oi; 'Kx'Kou- fxvajUtvsu?, Ais-/ ov . AiiAoi Se.to y.iv
lj.ivoti\6^iTWii<^iinxyfx^[i.xTx.LiUe- Asmov, (thotos . to Se K.xtxtkiov ,
rae Ephesiae et Ephesia amideta. ^tos • to Si Ai^ , yti . Terpa^ Se
Litierae ephesiae incantaiiones «vijìuto; . A3Cfxv«|UtV6U5 Ss , ijAw? .
eiant,per qiias nonnuUi a magnis A i^'iov Sf, aX/?3f$ . Ephesiae Litte-
discriminibus sunt liberali , et in rae olini sex fuerant , sedpostea
ceì-taminibiisviciores evasenint. nonnulU ciiculatores et alias
BRONCO ANTICO 25 1
Eudemo (i) , e di Essecesto (2) , le totaphot degli E-
brei (3), le tilseme degli arabi (4), ì theì^aphim A\lja,~
bano (ò) ,ìtzelamin de' Caldei (6), ìpcrlapteni degli E-
tiopi (7), i S erapidi degli Egiziani (8), ed i periapti^
addiderunt . Antiquae hae fr-
isse ferantur . Ascion , Cata-
scion , Lix , Tetrax , Damna-
menevs , Aesion. Ascion autem
indicabat tenebras , Catascion
Lucem , Lix Terram , Tetrax
Annuni, D amnamenevs Solem,
Aesion Verum .
(1) Vedi lo Scoliaste di A-
rislofane in Nub. vers. i883.
(1) Clemente Alessandrino
Slrom. Lib. I, pag. 554. Co/o-
niae 1688. Anche a questi anelli
amuletici apparteneva quello che
Timolao , presso Luciano , avreb-
be voluto da Mercurio . Navig.
Tom. Ili, pag. 275. ed . Hem-
sterhuis .
(5) Esse in S. Matteo Gap.
XXIII , V. 5. vengono chiamate
fihj'lacteria , ed altro non erano,
.che alcune schede membranacee
colle quali i Farisei si adorna-
vano le braccia e la fronte, per
custodire con somma cura la rae-
aioaia della divina parola in es-
se scritta , ed essere esenti da
ogni pericolo. Lighlfool Ho?:
Hebr. et Talmud, pag. 4*5.
Lund. De Vet. Jud. Sanctua-
ìiis Lib, IV, pag. 7g8. seqq.
(4) Greg.Michaelis arf Gfl^.
curiosit. inaudit. pag. aSj.
(5) Seldeno Syntagm. de
Diis Sjris cap. a. pag. io5,
116. Moncaei in Arane purgato
cap. 20, pag. ig8, Fuller Mise.
Theol. Lib. I, cap. 16. Hottin-
ger Hist. Orient. Lib. I, cap,
8. pag. it(6. Alcuni de' citati au-
tori pretendono, che tra letalis-
me degli Arabi , ed i teraphim
de' Siri non vi sia stata nessuna
differenza ; ma non so con quanta
sicurezza possa ciò asserirsi .
(6) Reichelt Exercit. de A-
muletis %■ 2. Lipsiae J692.
(7) Thurneisser Onomast.
pag. 172.
(8) Kircher Oedìp. Aegf'
ptiac. Tom. H , pari. II , pag.
uio , el seqq.
'i52 Quaranta.
ed i filatteril di cui parlano i SS. Padri (i) , ed i Con-
cilj (2) . Ma quando pure dir non si voglia essere stato
il nostro bronzo , perchè non molto leggiero , un amule-
to portato sulla persona j potremo non però annoverarlo
nella classe di quegli oggetti , che messi come ornamenti
salutari a qualche luogo, o affissi a qualche mobile dagli
antichi, venivano da essi anche come amuleti considerati (3).
(1) S. Giovanni Crisosto-
mo Hom. XXI, ad pop. jéntioch.
T/ «V TI5 PlTOl Tfpi Tm £TSi)5* , che appena usata
ritrovasi da qualche autore ? Quanto a me , se di BAATvogUa
"bronzo antico 255
farsi BAATt/o;» , la hocca interna delle narici , non veg-
go affatto qual rapporto aver possa un lai vocabolo coli» figura
del bronzo , e colle altre parole della nostra inscrizione :
ma se questa voce si derivi da BA«ttì) , e se ne faccia
BAATtoi'twì' , o BAA.TTOja£vw^ , allora si comincia l'epigra-
fe con nna espressione conveniente alla forma del bronzo,
ed analoga alle altre parole ond' è composta. Né dovremo
rimanere sorpresi nell' osservare BAAT in vece di BAAllT,
perchè o l' ignoranza troppo comune agli artéfici , o il suono
poco differente del IlT e del doppio T, ha potuto facil-
mente produrre questo scambiamento : quando pure dir
non si voglia, che l'autore della nostra epigrafe, abbia
fatto uso del verbo B^«ttw , anche adoperato da' greci
scrittori, e registrato da Filosseno nelle sue glosse (i).
Non credo poi che diasi a taluno maraviglia pren-
dendosi la 0 , che segue al BAAT , qual sigla di ©a; sì
perchè altrimenti non si può qui formare né parola uè
sillaba, come ancora perchè siffiitta sigla s'incontra spes-
sissimo nelle lapide (2) , e nelle monete greche (5), ed
indica appunto la voce 0£Of. Convieu poscia leggere nel-
la fine di questo primo versetto il nome della divini-
tà cui vada rilerito il 0£o?^ e per avventura le tre ultime
(1) Cjrilli Philoxeni alio- pag. 55. Piacentini de Sigi, ve-
rumque velenim Gloss. Gr. Lat. /e/v/m pag. 81. Mura tori Z'/iCi'./rt-
pag. 36. Liiteliae Paiis. 1673. scriptionum pag. i486, n. 10.
(a) Corsini Not. Gvaecorum (5) Harduin Oper. Omn.
pag. io.WxcoVaus de Siglis Vele- pag. 65. Vaillant Num. Graec.
7M/H pag. 4o« MafTei Graec. S. L. n. c^o , gg. pag. 17.
236 QVARANTA
lettere ce ne presentano il nome , che ben si scorge es-
sere una leggiera alterazione d' Iì}ios , epiteto dato ad
Apollo da Escliilo (i) , da Sofocle (2), e da Aristofane (3) ,
per tacermi di altri antichi scrittori .
Nella seconda lineetta incontrasi la voce K AAATORì'ìS,
la quale , essendo troppo conta agli ellenisti , non ci dovrà
molto intrattenere . Dessa in Omero significa chi i'a chia-
mando , e si aggiugne perciò agli araldi (4) *, e per questa
stessa significazione, non che per quella dell' antico KaAw,
furono detti calatores da' Latini i servi pubblici (5) , i mi-
nistri delle Vestali , quelli de' Sacerdoti Tibiali , ed i mes-
si de' pontefici (6). Ma se tali significati , comechè di faci-
lissima inteUigenza , nissuna relazione aver possono né
colle parti del bronzo, né colle altre voci della inscrizio-
ne j non sarà forse meglio il far discendere K.aT'.ccropccs da
R«Aw, riferirle il reggimento di BAkttoi'twì' , ed interpetrar-
la per coloro , che cercano di tirar malanni addosso agli altri ?
Là' ultima lineetta ci offre prima di ogni altro la pa-
(1) Jgamemn. vers. i55. 100.
(a) Oedip. Tjran. yers. (5) Vcggavisi i Comentato-
11 3. ri di Orazio Sai. II. Lib. I ,
(5) Vesp. vers. 49^- Sulla vers. 57.
etimologia di questo epiteto me- (6) Grutero Tlies. Inscr. p.
rita di esser letto MacroLio nel 3o4. n. 9. Beger Spicil. Anti-
cap. 17 del primo libro de' «Ifa- quit. p. 106. Moiilfaucon V An~
turnali , e 1' Etimologico gran- tiqu. Expliqitée Tom. V. pari,
de a questa voce . I. pi. XXXVIII.
(4) Omero Iliad XXIV , ver.
BRONZO ANTICO 237
loia BAAE bella e formala^ mentre il T seguente non le
si dee accoppiare, e perchè inopportuna sarebbe alla espres-
sione 0é£ IHIs , che ricliiède un ver])o del numero del me-
no , e perchè , in altro caso , sarebbero inutili qne'due se-
gni , onde vien chiuso il T appunto per farcelo ricono-
scere come una lettera isolata. BAAE adunque sembra es-
sere una formola d'imprecazione diretta contro le perso-
ne nocive , e concepita in tuono imperativo , nell' istessa
guisa come le adoperarono gli Ebrei, ed ì Gi-eci .
Il T poi che siegue il BAAE non sembra significare
lo slesso , che suole in altri Greci monumenti^ né io qui
starò a rammentare come , e perchè quella simbolica let-
tera dall' Egitto sia passata in Grecia , o mi tratterrò in
aggiugnere nuove osservazioni a quelle, che, dietro l'auto-
rità di Rufino (i), di Socrate (2), e di Sozonieno (3),
già fecero il Lipsìo (4) , il Pignorio (5) , il Casali (6),
il Kircher (7), il Jablonscki (8), e '1 Visconti (9). Di-
rò solamente , che quel T così isolato considerar si deb-
ba qual simbolo della croce, o dell'estremo supplizio,
per servirmi dell'espressione di Paolo (10) . E senza
(1) Lib. II, cap. XXIX. pag. 364,
(2) Lili. iX, Hist. Tripart. (8) In Misceli. Berolin.
(3) Eccl. Instit. Lib. VII. Tom. VI , ^. 7 , pag. 142.
(4) De Ci: Lib. I , cap, 8. (9) Museo Pio-Clementino
(5) Mcns. Isiac. pag. 18. Tom. V , pag. 10.
(6) De Vet. Jegjpt. rit. (10) Sentcnt. Lib. V, ///,
cap. XUI. 17. ^. 1. tit. a3. %. 8.
(7) Obel. Pamphil. Lib. IV,
238 QVARANTA
rammentare, che nell'antichità più remota la croce ap-
punto rappresentava il Tau nell'alfabeto Samaritano (i) ,
Fenicio (2) , e Giacobitano (3) , e che tal si ravvisa
in Ezech.
(i) S. Girolamo
cap.ioo dice : antiquis Hebraeo-
rum litteris , quibiis usque ho-
die Samaritae utuntar extrema
Tau crucis habet similitudinem.
Su questo luogo hanno disputa-
to lungamente Cartwright Mel-
lific. Hebraic. in Crii. Sacr.
Tom. Vili, col. 1280. Hottin-
ger. Exercitt. de Pentat. Sa-
marit- cap. XXVII , pag. 33.
Angelo Rocca Biblioth. ftalica-
na Lib. pag. 83. Giuseppe Sca-
ligero Animadvers. in Chronol.
Euseb. pag. 117. , e Daniello
Huet Demonstr. Evang. cap.
CXXVII. n. 3. Tra essi alcuni
hanno impugnata , ed altri han-
no sostenuta 1' autorità del San-
to Padre . Questi ultimi non
pertanto hanno in loro favo-
re un luogo di Origene pag.
■i6. Coloniae i685. il quale sem-
bra decisivo. E'S/xiosSe TI?, "rav fi?
2wT(jpoc itmiTivuoTuiv l'Kiyi • tm «p-
yjtAX Toiyfix sf/ttpfpss «X^^ ToTAT
Tw Tflu r^ypou ■^x?xmiì\>'. , \cm irpo^t?-
riwoij ETi Toy f/£TCt)Tou (SyiyL^ov .
OTtp TTOIOUmv 01 irjTTirSUKOTff ««v-
TTsowTivos cyK wpoxaTa!pj{Of.ievoi Trpa>-
jLlOiTOf , 5t5(>| p.3lXiro6 £UJ(^ù)y , nju
«yKdv avjtyvwTjLi^Twv . Hebraeus
quidame^li dice, ex iis, qui Chri-
stijidem amplexi sunt , dicebat
in antiquis litteris Tau formae
crucis fuisse simile , sjmbolum-
que extitisse illius signi , quo
Chrisii fideles in fronte sibi si-
gnant , illud usurpantes quam
rem cumque adgressi , maxi-
me vero preces et sacras lec-
iiones . E per verità in alcun»
monete il Tau samaritano po-
co o niente differisce dal Greco
che ha la figura della croce F^.
Prilestzki Jnnal. R. S. Tab.
XVII. e Willnipando Jppar. in
Ezechiel. pag. l\o.
(a) Poinsinet de Sivry iVoM-
vell. Recherches sur la science
des Medailles. pag. 18G. Mae-
stricht 1778.
(5) Theseus Auibrosius In-
troduct. in Un guani Cliald. Sj-
riac. et Arnien. pag. lyo a t.
BRONZO ANTICO 23o
tuttora nelle monete Puniche (i) , ToboUche (2) , e Siri-
ache (3) ^ né cercando di trar parlilo da quel notissimo
luogo di Ezecchiello (4) , dove pel Tau la croce inten-
der si deve a giudizio di molti sacri spositori ^ anzi lasciando
ancora le autorità di S. Agostino (5) di Tertulhano (6) ,
di S. Isidoro (7) e di S. Paolino (8) , che, del Greco
Tau favellando , una chiarissima immagine vi ravvisano
della Croce , sarò pago di citar solamente il Proteo di Sa-
mosa . Conciosiacosachè introducendo egli nel giudizio
(1) Bernardo Aldrete F'ar. species crucis,
^ntigued. pag. 178. Panila Z'aè. (7) De ì^ocat. Geni. cap.
XIII , XIV , et XCII. a5. Tau speciem demonstrat
(a) Rlienferd Specimen Lit- crucis . In cap. 5. Indie. No-
terai. Pìtoen. cap. IX , et XLI tandum est quia iste trecento-
presso Ugolino Tom. XX^'1II , rum numerus ( Militum Gedeo-
col. i38i. nis ) in Tau littera continetur,
(3) Vaillant Num. Antiocli. quae crucis speciem ienet.
IV. B.eg. Syr. pag. 200. (8) Cosi egli dice parlando
(4) Cap. X , vcrs. 4- Tran- di Abramo «ella seconda lettera :
si per medium Civitalis , per Non mulliludine , ncc virtute
medium Icrusalem , et signa- legionum, sed iam tunc in sa-
bis Tau super f/viites virorum, cramenlo crucis., cuius Jìgura
suspirantium . per lilleram T numero trecen-
to) Sermon. 107. de Tein- torun exprimitur , adversarios
por. Trecenti in Graeca litle- principes debellavit. Veggasi an-
ra T similitudinem crucis a- cora Salmasio De Cr. pag. a5c).
slenduiit. Giusto Lipsie f/e Cruce Cap. 1.
■{6) jidvers. Marc\oncm.luìh. Grctser de Cruce. Tom. 1. ])ag.
III. Ipsa enim est lillcra Crac- 2. iSiciiict de Til. Cr. pag. 1 iS.
corum Tau , nostra autem T
h^O QVARANTA
delle vocali il Tau , ed il Sigma , fa che questa lettela
rinfacci a quella di essere lo scherno degli uomini , perchè
dalla di lei figura i Tiranni appreso aveano a costruir la
croce (i) . Adunque Bx\AE, T, significherà jf?^e cruci,
fac zit abeant in malam crucem, o altra simile espressione .
Chiudono l' iscrizione le lettere 0IHI da noi già spie-
gate di sopra , e ciò A'ien fatto perchè maggior forza ed
energia furono soliti di attribuire gli antichi alle replicate
parole : e però IH IH HAIAN gridava la turba quando a-
nimava \ intonso figliuol di Latona a finir coraggiosamen-
te il mostruoso Pitone (2) .
(1) ludic. Vocal. cap. la.
T. I. pag. 97. , ed Hemsterhuis.
KXaoutnv «vSpcoTroi , it^ji Triv mj-
XatTKpOVTOU VOXKXKM , OTI TO T*y
fi TO TMV roi-)(etaìV yivoi vxpiiyx-
yi . T« yo^p rouTou (TOùyLxn ìiÀxri totoutm 'ìjìKol
T£)tTijvavT«5 , ctvdpaiirovs xvxTyjfKo-
■uiX^PtvtTc' xuTcf,. Plorantliomines ,
alque sitaeforluiiae vices de/lent,
ipsumque saeye Cadmiim exe-
crantur , quod Tau in littera-
rum ìiumerum iiivexerit. Aiunt
enipi Tjrannos corpus huius-
modi interne sequiUos ,Jìgura?n-
qua imitatos , simili forma pò-
sten cruces compegisse , quibus
homines adjìgerent.
(a) Hymn. in Apollinetn
vers, 97.
\yi II? ir;ii(;ov ocnouojify , ovnn*
rooTo
AiXfoi rat "irptoTiroy tipu/Aviov
i'jpsro \a5S
H//05 ty{.i^o\\iìv j^pya-ewv nì^duvvr
<70 To|a)V .
rivSft) TODtocTiovTi fuyttvdiTo Soi-
AnOi Clfl? , TOy /XéV ITU HOCTiVX-
p£5 aM.ov (t' a>K'jì
B«M.wy uinvv o'ìtoìi , i-mìvrure 5é
"Kxoi .
1>Ì li) ■Kxlfioi , l9i ^fAos ....
•• BAGNZO ANTICO 24 1
Se dunque la iscrizione può essere Iella BAA.TToyTa)j/
(S)« mie RAAAT0PA2 BAAE , T , 0^^ iHh , essa con-
terrà una di quelle imprecazioni, cui tanto erano attacca-
ti gli antichi , e potrà essere ancora interpetiata : o Nu-
me Jeio , o Apollo , manda in malora tutti quelli , che
mi chiamano addosso malanni .
Ma come mai, diramnii qui poi taluno, apparterrà ad
Apollo l'iscrizione di un monumento, che già vedemmo
aver tutta la relazione col divino messaggiero ? Come mai
conterrà un'imprecativa formola contro chi cercava nuo-
cere colla lingua l' epigrafe del bi'onzo , la cui forma iisa-
vasi contro 1' occhio affascinatore ? Questo , se non vado
lungi dal vero, sarà accaduto , o perchè gli anticlii , al dir
di Marrobio (i) , in Mercurio non venerarono che il
Sole j o perchè da essi si confondevano facilmente i Nu-
mi , sull'intima persuasione di una sola forza regolatrice
dell' universo j o finalmente perchè nella multiplicità di
tanti Dei , non altro che il Sole adoravasi . Ma comechè
siffatte ragioni dimoila probabilità sfornite non sienoj pu-
re una se ne affaccia alla mia mente , che sembrami di
Io , io , pnean , audiiniis: quo- Hoirihilis serpens : enm qiii-
niaiìi istum dem tu occidìsti aliam su-
Delpldcus primum tibi cecinit per aliam
hjrmiium populus, Mittens velocem sagittam : ac-
Quando jaculalionem aurea- clamavit autem populus
rum demonstrasti sagittarum, Io , io paean , jaculare sagit-
Tum cum Pjlho libi descenden- tam ....
ti occurrit saeva bestia ■> {i) Satui'nal. Lih. i.cap.17.
T. JIJ. 3i
242 QVàRANTA.
gran lunga più plausibile. I Greci ebbero i loro Dei avverrun-
CÌ5 da essi chiamali «rùj'Tos , ow-
€. 45- !>• 6i2- 5,005 ytv'/Mov , yi^i a f/«j'iH»;y ey$>^
(^i) GiiimhVivo de jMj'st. ^e- fiov^ivov , étoìoiSioìj txutav iripiuf
gypt. Lih.Vìl. e. 4- p- i55. Ni- Z>;towtoì , «Kitxp o'i Qeot t^utov
cefoi'o Gvc^ora in SchoLad Syn. try^nxii . f^irgo erat Gorgo de-
da Iiisomn. j». i6a. centi forma et amabilis ; sed
(5) De facullnt. simplic. postquam Perseus virfortis, et ob
medie. LiL. VJ. p. 68. magicae arlis peritiani Celebris,
(4) Luciano P/w/oprtO'. Tom. incantatis verbis victae caput
li. pag. 100. ed. Hemsterliuis. abstulisset , praesidii caussa
(5) Id. Pldlopatris. T.lll. p. dii eain habuerunt.
594' Aì/Tii Topyui xop>7 (yiuTo euirps- (6) Eunapio f^it. Sopidst.
•tr,i , yi^i i-KtpxToi . Hifi^iuìi Zt TKV- ed. Comrael. pag. i4-
T. HI. 32
25o QVARÀNTA
Stessi demonj (i). In fine un tal gusto divenne cosi do-
minante , che per accrescere il mistero , e la venerazione
delle incognite voci , fu opinione , che i fanciulli fosse-
i-o l'organo de'genj, si pose mente a' suoni, che balbettan-
do davan fuori , e si credette , che quelle mal articolate
note pronunciate in una certa maniera , potessero dare
air uomo l'impero sugli spiriti (2) .
Perciò nelle gnostiche figure unite troviamo divinità
Egizie, Persiane, e Greche , talvolta con greche , e talvol-
ta con ebraiche voci , che o esprimono i nomi di Dio , o
di Cristo 5 o di Dei pagani , o di numi alla lor setta par-
ticolari (3). Ma chi non sa che di tutte le gnostiche chimere
il Sole stimato venne il protagonista ? Chi non sa la stravaganza
cui giunsero i Gnostici, servendosi delle voci M£/6/3«s- , e Afipa-
^«s come di amuleti, sol perchè nel loro valore aritmetico il nu-
mero esprimessero delle rivoluzioni del Sole (4). Chi non
( 1 )Villoison Anecdot. Graec. werpiae. 1 700. Basilidiani a Ba-
vol. 11. p. a3i. ■xil\. silide , qui hoc distabat a Si-
(a) Eusebio praepar. Evan- mnnianis, quod trecentos sexa-
gelic. Lib. V. cap. ll.pag. 199. gìnta quinque caelos esse di-
(5) Clir. Guill.Franc.Walcli, cebat , quo numero dierum art-
Entwurf einer volstàndigen nus includitur . Undeetiamqua-
Gesch. der Kelzerejcn. Tom. Ili, si sanctum nomen commenda-
pag. aa. Lips. 1762. Mùnter /^er- bat , quod est a,&^x^xi , cuius
siich iiber die Kirchliche Al- nominis Utterae secundum Grae-
therthiìmer der Gnostiken Got- cani supputationem eumdem nu-
tingb. 1790, s. 17. merum complent. Veggasi pure
(4) S. Agostino de Haeres. Teodoreto Haev. Fab. Lib. 2. p.
*ap. V. Tom. Vili, col. 6". Ani- 191. Lut. Paris. 1641. e si osser-
ItRONZO ANTICO 25 I
sa , che con queste parole accompagnate vengono nel Ca-
pello (i) , nel Macario (2) , nello Chamillart (3) , nel Mont-
faucon (4) , neir Hebermayer (5) , e nel Tassie (6) , tul-
t'i simboli conche la teologia orientale onorava il pianeta
del giorno? Or se le immagini usate da'Gnostici rappresenta-
vano talvolta i simboli di egizie e greche divinità^ se il Sole era
il protagonista del loro sistema j darà forse maraviglia il dire,
<;he il nostro bronzo abbia potuto esssere un misto di em-
blemi di quegli egiziani numi , i quali per essere tutti il
simbolo del Sole , nello stesso trono , comechè sotto di-
verse sembianze , riscuotevano un culto comune ? Ebbevi
in fatti di questi Dei presso i Greci non solo, ma pres-
so gli Egiziani ancora^ e per tali reputati venivano Iside,
Serapide , Anubi , come rileviamo chiaramente da una
lapida trovata a Scio , e riportata da Spon (7) . Laonde
se co' monumenti, e cogli scrittori alla mano esaminar vor-
vi , che molti autori cliinmano (a) De G. B. pag. 17.
questa (]:vinilà aSpjjTa^ , e non (5) Dissertadon sur- plu-
oSpa^af. Seidcno de D. S. Lib. sieurs rnedailles ■, et pierres gra-
I. Cii[). 8. p. ì.!\. lablonscki Dis- vées de san cabinet, pag. i/j.
sert. de JVominis aBpxì^eti vet a,- (4) L' Anti(|u. Explitju.Tom.
|8pxT«| vera et genuina signifi- XX. pag. XX.
catione in nov. Mise. Lips. T. (5) Thes. Gemm. Tba. XX ,
VII, pag. 65. Fred. Nicolai Ver- pag. 120.
sucìi iiber die Beschuldig des (6) Descriptive catalogne or
Tempel. T. I. pag. 100. a general collection by B. E.
(1) Prodromus Jconicus Raspe T. 11. pi. XXIU.
bem. Basii, gen. pag. 18. Fen. (7) Mise. Erud. Antiqii.
1701. p. 56.
252 QVARAVTA.
remo le varie parti del nostro bronzo 5 non senza molta
verisimiglianza ne dedurremo, cheli nostro artefice seguen-
do le gnostiche dottrine accoppiò coi siml)oli salutari
di Serapide , d' Iside , e di Anubi il grugno di porco , e
ne fece sul gusto delle gnostiche dottrine un amuleto.
E di vero non bisogna, che io qui mi dilunghi a dimo-
strare , che nella forma del Caduceo siasi voluto onorare 1*
Egiziano Annbij poiché infinite sono le pruove, che l'antichità
scritta e figui'ata ce ne appresta . Apulejo racconta, che in una
processione Isiaca in Cenere, tra gli altri che la componeva-
no, eravi un Anubi, e che questi portava il caduceo (i).
Di un caduceo pure, se star vuoisi a ciò che dice Luciano,
era fregiata la statua di Anubi , che nel magnificenlissimo
tempio di Delfo si adorava (2) . E se ci volgeremo a'mo-
numenli , non una volta vi troveremo Anubi col caduceo ,
come in un Basso-rilievo del Boissard (3) , ed ia alcune
(1) Metam.h'ib. I. p. 100, ^.vpta.^t hic(Axìù]y\ii\iìs)intej-imin
(a) Tox. T. 11. pag. boy. ed. calamitatem incìdtt, quae maxi-
Hemsterhuis. O' Se ( AvTi!. Oi*£T/i« Sjrus societate ciim sacrilegis
y«p «OToy 2upo5 Tyj Tovìio^» 7[^A quibusdam inita , iiigressns cum
V\» TTXTfiifx hporv\oii TISI noim- ilUs est templum Anubis , et
vHTXi, (rvmrtiKQi ti «utoi? fa to spollaio Deo , phialas ex au-
AvouSftSiov, lyu «iroTuXvroM/nj toh ro daas , et caduceiim aiireum,
Qiot , T^^puffocs -n (fixXixs , ■t[^ Ktf. et canino capite sigilla dei ar-
puxRoy y^fvfovv i^^i touto , y^gji genica , aliaque id gentis atia^
«uvox«^)«Xoy5 xpyvpwi y^^ xWx deposiierant apud Sjrum omnia.
roixu-m nxrf9iVTo iravra Ttf/iix Tw (3) ^om. Urb. Ant. p. "hj.
BRONZO ANTICO 253
monete della giovane Faustina , e di Commodo , riporta-
te da Gessner (i) , e da Zoega (2) . Né tampoco sa-
rà d' uopo di andar mendicando argomenti per dimostra-
re, che le serpi del nostro bronzo ad Iside debbansi ri-
ferire. Perciocché ninno ignora essere stata insignita di
questo simbolo la statua di quella divinità , descrittaci da
Apulejo istesso (3)jeche, tra gli oggetti sacri, una serpe e-
ziandio si portava nelle Isiache pompe, di cui fan menzione
Ovidio (4) , Valerio Fiacco (5), e Giovenale (6) . Piut-
tosto converrà occuparsi delle teste di ariete , che nel no-
stro bronzo un luogo tengono molto distinto^ e son si-
curo di recar sorpresa dicendo , che siffatto emblema si
riferisca per me a Serapide ;, sapendosi essere stato il sim-
b^. Coloniae 1602. ESpouxaTiv» majorevi initiatis horrorem in-
ovouscTBt ii![\iyovfi vpoi To fA.x\Koì> sjjii'ent.
3i*TO7rAi?^«8rSiw lovi -nK^oviifiouc,. (a) Inscript. pag. 4^
I
BAATO ÌHI
kAAAToPAl,,
BAAEJom 1
A S. E.
IL SEGRETARIO DI STATO MINISTRO CANCELIJERE.
E ce E L L ff N ZA.
Il Direttore della Stamperia della Società Filomatica volendo
dare alle stimpe il terzo volume degli Jtti della Società Ponta-
niana ; prega la bontà di V, E. compiacersi commetterne la re-
visione.
Per disposizione dell' Eccellentissimo Ministro Cancelliere Pre-
sidente se ne commette ì' esame al Signor Marchese di Castellenti-
BÌ Reggente della a. Camera.
Il Segretario Generale del Supremo Consiglio di Cancelleria
Morelli.
Commesso al regio Revisore D. Luca de Samuele Cagnani.
Casxellentjni.
Eccellenza,
Mi costa molto Lene che le memorie contenute nel 3.* Volu-
me degli atti della nostra accadeinid Poiituniana nulla conten"ono
contro la Religione , lo Stalo , ed il buon costume ; onde son di
parere che permetter se ne possa la pubblicazione , quando non al-
trimenti piaccia a Y. E, , a cui protesto il mio rispetto.
// Regio Revisore Luca de Samuele Cagnmzi.
Napoli lì 6 yjpvih iXìig.
LA SECONDA CAMERA DEL SUPREMO CONSIGLIO
DI CANCELLERIA.
Veduta la domanda del Direttore della stamperia della Socie-
tà Filomatica , per dare alle stampe il terzo volume degli alti del-
la Società Pontaniana ;
Veduto il parere del regio Revisore D. Luca de Samuele Ca-
gnazzi ; permette che 1' indicata opera si stampi ; ma ordina che
non si pubblichi , se prima lo stesso regio Revisore non attesti di
aver nel confronto riconosciuta la impressione uniforme all' origina-
le approvato.
// Reggente della secunda Camera
Marchese di Castellentini.
Duca di Ca.mpochuho.
Il Segretario Generale
Morelli.
L' Eccellentissimo Ministro Cancelliere
Presidente e gli altri Signori Consì^
glieri nel tempo della soscrizione im-
pediti.
ERRORI CORREZIONI
Pag. )v. Un. ao. su' primi
abilatori della Cam-
pania, leggasi sull'epoca dell'arrivo
delle Colonie Etrusche nel-
l' Opicia.
pag. Lxxvi. lin. ult. 1819 leggasi 1818.
57. lin. 11. Cliternato leggasi Cliternate.
162. lin. ult. Lib. I. Cap. ig. ad Firmuiu leggasi
Lib. I. Ep. 19.
171. lin. iilt, Lib. 11, leggasi Lag. a.
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DELLA
SOCIETÀ' PONTANIANA
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DELLA
SOCIETÀ PONTANIANA
DI NAPOLI
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VOLUME QUARTO
V'w ■:' -:
NAPOLI
i847.
I
A S. R. M.
FERDINANDO II
RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE
E DI GERUSALEMME etc. etc. etc.
SIRE
1 J accademia Pontaniana surta a novella
vita nell'anno 1826, alla voce del Re France-
sco Vostro Augusto Genitore , di sempre glo-
riosa rimembranza , èbhe cura di perfezionare
la stampa del quarto volume degli atti della
Pontaniana società , dalla quale fu preceduta.
Questo volume, eh' è l'ultimo dell'antica
serie de' nostri atti , è come il legame della
nuova accademia , coli' antica società Ponta-
niana; e noi nel darlo alla luce dopo il corso
¥
di molti anni , osiamo consacrarlo alla M. V.,
la quale già si degnò di permetterci per ben
due volte, di fregiare dell'Augusto Suo Nome
i nostri letterarii lavori.
E certamente debito di riconoscenza , e
troppo è caro all' animo nostro di offrire a
V. M. il frutto delle nostre letterarie fatiche ,
le quali furono poscia più felicemente conti-
nuate sotto l'alta protezione del Vostro Augu-
sto Genitore, e della M. V.
Sire, degnandosi V. M. di accettare que-
sto novello omaggio del nostro profondo ri-
spetto, e della nostra alta venerazione, accre-
scerà sempre più la nostra riconoscenza , mo-
strando di proteggere ancora quelle scientifiche
e letterarie produzioni, che «furono da noi com-
poste prima della nostra restaurazione.
Augurando intanto alla M. V. ed alla Sua
Augusta Real Famiglia tutte le divine benedi-
zioni , ci segniamo col più umile ossequio
Di V. S. R. M.
Devotissimi e fedelissimi sudditi
GLI ACCADEMICI PONTAMIANI.
NOTIZIA
DE' LAVORI DELLA SOCIET.l PONTANIANA
PER GLI ANNI MDCCCXVIlI, MDCCCXIX, MDCCCXX
LETTA ALL' ACCADEMIA PONTANIANA
DAL cAv. FRANCESCO M. A\ ELLL\0
SEGRETARIO PERPETUO.
I. v^uando l'accademia pontaniana, per sovrana provvidenza
composta dalle cintiche due società Pontaniana e Sebezia , riprese
neir anno 1826 le sue letterarie occupazioni , essa non potè di-
menticare come ed il nome stesso di Pontaniana , ed una lode
a questo nome aggiunta pe' tre volumi delle memorie pubblicate per
le stampe , le veniva legato da una delle due anticbe società già
dette. Il percbè priacipal cura della novella accademia fu quella
di perfezionare la slampa del IV volume degli atti della ponta-
niana società , stampa che trovavasi non solo intrapresa , ma anche
di molto innoltrata , quando 1' accademia fu istituita. Ed ora che
questo volume , col quale gli atti della società Pontaniana son
chiusi , dassi finalmente alla luce , giusta il sistema da noi adot-
tato , la presente notizia viene ad esso premessa , nella quale i fasti
di quella società vengono continuati dal punto , in cui furono in-
termessi nella notizia inserita nel volume III , cioè dall' ultimo di
del 1817 in poi, fino al punto, in cui i lavori di essa cessarono.
ji Anno iSi8.
II. Cominciando perciò da' lavori dell'anno 1818 , non allriiiisnti
che negli anni precedenti si è fatto, diversi numerar se ne denno clie
lianno per loro autore il signor Raimondo Guarini , conosciato ab-
bastanza per lo zelo e pel sapere col quale si applica alla illustra-
zione delle nostre patrie anticliilà, e per la cura eli' egli hi di co-
municar subito a' suoi colleghi pontaniani le osservazioni , che va
circa quelle facendo. Ed in primo luogo fu argomento di sue illustra-
zioni una curiosa latina iscrizione tratta fuori nel precedente anno
1817 dalle fecondissime pompejane rovine; nella quale dicesi de'
duumviri ìuri dicundo aver essi ricomprato jus luminum opstruen.
col. ven. Cor. per un prezzo determinato , che non si è tralasciato
pur di notare nella iscrizione , e di aver quindi rifatto parietem pri-
vatum usque at tegulas ( sic ). E già tutti gli amatori delle an-
tiche cose furon curiosi di investigare che mai si fosse siffatto Jus
luminum opstruendorum- , e quale la retta intelligenza da darsi alla
epigrafe ; le quali cose non possono cosi di leggieri , e senza farvi
sopra esatto studio , ed in particolare senza il confronto delle teorie
circa le servitù contenute ne' digesti, chiaramente determinarsi. Oad' è
che ÌJ nostro collega da questi fonti particolarmente attignendo ,
La data la spiegazione della iscrizione in una sua memoria , e talune
erudite conghietture ha pur proposte circa il senso delle sigle COL.
"VEN. COR. che in essa si leggono. Questa memoria è stata quindi
impressa dall'autore medesimo nel suo libro intitolato: in veterum
monumenta nonnulla commentaria.
III. Taluni lavori aveva letti alla società nello scorso anno lo stesso
signor GuARiNi intorno alle due antiche colonie del Sannio , che
portarono già i nomi di Corneliano , e di Bebiano , e delle quali
erano le notizie rimase per si lunga stagione neglette , che già sem-
hrai^ano pressoché interamente cancellate dalla memoria degli uomi-
ni, come sono già di quelle colonie affitto le mine stesse svanite.
Ma da talune iscrizioui, e da diverse osservazioni il signor Guarim
avendo creduto poterne rilevar l'antico sito, in una nuova memo-
ytnno 1818. m
ria lelfa alla società nell'anno 1818 iia di rjucste colonie dettata col-
P autorità degli antichi scrittori in primo luogo la storia: e dagli
scrittori a' monumenti discendendo ha di poi raccolti e descritti tutti
fjuelli che ad esse ha giudicati appartenenti; colla scorta e degli scrittori
e de' monumenti e delle sue congliietture ne ha determinata l'antica po-
sizione , e l'estensione del loro territorio. E poiché in siflatte ricerche
grande uso ha dovuto necessariamente fare il signor Guarini degli
antichi scrittori rei agrariae , con mólta cura ma pur non ancora
compiutamente illustrati da gravissimi , e dottissimi filologi, fra' quali
giova rammentare il Rigalzio , il Gocsio , il Giovenazzi , il Mazzoc-
chi ; in una non menoma parte del suo lavoro egli ha quindi preso
a svolgere quasi tutta la materia agraria , relativa in particolare
alla deduzione delle colonie, ed alle assegnazioni e terminazioni del
loro agro. E cominciando adunque , siccome il hiion metodo esigeva,
dalle definizioni stesse de' termini adoperati dagli scrittori agrarj ,
e quindi da queste alla intelligenza delle più complicate formole ri-
salendo, egli hn proccurato nell' illustrare le particolari colonie di
Behiano, e di Corneliano, principale oggetto delle sue ricerche, porre
nella luce ed evidenza dovuta anche le altre cose relative all' ar-
gomento medesimo. Questa memoria a2)provata dalla società fa parte
del presente volume degli atti.
IV. Lo stesso signor Guarini avea già letta nell'anno 1817 una
memoria su' triumviri monetali, nella quale avea confutata la ricevuta
opinione , che il senato romano sotto i Cesari avesse avuta la ispe-
zione sulla zecca delle monete di bronzo , trovandosi quelle di oro
e di argento nella dipendenza degl'imperatori. E suo avviso è stalo,
che tutta la moneta , non esclusa quella di bronzo, dal solo voler
de'Cesari fosse stata di[)endente. Se non che pareva a siQatta opinione
ostare in particolare la sigla S. G. la quale indicando Senatus con-
sulto, etiovandosi nelle sole monete di bronzo , e non già in quelle
di oro e di argento , sostener sembrava la distinzione da' più adot-
tata. Ma poiché la memoria del signor Guarini su' triumviri mone-
IV \Anno i8i8
tali approvata dalla società già s' imprimeva nel III volume degli
atti , parve al segretario perpetuo signor Avellino potersi dare al-
cuna nuova spiegazione della nota S. C. impressa nelle sole monete
di Lronzo, e non già in quelle di metallo più nobile, la quale alla
opinione del signor Guarini non ripugnasse. E perciò in una sua
memoria il signor Avellino espose questa sua conghietlura , la quale
è in sostanza che il S. C- sia segno distintivo della romana zecca
e non dell' imperio particolare del senato sulla moneta. A questa
memoria approvata dalla società si è già dato luogo nel III volu-
me degli atti immediatamente dopo quella del signor Guardi della
quale può considerarsi come una continuazione.
V. Un'altra iscrizione pur pompeiana fu altresì illustrata dal si-
gnor aLate Guarini con una memoria letta alla società pontaniana
nell'anno 1818. E dessa eretta in onore di un tal Turranio , e ta-
lune cose assai curiose vi s'incontrano, delle quali non cosi agevol-
mente uè in altri monumenti ne negli antichi scrittori suol farsi
memoria. Poiché di Turranio suddetto leggesi in essa essere stato e
prefetto de' fabbri , e de' curatori dell' alveo del Tevere, e Pracfeclus
propr. I. D. in urbe Lavinio , e flamine diale , e marziale , e
salius praisul , e augur , e pontifex , e praefectus cohortis gcie-
iulicae , e tribunus militum legionis X , e ciò che particolarmente
rende curiosa ed importante la lapida , pater patratus popidi laii-
rentis foederis ex libris sibulUnis perciUiendi cum P. R. sacro-
rumque principiorum P. R. Quiritiuni noininisque latini quae apud
JLaurentes coluntur. E già intorno a quelle fralle cariche di Tur-
lanio , le quali sono più conosciute , ha solo poche cose notato il
signor GuAP.iNi ; ma si è in particolar modo fermato su quel foedus
percutiendam ex libris sibrllinis , che a suo avviso dovea essere una
sacra funzione, e noa una vera politica alleanza: e da questa sacra
cerimonia ha presa quindi occasione di spiegar con conghietture che
cosa ma; debbano credersi que' sacra principia p. r. Quiritium
nominisque latini , che diconsi nella iscriiione venerati appo i Lau-
Jnno 1818 V
renti. Anche questo lavoro è stato parllcolarinente puLLlicato dal
signor GuAHiKi ncll' indicalo suo libro: in vetcrum monumenta eXc.
VI. Infine lo slesso signor Guarini ha dato conio con altra me-
jnoria di un singoiar monumento ecclesiastico dc'tempi di mezzo, cl»e
sembra assai importante per la storia in particolare della paleografia e
delle arti. E questo un rotolo della antica chiesa eclanense , nel quale
conliensi V exullet accompagnato da talune pitture , e disegni di
mano, a quel che pare , e di epoca diversi. Il nostro collega ne ha
letta una esatta descrizione di si curioso monumento , il quale segna
r epoca del nostro re Manfredi nelle preci che vi si contengono ,
ma deve essere anche a quel tempo anteriore , poiché tali preci
veggonsi aggiunte da mano più recente. Il signor Guarini fece an-
che assai più , mostrando originalmente alla società il rotolo celanese,
il quale parve a ciascuno così da vicino interessar la storia della
decadenza delle arti , che dispose farsi i disegni esatti delle più
importanti figure in esso contenute. Questo lavoro è in gran parte
già eseguito dal diligente artista signor Giuseppe Marsigli , e re-
cato che sarà al suo termine ne verranno fregiati gli atti poutaniani
colle analoghe osservazioni del signor Guarini (a).
Vili. La società dopo i nuovi statuti che S. M. aveva approvati,
accoglier dovea con piacere non solo le particolari memorie che piace-
va a' suoi socj leggere alla medesima , ma ancora le proposizioni che
essi poleano farle di qualche lavoro, cui già attendessero, e per la
perfezione del quale domandassero in alcuno 0 più de' loro colleghi
trovare i collaboratori. Di tal genere era 1' opera intrapresa già dal
signor avvocato Gennaro Grossi , colla quale proponevasi dare una
raccolta delle iscrizioni ed antiche e moderne colla nostra Napoli , rac-
colta che ancora ci manca , e che sembra dover essere molto utile per
conservare e far conoscere le patrie memorie. Il signor Grossi tro-
(a) È stalo di poi impresso nel primo volume degli alli dell' accademia
poalaDÌaiia.
VI j^nno 1818
vandosi mollo innoltrato nella intrapresa raccolta , in una sua memoria
descrisse il metodo che nel suo lavoro e nelle sue ricerche aveva
seguito : e domandò che la società ponlaniana destinasse alcuni de'suoi
socj delia classe della letteratura e della storia onde recarla di ac-
cordo al necessario compimento. La quale speranza è ormai inter-
rotta per la morte del signor Grossi, i cui manuscritti , come avve-
nir suole , saranno forse caduti con danno delle buone lettere in
mani di persone poco vaghe di siflatte squisitezze.
IX. Lo stesso signor Grossi un'altra memoria lesse alla società sopra
una materia già molto fragli eruditi in questi ultimi anni dispu-
tata. È questa se la visione del monaco Alberico, resa già di pub-
blica ragione, sia stata o no dall'immortale Alighieri conosciuta.
Sulla qual quistione diverso essendo , come è nolo , l'avviso di cri-
tici assai riputati , è piaciuto al Signor Grossi accostarsi a quelli ,
i quali sostengono l' affermativa , e con taluni novelli argomenti
e confronti ha nella sua memoria 1' opinione di questi difesa.
X. Alla illustrazione pure dello stesso padre della nostra lettera-
tura e poesia , cioè dell' Alighieri , è stata diretta una memoria del
signor abate Lampriìdi , nella quale dando conto alla società del nuovo
comentario su Dante , ultimamente in Parigi pubblicato dal signor
Eiagioli , ha esaminalo pure talune opinioni del medesimo sulla in-
telligenza di due luoghi assai oscuri della prima cantica dell'Inferno;
intorno alla quale non sembrando al signor abate Lampredi esser
da adottare i divisamenti del nuovo comentatore , ha intrapreso a
rifiutarli , ed ha nel tempo slesso proposta circa l' intelligenza e del-
l' uno e dell' altro luogo la sua opinione.
XI. Il signor Giovanni M. PcoTi socio residente talune diligenti
osservazioni avendo fatte nel legger la riputata opera intelaia Pro-
posta di talune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca
volle communicarne la prima parte alla società , facendone in essa
fettura. Questo suo lavoro avendo poi ricevuta estensione assai mag.
giore , fu quindi particolarmente pubblicato per le stampe.
fillio 181 S. VI*
XII. E già dopo i lavori concernenli all' amena letteratura, pas-
sando a sludj alquanto più severi, io rammenterò in primo luogo
alcune osservazioni lette alla società dal signor Vincenzo de RitiS
sulla diretta origine delle idee morali ; delle quali poiché già dal-
l'autore sono state rese pubbliche per la stampa , nulla più oltre qui
a dire ci resta.
XIII. Un altro lavoro dello stesso nostro collega fu sacro alla
storia delle lettere e della filosofia italiana , e di uno de' più grandi
uomini che le abbiano illustrate. Fu questo un esame del Pan-
epislemon di Angelo Polaziano , colla quale opera quel sommo e
maraviglioso ingegno sin da' suoi tempi delineò un quadro di tutte
le umane cognizioni , facendone ravvisare le relazioni , e le dipen-
denze , e formandone le generiche divisioni : meditazioni senza dubbio
altissime, e nelle quali credesi da'più aver raccolti i primi onori il
celebre Bacone da Verulamio. Il signor de Paris avendo intrapreso
un esame compiuto del Panepìsteinoìi va mostrando i pregi delia di-
visione delle scienze fatta dal Poliziano , ed illustrandola con sue
osservazioni. Egli ha pubblicato particolarmente questo suo lavoro.
XIV. Ricercato fu sempre da' cultori delle scienze naturali qual
fosse l'indole del singolare incrustamento che ravvisiamo nel curioso
antico edificio, sito nelle vicinanze di Pozzuoli , cui classi il nome
di Piscina mirabile. L' analisi chimica ne è stata tentata da diversi,
e fiagli altri del nostro collega signor Lancellotti , il quale dopo
di averne già resi pubblici i risultamenli , ha voluto in una sua
memoria, che ha letta alla società, esporre più precisamente il
metodo da lui nel farla tenuto , e le conseguenze eh' egli crede do-
versene trarre circa la natura, e l'origine di quell' incrustamento.
XV. Appressandosi già al suo termine l'edizione del HI vo-
lume degli alti accademici parve conveniente alla società fregiarlo
del ritratto del celebre Fontano , del cui nome essa stessa si fregia.
Ed il nostro collega signor Gervasio avendone rinvenuto uno molto
antico e che sembra per così dire autentico , impresso in rilievo so-
■7111 Anno j8i8.
pra un'antica coverta di un volume delle poesie latine del medesi-
mo Fontano, stampato in Napoli nel i5o5, ne lesse alla società una
notizia , e ne esibì una copia ; ragionando con tale occasione degli
altri ritratti, che si hanno di si celebre uomo, e della fede che essi
meritano. Questo lavoro del signor Geuvasio fu impresso nel terzo
volume degli atti.
XVI. La Società a norma de' suoi statuti aveva nell'anno 1817
proposto un programma relativo alla migliore costruzione de' porti del
regno di Napoli, per coronarsi a'3o maggio del 1818, giorno onoma-
stico dell'augusto Sovrano Ferdinando I Borbone; ma non avendo
ricevuta alcuna memoria su questo importante oggetto , divenuto
quindi argomento di egregii trattati del nostro collega signor de
Fazio, il ritirò dal concorso, ed un altro ne propose nel 1818 circa
i miglioramenti che dal primo anno del secolo XIX in poi ha presso
di noi fatta l'agricoltura e quelli che potranno sperarsi dipoi.
VII. Ma fra' lavori della Società nell'anno 1 81 8 intrapresi alcuno
certamente non fu pii!i grato al cuore di tutt'i Pontaniani , ne loro piìi
particolarmente imposto da'sensi di una viva e rispettosa riconoscenza»
che quelli da essi letti nella pubblica adunanza tenuta a' 20 dicem-
Ire 18 18 in occasione della ricuperata salute di S. M. il nostro au-
gusto sovrano di eterna ed immortai ricordanza , Ferdinando I. Que-
sto avvenimento , che aveva ricolmi di gioja gli animi di tutt'i buoni,
fu celebrato soUennemente dd'Poataniani : ed in si lieta occasione
essi ebbero l'onore di avere a presidente della loro adunanza S. E.
il Marchese Tomsiasi ministro e segretario di stato , di cui quale
sia sempre stalo il favore verso la società pontaniana , ed i buoni
stndj , dalle cose per noi altra volta dette , oltra le molte che dir
se ne potrebbero , è chiaro abbastanza. In quella tornata il signor
cavalier Galdi vicepresidente lesse una prosa italiana , ed una la-
tina ne lesse dopo di lui il segretario perpetuo. Indi diverse poe-
tiche composizioni furono recitate da' signori Marchese di Montuo-
jiE, GuAHiNi , Filigli, de Ritis, Gatti, Genoino, Carfora, Scotti ,
jdnno 1818, 1S19. is
Quaranta , Piccikni , Lampredi , GallottiV Marchese Basilio ,
Giovanni M. e Luca. Puoti , Cvstaldi, ed Avena. Talune iscrizioni
recitò pure il signor canonico Magri. Il signor Marchese Berio in-
disposto inviò un' ode saffica da lui dettata sullo stesso argomento.
Cosi i Pontaniani ragionando il linguaggio delle ISIuse espressero i
loro sensi di devozione e di riconoscenza al Luono e virtuoso mo-
narca , che regolava allora i nostri destini,
XVIII. Il nostro collega signor Genoixo , scelto a tesoriere del-
l'anno 1818, volle usare il linguaggio medesimo nel rendere alla
società i suoi conti con quella scherzevole e spontanea venustà ,
per cui sono cos\ giustamente commendati i suoi versi.
XIX. L'anno iSigdiede anche sovente a' socii pontaniani l'oc-
casione di coltivare gli studii della italiana poesia , cotanto gloriosi ed
importanti quando sono congiunti a quel gusto puro, per cui le opere
de' nostri grandi vati vivranno immortali , ed ispirati da quell' e-
stro divino , di cui il cielo non è liberale che a pochi ed eletti.
Il signor cavalier Caldi lesse un suo capitolo sullo stesso caro ar-
gomento della solenne tornata del 1818, cioè a dire sulla salute ri-
cuperata dall'ottimo monarca Ferdinando.
XX. Il signor marchese di Montrone che da più tempo occu-
pavasi nel rendere italiano Giovenale, di molti saggi della versiou
sua volle far parte alla società pontaniana; e fino a quattro satire
dell' aquinate lesse in diverse tornate dell'anno 1819. Già taluna d'esse
ha vista la pubblica luce ; ed i dotti hanno potuto giudicare con qual
nerbo e perizia di lingua e con quale poetica maestria ed originalità
abbia egli condotto il suo malagevole lavoro.
XXI. Altro grave lavoro poetico, di argomento assai conveniente
a questa nostra Italia , e' per lei oltremodo glorioso , è il Lorenzo dello
stesso signor marchese di IMontrone. Ed anche di questo suo poe-
ma lesse egli alla società il primo canto nell'anno 1819, e ragionò
in prosa italiana di II' argomento e della condotta di esso.
j Anno 1S19.
XXII. I signori Pasquale Pesce e Domenico Simeone Oliva am-
messi nella società pontaniana vi recitarono in ringraziamento al-
cune loro latine poesie , ed il signor avvocato Costantino Costantinc
un suo poetico componimento vi lesse intitolato Archiloco.
XXIII. Non mancavano intanto altri socii di esercitarsi e nelle
lettere filologiche, e nelle filosofiche discipline. Il signor abate R\i-
MOKDO GuARiNi continuando nelle sue utili investigazioni sulle patrie
antichità, trovò ampio e Lell' argomento di meditazioni in una tavola
bilingue di bronzo già nello scorso secolo dissepoita presso Oppido
città della Basilicata , ed ora esistente nel real museo borbonico. La
faccia di essa che è latina offre un frammento di una legge romana
vestiaria , ed è sommamente importante per le memorie che conser-
va, e per le frasi in essa adottate. Dall'altra faccia leggesi un fram-
mento scritto in caratteri latini , ma in antico sconosciuto linguaggio
italico. Questo monumento pubblicato prima nella dissertazione isa-
gogica di mons. Rosini , e poi negli Arvali del dottissimo Marini
senza osservazione alcuna , meritava che le cure di un dotto filologo
si volgessero ad illustrarlo. E ciò fé con lode il signor Guarini , il
cui lavoro nato tra noi fu da lui fatto di pubblica ragione nel citato
suo libro latino , ove lo unì agli altri già indicati suoi lavori.
