;o «$«s(^©$«;ì^«j^<^«k^^©$««sjì©;>S(^«^^-^» r i 1 a ì> 1 p K^ùA |; § « *^ 1 9 ATTI ? 8 1 ^ DELLA )^| 1 SOCIETÀ PONTANIANA | s o li 9 è «! 1^ 8 K ^ le « s e 1 — ■. 1 ? v-.X i :« :,.■■.■.':•! P 'a '%-%i.^' i tó e i il if g f i » » » •^«j;«s©$««©8©s®j^©f j©j^«>0{50s©j^sjj©$>©{>©'» i 0.IIÙJO, /l ^' J- ATTI DELLA SOCIETÀ PONTANIANA DI NAPOLI VOLUME TERZO NAPOLI i8i 9- NELLA TIPOGRAFIA DELLA SOCIETÀ FILOMATICA. A S. R. M. FERDINANDO I. RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE E DI GERUSALEMME etC. etC. etC. l SOCll PONTAiriANl. Sire JLl Secolo di Carilo III fu per /loi ciò che il Se^ colo di Pej'icle , e di Augusto fu pe' Greci , e pe' Ro- mani . Più fortunati di questi popoli antichi^ i sud- diti di V. M. hanno veduto prolungarsi , sotto V impe- ro del degno successore di Carlo , que' giorni , sì fau- sti per le Scienze.) per le Lettere ^ e per le Arti ^ che parvero pi'esso i Greci ed i Romani svanire con Pe- ricle , e con Augusto . I fasti del vostro Governo , o Sire , fregiati de- gT innunier abili atti di tutte le suhlimi virtù , che han meritato a J^. M. il nome di Padre della Patria^ ri- splendono ugualmente per quel Sovrano favore che V. M. ha accordato in tutt'i tempi agli studj di ogni genere , ed il quale le ha non men giustamente meri- tato il nome di Padre delle Lettere . Da questo favore , che V alto Genio della M. V. ha sempre illuminato e dii^etto , riconoscemmo , o Sire, negli anni già scorsi e V apertura della vostra Real Biblioteca agli usi ed alla istruzione del Pubblico , e l'ac- crescimento e splejidore del celebre Museo Ercolane- se , e l'istituzione dell'Accademia di Scienze e Belle Lettere : di questo favore noi riconosciamo ancora ci- gni giorno le tracce nelle savie disposizioni di V. M. dirette al lustro ed all' aumento delle Scienze , e della cultura de' suoi popoli '^ ed è infine questo alto favore stesso , o SÌ7'e , quello , che guida oggi gli Accademici Pontaniani a deporre a' piedi del Trono di V. M. il primo omaggio , che essi abbiano potuto offrirle della loro rispettosa ed umile devozione. Le nostre letterarie occupazioni saranno ben lun- gi dal meritare V attenzione della M. V. j ma noi , o Sire , ne saremo abbondantemente compensati se esse otterranno almeno alcun segno del Vostro Sovrano gradimento . accordi Iddio alla M. V. i lunghi giorni di Ne- store per la felicità de' suoi popoli , nel modo stesso che pel bene di questi le ha già accordate tutte le viHù de' Trajani e degli Antonini . INDICE Notizia de' lavori della So.cÌeta' Pontamana. pag. i Inlroduzfone. i P A R T E I. I. Istituzione della Società. iv II. Suoi primi statuti. iT III. Lavori dell' anno 1808. V IV. Lavori dell' anno 1809. v V. Lavori dell' anno 18 io. VI VI. l^logio di Mons. Domenico Forges Davanzati. vi VII. Morte del Segretario perpetuo sig. de Muro. vui Vili. Lavori dell'anno i8ii. vm IX. Lavori dell' anno 1812. ix X. Morte del Socio Vincenzo Gaetani. jx XI. Lavori dell' anno i8i5. ix XII.. Estratto di una memoria del sig. Pelusio sulla po- polazione del Regno di Napoli. x XIII. Elogio del Cons. Sansone. xxxii XIV^ Lavori dell'anno i8i4- xsxiv XV. Morte del Segretario perpetuo Pietro Napoli Si- GKOP.ELLI. XXXIV XVI. Suo elogio. sxxv PARTE li. I. a IX. Lavori diversi dell'anno i8i5. lviu X.aXIll. Lavori diversi dell'anno 1816. lx XIV, Illustrazione di una medaglia antica di Sparta del sig. Vermiguol). XV. a XVIII. Altri lavori dell' anno 1816. XIX. Elogio del Segretario emerito G. B. de Rita. XX. Libri presentati alla Società nel 1816. XXI. a XXXI. Lavori dell' anno 1817. XXXII. Elogio di Federico Zuccari. XXXin. Elogio di Luigi QUATTROMAM. XXXIV. Notizia di un antico ritratto del Fontano, di Agostino Gervasio. Statuti della Società Pontaniana . Catalogo de' Socj. LXI LXY LXVl LSX LXXl LXXIV LXXVl LXXVI LXXXIV LSXXIX MEMORIE. Sulla Satira antica e moderna Osservazioni di Pietro Napoli Si- GNORELLI. Lezione Accademica del Can. Michelangelo Maciù sopra una Greca iscrizione. Soluzione di alcuni problemi relativi alle curve coniche , ed alle superficie generate dal rivolgimento di esse intorno a'io- ro assi primarj , eseguita coli' analisi degli antichi Geome- tri da Francesco Paolo Tucci. Osservazioni sopra di alcuni nuovi monumenti Eclanesi, di Rai- mondo GUARIM. Osservazioni intorno a' triumviri monetali del medesimo. Osservazioni sulla Sigla S. C, impressa nelle monete Impera- torie di bronzo , di F. M. Avellino. Osservazioni su talune iscrizioni gladiatorie del sepolcro di Scau- ro in Pompei, del medesimo. Dissertazione di Bernardo Quaranta sopra un bronzo antico che -si conserva nel Real Musco Borbonico. 79 »49 171 i83 ic,5 : ili ;inoi NOTIZIA D t' LAVORI DELLA SOCIETÀ' PONTANIANA DALLA SIA ISTITUZIONE FINO ALL'aNNO MDCCCXVlI, Letta alla Società nelle adunanze de' io agosto 1817, e de* 20 settembre 1818 DAL CAV. F. M. AVELLINO SEGRETARIO PERPETUO. INTRODUZIONE Oembra clie lo studio della storia letteraria sia nelle scienze e nelle lettere ciò che lo studio della storia politica è nell'arte del governare ; poiché e 1' uno e 1' altro agevolmente in ciò che fu ci guida a ravvisare ciò che è tuttavia , e ciò che sarà probabilmen- te per l' avvenire ; e 1' uno e 1' altro facendoci , per cosi dire , vivere tutti i secoli fino a noi trascorsi , ci dà la lunga espeiienza di questi per guida nel breve corso de' nostri anni . Checché ne dicano pure i detrattori , e 1' uno e 1', altro studio ha di più una som- ma utilità , quella di far sorgere l'emulazione, senza la quale nul- la suole di grande o di bello ne nella letteraria vita , nfe nella civi- le intraprendersi; che non le vittorie di Temistocle, né le grandi imprese di Cesare avrebbero forse avuto luogo senza i trofei di Milziade , e le gesta di Alessandro ; ne la storia di Demostene e di Omero fu, a creder mio, l'ultima delle cagioni , che sorger fecero a divider con loro i primi onori Tullio e Clarone . 11 Introduzione Ma olire a questi pregi , clie alla sloriu leUerMri.i ed alla pò- litica ci semLrano essere ugualmente ccnuini , uno ne ha poi a se interamente particolare la prima, clie, se io non m'inganno, so- lo , sopra ogni altro , pregevole studio la rende e sublime . E que- sto, è, che sapendo essa tutto in un quadro le ammirabili guise ritrarre, onde da' primi ed informi saggi a' più grandi avanzamen- ti le scienze , le lettere , e le arti si trassero , ci fa così tutta la nobiltà ravvisare dell' ingegno umano , che da que' rozzi saggi a que' nobilissimi progressi recolle. Ed in ciò appunto , a mio av- viso , superiore di gran lunga alla storia politica , che più so- vente le follie , gli errori , ed i delitti degli uomini , che la loro saviezza , la prudenza , o le virtù loro ci narra , la storia lettera- ria ci conduce sempre da grandi ed ammirabili cose in allre ed ammirabili e grandi , e da felici e luminose ricerche in altre più importanti ancora investigazioni e sublimi ; 1' ingegno ci mostra sempre avido conquistatore di verità nuove , e nommai delle con- quistate verità siffattamente contento , che di altre ancora la con- quista non mediti , o tenti , e spesso felicemente ancora non compia . Ne vuoisi già negare , che e gli errori , e le follie , ed anche i delitti dell'umano ingegno narri la storia letteraria , non altri- roenti che la politica storia quelli delle umana passioni : se non che, qual differenza è mai frali' una e l'altra ! 11 delitto e l'errore sono spesso nella seconda fortunati , e deturpano non di rado i fa- sti d' intere generazioni , e di popoli interi ; la verità trionfa sem- pre nell' altra ; essa innalza la sua voce anche nel mezzo de' seco- li di depravazione , d'ignoranza, e di tenebre; essa si lascia alme- no traveder dalontano ; e quando l'universale acciecamento va pu- re per forza a confinarla nel pozzo , ove dicesi che alberga , essa nell' entrarvi appella della stoltezza di un secolo all' accorgimen- to di quelli , che lo seguiranno , ne mai senza felice successo ne appella . Jiìlroiìutione m Or lale e sì pregevole essendo la storia delle lettere e delle scienze , e di si grandi vantaggi a chi ben la medita apportatrice, laudevole istituzione , a creder mio , fu quella , die consigliò le più celebri letterarie società a dar conto , in taluni stabiliti periodi , de' lavori che da quelli che le componevano eransi o intrapresi o pro- dotti . E ben 1' applauso , col quale le storie di siffatti accademi- ci lavori sono state da per tutto ed in ogni tempo ricevute , può a quel eh' io dico agevolmente far fede ; ne certamente si può meglio adempir 1' utile scopo , che trae gli uomini dotti a racco- gliersi in quelle specie di letterarie adunanze, cui suoi darsi il no- me di accademie , che col mostrar come e con qual fato assidua- mente essi lavorino il largo campo delle umane cognizioni , e qua- li ora più scarsi ed immaturi, ora più abbondanti e perfetti frutti da' loro lavori raccolgansi. Alla quale iiniversal costumanza poiché non deve sola e non vuo- le la Società Pontaniana sottrarsi , nel pubblicare il terzo volume de' suoi Atti, ha creduto doversi a questo premettere una breve e modesta notizia de' suoi lavori, la quale dalla origine sua sino al termine dell'anno 1817 discorra; onde possa da essa conoscersi in quali. letterari argomenti siensi finora i Pontaniani esercitati , e qua- li de' loro lavori per intero e quali per semplici estratti abbia la Società giudicalo doversi pubblicare . E nella Storia i nomi pure di taluni de' defunti Pontaniani con qualche notizia della lor vita, come ben conveniva alla memoria loro , ed alia nostra riconoscenza, si rammenteranno con onore . Tale adunque essendo lo scopo della presente notizia , noi preghiamo i nostri leggitori a non crederla da inopportuna e vana jattanza dettata ; dal quale vilissimo senti- mento noi siamo quanto altri mai lontanissimi ; non sapendo a noi stessi ne volendo dissimularci in conto alcuno la tenuità de' nostri letterarj esercizj , ove col molto , che a far resta nelle scienze e nelle lettere , vogliano compararsi , Debbo solo meco stesso dolermi che tardi alquanto siasi ora dato cominciamento alia storia de' Pontaniani lavori , e quando ha IV Introduzione già la Società perduti i suoi tre primi scgi'Ctarj , e con essi la me- moria di molti avvenimenti , e di molti lavori , du' quali potrebbe nella sua storia non immeritamenle pregiarsi : per nulla dire che con maggiore eleganza al certo e giudizio , clic fare io non posso , si troverebbero ora le prime linee di questa istoria segnate da que' valentuomini , che me nel posto di segretario han preceduto . Ma poiché or la cagionevole salute , or la luttuosa perdita de' miei pre- decessori a tanto bene irreparabilmente ha ostato, mi studicrò al- meno io supplire , per quanto è in me , le lor veci ; e dividendo in due parti il presente lavoro, nella prima di quella epoca ragione- rò , che dal sorger della Società fino alla morte dell' egregio suo segretario , Pietro Napoli Signorelli , decorse; e nella seconda con- tinuerò la mia narrazione dalla sua morte sino al finir dell' anno 1817. PARTE I. Anno 1808 e seguenti Jino al dì 28 aprile i8i5, I. Privata e spontanea fu 1* origine della Società letteraria , la quale ad imitazione di quella , che illustrò nel secolo XY la pa- tria nostra , e le lettere , assumer volle nell' anno 1808 la deno- minazione di Pontaniana . Quattordici amici , tratti dal solo de- siderio d' istruirsi a vicenda , e da ogni vana ambizione di gloria , e di fortuna ugualmente remoti , diedero nel di 4 marzo dell' an- no 1808 principio alle adunanze dell' Istituto Pontaniano ; comin- ciando a sovvenire fin d' allora alle spese per esso necessarie , come si e poi continuato per molti anni a fare da' socj PontSnià-' ni, fino a che la munificenza di S. M. nell'anno 1817 non ne gli abbia esentati , II. Fu nominato allora segretario perpetuo del nascente Isti- tuto il eh. Prof. G. B. de Rita ; e si videro subito aggregarsi al medesimo molti uomini e della gloria delle lettere, e de' buo- ni studj amici i de'^uali prima cura fu la formazione di bue- Anni 1808 e i8og ^ ni stalliti, che dovessero regolare la nascente Società , e ne' suoi la- voii dirigerla. Ed approvati già gli statuti, con un discorso analo- go , e con talune composizioni poetiche si celebrò l' istituzione del- la Società Pontaniaua ; né più si frappose indugio a' lavori acca- demici . III. E poiché fu accordala sin dal principio a' socj intera li- Lertà di applicarsi a quelle meditazioni , che più fossero al partt- colar genio , ed alle cognizioni di ciascuno di essi confacenli , fu pure sin dal principio isliluilo , come una naturai conseguenza di siffatta libertà , che molte memorie , e disseriazioni si leggessero da' socj Pontaiiiani a' loro collcghi , le quali non agli atti accade- mici , ma a veder separatamente la luce dagli autori loro dcstinavan- si ; piacendo loro nondimeno circa le medesime ascoltar 1' avviso e le osservazioni ricevere degli accademici. Delle quali dissertazioni , poiché esse o sono; già pubblicale , 0 si pubblicheranno , come io dicea , privatamente daMoro autori, ho creduta inutil cosa fare in questa prima parte della presente storia menzione partico- lare ; tanto più che copio non ne esistono nell' archivio Pontaniano . TS'oferò dunque soltanto , che diedero nell' anno i3o8 lieto coniin- ciamento agii accademici esercizj con diverse memorie precisamente i Signori Cav. di Cesare , V. Flauti , Cav. Cagnazzi , e V. di Muro ; due sole delle quali fwrono accolte negli Alti , cioè una sul prezzo delle denate del regno di Aapoli del Sig. Cav. Cagnaz- zi , e 1' altra del Prof, di Muro sulle fa^'olt Atellane e su' loro esodj- . ' . . ■ |V^ N^U' anno i8og di molte dissertazioni si lete lettura alla Soj no , rapporto colle morali provvenienti dalle sue passioni , o da' » suoi vizj ; e se hanno rapporto , con quali gradi di forza si le- >j ghino le une colle altre, e quali ne siano ne' diversi tempi le » più perniciose . Non si è osservato se le naturali abbiano , o no, w periodo costante in diverse regioni nell' istesso secolo , o pure in >} diversi secoli nella stessa regione , e se le morali dipendono as- » solutaraente dalla sola volontà dell' uomo , o pure sono sogget- » te , come le naturali , ad un necessario periodo . » Con queste idee comincia egli il suo lavoro , che divide in due Parti , la prima delle quali dalla fondazione di Roma si esten- de fino alla distruzione del suo Impero , e 1' altra da quel tempo fino a' nostri giorni . Parte piuma. Verso 1' epoca della fondazione di Roma im- mense popolazioni coprivano la superficie del regno di Napoli , ed una moltitudine di varj governi ne regolava diversamente il destino . Ma la popolazione delle diverse contrade era corrisponden- te allo stato di coltura di ciascuna nazione , giovane cioè nel- le contrade mediterranee , e quasi vecchia nella maggior parte delle colonie, le quali avevano precorsi di molto i popoli mediterranei nel- la civiltà . Il lusso ed i vizj de' Tarantini , de' Crotoniati , e de' Lo- cresi alterarono intanto 1' equilibrio della macchina sociale ; ed i soli sforzi di Pitagora , e de' Pitagorici , quelli degli Achei , ed il genio di Archita furono di qualche argine alla decadenza . In questa ultima epoca la popolazione , benché di gran lunga superiore all'attuale , era , ad eccezione di quella di Sibari , molto decaduta . E certamente il governo oligarchico non poteva esserle favorevole , giacché dovendo la popolazione tutta concentrarsi nelle città per servire all'ambizione degli ottimati, le campagne restava- no deserte . Infatti Crotone , che dopo essere stata ristorata dalle virtù di Pitagora , nel tempo della guerra del Peloponneso era 'xu Sulla popolazione del regno di Napoli ancora in istato di grandezza e di potenza, e che nella guerra co' Sibariti pose in campo un esercito di centomila uomini , molto prima ne aveva raccolti fino a centolrentamila, quando andò a pa- gare il fio de' suoi temerarj disegni nella memoranda battaglia del- la Sagra (i) ; ed in tempi ancora piìx antichi collegata con Meta- ponto e con Sibari aveva potuto formare il disegno di cacciar tutti i Greci d' Italia , ed aveva stabilite le sue colonie sulle co» ste del Tirreno (a) . Locri e Metaponto erano state grandi ugualmente ; ne la pri- ma col suo ristretto territorio , che fu poi ampliato da Dionigi (3) , avrebbe lottato con Reggio e Crotone , se non avesse avuta una popolazione tale da far fronte ad ambedue . Taranto, quantunque immersa nel lusso , oltra una flotta numerosa , mantenea trentami- la fanti , tre mila cavalli , e mille ufiziali di cavalleria , e richiamò a se i concilj nazionali (4) . Fabio , oltra immense ricchezze , ne ritrasse fino a trentamila servi (5) . Eccede quasi ogni fede la popolazione di Sibari , e Diodoro nel narrarci che 3oo mila uomini ne uscirono armati in un tem- po , che precede di poco la sua rovina , previde che i suoi detti potevano essere richiamati in dubbio (6) . Se egli non ha voluto far menzione della popolazione invece dell' esercito , come può rilevarsi da un altro suo luogo (7) , deve dirsi che la felice po- sizione di Sibari fra due fiumi , e l' uberlà del suolo (8) l' ave- Vano fatta pervenire ad una si meravigliosa popolazione . (i) Justin. lib. 0.0. bium solitudine antiquam po- {■i) Justin. l. e. Lfcoph. pulationum gloriam expendunt. Cass. Diod. l. la. (3) Diodor. lib. XIF. (7) Civium multitudine ita (4) Strab. Uh. VI. excreverat ut una Civitas ecc. {b) Liv.lib.XXFII.cap.xG. hominum millia contineret. (6) Haec in eos a nobis di- (8) Strabo l. e. età sunt , qui ex praesenti ur- di Domenico Pelusio xnj Ma se tale era lo slato della popolazione nelle colonie , mol- to più numerosa nell' epoca stessa esser questa dovea nelle regioni mcdilevranee , ove i governi erano ancora nascenti e giovani. Ciò può desumersi dall' osservare che Roma dopo tre secoli di vitto- rie non aveva esteso il suo impero al di là di Veja , lontana sole venti o venticinque miglia dalle sue porte ; ciò die dovè sicura- mente essere im effetto della resistenza che le numerose vicine po- polazioni le opponevano . E le tante colonie passate dalla Sabina nel Sannio e nel Piceno, dal Sannio ne'Frentani, e negl'Irpini, e ne' Lucani, e da questi nel Bruzio , non dovevano essere clie con- seguenze d'una numerosa popolazione, la quale crescendo da anno in anno mandava la gioventù guerriera a ricercare altrove la sua sussistenza . Sembrano presso che incredibili i racconti di Livio sulle nume- rose armate , che anno per anno univansi in queste regioni mal- grado la strage, che allora producea la guerra, non paragonabi- le con quella de' nostri giorni . Livio stesso ne fu pieno di me- raviglia (i). Anche dopo la guerra del Sannio, diminuite di mol- lo le popolazioni del regno , i Tarantini offrirono a Pirro un e- sercito di i5o mila fanti , e 5 mila cavalli tra Sanniti e Lucani . Dopo più di mezzo secolo di guerra viva , nella quale i San- niti furono quasi sempre disfatti colla perdita di venti , trenta , e quaranta mila uomini per volta , nel 628 di Roma , il Sannio a- veva ancora un corpo di settanlamila fanti e sette mila cavalli . (i) Mihi miraculofuit, un- ptos , quamquam eadem semper de tolies victis Volscis et Ae- gens bellum intulerit , aut in- <]uis suffecerint milites . Simile numerabilem muUiludinem libc' veri est , aut intervallis bello- rorum capilum in eisfuisse lo- rum , sicut nunc in delectibus cis , quae nane vix seminario fu Romanis , alia sobole ju- exiguo militum servilia Roma- niorum ad bella instauranda na ab solitudine vindicant. Liv. toties usos Juisse , aut non ex lib, VI, cap. 12. iisdem populis exercitus seri- siv . Sulla popolazione del regno di Napoli Noi dobbiamo a Polibio 1' unico monumento veridico che può farci per approssimazione conoscei'e lo stato delle popolazioni d' I- talia . Per far ravvisare 1' audacia di Annibale, fa egli 1' enumera- zione delle forze militari dell'Italia nel tempo della sua aggressione , le quali ei dovè conoscere dalle stesse tavole militari , chiamate dal Senato in quella occasione dalle Provincie . Fra 700 mila fanti , e 70 mila cavalli descritti da Polibio come pronti a prender le armi in Italia ; se ne notano 70 mila fanti , e 8 mila cavalli Sanniti , 50 mila fanti, e 16 mila cavalli Iapigi e Messapi , 3o mila fanti, e 3 mila cavalli Lucani , 20 mila fanti , e 4 niila cavalli Marsi Marrucini Frentani e Vestini : in tutto aoo mila armati oltre de' soldati che trovavansi confusi colle legioni Romane, e cogli al- leati . Nella enumerazione si omisero i Campani , perchè confusi co' Romani , ne si parlò de' Bruzj , de' Picentini , degli Aurunci , degli Ernici , e di tanti altri popoli del regno , né delle colonie, che tutti doveano almeno occuparne un terzo . Cosicché dando a questi popoli non notali da Polibio una forza corrispondente agli altri , si avrebbero circa 000 mila armati , forza superiore a quel- la di Roma , la quale unitamente a quella de' Campani , e di trenta colonie, situate per la maggior parie nelle nostre provincie, era in tutto di 373 mila tra fanti e cavalli (1) . Queste cose cosi essendo , ed attesa pure la gran moltitudine de' servi , non deve sembrare un calcolo esagerato quello che dà alle popolazioni del regno di Napoli circa dieci o dodici milioni di uomini prima della guerra del Sannio (2) . Le cagioni poi di 51 grande popolazione possono facilmente ravvisarsi , ponendo men- te, alle cose seguenti , L' agricoltui-a mancante di molti strumenti, inventati da' mo- derni , appunto perciò richiedeva un maggior numero di braccia . Il farro ed i legumi erano allora i generi di prima necessità , ed (1) Polyb. lib. Il.cap. il\. l' ant. Storia de^ pi-imi abitai. (2) Galanti Sagg. sopra dell'Italia e. 3. ^. 1. di Domenico Pelusio xv ignote erano le varie specie di frumento , che oggi aLbiamo , ed i canapi ed i lini , che occupano oggi una cosi gran quantità delle nostre terre . L' agricoltura era protetta , ed in onore presso i governi sV delle colonie come de' popoli mediterranei . Lo slesso Archita quan- tunque gravato dal peso de' pubblici incarichi , non trascurava fra' suoi trionfi di prender cura della coltivazione de' campi . La vita dura e campestre formava l'occupazione delle città più floride . I Crotoniati aspergendo continuamente la loro fronte di sudore negli cscrcizj ginnastici, giunsero a lai gloria, che l'ul- timo fra loro veniva riputato il primo fra' Greci , e ne' giuochi 0- limpici non fuggiva quasi mai dalle loro mani la palma . 11 commercio e le arti furono giroletti in Turio , in Eraclea , in Taranto , in Reggio, in Cuma , in Capua , e nella stessa Siba- ri , e la storia ci ha conservale chiare pruove della potenza ma- rittima de' Tarantini . Le buone istituzioni , e la sobrietà e la durezza della vita ten- devano ancora maggiormente all' incremento delie popolazioni me- diterranee, quantunque la loro politica costituzione non fosse esente da considerevoli difetti . Essendo guerrieri per istituto , e robusti per effetto di clima , essi professavano la sobrietà e la parsimonia , Po- ca caccia con ima bevanda di latte , o di acqua , e poche noci , 0 pera senza vino , erano tutto il cibo del giovane Lucano (i). La sobrietà produceva 1' abbondanza , e la bassezza de' prezzi , e questa faceva co' malrimonj crescere la popolazione, l soldati non formavano una classe divisa dal resto della popolazione : ma ogni cittadino era soldato pel tempo del bisogno della patria , cessato il quale , era restituito alle cure familiari. Gli stessi agricoltori era- no i mercatanti , ed essi dopo aver raccolti i frutti del loro su- dore , andavano vendendo il superfluo per gli luoghi convicini, in quel tempo , nel quale la terra non aveva bisogno dell' opera delle loro mani . (i) JusLin. lib. XXIII. XVI Sulla popolazione del ì'egno di Napoli Non conviene dissimularsi clie la frequenza delle colonie che mandavansi fuori della patria , e talune delle quali divenivano poi nemiche degli stessi loro fondatori (i), le spesse dispute fra' pic- cioli governi , T istituzione de' servi , il poco vigore delle arti , e della industria , ed altri vizj della costituzione politica erano di o- stacolo all' aumento della popolazione , Ma essi erano superati da' vantaggi , de' quali abhiamo favellato, ed a cui ci sembra doversi la grande popolazione che le nostre provincia ebbero fino all' epoca della guerra del Sannio , nella quale può ravvisarsi il principio del- la decadenza non solo del Sannio stesso , ma delle altre popolazio- r.i ancora , sebbene particolari cagioni avessero già preparata quel- la delle colonie . Le colonie corsero più velocemente de' popoli mediterranei al- la rovina, perchè questi furono fermati da circostanze esterne nel- la loro grandezza , e trascinati alla decadenza , mentre quelle vi cor- reano naturalmente , come nazioni invecchiate , e corrotte . Invano Pitagora volle far argine a' mali dell'oligarchia. La terribile congiu- ra Cilonia«a accese la guerra civile , e quantunque gli sforzi de- gli Achei , ed il ritorno degli espulsi Pitagorici avessero per poco fatto cessare /' oclocrazia , i mali delle dissensioni non tardarono a farsi sentir nuovamente con violenza . Locri per la sua vanità divenne preda de' tiranni di Siracusa, a' quali riuscì di rompere il resto di federazione , che sosteneva tutte quelle repubbliche . Taranto immersa nel lusso fu ridotta ad implorare soccorsi stranieri , chiamando nelle sue mura Cleonimo ed Archidamo di Sparta, Alessandro e Pirro d'Epiro, ed indi An- nibale , le armi de* quali desolarono la Magna Grecia , i Bruzj , ed i Lucani facendone diminuire oltre modo gli abitanti . Trecen- to famiglie illustri furono fatte passare in Epiro da Alessandro Molosso . (i) / Lucani colonia de' Roma nella guerra del Sannio. Sanniti furono dalla parte di Vedi Livio . di Domenico Pelusio xvu Nella stessa epoca non minori erano i disastri de' popoli me- diterranei venuti alle prese con Roma . Dopo 1' assedio , e la con- quista di Veja , Roma andò in cerca di sottometter gli altri popoli Italiani , e si appigliò al barbaro sistema di distruggere il mao-gior numero di uomini che potea . Quindi crudelissima fu la guerra col Sannio , ed intere nazioni si mirarono distrutte , fralle quali quella degli Ausoni (i) . Nel solo 456 di Roma le città di Murganzia , Ferentino , Romulea , Milionia , Cominio , Amiterno , Aquilonia , Sestino , Volano , Palombino , ed Ercolano perdettero in sei me- si 6553o uomini tra morti e feriti , oltra quelli che perde Duro- nia non notati da Livio (a). Lo stesso scrittore non notò che la perdita fatta da' Sanniti in sole undici battaglie , e compresi i 4omila scudi, de' quali fece menzione nella terza , la pei'dita ascende a 348 mi- la uomini (3) . Può supporsi senza esagerazione che in un mezzo seco- lo questa guerra crudele , che diede a Roma materia di a4 trionfi (4), abbia rapito al Sannio un mezzo milione de' suoi migliori abitan- ti, ciò che in una sola età dovè produrre un decremento di circa due milioni nella popolazione . 11 Sannio vinto non fu più che un popolo soggetto e dipendente. Una seconda epoca funesta per la popolazione delle nostre pro- vincie fu quella della guerra di Annibale , quando nuove dissen- sioni si videro sorgere in tutte le città Italiane (5), e le popolazio- (i) Tria oppida ( Jusona (a) Lib. X. etc. Mintumae et Vescia) eadem ho- (3) Lib. 10. i5. 17. 34.09. ra eodemque Consilio capta. Sed l^, 45. quia absentibiis ducibus ini- (4) Fior. lib. I. cap. 4. petus estfactus , nullus modus (5) Unus velati morbus in- caedibus fuit , deletaque Auso- vaserat omnes Italiae civitates^ num gens vix certo defectionis ut plebs ab optimatibus dissen- cr-imine, per-inde ac si interneci- tirvt^^enatus Romanis faveret , no bello certasset . Lucerini ac et plebs ad Poenos r'em tr'aheret. Samniles ad internecionem cae- Livio. si. Liv. lib. X. cap. 25. ui xviii Sulla popolazione del regno di Napoli ni soggiacere alternativamenle a' rigori ed allo sdegno de' due con- tendenti . Annibale vinto nel lasciar 1' Italia fece massacrare nel tempio di Giunone Lacinia molli di que' bravi Italiani die aveva- no sostenuto il suo partito , soltanto perchè si neg;irono di seguir- lo a Cartagine (i). Roma vincitrice inceppò i poj>oli Italiani col- le colonie sparse ad arte fra loro (2), e disseminò il fiore della gio- ventù loro fralle sue legioni . Un principio di vanità cominciò allora a favorir le emigrazio- ni de' nostri popoli sia in Roma , sia in altre città deb Lazio , ove speravano poter conseguire i dritti speciosi annessi alla cittadinan- za . Per impedire maggiori emigrazioni le popolazioni domandarono la cittadinanza Romana , e questa , come si sa , fu I' origine della guerra sociale , alla quale al dir di Appiano presero parte tutti i popoli che si trovavano fral Liri o il Linterno ed il mare Ionio (5). Ventiquattro consolari con due consoli, sette pretorj , sessanta edi- lizj , trecento senatori, e i5omila Romani restarono vittime di que- sta guerra ; la giovenlìi Italiana al dir di Patercolo perde dall' al- tra parte trecento mila combattenti , Le conseguenze di questa guerra furono a giudizio di Flora più funeste all' Italia delle guerre di Pirro e di Annibale , e la leg- ge di Siila che accordò la cittadinanza Romana a' popoli Italiani fini di estinguere in essi ogni interesse nazionale . Le terre furo- no o vendute o assegnate , e gravate da tributi . Il tentativo infelice di Ponzio Telesino fini di abbattere il San- nio . La sua armata resasi a discrezione dopo la morte del capo fu dal barbaro Siila fatta trucidare nella piazza di Roma . Restò (1) Zù'. lib. XXX.cap. ao. collocarant ■, ut esse non oppi- (2) Est operaepretiumdili- da Jtaliae , sed proptignacu- geìitiammajorumrecordari, qui lalmperii viderentur, Cic. Agr. colonias sic idoneis in locis II. 4:ontra suspicionem periculi (3) De beli, Civil.lib. 1. di Domenico Pelusio xix d' allora in poi il Sannio quasi tutto distrutto , le principali città abbattute , e le altre ridotte a piccole ville (i) . Le guerre civili intanto cangiarono la costituzione politica di Roma ; e Roma e le provincie provarono i funesti effetti di siffat- te guerre . Invano la legge Giulia de maritandis ordinibiis , e la legge Papia Poppea vollero proteggere i mafrimonj . 11 lusso , ed i vizj scemarono sempre più le popolazioni , A' piccoli campi di Curio , di Fabrizio , di Cincinnato , di Re- golo erano succedute le smisurate ville Lucullane , Tusculane , For- raiane , che venivano abitate da pocbi servi invece delle immense popolazioni, e de' potenti eserciti che vi risedevano taluni secoli prima . Le istituzioni di Augusto furono pervertite e distrutte da* suoi malvagi successori , come di poi Domiziano , Commodo , e Caracalla fecero sparire tutto il bene che avevano fatto allo sta- to i sudori di Vespasiano , di Tito , di Trajano , di Adriano , de' due Antonini , e di Severo . L' immenso lusso e la slessa immensa popolazione di Roma non potea sostenersi che coli' avvilimento , le vessazioni , e quindi la desolazione delle provincie. La Campania non era più riguar- data che come un giardino , e destinata a contener grandi ville , che pel loro mantenimento esigevano spesa maggiore del frutto , che dava la terra . Colla proscrizione continua de' grandi le ville restarono deserte fino al punto , che Onorio fu nella necessità di esentar da' tributi più di cinquecentomila giornate del felice suolo Campano (a). Non ci tratterremo sulle cagioni della decadenza e dell' avvi- limento dell' Impero Romano , perchè a tutti notissime , e perchè è facile il farsi una idea dell' infelice stato delle nostre provincie sot- to gh ultimi Cesari . I barbari colle loro invasioni accrebbero i (i) Straò. ni,. V. (a) Cod.Theod. ticdeagr. desertis. ■xs Sulla popolazione del regno dì Napoli mali , e la storia di queste non rammenta che massacri di gente , espugnazioni di città , saccheggi , incendj , e divisioni di terre de- serte . Parte II. Le popolazioni d' Italia nel quarto secolo erano giun- te ad un grado tale di avvilimento, e di corruzione, che non po- ievano risorgere senza una serie di grandi e terrihili avvenimenti , i quali distruggendo le parti guaste e corrotte , dassero a' popoli una novella esistenza . I tempi più calamitosi per 1' Italia furono senza duhhio quelli che corsero dalla morte di Valentiniano fino a Teo- dorico ; epoca , in cui essa fu interamente in preda a que' barhavi condottieri , il cui nome è fino a noi giunto accompagnato dagli epiteti di JlagelU di Dio , distriUton delle nazioni , rovine , ' terremoti , incendj, e diluvj (i) . Dopo le prime istituzioni di Odoacre, Teodorico cominciò a far risorgere le arti , e 1' agricoltura . Il commercio formò pure una delle sue cure , e Cassiodoro ci ha conservata notizia de' suoi e- ditti tendenti a facilitare a' navicularj della Lucania e della Cam- pania il trasporto delle vettovaglie nella Francia (a). Fralle sue di- sposizioni dirette al miglioramento dell' agricoltura , e quindi della popolazione delle nostre proyincie , possono citarsi gli editti , co' quali esentò per due anni la città di Siponto da' tributi, e lo stes- so beneficio accordò pure alle terre danneggiate dal Vesuvio (3). Ma le buone istituzioni de' Goti vennero in breve distrutte dalla guerra , che li cacciò d' Italia , e che produsse in circa di- ciotto anni i mali piii gravi . Belisario era venuto in Italia con sa- li io mila uomini , e quindi la guerra fu sostenuta coli' opera de' (i) // Sig. Robertson ha II breve regno de* Goti in Ita- opinato che il periodo più fa- Ha non merita però esser com- tale al genere umano sia sta- preso in questo periodo . io quello corso da Teodosio (a) Cassiod. Uh. 4- cap. 5. fino alla venuta de' Longobar- (3) Cassiod. lib, l\.cap,bo. di, cioè del 396 sino al 568. di Domenico Pelusio xst nazionali , che si videro perciò nuovamente in preda a' disagi , ed alle miserie . I Greci lliKilmcntc vincitori erano tanto lontani dal desiderio di accrescere la popolazione in Italia , clie anzi cercarono più tosto di diminuirla coli' espellerne i forestieri . Infatti settemi- la Goti furono allora mandati in Costantinopoli . La pestilenza e la fame si aggiunsero agli altri flagelli , e contribuirono con que- sti a far diminuire la popolazione : e vi contribuirono pure i gran- di acquisti che cominciarono a farsi dalle mani morte . Fragli stabilimenti e le leggi de' Longobardi molte se ne rav- visano tendenti al vantaggio dell' agricoltura , ed al favore de' ma- trimoni , e quindi dirette all' incremento della popolazione . Il con- cubinato medesimo fu riguardato come una specie di matrimonio , .e perciò detto scmimatrimonio , come semiconjuge la concubina (i). Furono inoltre invitati gli stranieri a recarsi in Italia , e data lo- ro facoltà di vivere con quelle leggi , die fossero più loro a gra- do . Griraoaldo conoscendo lo stato bisognoso delle nostre pro- \incie mandò al Duca di Benevento Romualdo suo figlio tutti quei Bulgari , che venuti nel 668 dalle rive del Danubio sotto il loro Duce Alzeco , si erano a lui presentati per aver delle terre , e da Ro- mualdo furono ricevuti parte in Benevento , e parte dispersi per Bojano , per Isernia , per Sepino , e per varj altri luoghi del Con- tado di Molise (i) . Rotari e Luitprando furono molto rigorosi Dell'impedire l'emigrazioni dal suolo Italico, ed Agilulfo ricomprò a peso d'oro tutti gl'Italiani fatti prigionieri da' Francesi nelle lo- ro scoiuerie (5). Essi risparmiavano il sangue degli stessi delinquen- ti , sostituendo le multe pecuniarie alle pene corporali , Ma se nel Ducato Beneventano e negli altri luoghi delle nostre Provincie soggette a' Longobardi queste istituzioni producevano ot- (0 ^^S- Long. L. a. tit. ag Murai, all' arni, 670 4. et seqq. (3) Leg. Long.lib. ». cap. (a) Paul.Diac, L. 5, cap. 1. Paol, Diac, xxn Sulla popolazione del regno di Napoli timi effetti , ed accrescevasi per loro la popolazione (i) , non può dirsi certamente lo stesso di quella porzione di esse che restava an- cora sotto la dipendenza de' Greci . In esse la depravazione de'co- stumi , i gravi tributi , il fasto e le rapine de' Greci officiali ren- devano ogni giorno più misere le popolazioni , e le distruggevano. Dopo la venuta di Carlo Magno e la caduta di Desiderio , il Ducato Beneventano trovossi si forte , che potè scuotere il giogo de'Francesi , e resistere alle loro forze . Le divisioni eh' esso sof- frì dij)0Ì , le guerre civili , le scorrerie degli stranieri , e pre- cisamente le devastazioni de' Saraceni fecero in breve cangiar le cose di aspetto, ed immersero le nostre provincie in uno stato di squallore , non inferiore a quello , in cui eransi vedute nel tempo degli ultimi Imperatori di Roma . Ma in mezzo a tanti mali la popolazione correva , come nazione giovane , il suo periodo d'incre- mento. I tempi erano diversi. Sotto i Romani il lusso aveva distrut- te le forze . I nuovi costumi de' Longobardi all' opposto , la sempli- ce maniera di vivere , le guerre continue , e gli stessi loro disagi avevano resi i cittadini forti e robusti , e la fVicilità di vivere ave- va accresciuti i matrimonj , e quindi multiplicale le popolazioni , le quale riunite sotto un sol capo dopo la venuta de' Normanni fe- cero in breve la più luminosa figura fra gli Stati dell' Europa . I Normanni figli del Conte di Altavilla, venuti nelle nostre pro- vincie colla sola idea di servire , vi trovarono nella perfidia de'Greci, nella decadenza de'governi Longobardi, e ne' mali che cagionavano le scprrerie de' Saraceni opportuna occasione di rendersi signori del- l' una e dell' altra Sicilia , e di giugnere in pochi anni a'ial grad'o (i) Erat sane hoc mirabi- Nec erat formido vel metus le in regno Longobardorum ; bellorum , qiioniam alla pace nulla erat vlolentia y nullae omnes gaudebant ■, usf/ue ad Sa- stj-uebdntur insidiae 1 ìiemo a- i-acenoruin tempora, Clnon.Yvì- licjuem injuste angariabat , ne- turn. lib. a. cjue spoliabat, Paol. Diac. lib. 5, eli Domenico Pelusio sxin di potenza da recar la guerra nelle stesse provincIe dell' Impero Co- stantinopolitiino . Venne finalmente Ruggiero , il quale dopo aver fonduta la nionarcliia, quantunque non avesse potuto tulli abbattere i mali delie vecclue istituzioni, pure con savj provvedimenti per quanto era possibile li corresse . Egli represse il soverchio potere de'feudalarj (i)) e questa fu una delle cause clic gli trasse addosso la guerra con Lotario, e col Papa , nella quale molte delle più belle città del regno furono de- vastate . Le altre istituzioni di Ruggiero furono pure all' aumento della popolazione souimamente favorevoli , tendendo tutte al van- taggio dell' agricoluaa , delle arti , e del commercio , alla sicurezza delle proprietà , ed a render più comuni i matriraonj , e conservar- ne il buon ordine (2). E non meno di queste savie istituzioni con- .corsero pure all' aumento della popolazione i costumi , e la manie- ra di vivere di que' tempi , quasi uniformi in tutte le città d' Ita- lia . Ricordano Malaspina , e Giovanni Villani ce ne hanno lasciata tina dipintura non dissimile da quella de' primi tempi di Roma. Tut- ti vivevano colla massima sobrietà , e si cibavano di grosse vivan- de con piccole spese . Le doti erano sì tenui che non oltrepassa- vano la somma di venticinque a settaulacinque ducati, ond'ebbe a dir Dante : Non faceva nascendo ancor paura La Jì glia al padre , che V tempo e la dote Non fuggian quinci e quindi la misura (3). Le rivoluzioni e le disgrazie del regno dopo la morte di Rug. giero , sotto il governo del primo Guglielmo , e quindi per la guerra {ì) /ilex.Teles. Lib.\.cap. de nova militia , de vend. lib. 1. Romuald. Salem, all' anno homin. , de rest. mulier. , de 1100. Dipi, del 1145. in Ughel. mairim. conir. , de dot. const. , tom . IX. Const. Scire volumus. de 7'ep, cane, de poena adu/t., (a) f^. le costituzioni Fu- de rapt. et viol. monial. etc. etc. ritatem , Quando contigerit , (3) Farad, canto j5. HIV Sulla popolazione del regno di Napoli sostenuta dal ramo naturale della casa Normarna contro quella di Sve- via, non produssero notabile nocumento nella popolazione, perchè il sistema del governo non fu cambiato . I difetti di Guglielmo il malo furono compensati dal suo successore , sotto 1' ottimo gover- no del quale la nazione disgravata da' tributi, ed in seno alla pa- ce risali ad uno stato tanto florido e potente , che allontanata la guerra dal regno si andò a portarla nell'Egitto e nella Grecia (i). Ma i vantaggi maggiori furono certamente quelli che ebbe la popolazione sotto 1' ottimo governo di Federico II , che potreb- be a giusta ragione denominarsi il nuovo fondatore della monarchia. Ei la ricompose, richiamandovi colle scienze e colie arti l'ordine, ed il governo di Ruggiero . Represse 1' aristocrazia feudale , pub- blicò un codice di leggi sane, uniformi, e costanti, prolesse e re- golò 1' amministrazione della giustizia , proccurò , come Guglielmo II , di esentare i sudditi dalle gravose collette , ebbe a cuore il fa- cilitare i matrimoni , riordinando il costume delle donne , e con- cedendo loro un dritto sul patrimonio della famiglia (a). Fede- rico inoltre prese cura della salubrità dell'aria , e della sanità pubbli- ca (3); protesse 1' agricoltura , mantenendo i coloni nel possesso del- le terre da essi migliorate , e dando in affitto perpetuo i terreni pa- ludosi e boscosi de' suoi demanj . Protesse il commercio i e stabilì le fiere generali ne' diversi punti del Regno . Fondò e restaurò di- verse città, ed istituì l'università di Napoli. Tante e si benefiche istituzioni fecero crescere la popolazione in quel tempo fino a cin- que o sei milioni di abitanti , e certamente sotto le ottime leggi di questo principe sarebbe essa anche giunta ad un grado d'incre- mento maggiore, se diverse cagioni preesistenti, ed altre che so- praggiunsero dopo la sua morte , non si fossero combinate per impedirne i progressi . (i) Capecelatr. ist. lib. 3. Const. in aliquihus etc. Ci'on. di Fossati . toni. i. Ital. (3) Const. quia nunquam Script. salubrit. (a) Const. Mores dissoluti , di Domenico Felasio xxv Le spedizioni clic frcquenlcmenle s' iniraprendevano per 1' orien- te , e gli acquisti sempre ollremodo crescenti delle mani morie deb- Lonsi annoverare fra tali cagioni di decremento . Le f;ucrrc conti- nue dello stesso Federico , ed il travaglioso ed agitato governo di Corrado e di Manfredi furono anche sorgenti di nuovi mali. Il re- gno passò finalmente sotto la dominazione de' principi Angioini . Alla loro venuta si viveva nel regno tuttora colla massima sem- plicità ; il commercio si esercitava con profìtto , e la marina era in tutto il suo lustro ; cosicché destò la meraviglia del Costanzo come finanche ne' tempi di Roberto avesse potuto Napoli armare sino a centotredici galee , e la Sicilia cinquantotto co' corrispondenti le- gni da carico ; per cui quello scrittore volle recarsi egli stesso nel- 1' archivio lieale per osservare il metodo , onde la spedizione si era facilitata per mezzo del baronaggio. Carlo d'Angiò comparve nel principio del suo regno in un aspetto tanto luminoso , che si riputava il primo re del mondo , dopo che si rese lribut;irio il regno di Tunisi , e cominciò a mi- nacciare lo stesso trono di Costantinopoli , Ma in breve il suo lusso smodato , e le gravezze che ne furono la conseguenza , fe- cero cambiar di aspello le cose . Perduta la Sicilia , e scelta Napo- li per sua sede , riihiamò in essa i parlamenti delle provincie, ed allora, a danno di queste , cominciò la capitale ad ingrandire oltre modo, ed il lusso col corteggio de' suoi vizj cominciò ad estende- re da per tutto le sue branche divoratrici . Carlo li, che non aveva la metà delle rendite di suo padre , portò pure la magnificenza ed il lusso fino alla profusione . La fe- sta, che diede in Lucca nel 1294 tornando da Francia , destò la me- raviglia di tutti gl'Italiani , ed in occasione dell'elezione de'Pon- tefici Celestino ed Urbano lutto il Regno fu apparato a sue spese (i). La su^ f.imiglia era composta di otto figli maschi , ognuno de'qua- (1) Lo stesso Roberto nel- ferita dallo scrittore della Cro- ia festa, die diede in Àsti, ri- naca Astiense, fece servire tut- sxvi Sulla popolazione del regno di Napoli li formava una corte separata . Molliplicavansi i titoli, e concorre- vano tutti nella capitale . Quindi ne derivò necessariamente il dis- pregio dell'agricoltura e delle arti più necessarie; e l'ozio prese il luogo degli utili lavori, abbandonandosi la coltivazione de' cam- pi al popolo indigente , il quale per mancanza di mezzi condan- nato a passar la vita fral travaglio e la fame , dovè lasciare i cam- pi per andare a cercar nella città quel pane , che avrebbe dovuto portarvi . Dopo la morte di Roberto il flagello delle guerre accese dalla morte di Andrea, dal genio bellicoso di Ladislao, e dalle dispute fra Renato ed Alfonso , si uni alle altre cause che producevano il continuo decremento delle nostre popolazioni . Per colmo di mali vi si aggiunse la pestilenza che nel 1048 si propagò per la Roma- gna e per la Toscana in Napoli sotto nome di moria , togliendo più della metà della popolazione ne' paesi che assaliva . La conti- nua serie delle disgrazie produsse la corruzione de' costumi , e quin- di la licenza, ed i misfatti , che divennero cagioni di mali novelli. Erano in questo stato le popolazioni , quando dopo otto anni di guerra tra Renato di Angiò , ed Alfonso di Aragona , la sorte delle armi rese quest'ultimo nel i44^ possessore de' due regni. La storia lo ha dipinto come un gran Re , le di cui cure furono rivolte alla felicità del regno . Esaminando però le sue istituzioni , non può dubitarsi che, ad eccezione della generosa protezione ac- cordata alle lettere , esse furono in generale fatali alle popolazioni. La soverchia cura che Alfonso prese della pastorizia , rendendola nemica dell'agricoltura, della quale avrebbe dovuto essere sorella, 1' avere ingraodito oltre modo il potere de' feudatarj , e 1' avere isti- tuito il sistema della vendita de' titoli furono certamente operazioni assai dannose all' incremento della popolazione. Alfonso abolì inol- tre le collette imposte dagli Angioini , e già smisuratamente cresciu- ti i convitati in piatti ed in va- tempi., che destarono una gran- si di argento , tanto rari in que' de sorpresa in tutti gì' Italiani. di Domenico Pelusiò xsvu te , e sostituì loro una sola imposizione di un ducato a fuoco, tas- sandosi per transazione fin dall' anno 144^ soli dugento trentamila fuochi (i). Questo sistema di tributi sembrò sul principio giove- vole, pei'chè produsse lo scemamento di un terzo delle antiche col- lette ; ma passati appena sei anni , essendosi col parlamento tenuto nel i44g nella Torre del Greco accresciuta l'imposizione di altri grani cinquanta a fuoco , si tornò allo stato medesimo degli Angioini. Inol- tre con tal sistema obbligato vedeasi il povero non meno del ric- co , ed esso si rese ancora più malefico per la esenzione dalla nu- merazione de' fuochi che ottenne la capitale , e molte altre città e terre demaniali . Ferdinando successore di Alfonso conobbe i disordini , che e- sistevano , e cercò deviarli . Egli si studiò di far nascere l' abbon- danza colla moderazione de' dazj , colla libertà delle industrie , col- la protezione delle arti , e delle lettere . Restituì perciò a' partico- lari l' uso e la proprietà de' pascoli, de' boschi, delle acque, ed abo- lì i dritti di contrattazione^ e del buon danaro per la capitale, i dritti di estrazione , e le pene del doppio stabilite per le comu- ni morose (2) . Stabilì nella capitale il consolato degli orafi , e l'ar- te della lana , v'introdusse la stampa , e l'arte della seta , la qua- le vi trasse molte famiglie tanto dalle provincie quanto dall'ester- no , onde la città ne restò ingrandita a segno , che fu necessario ampliare il circuito delle sue mura (3) . Nota è la protezione eh' egli accordò alle lettere; non men grande fu quella che mostrò per l'amministrazione della giustizia. Sollevò le provincie, facen- do sedi di viceré le città principali , ed innalzando fralle altre Co- senza , Lecce , Bari , ed Aquila . Accolse nel regno le colonie Schia- voni ed Albanesi venute col famoso Scanderberg , ed assegnò lo- ro j)orzioiie di quelle terre che per mancanza di gente erano rima- (1) Pruni. I. de j tir. et e- Reg. Neap. p. 272. Pram. 3. de xact. fisci. sai. cor. (i) Pram. I. da veci. Gap. (3) Summonte toni. 3. xxviii Sulla popolazione del rvgnn di Napoli sle deserte . E fattasi di tali colonie V enumerazione nel i56g, si trovò , che formavano 5c)f)4 fuochi , ciò che corrisponde ad un nu- mero di circa venti mila abitaiili . Ma tutte queste vantaggiose istituzioni poco giovarono a fron- te de' mali della guerra nati dal potere eccessivo de' baroni , e dal- le straniere invasioni, le quali infine, come è noto , ridussero il regno di Napoli provincia di una lontana nazione . I mali del governo Vjceregnale sono stati tanto spesso ram- inentati , ed è cosi facile il ravvisare in essi mille cagioni di de- cremento per le nostre popolazioni , che Lasterà qui accennarli soltanto . L'agricoltura, le arti, ed il commercio furono neglette. I donativi di danaro , e le leve di uomini , e di anni superiori alle forze della nazione furono continui , ed eccessivi . L' arte del foro divenne una logica perniciosa , cinta di tenebre e di raggiri , la quale assorbiva i migliori ingegni , e rendeva spesso la giustizia ar-. Litraria , ed onerosa nelle mani de' forti . A questi inali interni si aggiugnevano spesso quelli che le guerre esterne producevano . Le imposizioni erano quasi tutte indirette , e quando queste pervennero ad un grado eccessivo , si giunse ad alterar le monete , introducendosi quelle conosciute sotto il nome di zannette , che furono di mille mali cagione. L' imposizione su' frutti produsse, co- me è noto, nel 1647 la rivoluzione di Masaniello . La licenza po- polare fu allora di breve durata , ma si videro infestate le provin- cie da una quantità di banditi , che vi portarono la desolazione , e la strage , fino a che il marchese del Carpio giunse ad estirpar- li (1). La loro persecuzione fu forse tanto dannosa, quanto gli steS' si banditi . La carestia e la peste si aggiunsero qualche volta a tanti altri mali ; e questi uniti alle stragi sempre più crescenti del vajuolo e della lue, mali ignoti agli antichi, e ad altre naturali cagioni, pro- (1) Pramm. a6. de alai, crim, et ag. de exiil. (li Domenico Pclusio xxix diisscro nell' epoca de' Viceré im nolaLile decremento nella po- polazione . Olire u' danni cagionati dal contagio avvenuto nel tem- po dell'invasione di Laiitrech , la peste del 1675 tolse alla sola Messina quarantamila uomini , e quella del i656 sino a quattro- cento mila ne tolse a Napoli (1). Immensi danni produsse nella Puglia il trerauoto del 1617, e quello del i658 nelle Calabrie . Dulie imperfette notizie , clie si hanno della numerazione de* fuochi nel regno , si può dire per calcolo prudenziale , che la po- polazione neir epoca de' Viceré poteva essere di due o tre soli mi- lioni di persone , cioè la metà di quella , che era al tempo di Fe- derico . ftla queste sciagure terminarono tutte nel ijSo colla venuta dell' immortale Cailo 111 Borbone , e sotto il di lui glorioso e pa- terno governo , e sotto quello dell' Augusto suo figlio Ferdinando le popolazioni risalirono subito a quel grado di splendore e di aumento che avevano ne' più felici tempi goduto . L'esposizione de* grandi beneficj che il regno di Napoli deve a questi due ottimi Sovrani , degni successori de' Ruggieri e de' Federici , avrebbe so- verchiamente esleso il lavoro del Sig. Pelusio , il quale perciò ha stimato doverlo qui terminare col proporre la seguente quislioue : i' atluale pojjolazioiie del regno di Napoli è quella che secon- do il modo nostro di vivere ed i nostri costumi si conviene al" la sua estensione ; e se il regno è capace di una maggior po- polazione , qual mai questa potrebbe essere , e quali i mezzi per conseguirla ? Ecco talune poche idee dell' autore sulla qulstione proposta: Il cittaduio di Ginevra ha detto , che gli uomini non sono fatti per essere ammucchiati come le formiche , ma che debbono es- sere sparsi in qualche disianza fra loro sulla terra, che delihono col- tivare. Più si corrompono , quanto più si radunano, die' egli , e le malattie del corpo, come i \izj dell'anima, sono l'infallibile (1) Giann. ist. civ. L. oj. XXX Sulla popolazione del regno di Napoli. effetto di questo concorso troppo numeroso , che la natura stessa par che non voglia, coli' aver data loro un'espirazione micidiale. Comunque però vere in astratto le idee di questo filosofo , non le si dee dare un' interpetrazione estensiva in modo , che vadano ad urtare colle voci della natura medesima . L' uomo è chiamato alla società , senza della quale fra' suoi tanti bisogni non potrebbe vi- vere , ed. ogni società è tanto più potente , vigorosa , e forte , quanto piii abbonda di uomini, che ne formano la primitiva ric- chezza . E oggetto poi delia polizia de' governi il ripartire la mas- sa degli uomini secondo i luoghi , ove si può aver più comodo ricetto , e più pronta sussistenza , e di evitare co' mezzi , che la natura medesima somministra , tutti que' mali , che potrebbe pro- durre una riunione soverchiamente numerosa . Or per conoscere , se una società , uno stato abbia , o no , una popolazione suUlciente all' estensione del suo territorio , baste- rà l'esaminare la qualità del territorio, lo stato della coltivazione, e 1' uso , che si fa de' prodotti . Ove la terra è fertile possono tro- var comoda sussistenza più uomini , che non laddove il suolo non accoglie con gratitudine i di loro sudori . Ove la terra è vici- na a mari , o a fiumi , può il commercio , e 1' industria dare agli uomini quella sussistenza che lor vieu l'orse negata dalla sterilità della terra . Il regno di Nap:>!Ì è stato destinato dalla natura ad aver la più grande popolazione per lutt' i riguardi . Con terre tanto uber- luose , e con prodotti cotanto grandi , e si variati , ha il vantag- gio de' mari , che lo circondano per tutte le parti, e 1' invitano ad esercitare un commercio attivo per tutte le parti del mondo . Ciò non ostante questo regno non ha ancora che un commercio quasi tutto passivo , le sue terre non sono tutte coltivate , ed i suoi prodotti non sono neppur tutti consumati da' suoi abitanti. Ov' è più quel commercio , che si esercitava una volta dagli antichi Ta- rantini, da' Reggini, da'Cumani, e ne' tempi a noi più prossimi daMi Amalfitani, e da'Pugliesi? Dov'è più !a coltivazione di quel- di Domenico Peìusio xxxi le terre , clie sulla testimonianza di Varrone davano il cento per imo? E dove sono più le tante braccia addette alle terre de' Siba- riti, de'Crotoniati , de' Bruzj , de' Lucani, de' Iapigi, e de' Sanniti? Se si vuol passeggiar col pensiero per tutta la popolazione del regno, si passerà muto per più , e diversi luoghi, e special- mente pe'littorali , ove per lunghi tratti di terra non si troverà veruno , con chi profferir parola , e dove par , che le acque ab- biano dichiarata la guerra all'uomo. Il Matese , e la Sila son og- gi totalmente disabitali , e queste due grandi estensioni di monta- gne erano una volta coverte di una moltitudine di vichi , che cora- poncano le due celebri , e bellicose nazioni de' Sanniti , e de'Bru- zj . Le sole provincie , che hanno una popolazione alquanto nu- merosa , sono quelle di Terra di Lavoro, e del Principato di Saler- no; ma in queste istesse provincie neppur tutte le terre sono , co- me potrebbero essere , coltivate . Le derrate , che si producono per tutto il regno non sono consumate tutte nel regno istesso , ed i soli libri delle dogane fanno a sufficienza conoscere quante brac- cia vadano altrove n lavorare le sole nostre sete , e le nostre la- ne , oltre alle tante altre derrate, anche di prima necessità . Il re- gno è dunque mancante di popolazione, e perchè non ha quel com- mercio , al qual' è dalla naturale posizione chiamato , e perchè buo- na parte delle sue terre non sono coltivate, e perchè le sue der- rate non sono tutte consumate da' suoi abitanti . Per conoscere di quanl' altra popolazione sarebbe il regno ca- pace, bisognerebbe prima di lutto dare uno sguardo alla superfi- cie del suo terrilon'o , e calcolar , come a Lacedemone , in quante por- zioni sarebbe divisibile, ossia quanti abitanti potrebbe sostenere, sul piede de' costumi attuali (i). Bisognerebbe calcolarla quantità (i) Dividendosi l' esiensio- moggi circa di terreno ferii- ne del territori del regno se- le a persona , sul piede della condo il numero degli abitan- popolazione attuale . Romolo ti , dovrebbe ro spettare cinque non ne assegnò , che due soli 5XX11 l^logio del Cons. Sansone delle tene attualmenle abbandonate, ed il grado di coltivazione, al quale potrebbero tutte portarsi . Bisognerebbe misurare il gra- do di attività , die potrebbe darsi al commercio, la quantità del- le derrate, che annualmente si eslraggono , le braccia, clic vi si potrebbero impiegare per la loro manifattura , e per consumarle , ed ismaltirle in paesi lontani . I mezzi poi da far crescere le popolazioni sono pur troppo co- nosciuti. Volete voi, ha detto un filosofo, far crescere la popolazio- ne? moltiplicale i possessi, proocurate colia protezione dell'agri- coltura e delle arti gli agi , e i comodi fra tutte le classi dello stato . In ragion dell'agevolezza, e de' comodi voi avrete sempre i niatrimonj , ed in ragione di questi la popolazione . XllI All' estratto della memoria del Sig. Pelusio faremo segui- re quello di un elogio del Consigliere Domenico Sansone dettato dal eh. Sig. Cav. M. Galdi attuale vice-Presidente della società. Egli fu tolto da morte alla Società Pontaniana , della quale era stato uno de' fondatori , nello slesso anno i8i5, e la sua tomba fu onorata da' suoi colleghi con molte poetiche composizioni . Nacque domemigo sansomk da onesti genitori in Fuscaldo pic- cola città non lungi da Paola nella Calabria citeriore al cominciar dell'anno 1768, ed iyi sotto privati maestri apprese ne' suoi primi jiigeri per ciascli£cl una fami- di Plutarco ^ assegnati due plet- glia ( Varr. R. Pi. Lib. i. cap. tii , ossiano jugeri di terra^ per 2. 10. Plin. Lib. 18. Sect. 1. ) ciascuna., ed al solo Jppio ne Il campo di Cincinnato , nel furono assegnati venticinque quale andava egli a lavora- ( Plular. in Public. ). Dando re dopo aver deposte le inse- oggi anche due moggi a perso- a-ne dittatorie non era che di na , che corrispondono a dieci due soli jugeri ( Val. Max. per famiglia , si potrebbe ave- Lib. 4. cap. 7- )• Cinque mila re un numero di dieci, e pia famiglie Sabine venute con Jp- milioni di abitanti , pio in Roma, ebbero, al riferir Elogio del Cons, Sansone xxxiu anni gli elementi. delle lingue dotte ; fino a clic nell'età di tredici an- ni fu chiamalo in Napoli a compire il corso de' suoi studj per cu- ra deli' ottimo suo zio Già. Batista Sansone , valente giure- consulto , ed agente generale della casa Spinelli de' Marchesi di Fuscaldo . Fioriva singolarmente in quell'epoca la Università no- stra degli studj, ed i Cirillo , i Cavallaro, i Serao, gl'Ignarranc formavano 1' ornamento ; mentre gli Esperti , gli Ambrosio , i Ca- valcanti , i Patrizj con somma erudizione , e con robusta eloquen- za sostenevano gli antichi onori del foro Napoletano . Colla scor- ta di questi egregi modelli , il giovane Sansone s' innoltrò nello studio delle lettere , della filosofìa , e della giurispruden- za . Ebbe egli principalmente per istitutori Campolongo , Cara- vclli , e Cavallaro , ed i suoi primi passi nel foro furono guidati da Bernardo d' Ambrosio e Francesco Trequatrini . Ne molto stiè il Sansone a gareggiare co' primi avvocati e per ingegno , e per dottrina , e per virtù , ed a conseguire celebrità non volgare ; e la stima , e 1' amicizia ottenne de' magistrali più saggi ed illustri di quella età , ed in particolare di Stefano e Pietro Patrizj , del Mar- chese Diodato Targiani , di Domenico Potenza, d'Ippolito Porci- nari , di Gregorio Bisogni , di Niccola Vivenzio , e di altri . Del- la quale amicizia il Sansone non per arricchire se stesso , o car- pir grazie e favori , ma solo si valea per la difesa dell' innocenza, e pel sollievo degli oppressi , che a lui tenevan ricorso . Neil' anno 1791 Domenico Sansone fu nominato uno de' de~ putati incaricati della polizia della città di Napoli , e poco dopo avvocato della sopraintendenza di Campagna , e de' sette pubblici banchi , che in quell' epoca erano in Napoli , Fu quindi da S. M. destinato Avvocato Fiscale presso la udienza di Basilicata , e visi- tatore della delegazione straordinaria per la persecuzione de' malvi- venti af&data al Sig. Preside MaruUi . In questi onorevoli incari- chi egli si fece sempre per la virtù sua ammirare , la quale cou fortunato legame Irovavasi in lui a somma urbanità di maniere riu- nita , ed a molta coltura d' ingegno . Quindi meritamente nel 1 738 T xxxiY Lavori deW anno 1814. fu dalla provincia richiamato nella capitale agli onori della toga nel Tribunale di Polizia novellamente in qua' tempi istituito . Ma dal corso degli onori gli avvenimenti dell' anno 1799 il dis- tolsero , e '1 tennero dalla patria lontano , fino al declinar dell' anno i8o4- In questa epoca tornalo egli fra noi ripigliò 1' inter- rotto esercizio del foro , ed alle gradite sue letterarie occupazioni fece pure ritorno . Egli fu nel i8o3 uno de' fondatori della Socie- tà Ponlaniana , della quale fu di poi Presidente , e poco dopo Vi- ce-Presidente . Era uno de' Consiglieri della G. Corte di Cassazio- ne quando nel 181D cede ad una insanabile malattia di languore . Egli ha lasciata nel foro la memoria di dotto e probo magi- strato ; ed avreljbe anche fra' letterati lasciata illustre ricordanza di se co' suoi scritti , se nella sua lontananza da Napoli questi non si fossero sventuratamente smarriti. Egli aveva fra' più severi studj coltivate pure le muse scrivendo una tragedia intitolata il Collatino. XIV. I lavori dell'anno 1814 dcbbonsi in particolare a' Signori ZiTccARi, Marulli , G. B. Guidi , Lauria , de Ritis , Postiglione , Macri , ed Avellino ; e di questi nel III volume degli Atti leggon- si impressi una memoria del Can. Macri sopra una Greca iscri- zione di Gerace , ed una del Sig. Avellino sulle iscrizioni gla- diatorie del sepolcro di Scauro scoverlo nel 1810 in Pompei . XV. Ne' primi mesi dell' anno i8i5 la salute vacillante del segretario perpetuo non permise che la Società si adunasse giusta il solito, e che la consuete letture vi si facessero. Pietro Napoli Si- gnorelli cessò finalmente di vivere con grave duolo de' suoi col- leghi il dì 1 aprile dell' anno medesimo , e la Società a' a8 dello Stesso mese nominò a succedergli nell' onorevole posto di suo Se- gretario perpetuo , il Prof. Francesco M. Avellino ; del quale fu prima cura rendere con un funebre elogio alla memoria dell' estin- to collega l'onore dovutogli. La Società non voile difi'erire fino al- la edizione del III volume de' suoi Atti a pubblicar l'elogio del Signorelli , e nello stesso anno i8i5 il fece stampare, disponendo però clic nel HI volume degli Atti dovesse nuovamente inserirsi. Elogio di Pietro NajJoli-Signorclli xxxy Al voto della quale in questo luogo io soddisfo , abbreviando solo Jn qualche parte talune delle cose che nell'ii.7og-£o Storico più dit- fusanicnte furono scritte (i). XVI. La riputazione del Signorelli ( si disse in esso ) era slata assicurata fin da chele sue eccellenti Storie de' Teatri , e della Col- tura delle due Sicilie videro la luce ; e le altre numerose opere , da lui puliblicale , aveano mirabilmente ancora servito a confer- marla; quantunque mentre per altri avrebbero queste potuto esse- re il sommo , o anche il solo titolo ad un meritato applauso , non formavano per lui che un titolo secondario ed inferiore. Gli stessi scrittori , che assalirono , spesso con poca modera- zione , talvolta pure con manifesta ingiustizia , le opere del Signo- relli , ci sembrano aver ancora contribuito alla sua gloria ed alla sua rinomanza . Pronto a rispondere a tutti i rivali , che si susci- tavano contro di lui; andando quasi spontaneamente adessi incon- tro ; difensore e vindice di una causa bella sempre ed applaudita , di quella dell' onor letterario nazionale; di una causa , che , con- culcata sovente da scrittori stranieri , sembra recar seco una giusta scusa , quando anche fa trascorrere alquanto al di là de' più rigo- (^ì) Questo elogio è stato già defunto Millin una pubblica te- recato in francese , e ristani- stimonianza dir gratitudine e di pato nel Magasin Encyclopedi- stima e per prevenir pure i lel- que Ann. 1817. mois de Mars tori delsuo giornale che il tra' per cura del defunto socio cor- duttore dell' Elogio del S igne- rispondente Pontaniano Cav. L- relli in molti luoghi ha eqai- A. Millin, il quale in una no- vacato , forse per non aver come ta aggiunta alla traduzione ha straniero ben compresa la si- fatta onorevole ricordanza e del- gnijìcazione delle espressioni i- la Società, e del Signorelli , taliane , e mi ha quindi fatto e deW autore dell' elogio. Non dire in francese molte cose as- ilo qui voluto tacere di questa sai diverse e dal vero e da ciò traduzione, e per rendere al già che io in italiano aveva scritto. XXXVI Elogio di Pietro Napoli-Signorelli rosi limiti chi coraggiosamente 1' abbraccia ; illustrando e spesso vendicando la gloria de' più jjregevoli Italiani ingegni , precisamen- te de' Napoletani ; egli ha, per così dire , strettamente e per sem _ pre legato il suo nome a quelli de' grandi uomini , che hanno iu lui trovato un giusto , un intrepido , un degno difensore . Pietro Napoli Signorelli nacque in Napoli a' a8 settembre del 1701. Suo padre , per nome Angelo Antonio Napoli , laurea- to in legge , notajo di jjrofessione , era nativo di Gifuni , Città del Principato citeriore , ed originario di Melfi . Napoletana fu Nico- letta Signorelli sua madre , ma di famiglia da Capaccio derivata . Fu istruito sino al finir degli anni undici nella lingua latina da privato maestro , ed indi sino a' tredici da' gesuiti , da' quali fu pure iniziato nello studio del Greco . Egli lo continuò poi sot- to la direzione del celebre Martorelli , il quale gli apri 1' adito an- cora alla conoscenza della antica erudizione . Ebbe nelle scienze per istitutori i valenti professori della Università nostra , Niccola Martini, Mario Lama , e Monsignor Orlandi . Studiò poi il dritto Romano e patrio , colla scorta di Bernardo d' Ambrosio , di Mon- signor Carlo Gagliardi , e di Domenico Blangieri , e la filosofia con quella dell' immortai Genovesi , di cui egli ha precisamente serbata per tutta la sua vita tenera e rispettosa memoria . Fu sul principio destinato all' esercizio della professione foren- se ; ma noi continuò lungamente . Gli sludj della filosofia , della letteratura , e della poesia , cosi proprj a sedurre un animo gio- vanile , vago , più che di lucro e di fortuna , di gloria e di ap- plausi letterarj , e quell'insuperabile pendio , onde, non ostante ogni forza e disposizione conti-aria, ogni uomo è quasi sempre imperiosa- mente tratto a quel genere di vita , di studj , e di cure , per cui era dalla natura particolarmente disposto , distolsero in breve il Si- gnorelli dal seguire più lungo tempo l'avvocheria . Divenuto ami- co del Duca di Belforte , e di Gio: Balista Lorenzi , ei volle su- Lito divenirne rivale , coltivando , coni' essi , la poesia , precisa- mente la drammatica. Le occupazioni forensi non. gli parvero d' siUora che sterili ed ingrate occupazioni . Elogio di Pietro Napoli- Si gnoielli xxxvu Non fu però più felice dopo averle abbandonate . Ad una ma- lattia del suo animo , che gli avea fatto aaiare una persona , meno sensibile a' di lui versi che all' oro altrui , ne successe una del suo corpo , che minacciò gravemente la sua vita nell' anno 1764. Altre sciagure finalmente , delle quali egli si è lagnato , e che noi non sapremmo precisamente additare, e'i desiderio di riconoscere qual- che suo parente in Ispagna , a quel ch'egli stesso ne ha scritto \\\ una memoria inedita , che abbiamo sotto gli occhi , indussero il Signorelli , dopo aver abbandonata una professione , eh' egli non ha mai amata , ad abbandonar pure per lungo tempo la stessa sua patria, che gli è stata sempre si cara. Nel 1765 egli passò quin- di in Madrid , ove ha poi dimorato pel lungo spazio di anni di- ciotto . Egli non vi fu sul principio molto più felice che in .Napoli • e pensava già quasi di lasciar subito le rive del Manzanare , come avea lasciate quelle del Sebeto , qUatìdo vi venne fermato coli' im- piego di primo Custode del Sugello della Lotteria Reale , ed eb- be in fine l'agio di dedicarsi interamente a' suoi studj favoriti ne' quali si è poi tanto distinto, quelli della letteratura e della critica. Destinato a scrivere un giorno la Storia de' Teatri , il Signo- relli avea comincialo a meritare in essa un posto , anche prima del- la sua partenza da Napoli , col comporre commedie in prosa e per musica . Noi crediamo ravvisare in questa gradita , ma forse po- co proficua occupazione , una delle cause , che lo staccarono dal foro e dalla patria per trarlo a Madrid . Anche ivi continuò egli a scrivere de' componimenti teatrali , taluni de' quali servirono per la Camera dell' Infante M. Giuseppa Borbone . Non ci resta che la sola memoria di tali giovanili composizioni del nostro dotto poligra- fo ; sembra invero che talune di esse, a suo malgrado, siano sta- te date alla luce ; ma è certo che quando, ricco di numerosi tito- li letterarj , era già divenuto giudice più severo d' se stesso , non pensò mai a raccoglierle tutte ed a pubblicarle , e le volle anzi con- dannate alla dimenticanza . xxxTiu Elogio di Pietro Napoli-SignorellL Le prime composizioni scritte nel principio della sua di- mora in Madrid , che il Signorelii ha di poi conservate, ed inserite fra' suoi Opuscoli varj , sono una breve lettera e taluni ver- si diretti verso il 1767 al suo amico PalumLo in Napoli , ed una seconda lettera scritta nel 1768 intorno a due eleganti versioni Italiane del Tempio di Guido del Montesquieu , fatte da Carlo Ve- spasiano . Questa potea già annunziare nei suo autore un critico giudizioso ed intelligente . Le osservazioni , eh' egli vi fa suU' in- dole diversa de' due linguaggi , Italiano e Francese , la giusta su- periorità che al primo accorda, senza però deprimere i pregi del- l'allro , cominciarono a renderlo fin d' allora benemerito della pa- tria letteratura , eh' egli era destinato a difender si coraggiosamen- te e ad illustrare dipoi . In quanto al Vespasiano , egli era allora e continuò ad esser sempre 1' amico , e divenne poi ancora il difensore ed il cementatore del Signorelii ; e la costante di loro amicizia è uno de' fortunati , ma rari esempj di quelle unioni , che l'amor delle lettere , e la comunione degli studj e delle inclinazio- ni dovrebbero intanto render s\ frequenti . Ci piace il poterlo in- contrare nella vita di un letterato , che avendo affrontate tante e SI grandi nimicizie , potrebbe credersi per avventura poco fatto per gustare il dolce piacere di un' amichevole corrispondenza . Ma se il Signorelii compariva in questa lettera l'amico del Ve- spasiano , egli non tardò molto ad annunziarsi al pubblico come l'implacabile inimico de' guasti costumi e de' cattivi autori, facen- do stampare in Genova nel 1774 le sue Salire morali , che fece di- poi , con molte correzioni e talune giunte, pubblicar di nuovo fra* suoi Opuscoli varj . Egli avea fin dal 1764 cominciato a comporle in Napoli , e le avea poi continuate durante il suo soggiorno ìw Madrid . Molti eleganti traiti .poetici , belle e felici dipinture mo- rali , una forza e spesso una rara giustezza di espressione, distin- guono questo lavoro poetico , e lo farebbero sicuramente rilegger sempre con piacere , se 1' autore non avesse a se slesso nocciuto , col trascegliere , per dettar le sue Salire , un metro , che sarà seni- Elogio di Pielio ?t'aj)oli-SìgnorelU sxtix pre, malgrado tulli i possibili sforzi, poco grato, per non dir fa- stidioso, agli orecchi Italiani. E' questo il MarlcUiano , che il Si- qnorclli stesso riconosceva per monotono , e eh' egli volea escluso da' lunghi coniponimenli , come sono i draniniàlici ; ma che crcdca potersi ammettere con proprietà in epistole, sermoni, e satire. Fin dal 1791 il celebre Clenicnfino ^^^nnetli , nelle sue Osservazioni so- pra Orazio , rimproverò al Signorclli , non senza qualche ragione, l'uso di quel metro ; e questi, che si è felicemente discolpato di altri men giusti rimproveri , fatti dallo stesso scrittore alle sue Salire , sembra poi averne avvalorato il giudizio intorno a' versi , facendo stampare il suo Discorso a Po/innin , scritto iti verso sciol- to , e non più in Marlelliano , il quale , conservando lutti i pregi delle altre satire , ha di più quelli dell' armonia , della fluidità , e della convenienza del metro . Ma tali composizioni poetlclie , e le altre molte , che il Signo- rclli ha neglette , non erano che preludj di maggiori imprese ; e fra queste noi dobbiamo in primo luogo rammentare la sua Storia de' Teatri , di cui fece pubblicar la prima edizione in Napoli , Del- l'anno 1777, duodecimo della sua dimora in Madrid. Questa eccellente composizione, che riempì un voto nella lette- ratura Italiana , e che è ancora presso di noi la sola su tale argo- mento , come fu già la prima , è ormai tanto universalmente letta e conosciuta , e ne è stato talmente assicurato il successo , che sa- rebbe un abusare dell' altrui sofferenza il voler entrare in un mi- nuto esame di essa. Noi osserveremo dunque soltanto che la pri- ma edizione, fattane in un solo volume in ottavo, e che è slata di molto ampliata dall' autore nelle altre successive , venne preceduta da una giudiziosa lettera del nostro dotto Francesco Soria , diretta al Vespasiano, nella quale le meiitate lodi dell' opera si espontro- no, ed accompagnata da talune note ed osservazioni dello slesso Vespasiano , che ne fu 1' editore . La Stona de' Teatri ebbe fin dal suo primo apparire la sorte di tutte le opere migliori ; accolta da' più con applauso , essa sog- xt Elogio di Pietro Napoli Signorelli ."iacque alle criticlie ed alle riprensioni di allri , Era in fatti diffi- cile , cl»e in un argomento cosi vasto , dovendosi ricliiainare così spesso all' esame severo ed imparziale della critica le pretensioni e 1' amor proprio di molte nazioni , e di molli scrittori , potesse a tutti piacersi . Nulla han quindi di strano le querele , precisamen- te di taluni stranieri , contra im' opera , nella quale molle delle lo- ro idee più favorite venivano con tanto vigor combattute . Noi non vogliamo intanto su tali querele proporre il nostro giudizio , che per più ragioni esser dovrebbe sospetto : ma mentre confessiamo che ci piacerebbe spesso vedere il Signorelli meno sensibile a talune cri- tiche su"l' Italiani o sugli anticlii autori, quando esse vengano da scrittori , di cui 1' autorità è nulla o di pochissimo conto ; mentre noi desideriamo in più di un luogo che difendendosi giustamente el' Italiani scrittori dalle accuse degli stranieri , non si fossero que- sti con troppa vivacità assaliti ; dobbiam pur confessare d' altra parte elle 1' osservare quanti errori di gusto , quanti assurdi , e con qual confidenza , si ripetano ogni giorno da taluni pretesi critici sull'Italia e sulla nostra letteratura , rende assai degno di scusa , se non di lode , 1' erudito e coraggioso scrittore , che si propo- ne il combatter di fronte , 1' atterrare , e qualche volta il sacrifi- care al ridicolo , eh' esse meritano , opinioni si mostruose . L' edizione della Storia de' Teatri precede di poco tempo il pri- mo ritorno , che il Signorelli fece nella sua patria , dopo esserne stato tredici anni lontano , nell' anno 1778. Egli non vi si tratten- ne lungamente , avendolo noi perduto di nuovo nell' anno seguen- te , nel quale , traversando 1' Italia , si restituì alle sue occupazioni ed a' suoi studj in Madrid . Ei conobbe personalmente iu questo viaggio molti eruditi Italiani, eh' egli ha poi sempre amati , ed a cui ugualmente fu caro ; e fu in Genova commensale di quello stesso Abate Lampillas , che fm d' allora pensava di divenire uno de' suoi oppositori . In questo tempo egli aveva data alle stampe la sua commedia intitolata la Faustina , eccettuata con poche altre dalla proscrizio- Elogio di Pietro Napoli- Signoìelli xli ne in cui volle involte le restanti. Era questa stata scritta in Ma- drid ad istanza dell' Ambasciatore Quirini , e del Veneto Abate Bor- doni , il quale avea desiderato che il Signorelli mettesse in rappre- sentazione la novella del Marmontel intitolata Lauretta . Egli il fece , allontanandosi però in varie cose dalla novella medesima , per fare una commedia tenera senza incorrere nel vizioso genere pia- ^fievole , da lui giustamente riprovato . Fu essa poi fatta stampare in Napoli nel 1779, colla falsa data di Lucca, dopo essere stata dall' autore inviata manuscritta al concorso drammatico , proposto ia Parma nell' anno precedente . Non essendosi in questo coronata ve- runa favola, e l'autore nel suo passaggio per Parma avendovi di- stribuite alcune copie della sua Faustina già stampata , taluni de* "giudici medesimi del concorso , dopo averla letta, gli mostrarono il loro rincrescimento , perchè egli non avesse mandata al concor- so la sua commedia . Si scoprì in tal modo che la Faustina , in- viata manuscritta al concorso , non era stata per negligenza esami- nala colle altre . Il Reale Infante istruito di sì strana combinazio- ne , derogando al tempo , e ad ogni qualunque contraria costuman- za , ne ordinò allora lo scrutinio ; e la deputazione , incaricata di farlo , nella quale dislinguevansi il Conte San Vitale , il Marchese Manara , e '1 Conte Rezzonico della Torre , non esitò ad accordar- le la prima corona , ed a decretare al Signorelli la medaglia de* cento zecchini , che per cinque anni non aveva potuto asse- gnare . Il segretario della deputazione , eh' era il celebre Angelo Mazza, ne istruì con lettera molto onorevole il Signorelli medesi- mo , che si trovava già nuovamente in Madrid , invitandolo a ve- nire a ricevere la medaglia dalle mani dello stesso Infante Reale. La Faustina così coronata fu poi impressa nella Bodoniana officina , corretta in varj luoghi dall' autore , eh' era restato poco contento della prima edizione Napoletana . Nuovi cangiamenti vi ha egli poi fatti, facendola nel ì'jc^ì ristampare nel tomo 1° de' suoi Opuscoli varj , unitamente a cinque lettere critiche , che la riguardano , due delle quali erano state premesse alla prima edizio- xtii Elogio di Tielro Napoli- Signorelli ne della Faustina , e delle quali niuna , dobbiamo pure con rin- crescimento confessarlo , ba accresciuta in nulla la lode , che ad altre ragioni è all' autore di esse si giustamente dovuta . Talune cri- tiche fatte da' giornalisti fiorentini prima alla Storia de' Teatri , e poi alla Faustina , sono rifiutate in queste lettere con una durez- za , che è presso di ogni colta e gentile persona , quali esser deb- bono i letterati , sempre senza alcuna scusa , quantunque disgra- ziatamente senza esempio non sia . Una seconda commedia , dal Signorelli conservata fra' suoi Opuscoli varj , è quella intitolata la Tirannia domestica o la Ra- chele , eh' egli scrisse in Madrid nel 1781 , Egli volle in essa cora- lattere sulle scene , ma con colori meno tetri di quelli , che talu- ni autori francesi aveano prima di lui impiegati , qua' forzati sacri- ficj , cosi oltraggiosi alla natura , pe' quali una inesperta giovinet- ta vedeasi talvolta immolata alla vanità ed alla cupidigia de' suoi parenti . Questa commedia è una novella pruova de' lodevoli sfor- zi del Signorelli per surrogare quel genere , cui egli dava il no- me di nobile comico , e del quale ei ravvisava in molle comme- die di Terenzio il modello, a quello difettoso de'drammi piagnevoli. Taluni squarci di essa furono tradotti in Ispagnuolo dall' amico dell' autore D. Leandro Fernandez de Moratin , del quale egli vicendevol- mente tradusse poi in Italiano con qualche libertà la Commedia nuo- va , stampata nel 4° tomo de' di lui Opuscoli . Anche la Faustina tradotta interamente in Ispagnuolo fu più volte rappresentata con applauso ne' teatri di Madrid . Noi noteremo in questo luogo che il nostro infatigabile scrit- ■tore è stato pure ne' primi anni del XIX secolo il traduttore di qualche altra commedia del Picard e dello stesso Moralin , che tro- vansi iuscrite nell' anno teatrale pubblicato in Venezia : ma egli non ha conservate fra' suoi manuscritti , che noi abhiam sotto gli occhi , le altre di lui commedie , di talune delle quali ci ha appe- lla trasmesso il titolo. Resta solo fra le sue carte inedite il piano di ima coramodia intitolata le Nozze del Zingaro , nella quale si Elogio di Pietro Napoli-S ignorclli sliu esprime la nota avventura delle nozze del nostro pittore Antonio Solario, cognominato il Zingaro, colla figlia dell'altro pittore Co- lantonio del Fiore , riferita dal Dominici e da altri : ma non sem- bra che r autore abbia progredito nel suo lavoro , oltre alla distri- buzione delle scene , ed alla indicazione del soggetto di ciascuna . Ma mentre il Signorelli , restituito in Madrid, occupavasi co- sì nel letterario suo ozio , e quasi per suo divertimento , ad ar- ricchire il Teatro Italiano di si pregevoli componimenti , egli pro- seguiva sempre con ardore i suoi studj della critica e della storia letteraria. Egli ne diede un lieve saggio scrivendo nel 17B1 in fran- cese un Quadro sullo stato attuale delle scienze , e delle belle let- tere in Ispagna , diretto al Ministro Sassone Conte di Werten ; ma fu obbligalo non molto dopo nell' anno i^So a darne un saggio ancora piìi luminoso, pubblicando un Discorso storico-critico ia risposta all' apologista della letteiatura Spagnuola . In questa letteraria contesa il Signorelli era l'assalito. Il Ca- stigliano Abate Lampillas avea di proposito difesa la causa del- la letteratura drammatica nazionale centra ciò che lo storico de' teatri ne avea scritto . La risposta che questi fece alla sua apologia forma un volume in 8" , da servir di supplimento alla prima edi^ zione della Storia Teatrale , e che fu come questa pubblicato ia Napoli lungi dagli occhi dell' autore . Senza trascorrere fino a quel- le riprensibili maniere , che il Signorelli avea usate centra i gior- nalisti Fiorentini , lo stile del Discorso storico-critico conserva anco- ra frequenti tracce della irritata vivacità di un autore , che sembra far per altro tutti i suoi sforzi per contenerla. Ma questa taccia, che gli era in paitccoraune coli* apologista, ì; di gran lunga com- pensata dall' eccellenti discussioni , e dalle giudiziose osservazioni critiche , di cui abbonda 1' opera del Napoletano scrittore . Cos\ il Signorelli, che difendeva ed illustrava la patria lette- ratura lungi dalla sua patria stessa, e che la sosteneva contra le accuse di coloro, nel paese de' quali avea trovalo un asilo, ras- somigliava all' esule Principe Sparlano , che osava vantare inuan- XLiv Elogio di Pietro Napoli- SignorelH zi a Serse , che lo a?ea accolto , ed al suo sterminato esercito , la virlù e 1' intrepidezza de' pochi prodi che avean seguito Leoni- da . Ma era ornai tempo che una patria , eh' egli avea tanto ono- i-ata , apjirendesse ad onorarlo a vicenda , e lo richiamasse finalmen- te nel suo seno . Egli lasciò dunque per 1' ultima volta Madrid nell' anno i ^85 , e tornò in Napoli per farvi la sua stabile dimora . Questa seconda partenza , che restituendolo agli amici ed a Napo- li, lo restituiva alle sue più care affezioni , fu però amareggiata dal- la perdita di molti manuscritti , e di estratti preziosi , che si sniar- xiroi.o in tale occasione per negligenza ed incuria della sua fami- glia . Le sue poesie Italiane e Latine , im' opera in prosa interrot- ta con versi di vario metro , cui egli dava il nome di Dunciade 'Italiana , una selva di molti estratti e dissertazioni, le sue anno- tazioni sulle opere del suo diletto maestro il Genovesi , ed il suo •carteggio con molti letterati , quali erano il Vespasiano , il P. Pa- gnini , il Duca di Bellbrte , il Conte Albergati , il Barone Vernaz- 3.3. ed altri , furono allora irreparabilmente perduti e per le lettere ,e per 1' autore . Appena restituito alla sua patria , il Signorelli v' intraprese l* edizione delle sue eccellenti Vicende della coltura nelle due Si' cilie . Le inesattezze e le fole , che i forestieri ed i viaggiatori spac- ciano spesso come verità sulla nostra letteratura , la leggerezza con cui ne parlarono taluni stessi Italiani , la diGlcoltìi di farne una idea compiuta e precisa da' libri di bibliografia, furono, a quel che ne dice 1' autore medesimo , le principali ragioni che lo indussero a scriver le sue Vicende , opera , a cui niuno sicuramente negherà V aggiunto , eh' egli le ha dato , di patriottica . Noi non ci tratterremo qui sulle critiche poco giuste , che si sono fatte di quest' opera omai conosciulissima , ne su' difetti , che j^iustamente si sono in essa ripresi . Faremo soltanto osservare che il Signorelli il quale ha dovuto in essa combattere così spesso a fa- vore de' nostri scrittori , quando non vedeva a questi resa tutta la gloria dovuta , è slato inoltre nella opera stessa qualche volta ob- Elogio di Pietro Napoli Signorelli xlv Lligato a discolpar se medesimo ancora . Oltre alle criticlie fallcjgli già dal LampiUas , egli era sialo pure più volte accusalo da altri suoi contemporanei scrillori , i quali godendo di una grande cele- brità , meritavano giustamente la sua attenzione. Ninno intanto era meno del Signorelli disposto a cedere si facilmente alle altrui cor- rezioni , precisamente quando queste fossero state dettate con cer- to autorevole tuono, cui non era egli uè assuefatto né docile mol- lo . Non è quindi da meravigliarsi se , divenuto aggressore a vi- cenda , egli ha sovente mostrato che quei celebri scrittori clic lo aveano ripreso , erano ben lungi dall' essere interamente irreprensi- bili , e che qualche volta 1' errore era solo dal canto di colui che avea creduto scoprirlo , e che si era affrettato a denunziarlo . Lo storico della Napoletana letteratura non potea esser più de- gnamente compensato che col divenire il segretario delia Napoleta- na accademia. 11 Signorelli fu nominalo a questo posto a'6 dicem-r bre del 1784 , e niuno neglierà , clic pochi potevano vantarvi in quell' epoca maggiori dritti de' suoi . La Reale Accademia di Scienze e di Belle Lettere era stata pres- so di noi fondala fin dall'anno 1779 , ed avea avuti per suoi pri- mi segretarj , per la classe delle Belle Lettere , Andrea Scrao , di- venuto poi Vescovo di Potenza , e per quella delle Scienze il me- dico Michele Sarcone . Questi essendo stato rimosso a' 10 novem- bre 1784, il Signorelli riunì in se i due incarichi prima divisi, e venne inoltre poco dopo dichiarato ancora segretario del registro economico . Noi ragioneremo fra poco de' suoi lavori accademici . Essi non interruppero ne la intrapresa edizione delle Vicende ne lo studio assiduo e la cura che 1* autore adoperava ad ampliare la sua bella Storia Teatrale. Appena infatti nell'anno 1786 avea egli portata a fine in 5 tomi quella edizione , quando nel setjuen- te 1787 cominciò la ristampa della Storia critica de' Teatri anliclii e moderni che fu divisa in sei volumi in 8 e terminata neU' anno i7C)o. L'autore medesimo ha considerata giustamente questa ristam- pa con»c una nuova produzione . Tutto ciò , che nella Storia cri- slVi Elogio di Pietro Napoli- SignorelH tica , puLblicata in un volume solo , vecleasi per dir così soltanto abbozzato , trovasi in essa più distesamente narrato . Molte nuove analisi , esami , ed osservazioni , le risposte fatte separatamente al- la apologia dell' Abate Lampillas , le altre cbe 1' autore fu obbligato di far poi a'nuovi suoi contraddittori, arricchiscono questa secon- da edizione , alla quale trovansi aggiunte , come alla prima , le os- servazioni del Vespasiano. Questo costante amico del Signorelli non ebbe per altro il piacere di veder l'opera compiuta , avendo cessa- to di vivere nel 1788, prima della pubblicazione del quarto volume. La di lui morte segui di non molto l'edizione degli Atti del- la Real Accademia delle Scienze e Belle Lettere , della quale , co- me si è detto , il Signorelli stesso era stato nominato segretario, e questi Atti, già noli al pubblico , debbonsi alle cure del Signorelli, il quale vi premise un eloquente Ragionamento , e fu sempre del- l' onore dell' accademia , e del suo nome , checche altri ne abbia detto, zelante propugnatore . Nell'anno che segui quello della pub- blicazione degli Atti , mentre il Signorelli era ancora occupato nella ristampa della Storia Teatrale , fu incaricato di una Orazio- ne funebre in morte del Re Carlo III Borbone , Augusto Mo- narca delle Spagne e delle Indie, la cui memoria esser dee per gli Napolitani sempre cara tanto ed onorata . Egli la recitò con applauso nella chiesa de' SS. Giovanni e Teresa , e 1' inserì poi nel volume IV de' suoi Opuscoli varj . Terminata appena nel 1790 la ristampa della Storia Teatrale , egli si rivolse nuovamente al- l' opera delle Vicende , e cominciò nel 1791 a pubblicarne un sup- pliraento che venne in due volumi diviso. Il secondo di questi contiene propriamente le addizioni che 1' autore va facendo a varj luoghi della sua opera ; ma il primo , intitolalo Prospetto del Se- colo XFIII 1 è destinato a presentare in un sol quadro le grandi rivoluzioni , gli avvenimenti fisici e morali , i progressi nelle scien- ze e nelle arti , che resero per sempre quel secolo memorabile . Esso ci sembra il primo germe di un' opera filosofica ed impor- tante, che potrebbe intraprendersi sull'argomento medesimo. Elogio di Pietro Napoli- SignorelU xlvu Lavorando continuamente ad arricchire di nuove addizioni le due sue opere mjiggiori , il Signorelli non oLLliò interameiile i suoi numerosi e varj Opuscoli. Egli ne intraprese nell'anno 1701 l'edizione in quattro volumi , da noi già spesso citala . Tre di questi furono da lui intitolali a' suoi illustri amici, il Co. Alessan- dro Pepoli , l'Abate Alberto Fortis , e l'Abate Placido Bordoni. Oltre .^Ha Faustina ed alle lettere critiche che la riguardano alle satire , ed alle altre produzioni , delle quali abbiamo già avu- ta occasione di parlare , trovasi pur riprodotta fra questi opusco- li una traduzione Castigliana del Signorelli di una lettera del Con- te Saluzzo i'uZ/fl //'a.i/ò/'WJac/oHe dell'acido vitriolico in acido ni- troso ^ accompagnata da note del traduttore, scritte similmente iu Castigliano , le quali mostrano e la sua perizia in questa lingua e la sua intelligenza nellp scienze chimiche , almeno nello slato in cui esse erano in quell' epoca . Questa lettera erasi già pubblicata in Madrid nell' anno 1780, e può servire a provare l'universale attenzione , con cui il Signorelli avea riguardate le scienze tutte anche quelle che sembravano le più estranie agli studj , a' quali si era egli precisiimente dedicalo . Noi citeremo fra gli altri opuscoli taluni versi e lettere latine, particolarmente quella diretta al nostro chiarissimo Sig. Cotugno , e premessa ad una edizione dell'opusco- lo del Cacciancmici-Palcani, intitolalo de prodigiosis solis defe- ctibus , che il Signorelli ristampar fece in Napoli nell'anno 1791 ; le osservazioni sulla Morte di Ercole del Co. Pepoli; e sulle va- ne tragedie intorno ad Agamennone , nelle quali lasciamo ad altri i\ decidere se 1' amicizia dello storico de' teatri verso il traffico Ve- neto abbia alquanto influito ne' di lui giudizj ; finalmente talune lettere ed altre composizioni contra il Napoletano autore de' Sag- gi politici , in cui nuovamente noi osserviamo con vivo rammari- co quanto il Signorelli era fatalmente disposto a trascorrere nelle dispute letterarie i limiti della moderazione . Noi desideriamo per la sua gloria che tutti i lellori de' suoi opuscoli seguano il con- siglio, che l'autore medesimo dà loro, premettendo a queste .suo IcUcre i noti versi dell' Ariosto , XLviii Elogio di Pietro NapoU-Signorellì Lasciate questo canto, che senz'essa Può star r istoria e non sarà men chiara. All' edizione dcijli opuscoli il Signorelli fece succedere nell' anno 1738 quella delle Addizioni alla Storia critica de' Teatri in un sol volume in 8. Fin dall' anno ijga si era di questa opera intra- presa in Venezia una nuova edizione per cura dell' amico dell' au- tore, il Co. Alessandro Pepoli . Ma essendo questi morto nel 17(^6, dopo la puLblicazione de' soli due jirimi tomi della ristampa , il Si- gnorelli pensò di pubblicare in un volume separato, che servir po- tesse di continuazione alla edizione Napoletana dell' anno 1787, tutte le aggiunte , che si proponea prima di fare alla sua opera nel- la interrotta edizione Pepoliana . Fra queste precisamente contar dovcansi quelle che riguardavano 1' immortale ed unico Alfieri , a' cui pregi noi dissimular non sappiamo che desidereremmo qualche •volta vedere il nostro critico almeno tanto sensibile , quanto severo censore ei fu di taluni difetti di esso . La storia del secolo di FERDINANDO , Augusto Protettor del- le Scienze e delle Arti , coronar dovea naturalmente la bella opera delle Vicende della coltura , e meritava di essere dalla stessa ma- no descritta . Il Signorelli , che 1' avea già annunziata , nell' anno stesso 1 798 ne pubblicò il primo volume in 8.°, nel quale dopo a- ver accennati i varj provvedimenti letterari , politici , ed economi- ci, che noi dobbiamo all'ottimo Principe, cui i nostri destini sono affidati, passa a parlare de' sacri studj , e degli economici, della R. Università, e delia medicina nella fortunata epoca Ferdinandiana . Questo primo volume dovea esser seguito da altrui due; ma 1' e- dizione per la nuova lontananza dell' autore dalla sua patria non pro- gredì oltre a' primi fogli del secondo. Fra' di lui manuscritti si so- no però rinvenuti considerevoli frammenti sì del secondo che del terzo volume; male cose più importanti, in essi contenute, essen- do state posteriormente inserite dall' autore medesimo nell' ultima pili compiuta edizione delle Vicende pubblicata nell'anno i8io , men grave ora riuscir ne dee 1' inlerruiione dell' opera precedcntg. Elogio di Pietro NapoU-S ignorelli il. Grandi e note vicende agitarono la nostra patria nel penulti- mo anno del XVJII secolo . Esse ci privarono jìer la terza volta del Signorelli , e lo recarono a soggiornare per qualche tempo pri- ma in Francia , poi nell'alta Italia. Egli trovò da per tutto slima e favore; e si accorse allora, clie essendogli restato fralle sue sventu- re im nome caro alle lettere , gli era restalo abbastanza . 11 Signorelli fu subito nominato in Milano professore di poesia rappresentativa nel Liceo di Brera. Quantunque la sua storia teatrale lo avesse già reso degnissimo di occupare una tal cattedra, egli provò con nuovi importanti lavori quanto era meritevole di conseguirla. Dopo aver pubblicata per le slampe la prolusione da lui re-; citata alle sue lezioni , che si è poi ristampata nel IV tomo dell* iillima edizione della storia de' teatri , il Signorelli diede alla luce neir anno primo del XIX secolo i suoi elementi di poesia rappre* sentatis'a . U opera , ch'egli intraprese a pubblicare pochi anni dopo , e di cui dobbiamo dolerci che altro non si abbia olirà i tre primi volu- mi, era anche destinata ad arricchire e ad illustrare la nostra lette- ratura teatrale . Essa è intitolata delle migliori tragedie Greche e Francesi traduzioni ed analisi comparative . 11 Signorelli fu senza dubbio distolto da' suoi lavori dramma- tici , pc' nuovi incarichi , che gli vennero successivamente aDlda- ti , e che lo richiamarono dagli ameni studj della j'ocsia e della letteratura a studj più severi. Nell'anno i3o4 egli fu nominato professore del diitto r/atuiale e della filosofia nella Università di Pavia . Egli però non intraprese mpi 1' esercizio della sua nuova cattedra , essendo stato nello stesso anno trasferito alla Università di Bologna come professore di diplomatica e di storia . Quantunque gli studj drammatici e poetici avessero conllnua- mcnle richiamata 1' attenzione e la cura del Signorelli , egli pure avca sempre ugualmente coltivati quelli delia filosofia , e della cri- tica , de' quali dal celebre Genovesi avea apprese , come si è già detto, le prime nozioni. In quanto agli studj della diplomatica,. vu 1 Elogio di Pietro Nàpoli- S ignorelU fin dalla sua prima giovinezza il Signorelli si ei-a pure con accu- ratezza ad essi dedicato . JSoa dee dunque sembrarci strano che ve- nisse egli prescelto nella età sua più matura a professarli in una delle più rinomate università dell' Italia , e che ivi per qualche tempo con apphiiiso li professasse . . t Meraviglia è piuttosto che poco tempo dopo di essersi in Bo^, logna trasferito, ed avervi intraprese le sue lezioni, egli si vide già nello stato di pubblicare i suoi elementi di critica diplomatica, cominciati a stampare per istruzione de' di lui allievi nell' anno i8o5. È facile il ravvisare anche da questo nuovo lavoro che ne 1' età ne i viaggi ne le sciagure dell'autore aveano in lui estinto quel vivo jnfatigabile ardore per le scienie , che m tutta la sua vita così lu- tóinosamente lo distinse . ■ Non contento de' lavori che la sua carica di professore parti- colarmente gì' imponea , il Signorelli ne abbracciò inoltre, durante il suo soggiorno in Bologna , altri nuovi , a' quali le sue forze fi- siche , già dall' età afilevolite , resister poi pienamente non potero- no. Volendosi formare un catalogo scientifico e tipografico della bi- blioteca della università , alla quale egli appartenea , fu incaricato di quella parte dell'opera, che. riguardava i libri diplomatici ed istorici. Egli si pose subito' allavoro colla solita alacrità, e lo per- fezionò in due volumi , che non sono mai stati stampati , ma de' quali è restata fra' suoi manuscritti una copia. Il primo di èssi con- tiene i titoli delle opere diplomatiche , seguiti da brevi articoli let- terari , "^ critici sull'autore, sull'opera, e suU' ediiione . Questo lavoro può riguardarsi come le prime linee di una biblioteca diplo- matica ragionata e compiuta . L' altro volume destinato a' libi-i sto- rici è similmente arricchito di osservazioni ed articoli letterarj pei* quella parte che riguarda gli antichi storici greci e latini ; ma es- so non contiene che la sola indicazione de' libri , per tutta quella parte che tratta degl' istorici più recenti . Una malattia, contratta per questa e per le altre assidue. sue occupazioni, 1' obbligò nello stesso anno i8oG a domandare un con* Elogio di Pietro Napoli- S ignorelìi lì gedo per recarsi ne' quattro mesi delle ferie eslive nella sua patria, che non cessava e non avca mai cessato di essergli cara . Non è quindi meraviglia se , dopo esservi giunto, tuli' i suoi sforii furor no diretti a stabilirvisi per chiudervi in pace gli agitati suoi gior- ni . Egli implorò dunque la sua dimissione , che gli fu accordata confermandoglisi il titolo di professore emerito della università di Bologna , del quale egli si è poi sempre sommamente pregiato . Addetto , sul principio del suo ritorno in Napoli , ad uno de' primi posti nel ministero di marina , egli fu non molto dopo resti- tuito inttrainente alle sue più gradite occupazioni , e precisamente alla prcddetta Società patria , che si meritansente lo aveva scelto per suo segretario , ottenendo pc'servigj da lui prestati in ventisette an- ni una onorevole pensione civile di ritiro. Fu trascelto ancora per uno de' giudici di un concorso drammatico, che venne in quell'e- poca aperto fra noi . Fu allora che noi osservammo tutti con meraviglia questo no- stro stimabile Nestore , il quale dopo aver passata la sua prima età lavorando nella oscurità alla gloria della patria letteratura in Ma- drid , e la seconda in Napoli ad esercitarvi 1' onorevole incarico di segretario dell'accademia Reale , vivea per cosi dire fra noi una ter- za età ne' j)rirai anni del XIX secolo , applicarsi con un ardore ed un zelo , che sembrerebbero proprj solo de' freschi anni del vigo- re e delle illusioni , alla perfezione delle sue opere maggiori , ed a' lavori lettcrarj di ogni genere , che V incarico di nostro segreta- rio perpetuo gì' imponeva . Dopo aver ristampato nel 1807 1' opuscolo ^jm/ g-«i-^o e sul Lel- lo , n<.ll' anno 1810 egli intraprese l'ultima edizione di-lle sue /^t- cende , ampliandole di tutto ciò che nell' altra opera sul regno del- l' Augusto Ferounanuo , restata in parte inedita , avea prima com- preso , e fino agli ultimi tempi continuandole. Questa nuova ristam- pa era appena terminata , quando egli si affrettò di intraprendere quella della sua Storia de' teatri . Egli V avea già interamente ri- ilÌi Elogio di Pietro Napoli- Signorelli scritta corredandola delle molte addizioni , clie avca già pubLlIcate separatamente , e di altre nuove osservazioni , e notizie . Esiste an- cora questo pregevole autografo in dieci grossi volumi presso gli eredi del rispettabile autore ; ed esso è un meraviglioso monumen- to della grande abitudine al lavoro , e della perseveranza, che l'ac- compagnava fino negli ultimi anni della sua età cadente . La ristam- pa della Storia de' teatri intrapresa nel 1811 è stata fatta intera- mente su tal manuscrilto , e il Signorelli ha avuta la soddisfazione di sopravvivere ad essa più di un anno . Gli estremi suoi lavori lelterarj appartengono interamente' alla Società Pontaniana , dalla quale fu prima eletto suo socio e poi come si è detto nel i3ii nominato segretario perpetuo. Daal- lora in poi il Signorelli fu interamente nostro : tutti i suoi pensieri furono rivolti alla gloria ed al lustro de' Pontaniani , ed egli non mancò di contribuirvi con un nome giustamente celebre , e con la- vori degni di si celebre nome ; de' quali essendosi fatta già men- zione nella presente notizia , nulla qui più oltre diremo . Gli ultimi anni della vita del nostro benemerito segretario fu- rono afflitti da' gravi mali che reca con se la vecchiaja , la quale d' altronde è essa stessa un male . Non potendo più allora egli in- tervenire nel luogo delle nostre adunanze, noi continuammo con vi- va premura a radunarci ancora intorno a lui per proseguire i no- stri Ictterarj esercizj . Ohimè ! Quanto era egli diverso da quello , che avevamo conosciuto altre volte in tutto il vigore di una ver- de vecchiezza ! Pure tutte le sue forze morali , ed il suo vivo ze- lo per la gloria della nazionale letteratura, erano salde tuttora, ed animavano fino agli ultimi istanti le sue membra cadenti , ed un corpo rotto dalle infermità e dagli anni . Esso cede infine a' suoi mali nel di 1" di aprile dell'anno i8i5 sorpreso di un accidente, che, togliendogli l'uso de' suoi membri, sembrò lasciargli fino al- l'ultimo respiro l'integrila della sua mente. Gli opportuni soc- corsi della nostra augusta religione gli furono allora somministrali, ed egli parve riceverli con quel vivo rispetto che aveva sempre mo- Elogio di Pietro Napoli- Si gnorelU tiu strato per la nostra divina credenza. I PoiiUniani dolenti accompa- gnarono il suo funebre convoglio . Egli non ha lasciala ad una eccellente sposa , e ad un unico figlio , che trovasi da noi lontano , altra eredità ciie la memoria im- mortale di lunghi ed onorati lavori : ma egli ha lasciato a noi pre- cisamente il luminoso e nobile esempio di una lunga vita, intera- mente consacrata ad utili intraprese , e distinta da gloriosi succes- si . 