come dopo l’ istante del massimo caldo. Seguiranno speciali ricerche sulle montature delle spire, per conoscere l’ influenza che può avere il calore condotto, cioè accumulato nelle parti metalliche che so- stengono la spira, e che formano unico sistema con la medesima. Però tutto ciò non modifica affatto il quadro generale sopra delineato, così relativamente all’azione delle varie parti dell’ ap- parecchio, come riguardo alla compilazione dei risultati. 17 APPENDICE — 3 — ’ Questa Memoria fu presentata alla Società dei Naturalisti di Modena in Giugno 4869. Essendo allora condotto a termine il IV volume deli’ Annuario della Società, la Memoria fu destinata al volume V (come venne indicato nei Rendiconti ), e perciò è stata pubblicata in Ottobre 1869. 7 Nell’ intervallo dalla presentazione alla stampa, molte e so- stanziali innovazioni si sono introdotte nell’ apparecchio, sugge-. rite dalla esperienza, e risultato di studi appositamente istituiti. Si darà conto in altra occasione specificatamente di queste in- novazioni, con le figure corrispondenti. Qui ne esporrò un breve ricordo. 4) La spira bimetallica si è tolta dalia sua montatura ( fig. 4 e 2), e si è collocata, isolatamente da tutto 1’ apparec- chio, nel bel mezzo dell’ ampia finestra meteorologica, infilzata in una colonna verticale di cristallo massiccio, colonna che gira sul suo asse (per la rettificazione dello strumento ) per. mezzo di una vite perpetua, e di un bottone che spunta dentro ia stanza dell’ igrotermografo. Per fare questa operazione, si è dovuto allungare di venticinque centimetri i asticina di abete c c fig. 4, che corrisponde alla temperatura 2) La spira medesima si è inverniciata in nero, per ga- rentirla dalla um idità. 3) Un sacchettino di tela cerata, attaccato alla spira, ga- rentisce ugualmente dalla umidità il morsetto di ottone. a snodo m fig. 2, che riunisce l’asticina di abete alla spira. 4) Una colonna metallica verticale, divisa in due parti, e suscettibile di allungarsi e accorciarsi. girando una delle due parti sul suo asse, si è collocata nella finestra meteorologica, al di sotto della estremità della striscia di larice M fig. 4, in modo da sostenerla non solo ma da formare unico sistema con la medesima. Questa colonna ha io scopo, di mantenere stabilmente la striscia M nella posizione orizzontale. tenendola esattamente sospesa, cioè di togliere qualunque aderenza di essa con le varie parti della imposta della finestra meteorologica, affinchè i movimenti 2 13 della imposta non si comunicassero alla striscia M e ai mecca- nismi impiantati sulla medesima. 5) Si è introdotto nel corpo igrometrico un congegno pei piccoli movimenti. Per mezzo di una vite di richiamo, il cui bottone corrisponde nella parte interna dello strumento, il telaretto S fig. 4, che contiene il fascio dei capelli, può avanzare o retrocedere dolcemente e parallellamente a se stesso, e così cambiasi il punto iniziale dell’ indice dell’ igrometro, come gi- rando la vite perpetua della colonna di cristallo anzidetta, cam- biasi il punto iniziale dell’ indice del termometro. Questa inno- vazione è molto importante e fondamentale. 6) Una custodia di cristallo, risultante da un’ alta parete verticale e da un piccolo tetto orizzontale, garantisce i capelli dalle gocce che potrebbero, in cecasione di piogge dirotte ed obblique, penetrare dentro la finestra meteorologica. 7) Siccome è di molta importanza, pel calcolo delle curve, conoscere con precisione la posizione dei due indici nei con- fronti col termometro esterno e col psicrometro, si è introdotto il seguente congegno. La punta centrale % fig. 4 è attaccata a un cordoncino di seta, che spunta sotto il tavolo dello stru- mento, e che tirasi nell’ istante del confronto. Essa allora lascia un puntino nel bel mezzo della carta avvoltolata intorno al ci- lindro. Affinchè questo puntino sia nettamente visibile, una lunga strisciolina di carta rossa a decalcare non più larga di un cen- timetro, si accavalea sul cilindro, nella parte centrale della carta, in quella cioè che scorre sotto la punta X. Questa strisciolina di carta rossa è avvolta in un cilindretto fissato sul tavolo, nella parte posteriore dello strumento, ed è stirata da un piccolo peso, alla sua estremità libera, nella parte anteriore dello stru- mento. Il cilindretto può girare, per svolgere la strisciolina, senza togliere la cassa a cristalli, per mezzo di un lungo asse orizzontale, munito di un bottone che spunta esteriormente nella parete fissa O O della custodia fig. 1. Essendo nota la distanza tra la punta £ e i centri di rotazione dei due indici, la posizione del puntino rosso fa conoscere facilmente i punti delle due curve che corrispondono all’ istante del confronto. À tale oggetto si fa uso di una riga di ottone a due curvature circolari, che ha nel mezzo un piccolo indice fisso. Quando la carta è tolta dal cilindro, mettendo |’ estremità dell’ indice fisso della riga in coincidenza col puntino rosso, i punti delle curve che sono toccati dalle due curvature della riga, a dritta € 19 a sinistra dell’ indice fisso, indicano precisamente la tempera- tura e l’ umidità che segnava lo strumento nell’ istante del con- fronto. 8) I due piccoli contrapesi r ed r' (fig. 4) sono stati rin- chiusi dentro un tubo di ottone fissato al tavolo perpendicolar- mente, per garantirli da qualunque urto (che sconcerterebbe la posizione degli indici ) che potrebbe avvenire quando si rinnova la carta. 9) Infine una cassetta di sottile tela cerata garantisce dagli effetti della umidità le rotelline dell’ igrometro. 'Lavola 1.° Maggio 1869. | 16 | 156 145 145 145 164 157 Di 155 144 145 145 156 430 462 162 134 450 156 147 130 4168 177 461 164 476 472 474 182 183 | bili ae e e o 155 4115 145 445 4155 129 159 462 435 153 4155 159 181 166 176 462 467 184 186 474 484 4183 ‘| 482 466 164 474 184 1494 244 2418 159 148 150 197 153 129 160 464 137 176 159 177 192 167 176 464 173 202 244 204 136 199 482 466 165 477 484 424 155 477 177 134 176 163 139 186 486 195 206 176 484 16% 139 215. 219 214 197 216 186 166 465 203 209 205 245 487 145 4166 186 202 139 190 165 4146 200 205 206 249 196 204 166 497 2924 999 2923 229 997 207 470 A74 208 215 214 230 247 243 199 200 465 190 206 214 165 216 474 474 205 216 2410 220 206 228 196 PURI 224 11229 237 1 230 239 224 175 474 221 229 924 250 256 206. 473 496 206 213 178 229 170 186 209 224 244 224 219 229 ‘202 220 229 239 237 234 243 2921 475 474 291 932 | 936 256 957 21 Temperatura dell’ aria in gradi centigradi | | | | | | | ata de | 8 9! 40 Î MA tea ti i 206 | 206 | 204 | 204 | 496 | 494 | 484 | 468 | 461 | 448 | 445 | 445 1486 | 486 | 490 | 490 | 189 | 489 | 185 | 173 | 474 | 464 | 453 | 453 ‘202 | 206 | 206 | 206 | 205 | 499 | 498 | 188 | 477 | 173 | 466 | 165 216 | 220 | 220 | 229 | 229 | 229 | 215 | 203 | 200 | 194 | 486 | 484 248 | 249 | 224 | 229 | 229 | 227 | 204 | 484 | £69 | 466 | 464 | 157 | 1434 | 494 | 499 | 498 | 196 | 494 | 494 | 483 | 177 | 168 | 168 | 168 1225 | 225 | 225 | 226 | 226 | 226 | 224 | 207 | 207 | 201 | 200 | 200 1471 | 180 | 456 | 450 | 461 | 461 | 160 | 457 | 450 | 149 | 4145 | 145 49 | 496 | 496 | 201 | 206 | 206 | 206 | 201 | 497 | 194 | 186 | 186 1245 | 220 | 220 225] 224] 224) 245 | 210 | 205 | 191 | 478 | 173 1205 | 484 | 186 | 496 | 497 | 497 | 496 | 495 | 136 | 484 | 481 | 484 | dl (246 | 249 | 220) 227 | 226 | 226 | 225 | 225 | 216 | 240 | 498 | 495 | 42 1229 | 229 | 229 | 239 | 239 | 239 | 236 | 223 | 215 | 20: | 193 | 190 | 43 1224 | 225 | 225 | 224 224] 223 | 215) 240 | 203 | 196 | 489 484 | 44 1229 | 230| 245 | 214 | 248 | 214 | 240 | 206 | 202 | 186 | 4178 | 474 | 45 Ss QUONS ui 09 0 > 1245 | 205 | 244 | 218 225 | 225) 224| 215 | 240 | 201 | 490 | 486 | 46 1226 | 226 | 229 | 233 | 234 | 233 | 233 | 232 | 221 | 211 | 206 | 205 | 417 1238 | 241.| 243 | 243 | 243 | 240| 236 | 222 | 213 | 208 | 209 | 499 | 48 (241. | 243.) 248 | 249 | 248 | 248 | 242 2341 | 223 | 213 | 206 | 206 | 49 ‘(242 | 245| 247 256 | 256 | 255 | 255 | 250 | 243 | 232 | 247 | 246 | 20 1247.) 247 250 | 249) 249 | 249 | 238 | 228 | 220. | 208 | 201 | 200 | 24 254 | 254 | 206 | 254 263 | 261] 261 | 256 | 254 | 234 | 230 | 228 | 22 224| 220 | 220 | 219 | 204 | 4197. | 196 | 495. | 485 | 174. | 473 472 | 23 A81 | 485:| 135 | 484 | 483 | 482 | 182 | 482 | 4841 | 177 | 472| 472 | 24 176 | 476| 177 | A84' 484° 481) 479 | 178 | 478 | 176 | 4176 | 176 | 25 22 Tavola 2.° Maggio 4869. Data LI 14 | 45 | 16 17 | 1 49 | 0 24 | 2 23 OL (sje|s|s|ela|a|s | A RI Sn 407 | 2555 4707492) 520.567 850 | 855 | 854 | 854 | 8352 | 809 | 783 | 752 | 698 | 654 | 577 | 538 749 | 776 | 820 | 851 | 854 | 851 | 725 | 763 | 742 | 587 | 557 | 494 776 | 858 | 852 | 847 | 749 | 709 | 620 | 589 | 548 | 525 | 487 | 461 537 | 589 | 605 | 628] 694 | 747 | 681 | 647 | 5541 | 547 | 521 | 488 Tu DIN > 577 | 723 | 722] 724 742] 705 | 695 | 673 | 669 | 654 | 642 | 625 859 | 850 | 866 | 872 | 872 | 872 | 605 | 505 | 669 | 435 | 590 | 412 626 | 646 | 674 | 748 | 765 | 768 | 7859 | 776 | 749 | 758 | 745 | 782 897 | 897 | 896 | 896 | 896 | 896 | 896 | 895 | 822 | 752 | 769 | 604 40 | 814 | 820 | 844 | 846 | 858 | 809 | 656 | 658 | 656 | 642 | 6553 | 565 Nefe ex Her) 11 | 852 | 824 | 852 | 845 | 856 | 852 | 766 | 679] 456 | 542 | 474 | 450) 12 | 806 | 828 | 844 | 845 | 845 | 745 | 650 | 605 | 554 | 550 | 544 | 547 45 | 775 | 776| 769 | 774 | 774 | 726 | 683 | 679] 644 | 596 | 518.| 499] 44 | 774 | 794 | 818 | 854 | 846 | 854 | 837 | 759 | 688 | 655 | 606 | 564 45 | 779 | 790 | 804 | 807 | 846 | 828 | 823 | 805 | 687 | 642 | 603 | 563, 46 | 864 | 854 | 854 | 766 | 776 | 766 | S441 | 848 | 794 | 643 | 578 | 542) 47 | 726 | 755 | 783 | 775 | 794 | 728 | 706 | 694 | 665 | 583 | 557 | 516 48 | 629 | 688 | 672 | 690 | 745 | 654 | 608 | 564 | 542 | 548 | 524 | 474, 49 | 673 | 576 | 752 | 692 | 655 | 594 | 499 | 486 | 460 | 449 | 4441 | 429) 20 | 555 | 564 | 564 | 642 | 668 | 655 | 5418 | 555 | 485 | 462 | 450 | 454 241 | 582 | 647 | 594 | 547 | 709 | 794 | 799 | 775 | 626 | 576 | 557 | 480 22 | 858 | 854 | 858 | 856 | 858 | 846 | 694 | 577 | 488 | 411 | 553 | 501 23 | 569 | 484 | 547 | 505 | 546 | 552 | 617 | 560 | 546 | 512 | 563 | 6414 24 | 872 | 875 | 875 | 875 | 875 | 875 | 875 | 875 | 873 | 845 | 854 | 851 25 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 904 26 | 903; 903 | 904 | 299 | 894 | 874 | 824 710 | 684, 655 | 626, 625) 27 | 669 | 702 | 722| 767 | 8C0| 722 | 665 | 629 | 574 | 505 | 483 | 461 28 | 852 | 835 | 858 | 858 | 858 | 844 | 842 | 804. | 794 | 763 | 748 | 687} 29 | 899 | 899 | 899 | 900 | 900 | 899 | 899 | 869 | 762 | 710 | 669 | 6635 350 | 558 | 650 | 690 | 688 | 687 | 642 | 626 | 615 | 582 | 558 | 487 | 466 669 694 550 | 470 | 406 | 578 | 574 | 505 23 Umidità relativa in millesimi di saturazione Volla 9 | sE] 44 i Ù t nn 598 | 658 | 696 | 699 790 | 790 | 303 | 760 474% | 475 | DAI | BAI GT a DIN > 2765 | 762 | 742 | 744 | È 805 | 813 | 815 695 | 607 | 604 | 603 | 603 850 | 854 | 855 | 868 | 868 645 | 669 | 694 | 709 | 725 722 | 765 | 795 | 841 | 852 | 10 Do LS: 690 | 745 | 749 | 749 | 748 | 11 578 | 616 | 675 | 740 | 755 | 12 554 | 606 | 701 | 746 | 749 | 15 709 | 756 | 749 | 772 | 768 | 14 816 | 854 | 8541 | 858 | 859 | 15 681 | 629 | 642 | 682 | 685 | 46 537 | 550 | 590 | 590 | 616 | 17 477 | 551 | 546 | 559 | 628 | 48 4350 | 461 | 475 | 509 | 509 | 19 569 | 577 | 657 | 555 | 624 | 20 709 | 750 | 800 | 845 | 845 | 21 265 | 261 | 358 | 590 | 574 | 22 790 | 848 | 858 | 364 | 859 | 25 831 | 849 | 872 | 386 | 890 | 24 904 | 904 | 904 | 904 | 904 | 25 602 | 624 | 603 | 607 ) 666 | 26 656 | 685 | 743 | 767 | 794 | 27 703 | 752 | 807 | 859 | 842 | 28 709 | 655 | 521 | 486 | 426 | 29 455 | 498 | 525 | 550 | 605 | 30 362 | 581 | 425 | 455 | 475 | 13 617 | 607 | 611 | 658 | 669 | 695 765 | S41 | 845 | 846 | 846 2h Tavola 3. = 1869. ata h TE | | | | D 13 pa 1871 o 15 Pe 16 47 I 48 | 49 | 20 24 | 22 | 847 336 923 874 922 810 945 884 632 805 944 823 834| 320 4024 (41021 922| 873 990 | 997 |4035|4024 997 [1058 [10451003 SONS DSL > 789 732 4174 1023 41038 1446 4228 4139 1190 4242 4205 4472 41093 1069 1042 388 41015 4464 689 4254 4250 1306 4472 1498 1675 4220 4425 835 4045 44130 41017 4038 1146 4243 41095 1205 4224 4221 4434 4102 41093 892 898 1437 1460 799 4234 1250 4306 44188 1470 1675 1356 1445 838 bud |enenasssEssi 857| S54| 854| 840 984 4200 41035 1031 1440 1432 1108 44190 4244 4224 414123 4404 41042 41073 893 1004 1468 829 1234 4242 41306 4177 1464 1675 41384 4346 858) dl 792 41293 41042 1034 4137 1135 1046 1432 1240 1236 956 14193 1064 41031 4440 1137 1053 1190 4220 1236 1063 1097 1063 920 972 1049 4083 1066 1008 946 933 1404 1380 |1346 797| 861 1293 |1223 1250 1250 1306 41292 44197 (4198 1425 (1399 41675 |1675 1356 |1332 A245 [1494 944) 909 776 1444 41056 41038 1049 765 842 41063 4054 988 1036 949 41125 1189 1228 4144 934 4428 1195 1243 4403 1043 41074 930 940 1276 41193 964 41223 1257 1056 1033 4024 944 94 4224 1330 855 4223 4250 1236 4444 4262 1143 1382 (1382 1675 |1675 4243 4308 4074 (4044 1305 1342 41047 | 968 894 748 4074 1050 44130 902 999 1022 1404 1238 505 795 41074 1059 1420 972 1047 1179 141753 41220 1046 1058 1408 934 996 1204 856 1015 41250 4334 1239 41032 41522 (1544 15661578 413481196 984 4042 41047 944 937 1428 728 1235 1246 997 1012] 926| 884! 874 4408, 41334 | di 25 Tensione del vapore acqueo in millimetri. DEE I TO To 4h | 2 | 3 | 4 5) | 6 | 7 | 8 | 9 i 10 | Al lia: Pat 1047 (1047 1405 (4085 11069 (1089 (1097 1068 [1035/1003 | 996| 996 733| 654) 686| 686) 682| 764) 356) 307| 874) 889 906) 906 828 | 848] 330| 8142| 986) 933] 893/1130 1094 (1461 [1425 (1062 1 825) 845| 786) 789| 789| 789) 782| 797| 847| 788) 8413! 803 952| 938 969/1080 (1142/1449 4283/1197 108940691008 | 933 958 |1003 |1054 |1099 (1137 [1456 (1168 1489 (4224 |1496 1210/1240 834 |1033| 952| 877| 356) 933 1305 1253 (1108 1050/1043 |1043 1446 |4106|14122| 965/1035 (4403 [114011021079 (1073/1070 1070 1020| 984| 984) 962) 993 4011 |1083|4120 (1144 1135/1432 1448 | 992/1022]|1003|4013 [1428 |1289 (1316 1332 (1363 (1299 1228 |1220| 40 OOCJOSO DAWS» 4220 |44144|1036 [41069 (1058 [1058 1086 1163 (4480 (1159 1159 (1459 44 959| 957] 944] 964) 999/1060 1455/1475 |1190|1239/4220 1231 | 12 955) 955| 955/1081 [1058 (1081 |1494 [1404 [4163 [1225 (1249 (1226 | 43 1068 (1094 |1135 |41423 11428 (1424 11201 (1343 (41344 (1272 (4251 |4212| 44 4204 (4244 (1278 |1289 (1284 11340 11498 |1480 (1464 |1323 |1274 (1249) 45 992 (14148 (4494 [1107 (11961236 1269 |1297 [1165 |1420 |4444 |1084| 16 1019| 958) 934/1000 |1006 [1064 1191 |1142 |1088 |1098 1065 [441412 | 47 41008 |1004|1046 (1107 |1039| 998/1040] 955| 998/1005 |1029|1089| 48 915| 926) 931| 960/1187 /1094| 965) 904| 921) 885| 920! 920) 49 808| 869) 902) 976 (4004 (1043 |14240 1342/4340 (4353 (1023 1490 | 20 948) 948/4407 (1447 4217 1334 |1425|41465 |1474|1462/1470|1464| 92 724| 675) 659) 820| 664| 654] 654) 635| 616| 770) 8415| 764| 29 1286 11396 4140 |1492 (1190 (1229 12721332 (1347 1272 1264 |1256| 23 4236 1412044268 |1298 [1299 (1275 |1275|1291 (4344/4344 |1300/4300| 24 4348 1343 14356 13941 (1394 [1391 |1373 1365 |1365 1348 1343 [1348 | 25 41236 11074| 970/4006! 9631024 |1142 (1246427244179 (1185 1494) 26 969 | 984 |1002 |4464|1296 (1388 [1388 1500 [1455 1430 1523 [1553 | 27 41543 |4472|1389|1635 [41635 |1635 |1630 |1531 |1595 |1641 [1651 |1654 | 28 4528 1349 (4241 |4573 (4644 |1582 1649 (4938 (1690 (1277 (1496 (1001 | 29 4249 (4487 41295 |41436 (4245 (1298 11243 (42283 11295 |4247 [13491339 | 30 745| 696] 643| 636| 632| 647| 687| 789) 775) 804] 842) 843| 31 BREVE DESCRIZIONE DI UN FRAMMENTO DI RHINOGEROS LEPTORHINUS PRO PARTE 0 HEGARRMINUS PER FRANCESCO COPPI Dottore in scienze naturali, privato insegnante di Geologia e Mineralogia nella R. Università di Modena e Corrispondente dell’ I. R. Istituto Geologico di Vienna. (iTav.VIKIo) Uno degli oggetti paleontologici più apprezzati del R. Museo di Modena è un frammento di mandibola del Rhinoceros Leptorhi- nus Cuvier pro parte o Megarrhinus Christol, e precisamente la parte anteriore o branca orizzontale di detta mandibola trovata nelle terre di Scandiano; che fu data in dono dal chiar. Prof. P. Gaddi al direttore di quel Museo Prof. G. Canestrini. Solo in oggi meglio riconosciuto il pregio di tale frammento dopo 1 os- servazione fatta dall’ on. Prof. G. Capellini, essendo. io stato destinato a ristaurarlo ed a levarlo completamente dalla roccia, che quasi totalmente lo rinserrava, non potei trattenermi dal dettarne una breve descrizione. Questo raro frammento è costituito, come poc'anzi ho detto, dalla porzione orizzontale della mandibola inferiore spettante al Rhinoceros Megarrhinus Christol; tale porzione non è al certo intiera, ed anzi quella del lato sinistro è molto breve; poichè trovasi ridotta alla lunghezza di 40 centimetri. In questa sinistra parte mancano i denti e solo si osservano quattro frammenti di radici, poste entro i propri alveoli, dei due primi molari; € l'apertura esterna del canale dentario situata a 48 millimetri circa di distanza dal margine inferiore ed a 9" dalla parte an- teriore. La destra porzione assai più lunga, misurando 47°", porta quattro interi denti molari ad un frammento del quinto, tutti forniti di un bello smalto di un color bianco-turchino, ehe 27 ha la grossezza di 2", smalto il quale cessa nel collo della ra- dice, ed allora il dente assume un colore bianco di latte. Il primo od anteriore dente presenta una sezione tringolare, mentre gli altri vanno sempre più allargandosi, assumendo quindi le forme di trapezio, di rettangolo e quasi anche di quadrato, come può vedersi nel quarto, rimanendo quasi in tutti costante la lun- ghezza che è di 35wm. Nel secondo e terzo dente lo smalto del lato interno nel punto medio del dente, ove forma un concavo sì è ripiegato sopra se stesso per costiture un tubercolo in cia- scuno dei due indicati denti. Il lembo superiore dello smalto di tutti i denti è sottilmente e regolarmente striato dal di dentro all’ infuori, cosa che sì os- serva anche in altre specie di questo stesso genere come nel Rhinoceros minutus Cuv. (4) Quantunque si possono distinguere realmente quattro denti, sono però questi talmente aderenti fra loro e forse anche na- turalmente saldati, che costituiscono un margine dentario unito il quale margine si presenta concavo tauto dall’avanti all’ indietro quanto anche dall’ interno all’ esterno, con il lembo interno assai più elevato dell’ esterno. Il primo molare ha tre radici e tutti gli altri ne hanno quattro per ciascheduno, che giungono per- fino alla lunghezza di 40», mentre il corpo del dente è lungo 45m: queste radici riescono quasi in tutta lunghezza molto vi- sibili su la superficie esterna della mandibola; trovansi poi in cattivissimo stato dì conservazione, e ridotte in minutissimi pezzi, ed anzi le interne nella porzione scoperta sono totalmente man- canti; non già per causa di tarlo nel dente, ma solo per la defi- cienza della sostanza connettiva animale, cosa la quale notasi in tutta la mandibola. La comparsa sulla esterna superficie della mandibola di tali radici, e più specialmente della posteriore, di ciascun dente non conosco se sia propria della natura dell’animale, o piuttosto una causa di età avanzata ed incominciamento di obliterazione del- l’ alveo dentario, come avviene nell’ uomo. L'apertura esterna del destro canale dentario, come già in- dicai per il sinistro, è situata molto prossima al lato inferiore cioè a 48m circa, ed ha ia larghezza di 10 e più millimetrì, corre obliquamente dall’ avanti all'indietro, c dall'alto al basso. (4) Gastaldi. Cenni sui vertebrati fossili del Piemonte Tav. 1.2 fig. 5. Me- morie della R. Accademia delle Reienze di Yorino, Serie 1i.* Temo XIX.® 28 Lo spessore massimo della mandibola che trovasi pure verso il lembo inferiore è di 45", ed il minimo che ‘esiste verso la parte media è di 30m. La parte anteriore o sinfisi del mento è perfettamente fusa ed è all’ esterno alquanto corrosa, onde perciò bene si vedono le aperture dei pori e |’ andamento quasi fibroso con direzione dall’avanti all’ indietro del tessuto osseo. In questa posizione non compresa la porzione mancante che può essere valutata da 20 a 30%", ha 60mm di spessore. Tutte le altre minute particolarità, che può offrire questo fossile, saranno meglio indicate dalla osservazione diretta dalla qui unita figura alla grandezza naturale, che presenta la branca destra veduta di fianco. Tav. IH. Essendo il Rhinoceros Megarrhinus Christol, uno dei ani- mali caratteristici dell’ Epoca diluviana non occorrerebbe il dire in quale terreno sia stato trovato; ed infatti almeno da quello che ho potuto rilevare dalla natura della roccia, che lo attor- niava, spetta allo stesso terreno diluviano e più specialmente alla marna sabbiosa-ghiaiosa che ad irregolari ed interrotti strati si presenta fra i depositi delle nostre ghiaie diluviane. Marne e ghiaie che per noi si possono sempre dire prive di fossili es- sendo rarissimo il caso di ritrovarvene, ed io nei tre lustri di mie ricerche mon vi ho scoperto che una valva di Pecten /acobeus Lamk. (2) e verso il limite della ghiaia istessa diluviana del rio Munara. (3) Il Museo Universitario, credo che possegga soli altri due denti di Elefante trovati in analogo deposito del Livizzanese. Onde oltre la rarità generale di questo fossile ovunque, si deve anche aggiungere la rarità dei nostri terreni diluviani, che sono quasi sempre affossili, ad aumentare il pregio di una tale reliquia. (2) Coppi, Catalogo dei fossili Mio-Plioceni N. 584. Annuario della So- cietà dei Naturalisti, Anno IV. (5) Il ch. sig. Dott. C. Boni ha raccolto in questo stesso terreno nei dintorni di Soliniano alcuni esemplari di Mediola Volhynica Ecchw.i quali conserva fra le sue bellissime collezioni. METEOROGRAFIA DELL’ AUTUNNO 4869 IN MODENA del ING. ANNIBALE RICCO” DOTTORE DI STORIA NATURALE, ASSISTENTE NELLA R. SPECOLA DI MODENA Aw incremento ed alla diffusione di una scienza giova certa- mente assai, il renderne facile |’ accesso agli adepti cen una via comoda e piana, il ravvivare la fede dei cultori mettendo in piena luce la solidità delle sue basi ed il reciproco e stretto legame delle parti, il dimostrare a tutti 1’ importanza ed utilità dei risultati ottenuti ed ancora di quelli sperabili dal progresso di essa scienza. . Riunendo in un quadro sintettico i risultati di uno studio qualsivoglia, si rende semprepiù lieve la fatica di comprenderli e maggiormente, poi quella di ricordarli. Col valersi a tale scopo della Geometria, scienza emminentemente sintettica, si avrà inol- tre il vantaggio di aver le quantità ed i risultati espressi me- diante figure di forme materiali e sensibili; le quali senza dub- bio più agevolmente si ritengono, che un’ arida serie di cifre; perocchè le prime lasciano nella nostra mente un’ impressione anzi un’ immagine ben decisa, che facilmente può venir richia- mata, mentre le seconde non destano nel nostro spirito, che il coucetto fuggevole di valeri e rapporti astratti. E siccome le relazioni di forma saltanto all’ occhio prontamente, le rappre- sentazioni grafiche saranno utili non solo come mezzo didattico e mnemonico ma ancora quale strumento per la scoperta di nuovi rapporti fra quegli elementi che si discutono. Nel caso attuale della meteorologia è da considerarsi ancor: che le vicende atmosferiche vengono spesso concepite dal no- stro spirito, anzichè in se stesse, nelle indicazioni dei relativi 30 strumenti (come quando diciamo altezza barometrica, alzamento od obbassamento termometrico ecc.), le quali non sono che fluttuazioni . di colonne liquide, deviazioni d’ indici ecc., che possonsi riportare direttamente e fedelmente sulla carta, me- diante le rappresentazioni geometriche; pertanto queste sono l’ espressione più naturale ed immediata del concetto del nostro intelletto. Si. aggiunga poi che dal confronto delle curve che raffigurono le variabili meteorologiche di cui il clima è funzione prontamente si conoscerà, qual parte prende ciascuna, alla costi- tuzione di esso, quali ne determinano il carattere e quali influen- zano le altre. Si contribuirà così, vantaggiosamente ad aumentare le relazioni fra gli elementi cogniti e gli incogniti, nel gran pro- blema della previsione del tempo. Queste considerazioni mi animano a presentare questo 'a- lavoro che eseguii per incarico avutone dal Direttore di questa R. Specula, Prof. Ragona, e portare così un granello d’ arena alla costruzione di un edificio che i Titani dell’ umano ingegno elevarono ormai, in breve lasso di tempo, a sì grande altezza, coll’ ordinato accumulamento di un immenso materiale scien- tifico. Comincierò colla discussione delle curve di ciascun elemento meteorologico. Temperatura. Scorgesi tosto a colpo d'occhio come in com- plesso vada abbassando durante tutto l’ autunno, essendo per una metà sopra e per l'altra sotto la media 42.9 4 dell’ autunno di quest’ anno 4869. Le burrasche, che approdando in. Nor- vegia ed attraversando Germania e Francia, ci colsero nella se- conda metà di ottobre, precipitarono a sbalzi la, temperatura oltre misura, talchè al principio di novembre si rialzò e poi riprese un cammino più lentamente discendente. Più irregolare per le frequenti e grandi cadute, riconoscesi la curva dei mas- simi ed invero avvenendo questi di giorno, se, per esempio, ha luogo una pioggia, siccome cade dalle alte e fredde regioni del- l'atmosfera e siccome è accompagnata da nubi che impediscono l’ insolazione, si produrrà per queste due cause, un. abbassa- mento termometrico. Se invece la pioggia interviene di notte il calore che assorbe è compensato da quello che viene rimandato dalle nubi. Così se durante il giorno spira un vento freddo, es- sendo, il raffreddamento proporzionale alla. differenza di tempe- ratura, sì avrà un maggior abbassamento termico che se ciò fosse avvenuto di notte. Queste particolarità fanno sì che i mi- dÌ nimi sieno presi in grande considerazione per le previsioni del tempo, ed a questo proposito Mariè Davy cita come tale |’ opi- nione di Gasparin e Castellani. Un altro fatto emerge dall’ osservazione di queste curve, e particolarmente in quella dei massimi, che cioè più rapidamente si producano le diminuzioni, che gli incrementi di temperatura, fatto d'altronde constatato anche dal Prof. Ragona (4), e che si spiega riflettendo, che se un vento od una pioggia raffreddano rapidamente l’aria, il sole invece agendo colla sua solita energia non può ricondurla che lentamente alla temperatura primitiva; nel caso poi della pioggia si aggiunge che buona parte del calore solare viene assorbito dalla evaporazione dell’ acqua caduta. Il diminuire della zona compresa fra le due curve all’ accostarsi dell’ inverno ci indica il restringimento dell'escursione diurna della temperatura, perchè all’avvicinarsi di questa stagione, l'atmosfera si fa meno limpida, epperciò diviene più debole |’ insolazione e l’ irradiamento notturno e quindi meno marcati sono gli estremi di temperatura; senza contare poi, che aflievolisce l'elevazione dei massimi, l'essere ! azione del sole minorata dall’ obliquità de’ suoi raggi e dalla breve durata dei dì: benchè “secondo Quetelet la sua intensità sia aumentata nell’ inverno di 4]15 per la minor lontananza. La maggior escursione avvenne il 10 novembre: da 14° 9 4.