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Im questa collezione che già aveva incominciato a studiare iel 1879 il Prof. Meneghini e ne aveva pubblicato una nota preliminare di generi e di alcune specie (?), ho avuto la fortuna di incontrare certe di queste specie non citate nel dottissimo lavoro del Wacek intitolato: “ Ueder die Fauna der ‘Oolite von Cap S. Vigilio verbunden mit einer Studie ueber die obere Lias- grenze. Wien 1886 , e ciò mi lusinga di non aver fatto opera del tutto inutile nel descriverle e nel figurarle. Prima però di procedere alla descrizione dettagliata dei sin- goli esemplari debbo implorare la benevolenza del lettore per (1) G. Gioli — Fossili della Oolite di S. Vigilio. Atti Soc. Tose. Se. Nat. Proc. Verb. Ad. 9 Gennaio 1887. (*) G. Meneghini — Fossili della Oolite di S. Vigilio. Atti della Soc. Tose. Sc. Nat Proc. Verb. Vol, I, Ad. 9 Marzo 1879. 4 @. GIOLI le dubbiosità troppo frequenti nelle quali sono incorso nella de- terminazione di alcune specie, stante le grandi difficoltà dovute alla cattiva conservazione di questi fossili. Infatti la maggior parte di essi sono allo stato di modelli e solo in qualche raro caso ci mostrano conservate traccie del guscio. La roccia che li racchiude è un calcare bianco e talora ros- sastro, che sezionata e sottoposta all’ esame microscopico ci si mostra costituita da un ammasso di piccole concrezioni calcaree più o meno sferoidali riunite fra loro da un cemento calcareo e privo, per quanto io abbia potuto osservare, di resti di. fo- raminifere. Gasteropodi Alaria confr. crassicostata, Hudleston (Palaeontographical Society. Vol. XLI. Part. I, N.° 2. “ A monograph of the British Jurassic Gastropoda , by Wilferid H. Hudleston, M. A., F. R. S., Sec. G. S. Issued for 1887. Part. I, N.° 2. Gastro- poda of the inferior Oolite. Pages 111; Plate IV, fig. 3. — London 1888). Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. l. L’ esemplare è in gran parte nascosto nella roccia. La con- chiglia è turrita costituita da cinque anfratti tumidi. Del guscio non rimangono che alcuni frammenti, dai quali si vede che ebbe ornamentazioni trasversali all’ asse della spira consistenti in strie, ed in altre parallele all'asse stesso della spira che fu- rono varici notevolmente distanti le une dalle altre. L'angolo spirale è piuttosto largo, 35° circa. La conchiglia misura in lun- ghezza mm. 13 circa in larghezza mm. 7. Questo fossile pei pochi caratteri che ci presenta è di difficile determinazione; pure tenendo conto sia della forma della conchiglia, sia della tumescenza degli anfratti, sia delle ornamentazioni longitudi-. nali e trasversali, sia dell'angolo spirale piuttosto largo ci sembra avere strette relazioni di somiglianza colla Alaria CraSs a Hadleston del Dogger di Blue Wyke. FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA 5 Alaria dubia, Hudleston ( “ Gastropoda of the inferior Oolite , - Volume citato, pag. 129, Plate VI, fig. 2). Località — S. Vigilio. Tav. I, fig, 2, 24,3. Conchiglia turrita a spira slanciata costituita da giri care- nati. L'esemplare rappresenta un incompleto modello interno della conchiglia, di cui parte è nascosto nella roccia in modo che della bocca non può vedersi nulla. Riguardo alle dimen- sioni di questo esemplare è difficile formarci un concetto esatto, inquantochè è rotto e mancante il primo anfratto, nascosto per circa due terzi nella roccia l’ultimo. L'angolo spirale misura 88°. Sui giri nel senso della loro lunghezza, trasversalmente quindi all’ asse della conchiglia, si osservano delle costicine, delle quali una è più sporgente e sta a rappresentare lo spigolo della carena, mentre le altre sono semplici ornamentazioni. Del guscio sono conservati soltanto dei piccoli frammenti, dai quali si rileva che sulla carena ci fu una coroncina di tubercoletti sferici visibilissimi, mentre un po’ meno visibili dovettero es- sere quelli di un altro cingolo situato in corrispondenza del- l'angolo rientrante della sutura. Questa conchiglia sia per la forma che pei caratteri orna- mentali la possiamo riferire alla Alaria dubia, Hudleston della Oolite inferiore. Alla medesima specie sembrano doversi riferire altri due esemplari, dei quali uno è rappresentato dalla fig. 3, aventi gli stessi caratteri ornamentali e lo stesso angolo spirale. Anche qui trattasi di modelli interni nascosti per metà nella roccia e che non conservano del guscio se non che piccolissimi fram- menti, dai quali però si scorge che dovettero esserci gli stessi cingoli di tubercoli come evidentemente si osserva sulla sutura fra l’antipenultimo e il penultimo giro di uno di questi due esemplari e sulla carena del terzo giro nell’ altro esemplare. 6 G. GIOLI Onustus supraliasinus, Wacek. (“ Ueder die Fauna der Oolite von Cap. S. Vigilio X,. Wien 1886, pag. 108, Taf. XVIII. fig. 14-16). Trochus confr. lamellosus, Orb. — Meneghini, (“ Fossili della Oolite di S. Vigilio , Att. Soc. Tosc. Sc. Nat. Proc. Verb. Ad. 9 Marzo 1879, vol. I.). Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 4. Possiamo riferire a questa specie otto esemplari di modelli interni di conchiglie trochiformi, largamente ombellicate con spira ad angolo concavo costituita da giri, dei quali V ultimo è molto incavato verso la base. Questi giri sono striati nel. senso dell’asse della conchiglia da strie un po’ flessuose, oblique le quali non si corrispondono da un giro all’ altro. La base di queste conchiglie è carenata e la bocca è depressa. Sebbene questa specie sia stata figurata dal Wacek non ab- bian creduto inutile figurare anche un esemplare della nostra collezione, poichè questo ci mostra la conchiglia completa nella sua parte apicale, mentre nelle figure del Wacek questa parte è mancante. Turritella? sp. ind. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 5; 5a. Modello interno di una conchiglia turricolata di forma co- . nica, molto allungata a giri assai larghi, pianeggianti e percorsi nella loro metà da un solco longitudinale costante. Questi giri sono uniti da suture molto profonde a guisa di solchi: mancano nell’ esemplare i primi giri e gran parte dell’ ultimo, quindi non rimane alcuna traccia della forma della bocca. La lunghezza massima approssimativa è di mm. 32, la larghezza di mm. 14 e l'altezza dell'ultimo giro di mm. 7; l'angolo spirale misura 25°. Una sezione condotta nel senso longitudinale della conchi- glia mette allo scoperto una columella assai grossa (fig. 5 @) spatizzata e dei setti suturali pure spatizzati, i quali formano un angolo suturale costante. FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA 7 In corsispondenza della unione della columella coi setti si osserva che questa si dilata sensibilmente, mentrechè si ristringe assai alla metà dell’ anfratto. Le luci dei giri ripiene di roccia si mostrano nella sezione pressochè subquadrate e l’ asse colu- mellare si manifesta debolmente flessuoso inclinando alternati- vamente a destra ed a sinistra. Questo esemplare che dubbiosamente riferiamo al genere Turritella si scosta sensibilmente da altre forme cui potrebbe in certo modo rassomigliarsi. Così per esempio si scosta dalla Ceritianella Stefanii, Gemm., figurata in sezione dal Gemmellaro a Tav. XXV, fig. 46 nelle “ Fuune giurassiche e liassiche della Sicilia, Palermo 1872-82 ,, per la minore flessuosità della co- lumella e per la minore spessezza dei setti suturali; come pure sì scosta dal Pachystylus conicus, Gemm. (Opera cit. Tav. XXV, fig.» 16-17 e 18-19), per il più piccolo diametro e per la di- versa conformazione e andamento della columella. Sembra in- vece che si possa piuttosto riferire al genere Turritella con- fortati in questa opinione dalla figura della sezione assiale della Turritella Pizzolari, Mgh. della Ooolite di Monte Pastello (1), alla quale per le deboli flessuosità, ingrossamenti e ristringi- menti della columella, non che per la sezione subquadrata delle luci dagli anfratti debolmente si rassomiglia. Discohelix confr. Euomphalus tuberculosus, Thor. e Straparollus tu- berculosus Orb. Euomphalus tuberculosus, Thor. 1839. Mém. de la Soc. géol. 3. p. 259, PI. 22, fig. 8. Straparollus tuberculosus, d' Orb. 1847. Prod. 1, p. 265. Paleont. frang. pag. 312, PI. 322, fig. 12-16. Tom. II, 1850. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 6. L'esenaplare rappresenta un frammento di una conchiglia a spira destrorsa, molto depressa che misura in altezza mm. 7, in larghezza mm. 23 profondamente e largamente ombellicata nella sua faccia superiore, la quale sebbene nascosta dalla roccia sì manifesta tale nella frattura della roccia medesima. La sua (1) G. Meneghini — Fossili della Oolite di Monte Pastello. Att. Soc. Tosc. Sc. Nat. Memor. Vol IV, fasc. 2.° 1880. Tav. XXII, fig. 11 d., pag. 346. isa east ae 8 i G. GIOLI faccia inferiore invece, che è quella libera, è un po’ convessa e ci si mostra costituita da giri quadrangolari, dai quali si ar- guisce che la bocca debba avere forma pure quadrangolare; i due lati verticali dei giri di spira sono un po’ più alti degli orizzontali. Essi giri nella faccia inferiore della conchiglia si succedono a debolissima gradinata che si rende viepiù sentita quanto più dal centro ci avviciniamo alla periferia. Sui giri sì osserva una serie di tubercoli disposti longitudinalmente lungo il loro spigolo esterno i qualivanno accrescendosi considerevolmente dal centro della periferia, rimanendo però costanti gli spazi fra loro interposti. — Parimente su questa faccia si osservano delle | pieghe di accrescimento ondulose con curva rivolta indietro, le quali ingrossandosi salgono fino alla sommità dei tubercoli e da questa poi scendono in senso decisamente verticale lungo il fianco esterno dell’ ultimo giro. Tali pieghe vengono ad essere tagliate ad angolo variabile da strie dirette nel senso longitu- dinale dei giri medesini, le quali pure in vicinanza dei tuber- coli formano delle leggere curve in modo che l’ andamento loro è pure sensibilmente onduloso. Questo esemplare sembra avere una certa rassomiglianza collo Straparollus tuberculosus, Orb., ma ne differisce essenzial- mente per l'andamento destrorso della sua spira e per le or- namentazioni più sviluppate. Neritopsis Benacensis, Vacek (Op. cit. Taf. XVIII, fig. 5, pag. 107). Località — S. Vigilio. Riferiamo a questa specie nove esemplari non molto bene conservati, dei quali uno solo ci presenta un frammento di guscio avente i caratteri propri di questa specie. Turbo confr. orion, Orb. 1847. T. orion, Orbigny. Pal. frang. terr, jurass. II, pag. 331, PI. 327, fig. 1-3; . 1861. 7. orion, Stoliczka Ueber die Gastropoden und Acephalen der Hierlat - Schichten Tav. II, fig. 13. Località —- M. Grappa. Tav. I, fig. 7. Ultimo giro di una conchiglia largamente ombellicata con bocca circolare e con un solco profondo vicino al labbro esterno FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA . 9 diretto nel senso dell' asse della conchiglia ( vedi Stoliczka Op. — cit. Tav: II, fig. 13); l'’anfratto è convesso arrotondato e co- stato trasversalmente all’ asse della conchiglia. L' esemplare è molto incompleto e per questo non possiamo O) che dubbiosamente alla specie citata. Pleurotomaria subdecorata, Miinster. 1844. Pl. subdecorata, Miinster in Goldfuss. Petr. Germ. pag. 71, Taf. 185, fig. 3; i 1850. Pl. subdecorata, d Orb. Pal. fr. Terr. jurass. pag. 445, PI. 364, fig. 1 6; 1874. PI. subdecorata, Dumortier. Lias sup. Bass. du Rhòne. IV, pag. 152; 1886. Pl. subdecorata, Vacek. Oolithe von Cap. S. Vigilio. pag. 106, Taf. XVIII, fig. 3. Località — S. Vigilio. Tav.,I, fig. 8, 8a. Il nostro esemplare rappresenta l’ ultimo giro di spira della conchiglia, il quale è un po’ convesso e subcarinato. La con- chiglia ha un indice di ombellico ed ebbe delle strie dirette longitudinalmente e trasversalmente al proprio asse, come può osservarsi in un frammento di guscio conservato nella parte centrale superiore della conchiglia stessa (fig. 8). La figura . data dal Vaceck alla Tavola XVII del suo lavoro e che rap- presenta la conchiglia veduta dal suo lato inferiore ci ha in- dotti a riferire questo incompleto modello alla specie citata. Ditremaria depressa nuov. sp. Confr. Ditremaria affinis, Orb. 1847. Prod. di Pal. strat. 1. pag. 267, étage 102 n.° 120. — d’Orbigny 1850. Pal. frang. pag. 381, PI. 341, fig. 2-3. Trochotoma affinis, Deslg. 1842. Mém. Soc. Linn. di Norm. Tom. VII, pag. 106, PI. VII, fig. 8-10. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 9. Conchiglia depressa trocoide assai più larga che alta for- mata di giri di spira pressochè quadrati che si succedono a gra- 10 i *@ GIOLI dinata. Come in molti dei casi precedenti abbiamo che fare con un modello interno di una conchiglia di cui la parte inferiore è nascosta nella roccia, in modo che non si può vedere nulla della bocca e dell’ ombellico che però sembra dover esser molto largo e molto profondo. Gli anfratti sono percorsi in senso tra- sversale all’ asse della conchiglia da una carena a spigolo molto acuto e l’ ultimo di essi anfratti accenna ad essere bicarenato. Questi anfratti sono inoltre ornati da numerosissime e fitte strie trasversali oblique, le quali in corrispondenza dello spi- golo della carena formano un angolo con vertice rivolto verso la bocca della conchiglia, mentrechè in corrispondenza della sutura ne formano un altro rivolto in senso opposto, cioè verso l’apice della conchiglia medesima, dimodochè in proiezione oriz- | zontale esse assumono la forma di zig-zag. Finalmente si os- servano sugli anfratti medesimi ad intervalli pressochè costanti dei solchi poco profondi che, obliqui in avanti, seguono l’ an- damento delle strie dirette in questo senso. L'angolo spirale della conchiglia misura 127°. Questa specie si rassomiglia assai Ditremaria affinis, Orb. che il D'Orbigny considera come una varietà della D. bicari- nata, Orb., e come sinonima della Trochotoma affinis, Deslong.; ma se ne allontana per esser molto più depressa, per la forma meno quadrata dei giri di spira e per l’ andamento delle strie ornamentali, le quali nella D. affinis, Orb. sono dirette nel senso decisamente normale all’ asse della conchiglia sul margine esterno degli anfratti, mentre nel nostro esemplare hanno di- rezione obliqua dall’ avanti all’ indietro, e di più per la presenza di quei solchi obliqui che mancano nella D. affinis, Orb. Lamellibranchi Lyonsia, sp. ind. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 10. Conchiglia oblunga, transversa, inequilaterale. L’ esemplare rappresenta il modello interno della valva sinistra che è molto FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA 1l turgida. Essa misura in lunghezza mm. 25 circa, in larghezza mm. 18. Del guscio non ne rimane che un piccolo frammento nella regione cardinale posteriore e in pessimo stato di conservazione, ma che si manifesta per molto sottile. L'umbone è un po’ ri- levato e molto obliquo in avanti. Alla superficie si notano tre deboli solchi concentrici di accrescimento a distanza disuguale l'uno dall’ altro e delle debolissime strie radiali. Pholadomya corrugata, Koch e Dunker. 1837. Ph. corrugata, Koch unter Dunker, 00. Geb. pag. 20, Taf.-I, fig. 6. 1874. Ph. corrugata, Moesch. Monogr. d. Pholad. Abhandl. . d. Schweizer paltiont. Gesellsch. I, pag. 11. 1886. Ph. corrugata, Koch unter Dunker. - Vacek, Op. cit. Taf. XIX, fig. 19, pag. 114. Località — S. Vigilio. - Tav. I, fig. 11, lla. Conchiglia subtriangolare, rigonfia, inequivalve, inequilate- rale, beante alle due estremità, ma più alla posteriore che al- l'anteriore; il lato anteriore è corto e arrotondato, il poste- riore è poco dilatato. Posteriormente in basso verso il margine ventrale osservasi in ciascuna delle due valve una debole de- pressione; gli umboni sono rigonfi e molto ravvicinati, la lu- nula è piccola e cordiforme e il lato cardinale posteriore ci presenta delle ninfe assai rilevate. Le due valve della conchi- glia sono ornate da molte coste alternanti con rughe assai pro- fonde e poco regolari, le quali hanno andamento concentrico a partire dagli apici degli umboni verso la periferia delle valve. Oltre a queste coste se ne osservano altre radiali che scendono dagli umboni verso il margine ventrale non seguendo nel loro percorso una linea retta, ma bensì una curva avente la sua convessità rivolta all’ indietro. Questo esemplare misura in lunghezza mm. 27, in larghezza mm. 23 e in ispessore mm. 17. 12 i G. GIOLI Goniomya Vacekii, nov. sp. Località — S. Vigilio. Tav. lo Hg 12/02 \a 01205: Conchiglia allungata, assai turgida, leggermente inequivalve, inequilaterale con la massima convessità alla metà delle valve, carenata beante alle due estremità e sopratutto alla posteriore. L'apertura anteriore ha la forma di una fenditura longitudi- nale, la: posteriore è molto più slargata. Gli umboni sono poco salienti e molto ravvicinati fra loro fino a toccarsi; essi sono inclinati molto sensibilmente in avanti e danno luogo posterior- mente ad una carena obliqua che scende al margine posteriore di ciascuna valva. Il margine cardinale anteriore è leggermente concavo e scende a formare il lato anteriore della conchiglia cuneiforme, ed è molto più corto del posteriore misurando ap- pena mm. 7, mentre il posteriore ne misura 15. Inoltre questo è lineare e pressochè parallelo al margine ventrale della con- chiglia. Il corsaletto è allungato ed è limitato da ninfe poco salienti; la lunula è piccola e lanceolata. La superficie esterna delle valve è ornata da coste che scen- dono obliquamente dagli umboni verso il ventre della conchi- glia, venendo a formare fra loro degli angoli i cui vertici sono rivolti in basso e seguono una linea obliqua dall’avanti all’ in- dietro. A queste coste si alternano dei solchi e gli uni e le altre vanno accrescendosi mano a mano che si scostano dagli umboni, se non che giunti verso i margini ventrali delle valve vanno scomparendo. Però a partire dagli apici degli umboni per lo spazio di mm. 8 le costicine anteriore e posteriore che scen- dono obliquamente non vengono convergendo a formare un an- golo acuto, come più in basso fanno le successive; ma ne in- contrano un’ altra in direzione orizzontale, alle cui due estre- mità formano invece due angoli ottusi. Oltre a tali coste altre come pure altri solchi concentrici si osservano alla superficie delle valve, disposti con poca rego- larità e che stanno senza dubbio ad indicare i successivi stadii di accrescimento della conchiglia. L’ esemplare misura mm. 25 di lunghezza, 19 di larghezza e 14 di spessore. FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. EIGILIO E DI M. GRAPPA 13 Questa specie si rassomiglia assai alla G. v-scripta, Sob. le) della Oolite inferiore, ma ne differisce per il bordo cardinale diritto anzichè concavo e per gli angoli delle coste ornamentali che seguono nella G. v-scripta una linea più verticale. Per il modo di comportarsi delle coste si rassomiglierebbe invece alla G. subcarinata, Goldf. (?) pure della Oolite inferiore, ma ne differisce per il numero maggiore delle coste medesime e per la maggior nettezza colla quale esse si manifestano; e specialmente per la forma del lato anteriore che nel nostro esemplare è sporgente e cuneiforme mentrechè nella Gonzionuya (Lysianassa) Subcarinata è brevissimo e troncato. Corbis (Cordicella) Vigili, Vacek. 1886. Vacek. Op. cit. Taf. XIX, fig. 17-18. pag. 113. Località — S. Vigilio. Possiamo riferire a questa specie il terzo anteriore della valva sinistra di una conchiglia rigonfia ad umboni salienti, ravvicinati, rivolti in avanti e molto uncinati. Il guscio è or- nato da numerose coste concentriche assai rilevate e alternanti con rughe dirette nello stesso senso e che vanno accr escendosi dall’ apice alla periferia. Arca (/soarca) Plutonis, Dumortier. 1874. A. Plutonis, Dumortier. Lias sup. Dép. Jurass. du Bass. de Rhòne. IV, pag. 299, P. LXI, fig. 1-3. 1886. A. Plutonis, Dum.-Vacek. Op. cit. pag. 112, PI. XIX, fig. 13. Località — S. Vigilio. Conchiglia obliqua inequilaterale rigonfia arrotondata, senza lati angolari, senza carena sulle valve con guscio ornato da fini strie radiali, le quali sono incontrate da altre concentriche an- cora più delicate in modo che la conchiglia risulta con super- ficie reticolata delicatissima. Oltre a questi ornamenti debbono notarsi delle linee di accrescimento molto marcate. Gli umboni sono molto ricurvi e ravvicinati fra loro e la linea cardinale (‘) Soverby — Mém. Concholagy. (*) Goldfuss — Petref. Germ. Taf. CLIV, fig. 2. Pdci PER SRI SES 14 SATA: SGIOLI ? molto meno lunga della conchiglia, la quale ci presenta il lato boccale arrotondato e più corto dell’ anale. Il margine ventrale è arrotondato e l’ area ligamentare poco visibile. Mytitus, sp. ind. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 13. Modello interno della valva sinistra di una conchiglia al- lungata con apici terminati in punta ed assai rigonfia verso gli apici stessi, con linea cardinale diretta e margine parallelo ‘ arrotondato. Una leggera carena percorre la valva obliqua- mente dall’ umbone fino al margine palleale posteriore; la su- perficie della valva stessa è ornata da debolissime strie radiali e da solchi concetrici numerosi. Pecten confr. cingulatus, Phillips. 1829. P. cingulatus, Phillips. Geolog. of. Jorkshire, PI. VEE IO] 1833. P. cingulatus, Goldf. Petrefacta Germ. pag. 74, Taf. 99, fig. 3. 1886. P. cingulatus, Phill. Vacek, Op. cit. Taf. XIX, fia. 4, pag. 111. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 14. L'esame della fig. 7 a Tav. XIX del libro del Vacek (*) che rappresenta il Pecten cingulatus, Phillips ci induce a ravvicinare a questa specie due esemplari che rappresentano ciascuno una delle valve di una conchiglia pianeggiante subtriangolare con margine palleale semicircolare ed angolo cardinale di 99°. Le valve sono ornate da cingoli concentrici ben manifesti e per questo carattere si rassomigliano molto a quelle del P. cingu- latus, Phillips, se non che sembrano un po’ discostarsene per la leggera concavità dei due lati boccale ed anale della conchiglia a cominciare dall’ apice degli umboni scendendo fino verso la . (1) Vecek — Ueber die Oolite, von Cap. S. Vigilio. FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA 15 — metà delle valve, carattere non bene evidente nei nostri esem- plari, che del resto è a notare che sono molto mal conservati e nascosti per gran parte nella roccia. Pecten, sp. ind, Località — S. Vigilio. Pure al genere Pecten possiamo ascrivere il frammento trian- golare di una valva piana appartenente ad una conchiglia or- nata da coste radiali molto rilevate e della larghezza di circa un millimetro alternanti con solchi che misurano fino a due millimetri. Hinnites velatus, Goldf. sp. 1834. Pecten velatus, Goldfuss. Petr. Germ. pag. 45, Taf. 90, fig. 2. 1858. P. velatus, Quenstedt. Jura. p. 148, Taf. 18, fig. 26. 1874. Himmites velatas, Dumortier. Lias supétr. Dép. Jurass. Bass. d. Rhone, IV, pag. 308, PI. 62, figs. 3-4. 1879. Hinnites velatus, Gold. Meneghini - Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Vol. I, Proc. verb. pag. 70. Mem. cit. 1886. Hinnites velatus, Gold. Vacek, Op. cit. pag. 111, Taf. XIX, fig. 8-11. Località — S. Vigilio e M. Grappa. Appartengono a questa specie gli esemplari di una valva destra e di tre valve sinistre di cui una proviene da M. Grappa e le altre due da S. Vigilio, nelle quali sono bene evidenti i caratteri distintivi; mediocremente cioè e regolarmente rigonfia la valva sinistra ornata da venti coste radiali principali sot- tili e poco salienti un po’ ondulose, interposte alle quali se ne rimarcano altre sei od otto piccole secondarie: linee di ac- crescimento poco visibili ma che pure vengono a frastagliare trasversalmente le coste radiali. La valva destra invece è più piccola e pressochè piana ed è ornata da delle fini coste radiali tutte uniformi, un poco più grandi però delle secondarie della valva sinistra. Finalmente nel lato anteriore di questa valva si osserva un’ orecchietta stretta e molto allungata, la quale ci presenta una profonda infossatura per il passaggio del bisso. 16 MAGN GIONI Lima semicircularis; Goldf. 1836. L. semicircularis. Goldfuss. Petr. Germ. pag. 83, Taf. LOI fio. 6. 1852. L. semicircularis, Chapuis et Dewalalque. Fossiles du Luxemburg. PI. 30, fig. 5. 1874. L. semicircularis, Dumortier. Lias sup. Dép. ati d. Bass. du Rhòne. IV, pag. 190. 1879. L. semicircularis, Meneghini. Att. Soc. Tose. Se. Nat. Vol. I, Proc. verb. pag. 70. Mem. cit. 1886. L. semicircularis, Vacek, Op. cit. pag. 110, Taf. I DelRegi ossi sli-27 Località — S. Wicilio. Riferiamo a questa specie dodici esemplari non molto bene conservati di una conchiglia a valve compresse arrotondate so- vente più larga che lunga, gli umboni della quale formano il vertice di un angolo ottuso di 120° circa. Negli esemplari nei quali è conservato qualche frammento del guscio, questo si riscontra ornato da fitte strie e costicine | radiali interrotte irregolarmente da strie concentriche debolis- sime che stanno a rappresentare i successivi stadii di accresci- mento della conchiglia. i Lima Vigili, nov. sp. Località — S. Vigilio. Tav. I, fig. 15, 15a. Conchiglia arrotondata, compressa, ma relativamente alle sue dimensioni meno della L. semicircularis, Goldf.; con angolo cardinale > 90°, con guscio sottilissimo ornato da finissime co- sticine radiali alternanti con strie sottilissime dirette nello stesso senso. I successivi stadii di accrescimento della conchiglia sono indicati da debolissime strie concentriche, delle quali la penul- tima nell’ esemplare meglio conservato si mostra molto evidente e corre con molta regolarità parallelamente al margine ventrale della conchiglia stessa. L’' orecchietta è ben conservata in uno dei due esemplari che abbiamo sott’ occhio e si mostra fornita degli stessi ornamenti del rimanente del guscio. FOSSILI DELLA OOLITE INFERIORE DI S. VIGILIO E DI M. GRAPPA 17 La conchiglia misura in lunghezza mm. 16, in larghezza mm. 15. Echinodermi Hemipedina confr. H. Marconissae, Mgh., e H. Etheridgii, Wrigt. 1857-78. H. Etheridgii, Wrigt. A Monograph. on the fossit Echinod. of the Ool. form. Pal. Soc, 1857-78, Vol. I, “ The Echinoidea , pag. 148, PI. IX, fig. a, b, c, d, e, f, q- 1882. H. Marconissae, Mgh, - Loriol et Canavari. De- scrip. d. Ech. d. environs di Camerino. pag. 8, PI. I, fig. 1. Località — M. Grappa. Tav. I, fig. 16, 16a. Guscio circolare poco elevato, depresso e rigonfio alla peri- feria. Zone porifere diritte costituite da pori molto piccoli: aree interambulacrali larghe ed ornate da due serie di tubercoli con mammelloni perforati. La pessima conservazione dei due esem- plari, dei quali disponiamo non ci consente di vedere altri ca- ratteri distintivi. Però è evidente trattarsi del genere Hemi- pedina e non Stomoechinus perchè ha forma schiacciata e pori non guainati. Fra le specie del genere Hemipedida si ravvicina notevol- mente alla H. Marconissae, Mgh. se non che se ne distingue per avere aree interambulacrali più larghe e ambulacrali un po- chino più strette di quella. Inoltre negli esemplari che abbiamo sott'occhio le placche che sostengono i mammelloni sono meno lunghe e i mammelloni stessi più grandi, sebbene sieno stati molto corrosi. Finalmente i fori dei mammelloni vi si riscon- trano maggiori che nella H. Marconissae, Mgh.. Un'altra specie, alla quale si potrebbe rassomigliare sarebbe la H. Etheridgii di Wrigt allorchè si vedessero gli scrobicoli, ma questi non sono manifesti, forse per la cattiva conservazione degli esem- plari. Inoltre sembra discostarsene per avere i mammelloni non crenulati, per il disco apicale meno largo e per non avere placche romboidali. | Località Li D 4 (to ce con VE. nei tre esemplai , di cui di engono da da Monte Grappa, ma. per ‘quanto n dl Stanton i Fig. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA AC A 2. 2,a. 3. 4. 9. 5, a. 6. Alaria confr. crassicostata, Hudleston. Alaria dubia» Hudleston. Idem. ingrandita quattro volte. Alaria dubia, Hudleston. Onustus supraliasinus, Vacek. Turritella? sp. ind. La stessa sezionata. Discohelix confr. Euomphalus tuberculosus, Thorent e Stra- parollus tuberculosus, Orb. La figura rappresenta l’ esem- plare veduto dalla parte inferiore. 7. Turbo confr. Orion, Orb. 8. 8, a. Pleurotomaria subdecorata, Miinster. La medesima veduta dalla parte inferiore. Ditremaria depressa, nov. sp. Lyonsia, sp. ind. Pholadomya corrugata, Kok e Dunker. Idem veduta dal di sopra. Goniomya Vacekii, nov. sp. Idem. veduta dal lato anteriore. Idem. veduta dal di sopra. Mytilus, sp. ind. Pecten cinqulatus, Goldfuss. Lima Vigilii, nov. sp. Frammento di guscio di L. Vigili, ingrandito. Hemipedina confr. Marconissae, Mgh. e Etheridgii, Wrigt. Due placche mammellonari ingrandite. Pentacrinus, sp. ind. TO Se. Nat. Vol. X. 2 Dott. PROSPERO SONSINO RICERCHE SUGLI EMATOZOI DEL CANE E SUL CICLO VITALE DELLA TENIA CUCUMERINA IC Ematozoi del cane. Le attuali nostre cognizioni sugli ematozoi, animali viventi nel sangue di altri animali, sono, in grande parte, il frutto di ricerche microscopiche fatte, si può dire, da poco più di 60 anni in quà, prendendo per prime scoperte positive, quelle annunziate da Schmitz nella Rana Bombina in una sua memoria pubblicata a Berlino nel 1826 (4). — Innanzi quella pubblicazione si rinven- gono è vero delle osservazioni isolate, di alcune delle quali avrò occasione di fare menzione nel corso di questa comunicazione, accennanti a vermi trovati specialmente nel cuore; ma queste osservazioni, o furono ritenute dubbie e incerte, o passarono inavvertite, senza che abbiano spinto a nuove indagini suc- cessivi osservatori. Fu dopo la pubblicazione della memoria di Schmitz che ricerche dello stesso genere occuparono altri bio- logi in buon numero, che nuovi trovati furono annunziati con crescente frequenza, per modo che, al giorno d’ oggi, ematozoi, oltrechè in animali invertebrati, si conoscono in pesci, batrachidi, rettili ed uccelli, e anche in diversi mammiferi, tra cui il cavallo, il cammello, la foca ed il cane. Lo stesso uomo sappiamo come (4) De vermibus in circolatione viventibus. Berolini, 1826, pag. 15, cl È Lee v bla N è Li va E ) EMATOZOI DEL CANE 21 vada incontro, specialmente nei paesi caldi, a due specie di ematozoi appartenenti a due ordini diversi di vermi, la Bilharzia haematobia (Cobbold) e la Filaria sanguinis hominis (Lewis), e come forme di malattie che in antico si presentavano oscure nella origine e strane nelle apparenze, si riconoscano oggi de- terminate da uno, o l’ altro, di questi vermi, es. forme speciali di catarri intestinali e di ematurie, la chiluria e le linforaggie collegate o no a idrocele, o a particolari forme di elefantiasi. — Quanto alla Filaria sanguinis hominis bisogna dire che la quali- ficazione di ematozoo le spetta specialmente in quanto ai suoi embrioni che circolano col sangue, non in quanto all’ animale adulto che generalmente si trova piuttosto nei vasi linfatici, e così lo chiamerei Zrfozoo, 0 linfobio, per quanto si hanno fatti che mostrano come il verme adulto possa prendere dimora anche esso nell'interno dei vasi sanguigni (1). Rammenterò di passaggio di avere per parte mia studiati gli ematozoi in Egitto, non solo nell'uomo (?), ma anche nel (4) Nella conferenza del Prof. Blanchard col titolo « Les ennemis de 0’ espèce humaine, fatta nel Febbraio di quest'anno all'Associazione francese per l'avanza- mento delle scienze, rilevo che il Dott. de Megalhaes di Rio de Janeiro ebbe un caso di filariosi, in cui alla necroscopia trovò nel cuore filarie adulte. Questo fatto importantissimo che conferma le mie previsioni espresse anche in mie precedenti pnbblicazioni, che cioè eccezionalmente la Filaria sang. hominis adulta si può tro- vare anche nel circolo sanguigno, come me lo fecero sospettare casi in cui invece di disturbi dovuti a linforaggie vi erano semplicemente emoraggie, fu comunicato dal Dott. Megalhaes nella Rivista dei corsi della Facoltà di medicina di Rio de Janeiro dell'anno passato. — Colgo questa opportunità per accennare un altro fatto importante nella storia della scoperta della Fil. sanguinis hominis, ed è che sino dal 1863 il Dott. Demarquay di Parigi pubblicò nella Gazette medicale a p. 665 l'os- servazione di un idrocele chiloso, varietà di idrocele che fu detto poi da me Zinfocele, in un individuo proveniente dall'Avana, in cui ritrovò e descrisse i nematodi embrio- nali che poi da Lewis furono trovati nel sangue nel 1872. Per cui il primo osser- vatore di questo nematode embrionale è veramente il Demarquay, mentre le osser- vazioni di Viùcherer nelle orine chilose a Bahia non rimontano che al 1866. È vera- mente strano che questa autentica osservazione del Demarquay sia passata inosser- vata per lungo tempo, perfino agli stessi autori Francesi, trovandola ora notata per la prima volta nella suaccennata conferenza del Prof. R. Blanchard. | (®) Non comprendo come l'illustre Prof. Leuckart nel suo elassico trattato dei parassiti dell'uomo parlando della Filaria sanguinis hominis, in una nota a pag. 50 della 2.2 edizione tradotta in inglese, accenni che la Filaria, oltre chè nell'India e Brasile, sia stata osservata nel Giappone e nell’Australia, senza fare menzione che io la osservai in Egitto sino dal 1874. Invece nella 1 edizione tedesca, della stessa opera, nel 2.° volume a p 638, il Prof. Leuckart mi cita accennando che io aveva trovato in Egitto l'embrione di Viicherer nell'orina di un ragazzo, mentre invece Wi Ve ITS cia i DO P. SONSINO cavallo e nella cornacchia (Corvus cornix). Di questi studi diedi conto speciale in una comunicazione all’ Istituto Egiziano fatta sul principio dell’anno 1877, col titolo appunto: degli Ematozoi come contributo alla Fauna entozoica egiziana (1). Ma sotto lo stesso titolo di ematozoi, avevano pubblicato già lavori, il Gros nel 1845 (2), il Wedl di Vienna nel 1849 (8), il Chossat in Fran- cia nel 1850 (4). Più di recente si hanno i due lavori del fu T. R. Lewis pubblicati nel 1872 (9) e nel 1874 (6) quello di Man- son in China pubblicato nel 1877 (‘) e quello più disteso e più comprensivo del sullodato Lewis col titolo gli organismi microsco- pici trovati nel sangue dell'uomo e degli animali e la relazione loro con malattie, una parte del quale è dedicato appunto agli ema- tozoi dell’uomo e degli animali (8). Il cane è tra gli animali superiori quello che da più lungo tempo si conosce andare soggetto ‘alla presenza di embrioni nematodi circolanti nel sangue. Sono Gruby e Delafond (°) che fecero la scoperta di questi embrioni di filarie nel sangue di cane, e l’ annunziarono nel Gennaio 1843 alla Accademia delle l'osservazione mia si riferiva al sangue, come l'illustre zoologo avrebbe potuto av- vedersi, solo che avesse posto attenzione al titolo della stessa mia Memoria, comuni- cata alla Reale Accademia delle Scienze di Napoli, e da lui citata, fatto che meri- tava tanto più di essere rilevato nella sua integrità, inquantochè nessuno può negare che io sono stato il primo a confermare, fuori dell'India, la scoperta dell'ematozoo fatta da Lewis due anni avanti. (1) Riprodotta nel giornale medico l’Imparziale di Firenze. Anno 1877, pag. 297. (2) Gros — Observations et inductions microscopiques sur quelques parasttes. - Sur les hematozoaires. Extrait du Bull. de la Soc. Imp. des naturalistes de Moscou. Tome XVIII, 1845, pag. 46. (8) Beitrége zur Lehre von den Himatozoen Von Dro Wedl (Zum drucke bestimmt. in der Sitzung der mathematish-natur-wissenschaftlichen classe vom 15 Marz 1849). (4) J. B. Chossat — Des hematozoaires, Thèse. Paris, 1850. (3) On a haematozoon inhabiting human blood, its relation to asi and otther diseases. Calcutta 1872. (6) The pathological significance of nematode haematozoa. Calcutta 1874. (?) Report on haematozoa in the Customs Gaz. Shanghai 1877, citato da Cobbold, Parasites. London 1879 a pag.:311 e Lancet, 1 Settembre 1877. | (8) The microscopie organisms found in the blood of man and animals and their relation'it0 disease. Calcutta 1878. (9) Note sur une alteration vermineuse du sang d’un chien determinée par un grande nombre d' hematozoaires du genre Filaire (Compte rendu de l’ Aca- demie des sciences, 1843, Tom. XVI, p. 325).. — Deuxième note sur. l' alteration vermineuse du sang des chiens. par un hematozoaire du genre Filaire a P: 687 du Tome XVIII, 1844. Tadil o “ "i Da x EMATOZOI DEL CANE 23 scienze di Parigi. Lo studio importante di questi osservatori si protrasse per un decennio e fu nel 1852 che ne diedero il finale resultato. Rammenterò ora che sopra 480 individui esaminati in Francia ne trovarono infetti da filarie embrionali nel sangue circa il 4 0 5% (1). — Dopo il Gruby e il Delafond i nematodi embrionali nel san- gue di cani furono osservati da molti altri ed in paesi diversi. In Italia il nostro prof. Rivolta (?) li ha segnalati nel suo trat- tato sui parassiti vegetali, annunziando di averli sempre tro- vati in cani affetti da rabbia muta ed in un cane morto im- provvisamente; dichiara però che fra questi embrioni e la vera rabbia muta non vi ha alcun rapporto. Nel 1874 il Lewis an- nunzia di averli trovati a Calcutta (?), Somerville a Fuchow in China nello stesso anno (4), Manson a Amoy in China nel 1877 (°) e Bancroft a Brisbane in Australia nel 1879 (°), mentre erano già conosciuti anche in America per opera di Leidy (7) ; edi altri. Per parte mia debbo dire che per quanto abbia fatto qual- che ricerca in Egitto, nel corso di 12 anni passati in quel paese, non mi riuscì mai di rinvenire questi nematodi embrionali nel sangue di cani in quel paese. Colà esaminai più volte il sangue di cani vivi, ed ebbi occasione anche di fare le autopsie di otto cani domestici, di un ciacallo, di una volpe comune e di tre individui di una specie di canide (Canis o Megalotis cerdo Skg) indigena della Nubia e conosciuta colà sotto il nome di fenec, senza che abbia mai trovati questi nematodi embrio- nali nel loro sangue. Più tardi ritornerò su questo resultato negativo, per metterlo in relazione con un ritrovato fatto nei cani stessi sezionati, sempre in relazione col soggetto di questo mio lavoro. (') Troisiòme memoire sur le ver filaire qui vit dans le sang du chien do- mestigue. Compte rendu ete. 1852, T. XXXIV. p. 9. (*) Dei parassiti vegetali come introduzione allo studio delle malattie parassi- tarie. Torino 1873, pag. 86 e seguenti. (8) Pathological significance of nematode haematozoon. Calcutta 1874, pag. 11 e seguenti. (4) Cobbold. Observations on Filariae. Nel Journal of the Quechett Micro- scopical club. p. 58 of. N. 43, Vol. VI, Read Feb. 27, 1880. (5) Op. cit. Vedi Cobbold. Parasites ‘pag. 311. (8) Vedi Cobbold, Observations on filariae etc. sopra citata. (?) Leidy, A synopsis of entozoa etc. From the proceeding of the Academy of Natural sciences. Philadelphia 1856, a pag. 55. ie 6 ee Ste 24 P. SONSINO In questi ultimi tempi essendomi occupato qui in Pisa della stessa ricerca sui cani, non tardai a trovare qui questi nema- todi embrionali con notevole frequenza. Infatti sopra 20 cani, di cui sino al giorno d' oggi ho esaminato il sangue, ne trovai infetti da filarie embrionali 7, ossia più del terzo. Si noti che Lewis (1) calcola ad un terzo i cani paria’ infetti nell’ India, e che Manson, per la China calcola 2 cani infetti sopra 3 (?). Questi nematodi embrionali del sangue di cane sono di appa- renza assai simile a quella che osservai nell'uomo e nel cavallo in Egitto (*). Sono trasparenti e incolori, sottili, allungati, cilindrici con un estremo posteriore. affilatissimo e l’ estremo anteriore ottuso, ma un poco più sottile del resto del corpo; quando sono morti apparisce nel loro interno una struttura che accenna a principio di formazione del tubo digerente, senza che si abbia traccia di altri apparecchi. Si trovano nel sangue di qualunque parte del corpo senza eccezione, per quanto sono inclinato a credere che siano più abbondanti nel sangue venoso che non nell’ arterioso. Si capisce che possono bene circolare anche nei capillari, da chè hanno un diametro di 3 a 6w, cioè minore di quello dei globuli di sangue di cane calcolato a circa 7w (Milne Edwards) ed una lunghezza variabile da 190p a 300p. Il Gruby e il Delafond poterono credere che questi embrioni acquistassero, vivendo nel sangue, uno sviluppo maggiore di organi, sino ad acquistare le caratteristiche del sesso, ma questa loro opinione non è confermata da nessun altro osservatore; ed invece per parte mia, d’ accordo con Lewis, ritengo piuttosto che le filarie embrionali viventi nel sangue non subiscano de- cise modificazioni salvo un piccolo ingrandimento, specialmente in lunghezza, lo chè fa credere che la presenza loro nel sangue. è accidentale e che non trovano in quell’ ambiente i mezzi (1) Lewis — Physiological and pathological researches being a reprint of the principal scientific writings. London 1888, pag. 615. (2) Vedi Steel, A treatise of the diseases of the dog, being a manual of canine pathology. London Longmann and Green, 1888. pag. 76 e seguenti. (8) I nematodi embrionali osservati da me nella cornacchia in Egitto, a diffe- renza di quelli dell'uomo, del cane e del cavallo hanno anche l'estremo posteriore ottuso e non affilato, come per errore mi sfuggì detto nella mia comunicazione del 1877 all'Istituto Egiziano e si ravvicinano perciò di più a quelli trovati e descritti dal nostro Rivolta in un cardellino. Vedi Rivolta, Studì di anatomia patologica. Pisa 1879, pag. 44. EMATOZOI DEL CANE 25. sufficienti per progredire nel loro sviluppo, e non potrebbero . dicerto concorrere alla riproduzione della specie, se presto non fossero tolte da quell’ ambiente. Il Lewis dà per carattere distintivo tra la filaria sanguinis hominis e la filaria embrionale nel sangue di cane, l’ essere la prima ravvolta in un sacco membranoso sottile che manche- rebbe alla seconda; io per verità non so dare grande impor- tanza a questa particolarità della Filaria embrionale del sangue dell’ uomo, perchè non mi è apparsa costante, e quell’ involucro lo attribuisco ad una specie di muta che nella ilaria sanguinis dell’uomo si compierebbe nello stesso sangue. Questa muta si compie forse anche negli embrioni della filaria del sangue di cane. Invece sono in caso di confermare un’ altra particolarità importante, notata dal Lewis, sul modo speciale con cui sogliono spesso comportarsi le filarie embrionali del sangue del cane, che non appare in quelle dell’ uomo, cioè: che frequentemente gli embrioni nel sangue del cane appariscono come fissi coll’ estre- mità buccale, di cui fanno pernio ai movimenti vorticosi del resto del corpo; mentre la stessa estremità buccale apparisce come più ottusa (!). Aggiungerò di più che altre volte mi è sembrato che l' estremità anteriore fosse fissata ad un globulo, e di tanto in tanto se ne staccasse come se ne avesse portato via qualche particella; per cui mi sono fatto idea che le filarie embrionali viventi nel sangue del cane mostrino di avere uno sviluppo più avanzato di quelle dell’ uomo, essendo capaci di nutrirsi anche della parte solida del sangue. Questo sviluppo più avanzato è anche mostrato dai loro movimenti più vivaci, che fanno tal- volta cambiare loro di posizione sotto il vetro cuopri oggetti, cosa che accade più di raro nella filaria embrionale dell’uomo. Le filarie embrionali circolano nel sangue del cane in un numero grandissimo, spesso senza cagionare alcun apparente disturbo ai cani, cosicchè molti cani infetti si presentano sotto l’ apparenza della più florida salute. Il numero delle filarie varia però in una scala molto estesa da un cane all’altro; infatti men- tre in qualcuno dei cani riscontrai a mala pena un solo esem- plare dell’ematozoo in uno solo, o in pochi dei preparati fatti con una singola goccia di sangue di un primo esame, in altri (1) Lewis — The pathological significance of nematode haematozoa ecc. p.-14 e pag. 17. 26 . SONSINO mi seguì di dovere Li due o tre volte l'esame in tempi diversi, prima di riuscire a trovare un solo esemplare, ed al- l'opposto in un cane che esaminai il 1.° Giugno calcolo certa- mente a non meno di 100 filarie il numero contenuto in ogni goccia di sangue esaminata. Ora facendo il calcolo sui dati stabiliti da Gruby e Delafond che una goccia di sangue pesa 67 milligrammi e che il sangue del cane di media grandezza ammonta a circa un chilogrammo e mezzo, dovrei ammettere che il numero delle filarie embrionali in quel cane, che non era di statura piccola, sorpassasse i due milioni. La differenza notevole che trovai nel numero delle filarie infettanti i diversi cani da me osservati, mi farà applicare i termini di scarsa e abbondante all’infezione per esprimerne i diversi gradi. Ma debbo avvertire che prima di dichiarare che un cane è assolutamente immune dalla infezione, è d’uopo fare ripetuti esami con resultato negativo e anche in diverse ore della giornata; perchè le osservazioni di Manson, confermate ancora dalle poche mie, accennano che anche nel cane si ve- rifichi quel fatto notevolissimo e che ha quasi direi del mera- viglioso, che le filarie non circolano nel sangue del cane colla stessa facilità e nello stesso uumero in tutte le ore della gior- nata. À questo proposito mi limito a riportare le conclusioni che il Manson trae dai suoi esperimenti fatti su larga scala e. in un modo sistematico e perciò più provativo: “ Da essi, dice Manson “ apparisce che vi è una certa periodicità anche nel , cane, quantunque non così completa come nel caso della fi- , laria sanguinis hominis. Gli embrioni non sono mai del tutto , assenti dal sangue del cane, quantunque il loro numero sia , sempre maggiore durante la sera e la notte che durante il » giorno, il periodo di maggiore scarsità essendo a un dipresso » dalle 9 ant. alle 1 pom. ,. Conclude il Manson che per la periodicità nel circolare delle filarie col sangue, si può dire che mentre nell'uomo durante il giorno si osserva l'intermittenza, nel cane vi è sola remittenza (1). Quanto alle apparenze degli embrioni ematozoi non posso dire di avere trovata notevole diversità tra un cane e l’altro, salvo che nel solo cane, di cui faccio sopra menzione, in cui (4) Manson — Additional notes on Filaria sanguinis hominis and filaria disease. EMATOZOI DEL CANE 27 gli embrioni mi si mostrarono abbondantissimi, essi erano in | generale di dimensioni piùttosto notevoli, avendone misurati molti che avevano una lunghezza di 310w per 6 # di larghezza. Un'altra particolarità che mi colpì negli embrioni dello stesso cane fu di vederne molti rivestiti da uno strato di globuli di sangue che si trovavano aderenti al tegumento della filaria, nonostante i vivaci movimenti di questa, fatto che non osservai negli altri cani e di cui non seppi darmi ragione. Queste filarie embrionali che circolano così nel sangue in tanti cani, da dove esse hanno origine?; dove vanno a finire?; come pervengono al compimento finale del loro sviluppo per il mantenimento della specie? Vediamo come si possa rispon- dere ad una ad una a queste questioni. Gruby e Delafond nella loro 3° memoria citata, annunzia- rono a complemento della loro scoperta di avere trovato in uno dei cani infetti dalle filarie embrionali, anche delle filarie adulte nelle cavità destre del cuore, e siccome gli embrioni circolanti nel sangue corrispondevano pei loro caratteri, cioè apparenza e dimensioni, agli embrioni trovati liberi nell’ interno dell’ utero della filaria adulta, così Gruby e Delafond, non senza ragione, poterono riferire l’ origine dei primi agli stessi vermi adulti. Considerarono cioè le filarie embrionali come prole della Filaria vivente allo stato adulto nel cuore, alla quale avevano dato il nome di ilaria haematica canis domestici. Restava però poco chiaro come avvenisse che sopra un numero di cani abba- stanza ingente in cui Gruby e Delafond trovarono filarie em- brionali, cioè sopra oltre un venticinque cani, non avessero trovato che in uno solo individuo le adulte, da cui si suppone abbiano origine. Prima però di avanzarmi su questo particolare debbo ripor- tarmi a tempi più remoti, per rammentare che la prima cono- scenza delle filarie adulte viventi nel sangue di cane, non è do- vuta a Gruby e Delafond, ma rimonta a tempi assai più lontani, essendo rimasta di poi dimenticata. Si deve al defunto Ercolani (!) di avere scoperto in un trattato cinegetico dovuto a Francesco Birago, Signore di Metona e Siciano e che rimonta al 1696, (1) Osservazioni elmintologiche sulla dimorfobiosi nei nematodi; sulla filaria immitis ecc. Bologna 1875, pag. 32. 28 P. SONSINO una delle osservazioni più antiche di vermi trovati nel cuore destro di cane, e per quanto le parole dello scrittore lascino il dubbio che egli possa avere confuso i vermi da lui trovati nel cuore colla specie Eustrongylus gigas propria dei reni, pure il fatto è chiaro, da non lasciare dubbio, che dal Birago furono veduti vermi nel cuore del cane e a ragione l' Ercolani non dubita che appartenessero alla stessa specie di quella ritrovata ai giorni nostri da Gruby e Delafond, piuttosto che allo Eustron- gylus gigas. { Ma più antica ancora è la osservazione del Panthot citata da Davaine, e che secondo quest’ ultimo autore si trova pub- ) p blicata nel Journal des savants in data del 28 Agosto 1679. Dice Panthot (!) che all’ apertura del ventricolo destro del cuore di una piccola cagna, piuttosto vecchia, trovò 31 verme raccolti in un gruppo, ed erano della lunghezza di un dito e della gros- sezza di una spilla mediocre. Questi vermi per le dimensioni farebbero credere a Filarie immitis piuttosto giovanili. Ma un'altra osservazione, che pure non lascia dubbio sulla na- tura dei vermi trovati nel cuore, è dovuto al Dott. Giovanni Ve- rardo Zeviani e rimonta al 1808. Nelle memorie di matema- tica e di fisica della Società italiana delle scienze dell'anno 1809, Vol. XIV, parte 2.°, a p. 152 si trova una memoria del nomi- nato autore, sotto il titolo di Vermi del cuore veri e vivi, nella quale si da conto dell’ autopsia fatta di un cane che si sospet- tava morto per veleno e nel quale fu infatti trovato lo stomaco alterato, per modo da fare ritenere indubitato l’ avvelenamento; ma per di più fu trovato tutto il cuore disteso da sangue qua- gliato e nel seno sinistro del cuore in mezzo a coaguli furono trovati viventi 4 vermi come fili grossi, tondi, di forte pasta come carta pecora, lisci, giallognoli, privi del tutto d’ ogni rossezza. Nessun verme, nè nel seno destro del cuore, nè nelle vicine arterie e vene e orecchiette che pure erano piene di coaguli. Dei quattro vermi trovati “ due erano lunghi poco più di un piede francese, gli altri due erano per metà più corti. Quegli erano grossi come lo spago ordinario; questi erano più sottili dello spago della gavetta. Finivano in una coda a poco a poco assottigliata e puntiva ,. Lo scrittore dà così una descrizione macroscopica (1) Davaine — Traité des entozoaires. 2.8 edit. a pag. 343. € U Ù LI EMATOZOI DEL CANE 29 abbastanza chiara della Filaria stessa trovata di poi da Gruby e Delafond, ma è curioso che non si mostra propenso a valu- tare i servizi che poteva rendere il microscopio ai progressi dell'elmintologia, perchè egli aggiunge che non fu spinto ad aprire i vermi per vederne la struttura interna, disperando di poterne rilevare qualche cosa d’ importante, nonostante l’ aiuto dei finissimi vetri di cui si servono gl’ indagatori delle opere della natura. E lo Zeviani non pensò che avrebbe bastato che avesse guardato il sangue di quel cane anche ad un ingrandimento di 30 o 40 diametri, come ben si poteva fare anche in quei tempi, per scuoprire che in quel sangue formicolavano anima- luzzi in quantità, ed avrebbe così anticipato di un ventennio la grande scoperta delle filarie embrionali circolanti nel sangue di animali. Egli però aggiunge e merita di citare questo passo dello Zeviani, che il suo ritrovamento fortunato servirà a resti- tuire la fama, se non a tutte, a parte almeno delle osservazioni di vermi del cuore, (pare che alluda specialmente a vermi del cuore dell’uomo ) citate e dichiarate sospette da Senac e da Morgagni (1). E non vale l opporre, aggiunge, che la nostra 0s- servazione parla di vermi del cuore nel cane e non già nell’ uomo: mentre dove trattasi di cuore, di vene e di arterie, di sangue che circola, tanto è nell’ uomo, quanto nelle bestie maggiori. Ma lasciando in buona pace lo Zeviani, rammento che la Fi- laria haematica fu in seguito trovata da. altri, ma sempre in corrispondenza delle cavità del cuore destro e nell’ interno della arteria polmonale, ed è quella stessa che ebbe poi il nome di Filaria immitis da Leidy e che fu trovata straordinariamente comune in China, nel Giappone (?) e più al sud nella penisola di Malacca (3). Fu trovata ‘ancora dal Dott. Silva Araujo, a x Bahia in Brasile, dove pure è comunissima (*), oltrechè negli (4) Per Morgagni si veda Epist. 24, par. 23 dell’opera « Delle sedi e cause delle malattie ». Firenze 1840, Vol. 2.9, pag. 21. (2) Cobbold — Parasites. London 1879, p. 304 e Davaine, Entozouires. 2. ed. p. 955. i (9) Un esemplare di Filaria immitis trovata nell’ interno dell'arteria polmonale e raccolta in un cane a Singapore fu mostrato alla Società dall’ Autore, che lo ebbe in dono dal dott. Simon, quando l'Autore si trovava in quell’ estremo punto dell'Asia tropicale. (4) La Filaria immitis et la Filaria sanguinolenta au Brasil. Traduit du por- tugais par le D." Bertherand nel Lyon médical, N. 44 e 45, Nov. 1878. » 30 ‘È P. SONSINO Stati Uniti d'America da Jones e Leidy (4) a Filadelfia e da Schuppert a New Orleans (?). In Italia pure non è infrequente come lo attestano le pubblicazioni d’ Oreste (3), di Ercolani (4) ‘di Rivolta (°) di Lanzillotti Bonsanti (5) e di altri ancora Ma la parentela tra la Filaria immitis, come genitrice e gli embrioni circolanti nel sangue del cane come prole, per quanto fosse gia accettata da tutti, si comprendeva sempre male col fatto che di fronte a tanti cani infetti da embrioni, fosse stata generalmente trovata rara la presenza della filaria immitis stessa nelle cavità del cuore destro, o dell’ arteria polmonale. Infatti Gruby e Delafond, già lo accennai, trovarono Filarie adulte in un sol cane, mentre i cani filarosi da loro osservati ammonta- vano a non meno di 25. È a Ercolani (") che si deve di avere scoperto che questa Filaria immitis può avere sede anche fuori del cuore, cioè nel connettivo sottocutaneo di tutto il corpo, dove innanzi non era stata ricercata. Ercolani difatti trovò Fi- ‘larie immitis del cane in diversi punti del connettivo sotto- cutaneo, dove vivono tra le lamelle di esso, aggomitolate più o meno su loro stesse. Ed Ercolani verificò che nel tessuto sot- tocutaneo si trovano con più frequenza che nel cuore stesso, e che gl’individui trovati possono essere tanto maschi che femmine, e che (invece che vive) talvolta si trovano morte e allo stato di calcificazione. - È probabile che la sede della Filaria immitis sia anche più variabile di quella sospettata da principio. Chè prima si credeva avesse solo sede nel cuore destro, o nei vasi che im- boccano in esso; e poi si acquistò la conoscenza che può vivere anche nella vasta superficie del connettivo sottocutaneo, dove (1) Leidy — A Synopsis of entozoa etc. From the Proc. of lhe Acad. of Nat. Sciences, Philadelphia 1856. pag. 55. (2) Schuppert — Mechanical obstruction of the heart by entozoa causing death (New Orleans med. news. and Hospital Gazette, p 680, 1858); citato da Cobbold, Parasttes, a p. 312. (3) Lezioni di patologia sperimentale. Milano 1874, Vol. 3, p. 9. (4) Ercolani — Osservazioni elmintologiche sulla dimorfobiosi nei nematodi, sulla filaria immitis ecc. Bologna 1875. (3) Vi ha relazione tra gli embrioni di F. immitis del sangue del cane ed al- cune. lesioni patologiche? Studi di anatomia patologica. 1879. (5) Sulle alterazioni che producono gli embrioni di Filaria immitis e su una ciste con Filaria immitis nel connettivo intermuscolare di un cane. Clinica Vete- rinaria. Milano 1881. (7) Memoria citata. i'esie Le $ NI è EMATOZOI DEL CANE 81 dopo Ercolani la ritrovarono anche Rivolta (!), Vachetta e Lanzillotti Buonsanti (?). Ma vi sono singole osservazioni che accennano ad altri punti del sistema circolatorio, perchè ad esempio Schuppert a New Orleans la rincontrò nella vena cava superiore, e Leidy nel fegato, oltrechè nel polmone. Ma è cu- rioso che nessuno, per quanto io sappia, ha rilevato che il tro- vato dello Zeviani di cui ho parlato innanzi si riferisca alle ca- vità del cuore sinistro e non destro. Per tutto ciò io sono portato a sospettare che la F. immitis possa vivere e emigrare in punti molto diffusi di tutto il corpo, cioè per tutto il sistema vasale e forse non solo per tutto il tessuto connettivo sottocutaaeo, ma anche nel connettivo sottomuscolare, dove infatti sarebbe stata trovata dal Lanzillotti Buonsanti, in ciste che conteneva insieme maschio e femmina a stadio piuttosto giovanile. Se la cosa è così, si comprende come anche colla massima diligenza può accadere benissimo che, in una autopsia di cane filaroso, sfugga il ritrovamento della filaria: adulta. ì Ma ora debbo dire che da qualcuno fu sospettato e anche addirittura ritenuto che un altro elminto del cane, cioè la spi- roptera sanguinolenta (Rud.) possa essere la genitrice delle filarie embrionali circolanti nel sangue. La spiroptera sanguinolenta vive in tumori delle pareti dell'esofago e di là pare che tra- smigri nelle pareti corrispondenti dell'aorta toracica, dove dà luogo ad alterazioni in forma di noduli e di placche come di ateromasia. Nelle pareti dell'esofago per la presenza di que- st'elminto si formano dei tumori abbastanza voluminosi, da po- tere comprimere le parti circostanti e dar luogo anche a di- sfagia. Oltre il Moinichen (3) che secondo Davaine fu il primo a fare menzione di questo elminto, parlò di esso il Redi (4) con le seguenti parole “ gli esofaghi dei lupi, dei tassi, degl istrici, » dei leoni e dei cani gli ho trovati qualche volta esternamente » bernoccoluti di certi bitorzoli glandulosi di varie grandezze, » pieni di minuti e rossi lombrichetti anch'essi di diverse gran- (1) Vedi lavoro citato Studi di anatomia patologica 1879. (2?) Peroncito — I parassiti ecc. Milano 1882, p. 323. (3) Henricus Moinichen — Epist. in Thomae Bartholini epist med. cent. 2. op. 56, p. 592, Hagae comitum?1740, citato da Davaine a p. 771. (4) Redi — Degli animali viventi negli animali viventi. T. 2.° pag. 79, del- l’ ediz. di Napolì, 1778. 32 ‘| P. SONSINO , dezze ,. E accenna di averli anche veduti nelle pareti dello stomaco nella volpe. Dopo il Redi parlò e trattò lungamente della spiroptera sanguinolenta anche il Morgagni in diversi punti delle sue opere, e questo grande anatomico trovò il verme non solo nell’esofago, ma anche nelle pareti dell'aorta, descrivendo le alterazioni dell'uno e dell’altro organo che ne derivano, come si può vedere anche nelle citazioni che ne fa Davaine (4). Da Lewis (?) e da U. Caparini (*) l'elminto fu trovato anche in gangli linfatici, e da Silva Araujo e da me anche libero nell’esofago. È ‘comunissimo nei paesi caldi in’ India, China, Egitto e Brasile; assai frequente pure in Italia. È accaduto della Spiroptera che ne è stata segnalata in Francia la presenza specialmente in cani arrabbiati, come seguì in Italia per la filaria mmitis. Que- sto fatto si può spiegare, come dice Neumann (4) per la circo- stanza che l'autopsia dei cani arrabbiati implica.un esame ac- curato di tutti gli organi, e forse, come è d’opinione il Rivolta, per rispetto alla Filaria immitis, dacchè la Spiroptera sangui- nolenta determina certe volte al pari dell'altro verme, certi sintomi simulanti la rabbia, che hanno indotto in errore e hanno fatto sacrificare come arrabbiati animali che non lo erano. È curioso che il Lewis che a Calcutta descrisse nel 1874 molto minutamente, e con molta esattezza, le alterazioni del- l’aorta dovute alla spiroptera sanguinolenta, abbia potuto credere di essere stato il primo a fare menzione di questa sede del verme, e che nella stessa inesattezza sia caduto il chiarissimo Prof. Oreste nell’anno stesso 1874 (°) dando egli pure una di- stesa descrizione con figura delle alterazioni dell’ aorta toracica per la spiroptera sanguinolenta. Per rapporto a Lewis debbo aggiungere che, per quanto egli, nel 1874, avesse intrattenuto. l'opinione che la spiroptera sanguinolenta fosse la genitrice degli embrioni circolanti nel sangue, nel suo ultimo lavoro sugli emato- zoi dice che nonostante la circostanza che la Spiroptera sia stato il solo verme maturo da lui trovato, associato cogli embrioni (1) Morgagni — Epis. anat. epist. IX, par. 44. In Opera omnia. Typ. Renun- diniana 1765. Tom. II, p. 87. — Davains: op. cit. a p. 770 e 775. (2) Pathological significance of nematode haematozoa. Calcutta 1874, pag. 27. (3) Citato da Neumann, Ma/adies parasitairesi pag. 340. (4) Neumann, Op. cit. pag. 342. (°) Patologia sperimentale. Milano 1874, Vol. 3.° a pag. 115. E° ‘ EMATOZOI DEL CANE 33 circolanti nel sangue del cane, non può credere che vi sia una genetica connessione tra l'una e gli altri, perchè accade tre- quentemente di trovare spiroptere adulte senza esservi stati embrioni circolanti nel sangue, e viceversa di trovare questi ultimi in casi in cui alla necroscopia non si scuoprì la spiro- ptera adulta (1). Ma si può dire ancora che la biologia della spiroptera san- guinolenta offre argomenti a sufiicienza contro l’ accettazione di questo verme, come origine degli embrioni ematozoi del cane. La spiroptera nelle pareti dell’ aorta si trova per lo più soltanto allo stato giovanile; è wero che non mancano casì in cui acquista in quella sede lo stato adulto, come nei tumori esofagei, ed io stesso osservai un caso di questo genere, ma essi sono veramente eccezionali. Generalmente la spiroptera si trova nelle pareti dell'aorta, senza che il tumore in cui è con- tenuta, comunichi coll’ interno della cavità dell’ aorta; ma an- che qui vi sono eccezioni. Lewis cita un caso in cui trovò una spiroptera pendente nell’ interno del lume dell’ aorta, e lo Steel accenna pure al caso del tumore che comunica per via di un orifizio coll’interno dell'aorta. Ma in regola generale la spiroptera sanguinolenta non si trova in condizioni di vita da versare di- rettamente la sua prole nel torrente circolatorio. D'altra parte la spiroptera è ovovivipara, cioè figlia uova con embrioni for- mati, ma non embrioni liberi, ed il guscio delle uova è talmente grosso da lasciare credere poco probabile che le uova qualora cadano nell’ interno dell’ aorta, possano facilmente aprirsi per dare luogo alla fuoriuscita dell'embrione, mentre invece sembra un guscio che abbia bisogno per aprirsi di un agente chimico che lo sciolga, come si può avere nell'interno dello stomaco di un animale, piuttosto che nel sangue. È a dirsi di più che seppure in qualche caso le spiroptere residenti nelle pareti dell’ aorta, fatte adulte acquistano comu- nicazione coll’ interno dell’ aorta, in questi casi si potrà avere versamento di uova nell'interno dei vasi, ma non è ammis- sibile che uova rigide, che hanno una lunghezza di 86 ® e lar- ghezza di 15%, ossia che sono più di due volte larghe del diametro dei globuli sanguigni del cane, e cinque volte più (!) Lewis, op. citata. p. 616. 94 P. SONSINO lunghe, possano liberamente circolare per i capillari del cane stesso. E presumibile piuttosto che, verificandosi il caso di uova, versate nell'interno dell’ aorta, esse trascinate nel torrente circolatorio trovino un ostacolo nei capillari e accumulandosi diano luogo a embolie e trombosi e per esse a processi mor- bosi e malattie. È così che Manson riferisce appunto la paralisi degli arti posteriori, a cui di sovente vanno incontro i cani affetti da spiroptera sanguinolenta, alle trombosi che sì forme- rebbero nei capillari del midollo spinale, da uova della spiro- ptera versate nel torrente circolatorio. Per quanto il fatto di questo embolismo non apparisce che sia stato verificato da Manson, ma semplicemente arguito, esso è abbastanza vero- simile, lo stesso fatto accadendo ‘per le uova della Bilharzia haematobia nei tessuti dell’ intestino e della vescica. Non è invece presumibile che le uova versate nell’ aorta, possano per regola aprirsi da mettere fuori l’ embrione che solo si ver- serebbe nel torrente circolatorio, trattandosi. come abbiamo detto di uova a guscio piuttosto grosso, ed è poi certo che l'em- brione che si vede facendolo uscire da un uovo di spiroptera, schiacciandone il guscio sotto il microscopio, differisce del tutto dagli ematozoi embrionali che circolano nel sangue del cane, perchè è più tozzo e a coda brevissima. Così non si può credere che esso dia origine a questi ematozoi. Da un altra parte poi abbiamo il fatto che nella materia purulenta che circonda il verme sia nei tumori dell'esofago, che in quelli dell’aorta, non st trovano mai liberi embrioni, ma sole uova. Nè va dimenticato che gli ematozoi adulti trovati in altri animali e sinora meglio conosciuti sono tutti descritti come vi- vipari. Così vivipari sono le filarie adulte trovate da Vogt nella cavità addominale di rane e che erano origine di ematozoi em- brionali (4); così pure vivipara fu trovata la ilaria cordis phocae da Joly (?), filaria che secondo Cobbold sarebbe la stessa delle filarie trovate ugualmente in altre specie di foche da Leidy e da lui stesso (3). La stessa Faria sanguinis hominis adulta se non figlia embrioni del tutto liberi, emetterebbe, per quanto ne afferma Lewis, embrioni involti soltanto in una sottile mem- (1) Vedi Lecukart, The parasites of man. Tom. I, p. 49. (*) Lewis — PAysiological and path. researches. p. 612. (3) Cobbold — Parasttes. 1879, p. 314. EMATOZOI DEL CANE 35 branella che sarebbe il corion dell’ uovo, ma che permette- rebbe la distensione in lunghezza dell’ embrione e i suoi liberi movimenti, come se l’ embrione venisse fuori libero dall’utero materno. Cosicchè si può stabilire in generale che i vermi che danno origine a embrioni che sono versati nel torrente circo- latorio, hanno tutti i caratteri della viviparità, diversamente dalla Spiroptera sanguinolenta. Per tutto ciò io ritengo che la Spiroptera sanguinolenta (Rud.) o Filaria sanguinolenta (Schneider) non si possa riguardare come un ematozoo, e che il circolo vitale di questo verme si debba compiere per il passaggio delle uova nello intestino e l'uscita loro per questa via, mentre la sede più ordinaria della Spi- roptera a maturità sessuale è l’ esofago e da quest’ organo le uova passano facilmente nell’ intestino. Si è parlato di altri vermi ematozoi del cane. A questo pro- posito Davaine (!) dice: “ Nel cane si hanno ematozoi adulti, ma il loro studio è ancora incompletissimo; pare che appar- tegano a più specie; la meno rara è la Filaria haematica che sì trova nelle cavità destre del cuore , e più in basso aggiunge “ che si può presumere che gli ematozoi del cane appartengano a tre specie distinte, cioè la H/aria che egli chiama haematica, lo Eustrongylus gigas, ed il docmius trigonocephalus ,. Dal canto mio farò osservare che seppure esistano osservazioni autentiche dell’aver trovati gli ultimi due nominati elminti dentro il cuore, la loro presenza in quest'organo bisognerebbe riguar- darla come accidentale, o aberrante, perchè il primo ha sede elettiva nel rene, l’altro nell'intestino tenue, e in ogni modo nè l'uno nè l’altro verme potrebbero essere l'origine degli embrioni nematodi che si trovano con tanta frequenza nel san- gue dei cani. Del resto per rispetto allo Eustrongylus gigas ab- biamo detto che il fatto del Birago è da riferirsi piuttosto a Filaria immitis. Vi sarebbe un solo fatto, di cui non si può mettere in dubbio l'autenticità ed è quello dello Jones citato da Leidy, il quale dice che un esemplare di Eustrongylus gigas, di otto pollici di lunghezza è stato trovato dal sig. Joseph Jones nel cuore di un cane in associazione con filarie (2). Ma appunto un solo fatto si può spiegare come aberrante e così non può (!) Opera citata. pag. 314 e 343. (*) Leidy, Op. citata pag. 54. Se. Nat. Vol. X. 3 36 P. SONSINO essere preso in considerazione in relazione ai fatti frequenti di ematozoi circolanti nel sangue di cane. Quanto al Docmius trigonocephalus, secondo il Baillet, nella osservazione del Serres si trattava invece che di Docmius, di altro verme descritto dallo stesso Baillet sotto il nome di Strongylus vasorum; nematode ematozoo che io non ho ancora avuto la fortuna di trovare, nè di vedere. Il Megnin (!) che scrisse sugli ematozoi del cane nel 1883, oltre la Filaria immitis, considera come: ematozoi la Spiroptera sanguinolenta e lo Strongylus vasorum di Baillet e accenna anche alla probabilità di un quarto, lo .Strongylus subulatus. Tra gli scrittori più recenti, Blanchard (?) e Neumann (8) ammetteno a dirittura come ematozoi le quattro specie di ne- matodi nominate da Magnin. Neumann aggiunge che gli em- brioni nematodi circolanti nel sangue si riferiscono alla Filaria immitis e allo Strongylus subulatus, o Haematozoon subulatum. Di quest'ultimo preferisco di non farne soggetto di discussione in questa comunicazione, perchè la sua esistenza non so che sia stata confermata (5). Quanto allo Strongylus vasorum di Baillet avrò occasione di parlarne in altro punto. Invece per rispetto alla Filaria immitis, dirò che la più parte di quelli che si sono occupati di questo soggetto, mi limito a rammentare Gruby e Delafond, Leidy, Ercolani, Rivolta, Lan- zillotti Buonsanti, Manson, Ghaleb e Pourquier e Silva Araujo, sono d'accordo nel ritenere, come ritengo io, che essa sia il nematode adulto a cui si deve generalmente riferire la origine dei nematodi embrionali osservati nel sangue del cane. Pourquier e Ghaleb arrivano a dire che trovate filarie embrionali nel sangue si può fare diagnosi di Filaria haematica nel cuore; questo però è una esagerazione e non corrispondente ai fatti osservati dai più. Ma ho già detto che i trovati di Ercolani, di Lanzillotti Buonsanti, di Schuppert, e la particolarità del fatto dello Zeviani rilevata da me in questa memoria, mo- strando la sede molto variabile che può avere nel corpo del (1) Megnin — Memoire sur les haematozoaires du chien, dans le Journal d'ana- tomie et physiologie, 19. année, 1883. a p. 182 e seguenti. (*) Blanchard — Article Hematozoatres, estratto dal Dictionaire encyclopédique des sciences médicoles. p. 70. (3) Neumann — Maladies parasttaires. pag. 549. (4) Vedi Leuckart, Menschlischen parasiten. 2.° vol. pag. 406, EMATOZOI DEL CANE £ 37 cane la Filaria immitis, spiegano abbastanza bene come accada che non sia rinvenuta in molti cani, che pure offrono nematodi embrionali nel sangue. A questo proposito il fatto del Dott. Silva Araujo è molto significativo e parlante per non essere qui citato. Si tratta di un cane che non offriva nematodi em- brionali circolanti nel sangue, e che alla sezione presentò, spi- roptera sanguinolenta nell’ esofago, e filaria immitis nel cuore e arteria polmonale; ma mentre la spiroptera offriva esemplari maschi e femmine a maturità sessuale, gl’ individui della Filaria immitis trovati, erano tutti maschi. Silva Araujo aggiunge che Manson ebbe. due casi simili. In uno dei quali non si trovarono nel cuore che dei maschi di F. immitis, e nell’ altro soltanto una femmina non fecondata (1). Aggiungiamo infine che il vivere della Filaria immitis so- vente nell’ interno stesso del sistema circolatorio, la sua qualità di essere vivipara e sopra tutto la perfetta rassomiglianza ri- conosciuta da tutti gli osservatori, sia nella forma che nello sviluppo e dimensioni tra gli embrioni trovati nell'interno di essa e gli embrioni circolanti nel sangue, sono argomenti che, presi tutti insieme, non lasciano dubbio sulla origine di questi ultimi dalla Filaria immitis. In questo modo io riguardo come il più accertato ematozoo del cane, la Filaria immitis, senza escludere che gli embrioni nematodi circolanti nel sangue del cane, possano talvolta pro- venire anche da altro verme adulto, che non sia la ilaria immitis, e nel quale io ancora non mi sarei imbattuto. E in questo modo vado pur d'accordo con Ercolani e Lewis, i quali osservatori tutti due dichiarano che non potrebbero assoluta- mente escludere che altri elminti nematodi, oltre la Filaria immitis, possano essere origine di embrioni circolanti nel sangue. To non ho preso neppure in considerazione il supposto che questi embrioni circolanti nel sangue, invece di avere origine da un nematode adulto, vivente parassita nello stesso cane, provengano invece dall'esterno e che introdotti per via della bocca coll’acqua potabile si facciano strada ad uno ad uno attraverso le pareti dello stomaco, o per la via di linfatici nel (!) Aranjo — La Filaire immitis et la Filaria Sangue mafenta au Bresil. Nel Lyon Médical N. 44 e 45 del 1878. 38 P. SONSINO sangue. Il numero loro spesso ingentissimo nel sangue, il tro- varli esclusivamente nel sangue stesso, e non mai nei tessuti dove qualche volta si dovrebbero sorprendere smarriti; il non trovarli nell'interno dello stesso stomaco da dove passerebbero, rendono poco verosimile una tale supposizione. Ma ciò che più di tutto parla contro di essa, è il fatto che il cane non è il solo animale che offra nematodi embrionali circolanti nel sangue. Invece molti altri vertebrati si sa che vi vanno soggetti, e la conoscenza degli ematozoi si va ogni giorno completando, colla% scoperta del nematode adulto che è origine degli ematozoi em- brionali. Così è conosciuto quello che dà origine agli ematozoi circolanti nel sangue dell’uomo (Filaria Bancrofti); è cono- sciuto quello del cammello (Mlaria Evansi Lewis) (4); è cono- sciuto quello della foca; sono conosciuti quelli di diversi. uccelli, per cui non può essere a meno che nel cane venga meno, ciò che si può formulare come legge negli ematozoi, che i nema- todi embrionali circolanti nel sangue di un animale proven- gano da nematodi adulti che vivono pure nell'interno del si- stema sanguigno, o in parti che hanno diretta comunicazione con questo sistema. È opportuno che ora riferisca il resultato delle mie osser- vazioni intorno alla Filaria immitis e alla Spiroptera sanguino- lenta in relazione colla coesistenza, o no, degli embrioni nema- todi circolanti nel sangue e che faccia rilevare come questo resultato venga in appoggio dell’ espresso mio modo di vedere, basato sinora principalmente sulle osservazioni di altri. Ebbi già a dire che nei cani di cui esaminai il sangue in Egitto, non. trovai mai embrioni nematodi circolanti nel sangue. Ora ag- giungerò che negli otto cani di cui feci l’ autopsia cadaverica non trovai mai neppure la Filaria immitis. Così resultato ne- gativo per gli embrioni, coesistente con resultato negativo per la Filaria immitis, se non conferma non inferma certo neppure Ia parentela tra gli uni e l’altra. Io non dico che in Egitto non esista la Filaria immitis, e non esistano gli embrioni cir- colanti nel sangue di cani, ma dico semplicemente che nel li- mitato numero di cani, da me esaminati, non ho mai trovato nè gli uni, nell’ altra. Invece trovai piuttosto frequente la spi- (1) Vedi la Lancet del 27 Maggio 1882 nel resoconto della Società patologica di Londra, o anche i Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. March, 1882. EMATOZOI DEL CANE 39 roptera sanguinolenta (Rud.), per modo che sopra otto cani, me la offrirono cinque nell’esofago e quattro di questi cinque anche nelle pareti dell'aorta. Per quanto io non possa riguar- dare la spiroptera sanguinolenta come ematozoo, pure credo conveniente dare ora conto preciso di quanto osservai in questi cinque cani, per rispetto alla spiroptera, per mettere in rilievo le condizioni di vita di questo parassita. Non faccio che tra- scrivere gli appunti che conservo: 1.° Cane da fermo, infetto da spiroptera sanguinolenta, offrì un singolo tumore all’esofago vicino allo stomaco. Questo tumore semisferico aveva il diametro di 4 cm. Nella mucosa in corrispondenza del tumore vi era una piccola apertura ulce- rata. Nel tumore furono trovati 5 vermi; ve ne erano maschi e femmine. Dall interno del tumore estrassi dei frammenti nerastri che al microscopio furono trovati costituiti da ammassi di uova in parte calcificate e da pigmento di sangue. Il cane offriva segni di enteritide e nell’ intestino furono trovati ascaris marginata e tenia cucumerina. Trattandosi di cagna, morta di malattia, è importante di darne i cenni anamnestici che mi furono somministrati dal suo padrone. Era una cagna nativa di Egitto, di razza europea, dell’ età di appena di un anno. Aveva sofferto per quattro mesi di una forte infiammazione in- testinale che la ridusse a male partito, ma pareva migliorata, quando fu presa da sonnolenza, si gettò giù e dopo 24 ore era morta. 