11 suo nome sarà sempre onorato ne' fasti della nostra lettera- tura , che ha in lui incontrato un islorico sì giudizioso ed eloquen- te ; e noi senza aver la temerità di volere indovinar da ora qualo intorno a lui sarà 1' imparziale giudizio della posterità , crediam pe- rò ravvisare, ch'essa il rammenterà sempre con distinzicne fra'più celebri , i più benemeriti , ed i più laboriosi letterati , de' quali la patria e 1' età nostra si pregi. Molti de' suoi contraddittori lo hanno spesso accusato di erro- ri ; ma chi non sarebbe mai colpevole , se bastassero a render tale le accuse? Egli si e spesso discolpato con una evidenza , ed una forza , che convincono anche i più restii. E forse pur vero che il torto talvolta sia tutto dal canto suo : ma ciò priiova solo eh' egli fu uomo , e soggetto ad errar come gli altri . Non può negarsi in- tanto senza ingiustizia che in generale i suoi giudizj sono sicuri , il suo gusto puro , e le sue discussioni profonde . Come scrittore di poesie e di drammi , egli merita di occupare un luogo distinto fra' nien volgari poeti : ma le sue opere in prosa gli danno sicura- mente im posto anche più elevato fragli eleganti e nobili scrittori Italiani . Se in qualche luogo egli non sembra che declamatore , nuove pagine scritte con purezza , con gusto , e talvolta con una rara energìa , ed una perfetta eloquenza , non tardano a seguire , ed a fare obbliar le men belle. Filosofo distinto ed illuminato , egli noi fu forse abbastanza per saper sempre ratlcncre ne' giusti conli- ni gl'impeti di un carattere ardente « e di un amor proprio trop- po facile ad irritarsi. Noi non abbiamo proccurato di scusarlo su tir Elogio di Pietro NapoU-SignorelU tal particolare; faremo soltanlo osservare die ciò non gì' impedì di essere l'amico ed il corrispondente de'Pagnini, de' Tiraboschi , de' Paladini , degli Amaduzzi , degli Affò, degli Albergati , de'For- tis , e fragli stranieri delio stesso Arteaga , th' egli avea talvolta si vivamente assalito , dell' Iriarle , del Cooper-Walker , e di al- tri , uè di essere il più benemerito e zelante amico de' suoi Pontaniani, de' quali cos\ meritamente egli è ora il desiderio ed il lutto , OPERE IMPRESSE DI PIETRO NAPOLI-SIGNORELLI l^ 1774 Satire sei. Genova. Ristampate fragli Opuscoli varj. II. 1777 Storia Critica de' Teatri antichi e moderni. Na-r poli , in 8.° I edizione. Ili, ^779 Faustina , Commedia in cinque atti in versi , con talune lettere critiche su i novellisti Fio- rentini. Napoli colla data di Lucca , in o." I edizione. IV. 1 780 Tableau sur l'état actuel des sciences et littera- ture en Espagne , à M. le Corate de Werten • Ministre plenipotentiaire du Due de Saxe à Madrid. Alio stesso egli diresse ancora una lettera su' costumi de' Castori , e suU' arte di costruirsi i loro borghi. Madrid. V. 1781 La Tirannia domestica , Commedia in cinque at« ti ed in versi. Fra gli Opuscoli varj. VI. 1782 Discorso Storico-Critico su i Saggi Apologetici dell' Ab. Saverio LampiUas. Napoli , in 8.° VII. 1783 La Faustina, ristampa. Parma. Nell'officina Bo- doniana . \\[\, 1780 Traduccion Castellana de una carta del Conde de Saluzzo sobrc la transformacion del acido Elogio di Pietro Napoli Signorelli lv vitriolico en nitroso, cou advertcncias del Ua- ductor. Madrid. IX. 1784 al 178^ Vicende della cdltiira nelle due Sicilie , volumi cinque. Napoli in 'ò.° I edizione. X. '787 al i7i)o Storia Critica de' Teatri , li edizione , in sci vo- lumi. Napoli in 8." XI. 1789 Orazione funel)re per Carlo III Re delle Spagne. In Napoli. Ristampala l'anno seguente , e poi fragli Opuscoli varj. y XII. 1791 al 1795 Supplimento alle Vicende della Coltura nelle due Sicilie. Napoli , a tomi in 8." XIII. i^<)i Ristampa dell'Opuscolo Deprodigiosis solis de- fectibus , del Sig. Caccianemici-Palcani cou lettera latina del Signorelli al Cli. Sig. Co- lugno. XIV. 17(^2 al 1795 Opuscoli varj. Napoli , 4 ?omi in 8. XV. *79^ Novelle di Polidete INIelpomenio ( Cav. Ippoli- to Pindcraonle ) e di, Lirnesso Venosio ( Cav/ Tommaso Gargallo-Montalto ) pubblicate da Pietro Napoli Signorelli , con sua prefazione. Napoli , in 8. XVI. 17^8 Addizioni alla Storia Critica de' Teatri . Napo- li , in 8. XVTI. 170)8 Regno di Ferdinando IV. Napoli in 3. ; se ne stampò il solo primo volume . XVIII. 1801 Prolusione alla Cattedra di Poesia rappresenta- tiva nel Liceo di Brera. Milano. Ristampata nel Tomo IV dell'ultima edizione della Sto- ria de' Teatri . XIX. 1801 Elementi di poesia rappresentativa. Milano in 8. ^^' '802 Ragionamento sul Gusto , Milano in o. I edi- zione . 1804 Lettera sullo Spettacolo Musicale del i8o5 nel Teatro della Scala. ]\IiIauo in 3. XXI. LVl XXII. 1 XXIII. 1 XXIV. XXV. I? XXVI. -"• '1 XXVll. xxyiii, XXIX. Elogio di Pietro Napoli- Signorelli 5o4aIi8o5 Delle migliori tragedie Greche e Francesi Tra- duzioni ed Analisi comparative . Milano , 3 tomi in 8. 8o5ali8o8 Elementi di Critica Diplomatica con Istoria pre- liminare . Milano , 4 'orni in 8. 1807 Del Gusto e del Bello. Napoli in 8. II edizione. 5io al 1811 Vicende della Coltura nelle due Sicilie. Napo- li 8 tomi in 8. II edizione . j8i3 Pcnsiere sulla scrittura. SuU' invenzione della Lussola nautica . Elogio di Vincenzo de Muro. Lezione Economica sopra un Programma del-?, la Società Pontauiana , Trovansi inserite nel Volume II degli Atti del- la Società medesima . Si sono anche separatamente pubblicate col ti- tolo (li Lezioni Àccademiclie , Napoli in 4- 1810 Storia Critica de' Teatri antichi e moderni. Na- poli 10 tomi in 8. Ili edizione . Di questa opera si era intrapresa nel 1792 una ristam- pa in Venezia in 1 a . Varie traduzioni di composizioni drammatiche inserite nell' mino /entrale . Una Iscrizione Latina sulla sua Vita intitolata Petri transacii dies , ed altre in lode del suo defunto amicy il Cav. Domenico Sansone. OPERE INEDITE XXX. XXXI. XXXli. Osservazioni sulla Satira anlica e moderna . Ricerche sul Sisltma Melodramuialico . Cfitaiogo ragionalo de' libri di diplomatica e di storia della Biblioteca dell'Università di Bor legna ( impcrf. ) XXXllI. Elogio di Pietro NapoU-SignorelU xvii Le Nozze del Zingaro Commedia ( imperfetta ), OPERE SMARRITE XXXIV. XXXV. xxxvi. xxxvii. XXXVIII. XXXIX. XL, XLl. Traduzioni in versi sciolti di varj frammenti greci , latini , francesi , spagnuoli , e porto- ghesi : smarrite inedite in Madrid , trovando- si 1' autore in Napoli nel 17 79. Sistema melodrammatico in due volumi MS. co' materiali e pezzi musicali raccolti da più an- ni , smarrito in Napoli nel 1799. Ragionamenti generali sul commercio , e parti- colari su quello di Napoli , accompagnati da ricerche statistiche . Dissertazioni ed annotazioni latine sull'arte Lo- gico-Critica e sulla Metafisica di Antonio Ge- novesi , opera involata all' autore in Madrid nella sua assenza nel 1784. Commedie MSS. in prosa Gli amici del tem- po buono, il Nemico generoso, i due av- venturieri , i Perturbatori delle famiglie , ed altre scritte in Madrid . Traduzione dell' Ajace di Sofocle . L'Ebrea di Toledo tragedia in cinque alti , smar- rita in Napoli insieme col sistema melodram- matico . Corso di studj enciclopedico in trenta giorni , impresso nella Valle di Elicona in continua- zione delle lettere dalla medesima Valle , ia- serile negli opuscoli varj . N PAtlTE SECONDA. jinni i8i5 1816 e 1817. I. Essendosi delle memorie lette alla Società Pontaniana dopo l'epoca della morte del Signorelli più specialmente tenuto registro , 'Quando anche esse non fossero dagli autori destinate a far i>arle degli Atti accademici , si potrà in questa seconda parte far parti- colarmente breve menzione di ognuna . E già di quelle che si les- sero negli anni i8i5 e 1816 si die conto al pubblico con un rag- guaglio del segretario perpetuo , che qui nuovamente con poche mutazioni verrà inserito (1) ; ed al quale faremo poi succedere la notizia de'' lavori dell'anno 1817, restata fino a questo punto ine- dita ancora . II. Cominciando adunque a ragionare di que' lavori , che ri- -^uardano l'amena letteratura , il sig. Glo. Antonio Cassitto , so- cio non residente , fece leggere dal Segretario perpetuo in una delle adunanze dell'ultimo semestre del i8i5 un Saggio di osser- «vazioni critiche sopra talune odi di Orazio . Egli esaminò parti- colarmente , in questo suo primo lavoro sul vate Venusino , le odi .j3 e i4 del terzo libro , qualche volta correggendone la lezion ricevuta, e spesso illustrandone le espressioni ed il senso. Egli fe- ce sperare alla Società un lavoro compiuto su qucll' immortale poe- ■ta filosofo , che è stato , come tutti gli altri latini in generale , ma ■ pur con qualche predilezione , soggetto di suoi lunghi stiidj , e meditazioni. Noi vedremo , nel parlar de' lavori dell'anno 1816, che le speranze dateci dal sig. Cassino non furono vane . III. Il sig. Raimondo Guarini , socio residente, autore del- l' opera sulle antichità di Belano , lesse nell' adumnza de' 10 dicembre i8i5 talune addizioni a questo suo lavoro , le quali ha poi fatte pubblicar separatamente col titolo di Continuazione del- (^i) P'eggasi il Giornale Enciclopedico di Napoli anno 1817 n.I. Jnno i8i5. tix te ricerche siili' antica città di Belano . Lo scopo di questo nuovo scrino è 1' illustrare talune iscrizioni appartenenti alla città di Eclano , una delle quali precisamente ci sembra oltremodo impor- tante e per 1' argomento , e per la paleografia , ed anche pel con- fronto che può farsene con altra iscrizione Pompejana . Essa è la seguente : C. QVJNCTIVS. C. F. VALG. PATRON. MVMG M. MAGI. MIN. r. SVRVS. A. PLATACIVS. Q. F un, VIR. D. S. S. PORTAS. TVRREIS. MOIROS TVRREISQVE. AEQVAS. QVM. MOIRO FACIVNDVM. COIRAVERVNT Possono consultarsi nell' opera pubblicata dal sig. Guarirli le sue osservazioni intorno a s\ bel moniunento della nostra storia antica. IV. Il sig. canonico Michelangelo Macri , ^ocio residente , intraprese nell'adunanza de' 17 settembre a comunicare alla So- cietà diverse memorie , tendenti ad illustrare le antichità e la sto- ria di una delle più celebri città della nostra Grecia Italica , cioè di Locri. Nella prima di esse cgii rintracciò co' lumi della sto- ria , e della critica I' antica origine , e la fondazione dell' Italica Locri . Egli non lesse alla Società che la prima parte di questo la- voro , promettendone la continuazione , che se ne ottenne , come vedremo , dipoi . V. Due lavori diversi relativi alla botanica presentò alla So- cietà il sig. Cav. Reynier , allora nostro socio residente. Il primo lello nell' adunanza de' ao agosto i8i5 e relativo alla patria del- l'albicocco detto da' botanici prunits annetiiaca. lì sig. Rejnier per varie ragioni , eh' egli va esponendo nella sua memoria , si al- loiilaila alquanto dall' opinione .comunemente ricevuta che 1* albi- cocco sia originario dell' Armenia . VI. L'altro lavoro dello stesso autore riguarda una pianta mol- to celebre fr.igli antichi , quella cui si diede il nome di Persea . I niodeini botanici si sono occupati a rintracciare a quale delle pian- te oggi conosciute possa corrisponder la Persea , e 1' opinione di hs ^nno i8i5. molli di essi è che questa sia la Cardia mjxa del Linneo . Va- rie osservazioni , e talune ricerche locali , fatte dallo stesso autore nel suo viaggio in Egitto , gli fanno nella sua memoria abbraccia- re una opinione alquanto diversa . VII. All' arte salutare, che sotto l'aspetto della crudeltà cela i suoi grandi e reali beneficj , fu sacra la memoria letta alla Socie- là nell'adunanza de' 16 luglio i8i5 dal sig. Prof, G. B. Qua- dri , socio residente. Essa ebbe per iscopo l'esposizione del meto- do laterale per 1' esfrazione della cateratta . L' autore accompagnò il suo ragionamento colla narrazione delle varie pruove , che nella sua lunga pratica ha egli raccolte suU' utilità e su' vantaggi del metodo da lui proposto . Vili. Finalmente la lettura dell'elogio del eh. S ignorelli , aji, tico Segretario perpetuo , scritto dal di lui successore e già inserì - lo nella prima parte della presente Notizia , occupò la Società nel- 1' adunanza de' icj novembre l8i5. IX. Oltre alle indicate memorie , che si lessero nelle varie a- dunanze del secondo semestre dell' anno i8i5 , la Società in que- sto intervallo ha anche ricevuto in dono varie opere impresse. Tra queste dobbiamo distinguere precisamente 1' opera del sig. Millin- GEN BU i vasi inediti, donata alla Società da S. E. il Ministro del- l' Interno ; i due primi volumi della Biografia degli Uomini illustri del Regno di Napoli, donati dallo slesso Ministro; 1' Elogio stori- co di Giuseppe Rosati , donato dal suo autore il Cav. Gatti , so- cio non residente ; il Catalogo della Collezione agraria del Real Giardino delle piante , e 1' Appendice prima al Catalogo delle piante del medesimo, 'ambedue donate dui loro autore il sig. Cav. Teno- re , socio residente . X. Nel corso dell'anno 1816, il sig. Canonico Magri , so- cio residente , del quale abbiamo ragionato al di sopra , ha con- tinuato , siccome aveva promesso , a comunicare alla Società i suoi lavori sidle antichità Locresi . Nella seconda parte della memoria sulle antichità di Locri , rammefttata poc'anzi, egli si occupò pre- Anno 1816. £,vi GÌsanienle ad additare qiial fu il vero silo e la posizione di que- sta antica città . Egli descrisse inoltre i ruderi , che ancor oggi se ne ammirano , di molli de' quali presentò pure alla Società i disegni , che egli ne h.i filiti formare . In fine egli uni alla sua me- moria una raccolta d' iscrizioni Locresi , in parte inedite . XI. In una seconda dissertazione il sig. Canonico Macbi esa- minò ed espose quanto riguarda la vita e le leggi di Zaleuco . Egli raccolse nella sua memoria , letta alla Società nelle adunanze de'7eai luglio 18 16 le notizie di quel grande, e vetusto legislato- re, a noi trasmesse dagli antichi , esaminò le varie opinioni de'mo- derni critici intorno al medesimo , e finalmente raccolse i frammen- ti superstiti ancora della di lui legislazione . XII. 11 sig. Gio. Antonio Cassitto , socio non residente , a- dcmpì la promessa fatta alla Società fin dall' anno scorso coli' in- viare alla medesima le sue osservazioni sul libro i delle odi di O- razio . La Società ha ascoltata la lettura di quelle sole , che ri- guardano le prime 14 odi , riserbandosi quella delle restanti pef le adunanze dell' anno 1817. XIII. Lo stesso filologo ha inoltre rimessa alla Società una sua spiegazione di una interessante Osca iscrizione scoverta in Pompei. Questo curioso monumento , il quale è ancora inedito , sembra fat- to per esercitare la sagacità, e la dottrina degli archeologi . Si de- sidera a ragione , che esso venga tosto pubblicato , onde gli eru- diti possano tutti esercitarsi sulla interpetrazione del medesimo , ed imitare il nostro laborioso socio , il quale per avventura ne ot- tenne una copia . XIV. Il Cav. Vermigligli conservatore del gabinetto di antichi- tà , professore di archeologia nell' università di Perugia , e di mi- tologia nell' accademia delle belle arti , socio Pontaniano corrispon- dente , molto conosciuto per le sue numerose ed applaudite ope- re archeologiche , inviò alla Società la descrizione , ed il disegno di una inedita medaglia di Lacedemone , nella quale si fa menzione del magistrato detto dai Greci rs'ouiolìlace , e la notizia di una meda- Lxit Illustrazione di una medaglia Spartana glia imperiale di Efeso. Il sig. VermigUoli uni alla descrizione di questi monumenti talune sue osservazioni su' medesimi , e sulle at- iribuzioni de' Nomofilaci nelle Greche RepubLliche , clie qui sog- giungiamo : Descrizione della medaglia . AA. N0M0*T. APiCTANAPOC. Aquila. )( forsó Diana senza epigrafe. Metallo di fabbrica ordinaria , e di mezzana grandezza . Le prime lettere bastano per riconoscerla della officina copio- sissima della celebre Lacedemone ; e fralle molte monete autonome di questa illustre città appena un pajo di esempj noi avremo ove il suo nome trovasi scritto interamente , e pressoché tutte lo mostrano colle sole iniziali AA. Il tipo dell' aquila è ripetuto spesso nella spartana numismatica (i), ove Diana è cognita similmente , seb- bene io chiamerei quella testa semplicemente di femmina . Anche il Magistrato semplice di Aristandro non è nuovo negli autonomi nummi spartani , e talvolta accennalo colle sole sigle API ; ma è questa per avventura la prima fiata che nelle monete di Sparla (i) Miunnet II. 1 19. del Cav. G, B. J^crmigìloll Lxiii esso Arisl-indro assume il titolo di una nuova magistratura , chia- mandosi ivi noinofilace , magistratura che in forza di questa sola moneta può Hggiugnersi alle altre della Greca numismatica , espo- ste prima dal Vaillant , e quindi dall' Eckhel. Sparta nelle proprie monete ci avea mostrati i suoi celebri Efori (i), noramai ì nomo~ filaci ; jiarlicolarità che può rendere più singolare questa moneta. Se i conservatori delle leggi , cl>e tali sono i nomofilaci , si eleggevano nelle Greche repubbliche , niuna città per avventura aveva maggior diritto di sceglierne fra'suoi cittadini, quanto l'an- tica Sparla , fino da remotissimi tempi di sapientissime leggi prov- vista ; ma probabilmente al di là di questa singolare , e forse uni- ca moneta , niun monumento , e niun luogo de' classici greci e la- tini ci parla de' nomofilaci spartani , circostanza anche essa che può accrescere singolarità alla nuova moneta . Quando Cicerone si la- gna (a) che in Roma niuno vi era che tenesse in custodia le leg- gi , mostra bene in confronto che nelle greche repubbliche vi era- no i nomofilaci , commendandone la diligenza , e CoUimeila (3) non lasciò di rilevarne la necessità e 1' utilità insieme. Di fatti noi li tro- viamo presso gli Ateniesi (4) , i Cretesi (5) , ed i Locresi d' Ita- lia (6) . La qualità ed il carattere di questi magistrati , il loro in- carico , e gli onori di essi , bastantemente s' intenderanno dal- la descrizione , che ne abbiamo in Suida (7) , ove è da vedersi il Kustero ; » E sembrato ad alcuni , dice il lessicografo , che i no- J3 mofìlaci siano gli stessi che i tesmoteti , ma non è cosi ; avvc- 3j gnucche i tesmoteti seguendo il patrio costume ascendevano co- » ronali nell' areopago , mentre i nomofilaci si ornavano di can- » dide tenie , i quali ne' pubblici spettacoli sedevano ne'proprj lo- (i) Mionnet li. ai 8. Eck- (5) Plato de legib. liei. Doclr. N. V. (6) Ilcyn. opusc. y/cad. (a) De leg.lil/.III.cap.io. tom. II. p. ga. (3) X/I. a. (7) ^'uce NontxfvKxyiH (4) Suid. Lxiv Illustrazioììe di una medaglia Spartana M ro sgabelli dirimpetto a' nove principi o arconti , e concorrendo » anche essi alla pompa di PdUade , fino al mare ne recavano il w simulacro . Forzavano i magistrati a far uso delle leggi e nelle M pubbliche assemblee sedevano presso i presidenti , e vietavano di » emanare quei decreti i quali poteano opporsi alle leggi ed alla M costituzione della repubblica ». Altrove ci fa sapere che i nomo- fdaci si radunavano nel tempio della madre degli Dei , o nel Me- troo (i) • Poco varia è la descrizione che ne abbiamo presso Pol- luce (a) : » Sono undici di numero e ciascuno di essi è eletta da » ciascuna tribù per mezzo dello scriba , e secondo Demetrio Fa- » lereo sono chiamati nomofilaci. Eglino aveano princrpalmente la cu- M ra de' prigioni , ed erano quelli che si assicuravano delle persone » de' ladri , assassini, e de' somiglianti malfattori , e che li con- » dannavano alla morte tosto che erano confessi. « Ma a cagione di queste due diverse descrizioni io suppongo che si abbiada ricer- care qualche variazione da nomofilaci a nomofilaci . Si potrà essere sempre in dubbio se \' altra parte della mone- ta abbia la lesta di Diana , o di una semplice femmina. Quella di Diana s' incontra altre volte nelle monete di Lacedemone , circo- stanza che ci ricorda il culto speciale che quei popoli le rende- vano , sul quale ha scritto abbastanza Mons. Casali nella sua e- pistola latina de duobus Lacedacmoniorum niimis. Romae 1797. Pongo termine col descrivere una moneta Imperatoria di Efe- so, esistente nello stesso pubblico gabinetto di Perugia, di mezzano modulo , la quale in quanto ad essere di argento la credo inedita tut- tora . Forse si legge nel suo dritto alquanto consunto nell'epigrafe . AT. KAI. A- CEn. CEOTllPOC. nEP. Testa di Setiimio Severo laureata . E che altesleranno sempre la sua raunificenza e generosità verso di noi. Il sig. Gav. Tenore, socio residente, ha presentati varj quaderni del suo Giornale Enciclopedico; ed il sig. Cav. DI Cesare , socio residente , taluni suoi articoli letterarj es- tratti dal Giornale medesimo , fia' quali distinguiamo quelli su J^ir- ginio Rufo, e l' altro intitolato Pensieri su Saturno. Il sig. Cal- lotti, socio residente, ha presentato il suo Elogio istorico del fu Professor Gaetano d' Ancora, scritto nella dotta lingua del Lazio. Gli Elementi di Chimica del sig. Professor Lancellotti, socio re- sidente , e 1' opera poetica intitolata Lalage nello studio di Cano- va del sig. Duca di Ventignano , ancor esso socio residente , so- no stati donati «Ha Società da' loro autori . Finalmente la Società ha ricevuti in dono per mezzo del sig. Professor Quadri I' opera del sig. Gaetano Malacarne intitolata Rischiaramenti intorno alla ruminazione . XXI. La Società in tal modo , e con tal fato assiduamente lavorando era nel 1817 già al nono anno della istituzioa sua per- venuta , quando S. M. il nostro Augusto Monarca , Padre e delle lettere e de' popoli , volle darle della generosità del suo Real ani- mo , e della prolezione che alle scienze accorda una luminosa e no- Lile pruova ; e questa fu di concederle un annuo assegnamento , onde potesse alle necessarie sue spese sovvenire , le quali fino a quel tempo tutte da' socj residenti eransi tollerate . La qual gra- zia sovrana tacer qui non dobbiamo essersi a'Pontaniani accorda- ta sulla proposizione di S. E. il Marchese Donato Tommasi allo- ra Ministro dell'Interno, ed ora meritevolissimo Segretario di Sta- to , e Ministro di Grazia e Giustizia , e degli Affari Ecclesiastici, C Ministro Cancelliere ; il quale poiché alle sublimi dignità , di cui è investito , tulle le più sublimi doti dell' animo aggiugne , non disdegnò fin dal suo primo venir fra di noi V Istituto Ponta- uiano col patrocinio suo proteggere, ed a'Pontaniani permcUere che il suo nome, non meno per lo splendore dell'alto suo grado, che per le immortali sue opere meritamente illustre , ne' loro fasti, Lxxii Anno 1817 iscrivessero , e lui stesso indi a Presidente della Società rispettosa- ■ niente eleggessero. Ne d' allora in poi egli ha mai cessato di prov- vedere a tutto ciò che poteva al Lene della Società , ed a'progressi delle lettere conferire ; cosi che noi non dubitiamo che la fedele istoria rappresenterà lui qual nuovo Fontano , e qual libéralissimo protettore de' buoni studj e del sapere in questo felicissimo suolo. XXU. Incorati da si nobili auspicj i Pontaniani riputarono un sacro davere corrispondere alle grazie del Re e del suo degno Mi- nistro continuando i loro lelterarj esercizj col solito zelo ed ar- dore . E prima di ogni altro poiché nulla più delle savie leggi conferir può a' progressi di ogni istituzione , applicarsi vollero alla riforma del loro primo statuto, adottandone uno alquanto diverso, e più adatto allo stato attuale della Società ; il quale approvato da S. M. trovasi impresso al fine della presente Notizia , unitamente al Catalogo de' Socj Pontaniani , che in quella occasione fu pure compiuto . XXIII. Ma già da queste cose a' lavori scientifici e letterarj dell'anno 1817 discendendo, potremo diversi qui annoverarne re- lativi alle scienze naturali. Ed in primo luogo la Società ascol- lò nell' adunanza de' 16 gennaro ima importante memoria del Sig. Cav. Tenore sulle diverse piante cereali coltivate nel Real Giar- dino botanico , delle quali esibì pure l'autore più saggi . Egli ha poi fatto imprimere questo suo lavoro nel Giornale Enciclo- jjedico . XXIV. Alcune osservazioni presentò il Sig. Scatigna relati- ve a taluni esperimenti di chirurgia che ebbero luogo nella Scuo- la della veterinaria , ed a' quali i benemeriti direttori della me- desima invitarono la classe delle scienze fisiche della Società Pon- taniana . XXV. Il Sig. Cav. Monticelli, Socio Pontaniano residente, e Se- gretario della Reale Accademia delle Scienze , comunicò alla Socie- tà nell'adunanza de' a a luglio la notizia di una singolai'e meteo- Juno 1817 Lxxm ra OESci\;ita dal Si^.t^g in Piedimoiile di Alife; e della quale era già stata pure informata la Reale Accademia delle scienze . XXVI. 11 Sig. Cav. Tenore lesse pure alla Società la relazio- no di un singoiar parto estrauterino , a lui trasmessa dal Sig. Raf- rAELE di Alessandro di Castronuovo, e presentò nel tempo stesso le ossa del feto. Questa relazione è stata poi pubblicata nel Giorna- le Enciclopedico . XXVII. Dobbiamo al sig. Luca Puoti la notizia e la traduzione de' più impollanti articoli, e delle più recenti notizie pubblicate par- licolarmenle ne'Giornali tedeschi, oltra una particolare memoria sulla necessità di ripetersi presso di noi gli sperimenti naturali che altrove s' istituiscono . E dal eh. Monsig. Carlo M. Rosimi Presidente per- petuo della Società Reale Borbonica , e nostro socio Onorario , si ottenne la comunicazione di una importante notizia manoscritta di recenti lavori , per la più parte alle scienze relativi , della società Rea- le di Copenaghen . XXVIII. Il Sig. Angelo Antonio Scotti socio residente ricercò in una particolare memoria , che lesse alla Società nell'adunanza de'ao novembre , nelle nuove conoscenze chimiche e filosofiche nuovi argo- menti contra le mostruose ed assurde dottrine del materialismo. XXIX. La Classe delle amene lettere produsse ancora nell'anno 1817 diverse memorie , talune delle quali si vedranno ora nel III Vo- lume degli Atli . Fra queste contasi in primo luogo la memoria del sig. Raimondo Guarini su taluni monumenti Eclanesi , l'altra del sig. Prof. B. Quaranta sopra un curioso bronzo antico del Real Mu- seo Borbonico, ed una terza dello stesso sig. Guarini su'Triumviri Monetali, XXX. Altre memorie sono ancora in esame presso la Classe per pubblicarsi ©interamente o per estratti ne' Volumi seguenti; fra queste una del sig. Avv. Grossi socio residente , sopra una antica iscrizione d' Interamnia , la continuazione delle osservazioni Oraziane del sig. G. A. CissiTTo socio non residente, ed un altro lavoro sulle due X. j^xxiv Elogio (li F. Zuccdi'i antiche colonie del Regno di Napoli dette Bebiano , e Corneliano, che il sig. GtiARiNi cominciò a leggere alla Società negli ultimi me- si del 1817 per continuarne nell'anno susseguente la lettura. XXXI. Il sig. Salvatore Callotti , socio residente , lesse alla So- cietà, prima di pubblicarlo colle stampe, l'elogio storico ch'egli ha consacrato alla memoria del celebre Marchese Nicola Vivenzio. E pa- rimente il sig. Andrea Lombardi socio non residente lesse nell' adu- nanza de' 38 dicembre un elogio dell'Abate Spada celebre pubblicista Calabrese . Infine il sig. Can. Màcri raccolse in una particolare memo- ria diverse notizie biografiche su Mons. Piromalli celebre Calabrese, e ne esiKi pure alla Società talune lettere autografe , ed inedite. XXXII. La Società Pontaniana perde nell'anno iSiyilCav. Fede* RICO ZuccARi , e l'Ab, Luigi Quattromani , ambedue socj residen- ti; alla memoria de' quali renderò in questo luogo il dovuto estre- mo tributo di lode , estraendo e qualche volta copiando talune no- tizie biografiche da' brevi elogj che ne furono letti alia Società dal Segretario perpetuo pel sig. Zuccaiu ; e dal sig. Luca Puoti , Socio residente, pel Sig. Qua'ltromani . Federico Zuccari nacque verso il 17^4 nell'Isola di Sora da onesta , ed agiata famiglia , la quale ha dato pure alla Chiesa di Capaccio nello scorso secolo il Vescovo Angelo Zuccari . L'edu- cazione domestica della sua giovinezza svelò subito in lui i germi del più felice ingegno , e l'avvedutezza de' suoi non trascurò que- ste liete speranze . Egli fece in parte i suoi studj in Roma , ed in parte in Napoli sotto riputati istitutori . Quantunque egli fin da' suoi primi anni si dedicasse quasi interaraeute allo studio del- le scienze, che dir si sogliono esatte , pure non dispregiò quelli del- lo letteratura, e delle belle arti, ne' quali fu anzi non mediocre- mente versato , e che onorò sempre ed ebbe in grandissimo conto. E già 1' ottima riuscita del giovine Zuccari nello studio delle matematiche indussero l'Accademia delle scienze della Società Rea- k liti d«l suo nascere a proporlo per essere inviato in Milano Elo^o di F. Zuccari lxxt ad apprendervi li pratica degl' istnunenti astronomici solto l'insi- gne Oriani . Ed ivi recatosi, diede egli con applauso a' suoi slu- dj astronomici il necessario compimento; e ritornato poi presso di noi ne fi» degnamente rimunerato con esser nominalo Professore di astronomia nella Reale università , Direttore della specola astro- nomica , e Socio ordinario dell' accademia delle Scienze . Da allora in poi le cure di Zuccari furono tutte rivolte a favorire i progressi delia scienza de' cieli presso di noi ; ed egli vi contribuì- coli' in- segnamento , colle assiduo osservazioni , col coltivare e protegge- re le felici disposizioni de' giovani , che si dedicavano agli sludj medesimi, e collo spingere innanzi la fondazione di un osservatorio degno di una delle principali capitali dell' Europa , degno d«llo stalo attuale , e de' progressi della scienza, degno infine del seco- lo in cui viviamo . Ma no di questo , ne degli altri lavori di Zuc- cari per lo vantaggio della scienza intrapresi , e già in parte pub- blicali (i), io farò più oltre parolfl ; poiché ascolto già esservi cl^i di questo nostro benemerito collega stia tessendo la vita . Io mi limitelo solo a rammentare in lui l'amico zelante della Società Pon- taniana , dalla quale fu più volte trascelto a Presidente della sua (i) Metodo facile ed uni- trovare il tempo vero, dato il forme di descrivere orologi a tempo decorso fra gli appaisi sole su qualunque supeifìcie di due stelle di posizione cono- piana . Nel Giornale Enciclo-' sciata al medesimo almicanta- pedico di Napoli anno VIIJ. rat. Nello stesso giornale att- vol. 5. pag. lac). no IX. p. 5. Considerazione sulla co- Breve cenno sugli osserva- struzioiie delle carte geografi' torj di Pisa e di Napoli. An- che . Nel giornale medesimo, no XI. tom. I. p. 104. ytnno IX. voi. 1. pag. 47- Memoria sul circolo mura- Sul grado di esattezza di le di Traughton. Anno XI. alcune foìinole , che servono a tom, 5. p. 3, LxxYi Elogio di L. Quattromani classe di malemalica . La sua salute cagionevole il recò al sepol- ero in una età ancor fresca verso la fine dell'anno 1817, ed estin- se le più liete speranze che in lui dagli amici e da' colleghi eran- si riposte . XXXIII. Inquanto all' Abate Luigi Quattromani, Napolitano, può dirsi che il minor suo pregio era quello di essere uscito dalla nobil famiglia Quattromani di Cosenza , che pur tra quelle dell'antico se- dile Capuano era ascritta , e che produsse già il celebre letterato e critico Sertorio . Fece Luigi i suoi primi studj nel Collegio de' nobili di Napoli , e questi compiuti , fece ammirare nel foro la sua eloquenza , e nel tempo stesso cominciò a farsi applaudire pel •suo maschio e terso cantare estemporaneo . Egli abbandonò il fo- ro , poco dopo averne intrapreso l'esercizio , e diessi alle armi . Ma o che le pacifiche muse , di cui era devoto cultore , nel dissua- dessero , o che la vivezza ed istabilità del suo ingegno non gli permettessero di batter lungo: tempo la stessa via , anche quella nobilissima delle armi sdegnò di continuare a percorrere . E la- sciata la milizia , si fece oblato nella Religione de' Somaschi , nella quale ottenne per le sue virtù la stima e 1' amUijirazione di tutti , e meritò di conseguir le prime cariche ne' collegj da essa diretti . E quindi lo stesso Collegio de' nobili , nel quale era stato educa- to , lo ebbe suo regolatore . Egli fu poi trascello a professore di •poesia , ed eloquenza italiana nel Real Collegio de' Paggi , e già da cinque anni vi dettava le sue lezioni, quando morte il sorpre-- se aVag dicembre del 1817, non avendo ancor compiuto il duo- decimo lustro della elà\sua". Le di lui rime scritte, ove vengano pubblicate , come deve desiderarsi , mostreranno quanto grande fosse il suo poetico valore , e come se avesse egli in particolare trattato l'epopea , avrebbe potuto emulare in questa la gloria de' più nobili e liputati scrittori . XXXIV. Non restando altro ad aggiugnere per ciò che concerne i lavori della Società Poutaniana fino all' anno 1819, dovrei qui ter- Notizia di un riiratlo del Ponlano Lxxvii minar la presente notizia ; ma poiché fu divisaraciito de' Socj Fon- taniani , nel pubblicarsi il^ III Volume de' loro Atti, di fregiar- lo ( come già si è fatto ) del ritratto di Gio. Gioviano Ponlano . ragion vuole clie di questo ancora alcuna cosa si noti . Pcrcliè adunque si sappia donde questo ritratto sia tolto , e qua! fede esso meriti, io soggingnerò qui una breve notizia intorno al medesimo, letta alla Società dal Sig. Agostino Gervasio , Socio residente , nella quale e della effigie, die qui si pubblica , e di ta- luBC altre già pubblicate del Fontano , si va dando contezza . M 11 Sarno ( ha detto il Sig. Gervasio ) o chi altro siasi 1' autor della vita del Fontano pubblicala nel 1761 , si lagna che i varj ritratti , i quali mostransi di questo grand' uomo , sieno tan- to tra loro differenti, che rappresentar sembrano tanti divei'si Fon» tani , quanti essi sono . A chi voglia rintracciarne il genuino, far deve senza dubbio meraviglia che nella celebre cappella eretta in Napoli dal Fontano, ove pur le imagini de' suoi maggiori dicesi a- ver collocate (1), non abbia egli pensato a metter la sua. Ben eb* be questa, e frflllc cose sue più care , l'allievo del Fontano, Al* fonso II di Aragona ; ma il tempo non 1' ha rispettata (2). » (1) Sarno Vita del Pan- praeloriura prope Neapolim (cioè (ano p. 45. a Poggio Reale, ove 01 a impro- bi) y. r elogio del Ponta- priamente dicesi palazzo della no scrìtto da Bernardo de Cri- Regina Giovanna ) estruxissel , stoforo presso il citato Sarno omnium quee in Italia videmus , p- lii. Inoltre Francesco Àsola- caeli temperie, regiouis opporlu- no nella lettera dedicatoria pre- nitatc , loci anioenitilc , vt ope- messa alle opere del Pantano ris magnificeiUia clarissimum , impresse nella stamperia Aldi- cumque illud onmibus rebus ex- na , ad Averoldo Trescavo Po- ornasset , qute et suas ipsius 0* lense , così dice : » Alphonsus pes , et virtutem deci irarent , enira junior Nepolitanus rex cura persuasutn habuit cjusaioJi ap- f xxviii Notizia di un ritratto del Fontano » È volgare opinione , che un busto del Pontaiio esista nel cortile di una casa sita qui in Napoli nel vico detto della Majora- na , ed il Canonico de Silva non ha esitato di affcrniave sulla fedo dell' Abate Alielti , che 1' Architetto Francesco Fortini , posscssor di quella casa nello scorso secolo , ed istitutore di un' accademia detta de' Placidi , avesse rinnovata l'accademia del Fontano nel- le stesse case ove questi abitò (i) . Ma il Giustiniani nel riferir tali cose (2), già osserva con ragione , che l'errore dell' Alietti sar rà nato dal busto di terra colta , che vedesi incastrato nel muro sopra un piccolo verone , che sporge nel cortile di quella casa , il quale ( a quel che pare ) lungi dall' aver somiglianza alcuna col Fontano , rappresenta un vecchiaccio con lunga barba ; e sem- bra una sconciatura del XVII secolo . JNè fattura del Fontano può sembrare l'inelegante distico che Icggesi sul pozzo dello stesso cortile : LYMPHA LIBBNS DONOR , SED QVI VVLT MVNERA BACCHI , HAEC ETIAM DONAT LARGA MANVS DOMINI. li Kè la casa del FontanoJ^ per dire anche ciò brevemente ) era già posta nel vico della Majorana , poiché egli stesso ci dice paralus splendorem nulla re ma- gis posse commendari , quam si Joviani Fontani imaginem ex fere in ea quoque locasse* . Nec du- bilabat rex ille sapientisslmus re- gibus omnibus et principibus ad se venientibus , postquam arma, equos , gcmmas , nurum rude , et signatum , monimenta prisci ?eris, copiosissimam bibliothecam, magnificam laulanique supcllec- tilem ci complura alia ostendissct, linde pacis ornamenta et belli sub- sidia peti possent , illam ipsam imaginem ad extremum spectan- dam proponcre , ut rem omnium pulchcrrimam , et preliosissimam. (1) Omaggio poetico in mor- te del Duca di Belforte p. 5a. (2) Breve contezza delle accademie di Napoli p. 70. dì agostino Gervasio lxsis nel Dialogo Jcgidìus (i) che trovavasi in loco urbis maxime celelri et nobili , e che vedevasi dalla porta della città una lor- re quadrangolare in sublimi editam imminenlemque cjuadrivio ; ciò the indica . » Si è creduto inoltre che il Fontano sia effigialo nel Nicodc- rao inginocchialo del gruppo in plastica , che rappresenta la depo- sizione del Salvatore e che vedesi nella cappella detta del Sepol- cro nella Chiesa di Moutoliveto , come nel Giuseppe di Arimatca (1) Oper. iom,lI.p. i55. (2) Tom. I. p, i3a. ediz. ed. jild. del 1792. -),sxx. Nolizìa di un ritratto del Fontano si è ravvisato il Sannazzaro . L' Engeaio che lo assei'i il primo (i) e sulla fede del quale altri molti il ripetono , citò in testimonio il Vasari , il quale però , come il Sarno osserva , nulla dice di ciò ; ma solo che l'artefice del gruppo fu Guido Mazzoni detlo Paga- nino da Modena , il qujle ( sono pai'ole del Vasari ) inverò al i?e alfonso tuia pietà con injìnite Jìgare tonde di terra cotta colorite , le quali con grandissima vivacità furono condotte , e dal Re fatte porre nella Chiesa di Monteuliveto di Napoli ^ monasterio in quel luogo onoratissimo , nella qual opera è ri- tratto il detto Re inginocchiato , il quale pare veramente pili che vivo . Ma credendosi col Sarno che qui si favelli di Al fonso I. morto nel i458, cioè ncU' anno medesimo in cui nacque il San- nazzaro, cade interamente l'asserzione dell' Engenio. D'altra parte però ove col Vedriani (2) si supponga essere stalo Alfonso II co- lui che commise a Paganino 1' indicato lavoro , come pure il conte- sto del Vasari sembra indicare , l'epoca di questo Re converrebbe con quella del Pontano . Ma parmi che resti sempre dubbiosa la cosa , tanto più che il Capaccio , uomo delle patrie notizie molto istruito , non parla che de' soli ritratti di Alfonso H e Ferdinan- do li esistenti in quel gruppo (3) >i . • » Il Sarno trasse 1' effigie del Pontano da lui premessa alla sua opera da \\n antico rilievo esistente sul cuojo di un esempla- re delle Poesie del Pontano , che il S.iuuazzaro mandava ad Aldo il vecchio con questo motto , Aldo suo Actius Sincerus , e eh' ei dice conservarsi nella scelta Biblioteca de' PP. dell' Oratorio ; ove però oggi noti si è potuto da me rinvenire , per quante ricerche vi abbia io fatte insieme col dotto e gentile amico P. D. France- cesco Colangelo degnissimo bibliotecario : il quale anzi mi assicura ^on esservi memoria di quel volume negli antichi cataloghi » . (1) Napoli sacra p. 5 10. in l\ , p. 26. (a) Raccolta di pittori e (3) Forestiere p. S^a. scultori Modanesi. Modena \GG% di Agostino Gervasio lxxxi Del Fontano offiono ancora il ritratto le tre medaglie pubbli» cate nel Museo Maziucclielliano (j) col rovescio della Musa Ura- nia , allusivo al di lui poema di questo titolo . Quello, di cui io presento alia Sticielù l'ontnniana una copia , è inedito ancora ; ed è tratto da una impressione in rilievo eseguita sul cuojo che copre 1' una e 1' altra faccia di un volume delle Poe- sie del Pontano impresse dal Mayr in Napoli nel i5o5 in folio oblungo. Detto volume offre inoltre una sclieda , nella quale di antico carattere è scritto Summonlius; e come è noto essere sta- to il Summonzio grande amico del Pontano , e lui morto aver raccolte, corrette, e pubblicate le di lui opere, così non sembra- mi fuor di proposilo il supporre che al Summonzio stesso quel vo- lume già fosse appartenuto, e che per di lui cura il ritratto del Pontano vi fosse stato impresso. Le quali cose ove fossero provate, non ci lascerebbero dell'autenticità del ritratto alcun dubbio . Se non che sembra questa , anche senza ciò , egregiamente confermar- si , ove leggasi la esatta descrizione , che delle sue fattezze ci ha il Pontano stesso lasciata , la quale ( se pur non mi inganno ) parmi al ritratto pienamente corrispondente : Bona et recta statu- ra , fronte lato , calvo capite , siiperciliis demissioribus , acu- to naso , glaucis oculis , mento promissiori , macilentis malis , producta cervice , ore modico , colore rufo ; adolescens tameii perpalluit ; reliquo corpore quadrato eie. (a) . Io chiuderò la presente notisia con una breve descrizione del- lo stesso volume , sul quale 1' effigie del Pontano è impressa. Era esso serbato nell'Archivio del soppresso monistero de' Padri Teati- ni di Napoli , detto di SS. Apostoli , celebre per le molte preziose memorie delle nostra storia civile , e letteraria , che conteneva , ivi ♦(•) Voi. 1. tab. 3a. tom. IL p. 83. edit. Aldinae. (a) Did, Antonius op^r^ Lxxxu Notizia di un ritrailo del P ontano raccolte specialmente dal P. Antonio Caracciolo , eruditissimo nella storia de' tempi di mezzo , e dal P. Francesco Bolvilo (i) . Fu quel volume comprato dopo la dispersione dell' Archivio dal nostro defunto amico Cav. Daniele , e da lui ceduto al Sig. Marchese Tacconi , la cui scelta Biblioteca forma ora per la mag- gior parte quella detta Municipale , ed eretta nel soppresso nio- nislcro di Monteoliveto , ove il volume medesimo oggi si conser- va . Sincrona n' è la ligalura , e fatta di tavolette coverte di cuo- io , sul quale v' ha taluni fregi di oro rosi in gran parte dal tem- po ; e dall'una e dall'altra parte in rilievo ve Jesi il medaglione del Pontano colla epigrafe del suo nome . Alla fine del libro vedesi scritta a mano 1' elegia di Girolamo Carbone diretta all' illustre medico , e filosofo Agostino Nifo di Sessa, e per la prima volta impressa negli opuscoli del Nifo me- desimo stampati in Venezia nel i555 da Pietro de Nicolis del Sa- bio ; nella quale trovansi conservati i nomi di quei celebri Ponta- niani, che, dopo la morte del Pontano, frequentarono la casa del Carbone . Ed a questa elegia mirasi nel citato esemplare apposta la seguente iscrizione : Àugustino Nipho medico Philosopho pri- mario Hier. Garbo . Elegia in anno i5a8. Dalle quali parole par- rebbe potersi ritrarre che nell'anno iSaS quella elegia fosse stata (i) /^. Vezzosi Scrittori Tea- Aragona di Gaspare Pellegrino tini Tom. \.p.\l\^. Tra' prezio- di Capua in l\.in pergamena del si manuscrilti appartenenti a secolo XV, citata dall' Origlia questo archivio, e dame veduti star, dello slud.di Napol.toni.I . presso i diversi possessori, che p. -ìIìi, diversi volumi originali nefec&ro Pacquislo dopo la sop- delle poesie del Cav. Marini con pressione del monistero , citerò correzioni di sua mano , un va- le Schede originali diFabioGior- lume dilettare , ^poesie di Tar- dano sulla storia della nostra quato Tasso elc.'etc Città, una Vita di Alfonso I. di di agostino Gervasio hxxiiii dettata ; ma il veder che in essa vi si ragiona come ancora vivente del Summonzio , il quale si sa esser morto nell' agosto del j5a6 (i) ci fa credere clie prima di questa epoca dovè l'elegia comporsi e forse verso il i5a5. E pare che alle guerre feroci tra Carlo V e Francesco I , le quali in quei tempi appunto laceravano miseramente l'Italia, in essa apertamente si alluda; oltre a che sembrando fer- visi pur menzione dei celebre marchese di Pescara Ferrante d'Ava- los come vivente , il quale si sa pure esser morto a' aq Novembre del \biS (a) , altro argomento ancora può indi desumersi per crederla scritta in quest' anno . (i) Ciò rilevasi dal suo te- stamento il cui transunto in pergamena l'autore delle annota- zione critiche su di una Pergame- na del monistero di S. Michele Ar- cangelo diiMontescaglioso p. 85. afferma conservarsi dagli E- stauritaij di S .^ grippino . Da una copia che ha di tal transun- to il Chiarissimo Cav.D. Miche- le Jrditi io so per notizia dallo stesso gentilmente comunicata- mi, che il testamento di Pietro Summonzio fu scritto a'i3 Jgo~ sto i5a6 ed aperto a' 22 del mese stesso, (2) Summont. Stor. di Napo- li tom. /i-p.^o. Edizione del 1643. STATUTI DELLA SOCIETÀ' PO N TANIA N A Art. 1. La Società Pontaniana si propone di coltivare le scien- ze e le lettere nella loro più grande estensione . Art. a. Essa è divisa in cinque classi ; 1 . Di Matematiche pure ed applicate . a. Di Scienze naturali . 3. Di Scienze morali ed economiche . [\. Di Storia . e Letteratura antica . 5. Di Storia , e Letteratura Italiana , e belle Arti . Art. 3. Ha un numero determinato di Socj dimoranti in Na- poli , che hanno il nome di residenti; e questo numero è di set- tantacinque . Ha inoltre un numero indeterminato di associati dimo- ranti nelle provincie del Regno , e fuori . I primi saranno detti non residenti , ed i secondi corrispondenti . Ed ha altresì un numero indeterminato di Socj onorarj scelti fra personaggi di merito emi- nente . I soli Socj residenti hanno il dritto del voto per le cariche . Art. 4' ^1' officiali che la dirigono sono: 1. Un Presidente . a. Un Vice Presidente . 3. Un Segretario perpetuo . 4- Un Tesoriere . Art. 5. Il Presidente fralle sue attribuzioni ha quella di accor- dar la parola a' Socj , che la dimandano , di conservar l'ordine nel- le adunanze, di differire le qin'stioni quando lo stimi a proposilo, di annunziare il risultamento de' voti , di nominare gì' individui clie comporranno le varie commissioni . Egli soscrive i diplomi Accade- mici , ed i processi verbali unitamente col Segretario . Statuii txxxv Art. 6. In caso di assenza , o di gravi occupazioni del Presi- dente, il Vice-Prcsidcntc è rivestito della stessa autorità. Art. 7. In assenza del Presidente , o del Vice- Presidente, uno de' Presidenti delie Classi , il più anziano , o in sua mancanza il Socio più anziano in ordine di nomina reggerà 1' adunanza . Art. 8. Il Segretario è incaricato della compilazione del proces- so verbale . Sarà obbligato ad annimziare con articolo necrologico la morte de' Sooj di qualunque classe , benché vi fosse chi volesse scriverne un più esteso elogio . Sottoscriverà dopo del Presidente gli atti della Società , le pa- tenti, il processo verbale, e qualunque altra carta, a cui appor- rà il suggello della Società , di cui e esclusivamente conservatore. Manterrà la corrispondenza co' Socj stranieri , ed assenti ed anche colle altre vSocietà , ed istituti letterarj . Sarà il conservatore de' registri , de' titoli , e di tutte le carte riguardanti la Società , e ne rimetterà in ogni semestre al Presi- dente un notamente da lui sottoscritto che verrà comunicato all'in- tera assemblea . Sarà incaricato della custodia della biblioteca , e dell' archivio. E finalmente farà un' analisi ragionata , coli' intervento dell'au- tore , di quelle memorie , che si stimano non potersi tutte intere inserire negli atti . Art. £). In caso di assenza del Segretario perpetno, il Segreta- rio di Classe più anziano ne farà le veci . Art. 10. Il Tesoriere è incaricato di tutti gl'interessi, e di tutte le spese della Società . Art. 11. La durata delle cariche di Presidente, di Vice-Presi- dente, di Tesoriere sarà di un anno. La nomina ne sarà fatta dal- la Società a maggioranza di voti. Potranno essere confermati per la prima volta col beneficio di due terzi de' voti de' Socj intervenuti, e successivamente ad unanimità di voti . Il Segretario eletto nello stesso modo , sarà perpetuo. LXXXTi Statuti Art. J2. Vi sarà un Consiglio di amministrazione composto dal Presidente o ( in caso di gravi occupazioni ) dal Vice-Presidente , dal iiegretario , e da due altri Socj che saranno nominati a mag- gioranza di voti . Il Tesoriere assisterà di dritto alle sue adunanze. Questo Consiglio per mezzo del Segretario perpetuo , e dopo aver- ne ottenuto r approvazione della Società , prescriverà al Tesoriere in ogni mese 1' uso da farsi dell' assegnamento del mese . 11 Teso- riere è obbligato a conformarvisi . Art. i3. Alla fine dell' anno il Tesoriere darà i suoi conti al Consiglio di Amministrazione , e dovrà documentare che il danaro si è per ogni mese erogato nel modo indicatogli. Art. \l\. Restano da ora definite le sole spese , alle quali pos- sa venir destinato 1' assegnamento mensuale della Società . Esse so- no comprese nello stato annesso al presente statuto . Art. i5. Ogni Classe sarà composta di quindici Socj residenti, ed avrà un Presidente ed un Segretario annuale , da eleggersi a plu- ralità di voti . Art. i6. Le nomine de' Socj residenti si faranno dalla Società intera in ogni caso di vacanza di un posto , nel modo seguente . La Classe a cui apparteneva il Socio defunto si unisce , e propone tre individui, che crede atti a succedergli. La Società per voti se- greti sceglie fra essi . Nel caso di parità di voti , questa sarà de- cisa dal Presidente della Classe, cui l'individuo appartiene. Nelle adunanze , in cui dovrà farsi 1' elezione di un nuovo So- cio residente , dovrà intervenire almeno un terzo degli altri Socj . Art. 17. Le memorie lette alla Società, che daMoro autori vogliono farsi inserire negli atti di essa , dovranno passarsi dal Se- gretario perpetuo al Presidente della Classe analoga , il quale de- stinerà due Commissarj per esaminarle, e darne il loro giudizio in iscritto. La Classe al numero almeno di due terzi de' suoi indivi- dui in vista di tal giudizio, ed inteso l'autore su' cambiamenti , che crederà proporgli, darà il suo parere se la memoria debba o no Statuti L.xxxvit inserirsi negli alti. La Società deciderà sul lapporlo della Classe, il cui sentimento non potrà esser rigettato senza il concorso de' Ire quarti de' Yoti dc'Socj intervenuti. Art. 18. Delie memorie approvale , la Società non guarentisco che 1' importanza , 1' utilità , e la novità , non lulte le opinioni o dottrine particolari degli autori : ne essa si rende punto garante di quelle memorie , che sieno stale semplicemente lette , e non sotto- poste alla sua aj)provazione . Art. 19. Sarà libero ad ogni Socio il L'gger.e nelle Adunanze delle memorie, 0 articoli , anche coli' intenzione di non destinarle ad essere esaminate ed inserite negli alti . Nel concorso si darà però la preferenza alla lettura di quelle memorie clic si destinano ad essere esaminate . Art. ao. Oltre alle memorie, sarà libero ad ogni Socio il pro- porre alla Società il piano di un'opera , alla quale egli si dedichi , o la riproduzione di un'opera già stampata, e domandar de' colla- Loratori . La Società sul rapporto della Classe corrispondente deci- derà se l'opera, che si propone, sia degna d'interessarla . Nel ca- so afTermativo , la Classe destinerà alcuni de' suoi Socj per colluho- ralori , e quando 1' opera sarà terminata , dopo essere stala esami- nata ed approvata dalla Classe , verrà stampata a spese ed a pro- fitto della Società , col cedersene solo gratuitamente un numero di copie determinato all'Autore ed a' suoi collaboratori. Art. ai. Le opere così stampate porteranno il nome dell'Au- tore nel frontespizio ; ma vi si esprimerà pure di essere egli stalo secondato da altri suoi colleglli per decisione della Società Ponta- niana , e che 1' opera è stata approvala dalla medesima . I nomi de' collaboratori dovranno rammentarsi onorevolmente in un avver- timento . Art. aa. In ogni anno una delle Classi della Società per or- dine proporrà un programma , col premio di una medaglia di oro del valore di cinquanta ducati. Le memorie che saranno rimesse, Lxxxviu Statuti verranno giudicate dalla Classe che ha proposto il programma sul rapporto di tre Censori , che il Presidente della Società desti- nerà fragli individui della Classe. Tutti gli uomini di lettere na- zionali o forestieri potranno concorrere , eccetto i soli Socj residen- ti Pontaniani . Art, a5. Le deliberazioni della Società si prenderanno a mag- gioranza di voti segreti per bussola . In caso di parità il voto del Presidente , o di chi ne fa le veci , deciderà la parità . Art. 34' li* Società si riunisce ordinariamente due volte al mese , e straordinariamente ogai volta che il bisogno lo richiede . tsxxix CATALOGO DE'SOCII PONTANIANI. PRESIDENTE DELLA SOCIETÀ S. E. IL Sic. Marchese TOMMASI, Segretario di Stato , Mini- stro DI Grazia e Giustizia , e degli Affari Ecclesiastici , E JIiNisTRo Cancelliere etc. etc. Vjce Presidente Cav. Matteo GALDI. Sbgretario perpetuo Francesco M. AVELLINO. SOCII RESIDENTI PER ORDINE DI ANZIANITÀ^. I. DI CESARE ( Giuseppe ) II. GAGLIARDO ( Gio. Batista ) IIL MONTICELLI ( Teodoro ) IV. CAGNAZZI ( Arcid. Luca di Samuele ) V. VENTIGNANO ( Duca di ) VI. RUGGIERO ( Luigi ) VII. TENORE ( ÌMichele ) Vili. PETRUCCI ( Alessandro ) iX. CASTALDI ( Giuseppe ) X. GERVASIO ( Agosliuo ) XI. CALDI ( Matteo ) Xll. AVELLINO ( Francesco M. ) Xin. SAVARESE ( Antonio ) XIV. SELVAGGI ( Gaspare ) XV. PICCINNI ( Domenico ) XVL SONNI ( Domenico ) XVll. DE ANGELIS ( Pietro ) XVm. COSTANZO ( Gen. Francesco ) XIX. NANULA ( Antonio ) XX. NAVARRA ( Pasquale ) XXL DE CONCILIIS ( Gennaro ) XXU. DE HORATIIS ( Cosmo ) XXIII. PUOTI ( Giammaria ) XXIV. PUOTI ( Marchese Basilio ) XXV. CARFORA ( Aniello M. ) XXVI. MIGLIETTA ( Antonio ) XXVII. BERIO ( March. Francesco M. ) XXVIII. DIANA ( Francesco ) XXIX. PUOTI ( Luca ) XXX. MELILLO ( Vito M. ) XXXI. AVENA ( Gio. Batista ) XXXII. LIBETTA ( Cons. Niccola ) XXXIII. DE RITIS ( Vincenzo ) XXXIV. DE LISO ( Tommaso ) XXXV. SCATIGNA ( Vito ) XXXVI. POSTIGLIONE ( Prospero ) XXXVII. FILIGLI MACDONALD ( Giacomo ) XXXVIU. LANCELLOTTI ( Francesco ) XXXIX. CARACCIOLO DI ARENA ( Cav. Francesco M. ) Xi. BUONSANTO ( Vito ) XLl. TUCGI ( Francesco Paolo ) XLll. FOLINEA ( Francesco ) XLlll. FILOMARINO ( Duca della Torre ) XLIV. GRIMALDI ( Raimondo ) XLV. MAROTTA ( Saverio ) XLVl. GUIDA ( Guido ) Xh\\\. MORRA ( Principe Goffredo ) XLVlll. MACRl^ ( Can. Michelangelo ) XLIX. SANTELLI ( Cons. Adamo ) L. GUIDI ( Filippo ) LI. MALESCI ( Pietro ) LU. ^'AZAR1 ( Ovidio ) LUI. GUARINI ( Raimondo ) LIV. BENCI ( Francesco ) LV. S. E. IL SIG. MARCHESE TOMMASI LVi. QUADRI ( Gio. Batista ) LMl. FUSCO ( Salvatore ) LVlll. CALLOTTI ( Salvatore ) LIX. QUARANTA ( Bernardo ) LX. GARGALLO MOINTALTO ( Marchese Tommaso ) LXl. SPERDUTI ( Gabriele ) LXll. GROSSI ( G. B. Gennaro ) LXlIi. PISCICELLI ( Col. Francesco ) LXIV. VISCONTI ( Col. Ferdinando ) LXV. FAZIO ( Giuliano ) LXVl. ROCCO ( Giulio ) LXVll. SANGIOVANNI ( Giosuè ) LXVIU. TONDI ( Matteo ) LXiX. LANZA ( Vincenzo ) LXX. GIAMPIETRO ( Francesco ) LXXl. SCOTTI ( Angelo Antonio ) LXXIl. GENOINO ( Giulio ) LXXlll. AMA^TE ( Fedele ) LXXIV. MONTRONE ( Marchese df ) LXXV. LAM PREDI ( Urbano ) SOGII NON RESIDENTI ARCUCCI ( Can. Gennaro ) BETTI ( Benedetto ) in Vasto BONGHI ( Onofrio ) in Lacera CASSITTO ( Gio. Ant. ) in Bonito CASSITTO ( Giulio ) in Lucerà CASSITTO ( Federico ) CICALA ( Barone Francesco Bernardino ) in Lecce COSTANTINI ( Avv. Costantino ) in Palermo FASANI ( Baldassarre Americo ) in Caserta FERRARA ( Pasquale ) in Traili FORLEO ( Leonardo Antonio ) in Francavilla GALIANO ( Bruno ) in Santamaria di Capua GATTI ( Serafino ) GIOVANE ( Arcip. Giuseppe M. ) in Molfetta GIUSTI ( Giovanni ) in Cosenza GRANO ( Mons. ) in Messina GUARINI ( Domeuicantonio ) in Mirabella GUIDI ( Giovambntista ) in Guardia Sanfvamondo LA PIRA ( Gaetano ) in Foggia DE LEONARDIS ( Sante ) in Jquila LIBERATORE ( Giuseppe ) in Jquila LOMBARDI ( Andrea ) in Potenza MARTUSCELLI ( Domenico ) MARUGJ ( Giovan Leonardo ) in Manduria MAZZACANE ( AL. Carlo ) in Cava MfCHELETTI ( Giovambalista ) in Jquila MOLLO ( Bar. Vincenzo ) in Cosenza MOÌSTEJASI ( Duca di ) in Taranto AIONTI ( P. Michelangelo ) in Palermo .MOSCHETTICI ( Cosmo ) in Martano NASCE ( Ab. Francesco ) in Palermo PALESE ( Michelangelo ) in Cancellara PAPADIA ( Baldassarre ) in Galatina PASQUALE ( Samuele ) in Lecce PELUSIO ( Domenico ) in Gernce PEPE ( Raffaele ) in Campobasso PESSOL.ANO ( Marco ) in Rioncro RESTA ( Raffaele ) in Tagliacozzo RIZZI ( Filippo ) in Jscèa nOMEO ( Sante ) in Palermo ROSAÌNO ( Francesco ) in Potenza DELLA ROVERE ( Antonino ) in Palermo SCIINA' ( Abate Domenico ) in Palei mo SCUDERI ( Salvadore ) in Catania TAFUnr ( Michele ) in Trani TEMPORE ( Domenico ) in Moliterno TOMEO ( Ferdinando ) TUPPUTÌ ( Riccardo ) VECCHI ( Can. Giustiniano ) iu Salerno SOCII CORRISPONDENTI ANTONMARCHI ( Prof. Francesco ) in Firenze AUBERT in Marsiglia BAUDUS , in Parigi BONSTETTEN , in Ginevra BOSSI ( Conte Luigi ) in Milano DE CANDOLLE, in Ginevra CLARAC ( Conte ) in Parigi COLECCHI ( Ottavio ) in Filna FATTORI ( Sante ) in Pavia FLAJANI ( Alessandro ) in Roma FLAJANI ( Gaetano ) in Roma GERGONNE ( I. D. ) in Nismes GIOJA ( Melcliiorre ) in Milano GIORDANI ( Pietro ) in Milano GUIDI ( Sebastiano ) in Limogcs HUBER , in Ginevra INGHIRAMI , in Firenze JURINE , in Ginevra LABUS ( Giovanni ) in Milano LUCAS , in Parigi LUPACCHINI ( Luigi ) in Foligno LUPI ( Pietro ) in Roma MAJ ( Ab. Angelo ) in Milano MALACARNE ( Gaetano ) in Padova MANCINI ( Cav. ) in Firenze MARTIN , in Marsiglia MATHIAS , in Londra MOLLET , in Lione RIONTI ( Cav. ^'incen^o ) in Milano MORICPIIM , in Roma MORIGI , in Pavia MUSTOXIDI ( Cav. Andrea ) in Venezia PAGGIOLI , in Roma PERTICARI ( Conte Giulio ) in Pesaro PETRACCIII ( Angelo ) in Milano PICTET ( Marco Augusto ) in Ginevra PLANA ( Giovanni ) in Torino PRELA', in Roma REYNIER ( Luigi ) in Losanna ROSMINI ( Cav. Carlo ) in Milano SCARPA ( Antonio ) in Pavia SCIIIASSI ( Can. Filippo ) in Bologna SCIIOENBERG ( I. I. Alb. ) in Copetiaga SCHUBART ( Bar. Ermanno ) in Livorno SISMONDI, in Ginevra SPADA , in Pietroburgo SPEDALIERI ( Arcangelo ) in Pavia VACCA' BERLINGIIIERI ( Andrea ) in Pavia VERMIGLIGLI ( Giovambalista ) in Perugia VOLPI ( Tommaso ) in Pavia ZACH ( Bar. ili ) in Genova SOCII ONORARI!. S. E. il Ten. gen. D. Diego Naselli Segretario di Stato, ctc. etc. S. E. R. Mons. Gravina jCapj'ellano maggiore CAMPOCIIIARO ( Duca di ) DELFICO (. Comm. Melchiorre ) PIAZZI ( Ab. Giuseppe ) POLI ( Coni. Giuseppe Saverio ) RICCI ( Cav. Angelo M. ) RICCIARDI ( Conte Francesco ) ROSINI ( Mons. Carlo ) VARGAS MACCIXJCCA ( Duca Tommaso ) WINSPEARE ( Davide ) ZURLO ( Co. Giuseppe ) SULLA Sx\TIJlA ANTICA E MODERNA OSSERVAZIONI D I PIETRO NAPOLI SIGNORELLf Lette neìle Adunanze de'2. Fehhrajo , de"ho Marzo , e de'-zc^ Guign o 1812. PARTE I. A. -LLORCHÈ l'uomo dal SUO primitivo stato isolato, scol- to dal bisogno , passò allo stato famigliare , più all' uma- nità analogo , e conoh])e i priniordj delle nazioni , i con- nubj certi , e un culto religioso , are , e boschi alla Di- vinità consacrando , e pii monumenti segnalando alla me- moria de' suoi simili trapassati \ allora 1' uomo respirar do- vette dal suo vagare , e fissando il proprio domicilio at- tender con agio ad assicurare i mezzi di sussistenza e con- sistenza a se ed alla famiglia . Fu allora che egli rivolse con maggior cura lo sguardo su gli oggetti della propria specie, T. in. ^ "' I 2 SiGNORELLI e notò con interesse particolare i rapporti, che ad essa l'a- nivano, le propensioni, le abitudini, gli eccessi, i difetti di ogni individuo , che al tutto o alle parti nuocer potesse o giovare , e di tutto quando rise , quando si adirò , e quan- do pietà lo prese . Fu allora clie passando dalla fatica al riposo , all' omljra assiso di ampio platano o di frondoso fag- gio , alla sponda di limpido ruscello, che mormorava, allet- tato dal frascheggiar delle piante e dal grato aleggiar de- gli augelli e dagli agili triUi e gorgheggi e volate delle lo- ro melodiose cantilene , godè momenti beati , si deliziò in tante bellezze della natura , ed a se stesso le ripetè e le comunicò a'vicini. Surse allora l'incantatrice armonia, che molce i cuori, che i costumi ingentilisce, che dà T anima alle cose, che ne son prive, quel mirabil lavoro che poscia in Grecia nome T^ìvese dì creazione , di fattura^ di Poesia, E perchè l'idea, che nascer potette , siccome un no- stro sommo tra' grandi filosofi sospettò , dal tonare inatte- so dall'alto , ovvero dal naturai pensiero di non doverle terrestri cose dal nulla o da se stesse prodursi , potè sug- gerire che le primizie del proprio ingegno debbonsi dall'uo- mo all'ignoto Ente Supremo, che agli- esseri tutti dà vita; quindi innanzi ad ogni altra specie di poeti provennero gh Orfici, che le proprie cantiche ad esso consacrarono. Cre- scendo intanto in mezzo a tali inni ed alle proprie con- templazioni ed a'iavori la specie umana già socievole, che conosceva le delizie dell'ingegno, la Poesia tentò discen- dere ad oggetti creati senza degradarsi :, ed in diverse spe- cie dividendosi secondo gli oggetti, che osservava , atte>c in Sl'LL:V SATIRA 3 un tempo a dilettare e ad istruir gli uomini . Ed ora la genealogia degli Dei, ossia gli attributi della Divinità per- sonificati disviluppando, partorì i versi di Esiodo j ora l'e- roiche conlese e le clamorose spedizioni in epico suono tra- mandò alla remota posterità mercè del gran cantore di Smir- ne 5 ora alle marittime intraprese volgendo gli sguardi ed i modi, narrò l'audacia felice degli Argonauti j orai più pro- di ed i più utili nazionali celebrò in lirici canti con Ste- sicoro , ed Alceo ^ ora alle palme colte nell' Olimpica are- na rivolse i canti sublimi ed i rapidi voli di Pindaro. ]Ma fiatante poetiche ricchezze , che la Grecia ne tras- mise , non si rinviene quel genere che noi più tardi co' La- tini chiamanuno Satira? Quel genere, che tutto zelo accor- rendo in soccorso della virtù, mentre colla poetica armo- nia alletta e rallegra , saetta e caccia in fuga i ridicoli e i viziosi dichiarati di lei nemici? O ch'io m'inganno, oche ciò , che con tal nome si segnala , non solo non fu a Gre- ci ignoto, ma da essi e non altronde a'moderni provenne, tutto clic oltre procedendo troveremo che Satb'ica Greca e SatiJ'axìon furono una cosa stessa nella Grecia e nel Lazio. SATIRICA GRECA. Supponendo col resto del mondo che Satira sia un rimprovero poetico scaghato contro del vizio e delle fol- lie umane , troviamo questo metrico lavoro pieno d' estro e di energia presso che in ogni genere di poesia greca fram- mischiato . Ma perchè questo vocabolo Satira si è par- 4 SlGNORELLI ticolarmente destinalo ad una specie di poesia apparentemen- te da' Greci non usata e da' Romani inventala ^ quindi è che Satira propriamente appellasi quel componimento e- spositivo , in cui favella il poeta non altrimenti che nell' e- pica e nella Urica poesia , ed a nome della virtù e del buon senno con amaro riso perseguita i vizj e le ridicolez- ze e quel gusto depravato, che le lettere deturpa. 31a que- sta guerra stessa , che fa la satira al cattivo gusto ed a'ne- mici della virtù , lungi dall' appartenere unicamente a' Ro- mani, incominciò indid)itatamente da' Greci , ed in tutta la poesia di quella ingegnosa nazione o indirettamente ser- peggia o di proposito trionfa. Forse nel cammino m'imbat- terò con tremendi avversar] j ma la storia ragionala mi at- llda , senza la quale ogni cicaleccio è nullo . I Greci ebbero la cosa senza indicarla con quel no- me , che fu certamente tutto romano . Tratti trovansene a buon dato ne' poemi di Omero, e non che nella guerra burlesca de' 7'o^i e delle Rane, enei Margite , ne'grandi poemi eroici l'Iliade e l'Odissea-, oche ci si presenti Ter- sile fra' veri Eroi j o che ne' giardini di Alcinoo canti De- modoco di Venere presa con Marte nella rete e dal Sole esposta allo scherno degh Dei col deluso zoppo marito j o che con Ajace contenda Ulisse per le armi di Achille , rim- proverandosi a vicenda con men che eroico trasporto ; o che i proci in Itaca signoreggino e gozzovigUno tiranneg- giando Telemaco e Penelope . Di grazia tutto ciò non in- segna a ferir giocondamente il vizio , l' orgogho , la viltà , le follie ? Or questa satira , che circola destramente in altri SULLA. SATIRA, 5 generi senza jM-ondcrno il nome , mi permelteiete che in que- ste Osservazioni io appelli ìnnuminala ^ per fiig^if^li equi- voci e j)er tlistinj^uerla dalia nominala , che vedreuio indi surla nel'Lazio , e cJie continuerà insino a noi. Notiamo in olire die quesiti speiie, a parlar dritto, non si rinvie- ne ne' soli indicali jìoenii , ma fin anco nelle meditazioni de' Greci filosofi. . E clii non la vede ne' salsi molleggi del cinico Sinopese Diogeiu- , ed inMenipiio, eMeleagro della slessa scuola, e neUo scorto riso di Deniociilo , enellein_ lerrogazioni ed islrutlive ironie di Socrate conservateci da Platone , tì ne' Caratteri di Tcofrasto di mille satiriche im- magini acconciamente ahhigliati, che non si dimenticheran- no , p(!r quant(j siensi lieliauiente imilati ed accrescimi e con moderni colori altinlati dal sagace la Bruycre'ì E che al- tro sono le così ì\.(d\.\.(ì favole del Frigio Esopo, oltre del- le Inihane di Pilj)ai , se non che satirici ritraili della m*- la umana disviluppala negl' immaginali colloqu; degli ani- mali , il cui giocondo salso artificio (e rivivere il rii)utato Casti di Montefiascone? E di quali armi se non che della satira innominata servironsi i greci huccolici nelle allerca- zioni de'loro pastori , e quando mordono , e quando eccita- no il riso, sì graziosamente imitati dal Pontaniano Azzio Sin((!ro wcW Arcadia e nelle celebri Eclo^hc pescatorie? Ed il giocondissimo Luciano di quante e quante grazie del- la satira innominata non arricchì tutte le piccanti saporose sue produzioni , non che la Tras^opodagra ed i Dialoghi dc'Murti'ì \\ chi ignora \ Psilli di Timone ed i molli \\[- Icsclii do' Sileni , Satiri, Papposilcni , ed Egipani ? 6 SlGNORELLl E se è ciò come noi diciamo, può mai lusingarsi di narlar con intelligenza della satira, e di conoscerne ogni finezza , e di distinguere ciò che appartiensi alle generali pas- sioni umane, ed a'costumi locali , colui che de'Greci nulla curando prendesse a favellare di poco più di mezza doz- zina di satirici , moderni tutti , e non avvertisse che la sa- tira innominata fu l'anima del teatro, cominciando da'Greci? E chi mai meglio de'Greci congiunse il diletto al di- scorso? Chi meglio riprese eccitando il riso? Ponghiamo da parte quanto dicemmo , e volgiamoci a tutta la poesia rappresentativa de' Greci . Gli Ateniesi si valsero de' loro antichi tragici per ispirare orrore per la tirannide e di- pignere con neri colori e con satirico fiele gli eccessi e Ife atrocità de' despoti , e singolarmente della prosapia di Pelope . Né questo avvenne soltanto nel tempo , che la tragedia trovossi alla commedia congiunta, ma eziandio do- po che Tespi le separò . I tragici , che appresso fioriro- no, continuarono ad arricchirsi ne'poemi di Omero tanta con tirarne gli argomenti , quanto con apprenderne l'arte , ond'egli avvihr seppe tutto ciò , che non era virtù e pro- dezza 5 se non che convertirono in drammatica imitazione ciò che nel gran padre de'poeti fu eroica narrazione. Con tal disegno da Pralina in poi scrissero i greci tragici , tra' quaU spiccò l'amico di Socrate, che con amara satira inveì singolarmente contra gli eccessi e le nefande debolezze e gU enormi defitti di Cfitennestra , di Pasifae , di Stenobea, di Fedra 5 di che alcune pennellate maestrevofi possono ve- dersi nelle invettive d'Jppofito contro del sesso, che detestava. SULLA SATIRA 7 Oltre a questo , iiou ignorano anche 1 fanciulli , che i Greci nel concorrere alla corona tragica ne' certami ri- chiedevano nelle tetralogie alle favole pienamente tragi- che unito un dramma Satirico^ il quale sebbene ad un' azione di personaggi eroici mescolava scherzevoli motteggi proprj del corteggio di Bacco, agitava non per tanto lo spet- tatore col pericolo di un Eroe , e diveniva indi giocondo per l'esito lieto per lui, e funesto pel personaggio odioso avviUto e castigato , onde simil favola prendeva il nome ; siccome apparisce da 'diversi titoli, che ce ne rimangono, di Litiersa , Autonoe , Autolieo , Busiri . Fortunatamente di tante, che ne sono perite, ne rimane un esempio intero nel Ciclope di Euripide , che dimostra ad evidenza quanto lon- tane sieno si.Tatte favole satiriche greche dalle informi la- gj^imose, AÌirmenù. àaile sentimentali ^ e di'ammi de 'mo- derni , cui deplorabilmente le assomigliò certo anonimo . L'innominata satira greca trionfò particolarmente nel- la gran contesa surta in Grecia tra' poeti comici e tragici . Non sj tosto si bandì dalla tragedia ogni scoria comica, che l'umihava , e ne impediva reflTetto doloroso , a cui tendeva , che i comici rigettali aspirarono a vendicarsene doppiamen- te e col tirare al proprio spettacolo il concorso , e coU'ab- bassaregli emuli, indicandone con amarezza le imperfezioni; 0 dell'uno e dell'altro intento vennero a capo unicamente colle armi invincibili della satira innominata . Eupoli, Gra- tino, Aristofane col ridicolo più penetrante e coli' amarez- za più artificiosa esposero alla berHna , con argomenti trat- ti uon da un poeta aaleriorc, ma dalla vasiilà della na- O SiGNORELLT tura che sola suggerisce nuove invenzioni , ed in vece del- la compassione e del terrore , mezzi posti in opera da' tra- gici, essi derisero e saettarono gajamente le umane follie. Di maniera che chiunque ambisse riescire nella satira , non vincerà mai la propria sterilità , se non si studj di fecon- dare r immaginazione co' materiali satirici delle favole di Aristofane, giacché di tutto il tesoro della greca commedia , detta antica e satirica ed allegorica , non ci rimangono, come è noto , che le di lui undici favole sfuggite alla su- perstiziosa ignoranza ed alla rapacità del tempo . Questo Ateniese versa a larga mano tratti vivaci della satira gre- ca onde abbondano gli Uccelli^ le Vespe , le Rane , le Nuvole etc. Egli dipigne col colorito di Tiziano, e coU'es- pressione di Ralfaello , ma colla piacevolezza comica tutta sua , le laidezze de' libertini , le follie de 'prodighi , l'insa- ziabilità degli avari , la rapacità de' ladroni del pubblico te- soro, i falsar], i sicarj , i sicofanti, gli avvelenatori, i parasiti , i falsi letterati, i finti bravi , tutta in sommala farragine , clie Giovenale racchiuse nel suo libro . Ora , il- lustri Colleglli , si occupa di altro la satira latina e la mo- derna nominata , se non di ciò che da venti secoli in die- tro presentò all' Asia e all'Europa l'innominata de'Greci? A trattar dunque solidamente della satira , comincisi donde conviensi , cioè da'Greci , donde cominciò V istesso Orazio , essendone essi stati i più destri artefici e i modelfi originali. Né si speri senza iì loro soccorso che nel deci- mo anno dèi secolo XIX possa chicchessia favellar dritto" della satira , ed insegnare ciò , che non cominciò ad'appren- SULLA SATIRA Q dere da' greci maestri . No , per quanto ampollose siensi l'espressioni degli ultimi venuti, noi non ricorreremo a chi le accozza vanamente per imparar da essi ad accoppiare il ragionare al gusto. I Greci duemila anni fa l' insegnarono , ed i Latini da circa diciotto secoli , ed i moderni Europei" e dagli uni e dagli altri l'appresero e praticarono almeno da tre secoli . Le Muse dunque non tardi , ma ben per tempo istruirono la nazione di Omero e di Pindaro, e r addestrarono a maneggiar la satira. E da chi abbiamo noi imparato ad usar la Parodia, clie tanto bene schernisce la vaniltà de' cantafavole di Elicona? Per essa i comici gre- ci umiliarono i tragici , e motteggiarono su i versi lo- ro , rendendoli ridicoli e nulli con poche artificiose altera- zioni , Or non fu questa fina operazione del gusto illumi- nato , che ispirò prima di ogni altro i Greci ? Lo spirito adunque della satira ci si comunicò dalla vecchia com- media . E quando al coro di questa la legge impose per- petuo silenzio , le succedette la mezzana , e la satira in- nominata spiegovvi ugualmente i suoi arlificj, colla sola dif- ferenza che la vecchia satireggiava i viventi, e la mezza- na i tragici trapassati , come appare dall' Eolosìconc di Gratino e da' preziosi franmienti di Alesside . IN' è la com- media nuova, onde la moderna è derivata , mancò di sif- fatti colpi satirici . Essi anzi divennero più accetti , perchi afferrati destramente nel contemplar la vastità della natura e nel rilevarla con arte più fina. Imperocché è ben più dif- ftcile ridurre ad un carattere poetico , come chiamollo il gran A'ico, im ceto intero inil>raltato della medesima br.ut- T. TU. . 3 IO SiGNORELLI lezza , e restringere lu un individuo ideato i tratti sparsi jier tutta la specie, che esporre alla pubblica irrisione un sol personaggio reale . Così Menandro , i Filemoni , gli x'Vpol- lodori , de' quali rimangonci di bei frammenti , e le imitazio- ni libere per lo più , che ne fecero i migliori comici lati- ni , divennero posteriormente maestri del ridicolo e della sa- tira nell'ultima specie di commedia . Ecco dove è riposto il gran segreto di unire il ragio- namento al piacere , e dove con tutta l'arte e tutto il gu- sto trovasi congiunta la filosofìa alla satira più vaga , ancor- ché innominata . I Greci /lunque da che scagliaronsi ne'villaggi dell'At- tica frizzi pungenti, ed inventarono la satirica e la dramma- tica , unirono in tutta la poesia II discorso al diletto, sa- tireggiarono giocondamente , fecero multare i Cleoni , dileg- giandoli j ed insegnarono ad accoppiar la morale eia piace- volezza alle nazioni, che bevettero ne' loro fonti, tostochè ne appresero II hnguaggio . Soffrite, Colleghi pregevoli, che Io passi ad osservare in qual maniera questa satira Innominata continuò il suo la- voro in Roma , e preso poscia un nome a se proprio , fé co- là impallidire i Lupi e i Metelli , e quindi a noi pervenne. SATIRA LATINA Ma quando avremo da' Greci appreso a rinvenir del- le passioni le sorgenti , a rilevarne gli eccessi , ed a morder- le gajamente sulla scena , o per mezzo della satira, baste- SULLA SATIRA II rà a' nostri coetanei per lutto comprendere il diffìcile me- stiere di satireggiar con garbo e robustezza? Io credo che j moderni ingegni debbono studiarsi di trarre vaiita^gio da lutti quelli , che gli precedettero . Vederne una parte ed ar- restarsi a mezzo del cammino è negligenza, che si paga col cadere nella ridevole presunzione di vendersi per iscoprito- ri e maestri di ciò , clie altri prima e meglio osservò e scris- se . D.opo la greca scuola non dee trascurarsi lo studio ac- curato de' Latini . Vero è che Roma vincitrice da'vinti Gre- ci imparò \ ma non si contentò di una servile arida imita- zione ;, e passando ad emularli lasciò molto da appren- dere a chi venne dopo 5 pregio conseguente e necessario es- sendo di chi studia . gli originali V essere a vicenda stu- diato e divenir parimente alla posterità originale. Roma si da' Greci non trascrisse, che rinunciata tutta loro avesse la • facoltà di pensar per lei . IVè Lucrezio si spaventò a' la- vori di Empedocle e di Parmenide , e si astenne di trat- tare inversi della natura delle cose r^ né per quelU di Stesi- coro , Alceo, e Pindaro si scoraggiò Orazio ed abbandonò la lirica o entusiastica carriera ; né Omero trattenne il Volo di Maronc,che lo spinse a dar fiato alla tromba degli Eroi. Per riescir nella satira, dopo la satiricar greca, fa mestieri corioscere i progressi e le ricchezze de' Latini, che pur tan- te volle diverse furono dalle greche per l' alterazione de'go- verni e de'còstumì ^ e rpiesta osservazione accompagnarci dee nelle nazioni moderne, che di mano in mano vanno acim- stando iiuoaì tesovi , se vogliamo di esse giudicare . e scgmr e 1 . , • ,•'.,. i • 't P.3. ■nit.> con londametito: le tra'tcc . 12 SlGNORELH Fecondala adunque la fantasia colle originali immagini greche, se si brami che l'arte ringiovinisca , bisogna ren- dersi similmente famigliari i Latini, che gli emularono. Es- si da" preziosi vetusti semi della satirica greca presero i ma- teriali per arricchire di nuove pompose fogge la satira , che senza esempio fralle loro terre inventarono , e che la Gre- cia stessa né maneggiò né conobbe • Vediamo intanto per quali vie le greche idee satiriche si trasfusero nel poema de 'Romani , che di satira prese il nome . Darà sempre barcollando incerti passi su tal poema clii da Gratino ed Eupoli saltasse a giudicar di Orazio e di Per- sio . Non saprà mai concepire come ad un tratto nacque il modo di satireggiar di questi poeti cotanto da que'Gre- ci diverso . Risalir vuoisi alle prime tracce della satira ro- mana , vedersene le mire primitive , sapersi come e perchè se ne dilungò . Grande spazio rimane a valicare prima di approssimarsi ad investigare lo spirito della satira Orazia- na . Imploro la vostra pazienza a tollerarne alcuni poclii cenni, tratti da'poeti ed istorici, che incatenano insensibil- mente r origine co' progressi . Roma non conosceva i Greci, ed ebbe Fauni e Satiri, ed infantò rozzi numeri Saturnj e versi Fescennini , i qua- li , prima di qui sapersi le villesche contese dell' Attica , sursero dalle stesse vetuste idee , Ozio e Giuoco , prive di arte e di esempio. Quel canto Saturnio con ritmo sen- za metro dinota la natura discinta, non ammaestrata 5 la li- bertà Fescennina , cui diede Fescennia il nome , produsse carmi ed akercazioni metriche scambievoli , ma tuttavia in* srLtA SATIRA l3 condite e villerecce . Queste prime orditure romane si chia- merebbero nella lingua di Aristotile schcdiasmata (im\iroV' visanienti ) e foriere son da dirsi della satira de' Romani . Lancia van.'i que' villani al pari di quelli d'Icaria, e de' no- stri moderni vendemmiatori, rustiche ingiurie e giocosi mot- teggi a vicenda. Girono però a tal segno crescendo, efe- si amare innoltrandosi divennero , che lo scherno cambios- si in rabbia (i) , e la legge lo represse (2). La venuta de* Liidioni dall' Etruria , che senza rappresentazione saltavano al suon del flauto, fece bandire i versi Fescennini, e na- scere la satira animata dalla musica verso l' anno 3go del- la fondazione di Roma mentre grave pestilenza la travaglia- va (3). Questa satira consistette , secondo che osservò Ma- rio Vittorino (/j) in motti giullareschi, che profferivansi a ca- so nelle solennità romane . Fu questa li prima satira la- tina che potè cliiamarsi poema di miotti buffoneschi scaglia- ti a vicenda al par de' Fescennini . Ma questa prima satira precedette le favole sceniche greche , le quali non si conobbero in Roma se non dall' ar- (1) Vi rammento 1' epistola (a) Le leggi decemvirali con- 1 del libro II di Or.izio ; dannavano alla morte clii scrivea Lusit amabililer ^ doìiec jiim versi che altrui recavano infamia : sctevus apeiiani Si qui pipalo occentassit car- ili niùiein verti coepil jocus , menve conclissit, quod infamiam et per honestas faxit , flagitiumve alteri , fa- Ire domos impune minax; do- sta ferito . luere cruento (5) Tito Livio nel VII libro. Dente Incessiti . / (4) De ntetris liì>. IV. •4 SlGNORELLl rivo del scmigreco Livio Andronico, eco) diletto machie- re che recarono alienarono i Romani dalla loro satira. Ma poiché Livio divenuto roco , per avere, a richiesta degli Spettatori , replicati troppo i suoi versi , si riserbò poscia la sola espressione di queìK col gesto, lasciando agli atto- ri la cura di cantarli 5 la gioventù romana richiamò di bel nuovo sulla scena gli scherzi delle prime satire , e le con- giunse colle favole drammatiche e particolarmente colle A- tellane . F- quest' altra novità scenica si continuò con gli E- sodj , cioè con digressioni , ovvero uscite , siccome in se- guilo le satire si nominarono (1). Ecco donde provenne che le At^Uane degli Osci cominciarono in Roma a chiamarsi satiriche: Ecco perchè Valerio Massimo affermò che le x\tel- lane temperate vennero àAVitalica severità , cioè da certa sobrietà morale de^paesi non osci , che si unì a'giocosl mot- ti del Macco personaggio Atellauo ridicolo . Era , è vero , 1 Esodiario scherzevole , ma loWano dall' oscenità per es- sere stato moderato colla severità itahca ^ e servì colle Atel- •lane a rallegrar l'uditorio, ed a rasciugar le lagrime prodot- te dalle passioni tragiche . A questa satira , clie comunicò alle Atellane in Ro- ma l'aggiunto di satiriche ^ venne dietro la satira Enniana. Quinto Ennio , il quale' ci appartiene come semigreco na- to in Rudia, contribuì il primo a disviluppar la satira roma- (1) Cosi Livio si espresse: quae deinde Exodia postea ap- Juventus more antiquo ridicula pellaia, consevtaqiie potissiniuin intexta verbis jaciità're coepit , Jabellis Alelianis sunt . SULLA. SATIRA l5 na 5 ed è dovere de' posteri il rammentarne i passi . Dio- mede (i) aflerniò che il poema composto di varj argomen- ti chiamato satirico si coltivò da Ennio ( io lascio Pacuvlo di cui nulla di satirico ci resta.) del quale contansl quat- tro libri di salire^ e da' suoi frammenti apparisce che la sua satira fu apjnxnto quale Diomede l'enunciò, una mescolan- za, di versi di vario metro . Del satireggiar di Ennio leg- gcsi in Quinlihano qualche traccia . Siccome Prodico ( e- gli dice ) della Voluttà e della Virtù finse i person aggi , come Senofonte 7'appo7Ì,a , così Ennio personifco la Mor^ te e la Vita nelle Satire facendole tra loro altercare (2). E sebbene simili personaggi allegorici potè quell'erudito semi- greco trarre da' drammatici greci , e singolarmente da Ari- stofane, che nt^K Nuvole introduce ad ariugare il Torto ed il Dritto j pure egli sepjje dalla drammatica trasportarli al- la poesia satirica , clie voi ben sapete esser diegematica , o vogUam dire esposiliva , narrativa. Traggo da' suoi fram- menti uno o due squarci , che oso presentarvi con mie ver- sioni , apponendone in note gli originali . Verte il primo su di un argomento antichissimo , sulla civetteria comunale delle donne , Dice Ennio : La civettuola simile a. una palla Battuta in coro a' giocator comune , L' un ne' suoi lacci tiene: a un altro accenna: Stringe a questo la mano : a quello il piede Preme di furto : ad osservare a un altro (1) Nel III libro, (2) Uh. IX cap. a. l6 SiGNORELII Porge V anello: con vezzoso cenno Delle lahhra altri invita : canticchiando Scherza con altri , e colle dita intanto Lettere forma ^ e tacita favella (i) . Inseguisce nell'altro gl'impostori indovini . Mostra En- nio contro di loro tutto il disprezzo (2) : Gli Auguri Marsi io non appj^ezzo un frullo , Non gli Aruspici^ o Sti^olagki di piazza , Non gl'Indovini d'Iside e i fallaci Interpetri de' sogni . Arte né scienza Non han costor che a presagirle insegni : Superstiziosi vati , aggiratori Sfacciati , inerti , insani , di miseria Schiavi , inventando van finte avventuT'e Per proprio lucra. Del sentiero ignari (1) Yeggansi i fiaramcnli Trovo di tal frammento Eu- Enniani dal verso 627. iiiano una Leila imlla-^tione fatta. Quasi in choro pila ladcns da Plauto nell'atto IV dell' A si- . Datatim dal se se , et com- iiaria : viunem facit . Ncque iliaco idli pcde pedein Alium tenel , alii nutat , a/i- homini premat , hi manus C uni sui gai; ncque in le cium Est occupata , alii pervellit inscendat proximum ; pedein , Ncque cum descendat , inde Alii dat annulum spectan- del cuiquam inanum ; dum , a labris Spectanduin ne cui annulum Alium invocai, cum alio can- del , ncque roget . ■al , et tamen (a) Ecco i versi di Ennio : ^lii dat digito lileras , SVLLk SATIRA 17 Per se medesmi , altrui guida si fanno: E mentre di due soldi vanno in busca , Promettono tesori e mari e monti . Ma oitengan pure que' due soldi, il resto Di que' tesori cedon di buon grado. Da (jueste tracce di satira indipendente dalle rappre- sentazioni Atellane, ed altre favole sceniche, che alla satira si congiungevano, cliiaro si deduce che la satira Enniana discordò dall' antica latina (i) . Diverse fiate i Romani nel maneggiar la satira varia- rono sistema , Dall'Enniana, che mescolò differenti metri , si passò a far uso promiscuamente del verso e della prosa. Tale fu la satira di Marco Terenzio Varrone. Seguì questo dottissimo Romano le tracce di Ennio , benché nato fosse anni trentuno dopo Cajo Lucilio . La differenza che si nota fra Ennio e Varrone , è che il Rudio variava i metri motteg- Non habeo denique nauci suscitant sententias ; Marsum augurem , Qui semitam non sapiunt , Non vicanos haruspices, non alteri monstrant viam ; de circo astrologos , Quibus divitias pollicentuv , Non Isiacos conjectores, non ab iis drachmam petunt ; interpretes somnium ; De divitiis deducant drach- Non enini ìi sunt aut scien- mam , reddunt celerà . tia aut arte divini; (i) Prisciano nel libro VI Sed superstitiosi vates , im- cita un Atellanario per nome Lii- pudentesque haiioli , ciò Pomponio . Isacco Casaubon ^ut inertes , aut insanì, aut riferisce questo Pomponio alla sa- quibus egestas impelUt : tira che precedette l' Enniana. Qui sui quaestus caussafictns T. UT. 3 l8 SiGNORELLI glando , ma seiìipre verseggiava j ed il Romano alternò versi eccellenti eduna prosa non meno pregevole, la serietà mo- rale coll'ilarità degli scherzi , la piacevolezza colla filosofia, vale a dire che diciolto secoli prima di noi seppe unire il ragionavicnto col piacere , Quintiliano , malgrado di sif- fatta mescolanza di prosa e di versi , non si astenne di col- locar Varrone con Empedocle e Lucrezio. Diede Marco al- la sua satira il nome di Menippea dal greco cinico Me- nippo j non perchè a lui la dovesse, ma perchè ne seguì la giocondità. Del i-esto se ce ne attengliiamo a ciò che Dio- gene Laerzio ed Ateneo ne dicono , Menippo non iscrisse satire , nò i di lui opuscoli ne portarono il nome. Anche nel mescolar la prosa co'versi Varrone se ne discostò ^ per- chè laddove Menippo ne'suol discorsi inserì versi non suoi, quando tolti da'tragici , e quando da Omero , facendo una specie di centone ^ Varrone alla propria prosa accoppiò prc- prj versi , qualora abbisognava di espressione o più vibra- ta , o più armonica , o più ornata. Diversa fu dunque la satira di Varrone da' dialoghi e dall'epistole di Menippo. Ot- timi Colleglli , voi avrete preso in grado che in vece di pro- ferire il solo nome di Varrone , ne abbia detta alcuna cosa di più con la scorta degli antichi . Aggiugnerò con ugual fiducia, che seguirono la satira Varroniana Lucio Anneo Seneca contra l'imperatore Claudio^ colui che prese il no- me di Petronio Arbitro nel Satiricon -, Marciano Cappella ne' libri dove abbracciò l'enciclopedia 5 Boezio sulla Conso- lazione 5 i quali scrittori , qual più qual meno emulando Varrone , congiunsero alla gravità della filosofia più sobria l'amenità delle muse più galanti . SI'LLA SATlnA iq Allontanossl dall' Enniana la satira, die dopo Varrcno si coUiyò e si lipulò la più pregiata de' latini. Diomede , che avea chiamata l'antica f>:ilh;i ìàùnai poema cor7iposto dì raH poemi,, vomc l'Enniaiia, diffinì quest'altra cosi :» Un >j poema maledico flilto per tacciare i vizj degli uomini sul- ■» lo stile della commedia vecchia , il quale scrissero Lucilio , ■» Orazio, e Persio. "Siamo pervenuti alla satira, che si mo- dellò, sulla satirica greca, e si chiamò LuciUana . Lucilio dunque non fu l'autor primiero della satira ro- mana , ma sì bene inventore di una satira propria, che dal- l' Enniana si dipartì , e cominciò ad usar nello stile la licen- za della vecchia commedia ateniese 5 ed è perciò che Quin- tiUano attribuì a Cajo Lucilio la prima palma in siffatto ge- nere. Ennio , come si è detto , adoperò varj metri in un me- desimo componimento:^ Lucilio non cangiò metro in ognu- no, ma in alcuni usò il verso eroico , in altri il giambico, benché qualche altro pur se ne trova ne'suoi frammenti ver- . seggiato parte con giambici e parte con eroici . Vedesi ancora un'altra differenza nella satira Luciliana per la mate- ria e per la guisa di maneggiarla. Entrambi sparsero ne'com- ponimenti che produssero la dottrina de' costumi fulmitìan- do i vizj ; ma Lucilio più avvicinandosi a' comici atenie- si coperse di maggior ridicolo i viziosi prepotenti del suo tempo, nominandoli con signorile ardimento al pari di i^ii- stofane senza ribrezzo. VI è chi ha voluto ninna sua scrit- ta mentovare Lucilio senza nulla particolarcggiare 5 e pure sarebbe questo esame senza altro a lui stato utile per co- noscere e toccar con mano l'influenza de' Greci sulla sali- 20 SiGNORELLi ra latina . Noi ce ne consoliamo con ciò , che ne dissero Quintiliano , Orazio , Persio , Plinio , Giovenale , e singolar- mente co' di lui frammenci . Colui dunque, che conosce l' an- tica commedia greca , comprende lo spirito della satira Lu- ciliana . Il suo stile non è lontano dal comico. Sfugge Lu- cilio ogni studio ed al popolo si adatta , ond'è che Orazio, che ne seguì le orme , chiama le satire musa pedestre , ed anche sermoni , e da ciò può considerarsi per una stranez- za il distinguere il sermone dalla satira usata dagli antichi. Notano ancora i gr amatici che Lucilio sovente interpone greche voci alle latine (i) , ed Orazio ne '1 riprese . Anton Maria Salvini però da questa censura lo difende in una no- ta apposta alla traduzione dell' opera sulla Satira del Ca- saubon , allegando un esempio di Terenzio , ed altri de! quarto libro di Lucrezio . LuciHo ( dice l' istesso Salvini ) adoprò quelle greche voci , perchè i Romani solevano in- serirle ne' loro coUoquj famigliari ', e Lucilio , per rende- re evidente la sua satirica imitazione , ne fece uso acconcia- mente (2) . Lucilio , oltre alle circostanze della Repub- blica del suo tempo , ed all' imitazione , a cui lo condu- ceva r esempio de* vecchi comici , di nominare Tubulo 5 (1) Eccone un esempio che X«« . .... Graece ergo Praetor (a) Conferma 1' avviso del Athenis Salvini il morso satirico di Gio- Id quod maluisti , te , quum venale contro de' Romani , de' ad me accedi^ , saluto quali dice , Concumbunt graece. SULLA SATIRA 21 Lupo f Carbone , viventi , era dal proprio bel cuore ti- rato ad insinuare con efiusione e trasporto la morale e la probità , ed a ferire con motteggi coloro che seguivano Q cammin torto . Eccone un frammento : Ben è virili della dovuta lode Non defraudar quel che onorar si deve ; Ahhorrir V empietà co' suoi seguaci , Difender la virtù con chi V adora , Questa esaltar, questa aver cara, amica. Sia poi primo dover V amor di Patria^ De' genitori appresso , il proprio in fine .... Oggi al contrario , spunti o cada il Sole , Sia dì festivo , o alla fatica sacro , Tutto quant' è , pel foro e i Padri e il Popolo Dondolando si van , né cessan mai. Solo un pensier , solo uno studio han tutti , Un' arte sola : dar parole altrui , Con inganni pugnar , per onesto uomo Vender se stesso , con melati modi Tessere insidie , tutti a tutti guerra Far da fieri nemici . i2 vero io narro j AW amico io non son di mentir uso (i). (i) Leggasi nella lingua di hominumque morumque malo- Lucilio questa bella dipintura de' rum , Romani del suo tempo ; Cantra defensorem homìnum- Viitus id dare quod reipsa que morumque honorum , debetur honori , Magnificare hos , his bene Hostem ess9 atque inimicum velie , his vigere amicum : 22 SlONORELLI Orazio cliiama fangoso lo stile di Lucilio , né potre- mo noi al delicato gusto di lui nulla opporre , che ci de- termini a discordarne . Ciò però non farà che di buon gra- do non si ammiri l'ingegno Luciliano , che seppe si bene adoperare in un poema tutto romano la satirica degli Ate- niesi, e quella singolarmente della commedia vecchia assai più ardita , e colorirla alla romana . E perchè la critica si appiglierebbe all' eccezione del suo imitatore Orazio , che de' pregi di lui mostrino gì' ingrati posteri sì alta non cu- ranza ? Perchè non si ripeterà con Quintiliano , che Lu- cilio inventò felicemente un genere di satira , che Orazio poi coltivò? E quando un'arte uscì di getto perfetta dal- le mani di chi V inventò ? Quel sommo critico e retore si oppone a coloro che preferivano Lucilio , non che a qua- lunque satirico , a' poeti tutti del suo tempo ^ ma ben lo difende dal critico rigore di Orazio . Discordo io , dice ., da costoro , non meno che da Orazio , il quale stimò la. poesia di Lucilio scorrere limacciosa , e contenere alcune cose ^ che dovrehhero sopprimersi -^ imperocché Commoda praeierea Patriae libi prima putave , Deinde Parentum , tertia jam poslremaque nostra ■ Nane vero a mane ad no- etem jesto atque profesio , Totus item pariterque die Po- pulusque Patresque Jactare indù foro se omnes , decedere nusquam . Uni se atque eidem studio omnes dedci'e et arti: Verha dare ut caute possint, pugnare dolose , Blandilia certare , bonum si- mulare virum se , Insidias facere , ut si hos'es sint omnibus omnes .... Uomini amico et familiari non est mcntiri meum . SULLA. SATIRA 23 io vi scorgo ej^udizione mirabile , coraggiosa liherià , acez-bità , e copia dì sale (i). Quindi è che Giovenale ben compiendeva l'impelo generoso di Lucilio, e gli attribui- va il vanto di coprir di vergogna gli ascoltatori non inno- cui , allorché tutto di zelo ardendo si scaglia contro i cri- minosi . Quoties Lucilius ardens Infremuil , rubct auditor cui frigida mens est Criminibus , tacita sudant praccordia culpa (2) . La conoscenza alquanto circostanziata della satira Luci- liana ne mena agevolmente ad alzare il velo a' dilicati mi- steri dell'Oraziana, che l'antichità ci ha tramandata ne'libri delle satire e dell' epistole del sommo Urico latino . Sen- za tener dietro a taluno che s'inlalentò di formar groppi dentro una nuvola di Orazio , di Persio e di Alfieri, noi scansando simili salti mortali spiccati per sorprendere, par- leremo di Orazio , indi de' Latini che lo seguirono , e ci volgeremo poscia a tempi a noi vicini , scendendo non precipitando . Orazio Fiacco , precorso da Lucilio , ne seguì la traccia e ne migliorò 1' arte . Non lo vinse J" invenzione , ma Io sorpassò per artificio , per colorito, e per piacevolezza. Dal- ie mani di lui ricevè la satira imperiosa , brusca, orridetta anzi che no ; ma la ripulì , ìa rendè cortigiana , le diede un sembiante più ilare, e ne cangiò l'amarore in sale, eie villanie in facezie . Ma quando ciò avvenne ? Dopo che la (i) Llb. X cap. I. (2) Lib. I. Sai. 1,. a4 SrcvoRELLi dittatura di Giulio Cesare, le guerre più che civili di Ro ma , e l'atroce Triumvirato ebbe posto sulla fronte di Ot- taviano Augusto l'alloro imperiale , fregiato di tutte le pote- stà consolare , tribunizia , pontificia , e censoria . Allora i padri dal formar decreti erano passati a riceverli dal centro del potere , e gli emuli repubblicani trasformati si videro in cortigiani . Roma , perduta ogni idea d' indipendenza , mirò con certa indifferenza il foro ed il Senato , e con rispetto , quando non con timore , una reggia magnifica che i neri colori del vizio lùcoperse di raggi di coltura e di avvenen- za . Sbucò allora dal suo recinto una specie di ridicolo non più usitalo . I costumi ammolliti divennero più manierati e più proprj della novella politezza, e la caccia che dar so- lcasi alle folhe ed a'vizj , dovè farsi intorno alle tane, dove ricoveravansi , e per ismacchiarneli convenne usar di una nuova destrezza per ferire , fingendosi il feritore ad altro in- tento . Non era più tempo di far cadere sulle prede pesan- ti colpi di nodoso bastone in un campo renduto già gra- to alla vista e illeggiadrito dalle Muse corteggiale da Maro- ne Ovidio e Tibullo e da Vario e Tucca e Mecenate e dal- l' istesso Augusto. Ci volea un filosofo dotalo di tanJa candi- dezza e probità , quanta ancor se ne ammira ne' frammenti Lucillani, ma che sapesse coprir gU acuti strali della sati- ra e ridendo dirigerli felicemente allo scopo. Ci voleva Ora- zio Fiacco filosofo e settatore di Epicuro, che conoscendo i Greci che avea visitati, e la loro destrezza che avea stu- diata, temperasse colla glovlahtà l' amarezza. Orazio In fat- ti l'esegui con maestria, contenendosi costantemente al ver-^ \ SULLA SATIRA 23 SO eroico, ed escludendo il giambo non meno che le gre- che espressioni miste fralle Ialine alla Luciliana. Che se non furon sempre i versi satirici di Fiacco così ben tornili co- me sovente non pochi di Giovenale rassembrano , la loro facilità seduceva talmente, che un gran numero se ne ritie- ne a memoria, e specialmente quando contengono canoni fe- lici di critica e di gusto . Lo spirito Oraziano mette capo nella costituzione del governo , ne' costumi alterati che allora correvano , nella pohtezza generale della corte imperatoria, nel proprio ge- nio faceto , nell'ozio geniale che godeva, e nella sua genti- lezza cortigiana , probità e filosofia . Tutto ciò traspare ne'due hbri di Satire che egli chia- ma Sermoni , e ne'due deW Epìstole che satire pur sono in forma epistolare. Ed in falli il dotto oltramontano che della Satira eccellentemente si occupò , riconosce ancora nelle une e nelle altre un genere di sermoni alla prosa vi- cinissimi , come Orazio stesso gli diffìniva . Possiamo dun- que col nomato critico distinguere le satire Oraziane in due classi, e chiamar le prime elentiche (confutatorie) desti- nate a pungere i viziosi , e le altre didattiche ( ammae- strative ) come sono l'epistole , nelle quali il poeta ora istruisce, ora all'istruzione innesta ragionari amichevoli, e spesso disputa sull'arte poetica senza perdere l'indole sati- rica. In fatti e Lucilio che lo precedette , e Persio che lo seguì, scrissero anchi essi satire col titolo di epistole. Tra il fiorir di Lucilio ed Orazio s' interposero ottan- tadue anni , ne' quali coltivarono con prosperila h satira T. UT. 4 26 SlGNORELLl diversi poeti . Contansi tra' primi Varrone Atacino , Sevio Nicànore , Leneo liberto di Pompeo il Magno , il quale con acerba satira lacerò lo storico Sallustio nemico dichia- rato della memoria del suo padrone . Dopo di Orazio si distinsero in tal genere, Giulio Rufo lodato da Marziale, Turno di generazione libertina potente nella corte de'Ve- spasiani Tito e Domiziano , Marco Cornuto ( forse Anneo maestro di Persio ) , Sulpizia poetessa a que' tempi eccel- lente , che si scaghò contra Domiziano quando con un e- ditto discacciò da Roma i filosofi , e Galbio Basso citato da Aulo Gellio , e Rabirio Fulgenzio , e Lucio Apuleio . Nel lungo regno di Augusto trovaronsi i Romani in- calUti al giogo 5 e sebbene sussisteva tuttavia lo splendo- re e la coltura di una regia imperatoria sotto la sospetto- sa tirannide di Tiberio e di Caligola , la feroce stupidità di Claudio, e la mostruosa atrocità di Nerone e diDomi- miziano , non per tanto la popolazione cessò dal conserva- re certa franchezza e fiducia , che avea ispirata la stessa proscrizione cangiata in moderazione e clemenza , che col- locò e rese accetto Ottaviano sul trono. Delatori , denun- cianti, infami, spioni stipendiati, ladroni impudenti, vendette pubbliche , e scerete impunite , la corruzione giunta al col- mo , cangiarono i vizj in misfatti, i popoli in macchinato- ri , bandirono ogni apparenza di pudore , tutto fu malva- gio egoismo , e tutto alimentò il maltalento e la diffiden- za e la crudeltà ne' successori degeneri di Augusto . Lun- gi dall' ispirar poi tutto ciò timidezza ne' satirici ed obbli- garli a tacere, suggerì loro cautela, ed un odio dissiniu-» SILLA SATIRA. 2/ Uto , un tuono di mistero , e di tenebre nello stile . Era- questo di grazia il tempo del satireggiar di Orazio? Niuno più di Aulo Persio cavalier romano ammirò l'amico di Mecenate. Tutta ne comprendeva la sagacilà , coadita di sale , e di un riso potente . Egli però si repu- tava nato a sa.tireggiar ridendo, benché ciò non apparisca dalle sue salire , per lult' altra ragione eccellenti . Dall'e- nergico suo stile trahice il possente pendio che alla virtù lo spingeva , tanto per la naturai bontà del proprio cuo- re , quanto per la scuola stoica dell' ottimo Anneo Cornu- to , e per 1' amicizia e parentela , che lo congiungeva a Trasea Pelo , il più virtuoso di quel tempo . Vivace , sen- tenzioso , stringalo, elegante, ad onta dell'oscurità, che ne caratterizza lo stile , ottenne il più favorevole suffragio di Quintiliano , di Valerio Probo, di Marziale, di Lucano fra gli antichi , e del Casaubon singolarmente e del la Harpe fra' moderni . Ma regnando INerone , o tacersi dovea, o avvolger tratto tratto di tenebre i sentim.enti virtuosi av- ventati contro dell'empietà. Vuoisi però riflettere che Per- sio soltanto nella prima satira ardisce motteggiare sul di- fettoso poema di quel mostro , e nelle altre cinque avreb- be potuto per questa ragione meno misteriosamente spie- garsi , non vi si parlando dell' imperatore né punto né po- co. Chiaro è non pertanto che quantunque avesse egli con- vertito in sangue e succo il poetare Oraziano , si attenne allo stile enigmatico , difficile ad intendersi alla prima t e. ciò solo per accrescer peso ed energia alle massime mora- li ed a' dettati della virtù . Ma con qual brio e nobiltà 28 SlGNORELtl nella stringatezza non ispiega il trasporto per la probità , che lo domina , e costituisce il fondo del suo poetare ? Pi\.'ndaiisene da qualunque delle sei satire gli eseuipj , se ne presentano a dovizia e sempre pregevoli. Traggoneuno dalla seconda del sacrifizio di Macrino , che potrebbe co- sì iendersi nostro : Ma ditemi , Pontefici , che giova U oro ne' luoghi sacri ? In don puerile Quel che giova un fantoccio a Citerea , Ch'oJJra una verginella. E perchè a' Numi Non presentiam ciò che non pub la pingue Splendida stirpe di Messala., eh' off re Vittime rare in preziosi vasi: Puro cor., mente retta .