7. ‘1.61 ATTI DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO VOLUME CV Fascicolo I Pubblicato col contributo del C. N. E. MILANO SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI CONSIGLIO DIRETTIVO PER IL 1966 Presidente: Nangeroni Prof. Giuseppe (1966-67) ( Viola Dr. Severino (1966-67) Vice-Presidenti: j ^ ^ Cesaee (196g_1966) Segretario: De Michele Dr. Vincenzo (1966-67) Vice-Segretario : Rui Sig. Luigi (1965-1966) Cassiere: Turchi Rag. Giuseppe (1965-1966) Ì Magi stretti Dr. Mario Marchioli Ing. Giorgio Moltoni Dr. Edgardo Ramazzotti Ing. Prof. Giuseppe SCHIA VINATO Prof. GIUSEPPE Taccani Avv. Carlo Bibliotecario: Schiavone Sig. Mario MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO PERSONALE SCIENTIFICO Conci Prof. Cesare - Direttore (Entomologia) Torchio Dr. Menico - Vice-Direttore (Ittiologia ed Erpetolo¬ gia), Dirigente dell’Acquario Cagnolaro Dr. Luigi - Conservatore (Teriologia ed Ornitologia) De Michele Dr. Vincenzo - Conservatore (Mineralogia e Petrografia) Pinna Dr. Giovanni - Conservatore (Paleontologia e Geologia) PERSONALE TECNICO Lucerni Sig. Giuliano - Capo Preparatore Bucciarelli Sig. Italo - Preparatore (Insetti) Giuliano Sig. Giangaleazzo - Preparatore (Vertebrati) Bolondi Sig. Lauro - Preparatore Pavia - Premiata Tipografia Succ. FUSI - Via L. Spallanzani 27 - 1966 A T T I DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI E DEL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO VOLUME CV Anno 1966 Pubblicato col contributo del C. N. R. MILANO 1966 MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI MILANO ACQUARIO Luisa De Donato - Menico Torchio SU DI UNA PENNELLA CRASSICORNIS STEENSTRUP ET LUETKEN PARASSITA DI ZIPHIUS CAVIROSTRIS G. CUV. ( Crustacea Copepocla ) Dal 7 al 9 novembre 1963 una quindicina di cetacei di lun¬ ghezza totale variante fra 5 e 7 m circa finirono in secco sulle spiaggie o furono catturati in acque neritiche fra Varazze ed Alassio, in Provincia di Savona U). Provvide a fotografare gli esemplari spiaggiati o catturati nel Finalese il Sig. A. Campi, Conservatore del Museo Civico di Finale Ligure (Savona), che da uno di tali cetacei prelevò anche degli ectoparassiti (2); in base alle sue fotografie due individui sono sicuramente determinabili come Ziphius cavirostris G. Cuv. (3), da uno dei quali proviene la $ adulta di Pennella Oken di cui tratta questa nota (Coll. Parassitol. Acq., n. Cat. 2). Per approfondite notizie sulla frequenza di zifii nel Golfo ( ') Secondo la « Gazzetta del Popolo » di Torino del 10 nov. 1963, ne sarebbero morti 2 a Varazze, 4 a Celle, 3 a Savona, 5 nel Finalese, 1 ad Alassio ed 1 a S. Michele di Pagana (Prov. di Genova). Nel titolo e nella didascalia della figura il quotidiano parla di « baìe- notteri » : in realtà trattavasi di odontoceti, almeno nel caso di tutti gli individui spiaggiati nel Finalese. (2) Ringraziamo vivamente il Sig. Aldo Campi per il materiale e la do¬ cumentazione fotografica opportunamente raccolti e cortesemente fornitici, ed i Sigg\ Luigi e Benedetto Perasso per le notizie sulle catture operate nel Finalese. (3) Un sincero ringraziamento va al Dr. Luigi Cagnolaro, Conservatore del Museo Civ. St. Nat. di Milano, per il cortese controllo della determina¬ zione di questi due cetacei. L. DE DONATO - M, TORCHIO (5 di Genova, vedasi Tortonese (1957, 1963, 1965) (•*); taluni AA. ritengono che in determinati anni questi animali penetrino in buon numero nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra in relazione a migrazioni di cefalopodi dei quali essi si nutri¬ rebbero (Calderara, 1965); effettivamente, numerose specie di odontoceti predano prevalentemente teutacei di vari gruppi (cfr. Fields, 1965 e l’abbondante bibliografia che reca) e non si può escludere che talune delle specie di teutacei nectonici diffuse in Atlantico orientale ed in Mediterraneo e congeneri di forme fre¬ quentemente reperite nel contenuto gastrico di odontoceti, com¬ piano attraverso lo stretto di Gibilterra spostamenti talmente massivi (almeno in certi anni) da costituire richiamo di cetacei in Mediterraneo. E’ interessante che talune Pennelle parassitino sia certi odontoceti sia teutacei da questi predati. C) A detta dei pescatori da noi interpellati tutti i cetacei spiaggiati o catturati nelle acque del Compartimento marittimo di Savona (ed in parti- colar modo finalesi) sarebbero stati della stessa specie; ci sono pervenute fotografie di soltanto cinque diversi individui, dei quali determinabili come zifii sono: I) due sicuramente; II) tre molto probabilmente. In effetti circa 15 zifii erano già spiaggiati nella stessa area sei mesi prima (TORTONESE, 1963) e poiché questi animali sono gregari, non v’è serio motivo di dubitare che individui riscontrati in netta vicinanza di tempo e spazio e sensibil¬ mente simili fra loro per forma, statura e comportamento appartengano alla medesima specie. Comunque, i cetacei di cui sopra costeggiarono, taluni via via arenan¬ dosi, altri nuotando a lungo nelle acque prospicenti le medesime località in cui i primi stavano agonizzando o giacevano cadaveri: ad esempio, nelle ac¬ que di Finale Ligure tre individui spiaggiarono, altri nuotarono a lungo in acque costiere, e di questi uno venne raggiunto e catturato a 800 m ca al largo di Capo Capra Zoppa dal Sig. Felice Saccone di Finalmarina ed uno, al largo di Varigotti, venne raggiunto ed arpionato dal Sig. Benedetto Pe- rasso; entrambi furono rimorchiati a riva; pesavano 24 quintali ca e mi¬ suravano 7 m ca di lunghezza totale. Il primo in base alle fotografie è de¬ terminabile sicuramente, il secondo appare congenerico ad esso; degli indi¬ vidui morti nel Finalese, alcuni erano $ $, altri $ $. Taluni cetacei recavano ferite presumibilmente da armi da fuoco, come se il gruppo fosse stato bersagliato da velivoli o navi militari ; è probabile che gli individui gravemente feriti siano stati portati in acque neritiche dai moti del mare e siano finiti in secco perchè debilitati, tosto seguiti da altri individui apparentemente sani. Fig-g-, 1 e 2. — Esemplari di Ziphius cavirostris G. Cuv. ; acque finalesi, Nov. 1963. Foto Campi 8 L. DE DONATO - M. TORCHIO La Pennella Oken dell’Acquario di Milano presenta un no¬ tevole interesse essendo perfettamente integra, fatto raro in quanto l’operazione di distacco del parassita dall’ospite è diffi¬ cile e malagevole, sicché molte descrizioni di pennelle contenute nella letteratura sono necessariamente incomplete : pertanto è opportuno illustrare con alquanta cura il nostro esemplare. Questo misura 125 mm ca di lunghezza totale ; si presenta molto allungato e reca all’estremità posteriore del corpo fitte ap¬ pendici penniformi (donde il nome generico); il cefalotorace (o capo) misura 10 mm ca di lunghezza ed è costituito anteriormente da un grosso tubercolo provvisto di corti cirri, posteriormente da tre appendici, distalmente globulari, complanari e perpendicolari all’asse del corpo, delle quali due laterali e specularmente simme¬ triche tra loro, una dorsale. Le antenne seconde, chelimorfe, sono chiaramente visibili ; le rudimentali zampe natatorie, situate a mo’ di brevi sbarrette obli¬ que immediatamente dietro la base delle appendici sub-cilindriche, delimitano posteriormente il cefalotorace. L’addome misura 88 mm ca di lunghezza di cui spettano 45 ca alla sottile porzione anteriore (o « collo »), cilindrica e di color giallastro e 43 ca all’addome posteriore, sensibilmente più spesso, distintamente anulato e di color nerastro (i colori sono stati rile¬ vati dopo due anni di conservazione in alcaol). La coda, recante le appendici penniformi fitte e numerose biforcate in rami diseguali, è lunga 25 mm ca e termina assotti¬ gliandosi in una estremità biloba. I due sottilissimi e subcilindrici tubi ovigeri, inseriti fra ad¬ dome posteriore e coda, sono lunghi 145 mm ca. Riscontriamo sensibili affinità fra questo individuo e quelli descritti da Brian (1906) sotto la denominazione di Pennella cras- sicornis Steenstrup et Lùtken e questo sia per la morfologia ge¬ nerale che per i rapporti meristici, sebbene il nostro esemplare sia più grosso di quello di maggior mole studiato dal predetto A. La tabella del Brian (1906) evidenzia la grande variabilità infraspecifica dei rapporti meristici in Pennella crassicornis : in linea generale il « collo » e l’addome posteriore hanno lunghezza simile fra loro e da 2 a 4 volte maggiore di quella del capo. Nel SU DI UNA PENNELLA CRASSICORNIS ECC. 9 nostro esemplare si hanno rapporti capo: collo: addome: coda = 1 : 4,5 :4,3 :2,5, rapporti alquanto simili a quelli del 7” (1:4:4: 2) ed anche del 4° (1 :4 :3,5 : 1,8) esemplare studiato da Brian (1906) ma nettamente dissimili da quelli del 2° e del 6U. Sarebbe interes- Fig. 3. — Esemplare di Pennella crassicornis Steenstrup et Lutken pa¬ rassita di Ziphius cavirostris G. Cuv. ; Finalmarina, Nov. 1963. Foto Margiocco sante precisare i limiti della variabilità infra ed intraspecifica in questo gruppo che necessita di una revisione sistematica, ma que¬ sta ricerca implica la disponibilità di abbondante materiale pro¬ veniente da aree vastissime e da ospiti di gruppi zoologici diversi. 10 L. DE DONATO - M. TORCHIO Infatti, la Pennella crassicornis è stata descritta da Steenstrup e Lutken nel 1861, su individui reperiti neirAtlantico boreale su Hyperoodon rostratus Muli., successivamente segnalata in Atlan¬ tico e Mediterraneo da numerosi AA. su Mola mola (L.), Nau- crates ductor L., Xiphias gladius L., Prodelphinus euphrosyne True e recentemente anche su Balaenoptera musculus (L.) (Leigh- Sharpe, 1928) e B. physalus (L.) (Oorde de Lint (van) et Schuur- mans Stekhoven, 1936), su Ziphius cavirostris G. Cuv. (Monod, 1938; Delamare-Deboutteville e Nunes-Ruivo, 1954). In Mediterraneo è stata segnalata per la prima volta da Hel¬ ler (1865) senza citazione dell’ospite; Valle (1880) rammenta due esemplari catturati in Adriatico, uno fisso alla base della pinna anale di un Naucrates ductor L. e l’altro impiantato nella regione genitale di Xiphias gladius L. ; Brian (1906) riferisce che Damiani riscontrò parecchi esemplari di questa specie nella cute del Prodelphinus euphrosyne True catturato a Portoferraio il 31 luglio 1902. Monod (1938) segnalò, a suo parere per la prima volta, la presenza di questa specie su uno Ziphius cf. cavirostris G. Cuv. (sic) delle acque algerine. La nostra segnalazione è la prima per il Mar Ligure. Di P. filosa il Brian (1906) dice che « la porzione di collo è lunga in sommo grado » : dai rapporti meristici riferiti da tale A. il « collo » risulta una volta e mezzo circa più lungo dell’addome posteriore mentre in P. crassicornis , come si disse, le due porzioni sono di lunghezza simile. Inoltre P . filosa non è stata ancora se¬ gnalata su Ziphius cavirostris (Yamaguti, 1963). Gli animali che ospitano forme del genere Pennella sono per lo più Pesci ossei marini, Mammiferi acquatici ed Invertebrati, quali Cefalopodi (Dollfus, 1958). Parassitando gruppi sistema¬ ticamente e biologicamente tanto lontani tra loro, le Pennelle mani¬ festano una distribuzione parassitala (sensu Mayr, 1957) notevol¬ mente ampia, in special modo la forma in questione, la P. filosa L, e la P. varians Steenstrup et Liitken. E’ altresì noto (Brian, 1906; Baer, 1952; Noble, 1964) che le Pennelle possono a loro volta essere parassitate da altri ani¬ mali, ad es. Conchoderma auritum (L.) il quale è stato anche tro¬ vato direttamente fissato sui denti di forme dei generi Ziphius , Plujseter, Hyperoodon , o sui fanoni di forme del genere Balaenop¬ tera o sulla pelle di forme dei generi Balaenoptera e Megaptera etc. (cfr. bibliografia in Monod, 1938 a). SU DI UNA PENNELLA CRASSICORNIS ECC. 11 La fam. Pennellidae è inclusa da Yamaguti (1963) nei Ler- naeoidea Dana, ossia fra i più modificati dei Caligidea Stebbing: talune specie del gruppo, descritte sin dal tempo di Linneo, sonc state assegnate ora ai Molluschi (Cuvier), ora agli Anellidi (La- marck), ed alfine, soltanto attraverso la scoperta del ciclo bio¬ logico, ai Crostacei (Nordmann (van), 1832). Baer (1952) osserva come lo spiccato adattamento di taluni gruppi di Copepodi al parassitismo abbia tanto influenzato il loro ciclo vitale da rendere precipuamente breve la durata degl: stadi larvali liberi : in base ai cicli biologici egli li suddivide in se: categorie, graduate verso la quasi totale scomparsa di questi stadi. Nella cat. V, annoverante le Pennelle, dall’uovo si ha un meta- nauplius nell’ultima fase di sviluppo che conduce vita libera men¬ tre già nel successivo stadio (copepodiforme), la larva si fissa sul 1° ospite (ad es., in Pennella, un pesce osseo oppure un cefa- lopodo). Nell’ultima fase dello stadio copepodiforme la larva ab¬ bandona l’ospite temporaneo e diventa nuovamente libera ; alfine, l’adulto raggiunge l’ospite definitivo, di gruppo e di specie eguale al primo o diversa. La fecondazione avviene quando gli individui di ambedue i sessi sono liberi e di forma più o meno eguale. Suc¬ cessivamente la 9 si fissa al suo ospite definitivo e va incontro ai fenomeni degenerativi (Claus, 1868). Essi consisterebbero in un aumento di mole (nelle Pennelle sino a 30 cm di lunghezza) (Go¬ losi, 1956 ; Dogiel, 1964), in una riduzione della segmentazione del corpo, in una atrofia o degenerazione delle zampe natatorie, ed in una esaltazione dell’apparato sessuale. Il 6 dei Lernaeoiclec ha una morfologia più normale, non si approfonda nei tessuti del¬ l’ospite né vi si fissa e sinora non è stato osservato sulla 9 adulta o sullo stesso individuo ospite (Yamaguti, 1963). Le 9 9 invece approfondano il capo nei tessuti raggiungendo qualche vaso sanguigno o cavità del corpo dell’ospite, ancorandosi mediante le formazioni cefaliche ; in casi estremi, come in Pen¬ nella Oken e Peroderma Heller, il parassita si approfonda tal¬ mente che solo i tubi ovigeri e le appendici caudali a funzione- respiratoria sporgono esternamente al tegumento dell’ospite (Ya- maguti, 1963). Quest’ultimo reagisce avvolgendo il parassita in una cisti che raggiunge talvolta dimensioni notevoli e permane a lungo nei suoi tessuti anche successivamente alla morte del pa¬ rassita. 12 L. DE DONATO - M. TORCHIO Riassunto Gli AA. descrivono una $ adulta di Pennella crassicornis Steenstrup et Liitken parassita di uno Ziphius cavirostris G. Cuv. spiag'g’iato a Finale Ligure (Savona) nel Nov. 1963. Riportano inoltre osservazioni sugli spiag- .gi amenti di diversi Ziphius sulla Riviera di Ponente nel Novembre 1963. Summary The Authors describe an adult $ specimen of Pennella crassicornis Steenstrup et Liitken parasite of a Ziphius cavirostris G. Cuv. stranded on thè beach of Finale Ligure (Savona), Nov. 1963. OPERE CITATE Baer J. G., 1952 - Ecology of animai parasites. Univ. Illinois Press, Urbana, 244 pp., 162 figg. Brian A., 1906 - Copepodi parassiti dei pesci d’Italia. R. Ist. Sordomuti, Ge¬ nova, 187 pp., 21 tavv. f.t. Brian A., 1912 - Copépodes parasites des Poissons et des Échinides prove- nant des campagnes scientifiques de S.A.S. le Prince Albert Ier de Monaco (1886-1910). Rés. Campagnes Scientifiques Albert Impri¬ merle de Monaco, Monaco, fase. 38, 58 pp., 12 tavv. f.t. Claus C., 1868 - Ueber die Metamorphose und systhematische Stellung der Lernaeen. Sdir. Ges. Bef 'òrd Gesarnt. Naturwiss. (2), Suppl. Heft, 5-13 (citato da Yamaguti). Calderara A., 1965 - Oceanografia. Elicici, popoli Europa, Gonfalonieri, Mi¬ lano, 1, pp. 81-103 con numerose figure. Golosi G., 1956 - Zoologia e Biologia generale. U.T.E.T., Torino, 2, XI pp. e pp. 877-1793, figg. 725-1429, 2 tavv. f.t. Delamare-De Boutteville C. et Nunes-Ruivo L., 1954 - Copépodes para¬ sites des poissons méditerranéens. Vie et Milieu, Banyuls-sur-Mer, 4 (2), pp. 203-218. Dogiel V. A., 1964 - General Parasitology. Oliver & Boyd, Edinburgh, 516 pp., 228 figg. Dollfus R. Ph., 1958 - Copépodes, Isopodes et Helminthes parasites de Cé- phalopodes de la Méditerranée et de l’Atlantique Européen. Faune marine des P yrénées-0 vieni ale s, Banyuls-sur-Mer, I (2), pp. 61-72. Fields W. G., 1965 - The Structure, Development, Food Relations, Repro¬ duction, and Life History of thè Squid Loligo opalescens Berry. Fish Bùlletin Department Fish Game State California, Terminal Island, N° 131, 107 pp., 59 figg-, 14 tabb. Heller C., 1865 - Reise der Osterreichisc-hen Fregatte Novara in den Jahren 1857, 1858 und 1859. Zoologische Teli, Wien, II, Pt. 3 (Non vedemmo). SU DI UNA PENNELLA CRASSICORNIS ECC. 13 Leigh-Sharpe W. H., 1928 - The genus Pennella (Copepoda)as represented by thè collection in thè British Museum. Parasitology, Cambridge, 20, 1, pp. 79-89. Mayr E., 1957 - Evolutionary aspects of host specificity among parasites of vertebrates. Premier Symposium sur la spécificité parasitaire des parasites de Vertébrés. Inst. Zool. Univ. Neuchatel, Neuchatel, pp. 7-14. Monod T., 1938 a - Conchoderma auritum (L. 1767) Olfers 1814 sur un Zi- phius cf. cavirostris ? G. Cuv. 1823. Rev. Trav. Stat. Aquic. Piche Ca¬ stiglione, Alger, pp. 207-210, 2 figg. Monod T., 1938 b - Sur un copepode parasite d'un Ziphius cf. cavirostris ? G. Cuvier 1823. Rev. Trav. Stai. Aquic. Piche Castiglione, Alger, pp. 213-216, 1 fig. Noble E. R. et Noble G. A., 1964 - Parasitology. The Biology of Animai Parasites. Kimpton, London, II Edition. 724 pp., 381 figg., 3 tavv. f.t. Nordmann (van) A., 1832 - Mikrographische Beitràge zur Naturgeschichte der wirbellose Tiere, Berlin, II Heft (Non vedemmo). Oorde de Lint (van) G. M. et Schuurmans Stekhoven jr., 1936 - Copepoda parasitica. Die Tierwelt der Nord-und Ostsee, 31 (Non vedemmo). Steenstrup J. J. S. et Lùtken C. F., 1861 - Bidrag till Kundskab om det aabne Havs Snyltekrebs og Lernaeer etc. Kongelige Danske Videnske- beì'nes Selskabe Skrifter, 5 te Raekke, Naturhistorisk og Mathematisk Afdeling, Kjòbenhavn, 5, pp. 341-432, 15 tavv. Tortonese E., 1957 - Il cetaceo odontocete Ziphius cavirostris G. Cuv. nel Golfo di Genova. Doriana, Genova, n. 71, 7 pp.,. 2 figg. Tortonese E., 1963 - Matériaux pour l’étude des Cétacés méditerranéens d’après les collections des Musées de Gènes et de Turin. Rapp. Procès- verbaux C.I.E.S.M.M., Paris, 17 (2), pp. 383-386. , Tortonese E., 1965 - Pesci e Cetacei del Mar Ligure. Edit. Bozzi, Genova, 216 pp., 150 dis., 4 fotogr., 4 tavv. f.t. Valle A., 1880 - Crostacei parassiti dei pesci del mare Adriatico. Boll. Soc. Adriatica Se. Nat., Trieste, 6, pp. 55-90, 1 tab. Yamaguti S., 1963 - Parasitic Copepoda and Branchiura of Fishes. Inter- science Publisher s , New York, pp. 1104, 333 tavv. n. t. Luciano Novelli STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI AFFIORANTI NEI DINTORNI DI VARSI (Parma) (*) Introduzione Nel corso del rilevamento geo-petrografico del F1’ 84 (Pontre- moli) della Carta d’ Italia, eseguito dall’AGIP Direzione Mineraria, sono stati rinvenuti diversi affioramenti di rocce ofiolitiche, in special modo serpentinitiche, in parte già segnalati nella Carta Geologica d’ Italia (8) ma non ancora oggetto di un esame petro¬ grafia di dettaglio. Questa nota, perciò, si propone di apportare un ulteriore contributo, sia attraverso Y indagine microscopica che mediante nuove analisi chimiche, allo studio sistematico delle ofio- liti appenniniche, specie dell’Appennino Ligure-Emiliano, attual¬ mente in atto da parte di vari Autori. Cenni geo-litologici P) Gli affioramenti di rocce serpentinitiche presi in esame sono situati nelle tavolette « Bardi » (F° 84 I NO) e « Varsi » (F° 84 I NE) ed esattamente nella zona delimitata, a Nord, dal T. Ceno, ad Ovest ed a Sud dal R. Timore (affluente destro del T. Ceno) e, ad Est, dalla placca calcareo-arenacea del M. Dosso (v. fig. 1). Quest’ultima, che si presenta come una monoclinale rovesciata con immersione verso SO, è costituita da alternanze litologica¬ mente ben differenziate di : (*) Lavoro eseguito presso i Laboratori del Servizio Geochimico del- F AGIP, Direzione Mineraria, diretti dal Dr. Giordano Long. (1) Desidero ringraziare il Dr. G. Della Casa per la preziosa collabora¬ zione nella stesura di questo paragrafo. STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 15 — banchi gradati dello spessore di 7-8 m, formati alla base da calcareniti grigiastre e, al tetto, da marne grigiastre ; — arenarie grigie, compatte, a cemento calcareo ed a grana finis¬ sima, in strati di 20-50 cm; — argilla verdastra o rossastra spesso fogliettata e talora in strati variabili da 30 cm ad 1 m. Il complesso prevalentemente argilloso sul quale « galleggiano » le masse serpentinitiche, mostra un assetto estremamente caotico e risulta costituito da un’abbondante matrice argillosa inglobante frammenti di calcari grigio-scuri, di arenarie calcaree grigiastre e di rocce ofiolitiche. Le serpentiniti appaiono ben riconoscibili anche ad una certa distanza sia per la tinta più scura che per la loro morfologia rela¬ tivamente più aspra rispetto a quella dolce, collinare, della coltre argillosa circostante. Esse hanno una colorazione d’ insieme gene¬ ralmente verde-scura e sono interessate da spalmature e sottili filoni di talco verde chiaro. Si presentano, in genere, intensamente fratturate e, laddove le sollecitazioni dinamiche hanno agito più efficacemente, assumono l’aspetto di una vera e propria breccia monogenica ad elementi di dimensioni variabili ed a cemento argil¬ loso e serpentinoso finemente cataclastico ; tale fratturazione ha facilitato altresì il formarsi di un’estesa coltre detritica ben osser¬ vabile specie sul fianco destro del R. Timore ed occupante gran parte dell’area compresa tra l’allineamento C. Magnanini - C. Lam¬ berti ed il T. Ceno. Al contatto con le formazioni sedimentarie non sono stati osservati fenomeni di metamorfismo di contatto. Serpentiniti Rappresentano il tipo litologico più diffuso e, solo localmente, segnano passaggi graduali a varietà lherzolitiche e con noduli pi- rossenici, dalle quali sono difficilmente distinguibili sul terreno se non dopo un attento esame. Hanno una colorazione verdastra più o meno intensa, spesso molto scura, e sono caratterizzate dalla pre¬ senza di numerose lamelle bastitiche a lucentezza sub-metallica, particolarmente evidenti a luce riflessa, che impartiscono all’ in¬ sieme un aspetto vagamente porfirico. Spesso, sulla superficie ge¬ neralmente molto liscia della roccia, si osservano patine cloritiche L. NOVELLI 1<> e talcose di colore verde chiaro o verde azzurrognolo e, come riem¬ pimento di litoclasi, prodotti carbonatici e serpentinosi, talora as¬ sociati a sostanze argillose di tipo caolinitico. All’esame microscopico mostrano la tipica struttura a nastri antigoritici od a maglie, determinata quest’ ultima dall’ interse¬ zione di un secondo sistema di fibre a minor spessore, esse pure d: natura antigoritica ; l’interno delle maglie è occupato ancora da plaghette serpentinose spesso torbidicce ed in pseudomorfosi com¬ pleta su originari individui olivinici dei quali è ancora riconoscibile il contorno. Notevolmente uniforme ne è la composizione minera¬ logica sia per quanto riguarda la natura dei componenti che il loro valore modale ; in ordine di frequenza decrescente ricorderemo, innanzi tutto, i minerali cloritici, che rappresentano la quasi tota¬ lità, quindi frequenti cristalli di picotite, ben visibili anche macro¬ scopicamente sotto forma di minute punteggiature scure, granu¬ lazioni di ossidi di ferro e rari microliti di pirosseni monoclini. L’ antigorite mostra debole rilievo, bassi colori d’ interferenza e pleocroismo appena accennato, variabile da un giallo molto chiaro ad un giallo verdolino ; ha un abito per lo più allungato con estin¬ zione parallela alla direzione di maggiore allungamento. La si ri¬ trova spesso associata al crisotilo come riempimento di microfrat¬ ture di cui cementa generalmente le salbande od all’ interno anche delle stesse maglie dove presenta un pleocroismo relativamente più marcato. Non di rado si osservano trasfomazioni di antigorite in minute lamelle talcose iridescenti, meno spesso neoformazioni di minuti aciculi anfibolici a carattere nefritico, fittamente intrec¬ ciati e ad abito fascicolare. La bastite si presenta come il prodotto della trasformazione più o meno completa di originari individui pirossenici, presumibil¬ mente di tipo enstatico, dei quali conserva il contorno e, spesso, le tracce di sfaldatura prismatica ; si può osservare come tale trasfor¬ mazione proceda generalmente dalle linee di frattura per esten¬ dersi a mano a mano a tutto il cristallo. Per lo più è incolora e. quando si mostra debolmente pleocroica, conserva lo stesso pleo¬ croismo già osservato nell’antigorite. Spesso si rinviene in lamine deformate o cataclastiche. Il crisotilo presenta basso rilievo ed è perfettamente incolore a nicols paralleli ; in genere è sotto forma di sottili vene in cui le fibre sono disposte perpendicolarmente ai lati. STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTI N’ITI ECC. 17 Piuttosto rara la pennina che si rinviene in minuti aggregati lamellari a bassissimi colori d’ interferenza anomali, sui toni di un bleu molto intenso. La picotite si trova disseminata irregolarmente un po’ per tutta la roccia ; ha un abito molto irregolare, frastagliato ed a nicols paralleli presenta una colorazione bruna o brunogiallastra Fig. 1. — Distribuzione degli affioramenti serpentinitici nella zona esaminata. di varia intensità, generalmente molto scura alla periferia del cri¬ stallo o lungo le linee di frattura. Molto spesso, a circondare gli individui di forma più irregolare e di minori dimensioni, si osserva un’aureola di aspetto criptocristallino o monorifrangente, con ri¬ lievo inferiore alla massa di fondo, che risulta costituita da ser- pofite (v. Tav. I, fig. 1). La magnetite, derivante per gran parte dalla parziale ossida¬ zione del ferro bivalente contenuto nell’olivina, si rinviene in micro¬ granulazioni ad andamento irregolare e di aspetto pulverulento. 