2. Cagna indigena, vagabonda. Uccisa per ricerca della spiroptera: 4 tumori nell’esofago, della grossezza tra una nocciola e una castagna; molli e fluttuanti; al taglio mettevano fuori . una materia saniosa e furono trovati nel loro interno diversi individui di spiroptera sanguinolenta. Alterazioni pure nella aorta toracica corrispondente; tumoretti della grossezza di un cece a cui corrispondevano nella superficie interna dell’ aorta delle deposizioni biancastre con superficie ruvida, come se fos- sero state il prodotto di una retrazione cicatriziale. Da un tu- moretto dell'aorta estrassi fuori una spiroptera adulta. Le filarie nell’ esofago erano a diverso grado di sviluppo. Nella materia saniosa una grande quantità di uova, in molte delle quali si distingue il contorno dell’ embrione formato. Non trovai em- brioni liberi; ma potei farne uscire dalle uova colla compres- 40 P. SONSINO sione e la forma loro, che ho disegnata, era molto diversa da quella degli embrioni che trovai liberi e circolanti nel sangue di cani qui in Pisa, essendo questi embrioni della spiroptera assai più grossi in proporzione alla loro lunghezza e come già dissi con coda cortissima. 3.° Cane indigeno vagabondo. Sacrificato per ricerca della spiroptera. Un sol tumore presso il cardias, di consistenza piut- tosto dura, contenente diverse spiroptere. Un gruppo di queste libere nell’esofago cervicale. Alterazioni nell’aorta come nel. 2° cane. 1 4.° Cane ucciso per ricerca della spiroptera. Nell’interno del canale dell'esofago due spiroptere sanguinolenti libere. Tumori nell’esofago e nell’aorta. Da uno dei tumori dell'esofago estraggo 5 spiroptere; e da un tumoretto dell’ aorta ne estraggo due che paiono forme giovanili. Queste prime quattro autopsie di cani con spiroptera furono fatte a Zagazig nel 1876. 5.° Cane sezionato in Cairo nel 1883. Trovate spiroptere con alterazioni tanto nell’ esofago che nell’ aorta. Vengo ora alle mie osservazioni in Pisa, il cui resultato presento nella pagina seguente in un prospetto sinottico. Dal prospetto si rileva che sopra 20 cani, ne trovai 7, ossia più di un terzo infetti da embrioni circolanti nel sangue. Che di questi 7 fu fatta la necroscopia di 6, e nessuno di questi 6 mi offrì presenza di spiroptera sanguinolenta, nè nell’ esofago, nè nella aorta. Uno solo mi offrì 4 esemplari di aria immitis nel tessuto connettivo sottocutaneo e nessuno nel sistema va- scolare sanguigno. Che fu fatta l'autopsia di 9 cani non infetti da nematodi embrionali nel sangue, e di questi 9, due mi offri- rono spiroptere sanguinolente nell’ esofago, uno dei quali anche con alterazioni nell’aorta; in nessuno trovai la Filaria immitis. In breve spiroptera in due cani senza embrioni nematodi cir- colanti nel sangue; filaria immitis in un sol cane, infetto pure da embrioni nematodi circolanti nel sangue. La spiroptera sanguinolenta fu trovata nel 1° e 19° cane. Nel 1° fu trovato un solo tumore grossissimo nelle pareti del- l’esofago presso il diaframma. Questo tumore era tutto infar- cito da spiroptere, alcune delle quali adulte. Ne raccolsi non meno di trenta. Nell’aorta non trovai alcuna alterazione ac- cennante a spiroptera. Nel cane 19° trovai due tumori esofagei Ia EMATOZOI DEL CANE 41 Prospetto del resultato di esame di cani per ricerche di ematozoi cani esaminati —_ © Uol ° È n m È o = ne) ° & 3) E] D Zi 20 Presenza di embrioni ne- matodi nel sangue Sacrificati per ricerca di ematozoo adulto Presenza rr. n oo CI e sa "| 24 o o (= Psa = n èp 8 ‘nz ob ad ° Cr Ria (=! [e| Presenza di di fil. immitis \spiroptera sang. e —-TWVWOVr. EN D Usi Sb | = È (c°] ui Lu S| sE (o) (e) - oa =; = o (>) d [ei ” Osservazioni più di 30 spiroptere nelle pareti dell’esofago. Infezione abbondante. Infezione scarsa. Infezione abbondantisima. Calcolata ad oltre due milioni. Nella ne- croscopia 4 filarie immitis adulte nel connettivo sottocutaneo. Infezione scarsa. Infezione scarsissima. Infezione scarsissima. Infezione scarsissima. Molte spiroptera nell’esofago. Nei tumori dell’aorta detriti di spi- roptere. 49 |P. SONSINO pure presso il cardias e nella parete posteriore, situati uno sopra l’altro. Erano molli. Quello più presso il cardias: offriva un ori- fizio alla superficie interna dell’ esofago, da dove colla compres- sione versava fuori materia marciosa. I tumori aperti dall'esterno offrirono una cavità ripiena di spiroptere in mezzo a marcia. Le spiroptere non furono contate, per lasciarle in sito per ser- vire di collezione. La materia marciosa al microscopio mostrò di contenere uova di spiroptera, e molte contenevano l’em- brione formato.— L'’aorta toracica offriva alla superficie esterna dei noduletti che corrispondevano con una depressione alla superficie interna. Alcuni di questi noduletti aperti offrivano una materia giallo-scura, in cui non trovai spiroptere; l’ esame però al microscopio mi fece riconoscere che era il resultato di disfacimento di spiroptere che avevano prima formato quei tumoretti, ma che erano morte innanzi di avere raggiunto lo stadio di maturità sessuale; perchè non mi riuscì di trovare uova in quei detriti. Siccome non furono trovate spiroptere adulte nell’aorta, ne viene di conseguenza che il resultato ne- gativo delle filarie embrionali non ha, in questi due casi, im- portanza per escludere la parentela tra gli embrioni circolanti nel sangue e le spiroptere. Quanto alla Filaria immitis fu nel cane 6° del prospetto, sezionato il 4 giugno, nel quale trovai questo nematode nel connettivo sottocutaneo. Questo cane rammento che offriva gli embrioni circolanti liberi un poco più grandi dell'ordinario. Un individuo della F. immitis fu trovato in corrispondenza. di cia- scuna delle regioni scapolari; gli altri due nelle parti laterali dell'addome. Gli elminti quando furono raccolti erano vivi e dotati di vivaci movimenti. Furono messi in soluzione acquosa di cloruro di sodio all’ 0,8% e mantennero i loro movimenti per oltre 24 ore, meno uno che rimase rotto nell’ estrarlo. Erano tutti lunghi da 15 a 16 cm. con un estremo, il poste- riore, un poco curvo su se stesso. Quello rotto fu sottoposto al- l'esame microscopico. Era femmina alla pari degli altri tre. Bisogna però dire che per quanto già a maturità sessuale deb- bono essere individui piuttosto giovanili, perchè le femmine generalmente raggiungono dimensioni anche del doppio. La dis- sezione dell'esemplare che si era rotto fu fatta dopo 3 giorni che era stato tenuto nell'acqua all’ 0,8% di clor. di sodio, e | RE EMATOZOI DEL CANE 4e nonostante ciò trovai l’ utero ripieno di embrioni, di cui molti viventi e dotati di movimento attivissimo. Questi embrioni cor- rispondevano perfettamente per apparenza e dimensioni agli embrioni liberi trovati circolanti nel sangue dello stesso cane. Non dò l'anatomia del verme, perchè i miei esami si limi- tarono a riconoscere la specie, e perchè non avrei nulla da ag- giungere di nuovo a quanto se ne sa dai lavori di Welch e di Manson. Quanto alla descrizione dei caratteri del verme essa è data dal Perroncito, alla cui opera (*) rimando chi avesse bi- sogno di prenderne cognizione. Le mie osservazioni e indagini essendo state compiute nel corso di pochi mesi, e avendo avuto per soggetti cani appa- rentemente sani che non morirono per malattia, mi è impossi- bile con cognizione di causa, di parlare delle malattie cui vanno incontro i cani infetti dall’ematozoo e del nesso che vi può es- sere tra queste malattie come effetto e la presenza dell’ ema- tozoo come causa. Prima di dar conto delle ricerche fatte sul ciclo vitale del nematode ematozoo, è d'uopo che risponda al quesito che mi era proposto in principio della comunicazione, cioè: dove vanno a finire gli embrioni circolanti nel sangue? Salvo quelli, e co- stituiscono il minimo numero, che come vedremo vengono por- tati via dagli epizoi ematofagi del cane, siccome nel cane non troviamo che embrioni vengano fuori del corpo per alcuna via di secrezione normale, o anormale, così bisogna ritenere che la più parte delle filarie muoiono nel sangue stesso. Si capisce sino ad un certo punto che la loro distruzione possa farsi nel sangue, disintegrandosi via via che muoiono, presso a poco come avviene dei globuli del sangue. Dico sino ad un certo punto, perchè gli embrioni di nematodi provvisti di cuticola, offrono questo tessuto che non può certo dissolversi nel sangue come i globuli. Bisogna dunque supporre che questa cuticola si fermi in qualche punto e agendo come {corpo estraneo si isoli senza recare nocumento all'ospite, stante il suo minimo volume. Non credo che nessuno più ammetta ciò che fu espresso da Gruby e Delafond, che cioè gli embrioni continuino a svi- luppare nel sangue, sino a che raggiunte tali dimensioni da (1) I parassiti dell’uomo e degli animali utili. Torino 1882, p. 321. 44 i P. SONSINO non potere più circolare, si fermino in un punto del sistema sanguigno per es. cuore destro, o vasi che vi immettono, per continuare il loro accrescimento e raggiungere lo stato di ma- turità sessuale. Infatti come dice Leuckart (4): “ Se questi , ematozoi arrivassero a completa maturità nel loro ospite, » dovremmo verificare non soltanto un numero ingentissimo e ‘, Sempre crescente di vermi adulti, ma si dovrebbero trovare. , anche gli stadi intermedi dell’elminto. Ma nessuno ha sinora , osservato nulla di ciò ...,. Così bisogna concludere che lo stadio intermedio tra l'embrione ematozoo e il parassita a com- pleto sviluppo si compie fuori del corpo dell'ospite definitivo. II. Ciclo vitale della Filaria immitis. Come i nematodi embrionali del sangue del cane perven- gono al compimento finale del loro sviluppo, -per il manteni- mento della specie? Sono gli epizoi ematofagi stessi del cane che impossessandosi di quegli embrioni in un' col sangue che succhiano, offrono loro terreno per subire quelle trasformazioni larvali che li rende poi atti ad arrivare allo stato di maturità sessuale, una volta che tornano nel cane. In breve si tratta di un ciclo evolutivo che si fa tra cane ed ‘uno dei suoi epizoi; pulce, o pidocchio ordinario. Ma innanzi tutto debbo dire come fui condotto a fare i miei esperimenti su questo ciclo vitale della Filaria immitis. Avevo da pochi giorni incominciato ad occuparmi di ricerche sugli ematozoi del cane, che in Egitto non ebbi campo di fare, perchè come dissi non mi riuscì di trovare colà cani filarosi, quando il 22 Aprile passato ricevetti una nota preventiva fa- voritami dal Prof. Grassi, da lui pubblicata in data del 14 Apri- le, sotto il titolo di ciclo evolutivo della spiroptera sanguino- lenta (?) nella quale annunziava di avere scoperto nella pulce (1) Vedi Leuckart. Op. cit. ediz. inglese, Vol. I, p. dl. (*) La presente memoria era già in corso di stampa quando ebbi occasione di vedere a Pisa il Prof. Grassi l' 11 Luglio e mi anticipò nuove notizie che mi ven- nero poi confermate da una seconda nota preliminare dello stesso Prof. Grassi in data del 12 Luglio da Rovellasca. In questa si annunzia una nuova ed importante li iaia CICLO VITALE DELLA FILARIA IMMITIS 45 del cane gli embrioni e le fasi larvali di un nematode, che pare provengano dagli embrioni nematodi che si trovano circolanti nel sangue di molti cani, fasi larvali che dovrebbero appunto riferirsi al ciclo vitale di un ematozoo, il quale escludeva che fosse la F. immitis e propendeva a crederlo la S. sanguinolenta. Questo annunzio preventivo dell’ egregio elmintologo m'’invitò senz'altro, avendone pronto i materiali, cioè i cani filarosi, a fare relative ricerche che non volli limitare alle pulci, ma estenderle anche al pidocchio ordinario del cane, di cui il Grassi non aveva fatta menzione nella sua prima nota preventiva, e anzi incominciai gli esperimenti da quest’ ultimo (*!). Queste ricerche furono fatte su pidocchi e pulci presi principalmente da due cani che pre- viamente avevo constatato essere infetti dalle filarie embrio- nali circolanti nel sangue. Sopra 75 pidocchi che esaminai dagli ultimi di Aprile alla metà di Giugno trovai infettati di embrioni e di larve di ne- matode soli 5 individui; ma i caratteri di questi entoparassiti del pidocchio non mi lasciarono dubbio che provenissero dagli embrioni nematodi del sangue del cane, ‘perchè gli embrioni trovati nel pidocchio avevano precisamente le stesse apparenze e dimensioni di questi ultimi, e quanto alle fasi larvali, una gradazione nelle trasformazioni, lasciava chiaramente dedurre il nesso della comune provenienza. Le forme embrionali erano scoperta, cioè che per nuovi e decisivi esperimenti egli ha acquistato la certezza che la spiroptera sanguinolenta propaga la sua specie colle uova che emette per la via dell'intestino, e che venendo ingolate dalla Blatta orientale, questo ortoptero serve allo stesso entozoo del cane di ospite intermediario. Mi compiaccio così di vedere che i resultati dei nostri studi si vadano ravvicinando in quanto alla spiroptera, che è dal Grassi messa ora fuori di questione, come la genitrice degli ordinari em- brioni nematodi circolanti nel sangue. (!) Debbo avvertire che la specie di pidocchio che esaminai e nella quale rì- trovai le fasi larvali dell'ematozoo del cane, come nella pulce, non è già il Trico- dectes latus, come credei da principio e come annunziai in una nota preventiva pub- blicata nel British medical Journal del 15 Luglio, ma è invece l’ Hematopinus pilifer che qui da noi pare sia più comune nei cani che il suo commensale sopra nomi- nato. Ma siccome il Tricodectes latus pure può succhiare sangue, come è detto da Claus e da altri, quantunque non sia abitualmente ematofogo, così resta a vedere se anche il Tricodectes sia ospite intermediario della Filaria immitis del cane come già sino dal 1879 annunziò il Baneroft di Brisbane in Queensland, alla pari della pulce e dell'ematopino. Il che mi è stato impossibile di mettere in chiaro sinora, non avendo potuto trovare quest'altro pidocchio sopra cani che fossero infetti da filarie embrionali nel sangue. Cosi quando adoprerò nel corso della memoria la parola pidocchio intendo riferirmi all’ematopino. LO P. SONSINO dotate di movimento vivacissimo, e misuravano circa 220 p. Le forme larvali si mostravano dotate di movimento sempre meno vivace, per quanto si facevano più tozze, allontanandosi dalla forma embrionale, fino a chè poi raggiungendo dimensioni di lunghezza 3 a 4 volte maggiori della lunghezza del primi- tivo embrione, riprendevano movimenti vivacissimi quasi come gli embrioni stessi. Nella tavola le figure 1, 2, 3 e 4 si riferiscono a forme di nematode trovate nei pidocchi. Fig. 1 rappresenta un embrione trovato nel pidocchio colle apparenze di quelli che si vedono nello stesso sangue del cane. Ha 200» di lunghezza e 4% di larghezza. Fig. 2 rappresenta una forma larvale iniziale, che è data dall’embrione stesso che ha subìto un leggero accor- ciamento, e si è fatto più grosso, offrendo 165 di lunghezza e 7t di larghezza. — Fig. 3 rappresenta una larva un poco più avanzata, offrendo 300 » di larghezza e 21 w di larghezza, dotata di movimenti languidissimi. Questa forma aveva l'estre- mità posteriore terminante in una coda affilatissima, di circa un sesto della lunghezza del resto del corpo. Invece 1’ estremità anteriore, o buccale, ottusa offriva una sporgenza conica tron- cata, cortissima che pareva protrattile e che dà indizio come di un organo prensile. Ora questa sporgenza si accenna già nello stesso embrione, ma pare che vada sempre più accentuandosi nello sviluppo della larva. — La fig. 4 rappresenta la forma a sviluppo più avanzato che trovai nel pidocchio. Aveva lunghezza di 750% e larghezza di 20 4; era dotata di movimenti abba- stanza attivi, e offriva sempre più manifesta la sporgenza buc- cale, o organo protrattile, mentre l'estremità posteriore si pre- sentava assai meno affilata che nelle forme meno avanzate nello sviluppo. Dopo la metà di Giugno non potei ottenere nuova messe di pidocchi da cani filarosi e così le mie ricerche rimasero al punto accennato, cioè con una forma larvale sviluppata sino ad avere tre quarti di millimetro di lunghezza. Però avendo nei pidocchi trovato embrioni corrispondenti perfettamente per ap- parenza e dimensioni a quelli trovati nel sangue stesso dei cani da cui quei pidocchi furono levati, e verificandosi una grada- zione di sviluppo progressiva nelle altre forme larvali, come sì può vedere bastantemente bene nelle quattro prime figure, Mt ? te CICLO VITALE DELLA FILARIA IMMITIS 47 così mi pare di non potere mettere in dubbio la provenienza degli entoparassiti trovati nel pidocchio e la loro identità spe- cifica con”un ematozoo ospite definitivo del cane. Nel mese di Luglio ebbi occasione di fare un nuovo esame di Ematopini procuratimi dal cane 18° che offriva una infezione scarsissima, e trovai sopra 15 pidocchi esaminati, uno solo infetto da forme larvali poco avanzate nello sviluppo. Così il totale di pidocchi esaminati è di 90 e di questi 6 soli infetti, cioè 1 sopra 15. Probabilmente se avessi potuto trovare maggior numero di pidocchi nei cani filarosi, avrei finito di trovare delle larve di nematode a stadio più avanzato, come riuscii per la pulce. * Delle pulci potei esaminare un numero maggiore, che am- monta a 116, prese principalmente dai cani 3° e 4° che avevo coll’ esame del sangue riconosciuto per filarosi e che rimasero vari giorni a mia disposizione innanzi di essere uccisi. Di queste 116 pulci trovai infette da entoparassiti soli 15 individui, ossia in- fetti circa 1 sopra 8. Il Grassi calcola di avere trovata infetta 1 pulce”sopra 5, perchè dice il 20%o. Però debbo dire che è molto probabile che la proporzione delle infette sia molto maggiore di quello che potei stabilire coi miei esami microscopici, perchè è facile di comprendere che è molto probabile, per quanta at- tenzione abbia posto, che nelle pulci in cui erano in piccolo numero mi siano sfuggite forme di nematodi, che potrebbero essere rimaste anche coperte dai tessuti e specialmente dal te- gumento assai grosso ed opaco della pulce disseccata e rimasta sotto il cuopri oggetto. Aggiungerò anzi per mostrare come in tal genere di ricerche non bisogna scoraggiarsi ai primi tenta- tivi infruttuosi, che fu solo alla 30.* pulce, che disseccai il 23 Maggio, che per prima volta trovai i ricercati parassiti annun- ziati dal prof. Grassi. Quella pulce era molto grossa, il suo sto- maco conteneva sempre del sangue di cane non digerito inte- ramente. In essa trovai un embrione lungo 235 » e largo 6 | colle apparenze degli embrioni tratti dal sangue del cane. Questa è la forma rappresentata nella fig. 5. La pulce fu raccolta, in- sieme ad altre 9 che non erano seo dal cane 4° che offriva una infezione scarsa. Le figure 6, 7 e 8 rappresentano tre altre forme non più embrionali, ma larvali trovate nella stessa pulce. Tutte offrono l'estremità anteriore ottusa con sporgenza di organo protrat- 48 P. SONSINO tile, e quella posteriore affilatissima e corrispondono perfetta- mente a quelle verificate nei pidocchi da confondersi insieme. Queste tre forme non offrirono movimento, quando furono viste nel preparato microscopico. Le dimensioni relative sono per quella della Fig. 6 lungh. 210 p e larghezza 12 &; per quella della Fig. 7, lungh. 240% e largh. 18%; per quella della Fig. 8° lungh. 300% e largh. 21 p. 28 Maggio — Esame di 10 pulci tratte dalla cagna 4°, re- sultato negativo. 29 Maggio — Esame di una pulce dalla cagna 3°. Trovato un nematode lungo mm. 1,0 con canale intestinale formato e ben distinto, bocca con organo protrattile, 1’ estremità posteriore ristretta, non più affilata, ma ottusa e piegata sopra se stessa. Essa è rappresentata nella Fig. 9 e la ritengo come larva allo stadio più avanzato che possa essere raggiunto nell’ ospite in- termedio. 30 Maggio — Esame di 7 pulci. Una sola apparisce in- fettata di entoparassiti e vi trovo un embrione lungo 200% e largo 6% con coda affilata lunga 24 p, cioè circa !/s del totale del corpo, e un secondo embrione un poco più sottile e. più lungo. 31 Maggio — Esame di 3 pulci prese dalla cagna 3° con resultato negativo. In una quarta della stessa cagna trovo da oltre 40 a 50 nematodi, sia embrioni, sia forme larvali poco avanzate nello sviluppo. Quanto più queste ultime si avvicinano alla forma embrionale tanto più sono dotate di movimento rapido. Via via ingrossano, da principio accorciandosi un poco, ma poi riprendendo ad allungarsi e via via i loro movimenti si fanno più lenti, senza mai divenire del tutto immobili. L'or- gano protrattile buccale si fa sempre più distinto coll’ avan- zarsi dello sviluppo delle forme larvali. 1. Giugno — 6 pulci della cagna 4*, mi danno resultato negativo. 2. Giugno — Una pulce del cane 6°, mi dà una forma lar- vale con organo protrattile e estremità posteriore affilata. Al- tra larva a sviluppo più avanzato, mi si presenta in frammenti, essendo stata spezzata dagli aghi di dissezione. gativo. 3 Giugno — 5 pulci del cane 6° mi danno resultato ne- CICLO VITALE DELLA FILARIA IMMITIS 49 9 Giugno — 6 pulci e un pidocchio dalla cagna 3°, resul- tato negativo. 10 Giugno — 7 pulci della cagna 4*, resultato negativo. 11 Giugno — 1 pidocchio della cagna 8°, resultato nega- tivo. — Sopra 6 pulci, 2 sole si mostrano infette. In ciascuna di queste un esemplare che è un poco più grosso degli embrioni circolanti nel sangue del cane. Uno di questi esemplari misura lunghezza 210» e larghezza 5 p.. 12 Giugno — Sopra 5 pulci della cagna 4°, trovo due in- fette. Importantissimo il trovato in una, la quale mi offre alla dissezione oltre 30 nematodi, di cui non meno di dodici voluminosissimi, arrivando sino alla lunghezza di mm. 1. 20 (fig. 9), e mm. 1. 50 (fig. 10) grossi sino a 30p a 40p. Estremo posteriore ottuso. Alcuni esemplari embrionali come se venis- sero dal sangue del cane direttamente. Altre forme larvali di transizione con organo protrattile, ma estremità posteriore af- filatissima. Alcuni esemplari sono spezzati e nella sezione di rottura si vede sporgere fuori (fig. 11 a e 8) V'estr. rotto del- l'intestino di già. formato. In alcune forme all'estremo caudale si vede la cuticola distaccata dal resto del corpo e fa dubitare si tratti di un principio di muta, la larva mantenendo movi- menti da non far credere ad un principio di disfacimento. Nell'altra pulce infetta ho trovato forme transitorie in pic- colo numero e embrioni come quelli del sangue del cane. Ma un importante trovato è stato un cisticercoide (Fig. 12 « e bd) che per l'apparenze dei suoi uncini, alcuni dei quali staccati potei vedere ad un fortissimo ingrandimento, e potei ricono- scere per gli uncini propri della tenia cucumerina. Così ebbi luogo di confermare il trovato del Prof. Grassi, che cioè il cisticercoide della tenia cucumerina si trova anche nella pulce. 13 Giugno — Esame di 5 pulci della cagna 4, due sole infette. In una trovo forme larvali transitorie. Una larva lunga 230 w e larga 20 p con coda affilatissima e organo buccale pro- trattile. Nell’altra pulce, una forma transitoria più avanzata. 14 Giugno — Esame di 3 pulci e 1 PAOCio della ca- gna 3, con resultato negativo. 15 Giugno — Esame di 3 pulci del cane 9, due mi hanno dato resultato negativo. Una offre diversi embrioni come se provenissero direttamente dal sangue di cane. Una lunga 250 w e l’altra 225% con larghezza di 4 p.. 50 P. SONSINO 18 Giugno — Esame di sei pulci della cagna 3, dà resul- tato negativo. — Esame di una pulce del cane 9, dà una filaria . in via di trasformazione, lunga 255 v; larga 18 p, con estremità affilata 30 p.. 21 Giugno — Esame di 3 pulci, resultato negativo. 25 Giugno — Esame di 6 pulci del cane 9, due sole in- fette, entrambe con diversi embrioni e con forme larvali di transizioni. Nel mese di Luglio feci esame di altre 15 pulci e ne trovai. 4 infette per cui sul totale di 131 pulci ebbi 19 infette, ossia circa 1 sopra 7. — È importante che si noti che tutte queste forme larvali furono trovate tanto nel pidocchio che nella pulce, nella cavità generale del corpo, fuori cioè del tubo digerente. La scoperta del prof. Grassi del ciclo vitale di un ematozoo del cane, attraverso della pulce, come ospite intermediario, è dunque pienamente confermata anche dalle mie osservazioni; con questo di più: che io ho provato che questo ciclo vitale è da riferirsi particolarmente alla Filaria immitis e che oltre che la pulce può servire di ospite intermediario anche il pidocchio ematopino. Che la pulce avesse l'attitudine a succhiare col sangue le filarie embrionali circolanti in questo, io già l'aveva annun- ziato sino dal 1888 (!) avendo verificato la presenza di em- brioni di filaria nello stomaco di una pulce che aveva suc- chiato sangue d'individuo infetto dalla Filaria sanguinis. Trat-. tandosi di una singola osservazione dissi allora che non mi era permesso trarre deduzioni di alcun valore. Ma è certo che meriterebbe di tornare sopra questo genere di osservazioni, non essendo improbabile che anche la pulce dell’uomo possa servire di ospite intermediario alla Fil. sang. hominis, alla pari della zanzara sua commensale; tanto più che in certe classi di persone di certi paesi meno avanzati in civiltà, non manche- rebbero esempi di chi si mette in condizione di ingolare una pulce, dopo averla uccisa coi propri denti. Ma tornando al ciclo vitale della Filaria immitis, è certo (1) Nella memoria A new series of cases of Filaria sanguinis parassitism ec. nel Medical Times and Gazette Sept. and Oct. 1883, e nella nota La Filaria san- guinis hominis osservata in Igitto ecc. pubblicata nel giornale della Reale Acca- demia di medicina di Torino. Agosto 1884. CICLO VITALE DELLA FILARIA IMMITIS bl che la prova più provativa, la si avrebbe coll’experimentum crucis, come dice il Prof. Grassi, con cui si riuscisse a infettare un cane dell’ematozoo, amministrandoli delle pulci che si suppon- gono contenere le sospettate fasi larvali dell’ ematozoo stesso. Ma sino a chè esperimenti di questo genere non siano stati fatti, e a meno chè fatti, non riuscissero negativi ripetutamente, da venire a contraddire questo ciclo vitale, io credo che questo sì possa ritenere come abbastanza provato, dal trovare che l’em- brione perfettamente simile a quello che circola nel cane, nella pulce, si trasforma in larva via via più sviluppata, sino a rag- giungere una forma larvale sei o otto volte più grande del- l'embrione primitivo. Quanto all’ ematopino per quanto le forme larvali osservate non raggiunsero lo sviluppo e le dimensioni di quelle più avan- zate delle pulci, siccome però si tratta anche là di avere ve- duto forme larvali di un certo grado di sviluppo come quelle della pulce, mi pare molto probabile che anche il pidocchio succhiatore possa servire di ospite intermediario della stessa Filaria immitis. E che il ciclo vitale si riferisca particolarmente a questa specie di ematozoo che è la sola bene conosciuta e generalmente accettata da tutti, è da ritenersi da che non co- nosciamo altro nematode adulto i cui embrioni liberi nel suo utero, corrispondano per ogni rapporto da potere essere iden- tificati cogli embrioni circolanti nel sangue del cane e con quelli che sì trovano al primo grado di sviluppo nella pulce e nell’ ematopino. Con questo ciclo vitale della Fil. immitis si vengono a spie- gare molti fatti che sinora rimanevano oscuri sulla vita del- l’ematozoo e che osservati specialmente da Gruby e Delafond ebbero da questi una interpretazione, a mio credere, erronea. Il Gruby e Delafond nei loro importantissimi e fecondi studi che durarono nove anni, delle filarie embrionali del sangue del cane, praticarono anche iniezioni di sangue filaroso a cani che erano immuni dal parassitismo, e trovarono che in generale i cani nuovamente infetti continuavano a offrire le filarie em- brionali per 8 a 40 giorni e che dopo 40 giorni al massimo non si rinvenirono più. Questo resultato conferma che la vita delle filarie embrionali nel sangue ha un limite di pochi giorni, ed io già dissi come si debba ritenere che le filarie venute a Sc. Nat. Vol. X. 4 592 P. SONSINO morte si dissolvino nel sangue, a un dipresso come fanno i globuli, e nonostante che una parte loro, la cuticola, non si comprende come possa disfarsi, pure questa dissoluzione delle filarie em- brionali morte, pare che si compia in generale senza produrre sconcerti nell’ospite. Questo fatto ritengo che si verifichi anche nell'uomo e già nella mia nota sopra citata pubblicata nel giornale della Reale Accademia di medicina di Torino mi espressi a questo proposito colle seguenti parole: “ La vita delle filarie » embrionali nel sangue deve essere breve, di pochi giorni, al- » trimenti negli individui in cui non si verificano linforaggie, » il numero delle filarie embrionali dovrebbe necessariamente , aumentare ogni giorno in una proporzione notevole, ma ciò , non si è verificato nelle osservazioni dei miei malati ,. Non capisco come il Prof. Leuckart (!) possa accettare 1’ opinione che la vita dell’ ematozoo del cane si protragga per mesi ed anche anni, mantenendosi nello stesso stadio di sviluppo, e senza aumentare in grandezza. Se per il corso di più anni sì possono vedere filarie circolanti nel sangue di cane, come in quello del- l’uomo, non vuol dire che siano filarie coetanee a quelle viste in esami anteriori e invecchiate che si presentano successiva- mente sotto gli occhi dell'osservatore, ma è che continuamente vengono versate giovani filarie embrionali nel torrente circo- latorio, mentre via via vengono a morte e si disciolgono quelle che hanno raggiunto qualche giorno di vita. L'eccezione che ebbero Gruby e Delafond per due cani, a cui iniettarono il sangue filaroso e che continuarono a presen- tare filarie embrionali anche dopo tre anni dalla data dell’ inie- zione, mi pare che s'interpreti meglio col ritenere che quei due cani siano andati soggetti ad una infezione dell’ ematozoo adulto e che così le filarie che furono trovate dopo molto tempo, cioè dopo 3 anni, fossero la prole dell’ ematozoo adulto vivente nell'interno del cane stesso, e non fossero quelle iniettate nel sangue. Infatti come mai potrebbe avvenire che nel maggior numero dei cani le filarie non potessero adattarsi a vivere nel. sangue più di 40 giorni e che in soli due cani questo adatta- mento arrivasse al punto da mantenerle in vita per più di 3 anni? L' opinione di Gruby che il sangue per ricettare le filarie (‘) Leuckart. Op. cit. Ed. inglese. Vol. 1, pag. ol. fo CICLO VITALE DELLA FILARIA IMMITIS Da embrionali debba avere una costituzione speciale, ancora sco- nosciuta, è del tutto ipotetica, e contraria alla verosimiglianza, quando si vede che in alenni paesi un terzo, una metà, ed an- che due terzi dei cani vanno incontro al parassitismo senza distinzione di razza. Aggiungerò che invece si comprende assai bene che coll’ iniezione di sangue filaroso in cani immuni, si possa dare occasione con più facilità alla infezione anche del- l’ematozoo adulto; perchè se quei cani sono visitati da pulci, queste succhiano il sangue reso artificialmente filaroso, e così allevano la larva che può rintrodursi poi nel cane, se acchiappa colla bocca le pulci infettate. Per spiegare l’ origine della filaria adulta in un cane per avanti immune, bisogna ammettere che il nuovo ciclo vitale s' inizi da una pulce infettata previamente da altro cane, e si compia nel cane su cui va poi quella pulce. Nel caso degli accennati due cani di Gruby, il ciclo duale tra gli ospiti sarebbe cominciato dal cane stesso che per artifizio di esperimento offriva esso stesso gli embrioni senza il verme adulto, e questi embrioni sarebbero passati nelle pulci, le quali allevando la larva, avrebbero dato occasione al cane d’infettarsi dei vermi generanti poi nuovi embrioni. Il fatto altrove citato da Gruby e Delafond che i figli di cane, e cagna filarosi, divengono costantemente filarosi, e che quelli che provengono da un sol genitore filaroso, talvolta di- vengono e talvolta non divengono infetti, fatto che fece dire agli autori che la eredità ha una grande influenza nella pro- duzione di questo parassitismo sui cani, mi pare che si spieghi molto meglio col fatto del convivere in stretti rapporti della prole coi genitori, per cui si facilita il passaggio da questi ul- timi alla prole, di pulci infette, che aprono così nuovi cicli di vita al parassitismo. E un tale fatto deve essere accaduto spe- cialmente nei cani che stettero per lungo tempo sotto l’ osser- vazione di Gruby e Delafond e che per conseguenza avranno vissuto riuniti in luogo confinato. In appoggio posso dire che sopra 9 cani che potei avere in osservazione, o di cui feci l’au- topsia nei Laboratori di anatomia patologica e di medicina le- gale e psichiatrica di questa scuola medica, dove iniziai queste mie ricerche, e dove i cani naturalmente vivevano confinati in luogo ristretto, ne trovai infetti non meno di 5, mentre sopra 11 cani di altra provenienza, che sezionai, o esaminai 54 P. SONSINO al Museo di Zoologia, dove proseguii le ricerche stesse, non ne trovai che due soli infetti. Sproporzione enorme che mostra l'influenza della vita reclusa a comune di diversi cani, per fa- cilitare la propagazione del parassitismo per mezzo delle pulci, dato che tra quei cani ve ne sia anche uno solo infetto. Gruby e Delafond trovarono inoltre che nel sangue dei di- scendenti non apparirono le filarie innanzi l'età di 5 o 6 mesi. Ciò appunto mostra che queste tilarie non erano state tra- smesse dalla madre ‘alla prole durante la gestazione; ma erano il resultato di una infezione avvenuta nella prole per via di pulci infette da altri cani. Notevole è un fatto osservato da Ghaleb e Pourquier e me- ritevole di essere ora commentato. Questi osservatori s' imbat- terono in una cagna filarosa che era altresì incinta e che offrì un feto nel cui sangue pure furono trovate le filarie (4). Questo fatto va riguardato come un’ eccezione, perchè è in contraddi- zione coi fatti succitati di Gruby e Delafond, e anche con ciò che è stato osservato nella specie umana, giacchè rammento bene che fu già verificato che nei nati da donne filarose, non furono trovate filarie embrionali nel sangue. Oltre a ciò è ora accettato da tutti gli anatomici, che non esiste comunicazione tra i vasi della circolazione materna e quelli della circolazione fetale, e siccome non si ha esempio della filaria che esca dalla circolazione senza rottura di vasi, così non si può capire come normalmente vi possa essere passaggio delle filarie da una cir- colazione all’ altra. Dunque il fatto non può essere che anor- male. Ghaleb e Pourquier lo spiegano ammettendo che le filarie embrionali del sangue materno siano riuscite a perforare le pareti dei vasi in corrispondenza della placenta e a penetrare così nella circolazione fetale. Però questa supposizione è poco verosimile, perchè non resulta che gli embrioni circolanti nel sangue abbiano questo potere di perforare i tessuti. È più plausibile invece di ammettere che eccezionalmente, o per un’ azione traumatica dall’ esterno che abbia dato luogo a rot- tura di vasi, o per un’ abnorme conformazione dei vasi stessi, vi fosse stata in quel caso una comunicazione diritta tra il sangue delle due circolazioni, per cui avesse avuto luogo il pas- (1) Ghaleb et Pourquier — Sur Za ilaria haematica (Hematozoaires) Note. Compte rendu de l'Academie des sciences, Année 1877. T.° LXKXXIV, p. 271. STRONGYLUS VASORUM 55 saggio diretto delle filarie dalla madre al feto. Si capisce che in questo caso il feto avendo nel sangue filarie embrionali, si trovava nelle condizioni dei cani a cui era stato iniettato san- gue con filarie, e così venuto alla luce avrà potuto esso stesso infettare gli epizoi che si saranno attaccati alla sua pelle, aprendo così il ciclo vitale di una nuova generazione di filarie; ed in questo caso si potrebbe veramente dire che vi è stata trasmis- sione ereditaria del parassitismo. EE: Strongylus vasorum (Baillet). Come già ebbi a dire, nella osservazione di Serres di To- - losa(!) di vermi trovati nel cuore, che da principio furono riferiti alla specie Docmius trigonocephalus, fu poi riconosciuto dal Baillet che si trattava invece di un verme nuovo, che il Baillet stesso designò e descrisse sotto il nome di Strongylus vasorum. Questo verme, descritto da Davaine e da Perroncito (?) sotto il nome di Strongilo ematico, a detta di Neumann (è) fu ritrovato molte altre volte a Tolosa e sempre nel cuore destro e nell’arteria polmonale. Così non si può non ammetterlo come specie buona. I caratteri che ne danno gli autori sono i seguenti: Corpo filiforme, un poco attenuato alle estremità, biancastro o roseo, marcato in qualche individuo da una sorta di spirale rossastra, sovente interrotta e che disegna il tubo digestivo at- traverso i tegumenti. Testa provvista di due piccole ali ( for- ‘mate forse dopo la morte) che si riuniscono in avanti. Bocca nuda. Maschio lungo da 14 a 15""; borsa caudale a due lobi, sostenuti ciascuno da quattro coste, la esterna bifida, la se- conda semplice, la terza bifida e l’ultima interna corta e sem- plice. Due spiculi sottilissimi uguali e lunghi ciascuno mm. 0,86 a 0,40. — Femmina lunga da 18 a mm. 21. Vulva situata presso l’ano. Uova allungate, ottuse a ciascun polo, provviste di un guscio trasparentissimo, lunghe da mm. 0,07 a mm. 0,08, larghe da mm. 0,04 a 0,05. (1) Vedi Davaine. Op. cit. a pag. CXVIII e pag. 345. (*) Peroncito, Op. cit. pag. 367. (*) Neumann. Op. cit. pag. 351. 56 P, SONSINO Neumann fa altresì cenno dell'essere stato lo stesso verme veduto in Italia dal Bossi di Torino. Veramente il Prof. Bossi (4) parla nella sua memoria di vermi da lui trovati nel cuore in due cani e li riferisce al genere filaria, proponendo di chia- marli ematozoa filaria cardiaca. La descrizione che ne dà è però un poco incompleta, e non corrisponderebbe perfettamente nè per la lunghezza, avendo trovato delle femmine sino a 30 e 35 mm., nè per il cenno che fa di pene urico alla descrizione dello Strongylus vasorum. Siccome però vi è notata la partico- larità importante della vulva che si trova presso l’ano, lo chè è sufficiente per escludere che si tratti di individui giovanili di Filaria immitis, la quale offre l'apertura vulvare nel terzo anteriore del corpo, così trovo giustificato il Neumann a rife- rire piuttosto i vermi trovati dal Bossi allo Strongylus vasorum, piuttosto che ad un nuovo verme del genere Filaria. Ma per rispetto allo Strongylus vasorum non trovo che nessuno degli Autori che ho consultato in proposito, Megnin e Neumann tra gli altri, facciano cenno di osservazioni di esso verme nel cuore, coincidente con nematoni embrionali circo- lanti nel sangue, che possano derivare dallo stesso ematozoo adulto. Trovo invece, per quanto ne dice Megnin, che lo Stron- gylus vasorum è oviparo ed ha uova che sono il doppio grande di quelle della Spiroptera sanguinolenta; lo chè adunque mi farebbe per sè solo antecipare che gli embrioni di esso non vadano a circolare nel sangue. Ma questo non è tutto. Ab- biamo altro per confermarci in questa opinione. Lo Strongylum vasorum di Baillet è lo stesso verme che più di recente Laulaniè (2) ha scoperto ‘che dà luogo ad una alterazione del polmone del cane, la quale assume l'apparenza di una tubercolosi. Questa alterazione si produce per il fatto del trasporto delle uova del verme nelle minime arteriuzze del pol- mone, ove le uova stesse non potendo spingersi oltre si sof- fermano, determinando un processo di iperplasia. Si forma una cellula gigante che involge l'uovo e attorno ad essa strati di (1) Bossi. Due casi di cardite verminosa ecc. Nel giornale di medicina vete- rinaria pratica. Luglio 1870, pag. 300. (?) Laulaniè — Sur une tuberculose parasitaire du chien et sur la pathogenie des follicules tuberculeux. Compte rendu de l'Academie des sciences, 1882. |.re se- mestre a p. 49. CONCLUSIONI SUGLI EMATOZOI DEL CANE 97 tessuto di nuova formazione. I resultati di questa iperplasia è la formazione di granulazioni nel polmone che macroscopica- mente si potrebbero confondere colle granulazioni tubercolari ordinarie; colla differenza però che queste granulazioni vermi- nose hanno sede elettiva nei lobi inferiori dei polmoni, invece che nei superiori. Le uova nell'interno della capsula avventizia costituita dal tessuto di nuova formazione, continuano a vivere e a sviluppare sino a dar luogo alla formazione e uscita del- l'embrione, per cui talvolta invece delle uova si trova nel cen- tro delle granulazioni l'embrione stesso libero. Ma questo si fa talvolta strada nei canali bronchiali e così verrebbe emesso fuori per concorrere alla riproduzione della specie. Se le cose stanno così, per quanto lo Strongylus vasorum viva nel cuore allo stato adulto, le sue uova andando a fissarsi nei minimi vasi del polmone, e colà isolandosi, la prole di questo verme non andrebbe a circolare col sangue, come fa quella della ‘Filaria immitis. Lo Strongylus vasorum sarebbe adunque un ematozoo, ma per rispetto alla prole si conterrebbe diversa- mente della Filaria immitis e piuttosto come la Bilharzia hae- matobia, e forse si potrebbe paroganare anche al Distoma Ringeri (Cobbold) parassita dell’uomo che nella China depone le uova nel polmone, facendosi origine di una emottisi, come la Bilharzia lo è di una ematuria. IV. Conclusioni sugli ematozoi del cane. Ricapitolo per venire alle conclusioni. Gli ematozoi embrionali che circolano nel sangue non de- rivano dalla Spiroptera sanguinolenta. Su questo è inutile di più insistere, dopochè il Grassi nella sua 2.° nota preventiva ha annunziato la scoperta del ciclo vitale di questo verme per l'intermediario della Blatta Orientale. Ma io ho aggiunto al- tresì nuovi argomenti, seppure ve ne era bisogno, per vie più accertare che quelle filarie embrionali derivano dalla Filaria immitis e che questo è il solo ematozoo sinora conosciuto che metta in circolazione col sangue i propri embrioni. » }: le 58 P. SONSINO Però non posso negare che rimane sempre oscuro il fatto della discrepanza che si ha nei trovati degli osservatori di di- versi paesi e di epoche diverse, relativamente alla frequenza maggiore o minore con cui è stata trovata la stessa filaria im- : mitis nei cani filarosi. Questa discrepanza fa giustamente in- trattenere il dubbio che la Faria immitis non sia il solo ema- tozoo, la cui prole si sparga nel torrente circolatorio. Essa po- trebbe essere l’ ematozoo predominante in certi paesi e in date epoche, mentre in altri paesi e in date altre epoche potrebbe invece essere rara, o mancare del tutto, e dominare il pa- rassatismo di un’ altro ematozoo, che sinora non sia stato ri- conosciuto nel suo stadio adulto. Infatti è strano che mentre in China, come è asserito da Somerville, non vi sia quasi cane in cui la Filaria immitis non si trovi in abbondanza, a Calcutta . invece dove un terzo dei cani furono trovati da Lewis colle filarie embrionali, il Lewis stesso non sia riuscito mai a trovare un solo cane albergante la Filaria immitis. È strano che mentre in Francia dal 1843 al 52 Gruby e Delafond trovarono sopra 25 cani filarosi, uno solo che avesse la Filaria immitis; un quarto di secolo più tardi Ghaleb e Pourquier asseriscono di avere tro- vato sempre filarie immitis in grande numero (una volta sino a cento individui), in tutti i cani a sangue filaroso da loro se- zionati, e più di recente il Megnin dichiari invece di non averla trovata mai in centinaia di autopsie di cani da lui fatte. È strano infine che mentre io trovo a Pisa la Filaria immitis in un cane sopra 6 cani uccisi che avevano il sangue filaroso, un distinto osservatore come il Prof. Grassi annunzi che il nu- mero dei cani da lui ammazzati a Catania supera i duecento, e che in molti trovò gli ematozoi (embrionali), ma in nessuno la filaria immitis, che pur fu cercata con molta accuratezza in ogni parte del corpo. Questa discrepanza di trovati lascia, dico, un poco di dubbio che vi possa essere un altro verme che dia luogo agli embrioni ematozoi e che possa essere l'origine di questi, in alcuni cani in cui non fu trovata la Filaria immitis. Aggiungerò che qualche differenza notata anche da me nelle apparenze degli embrioni circolanti nel sangue di diversi cani, per quanto a dir vero di poco momento, potrebbe confermare il sospetto che la loro origine non fosse sempre la stessa, ma che potessero provenire da diversi nematodi adulti. CONCLUSIONI SUGLI EMATOZOI DEL CANE 59 Il cane non sarebbe il solo animale che ospita più di un nematode, che versi i suoi embrioni nel torrente circolatorio. Manson trovò che gli embrioni nematodi circolanti nel sangue di certi uccelli offrono due apparenze diverse e hanno origine da due specie adulte diverse. Questo fatto lo verificò nel Cor- vus torquatus, e nella Gracupica nigricollis. In quest’ultima du- bita perfino che possano essere anche tre le specie distinte di ematozoi. Nell'uomo stesso certe differenze tra le malattie ri- ferite alla Filaria sanguinis in certi paesi, e quelle verificate in altri, lasciarono sospettaré a qualcuno (particolarmente a Lewis) che anche in esso sì possa avere che fare con due ne- matodi adulti diversi, che tutti due versino embrioni nel sangue. Se ciò fosse, potrebbe pur essere che le due specie diverse aves- sero allo stadio adulto sede diversa, cioè una nel sistema san- guigno e l’altra nel sistema linfatico. E allora si spiegherebbe perchè mentre in Egitto cogli ematozoi embrionali nel sangue si hanno spesso, oltrechè la chiluria delle emato-chilurie e an- che pure ematurie (non dipendenti da Bilharzia), invece nelle Indie Lewis non osservasse mai la chiluria complicata da vera ematuria. L'analogia dunque permette di fare sospettare una doppia specie di ematozoi anche per il cane. Questo sospetto invita dunque a nuove ricerche. E queste mi propongo di fare met- tendomi in condizioni più favorevoli che per le ricerche fatte sinora. Per il momento intanto vengo alle seguenti conclusioni: 1.° Il cane va soggetto all’ infezione per lo meno di una specie di nematode adulto, il quale versa nel torrente circo- latorio miriadi di embrioni. 2. Questo ematozoo è la Filaria haematica (Gruby e De- lafond) o Filaria immitis (Leidy). 8. La Filaria immitis però non si trova esclusivamente nella cavità destra del cuore o nell’ arteria polmonale, come fu creduto in passato. Essa può avere anche dimora nel tessuto connettivo sottocutaneo (trovato dell’ Ercolani), nel connettivo intermuscolare (Lanzillotti Buonsanti) e in altre parti del si- stema circolatorio fuori del cuore destro, per esempio nel seno sinistro (caso dello Zeviani). Quindi la difficoltà grande di ri- trovarla in molti cani. 4.° Il ciclo vitale della Filaria immitis si fa tra cane e .60 P. SONSINO uno dei suoi epizoi ematofagi, pulce o comune pidocchio (Ema- topinus pilifer), i quali si appropriano gli embrioni succhiando il sangue del cane, e li rendono al cane ad uno stato larvale capace di raggiungere lo stato adulto, quando gli epizoi ven- gano inghiottiti dallo stesso cane, col leccarsi che fa questi la pelle. 5.° È possibile che esistano altre specie di nematodi ema- tozoi del cane, oltre la Filaria immitis, che, versino i loro em- brioni nel torrente circolatorio, e potrebbero avere per ospiti intermediari gli stessi epizoi ematofagi. 6.° Però lo Strongylus vasorum di Baillet, per quanto ema- tozoo, non pare per quello che si può arguire dai trovati di Laulaniè che dia origine a ematozoi circolanti nel sangue. 7. Per rispetto alla Filaria immitis il cane nella vita fetale può restare infettato da embrioni provenienti dal circolo materno (osservazione di Ghaleb e Pourquier). In questa guisa il giovine cane infetto da embrioni, venendo alla luce può tra-. smettere embrioni della filaria agli epizoi che gli vadano ad- dosso, e che non siano gia infettati, cominciando così il ciclo vitale dal cane, invece che dall’ ospite intermediario, al con- trario di quello che avviene nei casi ordinari. Questo fatto che però deve essere eccezionale & che parrebbe non potersi pro- durre che per un’ accidentale e patologica comunicazione tra vasi dell’ utero e vasi della placenta fetale, spiegherebbe la possibilità della trasmissione ereditaria del verme dal lato materno. 8.° I fatti che condussero Gruby e Delafond ad attribuire alla eredità una grande influenza nella produzione della infe- zione di filarie nel sangue, adesso si possono spiegare meglio riferendoli a condizioni di stretti rapporti tra cane e cane e di vita reclusa a comune di diversi cani, per cui gli epizoi pas- sando da un animale già infetto ad uno che non lo è, aprono nuovi cicli di evoluzione all’ ematozoo e diffondono questo ai cani sani. CICLO VITALE DELLA TENIA CUCUMERINA 61 V. Ciclo vitale della tenia cucumerina. Disseccando una pulce presa dal cane 4°, il 12 Giugno, trovai al microscopio, come già ebbi a dire, un corpo che per quanto deformato potei riconoscere per un cisticercoide. Questo cisti- cercoide era per forma e per grandezza molto rassomigliante, visto a occhio nudo, alle stesse uova della pulce. Queste a maturità misurano da mm. 0,50 a mm. 0,60 e sono larghe da 0,27 a 0,30; il cisticercoide osservato da me misurava in lunghezza 0,70 e in larghezza 0, 30. Con una vista acuta e con un poco di pratica non riesce difficile di distinguere a occhio nudo un tale cisticercoide dalle uova stesse della pulce. Osser- vato al microscopio mi si presentò di forma elissoide, con una strozzatura ad un estremo, con uno strato cuticulare piuttosto grosso, e con un parenchima ripieno di corpuscoli calcarei. Nell estremo polare ristretto si presentava un corpo ovolare costituito dalla proboscide non del tutto protratta, ai lati della quale sì distinguevano i rudimenti delle ventose, come viene ‘rappresentato dalla Fig. 12 a. Nella proboscide si vede un tratto più o meno scuro che potei mettere in chiaro essere co- stituito da quattro serie di uncini. A un forte ingrandimento potei ottenere che qualche uncino staccato uscisse dal campo occupato dal cisticercoide, e così potei distinguerne bene la forma, da non lasciarmi dubbio di avere che fare con uncini della tenia cucumerina del cane. Questi uncini (rappresentati dalla Fig. 12 3) sono infatti di forma peculiare, perchè sono sprovvisti di radice ed hanno una base discoidale; oltre a ciò è carattere distintivo di questa specie di avere gli uncini di- sposti in quattro serie trasversali. La tenia cucumerina è la stessa di quella che porta il nome di Tenia elittica nel gatto. Essa è stata osservata anche nel- l’uomo e specialmente in piccoli bambini. Leuckart accenna di avere avuto comunicazione di non meno di sei casi di questa specie di tenia in bambini. Ma mentre nell’ uomo non se ne trova che un singolo individuo, nell'intestino del cane si rin- viene invece in grande numero. 62 ‘ P. SONSINO In diversi dei cani sezionati a Pisa da me, trovai più cen-. tinaia di individui di questa tenia. Ma Krabbe sarebbe arrivato a contare sino a 2000 individui di questa tenia in un sol cane. A Parigi a detta di Blanchard essa infetta tre quarti dei cani e vi si trova in numero variabile, ordinariamente di più dozzine. È noto che già da lungo tempo, cioè sino dal 1868, il Mel- nikoff che allora lavorava nel Laboratorio del Prof, Leuckart, fece la scoperta del cisticercoide della Tenia cucumerina nel Tricodectes latus. Così fo riconosciuto che la Tenia cucumerina del cane compie il suo ciclo vitale tra il cane e il nominato rincote mallofago. Per analogia si dovette dedurre che anche l'ospite intermediario della Tenia elittica del gatto sia il Tri- codoctes di questo animale. Però per quanto io sappia nessuno ha ancora verificato il cisticercoide nel Tricodectes, epizoo del gatto. Ma quanto al cane colla scoperta del Grassi che io ebbi già l'opportunità di verificare, si viene ora a conoscere che la tenia cucumerina può avere due ospiti intermediari diversi, che tutti due vivono come epizoi del cane, cioè oltre il Tricodectes anche la pulce. Tornando alla mia osservazione debbo dire che nel cane stesso da cui fu tolta la pulce in cui trovai il cisticercoide, e che fu sacrificato quattro giorni più tardi, cioè il 16 Giugno, non trovai nell’ intestino tenie cucumerine. Non mi pare che questo resultato negativo possa mettere in dubbio che si trat- tasse del cisticercoide della stessa tenia, perchè avendo a che fare con cane che viveva nello stesso canile e in stretto rap- porto con molti altri cani, in uno dei quali, tra gli altri. dopo pochi giorni trovai oltre 100 esemplari della tenia, si comprende che la pulce che fu presa da quel cane, poteva essere stata in- fettata con uova di tenia provenienti da quest’ altro cane. Nel grande numero di pulci esaminate da me che ascendono . forse ad oltre 200, avendone esaminate molte raccolte anche da cani che non erano filarosi, e di queste non tenni conto preciso, non ebbi che un secondo incontro di cisticercoide, che osservai il 25 Agosto. Questa pulce fu presa dal cane 17° che sezionai lo stesso giorno e nel quale trovai un grande numero di tenie cucumerine. CICLO VITALE DELLA TENIA CUCUMERINA 63 Così io non esito a ritenere col Prof. Grassi che la pulce del cane sia pure un ospite intermediario della Tenia cucume- rina. Non nego però che a tutta prima viene in mente che la pulce essendo un insetto succhiatore di sangue non possa avere attitudine a inghiottire uova della tenia cucumerina, che hanno un diametro di non meno di 37 p. (Leuckart dà anzi 50 p.) ossia quattro o sei volte la larghezza della setola impari del rostro della pulce, che è di 8 p. Da un altra parte la supposizione che 1’ embrione della tenia possa introdursi attivamente nel corpo della pulce attraverso i suoi tegumenti, nei punti di connessione degli articoli, è ap- pena ammissibile, perchè sarebbe contrario a quanto avviene in regola generale per gli embrioni della tenia che non s' in- troducono mai attivamente nell’ ospite intermediario. Essi sono invece inghiottiti da questo col guscio embrionale, il quale poi per opera dei sughi digestivi si discioglie, e lascia libero l’ em- brione che col mezzo del suo apparecchio di sei uncini, per- fora le pareti del tubo digestivo e va ad annidarsi altrove, per dare sviluppo al cisticerchio, o al cisticerccide. Sarebbe piuttosto più probabile il supporre che invece della pulce perfetta sia la pulce allo stato larvale, che si nutre di detriti organici, che inghiottisca le uova della tenia e così allevi il suo embrione fino a farne un cisticercoide. Innanzi però di accettare questa interpretazione, è necessario di assicurarsi se i fatti vi corrispondono, verificare cioè se anche nella larva della pulce stessa si trovi il cisticercoide;.cosa che io non ho ‘ancora potuto mettere in chiaro. Intanto mi pare importante di notare che il fatto dell’ es- sere anche la pulce l’ ospite intermediario della tenia cucume- rina, ci dà ragione del perchè questa tenia possa essere tanto frequente anche nei cani delle case signorili, nei quali i pidocchi sono rarissimi, mentre le pulci non fanno difetto. Ed anche la maggiore mobilità della pulce a paragone del Tricodectes, e la maggiore facilità con cui essa può passare da un cane all’ altro, spiega meglio come essa possa contribuire alla grande diffusione della Tenia cucumerina che non il Tricodectes. Lascio agli igienisti di valutare l'importanza di questi nuovi trovati sul ciclo vitale della Filaria immitis e su quello e in serva zioni positive di no tale e. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA AAA Fig. 1, 2, 3, 4 rappresentano forme larvali di nematode trovate nel- l’ematopino. La 1.* è la forma embrionale uguale a quella degli embrioni nematodi circolanti nel sangue di cane. » 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 forme larvali dello stesso nematode tro- vate nella pulce. , ‘ » 5 embrione quale si può trovare circolante nel sangue di cane. s 6, 7, 8 forme larvali di transizione. n 9e 10 forme larvali più perfette e forse finali, una lunga mm. 1,20 e l’altra mm. 1, 50. » 11 La precedente rotta accidentalmente; in a è rappresentato l'estremo cefalico; in d l'estremo caudale. s 12a cisticercoide della Tenia cucumerina; uncini staccati dello stesso cisticercoide. GIULIO CHIARUGI ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO DELLA LUNGHEZZA DI mm. 2,6 IN LINEA RETTA Debbo alla cortese premura dei Signori Prof. G. Bufalini e Dott. Ruggero Barni l'uovo umano, il cui studio ha dato ar- sgomento alla presente Memoria, alla quale non saprei dare miglior principio, che col rendere a loro le dovute grazie. Fu emesso tale uovo per aborto da giovine donna per la prima volta incinta. Regolarmente mestruata ebbe essa la sua ultima mestruazione il 28 Dicembre dello scorso anno. Il suc- cessivo 21 Gennaio, 6 giorni circa prima di quello, nel quale avrebbero dovuto ripresentarsi i catameni, provò quei disturbi, che sogliono aversi nelle donne prossime a mestruare. Il 27 Gennaio notò la fuoriuscita di scarse muccosità dai genitali. Il 9 Febbraio prese di sua iniziativa un drastico, e subito dopo cominciarono dolori ventrali, che ‘andarono successivamente aggravandosi, finchè si dichiarò il processo abortivo, che ebbe termine il giorno 14. Probabilmente 1’ abuso di coito, oltrechè la intempestiva purgagione, ebbe opera nel provocarlo. Per questi dati anamnestici mi sembra dover ritenere che la gravidanza esisteva già il giorno 27 Gennaio, nel quale avrebbe dovuto, secondo il consueto, tornare la mestruazione, mentre mancò; di quanti giorni la fecondazione precedette il periodo mestruale, impossibile è determinare con precisione, ma poichè la donna il 21 Gennaio provò disturbi di natura genitale, è lecito riportare fin verso quell'epoca il principio della dt G. CHIARUGI 67 gravidanza, mentre è naturale credere che l’ embrione abbia cessato di vivere prima del termine dell’ aborto. Tutto som- mato, non andremo forse lungi dal vero affermando che la gra- vidanza era sul principio della 4." settimana. Mi fu consegnato l’ uovo spoglio delle membrane materne, circa 24 ore dopo la sua espulsione, conservato in alcool del commercio. In questo reattivo e poi in alcool assoluto com- pletai l’ indurimento. Si presentava sotto forma di un ovoide appiattito col diametro longitudinale di mm. 15, col diametro trasverso di mm. 12, che nel senso dell’ appiattimento si ridu- ceva a 8 mm. Per comodo di descrizione indicheremo quest’ ul- tima misura come diametro antero-posteriore. Da una delle estre- mità dell’ ovoide, che chiameremo polo superiore, partiva come un piccolo peduncolo infiltrato di sangue. Le pareti dell’ uovo erano perfettamente integre, si mostravano libere dall’ invo- lucro della caduca riflessa e rivestite di villosità, che raggiun- gevano il massimo di sviluppo (mm. 1,5) sul mezzo della faccia anteriore, ove erano prevalentemente dirette verso il polo su- periore, per poi di lù gradatamente decrescere, finchè nel mezzo della faccia posteriore, per lo spazio di mm. 5, erano appena accennate e apparentemente mancanti. Incisa questa vescichetta ovoidale con un taglio longitudi- nale condotto sul mezzo della faccia anteriore, ne uscì un li- quido coagulabile dall’ alcool e coaguli si formarono dentro la cavità. La parete dell’ uovo, indipendentemente dalle villosità, aveva uno spessore minimo in corrispondenza della faccia po- steriore, massimo (da mm. 1-1,5) in una callotta corrispondente al polo superiore, la quale si estendeva da questo per un raggio dl circa 5 mm. L’ embrione era aderente alla parte sinistra dell’ uovo in un punto equidistante dal polo superiore e dall’ inferiore e dalle due faccie anteriore e posteriore. Una chiara idea della forma, direzione, lunghezza dell’ em- brione fu potuta acquistare solo coll’ esame microscopico, nel modo che sarà esposto in appresso. Per sottoporre l’ embrione all’ esame microscopico, quella metà sinistra dell'uovo che lo conteneva fu completamente Se. Nat. Vol. X. 5 È" ARG IONOS ala SERI A, diet io r 68 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. distaccata dal rimanente, fu colorita in massa con Carminio alluminoso Grenatcher e fu inclusa in Celloidina per poi essere sezionata in serie trasversalmente dal polo superiore verso l’inferiore. La celloidina fu preferita per avere maggior sicu- rezza di raccogliere tutte le sezioni e di ottenerle ben distese e senza la, minima alterazione dei rapporti naturali delle parti. Le sezioni, fatte bagnando la lama con alcool a 70°, erano depositate e ordinate sopra un portaoggetti, e, scolato il liquido in eccesso, era aggiunta qualche goccia di una soluzione legge- rissima di Collodione in alcool assoluto; lasciando prosciugare, ‘ il sottilissimo strato di collodione che si deposita mantiene le fette aderenti al vetro. Per il rischiaramento mi son giovato dell’ Olio di Minot. Il rischiaramento è lento, ma perfetto. Le sezioni comprendenti l’ embrione in N.° di 92, dello spes- sore medio di p. 35 furono tutte utilizzabili per lo studio. Una sola era leggermente raggrinzata, solo un paio incomplete, ma senza che ci fosse perdita di sostanza, essendo la parte non compresa nel taglio aderente alla sottostante sezione. Qualcuna riuscì un po’ troppo spessa, ma non in modo che il contorno degli organi non potesse essere esattamente osservato e ri- prodotto. i Tutte le sezioni furono disegnate per mezzo della camera chiara a ingrandimento di 41 d. Per mezzo di queste figure, e, tenuto conto dello spessore delle singole sezioni, fu operata la ricostruzione grafica e plastica dell’ embrione. Per la rico- struzione grafica, fatta secondo differenti piani, mi valsi di un metodo che differisce in qualche parte da quelli oggi in uso, e sul quale mi riserbo di tornare in una Comunicazione pros- sima. Della ricostruzione plastica, eseguita col metodo dell’in- collamento in serie di cartoni intagliati riproducenti la parte da studiare, mi valsi principalmente per prendere più precisa idea della forma del corpo. Posizione dell'embrione nell’uovo e curvature del- l'embrione. — L’embrione (V. Figure 1, 2, 3) si stacca per un grosso peduncolo dal mezzo della superficie interna della metà sinistra della vescichetta coriale, e si projetta quasi oriz- zontalmente verso la cavità dell'uovo, colla faccia dorsale ri- volta a quel polo, che abbiamo chiamato superiore, colla faccia n. # 3 ù cda Re G. CHIARUGI 69 pu ventrale al polo inferiore. L' estremità cefalica è diretta verso il centro, la caudale guarda la parete dell’ uovo (1). L'embrione presenta varie curvature o inflessioni: la fles- sione cefalica, per la quale la parte anteriore della testa in- curvandosi su sè stessa si dirige ventralmente rispetto al rima- nente del corpo, e la flessione caudale. La lieve convessità dor- sale che dall’ estremo cefalico dovrebbe regolarmente continuare verso l’ estremo caudale è interrotta a circa la metà del tronco da una insenatura profonda ed acuta così, che i tratti del tronco che la limitano sono sulla linea medio-dorsale per gran parte a immediato contatto. Il punto più sporgente del ginocchio che così si costituisce ventralmente, è quasi sul medesimo piano del punto ventralmente più sporgente della testa. Ciò che ha subìto tale incurvamento è tutta quella parte dell’ embrione che rimane al lato dorsale della cavità del ventre; il ginocchio, come lo abbiamo chiamato, fa rilievo, attraverso l’ apertura del ventre, fra le pareti laterali brevi e a direzione rettilinea, e sostiene una voluminosa vescicola ombelicale. In ultimo dobbiamo notare che tutta quella parte dell’ em- brione che sta al lato craniale della detta insenatura fa an- golo con ciò che rimane caudalmente. Tale angolo è aperto a sinistra ed ha un valore di circa 125°. Manca la curvatura nucale, nè è stato possibile trovar chiari segni di una torsione spirale dell’ embrione. Lunghezza dell’ embrione. — Le inflessioni sopra de- scritte nel corpo dell’ embrione diminuiscono, se non tolgono ogni valore alla conoscenza della lunghezza dell'embrione che era di mm. 2, 6 (?). Seguendo il suggerimento di His (?) ho cer- cato di prendere due altre misure che possono aiutarci nel confronto di embrioni a ditferente direzione del corpo. Il mas- simo spessore della testa in senso sagittale era di circa mm. 1; (') È a notare che le sezioni praticate in serie, come già abbiamo accennato, dal polo superiore al polo inferiore, hanno incontrato l'embrione non secondo un piano perfettamente frontale, ma alquanto obliquo in modo che il lato destro è stato sfiorato prima del sinistro; onde nelle projezioni l'embrione stesso apparisce incli- nato sul fianco sinistro. Tale inclinazione è di circa 25.° (2) Desunta, come le altre misure, dalle opportune ricostruzioni grafiche e dalle ricostruzioni plastiche. (8) W. His — Anatomie Menschlicher Embryonen. Leipzig, II, p. 39. 70 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECÒ. la lunghezza della testa dal vertice al di dietro del cuore era di mm. 1, 5. Sarebbe utile la determinazione esatta del numero dei seg- menti mesodermici differenziatisi, per trar partito di questa nozione per la classificazione dei giovani embrioni. Una nu- merazione diretta dei somiti non è cosa facile per le curve dell’ embrione e la diversa maniera, colla quale nei differenti punti del corpo vengono interessati dalla sezione. Giovazndosi delle ricostruzioni si può fare una numerazione approssimativa. Nel mio embrione si erano differenziati circa 30 segmenti me- sodermici. Per la forma generale e per il grado del suo sviluppo il mio embrione rientra dunque fra quelli, che secondo la clas- sificazione di Hîs si distinguono per la mancanza della curva- tura nucale, e particolarmente si avvicina al gruppo medio di quelli indicati nella tabella della pag. 89, Parte II dell’ opera già citata di His. Ora degli embrioni senza curvatura nucale egli fa due ca- tegorie: distingue cioè gli embrioni, nei quali la linea dorsale è convessa e l’ estremità caudale del corpo si dirige in avanti, dagli altri, nei quali si ha una profonda insenatura del dorso e l'estremità caudale si dirige in dietro. Il mio embrione ap- partiene a questo secondo tipo e può collocarsi fra l’ embrione Lg e l’embrione BB, i soli di questo genere dei quali, a quanto so, sia stato fatto un dettagliato studio a mezzo di sezioni microscopiche in serie. Appunto perchè della singolare inflessione del tronco, che distingue questi embrioni, non si conoscono ancora con preci- sione le cause, nè sappiamo se sia da considerare come nor- male, almeno in quelle' proporzioni, e, dato che sia normale, il momento e le condizioni sotto le quali si dilegua, ho stu- diato e pubblico la anatomia dell’ embrione che mi è capitato, tanto più che in alcuni organi mi è sembrato di avvertire delle particolarità di sviluppo degne di nota; persuaso che non è cessata ancora la opportunità di quanto scriveva Fo! (*) pochi anni indietro: on ne saurait trop souhaiter de voir se multiplier les descriptions anatomiques d’ embryons humains. (1) Fol. H. — Description d'un embryon humain de cinq mm. et six dixiémes. Recueil Zoologique Suisse, T.I. N.° 3. 1884. Géneve-Bàle. G. CHIARUGI rai ‘ Entriamo dunque senz’ altro nella descrizione dei singoli organi e sistemi organici (1), incominciando dalla: Corda dorsale. — La corda dorsale, che è sotto forma di cordone cellulare solido, può esser seguita nella sua estre- mità anteriore poco al davanti del limite fra cervello medio e cervello anteriore; la sua estremità posteriore non può esser seguita come produzione distinta fino all’ estremo limite del corpo, e viene alquanto sopravanzata dalla estremità corrispon- dente del canal midollare e dal fondo cieco posteriore del ca- nale intestinale. Il suo diametro medio è trasversalmente di 30 p, in senso dorso-ventrale di 24p. La corda decorre in im- mediata vicinanza del tubo nervoso, specialmente là dove questo, seguendo la direzione del corpo, subisce la profonda insenatura dorsale: anche il rapporto col canale intestinale è più intimo nella indicata regione. Sistema nervoso centrale. — La chiusura del canal mi- dollare è completamente avvenuta su tutta la lunghezza di esso. Il midollo spinale è rappresentato da un tubo lateralmente appiattito i cui diametri, specialmente il dorso-ventrale vanno gradatamente decrescendo verso l’ estremità caudale. Termina indietro bruscamente a fondo cieco; in avanti gradatamente dilatandosi si continua nell’ encefalo. L’encefalo mostra per l'esistenza di ristingimenti e di di- latazioni alternanti una chiara suddivisione in cervello poste- riore, cervello medio e cervello anteriore. Nel cervello poste- riore, che è assai lungo e di volume crescente in avanti, la volta è in gran parte assottigliata, membraniforme. Le pareti inferiore e laterali presentano di tratto in tratto solchi che danno origine a ristringimenti e dilatazioni alternanti di questa vescicola cerebrale. Sebbene in qualche punto questa apparenza debba esser messa in rapporto con un raggrinzamento delle pareti che si sono distaccate dal tessuto circostante e ripiegate verso la cavità nel ventricolo, pure in complesso è indubbia- (1) Mi dispenso nella descrizione dei singoli organi di richiamare le indicazioni relative alle annesse figure. Rimando senz'altro il lettore alla Spiegazione delle figure e particolarmente della 34, 4, 52, 6, 72, 82, nella quale si troveranno le indicazioni classificate secondo un ordine corrispondente a quello seguito nella de- scrizione dei varii organi, Mae 3 VI . #3 4 . hi: ‘2 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. mente la espressione di un fatto naturale, cioè di quella dispo- sizione segmentale che è stata verificata nel cervello posteriore di molti altri vertebrati. Il cervello medio, molto corto, è situato sul limite fra la porzione del tubo nervoso che ha direzione longitudinale e la parte più anteriore di esso, che incurvandosi su se stessa scende ventralmente. Il cervello anteriore da origine in avanti alle vescicole ocu- lari che nascono lateralmente e dalla base di esso, comunicano sempre largamente colla sua cavità, sono appiattite in senso laterale e si sollevano ai lati del cervello anteriore, dal quale son separate da un solco profondo Una suddivisione del cervello anteriore secondario dal cervello intermediario non è ancora evidente. Sistema nervoso periferico. — Di alcuni nervi ence- falici è facile costatare la avvenuta formazione. Il nervo trigemello, che si distacca dal cervello posteriore in avanti a breve distanza dalla congiunzione di questo col cervello medio, si rigonfia tosto. in una mossa sferica ganglio- nare ( Ganglio di Gasser), della quale non è possibile seguire verso la periferia le propaggini destinate a formare le branche del V.° e i gangli respettivi. Al di dietro del precedente e dinanzi e in immediato con- tatto della vescicola acustica si distingue l’abbozzo comune del ganglio acustico-faciale, ancora non chiaramente distinguibile nei due elementi che da esso deriveranno. Continuando verso la periferia esso si colloca nell’ arco ioideo e contrae coll’ epi- telio del segmento dorsale del solco iomandibolare quei rapporti di vicinanza che saranno descritti altrove. Un altro nervo corrisponde colla sua origine all’ estremo posteriore del cervello posteriore, senza escludere che nasca anche dalla porzione più craniale del midollo spinale. Ha lunga base di impianto la quale assottigliandosi notevolmente si pro- lunga indietro scorrendo fra il tubo nervoso e il 1.° segmento mesodermico. Da tale estesa linea d'impianto questo nervo, che deve esser considerato come l'abbozzo comune del X° e XI°, portandosi in fuori si assottiglia, per poi espandersi in un rigonfiamento ovale allungato (ganglio plessiforme del X.°), che scende ventralmente, contrae prima intimi rapporti col- G. CHIARUGI Pe l’epitelio ispessito che ricopre la superficie convessa che sta dietro al 3.° solco branchiale (rudimento del 4.° arco branchiale) poi si trova a corrispondere al lato esterno dell'aorta, al lato interno della cavità parietale, finchè sfugge all’ osservazione. Non ho potuto riconoscere la presenza del IX° pajo, a meno che non fosse rappresentato nella porzione più craniale di quello che considero come abbozzo comune del X° e XT°. In quanto ai nervi rachidiani è sembrato che gli anteriori fossero meglio sviluppati in rapporto col maggior sviluppo della parte anteriore del midollo. Erano rappresentati dal ganglio dorsale in connessione col midollo; la radice ventrale non era ancora distinguibile. La costituzione del tubo nervoso e degli indicati abbozzi di nervi era tuttora cellulare. Organi di senso. — L'organo ) dell udito è sotto forma di vescicola sferica comunicante per un sottile peduncolo col tegumento. Le vescicole ottiche sono sempre convesse sulla loro super- ficie esterna, e di contro a loro manca qualsiasi modificazione del tegumento. Vedi inoltre a proposito degli Archi Branchiali. Canale intestinale. — L’intestino anteriore si è già incontrato collo stomodeo e si è aperto all’ esterno. Lo sto- modeo ci si presenta come una infossatura trasversale del te- gumento limitata dall’ arco mandibolare in dietro e dalla spor- genza frontale della testa in avanti, nel fondo della qual de- pressione esiste una fessura, che non occupa tutta la lunghezza del solco, strettissima e che dà accesso al canale intestinale. Questo si dilata subito in una specie di imbuto schiacciato in senso dorso-ventrale e incurvato su se stesso con concavità ven- trale: corrisponde al disotto del segmento posteriore dell'encefalo coll’intermezzo della corda e rappresenta la Faringe. Sulle parti laterali di questa dilatazione veggonsi i diverticoli o tasche branchiali in numero di tre, delle quali la seconda è la più voluminosa e la più sporgente verso l’ esterno, l’ultima è la più piccola e la meno sporgente. Sono assai semplicemente costi- tuite, corte, schiacciate in senso dorso-ventrale; la loro apertura verso la faringe rappresenta il punto della loro massima ampiezza. Le tasche branchiali sono colla loro parete ad immediato contatto 74 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. ur dell’ ectoderma che tappezza il fondo dei corrispondenti solchi branchiali, ma senza che ci sia continuità cellulare fra i due foglietti, e senza nemmeno che ci sia o dal lato della faringe 0 dal lato del tegumento soluzione di continuo, che accenni alla formazione di vere fessure branchiali. La parete della faringe è costituita da epitelio a più strati, in diretta continuità, e ugualmente conformato di quello che tappezza la infossatura buccale e che trapassa nella epidermide. Corrispondenti alle tre tasche branchiali sopraricordate ab- biamo dal lato del tegumento tre solchi branchiali, non molto profondi, con direzione obliqua ventralmente e in avanti e di- versamente sviluppati in lunghezza. Ben sviluppato è il primo solco che nasce in un punto cor- rispondente alla parte inferiore della vescicola acustica e sì continua al di sotto dell’ apertura buccale con quello del lato opposto delimitando in dietro l’ arco mandibolare, del quale le due metà destra e sinistra si sono incontrate e fuse. Il bot- tone mascellare superiore non si è ancora differenziato dal- l'arco mandibolare. Il secondo solco comincia al di dietro della vescicola acu- stica, è lungo poco meno del primo, ma termina senza incon- trare quello del lato opposto, confluendo nel solco precedente; così l’ arco ioideo, interposto fra il 1.° e il 2.° solco branchiale, nel portarsi in basso gradatamente si assottiglia e termina a punta senza incontrarsi con quello del lato opposto. Il terzo solco è brevissimo, non confluisce nel precedente e quindi il 3.° arco branchiale termina ventralmente in maniera indistinta. Si può considerare come abbozzo del 4.° arco branchiale il rilievo che sta al di dietro del 3.