^ alma illibata^ Di giustizia e onestà sacri recessi ? Perchè di speme pien m' appressi al tem-pio ^ Onde mi sien proprizj i Dei , ciò basta , Sehhen povere offèrte io lor presenti (i) . Ne aggiungerò un altro della satira quarta , in cui con non minor vigore e trasporto di virtuoso zelo discopre al (i) Ma si oda l'istesso Per- Non possi t magni Messallae sio : lippa propago : Dicite , Pontijìces , in sancto Conipositum jus , fasque ani~ epiid facit aurnm? mi, saiictosque reressus Nempe hoc quod f^eneri do- Mentis , et incocium genero- jicitae a viigine pupae . so pcctus hnnesto? Quia damus id Superis de Haec cedout admoveam iem- magna cjuod dure lance pUs , et Jane litabo , STTl\ S\TTU\ 29 vizioso , che non se ne avvedo , le piaglie che nasconde nel iianco : AUa ferita, sotto il fianco pò? -ti , Mortai ferita , che il dorato cinto Spazioso nasconde. «S'ì, nasconde'^ Sia così i, come vuoi ^ te stesso inganna^ E se regger ti puoi , CT'editi sano . ]\Ia ( txi mi dici ) se chi nd circonda Uomo egregio , onorato , e buon mi appella , iVo 'l crederù ? .... Malvagio ! Se divieni Pallido in viso , appena adocchi V oro , Se ti abbandoni di lussuria in preda , «S'è con asprezza i debitor flagelli^ Se con le usuT'e tu gli schiacci e opprimi^ Presenti invano facile V udito Alla turba mendace , che ti piaggia . Eh rigetta una lode che ti finge - - Quel che non sei . U aciulator villano GV insidiosi doni si ripigli ; E tu in te ti concentra , e ti avvedrai Dell'indigenza tua , del prop/'io nulla (1). (i)Ecco irolmsti versi originali: Si poles . Egregium ciim me Ilia st.bter vicinia ilicat , Corcum vulnus hubes ; sed Non cieduin ? fiso sì palles, lato bitliheus auro impiobe . nummo ; Proiegit: ut mai.'isy da verta, Si furiti in penem ^uidquid et decipe nervos , tibi ventc umaiwn , 36 SlGNORELtl Comunque sìesi , e che che dicasi dell' oscurità dello stile di Persio , in niun tempo gli si negò la gloria di fi- losofo virtuoso di cuore , di stile robusto , e di uno de' più insigni satirici , che vantino gli antichi , e che leggansi con sommo profitto da' moderni . Non resta che T ultimo degli esimj coltivatori latini della satira Decimo Giovenale . A giudicarne rettamente fa mestieri tenerci in guardia eontra le pretensioni esorbitanti u- gUc^lmente degl'intolleranti Oraziani, quale si dimostrò Cle- mente Vanetti , che degli Scaligeriani amici di Giovenale, tra' quali vuol contarsi M. Dusaulx suo traduttore abile, benché in prosa . I primi escludono dalla satira tutto ciò, che risente di energia e di veemenza j i secondi ne ban- discono ogni verità enunciata con giovalità , ogni motto fa- ceto , ed urbano , e cortigianesco , ogni puntura , che ap- pena solletichi senza ferir oltra la pelle , ogni morso di pecora , come diceva Boccaccio , e non di cane , che pro- vochi a riso senza far sangue . Gli uni vorrebbero ergere in ogni clima altari al solo Fiacco esclusivamente 5 gli al- tri sbadigliano , ove non gli scuota e risvegli l'impetuoso declamare dell'Aquinate . E che altro è ciò , che impove- rir le arti , e vietare alla satira di un modo e dell' altro r uso delle proprie ricchezze ? Altronde sarebbe ciò pos- sibile? Ciascuno degU ultimi tre grandi satirici fu quello, Si pitleal multa cautus vibi- Reipue quod non es ; tollat ce Jlagellas , sua mimerà cerdo . Nequicquam populo bibnlas Tecum habita, et noris qiiam donaveris aures . sit Ubi carta supellex . - SITILA SATIRA 3t eh' esser dovea , quando fiori . Né Orazio stato sarebbe fi- losofo tranquillo e faceto e di graziose istoriette fecondo, se vivea sotto Nerone e Domiziano o Caligola J né Per- sio avrebbe forse in tante tenebre involti i virtuosi suoi concetti , né Giovenale avrebbe sì spesso e tanto fie- le stillato , se tanto 1' uno quanto V altro satireggiato avessero sotto Augusto e Mecenate. Persio, che tanto am- mirava e studiava il motteggiar del Venusino , riuscì un satirico ben da lui diverso . Giovenale , lontano dall'epo- ca di Augusto e dalla giocondità Oraziana , in una fortu- na men che mediocre , in temj)i oltremodo corrotti , aprì tutte le vele all' impeto naturale , che lo spronava al- l'indignazione, che lo scorgeva ad inseguir vigorosamente i reprobi per un sentiero , dopo Lucilio , non più calca- to . Delicatezza , urbanità , buon senno con grazia svilup- pato , la piacevolezza , che abbelliva il riso piccante di Orazio , non son tratti caratteristici della satira th Giove- nale . Ruppe questo tetro satirico la folla de' colleghi con impeto superiore allo stesso satirico di Aurunca ; morse con acrimonia j rimproverò con baldanza ; rise con fierezza j esagerò sulla stessa innoltrata corruzione de' suoi giorni j le sue grazie sembrano anzi ancelle di Bellona che com- pagne di Ciprigna. Non pertanto si distinse sopra Orazio per maestà ed elevatezza , e per una versificazione armo- niosa, che che di questa volle sentenziar la Harpe. Prediles- se veramente soverchio l'iperbole , che pure alcuna volta gli si può perdonare ; ma ninno de' posteri dee per- donargli r oscenità , onde centra i' oscenità si scaglia , e 3a SiGVORELLI singolarmente nella salirà VI, in cui s'ingegna manifestar del sesso men forte gli arcani indecenti. Con tutto ciò chi non applaudirà , e non rileggerà con piacere le ragioni che determinarono Unibrizio ad allontanarsi da Roma ? Che farò in Roma io che non so mentire ? Né lodar so , né chiedere all' autore Un libro destinato a involger pepe j Legger degli astri io mai non seppi i moti , Onde del genitor predir la morte Potessi a un figlio iniquo , che la brama 5 Né sapendo il vorrei . Delle ranocchie In niun tempo le viscere osservai Per trarne succhi da impastar veleni . Non son buon , mai no 'l fui , all'altrui moglie A recar doni , pistole , ambasciate Dell' adultero a nome j altri se 'l faccia . Dell' opra mia non si varrà chi fura . Che farò dunque in Roma io di tai merli Sfornito affatto "ì lo n'esco^ e solo n'esco^ E misero , e negletto , ed impotente , D' un corpo monco in guisa alla già morta Sua destra ornai a più giovare inetto (') - (1) Nella satira ITI : Astrorum ignoro ; funus pro- Quid Romae faciam ? Men- mittere patrìs tiri nescio ; librum , Nec volo , nec possum ; ra- Si malus èst , nequeo laudare nariim viscera nunquam et poscere ; motus Inspexi ; ferre ad nuptam , SULLA SATIRA ' 33 E chi negherà a Giovenale una maschia eloquenza ed un colorito picn di vivacità ? Tanto Dusaulx , suo partigia- no , quanto la Harpe , deciso fautore di Orazio , conven- gono in ravvisar in lui di bei passi , e specialmente nel sa- crificio ordinato nella satira Xll per la salvezza di Catul- lo dal naufragio . Se ne commenda con ispecialità la di- pintura de' parasiti , e delle loro vicende , non ingioconda- menle delineati nella satira V. Tu ti vedi ( dice a Trebio il poeta ) a tavola non curato né dal padrone Virrone né da' servi . E che sperar puoi non essendo ricco ? Benché teri vada di tre nomi altero , Se nulla osassi , fuori della porta Tratto saresti , cojne dal suo speco Tratto fu Cucco dall' erculeo hj^accio . Poiché bebhe Virron , dì , porse mai A te la tazza ? ovver da te la prese ^ Poiché da' labbri tuoi la rimovesti ? E chi fora sì audace ed insolente , Che al Re dicesse : Bevi ? In certi casi Parlar non lice ad uom cinto di stracci . Ah ! di un milion di scudi , uomo infelice , Se ti arricchisse un Dio , od uomo a un Dio Simile ^ e a te più del destino amico \ Come dal nulla diverresti grande ! quae iniltU adulter , comes exeo , tanquam Qtiae mandai , ìiorint alti ; Mancus , et exlinctae corpus me nemo ministro non utile dexlrae . Far erit ; atque ideo nulli T. ni. 5 34' SiGNORELLI Quanto a Virrone amico ! . . . . Scalco , olà ? Trehio si serva .... Coppier^ mesci aTrehio.... Piaceli quelV intingolo , fratello ? Oh scudi ^ scudi amabili l a voi tutto U onor si rende I Voi fratelli siete (i) ! La satira ottava sulla nobiltà , di cui tanto si appro- fittò Boileau , incomincia con certo grazioso brio , che im- pone e diletta : A che giovan gli stemmi ? A che di antica Prosapia ardisci^ o Pontico ^ vantarti! A che ostentar le immagini dipinte Degli avi e degli Emilj in carri assisi , E le statue de' Curi dimezzate , E di Corvin , cui manca il naso , e quella Di Gatta e senza naso e senza orecchie! Che da' Corvini tu discenda or dimmi , (i) Odasi Giovenale : Non audent homines pertusa Duceris pianta velut ictus ab diceie lana . Hercule Cacus Quadraginta tibi si quis Deus Et ponere JoJ-is ■, si cjuid ten- aut similis Dts , taveris unquam Et jnelior fatis , donaret ho- Hiscere , quamquam habeas muncio ! quantus iria nomina . Quando propinat Ex nihilo ficres ! quantus yirro libi, sumitque tuis con- Virronis amicasi iacta labellis Da Trebio.pone adTrebium. Pacala 7 Quis vestrum teme- Vis , frater , ab illis rarìus usque adeo , quis Ilibus ? O nummi, vobis lume Perditus , ut dicat regi , Bi- praestat honorem , be ? Plurima sunt quae Vos estis frati es ! SULLA SATIRA 35 Qiial è il gran fruito ? Che con lionga verga Spieghinsi in mostra ajfiimigate efjìgie Di Diitator , di Generali usciti Dalla tua stirpe , mentre scandalosa Meni ^ a' Lepidi in faccia ^ e infame vita? Di tanti Et'oì che vagliono i ritratti , Se di Numanzia a' vincitori a fronte , Non sai che al giuoco consumar le notti, E a dormii^ vai sul nascer dell'aurora, Quando qu-e' Duci dalle tende uscendo Movean le squadre de' nemici a danno (i) ? Tratti eHergici e brillanti e pieni di satirica eloquen- za sono quelli della satira X su i dcsiderj umani , che niu- no non pregia. L non per tanto del conio di quelle , che tutto senza eccezioni motteggiano , e contengono un para- logismo manifesto :^ ma non è questo un errore inesousabi- (i) Dice r originale; Corvinum , et post hac miti- Stemmata quidfaciunt? Quid tn deducere virga prodest , Pontice , longo Fumosos Equitum cum Di- Sanguine censeri , piclosque datore Magistros , estendere valtus Si corani Lepidis mate vivi- Ma jorum, et stante s in curri- tur? Effigies quo bus jéemilianos , Tot bellatorum , si luditur Et Curios jam dimidios, na- alea pernox sumque minoì'eni Ante Numantinos ? Si dor- Con'ini , et Galbam auriculis mire incipis ortu nasoque carenlem? Luciferi, quo signaDuces et Quis fructus generis tabula castra moverunt ? jactare capaci 36 SlGNORELLI le, come la»Haipe pretende. Egli dice , che questa satira altro non mostra , se non che tutti i desiderj umani sono mischiati di amarezze e crinconvenienti , verità popolare e comune , che non merita la pena di maneggiarsi da un satirico. All'opposto io son d'avviso, che la poesiti mira- ta filosoficamente si è inventata appunto per rilevare con acconcia eloquenza le verità popolari , che non abbisogna- no di analitiche dimostrazioni , ma si bene d'insinuante poe- tica dolcezza , che riduca a mente la verità popolare , che istruisce , ed inviti a rispettarla , facendo tranguggiare l'a- mara medicina . Ciò che è ovvio e chiaro non dee per que- sto mettersi da banda , anzi metter si vuole in vista , ove si vegga disprezzato e negletto . I precetti della volgar sa- pienza non s' inculcano , perchè diffìcili a comprendersi , ma perchè trascurati o lesi ^ ed il poeta satirico adempie il sacro ministero della poesia con ricordarli . Da quanto della satira si è accennato apparisce la di- versità, che passò fra i cinque famosi satirici latini Ennio, Lucilio, Orazio, Persio, e Giovenale, de'quali il solo di Vol- terra a noi non appartiene. Pretendere che tutto debba mo- dellarsi sullo stile di Orazio , e nulla su gU altri , che gran- di pur sono , e che trassero le immagini poetiche da' co- stumi , che al loro tempo correvano , e non già da una cieca imitazione di ritratti , che nulla hanno di recente , che chiaini l'attenzione j ciò, dico, parnii lo stesso che pre- scrivere p. e. che il poetar del leggiadro Petrarca debba regolar la poesia Omerica o l' Orientale o degli Scaldi Scan- dinavi. Colui che volesse elevarsi a censore de' satirici di StLLA SATIRA "5^ tutti i tempi , dovrebbe in prima averli tutti ben bene stu- diali e con salda critica esaminati . Dovrebbe altresì esser- si internato nella storia privata de' secoli, ne' quali essi vis- sero , per poterne non col capriccio , ma colla realità , pe- sare il merito. Dovrebbe con fina avvertenza essere istrui- to dello spirito de' governi sotto i quali poetarono . Senza ciò ben potrà con parole sesquipedali o semibarbare smal- tirsi per nuovi misteri ciò , che 1' Attica sapeva fin da che contese per un irco ; ma non si saprà mai innestare la fi- losofia al gusto , e la morale alla giovialità , e formar del trasporto di Persio per la virtù , della politezza istruttiva di Fiacco e della pittorica energìa di Giovenale , un poetico omaggio di fiori bene scelti e ben combinati , da presentar- si alla graziosa sagace Musa , che alla Satira presiede . 3? SlGNORELLI PARTE IT. Quando 11 ritorno della barbane ebbe dall' Europa svel- ta quasi dalle radici la coltura , sparirono le arti , e la roz- zezza sottentrò , e ricoperse le nazioni di squallore . Quel bisogno , che nella prima barbarie le fé nascere , le richia- mò nella seconda j e le cose religiose , che sempre le pri- me sono a rinascere , per certo interno sentimento di di- pendenza , che Tumanità rozza ancora riconosce da una su- prema causa produttrice , recarono nelle cliicse , ne'luoghi «acri , conventi , cimi terf un misto di culto, di giuoco, e di grossolana buffoneria . I bassi tempi ci presentano strane fin- zioni , nelle quali tutto ciò traspariva marcato di rusticità ed ignoranza . La satira e la rappresentazione ne furono i principali condimenti , e gU ecclesiastici , i quah d'ordina- rio entro l' orrore della barbarie vincono i volgari d'intel- ligenza , con simili allettamenti si avvisarono di attirargli al- le cliiesastiche funzioni ed a' sermoni . Quindi nacquero Tnascherate , misteri , vangeli , vite di santi , nelle qua- li cose la rozza poesia drammatica mista alla satira innomi- nata prendeva in prestanza dal sacro culto i colori di pie- tà , dalla vita civile le umane azioni , e da'giullarl la musi- ca , i tratti satirici , i giuochi festevoli , le trasformazioni. I Concilj , e singolarmente il Trullano , non meno die le istorie , ci forniscono a dovizia pruove in ItaUa ed oltramon- ti di mascherate e di favole profane introdotte nel santua- SULLA SATIRA 3g rio (i) f che non prima della legge d' Innocenzlo III pon- tefice ne rimasero abolite. Che simili giuochi abbondassero di molleggi satirici , appare da' racconti di varj cronisti . Moralità , giuochi di piselli-pesti , feste del bue , de~ gli asini , de' pazzi furono le prime satiriche rapresenta- zioni , che givano risorgendo . Esse in Francia piacquero talmente , che il re Luigi XII stesso non osò vietarle , tut- toché vi si lanciassero motti assai mordaci , prescrivendo sol- tanto agli attori di risparmiare la regina duchessa Anna , che non sapeva tollerarli (2) . A misura che la barbarie perdeva terreno , le arti ri- sorgevano . La poesia e prima e dopo Dante Alìgliieri in Italia svegliò le idee della satira innominata e delle favole sceniche . La divina Commedia , non meno che i poemi di Omero in Grecia , presentò in Italia della satira inno- minata tratti assai vivaci (3) . Da questa limpida fonte , onde jiur copia di satiri- che ricchezze scaturisce , si rileva quanto per tempo rinac- que la satira nel nostr9 idioma . La drammatica poi come fia noi risorse colla Filologia del Petrarca, e coli' JEcce- rìnis di Albertin Mussato , ci fornì di vivaci immagini sa- tiriche nelle dipinture del tiranno Ezzelino e del fratello. Le Novelle immortah del Certaldese di quante altre figu- re e maniere piccanti non son ricolme , e con quanta ener- (1) Nel Decretale di Grego- (a) M, d'Argentrè ffistoire rio IX vedasi il capitolo Cum de- de Bretagne . corem doinus Domini. (3) Vedi Inferno canto XIX, Cauto XXVII. ed altrove 4o SifiNORELLI già ed eloquenza vigorosa ora in esse s'inveisce contro del vizio, ora lepidamente contro le umane follie si mot- teggia ? Ma volgiamo uno sguardo più riposato per le con- trade Europee , per investigare il risorgimento , e le vi- cende del poema propriamente Satira nominato . Risorgimento della satira in Italia. Per quanto ho potuto sinora saperne non parmi che l'Europa riveduta abbia la satira propriamente detta avan- ti de' primi lustri del secolo XVI. Trovo che Giano Ani- sio , uno degli ultimi Pontaniani , nato in Napoli nel XV secolo, e morto dopo del i538 (i) , indirizzò al cardinal Colonna alcuni poemi nelF edizione fattane in Napoli nel i536 , e nel frontespizio promise delle satire, che poi, mu- tato consiglio , riserbò ad altro tempo . EgU intanto , cui pur dobbiamo uiia delle prime tragedie latine degl' Italiani, non a torto - si vantò di essere stato il primo fra noi a scri- vere satire : O sic se?^i^atus satyras te te auspice pangam , Quas refero in patriam primus post saecula pairum. Ma intorno agli anni , ne' quali 1' Anisio esitava a pro- durre le sue satire latine , Pietro Aretino , ed Antonio dà Pistoja de' Vinci, o, secondo il Baruffaldi (2), de' Came- li , scrissero poesie burlesche e satiriche nella gioventù di Lodovico Ariosto, che di essi nella satira \I fa menzione. (i) Se ne vegga l'opera del (2) Memorie de' Poeti Fer- MazzuccheUi . raresi . SULLA SATIUA 4? Ma se degli allri io vò scopidr gli altari , >'> Tu dirai che rubato del Pistoja , E di Pietro Aretin abbia gli armari . Questo raro ingegno però , in cui dal Gravina e da' migliori letterati a noi vicini si riconosce un Omero ita- liano , che nel Fxirioso e nelle Covimedie dischiuse al- l' Italia un tesoro inesausto di poetiche bellezze , e mille gioviali immagini di satira innominata salsa oltremodo : questo poeta grande compose altresì sette satire espositive alla maniera de' Latini . Del merito di lui , come sati- rico , mal giudicò certo straniero , che osò a sghimbescio sfatarne le satire e le commedie ^ dee però a costui usar- si indulgenza . Satira e Commedia sono due poemi , che esigono giudici esperti nella favella itahana , per lo più non ben nota agli stranieri a tal segno , che possano sentir pie- numente il bello ed il Inutlo di que' poemi , che al ser- mone si av^icinano. Minore indulgenza si dee a taluni, che scrivendo inanifestano di aver maggior cura usata ad apprendere la lingua de' Francesi che degl' Italiani , essen- do essi in Italia nati . E come così fatti eruditi , che adul- terano scrivendo il proprio idioma , possono aver diritto di giudicar dell'eleganza delle satire dell' Ariosto, mostran- do di essersi sì poco internati nella purezza ^ proprietà , ed eleganza della materna lingua ? Non meno entaneamente giu- dicherà do' satirici italiani chi non abbia compreso , che jier lien parlarne uopo è formarsi anticipatamente giusta idea d-ella nazione , del governo , e de' costumi generah , non T. III. 6 4-2 SiGNOREtLi che del carattere , delle vicende , e delle cognizioni del sa- tirico . L' Europa , che giva a gran passi emergendo dalla bar- barie , in cui era piombata , Irovossi divisa in diversi po- tentati , i quali appena per la religione , per la coltura let- teraria , e pel diritto pubblico aveano certa attinenza. L* Italia singolarmente ne dipendeva in parte ed in parte ubbidi- va a'principi nazionali , e ciascuno de'popoli, che la compo- nevano, possedeva virtù, genio, vizj, ridicolezze, e manie- re proprie. Ogni dominio splendeva per una Cortc^ ogni Cor- te dirigeva a diversi oggetti l'ambizione, i palpiti, e le spe- ranze , ed a riescire giva in traccia di mezzi distinti . Tut- to ciò produceva uno spirito satirico in parte unisono , ed in parte moltiforme . La satira del secolo XVI portava V impronta locale del punto donde partiva j e nel voler di- pingere al vivo le circostanze e i costumi del paese , ve- niva ad allontanarsi dalle maniere un tempo comuni in Europa raccolta in un vasto impero , malgrado delle pas- sioni universali , che in tutti gli uomini si riuniscono . Quin- di è che chi volesse giudicar de' satirici italiani di quel tem- po su quelli di quindici secoli prima fioriti con Augusto , senza far dentro di se di molte eccezioni e riserve , non errerebbe meno di chi su i Patagoni formarsi volesse idea adeguata de' Lapponi . E' si vuole accomodare il giudizio e la misura allo stato ed al tempo , come vi si accomoda il satirico cordato , che non iscarseggia di gusto . L' Ariosto , che tra' primi del suo tempo coltivò la sa- tira , si attenne all' andamento Oraziano , per quanto pei- SULLA SATIRA 4^ misegli r indole , 1' estensione , ed il governo del dominio Estense, inoltrando però ancor lo sguardo sino a Roma mo- derna , tanto dall' antica diversa , ma che necessariamente importava conoscersi per l' influenza che aveva nelle Signo- rie italiane . Che se le dipinture doveano rapportarsi agli originali contemporanei, male avrebbe fatto il satirico a di- scostarsene per risalire ad Augusto , e raggiugnere Orazio sulla via sacra , o in casa di Nasidieno, Non per tanto egli mentre schiva di far sentir la lucerna , a niuno degli an- tichi satirici , a mio avviso , tanto si rassomiglia , quanto ad Orazio nelle Satire . Con migliore agio potrebbe tentar- si un confronto degli artificj e delle bellezze di entrambi; ma per ora basti rammentarne alcune del Ferrarese . Con urbanità e con innocente piacevolezza morde Lo- dovico nella I satira il giogo di un padrone , che per po- chi soldi crede di aver comprati i suoi famigliari . La gra- zia Oraziana si ravvisa nell'apologo dell'asino magro in- grassato pel grano furtivamente tracannato, si che più non potè venir fuori del buco , per cui era entrato . Un topo- lino gli dice : Se vuoi quinci Uscir , tratti , compar , quella panciera . A vomitar bisogna che cominci Ciò che hai nel corpo , e che ritorni magro , Altrimenti quel buco mai non vinci . \eggasi nella II satira come motteggia senza veruna stizza l'inaccessibilità de' grandi . Ben dipinto all'Oraziana 44 SiGNORELLI è il dialogo Ira l' usciere spagnuolo , e colui , che doman- da udienza . Fate , questi dice , Che Monsignore Reverendissimo oda una parola . Agora no se puoe , y es jnejore Que vos torneis à la manana . Almeno Fate eh' ei sappia eh' io son qui di fuore . JNon è possibile, non si fanno ambasciate, ed il poetai Eh se fin dove col pensier penetro , Avessi a penetrarvi occhi lincei , O i muri traspaj-isser come vetro : Forse occupati in casa li vedrei , Che^ giustissima causa di celarsi Avrian dal sol , non che dagli occhi miei ! Spicca nella satira III la bellezza dell' apologo , in cui •un pastore , avendo in una grande siccità scavato un poz- zo , dispone che dopo di lui bevano i figli , i parenti , e quelli , che l'hanno ajutato . Una gaza allora , ch'egli avea 'amata , così riflette : Io non gli son parente , né venuta A fare il pozzo , ne di più guadagno Gli son per esse?^ inai , eh' io gli son suta . Veggio che dietro agli altri mi rimagno -^ Morrò di sete , quando non procacci Di trovar per mio scampo altj-o r^igagno . Per assaporarne sempre più la grazia , bisogna appli- care r osservazione ed i casi della Gaza a' fatti del poeta e di Lepne X , giunto al papato . Taluno , menando col- SULLA SATIRA 4^ pi da orbo , ha voluto contar per difetto in Ariosto l' avere spesso nelle satire parlato de' fatti suoi . Io bramerei sape- re , per qual canone satirico ciò si divieti . No 'l fece in- cessantemente Orazio? No '1 fanno tutti gli altri? La cri- tique est aisée , dicea Despréaux 5 ma quando essa è ta- le ? Quando è leggiera e capricciosa . Che ninno abbia meglio dell' Ariosto imitate le istoriet- le narrate dal Venosino , appare altresì dall' apologo della satira IV dell' imbarazzo del Veneziano , che dal re di Por- togallo ebbe un bel cavallo in dono , perchè come avvez- zo alle gondole non sapendo maneggiarlo , tirava il freno, e r obbligava a tornare in dietro o a fermarsi nel tempo , che con lo sprone lo sj^ingeva innanzi . Eccellente , accon- cio all' argomento , e pieno di sale è 1' altro apologo della zucca , che in poco tempo giunse ad uguagliare T altezza di un pero. Come facesti, le dice il pero , a sahr sì alto, e quanto tempo v' impiegasti ? Tre mesi , rispose la zucca : KA io ( V arbor soggiunse ) appena ascesi A quest' altezza , poiché al caldo e al gelo Con tutti i venti in trenta anni contesi . Vk Ma tu , che a un volger d' occhio aj'rivi in cielo , Renditi certa , che non meno in fretta , Che sia cresciuto , mancherà il tuo stelo . E questo bel tratto morale e piacevole non vi sem- bra tutto Oraziano , e proprio e grazioso quanto mai esser possa una favola di Esopo , o di Fedro , o del la Foniai- ne . E sillatte veneri mancano forse di eleganza di locu- zione ? Or chi mai imboccò a certo anonimo , cJie le sa- 46 SlGNORELLf lire di Lodovico sono poco eleganti ? O crede egli che 1' eleganza consista in formar un misto di lingua mezza gallica, mezza italica e tutta barbara ? Or questo , sì , che si dis- se con tanto possesso del nostro idioma , quanto ne dimo- strò Boileau parlando du clinquant du Tasse . Lodovico scrisse perfettamente la lingua , di cui gustava tutto il sa- pore , e si espresse nelle satire con quella eleganza , che xicliiede una musa chiamata da Orazio pedestre . Si desidera forse eleganza nell'eccellente satira V, pie- na a ribocco di satirica giovialità , in cui flivella ad Anni-v baie Malaguzzo , che pensa a prender moglie ? La felicità con cui si esprime , e la destrezza usata nel passare a trat- teggiare i caratteri dounescJii , mostra vaghezza e maestria di pennello . Non vi si nota punto Tamarore della novella di Giocondo del suo Fui'ioso , non le laidezze della sati- ra VI di Giovenale, non gli esagerati ritratti donneschi del- la satira X di Boileau , a somiglianza dell' Aquinate , di- pinture , che ben disse la Harpe essere iperboliche e fon- date su di un sofisma. Scaglia Ariosto i suoi tratti sì scor- tamente , che manifesta con artifìcio latente i difetti , che fanno escludere le donne dal matrimonio , senza che il pu- dore se ne offenda , e suggerisce da buon cortegiano ciò , che può rendere tollerabile il nodo maritale . Ma sì spiri- tosa satira esigerebbe un commento particolare , da servir di fiaccola per chi vuol parlar di satiie e tli Ariosto . Non conobbero i Latini se non la satira , che dissero pur sermone , e l' epistola che n' è una specie . GÌ' Italia- ni nel. secolo di Lodovico ebbero oltre della satira altri com- SULLA SATIRA. ^7 ponimenli , che le si approssimano , cioè i .° lettere e ca- pitoli per Io più burleschi , i quali di rado o non mai ec- cedono o inveiscono, ma adoprano con frequenza l'ironia, i frizzi epigrammatici , ed i tratti di doppio sentimento j 2.. '^ poesie b ernie s che ^ che possono aversi in conto di pa- rodie continuate j 'h.'^ sonetti satirici e Jidenziani-^ ^.^ ser- moni , che ebbero in Italia per lo più un tuono più fami- gliare della satira j 5.^ e finalmente tirate maccaroniche di Merlin Coccai ossia di Teofilo Folengo , delle quali più tardi si valse talora lepidamente Niccolò Capasso , come neir Aurora Velleti^ana. Io non aggiungo a queste spe- cie satiriche alcuni altri componimenti , ne' quali del gene- re si abusano tanti traviati . Io son di avviso , che dal- la poesia satirica debba escludersi in prima tutto ciò , che non pochi scrissero a spese del pudore sulle yàt-e, su'èac- celli ^ sulle nòncovelle ^ s\x\ forno '^ di poi tutti i versi dettati da furioso sfogo di rabbia , come, i giambi di Ar- chiloco , i Mattacini , le Varcheidi , le Murtoleidi , le Smorfie^ e que sonetti satirici infamanti^ colmi di per- sonali ingiurie. Coleste criminose produzioni sono tutt' al- tro che satire , alleate naturali della virtù , dovendo le ac- cennate immondezze inviarsi tutte alla classe de' liJjeUi ri- provati dalle leggi . Una folla di eruditi di gran nome coltivò in Italia coli' Ariosto la satira e le indicate sue specie. Conlansi tra' più riputati il Benlivoglio , 1' Alamanni , il Guidiccioni , il Fi- renzuola , il Moka , il Berni , il Grazzini detto il Lasca , il Fenerolo , Matlio Franzesi , il Beccuto detto il Coppetta , 48 SlGNOnEILI jl Casa ( tutti esimj scrittori nel nostro ìdiolila ) , ne' quali abbojidano le grazie latine accomodate alle circostanze de'no- slri paesi , e trionfano i naturali pregi del sermoiì nostro , cioè numero che alletta , proprietà che individua le idee e le cose, maniere immaginose , ubertà , espressioni , e pa- iole poetiche , ed eleganza che incanta . Molli de' nomi- nati , ed altri , che nominarsi potrebbero', si distinsero nel- la poesia burlesca , della quale contasi per padre France- sco Berni neìV O/'lando , neWe satire^ e ve' capitoli ^ e per uno de'più felici scrittori Cesare Caporali nella Vita di Me- cenate ^ nelle di lui Esequie^ e nel J^iaggio di Parjiaso. Non fu men fecondo di eccellenti satirici il secolo XVII, quando il celebre Gabriele Chiabrera inventò i primi ser- 7noni propriamente italici. Ingenerale conosconsi, comesi dice , sin da'barbieri Benedetto Menzini , e Salvadore Ro- sa . Il primo caro ad Innocenzio XII , ed a Cristina di Svezia , fu settatore soverchio biUoso dell' impelo di Gio- venale , ma non so per qual ragione certo scrittore di al- cune satire del passato secolo lo disse osceno . Il Rosa , esimio pittore, e satirico non infehce , copioso e morda- ce, parimente declamò sulle tracce dell' Aquinate contra la corruzione delle arti, e de' costumi in Italia , nelle qua- li salire si pose dalla banda della virtù e del gusto , saet- tando i loro avversar] . E se di più scelta d' immagini e di espressioni fosse stato capace , pochi a lui si appressereb- bero . Ma chi volle miscliiarsi a parlar di satire , non ha guari , par che ignorasse che oltre del Rosa e del Menzi- HÌ ebbe il secolo XVII altri ben degni di nominarsi , ed SULLA SATIRA 49 omise per avrentufa i migliori . Senza obbligarmi con fa- tica di poco o niun profitto , neppure io penso di tutti ri- durraeli a memoria j ma ne nominerò più altri , quandoché non fosse che di passaggio , e mi fermerò su di alcuni po- chi alquanto più . Accenno di volo le satire ed i capitoli di Giulio Ac- cìani , di cui Niccolò Amenta fé parola ne' Rapporti di Parnaso^ come sovercliio mordace. Di costui la Reale Bi- blioteca di Napoli dee conservare alcune satire manoscritte insieme con quelle di Antonio Muscettola in un volume . L'insigne filosofo e matematico Elia Astorini scrisse un Decamerone Pitagorico , che contiene la naturai filosofia de' Pitagorici in varie salire berniesclie inversi sciolti. Non mi tratterrò molto su Lodovico Sergardi , che , prendendo il nome di Settano , in sedici latine inveì amaramente con- tra r immortale Gian Vincenzo Gravina , nominandolo Fi- ledemo \ perchè in queste lungi dal saettare il vizio per adempiere i doveri della satira onorata , si sforzò l' autore di deprimere con personahtà scandalose un uomo insigne, che di gran lunga più del satirico in gravi studj ed ame- ni valeva , e mostrò originaUtà. L'istesso Sergardi volle poi voltar le sue salire in versi toscani , e ne spari l' illusione, essendone la versione riescila a tal segno fredda, languida, smunta , dilombata , e ( che fu peggio ) nojosa , che se ne perde ogni trista memoria bentosto . Uso mighore di lui fece dell'idioma latino e della sa- lirà Niccola Villani da Pistoja , autore della satira Nos ca- nimns snrdis y nella quale si scaglia pateticamente centra i T. TU. 1 5 a SlGNORELLI grandi signori del secolo XVI, che lasciarono perire nel- r indigenza e in un ospedale il più grand' uomo di quel tempo Torquato Tasso . Egli esclama : Tassus MaeGìiiae decus immoHale Camaenae , Cui similem nullum viderunt jjostera saecla , Queisnam dwitiis , queis auctus honoribus? Heu heu\ Non erat unde s'ibi vestemve cibumve -pararet ! At mìser hospitiis communibus inter egenos , Inter et aegrotos , interque sedebat euntes , Sordidus in pannis , atque unius indigus assis j Et tantum sacras non mendicabat ad aedes ! Aprosio Ventlmiglia chiamò questo satirico il Persio del suo secolo . Io ho sentito a miei dì commendar satire oscure , che non valevano insieme coli' encomiatore una particella della virtuosa indignazione di questo generoso Pistojese . Lodovico Paterno , Giacomo Soldani ed Alberto Lavezola ne presentano molte belle satire del XVII secolo . Nacque il Paterno in Napoli circa il declinar del secolo preceden- te a quello del suo fiorire . Amò le 'muse , e con felicità poetò in più di un genere , e ne riscosse concordi applau- si da' più distinti letterati del suo tempo . Se ne conser- vano sedici satire in tre hbrì divise , cioè sette in terza rima , quattro in ottave , e cinque in versi sciolti , e scris- se anche una lettera in prosa suU' origine e i progressi del- la satira . Sono rarissime , ma leggonsl nella collezione usci- ta colla data di Londra di varj satirici nel 1787 . Acco- modò questo satirico il metro alla dizione , e 1' uno e V SVILA SATIRA Si altra alla natura della satira , ed al gusto del Venosino e del Ferrarese . Talvolta chiama 1' attenzione con la novità delle immagini felicemente espresse j un tuono talvolta più vigoroso si osserva , specialmente nella satira II in terza rima , in cui senza cadere in iper])oli , come Giovenale , ne imita signorilmente l' energia . h d» vedersi la satira , in cui risponde a chi gli chiede consigHo suU' educazione da darsi ad una fanciulla . Il sagace culto poeta ad una serie di utili precetti morali , giovialmente esposti , con- giunse belle immagini pittoriche di caratteri femminili , non lasciando di notare le cagioni che sogliono guastarli , tut- to ravvivando di frizzi graziosi e vivaci. IN e' precetti , se- minati con garbo e delicatezza in bello italiano, si ravvi- sa lo spirito di Persio senza le sue tenebre^ nelle dipintu- re la franchezza e freschezza del colorito dell' Ariosto ; ne' salsi ma politi motteggi le amabili facezie di Fiacco . Osò aggiugnere che dove scherza sulle donne , che si belletta- no, comparisce brillante al pari del cantore del Furioso^ senza ninna immagine non polita e bassa, che questi nel- la bella satira V ci presenta , di Lidia schifosamente iui- plastricciata . Per rilevare il genio felice del Paterno vuoi- si leggere la prima della parte III in versi sciolti , in cui risponde al giovane Antonio Rota sul prender mogliee gli addila come, quando, e qual donna sposar debba, e poi in qual maniera trattarla. Sembra che in questo argomento, maneggiato diverse volte con felicità da' satirici , il Pater*- no a ninno rimanga in dietro . Clii ò dotato dello sjiirito di comparazione , osserverà , die il; Paterno, pare che in 52 SlGNORELLl essa abbia voluto riprovare le amarezze soverchie dell' AquI- nate imitate dal Boileau , e forse ribattere altresì alcun tratto della bellissima satira dell' Ariosto sul medesimo ar- gomento . Invito a leggerla, coloro che ben conoscono le urbane maniere di satireggiare del Venosino . Vedranno , se mi appongo , che il poeta napoUtano in tale artifizioso componimento trionfa per la spontaneità de' pensieri, per le lepidezze , che pungendo solleticano , e non lacerano , e per la locuzione piena di veneri non false , e tutta ila- liana ed elegante . Gli esageratori delle straniere ricchezze, che non credono di averle abbastanza esaltate , se non sei facciano a spese de' tesori domestici , che o non lessero mai , o si fanno un pregio di singolarità il lasciar giacere co- perti di terra , apprenderebbero , benché tardi , che chi ama le arti dovrebbe , prima di passare agli stranieri , im- parare a conoscere i nazionali . INon avea torto Carlo In- nocenzio Frugoni , quando trattandosi di poesia insinuava , che si vietasse alla gioventù la lettura degli oltramontani sino ai quarant' anni . Leggendo la riferita satira del Pa- terno comprenderebbero V utilità del consiglio del poeta com- patriotto del Chiabrera , ed il torto che hanno fatto a se stessi con trascurare di dissetarsi ne' Mmpidi fonti nostrali per inebbriarsi smodatamente di liquori forestieri . Sarebbe da osservarsi ancora del Paterno la quarta satira della par- te III , dove con novità di pensieri e d' immagini poetica- mente mette in vista il trito dettato di sapienza volgare , noto sin da che regnò sul Giordano Salomone , cioè che tutto nel mondo è vanità . Egli &' introduce dipingendo SULLA SATIRA 53 sulle tracce del Venosino la vita compestre, e ci prepara a deiider seco la vanità de' dotti , de' medici , de' giure- consulti , e passa indi a' poeti , e tutte ne rileva le fanfa- luche , le visioni , i sogni , le menzogne . Fermandosi su questi ultimi mostra , che per lo più vivono in miseria e muojono infelicemente , cominciando da Omero . Rimpro- vera poscia a tai seguaci di Apollo 1' aver popolato di nu- mi r Olimpo , e r averli dipinti timidi , raggiratori , scel- lerati , ladri , adulteri , incestuosi , e peggio ancora , tutto coprendo di allegoria . Finisce con rinfacciare alle nazioni del mondo vecchio 1' aver bandita dal nuovo la semplici- tà e r innocenza , così che oggi nasconvi del pari Cacchi e Licaoni . L' aria di novità e di giocondità , che respira n sì bella satira , non dovea render cauto il cavalier Man- tovano Bettinelli dal far decretare a Virgilio , che gì' Ita- liani non possono riescire nella satira per la soverchia mor- dacità? E quali Italiani avea egU dato a leggere al suo com- patrio ito negli EUsj ? Di Giacomo Soldani senatore fiorentino , che vlvea a tempo di Urbano Vili , trovansi sette satire nella mento- vata collezione di satirici . Pieno di vivacità e di brio , sa- tireggia i cortigiani , i falsi divoti , gì' insanabili peripateti- ci , il lusso matto , 1' avarizia , l' incostanza degli umani de- siderj . Traluce nel suo trasporto 1' uomo onesto , che ven- dica la virtù , manifestando la bruttezza del vizio , e com- passionando i viziosi. Molto con lodevole emulazione rica- va dagli antichi , dando ad ogni cosa un portamento mo- derno in guisa che ideato sembra a' tempi dell' au-tore . Bel- 54 SiGNORELLI la , energica , ma vera e dolorosa è la dipintura , che fa nella satira I , di un malvagio esaltato . Vi compiacerete voi , Colleghi, di udirla, poiché a Virgilio non vi fu chi la leggesse negli Elisj : Io ho -posta la monna alla finestra , Perchè mostri il più brutto alla brigata , Dicea un savio signor , per la cui destra Una infame persona era esaltata . Che importa il minchionar ( mi dice un altro ) Se salva in porto è la nave arrivata ? Queste son frenesie , pazzie senz' altro . Io diedi alla giustizia mille morsi Co' denti aguzzi di mio 'ngegno scaltro . lo stiracchiai le leggi , e là le toi^si , Ove pendeva il peso a miei 'nteressi , E inverso quelli senza freno corsi. Esaltai V enipio^ e V innocente oppressi , E in ogni magistrato ^ e in ogni uffizio Di mie ingiustizie alte vestigia impi^essi . Queste fur le mie industrie e V artifizio , Che librò in aria il m,io sublime volo , Asùcurandol rZ' ogni precipizio . A questa sfrontata sincera confessione dell' empio for- tunato e favorito in mezzo a' delitti , unisce il Soldani il punimenlo , che lo attende , levando il tuono enfaticamen- te , ed appella in prima alla di lui coscienza: Pillo pur tu , te solo appello e sfido Della tua coscienza al tribunale : Senz' altro testimon di lei mi fido . ^ULLA SATIRA 55» Ella non può mentire ; ella è il fiscale, Che per parte di Dio premia e gastiga , Entro la nostra mente , il bene e 'l male . Ella dirà , se goda , o se l' affiiga Tuo cor ^ o se ti sturbi o rassereni , Se viva in pace , o in travagliosa briga . Ella dirà le ruote e le catene , Le corde, e i ceppi , e gV infocati bronzi , E ad una ad una annovrerà tue pene . Dirà V ultrici fiamme , ove tu abbronzi , Dirà qual velame entro l' udito interno Senza mai rifinar sempre ti ronzi: Questo è il primo servito^ che V inferno Ti porta , acciò ti avezzi alle vivande , Che si cucinan giù nel fuoco eterno. Senti 'l fetor che da quelle si spande j Senti V amaro. .^ che ogni dolce infiela , Onde sospiri invan per quelle ghiande , H cui sapor solo Innocenza immela . Questa intonazione a tal segno elevata , e quella , in cui altrove fa parlare la satira stessa , disconvengono alla satira , perchè non sono Oraziane ? Hanno nulla dell' esa- gerazione e dell' iperbole cara a Giovenale ? perchè non le lesse Saverio Bettinelli , se volea decidere di satire ? per- chè nuovi censori , ed assai di lui più infelici , affibbiando- si la giornea van saltellando , come danune , da'Persj a' De- spréaux , e da (jueòti agli Altieri , ed agli Zaaoi , d' altri non curando ? S6' SiGNORELLI Traile satire intitolate capitoli , che nulla hanno di ber niesco o di burchiellesco , sono quelle di Alberto Lavezola , padre dell' accademia de' Filarmonici , che possono pur an- co leggersi nella lodata raccolta . Meritano di conoscersi sin* golarmente la prima , indirizzata a Niccolò Cozza, nella qua- le si manifesta quella nobil ragion feroce , che caratterizza la satira , allorché si eleva con vigore , ma senza iperbole , coutra la corruzione generale de' suoi tempi , indi discen- de a quella particolare di Verona sua patria , notandovi l' incostanza delle leggi nuove , e 1' abohzione delle vecchie in prò de' proprj parenti ed amici . Leggiadramente inse- gna, che mal si attenda a riformar leggi , dove regni un appetito incostante e leggero . Che se tali sono le produzioni geniali de' satirici ita- liani del XVII secolo , qual torto non ebbero alcuni , av- vezzi a studiar sullo spirito de' giornali , allorché ])ronun- ziarono clie ne'satirici nostrali altro non si trova che maldi- cenza ed oscenità? Vediamo se nel XVIII secolo ebbe l' Italia altri buoni satirici . Incomincio da un satirico , che il prelodato "Virgiho male istruito negli Ehsj non ebbe presente , e pure Man- tova sua patria , non meno che del Direttore delle poste Elisie , dista di poco da Bologna , dove colui nacque e fio- rì . Fu questi Pier Jacopo Martelli , troppo noto in Italia, ed oltramonti . Ne abbiamo sette graziose e preziose sati- re, che si distinguono fra quante altre se ne sieno compo-. Ste , perchè, oltre agU altri pregi , sono di tutte le più in- nocenti , Si aggirano unicamente a deridere le imposture SULLA SATIRA 67 letteràrie , lasciando a' pergami, ed alle cattedre la cura di tuonar contro i vizj. E ben l'autore stesso nella prefazio- ne dichiara , che limitandosi a' soli errori dell' intelletto in materie letterarie , metterà in ridicolo coloro , che per via di negozj e di trajichi affettano fama , che è il vizio moderno della falsa e pur troppo ancora della vera letteratura. Hanno queste satire Martelliane nel tempo stes- so la piacevole particolarità di formare una specie di ro- manzetto continuato dalla prima all' ultima . Se ne fece la prima edizione colla data di Cosmopoli nel 1717 e col ti- tolo: Il Segretario Cliternaio al Barone di Corvara., Sa- tire , libro y e la seconda volta s'impressero colla data di Londra , apponendovisi il nome dell' autore . Si figura nella satira I, che un ricco barone, sull'e- sempio della giovane Zanina , divenuta poetessa con gli al- trui versi, ricorra all'autore, perchè presti anche a lui la stessa opera officiosa . Ciò , rispondegli 1' autore , non si può fare senza danaro , dovendone il candidato profonde- re fra que' letterati , che vendono le proprie lodi . Con- chiude : Faina in somma si compri , ed or si spenda ; e prima di ogni cosa provvede a se stesso , dicendogli , Ma sei luigi a me spedite e presto . Nella seconda satira per primo compenso inviagli to- sto una Canzone ed un' Ecloga , facendo in quella cade- re qualche verso del Petrarca , ed in questa del Sannazza- ro, e notando in margine un P ed un S , affinchè si ac- i ledili di PotrarcIn;>ta e tli Sanna/./.arisf;» con simile impo- T. ni. 8 58 SiGNORELLI Stura , non di rado praticata . GÌ' insegna di più la manie- ra di recitarle, contraffacendo gli affettati verseggiatori mo- derni . Conchiude con una novelletta per ischernire certe frivole occupazioni , onde si getta la polvere agli occhi del pubblico. In grazia dunque de' comprati versi il Barone di Corvara diventa Ai^cade . Ma il poeta, che mercanteggia , e traffica di versi , vuole nella satira III , eh' egli diventi anche Quirino , e gliene addita il modo , cioè non rispar- miando regali . Nella satira V consiglia al fine a far prorompere in luce un suo libro impresso . Io vi ho rimessi ( dicegli ) ottanta sonetti , sei canzoni , quattro ecloghe , e quaranta madrigali j di più vi feste scrivere molti versi e molte let- tere di lode colla vostra munificenza ^ fate di tutto ciò un ' edizione in paese forestiere , ed esca fuori colla clausola dell' approvazione dell'Accademia Fiorentina , come di un auto- re di Hngua in sua sentenza. Sia l'edizione elegante , in un dodici grande , ma copiosa , e straricca di rami , vi sia un ritratto colla testa laureata , e vi si legga scritto intor- no , il Corvarino Apollo . Se ne stampino però sole cin- quanta copie o al più cento. Un librajo poi vada seminando: Le poesie Del Baron pagar volli otto testoni : Otto , Signor , né le potei far mie ! Vi si apponga il privilegio , onde non possa da altri stam- parsi . Ristampatelo voi stesso in Parigi , in Olanda , in Li- psia , in Londra , sempre a pochi esemplari per volta , e sieno r edizioni in diversi formati , perchè si senta dire SULLA SATIRA • 5ft Barone in quarto , in sedici , in ottavo . E se alcun fosse mai così arrogante , Che a punir tal , che a vostra onta vi stampa, Vi stimolasse , oltre il dover zelante , Qual gatto in furia se fra zampa e zampa Sua prigioniera addentalo la iopa , Dite a colui con tutto il volto in vampa : Posso io tener che non mi stampi Europa ? Ma soprammodo rilevante per un accademico imposto- re è r insinuazione della satira VI di farsi enunciar lauda- bilmente ne' giornali e nelle biblioteche d' uomini illustri , o di filosofi , componendo da se stesso , o facendo compor- re da qualche cliente comprato , 1' articolo da inserirvisi . Al qual fine è necessario proccurarsi nelle città primarie al- cuni sensali , che patteggiano co'giornalisti , convertendogli colla pioggia , che discliiuse la prigione di Danae . Così , o Baron , mercantasi dai tristi La nominanza , e così alfin riesce Che per traffichi infami onor si acquisti . Neil' ultima satira però s' introduce il Barone , come rivenuto dalla smania della mimica comparsa di letterato sen- za lettere e di accademico trafficante , ed il poeta gliene dà lode . INon disapprova questi però , che a' meritevoli non increscano le lodi giuste. E qui con arte Oraziana sen- za stomachevole affettazione, e mosso da ingenuo sentimen- to , tributa gh encomj dovuti ad Ovidio, a Virgiho , ad Orazio , al suo buon ser Lodovico , ed al gran Torquato . 6à SiGNORELLI ed in fine ad Alessandro Guidi , che introduce a favellar di ciò , e conchiude , Così 'l curvo Pavese , uojn fatto a palla , Dicea fremendo , e con le braccia alzate Parca nuotar del negro Lete a galla . E negli Orti Farnesi alle onorate Leggi d' Arcadia ivi scolpite a canto , Tai sul tempo avvenir sparò bravate , Che V intronò del fero Gobbo il canto . In simil guisa il celebre MartelU , notissimo a chi co- nosce la letteratura italiana , espone alla vista le vergogno- se imposture delle larve accademiche . Gli uomini di buo- na fede osserveranno ancora che un sì bel romanzetto sa- tirico non ha esempio negli antichi j end' è che chi si pri- va della lettura de' nostri , tutto non può trovar fra quel- li, e non potrà mai conoscere appieno 1' estensione delle ricchezze della satira . Meno estesa ricordanza non meriterebbero altri satiri- ci del passato secolo j ma per non abusare della vostra pa- zienza , ne compendierò i pregi . Rammenterò dunque do- po del Martelli quel satirico che io mentovai sin dal 1774» il cui nome cagionò alta meraviglia al cav. Clemente Va- netti , non conoscendolo , allorché nelle sue Osservazioni volle onorar le mie satire della sua critica (i). Fu questi (i) Si possono vedere le ci- Gesiniana di Genova, e le mie tate Osservazioni nel tomo II , e repliche nel IV tomo de' miei la prefazione alle sei prime sati- Opuscoli F'ar'j. re che impressi nella stamperia SULLA SATIRA Si Antonio Tommasi , Chierico regolare della Madre di Dio; il quale coltivò la satira in alcune gioconde epistole in ver- si sciolti . Non fu colpa mia che il Vanetti noi conoscesse j ma ben fu colpa mia che io pregiassi V immortai Metasta- sio , contra il sentire del BettinelU , del Galzabigi , e del Vanetti . Il Tommasi potea esser conosciuto da questo cul- to giovane di Roveredo e dalle accennate epistole , e da' suoi pregevoli sonetti di nota elevata , e da' sonetti otto- nar] condili di piacevolezza satirica senza fiele . Il Vanet- ti , levando per un momento gli occhi dalle satire Orazia- ne, e da se stesso , in uno de 'sonetti del Tommasi che ia- comincia Senti , Elpin , quella cornacchia , avrebbe rinvenuto anche il nome arcadico del Tommasi che era Vallejo Gareatico . Lascio di mentovare il saporitissimo Convito del con- sigliere Gennaro Parrini, intitolato Rabularum Convivium^ immagine della Menippea di Varrone . Lascio altresì i Rap- porti di Parnaso di Niccola Amenta j sebbene ed il gusto e la satira cortigianesca , non meno che l' eleganza latina ed itaUana , regnano ne'riferiti ottimi frutti di sapere e di erudizione . Accennerò alcuna cosa di pochi altri ^ ed in prima del faceto Gio. Battista FagiuoH , di cui si hanno com- medie , satire , e capitoU . Meritava egli di essere obbliato da chi di qualche satira incantonata non si dimenticò ? Leg- gasi per esempio quella che diresse al buono orator sacro p. Rossi, dove, lui lodando, motteggia i cattivi predicato- ri . Che se talora la sua facilità scarseggia di sceltezza , ben 6a SlGNORELLI si ravvisa in lui intelligenza dell' arte . Più di una satira spiritosa col nome di capitolo compose Vittore Vittori di Mantova , che coltivò altresì con riuscita altri generi poe- tici . Contai sin dal 1774 tra' satirici italiani di nome 1' insigne autore del Mattino , e del Mezzogiorno , in cui dipinse nobili^ contini , marchesini imjnaginarj perduti nella vana pompa del fasto , della mollezza , e delle ma- niere, nelle quali sole credesi che consista la nobiltà , ben- ché queste appunto gli rendano ridicoli . Un nostro erudi- to regnicolo fece due satire , dietro le tracce del Perini , intitolate lo Studente ed i Letterati alla moda , valen- dosi della di lui figura prediletta , 1' ironia . Che se simi- li dipinture sono più proprie di un paese che di un altro , debbono studiarsene i tratti colà dove più frequenti sono y ancorché non si trovassero ( dicasi per esempio ) in Ora- zio , o in Boileau , o in altri. Satire p"ure scrisse, e, lui vivente , lodate il nomato Clemente Vanetti . Inedite sono , ma lodevoli , le satire che lasciò il celebre medico Lupac- cliini con altri frutti poetici degni di veder la luce : ma r idrofobia , che lo tolse immaturamente di vita , fé che tutto rimanesse sepolto insieme alla preparata accuratissima edizione delle opere di Cornelio Celso. Un satireggiar tut- to suo nel grazioso dialetto siciliano spiegò il Dottor Me- li , sì nella Fata Galante , poema satirico pieno di sale e di piacevolezza , molte volte impresso , che nelle lepidissi- me Satire . E perché privarsi per alterigia e per ignoran- ?a d' istruirsi di tali scrittori , opportuni ad arriccliir gli stu- jcIìoeì insieme con Orazio , Boileau , ed Ariosto ? E come SULLA SATIRA 63 si può da uno scrittore nato in questo regno trascurra- di conoscersi il merito poetico di Carlo Pecchia , insigne au- tore dei Supplirne nio alla storpia civile di Pietro Gianno- ne ? Da quale degli antichi o degli stranieri si può trarre il diletto e 1' utilità che ci presenta la bella sua Marna- chiana , altra festivissima graziosa Menippea , ed i piace- voli suoi morali capitoli ? Nel Peccliia si osserva in qual maniera un uomo di candidi costumi , ammaestrato dalle scienze e dagli anticlii e da' moderni esempj , ed inspirato dalle muse , che gli arridono , si avvezzi a condir le sue satire di tutta V importanza della morale , e di tutta la pia- cevolezza d' Orazio , del vigore di Giovenale e del traspor- to di Persio per la probità . E chi meglio di lui può col- locarsi accanto all' Ariosto , al Paterno , ed al Martelli ? Sovvengavi parimente , illustri Colleghi , della piacevolissi- ma satira uscita in Napoli verso la metà del passato seco- lo , frutto della gioventù di Ferdinando Galiani e di Pa- squale Carcani . Per motteggiare alcuni eruditi , parziali di raccolte ad ogni frivola occorrenza , ne finsero una , data in luce da un riputato avvocato , per ossequiare il defun- to carnefice della Vicaria Domenico lannaccone. I com- ponimenti immaginati si atribuirono agi' individui dell' ac- cademia degli Emuli. I frizzi vi si versarono largamente , il sale comico e satirico , e la spiritosa ironia vi eccitava il riso universale ^ la parodia aristofanesca n' era il più in- gegnoso condimento , e vi divennero ridicoli con picciole salse alterazioni gh squarci novissimi de' componimenti de- gli accademici tolti di mira . Vi si rispettavano i costumi , 6'4 SiGNORELLr e la satira si aggirava soltanto sulle carricalure letterarie j le quali vi si punsero gajamente alla maniera del Martelli. Se ne fece romore da' feriti , ma il riso , secondo la predizione di Orazio , convertì 1' accusa ed il giudizio in celia j i col- pevoli si assolsero j ed i satireggiati rimasero con la beffa se non con danno . Finalmente ( lasciando ad altri più di- ligenti r investigare , se altro satirico vantino gì' Italiani degno di non obbliarsi) chiuderemo questa onorata scliiera di satirici italiani col rinomato Vittorio Alfieri , il quale si è distinto nel satireggiare , e nelle stesse sue Tragedie , e quando versò nelle Commedie postume tutto T amarore aristofanesco , e quando compose le robuste sue Satire , le quali non si dimenticheranno giammai . SATIRA D'OLTRAMONTI La Francia sotto Luigi XIV spiegava in ogni incontra tanta potenza e maestà al di fuori , che vincitrice o vinta , combattendo o negoziando , si segnalò e riscosse dagli emu- li e dagli alleati amistà , ammirazione , e rispetto . I^er- saiìles incantava colla splendidezza e col tesoro delle bene- ficenze e delle sjieranze , che in se chiudeva . Tale indi- cibile concorso attirava di pretensori di ogni specie , di ne- goziatori stranieri , e di cortigiani , d' indole , di costumi e (li maniere dissimili , che divenne il centro de' maneggi , delle foibe , de' piaceri e della politezza e della coltura . Teatro così magnifico, in cui originali cotanto varj confa- bulayanQ ed agivano , si sosteo-?vano e si urlavano , spe- SULLA SATIftA G5 ravaiio e temevano , spiavansi a vicenda ed a vicenda s' istruivano e si corrompevano , divenne scuola inesausta per- la satira e per la commedia . Quivi , non meno che nell* umana natura e nel greco Teofrasto , apprese la Bruyere ^ e ne attinse quella prodigiosa copia di caratteri , che av- vivata da un colorito a se peculiare si ammirò , e si co- nobbe coir esperienza inimitabile . Quivi formaronsi tanti ingegni di primo ordine, che co' loro raggi illustrarono la monarchia , e riscossero stupore , imitazione , ed applauso dall' intera Europa . Quivi la Fontaine insegnò la morale, e spiegò con geniale mirabile semplicità le pompe della fi- na satira innominata , e si applaudì qual Fedro Francesct Quivi il grande Giovanni Bacine abbighò di nuove fogge la vera tragedia , già rinata per opra di Pietro CorneiUe , e con tratto satirico degno di Euripide seppe correggere il sovrano , e rimuoverlo dall' abitudine di darsi in ispetta- colo co' ballerini sul teatro . Quivi 3Ioliere , degno di fi- gurar tra' grandi ingegni , ritrasse con pennello inimitabile i costumi del suo tempo , e fé meravigliar 1' Europa col- le maestrevoli dipinture delle sconcezze e delle passioni ge- nerali e di quelle di Versailles e di Parigi . La satira propriamente detta cominciò con Rabelais. Per lui surse fra' suoi , ma la corruzione del suo cuore tra- spariva dalle schifezze ed oscenità de' suoi versi senza gua- dagno dell'arte. Regnier riesci meglio nel motteggiare, ma non apparve meno nemico della decenza . Convien eh' io ritratti ciò che altrove di lui dissi (i) che c^li fu il Ln- (i) Nella citata ediiionc Gesiniana delle mie salire . T. III. a 66 SiGNORELlI cilio della Francia. No, Lucilio mordace, fervoroso, cau- stico, non mai però fu osceno, impudente, né Orazio suo censore di ciò l' imputò mai , né i di lui frammenti imma- gine alcuna presentano da dirsi oscena . Regnier però né ebbe come Lucilio il vanto di aver inventato il miglior ge- nere di satira , né sostenne , come lui , con ardore la pro- bità e i doveri di buon cittadino , di buon padre , di re- ligioso servatore del giusto e dell'onesto , ed oltre a ciò fu languido anzi che no, e cadde in alcune dipinture libertine. Despj'éaiix Boileau , coltissimo poeta , ben vide che nella satira i suoi predecessori lasciato aveano un alto seggio ancor voto. Il nitore del suo stile, 1' armonia possibile de' Suoi alessandrini , l'eleganza non mai smentita , la conoscen- za delle opere classiche degli antichi, la nobile invidia , che destavagU in seno il faceto satireggiar di Orazio , unironsi in lui per formarne un degno coetaneo ed amico di Ra- cine . Di questo gran tragico veramente non possedè Boi- leau la grazia inarrivabile , non 1' estro eminente , che V autor AeM' Atalia spiegò nella poesia entusiastica , non la su- blimità de' cori di quella tragedia , che attinse nel hnguag- gio de' profeti ebrei e de' lirici greci . Questi rari pregi , già occupati per avventura , determinarono Boileau alla sa- tira . Si provò col poemetto eroicomico le Lutrin , con somma eleganza e giocondità maneggiato ^ e se in esso non regna tanta varietà da farne sparire del tutto la monotonìa, merita pur di contarsi onorevolmente tra' componimenti di simil genere scherzevole, che danno un portamento grave ed eroico ad una bagattella . Ma il suo ingegno cospirò col SULLA SATIRA 67 gusto e coir eleganza , che possedeva , a farlo trionfar nell' epistole , nelle satire , e nella Poetica . A giudicarne dal- le sue produzioni sembra, che per natura inclinasse alla veemenza di Giovenale , ma che Orazio però 1' accendesse di voglia di emularne la giocondità e la cortigiana piace- volezza . Cercò di ogni maniera di secondar gì' impulsi del gusto 5 che verso di lui lo rapivano 5 ma le circostanze del- la sua nazione in diverse guise lontane da quelle de' Roma- ni sotto di Augusto , appena usciti da una proscrizione , e da una gran repubblica , oltre della pendenza del pro- prio genio , l'approssimarono all' Aquiuate . Non pertanto più di una volta da' suoi ammiratori si tenne come 1' Ora- zio de'Francesi . Ed in fatti molte volte ne conseguisce le grazie , specialmente in alcune molto belle epistole . Del resto lasciando a parte ogni paragone , egli pervenne ad occupar la vota sede del satirico maggiore dell' Europa nel gran lustro della reggia francese ; e figurò tra' sublimi in- gegni che adornavano la nazione , insieme con CorneiUe , Bacine , Moliòì^e , Quinault , la Fontaine , la Bruyère , Boiirdaloae , e Fenelon . Dopo un sì gran modello ebbero i Francesi nel seco- lo XVIII altri insigni satirici . Si distinse il signor Clement per le giudiziose Osservazioni letterarie di j)iù di un ge- nere , e per le spiritose e piacevoli satire , che produsse . II signor Palissot , oltre delle commedie contrai i Fìlosojì , intesi a suo modo, razza pericolosa sempre pe'deboli , cioè per coloro che di simil titolo abusano, compose una i)?//?- ciade francese sulle tracce dell'inglese di Pope , scopren- 68 SlGNORELH do gV Impostori , e deridendo la falsa letteratura naziona- le . Ma chi seppe al pari del signor di Ferney investigar curiosamente i princìpj delle umane azioni , e trarne alla luce il ridicolo ? Chi con gusto migliore , con franchezza, con brio , e con poetica eloquenza seppe esprimerlo in pro- sa ed in versi ? Chi mordere con maggior grazia ed origi- nalità ? Chi ferire con colpo più mortale i nemici del gu- sto ? Chi schivare la servile imitazione degli antichi , ben- ché nutrito de' loro sostanziosi alimenti colla disciplina del Brumoy , del Tournemine , del Porée ? Io non mi curo ■di rilevare con un confronto le bellezze del Boileau e del Voltaire . Solo invito gli amatori dell' amena letteratura a lidursi alla memoria il Discorso dell' autor della Zaira aux TVelches , T epistola all' Imperatore della China , il Paxivre Diahle , il Tempio del gusto . E v' è nel co- minciar del secolo XIX che osi parlar baldanzosamente di satire, e non si sovvenga del Voltaire (i) ? Negli ultimi anni dello scorso secolo corsero le pro- duzioni di m. Pinière e m. Despazes , altri due satirici da conoscersi . Vi si scorge certa libertà propria di quel tempo che non si rinviene in altri 5 e ciò prova e convin- ce che la satira ardisce più o meno a seconda delle circo- Stanze de' tempi , e che non si conoscerà mai da chi pro- fessa di scrivere a salti e non mirando che da un solo lato. Vuoisi rammentare altresì il signor di Chenier uno degli (1) L'Autore non avrebbe altri francesi se avesse [)otuto da" in questo luogo inleraraente ob- re alla sua memoria V ultima per Jjliale le satire del Guilbert , e di fezione ( Nota degli Editori ) SULLA SATIRA 69 ultimi riputati scrittori tragici di Parigi , 11 quale merita un posto tra' satirici della Francia . Molte pennellate maestre- voli ne presenta la sua Epistola a foUaiì'e che ho vedu- to nel 1806 , o che ritragga gli ultimi tempi di Luigi XIV e i seguenti , o che si scagli contro l' impostura , la super- stizione , la calunnia , e 1 giornalisli di lui nemici non meno che della probità e del gusto . Passiamo all' Ale- magna . Clii volesse alcuna cosa indicare da potersi in Alema- gna alla satira innominata rapportare , non pochi tratti ne rinverrebbe negli antichi Cantori d' Amore ( Minnesager ) scritti verso il XIV secolo . Il Corriere di Ugone di Trlm- berg , pubblicato in Francfort sul Meno nel i549 5 abbon- da di Tavolette e di amari motteggi . Ne' Giuochi di Car- nevflle trovansi caratteri diversi , esposti agli strali pene- tranti del ridicolo , e talvolta rilevati con motti poco de- licati . Si distinse in essi Uosenhlut seguito da Alkmars . Abbondano di satirici colpi 1 componimenti di Federigo Gu- glielmo Zaccaria , che poetò nel passato secolo . I suoi poemi eroicomici molto applauditi , singolarmente il Faz~ zoletto ed il Gatto nelV Inferno , hanno tutto lo spirito della satira senza portarne il nome e la forma . Ma la sa- . tira, propriamente detta, surse in quelle contrade dopo di Opitz , mercè del riputato ministro di Stato il barone Ca- nitz nato in Berlino nel 1 654 •> ^ naorto nel 1 699 . Fiori in una corte , che nel settentrione si distinse per la poli- tezza 5 ed egli stesso era dotato di quella urbanità obbli- gante , che ispirano le reggie già aperte alla coltura , e che 70 SiGNORELLI rifulse in Orazio , come ancora di quella bontà di cuore , che per lo più regna nella Germania . Egli possedeva ol- tre a ciò ottimamente la propria lingua mercè di uno stu- dio continuato . Le satire da lui composte , lontane dalla bile di Giovenale, non veggonsi però a sufficienza condi- te dalla franchezza geniale , e dalle facezie insinuanti di Ora- zio . E come poteva questa maniera di satireggiare preva- lere in quella nazione , agitata da una lunglussmia guerra , prodotta dalle tetre controversie di religione , che la me- narono di contesa in contesa per più di trenta anni ? Ca~ nitz vinse gli ostacoli recenti nazionali col proprio genio 5 ma non avrebbe mai potuto rassomigliare ad un Orazio ami- co dell' ozio e di Epicuro nel settentrione tutto in armi e religioso. Veggonsi nonpertanto nelle satire del Prussiano ministro molti tratti originali narrati con vivacità e lindura , specialmente nelle satire sulla Poesia , e sulla Morie dell' avaro . In quella della Libertà bellamente si congiunge all' amenità poetica F utihtà morale . Il suo esercizio in que- sto genere cominciò dal tradurre alcune satire di Boileau^ dalle quali pur col tempo V allontanarono il clima , ed il genio nazionale . Non dovè la Germania al solo Canìtz il ritorno del gusto nelle arti . Federigo II nel XVIII secolo , distinto col titolo di grande, v'ispirò 1' amore della buona poe- sia , e col proprio esemplo ne manifestò il sentiero . Colla fondazione di una celebre accademia stabilì Federigo in quel regno lo spirito investigatore delle scienze , e V ame- na letteratura di ogni maniera . Chiamando a se dappresso Sl'LLA SATIRA 7I col VoUaire^ Algarotli, e Mauperluis 11 sapere e le let- tere coltivate in Francia ed in Italia , contribuì al clisvilup- po del genio nazionale , Federico scherni comicameate i fi- losofastri , e scrisse in francese epistole e satire felici e vigorose . Nel 17 14 ne' contorni di Lipsia venne al mondo i?a- hener che mori nel 1771. Scritlor deciso per promuove- re la virtù ed il bene , nemico del vizio , dell' impostura , e della pedanteria inutile , che equivale all' ignoranza , lon- tano dalle personahtà , ci presenta il modello del vero let- terato , e del virtuoso utile satirico . Compose in prosa , ma vaga e poetica talmente , che se si rimettesse in cam- po 1' antica contesa, se i componimenti in prosa meritino nome di poesia , Rabener e Gessner farebbero pendere la bilancia a lor favore . Oso dire che se per ogni altro ge- nere poetico può sostenersi il verso , per la satira non sa- rebbe da escludersi la prosa , giacché oltre degli antichi esempj di Varrone e di Petronio , che alternarono la pro- sa ed i versi , i moderni in Italia , in Francia , ed in Inghil- terra si sono accordati in comporre commedie ora in versi ed ora in' prosa . Kabener ( disse il signor Ramler , ci- tato anche dall' Abate Bertola ) scrisse in prosa come Lu- ciano e Svvift . Pieno di vezzi ( aggiunse ) senza amarez- za , vago nello stile , istruttivo mentre biasima , inesausto nelle invenzioni , dischiude a' curiosi una galleria d' imma- gini, e di caratteri varj e vaghi nel Testamento Swiftia- no ^ nel Dizionario Alemanno^ nella favoletta del primo aprile , nella Cronaca 0 Tabella de' morti , ne' Prover- 72 SiGNORElLI bj di Pausa , e singolarmente nelle sue Lettere , che pro- priamente appartengono alla satira . Il barone Giovanni Federigo di Cronegk nato in Ans- pach e morto nel 1758 in età di anni ventisei imitò con energia e gentilezza Tibullo . Scrisse poesie erotiche e sa- tire j ma sviluppò nel proprio carattere tanto amore per la virtù , che noi lo reputiamo vivo ritratto di Aulo Persio , di cui partecipò parimente l'avvenenza e l'immaturo fine 5 perchè ( che che il Bertola ne abbia pensato ) siamo di avviso , che non mal un malvagio uomo possa divenir buon satirico . Di grazia potrà aringarsi con vera eloquen- za e fervore per la virtù , che s' ignora o si disprezza ? E con qual fronte in^pavido il perverso riprenderà i suoi simili con ferma voce e cuor non palpitante ? Giovanni Michaelis , nato nel i •j^'2, , e morto nel 1772, produsse melodrammi buffi, favole pe'fanciulh , e- pistole e satire . Non si ravvisa ne' suoi lavori originalità veruna. JNel seguire però i moderni esemplari, da lui stu- diati , spiegò un gusto squisito , che molto prometteva , se morte non ne interrompeva gli ulteriori progressi . Ma- neggiò con felicità l' ironia , In generale ciò , che maggior- mente ridonda a gloria della nazione tedesca , è il trionfo della morale istruzione nella satira nazionale , punto non deturpata dall' oscenità e dall' impudente maldicenza . La sobrietà tedesca nel satireggiare sparisce a fronte dell' impudenza degli scrittori della Gran Brettagna . La li- cenza eccessiva , e la mahguità senza limiti , presero in ogni tempo sul Tamigi il luogo , che occupar dovea la satirica SULLA SATIRA ^3 piacevolezza di Orazio , l' amor della vlilù dominante iu Persio , e la morale ancorché inculcata con veemenza da Giovenale • La satira innominata colà si coltivò prima che 'in Alemagna . Mentre Cromirel , secondato da' suoi par- tigiani , riesciva a far troncare il capo a Carlo I sotto il velame della libertà ^ Butler produsse Hudihras poema sa- tirico , in cui ardì motteggiare e coprir di mordace ridicolo il fanatismo spietato di quell' epoca . Nulla prova contra i pedanti con maggior evidenza , che la satira non può al- lontanarsi dall' indole del governo , e da' generali costumi locali, quanto i progressi, che essa fece in Inghilterra . Sot- to Carlo II, quando l'amor de' piaceri dissipò in gran par- te lo splcn nazionale , Rochester sin dalla puerile età ini- zialo nel gusto e nella poesia , seguendo gli antichi , tras- fuse nelle sue satire 1' impeto di Giovenale e la corruzio- ne de' suoi tempi . L' Usurpazione delle donne è piena zeppa della più sfrenata licenza . La satira sul Niente si aggira sulle scolastiche sottigliezze , che vi si sferzano . Gran celebrità gli procacciò fra' suoi la satira contra \'Uo~ ino. Vi> ace ed oltremodo maligna è la descrizione del Pran- zo indicalo. Per una sa tua impudente fu esiliato , ma rav- veduto mostrò rincrescimento de* suoi trascorsi , e rientrò nel real favore. La morte lo rapì ben giovane nel i68o, e lasciò negli animi de' suoi gran rammarico la sua perdi- ta , singolarmente per varj eleganti discorsi , che profferì nella Camera de' pari , Giovanni Pllliers Duca di Buckingam comiiose sati- re pregevoli , ed in una di esse prescrive eccellenti leggi T. ni. IO •J^ SiGNORELLT SU tal poema . Ma i suoi giudizj pieni di saviezza e di mo- derazione vengono di quando in quando smentiti dal pen- dio deir autore all' indecenza . Dryden sotto il nome di Zimrì scrisse una satira contro del Villiers , in cui spie- gò la sua bile con tratti piccanti e con assai maligno riso. Alessandro Pope , celebre autore di varie produzioni eccel- lenti , e singolarmente del Saggio suW Uomo , e del Ric" do rapito , ferì nella Dunciade profondamente i suoi na- zionali e lo stesso Adisson , che però seppe ben vendi- carsene . Ea nazione spagnuola non lasciò intentato il genere satirico . La satira innominata campeggia da per tutto nel- le produzioni teatrali e nelle Novelle in dialogo de'Porto- gliesi e degli altri Spagnuoli . Singolarmente spaziò nella famosa Celestina castigliana , che tanto il fu Lampillas quanto il signor Abate Andres travedendo presero per com- ponimento drammatico , atto a rappresentarsi . L' oscenità indicibile di tal libro sorpassa in impudenza le favole di Aristofane e degl' Inglesi 5 ma la dipintura felice de' carat- teri , tutto che tratto tratto schifosa , e la purezza della locuzione ne conservarono la rinomanza . Nel secolo XVI Naarro de Torres scrisse alcune salire ed alcune com- medie in Roma , le quali s' impressero col titolo di Pro~ ■palladia , e furono proibite . La celebrità del Don Qui- ocoite de la Mancha^ diffuso per l'Europa e tante volte tradotto , non farà mai dimenticare il nome di Miguel Cervantes . Molti tratti satirici egli seminò eziandio nel 6U0 Viage de Parnaso contro de' letterati contemporanei. 1 SULLA SATIRA jS Andres Rey de Arlìeda mentovato dall' Antonio e dal Montiano scrisse epistole e satire contra i drammatici suoi nazionali , delle quali trovasi nel Parnaso Espannol in- serita quella, die diresse al Marques de Cuellar. Anche il buon poeta Mamiel de Villegas scrisse graziose satire coli tra i poeti teatrali . Nel XVII secolo Francesco Que~ vedo scrittor facondo conosceva il vero gusto , ma segui la corruzione in moda , e delirando co' seguaci del Vega compose nel guasto stile , che colà chiamasi cxilto . Le sue satire si fanno ammirare pel sale , per la copia , per le fa- cezie, e per la purezza della lingua. CONCHIUSIONE TaU furono , s' io m' appongo , le vicende della Satira antica e moderna , italiana ed oltramontana , che ho cer- cato abbozzare ìji queste osservazioni . Ma siffatto genere ( potrebbe chiedersi ) ebbe mai certe leggi , perchè dritto andar possa al suo scopo ? può averne delle nuove ? e da chi debbonsi attendere ? Soddisfacendo a simili richieste y dico in prima , che io non dubito , clie leggi non abbia avute , ed acconce alle fasi del suo sorgere , fiorire , deca- dere , e rilevarsi , sin da che nacque in terra il pensiero di battersi con tratti satirici, cioè ben dappresso all'epoca remotissima , in cui P?-orepserunt pìimis ammalia terris , e contrastarono colle unghie , co' pugni, e colle ai'mi da poi •j6 SlGNORELLl Dojiec verta qxdhus vnces sensusque ìiotareni , Nominaque invenere (i) E queste leggi di pungersi con parole , quali esser do- vettero ? Quali ( a me pare ) una ragion coraggiosa e ri- schiarata dovè suggerirle, posta tra la virtù e la corruzione, tra la saviezza e le follie , tra il gusto e il traviamento . Guardiamci di attendere però queste leggi , questa norma della satira , da'venditori di arcane investigazioni , che frut- tino riccchezze nuove riserbate da' fati a scoprirsi al gior- no di jeri . Non si attendano da chi schivi , o ignori le cognizioni filologiche , salutari sempre , e contento sia di smaltire un proprio cicaleccio neologico . Non da chi , a dispetto della storia e di Orazio (2) , neghi alla nazione di Omero e di Pindaro di aver conosciute le satiriche bellez- ze . Molto meno da chi imbastardisce con uso strano l' idioma nativo , che 1' AHghieri , sto per dire , divinizzò , che il Petrarca illeggiadri , che il Boccaccio arricchì copio- samente , che Lodovico e Torquato co' loro poemi subli- marono , e diffusero per la eulta Europa . La satira tosto nasce , ove in un vivace ingegno , che saluti le Muse , si combini cuor retto , esatto discorso , occhio penetrante , trasporto per la virtù \ e nascendo , è subito legislatrice di se stessa . Natura , società , ragiona- ta conoscenza de* grandi esemplari di tutte le nazioni , que- sto è tutto lo studio della satira , questi sono i suoi codici , questi i suoi legislatori genuini. Da queste miniere essa , al pa- ri della commedia sua prediletta compagna ed amica , tira i (1) Orazio sat. 3. lib. II. (a) Orazio sat. [\. lib. I. SULLA SATIRA 77 materiali , die le abbisognano. E perchè s'innamorerebbe di uno o di due paesi , gli altri non curando? La satira fa il giro della terra ; acquista idee , e partiti proporzionali a' luoghi che visita, ed a'gradi di coltura che vi rinviene . È quasi sel- vaggia , ma robusta nell' infanzia delle nazioni : barbara , ma elastica e bizzarra tra' barbari : eulta tra' culti , ma in modi diversi : franca , aperta , imperiosa tra' repubblicani : timida , ma scaltra , dissimulata , oscura , artificiosa tra' despoti \ negl' imperi moderati graziosa , polita , faceta , piacevole. Vorreste rassettarla a norma di un sol modello? soggettarla a statuti non confacenti a' tempi , ed a' gover- .ni ? ad un avviso singolare capriccioso ? condannar tutti per idolatrare un solo ? Tutti quelli , che in tal genere fio- rirono , tutti forniscono espedienti opportuni per guidar 1' estro del satirico a seconda de' cenni di chi impera , e del bisogno , e degli andamenti di chi dee ubbidire . Con ta- le scaltrezza impara da' grandi modelli di ogni tempo e di ogni clima a variar armi , ed assalti , il vizio inseguendo e dissipando le follie . L' orme calcando di Persio , riven- dica i diritti della probità e della giustizia oltraggiata . Studiando singolarmente Aristofane, Luciano ed Orazio, impara che un rider sagace ed a tempo è 1' arma offensiva più tremenda contra le maschere letterarie e civili , contra r impostura , il mestier di sicario , ed i vizj non palhati ed insidiosi de' Nomentani , de' Tigellii , de' Crispini , de' Bacrilli e de'Florini di tutti i tempi , ad onta delle toghe , e delle clientele , che rendongli baldanzosi. Dal Martelli , dal Maòener, e dal Voltaire iuipara , che senza zolichi in- 78 SlGNORELLl sulti può insinuarsi il gusto e la morale , mettersi in vista la verità , confondersi le larve , onorarsi il genio ed il va- lore , rendersi la virtù amabile . Per fuggir noja dietro la traccia or dell' Ariosto or del Parini or del Meli or del Pecchia prende a sogghignar con grazia e varietà , a can- giar intonazione , a presentar fresche immagini , apologhi , allusioni , novellette , che dilettino e correggano gioconda- mente . Tuona talvolta al pari del Cremete Terenziano , suir esempio del Paterno , del Soldani , del Lavezola , del Rochester ;, talvolta con Giovenale , Lucilio e Boileau le- va più alta la voce , e con enfatici accenti J^a jusque sur le dai faire palir le vice . E che altro fa mestieri alla satira per avanzar terreno con fide scorte , o quando scherza , o quando ruota la fulminea sua spada , ed incalza 1' empietà , T impudenza , la sordidezza , il libertinaggio , e V impostura versipelle , e moltiforme , cui essa nulla perdona , in difesa della vir- tù cui tutto sacrifica? Sdegna dunque la satira il lungo sentiero de'precet- ti , ed al più breve de' grandi esempj si attiene . Tutti stu- dia , su tutti si forma e si abbellisce , con lutti si addime- stica. Ma generosa emulando , e non già saccheggiando al- la guisa de' fuorusciti di Elicona , che poi vanno a preci- pitare nella Valle di quel monte, s'ingegna di esser nuova e di non rassomigliare a veruno . 79 LEZIONE ACCADEMICA DEL CATS^ONICO MICHELANGELO MAGRI' SOPRA UNA GRECA ISCRIZIONE, Recitata da lui nelle Adunanze de' i!^ e 1^ Settembre x8i4' Reverere gloriam veterem , et liane ipsctm seneciutem , quae in homine veneTcìbìlis , in urbibus sacra est : sit apud te lìonor antiquitatis . C. Plin. Caecil. Maximo, L. YIII, cp. 24. v^rANTUNQUE volte, prestantissimi Accademici, me- co slesso considero , quanto egregi nomini e di chiara fa- ma al mondo , in alcuni eruditi lavori gravemente erraro- no j tante conosco che, a bene ed accuratamente illustra- re le topografiche ed epigraflcJie cose , della oculare ispe- zione fa di mestieri valersi . Quel notomista , che su' li- bri , e non su'cadaveri studiava , veniva bellamente da Ga- leno appellato piloto di carta , il qual non ha giammai navigato , nò veduto i luoglii sul mare . Lo stesso puotesi a buona equità dir di quei, che a scriver oggi imprendo- 8o Macrì no di topografia ritirati in casa nello scrittoio, dove non pos- sono leggere quel gran libro, che Natura maisempre scoperto ed aperto tiene alla vista di tutti coloro , i quai bramosia e vaghezza hanno di rendersene ammaestrati ed istrutti . Laon- de non è granfatto da stupire , se , fra gli altri eruditi , gli Orteli , i Gronovi , i Vossi , i Cellari , i Mazzocchi tra- vederono nella nostra topografia j e se i Martorelli , i Mo- risani , i Mamachi , ed altri d'alto ingegno dotati , di mol- to allucinaronsi in traducendo il greco sagro marmo , eh' IO imprendo a illustrare . Perciocché deferiron costoro alle relazioni altrui , non avendol mica potut' originalmente ve- dere nel sito , ov' ei tuttavia vedesi a Girace scolpito . Eran già gli anni della salutare Incarnazione del divin Verbo al numero pervenuti di 1084, quando nella egre- gia città detta il precitato marmo scolpissi, del quale qui soggiunger ci piace il disegno : -po/KOAomioH 0/vaoc THc -&KOV. KRÌ TU)N Ari K^Tu)A/ cVA/ffQACAjA/ ny- 1^ MÌt^ IGJ ^ ^<\>^S IN ~%. + CRSCA ISCRIZIONE 8l La quale iscrizione ci sembra doversi così leggere ed interpellare: Ttli 0EOTOX8, XOM TWl» uyi- uv fj.tycc'Kwv ixccpTvpuiv 'EuTTpurm XOM TUV (TOVCtQXuV «0T8 , X(M Ttìs àyicci ixccpTvpo; Aixaripii'm , oro M<%«»)\ xa< Iw«w8. Ero? SG/3. lultKTiuvi ^. Aedlfìcatwn est ( hoc ) Templum Deiparae , e^ S aneto- rum Tnagnorum martyrum Eustratii et sociorum eius , et sanctae jnartyris Aecaterinae ^ a Michaele etJoanne. AnnoiwaxiàA) 65g2. Indici. VII. Primo però che cotesta iscrizione , la qiial io fedel- mente ho dall' originale trascritta , si dilucidi , per quanto al mio corto intendere fia permesso j e'mi par convenevol cosa , non che pregio dell'opera , il premettere un brieve ragguaglio intorno all' origine , ed al silo di essa Gerace . Ciocché non pòco contribuirà alla retta inlerpetrazione del- la lapida istessa . Dividendo quindi in due parti il nostro accademico lavoro, nella I. cercherò di determinare, e fis- sare alcuni punti di topografia , che finora son controversi appo il coro degli eruditi; e nella II. mi sludierò , giusta mia debol possa, d'illustrare l'anzidetto monumento. T. ITI. II 8à PARTE I. H Barra o Barrio che, malgrado de'suoi travecUmentl, debbesi a buona equità considerar come lo Strabone , e 'I Plinio delle due Calabrie , così nella II. (i) per lui postillata edizione, data in luce dallo Aceti al 1737, descrive la Città nostra : w Hieracium civitas est sedes Episcopalis a ?i liierace ave , quasi sacra , latine falso dicitur dieta ^ Lo- w crus olim ( /. nunquam ) dieta, edito eoque salid3er- ■» rimo , ac natura munitissinio loco sita inter duos amnes 31 Mericum et Novitum idest Sagramj distai a freto m. p. 3J iiii(l. iii.). " Bene e dottamente il nostro corografo affer- ma , ire lungi dal vero coloro , che a conto del veloce nun- zio d' Apolline ( lo pur dirò con Omero ) o sia falcone , 0 sparviero Hìerax , veduto volare , o nidificare in que- sta gran rupe , credon Gerace esser cosi stata denominata. 1 pp. Alberti , Marafiotì , Amati , e gli abati Pacicchelli , Aceti , Lupis ed altri autori , cotal bizzarra stravaganza nar- rarono con serietà j perciocché fu ad esso loro ignoto , es- ser la nostra Città da cristiani locresi fondata dopo il 91 5 della volgar era ; nel quale anno la costoro antichissima patria in sul marittimo Esopis da Saracini spogliata venne e distrutta (2) . Tai ciance augurali , Accademici , per me di buon gra- do lasciansi alla fors* etnica Girace del Valdemone presso (1) Lib. III. e. 7. p. 32. cip. Langob. to. ^,p. ^o5. edit. (a) F. Feregr. Hist. Pria- Pratil. GRECA ISCRIZIONE 83 Cefaledi o Cefalù , che a detta di Vincenzio Auria (i) dallo sparviero If/sa^ ebbe sua denominazione . Imperocché le Città nate cristiane , e da cristiani fondate , qual certo si fu la Gerace di Calabria , dopo g secoli della venuta di Cristo edificata , sgomberato avean da se la superstizione cosi degl' iddii falsi e bugiardi , come degli augurii , e de- gli altri riti gentileschi . Quind' io reputo cosa più verisi- mile , e quasi dissi certa , che dal corrotto nome , o idio- tismo Cyriacae ovver Klriaki , cui e nel Porfirogenito , e nel Prolospata ci abbiamo , sien derivate le voci Hyra- cium , Hyeracem, , Giracium , Geracia e Geragia , che usarono i cronisti ^ e le volgari levaci , Girace , Gerace o Ghej^ace , come scossela il Guicciardini (2). I cognomi Iraci, levaci e Gerace , al dir del eh. abate Gennaro Grande (3), parimente derivaron da colai Città , e non mica dall' uccello /Tìeraj? , siccome certi etimologisti pretendono j dac- ch' è stato soUto , voi 'l sapete , prima d' introdursi i co- gnomi gentilizi , il distinguersi alcune persone col nome del- la patria , da cui questi tramandaronsi poscia . Or s' egli è certo , com' è certissimo , che la nostra Gerace sorse dalle mine di Locri , che S. Ciriaca pur an- co appellossi nella mezzana età j merita ninno ascolto 1' anonimo autore des Foyages en àifférens pays de V Eu" {\)V. Massa, Sicil. ih prò- e l. F. p. 458. Fiibur. ijjS. spettiva, P. IL p. a,6,. (5) Orig. de'cogn. P. ir {^) Istor. d'hai, l, ni. p.-xf^Z. n. Sa. /;. -ìGG. 84 MACRl tope (i) altribuilo al signor PUaii giusta il Logoteta (i); il cjuale Filati ia tanta luce di lettere chimerizzando deci- de , esser Gerace di fondazion romana , colle seguenti pa- role : " Locrés étoit au bord de la mer , au lieu que Gi'e- w Taci est sur la hauteur d' une colline . Cela prouve XI que la plaine de cette còte étoit déja deserte du tems « des anciens Romains , puisqu'ils n'auroient point bàti ■» leur Hieracium , qui est la Gierace moderne , sur » une hauteur , s'ils avoient pu y envoyer une assez gran- ai de multitude de colons pour purifier 1' air marécageux ■» par des saignées , le defrichement des terres et une 3J nombreuse population . >j Son sogni d' infermi , e fole di viaggiatori coteste asserzioni . Né tampoco veruna fede merita la chimerica narrazio- ne d'un cotal altro scrittore , ne in parentalibus quidem laudandi , impiastricciata nel Codice diplomatico di Si- cilia (3) , sozzo pantanaccio di sogni , e falsità siculo-na- politane , che nel gSa di Cristo entrati 52 mila Siciliano- arabi nella nostra geracena Città , il costei popolo obbli- gossi a mandare annualmente in Palermo io mila pezzi , o siano i5 mila krus all' Emir Ghbir, quanti lo Skukrulla governator del castello di essa Gerace disse solere pagarsi al Porfirogenito in Costantinopoli . Perciocché , al tempo di cotesto imperatore , non vi avea in quella città nostra siffatto castello , che malamente nell'Indice muratoriano del (i) To. II. p. io6. En 83 noi. 3. Suisst^ 1778. (3) Tom. IL P. II, p. (a) ^. Tempio d' Iside p. i52. GRECA ISCRIZIONE 83 Malatena sì altiibuisce (i) alla siciliana Glrace , essendo stato il detto castello extra urhem terminato dal conte Ruggiero nell' appresso secolo , giusta il prenominato nor- manno istorico (2). Crimine ah uno disce omnes . Cotesto argomento critico per abbattere il Codice di- visato , può aggiugnersi agli altri addotti appo il Nestore della napolitana letteratura , segretario perpetuo di nostra Società , sig. Signorelli , nella dotta Istoria critica diploma- tica di lui . Notisi ancora che il Porfirogenito , nel citato anno 962 , o nell' antecedente i, per conto della spopola- zione di essa cittadella geracese , con ragione chiamolla (3) To Trohtirij.ciriov Tri? cìytxi K.vpiccx.115 oppicluliwi Sanctae Cyria- cae. Imperciocché nel gSo, secondo la cronica di Cambridge, che il nobile storico delle cose di Sicilia Gio. Batista Carusi pub- blicò in arabo ed in latino, e quindi'l Muratori \ il saclabio Sain da Siciha excursione in Calav7'iani facta cepil arcem^ cui nomen Termulah , et abduxit captivorum duodecim mil- ìia . Coincide su ciò la cronaca saracenico-calahra di Ar- nolfo nello stess'anno presso il canonico PratilU (4) j il qua- le Pratilli vuol leggere in Arnolfo Germulah , sembrando- gli verisimile esser dessa Gerace , soggiugneudo però : Si Thermarum locum Termulah iniellige/'e velis , hunc qui- dem in Sicilia , non autem in Calabria esse scimus . Ma non ci veggendo io veruna affinità , ed analo- gia fra Germulah e Termulah j quindi , dovendosi emen- (i) Rer. Ital. Scrip. to. {Z). De them. Imp. orient.hh.lì. ^' P- 654- (4) To. cit. Hist. Pr. Lang. (a) Malat. L, U. e, a8. Feregr. 9S MA CRI dare 1' arnolfino lesto , stimo leggersi meglio non già Ge- ragih , come sta scritto nell'anzidetto falso Codice diploma- tico ^ ma bensì Geragiah con desinenza usitata dalla sia- crona Cronica cantabrigense , che dice Cassanah Gassano , Salernah Salerno , Rwah Reggio , ec. E ci metterei su de' pegni , essere stata Gerace detta da Saracini Termulah, ovvero Thermidah a motivo delle termali acque di lei , pur troppo celebri ne' bassi tempi . Son elleno al mezzogior- no in distanza d' un miglio e mezzo da essa città , e con- duceansi presso la sponda del mare nel luogo , dett' oggi la S aletta , mercè d' un acquidotto per uso de' Locresi , come ben si scorge da' suoi vestigi lungo la destra ripa del fiume Mej'ici , discosto mezzo miglio in circa dall' antica Locri , detta da Ovidio Naricia : onde Naricio dovettesi anticamente quel fiume appellare , e poscia Mericio. Sicché dunque , senza gire in Termoli di Capitanata a riconoscere il sito della nostra Thermulah , com' erra- tamente fece 1* annalista Cestari , e colla stessa infelicità , con cui dal Pratilli coUocossi in Siciha ;, noi conchiudiamo molto adatta sembrarci la denominazione di Termopoli , ov- ver Thermulah dagli Arabi data , per l'espressato motivo , alla nostra novella S. Ciriaca o sia Gerace . Né vuoisi da- re ascolto a esso Cestari , pretendente nell' anno 990 , es- ser diverso il S. Chiriaco , o S. Domenico dalla S. Chi-. riaca , ovvero S. Domenica del Protospata : perocché il nome di amendue è tutt' uno . Nel 986' , che corrisponde all'anno 986 , in cui da Saracini fur prese Tropea , Reggio , Mantea e Cotrone j il cronista Lupo scrisse : Comprehen- GRECA ISCRIZIONE 87 derunt Sarraceni Sanctam. Chiriachi Civitatem , et dissipaveruni Calabr^iam totani. Nel codice del duca di Andria leggesi , Sanctam Cwitatein Hyeracem invece di Sanatavi Chiriachi civitalem , che il eh. Cammillo Pel- legrino , seguito dal Muratori , ha corretto : Sanctae Cy- riacae civitatem , com' è nel Porfirogenito . Ed era me- glio correggere Chyriachae giusta la pronunzia , eh' allo- ra davasi al k, leggendosi nelMalaterra (i) Chyrieleison , e nel Boccaccio (2) Chirie ^ ed in Dante (3) Schiro da "^Kupos . Ma benché nella traduzione del cronista pugliese, dall' editore erroneamente attribuita a Cola Aniello Pac- ca , dicasi la Santa Città d' Hyraci , poti*ebbesi non pertanto conghietturare , che siccome Apuleo nelle sue Metamorfosi disse Sanctam silentii Jìdem ., che il dot- to Firenzuola ben volgarizzò la fede del santo silenzio , così dal Piotospata venne la città nostra latinamente de- Bominata. La quale in detto anno da Lupo indicalo , non era di episcopal cattedra insignita da poterle quel titolo di Santa competere. Imperciocché Gerace non prima del 1046 è stata erett* a cattedrale j sebbene il detto cronista viven- te nel 1102, ha potuto 67 anni appresso la erezione di lei saper un tal fatto . Vuoisi notare , che d' ordine di Sisto rV la sacra liturgia , e salmodia greca di eisa Chiesa fu cangiata in latino , addi 29 di Marzo 1480 , dal suo ve- scovo Calceopilo bizzantino , come n' erudisce il seguente (i) Z. 4. e. 6. (5) Purgai. IX. Zj. (a) Decam. G. 8. «. a. 88 MACRl documento (*) , che io trascrissi il mercoledì santo del 1 808 , anniversario di detto cangiamento , dal membranaceo anti- fonario in quel nostro cattedral coro esistente . II poeta Guglielmo Pugliese nel loSg, sotto Ruberto Guiscardo, dielle la denominazione di dwes opurn Gera>* eia j e da Goffredo Malaterra , fiorito ancora verso la fi- ne dello stesso XI. secolo , venne indicato Giracii Prae- sopus , quem nos PT^aepositiim dicimus . Costui dovett* esser non già uno de' cliimerici sJtukrulli , ma bensì un degli stratigoLi o straticò , che alcune provincie , e molte città ne porgon sicuri , e certi riscontri d' aver avuti a go- vernatori , e comandanti d' arme . In effetto non pur Ge- race , ma e. Stilo e Bari e Benevento, e Capua e Ascoli, e Lucerà e Mottola , ed Oria e Paterno e Otranto , e Ba- (*) AthanasLus chalceopj- nocturna in ea ecclesia more liis. Bjsantius. Dei et Aposto- Romane ecclesie comodius{ sic) lice Sedis Grafia Hieracensis faciliusq. celehrarentur Himc et Oppidensis Episcopus ad per- Librum Commiine appellatum petuam rei menioriam. Quoniam Sanctoram propris ( sic ) sum~ vicesitna nona mensis Mariii de- tibiis scribendum notandum mì- cimeterlie l'idiclionis. Anno sala- niaiiduni ciiravimus. Ecclesietj. tis millesimo fjualri genius/ ino o- Jlieracensi dicavinms. Quem i- clogesimo . Pontijicatiis San- dem scripsit dicavitq. Kenerar dissimi in christo patris et domi- bilis virGregorius paparcfidiu^ ni nostri Domini Sjxti divina presbj ter Ecclesie Hieracensis. providentia pape quarti anno no- Anno salutis millesimo quali i- no ecclesiam Hieracensem e gre- gentesimo octogesiino secando cn in latinam traduxinius ut di- Decima quarta IiidictionC.^ villa ojfilia diurna paritcr et eXECA rSCRIZIONB 89 silicata e Capitanata- e Nocera , e Noia ed Olclla , e Cer- cliiara eBisigaano, e massimamente Salerno dal IX. al XTV. secolo se ne gloria, e dassi vanto di tai rettori, presopiy pretori , o governadori come vogliam dirgli (i). Or poiché nell' ultima città sette stralicò e prima , e dopo del certaldese Tullio finora da me rinvengonsi ; quin- di nel Decamerone (2), ove il fatto contasi in Salerno av- venuto per opera della moglie di messer Mazzeo del- la montagna^ o sia Matteo Silva tico , celebre medico del re Roberto , straùco ovvero stratlcò al tutto è da leg- gersi , non già stadico , secondochè bassi in tutte l'edizio- ni e del Boccaccio , e del Vocabolario della Crusca . Do- ve i suoi accademici malamente spiegano cotesta voce j)el prefetto del criminale ^ malgrado che dal toscan Pe- tronio neir istessa novella rettor d,ella teiera si fosse ap- pellato . Aggiungasi a ciò , che il governalor di sua pa- tria , da Masuccio Salernitano nelle novelle , stratlcò pari- mente vien più volte chiamato , per osservazione del nostro (1) Se potesse adottarsi la Longohardia . Con questa voce spiegazione di un molibdobullo indicavasi allora quella parte del greco , datane da' suo editore , Regno di Napoli , eli' era a'Gre- -si dovrebbe vlconcscere farsi in ci soggetta . Vcggasi quel che ba esso menzione di un crrto Stc- notato sulla vera intcrpctraziouc fano stratego riRAKIAC, che Te- del molibdobullo di Stefano il dilore interpctra di Gerace . Ma nostro dotto amico e collega sigi sembra non potersi dubitare che cav. Avellino nel Giornale En- "la vera lezione sin AOriBAPAIAC, ciclopejico di Napoli Tom. Ìlf. e ihc Slefanoproiidaiii quel molili- pag. 5io , Ann. 1S14. inculo il titolo di slrattgo dvlla (a) G. U'. n. X. ^J 7". ///. ,0 go Magri Amenta (i). INon vo'per ultimo mancar di correggere nel'/an- zidetta boccacclana novella un altro errore, da ninno eh' io sappia notato. Dicesi nella medesima Ruggieri da Jeroli , ma il Boccaccio senza fallo scrisse Ruggieri da Jevoli : poiché anche oggi '1 nostro volgo, tenace dell'antica pro- nunzia , dice alla boccaccesca e Cicilia, per Sicilia , e Je- voli per Evoli o Eboli , terra in diocesi di Salerno . Ma da ritornare è alla città di Gerace , onde col di- scorso alquanto dilungati ci siamo . Giace ella su una emi- nente gran rupe , separata dagli Appennini , e non già , co- me un vivente lessicografo geografico scrisse , unita a' me- desimi . Vuoisi anco avvertire , che non ebb'essa giammai dagli anticlù scrittori il nome di Locri, arbitrariamente affib- biatole dal dotto Barrio . Perciocché altrove vi mostre- rò, che Locri ^ Locra , hocrea^ Lucj%a^ e Lucri ven- ne soltanto appellata ne' bassi tempi la celebre patria di Zeleuco e di Timeo : la quale dall' esopiche marittime spiagge, col nome augusto di S.Ciriaca, non trasferissi neir attuai suo geraceno sito, se non se dopo il giS di Cristo, come testé ho notato . Cotesta novella S. Ciriaca , o sia Gerace , ppsta è , com' esso Barrio ci narra , tra' fiumi Merici e ]N evito , il qual Novito espressamente or nella Sua postuma edizione egli chiama Sagra j poiché questo nome erasi prima dà- ini dato all' Alaro . Uopo è dunque lo intrattenerci un p»» chettino circa i medesimi , affine che si rettifichi vie più (i) F. Ling. nob, d'Ilal. Tom. I, p. iSg. I GRECA ISCRIZIONE gì quella non incelebre topografia . Il Merici , altrinienli det- to Santopaolo a conto dell' adiacente rural chiesetta di que- sta nomenclatura , io altrove malamente opinai esser desso il Bidhrotus Livii. Imperciocché , situandolo il romano i- storico (i) haud procul ab urbe Locris^ e narrando che Annibale , procedente dalle parti di Cotrone inverso Lo- cri , dal Butroto premise avviso a suoi soldati residenti nel- la stessa Città \ parvemi situato cotesto fiume di là da Lo- cri , avend' io riguardo alla mossa , e all' annibaUco ac- campamento . Ma poiché il cartaginese capitano potette conferirsi presso al detto fiume per le parti superiori a Locri , uou già marina marina in linea retta \ or ben volentieri cangio opinione , e soltoscrivonii al parere d'un dottissimo viaggia- tor prelato , che in compagnia del Cluverio in quelle re- gioni porlossi , è già presso a due secoli , ed era egli eziandio Picn di geografìa la lingua e 'l petto . Si è costui monsig. Luca Olstenio , che riconosce il Bu- troto nel lato meridional di Locri inverso il Zefirio , co- mechè però egli erra nella descrizion topografica , confon- dendolo col INovito , che sta nella settentrionale parte op- posta. In fatti ei, nelle postume sue Annotazioni erudite sul Tesoro geografico dcU'OrteUo (2) che di esso Butroto scrit- to avea , \opifo vocatur hodic teste Barrio , aggiunse: Ab altera urbis.parle veìsus Zcphyrum Promontor. ( ad- (i) Liv. l. a8. e. 46. ni. l. 29. e. -. (a) Annot. in Otieì. p, 56. gfa Màcjiì de, est Buthrotus^ qui nunc vulgo Bu.cortA(^ l. ButoT'ia") adhuc appellatiir , ad cxdus ostiiim est Turris Pagliapli (1. PagliapoW). Sicché II ùome stesso della fiumana Biitoj-ta ovver Bxiiorto^ vicino la cui foce a sinistra evvi la palepo* lilana Torre , non che gli avanzi dell'antica Città , pone il sigillo a tale scoperta , e dimostra dopo 1 9 secoli ancor oggi , con metatesi d' un solo elemento , il Biitroto tras- mutato in Butorlo . Ecco di quanta importanza sia e va- lore l'ocular locale ispezione , non che la etimologia ! Ec- co con quanta ragione l'immortal MafFei (i) udiva con dis- gusto chi metteva in burla 1' etimologie , perchè in mate- ria di geografia antica troppe cose aveva da esse imparate ! Quindi meco converrete , eruditissimi Colleghi, non do- versi al lutto ascoltare il Gronovio e '\ Cellario , i quai nella dissonanza de' liviani codici , Halecem certiorem Jluvium in luogo di Buthrotum amaron meglio di sostituire . Per- ciocché lo Alece di Strabene, che Tucidide e Pausania (2) apjiellarono Calcino , Caecino , ovver Cecino , e dividea il territorio di Reggio da quel di Locri j giace in sito dia- metralmente opposto al viaggio annibalico , ed in distanza moltissima da quest' ultima Città . Dimodoché chiaramente scorgesi per ognuno , la liviana espressione circa il Butroto haud procul ab urbe Locris est , non potersi per niente adattare al fiume Alece , quasi una giornata lungi da Locri. Fissato avendo noi il preciso sito del Butroto , passiam di presente a indagar quello più celebre della Sagra -5 il (i) Ferona illusi. P. /, /. {%)Thuc. IJII.n.c^^.Paus. JF. col. 75, JSliacor. l. FI. p. m. 554. n. ^o. GRECA ISCfttzIOfJE 1^5 qual fiume , come udiste , stabiliscesi oggi dal Barrio ne! Novito , eh' è il secondo torrente di là da Locri . Egli da prima benché con troppa insussistenza e improbabilità in Alaro riconosciuto avesse la Sagra 5 pur tuttavia da tut- ti gli eruditi , tranne il Quattrcfmani , è slato applaudito e ciecamente seguito come le gru . Costui dell' odierno Alaro soltanto disse, male a Barrio pntahir Sagra, senz' altrimenti assegnarle altro corso . Al principio del XVI. se- colo , molto prima del Barrio e del Quattromani , che scris- sero verso la fine di quello, due geografi, veneziano l'uno, e bolognese 1' altro , cercarono di stabiUre il sito del con- troverso fiume . Il primo si è Domenico Mario Negri , che della Sagra afferma '. Nunc Sucharanto dicitur habens in osiio castellum modo Rena (i) . Entrambi tai nomi di Sucaranlo e di Rena sono d* Ignoto sito . L' altro geografo si è il domenicano Leandro Alberti, che scrisse , il fiume Sagra chiamarsi Sagriano , dal qua" le è detto il castello Sagriano ivi vicino . Addimandano questo fiume Strabone , e Plinio Sacra, e Tolomeo Lo- cano ('2). Notisi che il cennaio fiume col vicin paese detto è Sa- triano non già Sagriano ; che tal torrente è un ramo d'Anci- nale , o sia del re di quei fiumi posto assai di là da Caulonia; e che il paese Satrlano vuoisi dal Barrio , e dal Quattromani r antico Caecinum . Il cosmografo Lorenzo d' Anania (3) collocò anche la Sagra nel Cecinno , or nom,ato Saiena- (i) Geogr.p, ^lo.edit.JSa- Fen. i55i. *'■'• '557- (3) Univ. fabr. del Mori- (a) Desc. d' Ital. p. i;8. do p. 117. Fen. iS^;. §4^ Macrì TV . Dal Barrio quel campo è denominato Saginarius dal- la fertilità , bau soggiugneudo : Ubi stolidum vulgus Lo- crenses cum Crotoniatis conjiixisse opinatiir (^i^. Tta costoro , come vedete , è V Alberti . Or cotesta Sagra esser doveva, al parer mio , quasi nel mezzo tra Locri e Caulonia. La quale Caulonia, essen- do neir agro di Castelvetere iu marittimo sito , com'è cer- tissimo da solenni testimonianze antiche per me altrove al- legate (2), e ponendosi nella contrada Foca dov'eslston le ve- stigia, e la convall&da Strabone nominala j distava circa un mi- glio dal mare, ed altrettanto dall'attuale Alaro. Egli è ancor cer- tissima cosa , secondo Strabone , che piesso le sponde delia Sagra centrentamila Crotoniati furon disfatti da diecimila Locresi quivi accampati. Or non par mica credibile , che costoro con forze cotanto inferiori fossero iti a schierarsi troppo dilungi dalla lor patria , per difendersi dagli aggres- sori . E però sembrami più consentaneo alla ragione , che cotal accampamento locrese dovett' esser tra Gerace e Roc- cella , ove avvi delle immense pianure da potersi benissi- mo schierare , ed azzuffare un esercito numeroso ne' vasti lenimenti intermedii di Siderno e di Gioiosa . Il che efièt- tuarsi non potea dopo Roccella (') verso i fiumi Amusa, Ala- (1) L. III. e. 16. p. a65. per gli scogli clie a fior d'acqua,, (2) Mem. istorieo-geof. n. e sotto la medesima osservansi j 52. e segg. Nap. i8o8. col' Barrio riconosco \e amphfsìa (*) In Roccella , di passag- saxu del cigno sulmonese , an- gio lo avverto , si per le gran ru- zi che nella Roccellelta verso il pi , ond' essa è intorniata , come fiume Crotalo ossia Corace . Do- GRECA ISCRIZIONE ^5 IO e Piecaniti , che tutti e tre sono nel ristretto territorio di Castelvetere , la cui pianura osservasi insufficiente a tal uopo*, dovechè le sidernote e gioiosane pianure a giudizio dell' occhio son decuple di questa . Voi , dottissimi Accademici , con esso me ben conver- rete, niun ascolto doversi dare alla plebea credenza, che reputa avanzi del Tempio di Castore , e di Polluce le ve- stigia d'antiche mura in contrada S. Piicastro^ nel ricinto della pianura cauloniate diipoggi 1464 (')• C^**'^*^^'''?''^'^®' nominazione tutt'altro indica, che 'l tempio àe' Dioscuri. In oltre il TempliLTìi Castorum non esisteva punto al tempo di Plinio, altrimenti lo avrebbe accennato unitamente alle vesti- gia oppidiCaulonis ^ com'ei dice. A me ancora riesce incre- dibile, che, antecedentemente alla venuta di Pittagora in Ita- lia, quando la predetta disfatta (2) intervenne ^ i concittadini ve col eli. Olslenio ( Annoi, in ritorio di Roccella , e di que'con- //. ant. C/ave/'.p.SoS) riconoscer termini paesi»; ove soltanto avvi àcons'i \c Castt:a. Anniòàlis y ov- deVluoglii àe.\\\. Romano , e Ro- ver nella foce del fiuinellq .fi/o- mano \ non già i?ciffJec/« , come cupo nel piano dopo scilaceaqae altrove |io scrissi da' sigg. Qiiat- liltora , come Ovidio stesso dice, tromani e Grimaldi ingannalo . Nel cui Testo ( Metampjpli. XF", (1) Mcm. istor. cit. n. a6. 705 ) è da leggersi meglio ; :: ; oJi. TH2 0EOTOKOV. KAI TfìN AH- C?) ! I^bI* fìN MAPTTPfìN EVSTPATIOV (1) De re diplom. L. V- p- 347. iab. JI. n. 5- GRECA ISCRIZIONE IO7 KAi TfìN rrMnAGfìN nr. kai sic TH2 AFIAS AKATEPINE. TDO MHNI lOTAin ETOT2 «tSB IN Z ExstrucUtm est templum Deiparae^ et Sancto- Riim Martyrum Eustratii y i- -yr.-i u Et commilitonuTTi LXXXIII. et -^ "■? Sanctae Catharinae. sub Mense Mio anni DLXXXXIL INDICT. VII. w Vedete già che la sola voce SnfMllAGfìN è dubbia, ed jj è probabile che siano i compagni di S. Eustrazio, o w- » mul passi sunt: osservate meglio le lettere di questa vo- » ce : Ho scritta la lapida correggendo alcuni errori più » grossolani , ho lasciata "Ex-cLTipivi perchè così si trova « in tutti i codici Greci posteriori. Già so che conside- w rerete che il tempio è del sesto secolo , ma Tiscrizione M è del duodecimo o decimoterzo secolo . Se V iscrizione » anche Tosse antica sarebbe troppo preziosa perchè vi si tro- w verebbe il nome della gran Santa d'Alessandria , di cui j> molto si dubita . Ma non mi dilungo perchè veggo che ■» colui , che ha trascritta la lapida è versato nel Greco >j linguaggio , e intende bene ciocché ho disteso comechè » nel sasso è compendiato. Ringrazio dell' onore di aver- » la mandata a me , e desidero sapere se è piaciuta l'in- j> terpretazione ^ e se per la storia sagra di costì , e tradi- ti zione se ne ricava cosa di buono . Non mi dilungo per- ii che non ho tempo. 