18 L. NOVELLI addensate di preferenza lungo le fratture delle maglie antigoritiche ad accentarne il motivo strutturale. In un campione è stata rile¬ vata la presenza di un piccolo filoncello di lizardite in aggregati microlamellari sferulitici (v. Tav. I, fig. 2) sul quale sono state eseguite delle analisi roentgenografiche, come riportato nella ta¬ bella 1. Serpentiniti Iherzolitiche Oltre che dal punto di vista mineralogico le serpentiniti di tipo lherzolitico si differenziano dalle serpentiniti vere e proprie, cui si ritrovano associate con modalità del tutto irregolare, per alcune caratteristiche macroscopiche diverse. L’aspetto loro più di¬ stintivo, anche se non sempre riscontrabile, è forse costituito dalla presenza di liste irregolari grigio chiare, generalmente alternantisi con altre più scure, che spiccano nella massa di fondo verdastra, di natura serpentinosa. Tali zonature sono formate, rispettivamente, da concentrazioni pirosseniche nella maggior parte cataclastiche e da microgranulazioni di olivina associata ad ossidi di ferro o ad individui di picotite. Sono abbastanza compatte e di aspetto gra¬ nulare, mentre alla rottura presentano fratturazione scheggiosa. All’esame in sezione sottile mostrano ancora la tipica struttura serpentinosa a nastri od a maglie antigoritiche, includente nume¬ rosi individui pirossenici di tipo sia rombico che monoclino, relitti di olivina ancora fresca, cristalli di picotite e microgranulazioni di ossidi di ferro, questi ultimi con le stesse caratteristiche già osser¬ vate nelle serpentiniti tipiche. Il pirosseno monoclino si rinviene in individui generalmente di piccole dimensioni, riuniti, nella maggior parte dei casi, in adden¬ samenti lenticolari o, meno di frequente, associati a fenocristalli enstatitici in concrescimento parallelo. Nella gran parte dei casi è attraversato da minute fratture ad andamento vario ed irregolare, nelle quali prende posto e si sviluppa l’alterazione bastitica (2). Mostra colori d’ interferenza elevati e netta sfaldatura prisma¬ tica {110} che, solo in pochissimi esempi, si ritrova associata a quella secondo {110} tipica del diallagio ; su alcune sezioni (010) (') E’ presente una trasformazione marginale in un antibolo bruno di tipo orneblendico, probabilmente connessa a fenomeni dinamici. STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 19 sono state eseguite misure del c: y che hanno dato un valore di estinzione massimo corrispondente a 42 ’. Questi caratteri lo fanno ritenere un termine augitico, molto prossimo al diallagio. Tabella 1 Dif fratto grammo, di polvere. Camera 114, 59 min, radiazione Cufka filtrata. Intensità relative stimate visualmente. Campione esaminato Lizardite d(A) T- d(À) i, hkl 7.30 10 7.36 10 002 4.56 6 4.62 7 020 3.84 3 3.89 2 022 3.64 8 3.64 10 004 2.69 5 2.65 4 130 2.480 9 2.495 8 202 2.302 1 2.299 2 040 2.148 » 4 2.148 6 204 n.o. 1.830 2 008 1.788 3 1.794 4 206 1.742 3 1.737 4 310 n.o. 1.695 1 028 1.538 7 1.534 7 060 1.505 ' 6 1.503 6 208 n.o. 1.460 1 0010 1.415 1 1.415 2 064 n.o. 1.328 2 400 1.313 4 1.307 6 402 Alcune riflessioni (marcate n.o.) non sono state rilevate nel campione m esame. E’ stata esclusa la presenza di un orto-serpentino a sei strati data l’as¬ senza di numerose riflessioni della serie 021 con 1 = 0, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15. 20 L. NOVELLI Il pirosseno rombico si presenta generalmente in cristalli cata- clastici ed a contorno irregolare, di dimensioni non di rado supe¬ riori al cm nella direzione di maggiore sviluppo ; spesso è alterate in prodotti cloritici di natura antigoritica (bastite) che solo in rari casi conducono alla pseudomorfosi completa. Sono visibili con¬ crescimenti lamellari fittamente alternati con il pirosseno mono- clino, ben evidente quest’ultimo per i più alti colori di interferenza e per la diversa estinzione. Ha netta sfaldatura {110}, è perfetta¬ mente incoloro ed otticamente positivo con un 2V abbastanza ele¬ vato ; trattasi perciò di un termine enstatitico assai povero in FeO. L’olivina è presente in microgranulazioni isolate dalla altera¬ zione serpentinosa, Risulta perfettamente incolora e con alti colori d’ interferenza ; spesso è associata a minute punteggiature scure di ossidi di ferro miste ad aggregati di magnetite secondaria, alli¬ neati lungo microfratture a guisa di esili cordoni ad andamento del tutto vario ed irregolare. All’esame conoscopico il minerale rivela un 2V elevato, prossimo a 90° e quindi una composizione essenzia- mente forsteritica, assai povera di Fe2Si04 . Serpentiniti con noduli pirossenici Presentano caratteristiche macroscopiche in tutto analoghe alle serpentiniti lherzolitiche, dalle quali si differenziano solo al¬ l’esame in sezione sottile per una maggiore quantità del pirosseno monoclino, per l’assenza quasi totale degli individui olivinici, com¬ pletamente serpentinizzati e per la scarsità di pirosseni enstatitici ancora freschi. Il pirosseno monoclino che, dopo le cloriti, è ancora il costituente mineralogico più diffuso, si trova in microgranula¬ zioni lenticolari e filoniane (v. Tav. I, fig. 3) simili a quelle già osservate per le serpentiniti lherzolitiche, che sovente si rivelano come il prodotto della cataclasi di un unico grosso individuo. Esso mostra le stesse caratteristiche microscopiche di quello contenuto nelle serpentiniti lherzolitiche e si differenzia soltanto per una dif¬ fusa alterazione argilloso-cloritica brunastra, che produce un in- torbidimento progressivo estendentesi dal nucleo alla periferia del cristallo, sino a mascherarlo completamente come si osserva in qualche caso. STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 21 Il chimismo e considerazioni conclusive Nella tabella n. 2 sono riportati i dati di n. 5 analisi chimiche eseguite su altrettanti campioni scelti tra i più rappresentativi; tra questi, tre sono stati raccolti tra le serpentiniti tipiche (cam¬ pione n. 1, 2, 3), uno tra le serpentiniti con noduli pirossenici (cam¬ pione n. 4), l’altro tra le serpentiniti lherzolitiche (campione n. 5), in accordo alla loro distribuzione areale. Tabella 2 1 2 3 4 5 Si02 39,25 39,10 38,79 40,76 42,21 > H— — 1 IO o co 3,81 2,27 2,75 . 8,42 3,26 Fe203 4,97 6,04 4,58 2,78 2,72 FeO 2,33 1,78 2,63 4,54 4,51 MnO 0,05 0,10 0,10 0,12 0,09 MgO 34,44 37,11 35,82 29,28 34,68 CaO 0,10 0,15 0,10 4,06 2,39 Na20 0,23 0,07 0,20 0,17 0,20 K,0 ass. ass. ass. ass. tracce Ti02 0,47 0,25 0,34 0,70 0,34 PoOs- . 0,03 0,03 0,04 0,08 0,07 h2o+ 13,26 12,62 13,93 9,23 8,82 h2o- 0,64 0,17 0,54 0,25 0,51 cg2 tr. 0,10 tr. 0,10 0,39 SO:, tr. ass. tr. tr. tr. Nella tabella n. 3 vengono elencati i parametri magmatici se¬ condo Niggli e nella tabella n. 4 la « molecola base » dei singoli campioni esaminati. 9,9 L. NOVELLI Tabella 3 1 2 3 4 5 si 65,82 62,14 63,66 69,05 68,54 61,84 68,16 67,88 al 3,78 2,10 2,66 8,39 3,12 2,09 8,37 3,09 fm 95,66 97,70 96,84 83,98 93,28 97,52 83,81 92,47 c 0,21 0,10 0,20 7,12 3,31 0,29 7,30 4,15 ale 0,35 0,10 0,30 0,51 0,29 0,10 0,51 0,29 mg 0,90 0,90 0,90 0,87 0,89 0,90 0,87 0,89 c/fm 0,002 0,001 0,002 0,08 0,03 0,002 0,08 0,04 qz — - 36,40 — 38,26 — 37,54 — 32,99 — 32,62 — 38,66 — 33,88 — 33,28 k 0 0 0 0 0 0 0 0 Nota - Nella il Ca stessi prima fila combinato sono stati i parametri magmatici sono stati calcolati nelle molecole carbonatiche; nella seconda ricalcolati senza effettuare tale sottrazione. togliendo fila gli Dal confronto dei dati delle analisi chimiche e dei parametri magmatici risulta evidente, come caratteristica principale e co¬ mune delle rocce in studio, la povertà in silice (grado di satu¬ razione qz negativo e variabile da — 32,62 a — 38,26), in alcali (ale < 1/2 al), in calcio (c < 15) e la loro stretta analogia per quanto riguarda la posizione nella sistematica dei tipi magmatici STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 23 proposta dal Niggli, appartenendo tutte ad un magma ortoaugitico- peridotitico di tipo peridotitico della serie alcalicalcica. Tabella 4 1 2 3 4 5 Cp 0,05 0,06 0,07 0,14 0,12 Ru 0,34 0,17 0,24 0,51 0,23 Sp 5,78 3,58 4,02 1,96 Cc 0,23 0,23 1,01 Ne 1,24 0,35 1,06 0,86 1,01 Cai 0,24 0,07 0,22 11,68 4,87 Cs 0,31 Fs 5,41 6,60 5,05 2,99 2,85 Fo 72,85 78,10 76,55 60,93 72,14 Fa 2,95 2,26 3,36 5,54 5,37 Q 11,14 8,58 9,43 15,16 12,09 L 1,48 0,42 1,28 12,54 5,88 M 81,21 86,96 84,96 69,46 80,67 access. 6,17 4,04 4,33 2,84 1,36 71 0,16 0,16 0,17 0,92 0,82 7 0 0 0 0 0,003 ji 0,89 0,89 0,90 0,87 0,89 Il carattere spiccamente basico dei campioni analizzati viene posto ancora in evidenza dal diagramma triangolare di orienta¬ zione QLM di fig. 2 ; in esso, infatti, si può osservare come i punti rappresentativi degli stessi siano spostati sensibilmente verso il vertice M e compresi nel settore PRM dove cadono complessi debol¬ mente silicatici quali olivine, pirosseni e, subordinatamente, feld¬ spatoidi e feldspati. Le varietà lherzolitiche e, più in particolare le serpentiniti con noduli pirossenici, in dipendenza del loro mag- 24 L. NOVELLI giore contenuto in composti leueocrati rispetto alle serpentiniti tipiche, appaiono relativamente più spostate verso il lato LQ. © serpentinite Q Q A SERPENTINITE LHERZOL ITI C A Fig. 2. — Diagramma triangolare QLM. Il diagramma Mg-Fe-Ca di fig. 3 ci rende conto della unifor¬ mità delle rocce in studio : la monotonia del parametro mg, com¬ preso tra 0,87 e 0,90 e di y, variabile da 0 a 0,003, le fa infatti rag¬ gruppare in una zona molto ristretta, situata presso il lato Fe-Mg~ e spostata verso il vertice Mg del triangolo, facendone risaltare il loro carattere magnesiaco e la povertà in calcio. La variazione del tenore in calcio viene espressa, inoltre, dal parametro n (v. tab. 4), strettamente dipendente, nel nostro caso, dalla quantità dei ter¬ mini pirossenici monoclini presenti nella roccia. Tale parametro, infatti, aumenta progressivamente man mano che dai tipi franca¬ mente serpentinitici, con un valore medio di circa 0,16, si passi alle serpentiniti a carattere ìherzolitico, con il valore di 0,82, sino alle STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 25 serpentiniti con noduli pirossenici, con il valore massimo di 0,92. E’ da osservare, infine, come passando sempre dalle serpentiniti tipiche alle varietà meno alterate, quali le serpentiniti lherzolitiche Fig. 3. — Diagramma triangolare Mg-Fe-Ca. e le serpentiniti con noduli pirossenici, aumenti il rapporto Fe- Fe3+ in relazione al minore stato di ossidazione di queste ultime, con un valore medio, per le prime, di 0,44 e per le seconde, rispet¬ tivamente di 1,64. Per quanto riguarda la natura della roccia originaria, dalla quale, mediante determinati processi di trasformazione, sarebbero derivati i campioni in studio, gli aspetti petrografici ed i dati chi¬ mici insieme ci fanno concludere per una peridotite di tipo lher- zolitico segnante passaggi, localmente, verso termini pirossenitici più schietti. Questi ultimi, infatti, sarebbero messi in particolare evidenza dall’analisi chimica del campione n. 4 (v. tab. n. 2), qua- 26 L. NOVELLI lora si consideri l’elevato contenuto in A1203 e in CaO e dalla com¬ posizione mineralogica delle serpentiniti con noduli pirossenici, per l’assoluta predominanza del pirosseno monoclino rispetto agli altri costituenti la roccia. Per meglio comprendere le variazioni composizionali che hanno determinato i vari stadi del processo di « serpentinizza- zione », mi è sembrato opportuno avvalermi della «cella standard» proposta da T. F. W. Barth (1). Nella tabella n. 5, infatti, vengono riportate le quantità dei cationi relative alla « cella standard » stessa per le singole rocce analizzate ; per mezzo di esse ci si può rendere chiaramente conto dei passaggi ionici che hanno presie¬ duto le trasformazioni dall’ un tipo litoide all’altro. Tabella 5 1 2 3 4 5 K — — — Na 0,37 0,10 0,30 0,27 0,32 Ca 0,10 0,05 0,10 3,68 1,80 Ba — — — Mg 43,35 46,93 44,81 38,07 45,66 Mn 0,03 0,05 0,05 0,07 0,05 Fe2 + 1,64 1,27 1,85 3,32 3,36 Fe3 + 3,17 3,84 2,91 1,82 1,81 Ti 0,29 0,18 0,22 0,47 0,23 Al 3,79 2,27 2,72 8,65 3,39 Si 33,15 33,19 32,57 35,56 37,31 P 0,02 0,02 0,02 0,05 0,04 2 cat. 85,91 87,90 85,55 91,96 93,97 0 85,32 88,59 82,05 106,30 108,04 (OH) 74,68 71,41 77,95 53,70 51,96 CaCOo 0,24 0,21 0,93 STUDIO PETROGRAFICO DI ALCUNE SERPENTINITI ECC. 27 L’autore esprime la sua riconoscenza all’ AGIP, Direzione Mi¬ neraria, per aver dato il permesso di pubblicare questi risultati ed in maniera particolare al Dr. Giordano Long ed al Dr. Dionisio Storer per 1’ interesse dimostrato a questa ricerca. Ringrazia il Prof. F. Veniale per i preziosi consigli e per la revisione di questo lavoro ed infine, il Dr. G. L. Morelli per le analisi diffrattome- triche ai raggi X. Riassunto Vengono esposti i risultati di uno studio petrografie© su campioni di rocce serpentinitiche comprese nel Foglio 84 (Pontremoli) della Carta d’Italia. In base ad osservazioni di carattere mineralogico e chimico se ne mettono in rilievo le singole varietà affioranti. Abstract The results of a petrographic study of some serpentinite samples collected in thè North Appennines near Pontremoli are shown. Because of some mineralogical and Chemical observations, thè peculiarità* of each serpentinite group is put in evidence. Résumé L’étude pétrographique sur les échantillons de serpentinites appartenants au foglio 84 (Pontremoli) de la Carte d’ Italie, met en évidence par des ca- ractères minéralogiques et chimiques les différentes variétés y affleurants. BIBLIOGRAFIA (1) Barth T. F. W., 1952 - Theoretical petrology - John Wiley & Sons Ine., New York. (2) Burri C., Niggli P., 1945 - Die jungen Eruptivgesteine des mediter- ranen Orogens - Pubi. n. 3 Vulkaninstitut Immanuel Friedlaender, Ziirich. (3) Galli M., 1963 - Studi petrografia sulla formazione ofiolitica dell’Ap- pennino Ligure - Periodico di Mineralogia, Roma, voi. 32, pp. 575-623. (4) Giammetti F., 1963 - Le serpentine del Monte Prinzera - Meni. Soc. Geol. It., Roma, voi. 4°, pp. 1-14. (5) Giammetti F., 1964 - Studio petrografico sulle ofioliti di Groppo Maggio e Groppo della Donna (Appennino Parmense) - U Ateneo Parmense, voi. 35, pp. 155-185. (6) Giuseppetti G., Tadini C., Veniale F., 1963 - Ulteriore ritrovamento della Lizardite in prodotti di alterazione di rocce serpentinitiche (Im- pruneta - Firenze) - Rend. Soc. Min. It., Milano, voi. 19, pp. 123-138. 28 L. NOVELLI (7) Pellizzer R., 1961 - Le ofioliti dell’Appennino Emiliano - Atti Acc. Se. Ist. di Bologna, Memorie. (8) Sacco F., 1933 - Note illustrative della Carta Geologica d’Italia, F.o 84. Pontremoli - Pubbl. Servizio Geol. It., Roma. (9) Veniale F., 1962 - Un minerale del gruppo del serpentino con caratte¬ ristiche della varietà lizardite a morfologia tubulare (S. Margherita Staffora, Appennino Pavese) - Periodico di Mineralogia, Roma, voi. 31. pp. 307-332. (10) Whittaker E. J. W. and Zussman I., 1956 - The characterization of serpentine minerals by X-ray diffraction - Min. Mag. n. 223, voi. 31. pag. 118. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I Fig. 1. — Grosso cristallo di picotite circondato da un bordo (biancastro nella foto) del mineraloide serpofite. (N. || ; 25 x). Fig. 2. — Filoncello di lizardite in aggregati lamellari sferulitici. Sono visi¬ bili, nella parte alta della foto, delle piccole vene di crisotilo di genesi posteriore. (N x; 10 x). Fig. 3. — Nodulo pirossenic-o nella serpentinite, costituito da un fitto ag¬ gregato granulare di individui cristallini intensamente cataclasati. (N x; 25 x). Fig. 4. — Catac-lasite con elementi subangolosi di serpentinite legati da un cemento opaco di natura argillosa. (N. jj ; 15 x). L NOVELLI - Studio petrografia ecc Atti Soc. It. Se. Nat. Voi. CV, Tav. I Fig. 3 Fig. 4 ISTITUTO DI CHIMICA AGRARIA DELL’ UNIVERSITÀ DI MILANO direttore: PROF. C. ANTONIANI P. Sequi e A. Marchesini STUDIO CHIMICO-AGRARIO DEI TERRENI DELL’ALTO NOVARESE IL DISTRETTO DI IRRIGAZIONE DI CAM ERI Il Distretto di irrigazione di Cameri, attiguo al Distretto di Galliate, già da noi preso in esame nel corso del presente studio (1), è situato nel territorio compreso tra l’alveo del fiume Ticino ed i rilievi collinari che separano i bacini dei fiumi Ticino e Sesia. L’origine geologica dei terreni è attribuita al Diluvium re¬ cente. Una estesa terrazza divide 1’ intero Distretto di Cameri in direzione Nord-Sud (2). Nel distretto, dell’estensione di circa 500 ettari, sono predi¬ sposti i progetti per l’esecuzione di una rete di irrigazione. La costituzione eminentemente sabbiosa dei terreni limita attualmente la loro capacità di trattenimento dell’acqua e le frequenti siccità estive danneggiano molto spesso alcune colture principali (mais in rotazione) ed intercalari. Il nostro studio, come in precedenza (1), ha voluto dare par¬ ticolare rilievo alla caratterizzazione della natura fisico-mecca¬ nica e della reazione dei terreni (un prelievo ogni due-tre et¬ tari). La composizione chimica è stata studiata per zone di circa sette ettari ed è stata integrata da una indagine sulla presenza di Azotobacter. Parte sperimentale. Sono stati compiuti 220 prelievi. L’ intera superficie è stata suddivisa in 70 zone per le analisi chimiche e microbiologiche. Ogni prelievo è rappresentato da un numero progressivo ; ogni zona è designata da due lettere. Riportiamo nella tabella 1 i dati relativi alle colture delle località di prelevamento, alla reazione ed alla costituzione fisico- P. SEQUI e A. MARCHESINI 30 meccanica dei terreni. La tabella 2 comprende i dati analitici chi¬ mici e microbiologici. Nella tabella 3 sono raggruppati i risultati più significativi relativi alla composizione media dei terreni del Distretto. I dati relativi al campionamento, alla reazione dei terreni ed alla distribuzione della sostanza organica e degli elementi più im¬ portanti sono riportati nelle carte dal n. 1 al n. 6. Per le modalità sperimentali rimandiamo allo studio prece¬ dente (1). Conclusioni Abbiamo già espresso nel precedente studio (1) il concetto che i risultati di una indagine chimico-agraria non abbisognano di particolari commenti, essendo la loro funzione prevalentemente applicativa ; i dati analitici rappresentano in primo luogo, se non esclusivamente, un valido ausilio per il tecnico. Ci limitiamo quindi ad esprimere alcune considerazioni per i risultati che mo¬ strano una fisionomia anomala o del tutto particolare nei terreni da noi studiati. Di particolare interesse è la costante presenza in tutti i ter¬ reni di piccole quantità di calcare proveniente o da lontane allu¬ vioni del fiume Sesia o da minerali presenti nella matrice costi¬ tuente i terreni stessi (3). E’ noto infatti che i terreni del ba¬ cino del fiume Ticino sono prevalentemente calcio carenti. I dati relativi allo scheletro indicano una forte variabilità da zona a zona. Tale carattere è ancora più accentuato di quanto era già possibile rilevare nel Distretto di Galliate. Le variazioni sono chiaramente riferibili agli spianamenti operati dallTiomo ; siamo di fronte infatti a terreni di origine alluvionale con for¬ mazioni terrazziane di varia estensione irregolarmente distri¬ buite su tutto il Distretto. E’ rilevabile una diffusa fosfocarenza. Ribadiamo a questo proposito i concetti già espressi da noi e da altri AA. (4) sui vizi del metabolismo fosfatico nel terreno, attribuibili non solo a scarse riserve di anidride fosforica ma anche alla mancanza od alla scar¬ sità di primari mobilizzatori di tale metabolismo, quali le pratiche agronomiche e soprattutto V irrigazione. Milano, settembre 1965 STUDIO CHIMICO-AGRARIO DEI TERRENI DELL’ALTO NOVARESE 31 CANALE CID Fig. 1. — Carta n. 1: pianta del distretto di Canteri. La numerazione indica le località di prelievo. I gruppi di lettere designano le zone ca¬ ratterizzate chimicamente. P. SEQUI e A. MARCHESINI ;2 Fig. 2. — Carta n. 2: pianta del distretto di Cameri. Carta acidimetrica. STUDIO CHIMICO-AGRARIO DEI TERRENI DELL’ALTO NOVARESE * > o * )ó CARTA H®3 SOSTAK2À ORQAN1CA CARTA hP4 À2GTO TOTALE CARTA N®5 P2OsT©TAUE CARTA He0 K^o CANALE CiD MINO DELl'l%o 1-1, 5%o 1j5l “ 2 /o3 2,1-23%© PIU1 DSL Q.S/oo CANALE CA\ y; 2Vy = 77°-79°). Più frequente e più abbondante è il granato : si trova in idio- blasti di color rosa bruniccio ,ora freschi ora parzialmente alte¬ rati lungo le fratture e ai bordi. Clorite e limonite di alterazione divengono particolarmente abbondanti nelle zone di più intensa diaftoresi. Rara è la sillimanite in piccoli aggregati fibroso aciculari as¬ sociati a biotite ; in aghetti minutissimi si trova nelle facies di contatto. Cianite e staurolite, un poco più abbondanti, appaiono in fe- noblasti idiomorfi già in parte sericitizzati. La seconda è pleo- croica con a — giallo chiaro, /I = y giallo bruniccio. Fra i componenti minori particolare diffusione hanno torma¬ lina , ilmenite, rutilo, apatite e limonite. Rispetto ai micascisti le filladi presentano una scistosità più fine con alternanza di letti micacei e quarzosi, una lucentezza se¬ ricea, un colore generalmente grigio con toni varicolori e diffuse chiazze limonitiche sulle superfici alterate. Assai frequenti le lenti e i filoncelli concordanti di quarzo latteo. I piani di scistosità ap- STUDIO PETROGRAFICO DELL’ALTA VAL VIOLA ( SONDRIO) 47 paiono quasi sempre ondulati, ora con fitte increspature subpa¬ rallele, ora con pieghe ampie e distanziate. Quando il pieghetta- mento è molto fitto i piani assiali delle micropieghe sembrano de¬ terminare una seconda direzione di scistosità, per lo più obliqua rispetto alla scistosità primitiva. Numerose come nei micascisti le intercalazioni quarzitiche. Al microscopio si rileva una fine zonatura con letti finitici alternantisi a letti quarzosi. Le miche formano buona parte della compagine cristallina : prevale la muscovite in minute laminette isoorientate riunite in fitti aggregati nei quali è concresciuta con le lamelle di clorite. Quest’ ultima è debolmente pleocroica con a = giallo verdiccio, /> = 7 verde pallido ; l’orientazione ottica è negativa, la birif ra¬ zione bassa con colori d’ interferenza azzurro bluastri. Accanto a queste due miche si osserva qualche laminetta di biotti e in gran parte corrosa e alterata. Il quarzo è abbondante in granuli minuti allungati secondo la scistosità con forte estinzione ondulata e rara pseudola- mellarità. Frequente è il granato in cristalloblasti bruno rosati a con¬ torno arrotondato, in parte fratturati e clor Lizzati. Comuni gli inclusi di tormalina, quarzo e ilmenite. Componenti minori sono tormalina (fortemente pleocroica dal verde bruno al verde pallido), apatite, zircone, ilmenite, ematite e limonite. Le rocce intrusive Al Pizzo Bianco — nel settore sudoccidentale del complesso scistoso — affiora per un'estensione di circa mezzo Km- un corpo intrusivo granitico allungato da NO a SE : lo caratterizzano un contatto assai netto con gli scisti incassanti e un duplice sistema di fratture. Il sistema subverticale — meglio individuato — risulta concorde con la giacitura degli scisti. Si tratta di un granito chiaro (tab. 1), a grana media, ricco di fenocristalli di feldspato potassico le cui dimensioni sono del¬ l'ordine del cm o poco più. Al microscopio si osservano come componenti fondamentali quarzo, microclino, plagioclasio e biotite ; subordinata appare la muscovite. Accessori sono apatite, zircone, ematite ed ilmenite. 