° solco branchiale, ma esso non è peraltro ancora delimitato in dietro. Il rivestimento ectodermico che è in genere molto sottile, sottilissimo, diciamolo per incidenza, lungo la linea medio-dor- sale, aumenta di spessore sul prolungamento frontale della testa, limitante in avanti l’ apertura della bocca, sugli archi branchiali e sui solchi a loro interposti. Nel tratto più dorsale dei solchi, quando questi non stanno ancora di contro alle tasche bran- chiali l’epitelio è assai ispessito ( V. Fig. 10) non tanto per essere le cellule disposte in più strati, quanto per essere molto ee, Mo * n CR # G. CHIARUGI TO sviluppate in altezza; dal fondo dei solchi risalendo sugli archi lo spessore dell’ ectoderma decresce e in alcune sezioni appare molto sottile sulla linea sporgente degli archi. Questa disposi- zione non può essere attribuita ad obliquità del taglio. All’ ispes- simento ectodermico corrispondente al 1.° solco si avvicina il nervo faciale, senza che sì possa affermare che avvenga una fusione dell’ ispessimento epiteliale col nervo. Coll’ ispessimento ectodermico che corrisponde all’ abbozzo del 4.° arco, branchiale contrae dorsalmente intimi rapporti il ganglio plessiforme del Vago . Ho voluto notare queste particolarità in conferma degli studi di Van Wijhe e di Beard, di Froriep e di Kastschenko sui rudimenti di organi di senso corrispondenti ai solchi branchiali. Il tessuto connettivo corrispondente al prolungamento fron- tale della testa ed agli archi branchiali è più compatto, più ricco in elementi cellulari che nelle parti prossime. Continuando nella descrizione del canale alimentare, diremo che dopo aver dato origine all’ ultima tasca branchiale, i solchi laterali della dilatazione faringea convergono in modo da aversi una rapida e considerevole diminuzione nel calibro del tubo, che diventa cilindrico, conservandosi nella sua parete ugual- mente costituito che il segmento precedente. Questa porzione del canale alimentare seguendo la direzione del tronco, scende ventralmente e sta a rappresentare l’ esofago. A un certo punto aumenta la sezione trasversa del canale che apparisce non più circolare o quasi circolare, ma come ovale allungato a mas- simo diametro trasversale e con una sporgenza anteriore me- diana. A questo segmento dilatato, che corrisponde all’ ultimo tratto della porzione discendente del tronco è da attribuire il significato di stomaco. Esso si apre direttamente nella vescicola ombelicale. Le sue pareti non si mantengono uniformi, ma in avanti sono più spesse perchè fatte di più strati di cellule, in dietro sono sottili perchè rappresentate da un solo strato di cellule appiattite. Immediatamente all’ innanzi del punto ove si apre nella vescicola ombelicale la cavità dello stomaco, si distacca sulla linea mediana un canale ( Dutto epatico ) la cui apertura guarda in basso ed in dietro e per conseguenza verso la cavità del sacco vitellino e si dirige in alto e in avanti, ha un diametro 76 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. considerevole, pressochè come l’' esofago, ha pareti uniformi, fatte di più strati di cellule epiteliali; è assai breve e termina in apparenza a fondo cieco in seno a una massa di tessuto, che rappresenta il fegato, sulla quale torneremo in appresso dicendo del setto trasverso. La vescicola ombelicale, nella quale come abbiamo veduto, si aprono lo stomaco ed il dutto epatico, è situata immediata mente al di sotto del ginocchio ventrale del tronco ed è da esso sostenuta. Questa corrispondenza non può esser fortuita, come dimostra l’ esame di embrioni ugualmente conformati, nei quali pure esisteva. I diametri della vescicola Omm BE RGnoe mi- surano le seguenti cifre: diametro verticale mm. 1,9 diametro trasverso \ mm. 1,8 diametro antero-posteriore mm. 1,6 Ha forma sferica e non è peduncolata. Mentre di contro al gomito ventrale del ,tronco non si è ancora differenziata la cavità intestinale dalla cavità vitellina, e l'intestino non è ivi rappresentato che da una doccia am- piamente aperta, al di là del punto indicato, lungo la rima- nente parte del tronco (porzione ascendente del tronco) l' in- testino si presenta come un canale chiuso, a pareti uniformi. Esso continua in dietro fin quasi all’ estremo limite del corpo, seguendo le curve della porzione del tronco, alla quale corri- sponde. È piccolo di calibro, ma quando sta per terminare, si dilata in un' ampolla chiusa che è la Cloaca. La depressione anale del tegumento di fronte all’ estremo posteriore della cloaca è accennata appena. Non possiamo ammettere una connessione tra l’ estremo posteriore dell’ intestino e l’ estremo posteriore del canal mi- dollare, che sia accenno del canal nevrenterico. Le due produ- zioni terminano in maniera distinta tra loro (4). Dalla parte anteriore, ventrale della cloaca si distacca un canale sottile che scende in basso quasi parallelamente a quel (4) V. la osservazione in contrario di Fo? (1. c.), benchè si trattasse di embrione più sviluppato, G. CHIARUGI 77 tratto dell’ intestino che è applicato alla porzione ascendente del tronco, poi se ne allontana per dirigersi orizzontalmente in dietro ea sinistra, immergersi nel peduncolo addominale e terminare in esso a fondo cieco. Questo canale è il dutto allantoideo. Il canale intestinale nelle sue varie porzioni è estesamente connesso per mezzo di tessuto connettivo agli organi retrostanti, non essendo ancora avvenuta la formazione del mesenterio. Peraltro in corrispondenza della porzione ascendente del tronco, ma specialmente nella sua porzione terminale, quando l' inte- stino sta per continuarsi nella cloaca, le due metà del celoma si avvicinano l'una all’ altra dorsalmente all’ intestino e si ha così un accenno alla formazione del mesenterio. Lo sviluppo di questa produzione si fa dunque dall’ estremità caudale verso l’ estremità cefalica. Segmenti mesodermici. — Si son sviluppate circa N.° 80 paja di segmenti del mesoderma. Essi son già differenziati in una porzione dorsale, epiteliforme a più strati, e in una ven- trale; in generale contengono nel loro interno un resto della primitiva cavità. Sono essi limitati al tronco, o invadono anche la regione della testa? Questione difficile a risolvere, non avendo alcun criterio assoluto per giudicare dove in questo embrione la testa finisce e comincia il tronco. Senza perderci in supposizioni più o meno incerte, ci contenteremo di mettere in sodo i seguenti fatti: Che i più anteriori dei segmenti mesodermici, e spe- cialmente il primo pajo, sono piccoli di volume. in confronto a quelli che trovansi indubbiamente nel tronco, son ricacciati sui lati, più il 1.° che i seguenti, e corrispondono a un tratto del canal midollare che si presenta di notevole calibro e che per questo carattere potrebbe forse essere piuttosto attribuito al- l’encefalo che al midollo spinale. Vogliamo poi avvertire che fra il segmento mesodermico più anteriore e la vescicola acu- stica intercede una distanza ragguardevole, fatto che va tenuto in conto per lo studio delle omologie {dei somiti nelle varie classi di vertebrati. Celoma. — La cavità celomatica si è già differenziata per l'avvenuta formazione del setto trasverso nella cavità pa- rietale e nella cavità peritoneale. La cavità parietale (*) molto (') Presenta in un punto una piccola lacerazione artificiale. 78 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. spaziosa in rapporto al notevole sviluppo del cuore, corrisponde al lato ventrale del canale intestinale, al davanti del setto trasverso. Ventralmente e in avanti lo strato uniforme di cel- lule cilindriche che la riveste è applicato quasi direttamente alla faccia profonda del tegumento, col quale costituisce un velamento molto sottile. Si desumono facilmente dalle figure i rapporti che il sacco pericardico ha colla sporgenza. ventrale della testa e colla vescicola ombelicale. Le pareti laterali del corpo, notevolmente brevi in confronto alla lunghezza del tronco, misurata senza tener conto delle sue inflessioni, non si sono ancora avvicinate col. margine libero alla linea medio-ventrale, e quindi la cavità peritoneale comunica ampiamente colla cavità della vescicola blastodermica (celoma esterno). Se, scorrendo tra le pareti laterali del corpo e la vescicola ombelicale, penetrassimo nella cavità peritoneale, tro- veremmo che essa con questa sua prima porzione circonda sui lati e al di dietro il ginocchio ventrale del tronco e la por- zione iniziale della vescicola ombelicale, che ad esso sta appesa. È così che essa separa in dietro il tratto ascendente del tronco dal peduncolo addominale. Ma l’ intervallo fra le due produzioni va gradatamente riducendosi, finchè sparisce ed esse entrano in diretta connessione tra loro, quando la cavità peritoneale si converte in due fessure che risalgono, una per lato, ai lati del canale intestinale e lo accompagnano per tutta la sua lun- ghezza. Se seguiamo quella porzione della cavità peritoneale, che abbiamo prima considerata, verso l’ estremità craniale dell’ em- brione, la vediamo subito sotto forma di due fessure, una per lato, tra loro indipendenti che risalgono fino alla parte più alta della porzione discendente del tronco, ove pervenute, ciascuna entra in comunicazione per mezzo di una angusta apertura colla cavità pericardica in corrispondenza della parete posteriore di questa, in alto e lateralmente. Tale apertura è situata all’ in- terno della vena cardinale posteriore al di sopra del punto, nel quale la detta vena piega verso il dutto di Cuvier. Abbiamo in altri punti indicato e indicheremo altre parti- colarità riguardanti la cavità peritoneale, così l’ accenno alla formazione del ‘mesenterio, il rilievo corrispondente al rene primitivo, vec | Mo G. CHIARUGÎ 79 Il rivestimento della cavità peritoneale è in genere fatto da cellule cubiche a più strati. Setto trasverso. — Ci dispensiamo dal descrivere det- tagliatamente il setto trasverso, limitandoci ad avvertire che esso nel portarsi in alto va gradatamente assottigliandosi, e a ricordare che sono in esso contenuti i grossi vasi venosi e il dutto epatico. i Reni primitivi. — I reni primitivi si presentano sotto forma di due cordoni cellulari cilindrici, solidi, uno per lato, che cominciano a comparire circa a metà della porzione di- scendente del tronco e si possono seguire fino al principio del- l’ultima curva con convessità dorsale. Nei varii tratti di questo loro tragitto si vedono situati all'infuori dei segmenti meso- dermici e corrispondono alla porzione laterale della parete dor- sale della cavità peritoneale, che mostrasi ivi alquanto rilevata. Tal rilievo è limitato all’ interno dal solco che accenna alla formazione del mesenterio. Cuore. — Il tubo cardiaco risulta costituito dalla tunica endoteliale e dalla muscolare. Il rapporto fra il tubo endote- liale e il muscolare è differente assai nelle varie porzioni del cuore; in alcune veggonsi a contatto quasi immediato, al- trove esiste fra l'uno e l’altro un'intervallo colmato da sottili filamenti protoplasmatici, che mantengono la continuità fra muscolo ed endotelio, infine in altri punti quest’ intervallo è a ‘ dismisura cresciuto, e l’ endotelio vedesi raccolto in posizione più o meno centrale dentro al tubo muscolare a limitare un cerchio piccolissimo o una stretta, quasi impercettibile fendi- tura. Allora i filamenti protoplasmatici fra endotelio e muscolo sono più scarsi o mancanti. Ma oltre a questa particolarità in tali punti si nota che gli elementi nucleari dell’ endotelio sono più fitti, talora ammucchiati e sovrapposti; onde mi sembra doversi ‘ammettere che in condizioni naturali l’ endotelio sia o strettamente applicato alla tunica muscolare o almeno a po- chissima distanza da essa, e che se ne sia distaccato per in- fluenze diverse: per l’azione un po’ raggrinzante dei liquidi con- servatori, per la trazione operata sull’ endotelio dal sangue che si coagula entro al cuore, per l’ elasticità propria dell’ endotelio che entra in giuoco dove il cuore riman vuoto di sangue, onde rivien su sè stesso, mentre la più spessa parete muscolare 80 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. non può seguirlo in questo movimento, le quali cause deter- minanti il distacco sono aiutate nella loro azione dalla poca aderenza naturale dell’ endotelio alla sostanza muscolare, tan- tochè a parità di altre circostanze il distacco dovrà farsi in proporzioni maggiori dove la superficie interna del tubo mu- scolare è regolare e liscia, che non dove come in gran parte del ventricolo si scava ad areole comunicanti colla interna cavità. Queste considerazioni dovevano esser premesse volendo av- vertire che nella ricostruzione della interna cavità del cuore, più utile che la ricostruzione della superficie esterna per pren- dere idea dei complicati avvolgimenti di questo tubo, non ho, come fa His, riprodotto la cavità del tubo endoteliale, sem- brandomi troppo artificialmente modificata, ma sivvero la in- terna cavità del tubo muscolare come meglio rappresentante la cavità naturale del cuore. Ecco dunque qual’ era la posizione e direzione del tubo car- diaco desunta dall’ esame della sua cavità (V. particolarmente la fig. 9.*). Facendo seguito al sinus reuniens compare come un rilievo aderente in alto, al lato destro della parete posteriore della cavità parietale, il quale nel portarsi in basso e in avanti si dilata e finisce per rendersi indipendente dalla parete. A questa prima porzione dilatata (orecchietta) fa seguito un breve canale (canale auricolare) trasversalmente diretto verso sinistra, pic- colo di diametro, il quale tosto si rigonfia notevolmente in una tasca sporgente in alto, che si continua con un lungo tubo a diametro uniforme, avvolto su se stesso ad ansa (ventricolo). Nel ventricolo dobbiamo distinguere una porzione sinistra di- scendente, che incurvandosi si continua nella porzione destra ascendente; il punto ove si effettua questo cambiamento di direzione corrisponde alla parte ventralmente più sporgente del cuore. Il braccio destro o ascendente del ventricolo arrivato a livello dell’ orecchietta cambia direzione, si dirige trasversal- mente verso sinistra collocandosi al dinanzi dell’ orecchietta, del canale auricolare e dell’ origine del ventricolo; dopo di che si restringe (fretum Hallerti), diventa ascendente nuovamente dilatandosi- (Bulbo aortico), raggiunge la cavità parietale cui aderisce, e la traversa ‘in basso, in avanti e a sinistra per con tinuarsi coll’ aorta. ate » 4 G. CHIARUGÌ 81 Il tubo muscolare del cuore si presenta sotto differente aspetto nei varii tratti. Nel bulbo aortico e nel fretum Hallerii la parete muscolare è compatta e sottile; nell’ orecchietta, nel canale auricolare e nel cul di sacco iniziale del ventricolo è un po’ più spessa; nel ventricolo, specialmente nel fondo del- l’ansa, raggiunge il massimo di spessore, e, mentre superficial- mente è più compatta, verso il lume del tubo si scava ad areole comunicanti coll’ interna cavità e quindi tappezzate da endotelio. E costituita da elementi fusiformi sottili in alcuni punti fittamente riuniti, in altri riuniti in modo da costituire un re- ticolo a maglie strette e limitate da tenui filamenti; altrove si ha la formazione di lunghe trabecole tra loro anastomizzate così da dar luogo a un tessuto areolare. Nessun accenno alla comparsa di striatura negli elementi del miocardio. Ciò è in opposizione colla precoce striatura delle cellule muscolari del cuore dimostrata negli embrioni di pollo (1). Nel fondo dell’ ansa ventricolare il distacco dell’ endotelio dalla parete muscolare è minimo, mentre è in proporzioni medie nell’ orecchietta e nella porzione ascendente del ventricolo, massima nel bulbo aortico e nella porzione discendente del ventricolo. Sistema arterioso. — Il bulbo aortico traversando nel punto già indicato la parete pericardica sì continua in un vaso largo e brevissimo che si divide tosto da ogni lato in 3 dira- mazioni (archi aortici) i quali, incurvandosi in alto e in fuori si collocano respettivamente nel 1.° 2.° e 8.° arco branchiale, per poi risalire dorsalmente all’ indentro, e separatamente riuscire nell’ aorta discendente del lato corrispondente. Dalla convessità che risulta dalla unione del 1.° arco coll’ aorta discendente parte ventralmente un ramo per la testa che si colloca alle parti laterali dell’ encefalo fra questo e la vescicola oculare: esso si biforca tosto in due rami dei quali uno segue la parete del- l’encefalo, l’altro si porta sulla superficie interna della vesci- cola oculare. (V. Fig. 6.*). Le due aorte discendenti si mantengono distinte fin verso il limite inferiore della porzione discendente del tronco; a questo (1) Chiarugi — Delle condizioni anatomiche del cuore al principio della sua funzione ecc. Atti della R. Accad. d. Fisiocritici. Siena, 1887. Serie III.®, Vol. IV. 82 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. punto si fondono in un vaso unico, che, oltrepassato il ginoc- chio ventrale, risale sulla porzione ascendente del tronco: è sotto forma di un vaso appiattito in senso antero-posteriore, collocato fra la corda e il tubo intestinale. Quando la direzione del corpo torna a cambiare per descrivere l’ ultima curva con convessità dorsale, l’ aorta si biforca e i due rami cui dà ori- gine costeggiano la cloaca e raggiungono l'estremo limite del corpo. In corrispondenza del punto, nel quale dall’intestino nasce il dutto allantoideo, si stacca dall’aorta da ogni lato un vaso (arteria ombelicale), che si colloca a lato del dutto allantoideo e lo accompagna nel peduncolo addominale. Sistema venoso. — Nel pedunculo che collega alla pa- rete pericardica la porzione dilatata dell’ orecchietta, va a sboc- care per mezzo di un tronco unico e corto un grosso seno ve- noso trasversalmente diretto (sinus reuniens) che scorre appli- cato alla faccia anteriore del canale intestinale, immediatamente al di dietro della cavità parietale, da questa separato da una massa di tessuto che rappresenta l’ abbozzo del fegato e del diaframma. In basso, avendosi la continuazione dei suindicati rapporti, questo vaso si colloca nell’ angolo che forma il ca- nale intestinale col dutto epatico. Questo vaso si può conside- rare come principalmente derivato dalla fusione delle vene vi- telline, le quali, convergendo sulla porzione anteriormente più alta della vescicola ombelicale, passano da essa nel tronco si- tuandosi ai lati del canale intestinale per poi scorrere al di- nanzi di questo e tosto sboccare sul margine posteriore infe- riore del sinus reuniens. Prima che ciò avvenga delle dirama- zioni si staccano dalle vene vitelline, che si immergono e si diramano, senza peraltro ridursi, almeno in apparenza, a vasi piccolissimi, nella sostanza del fegato (v. hepaticae advehentes), che si ricostituiscono poi in due vasi, uno per lato, ( v. hepaticae revehentes) i quali ascendono e si portano in dietro, passano sui lati del dutto epatico, e raggiungono il sînus reuniens. Ana- stomosi trasverse fra le due vene vitelline non mi fu dato ri- conoscere. Più in avanti dorsalmente e sui lati del sinus reuniens sboc- cano insieme da ogni lato la vena ombelicale ‘e il dutto di Cuvier. Il sistema delle vene ombelicali è rappresentato nel pedun- Ae "ee G. CHIARUGI 83 colo addominale in principio da un tronco unico, che, quando il peduncolo è prossimo alla sua terminazione nel corpo del- l'embrione, si divide in due rami, ciascuno dei quali scorre dall’ indietro in avanti, in direzione molto rettilinea nelle pareti laterali del corpo sulla linea secondo la quale queste si conti- nuano coll’ amnios. Delle vene di origine del dutto di Cuvier non ho potuto prendere una molto chiara idea, quindi preferisco tacere sopra questo punto. Tanto i grossi che i piccoli vasi arteriosi e venosi sono rappresentati dalla semplice tunica endoteliale, ma nei vasi om- belicali gli elementi del mesenchima cominciano ad addensarsi intorno alla detta tunica endoteliale. A terminare lo studio del nostro embrione, dobbiamo tener parola dell’ amnios e del peduncolo addominale. Amnios. — L’amnios è rappresentato da un velamento fatto di due piani sovrapposti di cellule appiattite, in genere strettamente applicato al corpo dell’ embrione, o poco distante da esso. La linea di inserzione dell’amnios al corpo embrio- nale è indicato dal margine libero delle pareti addominali, dal quale l’ amnios si distacca per risalire in alto e avviluppare l'embrione. Le pareti addominali, come abbiamo già notato, sono ancora distanti dalla linea medio-ventrale. In avanti esse sì ricongiungono posteriormente alla sacca pericardica, cosic- chè tutta quest’ ultima è contenuta entro il sacco amniotico. Indietro si continuano col peduncolo addominale lungo i mar- gini della faccia superiore di questo; e così la detta superficie superiore è rivestita dall’amnios. Da essa l’ amnios si getta in dietro sulla parete coriale alla quale aderisce lungo una striscia rilevata ascendente, che si può considerare come la continua- zione superiore del peduncolo. Questa dopo brevissimo tragitto cessa, ma non così l'adesione dell’ amnios alla parete coriale, la quale risale molto in alto alquanto al di sopra del livello del dorso dell’ embrione (1). (1) Questa disposizione non apparisce nelle figure di His relative ad embrioni di consimile forma e sviluppo. Sc. Nat. Vol. X. 6 84 ANATOMIA DI ÙN EMBRIONE UMANO ECC. Peduncolo addominale. — Il peduncolo addominale che congiunge l'embrione alla’ parete dell’ uovo, muovendo dalla concavità fatta dall'ultima porzione del tronco colla quale è in continuità, scende lungo la porzione ascendente del tronco, colla quale per un certo tratto si mantiene in continuità, poi se ne stacca per l' insinuarsi che fa tra mezzo la cavità peri- toneale nel modo già altrove descritto; allontanandosi sempre più dal tronco nel discendere si porta in dietro e si inserisce alla superficie interna del corion. Esso risulta di tessuto con- nettivo embrionale e contiene il dutto allontoideo, le arterie ombelicali, che scorrono ai lati di questo, le vene ombelicali che hanno una posizione più laterale: non torneremo sulla de- scrizione di questi organi; solo ricorderemo che le vene si riu- niscono subito, all'origine del peduncolo, in un unico vaso, e così fanno le arterie a un livello più basso. La faccia superiore del peduncolo è rivestita dall’ amnios. Una particolarità che ci sembra meritevole di menzione è l’ aspetto che presenta la superficie esterna del corion in un punto corrispondente alla inserzione del peduncolo addominale, e che può esser verificato in tutte le sezioni comprendenti il peduncolo, ma però non lungo quella striscia rilevata ascen- dente, che abbiamo detto potersi considerare come un prolun- gamento superiore del peduncolo. Consiste nell’ essere nel punto indicato le villosità coriali o mancanti o notevolmente basse e semplici, mentre a partire da quel punto improvvisamente diventano fitte, alte e ramificate. Questa particolarità fa supporre che le villosità coriali nella regione indicata siano comparse più tardi e abbiamo avuto minor tempo per crescere, ritardo spiegabile se si ammette che a quella linea, prossima alla estremità posteriore del corpo embrionale, corrisponda la sutura dell’ amnios. I fatti osservati relativamente all’ amnios, al peduncolo ad- dominale nei loro rapporti reciproci e colla parete coriale si presterebbero a varie considerazioni, forse non jinutili, data l'incertezza che tuttora esiste sul significato del peduncolo; ad- dominale e sulla maniera di formazione dell’ allantoide e del- l’amnios nella nostra specie. Ma ripensando che quistioni tanto difficili. mal si discutono Mt i G. CHIARUGI 85 sulla guida di un solo stadio di sviluppo e di un'osservazione isolata, non mi fermo di più sull’ argomento (1). Arrivati al termine di questa descrizione anatomica del- l'embrione, è forza concludere che esso sia nello sviluppo ge- nerale del corpo che in quello dei singoli sistemi organici sì mostra concordante con embrioni di corrispondente età. Non esiteremmo dunque a definirlo come un embrione normale, se il fatto della singolare curvatura del tronco, altrove segnalato, non ci rendesse guardinghi di pronunziare un troppo assoluto giudizio. Perocchè non è risoluto il problema (?), nè io mi at- tento a risolverla sulla base di questa unica osservazione, se ad un dato periodo di sviluppo dell’ embrione umano la leggera concavità dorsale che di frequente si incontra in embrioni gio- vanissimi aumenti, in condizioni normali, fino al grado che ab- biamo veduto esistere in questo embrione. Su tale particolare direzione del tronco altri punti oscuri rimangono: se sia pos- sibile un rapido cambiamento nella direzione della curvatura, cioè l'improvviso stabilirsi, a un certo punto dello sviluppo, della convessità dorsale nel luogo della concavità, il che spiegherebbe, secondo His, la mancanza di stadii intermedii fra la prima e la seconda maniera di curvatura del tronco; e se a renderla più profonda o a riprodurla improvvisamente, quando già si era dileguata abbiano influenza la maniera di preparazione e i guasti eventualmente avvenuti nell’ embrione. Riguardo a quest’ ultimo punto non posso dispensarmi dal segnalare che nel mio caso vizi di preparazione, ai quali im- (') Colgo questa occasione per ritornare sovra una mia precedente pubblica- zione intorno a un uovo umano giovanissimo (Di un uovo umano del principio della 2.8 settimana. Boll. della Sez. dei Cult. di Scienze Mediche nell'Accad. dei Fisioe. di Siena 1887), nella quale, dopo aver descritto una vescichetta bilobata, unica parte che potesse esser considerata in quell'uovo come formazione embrionaria, rimasi incerto se a tale vescichetta dovesse essere attribuito il significato di produzione normale o mostruosa. Recentemente Giacomini ( Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano. Torino, Atti dell' Accad. delle Scienze 1888) ha descritto un caso simile al mio e lo considera come una produzione patologica. Alla quale idea e alla interpretazione suggerita da Giacomini aderisco oggi pienamente. E così una supposizione che io avevo fatto sulla maniera di formazione dell’amnios, che era necessaria per chi volesse considerare normale il mio reperto, cade di per se, e non è con rimpianto che la lascio cadere. (*) V. in proposito His op. cit. E dn CASO LI - î 86 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. putare la curvatura più volte citata, mancavano, almeno in apparenza. L'uovo mi giunse intatto; nell’ aprirlo nessuna le- sione infersi all’embrione o ai suoi inviluppi immediati; il sacco amniotico si mantenne integro ed ugualmente l embrione, nel quale l’unica lesione riscontrata fu una piccola lacerazione della parete pericardica. L’' alcool, reattivo impiegato per la conser- vazione del preparato, ha agito sull’embrione lentamente, per- chè l'uovo vi stette immerso per alcune ore, prima che io l’aprissi, onde non potè aver luogo, e non ebbe luogo di fatti, un forte raggrinzamento. L’ embrione fu incluso in celloidina senza distaccarlo dalle sue naturali connessioni alla parete del- l’ uovo. Concludendo: mi sembra «difficile, almeno per ciò che ri- guarda il mio caso, che la profonda concavità dorsale del tronco sia stata o prodotta o considerevolmente aumentata da cause artificiali. Da chi vorrà indagare le cause determinanti del fatto che ci occupa, dovranno essere tenute in considerazione le seguenti particolarità verificate nel mio embrione ed in altri consimili: Che esiste una grande sproporzione fra lo sviluppo in lun- ‘ghezza del midollo spinale, della corda, del tubo intestinale e quello delle pareti laterali del corpo. Che il ginocchio del tronco corrisponde alla apertura del ventre attraverso la quale fa sporgenza. Che ad esso si inserisce la vescicola ombelicale voluminosa e pesante. È a credere che se il dorso dell'embrione avesse improvvisamente cambiato in convessità la sua concavità dor- sale, difficilmente la vescicola ombelicale’ attraverso l’ apertura del ventre relativamente stretta avrebbe potuto esser trasci- nata in alto. : : Se il maggior sviluppo in lunghezza degli organi situati al lato dorsale della cavità del ventre fa considerar come ne- cessario lo stabilirsi di una curvatura, lo stato di essa cavità, tuttora aperta e la trazione operata dalla vescicola ombelicale debbono avere la loro importanza nella produzione di una’ con- cavità piuttostochè di una convessità dorsale. Debbo completare questo studio col rilevare una importante particolarità citologica verificata in questo embrione. G. CHIARUGI 87 Accanto alle cellule con nucleo in stato di riposo o in fase cariocinetica, esistevano in notevole copia nei varii tessuti, cel- lule che differivano tanto dalle prime che dalle seconde. Man- cava in loro un nucleo con contorno distinto e contenevano invece nel loro interno delle granulazioni sferiche, piccole, com- patte, variabili per numero e per grossezza e fortemente co- lorate dal reattivo. In talune cellule si vedevano molti e mi- nutissimi granuli, in altre pochi e più voluminosi, e, di solito, in una stessa cellula granuli di grossezza molto differente. Ma quando anche questi granuli raggiungevano il massimo di vo- lume, erano di gran lunga al di sotto del volume dell’ ordi- nario nucleo. I granuli erano isolati gli uni.dagli altri e spar- pagliati irregolarmente in mezzo alla cellula. Ma non sempre, che talora si vedevano avvicinati a formare un cumulo, che per forma e per grossezza rassomigliava ad un comune nucleo, ed anzi in certi casi si sarebbe detto che la cellula possedeva un nucleo che si distingueva dagli altri per avere nel suo in- terno grosse granulazioni colorate. Non si può andar lungi dal vero nel ritenere che queste diverse apparenze siano fasi di passaggio di un unico processo: della risoluzione della sostanza cromatica del nucleo in gra- nulazioni, che, prima racchiuse nel nucleo, divengono poi libere in mezzo al corpo cellulare. Per queste osservazioni ho fatto uso del microscopio Zeiss coll’ obiettivo apocromatico , ang. d’apert. 30°, dist. focale mm. 3 ,, coll’ oculare a compensaz. 12 (Ingr. 1000 d.) e col condensatore Abbè. Sebbene la distribuzione degli elementi che ho descritto non fosse rigorosamente uniforme, non potrei dire che fossero in un tessuto o in un organo più abbondanti che negli altri. Soltanto ho potuto costatare che mancavano negli annessi em- brionarii. Mi aveva colpito che nei tessuti di questo embrione tali elementi fossero così numerosi, mentre in embrioni di altri animali mai mi era avvenuto di incontrarli. Onde più volte mi son domandato se tale reperto dovesse eventualmente esser messo in rapporto colla conservazione del preparato in alcool comune, che non è certo un reattivo adattato per fissare le delicate strutture cellulari. Ma stavano contro questa supposi- DVR Voli d SPRINT 88 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. zione le buone condizioni nelle quali si trovavano gli elementi tra i quali quelli in parola erano distribuiti, e la loro man- ‘canza negli annessi embrionarii. Del resto si sa bene che in certi casi la parte nucleinica del nucleo è rappresentata da sferule o granulazioni. Tale è il caso delle uova animali, e le sferule di nucleina, che in vario numero esse contengono, vengono considerate come il prodotto di disgregazione del filamento normale. Nel processo di segmen- tazione delle uova varii autori hanno descritto delle deviazioni dal ciclo schematico della cariocinesi, che essenzialmente con- sistevano nella formazione di vescicole a spese dei filamenti cromatici, vescicole destinate fondendosi insieme a formare un nucleo figlio. Ciò, ad es., il compianto Bellonci (1) ha dimostrato per l’Axolotl. Legge (2) ha fatto osservazioni consimili nei tes- suti di giovani tritoni. Carnoy (*) ammette come fatto non raro la frammentazione della nucleina senza ragione apparente in tessuti in piena attività accanto a cellule le più notevoli per la costituzione filoide del loro nucleo, ma, stando almeno alla figura che presenta, senza che il nucleo cessi di esistere come produzione distinta in mezzo al protoplasma cellulare. Sebbene non si possa affermare assoluta identità fra i fatti sopra citati e quelli da me descritti, pure vi è analogia suf- ficiente per confermare nell’idea che questi ultimi non siano artificiali. Ma la miglior conferma in proposito l’ ho avuta dalle 0s- servazioni di Kastschenko (4) venute alla luce quando questo la- voro era in corso di pubblicazione. Questo autore descrive negli embrioni di selaci delle particolarità citologiche perfettamente uguali a quelle indicate in questa Memoria. Egli dice di avere . incontrato cellule con granulazioni di cromatina in luogo del nucleo nella parte dorsale del canal midollare durante la for- mazione della cresta gangliare e in quest’ultima, nonchè in alcuni altri punti del corpo embrionario e nel rimanente bla- (1) Bellonci — Za caryocinèse dans la segmentation de l'oeuf de l' Axolott. (Arch. Italiennes de Biologie, Tom. VI, 1884). (2) Legge — Formazione di vescichette nucleari nella mitosi normale delle cellule, (Boll. Soc. Eustachiana. Camerino, Luglio 1885). (8) Carnoy — Biologie Cellulaire. (Lierre 1884, fasc. 1.9, pag. 221). (4) Kastschenko — Zur Entwickelungsgeschichte des Selachierembryos. Anat. Anzeiger, 1888, N.° 16. G. CHIARUGI S9 stoderma con frequenza minore. La distribuzione topografica sarebbe dunque alquanto differente. Quale sia il significato e la importanza di tali elementi è prematuro stabilire. Il trovarli in notevole copia in tessuti in attivo accrescimento e il vedere che sono collegati da forme di passaggio alle cellule che contengono un nucleo in stato di riposo, fa ritenere come probabile che siano in rapporto colla moltiplicazione cellulare. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE SIAT (Tav. I° e II°) Ingrandimento dl d. Fre. 1. L' Embrione ricostruito secondo una projezione LAtsRO, ventrale DESTRA, presa sovra un piano perpendicolare a quello di se- zione e indicato nella fig. 4 dalla linea x-y. Son riprodotte le forme esterne del corpo. Ce. — Estremità cefalica. Ca. — Estremità caudale. Ins. — Regione della insenatura dorsale. C. —- Tuberosità corrispondente al cuore. G. — Ginocchio del tronco, che sporge attraverso l’ a- pertura del ventre e sostiene la Vo. — Vescicola ombelicale (rappresentata solo in parte). P. — Peduncolo addominale. P. A. — Parete addominale che si arrovescia per conti- nuarsi nell’ Amnios. A. — Linea di origine dell’ Amnios. (In avanti è in parte coperta dalla Vo. ). L. — Linea d’ inserzione del peduncolo al corion. S. br. — Solchi branchiali. B. — Solco nel fondo del quale si trova 1’ apertura buccale. 91 Fie. 2. L' Embrione ricostruito in projezione porso-laterale destra sovra un piano parallelo a quello di sezione. (d. — lato destro). an G. CHIARUGI — ) Come nella Fic. 1. EA ATA. Co. — Limite interno della parete coriale. | Fis. 3. Ricostruzione dell’ Embrione come nella Fig. 1. È indicato il contorno esterno del-corpo e quello dei principali organi interni. Rosso. — Contorno esterno del corpo, della vescicola om- belicale (rappresentata in parte ), del pedun- colo addominale. A, A. — Amnios. y-z. — Linea lungo la quale l’ ammios è saldato alla parete coriale. x-y. — Linea d’ inserzione del peduncolo addominale al corion. Co. — Corion. B. — Solco della bocca. 1,2,3. — Solchi branchiali 1.°, 2.° e 3.2. V.a. — Vescicola acustica. Arancraro. — Sistema nervoso centrale. E. — Encefalo. do Vescicola oculare pe Da n S sinistra. M. sp. — Midollo spinale. Verne. — Canale alimentare. F. — Faringe. I. — Intestino. D. e. — Dutto epatico. CI. — Cloaca. a: TA 92 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. O. — Vescicola ombelicale. AU. — Dutto allantoideo. VioLetto. — Cuore. Ve. — Ventricolo. At. — Orecchietta. B.a. — Bulbo aortico. Fis. 4, 5, 6, 7, 8. Le più importanti sezioni dell’ embrione. Corri- spondevano ai punti indicati nella Fig. 3, rispettivamente. dalle linee 4-4, 5-5, 7-7, 8-8. (d. — lato destro ) (1). Indicazioni concernenti la superficie esterna del corpo: A. m. î. — Arco mascellare inferiore. A.î. — Arco iocideo. Sti. br. 1° — Î 2.2 — + Solchi branchiali 1.°, 2.0, 3.°. 3° _ | P. A. — Pareti laterali del corpo riflettentisi nell’ amnios. la Corda dorsale: c. — Corda dorsale. i sistema nervoso centrale: E. — Encefalo. M. sp. — Midollo spinale. V.oc. — Vescicola oculare. il sistema nervoso periferico : V.° — Nervo trigemello. VII? — Abbozzo comune del N. faciale ed acustico. X.° — Abbozzo comune del N. vago ed accessorio. G. X. — Ganglio plessiforme del vago. G. s. — Ganglio spinale. (*) Si noterà come in apparenza l’angoli che formano fra loro i due segmenti del corpo dell’embrione non corrisponde nella figura 3.2 d'insieme e nelle figure 4.2 8.2. Ciò dipende da che le sezioni rappresentate con questi ultimi disegni sono state depositate sul portaoggetti colla loro superficie infer. rivolta verso l’ osserva- tore, e furono senz’ altro riprodotte così, e RI) \ G. CHIARUGI 93 gli organi di senso: V. a. — Vescicola acustica. (V. anche Sist. nerv. centrale ). il canale intestinale coi suoi annessi e la vescicola ombelicale : B. — Bocca. F — Faringe. T. br. — Tasche branchiali. - I. — Intestino. I. x. — Intestino, obliquamente tagliato (si vede soltanto una metà del contorno ). D.e. — Dutto epatico. V. omb. — Vescicola ombelicale. AU. — Dutto allantoideo. i segmenti mesodermici : S.m. — Segmento mesodermico. il celoma e il setto trasverso: C. p. — Cavità parietale. C. pr. — Cavità peritoneale. *. — Punto prossimo a quello nel quale comunica la cavità parietale colla peritoneale. S.t. — Setto trasverso. i reni primitivi : R. pr. — Reni primitivi. il cuore: Ve. — Ventricolo. B. ao. — Bulbo aortico. Au. — Auricola. le arterie: T.ar. — Tronco arterioso. ci | Aorta discendente quasto s d. — destra. Ao. t. — Ramo terminale dell’ aorta. ap | Arteria ombelicale I: mg, — 3] sinistra. le vene: S. re. — Sinus reuniens. ( Nella Fig. 6 il margine poste- riore di esso è ondulato: la ondulazione in- terna corrisponde allo sbocco della vena vitel- 94 ANATOMIA DI UN EMBRIONE UMANO ECC. lina d. la esterna a quello della vena ombeli- cale d. — Nella fig. 7 riceve in avanti un vaso che è una della v. Repaticae revehentes). V.om.d. — ) .., | destra. Vena ombelicale a $ Ss. — sinistra. V.v. — Vena vitellina ( Nella fig. 8 manda un vaso che è una delle v. hepaticae advchentes ). V.c.p. — Vena cardinale posteriore. VAmnios, il corion: A. — Amnios. A.C. — Adesione dell’ amnios al corion. Co. — Strato connettivo del corion. il peduncolo addominale: P. — Peduncolo addominale. AU. — Dutto allantoideo. Fic. 9. La cavità del cuore ricostruita secondo una proiezione cra- niale presa sovra un piano perpendicolare a quello di se- zione e facente angolo retto con quello indicato dalla linea x-y della fig. 4. 0, O. — Orecchietta, in parte nascosta. V. — Ventricolo. Fr. H. — Fretum Haller. B.a. — Bulbo aortico. B — (È tolta la porzione terminale del ventricolo e il bulbo aortico per far vedere le parti retro- stanti ). C. A. — Canale auricolare. (Le altre indicazioni come in &). Fic. 10. Irudimenti di organi di senso branchiali. (Ingrandimento 69d.) E. — Parete encefalica. V. a. — Fondo della vescicola acustica. VII° — Ganglio acustico-faciale. T. — Tegumento. 1.° S. br. — Ispessimento ectodermico corrispondente al 1.° solco branchiale. 2.° S. br. — Idem corrispondente al 2.° ( La sezione corrisponde al punto indicato colla linea a-a nella fig. 3). OO UNA OSSERVAZIONE DI ARCO MAXILLO-TEMPORALE INFRA-JUGALE E SOPRA LA GENESI DELLA BIPARTIZIONE DEL MALARE NELL’ UOMO NOTA ANATOMICA n del Dott. GUGLIELMO ROMITI PROFESSORE DI ANATOMIA IN PISA Non sono ancora completamente risolute tutte le questioni relative all'osso malare, nè per la sua genesi, nè per il signi- ficato suo, se cioè e quanto esso possa rappresentare le varie porzioni di ossa omologhe al malare che si trovano nei bruti. Nè molto copiose sono le ricerche degli Anatomici relative a taluni modi speciali di giuntura od unione tra il processo zi- gomatico del mascellare e quello del temporale; ed infine non sono completamente concordi le opinioni sopra la genesi della bipartizione del malare. E perciò cosa necessaria porre in evi- denza tutte quelle osservazioni che per qualsiasi lato dal loro studio, possano essere utilizzate per la interpretazione di uno dei quesiti che rimangono più o meno insoluti. La osservazione che presento non è ricerca molto comune; perchè gli Anatomici che riferiscono sull’ argomento non accen- nano che ad una sola consimile osservazione: inoltre mi pare possa essere adoperata per uno dei modi di spiegazione della -bipartizione del malare. In questa corta notizia anatomica io non intendo menoma- mente riportare, anche in riassunto, tutto quanto è relativo 96 G. ROMITI al normale sviluppo e alla omologia ed alla bipartizione del malare nell’ uomo; che da questo lato noi possediamo già le complete Monografie di Gruber (5), di Baraldi (2), di Taruffi (3) e di Albrecht (4). Solamente circa lo sviluppo normale del malare, debbo asserire che non ho che a confermare quanto fu soste- nuto, specialmente da Baraldi, che cioè il malare si sviluppa da un solo punto di ossificazione; e ciò, insieme con Lachi, ebbi altra volta a dimostrare (°). Il teschio che mi si prestò per questo studio trovi tra il materiale ordinario dell’ Istituto anatomico di Pisa; nè fu pos- sibile sapere la provenienza: fu da me posto in Museo col N. 3028. Le particolarità sue sono ben rappresentate dalle due figure. Il cranio mostra essere di maschio adulto, brachi- cefalo di forma, regolarmente conformato nel suo insieme, ma presenta, insieme alla varietà dei malari, una grande quantità di altre variate disposizioni. Persiste la sutura metopica (V. le figure), esiste a sinistra it processo frontale del temporale e a destra un wormiano pterico, vi ha una traccia notevole di sutura incisiva, una piccola fossetta occipitale media, due grandi sporgenze vicino alla lamina quadrilatera che ricordano il “ processo clinoideo medio , (D’Ajutolo), sporgenze che in altre circostanze (°) accennai potersi porre in rapporto coi ru- dimenti della corda dorsale: infine le ossa nasali sono assai rudimentarie, il destro è completamente sostituito dall’ apofisi montante dal mascellare superiore, il sinistro in parte: di questa particolarità delle ossa nasali ebbi pure altra volta da ‘occu- parmi (7). Il malare destro (fig.I) presenta una ordinaria divisione (1) Wenzel Gruber — Monographie diber das zweigetheilte Toch beim. Wien, 1873. (£) Giovanni Baraldi — Dell’osso malare o zigomatico. (Atti di questa Società. Pisa, II. 3.0 1875). (3) Cesare Taruffi — Delle anomalie dell'osso malare. (Mem. Accad. di Bolo- gna, 1880). (4) Paul Albrecht — Sur le crane remarquable d'une idiote de 21 ans etc. Bru- xelles, 1883. — G. Legge - Sulla presenza dell’osso jugale nel cranio umano. (Bullet. Accad. Medica di Roma, 1887. (*) Pilade Lachi e G. Romiti — Catalogo del Museo di Siena. Siena, 1883. (5) Bollett. Soc. Cult. Sc. Med. Siena, 1886, p. 162. i (*) Di una rarissima varietà delle ossa nasali. (Atti Accad. Fisiocritici di Siena. 1883). UNA OSSERVAZIONE DI ARCO MAXILLO-TEMPORALE INFRA-JUGALE ECC. 97 per una sutura trasversale, avendosi il malare superiore e l' in- feriore o pezzo marginale, giusta il tipo più ordinario: os ja- ponicum ( Hilgendorf), ipomalare (Albrecht). Il malare inferiore è piccolo, che mentre l’ altezza dell’ intero malare dal mezzo del margine orbitario a quello inferiore misura 32 millimetri, il malare inferiore nel mezzo ne misura 6. Il malare sinistro (fig. II) nel suo insieme è un po’ più basso del destro, poichè misura solamente 30 millimetri d' altezza: il pezzo inferiore della divisione è pure assai più piccolo, è alto solamente 4 millimetri. Questo pezzo inferiore non è isolato; ma, come chiaramente si vede nella figura, esso rappresenta un prolungamento dell’ apofisi zigomatica del mascellare corrispon- dente: termina articolandosi per sutura dentellata con la por- zione inferiore dell’ apice dello estremo distale della apofisi zigomatica temporale. L'arco costituito dal prolungamento del mascellare superiore si continua in dentro ed in alto, fino ad arrivare alla metà circa della superficie interna temporale del malare. Questo caso è notevole anche per questa ultima circostanza, del presentarsi cioè un arcata ossea sotto zigomatica, estesa anche in dentro, avendosi così la combinazione delle due mo- dalità di arcata maxillo-temporale note agli anatomici. La osservazione che è stata adesso esposta, della presenza cioè d'un processo zigomatico del mascellare prolungato al di sotto del malare fino ad incontrare il processo zigomatico del temporale, è cosa così poco avvertita, che ben pochi anatomici la ricordano, riferentisi all’ unico caso identico descritto da Dieterich (1). Lo stesso Taruffi (>), tanto esatto nelle sue Biblio- grafie, parlando della osservazione di Dieterich, asserisce “ l’ os- servazione è rimasta finora unica ,. Gruber pure non lo ricor- da (3): io pure la riteneva tale, e credevo il mio fosse il secondo caso da potersi paragonare abbastanza esattamente al ricor- dato. Scorrendo però una Memoria di un nostro buono Ana- (*) K. Dieterich — Beschreibung einiger Abnormititen des Menschenschidels. Basel, 1842. 8.° pag. 10, fig. 4. — Prendo la citazione da Wenzel Gruber (1. c. p. 46). (*) Taruffi. 1. c. pag. 19, nota 5. (®) Il lavoro di Gruber comparve nel 1873, ma l’autore asserisce averlo già in pronto nel 1872, epoca nella quale doveva essere stampato dalla Accademia di Pietro- burgo, e non lo fu per mancanza di fondi. l. c. p. 48, nota 34. 08 G. ROMITI tomico, del Prof. De-Lorenzi di Torino (4) ho trovato che esso ne aveva veduto un caso in un fanciullo; e forse una delle ragioni principali per le quali la osservazione è sfuggita, è la non chiarezza della figura (IV) della Memoria, dalla quale fi- gura non apparisce il processo in discorso. Il Dieterich osservò questo che disse “ Arcus maxillo-tempo- ralis infra-jugalis , dai due lati del cranio di uno Spagnuolo. In questo caso il processo zigomatico del mascellare superiore si spingeva fino allo estremo dell’ apofisi zigomatica del tem- porale colla quale si articolava. Ritenne Dieteriîch che questa abnorme disposizione umana esistesse di regola in alcuni ver- tebrati inferiori: nel riccio, nel maiale e nel cavallo. Nel 1872 il Prof. De-Lorenzi (?) illustrando tre nuovi casi di bipartizione del malare, notò che in uno di essi, tolto dal teschio di un bambino di 6 anni, il pezzo inferiore del malare diviso, il così detto pezzo marginale, in ambo i lati era fuso col mascellare superiore, del quale sembrava quasi un processo ricorrente allo indietro ed allo infuori, un braccio osseo ricurvo e prolungato ad incontrare il processo zigomatico, col quale si articolava per sutura piuttosto armonica. È degno di nota che in questo cranio esistevano pure altre varietà. Credè l’ autore che questa speciale disposizione tra il processo zigomatico del mascellare e quello temporale non fosse anche stata registrata dagli anatomici. Mi pare che la osservazione dell’ anatomico Torinese sia identica a quella di Dieterich. Wenzel Gruber (*) ebbe a trovare un’ altra modalità di giun- tura maxillo-temporale che differisce da quella descritta da Dieterich. Esso pure osservò una unione del processo zigoma- tico del mascellare con quello del temporale, ma che invece di avvenire sotto il malare, si faceva al di dentro di questo osso, e denominò questa unione: arcus maxillo-temporalis intra- Jugalis. Gli parve il fatto assolutamente nuovo, perchè l’ arco infra-jugale di Dieterich ritenne come mera accidentalità. In- fatti l’ arco infra-jugale sporge nella porzione masseterina, mentre l’intra-jugale lo fa nella fossa temporale, come è ap- () Giovanni Delorenzi. — Tre nuovi casi d’anomalia dell’osso malare. (Giornalè della R. Accademia di Medicina di Torino. Giugno, 1872). (£) Gruber. I. c. 3 (©) Delorenzi. 1. c. p. 6, V. fig. IV. ci } e duet i | È ’ P UNA OSSERVAZIONE DI ARCO MAXILLO-TEMPORALE INFRA-JUGALE ECC. 99 punto il caso del riccio, del tapiro, del maiale, del cavallo, del rinoceronte. Ma vi è una circostanza che deve essere notata: che cioè nell’ arco infra-jugale l’ osso zigomatico corrispondente è rimpiccolito: laddove nell’ arco intra-jugale lo zigomatico ha l’ordinario volume. Di più Gruber ebbe ad osservare in due crani la contemporanea esistenza del suo osso intra-jugale e l'osso zigomatico bipartito. La abnorme disposizione rappresentata dall'arco infra-jugale nell'uomo non può essere considerata come mera accidentalità, poichè una analoga disposizione si riscontra nel cranio del Wombat (Phoscolomys wombatus), nè, come giustamente fa rile- vare Gruber, può prestarsi alle stesse considerazioni e spiega- zioni di analogia con l’ arco intra-jugale che ha altro signifi- cato. Perciò essa avrebbe il valore d'ogni altra varietà nel- l’uomo. Inoltre mi sembra che il nostro caso può far nascere l’idea di un modo di spiegazione circa la genesi del malare bipartito. Nel nostro teschio abbiamo da un lato uno squisito esempio di malare bipattito: dall’ altro un arco infra-jugale. Se il prolungamento abnorme del mascellare, che era appunto a costituire quell’arco, fosse staccato per accidentalità alla sua origine, avremmo anche da quel lato un malare bipartito: sic- chè potrebbe elevarsi a congettura questa possibilità. Ed anzi, seguendo le idee di Baraldi, questo modo di spiegazione può sembrare possibile. Sc. Nat. Vol. X. 7 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Le due figure sono disegnate a ?/s del normale. Sembra inutile accennare con lettere alle varie particolarità loro, essendo troppo manifeste. UN NUOVO MIOGRAFO PEL Dott. GIUSEPPE D’'ABUNDO AJUTO NELL'ISTITUTO PSICHIATRICO E DI MEDICINA LEGALE DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA, DIRETTO DAL PROF. SADUN In alcune mie ricerche cliniche miografiche ('), mi era necessario poter stabilire un esame comparativo dei resultati ottenuti, praticando l'osservazione sullo stesso muscolo, ma in tempi differenti. Ciò naturalmente implicava la necessità di mettersi sempre per quanto era possibile in identiche condi- zioni. Nello stesso tempo in cui praticava le mie ricerche, con- siderava come fosse una condizione necessaria per l'esatta osservazione il far sì, che l'applicazione dell’ apparecchio non ostacolasse i movimenti del muscolo, sempre nei limiti del possibile. Una causa di errore nelle ricerche miografiche può derivare dal non poter essere sicuri di graduare mediante una scala in millimetri la vicinanza maggiore o minore del bottone esplo- ratore al muscolo. Se di questa scala se ne può fare a meno in una semplice osservazione, essa si rende essenziale nelle ri- cerche comparative. La vicinanza variabile del bottone G al muscolo, porta una variazione di volume d’aria nella came- retta M (vedi figura); inoltre la pressione maggiore di esso po- (1) 1. Ricerche grafiche sul clono del piede e del ginocchio in diverse forme ‘di malattie vervose (La Psichiatria, la Neuropatologia, ecc. Napoli). 2. Studio clinico su d'un caso d’ Istero-Epilessia nell'uomo, con inversione sessuale (Giornale internazionale delle Scienze Mediche, Napoli). d'LETTIO E Meg 102 G. D' ABUNDO trebbe essere in alcuni casi di nocumento quando si volesse per es. registrare qualche movimento fibrillare di un determi- nato muscolo. Se si fa specialmente una ricerca elettrica com- parativa in ore od in giorni differenti, è molto importante esser sicuri, che il bottone, il quale fa da eccitatore, sia sempre alla stessa distanza, altrimenti l’ eccitamento potrebb' essere più o meno immediato. Ad evitare quest’inconvenienti ho fatto costruire un mio- grafo, il quale se non altro per le ricerche comparative potrà rendere degli utili servigi. L'apparecchio preso così in generale rassomiglia a quello Verdin ultimo modello. n= --------x |p=eoccccronae Consiste in un pezzo di sostegno, CAH, che si applica con una fascia aderente alle branche H H sul muscolo. Le curve A A (le quali saranno più o meno pronunziate rapporto alle bran- che HH) fanno sì che l apparecchio per questa porzione non aderisca al muscolo, per cui questo nelle diverse modificazioni che subisce nel suo volume, sia spontaneamente, che sotto l’eccitamento elettrico, non incontri ostacoli. Le quattro vite B permettono d’ingrandire a piacere la base di sostegno del ili de UN NUOVO MIOGRAFO 103 miografo. Sulla colonnina 0, dove scorre mediante una vite l'apparecchio esploratore, esiste una scala di 4, 5 centimetri divisa in millimetri, la quale permette di poter fissare il detto apparecchio sempre ad un determinato punto. Anche sulla bran- ca D esiste un’altra scala che rende possibile una esatta ap- plicazione del bottone esploratore, qualora si voglia sempre sullo stesso punto muscolare. M è la camera d’aria, la quale per mezzo di / sì mette in comunicazione col tubo di caoutchout che va all’ago scrivente; il pezzo M è di ebanite. Da E parte una spirale a filo metallico di cui è nota la grossezza (che dà una certa tensione alla camera d’aria), e che va al bottone G. Allora volendolo adoperare, un filo dell'apparecchio faradico (in cui sia intercalato un interruttore) si fissa in £, l’altro ravvolto in un po di fogliettina metallica si mette sotto la branca H, e così esso funziona. Sicchè ad esser sicuri di esplorare il muscolo sempre nello stesso punto e nelle identiche condizioni, la prima volta che sì adopera l’ apparecchio, con un lapis colorato si nota il punto di applicazione delle branche HH sull’arto; si applichi pure il bottone G in quel modo che parrà più conveniente, solamente si noti sulla scala C il numero che segna, affinchè in altra evenienza possa mettere il bottone nella identica posizione; la scala D permette all’ apparecchio L di scorrere per fissare il bottone G nel punto determinato. In tal guisa una ricerca miografica si rende più esatta che con altri apparecchi simili; e quando si consideri, che nelle osservazioni cliniche bisogna prima d'ogni altro, che gli appa- recchi corrispondano allo scopo, e permettano di eseguire con rigore scientifico le volute ricerche, ciò mi fa sperare che que- sto miogratfo verrà adottato. Il prezzo stesso di L. 25 lo rende anche preferibile per la parte economica. Pisa, Novembre 1888. 4 Dott. DANTE BERTELLI DISSETTORE NELL'ISTITUTO ANATOMICO DELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA SD IL MUSCOLO TEMPORALE SUPERFICIALE Sappey (4) ha descritto per il primo, nella metà anteriore della regione temporale, un muscolo pellicciaio che chiamò tem- porale superficiale. Tillaux (2) ricorda il muscolo temporale su- perficiale nel descrivere la regione della tempia. Di questo muscolo studiai la morfologia ed oggi espongo il resultato delle mie indagini. Le pallide e scarse fibre muscolari comprese fra la fascia superficiale e l’aponevrosi epicranica, che trovansi nella regione temporale, mal si scorgono, il più delle volte ad occhio nudo, specialmente negli individui emaciati e siccome è questa la con- dizione ordinaria del nostro materiale di studio, escogitai varii metodi per mettere bene in evidenza tali fibre, pur conservan- dole nei loro rapporti naturali. Ecco il metodo che mi ha dato i migliori resultati. Nella parte laterale della testa, esagerando un po’ i limiti della re- gione temporale, toglievo, con la massima cautela, pelle e fascia superficiale. Quindi asportavo l’ aponevrosi epicranica e insieme a questa, il padiglione dell’ orecchio. Sulla faccia esterna della aponevrosi epicranica restavano così le fibre dei muscoli auri- (1) Sappey Ph. C. — Traite d’ Anatomie descriptive. Paris, 1876. (£) Tillaux P. — Traité d’ Anatomie topographique. ‘Paris, 1884. MUSCOLO TEMPORALE SUPERFICIALE 105 colari anteriore e superiore e le fibre più esterne del muscolo frontale. Lavavo bene il preparato e lo mettevo in una solu- zione acquosa di glicerina (2 volumi di glicerina, 1 di acqua) dalla quale lo toglievo dopo 15 giorni; lo asciugavo, lo ponevo per circa un'ora in acido picro-solforico e l’attaccavo quindi su lastra tersissima di vetro. Dopo qualche giorno, in un campo giallognolo splendente fatto dall’ aponevrosi epicranica, si ve- devano rilevare le esili fibre muscolari aventi un colore giallo e delle fibre potevasi benissimo, ad occhio nudo, seguire il de- corso. Di tutti i metodi razionali usati, niuno corrispose bene come questo che mi suggerì una fortunata combinazione. Mostro i preparati dai quali tolsi le figure che accompagnano il lavoro, per provare la bontà di questo metodo e la esattezza nella riproduzione delle figure. Ho potuto così constatare che non esiste un muscolo tempo- rale superficiale, ma che le fibre muscolari descritte con questo nome appartengono al muscolo auricolare anteriore e che rara- mente prendono origine nella metà anteriore della regione tem- porale anche pochi fascetti dell’auricolare superiore che sono i più alti della porzione anteriore di questo muscolo. Anche lasciando il preparato in sito si scorgono, in soggetti vigososi, le fibre dei muscoli pellicciaii della regione temporale, ma nemmeno in questi casi, eccezionalmente favorevoli, si potrebbe bene stu- diare il decorso dei fascetti muscolari. L’auricolare anteriore, organo rudimentario, è soggetto emi- nentemente a variare; varia in modo speciale la sua estensione. Studiai l’ auricolare anteriore prima ‘in individui a sistema muscolare bene sviluppato; in tale condizione l’ auricolare an- teriore presenta svariate disposizioni che mettonsi bene in evi- denza preparando il muscolo col metodo sopra riferito. Serven- domi di questo metodo potei osservare le fibre dell’ auricolare anteriore sorgere dall’aponevrosi epicranica in corrispondenza del margine esterno del muscolo frontale e di qui, convergendo, recarsi verso la spina dell’elice (fig. I). Dell’ auricolare anteriore osservai anche la seguente varietà. I fascetti di questo muscolo nascono sull’aponevrosi epicranica in una linea che prende origine al livello del punto ove si in- seriscono in alto le fibre più esterne del muscolo frontale, si dirige verso l'interno descrivendo una leggera curva concava 106 D. BERTELLI superiormente. Circa la metà posteriore delle fibre costituenti l'auricolare anteriore si dirige quasi verticalmente in basso, verso la spina dell’elice. Le altre fibre decorrono parallele a quelle del muscolo frontale e con questo formano un muscolo continuo; arrivate circa al terzo anteriore del margine esterno del frontale si staccano da questo muscolo e si ripiegano descri- vendo una curva a convessità anteriore, scendono quindi in basso verso la spina dell’ elice, con decorso un po’ obliquo dal- l’avanti all’ indietro (fig. II). Tale disposizione fu descritta da Cruveilhier (3). Il Ruge (4) nel lavoro “ Sulla muscolatura della faccia nei Primati , disegna alla figura 64 una varietà dell’ auricolare an- teriore nell’ uomo, la quale assomiglia a quella che ho fatto ri- produrre alla figura II. Questa disposizione mostra come pos- sano appartenere all’auricolare anteriore anche fasci i quali hanno direzione diversa da quella descritta dagli autori. Stu- diando l'auricolare anteriore sul cadavere o in preparati secchi mal riusciti è facile non potere dimostrare la continuità dei fasci paralleli al muscolo frontale con quelli che scendono obliqua- mente dall’avanti all’ indietro (come è seguito a me nei primi tentativi di preparazione); allora sarebbero nella metà ante- riore della regione temporale, fasci di fibre muscolari, per spie- gare il significato morfologico dei quali, saremmo certamente condotti ad erronee interpetrazioni. Raramente avviene che, essendo gli auricolari anteriore e superiore bene sviluppati, nascano nella metà anteriore della regione temporale anthe alcuni fascetti delle fibre più anteriori e più alte dell’auricolare superiore, diretti un po’ obliquamente dall’innanzi all'indietro. } Quando i muscoli auricolare anteriore ed auricolare supe- riore sono bene sviluppati abbiamo adunque che lo strato mu- scolare sottocutaneo della metà anteriore della tempia è costi- tuito dall’auricolare anteriore e talvolta da piccola porzione dell’ auricolare superiore. Quando i muscoli auricolari anteriore e superiore sono poco (*) Cruveilhier I. — Traité d’Anatomie descriptive. Paris, 1862. (4) Ruge G. — Untersuchungen ‘iiber die Gesichtsmuskulatur der Primaten. Leipzig, 1887. i 3 MUSCOLO TEMPORALE SUPERFICIALE 107 sviluppati (fig. III), anche preparandoli come sopra ho esposto o facendo ricerche microscopiche, non si scorgono nella metà an- teriore della tempia fibre muscolari in contiguità dei muscoli frontale ed orbicolare delle palpebre, limiti immutabili, secondo Sappey, superiore ed anteriore del così detto muscolo temporale superficiale. È vero che spesso in continuità ed in vicinanza dei sopra ricordati muscoli (pure essendo gli auricolari anteriore e superiore poco sviluppati) si scorgono alcuni fascetti muscolari (fig. II); ma questi si staccano dal margine esterno del muscolo frontale nella sua metà anteriore, si espandono nella regione temporale e vanno a formare le fibre più esterne del muscolo orbicolare delle palpebre. Io non starò qui a ricercare il diverso grado di sviluppo dell’auricolare anteriore e quale veramente è la sua disposi- zione ordinaria, tali questioni formeranno il tema di nuove ri- cerche; ora mi basta di avere mostrato e descritto disposizioni valevoli a risolvere il quesito che mi sono posto in questo lavoro. A convalidare la osservazione diretta vengono in sussidio anche ragioni di anatomia comparata. Che l'auricolare anteriore sì spinga non raramente fino al margine esterno del muscolo frontale e che si confonda talvolta con questo muscolo, occu- pando così molta parte della metà anteriore della tempia, non deve recare meraviglia. In queste disposizioni abbiamo il ritorno a forme che si riscontrano normali in vertebrati superiori. La unione del muscolo auricolare anteriore, afferma Gegen- baur (?), col muscolo frontale si presenta assai manifesta in molti mammiferi. Nelle prosimie e nella maggior parte di scimmie, l’ auricolare anteriore costituisce con il muscolo fron- tale un solo muscolo, il muscolo auricolo-frontale. Per tutte queste ragioni mi pare di potere senza tema con- cludere; che non esiste nell’ uomo un muscolo temporale super- ficiale; che le fibre muscolari descritte con questo nome non sono altro che il seguito di quelle del muscolo auricolare an- teriore e, raramente, piccola porzione del muscolo auricolare superiore. (*) Gegenbaur C. — Traité d’ Anatomie humaine traduit par Ch. Julin. Pa-- ris, 1888. 108 D. BERTELLI — MUSCOLO TEMPORALE SUPERFICIALE — Tillaux (6) dice che le fibre costituenti il muscolo superficiale sono state trovate liscie da Sappey. Io non i tuto constatare ove Sappey faccia questa affermazione, in o; modo ho voluto esaminare. moltissime volte le fibre del c detto muscolo temporale superficiale ed ho sempre verificato che sono striate come quelle costituenti il resto dei muscoli ur co lare anteriore ed auricolare superiore. (0) Loc. cit. E { | SPIEGAZIONE DELLE FIGURE r î Muscolo frontale. , auricolare anteriore. 3 sn Superiore. Muscolo frontale. — $ orbicolare delle palpebre. $ auricolare anteriore. 4 È st superiore. L. BUSATTI SULLA LEERZOE A DI ROCCA DI SILLANO (MONTE CASTELLI) E ROSIGNANO (MONTI LIVORNESI) Dopo la scoperta nelle formazioni ofiolitiche dell’ Appennino ligure della lherzolite, studiata dal prof. Cossa (!) e dall’ ing. Mattirolo (?), ne fu intraveduta la presenza anche nelle masse serpentinose toscane dall’ ing. Lotti (*), che la rinvenne infatti tra le roccie serpentinose terziarie di Monte Castelli e dei monti di Livorno. Lo studio da me eseguito di alcune tra queste roc- cie convalidò il ritrovamento (4). Oggi do la descrizione mine- ralogica più particolareggiata della lherzolite che si trova in ammassi inclusi, inglobati entro la più tipica serpentina delle dette località toscane. * Lherzolite di Rocca di Sillano. Caratteri macroscopici. — Nelle parti superficiali più esposte agli agenti atmosferici la roccia colpisce per la sua ru- videzza e scabrosità, impartitele dai materiali costituenti, parte (1) L. Mazzuoli — Nota sulle formazioni ofiolitiche della valle del Penna nell’ Ap- pennino ligure. Bollett. Comit. geol. d’Italia. N.0 11-12, pag. 394, Roma 1884. (©) E. Mattirolo — Intorno ad alcune roccie della valle del Penna nell'Appennino ligure. Acc. dei Lincei, Rendic. — Vol. II, fasc. 13-14, Roma 1386. (8) Bollett. Comit. geolog. d’Italia, N.0 3-4, pag. 136, Roma 1887. (® L. Busatti — Studi petrografici. Proc. verb. d. Soc. Tose. Scienze Natur. Vol. V, pag. 246, Pisa 1887. SULLA LHERZOLITE DI ROCCA SILLANO DI ECC. nil dei quali essendo meno soggetti ad alterarsi vi rimangono ade- renti in forma di bitorzoli; questi quasi per intero ho verificato essere formati da enstatite. Il colore ocraceo domina per tutta la superficie della roccia ed in alcuni punti questa colorazione, dovuta a formazione di idrossido di ferro, penetra un po’ a dentro. Nelle parti interne dominano i colori foschi ed in quelle più fresche i colori verdi. In quest’ultimo modo sono colorati di preferenza i campioni di roccia nei quali è stata riconosciuta abbondante produzione di minerali secondari. Riguardo alla struttura della roccia dirò che solo in appa- renza è omogenea, chè attentamente esaminata si vede risul- tare da più elementi formanti un aggregato granulare. Con l’aiuto della semplice lente vi si possono scorgere e separare dei granuli verdolini, che per il modo loro di comportarsi al cannello ferruminatorio, coll’acido cloridrico e per le reazioni che danno, si determinano con sicurezza per peridoto (olivina). Qua e là sono pure disseminati nella roccia cristalletti di en- statite che vi spiccano per la loro grandezza, per diversa into- nazione di verde e per un certo splendore un po’ vitreo che posseggono. i Questi cristalletti hanno struttura fibroso-lamellare, abito prismatico ma senza alcuna terminazione. Se ne ottengono la- minette nel senso della loro maggiore estensione, ed il colore varia in esse dal bianco sudicio al verdolino. Sono inattaccabili dall’acido cloridrico diluito e concentrato. Nel sal borace pic- cole scheggie si sciolgono completamente. Aumentandone la quantità la perla si colora in gialliccio a caldo ed in verdolino a freddo: nella fiamma riducente la perla si colorisce più in- tensamente in verde sì a caldo che a freddo. Con il cannello or- dinario, adoprando per sorgente di calore il gas-luce ed il dardo di più elevata temperatura, le laminette dei cristalli di ensta- tite o non si fondono affatto o sono appena fusibili nei bordi o si fondono in piccola capocchia: tale differenza è in relazione costantemente con la grossezza delle lamine sottoposte all’ espe- rimento. Spesso occorre la lente per apprezzarne le differenze. Nell esperimentare la durezza di queste laminette ho incontrato delle difficoltà che non mi hanno concesso risultati soddisfacen- tissimi, nullameno posso ritenere che essa è intorno al 5 ( scala di Mohs). 112 L. BUSATTI Caratteri microscopici. — In sezioni sottili la roccia sì presenta formata da un insieme di minerali cristallizzati, con struttura ipidiomorfa. Tra essi minerali sono predominanti il peridoto (olivina) e l’enstatite: il primo quasi sempre . in foggia di granuli, il secondo in grandi sezioni cristalline por- firicamente disseminato. Il diallagio è pure costante, ma non abbondante; così è della picotite. A questi minerali vanno uniti prodotti secondari che sono: serpentino, bastite, ma- gnetite, limonite che enumero in ordine alla loro frequenza, la quale poi per ciascuno di essi è in relazione al grado di più o meno avanzata alterazione della roccia. Ecco come si presentano tutti questi minerali se si studiano separatamente l’uno dall’altro. Peridoto. — Si presenta con tutti i suoi caratteri speci: fici: sagrinatura, rilievo, con vivacissimi colori di interferenza ed è scolorito affatto. Se ne hanno delle sezioni di cristalli; più spesso è in granuli a dimensioni variabilissime e per lo più rotondeggianti. Essi granuli sono ora più ora meno, ma sempre, alterati in serpentino, e se l'alterazione è molto avanzata essi sembrano come immersi nello stesso prodotto di alterazione al quale hanno dato origine. i Tra i due nicol chiaramente si vede come i piccoli granuli siano il residuo di altri maggiori, dai quali i primi appaiono come scissi e separati per venule serpentinose, le quali trag- gono principio da piccole fenditure che qua e là si originano a causa dell’'alterazione che ha subìto il peridoto. Ciò è con- fermato dall’ estinzione simultanea che essi granuli danno. Anzi in alcune parti della roccia, ove è solo incipiente la formazione serpentinosa, piccole venule irregolari di questo prodotto se- condario tengono così poco allontanate parti dei cristalli di peridoto che si può intravedere di questo la forma originaria. Si possono anche osservare sezioni cristalline esagone comple- tissime: però i contorni smangiati non permettono la misura degli angoli piani, nè si può quindi asserire con quali faccie si abbia a che fare. Certamente alcune sezioni sono state pro- dotte con taglio parallelo alla faccia 001 (p) od alla 100 (94); come lo dimostrano le figure d'interferenza che a luce conver- gente possiamo intravedere in esse sezioni (1). (3) Considerando il piano degli assi ottici parallelo a 010 (h'): il primo indice dei simboli di Miller si riferisce al macroasse. — Non tengo conto dello studio a luce polarizzata convergente, perchè le sezioni non si sono prestate a sufficienza. SULLA LHERZOLITE DI ROCCA DI SILLANO ECC. 113 Enstatite. — L'’ enstatite si presenta in grandi cristalli trasparentissimi, incolori ed a foggia di lamine molto espanse, le quali sono solcate da minute strie, ora ravvicinate ora di- sgiunte, fra loro parallele. Queste sono dovute ad una delle sfaldature (110), (010), (100) più o meno facili che si hanno in questo minerale, e che possono manifestarsi a seconda del modo con il quale è prodotto il taglio. Hanno aspetto un po’ madreperlaceo se le sezioni di ensta- tite si osservano per riflessione. Hanno rilievo assai forte, ma per tutti gli altri caratteri si distinguono sempre dal peridoto, anche se piccole porzioni di enstatite rimangono smembrate dai grossi cristalli o si ritrovino tra i prodotti secondari. Nei casi nei quali alla prima osservazione rimaneva un po’ incerto se si avesse a fare con granuli di peridoto o laminette di ensta- tite, mi sono valso degli ammaestramenti che danno Fouquè e Lévy (?) per distinguere l'una dall’altra queste due specie. Estinzione parallela alla fibrosità delle lamine. Però non è uniforme per tutta l'estensione in alcune lamine, le quali, invece di essere molto allargate ed espanse, sono allungate secondo £ (c). Le colonnette per così dire, nelle quali si risolvono a luce po- larizzata questi cristalli, parte si estinguono come minerale tri- metrico a 0° e 90°, altre prendono un contegno diverso e la estinzione vi avviene ad angolo generalmente piccolo. Questo fenomeno va riferito all’ accrescimento simultaneo dell’ enstatite con pirosseno monoclino. Colori di polarizzazione vivaci con tuoni gialli ed azzurro- gnoli. I cristalli sono spesso screpolati e rotti: ciò è spiegabile con le contorsioni che i cristalli, ad evidenza, ci mostrano di avere subìto. Le inclusioni nell’ enstatite, certamente non frequenti, con- sistono in piccole masse granulari per la massima parte opache e nere. A queste massarelle manca una vera lucentezza me- tallica, non hanno riflessi azzurrastri, sì bene roseo-violacei. In aleune ristrette porzioni dei bordi queste masserelle godono di un certo grado di translucidità. Per questi caratteri, per la ubicazione loro, per il modo di disporsi in certo aggruppamento regolare ed anche allineate fra loro, escludo che esse inclusioni (3) Minéralogie micrographique. Paris 1879, pag. 392. 114 | I. BUSATTI siano di magnetite o di picotite o di qualche solfuro metallico. Tra le sostanze, alle quali con una certa probabilità mi sembra che esse inclusioni possano riportarsi, è alla cromite, la quale è stata già riconosciuta sotto forma d’ inclusioni nell’ enstatite (1). Nelle lherzoliti la cromite è minerale assai frequente e si sosti- tuisce alla picotite nella Iherzolite di Locana in Piemonte (2). Altre inclusioni non ho visto: nemmeno di quelle che hanno natura incerta, che pur son descritte da alcuni autori e che si ritrovano nell’ enstatite ed iperstene. I prodotti d’alterazione dell’ enstatite sono la bastite ed il serpentino. Lì descriverò più avanti parlando di questo ultimo minerale. Diallagio. — Dalle preparazioni esaminate risulta trovarsi questo minerale indifferentemente sparso nella roccia; è ab- bondante in alcune parti ed in altre no. Le sezioni dei suoi cristalli sono senza colore e non danno alcun segno di poli- eroismo; non hanno contorni poliedrici e generalmente sono ben distinte e limitate dagli altri minerali che spesso le cir- condano. In molte sezioni si scorgono nettissime le, strie che accennano alla facile separazione delle lamine di diallagio in piani paralleli a 100 (4'): sono sottili, più o meno ravvici- nate e parallele. Queste sezioni cristalline sono a un dipresso nel senso dell’ asse # (c) e cadenti in diversi piani della zona [100 : 010] (41 94). Tanto l'estinzione quanto gli altri caratteri che si riscontrano sulle faccie, concorrono a farci riconoscere con quali di esse Si abbia a che fare nei diversi cristalli, o più verosimilmente a quali delle due faccie pinacoidali si avvicini la sezione, giacchè il taglio non mai cade perfettamente parallelo alla 100 e alla 010. Infatti l'estinzione, che si ha ad angolo oscillante tra 35°-45° su di alcune sezioni prendendo per punto di partenza (traccia) le strie corrispondenti alle lamine di separazione, ci conferma che siamo in piani pressochè paralleli alla faccia 010. È su queste faccie del diallagio, negli spazi compresi fra stria e stria, che si veggono interposti speciali corpiciattoli, che hanno (1) Rosenbusch — Physiograph. der Miner. u. Gesteine. Stuttgart, 1885. Bd. I, p. 396. (£) A. Cossa — Ricerche chimiche e microscopiche su roccie e minerali q Italia. pag. 101, Torino 1881. 