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Composizione mineralogica — Dal citato lavoro del D’Achiar- di risulta che questo schisto anagenitico è composto di quarzo abbondantissimo e predominante sugli altri minerali accessori e rarissimi che sono: ortose, oligoclasio, granato, mu- scovite, clorite, zircone, tormalina, apatite. Tutti questi minerali stanno immersi in una massa fondamentale ce- mentizia costituita prevalentemente ed essenzialmente di silice ( quarzo micro-cristallino e calcedonioso ), a cui si associa la mica (sericite) irradiante dai frammenti di quarzo allotigeno. In questo cemento è abbondante l’ematite, la calcite e il rutilo. Composizione chimica — La roccia è in piccolissima parte attaccata dall’acido cloridrico ed in alcune parti con sviluppo (4) D’Acniarni A — Le rocce del Verrucano nelle valli d'Asciano e d' Agnano nei Monti Pisani. Att. d. Soc. Tos. di Sc. Nat., MemorIe, Vol. XII. Riv. d. miner. e cristall. italiana diretta da R. PaneBIANcO. Vol. XI, fase 5 e 6. (*) D’AcniarDI A — L. c. Se. Nat. Vol. XIII. 1 4 L. BUSATTI lento e scarsissimo di anidride carbonica. Nelle soluzioni acide leggerissimamente colorate in giallo, ottenute dal trat- tamento prolungato e ripetuto dello schisto con acido clori- drico, constatai la presenza di ferro, alluminio, calcio, ma- gnesio, potassio, sodio e fosforo. Nel residuo insolubile nell’acido cloridrico, trattato con bisolfato potassico, constatai la presenza del titanio. Per le ricerche chimiche quantitative disgregai lo schisto con i carbonati alcalini e con acido fluoridrico . Nella composizione centesimale complessiva della roccia non è tenuto conto del magnesio titanio e fosforo non essendo stato possibile la valutazione loro quantitativa in causa di sole traccie di essi corpi ed appena sensibili specialmente per gli ultimi due. Eccone i resultati: SIOE IR o CI CSI Ali Si a aa AS BO Fe; 0; IE 0 Ca 0 SETE RIO K 00 E ORA Naz LARA 3, 65 Perdita per arroventamento . . LERSITI 100, 53 Da questa analisi si può trarre la conferma della presenza della sericite nello schisto. A questo riguardo il prof. D'Achiar- di così scriveva (*): “ Infatti mentre per più che la metà delle loro dosi vanno certo riferiti la silice al quarzo e l’ossido fer- rico all’ ematite, da null'altro devono derivare Al, 0; , Na, 0 e K, O che dalla mica se ne togli una piccola parte che duri ancora come residuo dell’alterazione dei minerali originali cla- stici. Se oltre alla muscovite allotigena sieno presenti due miche autigene, potassifera l’una, sodifera l’altra, oppure una varietà intermedia alle due nè l’analisi, nè l'osservazione mi- croscopica bastano a decidere. Al microscopio non osservai diversità alcuna, e d'altronde l’abituale associazione della soda (*) D'AcaiarDI A — L. c., pag. 15. CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 5 alla potassa in tutte le miche alcaline e la corrispondenza di tipo strutturale nelle molecole della muscovite (H, K Al, [Si 0,];) e della paragonite (H, Na Al, [ Si 0,];) rendono probabile l'associazione loro in una varietà all'una e all'altra specie intermedia. Inoltre si conoscono miche come la eufillite (Eu- phyltt ) di Unionville in Pensilvania, che furono riferite alla muscovite malgrado le prevalenti dosi della soda, e inversa- mente altre con predominante potassa che furono ascritte alla paragonite; e nelle sericiti stesse si contiene sempre più o meno e non di rado anche quantità notevole di soda; ‘onde malgrado le dosi un po’ esagerate di alcali e specialmente di soda può dirsi che l’analisi contermi la diagnosi di mica bianca affine alla sericite e alla paragonite, mentre esclude addi- rittura il talco come specie cementizia fondamentale. Le tracce sensibilissime sì ma sempre tracce di Mg 0, se non alla micà stessa, sono verosimilmente dovute a qualche rara, sporadica laminetta di clorite, di cui sospettai la presenza ,. Di uno schisto glaucofanitico incluso nel gneis di Bastia ( Corsica ).. Nella nota “ Schisti a glaucofone della Corsica , (*) resi conto dello studio micrografico di rocce appartenenti alla formazione schistoso-micacea di S. Fiorenzo e Bastia. La roccia di cui mi occupo oggi trovasi in lenti nel gneis che fa parte della formazione schistosa delle sopradette località, ma che appar- tiene alla inferiore prevalentemente gneisica. È rappresentata da due campioni, i quali diversificano da quelli già descritti e macroscopicamente e microscopicamente. Sono durissimi, di grana minuta, di colore affatto nero uno, l’altro, rimanendo sempre di colore nerastro, volge'un po’ al bigio. Sono privi di ogni lucentezza e di appariscente schisto- sità. Alcune macchie bianche che vi si osservano sono dovute alla decomposizione del feldispato che entra quale minerale principale in questi due campioni di schisti, a differenza di quelli della formazione schistoso-micacea nei quali prevale il quarzo (?). (!) Proc. verb. d. Sc. Tose, di Scien. natur. in Pisa 28 giugno 1885, p. 246. (?) Lorri — Appunti geologici sulla Corsica. Boll. d. Comit. geolog. d’ Italia, N. 3-4, 1883. . 6 L. BUSATTI Il peso specifico di queste due rocce è: per la completa- mente nera — 3,4 —; per l’altra — 3,12 —. Composizione mineralogica — La composizione mineralogica, quale si deduce dallo studio microscopico, è identica in entrambi i campioni della roccia esaminata, colla sola diversità che nel campione volgente al bigio l’ alterazione dei minerali compo- nenti, dei quali parlerò in seguito, è più manifesta. Nell’ uno e nell'altro adunque, il microscopio svela i seguenti minera- li: feldispato, glaucofane, pirosseno, oligisto e prodottî secondari che li accompagnano e principali: clorite, prodotti ferruginosi e silice. _ Il microscopio svela pure in queste rocce una manifesta struttura schistosa e la direzione che i minerali sopra men- zionati prendono spesso in un determinato ed unico verso. Flessioni, stiramenti e rotture meccaniche, alle quali hanno dovuto soggiacere quegli stessi minerali componenti, si rendono pure visibili col microscopio. Il feldispato, di cui la massima quantità riferisco all’or- tose, tiene luogo come di massa fondamentale cementizia e si presenta in minutissimi granuli formando delle plaghe estese, le quali alla luce polarizzata fra i nicol danno alle prenarazioni un fondo di tinte grigio-azzurrognole. Il feldispato si ritrova pure in individui allungati, con apparenza laminare, stipati gli uni sugli altri e diretti nel medesimo verso a de- terminare dei piani di scistosità secondo cui si adagiano gli altri minerali che sembra includere. Il feldispato riferibile per la geminazione polisintetica al plagioclasio è in frammenti maggiori, ma scarso ed ecce- zionale nelle molte sezioni sottili esaminate: è ben pon ane e lo riferisco all’ oligoclasio. Il glaucofane, riscontrato abbondante in alcune sezioni, si presenta in questo scisto in lamine frastagliate, laciniate ed eccezionalmente in cristalletti ben definiti. Alcune volte sono veri brandelli di cristalli incastrati ed imprigionati nella massa feldispatica, in cui sembra tenere il posto della mica bianca cementizia che caratterizzava gli altri esemplari di sci- sti di S. Fiorenzo e Bastia. Possiede le sue belle colorazioni azzurro-violacee ed il noto ed energico pleocroismo, ma per le condizioni speciali in cui ritrovasi in queste rocce non si presta CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE ri per lo studio di tutte quelle particolarità che già descrissi per i cristalli di glaucofane nella nota citata in principio. Il pirosseno abbondante, si presenta in sezioni cristalline di colore giallognolo e verde chiaro. Queste sezioni sono spesso belle per i loro contorni netti e permettono di studiarvi le direzioni di estinzione, potendo così stabilire il verso secondo il quale furono tagliate sul cristallo. In generale sono tutte sezioni di cristallini molto allungati nel senso dell’ asse 2, ed ottenute secondo la zona [001] con diversa inclinazione sopra i piani 100 e 010. Angoli di estinzione variabili da 0° a 2° a 8° e più fino ad un massimo che ho verificato in molte sezioni, 20°—80° circa. Questi angoli sulla 010 sono certo inferiori a quelli abitualmente ammessi nel pirosseno tipico. Mentre uon vi è dubbio per tutti gli altri caratteri trattarsi di pirosseno, ritengo che questo fatto in apparenza contraddit- torio debba attribuirsi all’alterazione in cui si trova il pirosse- no stesso. Anche Koto (!) per un augite alterata dà angoli di estinzione variabili da 28°—81°. Sono notevoli in queste sezioni dei spiccati piani di separazione spesso con direzione basale, attribuibili agli stiramenti sofferti dai cristalli, ma che possono anche avvalorare la supposizinne che questo pirosseno appar- tenga alla sotto varietà sahlite, facile ad incontrarsi negli scisti anfibolici, in cui appunto le separazioni basali sono fre- quenti come pure le forme laminari. Anche i saggi chimici quantitativi che più sotto riporterò, lo farebbero credere. Queste sezioni laminari allungate di pirosseno si presentano con rilievo energico alla luce naturale ed alla polarizzata con colori viva- cissimi d’interferenza dominando tra questi i giallo-rossi. L'oligisto è in laminette color rosso sangue. Non si in- contra che raramente e manca in alcune sezioni. Anche la clorite in questi scisti non è copiosa, ma non manca in alcuna delle preparazioni osservate. Si presenta in plaghe formate generalmente dalla riunione di più scagliette, ora invece è una sola lamina espansa. Si dispone intorno ai cristalli di pirosseno dalla cui decomposizione è originata: si (') B. Koro — A Note on Glaucophane. Journ. Coll. Sc. Japan. Vol.I, part. I — * Tòkyò, 1886. a) L. BUSATTI modella negli interstizi da quel minerale lasciati, in rari casi conservandone la forma laminare allungata. Si trova anche in forma di minuzzoli ed in brandelli laci- niati, indifferentemente sparsa tra i minerali autigeni costi- tuenti la roccia in esame; dubito molto che in queste forme la clorite possa sempre provenire dal pirosseno. Credo meglio che ne abbia data origine altro minerale preesistente, probabilmen- te micaceo. Possiede colorazioni verdastre; non pleocroismo, oppure appena apprezzabile in alcune laminette, non vi si spie- gano colori d’ interferenza o se sì, debolissimi ed in tuoni az- zurrastri; spesso apparenza di polarizzazione di aggregato ed in alcune lamine contegno di corpo isotropo. I prodotti secondari ferruginosi macchiano in gial- liccio il pirosseno e la clorite. Altri prodotti secondari non sono di facile determinazione, come quelli in forma di granulazioni che si osservano sul pirosseno alterato odin vicinanza di esso. se ne hanno però alcuni con aspetto fioccoso, forse caolinici, provenienti dall’ alterazione del feldispato, alterazione che seb- bene limitata si manifesta anche ad occhio nudo per mezzo di macchie bianche, alle quali ho accennato in principio dando i caratteri macroscopici degli scisti. La silice, rara, im alcuni punti si mescola all’ortose. È au- tigena e verosimilmente proviene dall’alterazione del feldispato i cui frammenti maggiori eccezionalmente si presentano torbidi. In alcune parti sembra aversi a che fare con quarzo microgra- nulitico. Composizione chimica — La roccia è decomponibile dagli acidi in piccola quantità. Nelle soluzioni acide, colorate in verde chiaro, la quantità di silice ritrovata è poco apprezza- bile e contengono ferro, per la massima parte allo stato di ossido ferroso, alluminio in minor proporzione, calcio appena apprezzabile, e magnesio. Nelle soluzioni acide non constatai la presenza nè di manganese nè di alcali. Ebbi però tracce evidentissime di alcali, specialmente di sodio, in una prova in cui l’attacco della roccia per mezzo di acido energico fu più prolungato. Nel prodotto della fusione con carbonato sodico-potassico trovai, nella soluzione filtrata dal precipitato di ferro e di allumina debitamente lavato e riprecipitato, manganese in tracce minime e calcio. Nel prodotto otte- CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 9 nuto dal disgregamento della roccia con acido fluoridrico con- statai la presenza di potassio e di sodio in proporzioni dif- ferenti ma assai abbondanti per entrambi. Questi saggi chimici mi sembrano che soddisfacentemente confermino la presenza del glaucofane nella roccia. Infatti, il sodio ritrovato nelle soluzioni acide ed il manganese nelle soluzioni ottenute dal disgregamento vanno a quel minerale riferiti, tenendo pure conto che parte del sodio debba attribuirsi al feldispato, il quale in contatto di acido energico è pure attaccato parzial- mente . Dalle prove poi quantitative, che qui sotto trascrivo, si può trarre la conferma della poca quantità d: silice libera che il microscopio ha svelato nella roccia, e che il pirosseno sopra descritto appartenga ad una di quelle varietà molto vicine alla salhite od altra, ricche in ferro e calcio ed intermedie al diopside ed all’ hedenbergite, ed in cui il ferro sembra sosti- tuirsi al magnesio; o meglio questo suole diminuire in propor- zione che aumenta il ferro. Ecco i risultati delle prove sommarie quantitative: SIE I en OSSITORFCERICO i nn NURIA eV CAlCe ti Ae a RA 5 Lo Macnestiag na 5 2, 75 Alcali ed altre sostanze non determi- MAO MEF dlferenza sa rn oa 100, 00 La quantità d’acqua contenuta nello schisto è trascurabile. Il ferro come ho già avvertito esiste nella roccia anche allo stato ferroso, ma è stato determinato tutto allo stato ferrico. Determinazione petrografica di alcune rocce del Sarrabus (Sardegna ).. Queste rocce fanno parte della collezione che già intrapresi 10 Î. BUSATTI a studiare in una mia precedente nota (*), alla quale rimando oggi per le ragioni di questa pubblicazione. Felsofiri sferolitici della miniera di Tuviois. Vi riferisco tre esemplari portanti la scritta: Porfirito:i +00... (| Campione NM, Porfirite;. vu: . + (Campione N50) Poridi e (Campione SNEb10) Poco differiscono l’una dall’altra queste rocce. Sono tutte dure, assai compatte e vi predominano le colorazioni rossastre, dovute a prodotti ferruginosi secondari molto diffusi come ma- terie pigmentizie nei minerali e nella pasta rocciosa, come ho dedotto pure dallo studio delle sezioni microscopiche. Osservate con la lente rivelano tutte una medesima struttura a grana minuta che loro è impartita dalle sferoliti, evidentissima spe- cialmente nel campione N.° 8, perchè in esso le sferoliti sono più fitte e più regolari. Nelle maggiori anche ad occhio armato della semplice lente si vede la struttura fibroso-radiale. Nel campione N.° 9, le sferoliti sono meno appariscenti, perchè si confondono con il resto della pasta rocciosa che pure è colorata. in rossastro, come lo sono le sferoliti tutte dei tre esemplari studiati. Nel campione N.° 10 le sferoliti sono più rade, oppure si concentrano in alcune parti disponendovisi in serie e comu- nicando un aspetto zonale alla roccia. Però non spiccano, nè sì distinguono sempre bene dalla pasta rocciosa, colla quale sembrano intimamente connesse. Rare macchie color verde- bianco nei primi due campioni, mentre abbondantissime sì hanno nel campione N. 10, tutte dovute a prodotti secondari cloritici e pinitici. Fra le sostanze metalliche non si osserva in questi campioni che la pirite: è del resto rara e di preferen- za si ritrova nel campione N.° 9. Camp. N° 8, Camp. N°.9. Camp NI; Peso specifico 9 99 9. 41 2 51 (*) I porfidi della miniera di Tuviois nel Sarrabus (Sardeg na). Att. d. Soc, Tos. di Sc. Nat. MemorIE, Vol, XII. CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 11 Dall’ esame microscopico di queste rocce risulta eziandio giustificato il loro ravvicinamento; sono esse costituite: Campione N° 8 — Massa fondamentale a struttura crip- tocristallina formata da elementi feldispatici e silicei con sfe- roliti della serie globosferitij; sono copiosissime da formare quasi da sole buona parte della roccia. Il feldispato di fase microlitica v'è frequente; raro il quarzo granulitico e rarissimo l’ oligoclasio appena riconoscibile in due o tre cristalli. La mica nera è scarsa e trasformata in clorite; la pinite nei soliti prodotti pinitici. Talco in nidi, ma meno frequente degli altri prodotti secon- dari, tra i quali abbondantissimi i ferruginosi amorfi. La sostanza metallica che è inclusa in questa roccia è in massa- relle od in piccoli cubetti: credo sia pirite in parte limoni- tizzata . Campione N. 9 -- Identico al precedente. Vi ho ritro- vato di più il quarzo ed il feldispato di prima generazio- ne, porfiricamente disseminati nella massa fondamentale. Campione N.° 10 — Massa fondamentale come nelle due precedenti rocce. Le sferoliti però hanno aspetto diverso, non essendo spesso bene limitate dagli altri materiali della massa fondamentale nei quali si disperdono ed incorporano. L'elemento siliceo segregato dal magma non è intieramente individualizzato in questa roccia: infatti alla luce polarizzata si comporta in parte come sostanza colloide ed in parte come sostanza cristallizzata, limitandosi questa preferibilmente nelle porzioni centrali delle sferoliti. Spesso si riuniscono più sfero- liti intorno ad un cristallo di feldispato che serve loro come di nucleo comune, e si riuniscono in serie e di seguito l’ una all'altra. In generale si può dire: che, alla forma fibrosa radiata che hanno le sferoliti osservate nei campioni N." 8 e 9, è subentrata nelle sferoliti di questa roccia una forma a zone concentriche spesso determinate da diverse colorazioni; che, per il loro comportamento alla luce polarizzata, si possono que- ste sferoliti più propriamente indicare con il nome di felso- sferiti. Il quarzo e l'ortose vi è in cristalli porfirici: que- st ultimo più frequente del primo. La mica, biotite, persiste ancora ed oltrechè ritrovarsi in lamine cristalline isolate, 12 L. BUSATTI spesso queste veggonsi associate in cumuli. Sono notevoli in questa roccia cristalli di oligoclasio ben conservati e di zircone bene sviluppati. Clorite e prodotti pinitici co- piosi come negli altri due campioni. In questo esemplare io non vedo che una delle solite rocce che costituiscono termini di passaggio: e nel presente caso dai felsofiri sferolitici ai felsofiri. Felsofiro della miniera di Monte Narba. È segnato nella collezione col N.° 2 e porta la scritta: por- fido a quarzo globulare. È roccia durissima, compatta, di colore bigio-scuro. Include in abbondanza feldispato e quarzo, i quali spiccano sul fondo scuro della pasta rocciosa. Tanto per la macrostruttura, quanto per alcuni caratteri che vi si rilevano al microscopio questa roccia è somigliantissima al felsofiro di Tuviois rappre- sentato dal campione N.° 17. deseritto nella mia nota già ci- tata “ I porfidi della miniera di Tuviois ecc. ,. Peso specifico — 2, 79 —. Al microscopio la roccia appare costituita di una massa fondamentale ad elementi petroselciosi, siliceo-feldispatici, a cui si uniscono plaghe quarzose granulitiche e microgranu- litiche di seconda consolidazione. Le prime attraversano spesso la posta rocciosa a guisa di filoncelli e sembrano riempire ca- vità lasciate nella roccia; le seconde hanno più somiglianza con le vere segregazioni dalla massa fondamentale nella quale stanno incluse. Tra i minerali porfirici essenziali di prima generazione 0 consolidazione sono abbondanti l'’ortose ed il quarzo; la mica è frequente, ma scarseggia di fronte ad essi; l’oligo- clasio è molto raro. Tanto quest’ ultimo minerale quanto l’ortose generano i soliti prodotti d' alterazione. Sono rimarchevoli alcuni. cri- stalli di plagioclasio portanti plaghe limitate di alterazione completa, il cui resultato finale sembra che abbia data origine CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 13 a silice calcedonioso-oparina: alcune di quelle plaghe hanno infatti contegno perfettamente isotropo. Il quarzo in questo esemplare è notevole per le numerose rotture meccaniche che presenta e per le intrusioni del ma- gma e dei prodotti secondari, come appunto verificavasi per il quarzo incluso nella massa fondamentale del felsofiro di Tu- viois superiormente ricordato. La mica ritrovasi generalmente in cumuli, in nidi; ma es- sendo alteratissima si divide in minuzzoli, ovunque dispersi e trascinati dal magma. Nel centro dei nidi micacei si trovano spesso in abbondanza corpiciattoli bruno-rossastri: sembrano limonite terrosa. Tra i minerali originari accessori disseminati nella massa fondamentale devo ricordare il granato frequente, l apa- tite abbondante, ed il pirosseno e lo zircone scarsi. Il granato presentasi in belle sezioni rotondeggianti inco- lore, le quali oltrechè distinguersi da quelle del quarzo per il loro contegno ottico a luce parallela e convergente, se ne dif- ferenziano per la ruvidezza della superficie e per il rilievo notevole assai, con il quale ci appariscono. Solo alcune hanno contegno anomalo. Queste sezioni di granato portano numerose fenditure, le quali incontrandosi ed unendosi insieme formano un retico- lato a maglie irregolari. Alcune presentano perifericamente indizi di alterazione e corrosione sofferte per azioni secon- darie, e tra tutte è bellissima una nella quale il magma cor- rodente vi penetra in forma di lunga apofisi. Il granato non rinviensi comunemente nei porfidi e Rosenbusch (*) lo cita nei porfidi di Liescha in Stiria, di Gotteswarte presso Schmalkal- den e nei porfidi neri contenenti pirosseno dei dintorni di Lipsia. L'apatite è in cristalli bene sviluppati e presenta le par- ticolarità ed i caratteri specifici che già descrissi per i cristalli di questa specie inclusi nella massa fondamentale del felsofiro (campione N° 17) di Tuviois. Il pirosseno è in cristalli bene formati, scoloriti o leg- (!) Mikrosk. Physiogr. d. Massig Gesteine, Band II — Zw. ginz. umgearb. Avfl., pag. 365 — Stuttgart, 1887. 14 L. BUSATTI germente colorati in giallognolo, almeno giudicandone dalle sezioni. Lo zircone si rinviene sotto forma di inclusione nel quar- zo e più frequentemente disperso nella massa fondamentale. In questo stato sì presenta in cristalletti bene sviluppati. La pirite in cristallini cubici allungati ed in forme di altra apparenza. Tra i prodotti secondari devo ricordare quelli di colore verdastro riferibili la massima parte alla clorite proveniente dalla mica, ed altri giallo-rossicci, ferruginosi, derivanti dalla pirite. In alcune parti delle preparazioni esaminate si scopro- no in abbondanza. Dal Lacroix (!) furono già determinate del Monte Narba due roccie, e riferite: una ad un Porfido petroselcioso, V altra ad un Porfido a quarzo globulare. Rocce della miniera di Baccu Arrodas. FELSOFIRO . È rappresentato dal campione N° 16 portante la scritta: Porfido a quarzo globulare . È roccia a struttura porfirica spiccatissima e {vi si tro- vano in copia cristalli di ortose riconoscibili bene anche ad occhio nudo. Sono colorati in rosso mattone per compenetra- zione di sostanze ferruginose, le quali si diffondono nella pasta rocciosa come mostrano i preparati microscopici della roccia. Il quarzo pure abbondante, ha assunto la forma granulare per corrosione magmotica: la forma bipiramidata si riconosce in “alcuni granuli. Anche la mica è visibile macroscopicamente. Prodotti secondari cloritici e piritici macchiano qua e la la roccia in verde scuro. Peso specifico — 2, 44 —. Al microscopio questa roccia appare così costituita: la pasta (') S. Traverso — Note sulla geolog. e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus ( Sardegna ) — pag. 13 — Torino, 1890. CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 15 petroselciosa, feldispatico-silicea, della massa fondamentale anzichè assumere forme globulari distinte, come in generale verificasi nei felsofiri di Tuviois, sì dispone e si riunisce in forme speciali di frappe. In altre plaghe gli elementi quar- zosi e feldispatici assumono più distinta cristallizzazione e sì orientano con determinate direzioni simultaneamente com- penetrandosi ed intrecciandosi im maniera che, in sezione ed a seconda del taglio, ne risultano bacille parallele o costi- tuiscono aggregati con diverse apparenze. Essi elementi pur rimanendo di dimensioni piccole lasciano apprezzare benissimo quella particolare struttura pegmatitica, la quale in questo caso più propriamente dicesi dai petografi micropegmatitica. Il quar- zo in sezioni triangolari quadratiche e di altra forma, più di rado in foggia di tremie, appare manifestamente nelle plaghe feldispatiche, perchè spicca nel feldispato in cui si concentrano tutte le impurità provenienti segnatamente dai prodotti ferru- ginosi, i quali lo rendono un po’ torbido di fronte al quarzo stesso, il quale poi, specialmente tra i nicol incrociati, si rico- nosce per il suo contegno ottico. . IHquarzo granulitico vi si associa spesso e copiosamente. I minerali porfiricamente disseminati nella massa fonda- mentale sono: mica nera spesso ben conservata; quarzo in grani bipiramidati; ortose ed oligoclasio scarso, ma in belli e grossi cristalli con porzioni limitate in decomposizione, il cui prodotto principale è l' epidoto. Frequente la pinite e l’apatite in microliti. Fra i prodotti secondari si incontrano principalmente: clo- rite in copia ed in tutte le sue forme laminari di frangie di rosette; l’epidoto in laminette cristalline allungate disposte a ventaglio; una sostanza di natura serpentinosa prove- niente dalla pinite. Questa roccia stabilisce un passaggio alla micropegma- tite, a cui ne fu riferita altra di Bacu Arrodas dal Lacroix (4). FELSODIORITE PORFIRICA. Fa parte della collezione sotto la denominazione di porfi- rite (N° 11). (!) S. TrAavERSO — Î. c. 16 l. BUSATTI Ho classificato questo campione per una felsodiorite porfirica risaltandomi dallo studio microscopico che essa è costituita : di plagioclasio ( oligoclasio), di mica, la quale può so- stituire nelle rocce dioritiche, in parte o totalmente come in questo caso, l anfibolo (orneblenda), e di una massa fonda- mentale in cui stanno immersi cristalli di prima generazio- ne, i quali giustificano lo specificativo di porfirica per denotare la struttura di questa felsodiorite. Ha aspetto di roccia compatta per quanto in stato di avan- zata alterazione e con la lente vi si riconosce la struttura cri- stallino-granulare. È di colore grigio-verdastro-cupo con mac- chie frequenti di colore rosso mattone, le quali racchiudono spesso la calcite secondaria, frequente in questa roccia . Peso specifico — 2, 68 —. La massa fondamentale risulta di una sostanza con aspetto microfelsitico; è grandemente alterata e rilega l’ oli- goclasio listiforme, o più raramente microlitico. Vi si osser- vano delle granulazioni rotondeggianti, dei microliti globulari, ed una sostanza cloritica verdognola di origine secondaria, che sì interpone per ogni verso riempiendo tutti i vacui. Questa so- stanza proviene dalla mica: che sia questo il minerale origi- nario è reso chiaro da alcune rare laminette di mica, le quali persistono ancora conservandone i caratteri specifici. L’ortose e l’oligoclasio si ritrovano in questa roccia in cristalli porfirici di prima consolidazione : l’ ultimo molto frequente in confronto specialmente del primo, il quale manca in molte sezioni. I loro prodotti di alterazione sono: epidoto clorite silice. La clorite specialmente è in grande quantità e maschera il vero aspetto di alcuni cristalli di plagioclasio. L'alterazione si propaga spesso anche nei cristalletti minori. Includono non di rado pigmenti limonitici. È notevole in questa roccia un minerale in grossi cristalli porfirici, i quali sono convertiti in serpentino intieramente ed abitualmente, essendo eccezionalissimi quei cristalli che non hanno subito questa pseudomorfosi o che in porzioni ristrette non ne mostrino il principio. Dai caratteri che presentano i residui cristallini del minerale originario, si arguisce essere CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE IU; questo un pirosseno. Più difficile è determinarne la cristal- lizzazione, se trimetrica o monoclina: a questo riguardo ripor- terò quanto ho osservato. Quando il serpentino mostra i con- torni non molto deformati del pirosseno originario alla luce polarizzata specialmente, alcune sezioni di cristalli disegnano forme che si confanno più ad un pirosseno monoclino; in altri casi di sezioni cristalline meno alterate, che si delimitano an- che abbastanza bene alla luce ordinaria, fu possibile la misura di qualche angolo piano e delle direzioni di linee di estinzione che porterebbero aa ammettere una cristallizzazione mono- clina . Fra i principali minerali secondari ed allotriomorfi vanno ricordati il quarzo raro, la calcite frequente. Questa è mac- chiata da sostanze ferruginose pure secondarie, e provie- ne verosimilmente insieme a queste dal disfacimento degli elementi pirossenici: se ne incontrano anche delle laminette completamente incolore, che tra i nicol incrociati spiegano co- lori di interferenza madreperlaceo-irridescenti tanto caratteri- stici della calcite. La clorite, abbondante, la ho già ricordata. Riferisco al talco alcune laminette scolorite: sono raris- sime e riunite in nidi. Del serpentino e delle forme che assume per pseudo- morfosi sul pirosseno ho parlato. Devo aggiungere che spesso ritrovasi in larghe plaghe senza forma propria, che include in abbondanza prodotti limonitici e che è attraversato da fibre di un verde più chiaro ed anche giallo-verdastre. Queste fibre per riflessione splendono un po’, ed a luce polarizzata tra i nicol sì distinguono bene dal resto della massa, che ha contegno di sostanza intieramente colloide, mentre esse lumeggiano per colori giallicci di interferenza mostrando una struttura cristal- lina: sembrano costituite di crisotile. Per la composizione mineralogica questa soccia è identica a quella, pure di Baccu Arrodas che il Lacroix (!) chiama “ por- firite andesitica micacea ,. In quest'ultima però manca il piros- seno serpentinizzato e vi si nota un'alterazione meno avanzata di tutti i minerali componenti. (4) S. Traverso — L. c. 18 L. BUSATTI CALCARI METAMORFICI . Queste rocce sono rappresentate da due campioni. Uno (N.° 21) è di colore nero ed attraversato da venule di calcite cristallina. È compatto, sonoro, con tendenza alla schi - stosità. Al microscopio mostra localizzata in venule la calcite a struttura spatica più ampia di quella che presentano le la- melle calcitiche formanti la massa rocciosa, la quale rivelasi con struttura microcristallina quale è propria delle comuni calcarie. Contiene della silice ed è ricchissima di sostanza carboniosa e materia pigmentizia ferruginosa. Non offre nulla di notevole ad eccezione di alcuni cristallini di colore verde pallido o sco- loriti che sospetto appartengano ad un anfibolo. L'altro campione ( N.° 12 ) è un calcare bianco-grigiastro a struttura fanerocristallina. In sezioni sottili si mostra traspa- rente e costituito di cristalli di calcite regolarissimi per la forma; in alcuni la romboedrica è evidentissima. Molte lamelle mostrano fenditure dovute alla sfaldatura 100, altre la strut- tura polisintetica svelataci per numerose strie di geminazione (110). Avverto che, mentre la orientazione delle lamelle di calcite in tutti i sensi si manifesta sempre costante nelle preparazioni in grazia del fenomeno della polarizzazione di aggregato, la struttura polisintetica è rara: ma quest’ ultimo fatto non toglie che il calcare per la struttura non possa pa- ragonarsi al più tipico marmo. Due minerali di contatto, la wollastonite ed il.granato ritrovansi in questo calcare. Il primo è in aggregati fibrosi ir- radianti da un centro comune a guisa di rosette, le quali sono bianche ed hanno splendore sericeo. Il granato è in piccoli ammassi cristallini di colore giallo-miele, a lucentezza tra la vitrea e la resinosa. I caratteri chimici corrispondono per la specie grossularia. In questo calcare il microscopio scopre pure degli inclusi in venule ed in plaghe che risultano di silice e di una mica bianca cementizia. Essi inclusi rappresentano piccole porzioni di rocce con le quali i calcari sono in contatto. L'ing. Traverso ha già citato il granato e la wollastonite della miniera di CONTRIBUZIONI CHIMICO-MINERALOGICHE E PETROGRAFICHE 19 Baccu Arrodas e dice che generalmente si ritrovano nelle quarziti (*). Il campione di calcare è interessante, mostrando con la sua struttura cristallina il grado di intenso metamorfismo a cui andò soggetto ed includendo i frammenti della roccia che soministrò gli elementi per la formazione dei nuovi minerali. (') S. Traverso — l. c., pag. 44. Pisa, dal Gabinetto mineralogico dell’ Università, marzo 1893. Se. Nat. Vol. XIII. 2 O. VISART CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI —— _ teo Ricereho Istologiche e Rsiologiehe. sal tubo digerente: degli Ortotteni Argomento della presente nota è lo studio dell’intima strut- tura del tubo digerente di quel gruppo di Artropodi che appar- tiene alla famiglia degli Ortotteri. Le specie che in maggior copia mi hanno servito come ma- teriale di studio sono le seguenti: Acridium Aegyptium, L. VOedipoda coerulescens, L. Epacromia thalassina, Fabr. Stenobothrus rufipes, Lett. Pachytilus cinerascens, Fabr. Periplaneta orientalis, L. Mantis religiosa, L. Portificula gigantea, Fabr. Poco mi dilungherò sulla prima parte dell’ Intestino o Proîn- testino, poichè essa venne già descritta da parecchi autori. Argomento principale delle mie ricerche fu la seconda parte dell’ Intestino o Mesointestino, il quale ha una grande importanza fisiologica, essendo la sede principale dell’ attività glandulare. Per procedere con ordine divido questo lavoro in tre parti. Nella prima parte parlerò del Prointestino, nella seconda del Mesointestino e nella terza del Postintestino. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 21 PARTE I. PIRONNKRES ZINIO Tecnica microscopica. — I metodi da me usati per lo studio del Prointestino sono i seguenti. L' intima chitinica si ottiene isolata facendo digerire per pochi minuti l’intiero Prointestino in una soluzione di potassa caustica piuttosto concentrata. Si lava poscia il preparato re- plicatamente con acqua, indi si può conservare l’ intima in gli- cerina. Con questo metodo che è il più spiccio, l’ intima diventa trasparentissima e si distinguono nettamente tutte le svariate vegetazioni chitimicne di cui è provvista. Volendo avere delle sezioni ben colorite di questa parte converrà colorire le medesime sul vetrino coi metodi conosciuti; ottime colorazioni si possono ottenere colla safranina. Ho pure ottenuto buone colorazioni in toto del Prointestino fissandolo al sublimato corrosivo e colorendolo col carminio boracico. L' im- mersione nel Carminio però dovrà esser prolungata assai (due o tre giorni). Si scolorisce col solito alcool acidulato. I muscoli anulari esterni riesciranno qualche volta troppo intensamente colorati, ma solo eccedendo un po’ nella colora- zione si avrà l’intima chitinica sufficientemente colorita. Da bandirsi addirittura sono i metodi consigliati per la dechitinie- zazione colla quale si ottiene la distruzione della matrice chi- tinogena e delle inserzioni dei muscoli anulari sull’ intima. Descrizione generale e bibliografia. — Lo Swamer- DANN (‘) è il primo che ci ha dato ragguagli su questa parte dell’Intestino. Egli paragona questa parte allo stomaco dei &u- minanti, anzi pretende aver osservato egli stesso la rumina- zione. Cuvier (*) pure istituisce il medesimo confronto. Rannor® (3) pel primo entra in dettagli più minuti di strut- tura. Secondo questo autore i muscoli anulari non avrebbero nessun rapporto coll’ intima. Vedremo come questa osservazione (1) Breer der Natur, 1752, pag. 91. (9) Cuvier — Vorlesungen iiber vergleichende Anatomie, 1752, pag. QI. (3) Abhandlung diber die Verdauungswerkzeuge der Insekten. Halle 1814, pag. 70. 292 0. VISART sia erronea. Ramporr diede a questa parte la Cenone di stomaco a ripiegature ( Faltenmagen ). Lrox Durovr (‘) basandosi sulle ricerche di Ramponr aggiunse pel primo osservazioni speciali sul Prointestino degli Acrid%, sui quali non esistevano ricerche speciali, salvo alcune poche del Marcei de Serres (*). Fra gli autori più recenti farò men- zione di Basck (*) e di GrageR ('). Illavoro del Winpe (°) è il più importante, poichè oltre aver egli riassunto i risultati precedenti, aggiunge osservazioni sue proprie. Tl Faussek (°) non aggiunge nulla di nuovo alle osservazioni degli autori suaccennati. Egli descrive con poche parole il Prointestino dell’Eremobia muricata Paun. Î..+ senza entrare in i molti dettagli. Detto questo po- co intorno alla Bi- bliografia di questa parte espongo le mie osservazioni in Mi proposito. Forma ester- na. — Il Prointe- Ti stino (Fig. 1 Pr., Fig. 2, Bios) può essere diviso sempre in tre parti ben distinte. La prima parte (Fig. 1 e, Fig. 2 es) è sempre perfettamente distinta dal resto essendo sempre assottigliata e quasi isodiametrica; essa vera- an (Fig 1). (1) Leon Durour — Recherches sur les Orthopthéres. Paris, 1834, pag. 296. (2) MarceLL DE SerrEs—Observation sur les Insectes considerés comme ruminans. (3) Untersuchungen diber das chilopoetische und uropoetische System der Blatta orientalis. Wien, 1858. Sitzungsber. math. CI. Bd. 33. (4) Zur niheren Kenntniss des Proventriculus und der Appendices ventricularis bei den Gryllen und Laubheschrecken. Wien, 1869, (29-46). Sitzungsber. math. CI. Bd. 59. I. (9) Untersuchungen iiber den Kaumagen der Orthopteren. Archiv. fiv Naturg. 1877. (5) Faussek.—MHistol. des Darmcanals der Insekten. Zeitschr. fiir wiss. Zool. XLV, 1887, pag. 694. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 23 mente rappresenta la parte esofagea del Prointestino;in essa le sostanze alimentari non si arrestano ma passano immedia- tamente nella seconda parte, la parte sacciforme del Prointe- stino, la quale è non solo un serbatoio delle sostanze alimen- tari, ma in essa inoltre il bolo alimentare viene sminuzzato in parte. Il Prargaù (*) il quale ha fatto importanti ricerche sull’ufficio fisiologico del Prointestino non ammette che le sostanze ali- mentari subiscano in questa parte dell’Intestino una parziale triturazione. Non mi posso assolutamente associare su questo punto all'opinione dell’eminente osservatore. Jo credo fermamente col Wine che una parziale triturazione delle sostanze abbia luogo, e prova ne è il fatto che le sezioni fatte su intestini repleti di cibo, ci dimostrano evidentemente che le sostanze alimentari dopo il passaggio della valvola car- diaca hanno subìto un notevole sminuzzamento, non solo per parte dei succhi digestivi, ma veramente per opera delle po- tenti vegetazioni chitiniche che tapezzano questa prima parte dello Intestino. La terza parte del Prointestino è breve quasi cilindrica nella maggior parte degli Ortotteri (Fig. 2 vc): essa s'invagina per un breve tratto nel Mesoin- testino. Anche questa parte è morfologicamente perfet- -«pch tamente distinta dalle due antecedenti. Essa contiene generalmente sei pezzi chi- tinici (Fig. 2 vc, Fig. 6 pc) Y Pi in forma di V, i quali mossi \ da uno sfintere muscolare si i . ossono contrapporre l’uno (Fig. 4). (Fig. 5). (Fig. 6). b PP contro l’altro in modo da otturare completamente il lume dell’ Intestino in quel punto. Questa ' parte venne dagli autori chiamata valvola cardiaca. Cenni istologici sul Prointestino. — Dall'esterno al- l'interno si notano i seguenti strati: (!) PLatrAU.—Recherches sur les phenomenes de la digestion chez les Insectes. Mé- moires de l’Accademie des Sciences de Belgique, XLII, 1876. 24 O. VISART ps Una zona di muscoli longitudinali esterna. Una zona di muscoli trasversali od anulari. Una zona di muscoli longitudinali interna. La matrice chitinogena. L’ intima chitinica. H> 09 DI ni (Fig. 7). Nella prima parte del Prointestino la zona dei muscoli lon- gitudinale esterna (Fig.7 ml) non consiste che di pochi fascetti piuttosto esili che percorrono il Prointestino e che al loro inizio vanno a finire or qua or là sullo strato dei muscoli trasversali. La loro presenza non mi sembra costante in tutti gli Ortotteri; così ad esempio essi mi sembrano mancare completamente nelle Forficularie; invece essi sono abbastanza sviluppati nella Mantis religiosa. Non mi riuscì a metter in evidenza questo strato mu- scolare nelle forme larvali. La seconda parte del Prointestino, generalmente allargata, sacciforme (Fig. 1 g, Fig. 2, Fig. 3) è la parte nella quale le so- stanze alimentari soggiornano più a lungo. In questa parte le produzioni chitiniche dell’intima diven- tano molto rilevanti; così negli Acridi e nelle Locuste si os- servano poderose produzioni chitiniche in forma di denti, di grosse spine. Questi denti chitinici possono essere isolati (Fig. 7 deh), oppure si trovano impiantati in gran numero su specie di tubercoli (Fig. 4 A, B). Stranissime sono le vegetazioni chitiniche che si riscontrano nelle Mantoidee, che si possono paragonare a ferri di lance, setole, CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 25 aghi ricurvi ecc. In altri Ortotteri (Forficularie) queste produ- zioni sono di pochissimo rilievo e l’intima poco chitinizzata è ricoperta solo di finissime e corte spine. Immediatamente sotto lo strato cuticolare esiste lo strato così detto di matrice ossia generatore dell’ intima chitinica (Fig. 7 ep). Ho osservato, che in quasi tutti gli Ortotteri le cellule di questo strato sono ripiene di granulazioni giallastre, le quali sono in numero tale da formare la quasi totalità del loro con- tenuto. In questo stato difficilmente scorgonsi le membrane cellulari ed i nuclei, che sono ridotti ad esigue proporzioni. La matrice chitinogena consta ordinariamente di un solo strato di cellule: in alcuni casi però essa può risultare da due strati cel- lulari come si osserva nelle Mantoidee. Sotto lo strato di matrice esistono grossi fasci di muscoli longitudinali (Fig. 7 m/). Questi muscoli nelle Acridiodee e nelle Locustoidee non decorrono parallelamente alla direzione longi- tudinale dell’Intestino, ma bensì costantemente in obliquità. Nella Fig. 2 ho rappresentato il Proiîntestino di un Acridio aperto longitudinalmente. Osservando la seconda parte del Prointestino si vedono delle striature che decorrono in obli- quità. Queste striature ci rappresentano i rilievi ed i solchi dell’intima chitinica. I muscoli longitudinali interni seguono ovunque il decorso di questi rilievi, onde dalla figura si può farsi un'idea schematica abbastanza esatta dell'andamento di questi fasci. L’obliquità nel decorso dei muscoli di questa parte agevola grandemente la triturazione delle sostanze ingerite e serve a trattenerle in questa parte più a lungo. Lo strato dei muscoli trasversali che segue andando verso l’interno (Fig. 7 mtr) costituisce la massa più importante mu- scolare del Prointestino. Negli Acridium sono 3-4 grossi fasci striati. I nuclei sono piccoli, di forma ovale allungata, col loro dia- metro più lungo disposto nel senso delle fibre. Essi si colorano molto intensamente col carminio bdoracico. I muscoli anulari mandano all’interno delle derivazioni (Fig. 7 d), che si vanno ad inserire sulle cellule di matrice. Debbo notare che queste diramazioni in vicinanza della loro inserzione sono in parte chitinizzate. 26 O. VISART Generalmente questa zona di muscoli va crescendo avvici- nandosi verso la valvola cardiaca ove essa costituisce, come vedremo, un vero sfintere muscolare. Le diramazioni dei muscoli trasversali che si inseriscono sulla matrice esistono sempre negli Ortotteri; non sempre però sono chitinizzate. Al microscopio la parte chitinizzata si riconosce benissimo, apparendo priva di struttura istologica; essa sembra un cor- done trasparente, nè si scorgono più le fibrille muscolari com- ponenti il fascio muscolare. Lo strato dei muscoli longitudinali più esterno consta anche qui di pochi fascetti piuttosto esili (Fig. 7 ml). Allo esterno manca una sierosa, ma a sostituire questa ab- biamo una specie di maglia di sostanza connettivale che rav- volge i muscoli esterni e li fissa ai muscoli anulari più interni. Visto dall’ esterno il tubo digerente sembra ricoperto da una specie di rete di fili di sostanza connettiva (Fig. 7 m/). Questi fili si insinuano tra le fibre muscolari dei muscoli trasversali e vanno a ravvolgere i muscoli longitudinali che stanno sotto la matrice fissandoli alla medesima. In virtù di queste briglie di sostanza connettiva i vari strati muscolari sono intimamente collegati tra di loro non solo, ma sono fissati agli epitelii. Queste trame spesso sfuggono all’ osservazione, e per la loro finezza, e perchè la sostanza connettiva si lascia difficilmente colorire, ma non possono sfuggire ad un attento esame. Esse servono di legame tra strati muscolari e tra strati muscolari e strati cellulari. Non vennero da me osservate solo negli Ortotteri ma anche nei Miriapodi (Glomeris, Scolopendra, Geophilus, Julus, Scuti- gera). La sostanza connettiva, dunque, sotto l’aspetto di fibre spesso finissime, funziona all’esterno da membrana protettrice ed all’ in- terno come sostanza cementante 1 vari tessuti. I muscoli del Prointestino sono sempre striati e la loro striatura è generalmente più manifesta che non quella dei mu- scoli del Mesointestino. In quest’ultima parte la striatura è spesso tanto poco evidente da farne dubitare l’ esistenza. Coin- cidono le mie osservazioni con quelle di Mixcazzi (') rispetto (') Mincazzimi — Mittheil. aus Zool. Stat. z. Neapel. IX Hft., pag. 1. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 27 allo stadio larvale nel quale credo aver constatato la presenza di muscoli lisci. In quanto al significato fisiologico delle cellule della matrice chitinogena, sono obbligato di dichiarare che non mi posso schierare dalla parte di coloro, che considerano la cuticola chi- tinica come un prodotto di secrezione delle cellule di matrice. Esaminando tagli trasversali del Prointestino su individui giovani o allo stadio larvale di molti Ortotteri (Gryllus, Gril- lotalpa) ho potuto constatare con evidenza le tracce delle cel- lule chitinizzate nella cuticcla. Questo lento passaggio delle cellule della matrice nell’intima chitinica mi sembra autorizzi a pensare, che, piuttosto che un prodotto di secrezione, l’ intima risulti dalla graduale chitinizzazione delle cellule di matrice e questa è anche l'opinione che Barrani professa nel suo bel la- voro sul tubo digerente dei Cryptops. Valvola cardiaca. — La terza parte del Prointestino è quella, alla quale gli autori hanno dato il nome di valvola car- diaca. In questa parte 1 muscoli anulari acquistano il massimo di potenza e vengono a costituire un vero sfintere muscolare. I muscoli longitudinali interni, discretamente sviluppati, vanno per la massima parte ad attaccarsi al pezzi chitinici (Fig. 2 ve Fig. 6 pch) della valvola cardiaca. Questi pezzi sono in numero di sei e sotto l’azione dello sfintere muscolare possono apporsi gli uni agli altri occludendo completamente ed impedendo il passaggio del bolo alimentare nel Mesointestino. Nella Fig. 8 ho rap- presentato una sezione tra- sversale attraverso uno di questi pezzi chitinici. Ab- biamo all’esterno lo strate- rello ct sul quale sono im- piantate molte piccole spine; esso a differenza degli strati più profondi di chitina si lascia facilmente colorire dai reagenti coloranti. Lo strato chitinico che sta sotto a questo straterello più esterno porta le impronte cellulari delle quali ho parlato più sopra. Le cellule di matrice (ep) sono completamente in- quinate dalle granulazioni giallastre. Al disotto di questo strato osservansi spesso delle cellule prive di pigmento (cn) di forma (Fig. 8). 28 O. VISART irregolare e piuttosto allungate. Più sotto vedonsi due muscoli longitudinali che vengono ad inserirsi sul pezzo chitinico e sic- come i punti di inserzione sono a differente altezze, le termi- nazioni di questi muscoli vengono ad intrecciarsi e frammi- schiarsi coi muscoli anulari. Una parte poi dei muscoli longitudinali passando tra gli spazietti esistenti tra ogni pezzo chitinico prosegue oltre e va a costituire la tonaca dei muscoli longitudinali interna del Me- sointestino. Passo ora a parlare del secondo tratto dell’ Intestino chia- mato abbastanza impropriamente ventricolo chilifero da alcuni autori e che noi seguendo autori più moderni chiameremo Me- sointestino. PARTE II. NRESSTOENEIEEZSSIRIENEO®O Tecnica microscopica. — Fin da principio mi convinsi che non mi era possibile farmi una idea esatta delle tonache muscolari e del decorso delle loro fibre, se non facendo delle preparazioni 7 foto di lembi di queste tonache, liberati dagli epiteli e dalla membrana connettiva subepiteliare. Gli epitelii che hanno subìto le manipolazioni che necessa- riamente precedono le inclusioni in paraffina, raramente con- servano la loro vera forma; il più delle volte l’azione ripetuta dell’alcool raggrinza queste cellule. I solventi come la tremen- tina ed il cloroformio facilmente disciolgono molte sostanze di natura proteica che sono in esse contenute. E quindi necessario per farsi una idea chiara degli epitelii, ottenerne la rapida dis- sociazione. Onde arrivare a questo scopo, ho ricorso a tutti i | metodi indicati, ma nessuno mi diede i resultati rapidi e bril- lanti del metodo che espongo brevemente. Apro rapidamente l’animale vivente mantenuto con degli spilli sommerso nel- l’acqua, indi inietto con una piccola siringa per l'apertura anale una soluzione di bleu di Metilene in alcool a 80 gradi. E neces- sario di ottenere la fnassima distensione del tubo digerente in questo punto. Affinchè il liquido non possa sfuggire, faccio una legatura con un filo di seta. Dopo una mezz’ ora apro il tubo CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO' DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 29 digerente nel senso della sua lunghezza, indi porto il Mesoin- testino sopra un vetro porta oggetto. L’epitelio perfettamente fissato e colorito si stacca come una poltiglia dalla tunica pro- pria e può essere immediatamente osservato al microscopio. Volendo avere delle preparazioni permanenti basterà aggiun- gere lentamente della glicerina e chiudere coll’anello di ver- nice. Ho ottenuto con questo metodo delle splendide prepara- zioni di epitelii mentre il stero jodato, l alcool al terzo non mi hanno dato resultati così rapidi ne così soddisfacenti. Attribuisco questa virtù di dissociazione più che altro all’azione per così dire meccanica del liquido iniettato con forza, il quale distende violentemente le pareti muscolari staccandone gli epiteli. Vo- lendo rendere più intensa la colorazione si potrà colorire col- l’ematossilina. Ho ottenuto delle buone preparazioni della tunica muscolare del Mesointestino e dei cieck: iniettando nel modo sopra descritto una soluzione acquosa a caldo al 2 per cento di acido cromico. Lascio il tubo digerente col liquido iniettato immerso per 5 o 6 ore sott'acqua, poscia lo apro nel senso della sua lunghezza. L'epitelio si stacca immediatamente passandovi sopra un pen- nellino. In questo modo si ottengono delle buone preparazioni della tunica muscolare. La tunica propria non si stacca che dif- ficilmente, ma questo fatto non impedisce di studiare il decorso dei muscoli del Mesointestino, che anzi, se la colorazione è fatta a dovere si vedranno chiaramente i rapporti di essa colla tu- nica muscolare. Le migliori colorazioni e le più rapide si ot- tengono coll’ ematossilina ; buonissime sono pure le colora- zioni col carminio boracico, ma in questo caso il pezzo va tenuto immerso molto più tempo. La colorazione eccessiva si toglie col solito alcool acidulato. I pezzi trattati in questo modo sì includono nel balsamo dopo esser stati disidratati, o meglio nella glicerina che dà loro somma chiarezza. Per distendere convenientemente la tunica muscolare sul vetrino, si lascia quasi intieramente prosciugare il preparato, lo si distende con gli aghi, infine si mette la goccia di balsamo. Forma esterna. — La forma esterna del Mesointestino è negli Ortotteri generalmente quello di un tubo isodiametrico che decorre diritto dal punto di sbocco dei ciechi allo sbocco dei tubi Malpighiani (Fig. 1 MI). Da questo tipo si allontanano le 30 O. VISART Forficularie nelle quali (Fig.3 MI) il Mesointestino ha una forma di un fuso allungato, nel Gre/lotalpa la parte anteriore è molto ristretta ed ha l'aspetto di un collo. Salvo queste poche ecce- zioni la forma è generalmente quella sopradescritta. Istologia. — Dirò da principio come cenno bibliografico che dei lavori che si riferiscono alla minuta struttura del tubo digerente degli Ortotteri il più importante è quello del Faussek (') sull’ Eremobia muricata; le sue idee però sul Mesoin- testino differiscono grandemente dalle mie. Ho creduto far cosa utile dando in fondo un elenco dei lavori che direttamente od indirettamente mi hanno servito in questo studio. Tra i più importanti cito qui l’accuratissima memoria di Mixeazzini (*) sul tubo digerente delle larve e degli insetti per- fetti dei Lamellicorni, e quello del Batugrani (*). Detto questo poco: entro nella descrizione minuta di questa parte del tubo digerente degli Orrori. Dall'esterno all’interno notiamo: Una tunica di muscoli longitudinali. Una tunica di muscoli trasversali od anulari. Una membranella connettivale subepiteliale, detta tunica propria . L' epitelio. pei La tunica dei muscoli longitudinali (Fig. 9 72, Fig. 10 m2) (Fig. 9). (1) Faussek — MHistol. des Darmkanals der Ins. Zeitschr. fiir wiss. Zool. XLV. 1887, pag. 694. (°) Mincazzimi — Op. còt. (°) Etude sur le tube digestif. des Cryptops. Arch. de Zool. esperimentale. Année 1890 ne consta di fascetti equidistanti, i quali de- corrono parallelamente nel senso longitudi- nale del Mesointestino. Questi fascetti man- dano delle derivazioni (Fig. 3 A, B,C) che li uniscono tra di loro. Essi sono pure uniti coifascetti della tunica trasversale mediante |. derivazioni che questa invia sui muscoli lon- (Fig. 11). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 81 gitudinali, (Fig. 11, mr, mtr.) So- no quindi le due tonache intiera- mente connesse. Nella fig. 12, A sfr ho rappresentato il modo col quale le fibre si sfrangiano e si suddividono nelle più piccole fi- brille, a guisa di pennello, per inserirsi su altri muscoli. Oltre a questo, per dare più compattezza, abbiamo il fatto della membrana connettivale, che riveste le tuniche musco- lari. Questa membrana come già vedemmo parlando del Prointe- stino non costituisce allo esterno un inviluppo continuo, ma a gui- sa di maglia ravvolge il tubo digerente e tien luogo di una sterosa. Attraverso i fori lasciati da questa maglia penetrano nu- merosissime le trachee, che in- sinuandosi attraverso alle due tuniche muscolari giungono fino sotto latunica propria (Fig.10 #7, Fig. 9 #r, Fig. 13 2). 32 A ZE È PCR to TEIL (Fig. 14). mente col carminio boracico. VISART I muscoli longitudinali si prolungano nelle appendici mag- giori non solo, ma in vicinanza dei piccoli ciechi sdoppiandosi si prolungano anche in questi (Fig. 14 ml). La tunica dei muscoli anu- lari consta di fasci molto più rav- vicinati decorrenti con grande regolarità nel senso trasversale od anulare del Mesointestino. T'an- to questi muscoli come quelli lon- gitudinali appartengono al tipo striato, benchè in qualche caso la striatura sia poco apparente. I nuclei sono piccoli ovali e dispo- sti nel senso del decorso delle fibre. Si colorano intensamente coi reagenti coloranti, special- Nei ciechi la membrana connettivale che riveste le tuniche muscolari dà allo strato dei muscoli trasversali un curioso aspetto (Fig. 15). I RT AT CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 33 come di reticolo che ho rappresentato fedelmente nella Fig. 15 fatta in base ad una microfotografia.I grossi fasci muscolari sono uniti tra di loro da espansioni laminari di connettivo (Fig.15, sc); ne risultano delle aree semicircolari, libere, attraverso le quali penetrano grossi tronchi tracheali. Attraverso queste espansioni laminari passano spesso delle piccole fibre muscolari che par- tendo da un fascio vanno ad anastomizzarsi sul fascio vicino. Questa caratteristica struttura non venne fino ad ora osservata da nessuno; della medesima può farsi un'idea esatta sola- mente facendo delle preparazioni 27 toto della tunica muscolare dei ciechi allontanando l’epitelio e cercando di levare con aghi la tunica connettivale subepiteliare. Tunica propria. — La tunica propria (Fig. 9 tr, Fig. 10 tpr) è una membranella omogenea di connettivo sulla quale risiedono le cellule dell'epitelio e che ne segue il percorso in tutte le sue ripiegature ed introflessioni. Essa non si colora che molto difficilmente coi reagenti coloranti. Il nome di tunica propria dato dal FrevzeL non è sempre esatto benchè valga per la maggior parte dei casi. E esatta, quando ha realmente l'aspetto di una membrana (“dasament membran , ); non merita più questo nome, quando la sostanza connettivale diventa fibril- lare, ed assume l’aspetto di connettivo lasso. Negli Ortotteri la tunica sube- piteliare del Mesointestino è general- mente una membrana omogenea ben distinta. In qualche caso sembra di scorgerne due addossate, framezzo alle quali esistono dei piccoli nuclei (Fig. 16 tpr). s Colla macerazione in un miscuglio di acqua salata e di acido acetico de- ‘ bole (Batgrani) si ottiene spesso di staccare tutta od in parte la tunica (Fig. 16). epiteliare che si appalesa chiaramente “come una membrana imperforata e continua, dalla quale però partono in certi casi dei fili di sostanza connettiva che possono insinuarsi tra le cellule dell'epitelio. 34 0. VISARI Epiteli. — Anzitutto espongo i varii aspetti sotto i quali si possono presentare le cellule dell’ epitelio. 1. Cellule epiteliari di rivestimento a tipo cilindrico, generalmente con orletto. 2. Cellule allungate a tipo clavato o caliciformi, senza orletto. 9. Cellule di dimensioni molto maggiori, ben distinte dai due tipi antecedenti, spesso libere fra l’epitelio, con differenziazione mag- giore del loro contenuto. (Cellule mucose di Leve, FRENZEL, BALBIANI). 4. Cellule piccole rotondeggianti libere racchiuse in cripte glan- dulari. I due primi tipi di cellule rappresentano la gran maggio- ranza dell’epitelio del Mesointestino. Benchè a prima vista pos- (Fig. 17). (Fig. 20). sano sembrare grandi le differenze tra le prime (Fig. 17) e le seconde (Fig. 18-21) pure esiste tra le une e le altre un intimo rapporto genetico; cioè le cellule @« tipo clavato non sono al- tro che il risultato della trasformazione delle cellule cilindriche. Questa trasformazione delle cellule cilindriche dell’ epitelio in cellule clavate o caliciformi è graduale, e spesso in un allinea- mento di cellule cilindriche di rivestimento con orletto si. scor- gono delle cellule più allungate e più sottili, claviformi, prive di orletto, che sortono dall’assise delle cellule di rivestimento; e CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 35 siccome noi scorgiamo tutti gli stadi di trasformazione della cellula cilindrica tipica (Fig. 17) alla cellula clavata (Fig. 20) o calciforme (Fig. 18) non ci è più permesso di dubitare che queste ultime siano un risultato di trasformazione di quelle. Ma le differenze tra questi due tipi di cellule non si arre- stano alla loro forma esteriore; sono fisiologiche, e quindi più profonde. La cellula epiteliare cilindrica, con orletto, ci rappresenta per così dire l'elemento di puro rivestimento, mentre la cel- lula clavata o caliciforme ci rappresenta la cellula funzionante da elemento glandulare (!). L'’epitelio dei ciechi non differisce essenzialmente da quello delMesointestino; tuttalpiù le cellule di questo ultimo sembrano più allungate. Nel Mesointestino le cellule clavate si trovano generalmente in maggiore quantità che non nei ciechi, nei quali invece vedremo esser più comuni le cripte glandulari. Insomma differenze istologiche importanti tra le appendici cecali ed il Mesointestino non esistono e si comprende che ciò sia, non es- sendo esse che la continuazione del Mesointestino. Cellule cilindriche — Orletto. — Come: già dissi, uno dei caratteri della cellula cilindrica di rinvestimento è l’orletto che la ricopre (Fig. 17 07). Tanto nei ciechi come nel Mesoin- testino le cellule epiteliari si possono trovare in uno stato quasi di riposo nel quale la loro attività glandulare sembra sospesa. In questo caso l’orletto forma sotto le cellule cilindriche uno strato continuo e regolare che le ricopre. Tengo molte prepa- razioni fatte su individui mantenuti in lungo digiuno o presi nella stagione invernale nei quali le cellule clavate o glandu- (1) Negli Ortotteri presi nella stagione autunnale o invernale o sottoposti a lungo digiuno, le funzioni digestive sono rallentate. I tagli del Mesointestino e dei Ciechi ci mostrano un epitelio costituito quasi esclusivamente di cellule cilindriche di rivesti- mento col loro orletto. Se noi osserviamo i medesimi individui nella stagione calda, quando si nutrono abbondantemente, l’attività secretizia delle cellule del Mesointestino è più attiva e esaminato l’ epitelio lo vediamo composto in maggioranza di cellule a tipo clavato. Si sarebbe quindi tentati di chiamare le prime cellule quiecenti e le se- conde funzionanti, riferendosi a due strati morfologici e fisiologici differenti, ma questa denominazione non è rigorosamente esatta poichè potrebbe includere l'idea di riposo; ora noi sappiamo che i materiali protoplasmatici non sono mai in istato di riposo as- soluto ma subiscono delle lenti e continue trasformazioni, che sono appunto quelle che trasformano la cellula cilindrica da semplice elemento epiteliare in vero elemento glan- dulare. 36 O. VISART lari sono rarissime e quasi l'eccezione. L’orletto degli Ortotteri visto a forti ingrandimenti qualche volta si appalesa risultante di tante ciglia cementate assieme da una sostanza che proba- bilmente è del muco. Ma la natura ciliare del medesimo è in- discutibilmente dimostrata dal fatto seguente. Ho notato che nei tagli in serie ottenuti da pezzi inclusi in paraffina, spessis- simo la ciglia dell’orletto prive di sostanza cementante appa- - riscono nette e libere (Fig. 18 cf). Non è improbabile che il cloroformio e la trementina che entrano nelle manipolazioni del- l'inclusione dei pezzi, agiscano come solventi, liberando le ciglia dalla sostanza che le cementa, nello stesso modo che esse sciol- gono molte sostanze grasse ed albuminoidi contenute nelle cel- lule, sostanze che fanno parte dei materiali di secrezione quando la cellula funziona da elemento glandulare. Comunque questo fatto è una prova irrefragrabile della natura ciliare dell’orletto e ci ammonisce a non tralasciare mai la dissociazione dell’epi- telio coi metodi rapidi onde farsi un'idea esatta dei suoi ele- menti, Cellula glandulare. — La' forma caratteristica della cel- lula glandulare negli Ortotteri è la forma clavata colla parte posteriore o stilare allungatissima quasi filiforme (Fig. 19-22). Più raramente osservasi la forma caliciforme (Fig. 18). Il nucleo si trova generalmente nel terzo posteriore della cellula, ha forma allungata, adattandosi alla forma stilare di questa parte (Fig. 19 2). Spesso trovansi due nuclei; in questo caso il secondo si trova nella parte an- teriore della cellula. Le mie ricerche sul modo di divisione del nucleo non mi permettono di dichia- rarmi per la divisione indiretta x0r avendo mar 0s- servato melle cellule epiteliari di questo tipo forme cariocinetiche. Negli elementi dissociati ho osservato molto spesso dei nuclei vicini gli uni agli altri in modo da non lasciar dubbio che si tratta di nuclei risultanti da una vera frammentazione. Nel caso che vi sono due nuclei, quello basale è generalmente più piccolo ed ha un contenuto più omogeneo, mentre il nucleo che si è spinto nella parte anteriore ha un contenuto più gra- nuloso, (Fig. 22). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 37 Aspetto del protoplasma nelle cellule cilindriche e nelle cellule clavate. — Il contenuto protoplasmatico delle cellule cilindriche è generalmente egualmente distribuito, nella cellula clavata invece è notevole il fatto di una disuguale di- stribuzione dei materiali granulosi del protoplasma; infatti questi si accumolano maggiormente nella parte stilare basale della cellula, mentre nella parte anteriore rigonfia le granulazioni sono molto più fini, prevalendo in esse la parte liquida o ca- rioplasma. Negli Ortotteri non esiste una delimitazione netta, nè una speciale conformazione della parte anteriore della cellula glan- dulare, che permetta di dare ad essa la denominazione di teca; il protoplasma più denso della parte inferiore passa insensibil- ménte al protoplasma meno denso della parte superiore. Queste cellule sono quindi elementi glandulari appartenenti al tipo più semplice e lo comprovano le interessanti modalità del loro mec- canismo di secrezione. Meccanismo della secrezione delle cellule clavate. — Veniamo ora a descrivere il meccanismo di secrezione in queste cellule glandulari. Il metodo più diffuso si può definire una vera gemmazione, che avviene in questo modo. I materiali accresciutisi nell'interno della cellula agiscono distendendo ed allungando le sue pareti. La parte anteriore piana della cellula cilindrica (Fig.17) sotto l’azione di questa forza endogena si arrotonda a clava (Fig. 19-22); a questo punto non esiste già più l’or/etto. Aumentando sempre più la pres- sione interna, la parte superiore della cellula a poco a poco assume l’aspetto di una vesci- chetta (Fig. 21-23). La parte che sta. al di- sotto di questa vescichetta a poco a poco si strozza ed allora essa apparisce come una pallina sostenuta da un peduncolo sulla cel- lula; da ultimo questo peduncolo si strozza completamente e la vescica così generata si stacca dalla cellula madre (Fig. 24). Queste vescichette appena staccate dal corpo della cellula hanno generalmente ancora l'aspetto piriforme esistendo ancora una traccia del peduncolo che le (Fig. 23). (Fig. 24) 38 O. VISART manteneva aderenti (Fig. 25 7, Fig. 9, Fig. 10); più tardi esse si arrotondano, e previa rottura delle loro sottilissime pareti il contenuto (Mucina?) viene’ de- versato nel lume intestinale. È facilissimo di osservare tutti que- sti stadi di gemmazione su sezioni trasversali del Mesointestino. Bi- sogna naturalmente avere l’av- vertenza di non spaccare longi- tudinalmente il tubo digerente, affinchè l’epitelio non si guasti o venga esportato dai lavaggi negli alcool. Crematolisi del nucleo che precede la gemmazione. — A questo punto si presenta naturalmente l'importante questione; quale parte il nucleo prenda in questo processo di gemmazione. Ecco le mie osservazioni in proposito. Generalmente la cellula che si accinge mediante il processo descritto alla gemmazione possiede due nuclei. Uno di essi (Fig.20 n, Fig. 21 x), viene spinto nella parte superiore vescicolare della cellula. Quivi generalmente, prima che la vescicola sì stacchi dalla cellula madre il nucleo piano piano diffluisce nel carzoplasma della medesima (Fig.26 x). Abbiamo quindi un vero fenomeno di cromatolisi del nucleo che precede la gemmazione delle cel- lule glandulari. Questo fenomeno può essere facil- mente osservato poichè nelle sezioni si vedono tutti gli stadi di questa fusione (diffluenza). Così ad esem- pio nella cellula a tipo clavato, il nucleo superiore (Fig. 20 n) e molto più grosso del nucleo basilare, ma già si vede pochissimo distinta la delimitazione delle sue pareti dal plasma circostante. In cellule più vicine alla gemmazione (Fig.21 x) il nucleo è ancora più grosso ma si differenzia sempre meno. Finalmente è facilissimo di vedere lo stadio rappresentato dalla Fig. 26 nel quale il nucleo non ha più limiti netti, ma solo se ne arguisce la presenza dalla sostanza nucleare che formà un addensamento maggiore di gra- (Fig. 25) (Fig. 26). tenne CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 39 nuli nel plasma. Nelle vescichette distaccate non vi è più traccia del nucleo il quale è stato completamente assorbito. La cro- matolisi del nucleo è un fatto importante poichè ci dimostra che esso partecipa all'attività secretizia delle cellule deversando nel ca- nale intestinale i materiali speciali elaborati nel suo interno. Qualche volta avviene una leggera variante al processo so- pra descritto. Prima che la parte vescicale si stacchi dalla cel- lula, nelle sue pareti si pratica un’ apertura per la quale sorte il contenuto (Fig. 26). In altri casi la vescica non sì stacca me- diante lo strozzamento del peduncolo che la sostiene, ma me- diante un taglio netto (Fig. 24). Abbiamo in questo caso anzi- chè gemmazione una vera segmentazione della cellula. Alla do- manda se una medesima cellula possa servire più volte a que- sto processo di gemmazione, possiamo rispondere affermativa- mente e ne è prova indiscutibile il fatto rappresentato nelle _ figure 18 e 16 che descrivo brevemente. Le figure rappresentano dei setti dei ciechi dell’ Acr/dium Tarsarium. Un gran numero di cellule si segmentano contemporaneamente ad una data al- tezza (Fig. 16 ep'); tutte le parti che vengono così staccate dalle cellule madri non deversano indipendentemente il loro conte- nuto all’esterno, poichè le membrane dei bordi anteriori ed esterni delle cellule’ non si rompono, ma formano unite una membrana unica, che nel suo insieme costituisce una specie di sacco. In questo sacco avviene la diffusione delle sostanze se- cretizie, le quali poi praticandosi un'apertura escono all’esterno. Osservando la figura vediamo che l'allineamento di cellule che ha subìto la segmentazione sono diventate la metà in volume di quelle che si vedono dal lato opposto del setto. Nella figura 13 si vede un altro caso pure comunissimo ad osservarsi nel quale questa segmentazione è avvenuta su tutta l’estensione dell'epitelio del setto. È indubitato che le cellule cilindriche che risultano da questa segmentazione dotate di nuova attività, direi quasi ringiovanite, potranno manifestare di nuovo la loro attività glandulare, sia col processo di gemmazione, sia segmentandosi nel modo che sopra ho descritto. Contenuto delle cellule glandulari. — Il contenuto delle cellule epiteliari degli Artropodi in genere venne minutamente studiato dal FrenzeL. Non avendo fatto studi speciali in propo- sito, dirò solo due parole di quel poco che ho constatato negli 40 O. VISART Ortotteri. Nell’interno del Protoplasma ho riconosciuto la pre- senza di gocciole d'olio e di granulazioni grasse (Fig. 17 g,») che si sciolgono nel xzlolo e si anneriscono coll’ acido osmico. Ho notato quasi constantemente la presenza di strani corpic- cioli rifrangenti alla luce ravvolti da una specie di vescichetta chiara e trasparente (Fig. 17-22-26 cr); non ho potuto de- terminarne la natura; non credo però siano di sostanza grassa, poichè non si sciolgono nello xi/olo, nè si anneriscono coll’ a- cido osmico. Essi sono pure refrattari a qualsiasi colorazione. Occorrerebbero ricerche microchimiche più at- tive in proposito per stabilirne la natura, visto che sono costanti e non possono sfuggire per la caratteristica rifrangenza ad un attento osserva- tore. Per finire dirò che non poche volte mi si sono presentate delle grosse cellule cilindriche con orletto (Fig. 27) aventi un solo grosso nucleo cir- , condato da un’ areola chiara che farebbe sup- porre intorno ad esso una specie di vescichetta, della quale però non mi riuscì a mettere in evi- aenza la membrana. Disposizioni delle cellule epiteliari. _ Le cellule epiteliari del Mesointestino degli Ortotteri sono rag- gruppate in tanti mazzetti. Questa disposizione caratteristica venne già descritta da Barsiani e da Mincazzii; si può farsene un'idea osservando pezzi di mucosa dall'alto, od anche su tagli trasversali (Fig. 10 ep), Tra ognuno di questi mazzetti, che sono delle vere famiglie cellulari, esistono le cripte glandulari, delle quali parlerò più avanti. Cellule mucose di Leydig. — Le colulo mucose che rap- presentano il terzo tipo da me enumerato sono delle cellule ben distinte e conosciute da tutti gli autori che si sono occupati dell'epitelio degli Ortotteri, per parlare solo dei più recenti: BraurecarD le descrive nella Cantaride, Korornerr nel GreMotalpa, Faussek nelle larve dell’Eremobia e dell’ Aeschna, BanBianI nel- l’intestino dei Cryptops. Esse si distinguono facilmente in seno all’epitelio essendo in piccolo numero e molto più grandi delle cellule epiteliari. Negli Ortotteri non sono molto comuni; non ne ho trovate nel Proin- testino, ma solo nel Mesointestino e nemmeno nei ciechi. (Fig. 27). CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 41 Il loro aspetto è quello di una grossa cellula ovoidea quattro o cinque volte maggiore delle cellule epiteliari circostanti. Qual- che volta esse risiedono sulla tunica propria, ma più spesso si . scorgono libere tra le cellule epiteliari. BauBrAnI asserisce non averne mai visto nei Cryptops arrivare fino alla superfice libera dell'epitelio. La medesima osservazione posso fare per gli Or- totteri. Ho constatato negli Ortotteri la presenza di una vera teca nella parte anteriore di queste cellule. Rimane un quesito come avvenga la uscita delle sostanze secretizie da esse cel- lule. Non ho potuto verificare se ciò avvenga per mezzo di un foro (stoma), o per la rottura della teca; e su questo punto non fui più fortunato di Faussek e di Barsrani. Ho però osservato in queste cellule figure cariocinetiche che mi permettono di concludere in favore di questo mezzo di divisione cellulare, fatto che non ho mai potuto osservare nelle cellule epiteliari cilin- driche e clavate, che pure costituiscono la quasi totalità degli elementi epiteliari. Cripte glandulari. — Glandule pluriceliulari perfetta- mente costituite come le volle vedere il FrenzeL ed il Faussek col loro dutto escretore non mi fu mai possibile vedere negli Ortotteri, solo ho riscontrato molto spesso cripte piene di cel- lule ammassate a grossi nuclei, le quali a maturanza dissolven- dosi effluiscono all’esterno. Niuno può mettere in dubbio la presenza di questi ammassi di cellule che io ho raffigurato nella loro forma più tipica nella figura 25. Questa figura rappresenta una sezione trasversale di un setto di un cieco dell’ Acridium Tarsarium. Abbiamo al- l'esterno l’epitelio che partecipa esso pure all’attività glandu- lare, appartenendo al tipo clavato e trovandosi in gemmazione (Fig. 257). Più internamente si vede la tunica propria sulla quale risiede l’epitelio. Internamente viene a costituirsi uno spazio piriforme il quale è ripieno addensato di cellette con grossi nuclei a contenuto granuloso. Questo assieme di cellette racchiuse dalla tunica propria costituiscono le cripte glandulari degli Ortotteri. Spesso esse sono perfettamente chiuse ma in molti casi come vedesi nella figura si stabiliscono uno o più fori nella parete della tunica ed il contenuto delle cellule dif- fluendo, può essere deversato all’esterno, facendosi strada at- traverso gli elementi epiteliari. Non mi è mai riescito vedere 42 O. VISART un dutto escretore a pareti proprie, anzi in qualche caso la parete della tunica è spezzata in più punti ed il contenuto di queste cellule si fa strada all’esterno attraverso a tutte queste aperture. Nel Mesointestino esistono pure degli ammassi cel- lulari. che costituiscono delle specie di cripte, ma generalmente non sono così evidenti come nei ciechi. Nella figura 10 ho rap- presentato questi ammassi di cellule che stanno tra ogni maz- zetto di cellule clavate e che sono ben differenti da esse. Anzi tutto possiedono dei nuclei più grossi (Fig. 10 ep) con parecchi nucleoli. In queste cellule ho rimarcato {- gure cariocinetiche. Nella figura 28 ame ab- biamo pure una di queste cripte; la quantità dei nuclei delle cellule impedisce di vedere le membrane cellulari. Non si può met- tere in dubbio che le cellule che si trovano i così ammassate appartengono a un tipo di- -—é stinto e che quindi debbono avere un si- gnificato fisiologico speciale, ma il loro as- sieme non può per nulla costituire una glan- (Fig. 28). dula pluricellulare . CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DEL TUBO DIGERENTE DEGLI ARTROPODI 43 PARTE III. ROSEN EMESZRIONO La terza parte dell’Intestino o Postintestino (Fig. 1 Pi) va dallo sbocco dei tubi Malpighiani all'apertura anale. Anche questa parte si può dividere in tre porzioni distinte. 