XXIV. Lo stesso uso ei pur fece della novella spiegazione eh' egli
die della celebre tavola veliterna, scritta ancor essa in antico italico
linguaggio, e variamente spiegata da' dotti illustratori di quelle pri-
me memorie de' nostri antenati. La spiegazione data dal signor GuA-
RiM di questo curioso monumento , ora impressa , fu ancor essa pri-
ma comunicata dall'autore nel 1819 alla società pontaniana.
XXV. Questo stesso nostro operoso collega riunendo il saper
filologico al filosofico , talune sue osservazioni lesse alla società sulla
gramatica del Tracy , richiamando a novello esame molte delle opi-
nioni del francese ideologista , nelle quali gli parve che dal vero
andato egli fosse lontano.
aitino 181 g. XI
XXVI. Il segretario perpetuo signor AvELtiNO lesse alla società
talune sue osservazioni sull'uso e su' pregi dell'analisi nelle fJologi-
che investigazioni. Ebbe egli il proponimento di mostrare con que-
sto suo lavoro quanto si allontanassero dal retto sentiero que' filolo-
gi, i quali prima di un accurato studio e confronto de' fatti intra-
prendessero a disputar sulle cose degli antichi ; e come a questo stu-
dio analitico , in gran parte ancora negletto , convenga precisamente
rivolgersi in questo nostro secolo, in cui s'intende per tutto alle e-
sperienze ed alle osservazioni ; se pur vogliansi gli studii filologici por-
tare a quella importanza , cui possono e deggiono aspirare , quando
liberati una volta dalle ridicole manie de' sistemi , e. delle assurde
conghietture , divengano ciò che solo esser debbono , cioè la vera e
giudiziosa esposizione de' fatti umani ne' diversi periodi delle età fino
a noi trascorse. Di una parte de' materiali riuniti dall'autore in que-
sto suo lavoro fece egli poi uso in una orazione inaugurale che com-
pose per la reale università degli studii.
XXVII. Il signor Vincenzo de RiTrs comunicò alla società talune
osservazioni sul grande Alighieri , oggetto particolare , e prediletto
degli studii di questa età nostra , il cui sapere già maturo sembra
essere solo stato degno di ben valutare il senno che ascondesi sovente
Sotto'l velame degli versi strani.
XXVIII. Di altro illustre antico scrittore italiano potè la società
nell'anno 1819 ammirare i pregi in una inedita ed importante scrit-
tura, la quale e pel merito dell'autore e per quello dell'argomento
oltremodo riescir deve cara a' dotti italiani. Io parlo del primo libro
della storia d'Italia del nostro Camillo Porzio, di cui cosi pregiala
e cara abbiamo già per le stampe pubblicata la storia della congiura
de'baroni , avvenuta sotto il primo Ferdinando. E già che da questo
stesso egregio istorxo sicnsi narrale le vicende d' Italia che resero
Tiu jénìio iSiQ, 1820.
r anno i547 assai per molti motivi famoso , leggevasi in taluni scrit-
tori, con grave increscimenfo , che non se ne avesse per le mani il
lavoro. Se non che trovandosi un esemplare manoscritto del primo
libro di quest'istoria d'Italia del Porzio ( ne pare ch'egli oltra il
primo la continuasse ) nella scelta biblioteca del rostro socio ono-
rario il sig. duca Tommaso Vargas Macciucca , ne fé egli splendido
dono alla nostra società. E sebbene il possesso di questo tesoro ci
avesse oltremodo desti a lietissima speranza di ammirare in esso
quella purità di stile e gravità ed importanza di narrazione , per
cui è la congiura del Porzio fralle più belle cose delle italiane isto-
rie meritamente noverata, pure fu la lettura del manoscritto da tan-
to , che quelle speranze nostre ne rimasero superate non che soddis-
fatte e compiute. La società, letta l'istoria del Porzio, ne dispose,
subito l'edizione, perchè non fosse il pubblico più oltre defraudato di
uno de' classici libri della nostra letteratura, di cui fino allora ci eravamo
già creduti privi per sempre. E sebbene il voto della società non ha
potuto per diversi motivi , che qui riferir non giova , venire adem-
piuto , riman pure a peso della pontaniana accademia il rendere il
più sollecitamente che si potrà paghe le brame de' dotti.
XXIX. Il programma proposto dalla società nell'anno 1818 non
avendo ottenuta risposta alcuna , parve opportuno il restringerlo al-
quanto, e riproporlo al concorso , chiedendosi da' concorrenti che alla
sola coltivazione de' cereali rivolgessero la loro attenzione.
XXX. I lavori dell'anno 1 819 vennero interrotti negli ultimi mesi
perle riparazioni , che convenne fare nell'antico convento di Montever-
gine, ove la società da più anni teneva le sue tornate. E quel convento
essendo indi stato anche restituito a' religiosi , negli anni 1820 ,
e 1821 la società cominciò a tener le sue tornate nel luogo stesso che
eraallora addetto al reale istituto d'incoraggiamento allescienze natu-
rali, i cui dotti socii faron allora cortesi in accogliere i Pontaniani
fralle loro mura ; mostrando con sì bella gara di mutua compiacenza
verso di noi, come sorelle ed amiche esser denno tra loro le Muse.
yinno 1820. xm
Riuniti in questa novella sede i pontaniani , vi continuarono col fer-
vore medesimo nell'anno 1820 ed in parte del 1821 ^li studii d'o-
gni genere , siccome dalla narrazione , che a farne ne resta , parrà
manifesto.
XXXI. Il nostro collega sig. Tucci lesse alla società nostra , alla
quale ha fatto dono di diversi suoi lavori mateuaatici , una sua memoria
sulla minima distanza fra due curve di uno stesso genere esistente
sopra uno stesso piano. Egli ha di poi già fatto di pubblica ragione
questo suo lavoro.
XXXII. Il sig. Giulio Rocco richiamò l' attenzione della società
ad un argomento assai importante , leggendo una sua memoria sul me-
todo pratico d' istruire , e su' mezzi da estendere il sapere ; sul quale
argomento non è da dire quanto preziose esser deano le meditazioni de'
dotti , se è pur vero , come ad alcuno a nostro avviso non dovrebbe
esser dato il dubitarne, che il solo sapere e la hen intesa istruzione
possono rendere i popoli industriosi , morali , ed iu conseguenza
felici.
XXXIII. Il sig. abate Guartki oltre ad un sunto, che lesse alla socie-
tà, accompagnato dalle sue osservazioni , delle opere del nostro eh.
collega il sig. Galluppi , lesse altra sua memoria su taluni novelli
monumenti celanesi, non lasciando di illustrare e coltivare questo an-
gusto campo, che il suo sapere ed il sno amor patrio hanno reatluto
cotanto ferace. Questo lavoro approvalo dalla società forma parte del
presente volume de' suoi atti.
XXXIV. Il sig. Gio. Antonio Cassitto de'cuistudii sugli scrit-
tori e su' monumenti antichi la società aveva più volte ricevuti saggi
assai importanti, inviolle anche talune sue osservazioni sulle prime
elegie di Properzio, ora emendandone la ricevuta lezione , ed ora
indagandone il senso. Egli faceva sperare la continuazione di questo
pregevole lavoro ; ma la luttuosa sua morie sembra averci interdetto
ogni lusinga di vederlo compialo , siccome ci ha privato del fruito
delle altre investigazioni di questo nostro laborioso ed ingegnoso filologo.
Si7 \/inno 1820.
XXXV. Il sig. Genoino che aveva in altre occasioni messa a
parte la società de' poetici suoi lavori, volle anche averla a giudice
del novello genere di componimenti , cui egli con plauso aveva in-
trapreso ad applicarsi , percorrendo il difficile agone drammatico. Scelse
quindi una delle sue commedie, e precisamente quella che ha il ti-
tolo di lettera anonima , e ne fé lettura alla società prima che la
desse alla stampa.
XXXVI. Le rare doti d' ingegno e di sapere di S. A. R. il Principe
Cristiano Fedekico di Danimarca, Mecenate di tutte le scienze e le
lettere, mossero la società pontaniana , come tutte le altre napole-
tane accademie, ad annoverarlo tra' suoi soci! onorarli. Della quale
elezione non solamente si degnò S. A. R. mostrarne tal gradimento,
quale al nobile ed eccelso suo real animo massimamente si conve-
niva; ma volle di più esser presente a due delle nostre tornate ac-
cademiche , delle quali è perciò a noi precisamente rimasa grata ed
onorevole la ricordanza.
XXXVII. La prima di queste ebbe luogo nelgiorno lamarzo 1820,
ed in essa i Pontaniani ebbero anche la ventura di esser preseduti dal-
l' eccellentissimo sig. marchese Donato Tommasi. Il sig. marchese
di MoNTRONE lesse in questa tornata un' altra delle satire di Giove-
nale per lui recata inversi italiani, del qual lavoro abbiamo anche
detto di sopra. Ed il segretario perpetuo sig. Avellino lesse una me-
moria di continuazione a quella che sulla M. Grecia avea già altre volte
letta alla società, e che è impressa nel secondo volume degli atti.
E come in quella prima sua memoria ragionò egli del nome , e
de'veri confini di quella celebre antica regione , cosi in questa seconda
trattò delle diverse vicende or gloriose ed illustri , ed ora misere e
tristi , cui i popoli che la componevano andarono soggetti. E co-
minciando il suo dire dalle prime origini delle greche colonie , mo-
strò come e si stabilissero presso di noi , e per savie leggi e per
eletto sapere lungamente vi fiorissero : quindi come a poco a poco
corrotto il reggimento , e guasti i costumi , cominciassero a cedere
yiìino 1S20. XV
alle scosse prima de' barbari Lucani , e de'Lruzzii, e poi alle- pia
fiere e fatali ancora che dier roro i Romani , fino al punto che di-
vennero in fine loro preda , e conquista.
XXXVIII. S. A. R. degnossi mostrare col ritornare una secon-
da volta tra noi nella tornata de' 4 giugno dell' anno medesimo ,
quanto Ella avesse riguardato di buon grado i nostri Ictlerarli eser-
cizii. In questa seconda memorabil tornata ebbero i Pontaniani an-
cora la ventura di aver tra loro il celebre cav. Antonio Sca.kpa ,
uno de' Nestori delle scienze in Italia , e della intera dotta Europa
lume oltra ogni mio elogio fulgidissimo e singolare. In questa me-
desima tornala il sig. marchese di Montroke lesse un suo filosofico
discorso sul cinismo, nel quale col luminoso esempio del suo stile
degno de' migliori e de' più meravigliosi nostri scrittori di prosa,
mostrar seppe come alla pura e casta lingua d' Italia nulla manca per
esprimere con forza , vigore , eleganza , e chiarezza i più sublimi
divisamenti della filosofia; ma si manchiamo noi a noi stessi, ed a
questa nostra bella patria, quando dettiamo le nostre scritture infran-
ciosate, e sozze di qualunque straniero imbratto più vile.
XXXIX. Il sig. abate Lampredi colia stessa purità di stile e di gusto
ragionò di poi del T'omanticismo , ed apri la sua sentenza su questa
così creduta da alcuni novella scuola di scrivere : la quale da altri
assai meglio si tiene essere assai più novella nella opinione , che
nel fatto.
XL. Le letture che nelle ultime tornate della società pontaniana sì
udirono , ebbero a loro autori i sig. Forleo e Scatigna. Il primo
ragionò della influenza che la filosofia e le scienze hanno avuta sulla
perfezione dell'epopea. Disse il secondo di un novello sistema di me-
dici studii eh' egli propose come più acconcio di quello che suole
comunemente seguirsi.
XLI. Tre memorie ottenne la società nell'anno 1820 in risposta
al programma che aveva già proposto relativo alla coltivazione de' ce-
reali ; ma di queste tre memorie nessuna meritato avendo ottener I3
XVI Anno 1820, 1821.
corona, ne l' accessit , la società ritirò quel programma dai concor-
so , ed invece ne propose un altro sulle malattie cui vanno presso
di noi soggetti gli ulivi , e sulla storia degi' insetti che sogliono dan-
neggiarli.
XLII. Così gli studii della società pontaniana si continuarono fino
a quell' epoca , a cui deve ora fermarsi il mio dire. Collo stesso ardore,
e colla stessa rettitudine di animo furono essi ripresi quando nel
1826 alla voce dell'augusto FRANCESCO sorse a novella vita l'ac-
cademia pontaniana. Ma di queste più recenti nostre letterarie oc-
cupajioni esser deve riserbata la storia ad altro ragionamento.
RICERCHE
SUL SISTEMA MELODRAMMATICO
LETTE a' soci PONTABIÌLNI
DA PIETRO NAPOLI SIGNORELLI
Nelle Adunanze de' mesi di Novembre ,
^ e Dicembre i8i». /;Ì. >^-/
SEZIONE PRIMA
/. Natura del Melodramma : //. Quando e dove nO'
io '. HI, Quali ne furono gli elementi nella Grecia
e nel Lazio : ly. Quando questo nome prevalse nel'
la Drammatica^ -'^ - -l
■ oiJÌr M!j
V-4HE cosa sia Melodramma a tutti è fn^niifésto. Due
parole greche esprimenti melodia ed azione , adottate e
combinate nelle moderne lingue dell' Europa , indicano quel
genere poetico, chQ Melodramma chiamossi, risorgendovi
la coltura. •' «^ir «••■
T. IV. %
y
2 SI6N0RELLI
A ben riflettere, non si esprime con parole qualunque
sentimento senza certa melodia ^ perchè la parola nel prof-
ferirsi naturalmente riceve una misura ed un tuono, per cui
formasi nel favellare il ritmo , specie di concento , che se-
condo Aristotele «3ìeZZ<2 anche l'orazione (i)^ e questo
è ben conto a' sagaci prosatori. Kè ciò così fu proprio del-
la greca e della latina favella , nelle quali così bene si di-
stinse la brevità e la lunghezza di ogni sillaba , che del
tutto simili quantità si sconoscessero nelle moderne , e sin-
golarmente nell'italiana, che a quelle tanto si appressa. Im-
perocché Voi , che l'arte possedete di tornir bei versi ed
armoniosa prosa , ben trovate all' uopo e dattili , e spon-
dei , ed accenti opportuni alla scelta per elevare e depri-
mere , tardare ed accelerare a vostro grado i tuoni , che
vi occorrono pel riposo o pel corso fluido del verso, non
meno che pel numero ossia sonorità de'periodi di ogni bel-
la> prosa (2). ,
Allorché però disvilupparonsi le arti , per le voci me-
lodia ^à. armonia s' intese il dolce ondeggiar dell' aHa per-
cossa dal fiato , o in qualunque altro modo , che generi
varietà di suoni cari all' udito ed acconci ad animar la pa-
rola e a dar risalto alle azioni. Il teatro conosce diverse
specie drammatiche , le quali ciò che gli uomini operano,
ci rappresen^tanp. Ma la melotU* naturale delle lingue non
.. .kiritobr, j «ìsxf>Àw^ ho sùWV->sr; ijff wii.jfa Mao
(i) Ai« j)Odf/ov 5££ £^£(y Toy pella chiamò la prosodia semina-
, Ao^oy. Rketor, lil^ HI. e. 8. rio della musica.
(2) Non a torto Marciano Ca-
SISTEMA MELODRAMMATICO 5
è quella artificiale dalla musica somministrata , la quale
rende sulle scene piò. sensibile più accetto e più dilettevo-'
le il nudo favellare.
Adunque quell' azione , che sulle umane modellata si
espone agli ascoltatori per trattenerli gratamente , esprimen-
dosi con parole da modi artificiali animate, dicesi esclusi-
vamente Melodramma ed anche Opera in musica.
II.
E quando e dove esso nacque ? Nacque secondo
me allorché 1' uomo nell' ozio campestre si avvisò d' ingan-
nar la fatica , e persuadere a se stesso di non sentire il pe-
so del tempo , occupandosi a crear concetti con parole ad-
dolcite dal canto, colla sola voce, o dal suono accompa^
gnate , col soffiare in una piva , o in una canna forata ,
o col percuotere più corde di grossezza Ineguali tese su
qualche superficie di acero senza toccarla. E da credersi
che del piacevole effetto compiacendosi Tuonio se ne ri-
petesse il diletto. Allora senza contrasto nacque 1* embrio-
ne del Melodramma. Un passo di più esso diede forse ,
quando due o tre capraj si raccolsero all' ombra di qual-
che faggio a cantare a prova altercando , ed espressero vo-
ti , amori , querele , disfide , allegrezze. Ciò dunque che
ecloga indi appellossi , somministrar dovette l' idea di un
poema in dialogo cantabile, di cui può servir di esempio
l' idilio XV di Teocrito , intitolato le Siracusane. E da
^esta idea uà' altra sopravveneijclone , passò ad indicare
4 SIGNOfi^tLl
p iù distintamente un' azione , che cpntenne principio , pro-
gresso , e finimento e suggerì successi pastorali, onde o
presto o tardi un vero melodramma prQS^ennét. obufi Ij sì
Che se taluno investigar volesse curioso ,• in quAl par-
te della terra, prima che altrove, , ciò avvenissi^,, io mi
restringerei adire, cjie là seguì, dove prima gli uomini si
associarono ,, vale a dire, .dove frali© Jìttiche , o, in. Aeuipo
delle famiglie patriarcali , o ne' rozzi primordj di società
più numerose , si avvisarono d' imitar le umane azioni ,
accozzando insieme colle parole il canto e la gesticolazio-
ne in, cadenza , per proprio e per altrui diletto. Poterono
quindi bentosto immaginarsi melodrammi inconditi j e che
in fatti in più di un clima ne sorgessero , può compro-
varsi per le notizie acquistate co' viaggi, con le scoperte,
co' traffichi e con le conquiste.
Gli eruditi filologi , che con pie sicuro e snello cor-
rer sogliono per l' uno e per 1' altro emisfero dalle remote
alle più recenti popolazioni , agevolmente fra esse rinver-
lannp gì' indicati elementi , quando non altro , valendosi
del presidio delle favole , de' sistemi antiquarj e sopra tut-
to delle onnipotenti etimologie. Sapranno essi dedurne da*
rottami Fenicj , Etrusci , Pelasgici , Osci , Etiopici , Egizj,
e fin dalle Rune boreaU , e pur dagli Sciti. Sfornito , co-
me io mi sento , di pari franchezza e di si vigorosi van-
ni , lasciando di buon grado a sì grandi letterati la glo-
riosa impresa di volar tant' alto , mi limiterò alle nazioiji
Europee , accessibili agl'ingegni meno elevati , delle qua-
li si conosqono monumenti piùi copiosi e più fidi.
SISTEMA MELODRAMMATICO 3
III.
Or quali furono in Grecia gli elementi del Melo-
tlrarama ? Quando gli Elleni , deposta la maggior parte
delle abitudini Egizie e Fenicie , che seco loro tratte ave-
vano dalle vetuste origini , si conobbero generalmente col
nome di Greci , si sparsero per l' Attica , e coprirono la
Focide, la Beozia, l'Etolia, il Peloponneso, mescolando
al passatempo il culto sacro, offrirono al Sole, sotto ino-
rai di Apollo e di Bacco , i primi prodotti dell'ingegno, e
le nomiche cantiche al primo, e gl'inni Dionisiaci al-
l' altro indirizzarono. Triviali oramai divenute sono col ri-
petersi t^nte volte le prime notizie drammatiche^ cioè che
singolarmente in quegl' inni combinaronsi un' annua festa ,
un sacrifìcio di un irco , ed un convito rurale , in cui can-
tando e saltando si motteggiavano a vicenda coloro , che
v'intervenivano. Or non sono questi gli elementi abbozza-
ti del melodramma , le cui tracce e i progressi in copia
si rinvengono negli aurei scritti di Platone , Aristotele , Plu-
tarco , ed in tanti altri scrittori posteriori di quella incom-
parabile nazione ? Non diedero appunto questi semi ed ele-
menti alla drammatica il nascimento nella Grecia, la qua-
le seppe per essi in tante guise imitar felicemente le civi-
li operazioni , e giocondamente dilettare , ed istruire ?
Se i componimenti , che ne provennero, non ripor-
tarono il nome di melodrammi , ciò a mio credere addi-
venne, perchè gU scorti Greci in vece di appagarsi diana
generica denominazione , aspirando a più alta meta, voi-
J'tWWV ^ «W-VMW
« «Mini ^ ^"
MEIODRAMMATICU f
ve^oìurue i pas>t iu caileuza uella luru tiuiitatu coregralia^
poiclK' cou proprietà si vo^esj>ero a siuistra e a destra , e
«i leruiaMM^ru ut^i lue^zo ! Oltre «iella sua robusta p<.>c»ia ,
vuUt) egli »Cessu tucaricarsi di compori-e la um:>ica de'suui
verM (i). Cou decoro e proprietà abbigliò alli-esì le tìgu-
re, che iulroducevu nelle >ue tavole. Quel tutto , che gran-
de uscì dalla sua peuua , vjuel tutto in Grecia più volte
coronato, uou Tu punto da lui ap[)ellato meioUrttmma ,
tua M bouu tragedia , o, come prima >a chiamò, tnf^odia^
e uè lii acclamato il padre. De' talli , della mu>ictt » del-
le decor.j/iuui , e delle poesie de' suoi tempi abbiamo «u
testiiuoite inculare uella citata tavola B«r^)(i>i di Aristotaue^
ueila <{uaio si rappreseuta lu coutei>a > che arse uell' infei^
no tra Kàchilo ed Euripide alUi pieseUiSa di bacco. I^
clttuift Euripide alcuni versi deli' euiulo, coutratfac«udon« la
cautjlttua y e per mostrarue la mouotouia « ad ogni motto
SVggiugUe V^*rr«dj'arro-^i*rru6^*r (*j). bschilo alla sua volta
si bulla del uoio^o piagnisteo dell' avversano, ripeteudo a
ii ki » .j. (guanto all' apparato , uiuao ignora la spleudide^-
1 , U Colo delie Rune lu w» >Xa»»«»4^«iT«^X*rTv»*f*T
tittjli via b>.ii>|>tiie 3 CM^iouv JcU ««m^' >
Im Nua iiH*M«.'( , ipijiidu Est'ailu ro. <9Xjirrwdj>«rTu^Ajirrod»«r ,
ti ha it>lN/>U»7, EÀÀykJuC V>M . *~'ft.i)t H<»f*i>-;(^JL»
8. SIGNORELLI
za delle decorazioni tragiche del Prometeo al Caucaso ^
dell' Eumenidi , de' Sette a Tebe , dell' Edipo , delle
Ifigenie, come ancora delle decorazioni comiche nelle fa^
vole N£i?eX«! , O'jjyiQcj, Ef^rivri. Sofocle, oltre della sublimità,
che a lui dee il coturno , non trascurò le minutezze del-
l'esecuzione j e perchè risaltasse la sallazione, inventò pe'
ballerini alcuni bianchi calzari, pe' quali nella celerità del-
le battute si vedeyano brillare j loro piedi. Aristofane par-
la de' balli comici , e singolarmente riprende nelle Nuvo"
le i poeti autecessori e coetanei suoi, per avere introdotti
balli lascivi, e fa che il coro esalti lui , perchè oJJé x°/^*X' *'''^-
xu«y , non mai saltò il hallo cordace.
Non discordano per altro i più da ciò che abbiamo
accennato , e tutti confessano la magnificenza delle deco-
razioni teatrali de' Greci , e la celebrità della loro saltazio-
ne , e principalmente 1' eccellenza della scenica poesia.
Havvi però più di un critico transalpino , seguito da al-
cuni Italiani , i quali mostrano tutta la ripugnanza a cre-
dere che i drammi greci si cantassero, sì perchè, a loro
avviso , Aristotele parla del canto del coro , e non degli at-
tori,, sì perchè sembra loro ihverisiznile , che sulle scene
il favellar degli uomini debba contro natura imitarsi can-
tando. Si resiste oltre a ciò da altri critici a chi asserisce
tT9i,««(S KUdlV CtipO^OITOtS , AIO. TI 70 A«TTo6jP«TT09XaTTo6j)«T , su Motpafla-yos ; ri
To suyyXiVcs ea' AiotvT! Troflsv ^wsXe^aj ii/.ovioaTfOi^OM (OtsXri;
ro 9XoiTto9j>«TTo^X»rro6j>«T Batinch. v. i284- 97-
SISTEMA MELODRAMMATICO 9
ed esalta la prestanza della musica Greca , stimandosi fa-
volosi i prodigi , che si raccontano della sua irresistibile
efficacia. Piacciavi , Colleghi illustri , esaminar meco alcun
poco l'importanza di queste due opposizioni.
Quanto alla prima, io stupisco che eruditi , i quali citano
Aristotele , possano dubitare che i drammi greci si cantassero.
Io dico loro in prima: INon è Tistesso filosofo , che novera la
musica traile sei parti di qualità della tragedia (i)? Or le
parli di qualità non sono quelle, che hanno luogo in tut-
to il dramma, e differiscono da quelle di quantità, le qua-
li figurano solo in alcun luogo , e non da per tutto , co-
me sono il prologo , 1' episodio , il coro e 1' esodo ? La
musica dunque, una delle parti che qualificavano la tra-
gedia , animava non solo i Cori , ma tutto il resto del
dramma. Altrove V istesso filosofo riconosce due specie di
musica , r una f/ouuot^v ^'^^v nuda e semplice , e 1' altra
p.ixà. iJLiko^io.^ accompagnata dalla melodia (a). Or qual è
la musica nuda e semplice del dramma se non quella del-
la Melopea ? Ma di tutte le opere di Aristotele il passo
più decisivo è quello de' suoi Prohlemi. I tuoni ( dice )
(i) Si legga il capo 6 del- SvdfAirxv ,cìoh ; ,d^Ue cinque par-
li Poetica , ih cui chiama cos'i ti di quella ( dopo della favola )
l^ favola , /7 costume , la senten- la più soave ed allettatrice è la
za , P elocuzione , la decorazio- musica.
ne e la musica. E dice ancora (2) Veggasi l' ottavo de' suoi
nell' istesso capo 6: t&v li XoiiróJy libri Po/t/tct cap. 5. .,ìl
•Kevxt ifj fiikoxoiim /jiiyia-cov z&y rj-
T. IV. 2
IO SIGWORELLl
ipodorio ed ipofrigio si usano nella scena , e non nel
Coro , perchè sono proprj ad esprimere le passioni vio-
lente (i). Né di ciò pago disviluppa il medesimo sentimen-
to nella stessa sezione al numero 48 •, dopo aver detto che
al Coro conviene una flebile armonia , che mal si esprime
col tuono ipofrigio che ha del furibondo. U ipodorio (^ sog-
giunge ) e Z' ipofrigio sono convenienti agli attori che
operano , e non al coro che presta a chi assiste la sola
sua buona volontà (2).
Or qual più chiara prova che gli attori in Grecia
parlavano cantando ? Uscendo poi dalla dottrina e testi-
monianza di Aristotele e de' suoi migliori espositori , po-
trei addurre altre autorità antiche , ma per minorarvi là'
noja aggiungerò solo un passo di Luciano non meno de-
cisivo. Vituperando Luciano la musica molle ed effemina-
ta de' suoi tempi , essa ( dice ) può tollerarsi con minor
fastidio ne' personaggi di J^cuha o Andromaca^ ma è
mustruoscL ed insoffrihile nel personaggio di Ercole (S).»^
(i)AtàTfoOJI wVoSajjjiorTr oùSè l' edizione" di tutte le di lui o-
v>K0(^fvyii3rt oux sOTiy èv Tfoty^Sì» pere grecolatine in quattro yo-
Xo/iHoy ; ri ori oin «j^ei ivrla-rfo- lumi pubblicate in Parigi nel
^Oy, «XX' «VÒ ffXKlviis. /JlIfilTlTIK»Ì TOlj». i654-
Aristot. Probi. Sect. XIX. n. 3o. (3) K« iixlx/' M«v AyS^Oftixn'
(2) Può vedersi l' intero pas- tis /(E'xoE/Jifi lari 90|>nTÒs ri«5n,0T«)»
so parimente citato, e tradotto 5s H'p»)tXris //oyyJii... ffoXoixi'av ei-
dal Metastasio neU.' Estratto del- <^fOtim tÌMTXs <^»it\ rts ró Kfiyu»,
la Poetica del greco maestro Lucian. dt Saltatione.
quando non si voglia' coasùltarf
srstEMA MELODRAMMATIOO II
Adunque Ecuba , Andromaca, Ercole, che non sono indi-
vidui del Coro, esprimevano i loro affetti sulla scena can-
tando.
Passando all' altra opposizione contro tutta la musica
antica , trovasi questa sostenuta da illustri scrittori moder-
ni , de' quali nomineremo per onore i più chiari e più de-
terminali. In Francia dicliiararonsi contro la musica Gre-
ca l' accademico Parigino M. Burette (i) , ed il P. Bou-
geant (2) , ed in Italia venne assalita dal celebre P. Mar-
tini di Bologna (5) , cui tenne dietro il dotto cav. Planel-
li di Bitonto in Napoli (4) , il vescovo Paù di Tropea , ed
il gran poeta Cesareo Romano. Tutti questi illustri scrit-
tori con altri di non minor celebrità , a voler far grazia
alla musica de* Greci , la valutano quanto oggi si apprez-
zano le antifone, i responsorj e i graduali de'tempi mezzani.
Strana cosa a dir vero e poco verisimile parer deb»
be a chi ha fior di senno questo giudizio portato contro
de' prodigiosi effetti di quella musica , i quali leggonsi in
varj classici autori antichi. La Grecia , onde il Lazio e
poi il resto dell' Europa trassero ogni coltura j la culla del-
le belle arti ; la patria di Omero , Pindaro , Saffo , Ana-
creonte , e di Apelle , Zeusi , Timante , e di Fidia , Gli-
cone , Pitagora ; per clima e per educazione reggia della
(1) Memoires de \' Acade- (^)Storia della musica tom.
mie des Inscriptions et Belles i. diss. i.
Lettres , tom. IF. (4) Trattato dell* opera in
(2) Memoires de Tré/oux musica.
12 SlGNORELLI
delicatézza, della grazia e del gusto ^ produttrice delle più
belle foi'rae , che sono prima sorgente eslabile fondamento
delle arti imitative 5 la Grecia che seppe congegnarsi una
lingua trovata, a prova di quante ne conosciamo, la più
armoniosa per una prosodia che è la norma del canto , in-
ventrice del ritmo da essa diviso in elevazione ed abbas-
samento ( ars J5 et j istruito , si vaglia de' suoni della lira ad esprimere con
3} acconcia imitazione le cose , cosi che adatti il concento
ìì delle corde alla natura delle voci , ed in tal guisa ac-
)j comodi la diversità e moltiplicità de' suoni della lira ( giac-
» che altri suoni danno le corde ed altri il poeta autor
» del canto ) e la spessezza corrisponda alla rarità , la celerità
jj alla lentezza , l'acuto al grave , ed i suoni consoni e dis-
■» soni si esprimano jj. Fin qui Platone. Cicerone afferma
che il concento musicale si forma con la concordia de' suo-
ni (i). E sulle di lui tracce Quintiliano chiamò l' armo-
nia , concordia di voci o cose dissimili. E Seneca con
più nettezza disse che il Coro .si compone di voci diver-
se , acute , medie e gravi (2). Or dove è l' unisono at-
tribuito alla musica Greca ? j
A conchiudere intanto per tutti gli elementi melodram- i
matici riconosciuti ne' Greci , resta solo che alcun motto
si faccia suU' opposizione del Metastasio , con cui si accor-
dò il vescovo Paù di Tropea. Egli nega a' Greci ogni de-
licatezza musicale ed ogni contrapjjunto , prendendone 1* ar-
gomento dalla vastità de' teatri antichi scoperti , ne' quali j
si sarebbero perdute tutte le musicali delicatezze moderne. |
Ma non ebbero i Greci altra musica che la teatrale ? Gon-
(i) De Republic. lib. II. (2) Epistol. XLVIII.
SISTEMA MELODRAMMATICO I9
tendevano i Citaredi, de' quali parla fra gli altri Eliano .^
con la medesima musica teatrale allorché sonavano ne' tem-
pli ? Non ne comprendevano altra i musici certami che
eseguivansi nell' Odeon , che chiamavasi teatro coperto ?
Ogni altro omaggio musicale che potè tributarsi alle deità
in tante occorrenze festive, non si prestò loro se non con
musica teatrale ? E quando Timoteo Mllesio , secondo Ni-
comaco , dopo avere eccitato Alessandro a' marziali furo-
ri, mostrò r eccellenza della sua arte ammollendo gli animi
con musica molle e delicata che si tacciò di effeminatez-
za , si valse egli forse in due sì contrarj incontri, ad in-
sinuarsi ne' cuori, di quella musica strepitosa che conveni-
va a' teatri a cagione della loro vastità ? Tutto ciò , e quan-
to altro aggiugner potrei dell'enarmonica di Olimpio e di al-
tri seducenti musici dell' antichità , dovrà rigettarsi , per-
chè gli sterminati teatri antichi non soffrivano una musica
varia, armoniosa , delicata ? A me sembra all' opposto che
tale eccezione altro provar non possa se non che , mal-
grado della indubitata ricchezza, varietà ed efficacia della
loro musica , i Greci seppero valersene con moderazione
ed economia , e quella parte ne introdussero ne' teatri che
potesse proporzionarsi alla loro ampiezza. Così il pittor sa-
gace disegna le figure più o meno grandi e le colorisce con
maggiore o minor vivacità di chiaroscuro , non per man-
canza di delicatezza , ma per finezza di arte, perchè com-
pariscano somiglianti al vero in qualunque distanza dello
spettatore. Ma ciò nulla prova , s' io dritto slimo , avver-
so della musica tutta, e del contrappunto di una nazio-
20 SIGNORELH
ne dotata di gusto si iine e di lingua oltreraodo armonio-
sa. Siccome contro la musica Italiana ed il moderno con-
trappunlo nulla provano le monotone cantilene delle pive
Abbruzzesi o gli organetti delle marmotline Piemontesi o il
canto Gregoriano. Di grazia quelle pive , quegli organetti
e quel canto renderebbero improbabile che in Italia si so-
no composti lo Stabai Mater del Pergolese , il Mìscrere
del Marcelli , il Veni Sancte Spiritus del lommelli ?
.77"Ova«5Ì (può domandarsi ancora )c?j simili elementi
Tnelodramm^atici tra' Latinil E come no? Dotato l'uomo
di pari natura ed essenza e di facoltà uguali da per tutto,
non può non sentire gradatamente le proprie forze 6si-
che e morali e non usarne a seconda delle circostanze. Nel-
r ozio 'delle campagne ( non altrimenti che su i monti del-
l'Attica e della TessagUa ) sull'Aventino e per gli Apen-
nini , assicurata che ebbe T uomo la propria sussistenza ,
procede oltre per lo spirito indagatore che lo anima , e
volse lo sguardo a quanto lo circonda , e stupì allo spet-
tacolo grandioso mirabilmente congegnato de' cieli, che non
potè non eccitare in lui la sublime idea di un Ente igno-
to ma immenso , potente , a tutto superiore , e proruppe
in acclamazioni , ed a lui si rivolse alle occorrenze , a lui
consacrò le primizie del campo e dell' ingegno.
Adunque dalla sorgente onde nacquero in Grecia le
idee di un culto alla divinità , di socialità tra' simili, di giuo-
co neir ozio , d' ilarità ne' piacevoli incontri , di motteggi
nelle giocose contese , sursero nel Lazio i semi primitivi del-
SISTEMA MELODRAMMATICO 21
lo spettacolo facenìco , suoni armonici , gesticolazione In ca-
denza , slanci poetici. Voi non ne ignorate i fatti.
Tributaronsi in occasione di una pestilenza fatale in-
ni divoti alla divinità che col tempo divennero gioconda
costumanza (i). Si avvivarono di mano in mano con fe-
stevoli atteggiamenti, con balli, con melodia. Coltivaronsi
i diverbi appresi da Fescennia (2), finché non converti-
ronsi in insulti. Si adottarono gli agili volteggiamenti de' Lu-
dioni dell' Etruria ed i Macchi Atellani degli Osci. Ma la
musica degl' inni indicati donde provenne ? Non oso dire
con Eximeno che essa derivò da' Greci , perchè a que' pri-
mi tempi il popolo di Roma non ebbe comunicazione
colla Grecia. Verisimilmenle i Ludioni mentovati accom-
pagnarono i loro celeri movimenti con musica etrusca. Che-
chè ne sia stato , I salti e i canti e i versi che in simili esercizj
posersi in opera , non mai con greca voce nomaronsi me-
lodrammi.
Né anche simil nome portarono le specie drammati-
che posteriormente coltivate alla venula in Roma di Livio
Andronico e Quinto Ennio semigreci e di Gneo Nevio
campano , benché tutti ne adoprarono gli elementi. Melo-
drammi neppur chiamaronsi le favole comiche più recenti,
pretestate o togate che fossero. Ben per le favole Liviane
ed Enniane rinacquero entro le Alpi tragedie, commedie ,
favole mimiche e rintoniche , nelle quah in modi diversi
umronsi musica, poesia, danza ed apparato. Ora a questa
(i) Valerio Massimo. (2) Orazio.
22 SIGKORELLl
seconda opera della Romana collina , come possiamo chia-
marla , ben potè colle favole greche adattarsene ancor la
musica. Non è inverisimile che a' tempi di Augusto il car-
me secolare , composto per di lui cenno da Orazio, si can-
tasse con musica greca. Ma ignoro da qual documento trat-
to se r abbia il lodato Eximeno che Y asserisce senza esi-
tare. Ciò che può con più verisimiglianza affermarsi, è che
ne'Teatri Romani colle nominate favole potè introdursi an-
che la musica de' Greci. E Greca musica in seguito con-
tenne ciò che ne' prati al di là del Tevere i Romani can-^
tar solcano nelle feste di Anna Perenna che apprendevano
ne' teatri (i) :
lìlic et cantant quidquid didicere theatris j
Et jactant faciles ad sua verha manus.
Di fatti dicendo Donato nel Frammento che ne abbia^
no delle commedie e tragedie (2) , che le commedie re-
citavansi coli' accompagnamento di tibie uguali e disuguali,
e destre e sinistre , e che le destre si chiamarono Lìdie
per la gravità , e le sinistre Serrane per la leggerezza del
loro tuono acuto , non pare dubbioso che i Greci modi a-
vessero allora acquistata la cittadinanza Romana. Che se
troviamo ne' codici conservati delle commedie Terenziane
che il Romano Fiacco figliuolo di Claudio vi fece la
musica , ciò comprova che già i Romani componevano
(i) Si vegga Ovidio nel III soro delle Greche antichità ài
de' Fasti. Giacomo Gronovio impresso in Ve-
(2) Nel tomo Vili del Te- nezia nel 1735.
SISTEMA MELODRAMMATICO 23
ne' lealii di Roma al greco gusto. E che sìniil gusto ispi-
rasse ne' Romani l'ambizione di migliorar le invenzioni ri-
cevtite , appare manifestamente dalla cura che ebbero di
accrescere le voci nelle antiche corde ed i tuoni nelle tibie
prima formate con pochissimi fori, onde poterono emular
le trombe (i). Prova altresì l'introduzione della musica
nelle commedie il nome di Cantar, che si diede alla Ca-
terva istrionica , che nel finir del dramma congedava gli spet-
tatori secondo V istesso Orazio :
Tu quid ego et populus mecum desideret , audi ,
Si plausoris eges aulae manentis , et usque
Sessuri , donec cantar , vos PLAVDITE , dicat.
Quanto alle tragedie , svolgendosene le poche conser-
vate , si troverà nella Medea un epitalamio cantato per
le nozze di Giasone e Creusa , neìV Edipo auspicj ed e-
vocazioni di ombre , per tutto macchine e decorazioni ne-
gli scioglimenti , apparati nuziali, ingressi solenni, tutti or<-
namenti convenienti a' melodrammi. Tutte poi hanno Co-
ri cantati e ballati; e nelle favole che portano il nome di
(i) Orazio: • f or amine pauco
Sic enim fidibus voces crevere Aspirare et adesse, choris erat
sonoris, utilis. . .
Et tulit eloquiuin insolUum fa- . . . Postquam coepit agros ex-
cundia praeceps. tendere Victor,
Tìbia non ut nane orichalco Accessit numerisque modisque
juncta , tubaeque Ucentia major.
Mmula , sed tennis simpfexque
34 SlGNORELLI
Seneca i Cori sono sì ben collocati , che 11 dotto graiwa-
tico Bartolomeo Riccio per tal proprietà ed eccellenza li
reputava a' Cori de' Greci stessi superiori. Nulla dico
della saltazione che si ammirava nelle imitazioni mimiche
e pantomimiche. Basti accennare ciò che ne cantò Maniho
parlando di un eccellente pantomimo :
Omnis foriunae vuUum per TJiembra reducet ,
cogetque videre
Praeseniem Trojam^ Priamumque ante ora cadentejtij
Quodque aget , id credas , stupefactus imagine veri.
Di passaggio vi ricordo ancor le compagnie o colle-
gi liberi de' IVIimi mentovati nell' iscrizione lapidaria fatta
per Lucio Acilio archimimo della Tribù Pontina, che fio-
ri a' tempi di Marco Aurelio , e dalla città di Boville onora-
to venne del decurionato (i). In tali conservatorj si ag-
gregavano coloi'o che dedicavansi alla scena per apprende-
re a rappresentare , saltare ed esprimere con gesti , segni,
posizioni e con acconcia pronunziazione , i quali venivano
chiamati Adlecti Scenae. Non sono queste appunto le
parti che costituiscono il Melodramma? Adunque n'ebbe-
ro i Latini al pari de' Greci 1' effetto senza indicarlo col
nome.
(i) Si può Icggert: presso il Gmtero pag. loSg. , n, 6.
SISTEMA MEtóDRiXMATlCO 25
V.
Ma questo nome quando s' introdusse nella poesia
drammatica ? Bisogna che veggansi prima correre le pro-
vincie del Romano Impero precipitose dalla coltura alla
barbarie , sparir le arti cacciate in bando dalla desidia ,
dall' ignoranza e dalla corruzione , spuntar dalle reliquie
della Romana eloquenza novelli parlari corrotti , per varj
climi in fogge diverse abbigliati , vederne prima scappar
fuori i semi e scintillar qua e là le faville ^ se vogliamo
farci strada nelle novelle lingue a rintracciare il Melodramma.
Se dividiamo i componenti dal composto , dal tutto
le parti , nella tenebrosa mezzana età ritroveremo una scon-
ciatura musico-poetica , che dopo alcuni secoli ci condur-
rà al melodramma. Ma potremo a diritta ragione decorar
di tal nome le feste clericali e monastiche dette dell' ^^z-
7IO , del Bue ^ àe^' Innocenti , perchè si celebravano eoa
certo frastuono musicale chiamato canto , certa incondita e
sconnessa imitazione , una mascherata fantastica , una sal-
tazione goffa e pesante alla maniera de'kamtscadali senza
oggetto e senza altra norma che del capriccio, della gros-
solanità e di una buffoneria insipida ? Melodrammi chia-
meremo , perchè vi si cantava , il Ludus Imperaioris ,
et Papiensium , et Rheginensium , et Patriarchae cele-
bralo in Piacenza (i) , e V altro detto Ludus Paschalis
(i) Muratori Rer. Jtal. Script, t. XV.
T. ir. 4
26 SIGNORKLLI
de adventu et interitu Antichristi .} ovvero i monologhi
e dialoghi cantati dal provenzale Anselmo Taidits con la
moglie per la Provenza e per V Italia (i) ? Chiameremo
melodrammi per la stessa ragione le feste drammatiche del-
la Passione della Compagnia del Gonfalone istituita in Ro-
ma nel 1 264 j e non già intorno alla luce del Cinque-
cento , siccome fra gli altri precipitati suoi giudizj asserì
il sempre inesatto exgesuita spagnuolo Stefano Arteaga (2),
prendendo un granchio di circa trecento anni. Son da dir-
si melodrammi le rappresentazioni che si recitavano eoa
qualche pezzo musicale che interrompeva il rimanente ,
nelle fiere, per unirvi e trattenervi il concorso , dalle qua-
li i cherici le fecero passare in chiesa , dando loro titoli
di Vangeli , Misteri , Vite di Santi ?
Col principio adottato dal dottissimo Cav. Planelli nel-
r eccellente trattato delV opera i/i m^i5^ca , che qualunque
poesia facesse uso della musica , della meccanica e del bal-
lo dovesse passar per melodramma , egli ebbe per tali le
tragedie di Albertin Mussato da Padova appartenenti all'ap-
parir del secolo XIV. Si fondò sulle parole dello stesso
autore che scrisse essersi esse pronunciate cantilenarum
modulatione ^ con certa cantilena usata a que' di (3). Or
- (1) Si legga la poco esatta cale Italiano.
storia de' Poeti Provenzali del No- (3) Solere... amplissima Re-
stradamus. gum ducumque gesta. . ■ . va-
(2) Diasi un' occhiata alle di riis linguis. . . in vulgares trn-
lui Rivoluzioni sul Teatro musi- duci sermones , et in thealris
\
SISTEMA MELODRAMMATICO 27
questo ( e mei perdoni l'amistà che a lui mi stringeva ) a
me non sembra né sufficiente documento nò ben dedotto.
Perchè (potrebbe opporsi) se nel Bosco Parrasio o altrove re-
citasse taluno sonetti, canzoni, ballale, cantilenarum modu-
latìone, con quella cantilena che usar sogliono i seguaci di
Apollo , le chiameremo opere in musica ? E se mi si op-
ponesse che in tali lirici componimenti di rado o non mai
trovasi dialogo ed azione propria del teatro , io allora re-
plicherei, che dialogo ed azione e certe cantilene di tem-
po in tempo ebbero le di vote rappresentazioni del vesco-
vo fiorentino Giuhano Dati morto nel i44^? ^ pure niu-
no si avvisò di tenerle per melodrammi. Forse i Giuochi
di Carnevale di Alemagna che per relazione de' naziona-
li andavano recitandosi per le piazze e per le case con
qualche cantilena , rassomigliarono o si credette che ras-
somigliassero a' melodrammi ? Con tutto il titolo di Ca?i-
to Reale ì Parigini stimarono mal opere in musica i Mi-
Steri recitati da' fratelli della Passione sin dal i38o? Cer-
to dalle relazioni che se ne scrissero, e da quello che ne
raccontò il riputato Sig. di Fontenelle , né quegli attori
uè quegli altri che lor succedettero , pregiaronsi di saper
rappresentare in musica. Le mascherate , le cantilene e i
versi degli Amanti e degli Haravec , ossiano filosofi e poeti
Americani recitati al Sole nella festa Raimi : i versi canta-
ci pulpitis cantilenarum moda- tomo X degli Scrittori del medi*
lattone proferri. Nel di lui libro evo del Muratori.
IX de Gestìs Italicis presso il
28 SIGNORELLI
ti ne* tornei : quelli de' Mori ne' loro giuochi di canne ;
quelli degli Spagnuoli nelle loro conlradanze a cavallo en
las Parejas , o la musica de' loro dansantes accompagna-
ti de los gigantones y de la tarasca nella processione
del Corpus domini \ tutto ciò si chiamò mai sobriamen-
te melodramma a cagione della musica , della danza e del-
la decorazione ? E quando sulle tracce di Virgilio che dis-
se Arma virumque cano , incomincia Ariosto ad intuonare
Le donne , i cavalier , V arme e gli amori ,
Le cortesie , le audaci imprese io canto ,
ed il gran Torquato :
Canto V armi pietose e il Capitano^
per la cantilena con cui sogliono recitarsi gli epici poemi
sulle orme de' Greci Rapsodi e de' Latini Enniani , dire-
mo che si accingono a recitare un' opera in musica ?
Voi ben vedete , rispettabili amici e colleghi , che a
non volere stringere un'ombra per Giunone, converrà che
ìq simili prodotti poetici recitali con balli e decorazioni e
cantilene , o anche con canto vero ma interrotto dalla sem-
plice declamazione ad arbitrio e senza legge , altro ragio-
nevolmente non può riconoscersi se non se un cumulo di
puri semi per lo più mal accozzati , da' quali più tardi ger-
mogliò la magnifica pianta dell' opera in musica. Ma af-
finchè simili equivoci si evitino , fa uopo convenire in un
punto fisso che distingua il melodramma da ogni altra pro-
duzione drammatica. Occupiamcene nella Sezione seguente.
SISTEMA MELODRAMMATICO 29
SEZIONE SECONDA.
/, Qual distintivo essenziale caratterizza il melodranif
ma? II. Quali conseguenze produce siffatta necessa-
ria condizione ? III. Sì distingue il melodramma per
altro che pel canto continuato ? If^. Che cosa è per
noi sistema melodrammatico ?
I.
Qual distintivo essenziale caratterizza il melodram-
ma? Io son di avviso che col diffinirlo a aorma della Ra-
gion Poetica sparir debba qualunque falsa apparenza. Di-
ciamo dunque : Essere il melodramma un' azione sce-
nica compiuta , tutta e sempre animata da una musi-
ca, or parlante , or cantabile , dalla pr'iìna all'ultima pa-
rola , esposta con decorazioni e halli opportunamente
introdotte , ad oggetto di parlare a' sensi ed al cuore.
Quando diciamo azione compiuta , ben si compren-
de che esser debba di giusta estensione , quali si vollero
i drammi greci (1) , perchè abbia spazio da cominciare ,
progredire e terminare. Dicendosi che concorrono a ren-
derla magnifica decorazioni e balli , si addita che tender
debbe ad appagare e trattenere giocondamente i sensi. Ma
quale è la parte che più direttamente parlar debbe al cuo-
(i) Aristotele l' ayYCrte nel cap. 6. della Poetica,
3o SIGNORELU
re ? La poesia , quel linguaggio divino che alla musica con-
giunto assicura l'effetto della sua magia. E perchè mai s'in-
culca che la musica dal principio al fine V accompagni
senza interruzione ? E capricciosa o necessaria questa con-
dizione ? A pensar con fondamento e. regolarità essa sem-
brami indispensabile.
Ogni arte nell' imitar la natura sceglie un mezzo a se
proprio per conseguir si bel fine. La pittura adopra i co-
lori per ritrarla in una superficie : la scoltura la ricaccia
ne' solidi , non alterandone la tinta nativa : la danza am-
maestra e regola i passi , perchè obbedendo alla quantità
che ad essi s' industria d' ispirare , secondino l' agilità e la
grazia necessaria al leggiadro portamento del corpo : la mu-
sica per la durata e qualità de' tuoni tutto imita armonica-
mente ed appassiona : la poesia rendendo a' suoi voli le
arti e le immagini delle cose obbedienti , le ritrae colle pa-
role soggettate al metro. Che mostruosità sarebbe stata che
gì' illustri artisti Davide ed Errante formata avessero , V uno
in Parigi la tavola delle Sabine , 1' altro in Milano quel-
la delle Feste Caliste^ parte scolpita e parte colorita? Che
Canova e San-Marlino scolpissero per metà e per metà dipin-
gessero genere ed Adone ed il Cristo velato ? Che la mirabile
Delcaro , o la Gardel o la Taglioni in qualche a solo per
un pajo dì dozzine di battute danzassero e per altrettan-
te o nominassero o scrivessero i passi riserbati ad indicar-
si co' piedi? Che gli esimj maestri Paisiello o Palma o Hay-
den distendessero con note armoniose il piano di una sm-
fonia , e n' esprimessero 1' allegro per gesti pantomimici ?
SISTEMA MELODRAMMATICO 3l
Che Luca Antonio Pagnini o Vincenzo Monti o Angelo Ricci
verseggiassero una parie di un idllio ed un' altra ne det-
tassero in prosa o la segnassero con note musicali ? L' ar-
te adunque che non si vale con costanza de' proprj mez-
zi , degenera vergognosamente e distrugge se stessa.