48 F. PACE Abbondante è il quarzo, in granuli a forte estinzione ondu¬ lata, spesso fratturati e risanati da quarzo microgranulare. Il plagioclasio è in individui idiomorfi di notevoli dimensioni, sempre geminati secondo l’« albite », l’« albite-Karlsbad » e l’« al- bite-periclino ». Frequenti le strutture mirmechitiche e i concre¬ scimenti con il microclino; netta la zonatura, resa evidente dalla distribuzione dei prodotti di alterazione: prevale la saussurite al nucleo e la sericite ai bordi. La composizione — determinabile solo al bordi dei granuli — è quella di un oligiclasio con il 13% di An (co > y ; 2V-. = 84°-88°, media = 86° — 7 mis.). Il feldspato potassico, rappresentato da microclino (2Va — 82°- 84° — 8 mis.), si trova in individui di dimensioni assai varie, sia pertitici che omogenei. Rara la geminazione secondo « Karlsbad », molto frequente quella « albite-periclino ». Numerosi appaiono gli inclusi nei fenocristalli : figurano fra questi piccoli granuli dello stesso feldspato, la cui cristallizzazione è probabilmente anteriore a quella dei fenocristalli stessi. La biotite, in lamine sfrangiate e corrose, è intensamente pleo- c-roica dal giallo bruniccio al bruno scuro. Sensibile l’alterazione in clorite, avente debole pleocroismo (a — verde pallido, fi = y verde bruniccio), orientazione ottica positiva e bassa birifrazione con colori d’ interferenza azzurro bluastri. Frequenti gli inclusi di epidoto, zircone (con aureole polieroiche), apatite e ilmenite. Più rara è la muscovite , sempre in intima associazione con la biotite. Un altro affioramento di rocce granulari esiste al Passo di Vai Viola. Si tratta di una granodiorite a grana media, chiara con toni verdastri. Considerato nell’ insieme, 1’ aspetto dell’ affioramento è agmatitico : la roccia magmatica infatti cementa — o ingloba — grosse lenti micascistose. In prossimità del contatto — netto come per il granito — si osservano nella granodiorite numerosi relitti scistosi e minuscoli filoni pegmatitici. All’esame microscopico la roccia appare essenzialmente costi¬ tuita da plagioclasio, quarzo, microclino, clorite e anfibolo ; acces¬ sori sono apatite, zircone, titanite e ilmenite. Fra i prodotti di alterazione particolarmente abbondanti la sericite, l’epidoto e la calcite. STUDIO PETROGRAFIA) DELL’ALTA VAL VIOLA (SONDRIO) 49 Tabella 1. Granito ; q. 2700 affioramenti a SE della vetta del P. Bianco analisi chimica Si02 71,45 ALO:; 13,29 Fe20:; 2,63 FeO 1,72 MnO tracce MgO 0,54 CaO 1,35 Na20 3,82 K^O 3,87 Ti02 0,34 P2O5 0,08 H20 + 1,09 H^O- 0,16 100,34 valori Niggli baso si 364,8 Kp 14,1 al 39,9 Ne 21,1 fm 21,6 Cai 3,9 c 7,4 Sp 0,9 alk 31,1 Fs 2,8 k 0,39 Fo 0,7 mg 0,18 Fa 2,0 qz 140,4 Ru 0,3 Cp 0,1 Q 54,1 100,0 composizione mineralogica osservata (% in volume) Quarzo 30,22 Microclino 24,00 Plagioclasio 35,79 Biotite 6,95 Muscovite 1,34 Accessori 1,70 100,00 Analista: F. Pace (1963) magma rapakivitico catanorma Mt 2,8 An 6,5 Or 23,5 Q - 54,1 Ab 35,5 L = 39,1 Cord 1,6 Hy 0,8 M = 6,8 En 0,9 Cp 0,1 Q 28,4 100,0 4 50 F. PACE Sensibili appaiono gli effetti delle deformazioni para e post¬ cristalline, rilevabili nelle fratture del quarzo e dei feldspati e nelle incurvature delle miche e delle lamelle di geminazione dei plagioclasi. Costituente più diffuso è il plagio clasio , sempre geminato se¬ condo P« albite », l’« albite-Karlsbad » e l’« albite-periclino ». Mostra frequenti strutture mirmechitiche e tracce di zonatura resa manifesta dall’accentuata alterazione con saussurite al nucleo e sericite ai bordi. La composizione — rivelabile solo ai margini — è quella di un oligoclasio con il 22% di An (e > 7; 2Va — 85°-89°). Subordinato è il microclino (2Va = 81°-83° — 3 mis.), in gra¬ nuli fratturati e sempre geminati « albite-periclino ». La clorite è abbondante in lamine corrose, sfrangiate e pie¬ ghettate, contenenti lungo i piani di sfaldatura una minuta granu¬ lazione di epidoto e titanite. Il pleocroismo è quasi assente, la biri- frazione bassa con colori d’ interferenza blu nerastri, l’orienta¬ zione ottica negativa. Meno frequente è Yanfibolo, in individui prismatici fratturati e debolmente pleocroici dal verde chiaro al verde bruniccio. L’an¬ golo misurato c A 7 = 15° corrisponde ad una orneblenda media¬ mente ferrifera. Le rocce filoniane Speciale attenzione ho rivolto ai filoni e ai piccoli ammassi di microdiabase, che affiorano numerosi nell’area occupata dal com¬ plesso scistoso. La giacitura dei filoni risulta sia concorde che discorde, la potenza variabile da pochi metri a circa una decina di metri. Fre¬ quenti sopra tutto nell’alta Val Cantone, manifestano colore verde grigiastro, struttura granulare minuta, aspetto compatto, elevata durezza e frattura poliedrica secondo superfici latenti già rico¬ perte da patina di alterazione. All’esame microscopico si rileva una struttura ofitica micro- fluidale, con plagioclasio e antibolo come componenti fondamen¬ tali, quarzo, biotite, pirosseno, ematite e ilmenite come accessori. Il plagioclasio — per lo più idiomorfo rispetto all’anfibolo — compare in individui listiformi, zonati e sempre geminati secondo r« albite », l’«albite-Karlsbad » e l’« albite-periclino ». STUDIO PETROGRAFICO DELL’ALTA VAL VIOLA (SONDRIO) 51 L’alterazione saussuritica diffusa e le minuscole dimensioni dei granuli rendono alquanto imprecise le determinazioni ottiche eseguite: in base a queste ( y > co; ang. max. estinz. simm. gem. « albite » 15°) si può ritenere la composizione al bordo dei granuli corrispondente a quella di un oligoclasio con il 33% di An. . In proporzione pressoché identica si trova Vanfibolo : i gra¬ nuli, pleocroici dal verde pallido al verde bruno chiaro, risultano sfrangiati e corrosi alle estremità. L’alterazione — piuttosto sen¬ sibile — è costituita da minutissimi aggregati fibroso raggiati di probabile natura actinolitica. Alcuni di questi aggregati rappre¬ sentano forse il prodotto di alterazione di un pirosseno augitico che in piccoli granuli si osserva tuttora al nucleo di alcuni indi¬ vidui d’anfibolo. La biotite, pleoeroica dal giallo al rosso bruniccio, è in minute lamine associata ad antibolo ed ilmenite ; quest’ ultima, in granuli scheletrici con bordo di leucoxeno, è l’accessorio più frequente. Più rare nella zona studiata sono le porfiriti. L’ unico filone di un certo interesse — potente circa 6-7 m — attraversa in di¬ scordanza gli gneiss catacìastici in prossimità del laghetto di Selva: si tratta di una porfirite ricca di fenocristalli listiformi di plagioclasio, immersi in una pasta di fondo microgranulare di color verde cupo. Il corpo filoniano presenta struttura cataclastica come le rocce incassanti : ciò consente di attribuire l’ iniezione magmatica ad un tempo antecedente a quello in cui si è manife¬ stato l’atto dinamico che ha disturbato gli gneiss. 1! complesso gsìeissico Le rocce che costituiscono il complesso gneissico affiorano nella parte meridionale della zona studiata, ove formano le prin¬ cipali cime del massiccio di Lago Spalmo. La giacitura è caratte¬ rizzata da immersione degli strati verso N-NO con inclinazione poco accentuata. Nella struttura del complesso si succedono dal basso verso l’alto tre diversi tipi litoligici : una gneiss di tipo anatessitico forma un potente piastrone basale ; seguono in concordanza i pa- ragneiss minuti, che verso l’alto passano — sia gradualmente che E. PACE o 0 con contatto netto — ad un terzo tipo gneissico a carattere Enigma¬ tico. Quest’ ultimo è distinto da una notevole eterogeneità, risul¬ tando esso costituito da embrechiti e anatessiti, spesso intercalan- tisi in grossi banchi con locale prevalenza dell’ una o dell’altra facies. I paragneiss minuti costituiscono una formazione composta da tipi litologici differenti per tessitura e per composizione mine¬ ralogica, ma aventi caratteristiche comuni quali la struttura mi¬ nuta, la fitta stratificazione ed il colore bruno rossiccio della pa¬ tina di alterazione. II litotipo più frequente manifesta elevata compatezza, blanda tessitura scistosa e colore grigio chiaro. E’ costituito da un mi¬ nuto aggregato quarzoso feldspatico in cui si osservano piccole scagliette biotitiche isoorientate e frequenti venule quarzose sub¬ concordanti. Con l’aumento progressivo del contenuto in quarzo o in miche si passa rispettivamente a termini quarzitici e mica¬ scistosi. Le intercalazioni sono rappresentate da quarziti, anfiboliti e biotititi. Al microscopio i componenti fondamentali presentano una struttura granoblastica. Accanto ad essi si osservano in genere granato, staurolite, cianite, antibolo, zircone, apatite e ilmenite ; più rari compaiono microclino, rutilo, tormalina, titanite, epidoto ed ematite. Il quarzo, in granuli minuti con debole estinzione ondulata e rara biassicità anomala, è strettamente associato al plagio clasio , la cui composizione corrisponde a quella di un oligoclasio con il 23% di An (7 > co; 2Va = 84°-88", media = 86° — 6 mis). Blande la zonatura e l’alterazione in sericite, rara la geminazione. Una composizione più varia si riscontra invece nei grossi xenoblasti ocellari costituenti la porzione neosomatica degli gneiss epibolitici (2V„ = 81°-93°, media = 86" — 12 mis.). Si osservano in questi ultimi frequenti strutture di accrescimento e implicazione. Abbondante è anche la biotite, in lamine di varie dimensioni corrose, deformate e in parte alterate in clorite. Questa ha debole pleocroismo (oc = verde bruniccio, /? = 7 verde bruno), orienta¬ zione ottica negativa e birifrazione bassa con colori d’ interfe- STUDIO PETROGRAFICO DELL’ALTA VAL VIOLA (SONDRIO) od renza azzurro bluastri. Le lamine inalterate — spesso ricche d’ in¬ clusi — sono pleocroiche dal giallo bruniccio al rosso bruno chiaro. Biotite in grossi pacchetti di lamine assai fresche forma circa il 90% delle biotititi intercalate nelle embrechiti di C. Lago Spalmo. La muscovite si trova in quantità rilevanti nei soli termini micascistosi ove si osservano anche granato, straurolite e cianite. Il primo è in idioblasti di color bruno rosato, talora fratturati e parzialmente cloritizzati ; cianite e staur olite appaiono in feno- blasti quasi completamente sericitizzati. LTn debole pleocroismo dal giallo chiaro al giallo bruno si osserva nei cristalloblasti della seconda. L ’anfibolo è componente subordinato nelle biotititi, fondamen¬ tale nelle anfibolia. I granuli, variamente orientati, in parte cor¬ rosi dal quarzo e spesso ricchi d’ inclusi minutissimi, risultano privi di pleocroismo, hanno colore verde chiaro ad occhio nudo ed appaiono quasi incolori in sezione ; questi caratteri, uniti ad un angolo assiale ottico piuttosto grande e ad un angolo massimo cAy di 18°, corrispondono a quelli di un termine cummingtonitico mediamente magnesifero. Fra gli accessori meno frequenti riveste un certo interesse il microelmo , in minuti granuli negli gneiss intercalati entro le migmatiti del versante sinistro della Val Dosdè. Si tratta quasi certamente del prodotto di una limitata feldspatizzazione. Le embrechiti — particolarmente diffuse nella zona del Corno Dosdè, C. Saoseo, C. Viola e C. Lago Spalmo — hanno colore grigio piuttosto chiaro, patina di alterazione rossastra e bancatura di¬ stinta. La scistosità degli gneiss originari è in genere ben conser¬ vata benché i letti finitici appaiano talvolta discontinui. La va¬ rietà dei tipi è notevole : ho potuto riconoscere embrechiti listate con netta zonatura e marcata scistosità, embrechiti listato -occhia- dine in cui i letti leucocrati tendono talora ad allargarsi in aggre¬ gati lentieolari, embrechiti occhiadine (tab. 2) in cui la zonatura è quasi del tutto scomparsa e la roccia abbonda di grossi occhi quarzoso feldspatici. Ho distinto infine le embrechiti epiboliche corrispondenti ad embrechiti listate in cui si osservano numerose venule concordanti di tipo aplitico. Molto numerosi appaiono in ogni tipo relitti lentiformi di gneiss minuto, per lo più isoorientati. 54 F. PACE All’esame microscopico la roccia rivela una struttura grano- blastica con frequenti accenni alla clastesi. Quarzo, microclino, plagioclasio e biotite sono componenti fondamentali ; subordinati risultano la muscovite, il granato e Panfibolo. Accessori sono epi¬ doto, apatite, zircone, ilmenite, titanite. Il quarzo, in granuli eterodimensionali a contorno quasi sempre suturiforme e forte estinzione ondulata, è sopra tutto ab¬ bondante nei letti leucocrati associato a microclino (2V« = 82,>-84°, media 83° — 13 mis.). Questo, in aggregati di più cristalloblasti, forma per lo più associazioni lenticolari od occhiadine, in cui si riconoscono individui sia pertitici che omogenei. La geminazione « albite-periclino » è frequente benché spesso irregolarmente di¬ stribuita ; numerose appaiono anche le strutture d’ implicazione con il quarzo. Il plagioclasio compare in individui medio piccoli general¬ mente associati alle miche nei letti di paleosoma. La geminazione è rara, per lo più secondo P« albite » ; appena accennata la zona¬ tura, sensibile in alcuni tipi Palterazione in sericite e saussurite distribuite a chiazze alP interno dei granuli. Frequenti le strutture mirmechitiche e le associazioni micropegmatitiche con il quarzo, queste ultime diffuse sopra tutto nelle embrechiti anfiboliche. La composizione media è quella di un oligoclasio con il 18% di An (co = y ; 2V(< = 86°-96°, media = 89° — 37 mis.). La biotite, pleocroica dal giallo bruniccio al rosso bruno, ricorre in lamine sfrangiate, debolmente deformate e con fre¬ quente alone sericitico ai bordi. Numerosi gli inclusi fra cui pre¬ valgono zircone e apatite, debole Palterazione in clorite. La muscovite e subordinata, sempre concresciuta con la biotite. Il granato, generalmente raro, abbonda nelle embrechiti anfi¬ boliche ove appare in fenoblasti associato alP anfibolo. Questo si presenta in individui prismatici isoorientati, ricchi d’ inclusi d’ il¬ menite e fortemente pleocroici dal verde bruno gialliccio al verde cupo. L’angolo massimo c A 7 di 17° corrisponde ad un’orneblenda piuttosto ferrifera. Fra gli accessori è diffuso P epidoto: esso rappresenta con Panfibolo uno dei costituenti fondamentali delle embrechiti anfi¬ boliche di C. Lago Spalmo. Appare in granuli di varie dimensioni, quasi sempre zonati con colori d’interferenza anomali molto vivaci. STUDIO FETKOGKAFICO DELL'ALTA VAL VIOLA ( SONDRIO) 00 Tabella 2. Embrechite occhiadina ; versante destro della Val Dosdè (q. 2700) analisi chimica composizione mineralogica osservata (7o in volume) SiOj 69,06 ALO, 15,11 Quarzo 35,5 Fe203 0,70 Microclino 24,2 FeO 2,35 Plagioclasio 28,2 MnO tracce Biotite 9,1 MgO 1,32 Muscovite 1,3 CaO 2,12 Accessori 1,7 Na20 2,98 100,0 K20 3,95 Tì02 0,40 P205 tracce H.O + 1,47 Analista: F. Pace (1964) HoO- 0,10 99,56 valori Niggli base catanorma si 340 Kp 14 Mt 0,8 al 42,3 Ne 16,7 An 10,7 fm 21,4 Cai 6,4 Or 23,3 Q = 54,1 c alk 10,6 Sp 3,6 Ab 27,7 L = 37,1 25,7 Fs 0,8 Cord 6,6 k 0,46 Fo 1,1 Hy 3,4 M - 8,8 mg 0,44 Fa 2,9 En 1,5 qz 137,2 Ru 0,4 Q 26 Q 54,1 _ 100,0 100,0 56 F, PACE Dal confronto con i parametri di Niggli, risulta che la com¬ posizione chimica dell’embrechite esaminata si avvicina a quella del tipo magmatico adamellitico, mostrando solo un eccesso di si¬ lice e di allumina. Le anatessiti si differenziano dalle embrechiti per una scisto¬ sità poco marcata o del tutto evanescente, con lamine micacee o aggregati di lamine isolati entro una compagine cristallina piut¬ tosto omogenea. Anatessiti di aspetto granitoide, grana medio piccola, elevata compattezza e frequente struttura cataclastica, caratterizzano il piastrone basale del complesso gneissico. Termini occhiadini, a grana grossolana e colore chiaro, ricorrono invece fra le mig- matiti di cresta (P. Dosdè in particolare), ove assai numerosi si rinvengono relitti gneissici fusiformi ed inclusi ovoidi a grana minuta con chiazze feldspatiche irregolarmente distribuite. Altri tipi a tessitura nebulitica affiorano presso il Corno di Dugiirale in intima associazione con gli gneiss epibolitici. Al microscopio si rilevano nelle anatessiti caratteri ideatici a quelli già descritti per le embrechiti : eguale — ad eccezione di qualche componente — è la composizione mineralogica, identiche appaiono le strutture di implicazione, corrosione ed accrescimento. Le principali differenze si osservano nelle anatessiti granitoidi di base ove la muscovite è quasi del tutto assente, titanite ed ortite sono più abbondanti e maggiore diffusione hanno i prodotti diaf- toritici quali sericite, clorite ed epidoto microgranulare. Quanto ai feldspati si trovano all’ incirca nelle stesse propor¬ zioni delle embrechiti. Il feldspato potassico è rappresentato da microclino (2Va = 81°-84n, media = 83° — 15 mis.) sovente per- titico, il plagioclasio, per lo più saussuritizzato, da un oligoclasio con il 18% di An (co = y ; 2 V«— 86—950, media = 90° — 11 mis.). Rispetto alle embrechiti la biotite presenta una più marcata corrosione dei bordi che appaiono spesso disarticolati e circondati da alone sericitico. Nella muscovite, abbondante nei tipi a tessitura nebulitica, si rilevano fenomeni di intensa sostituzione operata dal feldspato potassico. Il granato è sempre cataclastico e in buona parte cloritizzato. La sillimanite, strettamente associata a biotite, è stata da me osservata in un solo campione proveniente dal Passo Dosdè. STUDIO PETROGRAFICO DELL’ALTA VAL VIOLA ( SONDRIO) O l Considerazioni conclusive Le rocce affioranti nell’alta Val Viola appartengono a due complessi rocciosi distinti fra loro per morfologia, litologia e rap¬ porti strutturali. Il complesso scistoso — costituito in prevalenza da micascisti, filladi e quarziti — ha carattere polimetamorfico. L’originaria formazione argilloso-arenacea è stata dapprima interessata da un metamorfismo generale di mesozona piuttosto profonda : in questo ambiente sono cristallizzati biotite, granato e — più rare — cia¬ nite, staurolite e sillimanite. Questi minerali sono poi in parte o del tutto regrediti durante un secondo processo metamorfico di epi- zona, cui è seguito un apporto sodico che ha prodotto la locale albi- tizzazione degli scisti. A questa diaftoresi, esercitatasi in modo selettivo e con intensità crescente da S a N, si deve l’attuale ino¬ mogeneità del complesso scistoso, in cui prevale una facies mica¬ scistosa a meridione ed una filladica a settentrione. Atti defor¬ manti postcristallini hanno infine determinato 1’ insorgere di nu¬ merosissimi piani di scorrimento macro e microscopici. L’ intrusione di masse magmatiche granitiche e granodiori- tiche al Pizzo Bianco e al Passo di Val Viola ha interessato — come risulta dalla successione minerogenica riscontrata nei campioni studiati — una zona piuttosto superficiale della crosta : tale intrusione è stata presumibilmente guidata dalla giacitura subverticale degli scisti incassanti. E’ verosimile che gli affiora¬ menti di rocce granulari rilevati in Val Viola facciano parte di un’ unica manifestazione intrusiva che ha le sue maggiori testimo¬ nianze nella vicina Val di Campo. Quanto ai filoni basici della Val Cantone non ho potuto rac¬ cogliere elementi utili ad accertare un possibile legame con le in¬ trusioni descritte. Penso tuttavia che i filoni e i piccoli ammassi di diabase siano da attribuire ad un plutonismo basico distinto nel tempo da quello di tipo più acido. Il complesso gneissico — formato da gneiss minuti, embre- chiti ed anatessiti — deriva da un’originaria formazione arenaceo- marnosa sottoposta a più fasi, forse anche a più di un ciclo meta¬ morfico. Biotite, granato, cianite e staurolite indicano per il me- F. PACE 58 tamorfismo più antico un ambiente di mesozona. La parziale re¬ gressione di questi minerali — accompagnata dalla cristallizza¬ zione di sericite, clorite ed epidoto — e la contemporanea defor¬ mazione della compagine litica attestano invece un secondo pro¬ cesso metamorfico di epizona. L’ intimo deformarsi della roccia ha probabilmente facilitato durante questo secondo stadio il manife¬ starsi di un apporto alcalino, cui si deve la parziale metasomatosi dei minerali preformati, della muscovite in particolare. La natura di tale apporto è essenzialmente potassica, e in parte forse anche silico-alluminosa, risultando i letti di neosoma e gli aggregati oc- chiadini quasi esclusivamente costituiti da quarzo e microclino. Il plagioclasio, in genere associato ai letti finitici, sembra invece ap¬ partenere al paleosoma di cui condivide la parziale alterazione e le frequenti strutture di corrosione. Nel complesso, le migmatiti descritte si possono ritenere ori¬ ginate per feldspatizzazione selettiva e concordante di una forma¬ zione gneissica a struttura minuta. La selettività del processo è legata alla composizione dei tipi gneissici, alla loro struttura e al- conseguente diverso comportamento meccanico nei confronti delle forze agenti. Tali caratteri, uniti aH’aspetto stratoide e alla man¬ canza di graniti anatettici, mi inducono a collegare questo com¬ plesso migmatico alle « migmatiti stratoidi » descritte da Jung et Jtoques (5). Milano, Istituto di Mineralogia, Petrografia e Geochimica delV Univer¬ sità, settembre 1965. Riassunto Si espongono i risultati delle ricerche petrografic-he condotte sulle for¬ mazioni rocciose dell’alta Val Viola (Sondrio). Nell’area rilevata si è riconosciuto a N un complesso micascistoso-filla- dico, a S un complesso gneissico con diffusi fenomeni migmatici. Si sono distinte nel primo complesso una facies micascistosa a biotite, muscovite e granato, ed una facies filladica a sericite e clorite. Nel secondo complesso è stata rilevata dal basso verso l’alto la succes¬ sione di anatessiti biotitico-granatifere, di gneiss minuti a due miche e di migmatiti indistinte con particolare prevalenza di embrec-hiti occhiadine bio- titico-muscovitiche. Si è osservato che tutte le metamorfiti studiate presentano i caratteri di un duplice metamorfismo, che fu dapprima mesozonale, successivamente STUDIO PETROGRAFICO DELL’ALTA VAL VIOLA (SONDRIO) 59 di epizona con regressione più o meno profonda dei minerali preformati. Si è inoltre manifestato negli gneiss un apporto prevalentemente potassico sin- postcinematico a carattere selettivo e concordante. Entro gli scisti sono stati anche osservati piccoli ammassi granitici e granodioritici e numerosi filoni di diabase microgranulare. Summary In this paper you will find thè results of thè petrographycal researches carried out on thè rocky formation at thè upper Viola Valley (Sondrio). In thè area we considered, a micaschist-phyllite complex to thè North, and a gneissic one with diffused migmatic phenomena to thè South, have been identified. In thè first complex we could distinguisi! a biotite-muscovite-garnet facies and a sericite-chlorite-phylìite one. In thè second complex we could notice, from down upward, a series of biotite-garnet anatexites, of fine-grained two micas-bearing gneisses and of indistinct migmatites in which some biotite-muscovite augen embrechites were prevalent. All thè metamorphic rocks we have surveyed are characterized by a doublé metamorphism which was at first mesozonal, then epizonal with a higher or lesser retrocession of thè minerals preformed. We could also notice in thè gneisses a potassium sin-postkinematic metasomatism with a selective and concordant character. In thè schists there are also small granitic and granodioritic masses and a large number of layers of microgranular diabase. BIBLIOGRAFIA (1) Andreatta C., 1954 - La Val di Peio e la catena Vioz-Cevedale. Acta geol. Alpina, n. 5, Bologna. (2) Burri C., 1959 - Petrochemische Berechnungsmetoden auf Aequivalenter Grundlage, Stuttgart, pp. 334. (3) D’Amico C., 1961 - Sulla utilizzazione del concetto di metablastesi per molte metamorfiti sudalpine. Rend. Soc. Min. It., voi. 17, pp. 219-244. (4) De Michele E., 1963 - Migmatiti della Val di Sacco (Val Grosina, Son¬ drio). Atti Soc. It. Se. Nat., voi. CII, Fase. IL (5) Jung J. - Roques M., 1952 - Introduction à l’étude zonéographique des formations cristallophylliennes. Bull. Serv. Carte Geol. France, n. 235, voi. 50, pp. 1-62. (6) Koenig M. A., 1964 - Geologisch-petrographische Untersuchungen im oberen Veltlin. Tesi di laurea per il dottorato, E. T. H., Ziirich, pp. 187. (7) Malaroda R. - Schiavinato G., 1958 - Le anatessiti dell’Argentera. Rend. Soc. Min. It., voi. 14, pp. 249-274. (8) Piccoli G., 1958 - Il problema delle migmatiti attraverso mezzo secolo di ricerche. Periodico di Mineralogia, Roma, pp. 1 -87. 