° 4, ossia fu di 43.° 5 Il massimo assoluto della stagione avvenne il 42 settembre e fu di 28.° 3; il minimo assoluto il 30 ottobre e fu di — 0.° 5. Per cui la temperatura nell’ autunno 41869 ha oscillato niente- meno che di 28,° 8 in 49 giorni. Pressione. Tosto si noterà la differenza di andamento e di forma della zona compresa fra le due curve barometriche e la precedente, il che indica un diverso carattere nelle variazioni di questi due elementi. Infatti nella pressione atmosferica i mas- simi e minimi non vagano in particolari deviazioni, ma corrono paralleli nell’ alzare ad abbassare lo stato barometrico, accadendo spesso che quando questo è in fase ascendente, il massimo di un giorno diviene il minimo del dì successivo e viceversa quando è in un peribdo di abbassamento, il minimo di un giorno, ri- mane il massimo del seguente. Però il parallelismo dette due (î) Annuario della Società dei Naturalisti anno II. 32 curve non include una costante ampiezza della escursione diurna, poichè valutandosi questa sulla stessa verticale, facilmente si riconosce, essere quella più ristretta nei flessi delle curve. E così dev’ essere perchè in essi ha luogo un cambiamento nel senso del movimento della colonna barometrica, epperciò un riposo, donde un ravvicinamento dei massimi ai minimi. Però noterassi che l’ escursione è più grande pei minimi è ciò prova che sì effettuano più rapidamente che i massimi. E diffatti ammettendo con moiti moderni meteorologisti ( Maury, S. Claire Deville, Mariè Davy, Sonrel ecc.) che le burrasche sieno dovute a movimenti rotatori dell’aria, nel centro del turbine aereo si avrebbe, per la forza contrifuga, una forte ma limitata rarefa- zione dell’ aria, alla periferia un addensamento più esteso, ma meno deciso, perchè graduatamente evanescente nelle vicine masse acree. Da questo fatto proviene ancora }' altro (che pure riscon- trasi, ma con minor evidenza, nel quadro) dell’ essere più fre- quenti le pressioni sopra la meaia di mill. 756 5, che le infe- riori. Essendo maggiori le escursioni nei minimi, risulta ancora come veclesi nella figura, che sono più ampie le oscillazioni della eurva dei minimi, di quelle dell’ altra. In complesso riconoscessi che all’ avvicinarsi dell’ inverno le pressioni si fanno più forti e più vaste le oscillazioni. Questi effetti sono prodotti dalle grandi masse d’aria che affluiseono al nostro emisfero, in cui l’ atmosfera va raffreddandosi e con- traendosi e perchè le differenze di temperatura e quindi anche di densità dell’ aria sovrastante ai luoghi di diversa latitudine in questa stagione sono più notevoli. Le straordinarie oscillazioni poi, della seconda metà dell’ autunno dimostrano, come equi- librio atmosferico fosse “gravemente alterato, e danno ragione delle stravaganze climatologiche di questo periodo e del prin- cipio dell’ inverno. Il massimo assoluto di pressione della stagione in discorso fu di 774 8 il 12 novembre; il minimo assoluto 740m» 4, il 4 dello stesso mese, importando una differenza di 31mm 4 in 8 giorni. La massima escursione avvenne il giorno 411 novembre e fu di Ai" 5. Umidità relativa. L’ estrema variabilità e copia della umi- dità nel nostro paese, imprime alle curve che ia rappresentano un carattere di particolare irregolarità, in confronto delle pre- cedenti. Manca quasi affatto in esse il parallelismo, in causa delle grandi differenze nell’ estensione delle escursioni diurne, dò cosicchè riesce arduo il riconoscere il modo di variare dell’ umi- dità nei diversi giorni. Però l’ andamento complessivo si riscontra reciproco della temperatura. La natura geognostica e la depres- sione di questa regione favoriscono lo svolgimento ed il ristagno dei vapori acquosi, donde la costante elevatezza dei massimi. Lo scioglimento e disperdimento dei vapori, accadendo con assai minor frequenza ed a periodi irregolari e per l’ azione di cause accidentali, riescono più marcati le aberrazioni dei minimi. Al- V accostare dell’ inverno la virtù solvente del sole diviene più debole, per cui la seconda curva s° avvicina alla prima e minore riesce | escursione, come nel giorno 14 novermbre in cui oscillò fra gli stretti limiti di 98 e 97 gradi psicrometrici e nei giorni 927 e 28 dello stesso mese fra 92 e 400; mentre il giorno 27 ottobre variò da 94 a 48, (siccità veramente straordinaria în questa sta- gione) percorrendo 75 gradi. L’ oscillazione totale di questo pe- riodo fu da 18 a 100 ossia di 81 gradi psicrometrici. Vento. Le alte e frequenti guglie che incontrasi nella curva dei massimi del vento, dimostrano i grandi turbamenti dell’ atmo- sfera in questa stagione. Noi vediamo infatii verso l’ estate, prevalere la corrente po- lare la quale coi venti di nord-est porta l’aria all’emisfero sud, che si raffredda, mentre presso l’ inverno vediamo stabilità la cor- rente equatoriale che coi venti di sud-ovest e più frequentemente d’ ovest (specialmente da noi per la forma della valle Lombarda, favorevo e alla propagazione di tali venti) va a calmare il di- fetto d° aria al nord per il freddo soppraggiuntovi; questa sosti- tuzione non si è operata tranquillamente, ma con quelle lotte violenti delle due correnti. che Dove così magistralmente di- pinge (1). Queste sono appalesate dalla variabilità della direzione del vento specialmente nel mezzo dell’ autunno e dalla furia con cui luna corrente incalza l’altra. Infatti il giorno 20 ottobre ebbimo vento di nord-est spiranie colla enorme velocità di 50 kil., il giorno 27 un colpo forussimo di vento d’ ovest, poi il giorno 4 novembre altro simile, seguito da forte vetito di nord- ovest nel di seguente; e così di seguito . fino alla fine dell’ au- tunno. È poi singolare che in questo periodo inveirono cinque colpi di vento con forza ognor decrescente ad intervalli. pres- sochè eguali di sette giorni. Si deve notare poi che quanto ri- scontrasi in questo quadro, sebbene riguardi un corto periodo, tanto (1) Ueber den Sturm vom 17 november 1866: DI Sh relativamente alla frequenza dei venti di nord-est e d’ ovest, quanto alia loro prevalente intensità, coincide colle leggi delle correnti atmosferiche inferiori in Modena dedotte dal Prof. Ra- gona dalle osservazicni anemometriche del 1867-68. Pioggia. In questa stagione vi furono venti giorni con pioggia e tre con neve. La frequenza e copia di queste meteore, costi- tuisce il massimo autunnale, già noto, delle pioggie di questo clima. Il giorno 7 settembre, piovoso in quasi tutta 1’ Europa e specialmente in Italia, caddero a Modena mill. 57, 3 d’acqua (a Firenze mill. 83, 0, la più icopiosa nelle 64 stazioni notate nel bullettino della società meteorologica di Francia) quantità assai notevole, e la maggiore dalla stagione; iî giorno 22 dello stesso mese la pioggia fu di mill. 47, 4 (a Ferrara mill. 47 3; massima come sopra), il giorno 20 ottobre piovvero milî. 40, 0 (a Ferrara mill. 58, 4; massima come sopra). Le altre pioggie assumomo già il carattere delle invernali, sono cioè, più frequenti ma meno copiose Ai 27 e 28 d'ottobre l acqua cadente nella nostra atmosifera, eccezionalmente raffreddata, si convertiva in neve, fatto non mai verificatosi dal 1828 in poi. L’ altro giorno nevoso fu l’ 44 novembre. Tutta la pioggia di settembre fu di mill. 152, 74, quella di ottobre fu di mill. 94, 48; quella di no- vembre mill. 45, 83. La pioggia totale del trimestre adunque fu di mill: 293, 05. Stato del cielo. Vi furono 29 giorni con cielo perfettamente e continuamente sgombro di nubi, se ne ebbero 47 continua- mente coperti, e 45 con cielo o non totalmente coperto o an- nuvolato per la minor parie del giorno. Dal 45 al 21 ottobre il cielo fa sempre coperto di nubi. Ozono. Ha una curva molto irregolare perchè risentesi dalle variazioni della temperatura ed anche dell’ umidità, deile quali è funzione, inversamente della prima e direttamente della seconda ed in grado più elevato (4). Perciò vediamo aumentare la quantità dell’ ozono all’ avvicinarsi dell’ inverno, stagione fredda ed umida. Si ebbe il massimo assoluto di colorazione nei giorni 6 e 7 di settembre, il 20 ottobre ed il 21 novembre. Evaporazione. Anche questa ha una curva piena di ano- malie, in causa dei tanti agenti atmosferici che la modificano. (1) Prof. Ragona. Coeficienti ozonometrici. Annuario della società dei Nat. di Modena an. III. 35 In complesso però, come era da attendersi, va scemando coll’ ap- pressarsi del freddo. Fu massima e di 4 millimetri il 3 settembre e nulla il 20 novembre e quasi nulla, ossia di mill. 0 03 il di 26 dello stesso mese. Elettricità dinamica. È proprio del Galvanometro il tenersi tranquillo e dare deboli indicazioni finchè dura lo stato nor- male dell’ atmosfera, ma tosto che in esso viene a rompersi l'equilibrio, incominciano le rapide e svariate evoluzioni del- l'elettricità dinamica. Nel caso attuale, vediamo che dopo uno stato di riposo prolungato durante la prima metà d’ ottobre, sve- gliasi improvvisamente per prendere parte alle perturbazioni atmosferiche dei giorni seguenti, colle sue forti agitazioni. Gene- ralmente le correnti sono ascendenti: in quindici giorni a niezzodì furono discendenti; fra queste sì annoverano le più energiche ; quella del 28 ottobre di 15 gradi e quelle del 19 e 29 dello slesso mese rispettivamente di 44 e 42 gradi; nei cambiamenti repentini di direzioni e negli incrementi e decrementi rapidi d’ intensità, avvengono forti oscillazioni. Temporali. 1 giorni con tuoni o lampi furono 5 e tutt prima del 21 ottobre, più tardi P umidità facilitando 1° equilibrio dell’ elettricità atmosferica non permette più il ripetersi di simil enomeni. Elettricità statica. La curva bizzara che rappresenta le indica- zioni dell’ Elettrometro a mezzodì, svela la volubilità dell’ agente ancora misterioso che lc agita. Le cariche ordinarie sono per lo più positive; le straordinarie, superiori alla capacità dello strumento furono 3 volte positive ed 8 volte negative. Ed invero Que- telet afferina essere maggiore la quantità dell’ Elettricità nega- tiva negli equinozi. Passiamo ora al confronto delle diverse curve meteorologiche fra loro. Temperatura e pressione. Osservando con qualche atten- zione le due zone, riscontrarsi opposizione nel loro andamento, ossia corrispondenti alle alte pressioni, basse temperature, ed aste, alle minori altezze barometriche; proviene ciò dall’ essere l’aria fredda più pesante della calda. Su questo fatto, Kimiz ha stabilita la sua legge delle oscillazioni incerse del barometro e del termometro. La detta reciprocità apparisee meglio confron- tando separatamente le due curve. termometriche alle barome- triche: troverassi, nella curva dei minimi termometrici, i minimi 36 corrispondere a massimi barometrici; (8 e 22 settembre; 411, 22 e 81 ottobre; 12, 18 e 26 novembre) ed ai purti culminanti nella curva dei massimi, coincidere depressioni barometriche, benchè meno regolarmente in causa dei turbamenti atmosferici che spesso le accompagnano, (6, 44, 29 settembre; 26 ottobre 5,40, 45 novembre). Temperatura ed umidità. Una certa contrarietà mostrasi ancora fra le indicazioni dei relativi strumenti ma meno deci- samente. Temperatura e vento. Facilmente si vede che i venti di nord ed est fanno rafreddare l’ atmosfera, (7, 22 settembre, 48, 49, 20, 21, 22 ottobre, 14, 21 novembre), mentre la riscaldano quella di sud ed ovest, (22, 30 settembre; 4,48, 29 novembre). Queste azioni sono più marcate corrispondentemente alle guglie dei diversi venti; sono spiegate dalla loro provenienza. Le ecce- zioni si debbono attribuire allo stato del cielo che accompagna questi venti, come sì vedrà in seguito. Temperatura, e pioggia o neve. Le pioggie in generale pro- ducono un abbassamento della temperatura, per essere più fredde dello strato d’ aria che ci circonda e pel calorico reso latente dall’ evaporazione (6, 24 settembre; 16, 23 ottobre; 24 novem- bre ). In grado maggiore ciò si verifica per le nevi che hanno temperatura propria ancora più bassa ed assorbano grande quan- tità di calorico per la loro fusione (28, 341 ottobre, 410 no- vembre ). Temperatura e stato del cielo. È facile il ravvisare, un de- cremento nell’ escursione diurna del termometro nei giorni an- nuvolati ; e così deve essere, perchè le nubi diminuendo l’azione solare e l’ irradiazione notturna, abbassano i massimi ed. innal- zano i minimi. Il contrario avviene a ciel sereno. Si riconosce poi con pari facilità che nella seconda metà della stagione, le nubi fanno salire la temperatura; perchè diminuiscono la per- dita di calore della terra, che in quest’ epoca è maggiore del guadagno. Si può aggiungere (come ritiene Kimtz) che nella stagione fredda, avvenendo la condensazione del vapore acqueo allo stato vescicolare, a poca altezza, il calorico latente reso li- bero probabilmente agisca sulla nostra atmosfera e sul suolo. Temperatura ed ozono. Quì osservasi una perfetta obbe- dienza alle leggi sopra citate; i massimi d’ ozono si trovono coi minimi termometrici, ed i massimi termometrici coi minimi ozo- nometrici (6, 7, 24, 22 settembre; 27 ottobre, 41 novembre), d7 e perfino riscantrassi una traccia della deroga in senso contrario pel mese di novembre, come stabili il Prof. Ragona; vediamo infotti dal 44 al 241 del detto mese, un manifesto parallelismo della curva dell’ ozono, con quella dei minimi di temperatura; ciò proviene forse dall’ azione prevalente sull’ ozono dell’ umidità estrema di questo mese e maggiormente poi delle nebbie, che come ha dimostrato il Dott. Dellman (1) aumentano straordina- riamente |’ elettricità atmosferica; od anche perchè il vapor acquoso facilita le reazioni chimicbe che producono la colora- zione delle carte ozonometriche. Così il minimo dell’ ozono nel giorno 22 novembre si spiegherebbe coll’abbassamento della curva dei minimi di umidità in quel turno. Temperatura ed Evaporazione. La grande influenza che la prima ha sulla seconda e dimostrata dal fatto, che alle creste della curva dei massimi di temperatura corrispondono massimi di evaporazione (16 settembre 22, 26. ottobre; 5, 18, 29 novem- bre) ed alle depressioni della anzidetta curva, coincidono mi- nimi di evaporazione, benchè meno regolarmenie (7, 22 settem- bre 9, 19, 24, 29 ottobre; 20, 26 novembre). Per tanto si ri- conosce l’ intervento dell’ altre cause in ciò, che ai minimi della curva dei minimi di temperatura corris ondono spesso massimi di evaporazione (3 settembre; 6, 12, 22 ottobre) ciò, in molte casi avviene nelle notti serene ed asciutte, che sono le più fredde, e quelle in cui |’ evaporazione è più notevole. Per cui in com- plesso ’ evaporazione è massima nei giorni di grandi escursioni termometriche (3, 6, 7, 8 e 44 settembre, 6, 12 ottobre; 5, 29 novembre ). L’ andamento generale poi della evaporazione è ana- logo a quello della temperatura. Pressione ed umidità. È facile lo scorgere la reciprocità delle quantità di queste due elementi, trovandosi sempre nei giorni di minima pressione, massima umidità (6, 41, 24 settem- bre, 5, 20, 26 ottobre; 4, 40 15, 25 novembre) e spesso essendo contemporanee le più forti pressioni ed i minimi igrometrici (3, 23 settembre; 42, 23, 30 ottobre; 12, 23 novembre). Queste relazioni saranno più evidenti se non si considereranno i giorni 27 ottobre e 5 novembre di eccezionale siccità, dovuta a violenti colpi di vento d’ ovest. Quest’ antagonismo proviene secondo Deluc ed altri, dall’ essere, l’aria pregna di vapore acqueo, più leggera della asciutta. (1) Zeitschrift der Osterreichischen Gesellschafi fir Meteorologie. iV Band. N. 25. 98 Pressione e vento. Quì è veramente evidente la legge sta- bilita da P. Secchi che « Ogni moto barometrico è accompagnato da un proporzionale trasporto d’aria » (1). Ai minimi barometrici corrispondono le più grandi velocità del vento (6, 7,44, 46, 20, 25 settembre; 20, 27 ottobre; 4, 5, 14, 21, 24, 28, 29 novem- bre) ed alle alte pressioni coincide la calma (del 22 settembre al 45 ottobre; dal 10 al 20 novembre). Infatti nella teoria su- esposta della rotazione delle masse aeree, i luoghi a minima pressione sì trovano al centro del turbine, quindi dove è mas- sima la velocità; quelli a forte pressione sono nel contorno, dove l'attrito cogli adiacenti strati d’aria in riposo, scema o distrugge il movimento. Pressione e pioggia. Al centro del vortice atmosferico es- sendo più attivo il rimescolamento delle masse aeree, più ovvie sono le precipitazioni acquose, per cui queste ccincideranno coi minimi barometrici; e questo osservasi appunto nel quadro (2 6, 26 settembre; 16, 24, 26, 28 ottobre; 10, 24, 24 novembre). in generale le pioggie avvengono essendo il barometro sotto alla media, per altro la minima pressione dell’ autunno avvenne il giorno 4 novembre nel mezzo di un periodo di siccità che co miuciò e finì colla neve; si può notare che alle nevi consegue sempre un notevole alzamento barometrico. Pressione e stato del cielo. Durante i periodi di alte pres- sioni il cielo è sgombro di nubi (18, 23, 25, 28 settembre; 4, 7, 40, 12, 24, 30, 81 ottobre; 412, 48 novembre), invece è co- perto nell’ epoche di deboli pressioni (4, 6 settembre; 2, 18- 24 ottobre; 24, 25, 30 novembre). Questo d’ altronde consegue del detto prima. Pressione ed Ozono. Ai minimi barometrici corrispondono quasi costantemente massimi d’ ozono (6, 7, 24 settembre; 20, 27 ottobre; 4, 11, 24 novembre ); e così doveva essere, perchè i minimi di pressione sono accompagnati, come si è visto, da aumento d’ umidità che fa accrescere 1 ozono. Nelle epoche di forti pressioni si trovano, benchè con minor costanza, minimi d’ ozono (8, 9 settembre; 22 ottobre ; 4, 13, 48 novembre ). )n complesso si può asserire che vi è opposizione nell’ andamento della curva ozonometrica e delle curve barometriche. Pressione ed Evaporazione. Nei tempi di-alte pressioni do- minando il bel tempo e l’ aria asciutta, l evaporazione è copiosa (4) Dal V. 4.° del Bullettino Meteorologico del R, Osservatorio di Modena 39 (3 settembre; 22 ottobre; 4, 13 novembre); talvolta però si hanno massimi di evaporazione con minimi di pressione, in causa delle energiche agitazioni atmosferiche che li accompagnano (vedi la curva del vento) (41, 16 settembre; 26 ottobre, 4, 29 novembre). Pressione ed Elettricità dinamica. L'influenza prevalente delle meteore acquee su di questa, non permette di scoprire alcuna particolare relazione fra le indicazioni del barometro è del gal- vanometro, se non chè avvi coincidenza dei loro periodi di ri- poso e di oscillazione. Pressione ed Elettricità statica. La brevità del periodo e le azioni perturbatrici troppo energiche non lasciano riconoscere alcun rapporto fra di esse, quantunque il Prof. Ragona abbia dimostrato un rimarchevole parallelismo fra le curve diurne di questi due elementi e Quetelet la coincidenza dei loro massimi e minimi. Umidità e Venti. 1 venti di nord e nord-est aumentano l’ umi- dità relativa (6, settembre; 9, 20, 26 ottobre; 16, 21 novembre) invece la diminuiscono i venti d’ovest e sud (42, 23, 24 set- tembre; 4, 23, 27, 34 ottobre; 4, 42, 18, 29 novembre). Queste influenze dei venti però non sono molto evidenti se non nel caso di venti impetuosi come la massima umidità dei giorni 6, 7, 24 settembre; 20 ottobre; ii, 24 novembre con forti venti di nord-est e le notevoli siccità del 27 ottobre; 4 e 29 novem- bre coi venti violenti d’ ovest. Umidità e Pioggia. Per necessità debbono essere, come nel quadro, simultanei i massimi igronometrici e le pioggie. È degno d’ attenzione il faito, confermato anche da altre osservazioni del Prof. Ragona (1) che le nevicate sono precedute da notevoli anzi straordinarie siccità, come quella veramentee eccezione del giorno 27 che precedè la neve della notte seguente, e quella antece- dente di vari giorni alla neve del 10 novembre. Umidità e stato del cielo. Le nubi aumentano | umidità, impedendo | azione del sole (2, 8, 9, 15-21 ottobre; 18, 24, 25 novembre), il cielo sereno la diminuisce (43, 14, 15, 25, 26, 27 settembre; 4-7, 44, 42, 13, 30, 81 attobre; 4, 2, 4, 5, 42 novembre). Siccome poi l’ influenza delle nubi si esercita inoltre sui minimi psicrometrici, che vengono rialzati, così si può ritenere (A) Le nevicate d’ ottobre (opuscolo). 40 che nei giorni sereni l’ escursione igronometrica è maggiore che nei nuvoiosi. Umidità ed Ozono. La sopraccennata dipendenza dell’ ozono dallo stato igrometrico dell’aria è causa dei parallelismo delle curve di questi due elementi, cosichè assieme si trovano i loro massimi (6, 7, 40, 21, 30 settembre; 9 20, 27 ottobre; 4, 44, 15, 2i, 23, 24 novembre) ed i loro minimi (3, 42, 24 settem- bre; 3, 13, 24 ottobre; 1, 5, 42, 18, 31 novembre). Umnitità ed Evaporazione. Come è da credersi, vi è oppo- sizione nella loro quantità, coincidendo spesso i minimi della prima coi massimi della seconda (3, 12, 20, 26 settembre; 3, 6, 13 ot- tobre; 4, 5, 42, 18, 30 novembre) c i massimi coì minimi (6, 21, 30 ottobre; 8, 19, 29 ottobre; 3, 40, 16, 20, 26 novembre). Le eccezioni sono dovuti a ciò che gli estremi dell’ umidità sono talvolta prodotti da cause accidentali, momentanee, mentre la quantità dell’evaporazione è il risultato della somma delle azioni evaporanti durante la giornata; così il 27 settembre sebbene umidità discendesse fino a 18 per un vento fortissimo d’ovest, pure non si ebbe una straordinaria evaporazione, perchè quel vento fu di breve durata; ed anche perchè i venti forti ancora se umidi facilitano | evaporazione: ad esempio il 20 ottobre benchè l'umidità oscillasse fra 96 e 83 l’ evaporazione fu di mill. 4 85 in grazia dello sfrenato vento di nord-est che spirò in quel giorno. Umidità ed Elettricità. Anche quì la brevità del periodo non lascia riconoscere i loro rapporti, quantunque come sì disse sia noto che la prima aumenta la seconda. Venti e Pioggia. | venti di nord, nord-ovest, ma più di tutti il nord-est dominano nei giorni di pioggia, benchè que- st’ ultimo sia ritenuto in generale per tutta |’ Europa centrale ed occidentale, come foriero di bel tempo, perchè proveninte da vaste ed asciutte pianure, mentra la pioggia ‘arriva nell’ Europa coi venti di sud-ovest ed ovest che trascorsero sull’ Atlantico impregnandosi di vapore acquoso; Kamtz (1) spiega questa par- ticolarità della pianura Lombarda ammettendo che i venti del nord ci portino le nubi, che quelli di sud-ovest accumularono contro le alpi. Dove (2) pure, adduce questa spiegazione, già da tempo proposta da Toaldo. Tali proprietà dei venti da noi in questa (1) Cours complet de meteorologie. (2) Ueber Eiszeit, Fohn und Scirocco. 