E se ciò è vero , non sembrerebbe mostruosa del pa-
ri un' opera in musica per metà cantata e per metà re-
citata senza canto, cioè che la musica in un luogo si unis-
se alla poesia , ed in un altro si tacesse ? Simile sciope-
raggine non sarebbe diversa da un dramma Cinese , in cui
si parla e si canta alternativamente a seconda che dall' a-
raore o dall'estro musico venga l'autor rapito. Che sei
facciano pure nelle loro zarzuelas e Jbllas in poeti Spa-
gnuoli , e ne' loro vaudevilles e nelle operas comigues
i Francesi. Ciascuno può dare titolo di gusto alla propria
bizzarria. Ma che alcuni Italiani di ultima data sien cadu-
ti in slmil fanciullaggine è la più madornale delle stranez-
ze. Se essi avessero compreso il raro pregio del buon sen-
no regolatore della poesia scenica, si sarebbero attenuti co'no-
-strl vecchi scrittori a' grandi modelli Greci e Latini. Sov-
venendosi de' nostri compatriotti inventori del melodram-
ma , arrossirebbero al vedersi sì lontani da ciò che formò
la gloria di simil genere , dalla felice invenzione del Pari
di animar col canto i recitativi. Si accorgeranno allora della
dilficoltà di cadere in tuono per accordar la voce naturale
senza canto delle ultime parole del recitativo coU'intonazione
artificiale del canto dell'aria. E quando per se stessi veder
non potessero tutta la ridicolezza della novella stravaganza
Oli SIGNORELLI
idottata, ascohiiio almeno coloro che sanno ragionare , oltre
delle Alpi. Leggano nell'Enciclopedia, che è pure produzio-
ne oltramontana, che parlare e cantare alternativamente , è
far succedere W. falso alvero^ e poi tornare alfal&o. E forse
costoro che non conoscono giudizio alcuno che provenga dal
proprio fondo , contenti di pensare sur parole^ tornando
in se stessi , nelle opere musicali presa una volta per com-
pagna della poesia l' arte incantatrice della musica fonte
perenne di dolcezze e di grazie conosciuto e scoperto mer-^
ce degl' ingegni creatori della Grecia , vi si atterranno al-
la fine costantemente j sotto pena di rompere sconciamen-
te a loro danno e scorno il grato sapore , l' incanto , T esta-
si dell'illusione che rapisce e trasporta dovuncjue gli ascol-
tatori.
Non pertanto per prevenire qualche dubbio che in-
sorger potesse , vuoisi avvertire che gli uomini , i quali nel
trattar le proprie faccende parlano senza misurar le sillabe,
in teatro ascoltano senza meravigharsene gli attori che
parlano in versi né mostrano di accorgersene, per certa
tacita convenzione passata tra loro ( a quel che da gran
tempo ne pensai e ne scrissi (i) ) per la quale conside-
rano i versi come naturai favella del luogo dell' azione.
Or che può muoverci a mischiar favella e poesia ? Senza
dubbio neir opera in musica per la stessa convenzione tea-
(i) Può vedersene la Storia, anche il discorso sul Saggio a-
critica de' Teatri nel tom.. III. pologetico del Lampillas , che pub-
dalia pag. 3oi. sino al fine ; ed blicai nel 1782.
SISTEMA MELODRAMMATICO 33
irale il canto si considera come semplice linguaggio , e si
ascolta senza stupore che gli eroi si adirino , preghino ,
sospirino cantando. Ma se in essa or si parlasse come si
fa nella propria casa , or si cantasse , questa incostanza,
questa scempiaggine, fomentata dagl'idioti, distruggerebbe
la convenzione , e renderebbe incredibile ed amfibio il
componiraento.
II.
E quali conseguenze produce siffatta necessaria
convenzione di un canto non inierroito ? Ecco quelle
che io ne deduco j vedrete voi s' io al vero mi apponga.
In prima , secondochè accennammo, tutte le feste sa-
cre e profane de' bassi tempi , nelle quali la poesia si con-
giunga alla musica, ed obblighi 1' attore a saltare e cantare
per intervalli , e la discacci nel rimanente, dissipando con
r interrompimento l' illusione , non mai si classificheranno
tra' melodrammi.
2. La festa del 1489 data dal tortonese Bergonzo
Botta nelle nozze d' Isabella di Aragona con Gio. Ga-
leazzo Sforza di Milano , ricevendo gì' illustri sposi in sua
casa, sorprese l' Europa per la magnificenza , campeggian-
dovi fastosamente la poesia , la musica, la danza e la mec-
canica. Ma gli autori della prelodata Enciclopedia nell'ar-
ticolo Danse credettero potervi raffigurare l'origine delle
opere in musica 5 ed il Cav. Antonio Planelli da essi non
per altro discordò se non perchè non parvegli questa fe-
T. IV. 5
34 SIGNORELLI
Sta il primo spettacolo musico-poetico. Dalla descrizione
di essa però risulta che le arti imitative, che vi si ammi-
rarono , lungi dal formarne un solo spettacolo, presenta-
rono agli astanti un grato complesso di varj esercizj sen-
za altra connessione che quella di contribuire alla gioja
comune colla varietà j e se la poesia in alcuna parte si tro-
vò dalla musica animata, fu in qualche passo cantabile o
solo o concertato senza costituire colle altre arti un tutto
da chiamarsi uno. La festa dunque del Botta fu un trat-
tenimento moltiforme di più arti concorse a festeggiar con
profusione di splendidezza la presenza di quella coppia rea-
le. E forse non ne abbiamo noi domestici esempj e recenti ?
Or chiamereste voi opere in musica siffatte feste, le
quali se si confrontino con quella di Bei'gonzo Botta , si
vedrà che esse tanto rassomigliano fra loro , quanto dal
melodramma si allontanano ?
Chi ne fosse curioso , potrà leggerne il racconto nel-
le storie del Corio. È vero che più volte di tal festa a' no-
stri giorni si è favellato, ma per lo più con errori. Imperoc-
ché ( oltre del giudizio non ben fondato degli enciclopedisti
e del Planelli ) il Bettinelli mostrò di non saperne fissar
r epoca, dicendo che si diede dopo del 1480, e l' Arteaga
la credette celebrata verso la fine del 1400, cioè ottan-
nove anni prima (t).
(i) Chi volesse discolparlo trocento. Ma la sua espressione
di SI grande anacronismo, polreb- verso la fine del liflQ significa
be dire die egli avesse voluto in- versola fine dell'anno i4oo , e
tendere verso la fine del quat- non già del secolo XV.
SISTEMA MELODRAMMATICO 35
3. Non inai i componimenti Napoletani cìcir insi-
gne nostro Giacomo Sannazzaro detti Gliuommere chia-
maronsi sobriamente monumento antico della comm-edia
huffa rìmata messa in musica , siccome con ridevole ca-
priccio volle avventurare nell' opuscolo del dialetto Napo-
letano il nostro amico monsignore Ferdinando Galiani, se
pure ne sia stato egli 1' autore.
4* conseguenza. Con uguale arbitraria asserzione il
Volpi, e l'Annotatore alla fz^a del Sannazzaro, e lo stes-
se autore del dialetto Napoletano , ed Antonio Planelli,
lutti gettarono giù senza pensarvi gran fatto , che V altro
componimento del Sannazzaro composto nella Corte di Na-
poli l'anno 1492 per la j^resa di Granata, fosse melo-
dramma e farsa in musica. A troppo chiare note si tro-
vò notato nel manoscritto (che Matteo Egizio ottenne dal
Duca di Flumari e si stampò) che non ebbevi né suono
né canto per centottantatre versi de' dugentoquarantotto
che nel componimento se ne contano. Anzi si avvertì che
i personaggi introdotti parlavano , non cantavano. La
sola Letizia nel suo monologo di sessantacinque versi can-
tò (come vi si scrisse) un aria , la quale però né an-
che vi s' impresse , accompagnandosi ella stessa colla vio-
la , mentre tre altre sue compagne sonavano la rebecca ,
il flauto e la cornamusa. Adunque de* 1148 versi del poe-
ta non se ne cantò neppure uno. Or come la dichiararo-
no farsa in musica ? Aggiungasi che il ballo si eseguì
dagli astanti (non dagli attori), tra' quali trovossi il pria-
36 SIGNORELLI
ti|>e di Capila mascherato da pazzo (i). Ora un ballo de-
gli spettatori e 248 versi non cantati a verun patto saran-
no a giusta ragione un componimento da registrarsi traile
opere ia musica ?
Conseguenza 5. Meno lontana dalle opere fu la pa-
storale tragica di Angelo Poliziano intitolata V Orfeo, per-
chè vi s' introdussero decorazioni e macchine sorpren-
denti. Ma |>erchè non vi si mentovano balli, né altra mu-
sica venne in soccorso della poesia ad eccezione di quel-
la de' Cori e di alcuno squarcio delle scene di Orfeo che
ne suppone il canto , così non può in conto veruno ram-
mentarsi tra' melodrammi.
6. Tutte le pastorali (invenzione pretta Italiana,
come sapete, ignota a' Greci, a' Latini , ed anche agli Ol-
tramontani prima dell' Egle , dell' Aminta e del Sacrifi-
cio ) le quali altro non ebbero che i Cori destinati a can-
tarsi, sono senza dubbio escluse ancora dalle opere in
musica.
7. Tutte le tragedie cominciando dalle già riferite
del Mussato differiscono dal melodramma , non bastando
per dichiararle tali né il canto de' Cori né la cantilena o
declamazione degli altri versi. Né dalla classe delle trage-
die vuoisi escludere quel dramma che Giovanni Solpizio
da Veroli sotto il pontificato d' Innocenzo Vili fé rappre-
(i) Può vedersi ciò che ne della Coltura delle Sicilie.
dissi nel tom. Ili delle vicende
SISTEMA MELODRAMMATICO. 3"]
sentare la i)rinia volta iu Roma (i). Pietro Bayle, citan-
do il Menesli'ier , afiermò che quella tragedia si cantò co-
me un' opera musicale di oggidì j e ne convenne anche il
Planelli fondandosi sulle parole del Sulpizio, tragoediam
qaam nos agere et cantare primi hoc aevo docidmus.
Egli si valse dell' espressione di Orazio ,
Quae canerent agerentque peruncti fecibus ora.
Ma che debba intendersi per cantare non bene appari-
sce (2). Certo è che Sulpizio tenne in Roma scuola di
belle lettere e non di musica. Or come potremo dire che
fosse un canto effettivo che la poesia di quel dramma ac-
compagnasse , come pretesero su di un barlume asserire
Meneslrier, Bayle e Planelli ? Egli al più potè insegnare a
declamarlo , ad esempio del nostro Pomponio Leto che lo
precede colle commedie latine , non già a cantarla alla
maniera delle opere in musica moderne.
8, conseguenza. 11 dramma sacro del magnifico Lo-
renzo de' Medici San Giovanni e Paolo a torto dal me-
desimo Planelli si contò traile opere in musica , giacché
se ne recitò con musica soltanto qualche squarcio. Ciò si
comprova colla citazione stessa addotta dal Planelli , ia
cui inculcandosi il silenzio si dice :
(i) Se ne ha la notizia dal- (2) Sulle citate parole del
la di lui dedicatoria , diretta al Sulpizio parlammo nel tom. Ili
cardinal Riario, delle di lui Note della storia crìtica de teatri.
sopra Vitnivio.
38 SIGNORELLI
Sènza, tumulto sian le genti chete ,
Massimamente poi quanto si canta.
Adunque tutto si recitava semplicemente e solo al-
cuna volta si cantava. Ma in simil guisa in più secoli si
sono rappresentate tragedie , pastorali, ed anche comme-
die iu prosa , come quelle degl' Intronati di Siena, e nin-
na ha mai avuto luogo ne' melodrammi.
Conchiudiamo adunque che se melodramma è quel-
lo , in cui la musica è sempre congiunta alla poesia , si
escluderanno dalla classe che ad esso conviene, anche i dram-
mi della Guidiccioni con qualunque altro , nel quale tal-
volta ma non sempre si canta e si suoni j ed in essa clas-
se si ammetteranno soltanto i drammi rappresentati verso
gli ultimi tre anni del secolo XVI , ne' quali lavorarono
Orazio Vecchi ed Ottavio Rinuccini poeti , e Giacomo
Peri , e Claudio Monteverde compositori musici.
Il piacere che dava la musica ne' Cori delle pastorali
e tragedie , suggerì fuor di dubbio a siffatti amici delle
Muse r idea di un nuovo dramma diverso da' precedenti
per certe leggi a se proprie. II pritno a darne un saggio,
secondo Lodovico Muratori , fu il modanese Orazio Vec-
chi poeta e compositore di musica , il quale nel 1597 fé
rappresentar cantando alle maschere lombarde, cioè al Pan-
talone , al Dottore , al Brighella , all' Arlecchino , il suo
Anfiparnaso , nel quale uni la musica a tutta la poesia
senza interruzione , e lo pubblicò per le stampe in Vene-
zia corredato di note musicali.
SISTEMA MELODRAMMATICO 3q
Dall' altra parte Ottavio Rinuccini in quell' anno sles-
so produsse la Dafne, e tre anni dopo nel iGooV Euri-
dice cantata per le nozze di Maria Medici con Errico IV.
La musica di que' drammi si compose da Giacomo Peri, a
cui si dee l'invenzione del recifaiiVo dell' opera che pri-
ma di lui non si conobbe (i). Claudio Monteverde fece
la musica all' Aretusa altro melodramma del Rinuccini.
Essi riescirono compiutamente. L' opera in musica si ac-
colse con avidità in Italia ed oltramonii, ed il secolo XVII
fu r epoca del suo trionfo.
Voi , illustri colleghi che ve ne sovvenite, come dota-
ti di penetrazione e di gusto , subito correrete col pensie-
ro a' molti difetti che accompagnarono i melodrammi di
quel secolo , ed alle correzioni che in buona parte se ne
fecero nel seguente. Ed anch' io che pur sono a voi di
tanto inferiore , non tardai ad avvedermene j e dimorando
in Madrid non pago appieno del lavoro dell' Arteaga sul
teatro musicale Itahano , mi accinsi a disviluppare il mio
sistema melodrammatico. Già ne intendeste altra volta il
destino j soffrite la continuazione della mia cicalata nell' ozio
presente. Proseguirò con osservare in prima, se altro di-
stintivo , come altri ha preteso , sia da ammettersi nel
melodramma j aggi ugnerò poscia che cosa io intenda per
sistema melodrammatico.
(i) Si vegga il iS'rtg'g/o sul- Francesco Al garoHi.
r opera in musica del celebre
4o SIGNORELLI
III.
Si distingue il melodramma per altro che per canto
continuato ? Per mio avviso il melodramma eroico o co-
mico non si dislingue dalla tragedia o commedia se non
per la musica costante che per propria natura richiede dal
principio al fine. Imperocché gli altri requisiti di proprie-
tà d'imitazione, di unità di disegno e d' interesse, di re-
golarità prescritta dal verisimile , ninna differenza essen-
ziale relativamente tra loro interpongono da tenerne conto.
Tuttavolta il dotto Cav. Planelli asserì nel prelodato
suo trattato sin dal 1772 esser 1' opera in musica un dram-
ma tragico , e le proprie regole del patetico esser le me-
desime che quelle della tragedia , ad eccezione di poche
Tnutazioni fatte pel solo dramma musicale. E queste mu-
tazioni fé consistere in cinque punti che io riferii in una
nota apposta al sesto volume della Storia de Teatri nel-
la pagina 278 dell'edizione napoletana in sei volumi, e
che all'Arteaga piacque di ripetere come propria osserva-
zione nel suo libro. Questi punti sono: unità di luogo,
esito tristo o lieto della favola^ carattere del protago-
nista , numero di atti , e verso tragico. Sostenni sin
dal 1783, e ripeto al presente, che niuno di questi cin-
que punti pone una differenza essenziale tra 1' opera eroi-
ca e la tragedia. Nel ripetere però questa mia discrepan-
za dal sentir dell'eruditissimo autore, non intendo esa-
minare , se le tragedie siano da preferirsi o posporsi a' mo-
SISTEMA MELODRAMMATICO 4*
derni melodrammi. Mi restringo a provare che siffalti pun-
ti non rendono quelle da questi differenti.
I tragici antichi ( disse il Planelli ) erano severissimi
osservatori dell' unità del luogo j i melodrammatici mutano
spesso la scena. E però legge o arbitrio la mutazione del-
la scena nel melodramma ? Se taluno s' in talentasse di i-
dearne uno con scena stabile commetterebbe un errore , cà-
derebbe in un delitto ? Si figuri che suU' Olimpo nella reg-
gia di Giove si convocasse un Concilio degli Dei o per
decidere del destino di un regno , o per celebrare la na-
scita di un eroe , le nozze di due germi reali , le vittorie
di un conquistatore : quando ciò si rappresentasse con in-
teresse , e si eseguisse con isfoggio di decorazioni atto a
trattenere con diletto i sensi , sarebbe un difetto disdice-
Vble a tal festa il non cambiarsi la scena ? Dall' altra par-
te i tragici moderni , quando rappresentano in diversi luo-
ghi di una stessa città un'azione coli' adoperarvi una tela
dipinta che si abbassi o s' innalzi , fanno altra cosa che
mutar la scena ? // Orfano della China , il Maometto ,
la Zaira , non usano lo stesso espediente per mostrar la
parte dell' azione che altrimenti non si mostrerebbe allo
spettatore ? Adunque ninna differenza pone tra la tragedia
e r opera eroica l'unità o la mutazione del luogo. Quan-
to alia pratica degli antichi non può venire in confronto
con la nostra, In primo perchè ninna differenza gli erudi-
ti osservano traile antiche tragedie ed i melodrammi , giac-
ché allora quelle cantavansi interamente come questi oggi
si .cantano. E quando ciò fosse tuttavia problematico, trop-
T. ir. 6
A'Z SIGNORELLI
pa distanza notasi tra' nostri tempi e quelli di Alene e di
Roma. Che mai parrebbe in faccia a' più piccioli teatri an-
tichi, p. e. a cfuelli di Mitilene , o di Marcello , i quali
a gran pena contenevano intorno a ventiduemila persone,
U nostro Gran Teatro San-Carlo , o quello di Torino , o di
Parma ancora erettovi da'Francesi? Da questa enorme disugua-
glianza deriva la necessità che noi abbiamo di cambiar la scena,
che gli antichi non aveano. L^ unità del luogo ( se V avessero
essi mai predicata ovvero osservata siccome immaginò il Pla-
nelìi , benché gli antichi scrittori non V ebbero punto in
mente ) non sarebbe stata effetto di rigore e di esalta
regolarità , ma conseguenza della vastità de' loro teatri ,
a' quali talvolta assistettero sino ad ottantamila spettatori. Una
scena immensa avea ben ampio campo di render visibili
agli spettatori e praticabili agli attori più di un sito, sen-
za che una parte di questi potesse avvedersi dell' altra ove
l'azione l'esigesse. Ciò senza risalire venti secoli indietro
si è dimostrato felicemente eseguibile sotto gli occhi nostri
in Napoli dal fu Domenico Barone marchese di Liveri più
volte. Ed io osai praticarlo in una scena fissa che imina-
ginai a bella posta per la mia Faustina coronata in Par-
ma liei concorso del Ij88. SimiH teatri dileguano subito
ogni timor panico per gì' inconvenienti che il Planelli sup-
poneva che nascer potessero dall' unità del luogo che cre-
dette dagli antichi osservata. Ma quando pure siffatti in-
convenienti vi si potessero notare , non avrebbero potuto
gli antichi agevolmente evitarli colle mutazioni di scena
come i moderni^ fanno ? Il dotto Planelli ignorar non pò-
SISTEMA MELODRAMMATICO ^Ù
teva che la scena greca diveniva secondo il bisogno tra-
gica , comica e satirica : che la scena latina fu da' Lu-
culli rendala versatile : che agli antichi non mancò Var^
te di cambiarla prontamente ; che Virgilio nel III libro
delle Georgiclie cantò,
V^el scena ut versis discedat Jrontihus (i) ,
onde appare che finito un dramma si mutava la scena al-
la vista dello spettatore per cominciare un altro. Adunque
gli anticlù non ignoravano la guisa di cambiar la scena e
r unità del luogo né anche a fronte della tragedia antica
distingue il melodramma.
Passando al secondo punto , domandiamo : E alla tra-
gedia essenziale 1' esito tristo e al melodramma il lieto ?
No certo. Il Cresfonte di Euripide senza dubbio di lieto
fine pel pubblico bene della Messenia e per la real fami-
glia degli Epi lidi, lodato da Aristotele come una delle più
eccellenti tragedie e riferito con trasporto dal sobrio filo-
sofo Plutarco, ed il Catone in litica del Metastasio di
tristo fine , sono forse esclusi il primo dalle tragedie e 1* ul-
timo da' melodrammi? Adunque il fine tristo o lieto può
convenire ad entrambi senza sconcio , e tra loro non gli
distingue.
Il carattere del protagonisti ( terzo punto di dif-
ferenza secon do il Planelli ) richiesto o consigliato da A-
ristotele per ottenerne T effetto tragico , cioè non del tut-
(i) L' islesso verso citò il Metastasio nell' eccellente £'i'^^.'z '-
Planelli nel bel suo trattato , e to della Poetica di Jrislotele,
44 SIGNORELLT
to virtuoso ma con eccezioni, è forse sì proprio della tra-
gedia che venga escluso dal melodramma , che al parer
del Planelli esser dee sempre perfettamente buono ? Ma
un carattere p. e. come l'Adriano mancatore di fede ed
incostante, è pienamente vii'tuoso? No certamente , e pu-
re figura senza sconcio nell'opera musicale. 1^' Achilìe in
Sciro travestito da donzella, insidiatore e seduttore di una
principessa reale, ha forse luogo nel melodramma perchè
virtuoso al pari di Senocrate ? Semiramide che seppe far-
si regina degli Assiri certamente non a forza di probità e
virtù , e vi si conservò tenendo imprigionato il figlio , ben-
ché condotta dal Metastasio con arte somma , pur si pre-
senta soggetta ad una polente passione , e non si dipinge
pienamente virtuosa. Figura intanto questo personaggio fa-
moso da protagonista nelle tragedie ugualmente che ne' me-
lodrammi.
Né il numero di ire atti è talmente al melodramma
necessario che lo faccia differire dalla tragedia. Non abbiamo
forse melodrammi di due parti o atti? h' Atenaide com-
piuto melodramma del Metastasio non è, diviso in due at-
ti? Ne hanno più di due gli Oratorj ^ e \e Feste teatra-
li dello Zeno e del Metastasio e del Ravlzza ? E mentre
abbiamo un numero indicibile di opere in musica di tre-
aiti , non ne abbiamo varie di quattro ? I melodrammi di Qui-
nault e diLuUi non contano cinque atti come le tragedie ? Dal-
l'altra parte scevero che la tragedia antica non si divideva
in fitti se non col venire avanti al proscenio il Coro per
cantare ( essendosi stabilito per canone che V esodo aves-
SISTEMA MELODRAMMATICO ^6
se luogo quando ogni canto del Coro era cessato ) non
possiamo fondarci nella regola Oraziana da lui stabilita sul-
r uso del teatro Romano che gli atti né fossero meno di
cinque né gli eccedessero. Io ho qualche volta notato nel-
le tragedie greclie ora più ed ora meno di quattro uscite
del Coro (i). Che se ci volgiamo alla tragedia moderna ,
varie se ne troveranno e di tre atti , come il Socrate u-
scito in Francia , e V Ecuba di Giacinto Ceruti , e di quat-
tro alti come 1' Arminio à' Ippolito Pindemonte. Oltre a
ciò si potrebbero per corollario additare diverse tragedie
( non escluse alcune del celebre Vittorio Alfieri ) nelle quali
per compiersi il ninnerò di cinque atti si è caduto in ac-
cozzarne ora un quarto ora un quinto con pura borra.
Ninna differenza dunque mette il numero degli atti
tra il melodramma e la tragedia.
Resta il verso tragico allegato per q'uinta differenza
dal Planelli. La tragedia , egli dice , non ama mesco-
ianza di versi , ed il melodramma V amm.ette. Sì be-
ne , il melodramma ammette un recitativo di versi di un-
dici sillabe e di sette , e molte arie in diversi metri. Ma
questa mescolanza stessa il Planelli non ignaro del greco
idioma dovea trovar nelle antiche tragedie. Non mescola-
(i) Ne adduce qui un solo ro possono essere sei , e coniin-
«setnpio dell' Ifigenia in Aulide ciarc il sesto dalle parole «ycTf
}^ià notato nella storia de' teatri /jls ovvero dal racconto del nunzio;
nel tomo I. pag. 102. Gli alti ed il quinto terminerebbe col canto
culla regola delie uscite del Co- t» , ii , tSs'ids.
46 SIGNOREILI
rono , è vero , i tragici Greci e Latini i giambici con gli
esametri riserbati all'Epopea , ma non si astennero dall' u-
sar negli episodj dimelri , trimetri , tetrametri , e questi
ora acatalelti ed ora cataletti. Non si veggono più volte
ne' personaggi cangiati i giambi in trochei ed anapesti spe-
cialmente neir espressioni di dolore ? Il Coro parlante co'
personaggi non canta versi della misura generale delle sce-
ne? Allorché è cantante non si vale di una misura più cor-
ta nelle strofe , antistrofe ed epodi ? E gli attori non can-
tano talvolta anch' essi in queste ? Ed esse non rassomi-
gliano perfettamente alle arie della nostra opera in musi-
ca (i) ? Che se poi si voglia gettare un guardo a' moder-
ni tragici Italiani , troveremo , è vero , che in generale si
è adoperato il verso sciolto endecasillabo senza mescolan-
za veruna , come si vede nel Torrismondo di Torquato,
e nella Semiramide del Manfredi j ma lo troveremo an-
che spesso usato misto ad arbitrio col settenario come nel-
la Sofonisba del Trissino , nell' Aristodemo del Dottori,
nel Solimano del Cenarelli, nella Cleopatra del Delfino.
Non si trova adunque vera l'asserzione che i tragici non
aveano mescolanza verima di versi. .
(e) Non adduco i passi stes- vero dare un'occhiata , se non
si de' tragici antichi a voi assai al Castelvetro nell' esposizione dei-
più che a me noti , per non le- la Poetica di Aiistotele , all' E-
diai-vi su ciò di vantaggio. Basta strutto citato dello stesso, fatto dal
svolgere per poco qualuiique de' Metastasio.
grandi tragiri della Grecia , oy-
SISTEMA MELODRAMMATICO 4?
Adunque altra caralteiistica non rimane che decisiva-
mente distingua il melodramma dalla tragedia , come pro-
vammo , se non che il canto in quello continuato dalla
pvima parola. Ma è tempo di vedere che cosa sia un si-
stema melodrammatico , e quali specie esso comprenda.
IV.
Che cosa è -per noi sistema melodj'ammatico 1 O-
gni arte imitatrice lavora sul vero innestandovi la finzio-
ne (i) , e da sì geniale innesto provengono opere di spe-
cie diflerenti in un medesimo genere secondo gli oggetti
che prendono ad imitare. L' adattale un carattere ragiona-
to alle specie che ne risultano , è quello che chiamo si-
stema 5 e questo abbisogna di una norma per influire sul-
le arti e per agire senza traviare dietro le tracce del bel-
lo a cui aspira.
Il melodramma è uno de' generi poetici che contiene
varie specie alle quali è necessario un sistema. Ma prima
di venire ad indicarle, fa mestieri occuparci delinodo con
cui la musica e la poesia si congiungono , per rilevar-
ne in seguito la parte che ciascuna di queste arti contri-
buisce a produrre V effetto che si attende da tutte le spe-
cie e dal sistema che le raccoglie e le governa.
(i) Orazio l'espresse con un sint proxima veris.
veioo Fida voluptatis caussa
/j8 SIGNORELLI
Mi si domanderà : w La musica si accoppia alla poesia nel
)j melodramma per servire o per comandare ? » Domanderò
anch' io alla mia volta : m L' attore chiamato a rappresen-
M lare in un dramma viene a comandare o a servire al
» poeta? j> La musica è appunto un attore rapporto alla
poesia. Il poeta inventa l'azione , ne crea i personaggi ,
ispira loro pensieri , abitudini , sentimenti e passioni atte
a conseguire il fine che si prefisse. L' attore è in obbligo
di trasformarsi nel personaggio che prende ad imitare , e
di prestargli il proprio fiato e tutto se stesso. Il composi-
tore musico è invitato a comunicare a quel fiato tal for-
za , arte e melodia che le parole esigono , perchè il poe-
ta agevolmente ottenga l' intento di commuovere , istruire
e dilettare. Di grazia potrebbe l' attore esigere che il poe-
ta servisse alla di lui idoneità e alle inflessioni della sua
voce ? Potrebbe il compositore musico esigere che il crea-
tore del tutto scenico secondasse più 1 voli armonici della
parte a lui unita che il bisogno della propria invenzione?
Tocca alla musica ad internarsi nello spirito della poetica
invenzione per esprimerla con forza, grazia e naturalezza,
e non mai pretender si dee che la poesia s'inceppi e sog-
getti il proprio estro all'arbitrio della musica. Parrebbe giu-
sto che im poeta per comporre un' opera ricorresse al cem-
balo di un maestro musico, ne ascoltasse una sonata qua-
lunque, ed a seconda che essa indicasse dolore , disdegno,
allegrezza , egli gisse snocciolando versi tristi , impetuosi o
festevoli , riserbandosi per ultimo lavoro 1' appiccarvi im
})iano? Non sarebbe manifesta ridicolezza che nascesse pri-
SISTEMA MELODRAMMATTCO 49
Ina r espressione musica , indi la poetica e 1* azione ? Ciò
sarebbe appunto costruir V edificio cominciando dal tetto,
ovvero adattar V uomo alla veste in vece della veste al-
l' uomo. Ora questa appunto è la medesima stravaganza
solenne che pretende insinuare chi stabiUsce che la poesia
debba alla musica servirle.
Voi però , Accademici prestanti , fissando nel mio vi-
so gli sguardi , mostrate stupore , perchè io suppongo nel-
la musica una pretensione , un orgoglio che né può a vo-
stro intendere né dee saltare iu testa a veruno, di dover
essa dar legge alla poesia ! Ma no j non sono io che ciò
suppongo j bensì dietro ad una caterva di maestri e poco
istrutti e poco capaci di esserlo , i quali vorrebbero per
proprio commodo che il poeta indovinasse gli angusti li-
xnili del loro armonico talento e servisse alla loro pover-
tà j dietro , dico , a siffatta turba il prenominato ex gesuita
'Arteaga insinuò e sostenne col soUto suo fasto che la poe-
sia esser dehha la schiava della musica (i). Ma que-
sto autore che per lo più ebbe in costume di trascrivere
gran parte de' materiali del suo libro dal dizionaì'io del-
l' Enciclopedia , trasse dall' articolo Poema Lirico ( inte-
so in senso francese per musicale ) parimente questa cu-
riosa dottrina. Dicesi dunque nel nominato articolo che »
il poeta lirico dee sottoporsi al musico, m Ma non è for-
tìe il poeta quello che scegUe , dispone ed ordina il raelo-
(i) Si regga il tomo II del- sicalQ Italiano.
le sue rivoluzioni sul teatro mu-
T. IV. 1
5o SIGNORELLf
dramma? Non è il poeta che soffia l'anima ne' personag-
gi che infanta , dà forma , moto e colori a 'caratteri, e sug-
gerisce al compositore musico ed a' cantori la vivacità cor-
rispondente alle passioni ? Or qual tiranno può cpmanda-
re che l'inventor del tutto nel più interessante , nell'espres-
sione , abbandoni il proprio lavoro ad uno straniero che
ignora le molle della sua macchina ? Pure è così. 11 mu-
sico per proprio commodo vuol dominare e piacere unica-
mente in qualità di musico. Non può entrargU in testa ( e
ben se ne querelò il filosofo fornito di gusto Francesco
Algarotti)che il maggior effetto della musica proviene dal-
l' esser^ ministra ed ausiliaria della poesia. L' energia
armonica ricever dee la quantità , la verità e la graduazio-
ne dall'anima dello spettacolo '.^ e l'anima dello spetta-
colo è l'estro sovrumano che regola i voli e gli slanci del
poeta. Quando la musica (^òisse egregiamente Pietro Me-
tastasio ) aspira nel dramma alle prime parti in con-
corso della poesia , distrugge questa e se stessa (i).
Mi dirà r autore dell' articolo enciclopedico che il me-
lodramma esser dee rapido:, benissimo : che ogni scena
dee presentare una situazione ; ancor meglio : che la ne-
cessaria celerità verso lo scioglimento non dee essere ar^
restata dallo stile del poeta -^ niente dì più giusto. Ma a tut-
to ciò ottenere che può giovare il dominio della musica
sulla poesia? Dite sì bene che la poesia non perda il suo
(i) Lettera de' i5 di Luglio Londra.
1765 al cav. de Chastellux a
I
SISTEMA MELODRAMMATICO 5l
fine, che vi si conduca per mezzi alti ad interessare, che
non tradisca se stessa , dite ciò ed io concorrerò con voi.
Dite in oltre die i! poeta abbia cura d'impastar colori tali
poetici che eccitino l'entusiasmo del compositore musico
ad esprimerli ancor ])iii vivamente con i suoi modi j ag-
giugnete che in contemplazione della musica il poeta met-
ta in opera lo immagini più sensibili , più vive , le passio-
ni più risentite, per fuggire ogni languore;, che abbia per
la musica que' riguardi che la naturai semplice pronunzia-
zione non esige; ed in tutto ciò saremo perfettamente d'ac-
cordo. Ma convenite meco in confessare che altra cosa è
l'esortare un poeta a secondare il genio musicale,, ed al-
tra il prescrivere che la poesia , fatta per chi sortì sommo
ingegno, mente divina e magniloquenza , atta a tutto espri-
mere e particolareggiare , esser debba la schiava di una
sua ausiliatrice limitata ad imitar genericamente, ed inca-
pace senza la parola a manifestare a chi ascolta chi , co-
me, quanto, perchè e quando il personaggio imitato ge-
ma , o tripudii , o si adiri. Sonata che vuoi tu dirmi
( chiede il filosofo e chiunque ascolti )? Sono le parole quel-
le che sole sanno trasportare dal cembalo o dal teatro l'og-
getto delle tue espressioni. Tu potente melodia, possiedi
una lingua generale , fuor di dubbio , la quale s' intende
in ogni clima , la quale alletta il selvaggio ed il barbaro
al pari quasi del cullo, la quale scuote sino gli esseri ir-
rngionevoli ; ciò è ben vero. Ma la tua hngua generale non
j)uo palesare la sorgente e le conseguenze dell'ira di A-
chille e della pietà di Enea , se la poesia non me '1 dice.
52 SIGNORELLI
Al contrario non ha questa verun bisogno d' interpetre j
basta a se stessa per commuovernù , por tutto farmi oom-
jirendere , per rapirmi con dolcissimo incanto sotto le mu-
ra di Troja , o nella reggia di Cartagine , o nelle sponde
latine. Quali presidj non trasser dal grande alunno de'Gre-
ci e del Gravina i compositori musici ed i cantori doci-
li ? h' Olimpìade , il Tito , il Ciro , V Attilio , il De-
mofoonte , il Temistocle , la Zienóbia , si sono rappresen-
tati quasi per un secolo intero , e leggonsi per tutto , ed
incantano sempre , senza altra musica che la poetica. Cia-
scuno de' nominati drammi si espresse in luoglii diversi col-
la musica almeno di cinque o sei grandi compositori , e
tutti dal più al meno si accolsero con trasporto e diletto.
Sapete voi , colleghi , qualche musica che abbia sostenuto
un pessimo dramma per lungo tempo ? L' eccellente mu-
sica del riputato Paisiello potè far tollerare o ripetere T El-
vira di Calzabigi? La musica , almeno non nojosa, dello spa-
gnuolo Hita in Madrid potè preservare dalle fischiate so-
nore la pessima Briseida di Ramon la Cruz conosciuto co-
là col soprannome del poetillo ? Ma Ati ed Armida del
Quinaut colla musica del Lulli piacquero , nel secolo se-
guente piacquero ancor con nuova musica , leggonsi oggi
e piacciono pure senza cantarsi.
SISTEMA MELODRAMMATICO 53
SEZIONE TERZA.
/. Quali specie comprende il sistema jnelodrammaiico?
II. Quale è il piacere che dalla poesia attendono
i sensi , e quale il cuore ? ///. Quale è il piacere
che dalla musica attendono i sensi , e quale il cuo-
re? IV. Quale è il piacere ., che attendono i sensi,
e quale il cuore .^ dalla pronunziazione , dalla dan-
za e dall' appartato ?
I.
Quali specie comprende il sistema melodrammati-
co? Dagli oggetti che formano 1' occupazione del poeta ,
ben si deducono le specie diverse de' melodrammi a noi
noti. Mirando il poeta lo spettacolo della natura si riem-
pie della varietà delle di lei produzioni, e da tutte, facen-
done sangue, tira colori per le proprie tele. Allorché al tear-
tro egli si addice , studia i suoi simili , e s' ingegna di contraf-
farli ne' grandi e ne' minuti avvenimenti , nel contrasto de' co-
stumi e ne' trasporti degli appetiti. Tutto ciò egli contem-
pla come storia , e le favole stesse dell' antichità Greca ,
Latina e Barbara , e gli Annali Cinesi e le serie de' re E-
giziani che da esse favole non vanno molto lontane , ed
i Silfi , i Gnomi e i Vampiri e le Fate e gì' Incantatori
Orientali, lutto egli considera come fatti, e tutto accen-
de in lui queir ardore o furore od estro che dir si voglia,
j4 signorelli
che lo trasporta a mandar fuori i suoi cantici da proferir-
si sulla scena musicale.
Allorché da' semi ovvero elementi riferiti nacquero i
prinji melodrammi , le favole preponderarono alle istoriche
gesta 5 ed il primo melodramma che si cantò in Italia (u
Mitologico. Venne così chiamato dall'uso che si fece del-
l' antica mitologia fondata sulle gentili deità create dalla
credulità e dal timore. I poeti gareggiarono in accumular-
vi quanti esseri allegorici loro suggerirono i vizj , gli affet-
ti, le virtù e le potenze superiori personificate. Questo mon-
do fantastico li provvide copiosamente di apjjarenze , di
macchine e di decorazioni , le quali colla varietà e colla
novità sostennero il concorso e moltiplicarono i teatri. Ma
la novità disparve ed i teatri cominciarono a rimaner vo-
li. È questo il fato riserbato agli spettacoli che tutto di-
cono a' sensi e nulla al cuore. Il poeta ne dà la colpa al
compositore , questi freme contro del poeta , 1' imprendi-
tore maledice entrambi e cangia paese , lo spettatore si rac-
coglie in casa sbadigliando.
Durando la novità e gli applausi , questo spettacolo
passò i monti. In Francia ottenne un titolo sconvenevole al-
la scena , e chiamossi Poema Lirico , giacché nulla della
lira di Alceo, di Pindaro e di Orazio appartiene al teatro.
In Italia non durò molti lustri , perchè ben presto si ri-
flettè che una poesia fantastica per sussistere abbisogna del
patetico , il quale mal si congiunge co* prodigj senza og-
getto che non illudono. Quindi nacque un canone nel si-
stema musicale drammatico che sulla scena si amajetta pu-
I
SISTEMA MELODl'.AMMATICO 55
re il meraviglioso che interessa, ma che si rigetti W mira-
coloso insussistente , atto a sbalordire e distrane, e non a
commuovere. Questa distinzione , ben coiKisciiita da Aristo-
tele e da Orazio par che non si capisse dall' Arteaga e da
qualche altro scrittore di ultima data.
Or mentre il resto dell' Europa si approfittava dello
spettacolo mitologico , in Italia trovato e rifiutato , essa si
rivolse ad una specie del suo gusto più degna , e prese
ad imitare nel melodramma gli uomini , e non più gli es-
seri fantastici personificati. Quindi provenne l' opera in mu-
sica Isioriea , opportuna per ogni aspetto a chiamar 1' at-
tenzione della gente colta e ad impegnare il cuore. E jier
fecondarla si svolsero i fasti di tutte le nazioni , lo vicis-
situdini di ogni stato , le gesta degli eroi di entrambi gli
emisferi. Questo mondo reale con tutte le grandezze , le
usanze, l'eroismo, le virtù, le atrocità, le glorie, le tra-
versie, somministrò alimento più sano, più vario, j)iù di-
lettevole per natura a trattener l' uomo. I sensi allettali
dalla varietà delle naturali bellezze e degli oggetti veraci,
e non già procurati da una magica bacchetta, provarono
un diletto più sussistente. Il cuore si sentì commosso al-
l' analogia de' proprj moli con gì' imitali. La musica non
più dovè come prima limitarsi unicamente all' imitazione
senza oggetto delle cose sensibili più strepitose, come pro-
celle , augelletli , frascheggiar di alberi , mormorar del tuo-
no. Essa trovò novello nutrimento pe'suoi modi nelle di-
licale agitazioni del cuore, nel patetico che ciascuno in se
xiseate , nella melodia della natura che stimola l'arie a ras-
5 ti «GKORELLI
somigliarle e ad accrescerla coli' armonia. Salvi, Lemene,
Capece , Martelli fornirono gì' Italici teatri ili melodram-
mi istorici tanto più dilettevoli quanto più alla realità vicini.
Ciò che in questa specie di melodramma isterico eroi-
co trovò r opposizione del gusto , e cominciò a riescir po-
co grato , fu r osservare Interrotta di tratto in tratto la
gravità dell'argomento da una coppia di buffoni che nel
tragico mescolavano il ridicolo. Tutti i poeti scenici sino
a' primi lustri del secolo XVHI vi caddero. Silvio Stampi-
glia stesso pagò più volte II tributo a simile deficienza di
gusto. La Didone ahhandonata del Metastasio rappre-
sentata nel nostro teatro di San Bartolomeo , la prima vol-
ta sì stampò in Napoli nel 1724 con gì' intermezzi buffi
di Nibbio Impresario e Dorina. Vi fu chi credè l' Istesso
Metastasio autor di questi 5 vi fu chi nella mia fanciullez-
za me ne fece dubitare. Per buona ventura del melodram-
ma eroico Apostolo Zeno sommo letterato mostrò col suo
esemplo l'Incoerenza di tal mescolanza j e l' Italia bandì dal-
l'eroico Il buffonesco, e per tramezzi §1 valse de' balU tal-
volta analoghi all'azione del dramma. La Francia nel suo
teatro Lirico seguitò a tollerare i personaggi buffi nella
PoTnona del Parrlnl ed in altri melodrammi del Quiuaut.
Queste parti buffonesche però che si proscrissero dal-
l'opera In musica eroica, migliorarono di condizione , non
altrimenti che in Grecia avvenne alla parte comica da Te-»
spi bandita da' suoi plaustri tragljci. L' esempio del moda*
nese Vecchi fu seguito, e l'opera comica prese forza e si
stabilì nelle città principali dell' Italia. Le felici note del
SISTEMA MELODRAitfMATICO 5?
Vinci, del Leo , del Feo , del Sano, del Porpora si uni-
rono acconciamente alle comiche invenzioni , ed espresse-
jTO con naturalezza ed i'irmònia quel parlante famigliare che
nella moderna Europa si stimava iriipossibile di soggettar-
si alla 'musica. L'immortale autore dello Stabat Mater ,
dagli Oltlamonlàni niedesimi acclamato- come il Raffaello del-
la musifca, còl grazio'sissimo intermezzo della Serva Padro-
na , in cui siilgolannente fra gli altri pezzi di musica si
ammira il bel duetto lo conosco a quegli occhietti ^ mo-
strò con maestria là guisa di esprimere il favellar famiglia-
re con dolce , propria , armonica melodia. I Francesi ne
cohobbero subito la bellezza e V accolsero (i). L' istesso
vero genio musicale diede in Napoli diverse altre prove
di sommo valore nell' opera comica. Lo Frate Nanimo~
rato f commedia in musica del riputato Gennaro Antonio
Federico napoletano, animata dalla musica del Pergolese,
contiene pezzi musicali eccellenti. Il celebre p. Martini
bolognese censurò in lui V aver usato i motivi della strofe
JEja Mater fons amoris dello Stabat nell' aria di quel
dramma che dice, • ''' ^'" f>'nruip t.
Non sì cckella eh' io lassaje ,
Lo conosco , affritto me ,
Auto ammore tiene ncore ,
Mme tradiste ! Ma perchè!
Parve al Martini sconvenevole un passo dello Stabat in-
un componimento buffo. Cattiva critica pessimamente so-
(i) Marmontel Poèti^ue Frfincaise,
T. IF. 8
58 SIGNORELLI
steuula dal fu Avvocato Saverio Maltei. L' aria indicata
non è in verini conto Lufla , bensì tenera , appassipnati^r,-
aHettuosa ^ ed è sì bello e proprio quel dilicato concento,
jieW^ Stahat ^ come nel melodramma. Errò II Martini , p
nel ]5y>rese l' Eximeno prima di noi. Volle il Maltei ag-
giungere peso alla di lui critica con addurre una sua ragio-
ne , cangiando 1' uomo del Federico in donna. Dice poi
così : E cerio che chi vede V aria Non sì cchillo eh' \o
lassaje , e Z' Eja Mater fons amorÌ5 , ritrova il serio ed H,
hufth espresso quasi conia stessa modulazione ^ qxLan-
tiinque il Pergolesi portato assai per iljìehile e malin-
conico,, piuttosto, colla promiscuità de' motivi ha infie-
volito il buffo che ha rallegrato il serio. Non so dovQ-
il traduttor de' salmi fondato si avesse quel curioso giijn
dizio. Come mai trovò egli il buffo nell' aria allegata ? Quan-
do Ezio dice alla sua Fulvia ,
Ah tu non sei . . >
Per m,e quella che fosti ^ ■. ^\
non dice lo stesso ? E la di lui espression,e è^ buffonesca?
Tanto nel Federico quanto nel Metastasio si osserva uri pah
letico pensiere di un amante che si crede tradito*, ed il pa-
tetico in ogni idioma , in ogni clima , non è stato mai buffo.
Un passo della pietosa strofa di un s^cro inno che espri-
me dolore , ha potuto dall' istessp gran compositore appli-
carsi egregiamente anche ad un dolore non sacro. Non è
meno strana 1' altra asserzione del Mattei., cioè che il Pergoy
lesi ha piuttosto infievolito il huffo cherallegjmto il serio.
Nò l'uno né l'altro. Non ha rallegrato il selcio colbuf-
SISTEMA MELODRAMMATICO 69
/ò , perchè quel patetico motivo non rallegra, ma intene-
risce e commuove 5 non ha infievolito il hiiffo col serio^
perchè 1' espressione dell'aria è tutta propria di chi geme,
e non è punto buffa. Se la critica del Martini è insussi-
stente , il raziocinio del Mattei è ridevole.
Passando il secolo alla seconda metà, dopo i mentova-
-ti( melodrammi lepidissimi del Federico e del Saddumene,
■si cadde in certo languore per essersi poste in moda le
stravaganze , le inezie y, i travestimenti sconnessi. E seb-
bene il Ciampi, il Logroscino , il Latilla ed altri stimabi-
li maestri vi apposero le loro note, non giovarono a li-
berar que' drammi dal precipizio , troppo coli' esperienza
essendosi provato che una poesia' felice' può reggere con
uria musica anche mediocre 5 ma da una musica eccellen-
te ( se tale esservene può alcuna senza la poeslfi ) non sarà
mai sostenuto un pessimo dramma. Quindi è che in Na-
poli ne' crocchi che un tempo conoscevano il gusto, pre-
valse un assioma che le stravaganze inverisimili tutte pul-
cinellesche abbandonar si debbono al castello de' fantocci
o pupi , e che i teatri , ne' quali si raccogUe un popolo
educato debbono presentare le graziose ridicole dipinture
de' caratteri comici collocati in combinazioni piacevoli.
Col secolo XVIII apparve sul melodramma eroico lu-
ce più viva. Tre abili poeti addetti al servizio de' Cesari
Austriaci succedendosi graduatamente si superarono , Sil-
vio Stampiglia romano, Apostolo Zeno veneziano e Piciro
-Trapasso Metastasio anche romano. De' due primi non 0-
misi di favellar con onore nell'ultimo tomo dell'edizione
6o SIGNORELLI
napoletana della storia critica de' teatri, antichi e moder-
ni. Della gloria e de' lavori del terzo da non perir mai ,
dopo trenta anni che ne fu dalla morte rapito, parla tut-
tavia e parlerà la colta Europa. Hasse, Pergolese , Vinci,
Leo , Anfossi , Logroscino , Conforto , Jommelli , Back ,
Traetta , Sacchini , Guglielmi , Piccini , Cimarosa , Zinga-
relli , Paisiello ( quai nomi ! ) spiegarono a prova le lo-
ro musiche dolcezze su i melodrammi eroici singolarmen-
te Metastasiani. I musici cantori più celebri acquistarono
per essi quella riputazione che in seguito venderono sì ca-
ra. Nicolini , Farinelli , Monticelli , Mànzoh , Caffarelli ,
Egiziello, Bernacchi , Guadagni, Mazzante, Ferri, Amadorì,
Elisi, Aprile , MilHco , fecero dinlenticare colla loro porten-
tosa inteUigenza ed abilità la sorgente vergognosa per l'u-
manità de' loro musicali prodigj. La Tesi , la Benti Bui-
garelli, la Mingotti, la Tauber , la Perazzi , la Banti , la
Gabrieli gareggiarono co' prenominati Rufini senza svantag-
gio , e li superarono per una espressione più vera j più
credibile , più seducente. Il melodramma eroico toccò qua-
si l' apice delle glorie musicali nel corso della vita del Me-
tastasio.
Affrettandosi però il secolo verso il fine surse l' fnvi-
dia, nemica naturale del merito e de' felici, a danno della
poesia musicale, e ad assaUre nel Metastasio l'ingegno più
grande che abbia onorato l' armonico teatro eroico. Conve-
nendo al livornese Ranieri Calzabigi partir da Parigi re-
cossi a Vienna. Da lodatore che era statò del Cesareo Poe-
la da lontano, volle da vicino divenirne emulo. Tentò la
SISTEMA MEIlODfiAMMATICO Ct
ìiovilà di rimeltere sulle scene di Vienna l' opera milologi-
ca col suo Ghidlzio di Paride , coli' Or-Jeo , e coli' Ai-
ceste. Gluck fece più che da maestro musico , e nelle due
ultime accrebbe la sua rinomanza. Ma la poesia Calzabigia-
na mal reggeva a fronte di quella del Zeno e peggio sta-
va dappresso alla Metastasiana. Gluck ancora, tuttoché ap-
plaudito, non ottenne la pubblica approvazione al suo si-
stema musicale , per aver preteso rendere con mal consiglio
tutti i recitativi obbligati con gli stromenti, la qual cosa
se avesse potuto raccoglier seguaci avrebbe introdotta nel-
l'armonia teatrale la più fatai monotonia. Calzabigi cangiò
cielo e venne a portare le sue furie ballerino e le sue Z)a-
naidi in Napoli , dove coleste spietate assassine Ah' mari-
ti , benché armate della musica dell' esperto compositore
Millico , non poterono ottenere di uscir dal loro dolio. Per
altro sforzo il Livornese melodrammatico si appigliò a com-
porre opere in musica isteriche sempre coli' intento di
seder più su del Zeno e del Metastasio , ma egli nalifra-
gò insieme con Elfrida ed Elvira (i). Il Metastasio ten-
ue sereno il suo trono sino al 1782 ad onta del trium-
virato di Calzabigi, Bettinelli e Vannetti contro di lui di-
speratamente accanilo j ed oggi che quel trono è voto , su
di esso in sua vece si venerano le sue opere itamortali co-r
me sacro deposito e glorioso trofeo.
(i) Le analisi di questi me- della riprmlnzione della storia
iDdrajnmi si Icggooo nel X tomo de' teatri nel XIX secolo.
U2 SIGNORELLl
Ben verso degli ultimi tempi del grande alunno del
Gravina i teatri musicali soffersero violenti scosse da ara->
Liziosi di altra natura. I cantori evirati pretesero per ogni
banda che tutto alle loro voci e convenienze si sacrificas-
se j ed i ballerini di accessorj aspirarono' a divenir princi-
pali , accordando appena a' melodrammi T onor di rima-
ner per tramezzi de'loro pantomimi. Alle insolenze de' can-
tori si ovviava in prima coir accrescimento di cj^ualche cen-
tinajo di dobble di più in ogni anno sulla loro paga e di
poi con ogni condiscendenza e tolleranza e con piena fa-
coltà di cantare arie di bravura ogni volta che se ne in-
lalentasserq. Ma come rimaner d'accordo co' ballerini che
preselo a protrarre i loro balli per tre ore almeno? Biso-
gnò lare in pezzi il dramma , reciderne gambe e braccia ,
e supprimerne la metà o un terzo per grazia. Conven-
nero in fine gì' interessati : che il poeta dovesse cedere sen-
za replica ogni ragione : il compositore musico contentar-
si di alquanti pezzi concertati: che il dramma si restrin-
gesse a due atti con una sola scena col coro per atto ter-
zo : che il cantore soprano gorgheggiasse , vocalizzasse e
trillasse con piena indipendenza, ma che le due arie per
atto di sua parte si riducessero in tutto a due cantabili q
di bravura del s.uo particolare zibaldone : che in fine i pan-
tominii godessero il primato assoluto dello spettacolo con
tutte le decorazioni senza verna limite , dovesse pur fallir-
ne per ogni anno un impresario.