3 Giacomo Martorelli. a Con questa 5> occasione vi dn la lieta novella che ho divorata la gran io8 Macrì » fatica a tradurre la Gram. Greca di Portoreale , ed è ve- ■» nuta bella e ricca di aggiugnimenti , e disposta con mi- M glior ordine che non è la Francese : v' accludo due av- }j visi acciocché lo facciate sapere a coleste provincie , ove » so che si studia il Greco idioma , e ne facciate bello jj spaccio, e vedrete che è più bella ed esatta di quel 3) che vi credete . w Fin qui il celebratissimo nostro archeologo , il quale con altra lettera de' 22 Gennaio 1752, non già 1742, co- in' erratamente leggesi nel Sinodo di monsig. Rossi di Ge- race , ove questa dal Parla si rapporta (i) , ingenuamente confessa , lui non saper che rispondere a tutte le difficoltà , che furongli fatte . In oltre incoraggia il Parla di dare al pubblico gualche bella ed erudita dissertazione sopra cotesta sacra lapide , che la inerita j e commettete pec- cato^ gli dice , se non la fate ^ illustrando cotesti Eroi della fede , e Ze gloide di vostra Patria . IN ella mia ultima gita in quelle parti non ho ommes- so di fare delle inchieste traile schede del Parla , affin di avere il costui letterario commercio col Martorelli e con al- tri j ma vane sono state ed inutili le ricerche . Perciocché suir assunto una brieve letterina soltanto si è rinvenuta dell' elegante traduttore del venustissimo latino Comico , in data de' 27 Maggio 1762 , da Napoli nella giovane sua età di 24 anni al prelodato Parla in Gerace trasmessa intor- no alla versione di nostra lapida . La qual versione da fe- (1) Const. et acta Synodi Hieracien, p. a83 in not. GRECA ISCRIZIONE 10^ dedegni son io stato quivi assicurato del eh. p. m. Mamacbi esser fattura , col quale il sig. Angelio , allievo del dotto canonico geracese Francesco Niccolai , in Roma contratto avea leale amicizia , ed ebbe mai sempre commerzio di let- tere . Il leggervi, come io fo, cotal angeliana epistoletla non vi sarà , Soci eruditissimi , gran fatto disaggradevole . Eccola : » Amico e Sig. mio singolarissimo. » Avendomi V. S. richiesto se ben mi ricordo una •>i traduzione dell' iscrizione che tempo fa mi trasmise , e » venendo a me la medesima difficile per molti motivi , ne M scrissi ad un amico a Roma , il quale in questa settima- V na me l'ha mandata. Ecco come l'ha interpretata. OiKolo/Jit^ti 0 vccòi rt}S 6iotÓx.ov , xou rov ocyltav fJLBCpTUpUV eUrTpUTtOU , X.OU TU)D rUVa-BXt))!) àvTOU KCÙ TI)? ctytus fJt.ccpTupo? àixKTipti'iìi vxo MI. x(M Iw. iTos %. ^ Aedijicata est ecclesia Deiparae et sanctorum Tnartyrum Eusiratij , et commilitonuTn eins, et san.martyris Catharinae sub MI. et Iw. an. 5g2 ìnd.'j, M Quel MI. e /w mi dice l' amico di non intendere che » cosa significhi , e di più che I' indizione non corrispon- ■>■> da , ma che ciò voglia anche avvenire ne' diplomi . » Io non mi ricordo , per essermi perduta quella sua w lettera, se d'altra cosa m' incaricava j basta, se niente s> l'occorresse in cui mi stimasse atto a poterla servire , w non mi risparmi] , né le sia di ritardo l'indiligenza usa- " ta da me in quest'affare. Mi raccoitìandi strettamente al " Sig. D. Francesco suo fratello, e resto suo Devotis. ed obbl. serv. = Niccolò Angeho . no Macrì Or comechè nel i;55 il canonico Parla, latinamente Parlaus , in istampando il geracese Sinodo del predetto ve- scovo Rossi impegnato avesse la fede sua , niente però di- manco e' non mantenne la parola, a pubblicar per le stam- pe la promessa dissertazione sul nominato sasso ] forse per- chè, quattro anni dopo , prevenuto videsi da quel bruzio ar- cheologo , e reggiano canonico suo amico , di cui l' irpino abate don FiHppo di Martino bellamente scrisse: Qualem fama Virum tacuit , dum viverci ! illum Occulidt patrio Graecia Magna solo . Aequavit certe , ni vicit , nomine magnivm Mazochium . ViLae fama superstes erit . li canon. Morisani adunque l'anno 1769 divulgò la iscrizion nostra , traducendola in latino , cui di bel nuovo eziandio riprodusse in altra Opera di lui del 1770, con gli stessi barbarici caratteri , spiriti ed accenti , ond' erasi data in lu- ce nel Sinodo indicato . Piacciavi , Colleghi umanissimi e paleofili , lo ascoltar cotesta morisana versione col Ijrieve comento di lei: » Ae- » dificatum est Templum Deiparae, et SS. Martyrum Eu- :o stralli, et commilitonum eius , et S. Martyris Ecaterinae " sub Micio anno 6592. Indictione septima . Soggiunge quindi F interprete : Pertinet profecto inscriptio ad an. Christi \o^^. suhducta Epocha Cpolitana. S.Eustratii IVI. Synathletae quatiLor apud Graecos occurrunt ^ Aiu- xcntius , Eugenius , Mardarlus , Orestes , qui sub Dio- cht., et Maximiano passi in Armenia sunt , eorumque memoria Celebris est in Menologio Basilii Porphyro' GRECA ISCRIZIONK III geniti ad diem io. Decembris , et in Menaeis Graeco- ruTìi., et in Martyrol . Romano. InEphemcridihiis ta~ men Ruthenicis nescio qua de caussa Eugenius desit. Vide Asseman. Kalend. Eccl. Univers. tom. 5. fai. 463. Hinc illud M. ter repetitum , haud nicmerinn fortassis ., sed jnullitudinem tantum indicat. Maior Cryptographia in illis vy 1 <]uae non tam, meo , quam aliorum me peritiorum ijidicio , ùurov lego (i) . Ed altrove (2) il nostro autore ha soggiunto sul gera- cese marmo : Ceterum illudMlKlQ.pro duohus nominibus JVIichacle lohanne legi posse , adposite me monuit P. de Stephano Monachus Basilianus vir gr-aece doctus. Vuoi- si qui in ultimo notare , che in un processo , formato a cagion di provarsi, nella curia di Gerace , lo iu spatronato sulla parrocchia di S. Maria del Mastro , oggi spettante al- la Eccellentissima Casa Grimaldi— Serra j eravi l'appresso versione della detta lapida, di cui quel parroco Cagnetti, buona memoria , diemmi copia : Aedijìcatum est Tem~ plum Dei Genetj'icis , sanctorum magnorum martyrum exercitus et concertatorum , et Divae Catharinae sub mense 20. lunii anno 6692. //icZic^ioree 75 soggiugnendosi dal grecista geracese : Supradicta versio a Gracco fa- cta fiat a me D. Joseph Augimerio anno i65i , p7'i~ mo aprile . Passo di presente , Accademici , a mettere la mia par- (1) Moris. De Protopap. (i) Mann. Reg.diss. FUI- Cap. X. n. 5. not. 4*. fot. 019. 1 1 z Macrì te dello scotto su la medesima pietra, già celebre renda- la mercè delle arrecatevi varianti interpretazioni di cinque valentuomini . Notisi imprima essere ella di due crocette decorata, giusta l'usanza de' Cristiani, una in principio e r altra in fine : le quai mancano nelle edizioni preaccenna- te del Parla , e del Mo risani . Intorno a esse crocette pon- no vedersi le osservazioni del P. Gretsero (i) . Osservo inoltre che , per la barbarie de' tempi , trovasi quivi nel sasso 0'i)ioìoiJ.iBn invece di O/xoBsjufjSij , come lesse il Mar- torelli . Imperciocché ben si sa per ognun di voi , che da' greci calligrafi de' bassi tempi non davasi alla lettera H il suono d' età , ma bensì d' ita . La quale H greca con due II scrissero i Latini ne' sassi per segnar 1' E lunga , trovan- dosi in questi , per esempio , FATIS SIIVIIRI per fatis severis^ e VALIIRIANA per Valeriana, come ben lesse il cav. Ser torio Orsato (2). Un trenta esempli del doppio II per E lo Scaligero reca dal Grutero , cui se ne possono aggiugnere degli altri appo monsig. Fabbretti (3). Il qua- le dice a proposito: Origo referenàa videtur ad simi- litudineTn cum H Età sive E longa Graecanica , eo modo apud veteres efferri solita j quidquid postea re- centiorum xisum evicerit somari literae H cum I con- fundendi . Sififatto abuso di pronunziarsi col suono d'I la H greca, se io non m'inganno, s'introdusse circa la me- tà o la fine del IV, secolo . Imperocché nell' Itinerario di (1) Lib. a. cap. 19. i a Michaele Domini lohannis : dimanierachè da cotest' ultimo cognome polrebbesi ripetere quello di Don- giannij Signorgianni , Sergianni , Sirioanni o Sirgio- vanni . Di esso Sirgiovannì ce n' è ora esempio in Gera- ce , ed in Gerocarne , nel circondario di Soriano ^ e del Sirioanni l'Aceti (i) nello Stato di Arena ne riferisce un* Opera losephi Sirioanni viri doctissimi col titolo , l'Apo- strofo interdetto, stampata in Venezia del 1714- Dal se- condo caso Kuy3/8 l'ucivvou , a mio parere , ha potuto cor- rottamente dirsi Chirianni o Chiurianni , al pari che il cognome Chiurlia nella greca Città di Bari nacque da Do- mini Heliae ^ il quale nella stessa fu detto Kiiiri Heliae , corrotto dal greco K.uptoi Dominus (2) . n Tempio, dove è la lapida eretta, va sotto il tito- lo dell' Assunzione di nostra Donna j ma volgarmente di- cendosi di S. Maria del mastro, questo nome conserva- to per volgar tradizione ci sembra indicare , che sia que- sto certamente fondato da qualche ricco artefice , detto for- se Zannica corrottamente in vece di Giannica , ovvero Giovanniccio. Io per altro non pretendo, che sia fatto caso (1) In Barr. fol. i6a. n. 4. (a) Grande Op. cU. P. IK. n. 3. 120 Macrì alcuno del mio opinare in questa guisa , quando migliori e più reconditi riscontri il tempo non tragga , come suole , alla lu- ce. Né gran fatto mi compiaccio di ciò , dubitando alquanto meco medesimo, se l'uso de 'cognomi gentilizi , già manca- to sotto i Longobardi (i), erasi nel 1084, epoca della in- scrizione , introdotto inGerace. Il eh. p. di Meo sotto Tan- no 1098 (2) ha ben notato, che in tal tempo, quasi niu- uo avea , specialmente la gente bassa , le casate , alme- no stabili nella famiglia. Di fatto , io non veggo adope- rali essi cognomi , cendiciotto anni dopoché erasi scolpita l'iscrizion nostra , nelle firme di cinque persone ecclesia- stiche della greca pergamena geracese in data 1202 di Cri- sto , le quali veder si ponno nelle mie Osservazioni (3) sul cit. p. di Meo. Pertanto in tale incertezza e dubbio amerei meglio tradurre a iMichaele et lohanne , che sub Michae- le lohanne , come riferisce il soprallodato Molisani. Per- ciocché da quest' ultima versione rimarrebb' escluso il K isolato ed intermedio , che bassi a leggere Kcu., et-^ e trattan- dosi di persone private , quai certo furono gli autori o londatori del nostro Tempio j la detta preposizione a o ah , sarebbe impropria s' io non erro . Venendo in fine all' epoca del nostro marmo , forza è pur dire, che II primo editore, giureconsulto e canonico Parla per la trascrjzion del medesimo , valuto siesi di qualche scia- gurato inesperto copista j e che prima di pubblicarlo per le (1) Maffei Ver. ìli. P. I. L. I. col. 268. (a) Annal. diplom. To. IX. p. 65. (5) Ossei: sop. ale. luoghi degli ann. diplom. p. 48. \.\i. GRECA ISCRIZIONE I23 Stampe , ei non lo abbia confrontato , o fatto da perito sog- getto confrontare coli' originale . Imperocch'ei non avrebbe altrimenti ignorata , dietro un tal riscontro , la precisa epoca di quello , compresa nelle ^ lettere numeriche, segnate con lineetta soprapposta, come fin dal secol d'Augusto costuma- ron anche i Romani ne' lor marmi . Nelle copie della iscri- zione incisa in legno, appo 1 celebri canonici Parla e Mo- risani , malamente vedesi distaccata la prima lettera di es- se quattro note numeriche , ed unita all' antecedente ac- corciata voce ET. ETOTS , ovvero ETOC . A talché tra- dusse il MarlorelU , come sopra è detto , anni 5g2. Indict. VII. senz' akrimente riflettere , che in tal anno correa la X. Indizione . Diede però ben nel segno il Morisani, e prima di lui TAugimeri , facendo risultare l'anno del mondo 6592; il quale anno giusta l'uso della Chiesa di Costantinopoli, introdotto in quella di Gerace dopo il 968 , quando in tutta laPugha e la Calabria da Niceforo Foca il rito greco ordi- nossi in vece del latino (i) ', cominciò nel primo di Set- tembre io83, e può conispondere anco al 1084 di no- stra volgar era . Or si sa per ognuno di voi , che i Greci nella loro era comune segnavano gh anni della creazion del mondo, che portava prima di Cristo 55o3 , secondo gU esatti cal- coli dell'Allacci, e del Ducange (2). Quindi dalla pre- (1) Giann.Ist.civ. To. I. F'ediEccl.Occid.et Orient.perp. L. 6. p. 433. Meo an. 968. 71.4. consension. col.\l\o\ edit. 1648 , (a) Allat. dissert. de do- et Gang. Glossar, verbo Annus. minte, et hebdomad. Graccor, T. HI. 17 i3o Macrì (letta somma 65^2 , sottraendo 55o8 , risultane il mede- sim' anno io8^ dell'era cristiana. Senza più intrattenermi su la dilucidazione ornai prolissa della lapida , giovami no- tare che al di sopra dell' accorciata sua ultima voce ii^i- x.Tt(o ovvero tv'BtKriovo; , evvi la A , che è stata ommes- sa nelle incise copie suddette . Si ravvisa ella in questa conformità nelle sistine tavole testé citate. E qui, usando le parole del prelodato nostro Dante Alighieri , Che spande di parlar^ sì largo jinme 5 la debol navicella del mio debolissimo ingegno corse aven- do le tempestose , e torbide onde antiquarie , astretta ve- desi di calar le vele , e raccoglier le sarte ^ Videte quoniam non solum mihilahoravi, sed om- nibus Gxquirentibus veriiatem . Eccles. cap. 24. v. 47. i3i SOLUZIONE DI ALCUM PROBLEMI RELATIVI ALLE CURVE CONICHE ED ALLE SUPERFICIE GENERATE DAL RIVOLGIMENTO DI ESSE INTORNO a' loro ASSI PRlMARll , ESEGUITA COLl' ANALISI DEGLI ANTICHI GEOMETRI D A FRANCESCO PAOLO TUCCI. Letta nelV Adunanza de' 2^ Agosto l8l2. PARTE I. Sulle tangenti comuni a due curve coniche . .1, .L problema di cui sono per occuparmi nella I. parte di questa Memoria consiste in adattare una tan- gente comune a due date curve coniche . Colle risorse dell' Analisi moderna potrei dargli bentosto una soluzione applicabile ancora a due curve di genere qualunque (*) ^ (*) InfaUi dinotando con jt, _y; x ■, y le coordiuate rettangolari de' contalli della tangente ricliiesta colle due curve rappresentate dall' equa- zioni /(X,^)=0 (.),/ (X,y)=0 (2) si avranno ancora fra quelle ignote 1' equazioni (Ìy dy y — r = — c j:— X ) - . - (3) , ^ — y = — U-— .r' ) - - - (D , dx dx iSz Tucci. ma non avendo altro scopo se non che di rinvenire un metodo facile, onde graficamente condurlo a fine qualora si restringa alle curve coniche , giudico dover seguire in preferenza l'Analisi degli antichi Geometri , come quella, che ravvicinando insieme assai meglio dell'Algebra moder- na le proprietà individuali delle figure , intorno alle quali si versano le quistioni , conduce naturalmente a risultati più semplici , 2. Tutte le combinazioni possibili, che due a due pos- sono aversi dalle quattro curve coniche , ascendono a die- ci . Quindi per adempire complet;amente il mio oggetto mi converrebbe risolvere dieci . problemi diversi . Ciò non ostante io li riduco a tre soli . Suppongo nel I. che amen- due le curve date siano prive di centro , ed in questo mo- do non risolvo che un solo di que' dieci problemi, quel- lo cioè in cui suppongansi date due parabole . Nel II. sup- pongo che ambe le curve date abbian centro , onde ne avviene che questo solo problema equivale ad altri sei di quo' dieci . Fra essi , quello in cui son dati due cerchi è il ]>iù semphce j ma io non me ne occupo, essendone fa- cilissima e già nota la soluzione . Finalmente suppongo nel IH. che una delle curve date abbia centro e l'altra ne Una delle quali appartiene alla reUa , che ha per coordinale x , y e toc- ca la prima curva ; e 1' altra viceversa dinota la retta the ha per coor- dinate X , y , e tocca la seconda curva . ÌVè sarà inutile 1' osservare che in luogo dell' equazioni (3) e (4) si potrebbe far uso di una di esse , e dy dy' dell' equazione — = — , eh' è il risultalo di amendue • dx dx Curve Coniche i33 sia priva 5 e quest' ultimo problema comprende , com' è chiaro , i tre riiiianenti . PROBLEMA I. 3. Date due parabole di sito e di grandezza ^ adat- tar loro una tangente comune , Analisi Geometrica. Fig. I . Siano 1 punti A e B , e le rette MN e PQ i rispettivi fuochi e le rispettive tangenti verticali delle da- te parabole , che per maggior nettezza della fig. non si veggono disegnate . La richiesta comune tangente sia con- trassegnata da MQ, ed i punti M e Q ove incontra le tangenti verticali delle due curve , si uniscano co' ri- spettivi fuochi A e B mediante le rette AM e BQ , le quali per una proprietà conosciuta della parabola saranno per- pendicolari ad MQ » Ciò posto j suppongo per un momento risoluto il problema , e mi avveggo che menando per B la BL paral- lela ad MQ finché incontri x\M in L , debba il punto L allogarsi nella data periferia del cerchio avente per diame- tro AB , e risultórne BQ eguale ad ML , cosicché suppo- nendo AR eguale ad ML , la parallela condotta pel pun- to R alla PQ .sarebbe data di sito: poiché dovrebbe taglia- re dalla AB la parte AD uguale alla data BC . Ora le se- aioni opposte dell'iperbole son quelle appunto, che tagha- i54 Tucci te comunque da una iella , le parli di quesla che riman- gono fra la curva e gli assintoti sono tra loro uguali . Dun- que per risolvere il problema si deve costruire V iperbole, che abbia per assintoti le rette date MN , DR , ed in mo- do che passi pe '1 punto dato A . Le intersezioni di essa col cercliio che ha per diametro AB unite col punto A per mezzo delle rette corrispondenti , daranno negl' incon- tri di queste con MN altrettanti punti, da' quali elevando le perpendicolari ad esse ielle , ciascuna lisolverà il pro- blema . 4. Giova osservare che supponendo MN parallela a PQ , ed a tal fine rappresentata da MN' , il problema di- venta piano (*) : poiché dovendo essere ML uguale ad AR, in questo caso il luogo del punto L sarà la retta D'JLi pa- rallela a DR ovvero a PQ , e condotta per lo punto D' lontano da A' quanto BG . Le intersezioni' di essa colla circonferenza del cerchio descritto sopra AB daranno le due soluzioni , delle quali jl problema è capace nel suppo- sto caso , 'nii 'Hi)!-" ■'.' ■ 'TM h^ (*) Un ifTohlemì dìcesì piana , secondo lo stile degli Antichi, qua- lora possa costruirsi colla scambievole intersezione di due linee rette o cir- colari comunque conibinate . Curve CotdCHE i35 P R O B L E M A II. «-«O 11 n i.'.'\. \ 5. Date di grandezza di specie e di sito due cur- ve coniche fornite di centro , adattar loro una tan- gente comune . AwAtisi Geometrica. Fig. 2. Siano MAN , M'A'N' le due curve date , e supposto risoluto il problema , dinoti MM' la tangente ad esse comune . Si uniscano i centri C , C delle due curve , ed i diametri aA , a'A' che ne risultano abbiano gli altri CB , C'B' per loro conjugati . MP , M'P' siano le or- dinate che da' punti ignoti M, M' si possono condurre a' diametri Aa , A'a' , e le rette M'Q' , B'D' siano ancora parallele a BC . Supposta finalmente Mp parallela ad Aa, si prolunghi y se bisogna , la tangente comune MM' finché incontri i diametri Aa e BC ne' punti T , t . Ciò posto \ essendo le tre rette Ct, CB, Cp continua- mente proporzionali, sarà Ct : Cp : : CB : Cp 5 ossia Ct : MP : : CB : MP , Ma Ct : MP : : CT : TP : : CT . TP : TP j dunque sarà CB : MP : : CT . TP : TP , i36 Tucci. Ora essendo le rette CT , GA , CP anch' esse in con- tinua proporzione, il quadrato di CA sarà eguale al ret- tangolo di PC in CT , onde togliendone di comune il qua- dralo di CT , rimarrà il rettangolo di AT in Ta uguale al rettangolo di CT in TP , ed in virtù dell' ultima pro- porzione ritrovata , sarà il quadrato di TP al quadrato di PM come il rettangolo di AT in Ta al quadrato di CB . Quin- di descrivendo su' 1 diametro Aa il semicerchio Ama , e conducendo per T V ordinata Tm , sarà TP : PM ;: Tm : CB . Similmente si dimostra e TP' ; P'M' :; Tm' : CB' , ove il quadrato di Tm'' suppongasi eguale al rettangolo di A'T In Ta' • Ora per la somiglianza de' triangoli M'P'Q' , B'G'D' si ha ,,-^"}„ P'M' : FQ' :: CB' : C'D'^ dunque per egualità ordinata da questa proporzione e dalla precedente si avrà TP' : FQ' :: Tm' : CD', e dividendo sarà TQ' : Q'P' : : Tm'-CD' : CD' . Ma per la somiglianzà di que' triangoli sta pure Q'P' : Q'M' : : CD' : D'B' , dunque nuovamente per eguaglianza ordinata da questa proporzione e dalla precedente si ricaverà TQ' : Q'M' : : Tm'-CD' : D'B' , e supponendo condotta una retta Ss parallela ad Aa e di- stante da essa per quanto è la retta data CD' , 1' ultima Curve Coniche i37 proporzione si cambierà nell' altra TQ' : Q'M' : : Rm' : D'B' . Laonde essendosi prima trovato TP : PM ;: Tm : CB, ed essendo fra loro eguali le due prime ragioni di queste analogie a causa de' triangoli simili TPM e TQ'M' , saran- no ancora eguali le seconde 5 vai quanto dire che Tra sta- rà ad Rm' nella data ragione di CB a D'B' : ed essendo un cerchio il luogo del punto m, sarà un'ellisse data quel- lo del punto m' . Ma in virtù della supposizione fatta più sopra che il quadrato di Tm' sia uguale al rettangolo di A'T in Ta' , lo stesso punto m' deve ritrovarsi nell' iper- bole parilatera il di cui centro è C , ed A'a' 1' asse pri- mario 5 dunque nell' intersezione di questa iperbole e della precedente ellisse esisterà il vero ed ignoto punto m' che mena, com'è chiaro, alla soluzione del problema. PROBLEMA in. 6. Date di grandezza di specie e di' sito due cw- ve coniche^ una delle quali abbia centro e l'altra ne sia priva , adattar io/'o una tangente comune . Analisi Geometrica. Fig. 3. Siano ^ÌAN ed M'A'N' le curve date , la pri- ma delle quali abbia il punto C per centro mentre l'al- tra n' è priva, ed in conseguenza è pai'abola . Si meni T. III. i8 i38 ■ Tucci per C la parallela aa' all'asse della parabola, tal che A'a sia un diametro di essa ; e supposto che MM' dinoti la tangente cercata , si faccia rispetto alla curva MAN la stes- sa costruzione del problema antecedente . Riguardo poi al diametro A'a' della parabola , le rette A'B' e P'M' ne sia- no rispettivamente il semiparametro e l' ordinata in sito fra lor parallelo , e per l' estremo B' sia condotta B'D' pa- rallela a CB . Ciò posto 5 per quel che riguarda la curva MAN do- tata di centro , si perverrà come nell' antecedente problema air analogia TP : PM : : Tm : CB . • Riguardo poi alla parabola è da osservarsi che es- sendo la sottangente P'T doppia dell'ascissa P'A', ed A'B' metà del parametro, sarà il quadrato dell' ordinata P'M' eguale al rettangolo di P'T in A'B' . Quindi ne risulterà la proporzione TP' : P'M' :: P'M' : A'B'j ma per la somiglianza de' triangoli P'M'Q' ed A'B'P' sta ■ P'M' : P'Q' :: A'B' : A'D' : ^^ dùnque sarà per eguaglianza ordinata '^^' ,^s\^ " ' TP' : P'Q' :: P'M' :"A'D',-'^*^ '^•^' e dividendo TQ' : Q'P' : : P'M'-A'D' : A'D' ^ ed essendo per la somiglianza de' medesimi triangoli Q'P' : Q'M' : : A'D' : D'B' , sarà nuovailiente TQ' : Q'M' :: P'M'- A'D' : D'B', Curve Co?i'ii;nE i5g ovvero, supponendo Ss parallela ad Aa e* distarne da essa per la retta data A'D' , ed inoltre Tm' uguale ad MT' , TQ' : Q'M' : : Rm' : D'B' . Ma poc' anzi si è indicato che in virtù della curva MAN sta TP : PM : : Tm : CB i dunque essendo eguali fra loro le prime ragioni di queste due ultime analogie a motivo de' triangoli simili TPM e TQ'M', lo saranno benanche le seconde j cioè a dire la ret- ta Tm serberà ad Rm' la data ragione di CB a D'B', ed il luogo del punto m' sarà, come nell* antecedente proble- ma , una data elhsse . Essendosi intanto supposto Tm' eguale a P'M' , sarà il quadrato di Tm' uguale al rettangolo dell' ascissa A'P' ovvero di A'T nel parametro 2A'B' . Quindi un altro luo- go geometrico del punto m' sarà la parabola descritta col parametro principale aA'B' ed intorno all' asse indefinito A'a . Dal che ne avverrà , che le Intersezioni di questa parabola coli' ellisse pocanzi accennata determineranno il silo del punto ignoto m' , per mezzo del quale si pervie- ne alla comune tangente che si cercava . 7. Questo problema non meno che il precedente in alcuni casi diviene anche piano di sua ìiatura a somiglian- za del "^irimo ( n. 4 ) • 'fo per non intrattenermi in detta- gli -convenienti ad un trattato completo delle curve coni- che anzicchè ad una Memoria , mi contenterò di enunciar- ne due soli, e forse i, più rimarchevoli. Il primo caso ha luogo quando i diametri CB e CB' , che sono conjugati 1^0 Trcci a' due Aa ed ATa' posti per dritto , sono fra loro paralleli , ovvero ( se la curva M'A'N' sia una parabola ) quando le rette CB ed A'B' , una delle quali è diametro conjuga- to , e r altra è tangente verticale a' rispettivi diametri Aa ed A'a' posti a dirittura , sono fra esse parallele. Ha luo- go poi il secondo caso , e compete Ugualmente a tutti tre i problemi dianzi risoluti , qualora un fuoco di una delle curve date coincide con un fuoco dell' altra . 8. Chiuderò la L parte di questa Memoria osservando, che il problema in essa trattato conduca al risolvimento di' molti altri non men diflicili che graziosi . Per accennar- ne alcuni , suppongo che si voglia condurre una tangente ad una data curva conica , in modo che tagli da un angolo dato un triangolo di superficie data : questo pro- blema sarà sciolto immediatamente con adattare una tan- gente comune alla data curva , ed all' iperbole che ha per assintoti i lati dell' angolo dato , e per potenza (*) il dop- pio della superficie data . Che se la tangente da condur- re ad una data curva conica debba tagliare da un angolo dato due rette verso il veriice di una data som- ma , basterà adattare la tangente comune alla data curva, ed alla parabola che tocca ciascuno de' lati dell' angolo da- to in un punto distante dal vertice quanto è la data som- ma , ed ha per asse la bisecante di quell' angolo . Così pux re volendosi adattare una tangente ad una curva coni-^ (*) Intendo per potenza dell' iperbole fi rombo cbe sì ba dal cott- gìungere gli estremi dell'asse primario eoa que' dei secondario. Curve Còniche " uj^ ca. , in modo che tagli da una parabola data un seg- mento di supejjicie data^ basterà tagliare dalla parabola il dato segmento mediante un'ordinata all'asse, e descrit- ta intorno al medesimo asse e dalla stessa parte un'altra parabola ugnale alla prima , ed avente per vertice il punta in cui tale ordinata incontra quell'asse, la tangente co- mune alla parabola così descritta ed alla curva data , sarà la retta che si cerca (*) . (*) Perchè meglio si conosca 1' andamento delle indicate soluzio»i , non dispiacerà al lettore che io gli ricordi le tre seguenti proprietà di alc^ne curve coniche . I. // triangolo che una tangente qualunque dell' iperbole taglia dal- V angolo assintotico , è in superficie metà della potenza . II. Se M adattino le tangenti a due punti del perimetro parabolico ugualmente distanti dal vertice , qualunque altra tangente applicata ad u» punto intermedio taglierà da' lati dell' angolo compreso dalle prime , due rette verso il vertice di una somma costante . III. Se due parabole uguali e rivolte dalla stessa parte sieno descrii- te intorno al medesimo asse , «d abbiano vertici diversi ; le tangenti appli- cate alla parabola interna taglieranno dalla parabola esteriore segmenti uguali di superficie. Per le dimostraiioni degli enunciati teoremi si consultino fra le altrff, r eccellenti istituzioni di sezioni coniche del nostro Ab. Giannattasie , «■ del Padre Grandi . P A R T E II. ìju' piani condizionati a passar per xm punto ^ ed a toccare due superficie generate dal rivolgimento di due curve coniche intorno a' loro assi primarii . g. io mi propongo in questa II, partedi determinare un piano che passi per un punto dato^ e tocchi le super- ficie generate dal rivolgimento di due date curve coni- che intorno a' loro assi primarii (*) . I casi che tal pro- blema racchiude ascendono anche a dieci , come que' della tangente comune a due curve coniche (n. 3), ma fortu- natamente si riducono tutti ad un sol problema in virtù del seguente (*) Per giungervi cbd un metodo analitico e generale , suppongo dino- tate da a, b , e le coordinate rettangolari del punto dato , e da x , j , z ; x , Y , z quelle de' punti ne' quali il richiesto piano tócca le superfìcie date. Si avranno fra queste ignote l'equazioni alle dette' superficie che rappresento con /(X,^, Z) =0 (0,/ (X,y, :■) =0 (2), e le due dz dz dz dz z' - I = — ( x-x ) + — ( x'-y) (3) , z- j = — (jT - X ) -f — {y-y) (4), delle quali una esprime il piano che ha per coordinate j;,^_y , z e,^ toc- ca la prima superficie ; e 1' altra appartiene al piano che ha per coordi- nate x,y, z , e tocca la seconda superficie . Inoltre dovendo il piano richiesto passare per lo punto dato , le anzidette due equazioni sussiste- ranno tuttavia qualora si sostituiscano a , b , e la vece di 4-', y , ^ °*;ll' equazione (3) J ed" in luogo di r , ^v , z nell'equazione (() . Quindi si avranno le altre due Curve Coniche' 14S ■ li oJJi;)frr;j^;-.ij^.;j]VI M A. ' . , .(,.,! 1; „ ?TM/ ■.:;:. .. . ■{. 10» Sé;', y , z' ) ? ( x" ,y' , a" ) . Per somiglianti ragioni avrò dz dz dz dz z- z' = — ( x-x)-\- — {y.y ) (6) , s". z'= — ( x". X ) + —{y".y) (7), dx' dy dx dy' e finalmente dz' dz" dz" dz ?'- z" = — ( X- x" ) + — .^ {y-y'" ) (8) , 2- z"= — ( X- x')-\ ( r- y' ) (9); dx"" dy" dx" dy"' con che il numero dell' equazioni pareggerà quello delle ignote a ritro- vare . (*) L' ellisse , la parabola , e l' iperbole chiamansi luoghi solidi , giu- sta il senso degli Antichi; e per analogia problemi solidi si dicon quelli, per la di cui costruzione debbansi combinare o due qualunque di tali cur- ve , oppure ujia sola ed un cerchio . OSSERVAZIONI SOPKA DI ALCl'NI NUOVI MONUMENTI KCLANESI DI RAIMONDO GUARIKI Lette alla Società nelV Adunanza de' 5 Gennaì'o 1817. V>< ORRE ornai II setlimo anno , da che son Io occu- pato a raccoglier le notizie appartenenti alla Famosa città di Eclano . Esposta questa città prima a tutte le crisi e della venuta di Pirro nell' Italia , e della prima e seconda guerra punica ^ in seguito a quella della lunga lotta dd Sannio intero col gran colosso romano fino all'epoca de- solante di Siila j abbandonata in fine all' obblio per secoli e secoli dagli esteri non meno , che da' naziouaU 5 non era certamente nella jtosizione più favorevole di somministrare i materiali opportuni a rischiararne la storia. Adonta non di meno di lutto questo , ne fornì in si buon numero al- le nostre diligenze , da formarne un più che giusto volume, come può vedersi dalla nostra seconda edizione sopra tut- to delle Ricerche su quest' antica Città . Ne' due anni i5o Guari NI seguenti non mancò di somministrare nuova materia per due altre dissertazioni annesse , come ben sapete , ali* opera accennata (i) . Ho raccolto novelli monumenti da questo suolo oon ancora del tutto sfruttato . Essi forma- no r oggetto del presente lavoro , che sottopongo al savio vostro giudizio . Comincio da alcune novelle iscrizioni , I. D. M BENEMERENTI C. MAMERCIO PROC . . . O SACERDOTI . ET DECVRIONI. CO IVNX. FECIT . QVA CVM . EO . VIXIT . AN NIS . L . MENSIBVS . V ET . DIEBVS . XV mi Questa iscrizione mi è stata comunicata dal mio gen- tile e dotto collega Sig. Antonio Casazza . Si è ritro- vata nell' agro celanese a Ponte rotto sul!' Appia . Mi si permetteranno alcune poche osservazioni relative all^ lettura , e mighor intelHgenza della medesima . I. Noto la parola henemerenii messa alla testa dell' epigrafe , dove per T ordinario appiccasi al fine . Ma non mancano esempj simiU , comunque più rari . (2) (1) Ricerche su/I' antica vano ab città di Belano . Seconda Ediz, 1. calpvrnivs nvFi nella Stamperia Beale , nvs. qvae vixit. an. xxi. (2) BEKEMEREMl M. V). D. XUl. TiRGiNiAE Fubret. Cap. 1. p- 3i- L. REIUmiAE. SEtl U. LX. MONUMENTI ECLANESl l5l 2. La omissione del prenome paterno di Mamercio, e del nome della Tribù . Quanto al primo , se ne incon- trano esempj senza numero ne' monumenti posteriori a' tempi della repubblica . Forse fu poscia creduto superfluo un tale avviso, supponendosi, che i primogeniti andavano comunemente marcati col prenome paterno . Quanto all' affare della Tribù , questo silenzio fa presumere con fon- damento , che il nostro marmo non oltrepassi i tempi Tiberiani , essendo noto, che in quest'epoca le Tribù ro- mane private del diritto del suffragio riceverono il loro colpo fatale . (i) 3. PROG , . . O . si renderà Proculo , o Processo , co- gnome di C. Mamercio . Mi sento più inclinato al primo . 4. Tacesi il nome della moglie di Mamercio .. ISon so- no siffatte reticenze inusitate , ma non sono per questo co- muni. Nel genere patetico valgono assai più delle tiritere esprimenti il nome dell'autore del titolo funebre . Per questa stessa ragione io mi sento assai più affetto da quella for- mola semplicissima : cum eo vixit an. L. M. V. D. XVIIII5 che da quelle viete chiacchiere : sine ullo mrgio , sÌ7ie ulla querella , ec. che Dio sa quanto possano esser vere. 5. Se il prolungamento orizzontale dell' astuccia destra dell' A della 7. linea non è un residuo del dittongo AE scritto in sigla , si potrebbe sospettare , che il femminile di qui uscisse anche in A , come ne' composti : siquis , siqua j nequis , nequa. Ma non intendo compromettermi (1) Tacit. Armai. L, 1. Cap. i5. 132 GuARINI per questo senza monumenti più sicuri . Passiamo dalla scorza al midollo . 6. C. Mamefcio è Sacerdote , e Decurione Insieme di Eclano , che non occorreva accennare nel marmo , es- sendo morto nella sua patria . Che poi il di lui Sacerdo- zio sia stato contemporaneo al Decurionato , è evidente dalla congiunzione ET messa di mezzo all'uno e all'altro, Né questo deve far meraviglia . Il Sacerdozio innestato ori- ginariamente sulla degintà regale si è veduto costantemente a fianco delle cariche più luminose dello Stato . Era Ponte- fice Massimo P. Licinio Crasso , quando fu Console, e Collega del famoso Scipione (4) • Anzi fin da' tempi di Giulio Cesare il ponteficato massimo si assettò così bene sul lauro imperlale , che per più secoli , e fin sotto gì' Imperadori Cristiani , non seppe più distaccarsene . In fatti dal gran Costantino fino a Giustino padre inclusivamente, cioè fino al 627, in monumenti per altro gentili, incon- transi di tratto in tratto Imperadori Cristiani col titolò di Pontefici Massimi^ ed essi dovettero tollerarlo per sag^ già economia di Stato . Là sola milizia ei'a -incompatibile col Sacerdozio , ove per^ non si fosse trattato de bello Gallica], che in questo case anche i Sacerdoti affibbiarsi dovevano il cingolo militare. Restisi dunque il buon Mamer'- cìo e Sacerdote, e Decurione ad un tempo, e con ciò, a parola di Plinio , (5) alla testa di sesterzj centomila . ,..i..J.;i';:iUiti. .1. - •.....■li: liUi' j-< ,-j^ ';--l. (4) liv. lib. XXFIII. (5) Lib. 1. Cap. XIX. ad Ccip. XA^ ; ■ Firmum. MONl'MENTI ECLANESX l55 ìNoii vecleiulusi espresso nlcun Tempio , o Nume partico- lare , cui fosse atlclello il Sacerdote jMainercio , coiivien concludere , che egli apjìarleiiesiìe al Collegio generale de' Sacerdoti, che sotto la presidenza del Pontefice Massimo regolavano gli all'ari della religione , e che spiegavano giu- risdizione su'niinistri inferiori (i). Il nome JllamerciilS' seiuhra discendere da Mamcì-- cus , prenome noto .nella Gente Enn'lia ;, ed e;Urambi è chiaro che provengono dalla parola Mamers ^ o Mars. In marmo Cristiano del 622 presso de Vita (2) vedesi un Mamercio ]Marcellino. Un altro Mamercio lannario osser- vasi in nn celebre marmo AvelUnese riferito dal Grutero(3) e nel Tesoro Muratoriano (4) ed il quale ha meritate le cure del sommo Mazzocchi (5), del nostro dotto Gennaro Grande (6) , dello Zaccaria (7) e finalmente dell' erudilissi- ino nostro amico Mons. Lupoli nel suo Iter Kenusinum, (8). Né debbo mancar di avvertire che in altro marmo di Monteforte pubblicato dallo stesso egregio Prelato leggesi un C. Mamercio Proculo apj)unto come nella nostra iscri- zione (9), (1) Vciìi Jula AnliqiL. Ro- (6) 0/igii:e de'cognomi geii- man. Par. lì. Ci;). P^I. %. J. til!zj. (a) yfniU]. Benev. p. ì/^i. (7) Isti(. Jnt. Lap. lib. JJ. (3) Pag. CCCXXXir. «.4. cap. I. (4) Pag. DCCXf^l. n. 4. (8) Pag. 5 ,. e segg. (,^)Tu>j. Urlaci. p.-xb-^.Seg. (y) Iter K'iius. p. 26. 20 T. III. jj54 GùArini. II. svo. ri?, nn Dis VM. POPVLO. DE HONOREM. S ....'. lAI. QVI. EID ST. riS. L. LEGA L SERVATO. IV IT DEDICATION REI. AVO, rfe. xx: . . . . >]S. Vni. DIVIDI. I. . . . . A. FILIA. EX. TEST. POS Elegantissimi sono i caratteri di questa monca iscri- zione esistente in Mirabella presso i Signori Cappucci. Es- sa è tagliata di lungo da ambi i lati , onde servisse poste- riormente di base a non so qual oggetto cristiano , come a])parisce da una croce ben delineala nel rovescio della medesima lavorato in forma convessa. Con questo scem- pio la nostra epigrafe venne a scapitare di una buona me- tà , e col nuovo destino ad involarsi affatto all' altrui cu- riosità, perchè cadente al di sotto della base. L'altezza de' caratteri trascritti da me stesso è di una buon'oncia. Essa appartiene alla classe de' marmi pubblici celane- si: il soggetto è un tale M. Armodio j e l'oggetto , a que^ clie se ne può conghielturare , è la dedicazione di un monu- mento pubblico erettogli per gli celanesi. Con questa oc- casione fa egli da prima distribuire al popolo sesterzj 4000: MONUMENTI ECLANESI l55 ma non contento di ciò ne lega altri 5oooo in benefizio del Dccurionato , dell' Augustalità , e del Popolo nel giorno ri- corrente della dedicazione coli' ordine seguente, i, Pe' De- curioni sesterzj 22000. 2. per gli Augustali. 20000. 5. pel Popolo 8000. che in tutto restituiscono la somma enuncia- ta di sesterzj 5oooo. L' elogio da apporsl al monumento di M, Armodio colle condizioni espresse del legato in favore degli Ecla- nesi va a carico di Armodia , figlia probabilmente unica di Marco , e ciò per disposizione testamentaria paterna. Ar- modio dal suo nome si mostra di origine greca , e con ciò di condizione verisijiiilmcnte libertina . Premesso tutto ciò, ed avendo presente il marmo originale, tal quale si è per me Irasciilto, credo che a un di presso supplir si possa nel modo seguente : M. Armodio Hic. de. suo. HS . IIII. dis tribuendum. Populo. de- dit. oh. honorem, suae Statuai. Qui. eidem Post. HS. L. Lega torum.. servato, iure Dee. HS. XXII. dedication. die In. m^emoriam,. rei. Aug. HS. XX Pop. HS. FUI. dividi, iussif Armodia. FU. eoe. Test. pos. E poi ben da notare quella clausola : legaioruni ser- vato iure che ci sembra evidentemente richiesta dalle lettere superstiti. Essa riguarda la Legge Falcidia celebre presso i Giureconsulti , e così riportata da Paolo (i) : Qiiiciimqiie cii'is romanus pecjtniam ir/ re publico da- re , lega/'e voìet , ius potestasque esto ^ diim ila de- iiir le.^atum , ne miniis , quam partem. qiiartam heve- (iilatis eo testamento heredes capiant. Eis, quibusqiiid ita datiLin , legatumve erit , eam pecuniam sino frau- de sua capere ìiceto : isque heres , qui eam pecuni- am dare iussxis^ damnatus erit ^ eam pecuniam debe- to dare , quam damnatus est . E questa condizione Ic- gataria ha luogo non solo nel caso di Legataij particolari e privati , ma religiosi eziandio , e municipali : Ad mu- nicipium quoque legata , vel etiam ea , quae deo re- ìinquiintur , lex Falcidia pertinet (2). Le seguenti quattro iscrizioni poi appartengono al co- mune diPalerno , pi-obabilmente porzione un tempo dell' a- gro celanese. IIL D. M LVCVDEIO. TESTINO SPEDIA. FELICISSIMA.. CONI VX BENEMERENTI. FECIT H. M (1) Le^. I. Prìncip. Dig. ad Leg. Falcid. (a) Ivi S- 5. MONUMENTI ECLANF.Sl iS; IV. D. M FIRMI ANO POTItia . CONIVGI H. M. F V. D. M CELSVS. SIBI. ET. SVIS H. M. F Questa iscrizione vedasi ornata di Gladiatori in varie mosse. VI. D. M QVINTIA SIBI. ET. SVIS H. M. F VII. RIO. CVRATORI. VIAE . . ET. ALIMENTORVM REI. PVBLICAE. AECLANENSIVM . . . OCRICVLANORVM . . . PROVINCIAE. ASIAE . . ARIO. Q. R. FLAMINI (i). (i) Mus. Feron.p. CCCCXLIX. n, i. l58 GUARINI vili. OKBIS. DOMINO PRINCIPI. IVVEN TVTIS. PROPA GATORI. ROM ... (I) IX. D. M. AECCLANIAE. AMA NTI. . . . IBI. . AE ^ HERM. . CON B. M. F. Questa epigrafe è stata nel 1817 da me trascritta da uu coverchio sepolcrale in un fondo di Grottaminarda di proprietà de'Signori Perilli , miei amici. A pag. 192. del- le mie Ricerche si osservò un Ecclanio Felicissimo, Liberto della colonia Eclanese. Ecco ora un' Ecclania , Liberta e- gualmente della stessa colonia. Supplisco, e leggo così la l'ecata iscrizione : D. M. Aecclaniae. ama ntissimae. CoUibertae Hermas. Coniugi B. M. F (i) Doni InscripL (Uit. Clas. III. n. 65. MONUMENTI ECLANESI iBg X. D. M. POMPONI. . MEL ... CO . . F. C. E I . SVAE. FI . . PROGILLAE Appartiene a Groltaniinarda ancora questo Marmo mal capitato. La Gente Pomponia col cognoliie di Mela son co- se note nelle Famiglie romane. È noto il cognome di Mela della 'gente Pomponia jierl' elegante geografo di questo no- me ^ ma i comentatori di esso citando da'nionumenti un Ponzio Mela,(i) non vi avevano finora potuto ravvisare un Pomponio Mela, come nella nostra iscrizione. La parola PoTuponi . . è chiara nel nostro marmo. Chiara è altresì MEL, a cui segue un'asta, che potrebbe dare un I , un L, un F. o altro. Ma non intendo volerne più. XI. + P t HIC REQVIESCIT. IN. SOMNO PAGIS. COELIVS. LAVftENTIVS LECPoR. SA^CTF. GLESIAE AECLANEKSIS. QVI. VIXIT ANNoS. PL. M. XLVIII. DEPOSITIO EIVS. DIE. Vili. IDYS. MAIAS. FLAVIS ASTERIO. ET. PRESIDIO. VV. C. Cos {i)P"edi le notcdet Gronm'. Pumponio Mela p. i. e i. dell' ediz. di Leida del \-^iM\a i6o GuarJm Alle già nfeiite iscrizioul pagane facciamo succedere !a presente cristiana , e di sommo pregio. Esiste original- mente presso il Sig. Gio. Cassino, e Cu levala dalle famo- se Grotte così chiamate di Mirabella . Riflettasi alla dignitosa formola : Sanctae Ecclesiae Aceto nensis. Eccone la sorella in un' antica Carta di do- nazione per la Basilica di Liberio: THEODORVS ACOL SCAE ROM. ECCL. (i). Ed ecco un altro monumento insigne della Sede episcopale di Eclauo , esistente tuttavia sotto tale onorifica denominazione mezzo secolo dopo la morte del celebre Giuliano. Uscì in fatti di vita questo Vescovo Eclanese verso il ^5 : e '1 nostro marmo a])par- tiene al 494' ^po^^ del Consolalo di Asterie, e Presidio, secondo la cronologia del Tillemoat. -'^/ja^e dunque l'ulti- ma volta per sempre la sognata traslazione della sede eclanese in Frigenio ob notam lidlani haei'eslm. Ma non è questo il solo vantaggio, che ci reca questo monu- mento prezioso . La melamorlbsi onomastica di Eclano in Quinlodeci- nio, dietro plausibili congetture, si era per noi fissata al 662 nella occasione della marcia dell' Imperator Costanzo contro di Benevento ^ o ad alcuni anni prima nella inva- sione de' Longobardi. Grazie al nostro marmo, queste no- stre congetture si avvicinano a gran passi verso il l'atto. Sullo spirare del quinto secolo Eclauo è ancora Eclajio, (1) Doni Inscrìpt. Ant. Clus. IX. p.ho. e non già Qulnlodecinio , Per la iscrizione Jell' Esoicisla Celio della pag. 171. delle Ricerche , Eclano è ancora ta- le nel 5ii : e per quella dell'Acolito Murrasio della pa- gina medesima Eclano è anche tale nel 629 . Or da que- st'epoca al 662, fuori delle accennate cagioni, della in- vasione voglio dire de' Longobardi , e della distruzione di Eclano per le armi di Costanzo , non se ne incontrano altre j)iù potenti e proprie nella storia per siffatto can- giamento , L' celanese Celio Giovanni era Esorcista di anni 20. Murrasio era Acolito di anni 35. Celio Lorenzo di anni *^8 non è che Lettore della Chiesa di Eclano. E ben ve- risimile , che egli lardi avesse ricevuto il battesimo , e che tardi ancora fosse stato ammesso agli onori della gerar- chia . Ma è certo , che ne' tempi migliori della Chiesa non correvasi in fretta da nn ordine all' altro : molto meno da' così detti Minori , che includevano anche il Suddiaco- nato ^ ai S agri ^ cioè al Diaconato, e Pj^eshiterato,^ che dal suo nome slesso si enunzia di ragione de' Seniori , jit et nomen aetas impleat , diceva Zosimo Papa . In forza del Canone X. del Concilio di Sardica del 547' ciascun Ordinato deve esercitarsi per lungo tempo nelle funzioni dell' Ordine ricevuto , a pruova della sua idoneità . Dopo la Decretale di Siriclo , quella di Zosimo Papa del quinto secolo fìssa a questo modo gli anni di pruova destinati a tale esercizio : Si ah infantia ecclé- siasticis jninisteriis nomen dederit , inter Lectores us- ane ad vigesimum actatis aanum continuata ohserva- T. JTL 31 J (V^ Ci \RI>! liane penluret . Si inaiar iani , et graiidaevus acces- ssrlf, ita ia/nen ut post baptisnmm statim se divinae milHiae desicleret mancipari'^ sive inier he ctores ^ sive inter Eocorcistas ^ qidnqiiennium ieneatur . Exinde yi- colytìvis , vel Suhdìaconus^ quatuor annis -^ et sic ad henedictionem Diaconatus accedat , in quo Ordine qidnque annis haerere dehebit (i) . Non resta ad avvertire , se non che e l' Esorcista Gio- vanni, e '1 Lettore Lorenzo, appartengono entrambi alla Gente Celia così conosciuta nella storia delle Famiglie Ro- mane . A distinguersi fra loro , al nome comune di Celio si pospongono i così detti per noi nomi proprj di Gio- vanni, e Lorenzo. Da che è chiaro, che i nostri nomi propij fecero una volta le veci de' cognomi romani. Pas- so a render conto di un altro picciolo monumento e- clanese . Con alcune monete , che han dato luogo a det- tare alcune mie Osservazioni su' Triumviri monetali , ho fatto acquisto di una elegante cornioletta letterata . Presenta in proffilo dilicatissimo una testa giovanile con bel serto di lauro, e colla seguente leggenda nel contor- no: HJLLARO S. Il serto non differisce dall'imperatorio . Ma i finimenti superiori della chioma rilevali abbastanza, (i) Epist. I.Vld. Thomas- diacono prima degli anni a5 ; sin- f^et. etNov. Eccl. Discipl. ne Diacono prima de' 3o ; ne P. I. L. JI. Cap. XXXFI.n. Prete prima de' 35 ; ne Vescovo 4- 5. seq. Ne' primi tempi per prima de'^S- tanto non potevasi essere ne Syd- MONUMENTI ECiANESI l63 e 'l gajo con legno d'Ilaro , mi determinano , senza per altro giurarci, a crederlo un serto da convito , oppure da nozze. Può servire di appoggio alla prima intelligenza il notissimo costume de' Romani di presentare ne* loro con- viti delle corone di frondi o fiori a' convitati , secondo il loro merito e carattere : Ciirth qiio morantem saepe diem mero Fre^i coronatus nitentes Malohathro syrio cajjillos . Cosi il Cigno di Venosa- a Pompeo Varo (i) . Partendo da questo principio , intenderei .così la leggenda : Hilaro Salutem . Né voglio omettere con questa occasione di di- re dell'obbligo de' Romani Senatori di far corte al deli- rante Comodo coronati di lauro : e che in un momento critico, a questo lauro appunto andarono debitori . di non essere stati immolati all' umor frenetico di questo Princi- pe . Il fatto fu il seguente, e lo racconta Dione, che vi fu preèenté I (2) . n '[• iibiiioH i op.isin oui Aveva quest'Imperatore rappresentata" in mezzo a* •suoi laureati Senatori una tal morfia fra tragica e ridi- cola , che molti di essi , compresovi lo stesso Dione, fu- rono in punto di scoppiare delle rise . Previde in tem- ]>o il pericolo P accorto Dione,, e strappatasi di testa una fronda di lauro , si pose a masticarla , accennando destra- mente a' compagni di fare altrettanto . Fu ubbidito , e lo spediente ebbe tutto il suq effetto. Pereira l'amaricante di ;i) Lib. II. Od. FUI. .V (a) Xiphilin. in Commodo l6'/|. Gl'ABI NI fjiiesLe foglie rinluzzò il prurito pericoloso di ridere, e così il lauro creduto da' poeti di schermo contro i fulmini di Giove , in rpiest' affare servì seriamente di scudo contro la clava di un Ercole furioso . Ciò posto , la nostra gem- ma va intesa così: HILARO SALVTEM, e può conside- rarsi come gemella di quella del Ficoroni (i) : HEL- VJAE . SAL . A chi poi piaccia di ravvisare nel serto di Ilaro una corona epitalamica può giovare il costume degli Ebrei ac- cennato da Isaia (2) di coronare lo Sposo : quasi spon- sum decoratum corona . Si dà per sicuro lo stesso co- slume presso de' Greci, ed io non ne dubito . Ma cre- do , che ciò non possa ricavarsi abbastanza dall' Omerico afjiTuxcc (3) , interpetralo da taluni per coronam . Io lo credo una spezie di nastro , onde le grecJie donzelle , e ad imitazione di esse , Andromaca , si allacciavano i ca- pelli , e che in latino si direbbe uitta crinalis. E certissi- mo presso i Romani I' uso del serto nuziale (4) . I Cri- stiani primitivi sé ne astennero da prima, per non con- fondersi co' Gentili .Ma dileguatosi il pericolo , se ne ri- pigliò fuso nell'Oriente non meno, che nell'Occidente. In questa seconda supposizione ,) avvisandomi,' che la gem- ma dell' Ilaro coronato si regalasse dalla sposa allo sposo, intenderei così la leggenda : HILARO. SVO. Del costume (1) Tab. FUI. n. a3. niipt. Cap. VII. Laurent, de (a) Cap. LXI. v. 10. Sponsal. Cap. I. Pascal, de (3) Iliad. L. XXII. v. 468. Coron. Cap. II. •>s:.s(4) rid. Casal, de rit. A\\ -. .'i' IMONl'MENTI ECLAPÌESI 1 65 poi delle spose di mandare de' doni nuziali a'proprj spo- si vedi Morcelli (i) . Richiamandosi a memoria 1' oggetto di qnesto lavoro, che è quello di servire di continuazione alle Ricerche sull'antica Citlà di E ciano ^ non si prenderanno amale alcune spiegazioni e correzioni relative a quest' Opera. Fi- nalmente non è la cosa più comune di questo mondo u- dire un povero Autore , che si giudica egli stesso , che si accusa e confessa senza corda , e che si condanna da se stesso , dove bisogna . I. La Pianta de' Ruderi Eclanesi mi fu rimessa dal Governo , a di cui ordine ne fa inciso il rame . Essa fu fatta levare dal figlio del mio egregio Collega Sig. Gio . Cassitto . Mi presi la libertà di farne cancellare quanto non aveva che fare col mio oggetto , e sostituirvi in vece i luoghi più cospicui di quest' antica Città (2) . II. Quanto si disse a pag. i3. §. III. sulla condizio- ne e jugerazione della Colonia Eclanese si abbia per non detto . Tutti I Comuni alla destra del fiume Calore ap- partengono alla Campagna Taurasina sotto il nome di Liguri Corneliani , dovendosi continuare la detta Campagna fino (1) De Siti. Lio, I. P.II. così: Gf Irpi furono certamen- Cap. III. p. a55. te progenie degli Equi : ed è (a) E con quesU occasione facile , c/te costoro lo fossero dico , che dove a p. 9, v. 10. de' vicini Sabini, e che i Sa- leggcsi in nome del Signor Cas- bini portassero gì' Irpi nelle no ■ silto Padre , che gli Equi ed sire regioni, allorché emigra- Jrpi fossero ec. si legga ora rotto . i66 Guari NI all' odierno Circello , come , a Dio piacendo , dimostrere- mo di proposito ia un' altr' Opera . Eclano poi non fu mai Colonia militare di Augusto , né i costui Veterani ebbero mai che farvi . Essa fu pri- ma Colonia civile Sempronia , e poi Colonia militare di Giulio Cesare , e perciò fu risparmiata da Ottavio . Non così da Giulio , suo Zio , il quale vi fece dedurre i suoi coloni, per essere stata questa Città divota di Siila insie- me col suo illustre Miiiazio Magio . L'asse^'nalo alle centurie Giuliane in questa circo- stanza fu di Centurie XXIV, ciascuna di jugeri CCXL. Questo conto è tirato sul numero degli atti XXIV. se- gnati sul Decijnano celanese , e ne daremo ragione nell' Opera poco fa promessa. Dunque a^X 240 = jugeri 5760, o siano moggia 17280. Pvestan salde tutte l'altre partite dell' agro , e territorio celanese segnate nelle Rioerche , senza che pretender se ne possa un'equazione determinata, dall' anzidetta in fuori . La jugerazione dell' agro celanese iu delle più speziose che bramar si possano in tal genere, secondo gh antichi canoni agrarj , e questo ancora si vedrà meglio dilucidato altrove , Ma donde la notizia , che Eclano fu psima Colonia Sempronia , e poi Giuliana? Da Balbo, il quale (i) ci di- ce , die l'agro celanese fu assegnato , come quello di Cauosa", Lege Sem-jìvonia , et lidia . Questa legge Sempronia , e Ghilia pel caso di ]^cj|\iw • Jion ^ la legge della jugeraziop (1) Script. Jgrai-. p. 12G. ÌMOKUMENTI ECLANESl luj ne prescritta dal Tribuno Gracco , e dal Dittatore Giulio , perchè le leggi Graccane , e Giuliane riguardanti la juge- razionc assegnano jugeri CC. a ciascuna Centuria, ed in- tanto per Eclano se ne veggono tassati CCXL. Dunque sono leggi di vere deduzioni coloniche . Ed ecco il vero senso della legge Giulia per gì' interessi di Eclano , e di altre Colonie simili . Non è dessa la legge Giulia , come da noi si era creduto , e riguardante il diritto della Cit- tadinanza dell'Italia . Questa è anteriore a quella, di cui parliamo : è di altro Autore : non ha che fare col nostro oggetto. La nostra legge Giulia si deve al Dittatore. Co- me Cesare intanto divise principalmente a' suoi divoti i terreni pubbhci del Popolo Romano , così fa d' uopo con- chiudere, che l'agro celanese da lui assegnato fu la sola porzione pubblica del Popolo Romano nella Regione e- clanese . ni. La parola Minazio valutata da noi per novello prenome per conto del celebre Minazio a pag. 98. l'està confermata in questo senso dalla seguente iscrizione , di cui vado debitore al mio gentile amico e Collega Signor Gervasi . L. VETTIO. mN. F.VOL. VRSVLO. VERI. D. V. FECIT SIBI. ET OPPIA. VXOR Questa iscrizione riportata dal Sig. Torcia serve at- tualmente di soglia alla Porta di S. Maria del Campo , Cappella rurale alle vicinanze della celebre Aufidena . IV. A proposito del Silvano di PuUidio a pag. 86. aggiungo il frammento cosi intitolato dell' Opera di Dola- lt)8 GuARINI Leila: Omnis possessio quare SilvaJiuiìi coliti Quia pri~ ìnus in terroni lapidem fìnaleìn posuit . Nam omnis possessio frcs Sihanos habet. Unus clicitur DOMESTI- CVS possessioni consecratus (i) . Probabilmente questo Silvano Domestico sarà il Silvano Casatico di un Marmo Beneventano riferito dal de Vita (2), di cui duobiii, che mostra di vergognarsi un tantino di appartenere al Sannio . Alter clicitur AGRESTIS , pasLoribus consecratus. Ter- tius c??c?if«7'0RIENrALIS, qui est inconfìjiio lucus ( for- se loci ) positus , a quo inler duo , pluresque , Jines oriuntur . I inotiW dunque del ringraziamento del di- voto Puliidio poterono essere , le buone ricolte del suo fondo , i bei frutti della sua greggia , qualche sentenza giudiziaria favorevole per affari di termini . V. Dirò altrove , che la vera lezione delle parole del margine sinistro messo in continuazione col destro del ti- tolo eretto a Puliidio Febiano , a p. i53. è: Amanti men- dax , vale. Amanti X.Kip'e , E suiravviso del mio rehgioso e culto amico Sig. Abate Pasquale Bevere , dico che il jNIarmo di M. Paccio della pag. 160. appartiene a Valle di Consa prope Nuscum . VI. Ecco in un luogo Plautino ììparisuma dà me da- to nell'appendice per superlativo di par. Eodem hercle {igs pò no. PARISSIMI estis iibus (5) . VII. A pag. 24. deU'xippendice , nella persona di An^ (i) Script, agrar. far. (1) ^ntiqu. Benev. p. IP'. Auct. de Limil. p. 1:9'^. (5) Ciir. /|. 2,. 20, MONUMENTI ECtANESl lò'g nio Antioco , oltre il Correttore della Minicia , fa d'uo- po riconoscere il Corrector Allmeniorum , cioè il sopran- tendente delle tessere frumeijtarie , c:arica da lui esercita- ta conlemporaneamente a quella di Correttore della Mini- eia , come apparisce dall' ET dimezzo alla parola MI. ed ALDI. Fa pietà il vedere , come è riportato questo mar- mo nel Tesoro Muratoriano sulla fede del Volpi . L' etimologia poi di Minicia ripetuta dal Morcelli a fjitgibus mimitis non sembra sussistente . I due Portici Minucii , o Minicii , furono fatti costruire , come si ha da Livio (t), da Marco Minucio Rufo, che verisimihnente li denominò così, ad onorare la memoria di quel L. Minu- cio Augurino , che dopo la catastrofe di Spurio Melio fu creato il primo Prefetto Frumentario uell' anno di Roma 3i5. Questo fatto si annunzia espressamente ancora da Vellejo colle seguenti parole : per eadem tempora cla- ms eius Minucii , qui PORTICV S , quae hodieque ce- lebres sunt ^ moliius est , ex Scordiscis triumphus fuit (p.'). Vili. Addio il F'algianus della pag. ii. della nostra Continuazione alle Ricerche ! Esso è p'algus. Meno ma- le , che ci protestammo con buona grazia , essere in re- gola anche una tal lettura. Questa palinodia va dovuta ad una Iscrizione di fresco scoverta in Pompei , e pubblica- la dall' erufhtissimo Sig. Cavaliere Arditi nella sua Memo- ria sulla legge Petronia , in cui mi veggo onorato troppa jiiù di quello , che so di meritare , per non protestargli in fan- (i) Lib. II. Caf,. XFIII. {•£) Ili star. Lib. II. T. Jll. 22 170 Guari NI eia al Pubblicò i sentimenti della mia riconoscenza è sti- ma particolare. L'iscrizione è la seguente : C. QVINCTIVS..C. F. VALGVS M. PORCIVS. M. F. DVOVIR QVINQ. COLONI AE. HONORIS CAVSSA. SPECTACVLA. DE. SVA PEC. COER. ET. COLONEIS LOCVM, IN. PERPETVOM. DEDER E tutto il palazzo incantato poggiato sulla base del f^algianus? A terra con tutta la base. Amiamo le nostre opere , come il padre i figli , che non se ne può fare a meno . Ma amiamole da padri saggi , che più dell' amor proprio, cercano ne' loro figli il bene, il meglio, l'ottimo j ma il vero e sodo , non già l' apparente e '1 superfiziale . Per ora la coscienza non mi rimorde di altro . 171 OSSERVAZIONI INTORNO A' TRIUMVIRI MONETALI DI RAIMONDO GUARINI Lette alla Società nelV Adunanza de' 6 Luglio 1 8 1 7 . I JA prima istituzione de'co&l detti Triumviri Mone- tali vien fissata da Pomponio (1) contemporaneamente a quella de' Triumviri Capitali, ed in conseguenza all'anno di Roma ^65. sotto la risaputa denominazione di IIIVIR. MON. A. A. A. F. F. Alcuni rinomati Antiquarj han cre- duto , che una tal partita cronologica Pomponiana meriti qualche riforma. Ed ecco in sostanza come la discorrono. La moneta d' oro cominciò a coniarsi in Roma nel 5/^2 , cioè 77 anni dopo 1' epoca segnata da Pomponio per la istituzione de' Monetali. Dunque i Monetali.A. A. A.Jlaiores alla più lunga, dice il P. Zaccaria,' furono creati nel 642 di Roma ^ oppure , come ad altri piace , un poco più in là de' tempi di Cicerone . I riveditori della partita Pom- poniana hanno troppo merito nel mondo letterato , perchè debhansi rispettare le loro idee . Ma non crediamo da tan- (1) Lib. II. %. 3o.^ de Orig.Iur. 172 G CARINI to la loro autorità , da doversi in questo caso preferire a quella di Pomponio . Il fatto in questione è anteriore di molto all'età di Pomponio 3 ma assai di più senza para- gone a quella de' suoi correttori 5 e senza una ragion vio- lenta e palpabile che militi per questi ultimi , non vi è ragione di abbandonare uno scrittore assai più antico ed accreditato , come lo è Pomponio . Esaminiamo bievemen- te qucst' articolo . Plinio dice (i) , che il bronzo cominciò a segnarsi in Roma sin da' tempi di Tullio j sesto Re de' Romani , ed in conseguenza poco dopo il 176. di Roma . Non è da supporre affatto , che 1' affare della Zecca da quest' epoca fino alla istituzione de'MonetaU corresse indipendentemen- te dalla pubblica direzione . O che l'interesse della mo- neta in quest' intervallo sia stato un ramo della Questura, come crede il Vaìllant , o di qualche altro Magistrato , per noi poco importa , purché si riconosca sotto l' influen- za del Governo . E certo però , che colla creazione ap- punto de' Monetali divenne esso un Magistrato particolare e staccato dalle funzioni di tutti gli altri . Premessa que- • sta dichiarazione, vengo al mio oggetto , e dico , che nien- te deve pregiudicare alla veracità dell' epoca Pomponiana relativamente alla prima istituzione de' Monetali l' averli denominati in fascio aeris , argenti , auri Jlatores . Di che pretendeva istruirci Pomponio nel luogo in controversia? Di tutt' altro fuor che della prima volta che (1) I.ib. XXXII /. Cap. III. TRIUMVIRI MONETALI IJO si battè in Roma moneta di oro . Esso pretende semplice- mente farci sapere , quando la prima volta furono istituiti i Monetali , e lo fa con tanta esattezza e circospezione , che associa ad una tale istituzione c[uella ben anche de' Illviri Capitali . Si può fissare un' epoca con più giudizio e chiarezza insieme ? Ma perchè chiamarli auri Jìatores , se nel 465. non ancora coniavasi l'oro? Perchè quando sciùveva Pomjjonio , e ciò era nel III. Secolo dell' era cri- stiana , così appunto chiamavansi i Monetali , cioè Illviri A. A. A. F. F. E per altra parte la moneta d'oro, intro- dotta 77. anni dopo l'istituzione de' Monetali , fu un'ac- cessione meramente accidentale di materia attribuita a que- sto magistrato, e non miga un oggetto di qualche carica novella e differente da quella che vi era , e si riconosceva . Dal nome di Triumviri dato a' Monetali è evidente , che questo magistrato in origine fu composto di tre indi- vidui . Giulio Cesare , come apparisce da alcune sue mo- nete, vi aggiunse il quarto (i) . Ma questa novità non ebbe lungo corso, perchè Augusto ritornò ben tosto l'af- fare ad ■pristinum, . Ma si potrebbe domandare, perchè Ottavio inteso a moltiphcar gì' impieghi , per moltiplicarsi gli amici , come osservano gli Scrittori della sua vita, riformasse poi il nu- mero de' Monetali accresciuto da Cesare . Nulla ci dicono su ciò gU autori antichi . Forse Ottavio ebbe in mira di pareggiar così il numero de' Monetali alle specie del me- (1) Vedi Sueton. in lui. Cap. 76. n. 9. 174 GUARINI tallo delle monete . Forse Ottavio volle mostrare la sua so- vranità suir affare della moneta , senza cui la sovranità non vai nulla . L'Havercamp, il Barone Biniard , e'I P.Zaccaria so- no di avviso, che gFImperadori Romani, avendosi riser- vata la moneta di oro e di argento , rilasciarono al Sena- to quella di bronzo , limitata però alle sole Zecche di Ro- ma , o al più dell'Italia. Pretendono quindi distinguere due sorte di Monetali , Senatorj gli uni che ripetevano dal Sena- to i loro poteri sulla moneta di bronzo, Imperatorj gli al- tri 5 che ricevevano dal Principe le sue facoltà sull'oro e 1' argento . Di siffatta distinzione di MonetaU , per confession sin- cera degU autori stessi della medesima , non incontrasi nec vola , nec vestlgium presso gli Scrittori antichi . Credono quindi in mancanza di ciò di potersi giovare delle sigle S. C. segnate nelle monete di bronzo , e che credono un argomento di fatto incontrastabile dell'autorità del Senato su taU monete . Ma osservandosi pure talune monete d'argento colle sigle S. C. questa supposizione va a rovesciarsi interamen- te ; oppure bisognerebbe concludere , tenendo fermo sul principio per essa adottato, che tutto l'affare monetario appartenesse al Senato , come di fatti pretende il Morcel— li (i) . Ma a mettere in pieno lume la debolezza di que- sta supposizione , io mi valgo di un' altra riflessione , che è la seguente . {i) De sai. Lib. I. P. IL S. IL TRIUMVIRI MONETALI 1^5 I Monetali, sia in marmo, sia in bronzo, si veggono enunziati colla formola IIIVIR. A, A. A. F. F. Dunque o bisogna confessare , che questa distinzione non ha avuto mai luogo , o che i Monetali voluti Senatorj sieno stati costantemente Imperatorj ancora. Quest'ultima conseguen- za suppone un caso in regola , ed un caso assai singolare: perchè quando i poteri partono da diversi principi, non così di leggieri soghono confondersi . Almeno e' sembra , che in moneta di bronzo i Monetali voluti Senatorj avreb- bero dovuto guardarsi in buona regola di annunziarsi Mo- netali Auri , et Argenti Jlandi feriundi , come cosa di- peudente da altra giurisdizione , che da quella del Senato. II P. Zaccaria , a sostenere questa distinzione , si va- le della seguente iscrizione Gruteriana : FORTVNAE . AVG SACRVM OFFICINATORES . MONETAE AVRARIAE . ARGENTARIAE CAESARIS Che vuol egli dire , che non si parla qui di mo~ jieta di hì'onzo ^ se non perchè questa era di giurisdi- zione , non di Cesare , via del Senato ? Così in aria di trionfo lo Zaccaria (i) . Ma si domanda : in questa iscrizione parlasi di Mo- netali , o di Officinatori , cioè Uffiziali subalterni di Zec- che diflerenti? Di quelli non già j ma di questi, de'qua- (0 ht. Numism. L. I. C. Jf^. X'j6 GUARINI li in ispezie altri dicevansi Signatores , a}tn Malleatores, altri Suppostores , altri Flatores , o Flaturarii , altri Exactores , cioè Saggiatori , auri , argenti , aeris , e 1 Capo di tutti chiamavasi Optio . Or qual maraviglia , che a rendere un omaggio alla Fortuna di Cesare , si unisse- ro i soli Corpi degli Operai delle Zecche dell'oro, e del- l' argento indipendentemente dal Corpo degli Operai della Zecca del bronzo ? Né ci pare più felice il P. Zaccaria nella risposta che si studia di dare al P. Jobert sullo stesso proposito. Non in tutte le monete di picciol bronzo , diceva il Jobert , si osservano le sigle S. C. Dunque anche le monete di bron- zo , in parte almeno , appartenevano all' Imperadore . La stessa mancanza , ripiglia lo Zaccaria , trovasi a* tempi della Repubblica nelle monete d' oro , e nelle più Consolali d' argento . Niente dunque si può con-' chiudere da (Questa mancanza delle sigle enunziate . Anzi tutto , si può rispondere , contra la supposta distinzione de' Monetali . Perchè una tale omissione ne' lem- pi della Repubblica non lasciava certamente ignorare , a chi si appartenesse il diritto della Zecca, non potendo ap- partenere che al Senato , Ma ne' tempi succeduti alla Rer pubblica , supposta la distinzione de' Monetali Cesarei , e Senatorj , questa omissione avrebbe generato equivoco . Molto meno Irragionevole sembra quindi il ripiego , che prende in ultimo luogo lo Zaccaria , per uscire di quest' imbroglio \ che le monete cioè mancanti del S, C, ap- partenessero alle Zecche fuori di Roma , e dell' Italia . Ma TRIUMVIRI MONETALI I77 siamo a congetture , ed a congetture escogitate , per soste- nere de' sistemi non ben sicuri in loro stessi . Può pas- sare una congettura , figlia di un sistema ben appoggiato. Ma appoggiare un sistema a mere congetture , non sem- bra l'uso migliore della ragione . Il Morcelli , comechè dichiarato contro la distinzione de' Monetali Senatorj , e Cesarei , si propone ingenuamen- te una difficoltà non propostagli, che mostra di favorirla, e se la propone , per confutarla . La difficoltà è questa . Dione racconta, che il Senato Romano, per fare corte a Claudio Liiperadore , ordinò che si fondessero tutte le mo- nete di bronzo che avevano l' impronta di Cajo , odiato da Claudio: to uoju/jjwa ra X«Ax8 tcw (i) . Dunque la mo- neta di bronzo era d'ispezione del Senato j altrimenti con quale autorità ordinare , ut conjiaretur la moneta Caja- na ? Vediamo come risponde il Morcelli . Questi numismi Cajani non erano propriamente mo- nete , ma alcuni medaglioni di massimo modulo fatti conia- re in onoie di C. Caligola, e divenuti oi'a così rari, che a stento se ne conta uno , o al più due . Ma bisognava avvertire , che secondo Dione , siffatti medaglioni furono in si grande quantità , che di essi , per ordine di Messalina , se ne fecero fare delle Statue in ono- re del suo Mnestere . Non sembra credibile sì gran nume- ro di medaglioni non monete . E per altra parte , non es- sendo monete in corso , come raccoglierli in sì prodigiosa quantità ? (i) Lib. Go. p. G74. D. T. m. ^3 178 GuARINI Io cretlQ tali numismi Cajani verissime monete : né l' aver decretato il Senato , che si fondessero , per far piacere a Claudio , pruova autorità per parte del Senato sulla moneta di bronzo , se prima non si dimostri , che questa operazione si eseguì senza il beneplacito di Claudio. Se il Senato avesse avuto vera giurisdizione sul bronzo , perchè non dispose esso dell'uso di questi numismi Caja- ni di già fusi ? Noi veggiamo al contrario , che ne dispo- se Messalina , ed a nome sicuramente dello stupido Clau- dio , per farne lavorare delle Statue al suo diletto Mne- stere . In breve , l'affare della Zecca o deve rilasciarsi tut- to a Cesare , o lutto al Senato . Conviene in ciò con noi il dotto Morcelli , e si giova della naturalissima riflessione di sopra accennata, che i Monetali si enunziano indistinta- mente: Illvir. A. A. A. F, F. Aggiugne , che la Moneta, sia in bronzo, sia in argento , sia in oro, si chiama MO- NETA . AVGG . Riflette finalmente , che in due iscrizio- ni Gruteriane incontrasi un tal Felice , Liberto di Augusto , co' titoli di Optio , et Exactor auri , argenti , aeris , di concerto col quale altri Operai della Zecca , MONETAE CAESARIS NOSTRI, dedicano un monumento (i) . Ecco rovesciata tutta la distinzione de' supposti Monetali Sena- torj , e Cesarei . Ecco tutto bello ed apparecchiato , per decidere in favore di Cesare di tutto l'affare della Zecca. Sovranità senza Zecca , sono per loro costituzione idee poco meno che ripugnanti . Cesare divenuto appena pa- drone di Roma , non contento di aversi appropriato 1' (i) Gruter. p. LXXIV. n. i. ì TRIUMVIRI MONKTALI I7g Erario , aggiugne a' tre Monetali in regola il quarto di sua autorità , e confessa ingenuamente il Morcelli , facendo eco allo Spanheinl , che questi il primo Senatu contem- to . . . vullum in nummis suum regio more exprimendum curavit (i). Ottavio usando di quest'autorità stessa resti- tuisce sull'antico piede il numero de' Monetali . La mone- ta , sia in bronzo , sia in oro , sia in argento , si enunzia nettamente Caesaj'is nostri . 3Ioneta Aiigg. Dunque si è nel caso della domanda: cuius est imago haec'ì ed alla domanda ha risposto , e risponde senza gergo la moneta stessa . Dunque tutto è per Cesare in quest' affare , il Se- nato non ha che farvi propriamente . E pure il Morcelli conchiude diversamente : la moneta appartiene interamen- te al Senato , e sia di qualunque metallo . Ed alla moneta che di qualunque metallo siesi , per prescindere dalle altre ragioni , grida al suo Augusto , al suo Cesare ? Caesaris dici potuit , non alia opinor de causa ,, quam quod ex omni metallo Augustorum Caesanan \nillihus signaretur , et eorumlaudes^ resque gestas re^ ferrei. Così il lodato Morcelli (2) a sottrarsi da \\n col- po che lo ferisce di fronte, e che egli non sa dissimula- re. Ma non occorre infingersi . Non è questa la forza. non è questo il senso ovvio e naturale, che solo può e deve cercarsi nelle leggende monetarie , delle forme : Mo- neta Augg. Moneta Caesaris nostri . E se per questa ragione denominar si potevano così le monete in questio- ''1) Loc. sup. cit. p. I. %. I. (2) P. II. %. 1. l8o GUARINI ne, avrebbero potuto denominarsi dello stesso modo tut- te le monete familiari , che portavano il nome , o simbo- leggiavano le azioni illustri di coloro, a cui si era permes- so, o accordato questo privilegio . Più graziosa è un' altra osservazione , da cui confessa il Morcelli di essere stato principalmente indotto a scct^lic- re siffatta opinione . Si veggono" delle leggende monetaria : Aeternitatl Augusti : Auctori pietatls : Optlmo Princi- pi : AcLsertori lihertatis puhlicae : Reslitutoj^i Orbis. Sa- rebbero stati così impudenti quest* Imperadori a caratte- rizzarsi di propria autorità così luminosamente? Questo è portare la delicatezza della educazione re- ligiosa , per cui tanto distinguesi questo valentuomo , al caso degl' Imperadori Romani . Ma si assicuri pure , che questi Signori non erano niente dillcali suU' articolo mo- destia . Cahgola , per tacere di altri , prende da se stesso il titolo di Pio , di Ottimo^ ài Massimo (i): s'intitola egli stesso Giove Laziale : si destina egli stesso de'Sacerdoti, e con questo consagra Sacerdotessa la propria moglie Ceso- nia : anzi , come abbiamo da Dione , si fa egli stesso Sa- cerdote di se stesso (2) . Niente di ciò nelle leggende , che scandalezzano la modestia del Morcelli . E poi che ne- cessità , che queste leggende si avessero a concepire im- mediatamente dagl'Imperadori ? Le potevano concepire 1 Cu- ratori della Zecca, ed anche colla in telhgenza del Senato, senza che divenissero gli uni , o T altro per questo padro- ni della Zecca , come teme fuor di tempo 11 Morcelli : e (1) Sueion. in Calig-Cap.XXII. (2) Dioii. loc. sup. cit. i TRlL'MVlRI MONETALI l8l non temiamo punto che i Cesari romani si facessero pre- gar molto ad ammetterle ed approvarle . Conclùudo: ^o- vranità senza Tjecca per me è una formola poco iuielli- gibile: siccome è innegabile altronde , che la moneta è del Principe , il quale ne dispone originariamente a suo modo. Che avrassi a dire dopo tutto ciò delle sigle S. C. che veggonsi sul bronzo , e fino a' tempi di Probo? For- mole di mera formalità, e dinotanti tu tt' altro, che vera autorità del Senato sull' affare della Zecca . Se si ha que- sto sterile riguardo pel Senato anche a' tempi di Probo , quando T autorità di quest'augusto consesso era divenuta assai poca cosa , per non dirla svanita interamente \ qual maraviglia che siasi avuto anche ne' tempi anteriori , e so- pra tutto di Tiberio, e Ottavio, che più d'ogni altro af- fettò della stima per esso ? Ma forse questa formola di onore conservata al Senato romano non fu del tutto ste- rile , perchè potè ingerirsi del regolamento de' tipi , e del- le leggende della moneta , senza pregiudizio della Sovrani- tà Cesarea sull'affare della moneta . Io mi dispenso dal dire di più contro siffatta obbiezione , poiché il mio e- grcgio collega Sig. Cavaliere Avellino, la cui gentilezza ^ga- reggia col merito più cospicuo, si è compiaciuto di trattarne di proposito , e sgravarmi di questo peso . Non resta che a soddisfare ad una curiosità . I INIo- netali conservarono il loro impiego daAugusto fino a' tem- pi di Trajano , e di Gordiano , come si ha da alcuni mar- mi del Museo Veronese, e del Tesoro Muratoriano (i) . (i) Vedi Mus. Veron. p. p. CCCCXVII. 4. e Mmat. p. COL. 4. e p. CGLII. 3, Gruter. LVII. 9. l82 GUARINI Perchè dunque da Augusto in poi non si veggono più sul- le monete ? Ma come potevano più questi piccioli esseri figurare sulla moneta , quando tutto respirava , e spirava Principa- to ? Anche nelle monete Consolari si tacciono questi Ma- gistrati inferiori , quando in esse vuol parlare di se , o del- la propria famigUa qualche Magistrato superiore . Molto più dunque debbono tacersi , e tacersi per sempre , sotto il Principato ; e massimamente se si rilascia al Senato il rego- lamento de' tipi e delle leggende . Perchè il Senato in tal caso , tutto intento ad adulare il padrone sovrano della mo- neta , deve perdere affatto di vista quest' incaricati della Z.ecca , da' quali non aveva né che temere , né che sperare. i83 OSSERVAZIONI SULLA SIGLA S. C. » IMPRESSA NELLE MONETE IMPERATORIE DI BRONZO Lette alla Società DAL CAV. F. M. A^'ELLINO SEGRETARIO PERPETUO Nella Adunanza de' 2^ Ma/'zo 1818. I -L mio dotto collega Sig. Guarini in una giudiziosa memoria ha sostenuto contra il volgar sentimento , che la Zecca doveva interamente trovarsi sotto la dipendenza de' Romani Imperatori, e che non sia verisimile, come si è creduto da molti , che mentre la sola moneta di oro e di argento dipendea dal Principe, quella di bronzo si fos- se trovata sotto la ispezione del Senato Romano . EgK si è con coraggio battuto contra diversi formidabili atleti del- la contraria opinione , ed a mio credere ancora con felice successo : ma uno ne ha lasciato non meno degli altri for- midabile , e degno di tutta l' attenzione . È questi il celebre Eckhel, che tanto suol distinguersi per quella critica sana, e per quel ragionamento esatto e sagace , che solo può rendere pregevoli gli studj e le discussioni archeologiche . i84 Avellino Eckhel non solo slegue il comun sentimento circa la divisione della soprintendenza della Zecca ira l' Imperatore ed il Senato , ma anche con nuovi argomenti il sostiene (i). Esaminiamone la forza . Ottone , egli dice in primo luogo , non ha che mone- te di oro e di argento j nessuna ne ba di bronzo della Zec- ca P»,omana . Onde mai una tal differenza, se non da ciò, che nel batter l'oro e l'argento usus est Otho iure suo , non invasìt aes quia juris alieni? Altro argomento trae r Eckhel da ciò che Tacito dice di Vespasiano , cioè che poco dopo la sua assunzione all' Impero apud Antiochen- ses aurum argejitumque signatur (2) , e soggiunge : at cur non etiam aes? nimirum utrumqiie illud juris sui, istud senatorii fuit . Di Pescennio ( continua ) non si hanno monete in bronzo Romane, ma se ne hanno solo di oro e di argento , perchè in Roma regnava Severo , e Pescennio non volle, facendo battere il rame , usurpare i diritti del Senato . Di Albino col nome di Cesare si tro- vano molte monete di bronzo 5 ma dopo che si dichiarò Augusto , ribellandosi da Severo , che occupava Roma , nessuna più ne comparisce , Albino , dice V Eckhel , non sibi arrogante , quod alieni juris fuit , Senatu , qui a Severo tenebatur , jn^osequi coeptum honorem non auso. Ecco gli argomenti che parvero all' Eckhel evidenti in favore della sua opinione , e eh' egli si vanta aver ritrat- ti ah ipsls 7"ei numismaticae caussis . (1) Doctr. Niiin. Vet. Tom. (2) Hist. II. 82. J. pag. LXXXIII. serirj. St'LLA SIGLA S. C. 1 85 Essi tutti tendono a stabilir la massima, che il Sena- to aveva solo T impero sulla moneta di bronzo, fondata sulla circostanza , che monete di bronzo colle lettere S. C. non si sono coniate da que' Principi , che non eb- bero il Senato alla loro divozione . "Ma questa circostanza , che si verifica , a vero dire , in Pescennio , ed in Albino , non si verifica ugualmente ne' due Postumi , i quali non ebbero a loro divozione il Se- nato , e pure molte monete di bronzo batterono colla no- ta S. C. j vale a dire che in que' due soH Augusti la cir- costanza notata dall' Eckhel si verifica , di cui brevissimo fu r impero , e pe' quali perciò vi è luogo da credere che non si pensasse in tanta angustia di cose e di tempo a battere il metallo più ignobile , preferendosi per formare i nuovi tipi i due più preziosi metalli. Ma pe'Postumi, che regnarono lungo tempo, V all'are andò diversamente 5 giacché quantunque il Senato non fosse per loro, pure monete dì rame batteronsi e colla solita nota del S. C. , ciò che pruova , a mio credere , che bastava la volontà dell' Im- peratore anche senza alcxm ordine del Senato , perchè il rame si battesse , ed anclie delle note S. G. si fregiasse . Lo stesso indirettamente pruova pure la totale man- canza delle monete Romane di bronzo di Ottone. Questo Imperatore , come lo stesso Eckhel (1) insegna coli' auto- rità di Tacito (2), ebbe in suo favore il Senato : aàcurrunt Patres, decernitur Othoni tj-ihunlcia poiestas et nomen (1) DocLr. Tom. Vili. p. (2) Hisi. lib. 1. e. ^7 So4- 5o5. r. IH, 24 l86 AVEILINO Augusti , et omnes Principum honores . Dunque se ciò non ostante non fu battuta per lui alcuna moneta di bron- zo in Roma , può dedursi da ciò , che indifferente cosa era 1' avere o non avere il Senato amico , e cade quindi tutto il ragionamento dell' Eckhel . Esso cade ancora per nn altro argomento, al quale mi sembra che non siasi pensato finora , e ch'è intanto deci- sivo . Sono note fra' numismatici le monete dette restituite^ le quali debbonsi a taluni degl' Imperatori , i quali fecero riconiare talune monete più antiche , aggiungendo il loro nome e l'epigrafe Restituii (i). Se il diritto degl'Impera- tori era limitato alle sole monete di oro e di argento , fra queste sole dovrebbero trovarsi le restituite . Ma è noto a lutti che se ne trovano anche , ed in buon numero , in bron- zo e colla nota S. C. L' epigrafi IMP . TITVS. AVG. REST5 IMP. D. VESP. AVG. F. REST^ IMP. NERVA. AVG. REST. che leggonsi su tali monete, pruovano chiaramente che Tito , Domiziano , e Nerva le hanno fatto battere. E dunque dimostrato che gì' Imperatori facevano battere an- che le monete di bronzo , e non quelle sole de' più pre- ziosi metalU . Neil' ipotesi dell' Eckhel , ed anche più in quella del Morcelli , il Senato e non l' Augusto dovrebbe dirsi aver restituite le monete più antiche . Ben capisco che la più valida pruova pel sentimento comune stiol trarsi dal S. C. segnato sulle sole monete di bronzo Romane , e non su quelle di oro e di argento. Ma di questa circostanza sembra potersi dare una nuova (1) Eckhel Doctr. Tarn. V. p. c)j. et seqq. SULLA SIGLA S- C. 187 spiegazione assai più congrua , quando sì faccia riflessione alle cose seguenti . Cangiata la forma della Repubblica in una Monarchia, r oro e r argento non più si batterono che in Roma , o se ne fu permesso il conio nelle provincie , ciò non fu che in rarissimi casi , e per qualche più cospicua città . E be- ne vi era una ragione politica ed economica , la quale a così fare doveva naturalmente condurre^ giacché essen- do le monete ne' metalli ]>iù preziosi quelle, che il com- mercio dovea naturalmente diffondere con maggior facilità dall' uno capo all' altro del Romano Impero , ben conve- niva che la zecca , il peso ed il valore ne fossero , quanto più si poteva , uniformi . Ma non così avvenne nella moneta più vile, ossia in quella di bronzo , la quale poiché di rado uscir doveva dalle Provincie , nelle quali aveva corso , ed anche perchè un numero ed una quantità smisuratamente maggiore, che quella di oro e di argento , coniar se ne doveva per tut- ta la vasta estensione del Romano Impero , non potè tut- ta nella Zecca Romana venir coniata, ma fu d'uopo ne- cessariamente permettere che anche nelle provincie , ed in particolare nell^ più remote , se ne battesse , ed in gran copia . Infatti è noto che sotto i primi Cesari nelle Gallie e nella Spagna, non che in qualche città Italiana (i), e nel- (1) Intendo parlar di Pesto, nele Imperatorie in bronzo, che alla quale città attriLiiir si deL- hanno le lettere P. S. S. C. sia liono sicuramente le piccole mo- dall' una sia dall' altra parte. Ec- 1^8 Avellino le altre provincie dell' Orien Le , fu hatiuta in gran copia la moneta di bronzo colla testa dell'Imperatore, e col no- co il catalogo delle monete di lai genere , che finora conosco : 1 . P. S. S. C. Caput laureatum , L. CAEL. CLEM. FLA. TI. CAESAR, Apix vel galerus. Ae- neum 5. mod. E pubblicata dal Neumann io/». /. p. a55, dall'Eckhel Cat.tom. I. p. a5. e dal Sestini Descr. delle monete di Benkowitz p.o. ma coli' epigrafe monca , la qua- le è supplita da una medaglia si- mile , che io conservo. La testa del dritto par di Tiberio. a. Eadem antica . A. VERGILIVS. A. F. IIVIR. Fi- gura galeata nuda stans destra hastam , sinistra parazonium. Acn. 5. mod. V. Sestini descriz. p. ai. Paoli Raderà Paesji tab. 65. Jìg. 6. Eckhel Cai. l. e. 3. Eadem antica cerlum Ti- berii caput exhibens , et litferas turbatas , ut videtur, S. P. C.S. ... RCILIVS .... Tjpus idem. Aen. S. mod. ( Inedita). 4. Caput Augusti nudum; au- te liluus. P. S.S.C. C.LOLLI. M. DOM. IlVlR. ITER. Figura milltaris ga- leata basi insistens d. hastam , s. ad latus supra parazonium. Ae. 5. mod. Vedi Vaillant Colon, tom . I. pctg- 4^^- et in g. Lollia n. 8. 5. Caput Tiberii nudum ; ante liluus . C. LOLLI. M.DO. ITE. IIVRI ; infra P. S.S.C. Figura muliebris adversa stans , pharetra e dorso dependente, d. bastae , s. demissa arcum. Ae. 3. mod. Scsùaì descr. ^. ai. Sanclementi tom. I. p.'ìl\Q. 6. Eadem antica C.LOLLI.M.DOM.in area IIVIR. in imo P. S.S.C. Mulier velata sedcns d. pateram s. hastam. Ae. 3. mod. Sestini mon. di Beiìkowitz p.o. Vaillant Col. toni. I. p. 90 et g. Lollia n. 7. sed sine lituo in antica . Sembra evidente che nel ro- vescio debba riconoscersi Livia . 7... Caput laureatum ... T. IIVIR. Figura stans d.ex- tcnsa , s. cornucopiae ut videtur. Ae. 3. mod. (Inedita) 8. Caput nudum aiiepigraphum. I SULLA SIGLA S. C. 189 jiie delle città e provincie . Nel seguito le provincie occi- dentali, non si sa per qual cagione , vennero private del diritto di batter la moneta 5 ma questo diritto restò fino a' C. LOLL . . . ITE. Prora navis. Ae. 3. mod. Siinclementi tom. I. p. 246. 9. Caput ( Augusti )laureatum ...LICINI... Victoria stans cuiuco- .rona. Ae. 3. niod. ( Inedita ) In altra simile Icggesi solo nel ro- vescio...IIVIR. 10. Caput laureatuni . tj. OPT.IIVIR. P. S.S.C. In co- rona. Ae. 3. mod. Sestini Descr. pag. ai. 1 1 . Caput nudum ; ante lituus. M.EGN.Q.OCT. IIVIR. S. P.S.C, (sic) In corona. Ae. 3. mod. Vaillant g-. Egn. n. l\, 11. P. S.S.C. Caput laureatum. TI. CAES . . .L. CLEM. IIVIR. S.P.S.C. (litteris nonnihil fugien- tibus ) In corona. Ae. 3. mod. Inedita nella mia collezione . i5. Eadem antica. ...SAR. L. FADI.L. C. .. IIVIR. Typo deleto.Ae. 5. mod. (Inedita). i4--. Caput laureatum . 'L.FADI.L.CAE...NIF... Tjpo in- certo. Ae. 5, mod. Paoli lab.5G. i5. MINEIA.M.F. (al. litteris jN'E in monogrammate. ) Caput muliebre . P. S. S. C. Aedificium , vel tem- plum. Ae. 5. mod. Eckhel Cat. tom. I. p. a5 aliiqua passim 16. P. S.S.C. Caput muliebre. C.VEI... Idem Aedificium. Ae.3. mod. ( Inedita ) L' attribuzione di queste me- daglie , controvertila altra volta, è stabilita vittoriosamente in fa- vore di Pesto della seguente me- daglia inedita , che orna la col- lezione dell' eruditissismo Signor Cav. Arditi benemerito Direttore del Real Museo Borbonico. Caput nudum Augusti vel Ti- berii ad dextram. ...EGNATIVS.Q.OCTA... In me- dio nume PAE. ( in monogram- mate ) S. S. C. Ae. 3. mod. Questa medaglia sembra che stabilisca in oltre il senso delle lettere V.S.S.Cper Paestanonim Semis Senalus Consitìto , come aveale già spiegate quel meravi- glioso ingegno del Sestini . igo Avellino tempi di Gallieno ( ed anche per qualche città alcun po- co al di là) per le provincie Orientali dell'Impero Romano. Tutto ciò è ben noto , e può , a creder mio , darci la vera soluzione della quislione, perchè trovisi il S.C. nel- le monete di bronzo della Zecca Italica , e non in quelle di oro e di argento . L' oro e r argento non coniandosi quasi altrove che in Roma , non era necessario stabilire alcuna marca di di- stinzione ; tanto più che le poche monete di argento pro- vinciali, quali erano in particolare le Antiochene e le Ales- sandrine , tali erano per la loro forma e pel loro linguag- oio , ed anche per la liga del metallo , da non potersi as- solutamente scambiar colle Romane : ma il rame conian- dosi frequentemente nelle provincie , e potendosi molto bene tali monete provinciali di bronzo , precisamente quel- le numerosissime scritte in latino , scambiar con quelle della Romana Zecca, par che la nota S. C. sia stata adottata come un particolar distintivo della Zecca Italica, per far discernere le monete , che uscivano dalla medesi- ma , da quelle che nelle provincie si battevano , e le qua- li ne erano prive . Non ignoro che nelle monete Antiochene ed in talu- ne altre provinciali s'incontra pure la nota S.C. Ma que- sta sembra ivi doversi riferire a qualche altra particolar circostanza, quantunque assai difficile a spiegarsi . 1/ Eckhel ha notato già un luogo di Lampridio , che può dar qual- che lume in tanta oscmità . Statlm apiid Antiochiam , scrive quello storico -(i)-, moneta Antonini Dladumeni ne (i) In Diaduin . I .SULLA SIGLA S. C. igi mine percussa est , Macrinì usqxte ad jassum Senatns dilata est . Par dunque che gli Antiocheni un tal coman- do del Senato indicassero col S. G. che nelle loro mone- te imprimevano ^ se pure non vorrà dirsi che i cittadini di quella illustre metropoli adottar vollero nella moneta di bronzo quella slessa nota distintiva della Italica Zecca, come per dinotare la eccellenza della loro monetazione , 0 forse anche il rapporto che passar poteva fra le mone- te Antiochene , e quelle che battevansi in Roma . Ma checché di ciò siasi, quella circostanza che pare di un gran peso in favore della nostra congettura , è che le no- te S. C. cessano nelle Romane monete di bronzo precisa- mente in queir epoca in cui cessarono pressocchè intera- mente di battersi le coloniali . Sarebbe questa coincidenza assai meravigliosa se non si volesse ammettere la spiegazione da noi proposta . Ma nell' ipotesi nostra tutto si spiega a meraviglia . Sotto Gallieno , qualunque ne sia stata la ra- gione , che non sarebbe per altro difficile ad indovinare , vol- le stabilirsi uniformità di monetazione in tutto il Romano Impero . Quindi le Zecche coloniali presso che tutte do- verono o immediatamente o poco dopo cessare dal bat- tere le loro particolari monete . I tipi e T epìgrafi diven- nero comuni , come il valore ed il peso , a tutte le monete che battevansi nell' Impero . Il nome delle città provinciali in cui si stabiUrono le Zecche invece di formar, come pri- ma , la leggenda stessa della moneta , cominciò da quell' epoca a scriversi in sigla nel luogo più ignobile, ossia nell' esergo della moneta medesima . Cessò così il bisogno di i\2 Avellino dlslinguere particolarmente le monete della Zecca Italica da quelle delle provinciali, ed è appunto allora che cessò nelle prime di apporsi la nota S. C. Tutto dunque par che combini a convaUdare la no- stra opinione, che il S. C. sia stata una nota distintiva della Zecca Italica , e non già dell' impero del Senato ri- stretto solo alla moneta di bronzo , poiché è chiaro da quanto si è detto che in quelle sole monete uscite dalla Zecca Italica trovasi il S. C. , le quali potevano senza una tal distinzione facilmente colle provinciali scambiarsi , e che esso cessò interamente dal comparire precisamente in quell'epoca, in cui cessò l' antica monetazione provinciale^ per dar luogo ad una nuova ed uniforme . 1^3 OSSERVAZIONI SV TALUNE ISCRIZIONI GLADIATORIE DEL SEPOLCRO DI SCAURO IN POMPlil , Lette alla Società nelV Adunanza del I Settembre 1814 DAL CAV. F. M. AVELLINO SEGRETARIO PERPETUO. K^ NO de' più curiosi monumenti , che siensi ultima- mente dissotterrati in Pompei , è certamente il bassorilievo di stucco , che orna la faccia principale del sepolcro di Scau- ro ivi scoverto nel 1812. Esso è stato già pubblicato nel- la Description des tomheaux qui ont été decouverts à Pompei del Sig. Cav. Millin (i) ^ il quale ne ha anche con molta erudizione illustrale e spiegate tutte le figure . Si mirano in questo bassorilievo dodici gladiatori dis- posti in sei coppie ( paria ), che con varie armi combat- tono fra loro . Il eh. Sig. Millin ne ha dottamente illustra- te le differenti specie, ed i diversi modi di combattere paragonando coli' autorità degli antichi scrittori quella del ])assorilievo . (1) Pa^. g. seqq. tah. 3. T. ni. 25 194 Avellino Ciascuna figura ha inokie a canto a se segnata col pennello una iscrizione , che presenta il nome del gladia- tore seguito da alcune sigle (i) . Anche queste iscrizioni sono state interpetrate dal dotto archeologo che io cito . (i) Non è questo il solo mo- numento , in cui 2)iù nomi di gla- diatori trovinsi rammentati . Ol- tre delle due iscrizioni Venosine, delle quali verrà parlato nel se- guito , può vedersi im musaico che pur rappresenta un combat- timento di gladiatori co' loro no- mi presso il Grutcro p.CCCXXX. VI. Da Trebellio Pollione ( in Claudio ) si apprende che no- mina gladiatorum proponeban- tur in libellis munerariis. Del- le rozze effigie de'conibatlinienti gladiatori ha parlato Orazio lib. II. sat. 3. V. gB . f^el cum Paiisiaca torpes , insane , tabella , Questi versi di Orazio sono il- lustrati egregiamente da una pit- tura novellamente scoverta in Pom- pei , lungo tempo dopo aver io scritta la presente memoria, eia quale rappresenta appunto il com- battimento di due gladiatori co' loro nomi aggiunti , i quali, se la mia debole vista non mi ha ingannato nelP esaminarli , sono i seguenti : PRVDES ( scritto per PRVDEnS , come nelle me- daglie di Vespasiano RENASCES per RENASCEnS ) e TETRAI- TES . E rimarchevole che il pit- tore ha espressi due punti del combattimento ; il primo , che forse n' è il cominciamenlo, mi- Qui peccas minus atque ego rasi in lontananza ; le figure so- cum Fulvi , Rutubaeque , no in alto del quadro , di una ylut Placidejani contento pò- dimensione più piccola , ed i ca- plile miror Pvaelia , rubrica pietà aut carbone , velut si Revera pugnent , feriant , vi- ientque moventes Arma viri? . . . ralteri , esprimenti i nomi de'com- battenti , più m]nuti . La rappre- sentazion principale sembra indi- care il fine del corabaltimento - colla molte di uno de' due con- teudeuti , e con altra figura accor- ISCRIZIONI GLADIATORIE IgS Come però nell' esaminarle mi è sorta in mente una con- gettura alquanto diversa dalla spiegazione , eh' egli ne ha data , così io ho voluto farne 1' argomento delle presenti osservazioni , che sottometto interamente alla critica ed allu- mi superiori dell'illustre ed amico erudito francese , e del- la dotta Società , alla quale ne fo 1' omaggio . La prima iscrizione, che s'incontri cominciando dal- la sinistra , a canto ad una figura equestre , armata di ga- lea , clipeo , ed asta , è così letta dal Signor MiUin : BE- BRYX. IVL. XV. V. EgU crede che la sigla IVL possa designar YVhiensis , e che un tal nome indichi che il gla- diatore Behryx era di una delle due città dette in la- tino Forum lulium , vale a dire del Friuli , o di Frejus. In quanto alle sigle XV. V. il Sig. Millin ha creduto in- dicarsi con esse il numero delle vittorie riportate da Be- bjyx ( Quindecies vicit ) . E intanto ad osservarsi che la sigla letta per IVL s' incontra dopo i nomi di tutti i gladiatori segnati in que- sto bassorilievo, se si eccettui la terza iscrizione, di cui sa. Le figure sono molto più guito di questa memoria j^uò far- grandi , ed i cavalieri maggiori . lo presumere . Questa importnn- Dopo i nomi de'gladiatori parmi te pittura che sola merita un co- di leggere la sigla L. e talune mentario , lia sotto di se la sin- nole numerali. Probabilmente la gelare epigrafe in rozzi , ma es- prima significa Libertus , ed i sai distinti caratteri : ABEAT. juinicri esprimono le pugne o le VENERE. POMPEIIANA ( sic ). vittorie di questi gladiatori. Al- IRATAM. QVl. HOC. LAESAE- lueno quello che diremo nel se- RIT. ( SiC ) igfi Avellino per altro non esistono clie due sole lettere oltra la nota numerale XXX. Questa considerazione par che e' inviti a riconoscervi una voce c]ie possa convenire ugualmente a ciaschedun gladiatore, i quali d'altra parte non sembra verisimile che sieno tutti o quasi tutti stati di una sola patria . Non vi è inoltre alcun sicuro esempio di altre iscri- zioni , in cui la sigla IVL sia senza dubbio destinata ad indicare un cittadino di Forum lulium. Quello stesso , che il Signor MiUin (i) ha citato , di una iscrizione pubblica- ta dal cel. Monsignor Gaetano Marini è assai dubbioso e dallo stesso Marini inteso piuttosto della Città di luliacuni , che del Forum lulinm . Bisogna ancóra riflettere che in tutte le iscrizioni di questo bassorilievo le tre lettere T , I , L hanno fra loro una sì perfetta somiglianza che il solo senso può (itrle di- stinguere. Si riscontrino nella stessa tavola 3 del Sig. Mil- lin nella voce AMPLIATI le due ultime lettere , e si tro- veranno inquanto alla forma perfettamente le stesse . È ve- ro che il T talune volte sembra aver più decisamente se- gnata la linea orizzontale superiore, come nelle voci lette HIPPOLYTVS e NITIMVS j ma anche nelle sigle, lette per IVL, la stessa linea superiore nella prima lettera è ugual- mente ben espi'essa , in quelle precisamente della figura 7, 9, ed II. La stessa osservazione paleografica intorno alla gran somiglianza , o per dir meglio alla identità della forma di (1) Pag. 19. ISCRIZIONI GLADIATORIE I97 queste tre lettere I , L , T può farsi percorrendo nelle tavole aggiunte alla dotta dissertazione Isagogica sopra Pom- pei le altre iscrizioni dipinte, come le nostre, col pen- nello ne' muri e negli edifizj di questa città . Se ne veg- gano i frequenti eseuipj nelle tav. 4- 7- n* ^ i3. (i) . Può dunque fissarsi per regola che in simili epigrafi il so- lo senso dee guidar l'interpetre a riconoscere l' una o l'al- tra di tali lettere nella forma a tutte comune j ed io mi credo perciò permesso di leggere TVL e non già IVL nella sigla , di cui si ragiona . Queste lettere TVL sono, a mio credere , le iniziali della voce Tulit , e come una tal voce ed i suoi composti s'incontrano frequentemente e presso gli antichi scrittori , e nelle iscrizioni , quando vi si ragiona di gladiatori o di altri analoghi soggetti , cosi mi sembra che debba riputarsi un vocabolo ricevuto dal- l' uso , e che può perciò ugualmente convenire a ciascun gladiatore . (i) Il T delle voci et non- um ( lab. n. ) Queste due let- gentiini tabernae ( lab. 4' ) ^"^ *'^'"*^ sono pur le stesse nella voce la slessa forma che gì' I del re- Inviato fig, 5 della tav. i3 .e nol- sto della iscrizione , e die 1' L la voce Poslumium fig. 7. ibid, della voce Batnenm che in es- Il SIg. Cav. di Clarac da me sa pure si legge . Nella voce Mo- pregato, lucidò esattamente le let- destum ( tab. 7. fig. 6 ) il T tere del bassorilievo di Scauro , è assolutamente come 1' I della e ne die 1' incisione nel suo li- voce che precede . Niuna diffe- bro intitolato Pompei. Tulli po- tenza si osserva fragl' I ed i T Iranno ivi accerl-i si della perfetta rij;uardo alla lor forma nelle vo- somiglianza de'T , d< gl'I , e dell'L ci Licinium Faustinum e Saetti- nell' epigrafi , delle quali si pirla. igS AvELtlNO Cicerone ha usato parlando delle ferite da questi sof- ferte la voce perferre : Gladiatores , die' ei , aut perditi homines aut barbari quas plagas perferunt ! Q^ilo mo- do illi , qui bene instituti sunt , accipere plagam ma- lunt , quarti turpiter viiare ! (i) . La voce tulit è pure usata in questo senso , quan- tunque non si parli ivi di un gladiatore , ma di un sol- dato , da Gelilo , ove ragiona del celebre Siccio Dentato , che fu tribuno della plebe sotto il Consolato di Sp. Tar- pejo ed A. Aterio, e che venne cognominato l'Achille Ro- mano . Vi si dice di lui , cicatricem aversam nullam , adversas V et XL tulisse (2). Cicerone si è servito pu- re dell' espressione ferre vulnera , quantunque forse in senso alquanto diverso, scrivendo a Bruto: Nam Pansa fugerat vulneribus acceptis, quae ferre non potuit i^"). Tali osservazioni pareano poter dare la spiegazione non solo della voce TVL«^, ma anche della sigla V che siegue la nota numerale , e che potrebbe indicar Vulnera , ed io cominciava a credere che si fosse voluto notare nelle nostre iscrizioni il numero delle ferite riportate da ciascun gladiatore nel combattimento rappresentato dal bassorilievo. Questa spiegazione si confermava pure dall' osservare che le ferite de' gladiatori erano loro , non altrimenti che (1) Quaest. Tusc. lib. II- lib. XII. cap. 5. cap. 17. Gelilo ha parlato di un (a) Noct. Allicar Uh. I, gladiatore, qui qmuii vu/iiara cap. 11. ejus a inedicis exsiccaòanlui- , (5) Jd Brut. ep. 3. ridere solilus fidt. Noct. Att. ISCRIZIONI GLADI ATORiK IQO quelle de'mllitaii, asciitte a lode ed a pregio : Z)e morsi* bus et cicatrlcibus formosiores s'ibi videntur , dicea di lor parlando Tertulliano (i) : e queste parole rammentar ci fanno di quel Sergio di Giovenale , amato , malgrado le sue deformità e cicatrici , solo perchè era gladiatore , da Ippia dama Romana , fino al punto d' indursi ad ab- bandonar per lui suo marito : Qiia tamen exarsit forma ? qua capta jui>enta est Hippia? quid vidit , propter quod Ludia dici Sustinuit ? nam, Seì^giolus jam T'aderge guttm^ Coeperat et secto requiem spirare lacerto . Praeterea multa in facie dejbrmia , sicut Aitritus galea , mediisque in narihus ingens Gibbus , et acì'e malum semper stillantis ocelli . Sed gladiator erat : facit hoc illos Hyacinthos . Hoc pueris patriaeque , hoc praetulit illa sorori Atque viro \ ferrum est quod amani : hic Sergius idem , Accepta rude , cepisset Vejenio videri (2). Il numero delle ferite ricevute provava inoltre quel- lo delle inferite , s' è vero il paragone graziosamente im- (1) Ad Mar/j'r.cap.b.Yeg- stricio citatodaGellioN. A. II. 27. gansi su tal luogo le note del (2) Saljr, VI. v. io3. setfCf. dotto La Cerda. Sallustio ha det- Uà antico scoliaste di Terenzio to di Sertoiio : Aliquot adver- dice però gravemente su tal pro- sis cicatJìcibus , et crosso o- posilo: Nam cicatrices elsi seni- culo , ijuo ille delionestaniento per gloiiosae sint , non tamen corporis maxime ìaetaùaluf : edam apud meretrices , qiii- parole che forse alquanto severa- bus post pretium forma placet. mente vennero criticate da T. Ca- ( Donat, ad £un. HI. a. ay. ) 200 Avellino piegato da Orazio nel parlar delle scambievoli adulazioni de' poeti : Caedimur , et totidem plagis consumimus hostem Lento Samnites ad lumina prima duello (i). Si apprende da Livio (2) che i gladiatori davansi tal- volta vulneribus tenus , ed è probabile che allora non solo la qualità , ma anche il numero delle ferite venissero calcolati . Né sarebbe poi nuovo veder questo precisato presso gU antichi . Oltre all' esempio di Dentato arrecato da noi sopra , e riferito da Gelilo (3) , da Valerio Massimo (4) 7 da Pesto (5) e da altri , anche di Caligola si notò che venne triginta vulnerihus confectus (6) . Malgrado tali osservazioni , io sono ora maggiormen- te portato a credere che la nota numerale e la sigla V , che la siegue , indicar debbano piuttosto il numero delle vit- torie da ciascun gladiatore riportate , che quello delle fe- rite . Questa seconda spiegazione , che si discosta meno da quella data dal eh. Sig. Millin , mi sembra fondata sul- V analogia delle altre iscrizioni gladiatorie . (i) Horat. Epist. lib. II. ventitré ferite (Plutarch in Caes. ep. 2. V. yy. c)8. tom.I.p.j3C).Sucton.inCaes.cap. (1) Lio. XLI. cap. 20. Sa). De'soldati disse Properzio lib. (3) Noct.Attic .lib.I .cap. 1 1 . II. el, 1 .Enumerat miles vulnera., (4) Lib. III. cap. 2.. pastor oves. Del Centurione Sce- (5) f^. Obsidionalis . va lia rammentato Siietonio in (6) Siieton. Calig.cap. 5P. Caes. Cap. 68. che il suo scudo Anche di Cesare, come si sa, nar- hi ioiaio cenlum et vigind ictibus. ra la storia che venne ucciso con ISCRIZIONI GLADIATORIE 201 E vero clie in queste suole ordinariamente esprimer- si il numero delle battaglie , senza indicarsi quelle parti- colarmente in cui il gladiatore riuscì vittorioso . Così tro- viamo PVGNAR. Villi, appo ilGrutero (CCCXXXm.4), PVGNAR.XXVI. N.(ii. Ti. 8 ), PVGNAR. V. (iè.ra.g), PVGNAR. Vili. {ih. CCCXXXIV. 1.) Così pure si leg- ge registralo in Lampridio il numero delle pugne di quel sovrano gladiatore di Commodo, che il biografo fa ascen- dere a settecenlrentacinque (i) . Altre volte però dopo il numero delle pugne si espri- meva quello delle vittorie, delle missioni etc. , come si trova fatto nella seguente iscrizione , che qui riportiamo come leggesi nel Grutero medesimo ( CCCXXXIV. 4- ) • FLAMMA. SIC. VIXIT. AN. XXX PVGNAT. XXXIIir. VICIT. XXI STANS. Villi. MIS. mi. NAT. SRVS HVI. DELICATVS. COARMIO. MERENTI. FECIT ove si osservi che i numeri XXI , Villi , e IIII fanno pre- cisamente il numero delle XXXIIII. pugne di Fiamma . In altra iscrizione senza parlarsi della somma delle pu- gne si fa solo menzione delle vittorie , ed indi de' com- battimenti , in cui si riuscì ad esser secondo o terzo • L. ANNAEVS MER. VICIT. CIV. SECYND. TYLYY XX. mix. ( idest XXVI. ) (i) Lamprid. in Cotnmodo. T. III. a6 202 Avellino TERT. TVLIT. XIIX PAL. ET. COR . . . V. . . DIVI. TRAIANI AVG. MVN. (i) In questa iscrizione si vede adoperata come nelle no- stre la voce Tulit ugualmente propria, al dir di Donato, e ad indicar le buone cose , e le cattive (2) . Questa es- pressione medesima trovasi usata in due altre iscrizioni , le quali , quantunque non appartenenti a gladiatori , deb- bono pure per tal circostanza trovarsi qui riferite : I AQVILON. K. AQVI LONIS. VICIT. CXXX SECVND. TVLIT LXXXVIII TER TVL XXX VII. (3) II HIRPINVS. N. AQVI LONIS. VICIT. CXIIII SECVND AS. TVLIT (i) Gruter. CXXXV. 4. e (a) Jd Hecjr. IV. 2. 