44 stagione si possono ancora più naturalmente spiegare con ciò che lo stesso Kiimiz dice in altra occasione. Quando in una regione ove domina l’ umidità arrivano venti di nord-est, questi benchè per se stessi asciutti, per la loro bassa temperatura, producono pre- cipitazioni acquose, perchè diminuiscono la capacità dell’ aria per l'umidità; invece i venti di sud-ovest che sono caldi, | aumen- tano e portano il bel tempo. I venti d’ ovest, e sud-ovest inoltre depositano la loro umidità contro la vetta degli apennini e delle alpi marittime e ci arrivano asciutti. Si osservi ancora che le grandi pioggie sono accompagnate da venti forti. Venti e stato del cielo. Per le ragioni addotte sopra d’ or- “dinario ai venti di sud-ovest ed ovest corrispende il bel tempo (40, 16, 13, 30, 31 ottobre; prima decade di novembre) ed a quelli di nord, nord-est, e nord-ovest, un cielo annuvolato (4, 2, 5, 6, 24 settembre; 2, $ settembre; 3, 45, 23, 24, 30 no- vembre ). Vento ed Ozono. I venti di nord, nord-est e nord-ovest, aumentano Îa quantità dell’ ozono, anche senza l’ intervento della pioggia (10, 17 settembre; 2, 9 ottobre); invece la scemano i venti d’ ovest e sud-ovest (6, 41, 24, 25 settembre; 2, 4, 6, 11, 14, 15, 23, 26, 28, 34 ottobre; 4, 2, 7, 8, 22 25, 29). Ciò evidentemente dipende delle proprietà igrometriche di questi venti. Vento ed Evaporazione. Ai venti forti senza pioggia corri. spondano, per il rapido rinnovamento dell’ aria massiini di eva- porazione e questi assai più notevoli coi venti d’ovest (3, 14, 42, 16, 20 settembre; 4, 5, 18, 28, 29 novembre); nei giorni pio- vosi accadono, malgrado il vento, minimi d’ evaporazione (4, 6, 21 settembre, 16-19 ottobre; 44, 20, 24 novembre). Vento e Elettricità dinamica. I venii violenti col concorso della pioggia ed anche senza, esaltano e mettono in agitazione il galvanometro (9 settembre; 2 ottobre; 4, 6, 29 novembre). Vento ed Elettricità statica. Sebbene si possa osservare diret- tamente in questo strumento che durante una burrasca ad ogni colpo di vento l’ indice fa uno sbalzo; pure ciò non si riscontra nel quadro per essere l’ osservazione elettrica fatta al mezzodì mentre il massimo del vento può essere avvenuto in qualunque delle 24 ore. Per altro le cariche infinite hanno luogo nei giorni di vento impetuoso. Pioggia e stato del cielo. Troppo ovvi sono i rapporti di questi due elementi, perchè se ne tenga parola. Si noterà per 42 altro che i giorni nevosi non furono mai completamente e con- tinuamente nuvolosi e che dopo le due nevieate si ebbe cielo perfettamente sereno. Pioggia ed Ozono. Nei giorni piovosi e nevosi si ebbero sempre massimi d’ ozono. Pioggia ed Evaporazione. Nei giorni piovosi sì hanno sem- pre minimi d’ evaporazione. Pioggia ed Elettricità dinamica. Le pioggie se copiose e violenti e Je nevi producono oscillazioni nei galvanometro e cor- renti discendenti. Pioggia e Baleni Nella prima metà dell'autunno i periodi piovosi sono accompagnati da tuoni e baleni, quelli della seconda ne vanno privi. Pioggia ed Elettricità statica. Le pioggie sono quasi sempre associate a cariche d’ elettricità superiori alla capacità dello suru- mento (co), tallora positive, ma più spesso negative e qualche volte da entrambe; anche le indicazioni ordinarie sono più forti in tempo di pioggia. Stato del cielo ed Ozono. I massimi d’ozono non avvengono mai a ciel sereno, nei giorni belli l'ozono è minimo; anzi ap- pare una certa proporzionalità dell'ozono alla quantità e persi- stenza delle nubi. Stato del cielo ed Evaporazione. Grande è l influenza del primo sulla seconda: ed invero i massimi di acqua evaporata sì effetuano nei dì sereni (8, 43, 25, 26 ottobre; 3, 6, 40, 48 ot- tobre; 4, 5, 17 novembre), ed in minimi nei giorni annuvolati 4, 6, 7, 30 settembre; 8 ottobre; 3; 10, 25 novembre); le ec- cezioni sono da aitribuirsi alla matura diversa dei venti domi- nanti. i Stato del cielo ed Eiettricità. Tutto ciò che si può arguire dal quadro si è che la compersa-delle nubi è causa di forti per- turbazioni elettriche, cosicchè mentre a ciel serenoîsi hanno in- dicazioni moderate di correnti ascendenti nel galvanometro e di, elettricità positiva nell’ elettrometro con cielo annuvolato si hanno correnti e cariche irregolari ed eccessive e contrarie alle prime. Non è possibile di riconoscere se, come ammette Quetelet, la elettricità statica dell’ atmosfera sia nei dì sereni massima in in- verno ed eguale per qualunque stato del cielo in estate, essendo troppo breve il periodo di una sola stagione. Ozono ed Ecaporazione. Facilmente si spiega | evidentis- Simo antagonismo di queste due curve: infatti come si disse la | 45 quantità dell’ ozono è proporzionale direttamente all’ umidità ed inversamente alla temperatura, ora si sa che il contrario è della evaporazione. Ozono ed Elettricità dinamica. 1 massimi d’ozono avvengano contemporaneamente alle correnti discendenti od alie oscillazioni le quali frequentemente precedono il cambiamento delle correnti ordinarie ascendenti alle discendenti; (6, 7, 410, 21, 22 settem- bre; 2, 9, 20, 27 ottobre; 4, 44, 24, novembre), nel massimo numero dei casì però si deve riconoscere che ciò è dovuto al- l’ intervento delie meteore acquee. Ozono ed Elettricità statica. È massimi d’ ozono coincidono coll’ elettrizzazione negativa e sovrabbundante dell’ aria (6,20, 22 settembre; 20, 22, 26 ottobre; 14, 24 novembre). Evaporazione ed Elettricità. Sebbene Volta ed altri facciano risiedere nell’ evaporazione la causa dell’ elettricità atmosferica, pure alcuna relazione fra questi due fenomeni si appalesa nel quadro. Elettricità statica ed Elettricità dinamica. Un certo paral- lelismo che riscontrasi fra le curve rispettive, indica comune e simultanea essere la causa che produce gli aumenti e le dimi- nuzioni ed i cambiamenti di natura 0 direzione in questi due elementi. 44 Coincidenze dei valori singolari N. B. M indica curva dei massimi, m curva dei minimi, Dala | Luna Temperatura Sett. 5 m minima i escursione grande 5 | nuova Mm MASSIMA | 6 | perigea M massima | j ENO TR ti M minima | Sano te crescente | LO M MASSIMA | {441 .... |escursione grande| È Piena | 20 M massima | Apogea (21 SUA Re decrescente | fi 22 minima | ; | i Ott. DITO M minima M minima INR ZE m elevato m minima 42 {4° quarto i | escursione grande È crescente 20 | piena À i escursione piccola 929 M MASSIMA escursione grande 26 BAIE MASSIMA 27 (ult. quarto| m quasi minima SI NARRA m minima Nov. VIZERA A M MASSIMA 5 ca M massima 40 |1° quarto] M massima 44 MAE M minima IRC m minima LAS Ori m crescente 18 oh M MASSIMA b caeursiono grande 21 AUODRNS Mm MASSIMA DL AT Mm MASSIMA M massimo Dura m minima Pressione atmosf. CCITSRTAMIORE | e colpi di vento quasi MASSIMA decrescente minima quasi minima MASSIMA decrescente minima minima minima MASSIMA minima MASSIMA MASSIMA minima M m minima M minima MASSIMA MASSIMA minima bassa minima quasi minima MASSIMA m minima m MASSIMA quasi minima quasi minima MaSssIiMA bassa Umidità relativa |P!0 dominan, m minima E escursione grande) e x forte | | . crescente E escursione grande . | ‘ quasi massima | NE impetuoso quasi massima |N e ne impet, MASSIMA N | MASSIMA N decrescente |SO e se forte| m minima NE escursione grande| e se forle M massima NO e ne imp. M MASSIMA NO e ne forle M MASSIMA E È 7 NO escursione piccola MASSIMA NE uasi minima nd NE forte escursione grande MASSIMA NE impetuoso decrescente N e ne forte MASSIMA 0 escursione straor.|NE ed o impeti M MASSIMA O) MASSIMA O impetuoso | escur. gr. m min.|Ò e no impet. minima Rio) MASSIMA SO e ne forte m minima 0 M MASSIMA SO m minima NE MASSIMA NE impetuoso m minima NE e n forte M MASSIMA O impetuoso 45 degli elementi meteorici. i, ll vento dominante è indicato dal maiuscolo maggiore, i colpi di vento dal minore. Ì i Stato i Elettricità Elettricità i Ozono Evaporazione E È f Pioggia del cielo p dinamica stalica | Me. bello poco MASSIMA . + è + » + + |cariche forti mill. 22 0 | nuvoloso poco grande | RA IRMR TRARRE MASSIMA MASSIMO aLe NE SRILNTANIE baleni ill. to minima cillazioni 3 L mill. 97 3-| copert assoluto ha cariche #2 00 «mill 0 9 | coperto | massimo assol. poca oscillazioni nulla xe + + + * + | nuvoloso | quasi minimo | MASSIMA poca MASSIMA nulla nuvoloso MASSIMO uasi minima CEGIIEGLRI ©" NAS 1 correnti discen.| 7 © * * «e» + + è. | nuvoloso minimo MASSIMA MASSIMA ME LES “ mill. 48 7 | nuvoloso mediocre mediocre OMO baleni cariche co mill. 47 4 | uuvoloso MASSIMO minima correnti discen.| ....., «+ + + + « « | nuvoloso | quasi massimo | quasi minima |correnti discen.| negativa mill 08 | coperto MASSIMO MASSIMA oscillazioni baleni 2 © «+. . + ..| Coperto MASSIMO quasi minima |correnti discen.| ...... Me... bello poco grande ° + 2 e a.» | Crescente i MASSIMO ; oscillazioni baleni . mill 48 6 | coperto mediocre pr 5 } 8 p assoluto correnti discen.|cariche = co di oscillazioni «e» +. +. | nuvoloso minimo MASSIMA NORCO A SISI correnti ascen. mill. 4 4 | nuvoloso mediocre MASSIMA MASSIMA cariche — co neve nuvoloso MASSIMO decrescente |... .... |[cariche+ 00 oc SAI bello quasi minimo crescente - è +. +. + [id.posit. forti MO. bello MASSIMO “quasi massima | oscillazioni MASSIMA i); bello minimo MASSIMA MASSIMA minima Mie, 0... iMuvoloso crescente minima ONORI I ROTA CONA neve nuvoloso MASSIMO crescente |oscil. corr, disc.|cariche — co e. bello. | quasi minimo | quasi massima | oscillazioni | ...... ME... | nuvoloso MASSIMO decrescente/ Maran ao > INR bello minimo MASSIMA ST APRO SRO i mill. 15 5 | nuvoloso [massimo assoluto poca MASSIMA MORATTI CUI \.mill. 43 | coperto MASSIMO poca Moi egativa | ARSSIDINO bello minimo MASSIMA Pa LN BIRRE A 46 CONVENZIONI USATE NELLA COSTRUZIONE DEL QUADRO GRAFICO -———— ———nt—1r Lo spazio fra le rette longitudinali od ordinate rappresenta l’ intervallo di un giorno. Su quella che ne indica il fine sono prese dalle altezze proporzionali alle quantità che si vogliano espri- mere e che sono relative a quel dì in data astronomica; unendo con rette gli estremi di quelle altezze si ottengono delle spezzate o poligoni, che però chiameremo curve meteorologiche; le medie delle stagioni sono indicate da rette forrrate di tratii e punti. Fasi della Luna. S' intendono corrispondere al tempo indi. cato dalla posizione del centro del cerchio o porzione di cerchio che rappresenta ii contorno della luna. inoltre P significa luna Perihea; A, Apogea. Temperatura. A partire d’ una orizzontale O — O, si sono presi degli intervalli (di due mill.) per ‘rappresentare |’ altezza in gradi della colonna termometrica, per ciascun giorno, nel suo valore massimo e minimo indicato dai termografi a massima e minima; riunendo i punti denotanti gli estremi dei diversi giorni è nata la curva dei massimi (superiore) e la curva dei minimi ( inferiore ). Pressione. Le altezze barometriche massime e minime de- dotte dall’ aneroide Salleron, sono raddoppiate, rappresentando uno spazio di due millimetri, un millimetro d’ altezza della co- lonna barometrica. Umidità relativa. 1 massimi e minimi sono ricavati dalle indicazioni orarie dell’igrometro registratore. Lo spazio fra le rette orizzontali rappresenta quattro gradi psiorcmetrici. Vento. Viene indicata la direzione dominante in ciascun giorno dal punto cardinale notato nello spazio a quel dì corrispon- dente, quando essa cada fra due, sono segnati entrambi | uno sull’ altro. La velocità del vento massima nel giorno è valutata in chilometri percorsi da esso secondo le indicazioni deli’ anemometro; l in- tervallo fra due rette orizzontali corrisponde a 2 chilumetri. Sic- come i venti più impetuosi, spesso non sono i dominanti, così 47 i punti salienti della curva portono il nome del vento cui ap- partiene quella velocità. Pioggia. Per la sùa importanza sociale, essendo n pioggia valutata alla fine dei giorni in date civili, per tradurla in date astronomiche, il rettangolo, la di cui altezza indica |’ altezza na- turale dell’ acqua caduta, occupa la prima metà del giorno con data eguale alla civile e. metà del precedente, L’ acqua prove- niente dallo sfacimento della. neve è indicata. da un rettangolo bianco. L' intervallo fra due rette orizzontali rappresenta 2 mil- limetri. Stato del cielo. Quando per la maggior parte del giorno il cielo fu coperto di nubi, si trova annerito tutto lo spazio cor- rispondente a quel dì: quando prevalse io stato nuvoloso o neb- bioso ne è annerita la metà; quando predominò il cielo bello o lucido, quell’ intervallo è bianco. i Ozono. Dal bianco delle carte ozonometriche inalterate, al massimo di colorazione, si notano 20 graduazioni, a due delle quali corrisponde |’ intervallo delle rette orizzontali. Evaporazione. L’ intervallo suddetto rappresenta due decimi di millimetri d’ acqua evaporata durante il giorno. Elettricità dinamica. Sì sono rappresentate le osservazioni del mezzodì di ciascun giorno; il valore ottenuto, per altro, è anplicato all’ ordinata che ne rappresenta il fine per amore di uniformità. Le deviazioni dell’ ago essendo tallora positive, tal laltra negative, sono notate, ora sopra, ora sotio la retta 0 — O; il solito intervallo vale 2 gradi. Le forti oscillazioni sono indicate da una linea serpeggiante entro lo spazio del giorno in cui av- vennero. Baleni. Sono denotati da linee a zig-zag. Elettricità statica. Le indicazioni del eleitrometro a mezzo- giorno (ho scelto quest’ ora perchè in essa, seconda Quetelet, accade il medio diurno) sono tradotti identicamente al galvano- metro, senonchè le cariche infinite, ossia superiori alla. capacità dello stramento, sono indicate con co, situato sopra 0 sotto la retta 0—O, secondochè furono positive o negative. Quando accaddero nel mezzodì | altezza rappresentante le cariche dovendo essere infinita, la curva ha due tratti paralleli. NAT °9%1!“<<<- Yo RELAZIONE DI UNA NUOVA SCOPERTA DELLA TERRAMARA DI GORZANO ED OSSERVAZIONI PER GOPPI DOTT. FRAWMCRISGO ((Tavoavi) fi giorno 3 marzo del corrente anno 4870 si diede principio allo scavo di un monumento romano, la cui esistenza nella Terramara di Gorzano mi era già stata da qualche giorno indicata per la solerte cura del mio fratello dott. Alessandro, (al quale debbo porgere pubbliche grazie perchè sempre mi tiene a giorno di tutto quanto si scopre e si trova nella propria Terramara ), e che tosto fu giudicato una {Edicola sepolcrale dall’ ill. sig. avv. A. Crespel- lani, come ciò è noto da una mia prima relazione omai pubbli- cata (4), la quale ora intendo quì di ripetere, precisando meglio alcune cose, aggiungendo le novità che potei osservare nel se- condo giorno, il 5, in cuì si eseguì il completo scavamento (2). Situazione e dimensioni. — La sepolcrale romana Edicola posta a pochi metri di distanza dall’ angolo S-0. dell’ attuale Oratorio S. Alberto e volgarmente appellato il Castellaccio , è basata alla altezza dal sottosuolo della Terramara di 4,% 70, nuisurava precisamente in lunghezza 2,” 39, in larghezza 4, 80, non compresovi lo spessore dei laterali muri. Delle quattro pa- reti la SS-E era completamente distrutta (Tav. V, fig. A}; la 00-S trovavasi pure quasi del tutto demolita, conservandosi soltanto aleune poche pietre all’ angolo N-0; ie altre due poi la (1) Eco delle Università. Anno 1, N. 10. — Modena, 1870. (2) Brignoli nella Geognosia degli Stati Estensi nota a pag. 166 di avere veduto nella Terramara di Corletto un pavimento a mosaico e lo dice indizio di qualche paese abitato. Ma forse avrà pure_quello servito a una Edicola sepolcrale. i 4 50 NN-O e la EE-N esistevano fino alla altezza di circa 0,% 75 ( Tav. V, Fig. B), costruite con frammenti di grossi mattoni, più spesso divisi trasversalmente nella loro lunghezza, onde il muro aveva lo spessore di 0, 25, affilato nella parte interna e disuguale, in particolar modo nei primi corsi ali’ esterno, il che dimostrava essere le fondamenta della medesima. Pacimento. = Il pavimento, la parte meglio conservata della Edicola sepolerale, si componeva di quattro ben di- stinti strati ( Tav. V, Fig. B, 4, 2, 3, 4). Il primo, il più infe- riore procedendo dal basso all’ alto, consiteva di ciottoli e di frammenti di grosso mattone romano, tutti posti verticalmente e senza essere cementati, dello spessore di 0, 10. Il secondo era costituito da un potente strato di cemento, che misurava in grossezza 0,m 43 composto con calce, piccoli ciottoli e mattone triturato, onde aveva un colore giallo-rossicio. Il terzo, che può dirsi il primo vero pavimento era formato con mattonelle chia- mate quadrilunghe, le quali poi unite a due a due per le loro testate compongono quel lavoro che gli Archeologi appellano Opus spicatum (Tav. V, Fig. A, c, d) in causa dell’ aspetto a spica che assumono nel loro assieme e che ben può vedersi nella indicata figura. Da ultimo il quarto o più superiore vero pavimento veniva composto da mattonelle dette esagone, mi- surava con il cemento e l’ altro sottostante Opus spicatum in ‘spessore 0," 46. Aveva poi un andamento a conca verso la parte approssimativamente mediana ove esisteva un bacino circolare ( Tav. V, Fig. B, f) largo 0.» 45 e profondo 0,m 42, grossolana- mente incavato in una pietra calcarea sabbionosa (Tav. V, Fig. A, f, B, f) di forma quadrato-prismatica larga in ambo i lati 0," 52 ed alta 0, 46, posio di qualche centimetro sotto al livello supe- riore del pavimento a mattonelle esagone, perchè il cavo circo- lare medio era contornato da un rialzo contro al quale poggia- vano le mattonelle, che coprivano anche i quattro angoli come si vede dalla precitata Fig. A, f. L’officio di questo bacino secondo il sig. Crespellani era quello di servire a sostenere verticale il grande vaso cinerario perchè quasi tutti sifatti vasi hanno un fondo accuminato. Tale bacino poi era collocato precisamente alla distanza di 1,% 00 dalla parete EE-N ( Tav. V, Fig. A), e 0,% 89 dalla opposta 00-S, essendo 0, 50 la larghezza del cavo del bacino con il cordore attor- niante; dalla parete SS-E 0, 07 e dall’ opposta NN-0, 0,» 60; da cui se ne deduce che la minore distanza del bacino verso i quattro angoli dell’edicola, era quella dell’angolo N-0, ove esisteva in posto 3 un pezzo di grossa pietra della lunghezza di 0, 285 e larghez- za 0, 225, dimensioni disposte secondo quelle della Edicola istessa (Tav. V, Fig. A, e) ed era posta più bussa dal livello superiore del pavimento tanto quanto lo era il bacino medio, e sotto la quale ne veniva un’ altra simile, onde ia tale situazione mancava non solo il pavimento ad esagoni, ma anche l'Opus spicatum, lo stesso che per il bacino. Del resto il pavimento è quasi conservato nelia sua totalità, meno nel punto a, b, Fig. A ove furono levate le mattonelle esagone, deposte nell’ angolo S-O e ciò forse nel tempo che avvenne Îa distruzione della sepolerale Edi- cola medesima. La rimanente parte c, d della stessa Fig. A ove pure vi mancono ie mattonelle esagone fu appositamente figurata così, per fare meglio vedere il lavoro dell’ Opus spicatum, che in realtà era del tutio coperto dal soprastante pavimento. Le mattonelle quadrilunghe misurano in largo 0, 04, in lungo 0,% 13 in alto è,» 04, notasi però che la larghezza e la lurghezza della faccia opposta cd inferiore è alquanto minore, per cui gli spigoli superiori dell’ una sì uniscono perfettamente a quelli dell’ altra attigua senza lasciare scorgere fra esse il ce- mento, Le esagonali poi sono larghe alla faccia superiore 0," 05 alla inferiore ed opposta 0,2 04 ed alte 0," 05, per la stessa ra- gione delle altre anche in queste i spigoli superiori si commet- tono perfettamente a quelli delie attornianti senza manifestarsi fra esse l’ infra e sottostante cemento. Contenuto. — Nell’ eseguire lo scavo entro l’area una volta compresa dalla edicola nella Terramara furono trovate alcune cose degne di speciale menzione. Primieramente alla profon- dità minore di un metro incontraronsi vari scheltri umani tutti sepolti regolarmente col teschio all’occaso e coi piedi al levante, in direzione normale al muro occidentale dell’ Oratorio, il Castel- laccio, ed in direzione obliqua alla sottostante Edicola; alcuni dei quali erano deposti con una parte del tronco entro lo spazio edi- colare e con l’altra parte fuori de! medesimo. Uno dei detti scheliri di età piuttosto giovine e di piccola statura, che era il più inferiore di tutti e di pochi centimetri elevato dal sottoposto pavimento delia Edicola, aveva una bottoniera di bottoncini sfe- rici peduncolati ed anellati, metallici e quasi direi di puro rame, ma essendo a sottilissima parete, perchè cavi, ed in cattivissimo stato di conservazione, ed essendo trasformati quasi totalmente in carbonato e solfato di rame, in oggi perciò non potrei del tutto accertare la loro natura. Le sferette hanno il diametro di 0, 008, 52 ed il peduncolo con l’ anello è lungo 0,» 006, ossia 0,m 003. pel peduncolo e 0, 003 per Ì’ anello. Questi bottoncini in numero di 22, almeno quelli che ho potuto raccogliere (mia coll. I. 37 ) nello scheltro, si erano portati a destra ed a sinistra del corpo delle vertebre in vicinanza de’ fori coniugati, ed uno trovavasi alla articolazione della mano destra che era ripiegata sul tronco. Presso ad un altro scheltro alquanto più alto posto in parte dentro ed in parte fuori dell’ area dell’ Edicola in vicinanza del- l'angolo N-O furono trovati due grandi anelli regolarmente cir- colari del diametro di 0," 045, costruiti con un cilindro com- presso grosso 0,» 005, — 0,” 006. Siffatti anelli sono per taluno indizio che quello scheltro avesse appartenuto ad un cavaliere. In questo caso però stante la posizione che occupavono in fvicinanza della cresta delle ossa iliache l’ uno a destra e l’ altro a sinistra, erederei che avessero piuttosto servito alla cinta dei vestimenti. (mia coll. I. 38). Altri due eguali furono trovati pochi giorni prima ai lati di un altro scheltro posto in vicinanza della Edicola [stessa (mia coll. I. 39). E forse saranno simili a quelli rinvenuti vari anni or sono dall’ Ec. sig. Dott. C. Boni (1) in analoga posizione ed unita ad una fibbia di ferro; il che conferma la mia idea di servire più facilmente alla cintura che a simbolo di cavaliere. Vengo ora ad indicare gli oggetti più interessanti realmente contenuti nell’ Edicola e posti immediatamente sotto al più in- feriore scheltro poc’ anzi menzionato, i quali erano vari fram- menti di embrici, di intonicatura, di grande vaso cinerario, uno di lucerna, due di ciotola o scodella e diversi altri più minuti spettanti a vasi differenti ed indeterminabili di forma. I vari frammenti più o meno grandi di embrici avevano spesso un colore rosso mattone vivo, ed erano tuiti confusa- mente rimescolati alla terra. In nessuno si potè osservare la marca del fabbricatore, o altra cosa speciale. I pezzi di intonicatura che con certa frequenza si incontrarono frammisti alle altre cose, più soventi rivolti con la loro faccia liscia al basso, avevano in questa faccia liscia un colore rosso vivo intenso, il quale però svaniva in parte collo stare esposto all’ aria e col lavaggio; lo spessore in alcuni pezzi giungeva per- fino a 0», 050. Avranno senza dubbio appartenuto all’ intonicatura (1) Boni. Notizia di alcuni oggetti trovati nelle terremare modenesi, Modena, 1865 pag. 12. 99 delle parti laterali della Edicola in altri tempi distutte, come ciò si rileva anche da quel poco che tuttora aderiva alla hase in- terna delle muraglie eziandio in posto. Due unici frammenti di vaso cinerario furono trovati, uno maggiore dell’ altro e dai quali soltanto si potè dedurre che esso cinerario doveva avere grandissime dimensioni. Il colore della terra era analogo a quello del grosso mattone romano e dell’'embrice, come anche la pasta della terra me- desima. Il frammento di lucerna fitile ci rappresenta circa la metà superiore sinistra del beccuccio, è di terra finissima di color rosso vivo minio (mia coll. V. 74); porta un tubercolo prismatico trian- golare inserito a poca distanza dal beccuccio medesimo, il quale ultimo è tronco. L’intera lucerna doveva esser larga approssi- mativamente 0», 070. Dei due avanzi di ciotola o scodella, V uno è di terra gial- licia e dal quale non si può dedurre la forma del vaso, perchè troppo piccolo, l’ altro invece è di terra rossa traente un poco al giallo, ed appartiene ad una scodella molto regolare (mia coll. V. 73) della larghezza di 0, 180 ed altezza 0", 072 di forma emisferica con 1’ area basale ben distinta, per un cercine alto 0», 040, e con il margine superiore ripiegato sopra se stesso sotto forma di cordone alto pure 0, 040 e grosso Om, 008. Gli altri frammenti di vasi sono più o meno sottili e piccoli di color ora rosso-oscuro ed ora nero, di terra ad elementi gros- solani, del tutto simili ai vasi sepolerali e cinerari trovati dal sig. Crespellani nei sepolereti di Savignano presso la sponda destra di Scoltenna o Panaro. Uno di tali frammenti sì all’ esterno che all’ interno è regolarmente con fine strie rigato, forse per il polimento datogli col mezzo del tornio, (mia coll. V. 76 a, b, ecc.). Il sig. Dott. C. Boni poi gentilmente mi trasmise una pic- cola moneta che mi disse dì avere trovata il giorno 4 nella terra smossa che era tuttora sul pavimento della Edicola. Sembra una moneta lucchese del secolo XIII, onde avrà forse appartenuto agli scheltri od ai ruderi del castello dei signori di Gorzano che esistette un tempo su la terramara. (mia coll. I. 40). Con ciò ho compiuto la narrazione e descrizione di tutto quello che di più interessante mi apparve nell’ eseguire il completo scavo entro la sepolerale romana Edicola; passo quindi alle con- clusioni e ad alcune osservazioni. da 54 Osservazioni e Conclusioni. — Il fatto inconcusso di tro- varsi gli scheltri umani sepolti superiormente alla Edicola romana «ed anzi quando questa era già sfata distrutta, perehè in parte erano deposti sopra gli avanzi delie pareti, sarà una prova ma- nifesta che tali scheltri non avranno appartenuto a popoli ante- riori ai Romani, ma posteriori ad essi, e quindi non saranno forse Liguri come pretende il prof. Canestrini nella sua seconda relazione sugli avanzi organici delle terremare modenesi (4). In prova che tali scheltri sono non solo posteriori ai Romani ma anzi recenti, debbo anche fare osservare, che vari anni or sono, fu trovato un piccolo seheliro coperto da un tegolo di at- tuale costruzione. inoltre la regolarità della deposizione non solo di quelli che erano compresi nell’ arca edicolare, come sopra dissi, ma anche di tutti gli altri che già da parcechi anni ho sempre potuto noiare, ciné col teschio a ponente e colle estre- mità addominali a levante, ec normali al lato ovest. dell’ attuale oratorio di S. Alberto, il Castellaccio, ( riduzione od. avanzo probabile deila antica Chiesa dedita allo stesso S. Alberto di Gorzano indicata dal Tiraboschi (2) e che dice essere stata distrutto, perchè le fondamenta della facciata del Castellaccio si continuano tuttora a ponente su la terramara e furono anche in partie demolite in questi ultimi anni) è, a io credere, un sicuro indizio di un continuato e stesso deposito; ossia tali scheliri appartengono al cimitero della sopra menzionata chiesa di S. Ai- berto, quando Gorzano era comune indipendente. 1.