0 Cha tt piana SULLA LHERZOLITE DI ROCCA DI SILLANO ECC. 115 apparenza d’inclusioni e sono allineati tra loro. Per la forma sono: allungati, rotondi ed alcuni fusiformi. — Se al contrario studiamo l'estinzione che si ha in altri cristalli oscillante da 4°-15°, essa ci indica che a preferenza ci approssimiamo colla sezione alla faccia 100. A confermarlo vi sono anche i detti corpiciattoli in forma più espansa e che sembrano come ripo- santi sopra questa stessa faccia (100), la quale poi ha un aspetto affatto differente dalla 010 anche per un certo corru- scamento dovuto a sovrapposizione di laminette fibrose. Rare le sezioni cristalline perpendicolari alla zona di allun- gamento [100 : 010]. Tuttavia ve se ne possono studiare alcune che sono più o meno inclinate sopra 2 (c). A conferma di questo vi si veggono le strie dovute alla sfaldatura prismatica (110), e che sono bene appariscenti in qualche cristallo concorrendo esse ad angolo di poco differente da 87°, come risulta da al- cune misure. Sulla presenza dei corpiciattoli sopra ricordati, che non sono del resto molto abbondanti, null'altro posso aggiungere. Molti autori ricordano nel diallagio inclusioni di laminette e di mi- croliti speciali, ma la natura loro non sembra ancora bene de- finita. Il Mattirolo cita tra le lamine del diallagio nella lher- zolite della Valle del Penna (!) “ spalmature esilissime a con- torno non ben definito, di color bruno chiaro, policroiche ,. I nostri corpiciattoli, mentre vi si potrebbero ravvicinare per il colore, non godono però l’ultima proprietà di essere cioè po- licroici. Si ha anche spesso l'associazione per accrescimento paral- lelo del diallagio a pirosseno trimetrico, ma ne è reso difficile lo studio per le sezioni poco adatte a farci apprezzare l’ alter- nanza dell'estinzione nei due minerali di differente cristalliz- zazione. L'alterazione in serpentino del diallagio è evidentissima in alcuni cristalli, ma non è frequente. Essa attacca i piani di sfaldatura distribuendosi irregolarmente e spesso in venule. Il serpentino di queste venule talune volte non è che crisotilo: è di colore verdolino e minutissimamente fibroso. Il diallagio fu da me riconosciuto tra i minerali che ri- (1) E. Mattirolo — Memor. cit. Sc. Nat. Vol. X. 8 116 Î. BUSATTI mangono indietro dopo trattamento della roccia con acido clo- ridrico. Di esso ho pure provata la fusibilità con i mezzi usati per esperimentarla nell’enstatite: piccolissime scheggie verdo- line fondono assai facilmente in vetro un po’ trasparente. Nel borace comportamento come l’enstatite. Picotite. — Riferisco alla picotite una sostanza per nulla attaccabile dagli acidi, e che dalle sezioni esaminate risulta trovarsi nelle nostre rocce come inclusa tra gli altri minerali. È in masserelle, raramente granuliformi, di dimengioni varia- bili a contorni sinuosi, non mai regolari. Il colore ne è nero nelle porzioni opache e bruno-giallastro nelle sezioni che per la loro sottigliezza si rendono trasparenti. Queste sezioni si com- portano perfettamente come minerale monometrico. È somi- gliantissima questa picotite a quella, che pure ho esaminato di alcune lherzoliti dei Pirenei. Questo minerale è stato riconosciuto anche nel residuo che lascia la roccia dopo averla trattata con acido cloridrico. Si presenta in piccolissimi frammenti neri, che nella perla boracica dopo lungo tempo si fondono, colorandola, specialmente a fred- do, in un bel verde erba. i Serpentino. — Frequentissimo come prodotto di origine secondaria si osserva nelle sezioni esaminate. Esso. mostra sempre la sua primitiva origine, sia che derivi dal peridoto, sia dall’ enstatite o dal diallagio, come già ho notato descrivendo questi minerali. La metamorfosi del peridoto in serpentino avviene, per quanto ho osservato, in questo modo. Da prima sono piccole screpolature che attraversano i cristalli, e che man mano si in- grossano, si riuniscono, si stringono a maglie, anastomizzandosi per così dire, e dando luogo al tanto caratteristico reticolato del serpentino che si presenta come settato, concamerato. Il reticolato internamente racchiude sempre noccioli o granuli, che dir si vogliano, di peridoto. Spesso essi non ci rappresen- tano che il residuo di cristalli o porzioni maggiori del peri- doto (come ho già dimostrato descrivendo quest’ ultimo mi- nerale) che fu primieramente attaccato dagli agenti i quali ne iniziarono la metamorfosi in serpentino. Nell'enstatite la serpentinizzazione incomincia a manifestarsi per un cambiamento di colore. Le lamine di esso minerale da TETI TATE" SULLA LHERZOLITE DI ROCCA DI SILLANO ECC. 117 trasparenti quasi incolori, divengono verdognole, ed il loro can- giamento di colore è accompagnato da produzione di fibre fit- tissime, minutissime che attraversano per lo lungo tutta la la- mina di enstatite. Si ha in questa trasformazione un insieme di caratteri per farci ritenere che si abbia a che fare con un minerale di nuova generazione, che verosimilmente possiamo ritenere per bastite. Anche nella Iherzolite alterata della valle del Penna nell'Appennino ligure (*) è stata descritta questa tra- sformazione. Ora se l'alterazione procede ulteriormente, come infatti più spesso avviene, se ne genera il serpentino con tali caratteri però che presto lo fanno distinguere dall'altro serpen- tino epigenico del peridoto. E a differenza del reticolato tanto caratteristico il serpentino si presenta invece a strisce a bande per tutta la lunghezza delle lamine cristalline di enstatite, nelle quali anche di tanto in tanto le vene serpentinose si di- spongono trasversalmente. Ultimo resultato è spesso la produ- zione di lamine espanse di serpentino. Anche dal diallagio si genera serpentino come ho detto de- scrivendo quel minerale, ma in modo ristretto e limitato. Bastite. — Questa specie non è che lo stadio intermedio di alterazione dell’enstatite in serpentino. Ne ho parlato giù descrivendo il processo di serpentinizzazione della roccia e poco posso aggiungere. Le lamine cristalline che si hanno di essa specie sfumano per così dire nel serpentino che le include con gradazioni insensibili, e nelle porzioni ove la serpentinizzazione non progredisce ulteriormente si differenziano bene dall’ ensta- tite, del qual minerale esse non sono che un residuo. Si rico- noscono infatti sia per la colorazione verde e per il pleocroismo che hanno, sia anche perchè nella bastite le fibre sono più fini e serrate le une colle altre per tutta la estensione delle lamine. Conservano spesso il carattere della contorsione, già notato nelle lamine enstatitiche, dalle quali sempre, ripeto, traggono loro origine. Estinzione rettangolare perfetta: a 0° e 90°. Pleocroismo debole, sempre rimanendo nella colorazione verdastra. Questo minerale secondario manca in alcune sezioni esami- nate: così è della magnetite che ora descrivo. (1) E. Mattirolo — Memor. cit. 118 L. BUSATTI Magnetite. — È in massarelle, raramente in forme den- dritiche: è di color bruno e sempre secondaria. Si annida pre- feribilmente entro ed intorno le venule serpentinose. È abbon- dante specialmente ove la roccia è alterata. Limonite. — Sono diffusioni di questo prodotto seconda- rio, color ruggine chiaro, che si distendono lungo il reticolato serpentinoso. Caratteri chimici. — La roccia trattata con acido clori- drico si scompone in parte e gelatinizza. Con alcune ricerche chimiche qualitative vi ho accertata la presenza di nichelio e di cromo. Non vi ho ritrovato acido fosforico, nè ebbi mai indizio di svolgimento di solfuro idrico. Nel residuo insolubile, ottenuto dopo trattamento della roccia coll’ acido cloridrico ho constatato non più tracce ma vera presenza di cromo; esso re- siduo, dopo essere stato convenientemente trattato per trasfor- mare la silice gelatinosa nello stato anidro, fu attaccato con bisolfato potassico. Le reazioni che attestano l'abbondanza del cromo nel resi- duo non sono da attribuirsi solamente alla presenza in questo di picotite ed alle inclusioni di cromite, ma anche ai pirosseni, enstatite cioè e diallagio. Ciò è confermato anche dal colore che i detti minerali comunicano alla perla boracica, colore che indubbiamente sa di cromo. La presenza poi di questo nella porzione di roccia solubile nell’ acido cloridrico è spiegata quando sì pensi che riconosciuti cromiferi i pirosseni, questi nello stato di alterazione in cui si trovano possono facilmente aver lasciato libero dell’ossido di cromo nella roccia in forma di pigmento il quale forse ci sfugge nell'analisi microscopica, ma che sap- piamo essere solubile in parte negli acidi. In un campione di roccia che le sezioni sottili hanno mo- strato molto serpentinizzata, la perdita ottenuta per calcina- zione ha raggiunto l’8 per cento: numero superiore a quello ottenuto in altre prove per altri campioni. Peso specifico. —- Il peso specifico della roccia varia da 2,88 a 2,92 a seconda degli esemplari, nei quali è stato de- terminato. Cs diri met dm SULLA LHERZOLITE DI ROCCA DI SILLANO ECC. 119 Lherzolite di Rosignano. Per. tutti i caratteri, macroscopici e chimici, conviene a questa roccia quanto ho già descritto per quella di Rocca di Sillano. Lo stesso si dica per i minerali essenziali costituenti di essa. Le poche differenze sono presto notate quando si è detto che i prodotti secondari, specialmente il serpentino, sono con- stantemente più abbondanti, e che ad essi se ne aggiunge un quinto, che è la silice. Questo non toglie però che anche la roccia di Rosignano non la si possa classificare per lherzolite. Forse avuto riguardo al grado avanzato di serpentinizzazione si potrebbe chiamare una Iherzolite serpentinizzata. Anche la; perdita per calcinazione cresce in questa lherzolite, e raggiunge in un campione il 9,48 per cento. Il peso specifico diminuisce in questa roccia, e varia da 2, 76 a 2,89. La silice tra i due nicol si presenta con aspetto di silice calcedoniosa, modellantesi in nidi fra il principalissimo prodotto secondario il serpentino, od intromettendosi in foggia di piccole vene tra esso e gli altri minerali. É spesso un po’ nebulosa os- servata a luce naturale. La magnetite è in realtà molto più abbondante nella roccia di Rosignano. Ed oltrechè in massarelle, in agglomerazioni nelle venule del serpentino, nelle parti periferiche delle quali prefe- ribilmente si dispone, la magnetite si ritrova nello stesso pe- ridoto sotto forma di punteggiature, le quali in alcuni noccioli di esso sono talmente fitte, che sembrano sostituirvisi comple- tamente. L'accumulamento di magnetite preferibilmente si nota in alcune plaghe di preparazioni osservate, nelle quali la serpen- tinizzazione è giunta al completo e dove si annida la silice cal- cedoniosa. Possiamo renderci ragione di questo concentramento di magnetite ripensando alle alterazioni, le quali già iniziatesi nell’olivina, ulteriormente progredirono man mano che si libe- rava dal peridoto il silicato ferroso. Come si spiega infatti la presenza della magnetite nel serpentino, di macchie gialle di idrossido di ferro nei serpentini alterati ed in questi gli accu- 120 L. BUSATTI — SULLA LHERZOLITE ECC. mulamenti di silice, ora opalina ora calcedoniosa, è noto. Non resta altro ad avvertire che il serpentino a luce naturale ap- pare di un bel color verde erba, ove è grande quantità di ma- gnetite, e che vi mancano, fatta qualche rara eccezione, le consuete diffusioni di idrossido di ferro, che per il solito comuni- cano al serpentino stesso colorazione gialliccia e verde-sporca. La constatazione della presenza di lherzolite fra le rocce serpentinose terziarie di Monte Castelli e dei monti di Livorno contribuisce a generalizzare il fatto, già ammesso dai più, che cioè la massima parte delle nostre masse serpentinose trag- gano loro orîgine da rocce peridotiche non solo, ma che si possa come nel nostro caso, accertarsi della vera roccia primitiva ori- ginaria, la quale per successiva idratazione si è trasformata in serpentina. Le poche differenze dalla composizione tipica della lherzolite, che si possono esaminare nei vari campioni di rocce delle due sopradette località toscane confermano questo modo di vedere. Esse infatti si riferiscono solo alla proporzione mag- giore o minore dei minerali essenziali ed alla deficienza od abbondanza dei minerali secondari che nelle roccie stesse dai primi provengono, tanto più poi se si rifletta, che le accen- nate divergenze van ricercate ed attribuite al grado più o meno avanzato di alterazione, cui andò soggetta la roccia che pri- mitivamente non era che lherzolite, e che possono anco esse dif- ferenze essere in relazione col tempo più o meno lungo du- rante il quale agenti modificatori apportarono la loro azione alteratrice su roccie di uguale composizione. Questa trasforma- zione della lherzolite in serpentino per causa di azioni secon- darie, ripeto, proviene; in prima “linea dalla metamorfosi del peridoto, secondariamente dall’enstatite, più raramente e limi- tatamente del diallagio; che in tutti e tre i casi è sempre net- tamente distinto il modo di serpentinizzazione, sia perchè nei detti minerali non giunge mai al completo l’ alterazione, sia perchè il nuovo prodotto serpentinoso conserva tali caratteri, che sempre fanno conoscere da quali elementi della roccia ori- ginaria esso provenga. Pisa, dal Gabinetto mineralogico dell’ Università — Marzo, 1889. =_____aee——.. Leube-- unt <- «ft Fia. 1. FANTA SO 1 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA (Tav. IX.). aa arara — Sezione mostrante grossi noccioli di peridoto alterati in serpentino. — Loc. Rosignano. — Porzione di una larga lamina di enstatite (luce polarizzata). — Loc. Rosignano. . — Porzione di una larga lamina di enstatite, percorsa da fini strie fra loro ravvicinatissime, che caratterizzano la for- mazione di un nuovo minerale (bastite), dal quale si ge- nera poi il serpentino. — Loc. Rocca di Sillano. . — Sezione in cui si vede grande accumulamento di magnetite in una plaga serpentinosa che racchiude la silice calce- doniosa. — Loc. Rosignano. . — Grande cristallo di diallagio, nel quale si vedono persistere le strie dovute alla facile laminizzazione, e si ha eviden- tissima sfaldatura (110). — Loc. Rosignano. — Cristallo di diallagio sezionato pressochè parallelamente al clinopinacoide. — Loc. Rocca di Sillano. — Lamina di bastite a fibre contorte rappresentanteci un re- siduo di grande cristallo di enstatite. — Loc. Rocca di Sillano. MIL NN SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO ED IN ALCUNI MAMMIFERI RICERCHE del Dott. GIULIO VALENTI 1.0 DISSETTORE ANATOMICO NELLA R. UNIVERSITÀ DI PISA I È più specialmente per la diversità dei resultati, ai quali son giunti i varj osservatori che si sono occupati dello sviluppo delle capsule surrenali, che ho voluto intraprendere alcune ri- cerche su tale argomento per tentare se, con questo mio con- tributo, benchè meschino, alla conoscenza di un fatto così poco conosciuto quanto importante, poteva almeno trovare le ragioni per cui su di esso sono stati emessi disparati giudizj. - Le principali questioni che si sono agitate sullo sviluppo delle capsule surrenali non solo riguardano, come è per tutti gli organi, l’ epoca ed il luogo della loro prima manifestazione, ma anche il modo di origine delle due sostanze (la sostanza corticale e la sostanza midollare) da cui resultano costituite, ed il modo di stabilirsi dei costanti e notevoli rapporti che esse hanno con il sistema nervoso del gran simpatico. In quanti varj modi sia stato risposto a tali questioni, non solo per dif- ferenti generi di animali ma anche per una stessa specie, ap- parirà chiaramente dalla esposizione delle principali ricerche già fatte in proposito, che cercherò di riassumere nel modo più conciso che mi sarà possibile prima di descrivere ciò che io n” y nie, ‘ G. VALENTI 123 stesso ho potuto osservare in alcuni embrioni di pollo (gallus domesticus) e di mammiferi, fra i quali ultimi ho avuto più specialmente a disposizione per il mio studio embrioni di co- | niglio (Vepus cuniculus) ed embrioni di porco (sus scropha). II. Prima degli studi di Franz LeypIe si ritenevano per capsule surrenali in molti vertebrati inferiori certi corpi cordoniformi di colore giallo ocra situati in mezzo o posteriormente ai reni, sebbene già Mutter (1) avesse notato doversi piuttosto ritenere nei Mirinoidi, come capsule surrenali alcune glandole racemose situate dietro alle branchie, ad ambedue i lati del cuore. Leypie (?), nello Seymnus lichia, nella Chimaera monstruosa, nella Torpedo Galvanii, nella Torpedo Narke e nella Raja batis, descrisse quei corpi cordoniformi prossimi ai reni come composti principal- mente di cellule adipose contenenti un nucleo chiaro e vessi- colare, ed asserì che non possono paragonarsi per nulla alle capsule surrenali dei mammiferi. Egli ritenne piuttosto che in quelli animali dovessero considerarsi come capsule surrenali dei corpiciattoli giallastri disposti metamericamente ai lati della colonna vertebrale, in intimo rapporto con i ganglj del sim- patico e con diversi vasi. Descrisse questi corpiciattoli di una forma rotondeggiante un poco allungata e composti di vessi- cole chiuse, piene di nuclei e cellule. I più anteriori, più svi- luppati degli altri, si trovano addossati all’arteria ascellare che nella 7. Narke ne è quasi completamente attorniata, e gli altri, che diminuiscono gradatamente di volume coll’avvicinarsi al- l'estremità caudale, poggiano sulle diramazioni laterali del- l’aorta. Tutti, ma più che gli altri gli anteriori, sono in intimo rapporto con i ganglj del simpatico e contengono numerosi ele- nenti gangliari. Perciò egli li considera come una parte del simpatico modificata nelle sue speciali proprietà. Prima che Leypi6 riconoscesse questi corpi come omologhi alle capsule sur- renali degli altri vertebrati, venivano essi descritti col nome (1) Jony MuLer — Vergl. Anatomie der Myxinoiden. Abhandl. d. Berl. Acad. 1835-45. (*) Franz Leypic — Beitrige zur mikroscopischen Anatomie und Entwicklungs- geschichte der Rochen und Haie. Leipzig, 1852, s. 71, 124 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO EC. di cuori accessori, e quelli in rapporto con l'arteria ascellare erano detti cuori ascellari. BaLrour (*), confermando le vedute di Lerpis riguardo al significato dei corpiciattoli metamericamente disposti sull’arteria ascellare e sulle diramazioni laterali del- l’aorta, descrive come facenti parte delle capsule surrenali negli elasmobranchi, oltre a questi, anche i corpi giallastri situati in mezzo ai reni, al cui insieme dà il nome di corpo interrenale (interrenal body), e dice che queste due forme molto probabil- mente si uniscono fra loro nei vertebrati superiori per dar luogo alle capsule surrenali di questi animali. Ha trovato che gli uni e gli altri sono provvisti di una capsula propria e che i corpi interrenali, oltre a cellule adipose, che più non appariscono nei preparati induriti, contengono delle cellule di una forma poli- gonale, mentre gli altri metamericamente disposti (2), nei quali la capsula propria manda internamente dei sepimenti provvisti di una ricca rete capillare, che li dividono imperfettamente in una serie di lobi, presentano una sostanza corticale ed una so- stanza midollare. La sostanza corticale è formata da cellule disposte in cordoni irregolari, e l’altra, più o meno distinta- mente distribuita fra gli alveoli, consta di cellule poligonali. Ambedue queste forme cellulari, la cui differenza secondo che egli dice non è una differenza essenziale, contengono un pro- toplasma giallastro e dei piccoli nuclei. Spesso l’ intiero cor- piciattolo è circondato parzialmente o completamente da tes- suto linfoide. Per le ricerche di Barrour vengono ben messi in evidenza i rapporti fra questi organi ed i ganglj del simpatico. Egli vide, in sezioni corrispondenti al punto di unione con il ganglio, che il corpo stesso è formato quasi esclusivamente da cellule gangliari e che ad esse si uniscono alcune fibre pro- venienti da quello. Conclude che negli elasmobranchi i corpi situati sulle diramazioni arteriose si originano insieme ai gan- gl} del simpatico da una stessa massa cellulare, per successiva differenziazione di questa in una parte gangliare ed in una parte glandolare, ed i corpi interrenali da cellule indifferenti del mesoblasto. (*) F. M. BaLrovr — Hand. der vergleichenden Embryologie. Jena, 1881. B. II s. 598. (£) F. M. BaLrovR — A monography on the development of Elasmobranch Fisches, London, 1878. p. 239, ss alzi Mn Me a eat G. VALENTI 125 Come nei pesci ora ricordati si ritenevano, avanti le osser- vazioni di Leypie, per capsule surrenali quei corpiciattoli gial- lastri situati in mezzo ai reni, che quell’autore considerò come semplici ammassi di grasso e Barrour come rappresentanti di parte delle capsule surrenali dei mammiferi, così negli anfibi e rettili si ritenevano per tali organi dei simili corpi giallastri, costituiti più specialmente da granulazioni grassose come già Ecxer (4) aveva osservato, situati immediatamente sopra i reni o sopra le vene renali, od anche sulle vene prossime all’ epi- didimo od all’ovaia. Di questi corpi il Deure Chiase (2) ne ha figurati da molto tempo sulle vene renali del Proteo serpentino. Ma Lewpis (), in seguito ad estese osservazioni in proposito, as- serì che essi rappresentano soltanto una parte delle capsule surrenali in quelli animali e descrisse l’altra da lui stesso sco- perta. Egli trovò nella Salamandra terrestris, nel Proteus anguineus e nella Lacerta agilis, dei corpi, varj alquanto nella forma in questi diversi animali, addossati alle vene vertebrali posteriori e per molti caratteri simili agli ammassi di granulazioni gras- sose situate in mezzo ai reni. Resultavano costituiti da grosse vessichette piene di cellule contenenti granulazioni di grasso ed un chiaro nucleo, ed erano in intimo rapporto con i ganglj nervosi del gran simpatico. Questi si mostravano costituiti da due specie di cellule fra loro differentissime, ed erano provvisti di un invoglio di tessuto connettivo che mandava internamente dei sepimenti per formare degli alveoli e delle grosse vessicole ove erano situate delle grandi cellule gangliari aventi un pro- toplasma chiaro o, alcune, finamente granuloso, un nucleo ves- sicolare ed un nucleolo molto trasparente. Altre cellule, molto più piccole e con protoplasma giallastro, si trovavano isolate completamente da queste e rinchiuse in speciali vessicole. Il rapporto quantitativo fra queste due specie di cellule variava nei diversi ganglj. In sezioni ove poteva vedersi l’ unione fra questi ed i corpi giallastri situati sopra le vene, si trovavano in gran quantità delle cellule di una forma intermedia fra le gangliari e quelle contenenti granulazioni grassose, in modo che (1) Ecner — Ueber der feineren Bau der Nebennieren. Braunschweig, 1846. (®) DeLre Carase — Ricerche anatomo-biologiche sul Proteo serpentino. Na- poli, 1840. (3) F. Levpia — Untersuchungen iiber Fische und Reptilen. Berlin, 1853, 126 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. appariva manifesto che le prime si cambiavano direttamente in queste ultime per trasformazione del loro contenuto. Braun (*) ha studiato più recentemente in alcuni rettili (Lacerta agilis, Anguis fragilis, Platydactylus facetanus, Tropidonotus natrix) le capsule surrenali. Egli ne fa un confronto con quegli organi rudimentali situati fra l’ epididimo ed il didimo o fra l’ovaja ed il paraovario, che secondo WarperEr (?) sono da ritenersi come resti dei corpi di Wolff. Vi distingue, in modo più chiaro di quello che avanti lui sia stato fatto, due sostanze; una so- . stanza dorsale ed una sostanza ventrale, che si differenziano fra loro principalmente perchè gli elementi della prima contengono una grande quantità di pigmento e sono frammisti a numerose cellule gangliari, mentre nella seconda si trova un sistema la- cunare simile a quello che secondo Ecger nei serpenti è da con- siderarsi come un terzo sistema della vena porta. Queste due sostanze, che si sviluppano quasi contemporaneamente ai solchi genitali, avrebbero una origine differente; la dorsale si svolge- rebbe dalle pareti della vena cava inferiore internamente agli organi segmentarj, e la ventrale da elementi che niente differi- scono, com’egli dice, delle cellule embrionali del simpatico, dalle quali più tardi si distinguono per colorarsi in scuro all’ azione dell'acido cromico. Così nei rettili, secondo le ricerche ora espo- ste, come nei pesci elasmobranchi, le capsule surrenali resultano di due parti, delle quali una si svolgerebbe dai ganglj del simpa- tico e l’ altra da cellule indifferenti del mesoderma. Queste due parti, sempre disgiunte negli elasmobranchi, si unirebbero fra loro nei rettili per costituire l’ una la parte dorsale e l’altra la parte ventrale di quegli organi. Ma le ultime ricerche praticate da Wklpov (3) modificherebbero alquanto queste vedute, poichè secondo quest’ autore lo sviluppo delle capsule surrenali è in intimo rapporto, anzichè con le pareti dei vasi adiacenti, con lo sviluppo dei corpi di Wolff e più specialmente con il Mesonefrio. (4) M. Braun — Bau und Entwick. der Nebennieren bei Reptilen. Arbeiten aus dem zoolog-zootomischen Institute in Wiirzburg. B. V. s. 1-30, Jahr 1879. — Zoolo- gischer Anzeiger, Jahrg. II, N. 27. s. 238-239. (®) VaLpevER — Eierstock und ei, Leipzig 1870. (£) WeLpon — Note on the Origin of the suprarenal Bodies of ,Vertebrates. Proceeding of the royal society. Vol. XXXVII. N.0 234. p. 422. Year 1884. — On the suprarenal bodies of Vertebrates. The quarterly journal of the microscop. science, Year 1884. p. 137-150, o_o Sa | lena tt de Ce d °. a LI Ù v G. VALENTI 127 Egli lo ha studiato nella Lacerta muralis e nel Pristiurus. Nella Lacerta ha trovato, al lato interno delle vessicole segmenta- rie, quando sono già unite per mezzo dei tubi segmentarj ai condotti di Wolff ed hanno formato, invaginandosi, i glomerali, un ispessimento cellulare che per proliferazione dà origine @ due processi istologicamente identici, dei quali uno si dirige dorsalmente fra il rene e la vena cardinale e l’altro ventral- mente penetrando nel solco genitale. Il processo ventrale in seguito origina la rete longitudinale del testicolo (Braun) e quello dorsale, che viene separato dal resto per numerosi e piccoli vasi venosi e si pone in rapporto con i prossimi gang]lj del sim- patico, rappresenta il rudimento della sostanza corticale delle capsule surrenali. Nel Pristiuro poi ha osservato che l’impari striscia mesoblastica situata alla radice del mesenterio, la quale secondo Barrour dà origine a questa sostanza corticale, si forma per una proliferazione dei tubi segmentarj. Tale proliferazione sì fa, prima della formazione dei glomeruli, verso la radice del mesenterio stesso, e presto la massa cellulare che ne resulta si rende libera e si salda con quella del lato opposto. Così WeLpox viene a negare che parte delle capsule surrenali si sviluppino dalle pareti degli adiacenti vasi come Braun aveva ammesso. I resultati di queste sue osservazioni ha potuto verificarli fon- damentalmente, come vedremo, in embrioni di pollo. Negli uccelli e nei mammiferi hanno proceduto molto più lentamente che nei vertebrati inferiori le cognizioni riflettenti lo sviluppo delle capsule surrenali. I Per le antiche osservazioni di Jony MurLer e di Remax (1) sullo sviluppo di questi organi, si è attribuito loro per molto tempo in questi animali una origine esclusivamente mesobla- stica. RewAx, che fu il primo a toglierli dalla categoria delle così dette glandole sanguigne, credette che si sviluppassero dalle estremità superiori di due cordoni nervosi, da lui scoperti e denominati nervi genitali, che appartengono al sistema del gran simpatico, al quale egli attribuiva una probabile origine dalle lamine laterali. In conseguenza di ciò le denominò g/andole ner- vose (Nervendriisen). Così nel pollo, secondo le sue osservazioni, (*) Remax —. Untersuchungen iiber die Entwickelung der Wirbelthiere, Ber- lin, 1855. 128 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. si avrebbe soltanto all’ 8.° giorno di incubazione la prima traccia di questi organi rappresentata da un accumulo di cellule gan- gliari situato in vicinanza dell’ estremità superiore dei ren? pri- mitivi, e tanto in intimo rapporto con questi che molto facil- mente, egli dice, si può essere indotti a credere che si origini dalla loro parte periferica. Tali cellule gangliari, dapprima omo- genee, si differenzierebbero poi per costituire la sostanza mi- dollare e la sostanza corticale, perchè le più periferiche si riem- piono di granulazioni grassose e si dispongono a cordoni cilin- drici, mentre che le ventrali conservano la loro natura gangliare. Le osservarioni di Brunn (!) però e di tutti gli altri che si sono occupati di quest'argomento stanno in disaccordo con le vedute di quest’ illustre embriologo. Brunx ha dimostrato per il primo che nel pollo all’ 8.° giorno di incubazione le capsule surrenali si presentano in uno stadio di sviluppo tanto avanzato da potere essere studiate anche macroscopicamente. Quest’autore le descrisse a quest’epoca come corpiciattoli grossi quanto semi di papavero situati la- teralmente all’aorta, all’altezza del terzo superiore dei reni primitivi e posteriormente ai reni permanenti. Questi corpi- ciattoli, esaminati sotto al microscopio in seguito a dissocia- zione, gli si mostrarono costituiti da una delicatissima rete di tessuto connettivo e da cordoni di cellule rotondeggianti, in generale più grosse dei comuni corpuscoli connettivali e più piccole delle cellule componenti i prossimi ganglj spinali, in mezzo alle quali si trovava qualche cellula gangliare. Fra questi elementi vide dei debolissimi fasci filamentosi, aventi l’ap- parenza di nervi, dei quali non accerta la natura. In em- brioni di 12 giorni egli descrive i corpiciattoli rappresentanti le capsule surrenali come composti di cellule fusiformi ed ap- plicati intimamente alle pareti dell’aorta. La loro prima ma- nifestazione ha potuto osservarla in embrioni di 5 giorni. In questi apparivano come piccoli ammassi cellulari situati» poco al disotto dell’ estremità superiore dei reni primitivi, in mezzo al connettivo embrionale che è al davanti dell'aorta. Le cel- lule, di cui resultavano, erano ben distinte dalle circostanti per (1) Brunn — Beitrag zur Kenntniss d. feineren Baues und d, Entw. d. Neben- nieren. Arch. fir mikr. Anat. B. VIII. s. 623. Mat, G. VALENTI 129 un maggior volume e per una più forte colorazione con il carminio, e si potevano vedere soltanto in 4 sezioni di uno stesso embrione. In embrioni di cane ad un epoca di sviluppo corrispondente a quella del pollo fra 1° 8.° ed il 12.° giorno, trovò Bruvnx gli stessi corpiciattoli costituiti da cellule rotondeg- gianti con nucleo bene evidente, privi di cellule gangliari o di cellule che a queste assomigliassero. In embrioni molto più avanzati ha notato la distinzione delle due sostanze che sta- vano fra loro nel seguente rapporto: Nelle sezioni più alte si mostrava la sola sostanza corticale formata da cellule roton- deggianti o poligonali, disposte a cordoni, con protoplasma fina- mente granuloso e nuclei ben manifesti; in sezioni ulteriori la sostanza midollare, mentre incominciava a manifestarsi, era com- pletamente circondata dalla sostanza corticale. Questa in basso andava sempre più diminuendo finchè all’ estremità inferiore dell'organo restava soltanto la sostanza midollare, che sempre più si faceva vicina alla vena cardinale finchè giungeva ad es- serne separata da un sottile strato connettivale. Era composta di cellule irregolarmente disposte, di forma allungata, con pro- toplasma chiaro e contorni ben netti. Dalle sue osservazioni Bruxx trae le seguenti conseguenze: — La prima manifestazione delle capsule surrenali nel pollo si ha fra la 96." e la 120.? ora d’incubazione e si origina da cellule indifferenti del foglietto embrionale medio, che sono in stretto rapporto con le pareti dei grossi vasi. — Le due sostanze nettamente differenziate fra loro in embrioni avanzati, non si formano da una stessa massa cellulare, ma da masse cellulari diverse, delle quali quella per la sostanza corticale si trova presso l’aorta e quella per la sostanza midollare presso la vena cardinale. KéLuixer (+) dice che le capsule surrenali negli uccelli e mam- miferi si originano, indipendentemente dagli organi vicini, dal tessuto embrionale situato al davanti dell’aorta in mezzo ai due corpi di Wolff, ed indietro al mesenterio primitivo. Ha potuto osservare nel coniglio, fra il 12.° ed il 13.° giorno di sviluppo, le prime traccie di questi organi costituite da accu- muli di grosse cellule rotonde, con alcune fusiformi interposte, (1) Kòruiger — Entwicklungsgeschichte d. Menschen u. d. Hoheren Thiere. Leipzig. 1879. s. 618 u. 953. 130 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. situati al davanti di un grande ganglio del simpatico. Queste cellule, egli dice, presto si dispongono a cordoni che si uniscono fra loro per formare una rete, mentre in mezzo alle cellule stesse sl insinua del connettivo con dei vasi. Al 16.° giorno egli ha veduto le due sostanze già distinte, non per una struttura fondamentalmente diversa, ma per un maggiore addensamento di cellule dalla parte inferiore o caudale. In alcuni embrioni della stessa epoca ha veduto unirsi le capsule surrenali per le loro estremità inferiori ed in mezzo alla parte saldata esistere un ganglio nervoso. In embrioni umani al 3.° mese ha potuto 0s- servare questi organi riuniti al davanti dell’ aorta per mezzo di una rete nervosa nella quale sì sperdevano i nervi splacnici. Non dice però fin da quale epoca di sviluppo si stabiliscono questi rapporti, e riguardo all’ origine delle capsule surrenali si limita ad asserire -che essa ha luogo da elementi mesoblastici, soggiungendo che forse in alcuni mammiferi (Bos) si fa dallo stesso tessuto embrionale che forma quella rete nervosa che poi le unisce. Mwsuxvri (1) estende ai mammiferi le già citate vedute di Braun sullo sviluppo delle capsule surrenali nei rettili. Le sue osservazioni tendono cioè a dimostrare che questi organi in parte (sostanza corticale) si originano dal mesoblasto ed in parte (sostanza midollare) dalla parte periferica del sistema del simpatico. È da notare che quest’autore, mentre descrive dal lato dorsale delle prime forme di questi organi un limite ben distinto dal tessuto -circostante, asserisce che dal lato ventrale ciò. non esiste egualmente. Gorrsczau (2) ha osservato in embrioni di coniglio, di pecora e di porco che le capsule surrenali si manifestano prima della comparsa dei ganglj del simpatico e si presentano primitiva- mente come un’ ispessimento delle pareti della vena cava a destra, e di quelle delle sue diramazioni (v. renale, v. sperma- tica) a sinistra. In seguito, le cellule. costituenti questi ispessi- menti si ordinano a gruppi, ed in mezzo ad esse penetrano (1) Mirsururi — On the Development of the Suprarenal Bodies in Mammalia. The quarterly journal of the microscop. science. Year 11882. p. 17-29. (2) GorrscH®au — Ueber Nebennieren der Siugethiere, speciell iiber die des Men- schen. Sitzungsber. d. phys.--med. Gesellsch. zu Wiirzburg. Jahrg. 1882. N. 4. s. 56-60. — Ueber die Nebennieren der Siugethiere. Biolog. Centralblatt. B. III. N. 18. ji ada ddt DA A - G. VALENTI 131 numerosi vasi ed alcuni filamenti nervosi provenienti dal sim» patico. Quando l'organo ha raggiunto un certo volume la di- sposizione delle cellule a gruppi si trova soltanto alla periferia, mentre quelle del centro sono disposte molto irregolarmente. Una vera differenziazione delle due sostanze non si osserva, secondo GortscHAv, che in un periodo molto avanzato, ed in certi casi solo dopo la nascita. Le sue osservazioni portano a negare la doppia origine delle capsule surrenali sia da cellule indiffe- renti del mesoblasto e dagli elementi del simpatico, che da due blastemi diversi del mesoblasto stesso. Secondo quest’ autore, tale differenziazione è dovuta semplicemente alla trasforma- zione di una omogenea sostanza primitiva. Egli fa anche os- servare che nelle coniglie pregne le capsule surrenali hanno un volume maggiore che in quelle non preghe e nei maschi; e crede che, per la grande quantità di vasi che presto vi si svi- luppa, si debbano in esse compiere nella vita embrionale dei processi chimici ancora sconosciuti. Ad un resultato affatto nuovo e conforme a quello ottenuto dalle mie osservazioni che più sotto esporrò, hunno portato le diligenti osservazioni di Jaxosik (4). Secondo quest’autore nei mammiferi (coniglio, porco, gatto) ed in alcuni uccelli, la prima manifestazione delle capsule surrenali è rappresentata da una rilevatezza dell'epitelio germinale, che si trova vicino all’ an- golo formato fra il corpo di Wolff ed il mesenterio primitivo. Egli ha osservato in embrioni di porco di 2, 5 cent., nei quali i canali di Miller non erano ancora accennati, l’epitelio ger- minale molto più sviluppato in questa regione che altrove ed in evidente proliferazione dorsale. Le cellule in preda a tale proliferazione si distinguevan dalle circostanti per una colora- zione più intensa dei loro nuclei, come appunto si ha nelle cel- lule epiteliari. Lo stesso carattere mostravano anche quelle cellule situate più lateralmente e più ventralmente, nella parte ove più tardi si manifestano le glandole genitali. In questo sta- dio non potè scorgere alcuna traccia di ganglj del simpatico o di diramazioni nervose. In embrioni un poco più avanzati (di cent. 2, 7) ove i canali di Muller si manifestano come cordoni (!) Janosig — Bemerkungen iiber die Entwicklung der Nebennieren. Archiv. f. mikroskop. Anatomie. B. 22. s. 738-746. - 1883. Sc. Nat. Vol. X. 9 139 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. senza un lume, questi ammassi, mentre erano sempre uniti per la loro estremità cefalica all’epitelio peritoneale, come pure a quella massa cellulare rappresentante il principio delle glan- dole genitali, perdevano tali rapporti alquanto più in basso, ove si trovavano chiaramente distinti dal tessuto circostante; e verso l'estremità caudale, nelle sezioni in cui le glandole ge- nitali mostravano la loro maggiore rilevatezza verso la cavità peritoneale, si univano fra loro al davanti dell’ aorta. Ad ulte- riore sviluppo (in embrioni di cent. 2,8) Janosit vide scom- parsa affatto la loro unione con l’epitelio peritoneale, persi- stendo più a lungo quella con le glandole genitali, sebbene più interrotta sia per vasi che vi si intromettono che per il por- tarsi che fa la vena vertebrale posteriore di RatnKE verso la linea mediana ed anteriormente. Soltanto in embrioni ancora più avanzati vide dei filamenti nervosi provenienti dal plesso solare del simpatico stare in gran vicinanza di questi organi, senza però prendere rapporti speciali sia colla loro sostanza corticale che colla midollare. In embrioni di coniglio lo stesso autore vide originarsi e svolgersi le capsule surrenali nello stesso modo ora descritto nel porco, e potè ivi osservarne la prima mani- festazione fin dall’11.° giorno di sviluppo. Al 14.° giorno erano ben manifesti 1 loro intimi rapporti con le glandole genitali. In embrioni di cent. 2,5, ove il plesso solare appariva. ben formato, trovò che dei frammenti di sostanza delle capsule sur- renali, affatto indipendenti, che Roxrransty anche descrisse come capsule surrenali accessorie, si trovavano in mezzo alla sua rete; ma non potè constatare se dei filamenti nervosi vi penetras- sero. In questo stadio egli descrive gli organi di cui parliamo come composti di grosse cellule ricche di protoplasma granu- loso, specialmente quelle del centro, e provviste di un grande nucleo. Queste cellule sono disposte irregolarmente a cordoni intramezzati da connettino e da vasi sanguigni più abbondanti al centro. Verso la «periferia questi cordoni cellulari sono un poco più regolarmente disposti e quasi a raggi perpendicolari alla periferia stessa. Solamente in embrioni di 18 giorni JAnosIK trovò accennato un principio di differenziazione fra la sostan- za corticale e la sostanza midollare. In questi era anche più manifesta la disposizione raggiata dei cordoni periferici, le cui cellule erano molto più serrate fra loro che quelle al centro, G. VALENTI 153 e quest'ultime, per l’azione del cromato di potassio, si colo- rivano più fortemente che le altre, in giallo. In embrioni di gatto trovò presso a poco le identiche cose, ma è da notare che in un embrione di cent. 3,3 vide chiaramente dei filamenti nervosi, provenienti dai nervi splacnici, penetrare entro la so- stanza delle capsule surrenali. In alcuni uccelli (quaglia e tor- tora), che ha esaminato solo nei primi stadj, potè confermare fondamentalmente i fatti osservati nei mammiferi; ma ivi i rap- porti sopra descritti con l’epitelio peritoneale e con le glandole genitali si mantenevano per minor tempo. Per le sue osser- vazioni Jawnosir viene a concludere che le capsule surrenali si originano dall’epitelio peritoneale; che durante il loro sviluppo sono in intimo rapporto dapprima con le glandole genitali e poi con dei vasi sanguigni (più specialmente con la vena ver- tebrale posteriore e con le venuzze provenienti dai corpi di Wolff, che vi sboccano ); e che nessuna loro parte si origina dal mesoblasto. Wetpox (*) nel pollo descrive, alla fine del 5.° giorno, degli ammassi di grandi cellule rotonde nel tessuto che è fra la vena cava ed il mesonefrio, le quali si dispongono più tardi a cor- doni. Ha veduto che tali ammassi all’ 8.° giorno prendono in- timi rapporti con l’epitelio dei prossimi glomeruli dei reni primitivi. III. Ecco ora quello che io ho potuto osservare relativamente allo sviluppo delle capsule surrenali nei varj embrioni che han formato l’ oggetto del mio studio. In embrioni di pollo, fin dalla 97.* ora di incubazione ho veduto sull’epitelio peritoneale che è al davanti dell’aorta, fra la radice del mesenterio primitivo ed i canali primitivi di Wolff, delle piccole rilevatezze irregolari ed irregolarmente di- sposte per una estensione corrispondente alla lunghezza di questi organi. Tali rilevatezze, che in vario numero ho riscontrato nei varj embrioni da me esaminati, erano costituite da aggrup- pamenti di cellule molto serrate fra loro, di una forma roton- (1) WeLpon — IL. c. 134 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO ECC. deggiante, con protoplasma chiaro e nucleo ben manifesto. Evidentemente erano della stessa natura che le cellule che tappezzano la cavità peritoneale, dalle quali si distinguevano per essere un poco più rotondeggianti sebbene molto serrate come ho detto, per essersi meno colorite all’azione dell’ acido cromico, ed anche perchè moltissime di esse presentavano delle chiare forme cariccinetiche. In corrispondenza del limite fra il terzo superiore ed il terzo medio del canale di Wolff, in circa 10 sezioni, si trovavano, da ciascun lato, ad occupare tutto lo spazio che è fra questo ed il mesenterio, due rileva- tezze maggiori delle altre (Fig. I). La esterna (eg), un poco più piccola e rivestita da cellule regolarmente disposte e più colorate che quelle componenti l’interna, è separata per un piccolo solco dal corpo di Wolff ed è costituita da quell’ 7spes- simento dell’ epitelio peritoneale descritto per la prima volta da BarnzauPT, dal quale nascono più tardi i tubi ovarici di Pflueger ed i tubi seminiferi, e che WarpeyER disse, epitelio germinativo (Keimepitel). L'altra, (cs) in prossimità della radice del me- senterio, è stata fino ad ora descritta soltanto da JAnosik nella quaglia e nella tortora ed in alcuni mammiferi, e rappresenta, secondo ciò che appare in stadj più avanzati, la prima mani- festazione delle capsule surrenali. Le cellule che la compongono sono, come nelle altre rilevatezze sopra ricordate ed irregolar- mente disposte lunga l’ estensione dei corpi di Wolff, molto addossate le ‘une alle altre, rotondeggianti, con protoplasma chiaro, nucleo ben manifesto, ed «in preda ad una attiva pro- liferazione come si deduce dalla quantità di forme cariocine- tiche che presentano. Tale proliferazione si fa più specialmente verso il dorso dell'embrione come manifestamente appare in stadj un poco più avanzati, ove queste cellule si trovano in- sinuate in mezzo al tessuto embrionale che è fra l’aorta ed i corpi di Wolff. In un embrione di 116 ore infatti si vedeva ‘che esse formavano già un notevole ammasso che a guisa di cuneo era frapposto a questi due organi (Fig. II), coi quali così veniva a prendere tanto intimi rapporti che, non avendo prima osservato gli stadj precedenti, avremmo potuto facil- mente essere stati indotti a credere che da questi avessero preso origine. Tali ammassi (uno per lato) che ben si distin- guevano dal tessuto circostante oltre che per la forma delle G. VALENTI 135 cellule, anche per una colorazione maggiore che esse, e special- mente i loro nuclei, assumevano per l'azione di varie sostanze coloranti od anche dell’ acido osmico (liquido di Flemming), si potevano osservare per circa 40 sezioni; ma alla 7." quello di destra non mostrava più libero il suo centorno ventrale essen- dovisi sovrapposta la vena cava inferiore che viene così a pren- dervi intimo rapporto (Fig. III). Col progredire dello sviluppo questi ammassi cellulari si rendono liberi completamente dal- l’epitelio peritoneale, assumono una forma rotondeggiante, e prendono sempre più intimi rapporti con i glomeruli dei corpi di Wolff scostandosi un poco dalle pareti dell’ aorta. In em- brioni di 8 giorni soltanto per la loro parte di mezzo erano in rapporto con questi glomeruli mentre le loro estremità, su- periore ed inferiore, sì trovavano circondate completamente da connettivo embrionale, il quale, senza formare una capsula propria, mandava qualche sottile filamento in mezzo alle loro cellule irregolarmente disposte. Già a quest’ epoca erano assai manifesti i rapporti che essi prendono con il sistema del sim- patico, poichè in molte sezioni potevano scorgersi dei filamenti che, partendo dai ganglj di questo situati lateralmente ai corpi vertebrali, penetravano in mezzo ai loro elementi. Riguardo ai rapporti di tali organi con il sistema nervoso mi pare sia degno di nota speciale un fatto che molto chiaramente si 0s- servava in una sezione appartenente ad un embrione di 8 giorni (Fig. VII). In essa si vedevano molti filamenti nervosi prove- nienti dalla radice anteriore di un nervo spinale, i quali, dopo avere attraversato per tutta la sua lunghezza un ganglio del simpatico, andavano a sperdersi nell’ammasso cellulare rappre- sentante la capsula surrenale. In embrioni di 12 giorni già questi organi incominciavano a sporgere per le loro estremità superiori nella cavità peritoneale, mentre nel resto presenta- vano una forma molto irregolare per adattarsi nello spazio che è fra l’aorta ed i reni primitivi, divenuto molto ristretto per lo sviluppo del rene permanente. A quest’ epoca ho potuto vedere ancora che le loro estremità inferiori si univano insieme per qualche punto al davanti dell'aorta. Non ho notato alcuna di- stinzione di due sostanze, ma le cellule erano uniformemente disposte a cordoni unentisi fra loro, ed in mezzo ad esse già erano penetrati molti elementi connettivali e molti vasi. 186 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO ECC. In embrioni di coniglio ho veduto fin dall’ 11° giorno di sviluppo gli stessi ammassi di cellule epiteliali già descritti nel pollo. Ivi però formavano una più piccola sporgenza nella ca- vità peritoneale, erano in minor numero, e talvolta se ne vede- vano soltanto quei due già descritti da Jaxosir presso al terzo superiore dei corpi di Wolff. In tutti gli embrioni di 14 giorni da me esaminati non ho trovato che questi ultimi. Non face- vano più sporgenza nella superficie peritoneale, ma si erano in- sinuati dorsalmente in modo da trovarsi fra i corpi di Wolff e l’aorta. Mantenevano ancora rapporto con l’ epitelio perito-. neale dal quale si erano originati, e quasi si confondevano con quelle cellule situate più esternamente, che in seguito danno origine alle glandole genitali. Le cellule di cui eran composti si presentavano di una forma rotondeggiante, con protoplasma sranuloso, nucleo grande, ed erano disposte molto irregolar- mente. In mezzo ad esse si trovava del delicato tessuto con- nettivo che vi penetrava dalle parti. circostanti senza prima formare all’intiera massa cellulare un’ invoglio speciale. In tale stadio non mi è stato possibile scorgere alcun rapporto fra essi ed i prossimi ganglj del simpatico situati più internamente e più dorsalmente, i quali ne erano anzi separati in modo netto da connettivo. In embrioni dai 16 ai 18 giorni questi ammassi si erano già liberati dai rapporti con l’ epitelio peritoneale, e del tessuto connettivo si era disposto attorno ad essi in modo da formare un vero invoglio o capsula propria. Questa dalla sua superficie esterna mandava varj filamenti connettivali che si univano con altri provenienti dalle pareti dell'aorta e della vena cardinale e dal connettivo circostante ai corpi di Wolff, mentre che da quella interna si partivano dei veri sepimenti che, insinuandosi fra le cellule, andavano a formare fra mezzo ad esse un sottile reticolato, nelle cui maglie si trovavano di- sposte molto irregolarmente le cellule stesse come Arworp (*) ha descritto in capsule di individui adulti. Queste non più erano rotondeggianti ma avevano preso una forma decisamente ovale. Dal lato interno dell’intiero ammasso cellulare, che già pos- siam chiamare capsula surrenale, non infrequentemente sì ve- (1) Arnot.p — Ein Beitrag zur feineren Structur und dem Chemismus d. Ne- bennieren. Wirchows Archiv. B. 35, G. VALENTI 137 deva penetrare qualche sottile filamento che proveniva dai ganglj del simpatico e certamente doveva rappresentare qual- che filamento nervoso. In alcune sezioni (Fig. VI) si vedeva pe- netrarvi dallo stesso lato un grosso ramo arterioso proveniente dall’aorta, che senza dubbio era l'arteria capsulare media già molto sviluppata. In embrioni di 37 mm. di lunghezza si trova- vano le capsule surrenali già tanto voluminose da perdere la loro primitiva forma rotondeggiante per adattarsi nello spazio che intercede fra i corpi di Wolff e l’aorta come appunto av- viene nel pollo. Questo spazio in seguito va sempre più dimi- nuendo con il progredire dello sviluppo degli organi che lo li- mitano per cui le capsule surrenali vengono ad essere spinte ventralmente ed a fare sporgenza nella cavità peritoneale. In questo stadio già può notarsi la distinzione delle due sostanze, midollare e corticale. In embrioni di porco, come è da prevedersi, non presenta molte differenze lo sviluppo delle capsule surrenali. In embrioni di 11 mm. (cioè circa al 10° giorno di sviluppo (*)) ho potuto già vedere quelle rilevatezze dell’epitelio peritoneale irrego- larmente disposte agli angoli fra il mesenterio ed i corpi di Wolff, come nel pollo e nel coniglio. Ma quelle due destinate a formare le capsule surrenali non si potevano distinguere dalle altre, che in embrioni di 14 mm. Esse differivano un poco dalle loro omologhe osservate nel pollo e nel coniglio, perchè erano meno sporgenti nella cavità peritoneale, più estese in larghezza e più vicine ai corpi di Wolff. In embrioni di 16 mm. (30° giorno) gli ammassi cellulari che le costituivano si erano già insinuati nel tessuto pre-aortico e fatti indipendenti dall’epitelio perito- neale. Presentavano una forma rotondeggiante e non avevano alcun rapporto con gli organi circostanti. In embrioni di 18 mm. si trovavano fra l’.aorta ed i corpi di Wolff, avevano assunto una forma ovale, con il più lungo diametro diretto sagittal- mente, ed erano abbondantemente provvisti di vasi, specialmente nella loro parte dorsale. Non per tutta la loro estensione si presentavano nettamente distinti dal tessuto circostante, ma specialmente con la loro estremità cefalica erano in rapporto intimo con i corpi di Wolff. Soltanto le sezioni della loro parte (!) Vedi BaraLpi — Craniogenesi dei Mammiferi. Torino, 1873, p. 14. 138 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO ECC. di mezzo erano contornate da connettivo più denso, in modo che apparivano come se possedessero una capsula. La loro estremità caudale sporgeva nella cavità peritoneale. Dei fila- menti nervosi provenienti da ganglj del simpatico già si vede- vano a quest epoca penetrare in mezzo alle loro cellule; più specialmente ho potuto metterli in evidenza sezionando lon- gitudinalmente gli embrioni, come si vede nella figura VII. In embrioni di 20 mm. si erano portati un poco più anterior- mente all’aorta scostandosi dai corpi di Wolff. In embrioni di 31 mm. (35° giorno) erano completamente circondati da una capsula di tessuto connettivale e le loro cellule incominciavano a disporsi a colonne raggiate. Le loro estremità caudali tanto si erano avvicinate fra loro che in qualche punto si univano, erano molto frastagliate, non andavano cioè a decrescere in modo regolare, e si prolungavano fin quasi alla divisione dell'aorta. In embrioni di 40 mm. (40° giorno) fra le loro estremità su- periore e l’aorta si vedevano interposti i pilastri del diaframma e per quasi tutta la loro estensione fra il loro lato esterno ed i corpi di Wolff era interposto il rene permanente. Le cel- lule in questo stadio si vedevano disposte più manifestamente a colonne; ma ancora nessuna distinzione si notava delle due sostanze. In un embrione a quest'epoca di sviluppo ho veduto che alcune sezioni di questi organi erano attraversate per tutto il loro spessore da un fascio di connettivo diretto trasversal- mente, in modo da apparire cottituite da due parti o lobi. In altre sezioni si trovava, come nel coniglio, l’ arteria capsulare media molto sviluppata. IV. Dalle ricerche ora esposte sullo sviluppo delle capsule sur- renali mi sembra che si possano trarre le seguenti conclusioni: a) La prima manifestazione delle capsule surrenali, che si ha alla 97. ora di incubazione nel pollo, all’ 11.° giorno di sviluppo nel coniglio, e dall'8.° al 10.° giorno nel porco, è rap- presentata da un accumulo di cellule dell’ epitelio peritoneale, che si trova al livello del 3.° superiore dei corpi di Wolff, in corrispondenza dell'angolo che fanno questi organi con il me- G. VALENTI 139 senterio primitivo, ed in intimo rapporto con l’epitelio che darà origine alle glandole genitali. — Questo fatto importan- tissimo, che Jawosix per il primo ha messo in evidenza in al- cuni uccelli e mammiferi, sembra naturalmente in contradizione con tutte le osservazioni dei ricercatori che precedentemente si sono occupati di quest’argomento. Ma da ciò che sopra ho esposto sullo sviluppo ulteriore di questi organi, può rilevarsi che la maggior parte delle loro osservazioni possono facilmente essere verificate, e che essi hanno errato soltanto nel considerare come prima manifestazione delle capsule surrenali alcuni loro stadj ulteriori; in conseguenza di ciò han creduto che queste pren- dessero origine dai varj organi con i quali vengono a porsi in rapporto. Abbiamo infatti veduto che le cellule componenti quegli ammassi rappresentanti le capsule surrenali, non molto dopo la loro comparsa, per proliferazione dell'epitelio perito- toneale, si trovano in rapporto con le pareti dell'aorta e della vena cava e sue diramazioni. Ciò mi pare possa dar ragione delle vedute di Bruxx, secondo le quali negli uccelli e nei mam- miferi la sostanza corticale di questi organi si origina da ele- menti mesoblastici in prossimità dell'aorta e la sostanza mi- ‘dollare dagli stessi elementi situati in prossimità della vena cava; dell’opinione di Mrrsuxuri, secondo il quale la sostanza corticale si origina dagli elementi mesoblastici situati presso la vena cava inferiore; e dell'altra di GorrscHAu, che questi organi primitivamente si presentino come un’ ispessimento delle pareti della vena cava a destra e di quelle ‘delle sue dirama- zioni a sinistra. — Abbiamo anche veduto come alle capsule surrenali si trovano molto vicini alcuni ganglj del simpatico, e che non infrequentemente qualche filamento nervoso prove- niente da questi penetra in mezzo alle loro cellule. Ora è sem- brato ad alcuni che tali fatti stessero a confermare le antiche osservazioni di Remak e che per essi potessero essere estese ai vertebrati superiori le osservazioni di Leypie e Barrour fatte sopra i pesci, nei quali da uno stesso blastema sì originavano i ganglj del simpatico e le capsule surrenali. Da ciò l’ opinione che esista un intimo rapporto morfologico fra questi organi fin dalle loro prime manifestazioni (Kò6Luer, Mrrsuguri etc.). E ciò sembrava fosse confermato dall’istologia delle casule surrenali 140 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI NEL POLLO EC. stesse, poichè già Nacet (*), Berewanw (?), Pappenzem (3) ed Ecxer (4) vi descrivevano molti elementi gangliari, che in seguito, da varj osservatori sono stati negati. Ma la grande distanza di tempo che intercede fra la comparsa delle capsule surrenali e quella dei ganglj del simpatico mi pare che sia sufficiente argomento per negare qualsiasi rapporto di tal genere. — Se però rapporti morfologici non esistono fra le capsule surrenali ed il sistema del simpatico nelle prime epoche del loro sviluppo, non possiamo conseguentemente affermare che questo si effettui in modo af- fatto indipendente per i due organi. Vi sono dei fatti che se- condo alcuni stanno a dimostrare che non solo lo sviluppo. del simpatico ma anche quello del sistema nervoso centrale sono in certo modo collegati allo sviluppo delle capsule surrenali. — È antica osservazione che in casi di incompleto sviluppo del sistema nervoso centrale si può avere atrofia o mancanza delle capsule surrenali. Ciò è stato detto primieramente da Morgaeni e poi da Férsrer, Ruse ed altri (°). Ma più ampie e più recenti osservazioni in proposito sono state fatte dal Lormrr (9) e dal Weleert (*). Il Lorwer ha trovato in molti emicefali mancanti completamente questi organi; mentre li ha trovati bene svi- luppati in diversi neonati con spina bifida, ed in due affetti da, idrocefalia, le quali malformazioni secondo AÒtretp (3) sono da riportarsi ad uno stesso processo che si manifesta in varie parti del canale cerebro-spinale ed in vari tempi della vita fe- tale. Il Wier, in casi di emicefalia non ha trovato man- canti le capsule surrenali ma solamente atrofiche, ed ammette anche esso che possano esistere rapporti fra lo sviluppo di que- sti organi e quello del sistema nervoso. Egli però aggiunge che, per i casi da lui osservati, soltanto la parte del sistema nervoso che si trova al disopra del centro respiratorio può avere questi rapporti, e che non indifferente deve essere il mancato (1) NaceL — Diss. sistems. ren. succ. mammal. descript. Miller Arch. 1836. (® C. Beremann — Diss. de glandulis suprarenal., c. tab. Gottingen, 1839. () Pappenzem — Ueher den Bau der Nebenvieren, in MiMer Arch. 1840. s. 584. (5) EcxeL — I. c. (©) Vedi Jon. Friepr. MeckeL — Hand. der pathologischen Anatomie. 1842, B.I. s. 642. (5) Loemer — Wirchow? Arch. B. 98. s. 366-368. (7) Wrrcert — Wirchow Arch. B. 100. s. 176-177. (5) AnLreLp — Missbildungen des Menschen. s, 283-284, G. VALENTI 141 sviluppo del ganglio superiore del simpatico, come può argomen- tarsi dalle osservazioni di Marc®anp sui rapporti esistenti fra le affezioni delle capsule surrenali e quelle di questo stesso ganglio. A me è avvenuto di potere esaminare 3 casi di emicefalia, dei quali due a termine ed uno al 6.° mese di sviluppo. In tutti ho trovato assai bene sviluppate le capsule surrenali e normali i ganglj cervicali del simpatico. Soltanto in uno, a destra, man- cava il ganglio cervicale medio, ma ciò, come si sa, è comune ad incontrarsi. Ho voluto riportar questi casi, non perchè io li creda sufficienti per poter confutare con essi le osservazioni del Loemer e degli altri secondo i quali si ha la mancanza delle capsule surrenali in casi di incompleto sviluppo del sistema ner- voso centrale, ma perchè uniti a queste osservazioni stesse, possono dar maggior peso all'opinione di Wercert ora citata. Infatti, avendo io riscontrato in 3 casi di emicefalia il ganglio cervicale superiore bene sviluppato unitamente alle capsule surrenali, mentre in molti casi della stessa malformazione os- servati da Loemer e WeIGERT, queste o mancavano od erano atrofiche, mi pare che si possa ragionevolmente concludere che piuttostochè con il sistema nervoso centrale, il loro sviluppo è legato con quello del gran simpatico. Ciò naturalmente trova ragione nei fatti osservati negli elasmobranchi (Laypie, BaLFoUR), e negli intimi rapporti morfologici che le capsule surrenali in epoche ulteriori alla loro prima manifestazione prendono am- piamente con il simpatico stesso. — I rapporti, che abbiamo accennati, fra le cellule da cui si svolgono le capsule surrenali e quelle che danno origine alle glandole genitali richiamano alla mente alcune osservazioni che appunto in quelli stessi avreb- bero potuto trovare una spiegazione. Per citarne alcune, più a scopo storico che per altro, ricorderò che si legge nel trat- tato di anatomia del Mecxet (!) che il VauqueLin descrive la 0s- sificazione delle capsule surrenali in un gatto castrato ancor giovane; che il Lossren trovò in un uomo affetto da sifilide la capsula surrenale di sinistra triplicata di volume da una massa cretacea, che il MeckeL stesso ha notata in due individui molto dediti ài piaceri dell'amore le capsule surrenali molto più vo- (1) G. F. MeckeL — Manuale di Anat. generale descrittiva e patol. Vol. IV. Na- poli, 1827, versione di P. Giusti. p., 451-452, 142 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. luminose del solito, ed in una donna sgravata di fresco le ha trovate deformate da tumori che interessavano anche una delle ovaje e la matrice; che Orto le ha viste due volte più grandi del normale in un caso in cui gli organi genitali erano svilu- patissimi. Oltre a ciò non è da trascurare che Crercaton (!) re- ‘centemente ha paragonato la struttura della sostanza corticale delle capsule surrenali a quella dei follicol: ovarici cicatrizzati. 5) Dal mesoblasto prendono origine gli elementi connet- tivali che si trovano in mezzo alle cellule costituenti la sostanza propria o formano la capsula che involge l’intiero organo, ed i vasi che, come i nervi, vi si insinuano dall'esterno. — Che i nervi non si formino dalla sostanza propria delle capsule sur- renali ma vi penetrino dall'esterno, come GorrscHAu ha messo in evidenza per il primo, viene confermato dalle recenti ricerche di Guarnieri e Macmi (2), che ne hanno studiato l’intima strut- tura. Essi han veduto che i fasci di fibre nervose che si tro- vano nella loro sostanza midollare sono accompagnati da cel- lule epiteliari poliedriche alquanto simili a quelle della zona interna della sostanza corticale, che formano loro una ‘specie di manicotto fin negli strati più profondi della sostanza midol- lare stessa. Tal fatto naturalmente dimostra che quei fasci di fibre nervose, per portarsi profondamente nell’ organo, han do- vuto attraversare lo strato della sostanza corticale dal quale appunto han tolto il loro manicotto epiteliare. c) Le due sostanze (la sostanza corticale e la sostanza midollare) non si originano indipendentemente l’ una dall'altra, ma da una stessa massa cellulare per differenziazione della forma delle cellule proprie, che si fa in un PORode molto avanzato dello sviluppo dell'organo. VE Finalmente mi sia permesso, riguardo al significato delle capsule surrenali dei vertebrati superiori, di esprimere la opi- (1) Creicaton — Points of resemblance betwen the suprarenal bodies of the horse and certain occasional structures in the ovary — Transaction of the Royal Society. 6 Dec. 1877. — A theory of the homolog:y of the suprarenal bodies, based on observations. The Journal of Anatomie and Physiology. Vol. 13, p. 51-83. (è) Guarnieri e Macini — Sulla fina struttura delle capsule surrenali. &. Acca- demia dei Lincei, Vol. 4,° serie 4. (seduta d. 17 giugno 1888). G. VALENTI 143 nione che esse si debbano considerare come organi rudimen- tali, e che le rilevatezze, che si osservano transitoriamente sull’epitelio peritoneale, alla radice del mesenterio primitivo, rappresentino un resto della disposizione metamerica che questi organi hanno nei vertebrati inferiori. Infatti, se dobbiamo in- tendere per rudimentali (!) quegli organi atrofici per forma e funzione, ed omologhi con altri bene sviluppati e funzionanti in animali inferiori, troviamo nelle capsule surrenali tutte queste proprietà. Tanto negli uccelli che nei mammiferi, sono molto ridotte di volume in confronto a quelle dei pesci, spe- cialmente elasmobranchi, ove sono disposte metamericamente sulle diramazioni dell'aorta, ed a quelle dei rettili, ove sono in forma di due lunghe strisce situate fra i genitali e le vene renali. Di più, esse hanno in questi stessi animali uno sviluppo relativamente maggiore negli embrioni che negli individui a termine od adulti, ed in quelli la loro funzione (quando anche esista) è debolissima e certamente non corrispondente alla im- portanza che potremmo loro attribuire per la precoce comparsa nell’embrione e per il ragguardevole sviluppo, cui in esso ar- rivano. La loro precoce comparsa poi nell’ evoluzione ontogenica ci mostra che esse debbano essere organi rudimentali molto an- tichi, e ciò sta in accordo con il fatto che il maggiore sviluppo di questi organi si osserva negli elasmobranchi. Che le rileva- | tezze epiteliari, più volte ricordate alla radice del mesenterio, ci rappresentino un resto della disposizione metamerica delle capsule surrenali di questi animali, è forse una ipotesi ancora troppo azzardata. Ma in favore di questa possiamo portare il fatto che tali rilevatezze, fuorchè nel volume, sono identiche a quelle che danno origine alle capsule surrenali, e ricordare le varie osservazioni di capsule surrenali accessorie. Così per ci- tarne alcune riporterò che; Roktranski (?) descrive delle parti staccate di capsule surrenali fra il plesso solare ed il plesso re- nale del simpatico ed anche sotto la capsula dei reni; Mar- cHanp (3) ha trovato in alcuni ligamenti larghi di feti e di bam- (*) Vedi VaLenti — Alcune generalità sopra gli organi rudimentali ete. Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Serie III, Vol. III. Siena 1885. (*) RogiransKi — Patholog. Anatomie. (*) MarcHanp — Ueber anesssarische Nebenvieren in Ligamentum latum. Wir- chows Archiv. Bd. 92. s. 11-19. 144 SULLO SVILUPPO DELLE CAPSULE SURRENALI DEL POLLO ECC. bine dei corpiciattoli giallastri, aventi la struttura della sostanza corticale delle capsule surrenali ordinarie, più specialmente situati verso il margine libero dei ligamenti stessi, od in im- mediata vicinanza dell’ovaja, od anche sulla parete posteriore della cavità addominale, in intimo rapporto con la vena utero- ovarica; Dagoner (1) ha trovato in individui adulti simili cor- piciattoli situati non solo in vicinanza delle capsule surrenali ma anche per tutto il tratto che è fra i reni e le glandole ge- nitali, e crede che si originino dalle capsule surrenali stesse per propaggini della sostanza corticale, che si formino lungo i nervi. o‘ le vene che vi penetrano; Cacciora (?) descrive in una donna di 30 anni, una capsula surrenale accessoria, avente la forma di un ferro di cavallo, addossata sulla superficie anteriore del rene destro e coperta dalla sua capsula fibrosa. Altri casi di capsule surrenali accessorie sono stati descritti dal D'Ayuroro (*), dal Cmari(4) e da altri; ed io stesso posso dire che, studiando qualche anno indietro l'organo di Rosenmuiller ed avendo avuto occasione di osservare circa 80 ligamenti larghi, ho trovato su di essi non tanto raramente dei corpiciattoli giallastri, verso la parte più esterna dei ligamenti stessi, che si differenziavano dal Paroophoron di WaLpryer e che molto probabilmente erano capsule surrenali accessorie. Dico “ molto probabilmente , perchè non mi sono al- lora occupato di ricercarne la struttura istologica. — Ora, a me sembra che la presenza delle capsule surrenali accessorie molto facilmente potrebbe essere spiegata ammettendo che non sem- pre tutte quelle rilevatezze epiteliari situate alla radice del mesenterio, si atrofizzino; ma che alcune talvolta possano ri- manere (per atavismo) fino alla nascita od anche nell'adulto per dar loro origine. E dacchè sono nella via delle ipotesi, alle quali purtroppo bisogna ricorrere quando non abbiamo spiega- zioni assicurate dei fatti, aggiungerò che la permanenza di quelle rilevatezze epiteliari, con la virtualità di svilupparsi, potrebbe (1) Daconet — Beitrige zur pathologischen Anatomie der Nebennieren des Menschen. Zeitschr. f. Hekunde. VI. s. 1-24. (*) Cacciona — Un caso di capsula surrenale accessoria aderente al rene. Alcune osservazioni anatomiche. Padova 1886. (?) D'AruroLo — Intorno ad un caso di capsula soprarenale accessoria nel corpo pampiniforme di un feto. — Archiv. per le scienze mediche. VIII, 3. pag. 283-306. (4) Catari — Zur Kenntniss der accessorischen Nebennieren des Menschen. Pra- ger Zeitschr f. Heilkunde. B. VI, s. 449-458. ni i ii ei i f, G. VALENTI 145 anche spiegare la rigenerazione completa delle capsule surre- nali osservata da Tizzovi (!) in seguito alla loro asportazione. Riguardo a questa rigenerazione anzi è importantissimo notare, in appoggio alla mia ipotesi, che mai sì fa nel posto della vec- chia capsula, ma poco al disotto, dice il Tizzoni, in un punto più periferico della cava, e più specialmente nel tessuto con- nettivo che unisce questo vaso all’aorta. Si intende che tale rigenerazione avvenga per legge di compensazione, e ciò natu- ralmente implica l’idea che questi organi abbiano una certa funzione, sebbene rudimentale anche essa, come viene provato dalle ricerche stesse di Trzzowi sulle alterazioni nella pigmen- tazione delle muccose prodotte in seguito alla lorò asportazione, e dalle ricerche sull'azione tossica del loro estratto fatte dal Foà, Pertacani, Guarnieri e Marivo-Zuco (2), quand’anche non si voglia tener gran conto delle alterazioni che in questi organi si trovano in concomitanza al morbo di Addisson. Nel porre termine alla esposizione di queste ricerche sento il dovere di offrire pubblicamente i miei più sentiti ringrazia- menti all’ Illustre Professore GuerieLmo Waxperer per la estrema gentilezza con la quale Egli mi ha accolto nell'Istituto Ana- tomico di Berlino, ove ho eseguito la maggior parte delle pre- parazioni sopra menzionate, che ora si trovano nell’ Istituto Anatomico di Pisa. (!) Tizzoni — Sur la physio-pathologie des capsules surrénales. Archiv. ital. de biologie. VI, 3. p. 386-395. — Bullettino delle Scienze mediche di Bologna. Serie VI, Vol. XIII. 1884. — Gazzetta degli Ospitali. gennaio 1885, n.0 7. (*) G. GuarnIERI e F. Marino-Zuco — Recherches experimentales sur l'action toxique de l’extrait aqueux des capsules surrénales. — Archiv. ital. d. Biologie. T. X. Fase. IIL 1888. p. 334. (07 VII CI CS Fia. II e III CW ga SPIEGAZIONE DELLE FIGURE ne Tav. X. Tolta da una sezione trasversale di embrione di pollo di 97 ore fatta al livello del !/3 superiore dei canali di Wolff. (Ingrand. 430 d.). aorta mesenterio primitivo epitelio germinale (Keimepitel) prima manifestazione della capsula surrenale. — Sezioni trasversali di uno stesso embrione di pollo di ore 116 fatte al livello del !/8 superiore dei corpi di Wolf. La sezione rappresentata dalla Fig. II si trovava ad un livello più alto che quella rapprentata dalla Fig. II. aorta cavità peritoneale corpi di Wolff ammassi cellulari rappresentanti le capsule surrenali vena cava inferiore. Tolta da una sezione trasversale di embrione di coniglio di 13 giorni. aorta corpi di Wolff massa cellulare, originata per proliferazione dell’ epitelio pe- ritoneale, che si insinua nel connettivo embrionale situato fra l’aorta ed i corpi di Wolff per formare le capsule surrenali. Fre. VI. — ns gs Cw cs fin 6. VALENTI 147 Tolta da una sezione trasversale di embrione di coniglio di giorni 15. aorta corpi di Wolff mesenterio vena cava epitelio peritoneale la stessa proliferazione cellulare dimostrata dalla Fig. IV (osservata ad un più forte ingrandimento — 430 d.), che già è entrata in rapporto con l’epitelio dei corpi di Wolff e con le pareti dell’ aorta rapporti di questa proliferazione con il corpo di Wolff e con le pareti dell'aorta. Sezione di una capsula surrenale di un embrione di coniglio di 18 giorni, che mostra la disposizione in ammassi ro- tondeggianti (m-m-m) delle cellule che prima erano tutte disposte irregolarmente come in 4. fasci di connettivo embrionale insinuatisi fra gli ammassi cellulari ({*) e fra le singole cellule (f) arteria capsulare media. Tolta da una sezione di embrione di pollo di giorni 8. aorta corpo vertebrale rudimento della notocorda midollo spinale lamina vertebrale ganglj spinali radice posteriore del nervo spinale n s radice anteriore dello stesso nervo nervo spinale ganglio del simpatico corpo di Wolff capsula surrenale fasci nervosi provenienti per la maggior parte dalla radice anteriore del nervo spinale x s, che attraversano il ganglio del simpatico gs e si portano alla {capsula surrenale c s. Fis. VIII. — Sezione longitudinale di un embrione di porco della lun- ghezza di 18 mm. Sc. Nut. Vol. X. 10 1 n, fibre i GIULIO CHIARUGI laaarati LO SVILUPPO DEL NERI VAGO, ACCESSORIO, IPOGLOSSO E PRIMI CERVICALI NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI (*) (Memoria presentata nell’ Adunanza del dì 12 maggio 11889) (Tav. XI.e XII). Indice bibliografico 1. Anrsorn. — Veber die Segmentation des Wirbelthierkòrpers. Zeit. fi Wiss. Zoologie. Bd. XL. 2. BaLrour. — Traité d’ Embryologie et d’ Organogenie comparte. Pa- ris, 1885. 3. 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Cresce naturalmente il disaccordo se si scende alle que- stioni particolari. Il numero relativamente limitato delle forme animali, che sono state sottoposte ad esame, la varietà dei resultati ottenuti, la interpretazione differente, della quale re- perti simili sono suscettivi, rendono difficile il formulare con- clusioni positive. I lavori storico-critici e polemici, che, per opera di valen- tissimi, hanno veduto di recente la luce sull'argomento, mi dispensano dal fermarmi troppo a lungo nel riferire lo stato delle cognizioni attuali e le opinioni dei differenti autori sullo sviluppo e sul significato morfologico dei mervi encefalici, e nell’accennare ai problemi che deve avere in mira chi vuole occuparsi di nuovo di tali studi. Mi limiterò a riassumere colla massima concisione quanto più da vicino riguarda quei nervi, che, dal punto di vista onto- genetico, hanno formato oggetto delle mie indagini, trascurando molti dettagli, che nel caso, quando occorra, potranno esser richiamati nell’ esporre il resultato delle mie osservazioni. 8 G. CHIARUGI [154] RIASSUNTO STORICO $. 1. Primitive idee di Gegendbaur — $. 2. Idee di Huxley — $. 3. di Balfour — $. 4. di Marshall — $. 5. di Van Wijhe — $. 6. di Froriep — $. 7. di Ahlborn — $.8. di Beard — $. 9. di Dohrn — $. 10. Nuove vedute di Gegenbaur — $. 11. Idee di His — $. 12. di Kastschenko — 8.13. di Beraneck, di Phisalix, di OÒnodi, di Hoffmann. — $.14. Riassunto. Sebbene anche da anatomici che hanno scritto molti anni indietro sia stata discussa la questione dei rapporti di omologia che corrono tra i nervi cerebrali e i nervi spinali e da alcuni, fra 1 quali giova citare Meckel, Arnold, J. Miller, Stannius siano state espresse rispetto ai nervi vago, accessorio ed ipoglosso opinioni che hanno qualche analogia con quelle emesse su dif- ferenti fondamenti da anatomici più recenti, pure si può affer- mare che tal questione ha assunto un'importanza nuova ed un indirizzo più scientifico per opera di Gegenbaur. $. 1. — Le idee di Gegenbaur, che sono accolte nella sua, memoria sui nervi cefalici dell’ Hexanchus, non sono completa- mente quelle che oggi egli professa. Pure vanno ricordate per la grande influenza che hanno esercitato sugli studi successivi e per il fatto che le vediamo riprodotte da altri osservatori. Secondo Gegenbaur i nervi encefalici, astrazion fatta dall’ olfat- tivo e dall’ ottico, erano primitivamente foggiati del tutto sul tipo dei nervi spinali, ma, colla formazione della testa per fu- UT “ k ji vent siii sione di un certo numero di metameri, questo stato di indiffe- | renza è cessato e si sono avuti adattamenti nuovi, pur conser- vandosi tracce della disposizione primitiva. Questa disposizione metamerica primitiva dei nervi ci è principalmente rivelata dal loro rapporto cogli archi branchiali, i quali appartengono ad altrettanti segmenti cefalici. Egli riunisce i nervi che cor- rispondono al di dietro della vescicola acustica in un unico gruppo, che chiama Gruppo del vago, del quale fanno parte, oltre il nervo glosso-faringeo, il nervo vago coll’accessorio del Willis (*), che rappresentano radici dorsali, il nervo ipoglosso, (3) Che il n. accessorio debba essere, tanto nella sua porzione bulbare che spi- nale, considerato come una parte del vago, Gegendaur dichiara anche nella sua Ana- tomia dell’uomo (N.° 22). ai et a o It Td [155] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 9 che rappresenta radici ventrali. Il nervo vago non è un nervo semplice ma rappresenta per lo meno 5 nervi originariamente distinti, corrisponde ai 5 più posteriori metameri della testa. Tali conclusioni di Gegendaur si fondavano esclusivamente 'su considerazioni di anatomia comparata. Egli mostra, anche nei suoi ultimi scritti, di attribuire una molto limitata importanza alla ricerche embriologiche. $. 2. — Tra le critiche mosse alle vedute di Gegendaur merita di esser ricordata quella di Huxley. Mentre Gegenbaur considera il vago come nervo intieramente cerebrale, e per con- seguenza tutti gli archi branchiali quali appendici del cranio, Huxley è disposto a crederlo un nervo complesso risultante dalla unione di nervi cerebrali e spinali ed a considerare gli archi viscerali posti dietro il secondo branchiale quali appendici cer- vicali. Egli ricorda come appunto il n. ipoglosso sia nei verte- brati inferiori un nervo intieramente cervicale. Anche il nervo accessorio è per Hux/ey un nervo solo in apparenza cerebrale. $. 