18. Boissardo toni. IV. p. ii5. (5)Gruter.p.CCCXXXVin.5. ISCRIZIONI GLADIATORIE 2o5 LVI. TF.RT. TVL. XXXVI (0 Nelle due importanti iscrizioni gladiatorie Venoslne , che si leggono presso il Fabretti (2) , il nome di ciascun gladiatore è ancor seguito da due note numerali , separa- te tra loro da un >• rovesciato , come per esempio III. [> . II. Il Fabretti (3) ha sospettato che il primo numero sia quel- lo delle pugne , e il secondo quello della centuria , cui i gladiatori trovavansi ascritti . Il Sig. MilUn (4) spiegando a ragione la sigla t> per vicit (5) la riferisce alla nota numerale che precede , e crede che quella che siegue deb- ba intendersi degU anni, pe'quali il gladiatore aveva servito. Fondato sugli esempj già citali , io credo col Fabretti che il primo numero sia realmente quello delle pugne , e col Sig. Millin che le vittorie siano indicate dalla sigla V; sol- tanto invece di riferir questa al primo numero , io la ri- ferisco al secondo , eh' è quello , cui va premessa . Può osservarsi in appoggio di tal congettura , che il primo nu- mero è sempre maggiore, o almeno uguale al secondo j il che si accorda mirabilmenle col mio sistema , dovendo necessariamente il numero delle pugne esser maggiore , o per lo meno uguale a quello delle vittorie . (i) Ibid. ta , sarà sicuramente stata qiiel- (a) Sjntagm.pag. 3g. ^o. la d'indicare che essa non do- (5) Jò. pag. 62. vea esser presa per una nota (4) Description etc. pag. numerale , quali solo le lettere 10. 21. che la precedono e che la sie- (5) La ragione , per cui que- guono . sta lettera si mira cos\ rovescia- 2o4 Avellino Son queste le autorità , le quali confermano , come 3iii sembra , la spiegazione che io do delle sigle TVLit X.K Victorias . Ninno dovrà meravigliarsi di tal maniera di parlare , dopo aver osservato nella iscrizione di Anneo tulit paljnas et coronas , e nelle altre citate le espres- sioni secundas et tertias tulit . La seconda iscrizione è così letta dal Sig. Millin : N0BILÌ5 FORo \Nljiensis ILll (^ duodecìes vicit).Per le ragioni da me addotte io leggo NOBILIOR (i) TVLii XII ( victorias ) . Si può osservare nel disegno stesso del- l'opera francese che le due lettere IO della voce Nohilior per la loro vicinanza , e per la poca conservazione del- l' O possano facilmente scambiarsi in FO. Ma d' altra par- te , come ninno degli altri nomi proprj ben conservati si trova abbreviato , così non può a mio avviso ammettersi una abbreviazione nel solo nome di NOBILzs. Si osservi anco- ra che, sia per le ingiurie del tempo , sia perchè essendo- si indicato la prima volta paresse inutile il ripeterlo sem- pre, dopo la nota numerale XII, qui, come in talune pu- re delle seguenti iscrizioni , manca la sigla V. Le due , che sieguono , sono così malconce , che poco potrà di esse ragionarsi . Dell' una non si leggono che le sigle TVL. XV, e dell'altra le sole lettere . . , IB. XXX. V. Quantunque mal conservata, questa seconda iscri- zione potrebbe pure sembrar favorevole all' opinione del Sig. (i) A proposito nota Dona- die et meretrìx et gladiator ne to ad Terent. Hecyr. V. a. 3i. bilis dici solent. ISCRIZIONE GLADIATORIE 2o5 Millln , se come fa egli , la sigla IB s' interpetrasse per IBerus . Questa voce indicherebbe qui la patria del gla- diatore , come r altra eh' ei legge IVL presso gli altri nomi. Una tale interpetrazione non potrebbe stimarsi si- cura , se non quando l' iscrizione fosse intera e ben con- servata , non jiotendosi in altro caso asserir con certez- za che le lettere IB formino da loro una voce a parte , e non debbano piuttosto l'iunirsi ad altre precedenti. Es- se potrebbero infatti essere state precedute da un L , ed indicar forse che il gladiatore , cui si riferiscono , era un liberto j giacché anche questi , e non i servi soli , si pre- sentavano talvolta in ispettacolo . Livio nel parlar di gla- diatori li distingue espressamente in servi e liberti (i) , ed il Lipsio ha forse torto di sostituir la voce Uberi a quelli di liberti (2) . E pur difficile, a cagion del cattivo stato dell' Iscri- zione , di spiegare perchè siasi qui omessa la solita sigla TVL . Io mi asterrò quindi dal rintracciarlo . H nome del gladiatore che siegue è in parte distrut- to , non restandone altro che le ultime lettere SVS. Ma questa iscrizione è importante per le sigle eh' essa presen- ta , alquanto varie dalle precedenti, TVL. XV. M. 0. Que- sta ultima lettera indica , come è ben noto , e come il eh. Sig. MiUin non ha mancato di osservare, che il gladiato- re , a cui si riferisce , era stato ucciso nel combattimento. Inquanto alla sigla M , che siegue la nota numerale , es- sa è stala spiegata con molta probabilità per Myrmillo (1) Lio. XXFIII.cap.21. (2) Saiurr.al.!i'j.II.cap.3. So6 Aì'ELLINO dal dotto archeologo francese , poggiato sull' autorità del- l'iscrizione Venosina, da noi altrove citata (i) . Io credo com' egli che quella lettera non possa indicar Missus . E vero che nella iscrizione Gruteriana di Fiamma oltre al numero delle vittorie , s'indica pure quello delle disfatte ( Missiones ) , dalle quali si avea avuta la fortuna di ri- portar salva la vita : ma a questo numero dovea necessa- riamente precedere l' indicazione delle vittorie , se pure non volesse supporsi , che il gladiatore , cui quelle sigle si ri- feriscono , non avesse di altro che delle perdite sue a glo- riarsi . Quando una tal supposizione potesse piacere a qualcheduno , egli potrebbe così spiegare le sigle TVL. XV, M, Tulit quindecim missiones . Questo codardo e sgraziato gladiatore sarà poi stato ucciso nel combattimen- to , a cui dopo le quindici disfatte , dalle quali aveva avuta la sorte di uscir vivo , erasi probabilmente presen- tato sulla lusinga di campar la morte in questa occasio- ne ancora . Questa stessa sigla M si legge nell' ultima di tutte le epigrafi , preceduta dalle altre lettere TVL. XV. Le tre altre iscrizioni espresse nel disegno del Sig. Mil- lln , non offrono altro che i nomi de* gladiatori ( HIP- POLYTVS. CAIVS. NITIMVS ) e la sigla TVL , seguita da* numeri VI e V , né noi troviamo oltre al già detto al- tro da dir più particolarmente su di esse . (i) In essa la stessa sigla gle EQ. THR. OPL. indicano le M , o più chiaramente MVR in- altre specie di gladiatori detti dica Al/rmillo, come le altre si- Eejuites -, Thraces , Oplomachi . ICRIZIONI GLADIATORIE 207 Non ci resta più che ad aggiugner talune brevi osser- vazioni sulla iscrizione , che si legge al di sopra del bas- so rilievo : MVNERE .... AMPLIATI . P. F. SVMMO . Prima di ogni altro noi osserveremo che le lettere man- canti sono supplite da un', altra iscrizione in caratteri ros- si scoverta dopo la stampa dell'opera del Sig. Millin . Da essa si ajiprende qual fosse l' intero nome di AmpUato : N. FESTI. AMPLIATI. FAMILIA. GLADIATORIA. PVGNA. ITERVM. PVGNA. XVI. R. IVN.VENAT. VELA, (i) In quanto poi alla espressione Miniere parmi che in questa iscrizione non possa altro da essa indicarsi , che i giuochi medesimi espressi nel bassorilievo . Fralle varie si- gnificazioni della voce Munus , una delle più ovvie essen- do quella di spettacolo gladiatorio (2) , mi sembra che la rappresentazione , cui va aggiunta quell' epigrafe , debba fissarne chiaramente il senso , senza permetterci di andar ricercando altro significato . Questa spiegazione non esclu- de però interamente l'idea degli onori funebri resi al se- polto , ed il munus della nostra epigrafe equivale senza dubbio a quello che Suetonio chiamò munus in Jiliac memoriam (3) . (i) Questa iscrizione è sia- giungeva tahme volle alla voce ta pubblicala nell' opera del Cav. munere 1' aggellivo gladiatorio. Clarac inlilolata Pompe/, pflg.SG. ( Plin. liist.nat. lib. XV. e. 18 (a) E inutile il confermar etc. eie. ) con esempj una tale spiegazione, (5) In Caes. cap. 36. essendo essi ovyiissinii . Si ag- 2o8 Avellino Questa voce Munus era sì particolarmente addetta a significare un combattimento gladiatorio , che essa veniva distinta da quella iS!\. Venatio ^ quantunque questi due spet- tacoli , come accadde pure nell' epoca del nostro bassori- lievo , si vedessero spesso riuniti . Suetonio parla del cu- rator munerum et venationum (x) ed il Lipsio pure gli ha distinti, dicendo Munej^a et quae vocantur venatio- nes j etc. (2) La stessa osservazione può farsi nel program- ma di Festo Ampliato da noi pocanzi recato . Alla spiegazione , che noi ammettiamo , della voce Munus potrebbe opporsi come contraria quella dell' agget- tivo summo , e domandarsi che mai significhi questa ma- niera di parlare Munus summum'i Farmi che possa a ciò rispondersi co* seguenti luoghi di autori latini . Cicerone ha detto nell' orazione prò Cn. Piando : Ut etlam summa respuhlica miìii data fiierit gerenda. Le parole summa respuhlica , come il senso fa chiara- mente comprendere , equivalgono ivi a quelle da Cicerone stesso altrove adoperate di summa reipublicae (3) . Cesare ha parimente detto Summae res nel senso di summa rerum,: Velie sese deRep. et summis utrlusque rebus cum, eo agere (4) j e summa res nel senso me- (1) In Caligala cap. 27. de summa se republicaacturum: (a) Saturiìul. liò. I.cap.S. in Gelilo noct. At. lib. XVIII. (3) La stessa espressione s' cap. 3. ed allieve . incontra pure in Suelonio Caes. (4) 1^e\ Bell. Gali. lib. I, ta]^. %Q,Consul edicto praefatus cap. Sg. 1 ISCRrzlONI GLADIATORIE 20^ deslnio si trova pure pressò Virgilio (i), e Cicerone (ia) , e Giustino (3) , ed altri molli . Pare adunque che sinnmo munere potrebbe egualmen- te spiegarsi nella nostra iscrizione per summa muneris (^ nel risidtamento , nella somma dello spettacolo), e que- sta spiegazione sembra potersi confermare dal seguente luo- go di Livio, in cui le espressioni d'i summa muneris tro* vansi usate appunto nel parlarsi di un combattimento gla- diatorio : Magni tamen muneris ea sumjna fidi , ut per triduum qiiatuor et septuaginta homines pugnaverint (4). Del resto anche coloro , i quali volessero attenersi al- la volgar significazione della voce summus ( ultimo ), non potrebbero altrimenti spiegare il munere summo dell' epi- grafe Pompeiana , che nel modo stesso in cui spiegarsi dee summa aestate appo Trebellio (5) ( al termine , al finir dell' està ) ed hieme summa presso Cicerone . Anche in Varrone (6) ed in Cicerone medesimo (7) sum,ma via sacra indica T estremità di essa via . Summo munere dee (i) Aeneid. lib. II. v. oaa. (Vedi ivi Murelo ); pnwfl aestas (a) Ciceron. Phil. II. pel inincipio dell' eslà in Virgilio (5) Ilistor, lib. f^I.cap. 1. Aen.lib. III. v. 8; pi ima fabula (4) Lib. XLI. cap. a8. in Terenzio Adelpli. pici. y. (ove (5) In Gallieno p. m. 0^8. Donato spiega : Hoc est in pri- (G) De li. Pi. lib. I, cap.i. ma parie jabulae ); in primis (7) Nulla orazione P/"o P/art- aedibus appo Gellio Noci. Att. cfo. Nel inodo slesso si trova/;//- lib. Xlf. cap. I. ; prima nox in mus diguus in Catullo Cai: a. Terenzio stesso Ilec. V.3.a4. ed per indicare il principio del dito altri molti simili csempj . T. HI, 27 «IO Avellino dunque tradursi al termine dello spettacolo , e questo senso , come ognun vede , o nulla o poco diflferisce da quel- lo, che le stesse voci presentano, se si considerano come equivalenti a quelle di summa muneris . Pare infine necessario di avvertire che questa iscrizio- ne superiore dee unirsi colle altre particolari aggiunte alla figura di ciascun gladiatore , le quali ne rendono il senso compiuto : Munere {Fosti ) Ampliati Q. F. summo ,, Be- iryx tulit XV victorias , JSohilior tulit XII. etc. (i) . (i) Dopo aver recitata alla clie un gusto puro ed intelllgen- Società la presente memoria , lio te possa innalzare alle arti , ed veduto con piacere confermarsi alla archeologia co' doviziosi , ed il mio sentimento anche dall'au- importanti materiali , onde 1' an- torità del eh. e cultissirao Signor tica Pompei è stata ed è tanto Mazois , la cui opera è, a mio prodigiosamente ferace . avviso , il più bel monumento , DISSERTAZIONE D I BERNARDO QUARANTA SOPRA UN BRONZO ANTICO CHE SI CONSERVA NEL REAL MUSEO BORBONICO Letta nell'Adunanza de'zj Aprile 18 17. CAPO I. Descrizione ed uso del monumento. V^HE vantaggiose oltre modo sleno ad un Archeolo- go quelle iscrizioni , onde spesso accompagnati vengono i monumenti vetusti j niuno potrà certamente negarlo , sen- za essere negli studj delle cose antiche assolutamente stra- niero . Imperocché sebbene gli artefici eseguissero per lo più i loro lavori sulle prime tradizioni , e sulle canzoni de 'va- ti depositar] fedeli della pagana teologia 5 pure , o si con- sideri la varietà delle figure adattabili a diversi oggetti, o la multiplicilà de' sistemi da' poeti adottati, o la mancan- za di tante notizie, che la storia riguardavano degli antichi costumi , sempre incerta e malagevole ne riesce la spiega- zione , ove lettere non vi s' incontrino . E per verità ia 21 2 Quaranta tal caso qnal profonda filosofia non si richiede per bi- lanciare le autorità de' classici o contrarie, o discordanti tra loro ? Qual fino giudizio per fare l' applicazione di tutto quello che sparso trovasi qua e là in tanti scrittori? Qual vasta cognizione di altri monumenti per istituirne il paragone e ravvisarvi anzi un soggetto che un altro? Xaonde, o che una figura sia parto della bizzarra fauta- sla dell' autore , o che alluda ad usanze particolari , di cui ninno tramandar volle alla posterità la memoria, o che descritte furono ne' volumi perduti con tanto dan- no della letteraria repubblica; indarno l'antiquario con- sulterà quelli che tuttavia gli restano , ed ogni sforzo sarà ben inutile, ove l'artefice eoa un'epigrafe non abbia ma- nifestato il suo capriccioso pensiero . Quindi se il co- stume di aggiugnere a' monumenti le iscrizioni per indi- carne i soggetti, usato già dall' arte bambina , non si fos- se abbandonato j né gli eruditi tante fatiche durerebbero in dilucidarli , né sarebbesi fatto dell'antiquaria il regno delle congetture. Febee dunque può dirsi quell' Archeolo- go in mano di cui arriva un monumento fregiato di qual- che epigrafe j più febee ancora se questa è chiara per mo- do da non andare soggetta ad ambiguità veruna . E pure addiviene talvolta che le iscrizioni, lungi dal- l' ari'ecare alcun lume , o alcuna certezza alla richiesta in- terpetrazione , servano più tosto ad accrescere le tenebre ed i dubbj nella mente dell'x'^rcheologo. Che cosa intanto fa- rà egU , se gli elementi alfabetici non solo non arrivino a palesar l'idea di chi vergolli , ma né anche a formar paro- I BnONZO ANTICO 21 3 la? Non sarebbe questo il caso, in cui un Edipo solo non basta ? Tal è appunto la misteriosa iscrizione , che , ac- compagnando un monumento anche più misterioso , ha già l'ormato il tormento degl'ingegni più colli e perspi- caci, e si presenta oggi alle mie ricerche. E questo un bron- zo rinvenuto nelle vicinanze di Taranto (i) , che, clonato da S. E. Reverendissima monsignor D. Giuseppe Capece-' latro airEmiuentissimo Cardinal Borgia, è passalo ultima- mente nel Real Museo Borbonico (2) . Esso presenta una colonnetta , dalla cui estremità par- tono due serpenti , i quali annodandosi discostansi di bel nuovo , e vanno finalmente a terminare in teste di ariete. Il nodo , onde si stringono i serpenti fra loro , è quello che da' Greci H'p (i) , RccTKtivo? (a) , Piccrxavicc (3) , (2ccirx.ui>riTixo; (4) , ìturaRa- crxMvuv (5) ., Jascinum (6) fascinans i^") fascinare (8) effascinare (9) , effasclnatio (io) , praejìscine (11), ed altrettali. Per ovviare al fascino la villanella di Teocrito si sputa tre volte in seno , e dice di aver appreso siffatto se- greto da una vecchia sagace (12). Ed una vecchia pure fu quella , che per ben tre fiate toccò colla saliva la fronte del fanciuUetto rammentato da Persio , per così preservarlo dal (i) Aristotile Sect. XX , probi. 34. Plutarco Lib. V , pro- bi. 7. Alessandro Afrodisiense Lib. 11 , probi. 53. (3) Plutarco Sjmpos. Lib. V j probi. 7. (3) Aristotile loc. cit. (4) Plutarco loc. cit. (5) Id. Ibid. (6) Vedi Turnebo Advers. Lib. IX , cap. a8. Casaubon ad Persium pag. aoa. Lambino ad Horatium pag. 365. Gessner Chresiomath. Plin. pag. 95. seqq. Mureto f^ar. Lectt. Lib. IX , cap. Z. Sle'wechadJpuleiiFlor. pag. 398 . (7) Plinio Hist. Nat. Lib. }i.lU , cap. 4> (8) Catullo Carni. Lib.Vll, ver. 4° • (9) Plinio Hist. Nat. Lib. VII , cap. a. Aulo Gellio JVoct> Attic. Lib. IX , cap. 4- (10) Plinio Ibidem , Lib. XXX VII, cap. 10. (1 1) Plauto Asin.Kci. 11 , se. IV, V. 84. Praejìscine hoc mine dixerim^ nemo etiam me accusavit Mento meo , neque Athenis est alter hodie qiiispiam Cui credi recte aeque putent. Titinnius in Setina apud Cha- risiuin Lib. 11 , pag. i8g. Paula mea amabo ! Poi tu ad laudem addito praejìscini . (il) Idfll. VI , vers. 4o- BRONZO ANTÌCO 219 fascino (i). Narravasi ancora a tal proposito , che negli Illlrj , e ne'Triballi , vi fossero degli uomini , che uccidessero col solo sguardo (2) . Lo stesso ci attcsta Gelilo , ed aggiu- gne , che costoro, in segno della loro virtù malefica, rad- doppiate avevano le pupille (5). In fine che Virgilio (4), O- (i) Satyr. II, veis. 3i. Ecce avia , aut metuens Di- vum materlera cunis Exemitpuerum , frontemque , atque uda tabella Infami digito , et lustrai ibus ante salivis Expiat urentes oculos inhi- bere pelila . Del rimanente chi fosse vago di sapere se il fascino diasi ve- ramente o no , e quali esser ne possano le cagioni , legga, tra gli antichi , Aristotile ( se pu- re a lui appartengono questi libri ) de Secret. Part. Div . Sapientiae apud Jegypt. Tom. 11 , pag. io5a. Lutetiae Paris. iGag. Plutarco Sjmpos. Lib. V, cap. VII. Eliodoro y^ethiop. Lib. Ili, pag. 145. Lugduni 1611. e fra'moderni, Vairo De Fascino, Lib. I , pag. 37. Gutierrez de Fascino dub. IV, pag.4i-Fro- mann de Fascinatione pag. 76 , 379, e 455. Torreblanca de Mag. Oper. Lib. 11, pag. a8a. Horn. Hist. Nat. Lib. Ili, cap. XIU , pag. 184. Werner Corp. Philol, e, 10. p.ga. Dilherr Elect.Lib, I , pag. 65. (a) Vlinio ffist. iVa«.Lib.VlI, cap. a. Traditarque in Illyriis et Triballis esse homines , qui interimant videndo . (5) Noct. Attic. Lib. IX , cap. 14. Oculis quoque exitia- lem fascinationem fieri in iis- dem libris scriptum est : tradi- tarque esse homines in Illjrriis y qui interimant quos diutius ira- ti videant , eosque ipsos mares feminasque , qui visu tam no~ centi sunt , pupulas in singulis oculis binas habere . (4) Eclog, ili , vcrs. 40. Nescio quis teueros oculis mi' hi fascinai agnos . Il qual verso ebbe in mira il nostro Sannazaro quando scrisse 220 Quaranta razio (i) , Ovidio (2), e Grazio (3), per tacer di molti altri , abbiano riconosciuto negli occhi alcune maligne in- fluenze , non vi è chi no '1 sappia. Or che mai sarà stato il nostro Bronzo se non uno di que' monumenti, che servirono di preservativo contro al fascino, ed ebbero il nome di amuleiP. E per verità tanto i grugni di porco , e le teste di ariete, quanto le serpi , e la forma cosi svisata del Cadu- ceo , non che T iscrizione , rendono , se non vado lungi dal vero 5 la mia opinione assai verisimile . Per ciò che riguarda i grifi di porco ella è cosa cer- ta, che gli antichi ebbero in uso di esprimere con tal sim- bolo qualche persona di malanni apportatrice: lo attesta Oro Apollo , e ne dà per ragione , che questo animale di sua natura soglia recar nocumento (4). Comincia dunque 1' amuleto dall' indicare T oggetto contro cui dirigevasi j men- tre le altre sue parti additano i mezzi salutari, con che si cercava di allontanare il fascino provvegnente da persone fornite di così maligna natura . Ed in fatti venendo alle teste di ariete , se fu dimostra- to dal de la Chausse (5) , e dal Casali (6) , che riputate n<^' Arcadia, pros. Ili, pag.20. (i)Lib.l , £'pi\f<.XlV,vers.37. ediz. Comin . Guarda i teneri (a) Meiarnorph. Lib. VII, agnelli dal fascino de'' malvagi vers. 365. occhi degl'invidiosi, e nell'Ecloga (5) Cjneg. Lib. IV, vers.40. VI , ver. i3. (4) Hierogl. 1, 1. L'invidia Jìgliuol mio se stes- (5) Le Gemme figur. pag. sa macera , 70 , e 73. E si dilegua come agnel per (6) De prof. Rom. Rit.cap, fascino. VII, pag. ia4. BRONZO ANTICO 22 I vennero presso gli antichi simboli di conservazione , ed amuleti fortunati ^ non sarebbe per questo una temerità l'as- serire, che possano ugualmente riferirsi a Mercurio , e con- siderarsi come un emblema de' beni da quel nume a larga mano dispensati. Non rammenterò io già quel Mercurio cj'io- foro lavorato da Calamide , posciachè quel nume per li- berare i Tanagrei da un contagio sterminatore girò tre fiate intorno alla loro città con un ariete sulle spalle (i) j né quel- la statua posta nella strada, che menava diritto al Lecheo (2), (1) r.niisania Boeot. Lib.XI, Ed anche nel Losco Carnasio ima pag. 570 Hanov. i6i5. Es St statua di Mercurio c/vo/òro si os- Tou E'pfiou T8C t'ipx rov-n Yipo^ofov, servava come abbiamo dal loda- H5M ov npofxap^oy jt«\oy(n , tow f/fv lo scrittore Messeri. Lib. IV pag. f$ TfiV friìiKvimv 'Kcyovtnv , (ài 6 E'p- ayc), ma, a mio credere , non per (Àtii «'(fcnv «7r(3Tp£\J^(« voTov Xot^tii- la stessa ragione. Quali poi fos- Zit Tfpi 70 Tftj^os xfiov vepiiviy- sero le feste , con cui Mercurio Xeon , j^^^ (ITI TcyTw KaK«|Ui5 £- erioforo fu onoralo , può vedersi nrottìT-tv «yaXf/x 'E'pfj.ov cpipov ■nptov nel Meurs Graec.Feì'iat.^zq^.bGQ. tiri TU)' w/A£ov. Quod vero ad Lxigd. Bai. 1649. nel lonslon de Mercurii tempia duo attinet, feslis Graec. pag.S'ò.Ienae i6yo, quorum alterum Criophori , e nel Fasoldo Graecorum Hiero' Promachi alterum adpellant : log. pag. 199. lenae 1678. superioris quidem cognominis (i) Pausania Curinlh. Lib. 1, eam esse caussam dicane , quod pag. 86. Hanov. i6i3. lovjiv «ti pesiem Mercurius avverrunca- Aiymou nt^ (vdfiouu , ^«XHoy^ ««• rit , circumlato in murorum am- 6vp.iìioi eriv E'p^y;i , raptruHi 5f 0, biium ariete ; ob eamque rem ni/oc, , òri E'pjjLta (ixXtrx SoKft Mercurii statuam arietem hu- Q,mi efopett t^gji oi."^(^v •iroi\t.txi meris portantem Calamis fecit . In via qua ad Lechaeum re- •223 Quaranta in cui a fianco del celeste messaggìero vedevasi un ariete, credendosi eh' egli avesse la virtù di accrescere il greg- ge: ma darò per mallevadori della mia asserzione il padre dell' epica , ed il principe delia didascalica poesia . Con- ciosiacosachè Omero dice che Forbanle era ricco di peco- re , perchè amato da Mercurio (i) j ed Esiodo parlando di Mercurio , riconosce in lui chiarainente il prolettore del lanuto bestiame (2) . E quando poi tutto altro mancasse , basterebbero i soli monumenti a dimostrarci , che 1' ariete aver possa de' rapporti con Mercurio , e quindi col Cadu- ceo, che fu la sua particolare insegna. Così vicino all'arie- te vedesi il figlio di Maja in un vaso del Museo Capitoli- cta iter est Mercurius ex aere sedens visilur , cui adsistit aries , quod mius prae ceteris Diis Mercurius greges inerì , et augere creditur . (1) Iliad XIV, vers. 483. O S'ou-rart*" IXiovtjx Tio» ^epflavTOS vqKvuiì\ov , tcv px E'pjMP<«« TpCi'tOV KpiXft, Tl^Jt )tT/ì(J7V ..... li/e vero ( Peneleus ) percussit Ilioneum . Filium Pliorbantis pecorosi , quem maxime Trojanorum . Mercurius diligebnt , et ( cui ) possessiones dedei'at . (i) Theog. vers. 445. BowKoXioc; r ocyiKai ir ì[gA «(• ito'Ktx v'KoctÌ xiyiiìv , rioifivaf t' eipOTTOxwv y'oiùùV 6y- fXM yi BiXovTx ^JLllOVX 9^Kl ' Bona praeterea ( Recale ) in stabulis cum Mercurio pecus au- gere , Armentaque botim, gregesque, et grcges magri OS caprarttm Ex paucis , animo certe vo- lens , copiosos et ex mitllis pau- ciores reddit . Vedi anche Persio Sai. I, v. 44^ BRONZO ANTICO 223 110 (i)^ la testa di ariete, die egli porta in mano nel Go- ri (2) , e tiene a fianco nel Manette (3) , intagliata si scor- ge nella borchia , ond' è ritenuta la sua Clamide in unaf statua del Pio dementino (4), e dagli arieti pure vien tirato il suo carro in una pasta descritta dal Buonarroti (5) , ed in un fregio pubblicato dagli accademici Ercolanesi (6). Adunque se creder vogliasi , che le teste di ariete abbia- no qualclie analogia con quella felicità , di cui era Mer- curio l'autore, anche da questa osservazione confermerassi l'amuletico senso per me assegnato al monumento. Di vantaggio anche nella rappresentanza delle ser- pi particolarmente considerate potremo ritrovare qualche opportuna significazione, che confermi la nostra idea. Son troppo conte le favole di Cadmo , di Ercole , di Tripto- lemo , e de' Titani (7) j rinomato è benanche quel serpe , che a guisa di un cane accompagnava il Locrese Ajace, e mangiava finanche seco lui, come narra Filostrato (8), per non ignorare qual parte abbia avuto questo animale nell'an- tica mitologia. Ma se questi racconti a stento potrebbero avvicinarsi alla spiegazione del nostro monumento, al con- trario giova molto al mio argomento il ricordare , che (1) Tom. IV, Tal. XXI ^ (5) Osservazione sopra al- (a) Thes. Gemm. Tom. 11 , cimi medaglioni antichi pag. I. Tal). LXX, n. 3, Tab. LXXI , (6) Tom. IV, Tav. XXVI, a. 5. (7) Apollodoro Biblioth. (3) Recueil de pierres gra- Lib. II ; cap. i4- I" , cap. »a. ^èes Tom. II, pi. XXX. (8) Heroic. cap. 8. (4) Tom. m , Tav. XLI. 224 Quaranta. non un sol popolo attribuì a questo rettile una natura di- vina (i) ^ die esso fu il simbolo della sanità della vitto- ria e della salute (2)-, che sotto la sua immagine vennero figu- rati ì genj buoni ^ e che perciò da esso accompagnati sono Esculapio , Apollo , ed Igea nelle medaglie di Coo , di Per- gamo , e di Gerapoli (3). Qual meraviglia dunque se un simbolo così salutare abbia luogo in un monumento che serviva di amuleto ? Non è però , che qui si arrestino gli argomenti , on- de la mia conghiettura vien favorita . La figura anche imperfetta della favolosa verga Mercuriale , che si ravvisa nel Brónzo , la fornisce di nuovo sostegno , e di appoggio (1) Sanconiatone presso Eu- sebio Praep. Evang Lib. I, pag, 4o. Parisiis i6a8. T'jv f^ty ouv TOl) ZpuKOVTOi $UJ1V, ìf^A Tf,V Olf£Wy ixuTOi i^i9?iX7iV ò TocxVTo;, n^M ^6t' »UT0V avOig $0ivm£5 TI, ì[gj Ai^vnTiot. Draconis quidem et serpentiiim naturae divinitatem quantdam Taautus tribuebat : quam suam opinionem Pìioeni- ces et yiegjptii postea compro- barunt. (a) Spanhem de V. et P. N. pag. 80. Vaillant in G. Jemil. TI. 54. Ruben Comtnent in Nani- ducis Croj. et Jrschot. Tab. XL. fìg. ly. pag. 65. Oisel Nnm. Se- lect. pag. 36 , 119, 1 ao. (3) Vedi il Catalogo del- le Monete del Signor d' Hen- nerj pag.ioi ed il Vaillant Nuni- Fain. adG, Caeciliaui.n. 10. Meri- ta beiianclie di essere a tal propo- sito osservato quel che narra Tul- lio de Divinatione Lib. 1 , 79. Egli dice , che mentre Rosaio tro- vatasi in un campo di Lavinia , una notte la nutrice lo vide, che dormiva cinto da una serpe : la (jiial cosa raccontata dal padre di lui agli Aruspici , questi fecero a Boscio i più lieti presagi . ERONZO ANTICO 225 maggiore . Da polche tra le altre virtù che aveva una tal verga descritta da Omero (i), da VirgiHo (2), da Ora- zio (3) , e da altri (4) , eravi quella' soprattutto di allon- tanare i mali , e di essere di ogni bene l' apportatrice , siccome ricaviamo dall'inno in onor di Mercurio attribui- to comunemente all'autor dell'Iliade. Ivi l'alato amba- sciator degli Dei avendo promesso ad Apollo di non mai più rubare le di lui possessioni , né di molestargli l'a- (1) Odyss. E , vers. 84. "EiKijo Sé fJxSSov , T>t S'avSpcijy 0fj,jj.xTx OiKy^i, Cl'v (OiXei, rovi h' acure t^gj vityo- ùjvTOj tyPipPi. Cepit et virgam ( Merciirius ) qua virorum oculos dernulcet Quorumquumque vult , rursus- que dormienles excitat . {ji) Àeneid. Lib.lV,ver.24i' Tum virgam ( Mercurius ) ca- pii , hac animas ille evocai orco Paìlcntes , alias sub tristia tartara mittit ; Dai somnos , adimitque , et lu- mina morte resignat . (5)Lib. I, Od. IX, vs. 17. Tu ( Mercuri ) pias laetis ani- mas reponis Sediòus, virgaque levem cocrces jiurea turbam . . . T. ni. E nel!' ode XX, vs. i5. dello stesso libro dice ; Num vanae redeat sanguis imagini , Quam virga semel horrida , Non levis precibus fata reclu- dere , Nigro compuleì'it Mercurius gregi ? (4) Stazio Theb.h'ìh. I, v.3o5 Tum dextrae virgam inseruit , qua pellere dulces , Aul suadere ilerum somncts , qua nigra subire Tartara , et exangues anima' re assueverat umbras . V. Ovidio metam. Lib. I, vers. 67. e Lib. II , vs. 755. Claudia- no de raplu Proserpinae Lib. I. vs. 78. Albrico de Deor. Imag. cap. VI. 226 Quaranta bitazione in avvenire , ne riceve in contraccambio la verga della felicità e della ricchezza (i) . Alla quale aulorità , se non m' inganno , aggiugnere si potrebbe un luogo di Ar- riano , il quale comentando quella sentenza in cui Epit- teto dice , che il bene ed il male sìa in nostra balìa , ben tosto soggiugne : esser questa la verga di Mercurio colla quale in oro cangiasi tutto ciò che si tocca (2) . Or chi non sa che da quella verga di Mercurio trasse la sua origine il caduceo , e che perciò tutto il maravighoso che predicavasene al Caduceo istesso fu poscia attribuito (3)? (1) Vers. 5s5. Oa8ou T^aj rcXcuTov t/wa-to irfpi- KaKKix pa|85oy Xpua-éiiìv , irpnceTfiKov , ocHiiptov , ri (TI (puXa^ft. Felicitatìs et divitiarum li- bi dabo pulchervimam virgam Auream, immortalem, tripeta- lam , quae te servabit . Si leggano su questo luogo le osservazioni del Voss nelle sue lettere mitologiche parte I , pag. 101. e quelle dell'Jlgen pag. 47*- avvertendosi , che sethcne 1' auto- re de' citati versi chiami aui-eala verga di Mercurio ; pure Capel- lo dice che una sola delle di lei estremità era di questo metallo . Ecco le sue parole : f^irga cuius caput aUratum, media glauca, piceus Jìnis extabat. De Nuptiis" philol. et Mercurii Lib. II, pag. 01, Basileae i53a. (a) Lib. Ili, capii. XX. Tour' fn To Tov ^p\j.ov paBliov, où G(\(ii ( (f)i;jiv ETiicT>;ro{ ) a'xj-ot/, Ugu ■)(_pvirouv ero*. Haec est Mercurii virga , hac ( inquit Epìctelus ) quodcum- que tetigeris , aurum Jìet . (3) Questa verità sarà po- sta nel pieno suo lume in una dissertazione , che sono per pub- blicare sul Caduceo , dove si proporranno nuove idee sull'ori- gine di quel simbolo . Per ora ci basti osservare , che se gli antichi scrittori , come rilevasi nnoNzo ANTICO 227 Laonde siccome ira le sue virtù la prima fu quella di essere l'apportatrice della felicità j così di felicità pure fu siipbo- lo il Caduceo In molti antichi monumenti (i) , e soprattutto nelle medaglie (2) . E se le cose così vanno , qual figura va- ler potea jiiù di questa contra i velenosi sguardi di un ma- ligno ? da' luoghi di sopra recati, diede- ro la verga a Mercurio quando conduceva le anime de' trapassa- ti , gli artefici sostituirono alla verga il caduceo , e con esso rap- presentarono Mercurio psicha- g'og-o, siccome di leggieri può osser- varsi nel Bellori f^et.Lucern. Se- pulchr. Tab. XII. Spence Po- liinetis , or an Enquirjr conger- ning the agreement belwen the TVoì-ks of the Roman poets and theRemains of the antient artists PI. n. a.Bollari ^/wi'. Capitoli- no Tom. IV , Tab. XXV. Visconti Museo Pio dementino Tcm.V, Tav. XIX, e la Galleria mito- logica del Cav. A. L. Millin PI. LI. n. aii. 1(1) Vedi h\e,axìàiO Explic. Tab. Heliac. pag. 55. Lutetiae Paris. 1617. Hebermayer Thes. Gemm. p. aiy, (a) Oisel Thes. Num. sei. Tab. LVI, u. 7, pag. oac). Ten- 1. zcl Num. Sei. Ili, n. 6. pag. ag. Wollereck Elect. Num. Tab. v, n, 9, pag. 555. Caylus Recueil d' antiqu. pi. CV, n. 8. Hantha- ler Exercit. de Num. vet. Tom. II, Tab. Ili, n. 14. Agnethlers Beschreibung des S chultzischen Munti- Cab. Tom. HI, pag. 5. Lindner de Dea Felicitate ex numis illustrata pag. i3. Àrn- Stadii 1 770. Per le altre cose poi , che simboleggiate furono col Ca- duceo possono vedersi Macrobio Saturn. Lib. I, cap. I, Atenago- xaLegat. prò Christ. pag. i58. Isidoro Origin. cap. Ili, Ful- genzio Mjthol. cap. 3. Liceto de Lucern. Vet. Lib. VI, cap. 97, pag. 1108. Bochart P/ia/egTom. I, cap. a. pag. II. Huet Demon- strat. Evang. prop. VI, pag. 1 1. Wits JEgjpt. Lib. Ili, cap. 2. pag. 2o5. e Lavaur Confronto della favola colla Stoiia San- ta Tom. I. pag. ii5. 228 Qbaranta In fine lo strano complesso di tante varietà , che 9 non avendo niun rapporto fra loro , ridicola rendono la figura del nostro Bronzo , parmi , che senza avvederce- ne, ci confermi nella medesima opinione. Sappiamo infat- ti che siccome il ridere credevasi opporliinissimo ad Inde- bolire la malefica penetrazione di un livido sguardo (i) , così gli oggetti ridicoli furono reputati I più efficaci rime- dj a produrre un tale effetto. Quindi potremmo ricordar- ci, che perciò dinanzi ai Giardini si misero i satirici se- gni (2), e da' ferrai si sospesero aMoro camini i così detti ■prohascanj (3)^ e che non altro fu l'oggetto di quell' orna- mento, di che la madre , oltre dell' amuletica bolla (4), (1) Plutarco Sympos. Lib. (3) Lib.Vll, cap.iS, scgm.ioS. V, cap. 87. Questa è la raajione, Ilpo Si tmv >ta|0((VMv toi; X*^^" per cui anche oggi non solo le Jtsyaiv wSos riv •yiKoioctvix KaTWpT«v, donne al petto , e i fanciul- ti fTi7i\«TTPiv , mi ^dovov airorpo- II al collo portano sospese cer- iitj . «xaXfiTo Ss TtpoBxTKxmx . te piccole corna d'ero, d'argen- ^lUe camina vero Fabvi ri- I0 , e di corallo ; ma se ne veg- dicala qaaedam suspendere gono ancora delle naturali , e ben aut effingere solebant adfasci- grandi innanzi alle botteghe del- ntim avertendiim. Eaque proba- ia gente bassa , e sopra i forzie- scania adpellabantar . ri di non pochi ragguardevoli per- (4) Schacffiir de antiq. Tot- sonaggi , che credono al fascino, quibus pag. ^S- Holniiae S ve- (a) Plinio //.ìY. Lib. Jf/JiT, corumiGòG.Smetnntiq.JYeomag. cap. 4- Qi'^mi rem coviitata est pag. 67. Gio: Vincenzo Alsario religio quaedam , hortosque et de invidia et fascino apud Grae- fores tantum cantra inviden- vium Tom. IX, col. i844-Rul'd tium fascinationes dicnri vide- De Gem. Aug. Ibid. Tom, XI, TKMi'. /« re7?Jef/jo Satirica Signa , col. i544- BRONZO ANTICO 22Q muniva di buon'ora il suo figlio (i) , e di quella figura , che insieme coli' amuletica bolla i trionfatori recavano al Campidoglio (2) . Tralasciando non di meno tutti colesti amuleti , e gli altri molli recati dal Pignorio (5) , dal Kir- cher (^) , dal Bartolino (5) , e dal JMiddleton (6) , che pres- so a poco ricadono alla ridicola figura dello stesso oggetto, di quelli soltanto gioverà far parola, che per essere più capricciosi e complicati danno un peso maggiore alla mia spiegazione . Tali sono quelli del de la Chausse (7) 5 tali quelli del Gorl (8) , e tali anche stimar si deblxjno , a giudizio del Boeltiger (9) e del Millingen (io), le larve (1) Varrone de L. L. Lib. Vl,p. 80. Diirdrecliti 1619. Pwe- rts ridicula res in collo quae- (lam suspenditur , ne quid ob- sit honae scaev£a-(3s ypx^ifMxrx ETrtjj- occulle loquerentur. Cosi anche 5w , lì cJ» -riHi in. fjiiyx'Kw xiv- Esichio. E?f^.-« yf^ay.ixtTx' i^v fxsv Ivviòv isaidt/S'ou; , lyy ayicvxi eviv-if- vxKcu. ?-' ,v^ipov lerpondiTcui rtvii fTMJ ' "fwvw Tivf; ija-ou «Tri r£$xv;?; ciVxTtiiveg T^g^ xWx . xoi; 'Kx'Kou- fxvajUtvsu?, Ais-/ ov . AiiAoi Se.to y.iv lj.ivoti\6^iTWii<^iinxyfx^[i.xTx.LiUe- Asmov, (thotos . to Se K.xtxtkiov , rae Ephesiae et Ephesia amideta. ^tos • to Si Ai^ , yti . Terpa^ Se Litierae ephesiae incantaiiones «vijìuto; . A3Cfxv«|UtV6U5 Ss , ijAw? . eiant,per qiias nonnuUi a magnis A i^'iov Sf, aX/?3f$ . Ephesiae Litte- discriminibus sunt liberali , et in rae olini sex fuerant , sedpostea ceì-taminibiisviciores evasenint. nonnulU ciiculatores et alias BRONCO ANTICO 25 1 Eudemo (i) , e di Essecesto (2) , le totaphot degli E- brei (3), le tilseme degli arabi (4), ì theì^aphim A\lja,~ bano (ò) ,ìtzelamin de' Caldei (6), ìpcrlapteni degli E- tiopi (7), i S erapidi degli Egiziani (8), ed i periapti^ addiderunt . Antiquae hae fr- isse ferantur . Ascion , Cata- scion , Lix , Tetrax , Damna- menevs , Aesion. Ascion autem indicabat tenebras , Catascion Lucem , Lix Terram , Tetrax Annuni, D amnamenevs Solem, Aesion Verum . (1) Vedi lo Scoliaste di A- rislofane in Nub. vers. i883. (1) Clemente Alessandrino Slrom. Lib. I, pag. 554. Co/o- niae 1688. Anche a questi anelli amuletici apparteneva quello che Timolao , presso Luciano , avreb- be voluto da Mercurio . Navig. Tom. Ili, pag. 275. ed . Hem- sterhuis . (5) Esse in S. Matteo Gap. XXIII , V. 5. vengono chiamate fihj'lacteria , ed altro non erano, .che alcune schede membranacee colle quali i Farisei si adorna- vano le braccia e la fronte, per custodire con somma cura la rae- aioaia della divina parola in es- se scritta , ed essere esenti da ogni pericolo. Lighlfool Ho?: Hebr. et Talmud, pag. 4*5. Lund. De Vet. Jud. Sanctua- ìiis Lib, IV, pag. 7g8. seqq. (4) Greg.Michaelis arf Gfl^. curiosit. inaudit. pag. aSj. (5) Seldeno Syntagm. de Diis Sjris cap. a. pag. io5, 116. Moncaei in Arane purgato cap. 20, pag. ig8, Fuller Mise. Theol. Lib. I, cap. 16. Hottin- ger Hist. Orient. Lib. I, cap, 8. pag. it(6. Alcuni de' citati au- tori pretendono, che tra letalis- me degli Arabi , ed i teraphim de' Siri non vi sia stata nessuna differenza ; ma non so con quanta sicurezza possa ciò asserirsi . (6) Reichelt Exercit. de A- muletis %■ 2. Lipsiae J692. (7) Thurneisser Onomast. pag. 172. (8) Kircher Oedìp. Aegf' ptiac. Tom. H , pari. II , pag. uio , el seqq. 'i52 Quaranta. ed i filatteril di cui parlano i SS. Padri (i) , ed i Con- cilj (2) . Ma quando pure dir non si voglia essere stato il nostro bronzo , perchè non molto leggiero , un amule- to portato sulla persona j potremo non però annoverarlo nella classe di quegli oggetti , che messi come ornamenti salutari a qualche luogo, o affissi a qualche mobile dagli antichi, venivano da essi anche come amuleti considerati (3). (1) S. Giovanni Crisosto- mo Hom. XXI, ad pop. jéntioch. T/ «V TI5 PlTOl Tfpi Tm £TSi)5* , che appena usata ritrovasi da qualche autore ? Quanto a me , se di BAATvogUa "bronzo antico 255 farsi BAATt/o;» , la hocca interna delle narici , non veg- go affatto qual rapporto aver possa un lai vocabolo coli» figura del bronzo , e colle altre parole della nostra inscrizione : ma se questa voce si derivi da BA«ttì) , e se ne faccia BAATtoi'twì' , o BAA.TTOja£vw^ , allora si comincia l'epigra- fe con nna espressione conveniente alla forma del bronzo, ed analoga alle altre parole ond' è composta. Né dovremo rimanere sorpresi nell' osservare BAAT in vece di BAAllT, perchè o l' ignoranza troppo comune agli artéfici , o il suono poco differente del IlT e del doppio T, ha potuto facil- mente produrre questo scambiamento : quando pure dir non si voglia, che l'autore della nostra epigrafe, abbia fatto uso del verbo B^«ttw , anche adoperato da' greci scrittori, e registrato da Filosseno nelle sue glosse (i). Non credo poi che diasi a taluno maraviglia pren- dendosi la 0 , che segue al BAAT , qual sigla di ©a; sì perchè altrimenti non si può qui formare né parola uè sillaba, come ancora perchè siffiitta sigla s'incontra spes- sissimo nelle lapide (2) , e nelle monete greche (5), ed indica appunto la voce 0£Of. Convieu poscia leggere nel- la fine di questo primo versetto il nome della divini- tà cui vada rilerito il 0£o?^ e per avventura le tre ultime (1) Cjrilli Philoxeni alio- pag. 55. Piacentini de Sigi, ve- rumque velenim Gloss. Gr. Lat. /e/v/m pag. 81. Mura tori Z'/iCi'./rt- pag. 36. Liiteliae Paiis. 1673. scriptionum pag. i486, n. 10. (a) Corsini Not. Gvaecorum (5) Harduin Oper. Omn. pag. io.WxcoVaus de Siglis Vele- pag. 65. Vaillant Num. Graec. 7M/H pag. 4o« MafTei Graec. S. L. n. c^o , gg. pag. 17. 236 QVARANTA lettere ce ne presentano il nome , che ben si scorge es- sere una leggiera alterazione d' Iì}ios , epiteto dato ad Apollo da Escliilo (i) , da Sofocle (2), e da Aristofane (3) , per tacermi di altri antichi scrittori . Nella seconda lineetta incontrasi la voce K AAATORì'ìS, la quale , essendo troppo conta agli ellenisti , non ci dovrà molto intrattenere . Dessa in Omero significa chi i'a chia- mando , e si aggiugne perciò agli araldi (4) *, e per questa stessa significazione, non che per quella dell' antico KaAw, furono detti calatores da' Latini i servi pubblici (5) , i mi- nistri delle Vestali , quelli de' Sacerdoti Tibiali , ed i mes- si de' pontefici (6). Ma se tali significati , comechè di faci- lissima inteUigenza , nissuna relazione aver possono né colle parti del bronzo, né colle altre voci della inscrizio- ne j non sarà forse meglio il far discendere K.aT'.ccropccs da R«Aw, riferirle il reggimento di BAkttoi'twì' , ed interpetrar- la per coloro , che cercano di tirar malanni addosso agli altri ? Là' ultima lineetta ci offre prima di ogni altro la pa- (1) Jgamemn. vers. i55. 100. (a) Oedip. Tjran. yers. (5) Vcggavisi i Comentato- 11 3. ri di Orazio Sai. II. Lib. I , (5) Vesp. vers. 49^- Sulla vers. 57. etimologia di questo epiteto me- (6) Grutero Tlies. Inscr. p. rita di esser letto MacroLio nel 3o4. n. 9. Beger Spicil. Anti- cap. 17 del primo libro de' «Ifa- quit. p. 106. Moiilfaucon V An~ turnali , e 1' Etimologico gran- tiqu. Expliqitée Tom. V. pari, de a questa voce . I. pi. XXXVIII. (4) Omero Iliad XXIV , ver. BRONZO ANTICO 237 loia BAAE bella e formala^ mentre il T seguente non le si dee accoppiare, e perchè inopportuna sarebbe alla espres- sione 0é£ IHIs , che ricliiède un ver])o del numero del me- no , e perchè , in altro caso , sarebbero inutili qne'due se- gni , onde vien chiuso il T appunto per farcelo ricono- scere come una lettera isolata. BAAE adunque sembra es- sere una formola d'imprecazione diretta contro le perso- ne nocive , e concepita in tuono imperativo , nell' istessa guisa come le adoperarono gli Ebrei, ed ì Gi-eci . Il T poi che siegue il BAAE non sembra significare lo slesso , che suole in altri Greci monumenti^ né io qui starò a rammentare come , e perchè quella simbolica let- tera dall' Egitto sia passata in Grecia , o mi tratterrò in aggiugnere nuove osservazioni a quelle, che, dietro l'auto- rità di Rufino (i), di Socrate (2), e di Sozonieno (3), già fecero il Lipsìo (4) , il Pignorio (5) , il Casali (6), il Kircher (7), il Jablonscki (8), e '1 Visconti (9). Di- rò solamente , che quel T così isolato considerar si deb- ba qual simbolo della croce, o dell'estremo supplizio, per servirmi dell'espressione di Paolo (10) . E senza (1) Lib. II, cap. XXIX. pag. 364, (2) Lili. iX, Hist. Tripart. (8) In Misceli. Berolin. (3) Eccl. Instit. Lib. VII. Tom. VI , ^. 7 , pag. 142. (4) De Ci: Lib. I , cap, 8. (9) Museo Pio-Clementino (5) Mcns. Isiac. pag. 18. Tom. V , pag. 10. (6) De Vet. Jegjpt. rit. (10) Sentcnt. Lib. V, ///, cap. XUI. 17. ^. 1. tit. a3. %. 8. (7) Obel. Pamphil. Lib. IV, 238 QVARANTA rammentare, che nell'antichità più remota la croce ap- punto rappresentava il Tau nell'alfabeto Samaritano (i) , Fenicio (2) , e Giacobitano (3) , e che tal si ravvisa in Ezech. (i) S. Girolamo cap.ioo dice : antiquis Hebraeo- rum litteris , quibiis usque ho- die Samaritae utuntar extrema Tau crucis habet similitudinem. Su questo luogo hanno disputa- to lungamente Cartwright Mel- lific. Hebraic. in Crii. Sacr. Tom. Vili, col. 1280. Hottin- ger. Exercitt. de Pentat. Sa- marit- cap. XXVII , pag. 33. Angelo Rocca Biblioth. ftalica- na Lib. pag. 83. Giuseppe Sca- ligero Animadvers. in Chronol. Euseb. pag. 117. , e Daniello Huet Demonstr. Evang. cap. CXXVII. n. 3. Tra essi alcuni hanno impugnata , ed altri han- no sostenuta 1' autorità del San- to Padre . Questi ultimi non pertanto hanno in loro favo- re un luogo di Origene pag. ■i6. Coloniae i685. il quale sem- bra decisivo. E'S/xiosSe TI?, "rav fi? 2wT(jpoc itmiTivuoTuiv l'Kiyi • tm «p- yjtAX Toiyfix sf/ttpfpss «X^^ ToTAT Tw Tflu r^ypou ■^x?xmiì\>'. , \cm irpo^t?- riwoij ETi Toy f/£TCt)Tou (SyiyL^ov . OTtp TTOIOUmv 01 irjTTirSUKOTff ««v- TTsowTivos cyK wpoxaTa!pj{Of.ievoi Trpa>- jLlOiTOf , 5t5(>| p.3lXiro6 £UJ(^ù)y , nju «yKdv avjtyvwTjLi^Twv . Hebraeus quidame^li dice, ex iis, qui Chri- stijidem amplexi sunt , dicebat in antiquis litteris Tau formae crucis fuisse simile , sjmbolum- que extitisse illius signi , quo Chrisii fideles in fronte sibi si- gnant , illud usurpantes quam rem cumque adgressi , maxi- me vero preces et sacras lec- iiones . E per verità in alcun» monete il Tau samaritano po- co o niente differisce dal Greco che ha la figura della croce F^. Prilestzki Jnnal. R. S. Tab. XVII. e Willnipando Jppar. in Ezechiel. pag. l\o. (a) Poinsinet de Sivry iVoM- vell. Recherches sur la science des Medailles. pag. 18G. Mae- stricht 1778. (5) Theseus Auibrosius In- troduct. in Un guani Cliald. Sj- riac. et Arnien. pag. lyo a t. BRONZO ANTICO 23o tuttora nelle monete Puniche (i) , ToboUche (2) , e Siri- ache (3) ^ né cercando di trar parlilo da quel notissimo luogo di Ezecchiello (4) , dove pel Tau la croce inten- der si deve a giudizio di molti sacri spositori ^ anzi lasciando ancora le autorità di S. Agostino (5) di Tertulhano (6) , di S. Isidoro (7) e di S. Paolino (8) , che, del Greco Tau favellando , una chiarissima immagine vi ravvisano della Croce , sarò pago di citar solamente il Proteo di Sa- mosa . Conciosiacosachè introducendo egli nel giudizio (1) Bernardo Aldrete F'ar. species crucis, ^ntigued. pag. 178. Panila Z'aè. (7) De ì^ocat. Geni. cap. XIII , XIV , et XCII. a5. Tau speciem demonstrat (a) Rlienferd Specimen Lit- crucis . In cap. 5. Indie. No- terai. Pìtoen. cap. IX , et XLI tandum est quia iste trecento- presso Ugolino Tom. XX^'1II , rum numerus ( Militum Gedeo- col. i38i. nis ) in Tau littera continetur, (3) Vaillant Num. Antiocli. quae crucis speciem ienet. IV. B.eg. Syr. pag. 200. (8) Cosi egli dice parlando (4) Cap. X , vcrs. 4- Tran- di Abramo «ella seconda lettera : si per medium Civitalis , per Non mulliludine , ncc virtute medium Icrusalem , et signa- legionum, sed iam tunc in sa- bis Tau super f/viites virorum, cramenlo crucis., cuius Jìgura suspirantium . per lilleram T numero trecen- to) Sermon. 107. de Tein- torun exprimitur , adversarios por. Trecenti in Graeca litle- principes debellavit. Veggasi an- ra T similitudinem crucis a- cora Salmasio De Cr. pag. a5c). slenduiit. Giusto Lipsie f/e Cruce Cap. 1. ■{6) jidvers. Marc\oncm.luìh. Grctser de Cruce. Tom. 1. ])ag. III. Ipsa enim est lillcra Crac- 2. iSiciiict de Til. Cr. pag. 1 iS. corum Tau , nostra autem T h^O QVARANTA delle vocali il Tau , ed il Sigma , fa che questa lettela rinfacci a quella di essere lo scherno degli uomini , perchè dalla di lei figura i Tiranni appreso aveano a costruir la croce (i) . Adunque Bx\AE, T, significherà jf?^e cruci, fac zit abeant in malam crucem, o altra simile espressione . Chiudono l' iscrizione le lettere 0IHI da noi già spie- gate di sopra , e ciò A'ien fatto perchè maggior forza ed energia furono soliti di attribuire gli antichi alle replicate parole : e però IH IH HAIAN gridava la turba quando a- nimava \ intonso figliuol di Latona a finir coraggiosamen- te il mostruoso Pitone (2) . (1) ludic. Vocal. cap. la. T. I. pag. 97. , ed Hemsterhuis. KXaoutnv «vSpcoTroi , it^ji Triv mj- XatTKpOVTOU VOXKXKM , OTI TO T*y fi TO TMV roi-)(etaìV yivoi vxpiiyx- yi . T« yo^p rouTou (TOùyLxn ìiÀxri totoutm 'ìjìKol T£)tTijvavT«5 , ctvdpaiirovs xvxTyjfKo- ■uiX^PtvtTc' xuTcf,. Plorantliomines , alque sitaeforluiiae vices de/lent, ipsumque saeye Cadmiim exe- crantur , quod Tau in littera- rum ìiumerum iiivexerit. Aiunt enipi Tjrannos corpus huius- modi interne sequiUos ,Jìgura?n- qua imitatos , simili forma pò- sten cruces compegisse , quibus homines adjìgerent. (a) Hymn. in Apollinetn vers, 97. \yi II? ir;ii(;ov ocnouojify , ovnn* rooTo AiXfoi rat "irptoTiroy tipu/Aviov i'jpsro \a5S H//05 ty{.i^o\\iìv j^pya-ewv nì^duvvr <70 To|a)V . rivSft) TODtocTiovTi fuyttvdiTo Soi- AnOi Clfl? , TOy /XéV ITU HOCTiVX- p£5 aM.ov (t' a>K'jì B«M.wy uinvv o'ìtoìi , i-mìvrure 5é "Kxoi . 1>Ì li) ■Kxlfioi , l9i ^fAos .... •• BAGNZO ANTICO 24 1 Se dunque la iscrizione può essere Iella BAA.TToyTa)j/ (S)« mie RAAAT0PA2 BAAE , T , 0^^ iHh , essa con- terrà una di quelle imprecazioni, cui tanto erano attacca- ti gli antichi , e potrà essere ancora interpetiata : o Nu- me Jeio , o Apollo , manda in malora tutti quelli , che mi chiamano addosso malanni . Ma come mai, diramnii qui poi taluno, apparterrà ad Apollo l'iscrizione di un monumento, che già vedemmo aver tutta la relazione col divino messaggiero ? Come mai conterrà un'imprecativa formola contro chi cercava nuo- cere colla lingua l' epigrafe del bi'onzo , la cui forma iisa- vasi contro 1' occhio affascinatore ? Questo , se non vado lungi dal vero, sarà accaduto , o perchè gli anticlii , al dir di Marrobio (i) , in Mercurio non venerarono che il Sole j o perchè da essi si confondevano facilmente i Nu- mi , sull'intima persuasione di una sola forza regolatrice dell' universo j o finalmente perchè nella multiplicità di tanti Dei , non altro che il Sole adoravasi . Ma comechè siffatte ragioni dimoila probabilità sfornite non sienoj pu- re una se ne affaccia alla mia mente , che sembrami di Io , io , pnean , audiiniis: quo- Hoirihilis serpens : enm qiii- niaiìi istum dem tu occidìsti aliam su- Delpldcus primum tibi cecinit per aliam hjrmiium populus, Mittens velocem sagittam : ac- Quando jaculalionem aurea- clamavit autem populus rum demonstrasti sagittarum, Io , io paean , jaculare sagit- Tum cum Pjlho libi descenden- tam .... ti occurrit saeva bestia ■> {i) Satui'nal. Lih. i.cap.17. T. JIJ. 3i 242 QVàRANTA. gran lunga più plausibile. I Greci ebbero i loro Dei avverrun- CÌ5 da essi chiamali «rùj'Tos , ow- €. 45- !>• 6i2- 5,005 ytv'/Mov , yi^i a f/«j'iH»;y ey$>^ (^i) GiiimhVivo de jMj'st. ^e- fiov^ivov , étoìoiSioìj txutav iripiuf gypt. Lih.Vìl. e. 4- p- i55. Ni- Z>;towtoì , «Kitxp o'i Qeot t^utov cefoi'o Gvc^ora in SchoLad Syn. try^nxii . f^irgo erat Gorgo de- da Iiisomn. j». i6a. centi forma et amabilis ; sed (5) De facullnt. simplic. postquam Perseus virfortis, et ob medie. LiL. VJ. p. 68. magicae arlis peritiani Celebris, (4) Luciano P/w/oprtO'. Tom. incantatis verbis victae caput li. pag. 100. ed. Hemsterliuis. abstulisset , praesidii caussa (5) Id. Pldlopatris. T.lll. p. dii eain habuerunt. 594' Aì/Tii Topyui xop>7 (yiuTo euirps- (6) Eunapio f^it. Sopidst. •tr,i , yi^i i-KtpxToi . Hifi^iuìi Zt TKV- ed. Comrael. pag. i4- T. HI. 32 25o QVARÀNTA Stessi demonj (i). In fine un tal gusto divenne cosi do- minante , che per accrescere il mistero , e la venerazione delle incognite voci , fu opinione , che i fanciulli fosse- i-o l'organo de'genj, si pose mente a' suoni, che balbettan- do davan fuori , e si credette , che quelle mal articolate note pronunciate in una certa maniera , potessero dare air uomo l'impero sugli spiriti (2) . Perciò nelle gnostiche figure unite troviamo divinità Egizie, Persiane, e Greche , talvolta con greche , e talvol- ta con ebraiche voci , che o esprimono i nomi di Dio , o di Cristo 5 o di Dei pagani , o di numi alla lor setta par- ticolari (3). Ma chi non sa che di tutte le gnostiche chimere il Sole stimato venne il protagonista ? Chi non sa la stravaganza cui giunsero i Gnostici, servendosi delle voci M£/6/3«s- , e Afipa- ^«s come di amuleti, sol perchè nel loro valore aritmetico il nu- mero esprimessero delle rivoluzioni del Sole (4). Chi non ( 1 )Villoison Anecdot. Graec. werpiae. 1 700. Basilidiani a Ba- vol. 11. p. a3i. ■xil\. silide , qui hoc distabat a Si- (a) Eusebio praepar. Evan- mnnianis, quod trecentos sexa- gelic. Lib. V. cap. ll.pag. 199. gìnta quinque caelos esse di- (5) Clir. Guill.Franc.Walcli, cebat , quo numero dierum art- Entwurf einer volstàndigen nus includitur . Undeetiamqua- Gesch. der Kelzerejcn. Tom. Ili, si sanctum nomen commenda- pag. aa. Lips. 1762. Mùnter /^er- bat , quod est a,&^x^xi , cuius siich iiber die Kirchliche Al- nominis Utterae secundum Grae- therthiìmer der Gnostiken Got- cani supputationem eumdem nu- tingb. 1790, s. 17. merum complent. Veggasi pure (4) S. Agostino de Haeres. Teodoreto Haev. Fab. Lib. 2. p. *ap. V. Tom. Vili, col. 6". Ani- 191. Lut. Paris. 1641. e si osser- ItRONZO ANTICO 25 I sa , che con queste parole accompagnate vengono nel Ca- pello (i) , nel Macario (2) , nello Chamillart (3) , nel Mont- faucon (4) , neir Hebermayer (5) , e nel Tassie (6) , tul- t'i simboli conche la teologia orientale onorava il pianeta del giorno? Or se le immagini usate da'Gnostici rappresenta- vano talvolta i simboli di egizie e greche divinità^ se il Sole era il protagonista del loro sistema j darà forse maraviglia il dire, <;he il nostro bronzo abbia potuto esssere un misto di em- blemi di quegli egiziani numi , i quali per essere tutti il simbolo del Sole , nello stesso trono , comechè sotto di- verse sembianze , riscuotevano un culto comune ? Ebbevi in fatti di questi Dei presso i Greci non solo, ma pres- so gli Egiziani ancora^ e per tali reputati venivano Iside, Serapide , Anubi , come rileviamo chiaramente da una lapida trovata a Scio , e riportata da Spon (7) . Laonde se co' monumenti, e cogli scrittori alla mano esaminar vor- vi , che molti autori cliinmano (a) De G. B. pag. 17. questa (]:vinilà aSpjjTa^ , e non (5) Dissertadon sur- plu- oSpa^af. Seidcno de D. S. Lib. sieurs rnedailles ■, et pierres gra- I. Cii[). 8. p. ì.!\. lablonscki Dis- vées de san cabinet, pag. i/j. sert. de JVominis aBpxì^eti vet a,- (4) L' Anti(|u. Explitju.Tom. |8pxT«| vera et genuina signifi- XX. pag. XX. catione in nov. Mise. Lips. T. (5) Thes. Gemm. Tba. XX , VII, pag. 65. Fred. Nicolai Ver- pag. 120. sucìi iiber die Beschuldig des (6) Descriptive catalogne or Tempel. T. I. pag. 100. a general collection by B. E. (1) Prodromus Jconicus Raspe T. 11. pi. XXIU. bem. Basii, gen. pag. 18. Fen. (7) Mise. Erud. Antiqii. 1701. p. 56. 252 QVARAVTA. remo le varie parti del nostro bronzo 5 non senza molta verisimiglianza ne dedurremo, cheli nostro artefice seguen- do le gnostiche dottrine accoppiò coi siml)oli salutari di Serapide , d' Iside , e di Anubi il grugno di porco , e ne fece sul gusto delle gnostiche dottrine un amuleto. E di vero non bisogna, che io qui mi dilunghi a dimo- strare , che nella forma del Caduceo siasi voluto onorare 1* Egiziano Annbij poiché infinite sono le pruove, che l'antichità scritta e figui'ata ce ne appresta . Apulejo racconta, che in una processione Isiaca in Cenere, tra gli altri che la componeva- no, eravi un Anubi, e che questi portava il caduceo (i). Di un caduceo pure, se star vuoisi a ciò che dice Luciano, era fregiata la statua di Anubi , che nel magnificenlissimo tempio di Delfo si adorava (2) . E se ci volgeremo a'mo- numenli , non una volta vi troveremo Anubi col caduceo , come in un Basso-rilievo del Boissard (3) , ed ia alcune (1) Metam.h'ib. I. p. 100, ^.vpta.^t hic(Axìù]y\ii\iìs)intej-imin (a) Tox. T. 11. pag. boy. ed. calamitatem incìdtt, quae maxi- Hemsterhuis. O' Se ( AvTi!. Oi*£T/i« Sjrus societate ciim sacrilegis y«p «OToy 2upo5 Tyj Tovìio^» 7[^A quibusdam inita , iiigressns cum V\» TTXTfiifx hporv\oii TISI noim- ilUs est templum Anubis , et vHTXi, (rvmrtiKQi ti «utoi? fa to spollaio Deo , phialas ex au- AvouSftSiov, lyu «iroTuXvroM/nj toh ro daas , et caduceiim aiireum, Qiot , T^^puffocs -n (fixXixs , ■t[^ Ktf. et canino capite sigilla dei ar- puxRoy y^fvfovv i^^i touto , y^gji genica , aliaque id gentis atia^ «uvox«^)«Xoy5 xpyvpwi y^^ xWx deposiierant apud Sjrum omnia. roixu-m nxrf9iVTo iravra Ttf/iix Tw (3) ^om. Urb. Ant. p. "hj. BRONZO ANTICO 253 monete della giovane Faustina , e di Commodo , riporta- te da Gessner (i) , e da Zoega (2) . Né tampoco sa- rà d' uopo di andar mendicando argomenti per dimostra- re, che le serpi del nostro bronzo ad Iside debbansi ri- ferire. Perciocché ninno ignora essere stata insignita di questo simbolo la statua di quella divinità , descrittaci da Apulejo istesso (3)jeche, tra gli oggetti sacri, una serpe e- ziandio si portava nelle Isiache pompe, di cui fan menzione Ovidio (4) , Valerio Fiacco (5), e Giovenale (6) . Piut- tosto converrà occuparsi delle teste di ariete , che nel no- stro bronzo un luogo tengono molto distinto^ e son si- curo di recar sorpresa dicendo , che siffatto emblema si riferisca per me a Serapide ;, sapendosi essere stato il sim- b^. Coloniae 1602. ESpouxaTiv» majorevi initiatis horrorem in- ovouscTBt ii![\iyovfi vpoi To fA.x\Koì> sjjii'ent. 3i*TO7rAi?^«8rSiw lovi -nK^oviifiouc,. (a) Inscript. pag. 4^ I BAATO ÌHI kAAAToPAl,, BAAEJom 1 A S. E. IL SEGRETARIO DI STATO MINISTRO CANCELIJERE. E ce E L L ff N ZA. Il Direttore della Stamperia della Società Filomatica volendo dare alle stimpe il terzo volume degli Jtti della Società Ponta- niana ; prega la bontà di V, E. compiacersi commetterne la re- visione. Per disposizione dell' Eccellentissimo Ministro Cancelliere Pre- sidente se ne commette ì' esame al Signor Marchese di Castellenti- BÌ Reggente della a. Camera. Il Segretario Generale del Supremo Consiglio di Cancelleria Morelli. Commesso al regio Revisore D. Luca de Samuele Cagnani. Casxellentjni. Eccellenza, Mi costa molto Lene che le memorie contenute nel 3.* Volu- me degli atti della nostra accadeinid Poiituniana nulla conten"ono contro la Religione , lo Stalo , ed il buon costume ; onde son di parere che permetter se ne possa la pubblicazione , quando non al- trimenti piaccia a Y. E, , a cui protesto il mio rispetto. // Regio Revisore Luca de Samuele Cagnmzi. Napoli lì 6 yjpvih iXìig. LA SECONDA CAMERA DEL SUPREMO CONSIGLIO DI CANCELLERIA. Veduta la domanda del Direttore della stamperia della Socie- tà Filomatica , per dare alle stampe il terzo volume degli alti del- la Società Pontaniana ; Veduto il parere del regio Revisore D. Luca de Samuele Ca- gnazzi ; permette che 1' indicata opera si stampi ; ma ordina che non si pubblichi , se prima lo stesso regio Revisore non attesti di aver nel confronto riconosciuta la impressione uniforme all' origina- le approvato. // Reggente della secunda Camera Marchese di Castellentini. Duca di Ca.mpochuho. Il Segretario Generale Morelli. L' Eccellentissimo Ministro Cancelliere Presidente e gli altri Signori Consì^ glieri nel tempo della soscrizione im- pediti. ERRORI CORREZIONI Pag. )v. Un. ao. su' primi abilatori della Cam- pania, leggasi sull'epoca dell'arrivo delle Colonie Etrusche nel- l' Opicia. pag. Lxxvi. lin. ult. 1819 leggasi 1818. 57. lin. 11. Cliternato leggasi Cliternate. 162. lin. ult. Lib. I. Cap. ig. ad Firmuiu leggasi Lib. I. Ep. 19. 171. lin. iilt, Lib. 11, leggasi Lag. a. fc' : O ^0{ :«.' «r/^.'fi? >©!riOS«3iJ;©;^©S©{5®$5©5;S.<5Si^^>Sf 9S^ « e e 9 ^ 9 l e ! i VOLUME ^ ni ^ C! @ ^ l i» s i g ^ « i» • ^ ^ g 1 1 \ i ^ \ i ì \ i ì i i ^ \ \ ^e>©jjSì^5©$j©6)©^j©(i©j5©e5©^ì©^v^©;-)©{>s^^©j^©$^®$;©; « *t ATTI DELLA SOCIETÀ' PONTANIANA i2Ì (21 ?*i?Ìfe' A T T I DELLA SOCIETÀ PONTANIANA DI NAPOLI ^- lltó. j\ VOLUME QUARTO V'w ■:' -: NAPOLI i847. I A S. R. M. FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE E DI GERUSALEMME etc. etc. etc. SIRE 1 J accademia Pontaniana surta a novella vita nell'anno 1826, alla voce del Re France- sco Vostro Augusto Genitore , di sempre glo- riosa rimembranza , èbhe cura di perfezionare la stampa del quarto volume degli atti della Pontaniana società , dalla quale fu preceduta. Questo volume, eh' è l'ultimo dell'antica serie de' nostri atti , è come il legame della nuova accademia , coli' antica società Ponta- niana; e noi nel darlo alla luce dopo il corso ¥ di molti anni , osiamo consacrarlo alla M. V., la quale già si degnò di permetterci per ben due volte, di fregiare dell'Augusto Suo Nome i nostri letterarii lavori. E certamente debito di riconoscenza , e troppo è caro all' animo nostro di offrire a V. M. il frutto delle nostre letterarie fatiche , le quali furono poscia più felicemente conti- nuate sotto l'alta protezione del Vostro Augu- sto Genitore, e della M. V. Sire, degnandosi V. M. di accettare que- sto novello omaggio del nostro profondo ri- spetto, e della nostra alta venerazione, accre- scerà sempre più la nostra riconoscenza , mo- strando di proteggere ancora quelle scientifiche e letterarie produzioni, che «furono da noi com- poste prima della nostra restaurazione. Augurando intanto alla M. V. ed alla Sua Augusta Real Famiglia tutte le divine benedi- zioni , ci segniamo col più umile ossequio Di V. S. R. M. Devotissimi e fedelissimi sudditi GLI ACCADEMICI PONTAMIANI. NOTIZIA DE' LAVORI DELLA SOCIET.l PONTANIANA PER GLI ANNI MDCCCXVIlI, MDCCCXIX, MDCCCXX LETTA ALL' ACCADEMIA PONTANIANA DAL cAv. FRANCESCO M. A\ ELLL\0 SEGRETARIO PERPETUO. I. v^uando l'accademia pontaniana, per sovrana provvidenza composta dalle cintiche due società Pontaniana e Sebezia , riprese neir anno 1826 le sue letterarie occupazioni , essa non potè di- menticare come ed il nome stesso di Pontaniana , ed una lode a questo nome aggiunta pe' tre volumi delle memorie pubblicate per le stampe , le veniva legato da una delle due anticbe società già dette. Il percbè priacipal cura della novella accademia fu quella di perfezionare la slampa del IV volume degli atti della ponta- niana società , stampa che trovavasi non solo intrapresa , ma anche di molto innoltrata , quando 1' accademia fu istituita. Ed ora che questo volume , col quale gli atti della società Pontaniana son chiusi , dassi finalmente alla luce , giusta il sistema da noi adot- tato , la presente notizia viene ad esso premessa , nella quale i fasti di quella società vengono continuati dal punto , in cui furono in- termessi nella notizia inserita nel volume III , cioè dall' ultimo di del 1817 in poi, fino al punto, in cui i lavori di essa cessarono. ji Anno iSi8. II. Cominciando perciò da' lavori dell'anno 1818 , non allriiiisnti che negli anni precedenti si è fatto, diversi numerar se ne denno clie lianno per loro autore il signor Raimondo Guarini , conosciato ab- bastanza per lo zelo e pel sapere col quale si applica alla illustra- zione delle nostre patrie anticliilà, e per la cura eli' egli hi di co- municar subito a' suoi colleghi pontaniani le osservazioni , che va circa quelle facendo. Ed in primo luogo fu argomento di sue illustra- zioni una curiosa latina iscrizione tratta fuori nel precedente anno 1817 dalle fecondissime pompejane rovine; nella quale dicesi de' duumviri ìuri dicundo aver essi ricomprato jus luminum opstruen. col. ven. Cor. per un prezzo determinato , che non si è tralasciato pur di notare nella iscrizione , e di aver quindi rifatto parietem pri- vatum usque at tegulas ( sic ). E già tutti gli amatori delle an- tiche cose furon curiosi di investigare che mai si fosse siffatto Jus luminum opstruendorum- , e quale la retta intelligenza da darsi alla epigrafe ; le quali cose non possono cosi di leggieri , e senza farvi sopra esatto studio , ed in particolare senza il confronto delle teorie circa le servitù contenute ne' digesti, chiaramente determinarsi. Oad' è che ÌJ nostro collega da questi fonti particolarmente attignendo , La data la spiegazione della iscrizione in una sua memoria , e talune erudite conghietture ha pur proposte circa il senso delle sigle COL. "VEN. COR. che in essa si leggono. Questa memoria è stata quindi impressa dall'autore medesimo nel suo libro intitolato: in veterum monumenta nonnulla commentaria. III. Taluni lavori aveva letti alla società nello scorso anno lo stesso signor GuARiNi intorno alle due antiche colonie del Sannio , che portarono già i nomi di Corneliano , e di Bebiano , e delle quali erano le notizie rimase per si lunga stagione neglette , che già sem- hrai^ano pressoché interamente cancellate dalla memoria degli uomi- ni, come sono già di quelle colonie affitto le mine stesse svanite. Ma da talune iscrizioui, e da diverse osservazioni il signor Guarim avendo creduto poterne rilevar l'antico sito, in una nuova memo- ytnno 1818. m ria lelfa alla società nell'anno 1818 iia di rjucste colonie dettata col- P autorità degli antichi scrittori in primo luogo la storia: e dagli scrittori a' monumenti discendendo ha di poi raccolti e descritti tutti fjuelli che ad esse ha giudicati appartenenti; colla scorta e degli scrittori e de' monumenti e delle sue congliietture ne ha determinata l'antica po- sizione , e l'estensione del loro territorio. E poiché in siflatte ricerche grande uso ha dovuto necessariamente fare il signor Guarini degli antichi scrittori rei agrariae , con mólta cura ma pur non ancora compiutamente illustrati da gravissimi , e dottissimi filologi, fra' quali giova rammentare il Rigalzio , il Gocsio , il Giovenazzi , il Mazzoc- chi ; in una non menoma parte del suo lavoro egli ha quindi preso a svolgere quasi tutta la materia agraria , relativa in particolare alla deduzione delle colonie, ed alle assegnazioni e terminazioni del loro agro. E cominciando adunque , siccome il hiion metodo esigeva, dalle definizioni stesse de' termini adoperati dagli scrittori agrarj , e quindi da queste alla intelligenza delle più complicate formole ri- salendo, egli hn proccurato nell' illustrare le particolari colonie di Behiano, e di Corneliano, principale oggetto delle sue ricerche, porre nella luce ed evidenza dovuta anche le altre cose relative all' ar- gomento medesimo. Questa memoria a2)provata dalla società fa parte del presente volume degli atti. IV. Lo stesso signor Guarini avea già letta nell'anno 1817 una memoria su' triumviri monetali, nella quale avea confutata la ricevuta opinione , che il senato romano sotto i Cesari avesse avuta la ispe- zione sulla zecca delle monete di bronzo , trovandosi quelle di oro e di argento nella dipendenza degl'imperatori. E suo avviso è stalo, che tutta la moneta , non esclusa quella di bronzo, dal solo voler de'Cesari fosse stata di[)endente. Se non che pareva a siQatta opinione ostare in particolare la sigla S. G. la quale indicando Senatus con- sulto, etiovandosi nelle sole monete di bronzo , e non già in quelle di oro e di argento , sostener sembrava la distinzione da' più adot- tata. Ma poiché la memoria del signor Guarini su' triumviri mone- IV \Anno i8i8 tali approvata dalla società già s' imprimeva nel III volume degli atti , parve al segretario perpetuo signor Avellino potersi dare al- cuna nuova spiegazione della nota S. C. impressa nelle sole monete di Lronzo, e non già in quelle di metallo più nobile, la quale alla opinione del signor Guarini non ripugnasse. E perciò in una sua memoria il signor Avellino espose questa sua conghietlura , la quale è in sostanza che il S. C- sia segno distintivo della romana zecca e non dell' imperio particolare del senato sulla moneta. A questa memoria approvata dalla società si è già dato luogo nel III volu- me degli atti immediatamente dopo quella del signor Guardi della quale può considerarsi come una continuazione. V. Un'altra iscrizione pur pompeiana fu altresì illustrata dal si- gnor aLate Guarini con una memoria letta alla società pontaniana nell'anno 1818. E dessa eretta in onore di un tal Turranio , e ta- lune cose assai curiose vi s'incontrano, delle quali non cosi agevol- mente uè in altri monumenti ne negli antichi scrittori suol farsi memoria. Poiché di Turranio suddetto leggesi in essa essere stato e prefetto de' fabbri , e de' curatori dell' alveo del Tevere, e Pracfeclus propr. I. D. in urbe Lavinio , e flamine diale , e marziale , e salius praisul , e augur , e pontifex , e praefectus cohortis gcie- iulicae , e tribunus militum legionis X , e ciò che particolarmente rende curiosa ed importante la lapida , pater patratus popidi laii- rentis foederis ex libris sibulUnis perciUiendi cum P. R. sacro- rumque principiorum P. R. Quiritiuni noininisque latini quae apud JLaurentes coluntur. E già intorno a quelle fralle cariche di Tur- lanio , le quali sono più conosciute , ha solo poche cose notato il signor GuAP.iNi ; ma si è in particolar modo fermato su quel foedus percutiendam ex libris sibrllinis , che a suo avviso dovea essere una sacra funzione, e noa una vera politica alleanza: e da questa sacra cerimonia ha presa quindi occasione di spiegar con conghietture che cosa ma; debbano credersi que' sacra principia p. r. Quiritium nominisque latini , che diconsi nella iscriiione venerati appo i Lau- Jnno 1818 V renti. Anche questo lavoro è stato parllcolarinente puLLlicato dal signor GuAHiKi ncll' indicalo suo libro: in vetcrum monumenta eXc. VI. Infine lo slesso signor Guarini ha dato conio con altra me- jnoria di un singoiar monumento ecclesiastico dc'tempi di mezzo, cl»e sembra assai importante per la storia in particolare della paleografia e delle arti. E questo un rotolo della antica chiesa eclanense , nel quale conliensi V exullet accompagnato da talune pitture , e disegni di mano, a quel che pare , e di epoca diversi. Il nostro collega ne ha letta una esatta descrizione di si curioso monumento , il quale segna r epoca del nostro re Manfredi nelle preci che vi si contengono , ma deve essere anche a quel tempo anteriore , poiché tali preci veggonsi aggiunte da mano più recente. Il signor Guarini fece an- che assai più , mostrando originalmente alla società il rotolo celanese, il quale parve a ciascuno così da vicino interessar la storia della decadenza delle arti , che dispose farsi i disegni esatti delle più importanti figure in esso contenute. Questo lavoro è in gran parte già eseguito dal diligente artista signor Giuseppe Marsigli , e re- cato che sarà al suo termine ne verranno fregiati gli atti poutaniani colle analoghe osservazioni del signor Guarini (a). Vili. La società dopo i nuovi statuti che S. M. aveva approvati, accoglier dovea con piacere non solo le particolari memorie che piace- va a' suoi socj leggere alla medesima , ma ancora le proposizioni che essi poleano farle di qualche lavoro, cui già attendessero, e per la perfezione del quale domandassero in alcuno 0 più de' loro colleghi trovare i collaboratori. Di tal genere era 1' opera intrapresa già dal signor avvocato Gennaro Grossi , colla quale proponevasi dare una raccolta delle iscrizioni ed antiche e moderne colla nostra Napoli , rac- colta che ancora ci manca , e che sembra dover essere molto utile per conservare e far conoscere le patrie memorie. Il signor Grossi tro- (a) È stalo di poi impresso nel primo volume degli alli dell' accademia poalaDÌaiia. VI j^nno 1818 vandosi mollo innoltrato nella intrapresa raccolta , in una sua memoria descrisse il metodo che nel suo lavoro e nelle sue ricerche aveva seguito : e domandò che la società ponlaniana destinasse alcuni de'suoi socj delia classe della letteratura e della storia onde recarla di ac- cordo al necessario compimento. La quale speranza è ormai inter- rotta per la morte del signor Grossi, i cui manuscritti , come avve- nir suole , saranno forse caduti con danno delle buone lettere in mani di persone poco vaghe di siflatte squisitezze. IX. Lo stesso signor Grossi un'altra memoria lesse alla società sopra una materia già molto fragli eruditi in questi ultimi anni dispu- tata. È questa se la visione del monaco Alberico, resa già di pub- blica ragione, sia stata o no dall'immortale Alighieri conosciuta. Sulla qual quistione diverso essendo , come è nolo , l'avviso di cri- tici assai riputati , è piaciuto al Signor Grossi accostarsi a quelli , i quali sostengono l' affermativa , e con taluni novelli argomenti e confronti ha nella sua memoria 1' opinione di questi difesa. X. Alla illustrazione pure dello stesso padre della nostra lettera- tura e poesia , cioè dell' Alighieri , è stata diretta una memoria del signor abate Lampriìdi , nella quale dando conto alla società del nuovo comentario su Dante , ultimamente in Parigi pubblicato dal signor Eiagioli , ha esaminalo pure talune opinioni del medesimo sulla in- telligenza di due luoghi assai oscuri della prima cantica dell'Inferno; intorno alla quale non sembrando al signor abate Lampredi esser da adottare i divisamenti del nuovo comentatore , ha intrapreso a rifiutarli , ed ha nel tempo slesso proposta circa l' intelligenza e del- l' uno e dell' altro luogo la sua opinione. XI. Il signor Giovanni M. PcoTi socio residente talune diligenti osservazioni avendo fatte nel legger la riputata opera intelaia Pro- posta di talune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca volle communicarne la prima parte alla società , facendone in essa fettura. Questo suo lavoro avendo poi ricevuta estensione assai mag. giore , fu quindi particolarmente pubblicato per le stampe. fillio 181 S. VI* XII. E già dopo i lavori concernenli all' amena letteratura, pas- sando a sludj alquanto più severi, io rammenterò in primo luogo alcune osservazioni lette alla società dal signor Vincenzo de RitiS sulla diretta origine delle idee morali ; delle quali poiché già dal- l'autore sono state rese pubbliche per la stampa , nulla più oltre qui a dire ci resta. XIII. Un altro lavoro dello stesso nostro collega fu sacro alla storia delle lettere e della filosofia italiana , e di uno de' più grandi uomini che le abbiano illustrate. Fu questo un esame del Pan- epislemon di Angelo Polaziano , colla quale opera quel sommo e maraviglioso ingegno sin da' suoi tempi delineò un quadro di tutte le umane cognizioni , facendone ravvisare le relazioni , e le dipen- denze , e formandone le generiche divisioni : meditazioni senza dubbio altissime, e nelle quali credesi da'più aver raccolti i primi onori il celebre Bacone da Verulamio. Il signor de Paris avendo intrapreso un esame compiuto del Panepìsteinoìi va mostrando i pregi delia di- visione delle scienze fatta dal Poliziano , ed illustrandola con sue osservazioni. Egli ha pubblicato particolarmente questo suo lavoro. XIV. Ricercato fu sempre da' cultori delle scienze naturali qual fosse l'indole del singolare incrustamento che ravvisiamo nel curioso antico edificio, sito nelle vicinanze di Pozzuoli , cui classi il nome di Piscina mirabile. L' analisi chimica ne è stata tentata da diversi, e fiagli altri del nostro collega signor Lancellotti , il quale dopo di averne già resi pubblici i risultamenli , ha voluto in una sua memoria, che ha letta alla società, esporre più precisamente il metodo da lui nel farla tenuto , e le conseguenze eh' egli crede do- versene trarre circa la natura, e l'origine di quell' incrustamento. XV. Appressandosi già al suo termine l'edizione del HI vo- lume degli alti accademici parve conveniente alla società fregiarlo del ritratto del celebre Fontano , del cui nome essa stessa si fregia. Ed il nostro collega signor Gervasio avendone rinvenuto uno molto antico e che sembra per così dire autentico , impresso in rilievo so- ■7111 Anno j8i8. pra un'antica coverta di un volume delle poesie latine del medesi- mo Fontano, stampato in Napoli nel i5o5, ne lesse alla società una notizia , e ne esibì una copia ; ragionando con tale occasione degli altri ritratti, che si hanno di si celebre uomo, e della fede che essi meritano. Questo lavoro del signor Geuvasio fu impresso nel terzo volume degli atti. XVI. La Società a norma de' suoi statuti aveva nell'anno 1817 proposto un programma relativo alla migliore costruzione de' porti del regno di Napoli, per coronarsi a'3o maggio del 1818, giorno onoma- stico dell'augusto Sovrano Ferdinando I Borbone; ma non avendo ricevuta alcuna memoria su questo importante oggetto , divenuto quindi argomento di egregii trattati del nostro collega signor de Fazio, il ritirò dal concorso, ed un altro ne propose nel 1818 circa i miglioramenti che dal primo anno del secolo XIX in poi ha presso di noi fatta l'agricoltura e quelli che potranno sperarsi dipoi. VII. Ma fra' lavori della Società nell'anno 1 81 8 intrapresi alcuno certamente non fu pii!i grato al cuore di tutt'i Pontaniani , ne loro piìi particolarmente imposto da'sensi di una viva e rispettosa riconoscenza» che quelli da essi letti nella pubblica adunanza tenuta a' 20 dicem- Ire 18 18 in occasione della ricuperata salute di S. M. il nostro au- gusto sovrano di eterna ed immortai ricordanza , Ferdinando I. Que- sto avvenimento , che aveva ricolmi di gioja gli animi di tutt'i buoni, fu celebrato soUennemente dd'Poataniani : ed in si lieta occasione essi ebbero l'onore di avere a presidente della loro adunanza S. E. il Marchese Tomsiasi ministro e segretario di stato , di cui quale sia sempre stalo il favore verso la società pontaniana , ed i buoni stndj , dalle cose per noi altra volta dette , oltra le molte che dir se ne potrebbero , è chiaro abbastanza. In quella tornata il signor cavalier Galdi vicepresidente lesse una prosa italiana , ed una la- tina ne lesse dopo di lui il segretario perpetuo. Indi diverse poe- tiche composizioni furono recitate da' signori Marchese di Montuo- jiE, GuAHiNi , Filigli, de Ritis, Gatti, Genoino, Carfora, Scotti , jdnno 1818, 1S19. is Quaranta , Piccikni , Lampredi , GallottiV Marchese Basilio , Giovanni M. e Luca. Puoti , Cvstaldi, ed Avena. Talune iscrizioni recitò pure il signor canonico Magri. Il signor Marchese Berio in- disposto inviò un' ode saffica da lui dettata sullo stesso argomento. Cosi i Pontaniani ragionando il linguaggio delle ISIuse espressero i loro sensi di devozione e di riconoscenza al Luono e virtuoso mo- narca , che regolava allora i nostri destini, XVIII. Il nostro collega signor Genoixo , scelto a tesoriere del- l'anno 1818, volle usare il linguaggio medesimo nel rendere alla società i suoi conti con quella scherzevole e spontanea venustà , per cui sono cos\ giustamente commendati i suoi versi. XIX. L'anno iSigdiede anche sovente a' socii pontaniani l'oc- casione di coltivare gli studii della italiana poesia , cotanto gloriosi ed importanti quando sono congiunti a quel gusto puro, per cui le opere de' nostri grandi vati vivranno immortali , ed ispirati da quell' e- stro divino , di cui il cielo non è liberale che a pochi ed eletti. Il signor cavalier Caldi lesse un suo capitolo sullo stesso caro ar- gomento della solenne tornata del 1818, cioè a dire sulla salute ri- cuperata dall'ottimo monarca Ferdinando. XX. Il signor marchese di Montrone che da più tempo occu- pavasi nel rendere italiano Giovenale, di molti saggi della versiou sua volle far parte alla società pontaniana; e fino a quattro satire dell' aquinate lesse in diverse tornate dell'anno 1819. Già taluna d'esse ha vista la pubblica luce ; ed i dotti hanno potuto giudicare con qual nerbo e perizia di lingua e con quale poetica maestria ed originalità abbia egli condotto il suo malagevole lavoro. XXI. Altro grave lavoro poetico, di argomento assai conveniente a questa nostra Italia , e' per lei oltremodo glorioso , è il Lorenzo dello stesso signor marchese di IMontrone. Ed anche di questo suo poe- ma lesse egli alla società il primo canto nell'anno 1819, e ragionò in prosa italiana di II' argomento e della condotta di esso. j Anno 1S19. XXII. I signori Pasquale Pesce e Domenico Simeone Oliva am- messi nella società pontaniana vi recitarono in ringraziamento al- cune loro latine poesie , ed il signor avvocato Costantino Costantinc un suo poetico componimento vi lesse intitolato Archiloco. XXIII. Non mancavano intanto altri socii di esercitarsi e nelle lettere filologiche, e nelle filosofiche discipline. Il signor abate R\i- MOKDO GuARiNi continuando nelle sue utili investigazioni sulle patrie antichità, trovò ampio e Lell' argomento di meditazioni in una tavola bilingue di bronzo già nello scorso secolo dissepoita presso Oppido città della Basilicata , ed ora esistente nel real museo borbonico. La faccia di essa che è latina offre un frammento di una legge romana vestiaria , ed è sommamente importante per le memorie che conser- va, e per le frasi in essa adottate. Dall'altra faccia leggesi un fram- mento scritto in caratteri latini , ma in antico sconosciuto linguaggio italico. Questo monumento pubblicato prima nella dissertazione isa- gogica di mons. Rosini , e poi negli Arvali del dottissimo Marini senza osservazione alcuna , meritava che le cure di un dotto filologo si volgessero ad illustrarlo. E ciò fé con lode il signor Guarini , il cui lavoro nato tra noi fu da lui fatto di pubblica ragione nel citato suo libro latino , ove lo unì agli altri già indicati suoi lavori. XXIV. Lo stesso uso ei pur fece della novella spiegazione eh' egli die della celebre tavola veliterna, scritta ancor essa in antico italico linguaggio, e variamente spiegata da' dotti illustratori di quelle pri- me memorie de' nostri antenati. La spiegazione data dal signor GuA- RiM di questo curioso monumento , ora impressa , fu ancor essa pri- ma comunicata dall'autore nel 1819 alla società pontaniana. XXV. Questo stesso nostro operoso collega riunendo il saper filologico al filosofico , talune sue osservazioni lesse alla società sulla gramatica del Tracy , richiamando a novello esame molte delle opi- nioni del francese ideologista , nelle quali gli parve che dal vero andato egli fosse lontano. aitino 181 g. XI XXVI. Il segretario perpetuo signor AvELtiNO lesse alla società talune sue osservazioni sull'uso e su' pregi dell'analisi nelle fJologi- che investigazioni. Ebbe egli il proponimento di mostrare con que- sto suo lavoro quanto si allontanassero dal retto sentiero que' filolo- gi, i quali prima di un accurato studio e confronto de' fatti intra- prendessero a disputar sulle cose degli antichi ; e come a questo stu- dio analitico , in gran parte ancora negletto , convenga precisamente rivolgersi in questo nostro secolo, in cui s'intende per tutto alle e- sperienze ed alle osservazioni ; se pur vogliansi gli studii filologici por- tare a quella importanza , cui possono e deggiono aspirare , quando liberati una volta dalle ridicole manie de' sistemi , e. delle assurde conghietture , divengano ciò che solo esser debbono , cioè la vera e giudiziosa esposizione de' fatti umani ne' diversi periodi delle età fino a noi trascorse. Di una parte de' materiali riuniti dall'autore in que- sto suo lavoro fece egli poi uso in una orazione inaugurale che com- pose per la reale università degli studii. XXVII. Il signor Vincenzo de RiTrs comunicò alla società talune osservazioni sul grande Alighieri , oggetto particolare , e prediletto degli studii di questa età nostra , il cui sapere già maturo sembra essere solo stato degno di ben valutare il senno che ascondesi sovente Sotto'l velame degli versi strani. XXVIII. Di altro illustre antico scrittore italiano potè la società nell'anno 1819 ammirare i pregi in una inedita ed importante scrit- tura, la quale e pel merito dell'autore e per quello dell'argomento oltremodo riescir deve cara a' dotti italiani. Io parlo del primo libro della storia d'Italia del nostro Camillo Porzio, di cui cosi pregiala e cara abbiamo già per le stampe pubblicata la storia della congiura de'baroni , avvenuta sotto il primo Ferdinando. E già che da questo stesso egregio istorxo sicnsi narrale le vicende d' Italia che resero Tiu jénìio iSiQ, 1820. r anno i547 assai per molti motivi famoso , leggevasi in taluni scrit- tori, con grave increscimenfo , che non se ne avesse per le mani il lavoro. Se non che trovandosi un esemplare manoscritto del primo libro di quest'istoria d'Italia del Porzio ( ne pare ch'egli oltra il primo la continuasse ) nella scelta biblioteca del rostro socio ono- rario il sig. duca Tommaso Vargas Macciucca , ne fé egli splendido dono alla nostra società. E sebbene il possesso di questo tesoro ci avesse oltremodo desti a lietissima speranza di ammirare in esso quella purità di stile e gravità ed importanza di narrazione , per cui è la congiura del Porzio fralle più belle cose delle italiane isto- rie meritamente noverata, pure fu la lettura del manoscritto da tan- to , che quelle speranze nostre ne rimasero superate non che soddis- fatte e compiute. La società, letta l'istoria del Porzio, ne dispose, subito l'edizione, perchè non fosse il pubblico più oltre defraudato di uno de' classici libri della nostra letteratura, di cui fino allora ci eravamo già creduti privi per sempre. E sebbene il voto della società non ha potuto per diversi motivi , che qui riferir non giova , venire adem- piuto , riman pure a peso della pontaniana accademia il rendere il più sollecitamente che si potrà paghe le brame de' dotti. XXIX. Il programma proposto dalla società nell'anno 1818 non avendo ottenuta risposta alcuna , parve opportuno il restringerlo al- quanto, e riproporlo al concorso , chiedendosi da' concorrenti che alla sola coltivazione de' cereali rivolgessero la loro attenzione. XXX. I lavori dell'anno 1 819 vennero interrotti negli ultimi mesi perle riparazioni , che convenne fare nell'antico convento di Montever- gine, ove la società da più anni teneva le sue tornate. E quel convento essendo indi stato anche restituito a' religiosi , negli anni 1820 , e 1821 la società cominciò a tener le sue tornate nel luogo stesso che eraallora addetto al reale istituto d'incoraggiamento allescienze natu- rali, i cui dotti socii faron allora cortesi in accogliere i Pontaniani fralle loro mura ; mostrando con sì bella gara di mutua compiacenza verso di noi, come sorelle ed amiche esser denno tra loro le Muse. yinno 1820. xm Riuniti in questa novella sede i pontaniani , vi continuarono col fer- vore medesimo nell'anno 1820 ed in parte del 1821 ^li studii d'o- gni genere , siccome dalla narrazione , che a farne ne resta , parrà manifesto. XXXI. Il nostro collega sig. Tucci lesse alla società nostra , alla quale ha fatto dono di diversi suoi lavori mateuaatici , una sua memoria sulla minima distanza fra due curve di uno stesso genere esistente sopra uno stesso piano. Egli ha di poi già fatto di pubblica ragione questo suo lavoro. XXXII. Il sig. Giulio Rocco richiamò l' attenzione della società ad un argomento assai importante , leggendo una sua memoria sul me- todo pratico d' istruire , e su' mezzi da estendere il sapere ; sul quale argomento non è da dire quanto preziose esser deano le meditazioni de' dotti , se è pur vero , come ad alcuno a nostro avviso non dovrebbe esser dato il dubitarne, che il solo sapere e la hen intesa istruzione possono rendere i popoli industriosi , morali , ed iu conseguenza felici. XXXIII. Il sig. abate Guartki oltre ad un sunto, che lesse alla socie- tà, accompagnato dalle sue osservazioni , delle opere del nostro eh. collega il sig. Galluppi , lesse altra sua memoria su taluni novelli monumenti celanesi, non lasciando di illustrare e coltivare questo an- gusto campo, che il suo sapere ed il sno amor patrio hanno reatluto cotanto ferace. Questo lavoro approvalo dalla società forma parte del presente volume de' suoi atti. XXXIV. Il sig. Gio. Antonio Cassitto de'cuistudii sugli scrit- tori e su' monumenti antichi la società aveva più volte ricevuti saggi assai importanti, inviolle anche talune sue osservazioni sulle prime elegie di Properzio, ora emendandone la ricevuta lezione , ed ora indagandone il senso. Egli faceva sperare la continuazione di questo pregevole lavoro ; ma la luttuosa sua morie sembra averci interdetto ogni lusinga di vederlo compialo , siccome ci ha privato del fruito delle altre investigazioni di questo nostro laborioso ed ingegnoso filologo. Si7 \/inno 1820. XXXV. Il sig. Genoino che aveva in altre occasioni messa a parte la società de' poetici suoi lavori, volle anche averla a giudice del novello genere di componimenti , cui egli con plauso aveva in- trapreso ad applicarsi , percorrendo il difficile agone drammatico. Scelse quindi una delle sue commedie, e precisamente quella che ha il ti- tolo di lettera anonima , e ne fé lettura alla società prima che la desse alla stampa. XXXVI. Le rare doti d' ingegno e di sapere di S. A. R. il Principe Cristiano Fedekico di Danimarca, Mecenate di tutte le scienze e le lettere, mossero la società pontaniana , come tutte le altre napole- tane accademie, ad annoverarlo tra' suoi soci! onorarli. Della quale elezione non solamente si degnò S. A. R. mostrarne tal gradimento, quale al nobile ed eccelso suo real animo massimamente si conve- niva; ma volle di più esser presente a due delle nostre tornate ac- cademiche , delle quali è perciò a noi precisamente rimasa grata ed onorevole la ricordanza. XXXVII. La prima di queste ebbe luogo nelgiorno lamarzo 1820, ed in essa i Pontaniani ebbero anche la ventura di esser preseduti dal- l' eccellentissimo sig. marchese Donato Tommasi. Il sig. marchese di MoNTRONE lesse in questa tornata un' altra delle satire di Giove- nale per lui recata inversi italiani, del qual lavoro abbiamo anche detto di sopra. Ed il segretario perpetuo sig. Avellino lesse una me- moria di continuazione a quella che sulla M. Grecia avea già altre volte letta alla società, e che è impressa nel secondo volume degli atti. E come in quella prima sua memoria ragionò egli del nome , e de'veri confini di quella celebre antica regione , cosi in questa seconda trattò delle diverse vicende or gloriose ed illustri , ed ora misere e tristi , cui i popoli che la componevano andarono soggetti. E co- minciando il suo dire dalle prime origini delle greche colonie , mo- strò come e si stabilissero presso di noi , e per savie leggi e per eletto sapere lungamente vi fiorissero : quindi come a poco a poco corrotto il reggimento , e guasti i costumi , cominciassero a cedere yiìino 1S20. XV alle scosse prima de' barbari Lucani , e de'Lruzzii, e poi alle- pia fiere e fatali ancora che dier roro i Romani , fino al punto che di- vennero in fine loro preda , e conquista. XXXVIII. S. A. R. degnossi mostrare col ritornare una secon- da volta tra noi nella tornata de' 4 giugno dell' anno medesimo , quanto Ella avesse riguardato di buon grado i nostri Ictlerarli eser- cizii. In questa seconda memorabil tornata ebbero i Pontaniani an- cora la ventura di aver tra loro il celebre cav. Antonio Sca.kpa , uno de' Nestori delle scienze in Italia , e della intera dotta Europa lume oltra ogni mio elogio fulgidissimo e singolare. In questa me- desima tornala il sig. marchese di Montroke lesse un suo filosofico discorso sul cinismo, nel quale col luminoso esempio del suo stile degno de' migliori e de' più meravigliosi nostri scrittori di prosa, mostrar seppe come alla pura e casta lingua d' Italia nulla manca per esprimere con forza , vigore , eleganza , e chiarezza i più sublimi divisamenti della filosofia; ma si manchiamo noi a noi stessi, ed a questa nostra bella patria, quando dettiamo le nostre scritture infran- ciosate, e sozze di qualunque straniero imbratto più vile. XXXIX. Il sig. abate Lampredi colia stessa purità di stile e di gusto ragionò di poi del T'omanticismo , ed apri la sua sentenza su questa così creduta da alcuni novella scuola di scrivere : la quale da altri assai meglio si tiene essere assai più novella nella opinione , che nel fatto. XL. Le letture che nelle ultime tornate della società pontaniana sì udirono , ebbero a loro autori i sig. Forleo e Scatigna. Il primo ragionò della influenza che la filosofia e le scienze hanno avuta sulla perfezione dell'epopea. Disse il secondo di un novello sistema di me- dici studii eh' egli propose come più acconcio di quello che suole comunemente seguirsi. XLI. Tre memorie ottenne la società nell'anno 1820 in risposta al programma che aveva già proposto relativo alla coltivazione de' ce- reali ; ma di queste tre memorie nessuna meritato avendo ottener I3 XVI Anno 1820, 1821. corona, ne l' accessit , la società ritirò quel programma dai concor- so , ed invece ne propose un altro sulle malattie cui vanno presso di noi soggetti gli ulivi , e sulla storia degi' insetti che sogliono dan- neggiarli. XLII. Così gli studii della società pontaniana si continuarono fino a quell' epoca , a cui deve ora fermarsi il mio dire. Collo stesso ardore, e colla stessa rettitudine di animo furono essi ripresi quando nel 1826 alla voce dell'augusto FRANCESCO sorse a novella vita l'ac- cademia pontaniana. Ma di queste più recenti nostre letterarie oc- cupajioni esser deve riserbata la storia ad altro ragionamento. RICERCHE SUL SISTEMA MELODRAMMATICO LETTE a' soci PONTABIÌLNI DA PIETRO NAPOLI SIGNORELLI Nelle Adunanze de' mesi di Novembre , ^ e Dicembre i8i». /;Ì. >^-/ SEZIONE PRIMA /. Natura del Melodramma : //. Quando e dove nO' io '. HI, Quali ne furono gli elementi nella Grecia e nel Lazio : ly. Quando questo nome prevalse nel' la Drammatica^ -'^ - -l ■ oiJÌr M!j V-4HE cosa sia Melodramma a tutti è fn^niifésto. Due parole greche esprimenti melodia ed azione , adottate e combinate nelle moderne lingue dell' Europa , indicano quel genere poetico, chQ Melodramma chiamossi, risorgendovi la coltura. •' «^ir «••■ T. IV. % y 2 SI6N0RELLI A ben riflettere, non si esprime con parole qualunque sentimento senza certa melodia ^ perchè la parola nel prof- ferirsi naturalmente riceve una misura ed un tuono, per cui formasi nel favellare il ritmo , specie di concento , che se- condo Aristotele «3ìeZZ<2 anche l'orazione (i)^ e questo è ben conto a' sagaci prosatori. Kè ciò così fu proprio del- la greca e della latina favella , nelle quali così bene si di- stinse la brevità e la lunghezza di ogni sillaba , che del tutto simili quantità si sconoscessero nelle moderne , e sin- golarmente nell'italiana, che a quelle tanto si appressa. Im- perocché Voi , che l'arte possedete di tornir bei versi ed armoniosa prosa , ben trovate all' uopo e dattili , e spon- dei , ed accenti opportuni alla scelta per elevare e depri- mere , tardare ed accelerare a vostro grado i tuoni , che vi occorrono pel riposo o pel corso fluido del verso, non meno che pel numero ossia sonorità de'periodi di ogni bel- la> prosa (2). , Allorché però disvilupparonsi le arti , per le voci me- lodia ^à. armonia s' intese il dolce ondeggiar dell' aHa per- cossa dal fiato , o in qualunque altro modo , che generi varietà di suoni cari all' udito ed acconci ad animar la pa- rola e a dar risalto alle azioni. Il teatro conosce diverse specie drammatiche , le quali ciò che gli uomini operano, ci rappresen^tanp. Ma la melotU* naturale delle lingue non .. .kiritobr, j «ìsxf>Àw^ ho sùWV->sr; ijff wii.jfa Mao (i) Ai« j)Odf/ov 5££ £^£(y Toy pella chiamò la prosodia semina- , Ao^oy. Rketor, lil^ HI. e. 8. rio della musica. (2) Non a torto Marciano Ca- SISTEMA MELODRAMMATICO 5 è quella artificiale dalla musica somministrata , la quale rende sulle scene piò. sensibile più accetto e più dilettevo-' le il nudo favellare. Adunque quell' azione , che sulle umane modellata si espone agli ascoltatori per trattenerli gratamente , esprimen- dosi con parole da modi artificiali animate, dicesi esclusi- vamente Melodramma ed anche Opera in musica. II. E quando e dove esso nacque ? Nacque secondo me allorché 1' uomo nell' ozio campestre si avvisò d' ingan- nar la fatica , e persuadere a se stesso di non sentire il pe- so del tempo , occupandosi a crear concetti con parole ad- dolcite dal canto, colla sola voce, o dal suono accompa^ gnate , col soffiare in una piva , o in una canna forata , o col percuotere più corde di grossezza Ineguali tese su qualche superficie di acero senza toccarla. E da credersi che del piacevole effetto compiacendosi Tuonio se ne ri- petesse il diletto. Allora senza contrasto nacque 1* embrio- ne del Melodramma. Un passo di più esso diede forse , quando due o tre capraj si raccolsero all' ombra di qual- che faggio a cantare a prova altercando , ed espressero vo- ti , amori , querele , disfide , allegrezze. Ciò dunque che ecloga indi appellossi , somministrar dovette l' idea di un poema in dialogo cantabile, di cui può servir di esempio l' idilio XV di Teocrito , intitolato le Siracusane. E da ^esta idea uà' altra sopravveneijclone , passò ad indicare 4 SIGNOfi^tLl p iù distintamente un' azione , che cpntenne principio , pro- gresso , e finimento e suggerì successi pastorali, onde o presto o tardi un vero melodramma prQS^ennét. obufi Ij sì Che se taluno investigar volesse curioso ,• in quAl par- te della terra, prima che altrove, , ciò avvenissi^,, io mi restringerei adire, cjie là seguì, dove prima gli uomini si associarono ,, vale a dire, .dove frali© Jìttiche , o, in. Aeuipo delle famiglie patriarcali , o ne' rozzi primordj di società più numerose , si avvisarono d' imitar le umane azioni , accozzando insieme colle parole il canto e la gesticolazio- ne in, cadenza , per proprio e per altrui diletto. Poterono quindi bentosto immaginarsi melodrammi inconditi j e che in fatti in più di un clima ne sorgessero , può compro- varsi per le notizie acquistate co' viaggi, con le scoperte, co' traffichi e con le conquiste. Gli eruditi filologi , che con pie sicuro e snello cor- rer sogliono per l' uno e per 1' altro emisfero dalle remote alle più recenti popolazioni , agevolmente fra esse rinver- lannp gì' indicati elementi , quando non altro , valendosi del presidio delle favole , de' sistemi antiquarj e sopra tut- to delle onnipotenti etimologie. Sapranno essi dedurne da* rottami Fenicj , Etrusci , Pelasgici , Osci , Etiopici , Egizj, e fin dalle Rune boreaU , e pur dagli Sciti. Sfornito , co- me io mi sento , di pari franchezza e di si vigorosi van- ni , lasciando di buon grado a sì grandi letterati la glo- riosa impresa di volar tant' alto , mi limiterò alle nazioiji Europee , accessibili agl'ingegni meno elevati , delle qua- li si conosqono monumenti piùi copiosi e più fidi. SISTEMA MELODRAMMATICO 3 III. Or quali furono in Grecia gli elementi del Melo- tlrarama ? Quando gli Elleni , deposta la maggior parte delle abitudini Egizie e Fenicie , che seco loro tratte ave- vano dalle vetuste origini , si conobbero generalmente col nome di Greci , si sparsero per l' Attica , e coprirono la Focide, la Beozia, l'Etolia, il Peloponneso, mescolando al passatempo il culto sacro, offrirono al Sole, sotto ino- rai di Apollo e di Bacco , i primi prodotti dell'ingegno, e le nomiche cantiche al primo, e gl'inni Dionisiaci al- l' altro indirizzarono. Triviali oramai divenute sono col ri- petersi t^nte volte le prime notizie drammatiche^ cioè che singolarmente in quegl' inni combinaronsi un' annua festa , un sacrifìcio di un irco , ed un convito rurale , in cui can- tando e saltando si motteggiavano a vicenda coloro , che v'intervenivano. Or non sono questi gli elementi abbozza- ti del melodramma , le cui tracce e i progressi in copia si rinvengono negli aurei scritti di Platone , Aristotele , Plu- tarco , ed in tanti altri scrittori posteriori di quella incom- parabile nazione ? Non diedero appunto questi semi ed ele- menti alla drammatica il nascimento nella Grecia, la qua- le seppe per essi in tante guise imitar felicemente le civi- li operazioni , e giocondamente dilettare , ed istruire ? Se i componimenti , che ne provennero, non ripor- tarono il nome di melodrammi , ciò a mio credere addi- venne, perchè gU scorti Greci in vece di appagarsi diana generica denominazione , aspirando a più alta meta, voi- J'tWWV ^ «W-VMW « «Mini ^ ^" MEIODRAMMATICU f ve^oìurue i pas>t iu caileuza uella luru tiuiitatu coregralia^ poiclK' cou proprietà si vo^esj>ero a siuistra e a destra , e «i leruiaMM^ru ut^i lue^zo ! Oltre «iella sua robusta p<.>c»ia , vuUt) egli »Cessu tucaricarsi di compori-e la um:>ica de'suui verM (i). Cou decoro e proprietà abbigliò alli-esì le tìgu- re, che iulroducevu nelle >ue tavole. Quel tutto , che gran- de uscì dalla sua peuua , vjuel tutto in Grecia più volte coronato, uou Tu punto da lui ap[)ellato meioUrttmma , tua M bouu tragedia , o, come prima >a chiamò, tnf^odia^ e uè lii acclamato il padre. De' talli , della mu>ictt » del- le decor.j/iuui , e delle poesie de' suoi tempi abbiamo «u testiiuoite inculare uella citata tavola B«r^)(i>i di Aristotaue^ ueila <{uaio si rappreseuta lu coutei>a > che arse uell' infei^ no tra Kàchilo ed Euripide alUi pieseUiSa di bacco. I^ clttuift Euripide alcuni versi deli' euiulo, coutratfac«udon« la cautjlttua y e per mostrarue la mouotouia « ad ogni motto SVggiugUe V^*rr«dj'arro-^i*rru6^*r (*j). bschilo alla sua volta si bulla del uoio^o piagnisteo dell' avversano, ripeteudo a ii ki » .j. (guanto all' apparato , uiuao ignora la spleudide^- 1 , U Colo delie Rune lu w» >Xa»»«»4^«iT«^X*rTv»*f*T tittjli via b>.ii>|>tiie 3 CM^iouv JcU ««m^' > Im Nua iiH*M«.'( , ipijiidu Est'ailu ro. <9Xjirrwdj>«rTu^Ajirrod»«r , ti ha it>lN/>U»7, EÀÀykJuC V>M . *~'ft.i)t H<»f*i>-;(^JL» 8. SIGNORELLI za delle decorazioni tragiche del Prometeo al Caucaso ^ dell' Eumenidi , de' Sette a Tebe , dell' Edipo , delle Ifigenie, come ancora delle decorazioni comiche nelle fa^ vole N£i?eX«! , O'jjyiQcj, Ef^rivri. Sofocle, oltre della sublimità, che a lui dee il coturno , non trascurò le minutezze del- l'esecuzione j e perchè risaltasse la sallazione, inventò pe' ballerini alcuni bianchi calzari, pe' quali nella celerità del- le battute si vedeyano brillare j loro piedi. Aristofane par- la de' balli comici , e singolarmente riprende nelle Nuvo" le i poeti autecessori e coetanei suoi, per avere introdotti balli lascivi, e fa che il coro esalti lui , perchè oJJé x°/^*X' *'''^- xu«y , non mai saltò il hallo cordace. Non discordano per altro i più da ciò che abbiamo accennato , e tutti confessano la magnificenza delle deco- razioni teatrali de' Greci , e la celebrità della loro saltazio- ne , e principalmente 1' eccellenza della scenica poesia. Havvi però più di un critico transalpino , seguito da al- cuni Italiani , i quali mostrano tutta la ripugnanza a cre- dere che i drammi greci si cantassero, sì perchè, a loro avviso , Aristotele parla del canto del coro , e non degli at- tori,, sì perchè sembra loro ihverisiznile , che sulle scene il favellar degli uomini debba contro natura imitarsi can- tando. Si resiste oltre a ciò da altri critici a chi asserisce tT9i,««(S KUdlV CtipO^OITOtS , AIO. TI 70 A«TTo6jP«TT09XaTTo6j)«T , su Motpafla-yos ; ri To suyyXiVcs ea' AiotvT! Troflsv ^wsXe^aj ii/.ovioaTfOi^OM (OtsXri; ro 9XoiTto9j>«TTo^X»rro6j>«T Batinch. v. i284- 97- SISTEMA MELODRAMMATICO 9 ed esalta la prestanza della musica Greca , stimandosi fa- volosi i prodigi , che si raccontano della sua irresistibile efficacia. Piacciavi , Colleghi illustri , esaminar meco alcun poco l'importanza di queste due opposizioni. Quanto alla prima, io stupisco che eruditi , i quali citano Aristotele , possano dubitare che i drammi greci si cantassero. Io dico loro in prima: INon è Tistesso filosofo , che novera la musica traile sei parti di qualità della tragedia (i)? Or le parli di qualità non sono quelle, che hanno luogo in tut- to il dramma, e differiscono da quelle di quantità, le qua- li figurano solo in alcun luogo , e non da per tutto , co- me sono il prologo , 1' episodio , il coro e 1' esodo ? La musica dunque, una delle parti che qualificavano la tra- gedia , animava non solo i Cori , ma tutto il resto del dramma. Altrove V istesso filosofo riconosce due specie di musica , r una f/ouuot^v ^'^^v nuda e semplice , e 1' altra p.ixà. iJLiko^io.