* La prima conclusione che si può dedurre dalla impor- tante scoperta della Ediecla sepolera'e romana riferibile agli scheltri si è, che questi non sono Liguri perchè posteriori ai Romani, ma recenti, e nulla altro indicano che il cimitero della antica Chiesa di S. Alberto da Gorzano. II° Questa località della Terramare fu sempre rispettata e sacra per gli antichi cristiani quale cimitero, ma anche pei Ro- mani, essendo dai medesimi destinata a contenere gli avanzi dei loro trapassati, in conferma di che stanno le edicole sepol- erali; perchè in oggi dalla scoperta dell’ una se ne può dedurre forse che eziandio altre ivi insistettero; poichè si osservano € si sono osservati dei vacui circa delle dimensioni stesse della (4) Canestrini. Annuario della Società dei Naturalisti in Modena. Anno I. pag. 94 e 1832. i (2) Tiraboschi. Dizionario Topografico-storico, pag. 538. 55 Edicola scoperta nel terreno soprastante alla marna ed in parte anche in questa, che in oggi sono riempiute di sassi è fram- menti di grossa romana pietra. Inoltre in diversi punti della Terramara si sono trovate altre mattonelle esagone e quadrilunghe; tubercoli basali di vasi cinerari; (mia coll. M. 45) e più poi un frammento di margine boccale di grandissimo vaso cinerario (mia coll. V. 75) trovato il giorno stesso 3 marzo della scoperta della Edicola a 5 o 6 metri di distanza dall’ angolo N-E di essa e prossimativamente alla medesima profondità del piano basale, ed era mischiato a molti altri tritumi specialmente di embrici, tutti posti sotto all’ interramento dei sopra menzionati scheltri (altra prova in conferma della non loro antichità); e quello che è più importante si è, che in un punto della piccola por- zione di parete laterale che fa seguito al margine istesso, bene si osserva fa metà della marca del fabbricatore ove si legge al rovescio L:SCRIP.... ossia Lucio Seriboni scritto con carattere mezzo arcaico, ed assomiglia ai vasi delle fabbriche romane dei dintornì dell’ Imolese dell’ epoca primordiale dell’ Impero Romano, (questi dati archeologici mi furono trasmessi dal sig. Crespel- lani). Tali lettere sono alte 0,©, 013 e comprese in una impres- sione rettangolare larga 0%, 019. L’ apertura del vaso doveva avere circa il diametro di 0», 660, ed il vaso era di forma molto ventricosa come ben si deduce dalla porzione di parete che ha lo spessore di 0", 50, e che è unita al margine stesso, il quale ultimo è largo 0”, 410 ed alto 0, 090 di forma quasi prisma- tico-triangolare con una delle faccie rivolte in alto ed approssi- mativamente orizzontale. III. Se da due popoli di religione diversa il Cristiano ed il Remano si conservò questo luogo per lo stesso officio, ossia di contenere gli avanzi dei trapassati, non se ne dovrà giustamente inferire che anche per le prime o prima gente abbia servito allo slesso scopo, secondo poi i diversi riti funerari! e che in parte la sottostante terramara non sia altro che avanzi di roghi o luogo di cremazione dei cadaveri, come giustamente pretese il mostro omai fu sommo archeologo il Cavedoni ne’ suoi Cenni Archeolo- gici intorno alle Terremare nostrane (4). (1) Cavedoni. Estratto del Vol. II. degli Atti e Memorie delle RR, De- putazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi. Mo- dena 1865. 56 Osservazioni sulla Terramara Quantunque non avessi mai voluto discendere a particolari su tale materia, perchè sempre convinto che non debba fare parte delle ricerche del naturalista, ma unicamente dell’ archeo- logo, non avendo la terramara una antichità geologica, ma solo una antichità storica; pure per seguire la voga de’ tempi, in cui ognuno vuole parlare di tutto, secondo il pensiero di Orazio: Tot capita, tot sententia; verrò qui ancora esponendo alcune osservazioni in conferma della terza conclusione ed altre ancora più special- mente in contraddizione ad ammettere la palafitta; osservazioni dedotte dalla realtà dei fatti e non dallo studio degli autori sì antichi che moderni; perchè nè tempo nè voglia fu in me di occuparmi dei medesimi, essendo estranea, come dissi, la terra- mara alle ricerche del geologo. Che i Romani abbiano avuto parte alla formazione del de- posito mariero si può dedurre non solo dalla edicola sepolcrale, ma anche da altri fatti, che or qui seguiranno, Nel febbraio dell’ anno in corso fu trovata, a metà circa dell’ altezza della intiera terramara, in vicinanza di uno di quei vacui sopra indicati, riempiuti di sassi e frammenti di grande mattone nel lato ovest della medesima, una moneta di bronzo spettante all’ imperatore Massimino Pio, che regnò negli anni dell’ Era nostra 235-288 (mia coll. I. 34) ed è la prima almeno di data certa trovata nella vera terramara di Gorzano, mentre in quella del Montale sono assai più frequenti. - Non è a credersi che il popolo romano abbia dato luogo alla formazione dei soli strati superiori della terramara, come la edicola e la moneta lo dimostrano, ma anche degli altri più in- feriori, e forse di tutti. Una prova abbastanza convincente (a mio giudizio almeno) è il fatto di avere osservato in quei 0g- getti da taluno impropriamente denominati pesi da telai (2), segni speciali rappresentanti le lettere I ed X, ossia i numeri uno e dieci secondo il: carattere romano; segni numerici che sì vedono più specialmente nella parte inferiore di quei pesi che hanno una (2) Canestrini. Prima relazione. Avanzi d’ arte. Oggetti delle terremari modenesi. Modena 1865 pag. 18. 97 forma conica o piramidale, non sono però esclusi anche quelli a forma cilindrica. Ed io ne possiedo due uno conico ( mia. coll. P. 13) con quattro I su la base, ed uno cilindrico (mia coll. P. 20) con gli stessi quattro I su un punto della sua superficie convessa dai quali appunto ne dedussi rappresentare realmente tali segni dei numeri, perchè quantunque essi siano di forma di- versa, hanno tuttavia lo stesso peso di 680 grammi. Imper- tanto ammesso che siffatti segni indichino realmente dei nu- meri romani, ne viene la legittima conseguenza che i numeri non saranno esistiti prima del pepolo romano, ma contempora- neamente al medesimo; e siccome tali pesi si trovano dispersi ovunque nella terramara ed anche nel fondo della stessa, così ne discende l’ altra conseguenza che il deposito mariero fu in gran parte almeno, se non in tutto, opera del popolo romano. Aggiunsi l espressione se non in tutto, perchè realmente fu rinvenuta nel febbraio di questo istesso ann» un’ arma celto- gallica (mia coll. I, 36) alla altezza di circa soli 0», 040 dal sottosuolo ossia nel più profondo strato della terramara, senza che questa dimostrasse di essere stata alterata nella sua dispo- sizione originaria; dal qual fatto se ne potrebbe inferire che anche i Galli-celtici avessero avuto parte alla prima formazione del deposito mariero. Siccome però simili arme sono assai rare a ritrovarsi, onde sembrano del tutto accidentali, così può darsi che vi siano unicamente perchè trovate o possedute da qualche romano. Poichè, da quello che è a me noto, un’altra sola ed in cattivissimo stato di conservazione fu rinvenuta nella terramara di Gorzano, (che omai volge verso il suo termine), ed ora fa parte della collezione del sig. Dott. Boni. Onde anche questo fatto non potrebbe togliere l’ idea che il deposito stesso fosse del tutto romano. L'idea da taluno emessa della palizzata, come sostegno delle abitazioni lacustri di fantastiche antiche genti, la giudico del lutto insussistente per le ragioni che qui vengo ora brevemente accennando: l.° Il sottosuolo della terramara è in parte più elevato, co- stituendo quasi un fianco di un piccolo monticello, ed in parte se vogliamo forse allo stesso livello e non mai inferiore a quello della circonvicina campagna; onde il deposito mariero resta to- talmente più elevato della medesima e quindi non si sarà potuto fermare entro un bacino di acqua, molto più se a ciò s’ aggiunge eziandio questo altro fatio. 5 58 Il:° L’ arginatura che in oggi circonda la terramara per un’ altezza in media di tre metri, primieramente si compone in gran parte di ghiaia e sabbia e non già di terra, la quale od è del tutto mancante od è in debole quantità rappresentata, e quindi l’ argine era incapace di contenere fra esso racchiuso un lago di acqua della larghezza di circa 100 metri; seconda- riamente poi, non è sempre la terramara che si adossa all’ argine, come avrebbe dovuto sicuramente accadere se questo fosse stato formato prima di quella (indispensabile cosa secondo 1° idea della palafitta per l’esistenza del lago), ma è l’argine che talora si adossa alla terramara trovandosi questa sotto al primo con un pendio più o meno inclinato; per cui l’argine è in parte indubitamente di posteriore formazione. Forse fu fatto allorchè si circondò di fossa la terramara istessa, quando vi fu eretto sopra il castello dei si- gnori di Gorzano per colmare e rendere più ampia quella ele- vata area. IlI.® L’ orizzontalità, carattere distintivo di qualsiasi deposito acqueo non sì osserva in questa terramara, perchè i suoì strati, se pure così si possono chiamare, sono interrotti, inclinati ed incurvati in tutti i sensi, come se fossero stati formati da tanti piccoli e successivi cumuli di materia (l’ avanzo di ogni rogo). Inoltre la totale deficenza della mara in un punto centrale che da due anni in poi va sempre più manifestandosi, dimostra che formava due distinti depositi uniti al lato nord, disgiunti a mezzo giorno lasciando un vacuo, che fu poi colmato in epoca posteriore con diverso terreno, jgiacchè anche questo si adossa alle due sponde inclinate della inara sottostante. IV.° Il fatto di trovare più sovente al fondo della terramara cocci di vaso ridotti in un particolare stato per intensa fusione (cosa non probabile e forse anche impossibile nei domestici ordinari focolari), trasformati cioè in sostanza vetrosa e spugnosa, che è specificamente più leggiera dell’ acqua, galleggiando su essa, avvalora la mia asserzione; perocehè st può domandare come adun- que non hanno formato strati superiori agli altri e si trovano più spesso confusamente mescolati al vero fondo della terramara? Così dicasi di molte altre sostanze, che per il loro lieve peso specifico, quali i carboni, le ceneri, i frammenti di iegno ece., avrebbero dovuto costituire distinti, continui ed orizzontali su'ail, secondo la diversa gravità loro, se fossero state gettate in un bacino di acqua, e non si dovrebbero trovare, come di fatto si osservano, tutte LI rimescolate e confuse a corpi la cui gravità è molto varia, 59 V.° I pali che realmente si sono scoperti non potevano ser- vire a palafitta a motivo della grande distanza di un palo dal- l’altro, della direzione più di sovente inelinata e non verticale, dell’ altezza e grossezza sempre piccola, e della qualità dei pali ì quali più spesso non cran altro che sottili branche di rami d’ albero inclinate ed incurvate in tutti i sensi; e poi non rare volte si sono osservati questi pali nell’ estremo loro inferiore li- bero dal sottosuolo intonicato da terra che si era poscia resa con l’azione del fuoco cellulosa e veirigna. Dissi terra perchè questa doveva essere stata posta attorno al palo allo stato pastoso, adattandosi perfettamente ad esso, poichè nella superficie che ri- guardava il palo si vedono le iimpronte del legno. Dal quale fatto si può forse inferire che i focolari si tenevano immediatamente sopra al sottosuolo della terramara; come anche in conferma di ciò sta | altra osservazione di trovarsi spessissimo i cocci tra- sformati dal fuoco posti quasi a strati continui sopra il sottosuolo medesimo. Forse si potrà quindi eziandio supporre, che tali pali, servissero unicamente a sostegno delle cataste di legna dei roghi, e si intonicassero di terra, perchè avessero essi resistito di più al fuoco che la legna della catasta, sia per Inanteneria ordinata, ossia per altri pesi scopi. Da ultimo la mancanza totale di legni trasversali e di assito, non sarà certamente una prova della palafitta medesima !. Passando dall’ abitabile ai pretesi pigmei abitatori delle pa- lafitte, debbo fare osservare alcune altre cose più specialmente relative ai microchiri. Se dal fatto delle impugnature si potesse veramente dedurre la statura delle genti alle quali esse impugnature servivano, come alcuni vollero (41), dirò che non solo gli abitatori, o meglio i formatori del deposito mariero potrebbero mierochiri, ma anche macrochiri. Valgono a mia prova i seguenti fatti. Conservo un manico (mia coll. I. 27) formato in un pezzo di corno di cervo, scoperto nel gennaio p. p., della lunghezza 02, 210 e grossezza in diametro (non circonferenza ) varia da 0, 045 e 0», 050 e del peso di circa 400 grammi, senza l'arma od istrumento, nel quale indubitatamente doveva inserirsi nel foro, che esiste ad uno de’ suoi estremi. Sarà questo bene adatto all'idea di soli microchiri? (1) Canestrini. Seconda Relazione - Ann. della Soc. dei Nat. Anno I, pag. 95. 60 Sovente osservansi corni di cervo di ragguardevoli dimen- sioni, nei quali sono stati asportati, sia per troncatura, sia ‘per deciso taglio, tutti i palchi secondari meno il primo, che ha la sua immediata origine in vicinanza della radice; tali corni furono le- vigati, od almeno in parte tolte le rugosità che esistono sopra. la radice istessa, per essere forse meglio brancati in quella po- sizione il cui diametro talvolta supera eziandio quello del sopra ‘ riferito manico, e così servire a qualche uso speciale. Inoltre le dimensioni delle macine a mano (molae trasa- tiles Cav. (4)), che non raramente incontransi nell’ acerno mariero, saranne una conferma dei microchiri ? ! Molti allti fatti potrei addurre in conferma del mio. asserto, i quali si trovano indicati e descritti nelli@ mia Monografia ed Iconografia della Terramara di Gorzano (2), ma per concludere sarà meglio e più giusto il dire che come oggi esistono fra un medesimo popolo uomini grandi e piccoli, così sarà stata la stessa cosa per quello formatore della Terram®Yg. Che i pretesi microchiri siano in rapporto eziandio colla statura piccola degli altri animali specialmente domestici, debbo a tale riguardo notare che se realmente molti degli animali do- mestici dell’acervo mariero erano piccoli, ciò per molti dipende dall’ essere stati giovani, poichè |’ osservazione osteologica ce lo dimostra, trovandosi cioè sovente le epifesi staccate ‘dalle diafisi, e così gli altri punti osteogenici secondari dai primari. Il fatto poi di trovare le ossa lunghe divise in due parti (8) secondo la loro lunghezza, è forse da attribuirsi anche questo alla età giovanile dell’animale e non alla mano dell’uomo per estrarvi il midollo, perchè allora non sì sarebbe curato di de- porre nel terreno le due parti attigue luna all’ altra come se fossero tuttora naturalmente unite, cosa che ognuno può osser- vare quando attenda allo scavo della mara. E poi questo fatto avviene più specialmente dopochè le ossa estratte dalla terre- mara vengono esposte all’ acqua ed al sole. Se negli animali selvaggi vediamo la statura più variabile, può questo dipendere, senza supporre che vi fosse stata qualche legge in proposito la quale stabilisse il limite dell’ età degii ani- (1) Cavedoni. Appendice ai Cenni archeologici intorno alle Terremare nostrane. Nota a pag. 2. (2) Lavoro finora inedito e che contiene 50 tavole egregiamente de- lineate al vero dal mio fratello Ing. Dott. Giovanni. i (3) Canestrini. Ann. della Soc. dei Nat. Anno I. pag. 151. 61 mali che dovevano servire alle cene funebri o ad altri simili sacrifizi, dal gusto per gli animali giovani, come si potrebbe dedurre dal fatto degli animali domestici, o perchè quella gente usava qualsiasi prodotto della sua caccia, o perchè era forse inetta a conoscere l’ età dell’ animale preso, cosa più fa- cile per gli animali domestici, essendo ad essa nota l’ epoca della nascita. | Le ossa ed altre sostanze abbrucciate non debbono essere escluse dai prodotti del deposito mariero, come taluno vuole (4), ed io ne posseggo varie, e fra le altre noto specialmente i mozzi delle rotole degli aghi crinali di corno di cervo, che qual- che volta hanno perfino il loro foro riempiuto di una sostanza speciale, che si è immedesimata con quella della rotola istessa ( mia colì. |. 28). , Essendo entrato a parlare delle rotule e quindi dei verticilli, che si confondono spesso insieme, noterò che la quantità sicaramente grandissima di questi, (poichè nei tre ultimi anni ne ho potato avere da 250 dalla sola terramara sparsa nei pochi prati di Gorzano, senza quelli dell’ altra massima parte che è asportata da detto paese, onde si può senza fallo ammettere che arrivino a parecchie centinaia all’ anno se tutti fossero raccolti e pervenissero ad una medesima collezione) ed il diverso stato di loro cottura e talvolta fusione fino a perdere o scancellare in gran parte originaria loro forma, è una prova di rapporto della grande quantità dei cadaveri combusti. La deformazione di essi verticilli è provenuta dall’ intenso calore del rogo, mentre ornarono il ca- davere abbrucciante, e a seconda che si staccarono da questo e si allontanavano più o eno dal centro del fuoco ne è ap- punto avvenuto il diverso stato di loro cottura. E da ciò anché una ragione della quantità del deposito mariero originato dagli’ avanzi de’ roghi. Come spiegare la sì grande quantità di verticilli e la loro diversa deformazione colla idea della palafitta?, giacchè per essa poca gente contemporanea avrebbe potuto abitare in sì ristretto luogo. Mentre invece |’ abitazione romana mostrasi ovunque con i suoi ruderi sia a levante che a ponente, sia a mezzo- giorno che a settentrione dell’ acervo mariero per |’ estensione di qualche chilometro; ruderi che l agricoltore mette a scoperto ogni qual volta coll’aratro si affonda alquanto di più del consueto. (1) Canestrini. Ann. della Soc. dei Nat. Anno I. pag. 151. 62 Se la Terramara fu il luogo di deposizione e cremazione dei cadaveri del popolo romano, quando era civile e colto come i fatti sopra esposti lo mettono in evidenza, perchè non potrà essere stato luogo per lo stesso ufficio anche quando Ja stessa gente romana era incolta e semibarbara? Unicamente da ciò dipende l’ incertezza della origine di questi depositi. Finalmente noterò che tutte le osservazioni e conclusioni sopra esposte intendo soltanto dirette alla Terramara di Gorzano e non alle altre; quantunque forse per analogia di deposito si- mili osservazioni e deduzioni si potessero pure fare circa le al- tre del modenese, qualora si attendesse a lungo e più accurata- mente agli scavi raccogliendo tutto quanto sì presenta. Vado persuaso che queste mie osservavazioni non riusciranno affatto infruttuose, benchè dettate dalla mano di un giovine na- turalista e non da un erudito archeologo. ea CVA e: — ana ENUMERAZIONE DEI PESCI Dadiba LAGUNE 3 GOdFO DI VUadua CON NOTE PER 1L DOTT. ALESSANDRO NINNI ee ID frequenti escursioni da me fatte nelle venete lagune, e le assidue e quasi giornaliere visite praticate nelle pubbliche pescherie di Venezia, mi permisero di radunare un numero no- tevole di animali marini, fra i quali primeggia una raccolta It- tiologica dell’ Adriatico. Sebbene le ricchezze del nostro mare sieno state da lungo tempo e con sommo profitto studiate dall’ Illustre mio amico Dott. Gio: Dom. Nardo pure con le più recenti e pazienti mie indagini potei farmi possessore di parrecchie. specie per lo in- nanzi non note come proprie dei nostri paraggi, ed acquistare in pari tempo molte notizie risguardanti i costumi dei pesci nostrali. Dal confronto di questa Enumerazione coi Prospetti offertici dal Dott. Nardo sino dal 4860, si vedrà come molte specie che figurano nel lavoro del Nardo non abbiano posto nel presente mio elenco. Da ciò non si deduca ch’ io non riconosca la bontà specifica delle speeie del Nardo, ma dovendo egli pub- blicore la seconda parte dei suoi Prospetti, mi sembrò miglior cosa di.lasciare a Lui stesso ia cura di offrire di diligenti sue osservazioni e le diagnosi delle nuove specie. Oltre ì lavori del Nardo, e quelli meno recenti del Chiere- ghini, del Naccari, del Martens e di altri, potei con sommo profitio consultare le varie memorie del Prof. Canestrini intorno ad alcune famiglie di pesci, lavori cotesti troppo noti perch’ io abbia qui a tenerne parola. In base adunque degli or accenati studi, nonchè di preziose notizie avute dal chiarissimo amico mio Prof. Stalio, posso fin 64 d’ ora presentare questa Enumerazione la quale comprende tntte o quasi tutte le specie sino ad ora raccolte tra noi. Il metodo da me seguito è quello del Bonaparte. La mag- gior parte delle notizie spettanti alle singole specie son dedotte dalle mie pratiche osservazioni; ed i nomi volgari veneti sono quasi senza eccezione, quali li udii più: e più volte dalla bocca stessa dei pescatori, coi quali, come dissi, per le mie continue escursioni sono in frequenti rapporti. BHegque ll Enumerazione Si Sì (©r) Numero progressivo sO a 0 > NOME SCIENTIFICO Nome volgare veneziano Cephaloptera Giorna, Ris. Rhinoptera marginata, Mill. et Henle. Myliobatis aquila, Bp. « nociula, Bp. Pteropiatea altavela, M. et H. Trygon brucco, Bp. “ pastinaca, Ad. « thalassia, Column. Batis radula, Bp. Dasybatis clavata, Blv. “ asterias, Bp. « fullonica, Bp. Laeviraja oxyrbynchus, Bp. « macrorynchus, Bp. Raia marginata, Lacep. « miraletus, L. Torpedo narce, Cuv. “ Galvani, Bp. c nobiliana, Bp. Squatina angelus, Dum. « oculata, Bp. Acanthias vulgaris, Bp. c Blainvillei, Riss. Spinax niger, Bp. Centrina Salviani, Ris. Hexanchus griseus, Cuv. Heptanchus cinereus, Raf. Odontaspis ferox, Ag. Selache maxima, M. et H. Carcharodon lamia, Bp. Oxyrrhina Spallanzanii, Bp. Lamna cornubica, Cuv. Alopias vulpes, Bp. Sphyrne zygaena, Raf. Squalus glaucus, L. “ Milbertii, Bp. Galeus canis, Bp. Mustelus equestris, Bp. “ plebeius, Bp. Scyllium stellare, Bp. « canicula, Cuv. Pristiurus melanostomus, Bp. i Colombo-Vescovo il My Colombo Mattana idem Raza spinosa Raseta, Baracola idem Bavoso idem Baracolèta Quattrocchi Tremolo occià Pesce tremolo Pesce tremolo grando Squalena Sagrin Asià idem Pesce porco Cagnia o Can idem Cagnia o Can da denti Cagnia idem idem idem Pesce bandiera Pesce martello Can, Can turchin Cagnia Can da denti Cagneto idem Gatta idem o abita solo il mare n i Abita solo il mare. idem idem idem idem idem idem ' Abita solo il mare idem idem idem idem idem idem idem idem idem idein idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem » Mare e lagun Abita il mare idem idem idem idem idem Se entra nella laguna fr n Mesi nei quali | se ricercato più abbonda Tutto l’anno idem idem idem idem idem idem idem idem idem Estate — Tutto l’ anno idem idem Estate Coni - —_ De esi — _— Estate Tutto |’ anno idem idem Abbonda nell’ estate idem come cibo Abbast. ricerc. idem idem idem Non ricercato idem idem idem idem Poco ricercato idem idem idem idem idem idem idem idem Ricercato idem Non si mangia Poco ricercato idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem a 67 Rarità o frequenza Rarissimo idem Comune idera Rarissimo Raro Frequente idem Rarissimo Frequente idem idem idem idem idem idem Raro Comune Raro molto Frequente idem idem Raro Rarissimo Piuttosto raro | Raro idem Poco frequente Raro molto idem idem | Raro | Frequente Si (e.°) Numero progressivo _—r—————n___—_—t rr == NOME SCIENTIFICO Acipenser sturio, Lin. “ Naccarii, Bp. a Nardoi, Heck « Haeckelii, Fitz. « buso, L. Argentina sphyraena, L. Cyprinodon calaritanus, C. V. Chondrostoma soetta, Bp. Clupea sardina, Cuv. « —phalerica, Rond. Alosa finta, Cuv. Engraulis encrasicolus, Bp. Saurus griseus, Low. Anguilla vulgaris, Cuv. Conger vulgaris, Cuv. « niger, Ris. Pi myrus, Ris. Ophisurus serpens, Lacep. Muraena 6 unicolor, Del. « helena, L. Sphagebranchus imberbis, Del. Ammodytes tobianus, L. Fierasfer acus, Brin. Ophidium Vassalii, Ris. « barbatum, L. Phycis tinca, Sch. Motella mediterranea, Bp. « fusca, Sv. Merlucius esculentus, Ris. Merlangus vernalis, Ris. Gadus minutus, L. Pleuronectes Grhomanni, Bp. a arnoglossus, Bp. « macrolepidotus, BI. Platessa passer, Bp. Scophtalmus unimaculatus, Bp. Rbhombus maximus, Cuv. « laevis, L. Solea Mangilii, Bp. « lutea, Ris. a Kleinii, Bp. « lascaris, Risso Nome volgare | veneziano Sturion Còpese idem Còpese Ladano Arzentin Nono Soetta Sardella Papalina Ciepa Sardon Bisatto Grongo idem idem Morena idem Galiotto idem idem Pesce sorze idem Lovo Molo da parangal Molo Pataraccia idem idem Passarin-Passara Rombetto de grotta Rombo Soazo Sfogieto idem Sfogio turco Sfogio dal poro ‘Se entra nella laguna pabita solo il mare Rimonta i fiumi idem idem e” Rimonta i fiumi idem Abita il mare Vive in laguna Mare e fiumi Predilige il mare idem Mare e laguna Predilige il mare Mare Mare e laguna Mare idem idem idem idem idem idem idem idem idem ‘idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Mare e laguna Mare Mare e laguna idem Mare idem idem idem Mesi nei quali più abbonda Se ricercato come cibo Tutto | anno idem Tutto | anno Ricercato idem idem Ricercato idem Poco ricercato Non si mangia Cibo popolare Da Maggio a tutto Ot.Ricercatissimo idem Primavera-Estate Ricercato Poco stimato Da Maggio a tutto Ou.