Senza tralasciar di amniiraf M«4astasio , rimane a far
menzione di altre due specie del melodramma eroico. Quan-
SISTEMA Mt'LODRAlMMATICO 63
do (jliell* insigne poeta non avesse a se assicurata rinimor-
talità con Attilio e Temistocle e 1' Olimpiade e con tut-
te le altre sue tragedie musicali sino a RuggicT'o che fu
r ultima j quando non avesse spiegata la più scolla erudi-
zione e somma perizia del greco idioma nell' Estratto del-
la Poetica di Aristotele^ e tutto il gusto e l'iMlelligen-
za del latino nella versione poetica dell' Epistola a' Pi-
sani, accompagnala da dotte e non ]tcdaulesche noie: quan-
do i suoi melodrammi non si fossero per tutto il suo se-
colo cento e cento volte ripetuti con musiche dilTerenli ,
e senza musica ancora recitati ed ammirati , e non se ne
fossero vai;] tradotti, e fin anco da un poeta del Brasile
presso al Rio Janeiro, oltre di essersene eseguite cento edi-
zioni almeno di ogni forma j quando, dico, tutto ciò
fosse svanito al par de' sogni , non basterebbero a collo-
carlo sul più luminoso seggio del moderno Parnaso musi-
cale i suoi OratoT'j sacri e le sue Azioni o feste teatrali?
Sono queste le altre due specie melodrammatiche , neiie
quali il Melastasio ha trionfato senza rivali. Andogli dap-
presso, è vero, Apostolo Zeno con Sisara , Davide , Da-
niele, Ezechia. Ma questo magnanimo letterato che gli
procurò la successione del suo impiego in Vienna , forse
non gli avrebbe conteso il primato, se avesse dovuto de-
cidere egli stesso sulla Betulia liberata , sul Giuseppe
riconosciuto, suW Isacco , sulla morte di Abel , suWE-
lena al Calvario , sulla Passione di Cristo. Ebbe un a-
bile imitatore nell* abruzzese Domenico Ravizza autore del
Mosè al roveto , e del passaggio del Mar Bosso. Ria chi
l'I SICNOBELLI
gli è a ukUo almeno vicino ueW y^silo d' Artior^e ^ nella Fe^
licita della Terra ^ mcW Enea nc^M Elisi , nel Palladio
consen-aio^ nei Parnaso accusato e difeso^ neW Alcide
al hit io , nelle Grazie vendicate?
Una passeggiera escursione di qualche an Ab del pas-
salo secolo diede luogo ad un' altra specie musicale , ài
Monodramma o dir si voglia MonopT'osopoìi , di cui ])e-
rò non mi si presenta esempio da proporre a modello o da
lammentare 5 perchè le cantate del patrizio veneziano An-
tonio Conti Timoteo e Cassandra poste egregiamente in
musica dal Marcello , non furono scritte per teatro ma per
camera. Il Pigmalione del gran Ginevrino non si cantò,
sebbene sull'esempio della melopea greca si declamò eoa
l'accompagnamento degli stromenti. Le scene Liriche co-
{ì dette con abuso di vocaboli che si tentarono a tre per-
sonaggi, nate appena, passarono dalla penna all'obblio.
Non valendone la pena , tralascio di parlare di tragi-^
commedie , di comicotragedie , di drammi semisery e
eomicoserj e simili sconciature e mostri storici ed erma-
froditi di doppia natura, infantati dalla meschinità e ri'
gettati dal sistema melodrammatico in ogni tempo.
Rimane a dire alcuna cosa delle ultime vicende del-
l'opera comica e delle specie che le appartengono. Dopo
le indicate favole mostruose che la fecero rimpiattare, nuo-
ve produzioni lodevoli se ne videro in Venezia ed in Ro-
ma per mezzo del celebre commediografo Carlo Goldoni.
11 suo Filosofo di Campagna posto in musica dal Bura-
nelli , e la sua Cecchina colla musica del Piccini , bea
«ISTERIA MELODRAMMATICO 65
ci compensarono di qualche sua farsa di poca rlu sci la , co-
me il Mondo della Luna. L' autore riputato degli Ani-'
mali -parlanti donò all'opera comica due plausibili dram-
mi , il Re Teodoro , e l' Antro di Trofonio pieni di sa-
le e lepidezze. Pietro Trincherà in Napoli riesci nel patrio
dialetto coli' opera intitolata J^ennegna }X)Sta in musica
da Domenico Fischetti , e col Finto Cieco con la musi-
ca 7 se non m' inganno , del Ciampi. Da un' opera mal ac-
cozzata e mal riescila , la Fante furba di Antonio Pai-
lomba , posta in musica da Piccola Logroscino , fu inca-
ricato un autore anonimo di formarne un'altra con nuovo
viluppo, nuova poesia e nuova musica, conservando pe-
rò della prima soltanto due belhssimi pezzi di musica del
lodato compositore , cioè 1' aria tlella Fante , ed un ter-
zetto che la prima volta avea servito di finale di atto.
La nuova composizione s' intitolò la Furba burlata ,
nella quale si tentò in Napoli la prima volta la novi-^
tà de' finali lunghi e con variazioni di tempi , e di me-
tri e di motivi a somiglianza di quelli che correvano per
la Lombardia. L' eccellente Piccinni si provò ad eseguirli
e riesci mirabilmente tanto nel primo, quanto nel secondo.
L' opera sì replicò in più mesi per sessanta serate ,
e di consenso degl' interessati si contò per due delle quat-
tro opere di obbligo di tutto l' anno j e nella Pasqua seguen-
te si continuò ancora sino all' autunno. Comparvero ap-
presso non poche favole stravaganti j ma poco dopo cor
minciarono a gustarsi le opere comiche di Gio. Batista
Lorenzi morto nel 1807. Esse erano piene di fac,ezie iìp
T. IV. 9
k
66 SIGNORELLI
levate quasi tutte colla musica del Paisiello nato in Ta-
ranto ma domiciliato in Napoli e di scuola napoletana, il
Furbo mal accorto , la Sciiffiara , il Socrate Immagi-
nario. La Pietra Simpatica che è riuscita felicemente
quante volte si è replicata , fu posta egregiamente in mu-
sica dal valoroso Silvestro di Palma.
La farsa è una delle specie musicali che frequente-
mente si vede ne' teatri napoletani. Appartengono al pre-
lodato Lorenzi le farse L' Idolo Cinese , il Mondo del-
la Luna ( differente da quella del Goldoni ), Tra due
litiganti il terzo gode., ed altre vivacemente ancora ani-
mate delle note felici dal Cav. Paisiello. Di questo gene-
re è lo Scavamento di Giuseppe Palomba , posto anche
in musica dal Palma che ebbe un fortunatissimo succes-
so. Si applaudi in seguito la scelta del Palomba colla mu-
sica del Mosca.
Si rapporta all'opera comica uif" altra specie conosciu-
ta col nome d' Intermezzo , del quale diede l' esempio pia
felice la lodata Serva Padrona di Gio. Batista Pergole-
se. Non può esprimersi il diletto che recò in Roma la mu-
sica del Sacchini , apposta alla Sandrina. Il trasporto di
quel popolo, dotato di fino gusto nelle opere musicah, fu
grande. In Napoli riscosse grandi applausi la Taverno-
la ahhentorata di Pietro Trincherà colla musica del Ce-
cere sonatore pregevole di violino. Più lungamente du-
rò la celebrità conseguita dalla Canterina posta in mu-
sica dal maestro Niccola Conforto prima che si recasse a
^ladrid , essendosi per più anni ripetuta molte volte. Si
I
^ SISTEMA MELODRAMMATICO 67
pensò dopo tante ripetizioni ad apporvìsi una nuova mu-
sica del Piccinni più ingegnosa e dotta e piena di armo-
nia j ma il pubblico non l' ascoltò in seguito con piacere
se non con la musica antica del Conforto, più facile, con
cantilena più capace di ritenersi dagli ascoltanti e con e-
spressione più conveniente a' caratteri bene imitati della
canterina che fa l' innocente appassionata, della di lei fin-
ta madre , e del maestro di cappella corrivo , rappresentati
con grazia somma e verità dall' egregia Marianna Monti |
da Giuseppe Casaccia , e da Antonio Catalano. Questo in-
termezzo si compose dall'autore slesso della Furba hW"
lata essendo più giovane , il quale scrisse parimente gli
Studenti , altro intermezzo fortunato posto in musica dal
Piccinni , che bastò a far tollerare un opera infelice , la
Commediante di Antonio Palomba che era stata posta
in musica dal maestro Sciroli.
Sono queste le vicende dell' opera buffa piombata po-
scia , specialmente in Napoli , nella più deplorabile stra-
nezza sino aile politiche rivoluzioni. L' opera eroica dopo
essersi trovata in una pari o più umiliante abbjezione del-
la buffa , è precipitata sino a Olimene posta in musica da
Giuseppe Farinelli, ad Aristodemo colle note del Pavesi,
a Trajano in Dacia colla musica del Nicolini.
Il Sistema melodrammatico ragionato ben lungi dal
vedere corretti gli splendidi difetti del Metastasio, e can-
giati in metodo più tragico, e spogliati dagli amoretti sub-
alterni che raffreddano 1' azione principale , e snervano
l' unità d' interesse j ben lungi , dico , da questi sospirati
68 SIGNORELLI
miglioramenti, si vide in tali congiunture, che si ristrinse a
desiderare almeno che si rigettasse nelle riferite specie in
generale tutto ciò che nulla significa , tutto ciò che si pre-
senta senza interesse , tutto ciò che è incredibile , inutile,
insipido, spettacoloso senza l'anima del patetico •, tutte le
musiche scritte da' compositori per far pompa d' intelligen-
za nel contrapunto, o per contentare i cantori, e non per
esprimere la poesia, e per dilettare il pubblico; tutte quel-
le che al più dilettano l'orecchio senza persuader la men-
te e senza interessare il cuore j tutte quelle che scarseg-
giano di canto, ed ostentano canoni e fughe con eccesso.
Anche nelle farse fatte per eccitare il riso colle pitture
esagerate , allorché cessano d' ingrandire o impicciolire gli
oggetti per artificiosa ottica teatrale , allorché in esse ad al-
tro non si aspira , se non a piacere al popolaccio , il siste-
ma melodrammatico le condanna a non esser considerate
che come spettacolo da villaggio o da registrarsi co' giuo-
chi di corda , co' salti mortali del Pagliaccio e colle lan-
terne magiche. Ma è tempo d' investigare i vantaggi e gli
svantaggi che si promettono dagli elementi del melodram-
ma i sensi ed il cuore.
II.
Quale è il piacere che dalla poesia attendono ìsensi,
e quale il cuore? Suole oltramon ti adoperarsi \a voce esteti-
co, adottata, pure da qualche Italiano, ad indicare l'effetto
piacevole che sperano i nostri sensi dalle belle arti. Da ciasca-
SISTEMA MELODRAMMATICO 69
na se ne promellono uno che le ò proprio , secondo il mez-
zo con cui essa si esprime. La pittura e la danza parlano
alla nostra vista , V una con V incauto de' colori , 1' altra
con la grazia del corpo e co' passi leggiadramente misura-
ti. L" architettura e la scoltura parlano ugualmente alla vi-
sta , dando la prima col compasso e con la squadra alle
pietre la simmetrica disposizione di un bel corpo , come
insinuava Vitruvio , l'altra colle ferite dello scarpello com-
municando al legno, o al marmo una morbidezza contro na-
tura che dolcemente rappresentando un oggetto inganna e
diletta. La musica all'udito favella coli' industriosa combi-
nazione e circolazione de tuoni or acuti or gravi or di corta
or di lunga durala che rapisce ed allegra. All' udito pur
favella l' eloquenza con parole non da altro combinate se
non che dal giudizio superbissimo di tal senso e con certo
ritmo o numero profferite. La poesia dirige eziandio all'orec-
chio le gaje sue mire col mezzo stesso delle parole 5 ma le
incatena con tale artificiosa legge , che un musical concento
ridonda da' versi che ne risultano , i quali vincono di ef-
fettp r istesso infocato numero dell' eloquenza.
Nulla è sì agevole quanto il numerare nelle lingue
volgari undici sillabe per couchiudere un verso , e nulla
v'ha nel tempo stesso di più arduo che il far bei versi
per crear poemi quaU Orazio U chiedeva intonando dul-
cia sunto , e quali singolarmente a' melodrammi si con-
vengono. Se in molti versi continui ci arrestiamo sempre
p. e. sulla quinta o sempre sulla settima sillaba , questa
cesura uniforme ne getta nella monotonia. Se in ciascuu
JO SIGNORELLI
verso la vavieremo senza avvertire a darvi certo ritmo, for-
mando come un periodo che abbraccia più versi e produ-
ce concento , di questo in vece sentiremo nel pronunziarli
un'asprezza ingrata. Se nei nostri endecasillabi scorrono
con frequenza dattili intempestivi nel mezzo , parrà che
si marci a salti balzando o sdrucciolando , perchè essi ci
obbligheranno o a spezzar la dizione o a precipitar il ver-
so. Se si cade in ciò che i Latini dicevano hiatus , o in
un concorso di una stessa consonante , specialmente labia-
le , in più parole , o in un rimpinzamento di monosilla-
bi» o in frequenti lettere doppie, o in più consonanti ad-
dossate ad una sola vocale : con simili difetti di verseg-
giatura imiteremo qualche lingua transalpina , e i nostri
versi alieni da ogni dolcezza ridurranno in mente a cln
ascolta, i versi della Pucelle di Chapelain , o di qualche
' yersìscioltajo italiano. Se termineremo molti versi rimati o
non rimati con gì' infinitivi are , ere , ire , o co' par-
ticipi passati aio, ufo: se ricorreremo con intemperanza
a' verbi ausiliarj , alle fiorentinerie , agli arcaismi , alle pa-
role composte alla greca, che Quintiliano derideva, si ca-
derà inevitabilmente in uno stile o dilombato o affettato.
Tutto ciò ripugna alla bellezza e dolcezza de' versi , e he
allontana la melodia necessaria al melodramma , ed in con-
seguenza sparisce il piacere che 1' orecchio attende dalla
poesia. Vi risparmio, Colleghi illustri, 11 tedio degli esem-
pi de* versi nemici della melodia j ma volendone , se ne
avranno in copia ne' melodrammi del XVII secolo, quan-
do la poesia fu l' ultima cura delle rappresentazioni mu-
SISTEMA' MBtOORAMMATICO ^t
' sleali , come altresì in non j>óchi duiissimi versi sciolti del
XVIII. Per sentir subito là «bellezza estetica della poesia ,
lasciando di rammentar gli Ariosli , i Torquati , ì Guari-
ni sommi maestri di bei versi, per non uscir dal teatro,
basterà sovvenirci' di Temistocle che apostrofa Atene sua pa-
tria , di Tito che sottoscrive e poi lacera la sentenza di
morte di Sesto ^ di Attilio che si congeda da' Romani per
tornare a* ferri di Cartagine 5 basterà ricordarsi di qualun-
que aria del poeta Cesareo. Chi non dirà subito: ecco i
versi pieni di ritmo , facih , fluidi , musicaU ; ecco la va-
ghezza metrica e melodiosa che richiede l' opera in musica^
ecco il piacere che 1' orecchio aspetta dalla poesia ?
Crederei però che 1' esletico poetico non consista so-
lo nel formarsi versi scorrevoli ed armoniosi. A me pare
che i versi possono ricevere accrescimento di dolcezza da
certa ornata eloquenza che alla scena non disdice, e che
nel presentare le immagini dipigne e particolareggia non
seiiza diletto. Versi con simili fiori abbelliti giungono al-
l' udito assai più grati , la mente occupandosene partecipa
del piacevole effetto^ il cuore slesso non senza gioja vi si
ariesla. Dicesi però che simili ornamenti convenienti alla
tromba di Omero ed alla hra di Pindaro disconvengano
alla tibia teatrale. Non si nega che possano essi alcuna
volta nuocere alla vera imitazione scenica, in cui parlano
gli uomini stessi , e nor} il poeta che si suppone ispirato.
Quante volte però simili ornamenti non sono intcrapesti-
vamenle adoperati ;, quante volte non arrestano sconcian>en-
te la rapidità dell' azione ; quante volte non contvadicono
^■ì SIGNORELLI
lo Stato ed il carattere di colui che se ne vale per meglio
dipingere il proprio concetto-^; dà può esigere dal poeta che
se ne astenga ? L'eccesso e l' impertiaenza di tali ornamen-
ti nel XVII secolo deturparono i melodrammi del IMinati,
del Lemene i, del Capece , e non rare volte anche dello
Stampiglia. L' usanza , ed il voleri «forse prestar motivi
alle imitazioni musicali delle cose sensibili trasse il gran
Metastasio a valersi non di rado di similitudini e di alle-
gorie troppo particolareggiate per la poesia scenica. L'aria
f^o solcando un mar crudele dell' Artaserse , non con-
siderata come parte di un dramma , è poetica , e dipinge
e particolareggia felicemente e manifesta un ingegno bene
esercitato. Ma lo stato di Arbace non dà luogo a riflette-
re alla mancanza delle vele e delle sarte , ed all' antite-
si del vento che cresce e dell' arte che manca ^ e Vol-
taire e d'Alembert non la censurarono senza ragione. L'i-
stesso Arbace , dopo il più patetico recitativo tenuto al
suo re ed amico che lo fa partite dalla Persia per salvar-
gli la vita , conchiude coli' aria L' onda dal mar dwisa,
per se stessa bella e felice. Ma né anche qui egli dovea
trovarsi nel caso di riflettere che l'onda va prigioniera
in fonte , e passaggiera in fiume ; ed il Planelli ammi-
ratore per altro del Metastasio con senno la riprende.
Non pertanto questi lirici ornamenti né sempre né
tutti disconvengono senza eccezione al teatro. Come se
ne schivi la frequenza , come il poeta non si perda e si
delizj in particolareggiar soverchio sulle immagini , come
Ja passione non venga raflfreddata : essi brilleranno tal voi-
SISTEMA MELODRAMMATICO 73
ta al pari (11 "la gemma in una bionda chioma di bella
donna. Anche nel discorso famigliare fuori del teatro so-
gliono adoperarsi senza sconcio nel calor della disputa o
dell* affetto o della gioja. Lungi adunque dal disconvenire
concorrono non di rado ad esprimere con efficacia l'affet-
to senza manifestare il poeta. Noi manifesta certamente
Timante che mentre per equivoco crede che il padre gli
parU di Dircea , sente poi che dee impalmare uu' altra spo-
sa , e così esprime il suo dolore :
Sperai vicino il lido ,
Cj'edei calmato il vento ^
Ma trasportar mi sento
Fralle tempeste ancor.
Questa simihtudine di circostanze applicata acconcia-
mente senza minutezze non può bandirsi dal teatro , e la
passione ne viene rilevata. Linceo nelV Ipermestr^a sospet-
tando neir amico Plistene tradimento ed ambizione , pun-
to nel più vivo del cuore, ne manifesta l'angustia nel vo-
lerlo rimproverare e nell' esser dall' amicizia trattenuto , e
guardati , gli dice ;
Gonfio tu vedi il fiume ,
Non gli scherzar d' intorno ,
Forse potrebbe un giorno
Fuor de' ripari uscir.
Convenevole immagine di un amico irritato , clie nel-
r impeto di un fiume arrestato da* ripari addita il proprio
risentimento contenuto dall' amicizia , e V avverte del pe-
ricolo. JNel Siroe riflettendo Arasse alla leggerezza del bel
T. ir. 10
74 SIGNORELLI
sesso orna il suo concetto con semplicità naturale che al
teatro non disconviene :
U onda che mormora
Tra sponda e sponda y
lì aura che tremola
Tra fronda e fronda ,
E meno istahile
Del vostro cor.
La scena se ne abbellisce con proprietà. Sofocle ed
Euripide ( voi lo sapete ) ne somministrano di belli e-
sempj.
Potrebbe domandarsi , donde apprender dovrà il gio-
vane poeta il segreto di formar versi armonici ed ornati
ed alla scena non disdicevoli ? Ben sanno gli ottimi pre-
cettori di poetica ragione additare i limpidi fonti onde
sgorgano umori sì dolci j e 1' eruditissimo Cavalier PlaaelU
se ne occupò utilmente ed a lungo. Io qui dirò solo che
sì bel segreto vuol cercarsi ben lontano da quel primo mo-
mento consacrato a' primi versi del melodramma. Ed ec-
co ciò che ne appresi da un antichissimo maestro.
Prima di accingersi a verseggiare un argomento, se
ne scelga uno dalla storia e non dalla mitologia , che sia
confacente ad ascoltatori educati e tale che da Euripide
non si rigetterebbe ; se ne concepisca il piano : si fissino
i caratteri e i costumi da imitarsi, le passioni da urtarsi,
r oggetto deir interesse , il punto donde 1' azione dee in-
cominciare : si guidi sempre crescendo al suo fine : se ne
aumenti d' atto in atto il movimento ; sia il primo sorpas-
SISTEMA. MELODRAMMATICO 7-»
sato d'interesse dall' atto secondo e nel terzo rapido e stre-
pitoso scoppi il disvUuppo dell' azione a somiglianza del
tuono : se ne tessa in fine l' intera serie d^le scene. Se
tutto sarà connesso con unita di disegno j se «^l immaginali
fantasmi si affollino per acquistar figura e colore j sarà quel-
lo il tempo di prendere la penna , e scrivere il primo ver-
so. Allora parrà al poeta di veder realizzati i suoi perso-
naggi , ne udirà il dialogo , il primo verso cacciato dalla
folla de' suoi compagni correrà sulla carta con istupore del-
l'autore' stesso , uscendo tutti spontanei, scorrevoli, can-
tabili , suggeriti quasi da una potenza superiore alle cose
umane. Fu questo il segreto di cui vi ho fatto motto , il
segreto di Menandro : pensar tutto prima di scrivere il
■primo vej'so (i): ne formò Orazio un canone ed un va-
ticinio (2): lo praticò felicemente Giovanni Racine. Da que-
sto bel segreto proviene 1* estro creatore de' poemi prodot-
ti in pochi istanti per l' eternità. Nacquero per tal segreto
in quindici giorni una Zaira , in diciotto 1' Achille in S ei-
ra , in poco più r Ipermestra.
Ma se r estetico della poesia per mezzo dell' udito
comunica al cuore la metrica dolcezza , non è questo né
r unico né il più importante frutto e diletto che dalla poe-
sia si attende. Altra molla più energica bisogna che essa
congegni perché il cuore s'interessi nell'azione del melo-
(i) Plutarco ed Acrone pres- (2) F^eròaque provisam rem
so Lilio Giraldi nel Dialogo VII non invita sequentur.
de' Poeti.
7t> SIGNORELLI
dramma ^ e questa consiste nel patetico , atto a scuoteriìe
la sensibilità. Una gioconda illusione dee faine quasi ob-
bliare la finzione , di modo che verisimiii immaginarie di-
savventure eccitino un terrore ed una pietà verace, onde
come in uno specchio dagli altrui disastri nell' urto delle
passioni s'impari a temer per se ed a reprimerne i tra-
sporti. Senza questo artificio il cuore non s' interessa e lo
spettacolo scenico diventa inutile al piacere ed al miglio-
ramento dell' uomo.
Non può non partecipare il cuore del piacere che
recano all'orecchio, pel commercio che ha co' sensi , i dol-
cissimi versi dell' Olimpìade :
Se cerca , se dice ,
L' amico dov' è ^ _..< -
L' amico infelice ,
Rispondi , m,orì , ed il resto.
Ma la delicatezza e la fluidità di questi versi , que-
sta estetica dolcezza sparisce in faccia al patetico che ac-
compagna la situazione di Megacle costretto dall'eroica sua
amicizia ad abbandonare a Licida 1' amata nel punto che
potrebbe di dritto possederla. Questo punto presenta al-
lo spettatore circostanze sì dolorose , sì vere , sì compas-
sionevoli, che obbhando la finzione, si agita , si commuo^
ve , si trasporta nelle campagne di Ehde , palpita con Me-
gacle , compiange Aristea , e confonde le lagrime di un do-
lor vero colle lagrime del piacere che prova nel tempo
stesso proporzionato all'illusione che l'incanta. Di grazia
v' ha traile belle arti alcuna di quelle che entrano nello
SISTEMA MELODRAMMATICO 77
«spettacolo teatrale , che possa garcji^iar colla poesia, e pro-
durre cotanto evidente prodigioso efifelto?
Potrebbe laluno diffidare, ed indagare, se gli efTetli
che gli antichi ottennero colla tragedia, possano dal moderno
melodramma sperarsi , tuttoché in tante guise par che es-
so contraddica alla verità , ed abbia indebolite le molle pa-
tetiche della tragedia. Io mi lusingo di addurne qualche
esempio , pel quale ( ad eccezione degli ostacoli proveni-
enti dagli artisti , e non dal poema , de' quali sul finire
ci occuperemo ) ci accorderemo in convenire che dalla
tragedia né anche in siQatto meraviglioso elFetto differisca
1' essenza del melodramma.
Atene diverse tragedie ci presenta ammirate non so-
lo da quel popolo di gusto dilicato , ma da' suoi filosoll
ancora. Alceste , Edipo , Agamennone , Ippolito diedero
agli autori le ben meritate tragiche corone. Kiuna però ri-
scosse, maggiori encoraj da Aristotele e da Plutarco sa-
gacissimi conoscitori , quanto il Ci^esfonte di Euripide.
Di fatti qual altro Greco eroe , come questo discendente
di Alcide, seppe col patetico de' versi di quel gran tragico
agitare col terrore i figU de' Mil/iadi e de' Temostocli, a se-
gno di raccapricciarsi e di palpitare, temendo che il vec-
chio pastore non giugnesse a tempo a trattenere in alto la
scure , che Merope era vicina a far cadere sul figlio che
credeva di vendicare ? Questo quadro lagrimevole e terri-
bile , in cui figurarono gli attori e gU spettatori ugualmen-
te, è uno de' niiracoli della poesia. JN'è il grande effetto
si rimase nel recinto della Grecia ed alla sola antichità.
;o SIGNORELLI
Se voglia argomentarsi dalle lanle imitazioni felici fattene
dentro le Alpi e sulla Senna, questo straordinario effetto
ha conservata tutta la sua energia negli animi de' moderni.
Non omisero i melodrammi di valersene. Il primo a
trasportar tale argomento sulle scene armoniche fu l' insi-
gne letterato Apostolo Zeno. Convien però confessare che
la sua Merope non fé così ben ravvisare quella regina di
Messenia , come si ravvisò poscia nella Mandane del Ci-
ro riconosciuto di Pietro Metastasio. Degnate sovvenirvi,
o Colleghi , di Ciro sotto il nome di Alceo spinto in un
luogo solitario ad esser trucidato per mano di Cambise suo
padre dalla propria madre , credendolo uccisore di suo fi-
glio. Il poeta con una serie di tragiche scene lacera i cuo-
ri ed inumidisce ogni ciglio anche con la sola lettura. Ap-
pena Mandane ha udito da Alceo il racconto della morte
da lui data ad uno straniero per propria difesa, che sen-
te da Arpalice che l'ucciso è suo figlio. Si scaglia allora
contro dell' uccisore e coir espressione poetica eccita la mu-
sicale nell' aria :
Rendimi il figlio mio
Ah mi spezza il cor !
Non son più m,adre , oh. Dio !
Non ho più figlio (i).
Ode in seguito da Mitridate che V ucciso era un im-
postore , e che Alceo è il suo figlio , ed al vederlo corre
ad abbracciarlo. Ciro però che ha giurato di non palesar-
(i) Impareggiabile è la musica appostavi dal celebre Piccinni.
SISTEMA MELODRAMMATICO 79
si , si ritira , promettendo di ritornare. Stupisce Mandane
di quel ritegno , ed arrivando Camblse addolorato per la
creduta morte del figlio, Mandane gli rivela che l'ucciso
si vuole un impostore, e che l'uccisore sia il loro Ciro.
Ne gode Cambise , ma all' intendere che 1' uccisore si chia-
ma Alceo e che passa per figlio di Mitridate , litorna al
suo dolore , ed esclama :
O nera frode ! oh scellerati ! oh troppo
Credula Principessa.
Io stesso , aggiunge , celato mi trovai , dove Astlage
impose a Mitridate di uccidere Ciro , ed ei promise di e-
seguirlo con Alceo suo figlio , ed appunto Alceo è che
ba ucciso il nostro Ciro. Mandane furiosa chiede vendetta,
imita Cambise , V invia al fonte di Trivia , e promette di
far sì che vi si rechi Alceo j allora ah ! sposo ,
Non averne pietà , passagli il core
Rinfacciagli il delitto ,
Fa che senta il morir.
Ah non più , dice Cambise partendo , mi basta il
mio furore. Torna Ciro tutto lieto , avendo ottenuto di
potere scoprirsi ,
Madre mia., cara madre ^ ecco il tuo figlio.
Delicato contrasto ! Mandane freme e si trattiene ,
Ciro impaziente non vede l' ora di abbracciarla. Mandane
dice che bisogna andare in luogo meno esposto per dar
libertà a'proprj affetti, e l'induce ad attenderla al fonte
di Trivia. Cresce 1' interesse dell' azione nel progredire.
Mandane continua a frenarsi ali' arrivo di Mitridate che si
ijo SIGNORELLI
diffonde in espressioni amorose per Ciro e pe' di lui geni-
tori. Mandane gli dice che ne sarà ricoinpcnsato , di che
Mitridate si offende. Mandane non potendo più dissimula-
re , prorompe in ingiurie , e per cominciare a godere della
sua vendetta gli rivela che il di^ lui figlio Alceo forse in
quel punto sta spirando.
Vedi se può sperar : solingo è il loco.
Chi l'attende è Camhise.
Ah che facesti, grida Mitridate, corri... impedisci...
dimmi almeno il luogo. No , risponde , lo saprai , ma non
sì presto. Mitridate prega , smania , parte senza consiglio.
Mandane si applaude. Arpago arriva cercando di Alceo
per mostrarlo al popolo. Non bisogna , dice Mandane , una
pubblica vendetta j io slesso ho pensato a vendicarmi.
ARP. Contro chi? MAN. Contro V infame
Uccisor del mio Ciro. ARP. Intendi Alceo?
MAN. Sì. ARP. Guardati , Mandane
Di non tentar nulla in suo danno. Alceo
E il figlio tuo.
Colpo singolare che rende stupida la madre. Ma co-
me apprezzarsi appieno da chi ignora tutta V importanza
di questo nome , e non si rappresenta tutte le circostan-
ze di questo evento? La situazione della Merope greca fu
un punto sommamente teatrale, e colpì gli Ateniesi j es-
sa però si riproduce nel Ciro in varie scene ed in nuo-
vi aspetti. Mandane che pensa al gran tempo trascorso ,
al furor di Cambise , al luogo solitario , raccapriccia , va-
cilla , è presso a svenire. Ah vola , dice ad Arpago ,
SISTEMA MELODRAMMVTICO 3 I
yóla di Trivia al fonte: il figlio mio
Salva, difendi: ei forse spira adesso.
ARP, Come\ MAN. Ah va, che l'uccide il
padre i stesso.
Nel monologo ( ben acconcio ad un recitativo con
islrunienti per la varietà degli effetti e de' pensieri che a-
gitano la madre ) si figura il figlio spirante che le stende
le braccia Cambise irritato il gran tempo tra-
scorso. . . Povero figlio ! . . . Non volea lasciarmi ! tiran-
na ! . . . Ma. . • Arpago potrebbe giugnere in tempo. . . Nel
momento di questo Linìpo di speme arriva Cambise fret-
toloso con la spada nuda insanguinata. Ahimè ! grida la ma-
dre , chi mi soccorre !
Ah stilla ancor del vivo sangue...
CAM. Fedi del mio furor... MAN. Fuggi,
Togli al materno ciglio.
CAM. Questo sangue che vedi... MAN. Oh
sangue ! oJi figlio !
Questo colpo pieno di verità apparente, questo equi-
voco ben guidato , que' palpiti troppo giusti di una ma-
dre trafitta per le stesse insidie tese da tei. contro del fi-
glio, qual fremito non avrebbero eccitato nel sensibiL'ssi-
mo popolo Ateniese ! Se tanta impressione fece in esso il
solo attentato di Merope , quanta non ne avrebbe prodot-
to questo incremento jìrogressivo di terrore in più scene
colorite dal poeta del Ciro col pennello di Tiziano ? Ec-
cellente fu l'azione della Merope nel quadro italiano di
Scipione Maffei : gareggia con questa felicemente la fran-
T. IV. II
83 SIG^fORELLJ
cese del Voltaire; concorse senza svantaggio nella gran liz-
za l'altra Merope italiana di Vittorio Alfieri. Ma queste
Meropi tragiche non sono se non che bellissime e opie del
quadro originale ateniese. Il Ciro melodramma però , se de-
riva dal greco Cresfonte , non lo trascrive , raa emulan-
dolo lo sorpassa , e non ne presenta T unica mirabile sce-
na , ma una serie progressiva di tragiche situazioni. Né
bastarono a sbigottire il nostro poeta i molti ceppi mu-
sicali , le strane pretensioni de' cantori , i pregiudizj che da
quasi un secolo sono prevalsi a rendere nojoso il melo-
dramma. Egli seppe superarli e condurre a quel punto
di tragica elevazione la dipintura di una madre cui sino-
ra altre madri non pervennero sulle tragiche scene. Che
se questa madre dopo aver trionfato di tante Meropi sul
teatro musicale or per mezzo del Caldara or del Piccinnij
dòpo essersi senza musica declamata ed ammirata come una
tragedia j dopo essersi applaudita nell' analisi comparativa
che ne formò il vostro segretario in Milano j dopo in som-
ma di averci in varie prove sempre incantato e colmato
di piacere; potrà riportare il vanto di meritare l'indulgen-
za de' miei illustri Colleghi in questo sistema , io credo che
altra prova non possa desiderarsi a convincere che la poe-
sia trattata da mani esperte è quel!' arte sublime che ci
ricolma di piacere spogliata ancora di ogni altro soccorso.
SISTEMA MELODRAMMATICO 83
IH.
Qual è il piacere che dalla musica esigono i sen-
si , e qiuile il cuore ?
Facciamci ad investigarlo per quanto può chi non è
inizialo in questa bell'arte emula della poesia.
Nel nascere il melodramma non previdero i verseg-
giatori che seguirono il Rinuccini , cioè il Salvadori , il
TroMsarelli , il Cicognini , che dalle loro favole musicali sa-
rebbe per rinascere l'antica tragedia. I maestri compositori
del loro tempo credettero di aver molto avvanzato , se
apponendo la musica a que' componimenti facevano con-
tinuare la pastorale convertendola in opera con renderla
tutta cantabile. Così in tutto il secolo XVII lo spettacolo
teatrale chiamò il concorso colla musica e colla splendi-
dezza delle decorazioni sino ad Apostolo Zeno , il quale
non solo depurò il melodramma , come si è accennato , del-
la mescolanza buffonesca , ma riesci in renderlo rassomi-
gliante alla tragedia greca. Aggiungasi che nel porger la
mano al Metastasio perchè gli succedesse in Vienna , con-
tribuì airaccrescimento delle glorie italiane con dare no-
velli successori a' tragici della Grecia. E 1' insigne alunno
degli antichi e del Gravina lo secondò con tal felicità, che
V Italia può rammentar con onore accanto alle Ifigenie ,
air Elettre , ad Edipo , a Filottete , al Cresfonte , le mo-
derne Zenohie , le Didoni , l' Attilio , il Ciro , e 1' Olim-
piade. La sua musa teatrale coli' estetico de' versi e col
84 SIGNORELLI
patetico che la rende singolare , invitò molti a seguirlo ,
ed il suo esempio può farci sperare un giorno qualche suo
degno successore. Noi dobbiamo al Metastasio qualche co-
sa di più. Mercè delle sue cure e del suo gusto comin-
ciarono il Sarro , il Caldara , il Porpora , il Predieri otti-
mi compositoi-i ad occuparsi in un nuovo genere di dram-
ma incomparabilmente più interessante , che aprì alle lo-
ro note una nuova scaturigine di musiche dolcezze che si
ignorava. Le loro modulazioni attinte in espressioni poeti-
che più energiche e patetiche sorpassarono certa specie di
armonia generale sino ad essi coltivata che poco coli' este-
tico allettava , e nulla col patetico, il quale anziché cono-
scersi si travedeva appena. Crebbe il concorso de' teatri ,
ed i compositori s'inoltrarono pel nuovo sentiero con vie
più franco vigore. L' entusiasmo del Metastasio nel suo fio-
rire si trasfuse nel Vinci , nel Leo , nel Durante , nell' Bas-
se , nel Pergolese , nel lommeUi. L' Italia , la Germania ,
la Spagna da quel tempo mostrarono rincrescimento del-
la mediocrità , ed i progressi medesimi dovuti al Metasta-
sio appresero a rinvenir de' nei sino a que' dì non cono-
sciuti , e non si ammirarono se non i capi d' opera di poe-
sia e di musica. Se Metastasio rimase quasi solo fra' poeti
teatrali , sursero fra' compositori molti ingegni rari , che
accesero sul Parnaso musicale , e circondarono Metastasio
che ne fu I' Apollo. Sacchini , Piccinni , Guglielmi , An-
fossi , Cafaro , Sarti, Perez, Glukc, Cimarosa , Traetta,
Paisiello , empierono de' loro musici fruiti preziosi 1' Eu-
ropa , mentre JNicoIò la Sala, Feuaroli , Monopoli, Trillo
SISTEMA MELODRAMMATICO 85
rischiaravano ne' conservatorj Napoletani la gioventù, inse-
gnando il canto , r espressione degli stromenti e gli arca-
ni del contrapiinto.
Se in tanta gloria musicale l'Europa non soggiacque
alla malattia degli Abderiti di rappresentar per delirio l'^^/i-
dromeda , certo è che nelle bocche gentili non meno che
nelle volgari s' inlesero in quel periodo glorioso ripotere i
passi più importanti dell' Olimpiade^ delia Zenohia ^ del
Demetrio ed altre esimie produzioni di qu?l raro ingegno.
Tulli canlavauo Jìlìsero pargolcilo , Se cerca se dice, Tra-
dita sprezzata, Che mai jisponderti , Confusa smarrita^
Dov' è s' affretti per me la m.orte , colla musica or del
Sassone , or del Sacchini , or del Pergolese , or del Pic-
cinni , or del lom nielli.
Non vorrei che per l' età mi noveraste trtx' lodatori del
passalo per morbo senile anzi che per sentimento fondato.
Ma pernietleterai purché il dica, noi al presente ci trovia-
mo in circostanze diverse. Mancata la divina voce del Me-
tastasio ci siamo per la poesia bene allontanati dalla di lui
intonazione. E per la musica , sebbene possiamo gloriarci
del cav. Paisello, del Palma, del Zingarelli , del Paer ,
del Cherubini , ed i Francesi del Grelry e de' discepoli che
fecero fra loro il Sacchini , il Piccinni , ed il Gluck , non-
dimeno insensibilmente di anno in anno , si è ito provan-
do meno frequente e meno gestiente il piacere musicale
già sperimentato.
Avrebbe mai la musica perduta l'arte di tirar l'at-
tenzione , d' incantar 1' udito , di trarre lagrime di piacere
86 SIGNORELLI
couìmovendo i cuori ? Sarebbe a desiderare che alcuno
de' nostri valorosi ragionatori , a' quali la musica non fos-
se un' arte ignota ( supponendo sempre che avesse per-
corsa la filosofica carriera ) prendesse a rintracciar la ca-
gione che fa tacere il Parnasso armonico , e a dissiparla
potendo. Alla mia debolezza altro non è permesso se non
che imprimere in tal sentiero orme incerte e spander fer-
vidi voti. Ma intanto che miglior penna vi si accinga, per
non rimanere ozioso , avventurerò qualche -pensiero più
per propria istruzione che per altrui , e colla speranza
de' vostri soccorsi cercherò la sorgente del piacere estetico
e patetico musicale, base e fondamento del sistema melo-
drammatico. Comincerò dal rammentare ciò che ne disse-
ro i grandi pensatori e calcolatori.
Convengono gì' intelligenti col Galilei nel dire che il
suono si forma per le vibrazioni de' corpi sonori che fa-
cendo tremar l'aria diffondonsi sfericamente per ogni lato,
e vanno a ferire il timpano dell' orecchio. Ma quando si
soggiunge che sonandosi due corde di acutezza diversa l'o-
recchio le sente alternativamente, e la loro unione ne pro-
duce il piacere , v' è chi da quel grand' uomo discorda ,
uè tutti credono quell' unione cagione del piacere musica-
le dell'udito. Suole addursi per argomento di tal discre-
panza che la legge delle ragioni di crescere gli anteceden-
ti e i conseguenti di una unità nelle cinque più perfette
consonanze i, |, i, |, ottava, quinta, quarta, terza mag-
giore e terza minore , non si avvera nelle due seste | , e f
E posto che anche in queste la detta legge si sostenesse.
SISTEMA MELODRAMMATICO 87
potrebbe valersi la musica delle ragioni | , i , i"j , e di altre
molte procedenti colla stessa legge. E pure | , j ec. non
rappresentano in musica veruna consonanza.
Si nega di più che dalla medesima legge possano de-
dursi le dissonanze , parie essenziale della musica. Si con-
chiude esclusivamente perchè in pratica , ad eccezione del-
l'ottava, non vi è intervallo veruno fondato nelle indica-
te ragioni (1).
Il sommo matematico Eulero prende per cagione uni-
versale di ogni piacere la relazione del tutto con le parti,
e di queste tra loro. E quiudi , secondo lui , la soavità
de'suoni musicali tanto è maggiore quanto più facile è alla
mente il paragonare i suoni e comprenderne le relazioni.
Da ciò discende che la ragione più sempHce a compren-
dersi è r eguale e poi la dupla 5 ed in conseguenza l' uni-
sono che procede dalla prima , si rapporta al primo gra-
do di soavità, e l'ottava che proviene dalla seconda , al se-
condo (2). Con ciò l'Eulero divide in gradi la soavità che
è una impressione dell' udito : le attribuisce 1' estensione
delle corde : la fa consistere nella facilità di comprendere:
suppone anche tale facilità divisa in gradi. Simili idee non
in tutti disgombreranno le tenebre che ricoprono la sor-
gente del piacere estetico della musica. Anche la pratica
par che contraddica a tal teoria. Imperocché se il primo
(i) Si può vedere l'opera di (2) Non discorda da questo
Antonio Exiineno origine e rego- ayviso Anlonio Fianelii.
le della musica.
8B SIGNORELLI
grado di soavità conviene all' unisono, sarà l'unisono l'in-
tervallo più soave e dilettevole della musica j ed intanto
i compositori spesso l' evitano , reputandolo all' udito non
mollo grato. SofiVirete che io qui vi rapporti il raziocinio
che fa il prelodato Eximeno parlando della seconda rego-
la generale dell'Eulero. I gradi di soavità (egli dice ) so-
no immaginar] , e la conseguenza dell' Eulero non si ve-
rifica in esempli particolari. Il fondamento della di lui se-
conda regola è che la mente con egual facilità paragona
i numeri moltiplicati insieme che gli ordinati in serie. La
ragione i : 12 ( dice l' Eximeno ) avrà l' islesso esponen-
te di soavità che la serie i: 2: 2: 2'. 3jma l'esponente
o minimo comune moltiplice di questa serie è 6 , on-
de si ricava il grado di soavità 2+3 — 1=4. Dunque la ra-
gione i: 12 sarà nel quarto grado di soavità. Ma la stes-
sa ragione i : 12 = 1: 2'. 3 si appartiene per la regola pri-
ma al grado 2-|-4 = 5- Dunque una stessa ragione per la
prima regola si appartiene ad un grado di soavità , e per
la seconda regala ad un altro. L'istesso autore adduce la
ragione di tale antinomia j ed è che 1' Eulero toglie il 2.
repHcato dalla serie i : 2. 2:3, e non lo toglie dalla
ragion composta i. 2. 2 : 3. , la qual cosa non concor-
da col supposto che con egual facilità la mente paragoni
i numeri ordinati in serie , e quelli messi insieme in una
ragion composta. Che se il numero replicato aumenta la
difficoltà del paragone nella ragione composta, l' aumente-
rà eziandio nella serie j e se non l'aumenta nella serie , né
anche 1' aumenterà nella ragione composta.
SISTEMA HirXODRAMMATICO 8»^
lo non osetò diie col lodato Eximeno che la n)a(,e.
malica non è per la musica un duposlto di verità iiifalli-
biliv Ma non saprei dissimulare che quando voglia apjdl-
carsi ad oggetti supposti estesi , non potrà avere quella
infallibiHtà che le conviene nel trattare della reale esten-
sione de'corpi. Ora l' estensione delle corde attribuite a" suo-
ni appartiene all' immaginazione o alla realità?
Né le meditazioni del Tartini , del Rameau , e del
d' Alembert par che additino la sicura sorgente del piace-
re armonico se voglia consultarsene la pratica. Il Tarti-
ni (i) afferma che 1' armonia è composta di più suoni i
quali integrano una vera unità. E di questa sua unità ar-
monica adduce in prova che sonandosi i sei flauti del-
l'organo formano la sestupla armonica di ottava quinta
quarta terza maggiore e minore , ma che si sente un suo-
no solo pieno di ai'monia. Da' pratici nondimeno si affer-
ma che vi si senta almeno la terza e la quinta. E se è
ciò, come assicurarci della sua unità armonica, e dedur-
re r origine del piacer musicale ? Il Tartini non lascia di
addurne prove geometriche le quali punto non persuasero
alcuni intelligenti, e. segnatamente l' Eximeno che le com-
balte nella parte I della citata sua opera.
H celebre maestro Rameau (2) ed il Sig. d' Alembert
nel ridurre il di lui trattato a miglior forma (5) , stabili-
(i) Nel suo trattato àell'Ar- monia.
monia. (3) Elementi di musica.
(2) Nel suo trattato dell'.^r-
T. IV. 1%
go SIGNORELLT
scono come speiiiuento fondamentale dell' armonia la riso-
nanza di duodecima e decimasetlima maggiore che fa sen?-
tire nell'aria qualsivoglia corda ^ e chiamano questo suono
generatore , e gli altri due generati. Or siccome la duo-
decima e decimasettima maggiore che accompagnano il suo-
no generatore ut altro non sono che l' ottava di sol., e la dop-
pia ottava di mi , ne segue, dicono Rameau e d'Alembert,
che per la libertà che si ha di sostituire ad un suono la
sua ottava , il suono generatore ut è sempre accompagna-
to dalla terza maggiore mi e dalla quinta sol. Quindi con-
chiudono che il modo maggiore , ossia l' accordo più per-
fetto della musica ut: mi: sol è l'opera im media ta~ della
natura.
Ma restava a trovar tuttavia il modo minore. Ra-
meau crede di averlo trovato per mezzo di un altro espe-
rimento. Accordando due corde al di sotto del suono prin-
cipale ut, r una in duodecima, l'altra in decimasettiraa ,
egli osserva che queste due corde fremono, sebbene non
risuonino colla corda ut. Ciò posto egli ricava da questo
fremito dato dalla natura il modo e l' accordo minore rar
gionando così. Perchè la terza minore sotto dell' ?fi è Za,
sarà la terza maggiore sotto dell' z/^, la'' j or l'intervallo da
xit a. la è una terza minore j dunque 1' intervallo da ut
a Za* sarà una terza maggiore j per conseguenza la decima-
settima maggiore sotto dell' ut sarà la doppia ottava di Za* ca-
lando, e la duodecima sotto dell' J^^ sarà l'ottava di ^
anche calando, essendo fa la quinta sotto dell' f^^. Da ciò
conchiude che per la naturale facilità che si ha di eoa-
SISTEMA MELODRAMMATICO 9»
fondere i suoni colle loro ottave si viene a formare que-
sto canto indicato dalla natura , fa: la^ : 7^^, in cui la ter-
za /à: Za'' partendo dal primo suono yà è minore. Que-
sta secondo Rameau è 1' origine del modo minore. Se non
che né la risonanza delle corde , né il loro fremito sem-
brami che esser possano un fenomeno sufticiente a stahi-
Lre i veri principj della musica , e dedurne V origine del
piacere che ne risulta. E per ciò che riguarda la risonan-
za r istesso Rameau afferma sulla testimonianza del Sig.
BetJiizy (i) , che oltre della duodecima e decimasettima
• che risuonano col suono generatore , odonsi ben anche fra
altri suoni ,1.1' ottava della duodecima, 2. un suono che
egli chiama perduto^ 3. la tripla ottava del suono fonda-
mentale, n suono perduto secondo il Bethizy è tra la vi-
gesima e vigesimaprima , la sua ragione è ^ , ed egli lo
chiama perduto , perché quantunque risuoni , non forma
però armonia alcuna. Io duncpie dico: non basterebbe so-
lo questo suono perduto per far conoscere a Rameau e
ad Alembert che la risonanza delle corde non è un suf-
ficiente fenomeno perchè vi si fondi la teoria della musi-
ca ? v' ha di più. Perchè dobbiam noi sostituire mi alla
sua doppia ottava , e sol alla sua ottava , e non ha ciò
fatto la natura? E fia credibile che 1' arte sia superiore
alla natura , e che mentre questa ci addita 1' origine del
piacer musicale per intervalli lunghissimi , cotae son quel-
(i) Exposition de la theo- sique ^ par. 2. ari. j.
rie et de la pratique de la mu-
93 SIGNORELLT
li dell' ict alla sua duodecima e decimasettima , possa poi
r arte rendendo più brevi tali intervalli , divenir sua mae-
stra ed emendarne i difetti? Si è sempre detto che l'ar-
te si perfezioni imitando la natura , e non mai che la na-
tura modellandosi suU' arie , diventi di questa imitatrice.
Riguardo al fremito , l'istesso d'Alembert lo crede un' o-
rigine capricciosa del modo minore. In fatti che fenome-
no musicale può esser mai un fremito senza suono ? la
oltre se ut dà mi e sol, trasportando ut sul mi, rimane
sempre nell' accordo mi : sol : ut , rimane , dico , ut per
suono generatore j dunque se ut genera anche il fremito
di la^ e alfa, trasportando r^^ sopra yà dovrebbe pel mo-.
do minore fa : la'' : ut passar l' istesso ut come suono ge-
neratore. Or non sarebbe questo uno de' massimi assurdi
musicali ?
Per la qual cosa il Sig. d' Alembert rigettando quel
fremito si sforza di ottener anche dalla risonanza delle cor-
de il modo minore. Osservando egli che nel modo mag-
giore ut: mi', sol il mi non fa risonare sol, perchè mi
sol è terza minore , sostituisce in vece di mi, m,i'' , che
unitamente con ut fa risonar sol , perchè cosi mi'' : sol sa-
rà terza maggiore , e mi'' con ut farà come si è detto , ri-
sonar sol. Ma qui d'Alembert senza punto avvedersene
distrugge il basso fondamentale, su di cui tutta sta fon-
data la sua e la teoria di Raraeau. Ma si rifletta un poco.
Se ut e mi'' sono in terza minore , ut non più genera né fa
risonar mi'' ^ dunque ut non è generatore di mi'' j dunque
il modo minore non ha più basso fondamentale. Se non
SISTEMA MELODRAMAIATICO ()J
è questo un contraflclir a se stesso , niuna cosa da cpi in-
nanzi potrà più dirsi contraddizione.
IS'ella varietà delle scientifiche investigazioni di sì va-
lorosi pensatori pare che si trovino per tutto anzi barlu-
mi che chiaroii , i quali non danno tutta la fiducia per
noverar le proporzioni matematiche compiutamente oppor-
tune a regolar V armonia , ed a rimovere tutti gli ostaco-
li che presenta la pratica discorde dalla teoria. Sospen-
dendo un giudizio positivo fino a che sopravvenga qualche
altra scientifica teoria che meglio colla pratica si ac-
cordi , a noi animati dall' avviso^ dell' antico Anassimene
basterà indagare ciò che dicono i sensi sul piacere musi-
cale. Le vibrazioni ( par che essi ci dicano ) prodotte
da' corpi Sonori passando all' orecchio ecciteranno quel grato
godimento che piacer si chiama , e si comunica al cuo-
re. Questo godimento ha maggior vigore di quello che si
riceve da' nudi versi j cioè privi del presidio del canto ar-
tificiale j ma ciò allora avviene che si verifichino o tutte
o alcune delle seguenti condizioni, i. Se con soavità vi
pervengano ^ imperocché l' asprezza dell' urto produce nel-
r udito una sensazione opposta j cioè dispiacevole. 2. Se
l'organizzazione fisica del senso non impedisca l'effetto del-
l'urto soave. 3. Se altre grate impressioni sopravvengano
che secondino le prime in vece di distruggerle, perchè in
tal caso l'effetto della soavità verrebbe soffocato nel nasce-
re. 4- Se dissipato il primo suono sarà rimpiazzato dn un
altro similmente soave. 5. Se la varietà e la concordia
de' suoni contemporauei o successivi combinandosi ne ac-
ì
y4 SIGNOREILI
ciescano o ne sostengono la graia sensazione. Tutto ciò
che a sì dilettoso effetto contraddica , quando pur venis-
se prescritto da proporzioni ritrovate col calcolo , riescirà
rincrescevole o almeno indifierente. E la pratica dall'espe-
rienza sostenuta , rispettando l'autorità de' calcolatori, si at»>
terrà al giudizio del senso particolare ed al consenso com-
mune più antico del calcolo.