^ accompagnata dalla melodia (a). Or qual è la musica nuda e semplice del dramma se non quella del- la Melopea ? Ma di tutte le opere di Aristotele il passo più decisivo è quello de' suoi Prohlemi. I tuoni ( dice ) (i) Si legga il capo 6 del- SvdfAirxv ,cìoh ; ,d^Ue cinque par- li Poetica , ih cui chiama cos'i ti di quella ( dopo della favola ) l^ favola , /7 costume , la senten- la più soave ed allettatrice è la za , P elocuzione , la decorazio- musica. ne e la musica. E dice ancora (2) Veggasi l' ottavo de' suoi nell' istesso capo 6: t&v li XoiiróJy libri Po/t/tct cap. 5. .,ìl •Kevxt ifj fiikoxoiim /jiiyia-cov z&y rj- T. IV. 2 IO SIGWORELLl ipodorio ed ipofrigio si usano nella scena , e non nel Coro , perchè sono proprj ad esprimere le passioni vio- lente (i). Né di ciò pago disviluppa il medesimo sentimen- to nella stessa sezione al numero 48 •, dopo aver detto che al Coro conviene una flebile armonia , che mal si esprime col tuono ipofrigio che ha del furibondo. U ipodorio (^ sog- giunge ) e Z' ipofrigio sono convenienti agli attori che operano , e non al coro che presta a chi assiste la sola sua buona volontà (2). Or qual più chiara prova che gli attori in Grecia parlavano cantando ? Uscendo poi dalla dottrina e testi- monianza di Aristotele e de' suoi migliori espositori , po- trei addurre altre autorità antiche , ma per minorarvi là' noja aggiungerò solo un passo di Luciano non meno de- cisivo. Vituperando Luciano la musica molle ed effemina- ta de' suoi tempi , essa ( dice ) può tollerarsi con minor fastidio ne' personaggi di J^cuha o Andromaca^ ma è mustruoscL ed insoffrihile nel personaggio di Ercole (S).»^ (i)AtàTfoOJI wVoSajjjiorTr oùSè l' edizione" di tutte le di lui o- v>K0(^fvyii3rt oux sOTiy èv Tfoty^Sì» pere grecolatine in quattro yo- Xo/iHoy ; ri ori oin «j^ei ivrla-rfo- lumi pubblicate in Parigi nel ^Oy, «XX' «VÒ ffXKlviis. /JlIfilTlTIK»Ì TOlj». i654- Aristot. Probi. Sect. XIX. n. 3o. (3) K« iixlx/' M«v AyS^Oftixn' (2) Può vedersi l' intero pas- tis /(E'xoE/Jifi lari 90|>nTÒs ri«5n,0T«)» so parimente citato, e tradotto 5s H'p»)tXris //oyyJii... ffoXoixi'av ei- dal Metastasio neU.' Estratto del- <^fOtim tÌMTXs <^»it\ rts ró Kfiyu», la Poetica del greco maestro Lucian. dt Saltatione. quando non si voglia' coasùltarf srstEMA MELODRAMMATIOO II Adunque Ecuba , Andromaca, Ercole, che non sono indi- vidui del Coro, esprimevano i loro affetti sulla scena can- tando. Passando all' altra opposizione contro tutta la musica antica , trovasi questa sostenuta da illustri scrittori moder- ni , de' quali nomineremo per onore i più chiari e più de- terminali. In Francia dicliiararonsi contro la musica Gre- ca l' accademico Parigino M. Burette (i) , ed il P. Bou- geant (2) , ed in Italia venne assalita dal celebre P. Mar- tini di Bologna (5) , cui tenne dietro il dotto cav. Planel- li di Bitonto in Napoli (4) , il vescovo Paù di Tropea , ed il gran poeta Cesareo Romano. Tutti questi illustri scrit- tori con altri di non minor celebrità , a voler far grazia alla musica de* Greci , la valutano quanto oggi si apprez- zano le antifone, i responsorj e i graduali de'tempi mezzani. Strana cosa a dir vero e poco verisimile parer deb» be a chi ha fior di senno questo giudizio portato contro de' prodigiosi effetti di quella musica , i quali leggonsi in varj classici autori antichi. La Grecia , onde il Lazio e poi il resto dell' Europa trassero ogni coltura j la culla del- le belle arti ; la patria di Omero , Pindaro , Saffo , Ana- creonte , e di Apelle , Zeusi , Timante , e di Fidia , Gli- cone , Pitagora ; per clima e per educazione reggia della (1) Memoires de \' Acade- (^)Storia della musica tom. mie des Inscriptions et Belles i. diss. i. Lettres , tom. IF. (4) Trattato dell* opera in (2) Memoires de Tré/oux musica. 12 SlGNORELLI delicatézza, della grazia e del gusto ^ produttrice delle più belle foi'rae , che sono prima sorgente eslabile fondamento delle arti imitative 5 la Grecia che seppe congegnarsi una lingua trovata, a prova di quante ne conosciamo, la più armoniosa per una prosodia che è la norma del canto , in- ventrice del ritmo da essa diviso in elevazione ed abbas- samento ( ars J5 et j istruito , si vaglia de' suoni della lira ad esprimere con 3} acconcia imitazione le cose , cosi che adatti il concento ìì delle corde alla natura delle voci , ed in tal guisa ac- )j comodi la diversità e moltiplicità de' suoni della lira ( giac- » che altri suoni danno le corde ed altri il poeta autor » del canto ) e la spessezza corrisponda alla rarità , la celerità jj alla lentezza , l'acuto al grave , ed i suoni consoni e dis- ■» soni si esprimano jj. Fin qui Platone. Cicerone afferma che il concento musicale si forma con la concordia de' suo- ni (i). E sulle di lui tracce Quintiliano chiamò l' armo- nia , concordia di voci o cose dissimili. E Seneca con più nettezza disse che il Coro .si compone di voci diver- se , acute , medie e gravi (2). Or dove è l' unisono at- tribuito alla musica Greca ? j A conchiudere intanto per tutti gli elementi melodram- i matici riconosciuti ne' Greci , resta solo che alcun motto si faccia suU' opposizione del Metastasio , con cui si accor- dò il vescovo Paù di Tropea. Egli nega a' Greci ogni de- licatezza musicale ed ogni contrapjjunto , prendendone 1* ar- gomento dalla vastità de' teatri antichi scoperti , ne' quali j si sarebbero perdute tutte le musicali delicatezze moderne. | Ma non ebbero i Greci altra musica che la teatrale ? Gon- (i) De Republic. lib. II. (2) Epistol. XLVIII. SISTEMA MELODRAMMATICO I9 tendevano i Citaredi, de' quali parla fra gli altri Eliano .^ con la medesima musica teatrale allorché sonavano ne' tem- pli ? Non ne comprendevano altra i musici certami che eseguivansi nell' Odeon , che chiamavasi teatro coperto ? Ogni altro omaggio musicale che potè tributarsi alle deità in tante occorrenze festive, non si prestò loro se non con musica teatrale ? E quando Timoteo Mllesio , secondo Ni- comaco , dopo avere eccitato Alessandro a' marziali furo- ri, mostrò r eccellenza della sua arte ammollendo gli animi con musica molle e delicata che si tacciò di effeminatez- za , si valse egli forse in due sì contrarj incontri, ad in- sinuarsi ne' cuori, di quella musica strepitosa che conveni- va a' teatri a cagione della loro vastità ? Tutto ciò , e quan- to altro aggiugner potrei dell'enarmonica di Olimpio e di al- tri seducenti musici dell' antichità , dovrà rigettarsi , per- chè gli sterminati teatri antichi non soffrivano una musica varia, armoniosa , delicata ? A me sembra all' opposto che tale eccezione altro provar non possa se non che , mal- grado della indubitata ricchezza, varietà ed efficacia della loro musica , i Greci seppero valersene con moderazione ed economia , e quella parte ne introdussero ne' teatri che potesse proporzionarsi alla loro ampiezza. Così il pittor sa- gace disegna le figure più o meno grandi e le colorisce con maggiore o minor vivacità di chiaroscuro , non per man- canza di delicatezza , ma per finezza di arte, perchè com- pariscano somiglianti al vero in qualunque distanza dello spettatore. Ma ciò nulla prova , s' io dritto slimo , avver- so della musica tutta, e del contrappunto di una nazio- 20 SIGNORELH ne dotata di gusto si iine e di lingua oltreraodo armonio- sa. Siccome contro la musica Italiana ed il moderno con- trappunlo nulla provano le monotone cantilene delle pive Abbruzzesi o gli organetti delle marmotline Piemontesi o il canto Gregoriano. Di grazia quelle pive , quegli organetti e quel canto renderebbero improbabile che in Italia si so- no composti lo Stabai Mater del Pergolese , il Mìscrere del Marcelli , il Veni Sancte Spiritus del lommelli ? .77"Ova«5Ì (può domandarsi ancora )c?j simili elementi Tnelodramm^atici tra' Latinil E come no? Dotato l'uomo di pari natura ed essenza e di facoltà uguali da per tutto, non può non sentire gradatamente le proprie forze 6si- che e morali e non usarne a seconda delle circostanze. Nel- r ozio 'delle campagne ( non altrimenti che su i monti del- l'Attica e della TessagUa ) sull'Aventino e per gli Apen- nini , assicurata che ebbe T uomo la propria sussistenza , procede oltre per lo spirito indagatore che lo anima , e volse lo sguardo a quanto lo circonda , e stupì allo spet- tacolo grandioso mirabilmente congegnato de' cieli, che non potè non eccitare in lui la sublime idea di un Ente igno- to ma immenso , potente , a tutto superiore , e proruppe in acclamazioni , ed a lui si rivolse alle occorrenze , a lui consacrò le primizie del campo e dell' ingegno. Adunque dalla sorgente onde nacquero in Grecia le idee di un culto alla divinità , di socialità tra' simili, di giuo- co neir ozio , d' ilarità ne' piacevoli incontri , di motteggi nelle giocose contese , sursero nel Lazio i semi primitivi del- SISTEMA MELODRAMMATICO 21 lo spettacolo facenìco , suoni armonici , gesticolazione In ca- denza , slanci poetici. Voi non ne ignorate i fatti. Tributaronsi in occasione di una pestilenza fatale in- ni divoti alla divinità che col tempo divennero gioconda costumanza (i). Si avvivarono di mano in mano con fe- stevoli atteggiamenti, con balli, con melodia. Coltivaronsi i diverbi appresi da Fescennia (2), finché non converti- ronsi in insulti. Si adottarono gli agili volteggiamenti de' Lu- dioni dell' Etruria ed i Macchi Atellani degli Osci. Ma la musica degl' inni indicati donde provenne ? Non oso dire con Eximeno che essa derivò da' Greci , perchè a que' pri- mi tempi il popolo di Roma non ebbe comunicazione colla Grecia. Verisimilmenle i Ludioni mentovati accom- pagnarono i loro celeri movimenti con musica etrusca. Che- chè ne sia stato , I salti e i canti e i versi che in simili esercizj posersi in opera , non mai con greca voce nomaronsi me- lodrammi. Né anche simil nome portarono le specie drammati- che posteriormente coltivate alla venula in Roma di Livio Andronico e Quinto Ennio semigreci e di Gneo Nevio campano , benché tutti ne adoprarono gli elementi. Melo- drammi neppur chiamaronsi le favole comiche più recenti, pretestate o togate che fossero. Ben per le favole Liviane ed Enniane rinacquero entro le Alpi tragedie, commedie , favole mimiche e rintoniche , nelle quah in modi diversi umronsi musica, poesia, danza ed apparato. Ora a questa (i) Valerio Massimo. (2) Orazio. 22 SIGKORELLl seconda opera della Romana collina , come possiamo chia- marla , ben potè colle favole greche adattarsene ancor la musica. Non è inverisimile che a' tempi di Augusto il car- me secolare , composto per di lui cenno da Orazio, si can- tasse con musica greca. Ma ignoro da qual documento trat- to se r abbia il lodato Eximeno che Y asserisce senza esi- tare. Ciò che può con più verisimiglianza affermarsi, è che ne'Teatri Romani colle nominate favole potè introdursi an- che la musica de' Greci. E Greca musica in seguito con- tenne ciò che ne' prati al di là del Tevere i Romani can-^ tar solcano nelle feste di Anna Perenna che apprendevano ne' teatri (i) : lìlic et cantant quidquid didicere theatris j Et jactant faciles ad sua verha manus. Di fatti dicendo Donato nel Frammento che ne abbia^ no delle commedie e tragedie (2) , che le commedie re- citavansi coli' accompagnamento di tibie uguali e disuguali, e destre e sinistre , e che le destre si chiamarono Lìdie per la gravità , e le sinistre Serrane per la leggerezza del loro tuono acuto , non pare dubbioso che i Greci modi a- vessero allora acquistata la cittadinanza Romana. Che se troviamo ne' codici conservati delle commedie Terenziane che il Romano Fiacco figliuolo di Claudio vi fece la musica , ciò comprova che già i Romani componevano (i) Si vegga Ovidio nel III soro delle Greche antichità ài de' Fasti. Giacomo Gronovio impresso in Ve- (2) Nel tomo Vili del Te- nezia nel 1735. SISTEMA MELODRAMMATICO 23 ne' lealii di Roma al greco gusto. E che sìniil gusto ispi- rasse ne' Romani l'ambizione di migliorar le invenzioni ri- cevtite , appare manifestamente dalla cura che ebbero di accrescere le voci nelle antiche corde ed i tuoni nelle tibie prima formate con pochissimi fori, onde poterono emular le trombe (i). Prova altresì l'introduzione della musica nelle commedie il nome di Cantar, che si diede alla Ca- terva istrionica , che nel finir del dramma congedava gli spet- tatori secondo V istesso Orazio : Tu quid ego et populus mecum desideret , audi , Si plausoris eges aulae manentis , et usque Sessuri , donec cantar , vos PLAVDITE , dicat. Quanto alle tragedie , svolgendosene le poche conser- vate , si troverà nella Medea un epitalamio cantato per le nozze di Giasone e Creusa , neìV Edipo auspicj ed e- vocazioni di ombre , per tutto macchine e decorazioni ne- gli scioglimenti , apparati nuziali, ingressi solenni, tutti or<- namenti convenienti a' melodrammi. Tutte poi hanno Co- ri cantati e ballati; e nelle favole che portano il nome di (i) Orazio: • f or amine pauco Sic enim fidibus voces crevere Aspirare et adesse, choris erat sonoris, utilis. . . Et tulit eloquiuin insolUum fa- . . . Postquam coepit agros ex- cundia praeceps. tendere Victor, Tìbia non ut nane orichalco Accessit numerisque modisque juncta , tubaeque Ucentia major. Mmula , sed tennis simpfexque 34 SlGNORELLI Seneca i Cori sono sì ben collocati , che 11 dotto graiwa- tico Bartolomeo Riccio per tal proprietà ed eccellenza li reputava a' Cori de' Greci stessi superiori. Nulla dico della saltazione che si ammirava nelle imitazioni mimiche e pantomimiche. Basti accennare ciò che ne cantò Maniho parlando di un eccellente pantomimo : Omnis foriunae vuUum per TJiembra reducet , cogetque videre Praeseniem Trojam^ Priamumque ante ora cadentejtij Quodque aget , id credas , stupefactus imagine veri. Di passaggio vi ricordo ancor le compagnie o colle- gi liberi de' IVIimi mentovati nell' iscrizione lapidaria fatta per Lucio Acilio archimimo della Tribù Pontina, che fio- ri a' tempi di Marco Aurelio , e dalla città di Boville onora- to venne del decurionato (i). In tali conservatorj si ag- gregavano coloi'o che dedicavansi alla scena per apprende- re a rappresentare , saltare ed esprimere con gesti , segni, posizioni e con acconcia pronunziazione , i quali venivano chiamati Adlecti Scenae. Non sono queste appunto le parti che costituiscono il Melodramma? Adunque n'ebbe- ro i Latini al pari de' Greci 1' effetto senza indicarlo col nome. (i) Si può Icggert: presso il Gmtero pag. loSg. , n, 6. SISTEMA MEtóDRiXMATlCO 25 V. Ma questo nome quando s' introdusse nella poesia drammatica ? Bisogna che veggansi prima correre le pro- vincie del Romano Impero precipitose dalla coltura alla barbarie , sparir le arti cacciate in bando dalla desidia , dall' ignoranza e dalla corruzione , spuntar dalle reliquie della Romana eloquenza novelli parlari corrotti , per varj climi in fogge diverse abbigliati , vederne prima scappar fuori i semi e scintillar qua e là le faville ^ se vogliamo farci strada nelle novelle lingue a rintracciare il Melodramma. Se dividiamo i componenti dal composto , dal tutto le parti , nella tenebrosa mezzana età ritroveremo una scon- ciatura musico-poetica , che dopo alcuni secoli ci condur- rà al melodramma. Ma potremo a diritta ragione decorar di tal nome le feste clericali e monastiche dette dell' ^^z- 7IO , del Bue ^ àe^' Innocenti , perchè si celebravano eoa certo frastuono musicale chiamato canto , certa incondita e sconnessa imitazione , una mascherata fantastica , una sal- tazione goffa e pesante alla maniera de'kamtscadali senza oggetto e senza altra norma che del capriccio, della gros- solanità e di una buffoneria insipida ? Melodrammi chia- meremo , perchè vi si cantava , il Ludus Imperaioris , et Papiensium , et Rheginensium , et Patriarchae cele- bralo in Piacenza (i) , e V altro detto Ludus Paschalis (i) Muratori Rer. Jtal. Script, t. XV. T. ir. 4 26 SIGNORKLLI de adventu et interitu Antichristi .} ovvero i monologhi e dialoghi cantati dal provenzale Anselmo Taidits con la moglie per la Provenza e per V Italia (i) ? Chiameremo melodrammi per la stessa ragione le feste drammatiche del- la Passione della Compagnia del Gonfalone istituita in Ro- ma nel 1 264 j e non già intorno alla luce del Cinque- cento , siccome fra gli altri precipitati suoi giudizj asserì il sempre inesatto exgesuita spagnuolo Stefano Arteaga (2), prendendo un granchio di circa trecento anni. Son da dir- si melodrammi le rappresentazioni che si recitavano eoa qualche pezzo musicale che interrompeva il rimanente , nelle fiere, per unirvi e trattenervi il concorso , dalle qua- li i cherici le fecero passare in chiesa , dando loro titoli di Vangeli , Misteri , Vite di Santi ? Col principio adottato dal dottissimo Cav. Planelli nel- r eccellente trattato delV opera i/i m^i5^ca , che qualunque poesia facesse uso della musica , della meccanica e del bal- lo dovesse passar per melodramma , egli ebbe per tali le tragedie di Albertin Mussato da Padova appartenenti all'ap- parir del secolo XIV. Si fondò sulle parole dello stesso autore che scrisse essersi esse pronunciate cantilenarum modulatione ^ con certa cantilena usata a que' di (3). Or - (1) Si legga la poco esatta cale Italiano. storia de' Poeti Provenzali del No- (3) Solere... amplissima Re- stradamus. gum ducumque gesta. . ■ . va- (2) Diasi un' occhiata alle di riis linguis. . . in vulgares trn- lui Rivoluzioni sul Teatro musi- duci sermones , et in thealris \ SISTEMA MELODRAMMATICO 27 questo ( e mei perdoni l'amistà che a lui mi stringeva ) a me non sembra né sufficiente documento nò ben dedotto. Perchè (potrebbe opporsi) se nel Bosco Parrasio o altrove re- citasse taluno sonetti, canzoni, ballale, cantilenarum modu- latìone, con quella cantilena che usar sogliono i seguaci di Apollo , le chiameremo opere in musica ? E se mi si op- ponesse che in tali lirici componimenti di rado o non mai trovasi dialogo ed azione propria del teatro , io allora re- plicherei, che dialogo ed azione e certe cantilene di tem- po in tempo ebbero le di vote rappresentazioni del vesco- vo fiorentino Giuhano Dati morto nel i44^? ^ pure niu- no si avvisò di tenerle per melodrammi. Forse i Giuochi di Carnevale di Alemagna che per relazione de' naziona- li andavano recitandosi per le piazze e per le case con qualche cantilena , rassomigliarono o si credette che ras- somigliassero a' melodrammi ? Con tutto il titolo di Ca?i- to Reale ì Parigini stimarono mal opere in musica i Mi- Steri recitati da' fratelli della Passione sin dal i38o? Cer- to dalle relazioni che se ne scrissero, e da quello che ne raccontò il riputato Sig. di Fontenelle , né quegli attori uè quegli altri che lor succedettero , pregiaronsi di saper rappresentare in musica. Le mascherate , le cantilene e i versi degli Amanti e degli Haravec , ossiano filosofi e poeti Americani recitati al Sole nella festa Raimi : i versi canta- ci pulpitis cantilenarum moda- tomo X degli Scrittori del medi* lattone proferri. Nel di lui libro evo del Muratori. IX de Gestìs Italicis presso il 28 SIGNORELLI ti ne* tornei : quelli de' Mori ne' loro giuochi di canne ; quelli degli Spagnuoli nelle loro conlradanze a cavallo en las Parejas , o la musica de' loro dansantes accompagna- ti de los gigantones y de la tarasca nella processione del Corpus domini \ tutto ciò si chiamò mai sobriamen- te melodramma a cagione della musica , della danza e del- la decorazione ? E quando sulle tracce di Virgilio che dis- se Arma virumque cano , incomincia Ariosto ad intuonare Le donne , i cavalier , V arme e gli amori , Le cortesie , le audaci imprese io canto , ed il gran Torquato : Canto V armi pietose e il Capitano^ per la cantilena con cui sogliono recitarsi gli epici poemi sulle orme de' Greci Rapsodi e de' Latini Enniani , dire- mo che si accingono a recitare un' opera in musica ? Voi ben vedete , rispettabili amici e colleghi , che a non volere stringere un'ombra per Giunone, converrà che ìq simili prodotti poetici recitali con balli e decorazioni e cantilene , o anche con canto vero ma interrotto dalla sem- plice declamazione ad arbitrio e senza legge , altro ragio- nevolmente non può riconoscersi se non se un cumulo di puri semi per lo più mal accozzati , da' quali più tardi ger- mogliò la magnifica pianta dell' opera in musica. Ma af- finchè simili equivoci si evitino , fa uopo convenire in un punto fisso che distingua il melodramma da ogni altra pro- duzione drammatica. Occupiamcene nella Sezione seguente. SISTEMA MELODRAMMATICO 29 SEZIONE SECONDA. /, Qual distintivo essenziale caratterizza il melodranif ma? II. Quali conseguenze produce siffatta necessa- ria condizione ? III. Sì distingue il melodramma per altro che pel canto continuato ? If^. Che cosa è per noi sistema melodrammatico ? I. Qual distintivo essenziale caratterizza il melodram- ma? Io son di avviso che col diffinirlo a aorma della Ra- gion Poetica sparir debba qualunque falsa apparenza. Di- ciamo dunque : Essere il melodramma un' azione sce- nica compiuta , tutta e sempre animata da una musi- ca, or parlante , or cantabile , dalla pr'iìna all'ultima pa- rola , esposta con decorazioni e halli opportunamente introdotte , ad oggetto di parlare a' sensi ed al cuore. Quando diciamo azione compiuta , ben si compren- de che esser debba di giusta estensione , quali si vollero i drammi greci (1) , perchè abbia spazio da cominciare , progredire e terminare. Dicendosi che concorrono a ren- derla magnifica decorazioni e balli , si addita che tender debbe ad appagare e trattenere giocondamente i sensi. Ma quale è la parte che più direttamente parlar debbe al cuo- (i) Aristotele l' ayYCrte nel cap. 6. della Poetica, 3o SIGNORELU re ? La poesia , quel linguaggio divino che alla musica con- giunto assicura l'effetto della sua magia. E perchè mai s'in- culca che la musica dal principio al fine V accompagni senza interruzione ? E capricciosa o necessaria questa con- dizione ? A pensar con fondamento e. regolarità essa sem- brami indispensabile. Ogni arte nell' imitar la natura sceglie un mezzo a se proprio per conseguir si bel fine. La pittura adopra i co- lori per ritrarla in una superficie : la scoltura la ricaccia ne' solidi , non alterandone la tinta nativa : la danza am- maestra e regola i passi , perchè obbedendo alla quantità che ad essi s' industria d' ispirare , secondino l' agilità e la grazia necessaria al leggiadro portamento del corpo : la mu- sica per la durata e qualità de' tuoni tutto imita armonica- mente ed appassiona : la poesia rendendo a' suoi voli le arti e le immagini delle cose obbedienti , le ritrae colle pa- role soggettate al metro. Che mostruosità sarebbe stata che gì' illustri artisti Davide ed Errante formata avessero , V uno in Parigi la tavola delle Sabine , 1' altro in Milano quel- la delle Feste Caliste^ parte scolpita e parte colorita? Che Canova e San-Marlino scolpissero per metà e per metà dipin- gessero genere ed Adone ed il Cristo velato ? Che la mirabile Delcaro , o la Gardel o la Taglioni in qualche a solo per un pajo dì dozzine di battute danzassero e per altrettan- te o nominassero o scrivessero i passi riserbati ad indicar- si co' piedi? Che gli esimj maestri Paisiello o Palma o Hay- den distendessero con note armoniose il piano di una sm- fonia , e n' esprimessero 1' allegro per gesti pantomimici ? SISTEMA MELODRAMMATICO 3l Che Luca Antonio Pagnini o Vincenzo Monti o Angelo Ricci verseggiassero una parie di un idllio ed un' altra ne det- tassero in prosa o la segnassero con note musicali ? L' ar- te adunque che non si vale con costanza de' proprj mez- zi , degenera vergognosamente e distrugge se stessa. E se ciò è vero , non sembrerebbe mostruosa del pa- ri un' opera in musica per metà cantata e per metà re- citata senza canto, cioè che la musica in un luogo si unis- se alla poesia , ed in un altro si tacesse ? Simile sciope- raggine non sarebbe diversa da un dramma Cinese , in cui si parla e si canta alternativamente a seconda che dall' a- raore o dall'estro musico venga l'autor rapito. Che sei facciano pure nelle loro zarzuelas e Jbllas in poeti Spa- gnuoli , e ne' loro vaudevilles e nelle operas comigues i Francesi. Ciascuno può dare titolo di gusto alla propria bizzarria. Ma che alcuni Italiani di ultima data sien cadu- ti in slmil fanciullaggine è la più madornale delle stranez- ze. Se essi avessero compreso il raro pregio del buon sen- no regolatore della poesia scenica, si sarebbero attenuti co'no- -strl vecchi scrittori a' grandi modelli Greci e Latini. Sov- venendosi de' nostri compatriotti inventori del melodram- ma , arrossirebbero al vedersi sì lontani da ciò che formò la gloria di simil genere , dalla felice invenzione del Pari di animar col canto i recitativi. Si accorgeranno allora della dilficoltà di cadere in tuono per accordar la voce naturale senza canto delle ultime parole del recitativo coU'intonazione artificiale del canto dell'aria. E quando per se stessi veder non potessero tutta la ridicolezza della novella stravaganza Oli SIGNORELLI idottata, ascohiiio almeno coloro che sanno ragionare , oltre delle Alpi. Leggano nell'Enciclopedia, che è pure produzio- ne oltramontana, che parlare e cantare alternativamente , è far succedere W. falso alvero^ e poi tornare alfal&o. E forse costoro che non conoscono giudizio alcuno che provenga dal proprio fondo , contenti di pensare sur parole^ tornando in se stessi , nelle opere musicali presa una volta per com- pagna della poesia l' arte incantatrice della musica fonte perenne di dolcezze e di grazie conosciuto e scoperto mer-^ ce degl' ingegni creatori della Grecia , vi si atterranno al- la fine costantemente j sotto pena di rompere sconciamen- te a loro danno e scorno il grato sapore , l' incanto , T esta- si dell'illusione che rapisce e trasporta dovuncjue gli ascol- tatori. Non pertanto per prevenire qualche dubbio che in- sorger potesse , vuoisi avvertire che gli uomini , i quali nel trattar le proprie faccende parlano senza misurar le sillabe, in teatro ascoltano senza meravigharsene gli attori che parlano in versi né mostrano di accorgersene, per certa tacita convenzione passata tra loro ( a quel che da gran tempo ne pensai e ne scrissi (i) ) per la quale conside- rano i versi come naturai favella del luogo dell' azione. Or che può muoverci a mischiar favella e poesia ? Senza dubbio neir opera in musica per la stessa convenzione tea- (i) Può vedersene la Storia, anche il discorso sul Saggio a- critica de' Teatri nel tom.. III. pologetico del Lampillas , che pub- dalia pag. 3oi. sino al fine ; ed blicai nel 1782. SISTEMA MELODRAMMATICO 33 irale il canto si considera come semplice linguaggio , e si ascolta senza stupore che gli eroi si adirino , preghino , sospirino cantando. Ma se in essa or si parlasse come si fa nella propria casa , or si cantasse , questa incostanza, questa scempiaggine, fomentata dagl'idioti, distruggerebbe la convenzione , e renderebbe incredibile ed amfibio il componiraento. II. E quali conseguenze produce siffatta necessaria convenzione di un canto non inierroito ? Ecco quelle che io ne deduco j vedrete voi s' io al vero mi apponga. In prima , secondochè accennammo, tutte le feste sa- cre e profane de' bassi tempi , nelle quali la poesia si con- giunga alla musica, ed obblighi 1' attore a saltare e cantare per intervalli , e la discacci nel rimanente, dissipando con r interrompimento l' illusione , non mai si classificheranno tra' melodrammi. 2. La festa del 1489 data dal tortonese Bergonzo Botta nelle nozze d' Isabella di Aragona con Gio. Ga- leazzo Sforza di Milano , ricevendo gì' illustri sposi in sua casa, sorprese l' Europa per la magnificenza , campeggian- dovi fastosamente la poesia , la musica, la danza e la mec- canica. Ma gli autori della prelodata Enciclopedia nell'ar- ticolo Danse credettero potervi raffigurare l'origine delle opere in musica 5 ed il Cav. Antonio Planelli da essi non per altro discordò se non perchè non parvegli questa fe- T. IV. 5 34 SIGNORELLI Sta il primo spettacolo musico-poetico. Dalla descrizione di essa però risulta che le arti imitative, che vi si ammi- rarono , lungi dal formarne un solo spettacolo, presenta- rono agli astanti un grato complesso di varj esercizj sen- za altra connessione che quella di contribuire alla gioja comune colla varietà j e se la poesia in alcuna parte si tro- vò dalla musica animata, fu in qualche passo cantabile o solo o concertato senza costituire colle altre arti un tutto da chiamarsi uno. La festa dunque del Botta fu un trat- tenimento moltiforme di più arti concorse a festeggiar con profusione di splendidezza la presenza di quella coppia rea- le. E forse non ne abbiamo noi domestici esempj e recenti ? Or chiamereste voi opere in musica siffatte feste, le quali se si confrontino con quella di Bei'gonzo Botta , si vedrà che esse tanto rassomigliano fra loro , quanto dal melodramma si allontanano ? Chi ne fosse curioso , potrà leggerne il racconto nel- le storie del Corio. È vero che più volte di tal festa a' no- stri giorni si è favellato, ma per lo più con errori. Imperoc- ché ( oltre del giudizio non ben fondato degli enciclopedisti e del Planelli ) il Bettinelli mostrò di non saperne fissar r epoca, dicendo che si diede dopo del 1480, e l' Arteaga la credette celebrata verso la fine del 1400, cioè ottan- nove anni prima (t). (i) Chi volesse discolparlo trocento. Ma la sua espressione di SI grande anacronismo, polreb- verso la fine del liflQ significa be dire die egli avesse voluto in- versola fine dell'anno i4oo , e tendere verso la fine del quat- non già del secolo XV. SISTEMA MELODRAMMATICO 35 3. Non inai i componimenti Napoletani cìcir insi- gne nostro Giacomo Sannazzaro detti Gliuommere chia- maronsi sobriamente monumento antico della comm-edia huffa rìmata messa in musica , siccome con ridevole ca- priccio volle avventurare nell' opuscolo del dialetto Napo- letano il nostro amico monsignore Ferdinando Galiani, se pure ne sia stato egli 1' autore. 4* conseguenza. Con uguale arbitraria asserzione il Volpi, e l'Annotatore alla fz^a del Sannazzaro, e lo stes- se autore del dialetto Napoletano , ed Antonio Planelli, lutti gettarono giù senza pensarvi gran fatto , che V altro componimento del Sannazzaro composto nella Corte di Na- poli l'anno 1492 per la j^resa di Granata, fosse melo- dramma e farsa in musica. A troppo chiare note si tro- vò notato nel manoscritto (che Matteo Egizio ottenne dal Duca di Flumari e si stampò) che non ebbevi né suono né canto per centottantatre versi de' dugentoquarantotto che nel componimento se ne contano. Anzi si avvertì che i personaggi introdotti parlavano , non cantavano. La sola Letizia nel suo monologo di sessantacinque versi can- tò (come vi si scrisse) un aria , la quale però né an- che vi s' impresse , accompagnandosi ella stessa colla vio- la , mentre tre altre sue compagne sonavano la rebecca , il flauto e la cornamusa. Adunque de* 1148 versi del poe- ta non se ne cantò neppure uno. Or come la dichiararo- no farsa in musica ? Aggiungasi che il ballo si eseguì dagli astanti (non dagli attori), tra' quali trovossi il pria- 36 SIGNORELLI ti|>e di Capila mascherato da pazzo (i). Ora un ballo de- gli spettatori e 248 versi non cantati a verun patto saran- no a giusta ragione un componimento da registrarsi traile opere ia musica ? Conseguenza 5. Meno lontana dalle opere fu la pa- storale tragica di Angelo Poliziano intitolata V Orfeo, per- chè vi s' introdussero decorazioni e macchine sorpren- denti. Ma |>erchè non vi si mentovano balli, né altra mu- sica venne in soccorso della poesia ad eccezione di quel- la de' Cori e di alcuno squarcio delle scene di Orfeo che ne suppone il canto , così non può in conto veruno ram- mentarsi tra' melodrammi. 6. Tutte le pastorali (invenzione pretta Italiana, come sapete, ignota a' Greci, a' Latini , ed anche agli Ol- tramontani prima dell' Egle , dell' Aminta e del Sacrifi- cio ) le quali altro non ebbero che i Cori destinati a can- tarsi, sono senza dubbio escluse ancora dalle opere in musica. 7. Tutte le tragedie cominciando dalle già riferite del Mussato differiscono dal melodramma , non bastando per dichiararle tali né il canto de' Cori né la cantilena o declamazione degli altri versi. Né dalla classe delle trage- die vuoisi escludere quel dramma che Giovanni Solpizio da Veroli sotto il pontificato d' Innocenzo Vili fé rappre- (i) Può vedersi ciò che ne della Coltura delle Sicilie. dissi nel tom. Ili delle vicende SISTEMA MELODRAMMATICO. 3"] sentare la i)rinia volta iu Roma (i). Pietro Bayle, citan- do il Menesli'ier , afiermò che quella tragedia si cantò co- me un' opera musicale di oggidì j e ne convenne anche il Planelli fondandosi sulle parole del Sulpizio, tragoediam qaam nos agere et cantare primi hoc aevo docidmus. Egli si valse dell' espressione di Orazio , Quae canerent agerentque peruncti fecibus ora. Ma che debba intendersi per cantare non bene appari- sce (2). Certo è che Sulpizio tenne in Roma scuola di belle lettere e non di musica. Or come potremo dire che fosse un canto effettivo che la poesia di quel dramma ac- compagnasse , come pretesero su di un barlume asserire Meneslrier, Bayle e Planelli ? Egli al più potè insegnare a declamarlo , ad esempio del nostro Pomponio Leto che lo precede colle commedie latine , non già a cantarla alla maniera delle opere in musica moderne. 8, conseguenza. 11 dramma sacro del magnifico Lo- renzo de' Medici San Giovanni e Paolo a torto dal me- desimo Planelli si contò traile opere in musica , giacché se ne recitò con musica soltanto qualche squarcio. Ciò si comprova colla citazione stessa addotta dal Planelli , ia cui inculcandosi il silenzio si dice : (i) Se ne ha la notizia dal- (2) Sulle citate parole del la di lui dedicatoria , diretta al Sulpizio parlammo nel tom. Ili cardinal Riario, delle di lui Note della storia crìtica de teatri. sopra Vitnivio. 38 SIGNORELLI Sènza, tumulto sian le genti chete , Massimamente poi quanto si canta. Adunque tutto si recitava semplicemente e solo al- cuna volta si cantava. Ma in simil guisa in più secoli si sono rappresentate tragedie , pastorali, ed anche comme- die iu prosa , come quelle degl' Intronati di Siena, e nin- na ha mai avuto luogo ne' melodrammi. Conchiudiamo adunque che se melodramma è quel- lo , in cui la musica è sempre congiunta alla poesia , si escluderanno dalla classe che ad esso conviene, anche i dram- mi della Guidiccioni con qualunque altro , nel quale tal- volta ma non sempre si canta e si suoni j ed in essa clas- se si ammetteranno soltanto i drammi rappresentati verso gli ultimi tre anni del secolo XVI , ne' quali lavorarono Orazio Vecchi ed Ottavio Rinuccini poeti , e Giacomo Peri , e Claudio Monteverde compositori musici. Il piacere che dava la musica ne' Cori delle pastorali e tragedie , suggerì fuor di dubbio a siffatti amici delle Muse r idea di un nuovo dramma diverso da' precedenti per certe leggi a se proprie. II pritno a darne un saggio, secondo Lodovico Muratori , fu il modanese Orazio Vec- chi poeta e compositore di musica , il quale nel 1597 fé rappresentar cantando alle maschere lombarde, cioè al Pan- talone , al Dottore , al Brighella , all' Arlecchino , il suo Anfiparnaso , nel quale uni la musica a tutta la poesia senza interruzione , e lo pubblicò per le stampe in Vene- zia corredato di note musicali. SISTEMA MELODRAMMATICO 3q Dall' altra parte Ottavio Rinuccini in quell' anno sles- so produsse la Dafne, e tre anni dopo nel iGooV Euri- dice cantata per le nozze di Maria Medici con Errico IV. La musica di que' drammi si compose da Giacomo Peri, a cui si dee l'invenzione del recifaiiVo dell' opera che pri- ma di lui non si conobbe (i). Claudio Monteverde fece la musica all' Aretusa altro melodramma del Rinuccini. Essi riescirono compiutamente. L' opera in musica si ac- colse con avidità in Italia ed oltramonii, ed il secolo XVII fu r epoca del suo trionfo. Voi , illustri colleghi che ve ne sovvenite, come dota- ti di penetrazione e di gusto , subito correrete col pensie- ro a' molti difetti che accompagnarono i melodrammi di quel secolo , ed alle correzioni che in buona parte se ne fecero nel seguente. Ed anch' io che pur sono a voi di tanto inferiore , non tardai ad avvedermene j e dimorando in Madrid non pago appieno del lavoro dell' Arteaga sul teatro musicale Itahano , mi accinsi a disviluppare il mio sistema melodrammatico. Già ne intendeste altra volta il destino j soffrite la continuazione della mia cicalata nell' ozio presente. Proseguirò con osservare in prima, se altro di- stintivo , come altri ha preteso , sia da ammettersi nel melodramma j aggi ugnerò poscia che cosa io intenda per sistema melodrammatico. (i) Si vegga il iS'rtg'g/o sul- Francesco Al garoHi. r opera in musica del celebre 4o SIGNORELLI III. Si distingue il melodramma per altro che per canto continuato ? Per mio avviso il melodramma eroico o co- mico non si dislingue dalla tragedia o commedia se non per la musica costante che per propria natura richiede dal principio al fine. Imperocché gli altri requisiti di proprie- tà d'imitazione, di unità di disegno e d' interesse, di re- golarità prescritta dal verisimile , ninna differenza essen- ziale relativamente tra loro interpongono da tenerne conto. Tuttavolta il dotto Cav. Planelli asserì nel prelodato suo trattato sin dal 1772 esser 1' opera in musica un dram- ma tragico , e le proprie regole del patetico esser le me- desime che quelle della tragedia , ad eccezione di poche Tnutazioni fatte pel solo dramma musicale. E queste mu- tazioni fé consistere in cinque punti che io riferii in una nota apposta al sesto volume della Storia de Teatri nel- la pagina 278 dell'edizione napoletana in sei volumi, e che all'Arteaga piacque di ripetere come propria osserva- zione nel suo libro. Questi punti sono: unità di luogo, esito tristo o lieto della favola^ carattere del protago- nista , numero di atti , e verso tragico. Sostenni sin dal 1783, e ripeto al presente, che niuno di questi cin- que punti pone una differenza essenziale tra 1' opera eroi- ca e la tragedia. Nel ripetere però questa mia discrepan- za dal sentir dell'eruditissimo autore, non intendo esa- minare , se le tragedie siano da preferirsi o posporsi a' mo- SISTEMA MELODRAMMATICO 4* derni melodrammi. Mi restringo a provare che siffalti pun- ti non rendono quelle da questi differenti. I tragici antichi ( disse il Planelli ) erano severissimi osservatori dell' unità del luogo j i melodrammatici mutano spesso la scena. E però legge o arbitrio la mutazione del- la scena nel melodramma ? Se taluno s' in talentasse di i- dearne uno con scena stabile commetterebbe un errore , cà- derebbe in un delitto ? Si figuri che suU' Olimpo nella reg- gia di Giove si convocasse un Concilio degli Dei o per decidere del destino di un regno , o per celebrare la na- scita di un eroe , le nozze di due germi reali , le vittorie di un conquistatore : quando ciò si rappresentasse con in- teresse , e si eseguisse con isfoggio di decorazioni atto a trattenere con diletto i sensi , sarebbe un difetto disdice- Vble a tal festa il non cambiarsi la scena ? Dall' altra par- te i tragici moderni , quando rappresentano in diversi luo- ghi di una stessa città un'azione coli' adoperarvi una tela dipinta che si abbassi o s' innalzi , fanno altra cosa che mutar la scena ? // Orfano della China , il Maometto , la Zaira , non usano lo stesso espediente per mostrar la parte dell' azione che altrimenti non si mostrerebbe allo spettatore ? Adunque ninna differenza pone tra la tragedia e r opera eroica l'unità o la mutazione del luogo. Quan- to alia pratica degli antichi non può venire in confronto con la nostra, In primo perchè ninna differenza gli erudi- ti osservano traile antiche tragedie ed i melodrammi , giac- ché allora quelle cantavansi interamente come questi oggi si .cantano. E quando ciò fosse tuttavia problematico, trop- T. ir. 6 A'Z SIGNORELLI pa distanza notasi tra' nostri tempi e quelli di Alene e di Roma. Che mai parrebbe in faccia a' più piccioli teatri an- tichi, p. e. a cfuelli di Mitilene , o di Marcello , i quali a gran pena contenevano intorno a ventiduemila persone, U nostro Gran Teatro San-Carlo , o quello di Torino , o di Parma ancora erettovi da'Francesi? Da questa enorme disugua- glianza deriva la necessità che noi abbiamo di cambiar la scena, che gli antichi non aveano. L^ unità del luogo ( se V avessero essi mai predicata ovvero osservata siccome immaginò il Pla- nelìi , benché gli antichi scrittori non V ebbero punto in mente ) non sarebbe stata effetto di rigore e di esalta regolarità , ma conseguenza della vastità de' loro teatri , a' quali talvolta assistettero sino ad ottantamila spettatori. Una scena immensa avea ben ampio campo di render visibili agli spettatori e praticabili agli attori più di un sito, sen- za che una parte di questi potesse avvedersi dell' altra ove l'azione l'esigesse. Ciò senza risalire venti secoli indietro si è dimostrato felicemente eseguibile sotto gli occhi nostri in Napoli dal fu Domenico Barone marchese di Liveri più volte. Ed io osai praticarlo in una scena fissa che imina- ginai a bella posta per la mia Faustina coronata in Par- ma liei concorso del Ij88. SimiH teatri dileguano subito ogni timor panico per gì' inconvenienti che il Planelli sup- poneva che nascer potessero dall' unità del luogo che cre- dette dagli antichi osservata. Ma quando pure siffatti in- convenienti vi si potessero notare , non avrebbero potuto gli antichi agevolmente evitarli colle mutazioni di scena come i moderni^ fanno ? Il dotto Planelli ignorar non pò- SISTEMA MELODRAMMATICO ^Ù teva che la scena greca diveniva secondo il bisogno tra- gica , comica e satirica : che la scena latina fu da' Lu- culli rendala versatile : che agli antichi non mancò Var^ te di cambiarla prontamente ; che Virgilio nel III libro delle Georgiclie cantò, V^el scena ut versis discedat Jrontihus (i) , onde appare che finito un dramma si mutava la scena al- la vista dello spettatore per cominciare un altro. Adunque gli anticlù non ignoravano la guisa di cambiar la scena e r unità del luogo né anche a fronte della tragedia antica distingue il melodramma. Passando al secondo punto , domandiamo : E alla tra- gedia essenziale 1' esito tristo e al melodramma il lieto ? No certo. Il Cresfonte di Euripide senza dubbio di lieto fine pel pubblico bene della Messenia e per la real fami- glia degli Epi lidi, lodato da Aristotele come una delle più eccellenti tragedie e riferito con trasporto dal sobrio filo- sofo Plutarco, ed il Catone in litica del Metastasio di tristo fine , sono forse esclusi il primo dalle tragedie e 1* ul- timo da' melodrammi? Adunque il fine tristo o lieto può convenire ad entrambi senza sconcio , e tra loro non gli distingue. Il carattere del protagonisti ( terzo punto di dif- ferenza secon do il Planelli ) richiesto o consigliato da A- ristotele per ottenerne T effetto tragico , cioè non del tut- (i) L' islesso verso citò il Metastasio nell' eccellente £'i'^^.'z '- Planelli nel bel suo trattato , e to della Poetica di Jrislotele, 44 SIGNORELLT to virtuoso ma con eccezioni, è forse sì proprio della tra- gedia che venga escluso dal melodramma , che al parer del Planelli esser dee sempre perfettamente buono ? Ma un carattere p. e. come l'Adriano mancatore di fede ed incostante, è pienamente vii'tuoso? No certamente , e pu- re figura senza sconcio nell'opera musicale. 1^' Achilìe in Sciro travestito da donzella, insidiatore e seduttore di una principessa reale, ha forse luogo nel melodramma perchè virtuoso al pari di Senocrate ? Semiramide che seppe far- si regina degli Assiri certamente non a forza di probità e virtù , e vi si conservò tenendo imprigionato il figlio , ben- ché condotta dal Metastasio con arte somma , pur si pre- senta soggetta ad una polente passione , e non si dipinge pienamente virtuosa. Figura intanto questo personaggio fa- moso da protagonista nelle tragedie ugualmente che ne' me- lodrammi. Né il numero di ire atti è talmente al melodramma necessario che lo faccia differire dalla tragedia. Non abbiamo forse melodrammi di due parti o atti? h' Atenaide com- piuto melodramma del Metastasio non è, diviso in due at- ti? Ne hanno più di due gli Oratorj ^ e \e Feste teatra- li dello Zeno e del Metastasio e del Ravlzza ? E mentre abbiamo un numero indicibile di opere in musica di tre- aiti , non ne abbiamo varie di quattro ? I melodrammi di Qui- nault e diLuUi non contano cinque atti come le tragedie ? Dal- l'altra parte scevero che la tragedia antica non si divideva in fitti se non col venire avanti al proscenio il Coro per cantare ( essendosi stabilito per canone che V esodo aves- SISTEMA MELODRAMMATICO ^6 se luogo quando ogni canto del Coro era cessato ) non possiamo fondarci nella regola Oraziana da lui stabilita sul- r uso del teatro Romano che gli atti né fossero meno di cinque né gli eccedessero. Io ho qualche volta notato nel- le tragedie greclie ora più ed ora meno di quattro uscite del Coro (i). Che se ci volgiamo alla tragedia moderna , varie se ne troveranno e di tre atti , come il Socrate u- scito in Francia , e V Ecuba di Giacinto Ceruti , e di quat- tro alti come 1' Arminio à' Ippolito Pindemonte. Oltre a ciò si potrebbero per corollario additare diverse tragedie ( non escluse alcune del celebre Vittorio Alfieri ) nelle quali per compiersi il ninnerò di cinque atti si è caduto in ac- cozzarne ora un quarto ora un quinto con pura borra. Ninna differenza dunque mette il numero degli atti tra il melodramma e la tragedia. Resta il verso tragico allegato per q'uinta differenza dal Planelli. La tragedia , egli dice , non ama mesco- ianza di versi , ed il melodramma V amm.ette. Sì be- ne , il melodramma ammette un recitativo di versi di un- dici sillabe e di sette , e molte arie in diversi metri. Ma questa mescolanza stessa il Planelli non ignaro del greco idioma dovea trovar nelle antiche tragedie. Non mescola- (i) Ne adduce qui un solo ro possono essere sei , e coniin- «setnpio dell' Ifigenia in Aulide ciarc il sesto dalle parole «ycTf }^ià notato nella storia de' teatri /jls ovvero dal racconto del nunzio; nel tomo I. pag. 102. Gli alti ed il quinto terminerebbe col canto culla regola delie uscite del Co- t» , ii , tSs'ids. 46 SIGNOREILI rono , è vero , i tragici Greci e Latini i giambici con gli esametri riserbati all'Epopea , ma non si astennero dall' u- sar negli episodj dimelri , trimetri , tetrametri , e questi ora acatalelti ed ora cataletti. Non si veggono più volte ne' personaggi cangiati i giambi in trochei ed anapesti spe- cialmente neir espressioni di dolore ? Il Coro parlante co' personaggi non canta versi della misura generale delle sce- ne? Allorché è cantante non si vale di una misura più cor- ta nelle strofe , antistrofe ed epodi ? E gli attori non can- tano talvolta anch' essi in queste ? Ed esse non rassomi- gliano perfettamente alle arie della nostra opera in musi- ca (i) ? Che se poi si voglia gettare un guardo a' moder- ni tragici Italiani , troveremo , è vero , che in generale si è adoperato il verso sciolto endecasillabo senza mescolan- za veruna , come si vede nel Torrismondo di Torquato, e nella Semiramide del Manfredi j ma lo troveremo an- che spesso usato misto ad arbitrio col settenario come nel- la Sofonisba del Trissino , nell' Aristodemo del Dottori, nel Solimano del Cenarelli, nella Cleopatra del Delfino. Non si trova adunque vera l'asserzione che i tragici non aveano mescolanza verima di versi. . (e) Non adduco i passi stes- vero dare un'occhiata , se non si de' tragici antichi a voi assai al Castelvetro nell' esposizione dei- più che a me noti , per non le- la Poetica di Aiistotele , all' E- diai-vi su ciò di vantaggio. Basta strutto citato dello stesso, fatto dal svolgere per poco qualuiique de' Metastasio. grandi tragiri della Grecia , oy- SISTEMA MELODRAMMATICO 4? Adunque altra caralteiistica non rimane che decisiva- mente distingua il melodramma dalla tragedia , come pro- vammo , se non che il canto in quello continuato dalla pvima parola. Ma è tempo di vedere che cosa sia un si- stema melodrammatico , e quali specie esso comprenda. IV. Che cosa è -per noi sistema melodj'ammatico 1 O- gni arte imitatrice lavora sul vero innestandovi la finzio- ne (i) , e da sì geniale innesto provengono opere di spe- cie diflerenti in un medesimo genere secondo gli oggetti che prendono ad imitare. L' adattale un carattere ragiona- to alle specie che ne risultano , è quello che chiamo si- stema 5 e questo abbisogna di una norma per influire sul- le arti e per agire senza traviare dietro le tracce del bel- lo a cui aspira. Il melodramma è uno de' generi poetici che contiene varie specie alle quali è necessario un sistema. Ma prima di venire ad indicarle, fa mestieri occuparci delinodo con cui la musica e la poesia si congiungono , per rilevar- ne in seguito la parte che ciascuna di queste arti contri- buisce a produrre V effetto che si attende da tutte le spe- cie e dal sistema che le raccoglie e le governa. (i) Orazio l'espresse con un sint proxima veris. veioo Fida voluptatis caussa /j8 SIGNORELLI Mi si domanderà : w La musica si accoppia alla poesia nel )j melodramma per servire o per comandare ? » Domanderò anch' io alla mia volta : m L' attore chiamato a rappresen- M lare in un dramma viene a comandare o a servire al » poeta? j> La musica è appunto un attore rapporto alla poesia. Il poeta inventa l'azione , ne crea i personaggi , ispira loro pensieri , abitudini , sentimenti e passioni atte a conseguire il fine che si prefisse. L' attore è in obbligo di trasformarsi nel personaggio che prende ad imitare , e di prestargli il proprio fiato e tutto se stesso. Il composi- tore musico è invitato a comunicare a quel fiato tal for- za , arte e melodia che le parole esigono , perchè il poe- ta agevolmente ottenga l' intento di commuovere , istruire e dilettare. Di grazia potrebbe l' attore esigere che il poe- ta servisse alla di lui idoneità e alle inflessioni della sua voce ? Potrebbe il compositore musico esigere che il crea- tore del tutto scenico secondasse più 1 voli armonici della parte a lui unita che il bisogno della propria invenzione? Tocca alla musica ad internarsi nello spirito della poetica invenzione per esprimerla con forza, grazia e naturalezza, e non mai pretender si dee che la poesia s'inceppi e sog- getti il proprio estro all'arbitrio della musica. Parrebbe giu- sto che im poeta per comporre un' opera ricorresse al cem- balo di un maestro musico, ne ascoltasse una sonata qua- lunque, ed a seconda che essa indicasse dolore , disdegno, allegrezza , egli gisse snocciolando versi tristi , impetuosi o festevoli , riserbandosi per ultimo lavoro 1' appiccarvi im })iano? Non sarebbe manifesta ridicolezza che nascesse pri- SISTEMA MELODRAMMATTCO 49 Ina r espressione musica , indi la poetica e 1* azione ? Ciò sarebbe appunto costruir V edificio cominciando dal tetto, ovvero adattar V uomo alla veste in vece della veste al- l' uomo. Ora questa appunto è la medesima stravaganza solenne che pretende insinuare chi stabiUsce che la poesia debba alla musica servirle. Voi però , Accademici prestanti , fissando nel mio vi- so gli sguardi , mostrate stupore , perchè io suppongo nel- la musica una pretensione , un orgoglio che né può a vo- stro intendere né dee saltare iu testa a veruno, di dover essa dar legge alla poesia ! Ma no j non sono io che ciò suppongo j bensì dietro ad una caterva di maestri e poco istrutti e poco capaci di esserlo , i quali vorrebbero per proprio commodo che il poeta indovinasse gli angusti li- xnili del loro armonico talento e servisse alla loro pover- tà j dietro , dico , a siffatta turba il prenominato ex gesuita 'Arteaga insinuò e sostenne col soUto suo fasto che la poe- sia esser dehha la schiava della musica (i). Ma que- sto autore che per lo più ebbe in costume di trascrivere gran parte de' materiali del suo libro dal dizionaì'io del- l' Enciclopedia , trasse dall' articolo Poema Lirico ( inte- so in senso francese per musicale ) parimente questa cu- riosa dottrina. Dicesi dunque nel nominato articolo che » il poeta lirico dee sottoporsi al musico, m Ma non è for- tìe il poeta quello che scegUe , dispone ed ordina il raelo- (i) Si regga il tomo II del- sicalQ Italiano. le sue rivoluzioni sul teatro mu- T. IV. 1 5o SIGNORELLf dramma? Non è il poeta che soffia l'anima ne' personag- gi che infanta , dà forma , moto e colori a 'caratteri, e sug- gerisce al compositore musico ed a' cantori la vivacità cor- rispondente alle passioni ? Or qual tiranno può cpmanda- re che l'inventor del tutto nel più interessante , nell'espres- sione , abbandoni il proprio lavoro ad uno straniero che ignora le molle della sua macchina ? Pure è così. 11 mu- sico per proprio commodo vuol dominare e piacere unica- mente in qualità di musico. Non può entrargU in testa ( e ben se ne querelò il filosofo fornito di gusto Francesco Algarotti)che il maggior effetto della musica proviene dal- l' esser^ ministra ed ausiliaria della poesia. L' energia armonica ricever dee la quantità , la verità e la graduazio- ne dall'anima dello spettacolo '.^ e l'anima dello spetta- colo è l'estro sovrumano che regola i voli e gli slanci del poeta. Quando la musica (^òisse egregiamente Pietro Me- tastasio ) aspira nel dramma alle prime parti in con- corso della poesia , distrugge questa e se stessa (i). Mi dirà r autore dell' articolo enciclopedico che il me- lodramma esser dee rapido:, benissimo : che ogni scena dee presentare una situazione ; ancor meglio : che la ne- cessaria celerità verso lo scioglimento non dee essere ar^ restata dallo stile del poeta -^ niente dì più giusto. Ma a tut- to ciò ottenere che può giovare il dominio della musica sulla poesia? Dite sì bene che la poesia non perda il suo (i) Lettera de' i5 di Luglio Londra. 1765 al cav. de Chastellux a I SISTEMA MELODRAMMATICO 5l fine, che vi si conduca per mezzi alti ad interessare, che non tradisca se stessa , dite ciò ed io concorrerò con voi. Dite in oltre die i! poeta abbia cura d'impastar colori tali poetici che eccitino l'entusiasmo del compositore musico ad esprimerli ancor ])iii vivamente con i suoi modi j ag- giugnete che in contemplazione della musica il poeta met- ta in opera lo immagini più sensibili , più vive , le passio- ni più risentite, per fuggire ogni languore;, che abbia per la musica que' riguardi che la naturai semplice pronunzia- zione non esige; ed in tutto ciò saremo perfettamente d'ac- cordo. Ma convenite meco in confessare che altra cosa è l'esortare un poeta a secondare il genio musicale,, ed al- tra il prescrivere che la poesia , fatta per chi sortì sommo ingegno, mente divina e magniloquenza , atta a tutto espri- mere e particolareggiare , esser debba la schiava di una sua ausiliatrice limitata ad imitar genericamente, ed inca- pace senza la parola a manifestare a chi ascolta chi , co- me, quanto, perchè e quando il personaggio imitato ge- ma , o tripudii , o si adiri. Sonata che vuoi tu dirmi ( chiede il filosofo e chiunque ascolti )? Sono le parole quel- le che sole sanno trasportare dal cembalo o dal teatro l'og- getto delle tue espressioni. Tu potente melodia, possiedi una lingua generale , fuor di dubbio , la quale s' intende in ogni clima , la quale alletta il selvaggio ed il barbaro al pari quasi del cullo, la quale scuote sino gli esseri ir- rngionevoli ; ciò è ben vero. Ma la tua hngua generale non j)uo palesare la sorgente e le conseguenze dell'ira di A- chille e della pietà di Enea , se la poesia non me '1 dice. 52 SIGNORELLI Al contrario non ha questa verun bisogno d' interpetre j basta a se stessa per commuovernù , por tutto farmi oom- jirendere , per rapirmi con dolcissimo incanto sotto le mu- ra di Troja , o nella reggia di Cartagine , o nelle sponde latine. Quali presidj non trasser dal grande alunno de'Gre- ci e del Gravina i compositori musici ed i cantori doci- li ? h' Olimpìade , il Tito , il Ciro , V Attilio , il De- mofoonte , il Temistocle , la Zienóbia , si sono rappresen- tati quasi per un secolo intero , e leggonsi per tutto , ed incantano sempre , senza altra musica che la poetica. Cia- scuno de' nominati drammi si espresse in luoglii diversi col- la musica almeno di cinque o sei grandi compositori , e tutti dal più al meno si accolsero con trasporto e diletto. Sapete voi , colleghi , qualche musica che abbia sostenuto un pessimo dramma per lungo tempo ? L' eccellente mu- sica del riputato Paisiello potè far tollerare o ripetere T El- vira di Calzabigi? La musica , almeno non nojosa, dello spa- gnuolo Hita in Madrid potè preservare dalle fischiate so- nore la pessima Briseida di Ramon la Cruz conosciuto co- là col soprannome del poetillo ? Ma Ati ed Armida del Quinaut colla musica del Lulli piacquero , nel secolo se- guente piacquero ancor con nuova musica , leggonsi oggi e piacciono pure senza cantarsi. SISTEMA MELODRAMMATICO 53 SEZIONE TERZA. /. Quali specie comprende il sistema jnelodrammaiico? II. Quale è il piacere che dalla poesia attendono i sensi , e quale il cuore ? ///. Quale è il piacere che dalla musica attendono i sensi , e quale il cuo- re? IV. Quale è il piacere ., che attendono i sensi, e quale il cuore .^ dalla pronunziazione , dalla dan- za e dall' appartato ? I. Quali specie comprende il sistema melodrammati- co? Dagli oggetti che formano 1' occupazione del poeta , ben si deducono le specie diverse de' melodrammi a noi noti. Mirando il poeta lo spettacolo della natura si riem- pie della varietà delle di lei produzioni, e da tutte, facen- done sangue, tira colori per le proprie tele. Allorché al tear- tro egli si addice , studia i suoi simili , e s' ingegna di contraf- farli ne' grandi e ne' minuti avvenimenti , nel contrasto de' co- stumi e ne' trasporti degli appetiti. Tutto ciò egli contem- pla come storia , e le favole stesse dell' antichità Greca , Latina e Barbara , e gli Annali Cinesi e le serie de' re E- giziani che da esse favole non vanno molto lontane , ed i Silfi , i Gnomi e i Vampiri e le Fate e gì' Incantatori Orientali, lutto egli considera come fatti, e tutto accen- de in lui queir ardore o furore od estro che dir si voglia, j4 signorelli che lo trasporta a mandar fuori i suoi cantici da proferir- si sulla scena musicale. Allorché da' semi ovvero elementi riferiti nacquero i prinji melodrammi , le favole preponderarono alle istoriche gesta 5 ed il primo melodramma che si cantò in Italia (u Mitologico. Venne così chiamato dall'uso che si fece del- l' antica mitologia fondata sulle gentili deità create dalla credulità e dal timore. I poeti gareggiarono in accumular- vi quanti esseri allegorici loro suggerirono i vizj , gli affet- ti, le virtù e le potenze superiori personificate. Questo mon- do fantastico li provvide copiosamente di apjjarenze , di macchine e di decorazioni , le quali colla varietà e colla novità sostennero il concorso e moltiplicarono i teatri. Ma la novità disparve ed i teatri cominciarono a rimaner vo- li. È questo il fato riserbato agli spettacoli che tutto di- cono a' sensi e nulla al cuore. Il poeta ne dà la colpa al compositore , questi freme contro del poeta , 1' imprendi- tore maledice entrambi e cangia paese , lo spettatore si rac- coglie in casa sbadigliando. Durando la novità e gli applausi , questo spettacolo passò i monti. In Francia ottenne un titolo sconvenevole al- la scena , e chiamossi Poema Lirico , giacché nulla della lira di Alceo, di Pindaro e di Orazio appartiene al teatro. In Italia non durò molti lustri , perchè ben presto si ri- flettè che una poesia fantastica per sussistere abbisogna del patetico , il quale mal si congiunge co* prodigj senza og- getto che non illudono. Quindi nacque un canone nel si- stema musicale drammatico che sulla scena si amajetta pu- I SISTEMA MELODl'.AMMATICO 55 re il meraviglioso che interessa, ma che si rigetti W mira- coloso insussistente , atto a sbalordire e distrane, e non a commuovere. Questa distinzione , ben coiKisciiita da Aristo- tele e da Orazio par che non si capisse dall' Arteaga e da qualche altro scrittore di ultima data. Or mentre il resto dell' Europa si approfittava dello spettacolo mitologico , in Italia trovato e rifiutato , essa si rivolse ad una specie del suo gusto più degna , e prese ad imitare nel melodramma gli uomini , e non più gli es- seri fantastici personificati. Quindi provenne l' opera in mu- sica Isioriea , opportuna per ogni aspetto a chiamar 1' at- tenzione della gente colta e ad impegnare il cuore. E jier fecondarla si svolsero i fasti di tutte le nazioni , lo vicis- situdini di ogni stato , le gesta degli eroi di entrambi gli emisferi. Questo mondo reale con tutte le grandezze , le usanze, l'eroismo, le virtù, le atrocità, le glorie, le tra- versie, somministrò alimento più sano, più vario, j)iù di- lettevole per natura a trattener l' uomo. I sensi allettali dalla varietà delle naturali bellezze e degli oggetti veraci, e non già procurati da una magica bacchetta, provarono un diletto più sussistente. Il cuore si sentì commosso al- l' analogia de' proprj moli con gì' imitali. La musica non più dovè come prima limitarsi unicamente all' imitazione senza oggetto delle cose sensibili più strepitose, come pro- celle , augelletli , frascheggiar di alberi , mormorar del tuo- no. Essa trovò novello nutrimento pe'suoi modi nelle di- licale agitazioni del cuore, nel patetico che ciascuno in se xiseate , nella melodia della natura che stimola l'arie a ras- 5 ti «GKORELLI somigliarle e ad accrescerla coli' armonia. Salvi, Lemene, Capece , Martelli fornirono gì' Italici teatri ili melodram- mi istorici tanto più dilettevoli quanto più alla realità vicini. Ciò che in questa specie di melodramma isterico eroi- co trovò r opposizione del gusto , e cominciò a riescir po- co grato , fu r osservare Interrotta di tratto in tratto la gravità dell'argomento da una coppia di buffoni che nel tragico mescolavano il ridicolo. Tutti i poeti scenici sino a' primi lustri del secolo XVHI vi caddero. Silvio Stampi- glia stesso pagò più volte II tributo a simile deficienza di gusto. La Didone ahhandonata del Metastasio rappre- sentata nel nostro teatro di San Bartolomeo , la prima vol- ta sì stampò in Napoli nel 1724 con gì' intermezzi buffi di Nibbio Impresario e Dorina. Vi fu chi credè l' Istesso Metastasio autor di questi 5 vi fu chi nella mia fanciullez- za me ne fece dubitare. Per buona ventura del melodram- ma eroico Apostolo Zeno sommo letterato mostrò col suo esemplo l'Incoerenza di tal mescolanza j e l' Italia bandì dal- l'eroico Il buffonesco, e per tramezzi §1 valse de' balU tal- volta analoghi all'azione del dramma. La Francia nel suo teatro Lirico seguitò a tollerare i personaggi buffi nella PoTnona del Parrlnl ed in altri melodrammi del Quiuaut. Queste parti buffonesche però che si proscrissero dal- l'opera In musica eroica, migliorarono di condizione , non altrimenti che in Grecia avvenne alla parte comica da Te-» spi bandita da' suoi plaustri tragljci. L' esempio del moda* nese Vecchi fu seguito, e l'opera comica prese forza e si stabilì nelle città principali dell' Italia. Le felici note del SISTEMA MELODRAitfMATICO 5? Vinci, del Leo , del Feo , del Sano, del Porpora si uni- rono acconciamente alle comiche invenzioni , ed espresse- jTO con naturalezza ed i'irmònia quel parlante famigliare che nella moderna Europa si stimava iriipossibile di soggettar- si alla 'musica. L'immortale autore dello Stabat Mater , dagli Oltlamonlàni niedesimi acclamato- come il Raffaello del- la musifca, còl grazio'sissimo intermezzo della Serva Padro- na , in cui siilgolannente fra gli altri pezzi di musica si ammira il bel duetto lo conosco a quegli occhietti ^ mo- strò con maestria là guisa di esprimere il favellar famiglia- re con dolce , propria , armonica melodia. I Francesi ne cohobbero subito la bellezza e V accolsero (i). L' istesso vero genio musicale diede in Napoli diverse altre prove di sommo valore nell' opera comica. Lo Frate Nanimo~ rato f commedia in musica del riputato Gennaro Antonio Federico napoletano, animata dalla musica del Pergolese, contiene pezzi musicali eccellenti. Il celebre p. Martini bolognese censurò in lui V aver usato i motivi della strofe JEja Mater fons amoris dello Stabat nell' aria di quel dramma che dice, • ''' ^'" f>'nruip t. Non sì cckella eh' io lassaje , Lo conosco , affritto me , Auto ammore tiene ncore , Mme tradiste ! Ma perchè! Parve al Martini sconvenevole un passo dello Stabat in- un componimento buffo. Cattiva critica pessimamente so- (i) Marmontel Poèti^ue Frfincaise, T. IF. 8 58 SIGNORELLI steuula dal fu Avvocato Saverio Maltei. L' aria indicata non è in verini conto Lufla , bensì tenera , appassipnati^r,- aHettuosa ^ ed è sì bello e proprio quel dilicato concento, jieW^ Stahat ^ come nel melodramma. Errò II Martini , p nel ]5y>rese l' Eximeno prima di noi. Volle il Maltei ag- giungere peso alla di lui critica con addurre una sua ragio- ne , cangiando 1' uomo del Federico in donna. Dice poi così : E cerio che chi vede V aria Non sì cchillo eh' \o lassaje , e Z' Eja Mater fons amorÌ5 , ritrova il serio ed H, hufth espresso quasi conia stessa modulazione ^ qxLan- tiinque il Pergolesi portato assai per iljìehile e malin- conico,, piuttosto, colla promiscuità de' motivi ha infie- volito il buffo che ha rallegrato il serio. Non so dovQ- il traduttor de' salmi fondato si avesse quel curioso giijn dizio. Come mai trovò egli il buffo nell' aria allegata ? Quan- do Ezio dice alla sua Fulvia , Ah tu non sei . . > Per m,e quella che fosti ^ ■. ^\ non dice lo stesso ? E la di lui espression,e è^ buffonesca? Tanto nel Federico quanto nel Metastasio si osserva uri pah letico pensiere di un amante che si crede tradito*, ed il pa- tetico in ogni idioma , in ogni clima , non è stato mai buffo. Un passo della pietosa strofa di un s^cro inno che espri- me dolore , ha potuto dall' istessp gran compositore appli- carsi egregiamente anche ad un dolore non sacro. Non è meno strana 1' altra asserzione del Mattei., cioè che il Pergoy lesi ha piuttosto infievolito il huffo cherallegjmto il serio. Nò l'uno né l'altro. Non ha rallegrato il selcio colbuf- SISTEMA MELODRAMMATICO 69 /ò , perchè quel patetico motivo non rallegra, ma intene- risce e commuove 5 non ha infievolito il hiiffo col serio^ perchè 1' espressione dell'aria è tutta propria di chi geme, e non è punto buffa. Se la critica del Martini è insussi- stente , il raziocinio del Mattei è ridevole. Passando il secolo alla seconda metà, dopo i mentova- -ti( melodrammi lepidissimi del Federico e del Saddumene, ■si cadde in certo languore per essersi poste in moda le stravaganze , le inezie y, i travestimenti sconnessi. E seb- bene il Ciampi, il Logroscino , il Latilla ed altri stimabi- li maestri vi apposero le loro note, non giovarono a li- berar que' drammi dal precipizio , troppo coli' esperienza essendosi provato che una poesia' felice' può reggere con uria musica anche mediocre 5 ma da una musica eccellen- te ( se tale esservene può alcuna senza la poeslfi ) non sarà mai sostenuto un pessimo dramma. Quindi è che in Na- poli ne' crocchi che un tempo conoscevano il gusto, pre- valse un assioma che le stravaganze inverisimili tutte pul- cinellesche abbandonar si debbono al castello de' fantocci o pupi , e che i teatri , ne' quali si raccogUe un popolo educato debbono presentare le graziose ridicole dipinture de' caratteri comici collocati in combinazioni piacevoli. Col secolo XVIII apparve sul melodramma eroico lu- ce più viva. Tre abili poeti addetti al servizio de' Cesari Austriaci succedendosi graduatamente si superarono , Sil- vio Stampiglia romano, Apostolo Zeno veneziano e Piciro -Trapasso Metastasio anche romano. De' due primi non 0- misi di favellar con onore nell'ultimo tomo dell'edizione 6o SIGNORELLI napoletana della storia critica de' teatri, antichi e moder- ni. Della gloria e de' lavori del terzo da non perir mai , dopo trenta anni che ne fu dalla morte rapito, parla tut- tavia e parlerà la colta Europa. Hasse, Pergolese , Vinci, Leo , Anfossi , Logroscino , Conforto , Jommelli , Back , Traetta , Sacchini , Guglielmi , Piccini , Cimarosa , Zinga- relli , Paisiello ( quai nomi ! ) spiegarono a prova le lo- ro musiche dolcezze su i melodrammi eroici singolarmen- te Metastasiani. I musici cantori più celebri acquistarono per essi quella riputazione che in seguito venderono sì ca- ra. Nicolini , Farinelli , Monticelli , Mànzoh , Caffarelli , Egiziello, Bernacchi , Guadagni, Mazzante, Ferri, Amadorì, Elisi, Aprile , MilHco , fecero dinlenticare colla loro porten- tosa inteUigenza ed abilità la sorgente vergognosa per l'u- manità de' loro musicali prodigj. La Tesi , la Benti Bui- garelli, la Mingotti, la Tauber , la Perazzi , la Banti , la Gabrieli gareggiarono co' prenominati Rufini senza svantag- gio , e li superarono per una espressione più vera j più credibile , più seducente. Il melodramma eroico toccò qua- si l' apice delle glorie musicali nel corso della vita del Me- tastasio. Affrettandosi però il secolo verso il fine surse l' fnvi- dia, nemica naturale del merito e de' felici, a danno della poesia musicale, e ad assaUre nel Metastasio l'ingegno più grande che abbia onorato l' armonico teatro eroico. Conve- nendo al livornese Ranieri Calzabigi partir da Parigi re- cossi a Vienna. Da lodatore che era statò del Cesareo Poe- la da lontano, volle da vicino divenirne emulo. Tentò la SISTEMA MEIlODfiAMMATICO Ct ìiovilà di rimeltere sulle scene di Vienna l' opera milologi- ca col suo Ghidlzio di Paride , coli' Or-Jeo , e coli' Ai- ceste. Gluck fece più che da maestro musico , e nelle due ultime accrebbe la sua rinomanza. Ma la poesia Calzabigia- na mal reggeva a fronte di quella del Zeno e peggio sta- va dappresso alla Metastasiana. Gluck ancora, tuttoché ap- plaudito, non ottenne la pubblica approvazione al suo si- stema musicale , per aver preteso rendere con mal consiglio tutti i recitativi obbligati con gli stromenti, la qual cosa se avesse potuto raccoglier seguaci avrebbe introdotta nel- l'armonia teatrale la più fatai monotonia. Calzabigi cangiò cielo e venne a portare le sue furie ballerino e le sue Z)a- naidi in Napoli , dove coleste spietate assassine Ah' mari- ti , benché armate della musica dell' esperto compositore Millico , non poterono ottenere di uscir dal loro dolio. Per altro sforzo il Livornese melodrammatico si appigliò a com- porre opere in musica isteriche sempre coli' intento di seder più su del Zeno e del Metastasio , ma egli nalifra- gò insieme con Elfrida ed Elvira (i). Il Metastasio ten- ue sereno il suo trono sino al 1782 ad onta del trium- virato di Calzabigi, Bettinelli e Vannetti contro di lui di- speratamente accanilo j ed oggi che quel trono è voto , su di esso in sua vece si venerano le sue opere itamortali co-r me sacro deposito e glorioso trofeo. (i) Le analisi di questi me- della riprmlnzione della storia iDdrajnmi si Icggooo nel X tomo de' teatri nel XIX secolo. U2 SIGNORELLl Ben verso degli ultimi tempi del grande alunno del Gravina i teatri musicali soffersero violenti scosse da ara-> Liziosi di altra natura. I cantori evirati pretesero per ogni banda che tutto alle loro voci e convenienze si sacrificas- se j ed i ballerini di accessorj aspirarono' a divenir princi- pali , accordando appena a' melodrammi T onor di rima- ner per tramezzi de'loro pantomimi. Alle insolenze de' can- tori si ovviava in prima coir accrescimento di cj^ualche cen- tinajo di dobble di più in ogni anno sulla loro paga e di poi con ogni condiscendenza e tolleranza e con piena fa- coltà di cantare arie di bravura ogni volta che se ne in- lalentasserq. Ma come rimaner d'accordo co' ballerini che preselo a protrarre i loro balli per tre ore almeno? Biso- gnò lare in pezzi il dramma , reciderne gambe e braccia , e supprimerne la metà o un terzo per grazia. Conven- nero in fine gì' interessati : che il poeta dovesse cedere sen- za replica ogni ragione : il compositore musico contentar- si di alquanti pezzi concertati: che il dramma si restrin- gesse a due atti con una sola scena col coro per atto ter- zo : che il cantore soprano gorgheggiasse , vocalizzasse e trillasse con piena indipendenza, ma che le due arie per atto di sua parte si riducessero in tutto a due cantabili q di bravura del s.uo particolare zibaldone : che in fine i pan- tominii godessero il primato assoluto dello spettacolo con tutte le decorazioni senza verna limite , dovesse pur fallir- ne per ogni anno un impresario. Senza tralasciar di amniiraf M«4astasio , rimane a far menzione di altre due specie del melodramma eroico. Quan- SISTEMA Mt'LODRAlMMATICO 63 do (jliell* insigne poeta non avesse a se assicurata rinimor- talità con Attilio e Temistocle e 1' Olimpiade e con tut- te le altre sue tragedie musicali sino a RuggicT'o che fu r ultima j quando non avesse spiegata la più scolla erudi- zione e somma perizia del greco idioma nell' Estratto del- la Poetica di Aristotele^ e tutto il gusto e l'iMlelligen- za del latino nella versione poetica dell' Epistola a' Pi- sani, accompagnala da dotte e non ]tcdaulesche noie: quan- do i suoi melodrammi non si fossero per tutto il suo se- colo cento e cento volte ripetuti con musiche dilTerenli , e senza musica ancora recitati ed ammirati , e non se ne fossero vai;] tradotti, e fin anco da un poeta del Brasile presso al Rio Janeiro, oltre di essersene eseguite cento edi- zioni almeno di ogni forma j quando, dico, tutto ciò fosse svanito al par de' sogni , non basterebbero a collo- carlo sul più luminoso seggio del moderno Parnaso musi- cale i suoi OratoT'j sacri e le sue Azioni o feste teatrali? Sono queste le altre due specie melodrammatiche , neiie quali il Melastasio ha trionfato senza rivali. Andogli dap- presso, è vero, Apostolo Zeno con Sisara , Davide , Da- niele, Ezechia. Ma questo magnanimo letterato che gli procurò la successione del suo impiego in Vienna , forse non gli avrebbe conteso il primato, se avesse dovuto de- cidere egli stesso sulla Betulia liberata , sul Giuseppe riconosciuto, suW Isacco , sulla morte di Abel , suWE- lena al Calvario , sulla Passione di Cristo. Ebbe un a- bile imitatore nell* abruzzese Domenico Ravizza autore del Mosè al roveto , e del passaggio del Mar Bosso. Ria chi l'I SICNOBELLI gli è a ukUo almeno vicino ueW y^silo d' Artior^e ^ nella Fe^ licita della Terra ^ mcW Enea nc^M Elisi , nel Palladio consen-aio^ nei Parnaso accusato e difeso^ neW Alcide al hit io , nelle Grazie vendicate? Una passeggiera escursione di qualche an Ab del pas- salo secolo diede luogo ad un' altra specie musicale , ài Monodramma o dir si voglia MonopT'osopoìi , di cui ])e- rò non mi si presenta esempio da proporre a modello o da lammentare 5 perchè le cantate del patrizio veneziano An- tonio Conti Timoteo e Cassandra poste egregiamente in musica dal Marcello , non furono scritte per teatro ma per camera. Il Pigmalione del gran Ginevrino non si cantò, sebbene sull'esempio della melopea greca si declamò eoa l'accompagnamento degli stromenti. Le scene Liriche co- {ì dette con abuso di vocaboli che si tentarono a tre per- sonaggi, nate appena, passarono dalla penna all'obblio. Non valendone la pena , tralascio di parlare di tragi-^ commedie , di comicotragedie , di drammi semisery e eomicoserj e simili sconciature e mostri storici ed erma- froditi di doppia natura, infantati dalla meschinità e ri' gettati dal sistema melodrammatico in ogni tempo. Rimane a dire alcuna cosa delle ultime vicende del- l'opera comica e delle specie che le appartengono. Dopo le indicate favole mostruose che la fecero rimpiattare, nuo- ve produzioni lodevoli se ne videro in Venezia ed in Ro- ma per mezzo del celebre commediografo Carlo Goldoni. 11 suo Filosofo di Campagna posto in musica dal Bura- nelli , e la sua Cecchina colla musica del Piccini , bea «ISTERIA MELODRAMMATICO 65 ci compensarono di qualche sua farsa di poca rlu sci la , co- me il Mondo della Luna. L' autore riputato degli Ani-' mali -parlanti donò all'opera comica due plausibili dram- mi , il Re Teodoro , e l' Antro di Trofonio pieni di sa- le e lepidezze. Pietro Trincherà in Napoli riesci nel patrio dialetto coli' opera intitolata J^ennegna }X)Sta in musica da Domenico Fischetti , e col Finto Cieco con la musi- ca 7 se non m' inganno , del Ciampi. Da un' opera mal ac- cozzata e mal riescila , la Fante furba di Antonio Pai- lomba , posta in musica da Piccola Logroscino , fu inca- ricato un autore anonimo di formarne un'altra con nuovo viluppo, nuova poesia e nuova musica, conservando pe- rò della prima soltanto due belhssimi pezzi di musica del lodato compositore , cioè 1' aria tlella Fante , ed un ter- zetto che la prima volta avea servito di finale di atto. La nuova composizione s' intitolò la Furba burlata , nella quale si tentò in Napoli la prima volta la novi-^ tà de' finali lunghi e con variazioni di tempi , e di me- tri e di motivi a somiglianza di quelli che correvano per la Lombardia. L' eccellente Piccinni si provò ad eseguirli e riesci mirabilmente tanto nel primo, quanto nel secondo. L' opera sì replicò in più mesi per sessanta serate , e di consenso degl' interessati si contò per due delle quat- tro opere di obbligo di tutto l' anno j e nella Pasqua seguen- te si continuò ancora sino all' autunno. Comparvero ap- presso non poche favole stravaganti j ma poco dopo cor minciarono a gustarsi le opere comiche di Gio. Batista Lorenzi morto nel 1807. Esse erano piene di fac,ezie iìp T. IV. 9 k 66 SIGNORELLI levate quasi tutte colla musica del Paisiello nato in Ta- ranto ma domiciliato in Napoli e di scuola napoletana, il Furbo mal accorto , la Sciiffiara , il Socrate Immagi- nario. La Pietra Simpatica che è riuscita felicemente quante volte si è replicata , fu posta egregiamente in mu- sica dal valoroso Silvestro di Palma. La farsa è una delle specie musicali che frequente- mente si vede ne' teatri napoletani. Appartengono al pre- lodato Lorenzi le farse L' Idolo Cinese , il Mondo del- la Luna ( differente da quella del Goldoni ), Tra due litiganti il terzo gode., ed altre vivacemente ancora ani- mate delle note felici dal Cav. Paisiello. Di questo gene- re è lo Scavamento di Giuseppe Palomba , posto anche in musica dal Palma che ebbe un fortunatissimo succes- so. Si applaudi in seguito la scelta del Palomba colla mu- sica del Mosca. Si rapporta all'opera comica uif" altra specie conosciu- ta col nome d' Intermezzo , del quale diede l' esempio pia felice la lodata Serva Padrona di Gio. Batista Pergole- se. Non può esprimersi il diletto che recò in Roma la mu- sica del Sacchini , apposta alla Sandrina. Il trasporto di quel popolo, dotato di fino gusto nelle opere musicah, fu grande. In Napoli riscosse grandi applausi la Taverno- la ahhentorata di Pietro Trincherà colla musica del Ce- cere sonatore pregevole di violino. Più lungamente du- rò la celebrità conseguita dalla Canterina posta in mu- sica dal maestro Niccola Conforto prima che si recasse a ^ladrid , essendosi per più anni ripetuta molte volte. Si I ^ SISTEMA MELODRAMMATICO 67 pensò dopo tante ripetizioni ad apporvìsi una nuova mu- sica del Piccinni più ingegnosa e dotta e piena di armo- nia j ma il pubblico non l' ascoltò in seguito con piacere se non con la musica antica del Conforto, più facile, con cantilena più capace di ritenersi dagli ascoltanti e con e- spressione più conveniente a' caratteri bene imitati della canterina che fa l' innocente appassionata, della di lei fin- ta madre , e del maestro di cappella corrivo , rappresentati con grazia somma e verità dall' egregia Marianna Monti | da Giuseppe Casaccia , e da Antonio Catalano. Questo in- termezzo si compose dall'autore slesso della Furba hW" lata essendo più giovane , il quale scrisse parimente gli Studenti , altro intermezzo fortunato posto in musica dal Piccinni , che bastò a far tollerare un opera infelice , la Commediante di Antonio Palomba che era stata posta in musica dal maestro Sciroli. Sono queste le vicende dell' opera buffa piombata po- scia , specialmente in Napoli , nella più deplorabile stra- nezza sino aile politiche rivoluzioni. L' opera eroica dopo essersi trovata in una pari o più umiliante abbjezione del- la buffa , è precipitata sino a Olimene posta in musica da Giuseppe Farinelli, ad Aristodemo colle note del Pavesi, a Trajano in Dacia colla musica del Nicolini. Il Sistema melodrammatico ragionato ben lungi dal vedere corretti gli splendidi difetti del Metastasio, e can- giati in metodo più tragico, e spogliati dagli amoretti sub- alterni che raffreddano 1' azione principale , e snervano l' unità d' interesse j ben lungi , dico , da questi sospirati 68 SIGNORELLI miglioramenti, si vide in tali congiunture, che si ristrinse a desiderare almeno che si rigettasse nelle riferite specie in generale tutto ciò che nulla significa , tutto ciò che si pre- senta senza interesse , tutto ciò che è incredibile , inutile, insipido, spettacoloso senza l'anima del patetico •, tutte le musiche scritte da' compositori per far pompa d' intelligen- za nel contrapunto, o per contentare i cantori, e non per esprimere la poesia, e per dilettare il pubblico; tutte quel- le che al più dilettano l'orecchio senza persuader la men- te e senza interessare il cuore j tutte quelle che scarseg- giano di canto, ed ostentano canoni e fughe con eccesso. Anche nelle farse fatte per eccitare il riso colle pitture esagerate , allorché cessano d' ingrandire o impicciolire gli oggetti per artificiosa ottica teatrale , allorché in esse ad al- tro non si aspira , se non a piacere al popolaccio , il siste- ma melodrammatico le condanna a non esser considerate che come spettacolo da villaggio o da registrarsi co' giuo- chi di corda , co' salti mortali del Pagliaccio e colle lan- terne magiche. Ma è tempo d' investigare i vantaggi e gli svantaggi che si promettono dagli elementi del melodram- ma i sensi ed il cuore. II. Quale è il piacere che dalla poesia attendono ìsensi, e quale il cuore? Suole oltramon ti adoperarsi \a voce esteti- co, adottata, pure da qualche Italiano, ad indicare l'effetto piacevole che sperano i nostri sensi dalle belle arti. Da ciasca- SISTEMA MELODRAMMATICO 69 na se ne promellono uno che le ò proprio , secondo il mez- zo con cui essa si esprime. La pittura e la danza parlano alla nostra vista , V una con V incauto de' colori , 1' altra con la grazia del corpo e co' passi leggiadramente misura- ti. L" architettura e la scoltura parlano ugualmente alla vi- sta , dando la prima col compasso e con la squadra alle pietre la simmetrica disposizione di un bel corpo , come insinuava Vitruvio , l'altra colle ferite dello scarpello com- municando al legno, o al marmo una morbidezza contro na- tura che dolcemente rappresentando un oggetto inganna e diletta. La musica all'udito favella coli' industriosa combi- nazione e circolazione de tuoni or acuti or gravi or di corta or di lunga durala che rapisce ed allegra. All' udito pur favella l' eloquenza con parole non da altro combinate se non che dal giudizio superbissimo di tal senso e con certo ritmo o numero profferite. La poesia dirige eziandio all'orec- chio le gaje sue mire col mezzo stesso delle parole 5 ma le incatena con tale artificiosa legge , che un musical concento ridonda da' versi che ne risultano , i quali vincono di ef- fettp r istesso infocato numero dell' eloquenza. Nulla è sì agevole quanto il numerare nelle lingue volgari undici sillabe per couchiudere un verso , e nulla v'ha nel tempo stesso di più arduo che il far bei versi per crear poemi quaU Orazio U chiedeva intonando dul- cia sunto , e quali singolarmente a' melodrammi si con- vengono. Se in molti versi continui ci arrestiamo sempre p. e. sulla quinta o sempre sulla settima sillaba , questa cesura uniforme ne getta nella monotonia. Se in ciascuu JO SIGNORELLI verso la vavieremo senza avvertire a darvi certo ritmo, for- mando come un periodo che abbraccia più versi e produ- ce concento , di questo in vece sentiremo nel pronunziarli un'asprezza ingrata. Se nei nostri endecasillabi scorrono con frequenza dattili intempestivi nel mezzo , parrà che si marci a salti balzando o sdrucciolando , perchè essi ci obbligheranno o a spezzar la dizione o a precipitar il ver- so. Se si cade in ciò che i Latini dicevano hiatus , o in un concorso di una stessa consonante , specialmente labia- le , in più parole , o in un rimpinzamento di monosilla- bi» o in frequenti lettere doppie, o in più consonanti ad- dossate ad una sola vocale : con simili difetti di verseg- giatura imiteremo qualche lingua transalpina , e i nostri versi alieni da ogni dolcezza ridurranno in mente a cln ascolta, i versi della Pucelle di Chapelain , o di qualche ' yersìscioltajo italiano. Se termineremo molti versi rimati o non rimati con gì' infinitivi are , ere , ire , o co' par- ticipi passati aio, ufo: se ricorreremo con intemperanza a' verbi ausiliarj , alle fiorentinerie , agli arcaismi , alle pa- role composte alla greca, che Quintiliano derideva, si ca- derà inevitabilmente in uno stile o dilombato o affettato. Tutto ciò ripugna alla bellezza e dolcezza de' versi , e he allontana la melodia necessaria al melodramma , ed in con- seguenza sparisce il piacere che 1' orecchio attende dalla poesia. Vi risparmio, Colleghi illustri, 11 tedio degli esem- pi de* versi nemici della melodia j ma volendone , se ne avranno in copia ne' melodrammi del XVII secolo, quan- do la poesia fu l' ultima cura delle rappresentazioni mu- SISTEMA' MBtOORAMMATICO ^t ' sleali , come altresì in non j>óchi duiissimi versi sciolti del XVIII. Per sentir subito là «bellezza estetica della poesia , lasciando di rammentar gli Ariosli , i Torquati , ì Guari- ni sommi maestri di bei versi, per non uscir dal teatro, basterà sovvenirci' di Temistocle che apostrofa Atene sua pa- tria , di Tito che sottoscrive e poi lacera la sentenza di morte di Sesto ^ di Attilio che si congeda da' Romani per tornare a* ferri di Cartagine 5 basterà ricordarsi di qualun- que aria del poeta Cesareo. Chi non dirà subito: ecco i versi pieni di ritmo , facih , fluidi , musicaU ; ecco la va- ghezza metrica e melodiosa che richiede l' opera in musica^ ecco il piacere che 1' orecchio aspetta dalla poesia ? Crederei però che 1' esletico poetico non consista so- lo nel formarsi versi scorrevoli ed armoniosi. A me pare che i versi possono ricevere accrescimento di dolcezza da certa ornata eloquenza che alla scena non disdice, e che nel presentare le immagini dipigne e particolareggia non seiiza diletto. Versi con simili fiori abbelliti giungono al- l' udito assai più grati , la mente occupandosene partecipa del piacevole effetto^ il cuore slesso non senza gioja vi si ariesla. Dicesi però che simili ornamenti convenienti alla tromba di Omero ed alla hra di Pindaro disconvengano alla tibia teatrale. Non si nega che possano essi alcuna volta nuocere alla vera imitazione scenica, in cui parlano gli uomini stessi , e nor} il poeta che si suppone ispirato. Quante volte però simili ornamenti non sono intcrapesti- vamenle adoperati ;, quante volte non arrestano sconcian>en- te la rapidità dell' azione ; quante volte non contvadicono ^■ì SIGNORELLI lo Stato ed il carattere di colui che se ne vale per meglio dipingere il proprio concetto-^; dà può esigere dal poeta che se ne astenga ? L'eccesso e l' impertiaenza di tali ornamen- ti nel XVII secolo deturparono i melodrammi del IMinati, del Lemene i, del Capece , e non rare volte anche dello Stampiglia. L' usanza , ed il voleri «forse prestar motivi alle imitazioni musicali delle cose sensibili trasse il gran Metastasio a valersi non di rado di similitudini e di alle- gorie troppo particolareggiate per la poesia scenica. L'aria f^o solcando un mar crudele dell' Artaserse , non con- siderata come parte di un dramma , è poetica , e dipinge e particolareggia felicemente e manifesta un ingegno bene esercitato. Ma lo stato di Arbace non dà luogo a riflette- re alla mancanza delle vele e delle sarte , ed all' antite- si del vento che cresce e dell' arte che manca ^ e Vol- taire e d'Alembert non la censurarono senza ragione. L'i- stesso Arbace , dopo il più patetico recitativo tenuto al suo re ed amico che lo fa partite dalla Persia per salvar- gli la vita , conchiude coli' aria L' onda dal mar dwisa, per se stessa bella e felice. Ma né anche qui egli dovea trovarsi nel caso di riflettere che l'onda va prigioniera in fonte , e passaggiera in fiume ; ed il Planelli ammi- ratore per altro del Metastasio con senno la riprende. Non pertanto questi lirici ornamenti né sempre né tutti disconvengono senza eccezione al teatro. Come se ne schivi la frequenza , come il poeta non si perda e si delizj in particolareggiar soverchio sulle immagini , come Ja passione non venga raflfreddata : essi brilleranno tal voi- SISTEMA MELODRAMMATICO 73 ta al pari (11 "la gemma in una bionda chioma di bella donna. Anche nel discorso famigliare fuori del teatro so- gliono adoperarsi senza sconcio nel calor della disputa o dell* affetto o della gioja. Lungi adunque dal disconvenire concorrono non di rado ad esprimere con efficacia l'affet- to senza manifestare il poeta. Noi manifesta certamente Timante che mentre per equivoco crede che il padre gli parU di Dircea , sente poi che dee impalmare uu' altra spo- sa , e così esprime il suo dolore : Sperai vicino il lido , Cj'edei calmato il vento ^ Ma trasportar mi sento Fralle tempeste ancor. Questa simihtudine di circostanze applicata acconcia- mente senza minutezze non può bandirsi dal teatro , e la passione ne viene rilevata. Linceo nelV Ipermestr^a sospet- tando neir amico Plistene tradimento ed ambizione , pun- to nel più vivo del cuore, ne manifesta l'angustia nel vo- lerlo rimproverare e nell' esser dall' amicizia trattenuto , e guardati , gli dice ; Gonfio tu vedi il fiume , Non gli scherzar d' intorno , Forse potrebbe un giorno Fuor de' ripari uscir. Convenevole immagine di un amico irritato , clie nel- r impeto di un fiume arrestato da* ripari addita il proprio risentimento contenuto dall' amicizia , e V avverte del pe- ricolo. JNel Siroe riflettendo Arasse alla leggerezza del bel T. ir. 10 74 SIGNORELLI sesso orna il suo concetto con semplicità naturale che al teatro non disconviene : U onda che mormora Tra sponda e sponda y lì aura che tremola Tra fronda e fronda , E meno istahile Del vostro cor. La scena se ne abbellisce con proprietà. Sofocle ed Euripide ( voi lo sapete ) ne somministrano di belli e- sempj. Potrebbe domandarsi , donde apprender dovrà il gio- vane poeta il segreto di formar versi armonici ed ornati ed alla scena non disdicevoli ? Ben sanno gli ottimi pre- cettori di poetica ragione additare i limpidi fonti onde sgorgano umori sì dolci j e 1' eruditissimo Cavalier PlaaelU se ne occupò utilmente ed a lungo. Io qui dirò solo che sì bel segreto vuol cercarsi ben lontano da quel primo mo- mento consacrato a' primi versi del melodramma. Ed ec- co ciò che ne appresi da un antichissimo maestro. Prima di accingersi a verseggiare un argomento, se ne scelga uno dalla storia e non dalla mitologia , che sia confacente ad ascoltatori educati e tale che da Euripide non si rigetterebbe ; se ne concepisca il piano : si fissino i caratteri e i costumi da imitarsi, le passioni da urtarsi, r oggetto deir interesse , il punto donde 1' azione dee in- cominciare : si guidi sempre crescendo al suo fine : se ne aumenti d' atto in atto il movimento ; sia il primo sorpas- SISTEMA. MELODRAMMATICO 7-» sato d'interesse dall' atto secondo e nel terzo rapido e stre- pitoso scoppi il disvUuppo dell' azione a somiglianza del tuono : se ne tessa in fine l' intera serie d^le scene. Se tutto sarà connesso con unita di disegno j se «^l immaginali fantasmi si affollino per acquistar figura e colore j sarà quel- lo il tempo di prendere la penna , e scrivere il primo ver- so. Allora parrà al poeta di veder realizzati i suoi perso- naggi , ne udirà il dialogo , il primo verso cacciato dalla folla de' suoi compagni correrà sulla carta con istupore del- l'autore' stesso , uscendo tutti spontanei, scorrevoli, can- tabili , suggeriti quasi da una potenza superiore alle cose umane. Fu questo il segreto di cui vi ho fatto motto , il segreto di Menandro : pensar tutto prima di scrivere il ■primo vej'so (i): ne formò Orazio un canone ed un va- ticinio (2): lo praticò felicemente Giovanni Racine. Da que- sto bel segreto proviene 1* estro creatore de' poemi prodot- ti in pochi istanti per l' eternità. Nacquero per tal segreto in quindici giorni una Zaira , in diciotto 1' Achille in S ei- ra , in poco più r Ipermestra. Ma se r estetico della poesia per mezzo dell' udito comunica al cuore la metrica dolcezza , non è questo né r unico né il più importante frutto e diletto che dalla poe- sia si attende. Altra molla più energica bisogna che essa congegni perché il cuore s'interessi nell'azione del melo- (i) Plutarco ed Acrone pres- (2) F^eròaque provisam rem so Lilio Giraldi nel Dialogo VII non invita sequentur. de' Poeti. 7t> SIGNORELLI dramma ^ e questa consiste nel patetico , atto a scuoteriìe la sensibilità. Una gioconda illusione dee faine quasi ob- bliare la finzione , di modo che verisimiii immaginarie di- savventure eccitino un terrore ed una pietà verace, onde come in uno specchio dagli altrui disastri nell' urto delle passioni s'impari a temer per se ed a reprimerne i tra- sporti. Senza questo artificio il cuore non s' interessa e lo spettacolo scenico diventa inutile al piacere ed al miglio- ramento dell' uomo. Non può non partecipare il cuore del piacere che recano all'orecchio, pel commercio che ha co' sensi , i dol- cissimi versi dell' Olimpìade : Se cerca , se dice , L' amico dov' è ^ _..< - L' amico infelice , Rispondi , m,orì , ed il resto. Ma la delicatezza e la fluidità di questi versi , que- sta estetica dolcezza sparisce in faccia al patetico che ac- compagna la situazione di Megacle costretto dall'eroica sua amicizia ad abbandonare a Licida 1' amata nel punto che potrebbe di dritto possederla. Questo punto presenta al- lo spettatore circostanze sì dolorose , sì vere , sì compas- sionevoli, che obbhando la finzione, si agita , si commuo^ ve , si trasporta nelle campagne di Ehde , palpita con Me- gacle , compiange Aristea , e confonde le lagrime di un do- lor vero colle lagrime del piacere che prova nel tempo stesso proporzionato all'illusione che l'incanta. Di grazia v' ha traile belle arti alcuna di quelle che entrano nello SISTEMA MELODRAMMATICO 77 «spettacolo teatrale , che possa garcji^iar colla poesia, e pro- durre cotanto evidente prodigioso efifelto? Potrebbe laluno diffidare, ed indagare, se gli efTetli che gli antichi ottennero colla tragedia, possano dal moderno melodramma sperarsi , tuttoché in tante guise par che es- so contraddica alla verità , ed abbia indebolite le molle pa- tetiche della tragedia. Io mi lusingo di addurne qualche esempio , pel quale ( ad eccezione degli ostacoli proveni- enti dagli artisti , e non dal poema , de' quali sul finire ci occuperemo ) ci accorderemo in convenire che dalla tragedia né anche in siQatto meraviglioso elFetto differisca 1' essenza del melodramma. Atene diverse tragedie ci presenta ammirate non so- lo da quel popolo di gusto dilicato , ma da' suoi filosoll ancora. Alceste , Edipo , Agamennone , Ippolito diedero agli autori le ben meritate tragiche corone. Kiuna però ri- scosse, maggiori encoraj da Aristotele e da Plutarco sa- gacissimi conoscitori , quanto il Ci^esfonte di Euripide. Di fatti qual altro Greco eroe , come questo discendente di Alcide, seppe col patetico de' versi di quel gran tragico agitare col terrore i figU de' Mil/iadi e de' Temostocli, a se- gno di raccapricciarsi e di palpitare, temendo che il vec- chio pastore non giugnesse a tempo a trattenere in alto la scure , che Merope era vicina a far cadere sul figlio che credeva di vendicare ? Questo quadro lagrimevole e terri- bile , in cui figurarono gli attori e gU spettatori ugualmen- te, è uno de' niiracoli della poesia. JN'è il grande effetto si rimase nel recinto della Grecia ed alla sola antichità. ;o SIGNORELLI Se voglia argomentarsi dalle lanle imitazioni felici fattene dentro le Alpi e sulla Senna, questo straordinario effetto ha conservata tutta la sua energia negli animi de' moderni. Non omisero i melodrammi di valersene. Il primo a trasportar tale argomento sulle scene armoniche fu l' insi- gne letterato Apostolo Zeno. Convien però confessare che la sua Merope non fé così ben ravvisare quella regina di Messenia , come si ravvisò poscia nella Mandane del Ci- ro riconosciuto di Pietro Metastasio. Degnate sovvenirvi, o Colleghi , di Ciro sotto il nome di Alceo spinto in un luogo solitario ad esser trucidato per mano di Cambise suo padre dalla propria madre , credendolo uccisore di suo fi- glio. Il poeta con una serie di tragiche scene lacera i cuo- ri ed inumidisce ogni ciglio anche con la sola lettura. Ap- pena Mandane ha udito da Alceo il racconto della morte da lui data ad uno straniero per propria difesa, che sen- te da Arpalice che l'ucciso è suo figlio. Si scaglia allora contro dell' uccisore e coir espressione poetica eccita la mu- sicale nell' aria : Rendimi il figlio mio Ah mi spezza il cor ! Non son più m,adre , oh. Dio ! Non ho più figlio (i). Ode in seguito da Mitridate che V ucciso era un im- postore , e che Alceo è il suo figlio , ed al vederlo corre ad abbracciarlo. Ciro però che ha giurato di non palesar- (i) Impareggiabile è la musica appostavi dal celebre Piccinni. SISTEMA MELODRAMMATICO 79 si , si ritira , promettendo di ritornare. Stupisce Mandane di quel ritegno , ed arrivando Camblse addolorato per la creduta morte del figlio, Mandane gli rivela che l'ucciso si vuole un impostore, e che l'uccisore sia il loro Ciro. Ne gode Cambise , ma all' intendere che 1' uccisore si chia- ma Alceo e che passa per figlio di Mitridate , litorna al suo dolore , ed esclama : O nera frode ! oh scellerati ! oh troppo Credula Principessa. Io stesso , aggiunge , celato mi trovai , dove Astlage impose a Mitridate di uccidere Ciro , ed ei promise di e- seguirlo con Alceo suo figlio , ed appunto Alceo è che ba ucciso il nostro Ciro. Mandane furiosa chiede vendetta, imita Cambise , V invia al fonte di Trivia , e promette di far sì che vi si rechi Alceo j allora ah ! sposo , Non averne pietà , passagli il core Rinfacciagli il delitto , Fa che senta il morir. Ah non più , dice Cambise partendo , mi basta il mio furore. Torna Ciro tutto lieto , avendo ottenuto di potere scoprirsi , Madre mia., cara madre ^ ecco il tuo figlio. Delicato contrasto ! Mandane freme e si trattiene , Ciro impaziente non vede l' ora di abbracciarla. Mandane dice che bisogna andare in luogo meno esposto per dar libertà a'proprj affetti, e l'induce ad attenderla al fonte di Trivia. Cresce 1' interesse dell' azione nel progredire. Mandane continua a frenarsi ali' arrivo di Mitridate che si ijo SIGNORELLI diffonde in espressioni amorose per Ciro e pe' di lui geni- tori. Mandane gli dice che ne sarà ricoinpcnsato , di che Mitridate si offende. Mandane non potendo più dissimula- re , prorompe in ingiurie , e per cominciare a godere della sua vendetta gli rivela che il di^ lui figlio Alceo forse in quel punto sta spirando. Vedi se può sperar : solingo è il loco. Chi l'attende è Camhise. Ah che facesti, grida Mitridate, corri... impedisci... dimmi almeno il luogo. No , risponde , lo saprai , ma non sì presto. Mitridate prega , smania , parte senza consiglio. Mandane si applaude. Arpago arriva cercando di Alceo per mostrarlo al popolo. Non bisogna , dice Mandane , una pubblica vendetta j io slesso ho pensato a vendicarmi. ARP. Contro chi? MAN. Contro V infame Uccisor del mio Ciro. ARP. Intendi Alceo? MAN. Sì. ARP. Guardati , Mandane Di non tentar nulla in suo danno. Alceo E il figlio tuo. Colpo singolare che rende stupida la madre. Ma co- me apprezzarsi appieno da chi ignora tutta V importanza di questo nome , e non si rappresenta tutte le circostan- ze di questo evento? La situazione della Merope greca fu un punto sommamente teatrale, e colpì gli Ateniesi j es- sa però si riproduce nel Ciro in varie scene ed in nuo- vi aspetti. Mandane che pensa al gran tempo trascorso , al furor di Cambise , al luogo solitario , raccapriccia , va- cilla , è presso a svenire. Ah vola , dice ad Arpago , SISTEMA MELODRAMMVTICO 3 I yóla di Trivia al fonte: il figlio mio Salva, difendi: ei forse spira adesso. ARP, Come\ MAN. Ah va, che l'uccide il padre i stesso. Nel monologo ( ben acconcio ad un recitativo con islrunienti per la varietà degli effetti e de' pensieri che a- gitano la madre ) si figura il figlio spirante che le stende le braccia Cambise irritato il gran tempo tra- scorso. . . Povero figlio ! . . . Non volea lasciarmi ! tiran- na ! . . . Ma. . • Arpago potrebbe giugnere in tempo. . . Nel momento di questo Linìpo di speme arriva Cambise fret- toloso con la spada nuda insanguinata. Ahimè ! grida la ma- dre , chi mi soccorre ! Ah stilla ancor del vivo sangue... CAM. Fedi del mio furor... MAN. Fuggi, Togli al materno ciglio. CAM. Questo sangue che vedi... MAN. Oh sangue ! oJi figlio ! Questo colpo pieno di verità apparente, questo equi- voco ben guidato , que' palpiti troppo giusti di una ma- dre trafitta per le stesse insidie tese da tei. contro del fi- glio, qual fremito non avrebbero eccitato nel sensibiL'ssi- mo popolo Ateniese ! Se tanta impressione fece in esso il solo attentato di Merope , quanta non ne avrebbe prodot- to questo incremento jìrogressivo di terrore in più scene colorite dal poeta del Ciro col pennello di Tiziano ? Ec- cellente fu l'azione della Merope nel quadro italiano di Scipione Maffei : gareggia con questa felicemente la fran- T. IV. II 83 SIG^fORELLJ cese del Voltaire; concorse senza svantaggio nella gran liz- za l'altra Merope italiana di Vittorio Alfieri. Ma queste Meropi tragiche non sono se non che bellissime e opie del quadro originale ateniese. Il Ciro melodramma però , se de- riva dal greco Cresfonte , non lo trascrive , raa emulan- dolo lo sorpassa , e non ne presenta T unica mirabile sce- na , ma una serie progressiva di tragiche situazioni. Né bastarono a sbigottire il nostro poeta i molti ceppi mu- sicali , le strane pretensioni de' cantori , i pregiudizj che da quasi un secolo sono prevalsi a rendere nojoso il melo- dramma. Egli seppe superarli e condurre a quel punto di tragica elevazione la dipintura di una madre cui sino- ra altre madri non pervennero sulle tragiche scene. Che se questa madre dopo aver trionfato di tante Meropi sul teatro musicale or per mezzo del Caldara or del Piccinnij dòpo essersi senza musica declamata ed ammirata come una tragedia j dopo essersi applaudita nell' analisi comparativa che ne formò il vostro segretario in Milano j dopo in som- ma di averci in varie prove sempre incantato e colmato di piacere; potrà riportare il vanto di meritare l'indulgen- za de' miei illustri Colleghi in questo sistema , io credo che altra prova non possa desiderarsi a convincere che la poe- sia trattata da mani esperte è quel!' arte sublime che ci ricolma di piacere spogliata ancora di ogni altro soccorso. SISTEMA MELODRAMMATICO 83 IH. Qual è il piacere che dalla musica esigono i sen- si , e qiuile il cuore ? Facciamci ad investigarlo per quanto può chi non è inizialo in questa bell'arte emula della poesia. Nel nascere il melodramma non previdero i verseg- giatori che seguirono il Rinuccini , cioè il Salvadori , il TroMsarelli , il Cicognini , che dalle loro favole musicali sa- rebbe per rinascere l'antica tragedia. I maestri compositori del loro tempo credettero di aver molto avvanzato , se apponendo la musica a que' componimenti facevano con- tinuare la pastorale convertendola in opera con renderla tutta cantabile. Così in tutto il secolo XVII lo spettacolo teatrale chiamò il concorso colla musica e colla splendi- dezza delle decorazioni sino ad Apostolo Zeno , il quale non solo depurò il melodramma , come si è accennato , del- la mescolanza buffonesca , ma riesci in renderlo rassomi- gliante alla tragedia greca. Aggiungasi che nel porger la mano al Metastasio perchè gli succedesse in Vienna , con- tribuì airaccrescimento delle glorie italiane con dare no- velli successori a' tragici della Grecia. E 1' insigne alunno degli antichi e del Gravina lo secondò con tal felicità, che V Italia può rammentar con onore accanto alle Ifigenie , air Elettre , ad Edipo , a Filottete , al Cresfonte , le mo- derne Zenohie , le Didoni , l' Attilio , il Ciro , e 1' Olim- piade. La sua musa teatrale coli' estetico de' versi e col 84 SIGNORELLI patetico che la rende singolare , invitò molti a seguirlo , ed il suo esempio può farci sperare un giorno qualche suo degno successore. Noi dobbiamo al Metastasio qualche co- sa di più. Mercè delle sue cure e del suo gusto comin- ciarono il Sarro , il Caldara , il Porpora , il Predieri otti- mi compositoi-i ad occuparsi in un nuovo genere di dram- ma incomparabilmente più interessante , che aprì alle lo- ro note una nuova scaturigine di musiche dolcezze che si ignorava. Le loro modulazioni attinte in espressioni poeti- che più energiche e patetiche sorpassarono certa specie di armonia generale sino ad essi coltivata che poco coli' este- tico allettava , e nulla col patetico, il quale anziché cono- scersi si travedeva appena. Crebbe il concorso de' teatri , ed i compositori s'inoltrarono pel nuovo sentiero con vie più franco vigore. L' entusiasmo del Metastasio nel suo fio- rire si trasfuse nel Vinci , nel Leo , nel Durante , nell' Bas- se , nel Pergolese , nel lommeUi. L' Italia , la Germania , la Spagna da quel tempo mostrarono rincrescimento del- la mediocrità , ed i progressi medesimi dovuti al Metasta- sio appresero a rinvenir de' nei sino a que' dì non cono- sciuti , e non si ammirarono se non i capi d' opera di poe- sia e di musica. Se Metastasio rimase quasi solo fra' poeti teatrali , sursero fra' compositori molti ingegni rari , che accesero sul Parnaso musicale , e circondarono Metastasio che ne fu I' Apollo. Sacchini , Piccinni , Guglielmi , An- fossi , Cafaro , Sarti, Perez, Glukc, Cimarosa , Traetta, Paisiello , empierono de' loro musici fruiti preziosi 1' Eu- ropa , mentre JNicoIò la Sala, Feuaroli , Monopoli, Trillo SISTEMA MELODRAMMATICO 85 rischiaravano ne' conservatorj Napoletani la gioventù, inse- gnando il canto , r espressione degli stromenti e gli arca- ni del contrapiinto. Se in tanta gloria musicale l'Europa non soggiacque alla malattia degli Abderiti di rappresentar per delirio l'^^/i- dromeda , certo è che nelle bocche gentili non meno che nelle volgari s' inlesero in quel periodo glorioso ripotere i passi più importanti dell' Olimpiade^ delia Zenohia ^ del Demetrio ed altre esimie produzioni di qu?l raro ingegno. Tulli canlavauo Jìlìsero pargolcilo , Se cerca se dice, Tra- dita sprezzata, Che mai jisponderti , Confusa smarrita^ Dov' è s' affretti per me la m.orte , colla musica or del Sassone , or del Sacchini , or del Pergolese , or del Pic- cinni , or del lom nielli. Non vorrei che per l' età mi noveraste trtx' lodatori del passalo per morbo senile anzi che per sentimento fondato. Ma pernietleterai purché il dica, noi al presente ci trovia- mo in circostanze diverse. Mancata la divina voce del Me- tastasio ci siamo per la poesia bene allontanati dalla di lui intonazione. E per la musica , sebbene possiamo gloriarci del cav. Paisello, del Palma, del Zingarelli , del Paer , del Cherubini , ed i Francesi del Grelry e de' discepoli che fecero fra loro il Sacchini , il Piccinni , ed il Gluck , non- dimeno insensibilmente di anno in anno , si è ito provan- do meno frequente e meno gestiente il piacere musicale già sperimentato. Avrebbe mai la musica perduta l'arte di tirar l'at- tenzione , d' incantar 1' udito , di trarre lagrime di piacere 86 SIGNORELLI couìmovendo i cuori ? Sarebbe a desiderare che alcuno de' nostri valorosi ragionatori , a' quali la musica non fos- se un' arte ignota ( supponendo sempre che avesse per- corsa la filosofica carriera ) prendesse a rintracciar la ca- gione che fa tacere il Parnasso armonico , e a dissiparla potendo. Alla mia debolezza altro non è permesso se non che imprimere in tal sentiero orme incerte e spander fer- vidi voti. Ma intanto che miglior penna vi si accinga, per non rimanere ozioso , avventurerò qualche -pensiero più per propria istruzione che per altrui , e colla speranza de' vostri soccorsi cercherò la sorgente del piacere estetico e patetico musicale, base e fondamento del sistema melo- drammatico. Comincerò dal rammentare ciò che ne disse- ro i grandi pensatori e calcolatori. Convengono gì' intelligenti col Galilei nel dire che il suono si forma per le vibrazioni de' corpi sonori che fa- cendo tremar l'aria diffondonsi sfericamente per ogni lato, e vanno a ferire il timpano dell' orecchio. Ma quando si soggiunge che sonandosi due corde di acutezza diversa l'o- recchio le sente alternativamente, e la loro unione ne pro- duce il piacere , v' è chi da quel grand' uomo discorda , uè tutti credono quell' unione cagione del piacere musica- le dell'udito. Suole addursi per argomento di tal discre- panza che la legge delle ragioni di crescere gli anteceden- ti e i conseguenti di una unità nelle cinque più perfette consonanze i, |, i, |, ottava, quinta, quarta, terza mag- giore e terza minore , non si avvera nelle due seste | , e f E posto che anche in queste la detta legge si sostenesse. SISTEMA MELODRAMMATICO 87 potrebbe valersi la musica delle ragioni | , i , i"j , e di altre molte procedenti colla stessa legge. E pure | , j ec. non rappresentano in musica veruna consonanza. Si nega di più che dalla medesima legge possano de- dursi le dissonanze , parie essenziale della musica. Si con- chiude esclusivamente perchè in pratica , ad eccezione del- l'ottava, non vi è intervallo veruno fondato nelle indica- te ragioni (1). Il sommo matematico Eulero prende per cagione uni- versale di ogni piacere la relazione del tutto con le parti, e di queste tra loro. E quiudi , secondo lui , la soavità de'suoni musicali tanto è maggiore quanto più facile è alla mente il paragonare i suoni e comprenderne le relazioni. Da ciò discende che la ragione più sempHce a compren- dersi è r eguale e poi la dupla 5 ed in conseguenza l' uni- sono che procede dalla prima , si rapporta al primo gra- do di soavità, e l'ottava che proviene dalla seconda , al se- condo (2). Con ciò l'Eulero divide in gradi la soavità che è una impressione dell' udito : le attribuisce 1' estensione delle corde : la fa consistere nella facilità di comprendere: suppone anche tale facilità divisa in gradi. Simili idee non in tutti disgombreranno le tenebre che ricoprono la sor- gente del piacere estetico della musica. Anche la pratica par che contraddica a tal teoria. Imperocché se il primo (i) Si può vedere l'opera di (2) Non discorda da questo Antonio Exiineno origine e rego- ayviso Anlonio Fianelii. le della musica. 