5 F. PACE 60 (9) Potenza R., 1963 - La serie micascistoso— filladiea dell’alta Valtellina. Rend. Ist. Loìnb. Se. Leti., voi. 97, pp. 417-432. (10) Staub R., 1912-45 - Geologiche Karte der Bernina Gruppe. Schweiz . Geol. Komvi., Spezialkarte 90, 1:50000. «'11) Theobald T., 1866 - Die siidostlichen Gebirge von Graubunden. Beiti\ Geol. Karte d. Schweiz., Chur, 3 Lief. Bd. 15. (12) Troger W. E., 1956 - Optische Bestinnnung der gesteinsbildenden Mine¬ rale. Stuttgart, pp. 147. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II Schizzo geologico-petrografico dell’ alta Val Viola (Sondrio) . 1. Quaternario: morenico (coi principali cordoni), detrito, alluvioni e ghiac¬ ciai. - 2. Paragneiss minuti a due miche. - 3. Migmatiti indistinte con parti¬ colare prevalenza di embreehiti biotitico-muscovitic-he. - 4. Anatessiti bioti- tico-granatifere. - 5. Quarziti. - 6. Filladi quarzifere, localmente albitizzate. - 7. Micascisti granatiferi. - 8. Graniti e granodioriti. - 9. Filoni di porfiriti labradoritiche. - 10. Filoni e piccoli ammassi di diabasi. - 11. Cataclasiti, mi- loniti e zone tettonizzate su anatessiti (4) e micascisti (7). F. PACE - Studio petrografico dell’alta Val Viola (Sondrio) Atti Soc. It. Se. Nat. Voi. C V, Tav. II PZembrasca M.Val 3160 M. I ferva / ^ . . A POosde' / ' ' X3280 // / /y SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA III Fig. 1. Fig. 2. Fig. 3. Fig. 4. — Granito (Pizzo Bianco). Porfiroblasto di microclino con smista¬ menti micropertitici e inclusi di plagioclasio saussuritizzato. Nicols -f, ingr. 20 — Gneiss epibolitico (Corno di Dùgùrale). Porfiroblasto di oligoclasio a struttura peciloblastica. Nicols -f ingr 130 — Embrechite anfibolica (Cima Lago Spalmo). Implicazioni micro- pegmatitiche in un cristalloblasto di oligoclasio. Nicols +, ingr. 150 — Anatessite (Corno di Dùgùrale). Lamine di muscovite corrose e sostituite dal feldspato potassico microgranulare. Nicols +, ingr. 130 F PAGE --Studio petrografico dell’alta Val Viola Atti Soc. It. Se. Nat. Voi. CV, Tav. Ili Fig. 3. Fi g. 4. Giovanni Àbrami IPOTESI SULL’ EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA ED IDROLOGIA CARSICA (*) Premessa Il presente lavoro nasce dopo una serie di ricerche ed osser¬ vazioni, in parte già pubblicate, svolte specialmente nelle regioni venete del Montello, dell’Altipiano dei Sette Comuni, del Cansiglio e del Carso Triestino. Esso, tenendo presenti le conoscenze finora acquisite specie da alcune scuole di speleologia italiane e straniere, vuole tentare di esporre una visione unitaria dell’evoluzione del carsismo. E* parso con ciò necessario spesso il proporre una rivalutazione di termini e concetti C). D’altra parte non sono stati considerati problemi come quelli relativi ai processi di sedimentazione e quindi di riempimento delle cavità sotterranee, ed altri ancora che meriterebbero una diffusa trattazione a parte. Considerazioni generali e definizioni La circolazione idrica nelle rocce carsificabili è un caso par¬ ticolare che riguarda P invasione della crosta terrestre da parte delle acque. Diremo che questa condizione, se è dovuta potenzial- (*) Lavoro eseguito e pubblicato con il contributo del Comitato Scienti¬ fico Centrale del Club Alpino Italiano. Ringrazio vivamente il chiar.mo Prof. Giuseppe Nangeroni per i preziosi consigli e per il Suo interessamento. (1) P. Chiesa (1963), rileva la necessità di una elaborazione delle teorie speleogenetiche utilizzando più ampiamente le leggi dell’ idraulica, della mec¬ canica e della fisico-chimica, in quanto secondo 1’ Autore, qualsiasi interpre¬ tazione puramente qualitativa dei fenomeni, non può che indurre a visioni spesso parziali o suggestive che non sentono l’esigenza di una rigorosa im¬ postazione dei problemi e di una riconferma delle soluzioni proposte. tfL, G. ÀBRAMI mente al sollevamento delle regioni montuose rispetto al livello del mare, è influenzata e resa possibile spesso dall’ incisione delle valli da parte dei corsi superficiali e quindi da un dislivello immediato » che più in generale potremo dire sussiste fra una circolazione su¬ perficiale ad una quota più elevata, ed un’altra a quota più bassa. Naturalmente saranno dei corsi superficiali che innanzitutto si incaricheranno del relativo trasporto delle masse d’acqua ; queste cioè per legge di gravità tenderanno a scendere verso il basso. E’ chiaro però che passando al livello inferiore, l’acqua sarà capace di produrre un certo lavoro, lavoro misurato dalla corri¬ spondente diminuzione della sua energia potenziale o cinetica. Si formeranno in pratica profonde erosioni nei fianchi delle vallate. Attualmente però si osserva che in moltissime regioni montuose, non tutta l’acqua supera il dislivello attraverso corsi superficiali, anzi in certi casi essi si presentano del tutto inattivi. L’acqua deve aver cioè trovato naturalmente altre vie per su¬ perare il dislivello ; queste sono rappresentate dai corsi sotterranei. Le masse d’acqua tendono infatti sempre a seguire la via più verticale o diretta nel superamento di un dislivello e ciò per la stessa forza di gravità. Le fratture della massa rocciosa e quindi la sua permeabilità devono offrire proprio tale possibilità. Il lavoro globale dell’acqua nelle cavità sotterranee potremo considerarlo grosso modo uguale a quello di prima, ma è chiaro che vi saranno condizioni diverse in cui l’acqua stessa viene ad agire. Parleremo così di una azione chimica di corrosione e fisica di erosione combinate in tutti i rapporti possibili a seconda dei vari tipi di roccia (2). In genere appare diffìcile il poter calcolare tale rapporto, per la difficoltà di stabilire le variabili che lo determinano. Per quanto riguarda la solubilità della roccia, l’esperienza ci può dimostrare per esempio che, se questa è condizione partico¬ larmente importante ai fini di rendere possibile la formazione di (■) J. Roglic (1957), A. Pasa (1959), ed altri Autori, sottolineano Tini- portanza dei processi biochimici e pedologici dai quali deriverebbe in gran parte la possibilità di dissoluzione delle rocce calcaree. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA 63 imponenti cavità e di altri fenomeni relativi, il suo alto valore non è indispensabile ai fini dello sviluppo di una qualsiasi circolazione sotterranea (3). Noi ci riferiremo sempre nel presente lavoro ad una circola¬ zione sotterranea quale può stabilirsi in un qualsiasi massiccio montuoso aldisopra di un determinato livello di base. Si parlerà perciò di carsismo, di idrologia carsica o di fenomeni carsici, con¬ siderando le conseguenze di detta circolazione nei vari tipi di strut¬ ture rocciose (4). Sarà utile ora chiarire ciò che noi intendiamo per com¬ plesso carsico e per sistema carsico. Nel primo caso ci riferiremo a tutti i fenomeni carsici, sia superficiali che profondi, che interessano tutta una determinata regione con caratteristiche strutturali-litologiche uniformi. Tanto per fare un esempio diremo che 1’ Altipiano dei Sette Comuni è un complesso carsico delimitato a Nord ed ad Est dalla Val del Brenta o Valsugana, a Sud dalla pianura ed ad Ovest dalla Val d’ Astico. Detto complesso, che appare così ben definito nei suoi limiti idrografici, presenta una serie di sistemi carsici più o meno attivi e sviluppati con scarico nei diversi versanti. Per sistema carsico intendiamo tutti quei fenomeni legati allo sviluppo di una ben differenziata condotta sotterranea che interessa una definita area di assorbimento ed uno scarico loca¬ lizzato in un determinato versante. Il sistema dell’ Olierò è ad esempio il principale sistema di scarico che attualmente interessa lo stesso complesso dell’Altipiano dei Sette Comuni. (:;) M. Gortani (1934), distingue una idrografia carsica da una idro¬ grafia sotterranea non carsica. Considera però la prima come un caso parti¬ colare della circolazione idrica in rocce fessurate. In un lavoro successivo (1937), parla poi di aree carsiche e semicarsiche attraverso un criterio geo¬ logico di cui disporre per compilare le carte della permeabilità delle rocce. F. Anelli (1963), parla di fenomeni carsici, paracarsici e pseudocarsici, po¬ nendoli essenzialmente in relazione al grado di solubilità delle rocce. G) Numerosi Autori lasciano intravvedere la necessità di cogliere un aspetto universale per la circolazione nelle rocce fessurate. G. Perna (1955), A. Cavaille (1962), per esempio, tentano di definire alcuni aspetti della circolazione sotterranea riferendoli a sistemi carsici teorici. ( >4 G. ÀBRAMI Le fasi dell’evoiuzione della circolazione sotterranea Abbiamo, sia pur brevemente, introdotto alcune osservazioni iniziali su una regione carsificabile, nella quale cioè esistono le premesse per lo sviluppo dei sistemi carsici. Si accetta con ciò V ipotesi di una primitiva lenta invasione da parte delle acque, di tutta la massa rocciosa, attraverso le fes¬ sure e con varie modalità a seconda del tipo di struttura rocciosa. Con ciò ci si riallaccia a quelle che sono le vedute sulla penetra¬ zione in profondità delle acque meteoriche con formazione relativa di una falda freatica, ormai classiche per 1’ idrografia sotter¬ ranea C). Precisamente diremo che questa è condizione prima e necessaria per la evoluzione di un qualsiasi sistema carsico. In questa situazione 1’ acqua non modifica che ben poco la struttura degli spazi liberi, anche se la roccia può in effetti subire un attacco chimico specie ove avviene, come ai margini della falda, un certo ricambio idrico. Non possiamo certo dire quanto questo fatto possa influire sulla evoluzione successiva dell’ idrologia sot¬ terranea, ma è certo che sviluppati sistemi di fratture possono d’ altro canto in rocce chimicamente più resistenti, compensare questa primitiva azione chimica. In detta situazione (se riteniamo minime le perdite della falda), la circolazione attiva di superficie, può permanere favorita da questa specie di cuscinetto idrico sot¬ terraneo. In seguito però, con l’approfondimento dei principali corsi superficiali e con la formazione relativa delle valli esterne, le masse rocciose vengono direttamente a trovarsi scoperte da più lati. E’ importante ricordare a questo punto i concetti di livello di base locale, considerato come il livello più basso verso cui (5) A. Grund (1903), riporta il concetto dell’acqua di fondo per i mas¬ sicci calcarei. L’acqua cioè riempirebbe tutte le fessure o le cavità al disotto di un dato livello che oscillerebbe verso l’alto o verso il basso a seconda delle vicende meteoriche. Tale concetto verrà poi ripreso da numerosi altri Autori di tutte le scuole. E. A. Martel (1921), è dell’opinione invece, e come lui altri Autori specie della scuola francese, che le acque nei terreni calcarei circolerebbero in vene, ruscelli o fiumi, similmente ai corsi superficiali. Secondo 1’ Autore manche¬ rebbero cioè vere falde acquee secondo quanto succede per i terreni d’ im¬ bibizione. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA 67 si convogliano e scorrono le masse idriche di superficie in un de¬ terminato luogo; di livello di base regionale, che può essere dato da un lago o da un penepiano in cui convergono i fiumi ; ed infine di livello di base universale dato dalla superficie del mare (6). I vari livelli sono fra loro dipendenti, precisamente il mare rappresenta il limite della evoluzione dei livelli di base. Per una regione circoscritta, il fiume segna invece il limite dei livelli di base locali. Parlando a sua volta di livello di base carsico, noi di¬ remo che è il livello più basso entro una massa rocciosa, in cui avviene una veloce ed organizzata circolazione delle correnti idriche ("). Esso può coincidere o meno con la superficie libera della falda sotterranea o specchio freatico, ma in ogni caso esse tende a portarsi al livello di questo. Sia Fimo che l’altro tendono peraltro a portarsi al livello di base locale. Vedremo ora come può instaurarsi una veloce circolazione all’ interno delle masse rocciose e quali possono essere i vari mo¬ menti di questa evoluzione. Abbiamo detto che con l’escavazione delle valli e quindi con un notevole abbassamento del livello di base locale, le masse roc- (,;) M. Gortani (1934), è dell’opinione che il fenomeno carsico sia intima¬ mente connesso con la posizione locale del livello di base e parla di una dipen¬ denza dei sistemi sotterranei dai livelli di sbocco e quindi dall’escavazione valliva. Secondo 1’ Autore si ha quindi una correlazione fra fenomeno carsico e le fasi del ciclo d’erosione esterna. Tali opinioni sono riportate anche da altri Autori. Per esempio H. P. Woodward (1963), riassumendo un po’ concetti propri -della scuola americana, riporta una classificazione dei livelli di base che è stata ripresa in parte in questo lavoro. (7) La questione del livello di base viene riportata da A. Bourgin (1945), al seguente schema: 1) l’idrologia carsica deriva da una situazione preesi¬ stente nella fessurazione derivata per cause tettoniche; 2) le condizioni stra¬ tigrafiche e non topografiche giocano un ruolo importante per la traccia -delle condotte, per i punti d’emergenza, ecc.; 3) le fessure capillari non hanno importanza per l’idrografia carsica; non si può quindi stabilire un qualche livello di base idrostatico; 4) può esistere, nei sistemi delle condotte carsiche, una zona con circolazione sotto pressione da considerarsi a carattere temporaneo e una zona con circolazione libera; 5) l’infossamento delle acque fa diminuire la zona a circolazione sotto pressione; 6) le riserve idriche ne: terreni carsici sono nulle, cioè il regime dei corsi sotterranei è torrentizio; 7) il ciclo carsico si chiude quando tutta la circolazione ridiventa libera. G. ÀBRAMI 66 ciose vengono a trovarsi scoperte ai lati. In queste condizioni la falda acquifera diverrà libera (falda libera) e quindi aumente¬ ranno sensibilmente le perdite idriche per evaporazione o per fuo¬ riuscita attraverso le fessure specie nelle zone più prossime al livello di base locale. S’ inizierà così una sensibile circolazione dell’acqua all’ interno della massa rocciosa, sia pure contrastata dalla ristrettezza dei passaggi e dall’adesione delle molecole fluide alla roccia. Vengono in tal modo a crearsi le condizioni per una più attiva opera di soluzione da parte dell’acqua (s). La falda però tenderà ancor più ad abbassarsi specie sui fianchi, mentre più attivo diviene l’assorbimento in superficie per reintegrare le perdite idriche. In definitiva vengono a crearsi le premesse per una circolazione veloce ed organizzata che riguar¬ derà tutta la massa rocciosa; chiameremo questa situazione fase p re-carsica. Infatti se consideriamo 1’esistenza di uno scarico favorito at¬ traverso le fratture della massa rocciosa o attraverso 1’ interstrato od in qualsiasi altra situazione, ma in ogni caso situato molto vicino al livello di base locale, è facile prevedere come in sua relazione si potrà avere un particolare incremento della circola¬ zione sotterranea. In questo caso avremo il massimo dislivello possibile in quel momento rispetto alla superficie assorbente, quindi massima pres¬ sione idrostatica data dalla falda contenuta nella massa rocciosa aldisopra dello stesso punto di scarico (9). Non sarà poi ancora difficile prevedere ben presto la forma¬ zione di una condotta che dal punto di scarico tenderà a svilup¬ parsi verso 1’ interno del massiccio roccioso. Ma quali saranno almeno inizialmente la direzione e le condi¬ zioni di tale sviluppo ? C) J. H. Gardner (1935), esprime il parere che lungo le fratture satu¬ rate dall’acqua avvengono soluzioni di modesta entità, mentre l’azione deter¬ minante viene esercitata da un flusso attivo verso il basso per gravità. (■’) J. H. Gardner (1935), nella sua teoria d’invasione, parla di una speleogenesi attivata dal basso, attraverso uno sbocco da cui l’acqua di infil¬ trazione o d’altra origine, può essere evacuata. L’acqua sotterranea statica, trovantesi in una zona freatica superiore, secondo 1’ Autore viene messa in moto verso il basso in seguito all’approfondimento di una vallata, fatto che permette all’acqua rinchiusa di uscire all’aperto. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA li 7 E’ evidente in questo senso 1’ importanza della situazione strutturale della massa rocciosa ed eventualmente un certo lavoro di allargamento delle fessure già fatto dall’acqua come s’è detto precedentemente (10). In ogni caso il processo di sviluppo di una condotta interessata ad una veloce circolazione idrica non può essere improvviso. Particolare importanza deve avere poi il livello della falda freatica ; essa come s’é detto dipenderà dalla quantità delle pre¬ cipitazioni e quindi dalle perdite nei vari punti all’esterno. Se noi ora pensiamo che il livello stesso rimanga abbastanza costante in un certo periodo di tempo, possiamo dire che V incre¬ mento dello scarico nel punto favorito, sarà uguale alla diminu¬ zione globale delle perdite negli altri punti della falda libera. Po¬ tremo ancora dire con sufficiente probabilità che in questa situa¬ zione si svilupperà verso 1’ interno quella condotta la cui pendenza più si avvicina a quella media dello specchio freatico. Questa condotta potremo considerarla la prima via a circola¬ zione attiva e veloce che s’ incarica di portare all’esterno le acque che tendono a far aumentare il livello della falda stabilitasi in quelle condizioni. Chiameremo questo stadio fase giovanile del sistema carsico. D’altra parte aggiungeremo che se la situazione dello specchio freatico in un certo momento (esso è in genere rappresentabile con una curva) tende a determinare la pendenza della condotta, il culmine della falda e cioè il punto più alto dello stesso specchio freatico, potrà essere considerato quale punto più interno od ini¬ ziale della condotta in questione. Chiameremo questo punto di apporto. Si potrà in conclusione rappresentare teoricamente la con¬ dotta nella fase giovanile, con un segmento che unirà il culmine della falda freatica con il punto di scarico (Fig. 1 : f. g.). Tale situazione rappresenterebbe, qualora potesse realizzarsi in questo modo, la strada più corta nel superamento del dislivello (’") H. Lehman (1932), ritiene indispensabile per lo sviluppo della idro¬ grafia carsica la presenza di cavità o vani interni originati per cause tetto¬ niche, atti ad impartire una caratteristica propria al deflusso sotterraneo fin dall’ inizio. Egli parla anche di una circolazione sotterranea a carattere torrentizio ed indipendente con zone a circolazione libera o sotto pressione. G. AERAMI ih S utilizzabile nella massa rocciosa da una determinata massa di acqua. Vediamo ora quali sono i fatti che caratterizzano questa fase giovanile. La traccia della prima condotta stabile, ove Y acqua tende sempre ad aprirsi un passaggio più agevole, suddivide la massa rocciosa in due zone. La superiore o zona di per colamento , è inte¬ ressata da una attiva circolazione sia pure a carattere lamellare fra le diaclasi e le altre fessure, che porta l’acqua dalla superficie verso vari punti della condotta differenziata o verso lo specchio freatico. Attraverso però le fessure più o meno ampliate dalla precedente storia evolutiva e collegate con la condotta, la possi¬ bilità del percolamento e quindi di un richiamo per tutta la massa idrica, è maggiore; l’acqua scendendo inizia un processo per il quale le fessure stesse vengono ad ampliarsi soprattutto dal basso verso l’alto (camini di percolamento); s’inizia in pratica il pro¬ cesso dell’erosione inversa del quale parleremo più avanti. Con l’ attivazione del percolamento, anche 1’ assorbimento idrico delle acque superficiali diviene via via più intenso, favorito a sua volta da eventuali diramazioni secondarie della condotta stessa. A questo punto possiamo considerare che abbia inizio, specie in corrispondenza delle fratture e dei punti di assorbimento più attivi, la evoluzione di forme carsiche superficiali. L’evoluzione di alcune forme superfciali, comunque, sarà trat¬ tata più avanti. Tornando invece alla nostra massa rocciosa, osserveremo una seconda zona che sarà sottostante alla condotta di cui parlavamo. Essa manterrà le caratteristiche di una zona freatica il cui livello sarà ancora sostenuto dall’area percolante (n). La falda agirà così, questa volta rispetto alla condotta sotterranea, da cu¬ scinetto idrico. (n) J. Cvuic (1918), definisce per un massiccio carsico tre zone idrau¬ liche : una zona secca, considerata nella parte più alta della massa carsica, percorsa dall’acqua solo dopo il periodo delle pioggie, una zona di transizione idrografica, con vene d’acqua costanti e con circolazione ostacolata eventual¬ mente dalla ristrettezza dei passaggi, ed una zona costantemente percorsa dall’acqua, in cui tutte le fessure sono impregnate. Le tre zone tenderebbero ad evolversi progressivamente verso il basso. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA (><( Bisogna sottolineare però che in questo caso, la condotta stessa indurrà una certa circolazione all’ interno della falda perdendo od assorbendo da questa parte dell’acqua. L’ulteriore sviluppo della condotta porta ben presto però de: fatti nuovi. L’azione di allargamento dovuta alle masse fluide porta la condotta stessa, specie nei periodi di bassa alimentazione idrica, dallo stato primitivo, per cui possiamo presumere una circolazione Fig. 1. — Schema dell’evoluzione di un sistema carsico teorico. A.O. = asintoto orizzontale, A.V. = asintoto verticale, c.a. = centro di apporto, c.s. = condotta secondaria, f.g. = fase giovanile, p.s. = punto di scarico: (altre spiegazioni nel testo). delle masse fluide a pressione, ad una situazione con scorrimento a pelo libero. Diremo cioè che la capacità di trasporto e scarico in questo caso diviene notevolmente superiore alla massa d’acqua disponibile per una veloce circolazione. Chiameremo questo stadio dell’evoluzione del sistema carsico, fase matura. La condotta ora tenderà a richiamare ancora più attivamente le correnti idriche dalla zona di percolamento. Di conseguenza si avrà una diminuzione sensibile dell’alimen- tazione della zona freatica, che tenderà via via ad abbassarsi. A sua volta questo fatto favorirà ogni processo che porterà ad un approfondimento della circolazione veloce. Verranno in pra¬ tica a formarsi nuove condotte. Precisamente a monte potranno 70 G. ÀBRAMI prevalere condotte verticali, attraverso cui l’acqua tenderà a ri¬ portarsi, allargando sempre più le fessure del fondo della con¬ dotta primitiva ed attraverso la strada più diretta, ai nuovi livelli della falda freatica. A valle della stessa condotta, se consideriamo costante il livello del punto di scarico, lo stesso processo favorirà lo sviluppo di quelle condotte che avranno la pendenza minore, che cioè a loro volta tenderanno a riportare sullo specchio freatico il livello a cui avviene la circolazione veloce. Di fatto diremo che nel primo caso, cioè a monte, la condotta tende ad una situazione di verticalità (chiameremo questo tratto condotta collettrice di apporto ), mentre il tratto più a valle tende ad una situazione di orizzontalità ( condotta colletrìce di scarico). La Fig. 1 riassume i concetti proposti con un grafico, che vuol rappresentare i momenti caratteristici di questa evoluzione. Da uno stato iniziale- con circolazione a pressione (fase gio¬ vanile, rappresentata teoricamente dalla linea che unisce il punto di apporto con il punto di scarico, e che viene ad essere così l’ipo- tenusa del triangolo riportato), noi possiamo osservare per la con¬ dotta uno stato intermedio, ricostruendo una curva in base alle profondità massime raggiunte dalla condotta stessa in quella si¬ tuazione. Il limite del processo di approfondimento, è rappresen¬ tato dai due lati del triangolo retto, essi sono cioè lo stato limite (asintoti) a cui tende la curva che rappresenta la situazione della condotta, curva che possiamo sempre far risalire al tipo delle equilatere. E’ opportuno far osservare come nella situazione limite, il li¬ vello dello specchio freatico, mentre corrisponde praticamente con quello della condotta di scarico, coincide in tutta la sua estensione col livello di base locale. Tale situazione ancora, giustifica un sistema carsico di equilibrio, nel quale cioè è minimo il lavoro delle masse idriche sulla roccia. Infatti un tale sistema ha una condotta verticale, at¬ traverso la quale l’acqua dalla superficie può attraversare, secondo la via più diretta, la massa rocciosa facendo il minor lavoro pos¬ sibile, cioè « cadendo a vuoto ». L’energia cinetica accumulata nella caduta libera, produrrà però un lavoro nel punto di caduta, provocando per esempio infos¬ samenti. Lo scarico attraverso il tratto orizzontale sarà invece lento e continuo. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA 71 Osservando ora le condotte che via via vengono abbandonate dalle correnti attive, vedremo una serie di fenomeni dovuti ad una circolazione e percolamento residui ; parleremo cioè di una fase senile (12). In pratica si osserva però, che nel processo che tende a por¬ tare naturalmente le condotte verso uno stato limite e quindi il fenomeno carsico ad uno stato di equilibrio, si viene a sovrapporre un secondo fatto, che riguarda più in generale il fenomeno del- l’abbassamento dei livelli di base. Con l’approfondimento della valle all’esterno infatti, il pri¬ mitivo punto di scarico viene a trovarsi « sospeso » ad un livello sempre più alto rispetto al corso del fiume. In tal modo la condotta primitiva potrà avere, specie nelle zone più vicine allo sbocco, delle perdite per drenaggio attraverso le fessure del fondo, specie se queste permettono una circolazione sempre più intensa verso nuovi sbocchi sottostanti. Tale processo, analogo a quello che abbiamo già visto per la condotta di apporto, anche in questo caso sarà determinato da un abbassarsi della falda freatica nella massa rocciosa, in relazione a perdite maggiori lungo il tratto scoperto dall’approfondimento vallivo e particolarmente a sua volta attraverso il nuovo sbocco in via di formazione. Riferendoci allo schema rappresentato, dovremo così trac¬ ciare a questo punto un altro segmento, che rappresenti un altro asintoto orizzontale quale nuovo stato limite per l’evoluzione delle condotte di scarico del sistema considerato. A sua volta per le con¬ dotte di apporto, noi parleremo di un approfondimento delle vo¬ ragini. Chiameremo tutta questa nuova serie di fenomeni che porte¬ ranno ad una nuova situazione tutto il sistema carsico, fase di ringiovanimento (13). (12) Come è stato accennato, già all’ inizio, questa fase è caratterizzata dal fenomeno del riempimento. Esiste tutta una letteratura che ha affrontato i problemi ad esso connessi. Qui ricordiamo ad esempio il lavoro del Trimmel, e altri interessanti lavori presentati al Symp. Intera, di Spel. (Varenna, 1960). (13) Fase pre-carsica, fase giovanile, fase matura e fase di ringiovanimento, acquistano nel presente lavoro un loro particolare signi¬ ficato che non può prescindere dallo schema dell’evoluzione come qui viene proposto. Vari Autori, a seconda delle singole esperienze avute nello studio 72 G. ÀBRAMI In realtà su tale processo possono influire svariate condizioni locali, per cui vi saranno particolari modalità con cui i sistemi carsici potranno raggiungere le situazioni d’equilibrio. Vedremo poi per esempio la formazione dei sifoni. Parlando ora di complessi carsici, noi osserveremo come in genere ci si trovi alla presenza di più sistemi, in relazione a di¬ versi punti di scarico (14). Ognuno di essi, una volta stabilitosi, nella sua evoluzione ten¬ derà a contendere agli altri le masse d’acqua disponibili all’ in¬ terno di uno stesso massiccio roccioso. Si osserva così che in genere sono i sistemi con il punto di scarico posto al livello più basso che tendono a prevalere. Questo fatto porta spesso, specie in rocce altamente carsificabili, alla pre¬ valenza assoluta di un sistema la cui condotta di scarico assume l’aspetto imponente di un vero fiume sotterraneo ; un esempio è dato dal fiume Timavo, ma si hanno in natura altri numerosissimi casi. Vedremo comunque in seguito meglio questi ultimi fatti. E’ giunto infine il momento di dire che noi considereremo la cattura di un attivo corso superficiale che può interessare una re¬ gione carsificabile, come causa postuma dell’evoluzione dei sistemi carsici. Diremo cioè che, se la presenza di notevoli masse d’acqua dei complessi carsici, danno spesso un diverso significato ad analoghi ter¬ mini, limitando la definizione solo a particolari aspetti delle situazioni os¬ servate. Anche i termini: ciclo, fase o periodo, assumono diverso significato a seconda degli Autori. E. Feruglio (1923), per esempio, nel suo lavoro ove espone una visione unitaria del fenomeno carsico per un intero complesso, parla di più cicli erosivi corrispondenti a vari livelli in cui osserva lo sbocco delle sorgenti. Riferendoci anche ad altri lavori, noi diremo comunque che è sempre inesatto parlare di cicli nel significato di ritorno periodico per i sistemi carsici, di condizioni più o meno simili. Con ciò infatti ci si potrebbe ricol¬ legare solo all’ influenza eventuale delle condizioni climatiche che non sono però che una delle variabili che incidono sul processo generale di approfon¬ dimento. Questo infatti può essere sì interessato da varie fasi o stati inter¬ medi più o meno definibili, ma sempre da inquadrarsi nel processo generale 0 continuo che tende a portare la circolazione sotterranea verso uno stato limite di equilibrio rispetto al livello di base esterno più basso. (14) H. Lehman (1932), ed altri Autori, hanno particolarmente notato come si osservi spesso un piccolo numero di risorgive rispetto alla quantità delle bocche assorbenti. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA i •_> in determinati punti può favorire la formazione di condotte attive in loro più diretta corrispondenza, la capacità dello scarico al- l’esterno e quindi l’evoluzione di una attiva condotta sottterranea, condiziona il graduale assorbimento del corso d’acqua stesso. Questo non è quindi che un caso particolare nel quale consi¬ dereremo il corso d’acqua in un certo modo come la prima con¬ dotta carsica al livello più alto (* * * 4 * 6 * * * * * * * * 15). Alcuni problemi relativi alle forme superficiali e profonde a) Doline - Abbiamo visto come l’evoluzione delle forme su¬ perficiali venga posta in relazione ad un incremento dell’attività di assorbimento e quindi di dilavamento e trasporto, per il costi¬ tuirsi di una idrografia profonda rappresentata da una condotta che s’ incarica di uno scarico rapido e continuo verso un determi¬ nato punto all’esterno (16). (13) H. P. Woodward (1963), presenta una teoria sulla evoluzione della idrografia carsica definendola di « cattura dei corsi d’acqua ». Essa può es¬ sere schematizzata attraverso la seguente cronistoria speleogenetica: 1) area geografica favorevole e condizioni strutturali opportune; 2) periodo lento di soluzione chimica della roccia lungo fratture e fessure, sia nella zona d’ infil¬ trazione (= percolamento o vadosa), che freatica; 3) flusso lento dell’acqua a livello dello specchio freatico, che non può però formare rilevanti cavità ; 4) a causa di una discordanza improvvisa fra i livelli di base, s’ inizia un flusso turbolento ed attivo a livello dello specchio freatico con formazione di cavità; 5) tale improvvisa attivazione provoca cattura di corsi superficiali; 6) si arriverà, dopo scomparsa del livello stesso, ad una situazione con nuovo flusso lento. (1G) J. Cvuic (1918), pone una relazione fra la evoluzione dei sistemi pro¬ fondi e la morfologia carsica superficiale. Egli parla di una P fase con zona idrografica sotterranea unica d’ impregnazione omogenea a cui corrispondono in superficie valli normali o tutt’alpiù piccole doline. Ad una IIa fase si ha la costituzione delle 3 zone idrografiche (V. pag. 7) a sua volta, con sviluppo in superficie di valli precarsiche e quindi di molte doline che si evolvono verso la situazione ad uvala e poi a polje. Alla IIP fase le forme scompaiono ove viene eventualmente ad essere messo in luce un basamento roccioso im¬ permeabile. Dalle forme concresciute e fuse si passa a vere valli carsiche, corrispondentemente si ha appiattimento delle polja. Infine si avrebbe una IY:l fase in cui il calcare sparisce, sostituendosi una idrografia superficiale nor¬ male sul terreno impermeabile. L’Autore, come si può notare considera un vasto complesso di situazioni; nella nostra relazione ci si limita ad un caso più definito e limitato nella sua evoluzione. 74 G. AERAMI E’ chiaro come la presenza di profonde diaclasi sia una con¬ dizione determinante per l’evoluzione della morfologia carsica su¬ perficiale, e quindi per rendere possibile l’attività di erosione-cor¬ rosione in loro corrispondenza (1T). Tale attività è legata a quel tipo di minima circolazione superficiale che viene a realizzarsi subito dopo le precipitazioni a contatto con i primi strati rocciosi. La fig. 2 vuole rappresentare uno schema teorico di evolu¬ zione ordinata limitato alle forme dolinari, partendo da una deter¬ minata situazione iniziale. Se in effetti possiamo considerare una morfologia dipendente anche da fattori spesso eterogenei, per cui una stessa forma può essere dovuta a cause diverse, un’analisi statistica delle varie forme superficiali di un complesso carsico, può dare sempre dei dati significativi alfine di individuare una storia evolutiva del tipo di quella proposta (1S). Osservando sempre lo schema, diremo che la prima comunica¬ zione fra la circolazione superficiale e profonda avviene attra¬ verso la diaclase D. Con l’attivazione del percolamento, attraverso la fessura co¬ mincia ad aversi una regolare circolazione delle lamelle idriche. L’alimentazione sarà a carico di un’area Ad circoscritta attorno alla fessura. Avrà così inizio il processo di erosione-corrosione, su tutta l’area Ad che sarà tanto più intenso quanto più grande sarà la capacità di assorbimento lungo tutta l’estensione della fessura. Le frecce riportate sullo schema, interessando un punto da rite¬ nersi situato superficialmente sul piano della diaclase, col loro mo¬ dulo indicano una intensità di erosione-corrosione presunta in un dato momento, con la direzione un relativo piano perpendicolare o parallelo alla diaclase stessa su cui essa agisce, col verso la ten¬ denza d’ampliamento della morfologia dolinare. Il primo stadio dell’evoluzione, con prevalenza di un’azione sia pur lenta, ma diffusa su tutto un piano orizzontale, sarà dato dalla dolina a piatto. Col differenziamento poi di punti lungo il piano della frattura stessa nei quali si ha una intensificazione dell’assor- (1T) A. G. Segre (1948), parla di aree di raccolta dove le acque «lavo¬ rano» il calcare, particolarmente lungo qualche diaclase maggiore; qui si manifesterebbe secondo 1’ Autore, un centro di attività carsica, che a sua volta si farebbe risentire su una determinata superficie. (18) A. G. Segre (1948), riporta un capitolo assai interessante per quanto riguarda le applicazioni morfometriche relative alle forme carsiche, al quale rimandiamo per ogni notizia in merito. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA t .j* bimento, la dolina a piatto originerà nuove forme quali quelle a scodella e quindi ad imbuto ed a pozzo (nello schema si considera ■+r~ - ^ ' — " - - Superficie carsificabile *• - - - l D X' Livello della circolazione sotterranea JX' Livello della ci rcolazione sotterranea d ^ Livello della circolazione sotterranea Fig\ 2. — Schema teorico della evoluzione di alcune forme dolinari (spiegazioni nel testo). come se dalla dolina madre derivasse in un solo punto una forma che via via subisce ulteriore evoluzione) (l9). (1Sl) C. D’Ambrosi (1959-60), riporta concetti interessanti riguardanti la azione di erosione-corrosione secondo uno schema che vuole riferirsi ad un quadro genetico generale delle forme carsiche. G. ÀBRAMI 70 Tale fatto è così determinato da un incremento dell’erosione- corrosione in corrispondenza dell’area attorno a tali punti e alla prevalenza di tale azione sempre più lungo un piano verticale cor¬ rispondente al piano della frattura. Il valore globale deH’erosione-corrosione, proporzionale sempre alla capacità di trasporto della fessura, può dipendere a sua volta, tenuta costante la quantità idrica che interessa l’area dolinare. dalla inclinazione delle pareti. Probabilmente tale valore passa per un massimo, per una data inclinazione, per raggiungere infine un minimo nella fase finale a pozzo. Aggiungeremo che per una data natura e struttura della roccia carsificabile, per un certo regime climatico e per una data capacità di assorbimento da parte della diaclase, una data forma dolinare si potrebbe considerare come il risultato di una situazione di equilibrio. Se invece riteniamo continuo il processo di ampliamento della fessura, dovremo dire che la forma dolinare è in continua evolu¬ zione verso la situazione a pozzo. In realtà le condizioni di assorbimento variano assai lenta¬ mente, mentre probabilmente la forma dolinare raggiunge assai rapidamente un certo equilibrio ; essa possiamo considerarla in de¬ finitiva sempre significativa ai fini di un’ indagine statistica. Perciò, pur tenendo conto delle condizioni preesistenti della super¬ ficie di un complesso carsico, diremo che la densità di un certo tipo dolinare può dare una indicazione, per esempio sullo stata evolutivo dei sistemi sotterranei (20). E’ opportuno far rilevare che il concetto su cui si fonda la schema proposto, contrariamente alle convinzioni di vari AA., non sta nel prevedere una evoluzione di forme composte per processo eventuale di fusione di più forme primitive semplici, ma come s’è visto, nella differenziazione indipendente di forme derivate da una singola più grande morfologia primitiva (21). Ciò benintesa (20) A. R. Toniolo (1907), nel suo bellissimo lavoro sul Montello in cui si occupa di moltissimi problemi generali sul carsismo, riporta una signifi¬ cativa analisi sulla distribuzione delle forme carsiche nel conglomerato. (-1) 0. Marinelli (1905), ritiene il carsismo di superficie localizzato solo in zone particolarmente favorite, tale fatto secondo V Autore preserverebbe però le aree carsiche da una più intensa azione disgregatrice simile a quella della circolazione idrica superficiale. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA < i qualora si escluda ogni azione di modellamento dovuto a cause di¬ verse da quelle da noi premesse (22) ; ci riferiamo in particolare a superfici tipo altipiano ed a una diffusa disponibilità idrica ini¬ ziale. La dolina a pozzo merita però un ulteriore appunto. Se infatti parliamo di assorbimento idrico lungo le diaclasi in relazione ad una condotta sottostante, dobbiamo ricordare Fazione che interessa il percolamento nelle fessure, con ciò tiriamo in ballo l’erosione inversa. Tale processo tende infatti a sviluppare i camini collegati con le condotte sotterranee, verso l’alto, per cui succede che il dia¬ framma fra il fondo sempre più ristretto delle doline ed il camino in formazione nella sottostante cavità, viene eliminato allo stesso tempo dall’alto e dal basso. b) Alcune forme tipiche del carsismo profondo. Parleremo dei pozzi, dei sifoni, del processo di mendrifica- zione, ed infine dei camini di percolamento. I pozzi sono forme d’erosione diretta, cioè per masse d’acqua che si sono scavate a forza un passaggio fra due diversi livelli della circolazione in genere attraverso fessure verticali, prima per ento, ma continuo drenaggio e poi a viva forza con conseguente rapido approfondimento della cavità. Abbiamo visto come la for¬ mazione di pozzi rientri nel processo dell’evoluzione dei sistemi carsici. Avremo così pozzi di superficie attraverso i quali corsi superficiali precipitano improvvisamente nelle cavità sotterranee, o pozzi a varie profondità, testimoni del processo che tende a por¬ tare le condotte di apporto ad una situazione di verticalità, op¬ pure meno profondi lungo le condotte di scarico derivanti dal processo di ringiovanimento. Parlando di sifoni , fra le svariate situazioni che possono inci¬ dere sulla loro presenza in genere lungo tratti finali delle condotte di scarico, assume particolare significato quella che determina (■■) Ricordiamo le classificazioni di J. Cvijic (1893), che riguardano in particolar modo le forme più ampie del carsismo di superficie, e di M. Gor- tani (1908), in cui vengono analizzate varie cause che entrano nella determi¬ nazione della morfologia superficiale. G. ÀBRAMI 78 assai frequentemente la formazione di sifoni nel punto dello sca¬ rico all’esterno. In questo caso si parla in genere di sorgenti valchiusiane o sorgenti ascendenti o di sifoni di scarico. Caratteristica fondamentale di tali sifoni, è quella di avere il braccio di alimentazione sviluppato orizzontalmente ad un livello inferiore alla superficie delle acque, nel punto in cui queste escono all’esterno. E’ chiaro che ci troviamo sempre di fronte ad una bar¬ riera che impedisce all’acqua di uscire e scorrere al livello della condotta e la costringe a risalire formando dei laghetti per supe¬ rare la barriera stessa (vedi ad esempio i laghetti formati nelle grotte dell’Oliero (VI), ed il Gorgazzo (UD)). Il livello di tali bacini è tenuto dalla pressione idrostatica nella condotta di scarico. Tale barriera potrà essere data da materiali accumulati dalla condotta ; noi considereremo però il caso che essa sia dovuta, come avviene più generalmente, da una condizione strutturale. Diremo così che i sifoni sono conseguenza di un processo di ringiovanimento derivante dall’abbassarsi del livello di base lo¬ cale, e quindi dalla formazione di una nuova situazione in corri¬ spondenza ai primitivi punti di scarico, i quali, se vengono a tro¬ varsi via via ad un livello superiore, vengono a distare sempre più dalla corrente viva del corso del fiume che incide la valle, dato il trasferimento del letto del fiume stesso più in basso. Con ciò viene a sussistere una barriera rocciosa fra il punto di scarico e la corrente del fiume. Questo fatto non impedisce tut¬ tavia la formazione di condotte profonde sia pure di limitata am¬ piezza, sviluppate attraverso le fessure o 1’ inter strato, che rie¬ scono a superare la barriera, per dare inizio ad uno scarico a li¬ vello inferiore. D’altra parte viene impedito uno sviluppo veloce di una ampia condotta di scarico, capace di trasportare tutta la massa idrica circolante all’ interno del sistema carsico. Le acque perciò, grazie alla loro pressione idrostatica, trovano più facile uno scarico sia pure ad un livello più alto, come quello in corri¬ spondenza alla superficie della barriera stessa, che se può avere una lunghezza notevole, ha sempre uno spessore limitato. In altri casi di sifoni, come quelli che alimentano le sorgenti marine en¬ trano in causa spesso probabilmente le variazioni positive del li¬ vello marino o condizioni strutturali locali, come 1’ inclinazione IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA TU degli strati. E’ frequente anche notare, come le acque adoperino per lo scarico la stessa condotta della fase precedente nel suo tratto più esterno, con la formazione di collegamenti aperti attraverso le diaclasi, quindi a viva forza dal basso verso l'alto. # ^ Altro fenomeno che s’ incontra frequentemente nelle condotte sotterranee sono i meandri. Non vogliamo qui comunque soffermarci troppo sul mecca¬ nismo di formazione dei meandri, che interessa rose-illazione delle masse liquide nelle condotte, favorita dalle irregolarità delle pa¬ reti, dalla piccola pendenza delle condotte stesse e da un regime di portate costante in periodi sufficientemente lunghi. Rimandiamo in merito a varie notizie bibliografiche. Noi diremo che i meandri rientrano nel processo generale del¬ l’approfondimento per escavazione attiva del fondo delle condotte da parte dell’azione fisico-chimica delle acque scorrenti. Parleremo cioè di meandri come di una dimostrazione tipica di tale appro¬ fondimento, che s’ inserisce con un suo preciso significato nell’am¬ bito dell’evoluzione delle condotte sotterranee. Caratteristica di una condotta che presenta meandri è la so¬ vrapposizione di varie fasi, ciascuna delle quali possiamo conside¬ rarla costituita da una condotta che si sviluppa con proprie modalità. In genere da una situazione primitiva in cui la sezione tra¬ sversale, spesso di forma circolare, mostra la prevalenza di una circolazione a pressione (fase giovanile), si passa successivamente (fase matura), a condotte sottostanti direttamente derivate, in cui la sezione può essere più o meno deformata. Tale fatto può essere dovuto alla facilità con cui l’azione di erosione-corrosione procede lungo gli interstrati successivamente incontrati nell’approfondimento. In ogni caso è da rilevare però una fondamentale influenza del regime delle portate; diremo cioè, a parte ogni influenza strutturale, che mentre con forti portate la sezione di una condotta tende ad allargarsi per assumere una forma il più possibile vicina alla circolare, (l’azione tende ad es¬ sere uniformemente distribuita lungo tutta la sezione bagnata), in regime di magra si ha una prevalenza dell’erosione sul fondo, con so G. ÀBRAMI sia pur relativa tendenza maggiore all’approfondimento. Meandri di questo tipo si incontrano frequentemente ad esempio nei sistemi carsici sviluppati nel conglomerato del Montello (TV). Da ciò de¬ riva a volte T utilità dello studio delle sezioni delle condotte la cui morfologia possiamo considerarle assai sensibile alle variazioni climatiche. A questo punto diremo che la tendenza all’approfondimento che mette in moto tutto il processo, deriva in ogni situazione, so¬ prattutto dalla esistenza di un dislivello in un punto a valle nella condotta considerata. E’ facile immaginare come tali situazioni abbiano poi a crearsi nell’ambito dell’evoluzione del sistema car¬ sico, secondo quanto è già stato detto (formazione di pozzi, di sca¬ richi a livelli più bassi, ecc.). Siamo giunti infine a parlare della formazione dei camini di p er colamento. La Fig. 3 propone uno schema per spiegare il pro¬ cesso stesso (23), parleremo così dell’erosione inversa. Il termine già introdotto nella terminologia speleologica (24), si vuole qui riproporre per indicare un processo della formazione (~3) La figura viene tratta da una pubblicazione apparsa su Rasseg/ia Speleologica Italiana (1963), nella quale si trattava dei camini di percola- mento come erano stati osservati nelle cavità del sistema carsico dell’ Olierò. (D W. Maucci (1951-52), ha messo particolarmente in luce il termine « erosione inversa » dando una interpretazione della formazione delle cavità verticali all’ interno delle masse calcaree fessurate, in corrispondenza a par¬ ticolari punti preesistenti o vacui. L’Autore prevede così la formazione di fusi in corrispondenza a tutto lo spessore dei massicci; essi poi si sviluppe¬ rebbero verso l’alto per azione dell’acqua che scorrerebbe per gravità verso il basso. Condotte sub-orizzontali verrebbero solo successivamente ad unire i vari fusi fra loro ed in tal modo verrebbe anche ad instaurarsi una circolazione veloce con la formazione di cavità per evorsione ed ampliamenti per crolli successivi. Nella nostra relazione riprendendo 1’ intuizione sull’esistenza di un pro¬ cesso continuo che farebbe sviluppare le cavità verso l’alto, che già si intrav- vede poi in altri Autori (Martel, De Gasperi, Segre, ad esempio), si riporta un tentativo di spiegazione del processo chimico-fisico che sta alla base della erosione inversa considerata però nell’ambito preciso di una evoluzione più generale dei sistemi carsici come qui viene trattata. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA SI eli cavità, che avviene prevalentemente dal basso, cioè al livello della condotta, verso l’alto lungo la diaclasi per azione dell’acqua percolante. Tale processo viene ad assumere significato nell’ambito della Fig. 3. — Schema teorico della formazione dei camini di percola- mento (da: G. Àbrami, 1963, «Il fenomeno carsico ai piedi dell’Alti¬ piano dei Sette Comuni», R.S.I., Como; leggerai, modificato). S2 G. ÀBRAMI dinamica dell’evoluzione carsica, in quanto esso viene ad essere in moto, quando la condotta raggiunge la fase matura. Abbiamo visto ancora, come ad un incremento del percola¬ melo è interessato anche il processo dell’evoluzione della morfo¬ logia dolinare, anzi si è parlato del contributo portato dallo svi¬ luppo dei camini più superficiali nella formazione delle doline a pozzo e quindi più generalmente nel collegamento fra le varie ca¬ vità profonde e la superficie. Ed infatti specie in rocce solubili e col favore di crolli succes¬ sivi, il meccanismo dell’erosione inversa porta alla formazione di imponenti cavità verticali come probabilmente moltissime vora¬ gini del sistema del Timavo, alcune voragini del Cansiglio, ecc.. L’attività stessa continua anche quando la condotta entra in fase senile. In questo caso, mentre la condotta viene interessata da tutta una serie di fenomeni di riempimento, i camini possono rap¬ presentare ad un certo momento 1’ unica cavità accessibile, comun¬ que interessata da fenomeni concrezionali (25). Diremo in defini¬ tiva che soltanto la zona di percolamento può essere interessata dalla erosione inversa (26). Ritornando ora allo schema, vediamo di cogliere quelli che sono i fatti più salienti attraverso cui l’erosione inversa viene ad agire sulla roccia. Attraverso la diaclase messa in luce dalla condotta e quindi verso il punto « a » considerato quale punto di richiamo, si ha un incremento della circolazione (= percolamento), su tutta un’area superiore « B », che possiamo immaginare per esigenze schema¬ tiche svilupparsi ad imbuto verso la superficie. L’azione di erosione-corrosione sulla roccia, considerata quale risultante di una circolazione continua ed attiva, possiamo consi¬ derarla massima in « a » e decrescente via via verso la superficie. La cavità formata in tal modo dovrebbe risultare molto simile a quella riportata sullo schema in sezione con « C ». La zona perco¬ lante, ha però una massa idrica disponibile che dipende dall’acqua assorbita con le precipitazioni. Il regime del percolamento non è (~) G. B. De Gasperi (1916), introduce il termine di «camini per acque di stillicidio » e di « cupole », intendendo quest’ultime dovute a crolli progressivi delle volte delle condotte interessate da una circolazione attiva. Martel, parla a sua volta di « abimes inachevés ». ("■) G. Pasquini (1964), ha particolarmente sottolineato questa opinione. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA 'v.l quindi costante, anche entro brevi intervalli di tempo, (come d'al¬ tronde non lo sono tutti i regimi idrici nei sistemi carsici) preve¬ dendosi periodi con forte diminuzione del flusso dell’acqua la quale potrà così scorrere attraverso sottili lamelle che saranno forte¬ mente aderenti alle superfici bagnate. Nella cavità in formazione, specie nella zona più vicina al punto « a », tali lamelle che agiscono sulla roccia soprattutto chi¬ micamente, favorite da una condizione sia pure leggermente obli¬ qua delle pareti, potranno assumere facilmente un moto elicoidale, come si ha ad osservare per esempio quando dell’acqua scende len¬ tamente in una bottiglia aderendo nella regione del collo. Considerando per un certo tempo esclusiva tale azione, il ca¬ mino di percolamento assumerebbe la forma schematizzata in « D » nella quale la pendenza delle pareti non potrebbe però superare il limite per cui l’acqua cadrebbe nel vuoto per il prevalere della gravità. In realtà, e la morfologia naturale dei camini lo suggerisce, possiamo dire che le azioni secondo le due modalità considerate, vengono sempre a combinarsi ; tale situazione è da noi riportata - con « R ». SI problema dello spartiacque carsico Un complesso carsico, come abbiamo visto, può presentare lo sviluppo di più sistemi sotterranei formatisi entro una stessa massa rocciosa che definisce il complesso stesso. Si può avere cioè la presenza di più scarichi situati su uno stesso versante, o se il massiccio roccioso è isolato da più parti, anche su versanti op¬ posti ; in questo caso gli scarichi possono essere in relazione a li¬ velli di base ben diversi. Così considerando ad esempio il com¬ plesso del Montello (TV), si osserva che i sistemi che hanno uno scarico nel versante Nord, verso il fiume Piave, sono posti ad una quota inferiore sempre ai 100 m.s.m. ; i sistemi invece con scarico verso la pianura sono sviluppati ad una quota maggiore. Ogni sistema, rappresentando un centro di richiamo per le acque assorbite nei vari punti della superficie, tende ad accelerare il percloramento specie nelle zone in sua più diretta corrispon¬ denza. Tale capacità, come s’è più volte detto, è in relazione con 1* intensità di sviluppo del sistema, e quindi con la più o meno rapida evoluzione verso lo stadio limite di un carso in equilibrio. G. AERAMI 84 Sistemi di fratture particolarmente sviluppati, inclinazione degli strati favorevoli ad uno scorrimento delle acque verso dire¬ zioni preferite e soprattutto il livello più basso del punto di sca¬ rico, possono incidere particolarmente al fine di favorire l’evolu¬ zione di un sistema a scapito degli altri. Con ciò la distribuzione dell’acqua assorbita fra i vari sistemi, potrà variare nel tempo. Può essere in genere assai interessante studiare tale distribu¬ zione, che per la diretta relazione fra i sistemi e le superfici assor¬ benti, comporterà una suddivisione relativa della superficie stessa. Parleremo così di uno spartiacque carsico, definendolo come quell’ideale piano verticale che dalla superficie fino al livello di base carsico (in Fig. 1 si è tracciata una linea attraverso la massa rocciosa che separa il sistema A da B), separa i vari sistemi carsici o meglio le superfici e le zone percolanti relative alla loro alimentazione. Aggiungeremo che non si possono stabilire relazioni fra lo spartiacque superficiale considerato nella accezione classica, e lo spartiacque carsico (2T). Ciò anche se in realtà uno spartiacque può interessare sistemi che si incaricano per esempio di uno sca¬ rico su versanti opposti. Se consideriamo comunque un complesso carsico in cui si è imposto per esempio un solo sistema, dovremo dire che ai limiti periferici del complesso stesso, e quindi nei punti in cui si passa da una superficie assorbente ad una superficie in cui permane uno scorrimento veloce superficiale, lo spartiacque carsico coincide con uno spartiacque superficiale. Classificazione dei sistemi carsici L’esplorazione dei sistemi carsici può permettere alle volte una raccolta sufficiente di dati relativi ai fenomeni sviluppatisi, per cui è possibile la costruzione sia pure approssimativa della (2‘) H. P. Woodward (1963), parla di uno spartiacque sotterraneo quale linea di demarcazione fra due fiumi che interessano una stessa area e cioè uno stesso specchio freatico profondo. Con ciò si avrebbero due territori mi¬ nori controllabili da rami differenti dello stesso sistema di drenaggio. A sua volta dei diaframmi sotterranei regolerebbero il movimento delle acque in corrispondenza allo stesso spartiacque, attraverso tracciati che coincidereb¬ bero più o meno con i tracciati delle correnti di superficie. IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA 85 curva che segna il livello di base carsico (2S). Detto stato potrà es¬ sere in relazione con una certa distribuzione delle forme super¬ ficiali. Ma, mentre soltanto la presenza di condotte in fase senile e di scarichi abbandonati dalle correnti idriche potrà testimoniare sulla storia precedente del sistema carsico stesso, la curva e la sua relazione col livello di base locale, potrà farci prevedere quella che sarà r evoluzione successiva. In ogni caso, e cioè indipendentemente da ogni possibile storia precedente, la curva ci rappresenterà lo stato evolutivo del sistema carsico in quel momento. Su questa base potremo cioè fare una prima significativa comparazione fra i sistemi carsici. Avremo quindi un punto di partenza per poter eventualmente portare in discussione tutte le altre variabili che incidono sulla evoluzione dei sistemi stessi e sulla morfologia carsica. E’ da tener presente però che le situazioni stesse, se vengono rappresentate graficamente, per il fatto che sono dipendenti da un rapporto di segmenti (asintoto verticale e asintoto orizzontale), possono essere comparate in modo assoluto, solo quando tale rap¬ porto è, per ogni caso, uguale. Dal punto di vista pratico, proporremo perciò una classifica¬ zione la quale tenga presente il problema stesso. Def ineremo così alto carsismo, quello nel quale il dislivello fra la superficie assorbente (questo è da ritenersi circa uguale al segmento compreso nell’asintoto verticale riportato quale lato del triangolo in Fig. 1), ed il livello in cui avviene lo scarico è mag¬ giore di 350 m. In questo senso perciò il sistema dell’Oliero (VI), appartiene ad un tipo di alto carsismo, ad esempio. . Chiameremo medio e basso carsismo, quando lo stesso dislivello del sistema carsico è rispettivamente compreso fra i 200 e 350 m., od è inferiore ai 200 m.. Per un alto carsismo sarà facile perciò prevedere, una storia evolutiva complessa e lunga, fra l’altro con la facile prevalenza del (D E. Boegan (1938), riporta la curva presunta corrispondente al si¬ stema sotterraneo del Timavo. Il grafico è assai significativo: ci troviamo di fronte ad un medio-alto carsismo assai vicino alla sua situazione di equili¬ brio; esso è probabilmente passato attraverso più fasi intermedie di cui si ba traccia osservando tratti orizzontali a varie altezze nei rilievi delle cavità riportate. G. ÀBRAMI st> singolo sistema più favorito, con la possibile formazione di pro¬ fonde voragini e con una relativa alta incidenza di doline a pozzo. Per il basso carsismo si parlerà invece relativamente di una suddivisione dello scarico fra più sistemi che presenteranno lunghe condotte orizzontali direttamente collegate con la superficie dai camini di percolamento. Così tutti i sistemi carsici sviluppati nel conglomerato del Montello (TV), sono da considerarsi di un tipico basso carsismo. Ad una più eterogenea distribuzione superficiale delle forme carsiche dipendenti dal possibile diverso sviluppo dei singoli si¬ stemi, si troveranno casi in cui attraverso le doline a pozzo si met¬ teranno in luce, per successivi crolli, interi tratti della condotta attiva sotterranea. Il medio carsismo presenterà ovviamente situazione inter¬ medie. Su questa base si potranno fare altri numerosi rilievi utili a dare una visione e quindi una classificazione più completa dei si¬ stemi carsici. Lasciamo quindi agli studi sull’ idrologia applicata ogni possi¬ bile utilizzazione di una sempre più precisa conoscenza della dina¬ mica dell’evoluzione carsica, conoscenza legata ancora a tutte le necessarie dimostrazioni che potranno essere ricavate da possibili indagini opportunamente indirizzate. Istituto di Fisica terrestre, di Geodesia e Geografia fisica, Università di Pa¬ dova, 18 novembre 1965 Riassunto L'evoluzione carsica viene ricollegata alle tappe della evoluzione della idrologia superficiale, dalla quale essa deriva e viene poi a dipendere. Data una definizione di complesso carsico e di sistema carsico, si considerano le situazioni idrologiche e strutturali (fase p re-carsica), che permettono 1’ instaurarsi di una circolazione sotterranea veloce e quindi la formazione di una condotta ipotetica che, da un punto di scarico all’esterno, (“') Un estratto del presente lavoro, solo per la parte riguardante lo schema proposto a raffigurare l’evoluzione di un sistema carsico, è stato presentato al IV° Congresso Internazionale di Speleologia svoltosi a Lubiana nel settembre 1965. Esso sarà pubblicato negli Atti del Congresso stesso (vedi bibliografia). IPOTESI SULL’EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA CARSICA so F-^. <55 Si 3- so co ’ rO r> ‘ H : H j 631 1 1 1 49 69 l 110 e- l l I 1 l 1 i X l X x j co X X X LO H» H t- I 1 1 1 40 l ! tH l l I l l 1 l 1 l 1 J 1 1 w 141 H H 641 1 1 e- 1 52 l 1 35 ì l I i l l 1 1 X 1 T 740 X X co co L 1 1 L o co 1 1 i 1 co i 1 1 1 l 1 l 1 1 1 1 * ir X 3 > o r- s O a 72 7! 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Si è inoltre cer¬ cato di incrementare V interesse per le ricerche faunistiche sui pipistrelli con scritti, con visite ad alcuni gruppi grotte e con con¬ tatti personali durante i congressi speleologici. Nel complesso i risultati ottenuti in otto anni di attività, qui di seguito riassunti, possono considerarsi soddisfacenti, specie se si considera il modesto capitale impiegato (L. 240.000 circa) (1). Nella tabella II sono suddivisi per specie e regione gli inanel¬ lamenti e le ricatture. Con l’aiuto di questa tavola si può ricavare quanto segue : a) Il Rhinolophus ferrum equinum Schreber è la specie che più frequentemente si rinviene (in autunno, in inverno e nella prima primavera) nelle grotte italiane (55% degli inanellamenti, 69% delle ricatture). E’ stata trovata in tutte le regioni dove sono stati effettuati inanellamenti (Puglia esclusa: si noti però che in questa regione ne sono stati inanellati soltanto 3 esemplari). Le ricatture sono molto frequenti (22% degli inanellamenti). b) Il Rhinolophus euryale Blasius è la specie che segue, in ordine di frequenza, il Rhin. ferrum equinum (21% degli inanel¬ lamenti, 22% delle ricatture). Anche per questa specie gli inanel¬ lamenti sono stati effettuati in tutte le stagioni salvo l’estate e la tarda primavera. Le ricatture sono frequenti (18% degli inanel¬ lamenti). c) Il Rhinolophus hipposideros Bechstein è più difficile a rinvenirsi nelle grotte delle due specie sopra citate (2% degli ina¬ nellamenti, 1% delle ricatture); la sua frequenza sembra rare¬ farsi col decrescere della latitudine. Ciò può essere messo in re¬ lazione alla maggior resistenza di questa specie alle basse tempe- C) Il 50% circa delle spese è stato coperto da finanziamenti ottenuti dal Gruppo Speleologico Ligure «A. Issel », dal Patronato Genovese Pro Na¬ tura « A. Anfossi » e dalla Società Speleologica Italiana, che vivamente rin¬ graziamo. Tabella II. - Inanellamenti (1) e ricatture Uh C 3 o • r-* H 3 o -M e 3 Q CO • ^H co 4 co 40 3 HH o CO 05 3 co cj: 3 w co 3 • rH O cO CO • rH ® f-H N ES3 o > 3 3 OC 3 O « £3 * rH 5u0 3 • rH H »J K3 3 3 3 a C/5 o H a) 4= o S* 3 3 • rH ?H 40 3 P 3 • rH 3 3 £ O ft ’n £ Ó£ ^ 3 3 3 .£ i-5 O m 3 3 3 Ò£ 05 "y 3 CENTRO INANELLAMENTO PIPISTRELLI 95 rature ed alle variazioni di temperatura e di umidità rispetto alle specie congeneri Rkin. ferrimi equinum e Rhin. euryale. Di con¬ seguenza il Rhin. hipposideros deve rifugiarsi nelle grotte soltanto nelle regioni italiane dal clima relativamente rigido mentre nel centro-sud dell’ Italia può rifugiarsi in altri luoghi. Le ricatture sono meno frequenti che per le altre due specie di Rhinolophus (10 Re degli inanellamenti). d ) Nel complesso i Rhinolophidae rappresentano il 78% degli esemplari inanellati ed il 92% di quelli ricatturati. Questa preponderanza di Rhinolophidae rispetto ai Vespertilionidae è, a nostro avviso, effettiva e rispecchia la popolazione dei pipistrelli abitante le grotte del centro e del nord Italia, tra ottobre ed aprile, escludendo le grotte di alta montagna. Per il sud Italia, per le popolazioni che abitano le grotte nella tarda primavera e nell’estate e per le grotte di alta montagna, i dati a disposizione sono troppo scarsi per poterne trarre conclusioni. e) Tra i V espertilionidae il Myotis myotis vel oxygnathus sembra essere la specie (o le specie) più comune nelle grotte (14% degli inanellamenti, 7 Re delle ricatture). Lo si è trovato sia in au¬ tunno-inverno-prima primavera sia nella tarda primavera e nel¬ l’estate (in Wochenstuben). Le ricatture non sono molto frequenti, salvo in Sardegna. /) Il Miniopterus schreibersi Natterer in Kuhl è stato rin¬ venuto in quantità discrete (5 Re degli inanellamenti, 0,3% delle ricatture soltanto) in Emilia-Romagna e a sud di questa regione. Si noti che non è stato rinvenuto nè in Liguria nè in Piemonte, regioni nelle quali l’attività dei collaboratori del C.I.P. è stata notevole. g) Nella colonna « altre specie e indeterminati » della ta¬ bella II sono compresi esemplari di Plecotus sp., di alcune specie di Myotis, di Nyctalus e di altre specie, l’identificazione delle quali non è agevole, in particolare per un principiante sia pur « ar¬ mato » di tavole dicotomiche, ma di poca esperienza. Per questa ragione preferiamo lasciare ai singoli collaboratori del C.I.P. il pubblicare il ritrovamento di specie non comuni assieme a tutti quei dati in loro possesso che rendano certa la corretta deter¬ minazione. Non ci è stato possibile scendere in dettagli nell’analisi della tabella II perchè i dati in essa contenuti sono viziati da una im- G. DIN ALE e G. M. GHIDINI 96 perfetta campionatura dei pipistrelli (gli inanellamenti sono stati effettuati da persone diverse che non seguivano il medesimo me¬ todo di cattura ; alcuni collaboratori hanno visitato molte volte le medesime grotte — buone probabilità di ricatture — al con¬ trario di altri — poche probabilità di ricatture ; ecc. ecc.). Se fossero stati impiegati 6000 anellini ed otto anni di tempo per ricavare soltanto le notizie contenute nel precedente para¬ grafo, l'attività del C.I.P. sarebbe servita a ben poco. La parte più importante del lavoro svolto è costituita da quelle notizie rac¬ colte dagli inanellatoli sull’ habitat dei pipistrelli, sulle migra¬ zioni, sul gregarismo, sui parassiti, sulla durata della vita e su altri aspetti della biologia di questi animali. La maggior parte di queste notizie è ancora da elaborare e da pubblicare, ma per dare un’ idea di quanto fatto e di quanto si può fare, riassumiamo qui di seguito ciò che è stato pubblicato dai collaboratori del C.I.P. sulle ricerche da loro effettuate col metodo dell’ inanellamento. 1) Rhinolophus ferrum equinum Schreber I risultati sono stati ottenuti con osservazioni effettuate da ottobre ad aprile in Liguria e nel Lazio : — nelle grotte liguri due terzi degli esemplari si trovano in co¬ lonia, il rimanente terzo è composto da esemplari isolati. I 3 3 sembrano essere più gregari delle $ $ . Nelle colonie vi sono gruppi compatti di soli 3 3. Le colonie sono a volte bispeci- fiche, cioè comprendono anche dei Rhin. euryale; questi ultimi a volte sono in maggioranza e a volte in minoranza. In una colonia di Rhin. ferrum equinum è stato anche rinvenuto un Myotis capaccinii (Dinale 1958, 1963, 1965 b) ; — salvo qualche eccezione il Rhin. ferrum equinum si rifugia in luoghi completamente bui ed alquanto umidi ; non è raro tro¬ varlo con i patagi imperlati di gocce d’acqua (Din ALE 1958); — riposa in posizione ammantellata, salvo quando è in colonia compatta (Dinale 1958); — gli spostamenti, nel periodo invernale, sono modesti (sino a 7 Km) (Dinale 1958, Dinale e Maifredi 1958); CENTRO INANELLAMENTO PIPISTRELLI li 7 — due esperimenti di voli di ritorno al luogo di cattura hanno dato risultati positivi (14 e 25 Km)(DiNALE e Ribaldone 1961): — alcuni esemplari sono parassitati da Nycteribia biarticulata Hermann e da Lvodes vespertilionis Koch (Dinale 1958, 1962); — la probabilità di sopravvivenza dopo un anno sembra essere compresa tra p = 0,800 e p = 0,830 (Dinale 1964); — nella maggior parte dei o 1 la spermatogenesi inizia a circa 3 anni di età, nei rimanenti ó 6 ciò avviene un anno più tardi. Le $ $ partoriscono per la prima volta parte a 3 anni e parte a 4 anni (in Liguria) (Binale 1964); — se l’anellino è posto correttamente sull’avambraccio dei ó ó adulti di Rhin. Ter rum equinum non causa nè una diminuzione del peso degli esemplari nè una diminuzione della probabilità di sopravvivenza. Al contrario, se stretto troppo causa una di¬ minuzione di peso di 1-2 grammi e quasi certamente anche una diminuzione della probabilità di sopravvivenza. Da qui la rac¬ comandazione agli inanellatori di applicare correttamente l’anellino sull’avambraccio dei pipistrelli (Dinale 1960, 1965a). 2) Rhinolopkus euryale Blasius Da osservazioni effettuate in Liguria e nel Lazio, tra ottobre ed aprile, si è potuto sapere che: — probabilmente i 6 6 sono in grado di fecondare a 2 anni e qualche mese di vita e le 2 2 dovrebbero partorire per la prima volta a 2 anni oppure a 3 anni (Dinale 1963); — il peso varia da 8,8 a 16,2 g a seconda dell’età e della stagione (Dinale 1963); — i So subadulti sono più leggeri dei S 6 adulti, ciò è vero anche per i subadulti di 1,5 anni di età (Dinale 1963); — parte delle 2 2 subadulte è più leggera delle 2 2 adulte, parte invece ha circa il medesimo peso delle 2 2 adulte (Dinale 1963); — non sembra esservi dimorfismo sessuale (Dinale 1963); — 1’ inanellamento non sembra avere influenza sul peso (Dinale 1963); — abita in zone completamente buie di grotte ben isolate climati¬ camente rispetto all’esterno. In genere preferisce zone di grotte dall’ umidità non molto elevata (Dinale 1958 e 1963); G. BINALE e G. M. GHIDINI una parte degli esemplari riposa in posizione ammantellata (Dinale 1958 e 1963); è parassitato da Nycteribia biarticulata Hermann (Dinale 1958 e 1963); è più gregaria delle specie congeneri Rhin. ferrum equinum e Rhin. hipposideros : oltre il 95% degli esemplari è stato tro¬ vato in colonia ; gli esemplari isolati sono più facili a rinve¬ nirsi in primavera. In Liguria, a partire da novembre, i Rhin. euryale si riuniscono in colonie nei quartieri invernali. Dette colonie sono di due tipi: 1) molti subadulti di ambo i sessi, molti 6 6 adulti e poche 2 $ adulte ; 2) molti adulti di ambo i sessi e pochi subadulti con prevalenza di $ 9 . Le 2 $ subadulte sono più anziane, in media, di quelle che si trovano nelle co¬ lonie di primo tipo. Una minoranza di esemplari è isolata oppure in colonie di Rhin. ferrum equinum. Nelle colonie di Rhin. euryale è a volte ammessa la presenza di esemplari di Rhin. ferrum equinum. Alla fine dell’ inverno le colonie si diradano e dopo la metà di marzo (sempre in Liguria) non si trovano nelle grotte che esemplari isolati. Le grotte diventano deserte di Rhin. euryale verso la fine aprile (in Liguria) (Dinale 1958 e 1963); è stata constatata una leggera eccedenza di S $ rispetto alle 2 9 (tra il 53,6% ed il 61,8%); ciò, peraltro, può essere do¬ vuto al sistema di campionatura (Dinale 1963); sono stati ricatturati esemplari sino a 5 anni dopo P inanella¬ mento. In una grotta del Lazio le ricatture dopo un anno dal- 1’ inanellamento erano del 50%, una percentuale eccezional¬ mente alta (Dinale 1963); sono stati constatati spostamenti per voli di caccia ( ?) e per cambio di rifugio (durante P inverno e in inverni successivi) da 2 a 28 Km (Dinale 1963, Dinale e Maifredi 1958, Dinale e Ribaldone 1959); si sono avuti due spostamenti di 2 2 tra quartieri invernali e quartieri estivi: tra i dintorni di Genova, il Pavese (83 Km) e l’Astigiano (63 Km). Parrebbe che le 2 2 di Rhin. euryale che svernano in Liguria migrino in primavera a nord degli Appen¬ nini (Dinale 1963, Dinale e Ribaldone 1961); G. DINALE e G. M. GHIDINI 1 1 ‘ t — due esperimenti di voli di ritorno al luogo di cattura hanno dato risultati negativi (25 e 41 Km) contrariamente a quanto avvenuto per il Rhin. ferrum equinum (DlNALE 1963). 3) Rhinoloplius hipposideros Bechstein In Liguria questa specie è stata sempre rinvenuta isolata, in posizione ammantellata e, spesso, in prossimità degli ingressi di grotte e cave (Dinale 1958). 4) Myotis emarg inatu s Geoffroy In Dinale 1965 b è citata un' inusuale cattura invernale avve¬ nuta in grotta a 1500 metri s.l.m. . Solitamente si rinviene questa specie sotto i 1000 metri s.l.m. . 