Ciò che all' arte può «opra tutto giovare , sarà il ri-
levare per qual principio la musica procacci all' orecchio
simii piacere. Per quello che a tutte le arti belle è com-
mune : per l' imitazione. Vero è che la poesia stende la sua
imitazione su quanto comprende la natura , e va più oltre
ancora abbracciando quanto sa l'immaginazione combina-
re, laddove la musica a sì lontani confini non ispinge la
sua facoltà d'imitare. Non è però men vero che le altre
arti la musica non superi nel soggettare alla sua armonia
gli oggetti che la natura presenta. La pittura p. e. si cir-
coscrive a mostrare cjò che si prefisse nel momento del-
la sua scelta. Giuseppe Errante nel presentarci Endimione
nelle campagne di Lfitmo mette sotto i nostri occhi la pre-
senza di Diana senza dipingerla. Un orizzonte fulgido per
gradi termina l'ombre di quelle selve, e chiama a se gli
sguardi j uri centro di più vivace cliiarore quasi dietro aa
un velo annunzia un certo che di sovi aumano che par chq
si diriga verso 1' addormentato pastorello e lo vagheggi ,
e fa che di momento in picuiento si attenda il corpo ce-
leste che lo cagiona j Diana non appare e si palesa j e per
vedersi converrebbe che l'istesso diiicato pennello squar-
Sk>TKlMA MELODRAMMATICO C)^
eia'^se quel grazioso velo elio roccuU.i noi inarìifestaila. Ma
la mubicn senza nulla cancellare ci lras])orta di oggetto in
oggelto. 11 sonno di' quel pastore può essa enunciare al-
l'udito, il silenzio del campo e la notte che lo copre, la
parte del cielo che risplende, il riposo di ogni cosa imita
coir armonia e ne tramanda per l'orecchio al cuore il pia-
cere. Se il verno irrigidisce , il gelo inceppa il rio , la tem-
pesta copre di pallidezza il nocchiero , la pioggia inonda,
la grandine salta sulle dure glebe e spoglia del verde le
piante , striscia il fulmine, romoreggia il tuono 5 tutto la
musica imita co' suoni né cangia sito. Divampi un incen-
dio, l'orror di denso bosco atterrisca il viandante , gli ^ui-
gelli salutino 1' aurora , la calma inviti alle sponde , col
sol che spunta riprendano le cose i colori 5 la fiorita pri-
mavera , l'umido autunno , Y arida state , lutto la musica
dipigne co' suoni , eccitando negli animi que' movimenti che
nel vedersi si sperimentano.
Non v' è chi non gioisca di una piacevole combina-
zione di tuoni che tanti oggetti sensibili per l'udito ci ram-
menta senza mostrarli. Il primo effetto'' dhe ciò indubita-
tamente in noi produce, è di riempiere di dolcezza il sen-
so prima colpito dalle soavi modulazioni j e questo vuol
considerarsi come oggetto pritnario dèlia' ' mùsica 5 p'er'clfè
se la melodia mulcendo 1' udito non invita ad ascoltare ,
inuiil fia prefigersi qualunque' altro scopo. Non so indur-
mi a credere che l'uomo nel pensar la prima volta a can-
ticchiare o a soffiare in un tubo di canna o di corteccia
qualunque o a trarre de' suoni in ogni altro modo, aves-
^6 SIGNORELI.t
se ad altro pensato die a dilettare il proprio udito o l'al-
trui. Adunque il primo suggerimento della natura fu il pia-
cere deir orecchio. Per la qual cosa discordando io dal
più volte lodato Eximeno , il quale tenue che ciò doves-*
se considerarsi per oggetto secondario , dirò anzi che sia
l'unico mezzo di fissare l'attenzione, ed il primo scopo,
a cui tender dee così beli' arte.
Ciò non ostante il diletto dell' orecchio che al cuor
pur si communica , diremo che sia 1' oggetto più impor-
tante della musica teatrale? Questo poi no. Nel teatro fa
mestieri parlare al cuore col linguaggio che ad esso è pro-
prio , ed il linguaggio al cuor proprio è quello delle pas-
sioni che eccitate colla mescolanza delfinio e del vero dif-
fondono iu esso un diletto tutto diverso da quello che vi
apporta il senso , cioè da quello che può essergli comu-
ne colle anime anche volgari, cogli stupidi e fin co' bruti
che ne sono scossi.
Se in oggetti mprali lecito fosse adottare per un mo-
mento il chimico linguaggio , decomponendo il piacere del
cuore prodotto dalla musica drammatica , direi , che tro-
var vi si dee per base la fisica delicatezza delle di lui fib-
bre 5 una dose competente di sensibilità proporzionata al-
la vivacità ed acutezza dell' intendirnento , V efficacia dell' il-
lusione che fa passare la poeticji falsità colla verità dell' af-
fetto , il naovimenlo chp v' imprirqe la poesia coli' incanto
dell' 3rmonia naturale de' versi accresciuto dal potentissimo
patetico de^^^ melodia artificiale,
SISTEMA MELODRAMMATICO 97
Ad ottener questo secondano ma più interessante ef-
fetto si presenta spontanea al contemplatore una regola car-
dinale , da non costare al compositore altra fatica che di
esser persuaso della sua necessità. E questa: Come egli ri-
ceva dal poeta il dramma colla di lui istruzione, lo fac-
cia tutto suo , leggendolo e rileggendolo. A misura che
s' internerà nell' artificio del suo piano , e ne scoprirà i co-
lori e lo spirito de' caratteri e degli affetti, se ne impos-
sesserà di modo che comincerà a mirarlo con affezione, qua-
si proprio prodotto. Allora l' espressione patetica de' ver-
si andrà come strale a ferire l'intimo del cuore del mu-
sico compositore, lo riscalderà , lo commoverà. L' unità
del disegno del poeta influirà nell' armonica veste che da
esso attende , e gli farà comprendere che senza tale uni-
tà non potrà condursi lo spettatore all' altra unità d' inte-
resse che allo spettacolo 1' attacca. In fatti dalla mancan-
za dell' unità del disegno deriva la non curanza dello spet-
tatore per la musica. Egli la considera come un'accade-
mia privata, dove quanto si canta tutto è staccato e in-
dipendente j laddove se le armoniche bellezze saranno con
economia ed incalenamento impiegate , seconderanno il di-
segno poetico , e lo spettatore sempre sveglio coronerà
co' suoi applausi la sagacità dell'ingegno del poeta e del
compositore. Che se al contrario il musico trascura d'im-
medesimarsi nelle vedute del poeta , se dovendo esprime-
re le angustie di un innocente perseguitato ed oppresso ,
egli attende a spiegare la pomj)a delle delicatezze musica-
li , ovvero se trascuri di unire ad un fiue tutti i pezzi mu-
T. IV. i5
gb SlGNORIiLLI
sleali eoa prudente economia , il poeta e lo spettatore sa-
ranno traditi , ed egli con suo danno imparerà che ad on-
ta di due o tre pezzi felici della sua musica , il melodram-
ma caderà ed il teatro rimarrà voto. E dunque l'unità di
disegno e d' interesse che chiama V attenzione di chi ascol-
ta , ed assicura la riescila del dramma j e queste unità nou
si ottengono senza la regola indicata al compositore di far
sua la produzione del poeta.
Ora vediamo se qualche massima moderna adottata
da' maestri di musica , ed anche da qualche scrittore » si
opponga alla regola proposta. Dietro la scorta del riputa-
to Gluck , cui si sottoscrisse il cavalier Plaiielli , prevalse
tra' musici un solenne pregiudizio che suppose nella mu-
sica una meschinità che non ebbe e che non avrà mai.
Essi sostengono che non sono proprie per la musica se
non le arie da essi chiamate di affètti , e rigettano tutte
quelle che contengono pensieri filosofici^ massime, sen-
tenze , perchè fredde le reputano ed inette ad ogni ar-
monica melodia. Questa erronea decisione desta riso in chi
ragiona , e compatimento pe' compositori illustri , ed im-
poverisce il melodramma. Ciò che da siffatti decisori si ri-
gettò sotto i vocaboli di massima , sentenza filosofica ,
racconto, moralità, contiene la maggior parte del dram^"
naa. E che ? Per simili cose la musica è muta ? Non ha
melodia , non armonia , se non che per poche arie e pec
qualche spezzone di recitativo ? Se ciò fosse oggi povertà
dell' arte , e non capriccio o debolezza degli artisti , biso-
gnerebbe confessare che i Greci che colla musica teatrale
SISTEMA MSIODRAMMATICO 99
incantarono i compatriotli , seppero assai più di noi appli-
car le note alla poesia. Or per qua! ragione si pretende
dare il primato alla moderna mir-ica nell'atto che si vuo-
le questa incapace di lutto esprimere nn dramma? Noa
sarebbero due cose contrarie sovrastare alla musica Gre-
ca , ed esprìmere meno di quella ? Ma no ( sia ciò che
soggiungo detto con pace di tutti i Gluck , ed i Planelli
possibili ) : se la musica antica espresse mirabilmente le in-
tere tragedie, ed incantò gli antichi , la nostra musica non
ha perduta questa ben distesa energia per difetto dell'ar-
te. Coloro che rigettano tutto ciò che non suggerisce arie
di aflelli , mancano di riflessione , e non vedono q\ì affetti^
il patetico, se non in pochi colori ripetuti. I grandi affet-
ti bisogna che si preparino. Non avviene l' incontro inte-
ressante d' Ifigenia con Agamennone se non dopo che il
Messo che viene ad affrettarla , le ha palesato che dee es-
sere dal padre sacrificata. E se non sapete esprimere i pas-
si che a sì gran punto conducono , sarete un infelice com-
positore. È possibile che le arie de' grandi affetti nascano
come funghi senza saperne disporre la produzione ? La col-
pa adunque non è dell' arte ma di chi la vuole impove-
rire. Quello che si chiama massima, sentenza, pensiero
filosofico , porta seco 1' affetto o di ciò che precede o di
ciò che è per seguire , ed ha la verisimile gradazione che
gli umani eventi portano seco loro. Può esservi qualche
massima fredda , ma non tutte le massime sono fredde ; anzi
per lo più esse hanno quell'affetto, che per mancanza di
penetrazione non sa vedervi il compositore volgare. Ma &e
lOO SIGNÒRELLI
egli non sarà tale , ma fornito di buon senno e ricco di
modi e di molivi armoniosi fecondo , trarrà calore dove
un maestro comunale non trova che ghiaccio. Altrove di-
mostrai contra l'avviso dell'erudito Schulzer che l'aria
di Aquilio Saggio guerriero antico porta il fuoco delle
di lui speranze la mezzo alla cautela di attendere il mo-
mento che lo faccia vincitore. Il dotto Planelli rigettò co-
me massima fredda l' aria di Matusio nel Demofoonte :
Ah che né vero bene ,
Né vero mal si dal
Prendono qualità
Da' nostri affetti.
Lascio la discussione metafisica che egli intentò con-
tro la verità del sentimento, ponendolo in dubbio j e dico
solo che r agitazione della scena che mette in furore Ti-
mante , non poteva senza sospensione di animo, confusio-
ne ed affetto lasciar Matusio , che non intendendo la ra-
gione perchè mai una buona novella produca un effetto
doloroso , riflette non senza affetto certamente sull' incer-
tezza in cui ci gettano le passioni. Or la musica non può
esprimere questo stato delle anime umane ? Intesi censu-
rare ancora l'aria dell' Olimpiade , Siam nati alle onde
algenti .f ed altresì l'aria dell'ozio, Nasce al bosc in
rozza cuna. Erra chi reputa cpeste due belle arie seuj-
plici ornamenti lirici e privi di afletti. Al contrario sono
pensieii pieni del patetico che il cuore esige ddl me'odsam-
ma. Infatti col risalire alle circostanze dell' azione ess -ug-
geriscono colori appassion«iti , e non pezzi di gelo j ed ai-
SISTEMA MELODRAMMATICO lOl
tenendosi alle immagini die rappresentano, l' imitazione
della vita agitata espressa nella prima co' pericoli del ma-
re , e le vicende della sorte che dà e toglie i regni nella
seconda, non doveano suggerire affetti opportuni al canto
musicale? E l'una e l'altra non si espressero ugualmente
da diversi maestri e con ispezialità dall' esimio Jommelli ?
I maestri e i critici settatori del Gluck mostrano di aver
perduta di vista la grandezza di un dramma compiuto.
Questo per me rassomiglia ad un gran quadro. Tutto non
vi si può rappresentare col medesimo colorito. Il chiaro-
scuro pittorico non è così a cuore del buon pittore seguace
dell' Urbinate, come esserlo dee il poetico al poeta, ed il mu-
sicale al compositore, se voghono evitare la monotonia lela-
liva de' versi e dell' armonia. E siccome il pittore rende
armonica la sua tela graduandovi le tinte , ed allontanan-
do colla forza del vivace colorito espressivo delle figure
principali quelle che sfumate con beli' accordo adombra
in distanza : cosi il poeta ed il musico riempiono le loro
tele rispettive , variando le immagini e 1' espressione mu-
«ica e poetica, col tragico colorito vigoroso che atterrisce,
col poetico compassionevole che lacera il cuore, coli' ira-
peto che trasporta, co' palpiti che sospendono, col rifles-
sivo che medita , colla timidezza e col dolore che abbat-
tono , senza che in tanta varietà una tinta all'altra muo-
va lite.
S'io m'appongo, l' indicato pregiudizio boreale si op-
pone in certo modo alla pratica stessa de' compositori. Es-
si amano con predilezione il cantabile tanto jjer naturai
lO'j; SIGNORÈLLl
pendio quaiilo per compiacenza per gli attori. Ora il can-
tabile lungi dall' accrescere il movimento dell'azione , vi
getta del riposo sovente intempestivo , forse più nocivo al
diseguo del poeta che le arie di massime e sentenze mo-
rali che pur non sono che un concetto passeggiero. E per-
chè queste si rifiutano , mentre tanto si fa conto del can-
tabile ? Secondo me ciò avviene perchè il compositore nel-
le detestate massime si avverte della propria povertà , non
sa])endo rinvenire né i rapporti dell' immagine di essa col-
1 affetto, né le conseguenze che può trarne la musica ove
non iscarseggi di filosofia 5 laddove nelle arie cantabili fon-
date in allegorie ed imitazioni di cose sensibili, per lo più
si ravvisano agevolmente que' rapporti e quelle conseguen-
ze. Neil' aria della Semiramide , // Pastor se torna aprile^
quelle arene abbandonate eh' egli fa di nuovo risonare,
subito suggeriscono al compositore modi e motivi armonici
da imitare. Ciò è un nuovo argomento , perchè il compo-
sitore lasciar non dee di ascoltare il poeta , che può far-
gli notare il patetico del melodramma diffuso colla dovu-
ta proporzione in tutte le sue parti. Ascolti dunque il poe-
ta , Algarotti diceva : ne dipenda come dipendeva il Lui-
li dal Quinaut , ed il Vinci dal Metastasio.
Alle istruzioni del poeta potrebbe servir di suppli-
mento la seguente osservazione. Il piacere che reca il pa-
tetico al cuore , è in ragione dell' illusione che può pro-
durre lo spettacolo. Guardisi dunque il maestro dal di-
struggerla. Un' aria intempestiva di bravura , dove l'af-
fetto esige espressione delicata: una cantabile y dove Va-
SISTEMA. M"ELODRAMMATICO I05
zione vuoi moto : per seguir la moda delle arie a rondò
formar delle parole una trasposizione biscaglina , ed ac-
coppiar due verselti disgiunti da un punto fermo: di quat-
tro versetti soli a forza di ripeterli e sconciarli nojosamen-
te riempiere una intera pagina di scempia prosa : tutto ciò
dissipa r illusione e lo spettatore si contorce, e mormora.
Talora avviene che il buon compositore attende alla pa-
4:ola e non al sentimento 5 e dove il poeta, per indicar al-
legrezza , dice di esser cessato il pianto , il compositore
sul pianto forma una flebile armonia. Talora il poeta fa
dire ad un attore, -parto ^ ubbidisco-^ ed il compositore,
malgrado del poeta o dell' attore , V obbliga a trattenersi
per vocalizzare sidl'a indiscretamente. Se il maestro si de-
liziasse in replicare venti volle la parola volo , come fece
la Giocasta di Seneca nella Tehaide , parrebbe che il can-
tore si burlasse del comando ricevuto. Simili sconcezze non
mostrerebbero all'uditorio che tutto è mascherato? E do-
ve sarebbe il piacere atteso dal patetico ? V ha di più.
Due personaggi che non debbono vedersi in iscena , se
costretti dal maestro convenissero in cantare un bel cano-
ne, sarebbe probabile che l'incoerenza di simil cantone-
cesse non solo al patetico , ma minorasse eziandio il pia-
cere estetico per difetto di verisomiglianza.
A conseguire l'unità di disegno e d' interesse per con-
seguenza , che fu sì a cuore al Zeno ed al Metastasio co-
me poeti, ed al Pergolese ed al JommellI e ad altri insi-
gni maestri per la musica, sarà mestieri che contribuisca-
no tutte le parti che compongono il melodramma , cioè
lO^f SIGNORr;LLI
V Apeidura o Sinfonìa , i Cori , i Recitativi , le j4r'e.
\\ maestro che vuol distinguersi e piacere all'udito e coin~
movere il cuore , rispettando i consigli del poeta ed i ri-
guardi dovuti all'illusione teatrale, condurrà ttrtte le linee
armoniche delle indicate parti, come al proprio centro, al-
l' unità di disegno ed interesse. Una sinfonia di festevo-
li Bassaridi disconverrà per aprire un jijelodrainma tragico,
ed una querula armonia che ne rammemori il piagnisteo
delle prefiche, male raccomanderà un'opera buil'a. Il ca~
rattere del dramma somministri le modulazioni alla sinfo-
nia. Si pretese un tempo che 1' apertura dovesse rappre-
sentare il prologo del dramma. In prima io domando : si
è convenuto che la tragedia debba averne ? Se Euripide
se ne valse , Sofocle non V usò mai ; e gli intelligenti a
quest'ultimo tragico si appigliano. Ma vogliasene pure uno,
qual prologo potrebbe attendersi dalla musica, che per farsi
capire abbisogna o della poesia o della danza? Peggiore fu
l'avviso di chi propose che V apertura dovesse formare
un'estratto del dramma. Vi sarà un maestro che senza pa-
role presuma individuarne le rivoluzioni? Già mille volte
sì è domandato all'armonia strumentale che cosa mai in-
tenda dirci, W Tartiui che ciò comprese , per rendere le
sonate interessanti, e farne capite l'espressioni, dava loro
un oggetto indicato col titolo, perchè si cornprendesse la
dipintura che prendeva a disvi'uppare co' .'•u.;i modi. Una
ne intitolò, Didone abbandonata^ e cosi l'a.scoltatore po-
tè distinguere le vicende di quf Ila regina nelle variazioni
d(j' tempi e de' moti% i dell' armonia or tenera , or doloro--
SISTEMA Mtì,ODRAMMATICO IO-»
sa , or disperala. Il Rameau fece allreltanto , ed in varie
aperture intese esprimere diversi quadri ^ ed in Zeis disse
voler dipingere il disviluppo del Caos, in Nais la pugna
de' Titani, in Platea la venuta della Follia j ma bisognò
prevenirne gli ascoltatori. Ottimamente riflettè d' Alembert
che r espressione della musica non si assapora , se non è
unita alle parole o al ballo j essa ha una lingua senza vo-
cali , e la sola azione può prestargliene.
Quando il melodramma richiamò sulle scene i Cori
che la moderna tragedia rigetta , se re valse per una ca-
nora decorazione, specialmente ne'sacrificj, ne' trionfi, nelle
feste campestri. Eccellenti modeUi ne fornì il Metaslasio nel-
r Olimpiade^ nel Tito , nell' Adriano , nell' Alessandro.
Durerà il compositore poca fatica a renderli interessanti e
individuali all'azione ed al clima, secondando il gran poe-
ta. Guardisi però dall' avvicinarsi a' ripieni di chiesa,
1\ Recitativo ^ parte la più interessante del dramma per
essere il linguaggio di tutta l'azione, è divenuta la più
negletta ed una specie di mal curato prologo delle arie.
Il compositore della musica abbandona a qualche iniziato
neir arte , o ad alcuno che suol sedere al secondo cemba-
lo de' teatri , la evira di apporvi 1' accompagnamento del
basso, che co' suoi colpi periodicamente monotoni richiama
al tuono i cantori che lo gettano giù con oscitanza. Co-
me piacere ? Come interessare ? Questo abuso non si co-
nobbe a' tempi di Scartati, Durante, Porpora. Essi coiiì-
presero Tmiportanza del recitativo , e vi apposero essi stes-
si le note con tutta la cura. Allora però la sempHcità e
T. IV. "^ \f.
^06 SIGNORELLI
facilità graziosa delle arie poco le allontanava da' recitati-
vi, al contrario di ciò che ora avviene. Insensibilmente di
mano in mano non si è più frequentato il teatro se non
per ascollar qualche aria , ed il recitativo è divenuto per
lo meno indifferente. Gluck, forse per averlo compreso , si
propose di scrivere l'intero dramma col perpetuo accom-
pagnamento de' violini. Se trovato avesse seguaci, il suo
rimedio avrebbe accresciuto il male , e ciò che era mono-
tono per difetto di melopea , lo sarebbe stato per eccesso
di armonia. Il vero espediente da cacciar via la noja, sa-
rebbe render sensibile la pronunziazione , e V espressione
de' sentimenti , senza affettazione ma con interesse j perchè
l'interesse che prende l'attore nel fatto, passa all'udito-
rio , fa comprendere fll filo l' azione , eccita la curiosità
per 1' evento finale , e non dà luogo o a sbadigliare o a
dormire o a civettare. Non mi dimenticherò mai del mo-
do di rappresentare del Monticelli j che avea avuta In buo-
na fortuna di ascoltar Metastasio in Vienna. Rappresentan-
dosi nel Gran Teatro di S. Carlo in Napoli V Antigone,
egli espresse tutte le azioni di Demetrio per ottener da
Alessandro l'anello per liberare il padre, con tanta veri-
tà, naturalezza e calore, che al susurro consueto del pub-
blico annojato successe un silenzio , una sospensione genera-
le che scoppiò in un trasporto di piacere ed in ou con-
corde strepitoso applauso. Nel Demetrio posto in musica
dal Caldara V Addio di Alceste e Cìeonice che precede l' aria,
Non so frenare il pianto ^ si è sempre accolto con emo-
SISTEMA MELODRAMMATICO IO7
«ione di tenerezza, a dispelto degli abusi. La sola stupi-
4Ìilà ode con indifferenza Alceste che dice :
Su quella mano
Che più mia non sarà^ permetti almeno
Che imprima il labbro mio
U ultimo bacio , e poi tì lascio.
., ' N Addio.
Ale. )
Gli ascoltanti in Alemagna piansero a questa scena,
scrisse Metastasio.a Marianna Benti. Ma per far piangere
bisogna rappresentare , e non fidare a' gruppetti , a' gor-
glieggi. Piccinni pur troppo avea compreso il detrimento
che risulta al melodramma per la negligenza usata ne' re-
citativi tanto da' maestri quanto da' cantori. E riguardo a
se stesso soleva dir meco di trovarsi pentito di aver fat-
to sporcare le sue carte con recitativi non suoi. E ne
fu tanto persuaso anche il Jommelli , che diceva che permet-
terebbe piuttosto di fare inserire ne' suoi sparatiti quattro
arie di altri che quattro versi di recitativo. Avventu-
ratamente ci sono rimasti varj modelli eccellenti di reci-
tativi obbligati del Pergolese , del Leo , del Vinci. Altri
da mettersi a questi accanto ne lasciarono Traetta , S&c-
cliini , Piccinni e Jommelli , senza tener conto ora di al-
tri di grido non inferiore.
Il lusso che nel passato secolo dal Bernacchi in poi
spiegossi nelle Arie ossia strofelte anacreontiche , le quah
presero il nome di arie dal cauto che accompagna i ver-
61 , Jia contribuito alla decadenza dell'opera in musica. II
IC8 SIGNORELLI
soverchie piacere che da prima recarono i rilevanti requi-
siti che debbono concorrere nella composizione e nell' ese-
cuzione, l'eccessivo prezzo che le comprava, produssero
la poca curanza di tutto il resto dello spettacolo. Indici-
bile Ju falli era I' effetto , lo stupore o 1« gloja cLe ragio-
nava ""' «"» ;-
rante che canta Per darvi aLcuu fj-^^^^n , ma l'espiv-^.,
con tal verità e convenevolezza che illuse , commosse
e piacque. Gitami poi , forse per compiacere ad Ansani , fé
morir Catone gorgheggiando e cantando a rondò quest'a-
ria stessa. Può darsi maggiore stravaganza'.''
Del Duetto ossia aria a due favellò acconciamente
Gian Giacomo Rousseau. Egli ben vide la sconcezza de' duet-
ti di far parlare due personaggi nel tempo stesso o che
si contraddicano o che si accordino in profferire un me-
desimo sentimento. Non v' è che il trasporto di una pas-
sione grande che induce inconsideratamente due persone
eroiche a parlare in coro con poca urbanità. Nasca dun-
que il duetto da passione vivace atta a trasportare ad una
specie di delirio , ovvero si concejnsca in dialogo , non for-
mando però periodi lunghi. Scelgansi pel duetto affetti pro-
prj ad una melodia dolce contrastata , si che ne provenga
il canto accentato e 1' armonia dilettevole. E Rousseau e
Planelli adducono meritamente per modello de' duetti eroi-
ci quello dell' Olimpiade, Ne' gioj'ni tuoi felici del Per-
golese , incomparabile fuor di dubbio, cui altro valoroso
maestro che pose in musica l' opera stessa non giunse ad
uguagliare. Il duetto à.e\ Demofoonte , La destra ti chie-
de^ nasce parimente da una situazione sommamente paté-
jj^ SIGNOREtXI
tica, e più volte si pose in musica con felicità da' più ri-
putati maestri. Di un altro genere men tragico, ma non
Ln tenero e ben contrastato , è il duetto <1^ P-o ; Geo-
fide nell'Alessandro nelV Indie . S. ^^ ^^rbo ri tuo ri-
ol Tn a-— -' uistmsero per vie divpv.^ tr. composi-
P^ \'\- " • j- . Il oaccnmi per la cantilena eccellen-
tori cu primo orH-— • •" J
te 11 back per la meravigliosa espressione , il Piccinni che
non li vinse , benché loro non ceda né per l' un pregio
né per l'altro, intanto che in tutta la musica trionfa e
singolarmente neir aria
Dov' è , si affretti
Per me la morte.
Un Terzetto *e Quartetto può somministrare ampia
materia all'armonia concertata. E se il poeta non è ca-
duto nel comunale errore di dare a' personaggi un me-
desimo sentimento prolungato in più versi che per tutti i
riguardi riesce inverisimile; il compositore bene avrà cam-
po di spiegare ad un tempo dottrina ed armonia, acutez-
za e forza senza tradir punto l'espressione. Ciò che è da
evitarsi in simili pezzi concertati é 1' analogia o rassomi-
glianza ad un coro fratesco di un tempo , o ad un ripie-
no di chiesa o ad un finale moderno di opera buffa. Vuoi-
si noli' opera eroica in ogni incontro servar la decenza del-
la specie.
Sia i consigli, i precetti, le critiche ragionate gene-
rano l'entusiasmo ed il gusto ? Ad eccitare e coltivar l'uno
e r altro bastano tre parole : Ingegno , Natura , Model-
li grandi, Hinc -pectore numen.
SISTEMA MELODRAMMATICO
IV.
Qual piacere attendono i sensi e quale il cuore
dalla Pronunziazione ^ dalla Danza ^ dall' Apparato'^
Le vicissitudini della poesia e della musica ne pre-
senlano ne' due trascorsi secoli epoche più o meno prospe-
rose , e col fiorir del Zeno e del Metastasio , del Pergole-
se e del Jommelli e del Sacchini e del Piccinni e del Sas-
sone, pervennero entrambe a certo punto di perfezione da
non farci invidiare il melodramma de' tempi felici di So-
focle e di Euripide. Quando però passiamo a favellar di
attori , la nostra curiosità non trova gran fatto motivo da
rallegrarsi , e pure sono essi al moderno teatro così ne-
cessarj j giacché non siamo noi in Grecia , dove nel poe-
ta univasi per lo più il musico e l'attore. Se si è veduta
la poesia e la musica fiorire più o meno o decadere , ciò
è avvenuto per vicende che in generale nelle arti stesse han-
no influito , e non già per essersi in esse qualche indivi-
duo distinto particolarmente. Troviamo al contrario negli
attori in generale di non essersi essi mai avveduti della
propria ignoranza nel rappresentare j e perciò se taluno,
per accidente urtò nel buono , o anche per una partico-
lare non solila istruzione , ciò non aprì gli occhi al ceto
intero. Cieco sempre e difettoso si mantenne nel proprio
inganrio ed accecamento, persuaso goffamente che all'at-
tore musicale altro non abbisognasse che la conoscenza del--
la musica e 1' arte di cantare.
112 SIGNORELLI
Tosto che volle in una città consacrarsi un edificio
al melodramma , si badò a provvedersi di un dramma, di
un compositore che vi apponesse le note , e di un mac-r
chiulsla perchè la decorazione dello scenario splendida e
vistosa al possibile riescisse , e finalmente si diedero le
premure a' corrispondenti per le principali città dell' Eu-
ropa per assicurare all' impresa cantori di entrambi sessi
nominati di cartello, cioè famosi pel canto , senza iafor-
marsi di quanto valessero nella pronunzìazione ossia neV
rappresentare. Noi ignoziamo se nel nascere del melodram-
ma esistessero attori più ragionevoli e convinti che la sce-
na esigeva dall' attore qualche cosa di più del cantare. Dal
vedere però che il maestro Vecchi ricorse alle maschere
Lombarde pratiche di recitare sulla scena , per introdur-
re un dramma musicale , può argomentarsi che non aves-
sero allora gì' inventori trascurata questa parte tanto im-
portante all' esecuzione del melodramma. Non dovette pe-
rò ciò durar molto , da che ben per tempo ( siccome al-
trove cercai d' investigare (i) ) troviamo in esso intrusi
gli evirati , che apprendevano materialmente la musica vo-
cale per saper ben porre e portare la voce', prender fiato
? tempo , vocalizzare e trillare , superando ogni difficoltà
con gruppetti, tremuli, volate, appoggiature, e con imi-
slare i canarini , e gareggiar con gli slromenti , e per so-
prapplù accompagnando ciò con albagia stomacosa ed im-
(i) Si osservino le ricerche ci nella storia critica d^:' teatri.
da me fatte su de' cantori musi-
SISTEMA MELODRAMMATICO l\0
pertinenza intollerabile. Qiial menviglia clie conlro di es-
si si è tante volte declamato ? Essi di mano in mano de-
generarono a segno , e fidarono con tale inijìudenza nella
sola voce mal usata ]ìel dramma, che eccitarono l'indi-
gnazione fin del dolcissimo cigno fdosofo Metastasio , il
quale scrivendo a Bernacchi , essi , diceva , si sono ri-
dotti ad imitar non più le passio/ii e la favella degli
uomini , ma il cornetto da posta , la chioccia che ha
fatto l'uovo^ i rihj'ezzi della quartana e l'ingrato stri-
dere de' gangheri rugginosi. Dovette a simil genìa sem-
brar cosa facilissima V entrare in ìscena ed uscirne e pas-
seggiarla con decoro e senza il ridevole e matto loro or-
goglio , ed il ben pronunziar V italiano , e V accentare a
dovere e pensar che ciò far si potesse senza istruzione.
Così ignorando quanto lor mancasse a meritare il titolo di'
attori, portarono la baldanza in trionfo, e pregiaronsi del-
la propria stupidità , sostenendo la parte di Cesare , di
Enea, di Megacle e di Arbace con insipidezza tutta pro-
pria del loro ceto. Poco più, poco meno, fu questa la ma-
niera di raj>presentarsi il melodramma nel secolo XVII ,
e nella prima metà del secolo XVIII. Per intervalli non
per tanto fiorì qualche attore nel passato secolo senza i
vizj generali della loro specie. Si contò appena il NicoU-
ni che si sforzava, per quanto intendeva, di bene espri-
mere j e se non rappresentò per eccellenza ( cosa impos-
sibde senza vera scuola ) almeno eseguiva, dicesi, con
impegno e con attenzione. Con lunghi intervalli fra la calca
de'musichclti intenti a vocalizzare senza fare intendere le
T. ir. i5
Il4 SIGNORELLI
parole ovvero in qual lingua cantassero , surse un Monti-
celli che ascoltò le istruzioni del Metastasio, Ali" attività
ed agilità musicale unì questo attore il raio pregio di ben
pronunziare V italiano e di gestire con naturalezza e con
decenza, lontano dall'affettazione istrionica, e senza tradire
il patetico che ne' cuori signoreggia, e rapì l'attenzione
degli Alemanni e degl'Italiani. Dopo di altri grandi voti
apparve un IManzoli , il quale con una voce dilicata , in-
sinuante , flessibile , possedè l' espressione non solo musi-
cale , ma delle passioni e l' arte di bene imitare il perso-
naggio che rappresentava. Sulle scene egli era Arbacp , era
Demetrio, era Poro, non più Manzoli j si trasportava nel-
r impeto , mostrava nel volto l' amore , la tristezza , l' a-
gìtazione che finger dovea di sentire nel cuore , piangeva
#gli stesso e faceva piangere. Ma che epoca potevano mai
fare in due secoli tre o quattro attori musici degni di ram-
mentarsi con plauso ? E stupiremo poi che vivendo an-
cora Metastasio, il melodramma soggiaciuto fosse ad am-
putazioni eseguite da dozzinali norcini ne' divini recitativi
pieni di affetto, di sapienza e di gusto? Che i Temisto-
cli, gli Attilj , i Titl, prodotti inimitabili del genio, che for-
se non avranno successori , venuti fossero in disuso ?
Quanto alle attrici cantanti , senza dubbio più docili
e più sensale degli evirati , ne contiamo alcune che nel rap-
presentar si distinsero. La celebre Benti - Bulgarelli per cui
si scrisse la Didone , la riputata de Amicis , la Tesi , la
Tauber, le quali vennero in Napoli o in Vienna dal prin-
«cipe della poesia drammatica illuminate , riscossero gli ap-
SISTEMA MELODRAMMATICO H^
plausi universali. Ed intanto una folla di cantatrici si so-
stennero per altro che per sapere dominare la scena , fi-
no a che durò il fiore de' loro anni, e passarono poscia
a recitar per istagioni nelle provincie , e corsero in fine
nel loro autunno a Barcellona o a Lisbona , e quindi am-
mutirono. Si ammirarono , è vero , pe' doni di natura e
per le voci eccellenti, ben coltivate e fatte per incantare,
la Mingotti , r Astroa , la Bordoni , la Silva , la Banti , la
Todi , la Correa , la Grassini , la Morichelli , la mirabile
Gabrieli, e l'impareggiabile Angelica Bilington, Ma quale
effetto prodotto non avrebbero , se impiegato avessero un
pajo di anni almeno ad apprender l'arte seducente di ben
rappresentare ! Si sarebbe detto dalla gente di gusto: que-
ste furono cantatrici esimie e mirahili attrici : laddove
si è detto ; gran danno della scena che dalla bocca
di sì belle statue escano tanti prodigj musicali , e nel
resto si desideri anima , calore , nobiltà di contegno
ed espressione , le quali cose potevano farle uscire dal-
lo stato di pure macchine.
Comunque sia, gì' indicati individui di entrambi i ses-
si che riescirono anche nel rappresentare , ne mostrarono
la possibilità , purché si soggettino ad una scuola necessa-
ria forse più delia stessa musica. Imperocché ben può dar-
si una voce singolare che eseguisca per orecchio e non
per principj con eccellenza , e piacere j e non di rado un
egregio attore , sensibile , intelligente imitatore del pateti-
co della poesia , al pari del Monticelli , e del Manzoli , ti-
rerà a se l'attenzione e gh applausi del pubblico, tutto
Il6 SIGNORELLl
che sia un cantore mediocre. In somma bisogna conveni-
re clie se l'orecchio pretende dal cantante le delicatezze
musicali , il cuore dell' ascoltatore vuol esser commosso
dal patetico. Egli trovasi deluso nel più bello delle spe-
ranze se attende invano di sentirsi scuotere non altrimen-
ti che in una situazione patetica non ideale, e se questo
accade , egli manifesta col pianto il piacere che ritrae da
rin vero affetto che rende interessante un finto evenimen-
to. Ma ciò non mai si ottiene , se non si esprirne colla
più delicata pronunziazione.
Che se questa parte sì necessaria del melodramma di
rado si possedè , mentre , ancor Metastasio viveva , non
sarà fuor di proposito che ciò si reputi una delle prima-
rie cagioni della decadenza del melodramma. Si aggiunga
che al mancar di quel grande ingegno 1* eroico sofferse
più terribili vicende non solo perchè fu assai difficile il
tenergli dietro , siccome con suo scorno sperimentò il Cal-
^?l''§i 5 ma perchè le convulsioni politiche distrassero , sof-
focarono , ed imposero silenzio a' mighori ingegni. E seb-
bene nelle principali città non mancò qualche melodram-
ma competente , sussistè però la causa distruttiva propria
de' teatri musicali, cioè la deficienza d'istruzione negli at-
tori. Cessarono in Napoli col Velluti di comparire sulle
scene melodrammatiche gli attori smaschiati j e se il tea-
tro eroico sussistesse nell' antico stato , forse i tenori e
le attrici cantanti come la Sessi , potrebbero conservarvi il
diletto, che reca alla gente bene educata un dramma ben
rappresentato.
MSTEMA MELODlì.\.M>rVT(Co II7
L' insolenza e l'ignoranza de' cantori nel lappresen-
laro, non solo dcfrautlarono il jmiMiIìco del ])iacere che si
aUcnde dall'unione della poesia colla musica, ma cagio-
Harono i progressi dell'arie pantomimica sì prodigiosa uel-
r antichilà e sì poco noia a' moderni. Atlestano alcuni ver-
si francesi che un tempo dalla Francia si calava in Italia
per a])prendere la danza. Si sa ancora che varj arlisti ita-
liani si accolsero in Parigi, e che il Rlmiccini v'introdus-
se i balletti e le commedie -balletti. S'imbastardì poi la
danza fra noi , e migliorò e fiorì in Francia , e toccò a-
gl' Italiani di studiarla da' Francesi , e per essi surse di
uuovo dentro il recinto delle Alpi l' amor della danza e
cle'panlomimi. Nella mia fanciullezza il melodramma tut-
tavia avea negl'intervalli degli a Ili due balli; grande l'uno
composto di una piena introduzione e di un finale con due
o tre pas-de-deux nel mezzo eseguiti dalla prima e se-
conda coppia e terza ancora di ballerini, i quali però niu-
iia connessione aveano fra loro ;, l' altro ballo per lo più
comico si componeva di caratteri , come nel grande , in-
compatibili fra loro, ed a pecorai, muHnari , carbonari
solevano succedere selvaggi o Gnesi o Affricani. I nostri
ballerini non si mostrarono indegni di figurare accanto
a' Francesi, Il tulio però era eterogeneo , inconcludente ,
senza interesse. La danza alta sorprendeva co' salti del
Tifano , del Guglielmo , e dell' agilissimo Carlino Saba-
tini. Il liallo diliralo e serio non cominciò qui ad amarsi
prima del Le-Pi(pc.
Il8 SIGNORELLI
Eransi in Francia cominciate a convertire in panto-
mimi le tragedie e le commedie , come già era avvenuto
in Atene ed in Roma. Ne giunsero in Italia le notizie e
qualche esempio , e da Noverre in poi si ammirarono di-
versi pantomimi italiani. L'Angiolini si segnalò per essi in
Vienna, in Pietroburgo e per T Italia, Gennaro Magri na-
politano che si era distinto in Napoli da primo ballerino,
come ancora in Venezia ed in Torino , produsse da diret-
tore alcuni pantomimi assai applauditi. L' altro napoleta-
no Gaetano Gioja si ammirò come ballerino e come in-
ventore di pantomimi in Napoli , in Bologna ed altrove.
Uno de' suoi pantomimi più acclamati e ripetuti in diver-
si teatri fu 1' Andromecla,
Ciò che la musica non potè ottenere da' cantori sraa-
schiatì , trovò ne' pantomimi. Il suo linguaggio , come dis-
se r Alembert , senza vocali , si ascoltò per la viva espres-
sione de' ballerini , ed il trasporto e l' interesse si sentì nel
Lallo. Eccone gli effetti. Il melodramma mal rappresenta-
t J da' cantori , che era divenuto indifferente , ed i versi
che si (erano allontanati da' Metastasiani, cedettero il cam-
po a' pantomimi , ed i soprani orgogliosi servirono , come
pure disse il Metastasio , di tramezzi a' balli. Oggi il me-
lodramma erra negletto, ed ì pantomimi trionfano con O-
tello^ con Paolo e V^irginia , con Sansone , malgrado
de' loro molti difetti nell'invenzione, e ciò che in tanti an-
ni non seppero fare i cantori , hanno conseguito Titus ,
Henry , Taglioni , e la Chiari , la Queriau , la TagHoni ,
cioè hanno riprodotto nel cuore il piacere del patetico vi-
SISTEMA JIFXODP.AMMATICO IH)
vaceinente rappresenlalo , che ne avea peidulo il sentiero.
Ma se r amore del fracasso , dello strepilo , del nnmeio
strabocchevole delle comparse sbalordiscono ed assordano
lo spettatore , se una durata indiscreta di più ore amareg-
gia col tedio il diletto dello spettacolo : se certa unifor-
mità ne' passi , ne' salti , nel perpetuo piroettarle , produ-
ce tratto tratto l'indifferenza , può generare indi a non
molto la noja. Simili eccezioni , ove divengano frequenti
e maggiori, l'illusione comincerà a distruggersi, la curio-
sità mancherà di nutrimento, e lo spettacolo musicale sog-
giacerà a novelle vicende. E chi sa che l' attuai regno
de' ballerini non torni a cedere al melodramma meglio or-
ganizzato ed eseguito con gusto 1' onore di principale , la-
sciando di bel nuovo a' ballerini il secondo grado di ac-
cessorj ? Ma ciò attende un genio poetico degno di sac-
cedere al gran Poeta della sensibilità e delle grazie , ed uo
genio musico atto a far rivivere i Pergolesi , i Piccinni , ed
i Jommelli , come ancora qualche cantatrice recente che
sulle tracce della Sessi e col merito della vera rappresen-
tazione che r appressasse alla Tesi ed alla Ben ti , facesse
nominarsi co'MonticeUi e Manzoli come attrice, e co' Fa-
riuelh e con gli Aprili come cantante.
Anche r apparato scenico moderno che senza dub-
bio in magnificenza ha superato di gran lunga V antico .
se si riguardano i progressi della prospettiva , il mernvi-
glioso delle colonne dipinte in angolo , la facilità di cam-
biar le vedute , e la copia e la varietà e la convenevo-
lezza degli ornamenti 3 può contribuire, oltre di piacer**
1 -20 SIC;
alla visia , coli' incanto della imììhii ^ «Il-m arcliiteltura , al
diletto ineffabile che genera il' patetico nel cuore. Quella
grazia pittorica' che poneva il Metnstasio creatore di tante
bellezze draminatiche , in presentar prima de' versi i qua-
dri delle azioni nelle scene che descriveva , era la prima
molla che tirava lo spettatore collocandolo nel bel mezzo
de' personaggi e de' siti imitati. Didone , Aristea, Dircea ,
Zenobia trovavano disposti gli animi a credersi in Africa ,
iu Elide , in Tracia , in yirmenia , e ad accogliere il pa-
tetico commovente delle loro tragiche situazioni. Ma se ta-
li quadri lasciano travedere incoerenze ed improprietà ed
usanze e costumi sconvenevoli, né i sensi né il cuore sa-
ranno eccitati ad ascoltare, everranno defraudati dall'at-
teso piacere.
CONCHIUSIONE.
Noi abbiamo accennate più che descritte le vicende
del melodramma , omettendo ancora i suggerimenti della fi-
losofia suir edificio stesso del teatro , sulle scene e veda-
le e su i vestiti , delle quali cose non lasciammo di favel-
lare altrove (ì). Ci è bastato indicare ciò che sulla poe-
sia , sulla musica, sulla danza e sulla decorazione abbia
sinora nociuto o giovato a sostenere 1' illusione unica mol-
la del melodramma che Somministra a' sensi ed al cuore
(i) Possono vedersi i nostri ^«^/va stampati iiiMilano nel i8o3.
Elementi di. Poesia RappreseJi-
SISTEMA. MBLODKAMMàTICO 121-
il piacere , il quale chiama il concorso e 1' attenzione , e
spiana il sentiero ad insinuar la morale.
Ci auguriamo che l' attuale manifesta più inazione che
decadenza di sì bel poema ateniese , tra noi da poco più di du«
secoli risorto , voglia esser principio di risorgimento , e col
rendersi per ora al teatro le opere metastasiane e coli' ec-
citare i buoni ingegni italiani ad emularle , scansandone i
freddi amori subalterni che ritardano il moto tragico ,
certi riposi inopportuni dell' azione , e la frequenza dellt
arie di similitudini ed allegorie, bellissime per se stesse, ma
sovente contrarie allo spirito della tragedia. Questi splen-
didi nei di quel valoroso drammatico gU vennero in parte
dall' imitazione de* Francesi , ed in parte dagli abusi tea-
trali del secolo scorso. Un poco di cura maggiore che sì
porrà in evitarli e di attenzione in imitare le bellezze che
jn esse abbondano , possono renderci il melodramma , ed
approssimarlo sempre più alla tragedia.
La crisi non dovrebbe esser lontana. Gli Eutropj
sparirono al fine dalle scene musicali. Si è sperimentato
che i tenori e le cantatrici bastano a farli dimenticare per
sempre. Le arti del disegno tuttavia vantano artisti di
prima fila. La prospettiva trionfa in Italia ed in Francia.
La danza lungi dal languire è caduta nell'eccesso con-
trario di voler trionfare , e non è difficile di richiamarla
al vero punto di piacere senza eccezioni. La musica ben-
ché si risenta della perdita di un Sacchini , di un Jom-
meUi , di un Piccinnl , di un Guglielmi , alza non di meno
la fronte , e ci addita Palsiello , Cherubini , Zingarelli ,
T. IV. \S
1*2' SIGNORELII
Paer , Palma , Fioravanti e Mayer pronti a mietere novel-
li allori. Io sdegno più parlare di quel momento di follia
che ha inventato un melodramma mezzo prosa e mezzo
canto , e tutto povertà e goffaggine , ed ignoranza , la quale
non sedurrà mai gì' ingegni sobr} rimasti illesi dalla me^
schina moda di simile puerilità o demenza.
Un passo di più ha dato la nostra Società Italiana
di Scienze, Lettere ed Arti di Livorno col programma in-
torno allo stalo attuale ed alla decadenza , se ve ne sia,
della musica. Il maestro Sig. Giovanni Agostino Perotti
di \erceUi ha verificata nel 18 ii la decadenza della mu-
sica nella dissertazione approvata dalla Società , ed ha ri-
dotte a tre le cagioni della rovina di essa", cioè alla cor^
ruzìone della drammatica , all' ignoranza de' cantori^
all' abuso che fanno i compositori delle ricchezze del'
la loro arte. Ma con sua buona pace, di queste non v' è
che r ultima , la quale individualmente riguardi la musica.
Le prime due non possono influire alla decadenza di es-
sa , benché potrebbero nuocere alla riuscita dello spetta-
colo. Egli però volendo valersi di alcun cicaleccio oltra-
montano ha presa la decadenza dello spettacolo per decadenza
della musica , che voi ben sapete essere due cose distinte.
E quando pur si volesse per un momento asserire che la dram-
matica sia decaduta, non potrebbe strascinar seco la musica
di chiesa e di camera che ne sono indipendenti. Ma è poi vero
che la drammatica dopo Metastasi© dir si possa corrotta ? È
forse surta una nuova scuola drammatica, come nel XVII
secolo una ne FiirsG depravata per tutta l'eloquenza? Ciò no
SISTEMA MELODRAMMATICO t»3
vi sarà chi asserisca; La oompwsa ci» nieìItoVftj 'del Cal-
sabigi ) -del Gamerra,. del Rezizonico iì»n alterò i'fvUhto
il sistema MetastasitmOi ' * Al' oontrtticr U^ifrida-, VEhlra^H
Pirro , il Timoteo , V Artemisia , il Tremano in Dacia
comparvero e morirono repentinamente. Il pubblico che
dissapprovò que' pochi defedi 'dramftii , GOaferitiò fcon la
sua tacita decisione il sistema tenuto da Zeno e Metastasi©,
in vece di crederne corrotto il gusto. Sono sparite per
sempre dàlia memoria degl' Italiani quelle larve mal accoz-
zale , e sono rimasti in trono, e vi si venerano come frut-
ti d' ingégni sublimi ' pieni di 'Sàngile , ' di maestà , e di
grazie le Nitocri , e le Meropi , e Papij'io , e le Iper-
Tnestre , le Zenóbie, e '^lAttilj. Or come diremo la dram-
matica corrotta e cagione della decadenza della musi-
ca ? Potremo bensì dire oggi che la drammatica sia ab-
bandonata per diffidenza di riuscire , ma ciò non è cor-
ruzióne che' influisca nella musica. [ ohaanu'j
Che i cantori abbiano contribuito colla loro ignófàtìia
a rendere nojoso ed insulso lo spettacolo melodrammatico
anche è vero. Ma può dirsi cagione della decadenza della mu-
sica? In niun conto. Un musico cantore imperito né può com-
municare la propria ignoranza al musico compositore, né la
musica può degenerare per un cattivo esecutore. Adunque
né la reale imperizia de' cantanti ha potuto cagionare la
decadenza della musica e comunicarle i vizj che vi rav-
visa il Perotti , cioè la mollezza , la scarsa intelligenza del
contrappunto, lo sfoggio perpetuo ed inutile degli Siro men-
ti , lo strepito molesto , é la deficienza, di 'èsj)réssfiotiè.'''
ia4 SIGNORELLI
Il Iodato Perotti.si è parimente occupato a rinveolre
i rimedj che gli sembrano proprj al risorginiento- della mù-
sica. Egli in fatti ne Te sperare eoa dire che i mez:ii da estir-
pare gli abusi musicali proposti dal Brown , dall' Algarot-
ti , dall' Arleaga , dal Planelli , per esser venuti da lettera-
ti non, artisti , a lui sembrati sono insufficienti. La nostra
Società Italiana avrà pesali i di lui Suggerimenti , e conside-
rato sei egli come artista ne abbia proposti migliori e pro-
prj. Io gli addito a voi, bravi Pontaniani j vedrete voi
per voi stessi se sia proprio espediente di un artista il pro-
porre per guarir la musica da' suoi malanni una Commis-
sione provveduta di legai potere per iscerre e far nascere
melodrammi ed ingegni : se decreti coattivi bastino a ri-
chiamare il gusto ne* balli e ridurli ne' giusti confini senza
nuocere al piacere che se ne attende : se la musica po-
trà risorgere , come suggerisce un ragionatore artista ,
esiliando gV impresarj : se la musica , per avviso di un
artista , riacquisterà scienza , gusto ed energia con una
proibizione al popolo di giudicar delle opere di gusto.
Vedrete voi se per questi mezzi suggeriti da un professore
di musica tornerà questa beli' arte nello stato in cui la la-
sciarono Back , Hasse, Gluck , Piccinni, Jommelli , Pergo-
lesi e Saccliini.