|Ricereatissimo Tutto | anno Autunno idem idem Tutto ! anno idem Estate idem idem Inverao Luglio e Settembre idem Tutto ! anno idem idem idem idem idem idem idem idem idem Ricercatissimo Poco stimato idem idem Poco stimato idem idem Poco stimato idem Cibo popolare idem idem idem idem idem Ricercato Poco ricercato Ricercatissimo idem Cibo popolare idem Poco ricercato Ricercato Rarità o frequenza _ ——@—- Frequente idem Piuttosto raro Raro molto? Poco comune Frequente Comunissimo | Molto frequente| Frequente idem idem idem Rarissimo | Frequentissimo) idem Raro. molto idem idem idem Rarissimo | Poco comune | idem Comune Raro Comune | Poco frequentel Comune Frequente idem idem | idem (Poco frequente] Frequentissimo] Poco frequentej Frequente idem (Povo frequente n Frequente idem 70 progressivo NOME SCIENTIFICO Solea oculata, Risso. «vulgaris, Cuv. «a monochir, Bp- Plagiusa lactea, Bp. Smaris vulgaris, C. V. « alcedo, Cuv. chryselis, Cuv. CI mauril, Bp. « zebra, Brun. « Jusculum, Cuv. È maena. Oblada melanura Cuv. Box salpa Cuv. « boops, Bp, Cantharus lineatus, Mont. « brama, Cuv. « orbicularis, Cuv. Dentex vulgaris, Cuv. Pagellus mormyrus, Cuv. « bogaraveo, Cuv. c erythrinus, Cuv. Pagrus vulgaris, Cuv. Sparus aurata, L. Charax puntazzo, Cuv. Sargus Rondeletii, Cuv. « « Salviani, Cuv. « annularis, Cuv. Umbrina cirrosa, Ris. Corvina nigra, Cuv. Labrax lupus, Cuv. Apogon imberbis, L. Serranus scriba, Cuv. « cabrilla, Cuv. « hepatus, Cuv. « gigas, Bp- Polyprion cernium, Val. Uranoscopus seaber, L. Trachinus draco, L. DI araneus, Risso. “ radiatus, Cuv. « vipera, Cuv. Sphyraena spet, Lac. i Branzin, Baicolo, (giov. Nome volgare veneziano — Sfogio I Sfogieto peloso | Garizzo o Menola Garizzo o Menola idem Menola Menola schiava Menola idem Ociada Boba idem Ociada Ociada Dental Pesce mormora Arboro Sparo d’ Istria Oràda Sargo d’ Istria Sparo idem idem Corbeto, Corbo Ombrela Sperga o Donzela idem Sacchetto Tenca de mar Bocca in cao Ragno o Varagno idem idem Varagnola Luzzo de mar ‘o abita sole il mare Se entra nella laguna | Mesi nei quali più abbonda Se ricercato come cibo Mare c laguna Mare idem idem idem idem idem idem idem Mare e Porti Mare idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Mare e laguna Î Mare idem idem idem Mare e laguna Mare Mare e laguna Mare idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Tutto |’ anno idem Tutto |’ anno Tutto | anno idem idem Più comune nell’estate Tutto l anno Autunno ed inverno idem Tutto | anno idem Autunno Estate Tutto |’ anno idem idem eri Autunno inverno Primavera cd estate idem Tutto | anuo Tutto l’anno idem idem Tutto |’ anno idem idem idein - Estate Ricercatissimo Cibo popolare Cibo popolare Poco ricercato idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Ricercatissimo Cibo popolare Poco ricercato Ricercato Poco ricercato idem idem idem Ricercato idem idem Cibo popolare; idem idem idem idem idem idem idem _ Rarità o frequenza Rarissimo Frequente Poco frequente Raro Frequente Frequente idem idem idem idem idem idem idem idem idem ; Piuttosto raro! Frequente idem Raro Poco comune } Frequente | Poco frecquente] Frequente | Poco frequentei Frequente | Poco frequente! Frequente | idem idem idem Rarissimo Comune idem idem Raro idem Comune idem Poco comune È idem Piuttosto Raro raro ue—_——r——m—o@@@@@@@6’_o&@@—tt@@Tt@@u@——tm@@——T—@—_—iIacrrrer’oo’rrrrPmT—Tt—P6—m—mo EC ri rettori bra seni Numero progressivo | _, —Il » 4165 166 167 168 NOME SCIENTIFICO Atherina hepsetus, L. « Boyeri, Risso. « mochon, Cuv. Mugil cephalus, Cuv. a capito, Cuv. « auratus, Cuv. « saliens, Risso « chelo, Cuv. Mullus surmuletus, L. « barbatus, L. Trigla lineata, L. « cuculus, L « corax, Bp. « aspera, Viviani a milvus, Bp. « gurnardus, L. e lyra, L. Peristedion cataphractum, Lac. Dactyloptera volitans, Cuv. Sebastes imperialis, Cuv. Scorpaena porcus, L. IC scrofa, L. Gobius jozo, L. « niger, L. « geniporus, C. V. « cruentatus, G. « — quadrimaculatus, C. V. « zebrus, Risso « auratus, Risso a minutus, Penn. « parvus, Nardo. c albus, L. « capito, Cuv. « —limbatus, Cuv. « —paganellus, L. « ruthensparfi, Euph. « —venetiarum, Nardo. « —Panizzae, Verga Brachyochirus apbya, Bp- Gouania prototypus, Nardo Lepadogaster gouanii, Lac. a acutus, Canestr. Nome volgare veneziano _ Anguela agonada Anguela Anguela Volpina Caustelo Dotregàn Verzelata Bosega Tria Barbon Musoduro, Anzoleto Anzoleto Lucerna Turchello insaguinà Anzoleto idem Anzoleto della Madonna Pesce barbastrilo Scarpena Scarpena rossa Paganello de mar idem Marsion Paganello insanguinà Marsion idem idem idem idem idem Gò de mar Paganello Paganello de Porto — Paganello ! Gò Marsion Fesce ranin idem idem | abita solo il mare Mare Mare e laguna idem Mare e laguna idem idem idem idem idem idem Mare | idem i Entra anche in laguna | Mare idem idem idem idem idem Mare idem idem Mare e Port Mare idem idem Mare e Porti Mare idem idem Mare e laguna Mare idem idem Mare e laguna Mare Mare e laguna idem Mare idem idem idem rem Mesi nei quali più abbonda idem Tutto | anno Tutto | anno idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Tutto l’ anno idem Tutto l’ anno idem idem i Se ricercato 79 Rarità come cibo | o frequenza | Cibo popolare idem idem Ricercato idem idem idem idem Ricercatissimo Ricercato Cibo popolare idem Poco ricercato idem idem idem idem Non si mangia Buono Poco ricercato idem Ricercato idem idem idem idem Ricercato idem idem Buono Non ricercato idem idem Comune Poco comune Comunissimo Comune idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Rara idem idem idem Rarissimo Comune idem idem Raro idem Comune idem Rarissimo Poco comune Frequente idem Frequente Raro Frequentissimo Frequente Raro Poco comune Numero | Do) 205 206 207 208 209 240 | NOME SCIENTIFICO Mirholia Desfontainii, Risso. Echeneis remora, L. Blennius gattorugine, L. « tentacularis, Brun c palmicornis, Cuv. a ocellaris, L. “ sphinx, C. V. « galerita, Bp. “ pavo, Bp. Tripterygion nasus, Ris. Clinus variabilis, Bp. Callionymus lyra, L. « maculatus, Raf. « morrissonii, Risso « belennus, Risso « dracunculus, (RE Lophius piscatorius, L. budegassa, Spin. Capros aper, Lacep. Centriscus scolopax, L. Gasterosteus brachycentrus, C. V. Naucrates ductor, Raf. Lichia amia, Cuv. « glaucus, Cuv. «.vadigo, Cuv. Micropteryx, Dumerilii, Ag. Scomber scombrus, L c colias, Cuv. Auxis rochei, Risso. Thynnus vulgaris, Cuv. c thunnina, Cuv. “ alalonga, Cuv. c pelamys, Cuv. Pelamys sarda, Cuv. Caranx trachurus. Lac. Zeus faber, L. Brama Rayi, Schn. SIEGIAtEnS fiatola, L. microchirus, Bonelli (gle imperialis, Raf. Coryphaena hippurus, L. Centrolophus pompilus, Cuv. Nome volgare O veneziano Pesce ranin Gatisiozola idem Gattarozola Gattarosola dall’ occial Gattarosola colla cresta idem DOGE: Lodi _a | Pesce rospo idem Galinazza Spinarelo Fanfano Lizza Lizza bastarda idem )l Sgombro, Coltano (giov Lanzardo Tambarello Ton Carcàna Tonina da Dalmazia Palamida Suro S. Piero Ociada bastarda Pesce figa idem Fanfano 75 ‘Se entra nella laguna Mesi nei quali Se ricercato | Rarità o abita solo il mare più abbonda | come cibo | o frequenza —___— Mare = | Non ricercato | Poco comune idem _ idem Rarissimo Mare e laguna Tutto |’ anno — Frequente idem idem idem idem Mare —_ idem Poco comune Mare e laguna Tutto |’ anno Poco ricercato] Comune Mare —_ — Raro, molto idem Estate idem idem Mare e laguna idem idem —_ idem — — Raro = — _ idem idem — Poco ricercato idem idem Tutto |’ anno idem Comune idem — idem Raro idem Tutto l anno idem Comune - — _ Rarissimo idem idem Ricercato Comune idem idem idem idem idem - — Rarissimo idem _ Non si mangia Raro Laguna idem Non ricercato Comune Mare e laguna Estate ed Autunno |Poco ricercato| Poco comune idem idem Ricercatissimo Comune idem idem idem Raro ideni idem idem idem Mare — _ Raro Mare e laguna Da Maggio a tutto Sett.|Ricercatissimo Comune Mare i detto anche l’ inverno idem idem idem — Ricercato Poco comune idem — Ricercatissimo } Frequente idem _ idem idem idem = idem Rarissimo idem _ idem Frequente idem — idem ‘idem idem — Poco stimato idem idem Tutto | anno Buono idem idem _ _ Rarissimo idem Estate ed Autunno | Non ricercato Comune idem idem idem idem ideni _ | Rarissimo idem Estate cal autunno — Raro idem idem _ | idem Numero rogressivo NOME SCIENTIFICO Lepidopus caudatus, Euph. Thrichiurus lepturus, Trachypterus taenia, Schn. « repandus, Costa Cepola rubescens, L Xiphias gladius, L. Tetrapturus belone, Raf. Scombresox Rondeletii, C. V. Belone { vulgaris, C. V. acus, Risso Exocetus volitans, L. Heliases chromis, i mixtus, Arted. Labrus carneus, As. c turdus, L. « festivus, Risso « merula, L. « Crenilabrus mediterraneus, L. « pavo, V « ocellatus V. « tinca V. « massa, Risso @ 3 couae, V. « Roissalii, Ris. Acantholabrus Pallonii, V. Coricus rostratus, V ._ 6 Julis, Gun. Goris lodi Bisso, Julis pavo, G. V Mola aspera, Bp. - Orthragoriscus Planci, Bp. Balistes capriscus, L Hippocampus brevirostris, Cuv. @ guttulatus, Cuv. Siphostoma acus, Bp. « tiphle, Bp. « viridis, Raf. a rubescens, Bp. « abaster, Bp. a ferruginea, Bp. « Agassizii, Bp. & fasciatus, Ris. Nome volgare veneziano Arzentin —_ Pesce cordéla Pesce spada —_ Angusigola idem Pesce barbastrilo Favareto Donzela o Papagà idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem idem Pesce spuzza Papagà Donzela, Papagà idem idem - Pesce rioda Rioda liscia Pesce barlestra Caval marin idem Pesce agoo Angusiola salvadega, 0 Bisato marin idem idem idem idem idem Se entra nella laguna o abita solo il mare nn Mare idem Mare e laguna Mare idem idem idem idem Mare e laguna idem Mare idem idem idem idem. idem idem idem idem idem idem idem idem Mare e laguna Mare idem I idem I idem idem Mare e laguna Mare idem Mare e laguna idem | idem | Mare I idem idem Mare e laguna Mare Mare e laguna Mare Mesi nei quali più abbonda Tutto |’ anno Estate Luglio a tutto Sett. Estate Tutto l’anno idem idem idem idem idem Estate idem idem idem idem Estate Tutto | anno idem idem idem Estate ed autunno idem Estate idem idem idem idem idem idem idem idem idem Se ricercato come cibo Rarità o frequenza Non si mangia Raro _ Rarissimo — ! Frequente —_ Raro molto Non ricercato | Frequente Buono Poco comune _ Rarissimo — idem Ricercato [Poco frequente idem Frequentissimo —_ Raro Poco ricercato] Frequente idem Raro idem idem idem Poco frequente idem Raro idem Poco frequente idem Frequente idem idem idem Raro idem idem idem Frequentissimo idem idem idem Poco frequente idem Frequente idem idem idem idem idem Piuttosto raro idem Rarissimo Non si mangia|Poco frequente idem Rarissimo idem Poco comune idem Frequente idem idem idem idem idem Comune idem idem idem idem idem idem idem idem idem Frequente idem al (ee) NOME SCIENTIFICO Numero progressivo — 253 | Syngnathus cultrirostris, Mich. 254 | Nerophis, vittata Raf. 255 « papacina, Bp. 256 | Petromyzon marinus, L. 257 « Planerii, Gm. 258 « fluviatilis, Linn. Nome volgare veneziano Bisato marin idem idem Lampredon Lampreda idem Se entra nella laguna] Mesi nei quali Se ricercato Rarità o abita solo il mare più abbonda come cibo | o frequenza Mare Estate Non si mangia — idem idem idem. —_ Mare e laguna idem idem Comune Mare e fiumi idem Non ricercato |Piuttosto raro idem idem idem idem idem idem idem idem Note TORPEDO Galvani ( Vedi Cat. N. 8 ) Qesto pesce non mangiasi che dal povero. Spelato e con- venientemente disseccato si manda in levante in unione alla Sepia officinalis. ACANTHIAS vulgaris (Vedi Cat. N. 22 ) È il più pregiato pesce di tutti i plagiostomi. 1 pescatori hanno il costume di vendere per Asia le specie vicine ‘quali i Mustellus ed i Scyllium. Per ingannare il compratore le spe- lano lasciando ad ognuna una lista della pinna dorsale, la quale sporgendo dal dorso simula la spina di cui è fornito l’ Acan- thias vulgaris. SQUALUS Milberti ( Vedi Cat. N. 36 ) Pericoloso ed infesto Squalo che entra alcune volte nei nostri maggiori canali, specialmente in quelli vicini al porto. La sua carne si esita, perchè non conosciuta, nelle Città di Provincia. ACIPENSER sturio ( Vedi Cat. N. 43 ) Questa specie e la seguente, ‘cioè il Naccari sono le più comuni e le più note: lo Sturio si allevava un tempo con pro- 81 fitto in qualche Valle (1) dell’ Estuario. T giovani della specie si chiamano Porcellette. ACIPENSER huso (Vedi Cat. N. 47 ) I % Comparisce accidentalmente ed alcune volte anche in ab- bondanza, Gli esemplari grandi son noti sotto il nome di Stu- rion disarmà, cioè disarmato, poichè mancano delle piastre ossee di cui vanno ornati i più giovani individui. CYPRINODON. calaritanus ( Vedi Cat. N. 49 ) Questo pesciolino, che non mangiasi che dai più miseri villici è estremamente abbondante nelle acque salmastre della laguna. Corre voce tra i vecchi pescatori, che questa specie sia stata fraudolentemente introdotta nelle Valli come pesce da se- mina e sotto il nome di mecctati. Tale opinione può esser vera. Chiereghini e Naccari non fanno menzione del nono, mentre ora tale pesciatello è noto a tutti e comunissimo. Nelle aggiunte del Nardo trovasi elen- cata tale specie sotto i nomi di Cyprinoides nanus e .C. Nano- fasciatus, e più tardi nel Prodromo dello stesso. autore viene deseritta per nuova (vedi Pr. p. 17 n. 154 Aphanius nanus, n. 155 Aphanius fasciatus). Secondo il Nardo V Aphanius nanus è il maschio e l’Aphanius fasciatus è la femmina. Credo che qui trattasi di un errore di stampa; mentre in base ai molti esami e studj da me fatti posso assicurare che il nanus è la femmina, mentre nel fasciatus non furono trovate mai uova. ll numero dei maschi in questa specie è molto inferiore alle femmine. Tale fatto spiega forse la immensa prolificazione del nono. ll nono riesce venefico ai piccoli mammiferi e fu usato efficacemente per distruggere i topi nei granai. CLUPEA sardina. ( Vedi Cat, N. 51 ) Gl’ immensi stuoli di Sardelle che visitano annualmente le nostre acque forniscono una pesca ubertosissinia, Abbendano esse (1) Valli si chiamano quei spazii della laguna che si chiudono o con argini o con grigiuole al fine di allevare il pesce, specialmente i cefali, le dorate e le anguille. 7 L] 82 i in principal modo da Maggio a tutto Ottobre. La pesca delle Sardelle occupa un numero notabile di uomini, e si fa anche dirimpetto alle nostre coste. Per attirare questo pesce nella rete sì usano soppesti i nostri comuni granchi ( Carcinus maenas, Leach.) che si predano da appositi pescatori nelle nostre lagune. Non vi è tra noi, per buona fortuna il costume di servirsi per esca di uova di pesce. Ciò devesi non a merito del nostro pescatore, ma all’ estrema abbondaza dei granchi in laguna che salvano così dall’ esterminio intere generazioni di pesci. ENGRAULIS encrasicholus. ( Vedi Cat. N. 34 ) Questo pesce che si trova in tutti i mari d’ Europa abita pure le nostre acque ed è molto abbondante da Marzo a tutto Settembre. È coposciutissimo e s’ imbandisce nelle tavole signo- rili come pesce di delicato sapore. In Luglio se ne trovano lungo le nostre spiaggie di piccolissimi e di appena sbucciati dall’uovo. ANGUILLA vulgaris ( Vedi Cat. N. 56 ) Uno dei pesci più ‘diffusi e pregiati. Costituisce esso una delle principali rendite delle Valli, anzi sulla sua maggiore o minore abbondanza basasi l’ affitto delle Valli stesse. Si confe- ziona in varj modi, ed havvi una fabbrica di Marinato alla Mira. PLEURONECTES Grohmanni ( Vedi Cat. N. 74 ) È una delle specie più comuni del genere. PLATESSA passer ( Vedi Cat. N. 77 ) Monta nella primavera in gran copia e la sua pesca è di grande vantaggio pel povero pescatore. Si osservò che il numero degli individui di questa specie si accrebbe d’ assai dopo l’ im- missione di alcuné acque dolci in laguna. La Platessa passer rimonta i fiumi: chiamasi passara la sola femmina quando ha le uova, e Lattesio! il maschio all’epoca della frega. 83 RHOMBUS laevis et R. maximus (Vedi Cat. N. 79, 80) Tutte due specie ricercatissime, ma non molto abbondanti. Il Rombo si tiene in chiusi bacini per esitarlo con maggior guadagno nelle epoche di digiuno. SOLEA Kleinii ( Vedi Cat. N. 83) lo credo questa specie sinonima della Solea minuta Ch. Nardo. SOLEA vulgaris ( Vedi Cat. N. 86 ) Ottimo pesce anche per le tavole signorili. Gli esemplari che si pescano nella laguna non raggiungono mai le dimensioni di quelli del mare. La sua montata in alcuni anni è copiosissima. Prolifica in mare nei mesi di Gennajo e Febbrajo. SMARIS vulgaris — SMARIS Alcedo — SMARIS Chryselis ( Vedi Cat. N. 90 e seg. ) Le specie appartenenti al genere Smaris conosciute sotto il nome di Garizzi e Menole abbondano in quantità notevole nelle Coste Dalmate e Venete. Poco stimate’ come cibo, ser- vono di umile pasto al nostro popolo. I nostri mercati ne sono ben forniti in alcune epoche. DENTEX vulgaris. ( Vedi Cat. N. 102) Pesce pregiato ma poco abbondante. Ne compariscono alcune volte degli esemplari di taglia colossale. PAGELLUS erythrinus ( Vedi Cat. N. 405 ) Prolifica in Maggio. 84 SPARUS aurata ( Vedi Cat. N. 107 ) Si pesca in laguna, ma non in gran copia: forse a causa della distruzione che se ne fa nella sua prima età. Getta le uova in mare nel Gennajo. È abbondante ( nelle Valli) ed è uno dei pesci più delicati. Muore facilmente ai primi freddi. UMBRINA cirrosa ( Vedi Cat. N. 112 ) Monta in molte Valli. Getta le uova in mare nell’ Aprile e Maggio, LABRAX lupus (Vedi Cat. N. 114) Prolifica in primavera nelle spiaggie del mare poco profonde. Per la sua voracità è ottima cosa che la pesca dello stesso sia permessa amplamente in tutti i punti della laguna e in tutto l anno. MUGIL ( Vedi Cat. N. 150 e seguenti ) Un tempo la laguna era riechissima di Cefali e molti erano i modi di pesca che si usavano, alcuni dei quali ora caddero in dimenticanza ( p. e. @ zattera). Le pesche attuali in confronto di quelle di un tempo sono divenute pigmee, e ciò per la distruzione che si fa dei cefali al tempo della montata per esi- tarli come pesce da semina. MUG!L cephalus ( Vedi Cat. N, 150 ) I piccoli si dicono Mecchiarini ; più grandi mecchiati. Getta le uova nei Febbrajo in mare. In Marzo ed Aprile entra in la- guna. Non è molto abbondante. 35 MUGIL capito ( vedi Cat. N. 151 ) Nella sua giovinezza chiamasi dotolo e solo di sei oncie di- cesi caustelo. Getta le uova nel Gennajo in mare. Entra in Feb- brajo nella laguna. — Molto stimato. MUGIL auratus ( Vedi Cat. N. 152 ) Getta le uova nell’ inverno in mare. Entra in Febbrajo in. laguna: ritorna in mare all’appressarsi del freddo. È ricercatissimo ed abbondantissimo. MUGIL saliens ( Vedi Cat. N. 153 ) Viene in laguna in Luglio, Agosto e Settembre. È abbondante tutto l’anno. Getta le uova in Maggio. MUGIL chelo ( Vedi Cat. N. 154 ) Entra in laguna piccolissima in Febbrajo e Marzo. In Gen- najo e Febbrajo getta le uova in mare. MULLUS surmuletus (Vedi Cat. N. 1533 ) Monta nelle Valli aperte e da grigiuole. Getta le uova in mare nel Gennajo. TRIGLA corax ( Vedi Cat. N. 159 ) Monta nelle Valli aperte e da grigiuole. Getta !le uova in Febbrajo, 36 TRIGLA lyra ( Vedi Cat. N. 143 ) La Trigla lyra tanto comune in qualche località dell’ Adria- tico è invece molto rara tra noi. GOBIUS jozo. ( Vedi Cat. N. 149) È assai variabile specialmente nel colorito. I più comuni banno però lungo il corpo della macchie grandi oscure ed ir- regolari. GOBIUS cruentatus — G. jozo ecc. ( Vedi Cat. N. 152 etc. ) Pesci più o meno abbondanti e che pescansi nei nostri Porti. Servono di ottima frittura popolare e somministrano un ramo di commercio non indifferente. GOBIUS paganellus ( Vedi Cat. N. 161 ) Getta le uova in mare nell’ autunno. GOBIUS LAT ( Vedi Cat. N. 165 ) In alcune Valli è abbastanza copioso. Prolifica nella prima- vera e nell’ estate nella laguna veneta. Alla metà di marzo il 90 fa il letto dicono i pescatori e ciò per indicare che in tale stagione questo pesce apparecchia il nido. Questo nido viene fatto dal maschio, e consiste in una larga camera nella quale si entra per un angusto foro formato in particolar modo per cui facilmente viene distinto dai pescatori. In aprile si trova ogni nido abitato da 2, 3, 5, 6 femmine che gettano le uova e da un solo maschio, il quale dopo partite le femmine rimane fedele difensore delle numerosissime uova e della nuova progenie. Questa specie è uno dei principali pro- dotti della laguna. 87 Ì Go si pescano io ogni modo: in marzo di calata; in luglio quando rimontano, ed in aprile predandoli a Braccio quando at- tendono alla riproduzione della specie. GASTEROSTEUS brachycentrus ( Vedi Cat. N. 189) I nostri esemplari, secondo il Prof. Canestrini, appartengono alla varietà brachycentrus. Tale piccola specie vive neile acque salmastre delle Valli. LICHIA amia ( Vedi Cat. N. 191 ) Abita i maggiori canali. Questo pesce, come si disse del Labrace lupo, dovrebbe essere con ogni mezzo possibile allonta- nato dalla laguna pell’ esterminio grandissimo che fa dei Cefali. SCOMBER scombrus ( Vedi Cat. N. 195 ) Da Maggio a Settembre, in maggiore o minore quantità, comparisce questo pesce nelle nostre pescherie, e dà non indif- ferenti guadagni ai pescatori che lo smerciano anche nella vi- cina terraferma. Getta le uova in Gennajo e Febbrajo. Quasi tutti gli Scombri si prendano in alto mare con lenze innescate con sardoni (Eng. encrasicoius) si pescano però anche con le reti. BELONE (Vedi Cat. N. 218, 220) Comune da Luglio a Settembre. Su di essa il pescatore può far calcolo di un annuo guadagno non indifferente. Prolifica in Luglio ed Agosto. Monta nelle Valli aperte e da grigiuole. La maggior parte de’ nostri esemplari appartengono alla spe- cie B. acus Risso. LABRUS, CRENILABRUS e CORICUS ( Vedi Cat. N. 225 e seg. ) Alcune delle specie appartenenti a questi generi compariscono in quantità prodigiosa sia nelle coste Dalmate che nelle Venete. 88 Sono forniti tutti di carne poco saporita, e non servono di cibo che al basso popolo, che può farne acquisto a prezzi vilissimi. CRENILABRUS meditteraneus (Vedi Cat. N. 228) Le specie C. meditteraneus e boryanus sono comuni in certe stagioni nei nostri mercati. CRENILABRUS massa e cottae ( Vedi Cat. N. 252, 255 ) Queste due varietà del Crenilabrus griseus L. sono estre- mamente comuni. JULIS pavo (Vedi Cat. N. 239 ) Ì Assai raro nell’ Adriatico. Sembra che questa specie viva anche nelle acque dolci, poichè ne ho raccolti varj esemplari nel fiume Potamò nelil isola di Corfù. SIPHOSTOMA Agassizii ( Vedi Cat. N. 251 ) Vive anche nelle acque dolci che seolano nella laguna. PETROMYZON Planeri ( Vedi Cat. N. 257 ) Avuto più volte dai pescatori Chioggiotti. Come il marinus e il fluviatilis si trova attaccato alle branchie di pesci marini. Tutte tre queste specie rimontano i fiumi. La larva del Planeri non fu peranco trovata nelle acque salate. INTORNO A DUE UCCELLI MOSTRUOSI Nota DI GIOVANNI CANESTRINI PROFESSORE NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA (Tav. VI) H gabinetto zoologico e di anatomia comparata dell’ università di Padova possiede una gallina mostruosa, la quale è notevole per vari riguardi. L'animale presenta quattro gambe, due anteriori nella posi- zione normale, e due posteriori collocate all’ estremità del tronco. Le prime due gambe sono assai robuste per essere di una femmina; portano, come è normale, tre dita rivolte in avanti ed un dito diretto in addietro, e sono munite di uno sprone che osservasi alla distanza di 14 mill. sopra il dito posteriore. Tale sprone è lungo 45 mill., alto mill. 8 e largo mill. 6. Le gambe, di cui discorriamo, tanto per la loro robustezza, come per la presenza dello sprone, somigliano a quelle dei maschi della specie, alla quale il nostro individuo mostruoso appartiene. Un altro fatto deve essere qui accennato. È cioè questo, che la cresta carnosa sul capo della nostra gallina è più sviluppata di quanto avvenga generalmente nelle femmine, cosicchè per tale sviluppo la nostra gallina somiglia ad un gallo. Non minore interesse offrono le gambe posteriori. Le ver- tebre codali, ad eccezione dell’ ultima, sono fuse in un unico osso, il quale, anziechè dirigersi in addietro, è deviato verso sinistra e porta le timoniere; l’ultima veriebra poi è deviata a 90 destra, sviluppata in una larga lamina, la quale si estende in basso e porta il femore del secondo pajo di gambe. Queste sono inserite sopra un unico femore, sono deboli e fornite ciascuna di sole tre dita. La nostra gallina offre un’altra particolarità, di cui dobbiamo tener parola. Nel luogo, ove siamo soliti vedere }’ orifizio della cloaca e che è occupato dalle due gambe posteriori, manca la benchè minima traccia di apertura; invecé;osserviamo due aper- ture, ove per solito non esistono, e cioè l’una al lato destro dell’ animale guardante in dietro e basso, l’altra al lato sinistro diretta in fuori. Queste aperture non sono perfettamente simme- triche, essendo la sinistra collocata un po’ più in avanti ed in alto della destra. Avendo fatto delle indagini intorno alla vita di questa gal- lina, venni a sapere, che essa ha raggiunto l età di circa quattro anni e che pel foro destro emetteva le feci, pel foro sinistro le uova. Della verità di quest’ ultima asserzione può convincersi chiunque, giacchè nell’addome della gallina e precisamente nel lato sinistro vedesi un uovo col diametro maggiore di 50 mill. che è prossimo ad uscire pel foro sinistro. È facile a comprendere la ragione, per cui precisamente l’ apertura sinistra mettesse all’ esterno le uova. La ragione si è questa, che negli uccelli il solo ovario sinistro è ben sviluppato, mentre il destro rimane rudimentale. L'uovo discende entro I’ ovidotto nel lato sinistro dell’ animale e sorte per l’ apertura più vicina che trova, che appunto è la sinistra. Colle indagini che feci intorno alla vita della nostra gallina, venni anche a sapere, che nessun gallo l’ha mai avvicinata per l'accoppiamento, il quale del resto, se non impossibile, avrebbe dovuto riescire difficilissimo, in causa della posizione eccentrica dell’orifizio sessuale e la mancanza di un sufficiente sostegno pel maschio durante la copula. Si è anche provato di assogget- tare le uova della nostra gallina all’ incubazione, e non si sono mai sviluppate, come era da prevedersi. Nasce ora la questione intorno alla genesi delia descritta mostruosità. lo credo di poter esprimere in proposito la seguente opinione. Evidentemente trattasi qui della fusione di due indi- vidui, e cioè di un maschio e di una femmina, in un unico € mostruoso individuo. La presenza delle quattro gambe appoggia quest’ asserzione; come