8B SIGNORELLI grado di soavità conviene all' unisono, sarà l'unisono l'in- tervallo più soave e dilettevole della musica j ed intanto i compositori spesso l' evitano , reputandolo all' udito non mollo grato. SofiVirete che io qui vi rapporti il raziocinio che fa il prelodato Eximeno parlando della seconda rego- la generale dell'Eulero. I gradi di soavità (egli dice ) so- no immaginar] , e la conseguenza dell' Eulero non si ve- rifica in esempli particolari. Il fondamento della di lui se- conda regola è che la mente con egual facilità paragona i numeri moltiplicati insieme che gli ordinati in serie. La ragione i : 12 ( dice l' Eximeno ) avrà l' islesso esponen- te di soavità che la serie i: 2: 2: 2'. 3jma l'esponente o minimo comune moltiplice di questa serie è 6 , on- de si ricava il grado di soavità 2+3 — 1=4. Dunque la ra- gione i: 12 sarà nel quarto grado di soavità. Ma la stes- sa ragione i : 12 = 1: 2'. 3 si appartiene per la regola pri- ma al grado 2-|-4 = 5- Dunque una stessa ragione per la prima regola si appartiene ad un grado di soavità , e per la seconda regala ad un altro. L'istesso autore adduce la ragione di tale antinomia j ed è che 1' Eulero toglie il 2. repHcato dalla serie i : 2. 2:3, e non lo toglie dalla ragion composta i. 2. 2 : 3. , la qual cosa non concor- da col supposto che con egual facilità la mente paragoni i numeri ordinati in serie , e quelli messi insieme in una ragion composta. Che se il numero replicato aumenta la difficoltà del paragone nella ragione composta, l' aumente- rà eziandio nella serie j e se non l'aumenta nella serie , né anche 1' aumenterà nella ragione composta. SISTEMA HirXODRAMMATICO 8»^ lo non osetò diie col lodato Eximeno che la n)a(,e. malica non è per la musica un duposlto di verità iiifalli- biliv Ma non saprei dissimulare che quando voglia apjdl- carsi ad oggetti supposti estesi , non potrà avere quella infallibiHtà che le conviene nel trattare della reale esten- sione de'corpi. Ora l' estensione delle corde attribuite a" suo- ni appartiene all' immaginazione o alla realità? Né le meditazioni del Tartini , del Rameau , e del d' Alembert par che additino la sicura sorgente del piace- re armonico se voglia consultarsene la pratica. Il Tarti- ni (i) afferma che 1' armonia è composta di più suoni i quali integrano una vera unità. E di questa sua unità ar- monica adduce in prova che sonandosi i sei flauti del- l'organo formano la sestupla armonica di ottava quinta quarta terza maggiore e minore , ma che si sente un suo- no solo pieno di ai'monia. Da' pratici nondimeno si affer- ma che vi si senta almeno la terza e la quinta. E se è ciò, come assicurarci della sua unità armonica, e dedur- re r origine del piacer musicale ? Il Tartini non lascia di addurne prove geometriche le quali punto non persuasero alcuni intelligenti, e. segnatamente l' Eximeno che le com- balte nella parte I della citata sua opera. H celebre maestro Rameau (2) ed il Sig. d' Alembert nel ridurre il di lui trattato a miglior forma (5) , stabili- (i) Nel suo trattato àell'Ar- monia. monia. (3) Elementi di musica. (2) Nel suo trattato dell'.^r- T. IV. 1% go SIGNORELLT scono come speiiiuento fondamentale dell' armonia la riso- nanza di duodecima e decimasetlima maggiore che fa sen?- tire nell'aria qualsivoglia corda ^ e chiamano questo suono generatore , e gli altri due generati. Or siccome la duo- decima e decimasettima maggiore che accompagnano il suo- no generatore ut altro non sono che l' ottava di sol., e la dop- pia ottava di mi , ne segue, dicono Rameau e d'Alembert, che per la libertà che si ha di sostituire ad un suono la sua ottava , il suono generatore ut è sempre accompagna- to dalla terza maggiore mi e dalla quinta sol. Quindi con- chiudono che il modo maggiore , ossia l' accordo più per- fetto della musica ut: mi: sol è l'opera im media ta~ della natura. Ma restava a trovar tuttavia il modo minore. Ra- meau crede di averlo trovato per mezzo di un altro espe- rimento. Accordando due corde al di sotto del suono prin- cipale ut, r una in duodecima, l'altra in decimasettiraa , egli osserva che queste due corde fremono, sebbene non risuonino colla corda ut. Ciò posto egli ricava da questo fremito dato dalla natura il modo e l' accordo minore rar gionando così. Perchè la terza minore sotto dell' ?fi è Za, sarà la terza maggiore sotto dell' z/^, la'' j or l'intervallo da xit a. la è una terza minore j dunque 1' intervallo da ut a Za* sarà una terza maggiore j per conseguenza la decima- settima maggiore sotto dell' ut sarà la doppia ottava di Za* ca- lando, e la duodecima sotto dell' J^^ sarà l'ottava di ^ anche calando, essendo fa la quinta sotto dell' f^^. Da ciò conchiude che per la naturale facilità che si ha di eoa- SISTEMA MELODRAMMATICO 9» fondere i suoni colle loro ottave si viene a formare que- sto canto indicato dalla natura , fa: la^ : 7^^, in cui la ter- za /à: Za'' partendo dal primo suono yà è minore. Que- sta secondo Rameau è 1' origine del modo minore. Se non che né la risonanza delle corde , né il loro fremito sem- brami che esser possano un fenomeno sufticiente a stahi- Lre i veri principj della musica , e dedurne V origine del piacere che ne risulta. E per ciò che riguarda la risonan- za r istesso Rameau afferma sulla testimonianza del Sig. BetJiizy (i) , che oltre della duodecima e decimasettima • che risuonano col suono generatore , odonsi ben anche fra altri suoni ,1.1' ottava della duodecima, 2. un suono che egli chiama perduto^ 3. la tripla ottava del suono fonda- mentale, n suono perduto secondo il Bethizy è tra la vi- gesima e vigesimaprima , la sua ragione è ^ , ed egli lo chiama perduto , perché quantunque risuoni , non forma però armonia alcuna. Io duncpie dico: non basterebbe so- lo questo suono perduto per far conoscere a Rameau e ad Alembert che la risonanza delle corde non è un suf- ficiente fenomeno perchè vi si fondi la teoria della musi- ca ? v' ha di più. Perchè dobbiam noi sostituire mi alla sua doppia ottava , e sol alla sua ottava , e non ha ciò fatto la natura? E fia credibile che 1' arte sia superiore alla natura , e che mentre questa ci addita 1' origine del piacer musicale per intervalli lunghissimi , cotae son quel- (i) Exposition de la theo- sique ^ par. 2. ari. j. rie et de la pratique de la mu- 93 SIGNORELLT li dell' ict alla sua duodecima e decimasettima , possa poi r arte rendendo più brevi tali intervalli , divenir sua mae- stra ed emendarne i difetti? Si è sempre detto che l'ar- te si perfezioni imitando la natura , e non mai che la na- tura modellandosi suU' arie , diventi di questa imitatrice. Riguardo al fremito , l'istesso d'Alembert lo crede un' o- rigine capricciosa del modo minore. In fatti che fenome- no musicale può esser mai un fremito senza suono ? la oltre se ut dà mi e sol, trasportando ut sul mi, rimane sempre nell' accordo mi : sol : ut , rimane , dico , ut per suono generatore j dunque se ut genera anche il fremito di la^ e alfa, trasportando r^^ sopra yà dovrebbe pel mo-. do minore fa : la'' : ut passar l' istesso ut come suono ge- neratore. Or non sarebbe questo uno de' massimi assurdi musicali ? Per la qual cosa il Sig. d' Alembert rigettando quel fremito si sforza di ottener anche dalla risonanza delle cor- de il modo minore. Osservando egli che nel modo mag- giore ut: mi', sol il mi non fa risonare sol, perchè mi sol è terza minore , sostituisce in vece di mi, m,i'' , che unitamente con ut fa risonar sol , perchè cosi mi'' : sol sa- rà terza maggiore , e mi'' con ut farà come si è detto , ri- sonar sol. Ma qui d'Alembert senza punto avvedersene distrugge il basso fondamentale, su di cui tutta sta fon- data la sua e la teoria di Raraeau. Ma si rifletta un poco. Se ut e mi'' sono in terza minore , ut non più genera né fa risonar mi'' ^ dunque ut non è generatore di mi'' j dunque il modo minore non ha più basso fondamentale. Se non SISTEMA MELODRAMAIATICO ()J è questo un contraflclir a se stesso , niuna cosa da cpi in- nanzi potrà più dirsi contraddizione. IS'ella varietà delle scientifiche investigazioni di sì va- lorosi pensatori pare che si trovino per tutto anzi barlu- mi che chiaroii , i quali non danno tutta la fiducia per noverar le proporzioni matematiche compiutamente oppor- tune a regolar V armonia , ed a rimovere tutti gli ostaco- li che presenta la pratica discorde dalla teoria. Sospen- dendo un giudizio positivo fino a che sopravvenga qualche altra scientifica teoria che meglio colla pratica si ac- cordi , a noi animati dall' avviso^ dell' antico Anassimene basterà indagare ciò che dicono i sensi sul piacere musi- cale. Le vibrazioni ( par che essi ci dicano ) prodotte da' corpi Sonori passando all' orecchio ecciteranno quel grato godimento che piacer si chiama , e si comunica al cuo- re. Questo godimento ha maggior vigore di quello che si riceve da' nudi versi j cioè privi del presidio del canto ar- tificiale j ma ciò allora avviene che si verifichino o tutte o alcune delle seguenti condizioni, i. Se con soavità vi pervengano ^ imperocché l' asprezza dell' urto produce nel- r udito una sensazione opposta j cioè dispiacevole. 2. Se l'organizzazione fisica del senso non impedisca l'effetto del- l'urto soave. 3. Se altre grate impressioni sopravvengano che secondino le prime in vece di distruggerle, perchè in tal caso l'effetto della soavità verrebbe soffocato nel nasce- re. 4- Se dissipato il primo suono sarà rimpiazzato dn un altro similmente soave. 5. Se la varietà e la concordia de' suoni contemporauei o successivi combinandosi ne ac- ì y4 SIGNOREILI ciescano o ne sostengono la graia sensazione. Tutto ciò che a sì dilettoso effetto contraddica , quando pur venis- se prescritto da proporzioni ritrovate col calcolo , riescirà rincrescevole o almeno indifierente. E la pratica dall'espe- rienza sostenuta , rispettando l'autorità de' calcolatori, si at»> terrà al giudizio del senso particolare ed al consenso com- mune più antico del calcolo. Ciò che all' arte può «opra tutto giovare , sarà il ri- levare per qual principio la musica procacci all' orecchio simii piacere. Per quello che a tutte le arti belle è com- mune : per l' imitazione. Vero è che la poesia stende la sua imitazione su quanto comprende la natura , e va più oltre ancora abbracciando quanto sa l'immaginazione combina- re, laddove la musica a sì lontani confini non ispinge la sua facoltà d'imitare. Non è però men vero che le altre arti la musica non superi nel soggettare alla sua armonia gli oggetti che la natura presenta. La pittura p. e. si cir- coscrive a mostrare cjò che si prefisse nel momento del- la sua scelta. Giuseppe Errante nel presentarci Endimione nelle campagne di Lfitmo mette sotto i nostri occhi la pre- senza di Diana senza dipingerla. Un orizzonte fulgido per gradi termina l'ombre di quelle selve, e chiama a se gli sguardi j uri centro di più vivace cliiarore quasi dietro aa un velo annunzia un certo che di sovi aumano che par chq si diriga verso 1' addormentato pastorello e lo vagheggi , e fa che di momento in picuiento si attenda il corpo ce- leste che lo cagiona j Diana non appare e si palesa j e per vedersi converrebbe che l'istesso diiicato pennello squar- Sk>TKlMA MELODRAMMATICO C)^ eia'^se quel grazioso velo elio roccuU.i noi inarìifestaila. Ma la mubicn senza nulla cancellare ci lras])orta di oggetto in oggelto. 11 sonno di' quel pastore può essa enunciare al- l'udito, il silenzio del campo e la notte che lo copre, la parte del cielo che risplende, il riposo di ogni cosa imita coir armonia e ne tramanda per l'orecchio al cuore il pia- cere. Se il verno irrigidisce , il gelo inceppa il rio , la tem- pesta copre di pallidezza il nocchiero , la pioggia inonda, la grandine salta sulle dure glebe e spoglia del verde le piante , striscia il fulmine, romoreggia il tuono 5 tutto la musica imita co' suoni né cangia sito. Divampi un incen- dio, l'orror di denso bosco atterrisca il viandante , gli ^ui- gelli salutino 1' aurora , la calma inviti alle sponde , col sol che spunta riprendano le cose i colori 5 la fiorita pri- mavera , l'umido autunno , Y arida state , lutto la musica dipigne co' suoni , eccitando negli animi que' movimenti che nel vedersi si sperimentano. Non v' è chi non gioisca di una piacevole combina- zione di tuoni che tanti oggetti sensibili per l'udito ci ram- menta senza mostrarli. Il primo effetto'' dhe ciò indubita- tamente in noi produce, è di riempiere di dolcezza il sen- so prima colpito dalle soavi modulazioni j e questo vuol considerarsi come oggetto pritnario dèlia' ' mùsica 5 p'er'clfè se la melodia mulcendo 1' udito non invita ad ascoltare , inuiil fia prefigersi qualunque' altro scopo. Non so indur- mi a credere che l'uomo nel pensar la prima volta a can- ticchiare o a soffiare in un tubo di canna o di corteccia qualunque o a trarre de' suoni in ogni altro modo, aves- ^6 SIGNORELI.t se ad altro pensato die a dilettare il proprio udito o l'al- trui. Adunque il primo suggerimento della natura fu il pia- cere deir orecchio. Per la qual cosa discordando io dal più volte lodato Eximeno , il quale tenue che ciò doves-* se considerarsi per oggetto secondario , dirò anzi che sia l'unico mezzo di fissare l'attenzione, ed il primo scopo, a cui tender dee così beli' arte. Ciò non ostante il diletto dell' orecchio che al cuor pur si communica , diremo che sia 1' oggetto più impor- tante della musica teatrale? Questo poi no. Nel teatro fa mestieri parlare al cuore col linguaggio che ad esso è pro- prio , ed il linguaggio al cuor proprio è quello delle pas- sioni che eccitate colla mescolanza delfinio e del vero dif- fondono iu esso un diletto tutto diverso da quello che vi apporta il senso , cioè da quello che può essergli comu- ne colle anime anche volgari, cogli stupidi e fin co' bruti che ne sono scossi. Se in oggetti mprali lecito fosse adottare per un mo- mento il chimico linguaggio , decomponendo il piacere del cuore prodotto dalla musica drammatica , direi , che tro- var vi si dee per base la fisica delicatezza delle di lui fib- bre 5 una dose competente di sensibilità proporzionata al- la vivacità ed acutezza dell' intendirnento , V efficacia dell' il- lusione che fa passare la poeticji falsità colla verità dell' af- fetto , il naovimenlo chp v' imprirqe la poesia coli' incanto dell' 3rmonia naturale de' versi accresciuto dal potentissimo patetico de^^^ melodia artificiale, SISTEMA MELODRAMMATICO 97 Ad ottener questo secondano ma più interessante ef- fetto si presenta spontanea al contemplatore una regola car- dinale , da non costare al compositore altra fatica che di esser persuaso della sua necessità. E questa: Come egli ri- ceva dal poeta il dramma colla di lui istruzione, lo fac- cia tutto suo , leggendolo e rileggendolo. A misura che s' internerà nell' artificio del suo piano , e ne scoprirà i co- lori e lo spirito de' caratteri e degli affetti, se ne impos- sesserà di modo che comincerà a mirarlo con affezione, qua- si proprio prodotto. Allora l' espressione patetica de' ver- si andrà come strale a ferire l'intimo del cuore del mu- sico compositore, lo riscalderà , lo commoverà. L' unità del disegno del poeta influirà nell' armonica veste che da esso attende , e gli farà comprendere che senza tale uni- tà non potrà condursi lo spettatore all' altra unità d' inte- resse che allo spettacolo 1' attacca. In fatti dalla mancan- za dell' unità del disegno deriva la non curanza dello spet- tatore per la musica. Egli la considera come un'accade- mia privata, dove quanto si canta tutto è staccato e in- dipendente j laddove se le armoniche bellezze saranno con economia ed incalenamento impiegate , seconderanno il di- segno poetico , e lo spettatore sempre sveglio coronerà co' suoi applausi la sagacità dell'ingegno del poeta e del compositore. Che se al contrario il musico trascura d'im- medesimarsi nelle vedute del poeta , se dovendo esprime- re le angustie di un innocente perseguitato ed oppresso , egli attende a spiegare la pomj)a delle delicatezze musica- li , ovvero se trascuri di unire ad un fiue tutti i pezzi mu- T. IV. i5 gb SlGNORIiLLI sleali eoa prudente economia , il poeta e lo spettatore sa- ranno traditi , ed egli con suo danno imparerà che ad on- ta di due o tre pezzi felici della sua musica , il melodram- ma caderà ed il teatro rimarrà voto. E dunque l'unità di disegno e d' interesse che chiama V attenzione di chi ascol- ta , ed assicura la riescila del dramma j e queste unità nou si ottengono senza la regola indicata al compositore di far sua la produzione del poeta. Ora vediamo se qualche massima moderna adottata da' maestri di musica , ed anche da qualche scrittore » si opponga alla regola proposta. Dietro la scorta del riputa- to Gluck , cui si sottoscrisse il cavalier Plaiielli , prevalse tra' musici un solenne pregiudizio che suppose nella mu- sica una meschinità che non ebbe e che non avrà mai. Essi sostengono che non sono proprie per la musica se non le arie da essi chiamate di affètti , e rigettano tutte quelle che contengono pensieri filosofici^ massime, sen- tenze , perchè fredde le reputano ed inette ad ogni ar- monica melodia. Questa erronea decisione desta riso in chi ragiona , e compatimento pe' compositori illustri , ed im- poverisce il melodramma. Ciò che da siffatti decisori si ri- gettò sotto i vocaboli di massima , sentenza filosofica , racconto, moralità, contiene la maggior parte del dram^" naa. E che ? Per simili cose la musica è muta ? Non ha melodia , non armonia , se non che per poche arie e pec qualche spezzone di recitativo ? Se ciò fosse oggi povertà dell' arte , e non capriccio o debolezza degli artisti , biso- gnerebbe confessare che i Greci che colla musica teatrale SISTEMA MSIODRAMMATICO 99 incantarono i compatriotli , seppero assai più di noi appli- car le note alla poesia. Or per qua! ragione si pretende dare il primato alla moderna mir-ica nell'atto che si vuo- le questa incapace di lutto esprimere nn dramma? Noa sarebbero due cose contrarie sovrastare alla musica Gre- ca , ed esprìmere meno di quella ? Ma no ( sia ciò che soggiungo detto con pace di tutti i Gluck , ed i Planelli possibili ) : se la musica antica espresse mirabilmente le in- tere tragedie, ed incantò gli antichi , la nostra musica non ha perduta questa ben distesa energia per difetto dell'ar- te. Coloro che rigettano tutto ciò che non suggerisce arie di aflelli , mancano di riflessione , e non vedono q\ì affetti^ il patetico, se non in pochi colori ripetuti. I grandi affet- ti bisogna che si preparino. Non avviene l' incontro inte- ressante d' Ifigenia con Agamennone se non dopo che il Messo che viene ad affrettarla , le ha palesato che dee es- sere dal padre sacrificata. E se non sapete esprimere i pas- si che a sì gran punto conducono , sarete un infelice com- positore. È possibile che le arie de' grandi affetti nascano come funghi senza saperne disporre la produzione ? La col- pa adunque non è dell' arte ma di chi la vuole impove- rire. Quello che si chiama massima, sentenza, pensiero filosofico , porta seco 1' affetto o di ciò che precede o di ciò che è per seguire , ed ha la verisimile gradazione che gli umani eventi portano seco loro. Può esservi qualche massima fredda , ma non tutte le massime sono fredde ; anzi per lo più esse hanno quell'affetto, che per mancanza di penetrazione non sa vedervi il compositore volgare. Ma &e lOO SIGNÒRELLI egli non sarà tale , ma fornito di buon senno e ricco di modi e di molivi armoniosi fecondo , trarrà calore dove un maestro comunale non trova che ghiaccio. Altrove di- mostrai contra l'avviso dell'erudito Schulzer che l'aria di Aquilio Saggio guerriero antico porta il fuoco delle di lui speranze la mezzo alla cautela di attendere il mo- mento che lo faccia vincitore. Il dotto Planelli rigettò co- me massima fredda l' aria di Matusio nel Demofoonte : Ah che né vero bene , Né vero mal si dal Prendono qualità Da' nostri affetti. Lascio la discussione metafisica che egli intentò con- tro la verità del sentimento, ponendolo in dubbio j e dico solo che r agitazione della scena che mette in furore Ti- mante , non poteva senza sospensione di animo, confusio- ne ed affetto lasciar Matusio , che non intendendo la ra- gione perchè mai una buona novella produca un effetto doloroso , riflette non senza affetto certamente sull' incer- tezza in cui ci gettano le passioni. Or la musica non può esprimere questo stato delle anime umane ? Intesi censu- rare ancora l'aria dell' Olimpiade , Siam nati alle onde algenti .f ed altresì l'aria dell'ozio, Nasce al bosc in rozza cuna. Erra chi reputa cpeste due belle arie seuj- plici ornamenti lirici e privi di afletti. Al contrario sono pensieii pieni del patetico che il cuore esige ddl me'odsam- ma. Infatti col risalire alle circostanze dell' azione ess -ug- geriscono colori appassion«iti , e non pezzi di gelo j ed ai- SISTEMA MELODRAMMATICO lOl tenendosi alle immagini die rappresentano, l' imitazione della vita agitata espressa nella prima co' pericoli del ma- re , e le vicende della sorte che dà e toglie i regni nella seconda, non doveano suggerire affetti opportuni al canto musicale? E l'una e l'altra non si espressero ugualmente da diversi maestri e con ispezialità dall' esimio Jommelli ? I maestri e i critici settatori del Gluck mostrano di aver perduta di vista la grandezza di un dramma compiuto. Questo per me rassomiglia ad un gran quadro. Tutto non vi si può rappresentare col medesimo colorito. Il chiaro- scuro pittorico non è così a cuore del buon pittore seguace dell' Urbinate, come esserlo dee il poetico al poeta, ed il mu- sicale al compositore, se voghono evitare la monotonia lela- liva de' versi e dell' armonia. E siccome il pittore rende armonica la sua tela graduandovi le tinte , ed allontanan- do colla forza del vivace colorito espressivo delle figure principali quelle che sfumate con beli' accordo adombra in distanza : cosi il poeta ed il musico riempiono le loro tele rispettive , variando le immagini e 1' espressione mu- «ica e poetica, col tragico colorito vigoroso che atterrisce, col poetico compassionevole che lacera il cuore, coli' ira- peto che trasporta, co' palpiti che sospendono, col rifles- sivo che medita , colla timidezza e col dolore che abbat- tono , senza che in tanta varietà una tinta all'altra muo- va lite. S'io m'appongo, l' indicato pregiudizio boreale si op- pone in certo modo alla pratica stessa de' compositori. Es- si amano con predilezione il cantabile tanto jjer naturai lO'j; SIGNORÈLLl pendio quaiilo per compiacenza per gli attori. Ora il can- tabile lungi dall' accrescere il movimento dell'azione , vi getta del riposo sovente intempestivo , forse più nocivo al diseguo del poeta che le arie di massime e sentenze mo- rali che pur non sono che un concetto passeggiero. E per- chè queste si rifiutano , mentre tanto si fa conto del can- tabile ? Secondo me ciò avviene perchè il compositore nel- le detestate massime si avverte della propria povertà , non sa])endo rinvenire né i rapporti dell' immagine di essa col- 1 affetto, né le conseguenze che può trarne la musica ove non iscarseggi di filosofia 5 laddove nelle arie cantabili fon- date in allegorie ed imitazioni di cose sensibili, per lo più si ravvisano agevolmente que' rapporti e quelle conseguen- ze. Neil' aria della Semiramide , // Pastor se torna aprile^ quelle arene abbandonate eh' egli fa di nuovo risonare, subito suggeriscono al compositore modi e motivi armonici da imitare. Ciò è un nuovo argomento , perchè il compo- sitore lasciar non dee di ascoltare il poeta , che può far- gli notare il patetico del melodramma diffuso colla dovu- ta proporzione in tutte le sue parti. Ascolti dunque il poe- ta , Algarotti diceva : ne dipenda come dipendeva il Lui- li dal Quinaut , ed il Vinci dal Metastasio. Alle istruzioni del poeta potrebbe servir di suppli- mento la seguente osservazione. Il piacere che reca il pa- tetico al cuore , è in ragione dell' illusione che può pro- durre lo spettacolo. Guardisi dunque il maestro dal di- struggerla. Un' aria intempestiva di bravura , dove l'af- fetto esige espressione delicata: una cantabile y dove Va- SISTEMA. M"ELODRAMMATICO I05 zione vuoi moto : per seguir la moda delle arie a rondò formar delle parole una trasposizione biscaglina , ed ac- coppiar due verselti disgiunti da un punto fermo: di quat- tro versetti soli a forza di ripeterli e sconciarli nojosamen- te riempiere una intera pagina di scempia prosa : tutto ciò dissipa r illusione e lo spettatore si contorce, e mormora. Talora avviene che il buon compositore attende alla pa- 4:ola e non al sentimento 5 e dove il poeta, per indicar al- legrezza , dice di esser cessato il pianto , il compositore sul pianto forma una flebile armonia. Talora il poeta fa dire ad un attore, -parto ^ ubbidisco-^ ed il compositore, malgrado del poeta o dell' attore , V obbliga a trattenersi per vocalizzare sidl'a indiscretamente. Se il maestro si de- liziasse in replicare venti volle la parola volo , come fece la Giocasta di Seneca nella Tehaide , parrebbe che il can- tore si burlasse del comando ricevuto. Simili sconcezze non mostrerebbero all'uditorio che tutto è mascherato? E do- ve sarebbe il piacere atteso dal patetico ? V ha di più. Due personaggi che non debbono vedersi in iscena , se costretti dal maestro convenissero in cantare un bel cano- ne, sarebbe probabile che l'incoerenza di simil cantone- cesse non solo al patetico , ma minorasse eziandio il pia- cere estetico per difetto di verisomiglianza. A conseguire l'unità di disegno e d' interesse per con- seguenza , che fu sì a cuore al Zeno ed al Metastasio co- me poeti, ed al Pergolese ed al JommellI e ad altri insi- gni maestri per la musica, sarà mestieri che contribuisca- no tutte le parti che compongono il melodramma , cioè lO^f SIGNORr;LLI V Apeidura o Sinfonìa , i Cori , i Recitativi , le j4r'e. \\ maestro che vuol distinguersi e piacere all'udito e coin~ movere il cuore , rispettando i consigli del poeta ed i ri- guardi dovuti all'illusione teatrale, condurrà ttrtte le linee armoniche delle indicate parti, come al proprio centro, al- l' unità di disegno ed interesse. Una sinfonia di festevo- li Bassaridi disconverrà per aprire un jijelodrainma tragico, ed una querula armonia che ne rammemori il piagnisteo delle prefiche, male raccomanderà un'opera buil'a. Il ca~ rattere del dramma somministri le modulazioni alla sinfo- nia. Si pretese un tempo che 1' apertura dovesse rappre- sentare il prologo del dramma. In prima io domando : si è convenuto che la tragedia debba averne ? Se Euripide se ne valse , Sofocle non V usò mai ; e gli intelligenti a quest'ultimo tragico si appigliano. Ma vogliasene pure uno, qual prologo potrebbe attendersi dalla musica, che per farsi capire abbisogna o della poesia o della danza? Peggiore fu l'avviso di chi propose che V apertura dovesse formare un'estratto del dramma. Vi sarà un maestro che senza pa- role presuma individuarne le rivoluzioni? Già mille volte sì è domandato all'armonia strumentale che cosa mai in- tenda dirci, W Tartiui che ciò comprese , per rendere le sonate interessanti, e farne capite l'espressioni, dava loro un oggetto indicato col titolo, perchè si cornprendesse la dipintura che prendeva a disvi'uppare co' .'•u.;i modi. Una ne intitolò, Didone abbandonata^ e cosi l'a.scoltatore po- tè distinguere le vicende di quf Ila regina nelle variazioni d(j' tempi e de' moti% i dell' armonia or tenera , or doloro-- SISTEMA Mtì,ODRAMMATICO IO-» sa , or disperala. Il Rameau fece allreltanto , ed in varie aperture intese esprimere diversi quadri ^ ed in Zeis disse voler dipingere il disviluppo del Caos, in Nais la pugna de' Titani, in Platea la venuta della Follia j ma bisognò prevenirne gli ascoltatori. Ottimamente riflettè d' Alembert che r espressione della musica non si assapora , se non è unita alle parole o al ballo j essa ha una lingua senza vo- cali , e la sola azione può prestargliene. Quando il melodramma richiamò sulle scene i Cori che la moderna tragedia rigetta , se re valse per una ca- nora decorazione, specialmente ne'sacrificj, ne' trionfi, nelle feste campestri. Eccellenti modeUi ne fornì il Metaslasio nel- r Olimpiade^ nel Tito , nell' Adriano , nell' Alessandro. Durerà il compositore poca fatica a renderli interessanti e individuali all'azione ed al clima, secondando il gran poe- ta. Guardisi però dall' avvicinarsi a' ripieni di chiesa, 1\ Recitativo ^ parte la più interessante del dramma per essere il linguaggio di tutta l'azione, è divenuta la più negletta ed una specie di mal curato prologo delle arie. Il compositore della musica abbandona a qualche iniziato neir arte , o ad alcuno che suol sedere al secondo cemba- lo de' teatri , la evira di apporvi 1' accompagnamento del basso, che co' suoi colpi periodicamente monotoni richiama al tuono i cantori che lo gettano giù con oscitanza. Co- me piacere ? Come interessare ? Questo abuso non si co- nobbe a' tempi di Scartati, Durante, Porpora. Essi coiiì- presero Tmiportanza del recitativo , e vi apposero essi stes- si le note con tutta la cura. Allora però la sempHcità e T. IV. "^ \f. ^06 SIGNORELLI facilità graziosa delle arie poco le allontanava da' recitati- vi, al contrario di ciò che ora avviene. Insensibilmente di mano in mano non si è più frequentato il teatro se non per ascollar qualche aria , ed il recitativo è divenuto per lo meno indifferente. Gluck, forse per averlo compreso , si propose di scrivere l'intero dramma col perpetuo accom- pagnamento de' violini. Se trovato avesse seguaci, il suo rimedio avrebbe accresciuto il male , e ciò che era mono- tono per difetto di melopea , lo sarebbe stato per eccesso di armonia. Il vero espediente da cacciar via la noja, sa- rebbe render sensibile la pronunziazione , e V espressione de' sentimenti , senza affettazione ma con interesse j perchè l'interesse che prende l'attore nel fatto, passa all'udito- rio , fa comprendere fll filo l' azione , eccita la curiosità per 1' evento finale , e non dà luogo o a sbadigliare o a dormire o a civettare. Non mi dimenticherò mai del mo- do di rappresentare del Monticelli j che avea avuta In buo- na fortuna di ascoltar Metastasio in Vienna. Rappresentan- dosi nel Gran Teatro di S. Carlo in Napoli V Antigone, egli espresse tutte le azioni di Demetrio per ottener da Alessandro l'anello per liberare il padre, con tanta veri- tà, naturalezza e calore, che al susurro consueto del pub- blico annojato successe un silenzio , una sospensione genera- le che scoppiò in un trasporto di piacere ed in ou con- corde strepitoso applauso. Nel Demetrio posto in musica dal Caldara V Addio di Alceste e Cìeonice che precede l' aria, Non so frenare il pianto ^ si è sempre accolto con emo- SISTEMA MELODRAMMATICO IO7 «ione di tenerezza, a dispelto degli abusi. La sola stupi- 4Ìilà ode con indifferenza Alceste che dice : Su quella mano Che più mia non sarà^ permetti almeno Che imprima il labbro mio U ultimo bacio , e poi tì lascio. ., ' N Addio. Ale. ) Gli ascoltanti in Alemagna piansero a questa scena, scrisse Metastasio.a Marianna Benti. Ma per far piangere bisogna rappresentare , e non fidare a' gruppetti , a' gor- glieggi. Piccinni pur troppo avea compreso il detrimento che risulta al melodramma per la negligenza usata ne' re- citativi tanto da' maestri quanto da' cantori. E riguardo a se stesso soleva dir meco di trovarsi pentito di aver fat- to sporcare le sue carte con recitativi non suoi. E ne fu tanto persuaso anche il Jommelli , che diceva che permet- terebbe piuttosto di fare inserire ne' suoi sparatiti quattro arie di altri che quattro versi di recitativo. Avventu- ratamente ci sono rimasti varj modelli eccellenti di reci- tativi obbligati del Pergolese , del Leo , del Vinci. Altri da mettersi a questi accanto ne lasciarono Traetta , S&c- cliini , Piccinni e Jommelli , senza tener conto ora di al- tri di grido non inferiore. Il lusso che nel passato secolo dal Bernacchi in poi spiegossi nelle Arie ossia strofelte anacreontiche , le quah presero il nome di arie dal cauto che accompagna i ver- 61 , Jia contribuito alla decadenza dell'opera in musica. II IC8 SIGNORELLI soverchie piacere che da prima recarono i rilevanti requi- siti che debbono concorrere nella composizione e nell' ese- cuzione, l'eccessivo prezzo che le comprava, produssero la poca curanza di tutto il resto dello spettacolo. Indici- bile Ju falli era I' effetto , lo stupore o 1« gloja cLe ragio- nava ""' «"» ;- rante che canta Per darvi aLcuu fj-^^^^n , ma l'espiv-^., con tal verità e convenevolezza che illuse , commosse e piacque. Gitami poi , forse per compiacere ad Ansani , fé morir Catone gorgheggiando e cantando a rondò quest'a- ria stessa. Può darsi maggiore stravaganza'.'' Del Duetto ossia aria a due favellò acconciamente Gian Giacomo Rousseau. Egli ben vide la sconcezza de' duet- ti di far parlare due personaggi nel tempo stesso o che si contraddicano o che si accordino in profferire un me- desimo sentimento. Non v' è che il trasporto di una pas- sione grande che induce inconsideratamente due persone eroiche a parlare in coro con poca urbanità. Nasca dun- que il duetto da passione vivace atta a trasportare ad una specie di delirio , ovvero si concejnsca in dialogo , non for- mando però periodi lunghi. Scelgansi pel duetto affetti pro- prj ad una melodia dolce contrastata , si che ne provenga il canto accentato e 1' armonia dilettevole. E Rousseau e Planelli adducono meritamente per modello de' duetti eroi- ci quello dell' Olimpiade, Ne' gioj'ni tuoi felici del Per- golese , incomparabile fuor di dubbio, cui altro valoroso maestro che pose in musica l' opera stessa non giunse ad uguagliare. Il duetto à.e\ Demofoonte , La destra ti chie- de^ nasce parimente da una situazione sommamente paté- jj^ SIGNOREtXI tica, e più volte si pose in musica con felicità da' più ri- putati maestri. Di un altro genere men tragico, ma non Ln tenero e ben contrastato , è il duetto <1^ P-o ; Geo- fide nell'Alessandro nelV Indie . S. ^^ ^^rbo ri tuo ri- ol Tn a-— -' uistmsero per vie divpv.^ tr. composi- P^ \'\- " • j- . Il oaccnmi per la cantilena eccellen- tori cu primo orH-— • •" J te 11 back per la meravigliosa espressione , il Piccinni che non li vinse , benché loro non ceda né per l' un pregio né per l'altro, intanto che in tutta la musica trionfa e singolarmente neir aria Dov' è , si affretti Per me la morte. Un Terzetto *e Quartetto può somministrare ampia materia all'armonia concertata. E se il poeta non è ca- duto nel comunale errore di dare a' personaggi un me- desimo sentimento prolungato in più versi che per tutti i riguardi riesce inverisimile; il compositore bene avrà cam- po di spiegare ad un tempo dottrina ed armonia, acutez- za e forza senza tradir punto l'espressione. Ciò che è da evitarsi in simili pezzi concertati é 1' analogia o rassomi- glianza ad un coro fratesco di un tempo , o ad un ripie- no di chiesa o ad un finale moderno di opera buffa. Vuoi- si noli' opera eroica in ogni incontro servar la decenza del- la specie. Sia i consigli, i precetti, le critiche ragionate gene- rano l'entusiasmo ed il gusto ? Ad eccitare e coltivar l'uno e r altro bastano tre parole : Ingegno , Natura , Model- li grandi, Hinc -pectore numen. SISTEMA MELODRAMMATICO IV. Qual piacere attendono i sensi e quale il cuore dalla Pronunziazione ^ dalla Danza ^ dall' Apparato'^ Le vicissitudini della poesia e della musica ne pre- senlano ne' due trascorsi secoli epoche più o meno prospe- rose , e col fiorir del Zeno e del Metastasio , del Pergole- se e del Jommelli e del Sacchini e del Piccinni e del Sas- sone, pervennero entrambe a certo punto di perfezione da non farci invidiare il melodramma de' tempi felici di So- focle e di Euripide. Quando però passiamo a favellar di attori , la nostra curiosità non trova gran fatto motivo da rallegrarsi , e pure sono essi al moderno teatro così ne- cessarj j giacché non siamo noi in Grecia , dove nel poe- ta univasi per lo più il musico e l'attore. Se si è veduta la poesia e la musica fiorire più o meno o decadere , ciò è avvenuto per vicende che in generale nelle arti stesse han- no influito , e non già per essersi in esse qualche indivi- duo distinto particolarmente. Troviamo al contrario negli attori in generale di non essersi essi mai avveduti della propria ignoranza nel rappresentare j e perciò se taluno, per accidente urtò nel buono , o anche per una partico- lare non solila istruzione , ciò non aprì gli occhi al ceto intero. Cieco sempre e difettoso si mantenne nel proprio inganrio ed accecamento, persuaso goffamente che all'at- tore musicale altro non abbisognasse che la conoscenza del-- la musica e 1' arte di cantare. 112 SIGNORELLI Tosto che volle in una città consacrarsi un edificio al melodramma , si badò a provvedersi di un dramma, di un compositore che vi apponesse le note , e di un mac-r chiulsla perchè la decorazione dello scenario splendida e vistosa al possibile riescisse , e finalmente si diedero le premure a' corrispondenti per le principali città dell' Eu- ropa per assicurare all' impresa cantori di entrambi sessi nominati di cartello, cioè famosi pel canto , senza iafor- marsi di quanto valessero nella pronunzìazione ossia neV rappresentare. Noi ignoziamo se nel nascere del melodram- ma esistessero attori più ragionevoli e convinti che la sce- na esigeva dall' attore qualche cosa di più del cantare. Dal vedere però che il maestro Vecchi ricorse alle maschere Lombarde pratiche di recitare sulla scena , per introdur- re un dramma musicale , può argomentarsi che non aves- sero allora gì' inventori trascurata questa parte tanto im- portante all' esecuzione del melodramma. Non dovette pe- rò ciò durar molto , da che ben per tempo ( siccome al- trove cercai d' investigare (i) ) troviamo in esso intrusi gli evirati , che apprendevano materialmente la musica vo- cale per saper ben porre e portare la voce', prender fiato ? tempo , vocalizzare e trillare , superando ogni difficoltà con gruppetti, tremuli, volate, appoggiature, e con imi- slare i canarini , e gareggiar con gli slromenti , e per so- prapplù accompagnando ciò con albagia stomacosa ed im- (i) Si osservino le ricerche ci nella storia critica d^:' teatri. da me fatte su de' cantori musi- SISTEMA MELODRAMMATICO l\0 pertinenza intollerabile. Qiial menviglia clie conlro di es- si si è tante volte declamato ? Essi di mano in mano de- generarono a segno , e fidarono con tale inijìudenza nella sola voce mal usata ]ìel dramma, che eccitarono l'indi- gnazione fin del dolcissimo cigno fdosofo Metastasio , il quale scrivendo a Bernacchi , essi , diceva , si sono ri- dotti ad imitar non più le passio/ii e la favella degli uomini , ma il cornetto da posta , la chioccia che ha fatto l'uovo^ i rihj'ezzi della quartana e l'ingrato stri- dere de' gangheri rugginosi. Dovette a simil genìa sem- brar cosa facilissima V entrare in ìscena ed uscirne e pas- seggiarla con decoro e senza il ridevole e matto loro or- goglio , ed il ben pronunziar V italiano , e V accentare a dovere e pensar che ciò far si potesse senza istruzione. Così ignorando quanto lor mancasse a meritare il titolo di' attori, portarono la baldanza in trionfo, e pregiaronsi del- la propria stupidità , sostenendo la parte di Cesare , di Enea, di Megacle e di Arbace con insipidezza tutta pro- pria del loro ceto. Poco più, poco meno, fu questa la ma- niera di raj>presentarsi il melodramma nel secolo XVII , e nella prima metà del secolo XVIII. Per intervalli non per tanto fiorì qualche attore nel passato secolo senza i vizj generali della loro specie. Si contò appena il NicoU- ni che si sforzava, per quanto intendeva, di bene espri- mere j e se non rappresentò per eccellenza ( cosa impos- sibde senza vera scuola ) almeno eseguiva, dicesi, con impegno e con attenzione. Con lunghi intervalli fra la calca de'musichclti intenti a vocalizzare senza fare intendere le T. ir. i5 Il4 SIGNORELLI parole ovvero in qual lingua cantassero , surse un Monti- celli che ascoltò le istruzioni del Metastasio, Ali" attività ed agilità musicale unì questo attore il raio pregio di ben pronunziare V italiano e di gestire con naturalezza e con decenza, lontano dall'affettazione istrionica, e senza tradire il patetico che ne' cuori signoreggia, e rapì l'attenzione degli Alemanni e degl'Italiani. Dopo di altri grandi voti apparve un IManzoli , il quale con una voce dilicata , in- sinuante , flessibile , possedè l' espressione non solo musi- cale , ma delle passioni e l' arte di bene imitare il perso- naggio che rappresentava. Sulle scene egli era Arbacp , era Demetrio, era Poro, non più Manzoli j si trasportava nel- r impeto , mostrava nel volto l' amore , la tristezza , l' a- gìtazione che finger dovea di sentire nel cuore , piangeva #gli stesso e faceva piangere. Ma che epoca potevano mai fare in due secoli tre o quattro attori musici degni di ram- mentarsi con plauso ? E stupiremo poi che vivendo an- cora Metastasio, il melodramma soggiaciuto fosse ad am- putazioni eseguite da dozzinali norcini ne' divini recitativi pieni di affetto, di sapienza e di gusto? Che i Temisto- cli, gli Attilj , i Titl, prodotti inimitabili del genio, che for- se non avranno successori , venuti fossero in disuso ? Quanto alle attrici cantanti , senza dubbio più docili e più sensale degli evirati , ne contiamo alcune che nel rap- presentar si distinsero. La celebre Benti - Bulgarelli per cui si scrisse la Didone , la riputata de Amicis , la Tesi , la Tauber, le quali vennero in Napoli o in Vienna dal prin- «cipe della poesia drammatica illuminate , riscossero gli ap- SISTEMA MELODRAMMATICO H^ plausi universali. Ed intanto una folla di cantatrici si so- stennero per altro che per sapere dominare la scena , fi- no a che durò il fiore de' loro anni, e passarono poscia a recitar per istagioni nelle provincie , e corsero in fine nel loro autunno a Barcellona o a Lisbona , e quindi am- mutirono. Si ammirarono , è vero , pe' doni di natura e per le voci eccellenti, ben coltivate e fatte per incantare, la Mingotti , r Astroa , la Bordoni , la Silva , la Banti , la Todi , la Correa , la Grassini , la Morichelli , la mirabile Gabrieli, e l'impareggiabile Angelica Bilington, Ma quale effetto prodotto non avrebbero , se impiegato avessero un pajo di anni almeno ad apprender l'arte seducente di ben rappresentare ! Si sarebbe detto dalla gente di gusto: que- ste furono cantatrici esimie e mirahili attrici : laddove si è detto ; gran danno della scena che dalla bocca di sì belle statue escano tanti prodigj musicali , e nel resto si desideri anima , calore , nobiltà di contegno ed espressione , le quali cose potevano farle uscire dal- lo stato di pure macchine. Comunque sia, gì' indicati individui di entrambi i ses- si che riescirono anche nel rappresentare , ne mostrarono la possibilità , purché si soggettino ad una scuola necessa- ria forse più delia stessa musica. Imperocché ben può dar- si una voce singolare che eseguisca per orecchio e non per principj con eccellenza , e piacere j e non di rado un egregio attore , sensibile , intelligente imitatore del pateti- co della poesia , al pari del Monticelli , e del Manzoli , ti- rerà a se l'attenzione e gh applausi del pubblico, tutto Il6 SIGNORELLl che sia un cantore mediocre. In somma bisogna conveni- re clie se l'orecchio pretende dal cantante le delicatezze musicali , il cuore dell' ascoltatore vuol esser commosso dal patetico. Egli trovasi deluso nel più bello delle spe- ranze se attende invano di sentirsi scuotere non altrimen- ti che in una situazione patetica non ideale, e se questo accade , egli manifesta col pianto il piacere che ritrae da rin vero affetto che rende interessante un finto evenimen- to. Ma ciò non mai si ottiene , se non si esprirne colla più delicata pronunziazione. Che se questa parte sì necessaria del melodramma di rado si possedè , mentre , ancor Metastasio viveva , non sarà fuor di proposito che ciò si reputi una delle prima- rie cagioni della decadenza del melodramma. Si aggiunga che al mancar di quel grande ingegno 1* eroico sofferse più terribili vicende non solo perchè fu assai difficile il tenergli dietro , siccome con suo scorno sperimentò il Cal- ^?l''§i 5 ma perchè le convulsioni politiche distrassero , sof- focarono , ed imposero silenzio a' mighori ingegni. E seb- bene nelle principali città non mancò qualche melodram- ma competente , sussistè però la causa distruttiva propria de' teatri musicali, cioè la deficienza d'istruzione negli at- tori. Cessarono in Napoli col Velluti di comparire sulle scene melodrammatiche gli attori smaschiati j e se il tea- tro eroico sussistesse nell' antico stato , forse i tenori e le attrici cantanti come la Sessi , potrebbero conservarvi il diletto, che reca alla gente bene educata un dramma ben rappresentato. MSTEMA MELODlì.\.M>rVT(Co II7 L' insolenza e l'ignoranza de' cantori nel lappresen- laro, non solo dcfrautlarono il jmiMiIìco del ])iacere che si aUcnde dall'unione della poesia colla musica, ma cagio- Harono i progressi dell'arie pantomimica sì prodigiosa uel- r antichilà e sì poco noia a' moderni. Atlestano alcuni ver- si francesi che un tempo dalla Francia si calava in Italia per a])prendere la danza. Si sa ancora che varj arlisti ita- liani si accolsero in Parigi, e che il Rlmiccini v'introdus- se i balletti e le commedie -balletti. S'imbastardì poi la danza fra noi , e migliorò e fiorì in Francia , e toccò a- gl' Italiani di studiarla da' Francesi , e per essi surse di uuovo dentro il recinto delle Alpi l' amor della danza e cle'panlomimi. Nella mia fanciullezza il melodramma tut- tavia avea negl'intervalli degli a Ili due balli; grande l'uno composto di una piena introduzione e di un finale con due o tre pas-de-deux nel mezzo eseguiti dalla prima e se- conda coppia e terza ancora di ballerini, i quali però niu- iia connessione aveano fra loro ;, l' altro ballo per lo più comico si componeva di caratteri , come nel grande , in- compatibili fra loro, ed a pecorai, muHnari , carbonari solevano succedere selvaggi o Gnesi o Affricani. I nostri ballerini non si mostrarono indegni di figurare accanto a' Francesi, Il tulio però era eterogeneo , inconcludente , senza interesse. La danza alta sorprendeva co' salti del Tifano , del Guglielmo , e dell' agilissimo Carlino Saba- tini. Il liallo diliralo e serio non cominciò qui ad amarsi prima del Le-Pi(pc. Il8 SIGNORELLI Eransi in Francia cominciate a convertire in panto- mimi le tragedie e le commedie , come già era avvenuto in Atene ed in Roma. Ne giunsero in Italia le notizie e qualche esempio , e da Noverre in poi si ammirarono di- versi pantomimi italiani. L'Angiolini si segnalò per essi in Vienna, in Pietroburgo e per T Italia, Gennaro Magri na- politano che si era distinto in Napoli da primo ballerino, come ancora in Venezia ed in Torino , produsse da diret- tore alcuni pantomimi assai applauditi. L' altro napoleta- no Gaetano Gioja si ammirò come ballerino e come in- ventore di pantomimi in Napoli , in Bologna ed altrove. Uno de' suoi pantomimi più acclamati e ripetuti in diver- si teatri fu 1' Andromecla, Ciò che la musica non potè ottenere da' cantori sraa- schiatì , trovò ne' pantomimi. Il suo linguaggio , come dis- se r Alembert , senza vocali , si ascoltò per la viva espres- sione de' ballerini , ed il trasporto e l' interesse si sentì nel Lallo. Eccone gli effetti. Il melodramma mal rappresenta- t J da' cantori , che era divenuto indifferente , ed i versi che si (erano allontanati da' Metastasiani, cedettero il cam- po a' pantomimi , ed i soprani orgogliosi servirono , come pure disse il Metastasio , di tramezzi a' balli. Oggi il me- lodramma erra negletto, ed ì pantomimi trionfano con O- tello^ con Paolo e V^irginia , con Sansone , malgrado de' loro molti difetti nell'invenzione, e ciò che in tanti an- ni non seppero fare i cantori , hanno conseguito Titus , Henry , Taglioni , e la Chiari , la Queriau , la TagHoni , cioè hanno riprodotto nel cuore il piacere del patetico vi- SISTEMA JIFXODP.AMMATICO IH) vaceinente rappresenlalo , che ne avea peidulo il sentiero. Ma se r amore del fracasso , dello strepilo , del nnmeio strabocchevole delle comparse sbalordiscono ed assordano lo spettatore , se una durata indiscreta di più ore amareg- gia col tedio il diletto dello spettacolo : se certa unifor- mità ne' passi , ne' salti , nel perpetuo piroettarle , produ- ce tratto tratto l'indifferenza , può generare indi a non molto la noja. Simili eccezioni , ove divengano frequenti e maggiori, l'illusione comincerà a distruggersi, la curio- sità mancherà di nutrimento, e lo spettacolo musicale sog- giacerà a novelle vicende. E chi sa che l' attuai regno de' ballerini non torni a cedere al melodramma meglio or- ganizzato ed eseguito con gusto 1' onore di principale , la- sciando di bel nuovo a' ballerini il secondo grado di ac- cessorj ? Ma ciò attende un genio poetico degno di sac- cedere al gran Poeta della sensibilità e delle grazie , ed uo genio musico atto a far rivivere i Pergolesi , i Piccinni , ed i Jommelli , come ancora qualche cantatrice recente che sulle tracce della Sessi e col merito della vera rappresen- tazione che r appressasse alla Tesi ed alla Ben ti , facesse nominarsi co'MonticeUi e Manzoli come attrice, e co' Fa- riuelh e con gli Aprili come cantante. Anche r apparato scenico moderno che senza dub- bio in magnificenza ha superato di gran lunga V antico . se si riguardano i progressi della prospettiva , il mernvi- glioso delle colonne dipinte in angolo , la facilità di cam- biar le vedute , e la copia e la varietà e la convenevo- lezza degli ornamenti 3 può contribuire, oltre di piacer** 1 -20 SIC; alla visia , coli' incanto della imììhii ^ «Il-m arcliiteltura , al diletto ineffabile che genera il' patetico nel cuore. Quella grazia pittorica' che poneva il Metnstasio creatore di tante bellezze draminatiche , in presentar prima de' versi i qua- dri delle azioni nelle scene che descriveva , era la prima molla che tirava lo spettatore collocandolo nel bel mezzo de' personaggi e de' siti imitati. Didone , Aristea, Dircea , Zenobia trovavano disposti gli animi a credersi in Africa , iu Elide , in Tracia , in yirmenia , e ad accogliere il pa- tetico commovente delle loro tragiche situazioni. Ma se ta- li quadri lasciano travedere incoerenze ed improprietà ed usanze e costumi sconvenevoli, né i sensi né il cuore sa- ranno eccitati ad ascoltare, everranno defraudati dall'at- teso piacere. CONCHIUSIONE. Noi abbiamo accennate più che descritte le vicende del melodramma , omettendo ancora i suggerimenti della fi- losofia suir edificio stesso del teatro , sulle scene e veda- le e su i vestiti , delle quali cose non lasciammo di favel- lare altrove (ì). Ci è bastato indicare ciò che sulla poe- sia , sulla musica, sulla danza e sulla decorazione abbia sinora nociuto o giovato a sostenere 1' illusione unica mol- la del melodramma che Somministra a' sensi ed al cuore (i) Possono vedersi i nostri ^«^/va stampati iiiMilano nel i8o3. Elementi di. Poesia RappreseJi- SISTEMA. MBLODKAMMàTICO 121- il piacere , il quale chiama il concorso e 1' attenzione , e spiana il sentiero ad insinuar la morale. Ci auguriamo che l' attuale manifesta più inazione che decadenza di sì bel poema ateniese , tra noi da poco più di du« secoli risorto , voglia esser principio di risorgimento , e col rendersi per ora al teatro le opere metastasiane e coli' ec- citare i buoni ingegni italiani ad emularle , scansandone i freddi amori subalterni che ritardano il moto tragico , certi riposi inopportuni dell' azione , e la frequenza dellt arie di similitudini ed allegorie, bellissime per se stesse, ma sovente contrarie allo spirito della tragedia. Questi splen- didi nei di quel valoroso drammatico gU vennero in parte dall' imitazione de* Francesi , ed in parte dagli abusi tea- trali del secolo scorso. Un poco di cura maggiore che sì porrà in evitarli e di attenzione in imitare le bellezze che jn esse abbondano , possono renderci il melodramma , ed approssimarlo sempre più alla tragedia. La crisi non dovrebbe esser lontana. Gli Eutropj sparirono al fine dalle scene musicali. Si è sperimentato che i tenori e le cantatrici bastano a farli dimenticare per sempre. Le arti del disegno tuttavia vantano artisti di prima fila. La prospettiva trionfa in Italia ed in Francia. La danza lungi dal languire è caduta nell'eccesso con- trario di voler trionfare , e non è difficile di richiamarla al vero punto di piacere senza eccezioni. La musica ben- ché si risenta della perdita di un Sacchini , di un Jom- meUi , di un Piccinnl , di un Guglielmi , alza non di meno la fronte , e ci addita Palsiello , Cherubini , Zingarelli , T. IV. \S 1*2' SIGNORELII Paer , Palma , Fioravanti e Mayer pronti a mietere novel- li allori. Io sdegno più parlare di quel momento di follia che ha inventato un melodramma mezzo prosa e mezzo canto , e tutto povertà e goffaggine , ed ignoranza , la quale non sedurrà mai gì' ingegni sobr} rimasti illesi dalla me^ schina moda di simile puerilità o demenza. Un passo di più ha dato la nostra Società Italiana di Scienze, Lettere ed Arti di Livorno col programma in- torno allo stalo attuale ed alla decadenza , se ve ne sia, della musica. Il maestro Sig. Giovanni Agostino Perotti di \erceUi ha verificata nel 18 ii la decadenza della mu- sica nella dissertazione approvata dalla Società , ed ha ri- dotte a tre le cagioni della rovina di essa", cioè alla cor^ ruzìone della drammatica , all' ignoranza de' cantori^ all' abuso che fanno i compositori delle ricchezze del' la loro arte. Ma con sua buona pace, di queste non v' è che r ultima , la quale individualmente riguardi la musica. Le prime due non possono influire alla decadenza di es- sa , benché potrebbero nuocere alla riuscita dello spetta- colo. Egli però volendo valersi di alcun cicaleccio oltra- montano ha presa la decadenza dello spettacolo per decadenza della musica , che voi ben sapete essere due cose distinte. E quando pur si volesse per un momento asserire che la dram- matica sia decaduta, non potrebbe strascinar seco la musica di chiesa e di camera che ne sono indipendenti. Ma è poi vero che la drammatica dopo Metastasi© dir si possa corrotta ? È forse surta una nuova scuola drammatica, come nel XVII secolo una ne FiirsG depravata per tutta l'eloquenza? Ciò no SISTEMA MELODRAMMATICO t»3 vi sarà chi asserisca; La oompwsa ci» nieìItoVftj 'del Cal- sabigi ) -del Gamerra,. del Rezizonico iì»n alterò i'fvUhto il sistema MetastasitmOi ' * Al' oontrtticr U^ifrida-, VEhlra^H Pirro , il Timoteo , V Artemisia , il Tremano in Dacia comparvero e morirono repentinamente. Il pubblico che dissapprovò que' pochi defedi 'dramftii , GOaferitiò fcon la sua tacita decisione il sistema tenuto da Zeno e Metastasi©, in vece di crederne corrotto il gusto. Sono sparite per sempre dàlia memoria degl' Italiani quelle larve mal accoz- zale , e sono rimasti in trono, e vi si venerano come frut- ti d' ingégni sublimi ' pieni di 'Sàngile , ' di maestà , e di grazie le Nitocri , e le Meropi , e Papij'io , e le Iper- Tnestre , le Zenóbie, e '^lAttilj. Or come diremo la dram- matica corrotta e cagione della decadenza della musi- ca ? Potremo bensì dire oggi che la drammatica sia ab- bandonata per diffidenza di riuscire , ma ciò non è cor- ruzióne che' influisca nella musica. [ ohaanu'j Che i cantori abbiano contribuito colla loro ignófàtìia a rendere nojoso ed insulso lo spettacolo melodrammatico anche è vero. Ma può dirsi cagione della decadenza della mu- sica? In niun conto. Un musico cantore imperito né può com- municare la propria ignoranza al musico compositore, né la musica può degenerare per un cattivo esecutore. Adunque né la reale imperizia de' cantanti ha potuto cagionare la decadenza della musica e comunicarle i vizj che vi rav- visa il Perotti , cioè la mollezza , la scarsa intelligenza del contrappunto, lo sfoggio perpetuo ed inutile degli Siro men- ti , lo strepito molesto , é la deficienza, di 'èsj)réssfiotiè.''' ia4 SIGNORELLI Il Iodato Perotti.si è parimente occupato a rinveolre i rimedj che gli sembrano proprj al risorginiento- della mù- sica. Egli in fatti ne Te sperare eoa dire che i mez:ii da estir- pare gli abusi musicali proposti dal Brown , dall' Algarot- ti , dall' Arleaga , dal Planelli , per esser venuti da lettera- ti non, artisti , a lui sembrati sono insufficienti. La nostra Società Italiana avrà pesali i di lui Suggerimenti , e conside- rato sei egli come artista ne abbia proposti migliori e pro- prj. Io gli addito a voi, bravi Pontaniani j vedrete voi per voi stessi se sia proprio espediente di un artista il pro- porre per guarir la musica da' suoi malanni una Commis- sione provveduta di legai potere per iscerre e far nascere melodrammi ed ingegni : se decreti coattivi bastino a ri- chiamare il gusto ne* balli e ridurli ne' giusti confini senza nuocere al piacere che se ne attende : se la musica po- trà risorgere , come suggerisce un ragionatore artista , esiliando gV impresarj : se la musica , per avviso di un artista , riacquisterà scienza , gusto ed energia con una proibizione al popolo di giudicar delle opere di gusto. Vedrete voi se per questi mezzi suggeriti da un professore di musica tornerà questa beli' arte nello stato in cui la la- sciarono Back , Hasse, Gluck , Piccinni, Jommelli , Pergo- lesi e Saccliini. Quanto a me , limitandomi al melodramma , dopo 1' a- bolizione de' nostri Conservatojj che di tanti maestri di primo ordine inondarono 1' Europa , tutto attendo dagli ultimi stabilimenti del provvido Governo e della Pubblica Istruzione che oggi lavora con fervore e saviezza. Dingo SISTEMA MELODRAMMATICO 1 2 J nel leinpo stesso i miei voti a veder rinascere fra noi per la fina rajjpresentazione le antiche ingenue scuole Napo- letane aperte sin dal XVI secolo dal Cavaliere Giov. Bat- tista della Porta co* suoi Segreti, dal riputato Abate An- drea Belvedere , dal dotto IViccolò Ainenta, dal Marchese Barene di Liveri , e da qualche altro di cui si sovverrà il già Teatro Patriottico oggi Filodrammatico di Milano , essendone stato Istruttore come Professore di Poesia Dram- matica in Brera. Ma singolarmente a voi , a voi mi rivol- go , egregj Pontaniani. Voi che non coltivate aridamente le scienze , le antichità e la storia civile , filosofica e na- turale : che il sapere tenacemente serbate nella mente, e la morale con gelosia nel cuore : che amichevolmente vi ra- dunate e con filosofica tranquillità discutete , e non già con urli e con pugni come una volta facevasi ne' circoli peripatetici : voi che industriosamente fra voi trafficate le scoperte ed i lumi che andate acquistando : voi che colti- vate con diligenza lo stile , e di eleganza , di grazia e di amenità abbellite ed illustrate le gravi meditazioni : voi , dico, voi che lo potete, io invito a prender per mano il melodramma che vi ho presentato , ed a ricondurlo sulle tracce del grande alunno del Gravina surto accanto al Cam- pidoglio. Se voi non muove la gloria di occupare i terzi allori dopo Zeno e Metastasio , i nostri spettacoli musica- li onde attenderanno nuovo lustro e nuova vita ? Onde proverranno nuovi impulsi in prò della beli' arte che si pretende invenzione di Pitagora ? Onde Napoli e l' Italia sentirà di nuovo riempiersi l'orecchio ed il cuore di quell'inef- fabile piacere che in dì più felici ricevettero dal melodramma? :oàìi 's *L. iìoàÌAiii ILLUSTRAZIONE « ^« DELL' ANTICA CAMPAGNA TAURASINA , E DI ALCUNE NOZIONI AGRARIE LETTA ALLA SOCIETÀ DA RAIMONDO GUARINI Nelle adunanze del i Marzo , e de' 7 e 20 Giugno 1818. OCCASIONE DELL' OPERA. N, ELLA breve villeggiatura autunnale dell' anno 18 17 alcune domestiche circostanze mi trassero di casa nel Co- mune di Grotlaminarda , e quindi per pochi momenti pres- so i Signori Perilii , a' quali da più anni ho il vantaggio di esser legato jur^e hospitiì, et amicitiae. Con questa oc- casione il Sig. D. Tommaso Perilii, memore del mio tra- sporlo per gli oggetti dell'antichità, mi presentò alcune iscrizioni pervenutegli dalle adjacenze di Circello, comune og- gi della Provincia di Molise. Una fra queste fissò di pri- mo lancio i miei sguardi e la mia attenzione. Era essa per verità assai mal capitata , ed in parte monca ancora : pre- sentava ciò non ostante con evidenza lo squarcio seguen- te: VMBAEBIAN. Eccomi risvegliata l'idea naturale -del- l' antica colonia di Bebiano , e per concomitanza quella della sua vicina ed affine Corneliano. La curiosità mi me- laS eiTARim na alla ricerca. Mi sono messo in comunicazione con per- sone capaci ed impegnatissime a tramandarmi le notizie locali necessarie alle mie vedute. Ho letto , ho conferito , ho scritto : ed è questo il processo naturale dell' Opera presente. DISEGNO DELL'OPERA. Nel catalogo delle colonie di Giulio Frontino troviam fatta menzione di Bebiano e Corneliaoo nel modo seguen- te : Ligureis ( così va letto il Liguris che incontrasi co- munemente nelle edizioni di questo scrittore ) BaebiamiSy et Cornelianus. Muro ductus Jllvirali lege. Iter popu- lo non dehetur. Ager eius post hellum Augu&iianum veteranìs est adsignatus. Così a pag. io6 della edizio- ne di Amsterdam del 1674 di cui faremo uso in tutto il corso dell' opera, Veggonsi fedelmente ripetute le paro- le medesime presso Siculo conosciuto sotto il titolo di Giu- lio Frontino Siculo (i)- Questo Siculo non ha che fare con Giulio Frontino. Siculo parla di disposizioni agrarie de' tempi di Comodo j e Frontino è molto anteriore a que- st' epoca. Ma come egli ordinariamente non fa che ricopia- re il detto da Frontino, così il vero titolo di tal novello impasto sarebbe, come si è ben riflettuto pel Goesio.; Julii Frontini , et Siculi. Nella ripetizione del testo Fron- (1) Pag. iSg. della luedesinia edizione. CAMPAGNA TAURASINA I29 titìiano , fatta da questo scrittore qualunque, a proposilo di Bebiano e Corneliano non vi ha di particolare , che il Ve- vianus in cambio di Baehianus j lo scambio vale a dire del B in V, cosa che di sicuro non iscandalezzerà né tam- poco i semplici iniziati ne' misteri della paleografia. De' Liguri Bebiani e Corneliani vedesi fatta eziandio menzione espressa da Plinio al Lib. III. Gap. II. Ligures, qui cognominantur Corneliani , et qui Baehiani. Or questo linguaggio di Frontino , Siculo , e Plinio fan cono- scere chiaramente , che Bebiano e Corneliano , sebbene co- muni di origine , sieno state non pertanto due Colonie ben distinte fra loro e di luogo e di nome. Ed ove a taluno venisse su ciò qualche leggier sospetto , potrà egli depor- lo a vista della seguente epigrafe , ancora esistente in Ali- fe, e che riportata dal Pistilli a pag. 97. in nota con qual- che picciola infedeltà si è per noi fatta rettificare da per- sona idonea sull' originale. Questa bella epigrafe consagra- ta dal collegio di Venere al suo Patrono Sesto Minio Sil- vano è ben interessante pe' molti titoli luminosi, che gli attribuisce , fra' quali sembrano da notare quello di difen- sore della repubblica Alifana , equivalente , secondo le idee di Everardo Ottone de Aedil. Colon. Gap. II. nel- le Colonie a quello del Tribuno della Plebe in Roma; quel- lo di Curatore della Città di Atina , nella cui campagna fermatosi una notte il grande Oratore di Arpino esiliato da Roma vide Mario in sogno, che gli vaticinò un ritor- no glorioso, come ei ci racconta Divinai. L. I. Cap.Sg: e quello in fine che fa al nostro caso , di Curatore de'Li- T. IV. 17 i3o euARit» guri Corneliani. Eccola senza tener più a bada il lettore: S. MINIO S. filio. TER. SILVANO 'AED. II. VIR. II. QVIN PATR. COLON. ALLIF PATR. SAC. PAL. IM. QVAEST DEFENS. RP. PRAEF. P. FRVM CVRAT. CIVITAT. ATINATIVM ITEM. CVRAT. LIGVRVM. COR NELIANORVM CONTVBERNIVM. VENERIS PATRONO. OB. MERITA. EIVS L. D. D. D Le sigle Praef. P. frum. che presso il Pistilli leg- gonsi praef. R. frum. valgono: Praefectus pecuniae fru- mentariae. Quali pertanto sono i punti topografici del nostro re- gno , cui fa d' uopo riferire le due divisate Colonie di Be- biano e Corneliano? E questo il primo disegno dell' ope- ra. Ma poiché l'appoggio principale di essa è il testo di sopra recato di Frontino, autore creduto universalmente di un linguaggio oscurissimo , e poco meno che enimma- tico \ ecco quindi 1' impegno secondario per ragion di or- dine , ma primario per titolo d' importanza , di penetrare, per quanto si può , ne' misteri di questo linguaggio , ridu- cendone ad equazione le formole , quanto basti non pure per la intelligenza del nostro argomento particolare , ma per un indirizzo generale qualunque de'meno esperti, che CAMPAGNA TAURASINA l3l occupar si volessero nella Frontiniana officina ad illustra- re la storia delle antiche romane Colonie. L'opera per tal effetto andrà divisa in quattro giust* -sezioni. Si tratterà nella prima di Gorneliano in partico- lare : la seconda allo stesso modo tratterà del solo Bebia- no. La terza considererà Gorneliano e Bebiano sotto que' punti di storiche vedute , che sono ad entrambe comuni, e che ci riuscirà di scoprire al lume degli antichi monu- menti superstiti. Nella quarta finalmente si darà una spie- gazione delle voci e forniole Frontiniane più necessarie al- la intelligenza del romano linguaggio agrario colonico con un saggio del metodo di applicazione delle medesime a qualche caso particolare preso a sorte dallo stesso Frontino. SEZIONE L §. I. Cornellano e Bebiano non possono cercarsi , che nel Sannio Jrpino. Questo dato è della massima importanza pe '1 nostro caso , ed altronde fortunatamente incontrastabile. Ligureis Baebianus , et Cornelianus , così il testo Frontiniano , rui aititan]ente ragionare. La prima riguarda 1' origine di lor fondazione. La seconda le loro vicende sotto la legge Triumvirale. La terza finalmente r assegnazione del loro agro a' veterani sotto Augusto. Quanto alla prini' epoca , lutto è chiaro dopo il fin qui detto. Essa resta fissata all'anno di Roma 5 72 , cioè 112 anni a un dipresso dopo che 1' agro taurasino era divenu- to publious poptill romani : né su di questo può ca- dere alcun dubbio ragionevole : solo domandar si potrebbe, a qual classe di Colonie riferir si debba questa prima de- duzione de' Liguri nel nostro Sannio Irpino. Deve essa qualificarsi per colonia militare 1 ovvero civile? o anzi popolare? L facile il soddisfare per una parte a silfalta domanda ; e lo è necessario per 1' altra , a fine di corri- spondere ali' oggetto principale dell' opera , che è quello J 74 > < (ftTARlNI di servile' di uua chiave qualunque del liuguaggio Fronti- iiiario ])f' niftiio esperti in tali materie. Le deduzioni coloniche presso i Romani in origine nirono di ragione de' Re , cominciando da Romolo (i). Dopo l'espulsione de' Tarquinj , dalle mani regali passaro- no a quelle del Senato. Vi si mischiò in seguito il Popo- lo, e l'affare divenne d' interesse comune ad ambi i po- teri. ]Non tardò il Popolo sovrano a pretendere di esser esso solo r arbitro indipendente di questo negozio , e molti esempi e molti veggonsi in Frontino di Colonie me- ramente popolari. Festo fa menzione di sifl'atte Colonie ne' termini seguenti: priscae latinae coloniae apvellatae sunt ^ ut distinguere ntur a novis , quae postea a Pó- pulo dabantur (2). Or tutti questi generi di deduzioni fatte per autorità o regale, o senatoria, o popolare, o se- natoria e popolare insieme , vanno compresi generalmente sotto il nome di Colonie civili , o che i dedotti fossero stipendiarj , oppure veterani , o forestieri ancora. Siila fu il primo che in questo gioco guadagnò la mano al Popolo , come questo guadagnata avevala al Se- nato. Egli senza formaUtà né di plebisciti , né di Senatus- consulti divise ed assegnò terreni come volle , e a chi volle. £ questi terreni per verità gU renderono assai buon fruttato; perchè oltre della sicurezza, mentre visse, gU fruttarono di morirsi tranquillamente nel proprio letto an- (i) Vid. Goes. -Antiquii. (2) Pag. CCXCII. Agrar. Gip. HI. . ', .. CAMPAGNA TAURASINA 1^5 che deposta la sua mostruosa e saiìguiiiaiia Dittatura. Ed è questa la vera origine delle Colonie militari , che come giustamente ragiona il profondo Goesio (t) contro del Si- gonio , non sono già le S(.'nipliccn].:'nte composte di Stipen- diar} , oppure Veterani, ma quello sibhene che vantar non possono alcuna delle anzidette autorità. L' esempio del felice Siila fu ben volentieri seguito dal Magno Pompeo , dal cleiueniis&imo Cesare , e da' fa- mosi Tliumviri , M.Antonio, Otiavio, e Lepido. Le co- lonie di Behiano e Corneliano furon dedotte per autorità espressa del Senato , come da Livio. Dunf[ne nella pri- miera loro istituzione non furono che Coionio puramente Civili. §. IL Epoca seconda di Corneliano , e Bebiano. Muro du- clus lege Illvirali. Spiegazione di questa formala. Corneliano dunque e Bebiano prima della legge tri- umvirale non erano murati, lo furono per effetto di questa, e così divennero Oppidi propriamente. Tanto vale la for- inola frontiniana muro ductus , che non vedosi così alla rinfusa applicata ad ogni sorla di Oppidi. Di alcuni dicesi semplicemente ; munitum. Così : Arida. Oppidum. Lege Siillana est munitum^ a dinotare che questo Oppido non fu già per ordine di Siila cinto di mura , ma fornito bensì (i) AiUiq. Agrar, pag. aa. i'}(} GUARINI di nuovi lavori di fortificazione. So che il munio derivan- dosi dal disusato moenio pretender si potrebbe per av- ventura per l'equivalente dìmuro duco. Ma non è questo il senso del muniius fronliniano. Questo scrittore ci parla il linguaggio severo delle forinole : e le forraole , per esser tali , debbono essere sagrosante , se dar non vogliono oc- casione di equivoco a' lettori. Se dunque Fiontino or usa la formula di munitus , or quella di muro ductus , bi- sogna che fra esse siavi qualche differenza , e la più ov- via e naturale è la già enunziata. Ma che cosa è questa legge triumvirale ? quanto vale nel linguaggio agrario? chi sono questi Triumviri autori di essa ? Ecco delle questioni serie , alle quali convìen soddisfare , se legger si vogliono e capire gli antichi tral- tatori delle cose agrarie. Il celebre Nicola Rigalzio fa vista d' intendere la for-^ mola in quistione pe'l complesso de' regolamenti esecutivi nelle deduzioni coloniche dipendente dall'arbitrio degl'in- caricati di siffatte operazioni. Coloniae pleraeque dedu- ctae sunt , creatis IIIvìt'Ìs , et lege Triumvirali. Cosi egli (j) : e se la intende così", va troppo lungi dal segno, se non e' inganniamo noi stessi. Se una Colonia dedotta per tre magistrali esecutivi devesi dire deducfa lege triumvirali ; dunque per la stessa ragione dovrk dirsi deducta lege IIi'ij^ali,lIIIviralìf J^virali , Xvirali , XXviì'ali , una Colonia regolala nell«i (i) Script, agrar. Goes. Observat. et not. pag. aSi, CAMPAGNA TAUR ASINA I77 svia esecuzione da due , quattro , cinque , dieci , venti , o altro numero disiflatti magistrali subalterni. Si rechi uà esempio sqJo di simili formole in Frontino , Balbo , Siculo, nella mappa Albese , o in altro antico monumento agrario finora conosciuto. Anzi la Colonia Capuana dedotta per XXvbos nel Triumvirato di Pompeo , Cesare , e Crasso non solo non si enunzia deducta lege XXvlrali , come avrebbe dovuto dirsi secondo le idee del Rigalzio , ma uè tampoco lege lllvirali. Essa annunziasi per l'ojtposto de- dotta itissit Impej'atoris Caesaris a XXviris. Che cosa vale dunque questa formola nelle materie agrarie? quello che nella materia slessa valgono Lege Sempr^onia j Lege Graccana 5 Lege Sullana ^ Lege lidia \ Lege Augur staea. In una parola : potere legislativo supremo ^ e non esecutivo senjplicemente. Or questo potere legislativo supremo riguardar poteva o le colonie da dedursi in elTetto delle sue ordinazioni j ó 'ì regolamento della jugerazione da osservarsi nell' asse- gnazione de' terreni con certe misure , limiti , e termini j Del' uno e l'altro insieme. Queste tre idee debbonsi distin- guer bene nelle faccende coloniche per la giusta in teHigenza degli scrittori agrarj antichi j potendo stare una deduzione fatta per un'autorità suprema, la cui jugerazione intanto siasi regolata a norma di un' altra legge suprema , o allora la prima volta applicata , o che appHcatasi prima , siasi lasciata correre , e con ciò ratificata. Per esempio , pres- so Frontino la Colonia beneventana dicesi dedotta per Clau- dio ^Nerone, ma però lege triumvi/'ali. Rechiamo il passo '. T. JF. a? lj'8 GUARJM Beneventutn muro ducia. Colonia dieta Concordia. Deduxit Ne/^o Claudlìjs Caesar. Iter populo non debetur. Ager eius lege Illvirali veteranis est adsignatiis (i). Ciie effetto fa (jui , ed in altri casi somiglianti la legge trium- virale, mentre là deduzione si fa jjer Clauflio Nerone? ec- colo. La colonia è Claudiana : ina la jugerazione se ne regola a noruia della legge triumvirale, sia che per la pri- ma volta vi si applichi, sia che introdottavi prima vi si confermi 3 giacche non sempre una novella assegnazione porta seco nuova cen tu riazione. Per la buona intelligènza dell'articolo Cen tu riazione, è da sapere che le Centurie agrarie così dette in origine, perchè destinate a cento uomini , non si trovano costan- temente della stessa misura. Noi a suo luogo ne accen- neremo tutte le differenze dal massimo al uìinimo termine della loro progressione. Basti per ora l'avvertire, che per la legge triumvirale la misura ordinaria delle Centurie pe' terreni dell' Italia era di soli jugeri cinquanta , come con Igino (2) fan fede altri scrittori agrarj. Di questa mi- sura dunque si potrebbero credere le Centurie beneventane fissate allora per la prima volta , o piuttosto ratificate per la deduzione Claudiana. Ma nò : perchè sebbene fosse questa la misura ordinaria della legge triumvirale , non mancano esempi di eccezioni fatte su quest' articolo dalla legge me- desima. Per testimonianza d'Igino testé citato (3) , «ssa ne determina dugento dieci per T agro di Cremona , e altro- (i) Pag. io3. (3) Ivi. ^a) De Liinit. pag. i5/^. CAMPAGNA TAUR ASINA I79 ve dugento. Benevento è nel caso di questa seconda ec- cezione. Perchè Siculo Fiacco (i) dice espressamente , che le centurie beneventane non si possono già dire quadrate per la ragione , che contavano atti XXV. sul Decimano, e XVI. solamente sxd cardine , donde avveniva che i lati fattori erano disuguali , e le centurie prodotte non qua- drate 5 nra che con tutto ciò ciascuna di esse centurie era di jugeri dugcnlo. Si ponga mente ad un' altra particolarità della stessa legge triumvirale riguardante i cosi detti subsecivì. Essa prescriveva che si contasse per centuria intera ciascuno di questi subsecivi da jugeri cento in sotto fino a' cin- quanta inclusive i, e per l'opposto per mezza centuria questi ,subsecivi medesimi minori di jugeri cinquanta (2). Il che suppone e conferma la legge ordinaria di jugeri cinquanta per ogni centuria , restando a questo modo col praefe/' propter compensato il più col meno. A suggello di quanto si è detto , e per una antici- pazione opportuna di quello che diremo de' veri autori di questa legge famosa , rifletteremo alla maniera , onde a proposito de' subsecivi esprimesi Frontino accennandone gli autori: hoc opus omne , arhitratu OctaviiCaesaris, y4ntoniì , et Lepidi IIIVIRVM. Ma prima di entrare in tal impegno , è bene 1' esaminare , se la legge triumvirale in questa seconda epoca di Corneliano e Bebiano vi portò nuova deduzione , o se limitossi a murarli senza più. (i) Ce eondit. agr. pag. 20. (2) Pag. ii2. l8o GUARim §■ m. Corneliano e Behiano nuovamente Colonie nelV epoca triumvirale. - Tanfo vale per Corneliano , per Bebiano , e per qua- lunque altro siasi oppido , siasi Città , siasi Municipio , la forinola agraria iter populo dshetiir. Essa porta seco e misure e limili e ttrmiai e assegnazione e divisione di terreni , Colonia in somma. È giusto quindi , anzi ne- cessario , fissarne tutta l' equazione colia lu.iggior chia- rezza e precisione possibile. Iter populo , senz' altro , vuol dire diritto di pnlì- hììca via. La via così denominata a vehendoy ad es'^er pubblica, esser non poteva nien larga di piedi otto. Le vie militari eran pubbliche anch' esse j ina atteso il loro oggetto esser dovevano o più larghe , o per lo meno più comode delle pubbliche semplicemente. Igino in fatti par- lando de' Quintarj , a' quali era dovuta la larghezza di piedi XII. dice: che quidam ex his latiores suat Xfl. ped.hus , ut hi, qui sani per VIAM PVBLlCiiM MI- LITAREM adi (i). Vi era un'altra specie di via detta actus , aiumen- tis agendis, della larghezza di jùedi quattro. Ve ne era tin' altra di piedi due , quanto bastava al comodo passag- (0 Pag. ,5a. CAMPAGNA TAURASINA l8l gìo di un uomo solo, detta iter ah eundo. Chiama vasi Semita un passaggio largo un piede solo , e la metà di questo appellavasi Callis. Dal le pubbliche vie spiccavansi ben ispesso ab-une altre vie , che menavano in agros , che sovente si riunivano con altre pubbl iche vie. Questi rami dicevansi viae vicinales ^ ed erano sotto il go- verno de' cosi detti Maestri de' Paghi. Dalle vicinali par- tivano tal fiata le comuni che servivano al passaggio de' pro- prietarj pulicolari di fondi fra loro vicini , ed andava- no a carico de' medesimi. Si comprende da lutto ciò, che i' iter senza più in senso rigoroso non è lo stesso che la via pubblica: ma Io addiviene coli' aggiunto dì populo, e così una volta per sempre va inteso nel linguaggio fron- tiriiano. Premesse tali notizie , discendiamo a' varj casi delle formole rij^uardanli V iter publicitm. Queste forinole riduconsi a tre. La pririia e più co- mune è tutta negativa : iter populo non dehetiir. La se- conda assai meno coni'ine è positiva determiii;Ua , perchè fissa la larg'i*,i,ia Òl^ì^' iter piibllcam da' dieci fino a cen- to venti j)ii.'di, che sono il juinfuj i e massimo termine di questa progressione. E->sa si enunzia così : iter populo debctur ped. x. La terza è positiva indeterminata. Essa è rarissima , non incontrandosi al più che in tre casi , o quattro, e si enunzia iu questo modo: iter populo de- hetur. Per la intelligenza della formola negativa convien sa- pere, che nella costituzione di una pertica va in regola l iter publiciun i . pe '1 Decimano , e Cai diue Massiiuo. l8a GUARINl 3. per ogni quinto Limite , detto perciò Quinfario , ed anche Attuario , di piedi XII. 3. nell' Italia per una con- siderazion particolare si volle il diritto deìViter puhlicum anche pe'Lineari, cioè pe' limiti medj fra'Quinlarj. Que- sti Lineari nell'Italia furono denominati suhruncivi ^ ed aver dovevano piedi otto di larghezza. Or andando cosi la faccenda de iure , come della maggior parte delle co- lunie leggesi , iter popuìo non deheturl Andranno in questi casi esenti dalla servitù loro essenziale di via pub- blica il Decimano , il Cardine , i Quintarj , i Subrunci- vi? Fole. Igino , e Siculo Fiacco ci danno notizia della legge seguente ; auctores divisìonis , assignationisque leges quasdam colonis describunt , ut qui agri delubris, se- pulcrisque puhlicis ^ qui solis itineris , viae , actus , amhitus , ducttisque aquarum , qui piiblicis utilitatibus servierint ad id usque tempris , quo agri divisiones fierent , in eadem conditione essent , qua antea fue- rant , nec quidquam utditalìbns pubUcis derogave- runi (i). Ecco il filo di Arianna , a cui è d'uopo te- nersi, per uscire di questo laberiiito. Quando il Decimano , il Cardine , i Quintarj , i Sub- runcivì seguendo il lor corso non incontravansi con pub- bliche strade anteriori alla pertica , e da conservarsi nello stato quo , o con altro luogo qualunque destinato a pub- blici usi , non correva allora alcun obbligo di servitù dìk (t) Sic. Flac. de conJit. agr. p. i8. CAMPAGNA TAITRASINA l83 iìmporre a* fonrli particolari j)er questi obbietti. Ed ecco il caso della forinola negativa j iter popiilo non dehetur. Quando alcuno de' limiti divisali deviai- doveva dal suo corso per alcuno de' casi preveduti dalla legge , o per topici naturali impedimenti, allora o trattavasi di vie pub- bliche anteriori alla pertica, oppure degli altri casi pre- veduti dalla legge stessa j ed in entrambe queste occor- renze era indispensabile l'obbligo di servitù pe' fondi par- ticolari assegnati, e bisognava esprimerlo colla formola po- sitiva , determinata , quando trattavasi di strade pub- bliche da conservarsi nel loro stato antico 5 indetermina- ta ^ quando trattjnasi degli altri casi, ne'(|ii,ili dovendo correre pe' fondi particolari i hmiti senza ])iìi della perti- ca , sarebbe stata inutile la formola delerinìnata ^ per es- ser dalla legge fissata la larghezza di ciasciuio di quesii limiti , che debehat iter populo. Pungasi niente ad una legge riguardante qiiest' ultinio caso: Oninesliinites (s'in- tende dell' \\sX\7ì^jSecundum, legem colonicam, itineri publi- co servire dehent. Sed multi , exige/ite ratione , per di- va et confragosa loca eunt^ qua iter fieri non potasi , ■et sunt in usa agrorum eoruni locorum , ubi proxi- wxi'^ possessor transitum inverecunde denegai (1). E <:osi ancora sanxerunt , sicubi limites in aeiiificium, aliquod incurrerenty is cuius aedifìcium ess&t , darei iter populo idoneum per agrum siium (2). lu breve i. ^i) T)e Limit. ao;r. pag. 43. (a) I^ia. de Limit. constit. pag. 209. l84 GUARINI La formola negativa iter populo non dehetur adopera- vasi , quando né vi era obbligazione di conservazione di strade pubbliche nello stato antico e primitivo , né i li- miti nel lor corso naturale e rettilineo s' incontravano con alcuno de' descritti ostacoli sieno naturali , sieno artifi- ziali , onde deviar dovevano dal proprio corso. 2. La for- inola positiva indeterminata iter populo dehetur adope- ravasi nel caso di deviazione de' limiti dal lor corso per tutt' altre ragioni , che per quella di pubbliche strade an- teriori da conservarsi nel loro stato. 3. La formola final- mente positiva determinata , p. e. iter populo dehetur ped. X. adoperavasi nel solo caso di vie pubbliche anti- che da conservarsi nell' agro assegnato. Questo si è a un dipresso quanto a proposito di si- mili formole per lunghi andirivieni , e per verità un pò noiosi^ dice il valentissimo Signor abbate Giovenazzi (i): né noi sapremmo ridurlo a termini più semplici : ciò che di sicuro avrebbe fatto questo valentuomo , ove per un' al- tra volta almeno avesse riveduto i suoi preziosi latifondi!. Ben da tutto ciò agevol cosa fia il comprendere , quanto dal segno scostossi il profondo Goesio, che ad uscir d'im- paccio , intese le due formole positive del solo Decimano e Gardine massimo , che in alcuni casi egli crede determinali di una maniera particolare, donde il bisogno della formola positiva determinata. Ma correvagU l'obbigo di determinare per esempio , di quali di questi due Limili parlasi , quando (i) Città di Aveja pag. LXXIV. e se(j. CAMPAGNA TAURASINA l85 ili Bovi'ano è scritto , che iter populo debetur ped. V. E il Cardine , ovvero il Decimano ? Troppo poco pel primo ; meno assai pel secondo , sapendosi troppo bene, che pe' semplici Quinlarj eran determinati per legge piedi XII. , e confessando egli stesso , ex actuariis .... qui dicuntuì' maximi , tam cardines , quam Decumani , laxior est dejìnitus (i). E poi : se la formola positiva determinata ed indeterminata s' intendessero del Decima- no , e Cardine , di questi del pari andrebbe intesa la ne- gativa : iter populo non debetur. Dunque il Decimano, e Cardine nella maggior parte de' casi andrebbero esenti dall' obbligo essenziale di via pubblica. E che dirassi del decimano dì Terracina , per cui , a parola d' Igino (-j) , correva la via Appia , mentre per altra parte di questa Colonia ci assicura Frontino , che iter populo non de- betur (3) ? §. IIII. Triumviri autori della legge triumvirale. Chi sono finalmente questi Triumviri famosi , della legge agraria triumvirale ? che cinsero di mura Corneliano, e Bebiano ? che ne assegnarono 1' agro a tenore della lor legge tanto rinomata ? che in somma ne stabilirono due novelle Colonie ? (i) Autiq. Agrar. Gap. IX. (2) De Limit, p. i63. (3) Pag. 108. T. ir. 24 "l86 CLARINI A nessuno cadrà in pensiero , che questi Triumviri esser si possano i due Fratelli Gracchi con Appio, Stre- pitoso per verità fu un tal Triumvirato , e per le que- stioni agrarie appunto. Ucciso Tiberio, ed interrotto così questo triumvirato , fu dieci anni dopo ripigliato sotto lo stesso pretesto degl'interessi agrarj dall' indispettito Cajo, che sostituì Fulvio al defunto suo Fratello Tiberio. Ma le leggi agrarie di questo Triumvirato si enunziano per la forinola Lege Graccana , e noi cerchiamo della Legge Triumvirale. La Legge graccana inoltre prescrive le Cen- turie quadrate di jugeri dugento, e la Triumvirale quelle ordinariamente di jugeri cinquanta. Bisogna dunque pen- sare ad altri; e senza farla più lunga, essi sono Marc'An- tonio , Ottavio , e Lepido. A così dire , oltre 1' osser- vato altrove , ci obbliga la forinola medesima di LEGE TRIVMVIRALl j formola diplomatica di potere legislativo supremo , giusto o ingiusto , poco importa. Egli è vero che prima del costoro Triumvirato fa mestieri riconoscere quello altresì di Pompeo , Cesare , e Crasso. Vero che questi tre potenti non si piccarono gran fatto di moderazione sull' articolo Colonia ed as- segnazioni agrarie, e Cesare [più d' ogn' altro. Ma è forza pur convenire, che questo Triumvirato fu im mono- polio di fatto senza titolo veramente pubblico e legale. L forza il riconoscere, che la Colonia Capuana dedotta sot- to gli auspizj di tali Triumviri non si dice deducta lege triumvirali , ma sibbene IMP. CAESARIS. IVSSV: e che lo stesso formolario in sostanza, e non mai quello di le- CAMPAGNA TADRASINA 187 gè triumvirali , vedesi adoperalo da Frontino, e Siculo nel caso delle assegnazioni Giuliane di Volturno, Esernla, Boviano , e simili. Non così del Triumvirato di M. Antonio , Ottavio, e Lepido , che fu detto tale come per antonomasia. Essi e ne' pubblici atti , ed in monete prendono solennemente il titolo di Triumviri Beip. constituendae , e merita, a. tal proposito di esser ricordata una moneta del Vaillant (1) , ove da una parte leggesi : C. Caesarlmp. Pont. III. VIR. R. P. C. e per 1' altra : M. Anton. Imp. Aiig. III. Vir. R. P. C. E guai per chi ne avesse pensato e detto il contrario. E che non si fece di male sotto questo titolo di sangue e di orrori al pubblico ed a' privati insieme ? La sola morte dell'Oratore immortale di Arpino , ove man- casse tutt' altro , basta all' obbrobrio eterno di questo Triumvirato. Ricordiamoci finalmente delle parole frontinia- ne altrove riportate , ed appiccate a bella posta alla lege triumvirale de' subsecivi : Hoc opus orane , arhitratu Octavii CaesariSf Antonii, et ZepicZi TRIVMVIRVM: e converremo da prima , che gli atti di un tal Triumvi- rato presentano nelle forme le apparenze tutte e 'l titolo della legge : e dopo ciò, che come tali da' giudiziosi scrit- tori riferir si dovevano questi atti stessi , ove il bisogno lo esigeva. Concludiamo dal detto , che Corneliano, e Bebiano murati per ordine triumvirale j assegnati a' nuovi Coloni (i) Tom. II. p. 9. l88 GUARI.N'I senza alcuna servitù d' iter pxihliciim nel senso di sopra esposto j regolati probabilmente secondo la legge trium- virale ordinaria della jugerazione , e de' subsecivi -, ed in tutto ciò , senza ingerenza né del popolo, né del Senato, ma interamente arbitrata Ti'iumvirum , furono in questa seconda epoca Colonie del tutto Militari. Osservando dopo tutto ciò queste due Colonie asse- gnate a' veterani di Augusto dopo la disfatta di Antonio in Azio, sembra evidente, che gli assegnatarj della secon- d' epoca colonica sieno stati tutt' altro che creature Otta- viano. Quando fossero stati tali , ne avrebbe il politico Augusto con nuova assegnazione inquietalo lahoriosmn requiem ? Appartenevano essi adunque o a Marc'Antonio,- o a Lepido. Niente jjer Lepido in questa faccenda. Marc' An- tonio all' opposto strepitò , e strepitò forte contro Ot- tavio, e si fece far largo, quanto potè, per la divisione de' terreni dell'Italia. I secondi assegnatarj adunque di queste colonie furono i partigiani del mostro uccisore di Cicerone. E che sarà stato di essi dopo la terza assegna- zione di quest'agro fatta per Ottavio a' suoi veterani? po- terono riceverne il compenso in lacinus , et siibsecivis della Regione taurasina. Poterono riceverlo in altri terreni dell' Italia , o delle Provincie. Poterono esserne compensa- ti col prezzo. Tutto è in regola per qii';;^ti tempi senza regola. Divus Augustas in assignaia orbi terrarum pa- ce exercitus^ qui sub Antonio et Lepido militaveranf, pariter et suarum Legionum rnilites ^ colonos fecit , a- lìos in Italia^ alios in Provìnciis. Così Igino (i). E (i) Loc. Slip. cit. pag. i6o. CAMPAGNA TAtJRASlNA 189 per ciò che riguarda le somme ingenti impiegate da Au- gusto per la compra de' terreni da assegnare a' suoi Sol- dati , consultisi dal lettore la famosa Tavola di Ancira. §. V. Terza ed ultima epoca di Behiano , e Corneliano. Assegnazione del loro agro per Augusto. Ager eius post hellum augustianxcmveieranis est ad- signatus. Ma questa novella ed ultima assegnazione fu una nuova Colonia in proprietà? e di qua! condizione? Fis- siamo prima l' idea legale della parola Colonia , senza la quale sarebbe un imbarcarsi alla ventura , e come suol dirsi, senza biscotti. Parliamo di Colonia romana, ed è quanto dire di Colonie le meglio intese di quanto vantar ne possano le altre nazioni tutte , sia che se ne riguardi 1' oggetto , sia che se ne consideri 1' economia ammirabile, su di che non occorre trattenersi , per non ripetere cose note dette e ridette cento volte da' trattatori di simili materie (1). La più giusta definizione intanto che siaci dagli an- tichi pervenuta di tal voce è quella di Servio sull' Egloga IX di Virgilio : Colonia est coetus hominum^ qui uni- versi deducti sunt in locum certum aedificiis munitum. (i) Veggasi Goesio Aatiquit. Agrar. 1 go GUARINI Le condizioni quindi richieste da Servio per una Colonia romana sono: i. coetus. 2. hominum. 3, deduclio. l\. in locum certuni aedijiciis munitum. Il Goesio (i) le vaglia tuUa da suo pari , e coucliliide come segue : I. La parola coetus importa una massa considerevole di persone riunite con regolarità di auspizj pubblici , e comun consenso : e perciò non meriterebbe il nome di Colonia in proprietà un assembramento o poco considere- vole , o fortuito , e molto meno sedizioso. II. Hominum. I servi ex praesumptione iuris, nec velle^ nec consentire intelliguntur. Questa massa dunque vuol essere di persone libere. III. Deductio. Questa suppone una formalità diplo- matica di ordine pubblico. Igino la descrive poco o nulla differente da una marcia militare. Multis Legionihus conti- git hellum feliciter transigere^ et ad lahoriosam agri- culturae requiem primo tirocinii gradu transire. Nam cum signisj et Aquila^ et primis Ordinibus deducehan- tur (2). Né sarà discaro a chi ne abbia vaghezza e tempo il por mente con qual patetico contegno si dolga Tacito (3) dell' abolizione di quest' antica costumanza. Ed in difetto di tali formalità un assembramento di persone destinate ad occupare un agro chiamasi dallo stesso storico gravissimo numerus magis , quam Colonia. (i) Antiquit. ^^r. Gap. II. (3) Annal. Lib. XIV. (2) De Liiait, pag. 160. CAMPAGNA TACRASINA igi mi. Questa deduzione così solenne assegnar doveva a' nuovi Coloni non meno terreni da possedere e coltivare, che edifizj determinati ad abitare o costruiti di già, o da costruirsi per lo meno. Ma non si credano gli agri asse- gnati a' Coloni immuni da' pubblici pesi. La fondiaria è più antica di quello che si crede. Omnes , etiam pri- vati ^ agri tributa^ atqiie vectigalia persolvant (^i^.Se non che i terreni dell' Italia esser potevano vettìgali bensì, ma trihutarj non già. V. Per effetto di tal deduzione il nuovo Colono di- sciolto dal vincolo di qualunque cittadinanza anteriore di- veniva ipso facto cittadino della sua Colonia ^ e questo s' intende delle colonie italiche , prima che per la legge Giulia si fosse accordata all'Italia tutta la cittadinanza romana. In conseguenza di ciò 1' antico cittadino appartiene al ter- ritorio , dove si è dedotta la Colonia, ma alla stessa Co- lonia non già. Il Colono è necessariamente cittadino della sua Colonia , e della Città in cui si è dedotta la Colonia. L'incoia non appartiene né alla Città, né al Territorio. A tutte queste condizioni io credo giusto aggiugnerne un'altra, che veggo omessa, forse perché presupponevasi alla deduzione , e riguardava piuttosto la condizione poli- tica del luogo, ove doveva dedursi la Colonia, che la Colonia stessa. Il caso è il seguente. In una Colonia di già costituita , ovvero in un Municipio, non si poteva dedurre una Colonia , fino a che o quella esset incolumis^ o che (3) Agen. Urbic. pag. 47- ] 92 GDARLM questo consiìcraiìone veteri maneret. Che vuol dire ciò? Nelle Colonie romane e Leggi e Religione tutto era romano: i Municipj si stavano colle proprie Leggi e colla propria religione. Senza la morte politica di una Colonia, o di un Municipio, non si poteva in essi menare nuova Colonia , e questa morte politica avveniva per delitti pubblici di stato o veri, o supposti. Ciò accadendo, la Colonia non piùera^ incoliimis , secondo il linguaggio di Tullio , e '1 Municipio consecratione vetej'i non T/zo/zeioì', direbbesicon linguaggio Frontiniano. Supposta la morte politica di una Colonia, o di un municipio, per dedurvi nuovi coloni, si richiede- vano nuovi auspizj e consulti divini. Ecco a proposito de' Municipj un luogo di Frontino, che il nostro Vico di- rebbe luogo d^ oro'. Marsus (s'intenda Marnibìorunì). Municipium . Licei consecratione v et ei'i mane at^t amen ager ejus aliqxiibus locis trihus limitihus est assigna- tus ((). Se un'assegnazione parziale non è in regola, co/z- secratione veteid manente , quanto meno esser lo può quella di lutto l'agro Municipale.