5) Myotis capaccinii Bonaparte Questa specie è stata trovata sia in colonia monospecifica sia in compagnia di altre specie. Più precisamente : — in Lombardia è stata trovata una colonia monospecifica inver¬ nale in una grotta particolarmente calda (14° C), il peso degli esemplari variava da 8,60 a 11,30 g (Dinale 1965b); — un esemplare è stato trovato in Liguria in una colonia inver¬ nale composta da Rhin. ferrum equinum e da Rhin. euryale (Dinale 1965b); — in Lombardia è stata rinvenuta una colonia estiva (in Wochenstuben) di Myotis myotis vel oxygnathus della quale fa¬ cevano parte anche alcuni Myotis capaccinii ; quest’ultima specie era parassitata da un dittero pupiparo ( Penicillidia du- f ouri Westwood) (Dinale 1962a e 1965b). 6) Myotis myotis Borkhausen vel oxygnathus Monticelli In Lombardia è stata rinvenuta una colonia estiva in Wo¬ chenstuben composta da 9 9 adulte e da giovani di Myotis myotis e Myotis oxygnathus (dato e non concesso che siano due specie distinte). Nella colonia v'erano anche alcuni Myotis ca¬ paccinii (vedasi anche il punto 5). Gli esemplari erano paras¬ sitati da Penicillidia dufouri Westwood, da Nycteribia vexata Westwood e da Xycteribia latreillei vel pedicularia (Dinale 1962). G. DIN ALE e G. M. GHIDINI 100 7) Nyctalus noctula Schreber In Dinale 1965b è citata una colonia estiva posta sotto le te¬ gole di un tettuccio (in Lombardia). Uno degli esemplari ina¬ nellati è stato ritrovato in inverno a poche centinaia di metri di distanza. Da ciò si può rilevare che non tutti i N. noctula migrano. 8) Barbastello barbastellus Schreber Esemplari di questa specie sono stati trovati sia in Lazio sia in Piemonte, in inverno, in grotte molto fredde (temperatura in prossimità di (PC). I pesi riscontrati variano da 8,05 a 8,90 g per i 8 8 e da 8,55 a 10,45 g per le $ 2 . La differenza di peso tra i sessi è significativa : ciò può essere dovuto a dimorfismo sessuale oppure al fatto che gli esemplari pesati erano 8 8 giovani e 2 $ adulte. Non sembra convalidata 1’ ipotesi che i 6 8 siano più resistenti al freddo delle 2 2 (Dinale 1965b). Riassunto 22 collaboratori del Centro hanno inanellato in otto anni circa 6000 esemplari la maggior parte dei quali appartiene alla famiglia Rkinolophidae. Le ricatture sono state oltre 1000. Il Rhinolophus ferrimi equinum appare es¬ sere la specie più frequente. Alcuni dei collaboratori del Centro hanno pub¬ blicato parte delle osservazioni effettuate: in questa nota se ne riassumono le conclusioni. Summary The above bat banding center was founded in 1956 by one of us (Ghi- clini). Banding* started in 1957 and up to now 22 co-operators have banded about 6000 bats and recaptured about 1000 of them. For details see tables I and II (I = banded, R = recaptured). Rhinolophus ferrum equinum is thè most common species in Italian caves, from October to Aprii, followed by Rhinolopohus euryale. The Rkinolophidae in total represent thè 7891 of thè bats banded and thè 92 c/c of those re¬ captured. In our opinion this reflects thè actual situatimi: from October to Aprii, in thè caves of northern and centrai Italy (caves in thè upper mount- ains excluded) thè population of Rhinolophidae is larger than thè one of V e spertilionidae. Some of thè co-operators of this center have already published a part of thè data obtained. In this note are summarized their conclusions on thè following species: Rhinolophus ferrum equinum, Rhinolophus euryale, Rhi¬ nolophus hipposideros, Myotis emarginatus, Myotis myotis vel oxygnathus , Nyctalus noctula and Barbastello barbastellus. CENTRO INANELLAMENTO PIPISTRELLI lui BIBLIOGRAFIA Dinale G., 1958 - Sull’ inanellamento di pipistrelli in Liguria. Ann. Mns. Civ. St. Nat., Genova, LXX, pp. 130-158, 1 fig., 3 tab. — 1960 - Guida all7 inanellamento dei pipistrelli. Voi. IV delle Guide di¬ dattiche della Rass. Spel. Ital., Como, pp. 1-30, 56 fig. — 1962 a - Nota preliminare sui pipistrelli delle Grotte di Cunardo N. 2206 Lo-VA (Lombardia Occidentale). Rass. Spel. Ital., Como, XIV, n. 1. pp. 27-29. — 1962 b - Attività del Centro Inanellamento Pipistrelli. Atti Convegno- Assembler della Soc. Spel. Ital. (1960), in Rass. Spel. Ital., Como, XIV. n. 2, pp. 122-124.' — 1963 - Studi sui chirotteri italiani: I. Osservazioni sul Rhinolophus euryale Blasius in Liguria e nel Lazio. Ann. Mas. Civ. St. Nat., Genova. LXXIV, pp. 1-29, 5 fig., 6 tav. — 1964 - Studi sui chirotteri italiani: IL II raggiungimento della matu¬ rità sessuale in Rhinolophus ferrum equinum Schreber. Atti Soc. It. Se. Nat., Milano, CHI, n. 2, pp. 141-153, 3 tab. — 1965 a - Studi sui chirotteri italiani: III. Influenza dell7 inanellamento sul peso e sulla probabilità di sopravvivenza in Rhinolophus ferrum equinum Schreber. Atti Soc. It. Se. Nat., Milano, CIV, n. 1, pp. 23-40, 5 tab. — 1965 b - Studi sui chirotteri italiani: IV. Osservazioni su Myotis emar- ginatus (Geoffr.), Myotis capaccinii (BP.), Nyctalus noctula (Schr.). Plecotus sp. e Barbastello barbastellus (Schr.) in alcune regioni ita¬ liane. Doriana, suppl. Ann. Civ. Mus. St. Nat., Genova, IV, n. 156. pp. 1-5. — e P. Maifredi, 1958 - Centro Inanellamento Pipistrelli (Attività svolta nel 1957). Rass. Spel. Ital., Como, X, n. 4, pp. 167-168. — e G. Ribaldone, 1959 - Attività del C.I.P. nel 1958 (Centro Inanel¬ lamento Pipistrelli). Rass. Spel. Ital., Como, XI, n. 4, pp. 242-243, 1 tab. — e G. B. Ribaldone, 1961 - L7 inanellamento di pipistrelli in Liguria negli anni 1959 e 1960. Rass. Spel. Ital., Como, XIII, n. 2, pp. 52-53, 1 tab. Ghidini G. M., 1956 - Costituzione di un Centro di Inanellamento Pipistrelli. Rass. Spel. Ital., Como, Vili, n. 3-4, pp. 214-222, 47 fig. C. Campiglio e R. Potenza LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO (ALTA VALTELLINA, LOMBARDIA) (*) Introduzione In una nota precedente [4] abbiamo affrontato i problemi relativi al corpo intrusivo affiorante tra Sondalo e S. Antonio Mo¬ riglione e abbiamo descritto, fra i vari litotipi rappresentati entro il plutone, le dioriti di S. Antonio. Iniziando ora la descrizione dei gabbri a olivina appartenenti alla stessa formazione, precisiamo che i metodi di studio non hanno subito modifiche e che, proce¬ dendo nel lavoro, non abbiamo rilevato elementi in contrasto con quanto affermato nella nota precedente. Anche per i riferimenti bibliografici a carattere locale valgono ancora quelli richiamati nella nota citata; ad essi va però aggiunta la tesi di dottorato di M. A. Koenig dell’università di Zurigo [10]. Si tratta di uno studio su tutta l’alta Valtellina tra Sondalo, Bormio e la Val Gro- sina, in cui si dedica particolare attenzione al « Plutone del¬ l’alta Valtellina ». In questo lavoro si manifesta però una eccessiva preoccupazione di aderire a schemi prefissati, oltre ad una scarsa agilità nell’ inquadrare il valore dei dati raccolti ; non mancano inoltre inesattezze e contraddizioni terminologiche, per cui bisogna considerarlo con attente riserve, specie per quanto riguarda le con¬ clusioni generali non sempre giustificate da presupposti obiettivi. Non si può tuttavia negare il notevole interesse della ricerca, in quanto si tratta dell’unico lavoro completo comparso finora sull’ar¬ gomento e del primo tentativo di sintesi geologica. In una nota successiva [11] Koenig inquadra il plutone in una visione gene¬ rale della tettonica alpina. Problemi così vasti esulano dagli scopi della presente ricerca, mentre valgono sempre le riserve formu¬ late per le considerazioni di carattere locale. (*) Studio compiuto nell’ambito dei programmi della sez. IV del Centro Nazionale per lo studio geologico e petrografico delle Alpi del C.N.R., 1965. LE FACIES OLI VINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 1 0 3 Petrologia de! gabbro olivinico ( ] a) Osservazioni di campagna. Nella zona meridionale del Gabbro di Sondalo (-) compaiono rocce caratterizzate dalla presenza dell’olivina le quali formano corpi ben localizzati entro le rocce circostanti. L’area di affiora¬ mento non è complessivamente grande, essendo circa un trente¬ simo della superficie totale occupata dalla massa intrusiva. lì principale di questi corpi costituisce un complesso di affioramenti a N di Le Prese, dal fondovalle a q. 1600 circa, un altro di note¬ voli dimensioni si trova presso Menegai, un terzo è stato indivi¬ duato in vai Dombastone. I rapporti delle facies oliviniche con le rocce circostanti non sono molto chiari a causa della fitta coper¬ tura vegetale e delle difficoltà di accesso alle pareti affioranti : è comunque accertato che i limiti con le noriti, piuttosto sfumati, hanno un andamento ONO-ESE, in accordo con la struttura in¬ terna generale del plutone, e che r estensione in questa direzione è maggiore che in direzione N-S. Filoni di norite attraversano qua e là i tipi olivinici ; più frequentemente però formano, all’ interno ed ai margini, dei septa, sempre con andamento ONO-ESE. Sul terreno il primo criterio diagnostico è il tipo di degrada¬ zione, analogo a quello di certi diabasi, a nuclei compatti, arroton¬ dati, circondati da materiale sfatticcio ma non alterato e accom¬ pagnati da sabbioni anche estesi (Tav. IV, fig. 1). La compat- C) La descrizione del gabbro olivinico si basa sullo studio di 12 cam¬ pioni dei quali cinque sono stati raccolti nell’affioramento di Menegai, quattro presso Le Prese e tre in vai Dombastone, e di una ventina di sezioni sottili. Quelli su cui sono state eseguite le misure e le analisi riportate nel presente lavoro sono stati raccolti nelle località seguenti : 1) q. 1430 canalone a NO di Le Prese 03573507 2) q. 1090 presso le case di Menegai 04843461 3) q. 1250 sentiero Le Prese-Suville 03953489 Le tre località appartengono alla zona 32T PS (coordinate U.T.M.). (') In accordo con le norme del « Codice di nomenclatura stratigrafica » si attribuisce al termine «Gabbro di Sondalo» un valore formale: questo termine cioè viene assunto come denominazione valida per l’ intera forma¬ zione costituita dal corpo intrusivo, considerato in tutte le sue differenzia¬ zioni, di genesi unitaria, affiorante in alta Valtellina tra Sondalo e Cepina (v. « Riv. Ital. Paìeont., voi. LXVIII, n. 1, pp. 115-148, Milano, 1960). 104 C. CAMPIGLIO e R. POTENZA tezza del gabbro olivinico sano fa sì che esso venga ricercato sul luogo come pietra da costruzione. b) Descrizione petro grafica. La grana della roccia è per lo più media e sul campione si possono riconoscere abbastanza agevolmente i cristalli globosi di olivina verde nella massa di feldspato violaceo e di pirosseno e anfibolo neri e ben sfaldati. Al microscopio si può osservare che la roccia è di solito di una freschezza eccezionale : spessi anelli di aggregati finemente fi¬ brosi circondano a volte l’olivina ma, come si vedrà in seguito, non si tratta di alterazioni bensì di trasformazioni sinantetiche ; i componenti si limitano cioè praticamente a quelli riconosciuti ma¬ croscopicamente : plagioclasio labradoritico, olivina, augite, piros¬ seno rombico, anfibolo bruno, rari minerali opachi ; eccezional¬ mente compare anche qualche laminetta di biotite. I componenti tendono a concentrarsi in determinate zone che lasciano abbondante spazio al plagioclasio il quale lo occupa con aggregati di cristalli subidiomorfi ; un certo idiomorfismo si nota anche nei singoli individui isolati entro i componenti femici : local¬ mente tale struttura può quindi simulare un aspetto intersecale. I cristalli di plagioclasio presentano dimensioni alquanto va¬ riabili, ma per lo più sono piuttosto grandi, debordine del mezzo centimetro. Sono quasi sempre geminati secondo le leggi dell’albite e di Carlsbad, semplici o associate ; più di rado compare la legge del periclino. Le lamelle di geminazione polisintetica, raramente deformate, sono in genere larghe e ben distinte ; la loro ampiezza però è soggetta a variazioni entro lo stesso cristallo, in relazione con la zonatura di questo. Il plagioclasio infatti è zonato in modo irregolare, a chiazze scheletriche ; a volte entro il gruppo di chiazze più interne, generalmente più calcico, si osserva un nucleo forte¬ mente basico, ma per lo più la composizione è piuttosto costante nelle due zone principali. Sia tra i cristalli di uno stesso campione che tra quelli di campioni diversi non si sono notate differenze apprezzabili di composizione, come pure non si è rilevato un rap¬ porto tra composizione e dimensioni dei cristalli. La media delle percentuali di anortite, ricavata da 110 misure dell’angolo assiale ottico e dell’angolo massimo di estinzione in zona perpendicolare a 010 eseguite al T.U. su 78 cristalli, indica la composizione di LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 10~, una labradorite con il 64-65% di anortite. Le misure effettuate in varie parti di cristalli zonati mostrano che il contenuto di anor¬ tite può giungere nel nucleo fino al 75%, nella zona periferica fino al 52%. Fig. 1. — Posizione dei tre principali affioramenti di gabbro olivinico entro il Gabbro di Sondalo (stellette). L’ olivina forma individui tondeggianti incolori, corrosi al bordo e inglobati da tutti gli altri minerali ; le notevoli variazioni di dimensioni, osservabili tra i cristalli di campioni differenti ed eccezionalmente dello stesso campione, sono evidentemente impu¬ tabili ad un diverso grado di riassorbimento magmatico. Spesso l’olivina include granuli di ossidi metallici, vi si trovano inoltre anche rarissimi cristalli circondati da un alone colorato di degene¬ razione radiogenica. Dai caratteri ottici misurati (3) si deduce trat- G) Le misure di 2V« effettuate su 12 cristalli hanno dati valori com¬ presi fra 80° e 85°, in media 83°. A causa della dispersione marcata gli angoli misurati in luce rossa superano di circa un grado quelli misurati in luce violetta. C. CAMPIGLIO e R. POTENZA 10(i tarsi di un’olivina di tipo crisolitico col 20% di fayalite. Spesso i prodotti di reazione restano in posto e formano sottili anelli in¬ torno aH’olivina : si tratta di ortopirosseno bronzitico in cristalli discreti e in tipica associazione con l’olivina ; possono anche essere presenti aggregati paralleli di ortopirosseno e di antibolo che, in qualche campione, sono sviluppati fino ad occupare 1’ intero vano, del cristallo originario. I prodotti d’alterazione, peraltro molto rari' e limitati a piccole porzioni dei cristalli intaccati, sono rappresen¬ tati da ossidi e carbonati, formanti il riempimento di sottili frat¬ ture sinuose dei cristalli stessi ; chiazze giallo-verdastre di aggre¬ gati submicroscopici posson venire interpretate, per analogia con sostanze simili descritte da vari Autori, come bowlingite. Sempre molto subordinati al plagioclasio e all’olivina, come si può vedere dalle analisi modali, pirosseni e anfiboli entrano nella composizione della roccia in proporzione variabile. Tra i pirosseni, troviamo termini enstatitici di aspetto assai vario : da anelli di rea¬ zione e fini aggregati circondanti i cristalli di olivina possono- giungere a formare grossi pseudo-fenocristalli di qualche centi- metro. Quasi sempre sono ben sfaldati, il loro colore leggermente rosato è chiarissimo; gli indici di rifrazione sono piuttosto elevati, la birifrazione è bassa ; il valore 2Va , ricavato al T.U. su una decina di cristalli, è di circa 74° con poche variazioni ; la disper¬ sione infine è piccola. Si tratta quindi di una bronzìte col 77% di enstatite. A differenza dei pirosseni rombici, che risultano in stretto rapporto con l’olivina, Yaugite appare sempre indipendente dalle fasi precedentemente separate e forma cristalli di entità va¬ riabile, mai però molti piccoli. E’ sfaldata secondo 110 e in parti¬ colari sezioni è visibile anche una fittissima sfaldatura 100 tipica dei termini diallagitici. Lungo le tracce di sfaldatura è normale l’allineamento di piccolissimi cristalli smistati la cui natura non è stata esattamente definita. Il colore è grigio rosato molto chiaro, il pleocroismo quasi assente, la birifrazione piuttosto forte. Al T.U. sono state eseguite una trentina di misure dell’angolo assiale ottico che è risultato positivo e, in media, di 46° con piccoli scarti, mentre l’angolo cA7 è risultato assai costante, cioè di 42° ± 2°: in base alle tabelle di Tròger questi caratteri corrispondono a quelli di una augite. Quando l’augite e il pirosseno rombico si trovano in grandi cristalli, sono generalmente ridotti a forme scheletriche LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 107 tra i cui ampi vani si insinua il plagioclasio (Tav. IV, fig. 2). In molti casi V individuo originario è addirittura smembrato in nu¬ merosi brandelli di cui è tuttavia ancora riconoscibile la primi¬ tiva unità. o K m 2 3 - A A A A A A A A i 4/ / / V \ \ \ 2 m 3 4 Fig-. 2. — Carta geologica della zona di affioramento delle masse prin¬ cipali di gabbro olivinico. 1) Gabbro olivinico. 2) Gabbro anfibolico. 3) Noriti, iperiti, anortositi. 4) Cornubianiti biotitico-sillimanitiche, granatifere, talvolta con cordierite. 5) Copertura detritica e morenica. 8 108 C. CAMPIGLIO e R. POTENZA L ’anfibolo forma sottili fasce intorno agli altri componenti temici ; a volte gli anelli sono molto sviluppati e sono allora in connessione con la presenza di granuli di magnetite e di ilmenite. Più di rado si trova in cristalli discreti di grandi dimensioni : con¬ tiene allora numerose inclusioni regolari di rutilo. A volte Tanfi- bolo forma anche piccole chiazze che sostituiscono in parte il pi- rosseno rombico o monoclino : casi estremi sono quelli di interpene¬ trazione completa tra augite e antibolo. L’anfibolo è sempre molto colorato, con pleocroismo marcato dal giallo-verde per a e al bruno intenso per y ; la birifrazione è abbastanza alta e alquanto irregolare ; al T.U. sono state eseguite quindici misure, dalle quali si è ricavato un valore medio di 2V(i di 86°. La dispersione abba¬ stanza forte (R > V) fa sì che Tangolo assiale ottico possa variare anche di un grado al variare della lunghezza d’onda della luce im¬ piegata per le misure. Il valore di c A 7, (in media di 12°-13°) è alquanto incerto, ma non può essere precisato ulteriormente a causa della dispersione dei dati ottenuti (da 10° a 15°) e del pic¬ colo numero di cristalli disponibili per le misure. Questi caratteri corrispondono in linea di massima a quelli delle orneblende co¬ muni, non è possibile però in base a questi soli dati precisare di quale termine del gruppo siamo in presenza. Un’attenzione particolare a causa della loro genesi diversa da quella di tutti gli altri minerali presenti nella roccia, meritano infine le « corone ». Con questo termine, a cui attribuiscono va¬ lore genetico oltre che descrittivo, gli AA. più recenti di lingua inglese [6, 8, 12, 13, 18] indicano aggregati di prodotti di reazione allo stato solido aventi una particolare struttura, che comune¬ mente si formano al contatto tra olivina e plagioclasio. Il loro aspetto è quello di un anello, più o meno completo e di spessore costante, di minerali prismatici in aggregati paralleli disposti a raggiera intorno ai granuli di olivina. In queste rocce le corone sono doppie essendo presenti due strati concentrici spesso separati da una netta discontinuità. Il primo strato, a contatto con l’olivina, è formato da aggregati pa¬ ralleli di cristalli prismatici tozzi e incolori ; il secondo, di spes¬ sore sempre superiore al primo, risulta anch’esso costituito da aggregati di cristalli prismatici, ma fibrosi, di colore verde chiaro LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 109 e spesso alquanto raggiati. La finezza estrema dei singoli indi¬ vidui costituenti le corone impedisce di effettuare misure ottiche su di essi : a malapena si riesce a distinguere il pirosseno rombico della corona interna dall’anfibolo dello strato periferico, nel quale talvolta si riconosce qualche cristallino di antibolo sodico. E* assai Fig. 3. — Aspetto tipico di un gabbro olivinico. I cristalli di olivina allo- triomorfi e corrosi sono avvolti da ampie corone che li isolano dal pla- gioclasio. I cristalli di pirosseno (punteggiati in figura), ben sfaldati, mostrano un forte riassorbimento operato dal feldspato subidiomorfo. (0 = 1 cm). dubbio inoltre il riconoscimento dello spinello che, secondo gli AA. consultati, sarebbe un componente molto frequente delle corone di questo tipo in associazione simplectitica con l’anfibolo ; per il resto tuttavia le nostre osservazioni trovano sostegno nelle determina- C. CAMPIGLIO e R. POTENZA 110 zioni concordi dei vari Autori. Le corone sono presenti solo al con¬ tatto tra olivina e plagioclasio, esse infatti scompaiono brusca¬ mente dove T olivina viene in contatto con i minerali temici ; in qualche campione mancano del tutto anche al contatto con il feldspato, specialmente se la roccia è ricca di orneblenda bruna. Le corone possono essere sviluppate in diverso grado fino a sosti¬ tuire completamente il cristallo di olivina ; talvolta sono invece in¬ complete per la mancanza di uno degli strati : rimane allora il solo anello pirossenico. c) Note strutturali. La tendenza all’ isoorientazione dei plagioclasi osservata in numerosi campioni ci ha suggerito lo studio dell’orientazione di alcuni componenti al T.U. Non abbiamo effettuato determinazioni statistiche accurate che, data la grana della roccia, avrebbero ri¬ chiesto un gran numero di sezioni orientate e che, oltretutto, esu¬ lavano dai limiti impostici dal presente lavoro. Tuttavia l’esame della disposizione di alcune decine di cristalli per ogni sezione ha dato indicazioni sufficienti per riconoscere che il plagioclasio pre¬ senta una isoorientazione assai blanda, tendendo a disporre il piano 010 secondo le principali direttrici tessiturali, bene riconoscibili in tutta l’area del plutone, perchè sottolineate dai septa di scisti inclusi, dai filoni di pegmatite e da numerose litoclasi. Nessun indizio si è invece ricavato dallo studio dell’olivina, la cui orien¬ tazione appare del tutto casuale. d) Studio chimico e modale. La composizione chimica dei gabbri olivinici studiati è stata determinata analizzando tre campioni. Secondo gli orientamenti più recenti della tecnica analitica delle rocce silicatiche (4) i dati di tutte le analisi, eseguite in doppio, sono riportati nelle tabelle (4) Fairbairn H. W., Precision and accuracy of Chemical analysis of silicate rocks : Geochim. Cosmochim. Acta, 4, pp. 143-156, (1953). Weibel M., Chemismus und Mineralzusammensetzung’ von Gesteinen des nordlichen Bergeller Massiv: Boll. Svizz. Min. Petr., voi. 40, pp. 69-93, (1960). LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO ] 1 1 con un massimo di tre cifre significative, in accordo quindi con l’esattezza dei metodi analitici impiegati. Le analisi sono state ef¬ fettuate su polvere seccata a HOC, data la mancanza di signifi- T ABELLA 1. Campione 1: gabbro olivinico (q. 1430 canalone a NO di Le Prese) Analisi chimica Parametri magmatici Composizione minerai. SiO- 47.5 sec. . Niggli in volume TiO* 0.37 si 100.2 plagioclasio 67.6 Al2Oa 20.9 al 26.3 olivina 18.9 FeaO-, 0.50 fm 44.9 pirosseni 6.7 FeO 6.8 c 22.5 antibolo 4.8 MnO tr. alk 6.3 minerali opachi 0.5 MgO 10.0 k 0.04 alterazione 1.5 CaO 9.8 mg 0.71 Na^O 2.9 ti 0.55 100.0 KaO 0.20 h 6.6 P2O5 ass. w 0.06 Tipo magmatico: ILO 0.9 t — 2.5 c-gabbroide qz — 25.0 Analista : 99.77 C. Campiglio (1965) Base : - Kp Ne Cai Cs Fs Fa F o Rii Q 0.7 15.4 25.6 1.6 0.5 7.8 20.3 0.2 27.9 L = 41.7 M - 30.4 71 — 0.61 y = 0.053 il - 1 0.66 a — 0.009 Catanorma standard : Mt An Ab Or Wo Fa Fo Rii 0.5 42.6 25.6 1.1 2.1 7.6 20.3 0.2 cato petrografico del valore H20_. I dati analitici riportati nelle Tab. 1, 2, 3, rivelano che due delle analisi sono molto simili, con qualche differenza nei valori delFalluminio e del silicio, mentre la terza si discosta notevolmente per il contenuto di magnesio calcio e, in minor grado, di silicio alluminio e ferro. Il confronto con le 112 C. CAMPIGLIO e R. POTENZA analisi medie di gabbri olivinici riportate da vari Autori (tab. 4) mette in evidenza inoltre che ìe principali differenze di chimismo tra le rocce valtellinesi e le medie citate risiedono in una maggiore Tabella 2. Campione 2 : gabbro olivinico (q. 1090 presso le case di Menegai) Analisi chimica Parametri magmatici Composizione minerai SiCL 49.6 sec. Niggli in volume TiQo 0.28 si 108.5 plagioclasio 57.0 ALO, 19.5 al 25.1 olivina 8.2 Fe,0:; 0.12 fm 44.2 corone 21.3 FeO 6.1 c 24.2 pirosseni 11.6 MnO tr. alk 6.5 anfibolo 1.5 MgO 10.1 k 0.03 0.74 minerali opachi 0.4 CaO 10.3 mg Na,Q 3.0 ti 0.46 100.0 KoO 0.15 h 7.4 PaOs tr. w 0.014 Tipo magmatico : c-gabbroide ELO 1.0 t — 5.6 qz 1 7 5 Analista : 100.15 C. Campiglio (1965) Base : Kp Ne Cai Cs Fs Fa Fo Ru Q 0.5 15.8 23.2 3.4 0.1 7.0 20.5 0.2 29.3 L = 39.5 M = 31.2 71 = 0.59 y = 0.011 ti = 0.65 a — 0.29 Catanorma standard : Mi An Ab Or Wo En Fa Fo Ru 0.1 38.7 26.3 0.8 4.5 9.6 6.5 13.3 0.2 quantità di silicio e, soprattutto, di alluminio, e in una quantità mi¬ nore di potassio e ferro, dovuta quest’ ultima principalmente alla scarsità del ferro trivalente. lì calcolo dei parametri magmatici secondo Niggli rivela il carattere sottosaturo di queste rocce il cui valore qz varia da LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 113 Tabella 3. Campione 3 : gabbro olivinico (q. 1250 sentiero Le Prese-Suville) Analisi chimica Parametri magmatici Composizione minerai sec. Niggli in volume SÌO2 46.2 TiO* 0.31 si 89.2 plagioclasio 51.7 AlsO, 16.6 al 18.9 olivina 22.7 Fe^Oi 0.75 fm 60.6 corone 6.1 FeO 8.6 c 16.4 pirosseni 16.2 MnO 0.10 alk 4.1 anfibolo 1.9 MgO 15.8 k 0.04 minerali opachi 0.4 CaO 7.9 mg ti 0.75 0.46 alterazione 1.0 Na-0 2.1 100.0 7.8 ICO 0.15 h P205 tr. w 0.07 Tipo magmatico : HA) 1.2 t — 1.6 c-gabbroide qz 97 Q Analista : 99.71 C. Campiglio (1965) Base : Kp Ne Cai Cs Fs Fa Fo 1 Rii Q 0.7 11.1 20.8 1.1 0.8 9.9 32.0 0.2 23.4 L = 32.6 M = 44.0 71 — 0.62 y — 0.025 a = 0.73 i a — 0.11 Oatanorma standard : Mt An Ab Or Wo En Fa Fo Ru 0.8 34.7 18.5 1.2 1.5 6.4 9.5 27.2 0.2 — 17,5 a — 27,3 mentre il valore et è sempre assai vicino a 0. Ciò è logico trattandosi di rocce basiche, come pure è logico il valore elevato e costante del parametro mg (0,71-0,75). Il valore di w e h mostra infine che la roccia contiene pochissimi minerali idrati e ossidati e in particolar modo è povera di componenti alterati, ciò in accordo con quanto osservato al microscopio. 