la robustezza delle gambe anteriori, la presenza in esse di uno sperone distintissimo ed il forte sviluppo 91 della cresta cefalica accennano alla partecipazione di un maschio nella formazione dell’ esemplare mostruoso. È dunque probabile che nell’ uovo, da cui nacque la nostra gallina, esistessero, come non di rado avviene, due tuorli e si sviluppassero due pulcini, l'uno maschile, l altro femminile. L° individuo femminile sì svi- luppò con prevalenza sul maschile, ma d'altra parte quest ul- timo modificò il prodotto, conservando le due gambe, che sono le anteriori della galiina mostruosa, e producendo una cresta più robusta che la normale delle femmine. Siccome poi, per la posizione delle gambe posteriori, la cloaca non ha potuto met- tere all’ esterno col solito unico e mediano orifizio, così appar- vero due fori, l'uno destro e l’altro sinistro. Quest’ ultimo, per la suddetta posizione dell’ ovario, divenne il foro. di uscita per le uova, il primo invece 1’ apertura per |’ eliminazione delle feci. Recentemente ho potuto vedere un caso consimile in un giovanissimo individuo femminile della Fringilla cisalpina. Anche in questo, invece dell’ unico orifizio della cloaca, esistono due fori laterali, e vi si vedono quattro gambe in posizione analoga a quella che indicai per la gallina. Le gambe posteriori della passera però non sono congiunte immobilmente coll’ ultima ver- tebra, ma solo appesevi col mezzo di muscoli e della cute. Gli organi sessuali non sono ancora sviluppati, e tutti e due i fori laterali citati conducono nel retto, il quale posteriomente si al- larga a guisa di borsa per formare la cloaca, In questa borsa mettono foce i due ureteri. La cloaca dunque esiste nel suo pieno sviluppo, ma pre- senta questo di particolare che mette all’ esterno con due aper- ture. È prevedibile che, se la passera fosse vissuta ulteriormente, l’apertura sinistra sarebbe diventata, come nella gallina e per le ragioni esposte, il foro per l’ uscita delle uova, la destra invece l orifizio per la eliminazione delle feci. In tutti e due i casi anormali descritti noi vediamo la fu- sione di due embrioni in un unico individuo mostruoso, in cui si osservano quattro gambe (due complete e due incomplete), e due fori laterali invece dell’ unico orifizio della cloaca. In que- st ultimo fatto noi dobbiamo vedere una manifesta tendenza alla simmetria del corpo, la quale, quando non sia determinata da un’ unica apertura nella linea mediana, non può essere raggiunta che coll’ apparsa di due fori laterali. A tale effetto ha certamente anche contribuito il doppio compito che ha la cloaca, di acco- gliere cioè e di versare all’ esterno ianto i prodotti delle glan- 92 dole sessuali, come |’ escrezione dei reni ed 1 rifiuti del tubo digerente. Finchè la cloaca possiede un unico foro mediano, questo può bastare al doppio suo ufficio; ma se fosse unico ce laterale, o renderebbe difficile l’ uscita delle uova, se si trovasse al lato destro, oppure l’ uscita delle feci, se fosse posto nel lato si- nistro. INTORNO AI DEPOSITI DI LIGNITE CHE SI TROVANO IN VAL D’ ARNO SUPERIORE ED INTORNO ALLA LORO POSIZIONE GEOLOGICA per Emilio Stòhbr ( Traduzione italiana sul manoscritto di G. CANESTRIN ) —_—k———_—_m bi L Arno, che prende origine nei monti di Falterona e Monsum- mano, corre dapprima in direzione sud-est fino nei dintorni di Sab- biano, dove trova una chiusa di Valle, che attraversa volgendosi repentinamente verso sud. Presso Arezzo trova la Valle di Chiana, che vi giunge da sud, ed il suo corso si prende allora la direzione di ovest. Più tardi nel Fasso dell’ Imbuto presso Rondine attra- versa una seconda chiusa e più tardi un’altra ancora ed altrettanto avviene nella Valle dell’ Inferno. Da qui innanzi il suo corso si rende più settentrionaie, cosicchè può dirsi diretto verso nord- ovest, fino a Incisa e Rignano dove si fa esattamente settentrio- nale, attraversa i monti fra Rignano e Pontassieve in stretta fes- sura, ed entra poi nella grande pianura fiorentina. Il suo corso in questa pianura è occidentale fino a Signa, ove attraversa una ultima chiusa ed entra poi per la fessura della Golfolina nella pianura di Pisa e finalmente nel mare. L’ Arno dunque, nel suo corso odierno, attraversa 5 chiuse strette, che possono dirsi vere Roffle. Ciascuna di queste chiuse, che una volta mancava del- l’ apertura, corrisponde ad una più o meno estesa gradinata di valle, in cui esistono dei depositi di acqua dolce attestanti che ne’ tempi trascorsi esistevano in quei siti dei laghi dolci. Tali depositi sono quelli di Poppi sopra la spaccatura di Sabbiano, l’ altipiano di Arezzo sopra Rondine, sopra la Valle dell’ Inferno 94 il piecolo bacino di Laterina, sopra il Passo di Rignano il grande bacino in cui trovansi Figline e Montevarchi, e sopra la Golfolina la pianura fiorentina. Al disotto della Golfolina non si rinvengono più depositi di acqua dolce ( ecceituati naturalmente gli strati allu- viali) perchè fino a quel tempo anticamente, p. e. nel tempo pliocenico, arrivava il mare. Il maggiore interesse geologico presenta quella regione che chiamasi Vel d’ Arno superiore, ossiano i tre bacini di acqua dolce sopra il Passo di Rignano fino all’altipiano di Arezzo, questo compreso. Questi tre bacini possono considerarsi in stretto rapporto tra loro, tanto più che si trovano nell'ampia depressione del suolo che è confinato a nord-est dalla catena montuosa del Prato magno, che raggiunge nel più elevato punto un’ altezza di 1578 m. sul livello del mare, ed a sud-ovest dai Monti Chianti che in media hanno un'altezza di 41000 metri. Ambedue queste catene di montagne hanno la stessa direzione come l’ Arno, cosicchè questo scorre tra esse parallelamente in una depressione. Le due catene medesime constano principal- mente di formazioni eoceniche: galestro, albarese e macigno; nei monti Chianti trovansi anche roccie nummulitiche. Che queste produzioni eoceniche giacciano sopra roccie della creta, lo prova la rotta dell’ Arno presso Rignano, dove sono messi a nudo il macigno, le roccie nummulitiche e le cretacee superiori. Tra le due potenti catene di monti si presentano le citate produzioni di acqua dolce, cosicchè, come fu detto, tra Arezzo fino a Rignano si ha un terreno continuo, solcato dall’ Arno in un largo e pro- fondo thalweg, e reso stretto lateralmente solo due volte dai monti che vi si accostano e che vengono attraversati dall’ Arno che ne mette a nudo gli strati, e cioè nella Valle d’ Inferno e nella fessura di Rondine, suddividendo così ? intero tratto percorso in tre singoli bacini, Il più vasto tra questi bacini è quello che sotto alla Valle dell’ Inferno si estende fino ad incisa, nel quale tratto l’ Arno percorre una estensione di oltre 14 miglia entro un letto lontano dai monti tanto a destra che a sinistra, essendo ambe le sponde discoste da questi di ben tre miglia. 1 depositi di acqua dolce contengono gli avanzi di grandi mammiferi, cioè di elefanti, mastodonti, rinoceronti ece., che diedero rincmanza a queste regioni; negli ultimi tempi si sco- persero negli strati più recenti anche avanzi umani. Vi sì riscon- trarono anche potenti depositi di lignite con una flora assai in- teressante, per cui se ne occuparono parecchi dei più eminenti 95 scienziati, tra cui cito il Savi, il Falconer ed il Pareto, nonchè il Gaudin e Strozzi nelle Contributions à la flore fossile italienne. Recentemente il D’ Ancona ha esaminato attentamente le conchi- glie di acqua dolce provenienti dalla predetta località, e il Cocchi nell’ « Uomo fossile nell’ Italia centrale » ha discusso le diffe- renze di età degli stessi strati di acqua dolce, dopo che Strozzi avea già dimostrata tale diversità. Queste formazioni di acqua dolce vanno riferite a diversi periodi e i resti fossili, che prima erano confusi insieme come di Val d’ Arno superiore, sono ora distinti secondo le diverse età cui appartengono. Un fatto che in geologia ha prodotto grande confusione, diede luogo anche qui a falsi concetti, e si è che spesso si introdussero nella scienza come indicazioni geologiche i termini loesli petrografici. Ne venne ad esempio, che una roccia assai caratteristica, cioè un’ arenaria ferruginosa, che ba.il nome locale di Sansino, fu considerata come orizzonte geologico, mentre può appartenere a tempi molto diversi. Il bacino è riempito esclusivamente da formazioni di acqua dolce, come lo dimostrano gli avarzi animali e vegetali. (4) Non vi è alcun dubbio che si tratti dei depositi di un grande lago antico, e siccome i depositi stessi non hanno tutti la stessa età, così il lago deve essere esistito per lunghissimo tempo. Gli strati più antichi giacciono, come già Cocchi lo dimostrò, verso il nord e riempiono quindi il bacino più settentrionale e più esteso, quello di Figline; più recenti sono gli strati nel bacino di Laterina e più recenti ancora sono quelli dell’ altipiano di Arezzo. Cocchi considera gli avanzi degli elefanti come caratte- ristici, in modo che le tre specie meridionalis, antiquus e priscus caratterizzano il primo gli strati pliocenici, ìl secondo ì pliocenici superiori ed in parte i posipliocenici, il terzo infine i più recenti postpliocenici e il diluvio. Forse questo schema è troppo preciso, tanto più che le diverse formazioni fanno passaggio senza cam- biamento |’ una nell’ altra; ma in massima è vero. Nel bacino di Figline mancano gli strati più recenti che si trovano ancora in quello di Laterina e di Arezzo; di certo si conosce di quella località 1’ Elephas meridionalis, mentre la presenza nella stessa (1) La presenza di un cctaceo nella pianura di Arezzo presso Montione è un fatto isolato che si riferisce ai più recenti strati postpliocenici, e prova solamente che in tempi recenti il mare penetrava in quella località lungo la Valle di Chiana, oppure che le acque dolci vi travolsero di recente il ce- taceo dalla Valle citata. 96 dell’ Elephas antiquus è dubbia. Dagli strati d’ acqua dolce spar- gono isolatamente le vette delle più antiche roccie eoceniche, le quali sono le ramificazioni delle catene montuose che nell’ an- tico lago, dove formavano isole e scogli, sia che emergessero sopra il livello dell’acqua e restassero quindi scoperte dai de- positi di acqua dolce o non raggiungessero tale altezza, fossero quindi coperte dai depositi del lago e solo successivamente spo- gliate per recente erosione. In altri luoghi però queste roccie eoceniche non vengono a giorno, formano però in molti siti sotto agli strati d’acqua dolce l’interno nucleo dei colli dei quali non si avrebbe contezza alcuna se nelle Valli o spaccati di strade non fossero scoperti. Tuite queste ramificazioni delle alte catene mon- tuose, le quali a guisa di promontorii sporgevano nel lago, do- vevano essere la causa che si formassero dei seni tranquilli. Come le più recenti formazioni alluviali debbono menzio- narsi i depositi dell’ Arno, i quali, mentre occupano la maggior profondità del bacino, si estendono in ambedue i lati entro al largo suo alveo, fino alla. distanza di circa mezzo miglio. Tutte queste circostanze sono rese chiare dalle figure della tavola, di cui una presenta un profilo longitudinale da Arezzo fino a Incisa l’altro una sezione trasversale attraverso il bacino di Figline. Firenze stessa giace 45 metri sopra il livello del mare, Figline 425 metri, la stazione di Arezzo 265 metri, mentre l’ altipiano di Arezzo secondo Manetti, è solo di 84 metri più alto che la Val d’ Arno ali’ estremità orientale della Chiusa dell’ Inferno. I potenti depositi di lignite la cui escavazione potrebbe essere di grande interesse, ma intorno a cui fino al presente s' inco- minciarono appena i lavori, trovansi nel grande bacino di Figline e precisamente al lato sinistro ed a sud-ovest dell’ Arno. E vero che anche in altre località si trova della lignite, come più tardi faremo osservare, ma in quantità insignificante e di tutt'altra qualità, per cui al presente possiamo trascurarla. Noi conosciamo già la configurazione del suolo di questo bacino lungo 44 e largo 6 a 8 miglia; in mezzo ad esso scorre l Arno in un largo thalweg, e dopo che noi abbiamo passato la suddetta striscia di formazioni alluvionali, in cui giacciono le piccole città Figline, S. Giovanni, Montevarchi ecc. entriamo nella località montuosa. Quivi troviamo dei colli composti di strati d’ acqua dolce i quali secondo Strozzi si elevano fino a 233 metri sul livello dell’ Arno e sono separati tra loro da profonde Valli, le quali conducono nell’ Arno dei torrenti che si immettono ad angolo quasi retto. 97 Quanto più in ambedue i lati ci scostiamo dall’ Arno, tanto meno profonde si fanno queste Valli laterali, ed in prossimità delle catene montuose eoceniche i colli si convertono in altipiani con- tinui, addossati a queste montagne. Siffatti altipiani riscontransi in ambedue i lati dell’ Arno e giacciono, come anche le più alte eime dei colli, per così dire in un piano, formando in tal modo alle due sponde dell’ Arno delle gradinate, profondamente solcate dai torrenti tributari dell’ Arno. Le due gradinate alle due sponde dell’ Arno hanno pressochè uguale altezza, per cui possono con- siderarsi come un piano continuo, nel cui mezzo l’ Arno sì è scavato il suo letto; nella pianura di Arezzo, dove il letto del- l'Arno è meno profondo, questi strati presentano ancor bene il carattere di altipiano. Già guardate dall’ Arno queste colline si fanno rimarcare, non solo per la loro pittoresca forma, ma sopra tutto pel loro colore giallo, il quale le fa risaltare davanti al- IP oscuro fondo dell'alta catena di montagne, e dà alla località il carattere di attraente paesaggio. Le colline constano principal- mente di un’arenaria più o meno fina e solida che spesso di- venta marnosa. Siccome questi strati poco compatti cadono lenta- mente in direzione orientale, così | erosione dei torrenti sul versante occidentale dà loro una forma pittoresca, e. si formano qui delle pareti ripide e frastagliate, mentre al lato orientale si presentano forme più rotondate. Oltre la forma pittoresca alla sponda sinistra dell’ Arno osservasi un altro fatto che si riferisce alla configurazione del suolo, e si è che la forma delle singole Valli è spesso quella di un circo, percorrendo quasi ogni torrente verso ia porzione superiore una Valletta allargata, tutta circondata di colli ed aperta solo inferiormente per dare uscita al torrente; in queste Vallette superiori parecchi torrenti secon- dari si riuniscono per formare il torrente principale. La ragione di ciò sta semplicemente nelle ramificazioni provenienti dai Monti Chianti, coperte di depositi d’acqua dolee le quali hanno co- stretto i torrenti dopo breve corso di unirsi, producendo la pre- detta forma di erosione. Le sabbie gialle occupano la massima parte del terreno co- perto da prodotti di acqua dolce; si può quasi dire che ad esse si riferiscono 5j6 dell’ intera serie di strati, la loro potenza va calcolata ad almeno 180 metri. In generale gli strati s’ inclinano verso sud-est ad angolo di 5 gradi, con angolo sì piccolo dun- que che si può essere tentati a considcrarli come orizzontali ; 8 98 l’ inclinazione però in certi luoghi è maggiore e può salire len- tamente fino a 25 gradi. In queste sabbie appariscono talvolta strati più compatti, impregnati ora di ossido di ferro, in cui si scoprono concrezioni di ferro {Sansino, in parte ), e che in alcuni luoghi sono tanto ricchi di ossa fossili da formare delle vere breccie ossifere; ora costituenti veri strati di conglomerato, formato da elementi più o meno grandi e cementati insieme. Sotto ad essi, sopra una estensione relativamente più limitata fanno seguito le marne gri- gie azzurrognole, sabhionoso-argillose, a cui si riferiscono anche le ligniti. Al disotto giacciono come infima formazione in alcuni luoghi dei nuovi banchi di conglomerato, ad elementi spesso straordinariamente grandi, i quali per esempio al di scopra di S. Do- nato raggiungono un diametro di più di 2 piedi. Questi ciottoli però non si trovano ovunque, e in caso di mancanza i predetti strati giacciono immediatamente sopra formazioni eoceniche, le quali ascendono piuttosto ripide c sono inclinate prevalentemente verso oriente. La regione fra Gaville e Cavriglia attira specialmente la no- stra attenzione, siccome quella in cui abbondano le ligniti. È vero che traccie di lignite trovansi anche in altre località, ma esse sono insignificanti; o, nella predetta località invece si rinvengono sopra una estensione longitudinale di oltre quattro miglia, entro le argille grigie-azzurre, contigue coì depositi eocenici. Più esat- tamente quella regione può esser circoscritta a settentrione dalla catena dei colli, che da Gaville al sud del torrente di S. Cipriano ( vedesi la carta della ‘Toscana fatta dallo stato maggiore au- striaco ) si estende fino verso | Arno, e verso mezzodì dalla catena dei colli eocenica al sud del Botro dei Calvi. Presso Gaville, come già è stato detto, le ramificazioni della catena montuosa eocenica sporgono a guisa di promontori entro gli strati d’acqua dolce, e la fattoria di Gaville giace sopra maci- gno, il quale in quella località viene ricavato come pietra da fabbri- ca molto apprezzata. Nel corso successivo verso mezzodì gli strati montuosi eocenici si ritirano e gli strati d’ acqua dolce rientrano a guisa di seni. Presso Pian francese le formazioni eoceniche sporgono di nuovo e si estendono quindi da S. Martino fino a Castelnuovo in dolce curva, finchè al di là del Botro dei Calvi le formazioni eoceniche sporgono verso nord-est a guisa di grande promontorio. Esisteva quindi in quella località all’ epoca del lago dolce Îl I I 99 un largo seno semilunare da Gaville fino a S. Martino, da Ca- stelnuovo fino al Botro dei Calvi, il quale a occidente, mezzodì e sud-est era circondata da alti monti e rimaneva aperta al nord e nord-est. Questo seno doveva essere molto protetto e quitto, tanto più che nel suo mezzo sorgevano alcune isole mioce- niche, principalmente una su cui oggi giace Meleto. In questo seno difeso trovansi le ligniti in discorso e precisamente sui con- fini delle formazioni eoceniche, come membro più antico degli strati d’ acqua dolce. Quantunque in luoghi diversi e in diversi tempi siasi spe- rimentato lo scavo di queste ligniti, pure questi lavori sono finora così insignificanti, che danno appena un’ idea della natura del deposito oltrechè alcuni tali lavori non sono oggidi accessibili. Solo al sud, a breve distanza da Castelnuovo, sono in esecuzione lavori più importanti, ove in un paio di Îocalità si mettono allo sco- perto le ligniti, così per esempio nella fossa Siccoli-Cassini. In questo luogo il tetto della potenza di 2 a 4 metri è messo allo scoperto per ricavare in gradini diretti la sottoposta lignite po- tenti di 14 a 48 metri. Il tetto immediato delle ligniti è un’ argilla calcarea sabbio- nosa e bianca a frattura concoide, chiamata stelliccione, la quale raggiunge una potenza di parecchi metri e presenta numerose impressioni di vegetali. Esso è dappertutto il tetto delle ligniti e da esso principalmente si estrassero le piante descritte dal Gaudin. Di una regolare direzione ed inclinazione dei depositi di ligrite, che si riscontrarono in altre formazioni carbonifere, non si può parlare, ed altrettanto dicasi di una uniforme potenza. Le piante da cui si è formata la lignite, furono evidentemente trasportate nel seno dell’ antico lago e si sono depositate sulle più antiche sottoposte formazioni. Dove esisteva un piccolo promontorio, si aceumularono in maggior quantità, per cui si osservano una diversa direzione ed inclinazione; quest’ ultima però è orientale e mai molto forte. Il deposito di lignite non consta di una massa compatta, ma si risolve ora in depositi di vero schisto bituminoso, ora sono ammassi di una grande quantità di tronchi d’alberi ben conservati, i quali diversi strati alternano tra loro. Vi si rinvengono strati bruni oscuri di lignite schistosa, poi strati più chiari di legno più o meno conservato frammischiato con vera lignite, ed infine ammassi composti quasi unicamente di tronchi più o meno con- servati. Vi si rinvenne anche una lignite terrosa, formando la 100 parte superiore del deposito; essa è quasi interamente nera e poco stimata. La parte maggiore del deposito consta di tronchi e legni talvolta di grandissimo diamet'o. Vi si rinvengono nelle più di- verse forme e posizioni, generalmente però orizzontali. Alcuni e specialmente quelli muniti di radici sono eretti e sporgono perfino nella stelliccione. Solo i tronchi rotti hanno conservato la forma rotonda, gli altri sono schiacciati, e perciò è da rettificarsi |’ as- serzione di Strozzi fatta nella 2. memoire des contributions è la flore fossile, che cioè quasi tutti abbiano la forma rotonda. | tronchi sono privi di rami e foglie, hanno però spesso le radici più o meno conservate; noi ci troviamo dunque davanti ad un ammasso di legno trasportato, come appena può desiderarsi più istruttivo. Il legno ha spesso conservato la sua struttura, talvolta però è più o meno scomposta e forma un passaggio alla liguite. Gi- ganteschi tronchi con e senza radici sono sempre frammischiati a piccoli frammenti di legno; il legno è ora compatto, ora si scompone in una specie di libro, diventa carbone di libro che si comporta come paglia. In certi siti comparisce nei suoi fram- menti un carbone di legno, in altri luoghi in striscie sottili un carbone bituminoso vero Gagat. Le faccie liscie dei pezzi di le- gno sono spesso coperte da una corteccia bruna oscura, lucente e levigata. Isolatamente rinvengonsi anche tronchi silificati, e tali che per esser pregni di gesso, solfuro di ferro, o anche soda sono pesanti e per la combustione non adatti. Nelle fenditure e crepaccie trovasi spesso del gesso in piccoli cristalli e talvolta anche piriti in forma di globuli, di cuì qual- che volta se ne sono trovati accumulamenti consimili a palle da schioppo. Il più grande interesse offrono le ligniti per ‘le resine fossili che contengono una gran parte del legno è più o meno impre- gnata di piropissite, lo sono specialmente i pezzi gialli semide- composti, molli e facilmente friabili fra le dita, nella qual opera- zione diventano attaccatticci e i quali se sono accesi brueciano e presentano i fenomeni della piropissite. In alcune località, e quasi unicamente tra le radici dei tronchi, la piropissite si è ammassata in grossi pezzi i quali accesi bruciano e sì fondono come cera lacca. Presso Gaville i contadini fanno uso di questa piropissite, che da loro è chiamata « terra che brucia, » la quale colà trovasi in grande copia ed è impiegata invece del sapone per lavare la biancheria, ‘Tale piropissite non vi sì rinviene però così pura 101 come nella provincia prussiana della Sassonia nelle classiche lo- calità di Weissenfels e Zeitz (*), nè vi si trova in veri strati. La spiegazione mi sembra molto chiara, giacchè le ligniti di Val d’ Arno non hanno sofferto quella macerazione che subirono quelle di Weissenfels, ove |’ intero deposito subì la macerazione durante la quale la piropissite per la leggerezza si dovette rac- cogliere alla superficie deila massa semiliquida. I passaggi dai legni liberi di piropissite nella lignite a quelli che ne sono im- pregnati sono assai interessanti e provano che solo i legni di decomposizione avanzata contengono piropissite. Il prof. Ugo Schiff in Firenze ha fatto V analisi di questa piropissite ed ha trovato : 73, 2 909 ZI 100, A ist (RI locchè corrisponde alla formola C'2 H'* 02. Un’ altra resina fossile trovasi come rarità in alcuni legni, secrete tra le fibre in forma di piccoli granetti trasparenti, so- miglianti alia paraffina; assai raramente trovasi in piccoli cri- stalli in forma di tavolette. Essa è molto affine alla dinite del Me- neghini. Nella nuova antologia del settembre 1868 il Becchi ha dato un’ analisi di questa resina da cui però non si lasciano de- durre delle conclusioni, imperocchè oltre carbonio, idrogene ed ossigene sì è trovata una quantità di cinque per cento di cenere non ulteriormente analizzata. Fu detto che la carbonizzazione della sostanza legnosa au- menti colla profondità, ma non è così, come dimostra la mi- niera Siccoli-Cassini. Qui i veri ammassi di legno trovansi nelle porzioni inferiori del deposito» non meno frequentemente che nei superiori; tal- volta può perfino sostenersi, che gli ammassi bruni e più car- bonizzati predominano nelle porzioni superiori del deposito. To ho già fatto cenno del banco superiore del deposito, della lignite molto. carbonizzata, bruna, della potenza di 1-2 (*) Ved. stohr Das Pyropissitvorkommen in Weissenfels-Zeitz, Leonhard' s fahrb. fur Mineralogie und Geologie, 1867. 102 metri. Essa si scompone facilmente all’ aria e si accende que- sto spontaneamente all’ aperta; è il carbone meno buono. Il materiale, che considerasi il migliore, è di colore bruno gialla- stro e si compone di legno e lignite; meno buone sono le por- zioni nerastre con poca sostanza legnosa; il materiale peggiore è quello sopra accennato. 