1. Una prima parte nella quale (Fig. 1,1) l’ epitelio consta di grandi cellule con grossi nuclei (Fig. 29 Fig. 30) nella quale (Fig. 30). la cuticola è mancante o pochissimo sviluppata. Questa parte ha generalmente il diametro del Mesointestino. 2. Una seconda parte più ristretta, (Fig. 1,2) che ha gene- ralmente l'aspetto di un collo. In questa parte le produzioni cuticolari si fanno rilevanti e la mucosa viene a costituire sei rilievi che mossi da uno sfintere muscolare costituiscono una valvola. TURATI » 36 — >» 359 SPESSOre e OS — >» 22 — >» 21 Questa specie ha la conchiglia assai rigonfia, più larga che lunga, con lobo abbastanza rilevato al quale corrisponde nella IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 83 valva opposta un seno largo e profondo che comincia proprio dall’ apice. La linea cardinale è diritta ed occupa quasi tutta la larghezza della conchiglia; l'apice è molto alto e robusto; l’area abbastanza ampia, la fessura deltidiale alta e piuttosto stretta. La commessura è diritta ai fianchi ed al cardine, sinuosa alla fronte. La conchiglia è ornata su ciascuna valva da 12 a 15 coste arrotondate, delle quali però sono completamente sprovvisti tanto il seno che il lobo. In un esemplare che ha conservato il guscio, la superficie di esso appare cosparsa di piccolissimi tubercoli assai fitti, vi- sibili anche ad occhio nudo. Le strie di accrescimento sono evi- . dentissime e molto spiccate. La Spiriferina pinguis Zier. è scarsamente rappresentata nel nostro Lias inferiore e i pochi esemplari esaminati corrispon- dono a quelli rappresentati dal Dr Srerano nella tav. II colle figure 1, 5, 6. var. Italiae m. Tav. I, fig. 4. Dimensioni I (es. fig.) II INI Lunghezza. . . . mm. 15 — mm. 20 — mm. 22 TARSIA e eo de Pd 22 Spessore — » 15 — >» 16 Conchiglia di piccole dimensioni, leggermente più lunga che larga, o tanto lunga che larga, globulare. La valva brachiale, di forma quasi subcircolare, è più o meno gibbosa nella re- gione cardinale, da dove scende un po’ più pianeggiante verso la fronte. Quivi forma un lobo poco distinto ma ampio, ornato da 3 coste radiali, arrotondate. La grande valva è gibbosa nella regione apiciale, molto più convessa della piccola, e presenta un seno ampio ma poco indicato provvisto di 4 coste ben di- stinte. La linea cardinale è arcuata ed occupa poca parte della larghezza della conchiglia; l’area è abbastanza sviluppata, la fessura deltidiale alta e piuttosto ampia. La riunione delle valve si compie ad angolo ottuso; la commessura si mantiene in uno stesso piano ai lati ed al cardine; è leggermente sinuosa alla fronte. L’'apice è robusto non molto elevato, largo, poco ri- curvo all'estremità. Se. Nat. Vol. XIII. 6 84 B. GRECO La superficie della conchiglia è munita di una punteggiatura assai fitta e fina uniformemente disposta; è ornata inoltre sù ciascuna valva da 18-20 coste, arrotondate, separate da spazi intercostali ampi. Queste coste incominciano leggere nella re- gione apiciale ma sono ben spiccate alla fronte; di esse se ne trovano costantemente 3 nel seno e 4 sul lobo. La piccola valva presenta un setto mediano che comincia sotto l’apice e ter- mina nella parte centrale di essa valva. Il setto della grande valva non è molto sviluppato. Questa varietà si distingue dalla Sp. pinguis Zier. tipica per l'apice meno ricurvo, per la linea cardinale arcuata, per il seno ed il lobo leggerissimi e provvisti di coste; dalla Sp. segregata Di Ster. per l'apice più ricurvo, l’area meno sviluppata, la linea cardinale arcuata e per le coste del lobo e del seno molto meno angolose e sporgenti. La Sp. pinguis Zier. var. Italiae è poco trequente nel Lias inferiore calabrese. Nei calcari neri di Puntadura ne ho rac- colti due soli esemplari, e sette in quelli del Varco del Ceraso presso Bocchigliero. 4. Spiriferina recondita Ste. 1885. Spiriferina recondita Secuenza, Le Spiriferina dei varii piani del Lias messinese, 1. c., pag. 438, tav. XIX, fig. 10. 1886. Spiriferina recondita Dr SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 46, tav. I, fig. 19-25. 1891. Spiriferina Miinsteri Dav. var. recondita (See.) Di Sterano, Il Lias medio del Monte S. Giuliano ecc., 1. c., pag. 62. I tre esemplari molto imperfetti di Bocchigliero che rife- risco a questa specie hanno in ambedue le valve quattordici costoline radiali ampie e poco angolose, limitate alle parti la- terali della conchiglia; il seno e il lobo sono completamente lisci. Tutta la superficie poi è uniformemente cosparsa da tu- bercoli piccoli e assai fitti. La Sp. recondita Sere. è affine alla Sp. Minsteri Dav.; ne diversifica per il seno più ampio e profondo, per le coste più numerose (da 14 a 18 invece di 8) meno angolose e per la punteggiatura più minuta e più stipata. Per tali particolarità, certamente molto notevoli, la Sp. recondita Sea. parrebbe buona IL LIÀS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 85 specie, l'insufficienza del mio materiale non mi permette di en- trare in merito all'opinione del Di StEFANO, secondo cui essa specie dovrebbe riunirsi, quale varietà, con la Sp. Minsteri Dav. Dalla Sp. oxygona Dest. si distingue per le dimensioni molto più pic- cole, per l’area più ristretta, l'apice più appuntito, la fessura deltidiale più stretta e le coste meno numerose e più ravvi- cinate. La Sp. oxygona Dest. inoltre, a differenza della Sp. re- condita See., è provvista di tubercoli grossi e radi. Gli esemplari calabresi di Sp. recondita Ses. corrispondono a quelli rappresentati dal Dr Srerano () nella tav. I, colle fi- gure 20, 22, 29. 5. Spiriferina Santoroi n. sp. Tav. I, fig. 1, 2. Dimensioni 1 II (es. fig.) III IV (es. fig.) Lunghezza . . mm. 19 — mm. 24 — mm. 32 — mm. 40 Teanezzai o od YU 2 de Spessore . . . >» 14 — >» 18 — » 24 — » 30 Conchiglia più lunga che larga globulare, a valve quasi ugualmente convesse. Piccola valva con lobo molto spiccato, ben distinto sin dall’ apice e alla fronte ampio e gibboso. Grande valva uniformemente convessa senza alcun indizio di seno, pro- tesa alla fronte in corrispondenza del lobo per inflettersi verso la piccola valva, e riunirsi all’insenatura marginale del lobo stesso. Apice robusto, alto, largo, ricurvo; area ben sviluppata concava ed ornata du un fitto reticolo di sottilissime linee che s'incontrano ad angolo retto; fessura deltidiale ampia e piut- tosto alta. Linea cardinale leggermente arcuata occupante circa la metà della larghezza della conchiglia. La riunione delle valve avviene ad angolo ottuso e la linea di commessura è arcuata ai lati e fortemente sinuosa alla fronte. Il Jobo della piccola valva e la corrispondente porzione della valva opposta presentano un Jeggero indizio di coste semplice- mente in prossimità della commissura frontale, sulle parti la- terali e su ciascuna valva della conchiglia irradiano dalla re- (1) Lias inferiore di Taormina ecc., 1. c, 86 B. GRECO gione apiciale 24 coste ben distinte, piuttosto fitte, arrotondate, meno ampie degli spazi interposti. Forti rughe di accrescimento si vedono al contorno della conchiglia. La punteggiatura è fit- tissima ed oltremodo fina. Sull’apice della grande valva si osser- vano le lamelle rostrali ed il setto mediano che sembra assai proteso; anche nella piccola valva il setto mediano è visibile e ben sviluppato. La Spiriferina Santoro: n. sp. si distingue dalla Sp. pinguis Zier. oltre che per essere costantemente più lunga che larga, e quindi di forma diversa, per la limea cardinale più breve, per il lobo più ampio, per la mancanza assoluta del seno e per le coste molto più numerose e piu fitte. La Spiriferina Santoroi n. sp. è frequente nei calcari neri del Varco del Ceraso presso Bocchigliero, da cui provengono nu- merosi esemplari in diverso stadio di sviluppo. 6. Spiriferina calabra n. sp. Tav. I, fig. 3. Dimensioni I II III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 20 — mm. 25 (?) — mm. 30 Larghezza . .. . >» VU /— » 23 — ‘28 Spessore. . . . >» 412 — » 15 — » 17 Conchiglia di forma quasi subcircolare, poco rigonfia, a mar- gini taglienti. La piccola valva porta un lobo molto ampio, e poco sporgente, ad esso corrisponde nella valva opposta un seno del pari largo e poco spiccato. L’apice è alto, ristretto, poco ricurvo, l’area piccola leggermente concava, la fessura del- tidiale alta e piuttosto stretta. Sull’apice si vedono le lamelle dentarie e, per trasparenza, il setto mediano, che giunge fino alla parte centrale della valva. La linea cardinale è arroton- data. Le valve si uniscono ad angolo acuto e la linea di com- messura è diritta ai lati e presenta una leggera inflessione alla fronte. La superficie della conchiglia osservata con una lente d'ingrandimento appare striata e ricoperta da punteggiatura assai fitta e minuta. Le rughe di accrescimento sono ben spic- cate. Sulla piccola valva si vede il setto mediano anche qui molto sviluppato. Questa specie si distingue dalla Spewriferina IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 87 terebratuloides Sec. per la sua forma generale, per essere assai meno rigonfia, per la presenza del seno e del lobo, per l'apice più alto e non spinto all'indietro e per la linea cardinale ar- rotondata. La forma subcircolare, la presenza del seno e del lobo, l'apice basso e ristretto, l’area piccola e la linea cardi- nale arrotondata sono altrettanti caratteri che la separano fa- cilmente dalla Sp. alpina Orp. Per le medesime particolarità si distingue dalla Sp. compressa See. che dal Di Srerano (!) viene ritenuta sinonima della Sp. alpina OpP. Gli esemplari, in numero di cinque, che hanno servito a stabilire la nuova specie, furono trovati al Varco del Ceraso presso Bocchigliero. 7. Spiriferina sp. ind. 1885. cfr. Spiriferina plano-convera Seauenza, Le Spiriferina dei varti piani del Lias messinese, l. c., pag. 452, tav. XX, fig. 5. Un frammento di Spiriferina per la ineguale convessità delle valve e per la forma della conchiglia, per quanto può arguirsi dal poco conservato, presenta analogia colla Sp. plano-convexra See., diversificandone per gli ornamenti che ricordano invece quelli della Sp. pinguis Zier. e per la presenza sulla grande valva di una leggera depressione mediana. Nel frammento ci- tato la punteggiatura è fitta e minuta. Esso fu trovato al Varco del Ceraso presso Bocchigliero. II. Genere 2thynchonella Fisca. v. W. 1. Rhynchonella jonica Di Strr. 1886. Rhynchonella jonica Dr SterAno, - Sul Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 55, tav. II, fig. 16-18. Conchiglia prevalentemente più lunga che larga, ad apice largo acuminato piuttosto alto e ricurvo. La valva imperforata è più convessa della grande e si mostra quasi gibbosa sotto (1) IV Lias medio del Monte S. Giuliano presso Trapani, 1. c., pag. 33-34. 88 B. GRECO l'apice, poi scende alla fronte, ove forma un lobo abbastanza rilevato, distinto dai lati della conchiglia mercè due spazi che diventano più larghi quando alcune coste limitanti il lobo stesso sì arrestano prima di arrivare alla fronte. La valva grande è meno convessa della piccola, e presenta un seno profondo. La conchiglia è ornata su ciascuna valva da circa 20 coste ben distinte, 4 ‘delle quali per lo più si trovano nel lobo della pic- cola valva e 3 nel seno della grande. Sui lati della regione api- ciale si presentano due spazi ovali un po’ concavi. Le valve si uniscono ad angolo ottuso e la commessura è dentellata ed è molto sinuosa alla fronte. Questa specie è ben distinta dalla RA. Lua Di Ster. per la maggiore convessità delle valve, per il seno più profondo, co- minciante più vicino all'apice, e per il maggior numero di coste. La Eh. jonica Di StEr. è piuttosto rara a Puntadura e al Tu- farello presso Longobucco, rarissima al Varco del Ceraso. 2. Rhynchonella olivaensis Di Srer. 1886. Ehynchonella olivaensis Di SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ecc., Inte Ripa zio tav 02.0? 1892. Rhynchonella olivaensis Fucini, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 25. 1893. Ehynchonella belemnitica (Quensr.) Bose, Die Fauna der lias. Bra- chiopodensch. bei Hindelang. Jahrb. der k. k. geol. Reichsanst. » Bd. 42, H. 4, pag. 639 (ex parte, non Quensr.). Questa specie, come si deduce dalla descrizione del Dr Ste- FANO, e dal ricchissimo materiale da me studiato, è vicina alla Eh. jonica Di Ster. Ne differisce solo per essere depressa e slar- gata e prevalentemente più larga che lunga, per avere apice più basso, e per il minor numero delle coste (circa 16 su cia- scuna valva invece di 20). Il Bòse ritiene che questa specie debba riportarsi alla RAynehonella belemnitica Quensr. Da questa però facilmente si distingue per le coste molto più numerose, più strette e più ravvicinate e per il seno molto più profondo, più spiccato e delimitato da due spazi lisci originati dall’ar- restarsi di una costa prima di giungere alla fronte. La Eh. olivaensis Di Ster. è una delle specie più comune nei calcari neri di Puntadura di Bocchigliero e del Tufarello presso Longobucco, IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 89 3. Rhynchonella curviceps Quensr. sp. 1858. Terebratula curviceps QuensteDnT, Der Jura, pag. 138, tav. XVII, fig. 13-15. 1891. Ehynchonella curviceps Di SterANo, Il Lias medio del Monte S. Giu- liano ecc., 1. c., pag. 64, tav. II, fig. 2. (cum syn.). 1892. £hynchonella curviceps Fuomi, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 21. La RAynchonella curviceps Quenst. è la specie più abbondante fra tutte le EAychonellae che si raccolgono nei calcari neri lia- sici di Puntadura, del Tufarello e del Varco del Ceraso. Gli esemplari da me osservati corrispondono perfettamente a quelli di Taormina descritti e figurati dal Dr Srerano. Riferisco inoltre a questa specie, come forma teratologica, due esemplari che presentano le seguenti dimensioni: I II Lunghezza . . . mm. 15 — mm. 15 Marghezza, ec. i dei 12 Spessore . . . . >» 14 — >» 414 Essi hanno conchiglia oltremodo compressa lateralmente, quasi schiacciata, aventi sulla piccola valva un lobo enormemente alto e stretto e si avvicinano molto a quella forma figurata dal QuensreDT (*) nella tav. 37 colla fig. 120. 4. Rhynchonella Lua Di Srrr. 1886. RAynchonella Lua Di SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 57, tav. II, fig. 21-24. 1892. Ehynchonella Lua Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 26. Questa specie si distingue dalla R%. curviceps Quenst. sp. per la forma più depressa e sopratutto per il minore sviluppo del lobo. La Eh. Lua Di Ster. è piuttosto comune nei calcari neri di Puntadura e del Tufarello, rara al Varco del Ceraso. Gli esem- plari da me esaminati corrispondono per la massima parte a quelli di Taormina; alcuni però se ne discostano per*non avere la piccola valva gibbosa sotto l'apice. (1) Brachiopoden, Petrefactenk. Deutschl., 1871. 900. B. GRECO 5. Rhynchonella Schopeni Di Strr. 1886. RAynchonella Schopeni Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ece., I. c., pag. 68, tav. II, fig. 45, 46. 1892. RAynchonella Schopeni Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 26. Questa specie è scarsamente rappresentata nei calcari neri di Puntadura e del Tufarello; manca al Varco del Ceraso. 6. Rhynchonella plicatissima Quensr. sp. 1858. Terebratula plicatissima QuenstDr, Der Jura, pag. 99, tav. 12, fig. 15. 1892. Rhynchonella plicatissima Fuomi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 22 (cum syn.). 1892. RAynchonella plicatissima Fucmi, Alcuni fossili del Lias inferiore delle Alpi Apuane e dell'Appennino di Lunigiana. Atti d. Soc. Tosc. di Sc. Nat. Mem., vol. XII, pag. 295, tav. IV, fig. 1 e 2. 1893. Rhynchonella plicatissima Bose, Die fauna der lias. Brach. ecc., 1NCOMp-M645% Questa specie è abbondante nel Lias inferiore di Calabria. Gli esemplari esaminati corrispondono perfettamente a quelli siciliani. La 7. hungarica Bòcka, come osserva il Di StEFANO, è assai vicina alle nostre forme di A. plicatissima Quenst. sp. dalle quali si discosta per essere più rigonfia e per avere il seno ed il lobo ben distinto. Numerosi esemplari di KR. plicatissima Quenst. sp. ho rac- colto a Puntadura e nei dintorni di Longobucco; pochi al Varco del Ceraso. 7. Rhynchonella correcta Di Str. 1886. Ehynchonella correcta Dr SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ecc., lL. c., pag. 65, tav. II, fig. 39-44. 1892. Rhynchonella correcta Fucmi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 27. Come fa notare il Di StEFANO questa specie presenta analogie colla FA. fissicostata Surss, da cui si distingue nettamente per non avere le coste biforcate. Essa è abbondantissima a Pun- tadura e al Tutarello, rara al Varco del Ceraso. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 9il 8. Rhynchonella sp. ind. cfr. Rh. fissicostata Surss. 1854. Ehynchonella fissicostata Svess (cfr.), Ueber die Brachiopoden der Késsener-Schichten. Denkschr. d. math.-naturwiss. C1. d. k. Ak. der Wiss. Sep.-Abdr., pag. 30, tav. IV. fig. 1-4. 1886. Ehynchonella cfr. fissicostata Di Srerano, Sul Lias inf. di Taor- mina ecc., l. c., pag. 63, tav. II, fig. 36-38. 1889. Khynchonella cfr. fissicostata Gever, Ueber d. lias. Brach. ecc., l. c., pag. 55, tav. VI, fig. 32. 1892. Ehynchonella fissicostata Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 24. Gli esemplari esaminati si possono così caratterizzare: Con- chiglia subtriangolare, rigonfia, ad apice piuttosto alto, acuminato e poco ricurvo. Valve quasi ugualmente convesse: la brachiale con lobo alto e largo ornato da 6-8 coste; la perforata con seno ampio e piuttosto profondo provvisto di 7-9 coste. Su tutta la conchiglia poi le coste irradiano semplici dal- l’apice, ma ad una piccola distanza da esso si biforcano e ar- rivano così sdoppiate e sempre più spiccate ed angolose ai mar- gini laterali e frontale ove in tutto se ne contano da 20 a 26 su ciascuna valva. La maggior parte degli esemplari calabresi corrispondono alla R%. cfr. fissicostata Surss, provenienti da Hierlatz ed Hallstatt, descritti e figurati dal Gever; solo alcuni per essere depressi ricordano le forme appianate di Taormina, citate dal Dr Srerano. Per il maggiore sviluppo del seno e del lobo tutti i nostri esemplari differiscono dalla tipica R%. fissi- costata Surss. La FA. cfr. fissicostata Suess è abbastanza comune nel Lias inferiore calabrese. 9. Rbynchonella variabilis v. Buck (non Scrtora). 1838. Ihynchonella variabilis ve Buca, Essai d’une classif. et descr. des Teérébratules. Mém. Soc. géol. de France, vol. IMI, p. I, pag. 141, tav. XIV, fig. 10 (non Scauorz.). 1891. Ehynchonella Briseis Di Srerano, Il Lias medio del Monte S. Giu- liano ecc., l. c., pag. 88, tav. III fig. 9-13 (cum syn.). 1892. Fhynchonella Briseis Parona, Rev. della fauna liass. di Gozzano CURE ZO iv 0 ai dos) Questa specie, oltremodo variabile, è rappresentata nel mio materiale da conchiglie di forma subtriangolare ed alquanto 92 B. GRECO rigonfie. In esse la valva imperforata, gibbosa sotto l'apice, pre- senta un lobo ben manifesto e piuttosto alto, separato dai lati della conchiglia da due spazi assai larghi e molto estesi in senso obliquo verso le coste limitanti il seno, onde questo resulta più largo del lobo. La valva maggiore è meno convessa della pic- cola e presenta un seno debole in vicinanza dell’ apice, profondo alla fronte. Apice basso, largo, ricurvo; commessura molto si- nuosa alla fronte. Su ciascuna valva si hanno circa 10 coste, angolose, separate da spazi profondi. Di esse se ne contano 3-4 sul lobo, 2-3 nel seno. La Eh. variabilis v. Buca (non Scurora.) è rarissima nel Lias inferiore di Calabria e i 10 esemplari provenienti dai calcari neri di Puntadura e del Tufarello si avvicinano a quelli descritti dal GemmeLLAro (1) col nome di RA. Briseis. Il Dr Srerano, seguendo le opinioni del Parona, del GeyER e dell’Haas, ritiene che la PRA. variabilis ScaLora., la RA. bidens Prir., la Fà. triplicata Pa. e la Eh. Briseis Gemm. formino una sola specie; e osserva che non si può accettare il nome di R%. variabilis ScaLora. perchè questa specie fu fondata sopra esem- plari del Devoniano, Permiano e Lias. Non si possono inoltre usare i nomi di E. triplicata e Eh. bidens perchè il Priuies non descrisse queste specie, ma ne diede solamente delle fi- gure molto imperfette ed applicabili a diverse specie. Lo stesso Di Sterano avrebbe voluto accettare il nome di E%. delemnitica Quenst. che l’Haas ed il Gever riuniscono colla ARA. variabilis Scanora.; ma l'identità di queste due specie non sembra affatto provata. Per queste ragioni egli dà alla specie di cui ci occu- piamo il nome di R%. Briseis Gemw. Il Bose (?) però in un lavoro recente crede che la AA. delemnitica Quenst. non sia sinonima della R%. variabilis Scarora. in opposizione al Gryer e all’ Haas, ma una specie ben distinta da essa per diversi caratteri. So- stiene inoltre che deve essere preferito il nome di R%. varsabilis perchè, sebbene lo SciLoriem abbia fondata questa specie sopra esemplari di diversi terreni, pure v. Buck e Davipson sotto questo (1) GemmeLLaro. — Sopra i foss. d. zona a T. Aspasia Mcx. nella prov. di Pa- lermo Estr. d. Giorn. di Sc. nat. ed econ. di Palermo, vol. X, pag. 77, tav. XI, fig. 19-22, 1874. (°) Die Fama der lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, 1. c., pag. 640. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 93 nome hanno descritta e figurata assai bene la forma liasica. E ciò molto tempo prima che Gemmetraro fondasse la sua 4. Briseis. Quindi io credo che non potendosi tener più conto del nome di ScaLoraEm, si debba per la nostra specie adottare il nome di Eh. variabilis v. Buca, che fu il primo che la descrisse e fi- gurò con esattezza. 10. Rhynchonella furcillata Taeop. sp. 1838. Terebratula furcillata Dr Buck, Essai d'une classif. ecc., L c., pag. 143, tav. XIV, fig. 13. 1886. Ithynchonella furcillata Di Srerano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., Jess pag. 0007 tav. Ii 90 (cum isyn.). 1889. Ehynchonella furcillata Gever, Ueber die lias. Brach. ecc., l. c., pag. 60, tav. VII, fig. 16, 17. ‘ Conchiglia poco convessa, slargata, a contorno tagliente. La piccola valva ha la massima convessità sotto l’apice e pre- senta un lobo ampio e ben manifesto ; la grande, uniformemente convessa, ha seno assai ampio e profondo, che incomincia molto in basso. Apice alto, piccolo, acuminato poco ricurvo; angolo apiciale molto ampio. La riunione delle valve avviene ad an- golo acuto e la linea di commessura è fortemente dentellata ai lati ed alla fronte, ove si mostra anche molto sinuosa. La superficie di ciascuna valva è ornata da 25-80 coste radiali, fitte, arrotondate. Molte di esse però, giunte alla regione ove comincia il seno ed il lobo, si arrestano, e alla fronte ne ar- rivano perciò solamente dodici per ciascuna valva, le quali in quest’ultimo tratto sono assai allontanate fra loro, molto angolose e separate da spazi profondi. Le due coste limitanti il lobo presentano uno spazio intercostale più grande delle altre e diretto obliquamente, onde il seno sottostante risulta molto più largo del lobo. Questa elegantissima specie è rara nel Lias inferiore cala- brese ed io non ho potuto osservarne che 5 soli esemplari pro- venienti dal Varco del Ceraso. Essi corrispondono perfettamente a quelli di Taormina figurati dal Di Srerawo a tav. II colle fig. 9, 10. 94 3 IB, “GRECO 11. Rhynchonella areolata n. sp. Tav. I, fig. ©. Dimensioni Tunohezzo e Tarchezza pro CRI O) Spessore; il DE RIO MAURO Conchiglia subtriangolare, rigonfia, col massimo spessore in corrispondenza della fronte, ed a valve inugualmente convesse. La piccola, più rigonfia, è completamente priva di lobo, ed anche la grande non porta alcun indizio di seno; ambedue le valve però giunte alla fronte, ove è il massimo spessore della con- chiglia, piegano repentinamente l'una verso l’altra in modo che la fronte risulta elevata, molto rigonfia. L’apice è molto alto, largo, pochissimo ricurvo, il deltidio piuttosto ampio, cir- conda il forame che è largo, l'angolo apiciale è acuto. La con- chiglia è munita di un’areola lunghissima che giunge quasi fino alla fronte. La riunione delle valve avviene ad angolo ottuso e la linea di commessura è fortemente dentellata. La conchiglia è ornata da 13-14 coste principali che dal- l'apice arrivano fino alla commissura frontale, presso la quale notevolmente aumentano di grandezza. Tra esse s'interpongono due altre costicine (raramente una) che arrivano fin là dove le valve piegano repentinamente verso la commessura frontale, e sembrano quasi confluire a guisa di nodo verso le anzidette coste principali, in modo da formare tanti fasci, ciascuno di tre coste (raramente due). La Eh. areolata n. sp. è ben distinta dalla 4. furcillata Treo. sp. per Ja forma decisamente triangolare non slargata, per la sua maggior convessità, per il numero maggiore delle coste, per la loro forma, per l’areola assai sviluppata, per l’ an- golo apiciale acuto, l'apice più alto, e per l'aspetto caratteri- stico della fronte. L'unico esemplare esaminato di RX. areolata n. sp. proviene dal Varco del Ceraso presso Bocchigliero, ÎL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 95 var. minor m. Tav. I, fig. 6. Dimensioni Timo: Nezza e I TrarSNezZza dA SPESSOICRL TRE DIO Differisce dalla forma tipica oltre che per le dimensioni mi- nori, per avere la regione apiciale più alta e più acuta e per presentare un indizio di seno e di lobo larghi quasi quanto tutta la fronte. Anche di questa varietà ho un solo esemplare che come il precedente fu raccolto al Varco del Ceraso. III. Genere "Terebratula Kren. 1. Terebratula punctata Sow. 1812. Terebratula punctata Sowery, The mineral conchology of Great- Britain, vol. I, pag. 46, tav. XV, fig. 4. 1891. Terebratula punctata Di Sterano, IL Lias medio del Monte S. Giu- liano ecc., l. c., pag. 105 (cum syn.). 1892. Terebratula punctata Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., p. 27, tav. Tefo dì 1892. Terebratula punctata Parona, Rev. della fauna liass. di Gozzano ecc., l. c., pag. 40. 1892. Terebratula punetata Fucini, Ale. foss. d. Lias inf. d. Alpi Apuane ecc. e., pag. 308; tav. IV, fig. 0, 10 1893. Terebratula punctata Bose, Die fuuna der lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, l. c., pag. 632. La Terebratula punctata Sow. è la specie più comune fra i fossili del Lias inferiore calabrese. Gli esemplari esaminati in numero di oltre trecento si possono aggruppare in due serie come quelli di Taormina. La prima è costituita da forme con valva brachiale uniformemente rigonfia, con apice non molto ricurvo e con regione apiciale ristretta. La seconda è rappre- sentata da esemplari poco convessi, colla piccola valva portante una depressione sotto l'apice, con regione apiciale larga e con apice basso. I giovani esemplari hanno la piccola valva quasi 96 B. GRECO appiattita. A Puntadura e nei dintorni di Longobucco predo- minano le forme colla valva brachiale uniformemente convessa, mentre al Varco del Ceraso quelle colla piccola valva appiat- tita sotto l'apice. Il Di Srerawo, nella fauna di Taormina, distinse dalla 7. punctata Sow. le specie: T. Enna Di Srer., T. Timaei Di Ster., T. Ceres Di Ster., T. Baldacciù Di Sver., T. Danae Di Ster. Il Fucmi successivamente considerò tutte queste specie come al- trettante varietà della 7. punctata Sow. Poco tempo prima però che fosse pubblicato il lavoro del Fucmi, il Dr SrrrANo stesso nella memoria sul Lias medio del Monte S. Giuliano presso Tra- pani, riuniva la T. Danae Di Ster. e la T. Ceres Di Ser. alla T. punctata Sow., e sosteneva invece che la T. Baldacci, la T. Enna e la T. Timaei ne fossero decisamente distinte. Anche dall'esame del mio ricchissimo materiale si giunge agli stessi resultati, perchè ho potuto osservare che queste ultime tre spe- cie quantunque siano grandemente affini alla 7. punctata Sow., tuttavia ne rimangono sempre ben distinte per caratteri propri e costanti. Che se si volessero riunire tutte nella 7. punctata Sow., estendendo perciò i limiti di variabilità di questa specie, ancor più di quello che è stato fatto sino adesso, ritengo che gli autori si troverebbero oltremodo imbarazzati nel separare dalla 7. punctata Sow., molte e molte altre forme di Terebra- tule dei terreni liasici, che presentemente vengono considerate da tutti come buone specie. Negli esemplari calabresi di 7. punctata Sow. si riconoscono tutte le forme che furono trovate dal Di Sterano in Sicilia. In oltre distinguo le seguenti varietà: a) var. Edwardsi Dav. A questa appartengono pochi esemplari caratterizzati da conchiglie molto convesse con l'apice molto robusto a margini laterali arrotondati e così ricurvo da toccare la piccola valva. Questa presenta una spiccata regione depressa che dall’ umbone arriva sin quasi alla metà della lunghezza totale della conchi- glia, la quale poi è ornata da rughe evidentissime di accresci- mento. Per tali particolarità questi esemplari corrispondono alla forma inglese di 7. punctata Sow. var. Edwardsi descritta dal Davipson; e più ancora alle forme del Lias medio di Nor- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 97 mandia descritte e figurate dal DesLowecHamps. Si noti però che questo autore osservò nella 7. £Qwardsi Dav. un apparato bra- chiale più corto di quello della tipica 7. punctata Sow. Basan- dosi su questa osservazione il Bòse (!) recentemente ha sostenuto che la forma Edwardsi deve considerarsi come specie a sè. 6) var. ovatissima Quensr. Circa 20 esemplari debbono qui riferirsi, quasi tutti raccolti a Puntadura. Essi sono di forma subpentagonale o subovale, e presentano nella parte mediana della conchiglia, in vicinanza della fronte, una depressione limitata da due rialzi che con- vergono alla parte centrale delle valve. L'apice è alto, care- nato, poco curvo, in modo che si vede il deltidio basso e largo; commessura delle valve leggermente arcuata ai lati, ondulata alla fronte. Questi esemplari corrispondono quindi perfettamente a quelli figurati dal Quensrenr (Der Zura) nella tav. IX colla fig. 1 e nella tav. XII colla fig. 13. c) var. Andleri OPP. La varietà Andleri Op. della 7. punctata Sow. è vicinissima alla varietà superiromente citata; si distingue da essa per avere la conchiglia più slargata ai fianchi, meno rigonfia, con mar- gini taglienti e coll’apice più largo e un poco più alto. Questa varietà, come la precedente, è propria del banco fossilifero di Puntadura; e gli esemplari ad essa appartenenti sì possono paragonare a quelli di Hierlatz, che sotto lo stesso nome di 7. punctata Sow. var. Andleri Opp., furono descritti dal GeyER, e più particolarmente a quelli che questo autore (?) rap- presentò nella tav. I, colle fig. 4, 7. d) var. Gemmellaroi Fuc. Di questa varietà possiedo pochi esemplari, raccolti a Pun- tadura, al Tufarello e al Varco del Ceraso. Essi si scostano leggermente dall’ esemplare figurato dal Fucini per essere un po meno rigonfi. (') Die Fauna der lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, 1. c., pag. 635. (2) Ueb. die lias. Brach. ece., l. c., pag. 3. 98 B. GRECO e) var. Triontina m. Ma pie 8 Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) Tn shezza fe e e 4 0 N 0) TarohezzaWet i i RS DRS SPESSORE O E >» 22 Conchiglia molto più lunga che larga, globulare, a contorno subovale, molto allungata. Ambedue le valve sono ugualmente convesse e presentano due depressioni laterali che in corrispon- denza della fronte limitano un rilievo poco distinto. Apice molto alto, acuminato, ristretto, più o meno ricurvo, provvisto di ca- rene ottuse; deltidio basso, largo, formato da due pezzi che toccano solo inferiormente il forame il quale è di discrete di- mensioni. La linea cardinale è arcuata, ma assai ristretta e quasi acuta. La superficie della conchiglia è ornata da una fitta e minuta punteggiatura e da sottili linee radiali visibili anche ad occhio nudo. Le rughe di accrescimento sono ben sviluppate. Questa varietà frequente a Puntadura, rara al Tufarello e al Varco del Ceraso, ricorda la forma di 7. punctata Sow. del Lias inferiore di Taormina descritta dal Dr SrerAano prima come 7. Ceres, ma poi giustamente riunita alla stessa 7. punctata Sow. Ne diversifica però per avere la conchiglia costantemente molto più lunga e più stretta e per l'apice assai più alto e compresso lateralmente. 2. Terebratula Enna Di Srer. 1886. Terebratula Enna Dr SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ecc., 1. c., pagsionnarava0lVo hg: 09% 1892. Terebratula punctata Sow. var. Enna Fucini, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 32. Conchiglia più lunga che larga, rigonfia, slargata ai fianchi, troncata leggermente alla fronte. La piccola valva, meno convessa della grande, presenta ai lati due depressioni larghe, ma poco spiccate. La valva perforata in vicinanza della fronte si ripiega verso la valva brachiale. L’apice è basso, largo, grosso, robusto, ricurvo, attraversato da un forame assai ampio. La riunione IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 99 delle valve avviene ad angolo ottuso, la commessura è molto arcuata ai fianchi, ed alla fronte è inflessa verso la piccola valva. Punteggiatura fina, rughe di accrescimento assai forti. Come fa osservare il Di SrerAaNo e come anche si può de- durre dai miei esemplari, questa specie è vicina alla T. punctata Sow., tanto che il Fucmi la considerò come una varietà di essa; ne è però ben distinta per le depressioni laterali della piccola valva, per la forma e le dimensioni dell’apice e per la forte curvatura che la linea commessurale presenta ai lati della con- chiglia. La T. Enna Di Srer. è piuttosto comune a Puntadura, al Varco del Ceraso e al Tufarello presso Longobucco. 3. Terebratula Timaei Di Ster. 1886. Terebratula Timaei Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., I. c., pag. 85, tav. IV, fig. 5, 6. 1892. Terebratula punctata Sow. var. Timaei Fucmi, Moll. e Brach. ecc., INesspagt9ià Conchiglia piriforme a valve molto e quasi ugualmente con- vesse. Apice basso, robusto, molto ricurvo sulla piccola valva e lungo tanto da oltrepassarla; forame ampio. Per la forma dell’apice, l'aspetto piriforme della conchiglia e la sua convessità, questa specie è ben distinta dalla 7. punctata Sow., alla quale il Grver ed il Fucini vorrebbero riunirla. Gli esemplari calabresi di 7. Timaei Di Ster. corrispondono per- fettamente a quelli di Taormina. La specie è comune a Puntadura e al Tufarello presso Lon- gobucco, rara al Varco del Ceraso presso Bocchigliero. 4. Terebratula Baldaccii Di Ster. 1886. Terebratula Baldacciù Di SterANo, Sul Lias inf. di Taormina ecc., INc- pago, AtavagliVitio 788% 1892. Terebratula punctata Sow. var. Baldacci Fucini, Moll. e Brach. eoc., INfestpagot lE Conchiglia più lunga che larga, di forma subcircolare, a valve poco e quasi egualmente convesse, a margine tagliente. Apice Se. Nat. Vol. XIII. T 100 B. GRECO piccolo, basso, acuminato, non molto ricurvo e con margini la- terali bene sviluppati, deltidio basso e largo, forame piccolo. Tutti gli individui appartenenti a questa specie hanno l’aspet- to di Waldheimia; essi però non presentano mai sulla piccola valva alcun indizio del setto mediano, che ho ricercato in mol- tissime sezioni. La specie in parola come fa osservare il Di Ste- rano è ben distinta dalla 7. punctata Sow. per la forma del- l'apice e per l'aspetto generale della conchiglia, che a prima vista si direbbe una Waldheimia. La T. Baldacctù Di Ster. è comune a Puntadura, rara in- vece al Tufarello e.al Varco del Ceraso ove ne sono stati rac- colti pochi esemplari. 5. Terebratula Proserpina Di Srer. 1886. Terebratula Proserpina Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina.ecc., l. c., pag. 80, tav. II, fig. 20. 1892. Terebratula Proserpina Fuomi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 32. La T. Proserpina Di Ster. è assai rara nel Lias inferiore ca- labrese. Dai calcari neri di Puntadura provengono 4 esemplari giovani, che presentano le depressioni laterali bene sviluppate, ma hanno poco indicate le espansioni dei fianchi. Al Varco del Ceraso ho raccolto un individuo giovanissimo che del pari pre- senta solo un indizio di espansioni laterali; onde si può dedurre che queste si rendano più manifeste coll’ accrescimento della conchiglia. Questa specie è ben distinta dalla 7. punctata Sow. per nu- merosi caratteri, che mi dispenso dal ripetere, rimandando 4 quanto esattamente ne disse il Di STEFANO. 6. Terebratula Eustachiana Can. Tav. I, fig. 9-11. 1879. Terebratula Eustachiana Canavari, Sui fossili del Lias inf. nell’ App. centr. Atti d. Soc. Tosc. d. Sc. Nat. Mem., vol. IV, pag. 156, tav. XI, fig. 9. Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) IlI (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 17 — mm. 27 — mm. 25 Tenalieza 6 e. dD 3 DO » 20 Spessore Me Me 5 AN » 17 — >» 15 Conchiglia subovale, rigonfia, a valve quasi ugualmente con- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 101 vesse. La brachiale presenta due depressioni laterali ben distinte che limitano un lobo poco rilevato. In corrispondenza di questo sulla valva opposta si presenta un'ampia depressione, che alla fronte si prolunga e si inflette verso la piccola valva. L’apice è robusto, basso, largo, provvisto di carene poco distinte. Le valve si uniscono ad angolo ottuso e la linea commessurale è arcuata ai fianchi, sinuosa alla fronte. La conchiglia è ornata su ciascuna valva da un gran nu- mero di linee radiali visibili anche ad occhio nudo sotto alcune favorevoli incidenze di luce, e da circa 20 pieghe, ben distinte solamente alle regioni frontale e latero-frontali della conchiglia. Queste pieghe sono arrotondate, inequidistanti, variabili di gran- dezza, quelle del lobo (5-6) e del seno corrispondente (4-5) sono più sviluppate delle laterali. I tre esemplari figurati che riferisco a questa specie si al- lontanano alquanto dalla forma tipica dell'Appennino centrale per essere un poco più slargati alla fronte e meno rigonfi; da questi si passa ad alcuni altri più gibbosi e quindi più vicini alla forma tipica; quella forte convessità però notata del Ca- NAVARI per la sua specie non si osserva mai nei pochi esemplari raccolti in Calabria a “aan, al Tufarello presso Longo- bucco e al Varco del Ceraso. var. hypodolica m. TavgUrAi patio Dimensioni IMIIGIGZZA i oe oo LI ZON IRIS REZZA N SO SPERONI I DI Si distingue dal tipo per la minore convessità, per la man- canza assoluta di lobo nella piccola valva e di depressione nella grande, e inoltre per avere la fronte prolungata, quasi lingui- forme e distinta nettamente dai fianchi per mezzo di due com- pressioni laterali. L'unico individuo appartenente a questa varietà proviene dal Varco del Ceraso presso Bocchigliero. 102 B. GRECO 7. Terebratula fimbrioides Dest. 1863. Terebratula fimbrioides DesLonecnames, Brachiopodes. Pal. frang., pag. 171, tav. 44, fig. 1-7. 1880. Terebratula fimbrioides Canavari, I Brach. degli strati a T. Aspasia Mex. Atti d. R. Acc. d. Lincei, ser. 3.*, vol. VIII, pag. 339, tav: io 02: Riferisco alla forma liscia di questa specie 4 esemplari, due piccoli e due più grandi che presentano questi caratteri: Con- chiglia più lunga che larga di forma subovale, poco rigonfia. Valva piccola meno convessa della grande; questa in vicinanza della fronte si prolunga e si inflette verso la valva opposta. Apice largo, basso, poco ricurvo, con margini laterali ottusi; forame ampio, arrontondato, deltidio basso e piuttosto largo. Valve unite secondo un angolo acuto; linea di commessura for- temente arcuata. La conchiglia è ornata da leggerissime linee radiali, che giunte in vicinanza della fronte si ingrossano al- quanto e diventano visibili anche ad occhio nudo. Le rughe di accrescimento sono poco spiccate; la punteggiatura è finissima. Due dei miei esemplari, quelli più piccoli, raccolti a Pun- tadura, corrispondono alla forma giovanile di 7. fimbrioides rappresentata dal Desronecrames nella tav. 44 colla fig. 1, gli altri due del Varco del Ceraso alla forma rappresentata nella stessa tavola 44 colla fig. 4. 8. Terebratula Fotterlei Bòckn var. ovalis m. Tav. II, fig. 2. Dimensioni (es. fig.) un e:hezza e MR? ArODOZza e fe NNO N Spessore (=. n PT RR EIA Considero come varietà della 7. Fotterlei l'esemplare figu- rato che rappresenta una conchiglia subovale allungata, con valve quasi ugualmeute convesse, e con apice piuttosto robusto, largo, basso, poco ricurvo, provvisto lateralmente di margini corti e poco distinti. Nelle regioni marginali la conchiglia è ornata da 18 coste IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 103 poco rilevate, nelle altre parti essa presenta solo linee radiali sottilissime e appena discernibili. Punteggiatura finissima e ru- ghe di accrescimento poco spiccate. L’esemplare descritto, proveniente dal Varco del Ceraso, si discosta dalla forma tipica della 7. Fotterlei Bòcxa, per la forma ovale e per le coste semplici, meno numerose e più corte. Per gli stessi caratteri differisce anche dalla Terebratula di Taor- mina che il Dr Srerino paragonò alla forma ungherese. 9. Terebratula Ristorii n. sp. Tav. II, fig. 3. Dimensioni I (es. fig.) II Lunghezza... . . . . mm. 36 — mm. 24 TENENEZA: do o o a » 20 SPESSOreA dii i Le a >» 14 Conchiglia più lunga che larga subrettangolare, talvolta sub- triangolare, colla fronte ampia e troncata perpendicolarmente ai fianchi. Piccola valva molto meno convessa della grande, quasi piana nella sua porzione centrale e repentinamente ricurva lungo tutto il contorno della conchiglia, di modo che il margine risulta di spessore assai notevole. La valva perforata invece è regolarmente convessa, e in vicinanza della fronte si inflette e si prolunga un poco verso la valva opposta. L’'apice è molto grosso, largo, rohusto, assai ricurvo, provvisto di margini la- terali ottusissimi, brevi, appena distinti; il deltidio è coperto dalla curvatura dell’ apice, il forame è ampio, ovale. La riunione delle valve avviene ad angolo ottuso e la commessura è ar- cuata ai fianchi, leggermente inflessa nella regione frontale. La punteggiatura è fitta e finissima, le rughe di accrescimento molto sviluppate. Questa specie di Terebratula a cagione della sua caratte- ristica forma, è completamente diversa da tutte le altre co- nosciute. Della 7. Ristorù n. sv. furono raccolti due esemplari al Varco del Ceraso, ed uno di forma quasi triangolare nelle vicinanze di Longobucco. 104 B. GRECO 10. Terebratula sp. ind. Tav. II, fig. 4. 1889. cfr. Terebratula Bittneriù Gever, Ueber die lias. Brach. ecc., L. c., pag. 11, tav. II, fig. 1. Dimensioni (es. fig.) III SEZ RI O IEATODEZZAR ARAN ILA RAI IAN MON RD SPESSOrE e I A RO II POLO Conchiglia allungata, di forma :subovale, ad angolo apiciale molto acuto, a piccola valva meno convessa della grande, ad apice largo e poco ricurvo, e a linea cardinale corta e arcuata. Valve unite ad angolo acuto e linea commessurale leggermente arcuata ai fianchi. Superficie provvista di fittissima punteggia- tura elegantemente disposta in linee sinuose, e ornata da nu- merose rughe concentriche, ma poco sviluppate. I tre esemplari, che confronto colla 7. Bittneri GevERr, Si discostano leggermente da essa per non avere la massima con- vessità al di sotto della parte mediana della conchiglia, per l'apice meno carenato e per la fronte più arrotondata. Essi provengono da Puntadura. ai IV. Genere @Waldheimia Kc. 1. Waldheimia Phaedra Dr Strr. 1886. Zeilleria Phaedra Di Sterano, IZ Lias inf. di Taormina ece., l. c., pag. 101, tav. IV, fig. 18-20. 1892. Waldheimia Phaedra Fvomni, Moll. e Brach. eec., l. c., pag. 37. La Waldheimia Phaedra Di Ster. è frequente al Tufarello presso Longobucco e a Puntadura, piuttosto rara nei dintorni di Bocchigliero. Gli esemplari da me osservati corrispondono perfettamente a quelli di Taormina sui quali il Di SteFANo fondò la specie in parola. 2. Waldheimia Mazzettii Di Srer. 1886. Zeilleria Mazzetti Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 26, tav. IV, fig. 16. Conchiglia subovale, poco gibbosa, con valve quasi ugual- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 105 mente convesse. Apice largo, alto, non molto ricurvo, con ca- rene assai lunghe; forame piccolo, deltidio basso e piuttosto largo. Riunione delle valve ad angolo acuto, linea di commes- sura leggermente inflessa solo vicino all'apice. Punteggiatura fina, rughe di accrescimento leggere, setto mediano ben visi- bile sulla piccola valva. Il Gever (!) crede che questa specie si debba riunire colla W. subnumismalis Dav. alla quale egli rapporta anche alcune altre specie del Lias inferiore di Taormina e cioè W. Galathea Di Ster., W. Carapezzae Di Srer. e W. sp. af. W. numismalis Lawx. in Dr Ster. Il Di Sterano (?) però non divide questa opinione. Egli os- serva che “ la Zeslleria Galathea Di Str. è bensì identica con la Zeilleria Cortesei Di Ster., ma tutte due differiscono dalla W. subnumismdlis per la forma assai allungata, per l'apice più stretto e l'angolo apiciale più acuto, nonchè per la mancanza di qualunque inflessione sulla linea frontale ,. In quanto poi alla W. Carapezzae Di Srer., certamente vi- cina alla W. subnumismalis, egli osserva che gli esemplari sui quali fondò quella specie quantunque incompleti, da non po- terne vedere tutto il contorno, differiscono pur sempre dalla W. subnumismalis citata per gli apici meno larghi e meno svi- luppati. La W. sp. aff. W. numismalis Law. (sempre secondo il Di Sterano) “ per la sua forma e per l’apice assai basso e appun- tito, è più vicina alla W. numismalis che alla W. subnumi- smalis. , Infine lo stesso Di SrerAno dice che “la Zedlleria Mazzettii non ha alcuna analogia con la W. subnumismalis, dalla quale diver- sifica per la sua forma molto più stretta ed allungata, per l’an- golo apiciale acuto, per l'apice più stretto e per la linea com- messurale diritta sui lati e sulla fronte ,. Queste differenze anche io le ho osservate sempre negli esemplari che riferisco alla specie in discussione. Il Fucini (*) pur ammettendo che la W. Mazzetti Di Ser. (') Ueber die lias. Brach. ecc., 1. c., pag. 29. (2) Il Lias medio del Monte S. Giuliano ece., 1. c., pag. 132. (3) Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 37. 106 B. GRECO non sia da confondersi colla W. subnumismalis Dav., dubitò che essa potesse essere la forma giovanile della W. Phaedra Di Srer., alla quale egli avrebbe riunito anche, sempre come gio- vani individui, la W. Galathea Di Ster., la W. Carapezzae Dai Ster. e la W. sp. aff. numismalis Lamx. Non mi sembra accettabile questa ipotesi perchè la MW. Phaedra Di Ster., come ho potuto ossservare nel mio ricchis- simo materiale, presenta sempre gli stessi caratteri tanto nelle forme giovanili, quanto in quelle adulte; cosicchè i piccoli esem- plari che appartengono ad essa, sempre facilmente riconoscibili, rimangono costantemente differenti tanto dalla W. Mazzetti Di Srer. quanto dalle W. Galathea Di Ster. e W. Carapezzae Di Strr. La W. Mazzetti è piuttosto frequente al Tufarello presso Longobucco e a Puntadura; non è stata ancora trovata al Varco del Ceraso. 3. Waldheimia Carapezzae Di Ster. Tav. III, fig. 2. 1886. Zeilleria Carapezzae Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., lc npagi99, tav. IV, fig id Dimensioni I II III (es. fig.) Lunghezza . . . ‘ mm. 44 — mm. 46 — mm. 27 [archezza te eee 13 TRES Spessore Re o I Conchiglia subcircolare un poco più lunga che larga, non molto rigonfia. Piccola valva alquanto compressa lateralmente nella regione apiciale; valva perforata gibbosa nella parte su- periore. Apice robusto, largo, basso, ricurvo, provvisto di ca- rene brevi, ottuse e poco manifeste; deltidio basso e piuttosto largo; forame non bene osservabile; linea di commessura diritta, rughe di accrescimento rare e leggere; punteggiatura. assai fitta, minuta e disposta in linee ondulate. L'esemplare, del: quale do la figura, fu da me inviato in esame al Di SterANo, per accertarmi della sua giusta determi- nazione specifica, essendo la Waldheimia Carapezzae Di SteT. spe- cie non ben conosciuta a causa dell’imperfetto stato degli esem- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 107 plari che servirono a stabilirla. Egli dopo di averlo confrontato con gli originali di W. Carapezzae esistenti nel Museo geologico di Palermo, ha avuto la cortesia di scrivermi che, salvo le di- mensioni maggiori, l'esemplare di Calabria corrisponde alla sud- detta specie di Taormina. Inoltre mi fa giustamente osservare che la specie in discorso, come del resto è stato precedente- mente detto, non si può riunire colla W. subnumismalis Dav., come vorrebbe il Gryer, perchè ne differisce principalmente per la forma dell’apice, che è più robusto, meno largo, con carene ottuse, meno arcuate e più corte, e per la mancanza della falsa area. La W. Carapezzae Di Ster. è frequente a Puntadura, rara al Tufarello ed al Varco del Ceraso. 4. Waldheimia Fucinii n. sp. Ra vARITIRtA oa vANIIVAtA poSì Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) Tre nezza MMG mm. 2> — mm. 38 IERMAGZZAN bi o o ao de PISO Spessore nt e Se na > 23 Conchiglia subpentagonale a margini acuti, leggermente ar- rotondata ai fianchi, troncata alla fronte. Valva brachiale colla massima gibbosità in vicinanza dell’umbone che si presenta ben spiccato, appuntito e un poco rilevato; grande valva uniforme- mente convessa. Regione cardinale arrotondata, lateralmente con due concavità ovali alquanto profonde, originate dal grande sviluppo dell’umbone della piccola valva, e dalla riunione di esso con quello della grande valva. L’apice è alto, robusto, largo con margini laterali ottusi e pochissimo sviluppati; commes- sura diritta, eccetto che alla regione cardinale ove è inflessa. La superficie della conchiglia è provvista di punteggiatura fina ed elegantemente disposta in linee sinuose; rughe di accresci- mento leggere; setto mediano ben distinto. L'esemplare rappresentato nella tav. IV colla figura 8 credo che si debba riferire a questa specie. È vero che in esso non sono ben visibili le concavità della regione cardinale, ma ciò è dovuto al fatto che la piccola valva subì superiormente una 108 B. GRECO pressione seguìta da frattura, per la quale tutta la parte um- bonale della conchiglia è spinta all'indietro e la regione api- ciale è alquanto deformata. In questo esemplare anche il mar- gine frontale non è ben conservato. Si noti da ultimo che esso diversifica un poco dall’ altro che considero come tipico, per il fatto che la piccola valva non ha la sua massima convessità in vicinanza dell’umbone, però per l'aspetto generale corrisponde ad esso, nè mi sembra quindi opportuno tenernelo separato, anche se si tien conto del suo stato di conservazione non troppo favorevole. La W. Fucinîi n. sp. è ben distinta dalla W. Carapezzae Di Ster. per la forma pentagonale del contorno, per lo sviluppo assai notevole dell’umbone della piccola valva, per l'apice della grande più alto e più robusto, e per le profonde concavità ai lati della regione cardinale. Di questa rara specie posseggo 3 soli esemplari raccolti tutti a Puntadura. 5. Waldheimia sp. aff. W. numismalis Lamx. sp. Tav. II, fig. >. 1886. Zeilleria sp. aff. Zeill. numismalis Di Srerino, Sul Lias inf. di Taormina ecc., 1. c., pag. 100, tav. IV, fig. 17. Dimensioni I II (es. fig.) Lunghezza... .°.. mm. dò — mm. 22 IEMAINRZZA a ooo dd 20 Spessore sten atea n no Conchiglia un po’ più lunga che che larga, depressa, di con- torno quasi subcircolare. Valve uniformemente e poco convesse, riunite ad angolo acuto e tagliente; fronte senza alcun indizio di seno. Apice piccolo, largo, basso, ricurvo, poco carenato; fo- rame piccolo. Linea di commessura diritta e sempre in uno stesso piano. Punteggiatura assai fina, rughe di accrescimento legge- rissime. Setto mediano della piccola valva ben sviluppato. Gli esemplari che presentano i suddetti caratteri si avvici- nano molto alla W., numismalis Lanx. quale è data dal Destone- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 109 cnames (1) a tav. 13, fig. 4, ma se ne discostano per la fronte priva di seno e per l'apice più largo e meno carenato. Gli esemplari di piccole dimensioni che posseggo corrispon- dono perfettamente all'individuo figurato dal Dr Srerano. Il Grver crede che la W. sp. aff. W. numismalis Lamr. di Taormina, si debba riferire piuttosto alla MW. subnumismalis Dav.; ma, come ho già accennato nella descrizione della V. Mazzetti Di Ster., non si può accettare una simile opinione, per- chè tutti i nostri esemplari nella forma dell’apice e delle ca- rene laterali ad esso ricordano molto più la specie di LAmaRck, a cui fu giustamente avvicinata dal Di SrerAno, che non la W. subnumismalis Dav. La W. sp. af. W. numismalis Lamx. sp. è rara nei calcari neri di Puntadura; al Varco del Ceraso ne ho raccolto due soli esemplari poco sviluppati. 6. Waldheimia pentagona Ska. Tav. II, fig. 6, 7. 1385. Zeilleria pentagona Seauenza, Il Lias inf. nella prov. di Messina. Estr. dal Rend. d. R. Acc. d. Sc. Fis. e Mat. di Napoli, fasc. dMpas 0,08. 1886. Zeilleria subpentagona Seauenza, Il Retico di Taormina. Estr. dal Naturalista Siciliano, anno V, pag. 7. 1392. Waldheimia pentagona Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 39, tav. I, fig. 8. Dimensioni I TI (es. fig.) III IV (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 42 — mm 17 — mm. 20 — mm. 23 LARCEZZA. 0 ola 0 dd 28 ld 28 SIOGENOO o ed | a do 418 Conchiglia a contorno subpentagonale generalmente lunga quanto larga, ma talvolta anche più larga che lunga; valva brachiale pochissimo ricurva, quasi pianeggiante; valva perfo- rata convessa con una specie di cresta che dall’apice si avanza sin quasi alla sua parte mediana per poi sparire completamente. Apice piuttosto basso, largo, non molto ricurvo, provvisto di carene laterali acute; forame piccolo. Valve unite ad angolo (1) Brachiopodes. Pal. frane. 110 B. GRECO acuto e linea di commessura costantemente diritta. Punteg- giatura oltremodo fina ed abbondante, rughe di accrescimento sviluppate solo in vicinanza dei margini della conchiglia; setto mediano della piccola valva ben distinto. Di questa specie ho potuto osservare molti esemplari in di- verso stadio di sviluppo; quelli adulti sono decisamente pentago- nali, quelli giovani invece leggermente arrotondati alla fronte. Questi piccoli esemplari, identici a quello figurato dal Fu- cini, corrispondono forse alla forma di Taormina che il Secuenza chiamò Zeelleria subpentagona e che disse raccolta nel Retico. Il Fucini considerando giustamente essa forma quale sinonima della W. pentagona Ske., opinò che il Secuenza avesse proposto i due nomi sopratutto nell’idea, oggidì riconosciuta errata, che le due forme provenissero da terreni cronologicamente diversi. Quindi crederei che la W. subpentagona Sec., di forma quasi pentagonale, come dice il SecuenzA stesso, non sia altro che la forma giovanile della tipica W. pentagona Ses. Questa specie è comunissima nel Lias inferiore dei giaci- menti fossiliferi calabresi più volte ricordati. 7. Waldheimia jonica n. sp. Tav. II, fig. 8,9. Dimensioni I II (es. fig.) III (es. fig.) Lunghezza . . . . mm. 45 — mm 16 — mm. 29 Tarehezza ft si SA DO SPESSOLCINAR N FORIO >. 17 Conchiglia più lunga che larga, di contorno subpentagonale, attenuata alla fronte. Piccola valva quasi piana nei piccoli esem- plari (fig. Sc e 8d), un poco convessa nei grandi (4); valva per- forata, gibbosa, colla massima convessità vicino al margine fron- tale. Apice acuminato, alto, piegato verso la piccola valva, margini laterali assai acuti, e gradatamente obliterati nelle regioni laterali della conchiglia; deltidio evidentissimo piuttosto alto e largo, forame piccolo. Ad eccezione di una leggerissima inflessione vicino al margine frontale, nel restante la linea di (') Questo carattere non fu bene espresso nelle fig. 9c e 9d, ove invece la piccola valva appare più convessa di quello che non sia nell’ originale. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO TOR commessura è diritta. Punteggiatura oltremodo fina; rughe di accrescimento deboli; setto mediano della piccola valva distinto, e abbastanza lungo. Questa specie presenta qualche analogia colla W. Leymeriî Comr. dei terreni oolitici di Francia (La Hève, Yonne ecc.) de- scritta dal DesLonecnamps (4); da essa però va distinta per avere : l’apice più appuntito e più alto, e quindi per il deltidio molto più manifesto, e per la mancanza di ogni traccia di depressione mediana sulla piccola valva. Si distingue pure dalla W. Anco- naeana Fuc. per l'apice più alto e più piccolo, per la forma del contorno, per la fronte non protesa, per la grande valva priva di cresta mediana e colla massima convessità verso la fronte an- zichè nella parte mediana, e per la commessura quasi diritta. Questa specie è rara nel Lias inferiore calabrese; ne ho raccolti solo 5 esemplari, di cui 2 a Puntadura e 3 al Varco del Ceraso. 8. Waldheimia Oenotria n. sp. Tav. II, fig. 10 e 11. Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) III Lunghezza . . . mm. 17 — mm 29 — mm. 831 arohezza ee oe » 27 — >» 28 SPESSOLORS RA NO OE » 18 — Dda Conchiglia più lunga che larga, di contorno pentagonale, ad apice basso, piccolo, assai largo, con margini laterali acuti, e ben sviluppati, con forame piccolo. Valva brachiale quasi ap- pianata nei giovani esemplari, abbastanza rigonfia negli adulti; valva perforata convessa, carenata nella parte mediana e prov- Vista nella regione frontale di un rialzo, appena indicato nei piccoli esemplari, ben sviluppato in quelli più grandi, Alla fronte la conchiglia è nettamente troncata; linea cardinale ampiamente arcuata; riunione delle valve ad angolo acuto, commissura di- ritta. La superficie della conchiglia è provvista di punteggiatura fitta e minuta; le rughe di accrescimento sono debolissime. Il fi setto mediano della piccola valva è chiaramente distinto. (') Etud. crit. sur des Brach. nouv. ou peu connus. Estr. d. Bull. Soc. Linn. de Normandie, vol. VII, pag. 32, tav. VI, fig. 1. 112 B. GRECO Di questa bella specie ne ho raccolti circa 20 esemplari in diverso stadio di sviluppo, ed ho potuto osservare in essi la costanza dei caratteri nella forma dell’apice, del contorno pen- tagonale e del rialzo della grande valva in vicinanza della fronte. Questa specie che ben si riconosce per la persistenza de’ suoi caratteri, non può confondersi colla W. pentagona See., quan- tunque le sia molto vicina. Infatti i piccoli esemplari della W. Oenotria n. sp., a differenza di quelli corrispondenti della W. pentagona See., hanno il contorno decisamente pentagonale, sono di forma più allungata, e presentano la fronte ampia e netta- mente troncata; mentre gli esemplari adulti se ne distinguono per la maggiore convessità della piccola valva e per la costante presenza del lobo mediano sulla grande valva in prossimità della regione frontale. La W. Oenotria n. sp. si trova a Puntadura, al Tufarello e al Varco del Ceraso, ma non tanto frequentemente. 9. Waldheimia Mazzeii n. sp. Tav. III fig. 3, 4. Dimensioni Il II (es.fig.) III (es. fig.) Lunghezza . . . mm.417 — mm 33@)— mm. 34 AVA 0 0 dd DAN22 Sr DIE 3 Spessore. . .. » 14 — » 17 — » 18 Conchiglia molto più lunga che larga, di contorno quasi obovale, a linea cardinale largamente arcuata. Ambedue le valve sono quasi ugualmente convesse e presentano ai lati due de- pressioni più o meno profonde e talora anche appena indicate. L'apice non è molto elevato, largo, ricurvo, con margini late- rali ottusi, quasi arrotondati, che procedendo parallelamente alla linea cardinale, giungonc fino alla metà della lunghezza della conchiglia; il forame è piccolo, il deltidio è basso e piut- tosto stretto; il margine frontale è nettamente troncato. Le valve si uniscono ad angolo ottuso, e la linea di commissura è diritta. La superficie della conchiglia è provvista di una pun- teggiatura assai fitta ed uniformemente disposta ed è ornata da linee radiali visibili anche ad occhio nudo sotto favorevole incidenza di luce, ma sempre troppo piccole per poterle rap- presentare nelle figure. Rughe di accrescimento sviluppate in IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 113 vicinanza del margine; setto mediano della piccola valva ben distinto. La W. Mazzeîi n. sp. si distingue a prima vista dalla W. Oenotria n. sp. per la forma del contorno obovale allungato, per le valve ugualmente convesse, per l'apice provvisto di ca- rene ottuse e assai più lunghe e per le depressioni laterali in ambedue le valve. Di questa bella specie ho potuto osservare numerosi esem- plari in diverso stadio di sviluppo, provenienti da Puntadura, dal Tufarello presso Longobucco e dai Varco del Ceraso. 10. Waldheimia Mazzai Fuc. Tav. III fig. 5. 1892. Waldheimia Mazzai Fucini, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 38, tav. I, fig. 5, 6. Dimensioni I TI (es. fig.) III Lunghezza . . . mm. 20 — mm. 28° — mm. 28 Larghezza . .. >» 183 — » 24 — » 24 Spessore o LOR E >» 15 — DIA La W. Mazzai Fuc. è abbastanza comune nel Lias inferiore calabrese, ove ne sono stati raccolti numerosi esemplari. Questi dimostrano che la specie è piuttosto variabile in riguardo alle compressioni del margine latero-frontale molto profonde in certi esemplari, ridotte a semplici indizi in altri; è costante però nei caratteri dell’apice basso, piccolo, non molto ricurvo e la- teralmente poco carenato. La valva brachiale è quasi piana nei giovani individui; negli adulti è più o meno convessa, ma sempre meno della grande. Nell’esemplare figurato per decorticazione della piccola valva si possono osservare al di sotto dell’apice le impressioni musco- lari. L'impressione lasciata dal muscolo adduttore anteriore è ovale; quella del posteriore è listiforme. I miei esemplari per la forma dell’ apice corrispondono tutti a quelli figurati dal Fucini. Alcuni poi presentano lo stesso aspetto linguiforme del margine latero-frontale ; altri però si presentano più rigonfi o con le strozzature latero-frontali appena indicate. La W. Mazzai Fuc. è una specie assai frequente a Punta- 114 B. GRECO dura e al Tufarello; non ne ho trovato alcun esemplare al Varco del Ceraso. 11. Waldheimia Anconaeana Fuc. Tav. III, fig. 6. 1892. Waldheimia Anconaeana Fuori, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 88, mio dh die 16 Dimensioni Ti II III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 148. — mm. 19(@)— mm. 25(?) Larghezza . ... >» l4 — dè dg — aly Spessore e e dA >» 12 — DUANICIA: Conchiglia molto più lunga che larga, subpentagonale, ri- gonfia, a valve non ugualmente convesse. La valva brachiale è assai meno ricurva della opposta; e talora vicino al margine frontale presenta due leggere depressioni laterali. La valva grande è provvista di una forte carena mediana longitudinale che dal- l'apice si spinge sin quasi alla fronte. Questa è molto prolun- gata e compressa lateralmente. L’apice (rotto ne’ miei esem- plari) sembra alto e poco ricurvo. La superficie della conchiglia è ornata da sottili linee radiali e provvista di una fina e fitta punteggiatura. Le rughe di accrescimento sono evidenti; sulla piccola valva si osserva il setto mediano. Un esemplare, raccolto a Puntadura, che nel cavarlo dalla roccia si ruppe longitudinalmente, lascia vedere una parte del- l'apparato brachiale. Esso è tanto sviluppato da occupare quasi tutta la lunghezza dell'interno della conchiglia. Oltre agli esemplari tipici, in numero di 5, di W. Anconaeana raccolti al Tufarello presso Longobucco e a Puntadura, corri- spondenti all’esemplare descritto e figurato dal Fucmni, ho di- stinto la seguente: var. brevifrons m. Tav. II, fig. 7. Dimensioni I II III (es. fig.) Lunghezza . . +. mm. 183 — mm. 24 — mm. 24 Larghezza e i dA 2 DAS » 18 Spessore sane o ATE » 16 — DI Questa varietà si distingue dalla forma tipica per l’ apice IL LIAS INFERÎIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 115 più basso, toccante quasi la piccola valva, meno carenato e per la fronte molto più corta e talora troncata. La suddetta varietà è frequentissima a Puntadura; rara al Tufarello e al Varco del Ceraso, ove ne ho raccolti pochi esemplari. 12. Waldheimia polymorpha Sta. sp. 1885. Tauromenia polymorpha Secuenza, Intorno al sistema Giurassico nel territorio di Taormina. Estr. dal Naturalista Siciliano, anno IV, « pag. 3. 1886. Tauromenia polymorpha Seavenza, Il Retico di Taormina. Estr. dal Naturalista Siciliano, anno V, pag. 3, 7. 1886. Zeilleria polymorpha Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 90, tav. II fig. 47-53, 56. 1892. Waldheimia polymorpha Fucni, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 40. ‘La W. polymorpha Sec. è rappresentata nel mio materiale da circa 20 esemplari, che corrispondono tutti alle forme di Taormina. Essa è rara in tutte e tre le località fossilifere calabresi più volte ricordate. 13. Waldheimia Sarthacensis D’Ors. sp. Ten JV ata Sb 1850. Terebratula Sarthacensis D’ OrBionr, Prodr. de Paltont., ét. 9, pag. 258, n. 270. 1884. Waldheimia Sarthacensis Parona, I Brachiopodi liassici di Saltrio ed Arzo nelle Prealpi Lombarde. Mem. KR. Istituto Lombardo, pag. 257, tav. VI, fig. 4-21 (cum syn.). 1892. Waldheimia Sarthacensis Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 36 (ex parte, non tav. I, fig. 4). 1892. Waldheimia Sarthacensis Parona, Rev. d. fauna liass. di Gozzuno Eee, Ie, veg Dl lio DI si 20 1893. Waldheimia Sarthacensis Bose, Die Fauna d. lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, 1. c., pag. 638. Dimensioni (es. fig.) IRRIRIOGZZA da a ol TAR (0) Larchezza Re 20 SPESSONCAR A e DAS Conchiglia di contorno subpentagonale più lunga che larga, Sc. Nat. Vol. XIII. 8 116 B. GRECO poco rigonfia. Le valve sono quasi ugualmente convesse e pre- sentano due depressioni laterali che delimitano un rialzo trian- golare mediano. L'apice non è ben conservato, tuttavia appare alto, poco ricurvo e provvisto lateralmente di carene lunghe. L'angolo apiciale è ampio. La fronte è integra diritta ed a margine tagliente come il restante della conchiglia; la linea di commes- sura è diritta. La superficie della conchiglia presenta punteggia- tura assai fina e fitta e rughe di accrescimento ben sviluppate. L'esemplare rappresentato dal Fucmi a tav. I colla fig. 4 mi pare che differisca dalla W. Sarthacensis D' OrB. per essere molto più rigonfio, per la diversa convessità delle valve, per la re- gione apiciale compressa lateralmente e per l'apice più grosso e provvisto lateralmente di carene ottuse. Per questi caratteri e per il suo aspetto generale che lo fa rassomigliare a prima vista ad una Terebratula, esso è simile ai miei esemplari di W. (2) tumida n. sp. coi quali mi pare che debba essere associato. Di questa specie ho raccolto semplicemente l' esemplare di cui do la figura. Esso si discosta un poco da quello che sotto lo stesso nome di W. Sarthacensis v Oxs. fu rappresentato dal Parona (1) a tav. VI, fig. 16, per il solo fatto di essere un poco più rigonfio. Proviene dal Varco del Ceraso. 14. Waldheimia cornuta Sow. sp. var. mediterranea m. Tav. III, fig. 8-10. Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 29(?)— mm. 30 — mm. 88 Warshezza MN 23 SMR => » 22 Spessoret. mino » A i Ddl. = DIM Conchiglia di contorno variabile ma tendente sempre alla forma subpentagonale, costantemente più lunga che larga, il rapporto però tra la lunghezza e la larghezza non si mantiene costante, cosicchè si hanno forme che in direzione trasversale sono più o meno ampie. Nella regione apiciale la conchiglia è (!) Brach. liass. di Saltrio ed Arzo ecc. Mem. d. R. Ist. Lombardo. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO TRIL7 ristretta, alla fronte presenta spiccatissimo il carattere da cui la specie prese nome. Valve quasi ugualmente convesse, prov- viste di due depressioni laterali più o meno distinte e di una longitudinale mediana, più profonda che in forma di solco di- vide la fronte in due lobi. Apice alto, poco ricurvo, largo, un po’ compresso ai lati, provvisto di margini laterali assai lunghi; deltidio piuttosto basso e largo. Riunione delle valve ad an- golo acuto, linea di commessura sinuosa nelle regioni latero- frontale. Punteggiatura oltremodo fina e fitta; rughe di accre- scimento più specialmente visibili ai margini della conchiglia; setto mediano della piccola valva ben distinto. Sulla grande valva dell'esemplare rappresentato colla fig. 10 si osservano irradianti dall’apice alcune impressioni simmetri- camente disposte e costantemente semplici. Di esse la mediana e le due più esterne da una parte e dall'altra sono piuttosto corte, le altre quattro centrali interposte sono più lunghe, ma non arrivano mai al margine frontale. Anche dall’apice della piccola valva irradiano simili impressioni, ma pochissimo spic- cate; queste e quelle sono forse dovute ai seni venosi. La variabilità che i nostri esemplari presentano nella forma del contorno e nel maggiore o minore sviluppo della depres- sione frontale è compresa fra i tre esemplari figurati. Le fig. 8 e 10 ci danno le forme estreme, la fig. 9 quella intermedia. Tale variabilità trova una singolare corrispondenza nelle forme inglesi della tipica W. cornuta Sow. Paragonando infatti le fi- gure 8, 9, 10 da me date con quelle della tav. III del magi- strale lavoro del Davipson (4), a primo sguardo si vede ch’ esse corrispondono rispettivamente colle figure 11,14 e 13. Tutti però differiscono dalle forme corrispondenti per avere la regione api- ciale ristretta e l'apice compresso jlateralmente e meno alto. Siccome questi caratteri sono costanti negli esemplari da me osservati, credo che essi si debbano distinguere come varietà mediterranea della W. cornuta Sow. raccolta nei depositi liasici estralpini. Nessuno dei miei esemplari è simile a quelli citati dal Fu- cimi come corrispondenti all’esemplare di W. cornuta Sow. di Taormina, figurato dal Di Srerano. Anche a Taormina però vi (') A moxograph of British col. and lias. Brach. Pal. Soc., vol. V, London, 1850. 5 118 B. GRECO sono forme di W. cornuta Sow. colla regione apiciale ristretta (1) che forse corrispondono a quelle calabresi, come a queste si avvicina per tale particolarità la forma di Gozzano in Piemonte recentemente illustrata dal Parona (?). La W. cornuta Sow. var. mediterranea è frequente al Varco del Ceraso, piuttosto rara al Tufarello e a Puntadura. 15. Waldheimia perforata Pim. sp. Tav. IV, fig.1, 2. 1856. Terebratula perforata Prerte, Notice sur le grès d' Aiglemont et de Rimogne. Bull. soc. géol. de France, t. XIII, serie 2.°, pag. 206, tav. X, fig. 1. 1878. Waldheimia perforata Davinson, Suppl. to the Brit. jurassie and triassic Brach. Palaeont. Soc., vol. XXXII, pag. 164, tav. XXIV, fio. 1-4 (cum syn.). 1884. Waldheimia perforata Haas, tt. monograph. et crit. des Brach. rhé- thiens et jurassiques des Alpes Vaudoises. Mém. soc. pal. Suisse, vol. XI, pag. 53, tav. IV, fig. 1-19. 1885. Waldheimia perforata Secuenza, Il Lias inf. nella prov. di Mes- SNORACMPATZONSE 1892. (?) Waldheimia perforata Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 34, tav. I, fig. 3. 1893. Waldheimia perforata Bose, Die Fauna der lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, l. c., pag. 638. Dimensioni I II (es. fig.) III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 24 — mm. 26 — mm. 28 Larghezza . . . >» 18 — » 19 — Dea? Spessore. . ... » 12 — » 14 — >» 15 Conchiglia più lunga che larga poco convessa, a contorno subpentagonale, con apice piuttosto alto, largo, poco ricurvo, provvisto di carene laterali acute e ben sviluppate. Ambedue le valve sono quasi ugualmente convesse e presentano due de- pressioni laterali più o meno indicate. La loro riunione avviene ad angolo acuto, e la linea di commessura è diritta. Punteg- giatura fina e fitta; rughe di accrescimento poco indicate; ma- nifesto il setto mediano della piccola valva. (4) Di Srerano. — Il Lias inf. di Taormina ecc., 1. c., pag. 98. (2) Rev. d. fauna liass. di Gozzano ecc., 1. c., pag. 52, tav. II fig. 30. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 119 Tra gli esemplari da me raccolti ve ne sono moltissimi che corrispondono assai bene alla W. perforata Pier., quale fu rap- presentata dal DesLonccHamps a tav. 23, fig. 1. Confrontati essi coi modelli in gesso delle stesse forme descritte dal DesronecHawps, che si trovano nel Museo geologico e paleontologico della R. Università di Pisa, mi sono persuaso sempre più della loro giusta determinazione specifica. Alcuni altri poi sono simili a quelli rappresentati dall’ Haas (op. cit. in sinonimia) colle fig. 2, 13, 17 della tav! IV; ed altri all’esemplare figurato dal QuenstEDr (Der Jura, tav. IV, fig. 21) sotto il nome di 7. psilonoti. Ricorderò infine che l'esemplare riferito dal Fuomi alla W. perforata Prer. (Moll. e Brach. ecc., tav. I, fig. 3), che per la liberalità del prof. De Srerani ho potuto avere in esame, per la forma delle regioni apiciale e frontale e per le depressioni che la conchiglia presenta lateralmente alla fronte è vicinis- simo alla nostra W. cornuta Sow. var. mediterranea, alla quale sarei stato propenso di riunirlo; per la forma della grande valva ricorda la specie che io descriverò col nome di W. Labdoniae. Il Fucmi, in seguito a queste osservazioni pur non escludendo che l’ esemplare in discussione sia da riferirsi alla W. perfo- rata Pies., più che alla W. cornuta Sow. var. mediterranea lo trova invece vicino alla forma di . Choffati Hass data dal Geyer a tav. III, tig. 8. La W. perforata Pier. è specie frequente a Puntadura e al Tufarello presso Longobucco, rara invece al Varco del Ceraso. 16. Waldheimia unciformis n. sp. Tav. IV, fig. 4, 5. Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) III Lunghezza. . . . mm. 24 — mm. 24 — mm. 29 Larghezza. . . . >» 15. — » 17 — DIMAS Spessore. ee a de » 11 — DAMA Conchiglia più lunga che larga a contorno subovale e quasi subpentagonale, leggermente depressa lateralmente e in dire- zione longitudinale, cosicchè su ogni valva si hanno per così dire tre regioni distinte, più spiccate però verso i margini latero- frontali che sulle restanti parti. La piccola valva poi presenta 120 B. GRECO un leggero indizio di solco o depressione frontale che svanisce a poca distanza della fronte stessa. Apice adunco, molto alto, largo, poco ricurvo, provvisto di carene laterali assai arcuate, dapprima acute, poi gradatamente perdendo in acutezza arri- vano fin quasi alla metà della lunghezza della conchiglia; an- golo apiciale molto acuto; deltidio largo ed alto, forame am- pio, e trasversalmente un poco ellittico. Riunione delle valve ad angolo acuto, linea di commessura diritta; punteggiatura oltremodo fitta e fina, appena visibile colla lente; rughe di ac- crescimento ben distinte; pronunciatissimo il setto mediano della piccola valva. Questa specie potrebbe ricordare a prima vista gli esemplari di W. perforata Pier. figurati dall’Haas; da essi però si distingue per essere meno convessa, e sopratutto per la conformazione dell’apice più alto, con carene laterali molto’ più sviluppate, più lunghe e assai più arcuate. Queste ultime particolarità ricor- dano lontanamente la 7. moravica GL. specie titoniana, alla quale la nostra specie potrebbe essere paragonata anche per la forma del contorno. La W. unciformis n. sp. è frequente al Tufarello; rara a Puntadura e al Varco del Ceraso. 17. Waldheimia (?) tumida n. sp. Tav. IV, fig. 6,7. 1892. Waldheimia Sarthacensis (0° OrB.) Fucini, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 36 (ex parte), tav. I, fig. 4 (non p’ORB.). Dimensioni I II III (es. fig.) IV (es. fig.) Lunghezza . . mm. 20 — mm. 33 — mm. 383. — mm. 47 Targhezza . . (> 13° — >» 24 — >» 28 DS) Spessore fe it. eo 12 22 21 VANI Conchiglia più lunga che larga, assai rigonfia, di contorno quasi ovale (fig. 6) o subpentagonale (fig. 7). Le valve sono quasi ugualmente convesse; talora però la grande valva è sensibil- mente più rigonfia della opposta. Esse presentano due depres- sioni laterali più o meno spiccate che delimitano, su ciascuna valva, uno spazio triangolare mediano longitudinale. Queste de- 1L LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 2 pressioni si riducono talvolta a semplici indizi e talora anche mancano completamente. L’apice è piuttosto basso, robusto, | più o meno ricurvo, in modo da toccare talora la piccola valva, provvisto di margini laterali ottusi, assai lunghi ma non ben distinti; forame mediocremente ampio, rotondo; deltidio basso largo. Riunione delle valve ad angolo assai ottuso, linea di commessura leggermente inflessa ai lati dell’apice; punteggia- tura finissima e assai fitta; rughe di accrescimento numerose ma poco spiccate; setto mediano della piccola valva chiara- mente visibile. Per la forma dell’apice ampio, robusto e provvisto di mar- gini laterali ottusi, gli esemplari descritti hanno tutta l’appa- renza di una Terebratula; d'altra parte però la presenza in essi del setto mediano della piccola valva, di sviluppo anche note- vole, potrebbe far credere trattarsi di una vera Wa/dheimia. Ma si deve ricordare quanto i suddetti caratteri siano varia- bili e quanta difficoltà si abbia in pratica nel separare i due generi, come hanno fatto recentemente osservare il RorHeLETZ (1) e il Di Srerano (2); cosicchè senza escludere che i miei esem- plari appartengano al genere Terebratula, li riferisco per ora dubitativamente al genere Waldheimia. L'esemplare riferito dal Fucmi alla W. Sarthacensis D' ORB. e da lui figurato, corrisponde ad alcune forme della mia W. (2) tumida, che si connettono per graduali passaggi ai due esem- plari di cui do le figure (tav. IV, fig. 6, 7); perciò lo considero sinonimo della mia specie, la quale è sempre ben distinta dalla W. Sarthacensis v'Or8. per numerosi caratteri fra cui ricorderò la sua grande convessità e la forma dell’apice che come si disse l’avvicinano al genere Terebratula. Il setto mediano lungo e ben sviluppato, l’apice ampio e robusto, elevato e provvisto di margini laterali lunghi ed assai arcuati distinguono poi questa specie dalla 7. purctata Suw. colla quale bisogna pur ricono- scere che ha qualche affinità. La W. (?) tumida n. sp. è frequente a Puntadura e a Tu- farello; rara al Varco del Ceraso. (1) Geolog.-paleont. Monogr. der Vilser Alpen ecc. Palaeontographica, Bd. XXXIII, pag. 73-74, 1886. (?) Il Lias medio del Monte S. Giuliano ecc., 1. c., pag. 119-121. IO, B. GRECO 18. Waldheimia Renevieri Haas sp. Tav. IV, fig. 9. 1884. Terebratula Renevieri Haas, Ét. monograph. et crit. des Brach. ecc., l.‘c.. pag. 01, tav. IV, fig. 25220 1885. Terebratula Renevieri Secuenza, Il Lias inf. nella provincia di Mes- sima ecc., I. c., pag. 8. 1886. Z7erebratulu sp. Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., 1. c., pag. 89, tav. IV, fig. 10. Dimensioni I II II (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 148 — mm. 22 — mm. 24 Larghezza . .. >» 16 — >» dor » 20 Spessore fase ne» e » 1 — SIONI Conchiglia più lunga che larga, di contorno ovale, ed a mar- gine tagliente. Valve quasi ugualmente e poco convesse; apice piccolo, alto, poco ricurvo, compresso ai lati e provvisto di carene laterali acute ben sviluppate, che si riuniscono colla linea di commessura al principio dei fianchi; deltidio distinto; forame piccolo, rotondo. Riunione delle valve ad angolo acuto; linea di commessura diritta. Punteggiatura assai fina, fitta e disposta in linee ondulate; rughe di accrescimento poco indi- cate. Setto mediano della piccola valva chiaramente visibile solo negli esemplari decorticati; in quelli che hanno conservato il guscio il setto non si vede per trasparenza a causa di una incrostazione calcarea che ricopre tutta la conchiglia; esso però sì può rendere sempre manifesto mercè la levigazione. Gli esemplari descritti corrispondono alla specie chiamata dall’ Haas Terebratula Renevieri, dalla quale si discostano sem- plicemente per essere un poco meno convessi. La specie 7. Rene- vieri Haas fu fondata sopra esemplari in cattivo stato di conser- vazione da non permetterne la esatta determinazione generica trovati a Saint-Triphon. I miei esemplari, per la forma dell’apice piccolo e provvisto di carene acute, per il setto mediano ben sviluppato e per la forma generale, mi pare che senza dub- bio si debbano ascrivere al genere Wa/dheimia. Qualora quindi la Terebratula Renevieri Haas sia certamente identica ai miei esemplari in discussione, come io ritengo, essa dovrebbe essere. considerata come una Wa/dheimia, IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 28) La Terebratula sp. di Taormina raccolta dal Dr SterANo e che secondo questo autore differisce dalla Terebratula Renevieri Haas semplicemente per esser meno rigonfia, è certamente iden- tica ai miei esemplari, e perciò credo che per quella sola dif- ferenza non si possa tener separata dalla specie dell’ Haas. Essa quindi a parer mio non deve considerarsi quale sinonima della Terebratula punctata Sow., come recentemente ha fatto il Fucm. La W. Renevieri Haas è piuttosto trequente a Puntadura e al Tufarello; non è stata ancora trovata al Varco del Ceraso. 19. Waldheimia Thurina n. sp. Tav. IV, fig. 10. Dimensioni I II III (es. fig.) Lunghezza . . . mm 29 — mm. 29 — mm. 38 olieza cs co © 2 DIARI » 29 Spessore. . ... >» 15 — » 16 — >. Conchiglia molto più lunga che larga, alquanto rigonfia, di contorno quasi ovale. Valve ugualmente convesse; valva per- forata talvolta inflessa alla fronte verso la valva opposta. Apice basso, largo, ricurvo sulla piccola valva, provvisto di carene laterali acute e poco arcuate; deltidio assai basso; forame pic- colo, rotondo. Linea di commessura prevalentemente diritta, in rari casi leggermente inflessa ai lati della fronte. Superficie della conchiglia finamente punteggiata; rughe di accrescimento poco spiccate; setto mediano della piccola valva ben evidente. Questa specie si distingue dalia W. tumida n. sp. per la forma del contorno più arrotondato, per la minore convessità delle valve e per l’apice assai più piccolo, meno sporgente, provvisto di carene acute e poco arcuate. La W. Thurina è assai frequente a Puntadura; un poco meno al Tufarello ed al Varco del Ceraso. 20. Waldheimia sp. ind. cfr. W. indentata Sow. sp. Mena Mb e 7 Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) IIREIAGZZAZA oo 6a in Za ine 27 Tao:hezza ee Rie 220 DINA SPESSORE: ti re ML » 15 Conchiglia più lunga che larga, a contorno subpentagonale, 124 B. GRECO a valve quasi ugualmente convesse e provviste di un seno piut- tosto ampio e poco profondo in vicinanza del margine frontale ove è divisa in due lobi ben distinti. Alcuni esemplari sono assimmetrici per l’ineguale sviluppo di questi due lobi frontali e presentano il seno alquanto spostato a destra (fig. 8) o a sinistra. Apice basso, largo, assai ricurvo, provvisto di carene laterali acute e ben sviluppate; deltidio coperto dalla curva- tura dell’apice; forame piccolo, rotondo. Riunione delle valve ad angolo ottuso, linea di commessura sinuosa al margine fron- tale; punteggiatura fina e fitta, rughe di accrescimento poco sviluppate. Gli esemplari ora descritti si avvicinano alla W. indentata Sow. e specialmente all’esemplare figurato dal Davioson (!) a tav. XXI colla fig. 14. Differiscono però da esso per l'apice più basso, più ricurvo, quasi compresso sulla piccola valva e per le carene meno sviluppate, per modo che non ho creduto di riferirli definitivamente a quella specie. La W. sp. ind. cfr. W. indentata Sow. è rarissima nel Lias inferiore di Calabria; di essa 3 soli esemplari furono raccolti a Puntadura e 2 al Tufarello. 21. Waldheimia Vinassai n. sp. Tav. IV, fig. 14. Dimensioni II II III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 146 — mm. 21 — mm. 30 Larghezza . . . >» 14 — Di d7. = » 26 SPESSOre RM Ddl » 16 Conchiglia di contorno quasi ellittico, poco convessa, con valve ugualmente e regolarmente ricurve. Apice piccolo, po- chissimo sporgente, piegato sulla piccola valva, ma lasciando veder sempre il deltidio, munito di carene laterali acute e brevi; forame piccolo, rotondo. Riunione delle valve ad angolo acuto; linea di commessura costantemente diritta. Superficie della con- chiglia fittamente e minutamente punteggiata; rughe di accre- (1) Suppl. to the Brit. jurassic and triassic Brach. Pal. Soc., vol. XXXII, London 1878. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 125 scimento poco spiccate. Setto mediano della piccola valva chia- ramente visibile. Questa specie differisce dalla IV. Thurina n. sp. per la mi- nore convessità delle valve, per la forma del contorno quasi ellittico, per l'apice molto più piccolo, meno sporgente, prov- visto di carene più corte e più acute. Essa è frequente al Tufarello e al Varco del Ceraso; rara a Puntadura. 22. Waldheimia Sestii Fuc. sp. Tav. IV, fig. 12. 1892. Terebratula Sestiù Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 33, tav. I, fig. 2. Dimensioni I II (es. fig.) Lunghezza. . . .... mm. 17 —- mm. 18 Tare hezzA Kc i n I >» 19 SPESsoreni sta o LO IAA O > AQ Gli esemplari che riferisco a questa specie hanno conchiglia di contorno subtriangolare leggermente arrotondato alla fronte, con valve ugualmente ma poco convesse, e con margine ta- gliente. Apice alto, largo, provvisto di carene laterali lunghe ed acute, poco ricurvo in modo da lasciar vedere il deltidio piuttosto alto e largo. Riunione delle valve ad angolo acuto; punteggiatura fina ed assai fitta. Setto mediano della piccola valva ben distinto. Per tale carattere e per la conformazione dell’apice credo che questa specie debba essere considerata piuttosto come appartenente al genere Waldheimia. Essa è assai frequente a Puntadura; un solo esemplare ne fu raccolto al Varco del Ceraso. 28. Waldheimia Ernestinae n. sp. ave Vo die dl 2 Dimensioni I II (es. fig.) III (os. fig.) Lunghezza (. ..° imm.db = “mm. 22 — | mm, 28 Larghezza . . . >» dd >» 19 — >, 22 SPESSOrER,t Ce to, TI SME » 13 — DIMNLI Conchiglia non molta convessa, un poco più lunga che larga, a contorno quasi arrotondato (fig. 1) e anche tendente al subpen- 126 B. GRECO tagonale (fig. 2). Ambedue le valve sono ugualmente convesse e provviste di rughe di accrescimento, che verso i margini della conchiglia sono più fitte e più spiccate addossandosi quasi le une sopra le altre a rendere essi margini ottusi e ingrossati. Apice alto, robusto, largo, munito di margini laterali non bene carenati; deltidio alto, assai ampio, ben sviluppato. Riunione delle valve, in conseguenza delle accennate rughe di accresci- mento, ad angolo non molto acuto; linea di commessura un poco arcuata ai lati dell’apice. Punteggiatura assai fina; setto mediano della piccola valva visibile negli esemplari decorticati. Questa specie per le rughe di accrescimento assai sviluppate in vicinanza del margine frontale ricorda lontanamente la W. Mariae D'Or8.; da essa però è ben distinta per la minore con- vessità, e per la forma della regione apiciale completamente diversa. Per quest’ultimo carattere sembra una vera Terebratula. Della W. Ernestinae, ho potuto osservare numerosi esem- plari in diverso stadio di sviluppo; in tutti rimangono costanti 1 caratteri della specie quale fu superiormente descritta. Essa è piuttosto frequente a Puntadura e al Tufarello, rara al Varco del Ceraso. 24. Waldheimia Nerii n. sp. Tav. V, fig. 3, 4. Dimensioni I (es. fig.) II (es. fig.) IMAA 6 io o n 2 ina 23) [arshezzaya 0. sio e Sie » 20 Spessore mdtat 0 cato » 14 Conchiglia a contorno subpentagonale più lunga che larga, poco rigonfia, con apice piccolo, poco sporgente, assai ricurvo, in modo da toccare la piccola valva, e provvisto di carene la- terali acute, assai brevi, pochissimo arcuate; forame piuttosto ampio, rotondo. Piccola valva, poco convessa, talvolta quasi piana, con una depressione sotto l’apice e alla fronte legger- mente inflessa verso la valva opposta; valva perforata alquanto più rigonfia. Esse si uniscono ad angolo ottuso e la linea di commessura è inflessa alla fronte. Punteggiatura fina e fitta; rughe di accrescimento poco spiccate; setto mediano della pic- cola valva visibile anche negli esemplari non decorticati. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 127 L’esemplare rappresentato colla figura 3 per avere subìto nella regione frontale una forte depressione seguita da rottura, sembrerebbe che fosse provvisto di un seno frontale, ciò che non sì osserva mai negli altri esemplari. La W. Nerîi n. sp. è ben distinta dalla W. sp. ind. cfr. W. indentata Sow. per la mancanza del seno al margine frontale e per l'apice più piccolo, meno sporgente e provvisto di carene più corte ed assai meno arcuate. Questa specie è rara nel Lias inferiore calabrese; di essa ne furono raccolti 4 esemplari al Tufarello, 1 a Puntadura ed egualmente 1 al Varco del Ceraso. 25. Waldheimia Laboniae n. sp. Tav. V, fig. 5, 6. Dimensioni I (es. fig.) II III (es. fig.) Lunghezza . . . mm. 20 — mm. 26 — mm. 25 Larghezza . . . >» 17. — » 21 — » 20 Spessore .. ..../. >» dl — Diu » 13 Conchiglia a contorno subpentagonale più lunga che larga, con valve ugualmente ma poco convesse, e con margine ta- gliente. Ambedue le valve presentano tre depressioni longitu- dinali, di cui le due laterali leggere, quella mediana un poco più pronunziata. Si noti poi che le depressioni della piccola valva sono più spiccate di quelle della grande. Apice piccolo, largo, ricurvo, provvisto di carene laterali assai acute; forame piccolo, rotondo. Riunione delle valve ad angolo acuto, linea di commessura leggermente ondulata nella regione latero-fron- tale; punteggiatura fina e fitta; rughe di accrescimento molto spiccate e quasi gradiniformi; setto mediano della piccola valva ben sviluppato. Gli esemplari ora descritti per la forma esterna hanno ana- logia con quell’individuo di Terebratula Juvavica rappresentato dal Gerrr (*) a tav. I colla fig. 17. Il Gryer però ha dimostrato che la sua specie è provvista di un apparato brachiale corto e che manca in essa costantemente il setto mediano della pic- cola valva; perciò egli la riferì al genere Terebratula pur os- (1) Ueber die lias. Brach. des Hierlatz ecc., 1. c. 128 B. GRECO servando che nell'insieme aveva tutto l'aspetto di una Wal- dheimia. Nei miei esemplari, come ho detto, sì vede benissimo il setto mediano; in essi non ho ‘potuto mai osservare chiaramente l’ap- parato brachiale; da quel poco che si vede però si può arguire che le braccia dovevano essere lunghe. Mi pare quindi che questi esemplari siano da ascrivere al genere IVal/dheimia. La W. Laboniae è ben distinta dalla W. cornuta Sow. var. mediterranea m. per le depressioni longitudinali molto meno in- dicate e per l'apice assai più piccolo, meno sporgente e con carene laterali meno sviluppate. La specie è comune al Tufarello, rara a Puntadura, ove ne ho raccolti pochi esemplari. LAMELLIBRANCHIATA. T. Genere @strea L. Appartengono a questo genere tre esemplari, riferibili forse a specie diverse. Uno di essi proviene dai calcari neri del Varco del Ceraso; e gli altri due sono racchiusi in un pezzo del con- glomerato rossastro anagenitiforme. Tutti e tre troppo incompleti per determinarli specificamente. II. Genere Elicatula Link. 1. Plicatula intusstriata Ew. sp. 1886. Plicatula intusstriata Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 104, tav. IV, fig. 35, 36. (cum syn.). Dimensioni Tano hezza RE A Ta IAFCMEZZAN SU I RIO NI O MDZINO) Riferisco a questa specie una sola valva aderente per la superficie esterna ad una conchiglia di MW. cornuta Sow. var. mediterranea. È di piccole dimensioni, sottile, quasi appianata, di contorno subovale, arrotondata nel margine ventrale; il car- dine non si vede distintamente. La sua superficie interna è or- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 129 nata da numerose coste lineari sottili radiali, ondulate, rami- ficate, raramente semplici. L’esemplare descritto proviene da Puntadura; esso per la sua caratteristica ornamentazione, deve senza dubbio riferirsi alla Plicatula intusstriata Ex. e corrisponde perfettamente agli esemplari di Taormina descritti e figurati dal Dr Srerano. La Plicatula intusstriata Enx. è una specie che si credeva propria. dell’ Infralias; ma le ricerche del Di Serino in Sicilia e le mie in Calabria dimostrano che arriva fino alla parte più elevata del Lias inferiore. III. Genere B,imaa Bruce. 1. Lima (Radula) Hettangiensis Tera. Tav. V, fig. 10. 1855. Lima Hettangiensis Terquen, Paltont. de la Province de Luxembourg et de Hettange. Mém. de la Soc. géol. de France, vol. V, ser. II, pag. 320, tav. XXIII, fig. 1. 1860-65. Lima Hettangiensis Srorrani, Géol. et paltont. des couches Avicula contorta. Appendice, pag. 207, tav. 34, fig. 16. 1886. Lima Hettangiensis Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., Ieri pago 107 Gli esemplari che riferisco a questa specie, che il Dr Sre- FANO ha riconosciuto con certezza nella fauna liasica di Taor- mina, presentano le medesime ornamentazioni e tutti gli stessi caratteri che il Terquem osservò in quelli del grès infraliasico di Hettange. L’esemplare di cui do la figura rappresenta le due valve aperte e avvicinate lungo la regione cardinale, non com- pletamente conservate, aderenti sulla roccia. Le coste radiali principali che probabilmente erano 26, avvicinandosi quindi al numero estremo superiore dato dal Terquen, sono “ élevées, triangulaires, avec une carène obtuse sur l’angle ,. Molto più piccole di esse, ma pur sempre acute e distinte, sono le costi- cine secondarie che scorrono nella parte mediana e più pro- fonda degli spazi intercostali. Le orecchiette, solo parzialmente conservate, hanno costicine radiali non molto numerose. Nei mo- delli interni alle coste principali corrispondono altre coste, ma ottuse e arrotondate, precisamente come dice il Terquem per gli esemplari decorticati. 130 B. GRECO La L. Omaliusi Ca. et Dew. (1) delle marne liasiche di Ja- moigne (Luxembourg) è grandemente vicina alla specie descritta, se ne distingue solamente per la forma meno angolosa e piut- tosto arrotondata delle coste principali. Dei cinque esemplari esaminati, tre provengono dal Tufa- rello ed hanno conservato il guscio, gli altri due sono in mo- dello interno e furono raccolti al Varco del Ceraso. 2. Lima (Radula) densicosta Quexsr. tao Ve dit bl dz. 1858. Plagiostoma acuticosta var. densicosta QuensteDt, Der Jura, pag. 148, tav. 18, fig. 25. 1892. Cardita Georginae Fucmi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 54, tav. II, fig. 6-7. Dimensioni I (os. fig.) II (es. fig.) Ignaz: Sio 5 malo — im Tarehezza MR Ara io » 24 Spessore ne ne e ca LAO 9 — » — Gli esemplari ben conservati che riferisco a questa specie possono così definirsi; conchiglia di piccole dimensioni, equi- valve, inequilaterale, poco rigonfia, con margine anteriore breve e arrotondato, posteriore obliquamente allungato, e ventrale alquanto arcuato. La linea cardinale è diritta, gli umboni sono piccoli poco sporgenti in modo da non oltrepassare il margine cardinale. Le orecchiette sono piccole ugualmente sviluppate. La superficie della conchiglia è ornata su ciascuna valva da circa 24 coste principali, radiali, arrotondate, separate da spazi quasi della stessa ampiezza di esse. In ciascuno di questi spazi sì osserva una sottile costolina visibile anche ad occhio nudo sotto certe favorevoli incidenze di luce. Le orecchiette sono or- nate da un reticolo di fine strie radiali e di rughe di accre- scimento. Riferisco alla medesima specie anche l’ esemplare rappresen- tato colla fig. 11, che corrisponde ai precedenti nella forma (1) Crapvis M. F. et DewaLQue M. G. — Descript. des foss. des terr. second. du Luxembourg, pag. 196, tav. XXVII, fig. 2. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 131 generale e nel numero delle coste principali; ma se ne allon- tana alquanto per presentare su esse coste tre strie longitu- dinali, una nella parte mediana e le altre due laterali al prin- cipio degli spazi intercostali. In questi la costicina mediana se- condaria ora sembra mancare ed ora è appena indicata. Sic- come l'esemplare non ha la superficie troppo ben conservata, le particolarità osservate in esso dipendono forse da un principio di decorticazione. Notiamo da ultimo che nella fig. 11 non è stato possibile dare una fedele rappresentazione delle strie che scorrono lungo le coste principali, e che nella fig. 12 non sono state indicate le costicine secondarie negli spazi intercostali. Il Quenstent che non dà molta importanza al numero e alla forma delle coste, separò dalla L. acuticosta Mùnsr. la varietà ch'egli chiamò densicosta, frequente nel Lias inferiore 7. Lo Sro- LIczxA (*), considerando come specie a sè la varietà del QuenstEDT, vi riferi una Lima raccolta nel classico giacimento di Hierlatz, che però non aveva alcuna costicina secondaria negli spazi in- terposti tra le coste principali. Talchè essa non appartiene al gruppo delle cosidette duplicate, nè secondo me, può riferirsi alla forma del Quensrepr. Non si deve però tralasciare di os- servare che lo stesso Sroticzta, incerto nel suo riferimento di- ceva: “ es ist in der That schwer zu entscheiden, wo man diese Form hinstellen soll ,, e terminava emettendo la probabilità che la sua specie potesse indicarsi col nome di L. simplex ScHAFE. I miei esemplari sono certamente dei tipo delle duplicate, differenti quindi da quelli di Hierlatz e corrispondono in tutti i loro caratteri alla varietà densicosta Quenst. che considero come specie distinta dalla L. acuticosta Minsr. per il maggior numero delle coste arrotondate e non angolose e per la forma della conchiglia trasversalmente più allungata. Gli esemplari descritti dal Fucini sotto il nome di Cardita Georginae corrispondono perfettamente alla specie descritta e "devono perciò riferirsi alla L. densicosta Quensr. Il Fuomi fondò la sua specie sopra esemplari che, come egli ha recentemente detto (2), non avevano conservate le orecchiette; potevano quindi colla massima facilità essere scambiati per una Cardita. (!) Ueber die Gastropoden und Acephalen der Hierlatz-Schichten. Sitz. der Kais. Ak. der Wiss. Math.-Naturw. Classe, Bd. XLIII, H. II, pag. 199, tav. VII, fig. 3. (*) Alce. foss. del Lias inf. delle Alpi Apuane ecc., 1. c, pag. 306. Sc. Nat. Vol. XIII. 9 132 B. GRECO Della L. densicosta Quenst. ho raccolto 5 esemplari, 3 dei quali al Tufarello e 2 a Puntadara. 8. Lima (Plagiostoma) compressa Tera. 1859. Lima compressa Terquen, Paltontologie de la Prov. de Luxembourg et de Hettange, l. c., pag. 319, tav. 22, fig. 4. Dimemsioni , Tune nezza CE SUR i mt, L'arebezza Ra o e Gli esemplari che riferisco a questa specie corrispondono, per quanto sono conservati, a quelli tipici del grès infraliasico di Hettange. Le coste poco sporgenti e appiattite sono semplici e arrivano al numero di 50. Gli spazi intercostali lineari sono longitudinalmente punteggiati. In essi è conservata solo l’ orec- chietta anteriore, piccola è ornata da costine radiali. L’ apice non è ben osservabile ma appare piccolo, ottuso. La L. compressa Tero. è rappresentata nel Lias inferiore di Longobucco da 3 soli esemplari. 4. Lima (Plagiostoma) Choffati Di Srer. 1886. Lima Choffati Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecec., l. c.; pag. 109, tav. IV, fig. 26-27. 1892. Lima Choffati Fucmi, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 43. Quantunque questa specie sia rarissima in Calabria, tuttavia ne ho raccolti due esemplari al Varco del Ceraso ed uno al Tu- farello. Essi non lasciano nessun dubbio sulla loro determina- zione, e difatti per la forma della conchiglia e per gli orna- menti corrispondono completamente a quelli di Taormina de- scritti e figurati dal Di STEFANO. IV. Genere Pecten Ktien. Pecten Hehlii v' Oxs. e Pecten Di Blasii Di Ster. Il Dumormer (!) riferì al P. Hell D' Org. due forme diffe- renti di Pecten lisci, che si trovano anche nel Lias inferiore di (1) Etud. paléont. sur les dépots jurass. du bassin du Rhòne; Lias inf., pag. 70, tav. XII, fig. 5 e 6. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 133 Taormina. Il Di SrerANo però ritenne che sempliceynente la forma rappresentata nella fig. 6 corrispondesse al verò P. Hehlt come fu limitato dal p’OrzIeny; per l’ altra (fig. 5) egli propose il nuovo nome di P. Di Blast. Il Fucini non ammise questa divisione e riunì nuovamente le due forme nel P. Hehlti D'OrB. Il Di Sterano (1) allora tornò ad esaminare diligentemente i Pecten lisci di Taormina, e modificando un poco le diagnosi precedentemente date per essi, riconobbe pur sempre l'esistenza colà delle due serie di forme in discussione, una “ rappresentata da individui ovali oppure ovali-arrotondati, sempre più lunghi che larghi, coperti di strie di accrescimento distinte, ma finis- sime, con apice molto acuto e provvisto di lati lunghi e spesso diritti; l’altra da esemplari orbicolari, coperti da strie di ac- crescimento forti ed embriciate, con l'apice assai meno acuto, molto breve e fornito di lati corti, sempre concavi ,. Soggiunse poi che questi caratteri differenziali si osservano costantemente nelle due serie dagli esemplari giovanissimi sino agli adulti, e che perciò si debbono tener separate. Il Fuori (?), rispondendo alle osservazioni critiche che gl’in- dirizzava il Dr SrerAno, nota che nel Lias inferiore di Longo- bucco si avrebbero forme di passaggio che collegano le due che si voglion tener separate. Per di più fa osservare che la forma chiamata P. Di Blasi Di Ster. per la massima parte sarebbe rappresentata da individui giunti a completo sviluppo; che ciò, a parer suo “ starebbe solo ad indicare come l'apice, nel P. Hehli, caso del resto frequente in molte specie di Pecten, tenda coll’ età ad allargarsi e ad aumentare perciò d’ampiezza ,. Per tali considerazioni e per la corrispondenza delle orecchiette egli persiste nella riunione del P. Di Blast col P. Hehlii; sic- come però egli dice che le differenze le quali “ distinguereb- bero il P. Di Blast Di Srer. dal P. disciformis Scuus. sono le medesime sebbene più spiccate, che distinguono il P. Hell dal P. Di Blasîi , così considera il P. Di Blasii Di Ster. “ nelle (1) A proposito di due Pettini dei calcari nero lionati di Taormina. Estr. d. Na- turalista Siciliano, anno XI, n° 2-3, pag. 1-2. (*) A proposito di due specie di Pecten del Lias inf. di Longobucco. Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Proc. verb. Ad. 5 marzo 1893, pag. 197 e 198. 134 B. GRECO sue forme estreme ben inteso, come una varietà del P. Hell D' Or. passante al P. disciformis Scuus. ,. Da parte mia non avendo nessuna autorità per farmi ar- bitro nella polemica insorta a proposito delle suddette forme, esporrò semplicemente quello che direttamente ho potuto os- servare. Negli esemplari numerosi di Pettini lisci da me rac- colti in Calabria risulta che quelli piccoli hanno prevalentemente il contorno ovale e l'apice acuto, quelli adulti invece hanno contorno prevalentemente subcircolare ed apice ampio. Mi sem- brò quindi che si potesse dedurre che l'angolo apiciale, come già disse il Fucmi, andasse aumentando coll’età e che di con- seguenza il Pecten Di Blast Di Ster. non fosse altro che la forma adulta del P. Hehli »' Org. Ad avvalorare questa mia opinione si aggiungeva poi il fatto che le due forme non solo si corri- spondono per lo sviluppo e la ornamentazione delle orecchiette, come hanno detto lo stesso Di SrerAno e il Fucmi, ma anche per le strie di accrescimento di tutta la conchiglia. In un esem- plare infatti corrispondente per la forma del contorno e l’am- piezza dell'angolo apiciale al P. Di Blast si osservano strie di accrescimento ben distinte e sottili, precisamente come quelle caratteristiche del P. Hell v Ors. secondo il Di Sterano. Non sapendo come risolvere la questione pensai allora di ricorrere allo stesso autore della specie P. Di Blast, cioè al Di STEFANO, al quale mandai in esame i due esemplari figurati in questo lavoro (tav. V, fig. 13, 14), esponendogli quanto sopra ho detto. L’egregio paleontologo fu così cortese da confrontarli con gli esemplari corrispondenti di Taormina che si trovano nel Museo geologico e paleontologico di Palermo e di esprimermi fran- camente la sua opinione in proposito. Colgo perciò l'occasione di manifestargli qui i miei più vivi ringraziamenti. Il Di SrerANo mi scrive che non si può affermare che il ca- rattere del contorno arrotondato e dell’apice ampio e corto sia dovuto all’età adulta, perchè simile conformazione si ritrova nel P. Di Blast Di Srer. anche nei giovani esemplari; che si deve tenere gran conto di questo carattere costante, e che per- ciò le forme arrotondate e ad angolo apiciale ampio, grandi e piccole, se non si vogliono tener separate specificamente dal P. Hehliv v'Ors., dovranno almeno sempre distinguersi da esso come una buona varietà. Convenne poi che l'esemplare rap- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 135 presentato dalla fig. 14 corrispondesse al suo P. Di Blast e avesse invece le strie di accrescimento proprie del P. HeXlti, ma mi consigliò di non dare grande importanza alle strie di accrescimento che infine hanno un valore del tutto secondario. Dopo di ciò avendo nuovamente esaminato con maggiore attenzione tutti i Pettini lisci di Calabria ho osservato anche in qualche giovane esemplare i caratteri propri del P. Di Blast, e mi sono quindi persuaso che le osservazioni fatte dal Di Ste- FANO sono giustissime. Si hanno quindi due serie di Pecten di- stinte per le particolarità già dette, ma così vicine da non poter essere, a mio parere, separate specificamente. Seguendo quindi il consiglio del Dr Srerano ritengo il P. Di Blast: Di Ster. come una varietà del P. HeAhli D'OrB.. accordandomi in ciò anche coll’opinione ultimamente espressa dal Fucini. Qui sotto do la sinonimia ripetento brevemente i caratteri più importanti che distinguono le due forme. 1. Pecten (Pseudamusium) Hebhlii n’ Oxs. Tav. V, fig. 13. 1850. Pecten Hehli v° OrBiany, Prodr. de Paléont., ét.7, pag. 219, n. 130. 1886. Pecten Hehlii Dr Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 112, tav. IV, fig. 30 (cum syn.). 1890. Pecten Hehlii Parona, I fossili del Lias inf. di Saltrio ecc. Estr. d. Atti Soc. ital. di Sc. Nat., vol. XXXIII, pag. 20,.tav. II fig. 1. 1892. Pecten Hehlii Fucini, Moll. e Brach. ecc., L. c., pag. 43. 1892. Pecten Hehlii Parona, Rev. della fauna liass. di Gozzano ecc., |. c., pag. 15. 1898. Pecten Hehli Fucini, A proposito di due specie di Pecten del Lias inf. di Longobucco. Atti Soc. tosc. di Sc. Nat. Proc. verb., vol. VIII, pag. 197. Dimensioni I (es. fig.) II. III Lunghezza . . . mm. 13 — mm. 40 -- mm. 45 Larghezza . . . >» 411 — » 398. — » 43 Spessore . . .. » — — » — — » 10 Conchiglia liscia, di contorno ovale, ad angolo apiciale piut- tosto acuto, di 80-90 gradi, con lati apiciali lunghi e preva- lentemente diritti, con orecchiette ornate da sole strie di ac- crescimento, le quali, sottili e distinte, si trovano anche su tutta la superficie della conchiglia stessa. 136 B. GRECO Come è stato detto sopra, il Di SteFANO considera quale forma tipica del P. Hell D' OrB. quella data dal Dumormer nella tav. XII, colla fig. 6 (Dép. jurass., 2. p.). A proposito però di questa figura si deve osservare che nell’ orecchietta meglio conservata sono state indicate 3-4 leggerissime costicine radiali di cui non si tiene parola nella descrizione, ove si parla solo di “ stries verticales regulièrs ,. Il P. Hehlii v'OrB. è una specie molto persistente giacchè comincia a presentarsi nell’ Infralias e arriva sino al Lias medio. Si presenta comunissima nella fauna che vado descrivendo. var. Di Blasii Di Str. Tav. V, fig. 14. 1886. Pecten Di Blasii Dr Srerano, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 114, tav. IV, fig. 28, 29 (cum syn.). 1890. Pecten Di Blasii Parona, I fossili del Lias inf. di Saltrio ecc., 1. c., pag. 21, tav. II, fig. 2. 1892. Pecten Di Blasi Di SterANno, A proposito di due Pettini dei calcari nero-lionati di Taormina. Estr. dal Naturalista Siciliano, an- noie o pace 1893. Pecten Hehlii »’° OrBiony var. Di Blasii Fucini, A proposito di due specie di Pecten ecc., 1. c., p. 198. Dimensioni I (es. fig.) II Tui enezza fe er 2 im 58 Waro:hezza fra ei A 2 » 58 Questa varietà si distingue per essere costantemente di con- torno subcircolare, per avere l’angolo apiciale più ampio (110- 115 gradi) e i lati della regione cardinale più corti. Nei miei esemplari vi sono strie di accrescimento uguali a quelle della forma tipica. Si trova in tutte e tre le località fossilifere più volte ri- cordate, ma con minor frequenza del tipico P. Hehlti v' Ore. di cui generalmente sorpassa le dimensioni. 2. Pecten (Chlamys) textorius ScHuota. sp. 1886. Pecten textorius Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 117 (cum syn.). IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 137 1890. Pecten textorius Parona, I fossili del Lias inf. di Saltrio ecc., l. c., pag solita Ati ee 1892. Pecten textorius Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 45. Numerosi esemplari, per lo più incompletamente conservati, ma. così caratteristici da non lasciare alcun dubbio circa la loro determinazione specitica. Siccome essi corrispondono perfetta- mente alle figure che di questa specie hanno dato gli autori, non sto a darne una nuova. Molti dei mieì esemplari provengono dal Varco del Ceraso, pochi da Puntadura e dal Tufarello. 8. Pecten amphiarotus Di Ster. var. atropus m. Tav. V, fig. 15, 16. 1892. Pecten Thiollieri (Mart.) Fucmmi, Moll. e Brach. ecc., Ì. c., pag. 46, tav. II, fig. 1. 2 (non Marr... 1893. Pecten rarus (See.) Fuomi, A proposito di due specie di Pecten ecc., I. c., pag. 198 (non Srec.). Dimensioni I II III IV (es. fig.) Lunghezzza. . . mm 28 — mm. 81 — mm. 32 — mm. 47 Larghezza . . . » 27 — » 30 — » 31 — >» 44 Spessore. . .. » 7 — » 8 — » 8 — » — Il Fucini ha recentemente dato per questa forma la seguente diagnosi : “ Conchiglia di mediocre grandezza, quasi perfettamente equilaterale, orbicolare, leggermente inequivalve, regolarmente e mediocremente con- vessa. È ornata da 18 a 20 coste raggianti, regolari, più o meno arro- tondate e separate da solchi di uguale o di poco minor larghezza di esse, a seconda che si osservino sulla valva sinistra o sulla destra, che è la più convessa. Negli individui di perfetta conservazione non si vedono, al contrario di quello che dice il Dr SrerAno pel suo P. amphiarotus, ne solchi, nè creste, che percorrano longitudinalmente le coste, nè costicine secondarie, soltanto quando gli esemplari sono più o meno corrosi e de- corticati sopra alle coste ed in ambedue le valve si scorgono con mag- giore o minore evidenza due piccoli solchi longitudinali laterali ed uno mediano; ad un certo punto di corrosione i solchi sono tanto profondi che sembrano suddividere la costa in quattro costicine secondarie. Nella 138 B. GRECO superficie interna del Pecten, in corrispondenza delle coste esterne, si hanno dei solchi. Quando perciò la decorticazione è completa, nei modelli si os- servano sempre rilievi costali, in relazione di quelli della conchiglia, se non che essi sono poco rilevati, subquadrangolari, piani al di sopra, senza stria mediana e più stretti degli intervalli intercostali dai quali sono se- parati da due solchi abbastanza profondi. Nel modello tanto gli inter- valli quanto i rilievi sono ornati da fittissime e sottilissime strie longi- tudinali. La conchiglia, quando è ben conservata, è percorsa trasversal- mente da moltissime, serrate e profonde strie d’ accrescimento. Queste sono più distinte negli intervalli intercostali, ove assumono un aspetto embriciato ed ove fanno un angolo arrotondato discendente, di quello che lo siano sopra alle coste ove fanno un angolo meno arrotondato e rivolto verso l’apice. Lungo le coste allora non si vedono nè solchi laterali, nè quello mediano che il Di Sterano dice sarebbe lasciato nel P. amphiarotus dallo spezzarsi di una cresta che ornava la parte mediana delle coste. Presso al margine ventrale le strie di accrescimento si serrano maggior- mente e lungo di esso sono più irregolari, meno angolose, ondulate e subsquamose. Tanto al margine posteriore quanto all’ anteriore si trova, fin dall’apice, una piccola regione listiforme pianeggiante e senza coste, striata fortemente ed obliquamente all'asse della conchiglia. L’apice è poco saliente e la linea cardinale è diritta o leggermente angolosa. Le orecchiette, mancanti nella massima parte degli individui, sono pressochè eguali per le dimensioni, ambedue sono solcate da evidenti strie di ac- crescimento ; l'anteriore è tagliata da una linea più sinuosa della poste- riore ed è ornata da 4 o 5 costicine radianti. L'angolo apiciale è va- riabile, aumentando con l’età; oscilla fra i 90 ed i 115 gradi , (4). La forma ora descritta è vicinissima al tipico Pecten am- phiarotus Di Ster. di Taormina, dal quale si distingue sempli- cemente per la mancanza delle 4-6 coste carenate e per l’or- namentazione delle orecchiette, una delle quali (fig. 16), forse l'anteriore, presenta 4 o 5 costicine radiali alquanto allonta- nate fra loro (invece di numerose costelle, molto fini e serrate). Questa forma è assai frequente nel Lias inferiore calabrese ma sempre incompleta e in cattivo stato di conservazione. Solo in alcuni esemplari fu dato di osservare le orecchiette, ma sempre più o meno corrose e senza alcun indizio perciò dei caratteri che le son propri. L'esemplare di cui do la figura della regione umbonale (fig. 16) e che presenta le orecchiette abbastanza ben conser- (1) Per errore di stampa in Fucini, A proposito ecc., si legge 125 gradi. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 139 vate, mi fu gentilmente dato dal dott. Fucini. In esso si vedono le costicine radiali poco numerose e poco rilevate della orec- chietta anteriore (?), mentre l’altra orecchietta ha solo le strie di accrescimento. : Lo stesso Fucmi citò nella fauna del Lias inferiore di Lon- gobucco il Pecten Thiollieri Mazt., al quale riunì il P. rarus SEe., il P. tauromenitanus Ses. ed il P. amphiarotus Di Ster. Dubitò poi che la specie calabrese, insieme con le corrispondenti sici- liane, potesse riferirsi al P. priscus ScHLoTA., rimanendo però in dubbio su tale riferimento perchè non conosceva di questa ultima specie altro che la figura, non troppo buona, del GoLpruss. Il Di Sterano (*) non concordando coll’idee del Fucini rispose che il P. amphiarotus deve certamente tenersi distinto dal P. TMollieri perchè da esso differisce per non essere mai equivalve, per la minore convessità, per la forma e le ornamentazioni delle orecchiette e per la presenza delle coste carenate. Il Fuomi (?) d’altra parte ha recentemente escluso che il Pecten di Calabria si possa riferire al P. priscus ScrLora., sia perchè confrontato con esemplari portanti questo nome e con- servati nel Museo geologico e paleontologico di Pisa, non vi corrisponde, sia perchè, a parer suo, esiste confusione fra le diagnosi che di essa specie danno il Goxnruss (3) ed il Dumor- tIEK (4). Riconosce anche che il Pecten in discussione sia diverso dal P. Thiollieri Mart., al quale egli prima l'aveva riferito, 8, dubitando che il P. amphiarotus non sia distinto dal P. rarus See., Chiama con questo nome il Pecten calabrese: “ Ho chia- mato (egli dice) questa specie Pecten rarus Sec. poichè mi sem- bra, per aver trovato io stesso un Pecten identico, a Taormina che non possa nascer dubbio che esso sia la medesima specie dal Secuenza paragonata al P. Thiollieri Mart. , Siccome il Secuenza aveva distinto a Taormina due specie di Pecten: “ P. tauromenitanus aff. P. Pollux D' Or. Costole in minor numero, 5 o 6 sulla valva destra più prominenti, acute presso la regione cardinale. Comunissimo , e: “© P. rarus aff. P. Thiollieri Mart. con costole più larghe meno numerose ,, (1) A proposito di due Pecten dei calcari nero lionati di Taormina, 1. c., pag. 2-4. (*) A proposito di due Pecten del Lias inf. di Longobucco, 1. c., pag. 198. (3) Petrefacta Germaniae, II, pag. 43, tav. 89, fig. 5. (*) Etud. pal. sur les dép. jur. du bass. du Rhòne; Lias inf., pag. 216, tav. 48, fig. 4. 140 B. GRECO mi era nato il dubbio che realmente esistessero a Taormina le due specie di Pecten, che il Di SterANo aveva riunito. Quindi supponevo che il Pecten di Calabria, privo di coste carenate e affine al P. Thiollieri, corrispondesse al P. rarus Src. Anche per questo caso ricorsi alla cortesia del Di STEFANO, a cui mandai alcuni esemplari del Pecten in discussione, espo- nendogli i miei dubbi. Il valente paleontologo confrontò gli esem- plari di Calabria con quelli originali del suo P. amphiarotus, esistenti nel Museo geologico e paleontologico di Palermo e quindi mi scrisse che la forma calabrese corrisponde per quasi tutti i caratteri al P. amphiarotus di Taormina e cioè per l’ineguale convessità delle due valve, per la differente ampiezza delle coste sopra le due valve, per la presenza dei solchi che dividono e fiancheggiano le coste quando la conchiglia è più o meno de- corticata, per le aree dei lati dell’apice striate, per l'aspetto delle strie di accrescimento e per la forma del contorno in ge- nerale. Ne differisce per un solo carattere e cioè per la costante mancanza delle 4-6 coste carenate che si trovano sempre sulla valva destra del tipico P. amphiarotus Di Ster. Questo fatto che sì osserva sempre nelle due serie di Pettini delle due località (Taormina e Longobucco) relativamente lontane ha certamente il suo valore. “Da un canto (scrive il Di Sterano (4)) l'identità del depo- sito liasico di Longobucco con quello di Taormina e la corri- spondenza di tutti gli altri caratteri del Pettine calabrese col P. amphiarotus, farebbero dubitare che si tratti di due specie distinte; dall'altro non può disconoscersi il valore del carat- tere differenziale, che per nessuna ragione può attribuirsi a dif- ferenze di età. Siamo in presenza di due serie di Pettini di luoghi differenti e che mostrano una differenza importante e costante: il nodo sta nel decidere se questa differenza in due serie così affini e di depositi identici debba ritenersi sufficiente per distinguere due specie o due buone varietà. Se io le avessi trovate insieme a Taormina ora, le avrei descritte come va- rietà: essendo le due serie in contrade lontane, credo che non sarebbe un grande errore il separarle come due specie affini, ma distinte. Le opinioni di chi potrebbe considerarle come va- (') Da un lettera del Di SrEFANO all'autore in data 17 marzo 1893. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 141 rietà e quelle di chi potrebbe riguardarle come specie mi sem- brerebbero egualmente rispettabili ,. Riguardo poi al P. rarus See., il Di SrerAno dice che tale specie egli non l’ha mai veduta ben caratterizzata a Taormina, sebbene abbia avuto tra mano un numero stragrande di esem- plari. Tornando ora ad esaminare tutto il copioso materiale che gli servì per il suo lavoro sul Lias inferiore di Taormina e quello pure copiosissimo fatto poi raccogliere dal prof. GrmmeLLARO si è maggiormente confermato nell'opinione che il P. rarus See. sia la stessa cosa del P. amphiarotus Di Ster. Egli suppone poi che il P. rarus sia stato fondato sopra esemplari non bene iso- lati dalla marna, e che per ciò non presentavano il carattere delle coste carenate. Soggiunge da ultimo che anche egli fu diverse volte tratto in errore per questo fatto; ripulito però il Pecten, le coste carenate si vedevano sempre chiaramente spiccare sulle altre. Il Di Srerano ebbe inoltre la gentilezza di mandarmi alcuni esemplari del suo P. amphiarotus perchè potessi farmi un con- cetto chiaro di tutto ciò che egli mi aveva esposto. Dal confronto degli esemplari originali di Sicilia col Pecten calabrese ho potuto constatare la stretta analogia che esiste fra le due forme, non distinguendosi quella calabrese altro che per la mancanza delle coste carenate come più volte è stato detto. Poichè quindi il Pecten calabrese non appartiene al P. Thiollieri MarT., nè si può riferire al P. priscus ScHL.; poichè secondo il Di Sterano il P. rarus è nè più nè meno che il P. amphiarotus e la forma calabrese è vicinissima a quest’ultima specie, diversificandone solo per la mancanza delle coste care- nate, e poichè le due forme provengono da giacimenti contem- poranei e identici per la fauna che racchiudono e la facies che presentano, così ritengo che il Pecten di Longobucco non sia altro che una varietà, var. utropus, del P. amphiarotus Di Ster. Prima di terminare questa specie, dirò che gli esemplari della var. atropus da me esaminati corrispondono perfettamente a quelli descritti e figurati dal Fucini col nome di P. Thiollieri Marr. e di poi riferiti al P. rarus Ske. Mi sia da ultimo permesso di esternare ancora una volta la mia riconoscenza all’ egregio paleontologo Di Srerano, per i validi aiuti prestatimi nel corso di questo lavoro. 142 B. GRECO Il P. amphiarotus Di Srer. var. atropus m. è assai frequente a Puntadura e al Tufarello, rarissimo al Varco del Ceraso. 4. Pecten Meneghinianus Fvuc. Tav. VI, fig. 1. 1892. Pecten Meneghinianus Fvcmi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 48, tav. I, fig. 9. Dimensioni (es. fig.) Tunphezza, (RS min RIDI) Harghezzat cate ONE NES) Spessoresc nell. LR NO, Conchiglia equilaterale poco convessa, a contorno subcirco- lare, più larga che lunga. Delle orecchiette ne è conservata una sola la posteriore (?) che è di grandi dimensioni ed ornata da numerosissime costicine radiali incrociate con le strie di accrescimento in modo da formare un bellissimo reticolo. La superficie della conchiglia è ornata da circa 20 coste radiali, di forma diversa in ciascuna delle due valve. Nella sinistra esse sono assai larghe, appiattite e separate da spazi interco- stali assai stretti, lineari; nella valva opposta esse coste sono un poco più strette, arrotondate e separate da spazi più ampi di quelli che si osservano nell'altra valva. Nel modello i solchi corrispondenti agli spazi intercostali sono larghi quasi quanto i rilievi corrispondenti alle coste. Le strie di accrescimento, molto sviluppate, si manifestano nelle coste in forma di linee ondulate, fitte, sottili colla convessità rivolta verso l'apice. Il P. Meneghinianus Fuc. è ben distinto dal P. amphiarotus Di Ster. var. atropus m. per la forma diversa delle coste e degli spazi intercostali, per le maggiori dimensioni e gli ornamenti dell’orecchietta e per la diversa forma delle strie di accre- scimento. Di questa specie ho raccolto a Puntadura solamente l’esem- plare figurato, il quale corrisponde perfettamente a quello sul quale il Fucimi fondò la sua specie. V. Genere Avieula Klein. 1. Avicula (Oxytoma) sinemuriensis p'Ors. 1821. Avicula inaequivalvis Sowersr, The min. conch., vol. II, pag. 78, tav. 244, var. f (non a). IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 143 1886. Avicula sinemuriensis Di SterAno, Sul Lias inf. di Taormina ecc, Jexc® pag. 118 (cum syn.). 1890. Avicula sinemuriensis Parona, 1 fossili del Lo, inf. di Saltrio ecc., IRcrpa o N22 Mayo 1892. ARA sinemuriensis Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 48. 1892. Avicula sinemuriensis Parona, Rev. d. fauna liass. di Gozzano ecc. fc, pag. dd. 1892. Avicula sinemuriensis Fucmi, Ale. foss. del Lias Dr delle Alpi Apuane ecc., 1. c., pag. 306. 1893. Avicula sinemuriensis Bose, Die fauna der lias. Brachiopodensch. bei Hindelang, l. c., pag. 650. L’ Avicula sinemuriensis v' OrB. è rappresentata nel mio ma- teriale da 8 valve incomplete, appartenenti a individui in di- verso stadio di sviluppo. Il SowerBy fondò la specie Avicula inaequivalvis confondendo esemplari liasici e calloviani. Il p’ OrBIeny mantenendo il nome del Sowersy per la specie calloviana, propose per quella liasica il nuovo di A. sinemuriensis. Altri autori successivamente hanno seguitato a chiamare A. inaequivalvis anche la specie liasica; ma a me sembra che il loro esempio non sia da seguirsi. Degli esemplari esaminati, uno proviene dal Tufarello, due da Puntadura e gli altri cinque dal Varco del Ceraso. VI. Genere Miodiola Lavx. 1. Modiola Gemmellaroi Di Strerr. 1886. Modiola Gemmellaroi Dr Sterano, Sul 'Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 120, tav. IV, fig. 22-25. 1892. Modiolaria Gemmellaroi Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 51. Dimensioni I I III Lunghezza . . . mm. 23 — mm. 30 — mm 40 Larghezza . .. >» 11 —- » 16 — » 20 Spessore. . . . » 9 — » 20 — » 20 Conchiglia equivalve, gibbosa, allungata, col margine ven- trale acutamente arrotondato, con quello posteriore troncato ed arcuato, con quello anteriore del pari troncato ma concavo, 144 B. GRECO Apici sporgenti e molto ricurvi in avanti, linea cardinale ar- cuata. Sulla parte mediana di ciascuna valva si nota una cresta longitudinale più o meno spiccata, che partendo dagli apici, giunge fin quasi al margine centrale, dividendo le valve in due parti. La superficie della conchiglia presenta delle fittissime strie concentriche molto sviluppate, le quali in vicinanza del con- torno si piegano a zig-zag nel modo descritto dal Di STEFANO, dando in quei punti alla conchiglia un aspetto rugoso. Vi si notano inoltre delle linee radiali sottili, le quali si arrestano alla sinuosità del lato anteriore della conchiglia. Gli esemplari descritti corrispondono perfettamente a quelli raccolti a Taormina; non credo però che essi siano da riferire al genere Modiolaria, come ritiene il Fucmmi. Questo genere in- fatti è provvisto di coste sviluppate solamente nei lati ante- riore e posteriore della conchiglia, lasciando liscia la parte cen- trale, negli esemplari in discussione invece non si ha questo carattere. Essi sono ornati solamente da linee radiali che si arrestano alla sinuosità anteriore senza giungere alla regione apiciale. La Modiola Gemmellaroi Di Ster. è frequente nel Lias infe- riore calabrese; numerosi esemplari provengono da Puntadura e dal Tufarello; due soli dal Varco del Ceraso. 2. Modiola elegans n. sp. Sti VIE sila 2 SL Dimensioni (es. fig.) Tnc:hezza RN O emo Tarehezza si e a RC O SPESSOrO. So 0 nano e O Conchiglia oltremodo allungata, poco gibbosa, claviforme; margine posteriore troncato e pochissimo convesso, margine anteriore leggermente concavo, margine ventrale arrotondato. Gli apici sono piccoli, ottusi, depressi, poco sporgenti, ricurvi in ‘avanti. Ambedue le valve sono provviste di un lieve rialzo gradi- niforme ricurvo colla sua parte convessa rivolta posteriormente; esso comincia nella regione cardinale e arriva fino al margine IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 145 ventrale, nel punto preciso dove termina la concavità del lato anteriore e la curvatura di quello ventrale. Questo lieve rialzo divide le valve in due parti ineguali e diversamente ornate. Nella porzione anteriore non si hanno pieghe, in quella poste- riore più grande, si osservano numerose e grosse pieghe al- quanto allontanate fra loro, che cominciano nel margine po- steriore e dirigendosi obliquamente in basso svaniscono molto prima di giungere al su detto rialzo. Nella porzione anteriore invece si presentano numerose linee trasversali diritte, appena distinte ad occhio nudo e sotto favorevoli incidenze di luce. Sono invece molto distinte le strie di accrescimento, fitte e regolari, che seguendo il contorno della conchiglia incontrano ad angolo retto le minute linee della parte anteriore, e tagliano obliquamente le pieghe della parte posteriore, rimanendo in parte visibili anche sulle pieghe stesse. Dei due esemplari fi- gurati, solo quello incompleto (fig. 2) presenta tutte le parti- colarità accennate, avendo la superficie ben conservata; l’altro (fig. 3) ci dà solo un’idea esatta della forma della conchiglia ma non quella delle ornamentazioni esterne perchè corroso e sciupato. La nuova specie descritta per l'aspetto generale della con- chiglia, per gli apici ottusi e per la regione apiciale relativamente larga viene da me riferita al genere Modiola, e come pure mi sembra doversi riferire a questo genere la specie affine alla nostra conosciuta col nome di Mytilus Sowerbyanus D'OrB., fre- quente nel Lias superiore del bacino del Rodano e nella grande oolite d'Inghilterra. È specialmente cogli esemplari di M. Sower- byanus D' OrB. descritti e figurati dal DumortieR che maggior- mente si avvicinano quelli calabresi di M. elegans n. sp.; ne rimangono però sempre distinti per essere più ristretti al mar- gine apiciale e più slargati al margine ventrale e per il minore sviluppo delle pieghe che non arrivano mai al lieve rialzo gra- diniforme che separa le due porzioni di ciascuna valva. I due esemplari figurati di M. elegans n. sp. furono raccolti al Tufarello presso Longobucco; di Puntadura ne ho solo al- cuni frammenti; al Varco del Ceraso la specie non è stata an- cora trovata. 146 B. GRECO VII. Genere B5yocencha Sow. 1. Myoconcha scabra Terre. et Prese. Tav. VI, fig. 4. 1865. Myoconcha scabra Terquen et Pierre, Le Lias inf. de V Est de la France ecc. Mém. Soc. géol. de France, 2.* Ser. vol. VIII, pag. 84, tav. 9, fig. 4-6. 1867. Myoconcha scabra Dumormnr, Htud. pal. sur les dép. jur. du bass. du Rhòne; Lias inf., pag. 60, tav. X, fig. 6 e XVII fig. 7. 1890. Myoconcha scabra Parona, I fossili del Lias inf. di Saltrio ecc., INfcoRpa st Mita Io 2: Riferisco a questa specie un piccolo individuo mancante delle regioni apiciale e ventrale. La parte conservata della conchiglia è ornata su ciascuna valva da circa 11 coste equidistanti, scabrose, raggianti un poco incurvate, separate da spazi molto ampi, e da rughe d’ac- crescimento concentriche, angolose, assai fitte, ben sviluppate che insieme colle linee radiali danno alla conchiglia un aspetto tanto caratteristico. Queste rughe sono meno indicate ai mar- gini della conchiglia ove sembrano più numerose; nella parte centrale sono assai ingrossate, e più rilevate, da per tutto ap- paiono interrotte ed angolose in corrispondenza delle coste ra- diali. Nella parte posteriore il nostro frammento presenta di- stinto il corsaletto separato mercè una cresta dai lati della conchiglia; non è ben manifesta la fossetta del ligamento. L'esemplare descritto, proviene dal Varco del Ceraso; esso. corrisponde per le ornamentazioni molto più alla forma di Myo- concha scabra del Lias inferiore del bacino del Rodano figurato dal DumwortIEr, che a quella tipica di Terquem e Pierre dell'Est de la Francia. Da questa si allontana specialmente per il mag- gior numero di coste radiali. 2. Myoconcha reticulata n. sp. Tav. VI, fig. 5. Valva destra rotta all’ apice e incompleta nella regione ven- . trale di una specie di Myoconcha che per le sue ornamentazioni non corrisponde a nessuna di quelle conosciute. Verso la re- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 147 gione apiciale si va assottigliando, e la maggiore convessità è spostata verso la parte posteriore, mentre anteriormente sem- bra alquanto depressa. È conservato anche parte del corsaletto che arriva quasi sino alla metà della lunghezza della. valva, dopo di che si ha una specie di sottile incisione o doccia che si allarga un poco procedendo verso il margine inferiore, e che doveva servire a rendere più facile il meccanismo dell’aper- tura e chiusura delle valve. La parte posteriore della valva destra conservata fin dove raggiunge la massima convessità non presenta coste radiali; la regione anteriore invece è ornata da numerosissime coste radiali assai fitte, non molto spiccate, quasi lineari, che dall’ apice giungono fino al margine inferiore. Le ru- ghe di accrescimento un poco più rade delle costicine radiali sono visibilissime su tutta la valva, molto più spiccate ed in- grossate nella parte centrale di essa, e generalmente non con- tinue ma interrotte e interpolate in corrispondenza della re- gione di massima gibbosità. Queste rughe incontrando le coste radiali della parte anteriore danno luogo ad un elegante e mi- nuto reticolo. a La Myoconcha reticulata n. sp. ricorda la Myoconcha psilonoti Quensr. dell’Infralias della Spezia quale fu figurata dal Capen- LINI (4). Da essa però si distingue per essere più ristretta nella metà superiore, per le coste molto più numerose, e mancanti assolutamente nella parte posteriore, dove invece nella Myo- concha psilonoti Quensr., sono anzi più rilevate e distinte, e per le strie di accrescimento numerose, bene spiccate e uon continue. L'unico esemplare appartenente a questa specie è stato rac- colto a Puntadura. VII. Genere Einna L, 1. Pinna Hartmanni Zien. 1830. Pinna Hartmanni Zueven, Die Versteinerungen Wiirtembergs, pag. 73, tav. 55, fig. 5. 1886. Pinna Hartmanni Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 122 (cum syn.). (') Fossili infraliassici dei dintorni del Golfo della Spezia. Estr. d. Mem. d. Ace. d. Sc. dell’Ist. di Bologna, ser. 2 2, vol. V, pag. 53, tav. IV, fig. 1. Se. Nat. Vol. XIII. 10 148 B. GRECO 1887. Pinna Hartmanni Di Sterano, L’età delle roccie credute triasiche nel territorio di Taormina. Estr. dal Giorn. di Sc. nat. ed econ., vol. XVIII, parte, II, pag. 8. 1892. Pinna Hartmanni Fuori, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 52. Della Pinna Hartmanni Zrer. ho raccolto 5 frammenti di mag- giore o minore grandezza. Essi sì riferiscono sempre alla parte superiore della conchiglia e hanno la superficie molto sciupata. Dove la conchiglia è conservata appare ornata da coste con- centriche, che si incontrano con quelle radiali, formando un reticolo a larghe maglie. Nei modelli si osservano pieghe on- dulose concentriche. Tutti i frammenti sono a sezione quadran- golare. Un grosso frammento di Pinna Hartmanni proviene dal Varco del Ceraso e gli altri più piccoli sono stati raccolti a Puntadura. IX. Genere Arca L. d. Arca (?) sp. ind. Nei calcari neri del Varco del Ceraso ho raccolto tre esem- plari di una piccola specie di Arcidea, i quali per esser con- servati in modello sono del tutto indeterminabili, nè può dirsi con certezza se siano una vera Arca o piuttosto un Macrodon. X. Genere Cardinia Acass. 1. Cardinia antelonga Fuc. Tav. VI, fig. 9. 1892. Cardinia antelonga Fucmi, Moll. e Brach. ecc., l. c., p. 53, tav. II, fig. 5. Conchiglia molto inequilaterale, piuttosto convessa, con margine anteriore lungo e arrotondato nella sua porzione in- feriore; con margine posteriore parimente allungato ma quasi diritto. Il margine ventrale è assai lungo e leggermente ‘ar- cuato alle estremità. Gli apici sono immensamente ricurvi in avanti, originando una lunula ovale molto profonda; poste- riormente sono assai avvicinati e quasi a contatto. La super- ficie della conchiglia è ornata da numerose strie concentriche IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 149 grosse, fra le quali ne sono interposte diverse altre sottili. Nell’esemplare figurato il margine anteriore è rotto e perciò sembra più corto della tipica Cardinia antelonga Fuc. Questa specie è distinta dalla Cardinia hybrida Sow. per il lato anteriore più allungato, il margine posteriore non arcuato e le strie di accrescimento molto più fitte. I tre esemplari esaminati furono raccolti al Varco del Ceraso. XI. Genere Astarte Sow. 1. Astarte psilonoti Quensr. 1858. Astarte psilonoti Quenstent, Der Jura, pag. 45, tav. III, fig. 14. 1883. Astarte psilonoti Parona, Contributo allo studio della fauna liassica dell'Appennino centrale. Reale Acc. Lincei, ser. 3.°, vol. XV, pag. 658, tav. III, fig. 13. Riferisco a questa specie otto esemplari in diverso stadio di sviluppo, tre dei quali a superficie integra, gli altri conser- vati in modello. Per quanto non siano bene isolati dalla roccia, appariscono di forma subquadrangolare, poco convessi, col mar- gine ventrale angoloso nella sua porzione posteriore. In un esem- plare conservato in modello interno si vede in corrispondenza della lunula una depressione ben distinta, ma non molto pro- fonda, e un rilievo mediano listiforme che sta ad indicare la commessura delle valve. Lateralmente a questo rilievo e nella metà della lunghezza della depressione si hanno due puntini rilevati, dovuti a speciali cicatrici esistenti nella parte interna della conchiglia in corrispondenza della lunula. Sullo stesso mo- dello si osserva solamente l'impressione muscolare anteriore di forma ovale e l'impronta palleale integra. Quando la conchiglia è conservata, è ornata da circa 20 coste concentriche ben sviluppate e separate da altrettanti solchi molto più larghi di esse. .». I miei esemplari corrispondono benissimo a quelli descritti e figurati dal QuensTEDT. L’ Astarte psilonoti Quenst. è assai rara nel Lias inferiore calabrese. Gli individui esaminati provengono tutti dal Varco del Ceraso. 150 B. GRECO XII. Genere Cardium L, 1. Cardium Philippianum Dx. 1851. Cardium Philippianum Dunxer, Ueber die in dem Lias bei Hal- berstadt vorkommenden Versteinerungen. Palaeontographica, I Bd., pag. 116, tav. XVII, fig. 6. 1886. Cardium Philippianum Seavenza, Il Retico di Taormina. Estr. dal Nat. Siciliano, anno V, pag. 6. 1892. Cardium Philippianum Fucmi, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 55, tav. II, fig. 9, 10 (cum syn.). Riferisco a questa specie numerosi modelli appartenenti a individui in diverso stadio di sviluppo. Essi sono molto rigonfi, con apici robusti ricurvi, ma insensibilmente rivolti in avanti e con lunula ovale, ben sviluppata, molto profonda. Il lato an- teriore è più corto del posteriore che è carenato ed ornato da circa 10 coste longitudinali mentre il resto della conchiglia non presenta, nei pochi esemplari ove essa è conservata, altro che delle strie concentriche di accrescimento. i I miei numerosi esemplari si avvicinano alla forma del grès infraliasico di Hettange figurata dal Terquem e corrispondono perfettamente a quelli descritti e figurati dal Fucmi. Questa specie è assai frequente a Puntadura e al Tufarello, un poco meno al Varco del Ceraso. XIII. Genere Pholadomya Sow. 1. Pholadomya olivaensis Di Srer. 1886. Pholadomya olivaensis Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ece., 1. c., pag. 128. 1892. Pholadomya olivaensis Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 57, tav. III, fig. 1. Conchiglia di grandi dimensioni, equivalve, assai inequila- terale, molto convessa, allungata posteriormente, troncata nella sua parte anteriore, arrotondata alle due estremità, e con mar- gine ventrale leggermente ricurvo, assai allungato. Apici molto prominenti e robusti. La superficie della conchiglia è quasi IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 151 sempre interamente sciupata; tuttavia vi è qualche esemplare che qua e là ne ha conservato qualche frammento, e allora si osservano rughe di accrescimento molto larghe intercalate da altre meno sviluppate e più fini. Le coste radiali non sono chia- ramente visibili. I miei esemplari corrispondono perfettamente a quelli de- scritti e figurati dal Fucmi ed alla descrizione data dal Di SterANo per gli esemplari della sua nuova specie, raccolti a Taormina. La Ph. olivaensis Di Ster. è assai frequente a Puntadura, rara al Varco del Ceraso. 2. Pholadomya Idea D'Ors. 1830. Pholadomya ambigua Zieren (non Sow.), Die Werst. Wiirt., pag. 86, tav. LXV, fig. 1. 1850. Pholadomya Idea D’ OrBIGnY, Prodrome, ét. 7.°, pag. 216, n. 73. 1874. Pholadomya Idea Mozsca, Monogr. der Pholadomyen. Mém. de la Soc. pal. Suisse, vol. L pag. 15, tav. III, fig. 3-4; tav. IV; tav VARA go 1886. Pholadomya Idea Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc:, 1. c., pag. 128 (cum syn.). 1892. Pholadomya Idea Fucmi, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 57. 1893. Pholadomya Idea Crorrat, Moll. Lamell. 1 livr. Descr. de la faune Jurass. du Portugal. Direction des travaux géol. du Portugal, pag. 10, tav. IV, fig. 1-3. Il Morsca, nel suo lavoro citato in sinonimia, considera due forme tipiche di Pholadomya Idea »’ Or. Ambedue sono rap- presentate nel Lias inferiore calabrese. Una di esse, molto ri- gonfia, quasi troncata anteriormente, allungata e acuta nella parte posteriore, corrisponde per la forma all’esemplare figu- rato dal Morsck a tav. III colla fig. 3, ma stante il cattivo stato di conservazione non permette di osservare bene le coste ra- diali. La seconda forma ha la parte posteriore allungata, ma non acuta e ristretta, il margine ventrale leggermente arcuato ed è ornata da numerose rughe di accrescimento piuttosto spic- cate e da circa 9 coste raggianti, piuttosto grosse, separate da spazi molto ampi. Essa corrisponde agli esemplari figurati dal Morsca a tav. IV colla fig. 1. Tre esemplari poi sono simili alla Ph. Idea v'OrB, var. cycloides Mogsca rappresentata nella tav. INENon9: 152 B. GRECO La Pholadomya Idea D’' Or. è frequente a Puntadura; raris- sima al Varco del Ceraso. 