3. — Le classiche osservazioni di Ba/four sullo sviluppo dei nervi negli Elasmobranchi hanno fatto fare un notevole progresso alla questione. I nervi encefalici secondo Ba/four si sviluppano essenzialmente secondo il tipo delle radici posteriori dei nervi spinali; da ciò egli è portato ad ammettere che i nervi cranici e spinali siano in maniera indipendente derivati da una forma fondamentale comune, consistente in radici po- steriori motrici e sensitive nel tempo stesso, che esistevano prima della differenziazione fra testa e tronco. Egli non ha tro- vato, nè ammette nello sviluppo dei n. cranici delle radici con- frontabili colle anteriori dei n. spinali. Anche per Ba/four il n. vago è un nervo composto che risulta di almeno quattro elementi che corrispondono agli ultimi 4 archi branchiali. Sono dorsalmente collegati tra loro e colle radici posteriori dei nervi spinali da una commessura longitudinale, che è probabile avanzo della primitiva cresta nevrale, e che si atrofizza col- l'ulteriore sviluppo. Nel limite fra la midolla allungata e la midolla spinale egli ha riconosciuto la esistenza di alcune ra- dici ventrali, che rappresentano probabilmente l’ipoglosso dei tipi superiori, simili a quelle che più tardi Marshall scoprì nel pulcino; egli è inclinato ad attribuirle non al vago, ma a nervi spinali dei quali le radici dorsali sono andate perdute, e così 0 La Me — db L° te “i i 10 G. CHIARUGI [156] l’ipoglosso verrebbe ad essere escluso dal novero dei n. cere- brali. Ciò è tanto possibile, egli dice, che le radici del vago, come quelle del glosso-faringeo, benchè foggiate sul tipo delle radici posteriori spinali, contengono fibre sensitive e motrici. — Importante è la scoperta di Ba/four che a ogni arco branchiale corrisponde una cavita (cavità cefalica), a spese della cui pa- rete si sviluppano muscoli. Tali produzioni mesoblastiche, che hanno per lui la natura dei somiti, sono in rapporto coi nervi cerebrali, quindi anche colle singole branche del vago. $. 4. Dello sviluppo dei nervi encefalici molto si è occu- pato Marshall. Le sue ricerche sullo sviluppo di detti nervi nel pulcino (*) hanno mostrato che il n. vago nasce dalla divisione distale di una gemma derivata dalla cresta nevrale, comune ad esso ed al glosso-faringeo. Più tardi esso si distacca dal cer- vello posteriore per una serie di radicole variabili di numero e di grossezza, simili a quelle possedute dalle radici anteriori e posteriori spinali; questo carattere è un acquisto secondario e non ha importanza. Una commessura longitudinale, residuo della cresta nevrale primitiva, collega per un certo tempo il vago alla serie delle radici posteriori dei nervi spinali; com- messura, la cui esistenza è probabilmente transitoria. Come il n. glosso-faringeo così ciascuna delle principali branche del vago sono equivalenti a molti nervi spinali, come si desume dai loro rapporti colle posteriori fessure branchiali. Tenuto conto della brevità dell’ attacco primitivo del vago al tubo midollare, conviene ammettere che all'estremità posteriore del cervello debba essere avvenuta una considerevolissima concentrazione, che sarebbe di antichissima origine filogenetica. — Allato ven- trale del vago, da esso distinte, nascono dal cervello posteriore radici paragonabili in tutto alle anteriori spinali, alle quali equivalgono perfettamente. Non ne ha seguito l'ulteriore de- stino, non dice che rappresentino il futuro ipoglosso, ma non esita ad attribuirle al vago. Vi è così assoluto contrasto fra lui e Balfowr. In un successivo lavoro storico-critico (?) Marshall, determinati i caratteri dei quali deve essere provvisto un nervo encefalico per essere riconosciuto come segmentale, attribuisce questo va- () V. No 88. (€) V. No 39, rieti citta atea [157] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 11 lore al vago. Fondandosi specialmente sul fatto che ogni nervo segmentale corrisponde a una fessura branchiale, visto che il vago in alcuni bassi vertebrati corrisponde alla 2.* fino alla 7.* fessura, considera il vago come prodotto dalla fusione di almeno 6 nervi segmentali. In quanto al nervo accessorio e al nervo ipoglosso, considerando che essi non sono costantemente nervi craniali, dice esser molto dubbio se meritino la qualifica di nervi segmentali. Riconosce la grande deficenza delle nostre cognizioni sul loro sviluppo. $. 5. — Gli Elasmobranchi hanno fornito il materiale pre- ferito per lo studio dello sviluppo dei nervi, e di loro si è oc- cupato anche Van Wijhe in un lavoro giustamente celebrato. Il merito principale di Van Wijhe è di avere nettamente con- fermata la esistenza nella testa di somiti mesoblastici, la quale già Goette aveva dimostrato negli Amfibii, e più di aver co- statato che essi sono qualche cosa di distinto dalle pareti delle cavità cefaliche di Ba/four, che sono contenute negli archi bran- chiali. Le cavità cefaliche di Ba/four sono il prodotto di una segmentazione della cavità del corpo, in quel tratto per il quale la medesima si estende nella testa, segmentazione in rapporto collo sviluppo delle tasche branchiali. Ma oltre a questa segmen- tazione del mesoderma nella regione ventrale della testa, esiste una corrispondente segmentazione del mesoderma dorsale, per la quale prendono origine protovertebre o somiti in numero di 9 con caratteri simili e in una serie non interrotta con quelli del tronco. Dei somiti più posteriori solo gli ultimi tre, 7°, 8°, 9°, danno in modo evidente origine a fibre muscolari. A ogni segmento della testa corrisponde un nervo provvisto in generale di una radice dorsale mista e di una radice ven- trale motoria; questa ultima è destinata ai muscoli che deri- veranno dal somite, la porzion motoria della radice dorsale ai muscoli formati in seno agli archi branchiali a spese delle pa- reti delle cavità cefaliche, che appartengono alle lamine late- rali. La regione corrispondente al 6° fino al 9° somite e alle respettive tasche branchiali a cominciare dalla 4.* è quella sotto la dipendenza del vago. In principio questo nervo si mostra come una gemma non segmentata della cresta nevrale, a spese della quale si formano più tardi quattro gemme, che si collo- cano al lato esterno del respettivo somite (6.°-9.°) e divente- 12 G. CHIARUGI [158] ranno i quattro rami del vago. Di questi l’ultimo è il più volu- minoso; subiscono nel corso dello sviluppo un spostamento dal di dietro in avanti. Il nervo vago che in principio nasceva con una lunga base dal cervello posteriore acquista successivamente attacchi secondarii e si costituisce una serie di piccole radicole, di numero difficilmente determinabile, alle quali, contraria- mente a quanto avevano fatto Gegenbaur e Balfour, non attri- buisce importanza morfologica. Ogni ramo del vago sviluppa un ganglio in connessione coll’epitelio ispessito della fessura branchiale che si trova innanzi ad esso. Ma oltre al n. vago, che per la sua origine e per la sua distribuzione rappresenta le radici dorsali o posteriori degli ultimi quattro nervi segmentali della testa, esistono nella me- desima regione radici ventrali (4), delle quali la prima è rudi- mentale, le altre corrispondenti e destinate al 7.° 8.° e 9.° mio- tomo sono ben sviluppate e costituiscono l’ipoglosso, il quale in conseguenza appartiene al medesimo sistema del vago. Le osservazioni embriologiche di Van Wijhe confermano così le osservazioni anatomo-comparative di Gegendaur. Ma lo stesso Van Wijhe(N.° 51) ha modificato più tardi alcune delle precedenti vedute: ammette che le radici del vago corri- spondano solo al 6. e al 7.° somite; queste sole incrociano la faccia esterna del somite respettivo, mentre le due successive scorrono al suo lato interno. Dietro questo reperto le due ipo- tesi più probabili sulla natura del vago sono: o che esso ap- partenga tutt’ al più a 2 somiti (il 6° e il 7°) e che solo in via secondaria si sia esteso ad un territorio ad esso primitivamente estraneo; oppure che rappresenti una parte delle radici dorsali di più somiti, cioè quella parte non più accennata, che origi- nariamente si trovava al lato esterno di questi somiti. In tal caso deve contenere quella spettante alle radici dorsali del- l’ipoglosso e inoltre dei primi nervi cervicali. In un successivo lavoro (N.° 50) Van Wijhe si è occupato dei somiti e dei nervi della testa negli embrioni di rettili e di uccelli, ed ha essenzialmente confermato per questi vertebrati le conclusioni tirate dal primitivo studio sugli embrioni di (3) Che negli embrioni di alcuni Selaci esistano delle radici ventrali del vago ha detto anche Fosenberg. Ù Ù È IT N dl " d Dl ri [159] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 13 Elasmobranchi. Tra il primo nervo cervicale e il vago si tro- vano quattro somiti occinitali (6°, 7°, 8°, 9°) omologhi a quelli dei Selaci. Tutti danno origine ad un miotomo, ma il più an- teriore di questi è rudimentale; solo nella sua metà posteriore si sviluppano fibre muscolari; se la metà anteriore si fosse svi- luppata sarebbe incrociata dal vago, che così corrisponde al 6° miotomo. Ai successivi miotomi non corrispondono apparen- temente radici dorsali; esse son rappresentate dal vago. Il 1° e forse il 2° nervo cervicale si sviluppano più tardi dei se- guenti. Il vago è congiunto alla radice dorsale del 1.° n. cervi- cale da una commessura, che forma verisimilmente l’ abbozzo del n. accessorio. Ai tre posteriori miotomi occipitali, e destinate ai muscoli che deriveranno da loro, corrispondono altrettante radici ven- trali, che si riuniscono a formare l’ipoglosso. $. 6. -— Ma eccoci di fronte ad altri studi che modificano essenzialmente molte delle opinioni precedentemente riferite. Alludo alle osservazioni di Froriep consegnate in vari suoi scritti. Froriep ha egli pure costatato nei Vertebrati superiori la esistenza di protovertebre occipitali sviluppanti placche musco- lari. Di queste ne esistono 4 negli uccelli, 3 nei mammiferi; e, in specie le più anteriori, hanno uno sviluppo rudimentale. Alle due più posteriori placche muscolari degli uccelli e alle 3 dei mammiferi corrispondono altrettante radici nervose ven- trali che si uniscono a formare l’ipoglosso. Negli uccelli l’ipo- glosso è costituito da sole radici ventrali, ed anzi anche i due primi nervi cervicali non posseggono che la radice ventrale. - Nei mammiferi peraltro, a un certo periodo di sviluppo, alla radice più caudale dell’ipoglosso corrisponde una radice dor- sale con ganglio, rudimentale in confronto alle seguenti, ma con disposizione identica; anche alla radice media corrisponde un accenno di ganglio anche più ridotto e isolato dal XIT°. Tali rudimenti di radici posteriori e di gangli per l’ipoglosso spariscono nell’ulteriore sviluppo; solo, come già si sapeva per le osservazioni di Meyer e di altri, negli animali e anche nel- l’uomo, rarissimamente, l’ipoglosso può per varietà anato- mica possedere una radice dorsale ganglionare, anche nell'età adulta (1). (*) Di recente Zversen ha descritto nel Protopterus due radici dorsali per l’ipoglosso. 14 G. CHIARUGI [160] Il nervo vago-accessorio è, secondo Fyoriep, affatto estra- neo al territorio delle placche muscolari. L’accessorio, ascen- dendo ai lati del midollo, congiungendosi alle origini del vago, viene a descrivere un arcata che gira al davanti della serie dei miotomi occipitali. L’accessorio scorre fra le radici dorsali e ventrali dei nervi cervicali e non contrae alcuna connessione coi gangli rudimentali dell’ipoglosso. Il ganglio nodoso del vago come i gangli di altri nervi cerebrali, in determinato periodo di sviluppo, si trova in connessione con ispessimenti epidermici degli ultimi solchi branchiali, che sono rudimenti di organi di senso. I muscoli innervati dall’ipoglosso derivano da una massa di tessuto che è in connessione coll’abbozzo dell’estremità su- periore (.Schulter-Zungenstrang), quindi appartengono genetica- mente non all'apparato degli archi branchiali, ma al tronco. Non è inutile avvertire come le osservazioni di Frorzep ri- guardano embrioni a sviluppo discretamente inoltrato. Su questi principali fondamenti di fatto, Yyoriep eleva la sua teoria, la quale consiste essenzialmente nell’ammettere che l’ipoglosso e il vago-accessorio rappresentino ambedue un com- plesso di nervi, ma il primo di nervi spinali, il secondo di nervi segmentali della testa, di nervi branchiali; che tra loro stia il limite non solo di due differenti territori del sistema nervoso periferico, ma insieme di due sezioni del corpo vertebrato a loro corrispondenti: da una parte, cioè cranialmente rispetto a questo limite, si trova la regione degli archi branchiali, cau- dalmente la regione della colonna vertebrale. Esse si sono dif- ferenziate precocemente nella formazione del tipo vertebrato e deriva da erronee supposizioni lo sforzo di volere omologiz- zare i segmenti dell'una coi segmenti dell’ altra. Nella testa dei vertebrati dobbiamo pertanto distinguere una porzione verte- brale o spinale, che corrisponde al territorio dell’ipoglosso (4), e una porzione cerebrale; quest'ultima, che è situata cranial- mente rispetto alla prima, può scomporsi in una porzione an- teriore o evertebrale, e in una porzione posteriore o pseudo- vertebrale, che è appunto la regione degli archi branchiali, la (1) Ricorderemo qui incidentalmente che Mc. Murrich ha ammesso che negli Amnioti 20 3 Vertebre si siano fuse col cranio, di modo che un gruppo di n. spinali (ipoglosso) sono divenuti n. cranici. à i i [161] sviLUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 15 regione del gruppo del trigemino e del gruppo del vago. In corrispondenza della superficie di incontro della porzione cere- brale colla spinale della testa vanno perduti o tendono a di- venire rudimentali segmenti dell'una e segmenti dell'altra. $. 7. — Anche gli studi di A/X/%orn hanno messo sotto un punto di vista nuovo la questione che ci occupa, e aggiunto nuove opposizioni alla teoria di Gegenbaur. Per A%lborn la segmentazione del mesoderma dorsale della testa (mesomeria), che mena alla formazione dei somiti descritti da V. Wijhe in continuazione di quelli del tronco, è un processo indipendente dalla branchiomeria entodermale, cioè dalla formazione di pieghe dell’entoderma che conduce alla segmentazione della regione branchiale. Così i somiti e gli archi branchiali non si corri- spondono. I nervi cerebrali spinaloidi hanno subìto nella distri- buzione delle loro branche l'influenza complessa della meso- meria e della branchiomeria, le quali, essendo discordanti fra loro, hanno condotto a una condizione assolutamente dismeta- merica del cervello e dei nervi (1). A%/born nel Petromyzon riu- nisce il n. vago e l’ipoglosso in un solo gruppo, nel quale l’ul- timo rappresenta le radici motorie. $. 8. — Quasi contemporaneamente agli studi di Frorsep, Beard, indipendentemente da lui, giungeva negli Ittiopsidi a consimili risultati. Egli pure dimostrò che a un dato periodo di sviluppo si stabilisce fusione intima fra l’epitelio di una fes- sura branchiale e il corrispondente nervo cranico derivato come gemma dalla cresta nevrale, e da questa fusione si differenzia in seguito un ganglio e un organo di senso branchiale. Delle branche riconoscibili in un nervo cranico alcune hanno diretta derivazione dalla cresta nevrale, altre sono in rapporto di for- mazione coll’ ectoderma della fessura branchiale. Questi feno- meni caratteristici per i nervi cefalici mancano affatto nei nervi del tronco. Il corpo dei’ vertebrati può essere diviso in una porzione provvista di branchie (la testa) ed in una che ne è sprovvista (il tronco), e non è possibile stabilire omologie fra le parti costitutive dell'una e quelle costitutive dell'altra, compresi naturalmente i nervi. Il nervo vago risulta, secondo (1) V. in Gegenbaur (N.° 23) una lunga discussione intorno alle idee di A7lborn. 16 G. CHIARUHI | [1 62] Beard, dalla fusione dei 4 ultimi nervi segmentali della testa; l’ipoglosso appartiene al sistema dei nervi spinali (1). In una recentissima pubblicazione (N.° 4) Beard ha esteso e completato le precedenti ricerche, insistendo principalmente nel dimostrare che i gangli così cranici che spinali nascono dall’ epiblasto e sono primitivamente indipendenti dalla placca. nevrale, ma la maniera di origine dei gangli cranici non'con- corda che in parte con quella dei gangli spinali, avendosi solo per i primi la partecipazione alla loro formazione dell’ epiblasto laterale corrispondente alla respettiva fessura branchiale. $.9. — Dohrn, nei suoi importanti studi sulla morfologia i dei vertebrati, critica i tentativi di stabilire il numero dei segmenti della testa da un sistema di organi determinato; oc- corre prendere in considerazione tutti quanti gli organi che costituiscono un determinato segmento, potendo in certi segmenti alcuni organi essere scomparsi o essere imperfettamente svilup- pati. Nella testa le parti ventrali dei segmenti sono molte svi- luppate, mentre le parti dorsali (protovertebre e loro derivati) sono molte ridotte (2). I nervi della testa e quelli del tronco son due varianti di un tema da lungo tempo perduto, e le pro- fonde differenze che fra loro esistono, sono principalmente, do- vute alla diversità delle parti che innervano. I nervi cerebrali non hanno branca corrispondente alla branca dorsale dei nervi spinali, questa branca essendo principalmente destinata ai mu- scoli derivati dalle protovertebre; l'insieme di un nervo cere- brale rappresenta principalmente una branca viscerale enor- memente sviluppata. Dohrn nega che la musculatura della lingua abbia rapporto colla musculatura delle estremità, però ammette che appartenga al sistema dei muscoli del corpo (al sistema delle protoverte- bre) e che l’ipoglosso sia perciò un vero nervo spinale. $. 10. — In un lungo lavoro critico sulla metameria della testa dei vertebrati, che mal si presta ad essere brevemente (3) Debbono essere a questo punto ricordati gli studi di Johnson e Sheldon, i quali credono, contrariamente a Beard, che dal numero e dalla disposizione degli or- gani sensitivi non si possa trarre alcun buon criterio per la determinazione del nu- mero dei segmenti cefalici — Ransom e Thompson credono che gli organi sensitivi irregolarmenti disposti nella pelle non abbiano alcun rapporto coi gangli. (®) Dohrn non crede che isomiti di V. Wijhe siano formazioni omodiname alle protovertebre. I dI erp » IE Ro [163 SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 17 riassunto (N.° 23), Gegendaur ha modificato alcune delle sue pre- cedenti vedute altrove riferite. Egli, anzi tutto, ripetutamente insiste sul concetto che la ontogenia meno che la anatomia comparata si presta a delucidare oscuri problemi morfologici. Ammette la esistenza nella testa di somiti, che indicano una primitiva metameria nella regione dorsale della medesima, ma per le gravi trasformazioni avvenute, il numero dei so- miti non può indicare il numero dei metameri. Gli ultimi 3 so- miti dei Selaci (di V. Wijhe), che si comportano per tanti ri- guardi molto differentemente da quelli, che li precedono nella serie, non corrispondono a uno stato primitivo; è probabile che essi non appartengano primitivamente alla testa, ma che siano segmenti del tronco ad essa aggiuntisi secondariamente. Questo fatto si associa alla riduzione della testa primitiva nel suo limite posteriore, così dorsalmente che ventralmente, e questa riduzione rende possibile che la regione ventrale della testa sia invasa da produzioni muscolari, che appartenevano primitivamente al tronco. Tale processo di aggiunta di meta- meri alla testa non può essere invocato a spiegare la filoge- nia della testa primitiva. — Sebbene non sia sempre riconosci- bile nella ontogenesi, ammette Gegendaur una corrispondenza fra la metameria dorsale e la ventrale della testa. — Per lo stu- dio della metameria di questa non crede che abbia importanza la disposizione metamerica dimostrata nel gervello posteriore e nel medio di molti vertebrati. I nervi primitivi della testa of- frono nella loro genesi alcuni caratteri comuni: le loro radici scorrono al di sopra dei somiti, si sviluppano coi loro gangli a spese dell’ectoderma, mentre le radici posteriori dei nervi spinali scorrono al di dentro del somite. Ciò è di grande impor- tanza. Va abbandonato il concetto di una completa omodinamia dei nervi cefalici cogli spinali. Il n. vago, indubbiamente po- limerico, è l’ultimo dei primitivi nervi cefalici. L’accessorio del Willis non ha importanza per la questione della metameria della testa, come dimostrano la sua comparsa solo nelle più alte divisioni di vertebrati, e il fatto che esso si separa dal vago. Costatato che nei Selaci le così dette inferiori radici del vago si presentano in numero molto differente e si uniscono a un numero variabile di nervi spinali, dimostra che il pos- sesso di radici inferiori per i nervi cefalici non è qualche cosa Sc. Nat. Vol. X. 11 18 6. CHIARUGI [164] di indispensabile; e in quanto alle così dette radici ventrali del vago non possono esser considerate come appartenenti al vago, ma spettano ad un territorio situato più posteriormente; esse non dovevano far parte primitivamente della testa, ma del tronco, e solo in via secondaria son rimaste incluse nel terri- torio della testa; infatti innervano i derivati degli ultimi so- miti, che abbiamo già detto essere in origine segmenti del tronco. Tali radici ventrali del vago dei Selaci, e i primi nervi spinali rappresentano un complesso ancora indifferente, dal quale il nervo ipoglosso si è differenziato più tardi. L'Ipoglosso degli Amnioti è forse qualche cosa di nuovo rispetto alle radici in- feriori del vago dei Selaci. — Discute a lungo i resultati delle osservazioni di Fyroriep. Non crede assodato che i2 n. precer- vicali da lui dimostrati negli uccelli siano da considerare come Ipoglosso e che i due più anteriori miotomi, ai quali non, cor- rispondono nervi, siano da considerare come appartenenti pri- mitivamente al tronco. Ma sopratutto insiste nel dimostrare che la porzione di cranio situata al di dietro dell’ uscita del vago non rappresenta delle vertebre fuse col cranio. Il cranio non è in atto di un aumento caudale, e la concrescenza tardiva di alcune vertebre col cranio, verificata in alcuni Selaci, non porta alcun appoggio alla teoria di Froriep. Malgrado le critiche mosse da Gegendaur a Froriep, non si può disconoscere che le attuali idee di Gegendaur sono in molti punti sostanzialmente simili a quelle sostenute da FYoriep, come quest’ ultimo ha rilevato in un suo scritto polemico (N.° 18). $.11. — Per molti titoli His è da ricordare in questo breve riassunto storico. Fra i primi che abbiano più comple- tamente studiato lo sviluppo dei nervi encefalici negli embrioni di pollo (!), ha potuto per il primo costatare alcune fasi di for- mazione del nervo accessorio e del nervo ipoglosso. Più di ogni altro ha recato materiali alla conoscenza dello sviluppo dei nervi encefalici nell’embrione umano (?). I suoi studi sulla for- mazione dei gangli e delle radici nervose e sullo sviluppo delle fibre nervose, che ci dispensiamo dal riassumere (3), sono un'utile guida nello affrontare questioni morfologiche. Egli, a differenza (1) v. No 26. © v. No 27.» (3) v. No 29. da Diete i Pea 0g PP » 9° pe = i VO . [165] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 19 di quasi tutti gli altri osservatori nello studio della morfologia dei nervi (') prende giustamente in molta considerazione i rap- porti che corrono fra le radici nervose e i centri, dai quali esse provengono. Ma ciò che predomina nei concepimenti teo- rici dell’ His è lo sforzo. di voler dar ragione dei fatti morfo- logici sul fondamento delle condizioni meccaniche, sotto le quali sì fa la formazione degli organi. Sono per lui organi omologhi quelli che derivano da un determinato abbozzo sotto le medesime condizioni. Applicando questo principio allo studio comparativo della testa e del tronco, egli intende dimostrare che la segmen- tazione della testa si fa sotto condizioni speciali, che non sono quelle, sotto le quali si ha la formazione di segmenti nel tronco, e che non sono le stesse per tutti quanti gli organi, che la compongono. I segmenti della testa non corrispondono ai meta- meri del tronco e così i nervi encefalici non possono essere con- siderati come morfologicamente corrispondenti agli spinali. Egli esclude che un nervo si mantenga in rapporto esclusivo col segmento al quale apparteneva primitivamente, ma ammette che possa estendersi ad altri territorii. È assolutamente con- trario alla idea di considerare l’ipoglosso come nervo spinale, . sia tenuto conto del nucleo di origine delle sue fibre, sia del punto di loro emergenza al davanti della curvatura nucale. Non crede che la musculatura della lingua possa esser derivata dalla musculatura del tronco. L’ipoglosso non può esser sepa- rato da quel complesso di nervi, al quale appartengono il vago, e la porzione cerebrale dell’accessorio. In questo complesso sono rappresentati nervi midollari e gangliari (2). Son nervi midollari ia porzione motrice del X°. la porzione cerebrale del- l'accessorio e l’ ipoglosso; è un nervo gangliare la porzione sen- sitiva del vago. In modo generale i nervi midollari e gangliari sono primitivamente fra loro indipendenti. $. 12. — Tra i recenti autori che hanno toccato la que- stione, della quale ci occupiamo, va annoverato Kastschenko. Negli Elasmobranchi (*) egli ha studiato le protovertebre cefaliche giungendo a resultati differenti da quelli di Van Wijhe. Egli (1) v. N.0 28. (*) Sono nervi midollari quelli costituiti da fibre sviluppatesi da cellule del cer- vello o del midollo spinale, sono nervi gangliari quelli derivati dalle cellule dei gangli. (3) v. N° 36. 20 G. CHIARUGI [166] non ammette somiti cefalici anteriori che abbiano lo stesso va- lore delle vere protovertebre. La segmentazione del mesoderma dorsale che condurrà alla formazione di somiti comincia nel limite fra testa e tronco, come già aveva segnalato Van Wijhe, e di là procede in avanti e in dietro. In avanti, fino a livello della 3.* tasca branchiale, la segmentazione è chiara ed evidente; dalla 3. alla 1.* tasca branchiale si hanno solo accenni di segmentazione del mesoderma dorsale. La metameria della testa dipendente dalle tasche branchiali non corrisponde alla primitiva metameria del mesoblasto (dorsale) e quindi alla me- tameria del tronco. Resta a vedere se questa condizione è pri- mitiva o di acquisto secondario. Le protovertebre cefaliche po- steriori, a un dato periodo di sviluppo, si disfanno nel me- senchima. ù Nello studiare il territorio branchiale del pollo si è occupato Kastschenko (*) anche dello sviluppo dei corrispondenti nervi e dei loro rapporti coi varii organi di questa complicata regione. Tra i fatti sui quali egli si intrattiene citerò che conferma la origine del vago in epoca relativamente tardiva come gemma che si stacca dall’abbozzo del glossofaringeo; ammette una pre- coce scomparsa dei resti della cresta nervosa primitiva. Oltre al ganglio nodoso ammette nel vago il ganglio dorsale, consi- derandolo multiplo, e descrivendo come tale le radici colle quali il vago a un certo periodo di sviluppo si attacca al cervello posteriore. Il ganglio nodoso per mezzo di processi sensori, che non raggiungono un completo differenziamento, entra in rap- porto cogli ultimi solchi branchiali. — Non fa parola della ori- gine dell’accessorio. — Costatata la esistenza dell’ipoglosso e i rapporti di esso colla Schulterzungenleiste di Froriep ritiene pos- stbile che effettivamente l’ipoglosso sia formato dalla fusione di radici anteriori di più nervi spinali, dei quali le radici poste- riori si sono atrofizzate. Conclude col considerare nel gruppo del vago la tendenza alla segmentazione e, come Froriep, lo defi- nisce il nervo dei posteriori archi branchiali scomparsi in parte durante la filogenia. $. 13. — Faremo breve menzione dei lavori di Béraneck. Nel suo studio sullo sviluppo dei nervi cranici nelle lucertole (2) (1) v. N.0 35. © v. No 6. Wifase >» [167] SsvILUPPO DEI NERVI vAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 21 egli non si occupa di studiare il nervo ipoglosso e il nervo spinale, perchè essi nascono non dal cervello posteriore, ma dal midollo spinale, quindi effettivamente non sono nervi ce- rebrali ma spinali. Le radici dell’ipoglosso non sono che le due prime paja di nervi spinali. Espone molti fatti relativi allo sviluppo del pneumogastrico, ma pure da molti punti di vista la sua esposizione è incompleta, così per quanto riguarda il ganglio. nodoso e i suoi rapporti colla regione branchiale. Non prende in alcuna considerazione i somiti e i miotomi della testa. Mostra di essere seguace delle teorie di Ba/four. In un successivo lavoro (!) Béraneck, studiando negli em- brioni di pollo le pieghe della parete del cervello posteriore, le considera come dipendenti da una segmentazione primitiva della testa e le mette in relazione colle radici dei n. cranici. Dall’ultima di dette pieghe midollari, la 5.*, nasce il n. glosso- faringeo, che considera quindi come l’ultimo dei veri nervi ce- cebrali. 1l n. vago compare più tardivamente, in maniera in- dipendente dal glossofaringeo, ed è da considerare come un complesso di 4 o 5 nervi spinali tra loro fusi per la concen- trazione avvenuta nella regione branchiale. Ciò è dimostrato dalla analogia che le sue cinque radici hanno colle radici dor- sali spinali, dalla somiglianza del suo ganglio (nodoso) coi gangli spinali, dalla commessura che lo collega alle prime paja spinali e dal corrispondere le sue radici alla regione delle protover- tebre. Sostiene che tra i nervi cranici e spinali non esiste dif- ferenza assoluta rispetto alla loro maniera di comportarsi col- l’ectoderma e che gli organi di senso branchiale non hanno una disposizione segmentale; così non possono essere utilizzati per determinare il numero dei segmenti cefalici. A conforto di tali opinioni cita il fatto che il vago, benchè polimerico, si mette con il suo ganglio in rapporto con un solo organo di senso» branchiale, e che l’ipoglosso, nervo spinale costituito da 2 radici, arrivato alla base dell'arco mascellare inferiore, pre- senta un ganglio in connessione colla pelle (!) ©. Phisalix, studiando l'anatomia di un embrione umano di 32 giorni, si è mostrato seguace della teoria, che vuole i nervi (3) v. N07. (*) Torneremo su questo strano reperto di Beraneck. 22 G. CHTARUGI [168] cranici costituiti secondo un tipo perfettamente paragonabile a quello dei n. spinali. Le differenze apparenti risulterebbero da una modificazione secondaria della disposizione primitiva, dovuta all’accrescimento rapido e precoce del tubo midollare per costituire il bulbo. Ha notato in alcuni nervi cranici la maggior convergenza delle radici sensitive e motrici. Ha veri- ficato l’esistenza di un prolungamento cellulare, che collega il 1.° ganglio cervicale al ganglio del X°, ma non ne ha determi- nato la natura. Le fibre dello spinale hanno la stessa origine di quelle dell’ipoglosso. L'ipoglosso è riferibile sia al n. vago, sia al 1.° pajo cervicale. Onodi ha cercato nuovamente dimostrare, con osservazioni in alcuni Selaci, che il n. vago corrisponde a un complesso di più nervi spinali, e che i nervi branchiali sono omologhi a veri n. spinali. Nei gangli branchiali vede una somma di gangli spi- nali e simpatici. Le così dette radici ventrali del vago non hanno che fare con questo nervo, ma si congiungono coi supe- riori nervi spinali. i Infine Hoffmann nella sua Embriologia dei Rettili nel Trat- tato di Bronn (4), dopo la esposizione di numerosi fatti relativi allo sviluppo del sistema nervoso periferico, fa notare che i nervi encefalici per la loro origine molto assomigliano alle ra- dici dorsali dei nervi spinali; si ferma molto a considerare la segmentazione del eervello posteriore e del retrocervello (che, come è noto, è stata particolarmente illustrata dagli studi di Rabl e di Kupffer), vi riconosce almeno 6 segmenti e mette questi in rapporto colla origine dei gangli cerebrali. All'ultimo segmento corrisponderebbe il ganglio dell’ accessorio-vago, che considera come un nervo unico. Il n. ipoglosso è costituito anche per lui secondo il tipo di un nervo spinale. Oltre gli autori fin quì citati, che certo sono fra quelli che più si sono occupati dello sviluppo dei nervi encefalici, e della indagine del loro valore morfologico, molti altri potrebbero (1) La dispensa 63-64 di quest’ opera (VI.Bd.-III Abt.), che porta la data 1888, per noi la più interessante, è pervenuta a questa nostra Biblioteca quando già avevo completato le mie ricerche relativi ai Rettili, ed era già comparsa nell’ Anatomisches Anzeiger la nota preventiva del presente lavoro, colla data Novembre 1888. Debbo aggiungere che molte delle tavole citate nel testo ‘dell’ Hoffmann non sono ancora pubblicate . E POROTOTAIA SI DD. — __.___ re [169] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 23 esser ricordati, che ne hanno trattato in maniera più o meno indiretta. Ma, non tanto perchè il parlar di tutti ci porterebbe troppo a lungo, quanto perchè di alcuni, malgrado la buona volontà, non abbiamo potuto prender cognizione nell'originale, ma solo in riviste e in sunti non sempre sufficientemente det- tagliati e chiari, qni ci arrestiamo nella nostra esposizione (1). $. 14. — Riassumendo la quale per sommi capi, possiamo dire che fondamentalmente gli autori che si sono occupati della morfologia dei nervi encefalici possono essere classificati in tre gruppi ben distinti: in coloro che ai nervi encefalici negano ogni disposizione metamerica; in coloro che invece li conside- rano come aventi disposizione segmentale, corrispondente a quella dei nervi spinali, sul cui tipo sarebbero essenzialmente foggiati; infine in coloro, che, pur ammettendo pei nervi en- cefalici una disposizione metamerica, li giudicano appartenenti a un sistema del tutto indipendente da quello del tronco. Il n. vago, che viene generalmente considerato come rap- presentante un complesso di nervi cerebrali, è stato volta, volta ammesso che si sviluppasse secondo il tipo delle radici dorsali spinali, alle quali sarebbe stato perfettamente parago- nabile, o che rappresentasse radici dorsali che contengono in se gli elementi che nei nervi spinali si trovano divisi fra le radici dorsali e le ventrali, o che rispondesse a un tipo di for- mazione assolutamente differente da quello delle radici spinali. Per l’ipoglosso è diviso il giudizio se sia nervo cerebrale o spinale, se rientri nel sistema del vago o se sia da quello assolutamente indipendente. Infine per l'accessorio non è stabilito se sia giusta l’ opi- nione di quelli che lo considerano come una dipendenza del vago, o degli altri che lo credono in parte in connessione mor- fologica col vago, in parte nervo spinale. Le imperfette cogni- «zioni che si hanno sul suo sviluppo ci impediscono di formu- lare precise risposte, e nemmeno potremmo dire se, pur essendo questo nervo di formazione recente, ha davvero, come vogliono alcuni, una limitata importanza morfologica, oppure se, per la sua posizione intermedia fra la testa e il tronco, sia *la pren- dere in attenta considerazione. (!) Altri autori saranno citati nel corso del lavoro, quando se ne; presenterà l'occasione. [170] Nuove osservazioni sono pertanto giustificate. Di quelle da me eseguite vengo a render conto, dichiarando che intendo completarle in avvenire in quello che hanno di difettoso ed estenderle anche ad animali delle due classi inferiori di verte- brati, delle quali non mi sono fino a questo momento occupato. 24 G. CHIARUGI Osservazioni Metodo di studio Gli embrioni erano di solito fissati a mezzo del liquore del Kleinenberg, colorati con carminio alluminoso Grenatcher, e, dopo inclusione in paraffina, sezionati in serie col microtomo di Becker. Le sezioni, se non esclusivamente, pure di preferenza, erano fatte secondo un piano sagittale, ed anzi, perchè lo stu- dio sia profittevole, è necessario usare la massima cura a che la orientazione dell'embrione avvenga con esattezza (*). Lo spes- sore delle sezioni era di solito di 30 4; per rilevare alcune par- ticolarità di struttura sono utili sezioni anche più sottili, ma, per prendere una idea generale dell'andamento dei principali fasci nervosi, è preferibile non frazionare troppo il preparato, ed anche sezioni di spessore superiore a quello indicato possono essere studiate con profitto. Sono assolutamente necessarie le ricostruzioni grafiche, che ho sempre praticato secondo un piano parallelo a quello di sezione. I disegni che dovevano servire a queste ricostruzioni erano presi a mezzo dell’Embriografo di His, e solo per i più forti ingrandimenti colla applicazione della camera chiara Oberhauser od altra al microscopio Hartnack. Di solito dise- gnavo una per una le sezioni, che dovevano essere utilizzate nella ricostruzione, e di questi disegni singoli mi servivo per il disegno d'insieme, sovrapponendoli in maniera opportuna. Posso dire che molti fatti, dei quali mi ero persuaso in se- guito a ricostruzioni grafiche, mi furono nella maniera più evi- dente confermati dallo studio di sezioni singole di altri em- (*) Quando non sarà espressamente dichiarato si terranno presenti per la descri- zione i preparati ottenuti con sezioni sagittali. [171] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 25 brioni di corrispondente sviluppo, ove per una fortunata dire- zione del taglio si trovavano riunite diverse particolarità, di- stribuite in altri casi sopra un certo numero di fette. E sono appunto queste sezioni in sommo grado dimostrative, che ho generalmente preferito riprodurre nelle tavole annesse al pre- sente lavoro. Per le prime fasi di sviluppo non ho trascurato lo studio di embrioni intieri. RETTILI Ho esaminato embrioni di Lacerta muralis e di Tropido- notus natrix. Lacerta muralis. (Fig. schematiche. I e II). a 1. Grado di sviluppo. — $. 2. Miotomi e loro corrispondenza cogli abbozzi dello scheletro assile. — $. 3. Primi nervi cervicali. — $. 4. vago. — $. 5. N. accessorio. — $. 6. Rudimenti di radici dor- sali per il 1.° n. cervicale e per i n. occipitali. — $. 7. Radici ventrali occipitali (Ipoglosso). — $.8. Riassunto. $. 1 — Gli embrioni di Lacerta, dei quali ho potuto di- sporre per questo studio, avevano varcato le primissime fasi di sviluppo; presentavano già tutti la curvatura nucale. Per dare idea dello stadio, nel quale si trovavano, ho preso dei medesimi la lunghezza massima e la lunghezza dal tubercolo nucale al punto caudalmente più sporgente (lunghezza nucale), scegliendo embrioni, che non avevano subìto lo svolgimento artificiale della estremità caudale. Potrò aggrupparli in 4 ordini: Nel 1.° la lunghezza massima era in media mm. 3,7 3 nucale 4 ORTO Nel 2.° P massima 3 ario. (4 o nucale 7 LIO Nel 3.° n massima È SOSIO. ; nucale * > PIAGA Po, Nel 4.° n massima È 0 4 nucale È RT, IRA 26 G. CHIARUGI a [172] $.2. — Prima di prendere in questi embrioni in consi- derazione le particolarità di sviluppo dei nervi, ho naturalmente rivolto la mia attenzione sovra i segmenti del mesoderma nella regione cervicale ed occipitale, a spese dei quali si erano fin nel 1.° stadio costituite placche muscolari. Negli embrioni del 1.° stadio (Fig. 1, 2, 3) i miotomi esami- nati nel loro piano più esterno erano nettamente separati l’ uno dall'altro da una sottile stria chiara di tessuto mesenchimale ; in un piano leggermente più interno, fra l’uno e l’altro scor- reva un’arteria diretta diramazione dell’aorta (arteria inter- protovertebrale). Più profondamente, quando lo strato delle fibre muscolari era già stato rimosso, si scorgevano ispessimenti del mesenchima, primo abbozzo di produzioni vertebrali, corrispon- denti esattamente a ciascun miotomo, e lascianti affatto libero l'intervallo fra un miotomo e i vicini. Per ogni miotomo si notava un ?spessimento craniale che corrispondeva alla metà anteriore di esso ed uno caudale corrispondente alla metà po- steriore; il primo subito al di dietro dell’ arteria interproto- vertebrale che scorreva al davanti del miotomo, il secondo immediatamente al davanti dell’arteria interprotovertebrale che scorreva al di dietro del miotomo; le radici dei nervi si facevano strada fra i due ispessimenti di mesenchima. Si po- .tevano accompagnare tali addensamenti in sezioni via via più interne, nelle quali si facevano sempre più ventrali, fino in im- mediata vicinanza della notocorda; e si notava che gli adden- samenti corrispondenti a ciascun miotomo si avvicinavano fra loro in modo che non era intorno alla notocorda possibile di- stinguerli; si fondevano ivi in un unico nucleo che circondava al notocorda e che si poteva considerare come un centro, dal quale a mo’ di archi partivano le due produzioni descritte, che si col- locavano alla faccia interna del miotomo, rispettivamente lungo la metà anteriore e la metà posteriore di esso. Nella regione occipitale tali ispessimenti mesenchimali, seb- bene esistessero in corrispondenza di ciascun miotomo erano poco distinti fra loro, e, specialmente avvicinandosi al piano mediano davano luogo per la loro fusione ad un’ unica striscia di mesenchima ispessito, che era facile riconoscere per l'ab- bozzo della porzione basilare dell’occipitale. Anche in questo stadio era dunque possibile determinare RN E 8 LP < 2 ACI Vuol” È la Li 2) sb: È +‘ » 1 f ‘ [173] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NFI MAMMIFERI 27 esattamente i limiti della regione cervicale e quindi il numero ed i caratteri dei miotomi occipitali. Essi erano in numero di quattro (!); differivano da quelli del tronco per il volume leggermente decrescente dal di dietro in avanti, ma la differenza era esigua, per una minore com- pattezza dello strato epiteliforme dorsale, specialmente nei più anteriori, e per la posizione, che era dal di dietro in avanti gradatamente più laterale. La distanza fra il più anteriere e il contorno posteriore della vescicola acustica corrispondeva poco più che alla lunghezza di un miotomo: anche in questo miotomo più craniale lo sviluppo delle fibre muscolari era av- venuto in maniera completa e si trovavano tanto nella sua metà anteriore che nella sua metà posteriore. Mi trovo dunque in opposizione con Van Wijhe, che afferma avere il somite più craniale nei rettili uno sviluppo rudimentale e non svilupparsi fibre muscolari che nella sua metà anteriore. Anche nella re- gione occipitale si notavano arterie interprotovertebrali alter- nanti coi miotomi; peraltro esse non derivavano direttamente dall’aorta ma dall'arteria interprotovertebrale interposta fra il 1.° miotomo del tronco e l’ultimo occipitale per mezzo di unico tronco che dava origine chiaramente a 2 arterie inter- protovertebrali e forse a una terza, la più anteriore, destinata all’interstizio fra il 1.° e il 2.° miotomo occipitale. Nei susseguenti stadi 2.° e 3.° ( Fig. 4, 5,6) non esiste più quella regolare corrispondenza degli ispessimenti di mesen- chima, abbozzo di produzioni vertebrali, coi miotomi. Nelle parti laterali gli ispessimenti del mesenchima si alternano coi miotomi, occupando l'intervallo fra l'uno e l’altro, quasi a pre- stare punto d'appoggio alle fibre muscolari; questi archi ver- tebrali primitivi, come possono esser chiamati, rappresentano gli ispessimenti caudali di mesenchima presi in considerazione parlando del 1.° stadio; essi si sono sviluppati notevolmente, mentre i craniali son rimasti stazionari e son divenuti dipen- denza dei posteriori del segmento precedente col quale si sono, almeno parzialmente, fusi. In sezioni più interne si verificano condizioni simili, cioè un graduale passaggio e continuazione (*) Non posso confermare l'osservazione di Hofmann che ammette 5 di tali miotomi. 28 G. CHIARUGI ‘dell’ispessimento craniale di un segmento col caudale del seg- mento precedente, mentre una separazione assai netta, tranne nell'immediato contorno della notocorda, esiste fra l’ispessi- mento craniale e caudale del medesimo segmento. Ci è sem- brato che avessero preso origine in questo modo per l'unione di ispessimenti di mesenchima, corrispondenti a due segmenti contigui, centri vertebrali. Ciascano di questi ha sotto la sua dipendenza l’arco vertebrale primitivo sviluppato essenzialmente a spese dell'ispessimento caudale di mesenchima corrispondente al miotomo, che sta al davanti del centro vertebrale (4). Anche ala regione occipitale del cranio abbiamo sui lati ispessimenti di mesenchima analoghi agli archi vertebrali pri- mitivi che si alternano colle placche muscolari, ma solo i 2 po- steriori chiaramente ricordano per il loro sviluppo e per la loro forma quelli del tronco, gli altri sono fra loro fusi e hanno . raggiunto una minore estensione; avvicinandosi al piano sagit- ‘tale queste produzioni si fondono completamente fra loro e prende origine la porzione basilare dell’occipitale, ove non si verificano tracce di segmentazione. I quattro miotomi occipitali, che anche in questo stadio si presentavano alla osservazione, avevano, in confronto allo sta- dio precedente, subìto una riduzione notevole, crescente in di- rezione craniale, la quale si manifestava per il minor volume, per la minor quantità di fibre muscolari, per un principio di meno netta separazione fra l’uno e l’altro. Ho trovato una sola arteria interprotovertebrale fra gli ultimi 2 miotomi, la quale derivava direttamente dall’aorta. Nel 4.° stadio la rachide e la porzione basilare del cranio erano in piena fase cartilaginea e il riconoscimento dell’ occipi- tale e delle vertebre cervicali non presentava alcuna difficoltà. L'intervallo fra questo stadio e il precedente è discretamente forte, onde mal si argomentano le modificazioni che hanno nel frattempo subìto i miotomi occipitali; ciò che unicamente può rappresentarli in parte in questo stadio è la musculatura che dalla faccia ventrale della porzion basilare dell’occipitale si porta verso le vertebre del collo. È possibile cioè che tali fasci muscolari siano derivati non dal solo 1.° miotomo del tronco, (1) Per lo studio di questi fatti molto mi hanno giovato sezioni frontali. [175] sviLuPPO DEI NERVI vAGO, Ecc. w SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 29 che intercedeva nel precedente stadio fra l’occipitale e la 1.* ver- tebra, ma eziandio dagli elementi dei miotomi occipitali, che si siano insensibilmente fusi e abbiano mescolato i loro ele- menti a quelli del ricordato miotomo. Se ciò sia effettivamente ci potrà esser provato dallo studio che andremo a fare di que- ste produzioni negli uccelli. Ed ora veniamo allo studid dei nervi (!). $.3.— Tatti gli embrioni di Lacerta presentivano una identica disposizione per quanto riguarda i primi nervi cervicali (Fig. 3, 4, 5, 6); vale a dire che il primo di detti nervi era 7 appa- renza rappresentato dalla sola radice ventrale (?), il secondo e ì seguenti erano completi, cioè provvisti della radice ventrale e della dorsale. Il ganglio della radice del 2.° nervo non dif- feriva in generale dai susseguenti per volume e per posizione, solo negli embrioni di più avanzato sviluppo era leggermente meno voluminoso dei susseguenti. Di forma ovale, i gangli spi- nali dorsalmente assottigliandosi si continuavano in un prolun- (1) Dinanzi alle opinioni affatto opposte che si hanno sulla origine dei nervi e al linguaggio conseguentemente diverso che adottano i varî autori, sarà necessario in- tenderci sopra il significato di alcuni termini adoperati nel presente scritto. Quando diremo radice dorsale o gangliare di un nervo spinale a completo svi- luppo, intenderemo sia le fibre o i fascetti di fibre coi quali si fa l'attacco del ganglio al midollo, sia il ganglio, sia le fibre che dal ganglio si gettano sulla ra- dice ventrale. Quando diremo radici del ganglio, intenderemo i fascetti di fibre ner- vose per i quali il ganglio della radice dorsale si attacca al midollo. Si dice che la cresta nevrale dà origine alla parte essenziale delle radici gangliari spinali, ma non è ben determinata la maniera del loro sviluppo. Secondo le osservazioni che abbiamo avuto occasione di fare incidentalmente nel corso di questo lavoro, e delle quali in parte sarà fatto cenno, ci sembra più rispondente al vero la idea di co- loro che ammettono che ciò che deriva dalla cresta gangliare sia il ganglio, che a sviluppo normale perde ogni connessione con i residui della cresta gangliare e col midollo, ma acquista nuove connessioni secondarie col midollo per mezzo di fibre ra- dicolari, che, partendo dalla sua estremità dorsale, penetràno nella sostanza del mi- dollo, mentre d’altro canto le fibre che si sviluppano in direzione centrifuga congiun- gono il ganglio alla radice ventrale. Alle produzioni che nascono dalla cresta gan- gliare, destinate a formare essenzialmente i gangli spinali, darò nome di gemme gan- gliari o di radici dorsali 0 gangliari primitive. — Per il nervo glosso-faringeo e per il vago si possono adottare denominazioni simili a quelle applicate alle radici dorsali dei nervi spinali. Il loro primo abbozzo, muovente dalla cresta nevrale e di costitu- zione puramente cellulare, lo chiameremo gemma gangliare o radice primitiva. Quando questa avrà acquistato attacchi secondarii al midollo e a sue spese si sarà differen- ziato più o meno nettamente uu ganglio, chiameremo l'insieme della produzione sem- plicemente radice del nervo e il ganglio lo chiameremo ganglio della radice. (*) Vedi su questo proposito al $. 6.9. 30 G. CHEARUGI ) [176] gamento diretto verso il midollo, che rappresentava la radice del ganglio; questa col progresso dello sviluppo subiva un re- lativo assottigliamento e si faceva più ricca in fibre nervose; i suoi elementi si mantenevano sempre raccolti, cioè non si sparpagliavano nell'atto della loro inserzione al midollo. La estremità. opposta dei gangli tin dal 1.° stadio si vedeva insen- sibilmente continuarsi in un cospicuo fascio di fibre nervose. Dal ganglio appartenente al secondo nervo cervicale, e pre- cisamente dalla sua estremità dorsale, partiva, per dirigersi cranialmente un cordone commissurale, ché descriveremo me- glio in appresso; qui ci basti di rilevare che nel 1.° stadio la commessura si distaccava dal ganglio per una grossa radice (Fig. 3), che aveva, come il rimanente della commessura una costituzione prevalentemente cellulare; si poteva quasi dire che tutta la estremità dorsale del ganglio si continuava colla com- messura; mentre nelle ulteriori fasi di sviluppo la connessione fra ganglio e cordone commissurale era divenuta molto più gracile, ed era rappresentata da un sottil filamento di poche fibre nervose (Fig. 4 e 5). Tanto il 1.° che il 2.° nervo cervicale, come i primi dei seguenti, oltrepassato il livello dei corrispondenti miotomi, si dividevano in un ramo craniale e in un ramo caudale, i quali si anastomizzavano respettivamente col caudale del nervo pre- cedente e col craniale del susseguente, in modo da costituirsi delle anse, che sottendevano ciascun miotomo (Fig. 5). La di- visione craniale del 1.° nervo si connetteva in avanti col nervo ipoglosso nella maniera che a suo tempo vedremo. Occupiamoci ora dei nervi della regione occipitale: vago, accessorio ed ipoglosso. $. 4. È noto che il nervo vago come il n. glosso-faringeo, come i gangli spinali, derivano dalla cresta nevrale o gangliare. Per mancanza di adatto materiale io non ho potuto studiare le prime fasi di sviluppo di tale cresta gangliare. Nel 1.° stadio esaminato, mentre essa era scomparsa al tronco, esisteva in corrispondenza della regione occipitale, e si trovava in quella fase della sua trasformazione, nella quale ha perduto la con- nessione primitiva colla linea di sutura del canal midollare. Era sotto forma di un cordone prevalentemente cellulare, che scorreva ai lati del tubo midollare, e congiungeva, come com- ll coni OPTA GS CAPRIO 1 -— MI IEEE VO = MAU [177] SsviLUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 31 missura longitudinale, il ganglio del 2.° nervo cervicale, dal quale si staccava nel modo descritto, coll’abbozzo del vago e questo coll’abbozzo del glosso-faringeo (Fig. 2, 3). « E da questa commessura longitudinale che ho veduto nel 1.° stadio (Fig. 2) staccarsi come una gemma conica il vago, nello stesso modo che, ugualmente sotto forma di gemma co- nica, si distacca da essa più in avanti, subito dietro alla ve- scicola acustica, il nervo glosso-faringeo, il quale peraltro è affatto distinto e indipendente dal vago, e da esso separato da .un notevole intervallo (!). Questa gemma conica, radice primitiva del vago, non risultava di fascetti radicolari distinti, ma si pre- sentava compatta e di uniforme struttura; era costituita pre- valentemente da cellule, tra le quali si cominciavano a discer- nere esili filamenti di fibre nervose. Si continuava in un co- spicuo cordone di fibre nervose, che, incrociando lateralmente la vena giugulare, scendeva in direzione ventro-caudale e si rigonfiava in un voluminoso ganglio (ganglio nodoso), il quale, come descriveremo con più esattezza parlando del 3.° stadio, corrispondeva alla porzione dorsale del 4.° e 5.° arco branchiale e inviava 2 prolungamenti respettivamente diretti lungo il lab- bro posteriore del 8.° e del 4.° solco branchiale. E negli embrioni di questo primo stadio che ho potuto net- tamente determinare il rapporto del vago coi miotomi occipi- tali, sia perchè il vago è in questo stadio più semplicemente costituito che in appresso, sia perchè anche i più anteriori mio- tomi non hanno ancor subìto riduzione. Ecco quanto verifichia- mo (Fig. 1). Il nervo vago a breve distanza dalla sua origine, quando la gemma conica è divenuta un cordone cilindrico di fibre nervose, incrocia la metà anteriore del 1.° miotomo, il quale è situato al suo lato esterno. Su questo importantissimo reperto farò osservare come esso è in assoluta contradizione colle osservazioni di Froriep negli uccelli, come vedremo meglio a suo tempo, e conferma quanto V. Wijhe aveva creduto di poter dimostrare nei Rettili e anche negli Uccelli, ma che ef- fettivamente aveva dimostrato in una maniera, che lasciava aperto il fianco a tutte le possibili obiezioni. Infatti egli affer- (1) Ciò ha verificato anche Béraneck. Ricorderemo questa particolarità, dicendo degli uccelli. 32 G. CHIARUGI | a [178] mava che il 1.° miotomo avrebbe nei detti animali incrociato il tronco del vago, se nella sua metà anteriore avesse sviluppato fibre muscolari. Così Froriep come V. Wijhe sono venuti a re- sultati differenti dai miei solo perchè hanno esaminato embrioni a sviluppo relativamente troppo inoltrato. Farò pure osservare come per le osservazioni di Van Wijhe nei Selaci il 1.° e 2.° ra- mo del vago corrispondono alla parte anteriore del 6.°, respet- tivamente del 7.° somîte, ma il somite si trova al lato mediale del nervo; rapporto differente da quello intercorrente fra il. 1.° miotomo occipitale e il nervo vago della Lacerta. Se esaminiamo il nervo vago nel 2.° stadio (Fig. 4) troviamo che esso è rappresentato non più da una gemma conica omo- genea e compatta, ma da tre grossi fasci di fibre nervose (1), lungo i quali son disseminati elementi cellulari in gran numero, che specialmente si accumulano ove i tre fasci fra loro con- vergono, fasci che si inseriscono al bulbo scomponendosi in pic- cole radicole di numero indeterminabile. Il fascio più anteriore manda la sua radicola più craniale verso il nervo glosso-farin-. geo a cui si congiunge; essa rappresenta un residuo della com- messura che nello stadio precedente esisteva fra i due nervi. Gli elementi più caudali del fascio posteriore si continuano in un lungo cordone, ugualmente costituito da fibre nervose com- miste a cellule, che, via via assottigliandosi, si porta verso il ganglio del 2.° nervo cervicale, al cui estremo dorsale si con- giunge nel modo già accennato. Dal margine dorsale di questa produzione commissurale cominciano a staccarsi fascetti di fibre che la collegano al midollo. Negli embrioni del 3.° stadio si mantengono le disposizioni descritte, ma i fasci nervosi che convergono per formare il vago sono 2 (Fig. 5, 7): uno anteriore più piccolo, a più breve linea di emergenza, uno posteriore più voluminoso, la cui estesa linea di emergenza si continua cogli attacchi del cordone com- messurale fra vago e ganglio del 2.° nervo cervicale. Il numero delle radicole per mezzo delle quali si fa la inserzione al mi- dollo delle ricordate radici principali del vago e del cordone commissurale è cresciuto. Degno di nota è il fatto che, mentre lungo i fasci radicolari principali e secondarii si trovano dis- (1) Questo è il primo degli stadi descritti da Béraneck. 4 [179] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 33 seminati molti elementi cellulari fra le fibre nervose, questi sono principalmente raccolti in un piccolo cumulo nell'angolo ove i due fasci principali si uniscono per formare il tronco del nervo. Questo cumulo può esser considerato come un vero e proprio ganglio, ganglio della radice o ganglio dorsale del vago. Apparisce molto verisimile che la primitiva radice del vago a forma di gemma e il cordone commissurale che la congiun- geva al ganglio del secondo nervo cervicale abbiano acquistato secondariamente quella connessione col midollo, che verifi- cammo esistere nel 2.° e nel 3.° stadio, e che le radici princi- pali e secondarie siano essenzialmente formazioni nuove, siano propaggini derivate dagli elementi della gemma e del cordone commissurale. Il ganglio dorsale ci sembra debba essere con- siderato come il rappresentante della gemma primitiva, o me- glio di quella parte di essa che è sopravanzata alla formazione dei fasci radicolari. Comunque sia, è fuori di dubbio che la radice del vago si presenta in principio come una produzione, semplice, mentre in epoca più tardiva è scomposta in varii cordoni principali e se- condarii. Che ai fascetti radicolari più piccoli, che pure furono tenuti da alcuno in considerazione (Gegendaur, Balfour) per la determinazione degli elementi primitivi del vago, non sia da attribuire importanza morfologica, non è, dopo le giuste con- siderazioni di Van Wijhe e di Marshall da porre in discus- sione. Essi hanno lo stesso valore dei fascetti radicolari in cui sì scompone una radice dorsale o ventrale di un nervo rachidiano. Ma i fasci principali anteriore e posteriore, dai quali è costantemente rappresentata a un dato periodo di sviluppo la radice del vago meritano un uguale giudizio? La loro esi- stenza non può essere un fatto assolutamente accidentale, ma, tenuto conto dell’epoca relativamente tardiva nella quale si mostrano, non deve essere fatto su loro assegnamento per in- dagare il numero degli elementi o dei gruppi di elementi che è stato ammesso abbiano costituito il nervo vago in un epoca filogeneticamente antica. Quali sono in questo terzo stadio i rapporti del vago coi miotomi? Due fatti hanno concorso a modificarli; da un lato il notevole sviluppo del vago, dall’ altro la riduzione dei mio- tomi, specialmente del più craniale. Pure è ancora possibile Sc. Nat. Vol. X. . 12 94 G. CHIARUGI [180]. verificare (Fig. 5) che il primo miotomo corrisponde al tronco del vago e al fascio posteriore che concorre alla formazione del nervo; le fibre muscolari incrociano i detti cordoni nervosi al loro lato esterno, ma non si sovrappongono completamente ad essi, e d'altra parte per l’'atrofia progressiva degli elementi muscolari del miotomo più craniale, arriva ben presto che la corrispondenza descritta non è più costatabile. Il tronco del vago, oltrepassato il livello dei miotomi, scende in direzione ventro-caudale (Fig. 8 e in parte Fig. 5 e 6), in- — crocia il lato esterno della vena giugulare, e subito dopo sì rigonfia nel ganglio nedoso o (come meglio ameremmo chia- marlo) nel ganglio branchiale; questo è di forma ovale; nel suo margine dorsale è percorso in principio da fasci di fibre ner- vose, che si immergono poi fra gli elementi cellulari del ganglio e non possono esser seguiti ulteriormente; la vena giugulare ricopre la superficie esterna di questo margine dorsale; dal margine ventrale del ganglio partono due grossi prolungamenti costituiti dei medesimi elementi gangliari che formano il rima- nente del ganglio; di essi l'anteriore si porta nel 4.° arco bran- chiale; è situato subito al di dietro del 3.° solco branchiale col- l’epitelio del quale a questo stadio come nei precedenti non si trova in connessione; immediatamente al di dietro di esso e in un piano più interno si trova l'arco aortico del corrispon- dente arco branchiale; il prolungamento posteriore si colloca nel 5.° arco branchiale ed ha rapporti consimili a quelli del precedente. Questi 2 prolungamenti gangliari possono, per ana- logia con produzioni simili dimostrate in altri animali, esser designati col nome di processi sensori del ganglio nodoso o bran- chiale o anche di processi gangliari posttrematici. All’ estremo ventro-caudale del ganglio nodoso si ricostituisce un grosso cor- done di fibre nervose che scorre applicato alla faccia interna della vena giugulare, il quale si dirige verso la radice dei pol- moni, ma che ben presto riesce difficile seguire distintamente (1). Tutto quanto il ganglio nodoso nella porzione ventrale della sua superficie interna costeggia la superficie laterale della fa- ringe. A proposito della quale non voglio dispensarmi dal no- (*) In nessuno stadio mi è riuscito riconoscere la diramazione che il vago, se- condo Béraneck (N.° 6) manderebbe verso l’arco mascellare inferiore. “e Le [181] SsviLUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 35 tare che le tasche branchiali alle quali dà origine sono in nu- mero di sei, delle quali le ultime due notevolmente meno svi- luppate in estensione e in profondità delle’ precedenti. I prolungamenti posttrematici sopra descritti hanno, come abbiamo notato, la particolarità di essere costituiti da, cellule gangliari ben sviluppate e del medesimo aspetto di quelle che costituiscono il ganglio vero e proprio. Se son giuste le osser- vazioni di Kastschenko che negli uccelli ha trovato prolunga- menti simiìli costituiti da cellule che non si sono differenziate in vere cellule nervose, è degna di rilievo la differenza offerta su questo proposito della Lacerta. Ma su ciò a suo tempo do- vremo nuovamente trattenerci. Poche parole aggiungeremo sul nervo vago nel susseguente stadio (4.°). Ci basterà di rilevare che i numerosi fasci di fibre radicolari che convergono per costituire il tronco del nervo non si raccolgono più in due tronchi principali, ma son fra loro distinti e separati da intervalli pressochè uguali. Il ganglio dor- sale corrisponde al punto di loro unione. Il ganglio nodoso si mostra del tutto indipendente dal ganglio petroso del glosso- faringeo, come negli stadi precedenti. $.5. — Veniamo ora allo studio dello sviluppo del nervo accessorio. Già più volte abbiamo nel corso di questa descri- zione fatto parola della commessura longitudinale (Fig. 2, 3, 4 e 5), che congiunge, negli stadi studiati, il ganglio del 2.° nervo cervicale col n. vago e questo col glosso-faringeo. Questa pro- duzione, residuo della primitiva cresta gangliare è applicata ai lati del tubo midollare, col quale nel primo stadio è priva di connessioni, ma al quale successivamente si congiunge per un gran numero di fascetti radicolari diretti in alto e in dietro. In principio essa è costituita prevalentemente da cellule, è assai voluminosa anche nel punto ove si stacca dal ganglio del 2.° n. cervicale, poi si mostra prevalentemente costituita da fibre ner- vose che diventano relativamente sempre più abbondanti; e mentre conserva un volume cospicuo in avanti, in dietro si fa molto sottile. Mentre il n. vago, come il n. glosso-faringeo si staccano in principio da questa commessura come gemme co- niche ad essa applicate colla loro base, più tardi la commes- sura, raggiunto il vago, si getta nel fascio posteriore delle ra- dici del nervo; sarebbe forse più esatto il dire che il fascio 36 G. CHIARUGI [182] posteriore delle radici del vago è principalmente costituito dalla commessura, che, abbandonata la superficie laterale del cervello posteriore scende per continuarsi col vago. Noi ritroviamo an- che in uno stadio molto più avanzato questo cordone commis- surale, che, sempre scorrendo ai lati del midollo, si dirige cra- nialmente, penetra nel cranio e si continua nel tronco del vago; ma, meglio che cordone commissurale, possiamo addirit- tura chiamarlo n. accessorio, perchè tale è divenuto. La sua disposizione e i suoi rapporti sono infatti assolutamente iden- tici a quelli del n. accessorio dell'adulto. Pertanto il n. accessorio va considerato come il prodotto della trasformazione della commessura longitudinale fra il vago e il ganglio del 2.° nervo cervicale, la quale rappresenta la primitiva cresta gangliare della indicata regione. Ammessa que- sta maniera di origine, abbiamo nel fatto embriologico una ragione giusta per distinguere nella Lacerta il vago dall’ ac- cessorio, due nervi che certo hanno intime connessioni, tanto- i chè la loro distinzione (fatta sul fondamento della sola anato- : | | i | | | Ò mia descrittiva) sembrò ad alcuni, non tanto nei Sauri, quanto nei Vertebrati in genere non accettabile (Furbringer (1) ). Il problema che ora dobbiamo risolvere si è: se sia possi- bile nella Lacerta, sulla guida degli studi di C/. Bernard, di Holl, di Schwalbe, distinguere nel n. accessorio un accessorio del vago e iun accessorio spinale. Dobbiamo rispondere nega- tivamente a questa domanda ed ammettere che il n. accessorio della Lacerta sia essenzialmente un accessorio del vago. Le sue radici sono infatti principalmente bulbari, sono in serie con- tinua colle radici del vago, sono come queste costituite da fibre nervose frammiste a cellule; una volta che le une e le altre si sono incontrate, formano un tronco nervoso unico che entra tutto quanto, stando almeno ai resultati embriologici, nel gan- glio nodoso e prende parte alla costituzione di questo. Non vediamo le più posteriori radici continuarsi in una branca esterna, ben distinta dal rimanente del nervo. Lo studio del nervo accessorio dei Mammiferi confermerà nel modo il più chiaro questi resultati. Ma, oltre agli elementi che nell’accessorio del vago della (1) Citato e seguito da Hoffmann. [183] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 37 Lacerta son derivati da quelli che costituivano la commessura longitudinale, ve ne sono nel medesimo altri di differente ori- gine? È possibile, precisando di più, che fasci di fibre nervose derivati dai corni antero-laterali del midollo si aggiungano ai fasci di fibre nervose nati in sito per trasformazioni avvenute nella commessura? Non abbiamo dati per escludere questa pos- sibilità, anzi il fatto che, se non in tutti, in alcuni rettili è stata riconosciuta una diramazione del vago-accessorio, para- gonabile alla branca esterna dell’accessorio dei Mammiferi, la quale ha senza dubbio origine midollare, ci rendono inclinati ad ammetterlo. Ma possiamo peraltro nella maniera più asso- luta affermare che, se tali fasci midollari esistono, non costi- tuiscono un cordone nervoso indipendente, ma, nel caso, deb- bono essere commisti a quelli derivati dalla commessura; dob- biamo ripetere in altre parole che nella Laccrta non esiste un vero e proprio accessorio spinale. $. 6. — Per semplicizzare la descrizione, abbiamo finora supposto che la commessura longitudinale, staccatasi dal gan- glio del 2.° nervo cervicale, raggiungesse le origini del vago, senza, nell'intervallo, aver rapporto con altre produzioni gan- gliari. Ad una osservazione superficiale le cose tali appariscono, ma con una osservazione attenta si fanno evidenti i fatti, che ora esporremo. Se esaminiamo embrioni del 1.° stadio, troviamo che la commessura arrivata in corrispondenza della parte anteriore del 1.° miotomo del tronco, e quindi della radice ventrale del 1.° nervo cervicale, il quale in apparenza è solo da quella costituito, si rigonfia lungo il suo margine ventrale in una piccola gemma conica a struttura cellulare, dal cui apice si stacca un tenue filamento, diretto verso la radice ventrale del 1.° nervo cervicale, nella quale si getta (Fig. 3). Esiste dunque una radice dorsale rudimentale per detto nervo, in intima connessione con ciò che rappresenta la cresta gangliare, ma- trice dei gangli spinali. Ma, ciò che è importante, un fatto si- mile si ripete cranialmente per ben due volte (Fig. 2.), cioè in corrispondenza della parte anteriore del 4.° e del 3.° miotomo occipitale si staccano dal margine ventrale della commessura tenui filamenti che scendono verso le radici ventrali respettive dei ricordati segmenti, le quali descriveremo dicendo del nervo 38 G. CHTARDEI [184] ipoglosso. Nel punto ove tali filamenti, di aspetto cellulare, si staccano dalla commessura non si vedono veri rigonfiamenti ganglionari; la rudimentalità di tali produzioni, che son da con- siderare, come radici dorsali, appartenenti al sistema del nervo ipoglosso, è cresciuta in confronto alla radice dorsale del 1.° n. cervicale. Son rimasto in principio un po’ incerto se una pro- duzione, come le descritte, corrispondesse anche al 2.° miotomo occipitale, ma in un caso mi è sembrato di poterla nettamente costatare (!). In quanto al 1.° miotomo, sappiamo già come alla sua parte anteriore corrisponda la gemma che rappresenta la radice del vago, in diretta continuità colla commessura longi- tudinale. Ma queste radici dorsali hanno una vita fugace; in embrioni dei seguenti stadi le radici dorsali occipitali sono scomparse; rimane solo per breve tempo ancora il rigonfiamento ganglio- nare della commessura, che corrisponde al 1.° n. cervicale, col respettivo filamento diretto ventralmente (Fig. 4); in un caso ho anche veduto che dal ganglietto si staccava dorsalmente un tenue filamento che forse lo congiungeva al midollo. Fatto è che questo rigonfiamento gangliare mai si fa indipendente dalla commessura. Esso subisce forse per un certo tempo un qualche accrescimento di volume, il quale è più relativo che assoluto, relativo cioè all’assottigliamento della porzione caudale della commessura. Ma infine anche di esso non si trovano più trac- ce (Fig. 5). $.". — Nella regione occipitale dal cervello posteriore emanano radici ventrali, delle quali dobbiamo ora occuparci (Fig. 2, 3, 4, 5, 6). Possiamo studiarle tanto nel 1.° che nel 2.° e 3.° stadio, nei quali tutti si presentano con caratteri pres- sochè uniformi. La linea di loro emergenza è in continuazione di quella, dalla quale lungo il midollo spinale emanano le ra- dici ventrali dei nervi rachidiani. Hanno come queste una di- sposizione segmentale, e sono separate da intervalli ugualmente ampi; hanno la medesima struttura, cioè risultano anch'esse di fibre nervose riunite in un cordone omogeneo, le quali si divaricano un po’ a ventaglio, o meglio a cono, nell'atto della (4) Non avevo fatto questa osservazione quando scrissi la Nota preventiva di questo lavoro, altrove citata. = titres [185] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 89 loro inserzione al cervello. Sono fra loro assolutamente distinte alla origine e se contraggono connessioni, ciò avviene a di- stanza tale dal punto di loro emergenza, da non poter dubitare della loro indipendenza primitiva. Sono in numero di quattro o di cinque; di 4 generalmente negli embrioni più giovani, di 5 nei più sviluppati, sia che la più anteriore si formi più tardi, oppure che dapprincipio sfugga per la sua sottigliezza alla os- servazione. Se c'è infatti un carattere, per il quale queste ra- dici ventrali occipitali differiscono dalle spinali, è per il volume leggermente più piccolo; questa riduzione cresce in direzione craniale, cosicchè appunto la più anteriore è la più esile. Non sempre riesce peraltro di persuadersi che realmente ha avuto luogo questo graduale assottigliamento, come ad esempio nel caso rappresentato dalla figura 6.". Ho detto che tali radici offrono una disposizione segmen- tale; infatti esse hanno rapporto coi miotomi occipitali, alla metà anteriore dei quali corrispondono; ma i miotomi occipi- tali sono quattro, mentre le radici ventrali occipitali, in em- brioni abbastanza sviluppati, arrivano fino a cinque. Se ne de- duce che nessun miotomo corrisponde alla più craniale di tali radici. Nel primo stadio di sviluppo abbiamo veduto come esi- stano radici dorsali rudimentali, che si staccano dalla commes- sura longitudinale nella regione occipitale, le quali sono in nu- mero di tre, corrispondenti agli ultimi tre miotomi occipitali; ora queste radici dorsali sono destinate alla radice ventrale del miotomo respettivo, tantochè si può dire che i segmenti posteriori della regione occipitale posseggono nervi completa- mente foggiati sul tipo dei nervi spinali; da questi differiscono solo per la rudimentalità delle radici dorsali, le quali, corre- lativamente a questo loro carattere, non si son rese indipen- denti dalla cresta nevrale, o dalla commessura longitudinale, che la rappresenta. Sappiamo che al primo miotomo occipitale dorsalmente cor- risponde la radice del vago, ma con essa la radice ventrale del medesimo miotomo non contrae alcuna connessione, e ugual- mente la più anteriore radice ventrale occipitale non ha rap- porto di connessione nè col vago, nè col glosso-faringeo. I nervi che corrispondono alle descritte radici, che possiamo chiamare nervi occipitali, fuoriescono dal cranio traversando sui 40 G. CHIARUGI [186] lati l'abbozzo dell’occipitale. I due nervi più posteriori (4°, 5°) escono separatamente dal cranio, i medî (2°, 3°) nel perforare l’occipitale si riuniscono in un tronco unico, il 1.° esce a conto proprio, ma in un caso ho veduto che nell'atto di traversare l’abbozzo dell’occipitale riceveva un filamento del nervo sus- seguente. Fuoriusciti dal cranio, la convergenza dei detti nervi, della quale qualche accenno era incominciato entro al cranio, si accentua (Fig. 5 e 8). Prendono una direzione ventro-caudale, tanto più caudale per quanto si esaminano gli anteriori, e si riuniscono tutti in un unico tronco, alla cui costituzione prende parte il ramo di biforcazione craniale del 1.° n. cervicale. Nel- l’angolo che i varii nervi fanno fra loro nel convergere in un unico tronco si vedono filamenti anastomotici fra l’uno e l’al- tro (Fig. 5). Il nervo che prende origine nel modo descritto è il nervo ipoglosso il quale, in conseguenza, può essere conside- rato come risultante dalla fusione dei 5 nervi occipitali e di una parte del 1.° cervicale, i quali tutti essenzialmente risultano dalla sola radice ventrale (!). Il nervo ipoglosso (Figi 5, 6, 8) scorre in principio lateral- mente alla vena giugulare che incrocia, e dalla quale è sepa- rato dalla carotide e dal tronco del nervo vago, descrive una curva con concavità dorso-craniale, si accompagna a un ramo venoso che sbocca nella giugulare e che crediamo rappresenti la vena mascellare, e portandosi in avanti si dirige verso l’arco mandibolare, entro al quale si possono seguire i suoi rami ter- minali. Ma il decorso di quest'ultime porzioni dell’ipoglosso richiede una descrizione più dettagliata, specialmente per in- dicare con esattezza i varii organi, che il tronco nervoso attra- versa. Per prendere chiara idea di questi e dei loro rapporti, occorre esaminare anzi tutto, nella sua superficie laterale, un embrione intiero del 1.° o del 2.° o del 3.° stadio. La descri- zione che daremo si riferisce particolarmente a un embrione N del 3.° stadio. Troviamo un aspetto che non è perfettamente (1) Faccio notare come per le ricerche di Van Viyhe e di Hoffmann nei rettili non esisterebbero che 3 radici occipitali, corrispondenti ai 3 miotomi posteriori occi- pitali, destinate al n. ipoglosso. Il concetto che in base alle mie ricerche dobbiamo formarci dell’Ipoglosso è assai differente da quello già riferito di Beraneck. (N.