1 grandi pezzi .di legno si tengono separati ed hanno grande valore; da lungo tempo i fabbri dei dintorni riducono quel legno a carbone che stimano migliore di quello del castagno. Gli sperimenti fatti a Pisa provarono che i predetti legni diedero eccellente gas luce, le ligniti brune invece non ne diedero di adoperabile. Le ligniti contengono 40-50 00 di acqua e le migliori e più secche hanno una forza riscaldante di 4186 calorie. In molte località, anzi nella maggior parte dei luoghi in cui vi sono depositi di lignite, una parte dello stellieccione che ne forma il tetto, è in modo particolare irasformato. Poichè banchi sottoposti di ligniti se sono accesi e furono brucciate sopra lunghi tratti, lo stelliecione è colto, rosso come le tegole o ridotto a vere scorie. Queste marne rosse, che si riconoscono facilmente pel colore rosso, sono state tanto frequenti, che ricevettero un nome particolare, quello di Thermantites. Il bianco stelliccione è pieno di impronte vegetali, le quali sono ottimamente conservate negli strati rossi; da essi provengono quasi tutte le piante descritte dal Gaudin e Strozzi. Questi terreni arsi accompagnano le sot. toposte ligniti con tanta costanza, che dall’ esistenza di quelli si può giudicare della esistenza di queste: i terreni arsi predetti sono dunque una guida nella ricerca delle ligniti. È notevole che sotto ad essi il deposito non è bruciato e scomparso, come po- trebbe effettuarsi; sembra perciò che il solo banco superiore del deposito bruci e restino intatte le sottoposte ligriti. Ame sembra probabile, che queste singolari località arse debbano la loro origine alla combustione degli strati superiori ricchi di piropissiti, opinione che è confermata dal fatto, che precisamente in quei luoghi, ove sopra le ligniti non esistono terreni arsi, gli strati sono ricchi di piropissite, la quale è rimasta intatta, men- tre sarebbe bruciata negli altri luoghi. È però tuttavia possibile che questi terreni arsi derivino in parte anche dalla combustione dello strato superiore di lignite nera, lignite, la quale come fu detto, s’ accende facilmente all’ aperto. Ho già parlato della ricchezza di piante fossili nelle marne azzurre e nello stelliccione, come anche nelle argille arse. Gaudin 105 e Strozzi nelle loro memorie ne hanno descritte 81 specie, pro- venienti dalle ligniti e gli strati immediatamente soprapposti. Tra esse solo due: Pinus uncinoides. Gaud. e Pinus Strozzii Gaud., provengono dalle ligniti; tutte le altre provengono dai soprapposti strati, in cui finora non si trovarono quelle due spe- cie di Pinus. È notevole che le impronte vegetali tanto numerose nello stelliccione, mancano quasi affatto nelle ligniti, ove la loro presenza è una rarità. Simile cosa ha osservato Hartung nelle ligniti della Germania settentrionale, e probabilmente si può riscontrare altrettanto in molti depositi di lignite. Mi pare che tale fatto provi la formazione delle nostre ligniti dal legno tra- sportato, ed è certamente una prova contro |’ idea della origine da piante cresciute nello stesso luogo. Ciò però non esclude che tra la massa del legno di cui si formarono le ligniti, si trovi qualche albero cresciuto nel luogo; ma la maggiore quantità delle ligniti si è certamente formaia di legni di trasporto. Una grande parte di questo legno di trasporto consta certamente di conifere, ma la maggior parte è formata di altre piante, special- mente capulifere e laurinee, in concordanza cogli avanzi di foglie negli strati soprastanti. Alle due piante deseritte dal Gaudin provenienti dalle ligniti (Pinus uncinoides e Strozzii) io ne posso aggiungere una terza, la quale non è rara nella cava di Siccoli-Cassini. Sono grandi felci che secondo il prof. Heer. cui ne mandai degli esemplari, s’ avvicinano alla Peropteris lignito- rum da esso figurata nella tav. 7.* della sua memoria Lignite of Bovey Traceg. Procew: of the royal raccoty vol. XI. da cui tuttavia diversifica alquanto, per cui Heer, la considera una spe- cie alquanto diversa- Questo fatio prova che anche le critto- game hanno preso parte alla formazione delle ligniti. Per ciò che risguarda il trovarsi la piropissite nelle ligniti, è certo che le conifere hanno contribuito alla produzione di re- sine fossili, ma mon si potrebbe certamente risguardare queste come prodotte dalle sole conifere. La loro formazione è in parte dovuta alla metamorfosi regressiva di tutti i legni, siono pure conifere o no, precisamente come fu dimostrato relativamente alle ligniti di Weissenfels-Zeitz. Nelle memorie di Gaudin e Strozzi sono citate e descritte, le seguenti 79 piante come provenienti dalle marne azzurre, dallo stelliecione e le argille arse. ( Argiles brules ). 2 crittogame: Sphaeria annularia. Gd., Osmunda Strozzii, Gd. 8 conifere: Glytostrobus europaeus A. B., Pinus Saturni Ung. 104 69 dicotiledone : P. palaeostrobus Ett.. P. hepios Ung., P. ocea- niones Ung., Taxodenun dubium Stb., Taxodites Strozzii Gd., Sequoia Langsdorf. Brong. Populus heliadum Ung., Salix nymphaeum Gd., S. Lavateri A. Br.. Myrica italica Gd., Alnus Kefersteini Gd., A. gracilis Ung. Poacîtes primae- vus Gd., Cyperites elegans Gd., Smilax Tar- gioni Gd., Betula insignis Gd., B. Brongniarti Ett., B. prisca Ett., Castanea atavia Ung., Quer- cus Drymeia Ung., Q. Mandraliscae Gd., Q. Hai- dingeri Elt., Q. chlorophylla Ung., Q. Scillana Gd., Q. Lucumonum Gd., Q. Gaudini Lesq., Q. Laharpii Gd., Q. mediterranea Ung., Q. myr- tilloides Ung., Q. pseudoilex Kor., Vlmus Bronni Ung., Ficus tiliaefolia Ung., F. Gavilliana Gd., Platanus aceroides Gpp., Laurus princeps H., L. Gastaldi Gd., L. gracilis Gd., L. croteaefolia Ett., Persea speciosa H., Oreodaphne Heri Gd., Cinnamomum Buchi H., C. polymorphum A. B., Personia tusca Gd., Verbenophyllum aculeatum Ett., Diospyros anceps H., D. brachysepala H., Celastrus Michelotti Gd., GC. Bruckmanni A. Br., Sapindus dentifolius H., S. falcifolius A. B, Berchemia multinerva. A. B., Myrtus veneris Gd., Acer integrilobus 0. W., lex theaefolia Gd., I. Viviani Gd., I. stenophylla Ung., Rha- mnus acuminatifolius O. W., Rbh. Decheni W., Rh. Rossmaessleri Ung., Ceanothus ebuloi- des 0. W., Rhus Lesquereaxiana H., /uglans Strozziana Gd., I. bilinica Ung., I. acuminata A. B., IL mnux taurinensis Br., Carya tusca Gd., Pterocarya Massalongi Gd., Crataegus puzzo- lentum Gd., Prunus nanodes Ung., Cassia am- bigua Ung., C. hyperborea Ung. C. lignitum Ung.. /nga gavillana Gd., Legumosites firmulus H., Phyllites gavillanus Gd., a cui si aggiun- gono le tre piante raccolte nelle ligniti, cioè Pecopteris lignitorum Spec., Pinus uncinoides Gd., P. Strozzii Gd. L’ insieme dà 82 specie, di cui 84 furono descritte dal Gau- din e per cui Heer ( Vegetationsverhàltnisse u Klima des Tertiàr- 105 landes, p. 425) caratterizzò l’ intera flora come miocenica supe- riore, e riguardò le ligniti di Val d’ Arno superiore come assai affini alle formazioni di Oeningen, opinione che è perfettamente divisa anche dal Gaudin. La scoperta di felci tanto affini alla Pecopteris lignitorum appoggia tale opinione, essendo la Pecopte- ris lignitorum una forma miocenica. Vediamo ora come i resti animali concordano con queste conclusioni. A breve distanza da S. Giovanni trovasi il Monte Carlo, un colle che si eleva immediatamente sopra gli strati al- luviali della pianura dell’ Arno; esso fu esattamente esplorato e si eleva oltre 80 metri sopra il livello dell’ Arno. Circa 30 metri sotto il suo apice rinvengonsi strati con Elephas meridionalis Nyst. e Rhinoceros etruscus Fale.; a 60 metri sonovi diversi banchi ricchi di conchiglie d’acqua dolce: Adonta Bronni d’Ane., Pisidium concentrieum d’Anc., Palludina ampullacea Br., Melania ovata ed oblonga Br., Nerita Zebrina Br. ecc. ecc., come anche denti di pesci, i quali secondo Meneghini appartengono ad una nuova specie di Leuciscus, ed avanzi di Ciprini. A _73 metri trovansi svariate impronte di piante, le quali non furono esatta- mente confrontate con quelle descritte dal Gaudin. Tutti questi petrefatti appartengono ali’ epoca pliocenica. Il Monte Carlo però non consta degli strati più antichi, ma di sabbie gialle e con- glomerati. AI sud di esso Strozzi trovò nelle marne azzurre il Mastodon pyrenaicus Land. e Mastodon angustidens, come presso Terranuova (sulla sponda destra dell’ Arno ) avanzi di un Ma- chairodus. Questi strati, come lo dimostra il Mastodon angusti dens, corrispondono esattamente a quelli di Eppelsheim; essi ap- partengono al miocene superiore. Sotto questi strati con Masto- don angustidens giacciono i depositi di lignite, i quali per con- seguenza corrispondono al Oeningiano di Heer. Noi troviamo quindi come infimi strati del bacino di Figline: le ligniti colle loro marne, corrispondenti al Oeningiano, al di sopra le marne con Mastodon angustidens corrispondenti agli strati di Eppelsheim, ed al di sopra gli strati pliocenici dell’ Astiano colle diverse di- visioni, che sono le sabbie marnose e il Sansino inferiormente con Elephas meridionalis Rhinoceros etruscus, Mastodon aver- nensis ece., superiormente le sabbie gialle con Rhinoceros hemi- toechus e forse Elephas antiquus. Qui dice già il Gaudin la flora ha assunto un altro carattere; mentre negli infimi strati essa è perfettamente esotica, in questi è affinissima alla attuale, come lo dimostra la presenza di Fagus sylvatica della quale vi ha trovato 106 impronte; ne segue anche che il clima era di poco più caldo dell’ attuale. Gli strati inferiori pliocenici invece col Sansino fanno prova di un passaggio dal clima tropico al posteriore temperato. Gaudin ha descritto le seguenti specie di questi ultimi strati : Pteris Pechioli Gd., Osmunda Strozzii Gd., G. lyptostrobus eu- ropaeus Brong., Acer Sismondae Gd., Cinnamomum Scheuchzeri H., Laurus princeps H., Asimina Meneghini Gd., Leguminositis Pyladis Gd. i Secondo la nuova divisione degli strati terziari in piani proposta e sviluppata da Carlo Mayer, gli infimi strati del bacino di Figline corrispondono al Messiniano, i superiori al Plaisantiano, e più particolarmente le ligniti corrispondenti ai piani di Oeningen rappresentano il Messiniano medio (II), i soprapposti strati col Mastodon angustidens il Messiniano supe- riore ( II); mentre le sabbie marnose col Sansino appartengono al Plaisantiano, e le sabbie gialle superiori all’ Astiano e forse in parte all’ epoca postpliocenica. Nel bacino di Laterina e nella pianura di Arezzo vi sono ancora soprapposti strati più recenti fino ai diluviali. Giova ripetere che tutte queste formazioni di acqua dolce non diversificano tra loro nelle condizioni di giaci- tura, ma fanno, per l’ uniformità della deposizione, passaggio Puna nell’ altra. Ne segue che il lago, o per dir meglio la serie di laghi d’acqua dolce, è quindi esistita senza interruzione per lunghissimo tempo, dalla fine dell’ epoca miocenica, attraverso i periodi in cui si formarono il Messiniano, Plaisantiano, Astiano e Sahariano, fino al tempo diluviale. Gli strati più inferiori dei depositi di acqua dolce sono gli ammassi di lignite insieme cogli strati che vi appartengono. Questi ligniti derivano da legni trasportati nei seni del lago ove si ammassarono. La configurazione del suolo, nell’ opoca in cui ciò avvenne, dovea quindi essere simile alla presente. Se la cosa non fosse così, i depositi di acqua dolce che si addossano alle ripide formazioni eoceniche, non potrebbero presentare una stratificazione così normale, quasi orizzontale; imperocchè le li- gniti, ossiano ammassi di legno di trasporto, vedonsi solo in quei punti ove si appoggiano alle roccie ripide eoceniche, al- quanto erette, precisamente come deve avvenire ai lembi di un bacino. È certo che le catene montuose eoceniche erano già sollevate, quando incominciarono le formazioni di acqua dolce; ciò è dimostrato anche dalla stratificazione quasi orizzontale di queste formazioni, mentre le eoceniche hanno maggiore inclina- 107 zione; quelle formazioni dunque, dopo la loro deposizione, non subirono un notevole sollevamento. Ciò non esclude i solleva- menti lenti, secolari, e tali che forse ancora continuano, ed anzi dessi possono essere la causa che gli strati d’ acqua dolce s' inelinano alquanto verso est. Tali sollevamenti secolari però non possono cambiare nei dettagli la configurazione del paese. Dal complesso segue, che nell’ epoca, in cui cominciarono a formarsi i laghi di acqua dolce le catene montuose del Prato magno e dei Monti Chianti esiste- vano già nell’ attuale configurazione generale. i Siffatti ammassi di lignite, come ;trovansi sulla sponda si- nistra dell’ Arno fra Gaville ed il Botro dei Calvi, non rinvengonsi altrove nelle formazioni di acqua dolce, quantunque singoli tron- chi, più:o meno trasformati in lignite, si trovino in molti luoghi non solo nelle sabbie gialle plioceniche, ma anche in strati più recenti fino negli strati diluviali di sabbie, marne o ciottoli. È vero che qua e là i contadini hanno scavato qualcuno di questi tronchi ed impiegato per la combustione, ma, come sì disse, sono tronchi isolati senza alcuna importanza. Una delle princi- pali giaciture di questi tronchi è presso Montioni nell’ altipiano di Arezzo, più precisamente il luogo ove si uniscono i torrenti di Maspino e Castro. È in pari tempo questa una località classica per la presenza di molti resti di mammiferi e perchè in essa si rinvennero gli avanzi del cetaceo di cui ho parlato più sopra e che sono conservati nel museo di Arezzo. Queste formazioni sono affatto recenti, postplioceniche (come lo dimostrano gli avan- zì dell’ Elephas primigenius), ed in parte anche diluviali. I tronchi che trovansi in notevoli quantità nel limo o ciottoli di- luviali, sono grandi e ben conservati; essi giacciono sempre orizzontali e verso tutte le direzioni ( Fossombrone dice di aver osservato che guardano colla cima verso ovest, e perciò verso PV Arno). Essi sono sempre poveri di rami e perciò furono tra- sportati dall’ acqua; sembra anche comporsi unicamente di co- nifere, come lo dimostrano i numerosi conì ivi trovati. Non fu- rono ancora esattamente studiati dal lato botanico, come non lo furono le piante che si trovano a breve distanza da quella loca- lità, lungo il Castro, nelle marne sabbionose. Quale è la ragione per cui questi legni di trasporto si ac- cumularono solo ad ovest dell’ Arno e solamente in notevole quantità fra Gaville ed il Botro dei Calvi? Noi abbiamo già visto che il seno difeso in quel luogo si apriva solo verso nord-est; 108 la corrente, la quale trasportò quelli ammassi di legno, doveva quindi venire da nord-est oppure dal nord. !l corso delle acque è in allora per conseguenza apposto al presente dell’ Arno ora diretto verso nord-ovest. La corrente veniva da nord-est, s'im- batteva contro gli sporgenti promontori, ed isole, fra i quali si deponeva i legni, e si dirigeva poi verso Arezzo; con altre pa- role, le acque che nutrivano principalmente il lago, venivano da nord-est, ossia dal luogo dove anehe oggi trovasi il punto più elevato dei monti, Prato magno, mentre la fessura di valle era chiusa tra incisa - Rignano. Gli emissari del lago dirigevansi verso sud, ove non esistevano alte montagne ed ove in al- lora nella regione del lago Trasimeno, come nella regione su- periore dell’ odierna valle della Chiana, giungeva il mare, come lo dimostrano le formazioni marine plioceniche di quei luoghi. Dopo che il lago era esistito per lunghissimo tempo, come ab- biamo visto, nella indicata forma, vennero sollevate le alture al sud di esso, probabilmente per l’ emersione del Monte Amicata, come lo ha dimostrato il Savi nella sua bella memoria; « Movi- menti avvenuti dopo la deposizione del terreno pliocenico. » Ma poi le acque non trovavano un’ uscita al sud, finchè successe la rotta di Incisa, con cui ivi fu reso possibile lo scolo nella pia- pura fiorentina. Più tardi si formarono i passaggi nella Valle V Inferno per la fessura dell’ imbuto, e successivamente 1’ Arno si scavò l’attuale suo alveo negli strati di acqua dolce. Allorchè le acque incominciarono a retrocedere, una parte dei bacini del lago era già riempita dagli strati di acqua dolce depositati. Il principale materiale fu apportato dai fiumi sboccanti nel lago e provenienti da nord-est; quindi la formazione del delta ed il riempimento del lago incominciarono nella porzione settentrionale del lago e procedette verso sud. ÎNe segue necessariamente, che gli strati più antichi debbano essere i più settentrionali, e tanto più recenti quanto più si va verso Arezzo, come abbiamo in fatti riscontrato. È notevole la completa mancanza nella Val d’ Arno superiore © delle formazioni mioceniche (fatta astrazione dal Messiniano che forma il passaggio tra il miocenico ed il pliocenico); vi mancano tanto gli strati di acqua dolce che marini della citata epoca. La formazione dei laghi di acqua dolce incominciò col Messiniano, e dalla mancanza degli strati marini più antichi miocenici pos- siamo dedurre, che in quest’ epoca la regione sporgeva sopra il mare ed era terraferma. 109 I sollevamenti del Monte Chianti e del Prato magno avven- nero indubitatamente durante 1’ epoca miocenica, sollevamenti che precedettero la formazione dei laghi di aequa dolce: L’ ultimo sol- levamento, che diede a questi monti in complesso la loro forma odierna, è probabilmente avvenuto alla fine dell’ epoca miocenica, prima che incominciasse a formarsi il Messiniano; è ammissibile che questo sollevamento stia in stretto nesso coll’ apparso dei serpentini più recenti, dei serpentini cioè della seconda eruzione come li chiama Savi. Durante tale catastrofe, che è preceduta alla formazione del lago, saranno stati rovesciati degli estesi bo- schi che furono poi trasportati dalle acque e deposti in quei siti ove oggi troviamo le ligniti. Oltre ligniti derivate da legni di trasporto, rinvengonsi, nella Val d’ Arno superiore anche ligniti di altro genere. Non si tratta qui di ammassi di tronchi d’ alberi, ma di ligniti schistosi (af- fatto simili a’ carboni schistosi di Uznach nella Svizzera), i quali devono la loro origine alle piante cresciute in quella stessa lo- calità, con altre parole, sono i prodotti di antiche torbiere. Ii colore di queste ligniti è oscuro, di cioccolatto ; esse costituiscono dei depositi compatti e schistosi, che non racchiudono dei tronchi di alberi. Sono prodotti relativamente recenti e si sono svilup- pati in quelle località, dove, per la iformazione progressiva dei delta nei Jaghi, si poterono formare delle torbiere; essi non giungono oltre il postpliocene inferiore. Uno di questi giacimenti è presso Terranuova, sulla sponda destra dell’ Arno nel bacino di Figline; il più significante però è presso Ponte a Buriano, nel luogo dove la Chiana si unisce coll’ Arno. Questi depositi di lignite sono quasi orizzontali, appena alquanto inclinati verso sud-ovest, trovansi a livello della Chiana e dentro il letto scoperti sopra un lungo tratto. Pare che vi esistano sette stratti, tra loro separati da deboli banchi di argilla strati della potenza di 40 cent, fino a 2 4j2 metri. Si è cercato di ritrarne profitto; ma quantunque queste ligniti offrono un combustibile adopera- bile, pure sono in bontà di molto inferiori a quelle che abbiamo imparate a conoscere prima. Viene asserito che in esse si rin- vengano delie conchiglie di acqua dolce, ma io non ne potei trovare e non posso declinare il genere cui appartengono. Riassumendo ì risultati geologici, possono addursi queste conclusioni. A. Nella Val d’ Arno superiore esistette fra le catene mon- tuose eoceniche e confinato all’ est dai monti del Prato magno 110 ed all’ ovest dai Monti Chianti, un grande lago di acqua dolce, o se si vuole, ne esistettero tre fra loro comunicanti. La durata di questo lago fu lunghissima, cioè dall'ultimo periodo dell’ epoca miocenica fino al tempo diluviale; l origine risale al Messiniano, la fine al Diluviano, 2. Quando il lago incominciò a formarsi, era già avvenuto il sollevamento delle catene montuose eoceniche che sono al suo confine e che allora presentavano già in generale la forma odierna. 3. Originariamente l’intero bacino del lago era chiuso a nord-est, ed il lago avea il suo scolo al sud, cosicchè la corrente era diretta verso mezzodi, in direzione opposta all’ attuale del- l'Arno. Ne viene che i depositi più antichi dei laghi trovansi al nord, i più recenti al sud, questi ultimi formanti la pianura di Arezzo. 4. AI lato occidentale del lago più elevato e maggiore, nei depositi ed appartenenti al Messiniano, si sono ammassate im- mense quantità di legno, trasportatevi dalle acque e depositate lu un seno tranquillo, aperto verso nord-est; da esse si formarono delle ligniti più o meno ricche di piropissite. 5. In alcuni altri punti dell’antico bacino del lago e cioè nei depositi più recenti, trovansi delle ligniti in quantità insigni- ficante, che non ebbero |’ origine da legno di trasporto, ma sono il risultato di antiche marniere. 6. Verso la fine dell’ epoca pliocenica cominciarono elevarsi dei monti, al sud del sistema dei laghi, probabilmente colla com- parsa del grande vulcano Monte Amiata; in seguito a ciò lo scolo meridionale venne chiuso e le acque, ristagnandosi, cercarono una via in dietro. Si fecero strada per la fessura d’ Incisa, come per quella della Valle dell’ Inferno e dell’ Imbuto, per cui in fine del tempo diluviale le acque presero quel corso che presenta oggi l’ Arno. Con queste acque si congiunsero quelle che provenivano dal Casentino (la più alta porzione dell’ odierna Valle dell’ Arno), non potendo nemmeno esse scorrere verso mezzodì. 7. Queste acque riunite formano in fine l’ Arno attuale, che si scavò il suo largo thalweg nei potenti depositi dell’ antico lago, in seguito a cui tutti i laghi furono colmati. Questi risultati non concordano pienamente colle idee espo- ste dal Savi e Strozzi, nè con quelle del Cocchi. I primi sono del parere che al tempo in cui esisteva il lago le catene montuose eoceniche circostanti avessero in complesso 111 la forma attuale, ma giudicano che le acque, le quali nutrivano i laghi, venissero principalmente da sud-est, e che, quantunque il lago sulla pianura di Arezzo gettasse le sue acque direttamente in mare al sud, tuttavia il grande lago di Figline (la vera Valle d’ Arno superiore) avesse il suo scolo (come oggi l’ Arno) per la fessura di Incisa-Rignano e sì vuotasse completamente dopo la fine dell’epoca pliocenica per la posizione più bassa della fes- sura di Rignano. Gli ammassi di lignite non ammettono dubbio intorno alla direzione della corrente del lago da nord-est verso sud-ovest. Cocchi ha poi dimostrato che i depositi dell’ intero sistema dei laghi durarono fino nel tempo diluviale, fino a cui quindi dovea sussistere anche questo sistema. L'opinione del Cocchi è questa, che il lago ricevesse le sue acque dal nord e fosse chiuso al sud. E ritenendo che l’ultimo grande sollevamento dell’ Apennino sia successo dopo l’epoca pliocenica, opina che la confignrazione dei dintorni del lago fosse affatto diversa dall’ attuale e non esistessero in allora nella forma odierna nemeno in generale le catene montuose dei Monti Chianti e del Prato magno. Che questa catena di montegne abbia già a quel tempo in generale avuto la forma odierna, lo provano appunto le ligniti, le quali seguendo la configurazione delle montagne eoceniche si addossano alle medesime esattamente. Se le catene montuose fossero state sollevate posteriormente gli strati d’ acqua dolce avrebbero dovuto partecipare a tale sollevamento, locchè non è avvenuto. Infine voglio fare una menzione del modo che gli abitanti di quei luoghi concepiscono le condizioni geologiche. lutti sono persuasi che vi esistesse un lago, e credono che tale tempo non sia molto discosto. È strana l'opinione che si riferisce al passo deli’ Arno presso Incisa. Il nome di Annibale è ancora oggi sulle labbra di tutti; il popolo, il quale tanto volontieri collega le cose meravigliose, racconta, che Annibale abbia fatto eseguire presso Incisa quella incisione, affinchè le acque fossero deviate ed af- finchè il suo esercito potesse continuare la marcia attraverso alle regioni paludose dell’ Arno. I MAMMIFERI VIVENTI ED ESTINTI DEL MODENESE PER PAOLO BONIZZI DOTTORE IN SCIENZE NATURALI E PRIVATO INSEGNANTE DI ANATOMIA COMPARATA NELLA R, UNIVERSITA” DI MODENA La mancanza di qualunque lavoro intorno ai mammi- (i del territorio modenese, mi determinò a fare delle inda- gini e degli studi su tale argomento e a pubblicare il seguente prospetto delle specie che vivono o vissero sul nostro suolo. Però questo mio lavoro in molte parti non è che un semplice abbozzo, segnatamente allorchè tratto delle razze «ci nostri ani- mali domestici, il cui studio è finora completamente trascurato anche in tutto il resto dell’ Italia. Colla scorta delle osservazioni e delle raccolte che si sono fatte finora ho potuto constatare l’esistenza di 25 specie vi- venti allo stato naturale, ma ulteriori ricerche mi potranno mettere in grado di aggiungerne diverse altre, specialmente nell’ ordine dei Chiropteri e in quello dei Roditori. Gli avanzi fossili e quelli delle nostre terremare mi hanno somministrato il mezzo d’ indicare le specie e le razze dei mam- miferi ora estinte. Potrà forse sembrare a prima vista che l’ occuparsi degli animali di una località assai ristretta, sia cosa di ben poco inte- resse; ma se sì riflette che le faune particolari gioveranno im- mensamente alla compilazione delle faune di grandi regioni la di cui importanza è incontestabile, e che d’altra parte sì apre la via a sempre più rigorose e minute ricerche, niuno vorrà di- sconoscere il vantaggio che recano anche le notizie sugli animali di località ristrette. 9 114 Debbo poi avvertire che ho trattato con maggior diffusione le note relative alle specie che vivono fra noì allo stato di do- mesticità, accennando tutto ciò che di più sicuro si conosce og- gidì intorno all’ importante problema delle origini ed alla loro antichità. Una delie opere da cui ho principalmente attinte le notizie sull’ origine delle razze dei mammiferi domestici è il re- cente lavoro « The variation of animals and plants under dome- stication » dell’ illustre naturalista Carlo Darwin. Gli studi del Ca- nestrini intorno alle terremare del modenese spargono pure molta luce sulle nostre prime razze domestiche, e mi giovarono non poco per ciò che risguarda |’ antichità delle razze stesse. Le razze attuali non sono state punto nè poco studiate ed io ho procurato di enumerarne le principali e di tenere qualche parola dei loro più notevoli caratteri esterni. Spero in tal modo di aprir l’ adito a nuovi ed importanti studi sulle nostre razze domestiche. Modena 2A Giugno 1870. 