Quanto a me , limitandomi al melodramma , dopo 1' a-
bolizione de' nostri Conservatojj che di tanti maestri di
primo ordine inondarono 1' Europa , tutto attendo dagli
ultimi stabilimenti del provvido Governo e della Pubblica
Istruzione che oggi lavora con fervore e saviezza. Dingo
SISTEMA MELODRAMMATICO 1 2 J
nel leinpo stesso i miei voti a veder rinascere fra noi per
la fina rajjpresentazione le antiche ingenue scuole Napo-
letane aperte sin dal XVI secolo dal Cavaliere Giov. Bat-
tista della Porta co* suoi Segreti, dal riputato Abate An-
drea Belvedere , dal dotto IViccolò Ainenta, dal Marchese
Barene di Liveri , e da qualche altro di cui si sovverrà
il già Teatro Patriottico oggi Filodrammatico di Milano ,
essendone stato Istruttore come Professore di Poesia Dram-
matica in Brera. Ma singolarmente a voi , a voi mi rivol-
go , egregj Pontaniani. Voi che non coltivate aridamente
le scienze , le antichità e la storia civile , filosofica e na-
turale : che il sapere tenacemente serbate nella mente, e la
morale con gelosia nel cuore : che amichevolmente vi ra-
dunate e con filosofica tranquillità discutete , e non già
con urli e con pugni come una volta facevasi ne' circoli
peripatetici : voi che industriosamente fra voi trafficate le
scoperte ed i lumi che andate acquistando : voi che colti-
vate con diligenza lo stile , e di eleganza , di grazia e di
amenità abbellite ed illustrate le gravi meditazioni : voi ,
dico, voi che lo potete, io invito a prender per mano il
melodramma che vi ho presentato , ed a ricondurlo sulle
tracce del grande alunno del Gravina surto accanto al Cam-
pidoglio. Se voi non muove la gloria di occupare i terzi
allori dopo Zeno e Metastasio , i nostri spettacoli musica-
li onde attenderanno nuovo lustro e nuova vita ? Onde
proverranno nuovi impulsi in prò della beli' arte che si
pretende invenzione di Pitagora ? Onde Napoli e l' Italia
sentirà di nuovo riempiersi l'orecchio ed il cuore di quell'inef-
fabile piacere che in dì più felici ricevettero dal melodramma?
:oàìi 's *L.
iìoàÌAiii
ILLUSTRAZIONE « ^«
DELL' ANTICA CAMPAGNA TAURASINA , E DI
ALCUNE NOZIONI AGRARIE
LETTA ALLA SOCIETÀ
DA RAIMONDO GUARINI
Nelle adunanze del i Marzo , e de' 7 e 20 Giugno 1818.
OCCASIONE DELL' OPERA.
N,
ELLA breve villeggiatura autunnale dell' anno 18 17
alcune domestiche circostanze mi trassero di casa nel Co-
mune di Grotlaminarda , e quindi per pochi momenti pres-
so i Signori Perilii , a' quali da più anni ho il vantaggio
di esser legato jur^e hospitiì, et amicitiae. Con questa oc-
casione il Sig. D. Tommaso Perilii, memore del mio tra-
sporlo per gli oggetti dell'antichità, mi presentò alcune
iscrizioni pervenutegli dalle adjacenze di Circello, comune og-
gi della Provincia di Molise. Una fra queste fissò di pri-
mo lancio i miei sguardi e la mia attenzione. Era essa per
verità assai mal capitata , ed in parte monca ancora : pre-
sentava ciò non ostante con evidenza lo squarcio seguen-
te: VMBAEBIAN. Eccomi risvegliata l'idea naturale -del-
l' antica colonia di Bebiano , e per concomitanza quella
della sua vicina ed affine Corneliano. La curiosità mi me-
laS eiTARim
na alla ricerca. Mi sono messo in comunicazione con per-
sone capaci ed impegnatissime a tramandarmi le notizie
locali necessarie alle mie vedute. Ho letto , ho conferito ,
ho scritto : ed è questo il processo naturale dell' Opera
presente.
DISEGNO DELL'OPERA.
Nel catalogo delle colonie di Giulio Frontino troviam
fatta menzione di Bebiano e Corneliaoo nel modo seguen-
te : Ligureis ( così va letto il Liguris che incontrasi co-
munemente nelle edizioni di questo scrittore ) BaebiamiSy
et Cornelianus. Muro ductus Jllvirali lege. Iter popu-
lo non dehetur. Ager eius post hellum Augu&iianum
veteranìs est adsignatus. Così a pag. io6 della edizio-
ne di Amsterdam del 1674 di cui faremo uso in tutto
il corso dell' opera, Veggonsi fedelmente ripetute le paro-
le medesime presso Siculo conosciuto sotto il titolo di Giu-
lio Frontino Siculo (i)- Questo Siculo non ha che fare
con Giulio Frontino. Siculo parla di disposizioni agrarie
de' tempi di Comodo j e Frontino è molto anteriore a que-
st' epoca. Ma come egli ordinariamente non fa che ricopia-
re il detto da Frontino, così il vero titolo di tal novello
impasto sarebbe, come si è ben riflettuto pel Goesio.;
Julii Frontini , et Siculi. Nella ripetizione del testo Fron-
(1) Pag. iSg. della luedesinia edizione.
CAMPAGNA TAURASINA I29
titìiano , fatta da questo scrittore qualunque, a proposilo di
Bebiano e Corneliano non vi ha di particolare , che il Ve-
vianus in cambio di Baehianus j lo scambio vale a dire
del B in V, cosa che di sicuro non iscandalezzerà né tam-
poco i semplici iniziati ne' misteri della paleografia.
De' Liguri Bebiani e Corneliani vedesi fatta eziandio
menzione espressa da Plinio al Lib. III. Gap. II. Ligures,
qui cognominantur Corneliani , et qui Baehiani. Or
questo linguaggio di Frontino , Siculo , e Plinio fan cono-
scere chiaramente , che Bebiano e Corneliano , sebbene co-
muni di origine , sieno state non pertanto due Colonie ben
distinte fra loro e di luogo e di nome. Ed ove a taluno
venisse su ciò qualche leggier sospetto , potrà egli depor-
lo a vista della seguente epigrafe , ancora esistente in Ali-
fe, e che riportata dal Pistilli a pag. 97. in nota con qual-
che picciola infedeltà si è per noi fatta rettificare da per-
sona idonea sull' originale. Questa bella epigrafe consagra-
ta dal collegio di Venere al suo Patrono Sesto Minio Sil-
vano è ben interessante pe' molti titoli luminosi, che gli
attribuisce , fra' quali sembrano da notare quello di difen-
sore della repubblica Alifana , equivalente , secondo le
idee di Everardo Ottone de Aedil. Colon. Gap. II. nel-
le Colonie a quello del Tribuno della Plebe in Roma; quel-
lo di Curatore della Città di Atina , nella cui campagna
fermatosi una notte il grande Oratore di Arpino esiliato
da Roma vide Mario in sogno, che gli vaticinò un ritor-
no glorioso, come ei ci racconta Divinai. L. I. Cap.Sg:
e quello in fine che fa al nostro caso , di Curatore de'Li-
T. IV. 17
i3o euARit»
guri Corneliani. Eccola senza tener più a bada il lettore:
S. MINIO S. filio.
TER. SILVANO
'AED. II. VIR. II. QVIN
PATR. COLON. ALLIF
PATR. SAC. PAL. IM. QVAEST
DEFENS. RP. PRAEF. P. FRVM
CVRAT. CIVITAT. ATINATIVM
ITEM. CVRAT. LIGVRVM. COR
NELIANORVM
CONTVBERNIVM. VENERIS
PATRONO. OB. MERITA. EIVS
L. D. D. D
Le sigle Praef. P. frum. che presso il Pistilli leg-
gonsi praef. R. frum. valgono: Praefectus pecuniae fru-
mentariae.
Quali pertanto sono i punti topografici del nostro re-
gno , cui fa d' uopo riferire le due divisate Colonie di Be-
biano e Corneliano? E questo il primo disegno dell' ope-
ra. Ma poiché l'appoggio principale di essa è il testo di
sopra recato di Frontino, autore creduto universalmente
di un linguaggio oscurissimo , e poco meno che enimma-
tico \ ecco quindi 1' impegno secondario per ragion di or-
dine , ma primario per titolo d' importanza , di penetrare,
per quanto si può , ne' misteri di questo linguaggio , ridu-
cendone ad equazione le formole , quanto basti non pure
per la intelligenza del nostro argomento particolare , ma
per un indirizzo generale qualunque de'meno esperti, che
CAMPAGNA TAURASINA l3l
occupar si volessero nella Frontiniana officina ad illustra-
re la storia delle antiche romane Colonie.
L'opera per tal effetto andrà divisa in quattro giust*
-sezioni. Si tratterà nella prima di Gorneliano in partico-
lare : la seconda allo stesso modo tratterà del solo Bebia-
no. La terza considererà Gorneliano e Bebiano sotto que'
punti di storiche vedute , che sono ad entrambe comuni,
e che ci riuscirà di scoprire al lume degli antichi monu-
menti superstiti. Nella quarta finalmente si darà una spie-
gazione delle voci e forniole Frontiniane più necessarie al-
la intelligenza del romano linguaggio agrario colonico con
un saggio del metodo di applicazione delle medesime a
qualche caso particolare preso a sorte dallo stesso Frontino.
SEZIONE L
§. I.
Cornellano e Bebiano non possono cercarsi ,
che nel Sannio Jrpino.
Questo dato è della massima importanza pe '1 nostro
caso , ed altronde fortunatamente incontrastabile. Ligureis
Baebianus , et Cornelianus , così il testo Frontiniano ,
rui aititan]ente ragionare. La prima
riguarda 1' origine di lor fondazione. La seconda le loro
vicende sotto la legge Triumvirale. La terza finalmente
r assegnazione del loro agro a' veterani sotto Augusto.
Quanto alla prini' epoca , lutto è chiaro dopo il fin qui
detto. Essa resta fissata all'anno di Roma 5 72 , cioè 112
anni a un dipresso dopo che 1' agro taurasino era divenu-
to publious poptill romani : né su di questo può ca-
dere alcun dubbio ragionevole : solo domandar si potrebbe,
a qual classe di Colonie riferir si debba questa prima de-
duzione de' Liguri nel nostro Sannio Irpino. Deve essa
qualificarsi per colonia militare 1 ovvero civile? o anzi
popolare? L facile il soddisfare per una parte a silfalta
domanda ; e lo è necessario per 1' altra , a fine di corri-
spondere ali' oggetto principale dell' opera , che è quello
J 74 > < (ftTARlNI
di servile' di uua chiave qualunque del liuguaggio Fronti-
iiiario ])f' niftiio esperti in tali materie.
Le deduzioni coloniche presso i Romani in origine
nirono di ragione de' Re , cominciando da Romolo (i).
Dopo l'espulsione de' Tarquinj , dalle mani regali passaro-
no a quelle del Senato. Vi si mischiò in seguito il Popo-
lo, e l'affare divenne d' interesse comune ad ambi i po-
teri. ]Non tardò il Popolo sovrano a pretendere di esser
esso solo r arbitro indipendente di questo negozio , e
molti esempi e molti veggonsi in Frontino di Colonie me-
ramente popolari. Festo fa menzione di sifl'atte Colonie
ne' termini seguenti: priscae latinae coloniae apvellatae
sunt ^ ut distinguere ntur a novis , quae postea a Pó-
pulo dabantur (2). Or tutti questi generi di deduzioni
fatte per autorità o regale, o senatoria, o popolare, o se-
natoria e popolare insieme , vanno compresi generalmente
sotto il nome di Colonie civili , o che i dedotti fossero
stipendiarj , oppure veterani , o forestieri ancora.
Siila fu il primo che in questo gioco guadagnò la
mano al Popolo , come questo guadagnata avevala al Se-
nato. Egli senza formaUtà né di plebisciti , né di Senatus-
consulti divise ed assegnò terreni come volle , e a chi
volle. £ questi terreni per verità gU renderono assai buon
fruttato; perchè oltre della sicurezza, mentre visse, gU
fruttarono di morirsi tranquillamente nel proprio letto an-
(i) Vid. Goes. -Antiquii. (2) Pag. CCXCII.
Agrar. Gip. HI. . ', ..
CAMPAGNA TAURASINA 1^5
che deposta la sua mostruosa e saiìguiiiaiia Dittatura. Ed
è questa la vera origine delle Colonie militari , che come
giustamente ragiona il profondo Goesio (t) contro del Si-
gonio , non sono già le S(.'nipliccn].:'nte composte di Stipen-
diar} , oppure Veterani, ma quello sibhene che vantar non
possono alcuna delle anzidette autorità.
L' esempio del felice Siila fu ben volentieri seguito
dal Magno Pompeo , dal cleiueniis&imo Cesare , e da' fa-
mosi Tliumviri , M.Antonio, Otiavio, e Lepido. Le co-
lonie di Behiano e Corneliano furon dedotte per autorità
espressa del Senato , come da Livio. Dunf[ne nella pri-
miera loro istituzione non furono che Coionio puramente
Civili.
§. IL
Epoca seconda di Corneliano , e Bebiano. Muro du-
clus lege Illvirali. Spiegazione di questa formala.
Corneliano dunque e Bebiano prima della legge tri-
umvirale non erano murati, lo furono per effetto di questa,
e così divennero Oppidi propriamente. Tanto vale la for-
inola frontiniana muro ductus , che non vedosi così alla
rinfusa applicata ad ogni sorla di Oppidi. Di alcuni dicesi
semplicemente ; munitum. Così : Arida. Oppidum. Lege
Siillana est munitum^ a dinotare che questo Oppido non
fu già per ordine di Siila cinto di mura , ma fornito bensì
(i) AiUiq. Agrar, pag. aa.
i'}(} GUARINI
di nuovi lavori di fortificazione. So che il munio derivan-
dosi dal disusato moenio pretender si potrebbe per av-
ventura per l'equivalente dìmuro duco. Ma non è questo
il senso del muniius fronliniano. Questo scrittore ci parla
il linguaggio severo delle forinole : e le forraole , per esser
tali , debbono essere sagrosante , se dar non vogliono oc-
casione di equivoco a' lettori. Se dunque Fiontino or usa
la formula di munitus , or quella di muro ductus , bi-
sogna che fra esse siavi qualche differenza , e la più ov-
via e naturale è la già enunziata.
Ma che cosa è questa legge triumvirale ? quanto vale
nel linguaggio agrario? chi sono questi Triumviri autori
di essa ? Ecco delle questioni serie , alle quali convìen
soddisfare , se legger si vogliono e capire gli antichi tral-
tatori delle cose agrarie.
Il celebre Nicola Rigalzio fa vista d' intendere la for-^
mola in quistione pe'l complesso de' regolamenti esecutivi
nelle deduzioni coloniche dipendente dall'arbitrio degl'in-
caricati di siffatte operazioni. Coloniae pleraeque dedu-
ctae sunt , creatis IIIvìt'Ìs , et lege Triumvirali. Cosi
egli (j) : e se la intende così", va troppo lungi dal segno,
se non e' inganniamo noi stessi.
Se una Colonia dedotta per tre magistrali esecutivi
devesi dire deducfa lege triumvirali ; dunque per la
stessa ragione dovrk dirsi deducta lege IIi'ij^ali,lIIIviralìf
J^virali , Xvirali , XXviì'ali , una Colonia regolala nell«i
(i) Script, agrar. Goes. Observat. et not. pag. aSi,
CAMPAGNA TAUR ASINA I77
svia esecuzione da due , quattro , cinque , dieci , venti ,
o altro numero disiflatti magistrali subalterni. Si rechi uà
esempio sqJo di simili formole in Frontino , Balbo , Siculo,
nella mappa Albese , o in altro antico monumento agrario
finora conosciuto. Anzi la Colonia Capuana dedotta per
XXvbos nel Triumvirato di Pompeo , Cesare , e Crasso
non solo non si enunzia deducta lege XXvlrali , come
avrebbe dovuto dirsi secondo le idee del Rigalzio , ma uè
tampoco lege lllvirali. Essa annunziasi per l'ojtposto de-
dotta itissit Impej'atoris Caesaris a XXviris. Che cosa
vale dunque questa formola nelle materie agrarie? quello
che nella materia slessa valgono Lege Sempr^onia j Lege
Graccana 5 Lege Sullana ^ Lege lidia \ Lege Augur
staea. In una parola : potere legislativo supremo ^ e non
esecutivo senjplicemente.
Or questo potere legislativo supremo riguardar poteva
o le colonie da dedursi in elTetto delle sue ordinazioni j
ó 'ì regolamento della jugerazione da osservarsi nell' asse-
gnazione de' terreni con certe misure , limiti , e termini j
Del' uno e l'altro insieme. Queste tre idee debbonsi distin-
guer bene nelle faccende coloniche per la giusta in teHigenza
degli scrittori agrarj antichi j potendo stare una deduzione
fatta per un'autorità suprema, la cui jugerazione intanto
siasi regolata a norma di un' altra legge suprema , o allora
la prima volta applicata , o che appHcatasi prima , siasi
lasciata correre , e con ciò ratificata. Per esempio , pres-
so Frontino la Colonia beneventana dicesi dedotta per Clau-
dio ^Nerone, ma però lege triumvi/'ali. Rechiamo il passo '.
T. JF. a?
lj'8 GUARJM
Beneventutn muro ducia. Colonia dieta Concordia.
Deduxit Ne/^o Claudlìjs Caesar. Iter populo non debetur.
Ager eius lege Illvirali veteranis est adsignatiis (i). Ciie
effetto fa (jui , ed in altri casi somiglianti la legge trium-
virale, mentre là deduzione si fa jjer Clauflio Nerone? ec-
colo. La colonia è Claudiana : ina la jugerazione se ne
regola a noruia della legge triumvirale, sia che per la pri-
ma volta vi si applichi, sia che introdottavi prima vi si
confermi 3 giacche non sempre una novella assegnazione
porta seco nuova cen tu riazione.
Per la buona intelligènza dell'articolo Cen tu riazione,
è da sapere che le Centurie agrarie così dette in origine,
perchè destinate a cento uomini , non si trovano costan-
temente della stessa misura. Noi a suo luogo ne accen-
neremo tutte le differenze dal massimo al uìinimo termine
della loro progressione. Basti per ora l'avvertire, che
per la legge triumvirale la misura ordinaria delle Centurie
pe' terreni dell' Italia era di soli jugeri cinquanta , come
con Igino (2) fan fede altri scrittori agrarj. Di questa mi-
sura dunque si potrebbero credere le Centurie beneventane
fissate allora per la prima volta , o piuttosto ratificate per la
deduzione Claudiana. Ma nò : perchè sebbene fosse questa
la misura ordinaria della legge triumvirale , non mancano
esempi di eccezioni fatte su quest' articolo dalla legge me-
desima. Per testimonianza d'Igino testé citato (3) , «ssa ne
determina dugento dieci per T agro di Cremona , e altro-
(i) Pag. io3. (3) Ivi.
^a) De Liinit. pag. i5/^.
CAMPAGNA TAUR ASINA I79
ve dugento. Benevento è nel caso di questa seconda ec-
cezione. Perchè Siculo Fiacco (i) dice espressamente , che
le centurie beneventane non si possono già dire quadrate
per la ragione , che contavano atti XXV. sul Decimano,
e XVI. solamente sxd cardine , donde avveniva che i lati
fattori erano disuguali , e le centurie prodotte non qua-
drate 5 nra che con tutto ciò ciascuna di esse centurie era
di jugeri dugcnlo.
Si ponga mente ad un' altra particolarità della stessa
legge triumvirale riguardante i cosi detti subsecivì. Essa
prescriveva che si contasse per centuria intera ciascuno
di questi subsecivi da jugeri cento in sotto fino a' cin-
quanta inclusive i, e per l'opposto per mezza centuria
questi ,subsecivi medesimi minori di jugeri cinquanta (2).
Il che suppone e conferma la legge ordinaria di jugeri
cinquanta per ogni centuria , restando a questo modo col
praefe/' propter compensato il più col meno.
A suggello di quanto si è detto , e per una antici-
pazione opportuna di quello che diremo de' veri autori
di questa legge famosa , rifletteremo alla maniera , onde
a proposito de' subsecivi esprimesi Frontino accennandone
gli autori: hoc opus omne , arhitratu OctaviiCaesaris,
y4ntoniì , et Lepidi IIIVIRVM. Ma prima di entrare in
tal impegno , è bene 1' esaminare , se la legge triumvirale
in questa seconda epoca di Corneliano e Bebiano vi portò
nuova deduzione , o se limitossi a murarli senza più.
(i) Ce eondit. agr. pag. 20. (2) Pag. ii2.
l8o GUARim
§■ m.
Corneliano e Behiano nuovamente Colonie
nelV epoca triumvirale. -
Tanfo vale per Corneliano , per Bebiano , e per qua-
lunque altro siasi oppido , siasi Città , siasi Municipio , la
forinola agraria iter populo dshetiir. Essa porta seco e
misure e limili e ttrmiai e assegnazione e divisione di
terreni , Colonia in somma. È giusto quindi , anzi ne-
cessario , fissarne tutta l' equazione colia lu.iggior chia-
rezza e precisione possibile.
Iter populo , senz' altro , vuol dire diritto di pnlì-
hììca via. La via così denominata a vehendoy ad es'^er
pubblica, esser non poteva nien larga di piedi otto. Le
vie militari eran pubbliche anch' esse j ina atteso il loro
oggetto esser dovevano o più larghe , o per lo meno più
comode delle pubbliche semplicemente. Igino in fatti par-
lando de' Quintarj , a' quali era dovuta la larghezza di
piedi XII. dice: che quidam ex his latiores suat Xfl.
ped.hus , ut hi, qui sani per VIAM PVBLlCiiM MI-
LITAREM adi (i).
Vi era un'altra specie di via detta actus , aiumen-
tis agendis, della larghezza di jùedi quattro. Ve ne era
tin' altra di piedi due , quanto bastava al comodo passag-
(0 Pag. ,5a.
CAMPAGNA TAURASINA l8l
gìo di un uomo solo, detta iter ah eundo. Chiama vasi
Semita un passaggio largo un piede solo , e la metà di
questo appellavasi Callis. Dal le pubbliche vie spiccavansi
ben ispesso ab-une altre vie , che menavano in agros ,
che sovente si riunivano con altre pubbl iche vie. Questi
rami dicevansi viae vicinales ^ ed erano sotto il go-
verno de' cosi detti Maestri de' Paghi. Dalle vicinali par-
tivano tal fiata le comuni che servivano al passaggio de' pro-
prietarj pulicolari di fondi fra loro vicini , ed andava-
no a carico de' medesimi. Si comprende da lutto ciò,
che i' iter senza più in senso rigoroso non è lo stesso che
la via pubblica: ma Io addiviene coli' aggiunto dì populo,
e così una volta per sempre va inteso nel linguaggio fron-
tiriiano. Premesse tali notizie , discendiamo a' varj casi
delle formole rij^uardanli V iter publicitm.
Queste forinole riduconsi a tre. La pririia e più co-
mune è tutta negativa : iter populo non dehetiir. La se-
conda assai meno coni'ine è positiva determiii;Ua , perchè
fissa la larg'i*,i,ia Òl^ì^' iter piibllcam da' dieci fino a cen-
to venti j)ii.'di, che sono il juinfuj i e massimo termine di
questa progressione. E->sa si enunzia così : iter populo
debctur ped. x. La terza è positiva indeterminata. Essa
è rarissima , non incontrandosi al più che in tre casi , o
quattro, e si enunzia iu questo modo: iter populo de-
hetur.
Per la intelligenza della formola negativa convien sa-
pere, che nella costituzione di una pertica va in regola
l iter publiciun i . pe '1 Decimano , e Cai diue Massiiuo.
l8a GUARINl
3. per ogni quinto Limite , detto perciò Quinfario , ed
anche Attuario , di piedi XII. 3. nell' Italia per una con-
siderazion particolare si volle il diritto deìViter puhlicum
anche pe'Lineari, cioè pe' limiti medj fra'Quinlarj. Que-
sti Lineari nell'Italia furono denominati suhruncivi ^ ed
aver dovevano piedi otto di larghezza. Or andando cosi
la faccenda de iure , come della maggior parte delle co-
lunie leggesi , iter popuìo non deheturl Andranno in
questi casi esenti dalla servitù loro essenziale di via pub-
blica il Decimano , il Cardine , i Quintarj , i Subrunci-
vi? Fole.
Igino , e Siculo Fiacco ci danno notizia della legge
seguente ; auctores divisìonis , assignationisque leges
quasdam colonis describunt , ut qui agri delubris, se-
pulcrisque puhlicis ^ qui solis itineris , viae , actus ,
amhitus , ducttisque aquarum , qui piiblicis utilitatibus
servierint ad id usque tempris , quo agri divisiones
fierent , in eadem conditione essent , qua antea fue-
rant , nec quidquam utditalìbns pubUcis derogave-
runi (i). Ecco il filo di Arianna , a cui è d'uopo te-
nersi, per uscire di questo laberiiito.
Quando il Decimano , il Cardine , i Quintarj , i Sub-
runcivì seguendo il lor corso non incontravansi con pub-
bliche strade anteriori alla pertica , e da conservarsi nello
stato quo , o con altro luogo qualunque destinato a pub-
blici usi , non correva allora alcun obbligo di servitù dìk
(t) Sic. Flac. de conJit. agr. p. i8.
CAMPAGNA TAITRASINA l83
iìmporre a* fonrli particolari j)er questi obbietti. Ed ecco
il caso della forinola negativa j iter popiilo non dehetur.
Quando alcuno de' limiti divisali deviai- doveva dal suo
corso per alcuno de' casi preveduti dalla legge , o per
topici naturali impedimenti, allora o trattavasi di vie pub-
bliche anteriori alla pertica, oppure degli altri casi pre-
veduti dalla legge stessa j ed in entrambe queste occor-
renze era indispensabile l'obbligo di servitù pe' fondi par-
ticolari assegnati, e bisognava esprimerlo colla formola po-
sitiva , determinata , quando trattavasi di strade pub-
bliche da conservarsi nel loro stato antico 5 indetermina-
ta ^ quando trattjnasi degli altri casi, ne'(|ii,ili dovendo
correre pe' fondi particolari i hmiti senza ])iìi della perti-
ca , sarebbe stata inutile la formola delerinìnata ^ per es-
ser dalla legge fissata la larghezza di ciasciuio di quesii
limiti , che debehat iter populo. Pungasi niente ad una
legge riguardante qiiest' ultinio caso: Oninesliinites (s'in-
tende dell' \\sX\7ì^jSecundum, legem colonicam, itineri publi-
co servire dehent. Sed multi , exige/ite ratione , per di-
va et confragosa loca eunt^ qua iter fieri non potasi ,
■et sunt in usa agrorum eoruni locorum , ubi proxi-
wxi'^ possessor transitum inverecunde denegai (1). E
<:osi ancora sanxerunt , sicubi limites in aeiiificium,
aliquod incurrerenty is cuius aedifìcium ess&t , darei
iter populo idoneum per agrum siium (2). lu breve i.
^i) T)e Limit. ao;r. pag. 43.
(a) I^ia. de Limit. constit. pag. 209.
l84 GUARINI
La formola negativa iter populo non dehetur adopera-
vasi , quando né vi era obbligazione di conservazione di
strade pubbliche nello stato antico e primitivo , né i li-
miti nel lor corso naturale e rettilineo s' incontravano con
alcuno de' descritti ostacoli sieno naturali , sieno artifi-
ziali , onde deviar dovevano dal proprio corso. 2. La for-
inola positiva indeterminata iter populo dehetur adope-
ravasi nel caso di deviazione de' limiti dal lor corso per
tutt' altre ragioni , che per quella di pubbliche strade an-
teriori da conservarsi nel loro stato. 3. La formola final-
mente positiva determinata , p. e. iter populo dehetur
ped. X. adoperavasi nel solo caso di vie pubbliche anti-
che da conservarsi nell' agro assegnato.
Questo si è a un dipresso quanto a proposito di si-
mili formole per lunghi andirivieni , e per verità un pò
noiosi^ dice il valentissimo Signor abbate Giovenazzi (i):
né noi sapremmo ridurlo a termini più semplici : ciò che
di sicuro avrebbe fatto questo valentuomo , ove per un' al-
tra volta almeno avesse riveduto i suoi preziosi latifondi!.
Ben da tutto ciò agevol cosa fia il comprendere , quanto
dal segno scostossi il profondo Goesio, che ad uscir d'im-
paccio , intese le due formole positive del solo Decimano e
Gardine massimo , che in alcuni casi egli crede determinali
di una maniera particolare, donde il bisogno della formola
positiva determinata. Ma correvagU l'obbigo di determinare
per esempio , di quali di questi due Limili parlasi , quando
(i) Città di Aveja pag. LXXIV. e se(j.
CAMPAGNA TAURASINA l85
ili Bovi'ano è scritto , che iter populo debetur ped. V.
E il Cardine , ovvero il Decimano ? Troppo poco pel
primo ; meno assai pel secondo , sapendosi troppo bene,
che pe' semplici Quinlarj eran determinati per legge piedi
XII. , e confessando egli stesso , ex actuariis .... qui
dicuntuì' maximi , tam cardines , quam Decumani ,
laxior est dejìnitus (i). E poi : se la formola positiva
determinata ed indeterminata s' intendessero del Decima-
no , e Cardine , di questi del pari andrebbe intesa la ne-
gativa : iter populo non debetur. Dunque il Decimano,
e Cardine nella maggior parte de' casi andrebbero esenti
dall' obbligo essenziale di via pubblica. E che dirassi del
decimano dì Terracina , per cui , a parola d' Igino (-j) ,
correva la via Appia , mentre per altra parte di questa
Colonia ci assicura Frontino , che iter populo non de-
betur (3) ?
§. IIII.
Triumviri autori della legge triumvirale.
Chi sono finalmente questi Triumviri famosi , della
legge agraria triumvirale ? che cinsero di mura Corneliano,
e Bebiano ? che ne assegnarono 1' agro a tenore della lor
legge tanto rinomata ? che in somma ne stabilirono due
novelle Colonie ?
(i) Autiq. Agrar. Gap. IX. (2) De Limit, p. i63.
(3) Pag. 108.
T. ir. 24
"l86 CLARINI
A nessuno cadrà in pensiero , che questi Triumviri
esser si possano i due Fratelli Gracchi con Appio, Stre-
pitoso per verità fu un tal Triumvirato , e per le que-
stioni agrarie appunto. Ucciso Tiberio, ed interrotto così
questo triumvirato , fu dieci anni dopo ripigliato sotto lo
stesso pretesto degl'interessi agrarj dall' indispettito Cajo,
che sostituì Fulvio al defunto suo Fratello Tiberio. Ma le
leggi agrarie di questo Triumvirato si enunziano per la
forinola Lege Graccana , e noi cerchiamo della Legge
Triumvirale. La Legge graccana inoltre prescrive le Cen-
turie quadrate di jugeri dugento, e la Triumvirale quelle
ordinariamente di jugeri cinquanta. Bisogna dunque pen-
sare ad altri; e senza farla più lunga, essi sono Marc'An-
tonio , Ottavio , e Lepido. A così dire , oltre 1' osser-
vato altrove , ci obbliga la forinola medesima di LEGE
TRIVMVIRALl j formola diplomatica di potere legislativo
supremo , giusto o ingiusto , poco importa.
Egli è vero che prima del costoro Triumvirato fa
mestieri riconoscere quello altresì di Pompeo , Cesare , e
Crasso. Vero che questi tre potenti non si piccarono
gran fatto di moderazione sull' articolo Colonia ed as-
segnazioni agrarie, e Cesare [più d' ogn' altro. Ma è
forza pur convenire, che questo Triumvirato fu im mono-
polio di fatto senza titolo veramente pubblico e legale. L
forza il riconoscere, che la Colonia Capuana dedotta sot-
to gli auspizj di tali Triumviri non si dice deducta lege
triumvirali , ma sibbene IMP. CAESARIS. IVSSV: e che
lo stesso formolario in sostanza, e non mai quello di le-
CAMPAGNA TADRASINA 187
gè triumvirali , vedesi adoperalo da Frontino, e Siculo
nel caso delle assegnazioni Giuliane di Volturno, Esernla,
Boviano , e simili.
Non così del Triumvirato di M. Antonio , Ottavio,
e Lepido , che fu detto tale come per antonomasia. Essi
e ne' pubblici atti , ed in monete prendono solennemente
il titolo di Triumviri Beip. constituendae , e merita, a. tal
proposito di esser ricordata una moneta del Vaillant (1) ,
ove da una parte leggesi : C. Caesarlmp. Pont. III. VIR.
R. P. C. e per 1' altra : M. Anton. Imp. Aiig. III. Vir.
R. P. C. E guai per chi ne avesse pensato e detto il
contrario. E che non si fece di male sotto questo titolo
di sangue e di orrori al pubblico ed a' privati insieme ?
La sola morte dell'Oratore immortale di Arpino , ove man-
casse tutt' altro , basta all' obbrobrio eterno di questo
Triumvirato. Ricordiamoci finalmente delle parole frontinia-
ne altrove riportate , ed appiccate a bella posta alla lege
triumvirale de' subsecivi : Hoc opus orane , arhitratu
Octavii CaesariSf Antonii, et ZepicZi TRIVMVIRVM:
e converremo da prima , che gli atti di un tal Triumvi-
rato presentano nelle forme le apparenze tutte e 'l titolo
della legge : e dopo ciò, che come tali da' giudiziosi scrit-
tori riferir si dovevano questi atti stessi , ove il bisogno
lo esigeva.
Concludiamo dal detto , che Corneliano, e Bebiano
murati per ordine triumvirale j assegnati a' nuovi Coloni
(i) Tom. II. p. 9.
l88 GUARI.N'I
senza alcuna servitù d' iter pxihliciim nel senso di sopra
esposto j regolati probabilmente secondo la legge trium-
virale ordinaria della jugerazione , e de' subsecivi -, ed in
tutto ciò , senza ingerenza né del popolo, né del Senato,
ma interamente arbitrata Ti'iumvirum , furono in questa
seconda epoca Colonie del tutto Militari.
Osservando dopo tutto ciò queste due Colonie asse-
gnate a' veterani di Augusto dopo la disfatta di Antonio
in Azio, sembra evidente, che gli assegnatarj della secon-
d' epoca colonica sieno stati tutt' altro che creature Otta-
viano. Quando fossero stati tali , ne avrebbe il politico
Augusto con nuova assegnazione inquietalo lahoriosmn
requiem ? Appartenevano essi adunque o a Marc'Antonio,-
o a Lepido. Niente jjer Lepido in questa faccenda. Marc' An-
tonio all' opposto strepitò , e strepitò forte contro Ot-
tavio, e si fece far largo, quanto potè, per la divisione
de' terreni dell'Italia. I secondi assegnatarj adunque di
queste colonie furono i partigiani del mostro uccisore di
Cicerone. E che sarà stato di essi dopo la terza assegna-
zione di quest'agro fatta per Ottavio a' suoi veterani? po-
terono riceverne il compenso in lacinus , et siibsecivis
della Regione taurasina. Poterono riceverlo in altri terreni
dell' Italia , o delle Provincie. Poterono esserne compensa-
ti col prezzo. Tutto è in regola per qii';;^ti tempi senza
regola. Divus Augustas in assignaia orbi terrarum pa-
ce exercitus^ qui sub Antonio et Lepido militaveranf,
pariter et suarum Legionum rnilites ^ colonos fecit , a-
lìos in Italia^ alios in Provìnciis. Così Igino (i). E
(i) Loc. Slip. cit. pag. i6o.
CAMPAGNA TAtJRASlNA 189
per ciò che riguarda le somme ingenti impiegate da Au-
gusto per la compra de' terreni da assegnare a' suoi Sol-
dati , consultisi dal lettore la famosa Tavola di Ancira.
§. V.
Terza ed ultima epoca di Behiano , e Corneliano.
Assegnazione del loro agro per Augusto.
Ager eius post hellum augustianxcmveieranis est ad-
signatus. Ma questa novella ed ultima assegnazione fu una
nuova Colonia in proprietà? e di qua! condizione? Fis-
siamo prima l' idea legale della parola Colonia , senza la
quale sarebbe un imbarcarsi alla ventura , e come suol
dirsi, senza biscotti. Parliamo di Colonia romana, ed è
quanto dire di Colonie le meglio intese di quanto vantar
ne possano le altre nazioni tutte , sia che se ne riguardi
1' oggetto , sia che se ne consideri 1' economia ammirabile,
su di che non occorre trattenersi , per non ripetere cose
note dette e ridette cento volte da' trattatori di simili
materie (1).
La più giusta definizione intanto che siaci dagli an-
tichi pervenuta di tal voce è quella di Servio sull' Egloga
IX di Virgilio : Colonia est coetus hominum^ qui uni-
versi deducti sunt in locum certum aedificiis munitum.
(i) Veggasi Goesio Aatiquit. Agrar.
1 go GUARINI
Le condizioni quindi richieste da Servio per una Colonia
romana sono: i. coetus. 2. hominum. 3, deduclio. l\.
in locum certuni aedijiciis munitum. Il Goesio (i) le
vaglia tuUa da suo pari , e coucliliide come segue :
I. La parola coetus importa una massa considerevole
di persone riunite con regolarità di auspizj pubblici , e
comun consenso : e perciò non meriterebbe il nome di
Colonia in proprietà un assembramento o poco considere-
vole , o fortuito , e molto meno sedizioso.
II. Hominum. I servi ex praesumptione iuris, nec
velle^ nec consentire intelliguntur. Questa massa dunque
vuol essere di persone libere.
III. Deductio. Questa suppone una formalità diplo-
matica di ordine pubblico. Igino la descrive poco o nulla
differente da una marcia militare. Multis Legionihus conti-
git hellum feliciter transigere^ et ad lahoriosam agri-
culturae requiem primo tirocinii gradu transire. Nam
cum signisj et Aquila^ et primis Ordinibus deducehan-
tur (2). Né sarà discaro a chi ne abbia vaghezza e tempo
il por mente con qual patetico contegno si dolga Tacito (3)
dell' abolizione di quest' antica costumanza. Ed in difetto
di tali formalità un assembramento di persone destinate ad
occupare un agro chiamasi dallo stesso storico gravissimo
numerus magis , quam Colonia.
(i) Antiquit. ^^r. Gap. II. (3) Annal. Lib. XIV.
(2) De Liiait, pag. 160.
CAMPAGNA TACRASINA igi
mi. Questa deduzione così solenne assegnar doveva
a' nuovi Coloni non meno terreni da possedere e coltivare,
che edifizj determinati ad abitare o costruiti di già, o da
costruirsi per lo meno. Ma non si credano gli agri asse-
gnati a' Coloni immuni da' pubblici pesi. La fondiaria è
più antica di quello che si crede. Omnes , etiam pri-
vati ^ agri tributa^ atqiie vectigalia persolvant (^i^.Se
non che i terreni dell' Italia esser potevano vettìgali bensì,
ma trihutarj non già.
V. Per effetto di tal deduzione il nuovo Colono di-
sciolto dal vincolo di qualunque cittadinanza anteriore di-
veniva ipso facto cittadino della sua Colonia ^ e questo
s' intende delle colonie italiche , prima che per la legge
Giulia si fosse accordata all'Italia tutta la cittadinanza romana.
In conseguenza di ciò 1' antico cittadino appartiene al ter-
ritorio , dove si è dedotta la Colonia, ma alla stessa Co-
lonia non già. Il Colono è necessariamente cittadino della
sua Colonia , e della Città in cui si è dedotta la Colonia.
L'incoia non appartiene né alla Città, né al Territorio.
A tutte queste condizioni io credo giusto aggiugnerne
un'altra, che veggo omessa, forse perché presupponevasi
alla deduzione , e riguardava piuttosto la condizione poli-
tica del luogo, ove doveva dedursi la Colonia, che la
Colonia stessa. Il caso è il seguente. In una Colonia di già
costituita , ovvero in un Municipio, non si poteva dedurre
una Colonia , fino a che o quella esset incolumis^ o che
(3) Agen. Urbic. pag. 47-
] 92 GDARLM
questo consiìcraiìone veteri maneret. Che vuol dire ciò?
Nelle Colonie romane e Leggi e Religione tutto era romano:
i Municipj si stavano colle proprie Leggi e colla propria
religione. Senza la morte politica di una Colonia, o di un
Municipio, non si poteva in essi menare nuova Colonia , e
questa morte politica avveniva per delitti pubblici di stato
o veri, o supposti. Ciò accadendo, la Colonia non piùera^
incoliimis , secondo il linguaggio di Tullio , e '1 Municipio
consecratione vetej'i non T/zo/zeioì', direbbesicon linguaggio
Frontiniano. Supposta la morte politica di una Colonia, o
di un municipio, per dedurvi nuovi coloni, si richiede-
vano nuovi auspizj e consulti divini. Ecco a proposito
de' Municipj un luogo di Frontino, che il nostro Vico di-
rebbe luogo d^ oro'. Marsus (s'intenda Marnibìorunì).
Municipium . Licei consecratione v et ei'i mane at^t amen
ager ejus aliqxiibus locis trihus limitihus est assigna-
tus ((). Se un'assegnazione parziale non è in regola, co/z-
secratione veteid manente , quanto meno esser lo può
quella di lutto l'agro Municipale.^ E per ciò che riguarda
le colonie , Cicerone contro Antonio nega, colonos no-
vos ttdscrihi posse in una Colonia di già auspicato de-
ducta , e supposto com' è ragione di supporlo , che sit
incolumis. limonio \o aveva fatto in pregiudizio della Co-
lonia di Casilino , e perciò Tullio lo accusa de turbato
iure auspiciorum j non perchè Antonio trasandato avesse
la , formalità de' nuovi auspizj pe'suoi novelli dedotti, ma
(0 Pag. 123.
CAMPAGNA TAtlftASlNA igS
percliè questi nuovi auspizj appunto turhahant iiis degli
auspizj della vecchia Colonia, la quale era < incolumis (i).
Dal fin qui divisato comprende da se il saggio Let-
tore , che non ogni assegnazione agraria è sempre una
nuova Colonia , potendo darsi nuovi assegnatarj di un a-
gro colonico senza alterazione della Colonia esistente. Ma
non si dubiti per questo , che l'assegnazione fatta per
Augusto dell'agro de' nostri Liguri non sia stata una ve-
ra e nuova Colonia. E tutto l' agro di essi , e non una
porzione sola , che si assegna a' veterani : ager ejus ve-
teranis est assignatus. Dippiù Bebiano , e Corneliano ,
supposti i lor Cittadini particolari di Antonio che non più
faceva paura ad alcuno , non erano da presumersi incolu-
mes , ma di già morte politicamente , per potere dar vita
legale alle nuove Colonie Augustee.
Né si adombri taluno per la parola assignatus , di
cui fa uso Frontino nel caso dell'agro' Taurasino. Asse-
gnazione ^ Divisione^ Deduzione, Coloni^ è vero , son
cose in rigore fra loro distinte. Cicerone nega ad Antonio ,
che si possa dedurre nuova Colonia in una Colonia di già
auspicato dedécta : ma gli accorda , che vi si possano
ascrivere novelli coloni (2). Non si confonda dunque colla
Colonia un numero qualunque di coloni. La Deduzione
può stare senza Coloni. Formias oppidnm. Illviri sino
colonis deduxerunt. Frontino (3). Venafrum Oppidum.
(i) Vedi Goes, loc. cit.Cap. VII. (2) Pbilippic. II. n. 4o.
(3) Pag. io5.
T. IF. 25
194 GUARINI
J^viri sine Colonis deduxeinmt. Lo stesso. Cioè eran morti
politicamente questi Oppidi, e quindi devoluti al Fisco j
e per ciò si fece la formalità della dedazione senza coloni
effettivi , riservandosi la facoltà di disporne a piacimento.
La Divisione si fa propriamente pe' Limiti j e l'assegna-
zione in {me nominibus assignatorum. Verissimo, torno
a dire, tutto ciò. Ma ciò non pertanto da' Classici anti-
chi di tali materie tutte queste voci si adoperano indiffe-
rentemente l'una per l'altra. Così dove Tito Livio dice
di Anzio, che vi fu dedotta Colonia, Dionigi di Alicar-
nasso annunzia semplicemente , che ne fa diviso l'agro : e
dove Dione chiama Capua Colonia romana , Suetonio ne dice
solamente l'agro diviso a' cittadini romani. Frontino stesso
parlando di Fanestre ^ Lucerà , Venosa , Carsoli , Cales,
Casino , e Sipouto , non usa che la parola assìgnatus , o
divisus : e pure è certo da' marmi , e dagli scrittori anti-
clii , che tutte queste furono verissime Colonie. Ma in un
affare notissimo sarebbe pedanteria dirne di più. Del resto
IO sono ben persuaso , e lo abbiamo di sopra osservato
nelle doglianze di Tacito su questo particolare , che ne' tem-
pi posteriori, e da Augusto in poi principalmente, non
si fu molto delicato nella osservanza di tutto ciò , che un
lempo si credette necessario alla costituzione di una vera
Colonia. Igino favellando delle assegnazioni agrarie fatte
per questo Principe tiene un linguaggio , onde far com-
prendere , che contento egli di soddisfare all' oggetto es-
senziale di assegnar terreni , non molto si curò del resto^
ed onorò ancora col nome di nuove Colonie quelle che
CAMPAGNA TAURASINA igS
in rigore non potevano dirsi tali. Questa riflessione rice-
verà a suo luogo uno sviluppo maggiore.
Restinsi intanto anche per questa terza volta Colonie
Bebiano , e Corneliano , e Colonie di Augusto cwili , non
già militari : perchè non è da credere che Ottavio divea
nuto coir impero divoto del Senato, sia per politica, sia
per sentimemto , tralasciasse di munire dell' approvazione
di questo venerabile consesso i suoi novelli divotissirai Coloni.
196 GUABIKI
SEZIONE mi.
SINTASSI COLONICA.
Avvertimento preliminare^
Mi sono studiato di esser chiaro quanto ho potuto.
Ma si può esser chiaro abbastanza in un linguaggio , che
per quanto si dica e faccia, non lascerà mai di presentarsi ,
alla maggior parte almeno de' lettori , in una cert* aria
di gergo e mistero ? Tal si è il linguaggio senza dubbio
di Frontino , Siculo , Igino , Agenno Urbico , e di tut-
ti gli antichi scrittori agrarj in una parola, io son per-
suaso da molto tempo , che ogni articolo Frontiniano , in
ispezie de Coloniis , sia un bel trattatine del luogo di cui
trattasi de' più compiuti nel lor genere: e che si fa un
torto insigne a questo scrittore [nominatamente , quando
nella materia colonica si taccia di oscurità , d'indigestione,
e che so io. E son d' avviso , che allo stesso modo, e forse
con maggior ragione , bestemmiar si potrebbe un polinomio
algebrico da chi ne ignora i termini , le formole , l' equa-
zione. Ma dirà taluno : e perchè questo linguaggio arcano
e poco meno che disperato in un affare così interessante,
come quello delle romane Colonie ? È questo in sostanza
quanto si suole comunemente obbiettare di più spezioso ed
apparente contro gli avanzi preziosi di questo ramo cu-
^
CAMPAGNA TAtRASINA 197
riosissimo di antichità : e bisogna prima d'ogni altra cosa
rispondervi con precisione e giustezza.
Io non intendo parlare dello stato deplorabile onde
sono a noi pervenute , Dio sa come , le Opere di questi an-
tichi scrittori , e che ne accresce la malagevolezza intrin-
seca di ben intenderli. Dove più dove meno si compiagne
la stessa disgrazia per conto de' Classici antichi : ma per
nessuno di questi il caso è così barbaro e sembra tanto
irrimediabile, quanto pe' poveri autori agrarj che fanno ve-
ramente pietà. In questo non v' è che fare, e bisogna aver
pazienza. Io mi limito al solo linguaggio da essi tenuto,
e domando : per chi , e per quali tempi è desso miste-
rioso ed arcano.
Non lo era al certo pe* tempi in cui usavasi, e per
le persone che dovevano usarlo. E come per altra parte
farne a meno e sostituirne un altro di propria autorità ?
Le formole , le parole , gli apici di cui fanno uso questi
scrittori erano così sagri , come lo sono i formolarj de' no^
stri Tribunali j e come le piante Coloniche conservavansi
gelosamente nel sagro Arcano , o Archivio che vogliam
dirlo del Principe , così non è da mettersi in forse che
nel medesimo se ne custodivano le spiegazioni e notizie
necessarie col linguaggio appunto in questione , che nel
suo genere può dirsi il linguaggio delle sigle. Siccome dun-
que non era a discrezione de' privati alterarlo a lor ca-
priccio , Così capivasi altronde con tutta esattezza e fa-
ciltà da chi doveva capirlo. Dolersi quindi della natura di
un tal linguaggio è un dolersi in buon senso del uou es-
ser nato in quei tempi, del non esser nìssuIo, o vivete
19? GDARINi
sotto quel sistema di leggi e costumi , in cui era esso in
voga 5 e di cui essendosi presso che abolite le idee , qual
meraviglia che ne sien divenuti oscuri i parlari ? Le voci
finalmente si sa che ban corso sempre , e debbon correre
il destino delle idee a cui servono. O dunque al fuoco
questi monumenti tutti della sagra antichità : o cerchisi
come si può di rompere alla meglio quel bujo che ce ne
asconde il bello e l'utile.
Questo è quello che io procurerò di fare tanto per
la più piena intelligenza del detto finora, quanto per in-
trodurre anche indipendentemente da questo i lettori poco
versati nel primo vestibolo almeno de' trattati agrarj. Non
si aspetti tutto da me : che no '1 comporta l' oggetto pro-
postomi \, mob-o meno le mie forze j assai meno la mate-
ria di cui debbo trattare. Io comincerò dalle voci più
usate di questo vocabolario niente comune , fissandone lo
stretto significato legale. Dalle voci passerò alle formole^
che possono considerarsene come le concordanze : perchè
fra queste ve ne ha delle più e meno composte , ragione-
rò prima delle più semplici , e poi per gradi delle più
complesse. Presenterò una carta agraria addittando il me-
todo di maneggiarla, affinchè i men pratici possano rap-
presentarsi di una maniera sensibile l'essenziale del mec-
canismo colonico , se ci si permette di così chiamarlo.
Compiuto tutto questo , a Dio piacendo , darò un piccioi
saggio di appbcazione del detto a proposito di qualche
articolo frontiniano de Coloniis per un indirizzo qualun-
que di chi per avventura crederà potersi del medesimo
giovare.
CAMPAGNA TAURASINA 109^
§. I.
Spiegazione de' vocaboli principali più comunemente
usati dagli scrittori delle cose agrarie.
Territorio. Fu così detto, al dire di Frontino , quid-
quid hostis terrendi caussa constitutum est (i). Questa
voce in linguaggio agrario è perfettamente sinonima della
parola Regione , e per esse intendesl tutto il terreno qua-
lunque co' suoi confini naturali di un Municipio p-e., di
un Oppido , di una Città , dove può dedursi una Co-
Ionia.
Una Città dicevasi pellegrina , se regolavasi colle
sue leggi proprie, e l'agro di essa dicevasi del pari pel-
legrino , e secondo la definizione di Festo (2) era come
una cosa di mezzo fra l'agro ostile, e '1 romano. Chia-
mavasi Città municipale quella che regolavasi con leggi
in parte proprie , in parte romane. La città coloniale era
diametralmente opposta alla pellegrina.
Agro. È una parte del Territorio, o sia della Re-
gione, ed è propriamente Rassegnato di essa a' Coloni
centuriato , cioè diviso e segnato con Limiti artificiali. Si
è detto altrove , che il Fondo è una parte dell' agro , e '1
luogo una parte del fondo.
(,i) De limit. pag. 43. (2) Pag. CCLXII.
200 GUARINl
Pertica. In origine vuol dire misura di piedi X. detta
da' latini Decempeda. Ma nel linguaggio colonico dinota
tutto r agro assegnato alla Colonia , e compreso ne' Li-
miti. In questo senso tal voce è il sinonimo delle parole
Università , Centuriazione , Metazione, Cancellazione ^
e Limitazione , i cui Tipi , o Forme , che per noi si
direbbero piante , conservavansi nel Sagrario del Prin-
cipe, detto eziandio Tavolario.
Intracluso. Dicevasi tutto il compreso fra' limiti del-
la Pertica : ed estracluso al contrario quello che rima-
neva fuori di essi. Questo secondo ordinatiamente chia-
jnavasi relictum^ oppure esprimevasi perlaformola equi-
valente: insoluto manere , teneri, residere, a dinotare,
che era a disposizione di chi aveva il dritto di asse-
gnare.
Assegnazione. È l'opposto del relictum, e riguarda
quella porzione del territorio , che dicesi agro , , e che si
aggiudica viritim a' Coloni. Quest' assegnazione e per par-
te degli assegnatarj , e per parte del suolo da assegnarsi
richiede alcune condizioni, che fa mestieri accennare.
I . Esser non potevano più dolci e adattabili le con-
dizioni richieste per parte degli assegnatarj. Cittadini, fo-
restieri, veterani, stipendiar], disertori, ed anche nemici
soggiogati iurehelli., 4ivenir potevano coloni. Si facevano
delie assegnazioni alla famiglia del Principe, alle Colonie,
che prendevano allora la qualità di persone puhhliche ,
alle Curie di esse Colonie, dette ancora Ordine, e Se-
nato. Tal fiata si assegnava alla stessa Città, nel qual
CAMPAGNA TAURASINA 20I
caso l'assegnato diveniva inalienabile , considerandosi come
dato in tutela alla medesima. L' Ej)itomista Liviano Lib.