114 C. CAMPIGLIO e R. POTENZA Tabella 4. Dati analitici dei gabbri olivinici di Sondalo e confronto con analisi medie di altri Autori 1 SiO, 47.5 TiO, 0.37 ALO, 20.9 F e-O, 0.50 FeO 6.8 MnO tr. MgO 10.0 CaO 9.8 Na»0 2.9 KLO 0.20 P,0 ass. ILO 0.9 2 3 49.6 46.2 0.28 0.31 19.5 16.6 0.12 0.75 6.1 8.6 tr. 0.10 10.1 15.8 10.3 7.9 3.0 2.1 0.15 0.15 tr. tr. 1.0 1.2 a b 46.26 45.71 1.17 0.75 16.04 16.67 3.11 3.44 8.98 6.12 0.11 0.16 9.74 10.48 10.85 11.58 1.77 1.95 « 0.49 0.87 0.18 0.22 1.25 1.88 da Johannsen [9] c d 46.49 46.83 1.17 0.97 17.73 17.38 3.66 1.91 6.67 8.20 0.17 0.14 8.86 10.03 11.48 11.36 2.16 2.03 0.78 0.40 0.29 0.21 1.04 0.63 1 — campione 1 2 — campione 2 3 — campione 3 a — 7 gabbri olivinici americani b — 24 gabbri olivinici europei c — 17 gabbri olivinici d — gabbro olivinico medio (Nockolds) da Barth [1] L’aderenza tra il chimismo di queste rocce e quello dei tipi magmatici di Niggli non è molto stretta, si possono tuttavia ricon¬ durre i parametri magmatici dei due primi campioni al tipo c-gab- broide, mentre quelli del terzo si accostano al magma al-orneblen- ditico. L’eccessiva differenza dei valori di si riduce però alquanto il significato di quest’ultimo confronto poiché, mentre il tipo mag¬ matico è saturo (oc 1,8), il campione 3 è sottosaturo (a = 0,11). In tutte e tre le rocce analizzate troviamo invece un valore di fm e di k più basso di quello riportato nei tipi magmatici. si al fm c alk k mg c-gabbroide 100 25 46 25 4 0,1 0,7 Campione 1 108,5 25,1 44,2 24,2 6,5 0,03 0,74 Campione 2 100,2 26,3 44,9 22,5 6,3 0,04 0,71 Campione 3 89,2 18,9 60,6 16,4 4,1 0,04 0,75 ai-orneblenditico 120 19 61 15 5 ? 0.7 LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 1 \ ,*J L’elaborazione dei dati è stata spinta fino al calcolo della ca- tanorma standard, la quale conferma il carattere sottosaturo di questa roccia. Interessante notare qui che, sebbene le quantità glo¬ bali di feldspati e di minerali temici normativi e modali varino largamente, il rapporto tra k e n (v. fig. 4) e il valore « sono assai Fig. 4. — Posizione delle rocce analizzate nel grafico k — ri (sec. Niggli). La vicinanza dei punti rappresentativi indica la costanza di composizione dei feldspati normativi il cui valore ricavato dal grafico è: 1) Ab;, t Or2 An8i 2) Ab-to Ori Anj, 3) Ab:;0 Ori. 5 An,lL».r, costanti, indicando una relativa costanza di composizione nei mi¬ nerali principali. Purtroppo, nonostante queste premesse promet¬ tenti, la prosecuzione dei calcoli delle possibili varianti si è rive¬ lata estremamente complessa, tanto che Taleatorietà dei risultati conseguibili ci ha consigliato di rinunciare ad un confronto rigo¬ roso con il modo. Il primo e più importante fattore che riduce il valore di tale confronto è V incertezza della composizione minera¬ logica. Le analisi modali eseguite sullo stesso campione differi¬ scono infatti di tanto che la media fra i valori ottenuti ha assai poche probabilità di corrispondere alla effettiva composizione C. CAMPIGLIO e R. POTENZA liti media del campione. D’altra parte la scarsa omogeneità della roccia non permette di ovviare a questo inconveniente in fase di campionatura. La presenza poi di numerosi minerali dal chimismo non esattamente accertabile in base alle misure ottiche e l’ incer¬ tezza della composizione mineralogica delle corone introduce un numero eccessivo di variabili nei calcoli petrochimici i cui risultati non danno perciò indicazioni attendibili. Abbiamo voluto comun¬ que riportare, tra le varianti calcolate per i campioni studiati, quella che più si accostava alla composizione modale. Composizione minerai ogica Variante: percentuali in voi n me in volume plagioclasio 57.0 56.7 Anóc,.i Abio.s Oo.t olivina 8.2 7.6 Fo-o F ass 0.9 pirosseno rombico corone 21.3 21.6 17.7 anfibolo / 3.0 spinello bronzi te 1.0 1.7 Enro Hy.’ó augite 10.6 10.0 Di» Hedio Wo*. anfibolo 1.5 1.6 Sin AL Oh Mg, Fe-j Csu (OH), AL minerali opachi 0.4 o.4 ; 0.3 magnetite 0.1 ilmenite calcite n.d. 0.4 somma 100.0 100.0 Anche in questa variante non è però possibile verificare la corrispondenza tra la effettiva composizione di tutti i minerali della roccia e le formule utilizzate. Causa principale di questo grave inconveniente, assai più accentuato negli altri campioni, è l’eccedenza deiralluminio in tutte le rocce analizzate per cui, esclusa la possibilità di un errore analitico (5) abbiamo dovuto (3) La ripetizione dei risultati in determinazioni indipendenti (le analisi sono sempre eseguite in doppio) ci permette di escludere l’errore accidentale; l’errore sistematico è stato escluso controllando il metodo con le rocce stan¬ dard Gl e Wl. D'altra parte anche l’analisi di Koenig [10] sul gabbro oli- cinico di Sondalo riporta un valore di ALCL (20.0%) superiore alle medie. LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 117 concludere che probabilmente nei reticoli dei minerali di queste rocce l’alluminio può essere più abbondante di quanto normalmente ammesso in base alle formule cristallochimiche standard. Tale pos¬ sibilità è riconosciuta da vari Autori, ma una ricerca approfondita in tal senso esula per ora dai fini che ci siamo proposti in questo lavoro. e) Classificazione. In base al chimismo, queste rocce secondo Xiggli possono es¬ sere classificate come derivate da un magma affine al c-gabbroide od al-orneblenditico ; la mancata coincidenza dei due tipi deriva dalle variazioni locali della composizione mineralogica, in partico¬ lare nel campione 3 il maggiore contenuto modale di minerali te¬ mici rende ragione delle differenze di chimismo osservate. Se si passa alle classificazioni basate esclusivamente sulla composizione mineralogica, la differenza tra i campioni studiati si riduce notevolmente: secondo Johannsen queste rocce possono es¬ sere comprese nella denominazione di gabbro olivinico (fam. 2312P) con una costante tendenza verso le anortositi dovuta all’alto con¬ tenuto di plagioclasio ; la prevalenza dell’olivina sul pirosseno po¬ trebbe inoltre accostare queste rocce al tipo troctolitico. La classificazione quantitativa di Ronner infine riunisce i tre campioni studiati nel tipo leucoiperitico (fam. 20). f) Note petro genetiche. Da tutte le osservazioni svolte finora emerge un quadro pe- trogenetico a carattere spiccatamente intrusivo, sia per quanto si riferisce alla natura dei componenti mineralogici sia, soprattutto, per l’andamento della loro cristallizzazione. Tutti i minerali presenti nella roccia appartengono al primo stadio di cristallizzazione di un magma basaltico ; i singoli mine¬ rali hanno inoltre una composizione che, per quanto è stato veri¬ ficato, rispetta l’ordine di arricchimento in determinati compo¬ nenti (Si, Fe) in funzione di una normale cristallizzazione fra¬ zionata. Questa si inizia con la separazione di ossidi e solfuri metallici e successivamente di un’olivina non molto magnesifera; all’abbas- sarsi della temperatura l’olivina reagisce col residuo liquido, ar¬ ricchito in SiOo , per formare una piccola quantità di pirosseno US C. CAMPIGLIO e R. POTENZA bronzitico ; essendo il magma sottosaturo non tutta l’olivina può partecipare alla reazione e rimane sotto forma di cristalli relitti. Contemporaneamente l’augite incomincia a separarsi direttamente dal liquido ; la lunga durata della cristallizzazione le permette di includere inizialmente la sola olivina e in seguito l’olivina accom¬ pagnata dai suoi prodotti di reazione ; il plagioclasio invece, in¬ cluso nel primo stadio, riassorbe successivamente gran parte del- l’augite già formata. Al normale arricchimento in ferro del liquido si accompagna poi il riassorbimento dei minerali metallici solidi¬ ficati nelle primissime fasi ; a questo processo può essere ricolle¬ gata la presenza dell’anfibolo bruno che forma orli di reazione in¬ torno agli altri componenti. I rari grandi cristalli di orneblenda bruna sono invece solidificati dal magma in un periodo anteriore, quando la temperatura era alquanto più elevata, come è testimo¬ niato dalla presenza degli smistamenti di rutilo. Precedentemente all’augite inizia anche la cristallizzazione del plagioclasio che si effettua in due tempi successivi, producendo la già descritta discontinuità nella zonatura dei cristalli ; il ter¬ mine della sua cristallizzazione corrisponde anche alla solidifica¬ zione totale della roccia. Il plagioclasio è inoltre responsabile dei fenomeni più imponenti di riassorbimento magmatico : le corro¬ sioni intaccano tutti i componenti temici e in particolare i feno- cristalli di augite, i quali giungono ad avere l’aspetto frammen¬ tario e scheletrico che impartisce alla roccia il suo caratteristico aspetto pseudo-ofitico. I componenti delle corone non partecipano alla serie di rea¬ zioni descritte in quanto derivano da fenomeni metamorfici suc¬ cessivi allo stadio magmatico, come indicano le loro caratteristiche mineralogiche e strutturali. Secondo gli Autori citati, causa prima della formazione delle corone è la differenza di potenziale chimico esistente tra olivina e plagioclasio. La presenza di acqua intergranulare e sollecitazioni esterne di vario tipo sono condizione necessaria per il verificarsi del fenomeno, il quale può svilup¬ parsi per stadi successivi, corrispondenti a diversi strati entro le corone. Lo strato più interno di ortopirosseno, è dovuto ad espulsione di Fe e Mg dal¬ l’olivina, mentre quello più esterno, in dipendenza dalla quantità d’acqua disponibile può essere costituito di antibolo e spinello o di antibolo e granato, dovuti questi alla reazione tra il plagioclasio e il Fe e Mg liberati. Le solle¬ citazioni esterne invocate vanno dal metamorfismo regionale al metamor¬ fismo di contatto; rautometamorfismo è chiamato in causa marginalmente LE FACIES OLIVINICHE DEL GABBRO DI SONDALO 1 | «J da alcuni, per lo più però lo si esclude a causa delle temperature troppo basse che esso implica e perchè il chimismo delle soluzioni provocherebbe una sili- cizzazione maggiore di quella che si verifica in realtà. Nel nostro caso si ammette senz’altro, per la sua evidenza, la genesi delle corone per reazione in solido ; quanto alle cause, le condizioni geologiche locali fanno escludere la presenza di masse eruttive che possano aver influenzato il gabbro dopo la sua solidi¬ ficazione ; anche i filoni di pegmatite che attraversano il plutone sono troppo lontani dal gabbro olivinico per averlo disturbato. Il metamorfismo dinamico ha interessato queste rocce in grado ridotto : le deformazioni sono inizialmente paracristalline e si limi¬ tano ad una blanda orientazione generale dei cristalli di plagio- clasio nonché a qualche sporadica distorsione delle lamelle di ge¬ minazione. E’ da escludere che tali sollecitazioni precoci abbiano potuto influire sui componenti in fase solida, più facilmente pos¬ sono aver agito i movimenti tardivi collegati con il complesso di fratture, che attraversa la zona in direzione N-S, del quale diremo più ampiamente in una prossima nota. Alcuni aspetti della composizione mineralogica e chimica di queste rocce, unitamente allo studio dei rapporti tra la tessitura generale del plutone e la tettonica locale delle rocce incassanti, farebbero sospettare la possibilità di vasti fenomeni di sintessi. I singolari rapporti quantitativi tra i minerali sembrano infatti indicare un equilibrio anomalo nei componenti del magma, il cui contenuto in alluminio, più elevato di quello che normalmente si trova in rocce analoghe, potrebbe derivare, qualora non sia pecu¬ liare del magma primario, dall’assimilazione di lembi degli scisti incassanti. Come però nel caso delle dioriti di questo plutone, l’or¬ dine di cristallizzazione dei minerali non appare turbato da alcuna influenza esterna. Se si ritiene accettabile 1’ ipotesi dell’assimila¬ zione bisogna quindi supporre che sia avvenuta quando ancora nes¬ suno degli attuali componenti si era ancora separato, cioè a una temperatura tanto elevata da permettere la completa digestione di quasi tutti gli inclusi. I valori t di Niggli, sempre minori di 0 in¬ dicano infatti che l’alluminio contenuto nel magma, pur essendo in forte quantità, poteva entrare interamente nei reticoli dei silicati. Fasi alluminifere come lo spinello potrebbero essersi regolarmente separate nei primissimi stadi della cristallizzazione per essere poi 1 20 C. CAMPIGLIO e R. POTENZA completamente riassorbite all’ abbassarsi della temperatura, se¬ condo l’equazione : Ca(Mg, Fe)Si,06 + 2 (Mg, Fe)Si03 + MgO A1203 _ pirosseni -}- spinello _ CaAl2Sio08 + 2 (Mg, Fe)2Si04 anortite -J- olivina la quale renderebbe inoltre ragione dell’elevato contenuto di feld¬ spato e della prevalenza dell’ olivina sul pirosseno nelle rocce studiate. Conclusioni Dalle considerazioni svolte sulle osservazioni di campagna e sugli studi di laboratorio, si può concludere che il gabbro olivinico appartiene alla formazione del Gabbro di Sondalo, di cui è un dif¬ ferenziato caratterizzato dalla presenza dell’olivina. Da un punto di vista sistematico questa roccia può essere definita in base alla composizione modale come una leucoiperite mentre chimicamente essa rientra nel tipo c-gabbroide od al-orneblenditico. La ricostru¬ zione della successione minerogenica e lo studio delle strutture mi¬ neralogiche indicano un’origine magmatica evoluta secondo le re¬ gole della cristallizzazione frazionata : il prodotto finale singolar¬ mente ricco di plagioclasio e olivina deve questa composizione particolare alla presenza di un’ elevata percentuale di alluminio all’ inizio della cristallizzazione. Si è supposto che questa ecce¬ denza dipendesse da fenomeni di sintessi, suggeriti anche dalla tessitura generale del plutone. Gli elementi raccolti finora a fa¬ vore di tale ipotesi sono però appena sufficienti per la formula¬ zione del problema: un’eventuale soluzione potrà venire soltanto con la estensione della ricerca all’ intera massa eruttiva. Milano, Istituto eli Mineralogia e Petrografia dell ’ Università. Riassunto Lo studio geologico-petrografico dell’alta Valtellina ha messo in evidenza la presenza di facies gabbro-oliviniche differenziate entro il Gabbro di Son¬ dalo. Costituenti principali di questi tipi sono il plagioclasio labradoritico e l'olivina, accompagnati da quantità variabili di bronzite, augite e omeblenda LE FACIES OLIVIMCHE DEL GABBRO DI SONDALO 121 bruna, disposti secondo una struttura pseudoofitica e parzialmente isoorien¬ tati; corone pirosseno-anfiboliche si sviluppano spesso per reazioni in solido al contatto olivina-plagioclasio. Dallo studio chimico si possono classificare queste rocce come corrispondenti ai tipi magmatici c-gabbroide e al-oryieblen- ditico di Niggli; le analisi medie di gabbri divinici riportate nella lettera¬ tura corrispondono alle analisi delle rocce di Sondalo, con la sola differenza che in queste ultime il contenuto di alluminio è alquanto più elevato. La com¬ posizione mineralogica fa rientrare queste rocce nei gabbri olivinici di Johannsen o nelle leucoiperiti di Ronner. La tessitura del gabbro olivinico e i rapporti dell’ intera massa eruttiva con le rocce incassanti fanno supporre la possibilità di fenomeni di sintessi nella storia geologica del plutone: la mancanza di perturbazioni nella cristallizzazione dei minerali implica però che, se tali fenomeni sono avvenuti, essi devono risalire alle prime fasi del- l’ intrusione, quando la temperatura del magma era sufficientemente elevata per portare a completa fusione il materiale incluso. Abstract The geologic-petrographic study of thè Gabbro di Sondalo has pointed out thè occurrence of olivinic facies. Labradorite and olivine are thè main c-onstituents of these rocks followed by bronzite, augite and brown hornblende. All these minerals are arranged according to a pseudo-ophitic texture and are slightly oriented. Products of solid reac-tions in forni of coronas of orthopy- roxenes and amphibole often grow out where thè olivine comes in contact with plagioclase. From Chemical data these rocks have been classified as c-gabbroid and al-hornblenditic magmas (Niggli); analytical results can also be c-ompared with average analysis of olivine-gabbro taken from literature, but al value is rather higher. Structure of olivine-gabbro and relations of thè whole igneous body with thè boundaries suggest that along its geological history thè plutonio mass can have largely assimilated part of thè wall rocks. In thè course of thè crvstallization however don’t occ-ur any noticeable perturbation, so we can infer that syntexis could only have taken place when thè temperature was high enough to ensure thè complete digestion of thè included materials. BIBLIOGRAFIA [1] Barth T. F. W. - Theoretical Petrology, Wiley e Sons, New York, (1962). [2] Bowen N. L. - The evolution of thè igneous rocks, Princeton Univ. Press Princeton, New Jersey (1927). [3] Brown G. M. - Pyroxenes from thè early and middle stages of fractio- nation of thè Skaergard intrusion, East Greenland : Min. Mag. 31. pp. 511-543 (1956). [4] Campiglio C., Potenza R. - Facies dioritic-he collegate con il gabbro di Sondalo (Alta Valtellina): Atti Soc. It. Se. Nat., CHI, 1. pp. 325-343 (1964). [5] Deer W. A., Howie R. A., Zussman J. - Rock-forming* minerals, Voi. 1-2, London (1963). C. CAMPIGLIO e R. POTENZA 1 1>L? [6] Herz N. - Petrology of thè Baltimora Gabbro, Maryland: G.S.A., Bull. 62, pp. 979-1016 (1951). [7] Hess H. 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Pavia — Premiata Tipografia Successori Fratelli Fusi — lf« Marzo lytìtì Direttore responsabile: PROF. CESARE CONCI Registrato al Tribunale di Milano al N. 6574 c. CAMPIGLIO e R. POTENZA Atti Soc. It. Se. Nat. Voi. CV, Tav. IV Fig. 1. Fig. o SUNTO DEL REGOLAMENTO DELLA SOCIETÀ (Data di fondazione: 15 Gennaio 1856) Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studi relativi alle Scienze Naturali. I Soci possono essere in numero illimitato. I Soci annuali pagano una quota d’ammissione di L. 500 e L. 3.000 all’anno, nel primo bimestre dell’anno, e sono vincolati per un triennio. Sono invitati alle sedute, vi presentano le loro Comunicazioni, e ricevono gratuitamente gli Atti, le i Memorie e la Rivista Natura. Si dichiarano Soci benemeriti coloro clie mediante cospicue elargizioni hanno contribuito alla costituzione del capitale sociale o reso segnalati servizi. La proposta per l’ammissione d’un nuovo Socio deve essere fatta e firmata da due soci mediante lettera diretta al Consiglio Direttivo. La corrispondenza va indirizzata impersonalmente alla « Società Italiana di Scienze Naturali, presso Museo Civico di Storia Naturale, Corso Venezia 55, Milano». AVVISO IMPORTANTE PER GLI AUTORI Gli originali dei lavori da pubblicare vanno dattiloscritti a righe distanziate, su un solo lato del foglio, e nella loro redazione completa e definitiva, compresa la punteggiatura. Le eventuali spese per correzioni rese necessarie da aggiunte o modifiche al testo originario saranno interamente a carico degli Autori. Il testo va seguito da un breve riassunto in italiano e in inglese. Gli Autori devono attenersi alle seguenti norme di sottolineatura: - - per parole in corsivo (normalmente nomi in latino) . per parole in carattere distanziato = = = = =per parole in Mail7 scolo Maiuscoletto (per lo più nomi di Autori) ■ ~ per parole in neretto (normalmente nomi generici e specifici nuovi o titolini). Le illustrazioni devono essere inviate col dattiloscritto, corredate dalle relative diciture dattiloscritte su foglio a parte, e indicando la riduzione desiderata. Tener presente quale riduzione dovranno subire i disegni, nel calcolare le dimensioni delle eventuali scritte che vi compaiano. Gli zinchi sono a carico degli Autori, come pure le tavole fuori testo. Le citazioni bibliografiche siano fatte possibilmente secondo i seguenti esempi: Grill E., 1963 - Minerali industriali e minerali delle rocce - Hoepli, Milano, 874 pp., 434 figg., 1 tav. f. t. Torchio M., 1962 - Descrizione di una nuova specie di Scorpaenidae del Mediter¬ raneo: Scorpenodes arenai - Atti Soc. It. Se. Nat. e Museo Civ. St. Nat. Milano, Milano, CI, fase. II, pp. 112-116, 1 fig., 1 tav. Cioè: Cognome, iniziale del Nome, Anno - Titolo - Casa Editrice, Città, pp., figg., taw., carte; o se si tratta di un lavoro su un periodico: Cognome, iniziale del Nome, Anno - Titolo - Periodico, Città, voi., fase., pp., figg., taw., carte. ( segue in quarta pagina di copertina) INDICE DEL FASCICOLO I De Donato L. e Torchio M. - Su di una Pennella crassicornis Steenstrup et Ltitken parassita di Ziphius cavirostris G. Cuy. ( Crustacea Copepoda) ....... Novelli L. - Studio petrografico di alcune serpentiniti affioranti nei dintorni di Varsi (Parma) (Tav. I) .... Sequi P. e Marchesini A. - Studio chimico -agrario dei terreni dell’Alto Novarese. II. Distretto di irrigazione di Cameri . Pace F. - Studio petrografia dell’ Alta Val Viola (Sondrio) (Tav. II-III) .......... Àbrami G. - Ipotesi sull’evoluzione della morfologia ed idrologia carsica . • • • • • # • « • • • Dinale G. e Ghidini G. M. - Centro inanellamento Pipistrelli : otto anni di attività (1957-1964) ...... Campiglio C. e Potenza R. - Le facies oliviniche del Gabbro di Sondalo (Alta Valtellina, Lombardia) (Tav. IV) pag. 5 » 14 » 29 » 43 » 61 * 91 > 102 ( continua dalla terza pagina di copertina) La Società concede agli Autori 50 estratti gratuiti con copertina stampata. Chi ne desiderasse un numero maggiore è tenuto a farne richiesta sul dattiloscritto o sulle prime bozze. I prezzi per il 1966 sono i seguenti: Copie 25 50 75 100 200 300 Pag. 4 » 8 » 12 » 16 L. 2250 » 2800 > 3400 » 4000 L. 2500 » 3100 » 3750 > 4400 L. 2750 » ' 3400 » 4100 » 4800 L. 3000 » 3700 » 4450 > 5200 L. 4000 > 5000 » 6000 » 7000 L. 5000 » 6100 » 7500 » 8500 La copertina stampata viene considerata come 4 pagine, non cumulabili con quelle del testo, e pertanto il suo prezzo è calcolato a parte. Per deliberazione del Consiglio Direttivo, le pagine concesse gratuitamente a ciascun Socio sono 12 per ogni volume degli « Atti » o di « Natura ». Nel caso il lavoro da stampare richiedesse un maggior numero di pagine, quelle eccedenti sa¬ ranno a carico dell’Autore, al prezzo di L. 3.000 per pagina. Il pagamento delle quote sociali va effettuato a mezzo del Conto Corrente Postale N. 3/52686, intestato a: «Soc. It. Scienze Naturali, Corso Venezia 55, Milano 227 »,