° 6) V. pag. 21, ! [187] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 41 simile a quello descritto e figurato da Froriep nei Mammiferi, sebbene sostanzialmente si debba poi venire alle sue conclusioni. Se accompagnamo verso la sua radice il tubercolo che rappre- senta l'arto superiore (a), vediamo che esso insensibilmente si continua in una superficie ondulata, la quale dorsalmente è sepa- rata da una depressione lineare dalla regione delle protoverte- bre (p), ventralmente trapassa nella regione cardiaca (c). Questa superficie post-branchiale (pb) in avanti termina sul limite poste- riore della regione degli archi branchiali, dall'ultimo dei quali è separata da un solco profondo, che mette nella fossa precer- vicale; ma nel terminare essa emette due prolungamenti. Uno di questi diretto cranialmente (x) si porta verso la radice degli ultimi archi branchiali: esso ha un limite netto dorsalmente, dove, dalla depressione lineare già ricordata, è separato dalla serie delle protovertebre, e ciò fin verso il 2.° arco branchiale; ventralmente insensibilmente (*) si continua colla superficie esterna degli ultimi archi branchiali; in avanti non è seguibile che fin verso il 2.° arco. Questo rilievo è ciò che FYorzep chiama Kopfnickerwulst. L'altro prolungamento (y) ha direzione ventro- craniale, ha forma triangolare coll’apice diretto verso la linea mediana, dove si continua con quello del lato opposto; il suo margine caudale assottigliandosi si continua nelle pareti della cavità pericardiaca, il suo margine craniale è, verso la base se- parato da un solco dall'ultimo arco branchiale, ma verso l’ apice (') Ciò non fu esattamente riprodotto nella incisione. 42° G. CHIARUGI [188] non ha limiti netti e insensibilmente trapassa nella superficie pianeggiante che serve a congiungere sulla linea di mezzo le estremità ventrali degli ultimi archi branchiali fra loro fuse (copula degli ultimi archi branchiali), la quale a sua volta è nettamente separata in avanti, a mezzo di un solco profondo, dal 2.° arco branchiale. Questo ultimo prolungamento è na porzione della Schulterzungenleiste di Froriep. Quello che in op- posizione con quanto FYoriep avrebbe osservato nei mammiferi, vogliamo mettere in evidenza, si è che il medesimo non si con- tinua direttamente nella cresta degli arti o ‘cresta di Wolff, onde non esiste una vera Schulterzungenleiste. Ma se il rapporto ammesso da /yoriep non si rivela nella Lacerta all’ esame della superficie esterna, si rivela collo studio delle sezioni; nel pro- lungamento ventro-craniale della superficie postbranchiale esi- ste del tessuto muscolare chiaramente differenziato, che in dietro in una striscia sottile si può accompagnare fin verso la parte ventrale della radice dell'arto anteriore; in avanti si continua sotto forma di lamina, verticalmente diretta, che si fa sempre più vicina al piano sagittale, la quale scorre prima nella co- pula degli ultimi archi branchiali per penetrare di lì nel 2.° e poi nel 1.° arco branchiale, nello spessore del quale cessa. Que- sta produzione muscolare, la quale verisimilmente darà origine ai muscoli della lingua ed ai muscoli che dalla radice degli arti superiori si portano verso la regione degli archi branchiali, è in rapporto col nervo ipoglosso. Questo nervo (Fig. 5), dopo aver incrociato la vena giugulare. si immerge in quel prolun- gamento cranio-ventrale della superficie post-branchiale che potrebbe esser distinto col nome di sopracardiaco, e, applicato al lato esterno della produzione muscolare in esso contenuta, e alla quale fin da principio dà diramazioni, raggiunge le parti anteriori dell'arco mandibolare. Qual’ è l'origine della produzione muscolare descritta? Non abbiamo elementi per deciderlo; solo possiamo dire, con riserva, di non aver costatato alcun rapporto di continuità fra essa e i miotomi. Ciò che possiamo ammettere in via di ipotesi sì è che questa produzione primitivamente non si spingesse in di- rezione craniale nel modo che ora vediamo, e che solo secon- dariamente abbia invaso la regione degli archi branchiali spe- cialmente anteriori. Il nervo ipoglosso, che l’ha dovuta seguire [189] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 43 in questo movimento progressivo si è colle sue terminazioni portato in un piano molto più craniale di quello che corrispon- deva alle sue origini e così si è costituita quella speciale curva caratteristica del tronco di detto nervo. Poche parole sulle modificazioni dell’ipoglosso nell'ultimo degli stadi esaminati. Tali modificazioni riguardano le radici occipitali del nervo. Non si distinguono che tre gruppi di fibre radicolari, che fuoriescono dal cranio per forami distinti, o sia che tale diminuzione tenga alla atrofia dei 2 più anteriori nervi occipitali, oppure, come sembra più probabile, che quel feno- meno di confluenza, che abbiamo già veduto iniziarsi nei pre- cedenti stadii abbia progredito in modo da rendere unite in un unico fascio le radici dei 3 nervi più anteriori. $. 8. — Come riassunto delle cose sopra enunciate si può dire che nella Lacerta nella regione occipitale si hanno dispo- sizioni concordanti con quelle proprie del tronco, sia in quanto riguarda la serie delle placche muscolari, che quella dei cor- rispondenti nervi. I miotomi occipitali sono del tutto parago- nabili ai miotomi del tronco, la serie delle radici ventrali oc- cipitali a quella delle radici ventrali cervicali, ei rudimenti delle radici dorsali occipitali sono da omologizzare colle radici dor- sali susseguenti. Peraltro ciò che è degno di nota sono i fe- nomeni di riduzione verificabili in tutti i menzionati organi, specialmente in stadii avanzati di sviluppo e che crescono in direzione craniale. Questa riduzione colpisce in sommo grado le radici dorsali, che nelle epoche nelle quali esistono sono po- chissimo sviluppate e presto spariscono completamente; si deve anzi aggiungere che la riduzione nelle radici dorsali dalla re- gione occipitale sì è propagata anche al principio della regione cervicale. La persistenza della commessura longitudinale, resto della cresta nevrale, e che andrà a costituire l'accessorio del vago è anche essa da considerare come un fenomeno di ridu- zione, essendo la cresta nevrale nei tratti interposti ai gangli una produzione transitoria nel tronco e nei più bassi verte- brati. — La riduzione colpisce anche i miotonii, come abbiamo ampiamente dimostrato, e in grado minore le radici ventrali. Nella considerazione delle radici dorsali occipitali non ho tenuto conto del nervo vago, il quale sebbene abbia col 1.° mio- tomo un rapporto simile a quello delle vere radici dorsali, e 44 I ra [190] per altri caratteri concordi con esse, non può così senz'altro per molte ragioni essere assimilato alle altre radici dorsali spi- nali o simili alle spinali. In altro momento potremo esporre qualche considerazione sul valor morfologico di questo nervo. Se lo includiamo nel presente prospetto immaginato per richiamare la corrispon- denza dei miotomi colle radici nervose della regione occipitale, lo facciamo ora per la semplice considerazione dei suoi rapporti e non per quella della sua natura; il caso è diverso per le altre radici sul cui significato ci siamo abbastanza espressi. (,, 1.0 n. cervicale ) 2,0 : ”» 229 » 2,9 » Radici dorsali (1) Radici ventrali Miotomi TS = Thapi del 1.° n. occipitale 3 = s N.° vago PRIZIO 3 E 1.0 S | (del3.° n. occipitale) ,, 3.0 u Borgo let eso iso ; RO SNOIO Sì VARIO E Zi 4,0 ERA 2 » 1.9 n. cervicale 1.0 = = 2) Reg.ne cervicale Reg.ne occipitale Tropidonotus natrix (Fig. schematica III). 8. 1. Grado di sviluppo. — $. 2. Miotomi. — $. 3. Primi nervi cervi- cali. — $. 4. Nervo vago ed accessorio. — $. 5. Radici ventrali oc- pitali (Ipoglosso). $.1. — Il materiale di studio, del quale ho potuto ser- virmi apparteneva a periodi di sviluppo discretamente avanzati. Le misure che ho preso per classificare gli embrioni esaminati sono state le seguenti: anzi tutto la massima lunghezza del- l'embrione dal punto più sporgente della testa, in corrispon- denza del cervello medio, all'apice del cono formato dall’av- volgimento a spira del tronco (ad); 2.° la lunghezza della testa in senso sagittale («c); 3.° la distanza che corre fra il punto (!) Le radici fra parentesi sono le rudimentali. a © | pi n° ù DI [191] sviLUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 45 più sporgente della testa e il tubercolo nucale (@0). Im base ai resultati di queste misure posso distribuire gli embrioni esa- minati in 2 ordini: 1.° Lunghezza ad = mm. 6. È acc=' 0,09, 0. Li 0h (4; 2° i. A 9, pi Od Ù abi= .;, DD. Nella descrizione che darò mi limiterò sopratutto a segna- lare le differenze tra gli embrioni di Tropidonotus e quelli di Lacerta. _S. 2. — Nei miotomi della regione occipitale della testa il periodo di riduzione, specialmente dei più anteriori era già incominciato; negli embrioni del primo stadio (Fig. 9) non mi fu possibile riconoscere che tre placche muscolari di volume gradatamente minore dal di dietro in avanti. Negli embrioni dello stadio secondo si vedevano tuttora placche muscolari nella regione occipitale, ma per i fenomeni di riduzione più progrediti e per esserne indistinti i limiti, non si poteva de- terminare il loro numero. $.3. —- Dei nervi cervicali (Fig. 9) il 2.° possedeva la radice dorsale e la ventrale, e la prima coll’annesso ganglio non differiva affatto dalle susseguenti. Ma il 1.° nervo possedeva una radice dorsale con ganglio rudimentale. Nei più giovani embrioni l’ho veduta sotto forma di un filamento sottile, che si staccava dall’accessorio, si rigonfiava leggerissimamente e continuava con un filamento diretto verso la sottostante radice ventrale. Altra volta il rigonfiamento gangliare era più volumi- noso ed era più direttamente connesso col tronco dell’acces- sorio; sì continuava in un filamento assai gracile, che ugual- mente scendeva verso la radice ventrale. Mi è sembrato che tale produzione rudimentale fosse destinata col progresso dello sviluppo a scomparire del tutto. Ma in un caso ho veduto (si trattava di un embrione del 2.° stadio) che essa aveva subìto un accrescimento, e la radice e il ganglio non differivano molto dai susseguenti, tranne per il volume un po’ minore, per la si- tuazione più dorsale e forse, ciò che non ho potuto nettamente è IEP I ” TICA 46 G. CHIARUGÌ [192] costatare per la connessione col nervo accessorio. In casi come questo, coll’aumento dell’età, si conserva il ganglio e la ra- dice posteriore del 1.° nervo cervicale, oppure si atrofizza del tutto, senza lasciar traccia® Ciò non saprei decidere. $.4. — Riguardo al n. vago (Fig. 9 e 10) un primo fatto che deve esser notato si è che questo nervo nell'atto di pe- netrare colle sue fibre nel bulbo si slarga a cono, ma senza che i fascetti di fibre che lo costituiscono si divarichino fra loro in modo appariscente, onde non si potrebbero in esso di- stinguere radicole o fasci secondarii. Un sottile filamento si stacca da esso anteriormente e si dirige verso il n. glosso-faringeo; è il residuo della commessura che in principio doveva esistere fra i due nervi; un fascio cospicuo si porta in dietro e può esser seguito fin verso la radice posteriore del 2.° n. cervicale; esso rappresenta manifestamente il cordone del n. accessorio. Ma anche questi due fasci non si distinguono per essere staccati dagli altri che compongono la radice del vago, ma solo per la direzione speciale delle fibre che li co- stituiscono. Il n. accessorio, che è senz’ alcun dubbio anche qui un accessorio del vago, esiste dunque nel periodo embrionale anche negli Ofidii, mentre nell'età adulta, al dire di molti autori, manca negli animali di quest'ordine. Sulla verità di quest’asserto, per mancanza di osservazioni, non posso pronun- ziarmi. Solo voglio notare che l’intima unione dei varii fasci radicolari del vago e del suo accessorio, fin dall’estremo dor- sale di questi nervi, persistendo anche nell'adulto, può indurre la persuasione che manchi in realtà un vero nervo accessorio. Non tornerò a descrivere nuovamente i rapporti che il nervo accessorio negli embrioni di 7ropidonotus contrae colla radice posteriore del 1.° nervo cervicale, avendo di essi già parlato abbastanza; ciò che debbo avvertire si è che, forse per l’inol- trato stadio di sviluppo, non ho potuto riconoscere connessioni fra l'estremo caudale dell’accessorio e il ganglio del 2.° n. cer- vicale, le quali, come sappiamo, sono evidentissime nella ZLacerta. Sbrigatici così di quanto ha riguardo al n. accessorio del vago, e tornando al vago propriamente detto, vediamo che esso scende ventralmente, incrocia la vena giugulare al suo lato esterno, poi assume direzione caudale e si mette in rapporto colla regione branchiale. A breve distanza dalla sua origine il [193] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 47 presenta tra la porzione più anteriore delle sue fibre un pic- colo cumulo cellulare, che è il ganglio dorsale o della radice, che ho nettamente costatato solo negli embrioni del 2.° stadio (Fig. 10). Ma sono i rapporti del vago colla regione branchiale, che meritano di essere attentamente studiati, e dobbiamo farlo separatamente negli embrioni del 1.° e in quelli del 2.° stadio. Nel 1.° stadio (Fig. 9) vediamo che il tronco del nervo, in- vece di rigonfiarsi in corrispondenza degli ultimi archi bran- chiali in un unico rigonfiamento gangliare (ganglio nodoso o branchiale), come abbiamo veduto avvenire nella Lacerta e come vedremo negli Uccelli e nei Mammiferi, presenta rigonfiamenti gangliari successivi che corrispondono al lato dorsale delle ul- time tasche branchiali 3. 4* e 5". Il 1.° ganglio cioè il più anteriore, è il più voluminoso; è costituito da cellule gangliari fittamente stipate e senza mescolanze di fasci di fibre nervose; esso non occupa tutto quanto il tronco del vago, ma aderisce al margine ventrale di esso nel punto ove il nervo, incrociata la vena giugulare, cambia direzione per portarsi caudalmente con decorso parallelo a. quello della vena. Il detto ganglio è applicato e si adatta al contorno dorsale della 3.* tasca bran- chiale lungo il margine posteriore della quale invia un grosso fascio di fibre nervose (ramo posttrematico del 1.° ganglio branchiale). Più caudalmente il tronco del vago non sì mostra più co- stituito esclusivamente da fasci di fibre nervose, ma presenta molte cellule disseminate fra mezzo alle fibre. Queste cellule si fanno più numerose al di sopra della 4.° tasca branchiale e ivi si costituisce al lato ventrale del nervo un rigonfiamento gangliare, che sta a cavalcioni della tasca, lungo i margini an- teriore e posteriore della quale manda diramazioni sottili di aspetto cellulare. La diramazione anteriore è un rudimento di ramo pretrematico del 2.° ganglio branchiale, l’altro più svilup- pato è un rudimento di ramo posttrematico del medesimo ganglio. Gli elementi cellulari che compongono questo secondo ganglio e i suoi respettivi prolungamenti non sono fittamenti stipati come quelli che costituiscono il 1.° ganglio, il quale è anche più voluminoso. Si direbbe che questo 2.° ganglio abbia rag- giunto uno sviluppo più imperfetto che il ganglio più anteriore. Infine un ultimo ganglietto corrisponde al di sopra e al di dietro 48 G. CHIARUGI [194] x della 5.° tasca branchiale, è piccolissimo, è congiunto da un sottile filamento al tronco del nervo. La sua presenza non mi è sembrata costante. Se consideriamo la descritta disposizione del vago in rap- porto alla regione branchiale, in confronto con quanto abbiamo osservato nella Lacerta, possiamo ammettere nel Tropidonotus la separazione di gangli che nella Lacerta si trovano fusi e immedesimati in un unico ganglio, e possiamo inoltre verificare la tendenza nel Tropidonotus alla formazione di rami nervosi per gli archi branchiali, in grado maggiore che nella Lacerta. Negli embrioni del 2.° stadio (Fig. 10) si hanno disposizioni differenti; anzi tutto il tronco del n. glosso-faringeo e quello del n. vago convergendo fra loro si uniscono a livello della 2.° tasca branchiale; ivi il ganglio petroso del glosso-faringeo si fonde intimamente col ganglio più anteriore del vago che ha abbandonato il suo rapporto colla 3.° tasca branchiale: dal ganglio unico, che in tal modo si costituisce, nasce un grosso tronco nervoso, che gira dietro alla 2.° tasca branchiale ed è contenuto nel 8.° arco branchiale. Questo nervo è esso esclu- sivamente proveniente dal glosso-faringeo, del quale rappre- senterebbe un ramo post-trematico, quale si osserva anche nel precedente stadio, ovvero prende parte a formarlo anche il nervo vago? Quest'ultima ipotesi ci sembra preferibile, perchè troviamo che in questo stadio non vi è più traccia del ramo post-trematico della 3. fessura branchiale, che nello stadio precedente era ben costituito e assai voluminoso. Sembrandoci improbabile che esso si sia atrofizzato, pensiamo che abbia piut- tosto seguito il primo ganglio branchiale del vago nel suo spo- stamento e come questo si è fuso col ganglio petroso del glosso- faringeo, così il nervo in questione si è unito con una dira- mazione del ganglio petroso. — Il n. vago procedendo oltre per la sua via, scorre al di sopra della 3.2 tasca branchiale senza offrire tracce, lo ripetiamo, di gangli e di rami branchiali, ma arrivato in vicinanza della 4.* tasca, e, per tutto il tempo, per il quale scorre sopra questa e sopra la 5.°, mostra tra le sue fibre un infiltramento di cel- lule gangliari piuttosto diffuso, il quale si approfonda e con un sottile filamento si insinua fra; queste 2 ultime tasche bran- chiali. Vien così ad essere rappresentato il 2.° ganglio del pre- [195] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 49 cedente periodo, ora meno differenziato e distinto dagli ele- menti gangliari disseminati entro il nervo. S. 5. —- In quanto all’Ipoglosso negli embrioni più giovani esso mi si è presentato costituito da 4 radici ventrali occipi- tali e da una parte della radice ventrale del 1.° nervo cervi- cale. La più craniale delle radici occipitali si stacca dal cer- vello per una lunga base, tanto da far credere che, piuttosto che un’ unica radice, ne rappresenti per lo meno due; infatti ben osservando si vede un gruppo di fibre più caudali di essa alquanto distinto dalle rimanenti. Questa 1.° radice, sia essa o no composta, nell'atto di perforare l’abbozzo dell’occipitale sì riunisce colla seguente in un tronco unico. Al di sotto del. l’occipitale avviene la riunione dei varii elementi dell’Ipoglosso in un tronco nervoso unico, che, descritta intorno al tronco del vago la nota curva, si reca al suo territorio di distribu- zione (Fig. 9). i Negli embrioni del 2.° stadio la fusione fra la 1.* e la 2.* ra- dice occipitale dell’ipoglosso ha proceduto oltre, e, per conse- guenza, invece di 4 si hanno ora 3 sole radici occipitali, delle quali la 1.° rappresenta certamente 2, e forse 3 radici. Non ho potuto costatare, forse per lo stadio di sviluppo relativamente inoltrato, radici dorsali per i nervi occipitali. UCCELLI (Fig. schematiche IV, V, VI). $. 1. — Materiale di studio. — $. 2. Ordine di formazione dei somiti mesoblastici studiato in embrioni intieri. — $. 3. Formazione di so- miti encefalici rudimentali in direzione craniale, studiata in sezioni sagittali. — $. 4. Miotomi e loro corrispondenza collo scheletro as- sile. — $. 5. Primi nervi cervicali. — $. 6. N. vago. — $. 7. N. ac- cessorio. — $. 8. Rudimenti di radici dorsali occipitali. — $. 9. Ra- dici ventrali occipitali (Ipoglosso). — $. 10. Riassunto. $.1. — Sono stati utilizzati per questo studio embrioni di pollo ed anche embrioni di rondone (Cypselus Apus). Non ho riscontrato fra gli uni e gli altri differenze apprezzabili. Ma la Sc. Nat. Vol. X. 13 50 G. CHIARUGI [196] descrizione che darò sarà fatta quasi esclusivamente in base alle osservazioni sugli embrioni di pollo, esaminati in una serie più completa e più numerosa. Per indicare il grado dello sviluppo ho tenuto conto della durata della incubazione, e della lunghezza degli embrioni, sa- pendosi quanto in un medesimo periodo di tempo può esser diversamente rapido l’ accrescimento. E in quanto alla lunghezza ho preso in genere, oltrechè la lunghezza massima, anche la lunghezza dal tubercolo nucale al punto caudalmente più spor- gente. Ma debbo avvertire che non è possibile indicare con precisione a qual’epoca di incubazione e a qual lunghezza del corpo corrispondano le varie fasi di sviluppo dei nervi, special- mente trattandosi di quelle, che sono tra loro poco discoste; essendomi capitato più volte di trovare in embrioni rispetto ad altri più sviluppati, sia per lunghezza che per durata di in- cubazione, una disposizione dei nervi più semplice e primitiva. Le indicazioni che si troveranno in questo scritto valgono dun- que solo come approssimative. $.2. — In una prima serie di ricerche ho cercato di de- terminare l'ordine di formazione dei somiti mesoblastici, va- lendomi di embrioni intieri raccolti dalla metà del secondo giorno di incubazione al principio del terzo. In embrioni ante- riori al detto periodo o non esistono protovertebre differen- ziate, o non si può determinare con esattezza la regione cui esse corrispondono. À periodo più inoltrato, sia per l’incurvamento della testa sul tronco, sia per.il notevole sviluppo e ispessi- mento degli organi, che rende le parti poco trasparenti, l’os- servazione in embrioni intieri non dà chiari risultati. Gli embrioni da esaminare erano colorati con carminio al- luminoso, e, previa disidratazione, rischiarati con xilolo. Un primo gruppo di embrioni comprendeva quelli da 3, 5 a 4 mm. di lunghezza (durata della incubazione da 36 a 48 ore). Un secondo gruppo quelli da più di 4 mm. fino a 5,6 mm. (durata della incubazione da 48 a 58 ore). Embrioni del |.° Gruppo. Se in questi embrioni esaminiamo l’abbozzo del sistema nervoso centrale, si nota che il canal midollare presenta nella RE sicitnir RIPON n 1 agita 4 vi@-25 SIETE 4 al UNA vV° poi Ù . Pa Li MI?» [197] SsviLUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI DI maggior parte della sua estensione un diametro uniforme, astrazion fatta da piccole dilatazioni e ristringimenti alter- nanti. Tali parti ristrette corrispondono al corpo delle proto- vertebre le parti dilatate, brevi, agli intervalli fra esse (1). Cranialmente il canal midollare in maniera assai brusca si di- lata e diventa l’abbozzo del cervello posteriore. Alla porzione cilindrica del canal midollare in questi em- brioni corrispondono da 7 a 10 protovertebre, che chiamerò m2- dollari. Nella regione del cervello posteriore o mancano affatto o ne esiste un solo pajo (protovertebre encefaliche), che pre- senta talora accenni di divisione in due uno caudale, uno cra- niale. Esso è situato immediatamente all’innanzi del primo pajo delle protovertebre midollari. Al dinanzi delle protover- tebre più anteriori continua una striscia di tessuto mesoder- mico, senza tracce apparenti di segmentazione. Embrioni del 2.° Gruppo. In questi embrioni il passaggio dal canal midollare cilin- drico alla dilatazione corrispondente al cervello posteriore non avviene, come nei precedenti embrioni, in maniera brusca ma quasi insensibilmente; pure, almeno in alcuni casi, è possibile determinare dove comincia posteriormente l’ encefalo. Si può dire che alla porzione cilindrica del canal midollare corrispondono da 13 a 17 protovertebre per lato; e al cervello posteriore due protovertebre per lato, in serie. continua colle rimanenti. Di esse la craniale è situata immediatamente al di dietro della vescicola acustica. Tra essa e la vescicola acustica è talora chiaramente distinguibile il così detto abbozzo comune del IX°-X° pajo; al davanti dell’ otocisti quello del VII-VIII°. Esistono anche nel cervello posteriore fondulazioni nella parete del tubo nervoso: esso in corrispondenza delle proto- vertebre e della vescicola acustica si deprime, negli intervalli si dilata. (!) Questa apparenza del canal midollare, che è stata interpretata come segno di disposizione segmentale, prima che da altri autori relativamente recenti, è stata chiaramente indicata da Malpighi (De ovo incubato - Opera omnia, Londini MDCLXXXVI, Tab. IV.® Fig. 27, Tab. IL® Fig. XV, XVI). 52 G. CHIARUGI | [198] Come conclusioni delle osservazioni esposte si può dire: 1.° che il primo pajo di protovertebre si sviluppa in corrispondenza del- l'estremo anteriore della porzione cilindrica del tubo midollare; 2.° che quando alla comparsa di questo primo pajo di protoverte- bre ha tenuto dietro la formazione successiva di altre in direzio- ne caudale, allora compare al davanti del primo formatosi un altro pajo di protovertebre, il quale viene così a corrispondere al cervello posteriore; più tardi a questo pajo fa seguito un secondo, situato più in avanti. In conseguenza la formazione delle protovertebre si fa in due differenti direzioni a partire dal limite fra canal midollare e cervello posteriore, in direzione caudale e in direzione craniale; la serie caudale comincia a mostrarsi più presto e si estende molto più della serie cra- niale. Alla più tardiva comparsa delle protovertebre encefaliche e all'ordine di loro apparizione differente da quello che si ha nelle midollari, corrisponde la modificazione del tubo midollare che va a costituire l’encefalo. Ho voluto insistere su queste particolarità relative allo sviluppo delle protovertebre, perchè trascurate da alcuni autori, soho esposte da altri in maniera dubitativa (4); e di più perchè i resultati tratti dall’osservazione di giovani embrioni. intieri sono stati da alcuno, a quanto mi sembra, non giustamente interpetrati (?). Le dette particolarità potranno essere utilizzate nei nostri studii ulteriori; intanto noterò che concordano con quanto sullo sviluppo del mesoderma nei Selaci in due differenti direzioni caudale e craniale, hanno scritto prima Van Wijhe e ultima mente Kastschenko, e come fenomeni simili nella direzione dello (1) Cf. ad es. quanto ne dicono Kolliker pag. 147 e Balfour Vol. II°, pag. 152. (&) Mi permetto a questo proposito di osservare che non mi sembra che la figura di un embrione di pollo, all'incirca della fine del 2.0 giorno, riportata da His (N.° 28, pag. 417) corrisponda al vero. In essa l'intervallo fra la vescicola acustica e la prima protover- tebra è assai ampio, tanto da contenere comodamente due protovertebre. Nell'intervallo sono rappresentate due voluminose masse, pressochè quadrilatere, che si fanno corri spondere all’abbozzo del IX.° pajo e del X.0. È possibile che esse non fossero che proto vertebre con sviluppo un po’ rudimentale, tanto più che a quest’ epoca se è possibile riconoscere la esistenza di un ganglio postotico, attribuito al IX°-X0, non si hanno rap- presentati da masse ganglionari distinte il IX.° e il X.9, o meglio, come io credo, l’abbozzo di questo non è ancora comparso. Le osservazioni riferite nelle pagine seguenti confermeranno questa supposizione. Li dira NO e DI A s ì ° 3 3 til , [199] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 58 sviluppo siano stati verificati in altri organi, ad es. nella no- tocorda da Hoffmann (1). $. 3. —- Ma lo studio di embrioni intieri sarebbe riuscito troppo incompleto se non fosse stato seguito dall’osservazione di embrioni dei medesimi periodi sezionati in serie in direzione sagittale. Ho creduto utile anzi sezionare quei medesimi em- brioni che avevo esaminato e disegnato n toto, e di essi dovrò ora discorrere. Prenderò anzi tutto, come tipo di descrizione, quanto ho verificato in un embrione di 36 ore di incubazione lungo mm. 4 con 9 somiti differenziati, dei quali 8 midollari, 1 encefalico (che chiameremo a@) non ancora del tutto isolato cranialmente dalla striscia mesodermica prolungantesi in avanti ai lati del cervello posteriore (Fig. 11). Se esaminiamo nella sezione verticale, che meglio si presta a questo studio tale striscia di mesoderma, che è la porzione encefalica della placca dei segmenti primitivi, vediamo che essa in corrispondenza dell’ ispessimento ectodermico, un po' in- fossato, che si convertirà nella vescicola acustica, al cui lato ventrale scorre, offre delle particolarità degne di nota. Indie- tro essa incomincia dal mostrare il somite encefalico @ costi- tuito alla periferia da cellule disposte a guisa di epitelio, con direzione raggiata. Questa disposizione è meno evidente sulla superficie craniale del somite, colla quale esso si continua col rimanente del mesoderma in apparenza non differenziato in so- miti. Ma, immediatamente al davanti del somite encefalico a, vediamo una tendenza negli elementi cellulari ad assumere una disposizione raggiata, in modo da circoscrivere un nuovo so- mite, il quale peraltro non ha limiti netti nè in dietro, nè in avanti, astrazion fatta da un lieve strangolamento intermedio ad esso e al somite encefalico «, e un altro simile fra esso e la rimanente striscia di mesoderma. In conclusione vediamo un primo accenno alla formazione del più craniale dei somiti encefalici (somite 5). Che se proseguiamo ancora cranialmente vediamo una continuazione del processo ora descritto: lievi strangolamenti trasversali, inuguale distribuzione degli ele- menti mesodermici che si addensano in ogni intervallo fra uno (1) Citato da V. Wijhe (N.° 49) pag. 5. 54 G. CHIARUGI [200] strangolamento e l’altro, come se ci fosse in loro una ten- denza ancora incerta e confusa ad atteggiarsi radialmente in- torno al centro di un somite. — L’aorta, che scorre al lato ventrale di questa produzione, si rigonfia in qualche punto di contro agli strangolamenti, e manda in corrispondenza di essi anche qualche propaggine. Si può dire dunque che in questo stadio, oltre al somite encefalico a, molto ben distinto, al somite d, che comincia ad esserlo, c'è un accenno oscuro alla formazione di altri somiti in direzione craniale il cui numero può esser fissato a 4, con tutte le riserve imposte dalla dif- ficoltà della osservazione, e che possiamo indicare dall’ indie- tro in avanti colle lettere c, d, e, f. Il somite più craniale è obliquamente incrociato dall’ avanti all’ indietro dal sottile ab- bozzo di un ganglio, che per la sua posizione, immediatamente al davanti dell’ infossamento acustico, può essere riconosciuto per il ganglio acustico-faciale. Nessun indizio di formazione dell’ abbozzo del IX.°-X.° paio. In un ulteriore stadio, quale ci può essere ad es. offerto da un embrione della 53° ora di incubazione, della lunghezza di mm. 5,5, con 17 somiti midollari e due encefalici, costa- tati coll’ esame dell’ embrione intiero (fig. 12), troviamo col- la osservazione di sezioni sagittali, che, al di dietro della fos- sa acustica, già divenuta profonda, ma sempre ampiamente comunicante coll’ esterno, si trovano 3 somiti encefalici, cioè, oltre al somite a e 5, veduti coll’ esame dell’ embrione intiero, un terzo somite più cranialmente (somite c). Il somite a presenta come quelli del tronco, ai quali è parificabile anche per il volume, uno strato epiteliforme dor- sale ben sviluppato ed una cavità. Gli elementi della parete ventrale del somite si confondono con quelli del soggiacente mesenchima. Il somite 4 è più piccolo, lo strato epiteliforme dorsale è più sottile, ed è costituito da cellule meno fittamente e regolarmente disposte. Il somite c, situato immediatamente al dinanzi del somite 5, è semplicemente indicato da un pic- colo cumulo di elementi cellulari, che non hanno dato origine allo strato epiteliforme dorsale, e non contiene alcuna cavità nel suo interno. Al davanti di esso si trova l’ abbozzo del TX.°-X.° (4). Non è possibile riconoscere la esistenza di altri (1) Lo chiamo per ora così, seguendo la maggioranza degli A. l'Altrove mi pro- nunzierò sulla sua natura. [201] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 55 somiti più craniali. La radice gangliare primitiva del IX.°-X.° sì dirige, mantenendosi di diametro uniforme, verso la regione occupata dalla 3.° tasca branchiale e dal 3.° solco branchiale, che sono ben visibili. La regione dei 3 somiti encefalici cor- risponde, come si poteva desumere dal già detto, tutta quanta al di dietro della 3.° tasca e del respettivo solco branchiale. Da queste osservazioni mi sembra che chiara emerga la conclusione che la formazione dei somiti ha tendenza a con- tinuare in direzione craniale, anche al di là di quanto sem- brerebbe dopo una osservazione superficiale (!). Mentre dal di dietro in avanti si differenziano, corrispondentemente all’ en- cefalo, due somiti, che poco differiscono dai midollari, si ha in periodo poco avanzato di sviluppo l’ accenno alla formazione di altri somiti, i quali occupano e oltrepassano in avanti la regione della futura vescicola acustica tanto da mettersi il più ante- riore di essi in rapporto col ganglio acustico-faciale. Si desu- me anche dalle medesime osservazioni, che questa segmenta- zione del mesoderma dorsale si spinge in stadi precoci mani- festamente nella regione, ove più tardi compariranno fenomeni di segmentazione del mesoderma ventrale per lo sviluppo dei solchi e delle tasche branchiali. Questo fatto meno evidente diventa col progredir dell’ età, perchè dei somiti più craniali sparisce ben presto ogni traccia; ma anche quando, come nel 2° stadio descritto, ancor chiaramente si presentano 3 somiti encefalici, si vede che questi soprastanno alla regione nella quale, ventralmente, dovrà formarsi la 4.* tasca branchiale (?). $. 4. — Ed ora veniamo a prendere in considerazione le plac- che muscolari che col progredire dello sviluppo si sono formate a spese dei somiti. Dei somiti encefalici sopra studiati riescono tutti a sviluppare fibre muscolari? La rudimentalità dei più craniali e il limite molto anteriore al quale questi corrispon- dono, sono argomenti che permettono di rispondere negativa- (*) La descrizione dei somiti della testa di Van Wijhe, che li ammette anche nelle parti più anteriori, non corrisponde alle cose da me vedute, le quali piuttosto si accordano colle osservazioni di Kasfschenko nei Selaci. () Non è molto facile incontrare embrioni che presentino tracce di segmenta- zione del mesoderma in direzione craniale, la quale abbia dato luogo alla formazione di un numero di somiti, maggiore di quelli che si costatano anche colla osservazione dell'embrione intiero. Ciò perchè, mentre non compajono che quando si son già co- stituiti o quasi i primi 2 somiti encefalici, spariscono poi rapidamente. 56 G. CHIARUGI SRO] mente, ma non abbiamo dati per giudicare da qual somite derivi il più craniale dei miotomi. Questo possiamo dire di non aver trovato placche muscolari al davanti dell’ abbozzo del vago. Questo nervo ci indica il limite oltre il quale, cranial- mente non si sviluppano miotomi. Il primo miotomo nei più giovani embrioni, esaminati sotto questo punto di vista, cor- risponde colla sua porzione anteriore al vago, e, anche negli uccelli come nei rettili le fibre del miotomo scorrono al lato esterno del nervo, incrociandone la direzione (Fig. 13, 16). Più tardi tale corrispondenza o sparisce o non è più facilmente costatabile per l’ atrofia che colpisce i miotomi più craniali (1). Questo rapporto col vago ci torna utile per la determina- zione della topografia dei miotomi rispetto alla futura testa e al futuro tronco. Infatti in questi stadi precoci non è pos- sibile riconoscere in modo chiaro gli abbozzi dello scheletro occipitale e delle vertebre e così stabilire il limite fra i mio- tomi della testa e quelli del tronco. Ben presto però ciò sarà possibile e vedremo allora che quattro sono i miotomi occipi- tali, e che il primo di essi o incrocia il vago o col suo mar- gine anteriore è a distanza minima dal nervo. Quindi anche negli stadi precedenti i primi quattro miotomi potranno con piena sicurezza esser considerati come occipitali. Nei più giovani embrioni, nei quali è possibile riconoscerli, troviamo che i miotomi oscipitali di poco differiscono dai se- guenti (2); hanno una posizione più laterale, specialmente gli anteriori, e, almeno i primi due, sembrano leggermente meno sviluppati. Il più anteriore è distante dal margine posteriore della vescicola acustica di un intervallo pari alla lunghezza di due miotomi. Ventralmente corrisponde alla regione dei mio- tomi occipitali la regione branchiale, nella parte che rimane al di dietro del 3.° arco. Esaminandoli quali li possiamo tro- vare in embrioni alla fine del 3.° giorno, i più anteriori sono chiaramente più piccoli dei seguenti, il loro strato epitelifor- me dorsale o manca o è ridotto di compattezza e di esten- sione, e la loro posizione va facendosi più laterale. Questa ri- duzione si aggrava sempre più e i limiti fra i varii miotomi di- (1) Potrei ripetere quanto ho detto a pag. 177 sul disaccordo che esiste fra le mie osservazioni e quelle di Van Wijhe e di Froriep. (£) Per tutto quanto riguarda i miotomi V. le Fig. 13, 14. 15, 16, 19, 20, 21. [203] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 57 ventano meno distinti. Merita di esser segnalato il fatto che mentre nel tronco vediamo i miotomi estendersi così dorsal- mente che ventralmente, i miotomi occipitali si estendono, in proporzione, molto più in direzione ventrale che in direzione dorsale ; frattanto nella regione occipitale la dilatazione del tubo nervoso ha avuto luogo in proporzioni molto maggiori che nel tronco. È possibile che i due fenomeni stiano in qual- che rapporto, cioè che la impossibilità nelle placche muscolari occipitali ad estendersi dorsalmente sia determinata dall’ ec- cessivo sviluppo in ampiezza del tubo nervoso e dei suoi in- viluppi. Ricercando in epoche tardive, così verso l’ 8.° giorno, le placche muscolari o i loro derivati, di quelle occipitali non troveremo traccia dorsalmente; ventralmente (Fig. 21) non le vedremo più come produzioni distinte e a tipo metamerico. Dalla superficie basilare dell’ occipitale si staccano fasci mu- scolari continui che si dirigono in basso e indietro verso la colonna vertebrale: è possibile, anzi probabile che le placche muscolari occipitali contribuiscano notevolmente alla loro for- mazione. Contemporaneamente allo studio dei miotomi ho fatto an- che quello dell’ abbozzo dello scheletro assile, cercando di de- terminare il rapporto reciproco dei primi col secondo per po- ter nettamente riconoscere la regione della testa e quella del tronco. In stadi avanzati di sviluppo, così quando siamo en- trati in piena fase cartilaginea, facile riesce distinguere l’ ab» bozzo occipitale dai vertebrali. Maggiore attenzione occorre per stadi meno avanzati. Quanto ho detto su questo argomento a proposito dei rettili potrà dimostrare i criterii sui quali mi . fondavo per fare la indicata distinzione. Essendovi in ciò fra gli animali delle due classi concordanza notevole, mi dispenso dall’ entrare in descrizioni minute, non richieste dalla natura del lavoro. $. 5. — Per non pochi fatti lo sviluppo dei nervi negli Uccelli concorda collo sviluppo dei medesimi nei Rettili. In con- seguenza potremo risparmiarci ora molti dettagli di descri- zione (1). I nervi cervicali degli Uccelli, a cominciare dal 3.°, sono (1) V. l'avvertenza a pag. 175 (in nota). 58 G. CHIARUGI [204] . costituiti in modo completo e normale, sono cioè provvisti della radice ventrale e della radice dorsale con ganglio, e così l’una che l’altra non differiscono da quelle che spettano agli altri nervi spinali. (Fig. 16, 20, 21). I primi due nervi cervicali offrono le seguenti particolarità di sviluppo: ad una osservazione superficiale, specialmente in alcuni stadi, sembrano costituiti dalla sola radice ventrale, come il primo nervo cervicale dei Rettili. Ma di fatto la man- canza dell’ elemento dorsale non si ha in modo assoluto che a sviluppo molto inoltrato, mentre primitivamente esiste, seb- bene con caratteri di rudimentalità, come ora esporremo. Se studiamo la regione prossimale del tronco in embrioni di pollo al 3.° giorno di incubazione, vediamo che la cresta nevrale emette nell’ intervallo fra i varii miotomi, e, più esat- tamente, corrispondentemente alla parte anteriore di ciascuno, prolungamenti a forma di gemme coniche che si dirigono col l'apice in basso e sono i primi abbozzi delle radici gangliari primitive. Tali produzioni corrispondono anche al 1.° e al 2.° miotomo del tronco, e così a questo stadio i primi due se- gmenti di esso non differiscono dai susseguenti dal punto di vista della respettiva radice dorsale. Negli embrioni del 4.° e del 5.° giorno la cresta nevrale Rel l'intervallo fra la radice del n. vago e il ganglio del 3.° nervo cervicale (Fig. 16) ha preso l’aspetto di una commessura lon- gitudinale costituita da un cordone di fibre frammiste a qual- che cellula nervosa, e possiamo già considerarla come l' ab- bozzo del n. accessorio. Staccatosi con un sottil filamento dal ganglio del 3.° n. cervicale, già ben costituito, il n. accessorio si dirige cranialmente scorrendo a lato del midollo. Giunto in corrispondenza della parte anteriere del 2.° e del 1.° miotomo del tronco, dorsalmente alle radici ventrali del 2.° e del 1.° nervo cervicale, mostra due rigonfiamenti costituiti da cellule ner- vose, che rappresentano l’elemento dorsale dei nervi cervicali respettivi. Mentre le gemme coniche emergenti dalla cresta nevrale hanno dato origine nel rimanente del tronco a radici dorsali con ganglio di notevole volume e indipendente, nei due primi segmenti si è formato un ganglio rudimentale che non si è isolato da ciò che sta ora a rappresentare la primitiva cresta nevrale. [205] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 59 Il rigonfiamento gangliare dell’ accessorio corrispondente al 1.° n. cervicale è piccolissimo, specialmente nei più giovani embrioni, e non sempre in questi riesce di poterlo costatare, ma l'altro è discretamente grosso, ha forma ovale, col mag- gior asse nella direzione della commessura della quale fa parte, e dalla quale si distingue, oltrechè per il volume, per la mag- gior copia di elementi cellulari che contiene. Non invia alcun prolungamento verso la sottostante radice ventrale. Negli embrioni del 6.° giorno (Fig. 19 e 20) il piccolo rigon- fiamento gangliare, corrispondente al 1.° segmento del tronco, è leggermente cresciuto di volume, ma il susseguente ha fatto notevoli progressi; ha assunto forma conica; si mantiene colla base in connessione col cordone commissurale e coll’ apice si dirige ventralmente e si continua in un sottile fascetto di fibre nervose, che si gettano nella sottostante radice ventrale. Negli embrioni dell’ 8.° giorno (Fig. 21) il ganglietto del 1. segmento è rimasto pressochè stazionario, l’ altro ha preso decisamente i caratteri dei susseguenti gangli spinali, perdendo probabilmente le connessioni primitive coll’ abbozzo dell’ acces- sorio; onde a questo stadio il 2.° nervo cervicale non differisce dai rimanenti. i I fatti sopra descritti!li ho verificati in molti embrioni, onde li considero come normali e non dipendenti da una va- rietà nello sviluppo. Se per i caratteri del ganglio corrispondente al 1.° segmento del tronco e per l epoca tardiva di completa formazione di quello del 2.° segmento, possono detti organi esser considerati come rudimentali, respettivamente come tendenti a diventarlo, il loro ulteriore destino ci conferma maggiormente in questo concetto. Non solo il piccolo rigonfiamento gangliare, che spetta al 1.° segmento, ma eziandio il ganglio del 2.° nervo, che si potrebbe a tutta prima considerare come un organo de- stinato a conservarsi, spariscono del tutto in successivi ‘periodi di sviluppo. Ond'è che, se noi esaminiamo l’animale adulto, non troviamo affatto traccia degli indicati organi: nessuna ra- dice dorsale si stacca dal midollo per la 1.* e per la 2.* radice ventrale cervicale, e nemmeno si mostrano in quella regione prolungamenti gangliari distaccantisi dall’ accessorio o rigon- fiamenti nel tronco di questo nervo. Colla osservazione micro- 60 G. CHIARUGI [206] scopica si vedono nel tronco dell’ accessorio cellule nervose. Quand’ anche tali cellule fossero ciò che resta dei primitivi gangli, esse non costituiscono nessun cumulo, che possa ora esser considerato come ganglio. Quest’ osservazioni sull’ adulto ho praticato più volte io stesso, e le ho potute fare inoltre nelle preparazioni che hanno servito al mio aiuto dott. Staderini per il suo studio sui nervi del collo negli uccelli adulti; di prossima pubblicazione. Confrontando i resultati da me ottenuti con quelli dei pre-. cedenti osservatori, lasciando da parte Marshall (N.° 38), che non si ferma affatto sulle particolarità di sviluppo inerenti al 1.° e al 2.° nervo cervicale negli uccelli, e venendo a Yrordep (N.° 15), si rileva che non sono giuste le sue conclusioni in or- dine alla assoluta mancanza della radice posteriore dei primi due nervi cervicali. Van Wijhe (N.° 50) crede che il 1.° e forse il 2.° nervo cervicale (*) si sviluppino più tardi degli altri, ma nulla dice in ordine agli speciali caratteri che presentano i corrispondenti elementi dorsali, alla loro rudimentalità Luna tiva e alla loro definitiva 0. Negli Uccelli, studiati in confronto ai Rettili troviamo più progredita la riduzione dei primi nervi cervicali. Come abbia- mo veduto in questi, così vedremo negli Uccelli, che è avvia- mento alla condizione nella quale si presentano i nervi occi- pitali, che entrano a costituire l’Ipoglosso. $. 6. — La descrizione che io son per dare delle prime . og! So ) fasi di sviluppo del n. vago non sarà perfettamente concor- dante con quella di Marshall (N.° 38) e degli embriologhi che lo hanno seguito. Si dice che negli uccelli il n. vago nasce dal dividersi distalmente di una gemma unica, emergente dalla cresta nevrale, che forma il n. glossofaringeo colla branca an- teriore e il vago colla posteriore. Effettivamente in embrioni giovanissimi non esiste al di dietro della vescicola acustica che una sola produzione gangliare che si distacca dalla cresta ne- vrale e si dirige verso il 3.° arco branchiale (Fig. 12). Ed è questa che vien considerata come abbozzo comune del IX°-X° paio. Ma io sarei più disposto a considerarla piuttosto come l’abbozzo del IX° paio ed ammettere che negli Uccelli il X° (1) Dice nervo e non radice dorsale del nervo, [207] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 61 paio derivi a conto proprio dalla cresta gangliare, dopo che il IX° ha già fatto la sua comparsa. In questa persuasione mi induce il confronto coi Rettili ( Lacerta ) nei quali vago e glos- sofaringeo si mostrano in stadi precoci nettamente distinti e a notevole distanza (V. fig. 2) e la diretta osservazione in embrioni di uccello. In questi, quando esiste un unico abbozzo gangliare al di dietro della vescicola acustica, e frattanto il 3.° arco branchiale si è ben differenziato dal 4.°, vediamo che il ganglio postotico penetra e termina entro il 8.° arco bran- chiale, come il n. glossofaringeo degli stadi successivi. Nelle epoche, nelle quali per la prima volta è possibile riconoscere il vago esso si mostra come un cordone cilindrico, per il mo- mento un po’ più sottile di quello del glossofaringeo, nascente per un rigonfiamento conico molto ricco in cellule dalla cresta nevrale e terminante in un ganglio (gl. nodoso), situato al di dietro del 3.° solco branchiale (Fig. 15). Il rigonfiamento co- nico, per il quale nasce dalla cresta nevrale il glossofaringeo è al davanti e in immediata vicinanza, essendo ridotto a un minimo di lunghezza il tratto della cresta nevrale intermedio fra la origine dei due nervi, i quali peraltro hanno l’ apparen- za di produzioni fra loro ben distinte. Ma col progredire dello sviluppo il IX.° e il X.° n. alla loro origine si uniscono in maniera sempre più completa ed intima, onde se si potesse prescindere dal loro aspetto a un livello inferiore, finiremmo per considerarli come una produzione ner- vosa unica. Il fenomeno dipende da che il sottile e breve tratto di commessura fra le radici dei due nervi cresce di volume e forse anche si producono gettate secondarie che riallacciano le due radici. Un altro fattore rende frattanto più complicata la disposizione di tali organi, ed è la tendenza a una differen- ziazione in due radici della radice primitiva del vago, feno- meno che in maniera più evidente e completa e con processo differente vedemmo compiersi anche nella Lacerta. Questo breve accenno renderà più intelligibile la descrizio- ne dettagliata fatta sovra un embrione della prima metà del 4.° giorno e sovra uno al termine del 5.° giorno, la quale ul- tima vale anche per gli stadi successivi. 62 G. CHIARUGI [208] In un embrione della prima metà del 4.° giorno (Fig. 16) (3), nell’ intervallo che rimane fra la vescicola acustica e il 2.° miotomo occipitale, vediamo dorsalmente una complicata pro- duzione nervosa, che rappresenta le radici del n. glossofaringeo e del n. vago. Nel suo insieme essa ha forma conica con una base estesa, colla quale si stacca dal cordone commissurale ; esso in dietro la congiunge al ganglio del 3.° n. cervicale, e in avanti, come un filamento breve e sottile, si prolunga verso la superficie dorsale dell’ otocisti e non può essere seguito ul- teriormente. La gemma gangliare, che descriviamo, non è sem- plice, ma risulta di parti distinte o gemme secondarie: una posteriore e una anteriore. La posteriore, più piccola, nulla offre di speciale, l’ anteriore più voluminosa, scendendo in basso si biforca e tra le due parti, tostochè si son differen- ziate, è teso un sottile filamento anastomotico. La gemma po- steriore, congiungendosi, dopo breve tragitto colla porzione posteriore della gemma anteriore, dà origine al tronco del vago, che viene così in origine a risultare di due fasci distinti, collocati alla faccia interna del 1.° miotomo occipitale. Ciò che . rimane della gemma anteriore si continua nel tronco del nervo glossofaringeo. Si può dunque dire che il vago si è incomple- tamente diviso in due radici, delle quali la posteriore è molto indipendente, l’ anteriore è estesamente collegata colla radice del glossofaringeo. — Le dette gemme o radici sono costituite da fibre, fra le quali sono disseminate numerose cellule nervose. Negli stadi successivi, come sì può verificare in un embrione dopo il 5.° giorno (Fig. 19) non si può più dire che la gemma gangliare che rappresenta le radici del vago e del glossofa- ringeo si stacca dal cordone commissurale; infatti, sebbene si vegga in dietro in continuazione con esso, ha acquistato at- tacchi secondarii al midollo allungato per mezzo di un gran numero di piccole e brevi radicole. Le gemme secondarie che prima la costituivano si sono ancor più ravvicinate, anzi si sono addirittura ‘fuse; peraltro dal suo apice tronco vedonsi ancora partire tre cordoni distinti: in avanti il tronco del glossofaringeo, in dietro due cordoni, che formano le origini (3) La Fig. 16 si riferisce veramente non ad un embrione della prima metà del 4.0 giorno, ma della fine del 3.9, il quale per questa età era assai sviluppato. V. del resto l’ avvertenza a pag. 196. sè E [209] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 63 del vago, i quali per un certo tratto rimangono abbastanza separati fra loro. A comporre la gemma sopra descritta con- corrono fibre e cellule nervose, non più uniformemente distri- buite; le fibre sono ora riunite a fascetti, intramezzati da co- lonne di cellule. Questa produzione, derivata dalla primitiva gemma gangliare e ricca in cellule nervose, diventerà il gan- glio della radice o ganglio dorsale, comune al vago e al glos- sofaringeo, non ben differenziato e circoscritto come nella Lacerta. I fascetti di fibre nervose emergenti dalla sua base, che lo collegano al bulbo, cresceranno in lunghezza e costi- tuiranno ciò che va comunemente sotto il nome di radici del glossofaringeo, rispettivamente del vago. Vediamo ora come si comporta il tronco del n. vago. 0l- trepassato il livello dei miotomi assume direzione ventro-cau- dale, poi più decisamente caudale (Fig. 17). Non ripeterò ‘quello che è stato notato da AKastschenko (N. 35) a proposito dei suoi rapporti colla vena giugulare. Poco al di sopra del punto nel quale la incrocia, si trova a corrispondere al di dietro e a pochissima distanza dal ganglio petroso del glosso- faringeo, immediatamente al di sotto di questo ganglio i due nervi si anastomizzano fra loro nel seguente modo (Fig. 19): il tronco del glossofaringeo, emergente dal ganglio petroso, si biforca immediatamente in due grosse branche, delle quali una gira al davanti del nodulo epiteliale formatosi a spese della 2. tasca branchiale (*), l’altra gli passa al di dietro e si im- merge nel 3.° arco branchiale. La branca anteriore emette un sottil ramo che si dirige verso la faccia dorsale della faringe e si fa parallelo alla arteria carotide interna; la posteriore (linguale) riceve un grosso e corto ramo anastomotico che si distacca a quel livello dal tronco del vago. Questo ramo ana- stomotico si può vedere fino dal 5.° giorno, e si mantiene ed è assai voluminoso anche nell’ adulto. Così stando le cose, il nervo che abbiamo chiamato linguale, (che è un ramo posttre- matico) è costituito da fibre che vengono in parte dal IX.° in parte del X.°. Il tronco del vago, arrivato in corrispondenza delle ultime tasche e solchi branchiali, si rigonfia nel ganglio nodoso o (*) Che Kasfschenko considera omologo al timo dei Batraci. 64 G. CHIARUGI: [210] branchiale (Fig. 15 e 17): questo si trova a un livello più basso del ganglio petroso del glossofaringeo e la distanza fra i due cresce per quanto si procede nello sviluppo; tantochè nel- l’adulto troviamo che mentre il ganglio petroso è situato alla parte superiore del collo a breve distanza dall’ origine del glossofaringeo, il ganglio nodoso si trova sul decorso del vago, quando questo è già penetrato nel torace. Mi dispenso dal de- scrivere i rapporti che il ganglio nodoso contrae colle ultime . tasche branchiali e cogli organi che da essi derivano, perchè nulla potrei aggiungere alla dettagliata descrizione datane da Kastschenko. Solo accennerò alla seguente particolarità. Secondo il sullodato A. l’ultimo dei 3 prolungamenti che emanano dal margine ventrale del ganglio nodoso e che egli chiama processo sensorio comune, destinato agli ultimi solchi branchiali che at- tualmente più non vengono a sviluppo, sarebbe, come gli altri prolungamenti sensorii del vago, costituito da elementi cellulari, che non si differenziano in elementi nervosi, onde finirebbe per scomparire del tutto; ora in un embrione dell’ 8.° giorno ho ve- duto nel punto corrispondente a quello, ove in embrioni più giovani si trova il processo sensorio comune, un fascetto nervoso, che, muovendo dall’estremo inferiore del ganglio, girava sotto all’ispessimento epiteliale corrispondente all’ ultima tasca bran- chiale e ugualmente sottendeva l’ultimo arco aortico, poi non poteva essere ulteriormente seguito. In base a questo reperto credo probabile che il processo sensorio comune non si atrofîzzi, ma si converta in un nervo, e, tenuto conto delle disposizioni che si verificano nell'adulto, e del punto di origine e dei rap- porti che tal nervo presenta nell’embrione, è possibile che questo diventi il nervo laringeo inferiore. Ammesso che la mia osser- vazione sia esatta, anche il nervo laringeo inferiore degli Uc- celli sarebbe da considerare come il prodotto della fusione de- gli ultimi rami branchiali, spettanti agli archi che più non si differenziano; opinione conforme a quella sostenuta da Yrortep (N. 16) per i mammiferi. Ma non va dimenticato di avvertire: come altre opinioni sono state espresse sul valor morfologico del n. laringeo inferiore. Così Bemmelen nella Hatteria e nelle Tartarughe lo ha creduto appartenente a un determinato arco, il 6.° e in altra occasione, ugualmente nei Rettili lo ha attri- buito al 5.°. Recentemente Hoffmann ha posto per i Rettili, la ide ani ni ut i | 3 ì È! [211] sviLuPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 65 questione se debba esser considerato come il ramo posttrema- tico della 6.* tasca branchiale, ma ha concluso per accettare la opinione di FYorzep. Dal tronco del vago più in basso si veggono staccarsi dei rami cardiaci, ma la massima parte dei suoi fasci può essere seguita verso la radice dei polmoni. $. 7. — Molto brevi possiamo essere per quanto riguar- da lo sviluppo del nervo accessorio, del quale abbiamo già avuto occasione di ricordare incidentalmente alcune particola- rità (!). Esso è senza alcun dubbio il prodotto di trasforma- zione della cresta nevrale in quel tratto che corre dal gan- glio del 3.° n. cervicale alla radice del vago. In questo inter- vallo, come in parte abbiamo veduto e come in parte vedremo fra poco, la cresta nevrale non dà origine a ben sviluppate radici ganglionari e si converte in un cordone commissurale continuo, fatto essenzialmente di fibre nervose, che, caudal- mente, almeno fino a un certo periodo, rimane in connessione col ganglio del 3.° n. cervicale, cranialmente si getta e si con- fonde colla radice del vago, che va a rinforzare (Fig. 15, 16, 19, 20). Nelle varie fasi del suo sviluppo il nervo accessorio degli Uccelli concorda con le equivalenti dell’accessorio della Lacerta; onde ci riferiamo a quello che abbiamo scritto a pro- posito di quest’ ultimo. Anche il n. accessorio degli Uccelli è essenzialmente un accessorio del vago; e senza volere assoluta- mente escludere che esso contenga a completo sviluppo fibre nervose di origine spinale, insistiamo nel dichiarare che queste non si raccolgono in un fascio nervoso distinto, onde non si co- stituisce negli Uccelli, ugualmente che nei Rettili, un vero ac- cessorio spinale. $. 8. —- Nella regione occipitale della testa anche negli Uccelli si sviluppano nervi in serie continua coi nervi cervi- cali e dotati dei medesimi caratteri essenziali. Dobbiamo anzi tutto domandarci se questi nervi occipitali sono provvisti di radice dorsale, poi prenderemo in considerazione le radici ven- trali, dalle quali sono in apparenza esclusivamente costituiti. Nessun autore fa parola negli Uccelli di radici dorsali oc- cipitali, corrispondenti ai singoli miotomi di quella regione. Ci (1) V. al $. 5. Se. Nat. Vol. X. 14 66 G. CHIARUGI [212] siamo persuasi della loro esistenza collo studio di embrioni di poco avanzato sviluppo (8. giorno); perchè si esagera quì quanto abbiamo trovato nella porzione prossimale del tronco, cioè la durata degli abbozzi delle radici dorsali occipitali è più transitoria di quella delle successive, spettanti ai primi due nervi cervicali. Ecco come si presentano: negli embrioni di pollo al 3.° giorno (!) la cresta nevrale che nel tronco, come già dicemmo, ha emesso dei prolungamenti conici, corrispon- denti alla parte anteriore di ciascun miotomo, che sono ab- bozzi delle radici dorsali primitive, ne emette dei simili anche nella regione occipitale, in corrispondenza della parte ante- riore del 4., del 3.° e del 2° miotomo (?). Queste gemme gan- gliari occipitali non differiscono dalle successive cervicali che per il volume un po’ minore. Ma ne differiscono per il destino ulteriore, perchè rapidamente si dileguano senza lasciar tracce e la loro esistenza è così breve che non riescono a contrarre mai diretto rapporto di continuità colle radici ventrali dei respettivi segmenti, e a differenziarsi nelle varie parti, che costituiscono una ben sviluppata radice dorsale. In sostanza troviamo negli Uccelli quanto abbiamo verifi- cato nella Lacerta, ma in questa le radici dorsali occipitali sono più durature e meglio costituite. Al 1.° miotomo occipitale corrisponde una gemma conica muovente dalla cresta nevrale; ma di essa abbiamo già par- lato, perchè non è altro che il primo abbozzo del nervo vago. $. 9. — Hsistono negli embrioni di Uccelli (nel pollo possono essere costatate sul finire del 3.° giorno di incuba- zione) radici ventrali occipitali, delle quali potrebbe esser data quella medesima descrizione generale che vale per i detti or- sani nei rettili (Fig. 16, 19, 20, 21 ma specialmente 18). Pe- raltro ne differiscono per qualche carattere: anzi tutto per il loro numero, perocchè al più se ne possono costatare tre, ta- lora due, corrispondenti agli ultimi tre, respettivamente due, miotomi occipitali. È possibile, quando sono soltanto due, che ne esista una più craniale, che per la sua esilità sfugga alla (1) È equivalente lo stadio di sviluppo del Cypselis apus rappresentato nella Fig. 14. (&) Quest'ultima radice dorsale non era stata da me osservata quando scrissi la già citata nota preventiva. 213] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NFI MAMMIFERI 67 y, osservazione, oppure che quest’ ultima si formi più tardi delle altre. Sono tutte più piccole di quelle dei nervi spinali, e la riduzione di volume cresce in direzione craniale, più che non avvenga nei rettili. Anche negli stadi tardivi di sviluppo tra- versano per separati fori 1’ abbozzo dell’ occipitale, come fanno le posteriori delle radici occipitali dei rettili, e anche nel- l'adulto, è facile trovare l’ occipitale laterale traversato da almeno due forami, che servono al passaggio di dette radici. È dunque dimostrato, per concludere, che anche negli Uc- celli, esistono nervi occipitali, perfettamente foggiati sul tipo dei nervi spinali, astrazion fatta dalla rudimentalità delle loro radici posteriori, e dall’ esser queste di durata effimera. Le radici ventrali occipitali, traversato 1’ abbozzo dell’ oc- cipitale, si uniscono fra loro in un tronco nervoso unico, a for- mare il quale concorre il 1.° nervo cervicale, (forse anche il 2.°%) e questo nervo è l’ipoglosso (Fig. 17), il quale per andamento, per rapporti e per terminazioni, sì comporta negli uccelli pre- cisamente come nei rettili. E a notare che per le mie osservazioni in confronto a quelle di FYorzep, il numero delle radici ventrali occipitali è maggiore di una, giacchè FYorsep non ne ammette che due. Nè egli, nè Van Wijhe accennano alla primitiva esistenza di radici dorsali occipitali ad esse corrispondenti. Van Wijhe ammette, come ammetto io, 3 radici ventrali occipitali; nè esso nè Zroriep accennano alla partecipazione dei primi nervi cervicali alla costituzione dell’ ipoglosso. Il tronco dell’Ipoglosso possiede davvero negli embrioni di pollo quel ganglio che Beraneck (N.° 7), come già ricordammo (), dice di avervi osservato? A me non è riuscito trovar mai nulla di simile, non tanto negli embrioni di pollo, quanto in quelli di rettili e di mammiferi. Tenuto conto della posizione che, secondo la figura di Beraneck, esso dovrebbe avere, a me sorge il dubbio che forse sia stato considerato come ganglio un tratto di quella produzione muscolare alla quale l’ipoglosso si distri- buisce ((Schulterzungenstrang di Froriep) nel punto ove essa sta per penetrare nella regione branchiale; (essa è rappresentata, nel punto indicato e nei suoi rapporti coll’ ipoglosso, nella no- stra fig. 5, presa da un embrione di Lacerta). (1) V. a pag. 167. 68 G. CHIARUGI | [214] $. 10. -- Richiamando, a proposito dello sviluppo dei nervi della regione occipitale e prossimale del tronco, le con- siderazioni svolte come riassunto dello studio dei medesimi nervi nella Lacerta, termineremo col segnare nel seguente prospetto le varie radici e nervi presi in esame negli Uccelli e la corrispondenza fra loro e coi miotomi della regione cui appartengono. Radici dorsali (*) Radici ventrali Miotomi QT7 in) N. Vago _ 10 = | © iS R | (del 1.0 n. occipitale) del 1.0 n. occipitale E 2.0 Shi IRPI 0 = | (0 3.0 ” ) EGO » RT: 40 E) Ss = Sh PES | 2 ER 19 cervicale) ARE Om cervicali 1.0 E 5 e Ss ( 7) 2.0 7) ) 3) 53 b}) 2.0 S = Da ( Fig. schematiche VII e VIII). $. 1. Grado di sviluppo. — $.2. Miotomi e loro corrispondenza cogli abbozzi dello scheletro assile. — $.3. Primi nervi cervicali. — $. 4. Nervo vago. — $. 5. Nervo accessorio del vago e nervo acces- rio spinale. — $.6. Rudimenti di radici dorsali occipitali. —$. 7. Ra- dici ventrali occipitali (Ipoglosso). — $. 8. Riassunto. Ho praticato il maggior numero di osservazioni sopra em- brioni di coniglio e sul resultato delle medesime mi tratterrò di preferenza, ma debbo aggiungere che ho usufruito anche di embrioni di majale e di qualche embrione umano ed accen- nerò brevemente a quanto questi mi hanno offerto di più in- teressante. (1) Le radici fra parentesi sono le rudimentali. vi Labate ‘ [215] svILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 69 Coniglio $. 1. — Un' avvertenza che deve esser fatta a proposito degli embrioni di coniglio e che vale anche per gli embrioni di altri mammiferi è la grande difficoltà che in essi presenta lo studio dei nervi, in particolar modo nei primi stadi di svi- luppo, in confronto cogli Uccelli, ma specialmente coi Rettili. Gli abbozzi dei gangli e dei cordoni nervosi spiccano molto meno nettamente dal circostante tessuto, onde più malagevol- mente si determinano i loro limiti e si segue il loro decorso. Ciò giustificherà la incompletezza di taluni dettagli. Gli stadi di sviluppo che ho esaminati possono essere aggruppati in 3 ordini: Nel 1.° mancava la curvatura nucale e si aveva una lunghezza massima di mm. 4, 5, nel 2.° una lunghezza massi- ma di mm. 6, 5, e una lunghezza nucale (!) di mm. 6, 5, nel 8.° una lunghezza massima di mm. Il e una lunghezza nucale di mm. 10. I più giovani embrioni furono raccolti al 7.° giorno dal coito fecondante, quelli di media grandezza al 10.° giorno, i più sviluppati al 12.° giorno. $. 2. —— Nel 1.° stadio riesce quasi impossibile determi- nare il numero dei miotomi che spettano alla regione occipi- tale della testa, sia perchè l’ abbozzo dello scheletro occipitale, sebbene abbia incominciato a formarsi, non si può delimitare nel suo limite posteriore e distinguere dov’ esso cessa e comin- ciano gli abbozzi vertebrali; sia per il fatto che così in questo che negli stadi successivi, come avremo occasione di ripetere, manca quell’ importante rapporto del 1.° miotomo col vago, che verificammo negli embrioni di Lacerta e di Uccelli e che potè in questi ultimi essere utilizzato negli stadi precoci per la determinazione del 1.° dei miotomi occipitali. Se potessimo esser sicuri che la radice dorsale del 1.° nervo cervicale è, an- che nei primi stadi, la più anteriore di quelle che offrono un considerevole voiume e una normale costituzione, quale si suole incontrare nelle radici dorsali spinali ; e se si potesse in modo assoluto ammettere che i nervi occipitali non posseggo- no nemmeno in questo primo stadio una radice dorsale ben (!) Dal tubercolo nucale al punto caudalmente più sporgente. 70 G. CHIARUGI [216] costituita, allora avremmo il modo per determinare il numero dei miotomi occipitali. Ci è sembrato infatti che solo al 4.° miotomo, contando dall’ avanti, corrispondesse in questo stadio un voluminoso abbozzo di radice dorsale, il che farebbe cre- dere che i miotomi occipitali fossero nel Coniglio in numero di tre. Tranne una leggera diminuzione di volume in nulla diffe- riscono da quelli del tronco, coi quali sono in serie continua. Corrispondono al lato dorsale della regione che stà al di die- tro della 3.° fessura branchiale. Tra il più craniale e il con- torno posteriore della vescicola acustica intercede un inter- vallo pari a poco meno che la lunghezza di 2 miotomi. Fra il 2. e il 3.° scorre un' arteria interprotovertebrale, e non è im- probabile che ne esista una fra il 1.° e il 2.°. Possiamo esclu- dere nella maniera la più assoluta la corrispondenza del vago al 1.° miotomo. Il vago non è in rapporto colla parte ante- riore del 1.° miotomo, e quindi non è incrociato dalle fibre di questo, ma è situato più cranialmente del miotomo, a una certa distanza dal suo margine anteriore. Quindi per è Mam- miferi le osservazioni di Froriep sono confermate. In embrioni del 2.° stadio (Fig. 22) le placche muscolari della regione occipitale, che si presentano con caratteri distintissimi, e la cui determinazione topografica può esser fatta in base ai rap- porti coll’abbozzo dello scheletro assile, sono in numero di tre; differiscono da quelle del tronco per essere, le prime due in specie, leggermente meno sviluppate e per la. posizione che si fa, di mano in mano si procede in avanti, più laterale. È pos- sibile che al davanti della prima, cioè della più craniale, vi sia traccia di un’ altra placca muscolare; ma se realmente essa esiste, il che non possiamo affermare con sicurezza, sia per volume complessivo, sia per la quantità delle fibre muscolari formate, è moltissimo rudimentale. Al davanti della serie dei miotomi, descrive un’ arcata il nervo accessorio spinale. In questo stadio siamo sempre nel periodo della rachide membranosa. Senza entrare riguardo a questa in lunghe de- scrizioni, ci limiteremo a segnalare alcune particolarità relati- ve alll’abbozzo dell’ occipitale, che depongono per l’ esistenza di una vertebra occipitale (1). Ogni vertebra è indicata da un (1) Cf. su questo punto Froriep (N.0 17). | | [217] sviLuPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 71 addensamento cellulare che comincia intorno alla notocorda e si estende lateralmente. L’ abbozzo della porzione basilare del- l’occipitale è segnato da un addensamento cellulare a forma di striscia, simile per aspetto a quelli che rappresentano le singole vertebre e apparentemente omogeneo. Ma ben osser- vando si vede che il tratto più posteriore di questo abbozzo dell’ occipitale è, sebbene imperfettamente, differenziato dal ri- manente; in avanti i suoi limiti non sono così netti come po- trebbero essere fra vertebra e vortebra, ma sufficienti per di- stinguerlo come una produzione ex se. Nelle sezioni a una certa distanza dal piano mediano, queste particolarità sono meglio evidenti, che in corrispondenza di detto piano, ma anche, nel- l'immediato contorno della notocorda sono riconoscibili; esiste cioè ivi un addensamento cellulare, ben distinto da quello cor- rispondente alla prima vertebra, meno nettamente differenzia- to da quello che rappresenta il rimanente dell’ occipitale. Sui lati un tenue ramoscello dell’ aorta (omologo alle arterie in- terprotovertebrali) traversa l'intervallo tra la vertebra occipi- tale e il rimanente dell’ occipitale, ma più distinto si trova ivi un vasellino venoso che nasce da un ramo collaterale dalla vena giugulare e fornisce altri rami consimili più posteriori; è questo il tronco comune delle prime vene interprotover- tebrali. Ogni traccia di vertebra occipitale è scomparsa negli stadi ulteriori. Negli embrioni del 3.° stadio le placche muscolari occipitali sono moltissimo ridotte. $. 3. (4) — Per seguire il medesimo ordine di descrizio- ne tenuto per i Rettili e per gli Uccelli, dovremmo incomin- ciare il nostro studio dei nervi del Coniglio col parlare dei primi nervi cervicali (V. Fig. 22, 24, 25). Ma essi non differi- scono essenzialmente dai susseguenti nervi, essendo completi, cioè provvisti della radice ventrale e della radice dorsale, ed essendo questa fornita di ganglio, il cui volume uguaglia pres- s'a poco quello dei seguenti. Così non occorre fare una lunga descrizione del loro sviluppo. Ricorderemo solo, ed avremo oc- casione di richiamare in altro punto questa particolarità, che i residui della cresta nevrale, nei tratti intermedii ai gangli (!) V. l'avvertenza a pag. 175 (in nota). 72 i , | @. CHIARUGI [218] da essa formati, permane per un certo tempo sotto forma di commessura nella porzione prossimale della regione cervicale; così in embrione del 2.° stadio (Fig. 22) essa non solo si vede staccarsi dal ganglio del 1.° n. cervicale per dirigersi cranial- mente, ma congiunge eziandio il 1.° ganglio col 2.° ed il 2.° col 3.° Un altro fatto degno di nota si è che i primi due nervi cervicali prendono parte alla costituzione del nervo ipoglosso (Fig..22). Non occorrerebbe dire, se questa nozione non do- vesse essere utilizzata più tardi, che i nervi spinali in genere, e così anche i cervicali, acquistano la radice ventrale più tardi della dorsale. Negli embrioni del 1.° stadio quella non ha an- cora fatto la sua comparsa. $. 4. — Nel 1.° degli stadi esaminati la cresta ganglia- re, sulla cui descrizione torneremo nel seguente paragrafo, dà origine ventralmente, nel tratto che corre dalla vescicola acu- stica al 1.° miotomo, a due gemme gangliari primitive fra loro distinte, ma situate a breve intervallo. Dopo di che continua caudalmente scorrendo a lato del midollo senza emettere gem- me gangliari ben evidenti fino in corrispondenza del 4.° mio- tomo. Le due gemme gangliari sopra ricordate sono 1’ abboz- zo respettivamente del glossofaringeo e del vago, che, anche nei Mammiferi, sembra abbiano una origine indipendente. L' an- teriore, o del glossofaringeo, è a contorni più netti e forse i sttoi elementi sono più stipati, specialmente al suo estremo ven- trale, ove si rigonfia alquanto e si immerge nel 3.° arco bran- chiale. Il vago ha un’ origine più estesa, ma, specialmente al- l’ estremo ventrale si è differenziato in maniera meno evidente L'abbozzo del IX.° pajo incrocia nello scendere ventralmente il lato interno della vena giugulare, poi il lato esterno del- l’aorta discendente ; l’ abbozzo del X.° è al lato esterno della vena, come anche dell’ arteria. Questa differenza nel rapporto dei due nervi colla vena giugulare fa supporre che anche nei Mammiferi abbia luogo quello spostamento della vena rispetto ai nervi, che Kastschenko ha descritto nel pollo, spostamento che nei casi esaminati era avvenuto per il glossofaringeo, non ancora per il vago. Di ciò troveremo la conferma nello studio degli stadi susseguenti. Nel 2.° degli stadi esaminati il n. vago si è già chiara- mente differenziato (Fig. 22); esso presenta a considerare anzi que vi © [tn 2 Riding dc pe ca [219] SsvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 73 tutto alla sua origine una gemma gangliare, indipendente da quella del glossofaringeo, e solo ad essa collegata da una sot- tile commessura. Tal gemma in dietro insensibilmente sì con- tinua nella commessura longitudinale, che va verso il 1.° gan- glio spinale; risulta prevalentemente di cellule, intramezzate da fibre nervose; dalla sua base cominciano a staccarsi piccoli fascetti di fibre radicolari, che la collegano al midollo ; sono questi fascetti che crescendo in lunghezza diventeranno ciò che va ordinariamente sotto il nome di radici del vago e la gemma .gangliare diventerà il ganglio della radice o ganglio giugulare o dorsale. Dall’ apice della gemma gangliare muove un grosso cordone di fibre, che, incrociato non più il lato esterno, ma, come avevamo fatto presentire, il lato interno della vena giugulare e del principio dell’ aorta discendente, si rigonfia nel garglio nodoso, il quale viene a corrispondere alla regione delle ultime tasche branchiali. Senza estendermi in det- tagli sui rapporti precisi del ganglio nodoso colle tasche e coi solchi branchiali, mi basterà di avvertire che ho costatato la presenza di un prolungamento del ganglio nodoso lungo il mar- gine caudale della 3.° tasca branchiale, nel quale cominciavano ad esser differenziate fibre nervose (abbozzo del n. laringeo superiore ?). Caudalmente alla 4.* tasca branchiale ed al 5.° arco aortico si trova un noduletto epiteliale, senza cavità nel suo interno, in connessione colla faringe, che può esser considerato come una 5.° tasca branchiale rudimentale. Il tronco del vago, ricostituitosi all’ estremo distale del ganglio nodoso, scorre sul contorno dorsale di detto nodulo, con esso in immediato con- tatto, indi procede verso il suo territorio terminale. Passando al 3.° stadio (Fig. 23 e 24) le particolarità più notevoli del n. vago consistono nei seguenti fatti: in un al- lungamento subìto dai fascetti radicolari, che collegano la base della gemma gangliare al midollo; in una fusione intima che ha avuto luogo della gemma gangliare del glossofaringeo con quella del vago, infine nel fatto che il tronco del n. vago pri- ma di rigonfiarsi nel ganglio nodoso emette un fascetto di fibre, che, accollandosi al ramo Znguale nato dalla estremità distale del ganglio petroso del glossofaringeo, gira con esso dietro alla 2.* tasca branchiale e si immerge nel 3.° arco bran- chiale. Facile è il riconoscere la concordanza che esiste a questo 74 G. CHIARUGI [220] stadio di sviluppo con quello descritto per gli embrioni di pollo al 5.° giorno di incubazione. Solo manca nei Mammiferi quella duplicità che negli embrioni di pollo rilevammo nel tronco ner- voso emergente dalla gemma gangliare del nervo vago. Si conferma a questo stadio la esistenza di un prolunga- mento del ganglio nodoso, lungo il margine caudale della 3.