^ E per ciò che riguarda le colonie , Cicerone contro Antonio nega, colonos no- vos ttdscrihi posse in una Colonia di già auspicato de- ducta , e supposto com' è ragione di supporlo , che sit incolumis. limonio \o aveva fatto in pregiudizio della Co- lonia di Casilino , e perciò Tullio lo accusa de turbato iure auspiciorum j non perchè Antonio trasandato avesse la , formalità de' nuovi auspizj pe'suoi novelli dedotti, ma (0 Pag. 123. CAMPAGNA TAtlftASlNA igS percliè questi nuovi auspizj appunto turhahant iiis degli auspizj della vecchia Colonia, la quale era < incolumis (i). Dal fin qui divisato comprende da se il saggio Let- tore , che non ogni assegnazione agraria è sempre una nuova Colonia , potendo darsi nuovi assegnatarj di un a- gro colonico senza alterazione della Colonia esistente. Ma non si dubiti per questo , che l'assegnazione fatta per Augusto dell'agro de' nostri Liguri non sia stata una ve- ra e nuova Colonia. E tutto l' agro di essi , e non una porzione sola , che si assegna a' veterani : ager ejus ve- teranis est assignatus. Dippiù Bebiano , e Corneliano , supposti i lor Cittadini particolari di Antonio che non più faceva paura ad alcuno , non erano da presumersi incolu- mes , ma di già morte politicamente , per potere dar vita legale alle nuove Colonie Augustee. Né si adombri taluno per la parola assignatus , di cui fa uso Frontino nel caso dell'agro' Taurasino. Asse- gnazione ^ Divisione^ Deduzione, Coloni^ è vero , son cose in rigore fra loro distinte. Cicerone nega ad Antonio , che si possa dedurre nuova Colonia in una Colonia di già auspicato dedécta : ma gli accorda , che vi si possano ascrivere novelli coloni (2). Non si confonda dunque colla Colonia un numero qualunque di coloni. La Deduzione può stare senza Coloni. Formias oppidnm. Illviri sino colonis deduxerunt. Frontino (3). Venafrum Oppidum. (i) Vedi Goes, loc. cit.Cap. VII. (2) Pbilippic. II. n. 4o. (3) Pag. io5. T. IF. 25 194 GUARINI J^viri sine Colonis deduxeinmt. Lo stesso. Cioè eran morti politicamente questi Oppidi, e quindi devoluti al Fisco j e per ciò si fece la formalità della dedazione senza coloni effettivi , riservandosi la facoltà di disporne a piacimento. La Divisione si fa propriamente pe' Limiti j e l'assegna- zione in {me nominibus assignatorum. Verissimo, torno a dire, tutto ciò. Ma ciò non pertanto da' Classici anti- chi di tali materie tutte queste voci si adoperano indiffe- rentemente l'una per l'altra. Così dove Tito Livio dice di Anzio, che vi fu dedotta Colonia, Dionigi di Alicar- nasso annunzia semplicemente , che ne fa diviso l'agro : e dove Dione chiama Capua Colonia romana , Suetonio ne dice solamente l'agro diviso a' cittadini romani. Frontino stesso parlando di Fanestre ^ Lucerà , Venosa , Carsoli , Cales, Casino , e Sipouto , non usa che la parola assìgnatus , o divisus : e pure è certo da' marmi , e dagli scrittori anti- clii , che tutte queste furono verissime Colonie. Ma in un affare notissimo sarebbe pedanteria dirne di più. Del resto IO sono ben persuaso , e lo abbiamo di sopra osservato nelle doglianze di Tacito su questo particolare , che ne' tem- pi posteriori, e da Augusto in poi principalmente, non si fu molto delicato nella osservanza di tutto ciò , che un lempo si credette necessario alla costituzione di una vera Colonia. Igino favellando delle assegnazioni agrarie fatte per questo Principe tiene un linguaggio , onde far com- prendere , che contento egli di soddisfare all' oggetto es- senziale di assegnar terreni , non molto si curò del resto^ ed onorò ancora col nome di nuove Colonie quelle che CAMPAGNA TAURASINA igS in rigore non potevano dirsi tali. Questa riflessione rice- verà a suo luogo uno sviluppo maggiore. Restinsi intanto anche per questa terza volta Colonie Bebiano , e Corneliano , e Colonie di Augusto cwili , non già militari : perchè non è da credere che Ottavio divea nuto coir impero divoto del Senato, sia per politica, sia per sentimemto , tralasciasse di munire dell' approvazione di questo venerabile consesso i suoi novelli divotissirai Coloni. 196 GUABIKI SEZIONE mi. SINTASSI COLONICA. Avvertimento preliminare^ Mi sono studiato di esser chiaro quanto ho potuto. Ma si può esser chiaro abbastanza in un linguaggio , che per quanto si dica e faccia, non lascerà mai di presentarsi , alla maggior parte almeno de' lettori , in una cert* aria di gergo e mistero ? Tal si è il linguaggio senza dubbio di Frontino , Siculo , Igino , Agenno Urbico , e di tut- ti gli antichi scrittori agrarj in una parola, io son per- suaso da molto tempo , che ogni articolo Frontiniano , in ispezie de Coloniis , sia un bel trattatine del luogo di cui trattasi de' più compiuti nel lor genere: e che si fa un torto insigne a questo scrittore [nominatamente , quando nella materia colonica si taccia di oscurità , d'indigestione, e che so io. E son d' avviso , che allo stesso modo, e forse con maggior ragione , bestemmiar si potrebbe un polinomio algebrico da chi ne ignora i termini , le formole , l' equa- zione. Ma dirà taluno : e perchè questo linguaggio arcano e poco meno che disperato in un affare così interessante, come quello delle romane Colonie ? È questo in sostanza quanto si suole comunemente obbiettare di più spezioso ed apparente contro gli avanzi preziosi di questo ramo cu- ^ CAMPAGNA TAtRASINA 197 riosissimo di antichità : e bisogna prima d'ogni altra cosa rispondervi con precisione e giustezza. Io non intendo parlare dello stato deplorabile onde sono a noi pervenute , Dio sa come , le Opere di questi an- tichi scrittori , e che ne accresce la malagevolezza intrin- seca di ben intenderli. Dove più dove meno si compiagne la stessa disgrazia per conto de' Classici antichi : ma per nessuno di questi il caso è così barbaro e sembra tanto irrimediabile, quanto pe' poveri autori agrarj che fanno ve- ramente pietà. In questo non v' è che fare, e bisogna aver pazienza. Io mi limito al solo linguaggio da essi tenuto, e domando : per chi , e per quali tempi è desso miste- rioso ed arcano. Non lo era al certo pe* tempi in cui usavasi, e per le persone che dovevano usarlo. E come per altra parte farne a meno e sostituirne un altro di propria autorità ? Le formole , le parole , gli apici di cui fanno uso questi scrittori erano così sagri , come lo sono i formolarj de' no^ stri Tribunali j e come le piante Coloniche conservavansi gelosamente nel sagro Arcano , o Archivio che vogliam dirlo del Principe , così non è da mettersi in forse che nel medesimo se ne custodivano le spiegazioni e notizie necessarie col linguaggio appunto in questione , che nel suo genere può dirsi il linguaggio delle sigle. Siccome dun- que non era a discrezione de' privati alterarlo a lor ca- priccio , Così capivasi altronde con tutta esattezza e fa- ciltà da chi doveva capirlo. Dolersi quindi della natura di un tal linguaggio è un dolersi in buon senso del uou es- ser nato in quei tempi, del non esser nìssuIo, o vivete 19? GDARINi sotto quel sistema di leggi e costumi , in cui era esso in voga 5 e di cui essendosi presso che abolite le idee , qual meraviglia che ne sien divenuti oscuri i parlari ? Le voci finalmente si sa che ban corso sempre , e debbon correre il destino delle idee a cui servono. O dunque al fuoco questi monumenti tutti della sagra antichità : o cerchisi come si può di rompere alla meglio quel bujo che ce ne asconde il bello e l'utile. Questo è quello che io procurerò di fare tanto per la più piena intelligenza del detto finora, quanto per in- trodurre anche indipendentemente da questo i lettori poco versati nel primo vestibolo almeno de' trattati agrarj. Non si aspetti tutto da me : che no '1 comporta l' oggetto pro- postomi \, mob-o meno le mie forze j assai meno la mate- ria di cui debbo trattare. Io comincerò dalle voci più usate di questo vocabolario niente comune , fissandone lo stretto significato legale. Dalle voci passerò alle formole^ che possono considerarsene come le concordanze : perchè fra queste ve ne ha delle più e meno composte , ragione- rò prima delle più semplici , e poi per gradi delle più complesse. Presenterò una carta agraria addittando il me- todo di maneggiarla, affinchè i men pratici possano rap- presentarsi di una maniera sensibile l'essenziale del mec- canismo colonico , se ci si permette di così chiamarlo. Compiuto tutto questo , a Dio piacendo , darò un piccioi saggio di appbcazione del detto a proposito di qualche articolo frontiniano de Coloniis per un indirizzo qualun- que di chi per avventura crederà potersi del medesimo giovare. CAMPAGNA TAURASINA 109^ §. I. Spiegazione de' vocaboli principali più comunemente usati dagli scrittori delle cose agrarie. Territorio. Fu così detto, al dire di Frontino , quid- quid hostis terrendi caussa constitutum est (i). Questa voce in linguaggio agrario è perfettamente sinonima della parola Regione , e per esse intendesl tutto il terreno qua- lunque co' suoi confini naturali di un Municipio p-e., di un Oppido , di una Città , dove può dedursi una Co- Ionia. Una Città dicevasi pellegrina , se regolavasi colle sue leggi proprie, e l'agro di essa dicevasi del pari pel- legrino , e secondo la definizione di Festo (2) era come una cosa di mezzo fra l'agro ostile, e '1 romano. Chia- mavasi Città municipale quella che regolavasi con leggi in parte proprie , in parte romane. La città coloniale era diametralmente opposta alla pellegrina. Agro. È una parte del Territorio, o sia della Re- gione, ed è propriamente Rassegnato di essa a' Coloni centuriato , cioè diviso e segnato con Limiti artificiali. Si è detto altrove , che il Fondo è una parte dell' agro , e '1 luogo una parte del fondo. (,i) De limit. pag. 43. (2) Pag. CCLXII. 200 GUARINl Pertica. In origine vuol dire misura di piedi X. detta da' latini Decempeda. Ma nel linguaggio colonico dinota tutto r agro assegnato alla Colonia , e compreso ne' Li- miti. In questo senso tal voce è il sinonimo delle parole Università , Centuriazione , Metazione, Cancellazione ^ e Limitazione , i cui Tipi , o Forme , che per noi si direbbero piante , conservavansi nel Sagrario del Prin- cipe, detto eziandio Tavolario. Intracluso. Dicevasi tutto il compreso fra' limiti del- la Pertica : ed estracluso al contrario quello che rima- neva fuori di essi. Questo secondo ordinatiamente chia- jnavasi relictum^ oppure esprimevasi perlaformola equi- valente: insoluto manere , teneri, residere, a dinotare, che era a disposizione di chi aveva il dritto di asse- gnare. Assegnazione. È l'opposto del relictum, e riguarda quella porzione del territorio , che dicesi agro , , e che si aggiudica viritim a' Coloni. Quest' assegnazione e per par- te degli assegnatarj , e per parte del suolo da assegnarsi richiede alcune condizioni, che fa mestieri accennare. I . Esser non potevano più dolci e adattabili le con- dizioni richieste per parte degli assegnatarj. Cittadini, fo- restieri, veterani, stipendiar], disertori, ed anche nemici soggiogati iurehelli., 4ivenir potevano coloni. Si facevano delie assegnazioni alla famiglia del Principe, alle Colonie, che prendevano allora la qualità di persone puhhliche , alle Curie di esse Colonie, dette ancora Ordine, e Se- nato. Tal fiata si assegnava alla stessa Città, nel qual CAMPAGNA TAURASINA 20I caso l'assegnato diveniva inalienabile , considerandosi come dato in tutela alla medesima. L' Ej)itomista Liviano Lib. XCIX. ci racconta di Pompeo , che accepiis in ditio- neni Piratis agros , et iirhes decLit. E giovi il qui ri- cordare , die nelle assegnazioni coloniari sopra tutto cer- cavasi , e con ragione , la continuazione de' fondi assegna- ti , pe '1 quale oggetto sovente avevan luogo le commu- tazioni. II. Le condizioni del suolo da assegnare sono o na- turali , o legali. Quest'ultime da Agenno Urbico (i) ri- duconsi a due , cioè divisione , o limitazione che vo- gliam dirla , che non è sempre necessaria , potendo stare asspgna/ione senza divisione : e perciò questa condizione dallo stesso scrittore si enunzia cosi : limitihus plerum- qiie conlineaiur. L'altra condizione legale è il regolamen- to dell' assegnato per proxim.os possessionum rigoT'es , cioè che 1' assegnato segua il ])iù che possa il corso retti- lineo de' Limiti , che sono altra cosa da' confini assegnali extra l.mites. Le condizioni naturali del suolo da assegnarsi vanno comprese in quel celebre squarcio della legge agraria di Angusto : ager nisi qua falx , et arater ierit , ne di- viditor , assignator. E vuol dire: terreno atto a coltura, di cui falce ed aratro sono gì' istrumenti classici , e sic- come Volpila^ e V omega. Festo in fatti cliiama la falce insigne agricolao. Un terreno senza queste qualità ap]»el- (.) Di' liii.it. j.ng. 45. e 4G, T. U'\ 26 202 CAMPAGNA TAliRASINA lavasi salso ^ amaro ^ incerto^ quindi incapace di essere assegnato^ Qual cosa più nalurale ed ovvia di questa in- telligenza del citato squarcio agrario ? Pure il gran Mazoc- chi (i) nella falce del pezzo agrario non sa affatto ricono- scere lo slrumento de' mietitori , ma vuole in tutti i conti vedervi , o farci vedere quel ferro aguzzo dell'aratro, onde incidesi la terra prima di squarciarsi col vomere , detto culter aratorius. Ma che ha che fare il cullro aratorio colla falce ? e dove si legge la voce falx in senso del cultro aratorio? se si fosse parlato dello slrumento de'rnie- titori , egli dice , jirius de aratro , tiivi de falce memi- nisset , cum stultisslmuTn sit , falcem immittere , uhi non severis. Tale -Js-sfov "k^ts^^jv lex haud facile admi~ seni. Che gran disgrazia ! ma e non sarebbe poi maggiore ne' termini semplicissimi di una legge quello della impro- prietà , e dell' abuso di una voce pei' l' altra ? falce jìev cultro aratorio ? ed aratro e cultro aratorio non sarebbero molto più pleonasmo ridicolo in una semplicissima perioca legale ? Questo sì , che lex haud facile admiserit. Se pure non si pretenda , che il terreno assegnabile per la legge sia il solo arabile con aratro munito di ferreo aguzzo cullro aratorio , nel qual caso il dolce suolo campano sa- rebbe fuori caso di assegnazione. Ut omittam , prosegue^ egli in tuono di vittoria , quod ire falcem , si messoriam ìniellìgìs , est nm^ov , cum innnitti falcem veteres dixerini. Ma di grazia : se la legge ha detto, ed ha detto benissimo, (i) Ampliit. Camp. C^p. i. Auctar. ii. not, 35, CAMPAGNA TAtTRASTNA 2oS qua arater ierif, perchè della falce dir non poteva: qua falxierit? Anzi di dare la legge a' Classici antichi in una lingua non nostra, noi amiamo meglio di riceverla. La pri- ma volta ch'io giovanetto m' avveani nelle opere di J» nietà vale a dire di un jugejro , o siano moggio 1 i. Dividesi quindi iljugero in atti li. in Tavole IIU. in Climi VIJI. in aje XVI. Kella (i) /Jgeun. p. 26. ^o6 eUARlNI Campania mlsuravasi a f^erso , ed ogni verso è la terza parte del Jugero. Essendo dunque il Jugero di piedi 28, 800 , il verso non è che di piedi g,6oo. E con ciò cor- reggeremo il luogo d' Igino , che dice : Versus habet P. Vili. DC. XL. (i). Leggasi Vini. DC. La prima condizione de' Limiti era , che correr do- vevano in linea retta , e fosse qualunque la natura del luogo , ove dovevan correre. Limites recturas suas per qualiacnmque loca extendemt , hoc est : qua RATIO ( la norma ) dictavit , per devia , et montuosa eunt , qua iter nxdlo modo fieri potest. Così espressamente A- genno (2). Ma non ignorandosi altronde , che i limiti if* agris divisis , et assignatis semper PER\ li esse dehe-> hunt , tam, itineribus , quam mensuris agendis (3) : non ci vuol molto a comprendere , che questa dirittura de' limili non poteva esser sempre fisica e reale , ma il più della volte razionale , semplicemeiue , come la no- minano gli scrittori agrarj. Quando fortunatamente i limiti correvano in linea retta senza interrompimento in tutti e due i sensi spiegati, si denominavano ^eryoei«Zp e quando nò , intercisivi. Agenno (4) per altro chiaa]a limites in~ tercisivos anche quelli senza più che tagliansi fra loro in tre o quattro punti. Parliamo ora delle varie spezie dei l^imiti. (i) Pag. 209. (3) Sicul. Flac. pag. i5. (2) Pe Controv, Jgr. pag. 7?. (4) P. 44- Nel costituire nfìa Pertica piantàvàfei prima in segno di autorità e buon augurio insieme un certo stromento , G sia una certa friachinetta , che fefeió chiama gToma aus- picale. Essa consideravasi come cosa sagra, né rimuove- vasi dai luogo , ove erasi fissa , prima del compimento delle operazioni necessarie allo stabilimento colonico. Per quello che ne riguarda la natura, lo stosso Fcslo la definisce in questo modo: genus machinulae cuiusdani ^ quo regio- nes agri cuiusque cógtiosci possimi ^ q^eod genus graeci diciint yvKf^ovx. È certo da ciò , che essa è tutt' altro dalla Decempeda , con cui taluni l'hanno confusa. Ciò faltOj nel mezzo dell' agro da dividersi tirava&i un limite , che nella sua larghezza superar doveva tutti gli altri da tirare, e che d' ordinario cadeva fra occidente ed oriente , pren- dendosi sempre , o quasi sempre , dal lato più lungo del suolo dividendo. Questo si è il Decimano , cui tal fiata si aggiugne l'epiteto di Massimo, e detto così non già dalla parola decem , ma da quella piuttosto di duo , quasi Duocimano, perchè con esso venivasi a dividere tutto l'agro in due parti uguali, dette l'una destra., sinistra l'altra. Questi punti destro e sinistro si determinavano in questo modo. Se il Decimano era da occidente a levante , la destra ca- deva a mezzodì e la sinistra a settentrione. Se il decima- no riguardava il Mezzodì, l'occidente era la destra, e l' oriente era la sinistra. Quest' avvertimento è necessa- rio pe l maneggio della Carta agraria , di cui parleremo fra poco. Il Decimano massimo dicesi talora anche I 200 G17ARINI •primo , e con lulta verità e proprietà insieme. Vedi Igino (i). Tiravasi quindi il secondo limite , men largo del pri- mo, ma più ampio degli altri da segnarsi, che tagliando nel mezzo il primo Decimano ad angoli retti , divideva u- gualraente tutto l'agro in due parti uguali , djnoininate cìtra l'una, ultra l'altra. Rivolti gli occhi al punto estre- mo del Decimano, che d'ordinario é l'oriente, ed. alcuna fiata il mezzogiorno, tuttala metà superiore dell'agro tanto destra , che sinistra , dicesi ultra , oppure ultrata \ e la in- ~ feriore similmente sì destra che sinistra , denominasi citray o Ciirata. Anche quest'avvertenza è importante per l'uso della Carta agraria. Il Cardine massinro dicevasi ancora Cardine senza jiiù , per essere ordinariamente rivolto a'car- dini del mondo. Ma a segnare in regola questi due primi limiti , re- golatori di tutti gli altri , bisognava partire da un punto astronomicamente immutabile , e questo esser non poteva in conseguenza , che il punto di mezzodì , variando dì continuo nella nostra sfera quello di Oriente. Accadeva alcune volte che si trascurasse questa osservazione sia per ignoranza , sia per altra ragione ; ed ecco il Cardine , e con esso il Decimano, mancante di esattezza astronomica. Que- sta anomalia enunziavasi per la formola seguente : Solem sediti sunt , cioè ortiim , et occasun , ma Inori de'punti equinoziali. Avveniva da ciò , che il Cardine di (jueste (0 Pag. i5S. I CAMPAGNA TAURASINA 209 perii che ?«• horam sextam non conveniret ^ cioè che non riguardasse il punlo vero di mezzogiorno. Apprendiamo tutto ciò nettamente da un luogo prezioso del Frammento agrario de Umit. (i) : multi mobilem solis ortum , et occasum secidi variaverunt rationem (diremmo geogra- ficamente non si orientarono bene) sicuhi ( còsi correg- go quel sicuti che qui non ha che ia.i-c)effeetam est , ut Decumani spectarent eam partem , ex qua sol oriehatur eo tempore , quo mensura acta est. E da questo fonte stesso (2) rileviamo , che il Decimano talora stabilivasi senz' altra considerazione dalla parte della maggior lunghezza dell'agro , qualunque esser si potesse astronomicamente. Fissato il Decimano , e Cardine massimo , lungo la loro direzione liravansi due altri limiti rispettivamente pa- ralelli a ciascun di essi , quanto bastava alla circoscrizione di una Centuria, e così di mano in mano fino al quinto , escluso il Decimano , e Cardine. I primi quattro di questi nuovi limiti dicevansi Lineari , o Linear^ , ed anche Lì- ti eali , e le volte semplicemente decimani e cardini. Essi erano destinati primieramente a distinguere una centuria dall'altra, la quale inconseguenza giaceva fra due lineari^ fra tre , se eran due j e così in seguito. Ma nell' Itaha questi Lineari per la Legge Mamilia eran destinati anche all' iter piiblicum sotto la denominazione di Subrunciviy così detti quasi runcoìiihus purgati , ed esser dovevano larghi piedi VIIL (i) pag 217. (2) pag. 2iS. T. ir. 27 210 GUARINI Ogni quinto Limile per l'Italia, e dovunqne , servi- va all' iter publicum sotto la denominazione più comune di quintario , e della larghezza di piedi XII. A taluni è sembrato , die il quintario sia sinonimo del quinto , ma con poca ragione. Il quinto non è che uno nella serie nu- merica , ed i quintarj , secondar] , e cosi fino a che si vuole, possono andare all'infinito nelle serie ordinab*. Don- de dunque furon detti Quintarj ? Sciolta colla ispezione delle forme, come ci narra Igino (i), la questione mossa una volta , se il Decimano , e Cardine andavan compresi nella numerazione de' limiti , e decisa per la parte nega- tiva , è evidente , che fra '1 Decimano , ed ogni Quinta- rio cadevano appunto cinque centurie , non pare assai ve- risimile , che dal numero delle cinque centurie racchiuse fra loro e'I Decimano fossero così detti Quintarj? Il Decimano era ordinariamente il doppio del Cardi- ne 5 e per legge di Augusto la larghezza del primo esser doveva di piedi XL ; quella del secondo di piedi XX. È Lene il sapere ancora , che questi due limiti s' incontrano talora sotto la denominazione di limiti marittimi e m,on- tani ovvero òì gallici e marittim,i , e-ciò , secondo Igino, (2) dalla circostanza accidentale dell' esser rivolti alla parte del mare e de' monti. I Termini sono a' Limili quello che i punti alle li- nee da essi o tagliate o terminate : e come i limiti distin- guono i fondi privati , così pe' termini distinguonsi le Geu- (i) Pag. 118. (2) pag. iSi. CAMPAGNA TAUBASIWA 211 larie fra loro. Ma debbo io dirne di più? quest' arlicolet- to agrario non è véramente de' più facili. Ma non è la malagevolezza che mi ritiene dal trattarne , siccome non ini hanno arrestato tanti altri niente men di questo diffi- cili. Perchè dunque segnarlo nel titolo di questo paragra- fo? per dire appunto , che non doveva occuparmene se- riamente. Che importa al mio scopo , che essi sieno Augustei, ovvero Tiburtini ? che sieno naturali , oppure artefatti ? che sieno cippi , od Erme ? testacei , lagenari , o orcula- ri ? parallelogrammi , isosceli , o scaleni ? isoiileri , trape- zj , rombi , romboidi , scutellati , trigoni rettangoli , oppure acutangoli? muti , o letterati? che additino piani o mon- ti o vaUi o fiumi o colH o fonti? Si hanno i Trattali di M. Barone, di Cajo , e Teodosio , diArcadio, Vegoja, e Vitale , che debbono valutarsi molto , principalmente per ciò che riguarda i termini letterati . Verrà fuori quando e come e dove Dio vuole alcuno di questi. Per esempio: B. D. V. R. oppure: D. D. R. R. ovvero : DD. XCVIII. VR. LXXX. Ecco in movimento gli antiquarj di primo pelo : chi la intenderà di un modo , e chi la penserà di un altro. Ma con questi venerabili depositi alle mani , de' quali è a dolere che sien divenuti così scarsi gli esem- plari , si è nel caso di non cinguettare a caso , e di ri- mettersi in istrada , ove siasi deviato. E così s' intende- ranno le prime sigle ; dexter Decimanus ultra Kardi- nem: le seconde j dexter Decimanus citra Kardinem: le iiltùne} dexter Decimanus nonagesimus ociavus 213 GUARINl ultra Kai^dinem octiiagesimum. Ma ripeto : tutte queste piccole curiosità , ed infinite altre simili , non entrano per ora nel picciol campo augurale , che mi ho designato col mio lituo. Dunque passiamo ad altro. $. IH. Calata agraria , e metodo di maneggiarla A render sensibile quanto si è detto , ecco Io schema dì una Carta agraria , di cui è necessario premettere la spiegazione , e additare il metodo di maneggiarla secondo il bisogno. I. La nostra Carta deve a un di presso esser ma- neggiata alla guisa di ogni carta geografica. Essa conta le sue longitudini , per così dire , sul Decimano , e le sue latitudini sul Cardine. Ciascuna Centuria va compresa ne' rettangoli che vengonsi a formare da' Limiti rispettiva- mente paralelli al Decimano e Cardine. IL Chiamasi Decimano primo il così detto massimo , e Cardine primo quello che altrimenti dicesi massimo ancora. III. A mettersi in giusta posizione colla nostra Carta, fa d' uopo situarsi colla faccia ad Oriente nel punto della intersezione del Decimano col Cardine. IV. Ciò fatto , e supposto il Decimano ad Oriente , contando dal punto della intersezione , ed escludendo il primo , diremo quello che segue a destra semplicemeute CAMPAGNA TACRASINA 2l3 D, D. cioè decimano I. destro , quello che segue dirassi D. D, li. cioè decimano destro II. e così in appresso. Collo stesso metodo dicemo S. D. cioè sinistro Decimano I. il primo cioè dopo il massimo a sinistra : e S. D. II. quello che segue , e cosi di mano in mano. Questa ma- niera di numerare i Decimani vale tanto per quelli , che sono al di sopra , quanto per quelli che cadono infra il Cardine. V. Collo stessissimo metodo si terrà il conto de' Car- dini tanto Tiltra , che citr^a \ e si diranno Cardini V. o C. cioè latra , o dira , II. III. IV. e poi. VI. E chiaro da tutto questo , che il destro , e 'i sinistro nella Carta vengono determinati sul Decimano , e r ultra e '1 citra sul Cardine. VII. Ciò posto , volendosi annunziare per esempio la Centuria A , si dirà : D. D. V. R : e vuol dire dexter decimanus primus ultra Kardinevi primum. Volendosi additare la Centuria B , si dirà : S. D. V. K. cioè sini- ster decimanus ultra Kardinem. Se si trova : D. D. III. R. R. IV. cioè dexter decimanus tertius citra Kardi- nem quartum , questa non può essere che la Centuria C. E così S. D. III. V. R. IV. sarà la Centuria D. \III. Se il Decimano è a mezzodì , i destri cadono fra settentrione, occidente, e mezzodì j e i sinistri fra settentrione , oriente , e mezzodì. I cardini ultra in que- sta Slessa supposizione cadranno fra oriente, mezzodì , ed occidente j e quelli ciira fra oriente, settentrione, e mez- zogiorno. ai4 GUAHINI IX. Il rettangolo FT rappresenta ciò che in linguag- gio agrario chiamasi Striga , e '1 rettangolo FM dinota ciò che dicessi Scamnum , e di cui parleremo in appresso. X. Cadendo il Quiatario ad ogni quinta Centuria, e ciò non meno orizon talmente , che verticalmente , è ma- nifesto, che ogni Quiatario contiene perfettamente dell' agro colonico un gran rettangolo uguale a Centurie sS. Per ciò una Pertica compiuta e regolare secondo il tipo per noi designatone , sarebbe di Centurie loo giacenti fra quattro Quinlarii , che si tagliano ad angoli retti nella direzione del Decimano , e Cardine massimo. E tanto può bastare per la intelligenza , e per 1' uso della nostra Carta , il cui oggetto principale si è il ritrovamento delle Centurie in essa comprese. l mi. Forinole agrarie usate da Frontino spezialmente. Di siffatte formole alcune riguardano i possessori an- tichi de' fondi da assegnare a' nuovi coloni : altre la legge suprema che ne ordina sia l' assegnazione , sia la divisione, sia r uno e 1' altro insieme : altre finalmente la jugerazione, e la condizione de* terreni , ne' quali può essa aver luogo. Queste ultime sono le più di numero*, e le più scabrose a determinarsi. Cominciamo delle prime. I. Impariamo da Igino , che Augusto , data la pace 9Ì mondo , per compensare i Legionarj suoi non meno , CAMPAGNA TAUKASINA 2l5 che di Anlonio , e Lepido , altri ne dedusse in Città nuo- vamente costruite sulle rovine delle antiche ; altri negli Oppidi superstiti , onorandoli del nome di Coloni 5 altri in fine nelle Colonie già prima dedotte comunque , sup- plendo il numero di troppo scarseggiante de'vecchi coloni, e dato interum Coloniae nomine^ in grazia de' novelli. Di altre Colonie per lo slesso effetto si contentò di sem- plicemente amphare i confini. Dove in quest' ultimo caso accadeva , che nell' agro nuovamente assegnato si lasciasse qualche vecchio proprie- tario nel possesso de' suoi fondi , non diveniva egli per questo cittadino della nuova Colonia. Dal che giustamente inferisce Siculo Fiacco , che né tampoco i costui fondi passavano sotto la giurisdizione della Colonia novella , ma che manebant in eadem conditione. Lo stesso accadeva, quando a supplire il manchevole di una pertica assegnata, nel Territorio vicino facevasi qualche assegnazione parti- colare (i). Generalmente però gli antichi possessori eran forzati a cedere i lor fondi in benefizio de' nuovi coloni , ed a contentarsi o del prezzo , o del cambio de' medesimi per conto del Fisco : e bene spesso non toccava loro niente ancora di tutto questo. In tal caso i terreni ceduti non manehant in eadem conditione ^ e passavano interamente sotto la giurisdizione della nuova Colonia. Dovevano per- ciò i vecchi possessori rassegnare , e projiteri , quid , (1) Sic. Flac. pag, 25. 21 6 GUARINl quoque loco possìderent , e quest'alto enunziavasi per ana delle seguen ti forinole perfettamente fra loro sinonime : 1. Per professlonem veterum possessorum. 2. In nominibus viLlarum , et possessionum. 5. In nominibus. E riguardo a quest' ultima formola , si avverta a non confonderla con quella di assignare viritim nominibus. Questa riguarda gli assegnatarj j la prima i resignatarj. Talvolta però gli antichi possessori dovettero (e credo che non molto dispiaceva loro 1' adempimento di questo dovere) dovettero , dico , projiteri nomina , et quid quoque lo~ co possiderent, per un effetto tutto contrario ali' anzidet- to , cioè per ripigliarsi quello che erano stati obbligati di rlsegnare. Allora gli agri non si dicevano assignati , ma redditi in nominibus , et per professionem veterum possessorum,. Eccolo netto nel caso di Veroli : Vende. Op- pidum. Muro ductum. Ager eius limitibus graccanis in jwminibus est adsignatus. Ab Imperatuj'e Nerva co~ ìonis estredditus (i). E s'intende per professionem ve- terum possessorum , o che torna lo stesso , in nominibus villarum et posesssionum. Passiamo alle seconde. II. Ove ben si rifletta alla condotta di Frontino ne' suoi sugosi arlicoletti colonici, non lascia egli il più delle volte di far comprendere all'accorto suo lettore gli autori delle deduzioni , o delle assegnazioni agrarie. Sono questi alcu- na volta que' medesimi, de' quali ha fatto menzione neirar- (r) pag. 109. CAMPAGNA TAURASINA 217 ticolo anlececlenle , e che non occorreva ripetere : altre volte si eniinziano espressamente, come a cagion d'esem- pio per la Colonia di Capua : iussu Imperatoris Caesa- ris : più comunemente si additano colla parola LEGE coir aggiunto dell'autore della medesima. Eccone lutti gli esempii : 1. Lege Sempronìa. 4- ^^S^ lulìa. 2. Lege Graccana. 5. Lege Ti/spirali. 3. Lege Sullana. 6. Lege Augustea. La legge Sempronia appartiene al Console C. Sem- pronio Gracco , Collega di Appio Claudio dell' anno Var- roniano 486". Non è la stessa che la legge Graccana. La Legge Graccana assegna jugeri 200 per Centuria : la Sem- pronia ne assegna per Eclano , e Canosa 240. La legge Graccana appartiene certamente a Tiberio Sem- pronio Gracco , e di essa parla Tullio nell' Orazione prò Seoctio. Questa legge, come la Licinia , proibiva di posse- dere più di jugeri 5oo. La legge Sillana, ed Augustea non possono dar luogo ad equivoco alcuno. Della Illvirale si è parlato a lungo altrove. Molte sono le leggi Giulie. A noi non conviene il ragionare di ciò che non ci appartiene per ora. La legge Giulia, di cui cercasi, è l'agraria, che vanta per suo autore C, Giulio Cesare. Spiacque questa legge al Senato, e invano vi si oppose il Collega M. Bibulo , cacciato per ciò colla forza dal Foro , ed obbligato a tacersi pe i tem- po restante del suo Consolato. Osseivansi con questa leg- T. IV. «8 2l8 GUARINI gè divisi l'agro Stellatino , e Capuano (i). Or si domanda. Queste forniole indicano sempre , o no , gli autori delle deduzioni , o assegnazioni agrarie da esse affette ? Rispondo di sì, ove o dal contesto, o altronde, non apparisca il contrario. Gii articoli colonici frontiniani sono tanti piccioli ristretti delle storie particolari di ciascuna Co- Ionia 5 e '1 nominativo di queste storie, per così esprimer- mi , è senza dubbio l' autore supremo delle deduzioni , ovvero delle assegnazioni. Così chi dubiterà di Arezzo, che sia Colonia Illumvirale , dicendosi , che fu dedotta lege Illvirali , non sapendosi dal contesto , o altrove , a chi altro riferirla ? Ma trovandosi in vece nel contesto espresso I' autore della deduzione , la formola lege si riferirà alla jugerazio- ne o prima fatta , o ora per la prima volta da eseguirsi a novm^i di questa legge. E così abbiamo di sopra osser- vata la Colonia beneventana dedotta per Claudio Cesare, ed assegnata lege Illvirali. A proposito di formole legali , se ne incontra una assai curiosa , e del tutto negativa : un" assegnazione vale a dire presso Frontino nell' articolo Diinos , o come altri leggono , Divinos , fatta di questo Municipio sine lege alla Famiglia di Augusto che Io aveva costruito. La parola assignatus ^ di cui usa Frontino in questo caso, non per- mette di pensare ad una baruffa militare, in cui tutto si termina a colpi di mano. Dunque la formola singolare (0 Leggansi Suetonio in lui. e Fioro Gap. CHI. CAMPAGNA. TAURASINA 2ig sine lege qui non vale , che a puro piacimento del Prio- ■ cipe , senz' alcuna obbligazione a leggi coloniche. Ci guar- deremo dunque di confonderla con quella àeXjjrout rfids- que occupavit ^ la quale suppone la forinalilà legale della divisione , senza cui non può aver luogo l' iter populo ,, a cui si vede annessa questa occupazione (i). §. V. Delle Forinole semplici di jugerazione . Eccoci alle formole che io chiamo di jugerazione, che riguardano semplicemente Io scompartimento dell' agro as- segnalo , o qualche circostanza del suolo di esso. Non m'infìngo sulla difficoltà estrema di questo passo , almeno relativamente alla debolezza de' miei lumi. Saepe siilum verti e dadovero mi ho rosicchiato le unghie usqiie ad vivum. Ho letto e riletto più volte le stesse cose : vi ho riflettuto sopra seriamente : le ho comparate fra loro , per assicurarmi alla meglio del vero senso di esse , che come per una parte non può né deve essere che unico e indivisibile , cosi per 1' altra non è la più agevol cosa del mondo l'accertarlo nel rovesciamento quasi totale delle prische idee su questo punto. Vi si provi chi vuole , e ne converrà meco. Ria l'avrò io indovinato? non posso as- sicurarlo , non essendone io stesso pienamente soddisfatto (i) FrontÌD. pag'. io4 io8. 220 Gl'ARINI in moke particolarità. Prego perciò olii avrà la sofferen- za di leggermi , di non abbandonarsi alla buona su quan- to verrò dicendo , ma di non condannarmi nello stesso tempo in prima istanza come dicesi. Legga anch'egli e ri- legga gli avanzi degli anticlii classici agrarj campati Iddio sa come dall' universal naufragio , e poi si determini e giu- dichi 5 come gli parrà , per noi , o contro di noi. Le no- stre cadute stesse servir gli potranno come di un punto d'apjìoggio, siccome accader suole allo spesso, onde eoa più felice franchezza slanciarsi al segno della verità , o farsele almeno più d'appresso. Non si perda più tempo, A maggior chiarezza , figlia primogenita dell' ordine delle idee , distinguo queste formolo iu tre classi. Chiamo le prime semplici senza jiiù j e di queste ragionerò nel pa- ragrafo presente. Chiamo le seconde binomie j e le terze finalmente trinomie , che si riservano entrambe al para- grafo che seguirà. Son queste per ora le prime. I . Per Centurias^ 4- ^^ Scamnis^ 3. In Ii/o^ei'ihus . 5. In Laciniis, 3. In St/'igis. 6. In Pr.iecisuris. Prima di entrare in materia, premetto alcune sup^ posizioni comuni alle formole tutte in generale. I. In una foi'iHola- veramente taje nulla esser vi deve di superfluo , nulla di mancante , niente a caso. Le parole quindi in esse , i nessi , e tutt' altro , prender si debbano nel senso più stretto e naturale , di tal che un et , una virgola , ed altra cosettina qualunque dieno al membro che ne è affetto un signijEicalo diverso da quello che avreb^- ì)Q senza questo. CAMPAGNA TAURASINA 23l 3. Un' assegnazione anche totale non sempre porla seco nuova cenliniazione. A togliere in ciò ogni scrupolo, oltre al detto altrove, offro questo luogo d'Igino (i): mullis regionibas ANTIQVAE MENSVRAE AGI VS in diversum novis liinilibus incidilur. Se in molte regioni facevasi innovazione di limili e misura , dunque ciò non accadeva sempre , e 'l mondo si lasciava correre come era corso. 3. Un' assegnazione totale di agro enunziavasi per la formola : agej' in omnibus assignatus. Dunque dove non occorre questa formola , è da presumere qualche riserva neir assegnato. Veniamo ora all' assegnazione. I. Per Centurias. Cenluriazione e limitazione son si- nonimi : e r agro colonico è in proprietà quello che dice- si centuriato , cioè diviso per Decimano , Cardine , Alti, e Centurie. L'assegnazione dunque j)er Centurias sembra un'assegnazione falla a piene Centurie,, e non già di una parte sola di esse , o di alcuna di esse. II. In iugeribus. Assegnazione fatta, tenendosi conto della sola quantità de'jugeri da ripartirsi prom^itoj sen- za riguardo a Centurie , che possono altronde essere stale di già stabilite. III. In sirigìs. Il Decimano può essere uguale, mag' giore, o minore per rispetto del Cardine. Nel primo caso il numero degli Alti con lati sì a destra , che a sinistra del Decimano sarà uguale a quelli contati sul Cardine tanto citra , che ultra. Se in questa limitazione le Centurie si (') pag- 20, 222 etTARTNI vogliono di jugerl 200 , è chiaro che ognuna di esse verrà a rappresentarsi per nn quadrato , il cui lato è =:5o : e son queste le centurie quadrate. Ma se il Decimano è mag- giore, o minore del Cardine, allora ciascuna Centuria supposta anche di jugeri 200, non sarà più un quadrato, ma un rettangolo, di cui un lato è maggiore dell'altro. Si è osservato altrove , essere stato questo il caso delle Centurie beneventane , che sebbene di jugeri 200 , pure non si dissero quadrate , perchè contavansi Atti XXV. sul Decimano , e soli XVI. sul Cardine. Questi rettangoli se avevano il lato più lungo sul Decimano, dicevansi strigae, e l' agro cosi centuriato dicevasi strigatus. All' opposto dicevasi. IV. In scamnis , se il lato più lungo era sul Cardi- ne , e l'agro così diviso denominavasi scamnatus. Qiod in latitudinem longius , scamnitm , quod in longitiidi- nem , strigam. Così Igino (1) , e Frontino in sostanza dice anche lo stesso (2). In Agenno questa medaglia leg- gesi al rovescio. Ma chi ci assicura, che per isbaglio de* co- pisti nel luogo di Agenno la parola latdudo non abbia preso il posto di longitudo , ed al contrario ? V. In laciniis. Il dotto Goesio non tiene un lin- guaggio costante sulla intelligenza di questa formola. La intende da prima dell' assegnazione fatta in luogo noti da per tutto idoneo a cultura, che non polendo perciò esser continuata , deve di necessità eseguirsi siccome a brani, (i) pag. 198. (2) pag. 38. CAMPAGNA TAURASINA 423 In fine risolvesi a dire , che lacinia , et praecisura ia realtà valgono la medesima cosa j ma che la parola prae- cisura propriamente dinota il fiore e 1' ottimo di un ter- reno , laddove la lacinia può essere anche dello sterile ed incapace di assegnazione- Ma parlandoci espressamente Fron- tino di più assegnazioni fatte laciniis , et praecisuris , bisogna che fra queste due voci corra qualche differenza meno accidentale di quella che crede il Goesio , se nelle formole riconoscer si vogliono , come è mestieri , i giusti termini di mezzo all' ultra e citra del puro necessario. Or Lacinia dinota un pezzo qualunque , comechè appiccato ad un tutto , ma non per questo di essenza del tutto medesimo. Dunque nel nostro caso questa parola può stare per un terreno non assegnato ancora , ma adiacente all' assegnato , e sporgente fuori di esso. Sotto questo punto naturale di veduta si conosce la differenza che passa fra l'assegnazione in iugej'ihus ^ in strigis , in scarnnis ^ e quella fatta in laciniis. Le prime suppongono divisione e limitazione ^ l' ulliraa niente di questo. Rechiamoci a mente le assegnazioni augustee accennate di sopra , e fatte a solo fine di ampliare i confini delle Colonie di già esi- stenti , e tutto correrà de plano. y\. In praecisuris. La parola praecJ5?/7'a dice all'op- posto un taglio fatto al lutto di una porzione' che gli ap- partiene sostanzialmente. La precisura perciò può cadere tanto nel diviso ed assegnato , quanto nell' indiviso e non assegnato , qual si suppone una Lacinia prima dell'assegna- zione. Per la precisura nel diviso , ecco uu luogo di Frou- 324 euAniNi tùio (i): celerà prout quis occupavit ( l' occupato è oppo- sto all'assegnato, ma suppone il diviso). Alia loca prò aestimio uhertatis PRAECISA sunt. E per le precisure XteW.' indiviso , ecco un altro luogo dell'Autore medesimo (2) Centuriae quadratae in iugera CG. E questo senza dubbio il diviso, o centuria to. Et celerà in laciniis saat PRAECISA post demortuos milltes. Ed è questo 1' asse- gnato , ma non diviso. Presso Siculo (3) , 1' agro di Cassio si dice assegnalo in praecensura. Non vedesi questa parola ne' Lessici del Facciolati , e del Forcellini , e bisognerà prenderne conto, fino a che il luogo non dimostrisi viziato. Suppostolo per ora genuino , questa formola non ha che fare con quelle della jiigeiazione , di cui trattiamo. Che vorrà essa dunque dire? trovo dell'agro Foro Popilio , che non ostante l'es- sere stato antecedentemente assegnato da Augusto , tutta- volta Imperalor V^espasiaiius poslea lege sua CENSERI jussit. Dunque probabilmente hpa^vola. praecensura \ arra: antequam censeretur. S' incontra una formola particolare di jugerazione per conto dell' agro Venosino , ed è concepita in questi ter- mini : limilibus graccanis itnius scamni (4). H Goesio crede una stoltezza prendere questo scamnum nel senso di quel rettangolo , di cui abbiamo poco fa ragionato (5) (i) pag. 127, (4) rag. ^10. (2) pag-. 109. (5) Antiquit. Jgrar. Gap. Vili. (3) pag. i34. CAMPAGNA TAURASTNA 225 e vuole che qui sì prenda per quello spazio di terra de- stinato al pubblico passaggio fra due limiti , e che per ciò era vietato di toccar coli' aratro. E come pretende dimo- strare , che talvolta nel mezzo di questa strada tiravasi una fossa 5 che dividevala in due parti , crede di jjoter chia- mare scarnita appunto queste due parti , nelle quali in tal caso andava diviso il limite , o sia la strada j e che i limiti venosini dicansi unius scamni , perchè non divisi da questa fossa. Per verità questa interpetrazlone Goesiana della paro-' la scamnum nel nostro proposito non ci sembra appog- giata abbastanza , e forse più che ricavata , espressa con qualche violenza da' luoghi per lui allegati. Ma ci guarde- remo con tutto ciò di qualificarla di stoltezza, com'egli fa della intelligenza comune , che per altri applicar si vo- lesse alla voce scamnum nel fatto di Venosa. E che vor- rà dire in questa supposizione quell' unius scamni per la jugerazione venosina? che quest' agro fu diviso per iicart/zi tutti uniformi e perfettamente uguah fra loro. Qual cosa più naturale , ed insieme conforme allo spirito delle colo- niche divisioni in un suolo così regolare come quello di Venosa ? T. IV. .9 22(j GUARINI §. VI. FoT^mole di jxigerazione hinomie , e trinomie. I. Assegnazione per Canturias et Strigas. Cioè di agro centuriato , e strigalo. II. Per Ceniiirias et Scamna. Cioè di agro centu- riato a scanni , o scamnaio. III. In Centuì'iis et Laciniis. Cioè di agro centuria- to , di cui si ampliano i confini colle Lacinie adiacenti. Vedesl in questa formola espressamente la Lacinia fuori della Centuria , e resta con ciò confermato il vero senso per noi dato di sopra alla voce Lacinia. IV. In Centurds per iugera. Assegnazione parziale di agro centuriato , tenendosi conto del solo numero de'ju- geri da assegnarsi nelle Centurie di già esistenti. V. Pro paiate in Laciniis , strigis. Ampliazione di confini colonici fatta nelle adiacenti lacinie , e tagliate a forma di striglie. VI. In iuger-ihus , limitihus intercìsivis. Assegnazio- fre parziale di agro centuriato limitihus intercisivis , per solo conto dì jugeri. VII. Pro paHe in iugeribus , et Laciniis. Ampliazio- ne di confini per lacinie ripartile semplicemente per ju- geri senza cenluriazione. Vili. Per strigas, et scamna. Era questa la forma degli agri pubblici nelle Provincie fuori dell'Italia (i). Pas- siamo alle formole trinomie. (i) Frontin. pag. 38. CAMPAGNA TAURASINA 22; I. Per strigas , et scamna in Centuriis. Assegna- zione di agro strigato , e scamnato , per jugeri non già , ma per Centurie. Dunque una striga , ed uno scanno non sempre era una Centuria. Dietro questa osservazione Vunius scamni Yenosino potrebbe anche riferirsi a tutto 1' agro di Venosa rappresentante uno scanno vastissimo. Eccolo più chiaro nella formola che segue. II. Per strigas ^ scamna, et Centurias. Assegnazione fatta in parte per Centurie compiute , in parte per rettan- goli ora scainnati , ora strigati , che non erano della mi- sura di una Centuria. III. Per Centurias in laciniis , et strigis. Se la pa- rola strigis non si voglia riferire alla formola delle Centu- rie, che così sarebbero 5i!7Y^(2^(? , s'intenderà quest'assegna- zione fatta per Centurie compiute nelle Lacinie , fin dove n'erano queste capaci, e dove no, per semplici slrighe, minori ognuna di una Centuria. IV. In praecisuris , strigis , et laciniis. Assegnazio- ne eseguita parte in tagli di agro già centuriato , j)arte in lacinie , e tutto disposto in forma di striglie. V. In -praecisuris in laciniis, et per strigas. Ecco de' tagli fatti in forma di striglie , nell' agro centuriato non già. , ma nelle sue lacinie. Se poi si vuole una virgola fra I praecisuris , e'\ laciniis , l'assegnazione sarà parte nell' a- gro centuriato , parte nelle lacinie. 3Ia il testo corre, come si è riportato da prima. In praecisuris in laciniis vai tanto per conseguenza , quanto in praecisuris lacinia- rum. Nuova conferma della differenza per noi assegnata fra lacinia e precisura. * 228 GUARI M §. VII. Suhsecivi^ e Prefetlura, Inconlransi spesso cosiffatte voci nel linguaggio agrario. Bisogna dunque dirne qualche cosa , quanto basta almeno al bisogna dell' oggetto propostoci. L'avidità degli usurpatori de' così detti suhsecivi die mollo da guadagnare all' economico Vespasiano , ed anche al buon Tito. Domiziano volle farla da galantuomo, e con un editto per questp caso di Cesarea riserva totius Italiae metani liberavit. Era intanto il SuLsecivo così detto a linea subsecante una porzione di terreno tagliata da un' altra , ma non assegnata , e perciò di pieno diritto dell'assegnante. Secon- do Siculo , il Subsecivo può essere non meno un luogo incolto fuori dell'agro, e quindi non compreso fra' limiti, che un luogo compreso in una Centuria, e per conseguen- za ne' limiti , ma sempre però non assegnato. Comunemen- te si crede, che Frontino vuole rinchiuso ne' limiti anche il subsecivo fuori della Pertica , il che sarebbe una con- t'addizione evidente , essendo i limiti così alla pertica es- senziali, che ciò che giace fuori di essi chiamavasi £5^rflcZw5o. A me pare , che in ciò si faccia al mio Frontino un torto che egli non merita. Ecco il luogo di questo ScxìiioxQ {}): Suhseoivorum (0 pag- 39. CAM^ACNA TAURASINA 229 genera sunt duo : unum , quod in extremis assignato- rum, agrorum FINIBVS Centuria expleri non potuit. Dunque parla di un ritaglio dell* agro assegnato , e nel suo caso anche limitato , ma non bastevole a compiere una giusta Centuria, di cui si parla. Dunque W Jinibus fron- tiniano è il vero sinoninao di lim,itibus , non essendo ob- bligato uno Scrittore ad usar sempre de* vocaboli con tut- ta la stitichezza dei rigore , e sopra lutto In cose note , come è quella di cui si tien parola. Ed ecco svanita la supposta froniiniana contraddizione, e messo d'accordo questo Scrittore con Siculo , ed altri trattatori agrarj. Si rende tutto questo più evidente da un passo di Agenno Urbico , comeutatore di Frontino , come ognun sa , il quale parlando appunto di questo frontiniano sub- secivo lo dice espressamente LINEA COMPREHENSVM. Se è compreso fra le misure lineali , dunque è fra' limi- li , e non fuori di essi : e sebbene sia all' estremità della pertica, non per questo è di necessità che sia fuor della pertica, come si vorrebbe far dire e pensare al povero Frontino. La Prefettura agraria , di cui ragioniamo , è ben altra cosa dalla Prefettura nel senso di una forma particolare di governo a castigo di una Colonia , ovvero di un Munici- pio. La Prefettura in linguaggio agrario è un taglio che si fa ad un territorio confinante , per supplire il mancante di una pertica colonica. Fu questo l' infortunio tanto noto della povera Mantova aggiudicata in prefettura alla Colonia Cremonese : ^ aSo GUARINI Mantua ! vae miserae nimmm uicìna Grèmonae. Intanto siccome una Colonia , o Municipio divenuti Prefetture romane ricevevano da Roma immediatamente i loro Magistrati 5 così una porzione di territorio altrui di- venuta Prefettura Coloniare riceveva dalla Colonia , cui era stata aggiudicata , il suo Magistrato , che denominavasi Praef. I. D. (i). §. Vili. Saggio di applicazione del fin qui detto , e Conchiusione dell' Opera. Ho detto più volte , ed ora più che mai lo ripeto con maggior franchezza , che le formole frontiniane portate alla giusta lor equazione , operazione per altro niente agevole pe' nostri tempi e per le nostre idee , equivalgono a de 'trat- tati compiuti degli articoli colonici di cui si cerca. Questa mia asserzione sembra dimostrata abbastanza da quanto abbiamo avuto 1' occasione di dire a proposito di Cornelia- no 5 Bebiano , e di altre Colonie che ci si sono presentate nel decorso dell' Opera. Ma a soddisfazion maggiore della mia delicatezza in fatto di parola , e più di qualche lettore poco per avventura arrendevole , io prendo in pruova qual- che articolo frontiaiano , e vi porto sopra brevemente V ap- (i) Ved. Ma;zzoch. Amph. Camp. C. I. n. LXXV. e seg. CAMPAGNA TA.URASINA a5l ])licazione del detto finora. Venga in primo luogo quello di Eclano (i) I. Aeclanensis. Iter popolo non dehetur. Ager eixis in Ceniuriis singuìis iugera GCXL. Actus N. XX. etper XXIV. Lege est assignatus , qua et ager Canusinus. Decumanus est in Orìeniem. Mi ascoUino per poco gl'intendenti più severi delle scienze esatte, e veggano se dir si poteva di più con meno parole , con ordine e chiarezza maggiore. 1. Aeclanensis. Siamo tiel caso della sola porzione, pubblica o privata che prima si fosse, del territorio cela- nese , ed ora per la prima volta assegnata a' nuovi colo- ni , restando intatta la restante di ragion sì pubblica che privata. 2. Iter populo non dehetur. Dunque in questa no- vella Pertica, tranne le pubbliche strade di ragion ordina- ria, non vi fu obbhgo di altra strada pubblica in qualun- que de' due sensi altrove fissati. Ed è chiaro altresì da questo , che tutti i limiti celanesi corsero in linea retta fi- sicamente ad un tempo , e razionalmente , perchè altri- menti sarebbesi adoperata la formola positiva indeterminata: iter populo dehetur. 3. Ager eius in Centuriis singjtlis CCXL. Divisione la più comoda e speziosa di quante in tal genere bramar se ne possano , secondo i canoni agrarj ili sopra spiegati. (i) Pag. 126. 2 32 GUARINI 4. Actus N. XX. et per XXIV. Gli atti 20 van contati sul Cardine , e' 24 sul Decimano , che nel nostro caso è in regola , essendo posto al vero Oriente , cioè al- l' Equinoziale. Si hanno dunque Centurie XXIV. di ju- geri 240 l'una , ed in fornia distrighe. Dunque tutto l'as- segnato della regione eclanese è 24 X 240 tsJ76o jugeri', ovvero a moggia poco più di 44^2. E per ordine di chi ? 5. Lege est adsignatus , qua et ager Ganusinus. Questa legge è la Sempronia , e la Giulia. E sono esse di jugerazione , o di deduzione ? La Sempronia è di jugera- zione, e forse anche di deduzione: perchè le centurie e- clanesi sono di jugeri 240 , mentre la legge Giulia ne pre- scrive soli 200. Ma la legge Giulia è sicuramente di de- duzione , che in quest' affare o volle usare della legge Sem- pronia per la jugerazione , o la lasciò correre , come vi si trovava , il che è più probabile. 6. Decumanus est in Orientem. Cioè degli equinozj, altrimenti si sarebbe detto : cursum Solis secuti sunt 5 come dell' agro Lucerino , che a bella posta prendiamo ad esaminare, IL Troviam fatta menzione dell' agro Lucerino in tre luoghi tutti fra loro discordanti. Il primo leggesi così : ^^er Lucerinus Cardinibus , et Decimanis est assignatus (si poteva dunque assegnare senza limitazione). Sed cursiim solis sunt secati , et constituerunt Centurias cantra cur-^ sum orientalem. Actus N. LXXX. et cantra 3Isridia- mim, Actus N.XC, Efficiunt juge/^aTS.DC.XL. Iter po' CAMPAGNA TAl-nASlNA 233 7)iilo non debeiur {\). 'Taluni lian creduto di dover cani- Ijiare in 4^ gli atti LXXX;, ed ia i6 i XC. Il luogo di feicnro è scorretto. Parlasi in secondo di qiiest' agro del "tenore seguente: Lucerinus ager Cardinibus , et- Deci- manis est assignatus. Scd CTirsxim SoUs sunt secuii , et constituerunt Centurias cantra cursinn Orienialem (2). L'ultimo luogo è come segue: Ager Lucerinus K. etD. est assignatus. Sed cursum solls sunt secuii et consti- tuerunt centurias circa cursum orienialem. Actus N. LXXX. et cantra meridianuni Actus N. XV. Effi- ciiLnt iugera DCXL (3). Qui altri stimano doversi cam- Liare il circa cursum in cantra cursum. Ma non v' è questo bisogno : perchè queste differenti maniere circa cursum , cantra cursum arientalem , et cursum solis secuii sunt , tutte valgono la medesima cosa , e voglion dire , che il Decimano Lucerino non era al vero Oriente equinoziale. Intanto il primo luogo è di Froptino , il se- condo di Balbo , il terzo della Mappa albense. La sostituzione degli atti ■^o agli 80 , e quella di 16 a i5, tutto è a caso , e senza alcun fondamento j ed k) attesa la capacità del territorio Lucerino , pili volentieri la terrei per la prima lezione , che è di atti LXXX per XC. Ma non è qui dove giace la lepre , e di cui era bene si occupassero i correttori degli Agrarj. L'imbroglio è nelle parole : efjiciuntur iugera DCXL j che reggo saltate in (0 Pag. i.o. (3) Pag. i4o. (2) Pag. ,27. T. IV, 3o 234 GUARINI quattro , come suol dirsi. Poiché questa numerazione ove riferir si volesse alla somma de'jugeri dell'assegnalo Lace- rino , cosa per altro che non è di stile degli Scrittori a- grarj , tutto quest'assegnato, io dico, si ridurrebbe a so- li jugeri 6^0. Diensi non più di jugeri L a ciascuna Centuria: non sia il numero di queste né XC, né LXXXj ma XL solamente , stando alla lettura più ristretta. Sa- ranno Centurie 40X 5o — a jugeri 2000 , somma di trop- po eccedente la segnala di soH jugeri 640. Si riferisca dunque tal numerica nota al quoto de* ju- geri componenti le Centurie Lacerine. Ma in vece di DCXL, leggasi CCXL5 ^ rendasi il luogo viziato in questo modo: effciuniur (s'intenda Ceniuìdae per') iiigera CCXL. Ed ecco svanita ogni difficoltà. Il passaggio della nota numerica C in D non è la metamorfosi più strana ed in- credibile in manoscritti antichi così mal capitali per ingiu- rie del tempo non meno , che per incuria de' trascritto- ri. E poi qui trattasi non di parole , ma di cose cono- sciute e fatti, a' quali in caso d'incertezza adattar si debbono le parole , e non al contrario. ! E gli Autori dell'assegnato Lucerino ? Non se ne fa motto neir articolo Lucerinus. Ma crediamoli pure quelli s tessi della Legge Sempronia , e Giulia , di cui si era fat- ta parola nel prossimo antecedente articolo Aeclanensis , e non usciremo di strada. III. Prendo in ultimo luogo 1* articolo riguardante la celebre Aufidena verso Castel di Sangro. Aufidena muro ducta. Iter populo dehetur pedibiis X. Mllites eam Le^e CAMPAGNA TAURASINA 235 lidia sine colonis deduxerunl. Ager eius per Ccn~ iurias , et scamna est assignaùis. Termini Tibiirtini suni appositi limitihus intercisivis (i). 1. jiujìdena muro dncta. Ciltà allora nimata. 2. Itej' populo debetur pedihus X. 01)blIgo di ma- nutenzione di pubblica strada anteriore alla costituzione della nuova Pertica , e nella sua attuai larghezza di piedi X. 3. Milites eam, le^e luUa sine colonis deduxc- Tunt. Deduzione senza coloni , la cui formalità si esegui per atto militare. Devoluta dunque al Fisco per ragione di Stato, e non più ?»coZttmz5, se ne fece l'atto dì dii>i sione, ma senz' assegnazione. 4. Ager eius per Centuiias^ ci scamna est assìgna- tus. Le Centurie in questa limitazione ebbero la forma di Scanni , e fu in seguito assegnato. 5. Termini Tiburtini sunt appositi. La distanza frai termini così detti era da j)iedi 240 a 65o : cioè i termini Tiburtini dovevano fissarsi a distanza non maggiore di piedi 660 , non minore di piedi 240. 6. Limitibus intercisivis. Perchè la qualità di que- sto suolo non ammetteva i Peiyeiui. Collo stesso metodo potrei fare ben altre ed altre applicazioni somiglianti. Ma relativamente al mio fine , non direi più di quello che ho detto. Mi arresto dunque, pa- go di aver tentato un passo in mezzo di un laberinto se- minato di spine , e profittando come ho potuto de' lavori (i) Pag. 125. 236 GUARINI • di coloro che mi han preceduto in quest' impegno. Fac- cian altri de semita vìam , che tutto non è da pre- tendersi da un solo , e molto meno nelle mie circostanze, conosciute le quali , spero trovar pietà , non che perdono , ove siami venuto meno il piede. Lo ripeto , e non me ne arrossisco. Non sono del lutto soddisfatto , né piena- mente persuaso di tutto quello che ho dettoj Sempre pron- to adunque a dare indietro, ed a condannarmi, ove mi avvegga , o che sia avvertito di aver deviato , imploixj con sincerità e senza spirito di pedanteria i lumi di chiunque, ma con quel coraggio ingenuo ignoto alle anime basse , e che suole ispirare l'amore , e l'amore unicamente del vero. 23; CONTINUAZIONE DELLE OSSERVAZIONI SULLE COSE ECLANESI\^ DI RAIMONDO GUx\RINI Letta alla Società nella sessione de' Il Febhraro 1821. l^ihil est enim simul et inccntum , et per/cctum. Cic. in Bruta. v!3oN più anni che colla occasione delle ferie aiìtun" Bali ve ra,ccozzando alla meglio nel patrio suolo le notizie degli avanzi venerandi del rinomatismo Eclano : e mentre ad ogni anno mi lusingo di aver tirata già 1' ultima linea, ecco neir anno che segue oggetti novelli , de' quali l' im- pegno una volta sposato non soffre che io mi dispensi dal rendervi conto coli' usata mia ingenuità , Colleghi or- natissimi. Veramente la raccolta di questi due ultimi anni, •voglio dire 1819 , e 1820 non è delle più ubertose. Ma questa parsimonia medesima obbligandomi ad essere più breve , mi pvoccurerà il vantaggio di esservi men tediosa. 238 GUARINl Ho osservalo in primo luogo , che seguendo la dire- zione di un residuo del muro di quest'antica Città dalla parte Settentrionale siam guidati per un buon miglio lungo le falde di una dolce collinetta ad un punto più rilevato detto lo Spineto , ove veggonsi rottami sparsi di antiche muraglie , e di bastioni. E forse qui era la Porta Setten- trionale dell' antico Eclano , donde spiccavasi la via pub- blica per Equo Tutico. Questa via sicuramente non aveva che fare coU'Appia , le cui tracce sono ancora visibili dalla detta osteria di S. Bernardino , che attraversando la pre- sente strada Consolare y e passando a destra della mede- sima, correva pel mezzo di Eclano , e tenendosi sempre a destra dell' anzidetta strada Consolare , si lascia ancor vedere pel passo di Mirabella , quindi dietro la Fontana del Re , ed in fine fuori di Giottaminarda , e propriamente in un latifondio de' Signori Perilli sito sulla sinistra delle Fiumarelle. La continuazione di questa famosa sti-ada , dietro questo filo di Arianna certissimo , sarebbe facilissi- ma a scoprirsi , sapendosi altronde che menar doveva alla famosa Villa di Trevico , da cui l' enunziato latifondio Pe- rilliano non è più lungi di migha otto in circa. Nelle Grotte poi , che come tante volte si è detto , è una picciola parte dell'antica Città dalla parte orientale , oltre varj superbi acquidotli di piombo , ed un mezzo busto di bronzo , che il contadino scopritore fece ben pre- sto scomparire a vii prezzo di semphce metallo unitamente ad alcuni busti con qualche testa di marmo , ecco quanto si è scoverto nello scavamento de' ruderi , che si fan ser- vire di materiali alla rifazione della regia strada. SULLE COSE ECLANESI sSg Vaiii pezzi di piene J.^.a j^iaiidi ^ lavorute. r» ut; uti- lissime Aquile di marino : la prima avente fra le unghie una Icjire con al di sopra Ire dardi in una spezio di tur- casso : la seconda assai più bella con un agnello fra gli artigli. Vari! pezzi di colonne , e qualche capitello di or- dine corintio con alquanti Ijassi rilievi sul gusto di quelli di Pomjìci. Due diete lastricate di marmo. Lungo i lati di una di esse eran disposti de' bei tubi quadrali di mat- lon cotto. Il lastricato di marmo poggiava su di un cal- cinato ben sodo , e questo sopra un pavimento di gros- sissimi mattoni tutti belli ed interi. Il di sotto di tal pavimento era vroto , se non in quanto sostenuto in varii punti da alcune colonnette di matloncini rotondi messi in fabbrica. Potrebbe stare, che fosse questa una delle Zeie descritteci da Pa])ia ne' termini seguenti: Zeiae. DomuSj quae subtiis pecles habent aquas. Haruvi aliae hiema- ìes , aliae aesiivales. Zelae hiemales sunt , qiias cali- das facìt siibducta fiamma. Zetae aestlvales , quas fri- gidas ftcit siibducta aqua. Dalla descritta costruzione della nostra Zeta pare, se io non m'inganno, che essa sia piuttosto una Zeta estivale che iemale, cioè un frigida- rio, anziché un calidario. Ma non intendo per questo piatir con nissuno. Volli con questa occasione misurare la grossezza di una porzione delle fondamenta del muro della Città , e non era minore di palmi sette. Si è scoverto un pozzo elegantissimo profondo palmi trentasei. Dal fondo alla cima è foderalo di grandi fascioni di creta cotu così ben commessi fra loro, che sembrano 2/{0 GUARINl ruijiiaie un SOI pe/,^,u di geuo. Ual tondo al mezzo va al- largandosi bel bello , e dal mezzo all' orificio va a restri- gnersi al diametro di due buoni palmi con coverchio di pietra lavorala , ed anello di" ferro al centro dalla parte di fuori. Questo pozzo esiste in tutta la sua integrità ; è proveduto di acqua nel fondo j e vi si osserva il tubo, per cui gli si comunicava l'acqua dal magnifico acquidotto lungo la strada Appia , da cui non è che di pochi passi lontano. Eccoci ora ad una scoverta poco in verità fortunata, ma senza paragone più curiosa , e feconda di buone con- seguenze. E questa una bellissima pastiglia rappresentante un feroce destriero, che ha fra le zampe anteriori in at- teggiamento assai svelto e dignitoso un' Aquila molto mal capitata. Questo leggiadro monumento , che io riguardo come topico^ cioè tutto projjrio di Eclano , caduto, ó piuttosto gittato a terra da persona indispettita per l'esor- bitante prezzo ricercatone dall'oblatore, ebbe la disgrazia di andare in pezzi. Quest' avvenimento fu creduto poco meno che impossibile. Ma non è più tempo da dubitar- sene. Io ha fatto acquisto di tali pezzi : gli conservo presso di me: e son pronto a mostrarli a chiunque ne abbia vaghezza. La gemma era di figura ovale ben grande, ma di spessezza così meschina , che non oltrepassava le due linee con intermedio bianchiccio fra dne superfizie di un sanguigno carico. Una sempUce caduta quindi poco fortu- nata bastava senz'altro a condannarla al destino, a cui SULLE COSE ECLANESI 24 I vedesi ridotta , e tanto più che la materia di essa è una pastiglia. Venendo ora al merito di questa gemma , io Iio quasi per fermo, che il simbolo di essa sia allusivo a qualche brillante vantaggio diportato dagU Eclauesi sulle aquile ro- mane neir affare della guerra Sociale. Si sa la parte del carattere rappresentato dagU Eclanesi in siffatta circostanza : Jion ignoriamo la marcia rapidissima di Siila , che lascia Pompei , per sorprendere Eclano , prima che giungagli il rinforzo destinatogli de' Lucani : abbiamo iscrizione cela- nese , che fa menzione di una vittoria illustre avuta dal- l'esercito Sannite , e Nolano, che sicuramente riguarda I tempi della Lega italica : abbiamo un frammento di al- tra iscrizione egualmente celanese , che accenna largizioni annonarie fatte dalla Città in prò de' suoi bravi unitamente alle lor famiglie , e che plausibilmente sembra potersi ri- ferire all'epoca e circostanza medesima, e che ognuno può consultare nelle nostre Ricerche. Sembra violento adunque, o almeno poco naturale e felice qualunque altro senso' dall'anzidetto infuori, che dar si pretendesse al tipo della ^nostra gemma sventurata. Pare inoltre, che il vero stemma di Eclano sia stalo 31 Cavallo. Era questo sicuramente lo stemma di Quinto- decimo surto sul settimo secolo dalle rovine eclanesi , come ^'egglamo nell'insigne rotolo quintodecimano , di cui non occorre qui fare altra parola , dopo che voi da due anni a questa parte ve ne siete, come conveniva, così alta- mente occupati. Ed è dopo tutto ciò assai probabile , che 242 6UAR1NI la vera etimologia di Eclano ripeter si possa dalla voce eqaus , o equulus. Dico probabile , perchè non sempre r etimologia va regolata dalle cose , e talvolta le cose si sono volute adattare all'etimologia, Dio sa come. Con- fessiamo non pertanto di buon grado' , che V etimologia del nostro Eclano fa de' buoni passi verso la realtà. Ed ecco il perchè facciamo ora plauso alle idee del signor Cassitti su f[uest' oggetto , alle quali da prima senza tai lumi femmo qualche resistenza. Quando V etimologia par- te da' falli , ed è da' medesimi fiancheggiata , per noi se no fa tutto il caso, e crediamo che in ciò differisca il fi- losofo dal pedante. Quando è meramente gratuita ed oc- casionata , come accade non di rado , da un' affinità di suoni puramente accidentale, non ci si recherà a delitto, se contenti di non disprezzarla, ci tenghiamo neutrali, fi- no a che qualche circostanza più propizia ci determini per essa , o contro di essa. Accenno l' acquisto per me fatto di una picciola gemma colla incisione di Amore alato in atteggiamento serio e risoluto di votare il suo turcasso di tutte le sue quadrelle. Pensiero degno di occupare felice- mente qualche genio divoto di Anacreonte ! Passiamo alle nuove iscrizioni scoverte nel decorso di questo biennio , e che far debbono parte delle tante altre celanesi raccolta nelle mie Ricerche , e nella continuazione delle medesime. Comincio dalle Pubbliche , ed al solito noto col segno quelle che sono state lette da me , e da me stesso co- piate da' loro originali tuttavia esistenti. SULLE COSE ECLANESI ^^ PVBBLIGHE. I. L. COSSO : III. VIR. AA. s. f. f. PONendum. censuere Parlasi di un Triumviro monetale , che esser potrebbe im Cossonlo , od altro. Esiste iu una villa del signor Ferro detta la Torre. La restituzione Cossonio è felicemente so- stenuta da un Lucio Cossonio di un' antica iscrizione . che a tempo mi è venuta alla mano. II. Q. FLAMIN EIVS. QVOD. CVM. L RITEI. QVINQ. VENI EI. CVM. EX. HS. C. TERTIVM. . . STRAVERIT. PER. MILLIA. PASS. . AD, RAPVT. EIVSDEM. VIAE. . . IMPERATORVM. STAT RALENDA. ..... Qaesto frammento così interessante trovasi in Mirabel- la presso 1 Signori Cappucci. Se non e* inganni.imo , con tal monumento onorar si volle la memoria di un Q. Fla- minio , che a proprie spese , e per la terza volta , lastricò per più miglia forse la via Appia , o qualche ramo della medesima , al cui capo aveva eretto ancora delle statue imperatorie. (^udRalenda... potrebbe aver relazione al Cu- 244 CrARINI raiore del Calendario eclanese , di cui abbiamo ragionato abbastanza nelle nostre Ricerche. m. * e. VIBIO. C. F. COR. BASIVIO. mi. VIR. Q Q P. D. D. Ecco in C. Tibie Basivio un novello Qualuorviro Quinquennale eclanese. Esiste questo bellissimo Cijjpo die- tro la cosi detta Taverna di S. Antonio. IV. Ed ecco un fiore novello da offrire al sacro cenere di Eclano. Fra' tanti e di ogni classe, che da dodici sta- gioni e più ne gli abbiam presentati quasi in annuo tributo, sarà questo per avventura il più gentile e pregevole insieme. A' 2 del cominciato 182 1 , nell§ celebratissirae Grotte dell'Agro Mirabellano fu dissotterrato un marmo di forma parallelepipeda , lungo palmi sette , e largo due , forma che indica abbastanza aver potuto esso servire di architrave all'ingresso del luogo pubblico, cui era destinato. È monco però da sinistra , in cui a caratteri bellissimi , e dell' altezza di più di quattro pollici , leggonsi le seguenti parole ; :CVS. e. ARRIVS. N. F. RAN .... SNIANA. CIRC. FORVM. D. S. P. F Prima di passar oltre , ci si permetterà di premettere qualche osservazione sul luogo , ove si è rinvenuto questo SrilE COSE ECLANESI 2^5 prezioso monumento. I soli pratici del mestiere dell' anti- chità comprendono , di qual giovamento riuscir possono e sogliono al rischiaramento delle vetuste memorie questi topici lumi , se ci si permette di chiamarli così. Parlo jier prova, e bisogna che gl'iniziali mi prestin fede. Fino a che un antiquario non siesi assicurato del luogo, onde si è riprodotto un monumento antico ^ della vera lezione di esso \ e di tutte le più minute circostanze di latto che lo accompagnano , per quanto è possibile : egli deve so- spendere ogni suo lavoro pel ragionevole timore , onde esser deve penetrato , di spargere al vento e fatica e su- dore. Ma noi all'uopo ci dimentichiamo di così necessari! e salutari precelli , e ad occhi aperti ci gettiamo in quel letto di Procusle , dove nessun ci cliiama , o non ci ob- bliga per lo meno. E questo prova , che ciascun se- gue suo genio e natura , e predichi come vuole e quanto vuole ragione in contrario e prudenza. Torniamo dove slam parliti , senza uscire di strada j che non si esce mai di strada , quando non se ne perde di veduta il vero fine. De' ruderi dell'antico Eclano non esiste al presente che una porzione di muraglie di forma reticolata fra oriente e mezzogiorno, la cui pianta può vedersi nell'opera grande riguardante questa città. Fortunatamente in questa porzione noi vi osservammo i . le Terme con superbissimi acqui- dotli , e fontane , e pozzi. 2. una parte della strada Ap- pia. 3. la pedalura dell'Anfiteatro colle sue dimensioni , clie possono vedersi nell'anzidetta nostra Opera t^. c<òn\o schema di una parte di aulica solidissima pedalura esistente 2^6 GUARI NI in un luogo detto oggi localo, ed in vetuste carte deno- minato ancora Coliseo , dove vecchie persone assicurano che a'ior tempi distinguevansi ancora le varie cave desti- nale a ricettar le fiere , e delle quali ancor io ho osser- vato evidenti vestigj. Ed eccoci nel vero punto del ritro- vamento della Lapida, di cui ci convien ragionare. Essa è presso a poco là , ove un tempo ammiravasi quella por- zione di solida pedatura poco fa accennata , e che il let- tore può consigliare nella II. Tavola, e che probabilmente era la fronte o del Circo , o del Foro Eclanese , di che parleremo or ora. Gli avanzi della prima parola della nostra epigrafe ci danno un Gracco , o piuttosto un Fiacco, cognome del Collega di C. Arrio , e che unitamente a. cosini 3Ienia7i a. Circ. Forum, de. sua. pecunia, fecit. Se di sicuro fosse un Fiacco 5 e se altronde fosse certo ciò che il dotto Mor- celli dice di un certo Gneo Fiacco , figlio di Fulvio , pas- sato per adozione nella famiglia Vibia , nessuno meglio di un Vibio Fiacco comparir potrebbe in questa scena , sa- pendosi bene , quanto la famiglia Vibia fu celebre in Echino. Ma se io non m'inganno, il marmo cui ilMorcelli a])pog- gia tal sua congettura , in luogo di un Fulvio passato jiel- la Gente Vibia , sembra additarci un Vibio passato nella Fulvia. Contentiamoci dunque d'ignorare e nome e pre- nome di questo benemerito Eclanese , e passiamo al Col- lega di esso , che ci presenta qualche cosa di più sicuro. Cajo Arrio enunziasi figlio di Numerio : e di Numerio Arrio appunto in marmo eclanese abbiamo un Liberto col SULLE COSE ECLANESI 24? prenome di Cajo , e col cognome di Rufìone. Potrebbe stare adunque , che Rufìone fosse stato il cognome di Numerio Arrio, padre del nostro Cajo Arrio. Il cognome di C. Arrio poi sicuramente va compreso in quel RAN. che esser po- trebbe un KaìiclidtLS , o Kandidius^ o piuttosto un Ka~ nianus , cioè un Canio adottato da Arrio, che della gente Cania abbiamo buona menzione ne' monumenti celanesi. Meniana. Ciro. Forum, d. s. p. f. Questa perioca può ammettere due letture, i. Mentana Circi. Forum. 2. Meniana circa Forum. JNlio fratello , che si è affrettato a rimettermi per la po- sta questa insigne iscrizione , dopo di essersi Iprotestato , che egli è un Medico , e non già un Antiquario, la tiene per la prima lettura. E per verità riflettendosi , che la parola Meniana sembra del Circo , originata da quel buffone di Menio, che vendendo una sua Casa, vi si riservò il diritto di una loggia , onde godere dello spettacolo de' giuochi : ])are che pensar si del)ba al Circo , più che ad altra cosa. Ma da altra parte : come due soli cittadini celanesi avreb- bero potuto far fronte alla spesa delle Meniane del Circo , e del Foro celanese ? Questa difficoltà però svanisce al por mente, che la sola Eumachia , pubblica Sacerdotessa di Pompei , edifica a sue spese il Calcidico , i Portici della Concordia, e la Cripta , per tacere di altri esempj di spese strepitose sostenute da'particolari cittadini in grazia del pub- blico bene. Quello che mi determina a preferir la seconda alla prima interpretazione si è il seguente epigramma Ca- la tino riportato dal Sanfelice (i). (i) De OrJg. et sit. Caiiipiua. pag. 28. 248 GtTARINI M. GAVIVS. T. F Q. VISELLIVS. Q. F GALLVS DVOVIR. QVINQ CREPIDINES. CIRC FORVM. S. P. F (i) dove pare evidente che quel circ. Forimi vale : circa Forum. Ed eccoci finalmente nel caso di presentare con si- curezza l'idea, che formar ci dobbiamo delle nostre fa^ mose Grotte , di cui tante volte si è ragionato a propo- sito di Eclauo. Si sono ia esse osservate le splendide ve- stigie di Diete , Calidarj , e Terme \ di fontane e pozzi con entro de' vasi nuotanti di atletica professione: abbiamo nel perimetro di esse l'Anfiteatro , e 'l Circo , o il Foro desti- nalo colle sue Meniane a' spettacoli Circensi 5 abbiamo vi- cino all'Anfiteatro un superbissimo Cripto-portico perfet- tamente conforme al tipo sbozzatone da Plinio (2) , e che non spignora essere stato una parte del Ginnasio (3). Tutti questi oggetti , e cento altre coserelle ad essi analoghe da noi accennate nelle nostre Ricerche , e tutte situate a giù-' ste distanze fra loro nella periferia delle nostre grotte , pare (i) Quel F vale senza diib- del meno, bio per Fecerunt tanto in questa (2) Lib. II. Ep. 17. iscrizione , <|uanto nella nostra (3) Ved. Mazocch. Amph. celanese, siccome il ^/x. vale pel Camp. Gap. VII, n. XV. net. 100,, numero del più egualmente , che SL'LtE COSE KCLANESI 249 <';'he mostrino plucchè abbastanza , essere esse stato V an,- iico Ginnasio Eclanese. Ed il resto di Eclano ? Abstu- Ut, non già una dies , ma il corso di più secoli e pili collegati colla barbarie, e colla ignoranza. Ma che perciò? con questa lettura , die io reputo vera, niente si viene a pregiudicare alla sostanza del Circo cela- nese , comunque piatir si volesse sulla materiale nomen- clatura di esso. Noi sappiamo da Asconio , da Nonio , da Festo , ed altri , che i giuochi Circesi da prima celebra- vansi nel Foro. Dunque il Foro eclanese potè esser de- stinato alle funzioni di Foro insieme , e di Circo. Ne ab- biamo un indizio da quel meniana , voce adoperata da prima pel Circo. La fronte di questo Foro , alle cui vi- cinanze si è trovata la iscrizione , ci dà qualche cosa di più di un semplice indizio. Questa fronte sembra appunto ciò che nel Circo dicevasi Calces. I suoi residui ci danno palmi cento di larghezza. Il di dentro di questa fronte pre- senta nel bel mezzo un rettangolo di palmi trenta ( dove sicuramente è da supporre l'ingresso nel Circo , o nel Foro) con due eleganti emicicli a' lati, ciascuno di palmi trenta- cinque. Veggasi presso Aula la fronte del Circo , per ri- conoscere nella parte superiore di questi due emicicli le famose meniane , incontro alle quali erano le altre due dalla parte de' così detti Carceres. Conferma di tutto ciò si è che il perimetro di tutto questo luogo ancor oggi det- to localo è ben altro dall' Anfiteatro , che giace a nota- bile distanza da esso. 32 25o GUARINI A' 20 dello stesso 1821 fu ritrovata nella stessa vici- nanza r iscrizione che segue : V. DIVAE FAVSTINAE PIAE IMP. ANTONINI AVG. P. D. D. È Faustina minore , moglie di M. Aurelio , delta Pia dal suo genitore Antonino Pio. Non sembra da dubitare che la precedente iscrizione vanti un' epoca assai più ri- mota della presente. Ma che cosa sarà quel P. P). D. posit. decret. Decur? Io la credo una Statua eretta a questa Augusta. PRIVATI. I. Q. ANNIVS. C. F. GAL. ET Q. ANNIVS. Q. L SELEVGVS È un bel marmo quadrato di palmi tre in circa esi- stente nel luogo poco fa accenaato. SULLE COSE ECLANESI 45 1 II. D. M BETITITIAE. PONTI NE. N. LIBERTA E. 0 YINIVS. CONIVGI B. M. F Fu trasportata dalla Fontana del Re in Groltarainar- da presso i Signori Perilli. in. D. M RVFINAE. . . : SVGGESSAE. . . Esiste nella casa degli aboliti Conventuali di MrabeUa. IV. M. EGVLIVS COR. SIBI ET. GEIAE. P. F, yiVOS. FEG H. M h& GUARIR! * V; * D. M . . . V. . . M. . O. .HO HERMETI. . . . C. VIBI\^S. HER. . MESIAE. L. F Esiste questa gran Cassa sepolcrale di palmi otto dì LUDgliezza innanzi alla così detta Tavemola di S.Antonio, 253 SULLA NORMALE COMUNE A DUE CURVE CONICHE ESISTENTI IN UN MEDESIMO PIANO. MEMORIA ANALITICA DEL SOCIO F. P. TUCCI Letta alla Società nel idi4' PRELIMINARE. J_-^opo che per opera del signor Monge le scienze matematiche si arricchirono di un nuovo ramo di consi- derazioni geometriche , a cui l'insigne autore diede il no- me di geometrìa descrittiva , un genere di questioni, che altra volta non sarebbe stato se non un oggetto di pura curiosità , o di lodevole esercizio , è divenuto in oggi di non lieve importanza. Le moltiplici applicazioni della geometria descrittiva alle arti, e singolarmente al taglio delle pietre o dei le- T. IV. ^^ 254 TUCCI gnami , alla determinazione rigorosa dei contorni delle om- bre , ed alla prospettiva , esigono particolar considerazione delle superficie tangenti o normali fra loro. Di fatti è no- to che il limite dell' ombra propria ed il contorno ap- parente di un corpo , non sono che le linee di contai' to fra la superficie del corpo ed una superficie conica o cilindrica ad esso circoscritta, secondo che il punto luminoso, e l'occhio dello spettatore si suppongono a distanza finita o infinita dall'oggetto. Inoltre si sa che nelle volte costrui- te in pietre di taglio , le facce nelle quali si toccano due cunei di un medesimo filare o di due filari consecutivi , debbono esser normali alla superficie interna o visibile della volta , sia per imprimere alla distribuzione di essa in cu- nei il carattere della di lei superficie , sia per dare alla fabbrica la più grande stabilità di cui è capace. Ora la teoria delle superficie tangenti o normali fra loro, riceve molta luce e grandi agevolazioni dall'altra più semplice delle tangenti e delle normali alle curve piane , se pure non voglia dirsi che la prima riposa interamente sulla seconda. Accade anche non di raro i che dèi proble- mi relativi ad una teoria si convertano ia problemi rela- tivi air altra. Eccone un esempio ciii-r.-i'ittiosg i..um\. È noto che la distanza più corta- fra" diìè'' ctfrVe esi- stenti in una data superficie sviluppabile, sia una Imea di tal natura, che diverrebbe retta, qualora la superficie si svi- luppasse effettivamente in un piauo. Laonde, non cambian- dosi, in tale ipotesi , l'estensione della superficie, le distan- ze rispettive dei suoi punti ( dai quali per un modo di di- SULLA NORMALE COMUNE EC. 255 re può supporsi composta ) rimarranuo le slesse, e la ret- ta in cui si converte la minima distanza , sarà pure la mi- nima distanza delle curve piane, nelle quali si cangiano le due curve giacenti sulla superficie. Per tal mezzo adun- que la ricerca della minima distanza fra due curve esistenti in una superficie sviluppabile, riducesi a quella della mini- ma distanza , o sia della normale comune a due curve pia- ne. Intendo bene che per cambiare un problema nell' al- tro, siavi bisogno di conoscere in qual curva si trasformi un' altra giacente in una data superficie sviluppabile , allor- ché quest'ultima si spiana effettivamente j ma questa ope- razione preparatoria ( se così mi è permesso chiamarla ) deve riguardarsi come già eseguita , dopo la bella Memo- ria del signor Lacroix su tale argomento, letta nell'Isti- tuto di Francia nell'anno 1790. Sembrami dunque potersi conchiudere da quanto si è detto , che la teoria delle tangenti e delle normali comuni alle curve, non sia già un argomento sterile di applicazio- ni, ma possa meritare anche a tempi nostri l'attenzione dei geometri. Fondato su questi motivi, io mi sono deter- minato a svilupparla singolarmente per le curve coniche, le quali mentre sono le più semplici di tutte in ordine alle loro equazioni , per avventura si presentano ancora più spesso nelle applicazioni di ogni specie. La metà di (jiiesto lavoro trovasi inserita nel 3. volume degli Atti Pontaniani , ed il rimanente è compreso in questa Memo- ria , cui spero che la Società ed il pubblico sieno per ac- cordare un eguale compatimento. 256 TUCCI Io avrei voluto che il problema, di cui sono per oc- cuparmi, non fosse stato superiore al quarto grado , ad og- getto dì farlo dipendere, per via di analisi geometrica, dall'.intersezione di due curve coniche : come praticai nel problema della tangente comune. Ma qui la cosa va ben diversamente : giacché il problema può stimarsi di 2. gra- do ( ed evidente n'è la soluzione ) quando amendue le cur- ve coniche son cerchi , e non eccede il /}• grado, quando è cerchio una sola di esse j ma qualora non lo è nessu- na, il grado del problema riesce assai più alto. Quindi per l'unità del metodo mi è convenuto adoprar l'analisi algebrica, non riportando che in qualità di noie l'analisi geometrica di quei casi del problema, che ne sono suscet- tibili , e che altri assai prima di me hanno considerato. Per dare alle soluzioni un andamento uniforme , ed pi calcolo una forma semplice ed elegante , i due sistemi di assi coordinati, ai quali ho riferite le curve, non sono già rettangolari , come ordinariamente si usano , ma sim- metricamente disposti per rapporto ad esse ; poiché ho veduto che supponendoli rettangolari , i risultati sarebbero più complessi e più lunghi. E quantunque, non ostante la detta scelta di assi , non abbia potuto ottenere se non delle curve di genere superiore al primo, da combinarsi colle date, affm di avere i punti richiesti nelle loro intersezioni . nondimeno ho procurato di fare in modo, che l'equazioni di esse curve risultassero di primo grado per rapporto ad una delle coordinate, acciò il loro disegno per assegna- zione di punti , riuscisse quanto più si può semplice. SULLA NORMALE COMUNE EC. 267 I. hjs /ssendo un teorema conosciutissirao che la nor- male di una curva sia tangente all' evoluta della stessa curva, ne risulta immediatamente che la normale comune a due curve coniche sarà tangente comune alle di loro evolute i ma io ho osservato che non si guadagna nulla riducendo una di queste ricerche all'altra , tanto più che siffatte evolute non sono di così facile ricerca , se voglia eccettuarsene quella della parabola , che si sa essere una parabola cubica di seconda specie. In ogni modo non è inutile r osservare , che qualora si avessero l' evolute delle due curve proposte , o almeno di una di esse , potreb- besi con un mezzo meccanico o pratico ritrovare la nor- male comune di tali curve , inviluppando una dell' evo- lute con un filo , e poi svolgendolo mano mano fincbè si conosca esser tangente all' evoluta dell' altra curva data , o perpendicolare alla curva stessa : cose delle quali si può giudicare ad occhio con una sufficiente approssimazione. XJn tal mezzo sarà utilmente adoprato , quando una delle curve date sia la parabola , di cui l' evoluta è facile a costruirsi. 2. Inoltre, essendo tutti i raggi del cerchio normali alla circonferenza, la normale comune alle circonferenze dì due cerchi cadrà sulla retta che ne congiunge i centri j e parimente la normale fra la circonferenza di un cer- chio ed una curva qualunque , sarà la normale , che dal centro del primo si conduce alla seconda. Intanto per la soluzione di questo problema , non men che degli altri 258 TUCCl più difficili che imprendo a trattare , io ho bisogno della forinola esprimente il rapporto deW ordinata alla sottan- genie. Per questa parte non credo che vi possa essere dif- ficoltà , atteso che Y espressioni delle sottangenti per le curve di primo genere , si ritrovano in tutti gli elementi di geometria analitica. Debbo solamente avvertire, che per la uniformità delle soluzioni , in luogo di quel rapporto io ho da principio adoperato il simbolo — - , quando le coordinate sono x ed yj e -7-7, qualora le coordinate so- no od ed y'. Coloro i quali conoscono le primordiali ap- plicazioni del calcolo differenziale alla geometria ( parlo dei giovani studiosi che vorranno leggere questa Memoria ), non tarderanno ad accorgersi dell'equivalenza di tali sim- boli ai rapporti , che suppongo da essi dinotati ^ anzi po- tran ritrovare questi rapporti co' metodi compendiosi, che il detto calcolo somministra. Gli altri poi riguarderanno i dy dy , , . . simboli — , -~-7 come semplici caratteristiche delle raaioni d.x' dà. ' ^ da essi rappresentate. SULLA NORMALE COMUNE EC. aSy PROBLEMA I. 3. Condurre per un punto dato una retta , che sia normale ad una data parabola. Sia y' =aa^ l'equazione della parabola riferita agli assi Fig- i rettangolari AX, AYj ed -^j j; ^' , y dinotino le coor- dinate rispettive del punto ignoto M , e del dato M'. L' equa- zione della retta MM' sarà in cui set dinotano le coordinate variabili da un punto all'altro. Quindi l'angolo compreso da essa con l'asse delle X avrà per tangente trignometrica l'espressione"^- — -, Or se al punto M si concepisca adattata la tangente alla parabola, l'equazione della medesima sarà t—jx: I. {s—x) ; dx che perciò , dovendo essere questa retta perpendicolare ad M' M , avrà luogo l'equazion di condizione dx X — X dalla quale , sostituendo al simbolo — il valore — che dx j gli conviene per la parabola, si avrà jr{x—x)-ìfa{y—Y) =o , equazione all'iperbole. Per darle una facile costruzione, si osserverà prima di tutto che la curva debba contenere il dato punto M' : 26o. TUCCl poiché supponendo x =:x', y zi y ■> quell'equazione riman soddisfatta. Indi ponendola sotto la forma {a—{x'—a) ) J tzay si scorgerà facilmente che l'asse AX, ed una parallela al- l'altro asse AY e distante da questo per la quantità X'—a saranno gli assintoti dell'iperbole. Il numero delle normali uguaglierà quello delle intersezioni dell'iperbole colla pa- rabola. (*) (*) Analisi geometrica dello stesso problema. Siano M' ed AM il punto e la parabola data , e supposto riso- luto il problema, dinoti M'M la richiesta normale; prolungandola si- no all'asse in N, e conducendo Pordinata M P, sarà, com'è noto, la sunnormale NP uguale alla metà del parametro. Ora supponendo che la normale si prolunghi in R, in modo che M' R sia uguale ad MN', e da' punti M' , R abbassando le perpendicolari M'P', RQ, si ha la proporzione MN : M' R : : P N : P' Q ; dunque sarà la retta P' Q uguale al semiparametro PN , e sarà dato di sito il punto Q non meno che la retta QR. Inoltre, per la supposta eguaglianza delle rette MN ed M'R , il punto M sarà allogato in una iperbole parila- tcra , condizionata a passare per M' , ed i cui assintoti saranno QN , QR. Laonde, i punti ove la detta iperbole taglierà la parabola , fa- rati conoscere le richieste normali. SULLA NORMALE COMUNE EC. 261 PROBLEMA IL 2. Condurre per un punto dato una normale ad una data ellisse. Sia l'equazione alla data ellisse j ed x, y, ^ -, y siano le coor- p. dinate dell'ignoto punto M e del dato M', riferite agli assi rettangolari AX, AY. Ragionando come nell'antecedente problema , si esprimerà che la retta MM' esser debba nor- male alla curva mediante la stessa equazione generale ,+^(Z=2::) (I) che insieme coli' equazione (i) della curva condurrà alla soluzione completa del problema. Intanto l' equazione ( I ) colla sostituzione del conve- nevole valore di -^ riducesi , nel caso attuale , all' altra dx a-^ {^x—x')j=b-> {y—y')x (2) , e quest' ultima essendo soddisfatta al supporre x s x\ y^Y , l'iperbole dalla medesima rappresentata passerà pel dato pun- to M'. Per costruirla facilmente, si porrà l'equazione ( 2 ) sotto la forma \.^M dalla quale apparisce , che il centro della curva ha per coordinate rr-x e ,— r ■> e che le parallele mena- te per esso agli assi delle x e delle y ne sono gli assintoti. T. IV. 34 262 TUCCI 5. Osservazione. Potendosi l'equazione (i) dell'el- lisse cambiare in equazione all'iperbole con sostituirvi — è"" in vece di b^ , sarebbe superfluo il ripigliare da capo la so- luzione di questo problema, qualora in vece dell' ellisse fosse data un' iperbole , e da un punto dato nel di lei piano se le volesse condurre una normale. Basta dunque in tale ipo- tesi cambiare nell' equazion (2) il è* in — h'^ : il risultato ap- parterrà benanche ad una iperbole condizionata a passare per lo punto dato , se non che le coordinate del centro saranno In amendue i casi il numero delle normali uguaglierà quello delle intersezioni della data curva coli' iperbole insieme colla quale deve combinarsi (*). (*) Analisi Geometrica. Fig. 2, 3. Sia M' il dato punto, eBM l'iperbole o l'ellisse di cui BD sia 1' asse primario ed A il centro. Supposto che M'M sia la normale richiesta, si prolunghi sino all'asse in N , e per lo punto M si conduca l'ordinata MP non meno che la tangente MT. Per una proprietà conosciutissima dell' iperLole e dell'ellisse le rette AP, AB, AT saranno in continua proporzione, onde il quadrato di AB uguaglierà il rettangolo di AP in AT ; e prendendo le differanze di tali aje e del comune quadrato di AP , sarà il rettangolo di BP iu PD uguale a quello di AP in PT ; ma è pure il quadrato di PM uguale al rettangolo di NP in PT , a causa del triangolo NMT rettangolo in M : dunque avrà luogo la pro- porzione BP. PD: PM* ::AP.PT: NP. PT. Ora la prima di que- ste ragioni , comecché uguale per la natura dell' iperbole 0 dell' fel- hsse a quella dell' asse primario BD al suo parametro , è data ; la seconda poi uguaglia la ragione di AP a PN , ovvero di N'M ad MN: dunque sarà pure N'M ad MN, non che NN'ad NM in data ragione. SULLA NORMALE COMUNE EC. 26'3 Per le soluzioni analitiche de' problemi che mi restano ancora a trattare, fa d'uopo conoscere la tangente trigo- nometrica dell'angolo compreso da due rette riferite ad assi inclinati comunque fra loro. A tal fine io avrei inJrizzato il lettore ad alcuna delle tante istituzioni di geometria a- nalitica, di cui siamo in possesso : poiché non disconvougo che una tale ricerca meglio si conviene ad un'ojìera di quel genere , che ad una Memoria Acc ademica j ma non ritrovandosi in alcuna di quelle che sono ])iù in giro fra noi , ho creduto necessario occuparmene brevemente qui appresso. Lemma. 6. Ritrovar la tangente irigonom,etrica delV angolo compreso da due rette riferite ad assi qualunque. Dinotino MN ed M'W le rette date, e siano ]?]„. /. y=A3c+B, y=A'x+B' Sia ora NR ad NM' benanche nella ragion data di NM ad NN' : sarà pure MR ad M'N' nella stessa ragione , ed il punto R cadrà nella retta RL parallela all' asse della curva , e condotta pel punto L preso in modo che P'L serbi a VM' quella ragione. Parimente supponendo M'S ad M'N' nella stessa ragion data , il punto S cadrà in una retta data di sito e parallela all'asse secon- dario della curva ; e sarà MR uguale ad M'S a motivo che serbano ugual ragione alla stessa M'N'. Quindi sarà M'R uguale ad MS , ed il punto M si ritroverà nell' iperbole parilatera che ha per assintoti le rette QR e QS , e che deve passare per lo punto dato M'. La- onde congiungendo ciascun punto d' intersezione di questa iperbole e delia curva data col punto M', si avrà la normale richiesta. 264 TUCCl le rispettive equazioni di esse. Avremo . sen ., sen^' A — -, — : t A -, 7? sen( tan. MIM' = — , /. ^ .., Tlli't 7. Per la qual cosa volendosi esprimere con una e- quazione di condizione che le rette MN ed M'N' siano fra loro perpendicolari 5 converrà porre I +[A-{-A')cos(s+AA'=o. Ciò posto , sia il ' SULLA NORMALE COMTjNE EC. 265 PROBLEMA HI. 8. Condurre una normale comune a due parabole date. Siano MAN, M'A'N' le parabole date, e dinoti MM' Fig. 5. la richiesta normale comune. Nel perimetro della prima curva si ritrovi il punto A in modo che la tangente AY ivi adattata, sia parallela all'asse della seconda curva 5 e parimente sia A'X' una tangente della seconda parabola parallela all' asse della prima. Le due parabole MAN, MA'N' saranno riferite rispettivamente agli assi AX, AY ^A'X', A'Y': onde chiamando a?, y le coordinate del punto M j x •, y quelle del punto M' j 2a, la' i parametri corrispondenti a' diametri AX, A'X'j si avranno le prime due equazioni jr2=2rt.r...(i) , a7'2=2«y... (2). Inoltre dovendo essere la retta MM' normale alle due parabole ne' punti M ed M' , le tangenti adattate a questi punti saran fra loro parallele , onde lisulteranno eguali fra essi i rapporti delle ordinate y ed y alle sottangenti che rimangono tagliate sugli assi rispettivi AX , A'X'. Quindi si avrà la terza equazione equivalente nel caso attuale all'altra J a Ora perchè la MM' sia normale ad araendue le cur- ve, non basta che le tangenti adattate a' punti M ed M' 266 TUCCI siano parallele fra loro , ma si riclnede ancora che la MM' sia perpendicolare ad una di esse. Sicché per soddisfare pienamente alle condizioni del problema , è necessario e- sprimere questa circostanza con una quarta equazione. A tal fine siano per poco 5 e f le coordinate di un punto qualunque della retta MM' riierila agli assi AX, AY 3 ed m e n siano quelle del punto A' rapportato benanche a quegli assi ^ saranno x' + m , y + « le coordinate del punto M' riferito a^ medesimi , e l' equazione della retta MM' verrà espressa da È poi •^ dx r equazione della tangente adattata in M alla curva MAN : dunque paragonando queste due equazioni alle due t=Js+B , t—J's+B' considerate nel lemma precedente, avremo dx onde rappresentando con ^ Y angolo XAY contenuto da- gli assi , r equazione con la quale si esprimeva che le due rette erano fra loro perpendicolari , sarà nel caso attuale rappresentata da X — X — m dx' ^x — x — m' dx e ponendo - in luogo di — , qual si conviene alla pa- y dx SULtA NORMALE COMUNE EC. 267 rabola , e liberandola da rotti sarà a (ix-x'-m) cosa + (;--/-w))+J ((■^•^'-'«)+f7-/-'0 cosa.-)=o..r4y Per eliminare da quest' ultima le x' ed j/, si liberi da rotti e si elevi a quadrato 1' equazione (3) 5 sarà j,.'j J.2 ^^ fll ({i . indi si molliplicliiao insieme i' equazioni (i) e (2) ond abbiasi il risultato x'^ y^^^adxy . Dividendo una per V altra queste due ultime equazioni , si avrà aa ~ ^xy ' ora da quest'ultima e dall'equazione (3) si hanno per va- lori di x' ed y in i: ed y , aa -, aa y l>,x ' quindi sostituendo nell' equazione (4) > e riducendo per quanto è possibile in virtù dell'equazione (i), si avrà per luogo del punto M la curva di II genere indicata da {x'^ — (m+ncosdJ — a) x — \ «a )j-|-3acosa)..r3 — rt(/ncos(D-f-n+'*')^ — ? a'^d-=a. Le intersezioni di essa colla parabola data MAN e- sibiranno altrettanti punti M , ne' quali adattando le nor- mali alla curva MAN , lo saranno pure ad M'A'IS'. 9. Per evitare alcune inutili ripetizioni , osservo che l'equazioni (HI) e (IV) sono indispensabili per la soluzione del problema , qualunque siano le due curve alle quali si vuol condurre la normale comune , solo richiedendosi che ■2,68 TUCCl gli assi a' quali esse vengono rapportate siano paralleli ri- spettivamente. L'equazioni delle curve riferite ad assi di tal sorta insieme colle due (III) e (IV) racchiuderanno la soluzione completa del problema. Quindi volendosi con- durre una normale comune a due curve coniche delle quali una sola o nessuna sia parabola , altro non si farà di nuovo che investigare due sistemi di assi paralleli ciascuno a cia- scuno, tali però che rapportando rispettivamente ad essi le due curve , si abbiano le più semplici equazioni possibili. In virtù di questa osservazione io sarò dispensato ne' problemi seguenti da' dettagli esibiti per quello di due pa- rabole, limitandomi alla ricerca degli assi che sopra ho no- minati , ed indicando le quattro equazioni relative a eia- Bcun problema , non che il risultato finale dell' eliminazione. i SULLA NORMALE COMUNE EC. 869 PROBLEMA IV. IO. Condurrle una normale comune ad una parabola e ad una ellisse , ovvero ad una parabola e ad una iperhole. Pel centro A dell' ellisse o dell' iperbole data si con- Fig. 6, duca un diametro AX parallelo all' asse della parabola data. Sia AY il diametro conjugalo ad AX , e nel peri- metro della parabola si ritrovi il punto A' in modo che la tangente A'Y', ivi adattata alla curva, riesca parallela ad AY. Finalmente dinoti A'X' un diametro della stessa cur- va. L'ellisse o l'iperbole sarà riferita agli assi AX, AY ^ e la parabola agli assi A'X' , A'Y'. Laonde 1' equazioni con- ducenti alla soluzione del problema saranno pel caso della parabola e dell'ellisse rt^j-2 -i-b^ x'^ =«2 è^ ... (1) , y^ =2rt'x'....(2) , , . ^. dy dy . . . . 1 ovvero , ponendo m vece di -^ e -j-; 1 rispettivi loro va- lori — ~ — , ed — dati dalla geometria analitica , a^^a -h*^^ X'^ =rt^ b^ ■•••(0 > J" =2rtV....(3), ■=-,.. (3), i+(- -^ , ^cosa-=(- , )__..,(^), ^tj j V /' ^xx-m cCy^ ^x-x-vi a'y ^' Ricavo da (2) e (5) i valori di as' ed y* , che sono T. jy. 35 270 TUCCl indi li soslitulsco nel!' equazione (4) •> dopo averle dato la forma più semplice n'^ j({x — X — '»)+(/ — y — ?i)cos» J=: '^((x—x' — ;m)cossj+(^ — y — n)\ e nel risultato , fatte le riduzioni che possono aver luogo in virtù dell' equazione (i) , ritrovo I Q.h'x''+(^a"a! — Vrn)x'' — a'b'-x" — \a''a'x )cosa)+&'»x\ Sicché le intersezioni della curva di 1 1. g enere , e- spressa da questa equazione , coli' ellisse rappresentata dal- l'equazione (i), condurranno alla soluzione del problema. 1 1 . Pel caso dell' iperbole e della parabola si ritro- verà l'equazione finale in a:; ed y cambiando nella prece- dente il 3* in — .5', senza imprender di nuovo l'elimina- zione delle £c' ed y. SULLA NORMALE COMUNE EC. 27! PROBLEMA V. l3. Condurre una normale comune a due ellissi , op- pure a due iperbole , o Jìnahnente ad un' ellisse e ad un' iperbole. Ritrovo in ciascuna delle curve date un sistema di diametri conjugati , in maniera cl)e quelli di una curva siano rispettivamente paralleli a quelli dell'altra (*) , e sup- (*) A tal fine si congiungano i centri A , A' delle curve cLite per mezzo della retta A\', e siano DB , D'Ii' i diametri posti su di essa , a' quali corrispondano rispettivamente per conjugati i due AC , A'C. Per le note proprietà dell' ellisse , e dell' iperbole si riduce il probleran a trovare nelle date curve i punti V, V tali che le corde supplementarie DV , BV ; D'V , B'V siano parallele ciascuna; a ciascuna. A tal fine osservo che i triangoli DVB , D'V'B' riuscireli- Lero simili , ove si fosse ottenuto 1' inlento , e la ragione delle rette VP , \"P' ( che suppongo parallele ad AC ) , non meno che quella delle rette AP , A'P' , sarebbero note ed eguali alla ragione degli stessi semidiametri AB, A'B'. In virtù di tal simiglianza il pimto V avrà per luogo geometrico una curva simile e similmente posta alla data lyC'B' , ed il semidiametro coniugato ad AB sarà la quarta propor- zionale ritrovata in ordine alle rette A'B' , A'C , AB. In teoria non sarebbe permesso di determinare il punto V mediante il suddetto luogo geometrico; giacché lo stesso punto rimane determinato in i:n modo più elementare dall'intersezione del diametro che Io contiene con la curva DCB , e l'equazione di tale diametro è ben facile a trovarsi. Ma nella costruzione efletliva del problema è forse più 272 TUCCl Fig. 7. ponendoli contrassegnati tlaAX, AY ^ A'X', A'Y', ho im- mediatamente le due equazioni ay'+h'o(i'=a'b' . . . . (i), a'y''-\-h"cr!'=a''h'\ ...(2), supposto che amendue le curve date siano ellissi, come apparisce nella figura. Inoltre essendo in questa specie di curve dj b~ X dj b'^ X dx a- j ' àx a 2 y ' l'equazioni generali (HI) e (IV) de'problemi antecedenti, che debbono associarsi all' altre (i) e (2) per la completa soluzion del problema , saranno b'^ X h'^ X ,(f~~y — " ^Ijfv fJ—y — n b^x _ a?- y d'^ y X — x: — m a^ y' ^x — x' — m'ay ovvero (i'y(oc — x — m+iy—y' — 7i)cosBJ= h'x((x —X — 7re)cosffl+j'— y — nj • • • • (4) • Dall' equazioni (3) e (4) , nelle quali x' ed y' sono di I. grado , si ricaveranno i valori di queste ignote 3 e sostituen- doli neir equazione (2) si avrà semplice il descrivere per punti una piccola parte del suddetto luogo geometrico , posta verso il punto ignoto V , che la determinazione delle varie (juarte proporzionali necessarie per costruire c[ucl diametro. SULLA NORMALE COMUNE EC. '■'• 2JJ ( a^ //'f^ +u' i't ,5-» )X rcosa(Z) ' .x:'^ — n'^ j"» ; — e'- xy-\-n'' nt'j — />''■ n'x\ ■= (così- ( a' b\ x'^ — a'\ ti^ f ) — a' />'' e'-' xj V' , supponendo clie per brevità siesi l'alto a'' — b'^ =c^ , a'^ — ó'-" =c' ^ni-{-iicrisa^=rn , 7t-|-wcos'i.-=w.' 1^. Sebbene quest'e([uazione liliale sia di 6. grado , può nondimeno una delle due coordinate x oy abbassarsi al 1. grado mediante l'equazione (i). Per farlo a cagioa di esempio relativamente ady, si sostituirà dappertutto— (a"-x') in vece di y' , ed in tal modo la curva di 5. genere e- spressa dalla ritrovata equazione finale in x ed y , potrà costruirsi per assegnazione di punti mediante la geometria elementare. Vaglia lo stesso per l'equazioni finali ritrovate pe' due antecedenti problemi, le quali godono esplicifa- meute della stessa proprietà. \5. Se le curve date fossero iperbole invece di el- lissi , nella ritrovata equazione finale si cambieranno b^ e b'^ in — b^ e — b'^ ; e saranno c^ =«- +b^- , e'-' =d^ -f-Z>'» . \6. Finalmente se la seconda curva data sia iperbola , restando ellisse la prima , nell' equazione finale suddetta si cambierà soltanto b' in — ò'' , e e'' dinoterà a''-\-h'' . (*) (*) Volendosi risolvere analiticamente il problema di cui si è l'atto parola nel preliminare di questa I\Ienioria , quello cioè di ap- plicare la tangente comune a due date curve coniche , i risultati 274 TUCCI sai-anno semplici ed eleganti qualora facciasi uso degli assi da noi prescelti per la normale comune. Avendo V attenzione di far prima neir equazione X — sé — m dx ( che deve rimpiazzare 1' equazione IV , dacché le tre altre riman- gono le stesse ) le riduzioni che vi può arrecare l'equazione I , e poi di sostituire alle ignote x ed y i valori di esse espressi in x ed ^ , il calcolo che resterà a fare non sarà uè lungo ne complicato. FINE. Napoli i3 Dicembre 1828. PRESIDENZA DELLA GIUNTA DELLA P. ISTRUZIONE Vista la domanda del Direttore delia Tipografia della Società Filomatica colla quale ama di stampare il If^. Foluine degli Alti della Società Pontaiiiana : Visto il favorevole parere del Regio Revisore Signor Canonico D. Girolamo Pirozzi : Si permette che detto quarto volume si stampi, però non si pubblichi senza un secondo permesso , che non si darà se prima lo stesso Regio Revisore non attesti di aver riconosciuta nel confronto uniforme la impressione all' originale approvazione. // Presidente MONSIGNOR COLANSELO. Segretario Generale e membro della Giunta L'Aggiunto ANTONIO COPPOLA. INDI C E Notizia de' lavori della società' pontaniana per gli aiini MDCCCXVIII, MDCCCXIX, MDCCCXX , del segre- tario perpeluo cav. Francesco M. Aveiuno . . pag. l MEMORIE Ricerche sul sistema melodrammatico , di Pietro Napoli Si- GKORCLLI f » E Illustrazione dell' antica campagna Taurasina, e di alcune no- zioni agrarie, di Raimondo Guarini u 12'J Continuazione delle osservazioni sulle cose celanesi, dello stesso. 287 Sulla Dormalo comune a due curve coniche esistenti in un me- desimo jiiano , memoria analitica di F. P. Tucci , » 253 V-'.r ••••■' ~<-sy I -^^^ >^^vv^^.^^.',>v^,^,,,,,. ^ ^^^. ,^,^,,,^. ,^^,,^^;, ^^.^. . /;-./. .i'. A