8. Pholadomya corrugata K. et DK. 1837. Pholadomya corrugata Koca et Dunxer, Beitr. 2ur Kenntn. des Norddeutschen Oolithgebildes und dessen Versteinerungen, pag. 20, tav Aia) 1874. Pholadomya corrugata Morsca, Monographie der Pholadomyen, 1. c., pag. 11, tav. II, fig. 1-4; tav. V, fig. 4-6; tav. VIII, fig. 1. 1886. Pholadomya prima Seauenza, Il Retico di Taormina ecc., L c., pag. 5. 1886. Pholadomya corrugata Di Sterano, Sul Lias inf. di Taormina ecc., 1. c., pag. 125 (cum syn.). 1892. Pholadomya corrugata Fucmi, Moll. e Brach. ecc., l. c., pag. 58. 1893. Pholadomya corrugata Crorrar, Moll. Lamell. ecc. 1. c., pag. 9, tav. II, fig. 8-10, tav. III, fig. 1. Conchiglia rigonfia, ad apici poco sporgenti, con margine anteriore corto, posteriore allungato, ampio ed arrotondato, e con margine ventrale leggermente arcuato, quasi piano. La su- perficie della conchiglia è ornata da coste radiali poco distinte e da rughe di accrescimento assai sviluppate. La Pholadomya corrugata K. et Dk. è assai frequente a Pun- tadura e gli esemplari da me osservati corrispondono in parte a quelli rappresentati dal Morsca a tav. VIII colla fig. 1, e a tav. V colle fig. 4-6; in parte a quell’esemplare indicato da Caapuis et DewaLque (1) col nome di Pholadomya glabra Acass. nella tav. XVI, fig. 2. 4. Pholadomya congenita Sc. 1886. Pholadomya congenita Secuenza, Il Retico di Taormina, 1. c., pag. 5. 1892. Pholadomya congenita Fucini, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 60, tav. esso Conchiglia di piccole dimensioni, poco convessa, con apici subterminali, appena sporgenti. La sua parte anteriore è corta arrotondata, la posteriore allungata, ed appuntita. Il margine (4) Descript. d. foss. d. terr. sec. du Luxembourg, IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 1158) ventrale è leggermente arcuato. La superficie della conchiglia è provvista di numerose rughe di accrescimento e di circa 10 coste raggianti, più o meno spiccate, arrotondate e separate da spazi molto ampi. Questa specie, come osserva il Seguenza, è vicina alla Pho- ladomya prima Quensr. (= Ph. corrugata K. et Dx.) e specialmente a quell’esemplare sotto lo stesso nome figurato dal Dumormer (1) a tav. V colle fig. 9-10. Da essa però è ben distinta per aver gli apici situati più anteriormente e meno elevati, per il lato posteriore più allungato e ristretto e per essere meno convessa. La Pholadomya congenita See. è piuttosto frequente a Pun- tadura; rara al Tufarello ed al Varco del Ceraso. 5. Pholadomya consentina n. sp. Ino NAb si (06 Dimensioni Tune hezza RC 90 Iarphezza RE Spessore, o. (ii e rt 84 Conchiglia assai inequilaterale, equivalve, piuttosto rigonfia di contorno quasi subtriangolare col margine anteriore repen- timamente troncato, col margine ventrale sensibilmente arcuato, e con quello posteriore allungato e ristretto alla sua estremità. Gli umboni sono terminali, molto elevati. La superficie mal conservata, non lascia intravedere che 5 o 6 coste radiali, e alcune rughe di accrescimento. L’esemplare ora descritto ricorda la Pholadomya Murchisonii Sow. dell’oolite; ne è però distinta per gli apici meno sporgenti e per il lato posteriore ristretto ed acuto. Dalla Pholadomya sifonensis Di Ster. questa specie si distingue, come gentilmente mi ha comunicato il Dr SrerANo, per essere più rigonfia e di pro- porzioni minori, per gli apici più grossi e più alti, per il lato anteriore repentinamente troncato, e per il posteriore più breve. Di questa specie possiedo il solo esemplare figurato, rac- colto a Puntadura. (!) Étud. pal. sur les dép. jur. du bassin du Rhòne; Infralias. 154 B. cano XIV. Genere Goniomya Acass. 1. Goniomya antegenita Srse. 1886. Goniomya antegenita Secvenza, Il PRetico di Taormina, 1. c., pag. 5. 1892. Goniomya antegenita Fucimi, Moll. e Brach., 1. c., pag. 61, tav. II, fig. 12. Conchiglia inequilaterale, trasversalmente allungata, arro- tondata tanto nella porzione anteriore che in quella posteriore, : ma ristretta alle estremità, con margine ventrale leggermente arcuato. Gli apici sono elevati, molto ricurvi e provvisti di ca- rene assai ottuse, la lunula è allungata e poco profonda, l’area nella quale si trovava il ligamento è tanto sviluppata da oc- cupare tutta la porzione posteriore della conchiglia. La super- ficie è ornata da numerose coste trasversali che si uniscono fra loro mediante una porzione trasversa breve, e da strie di accrescimento molto ben sviluppate. L’esemplare riferito dal Fucmi alla specie descritta e da lui figurato, sarebbe ornato da coste riunite ad angolo senza la porzione trasversa e non corrisponderebbe alla diagnosi del Secuenza. Il Fucmmi stesso però ha avuto la cortesia di dirmi che l’unico esemplare da lui raccolto a Puntadura, aveva la super- ficie mal conservata e che la particolarità dell’ unione delle coste non fu bene interpretata. Quindi quell’esemplare corrisponde- rebbe perfettamente ai miei. La Goniomya antegenita See. è piuttosto frequente al Tufa- rello e a Puntadura; non è stata ancora trovata al Varco del Ceraso. 2. Goniomya Jacobi Fuc. 1892. Goniomya Jacobi Fvomi, Moll. e Brach. ecc., 1. c., pag. 61, tav. III, fig. 2-3. Quattro esemplari di Goniomya per l'aspetto generale, le dimensioni, la forma e l'andamento delle coste corrispondono perfettamente alla descrizione e alle figure date dal Fucmi per la sua nuova specie G. Jacobi. Essi sono stati raccolti a Puntadura. Il LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 155 3. Goniomya Canavarii n. sp. Tav. VI, fig. 8. Dimensioni i I (es. fig.) II Tum phezz: Re im 3) Tarehezza sea ae, e St e 310) SPeSsore a n N e DINT? Conchiglia piccola, bassa, rigonfia, assai allungata, equivalve poco inequilaterale, con lato anteriore lungo ed acuto, poste- riore un poco più allungato e leggermente arrotondato, e con margine ventrale diritto. Gli apici sono poco sporgenti, muniti di carene ottuse ed arrotondate che arrivano fino all’ estremità posteriore della conchiglia. La superficie di essa è ornata su ciascuna valva da circa 12 coste, grosse, arrotondate, separate da spazi di maggiore ampiezza, che scendono perpendicolarmente da destra e da sinistra e sono riunite fra loro per mezzo di altre coste della stessa forma, lunghe, orizzontali, parallele al margine ventrale, colle quali formano un angolo quasi retto. Tutti i vertici di questi angoli tanto da una parte che dall’ altra sono disposti secondo due rette ideali che partono ad angolo dagli apici. La Goniomya Canavarti n. sp. è ben distinta dalla Goniomya antegenita See. per le dimensioni immensamente minori, per la parte anteriore più allungata, per gli omboni meno elevati, per esser meno inequilaterale, e per gli ornamenti un poco diffe- renti. Infatti nella Goniomya antegenita See. le coste sono riunite da tramezzi brevi, e non paralleli al margine ventrale, nella G. Canavarti n. sp., invece i tramezzi sono assai più lunghi e, come si disse, paralleli al margine ventrale. Di questa bella specie ho potuto osservare solamente due esemplari provenienti da Puntadura. 4. Goniomya Farnetina n. sp. Ta vVARRiA p7: Dimensioni ; I (es. fig.) II Lunghezza . . . mm. 16 — mm. 18 Larghezza . . .. » 29) — 281 SPessore: 40, tei — >» 14 Conchiglia equivalve, molto inequilaterale, rigonfia, con apici 156 B. GRECO. poco sporgenti, ricurvi assai in avanti e provvisti di carene diritte, lunghe, arrotondate. La porzione anteriore (rotta) do- veva essere breve; la posteriore è assai allungata, gradata- mente ristretta e termina acuta; il margiue ventrale è diritto. La superficie presenta su ciascuna valva circa 20 coste trasver- sali poco rilevate, nastriformi, separate da spazi sempre più larghi mano mano che si allontanano dagli apici e riunite ad angolo ottuso colle porzioni trasversali parallele al margine ventrale. I suddetti angoli d'incontro si corrispondono in linee rette divergenti dagli apici. Si deve poi osservare che parecchie coste del lato posteriore ed alcune di quello anteriore dopo di essersi riunite alla porzione trasversale centrale, si arrestano, e quindi appaiono interpolate. La Goniomya Farnetina n. sp. si distingue dalla G. Jacobi Fuc. per essere proporzionatamente più larga che lunga, più ri- stretta all'estremità posteriore, e per avere le coste non con- tinue e le loro porzioni trasverse mediane molto più lunghe e parallele al margine ventrale. Della Goniomya Farnetina n. sp. ho raccolto due soli esem- plari a Puntadura. XV. Genere E?leuroniya Acass. emend. Terq. 1. Pleuromya tauromenitana Ste. 1886. Pleuromya tauromenitana Secuenza, Il PRetico di Taormina, l. c., pag. 6. 1892. Pleuromya tauromenitana Fucini, Moll. e Brach. ecc., pag. 62, tav. III, fig. 4. Conchiglia convessa, equivalve, inequilaterale, trasversal- mente allungata, con apici robusti, sporgenti, ravvicinati e prov- visti di carene ben sviluppate. La porzione anteriore è breve ed arrotondata, la posteriore assai allungata e ristretta all’estre- mità, il margine ventrale è arcuato. La superficie della conchi- glia presenta numerose coste concentriche ben spiccate, piut- tosto larghe, separate da spazi della stessa ampiezza. La Pleuromya tauromenitana Sec. è comunissima a Punta- dura e al Tufarello, rara al Varco del Ceraso. Gli esemplari da me osservati corrispondono perfettamente a quelli figurati dal Fuorni. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 157 2. Pleuromya Seguenzae Fuc. 1892. Pleuromya Seguenzae Fucmi, Moll. e Brach. ecc., 1 c., pag. 63, tav. III, fig. 6. Conchiglia equivalve, allungata trasversalmente, assai ine- quilaterale, rigonfia, col massimo spessore sotto gli umboni; questi sono robusti, larghi, alquanto sporgenti e provvisti di una carena bene sviluppata, diretta posteriormente. La porzione anteriore della conchiglia è breve ed arrotondata, la posteriore assai allungata, un poco ristretta ed arrotondata all’ estremità; il margine ventrale è quasi diritto. La superficie della conchiglia presenta numerose ed irregolari strie di accrescimento, più lar- ghe e sporgenti in vicinanza del margine, più fini e regolari verso la parte mediana della conchiglia. La Pleuromya Seguènzae Fuc. è frequente al Varco del Ce- raso, rara a Puntadura. I miei esemplari corrispondono in tutto a quelli descritti e figurati dal Fucm. 3. Pleuromya lineato-punctata n. sp. Tav. VI, fig. 10. Dimensioni (es. fig.) IAS o o 0 o 0 di DI NATeHezza Ri n e OR SPeSSOre nti ei ed 8 Conchiglia molto allungata trasversalmente, inequilaterale e molto rigonfia col massimo spessore presso la regione car- dinale. Gli apici sono assai sporgenti, ottusi, ricuryi e provvisti su ciascuna valva di due carene, quella più vicina alla linea cardinale è quasi diritta, e l’altra più esterna è molto arcuata ed ampia. Esse arrivano fino all'estremità posteriore, limitando così un’area ovale molto sviluppata, in modo da occupare tutta, la parte posteriore della conchiglia. Questa anteriormente è breve e leggermente angolosa, posteriormente assai allungata ed arrotondata all’ estremità, ed ha il margine inferiore quasi diritto, lungo e tagliente. La superficie della valva sinistra, la ;I meglio conservata, è ornata da minutissimi granuli a guisa di 158 B. GRECO tanti punti disposti in numerose serie lineari irraggianti dagli apici, ben visibili anche ad occhio nudo. Essi tubercoli sono molto più fitti presso gli apici che verso il margine ventrale. Nella valva destra, alquanto decorticata, quegli ornamenti sono appena accennati. Le rughe di accrescimento si presentano lar- ghe, concentriche, ben sviluppate, separate da spazi poco pro- fondi. .La Pleuromya lineato-punctata n. sp. per le sue ornamenta- zioni è così caratteristica che non si può confondere con nes- suna delle specie liasiche del genere Pleuromya citate dagli autori. Solo lontanamente ricorda nella ornamentazione la PI. Charmassei Duw. (*) del Lias inferiore del bacino del Rodano, co- nosciuta solo in frammenti. Per quanto può giudicarsi, da essa sì distingue per le dimensioni minori, per la minore grossezza dei granuli, e per la disposizione loro in serie regolari alquanto meno numerose. La Pleuromya lineato-punctata è rappresentata nella fauna che vado descrivendo da un solo esemplare, quello’ figurato, raccolto al Varco del Ceraso. XVI. Genere Cercomya Agass. 1. Cercomya Elisae Fuc. Tav. VII, fig. 1. 1892. Cercomya Elisae Fucini, Moll. e Brach. ecc., l c., pag. 63, tav. RT Dimensioni (es. fig.) Pine neza See eee evo WATOheZZa Ki Re SR O SPESSOLERIRA MIT N IR TERI Conchiglia poco convessa, equivalve, assai allungata trasver- salmente, arrotondata alle due estremità e con margine ven- trale leggermente arcuato. Apici piccoli, poco sporgenti, acuti, ricurvi in avanti e muniti di carene leggere. Nella regione me- diana di ambedue le valve si nota una leggera ma ampia depres- sione mediana che partendo dagli apici arriva fino al margine (1) EÉtud. pal. sur les dépots jurass. du bassin du Rhòne; Lias inf., pag. 49, tav. XVI, fig. 19-20. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 159 ventrale. La superficie presenta numerose coste concentriche ben sviluppate, separate da spazi quasi della stessa ampiezza. La Cercomya Elisae, come fa osservare il Fucmi, è ben di- stinta dalla Cercomya gibba See. per esser meno allungata tra- sversalmente, meno rigonfia, per avere gli apici acuti. Di questa specie possiedo due eremplari, uno dei quali è stato raccolto a Puntadura e l’altro al Tufarello. GASTROPODA 0). I. Genere Eleurotomaria Defr. 1. Pleurotomaria (Cryptaenia) expansa Sow. sp. 1821. Helicina expansa Sowersr, The min. conch., vol. III, pag. 129, tav. 273, fig. 1-3. 1886. Cryptaenia expansa Di Sterano, Il Lias inf. di Taormina ecc., l. c., pag. 133 (cum syn.). Riferisco a questa specie tre modelli interni di una Pleuro- tomaria a spira assai bassa, coi giri carenati esternamente, quasi pianeggianti nella loro porzione superiore, immensamente convessi e quasì angolosi nella porzione inferiore, onde la loro sezione è quasi subtriangolare. I miei esemplari corrispondono alla descrizione ed alla fi- gura che di questa specie dà il GrmmeLLaro (?). Due di essi pro- vengono dal Tufarello ed uno dal Varco del Ceraso. II. Genere $eaevola Gem. 1. Scaevola liotiopsis Gem. Tav. VII fig. 2. 1878. Scaevola liotiopsis GenmeLrAro, Sui foss. del cale. cristall. delle montagne del Casale e di Bellampo. Estr. d. Giorn. di Sc. Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XIII, pag. 343, tav. XXVII, fig. 3-6. Conchiglia sinistrorsa, con spira alquanto elevata ma con (!) È bene di fare osservare che tutti i Gastropoda qui descritti sono stati rac- colti negli stessi strati ove si trovano i Brachiopodi e i Lamellibranchi di cui prece- dentemente si è parlato, e le Ammoniti di cui si parlerà in seguito. (*) Sopra i fossili della zona con Ter. Aspasia Mex. della prov. di Palermo e di Trapani. Estr. d. Giorn. d. Sc. Nat. ed. Econ. di Palermo, vol. X, pag. 94, tav. XII, fig. 20. 160 ‘| B. GRECO svolgimento non uniforme. I primi giri crescono lentamente e regolarmente ed hanno ombellico profondo, assai grande, imbu- tiforme; l’ultimo giro invece si svolge più rapidamente, nella parte esterna è rotondo e presenta ombellico larghissimo. L’aper- tura è circolare. La conchiglia è ornata da numerose pieghe variciforme trasversali che stanno ad indicare le antiche aper- ture di essa, e da piccoli cingoli spirali (6 nell’ ultimo giro) molto distinti. L'incontro di questi cingoli colle su dette pieghe trasversali dà luogo a tanti rilievi tubercoliformi. In una pa- rola il nostro esemplare corrisponde perfettamente alla specie cui fu riferito. Esso proviene dal Varco del Ceraso. 2. Scaevola sp. ind. Lascio indeterminato un esemplare certamente appartenente al genere Scaevola sezionato e mancante dell'ultimo giro. Esso 9, . O . per l'andamento della spira e per le ornamentazioni potrebbe forse essere paragonato alla Scaevola Busambrensis Gemm.; ma non insistiamo più oltre su tal paragone a causa del cattivo stato di conservazione dell’ esemplare. Esso, come la specie precedente, proviené dal Varco del Ceraso. III. Genere Trochus L. 1. Trochus sp. ind. cfr. Tr. Kneri Srot. Tav. VII, fig. 3. Piccolo Trochus, incompletamente conservato, con spira piut- tosto elevata, costituita forse da circa 5 anfratti, leggermente convessi all’esterno e separati da una profonda sutura; bocca arrotondata. La superficie è interamente coperta da numerose costoline spirali nastriformi, poco rilevate e separate da solchi molto più strette di esse. L’esemplare ora descritto rappresenta quasi una forma di. passaggio fra il Tr. Kneri Sor. ed il Tr. Avernus Sror. av- vicinandosi più e quello che a questo. L'angolo spirale infatti è intermedio fra le due specie; l'apertura è la stessa di quelle del Tr. Avernus Stor. col quale ha anche in comune l’ anda- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 161 mento della spira; gli ornamenti invece sono quelli del 77. Kneri Sror., vi manca cioè quella costolina spirale più svilup- pata delle altre che nel Tr. Avernus Stor. rende quasi ango- loso l’anfratto. L'unico esemplare fu raccolto al Varco del Ceraso. IV. Genere Neritopsis Grar. 1. Neritopsis Taramellii Ga. 1878. Neritopsis Taramellii GenmeLLARo, Sui foss. del cale. cristall. ecc., 1. c., pag. 329, tav. 26, fig. 9-10. L'unico esemplare che riferisco a questa specie è piuttosto piccolo e non ha l'apertura ben conservata. La spira breve è costituita da 3 giri, l’ultimo dei quali esternamente arroton- dato è molto sviluppato in modo da costituire quasi da solo l’intiera conchiglia. Questo esemplare è per la massima parte conservato in mo- dello, e solo in vicinanza dell'apertura si ha un poco di con- chiglia ornata da cingoli trasversali bene spiccati, tubercolati all'incontro delle numerosissime linee spirali. L’esemplare descritto, salvo per le dimensioni un poco mag- giori, corrisponde completamente all’esemplare di Neritopsis Taramellii figurato dal GemmeLLARO. Esso proviene dai calcari neri del Varco del Ceraso. V. Genere Natica Liwnx. 1. Natica globulus Sre. Tav. VII, fig. 4. 1886. Natica globulus Secuenza, Il Retico di Taormina 1. c., pag. 5. Riferisco a questa specie cinque modelli interni di una con- chiglia globulare con spira bassa, crescente rapidamente. I primi giri sono rotti, ma dallo svolgimento della spira si può dedurre che la conchiglia doveva essere costituita da 5 anfratti scala- riformi. L'ultimo giro è assai sviluppato e molto rigonfio, glo- bulare. L'apertura è ovale. Il Seguenza per la specie in parola dà questa brevissima 162 B. GRECO diagnosi: “ Affine Natica retusa Pierre. Più rotondata. , Queste stesse particolarità si osservano nei miei esemplari; essi differiscono dalla N. retusa Pier. per l’ultimo giro più svilup- pato e più globulare e per il labbro esterno della bocca molto più convesso. La specie in discussione è stata trovata a Puntadura (due esempl. ), al Tufarello (due esempl.) e al Varco del Ceraso (un esempl.). VI. Genere ILittorina Fàr. 1. Littorina minuta Tera. 1865. Littorina minuta Terquen et Pierre, Le Lias inf. de V Est de la France. Mém. Soc. géol. de France, ser. II, vol. VIII, pag. 34, tav. I, fig. 23-25. Viene riferito a questa specie un solo esemplare mancante di una parte dell’ultimo giro. Esso corrisponde perfettamente al-' l'esemplare del grès liasico d’ Etales, per la forma generale della conchiglia, per l'andamento della spira, la forma degli anfratti e per i rilievi costiformi trasversali in vicinanza della sutura. Proviene dal Varco del Ceraso. VII. Genere Chemniîitzia p’ Orz. 1. Chemnitzia (Oonia) sp. ind. cfr. Ch. abbreviata Tera. sp. Conchiglia turricolata, ovale, a spira breve, acuta, ad anfratti regolarmente convessi, arrotondati, l’ultimo dei quali è molto più sviluppato dei precedenti. Sutura lineare, apertura ovale. La specie descritta si avvicina alla Chemnitzia (Oonia) abbre- viata Tero. sp. del grès infraliasico di Hettange; da essa però si discosta per il minore sviluppo dell'ultimo giro. Della Ch. (Oonia) sp. ind. cfr. Ch. abbreviata Terg. ho rac- colto due esemplari a Puntadura e due al Tufarello. 2. Chemnitzia (Rabdoconcha) sp. ind. Alcuni modelli incompleti di una Chemnitzia di piccole di- mensioni, a spira elevata, ad angolo spirale assai acuto inde- IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 163 terminabili specificamente, ricordano per la forma generale, per l'andamento della spira, per l'aspetto degli anfratti e dell’aper- tura la Chemnitzia (Rabdoconcha) crassilabrata Terg. sp. Essi furono raccolti a Puntadura, al Tufarello e al Varco del Ceraso. 8. Chemnitzia (Pseudomelania) sp. ind. Cinque modelli interni di una Pseudomelania a spira alta, conica, allungata, ad anfratti scalariformi poco convessi e ad apertura non ben conservata, non permettono alcuna determi- nazione specifica. Per l'andamento generale della spira e per la forma degli anfratti ricordano la Chemnitzia Valletti Sropp. ma sono di proporzioni più grandi e alquanto più rigonfi. Forse 1 miei esemplari appartengono a quella specie di Taormina che fu chiamata dal Secuenza Chemmitzia connectens e da lui para- gonata precisamente alla Ch. Valletti Storr.; ma nulla può pre- cisarsi a causa della cattiva conservazione dei miei esemplari e della incompleta diagnosi data dal SEcuEnzA. Dei cinque esemplari raccolti, quattro provengono dal Tu- farello ed uno da Puntadura. 4. Chemnitzia? ingrata Ca. et Dew. 1853. Ohemnitzia? ingrata Cnapuis et Dewarque, Descr. d. foss. d. terr. second. du Luxembourg, pag. 79, tav. XI, fig. 6. Modello interno di una conchiglia di grandi dimensioni tur- ricolata, a spira elevata, costituita forse da 7 o 8 anfratti re- golarmente convessi. L'apertura non è chiaramente osserva bile. L'angolo spirale è di circa 86 gradi. Di questa specie possiedo un solo esemplare raccolto a Pun- tadura e simile perfettamente all’esemplare del Luxembourg, descritto e figurato dai signori CHapPuUIS et DewALQUE. 5. Chemnitzia? sp. ind. Tre modelli interni incompleti di una Chemniteia indeter- minabile specificamente ricordano la Ch. ? nuda Ca. et Dew. per l'andamento della spira, per la forma degli anfratti e dell’ aper- Se. Nat. Vol. XIII. 11 164 B. GRECO tura. Da essa diversificano per le proporzioni sempre minori. Credo che si tratti della medesima specie dal SecuenzA avvici- nata alla Chemmnitzia ? nuda Ca. et Dew. I miei esemplari provengono tutti e tre dal Tufarello. VIII. Genere Alaria Morr. et Lyco. 1. Alaria sp. ind. Modello interno di un’ A/arîa mancante dell’ apertura e dei primi giri. Esso conserva tre anfratti a spira crescente rapida- mente, angolosi e carenati esternamente nella loro parte me- diana. Essendo rotta l'apertura non si può osservare l’ala. Questo esemplare, raccolto al Varco del Ceraso, è assai vi- cino a quello siciliano di A/arza tornata Geww., pure conservato in modello, e che il GemmeLLaro (!) ha rappresentato nella tav. 25 colla figura 47. 2. Alaria sp. ind. Tra i Gasteropodi liasici di Calabria vi ha un'altra specie di Alaria incompleta e conservata in modello. Differisce dalla precedente per avere gli anfratti provvisti nella loro parte me- diana di due carene un po’ distanti fra loro. Anche questo esem- plare proviene dal Varco del Ceraso. IX. Genere Acetaeonina p'Ors. 1. Actaeonina (Euconactaeon) concava Dest. sp. Tav. VII, fig. 5, 6. 1850. Actaeonina concava v’ Oreiony, Pal. frang.; terr. jur., Gastropoda, pag. 163, tav. 285, fig. 8-11 (cum syn.). Gli esemplari appartenenti a questa specie per l'analogia esterna che presentano col genere Conus furono dal DesLonecHAWPS riferiti a questo genere. Ne diversificano però per la spira con- cava, più breve e perchè i primi giri non hanno riassorbito lo strato interno. Su quest’ultimo carattere specialmente il D' Og- (4) Swi foss. d. cale. crist. ecc., l. c. ÎL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 165 BIGNy fondò il nuovo genere Actaeonina al quale appartiene la nostra specie. Infatti nelle sezioni trasversali della conchiglia la spira si mantiene sempre dello stesso spessore. Che i miei ese nplari poi siano da riferire alla specie del DesLonecHamPs si deduce da tutti i caratteri della conchiglia. Essa è coniforme, a spira involuta, concava e breve, costituita da tre soli giri, apertura diritta, occupante tutta la lunghezza della conchiglia, molto stretta e solo nella parte inferiore leggermente allar- gata; superficie esterna liscia. Tre dei miei esemplari corrispondono (fig. 5) a quello di Actaeonina concava rappresentato dal n Orsieny colle figure 9, 11; un altro, un poco meno rigonfio e con la spira più concava, è simile invece a quello rappresentato colle figure 8, 10. Secondo quanto propose il Merk nel 1863 la specie in di- scussione andrebbe riferita al genere Euconactaeon (sottogenere secondo il Frscrer) nel quale da quell’autore erano comprese le specie di Actaeonina a spira depressa. Seguendo quindi l’opi- nione del Frscrer, la specie in discorso deve portare il nome di Actaconina (Euconactacon) concava Dest. Essa è rara nel Lias inferiore calabrese; due esemplari sono stati raccolti a Puntadura, uno al Tufarello ed uno al Varco del Ceraso. CEPHALOPODA. I. Genere Natmtilas Breyn. I. Nautilus striatus Sow. 1818. Nautilus striatus Sowersy, The Min. conch. ecc., vol. II, pag. 183, tav. 182. 1886. Nautilus striatus Gever, Ueber die lias. Cephal. des Hierlatz bei Hallstatt. Abhandl. der k. k. geol. Reich. Bd. XIII, n.° 4, pag. 213, tav. I, fig. 1 (cum syr.). Riferisco a questa specie un esemplare giovanissimo e perciò a spira evoluta. Esso è in parte eroso longitudinalmente; da ciò che è rimasto si può dedurre che i suoi giri dovevano es- sere ampiamente convessi nella regione esterna, leggermente concavi nella regione interna. Setti appena ondulati; forame 166 B. GRECO sifonale visibile nella parte rotta posteriormente. La conchiglia è provvista di strie longitudinali assai fitte e ben distinte e di strie trasversali meno evidenti. Queste sono leggermente sigmoi- dali sui fianchi e curvate sul dorso colla concavità verso l’aper- tura. Per tali ornamenti la superficie appare tutta reticolata e l’incontro delle strie aventi direzione diversa è indicata da pic- coli ingrossamenti. $i ha in una parola nel mio esemplare la stessa ornamentazione che il n Orsieny (*) dice trovarsi nei gio- vani esemplari di Nautilus striatus Sow. L'unico esemplare osservato è stato raccolto al Varco del Ceraso. II. Genere Bthaconhyllites Zirr. 1. Rhacophyllites libertus Gru. Tav. VII, fig. 7. 1850. Ammonites mimatensis Savi e MenecnINI (non p’OrB.), Consid. sulla geol. strat. della Toscana. Append. alla Mem. del MurcHIson, Sulla strutt. geol. delle Alpi, degli Appennini e dei Carpazi, pag. 392 e 400. 1884. Phylloceras libertum GewmeLLARO, Sui fossili degli strati a T. Aspasia Mex. della contrada Rocche Rosse presso Galati, pag. 4, tav. II, fig. 1-5. 1886. Phylloceras (Rhacophyllites) libertum De SreranI, Lias inf. ad Arieti dell’ App. settentr. Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Mem., vol. VIII, pag. 56 (cum syn.). Dimensioni . I II (es. fig.) IDEATO e ae o o a 5 al n 0 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro 0,45 0, 41 Spessore » » » » 027 0, 26 Larghezza dell’ ombelico » » 05 TZIONI L'’esemplare figurato è costituito di cinque giri crescenti piuttosto rapidamente, ha ombelico largo profondo, gradinato, angoloso ai margini, regione esterna acutamente convessa, fian- chi leggermente ricurvi e scendenti quasi perpendicolarmente nell’ombelico. La superficie della conchiglia non è ben conser- (1) Paléontologie francaise; ter. jur., vol. I, pag. 148, tav. 25, fig. 5 1L LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 167 vata.e porzione della regione esterna dell’ ultimo giro è rotta; in vicinanza dell'apertura sì vedono ancora alcune coste sem- plici, rilevate, inclinate anteriormente e decrescenti dal margine esterno ai fianchi, nella metà circa dei quali completamente svaniscono. Nella regione esterna le coste di un fianco si uni- scono con quelle del fianco opposto in una stretta curva colla convessità rivolta verso l'apertura, come tuttora osservasi per una costa in prossimità dell'apertura stessa. La conchiglia pre- senta qua e là delle strozzature poco profonde, delle quali se ne contano 5 o 6 per ogni giro. La sezione dei giri è ellittica, assai compressa lateralmente e incisa in basso. La linea lobale corrisponde a quella data dal GewmercARo per il K%. lidertus, ri- corda però per la rotondità delle foglioline anche quella del Rh. Nardii Mea. (= Ph. diopsis Gem.). A questa specie riferisco anche un piccolo ammonite che cor- risponde perfettamente ai giovani individui di Amm. mimatensis : Mex. (non p'OrB.) della Lombardia, esistenti nel Museo geolo- gico e paleontologico di Pisa, coi quali fu paragonato. Come questi il mio esemplare ha i fianchi leggermente ricurvi, scen- denti leggermente nell’ombelico, ma senza carena circumombe- licale. La superficie è completamente liscia, come fu osservato dal GewmeLtaro (*) nei giovani esemplari di %. lbertus Gem. Il Savi ed il MenecHmnI citarono nel Lias del Monte di Cetona lA. mimatensis D' OrB., e tale specie fu conosciuta con questo nome per vario tempo. Recentemente però il GemmeLLARO, dopo aver fatto notare le costanti differenze che passano tra l’Amm. mimatensis del Menecnini e quello del p'OrBIenY, giudica oppor- tuno di distinguere il primo come specie a sè, RA. lbertus Gemm. Questa specie è stata raccolta nel Lias medio del messinese, nei calcari rossi ad Arzett di Toscana ed in numerose altre località. In Calabria io ne ho raccolto tre esemplari al Varco del Ceraso. III. Genere EPhyliloceras Surss. 1. Phylloceras sp. ind. SI Questo genere è rappresentato da un solo esemplare incom- pletamente conservato ed indeterminabile specificamente. E af- (1) Op. cit. in sinonimia, pag. 5. 168 B. GRECO fine al Pl. Meneghinii Genw., ma ne diversifica per aver l’ultimo giro meno convesso; questo carattere lo avvicinerebbe invece al Ph. Hebertinum Revx. Esso proviene dal Varco del Ceraso. IV. Genere @xynoticeras Hyarr. 1. Oxynoticeras sp. ind. Un piccolo esemplare di ammonite per la forma della con- chiglia e della carena appartiene certamente al genere Oxryno- ticeras; il suo cattivo stato di fossilizzazione non permette di determinarlo specificamente. Per la irregolarità delle pieghe radiali ricorda 1’ Orynotice- ras sp. ind. di Hierlatz figurato dal Geyrer nella tav. II, fig. 22; ne diversifica per il minor numero ed il minor sviluppo delle pieghe radiali stesse. Questo esemplare è stato raccolto al Tufarello presso Lon- gobucco. V. Genere Ar'ietites WiAGEN. 1. Arietites Hierlatzicus Hauer sp. Tav. VII, fig. 8. 1856. Ammonites Hierlatzicus Haver, Ueber die Cephal. a. d. Lias der nordostlichen Alpen. Denkschr. der math-nat. CI. d. k. Ak. ecc., XI Bd. Bes. Abg., pag. 28, tav. VII, fig. 4-6. 1879. Ammonites Hierlatzicus Rewnks, Monogr. des Ammon.; Lias, tav. 44, fig. 23-26. 1886. Arietites Hierlatzicus Gever, Ueber die lias. Cephal. des Hierlata ece., L c., pag. 246, tav. III, fig. 1, 2. Dimensioni I (es. fig.) DI AMELRORINI A Et RR I MISI] Altezza dell'ultimo giro in rapporto al diametro . 0,25 Spessore » » » » 0,22 Larghezza dell’ombelico » » 0,55 Di questa specie ho potuto osservare un esemplare raccolto a Puntadura. La parte centrale di 6sso è racchiusa ancora nella roccia molto tenace, e si vede solo l’ultimo giro. In questo le IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 169 coste sono assai numerose, circa 50, semplici, fitte, arrotondate, inclinate in avanti particolarmente nell’ ultimo tratto e termi- nanti ai margini dei solchi che limitano la carena. La regione esterna è larga, poco ricurva e presenta una carena ben svi- luppata, piuttosto alta, arrotondata e messa in evidenza da due solchi laterali profondi. I fianchi sono pure poco convessi, onde la sezione del giro è di forma quasi subquadrata. La linea lo- bale non è visibile. Questo esemplare corrisponde in particolar modo a quello rappresentato dal GeyER (op. cit. in sinonimia) nella tav. III colla fig. 2. L’ Arietites Hierlatzicus Hauer è specie frequente negli strati di Hierlatz della parte superiore del Lias. inferiore. 2. Arietites doricus (?) Savi et Men. sp. Tav. VII, fig. 9, 10. 1851. Ammonites (arietes) doricus Savi e MeneGHINI, Consid. sulla geol. strat. della Toscana. Appendice ecc., pag. 348, n. 4. 1886. Arietites doricus Geyer, Ueber die lias. Cephal. des Hierlatz ecc., I. c., pag. 247, tav. III, fig. 3. 1888. Arsetites doricus Canavari, Contr. alla fauna del Lias inf. di Spezia. Mem. R. Com. geol., vol. III, parte II, pag. 181, tav. VI, fig. 8-10. Riferisco dubitativamente a questa specie due piccoli ammo- niti che nel diametro di mm. 22 presentano una carena piut- tosto elevata limitata da indistinti solchi. Il maggiore di essi racchiuso in parte ancora nella roccia risulta da 5 giri a fian- chi poco convessi, a regione esterna non molto gibbosa e a se- zione del giro di forma quasi subquadrata. Sull’ultimo giro si avevano forse circa 45 coste quasi radiali separate da spazi un poco più larghi di esse. Verso la regione esterna esse coste piegano in avanti e svaniscono presso i leggeri solchi che limi- tano la carena. La linea lobale è conservata solo parzialmente e ricorda, come disse il MenecHinI, quella dell'A. carusensis D’ OrB. Il lobo sifonale è però meno profondo di quello osservato negli esemplari di Spezia. L'altro esemplare (fig. 9) che appartiene forse alla stessa specie diversifica dal precedente per aver le coste un poco meno numerose e più rilevate. 170 B. GRECO L' Artetites doricus Savi et Mex. diversifica dall’ A. Hierlatzicus Haver sopratutto per la diversa conformazione della regione esterna ove 1 solchi limitanti la carena sono poco distinti. L'Arietites doricus Savi et Mer. si trova come è noto negli strati di Hierlatz ed anche nei calcari neri della Spezia. I due esemplari da me descritti furono raccolti al Varco del Ceraso. 8. Arietites sp. ind. (1). Tav. VII, fig. 11. Conchiglia ad accrescimento piuttosto lento, costituita da 4 giri pochissimo involuti. La regione dorsale è resa acuta da una carena assai sviluppata e limitata da solchi laterali poco profondi; i fianchi sono poco convessi. Sull’ultimo giro si con- tano circa 40 coste molto rilevate, acute, separate da spazi più larghi di esse; tali coste sui fianchi sono dapprima diritte, poi verso la regione esterna, quasi a guisa di tubercolo sì rivolgono anteriormente e spariscono ai margini dei solchi. La linea lo- bale non è visibile. Il poco sviluppo dei solchi laterali alla ca- rena avvicina l'esemplare descritto all’A. doricus Savi et Mex., ma non può essere riferito a questa specie per il suo accresci- mento più rapido e per le coste più sviluppate. L’ insufficiente stato di conservazione dell'esemplare non permette una precisa: determinazione specifica. Esso proviene dal Varco del Ceraso. 4. Arietites sp. ind. Tav. VII, fig. 12,13. Alla stessa specie che lascio indeterminata appartengono un piccolo individuo non ben conservato ed un frammento dei due ultimi giri di un esemplare più grande. In entrambi l’accresci- mento è assai lento e l’involuzione quasi nulla. L' esemplare più piccolo consta di 5 giri ornati da coste ben sviluppate, sem- plici, radiali, costantemente diritte, separate da ‘spazi molto più larghi di esse, terminanti senza alcun ingrossamento alla re- (!) Questa specie nelle collezioni del Museo di Pisa era stata provvisoriamente ri- ferita all’Ar. ceratitoides Quenst. sp., e la seguente all’Ar. spiratissimus Q vENST. sp. Sotto questi nomi furono citate dal Fucini (A proposito di due specie di Pecten ecc., l. c., pag. 201). IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 171 ;I gione esterna. Questa è arrotondata, provvista di una carena bassa, quasi ottusa limitata lateralmente da solchi ristretti e poco profondi. I fianchi sono poco convessi. La linea lobale non è conservata. L'insufficienza degli esemplari non permette una sicura deter- minazione specifica; essi ricordano lA. spiratissimus Quenst. e più ancora quella forma del calcare rosso ad Arieti di Toscana che il De SteranI descrisse e figurò col nome di A. Conybearoides ReyN. sp. Ambedue gli esemplari in discussione sono stati raccolti nei calcari neri di Puntadura. VI. Genere Belemmnites Acric. Il genere Belemnites è rappresentato nel mio materiale da quattro esemplari riferibili forse a 3 specie diverse. Il loro stato di conservazione però non permette alcun sicuro riferimento. Uno di essi è stato raccolto a Puntadura nei calcari ne- rastri oolitici, passanti ai calcari neri; gli altri tre al Varco del Ceraso. Uno di questi ultimi ha conservato anche porzione del corrispondente fragmocono. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE a JE Fig. 1-1. Spiriferina Santoroi n. sp., pag. 85. — Varco del Ceraso. » 2°,2°. Spiriferina Santoroi n. sp., pag. 85. — Varco del Ceraso. Esemplare più giovane del precedente. » 3-3. Spiriferina calabra n. sp., pag. 86. — Varco del Ceraso. » 4-4. Spiriferina rostrata Scu. sp. var. Italiae m., pag. 83. — Pun- tadura. s 545. Rhynchonella areolata n. sp., pag. 94. — Varco del Ceraso. n» 6 6°. Rhynchonella areolata n. sp. var. minor m., pag. 95. — Varco del Ceraso. > 7%, 7° e 8°-8°. Terebratula punctata Sow. var. Triontina m., pag. 98. — Puntadura. , 9% 9°. Terebratula Eustachiana Can., pag. 100. — Varco del Ceraso. Giovane esemplare. » 10,10% e 11°-11°. Terebratula Eustachiana Can. pag. 100. — Varco del Ceraso. Esemplari adulti. Tegg D00 Fig. 1°-1°. Terebratula Eustachiana Can. var. hypodolica m., pag. 101. — Varco del Ceraso. s 22°. Terebratula Fotterlei Bock® var. ovalis m., pag. 102. — Varco del Ceraso. , 3-32. Terebratula Ristorii n. sp., pag. 103. — Varco del Ceraso. s 44°. Terebratula sp. ind. cfr. T. Bittneri Gryer, pag. 104. — Pun- tadura. , 55° Waldheimia sp. aff. W. numismalis Lamx. sp., pag. 103. — Puntadura. PANI O Waldheimia pentagona Sec., pag. 109. — Puntadura. Giovane esemplare. Fig. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 173 7-72, Waldheimia pentagona See., pag. 109. — Puntadura. Esem- plare adulto. 84-84. Waldheimia jonica n. sp., pag. 110. — Puntadura. Esemplare giovane. 99%, Waldheimia jonica n. sp., pag. 110. — Puntadura. Esemplare adulto. 10%-10°. Waldheimia Oenotria n. sp., pag. 111. — Puntadura. Esem- plare giovane. 11°-11% Waldheimia Oenotria n. sp. pag. 111. — Purtadura. Esem- plare adulto. Au ID0L . 1€-1%. Waldheimia Fucinii n. sp., pag. 107. Purtadura. 20-29 Waldheimia Carapezzae Di Srer., pag. 106. — Puntadura 34-32 e 4. Waldheimia Mazzeii n. sp., pag. 112. — Puntadura. 5,5%. Waldheimia Mazzai Fuc., pag. 113. — Puntadura. 6%, 6°. Waldheimia Anconaeana Fvc., pag. 114. :-— Tufarello. 74-72. Waldheimia Anconaeana Fuc. var. brevifrons m., pag. 114. — Puntadura. 84-8%. Waldheimia cornuta Sow. sp. var. mediterranea m., pag. 116. — Puntadura. 9%, 9° e 10“-i0°. Waldheimia cornuta Sow. sp. var. mediterranea m., pag. 116. — Varco del Ceraso. Tav. IV. . 101°. Waldheimia perforata Pierre sp., pag. 118. — Puntadura. 2°, 2°. Waldheimia perforata Pierre sp., pag. 118. — Varco del Ceraso. 3,3%. Waldheimia Sarthacensis p’Ors. sp., pag. 115. — Varco del Ceraso. 4-44, Waldheimia unciformis n. sp., pag. 119. — Puntadura. Esem- plare adulto. 5. Waldheimia unciformis n. sp., pag. 119. — Varco del Ceraso. Giovane esemplare. 6, 7°-7% Waldheimia (?) tumida n. sp., pag. 120. — Puntadura. 8, 8°. Waldheimia Fucinii n. sp., pag. 107. — Puntadura. 9%, 9°. Waldheimia Renevieri Haas sp., pag. 122. — Puntadura. 10°-10°. Waldheimia Thurina n. sp. pag. 123. — Puntadura. 174 Fig. » Fig. » Fig. B. GRECO 11%11°. Waldheimia Vinassai n. sp., pag. 124. — Puntadura. 12. Waldheimia Sestii Fuc. sp., pag. 125. — Varco del Ceraso. Tav. V. 1, 2°-2%. Waldheimia Ernestinae n. sp., pag. 125. — Puntadura. 343. Waldheimia Nerii n. sp., pag. 126. — Purtadura. Esemplare che porta apparentemente un seno frontale in ambedue le valve, originatosi per compressione, segwta da frattura. 4° 4%. Waldheimia Nerii n. sp, pag. 126. — Tufarello. Esemplare che non presenta il seno frontale. DI Waldheimia Laboniae n. sp., pag. 127. — Tufarello. Giovane esemplare. 6°6%. Waldheimia Laboniae n. sp., pag. 127. — Puntadura. Esem- plare adulto. 7°-7°. Waldheimia sp. ind. cfr. W, indentata Sow. sp., pag. 123. — Puntadura. 8°, 8°. Waldheimia sp. ind. cfr. W. indentata Sow. sp, pag. 123. — Puntadura. Forma teratologica. D Cidaris n. sp., pag. 79. — Sotto le rupi di Bocchigliero. Fi- gura ingrandita due volte. 10. Lima (Radula) Hettangiensis Tero., pag. 129. — Tufarello. 11,12.Lima (Radula) densicosta Quensr., pag. 130. — Tufarello. 13. Pecten (Pseudamusium) Hehlii »’ Ors., pag. 135. — Puntadura. Giovane esemplare. 14. Pecten (Pseudamusium) Hehlii 'Ors. var. Di Blasii Di Srer., pag. 136. — Varco del Ceraso. 15. Pecten amphiarotus Dr Srer. var. atropus m., pag. 137. — Puntadura. 15% Ingrandimento di una porzione di conchiglia dell’ esemplare precedente. 16. Regione apiciale di un altro esemplare della forma prece- dente. — Puntadura. ave Vale 1°, 1°. Pecten Meneghinianus Fuc., pag. 142. — Puntadura. 1°. Ingrandimento di una porzione di conchiglia dell’esemplare precedente, Fig. IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 175 2°,2° e3. Modiola elegans n. sp., pag. 144. — Tufarello. 4°, 4°. Myoconcha scabra Trro. et Pierre, pag. 146. — Varco del Ceraso. 5°, 5°. Myoconcha reticulata n. sp., pag. 146. — Puntadura. 6. Pholadomya consentina n. sp., pag. 153. — Puntadura. (i Goniomya Farnetina n. sp., pag. 155. — Puntadura. 8. Goniomya Canavarii n. sp., pag. 155. — Pwdadura. 9, 9°. Cardinia antelonga Fuc., pag. 148. — Varco del Ceraso. 10°, 10°. Pleuromya lineato-punctata n. sp., pag. 157. — Varco del Ceraso. 10. Ingrandimento di una porzione della conchiglia dell’ esem- plare precedente. Tav. VII 1 Cercomya Elisae Fuc., pag. 158. — 7ufarello. 2. Scaevola liotiopsis Geum., pag. 159. —, Varco del Ceraso. 3 Trochus sp. ind. cfr. Tr. Kneri Sro., pag. 160. — Varco À del Ceraso. 3% Lo stesso ingrandito due volte. 4%, 4°, Natica globulus Sec., pag. 161. — 7ufarello. 5°, 5°. Actaeonina (Euconactaeon) concava Dest. sp., pag. 164. — Varco del Ceraso. 6. Sezione trasversale di un altro esemplare, mostrante la spira breve e lo strato interno della conchiglia non riassorbito. — Puntudura. 7°, 7°. Rhacophyllites libertus Gemn., pag. 166. — Varco del Ceraso. 7°. . Porzione della linea lobale dello stesso esemplare. 8°, 8°. Arietites Hierlatzicus Hauer sp., pag. 168. — Puntadura. 9,10%, 10°. Arietites doricus (?) Savi et Mon., pag. 169. — Varco del Ceraso. 11. Arietites sp. ind., pag. 170. — Varco del Ceraso. 12, 13°, 13°. Arietites sp. ind., pag. 170. — Puntadura. INDICE AVVERTENZA CENNI GEOLOGICI . Mr Postpliocene e Pliocene Miocene Eocene Lias . 0 00 Pra Dro S. 4. — Descrizione delle roccie liasiche . $. 2. — Tettonica e sezione geologica . $. 3. — Confronti col Lias inferiore di altre regioni Paleozoico ed Archeano CONCLUSIONI DESCRIZIONE DELLE SPECIE . Lari Anthozoa — Echinoidea — Cr n — ee BRACHIOPODA . S I. Genere Spiriferina D’ di , gle Spiriferina rostrata Scan. sp. 2 » Handeli Di SrEr. Se » pinguis Ziet. sp. c » » Var. Ttaliae m. — (Cav. JE e 4 ; 4. » recondita SEG. . - 5. » Santoroi n. sp. — (Tav. I fis. 1 9 6 » calabra n. sp. — (Tav. I, fig. 3) 7/6 » sp. ind. cfr. Sp. plano-convera Ses. . II. Genere Rhynchonella Fisca. v. W.. ilo Ehynchonella jonica Dr StEF. . 2 » olivaensis Dr STEF. . DÌ » curviceps QuENST. Sp. 4. » Lua Di STEF. . Ò. » Schopeni Di STEF. 6. » plicatissima Quenst. sp. Ue » correcta Di STEF. ivi ivi IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO 177 8. Rhynchonella sp. ind. cfr. Rh. fissicostata Surss. . . . Pag. 91 9. » variabilis v. Buck (non ScHLOTH.). . . . >» ivi 10. » mado Non sb. de dd 8 11. » areolata n. sp. — (Tav. I, fio. 5). . . . >» 9 var. minor m. — (Tav. I, fig. 6). . . ... >» 9 IAGenere#Terebratula KLEIN RR e e I ivi 1. Terebratulaftpunciata iS oNAReRe e ivi ©) va dim) Das e oo de 06 Var 0VA iSSMUAAO VENT C)AVALARA 0/00 MRI d) var. Gemmellaroi Fuo. . . . MEGA IVI e) var. Triontina m. — (Tav. I, fig. 7, 8). SS DE 198 23 MenebK MAREA ASTE vi 3. » MAC STE RE 99 4. » Balcagg Di Sa o o ds 60006 DI 5. » Proserpina Dr STER. > 0... 100 6. » Eustachiana CAN. . . A I VI var. hypodolica m. — (Tav. II, îo I). ue 01 7 Terebratula fimbrioides Desn. . . , s . >» 102 8. » Fotterlei Bocka var. 0 mm. (Tav. II ARL 2) » ivi DÌ » Ristorii n. sp. — (Tav. II, fig. 3) . . . » 103 10. » sp. ind. cfr. 7. Bittneri Gevxer —(Tav.II,fig.4) » 104 IV. Genere Waldheimia Kin6.. . . SIE PR NSA AE Lo Waldheinvia Phaedra DI STRRARR NON Ao n ee I VÌ 23 » Mazzettiù Di Ster. . . . o do 190 DI » Carapezzae Di StEr. — (Tav. mn 17 2) . » 106 4 » Fucini n. sp. — (Tav. II, fig. 4; Tav. IV, LL OR) MR MS 107 Ò. » sp. aff. W. numismalis Du sp. — (Tav. O SONO o o d 408 6. » pentagona Sea. — (Tav. II, fig. 6, 7). 5 D A100 Vo » Jonica n. sp. — (Tav. II, fig. 8,9) . . . » 110 8. » Oenotria n. sp. — (Tav. II, fig. 10,11). . » 4111 9. » Mazzev n. sp. — (Tav. III, fig. 3, 4) . . >» 112 10. » Mazzai Fuoco. — (Tav. III fig. 5). . . . » 113 lil, » Anconacana Fuc. — (Tav. III, fig. 6) . . » 114 var. brevifrons m. — (Tav. III, fig. 7) . . . >» ivi di Waldheimia polymorpha Sea. sp. . . » 115 13. » Sarthacensis D’ ORB. sp. — (Tav. IV, DI 3) » ivi 14. » cornuta Sow. var. mediterranea m. — sa Mii SUO) a » 116 15. » perforata Print. sp. -—- (Tav. IV, fis. fi 9) >» 118 16. » unciformis n. sp. — (Tav. IV, fig. 4,9) . » 119 Mio » (?)tumida n. sp. — (Tav. IV, fig. 6, 7) . . » 120 178 B. GRECO 18. 7aldheimia Renevieri Haas sp. — (Tav. IV, fig. 9). Pag. 19. » Thurina n. sp. — (Tav. IV, fig. 10) » 20 » Sp. Sa Gi: W. indentata Sow. sp — (Tav. V, WS) - : » Dl » Si: n. sp. — (Tav. mV, fig. t) » 22) » Sestiù Fuc. sp. — (Tav. IV, fig. 12). » 23 » Ernestinae n. sp. — (Tav. V, fig. 1, 2) » 24. » Neri n. sp. — (Tav. V, fig. 3, 4) » 25. » Laboniae n. sp. — (Tav. V, fig. 5, 6) » LAMELUIBRANGHIATANI 0 a ue » I. Genere Ostrea L. II. Genere Plicatula Dan RR VAL ile Plicatula intusstriata Ewm. INI. Genere Lima Bruce. il: Lima (Radula) bolla To _ (tav. v, fio. 10) 2. » » densicosta Quenst. — (Tav. V, fig. 11, 12) 3. » (Plagiostoma) compressa TERA. . 4 » » Choffati Dr STEF. IV. Genere Pecten KLEIN ; Pecten Hehlii D’ORB. e Dali Di Blasii DI Sile de Pecten (Pseudamusium) Hehlii D’ORB. — (Tav. V, fig 13). var. Di Blasiù Di Srer. — (Tav. V, fig. 14) 2, Pecten (Chlamys) textorius ScaLOTE. Sp. - 5Ì » amphiarotus Di STEF. var. atropus m. — (oa Vi fig. 15, 16) 4. » Meneghinianus Fvc. — (Lav. VI, fig. I). V. Genere Avicula KLEIN . RARE il Avicula (Oxytoma) sinemuriensis D’ ORB. . VI. Genere Modiola Lawx. : : il Modiola Gimciani DI DIE, RANE 2A » elegans n. sp. — (Tav. VI, fig. 2 DS) VII. Genere Myoconcha Sow. ; da Myoconcha scabra Tuo et Caen — (Tav. VI, Fe 4 2. » reticulata n. sp. — (Tav. VI, fig. 5) . VII. Genere Pinna L. - 5 RE - : al Pinna Hartmanni Zi IX. Genere Arca L. . il Arca (?) sp. pa X. Genere Cardinia Agass. 18 Cardinia antelonga mo = - (Tav. VI, ho 9). XI. Genere Astarte Sow. LOSE il Astarte psilonoti duegsi SA XII. Genere Cardium L. FM o sl Cardium Elio Da IL LIAS INFERIORE NEL CIRCONDARIO DI ROSSANO XIII. Genere Pholadomya Sow. . . . SNA n It 1. —Pholadomya olivaensis DI Sri E e NA 2. » TICO SDA ORE RR I 3. » COMUOGIOMR CORO EMERSO 4. » congenita SEG. . . . CAIO” 5. » consentina n. Sp. — (Tav. VI, ta 6) 3 NED, XIV. Genere Goniomya AGASS. . LL... il Goniomya antegenita SEG... /. 0.0.0. 2: » Jacob vec ME CIR. DI » Canavarii n. Sp. — (Tav. VI, 13 8) LR Ga) 4. » Farnetina n. sp. — (Tav. VL fig. 7). . . » XV. Genere Pleuromya AGass. emend. TERQ. © 0.0.0... ilo Pleuromya tauromenitana SEG. <.<. . 0... >» QI » Seguenzae Fuo.. . . . » 3. » i n. Sp. — (Tav. VI, ‘fe. 10). » XVI. Genere Cercomya AGass. . . . SAPEETbR il Cercomya Elisae Fuc. — (Tav. VII fio. 1). SEI GASTROPODA . . . . . AA I. Genere Pleurotomaria ian SNO Saia e e Je Pleurotomaria a expansa Sow. Sp... +. . >» II. Genere Scaevola Gemm. . . . RIONERO de Scaevola liotiopsis Co — (Tav. VI, fe 2 MI Zi » SPINO, A e n III. Genere Trochus L. . . . . » sl Trochus sp. ind. cfr. Tr. og sa Ei VII, do 3) » IV. Genere Neritopsis Grat. . . . DI IA Ea OA a Me ESE ilo Neritopsis Taramelli Gai FRE SI ARTI IR) V. Genere Natica Lamx. . . ONORMI SEIN O 1. Natica globulus Se — (tav. VII, fig. 1. I CIO VIAGenereglittorinagRkrRsea RR MORRA I e sl VEVLOTIMNORMNU(ALER MRO VII. Genere Chemnitzia D’OrB. . . . ... : 3 a de Chemmitzia (Oonia) sp. ind. cfr. CI. Sn: ne Sp. » 2 » (rada) Ad i oo a 3 » ((Pseudomelania) sp. ind. . i» 4 » ponga Ce Go ao o 0 ds 6 0 6 d 5. » PASSINO RE VII Genere vAlariag Mor setRhxc IR ato AVIS AREA ATI dn a SMESD NA eee e 0 n e RT be GenereActaGonNaWD/Org Re 1. Actaconina (Euconactacon) concava Des. sp. — (Tav. NVIESIO OO) Ae AN, A Sc. Nat. Vol. XIII. 12 ivi 180 B. GRECO CEPHALOPODA LR e pan 0 Tr Genere INAUti WS EBREYN A IVI il NAUSEA ST UAVUSISOWZRTO ASA OO SVI II. Genere Rhacophyllites Zirt. . . . 2 SUMH66 di RhacophyMlites libertus ire — " (tav. VII, TA 7. . vi TM GeneretPhyllocerastSuess RR eee ilo PhyIloceras $p; ind: VOLE O a n IVAGenered0xynoticeras HyS OP TOS lo OXYNOKCERA STEP: (INA Va E ORO RO II e a VI V. Genere Arietites WaacEN . . . . ivi ilo Arietites Hierlatzicus nin Sp. — (Tav. VI, fig. 8) LDMRELVA: DI » doricus(?)Saviet Mcx. sp. — (Tav. VII, fig. 9,10) » 169 3. VINNS pid _N(d'avARVIusfi 011) RSI O 4. >MOSp: Id 1(Lav VISO sti 241) Ro Vl: :Genere (Belemnites®AGRIC. LR Spiegazione dellesttavo e RR Ro RE e e ERRATA — CORRIGE Pag. 132, linea 6, invece di Dimemsioni . . . leggasi Dimensioni MATA, È GUAIO ù ventrale ‘ G. TRABUCCO SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO PIEMONTESE CON DUE TAVOLE (PARTE PRIMA) Il prof F. Sacco ha, in questi anni, pubblicato una nume- rosa serie di lavori e di carte (1) sul bacino terziario piemon- tese e sulle regioni finitime, giungendo a conclusioni diverse da quelle comunemente ammesse, senza corroborarle con dedu- zioni paleontologiche esatte e minuziose, ma citando osserva- zioni proprie (spesso a mio avviso erronee) o fatte da altri, incoordinate allo scopo che egli vorrebbe raggiungere. Giova quindi (completando le conclusioni di una precedente nota preliminare (?)) verificare, alla stregua dei fatti realmente esistenti, conclusioni e teorie emesse da questo e da qualche altro autore, non tanto per i geologi italiani che potrebbero verificarle o valutare con maggiore esattezza le affermazioni del Sacco, quanto per gli stranieri che potrebbero dubitarle possibili. E questo parmi tanto più necessario, trattandosi di un ba- cino sopra ogni altro caratteristico per la completezza della serie, per l'abbondanza dei fossili, per la varietà e disposizione delle roccie di cui sono costituiti i suoi terreni, che possono servire di utile termine di confronto per la sincronizzazione dei terreni terziari della penisola e di altre regioni. Intanto, se è inutile premettere con lunghe parole i criterii (1) Sacco F. — Curta geologica del bacino terz. del Piemonte (Scala di 1/,00000)- Torino 1888. — Il bacino terz. e quatern. del Piemone. Milano 1889. — L’Age des formations ophiolitiques récentes. Ex. d. Bull. de la Soc. Belge de Géol., de Paléont, CLCNVIIVAN 3917 (3) G. TraBucco. — Sulla vera posizione dei terreni terziari del Piemonte. Processi Verbali della Soc. Toscana di scienze naturali - Adunanza del 5 febbraio 1893, 182 G. TRABUCCO che debbono guidare il geologo nei lavori cronologici, parmi che per fare della cronologia seria sia indispensabile: a) compilare monografie minuziose sopra località limita- tissime e particolarmente interessanti, sulle quali basarsi per estendersi con successive osservazioni su aree più vaste e men complicate; 5) raccogliere da se, con numerose escursioni, il maggior numero possibile di fossili macro-microscopici e questi scevrare e studiare diligentemente prima di arrivare a conclusioni, in- vece di dedurle da poche escursioni di sfuggita attraverso ad aree estesissime e dalla spigolatura dei lavori altrui. E ciò tanto più quando trattasi di assegnare i confini ai nuovi piani intro- dotti nella scienza. Perciò incompletamente servono allo scopo le antiche colle- zioni dei gabinetti, raccolte soventi da estranei alla scienza, poco precise sulla località e contenenti, troppo spesso, fossili commisti di piani differenti. c) finalmente .assegnare il loro giusto valore a teorie e conclusioni emesse da studiosi molti anni addietro, che rappre- sentano 1 primi più o meno felici tentativi di determinazione cronologica. Aggiungendo che le conclusioni a cui giunse Sacco e quelle disparate a cui, spesso, arrivano gli studiosi si devono in gran parte al metodo facile e comodo seguito. Ed ora passo a discutere la cronologia di Sacco, seguendo lo stesso ordine da lui tenuto. Intanto mi è grato esternare la mia riconoscenza ai Chiaris- simi Signori Dr Ro4Asenpa, HantxeN, GimseL e RoraPLETz, che faci- litarono il mio lavoro; il primo coll’ avermi gentilmente ac- compagnato nella prima visita a Gassino e Bussolino e messa a mia disposizione la ricca collezione, gli altri per gli aiuti e consigli nella determinazione delle Nummulites, Orbitoides e Li- thothamnium. EOCENE. Sacco, in una nota riassuntiva “ l’ Age des formations ophio- b) litiques récentes , conchiude (1): (') Estr. dal Bull. de la soc. Belge de géol., de paléont., etc. T. V, 1891, pag. 34. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 183 “1. Le Ligurien (Maver 1857) ne représente ni l’ Eocène supérieur, ni, moins encore, l’Oligocène, ainsi qu’on l’admet généralment aujourd’ hui; mais d’après les études géologiques accomplies dans la Ligurie, région typique où il a été institué, il est constitué, pour la plus grande partie, par des terrains crétacés et, pour une moindre partie, par des terrains parisiens; par conséquent le Ligurien doit disparaître de la série des horizons géologiques. , “ 2. Le Bartonien (Mxver 1857) ne se trouve absolument pas au- dessous, mais bien au-dessus de la formation attribuée jusqu’ ici au Li- gurien, et réprésente donc certainement 1’ Hocène supérieur. Ce dernier fait est prouvé par les données paléontologiques et stratigraphique observables soit è Barton, en Angleterre, où cette étage a été institué, soit sur le continent européen. , “3. La puissante formation d’argiloschistes connue sous le nom de Flysch, avec le grès (Macigno), avec le calcaires (Alberese), avec les argiles écailleuses (Argille scagliose e Galestri), avec les zones de conglo- mérats, de poudingues, de brèches, etc., est une formation très complexe, correspondant dans son ensemble à ce que l’on a appelé jusqu’ ici Ligu- rien, mais séparable en Infracrétacé, Crétacé, Suessonien et Parisien, ainsi que le démontrent les études paléontologiques et stratigraphiques. , “ 4. Tandis que les formations ophiolitiques anciennes appartien- nent essentiellement au Huronien (lato sensu), celles récentes (représentées particulièrement par des Serpentines, des Diabases et des Euphotides, avec l’accompagnement très varié de Lherzolithes, de Saxonites, de Pé- ridotites, de Wehrlites, de Picrites, de Dunites, de Limburgites, de Ba- natites, de Théralites, de Diallagites, de Timazites, de Variolites, de Gra- nites, etc.), se trouvent presque toujours sous la forme de masses ou de lentilles plus ou moin grandes, englobées, avec leur cortège de roches dites épigéniques, dans la partie inferieure de la formation complexe et puissante comprise jusqu' ici sous le nom de lyseh; non pas pourtant dans l’ Eocène, comme on l’admet en général maintenant, mais dans le Crétacé, spécialment dans le Cénomanien , . “5. Les formations ophiolitiques ont pris leur origine, pour la plus part, par suite de phénomènes termo-chimiques, sous la forme d’une espèce de pàte boueuse constituée essentiellement de silicates magnésiens, à haute température et è la sedimentation des argiloschistes (parmi lesquels les formations ophiolitiques sont maintenant engloblées), c’ est-à-dire pen- dant l’ époque cretacée. , Prima di andare avanti, conviene stabilire tre fatti di ca- pitale importanza e cioè: A) età e stratigrafia degli strati marno-cal- CATIA Gassino 184 G. TBABUCCO B) posizione rispettiva dei piani Liguriano e Bartoniano di MarER; C) posizione delle roccie ofiolitiche recenti. A) Età e stratigrafia degli strati marno-calcari di Gassino. Per procedere ordinatamente e con chiarezza è indispensabile premettere un po’ di storia. Corteno (!) e Siswowpa (?) riferiscono al cretaceo superiore il calcare a nummuliti di Gassino. Pareto, nella Corsa Geologica nei monti di Gassino (*), e con lui tutti i geologi allora presenti si accordano nel riferire la calcarea di Gassino al terreno terziario medio, nè trovano che possa prevalere alcun altro argomento per collocarla nel ter- reno cretaceo. Successivamente lo stesso autore (4), nella sua classica nota sul terreno nummulitico, distingue due zone nummulitiche: una più antica (Contea di Nizza, Mortola e Basse Alpi) sottoposta al calcare a fucoidi (/. intricatus, ecc.) ed una seconda più re- cente (Carcare, Spigno, Cassinelle, Cremolino, Voltaggio, ecc.), costituita di sedimenti arenacei, soventi riempiti di concrezioni calcaree a nummuliti, come a Ponzone e Spigno, che si depo- sitarono e furono dopo raddrizzati come a Gassino.’ Aggiunge non potersi dubitare che il massiccio di Crea non sia la continuazione di quello di Gassino, col quale forma una zona nummulitica che si estende verso Ozzano e Casale, in di- rezione da 0. N. 0. ad E. S. E. e che questa zona sia analoga, per composizione e posizione, a quella descritta ai piedi dell’ Ap- pennino verso Sassello, Ponzone, Acqui, di cui essa sarebbe il rappresentante sulla riva opposta del bacino. Cita tra i fossili caratteristici di questa zona: Pecten ar- cuatus, Pholadomya Puschii, Ostraca gigantica, ecc. (Cassinelle); (1) Provana DI CorLeGno. — Essais géol. sur les collines de Superga près Turin. Mem. de la soc. Géol. de France, 1.0 Sér., t. II., 1836. (2) Sisuonpa A. — Osservaz. geol. sui terr. della formaz. tert. e cretacea in Pie- monte. Mem. d. R. Acc. d. Scienze di Torino, Vol. V, ser. II, 1842. (3) Pareto L. — Corsa geologica nei monti di Gassino. Atti della 2.2 riunione degli scienz. italiani. Torino 1841, p. 143. (4) ParETo L. — Note sur le terr. nummulitique du pied des Apennins. Bull. d. la soc, Geol, de France, 2.0 sér., t. XII, 1855, p. 370. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 185 aggiungendo che questa zona nummulitica recente sta sovrap- posta alle ofioliti di Cremolino, Lerma e Mornese ed al ma- cigno e calcari a fucoidi della valle della Scrivia. Finalmente unisce una sezione dall’ Appennino alla valle del Po (che riporto in parte alla Tav. VIII, N. II. III) per precisare maggiormente le relazioni dei diversi terreni e provare che la zona nummulitica recente è, per la disposizione ed inclinazione dei suoi strati, collegata più coi terreni miocenici, che con quelli del macigno e calcari a fucoidi. MvurcHIson scrive (!): “ Frammezzo alle marne sabbiose, che quivi abbondano, spuntano certi calcari particolari screziati, alle volte in po- sizione verticale ovvero altamente inclinata, 1 quali, siccome sembrano in un punto avere una certa direzione e contenere nummuliti, sono stati descritti dal sig. CoLLeeno e dal sig. SiswonpA come cretacei. Dopo quanto hanno scritto i detti autori il Marchese Parero ha, secondo la mia opi- nione, preso il soggetto sotto il suo vero punto di vista ed ha conside- rato questi letti come terziari ed intimamente associati al miocene di Superga. , Secuenza (?) cita tra i brachiopodi di Gassino: RAynchonella complanata Brocc., R. deformis See., conchiudendo (3): “ tutte le specie del calcare di Gassino sono state da me annoverate tra quelle del miocene medio, dappoichè sembra ormai abbastanza chiaro che quella roccia debba rapportarsi a tale epoca, piuttosto che al miocene inferiore ,. Fucss (4) sincronizza il calcare di Gassino cogli strati di Schio e col calcare di Acqui, accennando ai seguenti fossili da lui rinvenuti: Cassidaria echinophora, Xenophora sp., Pholadomya cfr. Puschit e ad una nuova specie di pettine, la quale rasso- miglia ad un piccolo e squamoso P. latissimus, della collezione Ro4asENDA. Mayer (°) colloca il calcare di Gassino nel piano fongriano, (!') MurcHIson R. F. — On the geological structure of the Alps, Apennine and Carpathians, etc. (trad. Savi e Meneghini, Firenze 1870, p. 213). (2) Secuenza G. — Intorno ai brachiopodi miocenici delle provincie Piemontesi. Estr. dagli Annali degli Aspiranti Naturalisti di Napoli Ser. 3.*, Vol. 6.9, 1866, p. 13-14. (3) Secuenza G. — Op. cit., p. 13 note. (4) FucHs Ta. — Studien diber die Gliederung der giingeren terticirbildungen Ober- Italiens, gesammelt. auf einer Reise in Friihlinge. Sitzb. d. k. k. Akad. der Wissensch. zu Wien, Vol. LXXVII, I Abth. Mai Heft, Jahrg, 1878. (5) Mayer C. — Classification des terrains tertiaires conforme à V équivalence des Périhélies et des Etages. Zurigo 1884. 186 sottopiano superiore (Boomino), e lo sincronizza cogli strati di Schio e col calcare di Acqui. Ports (!), in una elaborata nota che sembrava destinata a risolvere la controversia, combatte vivamente le conclusioni del Fucas ed ascrive il calcare di Gassino al piano Bartoniano (Mayer), sottopiano Anversino. Cita i seguenti fossili: G. TRABUCCO Crinoidi indeterminati numerosissimi. Operculina granulosa. Carcharodon megalodon AGass. » spp. Orbitoides raricostata GiimB. » crassidens E. Sism. » stellata D’ARcH. » productus AG. Nummulites complanata Lamx. » angustidens Aa. » striata D'ORB. Otodus sulcatus E. Stsm. » lucasana DER. Oxyrhina hastalis Ae. » curvispira MeNnEG.? » isocelica E. Sism. » granulosa D’ ArcH. » Desori Ae. » Ramondi DerR. » minuta AG, » spp. ancora da determinarsi. | Lamna undulata E. Srsw. Terebratula spp. » contortidens Ae. Ostraca gigantea Gorvr. » dubia Ag. Pholadomya cf. Puschii GoLDr. Acrodus Gastaldi O. Cosra. Cassidaria echinophora Lamr. Acipenscrinus. Xenophora sp. Calyptraea sp. Conocrinus Suessi Mun. Cranm. Pecten speciosus Costa. Taxodium juniperoides BronaT. Araucarites Sternbergi GoEPP. Tecn (2), in un pregievole studio sopra le Nummulitidee ter- ziarie dell alta Italia occidentale, cita le seguenti specie del cal- care di Gassino, che riferisce al Bartoniano superiore: Nummulites complanata Lam. » Biaritzensis D'ARCcH. » Rosai Teun. ? » Rovasendai Ten. Tchihatcheffi D’ArcA. et H. » striata D’ORB. var. pedemon- tana TELL. » Guettardi D’Arcx. Nummulites variolaria Sow. » Boucheri DE LA H. » Sacco Tenn. » Rouaulti D’ArcH. et H » Fichteli MicamtI var. proble- matica Teun. » reticulata Teuu. Disgraziatamente anche questo studioso confonde le specie di due località distinte: Gassino e Bussolino. Quindi le sue con- clusioni cronologiche sono necessariamente inesatte. (1) Portis A. — Sulla vera posizione del calcare di Gassino nella collina di To- rino. Boll. del Com. Geol. d’Italia vol. XVII, 1886. (3) TeLuini A. — Le Nummulitidee terziarie dell’ alta Italia Occidentale. Boll. della soc. Geol. Ital., vol. WII, 1888. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 187 Sacco (4) riferisce al Gassiniano (Bartoniano) gli strati di Gassino e li assimila a Priabona, Buttrio, Brendola; Gassiniano che starebbe (secondo lui) sopra e non sotto al Lartoniano (Marer). Cita i seguenti fossili, senza però indicarne la precisa località: Lithothammium, N. complanata, N. biaritzensis, N. di- stans, N. Tchihatcheffi, N. striata, N. Guettardi, N. variolaria, N. Boucheri, N. lucasana, N. Rouaulti, O. stellata, O. radians, O. patellaris, O. papyracea, O. ephippium, O. priabonensis, 0. stella, Conocrinus, Echinolampas, Echinanthus, Serpula spirulaea, Ostraea gigantea, O. Martinsi, denti di pesci. Riferite così succintamente le conclusioni a cui arrivarono gli studiosi che mi precedettero, mi propongo di dimostrare: a) finora furono confusi col nome di calcari di Gassino gli strati marno-calcari ed i relativi fossili di due località limitrofe, ma separate ed appartenenti a piani molto differenti e cioè gli strati marno-calcari dei comuni di Gassino e Bussolino; b) gli strati marno-calcari di Gassino devono essere ascritti al miocene inferiore (Bormidiano) e sincronizzati col bormidiano caratteristico del bacino piemontese, col calcare di Castelgom- berto, colle marne di Laverda, ecc. ; c) quelli invece di Bussolino (C. Defilippi, C. Cavigione, ec.) appartengono all’eocene medio (Parisiano) e devono essere sin- cronizzati colla Mortola, coi calcari di S. Giovanni Illarione, ec. Intanto, per giungere ad una conclusione cronologica seria e soddisfacente, è necessario : 1. scevrare i fossili degli strati marno-calcari di Gassino da quelli di Bussolino, eliminando dalla lista degli strati di Gassino i fossili enumerati da alcuni studiosi (Porris, Tecuni, Sacco) e che non vi devono rimanere; 2. completare la serie dei fossili di queste due località; 8. verificare se la stratigrafia concordi coi dati paleon- tologici. Per raggiungere il primo intento mi servirò di importanti ed indiscutibili dati di fatto forniti dalla citata memoria del Tecuni (che dovrò necessariamente riportare in parte), delle (1) Sacco F. — Bacino terz. e quat. del Piemonte 1889-90. — Le Ligurien. Bull. d. la soc. Géol. de France, 3.0 sér., t. XVII, 1889. — L’Age des format. ophiolitiques recentes. Bull. de la soc. Belge de Géol., de Paléont., etc., t. V, 1891. 188 G. TRABUCCO importanti dichiarazioni del cav. Di Roasenpa e delle indicazioni da me raccolte sul luogo. Nella Memoria del TeLumi (!) si legge: SA(Eaoli89) N. complanata Laxx. Associazione. — Colle specie: biaritzensis, Rovasendai, Tchihatcheffi, striata, Rouaulti, Saccoi, reticulata, Boucheri. i Località. — Gassino a C. Defilippi, molti esemplari. , + (Lac 311) N. Biaritzensis D’ Arcx. Località. — Gassino r. r. , “ (Pag. 189) N. Rosai n. sp. Associazione.— Con la N. intermedia, Fichteli, miocontorta, variabilis, ec. Località. — Gassino?? , ‘ (Pag. 190) N. Rovasendai n. sp. Associazione. — Con la N. conplanata, Tchihatcheffi, striata, Rouaulti, ec Località. — Gassino r. r., 2 soli esemplari. , “ (Pag. 193) N. Ramondi Derr. Località. — D’Arcarac la cita incidentalmente, nella Histoire des pro- grès de la géologie, anche di Gassino. , a (Ma 105) N. Tchihatcheffi D’Arcr. et H. Associazione. — Colla N. complanata, striata, Rovasendai, ecc. Il fatto dell’associazione di una grande specie senza camera centrale con una pic- cola specie avente camera centrale si verifica anche a Gassino, in cui la N. complanata è compagna fedele della N. Tchihatcheffi. Merita di con- fermare se quest’ associazione di Nummulites a coppie è assoluta per tutte le località. Località. — Gassino c. c. , sa oal9/7) N. striata v’Ors. var. pedemontana Ten. Associazione. — Colla N. complanata, N. Tchihatcheffi, Rouaulti, ecc. Località. — Gassino C. Defilippi, dove è comunissima. , “ (Pag. 199) N. Guettardi D’ Arcr. Località. — La Mortola (cave) Gassino r. r. , (1) TeLLINI A. — Le Nummulitidee terziarie dell’ alta Italia occidentale. Boll. della soc. Geol. Ital., vol. VII, 1888. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERZIARI DEL BACINO EC. 189 “ (Pag. 202) N. variolaria Sow. Associazione. — Colla N. striata, Guettardi, perforata, lucasana, ecc. Località. — La Mortola (cave), Gassino r. r. , “ (Pag. 209) N. Boucheri Dr ra Harpe Associazione. — Colla N. complanata, Tehihatcheffi, striata, Rovasen- dai, Rouaulti, ecc. Località. — Gassino r. , “ (Pag. 214) N. Saccoi n. sp. Associazione. — Colle specie complanata, Tchihatcheffi, striata, vario- laria, Rouaulti, ecc. Località. — Gassino. Villa Defilippi, un solo esemplare. , (Lao 217) N. Rouaulti ’ Arca. et H. Associazione. — Con la N. complanata, Tchihatcheffi, striata, vario- laria, Saccoi, reticulata, ecc. Località. — Gassino, Defilippi, rara. , “ (Pag. 223) N. Fichteli Michtti, var. problematica Tell. Località. — Gassino presso le fornaci a sud di Costa Battaina. , “ (Pag. 225) N. reticulata n. sp. Associazione. — Colle specie N. striata var. pedemontana, complanata, Rouaulti, Rovasendai, ecc. Località. — Finora un solo esemplare a C. Defilippi, Gassino. , L'esame dell'estratto della nota del TeLLmi fornisce le prime indiscutibili. prove della riunione fatta da lui e da altri au- tori (Portis, Sacco) dei fossili degli strati marno-calcari di Gas- sino e di Bussolino (0. Defilippi, C. Cavigione), che mi ero pro- posto di provare. Per le N. complanata, Rouaulti, striata var. pedemontana, Saccoi, reticulata troviamo indicata la località: Gassino, Villa Defilippi o C. Defilippi, Gassino; e che il TeLuini con queste indicazioni volesse intendere C. Defilippi, comune di Gassino, è stabilito in modo indubbio dal fatto che colla stessa indicazione di loca- lità cita le N. Saccoi e reticulata, delle quali aggiunge di pos- sedere un solo esemplare. Ma la C. Defilippi, dove realmente ed esclusivamente si raccolgono queste specie, non ha mai fatto 190 G. TRACUCCO parte del comune di Gassino e tanto meno della regione dove sì trovano 1 caratteristici strati marno-calcari di Gassino; essa fa parte invece del territorio del limitrofo comune di Busso- lino ed è separata e dista parecchi chilometri dalla tipica regione calcarea di Gassino, sulla cui età si discute. A rigore di verità e di logica vanno quindi sottratte dalla serie dei fossili di Gassino le seguenti specie, che devono invece attribuirsi agli strati marno- calcari di Bussolino (C. Defilippi, C. Cavigione): N. complanata, N. Eouaulti, N. striata var. pedemontana, N. Saccoi, N. reticulata. Della lista delle nummutiti, citate (con indicazione di loca- lità: Gassino) da Ports, TeLLNi e Sacco, rimangono ancora 7 specie non trovate nel Bormidiano piemontese e cioè: N. Ro- vasendai, N. Guettardi, N. variolaria, N. Tchihatcheffi, N. Bia- ritzensis, N. Rosai, N. Ramondi. Le N. ‘Rovasendai, N. Rosai (se rimarranno) sono specie nuove e non hanno quindi alcuna influenza cronologica; di più la N. Rosai è citata dal TeLumi colla indicazione: Gassino?? La N. Ramondi, riportata dal TeLumi solo perchè citata in- cidentalmente dal p’ArcaiAc (Histoire des progrès de la Géologie), non ha nessuna importanza per l'indicazione della località, dopo quanto abbiamo precedentemente esposto. Rimangono le N. Guettardi, N. variolaria, N. Biaritzensis, N. Tchihatcheffi; ma anche per queste, oltre alla confusione fatta per le specie precedenti, abbiamo prove che ci autorizzano a toglierle dalla serie dei fossili di Gassino e ad aggiungerle a quella di C. Defilippi e C. Cavigione, dove realmente si raccolgono. Primieramente /’ associazione costante colle specie prima eli- minate, accertata dallo stesso TeLumi(!); poi / affermazione del cav. Di Roasenpa (senza dubbio giudice più competente di tutti) che queste specie non si raccolgono che a C. Defilippi e C. Ca- vigione; finalmente /e indicazioni e gli esemplari da me rac- colti sul luogo, i quali confermano pienamente Je affermazioni del Roasenpa e le mie conclusioni. Delle orditoidi (realmente esistenti nelle due località) di- remo più innanzi, avendo per esse e per le nummulti sentito il parere di eminenti specialisti, ai quali rinnovo i miei rin- graziamenti. (1) TeLuimi A. — Op cit., p. 181, 165, 199 e 202. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. Ton Rimane ancora un fossile (citato da Porms e Sacco), che ac- cenna ad età anteriore al Bormidiano e cioè la Serpula spiru- laca, la quale realmente si raccoglie in abbondanza, ma non a Gassino, bensì esclusivamente a 0. Cavigione (Bussolino), dove la raccolsi io stesso. E qui pure invoco la testimonianza del Roasenpa, il quale possiede molti esemplari di questa specie nella sua collezione — ma che nello stesso tempo afferma che essa non si raccoglie che alla C. Cavigione. Scevrati così i fossili di Gassino da quelli di Bussolino, la questione cronologica di questi due giacimenti, disparati per luogo ed età, comincia a rischiararsi e divenire più semplice a risolversi non solo, ma ancora riceve logica spiegazione la serie dei fossili citati da Porms, TeLuini e Sacco — fossili che necessariamente a vicenda si escludevano, urtando le conclu- sioni paleontologiche comunemente ammesse. Conviene ora aggiungere alla serie dei fossili (realmente accertati) delle due rispettive località quelli della collezione Roasenpa e da me raccolti, indicandone la località precisa e ve- rificando la stratigrafia dei terreni che li contengono; sarà così resa ovvia la sincronizzazione dei due giacimenti e confermata la giustezza delle emesse conclusioni. Fossili della collezione Roasenpa da aggiungersi alla serie degli strati marno-calcari di Gassino: KRhynchonella Buchi Micarti Pecten arcuatus Brocc. Terebratulina caput-serpentis Lux. » Haverù Micart Nautilus decipiens Micarti » sub-simplex D’ ORB. Xenophora Borsoni BELL. » sub-pleuronectes D’ ORB. Donax intermedia HORN. Jamra Gray Micanti Lima miocenica Sism. Palaega Gastaldii Stsw. Pecten spinulosus Miinsr. Echinanthus scutella? » burdigalensis LAME. Cidaris. Fossili da me raccolti: Chrysophrys cincta Ae. Orbitoides papyracea Bouz. Crassatella neglecta Micumri » stella Giims. Nummulites Fichteli Micnrti Lithothamnium Rothpletzi Tras. » Boucheri De LA H. » suganum RotHPLETZ Colgo l'occasione per descrivere le seguenti specie: 192 G. TRABUCCO Chysophrys cincta As. Tav. IX, fig. 8a, b,c. Sin. Sphaerodus cinctus Ac. — S. depressus Costa. —- S. lens Costa. — S. intermedius Gewelr. — S. irregularis Scnaur. — S. umbonatus Prost. — Pagrus oudrianus Bass. — Chrysophrys miocenica Bass. — C. cincta SAUVAGE. 1833-43. Sphaerodus cinctus Ag. Pois. foss., Vol. II, p. 214, IX, tav. 73, fig. 68-70. Alla Tav. IX, fig. 8 a, ò, c rappresento tre esemplari pro- venienti dalla cava superiore di Gassino. Ringrazio il chiaris- simo prof. F. Bassani il quale, confermando la mia determinazione, aggiungeva “che gli esemplari di Gassino hanno un aspetto vicino a quello degli esemplari dell’arenaria Bellunese (mio- cene inferiore). , La Chysophrys cincta, la quale raggiunse la sua massima area di diffusione nel miocene medio, non fu ancora rinvenuta nell’eocene (!). Possiedo due esemplari della stessa specie raccolti, durante le passate vacanze autunnali, nel calcare Tongriano di Ponzone. Lithothamnium Rothpletzi Tris. Tav DS file» dl Forma sub-sferica, tendente all’ovata, tubercolata. Cellule del peritallio più lunghe che larghe (lungh. 15-18 », largh. 9- 10). Tetraspore isolate (alt. 60, largh. 40%), disposte in zone. Differisce dal L. nummuliticum per avere cellule e tetraspore più piccole, mentre il L. torulosum, che ha tetraspore alquanto somiglianti, differisce pure nettamente dalla nuova specie per le sue cellule più piccole e più quadre. Costituisce buona parte del calcare di Gassino; gli esem- plari e le sezioni, sulle quali ho stabilito la nuova specie, pro- vengono dal calcare della cava Aprile. (1) Bassani F. — Contribuz. alla Paleont. della Sardegna. Ittioliti miocenici. Estr. dagli Atti della R. Ace. delle scienze Fisiche e Matem. di Napoli, Vol. IV, Ser. 22, No 3, pag. 2-3. - SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 193 Alla Tav. IX, fig. 1, do il disegno (X 200) di parte del peritallio della nuova specie, con tetraspore isolate. Lithothamnium suganum RomÒPLETZ. Tav. IX, fig. 2. 1891. Lith. suganum RorapLetz. Fossile Kalkalgen-Abruck. a. d. Zeitschr. d. Deutschen. geolog. Gesellschaft, Jahrg. XLIII, 1891, p. 319, t. XVII, f. 4. Ho avuto la fortuna, dopo numerose sezioni, di trovarne due con esemplari di specie che, per la forma, grandezza e dispo- sizione delle celle e dei concettacoli, non lasciano dubbio sulla esattezza della determinazione. Località. — Calcare di Gassino (Cava Giannone superiore). Questa specie fu trovata negli scisti di Schio in Val Sugana (RoraPLETz); ho pure accertato la presenza della medesima, in sezioni con specie presentanti i caratteristici concettacoli, nel cal- care di Cremolino, Ponzone e Spigno. Conchiudendo: la serie dei fossili degli strati marno-calcari di Gassino comprende: Carcharodon auriculatus BLAInv. Crassatella neglecta Micarti » megalodon AG Pholadomya Puschii GoLDr. Otodus sulcatus E. Sism. Lima miocenica Stsm. Odontaspis cuspidata Ae. Pecten spinulosus Miinsr. Oxyrhina hastalis Aa. X » burdigalensis LAmx. » minuta Ac. » Haverù Mrcanti » Desoriì Aa. » arcuatus Brocc. Chrysophrys cincta Aa. » sub-simplex D’OrB. Ehynchonella Buchù Micart. » sub-pleuronectes D’ ORB. » complanata Brocc. Nummulites Fichteli Micammi » deformis SEG. » Boucheri De LA H. Terebratulina caput-serpentis Lin. Orbitoides papyracea BouB. Nautilus decipiens MicamtI » stella Gi. Cassidaria echinophora Lamx. Taxodium juniperoides Bronat. Xenophora Borsoni Brun. Araucarites Sternbergi GorPP. Donax intermedia Horn? Evidentemente adunque gli strati marno-calcari di Gassino appartengono al miocene inferiore (Tongriano) perchè i fossili citati o non si rinvennero mai nell’eocene, o sono caratteri- stici del tongriano piemontese e di altri luoghi, od infine ap- partengono a terreni posteriori. 194 G. TRABUCCO Infatti la Chrysophrys cincta non si è ancora rinvenuta nel- l’eocene (1); i N. decipiens Mica, P. arcuatus Brocc. ='I fallax Micamm (?), C. neglecta Micummi sono caratteristici del tongriano piemontese (Pareto (3), MricneLorm (4), BeLArpI (9), Sacco (5)) e di altri luoghi (Isser (°), Secuenza (8), Banpacci (*), Nicotis (19), Fucas (11) ); il CA. magalodon Ae. = Ch. polygyrus Ae. (E. Sisw. (12) = Ch. productus As. (E.Sisx. (13)) = Ch. angustidens E. Sisw. (14) (non Ac.) non fu ancora trovato nell’ eocene d’ Europa (Bassani (15), è comune nel tongriano piemontese a Gassino, Pareto, Morbello, Ponzone, Sassello, ecc. (Sisvonpa (#9), Pareto (1), MicarLorm (18), Is- seL (1°), Bassani (29), Sacco (24) ), nel tongriano a Castelgomberto, M. Moscalli, nella Calabria, nella Sicilia (Bassani (22), Nicotis (28), (') Bassani F. — Contribus. alla Paleont. della Sardegna Ittioliti mioc. Estr. dagli Atti della R. Acc. delle scienze Fisiche e Nat. di Napoli, Vol. IV, Ser. 2.8, N° 3, pag. 2-3. (*) Horrnes R. — Bettrige zur Kenninis der Tertiàr-Ablagerungen in den Sù- dalpen. Jahrbnch d. k. k geol. Reichsanstalt. 1878, 28. Band. I. Heft, p. 29. (8) PARETO L. — Note sur le terr. numm. d. pied des Apenn. Bull. d. la soc. Géol. de France, Sér. II, T. XII, p. 389. (4) MicarLoTTI G.— Etud. sur le miocèn. infér. d. l’Italie Septentr., p. 137,78 e 66. (9) BeLLarRDi L. — JI Molluschi dei terr. terz. del Piemonte e della Liguria. Estr. dalle Mem. della R. Acc. di Torino, Ser. II, T. XVII, p. 21. (6) Sacco F. — Catal. paleont. del bacino terz. del Piemonte. Boll. d. la soc. Geol. Ital., T. IX, 1890, p. 292. - T. VIII, 1889, p. 331 e 338. (7) IsseL A. — Liguria geologica e preistorica. Genova 1892, Vol. I, p. 241. (8) Secuenza G. — Le formaz. terz. nella prov. di Reggio (Calabria). Mem. R. Ace. Lincei, Ser. 3%, Vol. VI, p. 4l. (*) BaLpacci L. — Descriz. geol. dell’ isola di Sicilia. Roma 1886, p. 91. (!°) NicoLis E. — Oligocene e miocene nel sist. di M. Baldo. Verona 1884, p. 30. — Note illustrative della Carta geol. della Prov. di Verona. Verona 1882, p. 82. (1!) Fucas TH. — Bettrdge sur Kenntnis der Conchylienfauna des Vicentinischen Tertidirgebirges-Denkschriften d. mathm.-vaturw, Cl. XXX Bd. Abh., p. 181, 206, 209208 (12) Bassani F. — Itwoliti mioc. della Sardegna. Estr. dagli Atti della R. Ace. delle scienze Fisic. e Natur. di Napoli, Ser. 2.2, Vol. VII, N. 3., p. 14. (4) Bassani F.— Qp. cit., p. 15. (44) Bassani F. — Op. cit., p. 15 (15) Bassani F. — Op. cit., p. 2-3.. (16) Sisvonpa E. — Append. alla descriz. dei pesci e dei crostacei fossili nel Piemonte. Mem. Acc. scienze di Torino, Ser. ll, T. XIX, p. 25. (4) Pareto L. — Op. cit., p. 390. (!5) MicaeLorTI G. — Op. cit., p. 142. (1°) IsseL A. — Op. cit., p. 240. (20) Bassani G. — Op. cit., p. 14. (21) Sacco F. — Op. cit., vol. IX, 1890, p. 295. (°°) Bassani F. — Op. cit., p. 23. (22) NicoLis E. — Oligocene e mioc. nel Sistema di M. Baldo, Verona 1884, p. 39. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 195 Secuenza (!), Baupacci (2)) ed in terreni posteriori (MicazLotTI, Sisvonpa, Seguenza, Isser, Bassani, Barpacci, Sacco, Tragucco); il Ch. auriculatus Bram. = Ch. angustidens Micurti (3) è pure co- mune nel tongriano piemontese (Morbello, Pareto, Ponzone), di altri luoghi (Mricartorti (4), Bassani (9), Sacco (°)) ed in terreni posteriori (Sisvonpa, MicaeLorti, Seguenza, IsseL, Bassani, Sacco); lO. cuspidata ac. = L. dubia Ac. (E. Sisw. ()) = O contorti- dens Ac. = L. ondulata Srsw. (8), che non si rinviene nell’ eocene (Bassani (°) ), è invece comune nel tongriano piemontese a Gas- sino, Dego, Morbello, Pareto, Ponzone, ecc. (Siswowpa (19), MicHe- Lorti (14), Bassani (12), Sacco (13)), a Castelgomberto, Val di Lonte, Isnello (Bassani) ed in terreni posteriori (Siswonpa, MexecHIini, Mr cHELOTTI, Seguenza, Bassani, Manzoni, Isser, NicoLis, SIMONELLI, SACCO, Tragucco); l’ Or. hastalis Ae. = Ox. isocelica E. Stisw. (14), non an- cora rinvenuta nell’ eocene dell’ Europa (Bassani (1°) ), è comune nel tongriano piemontese a Gassino, S. Giustina, Ponzone ed in altri luoghi a M. Moscalli, Val di Lonte, Calabria (MicazLormi (16), Sismonpa (17), Bassani (18), Nicois (19), Sacco (29), Secuenza (24), ed in terreni posteriori (MicreLortI, Siswonpa, IsseL, Bassani, Smo- NELLI, Neviani, Sacco, Poruini); le Ox. minuta Ac. ed Ox. Desort (1) Seguenza G. — Op. cit., p. 39. (*) BaLpacci. — Op. cit., p. 19. (3) Bassani F. — Op. cit., p. 19. (4) MrcaeLotTI G. — Op. cit., p. 142. (°) Bassani F. — Op. cit., p. 2-3 e 19. (6) Sacco F. — Op. cit., Vol. IX, 1890, p. 295. (?) Bassani F. — Op. cit., pag. 26. (8) Fassani F. — Op. cit., p. 29. (9) Bassani F. — Op. cit., p. 2-3. (19) Siswonpa E. — Descriz. dei pesci e dei crostacei foss. del Piemonte Estr. Mem. Acc. scienze di Torino, Ser. II, V. X, p. 23. (11) MricaeLoTTI G. — Op. cit., p. 145. (1°) Bassani F. — Op. cit., p. 2:3. (19) Sacco F. — Op. cit., Vol. IX, 1890, p. 295. (14) Bassani F. — Op. cit., p. 32. (!5) Bassani F. — Op. cit. p. 2-3. (49) MiczELOTTI G. — Op. cit., pag. 144. (1°) Sismonpa E. — Descriz. dei pesci e crostacei fossili del Piemonte. Estr. Mem. R. Acc. di Torino, Ser. II, Vol. X, p. 86. (18) Bassani F. — Op. cit., p. 31, (!9) Nicoris E. — Oligocene e mioc. nel sist. di M. Baldo. Verona 1884, p. 39. (2°) Sacco F. — Op. cit., Vol. 1X, 1890, p. 295. (2!) Secuenza G. — Op. cit., p. 40. Sc. Nat. Vol. XIII. 13 196 G. TRABUCCO si raccolgono nel tongriano piemontese e ligure a Gassino, Car- care, Mioglia, in Calabria (Sismonpa (4), MicaeLorm (2), Isser (3), (Sacco (4), Secuenza (*) ed in terreni posteriori (MicarLortI, Isset, SEGUENZA, SACCO). La L. miocenica Sisu. = L. gigantea Brun. si trova nel ton- griano della Calabria (Secuenza (5) ) e nel miocene medio pie- montese (Siswonpa E. (*), MicarLorm (5), Sacco (°)); il P. spino- losus Mist. si raccoglie nel tongriano piemontese ed in ter- reni posteriori (Mricartorti (19), Sacco (14) ); il P. Haverii Micanm è comunissimo nel miocene medio piemontese (MicnzLomi (12), Sacco (13), Tragucco (14) ). Il P. durdigalensis LamarK si raccoglie nel tongriano a Cas- sinelle (Pareto (19)) e nel miocene medio piemontese (Micae- Lotti (16), Sacco (1°), Trasucco (!8)); la £ Gray Micart, trovata nel tongriano della Calabria (Sequenza (!9)), è comune nel miocene medio piemontese (Micaztonti (2°), Sacco (24) ). La X. Borsonti Ber. si trova nel tongriano piemontese a Dego ed in terreni posteriori (BeLnarpi (??), Micuscormi (23), (Sac- co (245) ); la A/ynchonella Bucchii Micamti si raccoglie nel ton- (4) Sisvonpa E. — Op. cit., p. 86. (2) MicazLoTTI G. — Op. cit., p. 145. (3) IsseL A. — Op. cit., p. 24l. (4) Sacco F. — Op. cit., Vol. IX, 1890, p. 295. (5) Secuenza G. — Op. cit., p. 40. (9) Seuenza G. — Op. cit., p. 4l. (7) Siswonpa E — Syrop. invert., p. 22, n. 5. (8) MicaeLoTTI G. — Descript. d. foss. d. terr. d. V Italie Septentr., p. 91. (®) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 331. (5°) MicnaLorti G. — Etud. sur le miocèn. infér. de l' Italie Septentr., p. 78. (44) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 331. (1°) MicaeLotTI G. — Descript. d. foss. d. terr. d. V Italie Septentr., p. 88. (4) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 332 (14) Trasucco G. — Sulla vera posiz. del calcare di Acqui, Firenze 1891, p. 23. (55) Pareto L. — Op. cit., p. 392. (19) MiczeLorTI G. — Descript. d. foss. d. terr. d. 1’ Italie Septentr., p. 87. (1?) Sacco F. — Op. cit., Vol. VII, 1889, p. 331. (1) TraBucco G. — Op. cit., p. 22. (19) Secuenza G. — Op cit, p. 4l. (:°) MicHELoTTI G. — Op. cit., p. 86. (£1) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 332. (2°) BeLLaRDI L. — Synop. invert., 2.8 ed., p. 50. (*3) MicHeLoTTI G. — Htud. sur le miocèn. infer. de l’ Italie Septentr., p. 89. (24) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 353. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 197 griano piemontese e nel miocene medio (MrcÒzzorm (4), Sacco (2)); la 7. caput-serpentis Lun. si rinviene nel tongriano piemon- tese a Dego ed in terreni posteriori (MicurzLortI (3), Sacco (4) ); la RA. complanata Lim. si trova a Gassino (Sesuenza (°)). La C. echinophora Lawx si rinviene nel tongriano piemon- tese e della Calabria (Sacco ($), Secuenza (7) ) ed in terreni po- steriori (MicazLorti, Secuenza, Sacco); la Ph. Puschit Goro. = Ph. Delbosiù Micurri è caratteristica del tongriano piemontese (Pa- reTo (5), MicasLortI (9), Sacco (19) ); lO. gigantica Branp. = 0. latissima Desa. è citata nel tongriano di Cassinelle (sulle indi- cazioni di E. Siswonpa) da Pareto (14), in quello di Castelgom- berto da Fucgs (!?), ecc. Finalmente le N. fichtela Micatmi, N. Boucheri De La H. sono caratteristiche del tongriauo piemontese (Micarnorti (1), Sismon- DA (14), Isser (15), De Sterani (19), Sacco (1°), Tecn (18) ) (19) e di altri luoghi; le O. stella ed O. papyracea si raccolgono numero- sissime nel tongriano caratteristico (Cassinelle, Pareto, Dego, Spigno, ec.), mentre le fit: sono caratteristiche del miocene inferiore e medio piemontese. (4) MicuzLotTI G. — Op. cit., p. 52. (2) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 359. (3) MieHELoTTI G. — Op. cit., p. 52. (4) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 328. (*) Secuenza G. — Intorno ai brachiopodi mioc. delle Prov. piemontesi. Estr. dagli annali dell’Acc. degli Aspiranti Natur. di Napoli. Serie 3.2, Vol. 6.9, 1886, p. 13. (6) Sacco F. — Op. cit., Vol. IX, 1890, p. 197. (*) SecuEnza G. — Le formaz. terz. nella Prov. di Reggio (Calabria), ecc., PALOrE (5) ParETo L. — Op. cit., p. 391. (9) MicaeLoTTI G. — Etud. sur le miocèn. infér. de V Italie Septentr., p. 55. (49) Sacco F. — Op. cit.. Vol. VIII, 1889, p. 345. (44) PareTo L. — Op. cit., p. 391. (42) Fucus TH. — Bettrige zur Kenntniss der Conchylienfauna des Vicentinischen Tertiàrgebirges. Denk. d. mathem.-naturw. Cl. XXX Bd. Abh., p. 181. (13) MicagLoTTI G. — Descriz. des terr. miocèn. de V Italie Septentr., p. 15. (4) Sismonpa E. — Materiaux pour servir à la paléont. du terr. tert. du Pie- mont. 2.9 part., p. 17. (1°) IsseL A. — Op. cit., p. 224. (15) De Srerani — L’ Appennino tra il colle di Altare e la Polcevera. Estr. Boll, della soc. Geol. Ital, Vol. VII, fase. 3. (17) Sacco F. — Op. cit., Vol. VIII, 1889, p. 310. (18) TELLINI A. — Le Numm. del Piemonte e dell'Alta Ital. Occ, Boll. soc. Geol. Ital., Vol. VII, p. 208 e 220. (19) TELLINI e Sacco citano queste due specie anche nel dartoniano, perchè si trovano nel preteso bartoniano di Gassino, 198 G. TRABUCCO Come si vede, da quasi quarant'anni, Pareto (4) aveva esat- tamente stabilita la posizione stratigrafica e cronologica del calcare di Gassino, avanzando studiosi contemporanei e suc- cessori. Mi compiaccio di rendere questo omaggio al valente geo- logo ligure, le cui osservazioni sempre esatte ed i cui lavori brevi, succosi, formano il codice stratigrafico più completo della regione, al quale deve e dovrà necessariamente attingere chi voglia seriamente abbordare lo studio di una serie qualunque di questi terreni. Esaminiamo ora la serie dei fossili degli strati marno-calcari di Bussolino da me raccolti sul luogo ed esistenti pure nella collezione RoasenpA e vediamo se bastano a stabilire la crono- logia del giacimento; essendo evidente che vanno esclusi dal nostro studio i fossili citati dai precedenti autori, dai quali (per la confusione e la poca precisione della località) non si potreb- bero trarre serie conclusioni. Ranina Marestiana Koxmnc. Sin. R. Aldovrandi Desw. 1820. Rarmina Marestiana K6xmo, Icones foss., t. I, fig. 15. Località. — C. Cavigione, alcune fascie sternali embriciate in buono stato di conservazione nel calcare. Le sinuosità molto sentite delle fascie, i denti assai pro- fondi e relativamente largamente aperti le fanno (colla più grande probabilità) riferire alla specie di Kònme. Fossile nell’eocene medio di S. Giovanni Illarione ed Avesa (Brrrner), degli strati di Brusaferri e ligniti di Pulli (Héserr e Mounier-Cnanmas), del Veronese (Nicotis). Serpula spirulaea Lawx. Sin. Serpulites nummularius Scrora. — Spirulaca nummularia Brocc. — Vermicularia nummularia Mist. — Serpula rotula Pranni — Serpula (4) Pareto L. — Op. cit., p. 375. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 199 nummularia Hav. — Rotularia spirulaeca Derr. — Vermicularia spiru- laca Bronn. 1838. Serpula spirulaca Luwx., Hist. natur. des animaue sans vert., 2.° éd., t. V, p. 623. Località. — C. Cavigione, abbondantissima nelle marne. Fossile nell’eocene medio del Veronese (Nicouis), del Friuli (Mariani), della Sicilia (BaALpacci), ecc. Nummulites complanata Lanx. Sin. Nummulites plana De Rorss., N. muille-caput Bous. — N. num- mularia Alce. D'ORrB. (pars). 1804. Nummulites complanata Lawx., Ann. du Mus., Vol., V, p. 242, N.° 4. Località. — Frequente a C. Cavigione. I più belli esemplari si raccolgono nelle lenti marnose del calcare. Fossile :a Sospello (BeLrarpi, D'Arcarac et H., E. Srsmonpa), nell’eocene medio delle provincie venete a S. Giovanni Illarione, M. Postale, Fontanafredda, M. Euganei, Buttrio, Rosazzo, Cor- mons, ecc. (D'Arcr. et H., Savi e Menecnini, Heésert e MunigR- CrHaLmans, Taramenti, Nicoris, MarIani), delle Tremiti, Majella, ecc. (Teuni), della Calabria (Seguenza, De-SterAnI), ecc. Nummulites Tchihatcheffi D’Arca. et H. Sin. Nautilus lenticularis, var. a Ficam. et. Monn. 1853. Nummulites Tchihatcheffi D’Arca. et H., Monograph. des Numm., 16 Sep IS iui Oo Località. — Abbondante a C. Cavigione. Fossile ad Avesa nel Vicentino (D’'Arca. et H.), alla Majella, alle Tremiti (D'Arca. et H., TeLuini), nell’eocene medio della Calabria (Secuenza), della Sicilia (BaALpacci), ecc. 200 G. TRABUCCO Nummulites contorta Desr. Sin. Nummulites contorta D’Arca. 1834. Nummulites contorta Desa. in Ladoucette, Hist., topograph., ecc. des Hautes Alpes, PI. XIII, fig. 9. Località. — Frequente a U. Defilippi. Fossile nella Liguria marittima occidentale (BeLtarpI, D'ARCH. et H., Siswonpa E., TeLuini), alla C. Defilippi (TeLumi), nelle alte Alpi (Mont-Faudon) (D’'Arca. et H., De La Harpe), ecc. Nummulites Biaritzensis D’Arcr. Sin. Nautilus lenticularis var. d. Ficnr. et Mor. — Nummulites laevi- gata (pars) pe Ross. — N. atacicus Leva. — Nummulina atacica Joux et Leym. — N. regularis (pars) Riirmev. — N. Biaritzensis (pars) D'Ar- ca. et H. — N. Ramondi (pars) D’Arca. — N. rotularis Savi e MeneGn. — Nummulites reticulatus (pars) Scnara. — N. modiolus Scnara. — N. libum Scnara. — N. amygdala Scrara. 1837. Nummulina Biaritzana D’Arca., Mem. Soc. Géol. de France. Vol. TEpaaligde Località. — Rara alla C. Defilippi. Fossile nella Liguria marittima occidentale (BeLcarDI, Sr- svonpa E., D’Arcu. et H., IsseL, TeLuini), nell’eocene medio di Ve- rona, Vicenza e del Friuli (D’'Arcx. et H., Nicovis, Mariam), alla Majella, Tremiti, e M. Gargano (D’ Arca. et H., TeLuni), nella Calabria (Seguenza), nell'isola di Sardegna (Savi e MenEGHINI), ecc. Nummulites variolaria Laxx. sp. Sin. Lenticulites variolaris Scaror. — Nummularia variolaria Sow. — Nummulina variolaria D'Arca. et H. — Nummulites variolaria Al. D’ORB. Località. — C. Defilippi e C. Cavigione. Fossile nella Liguria marittima occidentale (BeurarDI, D'ARCH. et H., Sisvonpa E., Isser, TeLumi), alla Majella, ecc. (TeLumni), ecc. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 201 Nummulites Rouaulti D’ Arca. et H. Sin. Nummulites lucasana var. Rovauuti De LA Harpe. 1853. Nummulites Rouaulti D'Arca. et H., Monograph. des Numm. p. 121, Tav. VI, fig. 14 a, bd. Località. — Frequente a C. Defilippi. Fossile a C. Defilippi (TeLLini), nell’eocene medio della Si- cilia (BaLpacci), ecc. Nummulites striata D'OrB. Sin. Camerina striata (pars) Bre. 1850. Nummulites striata D’ Org. Prodrom. de paléont., Vol. II, p. 406. Località. — Frequentissima alla C. Defilippi. Fossile nella Liguria marittima occidentale (D’Ors. e Bett., D'Arca. et H., Siswonpa E., Isser, TeLuni), alla C. Defilippi (Ter- unI), alla Majella (D’Arc®. et H.), nell’eocene medio delle alte Alpi (D’Arc®. et H.), dell’ Ungheria (Hantken, Héserr et MunieR- CHALMAS), ecc. Nummulites lucasana Derr. Tav. XI, fig. 6, 7. Sin. Nummulites verrucosa (pars) pe Rorss. — Nummulina lenticularis A. D'Ors. — N. discorbina var. a D'Arca. — Nummulites lucasanus Zum. 1850. Nummulina lucasana Derr., D'Arca., Hist. des progrés de la géol., Vol. III, p. 238. Località. — Frequente a C. Defilippi. Caratteristica dell’eocene medio nella Liguria marittima oc- cidentale (Derr. e BerrarDi, D'Arca. et H., Siswonpa E., Fontan- NES, TarameLti, IsseL, TeLuini), nel Vicentino, Veronese e Friuli (D’ArcH. et H., Heserr et Munier-Chanmas, Taramerti, Nicovis, MA- RrIANI), nelle isole Tremiti, Majella (Terri), nel nord delle Alpi (Ginmser), nella Dalmazia (Sracaz), nella Svizzera (De LA Harpe), nell’ Ungheria (Hantken), nella Libia, nell’ Egitto (De La HArPE), ec. 202 G. TRACUCCO Nummulites perforata Deny pe Momr. Tav. XI, fig. 4, 5. Sin. Nummulina spissa Derr. — Helicites perforatus ve Bramv. — Nummulina perforata A. D' Or. — N. crassa Bous. — N. lacvigata (pars) Pusca. —- N. aturica Jor. et Levw. — N. globosa Rirmer. — N. globu- laria Savi et Mensa. — N. Bellardii D’Arcx. (in Benr.). — N. Deshayesi D’Arc®. et H. — N. Bellardii D’Arca. et H. — N. Verneuili D'Arca. et. H. — N. Sismondai D’'Arcxa. et H. — N. obesa D’Arca. et H. — N. Renevieri De La Harpe. — N. Lorioli De LA Harpe. 1808. Egeon perforatus Denv pe Monte. — Conchyl. Systém., p. 166. Località. — Rara alla C. Cavigione. Caratteristica dell’ eocene medio nella Liguria marittima oc- cidentale (D’Ors. e Berr., D'Arca. et H., Sisvonpa E., Fonran- nes, Taramerti, Isser, TeLuini), del Veronese, Vicentino e Friuli (D’Arca. et H., Heserr et Muxnier-Charmas, Taramecti, Nicowis, MA- RIANI), nelle isole Tremiti, Majella, Gargano (D’Arc®. et H., Tet- ri), nella Dalmazia (Srac8e), nella Svizzera (De ra Harpe), nel- l'Ungheria (Hanrken), nei Pirenei (Héserr et Toucas), nella Dor- dogna, Gironda (Brnorst), ecc. Nummulites Murchisoni Bruxw. Sin. Nummulina Murchisoni Riirmer. — N. Chartersi Menecn. 1853. Nummulites Murchisoni D'Arca. et H., Monograph. des Numm., p. 138, pl. VIII, fig. 20, 21, 22, 23, 24. Località. — C. Cavigione, rara. Fossile a Sonthofen (Baviera), Gemmenalp (Berna), Schwytz, Recoaro (Brunner, Ririmerer, Meneen., D'Arcn. et H.). Orbitoides papyracea Bou. Sin. Nummulina mamillata ve Rorss. — Orbitoides Pratti Mrcaer. — O. sub-media D’Arca. — 0. papyracea D’ Org. — 0. discus Rirmer. — O. Fortisiù D’Arca. — 0. sub-medius D’Arca. — 0. Romana Carun. — Hymenocyclus umbo et cymbalum Scar. — H. Fortisii et papyraceus Sca. — H. discus, parmula et Fortisiù Ercaw. — 0. discus et Fortisii Kavr. 1832. Nummulites papyracea Bovs., Bull. soc. Géol. de France, II, p. 445. Località. — O. Defilippi, C. Cavigione. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 203 Specie diffusissima nell’ eocene medio del Veronese, Vicen- tino, Friuli, Toscana, Piemonte, Bolognese, Sicilia, Calabria, Majella, Tremiti, Gargano (D’Arc®., Surss, Mayer, Savi e Mene- cuni, Taramenti, Seguenza, Nicoris, Tentini, MARIANI, ecc.). Orbitoides aspera GuùwuBeL Sin. Orbitoides sub-media D’Arca. (pars). — 0. Pratti autorum (pars) O. convera CarvLL. 1874. O. aspera Giimer, Beitrige Zur Foramniferenfauna der nordal- — pinen Eoctingebilde Abh. d. LI, CI. d. k. Ak. d. Wiss X. Bd. II, Abth., p. 698, tav. III, fig. 13, 14, 33, 34. Località. — C. Defilippi e C. Cavigione. Fossile a Kressemberg, Verona, Mosciano, ecc. (D'Arcr., Me- neGHINI, De Ziono, ecc.). Orbitoides multiplicata Giuse Sin. Orbitulites convexo-convera? Caruru. — Hymenocyclus concamme- ratus? SCHAFH. 1874. Orbitoides multiplicata Giim., Breitrige zur Foramimferenfauna der nordalpinen Eoccingebilde Abh. d. II, CI. d. k. Ak.d. Wiss. X, Bd. II, Abth., p. 704, t. IV, fig. 20-24. Località. — C. Defilippi e C. Cavigione. Fossile a Kressemberg, M. Spilecco, ecc. (Gimser, Surss). Orbitoides stellata D’Arcx. Sin. Calcarina stellata Gimme. — Asterodiscus pentagonalis ScaArn. — Hymenocyclus stellatus ScHAUR. Località. — O. Defilippi e C. Cavigione. Fossile a Verona, Brendola, M. Spilecco, Majella, ecc. (Surss, Mexzcnmni, Ginger, D’Arca., De Ziono). Orbitoides stella Gina Sin. Orbitoides asteriscus Kavra. — 0. quadrillum (pars) Menecn. 1874. Orbitoides stella Giimger, Beitrige eur Foraminiferenfauna der nor- 204 G. TRABUCCO dalpinen Eoctingebilde Abh. d. 1I, CI. d. k. d. Wiss. X. Bd. II, AbthS@paNzi tav Cio Aa Noe RAVE 85108 Località. — ©. Defilippi e C. Cavigione. Fossile nelle Alpi Bavaresi, Kressemberg, Verona, Euganei, Mosciano, ecc. (Minsrer, MeneGHINI, GimBeL). Orbitoides dispansa Sow. Sin. Lycophris dispansus Sow. — Orbitulites dispansa D'Arca. — Or- bitoides dispansa D'Arcr. 1874. Orbitoides dispansa Giuse, Beitrige eur Foraminiferenfauna der nordalpinen Eoccingebilde Abh. d. II, CI. d. k. Ak. d. Wiss. X, Bd. II, Abth., p. 701, tav., III, fig. 40-67. Località. — CO. Cavigione. Fossile nelle Alpi Bavaresi, Verona, Euganei, Mosciano, ecc. (Surss, MenecnINi, De Ziono, Giimeen). Lithothamnium torulosum Gimser Tav. IX, fig. 3. 1871. Lithothammium torulosum, GriimseL, Die sogenannten Nulliporen, srster Theil, Abh. d.k. bayer. Akad., VII, CL. XI, Bd. I Abth., 1 9 MILE 0 1891. Lithothamnium torulosum RorapLerz, Fossile Kalkalgen-Abdruck. a. d. Zeitschr. d. Deutschen geolog. Gesellschaft, Jahrg. XLVII, HEI 1 e i SUI Forma, grandezza e disposizione delle celle e dei concetta- coli, presentati da una riuscita sezione (la ventesima), non la- sciano dubbio sulla determinazione di questa specie. Località. — Calcare di C. Cavigione. Il Lith. torulosum si è trovato nell’eocene di Kressemberg, di Val Sugana e di M. Magrè nel Vicentino (RoraPLETZ, Op. cit.). Lithothamnium nummuliticum Gimme 1871. Lith. nummuliticum Giuse, Die sogenannten Nulliporen, Erster Theil, ADh. d. k. bayer. Akad., V. II, CI. XI, Bd. I Abth, p. 27, ti JI, fig A2ia-\icd, e. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 205 1891. Lith. nummuliticum BorapLerz, Fossile Kalkalgen- Abdruck. a. d. Zeitschr. d. Deutschen geolog. Gesellschaft, Jahrg. XLIII, 1891, PA SIONE NOVITA ER La forma, grandezza e disposizione delle celle somigliano per- fettamente a quella del Lit. nummuliticum; disgraziatamente, malgrado numerosissime sezioni, non ebbi la fortuna di trovare alcun esemplare presentante i concettacoli, senza l'esame dei quali la determinazione rimane sempre dubbiosa. Località. — Calcare di C. Defilippi e O. Cavigione. Questa specie fu trovata nell’eocene di Kressemberg e Val Sugana (RorapLeTz op. cit.), nel calcare di Mosciano (TraBUcco). Evidentemente adunque gli strati marno-calcari di Bussolino (C. Cavigione, C. Defilippi, ecc.) appartengono all’eocene medio (parisiano) e devono essere sincronizzati con Roquestéron, Braus, la Mortola, S. Giovanni Ilarione, Buttrio, Rosazzo, Cormons, ecc. Infatti la LR. marestiana è caratteristica dell’eocene medio di S. Illarione ed Avesa (Brrrwer (1) ), degli strati di Brusaferri e ligniti di Pulli (Heserr et Munier-Charmas (2) ), del Veronese (Nicotis (3) ), ecc.; la S. spirulaea si raccoglie nell’ eocene medio del Veronese (Nicoris (4) ), del Friuli(Marrani (9) ), della Sicilia (Barpacci (5) ), ecc. Le N. lucasana, N. perforata, N. contorta, N. Guettardi, N. va- riolaria, N.: Murchisoni sono caratteristiche dell’eocene medio della Liguria marittima (7), del Veronese, Vicentino e Friuli (4) BrrrnER A. — Die Brachyuren des Vicentinische Tertiàrgebirges, p. 4. Neue beitrige zur Keuntniss d. Brachyuven-fauna d. Alterticirs von Vincenza und. Verona, p. 4. (3) HesERT et Munier-CHaLMAS. — Nouvell. recherch. sur les terr. tert. du Vi- centin. Ex. Compt. rend. de l’Acc. d. sciences, t. LXKXXVI, p. 2. (*) NicoLis E. — Note illustrative alla Carta geol. della Prov. di Verona, 1882, p. 89. (4) NicoLis E. — Op. cit. p. 85. (5) Mariani E. — Op. cit., p. 12. (6) BaLpaccr L. — Op. cit. p. 86. (?) BeLLaRDI L. — os. numm. della Contea di Nizza, p. 274, 276. Sismonpa E — Materiaux pour servir à la paléont. du terr. tert. du Piemont, 2. part., p. 16-17. De LA HarpE PH. — Note sur les Numm. de Nice et Menton. Bull. soc. Géol. de France, 3.2 Sér., V, p. 817. TELLINI A. — Le Numm. terz. dell'Alta Italia Occ. Boll. soc. Geol. Ital., Vol. VII, 1888, p. 182, 199, 210, 214. IsseL A. — Liguria geol. e preistorica, Vol. I, p. 259. 206 G. TRABUCCO (S. Giovanni Ilarione, Buttrio, ecc.) (4), delle isole Tremiti, Majella, Gargano (?), del Nord delle Alpi (*), della Dalmazia (Sracne), dell'Ungheria (Haxrken), dei Pirenei (Herr e Toucas), della Gironda, Dordogna, ecc. (Benorst), della Svizzera (PH. DE LA Harpe), della Libia e dell'Egitto (De La Harpe) (4). L'associazione colle prime delle N. complanata, N. biaritzen- sis, N. Tchihatcheffi, N. striata (comunissima nell’eocene medio di molti luoghi) conferma ancora una volta l'ipotesi dell’ asso- ciazione zoologica delle stesse specie emessa dal De TA Harpe (9) e già riscontrata a Bakony nell’ Ungheria, nel Vicentino, ecc. Finalmente le 0. papyracea, O. stella, O. stellata, O. aspera, O. multiplicata, O. dispansa sono comunissime nell’ eocene medio (Surss, Menecnini, De Ziono, GimseL, HANTKEN, TARAMELLI, SEGUENZA, IsseL, Nicoris, TeLLini, MARIANI, ecc.), mentre i Lith. torulosum e nummuliticum sono eocenici (RorEPLETZ). Vediamo ora se la stratigrafia concorda colle deduzioni pa- leontologiche. Partendo da Orbassano e dirigendosi verso Gassino (sezione Tav. VIII, I) dapprima si osservano le marne sabbiose grigiastre (4) HeseRT et MunieR-CHaLMAS. — Recherches sur les terr. tert. de V Europe Meérid. Compt. rend. de l’Acad. des Sciences, 1877, 1878, T. LXKXXV, p. 259 e 330; T. LKXXVI, p 260, ISI0. ! Suess E — Sur la structure des depòts tert du Vicentin. Atti della soc. Ital. di Scienz. Natur., T. XI, fasc. III, 1868. Bavyan F. — Sur les terr. tert. de la Vénétie. Bull. soc. Géol. de France, T. XXVII, 2.e sér., p. 458, ecc. TARAMELLI T. — Sulla formaz. eocenica del Friuli, Atti Acc. di Udine, 1870. — Spiegaz. della Carta geol. del Friuli, Pavia 1881. — Geol. delle Prov. Venete. Mem. R. Acc. Lincei, Vol. XIII, 1882. MaRinonI €. — Contribuz. alla geol. del Friuli. Atti del R. Istit. Veneto, Se- rie V, Vol. III. — Ulteriori contribusz. alla geol. del Friuli. Atti soc. Ital. scienz. Natur., Milano, Vol. XXI. NicoLis E. — Note illustrative alla Carta geol. della Prov. di Verona, p. 105. Mariani E. — Appunti sull’ eocene e sulla creta nel Friuli Orient. Estratto dagli Ann. del R. Istit. Tecnico, ser. II, anno X, p. 13. (£) D'Arcurac et H. — Monograph. des Numm., p. 115, 124, 130, 136, 138. TELLINI A. — Le Numm. della Majella, delle isole Tremiti e del prom. Gar- ganico, 1890. — Le Numm. della Majella. Boll. R. Com. Geol., 1891. (?) GumBeL C. W. — Bestriige zur Foraminiferenfauna der nordalpinen Eccan- gebilde, p. 88, 89, ecc. (4) Noto volentieri a questo proposito un consolante accordo fra gli studiosi, dav- vero inaspettato. (5) De La Harpe PA. — Etud. d. numm. d. la Suisse. Mém. d. Soc. Paléont. Suisse. Vol. VII., p. 63. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 207 elveziane e poscia, in stratificazione discordante, le marne dure scagliose con strati sabbiosi, ecc. del langhiano; finchè, poco al di là della C. Masino, compare (in discordanza cogli strati lan- ghiani) la serie caratteristica degli strati Tongriani costituita dall'alto al basso: Potenti strati di conglomerato ad elementi molto svariati, fortemente cementati di calcare albarese, arenaria, ofioliti e roccie cristalline alpine; Straterelli di mollasse e sabbie grigio-giallastre alternanti con argille a N. Fichteli, N. Boucheri (1); Marne grigie, a frattura concoide, ad A. Aturî, N. decipiens, ‘ D. intermedia, L. miocenica, P. sub-simplex, P. sub-pleuronectes, C. echinophora, X. Borsonii, ecc.; Puddinga grigia, ofiolitica a RA. Bucchi, Eh. complanata, T. caput-serpentis, filliti, ecc.; Arenaria verdognola, micacea, granitica, passante gradata- mente ai caratteristici strati calcarei, ai quali è sovrapposta, a P. arcuatus, O. hastalis, ecc.; Strati calcarei a C. megalodon, O. sulcatus, O. isocelica, L. ondulata, P. Haverii, P. burdigalensis, P.'spinolosus, N. Fichteli, N. Boucheri, O. papyracea, L. suganum, L. Rothpletzi, ecc. Il calcare ordinario delle cave di Gassino è grossolano com- patto, talora indistintamente cristallino, aspro al tatto, di co- lore bianco o grigio, con passaggi graduali da questo a quello. Il suo peso specifico, nelle varietà di media compattezza, è 2, (5. È molto tenace, con durezza superiore a quella dei calcari cristallini. Ha frattura concoide, disuguale; cogli acidi fa viva ef- fervescenza, lasciando abbondante residuo. Al microscopio si pre- senta come un impasto di lthothamnium, foraminiferi, briozoi, ec. Le varietà grigie passano talora ad un vero calcare brecciato. L'esame chimico di un esemplare della cava superiore diede i seguenti resultati: Carbonatogditealeo See 96,021 3 FIAS MESION MN O. HU SE Silicege A oo ere e. 1, 60 OSIO Ge t0 A SI 0, 30 100, 00 (1) Le raccolsi nelle mollasse che sottostanno ai conglomerati nel punto in cui la strada taglia i conglomerati di Costa Battaina. 208 G. TRABUCCO Gli strati della serie Tongriana (ora descritta), in perfetta concordanza, pendono in media di 40°; ma appaiono qua e là disordinati e sconvolti, con potenza differente e spostamenti e dislocamenti di strati tanto nei calcari, quanto nelle mollasse. Presso le cave del calcare gli sconvolgimenti sono assai mag- giori; ma, evidentemente, sono in parte prodotti da cause ar- tificiali e dall’ estrazione della roccia. La medesima disposizione ed alternanza di roccie e di strabi seguita lungo tutta la zona che costituisce l'importante giaci- mento marno-calcare di Gassino da C. Fei di sopra a O. Fei di sotto, C. Giannone, C. Aprile, C. Palazzo, C. Mela, C. Canta, ecc. Dopo C. Canta, discendendo nella valle del R. Maggiore, l'alluvione ricopre completamente gli strati. Oltrepassata la valle (seguendo la medesima direzione) si incontra nel versante opposto (comune di Bussolino) una pic- cola valletta incisa da un affluente del R. Maggiore, che inco- mincia presso C. Tetti Ballo e sale in alto verso C. Cavigione. In questa valletta, dall'alto al basso, si osserva la seguente serie: Marne sabbiose grigiastre, che talora divengono rossiccie nella parte inferiore ad N. complanata, N. lucasana, N. perfo- rata, N. Tchihatcheffi, O. stella, O. stellata, O. papyracea, S. spi- rulaca, ecc.; Marne compatte a grandi foraminiferi, sovrastanti imme- diatamente al calcare a S. spirulaea, ecc.; Brecciola nummulitica superiore ad RR. Marestiana, briozoi, ecc., passante ad un calcare ora compatto, coralligeno bianco sporco, ora brecciforme, grigiastro, a N. lucasana, N. variolaria, O. aspera, O. papyracea, L. torulosum, ecc. La roccia di Bussolino (C. Defilippi, C. Cavigione, ecc.) ri- sulta di un calcare grossolano compatto, aspro al tatto, di co- lore che va dal bianco sporco al grigio scuro. Incomincia, nella parte superiore, con una brecciola nummulitica che passa gra- datamente ad un calcare compatto coralligeno bianco-sporco o brecciato grigio-scuro. Il peso specifico, la durezza e la te- nacità sono di poco inferiori a quelli del calcare di Gassino; ha frattura ineguale, cogli acidi fa viva effervercenza, lasciando residuo più abbondante di quello. Contiene soventi lenti più o. meno grandi di argilla, nelle quali si raccolgono i più belli esem- plari di grandi nummuliti e piccoli cristalli di pirite. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 209 Al microscopio si presenta come un impasto di lthothamnium, foraminiferi, briozoi, ecc., mentre le varietà compatte coralli- gene sono in gran parte costituite da numerosi foraminiferi e briozoi appartenenti ai generi: globigerina, orbulina, biloculina, lagena, cellepora, membranipora, ecc. L'esame chimico di un esemplare di C. Cavigione diede i seguenti risultati: CarbonatoN dica cio ARR eee ie SARI 3; DIMILA SNESLORMN NE NO 2, 40 Silieefedearcil Re 3, 95 OSsIdORdUEfe TO MR SI 050 100, 00 Gli strati della serie descritta, più o meno potenti, com- pletamente raddrizzati si spingono, sempre in perfetta concor- danza, fino alla C. del Roc. Alcuni scavi fatti alla C. Cavigione misero allo scoperto una bellissima ed istruttiva sezione. Prima di lasciare l'argomento importa prendere nota di al- cuni fatti. I. Mancano nella serie di Bussolino gli strati puddingo- arenacei che sono costantemente sovrapposti al calcare nel ti- pico giacimento di Gassino, mentre in quest’ ultima località non si osserva mai il passaggio dal colore grigio al rossiccio nelle marne. II. Se i calcari di Bussolino e di Gassino presentano una certa rassomiglianza nei caratteri esterni (4), mostrano poi no- tevoli differenze ad un attento esame. Prescindendo dai fossili differenti, quelli di Bussolino tendono maggiormente al bigio ed al brecciato, hanno peso specifico, durezza e tenacità infe- riori, contengono soventi lenti di argille e cristalli di pirite, lasciano più abbondante residuo di silice e di argilla. IIT. Giacimenti calcarei vicinissimi come quelli di Busso- lino e Gassino risultano costituiti in gran parte di lithothamnium appartenenti a specie ed età differenti, mentre il L. suganum (caratteristico del miocene inferiore) comunissimo a Gassino, lo è pure nei coevi, ma lontanissimi giacimenti calcarei Ton- (!) La ragione è ovvia: quantunque appartenenti a differenti età ebbero identica origine, 210 G. TRABUCCO griani della parte settentrionale del bacino di Cremolino, Mor- bello, Ponzone, Spigno, ecc. Un ultima osservazione: il giacimento Tongriano di Gassino deve ritenersi come eccezionale nel bacino piemontese o non è invece che una semplice ripetizione di altri consimili giaci- menti, identici per età, fossili, disposizione degli strati e li- tologia? Passiamo rapidamente in esame alcuni giacimenti notoria- mente Tongriani della parte settentrionale del bacino. Nella classica regione, che va dalla M. di Bruciate al Bric Roccone (Cremolino), si osserva la ripetizione perfetta, in pic- cola scala, di quanto abbiamo visto a Gassino. Poco al di là della M. di Bruciate allo spuntone ofiolitico si addossano strati calcarei, di potenza differente, a L. suga- num, N. Fichteli, N. Boucheri, O. papyracea, ecc.; sopra questi, discendendo verso il Bric Roccone, giacciono puddinghe gri- giastre ofiolitiche passanti ad arenarie verdognole a Terebra- tule, P. arcuatus, N. Boucheri, 0. papyracea, ecc.; poi marne grigiastre a frattura concoide con noduli di L. suganum; final- mente mollasse e sabbie grigio-giallastre e conglomerati ad ele- menti svariati, fortemente cementati. Nelle mollasse abbondano i fossili; tra questi: O. cyatula, S. cisalpinus, N. intermedia, N. Boucheri, O. papyracea, ecc. Gli strati di questa serie, perfettamente concordanti, si 0s- servano percorrendo meno di due chilometri e furono ascritti da Pareto al Bormidiano, da Maver al Tongriano medio e supe- riore, da Sacco al Tongriano e Stampiano. Altri straterelli calcarei, cogli identici fossili, ricoprono quà e là il noto spuntone ofiolitico (diabase) che va da Cremolino a Prasco; si osservano presso la C. Pola, C. Matelotti, sul Bric Marzapiede, in uno scavo importante lungo la strada che da Cremolino tende ad Acqui (poco prima della stazione Cremolino- Prasco), dove si osservano le ofioliti, ricoperte da uno strate- rello calcareo identico, passare sotto al pilastro della serie Langhiana. Verosimilmente questi straterelli calcarei, che ancora qua e là ricoprono le ofioliti, sono l’ultimo avanzo della serie Ton- griana che ricopriva intieramente lo spuntone. Altri giacimenti consimili si osservano a Morbello (Costa), SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 9211 Ponzone (regione Ciapin e Pian del Lago), Spigno (regione Roc- chetta), Bubbio (regione Cavazzina), ecc. Lo studio serio ed accurato del bacino piemontese farà cer- tamente crescere il numero di questi giacimenti. B) Posizione rispettiva dei piani Bartoniano e Liguriano (Maver). C) Posizione della serie ofiolitica recente. Nel 1857 C. Mayer (*) propose il nome di piano Liguriano per tutti i terreni della Liguria compresi fra il piano nummu- litico Nizzardo ed il Bormidiano o Tongriano sovrastante. Le serpentine comparivano in mezzo ad esse, come pure (secondo lui) in mezzo ad altri terreni successivi, per eruzioni posteriori. In tutta quella serie di terreni non era fatta alcun altra distinzione, nemmeno quella delle arenarie (macigno), le quali stanno completamente distinte ed inferiori nella serie. Nel 1865 Pareto (?), nel proporre le divisioni dei terreni dell'Appennino settentrionale, dopo avere fatto un piano Ni- ceano per i calcari nummulitici (eocene medio) del Nizzardo, indicava col nome di Liguriano quelle roccie, le quali erano state precedentemente (1857) allogate dal Mayer in questo piano, ag- giungendo un nuovo piano Modenese, intermedio tra il liguriano ed il bormidiano, per calcari, galestri e zona serpentinosa. Le proposte del Pareto per il piano modenese non .ebbero seguito ed il Liguriano auctorum rimase costituito dalle accen- nate roccie, meno l’arenaria (macigno) ritenuta, pei caratteri paleontologici e stratigrafici, Parisiana. Contemporaneamente il Mayer (Op. cit. 1857) fondava, sulle argille di Barton, il suo piano Bartoniano, intermedio tra i piani liguriano e parigino dello stesso autore. Sacco, dopo avere constatato il passaggio tra il Liguriano ed il Tongriano nella valle della Scrivia (*), in alcune succes- (4) Mayer CH. — Versuch einer neuen Klassification des tertiaer Gebilde Eu- ropas. Verh. d. Schwiz-naturforsch. Gesellch. Zurich, 1857. (?) Pareto L. — Note sur les subdiv. que l'on pourrait dtablir dans les terr. tert. d. l'Apennin Septentr. Bull. soc. Géol. de France, T. XXII, 1865. (8) Sacco F. — Il passaggio tra il Liguriano ed il Tongriano nella valle deila Scrivia. Boll. della soc. Geol. Ital., Vol. IV, 1887. Sc. Nat. Vol. XIII. 14 912 G. TRABUCCO sive note, riassunte in quella che ha per titolo: L’ age des for- mations ophiolitiques récentes, giungeva alle conclusioni riportate ai N. 1, 2, 3, 4, 5, p. 5 della presente nota. Accennato che quelle conclusioni del geologo di Torino fu- rono già dimostrate erronee da me (') e da altri valenti stu- diosi (?), ritorno sommariamente sull'argomento, dovendo ri- prenderlo fra breve a proposito di uno studio sopra alcuni gia- ‘ cimenti nummulitici dell'Appennino. Premetto che le ipotesi azzardate, le quali andrò discutendo, si fondano sopra osserva- zioni e generalità, in parte erronee, in parte inconcludenti. Vediamolo, esaminando le prove addotte nelle precitate note (3). 1. La formazione detta F7ysch è costituita, è vero, di un complesso di cose diverse (4); ma gli autori recenti, molto prima di Sacco, avevano distinto il Flysch ritenuto eocenico superiore da altri Flysch ritenuti eocenici inferiori e cretacei. In quello (corrispondente al Liguriano Mayer) non sono affatto contenuti terreni infracretacei, cretacei e suessoniani, bensì si è distinto il macigno che sta sotto (parisiano) dall’albarese, arenarie, ar- gille scagliose, galestri, ofioliti, ecc. che si alternano nel Ligu- riano MAvER. 2. Le formazioni ofiolitiche del Flysch Liguriano, distinte bensì dalle antichissime dagli autori, non si trovano punto nella parte inferiore della formazione distinta dal Sacco nelle sue con- clusioni, ma nella parte superiore; non però nel Cenomeniano, dove non furono mai trovate formazioni ofiolitiche, ma nel- l’eocene superiore. 3. È vero che Marrr (*) confonde nel suo Bartoniano (di cui riparlerò più innanzi) terreni che per concordi osservazioni (1) Tragucco G. — Cronologia dei terr. della Prov. di Piacenza. Piacenza 1890, p. 13. — Sulla vera posizione del calcare di Acqui. Firenze 1891. (?) PanrANELLI D. — Paessaggio pliocenico. Estr. dagli Atti della soc. dei Natu- ralisti di Modena, Ser. III, Vol. XI, p. 20. i Bozano e SquinaBoL. — A proposito di una recente interpetrazione dei ter- reni eocenici della Liguria. Atti della soc. Ligustica di scienz. Natur. e Geograf., Anno III, I, p. 28. () Sacco F. — L'age des formations ophiolitiques récentes. Ex. du Bull. de la soc. Belge de Géol., de Paléont., ecc., T. V, 1891. — Le Ligurien. Ex. du Bull. de la soc. Géol. da France, Sér. 3.8, T. XVII, 1888. (4) Maver-EymaR Ca. — Tableau des terr. de sediment, 1889, p. 15. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 913 di autorevoli studiosi (4) devono far parte dell’eocene superiore (Priabona, Marne a PR. spirulaea di Biarritz, S. Quen) con al- tri, i quali devono essere allogati nell’ eocene medio (Sables de Beauchamps, Calcaire grossier supérieur, la Mortola, Grès de Thune) — che anzi arriva persino a collocare nel sottopiano Anverson (e quindi sotto) Priabona e nel Mortolin (e quindi sopra) la Mortola, mentre è noto che la cosa avviene precisa- mente al rovescio; ma questo, che può interessare Mayrr e gli autori che seguono le pericolose e spesso errate classificazioni dall’eminente studioso, non può autorizzare Sacco ad inferirne la sovrapposizione del Bartoniano Mayer al Liguriano dello stesso autore, mentre è stabilito da concordi osservazioni di valenti studiosi che i terreni tutti inglobati in quel piano soggiaciono al Liguriano della Liguria. 4. Mayer ha stabilito il suo piano Liguriano non sul Flysch in genere, col quale non può essere confuso; ma sul Flysch della Liguria, comprendente le roccie che, come abbiamo prima accennato, stanno tra il nummulitico Nizzardo ed il Tongriano, compresa l’arenaria macigno (parisiana), separata più tardi dagli autori. Sulla posizione vera di queste roccie si deve quindi discu- tere; il rimanente si risolve in divagazioni inutili. 5. Nessuno ignorava, prima di Sacco, che le argille di Barton stanno quasi alla sommità dell’eocene; ma questo evi- dentemente non giova alla sua tesi, poichè non si tratta di sta- bilire genericamente il posto occupato dalle dette argille nel- l’eocene, ma sibbene di individualizzare la loro posizione nel- l’eocene superiore. (') FonrannEs M. — Note sur le terrain nummulitique de la Mortola, prés de Menton. Bull. de la soc. Géol. de France, 3 sér., t. V, 1887. Suess E. — Sur la structure des depòts tertiaires du Vicentin. Atti soc. Ital. di Scienze Naturali, Milano 1869. HéBERT et MumiéR-CHALMAS. — Terrains tert. du Vicentin. Compt-rendus des séanc. de l'Académ. d. Sciences, T. LXXXV, 1877. Hesert M. — Recherches sur les terr. tert. de l’ Europe mérid. — Compt- rendus de l’Acc. de France, T. LXXXV. 1877. Bavan.M. T.— Sur les terr. de la Vénetie. Bull. soc. Géol. de France 1870. TARAMELLI T. — (Geol. delle prov. Venete. Atti della Ace. dei Lincei 1882, Vol. XIII, serie III. — Dei terr. terz. presso il Capo della Mortola in Liguria. Rend, del R. Istituto Lombardo, serie II, Vol. XX, fase. XIX. IsseL A. — La Liguria Geol. e Preistorica. Vol. I, Genova 1892, 914 - G. TRABUCCO Ora se Presrwic® (*) colloca, senza altra indicazione, le ar- gille di Barton nell’eocene superiore, Starkie-GARDNER, KePINe e Moxcxrow (nel loro importante studio posteriore, in cui prendono in esame la precedente nota di Prestwica) le attribuiscono (?) alla parte inferiore dell’eocene superiore e quindi sotto al ca- ratteristico Liguriano della Liguria; posto che era stato loro precedentemente assegnato da altri studiosi. La ricca serie dei fossili di Barron, enumerati (3) dai signori Srarkie-GarDNER, KE- Ping e Moncxron, paragonata con quelle del bacino di Parigi, dell’ Ungheria, del Vicentino, ecc. conferma pienamente le con- clusioni emesse da questi eminenti studiosi. 6. Il preteso passaggio del Tongriano al Bartoniano nel tipico giacimento di Gassino, che costituiva il cavallo di bat- taglia di Sacco, si risolve (come abbiamo provato) in una de- plorevole confusione di fossili di due giacimenti vicini, ma ap- partenenti ad età differenti. 7. Le marne di S. Genesio (presso Chivasso) e di Bargone non sono Bartoniane, ma Tongriane, come aveva, quasi qua- rant’anni prima, giustamente osservato Pareto(*). Cadono quindi le conseguenti deduzioni ed è pure utile osservare in proposito che non sì può fare della cronologia seria fondandosi (°) sopra i tre generi: Orbitoides, Nummulites, Lithothammium. Il genere Lithothamnium vivente arriva, per quanto se ne sa, al giura; le orbitoidi e le nummuliti, abbondanti almeno, salgono fino al Tongriano. 8. Le osservazioni del Foxrannes sopra la stratigrafia dei terreni costituenti il vallone di Ciotti (5), erroneamente ripor- tate (‘), assumono un significato contrario alla dicitura origi- nale. Oltre ad altre notevoli differenze, Fonrannes (Op. cit. p. 3) alla lettera e, non solo non scrive: “ Alternanze di marne e (!) Prestwica I. — Further Observ. of the Correlation Eocen strata in En- gland, ecc. Quart. Journ., Vol. XLIV, P.I, p. 89. (2) StARKIE-GARDNER, KePING e MoncKtTon. — The Upper Eocene, comprising the Barton and Upper Bagshot Formations. Quart. Journ., Vol. XLIV, P. III, p. 589. () StarKIE-GARDNER, KePING e Monckton. — Op. cit., p. 323. (4 Pareto L. — Note sur le terr. numm. du pied des Apennins. Bull. soc. Géol. de France, T. XII, 1885. (3) Sacco F. — Le Ligurien ece., p. 216. (6) Fonrannes M. — Note sur le Numm. de la Mortola vrès de Menton. Ex. du Bull. de la soc. Géol. de France, 3.8 Sér., T. V. (?) Sacco F. — Op. cit., p. 223. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 215 grìs a Fucoidi , (*), ma soggiunge (p. 4) che il valente paleofi- tologo Saporta aveva giudicate affatto insufficienti le impronte vegetali delle assise 4-f per stabilire la presenza del Flysch nello stesso vallone. È quasi inutile aggiungere che le osservazioni del FoxraxnEs sul Capo della Mortola concordano perfettamente con quelle successive del Tarawetti (?), recentissime di Baron (3) e molto anteriori di Pareto (4). 9. Gli argilloscisti e le argille scagliose di Bobbio non passano nettamente sotto le zone nummulitiche del Parigino, ma giaciono sopra il macigno ed in massima parte sopra cal- cari nummulitici di un piano molto più recente (Priabona). 10. La formazione arenacea (macigno), che nella Liguria centrale ed orientale si appoggia ai calcari ad Aptycus, non sta sotto, ma sopra, non solo alle formazioni cretacee, ma anche ai calcari nummulitici. 11. Perchè citare i resti di Nemertilites, Paleodictyon, Halymenites, Caulerpa, ecc. se non hanno grande importanza stratigrafica, perchè si incontrano in orizzonti diversi? Così pure non giova alla tesi avversa il fatto del passaggio del genere Chondrites dall’alberese al cretaceo; è la ripetizione di un fenomeno paleontologico comunissimo. 12. Il Gleichenophycus granulosus Mass. non è generalmente considerato cretaceo, ma eocenico. Basterebbero a {provarlo le località citate a sproposito da Sacco, la maggior parte indub- biamente eoceriche: Mosciano, Pennabili, Granaglione, ecc. Quanto ai calcari compatti chiari, alternanti con argille gale- strine a G. granulosus Mass., ecc. dell’ Appennino di Forlì, se furono, molto tempo addietro, ritenuti cretacei dallo ScAr4BELLI, furono pure ritenuti eocerici da altri studiosi posteriori ed an- che dal De Streraxi (?). 13. Perchè “ certainement non pas tertiaire le charbon (1) Sacco F. — Op. cit., p. 221. (?) TAramELLI T. — Dei terr. terz. presso il Capo della Mortola in Liguria. Estr. dai Rend, del R, Istituto Lomb., Ser. II, Vol. XX, fasc. XIX. (8) Baroy G. — Compt-rend. des Séances d. la Soc. Géol. d. France. Séance d. 6. Mars 1893, N.° 5, p. XXX. (4) ParETO L. — Descriz. di Genova e del Genovesato. Genova 1846, p. 70. (®) De STEFANI C. — Relaz. delle escurs. fatte tra Rimini e S. Marino. Estr. Boll. soc. Geol. Ital., Vol. VII, fasc. 3., p. 1. 216 G. TRABUCCO fossile a facies tre-ancien , di Monteregio presso Pontremoli? Che cosa dire allora di quello di M. Bamboli® 14. L'I campylodon e gli avanzi di Cicadee (di cui nelle interessantissime note di CapeLLINI (*)) servono solo a confer- mare il fatto importante (già intravisto anche da me (?)) che vi sono argille scagliose cretacee, da non confondersi però con quelle che si intercalano nella serie liguriana. 15. “ I radiolarii ne peuvent point fournir des données, ecc.,; perchè citarli adunque? E poi affermazione gratuita, scon- fessata dai fatti acquisiti alla scienza, che essi abbondino spe- cialmente nel cretaceo. Così pure è tutt'altro che giustissima l’ipotesi che i radio- larii descritti da PanrAnELLI (5) siano piuttosto cretace? che eoce- nici. Ve ne sono semplicemente, tra questi, dei /zassici, dei cre- tacei e degli eocenici. 16. Nessuna seria conclusione può dedursi dai resti (spe- cificamente indeterminati) di Hemipneustes, “ genre spécialement abondant dans le crétacé ,, . “Il lembo cretaceo di Montese, scrive Pantanenti (4), è in- dipendente dalle argille scagliose e scende sotto i macigni del- l’eocene inferiore, ecc.; gli unici fossili di questo lembo sono gli inocerami ed il dente di Otycodus ,. 17. La Eh. vespertilio, gli inocerami, le ippuriti, le ammoniti, lO. Mantelli, il P. polygyrus (9) raccolti in diversi punti dell’Ap- pennino, che cosa possono significare? Questo solo, che ognuno sapeva e sa, che essi provengono dai lembi cretaceî, i quali af- fiorano qua e là (9). (1) CapELLINI G. — Jctyosaurus campylodon e tronchi di Cicadee nelle Argille scagliose dell’ Emilia. Mem. d. R. Acc. d. scienze di Bologna, Ser. IV, T. X, 1890. CapeLLINI e SoLms-LauBACH. — I tronchi di Bennettitee dei Musei Italiani. Mem. d. R. Acc. scienze di Bologna, Ser. V, T. II, 1892. (2) Trasucco G. — Cronologia dei terr. della Prov. di Piacenza. Piacenza 189), p. 27. (3) PANTANELLI D. I Diaspriî della Toscana ed i loro fossili. Mem. d. R. Acc. dei Lincei, Ser. 3.2, Vol. VIII, 1880. (4) PataNELLI D. — Bo2. soc. Geol. Ital. Vol..I1V, p. 232. — Estratto Atti della soc. Natur. di Modena, Ser. IIl, Vol. XI, p. 20. (?) Ammesso che tutti siano esattamente determinati. (6) De STEFANI U. — Nuovi fossili cretacei dell'Appennino settentr. Rend. R. Acc, dei Lincei, Vol. 1, Ser. 5.2, 1892. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 217 18. La serie liguriana sta sempre sopra al Niceano (Pa- rero) ed alle arenarie e calcari ad N. biaritzensis, N. Lamarki, N. scabra, A. exponens, A. granulosa, ecc. 19. Nell’Appennino Ligure, di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna la zona ofiolitica recente (che si intercala colle altre roccie della serie Ziguriana) è costantemente sovrapposta al macigno ed ai calcari nummulitici (paristano). Lo provano, indiscutibilmente, i lavori, accompagnati quasi sempre da carte e sezioni dimostrative, di Parero, CapeLLINI, TarameLti, Isser, DE STEFANI, PantanELLI, TRABUCCO, SQuINABAL, RouvERETO, ecc. 20. Le serpentine di Castelnuovo della Garfagnana, stu- diate dal De Srerani (!), stanno sopra agli scisti e calcari alba- resi, che alla loro volta giaciono sul macigno e sul calcare num- . mulitico. 21. Nelle Alpi Apuane la posizione delle serpentine, sopra il macigno addossato ai calcari nummulitici, è indubbiamente stabilita dalle sezioni tav. II, fig. 1, 3, 4, 5,7 della nota del De STEFANI (*), confermate dalle osservazioni e sezioni dimostrative di un altro valente stratigrafo (5). 22. Le serpentine di Monteferrato e dell’Impruneta non si trovano toujours parmi les schistes argilleua et arènacés, qui ont été attribués jusq à ce jour à V Hocène, quoique étroitement liés aux formations arénacées voisines (Macigno, Pietraforte, ecc.) qui, pour leurs fossiles caracteristiques, sont considérées, depuis plusieurs années, comme absolument crétacées.. Al contrario la massa ofiolitica di Monteferrato si trova intercalata fra gli strati eocenici sovrapposti al macigno ed ai calcari nummulitici, come appare dalla sezione tav. VIII della nota del Capaccr (4), mentre le ofioliti dell’ Impruneta giaciono sopra calcari albaresi a Chondrites intricatus, C. furcatus con nummuliti alla base. Così pure la posizione delle serpentine di Siena, dei Monti (4) De STEFANI C. — Le Roccie serpent. della Garfagnana. Boll. Com. Geol. d’Ital., Vol. VIII, 1876, p. 23. (2) De STEFANI C. Le pieghe delle Alpi Apuane. Firenze 1889. (3) Lorti B. — La doppia piega d’Arni e la sezione trasversale delle Alpi Apuane. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1881, p. 419. (4) Capacci C. — La formazione ofiolitica di Monteferrato presso Prato di To- scana. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1881, p, 294. 218 G. TRACUCCO Livornesi, ecc. nella serie Ziguriana è stabilita da accurati la- vori del Lori (*) e di altri studiosi (2). . 25. Le citazioni non precise, inconcludenti intorno alle formazioni ofiolitiche della Svizzera, Baviera, Pirenei, Porto- gallo, Caucaso, Algeria, America, ecc. sono una divagazione inutile. Ma, senza indugiarmi altro sulle osservazioni e citazioni di Sacco, è ormai tempo di tagliar corto alle ipotesi emesse da questo studioso con una prova ineccepibile, e cioè che la serie liguriana (albarese, arenaria, argille scagliose e galestrine, dia- spri, ofioliti, ecc.) è sempre, nell'Appennino settentrionale, so- vrapposta al macigno ed ai calcari nummulitici. Questa prova è fornita dalle osservazioni concordi di PA- ReTo (5), Coquanp (4), Murcaison (?), Savi e MenecHIni (9), Coc- cui (7), Owgoni (8), Heserr (°), Caretti (19), Taramenzi (55), (!) Lotti B. — Una sezione geologica attraverso il M. Murlo presso Siena. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1878, p. 29. — Granîto ed iperstenite nella formaz. serpentinosa dei Monti Livornesi. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1885. — Descrizione geologica del- l'isola d'Elba. Mem. descrit. Com. Geol., II, 1886. Li) DE STEFANI C. — Le pieghe dell’Appennino fra GOITO e Firenze. Cosmos, . II, Voll XI, 1892. o Pareto L. — Descrizione di Genova e del Genovesato. Genova 1846. — Note sur le terrain numnubtique du pied des Apennins. Bull. soc. Geol. de France, Sér. II, T. XII -- Coupes à travers l’Apennin, ecc. Bull. soc. Géol. France, Ser. II, T. XIX. 4 (4) Coquanp H. — Sur les terr. tert. de la Toscane. Bull. soc. Géol. de France, Sér. Il, T. I. — Sur les terr. stratifiés de la Toscane. Bull. soc. Géol. de France, Sér. II, T. Il. (5) MurcHison R. — On the geological structure of the Alps, Appennins and Carpaties. Quart. Journ. of the Geol. Soc. N.° 19, London 1849. (6) Savi e MenEGHINI. — Consideraz. sulla Geol. stratigrafica della Toscana. Firenze 1850. (?) Coccni I. — Descript. d. roches ignées et sedimentaires de la Toscana dans leur succession géologique. Bull. soc. Géol. de France, Sér. II, T. XIII, 1856. — Sulla geol. dell’ Italia centrale. Firenze 1864. (8) Omponi G. — Geologia d’ Italia. Milano 1869. (°) Hieert E. — Sur le terr. numm. de l’ Italie Septentr. Bull. soc. Géol. de France, Sér lI, T. XXIII. —- Observ. sur les terr. tert. du Piemont. Bull. soc. Geol. de France, Sér III, Vol. V. (19) CapeLLInIi G. — Sulle roccie serpentinose del Bolognese ece., Rend. d. Acc. d. Scienz. Bologna 1872-73. — Carte géol. des environs de Bologne. Bologna 1871. — Il cretaceo sup. ed il gruppo di Priabona. Mem. dell’Acc. scienz. di Bologna, Ser. IVABIGAVA (11) TarameLLi T. — Sulla formaz. serpentinosa dell’App. Pavese. Mem. d, R. Acc. dei Lincei, Ser. 3.8, Vol. II, 1878. — Della posìz. stratigrafica delle roccie ofio- SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 219 Fucas (4), Maver (2), Isser (3), Scaragetti (4), De Srerani (0), Panraneti (6), Lorri (7), Zaccagna (8), Capace (°), Detpra- litiche dell’ App. Trasunti R. Acc. dei Lincei, Roma 1884. — Osservazioni fatte sul- l’App. di Piacenza. Boll. soc. Geol. Ital., 1882. — Sopra due giacimenti nummutlitici dell’App. Pavese. Rend. Ist. Lomb., Ser. 2.8, Vol. XV, 1882. — Concribuzione alla Geol. dell’App. di Piacenza. Atti R. Ist. Lomb., Ser. 2.2, Vol. XVII, 1884. — Carta geol. della Lombardia. Milano 1890. (!) Fucas T. — Studien ueber die Gliederung der jungeren Tertàrbildungen Ober-Italiens, gesammelt auf einer Reise im Frulihnge 1877. Sitzb. d. K. Akad. d. d. Wissensch. zu Wien. I Abth. Mai Heft, Jahrg. 1878. (2) Mayer C. — Studi geol. sulla Liguria Centrale. Boll. R. Com. Geol. d' Ita- lia, 1877. — Sur la Carte geol. de la Ligurie centrale. Bull. soc. Géol. de France, Sér. III, T. V. - Boll. soc, Geol. Ital., Vol. IX, 1890, p. 750. (*) IsseL e MazzuoLi L. — elas. sugli studi fatti per un rilievo delle masse ofiolitiche della riviera di Levante. Boll. R. Com. Geol d'Italia, 1881. IsseL A. — Note sulla zona di coincidenza delle formaz. ofiolitiche eoceniche e triassiche della Liguria Occident. Boll. R. Com. Geol. d’Italia, 1884. — La Li- guria ed i suoi abitanti nei tempi primordiali. Genova 1885. — Discorso sulla geol. della Liguria. Boll. soc. Geol. d’Italia, 1887. — Comunicazioni fatte al Congresso geol. di Savona. Boll. soc. Geol Ital., Vol. VI, fase 3, 1887. — La Nuova carta geol. delle Riviere Liguri e delle Alpi marittime. Boll. soc. Geol d'Italia, Vol, VI, 1887. IsseL, MazzuoLi e ZaccaGNA. — Carta geol. delle Riviere Liguri e delle Alpi Marittime. Genova 1887. IsseL e SquinaBoL. — Carta geologica della Liguria. Genova 1890. (4) ScaraBELLI GoBBi-FLAMMINI. — Descriz. della Carta geol. nel versante settentr. dell’ Appennino. Forlì 1880. (5) De SteFANI C. — Sulle serpentine italiane. Atti del R. Istituto Veneto. Ve- nezia 1884. — Le rocce Serpentinose della Garfagnana. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1876. — Sulle Serpentine e graniti eocenici superiori della Garfagnana. Boll. Com. geol., 1878. — L’Appennino settentrionale fra il colle dell’ Altare e la Polcevera. Boll. soc. Geol. Ital., Vol. VI, 1887. — Le roccie eruttive dell’ eocene sup. dell’ Ap- pennino. Boll. soc. Geol. Ital, Vol. VIII, 1889. — Le pieghe delle Alpi Apuane. Atti del R. Istituto di studi sup.,, Firenze 1889. — Le pieghe dell'Appennino fra Genova e Firenze. Cosmos, Ser. II, vol. X1, 1892. (5) PANTANELLI D. — I diaspri della Toscana ed i loro fossili. Mem. d. R. Ace. dei Lincei, Vol. 1880 — Su taluni giacimenti serpentinosi dell'Appennino Modenese e Reggiano. Atti della soc. dei Natur. di Modena, Ser. III, Vol. I. 1883. — Note geol. sull'Appennino Modenese e Reggiano. Rend. R. Ist. Lomb., Ser. II, Vol. XVI. — Tufi serpentinosi cocenici dell’ Emilia. Boll. Com. Geol. d’Italia, N.° 5-6, 1889. (?) Loti B. — Contribuz. allo studio delle serpentine Italiane e della loro origine. Boll Com. Geol. d'Italia, 1883. — Za doppia piega di Arni e la sezione trasversale delle Alpi Apuane Boll. Com. Geol. d’Italia, 1881. — Descriz. geol. del- l'isola d’ Elba. Mem descritt. Com. Geol., Il, 1886. — 12 nummulitico nella parte media dell’isola d' Elba e suoi rapporti colle roccie feldispatiche ed ofiolitiche. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1882. (8) Zaccagna D. — I terreni della Val di Nievole fra Monsummano e Monte- catini. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1882, p. 251, (9) Capacci C. — La formaz. ofiolitica di Monteferrato presso Prato di Toscana. Boll. Com Geol. d'Italla, 1881, p. 294. 220 G. TRABUCCO to (4, Trasucco (2), Soumasor (3), Roverero (4), e da altri Che cosa si opponga a questo accordo, davvero consolante, dei più valenti studiosi italiani e forestieri che si occuparono dell'argomento da quasi mezzo secolo, lo abbiamo visto: osser- vazioni e citazioni erronee (°), generalità inutili, deduzioni il- logiche od assurde. Ora, se la serie liguriana riposa costantemente sopra il ma- cigno, addossato ai calcari nummulitici, è incontestabilmente eocemica. Ed ancora, se la stessa serie (dove potè essere osservato) passa sopra ai calcari nummulitici recenti a N. biaritzensis, N. Tchihatcheffi (9) o sopra a roccie calcareo-marnose a CI. Szaboi, Orbitoidi, piccole nummuliti striate (*) (strati di Priabona), (1) DeLPRATO A. — La Geologia dell’ Appennino Parmense. Rend. Istit. Lom- bardo, Ser. II, Vol. XV, 1882. (®) Trasucco G. — Cronologia dei terr. della Provincia di Piacenza, Piacenza 1890. — Collez. delle roccie della Prov. di Piacenza. Piacenza 1890. — Carta geo- logica della Prov. di Piacenza. Firenze 1891. — Sulla vera posizione dei terreni terziari del Piemonte. Nota preliminare. Processi verbali della soc. Tosc. di scienze Natur. Adunanza 5 febbraio 1893. (8) SeurmaBoL e Bozano. — A proposito di una recente interpretazione dei terr. eocenici della Liguria. Atti della soc. Ligust. dì scienze Natur, Anno Ill, Vol. L (4) Rovereto G. — Sezione geol. da Genova a Piacenza. Atti della soc. Ligust. di scienze Natur., Anno III, Vol. I. (3) Per quanto il giudizio, che lo stesso autore fa della sua nota (Sacco F. L’Ap- pennino Settent., Parte Centrale, Boll. soc. Geol. ltal., Vol. X, 1891) a pag. 955, renda doveroso il silenzio, non posso tralasciare queste brevi osservazioni sulla parte che tratta dell’area Piacentina: a) la cronologia del cretaceo e dell’eocene non trova appoggio nei caratteri paleont. e stratigraf. dei terreni sincronizzati; è artificiosa e risponde alie teorie di- scusse dello stesso studioso; b) i lembi elveziani di Vernasca e di Castione sono piccoli affioramenti, che sì dovettero, naturalmente, esagerare in una carta a grande scala. Non è però tanto difficile ritrovarli, mentre, nella Collezione delle roccie della Provincia del R. Isti- tuto Tecnico, esistono i corrispondenti esemplarì della roccia e dei fossili; c) non contesto le zone sabbioso-arenacee, talora sabbioso-conglomeratiche mes- siniane (*) di Vigoleno, senza indicazione, al solito, di un solo fossile; solo osservo trattarsi di un messiniano di nuovo genere, contenente una ricca serie di fossili ca- ratteristici pliocenici. (*) Sacco F. — Le zone terz. di Vernasca e Vigoleno. Torino 1892, p. 5. (6) TaraMELLI T. — Sopra due giacimenti nummulitici dell’ Appennino Pavese. Estr. Rend. del R. Ist. Lomb., 1877, p. 3. (7?) CapeLLINI G. — Il cretaceo superiore ed il gruppo di Priabona. Estr. dalle Mem. dell’Acc. delle scienze dell’Ist. di Bologna, Ser. IV, T. V, p. 17. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 221 appartiene indubbiamente alla parte superiore dell’eocene su- pertore. Ma, infine, se questa serie giace nella parte superiore del- l’eocene superiore ed è sovrapposta agli strati corrispondenti a Priabona, sta sopra e non sotto alle argille di Barton, collocate nella parte inferiore dell’eocene superiore (1) ed al Bartoniano (Maver), del quale gli strati di Priabona (quantunque eviden- temente allogati fuori di posto dal Mayer) debbono costituire la parte superiore. CRONOLOGIA DEI TERRENI EOCENICI A questo punto la cronologia dell’eocene italiano e del ba- cino in esame non mi sembra di difficile soluzione. Allo stato attuale della scienza esso, a mio avviso, non può essere diviso che in tre piani: Serie liguriana a C%. intricatus, C. furcatus, C. Targioni, \ Helminthoida. | Strati ad NM. biarritzensis, N. Tehihatcheffi, CI. Szaboi, O. pa- pyracea, ecc. (serie di Priabona). oa Arenaria (macigno). Superiore Eocene Strati ad R. Marestiana, N. perforata, N. lucasana, N. va- riolaria, N. contorta, A. exponens. O. stellata, O. aspera, O. multiplicata, Lith. nummuliticum e torulosum, ecc. Calcari e scisti policromi a noduli di selce, arenarie, puddinghe e brecciole a Nemertilites, Chondrites, Gleichenophycos, Inferiore \ Zoophycos, ecc. SÌ Dici il primo liguriano o priaboniano o meglio ancora Paretiano (in onore del valente geologo), il secondo paristano, il terzo suessoniano. Più che il nome, importerà fissare bene i limiti di ciascun piano e la successione dei giacimenti tipici, che necessitano una revisione (?). MIOCENE. Inferiore. — Molti studiosi si occuparono più o meno diret- tamente della stratigratia del miocene inferiore del bacino pie- (4) SrarKIE-GARDNER, KePING e MonKTON. — Op. cit, p. 589. (*) Darò, in fine della Nota, un quadro cronologico riassuntivo dei terreni del bacino, paragonati ai coevi più importanti italiani e forestieri, 2992 G. TRABUCCO montese: Siswonpa A., Pareto, Maver, Heserr, Fucus, Isser, DE STEFANI, Sacco e Trapucco, mentre i fossili numerosi e peculiari furono illustrati da MricaeLorti, Berrarpi, E. Sismonpa, SEGUENZA, D'Ackiarpi, Mayer, Sacco, Squinapor, TeLuini, TRABUCCO, ecc. Siswonpa (1) divide i terreni di cui sono costituite le colline subalpine in terziari medii e superiori. Parero (*) manifestò il dubbio che i terreni (costituiti in gran parte di conglomerati, mollasse e marne con conchiglie palustri e letti di lignite), i quali formano una zona quasi continua che occupa il primo gradino, discendendo dalle montagne della ca- tena centrale che contorna i bacini del Tanaro, della Bormida e della Scrivia, chiamati dapprima nummulitici, fossero più re- centi. Aggiunge che si erano depositati dopo un forte sposta- mento dei terreni cocerici sui quali riposano e ritenne si ‘do- vessero attribuire al miocene inferiore, facendone poi un piano Bormidiano dal nome del fiume nel bacino del quale questa parte della formazione è molto sviluppata e nella quale sì ri- scontrano a Carcare, Dego, Sassello, Cassinelle, ecc. il più grande numero di fossili. Mayer (3) divide il miocene inferiore in due piani: tongriano, costituito di puddinghe e sabbie serpentinose, marne scistose e tenere verdi-grigie e roccie marno-calcari a grani verdi; Aqui- taniano a banchi arenacei grigi, alternanti con banchi marnosi O scistosi un po’ scuri. Heserr (4) e Fucas (5), richiamando le osservazioni di Pareto, fanno giustamente osservare che i fossili peculiari dell’Aquita- miano, invece di trovarsi sopra, come secondo il Mayer avreb- bero dovuto, si trovano in fondo ed in mezzo al Tongriano di questo ultimo autore. > (*) Sismonpa A. — Osserv. geol. sui terr. della formaz. terz. e cretacea in Pie- monte. Mem. della R. Ace Scienze di Torino, Ser. II, T. V, p. 467. (2) ParRETO L. — Note sur le terr. nummulitique du pied des Apennins. Bull. soc. Geol. de France, Sér. II, T. XII, 1855. — Note sur les subd. que l’on pourrrait établir, ecc. Bull. soc. Geol. de France, Sér. II, T. XXII, p. 219. (8) Mayer CH. — Studi geologici sulla Liguria Centrale. — Boll. Com. Geol. d’Italia, 1877, p. 407. (4) HiserT E. — Observations sur les terr. tertiaires du Piémont. Bull. soc. Géol. de France, Sér. III T. V, p. 305. ; (9) Fucas TH — Studien vber die Gliederung der jungeren Tertiderbildungen Ober-Ilaliens. Sitzungsb. d. K. Ak. d. Wiss., Wien, B. LXXVII, 1878. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 223 Isser (4) scrive: “ quanto all’ aquitaniano, che manca affatto nel- l’area dei due fogli della carta da me coloriti geologicamente, è assai difficile separarlo dal piano sottoposto tanto pel criterio delle roccie, come per quello dei fossili, e ben s’ intende come fossero considerati dal Pa- rETo come un solo complesso sotto la denominazione di dormidiano. L’ età di questa formazione è perfettamente stabilita: “ 1. dalla sovrapposizione al calcare eocenico della Liguria orien- tale e del calcare della val di Scrivia; “ 2. da che è sottoposto a sedimenti fossiliferi riconosciuti perti- nenti al miocene medio tra Arquata e Serravalle da C. Mayer; “3. dai fossili numerosissimi e ben conservati, per la massima parte proprii al miocene inferiore ed in parte minore eocenici ed anche peculiari. ,, E successivamente: “ comunque sia, un profondissimo Wiatus sotto il triplice aspetto della stratigrafia, della litologia e della paleontologia separa in Liguria il tongriano dall’ eocene superiore; laonde il confondere in un solo complesso, nel così detto oligocene, le due formazioni come da taluno si è proposto, farebbe riunire quanto di più disparato si dà nella serie stratigrafica. , In una nota posteriore (*) poi divide l'epoca dormidiana (mioc. infer. ed oligocene parte) in età: inferiore o fongriana e superiore od aguitaniana, senza però indicare nessun fossile caratteristico di questa. De Sterani (35) enumera le più caratteristiche località, la serie dei terreni ed i fossili peculiari del miocene inferiore o fon- griano (Mayer), sinonimo del dormidiano (Pareto), conchiudendo molto giustamente: essere affatto errata la distinzione fatta dal Mayer dei suoi due piani (tongriano ed aquitaniano) in questi luoghi che egli ritenne classici per la divisione del terziario; aggiungendo che il Mayer attribuisce erroneamente all’ aquita- niano alcuni strati soprastanti e che egli attribuisce al miocene medio. Sacco (4) divide il fongriano (Mayer) in tre piani: sestiano, tongriano e stampiano, quasi corrispondenti ai sottopiani infe- (!) IsseL A. — Note intorno al rilevamento geol. del territ. compreso nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze. Boll. Com. Geol. d'Italia, 1885, p. 257. (2) IsseL. A. — Comunicazioni fatte al Congresso geologico di Savona. Estr. dal Boll. della soc. Geol Ital., Vol. VI, 1877, p. 26. (3) De STEFANI C. — L'Appennino fra il Colle dell’Altare e la Polcevera. Estr. dal Boll. soc. Geol. Ital.. Vol. VI, fasc. 3, p. 23. (‘) Sacco È — Il bacino terziario e quaternario del Piemonte. Milano 1889. 994 G. TRABUCCO riore, medio e superiore del fongriano Mayer (1), conservando il piano aquitaniano dello stesso autore, senza però indicarvi nessun fossile. Trapucco (?) osserva: a) il miocene inferiore del bacino piemontese non deve comprendere che un sol piano: dormidiano 0 tongriano che si voglia, per ragioni di priorità; Db) i piani sestiano e stampiano dei lavori e delle carte di Sacco (corrispondenti al tongriano inferiore e superiore di MavrR) non devono rimanere, perchè i terreni ascritti al sestiano ed alle placche stampiane contengono ovunque quegli stessi fossili che anche Sacco indica come caratteristici del fongriano; c) non esiste nessun lembo aquitaniano (seriamente sta- bilito) nel bacino piemontese. I terreni sincronizzati in questo piano nelle carte di Mayer e Sacco, non contengono fossili agui- taniani, ma bensi ovunque una numerosa fauna di Cefalopodi e Pteropodi, che quegli stessi autori indicano come caratteri- stici del /anghiano. Riferite così succintamente le opinioni emesse dai differenti studiosi, mi propongo di dimostrare: I. Il miocene inferiore del bacino piemontese costituisce, per i suoi caratteri paleontologici e stratigrafici, un sol tutto indivisibile, corrispondente al piano bormidiano Parero (1865) o tongriano Maver (1857) che si voglia per ragione di priorità. II. Il tongriano superiore (pars) e l’aquitaniano di MayER, l’aquitaniano di Sacco della regione devono essere riuniti al langhiano. Procediamo ordinatamente per via di eliminazione. Il piano sestiano costituito (*) prevalentemente di depositi sabbioso-arenacei, di banchi marnosi grigiastri od alquanto 'va- riegati e di argille marnose bruno-violascenti, rappresenta una facies del tongriano, col quale concorda stratigraficamente (5); (4) Mayer Ca. — Studii geol. sulla Liguria Centrale. Boll. Com. Geol. d’Italia, 1877, p. 4ll. (&) TraBucco G. — Sulla vera posizione del calcare di Acqui. Firenze 1891, p. 9. — Sulla vera posizione dei terr. terz. del Piemonte. Nota preliminare. Processi ver- bali della soc. Tosc. di scienz. Natur. Adunanza 5 febbraio 1893. (3) Sacco F. — Op. cit., p. 114. (4) Sacco F. — Op. cit., p. 115. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 225 aggiungendo ancora che questa facies, dove la serie è completa, caratterizza in generale il tongriano medio e non l'inferiore. I pochi fossili citati: N. Fichteli, N. Boucheri, N. vasca, N. vartabilis, O. stella sono comunissimi in tutto il tongriano ; anzi le N. vasca, N. variabilis, O. stella sono considerate dal Tenomi (4) (l’unico che abbia adottate le divisioni di SAcco) come caratte- ristiche del tongriano. La citazione poi della N. cf. variolaria dei banchi marnoso- arenacei di val Fabiasco (2) è dovuta, evidentemente, ad erro- nea determinazione, essendo oramai acquisito alla scienza che questa specie passa dal dartoniano inferiore al parigino. Finalmente la citazione delle N. Tehihatcheffi, N. striata delle marne tra C. Laurente e C. Lara (3) (Bussolino) si deve alla confusione di cui abbiamo lungamente parlato nella prima parte del lavoro. Il piano sfampiano, costituito (4) di strati marnosi, banchi arènacei e ghiaioso-conglomeratici, rappresenta, in generale, la facies superiore del tongriano. Sacco non sa indicare (°) nessun fossile di questo piano, ad eccezione dei soliti Paleodyction, Helminthopsis, Nemertilites, ecc., comuni a piani superiori ed in- feriori. Orbene io osserverò a questo proposito: a) nelle placche stampiane di Cremolino e Molare si rac- colgono frequentemente: 0. cyatula, S. cysalpinus, P. arcuatus, A. anomala, P. Konincki, N. intermedia, N. Boucheri, O. stella, ecc., fossili caratteristici o comunissimi del fongriano; 6) lo stampiano di Pareto, Spigno, Montechiaro, Cartosio, Ponzone, Grognardo, Cassinelle, Belforte (5), ec. racchiude quella ricca serie di fossili tongriani, la quale rese classici questi luoghi. Più importante, ma non più difficile a risolversi, si presenta la questione del preteso aquitaniano piemontese. (') TeLLINI A. — Le Nummulitidee tera. dell'Alta Italia Occident. Boll. soc. Geol. Ital, Vol. VII, 1888, p. 228. (2) Sacco F. — Op. cit., p 118. (3) Sacco F. — Op. cit, p. 225. (4) Sacco F. — Op. cit., p. 225. (®) Sacco F. — Op. cit., p. 226 (6) Sacco F. — Carta geol. del bac. terz. del Piemonte, scala 1 a 100000, 1889. 226 G. TRABUCCO Il primo ad indicare la presenza di questo piano nel bacino in esame fu Mayer, secondo il quale sarebbe costituito (1): da una serie interminabile di banchi arenacei-grigi di mezzo metro di spessore, alternante con dei banchi marnosi o scistosi un po’ scuri e di una potenza un po’ maggiore. Non indica però un solo fossile dei terreni sincronizzati nel piano stesso. Sacco (2) accetta la classificazione ed i limiti dell’ aguita- niano delle note e carta geologica di Mayer, osservando che nello stesso va inglobata una parte del tongriano superiore dello stesso autore, corrispondente ai banchi marnosi-arenacei- calcarei. Quanto ai caratteri paleontologici (esclusi i soliti Paleodyction, Zoophycos, Helminthopsis, ecc.) fa la seguente dichiarazione, di cui giova prendere nota: “ non è quindi possibile, almeno colle attuali conoscenze, di indicare fossili caratteristici dell’ aquitaniano nella regione in esame: solo posso dire a questo riguardo come è fossili aquitaniani sono specialmente di facies litoranea e piuttosto simili (8) a quelli famosi dell’Elveziano dei colli Torinesi, che non a quelli del Tongriano ,. Ora, se i due studiosi che mi precedettero non sanno indicare un solo fossile caratteristico o non dei terreni sincronizzati nel- l’aquitaniano delle loro note e delle loro carte, ripeterò (senza nep- pure richiamare le osservazioni di Héserr, Fucas, IsseLr e De- Srerani) quanto ho già osservato in altra nota (4) e cioè che l’aquitaniano delle loro carte contiene ovunque (*) quella numerosa serie di Cefalopodi, Pteropodi, ecc. (5), i quali, anche da essi, sono indicati come caratteristici del langhiano, di cui tratterò nella seconda parte della nota. Ho già dimostrato precedentemente (°) che gli strati mar- nosi, marno-calcari, calcaro-arenacei od anche ridotti al solo calcare (sempre a Lithothamnium) che vanno da Mornese a Lerma, Belforte, Prasco, Visone, Acqui, Cavatore, Montechiaro, (1) MaveR CA. — Op. cit., p. 412. (®) Sacco F. — Op. cit., p. 262. (8) Senza conoscerli! (4) TraBucco G. — Sulla vera posiz. del calcare di Acqui. Firenze 1891, p. 9. (9) Non è neppure necessario rompere le roccie per osservarli! (6) TraBuUcco G. — Op. cit., p. 9. (7) TRABUCco G. — Op. cit., p. 25. SULLA VERA POSIZIONE DEI TERRENI TERZIARI DEL BACINO EC. 227 Denice, Roccaverano, Mombaldone, ecc., collocati dal Mayer nel tongriano superiore e da Sacco nell’aquitaniano, devono invece costituire, per i loro caratteri paleontologici e stratigrafici, la base del /anghiano. Noterò ancora che questi calcari a L. racemus non vanno confusi cogli altri tongriani a L. suganum di Cremolino, Mor- bello (Costa), Ponzone, Bubbio, Spigno, Gassino, ecc., e tanto meno con quelli parisiani a L. torulosum di Bussolino. Dedicherò una parte delle prossime vacanze allo studio di altri giacimenti calcarei a Lithothamnium del bacino in esame, che mi pongano in grado di dedurne sicuri criteri paleontolo- gici e cronologici. Firenze, 25 aprile 1893. — Dal Gabinetto geo-paleontologico del KR. Istituto di studi Superiori. Sc. Nat. Vol. XIII. 15 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE Tav. VII I. Sezione da Bardassano a C. Cavigione. ME È , Rio Amione a Montaldo. TE Ù , Sassello ad Acqui. Tav. IX. \ Fig. 1. Lithothamnium Rothpletei Tras. Ani ZI È suganum RotaPLETZ DIE3Ì > torulosum GiimB. , 4.5. Nummulites perforata Desy pe Monre. ROSA = lucasana Derr. s 8a,b,c. Chrysophrys cincta Aa. GIOVANNI D’ACHIARDI Eb LORA STEINE DEL GRANITO ELBANO PREFAZIONE Convinto che uno studio mineralogico non possa ben farsi se non si disponga di un ricco materiale, dovendo scegliere un soggetto per la tesi di laurea, non esitai a preferire le tormaline dell'Elba, le quali vincono per numero di esemplari i minerali tutti del museo di Pisa. Sono più migliaia di cristalli, o impiantati sul granito o sciolti, in gran parte terminati ad una estremità, non pochi, relativamente ai noti finora, ad ambedue. Varie centinaia ne aveva già il museo di Pisa, acquistati dal Meneghini e descritti da mio padre; molti più furono recentemente donati dal dottor Nello Toscanelli, onde io credo che se altre collezioni possano vantare più grandi e più appariscenti esemplari, poche, se pur se ne hanno, possano superare per numero quella del museo di Pisa. Non poteva quindi farmi difetto il materiale, ma forse non pensai troppo alle difficoltà che avrei incontrato per l'abbondanza di esso. Comunque sia spero che se non sarò riuscito a quella perfezione a cui è a tutti difficile arrivare, dif- ficilissimo ai nuovi come me, mi si saprà almeno tener conto della mole del lavoro e di tutti gli ostacoli che la giovanile inesperienza mi nascon- deva e che alla prova sono stati così difficili a superare. Le tormaline che formano soggetto del mio lavoro provengono tutte dalle note geodi del granito del monte Capanne presso San Piero in Campo e S. Ilario e più specialmente da Grotta d’Oggi, in minor nu- mero da Facciatoia e altre località vicine. Divido il lavoro per la pubblicazione in più parti; in questa prima, pre- messo un breve cenno bibliografico-storico, tratto della morfologia delle tormaline elbane descrivendone le forme cristalline in relazione alle loro molteplici varietà. 230 G. D'ACHIARDI BIBLIOGRAFIA Le tormaline dell’isola d'Elba che hanno fornito sì ricco materiale di studio nella seconda metà di questo secolo, non si trovano rammentate, per quanto mi consta, nei libri scien- tifici prima della fine del secolo passato. Anno 1777. — Erweveeitno Pini (1). discorrendo dell’ Elba dice è vero: “ Ferunt fuisse aliquot gemmas veluti eo in loco, quem “ Le Francesche appellari discimus, atque in cripta quadam inter , Poggium et Marinam occurrit. Nihil tamen ejusmodi mihi oc- , currit , e potrebbe sospettarsi che con la parola gemmas al- ludesse, insieme ai berilli e ai granati, anche alle tormaline . dell'Isola, ma nulla ci autorizza a sostenere ciò, onde si va senza altra notizia positiva alla fine del secolo. Anno 1798. — Doromru, secondo il Broxewrart (2), avrebbe descritta una tormalina mezza bianca e mezza nera da lui tro- vata nel granito dell’isola d' Elba. Browexrart non cita l’opera di Doromeu, ma siccome nell’ Handbuch der Oryktognosie di CarLo-Cesare DI LronzARrD (3) si trovano citate nella nota delle opere che si occupano delle tormaline memorie di DoLomev pub- blicate negli annali della Soc. Philomat. A. VI, 105, Journal de Physique A. 1796. 302, credo sia in una di queste che si parla della “ tormalina mezza bianca e mezza nera ecc. ,. Essendo però assai vaga l'indicazione delle memorie non mi è stato possibile ritrovarle. Anno 1819. --- Dopo queste vaghe notizie per quanto abbia. rovistato è solo nel Dizionario portatile di Geologia, Litologia, () Osservazioni mineralogiche sopra le miniere di ferro e altre pasto dell’ isola d’ Elba. Milano 1777, pag. 9I. (®) Traité de Minéralogie. T. I, Paris 1807, pag. 406. (8) Heidelberg 1821, S. 397. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 231 Mineralogia di Lurer Bossi pubblicato a Milano nel 1819, che si “ parla di nuovo di una tormalina elbana “ metà bianca e metà nera ,. Anno 1822. — 11 Sorer(!) nel 1822 descriveva una tor- malina nera cristallizzata in prismi cortissimi su ganga d’an- tibolo verde-scuro e altre varietà dell’isola d'Elba, e ne dava i simboli cristallografici e di due anche la figura. Ma mentre di queste ultime indica che provengono dal granito di San Piero in Campo, per la prima non cita la provenienza, ma la natura anfibolica della ganga mi fa credere che sia di altra località elbana. Anno 1825. — Una descrizione abbastanza particolareg- giata delle tormaline di San Piero in Campo si deve ad Ort4- viano Tareioni-Tozzemmi (*): “ Il tenente Giovanni Ammannati, egli » dice, essendo di guarnigione a Portoferrajo nell'isola d’ Elba, » guidato da un genio virtuoso di conoscere le bellezze che » la natura ha sparso in genere di minerali nella detta isola » Si è preso la cura di fare scavare e di raccogliere, e così far s conoscere queste singolari bellezze che ha ritrovato in un » masso di granito in uno scoperto a San Piero in Campo, in » luogo detto Grotta d’Oggi, in un fondo o possessione appar- , tenente al reverendissimo sig. Raffaello Pisani, dal quale, il , dì 6 maggio 1825, il sig. tenente il detto masso comprò, il » qual masso era di 44 braccia di circonferenza e la maggior , altezza, verso tramontana, di 20 braccia. Questo granito è di , una formazione tutta diversa dagli altri graniti o sieniti, poi- » chè consta di feldispato bianco, di quarzo, e tormalina nera ,s a vene, a punti neri, e anche a gruppi come dendritici e di (1) Rapport sur les mintraux rares ou offrant des cristallisations nouvelles observés dans la collection du Musée académique de Genève. Mem. soc. d. phys. et hist. nat. de Genève 1822. T. I, partie 2.0, pag. 465. (2) Minerali particolari dell'isola dell'Elba ritrovati e raccolti dal sig. Giovanni Ammannati. Firenze 1825. 232 G. D'ACHIARDI , qualche rara mica. Avendo egli fatto aprire a forza di scal- , pello e di mine in più luoghi questo granito ha potuto rac- » cogliere una serie di bellissime cristallizzazioni le quali andrò » Ora descrivendo. Queste sono feldispati bianchi e rossicci, acque » marine ialine, verdi, celesti, gialle e rosse, turmaline di ogni » Sorte di colore dall’jalino limpidissimo al rosso, al giallo, al » Verde e di vari colori misti fra loro sino al nero; miche ecc. ,. Nel resto della memoria parla dei colori e delle forme cri- stalline che le tormaline presentano. Anno 1827. — Il Carpi (*) parlando del granito di San Piero in Campo nell'Elba dice come esso contenga tormaline varia- mente colorate le quali furono studiate dal TAreionI. Anno 1833. — Il Savi (?) parlando delle varie località el- bane in cui il granito si riscontra dice che il monte di San Piero in Campo è quasi tutto attraversato da estese vene di quarzo, larghe due o tre pollici, nelle quali trovansi delle geodi con bellissimi cristalli di feldspati, tormaline, acque marine, mica, quarzo, granati, lepidolite ecc. Anno 1835. — Il Gruui rammenta le tormaline di San Piero in Campo nel suo Progetto di una carta geognostica e orittognostica della Toscana, pubblicato in Siena nel 1835. Anno 1838. — G. Rose (3) in un lavoro molto importante, specialmente se si considera il tempo in cui fu scritto, occu- pandosi della corrispondenza fra le proprietà polari elettriche della tormalina e le sue forme cristalline, cita, fra gli altri, varii cristalli neri e rosei dell'Elba, e dà per alcuni di essi le formule cristalline e le figure. (4) Osservazioni naturali fatte nell'isola d' Elba e notizie sopra l'esistenza della Lhitia nella Lepidolite della stessa isola. Modena 1827. (2) Cenno sulla costituzione geologica dell’isola d’ Elba. Nuovo giornale dei Lette- terati - Scienze: T. XXVII, N.0 71, Pisa 1833. (3) Ueber der Zusammenhang den Form und der elektrischen Polaritàt der Kri- stalle. Erste Abhandlung: Turmalin. (Gelesen in der Ak. der Wissenschaften. am 3 Nov. 1836 und mit. einigen Zusitzen gedruckt in Mirz 1838). — Abhandl. der. k. Ak. d. Wissenschaften zu Berlin 1838. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 233 Anno 1839-1891. — È nel 1839, e precisamente con Moxs (4) che i trattati di Mineralogia cominciano ad occuparsi, parlando delle tormaline, di quelle dell'Elba. Citerò fra gli altri quelli di Durrenoy (*), Des CLorzraux (3), DeLarosse (4), Bomicci (?), Dana (5) sino ai recenti di Hinrze (7) e Gotpscamnr (8). Anno 1842. — Kraxz (°) nella sua descrizione geogno- stica dell’isola d'Elba si occupa delle tormaline che si presen- tano nei filoni di granito descrivendone le forme cristalline e 1 colori. Rispetto ai colori distingue le tormaline nelle cinque varietà seguenti: 1. cristalli neri — 2. cristalli rossi — 3. cri- stalli neri all'estremità inferiore, verdi-giallicci nel mezzo e nella parte superiore rosei — 4. cristalli rosei nella parte im- piantata, verso la parte superiore sbiadiscono acquistando una colorazione verde-oliva chiaro e presentano all'estremità su- periore un sottilissimo strato nero — 5. cristalli verde-nerastri nella parte impiantata, la tinta passa rapidamente per il verde- oliva all’acroico. Per ciascuna di queste cinque varietà dice quali sieno le forme cristalline più facili a riscontrarsi. Anno 1843. — P. Rirss e G. Rose (19) descrivono cristalli prismatici di tormaline elbane impiantate ora con l’antiloga, ora con l’analoga estremità, ora con una faccia laterale e in questo caso terminati dalle due parti. Rilevano all’ estremità antiloga corrispondere le facce del romboedro acuto {111} subor- (1) Leichtfassliche Anfangsgriinde der Naturgeschichte des Mineralreiches. T. II, Wien 1839. (2) Traité de Minéralogie. Paris 1856. (3) Manuel de Minéralogie. Paris 1862. (4) Nouveau cours de Minéralogie. Paris 1862. (?) Corso di Mineralogia. Bologna 1862. (6) System of Mineralogy. Varie edizioni. (*) Handbuch der Mîineralogie. S. 345. Leipzig 1890. (8) Index der Kristallformen der Mineralien. Dritte Bd. H. 4. Berlin 1891. (9) Geognostische Besckreibung der Insel Elba. 1842. Karsten u. v. Dechen Archiv. Iii, PAVESE (19) Ueber die Pyroclektricitit der Mineralien. [Gelesen in der Ak. d. Wissenschaften am. 6 april 1843] — Abhandlungen d. k. Ak. der Wissenschaften zu Berlin 1843, S. 67. 234 G. D'ACHIARDI dinate a quelle del romboedro fondamentale {100}, all’ analoga le facce di quest’ultimo e notano anche come le facce di {111} all'estremità antiloga e di {100} all’analoga riposino sulle facce del prisma trigono. Fanno inoltre rilevare l'analogia di forma con i cristalli di Sonnenberg. Anno 1845. — R. Hermann (1) in una memoria sulla com- posizione chimica della tormalina designò col nome di acroite i cristalli incolori del granito di San Piero in Campo, dei quali fece anche l’analisi. Anno 1850-1890. — C. RammesBere (?) in una serie di pub- blicazioni per il corso di quaranta anni trattando della com- posizione chimica delle tormaline, sia riportandone i risultati delle analisi, sia discutendone le formule, si è più volte occu- pato delle tormaline elbane. Nella prima di esse memorie oltre il dare l’analisi di tre varietà di tormalina dell’isola d'Elba, riporta il loro peso spe- cifico, accenna alle forme cristalline che più facilmente si ri- scontrano, nota il modo di distribuirsi dei colori ora l'uno dall'altro nettamente distinti, ora l'uno nell’altro sfumanti e per le due varietà verde e rossa fa notare il dicroismo con ap- parenza di tinta più pallida per il raggio straordinario. In altre memorie fino al 1870 aggiunge nuove analisi o di- versamente interpetra le già fatte, e solo a quest’ultimo in- tento volgono i lavori posteriori. (1) Ueber die Zusammensetzung der Turmaline. Vedi: Journ fiir. prakt. chemie. Bd. XXXV. Leipzig 1845. S. 232. (?) Ueber die Zusammensetzung des Turmalins verglichen mit derjenigen des Glim- mers und Feldspaths, und iiber die Ursache der Isomorphie ungleichartiger Verbindun- gen. Vedi: Ann. Poggendorfi. Bd LXXXI. S. 1. Leipzig 1850. — Weber die chemische Zusammensetzung der Turmaline. Monatsb. d. Kénigl. preuss. AK. d. Wiss. Berlin 1869. S, 604. - Pogg. Ann. N.9 3, 4. 1870 S.379. — Handbuch der Mineralchemie. Leipzig 1875. S. 538. — Handbuch Erginzungsheft 2. 2 Auflage. Leipzig. 1886. S. 239. — Ueber die chemische Natur der Turmaline. Sitzungher. k. preuss.Akad. der Wissenschaften zu Berlin 1890. 29-30. S. 679. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 235 Anno 1861. — Jexzsca (!), di cui però non ho potuto con- sultare la memoria originale, a seconda di quanto ne riporta l’Himrze (2), avrebbe osservato anomalie ottiche in alcuni cri- stalli di tormaline elbane. Anno 1864. — G. Biscror (3) dopo di aver parlato assai diffusamente dei vari colori delle tormaline elbane, descrive un pezzo di tormalina rosea della sua collezione proveniente da San Piero d'Elba e che mostrasi alterato in mica, le cui la- minette lo ricoprono completamente. Dice di non aver ciò os- servato nelle tormaline verdi, mentre le rosee dell'Elba torbide e fragili sono quasi sempre accompagnate da mica. Anno 1870-72. — A. D’AcHiarpi in una breve nota dap- prima (*), indi nella sua Mineralogia della Toscana (*) descrive minutamente nelle loro molteplici varietà le tormaline elbane facendone rilevare le differenze cristallografiche. Ne dà anche 1 pesi specifici da lui trovati e il contegno al cannello ferru- minatorio, l'uno e gli altri diversi a seconda delle differenti colorazioni. Circa alla loro giacitura nel granito avverte come non si trovino insieme tutte le diverse qualità, essendovi anzi delle geodi che non contengono che le nere, le quali sono le più diffuse, altre che contengono le rosee, le policrome ecc. Quindi aggiunge come con la presenza dell'una o dell'altra va- rietà di tormaline si colleghi la presenza di questa o quella specie minerale. Anno 1870. — G. vox Rara ($) nel suo importantissimo libro sull’isola dell’ Elba descrive queste stesse varietà di tor- maline, ne figura vari esemplari e nota le differenze di cristal- (4) Jahrbuch Akad. Wissenschaften. Erfurt 1861. 1. (?) Op. cit. (3) Lehrbuch der chemischen und phys. Geologie. Bonn 1864. Bd. 2 S. 563. (4) Sopra alcuni minerali dell’ Elba. Nuovo Cimento. Pisa 1870. (°) Mineralogia della Toscana. Pisa 1872. Vol. II, p. 194. (5) Geognostische mineralogische Fragmente aus Italien. III Theil: Die Insel Elba. Bonn. 1870. S. 663. 236 G. D’ ACHIARDI lizzazione sia rispetto al colore, sia rispetto al contegno piro- elettrico. Si diffonde poi particolarmente sui loro giacimenti. Anno 1871. — I. Coccri (!) pur ricordando le diverse qua- lità di tormaline si occupa più particolarmente dei loro giaci- menti, dimostrando come non si trovino in veri filoni, ma bensì in druse entro il granito. Anno 1876. -- G. Rosrer (?) esaminate 385 tormaline ri- tenute per nere riscontrò che di queste, sottoposte ad attente osservazioni, sia traguardandole sugli spigoli, sia contro una vi- vace sorgente luminosa, sia ridotte in lamine sottili o in scheg- gie, solo 18 si mantenevano effettivamente tali, mentre le altre tutte diventando tralucide apparivano variamente colorate, con predominio di tinte rosso-cupe o vinato-violacee. Anno 1882. — G. Grartarota (8) propone l’uso delle tor- maline nere dell’ Elba, ma verdi, roseo-vinate o brune per tra- sparenza se ridotte a conveniente grossezza, come lamine di polariscopio in grazia del loro forte potere assorbente. Anno 1886. — B. Lorm (4) nella descrizione geologica del- l'isola d'Elba, al pari del Cocchi, tratta più del granito tor- malinifero di San Piero in Campo che delle tormaline in esso contenute. Ricorda pure l’ eurite a nuclei tormaliniferi dell’isola stessa. Anno 1886. — H. ScÒeprier (*) sottopose ad esperimenti piroelettrici 37 cristalli dell'Elba che studiò anche per le forme cristalline e il colore distinguendoli in due gruppi. Ne dà varie (1) Descrizione geologica dell'isola d’ Elba per servire alla carta della medesima. Firenze 1871. pag. 82. (2) Note mineralogiche sull'isola d’ Elba - 1875. R. Comitato geologico d’Italia. N.0 9-10. 1876. p. 412. (3) Impiego di alcune varietà di tormalina elbana come lamina del polariscopio detto « Pinzette a tormalina ». Proc. Verb. d. Soc. Tosc. di Sc. Nat. Pisa, 3 genn. 1882, VIII, pag. 56. (4) Descrizione geologica dell’ isola d’ Elba. pag. 139. R. Ufficio geologico. Memorie descrittive della carta geologica d’Italia. Vol. II. Roma 1886. i (3) Ueber die Pyroelektricitit des Turmalins. Wiedemann Ann. Ph. Ch. 1886. N. F. Bd. 28. S. 43. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 237 figure (op. cit. tav. XXIV, fig. 8-12; XXV, fig. 15-25) a dimostra- zione del modo di distribuirsi dell’ elettricità sui cristalli stessi. Anno 1886. — Riecxe (!) ha pure esaminato una tormalina verde dell'Elba rispetto al suo contegno piroelettrico in rela- zione anche allo stato della superficie del cristallo. MORFOLOGIA Nel dire degli autori che si occuparono delle tormaline el- bane citai il Sorer (2) come il primo che abbia studiato le loro forme cristalline. Rammenta egli infatti ed effigia un cristallo roseo del granito con le forme: {101}, X {211}, {100}, {111}, Numerosi cristalli di Grotta d’Oggi sono descritti dal Targioni Tozzerti ($), il quale ricorda le forme aciculari, raggiate, punti- formi ec. e coi nomi allora in uso nelle scuole di Hay ci de- scrive cristalli presentanti le forme: {101}, {211}, {100}, {110}, {111}, {211}, {111} con o senza emiedria e in vario numero e modo fra loro as- sociate. Descrive pure un cristallo completo terminato all’ una estremità da {110}, all’altra da {100}, {111}. G. Rose (4) descrisse e figurò alcuni cristalli di tormaline elbane e cioè: Cristalli rosei Cristalli neri {101}, X {211}, {110} {101}, X{211}, X{312}, {100}, % {111}, X{110} {101}, X {211}, {100}, {111} {101}, X {211}, {110}, {111} I cristalli neri sono terminati ad ambedue l'estremità, al- (4) Exper. Unters. ber d, elektr. Verh. d, Turmalins. N. Jahrb. Min. Geol. u. Pal. Stuttgart. 1886. IV Beilage. Bd. H. 3. S. 519. (2) Op. cit. (3) Op. cit. (4) Op. cit. 238 G. D'ACHIARDI luna dalle facce di {100}, {111}, all’altra di {100}, {110}. Dallo studio dei cristalli rosei rotti ad una estremità desume anche quale sarebbe l'abito dei completi. Studiando in special modo le correlazioni fra le forme cri- stalline e la piroelettricità considerò sempre come superiore l'estremità ove le facce del romboedro principale riposano sugli spigoli del prisma {101} non modificati dall’emiprisma % {211}. Questa distinzione riportata e adottata successivamente da altri non mi sembra esatta, nè troppo opportuna. Non mi sembra esatta in quanto converrebbe ammettere che, a differenza delle altre sostanze emiedriche, non presen- tasse la tormalina su cristalli diversi le due forme emiedri- che del prisma {211} reciprocamente complementari, cosa con- tradetta anche dal fatto di presentarsi pure insieme, benchè spesso con caratteri diversi, nello stesso cristallo. Se si considera un cristallo di,tormalina rispetto alle emie- drie del prisma {211} è evidente, che pur conservando la stessa posizione, secondochè presenti le facce dell’emiprisma % {211} o del suo complementare {211}, la stessa estremità dovrebbe essere considerata in un caso inferiore, nell’altro superiore, men- tre collocandosi superiormente la faccia (100), alle facce posi- tive del romboedro fondamentale si dovrebbe far corrispondere piuttosto in questo modo di apprezzamento quella del prisma x {21 1} con l'indice maggiore positivo. E così diventerebbe an- che cristallograficamente superiore l'estremità che è tale per la collocazione dei cristalli sulla madre roccia. Per ciò è anche poco opportuna la distinzione fatta dal Rose, e tale mi sembra anche perchè le varie apparenze delle faccie riferite in tal modo all’una o all'altra estremità ci fanno subito sospettare che deb- bano piuttosto riferirsi per altri criterii ad estremità differenti. Così ad esempio, mentre in moltissimi cristalli le facce del rom- boedro {110} presenti ad una estremità in tale posizione ri- LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 239 spetto ai prismi da doversi quella considerare, secondo Rose, come inferiore, sono estese, appannate, talvolta anche striate; in altri, per la stessa posizione, sono invece lineari e lucentis- sime e insieme con esse è la base pure lucente. Lo stesso dicasi per le facce {111} ora lucide, ora opache. Credo quindi in questi casì si tratti certamente di due emiedrie l’una complementare dell'altra e la stessa apparenza di posizione sia perciò riferi- bile ad estremità diverse. Non posso quindi seguire questa distinzione fatta da Rose e senza parlare di estremità superiore o inferivre cristallogra- ficamente, mi limiterò solamente a contrassegnare con un aste- risco quelle estremità nelle quali il romboedro {100} corrisponde agli spigoli non modificati di {101}, e nel caso che questi sien tutti modificati, come è di molte tormaline nere, a quelli su cui le facce modificanti appaiono meno estese che sugli altri. — Kranz (!) non aggiunse altre forme a quelle già date dal Rose e le studiò rispetto alle diverse varietà di colore. A. D'AcararpI prima nella sua memoria sopra alcuni mine- rali dell'Elba, indi nella Mineralogia della Toscana discorrendo separatamente delle diverse varietà di tormaline assegna loro le seguenti forme: nere verdi acroiche rosee giallo-verdi {101} |{101} |{101} |{101} | {10]} O ei Me VE Be EG). We iz Vena (4133 | {413} | {100} | {413} | {413} {817} | {817} | {110} | {817} | {110} {100} | {100} | {111} | {100} —- (MOpycit 240 G. D'ACHIARDI | nere verdi acroiche rosee giallo-verdi |verde-bottiglia FT STI i] STA e 5110} = o) 23 Le; {111} DA ZA (20,18 Sa 2) = = 00 2 — | {412} = - Ci — | Il {412} fu erroneamente indicato. Per le policrome disse le terminazioni avere il carattere delle varietà cui esse spettano. Queste forme sono ricordate anche dal RarkÒ (*), però non tutte furono osservate da lui, per di più dà, il romboedro {311}. Descrive varii cristalli completi alle due estremità e delle forme in queste osservate mi occu- però in seguito. Dagli altri che successivamente si occuparono delle torma- line elbane non so che sieno state osservate altre forme, quindi sino ad oggi si può dire essere note solo le seguenti; {101}, {211}, {312}, {413}, {817}; {100}, {311}; {110}, {111}; {201}, 1301}; {211}; {111}. Il copioso materiale a mia disposizione, composto di più migliaia di cristalli, in gran parte sciolti, e quindi più atti all'osservazione, mi spinse a tentare un nuovo studio delle tor- maline dell'Elba; e poichè mi parve che non si dovesse dar maggiore importanza al ritrovamento di forme nuove che alla ricerca delle correlazioni che potevano esistere fra l'abito cri- stallino e i valori angolari da una parte e la varietà di com- (1) Op. cit. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 241 posizione e di colore dall'altra, così credei opportuno d’intra- prendere lo studio dividendole a seconda delle colorazioni di- verse secondate da diversa composizione chimica. Già il Rose (*) e il Kranz (?) per primi avevano diviso in varii gruppi le tormaline elbane basandosi sui colori, e così pure anche gli altri successivamente, e lo farò io pure; ma piut- tosto che tener conto per le principali divisioni della colora- zione dell'intero cristallo, ho preferito prendere a criterio di esse quella delle terminazioni; così ai gruppi delle tormaline scolorite, rosee, verdi ecc. ho ascritto anche le policrome che abbiano la terminazione di quella data tinta, cercando però di descrivere prima le tormaline che presentano in tutta la loro estensione il colore del gruppo, indi quelle che lo presentano solo all'estremità libera o sfaccettata. Quest’ultime divisioni peraltro non sempre riescono facili, e sono anzi spesso impos- sibili a farsi con esattezza, essendochè molti dei cristalli sieno rotti e non si possa escludere che ci rappresentino solo una parte di altri policromi. E oltre questa incertezza un'altra an- cor più grande si ha nel fare le distinzioni principali. Infatti le tormaline presentano colori con svariatissimi tuoni, sì passa per gradi successivi e continui dal nero alla mancanza completa di colore attraverso il verde-bottiglia, il giallo-verde, il rosso ecc. per non citare che i principali; quindi difficoltà massima e impossibilità in taluni casi di decidere se si abbia all’ estre- mità uno strato acroico, per esempio, o roseo pallidissimo, se verde-bottiglia scuro o nero e così via di seguito. In molti casi l'osservazione microscopica di sezioni sottili, in grazia dell’as- sorbimento, ci giova alla distinzione. Seguendo l'ordine dei colori, quale si osserva nei cristalli impiantati, dall’alto al basso si hanno: (‘) Op. cit. (2) Op. cit. 949 . G. D'ACHIARDI I. Tormaline a terminazione nera. II se E celeste-turchina e bigiastra. III 98 ni verde-azzurra e verde-porro. IV. Pa MA acroica. Va A) Di rosea. VI: a » gialla. VII. Da "> giallo-verdolina. VIII. DI 5A giallo-verde. IX. ,; ; giallo-bruna. Nello studio cristallografico, così fatto in ordine ai colori, ho avuto più che altro di mira il determinare i valori della forma fondamentale in ragione dei colori stessi, e dei prismi in ragione della struttura polisintetica dei cristalli; quindi senza trascurare le misure necessarie al riconoscimento delle varie forme, le ho però limitate al solo scopo della determinazione delle facce. i Per il romboedro {100} e per il prisma {101} invece ho vo- luto misurare quanti più angoli ho potuto, e tutti per ciascuna forma a raggiungere lo scopo che mi ero proposto. Soltanto la difficoltà delle misure per la struttura e poliedria delle facce, in talune varietà maggiore che in altre, mi ha pur troppo co- stretto a limitare le misure; non pertanto esse non sono nem- meno tanto poche da non potersene cavare una qualche con- clusione. Nelle misure mi sono servito di un goniometro Fwess, mo- dello n° 2, e solo in qualche caso, e specialmente per cristalli fascicolati, di un comune goniometro Wo/laston, quando cioè do- veva contentarmi di giudicare dal semplice corruscamento delle faccie. Gran difficoltà ho pur troppo incontrato nella scelta delle imagini, rarissimamente uniche, per il solito molte e di- verse per lucentezza e nitidezza e complicate spesso da ‘feno- meni d'interferenza. Ho quindi dovuto in molti casi, quali dirò a suo tempo, prendere per criterio della scelta il loro contegno LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 243 per mutar d'incidenza della luce, e perchè d’ordinario a grande angolo d'incidenza si aveva la maggior semplicità per il nu- mero, la maggior parte delle misure sono state prese sotto un grande angolo; però per la dilatazione dell’imagine persistente, che in tal modo si aveva, ho incontrato ogni volta una qualche difficoltà al suo esatto collocamento. Per tanto negli specchi delle misure ho creduto bene di dare i limiti dei valori (1) ot- tenuti nei vari collocamenti della stessa imagine, d’ordinario tre, se in numero maggiore ad incidenza diversa. I. Tormaline a terminazione nera. Fra le tormaline dell’isola d'Elba sono le nere che presentano, almeno apparentemente, la maggiore uniformità di tinta in tutta l'estensione dei loro cristalli; ma oltre a queste totalmente nere se ne hanno altre, le quali di nero non presentano che la terminazione, essendo nel resto acroiche, verdi o in altro modo colorate. Perciò la distinzione in due gruppi, che ci facilita anche l’ indagine sull’influenza che la natura delle sostanze com- ponenti ha sulla terminazione cristallina. A. — Tormaline totalmente nere. Fra i molti cristalli sciolti o impiantati su roccia solo pochi si presentano terminati alle due estremità, essendo per la mas- sima parte compiti ad una sola o a nessuna. Nello studio loro, e così dicasi per le altre varietà, con- viene procedere separatamente all'osservazione dei prismi e dei romboedri; perchè sovente cristalli con facce prismatiche atte (4) I valori dati si riferiscono sempre agli angoli polari, cioè agli angoli delle nor- mali alle facce. Se. Nut. Vol. XIII. 16 244 G. D'ACHIARDI alle misure non presentano facce romboedriche in buono stato e viceversa. Cominciando a parlare dei prismi dirò che in tutti i cristalli predomina il prisma esagono {101} a facce disugualmente estese e con esso il prisma {211}, che di frequente si presenta o con tutte e sei le facce o almeno più di tre, quindi in questa varietà è tutt'altro che manifesto il suo carattere emiedrico. Però tanto le facce dell’uno che dell'altro sono sempre ben lungi dal pre- sentare la normale inclinazione avendosi frequentemente diffe- renze anche di più di 1°, e talvolta invece di una faccia se ne hanno due vicinali ad angolo polare piccolo, raramente più grande di 2°, e spesso di pochi minuti primi. Per misure prese su varie tormaline si trova come queste anormalità sieno dif- ferenti per cristalli differenti. Altre facce di prismi ben definiti sono rare, ad ogni modo non mai in numero completo a costituire un emiprisma dode- cagono. R. H. Sonny (4) e W. Ramsay (?) descrivendo il primo delle tor- maline di Pierrepont (Stato di New York), il secondo di Snarum (Norvegia) attribuiscono ad alcune forme in esse osservate una costituzione tetrartoedrica, e fra le altre il Ramsay al prisma 1312}. Questa spiegazione potrebbe valere anche per il caso nostro se queste faccette isolate si distribuissero regolarmente sugli spi- goli alterni del prisma {101}. Invece in queste tormaline, e più ancora nelle acroiche e rosee, non solo si presentano in numero vario, ma spesso anche con valori angolari tanto diversi sullo stesso cristallo da non potersi attribuire alla medesima forma. Ecco pertanto i resultati delle varie misure prese in 6 tor- maline cristallo per cristallo e per ciascuno di essi prisma per prisma. (1) Journ. Min. Soc. Gr. Brit. London 1884. 6, 28, 80. (*?) Bihang. k. Svenska Vet. Ak. Handlingar. Stokholm. 1886. Bd 12. Afd II. N01. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 245 {OI} | Il Ill IV V VI 1.° angolo 61° 39 [60° 15" 0"|59°42' 30" | 60° 58' |60° 35" 0"|59° 55 30” DIO d 58° 24' |59° 32’ 30" |60° 18! 30" | 59° 43’ |60° 19" 0"|59° 56° 0" | 90° E Cena SA 95689 0A 5921267 610384 09700 dio ì Oo 62/0 0 CONS 0 TOSI 59218808 600280000) DE 7 59° 33° | 58° 460 0% 600% 6° 0%) 60° 50° (59° 330! |60° 53 30! (e à DOP o ORA 3008 NA 960 192030000) 360° 360° 360° 360° 360° 360° Differenza mas- | sima da 60° e O 20419) 0", LESBO N02 | TESS SAT0 MOL5 304 Differenza mi- nima da 60° Od OSSO MIORS 83 0 LOSS OOO MOIO, Per il prisma trigono ho ottenuto: {211} : {101} Il Ill | IV V VI Sulla 1°facciadi{101} VO. 0 e SD 0 o — PI PAIR n |29° 45'29° 18' 30" — 90% 5! 029° 18! — Peio, È i 2.995 004 0A 04 800704 BA 30) S ORA Pea (SCAD -_ = De SARO, REI 300398301 MIR [E O A PA (300230 I BIS 70M » |30°53| — => 30907000) Aa Differenza massima diet, RA Oo 0 ee 0 OSO) VOSTRA MCO N00 Differenza minima dag90... .-.. 0 OrTAIO, Os 301 00 (0049/002339) (!) Faccetta visibile con la lente e che non dà riflesso. Eee ————— cc 246 G. D'ACHIARDI Oltre questi si hanno angoli con i seguenti valori misurati sulle facce del prisma {101}: TEOR 39 01028 BOO; TIE iS ee VE AM RA IO ICAO 000, MOSSA 0,220 DO 39 SEO 5 SO] DIO N0,: 2 62 MORO. WIR CEI VAR eee at 201 0 DORIA ANO 20 AO VE Questi valori oscillanti e diversi e dati da faccette irrego- larmentéè distribuite non mi consentono di affermare l’ esistenza di emiprismi dodecagoni ben determinabili. Non pertanto i valori da 9° 50' a 10° 43° 30” si avvicinano a quello del prisma {514}, che è di 19° 53' 36”, e così il valore di circa 13° del secondo cristallo accenna al prisma {413} con an- golo di 13° 53' 52”, se non si voglia riferire ad un nuovo prisma {17413}, cui corrisponderebbe il valore da me calcolato di 13° 014”. Gli altri valori oscillanti da 22° 32° a 23° 58' e che danno in me- dia un angolo di 28° 17° 30” richiamano alla forma {523}, come quelli da 5°34' a 6° 49' alla {817} per la prima volta citata da A. D'Acnurpi, e che fanno con {101} respettivamente angoli di 23” 24 48° 6 (6013500128 Si hanno anche altri valori, ma non stimo opportuno at- tribuir loro molto alto significato. Credo invece utile, confron- tando l’uno con l’altro i varii cristalli, far notare come alla maggiore regolarità nel loro abito corrisponda una minore dif- ferenza dai valori normali di 60° e di 30° e come la presenza di faccette di prismi {fmnp} stia in ragione inversa di quelle del prisma {211}. Così è, ad es., nel cristallo N.° V; e per questo e per altri consimili come il N.° VI può credersi che le fac- cette ad angolo superiore ai 25°, le quali sogliono di preferenza apparire laddove mancano quelle del prisma {211} anzichè nuovi LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 247 prismi ci rappresentino piuttosto piani oscillatorii e vicinali di questo stesso prisma. Verosimilmente la struttura polisintetica dei cristalli di tormalina non è estranea a questi spostamenti. Il non perfetto parallelismo dei subindividui nel cristallo comune può vedersi talvolta anche a occhio nudo e il fatto poi che nei cristalli strutturalmente più semplici le differenze sono mi- nori viene in conferma a questa ultima spiegazione. Queste stesse differenze dalla normalità dei valori non sono rare nelle tormaline di altri paesi, e già per quelle degli Urali erano state riscontrate ed attribuite del pari al non perfetto parallelismo dei subindividui prima da JerorEser (!) poi da Cossa e ARzRONI (?). A queste oscillazioni non sfugge il prisma {101}; ho veduto anzi cristalli nei quali invece di un sol piano per ognuna delle sue facce se ne hanno due vicinissimi, visibili anche con lente, e che formano piccoli angoli constatati per lucidi riflessi, an- goli che se non potessero attribuirsi a poliedria, come induce a credere anche la variabilità loro, potrebbero far supporre l’esi- stenza di nuovi prismi dodecagoni. Se prendiamo i valori in- termedi alla posizione delle facce vicinali, ad esempio, in uno di questi ove le differenze dalla normalità furono trovate va- riabili da 1° 34 a 2° 41’, risultano valori molto più vicini a quelli del prisma esagono che non sieno dati dalle une e dalle altre prese separatamente e qui sotto riportati nelle colonne I, II I Il Valori intermedi 59° 46' 0" 59° 38' 30" 59° 42° 15" DOSMIGAEO] 60° 10' 30" 60° 14° 45" DORMONO] 60° 10' 30" 59° 37° 45" (4) Verh. Kais. russ. mineralog. Ges. [2] 6, 80, 842. S. Petersburg. 1871. (2) Sulla tormalina cromica e sui depositi di ferro cromato degli Urali. Memorie R. Accad. dei Lincei, 1881-82, Serie terza, Vol. XII, pag. 493. 248 G. D' ACHIARDI Valori intermedi 61° 44 0" | 59° 3 0" | 60° 23’ 30" 58° 56 0" 60° 31' 30" 59° 43' 45° 60° 10" 0" 60° 26° 0" 60° 18" 0" La massima differenza infatti da 60° che è nei primi due casi di 1° 44' e di 0° 57’ si riduce prendendo i valori medi a soli: 0° 23' 30°. La poliedria è quindi evidente per tutti i prismi e talora è tale la molteplicità dei piani da risultarne cristalli cilindroidi. Su tutte le facce prismatiche poi è più o meno evidente una fine striatura e non rari incavi dovuti ad impianto di altri cri- stalli distaccatisi. Riguardo alle facce terminali pochissimi sono i cristalli com- pleti alle due estremità da me osservati e presentano le se- guenti terminazioni: Cristalli Facce terminali SA locale sciolti |impiantati * {100}, {111}—{100} . . 1 3 4 00) so o 1 I | MO — 1 2 4 | 6 I cristalli rotti o impiantati ad una estremità sono dall'altra terminati nel seguente modo: LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 249 Cristalli Facce terminali pete e Totale sciolti |impiantati MIO e o 23 69 | EMO] eo afl2 151 163 MOON il _ I AO pat E 1 — 1 Terminazione fibrosa . . 64 Il 65 | 124 175 299 Oltre a tutti questi cristalli ho osservato 227 frammenti sciolti e circa 80 impiantati. Da queste due tabelle si vede subito come quasi tutte le facce terminali appartengano ai due romboedri {100} e {111} dei quali il primo non manca mai. Il cristallo completo che mostra il romboedro {110} appartiene alla vecchia collezione mi- neralogica del museo di Pisa e sebbene sia indicato come pro- veniente dall’ Elba io credo che possa essere invece del Giglio, poichè ha perfetta rassomiglianza con i cristalli provenienti da questa località, mentre invece sarebbe unico fra quelli da me esaminati dell'Elba a mostrare il romboedro ottuso {110}. I cristalli a terminazione fibrosa risultano di tanti subin- dividui le cui piccole faccettine terminali non sono fra loro riunite a formare dei piani ben determinabili; ma in qualche caso non è difficile il riconoscere che appartengono esse pure al romboedro {100} e potrebbero quindi riunirsi ai primi 69 cristalli. Le facce del romboedro principale sono sempre predomi- nanti sulle altre di {111}; spesso poi sono lucenti e bene svi- 250 G. D'ACHIARDI luppate tutte e tre, mentre talora due sono più grandi ed una più piccola, oppure una è molto più grande delle altre due. Scelti i migliori cristalli per ciascuno ho misurato tutti e tre gli angoli delle facce romboedriche, ma malgrado la lucentezza loro nessuna essendo priva affatto di poliedria ho incontrato. non poca difficoltà nella scelta delle imagini quasi sempre multiple. Medie per cristallo N.° del cristallo Angoli |n. (!) Limiti Medie 3 46° 17° 0"—46° 18" 0" 173.04) 00 I 2° 5 |46° 26° 0"—46° 27° 0"|46° 26° 24" 46° 27 55° d.° 5 |46° 39 0"— 46° 40' 30" 46° 39' 52" 359 3 |46° 37 30" — 46° 38' 0" 46° 37° 50" II 2.° 5 |46° 40' 30" — 46° 41' 30" |46° 41° 12" |46° 40' 17° DI 3 |46° 41’ 30"—46° 42' 0"/46° 41' 50" ds 3 |46° 33° 0" — 46° 34' 30" [46° 33° 30" IT Da 5 |46° 49 30" — 46° 51° 0"|46° 50' 6" 46° 44' 49" SS 3° |46° 50' 30"—46° 51' 0" (46° 50" 50" I: DI |(A62 21 Uie= 46° 23'30" (46° 22° 12" IV 2.° 6 146° 47 0"—46° 49 0"|46° 48" 0" |46° 39' 21" d.° 7 |46° 47 30"— 46° 48' 30" 46° 47° 51" 150 4 |46° 27 0"—46° 27° 30" 146° 27’ 22" VI 2.° 5 |46° 42 0"—46° 42° 0"|46° 42" 0"|46° 4l' 14" 3.° 3 |46° 54 0"— 46° 54 30" 146° 54 20" NC©)=15) 70 |46° 17° 0"— 46° 54' 30"| Media generale 46° 38' 43° Il medio valore di 46° 38' 43" è assai più piccolo di quelli (4) n indica il numero delle letture per successivi collocamenti e talora per vario punto di partenza sul lembo e se sia maggiore di 3 anche per mutata incidenza di luce. (£) N indica il numero degli angoli misurati. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 251 dati generalmente per le tormaline, che sono fra 46° 50' e 46° 54; però va d'accordo con quanto fu giù osservato per altre tor- maline, ad esempio per quelle della Siberia, nelle quali KuPrFER (Preisschrift. gen. Mess. 1825, 112) trovò un angolo di 46° 47. Dal valore angolare di 46° 38' 48" si ricava con il calcolo, volendosi riferire al sistema di 4 assi secondo Bravars: a:c = 1: 0,445147 Nei cristalli nei quali tutte e tre le faccette sono presso « poco eguali, come è per il cristallo N.° II la differenza fra i valori dei tre angoli è molto piccola, mentre negli altri suole se- condare il diverso sviluppo delle facce. Queste anomalie di cri- stallizzazione, che si verificano anche in proporzioni maggiori in altre varietà sono in armonia con le anomalie ottiche, che ho riscontrato nelle tormaline elbane. Come conseguenza di questi valori si hanno differenze dai valori ritrovati anche per gli angoli delle facce romboedriche sul prisma. Infatti nel I° cristallo, per es., misurando l'angolo che (100) fa con la faccia (110), che è in zona con essa e con (010) fra loro inclinate di 46° 17 30”, ho trovato in varie mi- sure successive un valore di 66° 51’ 30", il quale supera solo di 15' il valore calcolato partendo dall’angolo romboedrico di AGMT 900 Riguardo all'angolo che le facce. del romboedro {111} fanno fra loro e con quelle di {100} per misure prese sovra un cri- stallo ho trovato: Misurati Calcolati sul- Angoli n. si “er — ———m—m——6—66€——€— EE I angolo b; Limiti Medie di 46° 38/43" | # (414): (111) 5 | 76049 30"_76052 0" ‘760 51' 30" | 760 44' 44" | — 6! 46" # (400) : (147)! 3! 37049 0"—37050' 0"! 370 49! 20" U 380 25'20"| 380 22! 22" | |L.2! 5g” * (100) : (AT4)| 3 | 390 d' 0"—390 d' 30" | 390 1'20" —r———es‘soe-riiiiitet—t ini 252 G. D'ACHIARDI Anche da queste misure risultano le stesse oscillazioni dai valori normali che si sono riscontrate per gli angoli delle fac- ce {100} e più ancora per quelle della zona prismatica; ma è soprattutto sulle facce del romboedro fondamentale che si hanno manifesti segni di ondulazione per poliedria e figure che vi si riferiscono, le quali appaiono abitualmente in foggia di triedri a facce curve, delle quali due per il solito più estese della terza che è la più esterna. Le facce di questi triedri al goniometro a riflessione, col cannocchiale di osservazione a lente abbassata, sì vedono successivamente illuminarsi girando il cristallo, aven- dosi valori angolari di qualche grado e variabili, benchè in li- miti assai ristretti, da figura a figura. (Tav. X, fig. la). L'il- luminazione però non cessa mai dal principio di una faccia alla fine dell'altra, onde anche in ciò la riprova che i rilievi sono dovuti a superfici curve. E poichè i tre spigoli di questi triedri sono nella stessa direzione di quelli del romboedro fondamen- tale, credo sieno dovute queste figure a perturbazioni degli ele- menti che costituiscono il romboedro fondamentale dalla loro posizione normale, o a decrescimento dei piani che con il loro degradare darebbero origine alle superfici curve. A quest’ ul- tima interpetrazione conduce lo studio di varii cristalli (Tav. X, fig. 15), nei quali questi rilievi sono costituiti da siffatti piani decrescenti i cui limiti appariscono in foggia di strie. Si os- servano tutti i passaggi di questi rilievi a piani decrescenti fino a quelli che ci appariscono come semplici bollosità. Talora sono anche molto estesi e rialzano la faccia romboedrica verso il margine esterno (Tav. X, fig. lc). Si hanno poi dislivelli regolarmente distribuiti (Tav. X, fig. 2), che misurati al goniometro mi hanno dato valori angolari da 3° 53 a 4° 37 e che si riconoscono dovuti ad unione non per- fettamente parallela di subindividui che costituiscono il cri- stallo stesso. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 259 Nelle tormaline nere, come nelle altre, sono frequenti le unioni di più subindividui a formare un unico cristallo. Queste unioni possono avvenire sia parallelamente, sia con un certo. angolo; il perfetto parallelismo dei subindividui è assai diffi- cile a riscontrarsi o per lo meno a vedersi ad occhio nudo. Non pertanto si danno cristalli che in numero di 2, 3 e più si uniscono fra di loro parallelamente alle facce del prisma quasi a formare dei gemelli (Tav. X, fig. 3) con fusione parziale delle parti loro e coincidenza dell’estremità respettive nel me- desimo piano, onde appare come un solo romboedro quale ter- minazione comune dei varii cristalli. Longitudinalmente invece sono in gran parte l’uno dall'altro separati, onde profondi an- goli rientranti nella zona dei prismi; se la fusione non sia com- pleta resta una piccola cavità esagonale all'apice del cristallo multiplo (Tav. X, fig. 8). La stessa terminazione fibrosa che si osserva in molti cri- stalli accenna all'unione di molti cristallini parallelamente, unione perfetta per quasi tutta l'estensione fuori che all’estre- mità alla quale si individualizzano. Stritolando queste fibre che in fascio e talora anche degradanti a seconda dei piani del romboedro {100} formano l'estremità libera di molti cristalli, e osservando al microscopio la polvere ottenuta si vede essere costituita da tanti lunghi cristallini prismatici, i quali ad occhio nudo ci apparivano come esili fibre. Di cristalli riuniti facendo un certo angolo se ne hanno molti, e danno talora all'insieme un aspetto claviforme con la parte più larga avente tante faccette terminali di subindividui; talora si ha anche una disposizione raggiata. Oltre a questi se ne hanno molti altri composti di individui sottilissimi, direi quasi filiformi, che talora si curvano dando al cristallo bacil- lare una forma arcuata spesso molto pronunciata. Altri si os- servano come composti da due individui compenetrati l’ uno 254 G. D'ACHIARDI nell'altro con un certo angolo, la cui variabilità da caso a caso e la impossibilità di ricavarne una legge non mi consentono di considerare come geminati. La sfaldatura secondo i piani di {100} e di {111} è qui meno evidente che nelle altre varietà e l'aspetto della superfice è più o meno concoidale. È poi facile osservare piani di sfaldatura, in special modo romboedrica, che non interessano tutta la gros- sezza del cristallo, limitati spesso alla porzione periferica, ora da un lato solo, ora tutto all’intorno, e ne deriva così un’ ap- parenza come di gradini più o meno obliqui, spesso a zig-zag, (Tav. X, fig. 4) a mostrarci quasi nel cristallo una costituzione a cartoccio. Non sono però a confondersi questi piani con altri che di preferenza appariscono verso l'estremità di impianto dei cristalli stessi e che sono dovuti al distacco di altri cri- stalli aderenti. Da tutto lo studio delle forme delle tormaline nere si può concludere, a parte le perturbazioni sopra ricordate dalla nor- malità, e la variabilità tanto nel numero che nella estensione delle facce di alcuni di essi, aversi per abituale cristallizzazione: {101}, {211}, {100}, X {111} Se nonchè è da notare che all'estremità tanto nei cristalli completi che negli altri, ove appare il romboedro {111}, la so- stanza nera della tormalina è verosimilmente diversa da quella dell’altra estremità, dove solo apparisce il romboedro {100}; e difatti in sottili sezioni, in schegge, o anche in polvere osser- vata al microscopio, il color nero apparentemente eguale in tutta l'estensione di cristalli ugualmente coloriti si risolve verso l’estremità con {111} in una tinta giallo-verde più o meno bruna, e verso l’altra in una tinta cilestra o paonazza. Onde, senza escludere che si possano avere anche tormaline unifor- memente colorite in tutta la loro estensione, è però un fatto che la maggior parte di quelle che ci appariscono tali sono in- LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 205 vece policrome e ci rappresentano l'associazione delle tinte fondamentali per trasparenza cilestra o paonazza e giallo-verdi brune, che servono a farci distinguere nei cristalli elbani le due estremità di cristallizzazione superiore e inferiore. Trat- tando dei colori dovrò tornare su quest’argomento, ma ho pur dovuto ricordare sin da ora questa differenza per conclu- dere che delle numerose terminazioni {100}, {111}, se non tutte, certo per la massima parte potrebbero riportarsi, malgrado la loro apparenza del tutto nera, alle varietà giallo-verdi brune e così l’abituale terminazione delle tormaline nere, ossia di quelle ‘il cui colore si risolve per il solito in cilestro o paonazzo, ver- rebbe ridotta alle sole facce del romboedro {100}. B. — Tormaline policrome a terminazione nera. Le tormaline comprese sotto questo nome molto generico possono dividersi in varii gruppi a seconda che la tinta nera riposi sull’una o sull'altra varietà di colore che già ho detto riscontrarsi nei cristalli, e che in essi si seguono nell’ ordine seguente: sopra il nero e sotto l’acroico, il roseo, il giallo-ver- dolino, il giallo-verde, il verde-bottiglia e il giallo-bruno. Questa distinzione è utile perchè serve anche a far vedere se e quale influenza abbia rispetto alle facce terminali la diversità della sostanza tormalinica, per la qual cosa conviene anche tener conto della estensione del colore della parte terminata, aven- dosi nei varii cristalli tutti i passaggi possibili da quelli che sono nella quasi totalità neri a quelli che di tal colore non hanno che una sottile pellicola limitata alle facce terminali, o anche una semplice sfumatura, onde il nero quasi sparisce nell’osser- vare i cristalli attraverso i prismi apparendo solo per il forte assorbimento guardando dal basso all’alto nel verso dell’ asse. Nè è sempre facile decidere a prima vista se l'apparenza di ” 256 G. D'ACHIARDI colorazione nera sia dovuta alla sostanza propria dei cristalli totalmente neri, testè descritti, o all'altra giallo-verde bruna che si trova alla base dei cristalli policromi, cioè dalla parte per la quale sì impiantano nella roccia. Naturalmente questa difficoltà nelle tormaline con predominio di tinte verdi è mag- giore che nelle altre, poichè sembrano spesso terminate in nero alle due estremità. Un attento esame di cristalli esili, di schegge o sezioni sottili osservate per trasparenza permette, come già dissi per i cristalli totalmente neri (pag. 28), di decidere se questa tinta apparentemente eguale sia o no della stessa natura. E anche, senza ricorrere a schegge o sezioni, osservando questi cristalli là ove il nero incomincia si osservano ordinariamente delle sfumature come di tinta diffusa nella materia sottostante e il cui colore azzurro-paonazzo o giallo-verdastro ci è indizio rispettivamente che si ha che fare nel primo caso col nero del- l'estremità libera, nel secondo dell’impiantata. Ma anche quando è possibile riconoscere che si tratta di una sfumatura del nero superiore mal si annoverano questi fra i cristalli a terminazione nera, tanto più che le forme cristalline non sono le ‘abituali ad essi e quindi se per ultimi verranno qui ricordati lo saranno con questa avvertenza: che con le tormaline nere hanno mi- nori legami che con le altre acroiche, rosee, o verdi che sieno, a seconda che acroica, rosea o verde sia effettivamente per più o meno grande estensione la loro porzione sottostante alla sfu- matura nera. La collezione comprende 10 cristalli completi, che presen- tano le seguenti facce alle due estremità, delle quali una è sempre nera e l’altra del colore indicato in apposita colonna. Ho divisi tanto questi cristalli completi, quanto gli altri termi- nati ad una sola estremità, in due gruppi a seconda che il co- lor nero della terminazione sia o no esteso in altezza. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO Cer, — r—————_mm——_______jy@-+; 207 Colori del- Cristalli Facce terminali È |__| Totale l'altra estremità | sciolti impiantati a | {100} () . —*/3I1} giallo-verde 2 — 2 {100} . . — *{111} giallo-bruno — 1 MO SESSION RO ea 5 — 5 Pi bg vi OR, —#S111} giallo-bruno 1 i 1 OO _ 1 1 | 9 Il 10 Nei primi due cristalli del gruppo @ si ha una superfice di frat- tura e una sola faccia di {311}. Nei due cristalli del gruppo » il sottile strato nero è preceduto dal colore giallo-verde nel 1°, da uno strato acroico nel 2°. Cristalli rotti o impiantati ad una estremità: Il colore nero è preceduto da uno strato Verde-azzurro |-acroico || roseo | giallo-verde |verde-bottiglia Facce terminali |OriStalli (Cristalli (Cristalli Cristalli Palstali Totale Tra s D Eroi s D sr cl (0) di [el O de) [=] (0) s\a|5|5|3|3|3|3|3\5|#|3|5)3|f a MO00} . . . . . | 24| 641) 85 29] 46 751 2 — 284 10] 94 29] — A AO nei (N e E E e a E Mole Hof “ei e eeeRe i aMRMEe Terminazione fibrosa —| —| —| 8 — 8|3| —'3| 95) 41) 96 —| —| —| 107 b Mo. o Le (0 LORIS devi Folle; 24 G1| 85) 44| 6210615 | —| 5 [180] 11(194| 40) —| 40| 427 (4) In questo e nei seguenti specchi dei cristalli policromi completi per prima, a sinistra della lineetta, è indicata la terminazione del colore di cui si tratta. 258 G. D'ACHIARDI Passando brevemente in rivista questi 2 specchietti si vede come il romboedro principale {100} si trovi in tutti i cristalli nei quali la colorazione nera è estesa assai in altezza, poichè anche i cristalli a terminazione fibrosa si possono considerare come terminati da }100}. Nei cristalli nei quali la tinta nera è limitata alle sole facce terminali può mancare o essere ac- compagnato dalla base. Tenendo conto dello strato tormalinico che precede quello nero e riferendoci a quanto si osserva nelle altre varietà di tormaline si ha che queste terminazioni sono quelle proprie di esso strato, cioè se il nero è preceduto dal- l’acroico è frequente trovare cristalli che presentano la base, se da uno strato giallo-verde, verde-bottiglia, le faccette del romboedro ottuso {110} spesso listiformi come troncamento degli spigoli del romboedro principale; stabiliscono così un vero pas- saggio alle tormaline giallo-verdi quasi sempre terminate nello stesso modo. Per queste tormaline policrome è assai raro aversi facce ter- minali lucide e per il solito sono tanto più opache quanto mi- nore è lo strato nero. Infatti nei cristalli che sono quasi com- pletamente neri, presentando solo un sottilissimo strato acroico o verdognolo, le faccettine di {100} sono quasi sempre lucide. Oltrechè appannate le facce romboedriche sono spesso come cariate, presentando delle piccolissime cavità esagonali o trian- golari dovute a vacui fra le fibre cristalline che compongono il cristallo, le quali fibre talora sono totalmente individualiz- zate sulle facce terminali, le quali appariscono in questo caso completamente scabre. Questo fatto ci spiega pure il perchè della frequente opacità anche nelle facce terminali che sem- brano a occhio nudo essere liscie. In taluni cristalli la strut- tura fibrosa è sostituita da una struttura laminare a lamine procedenti dal vertice del romboedro {100} agli spigoli alterni del prisma (Tav. X, fig. 5), ed è notevole che la struttura la- LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 259 mellare o fibrosa cessa d'un tratto nel passare dallo strato nero agli altri sottostanti, nè mai si riscontra la struttura fi- brosa o lamellare nel giallo-verde-bottiglia, talvolta apparen- temente nero, che vedremo presentare sempre o facce ben de- terminate o una frattura concoidale. Oltre a quanto ho detto, le facce del romboedro {110} sono talvolta anche striate per il lungo e con questa striatura è d'accordo l’altra ad angolo che si osserva talora sopra le facce di {100} (Tav. X, fig. 6). TI. Tormaline a terminazione celeste-turchina e bigiastra. Seguitando a parlare delle tormaline nell’ ordine con il quale si succedono i colori nei cristalli impiantati, prima di intra- prendere lo studio delle acroiche, credo di dovermi occupare di una classe intermedia. In un buon numero di tormaline poli- crome elbane si manifesta verso un'estremità una colorazione celeste-turchina con tendenza talvolta al verde-mare chiaris- simo oppure ad una tinta azzurra assai intensa. Questa colo- razione o si sfuma nell’acroico o nel roseo sottostanti, oppure con questi si alterna in tanti piani paralleli l'uno con l’altro e alla base, risultandone per chi guardi attraverso tante linee colorite fra loro vicinissime. E quanto più numerose e vicine sono queste linee tanto più intenso è il colore della parte ter- minata. Il trovarsi questa colorazione al di sopra dell’ acroite, e l'aver riscontrato in diverse sezioni di cristalli policromi a terminazione nera, in quelli specialmente nei quali tale tinta è preceduta da strati verde-azzurri, che la colorazione nera si risolveva in una tinta celeste-turchina, quando non era paonazza, mi fanno credere che queste tormaline non sieno che un ter- mine di passaggio fra le nere e le acroiche. Non poche di queste tormaline, specie se terminate dalla Se. Nat. Vol. XIII. 17 260 G. D'ACHIARDI base, mostrano questa e le altre facce terminali ricoperte da una patina cilestro-cinerea più o meno cupa, che sparisce quasi completamente strusciando il cristallo sopra un disco di ferro. Evidentemente si tratta di quella stessa varietà di tormaline che il Targioni diceva “ di color di lilla in parte trasparenti, » în parte a zone e tutte nella parte superiore delle facce come » ricoperte da una terra bigia opaca, come se fosse spolverata s di cenere , — (Op. cit. pag. 20). Per questa differenza ho creduto bene di distinguere questi cristalli in due sezioni a e B. a. — Comprendendo nella prima (a) quei cristalli che non presentano facce terminali ricoperte da patina cilestro-cinerea dirò come per la massima parte presentino un abito cristal- lino regolarissimo. Il prisma esagono mostra delle faccette lu- centissime bene sviluppate, ma di impossibile misurazione per le finissime strie appena visibili ad occhio nudo; solo qualche spigolo è modificato da faccettine del prisma trigono, come ho potuto riscontrare con il goniometro di Wollaston per sem- plice corruscamento, più raramente di altri prismi dodecagoni. Se non fosse per questo carattere, cioè per presentare oltre l’esa- gono delle faccette di altri prismi emiedrici, verrebbe fatto di crederli piuttosto berilli che tormaline. ; I cristalli sono terminati dalle seguenti facce: Cristalli Facce terminali TTT: Lone | sciolti |impiantati {100}. 3 n {110} . 2 pe: ur 4 100}, {110}. 1 {110}, {111} . 1 È {100}, {110}, {111} . 1 = 12 LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 261 Lucide e lievemente ondulate sono le facce di {100}, onde difficoltà di misure per la moltiplicità delle imagini; speculari sono invece le facce del romboedro ottuso {110} quando si trova accompagnato dal fondamentale, opache invece se sole o ac- compagnate dalla base. La base poi è sempre lucentissima, però finamente marezzata o con figure triangolari piccolissime e numerose. Sopra un cristallo che sembrava potesse dare misure sod- disfacenti ottenni per itre angoli del romboedro }100} misure tutt'altro che tali per la difficoltà nella scelta e collocamento a posto delle imagini più culminanti. Angoli Limiti n. Medie JE o A A 07/03 48610) 2° | 46° 23' 30" — 46° 34 30" | 2 |46°29 0" 9.0 | 46° 46° 30" — 46° 55° 30" | 4 |46°50' 8" IN=R 400 20 0 0 OZ Da un solo cristallo e con sì imperfette misure non è certo da trarsi alcuna conclusione. 6.-— I colori che più facilmente si riscontrano in questi cri- stalli sono il verde con i suoi vari toni e il roseo, sopra i quali si trova sempre uno strato più o meno grande d'acroite che va gradatamente passando a un verde-mare celestognolo chia- rissimo all’ estremità incrostata. Dei prismi avvertirò soltanto come gli angoli di {101} siano alternativamente modificati da molteplici piani talora degra- danti in supertice curva. Dei cristalli completi da me esaminati l’ ultimo sottoindicato 262 G. D'ACHIARDI è formato da tanti piccoli subindividui, che riunendosi fra loro danno al cristallo apparenza di prisma trigono. Faccelllerminali Colore del- Cristalli l’altra estremità |. | T___. Totale sciolti [impiantati 111} pra *{100} le roseo CF: 4 4 {111} — *{100}, {111} : I IE ; {110}, {111} — *{100}, {111} | giallo-miele 1 id | 2 4 ae Cristalli rotti o impiantati ad una estremità: Cristalli Facce terminali _————_—__—=- || | Totale sciolti [impiantati {100} . ; i _ 4 {110} . 13 — 13 EOS, MOORE Io UO {100}, {110}. {100}, {110}, {111} _—r__——___T6ccom . Come si vede chiaramente da questo specchietto la gran maggioranza dei cristalli presentano la base e non posso esclu- dere che si trovi anche nei cristalli che ne sembrano mancanti, nascosta da più abbondante incrostazione delle facce terminali. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 269 III. Tormaline a terminazione verde-azzurra e verde-porro. A. D'Acnarpi nella Mineralogia della Toscana, parlando della tormaline verdi distingue la tinta verde che suole stare al di sopra dell’acroico dalla giallo-verde più o meno bruna, che suole formare la parte inferiore dei cristalli impiantati. Dalla descrizione però che egli fa dei cristalli che presentano la prima varietà di tinta verde e dall'esame che io ho fatto degli esem- plari ai quali quella descrizione si riferisce credo che questi vadano in parte, e precisamente quelli a terminazione appa- rentemente nera, ravvicinati ai sopra descritti di apparenza analoga con il nero preceduto da una tinta verde-azzurra. Ne restano però altri verdi in tutta la loro estensione e che pos- sono perciò ascriversi a questo gruppo, cui vanno pure riferiti varii altri. cristalli fra quelli donati dal Toscanelli, i quali, prevalentemente rosei o acroici, presentano all’ estremità una tinta verde-porro, che va sfumandosi nel roseo o nell’ acroico sottostante, e osservata per di sopra nella direzione dell'asse diventa per assorbimento molto più cupa. I cristalli che si mostrano verdi, più o meno azzurrastri in tutta la loro estensione, sogliono poi presentare un'anima in- terna scolorita o biancastra, ed è verde il solo rivestimento ; e presentano le seguenti facce terminali: Cristalli Facce terminali —x_ 1 21. | Totale sciolti |impiantati RA MONO] 15 Cv Me 5 00 1 1 *{100}, {201}, {111} . 264 G. D'ACHIARDI I cristalli con l'estremità verde-porro presentano: | Cristalli Facce terminali —— r_—=-I! Totale sciolti |impiantati ODE: FEDI AME I 6 — 6 Ho, IU 5 ze 5 11 ! —_ | Je: Le facce del romboedro {100} sono lucenti in tutti i cristalli, ma presentano dei dislivelli, specie nei cristalli del secondo specchietto, i quali si rilevano facilmente quando si vogliano prendere delle misure al goniometro a riflessione. Per uno di questi ultimi, che pareva a prima vista il più adatto alle misure, ho avuto molte imagini e quindi incertezza nella scelta. Prendendo per ciascuna faccia le due imagini estreme che a lente abbassata si vedono corrispondere a parti diverse della stessa faccia, nè dipendono da strie, si hanno fra le più vicine i valori della colonna N.° I, fra le più lontane quelli della colonna N.° II. Angoli I Il sp | 108 46% 29 30° |-47° 1330 462 519301 | Di AP EA LORO 0 | d.° LGS OO MAIO A AO] N=8 | 46° 24 50" | 48° 30' 30" | 47° 27’ 40" Dalla media di 47° 27° 40" ottenuta prendendo valori così oscillanti non si può trarre alcuna conclusione; lo specchietto precedente non serve che a mostrare l’esistenza di notevole poliedria. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 265 In quanto alla base nei primi cristalli si presenta lucida, e pur lucide sono le faccette scalenoedriche {201}, nei secondi invece è sempre scabra ed opaca. IV. Tormaline a terminazione acroica. Per le tormaline nere si è visto come il forte assorbimento producesse facilmente in tutta l'estensione del cristallo l’ap- parenza nera anche quando il fondo della tinta era diverso, purchè avessero una certa grossezza e neppur molta, onde la loro frequenza; per queste invece, trasparenti più o meno an- che in grossi cristalli, bastando la più piccola differenza nel modo di assorbimento luminoso per dar loro un’apparenza cro- matica, diversa anche nelle varie parti, si ha che rarissimi sono i cristalli perfettamente acroici, mentre sono moltissimi quelli che presentano sotto lo strato acroico sfumature varie di tinte, anche leggerissime, e che quindi vanno ascritti nel gruppo B delle policrome a terminazione acroica. Siccome poi quei pochi cristalli i quali appaiono in tutta la loro estensione senza colore sono quasi tutti rotti ad una estremità, niente di più facile che non sieno altro che la por- zione superiore di cristalli policromi. In generale sono sottili, spesso aciculari, e non perchè questo abito sia proprio alla so- stanza tormalinica priva di colore, ma perchè in quelli che pre- sentano un piccolo spessore più facilmente non apparendo il colore se debole, più facilmente in essi può apparire l’acroismo. Quando poi molti di questi cristalli bacillari vengono a riunirsi e a formare dei cristalli fascicolati di una certa grossezza, l'in- sieme acquista subito un colore tendente al verde-mare palli- dissimo, colore che sparisce all'occhio quando se ne stacchi uno e si osservi isolatamente. Si può quindi concludere che cristalli 266 G. D' ACHIARDI interi e perfettamente acroici in tutta la loro estensione deb- bano essere molto rari. A. — Tormaline totalmente acroiche. Fra i pochi cristalli d’acroite solo sopra pochissimi mi è stato possibile prendere esatte misure, rese difficilissime sia dalla molteplicità dei piani, sia dalla striatura delle facce, sia dalla struttura fascicolata dei cristalli stessi. Soltanto su due cristalli, che presentano facce assai lisce e meno irregolare conformazione, mi è stato possibile ottenere valori del prisma {101} abbastanza approssimativi da potere essere riportati nel seguente specchietto: {101} | | Il 1° angolo 60° 6 | 59° 5830" | DICANO 59° 56" | 59° 56 0" Sn 60° 4 | 60° 1' 30" O IO 59° 57 | 60° 5 30" pria ii 59° 57 | 60° 1' 0° GENS 60° 0° | 59° 57 30" 360° 0° |360° 0° 0" Diff. mass. da 60° 0° 6 | 0205804 Diff. min. da 60° 0240; | OSTIANON | In altri cristalli ho pur misurato varii angoli e ho trovato sempre valori vicinissimi a 60°, onde apparirebbe in questi acroici minore spostamento dai valori normali e quindi una differenza dai cristalli neri, dai quali pur differiscono per essere sempre gli spigoli del prisma {101} solo alternativamente modificati e LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO | 2607 in generale non da facce di {211}, abituali invece nei neri. E se in alcuni cristalli si hanno faccette a queste più o meno vi- cine, la differenza nei valori angolari ne è pur sempre mag- giore che nei cristalli neri. Così sopra uno spigolo del cristallo n.° II si hanno due faccette inclinate sulla contigua di {101} di 28° 4' e 28° 24’; così pure sopra altri cristalli ho riscontrato faccette consimili che mi han dato valori ancor più diversi da 30° e cioè di 26° 38' e 27° 54 con una media di 27° 19, che sembrerebbero accennare ad un emiprisma nuovo 37 17 20, cui corrisponderebbe il valore calcolato di 27° 19' 11" con una dif- ferenza di soli 11" dal medio valore di 27° 19' testè indicato. Ma qui pure l'oscillazione dei valori e spesso anche l’incer- tezza delle misure non mi autorizzano ad indicare questi piani con simboli speciali e come facce di prismi nuovi. E così è per altre faccette che accennerebbero ad altri emi- prismi dodecagoni, ma che in generale non seguono la regola di presentarsi su tutti gli angoli alterni di {101} e ciò forse per appartenere questi a diversi individui variamente costituiti. Anche in questi cristalli si ripete l’accenno alla tetrartoedria nell'essere queste faccette non a doppio per ogni angolo mo- dificato. Certo queste faccette prismatiche fmnp} qui e nelle torma- line policrome riferite al gruppo B sono più manifeste che nelle nere; sono sempre esilissime lineari e ripetentisi anche a breve intervallo come finissime strie e degradanti l'una nell'altra, talvolta anche in decisa superfice curva. Danno esse pertanto al goniometro imagini molteplici fra loro vicinissime non solo, ma anche sovrapponentisi e talora come formanti una fascia debolmente luminosa. Nè in ogni caso si può dalla diversa ni- tidezza loro, dall'essere o no colorite, dalla costanza o no dei valori angolari, giudicare se sieno o no riflessi di altrettante facce reali. 268 G. D'ACHIARDI oltre anche la trasparenza dei cristalli aggiunge difficoltà. alle misure per le imagini dei riflessi interni e refratte. Non per- tanto per il frequente ripetersi di certe incidenze, per la sufficiente nitidezza di non poche imagini si può con una certa approssima- zione giudicare dell’esistenza di alcuni prismi, i quali del resto si vedono anche osservando ad occhio nudo o fornito di lente. Degli emiprismi già noti nei critalli sia perfettamente acroici, sia nel tratto acroico dei cristalli policromi credo di potere ac- certare la presenza di {312}, {413}, {514} per i seguenti valori: Angoli N; Limiti Medie . Ò calcolati [me] RSA 3 Angoli (312): {107} | 5 \18°1o'— 19°39 (19° (57 0% 19° 6040200 {413} : {101} | 2|13°57— 14° 0'|13°58'30"|13°53' 52" | + 4 g8' {514} : {1OT} | 3 |10°15"—11° l'|10°3920"|10°53'36"| — 1416" Oltre a ciò molte altre misure accennerebbero alla presenza di nuovi emiprismi e soprattutto è a notare la presenza di va- lori oscillanti fra 12° 41' 30" e 13° 31° 30" come termini estremi riscontrati in pochi cristalli; ma nel massimo numero dei casi in limiti ancor più ristretti e con una media di poco diversa da 13°, onde se non si vuole ritenerle per facce dell’ emiprisma 1413}, spostate dalla posizione normale (13° 53’ 52”), conviene riportarle ad un nuovo prisma. Infatti la media dei valori tro- vati si avvicina assai al valore calcolato di 13° 0' 14" dato dal prisma {17 4 13}. La presenza di questi valori di poco discosti da 18° ci spiega perchè da A. D'Acurarpi (Op. cit.) sia dato per l’acroite sempre il prisma {413}; infatti le misure prese con un goniometro di Wollaston per semplice corruscamento delle facce non consen- tiva che di ottenere misure largamente approssimative. Sogliono i prismi dell’acroite avere facce diversamente svi- LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 269 luppate, onde l’irregolare conformazione dei cristalli anche più manifesta che nei neri. Così talora si ha apparenza di cristalli tabulari per grande prevalenza di due facce sulle altre quattro (Tav. X, fig. 7), ora anche del prisma trigono per alterno svi- luppo, ma quest’ ultima apparenza il più spesso è dovuta, come già fu notato da A. D'Acamarpi (*) ad unione parallela di subin- dividui che confondono in un piano comune, quello del prisma trigono, i loro spigoli lateralmente sporgenti. Fra le tormaline acroiche esaminate tre sole sono complete e presentano le seguenti facce terminali: Cristalli Facce terminali — _—____—- Totale sciolti |impiantati QUO e 1 — 1 *1100}, {111} — {100}, {110}, {lll}| 2 — 2 I 3 = 5) Cristalli rotti ad una estremità: ————————€—e@"="o Facce terminali rane. Totale sciolti [impiantati Er, ee 14 — 14 * {100}, {111}. 6 — 6 {100}, {111}. 3 4 3 LO RE 9 — 9 {100}, {110}, {111} 3 — 3 incerte . 1 — Il 36 —_ 36 (1) Miner. Tosc., Vol, IL. pag. 199, fig. 6. 270 G. D'ACHIARDI Oltre questi 39 cristalli con tutte e due le estremità o con una sola, ho osservato 54 frammenti per la massima parte di cristalli che essendo fascicolati e abbastanza grossi hanno un’ apparenza di tinta verde-mare molto chiara e che verosimil- mente non sono che parti di cristalli del tipo *{100}, {111} — {100}, {110}, {111} indicati nel primo specchietto, pur essi cri- stalli fascicolati. A questo medesimo tipo sono da riportarsi i 6 cristalli del pari fascicolati del 2.° specchietto terminati da *{100}, {111}. Le facce del romboedro fondamentale sono lucenti, ma in generale piccolissime e lievemente ondulate, onde non riesce facile prendere esatte misure; e solo su due cristalli, il primo dei quali è il n.° I dello specchietto a pagina 266, ho potuto ottenerne con sufficiente approssimazione: N.° del DINE 0 Media Angoli n Limiti Medie È cristallo per cristallo Er 1° | 4 |A6o14 0"— 46015" 0"|46°14 80" LI I |2a° | 3 |46058 30" — 46059 0"| 46058 50"| 46° 44 07" 95 ZI CARO OOO AO) a 4 |46° 14 30" — 46° 15) 30" | 46° 15° 0" im Deo 3° | 46° 47 0" — 46° 47° 30" | 46° 47’ 20" | 46° 41' 9" 83 DI OSATO 0A VT —6|9] |46°14 0"— 47° 2 30"|Mediagen.*: 46° 42' 4g" Ans valore angolare medio. di 46° 42° 48" si ricava con il calcolo, volendosi riferire al sistema a 4 assi secondo Bravais: a:c = 1: 0, 445923 Misurati pure nei due cristalli tutti gli angoli fra le facce rom- boedriche e le prismatiche corrispondenti in zona ho trovato LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 271 valori diversi in ragione delle differenze fra gli angoli rom- boedrici, valori compresi fra i limiti di 66° 11° 30” e 66° 59' 30” nel primo cristallo, 66° 30' e 66° 59° nel secondo. Prendendo la media di tutti questi valori si ottiene 66° 38' 33”, che dista solo di 0° 0' 3" dal valore di 66° 38' 36" calcolato sul medio valore romboedrico di 46° 42’ 48°. Dalle differenze e disposizioni dei valori trovati sembra quasi che si abbia una tendenza al monoclinismo, cui spesso accenna anche lo sviluppo diverso delle facce romboedriche. (Tav. X, fig. 12). Il romboedro ottuso {110} si presenta per il solito a facce opache e grandemente subordinato alla base, a cui va sempre associato, mentre invece è predominante su {100}. La base poi generalmente è appannata, ma non di rado anche più o meno lucida, d’ordinario predominante; e non manca che alle estre- mità alle quali comparisce il romboedro acuto {111}, il quale si presenta sempre con facce lucide e piccolissime. La costante presenza della base, la frequenza del romboedro {110} e il pic- colo sviluppo delle facce di {100} costituiscono il carattere cri- stallografico, che distingue queste tormaline acroiche dalle nere. B. — Tormaline policrome a terminazione acroica. Per queste tormaline, come per le nere, occupandomi delle facce terminali dividerò i cristalli in gruppi caratterizzati dal colore che precede lo strato acroico. In quanto ai prismi si ha che anche in queste, come in quelle perfettamente acroiche, prevale l’esagono {101}, di cui gli angoli sono alternativamente modificati da varie faccette, fra le quali raro è che se ne ab- biano appartenenti al prisma {211} o ad esso vicine. Gli angoli del prisma {101} misurati nei cristalli più perfetti danno per il solito valori diversi da 60° benchè molto vicini 272 G. D'ACHIARDI avendo riscontrato al massimo una differenza di 0° 16°. È in- dubitata anche in questi cristalli la presenza di varii emiprismi dodecagoni, dei quali, benchè non si possa giudicare con esat- tezza per le ragioni già svolte nel precedente capitolo, dirò trattando delle tormaline rosee, essendo rosei per la massima loro estensione. Cristalli completi: Cristalli Facce terminali I = Totale sciolti |impiant. ORE 00 e giallino 1. — VER ne OLO e roseo — | 4| 4 o ssi i Mi Iii a = 00) 0] È Li Sai MEO eo VOIR 5 de gni UR > — PIO 60 np] ) 1 Fl #00}, {201}... |\giallo-verdolino ci A L00201 map A 1. TOO RIO RE AL00 AR EE Mgrallocverde Lei {100}, {110} . —*{100}, {111} (2), {201}. 3 Le {100}, {11} . —*j{100}. {111}. . . .|giallo-verdolino| 1| — {ni N00 A 00 20 roseo iS {100},{110},{111}—*{100}, {111}. . . .| giallo-topazo | — | (IN E . . +|giallo-miele La | 5 | 17 x Abbastanza degno di nota è il cristallo n.° 3 il quale oltre mostrare la conformazione tabulare per grande prevalenza di due facce del prisma {101} sulle altre quattro, si presenta, caso assai raro, terminato egualmente alle due estremità; è da no- tarsi però che dalla parte acroica la base è lucida, dalla parte rosea invece è scabra ed opaca. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 275 Tormaline rotte od impiantate ad una estremità: Cn" —_____: Lo strato acroico è preceduto da uno strato roseo giallo-verde Facce terminali “on Totale i Cristalli | Cristalli TETY inoald 7 a IG sciolti \impiant. sciolti |impiant, {100} . — 1a | E 3 LO N du da 10 IRR 9900 28 30] MAS O GL N36 VO REC Rcs 26 228 2 Ga MIE 6 32 IO SES RE eee ic (Ro Ml NG 7 24 MORE IO RASSSRSA 65 Sl allea REI o ca 27 (4473, 4111}. e ee = 1 eo ii k35 eee ao enza 127 | 12 |139 | 33. | 35 | 68 | 207 Anche dallo studio di questi cristalli completi e no, fatta astrazione dalla terminazione non acroica, della quale dirò a suo tempo, viene confermato il carattere dell’ acroite nel pre- dominio della base e del romboedro {110} di fronte al romboe- dro {100}, le cui faccette, anche se frequenti, appaiono d’ ordi- nario subordinate e sempre in corrispondenza degli spigoli non modificati del prisma {101}. In un cristallo ho riscontrato una faccetta opaca triango- lare riposante sopra uno spigolo non modificato dal prisma {101} 6 che credo debba appartenere al romboedro inverso {447} ci- tato anche da Seciemann (*) e da Dana (2); il valore dell’ angolo {447} : {111}, misurabile solo col goniometro a mano, è di circa (1) Zeit. Kr. Groth. 1882. VI, S. 247. (2) The System of Mineralogy. 1892. pag. 551. 274 G. D'ACHIARDI 80°, quindi corrisponderebbe assai bene al valore di 79° 59' 15° calcolato in funzione di a: c = 1:0,445923. Le faccette di {100}, {110} e la base {111} di rado sono lucenti e lisce, e non mai tanto da poter prendere esatte misure; hanno invece un luccicore gommoso del tutto proprio di questa varietà di tor- maline. Inoltre le {100} presentano spesso ondulazioni embri- ciate, le {110} strie longitudinali (Tav. X, fig. 9), e la base fi- gure triangolari e anche rilievi e incavi trigoni, per cui in taluni cristalli si può ritenere che essa sia solo apparente e prodotta da fitta riunione di estremità romboedriche di tanti subindivi- dui, la quale apparenza va gradatamente diminuendo con il maggiore sviluppo della base stessa e manca del tutto o quasi nei cristalli privi di facce romboedriche. Come termine di passaggio fra i cristalli a terminazione acroica e quelli a terminazione rosea credo debbano esser posti alcuni cristalli i quali mostrano in tutta la loro estensione una tinta rosea perfetta, o preceduta da uno strato giallo-verde, e che all'estremità terminata presentano un leggero strato acroico, sfumante e talvolta quasi confuso col roseo sottostante. Se si suardano per trasparenza, attraverso ai prismi, lo strato si può distinguere dal roseo, ma osservati nel verso dell'asse di sim- metria principale non si vede che una tinta rosea come effetto di luce, che io credo dovuto al colore della parte sottostante. Infatti se in uno di questi cristalli si toglie via tutta la parte rosea inferiore all’acroica le facce terminali anche guardate nel verso dell'asse si mostrano perfettamente scolorite. È vero peraltro che la mancanza di colore potrebbe anche essere ap- parente e dovuta al debole assorbimento in strati di mediocre SrOssezza. Non parlando dei prismi perchè rosei dirò delle facce ter- minali principiando dall’unico cristallo completo che mi è stato dato di osservare: LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 275 | | Colore Cristalli Facce terminali È na | tota fi | dell'altra estremità sciolti limpiant, | {111} — *{100}, {111}, {311}, {412} giallino e Cristalli Facce terminali === 1a sciolti |impiantati CRCR RR Ro DD 108 MO i DS - 23 (UO In eno 9 = 9 MOIO 4 = 4 On IDO Ia 11 2 13 us: 168 4 172 Per il grandissimo predominio della base sulle altre forme cristalline e in special modo sul romboedro {110}, che si è visto essere così frequente nelle altre tormaline acroiche, conver- rebbe ravvicinare queste tormaline a quelle a terminazione rosea, che se terminate dalla base presentano spesso la stessa apparenza. Senonchè può anche supporsi che quest’ apparenza rosea, dovuta specialmente alla luce che si propaga normal- mente all'asse, meno facilmente possa osservarsi nelle torma- line terminate da facce più o meno oblique ad esso. V. Tormaline a terminazione rosea. Le tormaline rosee passano per varie gradazioni di colore da un rosa pallidissimo, che spesso si confonde con l'acroico, ad un rosa cupo che talvolta, ma in pochissimi esemplari, tende Sc. Nat. Vol. XIII. 18 276 G. D'ACHIARDI al rosso-vino. Moltissimi sono i cristalli perfettamente rosei in tutta la loro estensione, ma come gia osservò il Rarx (') non di rado con tuono diverso dal basso all'alto. Ordinariamente la tinta impallidisce verso l'estremità :libera, salvo°in alcuni cristalli nei quali, come già aveva osservato A. D'AcHaRpI: “ si ha nella parte superiore apparentemente acroica una tinta y Vinata diffusa, che ci dà imagine come di vino galleggiante , sull'acqua, che se ne cominci a tingere appena , (?). Di questi cristalli avrei anche potuto fare un gruppo a parte, ma poichè anche in questo caso si hanno tutti i passaggi nei tuoni e nella estensione della tinta ho creduto meglio di conservarli riuniti, riserbandomi di notare a suo tempo se e quali corrispondenze ci sieno fra i caratteri cristallografici e il tuono diverso di tinta. I cristalli da me esaminati totalmente rosei sono per la massima parte sciolti, e poichè i policromi a terminazione rosea sì trovano spesso impiantati, così può credersi che i primi non sieno il più delle volte che frammenti dei secondi. A. — Tormaline totalmente rosee. Le tormaline rosee da me esaminate in grandissimo numero, più di duemila fra cristalli rotti e terminati, sono per la mas- sima parte fascicolate e quindi riescono difficili le misure delle facce prismatiche. In diversi cristalli, che sembrano a prima vista atti alle misure, non è stato possibile ottenere alcun ri- sultato soddisfacente per la molteplicità delle imagini riflesse e refratte, non di rado confuse qui pure in continua fascia luminosa. Solo per alcuni cristalli e per il prisma {101}, al solito pre- dominante, sono riescito ad ottenere valori abbastanza esatti, e (4) Op. cit., pag. 666. (£) Op. cit., Vol. II, pag. 201. LE TORMALINE' DEL GRANITO ELBANO 277 che riporto neilo specchietto appresso, indicando al solito coi numeri romani i cristalli misurati: {101} | Il Il 1.° angolo 59° 51° 0" | 60° 23' 30” | 60° 38' 30" DRoia prio 60% (71300 59° 22730" |/5ge 129! 0! Sa PIE 0 ea e NOTANO 00 AR eno alri 0) FOR 60 0 921 300 6021320001 GIoRage 60° 1° 0” | 59°53' 30” | 59° 18° 30" 360° 360° 360° Differenza massima da, 60°| 0° 18 0" | 023308 ERANO, Differenza minima da 60° OSANGIORO, | (OP 93308 desi 0° La notevole differenza dai valori normali, anche in questi che sono fra i migliori cristalli, può spiegarsi al solito con la loro struttura fascicolata. Il non perfetto parallelismo di sub- individui può contribuire a dare, nelle misure prese con un solo collocamento di tutte le facce in zona, quelle differenze angolari. Gli angoli del prisma {101} sono alternativamente modifi- cati, e qui pure, come nella acroite, inegualmente e di rado dal prisma {211} sostituito al solito e da faccette vicinali e da faccette di prismi fmnp}, i cui valori oscillanti lasciano spesso incerti sulla loro determinazione. Tanto per queste tormaline totalmente rosee, quanto per quelle che sono tali nella quasi totalità della loro estensione è a notarsi la moltiplicità di queste faccette prismatiche, già avvertita da Rara (1), maggiore che nelle altre varietà. Le mi- (1) Op. cit. 278 G. D'ACHIARDI sure sono oltremodo difficili, non pertanto per il ripetersi di certi valori, che sembrano convergere verso limiti ben determinati, si può credere che si abbia almeno una tendenza al presentarsi di certe faccette, spostate al solito in grazia della struttura dei cristalli in queste tormaline ancor più complicata che nelle nere. Fra questi valori oscillanti per poliedria se ne hanno spesso da 23° a 24° che accennano al prisma {523} non ricordato nè dal D'Acnarni, nè dal Ramm. Agli altri prismi {413}, {812}. {817} già citati, richiamano pure valori in buon numero, che però non corrispondendovi sempre perfettamente potrebbero indicare anche altri nuovi prismi. Così la frequenza di valori oscillanti da 12° a 13°, da 20° a 21° con rispettive medie di 12° 14° e 20° 24 potrebbero far credere all’ esistenza di nuovi prismi, quali {927}, {20 7 13}, cui corrispondono i valori calcolati dia e 000 Le tormaline rosee possedute dal Museo di Pisa sono, come già dissi, molto numerose e si hanno fra queste ben 26 cristalli terminati alle due estremità, cosa che dà gran pregio alla col- lezione essendo assai difficile il trovarli tali. A. D’'AcHiarpi (4) in- fatti non ne conosceva alcuno e il Rark (2) ne descrive solo 9 appartenenti a cinque collezioni differenti. Per la massima parte sono cristalli fascicolati, talora abbastanza grossi, terminati da faccettine piccolissime e lucenti di assai difficile determinazione. Avanti di riportare in apposito specchietto i simboli delle combinazioni da me riscontrate, credo sia utile ;il riportare quelle osservate dal Rara (5): 1.*—*/100}, {111} — {100}, {110}, {111}: Collezione Pisani 2. —*100}, {111} lucida — {100}, {111} appannata , Foresi 3. *f100}, (11 — 100}, {111} — . dill'orimole Ganz de ST I 00 E ran 5.* —*{100}, {201} III) i Lon 6.2 —*{100}, {111}, {201}, {111} — {100},{110}, {111} , Kranz ODIO (3) Op. cit. p. 665) LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 279 Fra i cristalli da me osservati ho riscontrato solamente la prima e la terza combinazione e solo in un cristallo per cia- scuna, e in luogo delle altre quattro se ne hanno diciotto assai svariate come si vede nel seguente specchietto: Facce terminali Totale sciolti | impiant. © OO] en OSL | 1.1 | HU Cee O ETA ee #{100} e superfice di frattura . -- {100}, {111} IRSA Oi ao 38 Ue e 00 TI] fl Ie Ae L00 esupodifratto LN RR e ER AE, #00), DI Re 00 LOSE e A if OR I dle i 10004) 1|-|1 o 20 00) Di 0 20 00) 110) ESA OOO 1100] Lia. dI —_ 1h ui RZ i|=|-1 O TAO] 000 eeeh 00 000] 1—-|1 * {100}, {111}, {311}, {201} ?, {412} — {100}, {111} Ts * Faccette indeterminabili. . . —- {111} 1 —)| 1 * Faccette indeterminabili. . . — {100},{111} Licia Dod MINI N26 | Nei due cristalli che presentano da una parte una superfice di frattura le faccettine del romboedro {100} piccolissime e lucenti sì trovano quasi a contornare il margine della frattura stessa. 280 G. D' ACHIARDI Per i cristalli rotti o impiantati ad una estremità si ha: Cristalli Facce terminali Totale sciolti | impian. (100) RS ra {100} 57. 2059 {110} 190 {111} lucida . 297|_T- | 27 {111} opaca o incrostata . 234 | 22 |256 *1100}, {111} . |a {100}, {111} lucida, | {100}, {111} opaca . 111 [SSA {110}, {111} lucida . 8|—- | 8 {110}, {111} opaca. 20) 8) 28 RIVA | 8|—-| 8 SO VE oi | FOOL OZ 25 | — | 25 ES O 1|-| 1 | {100}, {411}, {111}. i |a 1100}, {533}, {111}. 1 | A {100}, {110}, {111}. 13) 578 RESTO In en 18 406 {100}, {111}, {111}. 27|—|27 *5100}, {311}, {111}, tn} Le {100}, {110}, {111}, {111} 15 CS *{100}, {111}, {201}. 1 *{100}, {111}, {201}, {111} SS | *{100}, {311}, {111}, {201}, {111} 1a *1100}, {411}, {111}, {334}, {223}, {201}, {212}. Rec) Faccette indeterminabili . 1|T-|1 642 | 48 |690 LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 281 Dai due specchietti si rileva facilmente come delle forme tutte presentate dalle tormaline rosee prevalgono grandemente prima la base, quindi il romboedro principale }100}; ma rispetto a questo predominio è notevole la differenza che passa fra le tormaline della vecchia collezione mineralogica toscana, già de- scritta da A. D'AcHiarpi (4) e quelle, che in numero grandemente maggiore furono donate nel 1892 dal dott. Nello Toscanelli. A questa differenza del predominio delle varie forme se ne ag- giunge anche un’altra nell’abito dei cristalli, che nelle prime sono spesso assai grossi, fascicolati, persino claviformi, e nelle seconde ordinariamente più semplici. Quasi non si direbbero dello stesso giacimento, mentre è fuor di dubbio che tutte pro- vengono dal granito delle vicinanze di San Piero in Campo. Può darsi, anzi è probabile, che provengano da geodi differenti; comunque sia trattando delle singole forme cercherò di farne notare le differenze. La base, che, come dissi, è sempre la pre- dominante su tutte le altre forme, è più che predominante quasi esclusiva terminazione delle tormaline della collezione Toscanelli, nelle quali ha quasi sempre aspetto di vetro sme- rigliato, apparente roseo per di sopra, quantunque tutte queste tormaline guardate per traverso sembrino terminare in uno strato quasi acroico, o è incrostata da sostanza bianco-grigiastra. Nella vecchia collezione la base manca in parecchi cristalli; non di rado è subordinata, e in taluni è solo apparente per il concorrere delle punte romboedriche dei subindividui in un piano terminale. Quando esiste ed è prevalente si mostra spesso con aspetto diverso che nei cristalli della collezione Toscanelli essendo il più delle volte lucente in vario modo a seconda che spetti ad estremità di cristalli nelle quali il romboedro {100} riposi o no sugli spigoli non modificati del prisma {101}. Nel primo caso suole essere meno estesa e meno ondulata, nel se- (4) Op. cit. 982 G. D' ACHIARDI condo estesissima, quasi opalescente e fortemente ondulata non solo, ma anche dotata di figure triangolari e di altra forma effetto della poliedria (Tav. X, fig. 10). Il romboedro fondamentale {100} o manca del tutto o è ridotto a piccole faccettine, come punti lucenti, sul margine della base nei cristalli della collezione Toscanelli. Nei cristalli della vecchia collezione invece, se si eccettuino quelli a base lucida opalescente, è non di rado predominante o esclusivo (56 cristalli), e spesso accompagnato dal romboedro {111} gran- demente subordinato. Abitualmente è a facce lucide riposanti o no sugli spigoli modificati di {101}; solo appare scabro nei cristalli fascicolati, sopratutto se claviformi, per la molteplicità dei subindividui, che degradando a scaletta concorrono a for- mare le facce del cristallo. Malgrado la lucentezza loro sono però le facce romboedriche sempre più o meno ondulate, spesso anche evidentemente marez- zate e come divise in regioni molteplici spettanti a subindividui diversi non sempre perfettamente paralleli, quindi se le torma- line rosee offrono difficoltà nella misura dei prismi per la strut- tura polisintetica dei cristalli, non ne offrono meno quando si vogliano misurare gli angoli romboedrici su facce sempre più o meno ondulate con evidente e complicata poliedria, effetto anche essa dell'unione non perfettamente parallela di subindi- vidui nel cristallo composto. L’irregolare inclinazione di una faccia in diversi piani elementari che ne deriva genera per oguuno di essi una speciale imagine riflessa del segnale e si ha così un vero fascio di imagini più o meno vivaci, spostate spesso di zona, benchè vieinissime sempre, onde la molteplicità loro si complica anche per la reciproca interferenza. Girando il cannocchiale di osservazione si vedono, come ef- fetto di questa interferenza diversa ai varii angoli, impallidire alcune di queste imagini, ravvicinarsi altre, e anche aumen- LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 283 tando l’angolo d'incidenza fino a portarlo al massimo possibile per le imagini, si vedono a poco a poco sparire la maggior parte finchè ne restano solo pochissime e non di rado una con una certa culminazione su tutte le altre. Perciò dopo avere scelto fra i cristalli terminati col rom- boedro {100} quei pochi che meglio si prestavano alle misure mi fu necessario di fare tutte le determinazioni a grande an- golo d'incidenza, la difficoltà di un esattissimo collocamento del filo del reticolo per la dilatazione delle imagini culminanti producendo minore incertezza nel giudizio che la difficoltà della scelta fra tante e tante imagini interferenti fra loro. È vero che perciò la misura non ci dà il valore dei due piani elementari immediatamente a contatto sullo spigolo mi- surato, ma quello sempre un poco maggiore dei piani più cul- minanti sulle facce corrispondenti a quello stesso spigolo, tanto è vero che misurando ad incidenza minore l'angolo fra i ri- flessi più vicini o più lontani delle due facce si hanno valori reciprocamente minori e maggiori di quelli ottenuti a grande incidenza, che possono quindi anche perciò considerarsi come i valori migliori essendo intermedii e quindi avvicinanti più degli altri alla media posizione delle facce costituite da mol- teplici piani elementari, e perciò preferibili in casi consimili come suggerisce anche Websky (1). Le misure ripetute su varii di questi cristalli con il gonio- metro di Wollaston, per il quale giudicai dell'unica imagine riflessa di una sbarra da finestra, vengono in appoggio dell’ op- portunità della scelta fatta; ma nello specchio seguente non sono riportate che quelle prese con il goniometro a riflessione (Fuess N° II). (1) Ueber-Eimricht. u. Gebrauch. d. v. R. Puess. geb. Re/less-Goniometer. Model. IL. Zeit. Kr. Groth, 1880, 4. 545. 284 G. D'ACHIARDI 35 sa Medie 3.5 Angoli n Limiti Medie r zi per cristallo 1° | 6 | 46033 0"— 4603630" | 46° 34 45" I DE 2 | 4604630" — 46°47, 0" | 46° 46 45” | 46° 42' 50" D 2 | 46°47 0" — 46°47 0" | 46047 0" DE 4 | 46°49 0"— 46°43' 0" | 46° 4990" II 2 4 | 46°54 30" — 46° 56 0" |46°55' 7" |'46°56' 26" 3° 5 |47°11'80"—47°12 0" |47°11' 4g" 1° | 3 | 4601530" — 46°17' 30" | 46° 16' 40" HI 2 3 | 46°32'30" — 46°33' 0" | 46° 32' 40"! 46° 44' 59" 3° 4 | 47°25" 0"— 47°26! 0" | 472537" 1° 3 | 46°1630" — 46°17 0" | 46° 1650" IVAN 5) 46055" 0"— 56058 0" | 46-56 15"! 4604505" 80 QURe47e 9: dro 85300 LC 4 | 46°39 0"— 46°40' 0" | 46°39 15" V 2,9 4 | 46°55" 0" — 46°56" 0" | 46° 55/30"! 46-59 og” 3.° BOAT 5 3008 ARS 1° Rn 0A A Mo zaa) VI 2 3 | 46°29 0" — 46°29 30" | 46° 29' 20" | 46° 36/51" | 3° 5 | 46°54 0" — 46°54'30" | 46° 5412" 1.° 46° 59 0"--47° 0' 0" | 46° 5930" VO et 46° 59 30"— 47° 1" 0" |47° 015"! 47° 1'15° 3. 47° 4 0" 47° 4 0" [47° 4 0° I° SM A 0 Vi Neat 6 | 46°22' 0" —46°23' 0" | 4602225"! 46°36/ 48! 3° 3 |47°13' 0"—47°13' 0" |47°13' 0° N=24|88 |46°15'° 0" —47°26' 0" [Media gener. 46°47' 15" LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 285 Dal valore medio di 46° 47’ 15” si rileva; riportandosi al si- stema a quattro assi secondo Bravars, il rapporto : a:e= 1:0, 446769 Dai 24 valori sovra riportati si ha nuova conferma della variabilità fra angolo ed angolo dello stesso romboedro, ripe- tendosi anche per queste tormaline la frequenza di due valori assai più vicini fra loro che al terzo, con tendenza quindi, come già osservai per le altre, al monoclinismo e questa stessa va- riabilità si ripete anche per gli altri romboedri. Come già dissi le facce di {100} sono sempre più o meno ondulate e a dimostrare in quali limiti stieno le reciproche in- clinazioni dei piani elementari di una faccia con apparenza di poliedria credo utile di dare il seguente specchietto nel quale si rende conto di uno dei casi più semplici e con i maggiori estremi di differenza riscontrati. Per ciascuna delle due facce concorrenti all'angolo misurato si avevano tre imagini dovute a tre piani vicini non distinti e nemmeno tutte allo stesso pre- ciso livello. Fatte le varie combinazioni fra le diverse imagini della prima faccia, le quali indicherò nell'ordine di successione con a b c, e quelli della seconda d e f, ottenni i risultati seguenti come medie di varie misurazioni fatte cambiando anche incidenza di luce, per il che non ebbi notevoli differenze: Angoli misurati Angoli misurati Angoli misurati a:d ATTORI b:d 46° 54 ced 46° 12' a:e 48° 20' bi vena Me47/0039/ c:e 4620551 ELRGL 49° 30' b:if | 48° 50 QI 48° 6! x Prendendo le imagini più vicine si è avuto dunque un an- golo di 46° 12°, ma l’imagine d non è allo stesso livello di € 286 G. D'ACHIARDI mentre è a livello con b con la quale fa un angolo di 46° 54; le altre due imagini più vicine e allo stesso livello sono Cc ed e che fanno angolo di 46° 55' per cui si possono ritenere questi valori come più vicini al vero. D’'ordinario però le imagini sono molto più numerose e mentre da una parte rendono difficilis- sime le misure esatte, dall’altra ci attestano quei piani essere quasi coincidenti tra loro, le differenze di inclinazione stando entro limiti di un grado e spesso di pochi minuti. Il romboedro che ha per simbolo {533} è un romboedro ot- tusissimo, che non fu sino ad ora citato da alcuno. A me fu dato riscontrarlo in un solo cristallo terminato dalla base prevalente lucida e marezzata e scorniciata dalle faccette di questo romboedro e di {100} (Tav. X, fig. 14). Le misure prese dettero: misurati calcolati su Angoli ni ————____— — ss _ (100):(010) bj) Limiti Medie = 46047'[5" (114) : (033) 81 08929 9 50 496 30/501) 794! . (93) 16150 — 5° 35 D° 32 30" » 50 25 14" D92 o 1411) 0° 30' 30"— 50 35' 30" 1 1' 31” 003' 43" (411) : (839) | 4 || 50.34 0"_ 5988! 0" | 5035! 52! 100)}: (033) 18112203 02201201) (00 2201171 0) (010): (353), | 60 | 220, 4304220 7! 0% 220 5! 30! 7220 420" | 210 bol 48 4 32 (061) : (330) | 6 | 210 47! 30/210 53! 0" io 50! 30" Anche per questo nuovo romboedro si ripete il fatto già notato per {100}, dell’aversi cioè uno dei tre angoli assai di- verso dagli altri due. Le differenze in più fra gli angoli misu- rati e i calcolati sono in ragione dell'essere anco più elevato il valore medio degli angoli {100} :{111}, che non sia il valore medio in funzione del quale fu fatto il calcolo, e che è {100}: {111}= 27° 1719" dato da (100) : (010) = 46° 47’ 15". Calcolando LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 287 su (100) :(111) = 27° 29 84, valore piu elevato dell'ordinario, ma che risulta dalle misure prese sul cristallo stesso, come si desume anche dal precedente specchietto, si ha: (533): (111) = 5° 24 19" (533) :(100) = 22° 5° 15" valori i quali non si scostano dai trovati che di 0° 0' 55°. Il romboedro diretto {411} fu da me osservato su due cri- stalli in uno dei quali si presenta con una grande faccia scabra, sulla quale fu solo possibile prendere misure con il goniometro a mano e che mi dettero per l'angolo (411) : (111) valori vi- cinissimi a 128°; e nell'altro come faccetta lineare troncante lo spigolo più ottuso dello scalenoedro {201} (Tav. X, fig. 11, 16). Il romboedro {311} si presenta in tre cristalli con faccette triangolari con apparenza di vetro smerigliato, debolmente lu- centi, e che furono determinate per corruscamento col gonio- metro di Wollaston. Il romboedro ottuso {110} non è molto frequente nelle tor- maline rosee, specie se non accompagnato dalla base e dalle facce di {100}. Se in unione alla base il più delle volte si pre- senta con faccette subordinate, per lo più opache riposanti sugli spigoli non modificati del prisma {101}; se con {100} con faccettine lucenti listiformi a troncarne gli spigoli culminanti e in questo caso danno abbastanza nitidi riflessi. Le misure prese mi han dato sempre valori assai differenti per i due an- goli che ciascuna faccia fa con le due del romboedro fonda- mentale concorrenti allo spigolo da essa modificato, come si può vedere nel seguente specchietto, nel quale sono riportate le misure prese sopra uno dei migliori cristalli (1). (1) È il cristallo n.° I dello specchietto a pag. 284. 288 G. D'ACHIARDI misurati calcolati su ——— e em mnt.t11}e-::-—-:iI'iI'I. | IU: Ò Limiti Medie —46047' [5" (101) : (100) dO 220 59' 30"—230 0' 0" Il romboedro {111} è assai frequente nei cristalli della vec- chia collezione, poco negli altri; appare ora a facce lucide ora scabre e incrostate, abitualmente piccole, e differentemente col- locate ora sugli spigoli modificati, ora sui non modificati del prisma {101}; e poichè nell’uno o nell'altro dei due casi può essere anche con diverso aspetto, anche per ciò che vedemmo delle altre forme viene a mancare ogni valore, come assoluta, alla vecchia distinzione fatta dal Rose in estremità superiore e inferiore e nuova conferma a quanto dissi in principio, che cioè la corrispondenza o no dello spigolo modificato del prisma {101} alle facce di {100} o di {111}, più che essere segno di una o altra estremità, dipenda dal presentarsi ora gli emiprismi x{211}, %imnp}, ora i loro complementari %{211}, Xfmn p}. Per alcune misure prese dell’angolo che il romboedro {111} fa con le facce di {100} ho ottenuto valori oscillanti da 38° 17° a 38° 37 con una media di 38° 25' 30" poco diversa dal valore calcolato su (100) : (010) = 46° 47’ 15", che è di 38° 27 10°. I romboedri {334} {223} furono da me riscontrati sopra un solo e medesimo cristallo, il primo come faccetta lineare ap- pena visibile, e di impossibile misurazione a troncare lo spi- (110) : (100) | 6 | 230 24 20" 230 30' 30" [230 27' 307) (110) : (010) | 6 |230 2° 0"_23042' 0"|230 7' ' 4 Ò ; Lord) I 9 7 VD COREA SI si O ogoal 22" 230 23' 37" |—00 2 45 (041) :)004) | 4 220 40" 0" 220 40 0" (101) : (001) | 2 | 230 47 0"—230 47" 0"|23047" 0" LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 289 golo più ottuso dello scalenoedro (912), il secondo come fac- cetta assai estesa e lucente in zona fra (112) e (334). (Tav. X, fig. 16). Lo scalenoedro {201}, che si riscontra in varii cristalli, si presenta a facce abitualmente appannate col solito aspetto di {811} e che ha spesso anche la base; più di rado lucide. Le facce sono per il solito grandemente subordinate, solo in qual- che caso acquistano maggiore sviluppo, ma inegualmente fra loro. Lo scalenoedro {212} fu da me riscontrato in due soli cri- stalli; in uno a facce appannate e determinato solo approssi- mativamente, nell'altro, che è quello stesso cristallo or ora ci- tato (Tav. X, fig. 16), a facce lucide e lievemente ondulate. Su questo cristallo potei prendere misure dell’uno e dell'altro scalenoedro e ottenni i valori seguenti: ————c misurati calcolati su Angoli ni ——_ _—__--=- | ((00): 010) O) Limiti Medie |= 46° 47'[5" *(417):(201) | 3320 7° 0"_320 7'30"| 320 710" | 3105234" | + 004436" *(201) : (210) | 8.|31° 6' 0"_31012" 0"| 3lo 822" | 3003712" | +-0°31'10" *(201): (410) | 3 |58° 30' 0"—580 30' 30"| 5803020” | 580 7/26" | 4002254" *(242): (122) | 6 | 24022" 0"_21026' O"| 2402412" | 2402538" | —00 1'26" *(212) : (207) | 3 |24013' 301-2401430") 24014 0" | 240 3 7" | +00 8'53" I valori riferibili allo scalenoedro {201} sono alquanto più alti dei calcolati, ma è a notare che non fu possibile in questo cristallo prendere le misure che sopra un solo angolo, sia per il presentarsi come d’'ordinario soltanto di poche facce distorte, sia per lo stato di queste abitualmente poco atte alle misure, 290 G. D'ACHIARDÎ onde molteplicità di imagini non solo, ma spesso anche poca vivacità nelle imagini stesse. È pure a notare che le faccette misurate erano in corrispondenza a due di romboedro {100}: per le quali (le sole che permettessero misure) fu trovato un angolo di 47° 11°. Inoltre se anche per gli scalenoedri, come è ragionevole ammettere, si ripetono differenze più o meno no- tevoli fra i varii angoli è probabile che come nell'angolo mi- surato si ebbe un eccesso, sopra altri si sarebbe invece trovato un difetto dal valore calcolato. E intanto un altro cristallo, nel quale le facce dello stesso scalenoedro lucide e assai estese meglio si prestavano alle misure, per sei letture anche variando incidenza ottenni costantemente 30° 8. Ora se dei due valori si prende la media si ottiene un valore di 80° 38' 11" che si scosta solo di 0°0' 59” dal valore calcolato di 30° 37 12". In un cristallo ho riscontrato come cornice ai due lati obliqui delle faccette triangolari di {311}, e col medesimo aspetto di esse, delle faccettine lineari impossibili a determinarsi per mi- sure, ma certo in zona fra (811) e (101) e se, come pare, fan parte anche della zona [302, 110] apparterrebbero allo scale- noedro {412}. Frequente e spesso manifesta è l’unione di subindividui in un cristallo comune. E questa unione in non pochi cristalli av- viene con perfetta fusione delle parti terminali; in alcuni si osservano ancora le linee di delimitazione nei piani basali. In altri cristalli si osservano degli. angoli prismatici rientranti o dei vacui intermedi onde acquistano aspetto canniforme, va- cui non di rado ripieni di sostanza eterogenea. Spesso i cristalli per l'unione di subindividui bacillari acqui- stano un aspetto fascicolato, ma il perfetto parallelismo è dif- ficile a riscontrarsi, e se anche apparisca all'occhio le misure goniometriche nel massimo numero dei casi dimostrano il con- irario. Si passa da cristalli nei quali le facce romboedriche LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 291 presentano dislivelli regolarmente distribuiti ad altri che per la maggior divergenza dei subindividui acquistano aspetto cla- viforme. Così pure, come già dissi per le tormaline acroiche, avviene talvolta che più cristalli fascicolati sì uniscano tra loro ad angoli diversi. La sfaldatura basale è facilissima e frequente, a superfice ineguale; assai rara la romboedrica {100}. La frattura ha aspetto vetroso ed è assai meno concoidale che nelle tormaline nere. B. - Tormaline policrome a terminazione rosea. Le tormaline complete le quali presentano ad una estremità una colorazione rosea, sono la maggior parte rosee anche per quasi tutta la loro estensione, fuorchè all'altra estremità, dove si ha o un leggerissimo strato acroico, oppure tante piccole faccette terminali lucenti di un colore che va da un giallo-verdo- lino assai chiaro, talvolta quasi acroico, a un giallo topazio fino ad un giallo-miele-scuro. In alcuni pochi cristalli si ha invece una colorazione delle facce terminali decisamente giallo-verde. Nei cristalli rotti ad una estremità lo strato roseo è pre- ceduto da tinte giallo-verdi, verdi-bottiglia nei loro svariati toni di colore. Tutti i cristalli sono più o meno composti, quindi impossi- bili le misure dei prismi; e per le misure delle facce termi- nali rosee niente è da aggiungersi a quanto già dissi parlando dei cristalli completamente rosei; mentre delle misure prese sopra l'estremità giallognola mi occuperò nel seguente capitolo. Dei cristalli completi con una estremità rosea ne ho osser- vati 62, compresi quelli già citati parlando delle tormaline po- licrome a terminazione acroica o cilestra e che nel quadro se- guente sono contrassegnati in nero. Cristalli completi: Se, Nat. Vol. XIII i 19 G. D'ACHIARDI Cristalli | A [Nole sciolti inpian, pa 0 Facce terminali Colore i dell’altra estremità #5100} . . — {ll}. : acroico #100} . iii: 7 cilestro ;100} . . —*311}, {412} e sup. difratt. | giallo-vinato DLE . —#{100}, {111}. . |giallo-verdolino {111}. . — {111}. acroico RUOTE . —*{100}, {111}. giallino VOLTE 00 OLO ; 111}. o 00 LOVADdI) giallo-verdolino SID, . —*{100}, {311}, {111}, {111}. giallino 111}. . —*{100}, {111}, {201}, {111}. |giallo-verdolino 111}. . — 100} {211}; {201}, (101. 7 {111} e sup. difr. —*{100}, {111}, {111}. giallino #1100}, {111}. . — {111}. acroico #5100}, {111}. . — fill}. cilestro MGOR IO: —pi00] pbol, giallino 1100}, {111}. . —*{100}, {111}. giallo-miele {100}, {111}. . —*{100}, {111}. {111}. giallino {100}, {111}. . —*100}, {311}, {111{, {111}. | giallo-topazio MOI BR 00 201 AR giallo-verdolino 1100}, {111}. . —*{100},e faccetteincrostate | giallo-verde {100}, {111}... —*{100} {11M}. giallino {110}, {111}. . —*{100}, {111}, {201}, {111}. |giallo-verdolino {110}, {111}. . —*{100}, {811}, {111}. giallino {110}, {111}. . —*{100}, {811}, {111}, fmnp} ; #1100}, {111}. . — {111} . acroico {100},{110},{111}—*{100}, {111} . giallino {100},{110},{111}—*}100}, {111}. {100},{110},{111}—*{100}, {311}, {111}. {100},{110},{111} —*{100}, {311}, {111}es.d.fr. OOo Ra H00 Ri (2010 *5100}, {111}, {mnp} - {111} . È *[100}, {111}, {201} — {100}, {111} . giallo-verde giallo-miele giallo-verdolino acroico » ut > elit D _ Po LIO 1 ii 6 LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 293 Cristalli rotti o impiantati ad una estremità: | -- o _ o _adooe66YWww Angoli n Limiti Medie | f | ZE | per cristallo | 169 SATO E OOO ADITO | dl Do SI TR 5 VAT? 5 0 ATe82582.008 40832/02.56 do DI O A OA Te 0 ARSA SA JE 3 |46° 42° 0"--46° 42'30" (46° 42° 10" SUI do 6 |46° 43° 0"— 46° 43' 30"|46° 43’ 15" (46° 51' 42" 3.° 6 ATO 900470807 (47° 9 401 JE? 3 |46° 25° 0" — 46° 25' 30" 146° 25' 20" III dio 3 |46° 50 0" 46° 51° 0"|46° 50' 40" |46° 43' 0° do 4 |46° 52 30"— 46° 53 30" 146° 53' 0" N=9|36 |46° 25° 0"—47° 55' 30"| Media generale 47° 2° 22" 302 G. D'ACHIARDI da cui si rileva: a:c=1:0,449648 Notevole è la differenza che esiste fra i valori dell'uno e dell'altro cristallo; va però notato che la loro terminazione è differente. Nei primi due infatti il romboedro misurato corri- sponde agli spigoli non modificati del prisma, e la superiorità di valori per i romboedri così collocati si è già riscontrata nei cristalli a terminazione gialla e si vedrà che si ripete anche per i giallo-bruni. Da altre misure prese solo sopra alcuni spigoli risultano valori superiori ai 47° arrivandosi perfino a 47° 45°. Sui cristalli, nei quali la poliedria è più manifesta e misurabile anche nei suoi piani elementari, si riscontrano pure valori molto elevati. Così in un cristallo, le cui facce davano varie imagini ben di- stinte e costanti per incidenze varie, e quindi riferibili senza dubbio a piani elementari diversi, per misure prese fra le ima- gini fra loro più vicine e fra quelle più lontane ottenni i va- lori I fra le prime, i II fra le seconde: Angoli I | Il 14 Il 2 *]° | 45° 45° 0" | 46° 46° 30" | 46° 15° 45" *9° | 46° 86 0" | 48° 54 0" | 47° 45° 0" *g | 479° 9 0" | 48° 8 0" | 47° 88 50" AG 00, ASS ON ATEO Na Computando nel calcolo anche questo valore si ha: (100) : (010) = 47° 5' 3° e di qui: alle —ME050160 Delle altre facce la base solo in pochi è lucente; le {110} sem- pre appannate e talora longitudinalmente striate; le {111} pic- 303 cole e lucenti e spesso lucentissime le scalenoedriche. Di queste LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO le {201}, più frequenti in questi cristalli che nelle altre varietà, sono fortemente ondulate per poliedria e sogliono presentare ineguale sviluppo, e non è raro il caso che una faccia grande- mente prevalendo sulle altre rudimentali (e talora mancanti) dia al cristallo un aspetto di zeppa (Tav. X, fig. 15). Dei due scalenoedri {211} e {201} solo per il 2.° fu possibile prendere misure con un goniometro a riflessione (Fuess N.° II); per l'altro a cagione della struttura fascicolata dei cristalli mi dovetti accontentare di misure solo approssimative con un go- niometro Wollaston, tali però da non lasciar dubbio sulla sua presenza (Tav. X, fig. 13). Angoli N misurati RRICOlatI bj | .| SU(100): (010)=470 2 22” | *(201): (210) | 1 Ze SIRRBO SA 02 250941 *(210):(012) | 1 63° 29' COSA N25) *(210):(100) | 1 28° 44' Do le US “@I10) (00) 02870019 = Na eee SR *(211):(121) | 2 21° 0' circa De ala DE ID (e SIMO 84° 29' 0" 22 I *(211):(100) | 2 1290/00 21° 45° 19" — | Il minor valore di 37° 18' per l'angolo (210) :(110) è dato dalla media di tre valori 36° 21’, 37° 19, 88° 14' dati da tre nitide imagini di una faccia scalenoedrica. Su questa medesima faccia nella parte superiore si ha un'estesa faccetta vicinale con angolo su {110} di 41° 39’, onde se si computasse anche questo valore si avrebbe una media di 38° 23' 15°. 304 G. D'ACHIARDI VIII. Tormaline a terminazione giallo-verde. Le tormaline giallo-verdi assai numerose presentano grande varietà nei tuoni di colore. I cristalli sono tutti più o meno policromi, avendosi per il solito uno strato giallo-verde-bottiglia verso l'estremità rotta, che va poi man mano indebolendosi e si riduce nella maggior parte dei cristalli ad un giallo-verde grigiastro all’ estremità terminata. Nella parte mediana non pochi cristalli presentano una colorazione giallo-verde-crisolito. In alcuni cristalli, mo- stranti una certa uniformità di tinta in quasi tutta la loro estensione, si hanno le terminazioni abitualmente di {100}; di {100}, {110}, e anche di {100}, {110}, {111} con un’ apparenza di velatura nera se si guardano per di sopra nel verso dell’ asse di simmetria. Taluni di questi cristalli al di sotto di questa velatura nera mostrano nella tinta giallo-verde una leggera dif- fusione di tinta roseo-paonazza, onde il dubbio se debbano o no essere ascritti addirittura fra i policromi a terminazione nera; ma l'evidenza dei più graduati passaggi ai cristalli de- cisamente giallo-verdi e più di tutto la perfetta corrispondenza dei valori angolari mi ha indotto a comprenderli tutti in questo gruppo. I cristalli giallo-verdi hanno per il solito un abito non fa- scicolato, ma però come tutte le altre varietà di tormaline pre- sentano le facce prismatiche finamente striate, quindi difficoltà nelle misure accresciuta anche dalle numerose imagini più o meno intensamente colorite dovute ai riflessi interni. I cristalli che più si prestano alle misure prismatiche sono quelli che presentano all’ estremità una colorazione giallo- verde-grigiastra preceduta da un giallo-verde passante ad un giallo verde-bottiglia all'estremità rotta. In'alcuni di questi ho LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 305 potuto prendere delle misure assai buone, dalle quali si ricava come il prisma esagono {101} sia al solito presente in tutti i cristalli con tutte sei le sue facce più o meno spostate dalla loro posizione normale; però gli spostamenti che hanno subìto non sono tanto grandi da raggiungere dei valori persino di 2.°, come si riscontrò essere nelle nere, ma non sono neppur tanto piccoli, come erano nei cristalli d’acroite, tenendo quasi una posizione di mezzo come si può vedere nel seguente specchietto: {101} | Il Ill IV 1.° angolo 60° 38' | 60° 24’ |59° 40' 30" |59° 33' 30" DCR 59° 23’ | 59° 9'|60° 29 30"|60° L6' 0" DOT 60° 37° | 60° 55’ |59° 29" 0"|59° 53’ 30" drops: 59° 30° | 59° 39' |60° 17" 0"|60°12' 30" Ricu 59° 54’ | 60° 30'|59° 6 0"|59° 56" 0" Goal 59° 58° | 59° 23' |60° 58" 0"|60° 8' 30" 360° | 360° 360° 360° | Differenza massima da 60° | 0° 38' 0° 55% | 0% 58% 0% | 0° 26° 30” Differenza minima da 60° | 0° 2’ OO OSO) OPA ZAO Il prisma trigono sembra per il solito mancare, mentre in tutti i cristalli si riscontrano faccette di varii prismi dodeca- goni non distribuiti regolarmente a troncare gli spigoli alterni del prisma {101} con accenno qui pure a tetartoedria. Queste faccette al solito tanto più scarseggiano quanto meno spostate dalla loro posizione normale sono le facce di {101}. Per questi emiprismi dodecagoni si hanno valori da 7° a 8° che si avvicinano a quelli del prisma {817}; così pure i valori 306 G. D'ACHIARDI di 13° e pochi minuti a quelli del prisma {413} o dell'altro nuovo già da me citato {17 4 13} e i valori oscillanti da più di 22° a più di 23° accennano al prisma {523} da me già riscontrato nelle tormaline rosee e non citato, come già dissi, nè dal D’AcHiarpi (1) nè dal Rara (?) per le tormaline elbane. Fra i cristalli giallo-verdìi ne ho osservati parecchi completi, però tutti policromi e i più presentanti il color giallo-verde ad una sola estremità: Colore Cristalli Facce terminali dell'altra estremità — Poe sciolti impan *1100} . . 0. (i 100}, {110}. . | acroico. | OR {100}. i. e $1100], Sl . | [ciallo-bruao RI {110} . . . ...—*Facette indeterm. È 1. IN * {Slll'esupodiitrati 100} 1, E nero 2|-| 2 {100}, {110} . . .—*{100}, {111} . . |giallo-bruno| 10 | — | 10 *{100}, {LD} 0 = 1110}... s"="ea"“ =“ Media per cristallo N.° del cristallo Angoli n Limiti Medie | 1° | 3 |46°57 30" — 46°57 30"! 46° 57 30" «I |9° | 4 |47° 7 0-47 8 0" 47° 7 45"|47° 542" 3° ! 3 |47°-11' 30"— 47°12 o |4r1r 50” 10 2° 9° | 462 bl" 0° 46°b5l° 0° 46°51° 0" 46059 &! 3.° SATIRO A 70 AZZ] Ti, 3 |46°41 0"— 46° 41' 30" 46°41' 10" FIUME 25 3 | 46° 45' 0" — 46° 45' 30" | 46° 45' 10" | 46° 53° 30" 8.° 3 | 47° 14 0" — 47° 14 30" 47° 14 10" | 10 3 | 46° 32’ 30" — 46° 33' 0" | 46° 32' 50" SV 2.° SIM ATO 2 OTTO DIO Ae 228,07 MATO 67 Son 4 | 47° 23' 30" — 47° 23' 30" | 47° 23 30" Media gen.°: 47° 1' 9" 1° | 4 |46° 49 0"— 46° 49 30" |46°49 15" N12 399 | 46° 32 30" — 47° 23' 30" Quindi si ha il rapporto: ACI _MEN0 449416 Queste misure confermano ciò che ho già detto per le torma- line a terminazione gialla e giallo-verdolina, nelle quali pure il romboedro principale riposa sopra gli spigoli non modificati del prisma {101}, e cioè che i valori degli angoli di {100} sono maggiori che nei cristalli con le facce {100} riposanti sugli spi- goli modificati di {101}. Nei quattro cristalli è pur manifesto il fenomeno della po- liedria e fra le varie imagini nitide e dovute certo a piani di- versi si hanno valori oscillanti fra limiti talora di circa 3°. Ma 314 G. D'ACHIARDI poichè i valori sopra riportati sono ottenuti sciegliendo le ima- gini, fra le nitide, più vicine, non è a credersi che sieno su- periori al vero. Se si prendessero anzi le medie di tutti i va- lori trovati dalie prime imagini, talora appena visibili incertis- sime, alle ultime risulterebbero di assai superiori, come si può vedere nel seguente specchietto: = ———————.>—-—+++-—-—- —» 3$ Valori fra le imagini più Medie 5 | Angoli Medie * z5 vicine lontane per cristallo ee AS 08 02000 7 EE TI ga 462/35! 40° | 49°:33 15 ASS 427 MES O) OLO ARONA 8A 08 A 05) de 46° 43' 30" | 46° 49' 15" | 46° 46’ 22" #10 DO 46051 0% 46251 0 60510 AO DO ATESINTANOH) A 82590 ASSO Je 46° 41' 10" | 49° 10' 30" | 47° 55' 50" 4001 DO ARA 0A SZ 0 A 78085 CEL 0 o ASETA 0 19537308 A S225050, iso ACSIAT0 ASINO A 6032090, AVA Dia Ani 0470228000 TOI MISSA BO 44° 50' 30" | 48° 8' 0"|46°29' 15" N=12 Media generale 47° 24' 52" Nulla è da osservarsi di particolare oltre quello già detto in questi cristalli, i quali d’ordinario, se rotti ad una estre- mità, possono considerarsi come la parte inferiore, genetica- mente parlando, dei cristalli giallo-verdi. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 815 Conclusioni I. I cristalli da me esaminati sono: Cristalli Î queen N Lotale sciolti |impiantati con le due estremità terminate. con una estremità terminata. 1914 744 2658 2038 761 2799 | 124 17) 141 oltre un numero grandissimo, circa 3000, di frammenti. II. Molte delle forme cristalline già note per la tormalina, e in special modo le più comuni, sono state da me ritrovate nei cristalli dell'Elba. Quali siano si rileva dalla annessa proie- zione stereografica (Tav. X, fig. 17), nella quale i prismi fmnp} sono indicati per semplicità in un solo settore. III. Il romboedro {533} è nuovo per la specie; son forse tali anche alcuni prismi, ma non si può giudicare con certezza della loro presenza, perchè i valori oscillanti trovati mettono in dubbio sul vero significato delle faccette che vi andrebbero riferite. Lo scalenoedro indicato con il simbolo {412} è pur nuovo per la specie, ma non essendo stato determinato in nessun cri- stallo con esatte misure, ma solo approssimativamente, non si può con certezza assicurare la sua presenza. Sono nuove per le tormaline elbane le forme: {514}, {523}; {411}; {334}, {223}, {447}: {211}, {212}. 316 G. D'ACHIARDI IV. Il prisma {101} si trova presente, completo e predomi- nante in tutti i cristalli. Le facce ne sono diversamente estese, onde l'apparenza diversa dei cristalli stessi, sempre striate, quindi difficoltà nelle misure per imagini molteplici. Ordinaria- mente si hanno valori più o meno diversi da 60°, e le differenze sono maggiori in alcune varietà (nere), minori in altre (acroiche) e stanno in ragione anche della molteplicità delle faccette dei ‘prismi che si trovano a modificarne gli spigoli. Le differenze dal valore normale sono dovute in alcuni cristalli alla struttura polisintetica per individui a piani non per- . fettamente paralleli; per altri poi non si può escludere che sia dovuta in parte alla poliedria, come fanno credere le frequenti facce vicinali più volte riscontrate nella zona prismatica. V. Il prisma {211} si presenta con tutte le sei facce solo nelle tormaline nere e in pochi cristalli; nelle altre varietà è più raro di quello che non sembri a prima vista, essendo le sue facce sostituite nel maggior numero dei casi da altre di prismi dodecagoni spesso di difficile determinazione per i loro valori oscillanti. VI. Le facce dei prismi dodecagoni non si presentano che sugli angoli alterni del prisma {101}, non mai a doppio, come dovrebbe essere, per ciascun angolo modificato, ciò che farebbe credere aversi una costituzione tetartoedrica. Oltre a ciò sui vari spigoli modificati di {101} si hanno quasi sempre faccette non corrispondenti allo stesso prisma, la qual cosa, insieme alla variabilità dei valori angolari, è cagionata dalla struttura polisintetica dei cristalli. VII. L'oscillazione dei valori che si riscontra più o meno manifesta in tutti quanti i prismi potrebbe anche spiegarsi con una tendenza a minor simmetria cristallina, alla quale accen- nano anche le facce romboedriche e che sarebbe in armonia con le anomalie ottiche; ma malgrado questa tendenza frequente LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO SII al monoclinismo più che al semplice trimetrismo, come crede A. KarnonzKy (1), non mi è stato possibile rilevare in essa una tale costanza e regolarità da poterne trarre una positiva con- clusione in questo senso. VIII. 1 cristalli neri e giallo-verdi mostrano abitualmente maggiore semplicità di cristallizzazione, specialmente nella zona dei prismi, e specialmente per i secondi è rarissima la struttura fascicolata. Gli spigoli di {101} non sono modificati abitualmente che da facce di {211} o da altre vicinali a queste. IX. Questa differenza nell’abito dei cristalli si ripete anche per le forme cristalline che si mostrano alle estremità a se- conda delle varietà di tormalina. Così per le principali di queste si può dire che sono caratteristiche le seguenti terminazioni, specie nei cristalli rotti o impiantati ad una estremità: 1.* Cristalli neri (nero superiore) (2): . . . . {100}. DISNLALO AOC AI DOO] DIOR Rea TORCIA ORI rn REL. A E PIE RL E AGOSTI: ALI GIAllo verde E O L00101 (ER giallo-bruni a neri (nero inferiore) *{100}, {111}. X. La maggior parte dei cristalli presentano le facce del romboedro fondamentale in corrispondenza degli spigoli modi- ficati di {101}, ma esista o no questa corrispondenza non se ne può trarre un carattere decisivo per giudicare se una estremità sia cristallograficamente superiore o inferiore. XI. Da varietà a varietà oltrechè nell’abito dei cristalli si hanno anche differenze nei valori angolari, e non dicendo che di quelle del romboedro fondamentale si va da un medio va- lore minimo di 46° 17° 88" nei cristalli a terminazione giallo- (1) Ueber Trichroismus beim Turmalin. Zeit. Kryst. u. Min. v. Grora 1893, 22, 1, 77. (2) La colorazione indicata è relativa all’ estremità terminata. 318 G. D'ACHIARDI verde a un medio valore massimo di 47° 25' 32" nei cristalli a terminazione gialla. Terminazione N. Medi valori trovati a:c giallo-verde 36 40130 AIA nera (superiore) | 15 46° 38' 43" | 0, 445148 acroica 6 46° 42' 48" 0, 445923 rosea 24 46° 47° 15" | 0,446769 giallo-bruna 2, ATOMO 0, 449416 giallo-verdolina 9 ATO DID 0, 449648 gialla 6 47° 25" 32" | 0, 454079 108 46° 50' 47" 0, 447448 Calcolando il rapporto a: in funzione di 46° 50' 47" si ha: Del —RIEOAATAI il quale non differisce che nell’ultima decimale dal valore 0,447448 ottenuto come media delle singole costanti. XII. Risulta quindi evidente l’omeomorfismo fra le diverse varietà delle tormaline elbane; ma può restare il dubbio, se oltre la. differenza della sostanza tormalinica altre cagioni ab- biano influito su queste differenze angolari, ed è in proposito a notarsi il fatto che i maggiori valori sono dati dalle facce romboedriche riposanti sugli spigoli non modificati del pri- sma {101}. Laboratorio di mineralogia dell’ Università di Pisa 21 maggio 1893. - AGGIUNTE E CORREZIONI Alla bibliografia vanno aggiunti gli Studi ottico-cristallografici sulla Tormalina di A. KarnositzKy. — Non ho potuto avere sino ad ora la memoria originale pubbli- cata nelle Verh. d. K. russ. Miner. Gesel. 1890 (1891), 27, 209-288; ma da un sunto che ne ho letto nel Zeitsch. f. Kryst. u. Miner. di Grora 1893. 22, 1, 78, pervenutomi quando già la massima parte di questo lavoro era stampato, vedo che se la memoria si occupa principalmente delle tormaline russe e brasiliane, tratta anche della struttura stratiforme di alcune tormaline elbane, onde la convenienza di citarla. ERRATA CORRIGE pag. 13 e 14 — linea 23 e2 Verde-bottiglia Verdi-bottiglia » 18641 — >» 22e20 tetrartoedrica tetartoedrica Aglio 0] {101} » 20 — » 29 {mnp} {mnp} » 25 — >» 8 0, 445147 0, 445148 FRE TO Pa (CLI {rt} N58 — » 18 46n 460 » 64 — » 10 intanto un intanto in un » 72 — » 21 tarminazione terminazione nr ZA og e To) 10) 10. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA . Terminazione di cristallo di tormalina nera con figure di po- liedria sulle facce romboedriche. . Tormalina nera con spostamento di parti dovuta ad unione non perfettamente parallela di subindividui. . Cristalli di tormalina nera uniti parallelamente con fusione com- pleta in piani comuni delle terminazioni romboedriche. . Cristallo di tormalina nera con piani di sfaldatura romboedrica e striature mostranti l’interna struttura cristallina. . Figura mostrante la struttura lamellare che parecchi cristalli po- licromi giallo-verdi e neri mostrano all'estremità nera, alla quale struttura fa seguito l’ apparenza fibrosa, che i cristalli stessi presentano per tutta l'estensione del color nero. . Terminazione romboedrica di tormalina policroma a facce ter- minali nere con linee di struttura parallele agli spigoli del romboedro {100}. . Cristallo di acroite con prevalente sviluppo di due facce del pri- sma {101} sulle altre quattro. . Figura schematica per mostrare come si generino le cavità esa- gonali, che talora si osservano sulle terminazioni di sì fatti gruppi cristallini. . Estremità di tormaline policrome a terminazione acroica per mostrare l’abituale embriciatura delle facce {100} e striatura delle {110}. Terminazione di tormaline rosee a base lucida e opalescente con figure triangolari in relazione alle facce del romboedro {100}, che scorniciano la base. LE TORMALINE DEL GRANITO ELBANO 321 Fig. 11. Cristallo di tormalina rosea con faccia di {411}, che si mostra n 12 13. 14. 15. 16. LIT sovra un solo spigolo. . Terminazione di cristalli acroici con ineguale sviluppo di facce mostranti una tendenza al monoclinismo. Cristallo mostrante la terminazione giallo-verdolina, costituito dall’ unione parallela di tre individui. Terminazione di tormalina rosea mostrante le facce del nuovo romboedro ottusissimo {533}. Cristallo completo a terminazioni acroica e giallo-verdolina con grande distorsione, onde mentre dalla parte anteriore appaiono le faccette scalenoedriche {201} molto diversamente sviluppate, mancano dalla posteriore. Terminazione di tormalina rosea con gran numero di facce. Le faccette {411}, {334} sono state ingrandite esageratamente es- sendo lineari. A destra al simbolo {212} va sostituito {232}. Proiezione stereografica delle forme da me osservate nelle tor- maline dell'Isola d' Elba. I prismi fmnp} sono indicati in un solo settore a destra di {112} i nuovi ed incerti, a sinistra quelli già noti per la specie. LasoratorIo DI FisroLogra DELLA R. UniversITÀ DI PALERMO L'’ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO RICERCHE DI ARTURO MARCACCI È opinione oramai generalmente accettata che la respira- zione cutanea abbia, nelle rane, importanza quasi uguale a quella polmonare, e che l’ablazione del polmone o la sospen- sione dai movimenti di respirazione possano essere del tutto trascurati quando si esperimenti su questi animali. Il BernARD è molto esplicito in proposito “ les grenuilles, egli dice, respi- rent au moins autant par la peau que par les poumons , (1). Queste parole, si può dire, rispecchiano l'opinione di tutti li sperimentatori che son venuti dopo di lui. “ L'experimentum crucis ,, su cui si basa tale opinione, e che, a vero dire, sembra decisivo, è quello dell’ estirpazione com- pleta del polmone nelle rane: siccome questi animali possono vivere a lungo anche dopo la perdita completa di quest’ organo (secondo Acemi anche cento giorni) così si è concluso senz'altro che la respirazione cutanea poteva supplire quella polmonare. A conforto dell’ esperimento fisiologico si citavano anche le ricerche chimiche in rane spolmonate, e gli argomenti d’in- dole anatomica: per mezzo delle prime si era infatti veduto che poco o nulla cambiava il contributo dell'anidride carbonica dato dalle rane spolmonate in rapporto a quelle normali; per mezzo dei secondi si asseriva che, essendo la stessa l'origine (4) Cu. BernARD. — Legon sur les Anesthesiques et sur VAxphyxie, pag. 149. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 28 dei rami arteriosi che si distribuiscono alla cute e ai polmoni delle rane, i primi (deduzione curiosa) dovevano avere la stessa funzione, cioè servire all’assorbimento dell'ossigeno, e alla emis- sione dell'anidride carbonica. E su questo dato anatomico anzi che il Dissarp (!) ha basato un metodo di ricerca per studiare la respirazione cutanea e polmonare, sopprimendo i vasi che vanno alla pelle o al polmone. Queste ricerche meritano di essere esaminate brevemente, quantunque, come vedremo, le conclusioni a cui arriva questo autore non mi sembrino molto attendibili. Il Dissarp parte dal principio, punto provato, che la rana vive indifferentemente nell'aria e nell'acqua, e che in quest’ ul- timo mezzo l'assorbimento dell'ossigeno si faccia esclusivamente per la pelle, nell'aria per i polmoni. Si tratta di determinare il quantum d' assorbimento che pelle e polmoni possono raggiun- gere nell'aria o nell'acqua, studiare cioè la supplenza di questi organi nei due mezzi indicati. Comincia dal ricorrere ad un metodo abbastanza curioso per sopprimere la respirazione cutanea e polmonare; alla legatura cioè delle arterie cutanee e polmonari. Crede che questo mezzo, per quel che riguarda almeno il polmone, sia preferibile alla estirpazione del polmone, che genera sempre grave emorragia. Fatto questo il Dissarp, senza entrare in nessuna particola- rità sui metodi usati, riporta i risultati delle sue analisi, delle determinazioni cioè di anidride carbonica in rane normali, o in rane a cui aveva soppressa la respirazione cutanea o pol- monare, e tenuti o nell'aria umida, o nell'aria secca, o nel- l'acqua: li riporto testualmente: “ La respirazione nella rana normale diminuisce a misura che aumenta lo stato igrometrico: è minima nel mezzo liquido. La legatura delle arterie polmonari e la legatura delle arterie cutanee diminuiscono in tuttii casi la CO? escreta. Questa di- minuzione divien considerevole nel mezzo liquido per il caso della legatura delle arterie cutanee, e nel mezzo aereo per la legatura delle polmonari ,. Il metodo prima, le conclusioni poi, meritano, mi pare, le (4) Dissarp. — Influence du milieu sur la respiration chez la grenwille. Comptes rendus de l’Acad. des sciences, CXVI, 15 Mai 1893, pag. 1153. Sc. Nat. Vol. XIII. 21 324 A. MARCACCI più serie obbiezioni. Il Dissarp crede che il mezzo da lui usato sia da preferirsi a quello da tutti fin qui seguito perchè evita soprattuto l’ emorragia: ma che forse il suo è un mezzo in- cruento? Per legare le arterie polmonari o le cutanee (m’im- magino alla loro origine) o non deve ricorrersi a mezzi più cruenti che quelli necessari allo spolmonamento, nel quale l'emorragia, tanto temuta dal nostro autore, è facilmente evi- tabile® Malgrado tutta l'abilità operatoria, che voglio supporre nel Dissarp, temo molto che le sue rane fossero, dopo la le- gatura dei rami cutanei o polmonari, in buone condizioni d’espe- rimento, tali cioè da non potere essere indotti facilmente in errore. Data questa poca fiducia che io ho nel metodo usato, è anche naturale che io debba accettare con molta riserva i suoi risultati. In via generale io sono assolutamente convinto che volendo fissare la funzione respiratoria di un organo, non basta deter- minare la CO? emessa, ma che bisogni al tempo stesso fissare la quantità d'ossigeno assorbito durante la intiera esperienza. La CO? emessa dalla pelle può non essere che una via d’uscita di questa sostanza formatasi in altre parti, e a spese d’ ossi- geno assorbito in precedenza dal polmone e immagazzinato dal sangue 0 dai tessuti, e consumato quando venga a mancare l'organo destinato a far nuove provviste. Si può in questo caso considerare la pelle come vero e proprio organo respiratorio, o piuttosto come semplice organo d’escrezione di C0?, e che funziona forse in modo forzato dopo la soppressione del pol- mone? 0 non potrebbe allo stesso titolo considerarsi come or- gano respiratorio la superficie intestinale? Ed ammesso pure che, dopo soppressi i polmoni, il DissArD avesse provato che vi è contemporaneamente assorbimento d’ os- sigeno, egli non sarebbe stato per nulla autorizzato a dire che quest ossigeno veniva assorbito per la pelle: vedremo in se- guito quali altre vie possano servire a quest’ assorbimento. Lasciando la tesi generale e venendo al particolare, la cri- tica delle ricerche del Dissarp riesce difficile perchè esse, vista la loro laconicità, lasciano poca presa. In primo luogo pare quasi certo che le esperienze sieno state praticate in numero di due soltanto; e per venire a delle conclusioni così peren- L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 325 torie a me paiono proprio poche. In secondo luogo non si capisce come era collocata la rana quando egli voleva deter- minare la CO? tenendo la rana stessa nell'acqua. Se la rana era completamente sommersa, bisognerebbe sapere come egli ha determinato la C0?: certo egli deve aver ricorso al metodo non facile della estrazione del gas dall'acqua, o almeno di quella parte che vi si può disciogliere: se poi la rana non era som- mersa completamente, non si capisce se era l'ossigeno del- l'aria o quello dell’acqua che veniva assorbito, e allora non è il caso di studiare una legge di supplenza. E quel che dico per la determinazione della anidride carbonica vale anche per la prova della resistenza ai diversi mezzi (aria, acqua) di rane pri- vate della respirazione cutanea e polmonare. Tralascio di fare osservare che una rana operata col metodo del Dissarp e col- locata nell'acqua può morire indipendentemente da qualunque soppressione di funzione respiratoria, ma per infiltrazione ede- matosa prodotta dall'acqua che penetra dalle parti operate e private della pelle, quando specialmente la rana sia completa- mente sommersa. I risultati ottenuti con l’unica esperienza sul potere di re- sistenza delle rane private della respirazione cutanea e polmo- nare e tenute nell'aria o nell'acqua sono assolutamente sor- prendenti: una rana privata della respirazione polmonare muore nell'aria dopo 19 ore, e dopo 7 giorni se tenuta, nelle stesse condizioni, nell'acqua. Questo fatto è contrario a tutto quanto è stato fin qui asserito da tutti gli sperimentatori, i quali con l'estirpazione più completa del polmone, hanno visto soprav- vivere delle rane fino a 100 giorni se tenute nell'aria: non si capisce d'altra parte come lo scambio dell'ossigeno dell’ acqua debba esser più facile di quello dell’aria. Infine quando il Dis- SARD ci dice che una rana, privata della respirazione cutanea, muore nell'acqua dopo 26 ore, e non ci dice al tempo stesso se l’animale rimaneva a fondo o a galla, se era tutto som- merso oppure no, qual'era la temperatura ambiente, tralascia delle circostanze assolutamente essenziali che, per se sole, e non per la soppressione della respirazione cutanea, possono es- ser causa di morte. Arresto qui l’analisi del laconico lavoro del Dissarp; mi pare che basti per avere il diritto di lasciarne, per ora, in sospeso 326 A. MARCACCI i risultati, e per poter proseguire dritti nella nostra via, senza tema che esso ci possa portare serî ostacoli. D'altra parte mi pare che, a questo proposito, debbano esser tenute in qualche conto delle vecchie esperienze di HerHoLD e Rarv, le quali tendono a mettere molto in dubbio l’importanza della respirazione cutanea. Secondo questi autori infatti basta tenere una rana a gola aperta per qualche tempo per vederla morire: il Cuvier cita e loda questa esperienza. Il Berr, dal quale tolgo questa citazione (!) non arriva ad intendere questa espe- rienza, e si scaglia anche contro lo stesso Cuvier che fece un rapporto favorevole sull’ esperienza dei fisiologi danesi. “ Infatti, egli dice, anche nel massimo dell'estate una rana così imbava- gliata vive ancora per molte ore a spese della respirazione cu- tanea. Quello che è vero, egli aggiunge, si è che in queste con- dizioni essa non può più introdure aria nei suoi polmoni ,. Io non trovo giustificati gli sdegni del Bear: prima d'ogni altra cosa non possiamo non prestar fede alle asserzioni dei due autori citati, per il semplice fatto che l’esperienza non corrisponde alla idea preconcetta che la rana possa vivere colla sola respirazione cutanea: l’esperienza di Herzorn e Rary non sì distrugge che con esperienze, e il Bert non lo fece. In se- condo luogo la disposizione sperimentale dei due autori danesi è tale che non solo rende quasi nulla la respirazione polmo- nare, ma rende anche impossibile un altro meccanismo che, conservato, può prolungare la vita delle rane; reso nullo dal tenere aperta a forza la bocca, può farci intendere la morte rapida delle rane di Hrrnorp e RArn. Ed è su questo meccanismo speciale che io voglio subito intrattenermi. Osservando delle rane spolmonate un fatto mi aveva sem- pre colpito: queste rane sonservavano intatti i movimenti ioi- dei, cioè quel movimento di va e vieni del pavimento buccale che accompagna la respirazione polmonare, seguito talora da movimenti di deglutizione: poteva questo fatto contribuire allo assorbimento dell’ossigeno? Potevano la cavità buccale e fa- ringea, e forse anche l’esofago e l'intestino, contribuire a que- (1) PauL Bert. — Des mouvements respiratoîres chez les Batraciens et les Reptiles. Journal de l’Anat. et de la Physiol. Six.