° tasca branchiale ora sotto forma di un ben sviluppato fascet- to di fibre nervose, (nervo laringeo superiore?) $. 5. — Nel 1° stadio abbiamo trovato che la cresta nevrale, che, per l’ aspetto e l’ aggregazione dei suoi elementi, mal si distingue dal circostante mesenchima, non ha limiti netti: dorsalmente è ancora in connessione col midollo, ven- tralmente è a festoni, per le gemme gangliari che emette. Nel 2.° stadio, nei punti ove si è conservata, spicca più nettamente ed ha assunto la forma di cordone commissurale fra le pro- duzioni gangliari che si son formate a sue spese. Esiste nella, regione prossimale del tronco ed è un cordone cellulare sot- tile, che, muovendo dall’ angolo dorso-craniale del 3.° ganglio, si porta all’ angolo dorso-caudale del 2.° e in modo analogo congiunge il 2.° col 1.°. Muovendo poi dall’ angolo dorso-cra- niale del 1.° ganglio si dirige in avanti a lato del midollo, penetra nella regione della testa crescendo ‘alquanto di volume, e, dopo breve tragitto si getta nel vago, costituendo come il gruppo posteriore o caudale delle radici di questo nervo (Fig. 22). Ciò apparisce tanto più evidente quando la commessura ha acquistato attacchi secondari al midollo, che si fanno per una numerosa serie di fascetti di fibre. Procedendo lo sviluppo si conserva la disposizione descritta, salvo che il cordone commes- surale non si mantiene più perfettamente continuo in tutto il suo decorso e uniforme nel suo andamento. Esso nella por- zione caudale si atrofizza quasi completamente ed è rappresen- tato solo da piccoli aggruppamenti di cellule nervose, mentre persiste nella parte anteriore o craniale. Nella produzione che abbiamo sommariamente descritto, riconosceremo facilmente il n. accessorio delle forme inferiori, derivato anche in esse da trasformazione della primitiva cre- sta nevrale, e potremo anche qui considerarlo come n. acces- sorio del vago. Vedremo a suo tempo i rapporti che esso con- trae con alcune produzioni gangliari spettanti ai nervi occipitali. ita > end meg. rea ma [221] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI' E NEI MAMMIFERI 75 Ma, insieme al n. accessorio del vago, dobbiamo considerare nei nostri embrioni di coniglio anche il nervo accessorio spi- nale, del quale nessuna traccia manifesta abbiamo trovata ne- gli embrioni di rettili e di uccelli. Non abbiamo potuto determinare, per mancanza di adatto materiale di studio, il momento preciso nel quale l’ accessorio spinale comincia a mostrarsi. Nessuna traccia ne esiste in embrioni del 1.° stadio, mentre in embrioni del 2.° stadio, ed anche in embrioni di essi un po’ meno sviluppati, è già pre- sente ed ha una disposizione simile a quella che si trova ne- gli stadi successivi (Fig. 22 e 24). Situato ai lati del midollo fra le radici ventrali e le dorsali, più vicino a quest’ ultime, co- mincia a livello del 6.° n. cervicale, e, crescendo gradatamente di volume, si porta cranialmente. Nella regione occipitale lo vediamo immediatamente al di sotto della commessura longi- tudinale, che va convertendosi nell’ accessorio del vago, de- scrive al davanti della serie dei miotomi una curva con con- cavità ventro-caudale, si accolla al vago e accompagna questo nervo, senza mescolare con esso le sue fibre, fino a raggiun- gere il ganglio nodoso. Costeggia il lato esterno del margine caudale del ganglio nodoso, senza prender parte alla forma- zione di esso, poi si dirige verso la radice dell’ abbozzo del- l'arto superiore, ma non può essere ulteriormente seguito. Quando le sezioni riescono secondo una direzione opportuna, così in sezioni fortemente oblique da un lato all’ altro del corpo si possono riconoscere le origini dell’ accessorio spinale entro il midollo. Si mostrano come sottili fascetti di fibre ner- vose, che nascono nella porzione ventrale del midollo, e, de- scrivendo una curva, che colla concavità guarda ventralmente e cranialmente, lo attraversano e si fanno emergenti nella parte più dorsale della superficie laterale di esso, dove, unen- dosi ad altri fascetti consimili, nati ad un livello differente, costituiscono insieme il tronco del nervo (!). Esso fin dai più precoci stadi, nei quali lo abbiamo incontrato, è costituito da fibre senza traccia di cellule nervose, ed ha quell’ aspetto che offrono al medesimo periodo di sviluppo le radici ventrali spi- nali, mentre l’ abbozzo dell’ accessorio del vago, dal quale è (5) V. su questo proposito His (N.° 29). 76 i G. CHIARUGI [222] nettamente distinto, è ancora prevalentemente costituito da cellule. i Lo studio embriologico dell’ accessorio spinale ci dimostra che esso deve esser considerato come affatto distinto dal si- stema delle radici posteriori e dal vago e deve essere invece riportato al sistema delle radici anteriori. Infatti esso si svi- luppa più tardi della cresta nevrale e delle radici dorsali pri- mitive, precisamente come le radici ventrali; non ha alcuna connessione nè con ciò che rappresenta la primitiva cresta nevrale nè colle radici dorsali; assomiglia, anche in stadi pre- coci, per i suoi elementi alle radici ventrali, infine le fibre nervose che lo costituiscono hanno la loro origine nella por- zione ventrale del midollo. E corollario diretto della proposizione sopraenunciata che occorre fare una assoluta distinzione fra n. accessorio del vago e n. accessorio spinale, la quale, sul fondamento embriologico, riesce forse anche più netta e recisa che sul fondamento della sola anatomia descrittiva, quasi esclusivamente invocata fin quì: Il nervo accessorio del vago deriva da trasformazione di. un tratto della cresta nevrale quella medesima produzione che dà origine alle radici posteriori spinali ed al vago; il n. ac- cessorio spinale rientra nel sistema delle radici ventrali cer- vicali ed occipitali. La differenza embriologica ci guida a ben riconoscere la posizione anatomo-comparativa dei due nervi: il n. accessorio del vago si trova nei Sauropsidi e nei. Mam- miferi; il n. accessorio spinale, almeno come produzione indi- pendente, esclusivamente nei Mammiferi. $. 6. — Veniamo ora a considerare i nervi occipitali del coniglio, e, anzi tutto, le loro radici dorsali. Si deve a Froriep, come dicemmo, di aver dimostrato in modo certo ne- gli embrioni di alcuni ruminanti la esistenza di produzioni gangliari spettanti ai due più caudali degli elementi costitu- tivi dell’ Ipoglosso. Nel coniglio posso dire di aver confermato le osservazioni di Froriep in quanto riguarda la costatazione di tali radici dorsali occipitali, ma le origini e i rapporti delle medesime mi sono apparse in modo differente che a lui. L' in- dipendenza assoluta di tali produzioni dal sistema dell’acces- sorio a me non sembra ammissibile. Le mie osservazioni al [223] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI ‘77 riguardo delle radici dorsali occipitali nel Coniglio armonizzano, con quelle istituite nella Lacerta e negli uccelli. Se in embrioni del 2.° stadio accompagnamo verso la re- gione occipitale (V. Fig. 22) il cordone commissurale stacca- tosi dal ganglio del 1.° nervo spinale, cordone che diventerà, come abbiamo veduto, l’ accessorio del vago, arrivati che sia- mo in corrispondenza della parte anteriore dell’ ultimo mio- tomo della testa, vediamo che il detto cordone si rigonfia in una specie di gemma conica, che coll’ apice si volge ventral- mente verso la sottostante radice anteriore. Questa produ- zione è fatta esclusivamente di cellule come il cordone com- missurale, al quale aderisce. Essa è la radice primitiva gan- gliare dell’ ultimo segmento occipitale. Al davanti di essa e a breve distanza (cioè a distanza più piccola di quella che suole intercorrere fra due radici dorsali contigue) si stacca dal cor- done commissurale un’ altra produzione simile, più piccola e nascente per una base più stretta, ugualmente diretta ven- tralmente e compresa nel territorio spettante al penultimo segmento occipitale; è la radice gangliare primitiva di questo segmento. Tanto questa che la prima descritta, mentre sono in continuità coll’ abbozzo dell’accessorio del vago, non contrag- gono alcun rapporto col n. accessorio spinale che nel portarsi ventralmente incrociano, scorrendo al suo lato esterno. In uno stadio di sviluppo più inoltrato (Fig. 24 e 25) tro- viamo solo la più caudale delle radici dorsali occipitali, la quale conserva i medesimi rapporti e la medesima struttura cellulare. L’ altra è del tutto scomparsa. Ma anche la più caudale in circostanze ordinarie è desti- nata ad atrofizzarsi. $. 7. — Anche nei Mammiferi i nervi spettanti ai seg- menti occipitali, meglio che dalle rudimentali e transitorie ra- dici dorsali, sono rappresentati dalle radici ventrali. Negli embrioni del 2.° stadio esaminato abbiamo anzi tutto due ra- dici ventrali che spettano all’ ultimo e al penultimo segmento, le quali nascono dal cervello separatamente l’ una dall’ altra, a una distanza corrispondente all’ intervallo che separa le radici ventrali dei nervi spinali e come queste nell’ atto in in cui si distaccano dal cervello son rappresentate da un cono di fibre; traversano per separato foro 1’ abbozzo dell’ occipitale, 78 G. CHIARUGI [224] rimangono ancora un po indipendenti, poi si riuniscono tra loro e con altri nervi, come vedremo. Ma al davanti di queste radici ventrali degli ultimi due nervi occipitali se ne trova un’ altra costituita da varii filamenti fra loro discosti, i quali complessivamente emergono da un territorio molto più esteso di quello che potrebbe spettare ad una sola radice ventrale; i varii filamenti si fanno convergenti, ma i più anteriori con- servano una certa indipendenza di tragitto in confronto ai po- steriori. Le indicate particolarità fanno supporre che quella ora descritta non sia una sola radice ventrale, ma ne rappresenti per lo meno due, rudimentali rispetto alle altre più posteriori, e quindi imperfettamente distinte. — Ciò è confermato da quanto osservasi in uno stadio successivo di sviluppo, dove chiaramente si scorgono nella regione occipitale quattro ra- dici ventrali con disposizione segmentale, delle quali il volume va progressivamente riducendosi dall’ indietro in avanti; esse traversano l’ occipitale per forami distinti (Fig. 25). Al di sotto dell’ abbozzo dell’ occipitale si uniscono fra loro i nervi occipitali e i primi due nervi cervicali (Fig. 22 e 23), e così prende origine un unico tronco nervoso, che è il n. ipo- glosso, il quale, scorrendo prima al lato esterno della vena giu- gulare, e incrociando il lato esterno del nervo vago subito al di sotto del ganglio nodoso, descrive una curva a concavità dorso-craniale, e penetra nella regione branchiale, dirigendosi verso l'arco mandibolare. Nell’ ultima porzione del suo tra- gitto, cioè nel tempo che percorre la regione branchiale, è ac- compagnato da quella produzione muscolare che roriep ha chiamato Schulterzungenstrang. Mi dispenso dall’ entrare su que- sto argomento in maggiori dettagli, rimandando a quanto ho scritto dicendo della Lacerta ed alle esatte osservazioni di Froriep nei Mammiferi. i $. 8. — Anche per il coniglio vogliamo segnare in un prospetto le varie radici e nervi presi in esame e la corrispon- denza fra loro e i miotomi della regione occipitale e cervi- cale, alle quali respettivamente appartengono. Lo facciamo, richiamando contemporaneamentè le considerazioni svolte nel riassumere i resultati delle nostre osservazioni nella Lacerta (4). (4) Mancando nei Mammiferi la corrispondenza del vago a un miotom» ho dato al medesimo, per analogia, la posizione che ha nei Rettili e negli Uccelli. cosine USA. ee’, a e PI ba } [225] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NFI MAMMIFERI 79 Radici dorsali (*) Radici ventrali Miotomi a qc foi». 0 aCIDÌ dI 5 Xî del 1.° n. occipitale \ "| Ss | 20 1.0 s = ” . » 9 . v = Da i; Ss S | (del3.0n.occipitale) |, 3.0 È È. 20 (>) ° | ( 0 ” ) S n 40 ) z 3.9 È Sd S a) *D cd / HS ei sera D 5 DICA ° — : i È a a » 1.9 n. cervicale So,» 1.0n. cervicale 1.0 & ES $ "5 E] Si » Sn 2,0 »” 2,9 b = x a , 5) SIN) A "RIPARO ds 3,9 © | i Fi, | [e] Per render poi più facile al lettore il confronto fra le di- sposizioni dei nervi e dei miotomi nei varii tipi di vertebrati sottoposti ad esame, riuniamo quanto ai medesimi si riferisce nel seguente prospetto. In esso abbiamo dato una posizione simile agli organi, che topograficamente si corrispondono, senza inten- dere che la corrispondenza topografica equivalga senz’ altro alla omologia dei respettivi organi. La ragione di questa riserva apparirà chiara dopo la lettura delle Conclusioni che faremo seguire alla parte descrittiva del lavoro (?). (1) Le radici fra parentesi sono le rudimentali. (*) Per meglio confrontare î varii segmenti della regione occipitale nei differenti tipi ed apprezzare più facilmente la loro corrispondenza respettiva, sarebbe preferibile mumerarli in direzione opposta a quella adottata, cioè dall’ estremità caudale verso la craniale. Ciò non abbiamo fatto per non ribellarci all'uso, per non ingenerar confu- sione nel paragonare le osservazioni nostre con quelle di altri autori. sn © x i *I[equeWITPnI e] 0UOS ISQquosed BIJ IDIPRI OTT , : A 0° 0° 0° (43 0° (44 (1400 0°€ (14 (14 0° (14 Ò U 0°€ Ut (44 0° (14 “ 0°€ (14 | ‘IN 0° 0 < © % O ce o Z CUI (14 Ò % “K (44 O Z (i (13 04 “w ( (14 o & (44 ) (14 O < “ | TI ol ol ol ‘A199‘U ol % "A199 “U o'T “ \ ‘A199 "I ol “% "A199 “0 o°l (44 (CAT99 "I ol U ) (CA199 "I ol (13 ) I | 2 DA i 17 |OTLOTATO9 "99 ss | 3 5 ® == 2. 2 2 È D 3 5 È = È 5 A È D . . n S « « 5 c qa E « U “ «po & 2 “ “e 4 S: « E BNL = | og|ogz op|S dea 0°£ DR 0°G a |( OO) ( 0g) ( 0g“ )} © “A & Dn Si S : Si si 2 [zo © n DA ch DI Du ® 4 04 0°€ 0° S) ‘ 0° « “ 0° (11 € of “ È d8 (‘d1000 ‘Wo TOP) s ( 04 ) S ( ci o « ) s “AI ] E o 8 j8 i ta =. 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Una particolarità che voglio notare si è la persistenza e lo sviluppo notevole della commessura fra i gangli cervicali, che nel coniglio invece presto sparisce, rimanendo i gangli perfettamente indipendenti. In un embrione della lunghezza di mm. 19 (V. Fig. 26) nel quale già l’abbozzo della rachide e del- l’occipitale sono in atto di passare alla fase cartilaginea ed i gangli spinali sono collegati al midollo da lunghi e ben costituiti fascetti radicolari, non solo esiste sempre la com- messura fra i gangli dal 1.° fin verso il 6.° o 7.° ma si man- tiene in certi punti, particolarmente fra il 3.° e il 4.° ganglio, moltissimo sviluppata in grossezza, tanto che si potrebbe giu- stamente dire che i due gangli sono colla base fusi in un’ uni- ca massa. Uomo Molto breve sarò per quanto riguarda le osservazioni pra- ticate sopra embrioni umani. Avendo in questi ultimi tempi cercato di raccogliere del materiale di studio, potrò in altra occasione sviluppare convenientemente quanto si riferisce allo sviluppo dei nervi cerebrali nella nostra specie. Per ora le os- servazioni che ho a riguardo del soggetto, che qui ci occupa, sono scarsissime. Ho potuto nettamente costatare i seguenti fatti: Le paja più anteriori di segmenti mesodermici (in embrione della lunghezza di mm. 2.6 in linea retta, del principio della 4. settimana di gravidanza (*)) erano piccoli di volume, spe- cialmente il 1.° pajo, avevano una posizione più laterale dei seguenti e corrispondevano a una parte del canal midollare, (1) Chiarugi (N.° 11). Sc. Nat. Vol. X. 15 82 - G. CHIARUGI [228] che per il suo volume era più da considerare come encefalo che come midollo spinale Nel medesimo embrione esisteva nel cervello posteriore una disposizione segmentale. Il nervo vago nasceva per una base assai estesa, che assottigliandosi indietro si prolungava fra il tubo nervoso e il 1.° segmento mesodermico (commessura lon- gitudinale). Il ganglio nodoso contraeva intimi rapporti col- l’ epitelio ispessito, che ricopriva la superficie convessa, abbozzo del 4.° arco branchiale, immediatamente retrostante al 3.° solco branchiale. Si conservano per un certo tempo chiarissime traccie della commessura longitudinale che collega la radice del vago al gan- glio del 1.° n. spinale (4); esse prendon parte nel modo che avviene per altri mammiferi alla costituzione del n. accessorio del vago. Il nervo accessorio spinale è affatto distinto dall’ accessorio del vago e non manda le sue fibre entro al ganglio nodoso. Nel giovane embrione di mm. 2,6 di lunghezza, sopra ricordato, nel quale non esistevano le radici ventrali dei n. spinali, il n. accessorio spinale non era rappresentato. Il nervo ipoglosso è costituito dalla riunione di almeno 3 radici ventrali occipitali, che si riuniscono a formare un tron- co unico dopo avere attraversato lo scheletro occipitale. Ne- gli stadi esaminati nessuna traccia ho trovato di radici dorsali dell’ ipoglosso. Il 1.° n. spinale è completo e costituito da una radice ven- trale e da una dorsale con ganglio paragonabili per volume e per rapporti a quelli dei susseguenti nervi (?). Questi dati desunti dall’ esame embriologico trovano riscon- (1) Le ho osservate in embrione della lunghezza massima di mm. 19, della lun- ghezza nucale di mm. 14. (®) His (N.° 28) al seguito degli studi di Mroriep fa notare avere egli rappre- sentato nella sua opera « Anatomia degli embrioni umani» un ganglio al di sopra (al davanti) del 1.0 sanglio spinale, applicato sull’ accessorio, del quale non ha deter- minato le connessioni, che crede paragonabile a quello da Froriep descritto negli em- brioni di altri mammiferi; ma per la posizione sua al di dietro della curvatura nu- cale, mentre l’Ipoglosso è situato al davanti, non crede debba essere attribuito a que- sto nervo. È egli possibile che il ganglietto figurato da His sia il 1.° ganglio spinale con caratteri di rudimentalità, coi quali senza dubbio si presenta in epoche ulteriori e che in qualche caso potrebbero precocemente manifestarsi? MA e e TRS i a 7] AR A Pa È Par i 80 [229] svILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 83 tro e conferma nelle cognizioni che si hanno di anatomia de- scrittiva. Così riguardo alla assoluta differenza che dal punto di vi- sta embriologico corre fra l’ accessorio del vago e l’ accessorio spinale, non ho che a ricordare, lasciando da parte ogni di- squisizione storica, che il lettore potrà trovare altrove, i lavori di C7. Bernard, quello successivo di 707 e le indicazioni che trovansi nel Trattato di Schwalbe; i quali autori hanno di- mostrato che, i due nervi, per la maniera e il luogo di ori- gine dei respettivi fasci radicolari, per il loro decorso e per la loro terminazione rappresentano due entità ben distinte. Alla differenza anatomica corrisponde una differente funzione. Queste considerazioni sono applicabili, oltrechè all’ uomo, anche agli altri mammiferi. Anche dal punto di vista istologico differisce l’ accessorio del vago dall’ accessorio spinale. Più volte ho costatato che quest’ ultimo è esclusivamente costituito da fibre nervose, mentre l’ accessorio del vago contiene anche cellule gangliari, che rappresentano evidentemente la parte non modificata della primitiva cresta gangliare, dalla quale è essenzialmente deri- vato. Che l’ipoglosso sia costituito sul tipo dei nervi spinali, e che debba anzi possedere probabilmente in origine radici dor- sali, lo provano rare varietà anatomiche consistenti appunto nella presenza di una di tali radici, come nella osservazione che io stesso ho pubblicato (!). Che 1’ ipoglosso sia poi non un nervo semplice, ma un com- plesso di nervi, lo prova il rilevante numero delle sue fibre radicolari, che anche nell’ adulto si vedono di solito riunite in due gruppi principali, e lo provano anche certe speciali condi- zioni che presenta il foro condiloideo anteriore, per il quale l’ ipoglosso fuoriesce dal cranio. Questo forame è generalmente unico ma qualche volta è duplice o diviso in 2, 3, 4 parti da linguette ossee. Può essere interpretata questa varietà am- mettendo una moltiplicità primitiva delle radici dell’ipoglosso, le quali perforino separatamente l’ abbozzo dell’ occipitale. Questi forami, correlativamente alla fusione delle varie radici, (3) Chiarugi (N.° 10). 84 G. CHIARUGÎ [230] generalmente confluiscono, e si forma un foro condiloideo an- teriore semplice; ma per arresto di sviluppo possono rimanere più indipendenti fra loro le radici nervose e quindi venire a mancare o esser meno completa la fusione dei respettivi ca- nali, che percorrono nell’ uscire dal cranio. Un fatto che l’ anatomia umana descrittiva ha dimostrato è la rudimentalità della radice dorsale del 1.° nervo spinale, che è dubbio se si appalesa nell’ embrione (4), ma che si ve- rifica nell’ adulto in proporzioni molto maggiori che in altri mammiferi. Questa rudimentalità si manifesta per diversi carat- teri: per il minor numero di fasci radicolari, per la piccolezza del ganglio, per il fatto che esso si suol trovare entro il ca- nal meningeo, per le connessioni che di regola ha coll’ acces- sorio spinale o del vago, coi quali intreccia le fibre o scam- bia filamenti. Questa rudimentalità è, a mio credere, un feno- meno analogo a quello che si verifica per il 1.° n. spinale nei Rettili, per i primi due negli uccelli, sebbene meno progredito ; infatti negli animali ora ricordati le radici dorsali corrispon- denti a quei nervi sono scomparse completamente a sviluppo perfetto. Che nell’ uomo, forse più che in altri mammiferi realmente esista una tendenza del 1.° segmento del tronco a modificarsi secondo il tipo dei segmenti occipitali, e, in certo modo, si prepari ad essere assorbito dalla regione occipitale, è rivelato anche dalla frequenza relativa della fusione dell’ atlante col- l’ occipitale, la quale se talora può considerarsi, specialmente nei vecchi, come il resultato di un processo patologico, è altra volta da ritenere come una vera varietà anatomica indipendente da condizioni morbose sia per la regolarita della avvenuta fu- sione, che può presentarsi anche in età non molto avanzata, sia per il fatto che il saldamento può consociarsi a una imper- fetta conformazione dell’ atlante, come ad es. alla rudimentalità dei due segmenti dell’ arco posteriore e alla loro mancata fu- sione sulla linea mediana. (*) Cf. la Nota a pag. 228. E RO © OSSO E né fit [231] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 85 Conclusioni Arrivati al termine del presente studio, e messe in evidenza le differenze che nella maniera di sviluppo si verificano nei nervi vago, accessorio, ipoglosso e primi cervicali, secondo che li consideriamo negli embrioni di rettili, di uccelli o di mammi- feri, molte questioni potrebbero esser sollevate, e molti fatti utilizzati per discutere sul valor morfologico dei detti nervi, in rapporto colle teorie sostenute in proposito da varii autori e da noi già riferite nella introduzione a questo scritto. Ma vogliamo anzi tutto avvertire, come il presente lavoro non vuole essere uno studio critico; è un semplice contributo di fatti, che ci siamo sforzati di portare a un argomento non per- fettamente conosciuto. D'altra parte, avendo rivolto la nostra attenzione fino a questo momento sopra un numero limitato di nervi, e avendo studiati questi, per ora, solo nelle classi superiori di vertebrati, non crediamo di avere il diritto e la competenza per discutere questioni di ordine molto elevato e generale, per trattar le quali non si può assolutamente pre- scindere dalle nozioni ricavate dallo studio dei più bassi verte- brati. Ci limiteremo dunque a poche e semplici considerazioni. Che nella regione occipitale della testa degli animali da noi studiati si manifesti durante il periodo embrionale una costi- tuzione a tipo metamerico, perfettamente paragonabile a quella del tronco, non potrebbe esser negato. I caratteri delle placche muscolari, che, almeno nelle prime fasi di sviluppo, sono nella regione occipitale del tutto simili a quelle del tronco e in serie continua con esse, lo dimostrano, e lo dimostra pure, meno chiaramente, qualche fatto che riguarda lo sviluppo dello sche- letro occipitale nella sua porzione più caudale, che mostra una certa tendenza a risolversi in parti, che ricordano quelle che costituiscono gli abbozzi vertebrali. Ma a queste prove quella sì aggiunge offerta dai nervi occipitali in serie continua con gli spinali, corrispondenti alle singole placche muscolari come gli spinali e costituiti com’essi da una radice ventrale e da 86 E G. CHIARUGI una radice dorsale, almeno in qualche fase del loro sviluppo. Se quest’ultima radice è in essi rudimentale e manca in qual- cuno, ciò non è che una ripetizione od esagerazione di ciò che già, in alcuni animali, si verifica nella parte prossimale del tronco, che in certo modo mostra con ciò tendenza ad assu- mere i caratteri della regione occipitale. La regione occipitale può così esser definita un frammento del tronco che si è fuso con ciò che rimane al davanti e ha modificato i suoi caratteri in modo da non poterlo ad epoche tardive di sviluppo e nello stato adulto riconoscere per ciò che era nella condizione pri- mitiva; solo durante le prime fasi ontogeniche questa si appa- lesa assai chiaramente. Le modificazioni regressive dei segmenti occipitali crescono in direzione craniale, ciò tanto più per quanto si procede nello sviluppo. Ciò è forse indizio che una disposizione simile si con- tinuasse originariamente anche più in avanti di quanto attual- mente non apparisca? Le nostre ricerche non ci hanno offerto elementi per risolvere questa importante questione; solo i fe- nomeni di una segmentazione rudimentale del mesoderma dor- sale fin verso la regione occupata dal ganglio acustico-faciale nei giovani embrioni di uccello, ci rendono inclinati a una risposta affermativa. Abbiamo veduto che cinque sono i segmenti occipitali nei Rettili (1), quattro negli Uccelli, quattro anche nei Mammiferi. Gli ultimi quattro dei Rettili e i quattro degli Uccelli hanno tutte le apparenze di essere omologhi. Negli Uccelli la ridu- zione della regione occipitale è più avanzata in confronto ai Rettili e ciò si appalesa principalmente per il minor numero nei primi delle radici ventrali, per la rudimentalità maggiore e la più precoce scomparsa delle radici dorsali ecc.; anche nei primi nervi spinali la riduzione dell'elemento dorsale ha proce- duto più negli Uccelli che nei Rettili. Colla evoluzione filoge- netica la trasformazione della regione occipitale, che perde i primitivi caratteri e si differenzia dal tronco, si fa via via più completa, e la parte prossimale del tronco subisce analoghe modificazioni. Questa è la conclusione che si può trarre ragio- (*) A proposito dei Rettili, ci riferiamo principalmente ai resultati ottenuti dallo studio degli embrioni di Lacerta, essendo su molti punti incompleti quelli relativi agli embrioni di Tropidonotus. [233] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NFI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 87 nevolmente dallo studio comparativo degli embrioni di Rettili e di Uccelli. Potrebbe teoricamente venir fatto di credere che nei Mammiferi, in considerazione del gradino più alto degli Uccelli, che occupano nella scala zoologica dovessero esistere i segni di una riduzione anche più progredita. Ma effettiva- mente le cose nei Mammiferi non corrono secondo tale previ- sione, anzi si verificano fatti di un ordine opposto. Un minor numero di miotomi nei Mammiferi giunge, è vero, a sviluppo, ma di fronte a questo unico fatto ce ne sono varii di un si- gnificato del tutto differente. Cominciamo dall’osservare come un ben chiaro abbozzo di vertebra occipitale, come si ha nei Mammiferi, manca nei Rettili e negli Uccelli; ma sono in par- ticolar modo le condizioni tutte, sotto le quali si presentano i nervi, che devono esser prese in considerazione. Già nella regione . prossimale del tronco nei Mammiferi i nervi spinali sì presentano completi, cioè provvisti di radice dorsale e di radice ventrale, anche nell'adulto, e queste non differiscono dalle seguenti, se ne togli il minor volume che allo stato adulto, in alcuni animali, specialmente nell'uomo, ha la radice dorsale del 1.° nervo. Invece nei Rettili la 1.*, radice dorsale spinale, negli Uccelli la 1.* e la 2.* sono produzioni rudimentali e tran- sitorie. Le radici ventrali occipitali, che dai Rettili passando agli Uccelli si sono ridotte da cinque a tre, si presentano in nu- mero di quattro nei Mammiferi. Le radici dorsali dei nervi oc- cipitali sebbene, per quanto portano le nostre cognizioni at- tuali, siano due nei Mammiferi e tre negli Uccelli, come anche nei Rettili, pure sono nei primi meglio costituite e più persi- stenti. Basterebbe a provarlo che negli Uccelli e nei Rettili sono per più lungo tempo sfuggite alla osservazione di ricer- catori abili e prevenuti. Senza voler pretendere di suggerire una spiegazione assolu- tamente sicura del singolare reperto, vogliamo, in via di ipo- tesi, accennare ad una interpretazione, colla quale si potreb- bero conciliare tutti i fatti dei quali ci siamo occupati. Si potrebbe ammettere che l'assimilazione da parte della: testa di segmenti del tronco abbia progredito durante la filogenesi. I segmenti che già corrispondevano per posizione ai primi due cervicali dei Rettili e degli Uccelli sono stati assimilati dalla regione occipitale nei Mammiferi, e di essa sono entrati a far 88 G. CHIARUGI [234] parte; ond’è che i due più posteriori segmenti della regione occi- pitale dei Mammiferi presentano fenomeni di riduzione minore in confronto degli omonimi degli Uccelli e dei Rettili, perchè più tardivamente si sono- staccati dal tronco. Per questa aggiunta il numero dei segmenti che compongono la regione occipitale nei Mammiferi ha potuto rimanere uguale a quello che era negli Uccelli, malgrado che i più craniali dei segmenti occipitali preesistenti, in seguito al progresso dei fenomeni di riduzione, debbano nei Mammiferi essere scomparsi, come ne è scomparso uno nel passaggio dai Rettili agli Uccelli. Finalmente i segmenti che sono nei Mammiferi divenuti i primi due cervicali non pre- sentano, si può dire, fenomeni di riduzione, al contrario dei corrispondenti per posizione dei Rettili e specialmente degli Uc- ‘celli, solo perchè più tardivamente si sono avvicinati al limite caudale della testa. Questa ipotesi, che, senza alcun dubbio, ha bisogno, prima di esser dichiarata accettabile, di venir corroborata da nuovi fatti, sta in armonia con quanto da Stòhr fu dimostrato per gli Amfibii, col fatto cioè di un assorbimento da parte della regione occipitale di un segmento del tronco durante lo svi- luppo ontogenico, e colle osservazioni analoghe di Rosenberg in alcuni Selaci (4). Se essa fosse giusta, applicandola all’ esame dello scheletro della testa, converrebbe ammettere che nell’occipitale dei Mam- miferi sono inclusi per lo meno l’atlante e l’epistrofeo dei Sauropsidi; l’atlante e l’epistrofeo dei Mammiferi sarebbero così nei Sauropsidi rappresentati dalla 3. e dalla 4.* vertebra cervicale. * "vo Dai fatti dimostrati dalle precedenti osservazioni si può trarre nessuna luce per chiarire la incerta posizione morfolo- gica del n. vago, intorno alla cui natura e alla cui primitiva costituzione si sono espresse, come abbiamo altrove riferito, le (*) Che in questi ultimi una o molte vertebre contraggano rapporti più o meno intimi col cranio è dimostrato anche da Gegendaur, il quale nega a questo fatto ogni importanza per la filogenesi del cranio vertebrato, considerandolo come processo secon- dario. V. le osservazioni in proposito di Froriep, (N.° 18). V. anche Me Murrich, già citato, ; Î [235] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 89 più svariate ipotesi? Ecco le considerazioni che direttamente emergono dai fatti raccolti. La maniera di originarsi del n. vago ha molti punti di ana- logia con quella delle radici dorsali dei n. spinali. Nasce, co- m'esse, dalla cresta gangliare, la sua radice primitiva, si dif- ferenzia nello stesso modo in un ganglio (ganglio della radice) che si congiunge secondariamente al cervello posteriore per una serie di fascetti radicolari. Questo ganglio della radice ri- corda il ganglio di una radice posteriore spinale (*). Inoltre, il vago, cosa notevole, corrisponde alla regione dei miotomi; è incrociato nei Rettili e negli Uccelli chiaramente dalla parte anteriore del primo miotomo occipitale, si trova quindi com- preso alla sua origine in quella porzione della testa, che è in- dubbiamente un frammento del tronco e costituito secondo il medesimo tipo (?). Vi è di più: negli Uccelli la segmentazione del mesoderma dorsale della testa, e la conseguente formazione di somiti, in continuazione di quelli del tronco, si spinge as- sai più in avanti del punto, ove più tardi si mostrerà il vago. Non abbiamo avuto modo di verificare se ciò avvenga anche nei Rettili; peraltro sappiamo che in questi esistono cinque radici ventrali nella regione occipitale e che, essendo quattro i miotomi, nessun miotomo corrisponde alla più anteriore ra- dice ventrale; ma, tenuto conto della tendenza che mostrano i miotomi più anteriori a divenire rudimentali, è probabile che anche alla prima radice ventrale occipitale abbia primitiva- mente corrisposto un miotomo, ora scomparso. Se attualmente il vago è incrociato dal 1.° miotomo, a più forte ragione sa- rebbe stato un nervo assolutamente compreso nel territorio dei miotomi, se al davanti del 1.° attuale di questi un altro se ne fosse formato. Malgrado tutti gli argomenti addotti vi sono dei caratteri, per i quali il nervo vago si distingue dai n. spinali. Negli Uc- celli e nei Mammiferi nessuna radice ventrale corrisponde ad esso. Erroneo è il dire, come è stato asseverato che l’ipoglosso (1) Si noti bene che, contrariamente alle vedute di altri osservatori, non è nel ganglio nodoso del vago che io trovo qualche cosa di simile a una radice posteriore spinale. Ciò dovrò ripetere sotto altra forma più tardi. (*) Il reperto negativo ottenuto al riguardo della corrispondenza del vago col 1.0 miotomo nei Mammiferi perde ogni importanza dietro il reperto positivo ottenuto nei Rettili e negli Uccelli e può facilmente essere spiegato coll’ammettere nei Mam- miferi, com'è di fatto, una maggior riduzione della serie dei miotomi occipitali. 90 G. CHIARUGI x plice, ma complesso, risultante di nervi occipitali e anche di qualche nervo cervicale, ed i primi sono, come sappiamo, co- stituiti sul tipo dei n. spinali e forniti in generale di radice dorsale propria per quanto rudimentale e transitoria. Negli uccelli e nei mammiferi la supposizione è anche più ingiustifi- cabile in quanto che nessuno degli elementi ventrali costitutivi dell’ipoglosso proviene dal segmento, cui apparterrebbe il vago come radice dorsale. Nei Rettili una radice ventrale corrisponde al miotomo, le cui fibre incrociano il vago ed una appartiene al segmento situato al davanti del vago, ma nè l'una nè l’altra si uniscono al vago, come la radice dorsale e la radice ven- trale di uno stesso segmento si uniscono fra loro nel tronco per formare un nervo spinale; invece procedono da esso indi- pendenti, e si gettano nell’Ipoglosso. Inoltre il vago contiene non esclusivamente fibre sensitive, ma anche fibre motrici, e questa particolarità sta ad indicare, dal punto di vista morfologico, che i suoi elementi si trovano in connessione con nuclei centrali e con organi periferici, che non son tutti di natura simile a quelli in rapporto colle ra- dici dorsali dei nervi spinali. Infine confrontando il vago a un nervo spinale, troviamo come assolutamente propria e caratteristica del primo la di- stribuzione a una parte del territorio branchiale e la presenza in esso di un ganglio branchiale, del quale nessun abbozzo o rudimento esiste nei nervi spinali (1). Sa La considerazione del territorio di distribuzione del vago presenta appunto al nostro esame un problema della più alta importanza. Il vago è il nervo degli ultimi archi branchiali e il suo ganglio nodoso è talora molteplice in relazione col numero delle fessure branchiali, colle quali ha rapporto, o offre almeno in- (1) A questo proposito non vogliamo trascurare di notare l'opinione di Gaskell, che attribuisce al ganglio del tronco (ganglio nodoso) del vago il valore di un ganglio simpatico; nè di ricordare quella di Onòdi che nei gangli dei n. branchiali vede la somma di gangli spinali e simpatici. Rochas però che, negli Uccelli, ammette una serie di gangli simpatici seomentarii appartenenti ai nervi encefalici, considera come ganglio simpatico del TX°-X° il sanglio cervicale supremo, risultante dalla fusione di 2 gangli. [236] è la radice ventrale del vago. L'ipoglosso non è un nervo sem- iene dn 1è Sinn Aa een men i Ag vennee [237] SVILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 91 dizi di questa molteplicità primitiva. Esso dunque corrisponde senza dubbio a un certo numero di segmenti ventrali della testa, che, nei vertebrati superiori, sono diminiti di numero per la scomparsa dei più caudali, inducendo probabilmente una corri- spondente riduzione del vago. Ma se il vago corrisponde a un numero maggiore o minore di segmenti ventrali della testa, corrisponde ugualmente almeno nella condizione primitiva, a un certo numero di segmenti dorsali, di somiti mesoblastici? La questione sarebbe senz’ altro risoluta se fosse dimostrato in modo certo che metameria ventrale e metameria dorsale della testa si corrispondono. Per quanto molti fatti inducano a credere, che, almeno nella condizione primitiva questo rap- porto esista, e per quanto molti autori l’ ammettano, pure, spe- cialmente per le osservazioni di A//born la cosa non può con- siderarsi come affatto fuori di discussione. Onde, anche per non avere osservazioni proprie in proposito, passiamo oltre su que- sto argomento. ; Limitiamoci piuttosto a vedere se, nella attualità, nelle classi di Vertebrati da noi studiate, il vago abbia rapporto con uno solo oppure indirettamente con più segmenti dorsali; in altri termini se esista una polzmeria attuale delle origini del vago. Esaminando le radici dorsali susseguenti al vago troviamo che esse sono rudimentali, atrofiche e non permanenti; non solo quelle spettanti ai nervi occipitali, ma nei rettili e negli uccelli, respettivamente una o due delle cervicali. Ma, contem- poraneamente alla atrofia di queste radici dorsali, si costituisce nella regione ad esse corrispondente l'accessorio del vago. Questo nervo è morfologicamente ben distinto dalla radice pri- mitiva del vago, come abbiamo avuto già occasione di rilevare, ma, malgrado ciò, non si può disconoscere che le sue fibre fi- niscono per gettarsi nel vago e si mescolano con quelle proprie di questo nervo (*). Se noi dunque scendiamo nella convinzione di considerare (!) Osserviamo incidentalmente che se è giusta, come ci sembra, la maniera di considerare l'accessorio del vago come derivato essenzialmente dalla commessura, che collega il vago al 1.° ganglio spinale, e che corrisponde a un certo numero di segmenti, non si potrebbe convenire nell’idea di Hofmann che il vago-accessorio, com’ egli lo chiama, sia in rapporto solo coll’ ultimo segmento del cervello posteriore, dato che la segmentazione del cervello posteriore sia corrispondente colla disposizione segmentale dei nervi, 92 G. CHIARUGI [238] la radice del vago simile, se non identica, ad una radice dor- sale spinale, non dobbiamo peraltro ammettere che nell’at- tualità sia in rapporto con un solo segmento dorsale, come in apparenza sembrerebbe, in quanto che il vago contiene ele- menti, che ad esso provengono dai segmenti susseguenti, che per portarsi verso di esso hanno assunto una direzione nuova e speciale, e hanno lasciato la via delle corrispondenti radici posteriori. E poichè la riduzione dei segmenti occipitali e il loro nu- mero non è uguale in tutti i Vertebrati presi in esame, come non è uguale il grado di riduzione subìto dai primi segmenti . cervicali, e correlativamente il n. accessorio del vago non ha in tutti la medesima estensione e il medesimo grado di svi- luppo, ne deriva che il contribuito che il n. vago riceve per mezzo del suo n. accessorio dai segmenti ‘susseguenti a quello cui primitivamente corrisponde è cambiato durante la filogenesi. È nel senso indicato dalle suesposte osservazioni che pos- siamo accostarci alla opinione di coloro, che, come Huxley hanno considerato il vago come un nervo in parte cerebrale e in parte spinale, * ** Abbiamo veduto che dalla porzione prossimale del tronco salendo verso la testa diminuisce il volume delle radici ven- trali, finchè si giunge alla scomparsa definitiva di alcune di esse. Le radici ventrali che totalmente o parzialmente più non si sviluppano sono andate effettivamente perdute? ovvero le fibre che le costituivano hanno assunto una direzione nuova, eventualmente sono passate nel vago, e formano le fibre mo- torie che esso contiene? Enunciamo il problema, senza volerlo discutere. Solo osserviamo che nei mammiferi nella formazione dell’accessorio spinale avviene un fenomeno assai analogo a quello ora supposto. Le nostre cognizioni istologiche, suffragate da quanto ha messo in luce la osservazione embriologica, dimostrano che il n. accessorio spinale rientra nel sistema delle radici spinali an- teriori cervicali e occipitali; e la idea più giusta che di esso possiamo formarci, si è di considerarlo come il prodotto di un differenziamento subìto da ciò che era il nucleo di origine delle [239] SvILUPPO DEI NERVI VAGO, ECC. NEI SAUROPSIDI E NEI MAMMIFERI 93 radici ventrali suindicate: una parte di esso, mediale, continua a sviluppar fibre che riescono nelle radici ventrali, la rima- nente, laterale, dà origine a fibre che assumono una direzione nuova e vanno a costituire l'accessorio spinale; le prime con- servano una chiara disposizione segmentale, mentre le seconde la perdono, e l'accessorio spinale si mostra come un unico tronco nervoso che, nato principalmente nel midollo spinale, fuoriesce attraverso il cranio. * Ai Non è fuor di luogo l’insistere sulla necessità, nello studio morfologico delle radici nervose e dei nervi, di fare assoluta distinzione, per quanto spesso ciò possa essere tutt'altro che facile, fra la rudimentalità assoluta o reale e la rudimentalità apparente. Se un qualunque altro organo del corpo, prima ben sviluppato, diventa atrofico, noi abbiamo che fare con una rudimentalità assoluta, in quanto che gli elementi costitutivi di esso non sono andati, mentre esso si faceva rudimentale, a costituire un organo nuovo o a rafforzare un organo preesi- stente. Mentre le radici nervose ed i nervi possono scomparire o divenire rudimentali anche perchè, per spostamento o degli elementi del nucleo di origine o di quelli del territorio di di- stribuzione, hanno in tutto o in parte abbandonato il loro pri- mitivo decorso. sg Concludendo: il n. vago, anche prescindendo dalla possibilità che contenga in se gli elementi nervosi spettanti a un certo nu- mero di segmenti dorsali della testa ora scomparsi, è un nervo complesso per il numero e la qualità degli elementi che più re- centemente gli si sono aggiunti e che provengono dai segmenti dorsali successivi a quello cui esso principalmente corrisponde. Come non potremmo considerare del tutto omologo il nervo ipoglosso dei varii vertebrati, perchè non risulta costantemente dei medesimi elementi costitutivi, così nello studio delle omo- logie del vago nelle varie classi di vertebrati, dovremo tener conto di questi elementi nuovi che dal di dietro si sono ad esso aggiunti in varia proporzione nei diversi casi. (Dall’Istituto Anatomico di Siena, aprile 1889). +0 — î) SPIEGAZIONE DELLE FIGURE | (Tavole XI e XII) Indicazioni generali Aa!, Aa?...ecc.= Primo, secondo Arco aortico.... ecc. Ab!, Ab?...ecc.= Primo, secondo Arco branchiale... ecc. Ao. = Aorta. av. = Arco vertebrale primitivo. C1, C2... ecc. = Primo, secondo nervo cervicale... ecc. cd!, cd2... ecc. = Radice primitiva dorsale del 1.° n. cervicale, del 2,°.. ecc. CI. = Commessura longitudinale. i Cn. = Cresta nevrale. Cu = Cuore. cv!, cv... ecc. = Radice ventrale del 1.° n. cervicale, del 2.°.... ecc. Ci. = Carotide interna. E. . == Encefalo, 2 Riot = Faringe. G. = Vena giugulare. gel, ge?... ecc. = Ganglio o rudimento di ganglio del 1.° nervo cervicale, delll2.°.... ecc. g0!, go?... ecc. = Ganglio o rudimento di ganglio del 1.° n. occipitale, del 2.... ecc. Je = R.° linguale. e NT 7A [241] G. CHIARUGI 95 M!, M2... ecc. = Primo, secondo miotomo del tronco.... ecc. m!, m?... eee. = Primo, secondo miotomo della testa.... ecc. MI. = Musculatura della lingua. Msp. = Midollo spinale. 01, 02... ecc. = Primo, secondo nervo occipitale. Oc. = Scheletro occipitale, o abbozzo dello scheletro occipitale, od!, od*... ecc. = Radice dorsale primitiva del 1.° n. occipitale, del 2.°.. ecc. Ot. = Otocisti, respettivamente abbozzo di essa. ov!, ov?... ecc. = Radice ventrale del 1.° n. occipitale, del 2.°.... ecc. E = Pericardio. Ps!, Ps®... eee. = Primo, secondo processo sensorio del ganglio nodoso del vago.... ecc. 51, S?... ecee = Primo, secondo somite midollare... ecc. s*, Ss”... ecc. = Somiti encefalici indicati contando dal di dietro in avanti. sb!, sb?... eee. = Primo, secondo solco branchiale.... ecc. Sg. = Ganglio cervicale supremo del simpatico. tb!, tb?... ecc. = Prima, seconda tasca branchiale... ecc. (respettivamente nodulo epiteliale formato a sue spese). V!, V2... ecco = Prima, seconda vertebra (o respettivo abbozzo).... ecc. VI°. = Ganglio acustico, respettivamente Ganglio acustico-faciale. IX°. = Nervo Glosso-faringeo. IXg. = Ganglio della radice del n. glossofaringeo. IXG. = Ganglio petroso o branchiale del n. glossofaringeo. IXR. = Radice primitiva del n. glossofaringeo. IXr. = Radice del n. glossofaringeo. IX-XG. = Ganglio branchiale comune dei n. glossofaringeo e vago. X°. = Nervo vago. X°g. = Ganglio della radice del n. vago. XG. = Ganglio nodoso o branchiale del n. vago. XG!,XG?,XG*= Singole parti del ganglio nodoso del vago. XR. = Radice primitiva del n. vago. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Xr. = Radice del n. vago. = Nervo accessorio spinale. XIv. = Nervo accessorio del vago. A | XII. = Nervo ipoglosso. Colori Nelle figure dal vero. Rosso. = Miotomi. Azzurro. = Nervi. parti punteggiate — Gangli. a linee — Cordoni di fibre. Negli schemi. Rosso. = Miotomi. uniforme — Miotomi del tronco. a strie — Miotomi della testa. Azzurro. = Nervi. uniforme — Gangli. a linee — Fasci di fibre spettanti ai nervi Glossofaringeo, Vago, Accessorio , del vago e alle radici dorsali cer- vicali e occipitali. Nero. = Fasci di fibre spettanti all’Ipoglosso, ai nervi cervicali e occipitali e alle respettive radici ventrali, all’ Acces- sorio spinale. Figure dal vero. Tav. XI e XII. Fig. 1. (Ingr. 45 d) Embrione di Lacerta muralis; della lunghezza massima di mm. 4, della lunghezza nucale di mm. 3, 8. Sezione sagittale. 2. Id. — Combinazione di 3 sezioni sagittali. d. Id. Combinazione di 2 sezioni sagittali. [243] G. CHIARUGI 97 Fig. 4. (Ingr. 24d.) Embrione di Lacerta muralis della lunghezza mas- sima di mm. 5, 5, della lunghezza nucale di mm. 4, 5. Sezione sagittale. 5. (Ingr. 25 d.) Embrione di Lacerta muralis della lunghezza mas- sima di mm. 6, della lunghezza nucale di mm. 6. Sezione sa- gittale. 6. (Ingr. 25 d.) Embrione di Lacerta muralis della lunghezza massima di mm. 5,5, della lunghezza nucale di mm. 5. Sezione sagittale. 7. (Ingr. 52 d.) a Sezione sagittale. 8. (Ingr. 70 d). Embrione di Lacerta muralis della lunghezza mas- sima di mm. 6, della lunghezza nucale di mm. 6. Ricostruzione da 12 sezioni sagittali secondo un piano parallelo a quello di sezione; — lato sinistro veduto dall’ esterno. contorno rosso — arterie. contorno azzurro — vene. nero — faringe e sue dipendenze. (è nervi, come nelle altre figure) . 9. (Ingr. 37 d.) Embrione di Tropidonotus natrix. Lunghezza ad = mm. 6, ab = mm. 3,5, ac = mm. 3, 5. Combinazione di 2 se- zioni sagittali. 10. (Ingr. 34 d.) Embrione di Tropidonotus natrix. Lunghezza ad = mm. 9, ad = 5,2, ac = mm. 5,5. Combinazione di 4 sezioni sagittali. 11. (Ingr. 70 d.) Embrione di pollo. Incubazione 36 ore; lunghez- za mm. 4. Sezione sagittale. 12. (Ingr. 55 d.) Embrione di pollo. Incubazione 53 ore; lunghezza” mm. 5, 5. Sezione sagittale. 13. (Ingr. 23 d.) Embrione di pollo. Incubazione 3 giorni e 2 ore; lunghezza mm. 7. Sezione sagittale. 14. (Ingr. 23 d.) Embrione di Cypselus Apus della lunghezza mas- sima di mm. 5, 2, della lunghezza nucale di mm. 4,7. Com- binazione di 3 sezioni sagittali. 15. (Ingr. 24 d.) Embrione di pollo. Incubazione 4 giorni meno 2 ore; lunghezza massima mm. 5,5, lunghezza nucale mm. 3,5. Se- zione sagittale. — Per i nervi combinazione di 5 sezioni. Sc. Nat. Vol. X. 16 98 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE [244] Fig. 16. (Ingr. 28 d.) Embrione di pollo. Incubazione 3 giorni meno 2 ore. lunghezza mm. 4, 5. Sezione sagittale. — Per il nervo vago combinazione di 3 sezioni. 33017, Id. Sezione sagittale. » 18. (Ingr. 20 d.) Embrione di pollo. Incubazione 5 giorni; lungo massima mm. 10, lunghezza nucale mm. 8, 5. Sez.®° sagittale. » 19. (Ingr. 21 d.) Embrione di pollo. Incubazione 6 giorni; lunghezza massima mm. 11,5, lunghezza nucale mm. 9,5. Combinazione di 3 sezioni sagittali. i ae 20. Td. Sezione sagittale. n 21. (Ingr. 10 d.) Embrione di pollo. Incubazione 8 giorni; lunghezza massima mm. 18,5, lunghezza nucale mm. 15,5. Sez."° sagittale. » 22. (Ingr. 24d.) Embrione di coniglio di 12 giorni: lunghezza mas- sima mm. 6,5, lunghezza nucale mm. 6,5. Combinazione di 2 sezioni sagittali. » 28. (Ingr. 16 d.) Embrione di coniglio di 16 giorni; lunghezza mas- sima mm. 11, lunghezza nucale mm. 10. Sezione sagittale. » 24. Id. pian: Ia. » 26. (Ingr. 16d.) Embrione di maiale della lunghezza massima di mm. 19, della lunghezza di mm. 14,5. Sezione sagittale. Schemi (*) Tav. XII. s I — La disposizione dei miotomi della regione occipitale e della regione prossimale del tronco e dei nervi respettivi in un embrione di Lacerta muralis, corrispondente a circa il primo stadio di sviluppo esaminato. [245] G. CHIARUGI 99 Fig. II — Id. corrispondente a circa il 3.° stadio di sviluppo. a II. — Id. in un embrione di Tropidonotus matrix, corrispondente a circa il 1.° stadio di sviluppo esaminato. s IV. — Id. in un embrione di Uccello, all'incirca sul principio del 3.° giorno d’incubazione. . — Id. verso il 4.° giorno di incubazione. V a VI. — Id. dopo l’8.° giorno di incubazione. » VII — Id. in un embrione di Coniglio, corrispondente a circa il 2.° stadio di sviluppo esaminato. » VIII. — Id. corrispondente a circa il 3.° stadio di sviluppo. (*) In questi schemi, destinati a render più intelligibile la descrizione e più chiare le figure dal vero, non sono rappresentate tutte le fasi successive di formazione dei nervi, ma solo le principali. I miotomi sono rappresentati in una forma identica, qualunque sia la fase di sviluppo considerata. Istituto Anaromico DI Pisa Dott. DANTE BERTELLI DissertorE IL SOLCO INTERMEDIARIO ANTERIORE MIDOLLO SPINALE UMANO NEL PRIMO ANNO DI VITA Fra i solchi del midollo spinale primi ad essere descritti dagli Anatomici furono il mediano anteriore ed il mediano po- stertore; poi i collaterali, ma a proposito del collaterale ante- riore vi fu e vi è controversia se debba considerarsi come vero solco. Finalmente furono osservati i solchi intermediarii e di questi, primo il posteriore. Accennò il solco intermediario ante- riore Valentin (4). Avanti di questo anatomico, per quante ri- cerche abbia fatte, non ho trovato che altri lo ricordasse. Anche lo Schwalbe (2) ed il Rauber (*) scrivono di questo solco del quale non è fatta parola in altri trattati di Anatomia. anche recenti. Il Valentin si limita ad accennarlo, Schwalbe e Rauber lo riconrdano nella descrizione grossolana del midollo e nel trattare dei fasci piramidali diretti. Tali essendo le cognizioni che si hanno su questo argomento, mi venne voglia di fare ricerche in proposito. (1) Vanentin G. — Traité de Nevrologie, traduit de l’allemand par A. I. L. Jourdan. Paris, 1843. i (£) Scawanse G. — Lehrbuch der Neurologie. Erlangen. 1881. (3) Rauser A. — Die Lehre von dem uervensystem und den sinnesorganen. Erlangen, 1886. IL SOLCO INTERMEDIARIO ANTERIORE DEL MIDOLLO SPINALE ECC. 247 Dopo che pubblicai nei Processi verbali dell'adunanza del luglio ultimo decorso, una Nota preventiva dal titolo “Il solco intermediario anteriore del midollo spinale umano nel primo anno di vita , ho fatte su questo argomento nuove, accurate ricerche. Oggi presento completato il lavoro e mostro il ma- teriale che fu oggetto delle mie indagini. Esaminai 25 midolli appartenenti ad individui in diversi periodi di età, compresi fra la nascita a termine ed un anno. Dei midolli esaminati, 6 appartenevano a feti a termine, gli altri furono tolti ad individui che cercai di scegliere, quanto più mi fu possibile, in periodi diversi e graduati fra la nascita a termine e la vita di un anno. Dei feti a termine, 3 appar- tenevano al sesso femminile; degli altri 19, 11 appartenevano al sesso maschile. Descriverò prima i solchi intermediarii anteriori che ho trovati in feto a termine di sesso femminile e che mostrai già nella seduta del marzo 1888. La distanza fra l'estremità superiore dell’incrociamento delle piramidi (fig. I), che del resto è limitatissimo, ed il limite inferiore della regione cervicale, misura 4 !/2 cm. Il midollo, in questa regione, presenta la solita forma un po’ appiattita dal- l’innanzi all'indietro, con rigonfiamento cervicale poco mani- festo. Descrivo soltanto la regione cervicale perchè il solco in- termedario anteriore non la oltrepassa. Nella faccia posteriore sì vedono bene appariscenti la scissura mediana posteriore, il cordone di Goll, il solco intermediario posteriore, il solco col- ! laterale posteriore. Alla faccia anteriore si scorge benissimo la scissura mediana anteriore, il solco intermediario anteriore, e finalmente, rappresentato da tratti pochissimo manifesti e non disposti sulla stessa linea, il così detto solco collaterale anteriore. i I solchi intermediarii anteriori osservati in sezioni trasverse disposte in serie, si vede che sono il seguito del solco che è fra le piramidi e le olive; ad occhio nudo pareva nascessero sotto forma di leggerissima lineare depressione subito al di- sotto del punto ove comincia l'incrociamento delle piramidi. La distanza fra la scissura mediana ed il punto nel quale il solco intermediario anteriore scorgevasi anche alla semplice ispezione, misurata trasversalmente, è di 1 mm. Da questo 248 D. BERTELLI ° punto per la estensione di 7 mm., i solchi intermediarii ante- riori sì avvicinano lentamente alla scissura mediana, quivi sono distanti da essa circa ‘2 mm., dopo, le decorrono paralleli e le si accostano di nuovo, ma leggerissimamente, in prossimità della loro fine. Ho considerato i fasci limitati dai solchi inter- mediari anteriori, della stessa grossezza a destra ed a sinistra, tanto era piccola la loro differenza. Il solco di destra finisce ad !/2 cm. sopra alla estremità inferiore della porzione cervicale, quello di sinistra cessa a 2 cm. sopra allo stesso limite. In questi solchi si insinua una plica della pia madre, facilmente visibile anche ad occhio nudo quando, scorto nella parte superiore il solco intermediario, si sollevi con molta precauzione, in corrispondenza del solco, questa membrana. Il massimo di profondità questi solchi lo raggiungono verso il mezzo del loro decorso; ho detto come si originano; infe- riormente vanno ambedue a poco a poco facendosi più super- ficiali tanto, che terminano confondendosi colla superficie del cordone anteriore. Perchè si abbia chiara idea della diversa profondità dei solchi nelle diverse parti del loro decorso, ho fatto disegnare schematicamente quattro preparati istologici consistenti in sezioni trasverse prese una (fig. II), subito sotto al principio dello incrociamento delle piramidi, l’altra (fig. III), verso la metà del decorso del solco intermediario destro, la terza (fig.IV) e la quarta (fig. V), in prossimità del punto ove ciascun solco è per finire. Tra i midolli che ho presi in esame, anche un altro (fig. VI), che conservo integro, appartenente ad individuo di sesso ma- scolino, dell'età di un anno, presenta ben manifesti i solchi in- termediarii anteriori. La distanza fra l’ estremità superiore del- l’incrociamento delle piramidi, anche in questo caso limitatis- simo, e la estremità inferiore della porzione cervicale è 58 mm. I solchi intermediarit anteriori hanno la stessa origine e lo stesso decorso di quelli già descritti, terminano però ambedue allo stesso livello e vanno a perdersi su i margini che limi- tano la scissura mediana; finiscono a 27 mm. dal principio della porzione dorsale, sono equidistanti dalla scissura mediana, ac- colgono una plica della pia madre. I cordoni limitati da questi solchi sono poco più grossi di quelli già descritti, 1 i È L it e TO I IL SOLCO INTERMEDIARIO ANTERIORE DEL MIDOLLO SPINALE Ecc. 249 In altro midollo (fig. VII) appartenente ad individuo di sesso mascolino, della età di undici mesi ho trovato il solco inter- mediario anteriore sinistro lungo 38 mm.; il destro è soltanto circa !/8 della estensione di quello di sinistra. Sette volte ho osservato il solco intermediario anteriore solo da una parte; 4 volte a destra e 3 a sinistra, oscillante in lunghezza fra i 20 e gli 8 mm. In 4 di questi midolli è chiara anche ad occhio nudo la provenienza del solco intermediario anteriore dal solco che è fra le piramidi e le olive, negli altri 3, non fu possibile di scorgere con la semplice ispezione tale provenienza. Esaminati questi 3 midolli in sezioni trasverse disposte in serie, due non mostrano la continuità del solco in- termediario anteriore con il solco che è fra le piramidi e le olive; uno di questi midolli è riprodotto alla fig. VIII; appar- teneva ad individuo di sesso mascolino, che aveva di pochi giorni varcato l'undicesimo mese. Negli altri 14 midolli non è traccia di solco intermediario anteriore. Da quanto ho sopra esposto mi pare si possa concludere; che il solco intermediario anteriore nel primo anno di vita non è costante nella specie nostra; che quando esiste, è quasi sempre il seguito del solco che divide le piramidi dalle olive; che decorre in prossimità della scissura mediana anteriore; che trovasi da un sol lato e da ambo i lati; che assai più fre- quente è la prima di queste modalità; che non raggiunge il limite inferiore della porzione cervicale; che nel solco interme- diario anteriore si insinua una plica della pia madre; che è limitatissimo l’incrociamento delle piramidi quando il solco in- termediario anteriore è bene manifesto da ambo i lati. Darò compimento alle ricerche intorno al solco interme- diario anteriore studiandolo nei diversi periodi di età non presi in considerazione nel presente lavoro. Renderò allora conto anche di uno studio comparativo che ho già incominciato e mi riserverò di trarre allora in proposito conclusioni generali. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. XIII.). INN Fig. I. — Midollo spinale di feto umano a termine. Porzione cervicale. Grandezza naturale. SIA solchi interme- diarii anteriori. Tagli trasversali del midollo riprodotto alla Fig. I fatti, subito al disotto dello incrociamento delle pi- Rig. ramidi (Fig. II); verso la metà del decorso del solco LE intermediario destro (Fig. III); in prossimità del piva punto ove sono per finire il solco intermediario si- È V. nistro (Fig. IV) ed il solco intermediario destro (Fig. V). Ingr. 8. SI A solco intermediario anteriore. | SMA scissura mediana anteriore. | Fig. VI. — Midollo spinale umano di individuo della età di un anno. Porzione cervicale. Grandezza naturale. SIA solchi intermediarii anteriori. Fig. VII — Midollo spinale umano di individuo della età di 11 | mesi. Grandezza naturale. SIA solchi intermediarii I anteriori. Fig. VIII. — Midollo spinale umano appartenente ad individuo che | aveva di pochi giorni varcato gli 11 mesi. Grandezza naturale. SIA solco intermediario anteriore. | Dott. G. GIOLI BRIOZOI NEOGENICI DELL’ ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO I Briozoi che mi sono proposto di studiare in questo breve lavoretto provengono dall'Isola di Pianosa del nostro Mare Tirreno, dove furono raccolti dal mio egregio amico e collega Dott. Vittorio Simonelli in una escursione che vi fece nell’ an- no 1883. A Pianosa il Dott. Vittorio Simonelli ha trovato rap- presentati il quaternario, il pliocene ed il miocene medio (1), ed i Briozoi che ha avuto la gentilezza di offrirmi per studio, della qual cosa colgo questa occasione per ringraziarlo pubbli- camente, provengono appunto in parte dal pliocene ed in parte dal miocene; nel quaternario non ne rinvenne alcun esemplare. La maggior parte di essi sono liberi, mentre quelli incrostanti sono pochi e trovansi di preferenza sulle conchiglie di Pecten e di Ostrea. Però tanto gli uni che gli altri molto spesso sono per effetto della corrosione tanto mal conservati da doverci appena contentare della determinazione generica senza potere osare di tentarne quella specifica. Le forme che a me riman- gono sconosciute anche genericamente sono in tutto sei, mentre ho potuto determinare con abbastastanza certezza quattordici generi, dei quali quattro appartenenti alla divisione dei Cyclo- stomata e dieci a quella dei Chezlostomata; ed in tutto trenta- tre specie, delle quali quindici fra i generi della prima divi- sione e diciotto fra quelli della seconda. Fra tutte queste specie soltanto cinque mi sono riuscite indeterminabili. (5) Simonelli — Terreni e fossili dell’ Isola di Pianosa nel Mar Tirreno. Boll. d. R. Comit. geolog. d’Italia 1889, > 252 G. GIOLI Cyciostomata, Busk. Defrancia, Bronn. Defrancia cespitosa nov. sp. mihi. Tav. XIV. fig. 1. 1a, 1b lo. Colonia fissa, disciforme, solitaria, concava, sessile. Da una base comune si elevano in direzione radiale delle coste com- presse lateralmente, espanse verso la loro estremità superiore, variamente lobate e in posizione pressochè verticale. Ciascuna di queste branche o coste consta di un fascio di cellule tubulose a sezione pentagonale tutte avviluppate da un epitecio comune privo di pori. Altre cellule sboccano lateralmente alla periferia del disco, come può bene osservarsi nell'età giovanile della co- lonia; stadio in cui le coste sono semplici, cioè non lobate, e poco sporgenti sulla base, che non si è ancora divisa in modo da isolarle profondamente come nell'età adulta (vedi fig. ld). Provenienti dal, pliocene di Pianosa si hanno due colonie aderenti alla faccia interna di una valva d’Ostrea e vicine fra loro, delle quali una in stato giovanile che misura nel suo dia- metro massimo mm. 34/2 l’altra adulta che ne misura 15. Per questa specie così bella, la quale non sono riuscito « potere identificare con altre specie note di questo genere, pro- pongo il nome di Defrancia cespitosa in grazia della sua forma di cespuglio che la caratterizza specialmente quando è adulta. Hiornera, Lamourux. Hornera hippolithus, Defrance. Defrance — Dict. d. Sc. Nat. Tom. 21, pag. 432; Atlas PI. 46, fig. 3. Bronn — Leth. geogn. pag. 800, Taf. 36, fig. 1. Michelin — Iconogr. Zoophyt. pag. 32, PI. 8, fig. 12. rn È sun BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 253 Blainville — Hornera hippolitha Man. d’actin. pag. 419, PI. 68, fig. 3. Milne-Edwards — Ann. d. Sc. Nat. II Serie; Zool. Tom. 9 PIE # Reuss — Fossile Polyp. d. Wienn. Bek. pag. 43, Taf. VI, fig. 23-24. Tronco ramoso con rami dicotomi, divaricati, schiacciati; faccia anteriore ornata da piccoli pori rotondi disposti in serie longitudinali; faccia posteriore solcata longitudinalmente. Riferisco a questa specie due esemplari del miocene. 11 Reuss oltrechè nelle celebri località mioceniche dell'Austria ed Ungheria la cita anche nel calcare di Grob nel bacino di Parigi. Hornera cfr. hippolithus, Defrance. Ravvicino alla specie di sopra ricordata senza identificarvela una forma di Hornera a rami divaricati ed a faccia posteriore solcata longitudinalmente, ma che se ne discosta un po’ per la sezione dei rami stessi che è meno compressa. Anche questo esemplare è miocenico. Hornera frondiculata, Lamourux. Miln-Edw.; Blainville - Ann. N. H. 2 d, Serie XIII, pas. 34. Retepora frondiculata, Lk. Millepora tubulipora, Ellis et Solander pag. 139, PI. XXVI, fig. 1. Millepora lichenoides, Linn.; Pallas; Esper. Hornera affinis, Miln-Edwards. Hornera adegavensis, Michelin — Op. cit. pag. 318. PI. LXXVI, fig. 8. Hornera frondiculata, Bask — The Crag Polyzoa. pag. 102, PI. XV, fig. 1-2; PI. XVI, fig. 7. Hornera frondiculata, Seguenza — Form. terz. n. Prov. di Reggio Ca- labria, pag. 84, 132, 209, 297, 371. Colonia ramosa con rami subcompressi; superficie anteriore reticolato-fibrosa, porosa; posteriore reticolato-fibrosa. Cellule con orifizi piccoli e leggermente marginati. I due esemplari che ho sott'occhio provengono dal miocene, 254 G. GIOLI > Seguenza la cita nel Tortoniano di Calabria e Busk nel Crag d'Inghilterra. | Hornera sp. ind. Al genere Hornera riferisco ancora una colonia ramosa, pure: del miocene, a sezione subtrigona, sulla cui faccia anteriore si aprono delle cellule disposte irregolarmente, mentre la faccia posteriore è finamente striata. Per la cattivissima conservazione dell’ esemplare non sono riuscito a poterlo riferire con certezza a nessuna specie nota. HEdmonea, Lamourux. Idmonea disticha, Goldf. sp. Retepora disticha, Goldfuss — Petref. Germ. pag. 29-30, Taf. 9. Michelin — Op. cit. p. 204, fig. 18. Idmonea disticha, Reuss — Op. cit. pag. 45, Taf. VI, fig. 29-31. Colonia libera gracile, dicotomo-ramosa con rami a sezione triangolare; sulla faccia anteriore si osservano degli ostioli riuniti in serie distiche alterne fra loro e portanti tre o quattro ostioli per ciascheduna, transverse e cristate: la faccia poste- riore è ornata di sottilissime strie longitudinali interrotte. L'esemplare proviene dal pliocene. Idmonea cfr. disticha, Goldf. sp. Questo esemplare del miocene presenta quasi tutti i carat- teri della specie precedentemente citata, se non che ne diffe- risce per la punteggiatura nella faccia posteriore dei rami, mentre che nella disticha tipica questa è ornata da strie interrotte nel senso longitudinale. Idmonea pertusa, Reuss. Reuss — Op. cit. pag. 45, Taf. VI, fig. 28. Colonia ramosa con rami dicotomi subcompressi; la faccia anteriore del ramo porta delle cellule disposte in serie alterne BRIOZOI NEOGENICI DELL ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 255 ed oblique, subcristate; la posteriore è tempestata di piccoli pori subrotondi. A questa specie che il Reuss descrive nel miocene di Austria ed Ungheria riferisco cinque esemplari del miocene di Pianosa. Idmonea compressa, Reuss. Reuss — Op. cit. pag. 46, Taf. VI, fig. 32. Un tronco molto compresso lateralmente, sui lati del quale si aprono dei pori minutissimi. Sulla faccia anteriore si contano undici serie regolari di ostioli disposte trasversalmente ed al- ternanti fra loro; gli interstizi sono striati longitudinalmente, la faccia posteriore è carenata ed è più angusta della anteriore. L'esemplare proviene dal miocene. Idmonea multipunctata, nov. sp. mihi. Tav. XIV, fig. 4, la, lb. Colonia ramoso-dicotoma con rami a sezione subtriangolare; faccia posteriore convessa ed ornata da fini e numerose pun- teggiature; sui lati della faccia anteriore che è carenata si aprono delle serie di ostioli, che ne portano quattro per cia- scheduna, e sono alternanti e poco sporgenti. Gli spazi com- presi fra una serie e l’altra sono punteggiati come la faccia posteriore. I due esemplari di cui dispongo provengono dal miocene e per le loro particolarità non ho potuto riferirli a nessuna specie a me nota; quindi è che propongo per questa forma di /dmo- nea il nome di multipunctata in base al carattere delle fini e numerose punteggiature che ne ornano la faccia posteriore e gli spazi compresi fra le serie degli ostioli nella faccia anteriore. Idmonea cristata, nov. sp. mihi. Tav. XIV, fig. 2, 2a, 2b. L’esemplare per il quale propongo il nome di Idmonea cri- stata proviene dal pliocene. Esso consta di un tronco a sezione trapezoidale ed è terminato in punta. La sua faccia anteriore 956 G. GIOLI è convessa, la posteriore concava. Sulla faccia anteriore si os- servano lateralmente delle creste (nel nostro esemplare che è rotto in basso ne sono conservate da 8a 9) molto sporgenti e un po' oblique verso il basso, alternanti, alla sommità delle quali si aprono da 6 ad 8 ostioli a sezioni ovale con diametro massimo nella direzione orizzontale. Le due serie di creste sono divise fra loro da un solco mediano longitudinale. L’esemplare misura mm. 5 in lunghezza e mm. 2 in larghezza. Idmonea, sp. ind. Parimente al genere Idmonea si possono riferire due esem- plari di una piccola colonia ramoso-dicotoma a sezione trian- golare, a facce finamente punteggiate con le punteggiature di- sposte in linee longitudinali e con ostioli laterali disposti in serie; come pure un esemplare ugualmente ramoso-dicotomo, i cui rami hanno sezione ellittica e portano sui lati due serie di ostioli disposti in linea longitudinale. Ambedue le forme appartengono al deposito miocenico, ma per il cattivo stato di conservazione nel quale si trovano, mi è stato impossibile di determinarne con certezza la specie. Entalophora, Lamourux. Entalophora cfr. Icaunensis, Orb. Tav. XIV, fig. 3, 3a. D’ Orbigny — Prodr. 2, pag. 87; étage 72°, n.° 461 "a. D’ Orbigny — Pal. frang Tom. V, pag. 781. PI. 616, fig. 12-14. Colonia ramosa con rami molto sottili quasi cilindrici e di- cotomi; su questi si trovano sparse quasi senz’ ordine tutto all’intorno delle cellule tubulose con apertura pressochè circo- lare all'estremità superiore dei tubi che sono sporgenti. Ho ravvicinato questa forma alla E. Icaunensis, d’'Orb. senza però identificarvela, poichè ne differisce un poco per la maggior bre- vità dei tubi cellulari e per la loro disposizione; purjtuttavia non ho creduto bene di separarvela nettamente per certe so- miglianze che ha questo esemplare del miocene di Pianosa con la figura data dal D’'Orbigny della E. Icaunensis neocomiana. ATTI P-_ re ua bo (nba d 1 BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO Entalophora (Pustulopora) clavata, Busk. Busk — Op. cit. pag. 107, PI. XVII, fig. 1. Tronco ramoso con rami clavati; cellule tubulose libere nella parte superiore. Due esemplari provenienti dal pliocene. Fasciculipora, D'Orbigny. Fasciculipora ramosa, Orb. Tav. XIV, fig. 4, 4a. D’Orbigny — Voy. Amér. Mér. Zoophytes. pag. 21, n.° 40, PI. IX, fig. 22-24. Frondipora ramosa, Hagenow. Fungella prolifera, Hagenow — Maastr. Kreidb. pag. 37, T. III, Fasciculipora ramosa, Busk — Catalog of the Cyclostomatus Po- lyzoa in the Coll. of the Britisch Museum. pag. 37, PI. XXXII, fig. 2 (London 1875). Colonia costituita da fasci di cellule esagonali tubulose aperte soltanto all'estremità superiore dei fasci medesimi che sono divergenti da una base comune e ramosi. L'esemplare che ho sott'occhio è aderente ad un pezzo di roccia calcarea avendo libera la sua parte dorsale e proviene dal deposito pliocenico. Busck descrive un esemplare vivente di questa specie che conservasi nel Museo Britannico e che proviene dal sud della Patagonia a 48 braccia di profondità. i pri pi RE 258 G. GIOLI Cheilostomata, (Busk). $Salicornaria, Cuvier. Salicornaria (Cellaria) cucullata, Reuss, sp. Reuss — Op. cit. pag. 60, Taf. VII, fig. 31. Riferisco a questa specie un esemplare miocenico che pei suoi caratteri vi corrisponde esattamente. Salicornaria sinuosa, Hassal. Farcimia sinuosa, Hassal — Ann. Mag. N. H. vi. pag. 172, PL. VI, figs. 1-2. Johnston — Macgillivray. Farcimia spatulosa, Hassal. Salicornaria farciminoides (var.), Busk. — B. M. Cat. P. 16; S. Vood. I. Morris. Salicornaria sinuosa, Hassal, Busk — The Crag. Polyzoa. pag. 23, PI. XXI, fig. o. I due internodi che provengono dal miocene sono cilindrici ed uno di essi è ingrossato superiormente. L'area della cellula è depressa, allungata, romboidale e la superficie ne è granu- losa; la bocca è subquadrangolare. Mancano in questi due esem- plari le ovicelle e gli aviculari, ma per i caratteri di sopra enumerati si possono indubbiamente identificare Qua S. si- nuosa, Hassal. Membranipora, Blainville. Membranipora?, sp. ind. Al genere Membranipora riferisco dubbiosamente un fram- mento di colonia incrostante a cellule con bordi salienti ed apertura subrotondata. Le cellule sono disposte in quiconce e in un piano. Questo esemplare proviene dal pliocene. DI BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 259 Lepralia, Johnston. Lepralia ansata, Iohnston. » Busk — The Crag Polyzoa. pag. 45, PI. V, fig. 4, PI. VII, fig. 2. e Manzoni — Briozoi foss. ital. 1.* Contrib. pag. 6-7. Tav. I, fig. 10; Tav. II, fig. I, Manzoni — Idem; 2.* Contrib. pag. 8-9, Tav. II, fig. 10-11. Reuss — Die fossile Bryoz. d. òsterr. Miociins. pag. 18, Taf. VI, figs. 12-13; Taf. VII, figs. 1-2-3. Manzoni — I Brioz. d. plioc. antico di Castrocaro. pag. 19, Tav. II, figs. 24-24 a. A questa specie ben nota riferisco una piccola colonia delle dimensioni di circa 5 mm. quadrati, che trovasi aderente alla Cellepora parasitica, Mich. del Miocene. Lepralia cfr. ansata, Johnston. L'esemplare pliocenico rassomiglia immensamente a questa specie per la forma della cellula, per la presenza e forma de- gli aviculari laterali, dell’umbone centrale sottoboccale e per la forma della bocca semicircolare; se non che si deve osser- vare che vi manca l'incisione nel labbro boccale inferiore. Molte cellule portano un’ ovicella sferica al disopra della bocca. Lepralia resupinata, Manz. Manzoni — Brioz. d. Plioc. antico di Castrocaro. pag. 20, Tav. II, fig. 26. Il Manzoni descrive questa specie come rara nel pliocene antico di Castrocaro e la chiama resupinata in grazia della po- sizione supina che assumono le sue cellule. L’esemplare plioce- nico di Pianosa rappresenta un frammento di colonia, nella quale alcune cellule sono rotte e lasciano soltanto vedere la loro interna cavità, mentre altre, che sono ben conservate, si presentano coniciformi ed armate di un aviculario ben svilup- pato, raramente di due e con margine boccale inciso o sinuoso. Sc. Nat. Vol. X. 17 260 G. GIOLI Lepralia incrassata, nov. sp. mihi. Tav. XIV, fig. 6. 7 Colonia incrostante costituita da un solo strato di cellule otricoliformi, turgide e disposte in linee oblique, con bocca ec- centrica situata nella parte superiore della cellula, piccola, cir- colare, marginata. Un aviculario laterale trovasi ora alla destra ora alla sinistra della bocca stessa; esso è di forma pressochè conica ed è rigonfio verso la sua base, talora presenta circa alla metà una leggera strozzatura. La superficie della cellula è liscia. Propongo per questa specie, di cui non ho potuto riscon- trare l’eguale nè tra le forme terziarie nè fra le viventi, il nome di Lepralia incrassata per indicare la tumescenza sia del corpo della cellula, che dell’aviculario specialmente presso alla sua base. L’esemplare di cui le cellule misurano in lunghezza 70, 0, e in diametro boccale 8,4 centesimi di millimetro, proviene dal pliocene. Eschara, (Ray) Busk. Eschara Planariae, nov. sp. mihi. Tav. XIV, fig. 7, 7a. L'esemplare consta di un tronco libero, debolmente clavato nella parte superiore, compresso con cellule disposte in quin-. conce; esse hanno un’ apertura sopramediana semicircolare con margine in rilievo e ornato da punteggiature un pochino più grandi e più rade di quelle che ornano la superficie del corpo della cellula. Un poro accessorio assai grande trovasi quasi co- stantemente subito al disotto e nel mezzo del margine boc- cale inferiore; talora però è spostato verso destra, raramente manca. La cellula raggiunge in questa specie la lunghezza di 70,0 e la larghezza di 47,0 centesimi di millimetro; la bocca ne misura nel suo diametro massimo 2], 0. | Per questa forma del miocene, che non rassomiglia ad al- cun’ altra nota propongo il nome di Eschara Planariae, che sta adindicare la località dove per la prima volta è stata rinvenuta. BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 261 MIultesearellina, D'Orbbigny. Multescarellina subnobilis, Orb. Eschara nobilis, Michelin — Op. cit. 1847, PI. 79, fig. 1. Cellepora nobilis, Orbigny — Prodr. d. Pal. stratigr. 