XCIX. ci racconta di Pompeo , che accepiis in ditio-
neni Piratis agros , et iirhes decLit. E giovi il qui ri-
cordare , die nelle assegnazioni coloniari sopra tutto cer-
cavasi , e con ragione , la continuazione de' fondi assegna-
ti , pe '1 quale oggetto sovente avevan luogo le commu-
tazioni.
II. Le condizioni del suolo da assegnare sono o na-
turali , o legali. Quest'ultime da Agenno Urbico (i) ri-
duconsi a due , cioè divisione , o limitazione che vo-
gliam dirla , che non è sempre necessaria , potendo stare
asspgna/ione senza divisione : e perciò questa condizione
dallo stesso scrittore si enunzia cosi : limitihus plerum-
qiie conlineaiur. L'altra condizione legale è il regolamen-
to dell' assegnato per proxim.os possessionum rigoT'es ,
cioè che 1' assegnato segua il ])iù che possa il corso retti-
lineo de' Limiti , che sono altra cosa da' confini assegnali
extra l.mites.
Le condizioni naturali del suolo da assegnarsi vanno
comprese in quel celebre squarcio della legge agraria di
Angusto : ager nisi qua falx , et arater ierit , ne di-
viditor , assignator. E vuol dire: terreno atto a coltura,
di cui falce ed aratro sono gì' istrumenti classici , e sic-
come Volpila^ e V omega. Festo in fatti cliiama la falce
insigne agricolao. Un terreno senza queste qualità ap]»el-
(.) Di' liii.it. j.ng. 45. e 4G,
T. U'\ 26
202 CAMPAGNA TAliRASINA
lavasi salso ^ amaro ^ incerto^ quindi incapace di essere
assegnato^ Qual cosa più nalurale ed ovvia di questa in-
telligenza del citato squarcio agrario ? Pure il gran Mazoc-
chi (i) nella falce del pezzo agrario non sa affatto ricono-
scere lo slrumento de' mietitori , ma vuole in tutti i conti
vedervi , o farci vedere quel ferro aguzzo dell'aratro, onde
incidesi la terra prima di squarciarsi col vomere , detto
culter aratorius. Ma che ha che fare il cullro aratorio
colla falce ? e dove si legge la voce falx in senso del
cultro aratorio? se si fosse parlato dello slrumento de'rnie-
titori , egli dice , jirius de aratro , tiivi de falce memi-
nisset , cum stultisslmuTn sit , falcem immittere , uhi
non severis. Tale -Js-sfov "k^ts^^jv lex haud facile admi~
seni. Che gran disgrazia ! ma e non sarebbe poi maggiore
ne' termini semplicissimi di una legge quello della impro-
prietà , e dell' abuso di una voce pei' l' altra ? falce jìev
cultro aratorio ? ed aratro e cultro aratorio non sarebbero
molto più pleonasmo ridicolo in una semplicissima perioca
legale ? Questo sì , che lex haud facile admiserit. Se
pure non si pretenda , che il terreno assegnabile per la
legge sia il solo arabile con aratro munito di ferreo aguzzo
cullro aratorio , nel qual caso il dolce suolo campano sa-
rebbe fuori caso di assegnazione. Ut omittam , prosegue^
egli in tuono di vittoria , quod ire falcem , si messoriam
ìniellìgìs , est nm^ov , cum innnitti falcem veteres dixerini.
Ma di grazia : se la legge ha detto, ed ha detto benissimo,
(i) Ampliit. Camp. C^p. i. Auctar. ii. not, 35,
CAMPAGNA TAtTRASTNA 2oS
qua arater ierif, perchè della falce dir non poteva: qua
falxierit? Anzi di dare la legge a' Classici antichi in una
lingua non nostra, noi amiamo meglio di riceverla. La pri-
ma volta ch'io giovanetto m' avveani nelle opere di J» nietà vale a dire di
un jugejro , o siano moggio 1 i. Dividesi quindi iljugero
in atti li. in Tavole IIU. in Climi VIJI. in aje XVI. Kella
(i) /Jgeun. p. 26.
^o6 eUARlNI
Campania mlsuravasi a f^erso , ed ogni verso è la terza
parte del Jugero. Essendo dunque il Jugero di piedi 28,
800 , il verso non è che di piedi g,6oo. E con ciò cor-
reggeremo il luogo d' Igino , che dice : Versus habet P.
Vili. DC. XL. (i). Leggasi Vini. DC.
La prima condizione de' Limiti era , che correr do-
vevano in linea retta , e fosse qualunque la natura del
luogo , ove dovevan correre. Limites recturas suas per
qualiacnmque loca extendemt , hoc est : qua RATIO
( la norma ) dictavit , per devia , et montuosa eunt ,
qua iter nxdlo modo fieri potest. Così espressamente A-
genno (2). Ma non ignorandosi altronde , che i limiti if*
agris divisis , et assignatis semper PER\ li esse dehe->
hunt , tam, itineribus , quam mensuris agendis (3) :
non ci vuol molto a comprendere , che questa dirittura
de' limili non poteva esser sempre fisica e reale , ma il
più della volte razionale , semplicemeiue , come la no-
minano gli scrittori agrarj. Quando fortunatamente i limiti
correvano in linea retta senza interrompimento in tutti e
due i sensi spiegati, si denominavano ^eryoei«Zp e quando
nò , intercisivi. Agenno (4) per altro chiaa]a limites in~
tercisivos anche quelli senza più che tagliansi fra loro in
tre o quattro punti. Parliamo ora delle varie spezie dei
l^imiti.
(i) Pag. 209. (3) Sicul. Flac. pag. i5.
(2) Pe Controv, Jgr. pag. 7?. (4) P. 44-
Nel costituire nfìa Pertica piantàvàfei prima in segno
di autorità e buon augurio insieme un certo stromento ,
G sia una certa friachinetta , che fefeió chiama gToma aus-
picale. Essa consideravasi come cosa sagra, né rimuove-
vasi dai luogo , ove erasi fissa , prima del compimento delle
operazioni necessarie allo stabilimento colonico. Per quello
che ne riguarda la natura, lo stosso Fcslo la definisce in
questo modo: genus machinulae cuiusdani ^ quo regio-
nes agri cuiusque cógtiosci possimi ^ q^eod genus graeci
diciint yvKf^ovx. È certo da ciò , che essa è tutt' altro dalla
Decempeda , con cui taluni l'hanno confusa. Ciò faltOj
nel mezzo dell' agro da dividersi tirava&i un limite , che
nella sua larghezza superar doveva tutti gli altri da tirare,
e che d' ordinario cadeva fra occidente ed oriente , pren-
dendosi sempre , o quasi sempre , dal lato più lungo del
suolo dividendo.
Questo si è il Decimano , cui tal fiata si aggiugne
l'epiteto di Massimo, e detto così non già dalla parola
decem , ma da quella piuttosto di duo , quasi Duocimano,
perchè con esso venivasi a dividere tutto l'agro in due
parti uguali, dette l'una destra., sinistra l'altra. Questi
punti destro e sinistro si determinavano in questo modo.
Se il Decimano era da occidente a levante , la destra ca-
deva a mezzodì e la sinistra a settentrione. Se il decima-
no riguardava il Mezzodì, l'occidente era la destra, e
l' oriente era la sinistra. Quest' avvertimento è necessa-
rio pe l maneggio della Carta agraria , di cui parleremo
fra poco. Il Decimano massimo dicesi talora anche
I
200 G17ARINI
•primo , e con lulta verità e proprietà insieme. Vedi
Igino (i).
Tiravasi quindi il secondo limite , men largo del pri-
mo, ma più ampio degli altri da segnarsi, che tagliando
nel mezzo il primo Decimano ad angoli retti , divideva u-
gualraente tutto l'agro in due parti uguali , djnoininate
cìtra l'una, ultra l'altra. Rivolti gli occhi al punto estre-
mo del Decimano, che d'ordinario é l'oriente, ed. alcuna
fiata il mezzogiorno, tuttala metà superiore dell'agro tanto
destra , che sinistra , dicesi ultra , oppure ultrata \ e la in- ~
feriore similmente sì destra che sinistra , denominasi citray
o Ciirata. Anche quest'avvertenza è importante per l'uso
della Carta agraria. Il Cardine massinro dicevasi ancora
Cardine senza jiiù , per essere ordinariamente rivolto a'car-
dini del mondo.
Ma a segnare in regola questi due primi limiti , re-
golatori di tutti gli altri , bisognava partire da un punto
astronomicamente immutabile , e questo esser non poteva
in conseguenza , che il punto di mezzodì , variando dì
continuo nella nostra sfera quello di Oriente. Accadeva
alcune volte che si trascurasse questa osservazione sia per
ignoranza , sia per altra ragione ; ed ecco il Cardine , e con
esso il Decimano, mancante di esattezza astronomica. Que-
sta anomalia enunziavasi per la formola seguente : Solem
sediti sunt , cioè ortiim , et occasun , ma Inori de'punti
equinoziali. Avveniva da ciò , che il Cardine di (jueste
(0 Pag. i5S.
I
CAMPAGNA TAURASINA 209
perii che ?«• horam sextam non conveniret ^ cioè che non
riguardasse il punlo vero di mezzogiorno. Apprendiamo
tutto ciò nettamente da un luogo prezioso del Frammento
agrario de Umit. (i) : multi mobilem solis ortum , et
occasum secidi variaverunt rationem (diremmo geogra-
ficamente non si orientarono bene) sicuhi ( còsi correg-
go quel sicuti che qui non ha che ia.i-c)effeetam est , ut
Decumani spectarent eam partem , ex qua sol oriehatur
eo tempore , quo mensura acta est. E da questo fonte
stesso (2) rileviamo , che il Decimano talora stabilivasi
senz' altra considerazione dalla parte della maggior lunghezza
dell'agro , qualunque esser si potesse astronomicamente.
Fissato il Decimano , e Cardine massimo , lungo la
loro direzione liravansi due altri limiti rispettivamente pa-
ralelli a ciascun di essi , quanto bastava alla circoscrizione
di una Centuria, e così di mano in mano fino al quinto ,
escluso il Decimano , e Cardine. I primi quattro di questi
nuovi limiti dicevansi Lineari , o Linear^ , ed anche Lì-
ti eali , e le volte semplicemente decimani e cardini. Essi
erano destinati primieramente a distinguere una centuria
dall'altra, la quale inconseguenza giaceva fra due lineari^
fra tre , se eran due j e così in seguito. Ma nell' Itaha
questi Lineari per la Legge Mamilia eran destinati anche
all' iter piiblicum sotto la denominazione di Subrunciviy
così detti quasi runcoìiihus purgati , ed esser dovevano
larghi piedi VIIL
(i) pag 217. (2) pag. 2iS.
T. ir. 27
210 GUARINI
Ogni quinto Limile per l'Italia, e dovunqne , servi-
va all' iter publicum sotto la denominazione più comune
di quintario , e della larghezza di piedi XII. A taluni è
sembrato , die il quintario sia sinonimo del quinto , ma
con poca ragione. Il quinto non è che uno nella serie nu-
merica , ed i quintarj , secondar] , e cosi fino a che si
vuole, possono andare all'infinito nelle serie ordinab*. Don-
de dunque furon detti Quintarj ? Sciolta colla ispezione
delle forme, come ci narra Igino (i), la questione mossa
una volta , se il Decimano , e Cardine andavan compresi
nella numerazione de' limiti , e decisa per la parte nega-
tiva , è evidente , che fra '1 Decimano , ed ogni Quinta-
rio cadevano appunto cinque centurie , non pare assai ve-
risimile , che dal numero delle cinque centurie racchiuse
fra loro e'I Decimano fossero così detti Quintarj?
Il Decimano era ordinariamente il doppio del Cardi-
ne 5 e per legge di Augusto la larghezza del primo esser
doveva di piedi XL ; quella del secondo di piedi XX. È
Lene il sapere ancora , che questi due limiti s' incontrano
talora sotto la denominazione di limiti marittimi e m,on-
tani ovvero òì gallici e marittim,i , e-ciò , secondo Igino, (2)
dalla circostanza accidentale dell' esser rivolti alla parte
del mare e de' monti.
I Termini sono a' Limili quello che i punti alle li-
nee da essi o tagliate o terminate : e come i limiti distin-
guono i fondi privati , così pe' termini distinguonsi le Geu-
(i) Pag. 118. (2) pag. iSi.
CAMPAGNA TAUBASIWA 211
larie fra loro. Ma debbo io dirne di più? quest' arlicolet-
to agrario non è véramente de' più facili. Ma non è la
malagevolezza che mi ritiene dal trattarne , siccome non
ini hanno arrestato tanti altri niente men di questo diffi-
cili. Perchè dunque segnarlo nel titolo di questo paragra-
fo? per dire appunto , che non doveva occuparmene se-
riamente.
Che importa al mio scopo , che essi sieno Augustei,
ovvero Tiburtini ? che sieno naturali , oppure artefatti ?
che sieno cippi , od Erme ? testacei , lagenari , o orcula-
ri ? parallelogrammi , isosceli , o scaleni ? isoiileri , trape-
zj , rombi , romboidi , scutellati , trigoni rettangoli , oppure
acutangoli? muti , o letterati? che additino piani o mon-
ti o vaUi o fiumi o colH o fonti? Si hanno i Trattali di
M. Barone, di Cajo , e Teodosio , diArcadio, Vegoja, e
Vitale , che debbono valutarsi molto , principalmente per
ciò che riguarda i termini letterati . Verrà fuori quando
e come e dove Dio vuole alcuno di questi. Per esempio:
B. D. V. R. oppure: D. D. R. R. ovvero : DD. XCVIII.
VR. LXXX. Ecco in movimento gli antiquarj di primo
pelo : chi la intenderà di un modo , e chi la penserà di
un altro. Ma con questi venerabili depositi alle mani ,
de' quali è a dolere che sien divenuti così scarsi gli esem-
plari , si è nel caso di non cinguettare a caso , e di ri-
mettersi in istrada , ove siasi deviato. E così s' intende-
ranno le prime sigle ; dexter Decimanus ultra Kardi-
nem: le seconde j dexter Decimanus citra Kardinem:
le iiltùne} dexter Decimanus nonagesimus ociavus
213 GUARINl
ultra Kai^dinem octiiagesimum. Ma ripeto : tutte queste
piccole curiosità , ed infinite altre simili , non entrano per
ora nel picciol campo augurale , che mi ho designato col
mio lituo. Dunque passiamo ad altro.
$. IH.
Calata agraria , e metodo di maneggiarla
A render sensibile quanto si è detto , ecco Io schema
dì una Carta agraria , di cui è necessario premettere la
spiegazione , e additare il metodo di maneggiarla secondo
il bisogno.
I. La nostra Carta deve a un di presso esser ma-
neggiata alla guisa di ogni carta geografica. Essa conta le
sue longitudini , per così dire , sul Decimano , e le sue
latitudini sul Cardine. Ciascuna Centuria va compresa
ne' rettangoli che vengonsi a formare da' Limiti rispettiva-
mente paralelli al Decimano e Cardine.
IL Chiamasi Decimano primo il così detto massimo ,
e Cardine primo quello che altrimenti dicesi massimo
ancora.
III. A mettersi in giusta posizione colla nostra Carta,
fa d' uopo situarsi colla faccia ad Oriente nel punto della
intersezione del Decimano col Cardine.
IV. Ciò fatto , e supposto il Decimano ad Oriente ,
contando dal punto della intersezione , ed escludendo il
primo , diremo quello che segue a destra semplicemeute
CAMPAGNA TACRASINA 2l3
D, D. cioè decimano I. destro , quello che segue dirassi
D. D, li. cioè decimano destro II. e così in appresso.
Collo stesso metodo dicemo S. D. cioè sinistro Decimano
I. il primo cioè dopo il massimo a sinistra : e S. D. II.
quello che segue , e cosi di mano in mano. Questa ma-
niera di numerare i Decimani vale tanto per quelli , che
sono al di sopra , quanto per quelli che cadono infra il
Cardine.
V. Collo stessissimo metodo si terrà il conto de' Car-
dini tanto Tiltra , che citr^a \ e si diranno Cardini V. o
C. cioè latra , o dira , II. III. IV. e poi.
VI. E chiaro da tutto questo , che il destro , e 'i
sinistro nella Carta vengono determinati sul Decimano ,
e r ultra e '1 citra sul Cardine.
VII. Ciò posto , volendosi annunziare per esempio la
Centuria A , si dirà : D. D. V. R : e vuol dire dexter
decimanus primus ultra Kardinevi primum. Volendosi
additare la Centuria B , si dirà : S. D. V. K. cioè sini-
ster decimanus ultra Kardinem. Se si trova : D. D. III.
R. R. IV. cioè dexter decimanus tertius citra Kardi-
nem quartum , questa non può essere che la Centuria C.
E così S. D. III. V. R. IV. sarà la Centuria D.
\III. Se il Decimano è a mezzodì , i destri cadono
fra settentrione, occidente, e mezzodì j e i sinistri fra
settentrione , oriente , e mezzodì. I cardini ultra in que-
sta Slessa supposizione cadranno fra oriente, mezzodì , ed
occidente j e quelli ciira fra oriente, settentrione, e mez-
zogiorno.
ai4 GUAHINI
IX. Il rettangolo FT rappresenta ciò che in linguag-
gio agrario chiamasi Striga , e '1 rettangolo FM dinota ciò
che dicessi Scamnum , e di cui parleremo in appresso.
X. Cadendo il Quiatario ad ogni quinta Centuria, e
ciò non meno orizon talmente , che verticalmente , è ma-
nifesto, che ogni Quiatario contiene perfettamente dell' agro
colonico un gran rettangolo uguale a Centurie sS. Per ciò
una Pertica compiuta e regolare secondo il tipo per noi
designatone , sarebbe di Centurie loo giacenti fra quattro
Quinlarii , che si tagliano ad angoli retti nella direzione
del Decimano , e Cardine massimo. E tanto può bastare
per la intelligenza , e per 1' uso della nostra Carta , il cui
oggetto principale si è il ritrovamento delle Centurie in
essa comprese.
l mi.
Forinole agrarie usate da Frontino spezialmente.
Di siffatte formole alcune riguardano i possessori an-
tichi de' fondi da assegnare a' nuovi coloni : altre la legge
suprema che ne ordina sia l' assegnazione , sia la divisione,
sia r uno e 1' altro insieme : altre finalmente la jugerazione,
e la condizione de* terreni , ne' quali può essa aver luogo.
Queste ultime sono le più di numero*, e le più scabrose a
determinarsi. Cominciamo delle prime.
I. Impariamo da Igino , che Augusto , data la pace
9Ì mondo , per compensare i Legionarj suoi non meno ,
CAMPAGNA TAUKASINA 2l5
che di Anlonio , e Lepido , altri ne dedusse in Città nuo-
vamente costruite sulle rovine delle antiche ; altri negli
Oppidi superstiti , onorandoli del nome di Coloni 5 altri
in fine nelle Colonie già prima dedotte comunque , sup-
plendo il numero di troppo scarseggiante de'vecchi coloni,
e dato interum Coloniae nomine^ in grazia de' novelli.
Di altre Colonie per lo slesso effetto si contentò di sem-
plicemente amphare i confini.
Dove in quest' ultimo caso accadeva , che nell' agro
nuovamente assegnato si lasciasse qualche vecchio proprie-
tario nel possesso de' suoi fondi , non diveniva egli per
questo cittadino della nuova Colonia. Dal che giustamente
inferisce Siculo Fiacco , che né tampoco i costui fondi
passavano sotto la giurisdizione della Colonia novella , ma
che manebant in eadem conditione. Lo stesso accadeva,
quando a supplire il manchevole di una pertica assegnata,
nel Territorio vicino facevasi qualche assegnazione parti-
colare (i).
Generalmente però gli antichi possessori eran forzati
a cedere i lor fondi in benefizio de' nuovi coloni , ed a
contentarsi o del prezzo , o del cambio de' medesimi per
conto del Fisco : e bene spesso non toccava loro niente
ancora di tutto questo. In tal caso i terreni ceduti non
manehant in eadem conditione ^ e passavano interamente
sotto la giurisdizione della nuova Colonia. Dovevano per-
ciò i vecchi possessori rassegnare , e projiteri , quid ,
(1) Sic. Flac. pag, 25.
21 6 GUARINl
quoque loco possìderent , e quest'alto enunziavasi per ana
delle seguen ti forinole perfettamente fra loro sinonime :
1. Per professlonem veterum possessorum.
2. In nominibus viLlarum , et possessionum.
5. In nominibus.
E riguardo a quest' ultima formola , si avverta a non
confonderla con quella di assignare viritim nominibus.
Questa riguarda gli assegnatarj j la prima i resignatarj.
Talvolta però gli antichi possessori dovettero (e credo che
non molto dispiaceva loro 1' adempimento di questo dovere)
dovettero , dico , projiteri nomina , et quid quoque lo~
co possiderent, per un effetto tutto contrario ali' anzidet-
to , cioè per ripigliarsi quello che erano stati obbligati di
rlsegnare. Allora gli agri non si dicevano assignati , ma
redditi in nominibus , et per professionem veterum
possessorum,. Eccolo netto nel caso di Veroli : Vende. Op-
pidum. Muro ductum. Ager eius limitibus graccanis
in jwminibus est adsignatus. Ab Imperatuj'e Nerva co~
ìonis estredditus (i). E s'intende per professionem ve-
terum possessorum , o che torna lo stesso , in nominibus
villarum et posesssionum. Passiamo alle seconde.
II. Ove ben si rifletta alla condotta di Frontino ne' suoi
sugosi arlicoletti colonici, non lascia egli il più delle volte
di far comprendere all'accorto suo lettore gli autori delle
deduzioni , o delle assegnazioni agrarie. Sono questi alcu-
na volta que' medesimi, de' quali ha fatto menzione neirar-
(r) pag. 109.
CAMPAGNA TAURASINA 217
ticolo anlececlenle , e che non occorreva ripetere : altre
volte si eniinziano espressamente, come a cagion d'esem-
pio per la Colonia di Capua : iussu Imperatoris Caesa-
ris : più comunemente si additano colla parola LEGE
coir aggiunto dell'autore della medesima. Eccone lutti gli
esempii :
1. Lege Sempronìa. 4- ^^S^ lulìa.
2. Lege Graccana. 5. Lege Ti/spirali.
3. Lege Sullana. 6. Lege Augustea.
La legge Sempronia appartiene al Console C. Sem-
pronio Gracco , Collega di Appio Claudio dell' anno Var-
roniano 486". Non è la stessa che la legge Graccana. La
Legge Graccana assegna jugeri 200 per Centuria : la Sem-
pronia ne assegna per Eclano , e Canosa 240.
La legge Graccana appartiene certamente a Tiberio Sem-
pronio Gracco , e di essa parla Tullio nell' Orazione prò
Seoctio. Questa legge, come la Licinia , proibiva di posse-
dere più di jugeri 5oo. La legge Sillana, ed Augustea non
possono dar luogo ad equivoco alcuno. Della Illvirale si
è parlato a lungo altrove.
Molte sono le leggi Giulie. A noi non conviene il
ragionare di ciò che non ci appartiene per ora. La legge
Giulia, di cui cercasi, è l'agraria, che vanta per suo
autore C, Giulio Cesare. Spiacque questa legge al Senato,
e invano vi si oppose il Collega M. Bibulo , cacciato per
ciò colla forza dal Foro , ed obbligato a tacersi pe i tem-
po restante del suo Consolato. Osseivansi con questa leg-
T. IV. «8
2l8 GUARINI
gè divisi l'agro Stellatino , e Capuano (i). Or si domanda.
Queste forniole indicano sempre , o no , gli autori delle
deduzioni , o assegnazioni agrarie da esse affette ?
Rispondo di sì, ove o dal contesto, o altronde, non
apparisca il contrario. Gii articoli colonici frontiniani sono
tanti piccioli ristretti delle storie particolari di ciascuna Co-
Ionia 5 e '1 nominativo di queste storie, per così esprimer-
mi , è senza dubbio l' autore supremo delle deduzioni ,
ovvero delle assegnazioni. Così chi dubiterà di Arezzo,
che sia Colonia Illumvirale , dicendosi , che fu dedotta
lege Illvirali , non sapendosi dal contesto , o altrove ,
a chi altro riferirla ?
Ma trovandosi in vece nel contesto espresso I' autore
della deduzione , la formola lege si riferirà alla jugerazio-
ne o prima fatta , o ora per la prima volta da eseguirsi
a novm^i di questa legge. E così abbiamo di sopra osser-
vata la Colonia beneventana dedotta per Claudio Cesare,
ed assegnata lege Illvirali.
A proposito di formole legali , se ne incontra una
assai curiosa , e del tutto negativa : un" assegnazione vale
a dire presso Frontino nell' articolo Diinos , o come altri
leggono , Divinos , fatta di questo Municipio sine lege
alla Famiglia di Augusto che Io aveva costruito. La parola
assignatus ^ di cui usa Frontino in questo caso, non per-
mette di pensare ad una baruffa militare, in cui tutto si
termina a colpi di mano. Dunque la formola singolare
(0 Leggansi Suetonio in lui. e Fioro Gap. CHI.
CAMPAGNA. TAURASINA 2ig
sine lege qui non vale , che a puro piacimento del Prio-
■ cipe , senz' alcuna obbligazione a leggi coloniche. Ci guar-
deremo dunque di confonderla con quella àeXjjrout rfids-
que occupavit ^ la quale suppone la forinalilà legale della
divisione , senza cui non può aver luogo l' iter populo ,,
a cui si vede annessa questa occupazione (i).
§. V.
Delle Forinole semplici di jugerazione .
Eccoci alle formole che io chiamo di jugerazione, che
riguardano semplicemente Io scompartimento dell' agro as-
segnalo , o qualche circostanza del suolo di esso. Non
m'infìngo sulla difficoltà estrema di questo passo , almeno
relativamente alla debolezza de' miei lumi. Saepe siilum
verti e dadovero mi ho rosicchiato le unghie usqiie
ad vivum. Ho letto e riletto più volte le stesse cose : vi
ho riflettuto sopra seriamente : le ho comparate fra loro ,
per assicurarmi alla meglio del vero senso di esse , che
come per una parte non può né deve essere che unico e
indivisibile , cosi per 1' altra non è la più agevol cosa del
mondo l'accertarlo nel rovesciamento quasi totale delle
prische idee su questo punto. Vi si provi chi vuole , e
ne converrà meco. Ria l'avrò io indovinato? non posso as-
sicurarlo , non essendone io stesso pienamente soddisfatto
(i) FrontÌD. pag'. io4 io8.
220 Gl'ARINI
in moke particolarità. Prego perciò olii avrà la sofferen-
za di leggermi , di non abbandonarsi alla buona su quan-
to verrò dicendo , ma di non condannarmi nello stesso
tempo in prima istanza come dicesi. Legga anch'egli e ri-
legga gli avanzi degli anticlii classici agrarj campati Iddio
sa come dall' universal naufragio , e poi si determini e giu-
dichi 5 come gli parrà , per noi , o contro di noi. Le no-
stre cadute stesse servir gli potranno come di un punto
d'apjìoggio, siccome accader suole allo spesso, onde eoa
più felice franchezza slanciarsi al segno della verità , o
farsele almeno più d'appresso. Non si perda più tempo,
A maggior chiarezza , figlia primogenita dell' ordine
delle idee , distinguo queste formolo iu tre classi. Chiamo
le prime semplici senza jiiù j e di queste ragionerò nel pa-
ragrafo presente. Chiamo le seconde binomie j e le terze
finalmente trinomie , che si riservano entrambe al para-
grafo che seguirà. Son queste per ora le prime.
I . Per Centurias^ 4- ^^ Scamnis^
3. In Ii/o^ei'ihus . 5. In Laciniis,
3. In St/'igis. 6. In Pr.iecisuris.
Prima di entrare in materia, premetto alcune sup^
posizioni comuni alle formole tutte in generale.
I. In una foi'iHola- veramente taje nulla esser vi deve
di superfluo , nulla di mancante , niente a caso. Le parole
quindi in esse , i nessi , e tutt' altro , prender si debbano
nel senso più stretto e naturale , di tal che un et , una
virgola , ed altra cosettina qualunque dieno al membro
che ne è affetto un signijEicalo diverso da quello che avreb^-
ì)Q senza questo.
CAMPAGNA TAURASINA 23l
3. Un' assegnazione anche totale non sempre porla
seco nuova cenliniazione. A togliere in ciò ogni scrupolo,
oltre al detto altrove, offro questo luogo d'Igino (i): mullis
regionibas ANTIQVAE MENSVRAE AGI VS in diversum
novis liinilibus incidilur. Se in molte regioni facevasi
innovazione di limili e misura , dunque ciò non accadeva
sempre , e 'l mondo si lasciava correre come era corso.
3. Un' assegnazione totale di agro enunziavasi per la
formola : agej' in omnibus assignatus. Dunque dove non
occorre questa formola , è da presumere qualche riserva
neir assegnato. Veniamo ora all' assegnazione.
I. Per Centurias. Cenluriazione e limitazione son si-
nonimi : e r agro colonico è in proprietà quello che dice-
si centuriato , cioè diviso per Decimano , Cardine , Alti,
e Centurie. L'assegnazione dunque j)er Centurias sembra
un'assegnazione falla a piene Centurie,, e non già di una
parte sola di esse , o di alcuna di esse.
II. In iugeribus. Assegnazione fatta, tenendosi conto
della sola quantità de'jugeri da ripartirsi prom^itoj sen-
za riguardo a Centurie , che possono altronde essere stale
di già stabilite.
III. In sirigìs. Il Decimano può essere uguale, mag'
giore, o minore per rispetto del Cardine. Nel primo caso
il numero degli Alti con lati sì a destra , che a sinistra
del Decimano sarà uguale a quelli contati sul Cardine tanto
citra , che ultra. Se in questa limitazione le Centurie si
(') pag- 20,
222 etTARTNI
vogliono di jugerl 200 , è chiaro che ognuna di esse verrà
a rappresentarsi per nn quadrato , il cui lato è =:5o : e son
queste le centurie quadrate. Ma se il Decimano è mag-
giore, o minore del Cardine, allora ciascuna Centuria
supposta anche di jugeri 200, non sarà più un quadrato,
ma un rettangolo, di cui un lato è maggiore dell'altro.
Si è osservato altrove , essere stato questo il caso delle
Centurie beneventane , che sebbene di jugeri 200 , pure
non si dissero quadrate , perchè contavansi Atti XXV. sul
Decimano , e soli XVI. sul Cardine. Questi rettangoli se
avevano il lato più lungo sul Decimano, dicevansi strigae,
e l' agro cosi centuriato dicevasi strigatus. All' opposto
dicevasi.
IV. In scamnis , se il lato più lungo era sul Cardi-
ne , e l'agro così diviso denominavasi scamnatus. Qiod
in latitudinem longius , scamnitm , quod in longitiidi-
nem , strigam. Così Igino (1) , e Frontino in sostanza
dice anche lo stesso (2). In Agenno questa medaglia leg-
gesi al rovescio. Ma chi ci assicura, che per isbaglio de* co-
pisti nel luogo di Agenno la parola latdudo non abbia
preso il posto di longitudo , ed al contrario ?
V. In laciniis. Il dotto Goesio non tiene un lin-
guaggio costante sulla intelligenza di questa formola. La
intende da prima dell' assegnazione fatta in luogo noti da
per tutto idoneo a cultura, che non polendo perciò esser
continuata , deve di necessità eseguirsi siccome a brani,
(i) pag. 198. (2) pag. 38.
CAMPAGNA TAURASINA 423
In fine risolvesi a dire , che lacinia , et praecisura ia
realtà valgono la medesima cosa j ma che la parola prae-
cisura propriamente dinota il fiore e 1' ottimo di un ter-
reno , laddove la lacinia può essere anche dello sterile ed
incapace di assegnazione- Ma parlandoci espressamente Fron-
tino di più assegnazioni fatte laciniis , et praecisuris ,
bisogna che fra queste due voci corra qualche differenza
meno accidentale di quella che crede il Goesio , se nelle
formole riconoscer si vogliono , come è mestieri , i giusti
termini di mezzo all' ultra e citra del puro necessario.
Or Lacinia dinota un pezzo qualunque , comechè
appiccato ad un tutto , ma non per questo di essenza del
tutto medesimo. Dunque nel nostro caso questa parola può
stare per un terreno non assegnato ancora , ma adiacente
all' assegnato , e sporgente fuori di esso. Sotto questo punto
naturale di veduta si conosce la differenza che passa fra
l'assegnazione in iugej'ihus ^ in strigis , in scarnnis ^ e
quella fatta in laciniis. Le prime suppongono divisione
e limitazione ^ l' ulliraa niente di questo. Rechiamoci a
mente le assegnazioni augustee accennate di sopra , e fatte
a solo fine di ampliare i confini delle Colonie di già esi-
stenti , e tutto correrà de plano.
y\. In praecisuris. La parola praecJ5?/7'a dice all'op-
posto un taglio fatto al lutto di una porzione' che gli ap-
partiene sostanzialmente. La precisura perciò può cadere
tanto nel diviso ed assegnato , quanto nell' indiviso e non
assegnato , qual si suppone una Lacinia prima dell'assegna-
zione. Per la precisura nel diviso , ecco uu luogo di Frou-
324 euAniNi
tùio (i): celerà prout quis occupavit ( l' occupato è oppo-
sto all'assegnato, ma suppone il diviso). Alia loca prò
aestimio uhertatis PRAECISA sunt. E per le precisure
XteW.' indiviso , ecco un altro luogo dell'Autore medesimo (2)
Centuriae quadratae in iugera CG. E questo senza
dubbio il diviso, o centuria to. Et celerà in laciniis saat
PRAECISA post demortuos milltes. Ed è questo 1' asse-
gnato , ma non diviso.
Presso Siculo (3) , 1' agro di Cassio si dice assegnalo
in praecensura. Non vedesi questa parola ne' Lessici del
Facciolati , e del Forcellini , e bisognerà prenderne conto,
fino a che il luogo non dimostrisi viziato. Suppostolo per
ora genuino , questa formola non ha che fare con quelle
della jiigeiazione , di cui trattiamo. Che vorrà essa dunque
dire? trovo dell'agro Foro Popilio , che non ostante l'es-
sere stato antecedentemente assegnato da Augusto , tutta-
volta Imperalor V^espasiaiius poslea lege sua CENSERI
jussit. Dunque probabilmente hpa^vola. praecensura \ arra:
antequam censeretur.
S' incontra una formola particolare di jugerazione per
conto dell' agro Venosino , ed è concepita in questi ter-
mini : limilibus graccanis itnius scamni (4). H Goesio
crede una stoltezza prendere questo scamnum nel senso
di quel rettangolo , di cui abbiamo poco fa ragionato (5)
(i) pag. 127, (4) rag. ^10.
(2) pag-. 109. (5) Antiquit. Jgrar. Gap. Vili.
(3) pag. i34.
CAMPAGNA TAURASTNA 225
e vuole che qui sì prenda per quello spazio di terra de-
stinato al pubblico passaggio fra due limiti , e che per ciò
era vietato di toccar coli' aratro. E come pretende dimo-
strare , che talvolta nel mezzo di questa strada tiravasi una
fossa 5 che dividevala in due parti , crede di jjoter chia-
mare scarnita appunto queste due parti , nelle quali in
tal caso andava diviso il limite , o sia la strada j e che i
limiti venosini dicansi unius scamni , perchè non divisi
da questa fossa.
Per verità questa interpetrazlone Goesiana della paro-'
la scamnum nel nostro proposito non ci sembra appog-
giata abbastanza , e forse più che ricavata , espressa con
qualche violenza da' luoghi per lui allegati. Ma ci guarde-
remo con tutto ciò di qualificarla di stoltezza, com'egli
fa della intelligenza comune , che per altri applicar si vo-
lesse alla voce scamnum nel fatto di Venosa. E che vor-
rà dire in questa supposizione quell' unius scamni per la
jugerazione venosina? che quest' agro fu diviso per iicart/zi
tutti uniformi e perfettamente uguah fra loro. Qual cosa
più naturale , ed insieme conforme allo spirito delle colo-
niche divisioni in un suolo così regolare come quello di
Venosa ?
T. IV. .9
22(j GUARINI
§. VI.
FoT^mole di jxigerazione hinomie , e trinomie.
I. Assegnazione per Canturias et Strigas. Cioè di
agro centuriato , e strigalo.
II. Per Ceniiirias et Scamna. Cioè di agro centu-
riato a scanni , o scamnaio.
III. In Centuì'iis et Laciniis. Cioè di agro centuria-
to , di cui si ampliano i confini colle Lacinie adiacenti.
Vedesl in questa formola espressamente la Lacinia fuori
della Centuria , e resta con ciò confermato il vero senso
per noi dato di sopra alla voce Lacinia.
IV. In Centurds per iugera. Assegnazione parziale
di agro centuriato , tenendosi conto del solo numero de'ju-
geri da assegnarsi nelle Centurie di già esistenti.
V. Pro paiate in Laciniis , strigis. Ampliazione di
confini colonici fatta nelle adiacenti lacinie , e tagliate a
forma di striglie.
VI. In iuger-ihus , limitihus intercìsivis. Assegnazio-
fre parziale di agro centuriato limitihus intercisivis , per
solo conto dì jugeri.
VII. Pro paHe in iugeribus , et Laciniis. Ampliazio-
ne di confini per lacinie ripartile semplicemente per ju-
geri senza cenluriazione.
Vili. Per strigas, et scamna. Era questa la forma
degli agri pubblici nelle Provincie fuori dell'Italia (i). Pas-
siamo alle formole trinomie.
(i) Frontin. pag. 38.
CAMPAGNA TAURASINA 22;
I. Per strigas , et scamna in Centuriis. Assegna-
zione di agro strigato , e scamnato , per jugeri non già ,
ma per Centurie. Dunque una striga , ed uno scanno non
sempre era una Centuria. Dietro questa osservazione Vunius
scamni Yenosino potrebbe anche riferirsi a tutto 1' agro di
Venosa rappresentante uno scanno vastissimo. Eccolo più
chiaro nella formola che segue.
II. Per strigas ^ scamna, et Centurias. Assegnazione
fatta in parte per Centurie compiute , in parte per rettan-
goli ora scainnati , ora strigati , che non erano della mi-
sura di una Centuria.
III. Per Centurias in laciniis , et strigis. Se la pa-
rola strigis non si voglia riferire alla formola delle Centu-
rie, che così sarebbero 5i!7Y^(2^(? , s'intenderà quest'assegna-
zione fatta per Centurie compiute nelle Lacinie , fin dove
n'erano queste capaci, e dove no, per semplici slrighe,
minori ognuna di una Centuria.
IV. In praecisuris , strigis , et laciniis. Assegnazio-
ne eseguita parte in tagli di agro già centuriato , j)arte in
lacinie , e tutto disposto in forma di striglie.
V. In -praecisuris in laciniis, et per strigas. Ecco
de' tagli fatti in forma di striglie , nell' agro centuriato non
già. , ma nelle sue lacinie. Se poi si vuole una virgola fra I
praecisuris , e'\ laciniis , l'assegnazione sarà parte nell' a-
gro centuriato , parte nelle lacinie. 3Ia il testo corre, come
si è riportato da prima. In praecisuris in laciniis vai
tanto per conseguenza , quanto in praecisuris lacinia-
rum. Nuova conferma della differenza per noi assegnata
fra lacinia e precisura. *
228 GUARI M
§. VII.
Suhsecivi^ e Prefetlura,
Inconlransi spesso cosiffatte voci nel linguaggio agrario.
Bisogna dunque dirne qualche cosa , quanto basta almeno
al bisogna dell' oggetto propostoci.
L'avidità degli usurpatori de' così detti suhsecivi die
mollo da guadagnare all' economico Vespasiano , ed anche
al buon Tito. Domiziano volle farla da galantuomo, e con
un editto per questp caso di Cesarea riserva totius Italiae
metani liberavit.
Era intanto il SuLsecivo così detto a linea subsecante
una porzione di terreno tagliata da un' altra , ma non
assegnata , e perciò di pieno diritto dell'assegnante. Secon-
do Siculo , il Subsecivo può essere non meno un luogo
incolto fuori dell'agro, e quindi non compreso fra' limiti,
che un luogo compreso in una Centuria, e per conseguen-
za ne' limiti , ma sempre però non assegnato. Comunemen-
te si crede, che Frontino vuole rinchiuso ne' limiti anche
il subsecivo fuori della Pertica , il che sarebbe una con-
t'addizione evidente , essendo i limiti così alla pertica es-
senziali, che ciò che giace fuori di essi chiamavasi £5^rflcZw5o.
A me pare , che in ciò si faccia al mio Frontino un torto
che egli non merita.
Ecco il luogo di questo ScxìiioxQ {}): Suhseoivorum
(0 pag- 39.
CAM^ACNA TAURASINA 229
genera sunt duo : unum , quod in extremis assignato-
rum, agrorum FINIBVS Centuria expleri non potuit.
Dunque parla di un ritaglio dell* agro assegnato , e nel suo
caso anche limitato , ma non bastevole a compiere una
giusta Centuria, di cui si parla. Dunque W Jinibus fron-
tiniano è il vero sinoninao di lim,itibus , non essendo ob-
bligato uno Scrittore ad usar sempre de* vocaboli con tut-
ta la stitichezza dei rigore , e sopra lutto In cose note ,
come è quella di cui si tien parola. Ed ecco svanita la
supposta froniiniana contraddizione, e messo d'accordo
questo Scrittore con Siculo , ed altri trattatori agrarj.
Si rende tutto questo più evidente da un passo di
Agenno Urbico , comeutatore di Frontino , come ognun
sa , il quale parlando appunto di questo frontiniano sub-
secivo lo dice espressamente LINEA COMPREHENSVM.
Se è compreso fra le misure lineali , dunque è fra' limi-
li , e non fuori di essi : e sebbene sia all' estremità della
pertica, non per questo è di necessità che sia fuor della
pertica, come si vorrebbe far dire e pensare al povero
Frontino.
La Prefettura agraria , di cui ragioniamo , è ben altra
cosa dalla Prefettura nel senso di una forma particolare di
governo a castigo di una Colonia , ovvero di un Munici-
pio. La Prefettura in linguaggio agrario è un taglio che si
fa ad un territorio confinante , per supplire il mancante
di una pertica colonica. Fu questo l' infortunio tanto noto
della povera Mantova aggiudicata in prefettura alla Colonia
Cremonese : ^
aSo GUARINI
Mantua ! vae miserae nimmm uicìna Grèmonae.
Intanto siccome una Colonia , o Municipio divenuti
Prefetture romane ricevevano da Roma immediatamente i
loro Magistrati 5 così una porzione di territorio altrui di-
venuta Prefettura Coloniare riceveva dalla Colonia , cui
era stata aggiudicata , il suo Magistrato , che denominavasi
Praef. I. D. (i).
§. Vili.
Saggio di applicazione del fin qui detto ,
e Conchiusione dell' Opera.
Ho detto più volte , ed ora più che mai lo ripeto con
maggior franchezza , che le formole frontiniane portate alla
giusta lor equazione , operazione per altro niente agevole
pe' nostri tempi e per le nostre idee , equivalgono a de 'trat-
tati compiuti degli articoli colonici di cui si cerca. Questa
mia asserzione sembra dimostrata abbastanza da quanto
abbiamo avuto 1' occasione di dire a proposito di Cornelia-
no 5 Bebiano , e di altre Colonie che ci si sono presentate
nel decorso dell' Opera. Ma a soddisfazion maggiore della
mia delicatezza in fatto di parola , e più di qualche lettore
poco per avventura arrendevole , io prendo in pruova qual-
che articolo frontiaiano , e vi porto sopra brevemente V ap-
(i) Ved. Ma;zzoch. Amph. Camp. C. I. n. LXXV. e seg.
CAMPAGNA TA.URASINA a5l
])licazione del detto finora. Venga in primo luogo quello
di Eclano (i)
I. Aeclanensis. Iter popolo non dehetur. Ager eixis
in Ceniuriis singuìis iugera GCXL. Actus N. XX. etper
XXIV. Lege est assignatus , qua et ager Canusinus.
Decumanus est in Orìeniem.
Mi ascoUino per poco gl'intendenti più severi delle
scienze esatte, e veggano se dir si poteva di più con meno
parole , con ordine e chiarezza maggiore.
1. Aeclanensis. Siamo tiel caso della sola porzione,
pubblica o privata che prima si fosse, del territorio cela-
nese , ed ora per la prima volta assegnata a' nuovi colo-
ni , restando intatta la restante di ragion sì pubblica che
privata.
2. Iter populo non dehetur. Dunque in questa no-
vella Pertica, tranne le pubbliche strade di ragion ordina-
ria, non vi fu obbhgo di altra strada pubblica in qualun-
que de' due sensi altrove fissati. Ed è chiaro altresì da
questo , che tutti i limiti celanesi corsero in linea retta fi-
sicamente ad un tempo , e razionalmente , perchè altri-
menti sarebbesi adoperata la formola positiva indeterminata:
iter populo dehetur.
3. Ager eius in Centuriis singjtlis CCXL. Divisione
la più comoda e speziosa di quante in tal genere bramar
se ne possano , secondo i canoni agrarj ili sopra spiegati.
(i) Pag. 126.
2 32 GUARINI
4. Actus N. XX. et per XXIV. Gli atti 20 van
contati sul Cardine , e' 24 sul Decimano , che nel nostro
caso è in regola , essendo posto al vero Oriente , cioè al-
l' Equinoziale. Si hanno dunque Centurie XXIV. di ju-
geri 240 l'una , ed in fornia distrighe. Dunque tutto l'as-
segnato della regione eclanese è 24 X 240 tsJ76o jugeri',
ovvero a moggia poco più di 44^2. E per ordine di chi ?
5. Lege est adsignatus , qua et ager Ganusinus.
Questa legge è la Sempronia , e la Giulia. E sono esse di
jugerazione , o di deduzione ? La Sempronia è di jugera-
zione, e forse anche di deduzione: perchè le centurie e-
clanesi sono di jugeri 240 , mentre la legge Giulia ne pre-
scrive soli 200. Ma la legge Giulia è sicuramente di de-
duzione , che in quest' affare o volle usare della legge Sem-
pronia per la jugerazione , o la lasciò correre , come vi
si trovava , il che è più probabile.
6. Decumanus est in Orientem. Cioè degli equinozj,
altrimenti si sarebbe detto : cursum Solis secuti sunt 5
come dell' agro Lucerino , che a bella posta prendiamo
ad esaminare,
IL Troviam fatta menzione dell' agro Lucerino in tre
luoghi tutti fra loro discordanti. Il primo leggesi così : ^^er
Lucerinus Cardinibus , et Decimanis est assignatus (si
poteva dunque assegnare senza limitazione). Sed cursiim
solis sunt secati , et constituerunt Centurias cantra cur-^
sum orientalem. Actus N. LXXX. et cantra 3Isridia-
mim, Actus N.XC, Efficiunt juge/^aTS.DC.XL. Iter po'
CAMPAGNA TAl-nASlNA 233
7)iilo non debeiur {\). 'Taluni lian creduto di dover cani-
Ijiare in 4^ gli atti LXXX;, ed ia i6 i XC. Il luogo di
feicnro è scorretto. Parlasi in secondo di qiiest' agro del
"tenore seguente: Lucerinus ager Cardinibus , et- Deci-
manis est assignatus. Scd CTirsxim SoUs sunt secuii , et
constituerunt Centurias cantra cursinn Orienialem (2).
L'ultimo luogo è come segue: Ager Lucerinus K. etD.
est assignatus. Sed cursum solls sunt secuii et consti-
tuerunt centurias circa cursum orienialem. Actus N.
LXXX. et cantra meridianuni Actus N. XV. Effi-
ciiLnt iugera DCXL (3). Qui altri stimano doversi cam-
Liare il circa cursum in cantra cursum. Ma non v' è
questo bisogno : perchè queste differenti maniere circa
cursum , cantra cursum arientalem , et cursum solis
secuii sunt , tutte valgono la medesima cosa , e voglion
dire , che il Decimano Lucerino non era al vero Oriente
equinoziale. Intanto il primo luogo è di Froptino , il se-
condo di Balbo , il terzo della Mappa albense.
La sostituzione degli atti ■^o agli 80 , e quella di 16
a i5, tutto è a caso , e senza alcun fondamento j ed k)
attesa la capacità del territorio Lucerino , pili volentieri la
terrei per la prima lezione , che è di atti LXXX per XC.
Ma non è qui dove giace la lepre , e di cui era bene si
occupassero i correttori degli Agrarj. L'imbroglio è nelle
parole : efjiciuntur iugera DCXL j che reggo saltate in
(0 Pag. i.o. (3) Pag. i4o.
(2) Pag. ,27.
T. IV, 3o
234 GUARINI
quattro , come suol dirsi. Poiché questa numerazione ove
riferir si volesse alla somma de'jugeri dell'assegnalo Lace-
rino , cosa per altro che non è di stile degli Scrittori a-
grarj , tutto quest'assegnato, io dico, si ridurrebbe a so-
li jugeri 6^0. Diensi non più di jugeri L a ciascuna
Centuria: non sia il numero di queste né XC, né LXXXj
ma XL solamente , stando alla lettura più ristretta. Sa-
ranno Centurie 40X 5o — a jugeri 2000 , somma di trop-
po eccedente la segnala di soH jugeri 640.
Si riferisca dunque tal numerica nota al quoto de* ju-
geri componenti le Centurie Lacerine. Ma in vece di DCXL,
leggasi CCXL5 ^ rendasi il luogo viziato in questo modo:
effciuniur (s'intenda Ceniuìdae per') iiigera CCXL.
Ed ecco svanita ogni difficoltà. Il passaggio della nota
numerica C in D non è la metamorfosi più strana ed in-
credibile in manoscritti antichi così mal capitali per ingiu-
rie del tempo non meno , che per incuria de' trascritto-
ri. E poi qui trattasi non di parole , ma di cose cono-
sciute e fatti, a' quali in caso d'incertezza adattar si
debbono le parole , e non al contrario.
! E gli Autori dell'assegnato Lucerino ? Non se ne fa
motto neir articolo Lucerinus. Ma crediamoli pure quelli
s tessi della Legge Sempronia , e Giulia , di cui si era fat-
ta parola nel prossimo antecedente articolo Aeclanensis ,
e non usciremo di strada.
III. Prendo in ultimo luogo 1* articolo riguardante la
celebre Aufidena verso Castel di Sangro. Aufidena muro
ducta. Iter populo dehetur pedibiis X. Mllites eam Le^e
CAMPAGNA TAURASINA 235
lidia sine colonis deduxerunl. Ager eius per Ccn~
iurias , et scamna est assignaùis. Termini Tibiirtini
suni appositi limitihus intercisivis (i).
1. jiujìdena muro dncta. Ciltà allora nimata.
2. Itej' populo debetur pedihus X. 01)blIgo di ma-
nutenzione di pubblica strada anteriore alla costituzione
della nuova Pertica , e nella sua attuai larghezza di piedi X.
3. Milites eam, le^e luUa sine colonis deduxc-
Tunt. Deduzione senza coloni , la cui formalità si esegui
per atto militare. Devoluta dunque al Fisco per ragione di
Stato, e non più ?»coZttmz5, se ne fece l'atto dì dii>i sione,
ma senz' assegnazione.
4. Ager eius per Centuiias^ ci scamna est assìgna-
tus. Le Centurie in questa limitazione ebbero la forma di
Scanni , e fu in seguito assegnato.
5. Termini Tiburtini sunt appositi. La distanza frai
termini così detti era da j)iedi 240 a 65o : cioè i termini
Tiburtini dovevano fissarsi a distanza non maggiore di
piedi 660 , non minore di piedi 240.
6. Limitibus intercisivis. Perchè la qualità di que-
sto suolo non ammetteva i Peiyeiui.
Collo stesso metodo potrei fare ben altre ed altre
applicazioni somiglianti. Ma relativamente al mio fine , non
direi più di quello che ho detto. Mi arresto dunque, pa-
go di aver tentato un passo in mezzo di un laberinto se-
minato di spine , e profittando come ho potuto de' lavori
(i) Pag. 125.
236 GUARINI
• di coloro che mi han preceduto in quest' impegno. Fac-
cian altri de semita vìam , che tutto non è da pre-
tendersi da un solo , e molto meno nelle mie circostanze,
conosciute le quali , spero trovar pietà , non che perdono ,
ove siami venuto meno il piede. Lo ripeto , e non me
ne arrossisco. Non sono del lutto soddisfatto , né piena-
mente persuaso di tutto quello che ho dettoj Sempre pron-
to adunque a dare indietro, ed a condannarmi, ove mi
avvegga , o che sia avvertito di aver deviato , imploixj con
sincerità e senza spirito di pedanteria i lumi di chiunque,
ma con quel coraggio ingenuo ignoto alle anime basse ,
e che suole ispirare l'amore , e l'amore unicamente del vero.