115 Ordine. Chiroptera., A. Genere. RinoLopHus, Geoffroy. I. Specie. Rhinolophus ferrum-equinum, Linneo. Nome italiano. Rino/ofo uniastato. « modenese. Pal/pastrél. Sinonimia. Vespertilio ferrum-equinum, Linneo. Cuvier. Bonaparte. Rhinolophus unihastaius, Geoffroy. Lesson. Ranzani. « ferrum-equinum, Leach: Nardo. De-Betta. Ninni. Fatio. Noctilio ferrum equinum, Kubl. Estensione geografica. Questa specie è sparsa in tutta Europa, ma è più comune al sud che ai nord. Rota. Alcune volte ho trovato questa specie nel modenese. Il chiarissimo Dott. Ninni dice « che tali chirotteri sembra emigrino con irregolarità, poichè mentre alcuni anni, ad. esempio, si trovano comunissimi nelle vicinanze della città di Treviso, rarissimamente si fanno. vedere alcuni altri. » (A. P. Ninni. Notizie intorno agli animali vertebrati della provincia di Treviso, Venezia 1864, pag. 22). Nel R. Museo di Storia Naturale della nostra Università sì conserva un esemplare albino. 2. Genere. PLEcoTUS, Geoffroy. 2. Specie. Plecotus auritus, Linneo. Nome italiano. Orecchiardo comune. « modenese. Palpastrél. Sinomimia. Vespertilio auritus, Linneo. Cuvier. Ranzani. Plecotus comunis, Lesson. « auritus, Geoffroy, Bonaparte. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. ì 116 Estensione geografica. Questo pipistrello è sparso in tutta l’ Europa anche a grandi altezze sulle montagne. Nota. Si osservano due esemplari nella collezione del AR. Museo. Il chiarissimo Dott. Carlo Boni ne possiede un individuo ucciso a poca distanza dalla città di Modena. Îton è una specie comune pel modenese. 8. Genere. VEsPERUGO. 3. Specie. Vesperugo Kuhlii, Natterer. Nome italiano. Pipistrello. « modenese. Pal/pastrél. Sinonimia. Vespertilio Kuhlii, Natterer. « vispistrellus, Bonaparte. a alcythoe, Bonaparte. « marginatus, Cretsch. Pipistrellus Kuhlii, Bonaparte. Nardo. Ninni. Vespertgo Kuhlii, Keyserling et Blasius. Fatio. “ marginatus, Michab. De Betta. Estensione geografica. Trovasi abbondantissimo in tutto il mezzodì dell’ Europa fino nell’ Asia e nell’ Africa settentrionale. Nota, Nel modenese è specie assai frequente la quale spesso ve- diamo nell’ interno della città volare durante i crepuscoli e quasi tutta la notte per le contrade, ed entrare persino nelle nostre stanze. Si fa vedere anche nell’ autunno inoltrato e nelle belle giornate invernali. 4. Specie. Vesperugo serotinus, Daubenton. Nome italiano. Pipistrello serotino. « modenese. Palpatréèl. Sinonimia. Vespertilio serotinus, Daubenton. Cuvier. Ranzani. Lesson. Bo- naparte. Nardo. Ninni. c notula, Geoffroy. 0 murinus, Pallas. 117 Vesperus serotinus, Keyserling. et Blasius. Vesperugo serotinus, Blasius. De Betta. Fatio. Estensione geografica. Europa. Nota» E comune. lo ho preso degli individui in molte loca- lità del piano e in vicinanza al colle. 4. Genere. VespPERTILIO, Linneo. 5. Specie. Vespertilio murinus, Linneo. Nome italiano. Vespertilione murino. «a modenese, Palpasirèl. Sinonimia. Vespertilio murinus, Linneo. Cuvier. Geoffroy. Lesson. Ranzani. De Betta. Fatio. a major, Brisson. “ myotis, Bechst. » submurinus, Brehm. Myotis murinus, Kolenati. Nardo. Ninni. Estensione geografica. Europa media e meridionale. Nota, Il solo esemplare che io ho osservato in Modena credo con ogni probabilità proveniente dal nostro territorio. Ordine. Insectivora. 5. Genere. TaLpA, Linneo 6. Specie. Talpa europea, Linneo. Nome italiana. Talpa. » modenese. Topa. Sinonimia. Talpa europea, UCuvier. Bonaparte. Ranzani. Lesson. Nardo. De Betta. Ninni, Fatio. «a vulgaris alba et variegata, Brisson. Estensione geografica. Tutta 1° Europa fino all’ estremo nord della Russia. 118 Nota. La talpa è fra noi comunissima. Si deve annoverare, come è noto, fra gli animali utili all’ agricoltura perchè distrugge molti insetti e larve che rinviene nello scavarsi le sue gal- lerie. Reca però qualche danno in quei prati o campi in cui si moltiplicò a dismisura pel troppo sommovimento di terra che vi produce distruggendo così le radici delle erbe e delle piante utili. Nella collezione del R. Museo si osservano tre esemplari albini. 6. Genere. SoREXx, Linneo. 7. Specie. Sorex arenaus; Linneo. Nome italiano Sorice ragno. « modenese Pundghén. Sinonimia. Sorrex vulgaris, Linneo. Geoffroy. Ranzani. Fatio. ‘a araneus, Linneo. Bonaparte. Nardo. De Betta. Ninni. « tetragonurus, Hermann. Lesson. « —melanodon, Wagler. « concinnus, Wagler. « rhinolhopus, Wagler. Corsira vulgaris, Gray. Estensione geografica. Dal nord al sud dell’ Europa si osserva questa specie. Nota. Nei Musei di Modena e di Bologna si vedono preparati diversi esemplari. 7. Genere. Crocipura, Wagler. 8. Specie. Crocidura musaranea, Bonaparte. Nome italiano. Topino comune. « modenese. Pundghén. Surghén Sinonimfia. Sorex musaraneus, Cuvier. « araneus, Schreber. « fimbriutus, Savi. 119 Crocidura major, Wagler. C moschata, Wagler. « rufa, Wagler. CI poliogastra, Wagler. c aranea, De Selys. ‘ musaranea, Bonaparte. Nardo. De Betta. Ninni. Leucodon araneus, Fatio. Estensione geografica. ‘ Europa. Notao È specie che non manca fra noi e che in campagna diamo introdursi talora nelle abitazioni. 8. Genere ErinAcEUS, Linneo. 9. Specie. Erinaceus Europeus, Linneo. Nome italiano. Riccio. «a modenese. Réz. Sinonimia. Erinaceus europeus, Linneo. Cuvier. Ranzani. Lesson. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. Estensione geografica. Abita quasi tutta |’ Europa. Nota. Comune. Il riccio è utile per RIEUBrTO nelle case le blatte (modenese, dgon). È sempre degna di speciale attenzione la proprietà che ha il riccio di essere insensibile all’azione dci veleni. Pallas e Vide un riccio fare un pasto intiero di cantaridi, Lenz spe- rimentò che il riecio sopporta le morsicature della vipera e molto volontieri se ne ciba, ed Oken crede che quest’ ani- male sia tanto insensibile ai veleni da poter ingoiare impu- nemente acido prussico, arsenico, oppio, sublimato corro- sivo. È necessario fare delle nuove ricerche su questo impor- lante argomento. 120 Ordine. Eèodentia. 9. Genere. Sciurus, Linneo. 10. Specie Sciurus vulgaris, Linneo. Nome italiane. Scojattolo. «a modenese. Gosa. Sinonimia. Sciurus vulgaris, Linneo. Cuvier. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. « alpinus, Federico Cuvier. Geoffroy. « italicus, Bonaparte. Estensione geografica. Europa. Nota. È animale frequente nei boschi delle località montuose. 40. Genere Myoxus, Zimmerman. AA. Specie. Myorus glis, Schreber. Nome italiano. Ghiro. « modenese. Schirach. Sinonimia. Sciurus glis, Linneo. Glis esculentus, Blumenbach. Myoxus glis, Schreber. Cuvier. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. i Estensione geografica. Europa media e meridionale. Nota. Abbonda nei boschi e trovasi anche nell’ aperta campagna e nei fori degli alberi ove si tiene nascosto. Vi è qualche contadino fra noi che se ne ciba. Gli antichi romani erano ghiotti della sua carne. 42. Specie. Myoxus avellanarius, Linneo. Nome italiano. Moscardino. « modenese. Pondégh muscarden. 121 Sinonimia. Mus avellanarius, Linneo. Cuvier. Sciurus avellanarius, Erxleben. Glis avellanarius, Blumenbach. Myoxus muscardinus, Gmelin. Ranzani. Muscardinus avellanarius, Wagner. Myoxus avellanarius, Wagner. Desmarest. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. Estensione geografica. Trovasi nell’ Europa media e meridionale. Nota. Qesta specie è molto comune. AA. Genere. Mus, Linneo. 13. Specie. Mus decumanus, Pallas. Nome italiano. Topo decumano. « modenese. Pondga. Sinonimia. Mus decumanus, Pallas. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Glis norvegicus, Klein. Rattus migrans, Zimmerman. Estensione geografica, Fatio. Dopo che fu introdotto in Europa dalle Indie nel secolo scorso è cosmopolita. In Russia comparve nel 1727. Notas Comune dovunque. 44, Specie. Mus rattus, Linneo. Nome italiano. Topo ratto. « modenese. Pondga. Sinonimia. Mus rattus, Linneo. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. « alexandrinus, Geoffroy. « tectorum, Savi. « leucogaster, Pictet. Estensione geografica. + Questa specie era sconosciuta agli antichi e credesi tra- sportata in Europa dall’ America. Nota. Come la precedente. 122 45. Specie. Mus musculus, Linneo. Nome italiano. Topo casalino. « modenese. Pondégh-Pundghén. Sinonimia. Mus musculus. Linneo. Bonaparte. Ranzani. Nardo. De Betta. « Ninni. Fatio. minor, Klein. Sorex domesticus, Charlet. Estensione geografica. Questa specie abita il mondo intiero. Nota. Comunissima. 46. Specie. Mus sylvaticus, Linneo. Nome italiano. Topo salvatico. a modenese. Pondégh. Sinonimia. Mus syloaticus, Linneo. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni Fatio. « agrorum, Brisson. Musculus dichrurus, Rafinesque. Estensione geografica. Europa. Nota. Il topo salvatico vive ne’ campi ed entra difficilmente nelle abitazioni. Nidifica sotterra poco profondo e più ordinaria- mente vicino ai ceppi degli alberi resinosi. Questa è la specie per quanto mi pare, che lo Spallanzani vide sulle alte mon- tagne modenesi in vicinanza al lago Scaffajolo in una loca- lità di faggi. Quantunque egli non potesse determinare l’unico individuo preso, pure dai seguenti caratteri e da altre cir- costanze di cui fa cenno è a credersi che fosse il topo in discorso. Ecco le sue parole: « dirò solo essere del doppio « più grosso dei M. musculus ed avere un colore lionato su « dorso e nei fianchi e bianchiccio alla regione del ventre, « apertolo aveva lo stomaco pieno di sementi di faggio. » Tali caratteri concordano con quelli che danno gli autori. Si sa inoltre che questo topo può vivere a grandi elevatezze, così il Dott. Fatio l'ha trovato sulle alte montagne della Svizzera a 4900 e 2500 metri sul livello del mare. Dì specie 125 che varia assai nel colorito e nelle dimensioni secondo l’età, le stagioni e le diverse condizioni d’ esistenza. Strobel e Pi- gorini scoprirono gran parte dello scheletro di un topo nelle palafitte Parmensi. Essi sono indotti ad assegnare questi avanzi alla specie M. sylvaticus. 12. Genere. ArvicoLa, Lacépède. 47. Specie. Arcicola amphibius, Linneo. Nome italiano. Arvicola anfibio. « modenese, Pondga da acqua. Sinonimia. Mus amphibius, Linneo. « ferrestris, Linneo. Arcivola amphibius, Lacépède. Cuvier, Bonaparte. De Selys. Fatio. a pertinax, Savi. € Musignanii, De Selys. Nardo. . a destructor, Savi. a terrestris, Bonaparte. « monticola, De Selys. Lemnus aquaticus, Federico Cuvier. « schermaus, Federico Cuvier. Estensione geografica. Diffusa per tutta l’ Europa e si stende per l’ Asia fino lato orientale della Cina e della Siberia. Retta. Comune. 18, Specie. Arvicola arvalis, Pallas. Nome italiano. Arvicola campagnuolo. « modenese. Pondégh da campagna. Sinonimia. Mus arvalis, Pallas. « campestris minor, Brisson. Arvicola arvalis, Lacépède. Bonaparte. Myodes arvalis, Pallas. Lemnus arvalis, Federico Cuvier. Estensione geografica. al Europa centrale. Il signor Fatio ( Faune des Vertébrés de la Suisse) dice che questa specie è in gran parte sostituita 124 al mezzodì dall’ altra A. Savii che rassomiglia un poco esier- namente. Nota. Quantunque nel R. Museo si osservano anche due esem- plari colla determinazione A_Savii, pure io li ascrivo alla specie A. arvalis. 13. Genere. CAvia, Klein. 49. Specie. Capia cobaia, Pallas. Nome italiano. Porceletto d’ India. « modenese. Purzlen d’ Endia. Sinonimia. . Mus porcellus, et brasiliensis, Linneo. Cavia porcellus, Bonaparte, Nardo Ninni. « aperea, Erxleben. « cobaya, Cuvier. Desmarest. De Betta. Eistensione geografica. Sono ormai circa tre secoli ehe il porceletto d'India fu introdotto in Europa dall’ America del sud. Nota. Vive in domesticità. 44. Genere. Lepus, Linneo. 20. Specie. Lepus timidus, Linneo. Nome italiano. Lepre. « modenese. Zepra. Sinonimia, Lepus timidus, Linneo. Cuvier. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. a europeus, Pallas. « mediterraneus, Wagner. Estensione geografica, S' incontra il lepre in quasi tutta |’ Europa. Nota. . E sparso abbondantemente nel modenese. 125 21. Specie. Lepus cuniculus, Linneo. Nome italiano. Coniglio. « modenese. Cunt. Nota. Quasi tutti i maturalisti sono concordì nell’ ammettere che le diverse razze di conigli domestici discendano dalla specie selvaggia comune. Gervais è forse il solo che non è di que- sto parere; egli diee, che il coniglio selvaggio è più piccolo del domestico, che le sue proporzioni non sono assoluta- mente le medesime, la sua coda è più piccola, le sue orec- chie sono più corte e più pelose e che tuiti i suoi carat» teri, prescindendo pure dal colore, mostrano non essere giusta l'opinione di riunire tutte le razze di conigli sotto una sola denominazione. Darwin crede che tutte queste piccole dif- ferenze non siano sufficenti per ammettere una distinzione specifica, imperocchè la stretta cattività, la perfetta dome- sticità, il nutrimento non naturale, e l’ accurato allevamento e tutto ciò protratto per lungo tempo deve produrre qual- che variazione. Gli studi che lo stesso autore ha fatti sullo scheltro del coniglio selvaggio e su quello del domestico pro- vano fino a qual punto può giungere la variabilità in con- seguenza della domesticità. il coniglio fu domesticato fino da un tempo molto antico. Confucio cita quest’ animale fra quelli che erano sacrificati agli dei e siccome ne prescrive la loro moltiplicazione, così do- veva a quell’ epoca essere già domestico. Delle ossa fossili del L: cuniculus furono scoperte presso a Ginevra. Nel modenese è frequentissima la varietà coniglio delga del- l'abito del lepre. 126 Ordine. Carnivora. 45. Genere FEeLIS, Linneo. 22. Specie Felis domestica, Brisson. Mome italiano. Gatto. » modenese. Gat. Sinonimiao Felis catus domesticus, Linneo. Cuvier. Schreber. « domestica, Brisson. Bonaparte. Nardo. De Betta. Ninni Carruccio. Nota. I gatti si domesticavano in Oriente sino dall’ antichità. Blyth li trovò menzionati in un documento sanseritto di duemila anni or sono, e in Egitto rimontano ad una anti- chità anche maggiore, come ne fanno fede i segni monu- mentali e i corpi di gatti mummificati. Queste mummie se- condo De Blainville che ha fatto studi speciali su ‘tale sub- bietto, appartengono a non meno di tre specie cioè: F. cali- gulata, bubastes e chaus. Nelle terremare del modenese non sì è finora trovato nes- sun avanzo del gatto. Così pure nelle terremare del Par- mense e nelle abitazioni lacustri della Svizzera. Alcuni naturalisti come Pallas, Temminck e Blyth credono che i gatti domestici discendano da parecchie specie fram- mischiate; quello che certo è, che i gatti domestici s’ incro- ciano molto volentieri con varie specie selvaggie di gatti e che in qualche caso ! inerociamento è stato abbastanza fre- quente da modificare il carattere della razza. Sia che i gatti domestici discendano da parecchie razze distinte, sia che gli accidentali inerocciamenti li abbiano solamente modificati, la loro fecondità, come è ben noto, rimase inalterata. Nei gatti vi è grande varabilità, anche nel modenese come in tutti i paesi annoveriamo moltissime varietà di colorito, ma sarebbe impossibile riconoscere delle razze distinte. In uno stesso paese non si vedono razze distinte di gatti, come vediamo di cani e di altri animali domestici, benchè i gatti d’uno stesso paese hanno una quantità di variazioni abbastan- za notevoli, La più ovvia spiegazione del fatto è, che in causa 127 dell’ abitudine che hanno di vagare nella notte, riesce molto difficile a prevenire i loro confusi incrociamenti. La selezione non può essere usata in modo da produrre delle razze di- stinte e da conservare intatte quelle importate dal di fuori. È degno di molta attenzione il fatto che mi comunica il prof. Canestrini, di avere egli stesso osservato che i gatti giovanissimi grigi hanno delle fascie traversali circondanti il corpo simili a quelle della tigre. 16. Genere. ForrorIUs, Keyserling et Blasius. 23. Specie. Foetorius pusillus, Aud. er Bachm. Nome italiano. Donnola. « modenenese. Beéeola. Sinonimia. Mustela nivalis, Linneo. vulgaris, Brisson. Cuvier. Lesson. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Gale, Pallas. Putorius pusillus, Aud. et Bachm. Foetorius vulgaris, Keyserling et Blasius. « pusiîllus, Fatio. Estensione geografica. Ha una grande estensione in Europa. Nota. Questo grazioso e vispo mammifero è comune. lo |’ ho osservato nei dintorni della nostra città. Fu preso a Sassuolo un individuo albino e preparato per la collezione del Museo avente sul capo una macchia del colore ordinario della specie. Condivido io pure l’ opinione dei chiarissimi Cav. De Betta e Dott. Ninni che l’ albino di questa specie sia stato da qualche autore notato per la specie M. erminea. 24. Specie. Foetorius puitorius, Linneo. Nome italiano. Puzzola. « modenese. Marturel-Pozla. Sinonimia. Mustela putorius, Linneo. Lesson. 128 Mustela furo, Linneo. « Eversmanni, Lesson. Putorius vulgaris, Cuvier. Nardo. De Betta. Ninni. Foetorius putorius, Keys et Blas: Victor Fatio. c furo, Keys. et Blas. Estensione geografica. Comune nell’ Europa media. Nei resto del continente si estende più al nord che al sud. Nota. La puzzola si prende talora nel modenese. Il sig. Prof. Venanzio Costa mi disse di avere avuto un individuo di questa specie che. visse qualche tempo in una perfetta domesticità, ma in seguito essendosi cibato dì preda vivente fuggì dalla casa. 47. Genere. MartES, Cuvier. 25. Specie. Martes foina, Brisson. Nome italiano. Faina. «modenese. Faina. Sinonimia. Mustela martes var. fagorum, Linneo. « foina, Brisson, Lesson, Ranzani. Martes foina, Nilson. Cuvier. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. Estensione geografica. Europa media e meridionale. Nota. | É comune fra noi e ognun sa i danni che reca al pol- lame. 48. Genere. MeLES, Brisson. 26. Specie. Meles taxus, Schreber. Nome italiano. Tasso. « modenese. Tas. Ssinonimia. Ursus meles, Linneo. « —taxus, Schreber. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. Taxus vulgaris, Tiedemann. 129 Meles europaeus, Desmarest. « oulgaris, Desmarest. Lesson. Estensione geografica. Il tasso trovasi in quasi tutta |’ Runapa e in una gran parte dell’ Asia. Nota. Vive sulle nostre montagne. L’ anno scorso ebbi due in- dividui uccisi nel circondario di Pavullo. 49. Genere. Canis, Linneo. 27. Specie. Canis lupus, Linneo. Nome italiano. Lupo. « modenese. Loo. Sinonimia. Canis lupus, Linneo. Cuvier. Lesson. Ranzani. Nardo. De Betta. Ninni. Fatio. « lycaon, Schreber. Cuvier. Ranzani. Lupus vulgaris, Brisson. Estensione geografica. Il Lupo abitava tutta |’ Europa, ora abbonda soltanto nelle parti più settentrionali del continente. Nota. Nel 1843 fu ucciso un individuo sull’ alto Appennino mo- denese ( Fiumalbo ). Eccone alcuni caratteri : La lunghezza totale dall’ apice del muso all’ estremità dellalicodal'eradii/i Vene ee 4 metri) 4, 40 La lunghezza della ‘testa i (Ue 000, 30 « dell'orecchio VAniza oo «0,40 « delle membra anteriori . . . &MUA0).197 “« dellafco dala Ri , «0, 38 Le macchie di colore oscuro del dersa erano disposte a ‘guisa di fascie, due di queste si portavano in avanti verso gli arti anteriori e due altre si portavano all’ indietro. Le zampe anteriori avevano pure sul davanti una striscia nera ben® delineata che terminava al cominciamento del meta- carpo. 10 150 28. Specie. Canis familiaris, Linneo. Nome italiano. Cane. modenese. Can. Nota. Alcuni autori credono che le numerose varietà domestiche del cane provengano tutte dal lupo c dallo sciacallo, o da una specie estinta ed ignota; altri invece e questa è l’ opi- nione prevalsa in questi ultimi tempi, che discendano da parecchie specie recenti od estinte più o meno incrociate. È assai difficile che noi possiamo giungere a determinare con certezza | origine. La Paleontologia sparge poca luce sulla questione, sia per la grande analogia che hanno fra loro i crani dei lupi e dei sciacalli viventi ed estinti, sia per la dissomiglianza che si nota fra i cerani delle differenti razze di cani domestici. Ei pare tuttavia che nei depositi terziari recenti siansi irovate delle ossa simili più a quelle di un grosso cane che a quelle del lupo, il che è secondo opinione del De Blainville che afferma i nostri cani discen- dere da una specie unica ed estinta. Altri autori affermano persino che ciascuna razza domestica principale ebbe il suo prototipo selvaggio. Quest’ ultima opinione è assai improba- bile perchè non ammette le variazioni, disconosce i carat- teri quasi mostruosi di certe razze, e suppone quasi neces- sariamente l’ estinzione di un gran numero di specie, dacchè l’uomo ha reso domestico il cane; ina noi vediamo chiara- mente che |’ intervento umano non ha potuto far scomparire che dopo grandi difficoltà le specie selvaggie della famiglia dei cani; anche di recente nel 41740 il lupo esisteva in una piccola isola come 1° Irlanda. Le ragioni che hanno indotto diversi autori ad affermare che i nostri cani domestici di- scendano da parecchie specie selvaggie sono; in primo luogo le grandi differenze fra le diverse razze; (ma ciò parrà di poco valore quando si pensi alle grandi differenze fra pa- recchie razze di vari animali domestici che di certo discen- dano da un unico antenato) in secondo luogo il fatto più importante che fino dai periodi storici più antichi che cono- sciamo esistevano già parecchie razze di cani molte dissimili fra loro e somiglianti od identiche alle razze odierne. Il cane è forse | animale domestico più antico. 1 suoi 151 avanzi furono riscontrati nei Kjoekkenmoeddings della Dani- marca, e 5000 anni sono ne esistevano già parecchie razze domestiche. Nelle terreinare del modenese si sono trovati gli avanzi del cane. Secondo il prof. Canestrini esistevano all’ epoca del bronzo due razze distinte di cane, l'una mag- giore, l’ altra minore, che egli ha comparate colle due va- rietà del cane da pastore recente, comuni nelle colline mo- denesi. La razza maggiore la denominò Canis familiaris major, e la razza minore C familiaris minor. Il cane da pastore sarebbe una delle razze primitive. Le principali razze di cani che si osservano oggidi nella provincia di Modena sono le seguenti. CANIS PECUARIUS. Nome italiano. Cane da pastore. « modenese. Can pastor. Di questa razza se ne osservano due varietà l'una di sta- tatura mediocre abbondantemente sparsa sulie colline mode- nesi, V altra di statura più grande della precedente che si vede però rare volte alle nostre montagne. C. GRAJUS. Nome italiano. Levriere 0 Veltro. « modenese. Can levrér. Di questo cane ne abbiamo due varietà, una di statura più grande, | altro di statura più piccola. Quest ultimo è il così detto cane italiano. C. MOLOSSUS. Nome italiano. Alano. « modenese. Can buldogh. GC. LANARIUS. Nome italiano. A/ustino,. «modenese. Can. mastén, 132 C. SAGAX. Nome italiano. Segugio. e modenese. Can da cazza, C. AVICULARIUS. Nome italiano. Cane da ferma. « modenese. Can da ferma. C. GENUINUS. Nome italiano. Barbone. « modenese. Can barbon. ‘C. POMERANUS. Nome italiano. Cane pomero. «modenese. Can pomér - Pumarén. Oltre a queste razze si nota anahe il C. fricator, Carlino; il C. vertagus, Cane da tasso; il C. gryphus Griffone; € si vede talora il cane spagnuolo e l’ inglese con numerose va- rietà (C. extarius ), qualche individuo del cane danese ( C. danicus ) e del cane di Terranuova ( C. aquatilis ). 20. Genere. VuLpEs, Brisson. 29. Specie. Vulpus vulgaris, Brisson. 0 Nome italiano. Volpe. ; « modenese. Vo/pa. Sinonimia. Canis oulpes, Linneo. Cuvier. Lesson. Ranzani.EFatio. « alopez, Linneo. Lesson. « melanogaster, Bonaparte. Vulpes vulgaris, Brisson. Nardo. De Betta. Ninni. « crucigera, Brisson. Estensione geografica. Europa intiera, ma abita anche l’ Asia e 1° Africa. Nota. La volpe è frequente nella nostra provincia. 155 24. Genere. Ursus. 30. Specie. Ursus arctos, Linneo. Nome italiano. Orso. Sinonimia. Ursus arctos, Linneo. Cuvier. Ranzani. Nardo. Fatio. .«’ norgegieus, Federico Cuvier. «collaris, Fed. Cuvier. r_ È sotto i torchi il quinto volume dello Annuario della Società, I primi quattro sono vendibili, per Lir 4 a volume, dal librajo Vin- cenzi di Modena, che accorda un ribasso a chi acquisterà in una sola volta i quattro volumi. Modena 1870 — Tipografia e Cartoleria dell’ Erede Soliani st N VT Vice } Va vi Ayunaro della Soc. der Nat.in Uodena Anno 1 At L. Ragori a lqrotermograyi Dati 1006 ; j RINZIA SORA TAO x VE RISO n dA OAICAZIATO DIVIDONO MS ICI CI DITE TORO Ao Di Ù fi ta IAN LI Nan UUNIVASI RUATE ui i VITAE Annuario della Soc der Nat.in Modena Aruo L lav.Ml Millimetri S INS S d Sì na) SS LS p Ò DS AS ) IN = Nn x wx & | Modena 740 Jtagona . Burrasche di Novembre 1869 [cP) = Ur: In z si i de! as 2 e. 1599U DIf 29UI TA ri bit.ferrari. «Modena . della Soc. dei Nat. in Modena Anno V Tav. IL. Coppi, Rbnoceros Lib. A. Ferrari, Modena. ONdE DESIETRO) ARATUSnA OI “ MIT, (0 © ‘ade Ibovembre | 25. 20 25 Jo T | | 31 Pi 10 Ss 2 È. = 27 O. Li Ibi HH lugÒi IAT HH OtLobu Wodena, Anno L Ti Hl. Die 20. 25 J0| I Li b [ce EEFERECRÌ Setlesmbi LI] >) ; - i crggintoi \e==* 4. Annuario della Soc. dei Nat. in Modena, Anno V Tav 17 Canestrini Gallina mostruosa N si po Mz, Wi Te È gl DI si rin | IR E la lit. A. Ferrari, Modena Annuario della Soc. dei Nat un Modena, Anno V Tav. VII I#d'tvi / Spa ccato lor 19 itudinale Scala delle lunghezze 4:300000 delle altezze =/: 15000 Rondi ne ( Chiura dell'Imbuto ) Stazione Latorina li glia ) AL (AVI 3 Meleto CaslelInuovo 1 Gavtllo \ (dà N. 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