2. pg. 1836, n.° 2564. Multescarellina subnobilis, D’Orbigny — Pal. frang. Terr. Cret. Tom. V, pg. 458. Colonia incrostante con cellule sovrapposte in più strati fino a raggiungere lo spessore di cent. 1 '/# come vedesi in uno dei nostri grandi esemplari. Questo raggiunge il diametro massimo di cent. 9. Le cellule sono più alte che lunghe, oblique, di forma romboidale con apertura pressochè terminale, rotonda, saliente e provvista di due pori speciali da ciascuna parte di essa. Il D'Orbigny cita la sua specie nel faluniano di Touraine, ma nel Museo paleontologico di Pisa se ne trovano parecchi esemplari pliocenici determinati dal compianto Prof. Meneghini e fra gli altri uno di Staggia ed uno di S. Lorenzo identici a questi pur pliocenici di Pianosa ch'io vi ho riferito. Adeonella, Busk. Adeonella cfr. polymorpha, Busk. Tav. XIV, fig. 8, 8a. Busk — The Zoology the Voy. of H. M. S. Challenger. Part XXX. — Report on the Polyzoa the Cheilostomata (Lon- don 1884) pag. 183, PI. XXI, figs. 1a, 2a, 3a. Questo esemplare del pliocene di Pianosa si rassomiglia molto alla Adeonella polymorpha di Busk raccolta vivente a Samboangan a 10 braccia di profondità dalla spedizione del Challenger per la forma complessiva della colonia che è libera e alternativamente pinnata come qualche felce, per la forma della cellula che è piriforme, per la forma della bocca subor- bicolare, per il poro suborale diviso dalla bocca stessa per un ponte e per le due serie longitudinali di punteggiature sui due 262 G. GIOLI lati della cellula, ma non possiamo identifircavela sia per certi caratteri accessori relativi agli aviculari ed alle ovicelle che il nostro esemplare fossile non ci presenta conservati, sia perchè fin'ora non sappiamo che questa specie sia ancora stata tro- vata allo stato fossile. Riguardo alle dimensioni osserveremo che la cellula misura all'incirca in lunghezza 63,0 in larghezza 28 e in diametro boccale 14,0 centesimi di millimetro. Biflustra, D'Orbigny. Biflustra bipunctata, Reuss. Eschara bipunctata, Reuss — Fossile Polyp. ete. pag. 66, Taf. VIII, fig. du, Biflustra bipunctata, Orbigny — Pal. frang. Terr. Cret. pag. 245. Riferisco a questa specie ben nota quattro esemplari del pliocene, che ne presentano tutti i caratteri distintivi. Retepora, Imperato. Retepora cellulosa, Lin. Reuss — Fossile Polyp. etc. pag. 48, Taf. VI, figs. 35-37. Busk . — Marine Polyzoa. pag. 93. Heller — Bryozoen des Adriatischen Meers, pag. 40. Manzoni — Brioz. foss. it. 4.* Contrib. pag. 19, Tav. V, fig. 26-28. Smitt — Floridon Polyzoa. PI. I, fig. 245-254. Manzoni — Brioz. foss. di Austria Ungheria. pag. 20, Tav. XIV, fig. 48. Fra gli esemplari fossili miocenici e pliocenici di Refepora cellulosa ve ne sono certi meglio e certi peggio conservati; però è da notare che anche in quelli conservati in miglior modo come in quelli studiati dal Reuss e dal Manzoni mancano gli aviculari sottoboccali che si ritengono come caratteristici della specie vivente; ma ciò, come osserva il Manzoni, può derivare dalla erosione. Però i caratteri che presentano i cinque esem- plari di Pianosa cioè, colonie a base subciatiforme, ramose o } } 3 BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 263 frondose, membranacee, con finestre ellittiche e con pori quin- conciali sulla faccia anteriore della colonia bastano per farli identificare senza alcun dubbio alla A. cellulosu di Linneo. Cellepora, Lamark. Cellepora globularis, Bronn. Tav. XIX, fig. 9, 9a, 9. Bronn — Ital. Reise II. 654; n. 800; Leth. geo- gn. II pag. 877, Taf. 35, fig. 15 a, d. Spongia globularis; Br. i. Ib. 1827, II, 544. Scyphia cellulosa, Goldfuss — Op. cit. I, 92, Taf. 33, fig. 2. Cellepora conglomerata, Goldfuss — Op. cit. I, 245.. Cellepora cellulosa, Wood — Ann. nath. XIII, 18. Cellepora globularis, Reuss — Fossile Polyp. etc. pg. 76, Taf. IX, fig. 11-15. Cellepora globularis, Manzoni — Brioz. foss. di Austria-Ungheria. pg-3, Tav. I, fig. 2. Cellepora globularis, De-Stefani — Stud. geolog. di Tejo, Montalto o Capo Vaticano. pag. 144, 145, 146. (1882). La colonia è polimorfa e raggiunge dimensioni considere- voli. Alcuni esemplari sono dendroidi e ramosi a guisa di ar- busto, altri cilindrici ed uno è crateriforme con superficie esterna ‘ mammillata. Questo esemplare raggiunge il diametro massimo di cent. 8. A prima vista queste colonie sembrerebbero rasso- migliare a Spongiali, ma esaminandone una sezione al micro- scopio dobbiamo escludere questa idea mancandovi del tutto le spicole e mostrandoci invece tutti i caratteri dei Briozoi, primo fra gli altri quello delle pareti che limitano le cellule. Macroscopicamente queste si mostrano subtubulose o irre- golarmente vescicolose, qualche volta abortive e con bocca me- diana piuttosto piccola, ineguale e rotonda. La colonia si mostra inoltre perforata da fori circolari che hanno disposizione radiale e si aprono all’esterno a distanze pressochè uguali fra loro, come accade nella Cellepora palmata, Mich. che il Fuchs ha trovato nel deserto di Libia. Per questo carattere delle perforazioni si rassomiglierebbe anche alla Ce/- 264 G. GIOLI | lepora Polyphyma, Reuss che questo autore ha trovato solo nei terreni miocenici. La Cellepora globularis è stata rinvenuta dal De Stefani nel miocene superiore ( Tortoniano) di Rocchetta di Briatico, di Vena, di Punta S. Andrea e di Benestare in Calabria, ed il Reuss, oltrechè nelle celebri località mioceniche del bacino di Vienna, cita questa specie anche nel subappennino di Piacenza. Gli esemplari di Pianosa provengono tutti dal pliocene. Cellepora cfr. globularis, Bronn. L’esemplare corrisponde in parte ai caratteri indicati nella diagnosi del Reuss della ©. globularis, Bronn, se non che sem- bra discostarsene un poco per non avere le cellule la bocca costantemente circolare, ma qualche volta invece semicircolare e più o meno angolosa. |, Questo esemplare è del miocene. Cellepora polythele, Reuss. varietà subglobosa, Fuchs. Reuss. — Foss. Polyp. pag. 77, Taf. IX, fig. 18. Fuchs — Beitr. z. Kenn. d. Mioc. Fauna Aegyptens und d. libyschen Wiiste pag. 51 e Taf. XIII, fig. 1,14; 2, 2a. Manzoni — Brioz. foss. di Austria-Ungheria. pg. 4, Tav. I, fig. 3. Colonia conglomerata di forma semiglobosa, la cui faccia superiore è convessa e mammillata. Le cellule sono irregolar- mente vescicolose e le bocche sono arrotondate e assai larghe, ma con queste se ne alternano delle più piccole. Reuss descrive questa specie come non rara nel Leithakalk di Bischofwart in Mahren e il Fuchs la cita nel miocene del deserto di Libia nella Oasi Siuah facendone la varietà subglo- bosa che più si rassomiglia all’esemplare miocenico di Pianosa. BRIOZOI NEOGENICI DELL'ISOLA DI PIANOSA NEL MAR TIRRENO 265 Cellepora parasitica, Mich. Michelin — Op. cit. pg. 325, PI. 78, fig. 3. Fuchs — Op. cit. pag. 52, Taf. XVIII, fig. 3-5. La colonia ha forma tuberosa ed emette delle diramazioni cave all’interno. La faccia inferiore è aderente ad un frammento di una conchiglia bivalve. Sulla faccia superiore si osservano delle cellule vescicolose non tutte di uguale dimensione e prov- viste ciascuna di una bocca assai larga e pressochè circolare. Il massimo spessore di questa colonia raggiunge mm. 5. Questa specie, che fu descritta per la prima volta dal Mi- chelin, il Fuchs la rinvenne nel miocene dell’ Oasi di Siuah nel deserto libico. — Anche l'esemplare di Pianosa proviene dal miocene. i Cellepora rarepunctata, Reuss. Reuss — Op. cit. pg. 87, Taf. X, fig. 19. Riferisco a questa specie miocenica tre esemplari pure del miocene che per i loro caratteri si corrispondono intieramente. Cellepora cfr. vesciculosa, Mgh. sp. Tav. XIV, fig. 10, 10a. Celleporaria vesciculosa, Meneghini in schedis. Colonia ramosa con rami a sezione subcircolare costituiti da cellule vescicolose in parte più grandi e in parte più pic- cole, collocate pressochè verticalmente e disposte senz’ ordine le une vicino alle altre: superficie della cellula liscia e bocca subcircolare e piccola. Questa specie si rassomiglia molto alla Celleporaria vesciculosa, Mgh. se non che ne differisce per avere la superficie della cellula liscia anzichè punteggiata come nella specie del Meneghini dell’Oligocene di Brendola presso Lugo. L’esemplare di Pianosa è pliocenico. 266 G. GIOLI Bliriozoum, Donati. Myriozoum punctatum, Phil. Reuss — Op. cit. pag. 73, Taf. IX, fig. 2 (Vaginopora poly- stigma, Reuss, fide Manzoni). i Reuss. — Zur Fauna des deutsch Oberoligocins. pg. 50, Taf. IX, fig. 2. i Reuss — Bryoz. deutsch Secptarienthones. pag. 74. Manzoni — Brioz. foss. del Mioc. d’Austria-Ungheria. Parte II, pag. 22, Tav. XV, fig. 52; Tav. XVII, fig. 55. Fra i numerosi esemplari di questa specie si hanno dei tron- chi semplici e dei dicotomi, sui quali si osservano ben conser- vate le cellule a superficie finamente porosa e con bocca assai grande e largamente incisa nella sua parte inferiore. Di tutti i numerosi esemplari di Pianosa due soli sono stati rinvenuti nel pliocene; tutti gli altri sono miocenici. Myriozoum, sp. ind. Allo stesso genere Myriozoum si può riferire il frammento di un tronco semplice, che per la cattiva conservazione dovuta alla corrosione è impossibile determinarlo specificamente con abbastanza sicurezza. Probabilmente trattasi della medesima specie (M. punctatum) trovantosi associato con quelli miocenici ricordati disopra. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. XIV). Fig. 1. Defrancia cespitosa, nov. sp. mihi. lla. Porzione superiore di una branca della medesima fortemente ingrandita. 216. Defrancia cespitosa; colonia allo stato giovanile. scie. La medesima ingrandita. "Ripr: * Idmonea multipunctata, nov. sp. mihi. s 2a, 2b. La medesima ingrandita. gr Idmonea cristata, nov. sp. mihi. » 34,30. La medesima ingrandita. a 4. Entalophora cfr. Icaunensis, Orb. » da. La stessa ingrandita. Sag? Fasciculipora ramosa, Orb. » DA. Porzione superiore di un ramo della medesima fortemente ingrandito. yr16: Lepralia incrassata, nov. sp. mihi. ri Eschara Planariae, nov. sp. mihi. a da. La stessa ingrandita. wr Adeonella cfr. polymorpha, Busk. x 8a. Una porzione della medesima ingrandita. n 119 Cellepora globularis, Bronn. Ce! 3 Sezione del tronco inferiore della medesima mostrante l’ an- damento radiale dei fori. 230. Cellepora (Celleporaria) cfr. vesciculosa, Mgh. » 10. La medesima ingrandita. ALCUNE PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE NEL MIDOLLO DEGLI UCCELLI PEL Dott. PILADE LACHI PROFESSORE ORDINARIO DI ANATOMIA UMANA NELLA UNIVERSITÀ DI PERUGIA Particolarità macroscopiche del rigonfiamento sacrale Il rigonfiamento sacrale del midollo spinale degli uccelli per la esistenza di una disposizione anatomica speciale, a cui si è dato il nome di seno romboidale, ha formato soggetto di non poche ricerche da parte degli anatomici. Non credo però che siano state sufficientemente descritte tutte le particolarità che tal rigonfiamento presenta, ed è per questo motivo che io lo prendo in considerazione onde far conoscere quelle disposizioni che essendo men note pure non mi sembrano prive d'interesse. E noto come nello scheletro di questi vertebrati una parte delle vertebre lombari, le sacrali e alcune caudali possono in vario numero saldarsi fra loro per formare un ammasso spe- ciale che veduto dalla sua faccia inferiore e nell’animale per- fetto si presenta sotto l'aspetto di una placca pianeggiante leggermente insolcata lungo la linea mediana, e leggermente rilevata veduto dalla faccia superiore, laddove corrisponde la fusione degli archi neurici. Solamente esistono i fori interver- tebrali e i processi laterali a rivelare i vari somiti di cui que- sta parte dell'asse scheletrico risulta. Aprendo lo speco vertebrale in questa regione si presenta il midollo spinale col suo rigonfiamento a cui si è dato l'attri- P. LACHI o 269 buto di sacrale, e che potrebbe essere anche detto lombo-sacro- caudale in relazione alle vertebre, colle quali si trova in rap- porto. Tralascio di dire delle macroscopiche particolarità che sono notorie per fermarmi più specialmente su quelle che non credo siano state tenute in considerazione. Se si prende la colonna vertebrale di un pollo o di altro uccello e nella porzione sacrale si apre lo speco vertebrale, rompendolo dalla sua faccia inferiore (ciò che è più conveniente per non guastare il contenuto), e quindi si sottopone all’azione di un liquido fissatore e successivamente dell’ alcool; e se suc- cessivamente si asporta da questa faccia la dura madre, si nota che la pia sottostante presenta una speciale disposizione quale viene rappresentata nella Fig. I Pm' e Pm?. Il solco longitu- dinale inferiore mano a mano che discende dalla porzione dor- sale alla sacrale si vede occupato da un cordoncino che si fa sempre più evidente per poi terminare sfumandosi nella por- zione caudale (Pm?). Da questo cordoncino mediano, nel cui spes- sore'o meglio subito al di sopra, come mostra la Fig. 5 A.m.i, sta l'artiera spinale inferiore, si dipartono da un lato e dal- l’altro tanti cordoncini trasversali per quanti sono gli spazi intervertebrali corrispondenti alle vertebre fuse, e questi vanno a terminare ai lati del midollo in un altro cordoncino di pia madre longitudinale (Fig. 1, Pm, Fig. 5. Pm?) che sta nel limite di separazione fra la faccia inferiore e la laterale del midollo. Anche questo va assottigliandosi e sfumandosi al di sopra e al di sotto del rigonfiamento. E da questo che si distaccano i fe- stoni L.d del ligamento dentellato che va a fissarsi sulla fac- cia interna della dura madre. Esaminato il midollo spinale in queste condizioni (Fig. 1) e dalla sua faccia inferiore presenta perciò tanti segmenti di fi- gura qnadrilatera limitati da tanti ispessimenti longitudinali e trasversali di pia madre, ed è presso il margine esterno di essi che si vedono distaccarsi fascetti di fibre nervose che compon- gono le radici inferiori come mostra la Fig. 1. Ra. Per conseguenza sebbene il saldamento delle varie vertebre in questi animali tenda a far scomparire la primitiva divisione metameriale del midollo in questo punto, pure abbiamo in questa disposizione della pia madre un ricordo ben netto e deciso di questa medesima divisione. Mi piace di far rilevare come Stieda 270 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. nel suo classico lavoro (*) mentre parla del prolungamento di pia madre che accompagna l'arteria medullae inferior nel solco lon- gitudinale inferiore non ricorda affatto le altre particolarità anatomiche di cui sopra, e nemmeno Duval (?) nei suoi due la- vori sul seno romboidale. Quando usando le più grandi precauzioni e previo il tratta- mento sopra indicato, oltre la dura madre si asporti l’aracnoide, e tagliando le radici spinali si tolga il midollo spinale dallo speco vertebrale fornito ancora della pia madre può essere esa- minato e nelle sue faccie laterali e nella superiore. Si vede nella superiore come procedendo dall’avanti in dietro il midollo vada slargandosi ed assumendo una forma sempre più com- pressa d'alto in basso. Il solco longitudinale superiore si va mano a mano allargando e giunto a principio del rigonfiamento si vede espandersi in una superficie pianeggiante triangolare ad apice rivolto in avanti, sotto la quale sta una sostanza molle, gelatinosa Fig. 4. Sg. Seguitando indietro ancora vedonsi sem- pre più divaricati i due cordoni posteriori, e la parte centrale del divaricamento occupata da un ammasso gelatinoso di figura ovoidale con asse maggiore diretto d’avanti in dietro applicato come una callotta sul così detto seno romboidale, per l’esten- sione di circa quattro segmenti metameriali del midollo. Al disotto di questo vedesi nuovamente un fondo pianeggiante triangolare analogo al superiore con apice rivolto in dietro e finalmente il divaricamento torna ancora a divenire un solco come era avanti del rigonfiamento. La pia madre, che penetrava nel fondo del detto solco longitudinale superiore ‘fino a rag- giungere la commissura grigia del midollo, al principiare del rigonfiamento col distendersi di questa commissura, tappezza questa nella sua faccia superiore, mentre ai lati passa sui cordoni posteriori e di qui nei laterali. Si insinua pure tra i cordoni posteriori e la sostanza gelatinosa del seno Fig. 5. Pm’, passa sulla parte posteriore del seno romboidale dove corrisponde pure nel fondo del solco la commissura grigia, e quindi torna (1) Stieda — Studien diber das centrale Nervensystem der Vogel und Saiigethiere. Zeitschrift fir Wissenschaftliche Zoologie. Bd. XIX, Leipzig 1869. (®) Duval — Sur le sinus rhomboidal des oiseaue. Gazette médical de Paris 1876, N.° 34. — Sur le sinus rhomboidal des oiseaux et sur la nevroglie periependimaire. Journal de l’Anatomie et de la Physiologie de Ch. Robin, N° de Janvier 1877. Tra P. LACHI 271 a comportarsi nel modo comune al resto del midollo. Le ra- dici posteriori emergenti a qualche distanza dal solco longitu- -dinale superiore nella porzione dorsale del rigonfiamento, in corrispondenza di questo emergono dal midollo subito al di fuori del seno romboidale e tal modo di uscita si mantiene per tutto il resto del rigonfiamento stesso. Fig. 3, £. p. Nella faccia laterale procedendo di alto in basso notasi l'orlo di separazione fra il cordone posteriore e il laterale, poi la superficie pianeggiante costituente i cordoni laterali e presso al confine colla faccia inferiore il cordoncino laterale (Fig. 1. Pm!) di pia madre, al quale fanno capo i cordoncini trasver- sali della faccia inferiore come sopra si è detto e come mostra la detta figura. Nei punti corrispondenti all'intervallo di emer- genza delle radici anteriori ossia fra un somito e l’altro, è su questo cordone che si attaccano i festoni del ligamento dentel- lato, ed è al di sopra di questo immediatamente che si notano in serie, corrispondente al confine dei vari metameri del mi- dollo, dei piccoli bottoncini avvolti dalla pia madre, sui quali intendo appunto fermarmi alquanto, e che fin da ora chiamo col nome di lobi accessori. Tale cordoncino laterale è perciò da ritenersi come l'analogo del ligamento dentellato dell’uomo. Togliendo la pia madre si notano nel midollo le insolcature lasciate dai cordoncini di essa sia trasversali che longitudinali come mostra la Fig. 2. S. tr, S.L.i, S.1. È notevole che la faccia inferiore lateralmente termina con uno spigolo piuttosto acuto e al di sopra di questo rimane il solco S.1 dove stava il cor- doncino laterale di pia madre. È al di sopra di questo solco e nella prosecuzione dei solchi trasversali S.tr che si scorgono i piccoli lobi sopra ricordati, i quali variano per numero e per di- mensioni. Sono in generale di figura ovoidale con asse maggiore diretto longitudinalmente, compressi dall’ esterno all’interno. Se ne contano in vario numero, e talora ad occhio nudo ne ho potuti numerare fino a 8 come mostra la Fig. 2. L.a: secondo i vari animali e secondo le epoche del loro sviluppo si presen- tano più o meno appariscenti. Così per es. nell’anas anser ne ho contati sei per lato, otto nel gallus domesticus e nel meleagris gallopavo, sette nella columba lyvia quantunque questi numeri abbiano pure variato nello stesso animale. Sono viepiù evi- denti quanto più giovane è l’animale. I più voluminosi si no- Da PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. tano nella parte più alta del rigonfiamento e mano a mano scemano di volume col discendere verso la porzione caudale. Il loro diametro longitudinale medio è di millimetri 1,4; il trasversale di millimetri 1. In un piccione ne trovai uno che mi- surava millimetri 3 nell’asse maggiore. Sono di aspetto gelati- noso, facilmente friabili e perciò difficilmente visibili in un mi-. dollo che non sia stato previamente indurito. Questo per ciò che riguarda la parte macroscopica; vengo adesso alla microscopica. Rapporti fra la pia madre, la sostanza gelatinosa del seno e il canal centrale. Molte particolarità microscopiche del rigonfiamento sacrale sono talmente note che non intendo tornarvi sopra. Mi fermo più specialmente sulla sostanza gelatinosa del seno romboidale e sui /obi accessori osservati ai lati del midollo in questo punto. Il primo punto ci interessa sotto due speciali aspetti, cioè, per il rapporto del seno colle parti circonvincine e per la natura della sostanza che riempie il seno stesso. Quanto ai rapporti del seno romboidale colle parti circon- vicine rammento prima di tutto come Nicolao Stenone (1) ri- cordato da Tiedemann.(?) fu il primo che parlò di una cavità romboidale nel midollo degli uccelli. Perrault (*) dopo di lui descrisse il seno come una semplice fenditura contenente un umore linfatico; e Valentin (‘)° più tardi trattò di esso assai confusamente. Cuvier (9) non ne parla, e solo Meckel (%) nella traduzione dell’opera di Cuvier, in nota, descrive il seno come un divaricamento delle due metà del midollo, idea seguita pure da Serres (°). In un epoca posteriore fa meraviglia che Gall e (1) Nicolao Stenone — Miologiae specimen seu musculorum descriptio geometrica. Florentiae 1667, pag. 108. (£) Tiedemann — Anatomie und Naturgeschischte der Vogel. Bd. I, Heidelberg 1810. (*) Perrault — Memoires de l’Academie des Sciences de Paris T. 3. Description anatomique de troîs aigles. 1666-1699. (4) Valentin — Amphitheatrum zootomicum tabulis aeneis quam plurimis exhi- bens historiam animalium anatomicam. Gissae 1720, T. II, p.7. Tab. XLVI. (9) Cuvier — Lecons d’anatomie comparee. (5) Meckel — Ouvier?s Vorlesungen iiber vergleichende anatomie. Il Theil. p. 193, Leipzig 1800. i (?) Serres — Anatomie comparéc du cerveau dans les quatres classes de vertebrés. Paris 1826, T. II, p. 157. P. LACHI 273 Spurzheim (!) abbiano figurato e descritto il midollo degli uc- celli senza il seno romboidale. Keuffel (®) però ne parla, ed Emmert (5), mentre rammenta la sostanza gelatinosa contenuta nel seno, ritiene questo come prodotto da una dilatazione del canal centrale del midollo. Nicolai (4) tenta una spiegazione di questo seno, ritenendolo dovuto alla emergenza e forza di svi- luppo dei grossi nervi destinati all'estremità posteriori, ciò che potrebbe stare in armonia col fatto embriologico della forma- zione del seno stesso al momento della comparsa e sviluppo delle estremità stesse. Tiedemann (°) pure si accorda con Em- mert ritenendo il seno dovuto ad una dilatazione del canal centrale, e nello stesso senso pure si esprimono erroneamente Carus (9), Burdach (°), Wagner (3), Remak (°), il quale ultimo considera il seno come un analogo del quarto ventricolo, e Longet (1°). A questo concetto poi si oppose Guillot (1!) negando la co- municazione del seno romboidale col canal centrale, e negando anche una dilatazione di questo in questa regione, e in questa idea si accordarono poi Bratsch e Ranchner (!). Ma impor- tante è l’idea di Metzler (!) il quale d'accordo con Stilling (14) (1) Gall et Spurzheim — Anatomie et physiologie du systeme nerveux en general et du cerveau en particulier. Vol. I, Paris 1809. (*) Keuffel — De medulla spinali dissertatio. Halae 1810. (*) Emmert — Beobachtungen diber einige anatomische Eigenthiimlickeiten der Vogel. - Reil’s und Autenrieth’s Archiv fiir Physiologie. Bd. X, Halae 1811, p. 377. (4) Nicolai Th. G. I. — Dissertatio inauguralis de medulla spinali avium ejusdem- que generatione in ovo incubato. Halis 1811. - Reil’s Archiv. ete. Bd. XI, 1812. (5) Tiedemann — Anatomie und Bildungsgeschichte des Gehirns. Nurnberg 1816, pag. 86. (*) Carus — Zootomie, 2 Auflage - I Theil. Leipzig 1834. Versuch einer Darstel- lung des Nervensystems und Gehirns 1814. (*) Burdach — Vom Bau und Leben des Gehirns. Bd. I, Leipzig. 1819. (5) Wagner — Lehrbuch der vergleichenden Anatomie der Wirbelthiere. Leipzig 1834, p. 404 e Lehrbuch der Anatomie der Wirbelthiere. Leipzig 1843, p. 105. (9) Remak — Observationes anatomicae et microscopicae de systematis nervosi structura. Berolini 1838. (1°) Longet — Anatomie et physiologie du systeme nerveux. Paris 1842, T. I, p. 262. 3 (11) Guillot N. — Esposition anatomique de l organisation du centre nerveux dans les quatres classes d’animaux vertebrés, Paris 1844. ('*) Bratsch et Ranchner — Zur anatomie des Riickenmarks. Erlangen 1855. (1) Metzler — De medullae spinalis avium structura. Dorpati 1855. (14) Stilling— Neue Untersuchungen iiber den Bau des Ruckenmarks. Cassel 1859, 274 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. ritiene il seno come l’effetto della dilatazione del solco longi- tudinale superiore, idea che del resto era pure stata emessa da Guillot. Stieda, (1) poi nel suo eccellente lavoro del sistema nervoso, dal quale ho tratto alcune di queste notizie storiche, è il primo a dare un accurata e giusta descrizione del seno romboidale. Ègli incomincia dal negare la comunicazione del canal centrale col seno seguendo l’idea di Guillot, e dimostra come la parte di commissura grigia che dal canal centrale raggiunge il solco superiore, mano a mano che ci si avvicina al seno romboidale, si assottiglia, e viene sostituita da quella sostanza che egli chiama reticolare; tantochè la pia madre col progressivo dila- tarsi del solco longitudinale superiore viene poi a contatto con la sostanza reticolare e questa nel mezzo al seno si unisce con ‘ la sostanza gelatinosa; sorpassata la bolla gelatinosa, quando cioè il seno torna nuovamente a stringersi, la pia madre che ha coperto la sostanza gelatinosa va a rivestire la faccia su- riore della commissura grigia che comparisce nuovamente, men- tre al disotto di questa e al disopra del canal centrale rimane ancora uno strato di sostanza reticolare. Fa meraviglia come, dopoillavoro di Stieda, Milne Edwards (?) trovi più appropriata la denominazione di ventricolo rombvidale che quella di seno; il concetto embriologico dei ventricoli come dilatazioni del primitivo tubo midollare non può permettere il nome di ventricolo a una parte dove non vi è dilatazione del canal centrale. È pure degno di nota il concetto espresso a tal riguardo da Gegenbaur (3), il quale dice che nel midollo degli uccelli esiste una cavità derivante dalla persistente apertura del solco midollare embrionale. Nè più felice è l’idea di Huxley (5), che alla maniera di Remak trova nel seno romboidale una specie di ripetizione del quarto ventricolo, essendo la dilatazione del canal centrale semplicemente coperta da una sottil membrana consistente dell’ ependima e dell’aracnoide. (1) Stieda — Studien diber das centrale Nervensystem der Vogel und Saiige- thiere - Zeitschrift fim Wissenschaftliche Zoologie, Bd. XIX, Leipzig 1869, pag. 7 seg. (£&) Milne Edwards — Lecons de la Physiologie et de VAnatomie comparée de Vhomme et des animava. Vol. XI, Paris 1874, pag. 263. (3) Gegenbaur — Trattato di anatomia comparata, Trad. Napoli 1882, pag. 588. (4) Huxley — Manuale dell'Anatomia degli animali vertebrati. Trad. Giglioli, Firenze 1874, pag. 302. È sg P. LACHI 275 Un accurato studio del seno romboidale è fatto da Duval (1) nel 1877; e su questo torneremo più tardi. Ciò che importa si è che egli pure come Stieda e Guillot nega la partecipazione del canal centrale alla formazione del seno romboidale; e pone lo studio dello stesso seno sulla base embriologica come si doveva. Poco del resto si trattengono su questo argomento anche i recenti trattati di anatomia comparata ed io mi dispenso perciò dal citarli. Di fronte ai veri concetti avuti a riguardo del rapporto esistente fra canal centrale e seno romboidale, ecco quali sono i resultati delle mie osservazioni che vengono graficamente rappresentate nella Fig. 4. Allorchè dalla porzione dorsale si passa alla sacrale, quando cioè incomincia il rigonfiamento, il canal centrale non trovasi più in mezzo alla sostanza grigia, ma dalla sua faccia superiore è coperto da una sostanza gela- tinosa, sulla quale fra breve dovremo ritornare, e sopra questa - rimane ancora un sottile strato di sostanza grigia (C. 9), la quale sta immediatamente al di sotto della pia madre che riempie il solco longitudinale superiore. Quando questo incomincia a di- latarsi, alcuni fatti principali si verificano, che cioè sparisce il ponte di sostanza grigia che era nel suo fondo e la pia si mette perciò a contatto diretto con la sostanza gelatinosa so- vrastante al canal centrale; questo si accosta sempre più alla commissura bianca (C. 5), e il solco longitudinale inferiore si fa sempre meno profondo per lo appianarsi dei cordoni inferiori. A mezzo del seno romboidale la sostanza gelatinosa ha sor- passato il livello del solco superiore, e forma la bolla speciale sporgente ricoperta dalla pia madre dipendente da quella pri- mitiva del solco. Questa manda dei prolungamenti fra la bolla gelatinosa e le faccie interne dei cordoni posteriori (Fig. 5. Pm4), mentre per la maggior parte si continua nei cordoni laterali come mostra la Fig. 5. Il canal centrale si accosta sempre più alla faccia inferiore del midollo dove appena esiste traccia di solco longitudinale. Però una piccola quantità di sostanza gelatinosa separa il canal centrale dalla commissura inferiore (1) Duval — Recherckes sur le sinus rhomboidal des oiseaux etc. Journal de l’Ana- tomie et de la Physiologie de Ch. Robin. Janvier 1877, pag. 5 e seg. Sc. Nat, Vol. X. 18 276 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SAURALE ECC. (Fig. 4.59). Ad un livello più basso, sorpassata cioè la bolla ge- latinosa, la pia penetra nuovamente nel solco posteriore an- cora dilatato, ma nel fondo di questo comparisce nuovamente la commissura grigia; al disotto di questa sta la sostanza ge- latinosa, sotto alla quale il canal centrale che sempre più tende ad accostarsi al centro del midollo, perchè il solco in- feriore torna a farsi profondo nuovamente, e tutto il midollo riprende ancora la sua forma cilindrica. Io non mi accordo con Stieda circa la distinzione che egli fa fra sostanza reticolare, quella che sovrasta immediatamente al canal centrale, e sostanza gelatinosa quella che costituisce la bolla per massima parte. L'una si continua nell'altra e spe- cialmente in un taglio praticato a metà del seno non si può stabilire dove termina l'una e dove comincia l’altra. L'unico carattere, come egli stesso dice, è rivelato dal liquido che si trova nelle maglie dei prolungamenti cellulari, il quale è coa- gulato nella gelatinosa e limpido nella reticolare. Ma questa differenza di aspetto non è veramente a confini tanto marcati, come ho potuto osservare io stesso, da poter permettere una distinzione netta fra le due sostanze; e di più non mi sembra giusto stabilire una differenza quando, anche a suo giudizio, gli elementi che compongono questi due' tessuti sono identici. Possiamo piuttosto dire che la sostanza gelatinosa o meglio sostanza reticolare che riempie il seno romboidale si insinua pure entro il midollo specialmente all’intorno del canal centrale anche oltre i confini del seno stesso come mostra la Fig. 4. Della sostanza contenuta nel seno romboidale. Quanto alla conformazione e natura della sostanza gelati- nosa si sono avute idee molto differenti. Dall’ essere conside- rata come un semplice umore linfatico (Perrault () all’ essere descritta come un tessuto fatto da cellule vescicolari, come lo dissero Remak (?), Stilling (3) e Duval (4), si trova poi una terza (*) Perrault — Op. cit. (£) Remak — Op. cit. (*) Stilline — Op. cit. (4) Duval . — (Op. cit.); prende in esame le varie dottrine ed io rimando al suo lavoro publicato nel giornale di Robin per ciò che riguarda la parte bibliografica. P. LACHI STU idea manifestata per il primo da Metzler (*), che chiamò questo tessuto tela conjunctiva in primo evolutionis gradu o in altre parole lo ritiene per un tessuto reticolato, idea che fu poi seguita da Leydig (?), da Bidder (*) e da Stieda (4). E pur degno di nota che mentre Stilling attribuisce a questa sostanza la natura nervosa, gli altri la considerano connettivale e Duval specialmente come tessuto di nevroglia; egli anzi la descrive come un prodotto della nevroglia periependimaria, la quale avrebbe per punto di par- tenza l’epitelio del canale midollare dell’ embrione, di cui al- cuni elementi sarebbero destinati a formare le cellule gangliari, altri rimarrebbero allo stato vescicolare come avviene nella rana e nei pesci. In altre parole considera questo tessuto come composto di cellule vescicolari e la pia madre non contrarrebbe con esse rapporto alcuno altrochè di contatto. To ho esaminato questa sostanza per dissociazione e in in- sieme. Nel primo caso ho preso il rigonfiamento sacrale di un piccione, asportandolo delicatamente dallo speco vertebrale, quindi l'ho immerso per 24 ore nell’ alcool al terzo e con una punta di ago a lanzia ho perforato la sostanza gelatinosa. Il seno si è immediatamente vuotato. Ho agitato leggermente il liquido e quindi con una pipetta ho raccolto dal fondo del re- cipiente il deposito che vi si era formato e l’' ho trattato con picrocarminio ed acido osmico come suggerisce il Ranvier. Ho sottoposto al microscopio gli elementi così colorati e fissati, ed ho veduto che risultavano specialmente da nuclei, dai quali si irradiavano molti prolungamenti in tutti i sensi. All’intorno dei nuclei non mi fu possibile riconoscere strato alcuno di pro- toplasma tantochè si sarebbe detto che i prolungamenti ema- navano direttamente dai nuclei. Questi hanno un diametro di 4-5 p. ela cromatina sta raccolta al centro formando uno o due ammassi molto refrangenti la luce come mostra la Fig. 8. I prolungamenti sono numerosi e a forma di tenuissimi filamenti, non di lamine, come crede Duval, i quali si anastomizzano con le cellule vicine, tantochè non è facile di vedere elementi iso- (1) Metzler — Op. cit. (®) Leydig — Lehrbuch der Hystologie des Menschen und der Thiere. Frankfurt a M. 1857. — XKleinere Mittheilungen zur thierische Gewebelehre. Muller ’'s Archiv 1854, p. 296. (*) Bidder et Kuffer — Untersuchungen iiber die Textur des Ruckenmarhs. Leipzig 1857. (4) Stieda — Op. cit. 275 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. lati, ma quasi sempre sono riuniti in ammassi composti di vari elementi. Realmente i prolungamenti filiformi di una cellula si anastomizzano con quelli di cellule vicine, ma non convengo con Duval che si tratti per questo di elementi vescicolari. Ri- tengo piuttosto che si tratti di elementi che essendo legati gli uni altri per questi prolungamenti lasciano degli spazi trabe- colari, delle maglie, entro le quali sta il liquido albuminoso che si coagula con gli acidi come aveva notato Stieda. E che realmente sia così lo mostra pure il fatto che, estratto il mi- dollo dallo speco vertebrale insieme con la pia, se con una punta di ago si perfora la bolla gelatinosa, il seno si vuota imme- diatamente e in totalità, osservazione che aveva pure fatta Duval; ciò che non avverrebbe o almeno solo parzialmente, quando si trattasse di elementi vescicolari che l’uno all’altro si addossano e che hanno perciò delle pareti, siano pure sottili. A identico resultato sono giunto esaminando il contenuto del seno nel suo insieme. In tal caso il midollo contenuto an- cora nello speco vertebrale, e questo perforato in qualche punto, ho immerso nel liquido di Kleinenberg, di Erliki o di Muller e una volta indurato e sottoposto all’azione dell’alcool l' ho tolto dalle ossa circostanti. Allora ne ho preso qualche fram- mento e l’ ho colorito in massa con ematossilina di Heidenhain (se era stato nel liquido di Kleinemberg) o con carminio bho- racico o con picrocarminio, e quindi ho incluso il pezzo in pa- raffina o in celloidina. Se poi ho voluto colorire le sezioni ho incluso il pezzo in paraffina e quindi o col processo di Mayer o con quello di Schallibaum ne ho fatta la colorazione sul por- taoggetti, la gran friabilità della sostanza gelatinosa non per- mettendo di colorire le sezioni nelle vaschette. In tal caso ado- perai come sostanze coloranti il carminio boracico, o il picro- carminio o la fucsina acida o l'azzurro di anilina. Anche in questo modo ho potuto convincermi che la so- stanza del seno è costituita da elementi forniti di sottili e molteplici prolungamenti che si anastomizzano con quelli di cel- lule vicine formando un reticolo, entro le cui maglie sta la so- stanza albuminosa. Fin dal 1876 Duval in una adunanza della Societé de Biologie (!) annunciava l’idea che la sostanza gela- (3) Duval — Sur le sinus rhomboidal. Gazette médical de Paris 1876, 47.9 année, 4.8 Serie, T. V, 19 aoùt, pag. 409. Li du NESS CI P. LACHI 279 tinosa fosse costituita da cellule vescicolari e che fin da allora chiamava col nome di nevroglia periependimaria. Hallopeau nella stessa seduta distingueva degli elementi contenenti che formavano la parte principale della detta sostanza e degli altri contenuti, specialmente in vicinanza del canal centrale. Duval poi nell'altro suo lavoro sul seno romboidale ('), ed anche nel Dizionario di Medicina e Chirurgia (?), confermò le stesse idee circa la forma vescicolare della sostanza gelatinosa, e rap- presentò e descrisse dei nuclei contenuti dentro le vescicole (Fig. 4. PI.1). Ora secondo le mie osservazioni questi nuclei contenuti sono perfettamente identici a quelli che si trovano sulle pareti delle ammesse vescicole e da essi emanano dei pro- lungamenti che si connettono con quelli delle cellule vicine, e costituiscono anzi un nuovo dato per escludere la forma vye- | scicolare degli elementi stessi. L’apparenza descritta e figurata da Duval dipende da ciò che nelle sezioni vengono tagliati dei prolungamenti che traversavano le maglie formate da quelli di altri elementi e quindi sembrano liberamente contenuti entro di esse. Però a bene osservare e quando la colorazione sia buona, tutti quegli elementi che sembrano liberi presentano sempre all'esame microscopico altri prolungamenti sebbene fini, ma che li collegano a quelli di altre cellule. Un'altra circostanza mi piace notare, cioè che le cellule della sostanza gelatinosa contraggono realmente rapporto con la pia, sebbene Duval lo abbia negato, ed anzi esso è talmente intimo che oltre che connettersi con le cellule della pia si por- tano pure ai vasi che da questa emanano e che penetrano nella sostanza gelatinosa. A tale resultato sono giunto trattando il midollo con la nota reazione nera di Golgi. Con questa i de- licatissimi prolungamenti cellulari si colorano in nero come i nuclei da cui sembrano emanare. Come hanno rapporto questi elementi con la pia così ne contraggono con la nevroglia della sostanza bianca e della grigia circostante non che con gli ele- menti epiteliali del canal centrale, e debbo anzi dire che la reazione di Golgi si verifica più facilmente nella sostanza ge- latinosa più vicina a questo che in quella periferica. (1) Duval — Recherches sur le sinus rhomboidal. Journal de l Anatomie et de la Physiologie. Paris 1877, N.° 1, pag. 19. (*) Duval — Nouveau Dictionnaire de Medecine et Chirurgie - Systeme Nervewx - 1877, p. 477. 280 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC, La reazione di Weigert, che ho praticato ripetutamente in questa parte del midollo nel pollo e degli uccelli più comuni, mi ha fatto vedere qualche fibra nervosa in mezzo alla sostanza gelatinosa, e nel resto gli elementi cellulari di essa e i loro prolungamenti assumevano il colore giallo-bruno della sostanza grigia e degli elementi che rivestono il canal centrale. Non credo sia facile potere dopo tuttociò stabilire la na- tura della sostanza gelatinosa, ma sia per le reazioni, come per il nesso con le parti circonvicine e per la origine. embrio- nale della quale dirò più tardi, inclinerei a ritenerla per una modificazione del tessuto di nevroglia. Mi riserbo in altra pu- blicazione relativa allo sviluppo del midollo spinale del pollo di dimostrare più precisamente questo concetto. Perciò in questo mi accordo con Duval e credo anzi che la forma degli elementi componenti, fatta cioè da piccole cellule con numerosi e fini prolungamenti stia in armonia con la struttura della nevroglia più che la forma vescicolare degli elementi stessi. Il fatto però delle anastomosi fra i prolungamenti, che a me è sembrato di constatare starebbe in disaccordo col concetto della nevroglia espresso da Golgi (*) ma non disdirebbe con l’idea di una mo- dificazione della nevroglia sopra enunciata. Lobi accessorii Per lo studio dei lobi accessori furono diversi i processi tecnici adoperati. Furono liquidi fissatori il liquido di Kleinen- berg, il liquido di Muller o quello di Erliki, e il bicromato di potassa e la miscela osmio-bicromica per la reazione nera al nitrato di argento. Quali materie coloranti usai il picrocarmi- nio di Ranvier, il carminio boracico di Napoli, l’ematossilina di Weigert modificato da Rossi (?), la picronigrosina di Marti- notti, e finalmente alcuni dei pezzi fissati col liquido di Klei- nenberg trattai con la ematossilina alla maniera di Heidenhain, che mi dette eccellenti resultati per lo studio delle cellule ner- vose. Infine esaminai gli elementi per dissociazione col processo di Ranvier, cioè alcool al terzo, picrocarminio e acido osmico. (1) Golgi — Sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso. Mi- lano 1886, pag. 154 e seg. (£) Rossi U. — Modificazione al processo del Weigert. Sperimentale 1888, p. 631. î MP, lei P. LACHI 281 Ecco senz'altro i resultati, ai quali sono giunto. Gli ammassi in questione sono avvolti all’esterno dalla pia madre per mezzo di un sottilissimo strato. La parte principale di detti ammassi è fatta da una sostanza gelatinosa, la cui natura è perfetta- mente simile a quella del seno romboidale, cioè nuclei da cui sì irradiano in tutti i sensi tanti sottilissimi prolungamenti, fra le maglie dei quali sta un liquido che si coagula o no se- condo vari punti, e che si colora debolmente con il carminio e con la ematossilina come mostra la Fig. 6. in qualche punto. I detti prolungamenti esternamente si mettono in rapporto con gli elementi della pia, e internamente con la nevroglia che so- stiene le fibre nervose dei ‘cordoni laterali. Vi si trovano vasi scarsi e sottilissimi. Esistono in questi stessi ammassi delle fibre nervose mieliniche che mi sono state rivelate dal picro- carminio, dalla ematossilina di Weigert e dalla colorazione nera di Golgi. Tali fibre che si trovano più specialmente verso il lato mediale penetrano nei cordoni anterolaterali, nè mi fu possibile stabilire la loro ulteriore destinazione. Finalmente in questi stessi ammassi gelatinosi trovansi delle cellule nervose ben distinte e ben caratterizzate quali sono fi- gurate nella Fig. 7. e nella Fig. 6.C. Esse in sezioni trasver- sali si presentano di forma rotondeggiante, ovalare, piriforme o poliedrica. Posso però dire che in generale non presentano molti prolungamenti; difficilmente ne ho veduti più di quattro compreso il nervoso, come mi ha mostrato il processo per dis- sociazione e quello di Golgi. Mancano di membrana sebbene a contorno ben delineato; il contenuto è finamente granuloso e striato; nè tutte le cellule si colorano con la stessa intensità come aveva osservato Stieda (4) e come più recentemente fu veduto da Benda (?) e da Virchow (3); particolarità questa che meglio si rese palese nei preparati trattati con il liquido di Kleinenberg e con la ematossilina Heidenhain. In gene- rale però tali cellule si coloravano intensamente e irregolar- mente, appartengono cioè alla terza delle categorie distinte da (*) Stieda — Op. cit. a pag. 65. (*) Benda — Anatomischer Anzeiger 1886, p. 290. Uebder chromophiler Granu- lationen im Ruckenmark. (*) Virchow H. — Ueber grosse granula in Nervenzellen des Kaninchenrucken- marks. Centralblatt f. Nervenheilkunde ete. 11 Jahrgang 15 jannar 1888, N.0 2. 282 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. Benda. Oltre le varie granulazioni, specialmente esaminando questi elementi per dissociazione sono da notarsi delle picco- lissime vescicoline di forma rotonda che per l'acido osmico venivano fortemente colorate in nero. Queste avevano più specialmente sede attorno al nucleo, un po’ più scarse alla periferia e lungo i prolungamenti protoplasmatici, nessuna nel prolungamento nervoso. Caratterizzo queste vescicoline per adi- pose per la reazione nera impartita loro dall’ acido osmico, per la forma e per la appena riconoscibile presenza negli elementi che non avevano risentito l’azione dell'acido osmico stesso (4). Il nucleo di forma ovoidale o sferica e di aspetto vescico- lare, come suole essere nelle cellule nervose ha un diametro di 12-14 p, ha una evidente membrana nucleare e un evidente nucleolo di 4-5t, che si colora fortemente con le varie so- stanze coloranti. La cromatina sparsa sotto forma di piccole granulazioni trovasi attorno al nucleolo e variamente diffusa nel resto del nucleo. Queste cellule nervose hanno un diametro medio di 25-30 t; e sia per le dimensioni come per le altre caratteristiche somigliavano moltissimo quelle dei corni ante- riori. Gli elementi cellulari di natura nervosa che ho riscon- trati in questi lobi accessori del midollo spinale sono in numero ragguardevole, tantochè in qualche sezione del midollo in cor- rispondenza di questo punto ne ho potuto contare fino a 20 da ogni lato. Sono sparsi irregolarmente, ma in generale sono riuniti in gruppetti di due o tre, e più facilmente si incontrano verso il confine coi cordoni di sostanza bianca. Praticando sezioni in serie di questa porzione di midollo nel pollo e in altri uccelli ho veduto che elementi cellulari ner- vosi si incontrano pure nei cordoni antero-laterali, aventi le caratteristiche di quelli sopradescritti. In generale sono più sparsi e sitrovano in mezzo alle fibre nervose nell'angolo di unione fra il cordone laterale e il cordone anteriore come mo- stra la fig. 5.C. Corrispondono in altre parole alla prosecuzione del corno anteriore di sostanza grigia sebbene da questo af- fatto indipendenti. In generale se ne trovano da tre o quattro per ogni lato e facendo sezioni in serie si osserva che più fa- (1) Escludo che fossero di pigmento perchè non si vedevano nelle cellule che non avevano subìto l’azione dell’ acido osmico e per la loro forma perfettamente sferica. P. LACHI 55. AB cilmente si trovano nei segmenti di midollo interposti fra un paio di lobi accessori e gli altri sopra o sottostanti, ciò che fa l'impressione che questi elementi così sparsi stiano a rap- presentare un’ anello di congiunzione fra i corni anteriori e i lobi accessori. L'esistenza di elementi cellulari nervosi nella sostanza bian- ca fu constatata da Krause ed è riferita pure da Schwalbe (1) dove si dice che tale avvenimento è più frequente nel cordone laterale. Perciò la particolarità di cellule sparse nei cordoni- antero-laterali degli uccelli non fa che confermare l’osserva- zione di Krause, quella di Gerlach e di Beisso (*) e di altri. Istogenesi della sostanza gelatinosa del seno romboidale e sviluppo dei lobi accessori. Come fa notare Balfour (*) non deve confondersi il seno romboidale del midollo spinale già sviluppato col seno rom- boidale esistente nei primi periodi di sviluppo dovuto al diva- ricamento delle ripiegature midollari nella parte posteriore. Balfour osserva che dopo la formazione di 10 somiti si chiude anche questo seno romboidale. Sebbene per le mie osservazioni la chiusura del tubo midollare avvenga dopo che si sono svilup- pati 14 somiti (Kélliker (4) dice dopo 18), pure è un fatto che il tubo midollare si chiude ben presto e non comprendo perchè il Falzacappa in un suo recente e interessante lavoro sullo svi- luppo del midollo spinale degli uccelli (9) abbia rappresentato nella fig. 2 la comunicazione del tubo midollare coll’ esterno per il solco longitudinale superiore, e come ricordi pure questa comunicazione nel testo. Se nei passati tempi la mancanza dei mezzi di indagine ha fatto credere, e per lungo tempo, che nel seno romboidale si avesse una libera e permanente comunica- zione del canal centrale collo spazio sottoaracnoidale, come av- viene per il quarto ventricolo, oggi però non si può ammettere (1) Schwalbe — Lelrbuch der Neurologie. Erlangen 1888, pag. 373. (*) Beisso — Del midollo spinale. Genova 1873. (*) Balfour — Traité d’ Embryologie et d' Orgamogenie comparte. Trad. par Robin et Mocquard. Paris 1885, p. 152. (4) Kolliker — Manuel dl’ Embryologie. Trad. Paris 1882, p. 601. (*) Falzacappa — Ricerche istologiche sul midollo spinale degli Uccelli. Rendi- conti della R. Accademia dei Lincei, Roma 1889, 284 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. in nessun periodo di sviluppo e in nessun punto del midollo spinale la comunicazione predetta. Il tubo midollare si chiude dappertutto e solo successivamente (sebbene non da tutti ac- cettata) avviene la formazione di una unica apertura nei centri nervosi cioè il foro di Magendie, ed io credo di poter ciò con- fermare coi miei preparati. Ciò premesso, due punti dobbiamo prendere in i considera- zione per comprendere la formazioue della sostanza gelatinosa, cioè il come avvenga il ristringimento del tubo midollare e che cosa avvenga degli elementi epiteliali ectodermali del tubo midollare stesso. 5 Quanto alle cellule del tubo midollare in una mia comu- nicazione (!) mostrai come per dato e fatto della scissione in- diretta loro si abbia l'aumento nello spessore e nella lunghezza del tubo stesso. Ora è da ricordare come dopo il 4.° giorno di incubazione dell'uovo di pollo (secondo le mie ricerche) sia pos- sibile fare degli elementi così accresciuti quella tanto utile di- stinzione che fu fatta da His (?) cioè strato interno e strato del mantello, i quali bene l’uno dall'altro si distinguono per essere lo sno interno costituito da elementi molto stipati. l’uno al- l’altro con scarso protoplasma e direzione radiata. È pure in quest’ epoca che compariscono le prime fibre nervose a formare una specie di guscio molle e delicato attorno ai due strati degli elementi così proliferati, eccetto però in un punto, cioè, nella parte dorsale, dove gli elementi stessi si trovano a contatto colla nascente pia madre, o in altre parole cogli elementi del mesoderma, ciò che è comune in tutti i punti del midollo spinale. Ma in un'epoca successiva e più precisamente verso il 7.° giorno nel pulcino, cambiano alquanto le cose. Dal mantello hanno tratto origine le cellule nervose per formare le corna anteriori e le altre circostanti al canal centrale mentre tuttora la zona interna forma una specie di cuneo con spigolo ventrale e base dorsale nel cui mezzo sta il canal centrale. (1) Lachi — Za moltiplicazione cellulare nel tubo midollare. Atti della Accademia Medico-Chirurgica di Perugia, Vol. I, fasc. 1.0 1889. (£) Oltrechè in altre pubblicazioni dello stesso autore si trova la detta distin- zione in Ueber die embryonale Entwickelung der Nervenbahnen. Anatomischer An- zeiger 1888, N.0 17 e 18, pag. 502. PA RIVA P. LACHI 285 Tale strato è ciò che dà origine alle varie specie di sostanza gelatinosa, quella cioè del canal centrale, quella di Rolando (seguo in ciò le idee di Corning (*)), e, secondo il mio modo di vedere, anche quella del seno romboidale. Nel midollo spinale del pollo in genere si possono seguire per queste sostanze ge- latinose (quella di Rolando e quella pericentrale) le fasi che il Corning ha riscontrato nel coniglio e in altri embrioni, come ho indicato in una recente comunicazione (2). Succede cioè che il progressivo aumento della sostanza bianca dalla parte ven- trale verso la dorsale e l'aumento della sostanza grigia ri- stringono sempre più quella base di strato interno che si appli- cava di contro alla pia, come mostra la Fig. 9. In una fase successiva poi, ciò che può vedersi al 9.° e 10.° giorno, l’inva- sione mediale dei due cordoni posteriori giunge a tal punto che solo un prolungamento di pia madre li separa fra loro, e si forma così il soleo mediano posteriore. Questo è ciò che av- viene nel midollo spinale in generale, ed è per questo mecca- nismo che si formano i due ammassi gelatinosi di Rolando, mentre la progressiva formazione della sostanza grigia restringe il resto della zona interna attorno al canal centrale per for- mare la sostanza gelatinosa pericentrale. Ora in corrispondenza del rigonfiamento lombare quest’ ul- time fasi non avvengono; ma mentre i cordoni posteriori si avanzano verso l'interno e si insinuano da ambedue i lati nella base dello strato interno fra il Deckplatte e il Fugelplatte di His; e distinguono così le due masse gelatinose dei corni po- steriori, come mostra la Fig. 10. Sg. È, rimane però una parte mediana della Jamina interna Sy (Deckplatte di His) ancora in rapporto colla pia, ciò che sì osserva al 9.° giorno, ed è questa appunto che, ad onta dello sviluppo ulteriore del midollo, dà luogo alla formazione della sostanza gelatinosa del seno rom- boidale. Si direbbe in altre parole che mentre nel resto del mi- dollo i due cordoni posteriori sono spinti l’uno verso l'altro, nel rigonfiamento lombare per il potente sviluppo dei nervi delle estremità posteriori, come voleva appunto Nicolai (*), le . (* Corning — Veber die Entwicklung der Substantia gelatinosa Rolandi beim Kaninchen. Archiv fiir mikroskopische Anatomie. Viertes Heft 1888, Bonn. (*) Lachi — Sulla origine delle sostanze gelatinose nel midollo spinale del pollo. Atti dell’Accademia Medico-Chirurgica. Perugia, Vol. 1, fasc. 4.9, 1889. (#) Nicolai — Op. cit. 286 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. due metà del midollo non si accostano, e rimane ancora una condizione embrionale rappresentata dalla sostanza gelatinosa. È pure da tener conto in queste fasi di sviluppo del mi- dollo spinale, del canal centrale. Secondo le mie osservazioni, nel pollo, delle tre sezioni in cui si può distinguere il canal midollare è l’anteriore sola quella che si mantiene pervia a costituire il canal centrale. Difatto anche nei primi periodi di sviluppo la parte ventrale del tubo midollare trovasi al di sopra della commissura bianca e può questa essere seguita, facilmente nelle fasi ulteriori; si può perciò vedere che essa conserva i rapporti che aveva primitivamente ad onta che la parte rimanente si obliteri. Ma vi ha di più che la parte del- l’epitelio del tubo midollare, dove più a lungo si conserva la. proliferazione, è la metà dorsale di esso e tanto si conserva attiva che le due pareti laterali del canal centrale vengono . a toccarsi l'una con l’altra come mostra la Fig. 9, mentre rimane solo un piccolo pertugio non costante nell'estremo po- steriore del canale midollare, e una larga apartura dalla parte ventrale di esso. Nella fase successiva rappresentata dalla Fig. 10. .e circa all’ 8.° giorno, le due pareti laterali si sono fuse fra loro, in modo da non rimanere alcuna traccia, il pic- colo pertugio posteriore è obliterato, e non rimane che la se- zione anteriore a costituire il canal centrale. Questo è ciò che io posso asserire per le mie osservazioni, e consegue da queste che l'ammasso gelatinoso del seno romboidale deriva dagli ele- menti della metà dorsale della lamina interna. E vero che gli elementi costituenti la sostanza gelatinosa del seno si mostrano meno ammassati che non siano quelli della sostanza gelatinosa di Rolando e della pericentrale, come mostra la fig. 9, e spe- cialmente nel mezzo; ma è però da notare che i nuclei che costituiscono la parte principale di tali elementi presentano identiche caratteristiche tanto nell’una come nelle altre, uguali maniere di reagire di fronte alle sostanze coloranti, per cui sono da ritenersi di identica natura; e se sono meno stipati, ciò dipende dalle parti circostanti, che cioè nei corni posteriori il progrediente sviluppo della sostanza bianca da un lato, la grigia dall’ altro serrano e stringono fra loro gli elementi della sostanza di Rolando; all’intorno del canal centrale parimente la sostanza grigia li comprime e li ammassa, mentre in corri- P. LACHI 287 spondenza del seno, non avendo al disopra che la pia madre ed essendo divaricate le due metà del midollo, tali elementi hanno facoltà di espandersi e di allontanarsi l'uno dall'altro. Tanto ciò è vero che, mentre nei primi stadi non presentano differenza nei vari punti del tubo midollare, le differenze si stabiliscono dal momento della comparsa del seno cioè verso 1°8.° giorno. È fin da questo momento che la nascente sostanza gelatinosa risulta di elementi che emettono dei sottili prolungamenti che si uni- scono con quelli delle cellule prossime e che formano delle maglie prima piccole, poi grandi, ove sta il liquido albuminoso. Quale parte prende, si può domandare, il mesoderma nella for- mazione della sostanza gelatinosa? Che il mesoderma vi rimanga affatto passivo non potrei dirlo dal momento che fin dalla prima formazione e a sviluppo completo la sostanza gelatinosa è tra- versata da vasi provenienti dalla pia madre; ma siccome que- sta questione si ricollega colla natura della nevroglia, mi ri- serbo di tornare su questo argomento in altro lavoro, limitan- domi ora solo a dire che anche il mesoblasto prende parte alla formazione della sostanza gelatinosa. Ciò che più specialmente mi interessa adesso si è di fissare che la sostanza gelatinosa di Rolando, quella pericentrale e quella del seno romboidale hanno tutte una medesima origine embrionale, e che anzi il modo di sviluppo di quest’ultima ci sta a rappresentare una fase più avanzata di quel che non sia nelle altre sostanze gelatinose. Il mio modo di vedere a tal riguardo non collima colla maniera di sviluppo indicata e figurata da Duval (!). Egli in un embrione di 9 giorni descrive e rappresenta come elementi costituenti il primo abbozzo della sostanza gelatinosa del seno quelli che io rappresento e descrivo come cordoni posteriori del midollo spinale (Fig. 9). Inoltre egli rappresenta una traccia di obliterazione del canal centrale in un embrione di pollo a 15 giorni, che dalla pia madre che veste la sostanza gelatinosa va fino al canal centrale, ciò che non è in nessun periodo di sviluppo, mentre secondo me questa obliterazione avviene verso l'8.° 0 9.° giorno e già al decimo non si presenta nella sostanza gelatinosa del seno traccia alcuna della parte dorsale del ca- (1) Duval — Op. cit. 288 PARLICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. nale obliterato. A conferma di quanto asserisco si confronti la mia fig. 10, con la fig. 1.* PI. IV, del lavoro di Duval, e si vedrà che non esistono quelle due masse B' da esso indicate come abbozzi della sostanza gelatinosa. A identico resultato sono ve- nuto trattando gli embrioni in diversa maniera: fissandoli cioè con il liquido di Kleinenberg o di Erliki e includendoli poi in paraffina o in celloidina; facendo infine colorazioni in massa con carminio boracico, picrocarminio, ematossilina di Heidenhain o delle sezioni con colori identici. Nè in questo periodo nè negli altri precedenti o successivi ho mai veduto le due masse late- rali al segmento dorsale del canal centrale, in questa regione già differenziate come egli le figura e descrive; ma è piuttosto tutto il segmento posteriore dello strato interno che si modi- fica per la formazione della sostanza gelatinosa. Del resto sic- come Duval ammette l'origine di questa sostanza gelatinosa dall’epitelio del tubo midollare io concordo in questo col di- stinto embriologo, e solo faccio una certa riserva per ciò che riguarda l'indipendenza di essa dalla pia madre ossia dal me- soblasto. Quanto all’ origine embrionale dei lobi accessori posso dire che fino dal 7.° giorno di covatura si osserva che il corno an- teriore nel suo estremo più laterale non è coperto affatto dalle fibre nervose come mostra la Fig. 8. C.@ e quindi si trova a contatto con la pia madre; ma in stadi successivi avviene che la sostanza bianca del cordone antero-laterale si insinua fra gli elementi del corno anteriore nella sua parte più esterna, talchè una porzione rimane al di fuori (lobi accessori) e solo pochi elementi rimangono in qualche punto isolati a rappresen- tare questa primitiva dipendenza loro e a dimostrare il mec- canismo per il quale la separazione si è effettuata (Fig. 10. L. a). E però da notare che le cellule nervose dei lobi accessori si trovano in mezzo ad una trama gelatinosa. Ora faccio rilevare come nei primi periodi questa risulti da elementi uguali a quelli della sostanza gelatinosa pericentrale, di Rolando, e del seno e perciò si sarebbe inclinati a considerare questa pure come derivante dalli stessi alementi embrionali, e come avente un identico ufficio. Ma su questo argomento molto importante e difficile intendo tornare in altro lavoro. SÉ 3 i 295 È ti _ rr — —— E> ii * bat * dala N P. LACHI 289 Significazione dei lobi accessori. Quanto alla significazione morfologica delle masse nervose testè descritte debbo notare prima di tutto che le ho chiamate col nome di lodi accessori in accordo con altre, sebbene molto diverse per sede, forma e struttura descritte da Ussow e da altri nel midollo spinale dei pesci ossei in corrispondenza della porzione cervicale (!). E siccome queste stanno a rappresentare delle formazioni analoghe alle olive bulbari, come dice lo stesso Ussow, così anche per analogia di sviluppo non mi sembra in- verosimile paragonarle a quelle. Ora sebbene la formazione del seno romboidale, come fa notare Krause, non sia da confon- dersi col ventricolo terminale nè col quarto ventricolo, pure non crediamo affatto strano se torniamo all'idea di un cervello sa- crale. Le particolarità dello scheletro in modo più spiccato e rappresentate da una larga cavità maggiore anche di quella del cranio nello Stegosauro, come ha osservato Wiedersheim (?) invitano a considerare il rigonfiamento sacrale di quello e degli uccelli come un cervello sacrale, sebbene questo venga conte- stato da Krause (3); l’esistenza poi dei lobi accessori e la loro (') Su tale argomento sono stati publicati vari lavori e fra questi ricordo: Col- lins — System of comparative anatomie. London, Vol. II - Tiedemann — Von dem Hirn und dem PFingerformigen Fortsitzen der Triglen. Meckel’s Archiv f. die Physiol 1816, Bd. II. - Arsaky — De Piscum cerebro et medulla spinali etc. Leipzig 1856. - Zincone — Sulle prominenze del midollo spinale delle Trigle. Napoli 1878. — G. Fri- tscke — Untersuchungen diber d. feineren Bau d. Fischgehirus. Berlin 1878. - Ussow — De la structure des lobes accessoires de la mbelle epiniere de quelques poissons osseux. . Archives de Briologie, T. III, 1882, p. 605. - W. Vignal — Sur les lobes accessoires de la moelle du mole (orthagoriscus mola). Comptes rendus ebdomadaires de la Société de Biologie. Marzo 1886, T. III, N.° 11, p. 144. Più importante però è l’ osservazione di Gaskell (On a segmental group of ganglion cells in the spinal cord of the Alligator. Journal of Physiol. 1886, VII) che ha riscon- trato una serie di cellule lungo i lati del midollo cervicale e dorsale dell’Alligator. (*) Wiedersheim — Zur Paleontologie Nord Amerikas. Biologisches Centralblatt 1881, N.° 12, p. 371. (*) Giova anzi a tal proposito ricordare come W. Krause (Der Ventriculus ter- minalis des Riickenmarks. Archiv’s f. mikr. Anat. 1874 a pag. 221) mentre rammenta di non confondere il ventricolo terminale con il seno romboidale degli uccelli, aggiunge che questo presenta il canal centrale chiuso e che la sostanza gelatinosa non è altro che un enorme inspessimento connettivo mucoso del setto longitudinale posteriore. Confutando poi l’idea di Wiedersheim in altro suo lavoro (Zum Sacralhirn der Ste- gosauri. Biologisches Centralblatt 1881, N.° 15, p. 461) conferma l’idea precedente. 290 PARTICOLARITÀ ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. analogia colle eminenze olivari potrebbe perciò confortare la detta idea. Questo concetto però merita ulteriori ricerche, ed io mi limito ad annunciarlo solo per mostrare come la esistenza dei lobi accessori costituisce un’ altra delle modificazioni nella parte inferiore dell'asse nervoso analoghe (non uguali) a quelle che si osservano nella parte superiore. Oltre le osservazioni sopra ricordate, dell’esistenza cioè di cellule sparse nei cordoui anteriori e laterali fatte da Krause, da Gerlach, da Beisso e da altri in vari animali, non costanti per sede e posizione, ma che potrebbero trovare appoggio nel- l’esistenza degli elementi sparsi fra i cordoni stessi nel rigon- fiamento lombare degli uccelli, piacemi ricordare l’ osservazione fatta da Rossi (!) dell’esistenza cioè di un vero prolungamento laterale della sostanza grigia con cellule nervose, riscontrata nel rigonfiamento cervicale di un cane, e osservazioni conge- neri fatte da altri. Tali osservazioni sulla base embriologica sopra stabilita per la formazione dei lobi accessori degli uccelli possono trovare la spiegazione e la loro significazione morfo- logica nell'esistenza costante di cellule nervose nel cordone antero-laterale del rigonfiamento sacrale degli uccelli. Ma un fatto anche più importante è quello descritto dal Conti nell'uomo (?), che cioè in corrispondenza del rigontiamento. lombare esiste quasi costantemente una colonna di cellule ner- vose nella parte più periferica del cordone antero-laterale, nel punto preciso in cui il cordone anteriore si unisce col laterale. Questa pregevole osservazione che può secondo lo stesso Conti ricordare l’esistenza di una serie di cellule nervose della re- gione cervicale e dorsale dell’ Alligator fatta da Gaskell ha un’ ampia spiegazione nella osservazione dei lobi accessori da me fatta nel rigonfiamento sacrale degli uccelli. Quindi nella scala dei vertebrati si possono riscontrare. gli avvenimenti seguenti: 1.° propagini di sostanza grigia attra- Però non mi sembra strano il far rilevare come sebbene le modificazioni non siano identiche è un fatto che si ha qualche analogia ai due estremi dell’asse nervoso spinale. (1) Rossi U. — Di una anomalia della sostanza grigia nel midollo spinale di un cane. Sperimentale 1889, Fasc. 5.° pag. 499. (®) Conti — Un nuovo nucleo di cellule nervose capsulate del cordone bianco an- tero-laterale nel midollo lombare dell’uomo. Giornale della R.® Accademia di Medicina di Torino. 1888, N.0 7. 7 P. LACHI 291. verso il cordone laterale, (osservazione di Rossi nel cane), 2.° cellule sparse nel cordone antero-laterale (osservazione di Krause, Gerlach, Beisso ed altri nell'uomo ed in altri mam- miferi), 3.° ammassi di cellule nervose nello spessore dei cor- doni antero-laterali in colonne (osservazioni di Gaskell nell’Al- ligator e di Conti nell'uomo), 4.° lobi di cellule nervose appli- cati alla periferia del midollo (osservazioni di Ussow e di altri nelle triglie e le mie negli uccelli). Tutte queste varie eve- nienze hanno la loro spiegazione embriologica nel fatto cioè che la sostanza bianca durante il suo accrescimento insinuan- dosi nel mantello abbraccia entro se non completamente una parte di esso (caso 1.°); o isola dagli altri qualche elemento cellulare del mantello stesso (caso 2.°) o separa e respinge fino alla periferia una colonna di elementi o degli ammassi di questi (caso 3.° e 4.°). Da ciò l’importanza.dal lato morfologico dei lobi accessori da me descritti nel rigonfiamento sacrale degli uccelli. Conclusioni Il rigonfiamento sacrale degli uccelli presenta a considerere oltre le più note le seguenti particolarità: 1.° Nella sua faccia inferiore una intelaiatura di pia madre fatia da strie longitudinali e da trasversali; delle longitudinali sono due laterali fra la faccia inferiore e la laterale, e una mediana corrispondente al solco longitudinale inferiore: le tra- sversali corrispondono al limite di separazione fra un somito e l’altro. 2.° Il seno romboidale non è che l’effetto di un divari- camento dei cordoni posteriori del midollo in questa regione; il canal centrale sebbene si avvicini alla faccia inferiore si con- tinua senza dilatazione anche in corrispondenza del rigonfia- mento e non prende alcuna parte alla formazione del seno. 3.° La sostanza gelatinosa oltre a riempire il seno rom- boidale si insinua in alto e in basso entro la sostanza grigia attorno al canal centrale oltre il rigonfiamento. 4° La sostanza gelatinosa è fatta da cellule fornite di tanti sottili prolungamenti che anastomizzati con quelle di cel- Sc. Nat. Vol, X. 19 292 PARPICOLARITA® ANATOMICHE DEL RIGONFIAMENTO SACRALE ECC. lule prossime formano un reticolato entro le cui maglie sta un liquido albuminoso; tali elementi possono rappresentare una modificazione della comune nevroglia. 5.° Nel rigonfiamento lombare degli uccelli al disopra dei festoni del ligamento dentato esistono sulla faccia laterale in corrispondenza del limite fra i vari metameri tanti piccoli Zobé accessori variabili da 5 a 8 paia. 6.° I lobi accessori sono fatti da cellule nervose e da uno stroma gelatinoso analogo alla sostanza gelatinosa del seno. 7.° La sostanza gelatinosa del seno comparisce nel pollo all’ 8.° giorno di covatura, ed è una derivazione della parte dorsale della lamina interna (His). 8.° I lobi accessori sono una derivazione dei corni ante- riori del midollo e si distinguono da questi verso 1’ 8.° giorno di covatura. 9.° Questi lobi mentre hanno riscontro in ammassi ner- vosi congeneri, lodi accessori di alcuni pesci ossei, e in altri ri- scontrati nell’ Alligator danno la spiegazione del significato di ammassi quasi congeneri riscontrati nel rigonfiamento lombare dell’uomo (). Perugia, 1.° luglio 1889. (4) AI momento in cui questo lavoro veniva stampato ho potuto avere sott’ occhio il trattato di Bronn (Klassen und Ordnung des Thier-Reichs. Bd. VI, Abth. IV. - 16 e 17 Lieferung. 1887) dove si parla del cordone laterale longitudinale di pia madre, ma non parla dei trasversali. Bronn parla pure di un gruppo periferico di cellule ner- vose come dipendente dai corni anteriori, e corrispondente a quelli che io ho chiamato lobi accessori, ma non indica la loro disposizione prettamente e costantemente meta- meriale quale io ho indicata. Non parla del loro sviluppo. Mi duole però di non averlo potuto vedere in tempo per citarlo opportunamente, mentre d'altro lato sono lieto che le mie osservazioni concordino per la maggior parte con quelle del detto autore. me. S.g Fig. 1. Faccia inferiore del rigonfiamento sacrale di un pollo, Fig. 2. Faccia infero-laterale del rigonfiamento sacrale di pollo, Fig. 3. Faccia superiore del rigonfiamento sacrale, due volte SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (Tav. XV). N coperto dalla pia meninge, due volte ingrandito. Dura madre. 1 Cordoncino laterale di pia madre (Ligamento dentato). Cordoncino inferiore mediano di pia madre. Radici inferiori. Ligamento dentellato (Festone). Lobi accessori. spogliato delle meningi, ingrandito due volte. Cordoni inferiori. u laterali. Solco longitudinale inferiore. Solchi trasversali. Solco laterale. Nervi spinali (schematici). Sostanza gelatinosa del seno romboidale. Lobi accessori. ingrandita. Radici posteriori. Sostanza gelatinosa del seno romboidale. 294 SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 4. Sezione sagittale schematica del rigonfiamento sacrale che passa per i solchi longitudinale superiore e inferiore. C.a = Cordone inferiore. C.p = Cordone superiore. P.m = Pia madre. C.g = Commissura grigia. C.b = Commissura bianca. C.c = Canal centrale. S.g = Sostanza gelatinosa del seno romboidale. Fig. 5. Sezione trasversale del rigonfiamento sacrale del piccione a metà del seno romboidale. Ingrandimento 4/1. P.m = Pia madre che riveste la sostanza gelatinosa. P.m! = Cordoncino laterale in sezione (Ligamento dentellato) . P.m? = Cordoncino mediano. P.m? = Cordoncino trasversale in sezione. P.m* = Espansione della pia madre fra la sostanza gelatinosa e i cor- doni superiori. C.p = Cordoni superiori. S.g = Sostanza gelatinosa del seno. R.p = Radici superiori. Ci.p = Corni superiori. Ci.a = Corni inferiori. L.a = Lobi accessori. Cc = Cellule nervose sparse neì cordoni inferiori. C.c = Canal centrale. A.m.i= Arteria medullae inferior. Fig. 6. Sezione trasversale di un lobo accessorio (Piccione) Zeiss Oc. 2 — Ob. DD. — Camera chiara di Zeiss. D.m = Dura madre. L.d = Ligamento dentellato. P.m = Pia madre involgente un lobo accessorio. L.a = Lobo accessorio. S.g = Sostanza gelatinosa del lobo accessorio. P.m: = Cordoncino laterale di pia madre. Cc = Cellule nervose. C.1. = Cordone laterale. |P. LACHI — SPIEGAZIONE DELLE FIGURE 295 Fig. 7. Cellule nervose dei lobi accessori del Pollo. Dissociazione col processo di Ranvier. Zeiss Oc. 5 Ob. DD. Camera chiara Zeiss. Fig. 7. Cellule della sostanza gelatinosa del seno e dei lobi ac- cessori. Dissociazione Ranvier. Oc. 2 Ob. 1/12. Immers. Omog. Tubo lungo 155. a.b = Due cellule anastomizzate. Fig. 9. Sezione trasversale del tubo midollare di un embrione di pollo al 7.° giorno di covatura, a livello della porzione sacrale. Zeiss. Oc. 2. Ob. AA. Lunghezza del tubo 170 mm. I = Cellule dello strato interno (Innenzone-His). M = Cellule del Mantello (Mantelschicht). S.g = Porzione dorsale dello strato interno. C.p = Cordoni superiori. C.t. = Cordoni laterali. Ce.a = Cordoni inferiori. C.c = Parte più inferiore del canal centrale che rimane pervia, men- tre le altre porzioni sono per obliterarsi; rimane un pertugio nella parte superiore. Cc = Corda. Fig. 10. Sezione trasversale del midollo di un embrione di pollo a 9 giorni di covatura, a livello del rigonfiamento sacrale. Zeiss. Oc. 2, Ob. AA. Lunghezza del tubo 160. I = Residuo di strato interno che riunisce la sostanza gelatinosa di Rolando alla pericentrale. M = Strato del Mantello. C.p = Cordoni superiori. Sg.R = Sostanza gelatinosa di Rolando. P.m = Pia madre. C.IL. = Cordone laterale. S.g.c = Sostanza gelatinosa pericentrale. Co.a = Corno anteriore (cellule). L.a = Lobi accessori già separati dal corno anteriore. C.a = Cordone inferiore. C.c = Canal centrale. CC. = Corda. S.g = Sostanza gelatinosa del seno in via di sviluppo. INDICE DEL VOLUME X. Gioli dott. G. Sonsino dott. P.. Chiarugi G. . .. D’Abundo dott. G. Bertelli dott. D. Beer... . Valenti dott. G. Chiarugi Giulio . Gioli dott. G. . . Lachi prof. P. aaa tarata . — Fossili della oolite inferiore di S. Vi- gilio e di monte Grappa ecc. — Ricerche sugli ematozoi del cane e sul ciclo vitale della tenia cucumerina — Anatomia di un embrione umano della lunghezza di mm. 2, 6 in linea retta. -- Un nuovo miografo . : — Il muscolo temporale superficiale — Sulla lherzolite di Rocca di Sillano(Monte Castelli) e Rosignano (Monti livornesi) — Sullo sviluppo delle capsule surrenali nel pollo ed in alcuni mammiferi . — Lo sviluppo dei nervi vago, accessorio, ipoclosso e primi cervicali nei sauropsidi e nei mammiferi Le raipeinal 1 — Briozoi neogenici dell’isola di Pianosa nel mar Tirreno . . — Alcune particolarità anatomiche del ri- gonfiamento sacrale nel midollo degli uccelli . IA SIIT ANIA 104 149 251 268 L } î | | i Atti SORT Tav. Gioli - Fossili d. Ool.inf di S.Vigilio Gioli dis. Cristofani }ìt. Lit.Ach.Paris- Firenze i tea A 1) A al G.Chi arugi - A.nat.di un Emb.Umano Lit.Gozani isa 9 > ii PO - i Î G. Chiarugi - A nat.di un Emb.Umano gale Gozanì Pisa ‘isa MiA VAI e a 0, * v Ù £ &, = * a e ‘alVi Vol. x Tav.VI ca de 1: cScN srrincnenrei arri 4 @ RA .M Msyono. Lit.Gozani Pios Romiti - Arco mawillo sj ugale Ialenti dis. Cristofani lit. Lìt.Gozani, Pisa veni Me "

1 «Adi oo MO fi Be, ter - Valenti dis: Cristofani lit: Lit.Gozani-Pisa Busatti - Sulla Lherzolite Atti SocTose.Sc N at. Vol.X Tav IX Lit. Gozani-Pisa Cristofani dis.e lit. G.Valenti - sullo sviluppo delle capsule surrenali etc. Cristofani lit. G. vid rel COS si . Atti. Soc Tos.Sc.Nat. VoLX Tav. X Lit ozsni Pisa ls iii A Berlese Lit WRAPAI DIGSEO ARIAI: PI PETITE È Cine E c'é et 0 ti = d Ein gr gp = : i È Menaio o De de Lin iii Ln ni ct e n È proea puligiVi Fig VII — è Ds SIA i-Pisa use RZ LT E ct n A a I AT è A Berlese Lit i e EEE cSc.Nat.Vol.X. Tav. XII. D.Bertelli- Solco intermediario anteriore SIA SMA SIA d- Guarmeri dis -Mey inc. Lit. Gozani-Pisa Gioli dis. Cristofani lit. Gioli. Briozoi neog. d Pianosa. R.Lit.Cozani-Pisa. cinici OS No 0wo 10 Cea----- a Lachi -Alcune particolarità anatomiche ecc. ecc. fi ; Saia s5, M - nn itti SocTos. Sc a # Lit.Gozani-Pisa. Istofani lit fa anatomiche ecc. ecc. lari 1C0 Lachi-Alcune part LOLITA 900109000 099 GIGLONIDA 2 S__--ld da DL Lit.Gozani-Pisa. ULI 3 9088 01316 404