23;
CONTINUAZIONE DELLE OSSERVAZIONI
SULLE COSE ECLANESI\^
DI RAIMONDO GUx\RINI
Letta alla Società nella sessione
de' Il Febhraro 1821.
l^ihil est enim simul et inccntum , et per/cctum. Cic. in Bruta.
v!3oN più anni che colla occasione delle ferie aiìtun"
Bali ve ra,ccozzando alla meglio nel patrio suolo le notizie
degli avanzi venerandi del rinomatismo Eclano : e mentre
ad ogni anno mi lusingo di aver tirata già 1' ultima linea,
ecco neir anno che segue oggetti novelli , de' quali l' im-
pegno una volta sposato non soffre che io mi dispensi
dal rendervi conto coli' usata mia ingenuità , Colleghi or-
natissimi. Veramente la raccolta di questi due ultimi anni,
•voglio dire 1819 , e 1820 non è delle più ubertose. Ma
questa parsimonia medesima obbligandomi ad essere più
breve , mi pvoccurerà il vantaggio di esservi men tediosa.
238 GUARINl
Ho osservalo in primo luogo , che seguendo la dire-
zione di un residuo del muro di quest'antica Città dalla
parte Settentrionale siam guidati per un buon miglio lungo
le falde di una dolce collinetta ad un punto più rilevato
detto lo Spineto , ove veggonsi rottami sparsi di antiche
muraglie , e di bastioni. E forse qui era la Porta Setten-
trionale dell' antico Eclano , donde spiccavasi la via pub-
blica per Equo Tutico. Questa via sicuramente non aveva
che fare coU'Appia , le cui tracce sono ancora visibili dalla
detta osteria di S. Bernardino , che attraversando la pre-
sente strada Consolare y e passando a destra della mede-
sima, correva pel mezzo di Eclano , e tenendosi sempre
a destra dell' anzidetta strada Consolare , si lascia ancor
vedere pel passo di Mirabella , quindi dietro la Fontana
del Re , ed in fine fuori di Giottaminarda , e propriamente
in un latifondio de' Signori Perilli sito sulla sinistra delle
Fiumarelle. La continuazione di questa famosa sti-ada ,
dietro questo filo di Arianna certissimo , sarebbe facilissi-
ma a scoprirsi , sapendosi altronde che menar doveva alla
famosa Villa di Trevico , da cui l' enunziato latifondio Pe-
rilliano non è più lungi di migha otto in circa.
Nelle Grotte poi , che come tante volte si è detto ,
è una picciola parte dell'antica Città dalla parte orientale ,
oltre varj superbi acquidotli di piombo , ed un mezzo
busto di bronzo , che il contadino scopritore fece ben pre-
sto scomparire a vii prezzo di semphce metallo unitamente
ad alcuni busti con qualche testa di marmo , ecco quanto
si è scoverto nello scavamento de' ruderi , che si fan ser-
vire di materiali alla rifazione della regia strada.
SULLE COSE ECLANESI sSg
Vaiii pezzi di piene J.^.a j^iaiidi ^ lavorute. r» ut; uti-
lissime Aquile di marino : la prima avente fra le unghie
una Icjire con al di sopra Ire dardi in una spezio di tur-
casso : la seconda assai più bella con un agnello fra gli
artigli. Vari! pezzi di colonne , e qualche capitello di or-
dine corintio con alquanti Ijassi rilievi sul gusto di quelli
di Pomjìci. Due diete lastricate di marmo. Lungo i lati
di una di esse eran disposti de' bei tubi quadrali di mat-
lon cotto. Il lastricato di marmo poggiava su di un cal-
cinato ben sodo , e questo sopra un pavimento di gros-
sissimi mattoni tutti belli ed interi. Il di sotto di tal
pavimento era vroto , se non in quanto sostenuto in varii
punti da alcune colonnette di matloncini rotondi messi in
fabbrica. Potrebbe stare, che fosse questa una delle Zeie
descritteci da Pa])ia ne' termini seguenti: Zeiae. DomuSj
quae subtiis pecles habent aquas. Haruvi aliae hiema-
ìes , aliae aesiivales. Zelae hiemales sunt , qiias cali-
das facìt siibducta fiamma. Zetae aestlvales , quas fri-
gidas ftcit siibducta aqua. Dalla descritta costruzione
della nostra Zeta pare, se io non m'inganno, che essa sia
piuttosto una Zeta estivale che iemale, cioè un frigida-
rio, anziché un calidario. Ma non intendo per questo
piatir con nissuno. Volli con questa occasione misurare la
grossezza di una porzione delle fondamenta del muro della
Città , e non era minore di palmi sette.
Si è scoverto un pozzo elegantissimo profondo palmi
trentasei. Dal fondo alla cima è foderalo di grandi fascioni
di creta cotu così ben commessi fra loro, che sembrano
2/{0 GUARINl
ruijiiaie un SOI pe/,^,u di geuo. Ual tondo al mezzo va al-
largandosi bel bello , e dal mezzo all' orificio va a restri-
gnersi al diametro di due buoni palmi con coverchio di
pietra lavorala , ed anello di" ferro al centro dalla parte
di fuori. Questo pozzo esiste in tutta la sua integrità ; è
proveduto di acqua nel fondo j e vi si osserva il tubo,
per cui gli si comunicava l'acqua dal magnifico acquidotto
lungo la strada Appia , da cui non è che di pochi passi
lontano.
Eccoci ora ad una scoverta poco in verità fortunata,
ma senza paragone più curiosa , e feconda di buone con-
seguenze. E questa una bellissima pastiglia rappresentante
un feroce destriero, che ha fra le zampe anteriori in at-
teggiamento assai svelto e dignitoso un' Aquila molto mal
capitata. Questo leggiadro monumento , che io riguardo
come topico^ cioè tutto projjrio di Eclano , caduto, ó
piuttosto gittato a terra da persona indispettita per l'esor-
bitante prezzo ricercatone dall'oblatore, ebbe la disgrazia
di andare in pezzi. Quest' avvenimento fu creduto poco
meno che impossibile. Ma non è più tempo da dubitar-
sene. Io ha fatto acquisto di tali pezzi : gli conservo presso
di me: e son pronto a mostrarli a chiunque ne abbia
vaghezza. La gemma era di figura ovale ben grande, ma
di spessezza così meschina , che non oltrepassava le due
linee con intermedio bianchiccio fra dne superfizie di un
sanguigno carico. Una sempUce caduta quindi poco fortu-
nata bastava senz'altro a condannarla al destino, a cui
SULLE COSE ECLANESI 24 I
vedesi ridotta , e tanto più che la materia di essa è una
pastiglia.
Venendo ora al merito di questa gemma , io Iio quasi
per fermo, che il simbolo di essa sia allusivo a qualche
brillante vantaggio diportato dagU Eclauesi sulle aquile ro-
mane neir affare della guerra Sociale. Si sa la parte del
carattere rappresentato dagU Eclanesi in siffatta circostanza :
Jion ignoriamo la marcia rapidissima di Siila , che lascia
Pompei , per sorprendere Eclano , prima che giungagli il
rinforzo destinatogli de' Lucani : abbiamo iscrizione cela-
nese , che fa menzione di una vittoria illustre avuta dal-
l'esercito Sannite , e Nolano, che sicuramente riguarda
I tempi della Lega italica : abbiamo un frammento di al-
tra iscrizione egualmente celanese , che accenna largizioni
annonarie fatte dalla Città in prò de' suoi bravi unitamente
alle lor famiglie , e che plausibilmente sembra potersi ri-
ferire all'epoca e circostanza medesima, e che ognuno può
consultare nelle nostre Ricerche. Sembra violento adunque,
o almeno poco naturale e felice qualunque altro senso'
dall'anzidetto infuori, che dar si pretendesse al tipo della
^nostra gemma sventurata.
Pare inoltre, che il vero stemma di Eclano sia stalo
31 Cavallo. Era questo sicuramente lo stemma di Quinto-
decimo surto sul settimo secolo dalle rovine eclanesi , come
^'egglamo nell'insigne rotolo quintodecimano , di cui non
occorre qui fare altra parola , dopo che voi da due anni
a questa parte ve ne siete, come conveniva, così alta-
mente occupati. Ed è dopo tutto ciò assai probabile , che
242 6UAR1NI
la vera etimologia di Eclano ripeter si possa dalla voce
eqaus , o equulus. Dico probabile , perchè non sempre
r etimologia va regolata dalle cose , e talvolta le cose si
sono volute adattare all'etimologia, Dio sa come. Con-
fessiamo non pertanto di buon grado' , che V etimologia
del nostro Eclano fa de' buoni passi verso la realtà. Ed
ecco il perchè facciamo ora plauso alle idee del signor
Cassitti su f[uest' oggetto , alle quali da prima senza tai
lumi femmo qualche resistenza. Quando V etimologia par-
te da' falli , ed è da' medesimi fiancheggiata , per noi se
no fa tutto il caso, e crediamo che in ciò differisca il fi-
losofo dal pedante. Quando è meramente gratuita ed oc-
casionata , come accade non di rado , da un' affinità di
suoni puramente accidentale, non ci si recherà a delitto,
se contenti di non disprezzarla, ci tenghiamo neutrali, fi-
no a che qualche circostanza più propizia ci determini per
essa , o contro di essa. Accenno l' acquisto per me fatto
di una picciola gemma colla incisione di Amore alato in
atteggiamento serio e risoluto di votare il suo turcasso di
tutte le sue quadrelle. Pensiero degno di occupare felice-
mente qualche genio divoto di Anacreonte ! Passiamo alle
nuove iscrizioni scoverte nel decorso di questo biennio ,
e che far debbono parte delle tante altre celanesi raccolta
nelle mie Ricerche , e nella continuazione delle medesime.
Comincio dalle Pubbliche , ed al solito noto col segno
quelle che sono state lette da me , e da me stesso co-
piate da' loro originali tuttavia esistenti.
SULLE COSE ECLANESI ^^
PVBBLIGHE.
I.
L. COSSO :
III. VIR. AA. s. f. f.
PONendum. censuere
Parlasi di un Triumviro monetale , che esser potrebbe
im Cossonlo , od altro. Esiste iu una villa del signor Ferro
detta la Torre. La restituzione Cossonio è felicemente so-
stenuta da un Lucio Cossonio di un' antica iscrizione .
che a tempo mi è venuta alla mano.
II.
Q. FLAMIN
EIVS. QVOD. CVM. L
RITEI. QVINQ. VENI
EI. CVM. EX. HS. C. TERTIVM. . .
STRAVERIT. PER. MILLIA. PASS. .
AD, RAPVT. EIVSDEM. VIAE. . .
IMPERATORVM. STAT
RALENDA. .....
Qaesto frammento così interessante trovasi in Mirabel-
la presso 1 Signori Cappucci. Se non e* inganni.imo , con
tal monumento onorar si volle la memoria di un Q. Fla-
minio , che a proprie spese , e per la terza volta , lastricò
per più miglia forse la via Appia , o qualche ramo della
medesima , al cui capo aveva eretto ancora delle statue
imperatorie. (^udRalenda... potrebbe aver relazione al Cu-
244 CrARINI
raiore del Calendario eclanese , di cui abbiamo ragionato
abbastanza nelle nostre Ricerche.
m.
*
e. VIBIO. C. F.
COR. BASIVIO.
mi. VIR. Q Q
P. D. D.
Ecco in C. Tibie Basivio un novello Qualuorviro
Quinquennale eclanese. Esiste questo bellissimo Cijjpo die-
tro la cosi detta Taverna di S. Antonio.
IV.
Ed ecco un fiore novello da offrire al sacro cenere
di Eclano. Fra' tanti e di ogni classe, che da dodici sta-
gioni e più ne gli abbiam presentati quasi in annuo tributo,
sarà questo per avventura il più gentile e pregevole insieme.
A' 2 del cominciato 182 1 , nell§ celebratissirae Grotte
dell'Agro Mirabellano fu dissotterrato un marmo di forma
parallelepipeda , lungo palmi sette , e largo due , forma che
indica abbastanza aver potuto esso servire di architrave
all'ingresso del luogo pubblico, cui era destinato. È
monco però da sinistra , in cui a caratteri bellissimi , e
dell' altezza di più di quattro pollici , leggonsi le seguenti
parole ;
:CVS. e. ARRIVS. N. F. RAN
.... SNIANA. CIRC. FORVM. D. S. P. F
Prima di passar oltre , ci si permetterà di premettere
qualche osservazione sul luogo , ove si è rinvenuto questo
SrilE COSE ECLANESI 2^5
prezioso monumento. I soli pratici del mestiere dell' anti-
chità comprendono , di qual giovamento riuscir possono
e sogliono al rischiaramento delle vetuste memorie questi
topici lumi , se ci si permette di chiamarli così. Parlo jier
prova, e bisogna che gl'iniziali mi prestin fede. Fino a
che un antiquario non siesi assicurato del luogo, onde si
è riprodotto un monumento antico ^ della vera lezione di
esso \ e di tutte le più minute circostanze di latto che
lo accompagnano , per quanto è possibile : egli deve so-
spendere ogni suo lavoro pel ragionevole timore , onde
esser deve penetrato , di spargere al vento e fatica e su-
dore. Ma noi all'uopo ci dimentichiamo di così necessari!
e salutari precelli , e ad occhi aperti ci gettiamo in quel
letto di Procusle , dove nessun ci cliiama , o non ci ob-
bliga per lo meno. E questo prova , che ciascun se-
gue suo genio e natura , e predichi come vuole e quanto
vuole ragione in contrario e prudenza. Torniamo dove slam
parliti , senza uscire di strada j che non si esce mai di
strada , quando non se ne perde di veduta il vero fine.
De' ruderi dell'antico Eclano non esiste al presente
che una porzione di muraglie di forma reticolata fra oriente
e mezzogiorno, la cui pianta può vedersi nell'opera grande
riguardante questa città. Fortunatamente in questa porzione
noi vi osservammo i . le Terme con superbissimi acqui-
dotli , e fontane , e pozzi. 2. una parte della strada Ap-
pia. 3. la pedalura dell'Anfiteatro colle sue dimensioni ,
clie possono vedersi nell'anzidetta nostra Opera t^. c<òn\o
schema di una parte di aulica solidissima pedalura esistente
2^6 GUARI NI
in un luogo detto oggi localo, ed in vetuste carte deno-
minato ancora Coliseo , dove vecchie persone assicurano
che a'ior tempi distinguevansi ancora le varie cave desti-
nale a ricettar le fiere , e delle quali ancor io ho osser-
vato evidenti vestigj. Ed eccoci nel vero punto del ritro-
vamento della Lapida, di cui ci convien ragionare. Essa
è presso a poco là , ove un tempo ammiravasi quella por-
zione di solida pedatura poco fa accennata , e che il let-
tore può consigliare nella II. Tavola, e che probabilmente
era la fronte o del Circo , o del Foro Eclanese , di che
parleremo or ora.
Gli avanzi della prima parola della nostra epigrafe ci
danno un Gracco , o piuttosto un Fiacco, cognome del
Collega di C. Arrio , e che unitamente a. cosini 3Ienia7i a.
Circ. Forum, de. sua. pecunia, fecit. Se di sicuro fosse
un Fiacco 5 e se altronde fosse certo ciò che il dotto Mor-
celli dice di un certo Gneo Fiacco , figlio di Fulvio , pas-
sato per adozione nella famiglia Vibia , nessuno meglio di
un Vibio Fiacco comparir potrebbe in questa scena , sa-
pendosi bene , quanto la famiglia Vibia fu celebre in Echino.
Ma se io non m'inganno, il marmo cui ilMorcelli a])pog-
gia tal sua congettura , in luogo di un Fulvio passato jiel-
la Gente Vibia , sembra additarci un Vibio passato nella
Fulvia. Contentiamoci dunque d'ignorare e nome e pre-
nome di questo benemerito Eclanese , e passiamo al Col-
lega di esso , che ci presenta qualche cosa di più sicuro.
Cajo Arrio enunziasi figlio di Numerio : e di Numerio
Arrio appunto in marmo eclanese abbiamo un Liberto col
SULLE COSE ECLANESI 24?
prenome di Cajo , e col cognome di Rufìone. Potrebbe stare
adunque , che Rufìone fosse stato il cognome di Numerio
Arrio, padre del nostro Cajo Arrio. Il cognome di C. Arrio
poi sicuramente va compreso in quel RAN. che esser po-
trebbe un KaìiclidtLS , o Kandidius^ o piuttosto un Ka~
nianus , cioè un Canio adottato da Arrio, che della gente
Cania abbiamo buona menzione ne' monumenti celanesi.
Meniana. Ciro. Forum, d. s. p. f. Questa perioca
può ammettere due letture, i. Mentana Circi. Forum.
2. Meniana circa Forum.
JNlio fratello , che si è affrettato a rimettermi per la po-
sta questa insigne iscrizione , dopo di essersi Iprotestato ,
che egli è un Medico , e non già un Antiquario, la tiene
per la prima lettura. E per verità riflettendosi , che la parola
Meniana sembra del Circo , originata da quel buffone di
Menio, che vendendo una sua Casa, vi si riservò il diritto
di una loggia , onde godere dello spettacolo de' giuochi :
])are che pensar si del)ba al Circo , più che ad altra cosa.
Ma da altra parte : come due soli cittadini celanesi avreb-
bero potuto far fronte alla spesa delle Meniane del Circo ,
e del Foro celanese ? Questa difficoltà però svanisce al
por mente, che la sola Eumachia , pubblica Sacerdotessa
di Pompei , edifica a sue spese il Calcidico , i Portici della
Concordia, e la Cripta , per tacere di altri esempj di spese
strepitose sostenute da'particolari cittadini in grazia del pub-
blico bene. Quello che mi determina a preferir la seconda
alla prima interpretazione si è il seguente epigramma Ca-
la tino riportato dal Sanfelice (i).
(i) De OrJg. et sit. Caiiipiua. pag. 28.
248 GtTARINI
M. GAVIVS. T. F
Q. VISELLIVS. Q. F
GALLVS
DVOVIR. QVINQ
CREPIDINES. CIRC
FORVM. S. P. F (i)
dove pare evidente che quel circ. Forimi vale : circa
Forum.
Ed eccoci finalmente nel caso di presentare con si-
curezza l'idea, che formar ci dobbiamo delle nostre fa^
mose Grotte , di cui tante volte si è ragionato a propo-
sito di Eclauo. Si sono ia esse osservate le splendide ve-
stigie di Diete , Calidarj , e Terme \ di fontane e pozzi con
entro de' vasi nuotanti di atletica professione: abbiamo nel
perimetro di esse l'Anfiteatro , e 'l Circo , o il Foro desti-
nalo colle sue Meniane a' spettacoli Circensi 5 abbiamo vi-
cino all'Anfiteatro un superbissimo Cripto-portico perfet-
tamente conforme al tipo sbozzatone da Plinio (2) , e che
non spignora essere stato una parte del Ginnasio (3). Tutti
questi oggetti , e cento altre coserelle ad essi analoghe da
noi accennate nelle nostre Ricerche , e tutte situate a giù-'
ste distanze fra loro nella periferia delle nostre grotte , pare
(i) Quel F vale senza diib- del meno,
bio per Fecerunt tanto in questa (2) Lib. II. Ep. 17.
iscrizione , <|uanto nella nostra (3) Ved. Mazocch. Amph.
celanese, siccome il ^/x. vale pel Camp. Gap. VII, n. XV. net. 100,,
numero del più egualmente , che
SL'LtE COSE KCLANESI 249
<';'he mostrino plucchè abbastanza , essere esse stato V an,-
iico Ginnasio Eclanese. Ed il resto di Eclano ? Abstu-
Ut, non già una dies , ma il corso di più secoli e pili
collegati colla barbarie, e colla ignoranza.
Ma che perciò? con questa lettura , die io reputo vera,
niente si viene a pregiudicare alla sostanza del Circo cela-
nese , comunque piatir si volesse sulla materiale nomen-
clatura di esso. Noi sappiamo da Asconio , da Nonio , da
Festo , ed altri , che i giuochi Circesi da prima celebra-
vansi nel Foro. Dunque il Foro eclanese potè esser de-
stinato alle funzioni di Foro insieme , e di Circo. Ne ab-
biamo un indizio da quel meniana , voce adoperata da
prima pel Circo. La fronte di questo Foro , alle cui vi-
cinanze si è trovata la iscrizione , ci dà qualche cosa di
più di un semplice indizio. Questa fronte sembra appunto
ciò che nel Circo dicevasi Calces. I suoi residui ci danno
palmi cento di larghezza. Il di dentro di questa fronte pre-
senta nel bel mezzo un rettangolo di palmi trenta ( dove
sicuramente è da supporre l'ingresso nel Circo , o nel Foro)
con due eleganti emicicli a' lati, ciascuno di palmi trenta-
cinque. Veggasi presso Aula la fronte del Circo , per ri-
conoscere nella parte superiore di questi due emicicli le
famose meniane , incontro alle quali erano le altre due
dalla parte de' così detti Carceres. Conferma di tutto ciò
si è che il perimetro di tutto questo luogo ancor oggi det-
to localo è ben altro dall' Anfiteatro , che giace a nota-
bile distanza da esso.
32
25o GUARINI
A' 20 dello stesso 1821 fu ritrovata nella stessa vici-
nanza r iscrizione che segue :
V.
DIVAE
FAVSTINAE
PIAE
IMP. ANTONINI
AVG.
P. D. D.
È Faustina minore , moglie di M. Aurelio , delta Pia
dal suo genitore Antonino Pio. Non sembra da dubitare
che la precedente iscrizione vanti un' epoca assai più ri-
mota della presente. Ma che cosa sarà quel P. P). D.
posit. decret. Decur? Io la credo una Statua eretta a
questa Augusta.
PRIVATI.
I.
Q. ANNIVS. C. F.
GAL. ET
Q. ANNIVS. Q. L
SELEVGVS
È un bel marmo quadrato di palmi tre in circa esi-
stente nel luogo poco fa accenaato.
SULLE COSE ECLANESI 45 1
II.
D. M
BETITITIAE. PONTI
NE. N. LIBERTA E. 0
YINIVS. CONIVGI
B. M. F
Fu trasportata dalla Fontana del Re in Groltarainar-
da presso i Signori Perilli.
in.
D. M
RVFINAE. . . :
SVGGESSAE. . .
Esiste nella casa degli aboliti Conventuali di MrabeUa.
IV.
M. EGVLIVS
COR. SIBI
ET. GEIAE. P. F,
yiVOS. FEG
H. M
h&
GUARIR! *
V;
*
D. M
. . . V. . . M. .
O. .HO
HERMETI. . . .
C. VIBI\^S. HER. .
MESIAE. L. F
Esiste
questa
gran Cassa sepolcrale di palmi otto dì
LUDgliezza innanzi
alla così detta Tavemola di S.Antonio,
253
SULLA NORMALE COMUNE
A DUE CURVE CONICHE
ESISTENTI IN UN MEDESIMO PIANO.
MEMORIA ANALITICA
DEL SOCIO F. P. TUCCI
Letta alla Società nel idi4'
PRELIMINARE.
J_-^opo che per opera del signor Monge le scienze
matematiche si arricchirono di un nuovo ramo di consi-
derazioni geometriche , a cui l'insigne autore diede il no-
me di geometrìa descrittiva , un genere di questioni, che
altra volta non sarebbe stato se non un oggetto di pura
curiosità , o di lodevole esercizio , è divenuto in oggi di
non lieve importanza.
Le moltiplici applicazioni della geometria descrittiva
alle arti, e singolarmente al taglio delle pietre o dei le-
T. IV. ^^
254 TUCCI
gnami , alla determinazione rigorosa dei contorni delle om-
bre , ed alla prospettiva , esigono particolar considerazione
delle superficie tangenti o normali fra loro. Di fatti è no-
to che il limite dell' ombra propria ed il contorno ap-
parente di un corpo , non sono che le linee di contai'
to fra la superficie del corpo ed una superficie conica o
cilindrica ad esso circoscritta, secondo che il punto luminoso,
e l'occhio dello spettatore si suppongono a distanza finita
o infinita dall'oggetto. Inoltre si sa che nelle volte costrui-
te in pietre di taglio , le facce nelle quali si toccano due
cunei di un medesimo filare o di due filari consecutivi ,
debbono esser normali alla superficie interna o visibile della
volta , sia per imprimere alla distribuzione di essa in cu-
nei il carattere della di lei superficie , sia per dare alla
fabbrica la più grande stabilità di cui è capace.
Ora la teoria delle superficie tangenti o normali fra
loro, riceve molta luce e grandi agevolazioni dall'altra più
semplice delle tangenti e delle normali alle curve piane ,
se pure non voglia dirsi che la prima riposa interamente
sulla seconda. Accade anche non di raro i che dèi proble-
mi relativi ad una teoria si convertano ia problemi rela-
tivi air altra. Eccone un esempio ciii-r.-i'ittiosg i..um\.
È noto che la distanza più corta- fra" diìè'' ctfrVe esi-
stenti in una data superficie sviluppabile, sia una Imea di
tal natura, che diverrebbe retta, qualora la superficie si svi-
luppasse effettivamente in un piauo. Laonde, non cambian-
dosi, in tale ipotesi , l'estensione della superficie, le distan-
ze rispettive dei suoi punti ( dai quali per un modo di di-
SULLA NORMALE COMUNE EC. 255
re può supporsi composta ) rimarranuo le slesse, e la ret-
ta in cui si converte la minima distanza , sarà pure la mi-
nima distanza delle curve piane, nelle quali si cangiano
le due curve giacenti sulla superficie. Per tal mezzo adun-
que la ricerca della minima distanza fra due curve esistenti
in una superficie sviluppabile, riducesi a quella della mini-
ma distanza , o sia della normale comune a due curve pia-
ne. Intendo bene che per cambiare un problema nell' al-
tro, siavi bisogno di conoscere in qual curva si trasformi
un' altra giacente in una data superficie sviluppabile , allor-
ché quest'ultima si spiana effettivamente j ma questa ope-
razione preparatoria ( se così mi è permesso chiamarla )
deve riguardarsi come già eseguita , dopo la bella Memo-
ria del signor Lacroix su tale argomento, letta nell'Isti-
tuto di Francia nell'anno 1790.
Sembrami dunque potersi conchiudere da quanto si è
detto , che la teoria delle tangenti e delle normali comuni
alle curve, non sia già un argomento sterile di applicazio-
ni, ma possa meritare anche a tempi nostri l'attenzione
dei geometri. Fondato su questi motivi, io mi sono deter-
minato a svilupparla singolarmente per le curve coniche,
le quali mentre sono le più semplici di tutte in ordine
alle loro equazioni , per avventura si presentano ancora
più spesso nelle applicazioni di ogni specie. La metà di
(jiiesto lavoro trovasi inserita nel 3. volume degli Atti
Pontaniani , ed il rimanente è compreso in questa Memo-
ria , cui spero che la Società ed il pubblico sieno per ac-
cordare un eguale compatimento.
256 TUCCI
Io avrei voluto che il problema, di cui sono per oc-
cuparmi, non fosse stato superiore al quarto grado , ad og-
getto dì farlo dipendere, per via di analisi geometrica,
dall'.intersezione di due curve coniche : come praticai nel
problema della tangente comune. Ma qui la cosa va ben
diversamente : giacché il problema può stimarsi di 2. gra-
do ( ed evidente n'è la soluzione ) quando amendue le cur-
ve coniche son cerchi , e non eccede il /}• grado, quando
è cerchio una sola di esse j ma qualora non lo è nessu-
na, il grado del problema riesce assai più alto. Quindi
per l'unità del metodo mi è convenuto adoprar l'analisi
algebrica, non riportando che in qualità di noie l'analisi
geometrica di quei casi del problema, che ne sono suscet-
tibili , e che altri assai prima di me hanno considerato.
Per dare alle soluzioni un andamento uniforme , ed
pi calcolo una forma semplice ed elegante , i due sistemi
di assi coordinati, ai quali ho riferite le curve, non sono
già rettangolari , come ordinariamente si usano , ma sim-
metricamente disposti per rapporto ad esse ; poiché ho
veduto che supponendoli rettangolari , i risultati sarebbero
più complessi e più lunghi. E quantunque, non ostante
la detta scelta di assi , non abbia potuto ottenere se non
delle curve di genere superiore al primo, da combinarsi colle
date, affm di avere i punti richiesti nelle loro intersezioni .
nondimeno ho procurato di fare in modo, che l'equazioni
di esse curve risultassero di primo grado per rapporto ad
una delle coordinate, acciò il loro disegno per assegna-
zione di punti , riuscisse quanto più si può semplice.
SULLA NORMALE COMUNE EC. 267
I. hjs
/ssendo un teorema conosciutissirao che la nor-
male di una curva sia tangente all' evoluta della stessa
curva, ne risulta immediatamente che la normale comune
a due curve coniche sarà tangente comune alle di loro
evolute i ma io ho osservato che non si guadagna nulla
riducendo una di queste ricerche all'altra , tanto più che
siffatte evolute non sono di così facile ricerca , se voglia
eccettuarsene quella della parabola , che si sa essere una
parabola cubica di seconda specie. In ogni modo non è
inutile r osservare , che qualora si avessero l' evolute delle
due curve proposte , o almeno di una di esse , potreb-
besi con un mezzo meccanico o pratico ritrovare la nor-
male comune di tali curve , inviluppando una dell' evo-
lute con un filo , e poi svolgendolo mano mano fincbè si
conosca esser tangente all' evoluta dell' altra curva data ,
o perpendicolare alla curva stessa : cose delle quali si può
giudicare ad occhio con una sufficiente approssimazione.
XJn tal mezzo sarà utilmente adoprato , quando una delle
curve date sia la parabola , di cui l' evoluta è facile a
costruirsi.
2. Inoltre, essendo tutti i raggi del cerchio normali
alla circonferenza, la normale comune alle circonferenze dì
due cerchi cadrà sulla retta che ne congiunge i centri j
e parimente la normale fra la circonferenza di un cer-
chio ed una curva qualunque , sarà la normale , che dal
centro del primo si conduce alla seconda. Intanto per la
soluzione di questo problema , non men che degli altri
258 TUCCl
più difficili che imprendo a trattare , io ho bisogno della
forinola esprimente il rapporto deW ordinata alla sottan-
genie. Per questa parte non credo che vi possa essere dif-
ficoltà , atteso che Y espressioni delle sottangenti per le
curve di primo genere , si ritrovano in tutti gli elementi
di geometria analitica. Debbo solamente avvertire, che per
la uniformità delle soluzioni , in luogo di quel rapporto
io ho da principio adoperato il simbolo — - , quando le
coordinate sono x ed yj e -7-7, qualora le coordinate so-
no od ed y'. Coloro i quali conoscono le primordiali ap-
plicazioni del calcolo differenziale alla geometria ( parlo dei
giovani studiosi che vorranno leggere questa Memoria ),
non tarderanno ad accorgersi dell'equivalenza di tali sim-
boli ai rapporti , che suppongo da essi dinotati ^ anzi po-
tran ritrovare questi rapporti co' metodi compendiosi, che
il detto calcolo somministra. Gli altri poi riguarderanno i
dy dy , , . .
simboli — , -~-7 come semplici caratteristiche delle raaioni
d.x' dà. ' ^
da essi rappresentate.
SULLA NORMALE COMUNE EC. aSy
PROBLEMA I.
3. Condurre per un punto dato una retta , che sia
normale ad una data parabola.
Sia y' =aa^ l'equazione della parabola riferita agli assi Fig- i
rettangolari AX, AYj ed -^j j; ^' , y dinotino le coor-
dinate rispettive del punto ignoto M , e del dato M'. L' equa-
zione della retta MM' sarà
in cui set dinotano le coordinate variabili da un punto
all'altro. Quindi l'angolo compreso da essa con l'asse
delle X avrà per tangente trignometrica l'espressione"^- — -,
Or se al punto M si concepisca adattata la tangente alla
parabola, l'equazione della medesima sarà
t—jx: I. {s—x) ;
dx
che perciò , dovendo essere questa retta perpendicolare ad
M' M , avrà luogo l'equazion di condizione
dx X — X
dalla quale , sostituendo al simbolo — il valore — che
dx j
gli conviene per la parabola, si avrà
jr{x—x)-ìfa{y—Y) =o ,
equazione all'iperbole.
Per darle una facile costruzione, si osserverà prima
di tutto che la curva debba contenere il dato punto M' :
26o. TUCCl
poiché supponendo x =:x', y zi y ■> quell'equazione riman
soddisfatta. Indi ponendola sotto la forma
{a—{x'—a) ) J tzay
si scorgerà facilmente che l'asse AX, ed una parallela al-
l'altro asse AY e distante da questo per la quantità X'—a
saranno gli assintoti dell'iperbole. Il numero delle normali
uguaglierà quello delle intersezioni dell'iperbole colla pa-
rabola. (*)
(*) Analisi geometrica dello stesso problema.
Siano M' ed AM il punto e la parabola data , e supposto riso-
luto il problema, dinoti M'M la richiesta normale; prolungandola si-
no all'asse in N, e conducendo Pordinata M P, sarà, com'è noto,
la sunnormale NP uguale alla metà del parametro. Ora supponendo
che la normale si prolunghi in R, in modo che M' R sia uguale ad
MN', e da' punti M' , R abbassando le perpendicolari M'P', RQ, si
ha la proporzione MN : M' R : : P N : P' Q ; dunque sarà la retta
P' Q uguale al semiparametro PN , e sarà dato di sito il punto Q
non meno che la retta QR. Inoltre, per la supposta eguaglianza delle
rette MN ed M'R , il punto M sarà allogato in una iperbole parila-
tcra , condizionata a passare per M' , ed i cui assintoti saranno QN ,
QR. Laonde, i punti ove la detta iperbole taglierà la parabola , fa-
rati conoscere le richieste normali.
SULLA NORMALE COMUNE EC. 261
PROBLEMA IL
2. Condurre per un punto dato una normale
ad una data ellisse.
Sia
l'equazione alla data ellisse j ed x, y, ^ -, y siano le coor- p.
dinate dell'ignoto punto M e del dato M', riferite agli assi
rettangolari AX, AY. Ragionando come nell'antecedente
problema , si esprimerà che la retta MM' esser debba nor-
male alla curva mediante la stessa equazione generale
,+^(Z=2::) (I)
che insieme coli' equazione (i) della curva condurrà alla
soluzione completa del problema.
Intanto l' equazione ( I ) colla sostituzione del conve-
nevole valore di -^ riducesi , nel caso attuale , all' altra
dx
a-^ {^x—x')j=b-> {y—y')x (2) ,
e quest' ultima essendo soddisfatta al supporre x s x\ y^Y ,
l'iperbole dalla medesima rappresentata passerà pel dato pun-
to M'. Per costruirla facilmente, si porrà l'equazione ( 2 )
sotto la forma \.^M
dalla quale apparisce , che il centro della curva ha per
coordinate rr-x e ,— r ■> e che le parallele mena-
te per esso agli assi delle x e delle y ne sono gli assintoti.
T. IV. 34
262 TUCCI
5. Osservazione. Potendosi l'equazione (i) dell'el-
lisse cambiare in equazione all'iperbole con sostituirvi — è""
in vece di b^ , sarebbe superfluo il ripigliare da capo la so-
luzione di questo problema, qualora in vece dell' ellisse fosse
data un' iperbole , e da un punto dato nel di lei piano se
le volesse condurre una normale. Basta dunque in tale ipo-
tesi cambiare nell' equazion (2) il è* in — h'^ : il risultato ap-
parterrà benanche ad una iperbole condizionata a passare per
lo punto dato , se non che le coordinate del centro saranno
In amendue i casi il numero delle normali uguaglierà quello
delle intersezioni della data curva coli' iperbole insieme colla
quale deve combinarsi (*).
(*) Analisi Geometrica.
Fig. 2, 3. Sia M' il dato punto, eBM l'iperbole o l'ellisse di cui BD sia
1' asse primario ed A il centro.
Supposto che M'M sia la normale richiesta, si prolunghi sino all'asse
in N , e per lo punto M si conduca l'ordinata MP non meno che
la tangente MT. Per una proprietà conosciutissima dell' iperLole e
dell'ellisse le rette AP, AB, AT saranno in continua proporzione,
onde il quadrato di AB uguaglierà il rettangolo di AP in AT ; e
prendendo le differanze di tali aje e del comune quadrato di AP ,
sarà il rettangolo di BP iu PD uguale a quello di AP in PT ; ma
è pure il quadrato di PM uguale al rettangolo di NP in PT , a
causa del triangolo NMT rettangolo in M : dunque avrà luogo la pro-
porzione BP. PD: PM* ::AP.PT: NP. PT. Ora la prima di que-
ste ragioni , comecché uguale per la natura dell' iperbole 0 dell' fel-
hsse a quella dell' asse primario BD al suo parametro , è data ; la
seconda poi uguaglia la ragione di AP a PN , ovvero di N'M ad
MN: dunque sarà pure N'M ad MN, non che NN'ad NM in data ragione.
SULLA NORMALE COMUNE EC. 26'3
Per le soluzioni analitiche de' problemi che mi restano
ancora a trattare, fa d'uopo conoscere la tangente trigo-
nometrica dell'angolo compreso da due rette riferite ad assi
inclinati comunque fra loro. A tal fine io avrei inJrizzato
il lettore ad alcuna delle tante istituzioni di geometria a-
nalitica, di cui siamo in possesso : poiché non disconvougo
che una tale ricerca meglio si conviene ad un'ojìera di
quel genere , che ad una Memoria Acc ademica j ma non
ritrovandosi in alcuna di quelle che sono ])iù in giro fra
noi , ho creduto necessario occuparmene brevemente qui
appresso.
Lemma.
6. Ritrovar la tangente irigonom,etrica delV angolo
compreso da due rette riferite ad assi qualunque.
Dinotino MN ed M'W le rette date, e siano ]?]„. /.
y=A3c+B, y=A'x+B'
Sia ora NR ad NM' benanche nella ragion data di NM ad
NN' : sarà pure MR ad M'N' nella stessa ragione , ed il punto R
cadrà nella retta RL parallela all' asse della curva , e condotta pel
punto L preso in modo che P'L serbi a VM' quella ragione.
Parimente supponendo M'S ad M'N' nella stessa ragion data ,
il punto S cadrà in una retta data di sito e parallela all'asse secon-
dario della curva ; e sarà MR uguale ad M'S a motivo che serbano
ugual ragione alla stessa M'N'. Quindi sarà M'R uguale ad MS , ed
il punto M si ritroverà nell' iperbole parilatera che ha per assintoti
le rette QR e QS , e che deve passare per lo punto dato M'. La-
onde congiungendo ciascun punto d' intersezione di questa iperbole
e delia curva data col punto M', si avrà la normale richiesta.
264 TUCCl
le rispettive equazioni di esse. Avremo
. sen> ., sen^'
A — -, — : t A -, 7?
sen(
tan. MIM' = — , /. ^ .., Tlli't
7. Per la qual cosa volendosi esprimere con una e-
quazione di condizione che le rette MN ed M'N' siano fra
loro perpendicolari 5 converrà porre
I +[A-{-A')cos(s+AA'=o.
Ciò posto , sia il '
SULLA NORMALE COMTjNE EC. 265
PROBLEMA HI.
8. Condurre una normale comune
a due parabole date.
Siano MAN, M'A'N' le parabole date, e dinoti MM' Fig. 5.
la richiesta normale comune. Nel perimetro della prima
curva si ritrovi il punto A in modo che la tangente AY
ivi adattata, sia parallela all'asse della seconda curva 5
e parimente sia A'X' una tangente della seconda parabola
parallela all' asse della prima. Le due parabole MAN, MA'N'
saranno riferite rispettivamente agli assi AX, AY ^A'X', A'Y':
onde chiamando a?, y le coordinate del punto M j x •, y
quelle del punto M' j 2a, la' i parametri corrispondenti a'
diametri AX, A'X'j si avranno le prime due equazioni
jr2=2rt.r...(i) , a7'2=2«y... (2).
Inoltre dovendo essere la retta MM' normale alle due
parabole ne' punti M ed M' , le tangenti adattate a questi
punti saran fra loro parallele , onde lisulteranno eguali fra
essi i rapporti delle ordinate y ed y alle sottangenti che
rimangono tagliate sugli assi rispettivi AX , A'X'. Quindi
si avrà la terza equazione
equivalente nel caso attuale all'altra
J a
Ora perchè la MM' sia normale ad araendue le cur-
ve, non basta che le tangenti adattate a' punti M ed M'
266 TUCCI
siano parallele fra loro , ma si riclnede ancora che la MM'
sia perpendicolare ad una di esse. Sicché per soddisfare
pienamente alle condizioni del problema , è necessario e-
sprimere questa circostanza con una quarta equazione. A
tal fine siano per poco 5 e f le coordinate di un punto
qualunque della retta MM' riierila agli assi AX, AY 3 ed
m e n siano quelle del punto A' rapportato benanche a
quegli assi ^ saranno x' + m , y + « le coordinate del
punto M' riferito a^ medesimi , e l' equazione della retta
MM' verrà espressa da
È poi
•^ dx
r equazione della tangente adattata in M alla curva MAN :
dunque paragonando queste due equazioni alle due
t=Js+B , t—J's+B'
considerate nel lemma precedente, avremo
dx
onde rappresentando con ^ Y angolo XAY contenuto da-
gli assi , r equazione
con la quale si esprimeva che le due rette erano fra loro
perpendicolari , sarà nel caso attuale rappresentata da
X — X — m dx' ^x — x — m' dx
e ponendo - in luogo di — , qual si conviene alla pa-
y dx
SULtA NORMALE COMUNE EC. 267
rabola , e liberandola da rotti sarà
a (ix-x'-m) cosa + (;--/-w))+J ((■^•^'-'«)+f7-/-'0 cosa.-)=o..r4y
Per eliminare da quest' ultima le x' ed j/, si liberi da
rotti e si elevi a quadrato 1' equazione (3) 5 sarà
j,.'j J.2 ^^ fll ({i .
indi si molliplicliiao insieme i' equazioni (i) e (2) ond
abbiasi il risultato
x'^ y^^^adxy .
Dividendo una per V altra queste due ultime equazioni ,
si avrà
aa
~ ^xy '
ora da quest'ultima e dall'equazione (3) si hanno per va-
lori di x' ed y in i: ed y
, aa -, aa
y l>,x '
quindi sostituendo nell' equazione (4) > e riducendo per
quanto è possibile in virtù dell'equazione (i), si avrà per
luogo del punto M la curva di II genere indicata da
{x'^ — (m+ncosdJ — a) x — \ «a )j-|-3acosa)..r3
— rt(/ncos(D-f-n+'*')^ — ? a'^d-=a.
Le intersezioni di essa colla parabola data MAN e-
sibiranno altrettanti punti M , ne' quali adattando le nor-
mali alla curva MAN , lo saranno pure ad M'A'IS'.
9. Per evitare alcune inutili ripetizioni , osservo che
l'equazioni (HI) e (IV) sono indispensabili per la soluzione
del problema , qualunque siano le due curve alle quali si
vuol condurre la normale comune , solo richiedendosi che
■2,68 TUCCl
gli assi a' quali esse vengono rapportate siano paralleli ri-
spettivamente. L'equazioni delle curve riferite ad assi di
tal sorta insieme colle due (III) e (IV) racchiuderanno la
soluzione completa del problema. Quindi volendosi con-
durre una normale comune a due curve coniche delle quali
una sola o nessuna sia parabola , altro non si farà di nuovo
che investigare due sistemi di assi paralleli ciascuno a cia-
scuno, tali però che rapportando rispettivamente ad essi
le due curve , si abbiano le più semplici equazioni possibili.
In virtù di questa osservazione io sarò dispensato ne'
problemi seguenti da' dettagli esibiti per quello di due pa-
rabole, limitandomi alla ricerca degli assi che sopra ho no-
minati , ed indicando le quattro equazioni relative a eia-
Bcun problema , non che il risultato finale dell' eliminazione.
i
SULLA NORMALE COMUNE EC. 869
PROBLEMA IV.
IO. Condurrle una normale comune ad una parabola
e ad una ellisse , ovvero ad una parabola e ad una
iperhole.
Pel centro A dell' ellisse o dell' iperbole data si con- Fig. 6,
duca un diametro AX parallelo all' asse della parabola
data. Sia AY il diametro conjugalo ad AX , e nel peri-
metro della parabola si ritrovi il punto A' in modo che
la tangente A'Y', ivi adattata alla curva, riesca parallela ad
AY. Finalmente dinoti A'X' un diametro della stessa cur-
va. L'ellisse o l'iperbole sarà riferita agli assi AX, AY ^
e la parabola agli assi A'X' , A'Y'. Laonde 1' equazioni con-
ducenti alla soluzione del problema saranno pel caso della
parabola e dell'ellisse
rt^j-2 -i-b^ x'^ =«2 è^ ... (1) , y^ =2rt'x'....(2) ,
, . ^. dy dy . . . . 1
ovvero , ponendo m vece di -^ e -j-; 1 rispettivi loro va-
lori — ~ — , ed — dati dalla geometria analitica ,
a^^a -h*^^ X'^ =rt^ b^ ■•••(0 > J" =2rtV....(3),
■=-,.. (3), i+(- -^ , ^cosa-=(- , )__..,(^),
^tj j V /' ^xx-m cCy^ ^x-x-vi a'y ^'
Ricavo da (2) e (5) i valori di as' ed y* , che sono
T. jy. 35
270 TUCCl
indi li soslitulsco nel!' equazione (4) •> dopo averle dato la
forma più semplice
n'^ j({x — X — '»)+(/ — y — ?i)cos» J=:
'^((x—x' — ;m)cossj+(^ — y — n)\
e nel risultato , fatte le riduzioni che possono aver luogo
in virtù dell' equazione (i) , ritrovo
I Q.h'x''+(^a"a! — Vrn)x'' — a'b'-x" — \a''a'x )cosa)+&'»x\
Sicché le intersezioni della curva di 1 1. g enere , e-
spressa da questa equazione , coli' ellisse rappresentata dal-
l'equazione (i), condurranno alla soluzione del problema.
1 1 . Pel caso dell' iperbole e della parabola si ritro-
verà l'equazione finale in a:; ed y cambiando nella prece-
dente il 3* in — .5', senza imprender di nuovo l'elimina-
zione delle £c' ed y.
SULLA NORMALE COMUNE EC. 27!
PROBLEMA V.
l3. Condurre una normale comune a due ellissi , op-
pure a due iperbole , o Jìnahnente ad un' ellisse e
ad un' iperbole.
Ritrovo in ciascuna delle curve date un sistema di
diametri conjugati , in maniera cl)e quelli di una curva
siano rispettivamente paralleli a quelli dell'altra (*) , e sup-
(*) A tal fine si congiungano i centri A , A' delle curve cLite
per mezzo della retta A\', e siano DB , D'Ii' i diametri posti su
di essa , a' quali corrispondano rispettivamente per conjugati i due
AC , A'C.
Per le note proprietà dell' ellisse , e dell' iperbole si riduce il
probleran a trovare nelle date curve i punti V, V tali che le corde
supplementarie DV , BV ; D'V , B'V siano parallele ciascuna; a
ciascuna. A tal fine osservo che i triangoli DVB , D'V'B' riuscireli-
Lero simili , ove si fosse ottenuto 1' inlento , e la ragione delle rette
VP , \"P' ( che suppongo parallele ad AC ) , non meno che quella
delle rette AP , A'P' , sarebbero note ed eguali alla ragione degli
stessi semidiametri AB, A'B'. In virtù di tal simiglianza il pimto V
avrà per luogo geometrico una curva simile e similmente posta alla data
lyC'B' , ed il semidiametro coniugato ad AB sarà la quarta propor-
zionale ritrovata in ordine alle rette A'B' , A'C , AB. In teoria non
sarebbe permesso di determinare il punto V mediante il suddetto
luogo geometrico; giacché lo stesso punto rimane determinato in i:n
modo più elementare dall'intersezione del diametro che Io contiene
con la curva DCB , e l'equazione di tale diametro è ben facile a
trovarsi. Ma nella costruzione efletliva del problema è forse più
272 TUCCl
Fig. 7. ponendoli contrassegnati tlaAX, AY ^ A'X', A'Y', ho im-
mediatamente le due equazioni
ay'+h'o(i'=a'b' . . . . (i), a'y''-\-h"cr!'=a''h'\ ...(2),
supposto che amendue le curve date siano ellissi, come
apparisce nella figura.
Inoltre essendo in questa specie di curve
dj b~ X dj b'^ X
dx a- j ' àx a 2 y '
l'equazioni generali (HI) e (IV) de'problemi antecedenti,
che debbono associarsi all' altre (i) e (2) per la completa
soluzion del problema , saranno
b'^ X h'^ X ,(f~~y — " ^Ijfv fJ—y — n b^x _
a?- y d'^ y X — x: — m a^ y' ^x — x' — m'ay
ovvero
(i'y(oc — x — m+iy—y' — 7i)cosBJ=
h'x((x —X — 7re)cosffl+j'— y — nj • • • • (4) •
Dall' equazioni (3) e (4) , nelle quali x' ed y' sono di I.
grado , si ricaveranno i valori di queste ignote 3 e sostituen-
doli neir equazione (2) si avrà
semplice il descrivere per punti una piccola parte del suddetto luogo
geometrico , posta verso il punto ignoto V , che la determinazione
delle varie (juarte proporzionali necessarie per costruire c[ucl diametro.
SULLA NORMALE COMUNE EC. '■'• 2JJ
( a^ //'f^ +u' i't ,5-» )X
rcosa(Z) ' .x:'^ — n'^ j"» ; — e'- xy-\-n'' nt'j — />''■ n'x\ ■=
(così- ( a' b\ x'^ — a'\ ti^ f ) — a' />'' e'-' xj V' ,
supponendo clie per brevità siesi l'alto
a'' — b'^ =c^ , a'^ — ó'-" =c' ^ni-{-iicrisa^=rn , 7t-|-wcos'i.-=w.'
1^. Sebbene quest'e([uazione liliale sia di 6. grado ,
può nondimeno una delle due coordinate x oy abbassarsi al
1. grado mediante l'equazione (i). Per farlo a cagioa di
esempio relativamente ady, si sostituirà dappertutto— (a"-x')
in vece di y' , ed in tal modo la curva di 5. genere e-
spressa dalla ritrovata equazione finale in x ed y , potrà
costruirsi per assegnazione di punti mediante la geometria
elementare. Vaglia lo stesso per l'equazioni finali ritrovate
pe' due antecedenti problemi, le quali godono esplicifa-
meute della stessa proprietà.
\5. Se le curve date fossero iperbole invece di el-
lissi , nella ritrovata equazione finale si cambieranno
b^ e b'^ in — b^ e — b'^ ; e saranno c^ =«- +b^- , e'-' =d^ -f-Z>'» .
\6. Finalmente se la seconda curva data sia iperbola ,
restando ellisse la prima , nell' equazione finale suddetta si
cambierà soltanto b' in — ò'' , e e'' dinoterà a''-\-h'' . (*)
(*) Volendosi risolvere analiticamente il problema di cui si è
l'atto parola nel preliminare di questa I\Ienioria , quello cioè di ap-
plicare la tangente comune a due date curve coniche , i risultati
274 TUCCI
sai-anno semplici ed eleganti qualora facciasi uso degli assi da noi
prescelti per la normale comune. Avendo V attenzione di far prima
neir equazione
X — sé — m dx
( che deve rimpiazzare 1' equazione IV , dacché le tre altre riman-
gono le stesse ) le riduzioni che vi può arrecare l'equazione I , e
poi di sostituire alle ignote x ed y i valori di esse espressi in x
ed ^ , il calcolo che resterà a fare non sarà uè lungo ne complicato.
FINE.
Napoli i3 Dicembre 1828.
PRESIDENZA DELLA GIUNTA DELLA P. ISTRUZIONE
Vista la domanda del Direttore delia Tipografia della Società
Filomatica colla quale ama di stampare il If^. Foluine degli Alti
della Società Pontaiiiana :
Visto il favorevole parere del Regio Revisore Signor Canonico
D. Girolamo Pirozzi :
Si permette che detto quarto volume si stampi, però non si
pubblichi senza un secondo permesso , che non si darà se prima lo
stesso Regio Revisore non attesti di aver riconosciuta nel confronto
uniforme la impressione all' originale approvazione.
// Presidente
MONSIGNOR COLANSELO.
Segretario Generale e membro della Giunta
L'Aggiunto ANTONIO COPPOLA.
INDI C E
Notizia de' lavori della società' pontaniana per gli aiini
MDCCCXVIII, MDCCCXIX, MDCCCXX , del segre-
tario perpeluo cav. Francesco M. Aveiuno . . pag. l
MEMORIE
Ricerche sul sistema melodrammatico , di Pietro Napoli Si-
GKORCLLI f » E
Illustrazione dell' antica campagna Taurasina, e di alcune no-
zioni agrarie, di Raimondo Guarini u 12'J
Continuazione delle osservazioni sulle cose celanesi, dello stesso. 287
Sulla Dormalo comune a due curve coniche esistenti in un me-
desimo jiiano , memoria analitica di F. P. Tucci , » 253
V-'.r ••••■' ~<-sy
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