® Année, 1869, pag. 115. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO O27 st assorbimento, rappresentando le prime un vestibolo respira- torio ? Il dubbio poteva esser facilmente tolto: bastava soppri- mere la funzione di questa anticamera, e vedere come si sa- rebbero comportate le rane. 25 Giugno. — La temperatura ambiente è di 27° C. Ore 12. — Si spolmonano tre rane: ad una si cuce semplicemente la bocca; ad un’altra si fa la stessa operazione dopo averle introdotto del cotone fra le mandibole: ad ambedue si tamponano le narici con del cotone: la terza si lascia coi soli polmoni estirpati. Nelle prime due i movimenti ioidei si compiono, com’ è naturale, a vuoto; nella terza re- golarmente. Ore 2. — Sono morte le due rane imbavagliate: in una, con cuore arrestato, il sangue è nero: nell'altra il cuore batte ancora. È vivacis- sima la rana con polmoni estirpati e non imbavagliata. 25 Giugno ore 4. -- È morta anche la rana a polmoni estirpati. 23 Giugno. — Estirpo i polmoni a due rospi: al più grasso e più robusto tampono bocca e narici. 26 Giugno. — È morto il rospo tamponato: l’altro è ancora molto vivace. Alla sezione del primo si trova l'intestino estremamente ripieno di gas. 27 Giugno. — A due rane venne estirpato il polmone: ad una fu cucita semplicemente la bocca, essendomi dimenticato di tamponare le narici. 28 mattina. — Sono vive ambedue le rane: ho tamponato il naso a quella a bocca cucita: è morta dopo un'ora. Il sangue è nero: stomaco dilatato da gas. Ma gli esperimenti avrebbero avuto maggior valore se fossi riuscito a dimostrare che il semplice tamponamento delle na- rici e della bocca avrebbe avuto un effetto più dannoso, per la vita delle rane, che il semplice spolmonamento: e il risul- tato fa infatti confacente alle previsioni. 27 Giugno, ore 12. — Ad una rana si estirpano i polmoni: ad un’al- tra si tamponano bocca e narici e le si lasciano i polmoni. Ore 3. — È morta la raua tamponata: l’altra spolmonata è ancora vivacissima. Il sangue della morta è nero, asfittico. 29 Agosto. — Ieri, 28 agosto, servirono per una esperienza di de- terminazione della CO?, due rane, una con polmoni estirpati, l’ altra con polmoni conservati, una imbavagliata. 328 A. MARCACCI Stamani, 29 Agosto, trovo morta la rana tamponata, viva e vivacis- sima la rana a polmoni estirpati. Per ridurre più semplice l’imbavagliamento, impedire cioè i movimenti ioidei e l’entrata dell’aria per le narici, ho messo in uso un altro espediente che mi ha dato buoni risultati. Con del legno dolce mi son costruito dei piccoli compres- sori da applicarsi e fissarsi all’esterno della regione ioidea e del pavimento buccale. Questo compressore ha la forma di un ferro da cavallo, ed è concavo-convesso: la convessità si ap- plica esattamente tra le due branche della mascella inferiore, come il polpastrello di un dito che si applicasse sullo stesso punto. Il compressore è forato in tre punti; all'angolo acuto, che corrisponde all'unione delle due branche della mascella, e ai due angoli retti del ferro da cavallo, e che corrispondono alle due articolazioni della mascella. Con un ago infilato, pas- sato attraverso a questi fori, si traversano le due mandibole, e si lega: il compressore rimane così fissato, e l'apertura della bocca, l’entrata dell’aria per le narici, e i movimenti ioidei vengano così impediti. Non essendo però sempre riuscito a im- pedire l’entrata dell’aria per le narici, nelle esperienze che ci- terò ho sempre usato tamponarle. Pisa 10 Agosto, ore 1 pom. — Col mezzo or ora descritto tampono com- pletamente una grossa rana, vivacissima. Subito dopo, da vivacissima, si è fatta torpida e gonfia. I movimenti ioidei sono assolutamente impe- diti. La temperatura esterna non è molto elevata. Ore 10 pom. — La rana è morta, forse da diverso tempo, non aven- dola io visitata da varie ore. La sezione ha dimostrato che il gonfiore era dato da un grosso verme che la rana aveva nello stomaco. Pisa 11 Agosto, ore 11, 30. — Tampono una rana col compressore: oc- cludo con cotone le narici: ad un’ altra estirpo il polmone. La temperatura esterna non è molto alta. Ore 2, 20. — La rana tamponata sospesa per la testa lascia cadere gli arti inferiori, leggermente anestisici. L’ altra è vivacissima. Ore 7 pom. — Il torpore si è fatto anche più grande: rimane sul dorso se messavi con precauzione. Ore 9 ant. del 12 Agosto. — La rana sembra morta: è completa- mente anestesica e flaccida: messa allo scoperto il cuore esso batte ancora: è pieno di sangue nero. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 329 16 Agosto. — La rana spolmonata è uscita stanotte dal vaso in cui era collocata, e si trova morta per essiccamento nella stanza. Per cinque giorni di seguito essa è stata vivacissima, conservando frequenti i moti ioidei, intercalati con sforzi inutili di deglutizione. Dopo tutte queste esperienze, estremamente semplici, veni- van fuori delle conclusioni altrettanto semplici, che si potreb- bero riassumere così: 1.° Una rana a cui sì sien tolti i polmoni non respira esclu- sivamente per la pelle,'ma trova un ausiliario potente all’ as- sorbimento dell'ossigeno e all’ emissione della CO? nella cavità bucco-faringea, in cui, per mezzo di un movimento continuo di Va e vieni del pavimento buccale, si può conservare una cor- rente abbastanza potente d’aria. 2.° La respirazione cutanea nelle rane viene così a per- dere sommamente d’importanza, giacchè, in estate specialmente, essa non può servire a prolungare la vita di questi animali al di là di poche ore, mentre rane spolmonate possono, nelle stesse condizioni di temperatura, sopravvivere per parecchi giorni. i 3.° I fenomeni con cui muoiono le rane tamponate sono quelli di una rapida asfissia. (Questo fatto verrà dimostrato meglio in seguito). A queste esperienze poteva esser fatta una obbiezione: che esse cioè non provavano, in modo decisivo, che vi fosse una diminuzione reale nello scambio respiratorio, dopo che le rane, a polmoni estirpati, venivano private dell'uso del vestibolo re- spiratorio. | Feci allora alcune ricerche sulla emissione della CO? in rane semplicemente spolmonate, ed in rane private anche dell’uso dei moti ioidei per mezzo dell’imbavagliamento. La determi- nazione della CO? fu fatta per pesata, facendola assorbire da una serie di tubi ripieni di calce sodata in granuli. Credo inu- tile descrivere il modo di disposizione: dell’ esperienza da tutti conosciuto: dò solo, in questo specchietto, i risultati delle due esperienze eseguite: 330 A. MARCACCI Gr. di CO? cale. emess dall’ animale in 24 ore e per 100.gr. di peso Condizioni della Rana Peso dell'animale | Gr. di CO emessa in esperimento in grammi dall’animale in1 ora Rana con polmoni Estirpati gn n 17,98 0, 0418 5, 979 Esper. I Rana con polmoni estirpati e tamponata 18, 68 :0, 0412 9,293 Rana con polmoni GRUARO o a oto 19, 95 . 0, 0106 1,275 Esper.II | Rana con polmoni estirpati e tamponata 20, 49 0, 0074 0, 866 La diminuzione di gr. 0,286 di CO? nella prima esperienza, e di gr. 0,409 nella seconda dimostrano che quello che io chiamo vestibolo respiratorio ha una notevole importanza forse nello assorbimento dell'ossigeno, certo nella emissione dell’ anidride carbonica. Ho messo in “ forse , che il di più di CO? emesso dalle rane provviste di vestibolo respiratorio sia dovuto ad aumen- tato assorbimento d'ossigeno; infatti, lo ripeto, la dimostra- zione sicura di questo fatto non si può avere che nella deter- minazione esatta dell'ossigeno sparito dall’ ambiente in cui vive la rana: ma la maggior resistenza delle rane provviste dei mo- vimenti ioidei mi spingerebbe a credere che questo vestibolo rappresenti una vera e propria superficie di assorbimento d’ os- sigeno. In ogni modo quel che si può asserire è questo, che le rane a cui s'impediscano i moti ioidei non si possono liberare da un accumulo soverchio di anidride carbonica nel sangue, che, per se sola, può esser causa di morte per asfissia. Credo inutile far notare che, anche considerata la cosa sotto quest’ultimo punto di vista soltanto, non possono più accettarsi le conclusioni di quei fisiologi i quali, vedendo che le rane spol- monate possono vivere a lungo quantunque emettano meno anidride carbonica, concludono che la pelle può supplire alla funzione respiratoria polmonare. La pelle delle rane, oltre ad essere incapace ad assorbire ossigeno, non basta neppure | L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO Sol all'emissione della anidride carbonica che può minacciare la vita dell’animale. Stando così le cose era naturale pensare che tutto ciò che poteva attentare alla respirazione polmonare delle rane nor- mali, o ad impedire i movimenti ioidei nelle rane spolmonate, doveva condurre di necessità all’ asfissia rapida di questi ani- mali. Fui condotto quindi ad instituire un gran numero di altre ricerche che riferirò brevemente, e che tutte conducono alle stesse conclusioni; a confermare cioè la grande importanza della respirazione polmonare. Fin ad ora, nella serie di esperienze riferite, si era operato, per così dire, all’asciutto: le rane spolmonate o tamponate erano tenute fuori dell’acqua, concedendo loro soltanto quel po’ d’umi- dità che era necessario ad impedirne l’ essiccamento. Bisognava vedere come si sarebbero comportati questi animali nell’acqua quando il loro polmone fosse stato estirpato, o reso inattivo con qualche artifizio. Cominciai collo studiare come si comportassero le rane spol- monate se tenute nell'acqua. Lo studio era dapprima rivolto a vedere come funzionasse il polmone quale organo idrostatico: riferirò quindi solo quella parte delle esperienze che può aver rapporto al nostro soggetto; mi riserbo di pubblicare a parte quel che si riferisce al “ meccanismo del nuoto nelle rane ,. 10 Dicembre, ore 3 pom. — Si colloca in una vasca una rana spol- monata: essa va a fondo. Ore 3,30. —. La rana, dopo aver presentato un periodo d’estrema eccitabilità, rimane priva di movimenti, e anestesica. Aperto il torace e l'addome si trova il sangue nerissimo, il cuore ancora in movimento, ma molto lento, ripieno di sangue pure nerissimo. 20 Dicembre. — Una rana operata allo stesso modo a ore 3, 25 è morta a ore 5 con gli stessi fenomeni: dopo spolmonata è rimasta sem- pre a fondo. Queste ed altre esperienze dimostrano che le rane spolmo- nate si comportano nell’ acqua come le rane, pure spolmonate, che rimangano imbavagliate fuori dell’acqua, a cui cioè si im- pediscano i movimenti ioidei, e la ventilazione del vestibolo respiratorio. Ed anche la causa della morte è la stessa: giac- chè le rane spolmonate non possono sotto l’acqua utilizzare 332 A. MARCACCI questo mezzo di soccorso, essendo, sempre sotto l’acqua, im- pediti i movimenti ioidei o resi inutili per lo scopo a cui son diretti nell'aria. Ed a morire asfittiche sotto l’acqua son pur condannate quelle rane a cui venga allargata la rima glottica, o distrutta la innervazione laringea. Nel primo caso specialmente, la rana non può, nell'acqua, tenere, a volontà sua, dilatato o ristretto il polmone; non può cioè mantenersi a galla o a fondo, ma re- traendosi il polmone e avvizzendosi, la rana è costretta a ca- lare a fondo e morire asfittica. 10 Dicembre, ore 2, 45. — Aprendo la bocca ad una rana, si sol- leva la laringe con un uncino, e con piccole forbici si pratica una larga apertura della laringe escidendo le labbra glottiche; si getta dopo di ciò nell'acqua: non riesce a rimanere a galla e cala a fondo. Ore 3,35. — La rana sembra morta: il cuore, messo allo scoperto, pulsa ancora: il sangue però e nerissimo. I polmoni sono retratti, av- vizziti. 7 Dicembre, ore 3, 30. — Si opera nel modo suddetto un’ altra rana, e si getta nell'acqua insieme ad una normale. La rana operata cade al fondo, e dopo qualche tempo comincia a fare sforzi grandissimi per portarsi alla superficie dell’acqua e mantenervisi, come fa, ad intervalli assal frequenti e con facilità, la rana normale; ma non riesce a mante- nersi a galla. Questo fatto si ripete a intervalli senza che mai riesca ad un effetto utile, e poco dopo cade al fondo. 8 Dicem. ore 8 pom. — La rana è morta forse da molto tempo: è gonfia, tutti i tessuti sono edematosi: il cuore è arrestato: polmoni av- vizziti, ridotti piccolissimi. A morire asfittiche son pure condotte, quantunque dopo un più lungo intervallo, le rane private della innervazione larin- gea: lo stesso dicasi delle grosse tartarughe marine sulle quali ho di preferenza esperimentato. In conclusione tutto quello che impedisce o difficulta il mec- canismo del nuoto delle rane e delle tartarughe, che impedisce loro principalmente di potersi mantenere alla superficie del- l’acqua per respirare, conduce questi animali inevitabilmente alla morte quando sieno trattenuti in quest’ elemento. Una conseguenza legittima dunque che si può trarre da queste esperienze si è che la respirazione cutanea, se ha poca importanza per la conservazione della vita delle rane quando L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 393 queste sono immerse nell'aria, non ne ha affatto quando esse sono immerse nell'acqua: l'ossigeno che si trova disciolto in questa non può essere utilizzato dall’animale. L'acqua dunque costituisce una verniciatura impermeabile, che nulla, o pochissimo, può far passare attraverso alla pelle dell'animale stesso. Se così è, una rana tenuta forzatamente sott'acqua deve mo- rire asfittica: e l’esperienza prova che così avviene realmente. 29 Giugno, ore 2. — Si spolmonano due rane, e si tengono som- merse in una grande vasca d’acqua legando loro un peso alle zampe po- steriori: si fa lo stesso con una rana normale. Appena sommerse le rane fanno sforzi grandissimi per liberarsi del peso che le obbliga a star som- merse, e forse per portarsi a galla. Die i Si già morta una delle rane spolmonate; l’altra reagisce ancora: assai vivace la rana normale. L'acqua in cui sono sommerse le rane ha la temperatura di 25° C.: la temperatura dell’aria è di 27° C. Ore 3, 15. — La due rane, con o senza i polmoni, non danno più segno di vita: quella normale giace sdraiata sul fondo della vasca: non reagiscono, nessuna delle due, alle più potenti eccitazioni. Si tolgono am- bedue dalla vasca. Appena tolte, più presto nella rana normale, appare qualche leggero movimento ioideo, provocato specialmente dai saggi (ec- citazioni) che si fanno della loro irritabilità. Questi movimenti a poco a poco si fanno più frequenti e intercalati da movimenti di deglutizione. Dopo qualche minuto appaiono anche dei moti riflessi leggeri. Ore 4. — Le rane sono ritornate allo stato in cui si trovavano ap- pena operate, o meglio al momento di metterle nell’ acqua. 30 Giugno, mattina. — Sono ancora vive e vivaci le due rane: com’ è naturale, lo è di più quella provvista dei suoi polmoni. 30 Giugno, ore 11, 15. — Si estirpano i due polmoni ad una rana: si sommerge, insieme ad una normale, legandole un peso alle zampe po- steriori. Si notano i soliti sforzi per portarsi a galla. Ore 12,10. — La rana normale sembra già morta: non reagisce af- fatto agli eccitamenti esterni anche i più forti; è nel più completo ri- lasciamento. Ha il pavimento buccale aderente alla volta del palato, quasi che, essendosi consumata l’aria dei polmoni, si fosse fatto un vuoto nella bocca. La rana a polmoni estirpati reagisce ancora debolmente al riflesso corneale. Ore 12,45. — Perduto il riflesso corneale anche nella rana spolmo- nata. Si estraggono. Poco dopo la rana normale ritorna a respirare. E naturale che queste rane, se si fossero lasciate ancora qualche tempo nell'acqua, sarebbero morte, e morte asfittiche. 394 A. MARCACCI L'anestesia completa che si nota in questi animali è dunque dovuta ad accumulo soverchio di anidride carbonica: ciò è tanto vero che appena possono cominciare a liberarsene esse ritor- nano allo stato normale. Tutto questo poi conferma, una volta di più, l'insufficienza della pelle ad assorbire ossigeno e a libe- rare l'organismo dall’accumulo dei prodotti della respirazione quando l’animale è sommerso. Potrebbe qui nascere il dubbio se gli effetti deleterî, e spe- cialmente lo stato anestesico, a cui vanno incontro le rane som- merse, o solo messe in condizioni di non potere usufruire del- l'ossigeno dell’aria, sieno effettivamente dovuti alla insufficienza assoluta della pelle a funzionare da organo respiratorio, o non piuttosto alla temperatura dell’acqua. Le mie esperienze infatti sono quasi tutte state eseguite in estate, e con temperature abbastanza elevate: gli effetti dovevano esser dunque gli stessi di quelli ottenuti dal BernaRD quand’esso teneva le rane rin- chiuse in una mano, o in acqua alla temperatura di 37° o 88° C. (1); sì otteneva cioè una anestesia per effetto del calore, e non per impedita funzione cutanea. Questa distinzione potrebbe solo accettarsi quando si volesse fare del calore un ente che, di per se solo e direttamente, po- tesse influenzare le estremità nervose sensitive o i centri ner- vosi. Ma, in realtà, le cose non stanno così: il calore entra solo come causa coadiuvante, che, in ragione della sua potenza, conduce ad una maggiore o minure produzione di lavoro dei tessuti, i cui prodotti hanno bisogno di essere eliminati tanto più rapidamente quanto maggiore è il loro accumulo: se questo è impedito, essi, non il calore, agiscono sui tessuti producendo l’asfissia e con questa la perdita della sensibilità. Se la pelle, da sola, potesse servire a questa eliminazione non vi sarebbe ragione di vedere morire asfittica una rana som- mersa in un'acqua a 27° C., mentre la stessa rana può vivere in un'aria, anche umida, a temperature di molto superiori, 0 nella stessa acqua a 27° C. quando le sia permesso di venire a respirare alla superficie. L'acqua dunque agisce sulle rane come una vernice che fosse posta sulla loro pelle, ed è falso quel che dice il Dissarp (?) che (4) BernaRD. — Legons sur les Anesthesiques et sur VAsphyxte. (?) DissarD, loc. cit. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 999 “ la grenuille vit indifferement dans l’air ou dans l'eau; dans “ ce dernier milieu l’hematose se faisant surtout par la peau, “dans le premier par les poumons ,. Le rane tanto in acqua fredda che in acqua: caida non possono vivere a lungo som- merse: una volta che hanno finito la loro provvista d’ ossigeno hanno bisogno di venire, come i delfini o le balene, a fornir- sene di nuovo alla superficie dell’acqua. È naturale che questo bisogno si faccia sentire in ragione diretta della temperatura dell’acqua in cui si trovano; e mentre sarà pochissimo sentito nel grande inverno, lo sarà potentissimo nella grande estate. E trovo giustissima l’espressione del mio ranocchiaio, il quale nel consegnarmi le rane mi consigliava di tenerle in luoghi umidi ma non in vasche profonde e piene d’acqua, perchè, in questo caso, a lungo andare, le rane “ affogano ,. E infatti una rana sommersa affoga come un cane a cui sì leghi una pietra al collo: è quistion di tempo e di temperatura; o meglio, è quistione di consumo più o meno rapido delle provviste d’ ossigeno. Per chiudere tutte queste esperienze le quali tendono a di- mostrare, in modo diretto, la poca o nessuna importanza della respirazione cutanea nelle rane, ne citerò alcune altre che lo provano in un modo indiretto: prima di discuterle gioverà ri- ferirle testualmente : 13 Agosto. — Colloco il solito compressore ad una rana, a cui tam- pono anche le narici: la sottopongo poi, insieme con una normale, ai vapori di cloroformio. Quando ambedue sono in rilasciamento completo, lo che accade prontamente, ed anestesiche, le sottraggo all’azione dei vapori di cloroformio, e tolgo rapidamente il compressore e il tappo dalle narici a quella che ne era provvista. Ore 5,40. — In ambedue vi è sospensione degli atti respiratori; però quella che ha subìto l’ azione dell’anestisico senza chiusura della bocca e delle narici (rana A) è presa da rigidità cloroformica agli arti inferiori, tantochè rimane tutta d’un pezzo se sollevata per gli arti stessi; ha il cuore che batte lentamente: l’altra, stamponata (rana B) è flaccida, non presenta cioè traccia di rigidità cloroformica: il cuore batte anche più rapidamente. Ore 6,5. — La rana stamponata (B) reagisce già agli stimoli; è in grado, se eccitata, di ritirare gli arti inferiori. La rana A (sottoposta ai vapori senza compressore) ha gli arti inferiori come se fossero vere bac- chette di legno; e, messa sul ventre, questi arti non toccano il piano del tavolo su cui poggia il ventre stesso, ma stanno sollevati formando un angolo aperto in alto. Ha deboli reazioni agli arti anteriori, rimasti im- 336 A. MARCACCI muni dalla rigidità cloroformica. Il cuore si è accelerato, ma sì è fatto più debole. Ore 6,20. — La rana B (stamponata) è tornata normale; l’ altra, A, conserva 1 caratteri descritti: non è mai riuscita a fare una deglutizione utile, vale a dire a far penetrare aria nei polmoni: il cuore è tornato a rallentarsi. Ore 6,30. — Si fa, per dieci minuti la respirazione artificiale col me- todo che esporrò fra poco: non si riesce a far diminuire la rigidità, si ottiene solo un acceleramento del battito cardiaco. La rana muore, poco dopo, rimanendo irrigidita. 13 Agosto. — Si tampona col solito metodo una grossa rana, e, con un’ altra normale, sì sottopone a ore 12, 51 ai vapori di cloroformio sotto una campana. Durante la cloroformizzazione la rana normale apre sette od otto volte la bocca: talora rimane per qualche tempo a bocca aperta. Questo si verifica specialmente dopo l'arresto del respiro. La rana tamponata con- serva più a lungo gli occhi aperti. 12, 55. — Sono spariti i riflessi in ambedue le rane. 12, 56. — Si tolgono le rane di sotto alla campana. Appena tolte si nota la rapida comparsa di una. potente rigidità cloroformica nella rana normale: l’ altra rimane flaccida; si stampona subito quest’ ultima. Notisi che i movimenti ioidei non son cessati completamente nella rana normale. 1,2.-- Cominciano a ricomparire leggeri movimenti ioidei nella rana stamponata, accompagnati da corrispondenti movimenti addominali. 1, 10. — La rana irrigidita fa sforzi inutili per deglutire, e quindi per respirare; il polmone non si dilata; l’altra respira lentamente ma re- golarmente. 1, 20. — È tornata perfettamente normale la rana stamponata: l’altra è rigida in tutto il corpo e non respira. Muore in seguito nel più completo irrigidamento. Queste esperienze mi pare che non permettano se non una conclusione semplicissima; che cioè: “la quantità dell’ aneste- sico che penetra per la pelle è minima o nulla: è massima quella che, nella stessa unità di tempo, passa. per la bocca ,. È tanto vero questo che, in una rana che non respira per il polmone, non si arriva ad ottenere il fenomeno della rigi- dità cloroformica, che è uno dei più costanti, e che non può essere attribuito se non ad una quantità troppo grande di clo- roformio assorbito. Il disparire rapido dell’ anestesia nelle rane L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 337 in cui il cloroformio può agir solo sulla pelle (tamponate) è la controprova di questo fatto. Ho detto che la quantità del cloroformio assorbita per la pelle deve essere, nelle rane tamponate, poca o nulla: rimar- rebbe allora difficile spiegare il rapido comparire dell’ anestesia in queste stesse rane, quantunque poco duratura. Ma io dubito che, in questo caso, non si tratti già di ane- stesia per assorbimento di cloroformio, bensì di una azzone lo- cale che il cloroformio stesso esercita sulle estremità nervose sensitive, alla guisa stessa che vi agisce questa sostanza quando Vi sia gettata direttamente, o alla stessa guisa di una pennel- lazione con cocaina praticata sulla superficie cutanea della rana. In favore di questa ipotesi stanno i fatti che ho citato più so- pra; la difficoltà di ottenere un'azione sui muscoli, estrema- mente sensibili al cloroformio, la rapida ricomparsa della sen- sibilità. Il BrrnarD accenna alla estrema difficoltà, nella anestesia delle rane, di evitare la rigidità cloroformica: il metodo del tamponamento potrebbe essere adoperato per evitare questo inconveniente. Tutte queste asserzioni quantunque sieno, per la massima parte, di una evidenza notevole, atte cioè tutte a dimostrare il poco contributo che la pelle può portare alla respirazione nella rana, pure a loro mancava, per così dire, la controprova: dato, mi si poteva dire, che il massimo dei disturbi sia do- vuto al difetto d'ossigeno quando si sopprima la respirazione polmonare, cioè alla asfissia, resterebbe a dimostrare se questi disturbi si possono fare scomparire con qualche espediente ca- pace di ridare alla rana quell’ossigeno che non si può più pro- curare con le sue forze. Questo espediente io lo trovai nella respirazione artificiale. Siccome credo di essere stato il primo a praticare questo mezzo di “ soccorso agli asfittici , nelle rane, così spenderò qualche parola per descriverlo. Il mezzo da me adoperato è stato in realtà molto semplice. Fissavo la rana sul dorso per le quattro zampe, e per il ma- scellare superiore: allontanando da questa il mascellare infe- riore, attiravo in avanti con un uncino la laringe, ed introdu- cevo tra le due labbra della glottide una cannula olivare da 338 A. MARCACCI saliva, diversa a seconda della diversa grossezza della rana. Questa cannula era convenientemente fissata al tubo di gomma che va unito alle due palle che servono al polverizzatore del Richardsohn: in vicinanza dello innesto della cannula, prati- cavo, nel tubo di somma, un piccolo foro che serviva a fare uscir l’aria nell'atto che doveva simulare la espirazione della rana. Il tubo di gomma, in vicinanza del muso della rana, ve- niva fissato con uno spillo, che lo traversava, alla tavoletta di sughero: così si evitavano li spostamenti della cannula, che rimaneva fissa nella laringe, anche perchè le labbra di questa si richiudevan dietro all’oliva dell’ estremità della cannula sa- livare. ‘ Messo così al posto questo semplice apparecchio, esercitavo delle leggere e ritmiche pressioni sulla prima. palla unita al tubo; il polmone si gonfiava e si sgonfiava nel modo il più re- golare, senza subire danni di sorta, come ho potuto verificare alla sezione della rana. La respirazione poteva esser continuata per lunghissimo tempo, anche per delle intiere giornate, avendo cura di tener in buone condizioni di umidità le rane. Gli effetti che ho ottenut» applicando la respirazione arti- ficiale in rane asfittiche sono stati oltremodo interessanti. Ho cominciato col sottoporle all’azione prolungata dell’ ani- dride carbonica, e col far loro la respirazione artificiale quando l’azione stessa avesse raggiunto il massimo: per giudicare di - questo massimo mettevo a scoperto il cuore, in modo da po- terlo sorvegliare dal di fuori della campana sotto cui eran eol- locate due rane, una per servire alla respirazione artificiale, l’altra per confronto. Questo studio dell’azione dell'anidride carbonica sul cuore doveva servirmi poi di guida a tutte le ri- cerche che esporrò in seguito. Ecco intanto una esperienza: 10 Settembre, ore 8, 10. — Due rane col cuore allo scoperto son messe in un ambiente di CO?. 8, 40. — Si tolgono le due rane dalla anidride carbonica: i due cuori sono arrestati in diastole: il sangue ha un colorito nerastro. Si comincia la r. a. (*) nella rana A: la rana B serve per confronto. Immediatamente il cuore riprende le sue pulsazioni. (4) Dovendo nel seguito del lavoro ripetere molte volte le due parole « respirazione artificiale » le indicheremo colle due lettere r. a. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 339 Ore 8,43. — Pulsazioni 46 al l' , db — È 70, ,- Si sospende la r. a. Il sangue è divenuto rosso. Nella rana B, esposta semplicemente all'aria, il cuore è tornato a pulsare: le contrazioni dapprima deboli e rare, aumentano mano mano di frequenza. Ore 8,45 — Rana A_ puls. 74 al l': le contrazioni sono ritmiche, robuste. E) B L) 28 Di SIMO A a 8 a E) B ” 46 LIE) L) Vee ” A È) 66 »_» ” B » 44 » » i CE SE DI n n 46 n» ® Il cuore nella rana B mantiene una tinta nerastra. Gli effetti della respirazione artificiale sul cuore non po- trebbero essere più manifesti, quantunque sia stata esercitata per soli quattro minuti: le pulsazioni si son mantenute sempre al di sopra di quelle dell'altra lasciata a sè. In quest’ultima il riprendere del cuore è forse dovuto più alla uscita di una certa quantità di CO? dal sangue che ad assorbimento di nuova quantità d'ossigeno, essendo la respirazione polmonare arre- stata. Malgrado questo il sangue ha conservato fino alla fine dell'esperienza un colore asfittico. Invece che avvelenare le rane direttamente con CO?, si può fare in modo che essa si accumuli nel sangue per impe- dita emissione, e studiare in queste condizioni gli effetti della r. a. Ciò si può ottenere colla sommersione prolungata delle rane. Pisa 2 Agosto, ore 9,20. — Si cuce la bocca ad una rana con tre punti di sutura, uno anteriore e due laterali; si otturano anche le na- rici con cotone. Ore 9,30. — Si sommerge legandole un peso ad una zampa. 10, 20. — La rana reagisce ancora. 12, 15. — Trovo la rana che presenta tutti i segni della morte. Tolgo i punti di sutura, e il tappo delle narici. Lasciata a sè presenta arresto completo dei movimenti respiratori, flaccidità muscolare e insensibilità spinte al massimo grado: si vede solo pulsare il cuore, lentamente, at- traverso alla parete toracica; dà 16 pulsaz. al 1°. 12,25. — S'incomincia la r. a. cercando di portare il meno possi- bile di lesione alla rana nell’introdurre la cannula in trachea. Sc. Nat. Vol. XIII. 22 340 A. MARCACCI Ore 12, 40. — Il cuore si è già accelerato; dà 30 pulsaz. al 1. cio — Rua 205 » 12,55. — : 42 al I’. Sono costretto a sospendere la r. a. » 2pom. — Il cuore dà 56 puls. al l': si ricomincia la r. a. » 2,80. — Puls. 64 al 1. Certe piccole contrazioni che si verifi- cavan negli arti posteriori prima di abbandonare la r. a. (12, 55) ora non si notan più. Si arresta di nuovo la r. a. 4,15. — Tornando a visitare la rana trovo che le eccitazioni forti riescono a provocare qualche raro movimento nel pavimento buccale. Pulsaz. 70 al l' assai deboli. 4,24. — Pratico di nuovo la r. a. si nota poco dopo qualche raro movimento negli arti interiori. Ore 6. — Arresto la r. a. e tolgo lo spillo che regge la mascella superiore: la rana fa sforzi vivacissimi per reagire specialmente cogli arti anteriori. 5, 15. — Ad ogni eccitazione si ha un movimento del pavimento buc- cale, però senza effetto utile sul polmone: si ripiglia la r. a. 5, 24, — D'un colpo la rana, eccitata, si scioglie dalle pastole e caccia la cannula tracheale: rimane però sempre sul dorso. Si rimette la can- nula e si fa di nuovo la r. a. Mentre si fa respirare artificialmente ri- mane sempre tranquilla, quasi si trovasse bene di questo risparmio di fatica. 5, 35. — Eccitata meccanicamente negli arti anteriori reagisce viva- cissima, adoperando, per difesa, anche i posteriori: è però notevole che uguali eccitazioni portate nelle zampe posteriori provocano reazioni di molto minore intensità: è completa la sensibilità corneale. Lasciata a sè fa grandi sforzi per respirare; ma o non vi riesce, o solo con somma difficoltà, stante le lesioni apportate alla trachea con le frequenti e mal fatte introduzioni della cannula tracheale: è perciò che essa sì è mostrata sempre più vivace subito dopo praticata la respira- zione artificiale, che negli intervalli in cui era sospesa. Che essa respiri male da sè lo mostra il fatto del frequente aprire la bocca, quasi vo- lesse abboccare dell’aria: si lascia a sè. 8 Agosto. — La rana, nella notte, è fuggita dal vaso in cui era stata messa. È vivacissima. 6 Agosto. — La rana è ancora viva. Si tralascia di osservarla. A questa esperienza si potrebbe obbiettare che i benefici ef- fetti della respirazione artificiale sono molto discutibili, giacchè non è tolto il dubbio che la rana lasciata a sè avrebbe potuto ritornare in vita anche senza respirazione. Certo questo dub- bio non può ssser tolto del tutto; ma nessuno potrà negare: L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 941 1.° che l’acceleramento del battito cardiaco, da 16 a 30 pulsaz. al 1’, avvenuto dopo 5‘, e da 16 a 42 avvenuto in 10' di respi- razione artificiale, non stia in rapporto diretto con quest'ultima; molto più che in un’ ora in cui fu sospesa la resp. esso aumentò solo da 42 a 56. In questo tratto di sospensione si perdettero alcuni dei benefici effetti ottenuti; 2.° che la massima vivacità della rana corrispose ai periodi che seguivan immediatamente la cessazione della respirazione; 3.° che la rana, in quasi otto ore di respirazione artificiale, non potè mai respirare sponta- neamente: avrebbe potuto, colla sola respirazione cutanea in una stagione calda, sopravvivere? Tutte queste argomentazioni però se facevano propendere in favore del vantaggio di questo mezzo d'aiuto fornito alle rane asfittiche, pure lasciavano ancora qualche dubbio, e, so- prattutto, non mostravano quale utilità avrebbe potuto fornire questo mezzo alla ricerca scientifica, rimanendo nel magazzino delle curiosità del ricercatore. Pensai allora di abbandonare un po’ il terreno che avevo battuto sinora, e di cercare quale utile applicazione avrebbe potuto avere nella ricerca scientifica e specialmente farma- cologica. Il ragionamento che mi condusse a questo fu il seguente: Se l'arresto della respirazione polmonare nelle rane ha così grande importanza, l’asfissia deve complicare enormemente l’azione di tutte quelle sostanze che, nelle rane, sospendono i movimenti ioidei e quindi la ventilazione polmonare: poteva darsi quindi che, come l’aver trascurato di tener nel debito conto i mo- vimenti ioidei aveva portato a interpetrar male il fenomeno della conservazione della vita nelle rane spolmonate, così gli sperimentatori potevano essere stati condotti in errore nelle loro conclusioni sull'azione di qualche sostanza, o di qualche lesione praticata sulle rane, quando quella sostanza o questa lesione avessero prodotto l’arresto della respirazione polmo- nare. Gli effetti dell’asfissia avrebbero dovuto, in questo caso, sommarsi o confondersi con quelli prodotti dall’ azione del ve- leno, essendo impossibile di sceverare, senza un artifizio qual’ è quello della respirazione artificiale, quali erano quelli dovuti all'uno piuttosto che all'altra. 349 "A. MARCACCI Vi sono poche sostanze usate in farmacologia, le quali, som- ministrate in un modo o in un altro alle rane, non finiscano per arrestarne il respiro. Per il mio studio ne ho scelte poche, giacchè non era mia intenzione di studiare fatti speciali, ma di dimostrare un fatto d’ indole generale, appongiandolo su pochi e buoni esempi. Le sostanze da me prescelte sono state: il curaro, il clo- roformio, l’ossido di carbonio, la muscarina e l’atropina: tutte queste sostanze, a un certo periodo della loro azione (sommi- nistrate a dosi tossiche), arrestano i movimenti del respiro, e rallentano il cuore. Erano queste due circostanze che facevano al caso mio; l'arresto del respiro per portar l’ asfissia, il rallentamento o l'arresto del cuore, per vedere quali effetti avrebbe portati su quest'organo il ristabilire artificialmente la respirazione. Il cuore mi avrebbe dunque servito da indice di reazione respiratoria. Le mie esperienze furono cominciate, com'è naturale, dal veleno arrestatore del respiro per eccellenza, il curaro: ed ec- cone una serie praticata sopra un numero grandissimo di ani- mali a sangue freddo.. 14 Luglio. — Si curarizzano due rane con una dose minima ed eguale di curaro. Appena prese dal veleno, a risoluzione muscolare completa e a respiro arrestato, in una di esse si mantiene la r. a. dalle ore 1, 5 fino alle 2,45 (rana A); l’altra si lascia a sè (rana B). Alle 2,45 si mette allo scoperto il cuore, e si ha: Rana VAt (aa) A pulsaza bioa » B (asolo curaro) . È 192.018 Si continua la r. a. e si hanno i seguenti dati: Ore 3,30. — Rana A. pulsaz. 15 , 15" Los Ne RA DO VIsi ia tor Mo 93/001), 5 ARNO | ta 0 IIREEN L) B L) DEMI 30" RE Ceo Bi ui oa, » Si arresta la resp. artif. nella rana A e si pratica nella rana B: il cuore è nero, pieno di sangue asfittico. Pochi minuti dopo cominciata la r. a., il sangue si fa rosso, il cuore batte con più forza e frequenza e dà 15 pulsazioni in 24". Si arresta l’esperienza. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 343 18 Luglio. — Si curarizzano due rane alle ore 10, 25. Alle ore 12 sì mette allo scoperto il cuore in ambedue: batte regolarmente. Ore 3,35 pom. — Il cuore è quasi arrestato in una delle due rane: dà 15 pulsaz. in 47": fatta per qualche tempo la r. a. si arriva ad avere 15 pulsaz. in 18"; e mentre prima della respirazione si aveva una con- trazione ventricolare per ogni due o tre contrazioni auricolari, ora ad ogni contrazione dell’ orecchietta corrisponde una contrazione del ventricolo. Ore 4. — Nella seconda rana le contrazioni ventricolari sono arre- state completamente: qualche rara contrazione auricolare. Si pratica la r. a.; e, poco dopo, non solo riprendono le contrazioni ventricolari, ma il cuore, nell'insieme, riprende i caratteri del tutto nor- mali, sia per la forza, sia per la frequenza, sia per il colorito del suo contenuto. Infatti, dall’arresto completo, si arriva ad avere 15 pulsa- zioni in 12". 9 Agosto. — Grossa tartaruga marina (Chelonia couanna) del peso di kil. 6 circa. (Ha servito per determinare la resistenza della chiusura glottica ad una colonna d’acqua). Ha una cannula nella grossa trachea, per mezzo della quale si può spingere aria negli ampi polmoni. 10,30. — S'inietta nei tessuti della tartaruga 1cc. di una soluzione di curaro al 10°/,. 2,43. — La tartaruga è completamente curarizzata: vi è paralisi della sfintere anale. Si mette allo scoperto il cuore; esso dà 18 pulsaz. al l': le contrazioni sono ritmiche, con brevi periodi di arresto; il ven- tricolo appare nero dal sangue dello stesso colore che contiene: si in- comincia la r. a. 2,51. — Pulsazioni 29 al l': le sistoli ventricolari si son fatte più energiche: il ventricolo appare ora rosso; è quasi scomparsa l’ aritmia. 3, 17. — Pulsazioni 19 al 1°. Si sospende la r. a. Ore 4. — Pulsazioni 14 al l': leggermente aritmiche. Ore 4,50. — Pulsaz. 12 al l’: le contrazioni ventricolari sono de- boli, lunga la grande pausa; ritorno del colorito nerastro del cuore. Si riprende la r. a. 4,57. — Pulsaz. 30 al l'; cuore rosso. Le contrazioni sono energi- che, ritmiche. Si sospende l’osservazione. 4 Agosto, ore 5, 20. — S'iniettano poche gocce di soluzione di curaro nella muscolatura della nuca ad una grossa lucertola, (lacerta muralis). 5,24. -—— I movimenti respiratori si sono arrestati: qualche movi- mento di deglutizione. Eccitando la cornea si ha un movimento nella coda. Si mette allo scoperto il cuore. 5,39. — Pulsazione 106 al 1’, sangue nerastro. 9,99. — n 94 , » più deboli, S44 A. MARCACCI Ore 5,40. — Si nota qualche periodo di arresto nelle contrazioni cardiache. 5, 45. — Pulsaz. 80 al l': qualche arresto. 5,47. — Cuore quasi arrestato: si introduce una cannula da siringa Pravaz. nella piccola trachea. Questa cannula non viene però introdotta fino al di sopra del taglio a becco di flauto della punta, ma solo fino a metà di questo taglio: l’aria insufflata può uscire dall’ apertura che rimane al principio del taglio. La r. a. può così essere eseguita regolar- mente. A ore 5,47 s’ incomincia la r. a. 5,48. — Gli effetti della r. a. si manifestano in modo subitaneo e sorprendente: il sangue, da nero, si fa rosso scarlatto: il numero delle sue pulsazioni sale subito a 126 al 1’. Si sospende la r. a. 6, 6. — Pulsaz. 82 al l': sangue nero. 6, io ” 76 2» » » E) 6,28. — |, 66 con tre lunghe pause in 1’. 6,30. — Pause d'arresto ogni 3 pulsaz. Spariscono poco dopo. 6,45. — Contrazioni ventricolari deboli: sangue nerissimo. pulsaz. 62 con quattro o cinque pause al l'. La punta del cuore non si riempie più. 6,50. — Si contrae quasi soltanto l’orecchietta: pulsaz. 72 al 1. 7, 1. — Pulsazioni 70 al l' debolissime. 7,10. — Pulsazioni divenute abbastanza regolari: l'arresto del ven- tricolo procede dall’apice alla base, cioè il cerchio muscolare della base riceve ancora sangue quando il cul di sacco dell’apice non ne riceve più perchè contratto. 7,20. — Il ventricolo è arrestato quasi del tutto: sangue nero. Si ricomincia la r. a. 7,30. — Il cuore ha ripreso subito il color rosso, e le sue pulsa- zioni si son fatte frequenti e robustissime: 82 al 1’. Si sospende la r. a. Ore 12 di notte. — Il cuore batte ancora lentamenté: faccio per qual- che minuto la r. a., ed il cuore riprende coi soliti caratteri. Agosto, ore 7,30 ant. — Il ventricolo si contrae ancora con ab- bastanza forza, ma non sì riempie più: è comparsa la rigidità muscolare nella coda e negli arti posteriori. La r. a. non riesce ad alcun effetto utile: il cuore aumenta solo di qualche battito. Sospendo l’ osservazione. 6 Agosto, ore 8, 25 ant. — Inietto poche gocce di curaro ad una seps chalcidica chiamata volgarmente in alcuni luoghi della Toscana lu- cignola. L’iniezione è fatta tra i muscoli della nuca. 7,39. — Il torace si dimostra infossato: il respiro è diminuito, non arrestato. Il cuore è forte, e si vede battere bene anche dall’ esterno: anzi, quando l’animale è poggiato sul dorso, il battito stesso è capace di fare oscillare gli arti rudimentari anteriori, tanto che l’ oscillazione stessa può servire come indice per numerarne i battiti. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 345 Ore 8,30. — Il respiro è quasi arrestato: si ha un leggero infossa- mento, seguito da una dilatazione, una volta al 1'; le pulsazioni sono 94 al l’. Si notano dei movimenti spontanei dell’estremità caudale, mentre tutto il resto del corpo è nell’impossibilità di farne. Il cuore, col suo forte battito, provoca degli allargamenti e restringimenti ritmici del to- race, tali da simulare una leggera respirazione: sono dei veri movimenti cardio-pneumatici. \ 8,55. — Movimenti spontanei della coda. 10, 20. — Pulsazioni 86 al 1. 10, 559. — A 76 , robuste: nessun movimento respiratorio. 11,55. — 5 80 al 1. 12 — Si mette allo scoperto il cuore: pulsaz. 84 al l'; sangue nero. Si fa la r. a. introducendo una cannula da arterie nella bocca, e fasciando il muso con cotone, in modo che l’aria non esca dai lati della bocca: i polmoni possono così ricevere e rimandare aria. 12, 5. — Pulsazioni 92 al l': sangue rosso. 12,10. — È 94 , , sì sospende le r. a. 12,40. — È 76 , , con qualche pausa: sangue nero, cuore debole. 1,29. — Pulsazioni 74 al 1’, deboli: sangue nerissimo. 1,55. — 3 (00 sdiricomincia@latt ta: 2. cs 7 92 , , assai robuste: sangue rosso. 2,10. — Be 100 , , il sangue è divenuto di un bel rosso scarlatto. Si sospende la r. a. La r. a. viene, in seguito, ripetuta a lunghi intervalli, e sempre con gli stessi risultati: tra le altre alle 11,20 di sera. 7 Agosto, ore 8, 5 ant. — Pulsaz. 60 al l': si fa la r. a. Ore 8,30. — Pulsaz. 64 al 1°. Il cuore non arriva a riempirsi: il san- gue rimane nero. Da queste esperienze, praticate su batraci e su rettili, si possono trarre le conclusioni seguenti: 1.° L’asfissia, prodotta dal curaro per arresto dei moti respiratori, fa potentemente sentire i suoi effetti sul cuore, fino ad arrestarne il battito: questi effetti possono esser tolti col mezzo della respirazione artificiale, con cui si può ristabilire talora il numero primitivo delle pulsazioni cardiache, e il loro ritmo (1). (4) L’aritmia cardiaca, che si osserva in quasi tutte le osservazioni in cui il san- gue diviene asfittico, è quindi una conseguenza diretta dell'accumulo di CO? nel sangue. È possibile anche che, ad es. nelle circolazioni artificiali, i lunghi periodi di arresto del cuore che spesso si osservano, e che si succedono con regolarità, non sieno che l’effetto di insufficiente ossigenazione del sangue circolante. 346 A. MARCACCI 2.° Avvelenando quindi con curaro gli animali a sangue freddo, specialmente in estate, non si può per nulla trascurare l'effetto che l’asfissia produce sul sul cuore, e certo anche su tutti gli altri organi: così facendo si deve necessariamente con- fondere quel che è dovuto all’asfissia con quel che è dovuto al curaro. Per conseguenza è indispensabile trattare gli ani- mali a sangue freddo, se curarizzati, come dei vertebrati su- periori, mantenendo cioè la respirazione artificiale durante tutta l’esperienza. A convalidare queste mie conclusioni credo conveniente ci- tare una esperienza praticata in una seps chalcidica in cui, per un caso fortunato, riuscii ad iniettare tanto poco curaro da non arrestare mai completamente i moti respiratorî, mentre il resto dell'animale si mostrava completamente curarizzato; ebbene, in questo caso gli effetti dell’asfissia non si ebbero, o non si fecero sentire che pochissimo sul cuore: ecco del resto l’espe- rienza: 5 Agosto, ore 7,50. — Si curarizza leggermente una seps chalcidica, con la coda mozzata, ma molto vivace: l'iniezione è fatta sul dorso dietro la testa. La respirazione ha il tipo di quella delle lucertole. Ore. 8. — Le rudimentali estremità posteriori sono ancora sensibi- lissime: il respiro è quasi arrestato: si vede benissimo battere il cuore dall'esterno. 8,25. — I fianchi, in corrispondenza del polmone, sono infossati: per- siste però qualche leggero moto respiratorio: il cuore dà 86 puls. al l': il resto del corpo è in completa risoluzione muscolare. Si contano 8 resp. al l. Dopo una forte eccitazione ad uno degli arti posteriori, e senza che siasi provocata nessun’ altra reazione muscolare, sì ha una reazione respi- ratoria, e il respiro, anche dopo cessata l’ eccitazione, rimane accelerato. 8, 40. — Pulsaz. 90 al l': l’animale respira come se fosse in un sonno tranquillo: il modo con cui si compie questo respiro è assai interessante : durante le lunghe pause respiratorie il torace, come ho detto, è infos- sato: al principio d'un atto respiratorio il torace comincia a infossarsi di più, poi si espande assai ampiamente, per tornare ad infossarsi come al punto di partenza. Gli atti respiratori sono 10 al 1. 9,30. — Pulsazioni 96. Resp. 14 al 1. 10, 15. — E: 102 robustissime: resp. irregolare 3-4 al 1°. 10, 50. — n 100 Resp. 10 tornate regolari. 12 pom. — 1 6 Aa Lo LS L'animale è sempre nel più completo rilasciamento. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 347 Durante il resto della giornata le condizioni sono rimaste pressochè invariate: il respiro si è andato solo facendo più regolare e più frequente: immobilità assoluta dell'animale. Solo verso sera, a ore 8 circa ho no- tato qualche leggero movimento: alle nove era in grado di muoversi as- sal bene. 8 Agosto, mattina. — La lucignola è tornata perfettamente normale. In questo caso dunque, non essendosi mai arrestato com- pletamente il respiro, non si ebbe il rallentamento progressivo del cuore, come nei casi già citati, ma il battito cardiaco seguì in tutto e per tutto i moti respiratorî, come si ha nei casi in cui la respirazione artificiale viene a sostituire quella naturale. E, per terminare di dire del curaro, mi sia permesso di ci- tare un fatto che non ha che fare col soggetto che mi QIQUPE, ma che non mi sembra privo d'interesse. Iniettando del curaro in vicinanza della testa nelle lucer- tole e nelle lucignole ho sempre notato che l'invasione del ve- leno procede, passo a passo, dalla testa verso la coda: cosicchè quando gli arti anteriori sono già presi e immobili l'eccitazione di uno di questi, o della cornea, può provocare un riflesso nella coda: è l’esperienza classica del curaro iniettato sul dorso della rana dopo la legatura delle arterie delle zampe posteriori: nelle lucertole non vi è bisogno di questa legatura. Come si intende il fenomeno non ha più luogo ad avvelenamento curarico molto avanzato. Non meno importanti sono gli effetti che l’asfissia può pro- durre negli animali a sangue freddo quando questi sieno sot- toposti all’azione dei vapori di cloroformio: eccone le prove. 11 Agosto. — Si cloroformizzano, esponendole ai vapori di cloroformio sotto una campana, due rane presso a poco della stessa grandezza: si spinge la cloroformizzazione fino alla risoluzione Ja più completa dei mu- scoli, e, com'è naturale, anche all'arresto dei moti respiratori e dei moti Ioidei. Il cuore, dopo ciò, si vede benissimo battere attraverso le pareti toraciche, presso a poco con ritmo uguale in ambedue le rane. Introduco coi maggiori riguardi, una cannula nella trachea di una di queste rane (rana A), per poterle fare la r. a. Appena incominciata l’insufflazione del- l’aria si vede il cuore farsi più rapido: infatti mentre prima si aveva quasi uguaglianza di numero di pulsazioni nelle due rane, ora si ha che, alle 12, 25, la rana a respiraz. artif. dà 60, l’altra (rana B) 36 puls. al 1. 348 A. MARCACCI In ambedue le rane si nota una certa rigidità agli arti inferiori (rigidità cloroformica). 12,30. — Continuata la r. a. si vedono già comparire rari e leggeri movimenti ioidei nella rana A, nulla nell’ altra. 12, 40. — Si possono provocare movimenti riflessi, eccitandoli in tutto il corpo della rana A. Nella rana B si soro notati finora uno o due mo- vimenti di deglutizione, ma inefficaci, il polmone cioè non si svuota e non si riempie. PulsazionifiRana ARIES eos tale È vB EA a O 12,45. — La rana A, in cui ho continuato la r. a. e ora in grado di voltarsi sul ventre se messa sul dorso: è ricomparsa la sensibilità in tutti i punti meno che nella cornea. La respirazione spontanea non è ancora apparsa in nessuna rana: anzi la rana B è ancora nella più com- pleta immobilità, con accenno a crescere però della rigidità degli arti inferiori. 12,48. — È tornata a respirare spontaneamente la rana A: nella rana B si nota solo qualche movimento di deglutizione che riesce del tutto inefficace per il polmone. Nella rana A sì nota ancora torpidissimo il reflesso corneale, mentre son tornati vivacissimi tutti gli altri. 12,55. — Il respiro si è fatto normale nella rana A: la rana B, se eccitata fortemente, ad es. lasciandola cadere da una certa altezza, fa qualche atto di deglutizione inefficace: la rigidità degli arti posteriori si è fatta più marcata. 1, 15. — Sempre più forte la rigidità negli arti posteriori della rana B: sono insensibili, mentre sono provvisti di sensibilità gli anteriori e non rigidi. Deglutizioni rare ed inutili. Pulsazioni 44 al I. 1,18. — Mediante stimolazioni forti i moti ioidei si son resi leg- germente utili per il polmone: continua la rigidità. 1,20. — Pulsazioni 54 al l': il cuore si è rianimato dopo i primi respiri utili. 1, 25. — Si è ritornati ai lunghi arresti respiratorî dopo che la rana è stata lasciata tranquilla. 1,50. — Il battito cardiaco non è più visibile dall'esterno: non si vede che un leggero sollevamento della pelle in alto, forse dovuto alla contrazione delle sole orecchiette. Sparito quasi del tutto il riflesso ioideo, anche se la rana è lasciata cadere dall'alto: pulsazioni 42, appena per- cettibili come si è detto. Ore 2. — Rimanendo fisse le condizioni della rana B, sì fa un po’ di r. a. che riesce però unilaterale, non riuscendo a far dilatare che un solo polmone. I polmoni erano schiacciati, e avvizziti, ragione dell’inef- ficacia su loro dei moti ioidei. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 349 Ore 2,10. — Malgrado l’unilateralità della r. a. il cuore si è fatto robustissimo; ora si vede pulsare distintamente anche il ventricolo: pul- sazioni 42 al 1. 1,20. — Il cuore, malgrado la r. a., si è fatto di nuovo più fiacco: st sospende la r. a. La rana, al di là del fiacco battito cardiaco, non dà nessun’ altra manifestazione di vita. 3,30. —- La rana è morta: la rigidità degli arti sì è fatta massima. Inutile aggiungere che fin dalle ore 12,55 fu sospesa l’osserva- zione della rana A perchè tornata del tutto allo stato normale. Come si vede, per mezzo della respirazione artificiale, non solo si può arrivare ad eliminare gli effetti dell’asfissia, e a distinguere quel che spetta al cloroformio, ma si può, per suo mezzo, purchè praticata a tempo, evitare e superare uno degli ostacoli più terribili della cloroformizzazione delle’ rane, la ri- gidità cloroformica. Avendo, in un altro lavoro, potuto ravvicinare gli effetti del cloroformio a quelli dell’ossido di carbonio, ho voluto cer- care se, anche nell’avvelenamento per questo gas, si avesse la complicanza dei fenomeni asfittici come si hanno nel clorofor- mio: sarebbe stato un punto di contatto di più tra queste due sostanze. 12 Settembre, ore 1 pom. — Due rane col cuore allo scoperto sì met- tono in un ambiente di CO. Ore 3,30. — Colte dall’ossido di carbonio presentano i sintomi ca- ratteristici dell’avvelenamento per questo gas: paralisi generale, arresto del moti respiratorî, mancanza del riflesso corneale, cuore di colore rosso vivo. Il cuore stesso presenta rari movimenti per lunghe pause diasto- liche dei ventricoli e delle orecchiette. Rana A pulsazioni 6 a 8 in 1. » B » 16 » » Forte aritmia nei cuori delle due rane. Ore 3,35. — Si comincia la r. a. nella rana A. Ore 3,38. — Le contrazioni cardiache diventano ritmiche (24 al 1/) per la scomparsa delle lunghe pause diastoliche: il cuore della rana B sl è frattanto arrestato. Ore 3,41. — Pulsazioni 30 al l', ritmiche regolari. Il cuore della rana B ritorna a pulsare (16 al 1°) con contrazioni aritmiche per prolun- gate diastoli. Ore 3,44. — Pulsaz. 32 al 1': nella rana A persiste l’ anestesia cor- neale e lo stato paralitico. Il cuore della rana B dà 6 pulsaz. al 1°. 350 A. MARCACCI Ore 3,49. — Si sospende la r. a. nella rana A. 3,52. — La rana di confronto B ha ora il cuore arrestato in dia- stole: sì osservano solo rare pulsazioni delle orecchiette. A ore 3, 54 si pratica la r. a. anche in questa rana. Dopo pochi secondi però un pol- mone si rompe, e l’aria si espande nella cavità addominale, sicchè la r. a. viene sospesa. Malgrado questo l’aria entrata è stata sufficiente a ripri- stimare i moti del cuore, e a ristabilirne il ritmo normale. Ore 3,59. — Rana B pulsazioni 30 in 1. DARLO SAR ; 42 , ©» La rana A, a cui fu sospesa la r. a. dà 42 a 46 pulsazioni al 1°. Si è attenuata in ambedue le rane la tinta rosso-viva del cuore: persiste lo stato paralitico e la mancanza dei riflessi. Quantunque, in questo caso, non si sia riusciti a far spa- rire gli eftetti deleterî del CO, (e ciò soprattutto per la poca durata della r. a.) risultano però evidenti gli effetti della r. a. sul cuore; e stando alla teoria che il globulo rosso sia, in questo caso, impossibilitato a ricevere nuovo ossigeno, è chiaro che i benefici effetti della r. a. . non possono esser dovuti che alla disparizione della C0?, rapida in questo caso, lenta nel caso della rana lasciata a se sola. E siccome questo fatto si è ve- rificato anche per la C0?, rimane provata l’asserzione da me fatta, che cioè il riprendere spontaneo del cuore arrestato dal- l’anidride carbonica (quando sia sottratto all’azione di quest’ ul- timo gas) sia dovuto più a CO? che esce, che ad ossigeno che entra nel sangue dell'animale. Lo stesso credo possa dirsi per il caso del cloroformio e di molte altre sostanze. È così che, preceduta dal ripristinarsi del circolo, può ristabilirsi la respi- razione polmonare, e intendersi il continuar della vita di molte rane, senza ricorrere all’incerto, o, per lo meno meschino, con- tributo della pelle nell’assorbimento dell’ ossigeno. Le complicanze che l’asfissia porta negli avvelanamenti per curaro e per cloroformio e per ossido di carbonio mi paiono così ben dimostrate: però mi parve fosse prezzo dell’opera estenderle a qualche altra sostanza, per mostrare che la legge da me stabilita si estendeva molto più in là di quello che po- trebbe credersi. Le sostanze da me prescelte sono state la muscarina, l atropina. Ecco intanto i risultati ottenuti sperimentando con l’atro- pina. È) L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 351 19 Luglio. — Ad una grossa rana s’inietta 1 cg. d’ atropina (soluz. 1°/,) sotto la pelle. Ore 12. — Rari movimenti ioidei: il cuore, che si vede battere dal- l'esterno, dà 15 puls. in 10": esiste ancora l’ammiccamento palpebrale. 2,10. — S'inietta un altro centig. d’atropina. 3,10. — Sono cessati quasi del tutto i movimenti ioidei: pulsazioni 15 in 12". 3,55. — Si mette allo scoperto il cuore; sangue nerastro, pulsazioni 15 in 12". Si comincia la r. a. Quasi immediatamente il sangue si fa di un tal rosso ciliegia o meglio rosso porpora, come raramente suole vedersi nelle rane. Il battito car- diaco diventa di una forza e di una veemenza veramente straordinaria. Non si nota aumento di frequenza. 20 Luglio, ore 22,20, —- S’iniettano sotto la pelle di una rana 2 centig. d’atropina. 12.55. — I movimenti ioidel sono scomparsi: rimane sul dorso quando ‘vi sì collochi: si mette allo scoperta il cuore che pulsa lentamente: san- gue rosso scuro. Ore 1. — Pulsaz. 15 in 20": ogni due o tre movimenti si nota una pausa marcata. 1,16. — Il cuore rimane quasi arrestato in diastole: dà 8 pulsazioni al l'. Si comincia la respirazione artificiale: il cuore dapprima resiste ma poi cede agli effetti di quella, e torna a battere regolarmente ed assai celermente. 2,15. — Essendosi sospesa la r. a. il cuore è tornato ad arrestarsi completamente: si fa di nuovo la r. a. 5,30. — Il cuore dà 15 pulsaz. in 55" assai regolari. 4,830. — La rana è stata lasciata a sè: il cuore ha pulsato fino alle 4, 30. Credo interessante, a questi resultati, contrapporre quelli ottenuti sperimentando con la muscarina. La soluzione di questa sostanza, da me adoperata, non era molto attiva. 19 Luglio, ore 3,20. — Una goccia di soluzione di muscarina, al- lungata con acqua, s' inietta sotto la pelle di una rana. 3,80. — Essendosi arrestati i movimenti ioidei si apre il torace, il cuore batte ancora, il sangue è nero. 3,45. — Pulsaz. 15 in 12": sangue nero. Si fa per qualche tempo la r. a.: il sangue si fa meno nero, il cuore più forte: pulsaz. 15 in 12". 4,25. — Una goccia di soluzione si allunga con acqua, e di questa ultima soluzione ne getto una goccia sul cuore: poco dopo esso dà 15 pulsazioni in 18". 352 A. MARCACCI Ore 4,35. — Si è fatta per poco tempo la r. a. e si hanno pulsa- zioni 15 in 15". 4,36. — Si getta un’altra goccia della detta soluzione sul cuore. 4,38. — Pulsazioni 15 in 19". 4,43. — È » » 34°. Si fa la r. a. per qualche minuto e si hanno pulsaz. 15 in 20". 20 Luglio, ore 12,40. -- Inietto sotto la pelle di una rana 2 gocce della solita soluzione di muscarina. 1,15. — I movimenti ioidei e respiratorî si sono sospesi da qualche tempo in modo completo: si mette il cuore allo scoperto; esso dà 15 pul- sazioni in 20". 2,37. — Il cuore, e specialmente il ventricolo, si rilascia nella dia- stole in modo da occupare, durante il rilasciamento, una larga superficie; in questo momento esso sembra come formato da due lamine parallele, una superiore l’altra inferiore; mon si contrae completamente nella si- stole. Il sangue è nero: la contrazione auricolare è quasi del tutto arre- stata, le orecchiette ripiene e sfiancate. Pulsaz. 15 in 30". 2,42. — S'incomincia la r. a. 2,50. — Pulsazioni 15 in 28". 3. —_ 2 » » 27°. Il sangue è meno nero; le contrazioni più robuste, più complete. Si sospende la r. a. 8, 50. — Pulsazioni 15 in 37". 4,12. — 7 a (psi riprendeglarata: ED È » > 22": il cuore è più forte, il sangue meno nero: anche le orecchiette hanno ripreso a contrarsi: si continua la r. a. 4,30. — Il cuore non si rilascia più, nel modo descritto, durante la diastole, ma si conserva sempre rotondeggiante: le orecchiette si con- traggono con forza. Pulsaz. 15 in 17". si sospende la r. a. 4,45. — Pulsazioni 15 in 18". 5,30. — È » » 25". Il cuore è tornato a rilasciarsi nella diastole ; la sistole non è completa: deboli le orecchiette. Si riprende la r. a. 5, 45. — Pulsaz. 15 in 17": cuore robusto, sistole completa del ven- tricolo e delle orecchiette; tono aumentato; nella diastole il cuore non si rilascia più. Si sospende l’ esperienza. Inutile far notare che i risultati ottenuti con queste espe- rienze sull’atropina e sulla muscarina confermano pienamente che un elemento estraneo all’azione del veleno, fa risentire i suoi effetti sul cuore, e che questi effetti possono essere, in parte, eliminati per mezzo della respirazione artificiale: que- st elemento estraneo, credo inutile farlo rimarcare, è rappre- sentato dai prodotti delle combustioni organiche, e specialmente È) L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 398 dalla anidride carbonica, che si accumulano nel sangue non po- tendo esser più cacciati per il polmone paralizzato nelle sue funzioni: l’asfissia ne è il risultato naturale. Questo elemento disturbatore, in comune all’atropina e alla muscarina, ci rende forse conto di alcune apparenti contradi- zioni che si riscontrano studiando l’azione di queste due so- stanze sul cuore. È ormai entrato come assioma indiscutibile, che queste due sostanze, rispetto alla loro azione sul cuore, debbano conside- rarsi come antagoniste; un cuore arrestato dalla muscarina vien fatto riprendere dall’atropina. Di qui tutti i giuochi di pa- role immaginati per spiegare questa azione, creando centri mo- deratori o acceleratori situati nel cuore, e rispondenti più o meno alla logica forzata degli sperimentatori. Ma il fatto che colpisce di più, e che stona apertamente con questo concetto, è quello di vedere che tanto l’atropina quanto la muscarina, iniettate a dose tossica sotto la pelle, ri- tardano ambedue la frequenza del battito cardiaco. Perchè l’atropina non accelera, almeno per qualche tempo, il battito cardiaco, se la sua azione è antagonista di quella della mu- scarina arrestatrice ? Un effetto comune deve necessariamente presupporre una causa comune; ed io credo che quest’ultima debba ricercarsi nell’accumulo dei prodotti di combustione organica che si ac- cumulano nel sangue e nei tessuti dopo l'arresto della respi- razione polmonare, e che fanno sentire i loro effetti sul cuore, sovrapponendosi forse, come potenza, a quelli del veleno. E quel che dico per la muscarina e per l’atropina vale forse per molti altri veleni i quali, nelle rane, finiscon tutti all’ar- restare il respiro e portare il rallentamento e poi un arresto del cuore. Io credo infatti che i farmacologi abbiano ancora da trovare una sostanza farmacologica che acceleri il cuore della rana. Mi sia permesso di finire con una considerazione, che mi vien consigliata più dalla logica che dall’ esperimento. Finora ad accelerare, o a rimettere in moto un cuore rallentato o ar- restato dalla muscarina, non si era riusciti che con la sommi- nistrazione dell’ atropina: io vi son riuscito con la respirazione artificiale. E uno stesso effetto prodotto da due mezzi differenti: 354 A. MARCACCI può darsi però che questi due mezzi, in apparenza così diversi, arrivino tutti e due a fornire agli elementi del cuore un quid comune che serva a rimetterlo in moto? Io non lo credo im- possibile; e se dal cognito si deve giudicare dello incognito, si potrebbe pensare che questo quid comune, fosse l'ossigeno; e che, nel caso della muscarina, l’atropina mettesse il cuore nello stato di fruire di questo agente che deve ancora trovarsi nel sangue. Non è infatti assurdo il pensare che un agente come la muscarina agisca portando un fenomeno d'arresto nutritivo o dello scambio, arresto che potrebbe esser tolto dalla atro- pina. È solo in questo modo, mi pare, che si ubbidirebbe alla legge di causalità, che cioè uno stesso effetto (ripresa del bat- tito cardiaco) ottenuto nelle stesse condizioni, presuppone, anzi obbliga a presupporre, una condizione efficiente comune. Alle osservazioni fatte con la CO? col curaro, col clorofor- mio, con la muscarina e l’atropina dovrei forse aggiungerne altre fatte con altri agenti farmacologici: ma io penso che se questo potrebbe dare un carattere di maggior generalità al la- voro, non potrebbe che poco o nulla aggiungere al fatto ben constatato che l'arresto del respiro delle rane, in qualunque avvelenamento esso avvenga, complica, per i conseguenti ef- fetti dell’asfissia e in modo straordinario, l’azione del veleno. Di qui, mi pare, nasce un corollario importante per l’ espe- rimentazione sugli animali a sangue freddo: dati, cioè, gli ef- fetti potenti dell’asfissia non si potrà concludere sull'azione di un veleno, ad es., sul cuore di rana, quando il veleno stesso arresti fin dal principio della esperienza, la respirazione pol- monare. Noi abbiamo visto questo fatto verificarsi per tutti quei pochi agenti farmacologici che abbiamo preso in esame, e son sicuro che si verificherà anche per la massima parte dei rimanenti. Credo di aver trovato e descritto il modo di evitare o to- gliere questi effetti dell’asfissia per mezzo della respirazione artificiale: essa dovrà, se si vuole evitare la complicanza del- l’asfissia, essere applicata nelle rane come si pratica negli ani- mali superiori in cui, o per l’azione del curaro, ad es., o per la distruzione del bulbo, essa venga ad arrestarsi. E così l’ espe- rimento sulla rana, considerato fin ad ora come uno dei più facili, doventerà uno dei più COMLicSai e difficili. L'ASFISSIA NEGLI ANIMALI A SANGUE FREDDO 355 Ho parlato della rana quasi esclusivamente perchè è l’ani- male che più di frequente l’esperimentatore si trova fra mano; ma colle mie ricerche sui ramarri, lucertole, tartarughe, spero di aver dimostrato che la legge può estendersi a tutti gli ani- mali a sangue freddo: anzi tra i rettili i fenomeni dell’asfissia sono i più potenti e i più rapidi che nei batraci. Forse io mi potrei lasciar andare ad altre considerazioni e conclusioni a cui le mie ricerche mi autorizzerebbero: ma preferisco arrestare questa mia nota rimanendo nel terreno nudo e crudo dei fatti: il seguito delle mie ricerche, spero, mi porteranno a conclusioni più generali, e, fra le altre, a stabi- lire un parallelo tra asfissia e anestesia, su cui mi pare non si sia detta l’ultima parola; a vedere infine se lo stato d’iber- nazione non sia che la conseguenza di una lenta e graduale asfissia, compatibile con la vita dell'animale in ibernazione. Per oggi dunque mi limito a riassumere in poche conclu- sioni i risultati delle mie ricerche; sono i seguenti: 1.° Tutte le esperienze sono concordi nel dimostrare la poca o pochissima importanza della pelle nello scambio respi- ratorio delle rane: la sola respirazione polmonare è quella che ha una vera importanza per la conservazione della vita in questi animali, a cui mi pare quindi male applicato il nome di amfibî. 2.° Le rane, private di ambedue i polmoni, possono tro- vare un sussidio notevole, per la provvista d'ossigeno, nella cavità buccale e faringea, che rappresenta quasi un vestibolo respiratorio. In: questo, per mezzo dei movimenti di va e vieni del pavimento buccale, o, in altre parole, dei movimenti ioidei, si può fare una certa ventilazione, per mezzo della quale una rana spolmonata può vivere più a lungo di una rana con pol- moni conservati, ma a cui si sieno soppressi, ad arte, i moti ioidei. Questo semplice fatto consiglia a rivedere tutte le espe- rienze fatte per studiare la potenza della respirazione cutanea, dopo aver spolmonate le rane: infatti una buona parte del- l'ossigeno assorbito e della C0? emessa, non si deve forse al- l'assorbimento cutaneo, ma al vestibolo respiratorio. Queste ricerche, d'ora innanzi, dovranno esser fatte, non privando le rane dei loro polmoni, ma dei loro movimenti ioidei, e dell’ uso delle loro narici, e determinando l’ossigeno consumato e la C0? emessa. Se. Nat. Vol. XIII. 28 356 I A. MARCACOI 3.° Tutte le cause che tendono a rallentare o ad arre- stare la respirazione polmonare negli animali a sangue freddo conducono questi ultimi, e rapidamente, alla asfissia: tra queste cause, e specialmente per le rane, va ricordata la sommersione prolungata, soprattutto in estate; il guasto nel meccanismo di apertura o dì chiusura della rima glottica, il tamponamento della laringe, quello della bocca e delle aperture nasali, ed infine tutti i veleni che arrestano i movimenti ioidei e respiratorî. 4.° Gli effetti dell’asfissia, specialmente nel caso di av- velenamento delle rane, possono esser tolti per mezzo della respirazione artificiale: così un cuore arrestato per azione del curaro, o meglio dell’asfissia consecutiva all'arresto dei moti respiratorî, può esser rimesso in movimento e fatto ritornare al numero primitivo dei battiti per mezzo della respirazione artificiale, mentre il sangue in esso contenuto da nerissimo ri- torna rutilante. Questo fatto si verifica anche per la musca- rina e l’atropina e il cloroformio. Di qui la necessità di rive- dere tutte le conclusioni che si sono tirate sull'azione di un veleno sul cuore, e soprattutto le cifre che fissano le dosi tos- siche nelle rane, non avendo considerato il sovrapporsi degli effetti della asfissia a quelli del veleno. E quel che dico per il cuore deve estendersi a tutti gli altri organi, ad es. i muscoli e i nervi, su cui l’asfissia, come sul cuore, deve far risentire i suoi effetti. Pisa, 6 settembre 1893. Eri ea DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE VOLUME L. Busatti . . — Contribuzioni chimico-mineralogiche e petrogra- VCL ARA Re nn, Va Pagg O. Visart .. — Contribuzione allo studio del tubo digerente degli artropodi . AZIO B. Greco. . . — I Lias inferiore nel Circondario di Rossano Calabro. (Tav. I-VII) CINDO G. Trabucco. — Sulla vera posizione dei terreni terziari del ba- cino piemontese. Parte prima. (Tav. VII-TX) , 181 G. D’Achiardi — Le Tormaline del granito elbano. (Tav. X) MANO DO A. Marcacci. — L’usfissia negli animali a sangue freddo . n 922 ERRATA CORRIGE Pag. 10 linea 80 pirite pinite PIMNOLO o TIRRENO 5 v 321 » 16 lineari. A destra al simbolo tore} va sostituito oso). lineari. Ati Soc.Tose. So. Nat. Vol XII.Tav]. Greco-]l Lias infnel cincond di Rossano E, Cristofani dis. e lit. Lit AchParis,Firenze. Alti 506. Tosc. So Nat. VoLXILTevIE - Greco- [| Lias. cu Rossano. E. Oristofani dis.e lit. Lit Ach.Paris,Firenze A Rn Ati data So. Nat Vol XI Tad Greco -Il Lias inf nel ciroonddi Rossano È Cristofani dis. elit, Lit Ach.Paris, Firenze. VA "I i Pn i È Cristofani dis.elit. Lit Ach Paris, Firenze. E Cristofani Greco-Il Liasmfnel circonddi Rossano x Lit. Ach Paris, Firenze. Greco-Il Lias im£nel.circonddi Rossano. E SI Ù BA SRG Sa E Cristofani dis.e lit. Lit. AchParis, Firenze ‘Greco-Il Lias infnel circond.diBossano. E.Cristofani dis.e lit.’ Lit Ach.Paris Firenze ATTI.SOC.TOSC. Iaia oscro 4-3: O 0 Corrente 220 foi G.Trabucco_Sulla vera posizione ec. pa i sii Cre ” soli no [ | | | | dl + + Nilo: talto Gmeiss e Schisto l'aleoso LA unelamorfico 9 Marene vabficve mioceniche NS Sabbie imducite del lerreno mesco_ È 5, Palo mioc.e plicc. 9: Marne plive.e ù N 5 DINT INN mico. mescolate Nla “uLe le) N (e) asse muioceniche Calcare conere zionato COsL Mami liti ATTI.SOC.TOSC. SC.NAT.VOL.XII TAV. VIII z b3) (SY) E 3 . N $9 ik) DI DS I 33) S Do) 3 È) SIR IS $ OS Ric: 9N SSR IS} SS GS SS 29 D (ce) ICI LAS SD dò 2 = . ù a) = ' SI S 3 o) Ss i so) S ba) 2 a ! TO) CS Le (5) = i SZ 23 L I Ì i I i 25 AZZ ! ' i i i Ge DITTE i Sy î i Ù SSIS, NESS { I ! SATZZZISZSZSZSZZZS, SPY LYN! TIT 7 TTTZTE TEZZE VINISISNISISI ISO DEM 7/3 VITTI = 2 TTT VPNPNIYNIYNYNPISINA < O 9, ° Z Zî TZTTTZ NY NS YÎYS VS O p Y 9 TZ. q \VY SÒ SÉ È SY YV 1 9, ©, TE ‘o fo, S.E. NO.|SSO NN.E.|OSO. 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Tav.X. 17 Jin) A R:Lit:Gozanì Pisa G.D'Achiardi dis: dI CNIT (od MNZI vada IL SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES MMI 3 9088 01316 4074